Writeptember 2023

di TheSlavicShadow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Sotto carica, Insopportabile [Stony] ***
Capitolo 2: *** 02. Amaro, Risacca [RuPru] ***
Capitolo 3: *** 03. Cambio della guardia, E' il momento + immagine (donna pilota) [RuPru] ***
Capitolo 4: *** 04. Dovrai proteggerlo + immagine (madre e figlio) [Stony/ABO] ***
Capitolo 5: *** 05. L'attesa è finita, Noi lo sappiamo [RuPru] ***
Capitolo 6: *** 06. Sei un medico?, Si fa per ridere [Stony] ***
Capitolo 7: *** 07. Che ne diresti di uscire un po'?, Chiedere di non andare [Ru/femPru] ***
Capitolo 8: *** 08. Ti ho già perdonato, Di fronte ad una lapide [Stony] ***
Capitolo 9: *** 09. Sono una merda, Tra le montagne, Mi costa ammetterlo [Ru/femPru] ***
Capitolo 10: *** 10. Solo mezza dose, In ginocchio [RuPru] ***
Capitolo 11: *** 11. Tanti errori, Sta bene, tranquillo [Stony] ***
Capitolo 12: *** 12. C’è una foto sul…, Lì un tempo c’era + immagine (pila di lettere vecchie) [Germania, Prussia] ***
Capitolo 13: *** 13. Raffreddarsi, Devi stare a letto [RuPru] ***
Capitolo 14: *** 14. Più niente da dire, Il vomito non mi fa impressione, Shell shock [Stony] ***
Capitolo 15: *** 15. Ciò che senti + immagine (ragazzo a petto nudo sorretto da altri due) [RuPru] ***
Capitolo 16: *** 16. La vita che volevi, Mancato per pochi centimetri [MCU/E3490] ***
Capitolo 17: *** 17. Copertura, Indecente [Stony] ***
Capitolo 18: *** 18. Prendere il volo, Rispondi, Hai trasformato... [Stony] ***
Capitolo 19: *** 19. È ciò che accade quando..., Posso essere per te qualunque cosa, Legami [RuPru] ***
Capitolo 20: *** 20. Le condizioni sono cambiate, Ciò che ti chiedo [RuPru] ***
Capitolo 21: *** 21. Sta migliorando, Neanche morto [Stony] ***
Capitolo 22: *** 22. Ti è passata la febbre?, Dai, riposati [RuPru+Germania] ***
Capitolo 23: *** 23. Non finirà mai, Quando sarò vecchio, Finirà prima o poi [Stony] ***
Capitolo 24: *** 24. Confine, Tenetelo fermo [RuPru] ***
Capitolo 25: *** 25. Ti amo ancora, In quel momento [RuPru] ***
Capitolo 26: *** 26. In nessun posto, Nessun sospetto [Stony] ***
Capitolo 27: *** 27. Non te ne accorgerai nemmeno , Giuda, Delle buone ragioni, Non è tuo quel posto [Stony] ***
Capitolo 28: *** 28. Funzionerà, Tutto il resto [RuPru] ***
Capitolo 29: *** 29. Noia, Fammi fare qualcosa [RuPru] ***
Capitolo 30: *** 30. Lieto fine, Non c'è niente qui [Ru/femPru] ***



Capitolo 1
*** 01. Sotto carica, Insopportabile [Stony] ***


Se ne stava al capezzale dell’uomo che più gli faceva saltare i nervi al mondo, ed era preoccupato come mai prima. Non pensava mai prima di agire quello sciocco. Si lanciava a capofitto in ogni missione, anche la più suicida, e lui restava ad osservarlo senza poter fare nulla.

Come gli aveva detto una volta? 

“Io ho un piano. Attacco.”

Avrebbe voluto dargli un pugno. Uno di quelli che lo avrebbe scaraventato lontano da tanto gli dava sui nervi col suo modo di fare.

Tony Stark era la persona più insopportabile sulla faccia della Terra. Apriva sempre bocca a sproposito. Faceva sempre qualcosa di totalmente inutile e pericoloso solo per fargli salire la pressione, e glielo ammetteva ridendo. 

Ma era anche la persona che più amava, e vederlo ferito lo distruggeva. Non poteva fare nulla se non stare seduto accanto a lui ed osservare le macchine che lo tenevano in vita. Osservava i cavi collegati al suo reattore arc e si sentiva impotente. 

Lui che era Capitan America. Lui che era probabilmente il mortale più potente sulla Terra, non poteva fare assolutamente nulla. 

Aveva gli occhi fissi sulla figura immobile che giaceva sul letto. Tony aveva fatto troppo come suo solito. Si era lanciato in battaglia senza pensare alle conseguenze che questo avrebbe potuto portare. Era uno stupido. 

“Se tu dovessi morire, come pensi che potrei continuare a vivere io?” Gli aveva accarezzato una guancia pallida. L’attesa di vederlo riaprire gli occhi lo stava logorando. Voleva che Tony lo guardasse. Voleva che gli sorridesse in quel suo modo insopportabile. Voleva sentire la sua voce, sentirsi chiamare ancora Cap. Voleva anche litigare con lui se questo fosse stato necessario.

Ma non poteva fare altro che stare lì ed aspettare.

 

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Capitolo 2
*** 02. Amaro, Risacca [RuPru] ***


Prompt: Amaro, Risacca
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru

 

Kaliningrad, 194*

 

Aveva affondato le mani nelle tasche della giacca che indossava. Il vento gli dava fastidio, ma mai quanto l’amaro che aveva in bocca ogni volta che guardava la laguna che si estendeva davanti ai suoi occhi. Quello era stato tutto suo. Quello era il gioiello che aveva costruito con cura in tanti secoli.

La sua maestosa e bellissima Königsberg.

E che adesso non riconosceva. Che in così poco tempo non era più sua. Che aveva un nome che non le apparteneva.

Con forza si era morso le labbra. Il dolore gli permetteva di non lasciarsi andare allo sconforto di quel momento.

Aveva perso su tutta la linea. Aveva perso tutto. Sé stesso e la propria libertà. 

Aveva perso la sua meravigliosa città e tutto quello che aveva rappresentato.

L’acqua fredda del Baltico aveva superato il cuoio degli stivali che indossava. Sentiva l’acqua gelida entrargli nelle scarpe e voleva lasciarvisi annegare. Sentire quell’acqua gelida fin nei polmoni. Farsi trascinare dalla risacca e cancellare così totalmente la sua esistenza da quel mondo. 

Königsberg non esisteva. La Prussia non esisteva. La sua bella Berlino non la riconosceva più. Non c’era più un posto da chiamare casa. Non c’era nessuno da cui tornare. 

Di certo non da Ivan. Non in quel momento in cui il Russo aveva fatto di tutto per umiliarlo davanti a tutti. E non da Ludwig. Non poteva rischiare di metterlo in una posizione ancora più sfavorevole.

L’acqua era gelida, ma non gliene importava in alcun modo. Le leggere onde si infrangevano contro le sue caviglie e stinchi man mano che proseguiva. 

Non era il freddo che lo spaventava. Lo conosceva. Conosceva anche la sensazione dell’acqua ghiacciata che ti sovrasta completamente. Quella volta aveva combattuto per sopravvivere. 

Ora voleva lasciarsi completamente andare. Non c’era nulla che aveva un briciolo di senso, nulla per cui impegnarsi.

“Cosa stai facevo, idiota?” Si era sentito tirare all’indietro per un braccio. Cosa stava effettivamente facendo? Non sarebbe morto in ogni caso. La sua vita e la sua morte dipendevano in quel momento solo dall’uomo che con forza aveva stretto il suo braccio.

“Pensavo di fare un bagno.” Non lo aveva guardato, anche se Ivan lo aveva costretto a voltarsi verso di lui. Che senso avrebbe avuto guardarlo? Ivan era felice di averlo sotto il suo dominio. Glielo aveva detto apertamente che erano secoli che non vedeva l’ora di sottometterlo. 

E ci era riuscito, annientando tutto ciò che per lui era importante.

 

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Capitolo 3
*** 03. Cambio della guardia, E' il momento + immagine (donna pilota) [RuPru] ***


Prompt: Cambio della guardia, E' il momento + immagine (donna pilota)
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru 

Fronte orientale, 194*

 

Non c’era una sola parte del suo corpo che non gli facesse male in quel momento. Aveva passato giorni all’interno di un Panzer tutt’altro che comodo. Aveva combattuto, e aveva miseramente perso.

“Devo ancora capire come hai fatto a farti catturare.”

“Streghe.”

Aveva sentito l’uomo accanto a lui ridacchiare. O almeno credeva di averlo sentito. Aveva le orecchie che ancora gli fischiavano a causa delle bombe cadute fin troppo vicino a lui. 

“Sono brave, vero?”

“Streghe.”

Doveva essere solo un breve spostamento di mezzi da un punto all’altro. Non dovevano ingaggiare battaglie proprio con nessuno. Ma ovviamente le Nachthexen erano in agguato a cavallo delle loro maledette scope adornate di bombe. 

Non aveva assolutamente idea di che fine avessero fatto i suoi compagni. Non ricordava molto della battaglia. Era stata breve, intensa e frenetica. 

Le aviatrici russe avevano sganciato le loro bombe ed erano scomparse. Poi erano intervenuti i soldati che avevano finito il lavoro che loro avevano iniziato.

“Se tu avessi indossato la tua uniforme da alto ufficiale non ti avrebbero sparato.”

“In battaglia non sono un alto ufficiale. Dovresti saperlo ormai.”

Gilbert aveva guardato l’uomo che aveva accanto. Era stato lui a curargli le ferite? Anche se si stavano facendo la guerra come mai prima di allora, Ivan lo stava aiutando? Ivan che avrebbe dovuto ucciderlo per tutte le atrocità che stava commettendo?

“Dovresti restartene da qualche parte al sicuro. La guerra finirà presto e non sarete voi i vincitori.”

Aveva chiuso gli occhi e non gli aveva risposto. Lo sapeva anche lui. Se non fosse cambiato qualcosa molto velocemente, avrebbero perso su tutta la linea. Avevano già perso anche degli alleati e si sarebbero ritrovati da soli contro il mondo intero.

“Riesci a camminare? Va bene anche se ti trascini.” Ivan si era alzato in piedi e gli aveva lanciato addosso un cappotto della Armata Rossa. “Tra poco ci sarà il cambio della guardia, è questo sarà l’unico momento in cui potrai scappare da qui.”

“Non passerai dei guai se mi lasci andare?” Si era seduto sulla branda improvvisata. Non era sicuro nemmeno di riuscire a stare in piedi, figuriamoci camminare. 

“Dirò che mi hai ammaliato con i tuoi occhi.”

Ivan gli aveva sorriso, anche se non sapeva esattamente come interpretarlo quel sorriso. Non era dolce, i suoi occhi non sorridevano affatto. C’era la fregatura da qualche parte sicuramente, ma non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di andarsene. Non voleva finire in qualche campo di prigionia russo. Non in quel momento della guerra quando doveva ancora proteggere il suo sciocco fratellino. 

“Salutami Natalija. Dille che le sue maledette streghe sono eccezionali.”

Si era alzato e Ivan lo guardava. C’era un lato di lui che in quel momento avrebbe voluto lasciarsi andare ad un momento di debolezza. Voleva toccare quell’uomo. Voleva sfiorare la sua pelle calda. Voleva baciarlo e dimenticare tutto quello che stava succedendo fuori da quella tenda. 

Ma non aveva ceduto, dandogli le spalle e uscendo nel buio della notte.

 

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Capitolo 4
*** 04. Dovrai proteggerlo + immagine (madre e figlio) [Stony/ABO] ***


Prompt: "Dovrai proteggerlo" + immagine (madre e figlio)
Fandom: Marvel
Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark
Pairing: Stony
Warning: omegaverse


“Se a me dovesse succedere qualcosa, dovrai proteggerlo. Giuramelo.”

Steve Rogers aveva guardato negli occhi suo marito che lo guardava fin troppo seriamente mentre stringeva tra le braccia quello che era il loro bambino. Non glielo avrebbe mai detto, non voleva scatenare la sua ira, ma sembrava una leonessa che proteggeva il suo cucciolo appena nato.

“Non ti succederà nulla, Tony.”

“Giuramelo.” Tony non smetteva di guardarlo. Capiva da dove arrivavano quelle parole. Tony aveva più volte rischiato di morire ferendosi gravemente durante qualche missione. Iron Man era potente protetto dalla sua armatura, ma era in ogni caso un normale essere umano. 

E quel figlio era un miracolo per entrambi. Nessuno pensava che un Omega così vecchio avrebbe portato a termine la gravidanza. Soprattutto non con il passato di Tony.

Era il primo bambino che era riuscito ad avere con il suo Alpha. La prima gravidanza che era riuscito a portare a termine. 

“Tony, vi proteggerò sempre entrambi.”

“Io mi proteggo da solo. Dovresti saperlo questo.” Lo aveva guardato ancora prima di distogliere lo sguardo e posarlo sul loro bambino appena nato. Ne aveva passate tante per arrivare a quel momento. Si era incolpato più volte di non riuscire a dare un erede ad un Alpha così importante. Anche se a lui di questo non importava e glielo aveva ripetuto in continuazione. 

Lui voleva solo vedere suo marito felice. Non gli importava nulla di quelli che dovevano essere i doveri di un Omega per il resto della società.

E non lo aveva mai visto felice come in quel momento. Era sicuramente sofferente per il parto, ma non lo dava a vedere mentre con dolcezza baciava la fronte di suo figlio.

 

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Capitolo 5
*** 05. L'attesa è finita, Noi lo sappiamo [RuPru] ***


Prompt: L'attesa è finita, "Noi lo sappiamo"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru


 

Berlino Est, 9 novembre 1989

Si era stretto di più nel cappotto pesante che indossava. Una sciarpa attorno al collo, con cui nascondeva anche mezzo viso. Riusciva a tenersi al caldo col suo stesso respiro contro la morbida lana.

Gli piaceva quella sciarpa. Era stata fatta per lui. Un regalo molto apprezzato, da parte di una persona che era sempre stata gentile. Faceva sciarpe per tutti loro ogni volta che ce n’era bisogno.

“Non c’è bisogno che resti qui.” Aveva guardato l’uomo che gli stava accanto, il cui sguardo era concentrato sul muro di fronte a loro. Per lui l’attesa era finita. Avrebbe potuto finalmente rivedere il fratello che non vedeva da quasi 30 anni. Non erano mai stati separati per così tanto tempo. “West potrebbe picchiarti per come mi hai ridotto.”

“Credo di averti trattato con cura.” 

“Ma se sono diventato pelle e ossa! Ed ero un così gran figo!” 

Gilbert aveva riso, ma era una risata amara. Era una risata che nascondeva in realtà molta sofferenza fisica e mentale. C’erano stati momenti in cui aveva temuto per la sua vita seriamente. Lo temeva anche in quel momento. Non sapeva cosa sarebbe davvero successo. Sarebbe potuto scomparire nel momento esatto in cui il muro fosse stato abbattuto.

“Ehi, Vanja. Non tenere il muso. Non è un addio. Noi lo sappiamo questo.”

Solo allora il Russo lo aveva guardato. Era triste. Era triste perché tutti stavano lasciando la sua casa. Stava per rimanere nuovamente da solo in quelle lande gelide.

“Ti dimenticherai di me non appena sarai dall’altra parte. Hai sempre detto che non vedevi l’ora di andartene.”

“Ti ho anche sempre augurato la morte e detto che ti odio.” Aveva alzato un braccio per toccare la sua sciarpa. Erano entrambe state fatte con amore da Ucraina. Gli sarebbe mancato vivere in quella grande casa con tutti loro. “Non starò più a casa tua, ma saprai dove trovarmi.”

Aveva visto le labbra di Ivan muoversi, ma non era riuscito a sentire cosa avesse detto. C’era troppo rumore. La gente stava colpendo il muro con le mazze. Urlavano e cantavano. Alcuni si arrampicavano sulla sommità e gioivano vedendo i parenti che li aspettavano dall’altra parte. Forse avrebbe dovuto farlo anche lui e vedere così suo fratello.

Ma non riusciva a lasciare da solo quell’uomo che sembrava sul punto di spezzarsi davanti ai suoi occhi. Avrebbe dovuto lasciarlo al suo destino e non voltarsi a guardarlo mentre superava il confine e se tornava al mondo a cui apparteneva. Quei 30 anni di muro avevano visto fin troppe tragedie. C’erano stati dei morti innocenti che avrebbe portato sempre sulla coscienza, come se non avesse già abbastanza. 

“Gilbert!”

Aveva sentito qualcuno urlare il suo nome e si era voltato di scatto. Il suo fratellino era dall’altra parte del muro. Lo stava aspettando. Avrebbe voluto correre subito verso di lui e riabbracciarlo.

Si era invece voltato verso il Russo che indossava in viso tutta la propria tristezza. 

Lo aveva attirato a sé e gli aveva dato un bacio sulle labbra, incurante di tutta la folla attorno a loro. Anche perché nessuno gli avrebbe prestato attenzione in quella situazione.

“Do svidanija, Ivan.”

 

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Capitolo 6
*** 06. Sei un medico?, Si fa per ridere [Stony] ***


Prompt: "Sei un medico?", Si fa per ridere
Fandom: Marvel
Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark
Pairing: Stony


 

“Sei un medico?” Tony Stark aveva guardato malissimo l’uomo che se ne stava fermo di fronte alla porta della sua camera d’ospedale, impedendogli così di andarsene.

“Assolutamente no, ma hai sentito anche tu cosa ti ha detto il medico. Non costringermi a metterti a letto con la forza, perché sai che lo farei.” Steve Rogers aveva incrociato le braccia al petto, continuando a guardarlo e non spostandosi nemmeno di un millimetro. “Torna a letto, Tony. Adesso.”

“No. Io voglio tornare a casa. A casa nostra.” Quello era giocare sporco. Sapeva che queste erano le parole che normalmente facevano capitolare il suo compagno.

“Stai a malapena in piedi. Dove vorresti andare conciato così?” Steve si era spostato dalla porta e gli si era avvicinato. Poteva vedere tutta la sua preoccupazione. Steve era così. Portava tutte le proprie emozioni sul proprio volto quando si trattava di lui. “Torna a letto, Tony.”

Era preoccupato da morire, questo poteva dirlo con certezza. E poteva capirlo. Si era fatto malissimo. Di quel male di cui avrebbe portato le conseguenze addosso per molto tempo. Era solo un banale essere umano e stava pure invecchiando. Non aveva nulla da spartire con Capitan America.

“Solo se vieni a letto con me.” Aveva sfoggiato il migliore dei suoi sorrisi seducenti. Faceva sicuramente ridere con addosso il pigiama, pallido come la morte e con forse qualche chilo in meno.

“Se provassi a scoparti adesso ti spezzeresti, cretino.”

“Si fa per ridere, Cap! Sei sempre così serio che sembra tu abbia una scopa nel culo tutto il tempo!” Aveva alzato le braccia al cielo, dandogli le spalle. Sarebbe tornato a letto solo per non fargli scoppiare i nervi. Non voleva che si mettesse a urlare in ospedale. 

E non voleva essere portato a letto in braccio. Non in quel momento. Steve si sarebbe accorto di quanto ancora stesse male, e questa era l’ultima cosa che voleva.

“Ehi. Vieni qui.” Steve era stato veloce. Lo aveva fermato e gli aveva subito toccato la fronte.

“Beccato.” 

“Sei bollente, dovevo immaginarlo.” Steve aveva sospirato, prendendolo in braccio senza fare la minima fatica. “Resta a letto, ti prego. Appena starai meglio andremo a casa. Fino a quel momento resterai qui. Con me.”

“Detta così sembra una minaccia.” Lo aveva guardato imbronciato, ma sapeva che non poteva fare nulla di più. Poteva solo restare a letto. Restare e sopportare tutti quelle attenzioni.

 

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Capitolo 7
*** 07. Che ne diresti di uscire un po'?, Chiedere di non andare [Ru/femPru] ***


Prompt: "Che ne diresti di uscire un po'?", "Chiedere di non andare"
Fandom: Hetalia
Personaggi: femPrussia, Russia
Pairing: RuPru
Warning: childloss, miscarriage


 

Potsdam, 18**

 

Ivan Braginskij aveva guardato la donna che se ne stava seduta su una poltrona. Guardava fuori dalla finestra. O forse guardava le gocce di pioggia che si infrangevano contro il vetro. Ormai era il cielo che stava piangendo al posto suo.

E lui non ce la faceva a guardarla più in quello stato.

C’erano cose che ad uno Stato non sarebbero mai dovute succedere. Non erano normali esseri umani e le cose degli umani non dovevano capitare a loro. Dovevano essere delle entità superiori che non dovevano essere toccate dalle tragedie umane.

Ma per qualche strano scherzo del fato era capitato.

“Che ne diresti di uscire in po’? Ti metti il cappotto e andiamo a vedere come stanno i tuoi cavalli.” Ivan le si era inginocchiato accanto e subito gli occhi vermigli di lei erano su di lui. Erano spenti. Mancavano di quella solita strafottenza che aveva reso così grande quella donna. 

“Non ho voglia di uscire. Fuori ci sono le persone e mi guardano con occhi pieni di pietà. Non lo sopporto.”

“Gil, con quello che ti è successo purtroppo è normale.” Aveva sospirato e le aveva accarezzato una guancia. Sembrava più magra del solito, ed in effetti non era sicuro di quanto avesse davvero mangiato o riposato in quei giorni.

“Il medico ha detto che dovevo aspettarmelo, visto l’abominio che sono. Non ha usato queste esatte parole, ma la sostanza è questa. Non doveva proprio succedere…” Aveva parlato a voce bassissima, ed era sicuro che nella sua testa si era ripetuta quelle parole un migliaio di volte.

“Se tu fossi un abominio non staresti soffrendo così.” Era arrivato troppo tardi. Non era stato con lei nel momento peggiore della sua intera esistenza. Era arrivato appena aveva potuto, solo per trovarla completamente distrutta.

La sua Gilberta era inaspettatamente rimasta incinta, e aveva dato alla luce un bambino troppo prematuro. Sapevano che sarebbe stato impossibile per loro. Non avrebbero mai avuto la fortuna che in passato avevano avuto Stati più vecchi di loro. Non c’era alcun terreno comune per poter sperare di dare vita ad un figlio.

Qualcosa era successo. Qualcosa forse era cambiato. Ma non era stato possibile alla fine.

E a pagarne le conseguenze peggiori era la sua compagna di una vita. Non era neppure riuscito ad essere al suo fianco durante il parto. Non era neppure riuscito a vedere il frutto del loro amore. Era successo tutto troppo velocemente e poteva solo essere lì per raccogliere i frantumi in cui si era ridotta quella donna.

“Lo sapevo che sarebbe stato inutile sperarci, non ho queste fortune. Ma una parte di me ha continuato a crederci, Ivan. Ci ho creduto fino alla fine. Pregavo che vivesse, ma ha vissuto troppo poco…” La donna aveva voltato la testa, nascondendo il viso con una mano. Vederla in quello stato lo distruggeva. Non era da lei. Aveva affrontato sempre tutto con rabbia, con odio, con una forza distruttiva senza pari. Tutto quel dolore non le era mai appartenuto. Il dolore lo scacciava, non gli permetteva di annidarsi nel suo corpo.

Non aveva nemmeno mai pensato che potesse tenerci così tanto. Non lo aveva mai creduto possibile che quella donna forgiata dalla guerra volesse essere madre. L’idea di vederla con una braccio un bambino e non una spada lo faceva sorridere. 

“Hai sempre detto che dei piccoli bastardi russi non li volevi. Che sarebbero stati un incubo che ti avrebbe perseguitata fino al tuo ultimo respiro. Era figlio di Francis, vero? Dovevo immaginarlo che avete continuato ad essere più che amici in tutti questi secoli.”

“Dio, quanto sei stupido.” Ci era riuscito. Lo aveva guardato con un sorriso minuscolo, ma c’era. Aveva alleviato almeno per un attimo il suo dolore. Non riusciva nemmeno ad immaginare quanto stesse davvero soffrendo. La stava vivendo in modo totalmente diverso da lui. In quel momento, in quella situazione, per quanto brutto dovesse sembrare, era più preoccupato per lei. Aveva vissuto la sua gravidanza a distanza per la maggior parte del tempo. Ed era arrivato quando suo figlio era già stato seppellito, trovando quella donna in uno stato pietoso. Forse non era ancora riuscito nemmeno ad elaborare il lutto in alcun modo solo perché era lei la sua priorità in quel momento. La consapevolezza di quello che era successo lo avrebbe sicuramente colpito come una palla di cannone in pieno petto solo quando fosse stato sicuro che Gilberta stava meglio. 

“Posso chiederti di non andartene per qualche giorno?” 

“Resterò tutto il tempo necessario. Non temere.” 

La donna gli aveva annuito lievemente, tornando a guardare fuori dalla finestra. Non sarebbe stato facile. Ma sarebbe stata meglio.

 

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Capitolo 8
*** 08. Ti ho già perdonato, Di fronte ad una lapide [Stony] ***


Prompt: Ti ho già perdonato, Di fronte ad una lapide
Fandom: Marvel
Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark
Pairing: Stony
Warning: comics Civil War


 

Arlington County National Cemetery

 

Lo aveva sempre pensato. Non c’era alcun conforto a stare di fronte ad una lapide. Leggere i nomi incisi gli lasciava una sensazione di vuoto che non aveva alcun tipo di conforto.

Sapere poi che quella tomba era vuota, un mero memento per le masse, lo faceva sentire ancora più  vuoto di quanto non lo fosse stato quando aveva visto il suo corpo senza vita su una misera branda.

Non doveva finire così. Non doveva morire nessuno.

E se qualcuno avesse meritato di morire, quello sarebbe stato lui e non Capitan America.

Capitan America doveva continuare ad essere il baluardo di speranza di quello Stato senza futuro. Non aveva alcun senso continuare a combattere se lui non c’era più. 

Chi avrebbe potuto prendere il suo posto? Non di certo lui. Iron Man non era così amato dalle folle e dai politici, come lo era Steve Rogers. 

Steve Rogers era la luce nelle tenebre che li avvolgevano in continuazione.

Steve Rogers era la sua luce e gliela avevano portata via. 

Si erano combattuti. Si erano fatti la guerra. Non si erano risparmiati, anche se lo sapeva che Steve aveva sempre avuto un occhio di riguardo nei suoi confronti. Se avesse fatto seriamente lo avrebbe fatto fuori al primo combattimento.

Ma non potevano. Potevano farsi male solo fino ad un certo punto, poi no. Poi subentrava la preoccupazione per l’altro e il combattimento scemava. Se così si poteva dire.

C’erano state vittime da entrambe le parti. Aveva visto cadere fin troppi compagni e nemici rispetto a quello che avrebbe voluto. Per una volta era stato lui quello ragionevole. Per una volta aveva voluto cercare lui una soluzione diplomatica che potesse andare bene a tutti.

Ma non a Steve. Steve doveva sempre essere così testardo e stronzo che gli faceva venire il nervoso anche solo a ripensarci. 

“Oh, Steven. Ti ho già perdonato la tua scappatella con Sharon, ma questo proprio non riesco a perdonartelo. Farti ammazzare così mi fa proprio saltare i nervi.”

Leggere il suo nome, il suo titolo, le date di nascita e morte, faceva troppo male. Faceva male anche sapere che non aveva nemmeno davvero un corpo da piangere. Lo aveva restituito ai ghiacci che lo avevano ospitato per decenni. Lì almeno avrebbe potuto riposare in pace, senza migliaia di persone che venivano a rendergli omaggio. 

Non era un amante delle folle il suo Steve. Gli piaceva il silenzio, gli piaceva la tranquillità. Gli diceva sempre che solo lui poteva distruggere la sua pace.

E ora non avrebbe più potuto farlo. Non c’era una cura a quello. Non c’era una soluzione. Non c’era più Steve che lo salvava da quelle situazioni dolore. 

Lo era diventato lui stesso. Nel momento in cui era morto era finito tutto. Si era spezzato anche lui e non ci sarebbe stato modo di ripararsi questa volta. Non poteva costruire altre armature. 

Il vuoto che aveva dentro poteva colmarlo solo una persona.

E Steve era morto.

 

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Capitolo 9
*** 09. Sono una merda, Tra le montagne, Mi costa ammetterlo [Ru/femPru] ***


Prompt: "Sono una merda", Tra le montagne, "Mi costa ammetterlo"
Fandom: Hetalia
Personaggi: femPrussia, Russia
Pairing: RuPru


 

Castello di Chojnik, 177*

 

“Dove mi stai portando?” Gilberta Beilschmidt lo sapeva che Ivan Braginskij non era molto convinto di ciò che stava facendo mentre seguiva l’altro Stato su quel sentiero di montagna. Sentire la sua voce titubante la divertiva. Vedere quel colosso russo mugugnare tra i denti era sempre divertente.

Era stato lui a voler passare del tempo con lei. Era stato lui a decidere di raggiungerla arbitrariamente a Jelenia Gora. Non lo avrebbe mai invitato di sua volontà mentre si dedicava all’ozio più puro per qualche settimana. 

“Sei lento, Vanja. Su. Schnell, schnell!” Si era voltata e lo aveva guardato. Era sudato e senza fiato. Lo vedeva arrancare, ma non lo avrebbe aiutato in alcun modo. Non avrebbe nemmeno rallentato.

“No, voglio tornare indietro.”

“Che lagna che sei. Sei venuto qui solo per stare rinchiuso in casa? Non vuoi esplorare le zone circostanti?”

“No.”

La donna aveva riso, dandogli nuovamente le spalle e riprendendo a camminare.

Quella era la sua vendetta per le parole che recentemente l’uomo le aveva detto. Aveva definito il loro trattato di non belligeranza come un matrimonio. Parola a cui lei era particolarmente allergica e da cui voleva stare alla larga. Una cosa era la politica. Una totalmente diversa erano loro due. 

Ivan, per assurdo, era un uomo che credeva nel matrimonio. Lei assolutamente no.

“Perché mi stai trascinando a vedere delle rovine? Sono solo i sassi di un castello abbandonato.”

“Un castello che per 400 anni nessuno è riuscito a conquistare. Proprio come me.” Senza smettere di camminare aveva voltato la testa verso di lui e gli aveva sorriso ancora.

“L’hanno bruciato e raso al suolo. Non mi paragonerei ad una cosa simile.”

Aveva riso ancora, più sguaiatamente di prima mentre raggiungevano la sommità del monte su cui c’erano i resti di quello che era stato un magnifico castello. Aveva provato a conquistarlo anche lei in passato, senza riuscirci veramente.

“E’ stato colpito da un fulmine, per quello è bruciato.”

“E tutti lo hanno abbandonato.” Ivan aveva alzato un sopracciglio quando l’aveva finalmente raggiunta. Stava guardando quello che li circondava, e poteva vederlo chiaramente sul suo viso che si stava pentendo di essere lì con lei in quel momento. Avrebbe dovuto ripercorrere la stessa strada per tornare alla residenza dove alloggiava la donna. E da quando lo conosceva non era mai stato un grande appassionato di camminate per boschi e montagne. 

“Dici che succederà anche a me? Come a Kunegunda?”

“Di cosa diavolo stai parlando adesso?”

“Oh, è una vecchia storia che gira da queste parti. La bellissima, come me, figlia del signore di questo castello, che tutti i cavalieri desideravano. E visto che, sempre come me, lei non aveva alcuna intenzione di sposarsi con nessuno, sfidava i cavalieri a cavalcare sulle mura del castello. Chi ci fosse riuscito, lei lo avrebbe sposato. Peccato che tutti cadevano dalle mura, e morivano nel dirupo. Finché non è giunto un giovane nobile, non come te, che aveva colpito la bella Kunegunda. Sapendo che sarebbe morto anche lui nel tentativo, decise di non proporgli la sfida, e accettare subito la sua proposta di matrimonio. Ma lui ha insistito. Ha cavalcato lungo le mura, e ci è riuscito. MA!” Gilberta si era voltata completamente verso l’uomo che la osservava con un sopracciglio alzato, per nulla convinto dal suo racconto. “Invece di accettare di sposarla, l’ha redarguita per la sua crudeltà e se n’è andato.”

“Come finisce questa storia?” Le aveva chiesto dopo qualche attimo di silenzio, visto che la donna non lo guardava e giocava con la lunga treccia che portava.

“Oh, beh. Era così umiliata che si è lanciata nel dirupo ed è ovviamente morta. Che cretina. Solo per il rifiuto di un uomo.”

“Quindi mi stai dicendo che se faccio un giro sopra le mura accetterai di sposarmi?”

Non si era aspettata una cosa simile. Voleva raccontargli una storia che reputava stupida per farli divertire entrambi.

“Non abbiamo portato i cavalli.”

“Da come è messo il castello, è abbastanza pericoloso anche così.” L’aveva guardata ancora. Era serio e odiava quando era così serio per qualcosa. “Se sopravvivo al giro, mi sposerai.”

Non era nemmeno riuscita a ribattere qualcosa, che Ivan aveva già iniziato ad arrampicarsi sui ruderi di quelle che dovevano essere le mura.

“Ivan, non fare lo stupido! Ti farai male! Magari muori davvero se cadi!” Lo aveva seguito e lo osservava arrampicarsi. Doveva fermarlo prima che si facesse male. Non avrebbe mai potuto trasportarlo da sola fino al loro alloggio. “Ivan, per favore!” Aveva iniziato anche lei ad arrampicarsi, mentre il Russo muoveva già i primi passi.

Era fin troppo convinto di quello che stava facendo. Si muoveva anche con troppa destrezza per essere uno che passava la maggior parte del suo tempo a fare nulla, secondo lei. 

“Non vuoi accettare questa alleanza come un contratto tra noi due, allora ti dimostrerò che sono pronto a rischiare tutto per questo.”

Si era arrampicata sulla sommità delle mura e lo aveva osservato mentre continuava ad avanzare. Non voleva che si facesse male. Non lo voleva veramente, nonostante più volte gli avesse augurato anche la morte tra le varie cose. 

“Tutto questo perché vuoi un anello al dito? Te lo regalo appena rientriamo se ci tieni così tanto.” I sassi delle mura non erano stabili. Continuavano a muoversi sotto i loro stivali e iniziava davvero a credere che sarebbe crollato tutto trascinandoli nel dirupo. E non voleva morire così. Non voleva rompersi ogni osso del proprio corpo solo perché Ivan doveva dimostrarle qualcosa. “Torna indietro. Non devi dimostrarmi proprio nulla, capito? Definisci il nostro trattato come vuoi, non ti dirò più nulla, basta che smetti con sta cazzata.”

“L’hai suggerita tu.”

Osservava ogni suo passo. Cercava di avvicinarsi, ma non riusciva ad essere veloce quanto voleva. Voleva agguantarlo e buttarlo giù con forza. Voleva vederlo a terra, ma salvo. Non le importava nemmeno se gli avesse fatto male in quel momento. Voleva solo vederlo scendere da quel muro.

Dalla parte giusta.

“Ivan!”

Si era lanciata, incurante del pericolo, non appena aveva visto il Russo muovere una pietra che lo aveva fatto cadere verso il baratro. Istintivamente aveva allungato le braccia per cercare di prenderlo, ma la sua mano non riusciva a prendere quella di Ivan, che miracolosamente era riuscito ad aggrapparsi a delle rocce. 

“Cerca di allungare la mano verso di me. Provo a tirarti su.”

“Non voglio trascinarti giù, Gil.” Lo aveva visto fare una smorfia di dolore mentre cercava di arrampicarsi, ma non riusciva a trovare appigli validi. E lei non riusciva a sporgersi di più senza evitare di cadere a sua volta.

“Sono più forte di quello che pensi, dovresti saperlo ormai. Questo gracile corpicino nasconde una forza sovrumana.”

“Nei tuoi sogni.”

“Non essere stronzo mentre sto cercando di aiutarti a non romperti ogni osso del tuo corpo. E allunga il braccio, coraggio.” Era quasi riuscita a sfiorare le sue dita. Le mancava così poco per prendere la sua mano e cercare di aiutarlo. “Manca pochissimo.”

Ci era riuscita. Era riuscita a prendere la sua mano, a stringerla con forza per cercare di dargli più appiglio per arrampicarsi. Dalla sua posizione riusciva a vedere che si era ferito. Aveva un taglio sul braccio e sperava fosse solo quello e niente di più.

“Sono una merda. Davvero.” Aveva mormorato, mentre Ivan si arrampicava con il suo aiuto. Quando era finalmente in salvo aveva tirato un sospiro di sollievo. Aveva subito guardato al sua ferita. Era profonda e continuava a sanguinare. “Ma ti avevo detto di non farlo.”

Lo aveva guardato male mentre si toglieva il foulard che portava attorno al collo e lo avvolgeva attorno al suo avambraccio. Se ne sarebbe occupata per bene non appena arrivavano alla loro momentanea residenza. L’avrebbe pulita. Gli avrebbe anche messo i punti se serviva. E l’avrebbe poi fasciata con delle bende pulite.

“Mi hai fatto morire di paura.” Aveva appoggiato la fronte sulla spalla dell’uomo e aveva fatto un sospirato.

“Quindi ti importa almeno un po’ di me? La mano di Ivan le aveva accarezzato la nuca ed il collo, anche se forse era lei che doveva consolare lui in quel momento. Era lui quello che si era fatto male.

“Mi costa ammetterlo, ma non voglio che tu muoia. Non ancora.”

“Questo per ora mi può bastare.” Ivan le aveva baciato i capelli, e forse in un futuro molto molto lontano avrebbe potuto accettare la sua proposta.

 

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Capitolo 10
*** 10. Solo mezza dose, In ginocchio [RuPru] ***


Prompt: Solo mezza dose, In ginocchio
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru

 

Tannenberg, 30 agosto 1914

 

“Tu devi essere davvero un deficiente. A Stallupönen non hai imparato nulla?” 

Era stato fatto prigioniero. In un modo stupido a suo avviso. Si era lasciato distrarre dalla disfatta sul campo di battaglia ed era stato ferito. 

Non era nemmeno sicuro che non fosse stato ferito proprio da quell’uomo che era appena entrato nella stanza in cui era stato portato.

Il colpo d’arma da fuoco era troppo preciso per poter essere quello di un normale soldato, ma del resto erano tedeschi. Erano stati istruiti da quell’uomo, e non conosceva un soldato migliore di lui.

“Stai giù. La ferita purtroppo non è mortale in alcun modo, ma ti farà male e ti farà passare la voglia di spingerti più a occidente.” 

“Mi fa male la spalla, Gilbert.”

“Foro perfetto. Da parte a parte. Non ha lesionato assolutamente nulla.” Lo aveva osservato mentre si portava una mano vicino alle labbra schioccava un bacio all’aria. Era stato lui. “Non troverai un cecchino migliore di me a questo mondo.”

“Avevi mirato alla testa, vero?” 

“Assolutamente no. Non sono un simile barbaro. Non volevo vedere il tuo cervello schizzare ovunque. Volevo solo darti una lezione.”

Lo aveva osservato mentre gli dava la schiena e preparava qualcosa. Per quell’uomo la guerra era un passatempo. Un passatempo in cui era troppo bravo sia come vincitore che come perdente.

“Ho solo mezza dose di morfina, ma dovrebbe fare effetto.” Gli si era avvicinato e senza avvertirlo aveva inserito l’ago nei suoi muscoli. “Oh, Ivan. Una smorfia per una cazzata simile? Ti sei proprio rammollito ultimamente.”

“Stai zitto.” Aveva distolto lo sguardo da quei occhi vermigli che lo scrutavano. “E fammi andare via, non voglio restare qui un minuto in più.”

“Se esci adesso ti sparano a vista, te lo dico per correttezza.” Lo aveva guardato ancora quando si era allontanato. Lo aveva visto preparare ago e filo, e mentalmente lo aveva ringraziato per quello. Se fosse stato in un altro momento avrebbe scaldato una lama su qualcosa e gli avrebbe cauterizzato così la ferita. Lo aveva già fatto. “Ti avverto che non sono molto bravo a suturare le ferite. La medicina non è tra le mie passioni.”

“A te piace solo un altro tipo di anatomia.”

“Ti cucio la punta del cazzo se non stai zitto.”

Il Russo aveva ridacchiato sotto lo sguardo torvo del compagno di lunga data. Poteva definirlo così, vero? Nonostante tutto Gilbert era suo da secoli e quelli erano solo screzi politici che poco avevano a che fare con loro due come persone

Si era portato un braccio sopra il viso, a coprire gli occhi. Gilbert lo aveva ridotto in ginocchio. Lo sapeva che non potevano avere speranze contro l’esercito prussiano. Gilbert ne era sempre stato così orgoglioso. Ma credevano che essendo impegnati a occidente, non avrebbero potuto reggere contro la sua armata, anche solo perché numericamente superiore. Ma si era sbagliato. Non avevano ancora la preparazione necessaria per sconfiggerli veramente.

“Un giorno conquisterò queste terre e sarai un mio sottomesso.”

“Sì, sì. Aspetta e spera che io mi faccia sottomettere da uno come te.” 

Aveva spiato da sotto il braccio il proprio compagno. Era concentrato mentre con cura gli ricuciva il buco sulla spalla. Con molta probabilità sarebbe guarita anche da sola quella ferita. Non vedeva una reale necessità di tanta preoccupazione, ma gli faceva piacere vedere Gilbert così preoccupato. Anche se era stato lui stesso a ferirlo solo perché era un sadico deficiente.

 

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Capitolo 11
*** 11. Tanti errori, Sta bene, tranquillo [Stony] ***


Prompt: Tanti errori, "Sta bene, tranquillo"
Fandom: Marvel
Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark
Pairing: Stony


 

Se ne stava seduto sul pavimento freddo e sterile dell’area medica dello S.H.I.E.L.D.. Con molta probabilità la stava insozzando lui con tutti i vestiti sporchi e il lerciume della battaglia che ancora aveva addosso.

Aveva fatto diversi errori di valutazione durante la battaglia. Tanti piccoli errori che si erano sommati uno sopra l’altro e lo avevano portato adesso in quel luogo che detestava con tutto sé stesso.

Odiava soprattutto il fatto che per colpa sua il suo partner, il suo compagno di vita, si era fatto male. Così male che nemmeno il suo corpo da super soldato era riuscito ad attutire tutti i colpi ricevuti. 

Steve glielo aveva detto. Ancora prima di partire per la missione gli aveva detto di non fare cose avventate, di ponderare bene le scelte da fare. Ma non lo aveva ascoltato. Come al solito lui aveva agito e basta, senza pensare troppo alle conseguenze delle sue azioni. Erano stati fatti davvero troppi errori da parte sua. 

Aveva visto Steve cadere davanti ai suoi occhi. E non lo aveva visto rialzarsi. E non voleva fare altro che avvicinarsi a lui e controllare come stesse. Ma non riusciva a liberarsi dei nemici che stavano combattendo. Erano alieni contro cui non avevano mai combattuto e lui, da bravo coglione quale era sempre, aveva totalmente sottovalutato la situazione. 

E anche quando era riuscito a liberarsi dai nemici, quando finalmente era riuscito ad arrivare al suo fianco, non era riuscito a fare nulla. Non poteva fare nulla. Era totalmente impotente ed era tutta colpa sua.

“Tony, Steva sta bene, tranquillo.” Degli stivali neri, sporchi tanto quanto i suoi, erano entrati nel suo campo visivo. E una voce rassicurante gli aveva parlato. La Vedova Nera sapeva sempre che tono usare con lui.

“E’ ferito a causa mia. Mi aveva detto di non fare cazzate ancora prima che partissimo da New York.” Tony si era passato una mano tra i capelli e aveva alzato la testa per guardare Natasha. Lo osservava con un sopracciglio inarcato. Era la sua faccia da “non ho tempo per i tuoi piagnistei”.

“Non è in fin di vita e sai che si riprenderà prima di tutti noi. Ha già aperto gli occhi.”

“Non posso presentarmi di fronte a lui come se nulla fosse.” Si era passato una mano sugli occhi. Stava bene. Steve aveva aperto gli occhi. Quello doveva bastargli.

“Tony, vai da lui. Ha già chiesto di te.” Quando non le aveva risposto, la voce della donna gli aveva fatto venire i brividi. “Alzati subito e muovi il culo, Stark.”

Era scattato in piedi e l’aveva osservata. Aveva bisogno anche lei di cure e riposo, non di stargli dietro perché era assolutamente incapace di fare qualsiasi cosa sensata.

“Vai da Steve, ha bisogno di te.”

Aveva annuito e si era avviato lungo il corridoio, anche se sentiva i passi pesanti come macigni. Il senso di colpa lo stava uccidendo e sembrava che fosse inutile. Da come Natasha gli aveva parlato sembrava che nessuno lo incolpasse di nulla. Ma erano tutti feriti proprio a causa sua. 

Aveva trovato Steve steso sul letto. Aveva gli occhi chiusi e respirava. Respirava e questa era la cosa più importante. Era vivo. Vivo, anche se coperto di bende e graffi ovunque. 

“Non stare sulla porta. Non ti picchio.”

“Forse me lo meriterei.”

Steve aveva aperto gli occhi e gli aveva sorriso. E quel sorriso lo aveva fatto correre al suo capezzale senza ulteriori pensieri. Doveva stargli accanto. Doveva solo aiutarlo. E sarebbe rimasto accanto a lui finché non si fosse ripreso del tutto.

 

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Capitolo 12
*** 12. C’è una foto sul…, Lì un tempo c’era + immagine (pila di lettere vecchie) [Germania, Prussia] ***


Prompt: C’è una foto sul…, Lì un tempo c’era + immagine (pila di lettere vecchie)
Fandom: Hetalia
Personaggi: Germania, Prussia
Pairing: RuPru


 

Berlino, 199*

 

Ogni volta che Ludwig Beilschmidt entrava nell’appartamento del fratello veniva pervaso da una sensazione di tristezza. Si vedeva che suo fratello lo aveva tenuto con cura per tutti gli anni che ci aveva vissuto. Era così suo fratello, curava ogni cosa che gli veniva messa davanti. Lo aveva fatto con lui. Lo aveva fatto con quella casa. Lo aveva fatto sicuramente anche con l’uomo la cui foto era sempre presente sul mobile sopra la tv. 

Lui odiava quell’uomo. Quel Russo aveva portato via suo fratello. Lo aveva tenuto prigioniero per troppi anni.

Ma a Gilbert sembrava non importare. Continuava a tenere quella foto in bella vista. Continuava a vivere nell’appartamento che il Russo gli aveva dato. Avrebbe potuto andarsene ovunque una volta caduto il Muro. Avrebbe potuto vivere con lui. Glielo aveva chiesto più volte. Aveva una casa enorme a Bonn e un appartamento abbastanza grande per entrambi dall’altra parte di Berlino. Ma suo fratello restava in quell’appartamento che trasudava ricordi da ogni muro, da ogni mobile, da ogni suppellettile. 

“Dai, West. Non restare in piedi che fai sembrare questa casa ancora più piccola.” Suo fratello era uscito dalla cucina, con un vassoio su cui aveva messo due tazze. Era caffè. Stranamente non lo aveva accolto con una birra.

“Per questo dovresti trasferirti adesso che puoi.” Si era seduto a tavola continuando a guardare attorno a sé. Non era stato molte volte in quell’appartamento, e ogni volta notava qualcosa di nuovo sulla vita di suo fratello.

Lì, tra quelle mura, un tempo c’era stato amore. Lo poteva vedere dalla cura maniacale che suo fratello aveva per quei vecchi reperti dell’URRS. 

E dalla pila di lettere ingiallite che aveva dimenticato sul tavolino da caffè di fronte al divano. Non aveva nemmeno bisogno di sapere chi ne fosse il mittente. 

Nonostante tutto quello che aveva subito da parte del Russo, suo fratello non riusciva a lasciarlo andare. C’era qualcosa di così sbagliato, di così contorto. Aveva visto suo fratello ferito, umiliato. Portava ancora addosso i segni della prolungata permanenza con il Russo, ma a Gilbert non importava. 

Era sindrome di Stoccolma? Doveva salvarlo da qualcosa che c’era solo nella sua testa e di cui il suo aguzzino approfittava?

Ma non gli sembrava davvero così. Suo fratello non era una persona che si lasciava soggiogare facilmente. Non lo era mai stato e sicuramente non si sarebbe piegato a nessuno. Nemmeno durante una prigionia.

“Un giorno forse lo farò, ma per il momento preferisco rimanere qui a fare il vecchio depresso che piange sui giorni passati.” Il Prussiano aveva ridacchiato portandosi la tazzina di caffè alle labbra. 

“Lo ami davvero quindi?” Non aveva avuto intenzione di chiederglielo. Quelli erano affari di suo fratello e lui non aveva alcun diritto ad immischiarsi. 

“Non è stato tutto nero, West. Conosco quelle persone da secoli. Ci siamo fatti la guerra più e più volte, ma vivere insieme è stato anche divertente. Ivan non è l’orco che tutti descrivono. Non sempre almeno.”

Non aveva mai sentito suo fratello parlare così di qualcuno. Era stato convinto per diverso tempo che suo fratello fosse interessato ad Ungheria, che fosse lei l’oggetto del suo desiderio. Era stato cieco di fronte al fatto che suo fratello amasse davvero qualcuno. Qualcuno che aveva creduto il nemico. Qualcuno che credeva di dover combattere per riavere indietro suo fratello sano e salvo. Ma suo fratello aveva fatto tutto consciamente. Non era che non volesse essere salvato, come gli era sembrato. Semplicemente non c’era nulla da cui salvarlo.

 

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Capitolo 13
*** 13. Raffreddarsi, Devi stare a letto [RuPru] ***


Prompt: Raffreddarsi, "Devi stare a letto"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru


 

Mosca, 197*

 

Era una spina nel fianco. Quell’uomo era una spina nel fianco continua. Una di quelle che non riesci a togliere nemmeno se prendi un coltello e ti apri completamente la pelle per cercare di toglierla. Era conficcata così in profondità che potevi solo stare ad aspettare che si infettasse e spurgasse da sola. Se non ti aveva già ucciso nel frattempo.

Ivan Braginskij era il tipo di persona che faceva paura con la sua sola presenza. Era uno di quelli dall’aura intimidatoria che faceva piangere le persone se solo le guardava storto. 

E poi si riduceva ad un bambino piagnucolante perché aveva il moccio al naso. 

“Devi stare a letto, deficiente.” Gilbert Beilschmidt aveva controllato il termometro che il Russo gli aveva appena porto e no, non aveva affatto la febbre nonostante continuasse a ripetere che stava morendo. 

“Quanto è alta? Scommetto che è salita a 42°.”

Voleva soffocarlo con il cuscino. E poi andare in cerca di tutti gli altri inquilini di quella casa di matti per far fuori anche loro per averlo lasciato da solo con quella lagna d’uomo.

“Sei l’unico che riesce a gestirlo” gli aveva detto il Lituano con un sorriso rassicurante e adesso si rendeva conto che era stato fregato in modo eclatante. Nessuno voleva stare con Ivan in quel momento.

“Raffreddarsi come un moccioso e stare qui a piagnucolare non mi sembra una cosa da te.” Lo aveva guardato male. Non arrivava nemmeno a 37°, e probabilmente si era alzata solo perché in quella stanza aveva alzato il riscaldamento e se ne stava sotto diverse coperte. 

“Ma io sto male, Gilbert!”

“Tu stai male nella testa.” Si era alzato mentre sbatteva il termometro prima di riporlo nella custodia. “E se mi chiedi di misurarti la temperatura un’altra volta, ti giuro su quanto ho di più caro al mondo che te lo infilo nel culo il termometro.”

“Non oseresti.”

“Non sfidarmi, Ivan. Stai esaurendo la mia già poca pazienza piagnucolando per un banale raffreddore. Tu! Tu che vivi in questo cazzo di posto sperduto e freddo come l’inferno ti lamenti per un raffreddore!”

“Ma io sto male.”

Voleva ucciderlo. Voleva ucciderlo e occultarne il cadavere nella neve, in modo che venisse trovato appena in primavera. Voleva liberarsi di quel tormento che non gli dava pace e si lamentava davvero come un moccioso.

“E io sono a tanto così dal mollarti qui da solo a morire nel tuo moccio.” Ma non lo avrebbe mai fatto. Era più forte di lui. Se ne sarebbe occupato come se fosse davvero ammalato, come se fosse davvero in fin di vita.

 

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Capitolo 14
*** 14. Più niente da dire, Il vomito non mi fa impressione, Shell shock [Stony] ***


Prompt: Più niente da dire, "Il vomito non mi fa impressione", Shell shock
Fandom: Marvel
Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark
Pairing: Stony


 

Tony Stark si era svegliato di colpo quando aveva sentito il materasso muoversi di scatto. Essere svegliato di soprassalto lo metteva sempre sull’attenti ogni volta. Ogni volta sentiva il suo cuore martellare con forza fin nelle tempie.

Ma soprattutto lo preoccupava quando a svegliarsi così era l’uomo che normalmente gli dormiva accanto. Non succedeva spesso. Steve Rogers era più bravo di lui a controllare i propri demoni. Proprio per questo quando capitava la cosa lo faceva preoccupare moltissimo. 

“Steve…?”

L’uomo accanto a lui aveva il respiro corto e affannato, come se avesse corso per miglia e miglia senza mai fermarsi una volta per riprendere fiato. Poteva vedere il sudore sulla sua pelle, ed era una cosa che lui conosceva benissimo. Gli era capitato più e più volte di svegliarsi così. Prima c’era stato l’Afghanistan. Poi erano arrivati i Chitauri. C’era stato Ultron. Aveva combattuto troppe battaglie che continuavano a lasciare il segno sulla sua psiche. 

Steve aveva altre ferite. Simili alle sue e altrettanto difficili da superare. Era più bravo di lui a tenere sotto controllo ciò che le scattenava, ma non era sempre possibile controllarle. 

Tony l’aveva solo studiata a scuola la seconda guerra mondiale. Steve l’aveva vissuta. Steve aveva visto molto più orrore con i propri occhi di quelli che lui avrebbe mai potuto immaginare. Era in momenti come quelli che le sue paure gli sembravano insignificanti se messe a confronto con quelle del compagno, anche se Steve gli aveva sempre detto che non aveva senso paragonarle.

Ma Steve aveva perso Bucky davanti ai propri occhi, e a volte si sentiva quasi geloso da quanto tenesse a quell’uomo. Soprattutto dopo che era tornato. Dopo che avevano scoperto fosse diventato un’arma del nemico. Steve non si era ancora ripreso da tutto ciò che era emerso con il crollo dello S.H.I.E.L.D..

Il biondo si era portato una mano sulla bocca prima di alzarsi e correre verso il bagno. Non sapeva se seguirlo o lasciargli spazio. Steve era comunque un uomo d’altri tempi. Tempi in cui certe debolezze non si dovevano mai mostrare di fronte a nessuno. 

Ma non se la sentiva di lasciarlo da solo. Non poteva farlo. 

Lo aveva seguito in bagno, sedendosi accanto a lui che se ne stava con la testa sopra il water. 

“Che pena se qualcuno vedesse Capitan America in queste condizioni.” Steve aveva parlato con voce bassa, pronunciando quelle parole come se fossero veleno.

“Quando sei nel mio letto sei solo Steve. Capitan America solo quando facciamo roleplay.” Tony gli aveva accarezzato la nuca con delicatezza, cercando di parlare nel modo più rassicurante possibile. 

“Che pena che devo farti in questo momento.”

“Il vomito non mi fa impressione, Cap. Con tutte le volte che mi sono vomitato addosso per i motivi più disparati.” Non gli piaceva quando Steve si autosabotava a quel modo. Quello doveva essere solo il suo passatempo, non quello del compagno.

“Non riesco a smettere di tremare, Tony. Ed è stato solo un incubo. Sempre lo stesso. Sempre Bucky che cade dal treno. E non riesco a smettere di tremare.”

“Oh, la tua è solo banale PTSD, Capitano. Di me si può parlare di vero e proprio shell shock a volte.”

“Temo che tu fossi delirante e in preda alle allucinazioni ancora prima di diventare Iron Man.” Steve aveva voltato leggermente la testa in modo da poterlo guardare. Era pallido e si vedeva che era stanco. Tutti quei incubi diventavano sempre più frequenti. Da quando lo aveva reincontrato stava sempre peggio. E lui si sentiva davvero impotente a vederlo così.

“Oh, non abbiamo più niente da dire al riguardo allora, non credi? Io sono un caso patologico senza speranza, ma da sempre proprio.” Gli aveva accarezzato ancora la testa. Sarebbe rimasto accanto a lui anche tutta la notte se fosse stato necessario. Non sapeva come aiutarlo. Non sapeva mai come aiutare nemmeno sé stesso in quelle situazioni. Ma poteva almeno rimanergli accanto e fargli capire che non era da solo. Che lui ci sarebbe sempre stato, anche solo per accarezzargli la testa.

 

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Capitolo 15
*** 15. Ciò che senti + immagine (ragazzo a petto nudo sorretto da altri due) [RuPru] ***


Prompt: Ciò che senti + immagine (ragazzo a petto nudo sorretto da altri due)
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru


 

Berlino, 1945

 

Se ne stava appoggiato contro il muro, senza intervenire. Senza aver voglia di intervenire. 

Il Prussiano si era fatto catturare di proposito. Avrebbe potuto scappare in qualsiasi momento mentre la sua armata entrava in città. Sapeva che lo aveva fatto per permettere al fratello di scappare. Sicuramente con l’inganno, sapendo quanto erano morbosi quei fratelli uno con l’altro. Il più giovane si sarebbe fatto letteralmente ammazzare per proteggere l’altro. 

E del resto anche quello stupido che aveva di fronte avrebbe fatto di tutto pur di salvare il suo fratellino.

Due giovani soldati lo tenevano fermo, sorreggendolo sotto le ascelle. Osservava il suo petto nudo su cui si abbattevano i pugni di un altro soldato. Non li avrebbe fermati. Non in quel momento in cui dovevano sfogare la propria rabbia e frustrazione, mascherandola da gioia.

La guerra era finita. La guerra era finita e lui aveva finalmente sconfitto quell’uomo. 

Erano stati secoli di guerre tra di loro e non ne avevano mai visto una fine. Avevano fatto accordi, li avevano infranti. Le poche alleanze erano sempre battute dalle troppe guerre che si erano fatti. 

Ma questa volta era la fine. 

Lo aveva sconfitto e adesso lo avrebbe tenuto stretto a sé. Non gli avrebbe più permesso di scorrazzare libero per l’Europa. Non gli avrebbe più permesso di essere spavaldo e sfrontato. Lo avrebbe tenuto prigioniero in qualche gulag se lo avesse ritenuto necessario. 

E quello stupido non si rendeva nemmeno conto che a lui non interessava minimamente del Tedesco che era scappato. Lo avrebbe imprigionato solo per ferire lui, non perché avesse un reale bisogno di averlo.

Voleva avere solo l’uomo che aveva di fronte, che incassava i colpi senza emettere un solo gemito. Si sarebbe riempito di lividi. Forse sarebbe finito anche con qualche costola rotta. Ma lo conosceva bene. Non avrebbe fiatato nemmeno sotto tortura, figuriamoci per qualche pugno. 

E lo mandava ai matti il modo in cui il Prussiano lo guardava ogni volta che alzava lo sguardo verso di lui. C’era odio. C’era rabbia. C’erano tutti quei sentimenti che gli aveva visto sfogare in battaglia. E c’era lui dall’altra parte a riceverli di solito. 

Ciò che sentiva in quel momento non lo capiva. C’era un lato di lui che voleva correre verso quei soldati e stenderli per quello che gli stavano facendo. E c’era un lato di lui che voleva vederlo farsi ancora più male, tanto da non reggersi nemmeno in piedi.

Erano sempre così contorti i sentimenti che provava nei confronti di quell’uomo. Sempre, da quando lo aveva conosciuto su quel lago ghiacciato così tanti secoli addietro ormai. Erano sempre sospesi nel tempo, in quel limbo fatto di battaglie e guerre e uno dei due fatto prigioniero. 

Si era staccato dal muro sotto lo sguardo sempre fisso del Prussiano. Glieli avrebbe cavati un giorno quei occhi, ne era sicuro. Il modo in cui lo guardavano anche in quel momento gli dava davvero sui nervi. 

Ma adesso avrebbe avuto molto tempo per farglielo cambiare. Lo avrebbe tenuto come suo personale prigioniero. Sarebbe stato solo suo e di nessun altro, anche a costo di tenerlo segregato da qualche parte.

“Benvenuto tra le braccia della grande e potente Madre Russia, Gilbert.”

 

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Capitolo 16
*** 16. La vita che volevi, Mancato per pochi centimetri [MCU/E3490] ***


Prompt: La vita che volevi, "Mancato per pochi centimetri"
Fandom: Marvel MCU/E3490
Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark, Natasha Stark
Pairing: Stony


 

Aveva aperto gli occhi in un posto che conosceva e non conosceva contemporaneamente. C’era qualcosa che gli sembrava così familiare. Un odore di grasso per macchine e olio di motore. Odore di ferro e caffè che si mescolavano per dare forma concreta a quel senso di conosciuto, di déja-vu.

Era l’odore che c’era sempre nella sua officina nella casa a Malibu. Il problema era che quella casa era stata distrutta. Rasa completamente al suolo assieme a tutti i ricordi che custodiva. E quella non sembrava veramente la sua officina. Non sembrava far parte di una casa futuristica come lo era stata la casa che aveva costruito in California.

Sembrava quasi la casa in cui era cresciuto a Long Island.

“L’hai mancato per pochi centimetri, Cap. Stai perdendo colpi.”

Era riuscito solo a spalancare gli occhi e cagarsi addosso mentre uno scudo che conosceva fin troppo bene si conficcava nel muro dietro di lui. Non si era nemmeno accorto che c’erano altre persone in quella stanza. Non che ci fosse…Steve…?

“Non l’ho voluto colpire di proposito.”

Due persone erano entrate nel suo campo visivo. Uno era sicuramente Steve Rogers, più vecchio, ma sicuramente lui. E l’altra. L’altra aveva una armatura rossa e oro che lui conosceva fin troppo bene, ma non ricordava di aver creato una armatura da donna. 

“Sì, diciamo così per mascherare l’età che avanza.” Aveva parlato la donna, il cui viso era ancora nascosto dietro alla visiera. Teneva però una mano alzata nella sua direzione, pronta a sganciargli un raggio laser alla prima occasione. 

“Per favore, non sparatemi. Sono Tony Stark e non ho idea di cosa stia succedendo.”

Li aveva osservati mentre si guardavano. Sul viso di Steve Rogers leggeva quella che poteva essere confusione. E non riusciva davvero a smettere di guardarlo. Era più vecchio dello Steve che conosceva lui. Ma era decisamente lui. Gli stessi occhi. Le stesse espressioni. E aveva sentito il proprio cuore spezzarsi ancora una volta come quel giorno in Siberia che non riusciva a togliersi dalla testa. 

“Io sono Natasha Stark e credo di essere l’unica Stark nei paraggi.” La donna aveva abbassato il braccio e alzato la visiera del suo elmo. Era stato guardato da due occhi molto simili ai suoi ed era ancora più confuso di prima.

“Quel Strange avrà ancora giocato col multiverso.” Aveva sentito mormorare al biondo, che lo aveva guardato a sua volta, mentre la donna al suo fianco annuiva. “Sei Iron qualcosa? Probabilmente Man?”

“Che domanda idiota, Steve. Se è me certo che è Iron Man!” L’aveva osservata richiamare l’armatura, che era scomparsa immediatamente, e avrebbe dovuto chiederle come aveva fatto. Aveva così tante domande. E lei sembrava così giovane in confronto a lui. Ed era accanto a Steve Rogers. Quella vicinanza che a lui non era più concessa.

“Cosa sarebbe il multiverso? Proprio quello che dice il nome?”

“Sembra che questo non abbia il mio stesso QI, non trovi?” Natasha aveva guardato nuovamente il biondo e sorrideva. Sembrava rilassata. Sembrava quasi spensierata. Eppure erano stati pronti ad un attacco in casa loro.

“Strange te l’ha già detto che non tutti hanno sperimentato il multiverso. Quindi smettila di fare la stronza.” Steve l’aveva guardata alzando un sopracciglio e guardarli interagire faceva male. Era quello che lui aveva avuto col suo Steve. E quel Steve lui lo aveva perso per sempre. “Signor Stark, per caso è ferito? Necessita di cure?”

“Oh, no no. Sto bene. Ero nella mia officina che stavo cercando di costruire una macchina del tempo, ma mi sono ritrovato qui.”

“E’ davvero te.” Steve aveva guardato di nuovo la donna, che stavolta aveva riso senza ritegno e aveva appoggiato una mano sul suo braccio. Se era davvero lui e come lui, quella era una manifestazione d’affetto. Una che riservava a pochissime persone. “Visto che non siete in pericolo, vado a preparare un caffè. Così magari ci dimostriamo cordiali per una volta con qualche ospite.”

Steve si era allontanato sotto lo sguardo attento della donna. Aveva guardato così anche lui Steve mentre si allontanava? Anche se stava solo cambiando stanza? 

“Andiamo di sopra? Si sta sicuramente più comodi.”

“Dove siamo?”

“Stark Mansion, Long Island.” Lo aveva guardato e gli aveva sorriso. “E’ la casa del mio vecchio e non volevo che cadesse a pezzi. Mi hanno demolito la casa a Malibu. New York ha iniziato a starmi troppo stretta. E questa era libera. Gli verrebbe un infarto al vecchio a sapermi qui con il suo Steve.”

“Quindi anche tuo padre aveva una cotta non molto nascosta per il Capitano?” Tony le si era avvicinato, notando che aveva ancora il reattore arc. Aveva paura a chiederle cosa fosse successo per farla diventare ciò che erano. Se era successo come a lui, allora anche solo pensarci continuava a fare male, senza nemmeno parlarne. 

“Puoi scommetterci. Lo invitava a cena e sembrava una scolaretta alla prima cotta. Che giusto per tua informazione, sarei dovuta essere io e solo io in quel periodo.”

“Vi conoscete da tanto tempo?” Tony l’aveva seguita in cucina. Conosceva bene quei corridoi e quelle stanze. Ci era cresciuto correndo in ogni angolo della casa per scappare dalle varie tate per andare a nascondersi da Jarvis.

“Oh, saranno 20 anni che ci sopportiamo. Non è vero, Steve?” Si era seduta a tavola mentre Steve le metteva una tazza davanti. 

“Non dovevo accettare quell’invito a cena da parte di tuo padre. E’ stata la mia rovina.”

Tony li aveva osservati. Si guardavano con amore. Nonostante le loro parole era palpabile quello che li univa. Ed era stato così anche per lui e per il suo Steve. Erano stati così affiatati come gli sembravano quei due che aveva di fronte. 

I suoi pensieri erano stati interrotti dal piangere di un bambino. Aveva spalancato gli occhi perché non aveva mai pensato ad un bambino in quella casa. Non aveva mai pensato che lui o in questo caso un altro lui potessero avere dei figli. Lui si era sempre ripetuto che sarebbe stato un pessimo genitore. Uno di quelli che rovinava l’esistenza dei figli. E aveva deciso quindi di non correre questo pericolo.

“Si è svegliata. Vado a controllarla un secondo.” La donna si era alzata, e aveva notato che sorrideva. Sorrideva dolcemente mentre usciva dalla cucina. Non riusciva a togliersi dalla testa quel sorriso.

Quella Stark era felice. 

“Steve, è la vita che volevi?”

L’uomo lo aveva guardato, quasi confuso. Ed era la stessa maledetta espressione. Era la stessa espressione con cui il suo Steve lo aveva guardato centinaia di volte mentre gli parlava di qualcosa che lui non poteva capire.

“Cosa intendi? Con quella donna o in generale?”

“Il mio Steve se ne è andato, e non sono riuscito a fermarlo. Abbiamo avuto incomprensioni, bugie, e ci siamo fatti la guerra. E lui ha scelto Bucky a me. Non in senso romantico, ma ha scelto lui. E non era qualcosa che volevo. Volevo provare a salvare la situazione, ma è tutto precipitato.” 

Steve aveva sospirato, appoggiandosi più comodamente allo schienale della sedia. Aveva guardato fuori dalla finestra della grande cucina e aveva uno sguardo che non sapeva davvero come definire. Sembrava triste, nostalgico, ma anche in qualche modo sereno.

“L’ho conosciuta che era solo una ragazzina che faceva di tutto per contraddire suo padre. E ne abbiamo vissute davvero tante. Ora la vedi così felice, ma ti posso assicurare che ci siamo fatti molto male in passato. Se potessi tornare indietro cercherei di non rifare gli stessi errori, anche se non vorrei mai che cambiasse il risultato finale. Ovvero essere qui con lei.”

“Avete una figlia. Davo per scontato che nessun Stark volesse avere figli.”

Steve lo aveva guardato. Era uno sguardo triste, anche se gli aveva sorriso.

“E lei è una madre fantastica. Le viene fin troppo spontaneo questo ruolo anche se ne è terrorizzata. Aveva sempre detto anche lei che non avrebbe mai avuto figli per non rovinargli la vita, ma eccoci qui. Dopo 20 anni di conoscenza, siamo arrivati ad un punto in cui sembra che entrambi siamo giunti alla vita che volevamo.”

Tony lo aveva guardato. Non voleva chiedere troppo. Avevano sicuramente delle cicatrici enormi nascoste sotto quelle espressioni felici. Non doveva essere proprio nel loro destino avere tutte le cose in modo facile, dovevano aggrapparsi con le unghie per tenersi stretta la felicità. La sua gli era stata portata vita, sfuggita tra le dita come se fosse stata sabbia e gli erano rimasti in mano dei granelli di ricordi felici. Nulla di più. Non avrebbe avuto nulla di più visto come si erano messe le cose.

“Tony, non so se posso parlare, magari siamo due persone completamente diverse, ma se c’è un qualche parallelismo tra di noi, sono sicuro che l’altro me non voleva lasciarti. A volte facciamo cose dettate solo dall’impeto del momento. L’ho lasciata anch’io in un momento in cui non avrei assolutamente dovuto farlo. E adesso siamo sposati e genitori. Tasha è la persona più importante della mia vita, e sono sicuro che l’altro me pensi lo stesso di te. Questa è una costante che abbiamo potuto vedere in diversi universi. Anche se devo ammettere che non va mai nulla rosa e fiori.”

Steve gli aveva sorriso e voleva credere alle sue parole. Voleva credere che da qualche parte nel mondo il suo Steve si stesse commiserando per quello che era successo. Voleva credere che se ne stesse sempre con gli occhi incollati su quel vecchio cellulare che gli aveva spedito nella speranza che lui gli telefonasse. 

Steve si era alzato dalla sedia non appena la donna era entrata in cucina con una bambina piccolissima tra le braccia. Lo aveva osservato mentre la prendeva dalle sue braccia per stringerla a sé.

Voleva credere che ci fosse anche per loro quel lieto fine che stava osservando in quella cucina. Quella era la felicità a cui aveva sempre anelato. 

Ma la vedeva così irraggiungibile in quel momento.

 

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Capitolo 17
*** 17. Copertura, Indecente [Stony] ***


Prompt: Copertura, Indecente
Fandom: Marvel MCU
Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark
Pairing: Stony



 

Steve Rogers aveva osservato il suo compagno di cella. Lo aveva guardato con odio e rabbia. Tutto perché Tony Stark non sapeva stare alle regole e ai piani fatti in precedenza, ma doveva ogni volta agire d’impulso sbattendosene allegramente di tutto il resto.

Avevano litigato più e più volte di questo. Dopo ogni missione, durante ogni briefing, ogni volta gli aveva ripetuto che non poteva comportarsi così, che prima o poi tutto questo gli avrebbe causato dei problemi. Non solo a lui, ma a tutta la squadra.

E così era stato alla fine.

Erano stati catturati perché Tony Stark aveva deciso di far saltare la loro copertura. Già era difficile crearne una visto quanto erano famosi, ma farle saltare era facilissimo.

“Cap, non tenermi il muso. Non l’ho fatto di proposito.”

“Doveva essere una cosa facile, Tony. Entrare, prendere i file che si servivano, e andarcene. Molto semplice e lineare. Invece ora dobbiamo aspettare che qualcuno venga a salvarci perché non riesco a spezzare nulla con queste manette ai polsi.” Aveva alzato le braccia per fargli vedere per l’ennesima volta le manette speciali che gli avevano messo addosso. Gli toglievano tutta la forza sovrumana che aveva rendendolo un comune essere umano. 

“Non è stata mia intenzione farci scoprire. E’ stato un caso che abbia….”

“Che tu abbia dovuto far uscire tutta la tua Stark persona facendoti scoprire? Non puoi per una cazzo di volta controllare il tuo ego?”

“Che indecente. Hai detto una parolaccia.” Lo aveva osservato mentre indignato si portava una mano sulle labbra. E avrebbe voluto dargli un pugno. Seriamente. 

“Dovevi solo far finta di essere un tecnico. Solo questo ti era stato chiesto. Non serviva in alcun modo che tu ti mettessi a spiegare cose non richieste.”

“Non è colpa mia se la gente è troppo ignorante. Mi viene spontaneo istruire le masse.”

Steve aveva stretto la mascella prima di dire altro. Sarebbero stati solo tanti insulti in quel momento. Come poteva amare un uomo simile? Un simile irresponsabile senza alcuna disciplina? Un essere così egocentrico che li aveva messi in pericolo pur di dare sfogo al proprio ego?

Erano tenuti prigionieri. Non sapeva quando i loro compagni di squadra sarebbero arrivati a salvarli. E avrebbero pure dovuto subire l’umiliazione di dover essere tratti in salvo.

Tutto per colpa di Tony.

 

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Capitolo 18
*** 18. Prendere il volo, Rispondi, Hai trasformato... [Stony] ***


Prompt: Prendere il volo, "Rispondi", Hai trasformato...
Fandom: Marvel MCU
Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark
Pairing: Stony


 

Aveva guardato l’orologio ancora una volta. Mancava pochissimo e poi sarebbe dovuto per forza spostarsi da quella sala d’attesa per andare a prendere il volo. Era una attesa con molta probabilità vana. Non sapeva nemmeno perché gli avesse comunicato l’orario del suo volo. 

Perché mai Tony Stark avrebbe dovuto presentarsi lì? Non c’era nessun motivo. Avevano fatto un’unica missione insieme e avevano tutti deciso di andarsene ognuno per la propria strada. Quello che era successo tra di loro, subito dopo la battaglia, non aveva alcun significato. 

Era proprio per questo non avere significato che continuava a guardare l’orologio nella speranza di vederlo entrare in quella sala. Anche la notte che avevano passato insieme non aveva significato proprio nulla. Era stata solo una debolezza momentanea.

Ma chi voleva ingannare? 

Aveva ceduto ad un impulso che aveva sempre negato. Non sarebbe mai stato socialmente accettabile un simbolo americano attratto anche dal proprio stesso sesso. E con Tony Stark aveva ceduto ad un impulso che non era riuscito a controllare. Non dopo come quell’uomo aveva continuato a provocarlo.

Dalla tasca della propria giacca aveva estratto il cellulare fornitogli dallo S.H.I.E.L.D. per controllare che non ci fosse qualche messaggio o telefonata. Ma non c’era nulla. Ovviamente Tony non gli aveva nemmeno risposto al messaggio che gli aveva mandato per comunicare che era arrivato in aeroporto. Sembrava così disperato e si faceva quasi pietà da solo.

Per Stark doveva essere stata solo una notte come le altre. Aveva letto che era famoso per le sue avventure. Era del resto anche impegnato e questo lo faceva sentire ancora più miserabile.

“Rispondi mandandomi a quel paese facendo così finire questo tormento.”

Si era detto, mentre appoggiava i gomiti sulle ginocchia e appoggiando la fronte sulle mani. Per fortuna nessuno sembrava riconoscerlo, perché era davvero una scena penosa quella che stava mettendo in atto.

Captain America che se ne stava in attesa di qualcuno nemmeno fosse una scolaretta alla prima cotta. Era tutto assurdo. Era stato assurdo anche Tony Stark. 

E oddio, era andato a letto con il figlio di Howard. C’era qualcosa di così sbagliato in tutta quella storia.

“Sembra che tu abbia una crisi esistenziale. Devo chiamare Fury e farti venire a prendere?”

Delle scarpe laccate erano comparse nel suo campo visivo e quando aveva alzato la testa di fronte a lui c’era Tony vestito di tutto punto. 

“Pensavo non saresti venuto.”

“Non credevo nemmeno io di farcela. Ero in riunione fino a poco fa.” Tony aveva tolto gli occhiali da sole, mettendoli nella tasca della giacca. E come doveva immaginarsi la gente aveva iniziato a guardare nella loro direzione. Fino a quando era solo e miserevole nessuno lo aveva degnato di uno sguardo. Appena era comparso quell’uomo tanto discusso tutta l’attenzione era su di loro. “Devo dire che non hai scelto in modo molto discreto il luogo di questo rendez-vous. Ma presumo che nel 1940 le cose fossero un po’ diverse.”

“Non pensavo davvero che saresti venuto e di conseguenza non ho pensato al luogo. E’ stato molto istintivo.”

“Già, il tuo agire istintivo è molto eccitante. Credo di avere ancora qualche segno addosso.” Tony aveva ammiccato muovendo un sopracciglio e sorridendogli. Ed era sicuro di essere arrossito. Non era decisamente abituato a tanta apertura verso un argomento che lui aveva sempre tenuto ben nascosto. Di cui quasi si vergognava.

“Perdonami, non avrei mai dovuto cedere a questi bassi e vergognosi istinti, e portarti sulla strada del peccato.”

“Oh, no no, Cap! Calmati!” Il moro aveva alzato entrambe le mani per bloccare quelle che dovevano essere le sue scuse. “Nessuna strada è peccaminosa se c’è il piacere di mezzo, non mi importa cosa la tua religione possa dire di questo. Non siamo nel 1940 e adesso ti puoi anche sposare in alcuni Stati. E tu hai trasformato una pessima esperienza al servizio dello S.H.I.E.L.D. in qualcosa di molto piacevole. Chi l’avrebbe mai detto che Capitan America aveva certe inclinazioni?”

“Ti prego, non prendermi in giro. Non è una cosa di cui sono molto incline a parlare, anzi. Non ne parlo proprio.”

Tony gli aveva sorriso ancora.

“Se non hai ancora imbarcato nulla, resta a New York ancora qualche giorno. Poi ti farò arrivare a Washington con uno dei miei aerei.”

E per qualche strano motivo non aveva esitato a prendere il proprio bagaglio per seguirlo fuori dall’aeroporto. Era tutto sbagliato. Il momento. Il loro sesso. Ma non aveva potuto fare altro che seguirlo.

 

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Capitolo 19
*** 19. È ciò che accade quando..., Posso essere per te qualunque cosa, Legami [RuPru] ***


Prompt: "È ciò che accade quando...", "Posso essere per te qualunque cosa", Legami
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru

 

Petrograd, agosto 1918

 

Non doveva essere lì. Aveva già i suoi problemi a cui pensare senza dover pensare anche a quell’uomo e i suoi problemi interni.

Lui aveva problemi col mondo intero. L’altro solo con una rivoluzione interna. 

Su una scala dei valori la sua situazione era molto più problematica e precaria. Se perdeva - e stava perdendo - avrebbe dovuto pagare i danni di guerra e non sapeva come questo si sarebbe potuto ripercuotere su tutta la sua popolazione. L’altro aveva fatto la sua scelta uscendo dal conflitto per combattere una guerra interna.

E avevano costretto all’abdicazione il suo zar.

“Ehi, stai facendo preoccupare le tue sorelle. E mi stai facendo perdere tempo prezioso.” Aveva spalancato la porta delle nuove stanze che gli erano state riservate. Era così strano rispetto a quando lo accoglieva a palazzo. O in qualche casa di campagna. 

Questa volta era in un palazzo, stupendo, magnifico, che ostentava tutta la grandiosità di Madre Russia, ma solo un palazzo borghese. 

“Come hai fatto ad arrivare qui? I confini sono chiusi.” Ivan Braginskij era seduto su una poltrona, con troppe bottiglie vuote attorno a sé e un bicchiere in mano. Lo aveva visto bere. Avevano bevuto insieme più di una volta. Ma non lo aveva mai visto in quello stato. La barba incolta, i vestiti sudici. Non era quello l’uomo che di solito gli si presentava di fronte.

“Ho i miei metodi anch’io, per chi mi hai preso.” Gilbert era entrato nella stanza, andando subito verso le grandi finestre per spalancarle e far entrare aria fresca. “Ho saputo cosa è successo a Nicola. Ha avuto grande impatto anche fuori dai tuoi confini.”

“Li hanno uccisi tutti.” La voce di Ivan era bassa e gelida, gli aveva fatto scorrere un brivido lungo la schiena. E forse adesso capiva cosa fosse successo. I re andavano e venivano. Alcune morti li colpivano più di altre, ma non così. Non era stato così nemmeno lui quando era morto il suo adorato Federico. “Le ragazze e Aleksej. Tutti.”

Gli si era avvicinato per togliergli il bicchiere di mano. Puzzava di vodka da fare schifo, ma non riusciva a biasimarlo in alcun modo. 

“Avevo cercato di farli scappare. Pensavo che forse in Germania sarebbero stati al sicuro. O in Inghilterra. Ma li hanno spostati da una residenza all’altra fino agli Urali. E non ho mai potuto raggiungerli. Mi hanno bloccato qui per questioni che non mi interessano minimamente. Cosa dovrebbe importarmi se non sono più un impero ma una repubblica? Non ho potuto nemmeno salvare dei ragazzi innocenti. E lo stanno pure negando. Solo Nicola è stato giustiziato. Aleksandra e i ragazzi sono al sicuro. Tutte cazzate!”

“E’ ciò che accade quando amiamo troppo gli umani.” Gilbert aveva sospirato, senza però smettere di guardarlo. “Non possiamo mai salvarli. Vuoi il tempo, vuoi altri umani… Le loro vite sono così fragili e non possiamo davvero fare nulla se non restare a guardare e disperarci dopo.”

Il problema era che Ivan amava davvero quei ragazzi. Li aveva visti nascere e crescere. Gli aveva sempre parlato con orgoglio di ogni cosa che facevano. Li amava come se fossero stati figli suoi. Gli parlava sempre di quelle ragazze così belle ed intelligenti o del piccolo principe che tutti tenevano con grande cura. Gli avevano strappato un pezzo del suo stesso cuore togliendogli quei ragazzi.

“Avrei voluto salvare almeno loro. Posso capire la politica, posso capire che avevano bisogno di eliminare fisicamente l’impero in nome di questa nuova direzione politica. Ma i ragazzi non avevano alcuna colpa. Cosa poteva saperne Aleksej di politica, Gilbert? Non aveva ancora compiuto 14 anni.”

“Ivan, per quanto faccia male non possiamo intrometterci, lo sai.” Gli si era inginocchiato di fronte, appoggiando le mani sulle sue cosce. Non lo aveva davvero mai visto così distrutto. E ne aveva passate molte. “Stringiamo dei legami troppo forti con loro, ma sai che non dovremmo fare nemmeno questo. Dovremmo sempre essere esterni alle loro cose. Lo so che è difficile visto che con alcuni viviamo a stretto contatto. E lo so davvero cosa provi per i tuoi reali.”

“Non dovresti essere qui nemmeno tu.” 

“Vero. Ma mi è arrivata una lettera molto urgente dalle tue sorelle e non sono riuscito ad ignorarla. Anche se non dovrebbe essere così, abbiamo stretto un legame importante anche noi da qualche tempo, non credi?”

Ivan lo guardava con occhi tristi in cui poteva leggere la sua disperazione. Occhi che non riuscivano a nascondere tutto il dolore che lo stava logorando nel profondo. Ma erano Stati. Lui poteva capirlo. Lo capiva. Aveva perso un uomo che aveva considerato un figlio. Ma lo aveva visto crescere. Lo aveva visto diventare il miglior sovrano che avesse mai governato nel suo regno. Non lo aveva perso all’improvviso ed in giovane età.

“Dovrei odiare anche te. Hanno anche rinominato questa città in modo da togliere qualsiasi suono tedesco dal suo nome. Dovresti essere il mio nemico per eccellenza, ed invece sei qui adesso. Potrei quasi osare nel dire che sotto sotto mi ami, Gilbert.”

“Oh, non essere stupido. L’amore è per gli stolti, ma forse proprio per questo posso essere per te qualunque cosa tu voglia.” Aveva inarcato un sopracciglio e gli aveva sorriso. E per tutta risposta, Ivan aveva alzato le braccia per prendere il suo viso tra le proprie mani. Lo guardava come se avesse potuto spezzarsi da un momento all’altro. E gli faceva male vedere quell’uomo così distrutto in quel momento. Era un uomo forte, potente. Non lo aveva mai visto piegarsi di fronte agli eventi creati dagli umani.

Mai fino a quel momento.

“Grazie, Gilbert. Se fosse un qualsiasi altro momento, prenderei questa tua offerta in modo molto serio.”

 

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Capitolo 20
*** 20. Le condizioni sono cambiate, Ciò che ti chiedo [RuPru] ***


Prompt: Le condizioni sono cambiate, Ciò che ti chiedo
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru


 

Berlino Est, 198*

 

Odiava quelle visite a sorpresa. Non portavano mai nulla di buono. Come allo stesso modo non gli piaceva quando veniva senza preavviso convocato a Mosca. C’era sempre qualcosa sotto quando le cose succedevano all’improvviso.

Come del resto odiava quando la STASI bussava alla porta di casa sua praticamente all’alba per scortarlo di solito o in qualche ufficio o in qualche camera d’albergo dove ad aspettarlo c’era Ivan Braginskij accompagnato da qualche pezzo grosso. Da quando era diventato la Deutsche Demokratische Republik aveva iniziato a capire come dovevano sentirsi le persone che erano state seguite dalla Abwehr. Quasi 40 anni in cui ogni suo passo era seguito con molta attenzione, in cui ogni cosa che faceva veniva riferita.

“Vediamo, cosa ho fatto questa volta?” Aveva parlato non appena la porta alle sue spalle era stata chiusa da uno dei militari ed era rimasto, in quell’ufficio che ormai conosceva bene, da solo con il Russo. “E’ perché ho ascoltato ancora quella odiosa musica inglese?”

“Mi hanno riferito che sei stato dall’altra parte del confine senza alcuna autorizzazione.” Ivan se ne stava seduto alla scrivania senza nemmeno alzare lo sguardo da dei documenti che faceva finta di leggere. “Non farmi venire fino a qui per queste stronzate, Gilbert.”

“C’era Francis in città e sono andato a farmi una birra con lui. Non ho incontrato Ludwig e non ho complottato contro la fine del tuo regime. Quello lo stai facendo da solo senza che io debba far nulla.” Il Prussiano si era seduto su una poltrona, senza togliere gli occhi dall’uomo che non lo guardava. Era arrabbiato, lo poteva chiaramente notare dalla sua postura rigida. Non era un buon periodo. I popoli che governava non era più contenti. Non i polacchi, non gli ungheresi. Non i baltici. E stranamente nemmeno le sue sorelle. 

“Sei uscito dai confini stabili per mantenere la pace.”

“Le condizioni per una convivenza pacifica sono cambiate, Ivan.”

A quelle parole il Russo lo aveva guardato ed era furioso. Era furioso probabilmente più per il fatto che avesse incontrato il Francese che per tutto il resto.

“No, le condizioni sono sempre le stesse! Non è cambiato nulla da quando è finita la guerra!”

“E’ cambiata la gente. I ragazzini non sanno nulla della guerra, vivono il presente e lo vivono in una gabbia dorata dove tutto è un gioco al bastone e alla carota.” Gilbert si era messo seduto più comodo senza smettere di guardare l’altro uomo negli occhi. “E sai che io li lascio fare senza interferire. Sono giovani, hanno mille sogni per il futuro. Eravamo così anche noi una volta, non ricordi più?”

“Sono due cose molto diverse. Noi siamo Stati. Non possiamo avere sogni.”

“La situazione è così tragica?” Gilbert si era alzato dalla poltrona per avvicinarsi alla scrivania. Si era seduto sul bordo di essa, il più vicino possibile al Russo. Ivan non lo guardava, aveva appoggiato i gomiti sui fogli che avrebbe dovuto leggere, appoggiando il mento sulle proprie dita intrecciate. Guardava dritto di fronte a sé e Gilbert lo sapeva a cosa stava pensando. 

La sua casa stava cadendo a pezzi e lui non riusciva a fare nulla per evitare il disastro. Aveva sempre desiderato una famiglia unita. Erano cose di cui blaterava soprattutto quando beveva troppo.

“Se lo sai, ciò che ti chiedo è di non peggiorare la tua e la mia posizione.”

“Devi mandarmi in Siberia ancora un volta? Fa freddo in quel posto e la vodka che mi mandi fa schifo. E non farmi parlare della sbobba che ho dovuto ingurgitare. Mangiavo meglio in trincea.”

“Non erano vacanze quelle. Anche se non hai imparato nulla.”

“E non imparerò mai nulla, Ivan.” Si era sporto un po’ verso l’uomo, per riuscire a guardarlo meglio in viso. “Non sono un uccellino che puoi tenere in gabbia. Faccio il bravo e seguo le regole fino ad un certo punto. Ma non puoi pretendere da me che non faccia assolutamente nulla per contrastarti. Non è questo alla base della nostra relazione?” 

“Speravo che qualcosa sarebbe cambiato vivendo insieme.” Ivan aveva chiuso gli occhi e aveva appoggiato la schiena contro lo schienale. “Invece devi rompere i coglioni ogni giorno in qualche modo.”

“Ti annoieresti se improvvisamente diventassi una brava casalinga.” Gilbert gli aveva sorriso, ma sapeva che l’altro doveva essere davvero scosso da qualcosa. C’erano sicuramente cose che non gli venivano dette. Poteva anche condividere il letto con quell’uomo, ma la politica era spesso un tabù. Come del resto non gli raccontava nemmeno lui tutto quello che faceva, o facevano gli altri loro coinquilini. Nessuno di loro era più contento. Tutti loro sentivano sempre più stretta quella gabbia. E questo lo sapeva benissimo anche Ivan. Faceva finta di nulla. Voleva convincersi che tutti fossero felici di stare con lui. Ma non era più così. Forse oramai era lui l’unico che continuava a sopportarlo, e solo perché era altro a legarli. “Magari potresti chiedere ad Elizaveta di sposarti. Tanto è divorziata.”

“Ma se è il tuo primo amore. Non oserei mai toglierti questa opportunità questa volta.”

Gilbert aveva riso. Sarebbe stato punito più tardi dalla STASI che sicuramente lo stava ascoltando fuori dalla porta. Sarebbe stato punito per quella risata, perché non stava prendendo seriamente la situazione, perché così peggiorava la posizione di tutta la popolazione. Sarebbe stato punito con molta probabilità anche Ivan perché non riusciva a tenerlo sotto controllo. Forse lo avevano già punito ed era per questo che era lì in quel momento. Forse voleva solo vedere che a lui non fosse successo nulla.

“Stai tranquillo. Finito questo colloquio verrò trascinato in uno stanzino angusto in cui mi faranno il terzo grado sulla mia fuga e l’incontro con te. Devo rendere questo incontro più piccante?” Gli aveva preso il mento con una mano, costringendolo a guardarlo negli occhi. E si sarebbe maledetto per sempre perché quei occhi ametista lo rendevano debole ogni volta. “Ivan, vuoi che torni a Mosca con te? Questo ti renderebbe più tranquillo?”

“E’ quello che mi hanno effettivamente chiesto di fare. Riportarvi tutti in realtà, ma se glielo chiedo io non mi ascolteranno. Dovrei minacciarli per ottenere qualcosa e sono stanco anche di questo.”

Era un modo implicito per chiedergli aiuto. Non avrebbe dovuto mostrarsi debole di fronte a nessuno, ma con lui lasciava sempre cadere ogni barriera alla fine. Ivan si fidava di lui, nonostante tutto. Potevano avere un rapporto non dei migliori a volte, ma per il Russo lui era un porto sicuro. Di questo si era reso conto molto tempo addietro.

“Vedrò cosa posso fare. Non ti prometto nulla però. I ragazzi sono tutti un po’ sul piede di guerra ultimamente.”

“Lo so. Anche le mie sorelle si stanno allontanando.” Ivan aveva sospirato, alzando una mano per stringere il suo polso con leggerezza. Ivan lo sapeva. Lo sapeva che stava tutto finendo, ma non riusciva ad accettarlo. La sua casa piena di gente stava per svuotarsi, lasciandolo da solo in quelle gelide terre. 

Gilbert non sapeva nemmeno se sarebbe sopravvissuto una volta uscito dalla sua area di controllo. Non sapeva nulla di certo sul futuro e lasciava solo che la sua gente decidesse da sola cosa fare. Volevano una Germania unita, come lo era stata 40 anni prima. Volevano essere uguali ai loro fratelli oltreconfine. E voleva anche lui rivedere suo fratello senza supervisione sovietica. Voleva uscire con i propri amici senza dover poi passare ore con qualche agente segreto. Ma non voleva in realtà lasciare da solo quell’uomo che soffriva troppo la solitudine. Sperava ci fosse un modo perché tutti potessero pacificamente avere ciò che desideravano. Era una utopia, lo sapeva. Non ci sarebbe mai stata una vera pace al mondo. Ma erano forse soltanto vecchi e stanchi, e quei 40 anni li avevano abituati ad una nuova vita, ad una nuova quotidianità tutti insieme. 

“Te li porterò a Mosca. Non so quanto servirà, perché le cose si sono già messe in movimento, ma torneremo a casa.”

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Capitolo 21
*** 21. Sta migliorando, Neanche morto [Stony] ***


Prompt: "Sta migliorando", "Neanche morto"
Fandom: Marvel
Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark
Pairing: Stony


 

“Mh. Sta migliorando. Credo.” 

Tony Stark aveva inarcato un sopracciglio in direzione dell’uomo che stava osservando il suo viso da troppo vicino. Ma anche fare quel semplice gesto gli stava costando fatica e dolore.

“Ma se è ancora color prugna e fa un male cane. Non puoi dirmi che sta migliorando e pensare che io ti possa credere.”

Lo aveva spinto lontano da sé con un braccio e si era allontanato di un passo. Doveva presenziare ad una cena di gala. Una di quelle dove tutti avrebbero voluto farsi un selfie con lui, per poi sfoggiarli sui social. E lui aveva un occhio tumefatto. Così gonfio e violaceo che nemmeno gli occhiali da sole avrebbero potuto nasconderlo.

“Puoi sempre provare a nasconderlo con del trucco. Natasha dice che è facile farlo.”

“Neanche morto. Mi sono già fatto truccare una volta da quella donna e ho pisciato nella mia armatura poco dopo.”

Steve Rogers lo aveva guardato, confuso e 

“Non credo che le due cose siano connesse. Mi risulta che hai deciso da solo di sbronzarti. Ma non c’ero effettivamente, sennò te lo avrei vietato categoricamente.”

“Stavo morendo e volevo divertirmi. Scusami tanto se avevo le ore contate! Ahi!” Aveva fatto una smorfia di dolore, perché quel zigomo poteva anche essere rotto per quello che ne sapeva. Ma aveva ovviamente rifiutato di farsi vedere da un medico subito dopo la missione. Era scappato subito al sicuro nella sua officina e non aveva permesso a nessuno di entrare. Non gli piaceva doversi far vedere da qualcuno dopo le missioni. Del resto aveva solo ricevuto un pugno in faccia. Attraverso l’elmo della armatura tra le altre cose. Non osava immaginare quanto male avrebbe fatto se non la avesse avuta addosso.

“Dovevi farti vedere da un medico. Possiamo farlo anche adesso.”

“No. Preferisco soffrire e avere la faccia deforme, ma non voglio andare da un medico.”

“Non comportarti da moccioso.”

“Scusami tanto se non ci sono abituato come te e farmi controllare in continuazione. Non sono nato con 50 patologie diverse. Scusami. Battuta infelice e stronza, puoi picchiarmi. Me lo merito.”

Steve lo aveva guardato, mentre si sedeva e incrociava le braccia al petto.

“E’ vero. Non so come ho fatto a superare l’infanzia con tutte le mie patologie. Non hai detto nulla di sbagliato. Se non fossi diventato Capitan America con molta probabilità sarei morto prima dei 30 anni.”

Tony lo aveva guardato ed era senza parole. Aveva detto una cattiveria gratuita e Steve avrebbe dovuto arrabbiarsi ed insultarlo. Ed invece gli dava ragione. E questo lo aveva totalmente spiazzato.

“Forse dovrei farmi vedere da un medico allora. E per stasera chiederò aiuto a Natasha. Sì, farò così.” Aveva borbottato tra sé e sé, mentre Steve gli sorrideva soddisfatto. Lo aveva manipolato per ottenere ciò che voleva ed era stato maledettamente furbo nel farlo. “Vai a vestirti anche tu, Capitano. Se vado io, tu vieni con me.”

“E’ un invito al Capitano o a Steve?”

“E’ da troppo tempo che le due così sono la stessa cosa, no?” Lo aveva guardato male, ma Steve gli aveva solo sorriso nel modo più dolce possibile.

 

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Capitolo 22
*** 22. Ti è passata la febbre?, Dai, riposati [RuPru+Germania] ***


Prompt: "Ti è passata la febbre?", "Dai, riposati"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia, (Germania)
Pairing: RuPru


Berlino, 20**

 

Si era svegliato sentendo un mormorio fuori dalla porta della sua stanza. Era la voce preoccupata di quello scemo di suo fratello che come al solito si faceva prendere dal panico per il nulla. 

Aveva solo la febbre. Nulla di nuovo. Era da almeno qualche decennio che finiva bloccato a letto per qualche giorno. Stava diventando vecchio e come i vecchi era più incline alle influenze di stagione. 

E il tono preoccupato di Ludwig fuori dalla porta lo faceva innervosire. Soprattutto perché aveva dovuto comunicarlo all’altro. Lo faceva ogni volta e ogni volta gli ripeteva di tenerlo fuori da quella questione. Perché poi ne aveva due che gli stavano col fiato sul collo finché non si riprendeva del tutto. 

Avrebbe quasi preferito fosse arrivato il medico che gli avrebbe consigliato come unica medicina una supposta su per il culo, che ascoltare quei due. 

In principio c’era solo Ivan. Alla prima febbre si era spaventato così tanto che quasi aveva pianto al suo capezzale e lui voleva solo morire davvero per far finire quel supplizio. Per 40 anni aveva sopportato il Russo che lo trattava da malato terminale ad ogni inverno. 

Successivamente si era aggiunto anche West a tutto questo, informato da Ivan sulle sue febbri e su come curarle. 

E spesso suo fratello finiva per avvertire ancora il Russo sulle sue condizioni di salute, come se fosse ancora affar suo. E soprattutto suo fratello che contattava Ivan per qualcosa che non era inerente al lavoro era così out of chara che credeva fosse buggato. 

Li odiava, li odiava entrambi mentre parlavano fuori dalla sua porta come se lui non potesse sentirli. Discutevano sulle medicine da dargli. Su cosa preparargli da mangiare.

Aveva sospirato mettendosi seduto.

Lo sapeva perché erano così preoccupati. Lo sapeva ma preferiva ignorarlo. Perché se si fosse messo a pensare si sarebbe preoccupato anche lui e non voleva. Voleva che fosse una sorpresa, se proprio doveva succedere.

Aveva guardato la propria mano ed era ancora intatta. Non aveva iniziato a trasformarsi in un fantasma. Se era questo che sarebbe successo. Aveva creduto per diverso tempo che sarebbe svanito nel momento in cui le due Germanie si fossero unite. La gente voleva quella unificazione. Era un popolo unico che voleva essere inteso come tale. Quindi la sua sopravvivenza era un miracolo, ma nessuno sapeva fino a quando sarebbe veramente continuata la sua esistenza.

Era questo che temevano i due uomini fuori dalla sua porta. Nessuno dei due voleva vederlo svanire, ognuno per i propri motivi. Ma non sopportava davvero di averli addosso come delle mamme chiocce. Era sicuro che da qualche parte in cucina avevano preparato del brodo di pollo e tè caldo con limone e miele e forse dello zenzero. 

“Sei sveglio? Ti è passata la febbre?” Ivan aveva aperto la porta con cautela, in modo da non svegliarlo se fosse stato ancora addormentato. 

“No, e credo di aver bisogno di un bagno perché ho sudato tantissimo e mi faccio schifo.” Lo aveva guardato mentre Ivan gli metteva una mano sulla fronte e faceva una smorfia. Sapeva di avere ancora la febbre. Se la sentiva ancora nelle ossa e nei muscoli. Ma non gli piaceva vedere Ivan così preoccupato. Gli bastava suo fratello. Non gli serviva anche il suo compagno. “E tu puoi anche ritornare a casa tua. Non ho bisogno di una balia. Ho West per questo.”

“Mi ha chiamato proprio lui perché hai la febbre alta da giorni.”

“Non sto morendo.”

Ivan lo aveva guardato, ma non aveva risposto nulla. Odiava davvero vederli così preoccupati per qualcosa che non sapevano se o quando sarebbe successo. Era sopravvissuto fino a quel momento. Non lo avrebbe fatto fuori una semplice influenza.

“Non guardarmi così, Ivan. Per favore. Tra un paio di giorni starò bene e verrò a romperti le palle a Mosca.”

“Ma se sei ridotto ad uno straccio. Dovrò portarti in braccio fino al bagno tra un attimo.” Ivan si era seduto sul letto e lo aveva osservato ancora. Odiava davvero quello sguardo così preoccupato. Odiava vederlo sul volto di Ivan. Non doveva guardarlo così. Doveva ancora guardarlo solo con lussuria e nient’altro. Non pietà. Non tristezza. Solo lussuria. 

“Se non ci fosse West fuori dalla porta, saprei io cosa fare per farmi passare la febbre.”

Ivan era rimasto in silenzio un attimo, guardandolo negli occhi prima di scoppiare a ridere. Ecco, era questo che voleva. Non facce tristi per una banale febbre.

“Dai, riposati. Ti preparo un bagno caldo e ti aiuto io a lavarti.”

“Entri nella vasca con me?” Aveva inarcato un sopracciglio, cercando di essere ammiccante. Ma sapeva di fare solo pietà. In pigiama, sicuramente più pallido del solito, con i capelli che non erano così sporchi da quando aveva passato mesi in trincea. 

“Vuoi farmi uccidere da tuo fratello? Sai che sopporta la mia presenza solo perché tu stai male. Sennò non mi avrebbe mai chiamato di sua spontanea volontà a casa vostra.”

“West pensa che tu sia stato un terribile aguzzino, ma non sa delle selvagge notti che abbiamo passato insieme.”

Il Russo aveva ridacchiato, mentre lo spingeva a sdraiarsi e gli rimboccava le coperte.

“Stai delirando. Riposa ancora un po’, poi ti aiuto a lavarti e se serve ti imbocco anche.”

Voleva protestare. Voleva dirgli che stava bene, ma in realtà era davvero stanco e debilitato da quella febbre che sembrava non voler proprio scendere.

 

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Capitolo 23
*** 23. Non finirà mai, Quando sarò vecchio, Finirà prima o poi [Stony] ***


Prompt: "Non finirà mai", "Quando sarò vecchi*", "Finirà prima o poi"
Fandom: Marvel
Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark
Pairing: Stony


Era una serata strana. Stranamente calma e la casa era troppo silenziosa. Tutti i suoi coinquilini erano via, ognuno per i propri motivi. Thor se ne era andato ad Asgard per affari di famiglia aveva detto. Bruce era MIA e non avevano voglia di cercarlo, decidendo che sarebbe tornato da solo quando ne avrebbe avuto voglia. Natasha era ufficialmente in missione, ma in realtà sapevano che la missione si chiamava Bucky Barnes ma i due non avevano il coraggio di uscire allo scoperto, come se qualcuno di loro potesse giudicarli per qualcosa. Clint era tornato a casa dalla sua famiglia e nessuno aveva avuto nulla da obiettare.

Forse c’erano momenti in cui tutti loro invidiavano Barton per essere riuscito a costruire qualcosa in quel mondo folle in cui erano finiti per vivere. L’arciere aveva un porto sicuro in cui tornare a ricaricare le batterie ogni volta. Entrava in una casa piena di bambini e per quanto il solo pensiero gli mettesse i brividi, doveva essere anche rilassante. Sapere di aver creato qualcosa era davvero solo tuo. Tuo e della persona che amavi. Non che lui avesse qualche particolare desiderio di mettere su famiglia, ma invidiava Barton.

“Guarda che prendi freddo a stare qui fuori.”

Tony si era girato lentamente per poter guardare Steve Rogers che era appena uscito sul balcone della Stark Tower. Il Capitano era l’unico rimasto nella Torre. Gli aveva detto che poteva prendersi anche lui la serata libera e andare ad uno dei suoi incontri di veterani vecchi e decrepiti, ma Steve aveva preferito rimanere con lui.

“Magari l’ho fatto a posta così poi tu mi scaldi.” Aveva sorriso nella sua direzione e Steve era arrossito. Arrossiva sempre quando gli diceva così simili, nonostante il loro rapporto fosse diventato molto molto fisico.

“Potrei essere rimasto a casa proprio per questo.” Steve non lo guardava, imbarazzato, e lui amava vedere quell’uomo così retto arrossire come una ragazzina. Soprattutto perché era lui a farlo arrossire così. Steve era suo in un modo in cui nessun altro avrebbe mai potuto averlo.

“Vuoi che ci spostiamo in casa o preferisci iniziare qui?”

“Finiscila. Qui fuori sarà pieno di droni pronti a paparazzarti con la modella del momento.”

Tony aveva riso di gusto. Nessuno sapeva della loro relazione. Forse nemmeno tutti i loro amici si erano accorti di quello che stava succedendo tra di loro. E Steve non era decisamente pronto per un coming out pubblico. 

“Finirà prima o poi anche questa caccia allo scoop. Anche perché non gli sto dando materiale succulento su cui spettegolare già da un po’.” Tony aveva osservato l’uomo che gli si era fermato di fronte e la tentazione di attirarlo a sé e baciarlo era fortissima. Era una sera malinconica quella. Una di quelle in cui aveva bisogno di sentirsi amato, e in passato avrebbe cercato questo amore in chiunque glielo avesse voluto concedere. 

Ora voleva solo Steve Rogers, per quanto assurdo potesse sembrare anche a lui. 

“Non finirà mai, Tony.” Steve gli aveva sorriso e lui per quel sorriso sarebbe potuto morire. Lo colpiva direttamente al cuore e gli faceva provare delle sensazioni che credeva esistessero soltanto in qualche romanzetto rosa. “Adesso cercano uno scoop con qualche modella o attrice. Domani cercheranno di fotografare noi per sbatterci su ogni copertina possibile.”

“Ah, quindi non siamo solo trombamici? Pensi che ci sia un futuro a questa relazione?”

“Quando sarò vecchio…”

“Tu sei già vecchio, Cap.” Tony aveva sorriso alla faccia infastidita di Steve che era stato interrotto a metà frase.

“Dicevo. Quando sarò vecchio voglio ritirarmi da qualche parte in campagna magari. In un posto tranquillo dove andare a pescare, fare lunghe camminate. Dove starmene la sera sul divano, davanti al camino e leggere un libro. E voglio te accanto.”

Stavolta doveva essere stato lui ad arrossire. Nessuno gli aveva mai fatto una dichiarazione come quella. E nemmeno lui l’aveva fatta a qualcuno. Nemmeno con Pepper aveva mai fatto progetti a così lungo termine. E tutte le altre sue relazioni duravano meno di un battito di ciglia.

Ma Steve era serio mentre lo diceva. Steve lo guardava negli occhi e non distoglieva lo sguardo. Lo pensava davvero. Lo voleva davvero.

“Anche se sono io? E con molta probabilità sarò così anche da vecchio? Non che adesso io sia nel fiore della giovinezza. Ma sono, beh, sono io.”

Perché faceva male? Doveva essere un momento di gioia quello. Doveva essere il coronamento di quella relazione. Steve si rendeva conto di quello che gli stava chiedendo? Era solo mosso dagli ormoni e dal magnifico sesso che facevano? Non poteva essere serio. Non poteva credere di volerlo accanto per tutta la vita. Nessuno lo voleva accanto per così tanto tempo. Nessuno. Forse nemmeno lui stesso si voleva accanto.

Però era questo che desiderava, no? Era questo che invidiava a Barton ogni volta che l’uomo tornava dalla sua famiglia?

Steve gli stava dando questa possibilità. Steve desiderava questo con lui. E lui non avrebbe mai nemmeno osato sperare in un futuro simile. Era qualcosa che rimaneva solo nei suoi sogni. Perché Steve Rogers non avrebbe mai potuto davvero desiderare di passare tutta la vita con lui. 

“Direi che è proprio perché sei tu, Tony. Sei la persona più fastidiosa che io conosca. Mi fai saltare i nervi un giorno sì e quello dopo anche. Ma non riesco a pensare a nessun altro quando penso al mio futuro. Se penso a come vorrei passare la mia vecchiaia, riesco a vedere solo te accanto a me.”

“Sei disonesto. Così mi fai capitolare subito e mi fai quasi credere che ci saranno delle fedi al dito un giorno.”

“Quando vuoi, Tony.” Steve gli sorrideva con dolcezza e questo lo faceva travolgere da un mare di emozioni che non riusciva a controllare. Tutto ciò era molto molto di più di quanto avesse mai potuto anche solo sognare. Lui amava Steve. Lo amava dal primo momento in cui lo aveva visto, ma non avrebbe mai potuto credere che davvero sarebbero stati qualcosa di più di una relazione di letto. Non aveva mai osato sperare che Steve Rogers, proprio quel Steve Rogers, potesse volere di più, che volesse davvero stare con lui. Che facesse dei progetti includendolo e dando per scontato che ci sarebbe stato per moltissimo tempo.

Faceva male sentirsi così amati per la prima volta in vita sua. Per la prima volta senza secondi fini, senza costrizioni, senza la pretesa di farlo diventare un’altra persona. Steve lo amava per quello che era e questo non se lo sarebbe mai aspettato.

 

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Capitolo 24
*** 24. Confine, Tenetelo fermo [RuPru] ***


Prompt: Confine - "Tenetelo fermo"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru


 

Polonia, 22 giugno 1941

 

“Tenetelo fermo.” Ivan Brangiskij aveva dato l’ordine quasi ringhiandolo tra i denti. Guardava con rabbia e frustrazione l’uomo bloccato dai suoi soldati. Lui lo conosceva troppo bene, i suoi uomini no. Per i suoi era soltanto un fottuto tedesco che aveva oltrepassato il confine. Per lui quel Tedesco era molto di più e la sua presenza poteva significare una sola cosa.

Tradimento.

“Vuoi essere giustiziato anche tu?” Aveva alzato un braccio. Impugnava una pistola e gliela aveva puntata in fronte. Solo poche ore prima un disertore tedesco aveva oltrepassato il confine blaterando su un attacco, una invasione. L’uomo era stato fatto prigioniero, creduto immediatamente una spia tedesca.

“Tra poche ora attaccheremo davvero, sono venuto solo per avvertire te.” Gilbert Beilschmidt, con addosso la sua bella divisa della Panzer Division, lo guardava negli occhi, e non riusciva a leggergli nessuna emozione addosso. E questo era molto strano. Quell’uomo portava sempre le proprie emozioni addosso, come un libro aperto. 

“Abbiamo stipulato un patto. Lo avete firmato!”

“Non hanno mai avuto intenzione di rispettarlo. E sicuramente anche voi aspettavate il momento giusto per attaccare.”

Voleva sparargli. Voleva fargli saltare le cervella e non doverlo più avere davanti agli occhi. Lo avevano detto i suoi capi. Comunisti e nazisti non potevano funzionare, anche se avevano gli stessi obiettivi. Anche se si erano spartiti quella terra senza grossi problemi. Anche se avevano firmato trattati su trattati di non belligeranza gli uni con gli altri. 

Quei trattati forse avevano solo un qualche significato per loro due, non per gli umani. Gli uomini non sapevano cosa fosse la lealtà verso il prossimo. Era tutto per un tornaconto personale. Da una parte e dall’altra.

“Perché diavolo sei qui, Gilbert? E’ una trappola?” Gli aveva premuto la canna della pistola sulla fronte mentre si avvicinava di qualche passo. Ma il Prussiano non batteva ciglio. Lo guardava senza alcun timore.

“Volevo darti modo di organizzarti. Non voglio vederti travolto e distrutto, tutto sommato. Attaccheremo all’alba e non ci fermeremo finché Mosca non sarà in mano nostra.”

“Non avete imparato nulla in questi secoli. Non potete conquistarci per quanto ci proviate.”

Gilbert era scoppiato a ridere, lasciando spiazzati i due soldati che lo tenevano fermo. Forse era stato solo in quel momento che avevano capito chi avevano di fronte e lo avevano lasciato andare quasi terrorizzati. Avrebbe dovuto sparare anche a loro per non aver obbedito ad un ordine tanto semplice.

“Compagno Braginskij, questo non è un soldato…?” Aveva mormorato uno dei due soldati, confuso probabilmente dal perché uno Stato fosse lì in persona per dare una notizia simile.

“Andate a dare l’ordine di restare pronti per ogni possibile attacco. Mandate immediatamente un messaggio a Mosca.”

I due se ne erano andati di corsa, come se avessero avuto il diavolo alle calcagna, mentre lui continuava a guardare il Prussiano negli occhi. Cosa c’era sotto? Che trappola stava architettando questa volta?

“Ti devo ricordare come sono finiti tutti gli attacchi che avete fatto verso di me nei secoli?”

“Tutte le volte in cui sono stato assolutamente magnifico, solo un po’ sfortunato?” Gilbert gli aveva fatto un accenno del suo tipico ghigno, ma non era il solito. Qualcosa non andava. E Gilbert stava davvero tradendo il proprio paese per essere da lui in quel momento.

“Ti fucileranno quando lo scopriranno. Tuo fratello si incazzerà da morire.”

“West è impegnato a dare una mano al suo fidanzatino. E ci sono cose di questo governo che proprio non riesco a digerire, ma non posso intromettermi in alcun modo. Dobbiamo solo osservarli gli umani, no?” Gilbert aveva scosso la testa, come a scacciare un pensiero fastidioso, mentre affondava le mani nelle tasche e si dondolava sui talloni. “E non voglio combattere contro di te mentre sei impreparato. Voglio che tu sia al massimo della tua forza quando la mia si abbatterà su queste terre. Non voglio sorprenderti mentre sei in mutande a scaldarti con qualcuno dei tuoi soldati.”

“Sei un idiota. Ti dovrei fucilare io seduta stante perché hai tradito il nostro contratto e perché sei al pari di un disertore.”

“Oh, no. Traditore sì, disertore no. Se me lo permetti ora tornerei dai miei ragazzi che si staranno chiedendo che fino ho fatto e si staranno preoccupando.”

Ci sarebbe mai stato un momento in cui non si sarebbero fatti la guerra? Uno dei loro trattati avrebbe mai avuto davvero un qualche valore? O era lui l’unico stupido a vederci un qualche significato?

“Alla fine di questa guerra ti caccerò anche fino all’inferno se serve e te le farò pagare tutte, Gilbert.”

“Sempre se riuscirai a prendermi.” Gilbert aveva finalmente il suo solito ghigno sulle labbra mentre con una mano agguantava il suo cappotto e lo baciava sulle labbra. Non era uno da dimostrazioni di affetto in pubblico. Non lo faceva mai se non era sicuro che fossero al sicuro da occhi indiscreti. Questa volta la situazione doveva essere grave se quell’uomo si permetteva di agire così. Non era una novità che si vedessero anche prima di combattersi in passato. Ma Gilbert non si era mai spinto a tanto da venire ad avvertirlo che lo avrebbe attaccato. Doveva essere successo qualcosa di grave se quell’uomo tradiva una nazione che amava e di cui era orgoglioso fino all’eccesso. “Spero di non incontrarti in battaglia. Non ho voglia di spararti stavolta.”

“Guardati le spalle, Gilbert. Questa mossa potrebbe costarti molto.”

Gilbert gli aveva sorriso, ma era un sorriso quasi triste, preoccupato. E senza rispondergli nulla se ne era andato, scomparendo nella foresta buia. 

Ivan aveva continuato a guardare il punto in cui era scomparso per diverso tempo, mentre sentiva i suoi uomini urlare ordini da una parte all’altra del campo. 

Non voleva incontrarlo in battaglia. Non voleva dover nuovamente sparagli addosso o farlo prigioniero. Voleva stranamente solo saperlo al sicuro da qualche parte, e non artefice principale di quella follia.

 

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Capitolo 25
*** 25. Ti amo ancora, In quel momento [RuPru] ***


Prompt: "Ti amo ancora", "In quel momento"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru


 

Berlino, 2023

 

“Se West dovesse scoprire che sei qui, sarebbero cazzi amari per entrambi. Spero che di questo tu ti renda conto, Ivan.” Senza bussare, senza farsi annunciare, aveva spalancato la porta dell’ufficio del Russo all’interno della ambasciata russa. La sua intelligence lo aveva avvertito del suo arrivo. E la notizia era arrivata a lui prima che al fratello. 

Aveva sbattuto con forza la porta alle sue spalle, bloccando così l’entrata della sicurezza che aveva cercato di fermarlo. Non doveva trovarsi lì nemmeno lui. Non doveva proprio importargliene nulla. Doveva restarsene a casa a far finta di lavorare mentre faceva binge watching su Netflix, ma non aveva potuto ignorare quella notizia. Non poteva in alcun modo.

Il governo di quell’uomo era il nemico pubblico #1 per tutto il mondo occidentale. Avevano tutti tagliato i ponti con lui in qualche modo, ma lui continuava a non riuscire ad ignorarlo. 

“Non dovrà scoprirlo allora.” Ivan si era alzato dalla sedia e aveva mosso qualche passo verso di lui. Stringeva dei fogli in una mano e sicuramente non era lì con intenzioni ostili. Erano pazzi quelli al suo governo, ma non credeva avrebbero attaccato uno Stato tanto legato alla NATO come lo era la Germania in quel momento. 

“Se avevi bisogno di qualcosa potevi contattare direttamente me, come fai sempre. Qui è pericoloso per te.”

“Non posso abbandonare la mia gente che vive entro i tuoi confini.”

“Per chi ci hai presi? Non abbiamo costretto nessuno ad andarsene come avete fatto voi. Abbiamo solo ridotto il numero dei vostri diplomatici e voi avete chiuso le ambasciate. Voi avete deciso di cacciare centinaia di tedeschi dalle vostre terre.” Gilbert aveva chiuso la porta a chiave e gli si era avvicinato ulteriormente. Si era fermato solo quando era di fronte a lui e poteva guardarlo direttamente negli occhi. “Alla tua gente ci penso io, coglione. Non gli verrà torto un capello.”

Ivan era rimasto in silenzio, guardandolo a sua volta negli occhi. Non era un buon periodo per lui, lo poteva vedere anche senza che l’uomo dicesse una parola. Potevano far sembrare all’esterno di essere indistruttibili, lo erano anche per quello che lui sapeva, ma c’erano tensioni interne e ovviamente si ripercuotevano su quell’uomo. 

“Volevo solo vederti.” Ivan lo aveva ammesso, mentre alzava un braccio per potergli accarezzare il viso. Il tempo poteva passare e loro potevano essere schierati su fronti opposti, ma loro continuavano ad essere uno il porto sicuro dell’altro. Non sarebbe dovuto essere così. Non dovevano esserci relazioni personali tra di loro, tra nessuno di loro. Ma era davvero impossibile non finire incastrati in qualche modo dopo così tanti secoli. 

E loro erano quelli con la relazione più impossibile tra tutti. Era fortunato suo fratello. Erano fortunati i suoi amici. Non lui. Lui era sempre incastrato in quel circolo vizioso con il Russo, dal primo momento in cui si erano combattuti. 

“Non è il momento migliore. Non con tutto quello che sta succedendo nel mondo.”

“Nel mondo succede sempre questo. Noi due dovremmo saperlo benissimo che c’è sempre qualche guerra da qualche parte.”

“Ehi ehi, io mi sono dato una calmata da 80 anni. Ufficialmente non sono più in guerra con nessuno.” Lo aveva preso per la maglia ed era davvero tentato di avventarsi sulle sue labbra. Quella situazione era difficile anche per lui. Dopo la caduta del Muro le loro due nazioni avevano continuato ad avere rapporti più che buoni. Questo aveva permesso anche a loro due di continuare a vedersi come e quando volevano senza alcun problema.

Ma ora era tutto diverso. Ora Ivan era il nemico di tutti, soprattutto perché ovviamente si era messo di mezzo l’Americano a complicare ulteriormente la situazione. 

Ivan aveva appoggiato la fronte sulla sua spalla ed istintivamente Gilbert lo aveva abbracciato. Lo sapeva che aveva bisogno di un amico in quel momento. Aveva bisogno di qualcuno che gli stesse accanto senza motivazioni economiche o politiche. 

“Ehi, per le coccole c’è tua sorella. Se scopre che sei qui mi manda i sicari.”

“Potrei andare in Cina allora.” Dalla sua voce Ivan doveva aver sorriso, e gli aveva tirato i capelli per tutta risposta. “Ahi, non essere geloso. E’ solo un vecchio flirt.”

“E allora vattene da Yao, fumatevi un po’ di oppio, scopate, e lasciami in pace.” Non doveva essere geloso. Ivan non era suo. Erano entrambi liberi di fare come meglio credevano. Non c’erano più nemmeno trattati ufficiali che li legavano in una qualche relazione. 

Ivan avrebbe potuto avere tutti i partner che volesse e lui non sarebbe dovuto essere geloso. Ma lo era.

“Io ti amo ancora, Gilbert.” Il Russo aveva parlato contro il suo collo e questo aveva lanciato scariche elettriche lungo tutto il suo corpo. Era passato troppo tempo da quando erano stati così vicini uno all’altro.

“Non dovresti. Questa relazione è una tortura per entrambi.” Lo aveva però stretto di più a sé, nonostante le sue stesse parole. Non voleva lasciarlo andare. Non voleva nemmeno doverlo combattere ancora. Lo avevano fatto per troppo tempo, in un modo o nell’altro. Adesso avrebbe voluto godersi la vecchiaia in pace. E perché no, proprio accanto a quell’uomo. 

“Non mi importa. Sai che voglio solo te come compagno. Tutto il resto è solo di contorno. Tu sei l’unico che c’è sempre, anche se la maggior parte delle volte sei stato una spina nel fianco, ma ci sei sempre stato.”

Gilbert non poteva dargli torto, in realtà. Provava le stesse cose, ma non gliele avrebbe mai dette a voce. Aveva una reputazione da mantenere e voleva che tutti continuassero a credere - anche se sapeva che nessuno ci credeva - che lui non fosse minimamente interessato al Russo, ma che fosse solo per compassione che ormai continuava ad averlo attorno. Lo sapevano fin troppo bene tutti quanti che avrebbe sempre avuto un punto debole nel Russo, e forse erano proprio i suoi amici ad avere compassione di lui e a non voler infierire. 

“Siamo proprio nati sotto una cattiva stella, non trovi?” Aveva voltato leggermente la testa per potergli dare un bacio sui capelli. 

“Poteva andare molto peggio. Potevo perderti per sempre quanto siete diventati un’unica nazione. In quel momento ho avuto davvero paura.” Quella era una paura che non scompariva mai. Aveva sempre una spada di Damocle sopra la testa e non sapeva mai se e quando sarebbe scomparso. Altri Stati prima di lui erano semplicemente svaniti. Sarebbe successo anche a lui.

“Non ti libererai di me così facilmente. Pensi davvero che potrei lasciarti da solo contro il mondo?” Gilbert aveva ridacchiato, solo con lo scopo di alleviare un po’ il mood. Se Ivan era lì per sentirsi meglio, quell’argomento non era certo il massimo. “Sono qui. Sono qui, Ivan. Resterò qui fino a quando avrai bisogno di me, e poi potrai tornare a Mosca a spaccare i culi a tutti.”

“Fosse così facile.” Il Russo aveva sospirato, raddrizzando la schiena per poterlo guardare. “Non vedo una soluzione immediata a tutto questo. E anche il rapporto con mia sorella si è rovinato completamente.”

“Ekaterina ti perdonerà sempre. Sei il suo fratellino. Se tu andassi da lei adesso, in questo preciso istante, ti abbraccerebbe e ti farebbe affondare la faccia nelle sue enormi tette.”

“Sei volgare. E stai parlando di mia sorella, porco.”

“Di tua sorella che ha delle tette da urlo, ricordiamolo.”

Ivan aveva fatto un lieve sorriso a quelle parole e questa era una piccola vittoria per lui, visto quanto l’uomo dovesse essere scosso per essersi preso la briga di venire fino a lì. Con molta probabilità non aveva avvertito nessuno a Mosca della sua partenza, e questo gli avrebbe fatto passare dei guai una volta rientrato. Soprattutto visto che era venuto proprio da lui. Ma quello era il suo Ivan. Sarebbe sempre stato il suo porto sicuro, lo avrebbe sempre accolto anche quando aveva il mondo intero contro. 

“Resta pure qui finché ne avrai bisogno, e io resterò con te finché la tua sicurezza non mi butterà fuori a calci.”

“Tuo fratello si arrabbierà ancora una volta.”

“Oh, posso sopportare le prediche di West. Le fa in continuazione e ormai non lo ascolto nemmeno più.”

Aveva sorriso anche lui questa volta e Ivan lo aveva stretto di più a sé per poterlo baciare. Bacio a cui lui non si era sottratto in alcun modo, e di cui forse aveva bisogno anche lui stesso.

 

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Capitolo 26
*** 26. In nessun posto, Nessun sospetto [Stony] ***


Prompt: "In nessun posto", Nessun sospetto
Fandom: Marvel
Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark
Pairing: Stony



Tony aveva guardato l’uomo che gli dormiva accanto. C’era qualcosa che non andava. C’era qualcosa che gli sfuggiva. Non era nessun sospetto concreto. Era solo una sensazione alla bocca dello stomaco che non gli permetteva di dormire.

Steve era sempre stato molto taciturno sulle proprie missioni per conto dello S.H.I.E.L.D.. Gli dava il minimo indispensabile come informazione e lui quindi si ritrovava ad hackerare il database di questi per poter sapere ciò che gli interessava. Ma ora lo S.H.I.E.L.D. non c’era più e lui non sapeva dove reperire le informazioni che gli servivano. E non poteva andare a chiederle direttamente a Sam Wilson visto quanto l’uomo pendeva dalle labbra di Cap. E questi gli aveva sicuramente detto di non dirgli nulla.

Era tutto troppo segreto e lui stava iniziando a preoccuparsi. Steve scompariva per giorni interi. Andava completamente in silenzio radio e lui si sentiva una stupida donnicciola che aspettava a casa il ritorno del soldato perduto. 

Gli aveva chiesto qualche volta dove andasse, ma la risposta era sempre e solo che andava in missione per distruggere l’Hydra. Solo che non aveva senso. Perché se ne andava da solo o al massimo con Sam Wilson? Perché non poteva coinvolgere anche lui? Lo avrebbe aiutato più che volentieri in qualsiasi missione suicida si fosse gettato.

“I tuoi pensieri sono rumorosi.” Steve si era voltato verso di lui e lo aveva guardato.

“Dove sei stato?” Tony aveva notato l’espressione di Steve cambiare per un attimo e lo sapeva che c’era qualcosa sotto. Qualcosa che non gli sarebbe piaciuto scoprire.

“In nessun posto.” Sempre la stessa risposta. Sempre tutto avvolto dal segreto, nemmeno fossero segreti di Stato. Non c’erano più da quando lo S.H.I.E.L.D. era caduto e Natasha aveva reso tutti i loro segreti pubblici. 

“Non sono stupido, Steve. So che mi nascondi qualcosa, ma non riesco a capire cosa. Sei anche abbastanza furbo e cancelli ogni tua traccia. Questo te l’ha insegnato Natasha, vero? Prima riuscivo a tracciarti con fin troppa facilità quando scomparivi in qualche tua missione del cazzo.” Non doveva reagire così. Sembrava uno stupido, ma era logorato dall’ansia. E se Steve fosse invischiato in qualcosa di pericoloso? E se invece, in modo molto più banale, avesse trovato qualcun altro? Questa era forse la cosa che meno avrebbe potuto sopportare. Essere messo da parte per qualcuno. Non lo avrebbe retto, se ne rendeva perfettamente conto. Amava troppo quell’uomo per poter anche solo pensare di perderlo.

“Questa non è una cosa ti riguarda, Tony. Non questa volta.”

“Non mi riguarda?” Quella frase lo aveva colpito come una pugnalata in pieno petto. Steve non si fidava di lui. Steve non lo riteneva abbastanza importante da condividere qualcosa con lui. “Noi stiamo, in teoria a questo punto, insieme. Mi stai volutamente nascondendo qualcosa di molto importante, e questo non è normale. Hai un altro?”

“Cosa?” Steve si era messo seduto per guardarlo meglio. E dal suo viso sembrava in conflitto con sé stesso. Qualcosa stava succedendo. Qualcosa di davvero importante. “No, non c’è nessuno in quel senso, Tony. Ma questa volta non posso coinvolgerti. E’ troppo personale.”

Personale.

In quel preciso momento Tony aveva unito tutti i puntini fino a quel momento totalmente sparpagliati senza nessun collegamento e aveva trovato la risposta ai suoi quesiti, e non gli piaceva affatto perché la brutta sensazione che aveva era solo aumentata.

James Buchanan Barnes.

 

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Capitolo 27
*** 27. Non te ne accorgerai nemmeno , Giuda, Delle buone ragioni, Non è tuo quel posto [Stony] ***


Prompt: "Non te ne accorgerai nemmeno", Giuda, Delle buone ragioni, "Non è tuo quel posto"
Fandom: Marvel
Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark
Pairing: Stony



 

“Il tuo piccolo stunt al Raft non è passato inosservato.” Si era fermato alle spalle del biondo. Non si era fatto annunciare, ma sapeva che sicuramente T’Challa lo aveva avvertito del suo arrivo. Almeno una via d’uscita gliela dovevano dare se non avesse voluto incontrarlo. Anche se di questo dubitava vista la lettera che gli aveva mandato.

“Tony.” Steve si era voltato quasi di scatto e lo aveva guardato. Odiava che sul suo viso ci fosse una espressione quasi sofferente nel vederlo. Anche se non era quella l’espressione con cui lo aveva lasciato in Siberia. Lì lo aveva colpito con l’intenzione di ucciderlo.

“Nessun Tony. E’ signor Stark per te, Giuda.” Il moro aveva messo le mani in tasca cercando di mantenere una espressione quanto più neutra possibile, anche se dentro si stava spezzando. Dentro era a pezzi dal momento in cui Steve aveva deciso di tenerlo fuori da qualcosa di così importante. 

“Tony, avevo delle buone ragioni per tenerti fuori. Soprattutto dopo che hai firmato gli Accordi.” Steve si era alzato e lo aveva guardato ancora. 

“E prima? Da quanto eri sulle sue tracce? Da quanto mi hai tenuto fuori da tutto pensando che questo potesse fare il mio bene? Mi hai mentito per anni, Rogers. Per anni. E io come un cretino ti accoglievo nel mio letto ogni volta che tornavi a casa.” Tony voleva avvicinarglisi ancora. Voleva dargli un pugno con tutta la forza che aveva, ma era ben conscio che nemmeno questo gli avrebbe dato alcuna soddisfazione. 

Era troppo ferito. 

“Non sapevo come dirtelo, non dopo quello che avevo scoperto. Volevo solo proteggerti da altro dolore.”

“Certo, perché è normalissimo che il tuo miglior amico, e forse qualcosa di più a sto punto, sia un super assassino che ha ucciso a sangue freddo i genitori di quello che doveva essere il tuo compagno, altra cosa su cui ho dei seri dubbi adesso.” Tony aveva voltato lo sguardo subito dopo aver concluso la frase. Dire a voce alta certe cose faceva troppo male, soprattutto di fronte a quell’uomo. Si era fidato di lui. Lo aveva amato come non aveva amato nessun altro.

Ed era stato tradito nel modo peggiore possibile. E Steve lo sapeva che aveva dei grossi problemi di fiducia.

“E’ Bucky. Non potevo lasciarlo vagare per il mondo senza provare a salvarlo.”

“Sacrificando me?” Lo aveva detto con un tono più alto e arrabbiato di quello che aveva voluto. Voleva sembrare distaccato. Voleva far trasparire che non gliene importasse nulla. “Valevo così poco per te? Ero una scopata e via? Qualcosa da buttare via una volta che non ne avevi più bisogno?”

“No, volevo solo proteggerti e portare lui al sicuro. Poi sarei tornato a casa nostra da te.”

“Non è tuo quel posto. Non è più un posto in cui sei il benvenuto. “Nostra” non esiste più come concetto.” Lo aveva guardato negli occhi e trovava fastidiosa l’espressione sul volto di Steve. Sembrava ferito, dispiaciuto, ma aveva fatto tutto lui. Aveva deciso lui che le cose dovevano andare così. Come poteva pretendere di comportarsi come se non fosse successo nulla? Aveva distrutto tutto quello che avevano costruito con una sola azione. “Ma probabilmente non te ne accorgerai nemmeno che non esiste più un noi, per tua decisione.” Si sentiva così infantile. Steve aveva fatto la sua scelta, e non era lui questa scelta. Doveva lasciar perdere, doveva voltare pagine. Ma era anche abbastanza stupido da poterlo addirittura perdonare se solo Steve avesse fatto un passo verso di lui.

“Torna a casa, Tony. Non voglio che Ross ti trovi qui con me e che questo ti causi altri problemi.” Steve si era seduto di nuovo e in quel momento Tony aveva capito che era tutto finito davvero.

 

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Capitolo 28
*** 28. Funzionerà, Tutto il resto [RuPru] ***


Prompt: "Funzionerà", Tutto il resto
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru


Fronte orientale, novembre 1941

 

C’era una cosa che davvero non imparava mai. Una cosa che avrebbe dovuto imparare e tenere impressa nella memoria da secoli. Ma che alla fine non imparava proprio mai. Sempre lo stesso errore commetteva. O meglio, non gli davano mai retta quando continuava a ripetere come un pappagallo che quei territori in inverno dovessero essere evitati come l’inferno.

Perché quello era. Un inferno di neve e ghiaccio che non ti lasciava scampo, che ti imprigionava e ti teneva nella sua morsa fino a farti soccombere.

Lui la conosceva bene quella sensazione. Erano passati 700 anni da quando l’aveva conosciuta e gli faceva sempre gelare il sangue nelle vene. 

Ma gli altri non imparavano mai. E non gli davano mai ascolto.

E lui ora si stava congelando il culo e il resto dei gioielli di famiglia, sdraiato sulla neve appena caduta a non voleva nemmeno sapere quanti gradi sotto zero. Perché sapeva che sarebbe successo qualcosa. Le sue viscere glielo dicevano che non potevano stare tranquilli a bivaccare davanti ad un fuoco di fortuna mentre cercavano di non diventare dei ghiaccioli morti assiderati. Continuava ad osservare in lontananza, sicuro che i russi avrebbero attaccato. Il suo sesto senso gli diceva che ci sarebbe stato anche lui tra i soldati. Non mancava mai quando c’era da dargli una lezione. 

Ma in tutto quel bianco non riusciva a vedere nulla. Continuava a sforzare la vista ma vedeva solo neve e foreste a perdita d’occhio. Ma non poteva arrivare da nessun'altra parte. Prenderli alle spalle era praticamente impossibile. Avrebbero potuto attaccarli di lato, ma aveva mandato degli uomini in diversi punti della foresta in modo da non rimanere scoperti. Lo avevano etichettato come paranoico. Forse lo era. Faceva troppo freddo anche per i russi e di certo non si sarebbero avventurati da quelle parti. 

Solo che il suo sesto senso raramente sbagliava quando si trattava di quell’uomo. 

Un fischio lo aveva raggiunto ancora prima che avesse finito quel pensiero, subito seguito dal bruciore ad una guancia. Lo sapeva che sarebbero arrivati. Sapeva che quell’uomo sarebbe stato il primo ad attaccare in quella situazione. E lui non lo aveva visto. Riusciva a vederlo solo adesso, vestito di bianco e sugli sci. 

Quella era una cosa nuova. Non lo aveva mai affrontato sugli sci, ma soprattutto sembrava essere da solo.

Era solo un avvertimento quello? 

“Mi hai fatto male, figlio di puttana.” Aveva guardato il Russo negli occhi non appena gli si era fermato di fronte e gli aveva puntato il fucile addosso.

“Ho sbagliato mira. Puntavo alla fronte.” Ivan gli sembrava parecchio infastidito e non lo biasimava. Lo sarebbe stato chiunque costretto a stare a quel freddo. “Tornate indietro prima che vi sguinzagli addosso i miei uomini. Non li vedrete nemmeno arrivare e ci sarà solo un’altra carneficina.”

“Ma pensi che io sia qui di mia volontà a congelarmi le palle?” Si era alzato da terra perché non aveva più senso cercare di stare nascosto. Era stato scoperto ed era sicuramente sotto tiro da parte di qualche altro cecchino. Ivan gli aveva sparato e non se ne era nemmeno reso conto fino a quando il proiettile non gli aveva graffiato la guancia. “Preferirei tornarmene a Berlino e fare lavoro d’ufficio piuttosto che essere qui, con te.” Anche se in realtà Berlino era l’ultimo posto dove volesse essere in quel momento. Non gli piaceva più nemmeno casa sua. Era diventata un posto tetro da cui scappare il prima possibile. 

“Allora torna al tuo accampamento e andatevene. E’ l’ultimo avvertimento.”

“Certo, come se fosse facile convincerli ad andarsene? Credi che io non li abbia già avvertiti di non venire da queste parti d’inverno?” Aveva mosso un passo verso il Russo, che ancora continuava a puntargli il fucile addosso. Se almeno lo avesse ferito seriamente poteva davvero andarsene da quel posto. 

“Funzionerà se gli farai gli occhi dolci. Sei bravo ad affascinare le persone.” 

Gilbert aveva riso, e la sua risata era risuonata in tutto con molta probabilità in tutta la foresta. Stava davvero invecchiando se gli suonava così allettante la proposta di andarsene invece di rimanere a combattere. 

“Gli occhi dolci funzionano solo con te, e nemmeno sempre. Adesso non funzionerebbero per esempio. Anzi, probabilmente mi spareresti ancora una volta.” Gli si era avvicinato ancora, invadendo il suo spazio personale e costringendolo ad abbassare il fucile. Non aveva mai smesso di guardarlo negli occhi. Se fosse stato qualsiasi altro momento avrebbe apprezzato essere sulla neve con Ivan. Avevano passato delle belle giornate insieme in passato, mentre non erano su due fronti opposti. E ora avrebbe desiderato che fosse uno di quei momenti in cui tutto il resto non contava, in cui poteva essere spensierato e fregarsene di politica e battaglie. Aveva bisogno di un momento di calma così, non di combattere ancora e ancora contro quell’uomo.

 

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Capitolo 29
*** 29. Noia, Fammi fare qualcosa [RuPru] ***


Prompt: Noia, "Fammi fare qualcosa"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru



Mosca, 1956

 

Noia. 

C’era solo quella parola che poteva definire quei giorni che stavano sembrando infiniti. C’erano tutti in casa in quel momento. Tutti. 20 persone sotto lo stesso tetto e il suo cervello sembrava che stesse per esplodere di noia. Continuava a restarsene seduto sul divano, con la testa appoggiata allo schienale per poter così fissare il soffitto. 

Non faceva per lui starsene così con le mani in mano senza poter fare nulla. 

Ma erano bloccati in casa a causa della troppa neve che continuava a cadere senza sosta. Sembrava che volesse coprirli tutti e cancellarli dalla faccia della terra. Forse sarebbe stato anche giusto così. Che utilità potevano avere tutti loro? Bastava il grande e grandioso Russia a governare tutto il mondo.

Con malcelata frustrazione aveva ruotato la testa per poter guardare l’uomo che sedeva poco lontano da lui e con tutta la pace del mondo addosso leggeva il giornale. Gli altri si erano rintanati da qualche parte, probabilmente nelle loro stanze o a divertirsi insieme. E lui era stato come al solito sacrificato a quella sottospecie di autoproclamatasi divinità. Era stufo di essere trattato come il suo giocattolo personale. 

“Anche se mi guardi così, non posso fare nulla per la neve.” Il Russo aveva parlato senza nemmeno alzare gli occhi dall’articolo che stava leggendo. Sicuramente qualcosa su quella neve impazzita. 

“Fammi fare qualcosa, perché sto per impazzire chiuso qui dentro. E non risponderò poi delle mie azioni, ti avverto.” 

“Ti ho dato una valida opzione stamattina, ma l’hai rifiutata con qualche insulto e bestemmia.”

“Mi hai messo in ridicolo davanti a tutti proponendo di passare la giornata nel tuo letto. Queste sono cose private che nessuno sa.”

Ivan aveva solo allora spostato il giornale per poterlo guardare. Lo guardava tra l’incredulo e il divertito.

“Tu sei davvero convinto che nessuno qui dentro sappia di noi? Non puoi essere così ingenuo, Gilbert. Lo sanno tutti.”

“Penseranno che sia tutto contro la mia volontà. Perché è così. Fai tutto contro la mia volontà.”

Ivan aveva chiuso il giornale e lo aveva guardato per nulla divertito. Aveva ottenuto una reazione, anche se non era quella che si aspettava. Sembrava quasi ferito dalle sue parole. Perché tutto si poteva dire del Russo. Era violento quando serviva. Sapeva essere crudele quanto un bambino che strappava le ali di una farfalla. Anche tra di loro erano passati alle mani più di una volta quando le discussioni si facevano accese. 

Ma a letto non lo aveva mai costretto. Nemmeno quando era arrabbiato e credeva di punirlo a quel modo. Non era mai una punizione. Non aveva mai combattuto per liberarsi da lui. Gli faceva sfogare la rabbia e non poteva di certo dire che gli dispiaceva. Perché se gli fosse anche solo lontanamente stata stretta quella relazione, avrebbe combattuto anche fino alla morte pur di liberarsene. 

Solo che non era così. Certo, avrebbe preferito essere ancora uno Stato libero, non governato da qualcuno, ma le cose stavano quasi funzionando in modo decente. Forse anche un po’ più che decente se doveva essere proprio onesto con sé stesso. E non pensava che avrebbe ferito Ivan con una frase del genere. Doveva solo essere una delle tante cattiverie che gli diceva per dargli fastidio, nulla di più. Voleva solo infastidirlo perché si annoiava. 

Non voleva stranamente ferirlo. 

“Bene, da adesso sei libero da questa costrizione. Puoi tornare a Berlino quando preferisci e puoi anche non ritornare più qui, se è una tale violenza nei tuoi confronti.” Il Russo si era alzato dalla poltrona, abbandonandovi sopra il giornale, e non si aspettava davvero una reazione simile. 

Lo aveva ferito in un modo molto più profondo di qualsiasi ferita fisica gli avesse mai inferto. E gliene aveva inferte diverse nel corso dei secoli.

Aveva cercato di prendere la sua mano quando gli era passato accanto, ma Ivan l’aveva scostata senza nemmeno guardarlo.

“Ehi, non era mia intenzione sembrare così stronzo.”

“Non è mai tua intenzione, ma lo sei sempre. Sei libero se è questo che vuoi. Vai pure a provarci con Ungheria, o Bielorussia se hai il coraggio. Anch’io mi troverò qualcuno.”

Gilbert era rimasto seduto sul divano, mentre l’altro usciva dalla stanza sbattendo la porta. Aveva davvero esagerato. O forse aveva esagerato anche l’altro a prendersela così. Forse il Russo era già nervoso di suo quel giorno, e lui non se ne era accorto perché era troppo annoiato per pensare ad altri che non fosse lui stesso. 

Restava il fatto che ora aveva un Russo incazzato a piede libero per casa che se la sarebbe presa con qualcuno - sicuramente uno dei Baltici - e sarebbe toccato a lui rimediare in qualche modo al danno che aveva causato.

 

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Capitolo 30
*** 30. Lieto fine, Non c'è niente qui [Ru/femPru] ***


Prompt: Lieto fine, "Non c'è niente qui"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: Ru/femPru
TW: pregnancy
Note: questo è un fix up che ho dovuto dare a me stessa dopo aver scritto il giorno 7 e dopo aver visto ieri sera il nuovo programma di Real Time sui bambini prematuri. Avevo bisogno di un happy end alla fine.


 

Mosca, 4 luglio 1946

 

Era stata una notte lunghissima. Una di quelle che desideri finiscano il prima possibile, ma che sai resterà nella tua memoria per sempre, fino al giorno in cui smetterai di respirare. Era una di quelle notti lunghissime, fatte di lunghi sospiri, di imprecazioni, di dolori costanti. Era una di quelle notti che ti chiedi chi te lo abbia fatto fare e se davvero ne valeva la pena di soffrire le pene dell’inferno. Era una di quelle notti che non sai se camminare, stare sdraiata o squarciare il tuo ventre con le tue stesse mani per porre fine a quel supplizio vecchio come il tempo.

Non ricordava che le contrazioni facessero così male. Forse in passato non le aveva avute. In passato era stato tutto più veloce, tutto più doloroso ma per altri motivi. 

“Ho bisogno di ubriacarmi. Portami la vodka peggiore che hai e fammi svenire.” Aveva mugugnato piegata sul davanzale della finestra mentre una contrazione le induriva il ventre enorme. Era a termine. Era arrivata a termine con un ventre enorme e aveva paura del mostro che ne sarebbe uscito. 

“Il massimo che posso fare e accompagnarti a fare una doccia calda.” Aveva voltato lo sguardo verso l’uomo che se ne stava pacificamente seduto su una poltrona a leggere un libro. Era così facile per loro. Non toccava mai a loro quel peso. 

“L’ho già fatta e non ha funzionato. Sto per partorire. Cosa vuoi che funzioni ora? E tu vattene a casa. Non c’è niente qui che puoi fare per me tranne farmi saltare i nervi.” Aveva già rotto le acque stando in quella stessa posizione, ma quel bambino non voleva saperne di uscire. In passato aveva avuto fin troppa fretta, questa volta sembrava non voler più nascere. E si detestava per tutti i pensieri che stava avendo in quel momento. Doveva pensare a cose belle. Doveva pensare di essere arrivata fino a quel momento, di essere alla fine. Ma il suo cervello continuava a boicottare ogni pensiero felice ed era solo pervasa dalla paura. Aveva il terrore che andasse di nuovo tutto storto. 

“Gil, vuoi che chiami una infermiera? Ti farebbe stare più tranquilla?”

“No. Starei tranquilla solo a casa e non in questa situazione. Perché mi ci sono cacciata di nuovo?” Si era piegata di più verso la finestra controllando il respiro, mentre l’ennesima contrazione bloccava il suo corpo. “Non posso farcela, Ivan. Non posso passarci di nuovo.”

Non si era nemmeno accorta che l’uomo si era alzato dalla poltrona. Si era solo accorta di una mano calda sulla sua schiena.

“Da quando tu non puoi farcela? Ti vuoi arrendere proprio adesso per la prima volta in tutta la tua esistenza? Tu? Proprio tu che sei stata così stupida da credere di potermi battere in tutti questi anni attaccandomi in pieno inverno?”

“Se questo vuole essere un incoraggiamento, fa schifo. Lasciatelo dire.” Lo aveva guardato male, ma l’uomo le aveva sorriso. Lo odiava. Doveva odiarlo perché come sempre non era il momento ideale per nulla. Solo un anno prima era uscita dalla guerra sconfitta su tutta la linea. Ed era finita prigioniera di quell’uomo. Ed ora si trovava in ospedale per partorire suo figlio.

“Ho paura anch’io, cosa credi? Non voglio avere figli, non l’ho mai voluto.”

“Mi sembra un po’ tardi dirlo adesso, coglione.” Lo aveva guardato anche peggio, ma in realtà non poteva dargli torto. I figli non erano mai stati nei piani di uno o dell’altro. Perché tra Stati era impossibile. Perché erano entrambi due guerrafondai. Lei aveva fatto la sua parte nel crescere Ludwig, e non era affatto sicura di aver fatto un buon lavoro. 

Ma insieme ne avevano già avuto uno. Ed era morto troppo presto tra le sue braccia. Aveva sempre fatto finta di nulla, ma l’aveva lacerata per molto tempo quella perdita. Perché a voce poteva dirlo per l'eternità che odiasse Ivan con tutto il proprio essere, ma la verità era molto diversa. E aver dato alla luce un suo figlio sarebbe dovuto essere un momento di gioia, nonostante a parole avrebbe sicuramente sempre detto il contrario. Solo che era terrorizzata fin nelle viscere. Era stata piena di paura ogni giorno dal momento in cui si era resa conto di essere incinta. Perché erano secoli che non nascevano figli da parte di qualche nazione. Erano secoli che l’Europa cambiava, ma senza nuove reali nascite. 

Aveva il terrore che se avesse osato essere felice tutto sarebbe precipitato e si sarebbe ritrovata nuovamente a piangere un corpo minuscolo stretto tra le proprie braccia. Anche perché non si meritava un lieto fine. Non dopo tutte le atrocità di cui si era macchiata nell’ultimo decennio. Non meritava in alcun modo di essere felice, e forse quella era una punizione. Forse darle un briciolo di speranza che tutto potesse andare bene era una illusione per poi farla precipitare nel baratro ancora una volta. 

Non avrebbe potuto sopportarlo. Non questa volta. Era già provata da tutte le colpe che si portava addosso e dalla prigionia sovietica che a volte era tutto fuorché una bella esperienza.

“Gil, andrà tutto bene. Puoi farcela.” Ivan si era chinato in modo da guardarla negli occhi mentre le parlava. “E anche se non mi vuoi, sono qui per darti il mio supporto. Non ci sono stato in passato, ma questa volta ci sono.”

Lo aveva guardato e non sapeva se voleva colpirlo con un pugno in pieno viso o abbracciarlo e lasciarsi avvolgere dal suo calore. Ivan sapeva essere di una crudeltà unica. Lo era stato anche in quel primo anno di prigionia. Lo era stato anche in passato. Si erano fatti male in modi che decisamente nessuno definiva sani in una relazione, ma erano ancora lì. Dopo secoli di battaglie. Dopo secoli di paci provvisorie. Dopo tanto dolore e poche gioie, erano ancora lì a gravitare uno attorno all’altro. Bastava vedere come Ivan non avesse avuto alcuna pretesa sulla parte occidentale della Germania, ma aveva preteso lei subito. 

“E se dovesse andare male anche stavolta?” Aveva parlato a voce bassa e piena di paura. Detestava davvero quella debolezza. Le donne partorivano dall’alba dei tempi. Anche se lacerate nell’anima sopravvivevano ai figli persi troppo presto. E lei non doveva essere da meno. Era la gloriosa e magnifica Prussia, dov’era finita la sua forza in quel momento?

“Te l’ho detto, questa volta sono qui in tempo per qualsiasi cosa. Per questo non me ne vado a casa anche se non mi vuoi qui. Puoi anche detestarmi per tutto quello che sta succedendo e non ti biasimo affatto, non sopporterei nemmeno io di essere conquistato da altri. Ma sono qui per te come Ivan, non come Russia.”

Lo odiava e lo amava nello stesso momento. Era sempre stato così e così sarebbe sempre stato fino alla fine delle loro esistenze. Sarebbero per sempre rimasti legati uno all’altra, nella buona e nella cattiva sorte. 

“Quando fai così mi fai sempre sentire come una stupida donnicciola innamorata.”

“Allora sei innamorata di me.” Ivan le aveva sorriso e voleva davvero dargli un pugno. E anche a sé stessa per quella ammissione. “Ho vinto una scommessa con Alfred.”

“Voglio colpirti con qualcosa di pesante. Credimi. E mi rimangio quello che ho appena detto.” L’ultima contrazione l’aveva lasciata più dolorante delle precedenti. Mancava poco, se lo sentiva. “E ora avrei bisogno davvero di tanta vodka e di una infermiera. Subito.”

“Quella la berrò io per festeggiare, tu assolutamente no.” Le aveva accarezzato la schiena e si era chinato sporto per darle un bacio sulla guancia prima di allontanarsi e chiamare qualcuno. Lo aveva osservato e si sentiva in qualche modo più fiduciosa. Faceva tutto schifo. La situazione in cui si trovava era la peggiore di sempre.

Ma Ivan era stato accanto a lei tutto il tempo. Non l’aveva mai lasciata da sola. Anche quando era lei a respingerlo, l’uomo era rimasto al suo fianco. 

Quella era una seconda possibilità per entrambi. Quella poteva davvero essere la nascita di qualcosa di nuovo, di qualcosa di bello. Potevano avere la possibilità di avere anche un solo briciolo di felicità dopo tutti gli orrori commessi. Voleva sperarci. Voleva crederci. Voleva solo essere stupidamente speranzosa per una volta che tutto potesse andare bene.

 

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