Ace Attorney: The Turnabout of Apprenticeship

di GingerGin
(/viewuser.php?uid=480569)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Episodio pilota ***
Capitolo 2: *** 1.1. In un ascensore del Pubblico Ministero ***
Capitolo 3: *** 1.2. Polvere sotto il tappeto ***
Capitolo 4: *** 1.3. Signor Perfettino ***
Capitolo 5: *** 1.4. Il primo caso: Williams-Jones, parte 1 ***
Capitolo 6: *** 1.5. Il primo caso: Williams-Jones, parte 2 ***
Capitolo 7: *** 1.6. Il primo caso: Williams-Jones, ultima parte ***



Capitolo 1
*** Episodio pilota ***


Pubblico Ministero - Dipartimento di Los Angeles
300 S, Spring St.
90013, Los Angeles CA

Bianca Romano
212 H, Hooper Avenue
90011, Los Angeles CA

 

Oggetto: Esito candidatura B. Romano

 

Los Angeles, 05/08/2015

Alla cortese attenzione della dott.ssa Bianca Romano.

Con la presente comunicazione, in relazione alla Sua candidatura inoltrata in data 15 luglio 2015 per lo svolgimento del periodo di praticantato presso il Pubblico Ministero del dipartimento di Los Angeles e in seguito al colloquio conoscitivo svoltosi in data 17 luglio 2015, Le confermiamo la decisione unanime della commissione esaminatrice di accettare la Sua candidatura per il periodo di formazione 2015-2016.
Pertanto, La invitiamo cortesemente a telefonare o inviare tempestivamente una e-mail per fissare un nuovo appuntamento in sede in modo tale da discutere e, di conseguenza, avviare le pratiche per il Suo percorso di tirocinio.

In attesa di un Suo riscontro, Le porgo le mie congratulazioni e i migliori auguri per la Sua carriera.

Capo Procuratore,
Lana Skye

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1.1. In un ascensore del Pubblico Ministero ***


Accaldata e sdraiata sul divano, Bianca era intenta a leggere un libro.
Accanto soffiava un vecchio ventilatore, rimediato pochi giorni prima in un mercatino dell’usato organizzato dal quartiere; vi si era da poco trasferita dopo la laurea, per intraprendere il periodo di praticantato. Appoggiato sulla scrivania in camera, invece, stava un lungo elenco dove la ragazza aveva tenuto traccia di tutti gli studi legali presso i quali si era recata per un colloquio. La prima riga era occupata dalla dicitura del Pubblico Ministero, accompagnata da un arzigogolato punto interrogativo.
Molti degli ex compagni di Bianca alla scuola di legge avevano provato a farla desistere dal presentare la propria candidatura, sostenendo che fosse improbabile, se non addirittura impossibile, ricevere una risposta senza avere i contatti giusti. Bianca, però, non gli aveva dato ascolto, certa che si trattasse di vani tentativi per indurla a dubitare di se stessa e delle sue capacità. Ma lei era Bianca Romano, niente e nessuno al mondo l’avrebbe mai potuta calpestare o svalutare. Tranne il caldo.
- Che afa! - esclamò di punto in bianco, sbuffando sonoramente e lanciando il libro sul tavolino da caffè. - Quand’è che arriva l’autunno?
Si massaggiò la fronte madida di sudore. Per quanto fosse felice di avere una casa tutta per sé, le mancava la leggera brezza del condizionatore nel salotto dei suoi nonni paterni. Anche le ore più calde diventavano piacevoli in quella stanza riccamente decorata da centrini, fiori e piccola argenteria. Era proprio lì che li aveva visti l’ultima volta, il giorno precedente al suo trasloco. Nonna Annunziata aveva preparato il gelato alla vaniglia, che Bianca e suo fratello Giovanni avevano divorato come due bimbi golosi. Era tradizione prepararlo per festeggiare i grandi avvenimenti in famiglia. Al ricordo, la ragazza sospirò nostalgica.
- Andrò a trovarli quando potrò portargli buone notizie.
Non voleva darlo a vedere, ma l’attesa iniziava a farsi snervante. Il Pubblico Ministero era stata la sua prima scelta e per esso – stupidamente – aveva lasciato in sospeso qualsiasi altra offerta ricevuta. Era convinta che solamente lì potesse ricevere la più autorevole preparazione per la sua futura carriera in campo giuridico. Ancora non si era decisa se diventare avvocata o procuratrice, preferendo tenersi quante più strade aperte. Sapeva, però, che il fuoco della giustizia bruciava in lei ardentemente. Era sempre stata insofferente nei confronti di qualsiasi ingiustizia, fin da bambina. Non sopportava chi puntava il dito alla cieca, senza prove; chi voleva a tutti i costi prevaricare a spese degli altri; chi rimaneva impunito e la faceva franca. E guai se a cadere vittima di tutto ciò fosse stato un suo caro amico. Ricordava bene ogni minaccia ricevuta da parte dei bulli che denunciava al corpo degli insegnanti. Tuttavia, anche a costo di ritornare a casa di nonna Annunziata con la faccia rossa o gonfia, lo avrebbe rifatto cento e più volte pur di vedere quei sorrisetti soddisfatti scomparire.
Il cellulare squillò sonoramente. Bianca si mise seduta, lo afferrò e rispose alla chiamata.
- Pronto?
- Ciao, sorellina. Disturbo?
- Tu? Sempre, ovvio. - scherzò.
- Prima o poi smetterai di dirmelo, ormai non fa più ridere. - si lamentò Giovanni. - Hai da fare a pranzo?
- Sì, devo sciogliermi sul divano. Dopo aver mangiato, è chiaro.
- E se ti offrissi del sushi take-away?
- Solo se vai tu a prenderlo, perché non ho intenzione di uscire con questo caldo.
- Andata. Hai ancora il menù di quel ristorante dove siamo andati l’ultima volta?
- Fammi vedere... Come sta andando la mattinata?
Mentre Giovanni le raccontava delle ultime novità a lavoro – come ogni mattina, era di turno al coffee shop – Bianca si alzò, diretta verso il frigorifero dove un magnete, il ricordo di una vacanza a Palermo, reggeva alcuni dépliant. Stringendo il telefono tra la testa e la spalla, li sfogliò uno a uno finché non trovò quello del ristorante giapponese suggeritole dal fratello. Non era la prima volta che ordinavano qualcosa da quel posto, il pesce era davvero buono e gli ingredienti di ottima qualità.
- Allora, vorrei una box piccola di sushi misto, gli involtini primavera e un piatto di udon alle verdure e uova strapazzate. Mi raccomando, ricordati la salsa di soia.
- Segnato tutto. Io stacco tra cinque minuti, il tempo di guidare fino al ristorante, ordinare, ritirare e sono lì da te per l’una e mezza. Ce la fai a resistere?
- Visto che offri tu, non credo avrò problemi. Grazie, fratellone, a più tardi!
Conclusa la telefonata, Bianca si apprestò a mettere in ordine il suo piccolo soggiorno. Spostò il ventilatore, affinché soffiasse sul tavolo da pranzo. Poi afferrò la tovaglia, stendendola, e vi poggiò due piatti, due bicchieri e due tovaglioli. Non c’era bisogno di apparecchiare anche le posate, perché sia lei che il fratello sapevano usare le bacchette; se bene o male, poco gli importava finché fossero in grado di afferrare il cibo.
- Meno male che ho comprato una bottiglia di birra qualche giorno fa. - disse ad alta voce. - Gliene offrirò un po' per il disturbo.
A un tratto suonò il campanello. Confusa, Bianca lesse velocemente l'ora. Non era possibile che Giovanni fosse già arrivato. Chi la stava cercando? Aprì cautamente la porta, trovando di fronte a sé il postino.
- Signorina Romano?
- In carne e ossa. Cos'è arrivato per me? - gli chiese, in parte intimorita.
Non era solita ricevere posta, eccetto per le cartoline da parte dei parenti in vacanza e le bollette, già saldate.
- Una lettera raccomandata. Se gentilmente può firmare l'avviso di avvenuta consegna...
Il postino le consegnò la missiva, poi una cartella dal quale penzolava una penna. Bianca firmó il documento, dopodiché salutò l'uomo e rientrò in casa con in mano la misteriosa busta. Non appena lesse l'etichetta con le informazioni del mittente, impallidì: quella lettera proveniva dal Pubblico Ministero.

Alcuni minuti dopo, Giovanni suonò il campanello di casa, reggendo in mano una piccola busta di plastica.
- Ho cercato di fare presto, spero che il pesce sia rimasto fresco. - si scusò.
Bianca, assente, lo fece entrare. Dopo aver poggiato la busta sul tavolo da pranzo, il fratello prese a estrarre una a una le vaschette.
- Ti ho anche preso un po’ di biscotti della fortuna, che ora come ora ti farebbe bene.
- Non ho fame.
- Tu che non hai fame? Questa mi è nuova.
- Non sto scherzando, mi si è chiuso lo stomaco.
Giovanni, che fino a quel momento non aveva preso sul serio la sorella, assunse un’espressione preoccupata.
- Che c'è? Ti senti male? È per via del caldo?
Bianca gli si avvicinò, sventolandogli addosso la busta che aveva ricevuto. Lui la afferrò per poi guardarla curiosamente.
- Dal Pubblico Ministero? - esclamò, sorpreso. - Bianca, ti hanno risposto!
Fu il silenzio inaspettato di lei a far scemare precipitosamente la sua allegria.
- Non dovresti essere contenta? Che ti hanno detto?
- Non l'ho ancora aperta… - ammise faticosamente Bianca.
- Perché? Hai paura? - le disse, stuzzicandola.
- Io? Paura? Tsk, per chi mi hai preso! - rispose la sorella, sulla difensiva. - Ti stavo aspettando per aprirla insieme.
Giovanni trattenne a stento una grassa risata. Anziché ribattere, conscio che la sua cara sorella stava mentendo spudoratamente, stette al gioco.
- Allora, aprila. Possibilmente prima che il pesce muoia una seconda volta ed entro le due, perché devo rientrare a lavoro.
Bianca, indispettita, aprì la busta con un unico e sonoro strappo e diede le spalle a Giovanni per nascondere le sue mani tremanti. Lesse velocemente, alla ricerca di una specifica frase, scorrendo con il dito sul testo. Gli occhi si inumidirono, offuscandole la vista. Tirò su con il naso, trattenendo a stento le lacrime. Giovanni, preparatosi al peggio, non fece in tempo ad avvicinarsi alla sorella che questa prese a saltellare per tutta casa, canticchiando e sventolando la lettera per aria.
- Giovanni, mi hanno presa! Mi hanno presa!
Corse ad abbracciare il fratello, che la strinse forte a sé, congratulandosi profusamente. Poi, Bianca si fermò di colpo sul posto, colpendosi la fronte.
- Devo dirlo ai nonni! - esclamò.. - E devo anche chiamare il ministero!
- Suppongo che dovrò mettere il sushi in frigorifero… - concluse il fratello, sorridendo.

Dopo una breve telefonata, l’incontro fu fissato per il dieci agosto. E alla notizia, da brava nonna credente, Annunziata riservò alla nipote una lunga preghiera affinché il colloquio si svolgesse senza intoppi.
Quel giorno, Bianca si alzò di ottimo umore e piena di energie. Era così desiderosa di fare una – seconda – ottima impressione, che prima di andare a dormire aveva preparato un completo per l’occasione: elegante, ma comodo e leggero per sopportare il caldo. Dopo aver indossato la sua camicia in raso e spruzzato un po' di profumo sui polsi, infilò ai piedi un paio di scarpe con tacco basso. Infine, uscì e attese l’autobus alla fermata, cercando sotto la pensilina riparo dal sole.
Durante il tragitto, diretta verso il distretto giudiziario di Downtown, la ragazza non poté fare a meno di sognare a occhi aperti, con lo sguardo perso sui grattacieli della città. Avrebbe camminato tra i corridoi del Pubblico Ministero, imparando al fianco di un illustre procuratore, o procuratrice! E chissà, magari mettendo da parte qualcosa, avrebbe potuto comprarsi una piccola utilitaria e dire addio ai lunghi e noiosi tragitti in autobus; dopotutto, era il Pubblico Ministero, forse le spettava un sostanzioso rimborso spese. Sospirò dolcemente, soprattutto per calmare l’ansia che aveva iniziato a pesarle sul petto. Guardò il proprio riflesso sul vetro del mezzo, sorridendo per farsi forza. Si sentiva nervosa proprio come il giorno del colloquio conoscitivo, di fronte alla commissione esaminatrice.
Dopo essersi registrata presso la segreteria e ottenuto il badge riservato all'ingresso del pubblico, Bianca si recò verso gli ascensori per salire all'ultimo piano. Entrò nel mezzo, dalle pareti lucide e il pavimento in moquette finemente decorato, e premette con l'indice il tasto del piano desiderato. Mentre le porte si chiudevano lentamente, strinse a sé la cartella con i propri documenti, accarezzandola come un tesoro prezioso e ripassando a mente saluti e cortesie per presentarsi al meglio.
- Mi scusi... A quale piano deve recarsi?
Bianca sussultò, sorpresa. Una mano si era frapposta tra le porte che, aprendosi, rivelarono la figura di un uomo, vestito elegantemente in un completo all'antica purpureo. Per un momento la ragazza, ancora sorpresa, non rispose. Si limitò a guardarlo silenziosamente, perdendosi nel suo sguardo. Era un uomo davvero affascinante, simile a un principe: capelli argentati e lucenti, dall'espressione risoluta e fiera. Per un momento, ripensò alle fiabe che nonna Annunziata era solita raccontarle prima di andare a dormire.
- Mi scusi. A quale piano deve recarsi? - ripeté, seccato.
Sfortunatamente, al contrario del principe della sua fiaba, non sembrava avere un temperamento gentile. Come dargli torto però, Bianca lo stava fissando così intensamente da risultare quasi fastidiosa.
- Ultimo piano. - gli rispose, ripresasi dall’incanto.
L'uomo annuì, premette lo stesso bottone e le porte si chiusero. In piedi, distanti l'uno dall'altra, i due attesero silenziosamente che l'ascensore arrivasse a destinazione. Attesa che Bianca impiegò per studiare ancora il suo misterioso accompagnatore. Nessun badge in vista, perciò doveva trattarsi di un procuratore. Guardandolo meglio, Bianca ebbe il presentimento di averlo già visto altrove. D’altronde, le vesti che indossava erano piuttosto curiose e insolitamente antiche, anche se ben si sposavano con l’atmosfera del luogo; un portamento simile difficilmente sarebbe passato inosservato. Dove o quando l’avesse incontrato, però, non lo sapeva per certo. Prima che potesse formulare un’ipotesi, l’ascensore sobbalzò leggermente, costringendo la ragazza ad aggrapparsi al corrimano per non cadere. Infine, il mezzo si bloccò del tutto. Istintivamente Bianca accorse alla pulsantiera, premendo più volte il bottone per l’ultimo piano, invano. L’ascensore non accennava a muoversi.
- No, no, no, ho un appuntamento importantissimo, non posso fare tardi! - esclamò, infastidita.
Un colpo sordo alle sue spalle richiamò la sua attenzione. Voltandosi, Bianca vide l’uomo seduto scomposto con la schiena contro la parete, il viso pallido stravolto dalla paura e la bocca aperta in cerca d’aria. Allora, la ragazza infilò frettolosamente la cartella nella borsa e cercò il tasto per chiamare i soccorsi.
- Numero di serie dell’ascensore e in quanti siete dentro. - pronunciò una voce metallica.
- Uno, uno, sei e tre. Siamo in due, ma fate presto, credo che la persona che è qui dentro con me soffra di claustrofobia.
- Una squadra di soccorso e i vigili del fuoco accorreranno sul posto. Vi chiediamo di non agire senza nostre istruzioni.
Dopodiché Bianca si inginocchiò, avvicinandosi cautamente all’uomo.
- Riesce a sentirmi? - gli chiese, risoluta ma calma.
Con il volto abbassato lui annuì, tenendo la mano sul petto che si alzava e abbassava velocemente. Bianca si sedette per assisterlo.
- Soffre di attacchi d’ansia o di panico?
- È s-solo un calo di zuccheri. - farfugliò, scuotendo la testa.
Ma Bianca già sapeva che si trattava di una bugia: l’espressione, la testa abbassata, la postura dicevano altro.
- Ascolti attentamente ciò che le dico. Innanzitutto, si tolga la giacca, ha bisogno di respirare.
- S-se respiriamo, l’ossigeno finirà! - la riprese duramente.
- Non c’è stato un calo di corrente per cui si fidi di me, non accadrà. - tentò di rassicurarlo.
Lo aiutò a sfilare la giacca, riponendola con cura sulle proprio gambe per non sporcarla.
- Ora, respiri dal naso ed espiri dalla bocca. Segua il mio ritmo, d’accordo? Usciremo da qui tra pochi minuti.
In realtà, aveva il presentimento che sarebbero rimasti lì dentro ancora per un po’, ma era meglio non farlo intendere a quell’uomo o non si sarebbe mai tranquillizzato. Bianca prese a inspirare ed espirare, invitando l’uomo a fare lo stesso. Inizialmente titubante, questi si lasciò poi guidare. Come iniziare la giornata, pensò la ragazza, che tutto si aspettava tranne che trovarsi rinchiusa con uno sconosciuto in un ascensore rotto. E meno male che nonna Annunziata aveva pregato per lei.
Passarono alcuni minuti. Il respiro dell’uomo sembrava essersi stabilizzato e il petto si alzava e abbassava a un ritmo più lento. Per accertarsene e al contempo aiutarlo a distrarsi, Bianca prese a parlargli.
- La sua giacca è davvero elegante e di ottima fattura. Ha buon gusto. - si complimentò.
L’uomo si limitò a un breve cenno di ringraziamento. O non era un gran chiacchierone oppure non si era del tutto tranquillizzato. Bianca tentò un approccio diverso, ma fu interrotta dalla suoneria del proprio telefono. Sullo schermo comparve il nome di Giovanni.
- Giovanni, non è il momento. - rispose, imbarazzata.
Come aveva potuto dimenticare, inoltre, di mettere il telefono in silenzioso! E se avesse suonato durante il suo incontro?
- Ciao anche a te… Non ricordo, a che ora avevi il colloquio? O è già finito?
- Il mio colloquio deve ancora iniziare. Poi ti racconto.
Senza dargli il tempo di rispondere, Bianca interruppe la chiamata, riponendo il cellulare nella tasca dei pantaloni. Accaldata, agitò la mano vicino al viso per farsi aria. Forse la corrente era stata davvero interrotta, perché l’aria condizionata non stava funzionando a dovere. La ragazza tolse il badge dal collo, per non bagnarlo con il sudore, e si raccolse i capelli.
- Potrei riavere la mia giacca? - chiese l’uomo, con un filo di voce.
- Certo, mi scusi! - disse Bianca, mortificata. - Vuole che l’aiuti?
- È ancora in tempo per il suo colloquio? - rispose, ignorando il suo invito.
Conscia che fosse inutile insistere, Bianca rivolse lo sguardo al suo orologio.
- Ho ancora due minuti per arrivare in orario. - constatò, un po’ preoccupata. - Spero solo che non mi stiano già aspettando…
- Se dovesse aver bisogno, posso spiegare io cos’è successo.
- Lo farebbe? Lo apprezzerei molto. - e gli sorrise. - Non vorrei perdermi questa grande opportunità per un banale malfunzionamento, non ora che ci sono così vicina.
- Farà parte dei nostri futuri tirocinanti?
- Affermativo. - e allungò il braccio per recuperare la borsa e la cartella. - Sono venuta per firmare qualche ultimo documento e ufficializzare il tutto.
- In tal caso, mi auguro che le venga affidato un tutor preparato.
- Per caso, lei è un procuratore? - gli chiese di punto in bianco.
- Corretto.
- E com’è lavorare per il pubblico ministero?
- Assai impegnativo e non adatto ai deboli. Ci vuole costanza, lucidità e assoluta perfezione.
- Per nulla stressante quindi. - concluse sarcasticamente Bianca. - A proposito, come si sente? Va meglio?
Il procuratore rivolse lo sguardo altrove, ignorando ancora le premure della ragazza. Nonostante le maniere a tratti rudi, Bianca si rassicurò nel vederlo tornare in sé. Il cigolio delle porte, che qualcuno stava forzando, interruppe nuovamente il silenzio. Si presentò così ai loro occhi un gruppo di meccanici, seguito da un paramedico. Quest’ultimo fece per entrare, ma il procuratore si alzò di scatto liquidandolo, stizzito dalla sua presenza. Tuttavia, prima di andarsene, porse la mano a Bianca per aiutarla ad alzarsi. Lei la afferrò timidamente, quasi per paura di rovinarla. Una salda eppure delicata presa che durò solo un attimo, finché alzatasi, il procuratore si allontanò presto dalla scena.

Dopo aver firmato frettolosamente la deposizione per il guasto, Bianca si affrettò alla ricerca dell’ufficio dove era attesa. Il rumore dei tacchi delle sue scarpe echeggiava incessante per il corridoio. Arrivata alla porta d’ingresso, la ragazza bussò, ansimando per la corsa.
- Avanti.
Cercò di ricomporsi per rendersi presentabile, per poi entrare. Una donna in uniforme sedeva dietro un’elegante scrivania in mogano, intenta a scrivere.
- Sono Bianca Romano, mi scuso profondamente per il ritardo, ma c’è stato-
- Un guasto, ne sono già al corrente. Si sieda pure, dottoressa Romano. - disse la donna, imperturbabile.
Possibile che quel procuratore avesse già informato chi di dovere? Non gli aveva detto con chi doveva incontrarsi; nemmeno lei lo sapeva. Bianca si sedette, lasciandosi scappare un sospiro affaticato. Mentre attendeva che la donna completasse il suo incarico, si guardò intorno. Un ufficio piuttosto lussuoso e grande per una semplice impiegata. Il suo sguardo cadde su una targa placcata in oro: inciso su di essa, C.P. Lana Skye. Bianca drizzò immediatamente la schiena, imbarazzata, chiedendosi per quale ragione la donna più importante del Pubblico Ministero fosse stata incaricata dei suoi documenti. Fece per scusarsi una seconda volta, ma dopo una rapida occhiata alla sua interlocutrice, si decise di non farlo. A giudicare dalla sua postura rigida, lo sguardo inflessibile e i modi di fare decisi, Lana Skye doveva essere quel tipo di donna che non amava perdere tempo in facezie inutili. Era davvero un onore averla lì accanto, pensò Bianca, di nuovo in preda all’ansia.
- Il suo tirocinio inizierà il quattro settembre. Dal lunedì al venerdì, dalle nove e mezza alle sei e mezza. Per la pausa pranzo, disponiamo di un servizio mensa. Per quanto riguarda il rimborso spese, può consultare il suo contratto. - spiegò velocemente la donna.
Fece scivolare un paio di fogli verso la ragazza, che prese a leggerli attentamente.
- Ci sono domande?
- Solo una. - pronunciò Bianca. - Chi sarà il mio tutor?
Guardando il contratto, proprio come aveva sperato, la paga era davvero buona. A sorprenderla, i vari benefit e welfare previsti. Di certo non avrebbe trovato un simile trattamento in un semplice studio legale. Afferrò la penna offertale dalla procuratrice, ponendo infine la sua firma sul documento.
- Dato il suo eccellente curriculum, abbiamo ritenuto più conveniente per il suo apprendimento e la sua crescita professionale affidarla al nostro migliore procuratore, Miles Edgeworth.
E se a definirlo tale era Lana Skye in persona, doveva essere vero. Bianca si limitò ad annuire, senza protestare.
- Ultima cosa, ma non meno importante. Si ricordi di ringraziare il professore Adams, il suo relatore. Ha intercesso per lei con grande fervore e fiducia nelle sue capacità. Fiducia ben riposta, aggiungerei. - concluse la donna, accennando un piccolo sorriso. - È vero quello che dice su di lei?
- Cosa ha detto su di me? - chiese curiosamente Bianca, un po’ tesa.
- Che lei è una persona fortemente empatica e acuta. Per come me ne ha parlato, per un momento mi è sembrato che stesse descrivendo una supereroina.
- Il professor Adams è sempre stato troppo adulatore. Diciamo che sono solo un’attenta osservatrice.
- In questo lavoro, l’osservazione è fondamentale, dottoressa Romano. Utilizzi sapientemente questa sua capacità.

Prima di congedarsi, le due donne si strinsero la mano e infine, Bianca uscì dall’ufficio. Scendendo le scale – dopo quel mattino, non avrebbe preso l’ascensore per un po’, si risolse di andare a trovare il suo relatore per ringraziarlo di persona. E magari, porgli una o due domande su quello che sarebbe divenuto il suo tutor.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 1.2. Polvere sotto il tappeto ***


L’assunzione da parte del Pubblico Ministero venne celebrata con un buon pranzo in famiglia: nonna Annunziata preparò alcuni dei suoi piatti forti, come l’immancabile gelato alla vaniglia, mentre nonno Luigino aveva conservato la sua migliore bottiglia di vino fatto in casa. Entrambi erano più che soddisfatti della strada che Bianca, la loro dolce nipote, stava percorrendo, dei suoi progressi e delle sue vittorie. Dopo tutti gli sforzi fatti per crescerla e l’impegno riversato nello studio da parte di lei, il suo futuro si prospettava roseo, persino migliore di quello che fino a pochi anni prima i due anziani coniugi si erano immaginati. Nonostante la fatica e la sofferenza che avevano segnato la sua vita fin da bambina, Bianca ce l’aveva fatta e loro non potevano che esserne orgogliosi.

Trascorso il weekend tra festeggiamenti e un meritato riposo privo di ansie e preoccupazioni, Bianca si decise di far visita al professor Adams. Alla UCLA – University of California, Los Angeles – era ancora periodo di esami, ma la ragazza conosceva bene il suo stimato relatore da sapere che una sua visita gli avrebbe fatto piacere; specie per dargli un motivo di fare pausa e distogliersi dai suoi incarichi.
Il mattino fissato per l’incontro, Giovanni si offrì di accompagnarla, dato che l’università si trovava sulla medesima strada del suo posto di lavoro. Al mattino, era di turno al bancone di un coffee shop; la sera, invece, lavorava per un noto locale notturno della movida cittadina. Al pari di Bianca era un vero stacanovista e sognava di aprire, prima o poi, il proprio bar o pub. E proprio riguardo questo suo sogno, anche lui aveva delle grosse novità.
- Ho l’appuntamento con la banca questo pomeriggio.
- Davvero? - gli chiese Bianca, sorpresa. - E perché me lo dici solo adesso?
- Non volevo rubarti il tuo momento di gloria. - scherzò il fratello, sorridendole. - E poi, niente è ancora deciso, non so ancora se otterrò l’investimento. Non voglio farmi troppe aspettative.
- Hai messo da parte un bel gruzzoletto, Giovanni, e se non erro, hai già rilevato il locale che ti interessa. Con tutte queste garanzie, non credo potranno rifiutarsi. Fammi sapere poi, d’accordo?
Il fratello annuì, accostando l’auto all’ingresso dell’edificio universitario. Bianca scese dal mezzo e dopo un rapido saluto, si incamminò verso il campus di Legge e gli uffici del corpo docente.
Seduto alla sua cattedra stava Terence Adams, professore di diritto penale, vestito con la sua caratteristica giacca di tartan e il papillon rosso. Quando udì bussare, si alzò di scatto, preparandosi a un incontro che aveva atteso ansiosamente.
- Tu guarda se non è arrivata una delle mie studentesse preferite! - esclamò l’uomo, orgoglioso. - O forse dovrei dire, ex studentessa ora praticante al pubblico ministero?
Bianca, entrata all’interno dell’ufficio, rise sinceramente, ricambiando la stretta.
- È un piacere rivederla, professor Adams. Come sta?
- Al solito, pieno di lavoro. In questi ultimi mesi poi, ho ricevuto parecchie richieste di tesi, ma da quando ho lavorato con te, sono diventato piuttosto pignolo a riguardo.
- Cioè?
- Temi triti e ritriti. Ma non perdiamoci in chiacchiere, deduco che tu sia venuta qui per un motivo ben preciso.
- Lei crede? - disse la ragazza, fingendo ignoranza per punzecchiarlo.
- Chi te l’ha detto? - cedette presto Adams.
- La procuratrice Lana Skye, in persona.
- Vuoi dirmi che è stata lei a occuparsi delle tue pratiche?
- Piuttosto bizzarro, vero? Credevo di dover parlare con il mio tutor o un semplice impiegato ministeriale.
- Conoscendola, credo volesse incontrarti personalmente. Be’, vuol dire che ho insistito al punto giusto. Ma a proposito di questo, vorrei spiegarti il motivo per cui mi sono messo in mezzo a questa faccenda. Intanto siediti, vado a prendere del caffè per entrambi.
E il professore uscì, tornando poco dopo con un vassoio e due tazze fumanti.
- Non fraintendermi, Bianca. Non ho in alcun modo corrotto, né circuito qualcuno.
- Su questo non c’è dubbio o sarebbe sorto un grave problema di integrità.
- Quando ho parlato con l’assistente della procuratrice Skye, avevano già preso in considerazione la tua candidatura e concluso il colloquio con l’intenzione di chiamarti.
Bianca bevve un sorso di caffè, in parte rincuorata dalle parole del professor Adams. Non avrebbe mai sopportato l’idea di essere entrata a far parte del programma di tirocinio del Pubblico Ministero solo per l’insistenza del suo relatore.
- Premetto, non avevo dubbi a riguardo, il tuo curriculum farebbe invidia a chiunque… Tuttavia, ho voluto mettere ugualmente una buona parola per te, perché so quanto sia stata brillante la tua carriera e so quanto tu desiderassi fare un’esperienza simile. Non ti vedo proprio a lavorare per un anonimo studio legale, non dopo tutto il lavoro che hai fatto.
Bianca gli sorrise, arrossendo un po’. Che il professor Adams avesse una così alta opinione di lei le scaldava il cuore.
- Per cui mi è sembrato il minimo sottolineare le tue spiccate doti di osservazione ed empatia.
- La procuratrice Skye le ha paragonate a dei superpoteri. - intervenne Bianca divertita, riprendendo le parole della donna.
- Vuol dire che crede in te. Come ti ho detto conosco la dottoressa Skye, seppur grazie a dei vecchi colleghi che lavorano ancora lì, e so che è una donna che sa riconoscere il talento quando lo vede. - concluse Adams.
- Allora non deluderò le sue aspettative. - promise Bianca, sorseggiando ancora il suo caffè.
- Ne sono sicuro. Ma ora sono curioso, a chi ti hanno assegnato?
- Sono venuta anche per questo motivo. Mi chiedevo se conoscesse un certo Miles Edgeworth.
Il professor Adams sgranò gli occhi, giocherellando con la barba sul mento. Una leggera ombra parve cadere sul suo volto.
- Quel Miles Edgeworth? - chiese, incerto.
- Non esattamente l’espressione e il tono di voce che mi aspettavo. - ammise Bianca, allarmata. - Nel nominarlo, la procuratrice Skye lo ha elogiato.
- Non nego che sia un procuratore più che competente. Eppure…
Ed esitò. Poi, da un cassetto, estrasse un giornale che consegnò a Bianca, invitandola a leggere la prima pagina. In fondo al testo, era presente il primo piano del procuratore che aveva incontrato al ministero.
- Non posso crederci… - fu l’unica cosa in grado di dire. - È lui.
Ecco perché aveva avuto la sensazione di averlo già visto: quell’articolo lo aveva già letto mesi prima! E anche allora le aveva suscitato il medesimo stupore e sdegno. Quasi inorridì al pensiero di aver paragonato, seppur con intento giocoso, quell’uomo a un principe.
- Suppongo stessimo parlando della medesima persona. - convenne Adams.
- Ma perché proprio lui? - chiese Bianca, frustrata.
- Probabilmente credono che il procuratore Edgeworth possa colmare eventuali lacune e migliorare le tue già brillanti prestazioni.
- Falsificando le prove? Corrompendo i testimoni? Sono accuse gravi, professore.
- Accuse, per l’appunto. Niente è stato confermato. Lo sai quanto me che i giornalisti amano gonfiare le storie che si ritrovano per le mani. Non nego a mia volta che il caso che il procuratore Edgeworth si sia ritrovato tra le mani mesi fa fosse particolare…
Bianca ricordava ancora la risonanza mediatica che aveva scatenato il caso di Joe Dark, lo spietato serial killer che aveva ucciso il procuratore Neil Marshall. E non per l’orribile esecuzione a sangue freddo da parte dell’assassino, quanto per l’apparente scarsità di prove per dimostrarne l’effettiva responsabilità del crimine.
- Ma non voglio nemmeno infangare la sua reputazione dando voce a questo tipo di gossip. Motivo per cui voglio darti un consiglio su come vivere il tuo praticantato il più serenamente possibile. - concluse Adams, sorridendole per rassicurarla.
Allora non avrebbe dovuto mostrare quell’articolo, pensò Bianca. Per quanto cercasse di non avere alcun tipo di pregiudizio, di non fermarsi alla sola apparenza, si stava parlando della sua carriera!
- E quale sarebbe?
- Se non vuoi alcun tipo di ripercussione futura, qualora le malelingue dovessero rivelarsi veritiere, cerca di mantenere le distanze. Non entrare in confidenza con lui. Limitati a eseguire ciò che ti chiede e se dovessi notare qualcosa di strano, annotalo per riferirlo a chi di dovere. Non sollevare proteste inutilmente.
- E se, invece, il mio istinto mi suggerisse altro? - chiese, speranzosa.
Non che provasse empatia per un uomo lunatico, che a malapena aveva conosciuto per colpa di un guasto. Mai così tanto, però, sperava che il suo intuito si stesse sbagliando: erano in gioco il suo futuro e i suoi sogni; se le accuse nei confronti del suo tutor fossero state fondate, la propria credibilità come avvocata o procuratrice ne avrebbe certamente risentito. Nonostante ciò, il professore addolcì la sua espressione.
- Mi fido più del tuo istinto che di inutili voci di corridoio. - ammise l’uomo serenamente. - In tal caso, ignora chiunque provi a intralciarti e rendi il tuo tutor orgoglioso del tuo operato.

Settembre arrivò velocemente, insieme alle sue temperature più miti e ai colori caldi delle foglie sugli alberi.
Bianca aveva trascorso la sua ultima settimana libera rileggendo alcuni testi universitari di legge e comprando articoli di cancelleria, tra cui un'elegante agenda nera con anelli in argento. Talmente seria, a detta di suo fratello, da spingerlo a regalarle un portachiavi piuttosto singolare: una piccola action figure di Cure White, la Pretty Cure preferita di Bianca.
- Giovanni, è molto carina, ma non voglio che mi prendano per il culo al primo giorno di lavoro… 
- Considerala come un portafortuna. E poi, io ho Cure Black. - e le ammiccò. - Ha portato fortuna a me, non vedo perché non debba portarla a te.
Giovanni aveva, infatti, ottenuto il prestito e aveva già avviato le pratiche per saldare l’affitto del locale che avrebbe ospitato in futuro la sua attività. Nel frattempo, avrebbe continuato a lavorare per il coffee shop e il nightclub per mettere da parte ancora più soldi. Per i fratelli Romano si prospettava un anno a dir poco entusiasmante.
Il quattro settembre, Bianca si svegliò presto. Il cielo era ancora chiaro alle sette del mattino, ma alcune nuvole presagivano una giornata uggiosa. Indipendentemente da ciò, Bianca decise di indossare il suo completo di fortuna, un tailleur viola pastello. Un tocco di colore avrebbe ridestato anche gli animi più assopiti e seri. Persino il suo, che per quanto fosse eccitato all'idea di cominciare quella nuova avventura, non poteva del tutto respingere la preoccupazione crescente per quello che l’attendeva: un tutor scorbutico oggetto di fastidiosi pettegolezzi. Il loro primo incontro non era andato nel migliore dei modi e il procuratore aveva già dato sfoggio del suo carattere complicato. Non voleva diventarne amica, ma nemmeno inimicarselo. Si impose perciò di comportarsi con non troppa naturalezza e mantenere un profilo basso.
Dopo essersi preparata e aver controllato di avere tutto l'occorrente dentro la borsa, uscì per prendere il bus. Rifare quel tragitto dopo un mese dalla firma del contratto, aveva un sapore del tutto diverso, più elettrizzante e al contempo spaventoso. Le mani di Bianca tremavano leggermente e la gamba si muoveva su e giù nel tentativo di sfogare l'ansia.
- Andrai bene. Nessuno è perfetto al primo giorno di lavoro. - si disse, inspirando a fondo.
Presso la segreteria ritirò il proprio badge, completo di foto e codice identificativo. Infine, si diresse verso la sala stampa, dove l'attendeva una cerimonia di benvenuto da parte del capo procuratore e del commissario di polizia. Trovò posto in prima fila, tra due tirocinanti. Alcuni avevano già iniziato a parlare tra loro, scambiandosi i nomi dei tutor e delle università frequentate. Bianca, desiderosa di rimanere ancora in disparte, cercò di non farsi coinvolgere, fingendosi occupata al telefono. Tuttavia, il tirocinante al suo fianco, un giovane sulla trentina d'anni e dall'aspetto curato, sembrava avere altri piani.
- E tu dove hai studiato? È tutta la mattina che sento di gente venuta dalla UCLA. - disse, annoiato.
- Mi dispiace per te allora, ma anche io ho studiato lì. - gli rispose, divertita.
- Ma tu guarda! - esclamò sarcasticamente. - A quanto sembra, solo io non ci sono andato. Cos’è successo, Harvard è diventata troppo esclusiva?
Dal tono un po' saccente e l'aria fin troppo spavalda, Bianca capì all’istante chi avrebbe dovuto evitare con cura nei mesi a seguire.
- Ti chiami Bianca Romano? - le chiese, leggendo il suo badge.
- Di certo il mio tesserino non mente, signor Lawrence Cosby. - pronunciò Bianca, leggendo a sua volta il badge del collega.
- Italiana?
- Al cento per cento.
- Finalmente ho trovato qualcuno di interessante qui dentro. - concluse lo stagista, soddisfatto. - Spero che lo sia anche il tuo tutor. Chi è?
Fortunatamente Bianca non ebbe il tempo di rispondere, perché sul palco si fecero avanti le figure di Lana Skye e di quello che doveva essere il commissario di polizia. Un uomo alto e muscoloso, vestito elegantemente, ma con colori sgargianti. Chissà se riusciva a vedere il pubblico attraverso quelle lenti viola, si chiese la ragazza. Più lo guardava, più pensava a un faro catarifrangente.
- Un caloroso benvenuto ai nostri tirocinanti. - parlò Lana attraverso il microfono. - Io e il commissario Gant vi facciamo le congratulazioni per essere qui con noi.
- Il pubblico ministero e il corpo di polizia di Los Angeles sono più che ansiosi di dare inizio a questa nuova e fruttuosa collaborazione con voi. - aggiunse bonariamente quest’ultimo.
Il pubblicò applaudì.
- Siete qui per imparare, ma non solo. Siete qui soprattutto per rendere migliore e più efficiente il nostro sistema giudiziario. Ai nostri occhi, non siete solo tirocinanti. Voi siete il futuro della nostra città, indipendentemente da ciò che sceglierete di essere e dove opererete una volta concluso questo importante percorso. - continuò il capo procuratore.
- Nessuna pressione ovviamente. - scherzò Gant. - Ma fate del vostro meglio. Siete stati scelti perché meritate di essere qui dentro.
- E per qualsiasi dubbio o difficoltà, fate sempre riferimento ai vostri tutor. Ricordatevi che anche loro sedevano dove ora sedete voi. Non abbiate timore di esprimere le vostre incertezze. - si raccomandò Lana, addolcendo per un istante i tratti del viso. - Se per il momento è tutto chiaro, direi di non indugiare oltre e lasciarvi raggiungere i vostri uffici. Grazie per l’ascolto e buon lavoro.
Il pubblico applaudì un’ultima volta. Bianca si alzò fulminea dal proprio posto, decisa ad allontanarsi il più in fretta possibile da Cosby per timore di nuove chiacchiere indesiderate.
L’ufficio del procuratore Edgeworth si trovava al penultimo piano dell’edificio. Entrata all’interno dell’ascensore, la ragazza premette il pulsante, ma una grossa mano si frappose tra le porte; un pattern piuttosto familiare, si disse Bianca, preparandosi al peggio. Per sua fortuna, la mano apparteneva al commissario Gant, seguito silenziosamente dalla figura autoritaria di Lana Skye.
- Appena in tempo! - esclamò allegramente l’uomo. - A che piano va, signorina?
- Penultimo. - rispose Bianca, sfoggiando un altro sorriso.
Anche se, dentro di sé, cominciava a chiedersi per quale ragione incontrasse le figure ministeriali più importanti sempre all’interno di quell’ascensore. Gant annuì e dopo aver aspettato Lana entrare nel mezzo, premette il pulsante per l’ultimo piano.
- È lei la stagista di Worthy? - chiese improvvisamente il commissario.
Sia Bianca che Lana sussultarono leggermente.
- Sì, Damon. - si limitò a rispondere quest’ultima, impassibile.
Bianca, ancora interdetta, fece finta di nulla. Era il suo primo giorno e già stava attirando, senza volerlo, l'attenzione di tutti. E perché quei due si erano chiamati per nome? Erano amici così stretti? Il commissario rise di gusto, battendo le mani.
- I miei complimenti allora, dottoressa Romano. Ha il meglio del meglio. Un talento davvero brillante.
- Sono io a essere fortunata. - convenne Bianca, serrando le labbra.
Era già la seconda persona che parlava positivamente del procuratore Edgeworth. Possibile fossero solo voci di corridoio quelle che circolavano sul suo conto?
- Solo, stia attenta, a volte ha proprio un caratteraccio… Ma credo sia solo un po’ timido. Lo faccia sentire a suo agio. - le consigliò Gant.
- Farò del mio meglio, commissario.
Le porte si aprirono e dopo un rapido saluto, Bianca si diresse verso l’ufficio del procuratore. Seguì le indicazioni, finché non lesse la targa che cercava: M. Edgeworth. Bussò, ma non udì alcuna risposta. Bianca inspirò a fondo nel tentativo di sciogliere la tensione. Prese il telefono dalla borsa, controllò l’orario e poi la casella di posta elettronica, per timore di essersi persa eventuali comunicazioni importanti. Perlomeno era finalmente sola, senza alcun tipo di persona a importunarla con domande o chiacchiere inutili. Ed era certa che Miles Edgeworth l’avrebbe lasciata in pace, memore del suo timido tentativo di conversare in attesa dei soccorsi.
- Mi scuso per il ritardo. - intervenne una voce maschile.
Bianca alzò lo sguardo dal telefono. La maestosa figura di Miles Edgeworth le stava venendo incontro con passo lento ed elegante. E proprio come la prima volta, la ragazza non poté fare a meno di indugiarvi fugacemente, notando che il completo all'antica era stato sostituito da una giacca e un pantalone più moderni. Dal gilet nero che abbracciava il suo petto, fuoriusciva un jabot svolazzante.
- Purtroppo sono stato trattenuto da un collega. - spiegò l’uomo.
Bianca stava per dirgli di non preoccuparsi, quando a un tratto il procuratore si irrigidì. Con sguardo indagatore, la osservò in silenzio. La ragazza sentì il cuore salirle in gola. Sicuramente l’aveva riconosciuta, ma a giudicare dalla sua espressione non ne sembrava felice.
- Sbaglio o ci siamo già visti? - le chiese, dubbioso.
- Il mondo è piccolo, non trova? - tentò di sdrammatizzare Bianca.
Un'occhiata dall'alto verso il basso la ammonì bruscamente per quella ridicola battuta. In parte offesasi, la ragazza drizzò la schiena, portando la mano in avanti. Doveva concentrarsi, si rimproverò, perché ancora non sapeva chi aveva di fronte a sé: se qualcuno di cui fidarsi o qualcuno da cui stare il più lontana possibile.
- Bianca Romano. Sono la sua nuova stagista.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 1.3. Signor Perfettino ***


Dopo l’iniziale esitazione, il procuratore ricambiò la stretta. Sembrava aver perso delicatezza e la sua severità tradiva diffidenza.
- Miles Edgeworth. Dubito, tuttavia, che non abbia già sentito parlare di me. - osservò, alzando un sopracciglio.
Ecco che iniziava l'interrogatorio. Per precauzione, Bianca negò scuotendo la testa, fingendo assoluta ignoranza.
- In realtà… - intervenne, schiarendosi la voce. - Vorrei cogliere l'occasione per ringraziarla ancora per aver avvisato il capo procuratore del mio ritardo. Non mi sarei mai perdonata di aver fatto attendere una personalità così importante.
Edgeworth si limitò ad annuire.
- Ha fatto parola con qualcuno di esterno al ministero del nostro primo incontro? - insistette.
Bianca inspirò a fondo, impaziente di mettere a tacere ogni suo sospetto.
- Labbra sigillate. - lo rassicurò. - Eccezione fatta per la squadra venuta a soccorrerci, ovviamente.
All'apparenza soddisfatto della sua risposta, il procuratore aprì la porta del suo ufficio, facendole segno di entrare.
Una grande finestra, racchiusa ai lati da un’elegante tenda rossa ornata in oro, illuminava la stanza. Al centro stava una scrivania all’antica in legno, occupata da un computer, un calamaio, un telefono e alcuni documenti perfettamente impilati. Accanto a essa, un’altra scrivania, vuota, dallo stile moderno e dalle dimensioni più modeste.
- Questa sarà la sua postazione di lavoro per i prossimi mesi. È libera di personalizzarla come più le aggrada.
Bianca annuì, posandovi la borsa, per poi guardarsi intorno. Era piuttosto grande come ufficio ed era chiara l’impronta stilistica del suo proprietario; Edgeworth doveva amare molto lo stile barocco e rococò. Alle spalle della ragazza, una grande libreria, mentre sulla parete di fronte spiccava un divanetto dalle curve sinuose, all'apparenza un po’ scomodo. Ciò che però attrasse immediatamente l’attenzione di Bianca fu la teca in vetro che custodiva un soprabito. E non un soprabito qualunque, ma lo stesso che l'uomo indossava quando si erano incontrati.
- Un regalo del mio mentore, il procuratore Manfred von Karma. - intervenne Edgeworth, con una punta di orgoglio. - Mi ha accompagnato durante i miei primi processi.
Bianca rimirò i dettagli in oro e le decorazioni che lo adornavano. Confrontandolo con il nuovo completo indossato dall'uomo, appariva fin troppo opulento. Chissà cosa aveva spinto Edgeworth a sostituirlo: il desiderio di non attirare più l'attenzione altrui? Indipendentemente da ciò, il fatto che conservasse quell’oggetto con tanta cura, la intenerì, aiutandola a rilassarsi un poco.
- Il programma di oggi? - gli chiese, prendendosi il tempo di sistemare i propri averi.
- Prettamente teorico. Deve prima entrare in confidenza con il suo ruolo e i suoi compiti, motivo per cui ho chiesto di portarmi alcuni atti di processi già conclusi per poterli visionare insieme.
La ragazza annuì ancora, mentre con la mano svuotava la borsa per preparare la sua postazione. Su un angolo della scrivania, pose una piccola cornice in legno: conteneva la copia di una vecchia fotografia di lei e Giovanni, ancora piccoli, tra le braccia dei genitori; l’originale era custodito gelosamente sul comodino in camera da letto.
- A tal proposito, dovrebbe essere qui a momenti il detective Gumshoe. Sempre che non sia in ritardo. - concluse il procuratore, incrociando le braccia impaziente.
- È lunedì per tutti, un po’ di lentezza è normale. - intervenne Bianca, sorridendo.
Nel vedere l’espressione corrucciata di Edgeworth, si morse la lingua. Era solita sdrammatizzare per alleggerire la tensione, ma il suo buon senso le suggerì di perdere quella abitudine in fretta se teneva alla propria pelle: a Miles Edgeworth non piaceva ridere. Poco dopo qualcuno bussò, rubando l'attenzione del procuratore.
- Forse oggi riuscirà a tenersi caro il suo stipendio. Avanti.
Bianca fece finta di non aver udito quelle dure parole e si preparò per salutare l’ospite in arrivo.
- Detective Dick Gumshoe a rapporto, signore!
L’uomo che entrò era il perfetto stereotipo del detective alla Robert Forster: capelli brizzolati, un vecchio impermeabile e una penna dietro l’orecchio a portata di mano; tuttavia, senza cappello e dall’aspetto più trasandato e malconcio.
- Buongiorno, detective. I rapporti che le avevo chiesto? - lo salutò sbrigativamente Edgeworth.
- Eccoli qui! - e dopo aver rovistato all’interno della propria giacca, il detective estrasse una busta leggermente stropicciata.
Il procuratore la afferrò, senza esimersi dal guardarla deluso.
- Sono copie, signore, non si preoccupi a riguardo. - si giustificò prontamente Gumshoe, rivolgendo poi lo sguardo verso Bianca. - E chi abbiamo qui?
- Bianca Romano. - si presentò la ragazza.
Gumshoe le rivolse un sorriso, per poi venirle incontro e stringerle calorosamente la mano. Era così piacevole quel detective in confronto al suo tutor, i cui modi altezzosi non facevano che aumentare lo sdegno della ragazza. Proprio non si impegnava per non dare adito alle voci che giravano sul suo conto.
- Suppongo di dovervi presentare come di dovere. Lei è la dottoressa Bianca Romano, la mia stagista. La vedrà spesso all’interno del mio ufficio. - concluse il procuratore, rivolgendosi poi a Bianca. - Questo signore è Dick Gumshoe e come avrà potuto intuire, collaboriamo spesso nella risoluzione di casi. Lavora presso il dipartimento investigativo per crimini violenti.
Oh! Tutto ha senso allora. Per un momento ho creduto fosse la sua fidanzata, non si è mai vista una donna qui dentro. - asserì Gumshoe, divertito.
Sia Bianca, sia Edgeworth sussultarono. Lei guardò il detective sconvolta, mentre lui come se fosse sul punto di ucciderlo seduta stante.
- Innanzitutto. - intervenne quest’ultimo, rosso in viso. - La mia vita sentimentale non dovrebbe essere di suo interesse.
- I-io sono già fidanzata. - mentì Bianca nel tentativo di uscirne pulita.
Gumshoe stava sudando freddo. Imbarazzato, arrancò una scusa.
- Spero non mi abbia frainteso, dottoressa Romano, non intendevo dire che le donne non possono ambire a determinate professioni. E signore, lo sa che parlo sempre a sproposito. Sa anche, però, che lo faccio con le migliori intenzioni.
- Esca. - tagliò corto Edgeworth. - Prima che diminuisca ancora il suo stipendio.
- Sì, signore.
Pallido in volto, il detective sparì dietro la porta dell’ufficio, lasciandola aperta per la fretta. Bianca lo seguì con lo sguardo, affranta. Il suo primo giorno di lavoro non era iniziato, né stava proseguendo nel migliore dei modi.

Poteva un uomo qualunque essere così perfetto?
Più osservava Edgeworth, più Bianca si convinse di avere di fronte a sé una macchina, perfettamente oliata e dai movimenti precisi. La voce atona con la quale leggeva il testo. Le istruzioni chiare e concise. La sua espressione fredda, che non tradiva alcun tentennamento. E lei non poteva che ascoltare in religioso silenzio, principalmente per il timore di risultare fastidiosa con domande inopportune. Dapprima, avevano parlato del suo ruolo di tirocinante e dei suoi compiti, consistenti perlopiù nell'assistere il proprio superiore. Poi, Edgeworth le aveva mostrato gli atti che il detective gli aveva consegnato, approfittando del momento per una prima lezione di vita da procuratore.
- Chiaramente non è compito nostro redigere i documenti, ma è importante che lei comprenda il valore dietro di essi. Tutto ciò che viene messo su carta è la prova della sua bravura e professionalità in tribunale. Io, di fatto, vanto una lunga esperienza di successi.
Di certo non peccava di modestia, pensò la ragazza, sarcastica.
- Il lavoro di un procuratore non è completo senza la collaborazione del corpo di polizia. Insieme, gestiamo indagini, interrogatori e prepariamo le prove da presentare al giudice durante il processo. A tal proposito, durante i suoi studi ha affrontato le regole alla base di questo procedimento?
- Certamente. La regola numero uno stabilisce che non possono essere utilizzate prove non autorizzate dal dipartimento di polizia. La regola numero due, invece, pone un’eccezione, cioè che le prove mancanti di registrazione possono essere utilizzate solo se utili ai fini del processo. - recitò a memoria Bianca.
Edgeworth annuì.
- È grazie alle prove se possiamo individuare il sospettato e infine accusarlo del crimine. Mi aspetto in questa fase delicata del nostro lavoro che lei sia una persona profondamente meticolosa e attenta. Un solo errore, sia nella conservazione delle prove che nella loro messa in esame, può compromettere l'intero processo.
Una raccomandazione che ben si sposava con il perfezionismo della ragazza. A costo di bere tante tazze di caffè, avrebbe tenuto gli occhi aperti per non deludere il procuratore, specie per non incorrere nel medesimo destino del detective Gumshoe; non aveva bisogno di abbassare ulteriormente il suo rimborso spese.
- È ora di pranzo. - osservò il procuratore, controllando l’orologio al polso. - Ci rivedremo qui in ufficio per riprendere il discorso.
Inaspettatamente il tempo era volato. Bianca si alzò, afferrò la borsa e si diresse verso la porta. Edgeworth, invece, si sedette alla propria scrivania.
- Signore, lei non viene? - gli chiese, stranita.
- Perché dovrei?
Che fosse davvero un robot e si nutrisse grazie a una coppia di batterie? Un’immagine piuttosto inquietante.
- Dovrà pur mangiare qualcosa.
- Ho del lavoro arretrato di cui avrei dovuto occuparmi questa mattina, che invece ho dedicato interamente a lei. - concluse severamente, digitando sul computer.
Bianca inspirò a fondo per tenere a freno la lingua. Implicitamente, le aveva appena detto che la colpa era sua se non aveva potuto dedicarsi alle sue faccende.
- Vuole che le porti qualcosa? - si offrì, a denti stretti.
- E quando avrei il tempo per mangiarlo? - ribatté l'uomo, avvicinando al volto un foglio.
- Va bene. A più tardi. - concluse Bianca, arresasi.
La ragazza chiuse la porta e si lasciò andare a un lungo sospiro frustrato. Ecco un'altra cosa da imparare: lasciarsi scivolare qualsiasi frecciatina di dosso; il vocabolario di Edgeworth non contemplava né complimenti, né elogi.

Durante il pranzo, Bianca si sedette al tavolo dei tirocinanti per presentarsi e fare quattro chiacchiere. Aveva già conosciuto Cosby, ma non poteva dire lo stesso per gli altri colleghi, all’apparenza più gentili e meno altezzosi: Bill Meyers, Dolores Martín García, Huo Shao e Nasha Signaté. C’era chi veniva da diverse città della California e chi dall’estero grazie a borse di studio e ricerca. Nel vedere un gruppo così eterogeneo e vario, Bianca si rassicurò al pensiero di non essere l’unica straniera nel gruppo. Pur essendo nata e cresciuta a Los Angeles, le sue origini italiane avevano sempre attratto l’attenzione indesiderata di curiosi invadenti, che anziché mostrare reale interesse per la sua cultura, finivano per trattarla al pari di un fenomeno da baraccone; come se la comunità italiana in America non esistesse dal diciannovesimo secolo.
- E tu? Per quale procuratore lavori, Bianca? - le chiese Nasha.
Conscia che non avrebbe potuto nasconderlo in eterno, Bianca poggiò la forchetta sul piatto e rispose senza girarci troppo attorno.
- Edgeworth.
- Il signor perfettino? - intervenne Cosby, sorpreso.
- Prego?
Guardò Nasha, seduta al suo fianco, in cerca di spiegazioni. Tuttavia, ottenne solo un’alzata di spalle.
- Chiunque qui dentro lo conosce con quel nomignolo. - e Cosby sghignazzò. - Da quel che so, sta antipatico a molti colleghi.
- Sei appena arrivato e già sparli dei tuoi superiori? Chi è la tua fonte? - chiese curiosamente Bill, divertito.
- Amico mio, conosco un sacco di gente qui. Tutti nella mia famiglia, mio padre, mio nonno, suo padre e via dicendo, hanno lavorato al pubblico ministero e sono sempre stati buoni amici con i von Karma. Una famiglia a dir poco rigorosa, che vanta una lunga tradizione di procuratori eccellenti.
- D’accordo, ma perché Edgeworth sarebbe un signor perfettino? - insistette Bill.
- Diciamo che se non fai le cose come ti dice lui, o meglio, allo stesso modo in cui lui le fa, sei un uomo morto, o una donna morta. È così importante qui dentro che basta un suo schiocco di dita per vederti dimezzato lo stipendio.
Bianca ripensò al detective Gumshoe e al terrore dipinto sul suo volto.
- Per questo motivo, Bianca, se posso darti un consiglio da amico… - continuò Cosby, abbassando la voce.
Ignorando l’urgenza di dirgli che non erano amici e che non aveva bisogno di un suo consiglio, la ragazza rimase in silenzio, in attesa.
- Fa’ come ti dice e non contraddirlo. Ha imparato molto bene dal suo maestro.
- Scusami, io non ho mai sentito parlare di questo… von Karma. - intervenne timidamente Shao.
E Cosby, incapace di non restare al centro dell’attenzione, prese a narrare le gesta sia della sua famiglia, sia di quella dei von Karma. Bianca, per nulla interessata a nuovi pettegolezzi, colse l’occasione per ritirarsi e tornare nel proprio ufficio. Era solo gossip, si ripeté, memore delle parole del professor Brown, e non doveva lasciarsi influenzare da esso.

Quando entrò, Bianca vide il procuratore Edgeworth al centro della stanza, intento a sistemarsi il jabot. Sulle spalle portava, aperto, il cappotto nero.
- Era ora, dottoressa Romano. Temevo di dover venire io personalmente a prenderla. - la salutò, rimproverandola.
- Ma sono le due precise. - osservò la ragazza, contrariata.
- Io arrivo sempre in anticipo. Almeno dieci minuti prima.
O forse viveva direttamente in ufficio, convenne Bianca tra sé e sé.
- Ha con sé il badge? Dobbiamo recarci in commissariato. La Fortuna ha voluto riservarle un assaggio del lavoro in procura.
Il malumore lasciò presto spazio all’eccitazione.
- Di cosa si tratta? Omicidio? Rapina a mano armata? Sequestro di persona finito male?
- Non so se essere spaventato dal suo tono allegro o se essere compiaciuto del suo zelante interesse. - ammise Edgeworth, alzando un sopracciglio. - Per rispondere alla sua domanda, omicidio.
- Faccia strada!
Dopo aver chiuso a chiave l’ufficio, i due si diressero verso gli ascensori per scendere nei sotterranei del Pubblico Ministero, adibiti a parcheggio.
- Deve presenziare alla scena del crimine? - chiese curiosamente Bianca.
- Il detective Gumshoe ha già provveduto alla raccolta del materiale utile ai fini dell’indagine, così come dei potenziali testimoni per avvalorare la tesi dell’accusa. Quello che dovrò fare sarà ascoltare l’interrogatorio dell’imputato e, per l’appunto, le testimonianze dei presenti.
Ed ecco come Bianca e le sue doti di osservazione avrebbero potuto rendersi utili! Dopo un breve tratto a piedi, Edgeworth si fermò nei pressi di una macchina rossa dall’aspetto sportivo; la carrozzeria era audace, aggressiva e tagliente. Bianca la osservò curiosamente, ammirando il metallo lucente della scocca. Non si intendeva d’automobili, ma persino uno stupido avrebbe compreso quanto potesse essere moderno, e quindi costoso, un modello simile. Chi l’avrebbe mai detto, al procuratore Edgeworth piacevano le macchine da corsa.
- Riesce ad arrivare al commissariato tra una ventina di minuti massimo? - le chiese.
- Non andiamo in macchina? - rispose con un’altra domanda, sorpresa.
- Si ricordi, dottoressa Romano, che io sono il suo tutor, non un suo amico. - la ammonì, corrugando la fronte.
Bianca distolse lo sguardo per l’imbarazzo. Effettivamente non avrebbe dovuto dare per scontato che volesse offrirle un passaggio. Aveva ragione: non erano amici; nemmeno colleghi, o almeno, non allo stesso livello. Tuttavia, perché si era fatto accompagnare fino al parcheggio se poi doveva costringerla a prendere l’autobus?
- Mi scusi. - disse, preferendo non insistere sull’argomento. - Credo di sì.
- Ottimo, la aspetterò presso l'ingresso così da evitarle eventuali controlli perditempo. - concluse.
Salì in macchina, accese il motore, accelerò di colpo, facendo stridere le gomme, e lasciò il parcheggio sotto lo sguardo spiazzato di Bianca. Certo che Miles Edgeworth era proprio un tipo imprevedibile. Più cercava di comprenderlo, più lui sfuggiva a ogni sua ipotesi e osservazione. La ragazza scosse la testa, indispettita. Proprio non sopportava l'idea di non essere in grado di leggere, né di anticipare le mosse del procuratore.

Bianca arrivò al commissariato con i pantaloni fradici. Nonostante avesse con sé l'ombrello, non era bastato per proteggerla dal vento e dalla pioggia che l'avevano accolta una volta scesa dall’autobus. Piccoli brividi le percorsero le gambe, portandola a sfregarvi le mani nel tentativo di scaldarle. Poi si guardò intorno, alla ricerca di Edgeworth, incontrando invece lo sguardo preoccupato del detective Gumshoe.
- Accidenti, speravo fosse riuscita a salvarsi dalla tempesta! Come sta? - le chiese, venendole incontro.
- Ho trascorso mattinate più piacevoli. - ammise stancamente Bianca. - Dov’è il procuratore Edgeworth?
- È stato lui a mandarmi, è già dentro la stanza dell'interrogatorio, sta parlando con il commissario.
- Oh no, non mi dica che sono arrivata in ritardo… - lo pregò Bianca.
- Si figuri, è persino in anticipo! Il commissario Gant voleva solo parlare di come condurre l’interrogatorio. Mi permetta di accompagnarla al caldo, poi le porterò del tè, che ne dice? - si offrì gentilmente il detective. - Così potrò scusarmi per la brutta figura di questa mattina.
Bianca si sciolse a quelle parole, senza poter fare a meno di chiedersi in che modo un’anima così gentile e affabile fosse in grado di lavorare con uno scorbutico come Edgeworth.
- Non ci stavo proprio pensando. Ma grazie, davvero, lo apprezzerei molto.
Seguì il detective dentro il commissariato, un luogo grigio e piuttosto caotico. Gli agenti chiacchieravano da un cubicolo all'altro, vari telefoni squillavano e carrelli carichi di cartelle e documenti strisciavano cigolando sul pavimento.
- È sempre così qui o è dovuto al nuovo caso?
- Noi poliziotti e detective siamo sempre a lavoro!
Per ironia della sorte, mentre il detective pronunciava con orgoglio quelle parole, l’occhio della ragazza cadde sullo schermo di un computer: un poliziotto stava giocando a campo minato. Arrivati a destinazione, facendosi strada nel via vai di agenti, Gumshoe aprì la porta per Bianca, promettendole di tornare presto con un bicchiere di tè caldo. La ragazza entrò nella stanza, trovandovi il procuratore Edgeworth e il commissario Gant intenti a parlare. La sedia riservata al sospettato era vuota. Dall’altro lato del tavolo era stato posto un treppiedi, su cui svettava una piccola videocamera.
- Dottoressa Romano, che bello rivederla due volte nello stesso giorno! - la accolse Gant.
Edgeworth invece si soffermò fin da subito sui pantaloni bagnati.
- Cosa le è successo?
- Se non se ne fosse accorto, fuori piove. - gli rispose Bianca, senza trattenere una punta di acidità.
- Ecco perché non vi ho visti venire qui insieme! Worthy, perché mai l'hai lasciata venire qui da sola con questo tempaccio?
Il procuratore fece per rispondere, ma Bianca lo interruppe per non portare avanti la discussione e risparmiargli la ramanzina.
- La cosa più importante è essere arrivata in tempo per l'interrogatorio.
- Sono andati a prelevare il nostro uomo poco fa, dovrebbe arrivare a momenti. - la rassicurò il commissario.
- Ottimo! Accidenti, mi sembra di stare in un film poliziesco. - scherzò ingenuamente la ragazza, emozionata.
Per un momento, Bianca si maledì di essersi lasciata nuovamente andare a una delle sue battute, per poi ricordarsi di essere di fronte al commissario, anch’egli un uomo affabile e burlone. Forse un po’ troppo.
- Ci farà presto l’abitudine. - concluse bonariamente quest’ultimo.
Gumshoe arrivò con il tè proprio in quel momento, con una mano a coprire il bicchiere per non farlo raffreddare. A quella vista, Edgeworth perse un’altra volta la pazienza.
- Detective, le sembra il momento per bere qualcosa? Fra poco dovrà interrogare l'imputato!
- Grazie, detective. - intervenne prontamente Bianca, frapponendosi tra i due uomini.
Gumshoe si limitò a sorriderle, ringraziandola implicitamente per averlo difeso. E di nuovo, Edgeworth dovette incassare il colpo in silenzio, alzando gli occhi al cielo.
- Il sospettato è qui. Passo. - parlò una voce attraverso la ricetrasmittente del detective.
- Ottimo, fallo entrare. Passo.
- Direi che è ora di accomodarci al di là del vetro. - concluse Gant, sfregandosi le mani. - Interverrò quando necessario, detective, intesi?
Dopodiché il commissario scortò Edgeworth e Bianca nella sala d’aspetto per poter visionare l’interrogatorio in sicurezza.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 1.4. Il primo caso: Williams-Jones, parte 1 ***


 

- Potrei avere i documenti riguardanti il sospettato e il caso? - chiese Bianca, intenta a sorseggiare il suo tè caldo.
Il procuratore glieli consegnò, non prima di una obbligatoria e non richiesta raccomandazione.
- Abbia cura di non versare la sua bevanda sui documenti. - la ammonì, per poi introdurla all’accaduto. - L’accusato risponde al nome di Kevin Williams, di anni venticinque. Ha ucciso la vittima, nonché suo padre, Benedict Jr. Williams, dopo una furiosa lite.
- Chi ha chiamato la polizia?
- La signora Jones, la madre. Rientrata in casa dopo essere stata al supermercato, sostiene di aver trovato l’ex marito in un bagno di sangue. Accanto al cadavere, il figlio con l’arma del delitto in mano, un semplice coltello da cucina. Siamo ancora in attesa dell’autopsia da parte del medico legale e del tecnico forense riguardo i dettagli della dinamica e delle analisi delle tracce biologiche ivi trovate.
Secondo il suo dossier, Kevin Williams non presentava alcuna condanna penale: si trattava di un brillante studente universitario, coinvolto in diverse attività di volontariato. La foto identificativa mostrava un ragazzo dal viso tranquillo, di aspetto mite. Viso, ora, segnato dallo sdegno e dalla stanchezza. Bianca lo osservò più volte attraverso il vetro, colpita da quel cambiamento repentino ma, soprattutto, dalla facilità con la quale confessò di essere colpevole del delitto.
- Perché dovrei mentire? Sono stato io, sì. Ero esausto, non ce la facevo più. Mi sono solo difeso.
Mentre il detective Gumshoe ricostruiva l’incidente insieme all’imputato, Bianca passò al dossier della vittima: Benedict Jr. Williams lavorava come dentista presso un importante studio medico; aveva divorziato dalla moglie alcuni anni prima a causa di dissapori interni.
- Sapevo che mio padre sarebbe venuto, gliel’ho chiesto io. Volevo parlare, perché avevo un po’ di cose da dirgli. Ho dei ricordi confusi a riguardo. Urlavo molto, ero arrabbiato. Mio padre rimaneva in silenzio, come se non mi stesse davvero ascoltando. Mi guardava, non so dire se schifato o deluso. Finché a un certo punto non sono crollato e l’ho ucciso. Diceva sempre che ero un fallito, non mi passava più alcun soldo ed era persino in ritardo con gli alimenti. Io non posso mantenere i miei studi con il solo stipendio di mamma. Lei fa la babysitter, la pagano una miseria.
- Non ha fatto richiesta di borsa di studio? Per gli studenti meritevoli è facile ottenerla.
- Ho buoni voti, ma da un anno a questa parte, per aiutare mamma, ho iniziato a lavorare e ho dato meno esami, finché non sono più rientrato nei requisiti e me l’hanno tolta. Di conseguenza, sono aumentate anche le tasse e ho dovuto lavorare il doppio per non farle gravare sulle sole spalle di mamma. Da qui, un circolo vizioso di pochi esami e pochi crediti e così via.
- Suo padre le ha mai fatto pesare questa faccenda?
- Non è l’unica cosa di cui si lamentava.
- Cioè?
- Diceva che eravamo un peso per lui, proprio di fronte a mamma, quando si incontravano nello studio dell’avvocato divorzista per saldare i ritardi.
Bianca lesse velocemente il dossier della donna: una semplice babysitter dalle umili origini. Non c’era dubbio, il possibile movente dell’omicidio era di natura economica. Che il delitto fosse volontario o meno, invece, poco importava: Kevin aveva ammesso la sua colpevolezza; nulla avrebbe potuto alleggerire la sua sentenza. Tuttavia, prima di formulare ulteriori ipotesi, era necessario ascoltare la testimonianza della signora Jones, considerando il suo ruolo da intermediaria tra le due parti e le apparenti vicissitudini che avevano portato al divorzio tra marito e moglie.
Una coppia di agenti scortò fuori l’imputato in manette. Bianca ne approfittò per scrivere le sue osservazioni nella propria agenda, dalla quale penzolava allegramente il portachiavi di Cure White. Non proprio una bella vista sul luogo di lavoro, ma la ragazza non se l’era sentita di rimuoverlo essendo un regalo del fratello. Con la coda dell’occhio colse il procuratore guardare la sorridente figurina vestita di bianco. Che fosse un’espressione di disgusto o innocente curiosità, non seppe dirlo.
Poco dopo fece il suo ingresso la signora Jones, ingobbita, singhiozzante e dal viso nascosto da un fazzoletto bagnato. Da subito il detective Gumshoe si dimostrò gentile nei suoi confronti, ammorbidendo i toni e ponendole domande semplici.
- Terribile, davvero uno spettacolo agghiacciante! - esclamò con voce acuta la donna. - Mio figlio era lì, in piedi, sul cadavere sanguinante del mio ex marito. Non so quante coltellate gli abbia inferto, ma non ho mai visto così tanto sangue in vita mia.
- Mi dispiace per quello che ha dovuto vedere, signora.
- Mio figlio, quel povero e stanco ragazzo, mi ha sempre difeso contro la villania del mio ex marito. Ho faticato per far valere il nostro accordo, ho sudato per guadagnare di più e far fronte alle negligenze di quell’uomo. Però non credevo che Kevin potesse arrivare a tanto, mi sento così in colpa…
- Durante l’accaduto, dove si trovava?
- Al supermercato. Ero andata a comprare un po' di frutta, volevo fare una deliziosa crostata a Kevin per celebrare l'ultimo esame che aveva svolto. Potete chiedere al cassiere e alla sorveglianza, sono stata vista da più persone.
- Eventualmente, dispone anche di uno scontrino? Per una conferma in più al suo alibi.
L’esitazione della donna pose Bianca sull’attenti.
- Credo nella borsetta. - accennò, indecisa.
Niente di sospettabile a dire il vero, persino nonna Annunziata buttava gli scontrini dopo aver fatto compere. Nel caso della signora Jones, però, avrebbe significato l’obbligo di recarsi al suddetto supermercato per svolgere ulteriori indagini.
- Qualcuno può portarmi nella stanza centodue gli effetti personali della testimone? Passo. - parlò il detective attraverso la ricetrasmittente.
Un agente entrò con un contenitore di plastica tra le mani e Bianca intravide al suo interno una borsa in pelle. Non appena Gumshoe la estrasse dal contenitore, la ragazza riconobbe all’istante la stampa su di essa impressa: si trattava di una Louis Vuitton. Non era di certo la borsa che si immaginava alla mano di una donna che, secondo quanto appreso, viveva principalmente degli alimenti dell’ex marito, spesi per la cura della casa e nel percorso di studi del figlio. La signora Jones prese a rovistarvi dentro, finché sconfitta – e senza esimersi dallo sbuffare – non si rivolse al detective profilandosi in scuse.
- Mi dispiace, davvero, temo di averlo perso o forse l’ho buttato di riflesso.
- Non si preoccupi, faremo noi i dovuti controlli.
Senza attendere oltre, Bianca scrisse fulminea della sfortunata coincidenza e della eccentrica presenza della borsa. Fu la prima cosa che fece notare ai suoi superiori quando, una volta concluso l’interrogatorio, Gant la invitò a esprimere la propria opinione.
- L’ho vista parecchio concentrata, nemmeno gli studenti della scuola di polizia sono così attenti durante le lezioni. - si congratulò quest’ultimo.
- È più forte di me. - si scusò Bianca, divertita. - Però è anche, per citare il capo procuratore Skye, il mio superpotere.
- Giusto, il suo spirito di osservazione! Lana me ne aveva parlato proprio oggi poco dopo la cerimonia in sala stampa.
- Superpotere? Non esistono certe cose. - sentenziò Edgeworth, contrariato.
- E dei medium? Ne vogliamo parlare, Worthy? - intervenne il commissario, per poi coprirsi la bocca con fare colpevole. - Scusami, pessimo argomento.
Il procuratore si schiarì la voce, sistemandosi nervosamente il jabot. Bianca lo guardò, incuriosita da quell’improvvisa reazione. Per quale assurda ragione era quasi sobbalzato al sentir parlare di magia?
- Dicevamo. - disse Gant, ricomponendosi. - Ha notato qualcosa di strano, dottoressa Romano?
- Sì, anche se potrà sembrare un dettaglio di poca importanza. - e mentre illustrava passo per passo le sue osservazioni, prese a digitare velocemente sullo schermo del telefono. - Niente ci assicura che non sia un vecchio modello di seconda mano. Però, cercando anche sui siti online di compravendita dell’usato, una borsa come quella della signora Jones non scende sotto i quattrocento dollari.
A riprova del suo ragionamento, mostrò ai due uomini la pagina di un sito celebre nella vendita di oggettistica di seconda mano.
- E con questo? - osservò Edgeworth, scettico. - Potrebbe trattarsi di un vecchio regalo da parte dell’ex coniuge.
- Potrebbe, ma se io fossi la signora Jones e ci sono evidenti problemi economici in famiglia, non terrei una borsa simile. Piuttosto la venderei per ricavarci qualcosa.
- Cosa ne ha dedotto allora? - chiese Gant, interessato.
- Il signor Williams, intendo il padre, seppur sotto pressione dell'avvocato passava gli alimenti alla moglie. In tal caso, dove sono finiti quei soldi? E alla luce di ciò, possiamo davvero essere sicuri del fatto che non passasse nulla al figlio?
Il commissario e il procuratore si guardarono.
- Devi ammetterlo, Worthy, è una domanda più che lecita.
Quest’ultimo però non era del tutto convinto. L’espressione infastidita parve accentuarsi.
- Può al massimo rafforzare il motivo dietro il delitto, null’altro. - insistette il procuratore. - È possibile che il nostro imputato stesse mentendo e tenesse il denaro per sé, occasionalmente regalando oggetti di valore alla madre per non insospettirla.
Bianca, riflettendovi, si trovò parzialmente d’accordo anche con questa ipotesi.
- Non è da escludere. In ogni caso, sarà difficile comprendere dove questi soldi siano stati nascosti. - concluse.
- Provvederemo a emanare un permesso di perquisizione della dimora. Per quanto riguarda l’alibi della donna, sarà d’obbligo recarsi personalmente sul luogo per raccogliere testimonianze. - si assicurò Gant.
- Io farei anche qualche domanda al vicinato. - propose Bianca.
- La polizia ha già provveduto a interrogare tutti. - si inserì Edgeworth, impaziente. - A quanto pare, nessuno era in casa all’ora dell’omicidio.
- Non mi riferivo a questo, infatti. - si permise di chiarire la ragazza. - Vorrei sapere l’opinione generale nei riguardi della famiglia. In fin dei conti, chi non ama discutere degli affari altrui? Soprattutto se riguardano soggetti turbolenti.
Lo aveva detto con tale naturalezza da ignorare il rischio di quelle parole. E probabilmente, il successivo intervento di Edgeworth non fu del tutto casuale.
- Sempre che lei sia in grado di distinguere la verità dalla menzogna.
Sentitasi presa in causa, Bianca pensò velocemente a una risposta per metterlo in riga.
- Giudicare un libro dalla copertina è sempre facile, signore. Nessuno è esente da questo vizio, nemmeno io. Ma fortunatamente ho imparato a guardare più a fondo.
E nel caso del procuratore, qualcosa le suggeriva che avrebbe dovuto scavare fino allo sfinimento per trovare la risposta ai suoi dubbi: chi era davvero Miles Edgeworth? Il procuratore scrutò il suo volto, alla ricerca di un dettaglio che potesse tradire le parole pronunciate dalla ragazza. E lei non si ritrasse da quegli occhi grigi, anzi. Alzò di poco lo sguardo, quasi con aria di sfida.
- Molto bene, direi che abbiamo un piano. - parlò Gant allegramente, sfregandosi le mani. - Recuperate il materiale registrato per poterlo consultare e catalogare, domani pomeriggio vi incontrerete con il detective Gumshoe per condurre le indagini sul posto. Il processo è già stato fissato a dopodomani.

Con le cuffie addosso, Bianca era intenta a cucinare la cena, quando un trillo risuonò nelle sue orecchie, avvisandola di una chiamata in arrivo. Premendo dolcemente con l’indice sull’altoparlante destro, rispose.
- Pronto?
- Be’, com’è andata oggi? - chiese curiosamente Giovanni.
In sottofondo, il brusio della strada. Bianca diede una rapida occhiata all’orologio: il fratello stava andando a lavoro.
- Credo di non aver mai incontrato una persona più lunatica di Miles Edgeworth. - parlò senza mezzi termini.
- Benvenuta nel mondo del lavoro, sorellina. - scherzò Giovanni. - Sarà la tua nuova routine per i prossimi dodici mesi.
- Sto scontando gli errori del passato. - convenne Bianca, alzando le spalle. - Mal che vada, l’anno prossimo mi cerco un nuovo posto dove continuare il periodo di praticantato. Ho ancora quella lista che tenevo quest’estate.
- Accidenti, se stai già considerando di andartene, vuol dire che la situazione è peggiore di come te l’hanno presentata. Ma cosa pensi tu di questa persona? Che sensazioni ti ha trasmesso?
Prima di rispondere, Bianca mescolò velocemente le verdure, leggermente abbrustolitesi in padella.
- Non sai mai cosa voglia da te, a parte quando te lo dice chiaramente, senza utilizzare parole dolci o complimenti.
- È un tipo diretto quindi.
- Ai limiti della decenza. Qualsiasi cosa esca dalla sua bocca, è un ordine e un insulto al tempo stesso. Ma voglio spezzare una lancia a suo favore. È un perfezionista proprio come me.
- Rispetto all’immagine che ne hanno fatto i giornalisti, hai trovato qualcosa di diverso?
- Non molto. - sospirò Bianca. - O si tratta di fandonie e lui ne è al corrente, ma poco gli importa di apparire diverso, il che è ammirevole da un certo punto di vista. O è tutto vero. Però non voglio saltare a conclusioni affrettate, soprattutto senza prima aver lavorato con lui sul campo. Ho imparato, anche a mie spese, che c’è sempre qualcosa sotto, buono o brutto che sia.
- Insomma, bene ma non benissimo. - concluse Giovanni. - Posso solo consigliarti di tenere duro a questo punto, e ovviamente di seguire le raccomandazioni del professor Adams. Cerca, però, di non diventare paranoica nel mentre.
Bianca inspirò a fondo, serrando le labbra. Nel mentre, spense il fornello.
- Voglio solo essere cauta, tutto qui.
- E ne hai tutte le ragioni, ma non dimenticare il motivo per cui sei dentro il pubblico ministero. Per imparare e costruirti un nome e una carriera. Pensa prima a te stessa che agli altri, indipendentemente se possono aiutarti o distruggerti.
- E lo farò, su questo non puoi avere dubbi.
- Lo so, sei la mia piccola Bianca, ti conosco bene. - le disse affettuosamente il fratello. - Scusami se non mi trattengo oltre, ma sono arrivato al Bardot proprio ora.
- Tranquillo. Dato che sto già lavorando a un caso, ti dispiace se ci sentiamo per messaggi nei giorni a venire? Non vorrei mai istigare il signor perfettino durante il lavoro.
- È così che lo chiamate voi tirocinanti? - e a Giovanni scappò una leggera risata.
- Soprannome azzeccato, ma un po’ cattivo per i miei gusti. Come se il perfezionismo fosse una cosa del tutto negativa.
Dopo aver salutato il fratello, Bianca si apprestò a impiattare la sua cena e a sistemarsi sul divano per una più che meritata serata Netflix.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 1.5. Il primo caso: Williams-Jones, parte 2 ***


Il mattino seguente, Bianca arrivò in ufficio con dieci minuti di anticipo; un tentativo di mettere di buonumore il suo tutor.
Trascorsero le prime ore di lavoro tra nastri registrati, cartelle identificative e appunti scritti a mano. Non parlarono molto, eccezione fatta per consultarsi su quanto appreso in seguito a una seconda revisione del materiale raccolto. Occasione che permise a Bianca di osservare Edgeworth da più vicino, alla ricerca di un elemento che potesse, in qualche modo, tradire la regolarità del suo operato. E con suo estremo sollievo, non trovò nulla: Edgeworth analizzava lucidamente le parole degli interrogati e ragionava ad alta voce, rendendo Bianca partecipe. Unica nota dolente, non sembrava apprezzare a pieno le opinioni della sua tirocinante, giudicandole troppo semplici o superficiali, rimarcando quanto detto il giorno precedente durante l’interrogatorio. Bianca, che non aveva mai amato i testardi, strinse i denti, imponendosi di aspettare pazientemente l’indagine, prevista per quel pomeriggio, per dare prova della sua bravura.
All’ora di pranzo, la ragazza si presentò al tavolo dei tirocinanti con un leggero mal di testa, dovuto al prolungato contatto con gli schermi del televisore e del computer. Non ebbe nemmeno il tempo di salutare i suoi colleghi e sedersi per mangiare, che subito questi la riempirono di domande sul caso Williams-Jones. In quel posto, le voci circolavano troppo velocemente e Bianca non ne era affatto felice: un passo falso e sarebbe stata sulla bocca di tutti. Come riusciva Edgeworth a soprassedere al gossip senza restarne influenzato?
- Sapete chi è il colpevole?
- Stiamo ancora aspettando i risultati della scientifica, ma siamo abbastanza sicuri di chi si tratti. C’è anche un testimone.
- Quindi hai incontrato il commissario!
- In carne e ossa.
- Edgeworth ti sta mettendo alla prova?
- Come ogni tutor farebbe. - rispose Bianca, già sfinita e desiderosa di mangiare in pace.
- Wow, deve essere molto richiesto se avete già un caso per le mani, che invidia!
- Vuoi un consiglio?
Al sentire quella voce, la ragazza si massaggiò la fronte, spazientita. Effettivamente Cosby non si era ancora pronunciato sulla questione e lei stava solo aspettando quel momento per potersene andare, a costo di finire il pasto in ufficio sotto gli occhi omicidi del suo tutor.
- Sentiamo. - e gli rivolse un sorriso tirato.
- Ti ho già accennato dei modi bruschi del suo maestro, perciò non impuntarti e non esprimere la tua opinione senza che lui te lo chieda, o ci saranno brutte conseguenze. Ma tu cerca di rimanere serena e fai del tuo meglio. - concluse, divertito.
Qualcuno è stato contagiato dall’umorismo di Gant, pensò Bianca. Inspirò a fondo per ritrovare la calma, squadrando Cosby. Quel tipo amava parlare convinto di essere d’aiuto, quando invece non faceva che dire l’ovvio. A giudicare dai suoi immensi sforzi per dimostrarsi capace e superiore agli occhi degli altri, doveva soffrire di una grave mancanza di autostima, corredata da un esplicito narcisismo. Con gente del genere, era inutile discutere, ma nulla vietava Bianca di fargli capire che quella recita non funzionasse con lei. Perciò si limitò ad annuire, ringraziandolo con una punta di sarcasmo e malizia.
- Mai avuto un uomo che si preoccupasse così tanto per me. C’è qualcosa che mi nascondi?
Inizialmente sorpreso, Cosby si lasciò andare a una grassa risata, che fece rabbrividire Bianca: era la risata più falsa che avesse mai sentito.
- Qui è pieno di segreti. Se non ci si aiuta tra colleghi… - le rispose, alzando le spalle.

Ancora intontita dalle parole enigmatiche del suo collega, Bianca scese dall’autobus, accolta da un gruppo di villette a schiera e condomini vetusti. Il quartiere dove vivevano i Williams-Jones distava mezz’ora dal centro di Los Angeles. Vi abitavano principalmente immigrati e lavoratori, ma non c’era storia di criminalità violenta come i più pensavano. Era proprio lì che lei, il detective Gumshoe e il procuratore Edgeworth che la stavano aspettando di fronte all’ingresso condominiale avrebbero iniziato la propria indagine: l’appartamento della famiglia, il luogo dell’omicidio. Avevano ricevuto il mandato di perquisizione e, al contempo, era arrivato il resoconto della scientifica.
- Le impronte sul coltello appartengono al nostro uomo. - asserì il detective. - E la scientifica ha confermato la dinamica dell’incidente, tranne che per il numero di coltellate. Tre, massimo quattro. Kevin Williams era sì arrabbiato, ma a un certo punto deve essere rinsavito.
- Avete provato ancora a interrogarlo? - gli chiese Bianca.
- Sì, ma come mi ha riferito Gumshoe, dichiara di non aver mai nascosto denaro e continua a sostenere l’incapacità del padre a mantenere gli accordi. - intervenne Edgeworth, per nulla sorpreso.
- In tal caso, se questi soldi salteranno fuori, sapremo che ha mentito. - pronunciò la ragazza.
- Altrimenti, possiamo considerare chiusa questa inutile faccenda. Non ho dubbi che gli addetti del supermercato, dove la signora Jones si è recata per fare compere, confermeranno il suo alibi.
Bianca ignorò quel cattivo presagio e invitò il detective a guidarli all’interno dell’appartamento.
La scena del crimine era già stata ripulita del cadavere, di cui ancora si intravedeva la sagoma grazie al nastro segnaletico. Il vecchio pavimento in legno era irrimediabilmente macchiato di sangue, ormai seccatosi e divenuto nero come la pece. La casa era in disordine, probabilmente a causa del trambusto del giorno precedente. Aleggiava un cattivo odore, una miscela di disinfettante e aria viziata. Gumshoe indossò un paio di guanti in lattice, in modo tale da non contaminare l’ambiente. Bianca ed Edgeworth fecero lo stesso.
- Direi di cominciare da qui, il salotto, per poi cercare nelle camere. - suggerì il detective.
Anche Edgar Allan Poe suggeriva di cercare dove meno lo si aspetti, in bella vista.
Il gruppo rovistò nei cassetti, nel portalettere, tra le riviste e i libri alla ricerca di buste o plichi contenenti soldi, invano. E la stessa sfortuna colse il trio negli ambienti privati della signora Jones e del figlio. Né una dannata banconota, né un singolo centesimo. Solo cimeli del signor Williams custoditi da Kevin in una scatola, dimenticata in un angolo dell’armadio a prendere polvere: vecchie fotografie, alcuni disegni, biglietti d’auguri scoloriti pieni di frasi e parole dolci nei confronti del figlio. Nonostante il brusco epilogo della loro relazione, Kevin non era riuscito a liberarsi di quei ricordi.
A ricerca conclusa, sia Bianca che Edgeworth sbuffarono. L’una per il sottile ghiaccio sul quale camminava la propria teoria, l’altro per un mancato rafforzamento del movente dell’assassino.
- Non mi arrendo. - sussurrò Bianca a denti stretti, rivolgendosi poi ai suoi compagni. - Farei quattro chiacchiere con il vicinato, voi?
Edgeworth fece per protestare, ma Gumshoe intervenne in soccorso della ragazza.
- Non è una cattiva idea. Potremmo acquisire qualche dettaglio interessante, signore.
Il procuratore roteò gli occhi, per poi incamminarsi fuori dall’appartamento.
Il vicinato dei Williams-Jones accoglieva persone di ogni tipo: coppie di sposini, famiglie numerose, pensionati solitari e studenti in affitto. Pochi di loro seppero dare informazioni utili non essendo conoscenti stretti della famiglia, tranne che per sommo gaudio di Bianca gli anziani, gli unici a rimanere tutto il giorno chiusi in casa. Chi meglio di loro per delle vivaci chiacchiere di quartiere?
- Hanno sempre abitato qui, da quando Kevin non era che un pargoletto. Un amore di bambino e un giovanotto sano e forte. Anni fa la zona non era così male, sa cosa intendo, no? Ci abitavano famiglie facoltose.

- Sempre pronto ad aiutare il prossimo, il caro Kevin. Ha preso da suo padre. Mi si è spezzato il cuore quando ho saputo del loro divorzio.

- Williams, un uomo meschino? O per l’amor del cielo, no! Amava suo figlio e lui amava il padre. È anche vero, però, che è da un po’ che non li vedo insieme.

- Ma quando il vecchio Williams passava di qui e capitava di incontrarsi sul pianerottolo, mi chiedeva sempre di Kevin, perché non riuscivano a incontrarsi. Lo amava con tutto il suo cuore.

- Le dico solo una cosa, detective, a me quella donna non ha mai detto granché. Non nego che si prenda cura del figlio e che non si spacchi la schiena per mantenerlo, ma quando menziona l’ex marito non fa che riservargli parole dure. 

- Non è sempre stato così. Prima del divorzio, andavano d’amore e d’accordo. Una famiglia tutta d’un pezzo, rispettabile. Poi, il caos. Ma che vuoi farci, quando perdi tutto… Ma che sbadato, so che tutti e tre siete qui da un po’, volete del caffè?

- No, la ringrazio, signore. Piuttosto, potrei avere un suo contatto qualora la sua testimonianza risultasse utile ai fini del processo? - chiese il detective all’anziano signore, porgendogli un quadernino.
- Ma certo, figliolo. Williams ha fatto così tanto per me e mia moglie, pensa che riservava sempre un posto in clinica in caso d’emergenza! - concluse l’uomo, scrivendo frettolosamente sulla pagina bianca.
- Grazie e buona giornata. - si congedò il detective, riconoscente.
Finalmente Bianca, Edgeworth e Gumshoe uscirono, ritrovandosi all’ingresso del condominio. L’indagine, almeno per la ragazza, si era rivelata più fruttuosa del previsto e non vedeva l’ora di spiegarne il motivo al procuratore.
- Credo ci sia una chiara contraddizione nel resoconto della signora Jones, o mi sbaglio?
- Se la sua contraddizione si basa sull’opinione di un vicino di casa, le consiglierei di cambiare immediatamente metodo investigativo.
- Lo so, si tratta solo di congetture, ma se l’avvocato difensore di Williams mira a un ridimensionamento della pena-
- Dimostrerò che si trattava solo di un escamotage da parte della vittima per non insospettire il vicinato. Fingere che andasse tutto bene. Ciò instillerebbe il dubbio di un’eventuale premeditazione.
Bianca si trovò costretta ad ammettere che fosse un’ottima – seppur discutibile – strategia, ma di nuovo Edgeworth sembrava non cogliere, o peggio, rifiutava la sua visione d’insieme.
- Ciò che intendevo, tuttavia, è tutt’altra questione. - insistette Bianca. - Padre e figlio non si vedono da molto tempo. Improvvisamente, Williams diviene un uomo meschino e si rifiuta di sostenere economicamente l’ex moglie e gli studi del figlio. Perchè e com’è avvenuto questo cambio repentino? Sono sempre più convinta che abbiamo a che fare con ben due colpevoli.
- Sospetta anche della signora Jones? - e Gumshoe la guardò curiosamente. - Ma in veste di collaboratrice?
- Io credo-
- Basta così. - la interruppe severamente Edgeworth, stizzito. - Ho chiesto la sua opinione a riguardo?
Bianca, per nulla sorpresa della sua reazione, serrò le labbra, frenando all’istante la sua parlantina. Stava esagerando, ne era cosciente, persino Cosby l’aveva avvertita a riguardo. Tuttavia, il suo tutor non stava facendo il minimo sforzo per ascoltarla, sfatando qualsiasi proposta o ragionamento da parte sua. E ciò iniziava ad essere frustrante.
- Siamo qui per raccogliere indizi e imprigionare un uomo che ha commesso un crimine, non per psicanalizzarlo e comprendere l’origine delle sue azioni. - la rimproverò, sprezzante.
- Lo so, signore. Voglio solo aiutarvi, facendo quello che mi riesce meglio. - provò a giustificarsi la ragazza.
- Complicando inutilmente questa investigazione? Rallentandoci? E francamente, non mi risulta che lei sia una psicologa esperta di dinamiche familiari.
Colta da un fremito, Bianca indietreggiò di colpo. Si portò una mano sul cuore, che aveva iniziato con forza a martellare contro il petto. La bocca si impastò, rendendola incapace di parlare senza tentennare.
- Dottoressa Romano? Si sente bene? - la affiancò, preoccupato, il detective.
Edgeworth, invece, continuava a guardarla, impassibile, incurante di quello che le aveva appena detto. Non sapeva, però, di averla colpita nel suo punto debole: la famiglia. Bianca serrò i pugni.
- No, non ne so nulla, perché i miei genitori sono morti quando avevo tre anni. - rispose istintivamente.
Il detective sgranò gli occhi, sconvolto. Il procuratore si irrigidì, divenendo di ghiaccio. Lei ignorò entrambe le loro reazioni, schiarendosi la voce nel tentativo di ricomporsi e maledicendosi per la sua reazione avventata.
- Mi scusi se sono sembrata insolente, non era mia intenzione. D’ora in poi, interverrò solo quando mi sarà chiesto. - concluse, mantenendo sempre la testa alta.
Edgeworth inspirò a fondo per poi parlare nuovamente, come se nulla fosse successo.
- Ora che abbiamo stabilito dei limiti, possiamo proseguire con l’indagine. A più tardi.
E il procuratore si allontanò, lasciando soli Gumshoe e Bianca. Quest’ultima fece per avviarsi verso la fermata dell’autobus, ma il detective la trattenne, offrendole un passaggio in auto. E per quanto avesse voluto restare da sola, Bianca non seppe rifiutare. Forse avere qualcuno lì accanto l’avrebbe aiutata a calmarsi; o meglio, imporsi di restare calma per non sfigurare una seconda volta. Perciò lo seguì, in silenzio, e per sua fortuna durante il tragitto non parlarono: Gumshoe non fece domande, né tentò di intercedere per il suo capo. Per questo, Bianca lo ringraziò tra sé e sé, tenendosi occupata, alla ricerca di un modo per convincere definitivamente Edgeworth. Aveva bisogno di una prova schiacciante, ma quale?

Dopo alcuni minuti, il gruppo si ritrovò nel parcheggio del supermercato frequentato dalla signora Jones. Presso l’infopoint, il detective prese a interrogare gli addetti all’assistenza clienti, chiedendogli infine di poter visionare i filmati delle videocamere di sorveglianza.
La signora Jones era stata lì il giorno dell’omicidio. Con i suoi stessi occhi, Bianca la vide girare tra gli scaffali, in mano la lista della spesa; dal braccio penzolava la stessa piccola borsa di Louis Vuitton che aveva visto durante l’interrogatorio. Nulla di strano, fino a quando non vide litigare la donna con un commesso.
- Sembra parecchio arrabbiata… - osservò il detective.
- Lo sportello ATM era fuori servizio e la signora Jones diceva che non poteva pagare con la carta di credito. - spiegò il sorvegliante. - Il che è strano, perché viene sempre qui a fare compere e paga solo con carta.
Bianca rifletté. Una persona che paga in formato elettronico non teme di essere tracciata. La ragazza, allora, ebbe un’idea. E se la signora Jones possedesse più metodi di pagamento a sua disposizione? In uno, avrebbe messo la somma che desiderava tenere per sé e l’altra, invece, avrebbe raccolto i miseri soldi dell’ex marito. Entrambi inaccessibili al figlio, affinché non potesse scoprire la verità. Bianca guardò Edgeworth, con lo sguardo fisso sugli schermi della videosorveglianza. Voleva, desiderava intervenire, ma aveva senso aiutarlo dopo il modo in cui l’aveva trattata? Avrebbe finito per rimproverarla ancora, accusandola di complicare le indagini inutilmente, perché chissà quanto tempo si doveva aspettare per l’analisi dei movimenti di un conto corrente. Per un momento, i loro occhi si incontrarono. Tuttavia, per la prima volta, Bianca non riuscì a sostenere il suo sguardo. Ancora bruciavano le parole che le aveva rivolto. Lui non poteva saperlo, non gliene faceva una colpa. Era stato il tono arrogante a farla infuriare, come se lei non potesse sapere nulla dell’amore tra madre e figlio, semplicemente perché lei non ne aveva memoria. Gli occhi presero a pizzicarle.
Prima di congedarsi, il gruppo fece il punto della situazione. In casa Williams-Jones, non c’erano soldi. Il vicinato sosteneva l’esistenza di un buon rapporto tra padre e figlio e la cattiva condotta della signora Jones. Infine, l’alibi della donna era saldo.
- Romano, l’ho vista impaziente di dirmi cosa pensa. - intervenne Edgeworth, alzando un sopracciglio. - Mi auguro che, dandole il permesso di parlare, non mi deluda.
Bianca inspirò profondamente. Non voleva dargliela vinta.
- Sostengo tuttora la mia teoria, seppur sia conscia che non possa essere provata nell’immediato.
- Sentiamo, sono curioso stavolta. Può illustrarmela di nuovo? - le chiese con tono canzonatorio.
- Ma certo. - e gli sorrise forzatamente. - Padre e figlio non si vedevano da molto tempo. Stando a come appare la signora Jones, specie dopo aver ascoltato le testimonianze dei vicini di casa, ho ragione di credere che lei abbia lentamente convinto il figlio della cattiva condotta del padre, manipolandolo, con l’obiettivo di tenere per sé i soldi.
- Per quale motivo?
- Credo che il suo obiettivo fosse vendicarsi dell’ex marito. - rifletté la ragazza ad alta voce.
- Ha senso. - si inserì Gumshoe, nel tentativo di tenere sotto controllo i suoi animosi interlocutori. - I dentisti vengono pagati bene e dopo la separazione, non credo che la signora Jones abbia potuto mantenere il suo stile di vita originario. E questo non cozza con la presenza di quella borsetta di lusso che ha notato Romano.
- E secondo entrambi, dove sono finiti i soldi che la signora Jones avrebbe tenuto per sé?
- Un metodo di pagamento nascosto. - affermò Bianca. - Chiunque ha più di una carta di credito, non è così strano. Forse, quel giorno la carta che utilizza frequentemente non funzionava e per non tracciare il pagamento con l’altra carta, ha pensato di prelevare un po’ di soldi. Questo potrebbe spiegare il perché non ha potuto mostrare lo scontrino.
- Se la mettiamo in questi termini, la stessa accusa può essere mossa nei confronti di Kevin Williams, ma mi sembra di capire che lei sia troppo impegnata ad attaccare la signora Jones per considerare questa seconda ipotesi.
- Signore, mi ha chiesto di illustrarle la mia idea, sta a lei accoglierla o meno. In fin dei conti, io sono solo un’umile stagista. Quello che mi preme è fare giustizia e io credo che Kevin Williams non sia il solo responsabile di questo omicidio. Credevo, inoltre, che a lei piacesse avere un registro di condanne perfetto. - concluse acidamente Bianca.
Edgeworth aprì bocca, visibilmente infastidito, ma il detective si frappose tra i due, mettendo fine a quello spiacevole teatrino fatto di frecciatine e sarcasmo.
- Abbiamo un quadro completo della situazione ora, direi che non sarà difficile sbattere in galera Williams. Ricordate che il processo è stato fissato per domani alle tre del pomeriggio. E tu guarda che ora si è fatta! - osservò, battendo l'indice sull’orologio. - Ci siamo tutti meritati un sano riposo. Romano, l'accompagno a casa?
- Non ce ne sarà bisogno. - gli disse gravemente. - Ne approfitto per fare la spesa già che sono qui. A domani e grazie.
Non udì alcun saluto, allontanandosi presto per non dover ancora sopportare la presenza del procuratore. Stava stringendo talmente forte i pugni da affondare le unghie nei palmi.

- Fanculo!  - esclamò a gran voce Bianca.
Per la rabbia lanciò la busta sul pavimento. Scosse i piedi per liberarsi dalle scarpe, esausta, per poi lasciarsi scivolare lungo lo stipite. Respirava velocemente, affannata e accaldata. Passò la mano sulla fronte, chiudendo gli occhi, contando fino a dieci, ma niente sembrava essere in grado di aiutarla a ritrovare la calma e il buon senso. E lentamente, senza accorgersene, si lasciò andare a un sommesso pianto. Odiava piangere, odiava vedersi così debole. E tutto questo per un uomo, o meglio, la persona incaricata della sua formazione, della sua crescita professionale. Ora poteva rispondere alla propria curiosità su chi fosse Miles Edgeworth: un essere spregevole, che si credeva superiore a tutto e a tutti; i giornalisti nemmeno si avvicinavano alla cattiveria che quell’essere trasudava. Imprecò ancora, dando sfogo alla sua esasperazione e allo sconforto.
- Cosa direbbero mamma e papà vedendomi così? - si chiese, singhiozzando. - Cosa direbbero se fossero qui?

Chiuso nel suo ufficio, Edgeworth sorseggiava dalla sua tazza. Poco prima, era arrivato il facchino del Gatewater Hotel a portargli il té, che amava bere per prepararsi a un’altra serata intensa di lavoro. Era stata una giornata faticosa, ma soddisfacente. Quasi perfetta, se non fosse stato per la faccia tosta di quella ragazzina, Bianca Romano. Una testa calda che non sapeva stare al suo posto. Non sarebbe sopravvissuta un singolo giorno sotto l’ala del suo vecchio maestro, ne era convinto. Eppure, aveva un occhio attento, questo era innegabile. Doveva solo metterla in riga, per il bene di entrambi.
Volse lo sguardo sulla postazione della ragazza, in ordine. Poi poggiò la tazza e vi si avvicinò, girandovi attorno. Perlomeno era una persona ordinata e meticolosa; non avrebbe mai sopportato la vista di un ufficio malmesso. Infine, vide la cornice in legno e la fotografia che conteneva. Ad attrarre inspiegabilmente la sua attenzione, fu il sorriso di Bianca, all’epoca una bambina di poco più di tre anni, tra le braccia del padre. Un profondo disagio gli asciugò la gola e la bocca. Si ritrasse, infastidito e sorpreso. Che Romano non avesse mentito a proposito, era ovvio, ma lui di certo non doveva sentirsi in colpa per averle detto semplicemente la verità; per averla rimproverata per una mancanza sul posto di lavoro. Una conferma all’insegnamento del suo maestro: mai lasciarsi sopraffare dai propri sentimenti, perché il sentimentalismo è per deboli. Edgeworth mise da parte qualsiasi ripensamento avesse avuto e tornò a lavoro.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 1.6. Il primo caso: Williams-Jones, ultima parte ***


Bianca si guardò allo specchio. Inspirò a fondo, chiudendo gli occhi, poi prese a picchiettare le guance e infine, si rivolse al proprio riflesso.
- Allora, abbiamo avuto un momento di panico e furia omicida, ma ora va tutto bene! Adesso sai cosa facciamo? Ci facciamo carine, ci vestiamo bene e diamo del nostro meglio in ufficio, perché il mondo non finisce a causa di uno stronzo di nome Miles Edgeworth.
Fortunatamente la notte era bastata a portare a Bianca sollievo e a scacciare i suoi pensieri intrusivi. Non si era alzata con il buonumore, ma almeno era riuscita a fare colazione senza sforzarsi di mangiare.
Durante il tragitto in bus, approfittò dell’attesa per rispondere ai messaggi da parte di Giovanni, scusandosi con lui per non essersi fatta sentire la sera prima. Ero parecchio stanca, l’investigazione è durata molto, gli scrisse. Mossa dalla vergogna, però, non gli parlò della discussione avuta con Edgeworth. D’altronde, non aveva bisogno di pensarci ancora e rischiare di rovinare la sua giornata di lavoro; la terza di una ancora lunga serie. Quando il fratello l’aveva chiamata, lo aveva detto con tono scherzoso, ma dopo quanto accaduto, Bianca aveva davvero iniziato a prendere in considerazione l’idea di non rinnovare il suo periodo di praticantato e rifugiarsi in un tranquillo studio di avvocati. In fin dei conti, anche così avrebbe realizzato il suo sogno e magari, avrebbe potuto evitarsi un secondo esaurimento nervoso.
Prima di dirigersi verso l’ufficio, essendo in largo anticipo, la ragazza si trattenne nella caffetteria per bere del caffè. Lì trovò Nasha, venuta per lo stesso motivo. Dalla sua tazza, tuttavia, proveniva un intenso profumo di limone: doveva trattarsi di té al bergamotto.
- Hai già preso l’abitudine ad arrivare in anticipo sul lavoro? - le chiese, sorridendole.
- Già, ordini del capo. - scherzò acidamente Bianca. - Oggi, poi, sarà piuttosto nervoso, perché questo pomeriggio dobbiamo partecipare al processo.
- Che fortuna, da me ancora nulla di eccitante. - e la collega sbuffò.
Infatti non c’era niente di più eccitante di un tutor che ti sputava addosso insulti colpendoti nel punto più debole. Bianca alzò gli occhi al cielo.
- Non ti faccio perdere altro tempo allora, ci vediamo in mensa più tardi?
Bianca annuì, ricambiò il saluto di Nasha e dopo aver bevuto velocemente il suo caffè, si diresse verso l’ufficio del procuratore. Una volta arrivata di fronte alla porta, la ragazza trasse un profondo respiro.
- Cosa ci siamo dette oggi? - ricordò a se stessa, sottovoce. - Va tutto bene. Fai del tuo meglio. Ma soprattutto, non perdere tempo a discutere con un testardo come lui.
Bianca bussò, per poi entrare, incrociando lo sguardo di Edgeworth, già seduto alla sua scrivania intento a consultare dei documenti.
- Buongiorno, signore. - lo salutò.
- A lei.
Svelta, si sedette a sua volta, sistemando il computer e l’agenda. La aprì sulla pagina di quel giorno dove, sottolineato, era stato appuntato l’orario del processo.
- Ripassi tutto ciò che abbiamo raccolto finora. Inoltre, ho in programma un colloquio questa mattina, perciò prenda appunti. - parlò Edgeworth.
Dopodiché l’uomo passò alla ragazza il blocco di fogli che stava consultando.
- Dobbiamo interrogare ancora Kevin Williams?
- No, ho fissato un appuntamento con l’avvocato divorzista dei signori Williams Jones, arriverà qui tra un paio di minuti.
Bianca non poté fare a meno di guardare il procuratore, visibilmente sorpresa. Possibile fosse riuscita, almeno in parte, a convincerlo della sua teoria? Non sapeva spiegarsi altrimenti il bisogno di acquisire nuove informazioni. E chi meglio dell’avvocato che presenziava agli incontri dei due ex coniugi! Forse era proprio questa la prova cruciale di cui Bianca aveva bisogno per provare la sua ipotesi. Non aggiunse altro, per non tradire la propria impazienza, e si concentrò sui documenti del caso, studiandoli a fondo in attesa dell’incontro.

L’avvocato divorzista dei coniugi Williams-Jones rispondeva al nome di Teddy Wasser, un uomo sulla quarantina d’anni, dai modi sicuri e decisi. Per ogni domanda del procuratore, aveva la risposta pronta. Nessun cedimento, né tentennamento. Una sicurezza che rassicurò Bianca sulla veridicità della testimonianza dell’avvocato.
- Kevin Williams ha mai presenziato agli incontri tra i suoi genitori?
- No, come da regolamento. Si tratta di un incontro privato tra ex coniugi, un figlio porterebbe a una situazione di conflitto.
- Durante questi incontri, è mai stato affrontato il rapporto tra genitori e figlio?
- Negli ultimi tempi, spesso. Sembra che la signora Jones negasse la possibilità all’ex marito di potersi incontrare con il figlio.
- Per quale ragione?
- Sosteneva che il figlio non fosse interessato, o meglio, che non sopportasse la vista del padre. In questi casi, trattandosi di un uomo adulto, è ovvio che non si poteva andare contro il suo volere.
- E come reagiva il signor Williams?
- Scoppiava in lacrime.
Bianca annotò con cura ogni informazione utile. Mano a mano che l’interrogatorio proseguiva, la sua tesi acquisiva sempre più credibilità.
- Uno spettacolo davvero pietoso. - si concesse di dire Wasser, sincero. - Il signor Williams voleva molto bene al figlio nonostante la sua aria un po’ burbera e vecchio stile.
- La signora Jones sostiene che l’ex marito non rispettava i termini di liquidazione degli alimenti. È corretto?
- Assolutamente no. Ho anche portato con me la documentazione che lo attesta, vi sono copie degli assegni rilasciati dal signor Williams.
L’avvocato consegnò una cartella a Edgeworth, che la consultò velocemente. A un tratto, Bianca lo vide alzare un sopracciglio: aveva trovato qualcosa di interessante. La ragazza provò a sbirciare a sua volta, curiosa. In una mano, il procuratore teneva le copie degli assegni: su ognuna di esse era stampata la data di emissione. Nell’altra mano, invece, Edgeworth reggeva la copia del contratto di divorzio, nel quale erano elencati gli accordi presi dagli ex coniugi. Ancora una volta, osservò la ragazza, l’avvocato Wasser aveva detto il vero: il signor Williams pagava nei tempi stabiliti e rispettando la somma pattuita.
- Tra questi documenti sono presenti anche i dati bancari della signora Jones e del signor Williams?
- Solo per formalità, perché non siamo autorizzati a svolgere controlli approfonditi, a meno che non vi siano motivazioni gravi. E anche in tal caso, è competenza delle autorità indagare eventuali irregolarità.
Dopo un breve saluto, Edgeworth lasciò uscire il signor Wasser, soddisfatto del colloquio avuto. Solo allora Bianca gli consegnò i propri appunti per farglieli consultare. Rimase in attesa, in piedi accanto al suo tutor. Il silenzio creatosi si fece subito pesante. Con le mani nascoste dietro la schiena, la ragazza giocherellava nervosamente con le dita per tenere a bada la tensione.
- Romano.
Il richiamo di Edgeworth mise Bianca sull’attenti. Lei serrò le labbra, preparandosi a subire una nuova ramanzina.
- Aveva ragione. - pronunciò, infine, il procuratore a fatica.
Lei quasi sobbalzò per la sorpresa. Dentro di sé, invece, si stava già complimentando profusamente per il proprio acume. Sparì così il ricordo delle lacrime versate e delle maledizioni lanciate il giorno prima; il celebre procuratore Miles Edgeworth non era così stronzo come aveva pensato. Certo, Bianca aveva dovuto stringere i denti e sopportare i suoi continui richiami, ma almeno era riuscita a provare la sua bravura.
Ignaro dell’entusiasmo della ragazza, Edgeworth congiunse le mani, poggiando i gomiti sul tavolo, riflessivo.
- A questo punto, il processo può concludersi solo in un modo. Sa cosa intendo?
La ragazza vi rifletté, recuperando la propria agenda, scorrendo tra gli appunti e le annotazioni.
- Lei porta avanti la tesi di un collaboratore all’omicidio senza movente, né prove schiaccianti e il giudice non la prende sul serio. - asserì, sicura di sé. - Davvero un peccato non aver potuto raccogliere in tempo la documentazione dell’avvocato Wasser. È pur sempre vero che potrebbe usare a suo vantaggio la regola numero due riguardo l’utilizzo delle prove non registrate, ma per quanto possano servire ai fini del processo, non bastano per coinvolgere la signora Jones in questa faccenda. Manca un resoconto del conto, o dei conti correnti intestati a suo nome per poter provare la presenza di movimenti sospetti. Oh, dimenticavo, manca anche un movente forte.
- Corretto.
Era la prima volta che le dava ragione a parole. Nonostante lo avesse udito con le proprie orecchie, Bianca ancora stentava a crederci. Come avrebbe voluto registrare quel momento, per sé e per chi non aveva creduto nelle sue capacità. Anche per Edgeworth, affinché non si rimangiasse quanto affermato.
- Sono sicura che saprà come gestire la situazione. - lo rassicurò, volendo ricambiare la sua gentilezza.
- Come sempre.
Breve, ma intenso, pensò Bianca, appagata per quella piccola concessione.
- Non c’è tempo a sufficienza né per interrogare la signora Jones, né per chiamarla in giudizio. Posso solo augurarmi che l’avvocato difensore di Williams sia uno sciocco incapace. Nel frattempo, mi premurerò di avvisare Gumshoe per avviare una nuova indagine. Solo allora, anche la signora Jones risponderà delle proprie colpe. - concluse il procuratore.
Solo allora, disse Bianca tra sé e sé, avrebbe portato a termine il suo compito: fare giustizia. Ottimo modo di iniziare la giornata!

Conclusa di tutta fretta la sua pausa pranzo per non tardare, Bianca tornò in ufficio per recuperare la borsa e la giacca. Era già in accordo con Edgeworth per incontrarsi di fronte all’ingresso del tribunale, che si trovava a pochi minuti di distanza dal Pubblico Ministero. Una camminata l’avrebbe aiutata a tranquillizzarsi in vista del processo. In realtà, non era la sua prima volta all’interno di un tribunale, eppure, ancora provava un certo timore a entrare in un’aula; almeno quel giorno qualcuno l’avrebbe accompagnata.
Di fronte lo scalone, ad aspettarla, stavano Edgeworth e Gumshoe. Bianca li salutò da lontano, affiancandoli per entrare. In attesa di ricevere indicazioni sull’aula scelta per lo svolgimento del processo, la ragazza si guardò intorno. Come in un giorno feriale qualsiasi, il tribunale gremiva di ufficiali di polizia, avvocati, impiegati e civili.
- Williams Jones, aula quattordici. Attendete di venir chiamati nella sala di ricevimento. - parlò l’addetto all’accoglienza.
Bianca si stupì dell’eleganza di quella piccola sala d’aspetto, che nulla aveva da invidiare a quella riservata al pubblico, sobria e un po’ triste. Edgeworth si sedette sul divanetto, estraendo le carte per un’ultima consultazione. La ragazza, invece, rimase in piedi, lasciandosi distrarre dalle chiacchiere del detective.
- Allora, è la sua prima volta in tribunale?
- Dietro al banco della procura, sì. Sono curiosa, come gestisce i processi il procuratore Edgeworth?
Bianca ripensò all’articolo di giornale mostratole da Adams. Probabilmente il detective era la persona meno indicata per rispondere a una simile domanda, data l’alta opinione che questi nutriva per il procuratore. La curiosità, tuttavia, era troppo forte.
- Lo vedrà, è imbattibile! - esclamò fieramente Gumshoe. - Riesce sempre ad avere l’ultima parola e non sbaglia una mossa. Non per nulla è considerato un prodigio dai suoi colleghi. Non si è mai visto, fatta eccezione per il suo maestro, il vecchio von Karma, un procuratore così giovane al pubblico ministero.
- Giovane? Quanti anni ha? - e Bianca abbassò la voce.
- Credo ventiquattro. - rifletté il detective, grattandosi il mento.
La ragazza sgranò gli occhi, sconvolta. Com’era possibile che il suo tutor avesse solo qualche anno in più di lei? Di tutti i gossip che uscivano dalla bocca di Cosby, il collega si era dimenticato di menzionare il più importante.
- È maleducazione parlare sottovoce di fronte a un terzo interlocutore. Ho ragione di credere che non vogliate farvi sentire dal sottoscritto. - intervenne Edgeworth, infastidito. - Romano, anziché spettegolare, venga qui. Devo chiederle un’ultima cosa.
- Mi scusi, signore. - pronunciò Bianca, ancora stranita. - Mi dica.
- Io so già come dirigere questo processo. Ma se lei si trovasse al mio posto, cosa farebbe? Rischierebbe ugualmente di provare il coinvolgimento della signora Jones o aspetterebbe?
Per una volta l’uomo sembrava chiedere la sua opinione non per sbeffeggiarla, quanto per testare la sua moralità.
- Aspetterei, ma non solo per mancanza di prove. Kevin Williams ha già capito che la propria vita è rovinata e sapere per mano di chi, davanti a degli sconosciuti, potrebbe spingerlo a compiere qualcosa di avventato. È indubbiamente colpevole dell’omicidio, ma prima di essere un criminale, è soprattutto un essere umano che ha diritto di sapere quanto realmente accaduto in privato e in totale sicurezza.
Proprio come quando stava consultando la cartella dell’avvocato, Edgeworth alzò un sopracciglio. La conversazione fu interrotta dall’ingresso in sala di una guardia giurata.
- Il processo sta per iniziare. Vi prego di seguirmi in aula.

L’area riservata al pubblico gremiva di gente, intenta a chiacchierare in attesa dell’inizio del processo. Inspirando a fondo, Bianca poggiò i propri appunti e i documenti del procuratore Edgeworth sul banco, guardandosi intorno con fare nostalgico. L’aula non era così diversa dalle altre in cui era già stata. Al centro, tra i banchi della difesa e della procura, svettava il posto riservato al giudice. L’effetto era pressoché melodrammatico e stonava con la sobrietà dell’arredamento. Chissà chi avrebbe presenziato al processo quel giorno, Bianca aveva visto diversi uomini e donne in toga: c’era il giudice severo, quello che si lasciava andare a qualche battuta; insomma, di tutti i tipi e colori. Ma era ancora più curiosa dell’effetto che la presenza di Miles Edgeworth avrebbe causato. Timore? Riverenza? Nel frattempo, dall’ingresso opposto comparve l’avvocato difensore. Avendo cura di non farsi scoprire, Bianca prese a osservarlo con curiosità: abiti eleganti, capelli tirati a lucido, ventiquattrore alla mano; un avvocato nella norma, pensò lei. Edgeworth entrò proprio in quel momento. Non appena l’avvocato incrociò il suo sguardo, si nascose dietro alla valigetta, fingendosi occupato.
- Iniziamo bene. - si lasciò scappare Bianca, scuotendo la testa.
- Questo è quello che si ottiene quando si è il miglior procuratore del distretto. - intervenne Edgeworth, per nulla sorpreso della reazione dell’avversario.
Bianca si trattenne dal dirgli che quello che stava confondendo come ammirazione e rispetto, fosse in realtà puro terrore, preferendo accertarsi di non essersi dimenticata i suoi appunti. Udì poi provenire un mormorio dalla folla, seguito dagli ordini di un agente di polizia che la invitava alla calma: doveva essere arrivato anche Kevin Williams.
Quando entrò il giudice, il pubblico smise subito di parlare. Edgeworth e l’avvocato lo salutarono, dichiarandosi pronti per affrontare il processo. L’uomo in toga, allora, batté il martello, che riecheggiò per tutta l’aula.
- Oggi abbiamo a che fare con un omicidio a dir poco doloroso. - pronunciò il giudice gravemente. - Kevin Williams è accusato di aver ucciso il padre per motivi economici e dissidi interni. Se posso permettermi di dire la mia… Ragazzo, la situazione in cui ti trovi è a dir poco svantaggiosa.
Kevin abbassò lo sguardo con fare colpevole.
- Avvocato Keller, mi duole ammetterlo, ma oggi temo che non farò sconti. Non che li abbia mai fatti a dire il vero. - concluse l’uomo.
Bianca incrociò le braccia sul petto, perplessa. Ottimo, parlò tra sé e sé, ci mancava solo il giudice che dice tutto quello che gli passa per la testa.
- Vostro onore, potrei stupirla. - dichiarò Keller, deglutendo rumorosamente.
- Siamo all’interno di una corte, non di un circo. - lo corresse Edgeworth, severo, accennando infine a un inchino. - Vostro onore, le assicuro che il caso è più semplice di quel che crede.
- Mi fido della sua parola, procuratore Edgeworth. Come sempre. Inizi pure.
Anche il giudice pendeva dalle labbra del suo tutor. Ma che razza di processo li attendeva?
Edgeworth chiamò al banco dei testimoni il detective Gumshoe, che gli diede supporto nella disamina del caso e delle prove a sostegno dell’accusa. Il procuratore si muoveva in totale sicurezza, come se fosse nel suo habitat naturale: non balbettava, non cedeva e sapeva esattamente quali parole utilizzare per tenere in pugno il giudice. Non che fosse un compito difficile, persino Bianca, alle prime armi, ci sarebbe riuscita. Quel vecchietto dalla barba grigia sembrava particolarmente volubile. Era convinta, inoltre, di essere stata oggetto di qualche sua occhiata curiosa.
- Proprio come temevo. - intervenne il giudice, scuotendo la testa. - Non c’è molto da salvare qui, avvocato Keller. Per quel che mi riguarda, potrei dare seduta stante un verdetto. Anche perché ho in programma una cena piuttosto deliziosa in un ristorante di lusso e non ho intenzione di fare tardi! Mi auguro che, qualunque cosa abbia in serbo per noi, non ci faccia perdere ulteriore tempo.
- No, vostro onore. - e l’avvocato si schiarì la voce, imbarazzato. - Chiamo al banco dei testimoni la signora Jones, madre dell’imputato.
- Obiezione! - ed Edgeworth batté la mano sul banco.
Bianca sussultò, portandosi una mano sul cuore.
- Per quale motivo? - chiese il giudice, sbattendo le palpebre, sorpreso a sua volta.
- Vostro onore, la signora Jones non era presente al momento dell’omicidio. Potrà solo dirle quel che ha visto ad atto concluso. Non vedo come possa esserci d’aiuto ai fini del verdetto.
E serviva sbattere la mano sul banco per dirlo? La ragazza sospirò stancamente. Certo che Edgeworth si faceva prendere un po’ troppo dal suo lavoro.
- Obiezione! - ribatté Keller, meno convinto. - Ci permetterà di mettere in luce molte cose. Non la tratterrò molto, vostro onore.
- Non deluda le mie aspettative allora. Fate entrare la testimone.
Un gruppo di agenti scortò la signora Jones all’interno dell’aula. Bianca notò immediatamente quanto fosse diversa dalla prima volta che l’aveva incontrata: indossava abiti più semplici, camminava con lo sguardo abbassato e viso e capelli erano meno curati; la borsa di Luois Vuitton era sparita. Se si trattasse di una strategia o meno, solo il tempo lo avrebbe chiarito.
Dopo un rapido scambio di saluti, il giuramento alla costituzione e la presentazione della testimone, l’avvocato difensore diede inizio al suo controinterrogatorio. Seppur in presenza di informazioni già note, Bianca ascoltò attentamente. Contrariamente a quanto lei ed Edgeworth avevano sperato, Keller era un avvocato capace. Quel che preoccupò subito Bianca fu la sua strategia: spostare l’attenzione sul presunto atteggiamento ostile e irrispettoso del signor Williams.
- Sappiamo che lei non era presente al momento dell’omicidio. Può confermare?
- Esatto, avvocato.
- Tuttavia, sapeva che suo figlio e il signor Williams dovevano incontrarsi. O mi sbaglio?
- Sì. - confermò ancora la signora Jones. - Anche se non so di cosa dovessero parlare di preciso.
- Ha qualche idea a riguardo?
- Forse delle solite cose, università e soldi. Il mio piccolo Kevin non stava passando un buon periodo, non riusciva più a studiare come si doveva a causa del lavoro e Benedict non voleva più sostenerlo economicamente… Per essere più precisi, non voleva più sostenere né me, né lui.
- Ha notato qualcosa di anomalo prima di andarsene dalla sua abitazione?
- Niente che non avessi previsto. Infatti, Kevin ha insistito affinché uscissi. Credo volesse proteggermi.
- Da cosa?
Bianca trattenne il respiro. Il dibattito stava pericolosamente virando altrove.
- Il mio ex marito era… un violento.
Qualcosa scattò nella ragazza. Un terribile senso di déjà vu le strinse lo stomaco, obbligandola ad aggrapparsi al bancone. La folla trattenne a stento la sorpresa. Il giudice batté il martelletto.
- Ordine! Ordine in aula! - tuonò. - Signora Jones, sa di aver appena mosso un’accusa grave?
- Io non mento a riguardo, vostro onore. - e la donna prese a singhiozzare.
- Ho le prove a conferma di ciò. - parlò per lei l’avvocato difensore. - Per cortesia, potreste accendere il proiettore?
Una guardia giurata eseguì la richiesta, montando uno schermo al centro dell’aula dove comparvero immagini a dir poco agghiaccianti. Bianca dovette volgere lo sguardo altrove, trattenendo a stento la nausea. Sentì un brivido percorrerle la schiena e irrigidirle i muscoli. Edgeworth, invece, batté il pugno sul banco, allibito.
- Signora Jones, perché non ci ha detto di essere vittima di violenza domestica! - sbottò, furioso.
- Io… - balbettò la donna, asciugandosi il volto. - Non amo parlarne. Me ne vergogno molto.
- Mamma, non devi, non è colpa tua. - intervenne Kevin, addolorato nel vedere la madre posta sotto giudizio.
- Benedict Junior Williams era un uomo violento. Quei lividi, quegli ematomi ne sono la prova schiacciante. La signora Jones non era presente al momento dell’omicidio, perché l’imputato aveva previsto una simile escalation dei fatti. - concluse gravemente Keller. - Secondo quanto testimoniato da quest’ultimo, la discussione è degenerata e inevitabilmente, la vittima deve essere passata alle mani. Vostro onore, si è trattato di difesa personale.
Bianca si schiarì la voce nel tentativo di ricomporsi. Ogni scenario previsto andò in frantumi. Incapace di formulare altre ipotesi, sospirò pesantemente. Voleva uscire, aveva bisogno d’aria fresca per tornare lucida.
- Obiezione! - parlò finalmente Edgeworth, ricompostosi in fretta. - Supponiamo sia questo il caso. Perché sul corpo di Kevin Williams non sono presenti gli stessi lividi ed ematomi?
L’avvocato Keller indietreggiò, colpito alla sprovvista. Bianca guardò il suo tutor, cercando di aggrapparsi alla sua voce per rimanere vigile.
- Può provarlo, procuratore Edgeworth? - chiese il giudice, perplesso.
- Vostro onore, non sono state trovate tracce biologiche appartenenti all’imputato sulla scena del crimine. Infine, l’analisi diretta sul corpo di Kevin Williams, della quale si è occupato il medico legale, non ha segnalato alcuna anomalia. Se serve, ho il documento che può attestarlo.
- Non per forza in uno scontro devono ferirsi entrambe le parti. - arrancò Keller.
- L’unico ferito è stato il signor Williams, più volte se mi è concesso dirlo. Inoltre, l’imputato ha dichiarato di avere ricordi confusi circa l’incontro. L’unico elemento che ha affermato con certezza è che suo padre, per tutta la durata della discussione, è rimasto in silenzio. E ciò è in linea con quanto descritto nell’autopsia, secondo la quale Benedict Junior Williams non ha nemmeno provato a difendersi. Si è lasciato infliggere tutte quelle coltellate. - rivelò Edgeworth, sventolando la copia dell’analisi del coroner.
- Questo perché… - accennò timidamente Bianca.
- Tra padre e figlio i rapporti erano ottimi, finché qualcosa o qualcuno non si è frapposto tra loro. - continuò Edgeworth, regalandole un cenno di assenso.
Alla fine, concluse Bianca, il procuratore aveva deciso di correre il rischio.
- E ci sono diversi testimoni che possono provarlo. - azzardò la ragazza, memore delle conversazioni con i vicini dei Williams-Jones.
L’avvocato Keller passò una mano sulla fronte sudata.
- Non vorrete dirmi, voi due, che l’imputato aveva premeditato l’omicidio del padre? Inaudito! - esclamò il giudice, allibito.
- No, vostro onore! - si intromise la signora Jones, disperata. - Mio figlio voleva solo proteggermi. Non avete idea delle terribili cose che suo padre diceva sul mio e sul suo conto.
- Questo non giustifica l’omicidio, signora Jones. - tagliò corto Edgeworth. - E non libera suo figlio dalla colpa di aver ucciso il suo stesso padre. Avvocato Keller, ero convinto che non avrebbe fatto perdere tempo alla corte e invece, è proprio quello che sta facendo.
- Lei è un barbaro, procuratore. Ha un cuore di ghiaccio. - lo ammonì l’avvocato difensore. - Come può rimanere indifferente di fronte a quelle fotografie? A quei vividi segni ed ematomi?
- Semplicemente sapendo che il processo non verte sul suddetto argomento. - ed Edgeworth incrociò le braccia, tamburellando le dita impaziente. - Abbiamo già appurato l’inconsistenza della sua teoria. Date le circostanze, potrei anche dubitare della veridicità di quelle fotografie.
Di nuovo la folla eruppe, questa volta sconcertata dalle parole del procuratore, e il giudice cercò di sedarla battendo il martello. Fu in quel momento che Bianca capì il motivo dietro l’astio nei confronti di Miles Edgeworth, così come capì una volta per tutte perché era stata assegnata a lui.
- Che essere spregevole… - tuonò Kevin Williams, presto zittito dal giudice.
- Signore, non è visto di buon occhio puntare il dito contro la presunta vittima di violenza. - sussurrò Bianca a Edgeworth. - Specie se a farlo è un uomo.
- Dovrebbe saperlo anche lei, Romano, che una fotografia oggigiorno può essere facilmente ritoccata. Nulla mi vieta di credere che, nel peggiore dei casi, la signora Jones possa essersi autoinflitta quei lividi. I criminali possono arrivare a tutto pur di farla franca.
La ragazza non rispose, profondamente combattuta. La possibilità c’era, doveva ammetterlo, ma il caso si era fatto così complicato che scegliere quella strada era pericoloso. Se Edgeworth avesse sbagliato, sarebbe stato sottoposto alla gogna mediatica. Lei, invece, non solo avrebbe dovuto nascondersi dai colleghi, ma anche convivere con un nuovo senso di colpa.
- Vostro onore, se mi è concesso, vorrei chiamare il mio testimone. - intervenne il procuratore, ignorando i timori di Bianca. - Si tratta di un vicino di casa dei signori Williams Jones, viene qui a nome di tutto il vicinato per illustrare quanto hanno visto e sentito in questi anni. Pur non essendo presente al momento dell’omicidio, può aiutare a far luce sui rapporti che circolavano all’interno della famiglia.
- Avvocato Keller, ha da ridire a riguardo? - chiese il giudice, alzando un sopracciglio.
- No, vostro onore. - sentenziò acidamente l’avvocato.
L’anziano signore fece il suo ingresso in aula poco dopo. Tra le mani reggeva una lettera, firmata dagli altri anziani del condominio, che lesse a voce alta, raccontando quanto Bianca ed Edgeworth avevano già sentito. Mano a mano che proseguiva il suo racconto, la ragazza notò l’espressione sul viso di Kevin cambiare drasticamente. La rabbia e la tristezza cedettero posto a un agrodolce nostalgia; il ricordo di anni felici e spensierati, quando ancora i suoi genitori si amavano e lui non era che un bambino ignaro di quanto poi sarebbe accaduto.
- In conclusione, non abbiamo mai notato, né sentito qualcosa che potesse insospettirci e spingerci a intervenire. Benedict Junior Williams era un uomo serio, rispettabile e pronto ad aiutare il prossimo. L’abbiamo visto crescere il piccolo Kevin. Amava profondamente suo figlio e sua moglie e avrebbe fatto qualsiasi cosa per dargli la vita che meritavano. Anche dopo la separazione, spesso si recava al nostro vecchio condominio, nella speranza di trovarvi Kevin per parlargli e trascorrere del tempo insieme. La signora Jones, però, non glielo ha mai permesso, di questo ne siamo tutti certi.
L’avvocato Keller, per nulla soddisfatto, si rivolse al giudice.
- Vostro onore, non vedo come questa testimonianza possa essere utile a contraddire le prove che ho portato in aula.
- Si tratta pur sempre di un’osservazione terza. - lo corresse quest’ultimo.
- Ma non imparziale. La signora Jones mi ha più volte confermato quanto fossero tesi i rapporti con il vicinato.
- Tutti all’interno di quel condominio mi odiano… - intervenne la donna, questa volta visibilmente stizzita. - Sento che parlano male di me, di come, a detta loro, non mi prenda cura di mio figlio e lo controlli. Non mi sorprenderebbe se si fossero messi d’accordo per sotterrarmi!
- Perché mai dovremmo? - ribatté l’anziano, affranto. - Non nascondiamo il fatto che ci è parso strano questo improvviso raffreddamento nei vostri rapporti, ma non scenderemmo mai così tanto in basso. Tutti vogliamo bene a Kevin come se fosse nostro nipote e siamo addolorati nel vederlo dietro il banco degli imputati, accusato di un crimine.
L’anziano venne presto congedato. Il giudice aggrottò la fronte.
- La faccenda è più complicata di quel che sembra. - asserì, poco convinto.
Bianca guardò Edgeworth. Sul suo volto, non una singola traccia di rimorso o insicurezza.
- È innegabile la colpevolezza del signor Williams, ma le prove non sono sufficienti per sostenere che si è trattato di legittima difesa. Per non parlare, poi, di quest’ultima testimonianza che getta una nuova luce su quanto appreso finora. Sembra che anche lei, signora Jones, abbia ancora molto da dirci.
La donna guardò il giudice, ferita e allibita. Kevin, invece, protestò fermamente.
- Davvero sta mettendo in discussione quanto ha affermato mia madre? Dopo tutto quello che ha dovuto sopportare? Lei è un pessimo giudice! Ho fatto tutto questo per difenderla, affinché non dovesse più soffrire per mano di quello stupido vecchio che io chiamavo padre! Lasciatela stare, qui la vittima è lei, non lui!
Mentre il giudice lo ammoniva per la sua condotta impertinente, Bianca ebbe un’idea. Pessima e che l’avrebbe fatta sentire un mostro, ma pur sempre un’idea.
- Signore. - lo chiamò, attenta a non farsi udire.
- Non ora, Romano.
- Il giudice è in conflitto. - parlò, ignorando il suo implicito divieto. - Il che significa che è facilmente influenzabile. Anche se lei non possiede le prove, può instillare il dubbio circa il coinvolgimento della signora Jones. Le basterà provocare Kevin Williams, che ha più volte dimostrato di essere dipendente emotivamente dalla madre.
Il procuratore aggrottò la fronte, interdetto.
- Lo ammetto, non è una tattica che mi sarei aspettato di sentire da lei considerando come ha risposto alla mia domanda.
- L’empatia è pericolosa nelle mani sbagliate. - affermò Bianca, ponendosi infine sulla difensiva. - Sia chiaro, non l’ho mai usata per avere la meglio sul mio contendente! Non lo pensi!
Edgeworth si concesse un sorriso beffardo per poi scuotere la testa.
- Anche se fosse, non è affare mio. - e infine, si rivolse al giudice. - Obiezione, vostro onore! Se la signora Jones è davvero la vittima, per quale motivo non ha sporto denuncia dati gli abusi ripetuti? Lei stessa ha affermato durante l’interrogatorio che Kevin Williams la proteggeva dalle angherie perpetrate da suo padre. Che era necessario insistere affinché rispettasse gli accordi del divorzio. Aveva tutte le prove necessarie per ottenere un arresto per violenza domestica, oltre che una proficua somma come risarcimento per danni fisici e psicologici. In tal caso, c’è qualcosa che ci nasconde, signora Jones? Forse era davvero lei che impediva a padre e figlio di vedersi, di parlarsi. Quindi li ha manipolati, ha manipolato tutti qui dentro. Ma per quale motivo e a che scopo? E stia attenta a come risponderà, perché qualsiasi cosa potrà essere utilizzata contro di lei, oltre che essere prova di aver infranto il giuramento sulla Costituzione americana.
Ed ecco che, con la sua lingua tagliente, il procuratore aveva fatto la sua mossa decisiva. La donna fece per ribattere, ma Kevin insorse una seconda volta, alzandosi in piedi e sbattendo le mani legate sul banco, mentre due agenti lo contenevano. La scena pietosa spezzò il cuore della ragazza, ma al contempo, era ciò che aveva sperato accadesse: Kevin Williams, accecato dall’impazienza e dal dolore, che insorgeva senza freni di fronte alla corte. La stessa impazienza che, con molta probabilità, lo aveva accecato a tal punto da scagliarsi sul padre inerme.
- Ordine! Ordine! - tuonò stancamente il giudice. - Basta così, ho sentito abbastanza. Il verdetto non è in alcun modo negoziabile. Secondo l’autopsia, Benedict Junior Williams è morto a causa di quattro coltellate. Sull’arma, un coltello da cucina, sono presenti le impronte dell’imputato, che ha affermato più volte di essere il solo perpretratore dell’omicidio. La teoria, secondo la quale Kevin Williams ha agito per difesa personale, appare altamente improbabile e le prove finora presentate non sono sufficienti a confermarne la validità. Ciò di cui siamo certi è che Kevin Williams è un soggetto dal quadro psicologico fragile e che rifiuta il confronto, a tal punto da aggredire la vittima, che non aveva modo di difendersi, senza motivazione precisa. Date le circostanze, dichiaro Kevin Williams colpevole!
Il suono del martello rimbombò per tutta l’aula.

Quella sera, tuttavia, Bianca non aveva motivo di festeggiare: la signora Jones era ancora a piede libero, godendosi la fortuna del suo ex marito, mentre Kevin Williams si trovava in carcere, svuotato di ogni energia e senza più un futuro tra le mani. Bianca ricordava vivamente lo sguardo che la donna, da dietro il banco dei testimoni, aveva rivolto al figlio. Aveva sperato di leggervi rimorso e compassione. Invece, vi aveva visto la consapevolezza di aver realizzato il suo obiettivo. Ma a quale prezzo? Nonostante la colpevolezza, anche Kevin meritava giustizia, vittima di un gioco del quale lui stesso era inconsapevole. E Bianca, con l’aiuto di Edgeworth, avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per dargliela.
Non appena tornò a casa, la ragazza si svestì, preparandosi un bagno caldo. Vi si immerse, chiudendo gli occhi e rilassando il corpo. Il piccolo appartamento era avvolto nel silenzio. Bianca era solita accendere la musica per riempirlo, ma preferì soccombere ai suoi pensieri, che l’avevano tormentata per tutto il tragitto di ritorno.
- L’empatia è pericolosa nelle mani sbagliate. - ripeté a voce alta.
Quello che aveva fatto quel giorno, l’avrebbe perseguitata per tutta la settimana: aveva messo in cattiva luce l’imputato approfittando della sua instabilità mentale. Di tutti i doni che poteva ricevere, aveva scelto il più pesante. Bianca si sfregò le braccia, nel tentativo di darsi conforto.
- Rimedierai. Lo hai fatto solo per lavoro, non per un tuo fine. - si disse, per poi trarre un profondo respiro.
Gestire dei bulli di quartiere non era nulla in confronto a quanto aveva visto e sentito quel giorno in aula. Per la prima volta, Bianca dovette ammettere di trovarsi in conflitto. Sapeva che il lavoro in procura non sarebbe stato facile, ma non aveva previsto quanto sarebbe stato difficile conciliare il suo sogno con la sua maledetta empatia. Perché quello che gli altri chiamavano dono, per lei non era altro che un fardello.
Una traccia di tutto quello che aveva dovuto sopportare dalla morte dei suoi genitori.
Un bisogno viscerale di conoscere a fondo chi aveva davanti per prevedere cosa sarebbe successo. Per non arrivare impreparata di fronte al dolore e alla distruzione.
Ma se era lei a provocare quella distruzione, come avrebbe dovuto comportarsi?

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4069044