L'Arciere E Il Mago - Sakuatsu

di Vibesbygin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quel misterioso sconosciuto ***
Capitolo 2: *** Origini ***
Capitolo 3: *** Il ritorno della magia ***
Capitolo 4: *** La Foresta Incantata ***
Capitolo 5: *** Il viaggio infinito ***
Capitolo 6: *** La caduta ***
Capitolo 7: *** Spiacevole Incontro ***
Capitolo 8: *** Sempre peggio ***
Capitolo 9: *** La taverna Kitzune ***
Capitolo 10: *** Casa dolce casa ***
Capitolo 11: *** La famiglia Sakusa ***
Capitolo 12: *** Riunione di famiglia ***
Capitolo 13: *** Il fatidico giorno ***
Capitolo 14: *** L'inizio di una leggenda ***



Capitolo 1
*** Quel misterioso sconosciuto ***


Nel cielo di quella serata gelida la luna splendeva nel suo momento di piena ed illuminava i sentieri dei boschi e dei vicoli dei paesini. Il freddo sembrava insopportabile per chi non lo conoscesse e ciò portava le persone a rifugiarsi in qualche taverna o qualche locale. Non c'era niente di meglio che starsene al caldo davanti al fuoco del camino, in compagnia dei propri compagni oppure della propria dolce metà, soprattutto con un boccale di birra o di idromele in mano. Quei luoghi erano frequentati soprattutto da guerrieri e da mercenari, da ladri e da assassini, da persone buone e persone cattive. Chiunque poteva entrare in quei locali e l'unica ragione che li spingeva ad andarci era proprio quello di prendersi una pausa e bere qualcosa. Le risse non mancavano, ma a chi non piacevano, e c'era sempre buona musica ad accogliere i visitatori. Persino ad un avventuriero come Atsumu Miya a volte piaceva riposarsi in una di quelle topaie.

Era appena entrato in una delle tante taverne dove si beveva e si faceva casino. Il solo mettere piede in quel rifugio aveva pervaso il ragazzo dal calore del fuoco e dall'odore di alcool e sudore. La musica del flauto e dei tamburi, suonati da dei prodigiosi bardi, era la perfetta colonna sonora di quel posto rendendolo più che accogliente. Il ragazzo si mosse subito con l'intenzione di ordinare la prima birra di tante. La sua lucente chioma bionda splendeva come sempre, facendolo sembrare un Dio dell'antica Grecia. Il suo sorriso era unico, sempre stampato sul suo volto e mostrava un ragazzo fiero e sicuro di sé. E non poteva mancare mai con sé il suo arco, riposto dietro la schiena con una scorta di frecce. In quelle zone tutti sapevano chi fosse quel ragazzo, tutti lo conoscevano per le sue doti da cacciatore ma lui era molto altro. Era un ottimo avventuriero, conosceva i segreti più ignoti della foresta e le sue frecce non mancavano mai il bersaglio. Non era né un assassino né un criminale, ma sicuramente nessuno avrebbe mai voluto averlo contro. Aveva un fisico ben scolpito, non aveva una grande stazza ma i muscoli non gli mancavano. Indossava solo una canotta bianca ed un paio di pantaloni neri con dei lunghi stivali nei quali nascondeva due pugnali. Ogni donna che lo vedeva se ne innamorava al primo istante.

Ordinò come sempre un boccale di birra, quella succulenta bevanda rinfrescante che non beveva ormai da settimane. La sua vita era in continuo movimento, non aveva una dimora o un luogo fisso, ma viaggiava in continuazione. La sua casa si poteva considerare la foresta e tutto ciò che la natura aveva da offrirgli erano i suoi averi. Ad un uomo come lui bastavano semplicemente la sua arma ed il suo carisma, non gli serviva altro. Per questo era sempre amato da tutti, era un ragazzo che ci sapeva fare con le persone e non era mai finito in nessun genere di guai. Di solito le guardie della città più vicina attaccavano il ritratto dei vari ricercati con la scritta "Wanted" per tutta la zona, ma non gli era mai capitato di ritrovarsi su quei ritratti. Si poteva dire che era un ragazzo modello e che nessuno poteva dire il contrario.

Quando finalmente il boccale di birra arrivò tra le sue mani Atsumu non esitò a berne il primo sorso, che lo trovò dissetante e rinfrescante. Mentre sorseggiava la bevanda, i suoi occhi scrutarono le persone della taverna. Gente sudicia e goffa, la maggior parte di loro erano combattenti barbuti che si divertivano a raccontare le loro gesta a chiunque avessero davanti. C'erano quelli pieni di cicatrici ai quali era meglio stare alla larga oppure mercenarie che contavano i loro soldi sedute in disparte, con i piedi posti sul tavolo e una lucente armatura indosso. Nessuno di loro sicuramente faceva parte delle alte famiglie di nobili ed infondo quel genere di compagnia era in un certo senso piacevole. Nell'analizzare persona per persona di quella taverna gli occhi del biondo si posarono su una figura alquanto sospetta. Il suo sguardo incontrò la visione di un individuo incappucciato, non riusciva a vederne il volto ed il mantello ne copriva ogni parte del corpo. Non riusciva nemmeno a distinguere se fosse un uomo o una donna, ma fu certo che chiunque fosse non era abituato a stare in luoghi come quello. Era seduto ad un tavolino posto vicino al muro, non guardava in faccia nessuno e posava gli occhi sulla bevanda che aveva davanti. Non c'era nessuno accanto a quel tipo e sembrava che in tutto quel casino di gente risultasse invisibile. Se fosse stato davvero uno di quei criminali che tanto ricercavano, allora avrebbe avuto un aspetto diverso a suo parere.

Per rendere la serata più interessante Atsumu pensò che sarebbe stato curioso scoprire chi si celasse dietro a quel mantello viola. Magari era una ragazza che si era persa, che non sapeva dove fosse e che non sapeva a chi chiedere aiuto. In quel caso in suo soccorso sarebbe arrivato il più abile degli arcieri di tutto il regno, il ragazzo dalla freccia d'oro e l'avventuriero più astuto di sempre. Il ragazzo decise di alzarsi, tenendo stretta la presa del manico del boccale di birra ed andò verso quel tavolo di legno rotondo. La misteriosa persona non se ne accorse nemmeno.

<< Chiunque tu sia scommetto che non sei di queste parti. >> affermò il giovane mentre senza richieste si sedette intorno a quel tavolo.

E fu lì che quel misterioso individuo si rivelò. Alzò immediatamente lo sguardo e in quel gesto il cappuccio si scostò leggermente. Non era una donna, ma un bellissimo ragazzo. Aveva dei riccioli neri che venivano coperti gran parte dal cappuccio che indossava, sulla fronte aveva due indistinguibili nei e i suoi occhi erano neri come l'oscurità. La sua espressione era seria allo stesso tempo confusa dalla inaspettata visita e in poco tempo si fece viva una smorfia.

<< Non ho bisogno di compagnia. >> rispose seccato dall'arrivo del ragazzo biondo.

Da quella vista Atsumu ne rimase incantato e allo stesso tempo sorpreso dall'identità di quel ragazzo. Sembrava giovane tanto quanto lui, aveva un viso immacolato e non mostrava nessun segno di cicatrici o ferite, perciò di sicuro non era un criminale. La convinzione che quel luogo non fosse quello adatto a lui era del tutto confermata e il dubbio che quel ragazzo facesse parte di una famiglia reale si fece vivo. La curiosità più di tutte spinsero l'arciere a non lasciare quel tavolo.

<< Sono partito con il piede sbagliato scusa, mi chiamo Atsumu >> disse mostrando un sincero sorriso mentre porse la mano al misterioso tipo.

L'altro scrutò la mano dello sconosciuto con uno sguardo severo. Era chiaramente visibile che non si fidava di nessuno in quel posto e per lui persino una stretta di mano poteva essere letale. Ad ogni modo prima di agire il ragazzo misterioso alzò lo sguardo verso Atsumu. A primo impatto pensò che non era così pericoloso, era diverso dagli altri individui più minacciosi e crudi. Era giovane, non aveva una folta barba o il viso sfregiato, e nemmeno una grande stazza. Decise quindi di voler stringere quella mano, come un segno di pace.

<< Kiyoomi. >> si presentò semplicemente.

A quel contatto Atsumu percepì il freddo gelido di quella mano rispetto alla sua e pensò che non sembrava per niente naturale.

Per quanto avesse accettato di presentarsi, era evidente che il misterioso ragazzo non avesse per niente voglia di avere qualcuno lì accanto a lui. I suoi atteggiamenti, il suo modo di vestire e le circostanze lo rendevano sempre più sospetto. Infondo ad Atsumu piaceva il mistero.

<< Allora che ci fai in questo posto Kiyoomi? Non sembra proprio il luogo adatto a te. >>

Il moro alzò leggermente un sopracciglio. Era certo che quel ragazzo non lo conoscesse affatto, e se fosse stato il contrario sarebbe risultato un problema.

<< Quale sarebbe il luogo adatto a me? >>

La fantasia di Atsumu era vasta e sin dal primo momento che lo aveva visto pensava che Kiyoomi fosse un principe o qualcosa del genere. Non lo conosceva, ma dal primo momento che l'aveva visto era spinto dalla curiosità di conoscerlo.

<< Sembri qualcuno proveniente da un castello reale o da una corte. >> rispose l'arciere convinto della sua affermazione.

A quella diceria il ragazzo moro si lasciò scappare una leggera risata. Delicato e fine come un fiore, quel ragazzo agli occhi di Atsumu sembrava venire da un mondo diverso.

<< Mi dispiace ma non è così. >> disse col leggero sorriso sul volto.

Inspiegabilmente quei due ragazzi totalmente diversi l'uno dall'altro si ritrovarono a farsi compagnia a vicenda per l'intera nottata. Atsumu tra i vari boccali di birra scolati cercava di indovinare da dove provenisse quel ragazzo, cominciò dal parlare di re e castelli fino ad inventarsi cose totalmente inesistenti, anche l'alcool faceva la sua parte. Dall'altro lato Kiyoomi non aveva intenzione di rivelare le sue vere origini, ma nel sentire quelle assurdità non faceva altro che lasciarsi scappare leggere risate e fugaci sorrisi. Parlarono principalmente solo di quello, ma sembrò bastargli per farli divertire. Alla fine l'alcool aiutò il moro a lasciarsi andare un po' e le risate aumentarono di più, ma ciò non gli fece perdere lucentezza. In seguito a tutte quelle sciocche affermazioni, decise di voler scoprire lui qualcosa dell'altro.

<< Tu invece da dove vieni? >> domandò sorseggiando con le guance leggermente arrossate dalla birra.

<< Dalla natura! La foresta è la mia casa, non ho bisogno di nient'altro. >> rispose sorridendo il giovane arciere brillo.

Incuriosito Kiyoomi non aveva fatto altro che fissare l'arco del giovane accanto a lui. Era splendente per quanto fosse lucidato, il legno risultava chiarissimo, come se fosse bianco, ed era lungo tanto quanto un bambino di 11 anni. Doveva essere costosissimo, non aveva mai visto un arco talmente raffinato e perfetto come quello. Aveva già intuito che il ragazzo fosse un cacciatore, aveva l'aria di qualcuno che viveva solo per lanciare frecce e bere ogni tanto nelle taverne. Eppure dal suo aspetto sembrava davvero un Dio greco.

Oltre a quello Atsumu non disse nient'altro, sosteneva solo di vivere libero dalla vita sociale e di godersi ogni piacere offertogli da madre natura. Il suo stile di vita sembrava un vero e proprio sogno ad occhi aperti per qualsiasi avventuriero.

La serata sembrò interrompersi verso la mezzanotte. Il giovane incappucciato notando le numerose persone che lasciavano la taverna, decise che era il momento di andarsene. Augurò buona fortuna all'inaspettato amico che si era appena fatto ed uscì da quel locale. Non avendo ancora scoperto nulla sulla sua vita, la curiosità di Atsumu rimase invariata.

***

La freccia appena scoccata prese in pieno il povero fagiano che stava poco prima volando sul cielo azzurro. Nella foresta di enormi alberi il cacciatore aveva trovato già il suo pasto per il pranzo, avrebbe raccolto qualche spezia aromatica e qualche minuto dopo acceso un falò per il suo spuntino. Nel pomeriggio sarebbe andato a caccia di polli e conigli per poi in serata portarli nella locanda più vicina e venderli.

Nella calma della foresta, tra il canto degli uccelli e il fruscio delle foglie sugli alberi, un vociare di gente arrivò all'attenzione del cacciatore. Mentre poneva il corpo dell'esile pennuto nella sua sacca non poté fare a meno di soffermarsi su quelle voci. Decise di arrampicarsi su uno di quegli alberi e di aspettare lì, seduto su un ramo a gambe incrociate, l'arrivo di quelle persone. Le voci si facevano sempre più vicine e dal sentiero cominciò a vedere un gruppo di guardie del regno. Erano riconoscibili da miglia per via delle uniformi rosse e dorate che indossavano, elmi argentati e lance d'acciaio. Ma fu riconoscibile a prima vista anche il suo misterioso amico. Questa volta il cappuccio era abbassato e si potevano vedere i suoi riccioli mori. La luce del sole illuminava il suo volto che questa volta si poteva ammirare in tutta la sua bellezza. La prima cosa che però colpì lo sguardo del biondo furono le manette ai polsi. Poteva mai un giovane così bello e fine essere un criminale ricercato?

<< Muoviti se non vuoi essere giustiziato all'istante, sporco essere! >> rimproverò una delle guardie che tirò il braccio del moro.

Il volto del giovane sembrava stanco e allo stesso tempo infastidito da ciò che stava accadendo, come se non fosse la prima volta.

Nel vedere quella scena Atsumu era più che confuso. Non poteva credere che un uomo del genere potesse risultare una tale minaccia. Forse era solo un ladro che non avendo soldi per comprare da mangiare rubava il cibo nei mercati, ma allora che ci faceva alla taverna quella sera? E soprattutto perché è stato arrestato nella foresta? La città distava qualche chilometro da lì e se fosse stato davvero beccato nell'atto di rubare, lo avrebbero portato nelle prigioni all'istante. Se fosse stato un assassino e fosse stato trovato nel cuore della foresta, probabilmente avrebbero portato con loro anche il cadavere da far riconoscere ad una eventuale famiglia. Anche questa volta la curiosità di scoprire qualcosa in più su quel ragazzo lo divorava, non poteva farselo scappare ancora.

<< La cittadina più vicina si trova dall'altra parte. Dove lo state portando? >>

Quelle parole fecero alzare lo sguardo delle guardie lì presenti verso quel ramo dell'albero enorme. Sembrarono stupiti nel vedere qualcuno essere arrivato lì su, ma non fecero domande al riguardo. Kiyoomi invece lo guardava molto stupito per ciò, ma allo stesso tempo sembrava non essere felice di averlo incontrato.

<< Non sono affari tuoi, ordini imperiali. >> rispose il così detto capo gruppo.

Le guardie ripresero a camminare ignorando la presenza del giovane sull'albero. Atsumu ad ogni modo non voleva lasciarli andare. Scese da quell'albero atterrando con un salto sul suolo, posizionandosi proprio davanti a quel gruppo di persone.

<< È un mio amico, posso sapere almeno che ha fatto? >>

<< Levati di mezzo se non vuoi essere arrestato anche te! >> urlò infastidita una delle guardie.

In quel momento Kiyoomi cominciò a pensare che la situazione sarebbe degenerata a breve e non voleva che ciò accadesse. Decise di agire ed emise un sospiro di stanchezza al sol pensiero.

<< Non costringetemi a farlo. >>

A quelle parole le guardie sembrarono impaurite e si allontanarono di due passi dal prigioniero, puntandogli però le lance contro.

<< Che diavolo hai in mente stregone?! >>

Quella parola risultò assurda per Atsumu, che non poté fare a meno di osservare la scena.

<< Karasu, attaccate. >>

Improvvisamente uno stormo di corvi si precipitò proprio nel punto esatto dove si trovavano. Cominciarono a volare intorno alle guardie, a picchiettare sui loro elmi e sulle loro armature. In quel trambusto di gracchi e di urla, Atsumu fu l'unico insieme a Kiyoomi a non essere attaccato. In poco tempo le guardie, che non riuscivano a contrastare gli uccelli, corsero via da quel luogo abbandonando le lance a terra e il prigioniero. Non appena quel rumore assordante finì, sul sentiero non rimasero altro che Atsumu e Kiyoomi. L'arciere era sconvolto da ciò che era successo e non poteva fare a meno di guardare nel punto in cui aveva visto andare via le guardie. Non aveva parole per descrivere ciò che aveva appena visto.

<< Grazie per l'intento, ma non ho bisogno di aiuto. >> disse il moro davanti a lui.

In quel momento arrivò uno dei tanti corvi di prima ed andò a posarsi sulla spalla del moro. Tra il becco teneva un mazzo di chiavi dorate che permisero al ragazzo di liberarsi dalle manette ai polsi.

Senza aggiungere nient'altro il ragazzo si voltò e riprese a camminare per suo conto. Per quanto l'arciere non credeva ai suoi occhi, non aveva intenzione di far andare via ancora una volta quel ragazzo. La parola "stregone" risuonava nella testa come per analizzarne il significato, ma tutto ciò a cui pensava era solo la scena appena vista.

<< Aspetta! >> urlò il biondo rincorrendo l'altro << Dove stai andando?! >>

<< A te che importa? Non hai visto cosa so fare? Lasciami o ti farò del male. >> rispose infastidito il presunto mago.

<< In realtà non hai fatto niente. Sono stati quegli uccelli ad attaccare le guardie, sono sicuro che se avessi voluto avresti potuto anche ucciderli, ma non l'hai fatto. >>

Quelle parole frenarono Kiyoomi sul posto. Sembrò meravigliato dal punto di vista del giovane ragazzo accanto a lui, fu la prima volta che non si sentì urlare mostro dopo aver utilizzato i suoi poteri. E nemmeno lo stava giudicando per la cattiva azione, sembrava che lo stesse ringraziando di non aver ucciso quelle persone. Si voltò verso l'arciere, nei suoi occhi non vide paura o orrore, semplicemente curiosità.

<< Sembra che non hai idea di dove andare. >> pensò ad alta voce Atsumu << Sei mai stato in questa foresta? >>

L'altro ci mise un po' nel rispondere, riflettendo bene sulle proprie parole.

<< No. >> rispose a malincuore.

<< Bene. >> sorrise soddisfatto il biondo, un sorriso che con la luce del giorno sembrava splendere come un diamante. << Allora posso farti da guida. >>

Quell'idea non piaceva affatto al moro. Avrebbe voluto stare meno possibile a contatto con gli umani, non voleva provocare guai, ma allo stesso tempo era stanco di scappare. La foresta infondo sembrava un luogo sicuro dove nascondersi ed in compagnia di qualcuno sarebbe potuto sembrare meno sospetto. In più i pochi soldi che gli erano rimasti stavano per finire e senza quelli non sarebbe stato in grado di ricavarsi da mangiare.

A malincuore il ragazzo moro annuì con un leggero cenno di approvazione e ciò portò la gioia dell'altro ragazzo che lo avvinghiò con un braccio.

<< PERFETTO! >> urlò sorridente << Da domani comincerò ad insegnarti tutto ciò che devi sapere di questi luoghi della natura! >>

Senza obiettare il moro si lasciò scappare un leggero sorriso, come se cercasse di nascondere la felicità che quello sconosciuto gli trasmetteva.  

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Capitolo 2
*** Origini ***


La luce del sole era ancora fioca, un nuovo giorno stava per iniziare mentre tra i sentieri della foresta l'arciere e il mago erano già in cammino.

La scorsa notte Kiyoomi non riuscì a chiudere occhio. Aveva paura che il suo nuovo compagno potesse attaccarlo da un momento all'altro oppure aveva paura che andasse ad avvisare le guardie per farlo incarcerare. Passò le prime ore della notte ad osservarlo, ma Atsumu dormiva beatamente accanto al fuoco del falò da lui acceso, e che in quel momento stava pian piano svanendo. Il moro pensò che fosse un idiota, come poteva fidarsi così tanto di uno sconosciuto come lui? Soprattutto dopo aver dato dimostrazione dei suoi poteri.

« Non me l'hai ancora detto, perché le guardie ti danno la caccia? » domandò Atsumu mentre avanzava pochi metri più avanti all’altro. Rispetto al giorno prima il suo tono di voce era serio.

Anche in quel momento il mago pensò che fosse un idiota, continuava a dargli le spalle senza aver paura di essere attaccato da un momento all'altro. Forse si sentiva talmente forte che non aveva paura di dover affrontare un mago, infondo i muscoli non gli mancavano, ma anche se fosse la magia non era qualcosa da poter fermare con un pugno. Probabilmente non si rendeva conto di quanto fossero pericolosi gli stregoni.

« Sono un mago, basta questo per essere ricercato. » rispose con tono altrettanto serio il moro.

All'insaputa di Kiyoomi, Atsumu sapeva quanto fosse pericolosa la magia. Almeno una volta nella vita capitava di sentire storie a riguardo degli stregoni e della loro malvagità. Venivano descritti come esseri spregevoli che rapivano le persone nella notte e le torturavano per i loro esperimenti magici. Esistevano incantesimi che erano in grado di annientare città intere o di evocare orribili creature da altri mondi. Erano solo storie, l’arciere non aveva mai avuto modo di vedere con i propri occhi uno stregone prima d’ora, ma aveva sentito delle testimonianze. C'era chi diceva di averli visti nei campi di grano intenti ad attuare rituali e sacrifici per le loro diaboliche ideologie, chi giurava di aver visto un incantesimo far diventare il cielo verde scuro, oppure vi erano le storie dei cacciatori di streghe in cui narravano le loro imprese contro quelle creature. Insomma, un'idea su chi fossero gli stregoni Atsumu ce l’aveva, ma quando vide Kiyoomi il giorno scorso non riuscì a definirlo in quel modo. Camminava con le manette ai polsi come una persona normale, se fosse stato pericoloso avrebbe potuto liberarsi delle guardie dal primo istante in cui l'avevano catturato, eppure non l'aveva fatto. Per quanto sapeva che a causare la furia dei corvi fosse stato Kiyoomi, non avrebbe mai creduto che fosse un criminale. C'era qualcosa sotto che non andava, ma in piccola parte si fidava di quel ragazzo.

« Dove ti stavano portando? » continuò a chiedere Atsumu.

« Ad Iriewell, l'unica città ad avere una prigione per stregoni. » rispose l'altro senza distogliere lo sguardo dal ragazzo davanti a sé.

La fiducia che l'arciere riponeva non era molta, ad aggravare su questo era la prima risposta del moro. Era sicuro che quella non fosse l'unica ragione per lui l'avevano catturato, doveva essere successo qualcosa e in un certo senso aveva paura di scoprire la verità.

« Un'ultima cosa. Perché quel falco ci sta seguendo? » e detto ciò l'arciere alzò il dito in aria indicando il maestoso volatile.

Fin da quando i due ragazzi si misero in cammino, l’arciere notò presto la presenza di quel falco. Li stava seguendo da tutto il viaggio e ciò gli dava ragione di credere che fosse un alleato del suo nuovo compagno d’avventura. Sicuramente ad Atsumu gli uccelli non lo spaventavano affatto. Ne aveva uccisi talmente tanti negli ultimi anni che sarebbe stato in grado di ammazzare anche quel grande falco.

Prima di rispondere il mago sospirò « Sono sempre seguito da un uccello, i volatili sono i miei protettori con la quale posso comunicare. Ma stai tranquillo, non ti attaccheranno. »

« Ne sono certo. »

Detto ciò il biondo tornò ad essere leggermente più sereno. A primo impatto quel ragazzo non sembrava pericoloso, ma non bisognava mai giudicare un libro dalla copertina. Anche se fosse stato uno degli stregoni più temibili del regno, Atsumu non avrebbe avuto paura. Aveva piena fiducia nelle sue capacità, grazie alla sua esperienza e alla sua forza si sentiva in grado di poter competere con chiunque.

« Adesso posso farti io una domanda, dove stiamo andando? »

Da quando si erano svegliati Atsumu aveva insistito nel mettersi in cammino il prima possibile, senza spiegare però dove avrebbe portato l'altro. Il giorno scorso aveva annunciato che avrebbe insegnato le tecniche di sopravvivenza al moro, e sperava che in questo modo sarebbe riuscito a legare con quel ragazzo. Poteva essere pericoloso sì, ma farsi amico un mago non era cosa da tutti i giorni.

Dopo svariati minuti di camminata, i due giovani ragazzi si ritrovarono fuori dalla foresta ed arrivarono davanti ad una distesa di prato verde. L'immagine che era ritratta nei loro occhi era quella di una collina, al centro vi era un enorme quercia talmente grande da occupare quasi l'intero colle. Accanto al leggero rialzo della collina vi sgorgava un fiume che attraversava tutta la foresta. Quel paesaggio era mozzafiato, il prato era pieno di margherite e di denti di leone e la quercia aveva le foglie di un verde vivacissimo. Il rumore della natura, tra i canti degli uccelli e delle cicale, seguito dallo sgorgare dell'acqua del fiume, era come un'orchestra naturale.


 

Il mago rimase incantato nel vedere quello splendore. Il falco, che fino a quel momento li seguiva dall'alto, volò fino al colossale albero e si posizionò sopra uno dei grandi e maestosi rami. In tutto ciò però il moro non aveva ancora capito che cosa ci facessero lì.

Seguì Atsumu verso l'albero fino ad arrivare ai suoi piedi. Il solo alzare lo sguardo in alto per ammirarlo metteva i brividi.

« Ti insegnerò a cacciare, ma prima di tutto bisogna costruire un arco. » sorrise Atsumu contento al sol pensiero. Amava creare oggetti utilizzando solo ciò che la natura gli offriva.

Quelle parole fecero sussultare l'altro. Non aveva mai impugnato un arma, figuriamoci un arco che sembrava uno degli oggetti più complicati da maneggiare. Nella sua vita non aveva mai avuto bisogno di doversi procurare il cibo da solo, era abituato ad essere servito e non aveva nemmeno mai provato a cucinare. Per lo più non aveva mai ucciso un animale con le sue stesse mani, il solo pensiero lo disgustava. Allo stesso tempo però era meravigliato, quel ragazzo aveva talmente tante qualità e tante abilità che bastavano per farlo restare in vita in quella foresta. Era curioso di sapere se avesse imparato tutto da solo o se avesse avuto qualcuno che glielo avesse insegnato. Infondo ammirava quel ragazzo per riuscire a cavarsela da solo con le proprie mani.

In poco tempo Atsumu si arrampicò su quell'albero e cominciò a tagliare con i propri coltelli uno dei piccoli rami della quercia, abbastanza piccolo da essere tagliato ma abbastanza grande da poter ricavarci un piccolo arco.

Il procedimento per crearne uno sembrò difficilissimo agli occhi del moro, ci volle parecchio tempo prima che quel ramo prendesse la forma di un arco. Rispetto a quello di Atsumu, quello che sarebbe stato suo sembrava piccolissimo e leggermente più rovinato. Ad ogni modo ciò che quel ragazzo creò dal nulla era semplicemente magico, nel vedere come le cose prendevano vita Kiyoomi ne rimase ammaliato. Oltre all'arco ovviamente il biondo creò anche delle frecce e con quell'equipaggiamento adesso il mago poteva imparare a cacciare.

Le prime volte il biondo faceva esercitare il suo compagno su un bersaglio immobile, in particolare presero come esempio il tronco di un albero. Per il mago non era per niente facile mirare e centrare il punto esatto su cui avrebbe voluto mandare la freccia. Ci volle qualche giorno prima che riuscisse a perfezionare la mira proprio come voleva lui, ma quando ciò avvenne l'arciere non esitò a spronarlo a cacciare piccoli animaletti, che non fossero uccelli ovviamente. Atsumu spiegò per filo e per segno le tecniche di caccia che variavano in base all'animale, spiegò come tenere l'arco nel modo migliore e come scoccare le frecce. Quando l'arciere dava dimostrazione di ciò che spiegava riusciva a centrare ogni preda avesse adocchiato, ogni freccia scoccava con una rapidità fulminante e non permetteva all'animale nemmeno di scappare. Le prime volte che Kiyoomi provava a seguire ciò che l'arciere diceva, non andava tutto a buon fine. Quando doveva provare a colpire una preda, le sue mani iniziavano a sudare e a tremare, sbagliando del tutto mira. Infatti nessuna delle sue frecce riuscì a colpire un animale, a mala pena li sfiorava o prendeva un albero. Era talmente difficile usare quell'arnese che Kiyoomi non riusciva proprio a capire come facesse Atsumu. Per sua fortuna l'arciere era una persona paziente, non si faceva problemi a spiegare al ragazzo più e più volte come funzionasse e soprattutto non si stancava di dare dimostrazioni. Ad ogni modo però Atsumu cominciò a pensare che sarebbe stato meglio passare a qualcosa di più semplice.

Una sera i due ragazzi si ritrovarono come sempre a dover preparare il falò per la notte, questa volta però il biondo insistette nel lasciare che fosse Kiyoomi a prepararlo. Gli spiegò quali fossero i miglior rami da utilizzare e soprattutto come accendere il fuoco utilizzando due pietre focaie, facendole scontrare tra loro. In realtà il mago era consapevole di poter dare vita al fuoco direttamente con la propria magia, ma non disse nulla. Considerava ogni lezione di Atsumu preziosa ed era benevolo a volerle sentire.

« Stavo pensando... » esordì il moro mentre arrostiva un pesce sopra il fuoco.

La notte era calata e i due ragazzi poterono deliziarsi con ciò che avevano cacciato, o meglio ciò che Atsumu aveva cacciato.

« Vorrei annotare tutti questi insegnamenti. Penso che le tue lezioni siano davvero utili e vorrei averle sempre con me. »

Accanto a lui l'arciere già stava gustando la preda con poca fatica uccisa quel pomeriggio. Si sentì gratificato nel sentire le parole del suo compagno di viaggio.

« Ti servirebbe un taccuino. » constatò il cacciatore « Domani potremo andare in un paese qui vicino, tipo Soimouth. Sicuramente avranno qualcosa del genere » detto ciò il ragazzo posò via il suo cibo e tirò fuori dalla sua sacca un pezzo di carta ripiegato.

Quando spiegò il pezzo di carta sul suolo, Kiyoomi capì all'istante che si trattava di una mappa. Era ben definita, i disegni risultavano dettagliati e mostravano tutti i vari paesi e le grandi città del regno. Vi erano riportate persino le foreste e i sentieri nascosti in esse, per lo più su ogni luogo era inciso il nome del posto.

« Non dirmi che l'hai fatta tu. »

A quelle parole Atsumu rise.

« No, ma andremo da un mio vecchio caro amico che si occupa di questo genere di cose. Ha una biblioteca lì e sicuramente avrà qualcosa da darti. » disse il biondo mentre cercava di capire quale fosse la strada migliore da percorre il giorno dopo.

« D'accordo, ma dovremo essere cauti. Non posso farmi notare dalle guardie. » il solo pensiero di dover scappare o farsi arrestare infastidiva il mago.

Passarono qualche minuto in silenzio, Kiyoomi impegnato a mangiare mentre Atsumu studiava la mappa che aveva davanti. Dopo aver capito quale percorso avrebbero intrapreso, il ragazzo ripose il prezioso foglio di carta nella sua sacca e rimase per qualche minuto ad osservare il suo compagno intento a mangiare. Per quanto l'arciere avesse deciso di fidarsi di lui, c'era sempre qualcosa che non capiva. Se era davvero un mago perché era finito in mezzo alla foresta, perché davvero le guardie lo stavano seguendo, ma soprattutto una domanda non lo lasciava in pace.

« Posso chiederti una cosa? »

A quella domanda il moro annuì.

« Perché non usi la magia? »

Il silenzio regnò dopo quelle parole. Kiyoomi smise di mangiare, ma ad ogni modo non rispose. Sembrò turbato da quella domanda, aveva lo sguardo perso e pensieroso.

Si alzò all'improvviso e disse « Vado a prendere altri rami secchi per il falò. » lasciando l'arciere da solo. A seguirlo questa volta c’era un barbagianni con un piumaggio marroncino e bianco, che andò a posarsi sulla spalla del ragazzo. Quella sera Atsumu non ricevette nessuna risposta.

Il giorno dopo i due ragazzi arrivarono senza difficoltà a Soimouth. Nella biblioteca di cui parlava Atsumu, i due incontrarono una delle persone più calme e pacate che quel paese conosceva. Era un ragazzo conosciuto per la sua gentilezza e per i suoi occhi azzurri, il suo nome era Keiji Akaashi. A prima vista per Kiyoomi quel ragazzo sembrava l'incarnazione della calma e dell'intelligenza. Aveva letto la maggior parte dei libri della biblioteca e aveva creato numerose mappe, sia locali che del regno, grazie anche ai racconti di vari avventurieri. La biblioteca dove lavorava non era grande, ma aveva un gran numero di libri. Dietro al bancone del libraio infatti vi era uno scaffale gigante pieno di libri ed una scala che permetteva al ragazzo di poterli prendere. Per loro fortuna Akaashi aveva ciò di cui avevano bisogno, un libro a pagine vuote dove poterci scrivere tutto ciò che volevano.

Alla vista di tale oggetto gli occhi di Kiyoomi brillarono. Vedere con quanta precisione e delicatezza quell’oggetto fosse stato creato, lo meravigliava. Avrebbe annotato tutte le lezioni dell’arciere e ne avrebbe fatto tesoro. Sarebbe stato come avere un manuale di vita a portata di mano.

« Pago io » avvisò l’arciere tirando fuori dalla sacca alcune monete d’oro.

Davanti a tale gesto di gentilezza il mago non poté esserne più che riconoscente. Scambiò un piccolo sorriso al suo compagno di viaggio e lo ringraziò infinite volte.

Nei giorni seguenti Atsumu decise di voler insegnare al moro tutte le funzionalità delle varie piante della foresta. Intrapresero delle camminate all'interno della foresta, senza seguire il sentiero, alla ricerca dei diversi tipi di piante che la popolavano. L'arciere spiegava per filo e per segno la loro utilità oppure il loro pericolo, e il mago faceva in modo di appuntarsi tutto. Molte potevano essere utili per cucinare, per esempio le spezie come il rosmarino selvatico, la salvia o le bacche di ginepro; oppure gli mostrava quali di quelle piante potevano risultare letali per gli uomini, come la belladonna o alcuni tipi di funghi. Poi oltre alle spezie c'erano i frutti, per esempio le bacche selvatiche di more e frutti di bosco che crescevano in cespugli; all'assaggio di quelle deliziose bacche il mago se ne innamorò per il loro sapore acido ma allo stesso tempo dolce. Oltre a spiegare a cosa servissero quelle piante, Atsumu decise anche di testarle materialmente. Utilizzò le spezie per dare sapore alle prede che catturavano, oppure le piante curative per testarne l'efficienza. In poco tempo Kiyoomi riuscì a memorizzare la maggior parte di quelle piante, anche grazie agli appunti che aveva preso fino a quel momento.

***

L'odore della birra e il suono del flauto rendeva l'atmosfera della locanda accogliente. La notte era calata e ciò aveva portato diversi viaggiatori a fermarsi nella taverna per bere un sorso di birra fresca. Tra loro vi erano anche l'arciere e il mago.

Quel giorno Kiyoomi era riuscito per la prima volta a centrare la sua preda utilizzando l'arco. Il povero cerbiatto era ancora vivo quando venne trovato dai due ragazzi ma da buon cacciatore fu Atsumu a dovergli dare il colpo di grazia. Ad ogni modo quella sera il biondo decise di portare il suo compagno a bere qualcosa, come segno di vittoria per la caccia riuscita.

Erano seduti in disparte, in un tavolo rotondo lontano dal fracasso di gente e tenevano in mano i due boccali di birra che avevano appena scontrato per brindare. Il buon umore influenzava entrambi per via dell'alcool e della buona musica, rendendoli più amichevoli e aperti tra loro.

Era passato un mese da quando avevano iniziato a viaggiare insieme, in quei giorni Kiyoomi aveva fatto tesoro di tutti gli insegnamenti di Atsumu e pian piano aveva imparato a sfruttarli al meglio. La fiducia nei suoi confronti era cresciuta molta, anche se in realtà non conosceva molto del suo passato, ma ad ogni modo ormai lo considerava un amico. D'altro canto anche il cacciatore riteneva quel ragazzo suo amico, ma per quanto aveva cominciato ad apprezzare la sua presenza c'erano ancora dei misteri che non riusciva a comprendere.

« Omi » da pochi giorni aveva deciso di affidargli quel nomignolo affettuoso, inizialmente il mago lo detestava ma aveva imparato a farci l'abitudine « Stavo pensando- »

Non ebbe il tempo di finire la frase che l'altro lo interruppe prima.

« Ancora non riesco a capire come tu abbia cominciato a vivere così. Da quando tempo hai iniziato? » domandò Kiyoomi facendo finta di non aver sentito le parole dell'altro.

Era evidente che cercava in tutti i modi di evitare domande, ciò portò Atsumu a non voler insistere. Magari se avesse rivelato qualcosa su di lui, il mago avrebbe fatto altrettanto.

« Credo almeno da quattro anni, prima vivevo in un paese come tanti. » rispose il biondo bevendo un goccio della propria birra.

« Vivi nella foresta, ti procuri il cibo da solo e i soldi vendendo ciò che riesci a cacciare. » ripeté meravigliato il moro come se già non lo sapesse.

« Credevo l'avessi capito. »

L'arciere non poté fare a meno di scrutare il ragazzo davanti a lui. Non faceva altro che cambiare discorso e fingere di non sapere tutte quelle cose che aveva detto. Era evidente che non voleva rivelare nulla di lui, del suo passato o del suo essere diverso. Sembrava come se volesse rinnegare ciò che era.

« Omi mi vuoi spiegare perché hai paura di raccontarmi di te? » questa volta il tono di voce del biondo era serio e deciso.

Lo sguardo del mago non riusciva a posarsi sul ragazzo davanti a lui, beveva la sua bevanda cercando di evitare il discorso, ma sapeva che non poteva scappare per sempre. Da quando aveva cominciato a viaggiare con Atsumu, era consapevole che prima o poi avrebbe dovuto rivelare il suo passato.

« Che cosa vuoi sapere? » domandò rivolgendo finalmente lo sguardo ad Atsumu « Come posso parlare senza essere certo che mi venderai alle autorità, oppure che scapperai dalla paura del mostro che hai davanti. »

L'arciere sembrò arrabbiarsi a quelle parole.

« Sono giorni che stiamo viaggiando insieme, se avessi voluto portarti dalle guardie lo avrei già fatto. Se ancora non riesci a fidarti di me, come posso farlo io? » il suo tono di voce era serio, leggermente infastidito ma comunque non troppo alterato.

Il moro sospirò e mandò giù un altro sorso di birra. Lasciò che l'alcool lo aiutasse a prendere coraggio e a parlare dell'infanzia che definiva orribile. Infondo non ne aveva mai parlato con nessuno, era la prima volta che qualcuno si interessava a lui. Ciò però lo preoccupava, aveva paura di perdere la fiducia del suo nuovo amico e di farlo scappare via per la sua assurda storia. Ma sapeva che prima o poi la verità sarebbe venuta a galla.

« Sono nato da una famiglia di maghi. » quelle parole acquisirono subito l'attenzione del biondo « La mia famiglia è nobile, viviamo in un castello posizionato su una collina che affaccia su un paesino di umani. Devi sapere che i maghi nascono già con dei poteri, inizialmente non sanno usarli ma con il tempo imparano a controllarli. I miei genitori sin da piccolo mi insegnarono a controllare quella parte di potere che c'era in me, ma più crescevo e più ho capito che la magia è malvagità. Vedevo persone innocenti sottoposte ad esperimenti crudeli, li torturavano solo per studiare incantesimi di magia oscura, la peggiore magia che possa esistere. Ho sempre pensato di non voler essere come loro, non volevo sentirmi superiore agli altri solo per essere nato con dei poteri e non volevo di certo usarli contro delle persone innocenti. »

Prima di continuare il mago bevve tutto d'un fiato ciò che era rimasto della sua birra.

« Non ho mai avuto un buon rapporto con i miei genitori. La nostra è una delle poche famiglie nobili di maghi purosangue e per questo bisognava mantenere alto l'onore della nostra famiglia. Il nostro cognome, Sakusa, è uno dei più importanti nel mondo degli stregoni; il nostro stemma rappresenta un corvo e per questo ogni volatile è definito un "protettore", un animale che si prende cura della nostra famiglia e con la quale abbiamo la capacità di comunicare, per questo ogni giorno sono seguito da diversi alati. Oltre alla mia famiglia di maghi purosangue ne esistono molte altre, tutte nobili e con la quale bisognava avere buoni rapporti. E quale modo migliore può esserci per legare due famiglie se non quello di far sposare i propri figli? I miei genitori organizzarono dei matrimoni combinati, mio fratello maggiore si sposò con la figlia della famiglia Nakano; mia sorella, anche lei maggiore, promise la mano al primogenito della famiglia Shibata. Quando raggiunsi la maggiore età decisero che anche io dovevo tenere alto l'onore della famiglia e sposare il figlio di una famiglia importante, una delle più potenti e nobili tra tutti gli stregoni: la famiglia Inoue.
C'era solo un problema. Non avevano una figlia femmina, il loro unico figlio era maschio perciò un matrimonio tra due uomini non avrebbe portato a nessun erede. Ciò però non frenò la mia famiglia. Insisterono nel voler combinare quel matrimonio e quando io lo scoprì decisi di scappare. Era già da molto che ne avevo intenzione, odiavo la mia vita e odiavo tutta quella cattiveria a cui ho dovuto assistere, in più odiavo colui che doveva essere il mio futuro marito. Perciò sono scappato, ho lasciato alle spalle quella terribile realtà e ho cercato di vivere per conto mio. »

Tutta quella curiosità che l’arciere aveva avuto finora si tramutò in tristezza. Dal modo in cui il suo compagno di viaggio raccontava la sua storia era sicuro che non era stato facile per lui. Aveva abbandonato tutto da molto tempo, aveva cominciato ad odiarsi per com'era nato e per le sue origini ed era sicuro che quella sensazione era orribile.

« Mi dispiace per tutto quello che ti è successo. » disse a malincuore il biondo « Ma dovresti essere fiero di ciò che hai deciso di essere. Avresti potuto seguire le orme della tua famiglia, continuare quelle orribili azioni, ma non l'hai fatto. »

Quelle parole non servirono a consolare il moro. La sua espressione sembrava sofferente nel ricordo di tutto quello che gli era successo, di tutti i suoi sbagli.

« Non sono poi così diverso da loro. » rispose trovando coraggio anche grazie all'alcool « Sono passati anni da quando sono scappato di lì, ma sono consapevole che la mia famiglia non ha mai smesso di cercarmi. E per non bastare sono inseguito anche dagli imperiali, non c'è fine al peggio. » disse con una leggera risatina isterica « Vuoi sapere perché mi danno la caccia anche loro vero? Beh... » il suo tono di voce si fece sempre più malinconico e triste.

« Poco dopo essere scappato di casa decisi di voler utilizzare la magia solo in caso di autodifesa. Un giorno però arrivai in un villaggio, era davvero piccolo e aveva pochi abitanti, ero grato che nessuno sapesse chi ero davvero e probabilmente per questo mi offrirono ospitalità. Soggiornai lì per giorni, finché una notte scoppiò un incendio. Le persone erano disperate e cercavano in tutti i modi di spegnere quel disastro, se le fiamme fossero divampate per loro non c'erano più speranze e il loro paesino sarebbe finito in ceneri. Pensai che avrei potuto dare una mano, provai ad utilizzare la magia per aiutarli ma... qualcosa andò storto e provocai solamente altri danni. L'incendio si estese ancora di più ed io decisi che era il momento di scappare. Da quel giorno non ho più avuto il coraggio di utilizzare la magia, ho distrutto la vita di innocenti proprio come i miei genitori ed in più sono diventato a tutti gli effetti un fuggitivo. »

Dopo quel racconto tra i due ragazzi si instaurò un gran silenzio. Kiyoomi aveva lo sguardo basso, come per nascondersi dalla vergogna del male che aveva causato e in quel momento si pentì di aver raccontato tutto ciò. Al contrario Atsumu non pensava che il suo compagno fosse un criminale o fosse un assassino, si convinse una volta per tutte che non era per niente pericoloso come pensava lui stesso.

« Vado a dormire, camere separate giusto? » Kiyoomi si alzò ritrovando il coraggio di volgere lo sguardo verso il biondo.

Quella notte avevano deciso che avrebbero dormito nelle camere della locanda, era raro per entrambi dormire in dei letti comodi e già che c’erano, perché no?

Prima che il moro potesse lasciare il tavolo però sentì la mano dell'altro stringere la sua, costringendolo a voltarsi.

« Io mi fido di te. Non penso che tu sia un criminale e soprattutto che tu sia come i tuoi genitori. È per questo che hai smesso di usare la magia vero? Pensi che sia una maledizione che ti abbia rovinato la vita, ma non è così! Tu puoi usarla per fare del bene alle persone, ma ciò che è successo quella volta non significa che possa accadere ancora. Io sono sicuro che tu puoi farcela, se ti eserciti sarai in grado di controllarla. »

Si guardarono negli occhi per qualche istante, la mano di Atsumu non lasciava andare quella di Kiyoomi e per questo lo costringeva a rimanere lì. L'arciere era sincero, si poteva vedere bene nel suo sguardo che era convinto di tutto ciò che aveva detto. Credeva davvero che il suo compagno fosse una brava persona ed era sicuro che poteva usare la magia per sé stesso e per aiutare gli altri. Le sue parole sembrarono aver colpito il mago, indeciso su ciò che doveva o non doveva fare. Ad ogni modo però non voleva rimanere nemmeno un altro secondo lì.

Con leggera fatica si liberò dalla presa dell'arciere, disse semplicemente « Buonanotte. » e se ne andò in camera. Ignaro però che avrebbe dovuto condividere la camera insieme ad Atsumu.


 

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Capitolo 3
*** Il ritorno della magia ***


La sera stessa, dopo che Kiyoomi era andato a dormire, Atsumu rimase qualche minuto da solo seduto al tavolo. Assaporava amaramente la sua birra mentre il suo sguardo sembrava perso. Immerso nei propri pensieri non poteva fare a meno di riflettere su ciò che aveva sentito. Non poteva che dispiacersi per il suo compagno e per tutto ciò che aveva passato, non doveva essere facile avere tutta la famiglia contro. In parte iniziò a pensare che fossero simili su quel lato, avevano abbandonato la loro vita precedente e avevano deciso di voltare pagina. In più non era di certo consolante sapere che lo stavano cercando, sia la sua famiglia che le guardie. E di certo non poteva biasimarlo per l'incidente che era successo con la magia e la sua decisione nel non usarla. Atsumu però era sicuro che la magia non fosse malvagia, dipendeva solo da chi la esercitava e come. Kiyoomi non era cattivo, durante quel mese aveva avuto modo di conoscerlo bene e di scoprire qualcosa del suo carattere. Era un ragazzo serio si, ma anche disposto ad aiutare un compagno in difficoltà. Era pacato e tranquillo, non l'aveva ancora visto arrabbiarsi per qualcosa e ciò era un chiaro esempio della sua pazienza. In più era una persona che non si arrendeva davanti alle difficoltà, quando non riusciva in qualcosa ci riprovava ancora e ancora. Era un peccato che avesse abbandonato la magia così facilmente, l'arciere era sicuro che in fondo era un ottimo mago.

Atsumu cominciò a capire che era il momento di tornare in camera quando notò che la maggior parte delle persone nella locanda erano andate via. Ormai si era fatta notte fonda e gli unici rimasti erano i dipendenti impegnati a pulire il casino causato poco prima da un gruppo di barbari. Finì d'un sorso la sua birra e si diresse verso la camera che aveva affittato per entrambi. Non aveva deciso di prendere una stanza singola con seconde intenzioni, l'unico motivo era perché ne era rimasta solo una disponibile. Peccato però che non aveva potuto dirlo al suo compagno, siccome lo aveva piantato in asso la sera prima.

Arrivò in camera leggermente assonnato, sia lui che il suo compagno avevano avuto una giornata impegnativa e non si stupì quando ritrovò il mago già addormentato sul letto. Erano giornate abbastanza miti, ma alla sera calava il freddo e bisognava coprirsi. Kiyoomi era sdraiato sul letto, la testa posata sul proprio mantello, utilizzato come appoggio, ed era coperto da quella che sembrava essere la pelliccia di qualche selvaggio animale, a prima vista sembrava d'orso. La sua espressione risultava turbata, dava l'impressione di non riuscire a dormire bene. E come poteva farlo, pensò Atsumu, con tutto quello che aveva passato.

Prima di coricarsi l'arciere andò a sedersi accanto a lui. Lo osservava bene mentre notava come le sue sopracciglia fossero crucciate e la sua bocca volta ad una smorfia. I suoi riccioli neri sembravano come lana scura ed invitavano l'altro ad immergerci la mano. Ovviamente non lo fece, ma rimboccò in maniera quasi affettuosa la pelliccia che lo copriva.

Il letto non era molto grande, ma permetteva a due persone di dormirci sopra. Ad ogni modo però Atsumu non voleva condividere il letto, non sapeva se il mago fosse stato d'accordo e non voleva mancargli di rispetto. Infondo era abituato a dormire per terra, utilizzò la sua veste come cuscino e si distese sul pavimento di legno. Ci vollero pochi secondi prima di crollare dal sonno.


 


 

Il continuo bussare alla porta portò l'arciere a svegliarsi di soprassalto. Era ormai mattina, i raggi del sole avevano illuminato la stanza e il freddo della sera prima era svanito. Qualcuno non faceva altro che bussare alla porta con violenza, senza però pronunciare alcuna parola. Quel suono ridondante aveva svegliato il ragazzo senza nemmeno dargli il tempo di alzarsi. Alzò lo sguardo da terra verso il suo compagno che ancora stava dormendo sul letto di paglia. L'arciere dubitava che a bussare fossero i proprietari del posto e pensò subito che non potevano essere che le guardie. Qualcuno doveva averli sentiti la notte scorsa e aveva pensato che se avesse fatto la spia, magari avrebbe ricevuto qualche premio.

Il biondo si alzò ed andò in fretta e svegliare il suo compagno. Era incredibile come ancora non si fosse svegliato con tutto quel trambusto, probabilmente era immerso in un sogno che lo aveva coinvolto. Quando l'arciere andò a scuoterlo per svegliarlo, il moro cominciò ad aprire leggermente gli occhi.

« Dobbiamo andare Omi! Non perdiamo tempo! »

A quelle parole e al rumore delle forti botte sulla porta, Kiyoomi si tirò immediatamente seduto e si voltò verso di essa.

« Ma come hanno fatto? » mugugnò ancora leggermente assonato e con un tono stanco.

« Ci penseremo dopo, adesso andiamo. » affermò l'arciere mentre si protese verso l'unica finestra della stanza.

Atsumu si sporse per vedere quanto fosse alta la distanza tra quella stanza e il terreno e ringraziò i proprietari del posto per aver permesso una via di fuga discreta. Perché l'unica soluzione che gli veniva in mente per fuggire era saltare dalla finestra.

« Dobbiamo saltare da qui, te la senti? » domandò al suo compagno impegnato a riprendere le sue cose e ad indossare il suo mantello.

« Sono scappato da un castello, posso scappare anche da una topaia come questa. » rispose con sarcasmo il moro.

Il biondo non poté fare a meno di lasciarsi scappare una lieve risata. Quella che era considerata una finestra, ovvero una fessura sulla parete, era abbastanza grande da poter permettere ad entrambi di saltare. Atsumu insistette nel far andare prima il suo compagno per paura che le guardie avessero sfondato la porta da un momento all'altro, e non voleva che Kiyoomi fosse catturato. Perciò appena il mago si buttò da quella fessura, l'arciere, dopo aver recuperato le sue cose, fece lo stesso.

Saltare non fu un problema, non era molto alta la finestra e quando cadde sul suolo non sentì nemmeno un piccolo dolore. Il problema si presentò quando vide che erano circondati. Messi con le spalle al muro i due ragazzi si ritrovarono accerchiati da una sfilza di guardie. Alcune di loro erano armate con delle lance, altre con degli archi o delle balestre. Erano abbastanza numerose e questo rappresentava sicuramente un grande problema.

In quel momento Atsumu non aveva la minima idea di cosa fare. Sembrava che non ci fosse alcuna via di fuga, non aveva intenzione di uccidere nessuno ma non sarebbe mai riuscito a disarmare tutte quelle guardie. Infondo non aveva mai combattuto contro altre persone.

« Per la giurisdizione del regno di Esarough, siete entrambi in arresto per aver causato danni al regno. » pronunciò una delle guardie mentre teneva in mano un foglio di pergamena « Arrendetevi pacificamente o saremo costretti ad attaccare. »

Il biondo volse lo sguardo verso il suo compagno, il quale sembrò infastidito. Kiyoomi sentendo le parole della guardia alzò un sopracciglio, la sua espressione era fredda e seria come al solito.

« Il mio compagno è innocente. » disse « Non potete arrestarlo. »

« È complice di un criminale, abbiamo il diritto di arrestarlo. » pronunciò la guardia con in mano il foglio « Allora, vi arrendete o no? »

Le guardie cominciarono a farsi sempre più avanti, le lance puntate contro di loro, così come archi e balestre. Un passo falso e ci avrebbero rimesso la pelle.

Le risposte che il moro riceveva non sembravano soddisfare le sue pretese. Il suo sguardo fulminava tutte le persone che aveva davanti, mostrando tutto il suo disgusto. Era consapevole che non avrebbe permesso a nessuno di fare del male al suo compagno, di privarlo della sua vita e della sua libertà. Avrebbe fatto di tutto per difendere lui ed i suoi valori, gli doveva molto per tutto ciò che stava facendo, per la sua fiducia e la sua gentilezza. Avrebbe fermato quell'ostacolo con tutto ciò che aveva a disposizione.

« Non ci arrendiamo. » rispose con convinzione.

Subito dopo alzò una mano in aria, i suoi occhi si illuminarono di un azzurro elettrico e la mano sembrò avvolta da un'aura simile a quell'azzurro intenso. Attorno ai due ragazzi si formò una barriera, simile ad una bolla gigante e robusta, che subito in tempo li parò da tutte le frecce lanciate dai nemici. Per Atsumu sembrò come vedere la morte sfiorarlo di un soffio. Per sua fortuna nessuna di quelle frecce lo sfiorò perché per quanto la barriera sembrasse sottile, non lo era affatto. Nessuna di quelle frecce la oltrepassò e caddero tutte a terra. In quel frangente l'arciere si voltò stupefatto verso il suo compagno, con un misto di orgoglio e stupore.

Bisognava trovare una via di fuga, la barriera non avrebbe potuto proteggerli a lungo e più il moro cercava di tenerla, più le sue forze si prosciugavano. Perciò non poté fare altro che continuare ad usare tutto ciò che aveva a disposizione, la sua arma più temibile: la magia.

Accumulò dentro di sé quel briciolo di potere che aveva evitato di far uscire da mesi, cosicché quando lasciò andare la barriera quel potere si riversò contro i suoi nemici, facendoli sobbalzare in aria.

Avevano pochi secondi prima che gli arcieri cominciassero ad attaccarli scoccando altre frecce, ed in quel frangente di tempo Kiyoomi afferrò il polso del suo compagno e cominciò a correre lontano. Non diede peso a dove stesse andando, non cercò nemmeno di guardarsi indietro, corse verso la foresta il più possibile. Sentì però che le frecce cominciarono ad arrivare, vedendole cadere al suolo a pochi centimetri da loro. Pur di proteggere entrambi il mago cercò di ricreare la stessa barriera, ma non durò nemmeno un minuto poiché cadde a terra privo di forze.

La caduta portò con sé anche Atsumu che si ritrovò per terra sopra il suo compagno. Non poteva però perdere altro tempo prima di essere colpito da una freccia, perciò lo prese in braccio e si alzò con poca fatica. Nella sua esperienza di vita nella foresta aveva imparato ad affrontare molti problemi, era riuscito ad aumentare la sua forza e se non poteva fare affidamento sul suo arco, allora poteva fare affidamento su quella. Cominciò a correre tenendo in braccio il mago, il quale aveva gli occhi chiusi ed un espressione dolorante.

Agilmente i due riuscirono a schivare le continue frecce in arrivo, anche grazie all'aiuto di alcuni volatili che avevano iniziato ad attaccare le guardie. Inconsapevole se qualcuno li stesse seguendo, Atsumu non si perse d'animo e continuò a correre per molto tempo, finché non incontrò una caverna. Era perfetta per nascondersi temporaneamente, aveva bisogno di fermarsi e di capire le condizioni di salute del suo compagno. Fece un ultimo sforzo e corse subito lì dentro.

La luce del sole era l'unica fonte di luce che permetteva al ragazzo di vedere. L'entrata della caverna era aperta, non c'era modo di chiuderla se non con un macigno enorme, ma nessun uomo avrebbe avuto talmente tanta forza per spostarlo. L'unica cosa che poteva fare era sperare di esser riuscito a seminare le guardie.

Fece sdraiare il suo compagno a terra mentre con un braccio gli tenne la testa. Il volto di Kiyoomi era pieno di graffi per via della caduta, le ginocchia sbucciate e le mani graffiate. Non era niente di grave in confronto a ciò che potevano fargli le guardie, in qualche modo Atsumu fu grato di non aver ritrovato ferite gravi. Ad ogni modo però ciò che lo preoccupava erano le sue condizioni per via dello sforzo che aveva fatto. Non sapeva niente di magia, non sapeva se dopo tanto tempo a non utilizzarla potevano esserci degli effetti collaterali. Infondo era come se per mesi l'arciere smettesse di usare l'arco, sarebbe inevitabile che dopo tanto tempo la sua mira non fosse più quella di una volta. Era sicuro però che se Kiyoomi avesse ripreso ad utilizzare la magia, allora sarebbe stato in grado di padroneggiarla a suo piacimento.

« Omi mi senti? Che cosa ti è successo? Non dovevi sforzarti tanto! » esclamò Atsumu cercando in tutti i modi di risvegliare il suo compagno.

Improvvisamente però gli occhi del moro cominciarono ad aprirsi lentamente. Non erano più azzurro elettrico come prima, erano tornati neri come al loro solito. Quegli iridi si posarono sul ragazzo che aveva davanti, studiando bene il suo volto accertandosi che fosse Atsumu.

« Non sei ferito... » riuscì a dire mentre pian piano riprendeva coscienza.

« Grazie a te. » rispose col sorriso sul volto l'arciere « Come ti senti? »

Il ragazzo dai riccioli neri si tirò seduto con fatica, liberandosi dalla presa del compagno. Si portò una mano sul volto come per controllare se tutto stesse apposto e diede un'occhiata su tutto il corpo. Il mantello si era sporcato di terra e la parte inferiore presentava qualche lacerazione.

« Sto bene. » affermò il moro « Sono solo stanco e... arrabbiato. » una smorfia infastidita si fece viva sul suo volto.

Per quanto cercava di non usare la magia, il ragazzo si ritrovava spesso a doverla padroneggiare. Non aveva nessun'altra arma che quel maledetto potere che deteneva dalla nascita. Invece di essergli grato per avergli salvato la vita e quella del suo compagno, non sopportava l'idea di doverla utilizzare. Si lasciò andare con un leggero sospiro e si portò la mano in fronte, passandola tra i capelli riccioluti.

« Omi non c'era altra soluzione per scappare, mi hai protetto e non posso esserti più che grato. » ringraziò Atsumu seduto a pochi metri di distanza da lui.

Mentre il mago continuava a pensare al detestare la magia, l'arciere cominciò a cercare qualcosa all'interno della sua sacca.

« Con quella magia avrei potuto anche ferirti! Non si sa mai, è un potere imprevedibile che se non si controlla bene può causare innumerevoli danni! Ero riuscito a non utilizzarla per più di un mese ed ora mi ritrovo di nuovo schiavo di questo potere! » sbuffò « Non lo sopporto. Tu puoi contare sulle tue forze, su ciò che hai ottenuto con tanta fatica, mentre io ci sono semplicemente nato! Non ha un valore, non ha niente di buono questo po-... »

Kiyoomi si ammutolì non appena sentì la mano dell'arciere posarsi sulla sua guancia. Quella mano, cosparsa di una soluzione alle erbe curative, aveva cominciato ad accarezzargli la guancia con l'intento di spalmare quella specie di soluzione curativa sulle cicatrici lì presenti. Le guance del moro arrossirono inconsciamente.

« Smettila di lamentarti e lasciati curare. » ordinò Atsumu con tono scherzoso mentre sembrava divertito a guardare l'espressione del suo compagno.

« Fammi indovinare... foglie di iperico? » domandò il mago cercando di non trasparire alcuna risata.

« Esatto! Hai imparato le mie lezione, non sono male come maestro allora. »

Senza contenersi il mago si lasciò scappare una lieve risata mentre senza obiettare lasciò che la mano di Atsumu accarezzasse le sue guance per curarle.

Quella risata, quel sorriso apparirono agli occhi dell'arciere come un'illuminazione. Il suo volto ora ricoperto da quella sostanza verde, con le ferite della caduta e leggermente sporco di terra risultava comunque bello e affascinante. Quel leggero sorriso, spontaneo e divertito, aveva colpito Atsumu al petto provocandogli una fitta che non riusciva a spiegarsi. Raramente Kiyoomi si mostrava sorridente o colto da una risata, vederlo in quello stato lo ritraeva come un ragazzo spensierato e innocuo. Nessuno poteva accusarlo di essere una persona malvagia oppure un criminale, perché tutto ciò che l'arciere vedeva era un giovane ragazzo a cui gli avevano tolto la libertà. Ed ora che stava cercando di riconquistarsela, poteva permettersi il lusso di ridere e sorridere. Avrebbe voluto vederlo in quello stato più spesso, vederlo più divertito e senza pensare troppo a tutti i problemi che lo affliggevano. Era talmente bello che gli avrebbe strappato un bacio pur di dimostrarglielo.

La mano di Atsumu cominciò a diventare sempre più morbida, accarezzò nuovamente quella guancia fino a portare la sua mano sul mento del ragazzo, come per afferrarglielo. Avvenne tutto in pochi secondi, ma Kiyoomi sentì le labbra dell'altro posarsi sulle sue. Fu un istante, sentì le labbra soffici e sinuose del suo compagno posarsi sulle sue, facendogli assaporare per poco tempo il loro sapore. Quando quel contatto svanì, il mago non poté fare a meno che guardare con gli occhi sgranati dallo stupore l'arciere.

« Va-Vado ad assicurarmi che non ci abbiano seguito. » balbettò Atsumu per poi alzarsi ed allontanarsi da quel luogo, lasciando il suo compagno da solo a pensare.

Ancora stupito da quel contatto, Kiyoomi si portò le dita sulle labbra come per capire se ciò che era successo fosse davvero accaduto. Sentì un misto di emozioni colpirlo tutte insieme, creando dentro di sé una tempesta. Non riusciva a capire perché Atsumu l'avesse fatto, non aveva mai destato comportamenti simili prima d'ora e non si era mai dimostrato interessato a lui. Poteva essere una tecnica solo per sfruttarlo per suoi poteri? Ne dubitava fortemente. Quel ragazzo non aveva mai dato segno di voler bramare i suoi poteri, sembrava solo che lo incentivasse ad usarli per sé stesso. Ma allora perché mai avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Nessuno lo aveva costretto a farlo, non era come il suo "promesso sposo" che desiderava sposarlo solo per un'assurda ideologia. Lo aveva fatto di sua spontanea volontà, ma il significato di quel gesto sembrò sconosciuto per il ragazzo dai capelli mori.

Eppure se per poco tempo, in quell'istante Kiyoomi sentì il cuore battere all'impazzata. Questa volta non per paura di rischiare la propria vita, ma perché c'era qualcosa in lui che non capiva. I suoi poteri che stavano tornando? La paura di essere catturati? Una reazione allergica a quella sostanza sulla sua guancia? Non sarebbe mai arrivato alla conclusione che in realtà si trattava di un sentimento più forte degli altri, un sentimento che stava pian piano sbocciando e che nella sua vita non aveva mai avuto modo di provare.

***

Sotto quel manto di cielo stellato si ergeva il fumo di un piccolo falò allestito accanto al fiume. Quel pomeriggio i due ragazzi si erano appartati sulle rive del corso d'acqua ed avevano passato il tempo a pescare, cercando di prendere qualche pesce per la cena. Fu un'attesa molto lunga, i pesci non avevano intenzione di abboccare e ci vollero minuti e minuti prima di catturare il primo pesce. Ogni volta che Kiyoomi si sentiva tirare, doveva chiamare in soccorso Atsumu pur di riuscire ad acchiapparne uno. Verso la fine del giorno però la loro cesta, accuratamente costruita, era piena di salmoni e di trote, che costituivano la loro cena. Avevano creato una specie di girarrosto dove avevano infilzato i pesci e messi a cuocere sopra il fuoco, girando lentamente per farli cuocere bene. Anche questa volta Atsumu aveva creato un nuovo oggetto dal nulla, così come le canne da pesca, stupendo ancora una volta il suo compagno di viaggio.

Erano passati giorni dall'ultima volta che erano scappati dalle guardie, dopo quel leggero bacio scambiato nella caverna i due non ne avevano più parlato e fingevano che non fosse successo niente. L'arciere aveva spronato molto il moro ad utilizzare la sua magia, così da riprendere mano con quel potere fino ad arrivare al suo totale controllo. Ma oltre ad incantesimi di lievitazione oppure legati agli elementi naturali, proprio come il fuoco, il mago non si era spinto oltre. Aveva bisogno di alcuni oggetti in particolare per riprendere i propri studi sulla magia.

« Sai Omi mi chiedevo... » cominciò a parlare Atsumu con la bocca piena « Esistono magie curative? »

« Beh si esistono » rispose l'altro mentre prese dallo spiedo l'ultimo pesce rimanente, cominciando a sfilettarlo con un coltellino « Ma sono magie avanzate per stregoni abili e potenti. »

Quella risposta suscitò la curiosità dell'arciere, che ancora si gustava il suo pesce aromatizzato con dell’aneto.

« Come si fa a diventare più potenti? »

« Devi allenare sia il corpo che la mente, studiare più incantesimi possibili e provare e riprovare finché non vengono eseguiti in maniera impeccabile. »

Mentre i due viaggiatori gustavano le loro prelibatezze, un piccolo gufo li osservava da un alto ramo. Attratto dall'odore del pesce volò sulla spalla del suo così detto proprietario che cominciò a sfamarlo con pezzetti di carne bianca.

« Per esempio i tuoi genitori? Loro sono potenti stregoni? » domandò l'arciere ancora più incuriosito.

« Chiunque faccia parte di una famiglia nobile di stregoni purosangue deve studiare e diventare un potente stregone. In confronto ai miei genitori, a mio fratello e mia sorella o al mio "promesso sposo", io non sono all'altezza. » spiegò il moro mentre gustava il suo pesce in compagnia del gufetto.

In quei giorni, dopo la fuga insieme ad Atsumu, Kiyoomi aveva cominciato a dubitare sulla sua decisione di non voler usare la magia. Infondo ciò che diceva il biondo era vero, se riusciva a controllarla a suo piacimento avrebbe potuto utilizzarla per il bene comune. Non avrebbe ferito nessuno o cercato di causare danni, se fosse stato in grado di controllarla allora poteva avere controllo su sé stesso. E forse chi lo sa, magari un giorno avrebbe dovuto utilizzarla contro un altro stregone, anche se l'idea di un combattimento lo infastidiva. Infondo non voleva uccidere o mettere in pericolo nessuno.

« Sono sicuro che se ti impegnerai, riuscirai anche a superarli. » disse Atsumu con un sorriso fiducioso sul volto.

Ci fu un momento di silenzio nel quale il mago sembrò incantato a riflettere.

« Ho bisogno di recarmi da una parte. » disse improvvisamente « Da domani ci incammineremo per un luogo piuttosto pericoloso, lontano da questa foresta. Te la senti di accompagnarmi Atsumu? » domandò Kiyoomi guardando negli occhi il suo compagno di viaggio.

Anche se fu una richiesta improvvisata e alquanto pericolosa, Atsumu non trasparì alcun segno di preoccupazione.

« Qualsiasi cosa per te Omi-Omi. » rispose col sorriso il giovane arciere provocando leggero imbarazzo nel viso dell’altro.

 

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Capitolo 4
*** La Foresta Incantata ***


Era dall'alba che il duo si era incamminato per quel viaggio alquanto misterioso. Kiyoomi non aveva intenzione di rivelare la meta che aveva in mente, la teneva segreta come effetto sorpresa per il biondo, il quale ardeva dalla voglia di sapere. Avevano lasciato la foresta da molto e seguivano un sentiero in mezzo alle colline coperte di un prato verde, potevano scorgere anche delle pecore in lontananza. Al mago non serviva né una mappa né la sua memoria, perché poteva contare sui suoi protettori. Questa volta in alto nel cielo volava una delicata e maestosa rondine che lentamente accompagnava i due viaggiatori alla loro destinazione.

L'animale non serviva solo da guida, ma anche da chiave per entrare in quel luogo. Senza un protettore nessun mago poteva varcare la soglia dei luoghi magici, luoghi nella quale la realtà veniva stravolta e trasformata attraverso la magia. Esistevano dei mondi sconosciuti ai normali umani, nei regni o addirittura nei paesini esistevano portali o varchi che consentivano ai maghi di raggiungere tali mondi. Città magiche, foreste incantate o regni subacquei, erano numerosi i misteri che si celavano dietro alla magia. Attraverso le rune incise e con l'aiuto dei propri protettori, ogni mago poteva entrare in quei misteriosi mondi e venire a contatto con creature o animali magici. Ad ogni modo però chiunque facesse parte di un mondo magico non poteva raggiungere il mondo umano, solo gli stregoni più forti potevano evocare quelle creature per una breve durata di tempo nel mondo umano.

Quel giorno i due ragazzi avrebbero raggiunto uno di quei luoghi, la rondine che volava in cielo li avrebbe aiutati ad attraversare quei portali. Seppur Atsumu fosse umano, attraverso il contatto con un mago sarebbe stato in grado di raggiungere l'altro mondo. Il pensiero di dover portare con sé il biondo non faceva stare tranquillo il moro. In quei luoghi gli umani avevano maggiori possibilità di rischiare la vita, erano esposti a pericoli peggiori per via delle numerose creature o comunità magiche lì presenti. Per i maghi gli umani non erano altro che schiavi, esisteva un traffico di umani nelle più grandi città magiche ed erano anche cibo prelibato per pericolose creature. Sarebbe stata l'ultima volta che avrebbero messo piede in uno di quei luoghi.

Arrivarono davanti all'entrata di una nuova foresta, gli alberi erano altissimi e ai loro piedi i due ragazzi sembravano formiche. La rondine andò a posarsi sulla spalla del suo padrone come per avvertirlo di essere arrivati a destinazione. Il mago si guardò intorno cercando i segni delle rune finché non le vide incise sul fusto di un albero e su alcune pietre per terra. Prima di poter mettere piede dentro la foresta Kiyoomi prese la mano del suo compagno e la strinse forte. Non poteva permettersi di rompere il contatto o non sarebbe mai entrato.

« Non lasciarmi la mano finché non te lo dico. » disse senza distogliere lo sguardo dalla foresta davanti a sé.

Inizialmente Atsumu sembrò confuso, ma bastò un passo in avanti per trasformare quella confusione in assoluto stupore. La foresta che avevano pochi secondi prima davanti agli occhi si tramutò in un luogo irrealistico e surreale. Gli alberi avevano cambiato colore, così come il prato e qualunque altra cosa lì presente. Gli alberi erano color viola, le foglie di un rosa scuro e sul fusto vi erano linee illuminate di un azzurro intenso. Il suolo non era più verde, ma di un azzurro scuro ed intenso e su di esso vi erano piante inusuali sparse per il bosco, per esempio funghi azzurri, fiori enormi con delle sfere al centro e ciuffi di erba arcobaleno. Oltre a quelle strane piante si scorgevano anche inusuali animaletti. Sugli alberi vivevano degli scoiattoli con delle enormi orecchie ed una pelliccia verdognola, mentre volavano accanto a loro degli strani insetti con lunghe antenne luminose. Ogni angolo di quella foresta era assurdo, sembrava che in quel luogo tutto ciò che Atsumu aveva imparato da anni non servisse a nulla perché niente era come prima.

« Dove siamo finiti? » riuscì a domandare con un filo di voce ancora scossa dallo stupore.

« Siamo in una foresta incantata. » spiegò il suo compagno che riprese a camminare lasciando piano piano la mano dell'arciere « Solamente i maghi possono accedervi. Usavo questo luogo come una via di fuga quando ancora vivevo con la mia famiglia, ma divenne il mio rifugio subito dopo la mia fuga. » ricordò amaramente il mago.

L'attenzione del biondo era rivolta a tutto ciò che lo circondava, gli occhi non smettevano nemmeno un secondo di scrutare quella foresta. Per quanto fosse ammaliato da quel luogo, era sicuro che nascondesse anche molti pericoli. Per sicurezza portò l'arco nella mano, pronto ad ogni evenienza, e tornò a posare la sua attenzione sul ragazzo davanti a sé.

« Questa foresta non ha niente a che fare con quella umana. Qualsiasi cosa qui è diversa, le piante che sembrano innocue possono essere anche le più letali, stessa cosa anche per gli animali e persino l'acqua più cristallina può essere vel-... »

Il ragazzo non ebbe modo di finire la frase che la freccia di Atsumu lo sfiorò di un soffio ed andò a trafiggere una delle numerose piante della foresta. Quella che sembrava una pianta carnivora pronta a divorare la testa del mago finì trafitta sul tronco di uno degli alberi. Quell'attacco ne fece uscire da tale pianta un liquido viscido e verdastro che sporcò leggermente la guancia del mago.

Kiyoomi era rimasto pietrificato da ciò che era successo. Si era lasciato andare con le parole a tal punto da abbassare la guardia, ciò non poteva permetterselo. Come poteva badare alla salute del suo compagno se non pensava prima alla sua?

« Stai più attento. » mormorò l'arciere che andò a pulire la guancia del compagno col pollice.

Per quanto si sforzasse il moro non poteva competere con le abilità, i riflessi e la forza del suo compagno. Sperava che un giorno sarebbe stato in grado di poter badare lui alla salute dell'arciere, ma fino a quel momento non ne era in grado.

« Grazie Atsumu. » mugugnò il mago cercando di nascondere leggermente la rabbia. Rabbia contro sé stesso per non essere in grado di difendersi.

Dopo quel episodio il duo riprese il viaggio in quella foresta incantata. Passarono la maggior parte del tempo a parlare di quei luoghi misteriosi, dei loro pericoli sconosciuti e di come i maghi potessero entrarne. L'arciere aveva talmente tante domande che il mago non era in grado di dare una risposta a tutte. La magia era un potere talmente forte e imprevedibile che nascondeva una miriade di misteri, nemmeno la famiglia di Kiyoomi li conosceva tutti. Chiunque cercava di scoprirli tutti finiva per diventare corrotto e malvagio, proprio come i suoi genitori. Spesso il mago si domandava cosa sarebbe successo se i propri genitori non fossero nati con poteri magici, magari sarebbero stati più magnanimi e avrebbero amato i loro figli più del potere che avevano. A certe domande però non esistevano risposte.

Il loro passo cominciò a rallentare quando Kiyoomi capì di essere vicino alla sua meta. Si guardava intorno scrutando il luogo e riportando alla memoria i momenti che aveva passato in quella foresta. Sfiorava con le dita le varie piante che incontrava nel cammino finché non si immerse in un passaggio segreto nascosto da quelle stesse piante. Atsumu cercò di stare al suo passo e quando attraversò quel miscuglio di rami e foglie si ritrovò davanti ad un enorme quercia magica. Illuminata da quelle insenature azzurre, la quercia si mostrava in tutta la sua grandezza, ma il particolare che risaltò più all'occhio fu quello di alcuni scalini che conducevano ad una porta sul tronco dell'albero.

« Siamo arrivati. » esclamò il mago con un leggero sorriso sul volto. Rivedere quel luogo lo faceva sentire al sicuro.

Avanzò verso quella inusuale porta mentre scrutava ogni dettaglio di quella quercia, come per controllare se tutto fosse al suo posto. Dietro di lui Atsumu lo seguiva a brevi passi, incantato dalla vista di tale albero. A primo impatto si vedeva che quel luogo era stato costruito come rifugio, usato dal mago per evitare di stare a contatto con i propri familiari. Si intuiva però per via del muschio e delle piante molto alte che il moro non metteva piede lì da molto.

Davanti alla piccola porticina Kiyoomi posò una mano sul tronco della quercia per poi cercare di aprirla tramite il pomo della porta. Sembrò sollevato quando non riuscì ad aprire la porta.

« Bene, sembra che nessuno sia stato qui. » suppose.

Fece due passi indietro, costringendo il suo compagno ad indietreggiare a sua volta, e alzò la mano verso il fusto dell'albero. Sulla cima di quella quercia vi era inciso un enorme simbolo che solo in quel momento Atsumu notò. Quel simbolo divenne azzurro elettrico, così come gli occhi del mago e l'aura attorno alla sua mano. La terra sembrò tremare per qualche secondo, Atsumu cercò di aggrapparsi alla prima cosa che ebbe sottomano e finì col posare la mano sulla spalla del suo compagno. Ciò non sembrò interferire con la magia che stava mettendo in atto il moro, la terra continuò a tremare finché il simbolo sulla quercia non cambiò in un’altra runa. Quando ciò accadde la magia finì, tutto sembrò tornare come prima e il terreno sembrò aver ritrovato stabilità. L'arciere non smise di tenere la mano sulla spalla del suo compagno finché non lo vide fare un passo avanti. Quando il mago andò ad aprire la porta girando il pomo, questa volta si aprì.

Al di là di quella porta vi era un piccolo rifugio. Non appena misero piede dentro Atsumu fu attratto dalla vista di un enorme libreria piena di libri, ormai impolverati. Ai suoi piedi vi era un enorme tavolo sul quale erano poggiati libri aperti e sparsi ovunque, piume di qualche volatile, alcune piante del luogo e altri ingredienti inusuali. Nel rifugio vi era anche un piccolo calderone su un ammasso di ceneri, delle coperte che dovevano rappresentare un letto e uno scaffale pieno di strani aggeggi.

« Benvenuto nel mio nascondiglio. » disse il moro mentre con la mano emetteva una fioca luce.

Per quanto fosse interessante osservare e analizzare quel luogo, Atsumu voleva capire il motivo del loro viaggio. Più si guardava intorno più vedeva oggetti rovinati e impolverati, non ne conosceva la funzione ma poteva credere che ormai non funzionavano da tempo.

« Perché siamo qui? » domandò il biondo porgendo lo sguardo verso il suo compagno.

Prima di poter rispondere alla domanda il mago andò subito a sfogliare uno dei libri sul tavolo. Conosceva tutti gli oggetti e gli utensili di quel rifugio e ricordava bene anche ogni libro che utilizzava. Visibilmente infastidito nel toccare con le mani nude il libro impolverato, il ragazzo sfogliò quel testo velocemente e si tranquillizzò nel trovare ciò che cercava. Con un gesto della mano i suoi occhi tornarono a brillare ed in meno di un secondo la polvere e la sporcizia in quel piccolo spazio scomparì.

« Odio la polvere. » si giustificò sotto lo sguardo interrogativo del suo compagno « Comunque siamo qui perché mi hai convinto Atsumu. Ho apprezzato in questi mesi tutte le tue lezioni, sono state molto utili e mi hai insegnato molto riguardo alla natura, te ne sono grato. Ma voglio essere in grado di rendermi utile anche io. »

A quelle parole un sorriso cominciò a formarsi sul volto dell'arciere.

« Voglio tornare ad usare la magia, a studiarla. Per questo ho bisogno dei miei libri. » spiegò il mago cominciando a cercare nell'enorme libreria ciò di cui aveva bisogno.

« È fantastico Omi. » sorrise il biondo mentre guardava il suo compagno « Sono fiero di te! »

Quelle parole fecero solo aumentare il rossore sulle guance del mago che nascondeva il suo volto dando le spalle al biondo. Da quando avevano avuto quel leggero bacio Atsumu si comportava sempre meglio nei confronti del mago. Gli rivolgeva parole gentili e si mostrava sempre disponibile nei suoi confronti, anche se lo aveva fatto dal primo momento, adesso sembrava ancora più premuroso di prima. A volte il mago pensava che Atsumu si comportasse in quel modo solo perché gli faceva pena, ai suoi occhi poteva sembrare un ragazzo debole ed incapace di badare a sé stesso e forse proprio per questo non gli lasciava gli occhi di dosso. Forse era anche per questo che aveva deciso di insegnargli tutto ciò che sapeva, così da aiutarlo nelle difficoltà. Se c'era qualcosa però che Kiyoomi odiava era risultare debole. Era consapevole di non essere forte tanto quanto la sua famiglia, ma ad ogni modo era riuscito a sopravvivere per tutti quegli anni da solo. Non aveva bisogno di qualcuno che badasse a lui e sperava che l'arciere non lo considerasse come qualcuno da proteggere.

Passarono un po' di tempo nel rifugio, Kiyoomi esaminò molti dei libri magici che conservava e scelse accuratamente quelli che considerava più adeguati da portare con sé nel loro viaggio infinito. Atsumu invece ne approfittò per accendere il fuoco sotto al calderone ed utilizzarlo per cucinare qualcosa, sfruttando ciò che conteneva nella sua sacca. Mentre era impegnato a mescolare la sua improvvisata zuppa, un luccichio acquisì la sua attenzione. Sullo scaffale pieno di strani oggetti vi era la statuina di un piccolo gufo, aveva gli occhi enormi e colorati di un azzurro acceso. L'arciere si sentì ammaliato da quel luccichio, si avvicinò a quella statuina e la prese in mano. Era piccola tanto quanto il palmo della sua mano.

« Ti piace? » domandò il mago dopo aver chiuso finalmente l'ultimo libro da controllare.

« Cos'è? » chiese l'arciere incuriosito.

« Un portafortuna. » rispose il mago « Me lo regalò il falegname del mio paesino uno dei tanti giorni che passavo fuori casa. Ancora non so perché ma in quel paese mi amavano tutti. »

Il gufetto di legno era inciso con molta precisione, ne aveva passate tante ma non sembrava affatto rovinato. Era una statuina graziosa, gli occhi azzurri dovevano esser stati dipinti con una vernice intensa e luminosa, così da conferirgli lucentezza.

Guardando bene quell'oggetto Kiyoomi pensò che ormai facesse parte del passato e non lo avrebbe più considerato come prima.

« Te lo regalo. » decise il mago « Magari ti porterà fortuna come ha fatto con me. »

Inizialmente l'arciere non sembrò d'accordo, ma dopo varie insistenze decise di tenere la statuina. Quell'oggetto significava molto per il mago e se aveva deciso di regalarlo a lui, forse rappresentava un gesto di fiducia. Ad ogni modo il biondo posò la statuina del piccolo gufo nella tasca dei pantaloni, cercando di conservarla nel miglior modo possibile.

In quel momento si sentirono i versi di un uccello avvicinarsi sempre di più. La rondine, che era rimasta fuori a controllare, sbucò da una fessura della quercia e iniziò a garrire rumorosamente.

« Cip cip! »

Quei versi trovarono l'attenzione del moro che si voltò verso l'elegante volatile. Sotto lo sguardo confuso di Atsumu, Kiyoomi sembrò comprendere ogni verso di quell'animale e i suoi occhi sgranarono.

« Merda. » imprecò voltandosi poi verso il suo compagno « Sta arrivando mio cugino, devi nasconderti! »

« Tuo cugi- COSA?! »

L'arciere non ebbe modo di fare domande, cominciò a guardarsi intorno con l'intento di cercare un nascondiglio, ma per quanto fosse piccolo quel rifugio non c'era modo di potersi nascondere. Per fortuna Kiyoomi aveva la soluzione. Si avvicinò ad una parete legnosa della quercia e con un colpo di spalla aprì una piccola fessura nascosta rivelando un piccolo nascondiglio. Quando il mago creò il rifugio aveva già pensato a dover creare un nascondiglio per qualsiasi evenienza, infondo era tutta la vita che stava scappando.

« Non parlare e non farti scoprire. Che sia mio cugino o qualcun altro se scopre che ho portato un umano in un regno magico mi ammazzano! » urlò a bassa voce il moro preoccupato, aiutando il compagno a nascondersi.

La fessura era davvero piccola ma per fortuna Atsumu riuscì ad entrarci, anche se in una posizione scomoda. Per fortuna nel nascondiglio vi era una frattura che permetteva al ragazzo almeno di vedere qualcosa, seppur poco e niente. Kiyoomi si assicurò che fosse nascosto bene finché non sentì bussare alla piccola porticina della quercia.

Prima di andare ad aprire il mago prese un grande sospiro. Non aveva avuto contatti con nessun componente della sua famiglia da molto tempo, aveva cercato di evitarli fino a quel momento ed una visita di suo cugino era l'ultima cosa che voleva.

Quando il ragazzo andò ad aprire la porta, davanti a sé si ritrovò suo cugino Komori. Aveva dei capelli castano chiari, degli occhi lucenti e un gran sorriso sul volto, come se si fosse dimenticato della situazione precaria in cui si trovava suo cugino Sakusa.

Senza dargli tempo di aprire bocca, il moro portò il ragazzo dentro la tana e si assicurò di chiudere bene la porticina.

« Kiyoomi da quanto tempo! Ma che fine avevi fatto?! Ero in pensiero per te! » urlò dallo stupore Komori andando ad abbracciare il cugino.

Il moro odiava gli abbracci, Komori era l'unico membro della sua famiglia che si degnava di darglieli perché a nessun altro importava. Rispetto a tutti gli altri suo cugino era proprio come lui, odiava la malvagità che affliggeva la loro famiglia e per sua fortuna i suoi genitori non erano così terribili come i signori Sakusa, almeno non organizzavano matrimoni combinati. Durante l'infanzia Komori era l'unico a cui piaceva trascorrere il tempo con il moro e fu l'unico a sapere dove si trovasse quando Kiyoomi scappò di casa. Non disse mai niente alla sua famiglia per il suo bene, ma pretendeva di sapere almeno per un periodo di tempo dove si trovasse e se stesse bene. Avevano da sempre un buon rapporto, ma la lontananza non gli permetteva di stare insieme.

« Come hai saputo che ero qui?! E soprattutto che ci fai tu qui?! » domandò il moro infastidito e preoccupato, ma allo stesso tempo felice di rivedere il castano.

« Potrei farti la stessa domanda! » rispose Komori senza però smettere di sorridere.

I due cugini cominciarono a parlare tra loro dopo tanto tempo, mentre Atsumu scrutava con difficoltà il ragazzo che era appena entrato nel rifugio. Lo analizzava in ogni dettaglio, dalle vesti che indossava fino al portamento che aveva, cercando di capire se rappresentava una minaccia o no. A primo sguardo Komori sembrava innocuo, talmente tanto che l'arciere non avrebbe mai pensato fosse un mago ma soprattutto non avrebbe mai pensato fosse parente di Kiyoomi. Sia nelle caratteristiche fisiche che nel carattere sembravano appartenere a tutt'altra famiglia. Nel scrutare il nuovo arrivato, l'arciere si rese conto di aver lasciato l'arco accanto al calderone ed una morsa sul petto lo colpì all'istante. Come poteva aver dimenticato il suo prezioso arco?

« Non dovresti essere qui, se scoprono che mi hai incontrato finirai in guai grossi! » rimproverò il moro.

« Dovevo assicurarmi che tu stessi bene! » rispose l'altro « Non ci vediamo da così tanto! »

Per quanto Kiyoomi fosse felice di rivedere qualcuno a cui voleva bene, non poteva permettere a suo cugino di rischiare la pelle per lui. Passarono qualche minuto a parlare degli ultimi tempi, Kiyoomi inventò molte bugie pur di non rivelare di aver passato del tempo con un umano. Sapeva che poteva fidarsi di Komori, ma non poteva rivelare a nessuno della presenza di Atsumu. Per il suo bene e per la sua libertà, era meglio tenere la bocca chiusa. Suo cugino invece gli rivelò di esser andato via di casa anche lui, ma senza troppe storie. Aveva aperto un negozietto di piante nella città magica più conosciuta da tutti, ciò lo costringeva a passare molto tempo nei regni magici ma almeno poteva essere libero di fare ciò che gli piaceva. Disse di trovarsi da quelle parti perché stava cercando le piante e le erbe di cui aveva bisogno, finché non si imbatté nella quercia e nella runa in alto illuminata, segno che qualcuno si trovasse al suo interno.

« Pensavo che fossero gli zii o Taro, invece sei proprio tu! È bello rivederti sano e salvo. » ripeté con felicità Komori.

Attraverso quella piccola fessura, Atsumu riuscì a vedere come nello sguardo del suo compagno di viaggio si fece vivo il terrore. Guardava suo cugino con un misto di preoccupazione, serietà e paura. Che fossero i suoi genitori a fargli paura? Oppure quel misterioso Taro?

« Che vuoi dire? Sanno dell'esistenza di questo posto?! » domandò Kiyoomi con un misto di panico e rabbia.

Suo cugino rimase in silenzio, il sorriso scomparì e pur di non rivelare ciò che il moro non voleva sentire non disse niente. Kiyoomi sembrò sprofondare. Tutto quel tempo che aveva passato fuori da quella casa, il tempo che aveva impiegato per fuggirne e per trovare la libertà stava svanendo. Non poteva permettersi di esser catturato o ritrovato dai suoi familiari, non voleva tornare in quell'inferno e non voleva rivedere nessuno di loro. Pur di morire non avrebbe dato loro la soddisfazione di averlo ritrovato.

Nei minuti successivi Kiyoomi riuscì a portare fuori dalla tana suo cugino e a dargli un ultimo abbraccio prima di non rivederlo più. Komori gli raccontò di aver saputo che i suoi genitori e il suo presunto futuro sposo avevano trovato il suo rifugio, lo avevano analizzato ma infondo non ne avevano ricavato niente. Giurò di non aver detto a nessuno di quel luogo e ciò era vero, Kiyoomi si fidava di suo cugino e sapeva che lui non l'avrebbe mai fatto. Ciò però non lo rasserenò per nulla, il suo rifugio era diventato pericoloso e non poteva rimanere lì per nessun'altra ragione al mondo. Doveva andarsene il prima possibile sia da lì che dalla foresta incantata.

Salutò Komori e rientrò immediatamente nel rifugio, mentre Atsumu cominciava ad accusare un mal di schiena atroce. Quando Kiyoomi fu convinto che suo cugino fosse andato via, andò subito ad aiutare Atsumu ad uscire da quel nascondiglio.

« Dobbiamo andarcene. » ordinò con una serietà glaciale « Non siamo al sicuro. »

Si incamminarono verso l'uscita della foresta incantata, grazie all'aiuto della rondine che sapeva dove si trovava il portale più vicino. Durante quel tragitto Atsumu non poteva fare a meno di guardare Kiyoomi. Era terribilmente preoccupato, aveva lo sguardo perso nel vuoto ed era visibilmente avvolto nei pensieri. Non lo aveva mai visto in quel modo, spaventato e terrorizzato, fino ad allora aveva sempre cercato di essere coraggioso davanti ad ogni difficoltà e riusciva a cavarsela con gli umani. Forse avere a che fare con stregoni talmente forti lo preoccupava più del previsto. Non sapendo le loro capacità, Atsumu non poteva capire come lui i pericoli a cui andavano incontro se li catturavano. Però nell'ignoranza o no, l'arciere non avrebbe permesso a nessuno di far del male al suo compagno o a sé stesso. Non aveva mai ucciso qualcuno, ma questo non significava che non ne era in grado.

In quella camminata verso il portale, Atsumu ripensò a quello che era successo nel rifugio. Komori sembrava davvero una brava persona, forse avrebbe dato aiuto a suo cugino se ne avesse avuto modo, ma sicuramente Kiyoomi non glielo avrebbe permesso. Ripensando alla loro discussione, un nome riemerse alla memoria del biondo. Quel Taro di cui parlava Komori doveva essere qualcuno di importante, che fosse un parente o persino il fratello del moro? No, doveva essere qualcun altro.

« Sei in vena di parlare? »

Prima di rispondere il moro rivolse uno sguardo verso il suo compagno, cercando di decidersi se era in vena di scambiare due parole oppure no. Infine si decise.

« Cosa vuoi? »

« Tuo cugino ha nominato il nome di una persona prima. » esordì l'arciere « Mi chiedevo chi fosse questo Taro di cui parlava? »

Atsumu osservò attentamente se Kiyoomi potesse avere una reazione nel sentire pronunciare quel nome, ma rispetto a prima non ebbe alcuna reazione preoccupata o impaurita. Si limitò a voltare lo sguardo altrove con una smorfia sul volto, come se fosse infastidito da quel nome.

« Ti ricordi quando ho detto che i miei genitori stavano organizzando un matrimonio combinato anche per me? Beh Taro sarebbe il mio futuro marito. » rivelò il mago.

A quella rivelazione il biondo sembrò incredulo.

« Pensavo fosse acqua passata, saranno ormai anni da quando te ne sei andato di lì. Ancora crede che in futuro vi sposerete? »

« Secondo lui. » pensò ad alta voce Kiyoomi.

« E tu cosa ne pensi? » domandò l'arciere con tono scherzoso.

« Penso che non mi sposerò mai, né con lui né con nessun altro. »

Quella risposta scaturì una risata ad Atsumu che in fondo concordava con il suo compagno di viaggio. La risata contagiò anche il mago che si lasciò scappare un leggero sorriso mentre entrambi avanzavano verso il portale del mondo umano.


 

Era dall'alba che il duo si era incamminato per quel viaggio alquanto misterioso. Kiyoomi non aveva intenzione di rivelare la meta che aveva in mente, la teneva segreta come effetto sorpresa per il biondo, il quale ardeva dalla voglia di sapere. Avevano lasciato la foresta da molto e seguivano un sentiero in mezzo alle colline coperte di un prato verde, potevano scorgere anche delle pecore in lontananza. Al mago non serviva né una mappa né la sua memoria, perché poteva contare sui suoi protettori. Questa volta in alto nel cielo volava una delicata e maestosa rondine che lentamente accompagnava i due viaggiatori alla loro destinazione.

L'animale non serviva solo da guida, ma anche da chiave per entrare in quel luogo. Senza un protettore nessun mago poteva varcare la soglia dei luoghi magici, luoghi nella quale la realtà veniva stravolta e trasformata attraverso la magia. Esistevano dei mondi sconosciuti ai normali umani, nei regni o addirittura nei paesini esistevano portali o varchi che consentivano ai maghi di raggiungere tali mondi. Città magiche, foreste incantate o regni subacquei, erano numerosi i misteri che si celavano dietro alla magia. Attraverso le rune incise e con l'aiuto dei propri protettori, ogni mago poteva entrare in quei misteriosi mondi e venire a contatto con creature o animali magici. Ad ogni modo però chiunque facesse parte di un mondo magico non poteva raggiungere il mondo umano, solo gli stregoni più forti potevano evocare quelle creature per una breve durata di tempo nel mondo umano.

Quel giorno i due ragazzi avrebbero raggiunto uno di quei luoghi, la rondine che volava in cielo li avrebbe aiutati ad attraversare quei portali. Seppur Atsumu fosse umano, attraverso il contatto con un mago sarebbe stato in grado di raggiungere l'altro mondo. Il pensiero di dover portare con sé il biondo non faceva stare tranquillo il moro. In quei luoghi gli umani avevano maggiori possibilità di rischiare la vita, erano esposti a pericoli peggiori per via delle numerose creature o comunità magiche lì presenti. Per i maghi gli umani non erano altro che schiavi, esisteva un traffico di umani nelle più grandi città magiche ed erano anche cibo prelibato per pericolose creature. Sarebbe stata l'ultima volta che avrebbero messo piede in uno di quei luoghi.

Arrivarono davanti all'entrata di una nuova foresta, gli alberi erano altissimi e ai loro piedi i due ragazzi sembravano formiche. La rondine andò a posarsi sulla spalla del suo padrone come per avvertirlo di essere arrivati a destinazione. Il mago si guardò intorno cercando i segni delle rune finché non le vide incise sul fusto di un albero e su alcune pietre per terra. Prima di poter mettere piede dentro la foresta Kiyoomi prese la mano del suo compagno e la strinse forte. Non poteva permettersi di rompere il contatto o non sarebbe mai entrato.

« Non lasciarmi la mano finché non te lo dico. » disse senza distogliere lo sguardo dalla foresta davanti a sé.

Inizialmente Atsumu sembrò confuso, ma bastò un passo in avanti per trasformare quella confusione in assoluto stupore. La foresta che avevano pochi secondi prima davanti agli occhi si tramutò in un luogo irrealistico e surreale. Gli alberi avevano cambiato colore, così come il prato e qualunque altra cosa lì presente. Gli alberi erano color viola, le foglie di un rosa scuro e sul fusto vi erano linee illuminate di un azzurro intenso. Il suolo non era più verde, ma di un azzurro scuro ed intenso e su di esso vi erano piante inusuali sparse per il bosco, per esempio funghi azzurri, fiori enormi con delle sfere al centro e ciuffi di erba arcobaleno. Oltre a quelle strane piante si scorgevano anche inusuali animaletti. Sugli alberi vivevano degli scoiattoli con delle enormi orecchie ed una pelliccia verdognola, mentre volavano accanto a loro degli strani insetti con lunghe antenne luminose. Ogni angolo di quella foresta era assurdo, sembrava che in quel luogo tutto ciò che Atsumu aveva imparato da anni non servisse a nulla perché niente era come prima.

« Dove siamo finiti? » riuscì a domandare con un filo di voce ancora scossa dallo stupore.

« Siamo in una foresta incantata. » spiegò il suo compagno che riprese a camminare lasciando piano piano la mano dell'arciere « Solamente i maghi possono accedervi. Usavo questo luogo come una via di fuga quando ancora vivevo con la mia famiglia, ma divenne il mio rifugio subito dopo la mia fuga. » ricordò amaramente il mago.

L'attenzione del biondo era rivolta a tutto ciò che lo circondava, gli occhi non smettevano nemmeno un secondo di scrutare quella foresta. Per quanto fosse ammaliato da quel luogo, era sicuro che nascondesse anche molti pericoli. Per sicurezza portò l'arco nella mano, pronto ad ogni evenienza, e tornò a posare la sua attenzione sul ragazzo davanti a sé.

« Questa foresta non ha niente a che fare con quella umana. Qualsiasi cosa qui è diversa, le piante che sembrano innocue possono essere anche le più letali, stessa cosa anche per gli animali e persino l'acqua più cristallina può essere vel-... »

Il ragazzo non ebbe modo di finire la frase che la freccia di Atsumu lo sfiorò di un soffio ed andò a trafiggere una delle numerose piante della foresta. Quella che sembrava una pianta carnivora pronta a divorare la testa del mago finì trafitta sul tronco di uno degli alberi. Quell'attacco ne fece uscire da tale pianta un liquido viscido e verdastro che sporcò leggermente la guancia del mago.

Kiyoomi era rimasto pietrificato da ciò che era successo. Si era lasciato andare con le parole a tal punto da abbassare la guardia, ciò non poteva permetterselo. Come poteva badare alla salute del suo compagno se non pensava prima alla sua?

« Stai più attento. » mormorò l'arciere che andò a pulire la guancia del compagno col pollice.

Per quanto si sforzasse il moro non poteva competere con le abilità, i riflessi e la forza del suo compagno. Sperava che un giorno sarebbe stato in grado di poter badare lui alla salute dell'arciere, ma fino a quel momento non ne era in grado.

« Grazie Atsumu. » mugugnò il mago cercando di nascondere leggermente la rabbia. Rabbia contro sé stesso per non essere in grado di difendersi.

Dopo quel episodio il duo riprese il viaggio in quella foresta incantata. Passarono la maggior parte del tempo a parlare di quei luoghi misteriosi, dei loro pericoli sconosciuti e di come i maghi potessero entrarne. L'arciere aveva talmente tante domande che il mago non era in grado di dare una risposta a tutte. La magia era un potere talmente forte e imprevedibile che nascondeva una miriade di misteri, nemmeno la famiglia di Kiyoomi li conosceva tutti. Chiunque cercava di scoprirli tutti finiva per diventare corrotto e malvagio, proprio come i suoi genitori. Spesso il mago si domandava cosa sarebbe successo se i propri genitori non fossero nati con poteri magici, magari sarebbero stati più magnanimi e avrebbero amato i loro figli più del potere che avevano. A certe domande però non esistevano risposte.

Il loro passo cominciò a rallentare quando Kiyoomi capì di essere vicino alla sua meta. Si guardava intorno scrutando il luogo e riportando alla memoria i momenti che aveva passato in quella foresta. Sfiorava con le dita le varie piante che incontrava nel cammino finché non si immerse in un passaggio segreto nascosto da quelle stesse piante. Atsumu cercò di stare al suo passo e quando attraversò quel miscuglio di rami e foglie si ritrovò davanti ad un enorme quercia magica. Illuminata da quelle insenature azzurre, la quercia si mostrava in tutta la sua grandezza, ma il particolare che risaltò più all'occhio fu quello di alcuni scalini che conducevano ad una porta sul tronco dell'albero.

« Siamo arrivati. » esclamò il mago con un leggero sorriso sul volto. Rivedere quel luogo lo faceva sentire al sicuro.

Avanzò verso quella inusuale porta mentre scrutava ogni dettaglio di quella quercia, come per controllare se tutto fosse al suo posto. Dietro di lui Atsumu lo seguiva a brevi passi, incantato dalla vista di tale albero. A primo impatto si vedeva che quel luogo era stato costruito come rifugio, usato dal mago per evitare di stare a contatto con i propri familiari. Si intuiva però per via del muschio e delle piante molto alte che il moro non metteva piede lì da molto.

Davanti alla piccola porticina Kiyoomi posò una mano sul tronco della quercia per poi cercare di aprirla tramite il pomo della porta. Sembrò sollevato quando non riuscì ad aprire la porta.

« Bene, sembra che nessuno sia stato qui. » suppose.

Fece due passi indietro, costringendo il suo compagno ad indietreggiare a sua volta, e alzò la mano verso il fusto dell'albero. Sulla cima di quella quercia vi era inciso un enorme simbolo che solo in quel momento Atsumu notò. Quel simbolo divenne azzurro elettrico, così come gli occhi del mago e l'aura attorno alla sua mano. La terra sembrò tremare per qualche secondo, Atsumu cercò di aggrapparsi alla prima cosa che ebbe sottomano e finì col posare la mano sulla spalla del suo compagno. Ciò non sembrò interferire con la magia che stava mettendo in atto il moro, la terra continuò a tremare finché il simbolo sulla quercia non cambiò in un’altra runa. Quando ciò accadde la magia finì, tutto sembrò tornare come prima e il terreno sembrò aver ritrovato stabilità. L'arciere non smise di tenere la mano sulla spalla del suo compagno finché non lo vide fare un passo avanti. Quando il mago andò ad aprire la porta girando il pomo, questa volta si aprì.

Al di là di quella porta vi era un piccolo rifugio. Non appena misero piede dentro Atsumu fu attratto dalla vista di un enorme libreria piena di libri, ormai impolverati. Ai suoi piedi vi era un enorme tavolo sul quale erano poggiati libri aperti e sparsi ovunque, piume di qualche volatile, alcune piante del luogo e altri ingredienti inusuali. Nel rifugio vi era anche un piccolo calderone su un ammasso di ceneri, delle coperte che dovevano rappresentare un letto e uno scaffale pieno di strani aggeggi.

« Benvenuto nel mio nascondiglio. » disse il moro mentre con la mano emetteva una fioca luce.

Per quanto fosse interessante osservare e analizzare quel luogo, Atsumu voleva capire il motivo del loro viaggio. Più si guardava intorno più vedeva oggetti rovinati e impolverati, non ne conosceva la funzione ma poteva credere che ormai non funzionavano da tempo.

« Perché siamo qui? » domandò il biondo porgendo lo sguardo verso il suo compagno.

Prima di poter rispondere alla domanda il mago andò subito a sfogliare uno dei libri sul tavolo. Conosceva tutti gli oggetti e gli utensili di quel rifugio e ricordava bene anche ogni libro che utilizzava. Visibilmente infastidito nel toccare con le mani nude il libro impolverato, il ragazzo sfogliò quel testo velocemente e si tranquillizzò nel trovare ciò che cercava. Con un gesto della mano i suoi occhi tornarono a brillare ed in meno di un secondo la polvere e la sporcizia in quel piccolo spazio scomparì.

« Odio la polvere. » si giustificò sotto lo sguardo interrogativo del suo compagno « Comunque siamo qui perché mi hai convinto Atsumu. Ho apprezzato in questi mesi tutte le tue lezioni, sono state molto utili e mi hai insegnato molto riguardo alla natura, te ne sono grato. Ma voglio essere in grado di rendermi utile anche io. »

A quelle parole un sorriso cominciò a formarsi sul volto dell'arciere.

« Voglio tornare ad usare la magia, a studiarla. Per questo ho bisogno dei miei libri. » spiegò il mago cominciando a cercare nell'enorme libreria ciò di cui aveva bisogno.

« È fantastico Omi. » sorrise il biondo mentre guardava il suo compagno « Sono fiero di te! »

Quelle parole fecero solo aumentare il rossore sulle guance del mago che nascondeva il suo volto dando le spalle al biondo. Da quando avevano avuto quel leggero bacio Atsumu si comportava sempre meglio nei confronti del mago. Gli rivolgeva parole gentili e si mostrava sempre disponibile nei suoi confronti, anche se lo aveva fatto dal primo momento, adesso sembrava ancora più premuroso di prima. A volte il mago pensava che Atsumu si comportasse in quel modo solo perché gli faceva pena, ai suoi occhi poteva sembrare un ragazzo debole ed incapace di badare a sé stesso e forse proprio per questo non gli lasciava gli occhi di dosso. Forse era anche per questo che aveva deciso di insegnargli tutto ciò che sapeva, così da aiutarlo nelle difficoltà. Se c'era qualcosa però che Kiyoomi odiava era risultare debole. Era consapevole di non essere forte tanto quanto la sua famiglia, ma ad ogni modo era riuscito a sopravvivere per tutti quegli anni da solo. Non aveva bisogno di qualcuno che badasse a lui e sperava che l'arciere non lo considerasse come qualcuno da proteggere.

Passarono un po' di tempo nel rifugio, Kiyoomi esaminò molti dei libri magici che conservava e scelse accuratamente quelli che considerava più adeguati da portare con sé nel loro viaggio infinito. Atsumu invece ne approfittò per accendere il fuoco sotto al calderone ed utilizzarlo per cucinare qualcosa, sfruttando ciò che conteneva nella sua sacca. Mentre era impegnato a mescolare la sua improvvisata zuppa, un luccichio acquisì la sua attenzione. Sullo scaffale pieno di strani oggetti vi era la statuina di un piccolo gufo, aveva gli occhi enormi e colorati di un azzurro acceso. L'arciere si sentì ammaliato da quel luccichio, si avvicinò a quella statuina e la prese in mano. Era piccola tanto quanto il palmo della sua mano.

« Ti piace? » domandò il mago dopo aver chiuso finalmente l'ultimo libro da controllare.

« Cos'è? » chiese l'arciere incuriosito.

« Un portafortuna. » rispose il mago « Me lo regalò il falegname del mio paesino uno dei tanti giorni che passavo fuori casa. Ancora non so perché ma in quel paese mi amavano tutti. »

Il gufetto di legno era inciso con molta precisione, ne aveva passate tante ma non sembrava affatto rovinato. Era una statuina graziosa, gli occhi azzurri dovevano esser stati dipinti con una vernice intensa e luminosa, così da conferirgli lucentezza.

Guardando bene quell'oggetto Kiyoomi pensò che ormai facesse parte del passato e non lo avrebbe più considerato come prima.

« Te lo regalo. » decise il mago « Magari ti porterà fortuna come ha fatto con me. »

Inizialmente l'arciere non sembrò d'accordo, ma dopo varie insistenze decise di tenere la statuina. Quell'oggetto significava molto per il mago e se aveva deciso di regalarlo a lui, forse rappresentava un gesto di fiducia. Ad ogni modo il biondo posò la statuina del piccolo gufo nella tasca dei pantaloni, cercando di conservarla nel miglior modo possibile.

In quel momento si sentirono i versi di un uccello avvicinarsi sempre di più. La rondine, che era rimasta fuori a controllare, sbucò da una fessura della quercia e iniziò a garrire rumorosamente.

« Cip cip! »

Quei versi trovarono l'attenzione del moro che si voltò verso l'elegante volatile. Sotto lo sguardo confuso di Atsumu, Kiyoomi sembrò comprendere ogni verso di quell'animale e i suoi occhi sgranarono.

« Merda. » imprecò voltandosi poi verso il suo compagno « Sta arrivando mio cugino, devi nasconderti! »

« Tuo cugi- COSA?! »

L'arciere non ebbe modo di fare domande, cominciò a guardarsi intorno con l'intento di cercare un nascondiglio, ma per quanto fosse piccolo quel rifugio non c'era modo di potersi nascondere. Per fortuna Kiyoomi aveva la soluzione. Si avvicinò ad una parete legnosa della quercia e con un colpo di spalla aprì una piccola fessura nascosta rivelando un piccolo nascondiglio. Quando il mago creò il rifugio aveva già pensato a dover creare un nascondiglio per qualsiasi evenienza, infondo era tutta la vita che stava scappando.

« Non parlare e non farti scoprire. Che sia mio cugino o qualcun altro se scopre che ho portato un umano in un regno magico mi ammazzano! » urlò a bassa voce il moro preoccupato, aiutando il compagno a nascondersi.

La fessura era davvero piccola ma per fortuna Atsumu riuscì ad entrarci, anche se in una posizione scomoda. Per fortuna nel nascondiglio vi era una frattura che permetteva al ragazzo almeno di vedere qualcosa, seppur poco e niente. Kiyoomi si assicurò che fosse nascosto bene finché non sentì bussare alla piccola porticina della quercia.

Prima di andare ad aprire il mago prese un grande sospiro. Non aveva avuto contatti con nessun componente della sua famiglia da molto tempo, aveva cercato di evitarli fino a quel momento ed una visita di suo cugino era l'ultima cosa che voleva.

Quando il ragazzo andò ad aprire la porta, davanti a sé si ritrovò suo cugino Komori. Aveva dei capelli castano chiari, degli occhi lucenti e un gran sorriso sul volto, come se si fosse dimenticato della situazione precaria in cui si trovava suo cugino Sakusa.

Senza dargli tempo di aprire bocca, il moro portò il ragazzo dentro la tana e si assicurò di chiudere bene la porticina.

« Kiyoomi da quanto tempo! Ma che fine avevi fatto?! Ero in pensiero per te! » urlò dallo stupore Komori andando ad abbracciare il cugino.

Il moro odiava gli abbracci, Komori era l'unico membro della sua famiglia che si degnava di darglieli perché a nessun altro importava. Rispetto a tutti gli altri suo cugino era proprio come lui, odiava la malvagità che affliggeva la loro famiglia e per sua fortuna i suoi genitori non erano così terribili come i signori Sakusa, almeno non organizzavano matrimoni combinati. Durante l'infanzia Komori era l'unico a cui piaceva trascorrere il tempo con il moro e fu l'unico a sapere dove si trovasse quando Kiyoomi scappò di casa. Non disse mai niente alla sua famiglia per il suo bene, ma pretendeva di sapere almeno per un periodo di tempo dove si trovasse e se stesse bene. Avevano da sempre un buon rapporto, ma la lontananza non gli permetteva di stare insieme.

« Come hai saputo che ero qui?! E soprattutto che ci fai tu qui?! » domandò il moro infastidito e preoccupato, ma allo stesso tempo felice di rivedere il castano.

« Potrei farti la stessa domanda! » rispose Komori senza però smettere di sorridere.

I due cugini cominciarono a parlare tra loro dopo tanto tempo, mentre Atsumu scrutava con difficoltà il ragazzo che era appena entrato nel rifugio. Lo analizzava in ogni dettaglio, dalle vesti che indossava fino al portamento che aveva, cercando di capire se rappresentava una minaccia o no. A primo sguardo Komori sembrava innocuo, talmente tanto che l'arciere non avrebbe mai pensato fosse un mago ma soprattutto non avrebbe mai pensato fosse parente di Kiyoomi. Sia nelle caratteristiche fisiche che nel carattere sembravano appartenere a tutt'altra famiglia. Nel scrutare il nuovo arrivato, l'arciere si rese conto di aver lasciato l'arco accanto al calderone ed una morsa sul petto lo colpì all'istante. Come poteva aver dimenticato il suo prezioso arco?

« Non dovresti essere qui, se scoprono che mi hai incontrato finirai in guai grossi! » rimproverò il moro.

« Dovevo assicurarmi che tu stessi bene! » rispose l'altro « Non ci vediamo da così tanto! »

Per quanto Kiyoomi fosse felice di rivedere qualcuno a cui voleva bene, non poteva permettere a suo cugino di rischiare la pelle per lui. Passarono qualche minuto a parlare degli ultimi tempi, Kiyoomi inventò molte bugie pur di non rivelare di aver passato del tempo con un umano. Sapeva che poteva fidarsi di Komori, ma non poteva rivelare a nessuno della presenza di Atsumu. Per il suo bene e per la sua libertà, era meglio tenere la bocca chiusa. Suo cugino invece gli rivelò di esser andato via di casa anche lui, ma senza troppe storie. Aveva aperto un negozietto di piante nella città magica più conosciuta da tutti, ciò lo costringeva a passare molto tempo nei regni magici ma almeno poteva essere libero di fare ciò che gli piaceva. Disse di trovarsi da quelle parti perché stava cercando le piante e le erbe di cui aveva bisogno, finché non si imbatté nella quercia e nella runa in alto illuminata, segno che qualcuno si trovasse al suo interno.

« Pensavo che fossero gli zii o Taro, invece sei proprio tu! È bello rivederti sano e salvo. » ripeté con felicità Komori.

Attraverso quella piccola fessura, Atsumu riuscì a vedere come nello sguardo del suo compagno di viaggio si fece vivo il terrore. Guardava suo cugino con un misto di preoccupazione, serietà e paura. Che fossero i suoi genitori a fargli paura? Oppure quel misterioso Taro?

« Che vuoi dire? Sanno dell'esistenza di questo posto?! » domandò Kiyoomi con un misto di panico e rabbia.

Suo cugino rimase in silenzio, il sorriso scomparì e pur di non rivelare ciò che il moro non voleva sentire non disse niente. Kiyoomi sembrò sprofondare. Tutto quel tempo che aveva passato fuori da quella casa, il tempo che aveva impiegato per fuggirne e per trovare la libertà stava svanendo. Non poteva permettersi di esser catturato o ritrovato dai suoi familiari, non voleva tornare in quell'inferno e non voleva rivedere nessuno di loro. Pur di morire non avrebbe dato loro la soddisfazione di averlo ritrovato.

Nei minuti successivi Kiyoomi riuscì a portare fuori dalla tana suo cugino e a dargli un ultimo abbraccio prima di non rivederlo più. Komori gli raccontò di aver saputo che i suoi genitori e il suo presunto futuro sposo avevano trovato il suo rifugio, lo avevano analizzato ma infondo non ne avevano ricavato niente. Giurò di non aver detto a nessuno di quel luogo e ciò era vero, Kiyoomi si fidava di suo cugino e sapeva che lui non l'avrebbe mai fatto. Ciò però non lo rasserenò per nulla, il suo rifugio era diventato pericoloso e non poteva rimanere lì per nessun'altra ragione al mondo. Doveva andarsene il prima possibile sia da lì che dalla foresta incantata.

Salutò Komori e rientrò immediatamente nel rifugio, mentre Atsumu cominciava ad accusare un mal di schiena atroce. Quando Kiyoomi fu convinto che suo cugino fosse andato via, andò subito ad aiutare Atsumu ad uscire da quel nascondiglio.

« Dobbiamo andarcene. » ordinò con una serietà glaciale « Non siamo al sicuro. »

Si incamminarono verso l'uscita della foresta incantata, grazie all'aiuto della rondine che sapeva dove si trovava il portale più vicino. Durante quel tragitto Atsumu non poteva fare a meno di guardare Kiyoomi. Era terribilmente preoccupato, aveva lo sguardo perso nel vuoto ed era visibilmente avvolto nei pensieri. Non lo aveva mai visto in quel modo, spaventato e terrorizzato, fino ad allora aveva sempre cercato di essere coraggioso davanti ad ogni difficoltà e riusciva a cavarsela con gli umani. Forse avere a che fare con stregoni talmente forti lo preoccupava più del previsto. Non sapendo le loro capacità, Atsumu non poteva capire come lui i pericoli a cui andavano incontro se li catturavano. Però nell'ignoranza o no, l'arciere non avrebbe permesso a nessuno di far del male al suo compagno o a sé stesso. Non aveva mai ucciso qualcuno, ma questo non significava che non ne era in grado.

In quella camminata verso il portale, Atsumu ripensò a quello che era successo nel rifugio. Komori sembrava davvero una brava persona, forse avrebbe dato aiuto a suo cugino se ne avesse avuto modo, ma sicuramente Kiyoomi non glielo avrebbe permesso. Ripensando alla loro discussione, un nome riemerse alla memoria del biondo. Quel Taro di cui parlava Komori doveva essere qualcuno di importante, che fosse un parente o persino il fratello del moro? No, doveva essere qualcun altro.

« Sei in vena di parlare? »

Prima di rispondere il moro rivolse uno sguardo verso il suo compagno, cercando di decidersi se era in vena di scambiare due parole oppure no. Infine si decise.

« Cosa vuoi? »

« Tuo cugino ha nominato il nome di una persona prima. » esordì l'arciere « Mi chiedevo chi fosse questo Taro di cui parlava? »

Atsumu osservò attentamente se Kiyoomi potesse avere una reazione nel sentire pronunciare quel nome, ma rispetto a prima non ebbe alcuna reazione preoccupata o impaurita. Si limitò a voltare lo sguardo altrove con una smorfia sul volto, come se fosse infastidito da quel nome.

« Ti ricordi quando ho detto che i miei genitori stavano organizzando un matrimonio combinato anche per me? Beh Taro sarebbe il mio futuro marito. » rivelò il mago.

A quella rivelazione il biondo sembrò incredulo.

« Pensavo fosse acqua passata, saranno ormai anni da quando te ne sei andato di lì. Ancora crede che in futuro vi sposerete? »

« Secondo lui. » pensò ad alta voce Kiyoomi.

« E tu cosa ne pensi? » domandò l'arciere con tono scherzoso.

« Penso che non mi sposerò mai, né con lui né con nessun altro. »

Quella risposta scaturì una risata ad Atsumu che in fondo concordava con il suo compagno di viaggio. La risata contagiò anche il mago che si lasciò scappare un leggero sorriso mentre entrambi avanzavano verso il portale del mondo umano.

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Capitolo 5
*** Il viaggio infinito ***


Nel piccolo villaggio di Klimond gli avventurieri erano soliti fermarsi per assaporare uno dei piatti più celebri di quelle zone, lo stufato di cervo. Nella locanda "Il sole e la luna" si poteva mangiare il migliore stufato di cervo di tutto il regno, ciò portava le persone a spingersi fino a nord pur di mangiarlo. Per quanto il villaggio si trovasse in montagna e non fosse facile da raggiungere a tutti, il numero di clienti era più alto di qualsiasi altra locanda. Per fortuna Atsumu era un amico del proprietario della taverna, il quale gli aveva offerto una sera di alloggio ed un pranzo gratuito, dopo che il giovane arciere lo aveva rifornito della carne di cui aveva bisogno. Il proprietario in questione era conosciuto da tutti come il piccolo gigante, data la sua altezza e la sua incredibile capacità di saltare molto in alto, ed il suo nome era Hinata Shoyo. Era affiancato dal suo compagno, o forse addirittura marito, era un mistero che nessuno riusciva a capire, il quale era decisamente più alto e di un carattere differente. Se Hinata rappresentava il sole, allora Kageyama Tobio rappresentava la luna.

Nella sua vita selvaggia Atsumu aveva avuto modo di conoscere molte persone, tra cui questo bizzarro duo. Aveva stretto amicizia fin da subito col piccoletto mentre l'altro lo guardava sempre storto, ma riusciva a farsi accettare fornendo alla taverna la carne e gli ingredienti di cui aveva bisogno. Essendo una locanda situata in montagna era difficile potersi permettere le materie prime ogni singolo giorno e l'aiuto dell'arciere era sempre una grande risorsa.

L'idea di voler andare a far visita ai suoi amici gli venne in mente proprio durante una nottata di luna piena. La sola visione di quella sfera luminosa gli fece tornare alla mente l'odore e il sapore di quel delizioso stufato, Atsumu pensò che anche Kiyoomi almeno una volta nella vita doveva assaggiarlo. Il viaggio che intrapresero verso la montagna fu difficile, ma una volta arrivati lì tutta la fatica venne ricompensata. Il mago si innamorò subito di quel piatto ed ebbe anche modo di poter conoscere Hinata e Kageyama. Passarono la serata a parlare fino a notte fonda finché nel locale rimasero soli e furono costretti ad andare a dormire. Hinata convinse Atsumu e il suo amico a restare per la notte o per quanto volevano, costringendoli così ad alloggiare nella locanda. La mattina successiva però, verso l'ora di pranzo, i due ragazzi salutarono la coppia e si rimisero in viaggio verso nuove avventure.

Dovevano riscendere la montagna, non sarebbe stato semplice ma ad ogni modo ce l'avrebbero fatta. Kiyoomi non avrebbe mai voluta lasciarla, amava l'aria di montagna ed i suoi paesaggi erano mozzafiato, peccato però che non poteva permettersi una dimora fissa. Viaggiando si sarebbe sentito molto più al sicuro rispetto ad avere una casa o di nuovo un rifugio. Perciò fino a prova contraria avrebbe continuato a muovere le gambe per tutta la vita, cercando di imparare qualcosa di nuovo sulla magia e continuando a seguire ogni lezione di vita di Atsumu.

« Ascolta Atsumu » richiamò l'attenzione il moro « Ormai ti seguo da molto nel tuo viaggio, le tue lezioni sono state tutte molto utili... mi chiedevo se... per quanto tempo posso continuare a seguirti? » concluse non sapendo in quale altro modo porre quella domanda.

Inizialmente l'arciere sembrò sorpreso, ma subito dopo un sorriso si fece vivo sul suo volto.

« Fin quando vorrai. » rispose « Non è male avere compagnia. »

Quella risposta scaturì un leggero sorriso spontaneo sul volto del mago. Se fosse stato per lui avrebbe continuato a seguire Atsumu all'infinito. Non smetteva mai di imparare qualcosa insieme a lui, amava vivere nella natura e soprattutto amava quel senso di libertà che gli donava. A volte riusciva a dimenticare tutti i problemi, si faceva trascinare dal rumore dei fiumi o si lasciava incantare dal manto di stelle in cielo. Avrebbe voluto vivere in quel modo per sempre.

Le strade di montagna non erano facili da percorrere, si incontravano spesso animali selvatici ed era facile perdersi. A volte il sentiero presentava un terreno ruvido, pieno di sassi o radici ingombranti, e dal momento che dovevano scendere la montagna, spesso si ritrovavano a dover affrontare delle discese difficili. Ci misero un bel po' prima di riuscire a scendere del tutto la montagna, quando si ritrovarono verso la pianura entrambi non vedevano l'ora di riposare.

« Secondo te avranno sospettato qualcosa? » domandò il mago mentre sfogliava uno dei suoi libri di magia.

« Non credo. » rispose l'altro che avanzava leggermente più in avanti del suo compagno.

Improvvisamente si sentì uno sparo e Kiyoomi si ritrovò a terra. Non capì bene cosa fosse successo, ma quando Atsumu si voltò vide il suo compagno avvolto da una rete e steso sul terreno. Invano il moro tentò di liberarsi da quella rete utilizzando la magia, ma per quanto si sforzasse non riusciva ad utilizzarla. La sua aura di potere era sopraffatta da un potere superiore.

« L'abbiamo preso! » urlò una voce nascosta.

L'arciere si posizionò subito davanti al proprio compagno, impugnò l'arco pronto per l'utilizzo. C'era solo un tipo di persone che possedevano delle armi specializzate contro i maghi oltre le guardie, e quelle persone non erano altro che i cacciatori di stregoni. Erano come dei mercenari, venivano pagati per portare alle sbarre più maghi possibili e avevano la gratitudine della maggior parte dei re. Prima di catturare le loro prede le pedinavano nell'oscurità, facevano in modo di non farsi vedere fino a che non le attaccavano all'improvviso. Atsumu si sentì uno stupido a non aver notato la loro presenza prima.

« Bene bene, cerchiamo di portarlo a Iriewell il prima possibile. » disse un'altra voce ancora nascosta.

Il moro continuava a dimenarsi, cercava di usare i suoi poteri ma ogni sforzo era inutile. Quella situazione umiliante e fastidiosa lo faceva arrabbiare sempre di più.

Dai cespugli e da dietro gli alberi uscirono fuori tre uomini. Tutti e tre puntavano contro i ragazzi un'arma diversa, un'ascia, una balestra e una spada. Accerchiarono i due ragazzi, Atsumu non poteva avere occhi su tutti e tre contemporaneamente ma focalizzò la sua massima attenzione verso l'uomo che aveva davanti, guardandolo con molto disprezzo. Era un uomo di grande corporatura, aveva una cicatrice che gli copriva tutto il volto e stringeva la sua ascia spavaldamente.

« Tu non sei uno di loro » disse il cacciatore di stregoni « Che ci fai in giro con un mostro? Potremo venderti alle autorità. » lo minacciò puntano l'ascia contro di lui.

Quella minaccia non spaventò nemmeno di poco l'arciere, il quale continuava a guardare il suo nemico con attenzione. Cercava di capire tutti i suoi punti forti e punti deboli, si concentrava sulla corporatura, sulla postura e sull'impugnatura dell'arma. Lanciò uno sguardo veloce anche agli altri uomini pur di capire come poterli attaccare.

Essere ignorato però era una grande mancanza di rispetto e l'uomo con l'ascia non poteva accettarlo. Non avendo ricevuto una risposta immediata, decise di agire e di alzare l'arma intento a colpire il suo rivale. Atsumu però era più agile e più scaltro, evitò il colpo e con un calcio fece volare via l'arma pesante dalle mani dell'uomo. Gli bastarono poche mosse ed in poco tempo il grande e possente cacciatore di stregoni si ritrovò a terra, con un piede sulla schiena che riusciva in qualche strano modo a tenerlo fermo. La freccia posizionata sull'arco lo puntava a pochi centimetri di distanza mentre l'arciere alzò il suo sguardo minaccioso verso gli altri due uomini.

« Liberate il mio compagno o non avrò pietà ad uccidere il vostro. »

La serietà di quelle parole fece gelare il sangue persino a Kiyoomi. Per quanto quella rete sembrasse essere pesantissima e lo costringeva a stare per terra, il mago riusciva ad alzare almeno la testa e lo sguardo. Non riusciva a vedere il suo compagno in faccia, ma la sua presa sull'arco era come sempre immobile, perfetta e precisa. Quella però fu la prima volta in cui il mago sentì il suo compagno minacciare di uccidere qualcuno, e da quella voce sembrava essere totalmente un'altra persona. Infatti Atsumu non sembrava il solito, il suo sguardo era freddo e serio e si capiva bene che non stava scherzando. Sembrava davvero intenzionato ad uccidere quell'uomo e se lo avesse voluto, anche gli altri due. Kiyoomi non poteva far altro che domandarselo, aveva davvero intenzione di farlo?

Inizialmente i due uomini per quanto fossero colpiti dalla crudezza di quelle parole, pensarono prima di agire. Fissavano il loro compagno mentre cercava di dimenarsi in vano dalla presa e dalla forza del piede che lo teneva a terra, e poi quando volgevano lo sguardo verso il probabile assassino rimanevano paralizzati. Eppure nessuno dei due si stava avvicinando per liberare il mago.

Quella continua attesa stava facendo arrabbiare ancora di più l'arciere, sarebbero bastati altri secondi prima di conficcare la freccia dritta su una zona vitale dell'uomo. Una singola freccia per porre fine alla sua vita.

« NON FARLO ATSUMU! »

Le parole del mago sembrarono far cambiare idea all'arciere, il quale lanciò subito una freccia contro la balestra puntata su di lui. I due uomini avevano deciso di attaccare e Atsumu non poteva far altro che ribattere. Doveva liberarsi di quegli uomini ma senza troppo spargimento di sangue. In suo soccorso, anche se in ritardo, arrivò un falco che andò ad attaccare con gli artigli l'uomo con la spada.

Se non doveva ucciderli allora poteva far perdere loro i sensi. Non sarebbe stato difficile per lui, riuscì a mettere KO l'uomo già a terra per poi occuparsi degli altri due. Per la sua agilità e i suoi riflessi era difficile capire da dove arrivasse oppure dove avrebbe attaccato e ciò gli permise di liberarsi di loro in poco tempo. Per poter tagliare la rete che teneva imprigionato il suo compagno, l'arciere prese dalla cinta di uno degli uomini un pugnale la cui lama era lucente. Doveva trattarsi di un pugnale incantato, ciò permise ad Atsumu di poter tagliare la rete e liberare il suo compagno.

Quando Kiyoomi si rialzò lanciò uno sguardo schifato verso gli uomini stesi a terra. Avrebbe voluto vendicarsi per quello che gli avevano fatto, magari usando un incantesimo, ma decise di non fare niente. Ogni azione malvagia, che sia anche vendetta, lo avrebbe reso uguale alla sua famiglia.

« Ti senti bene? » domandò Atsumu che scrutava ogni angolo del viso del moro per capire se tutto andava bene.

Prima di poterne essere sicuro, il mago cercò di far apparire sulla sua mano una fiammella azzurra. Questa volta la magia avvenne, i suoi occhi si colorarono e sulla mano si formò una fiamma.

« Direi di si. » rispose il moro facendo cessare la magia « Ma sono più stanco di prima. »

Ciò formò un leggero sorriso sul volto del biondo. Dopo aver legato con una corda i tre uomini stesi a terra, i due ripreso la ricerca di un luogo per accamparsi.

Camminavano mentre il sole cominciava piano piano a diventare sempre più debole. Il falco volava sopra le loro teste mentre Kiyoomi non faceva altro che guardare il ragazzo davanti a sé. Ripensava a ciò che era successo e a quel cambiamento radicale del suo compagno. Avrebbe voluto domandargli se davvero era disposto ad uccidere quegli uomini, ma aveva paura della sua risposta. Perché era sicuro che Atsumu avrebbe negato, avrebbe detto che era solo un modo per minacciarli e convincerli, ma in cuor suo il mago sapeva che in quel momento non stava scherzando. Se fosse stato costretto, lo avrebbe fatto di sicuro. Il moro aveva paura che fosse stata la sua influenza a renderlo in quel modo, anche se la cattiveria non era una malattia infettiva e se lo fosse stato allora Kiyoomi dovrebbe essere come i suoi genitori. La realtà invece era che quello era proprio Atsumu, un lato di lui che non aveva mai visto.

Entrambi erano esausti, cercavano in ogni angolo di quella foresta una buon luogo per fermarsi ma oltre al sentiero vi erano solo enormi piante. Era impossibile potersi fermare lì, ma dovevano fare in fretta se non volevano ritrovarsi a cercare un riparo col buio. Per fortuna il sole era ancora presente, ma la sua luce era di un intenso arancione e ciò significava solo che stava tramontando. Con la paura e la fretta di doversi fermare, i due sembravano non avere più speranze.

Ma qualcosa acquisì la loro attenzione. Un suono, il suono dell’acqua che scorreva. Si avvicinarono a quella melodia, uscendo fuori dalla foresta, ed improvvisamente si ritrovarono davanti ad un paradiso terrestre. Il rumore della cascata suonava come uno strumento mentre l'acqua cristallina dava vita ad un piccolo laghetto paradisiaco. Il prato accanto ad esso era di un verde vivo, e proprio sulla sponda del lago si trovava un albero che donava un tocco di colore a quella tela naturale. Era un luogo talmente bello che davanti alla sua bellezza nessuno poteva resistergli.

Un sorriso pieno di vita si fece vivo sul volto di Atsumu, il quale non aspettò altro tempo e si avviò correndo verso quel laghetto mentre si liberava degli indumenti indosso. Al contrario Kiyoomi indugiò, non ebbe tempo di coprire gli occhi o dire qualcosa che l'arciere si era già tuffato in quel meraviglioso laghetto. Solitamente non si lavavano insieme, cercavano di essere distanti per dare all'altro privacy, ma in quel momento l'euforia aveva preso il sopravvento del biondo.

« Forza vieni anche tu Omi! » urlò Atsumu con i capelli bagnati, le goccioline d'acqua che si facevano strada sul suo volto ed un sorriso splendente.

Il mago arrossì, cercò in tutti i modi di non guardare il corpo completamente nudo del suo compagno e ringraziò anche l'acqua che, seppur cristallina, copriva leggermente la visione delle parti intime. L'idea di spogliarsi davanti all'arciere non faceva sentire per niente a proprio agio il moro, perciò pur di seguirlo decise di tenere almeno l'intimo indosso.

Il solo immergere il piede in acqua provocò un brivido lungo tutto il corpo del moro. Si domandò come diavolo faceva Atsumu a non morire di freddo immerso completamente in quell'acqua, ma poi decise di non pensarci e di farsi coraggio immergendo piano piano tutto il corpo.

« Non so nuotare. » avvertì il moro mentre si teneva a debita distanza dal compagno.

« Non fa niente, ti terrò io! » sorrise il giovane biondo mentre porse la mano verso l'altro.

Probabilmente solo in quel momento Kiyoomi si rese conto per la prima volta della bellezza del ragazzo. Il sorriso di Atsumu era così raggiante da illuminarlo e farlo sorridere a sua volta, i suoi capelli di un biondo quasi innaturale si scontravano con i capelli di un castano scuro, i suoi occhi gioiosi rendevano chiare le emozioni del ragazzo, per non parlare del petto ben scolpito, dei muscoli sulle braccia e del perfetto busto. La sua felicità era contagiosa, diede vita ad un sorriso nel volto del mago che prese la mano senza esitare.

Oltre all'episodio successo quel pomeriggio, ormai Kiyoomi conosceva Atsumu. Sapeva quanto amasse la natura e tutto ciò che aveva da offrirgli, sapeva che non gli piaceva stare con le mani in mano e che aveva sempre bisogno di muoversi e di fare qualcosa, voleva vivere la sua vita in maniera libera e lontana dalle persone. Eppure aveva scelto di accoglierlo nella sua vita, di avere per la prima volta un compagno di viaggio e di voler condividere le sue conoscenze con lui. Non aveva mai provato a dirgli di andare via o di non volerlo più tra i piedi, mostrava sempre di apprezzare la sua presenza e la sua compagnia. Non aveva mai avuto paura di lui o dei suoi poteri, non aveva mai pensato fosse malvagio o pericoloso, aveva sempre creduto in lui fin dal primo momento che l'aveva visto. Aveva deciso di donargli la sua fiducia a suo rischio e pericolo ed ora Kiyoomi era sicuro di donargli la sua.

Gli strinse la mano mentre a piccoli passi si avvicinava al suo compagno. Sul fondale c'erano solo sassi ed era difficile camminare senza provare un leggero dolore, ma ad ogni modo la sensazione di freschezza dell'acqua era rinfrescante e piacevole.

Anche Atsumu era abbagliato dalla bellezza di quel ragazzo. Fin dal primo momento che l'aveva visto aveva pensato che fosse bellissimo, persino quando il suo viso aveva graffi e sfregi riusciva a trovarlo incantevole. Non era riuscito a dirglielo a parole, aveva solo agito d'istinto mettendo imbarazzo tra loro eppure il mago non si sentì mai oltraggiato. Magari questa sarebbe stata la volta buona, perché fin dal primo momento l'arciere aveva sempre pensato a quanto fosse bello quel ragazzo.

Fu troppo tardi per Kiyoomi capire che aveva fatto troppi passi in avanti, ritrovandosi praticamente davanti al volto di Atsumu. Erano talmente avvolti nei loro pensieri che non si erano resi conto della vicinanza dei loro corpi. Non potevano far altro che scrutarsi negli occhi.

« Sono contento di averti incontrato quel giorno. » disse il mago con il sorriso sul volto lasciando fuoriuscire i pensieri « Sei il primo uomo che mi fa sentire bene ogni giorno, che non mi giudica con lo sguardo e che non ha paura di me. »

« Omi io... »

« Voglio continuare a viaggiare con te. In questi mesi mi sono sentito come se la natura ed il mondo intero fossero la mia casa ed è la prima volta che mi sento così, ed è grazie a te. »

Quelle parole colpirono l'arciere. Il pensiero di poter passare la sua vita con quel ragazzo sembrava un sogno, era la prima volta che sentiva il desiderio di voler condividere quella libertà con qualcuno e non si sarebbe mai aspettato che quel qualcuno fosse uno stregone. Ma ciò non importava, né il suo passato né la sua natura, Kiyoomi era perfetto così com'era e non doveva cambiare per niente al mondo. Vederlo sorridere era il regalo più grande che Atsumu poteva desiderare.

Le mani fredde del moro si posarono sul collo del biondo e dimenticandosi di tutto, dei suoi problemi, del suo imbarazzo e della nudità dell'arciere, si avvicinò alle sue labbra e gli diede un bacio. Quel bacio stava aspettando ormai mesi di essere dato, di poter unire le labbra dei due ragazzi ormai innamorati.

Per la prima volta in vita loro entrambi compresero il significato della parola amore. Amore non significava esser costretti a sposare qualcuno per imposizione di altri, non significava sottomettersi ai voleri e ai desideri di una persona. Amore non significava stare con una persona diversa ogni settimana ed evitare di incontrarla successivamente; ciò valeva per Atsumu. Quella parola significava altro, per prima cosa fiducia. Significava condividere ogni momento insieme, ogni esperienza ed esserne felice. Significava conoscere ogni aspetto dell'altro, tra i suoi difetti ed i suoi pregi, ed imparare ad accettarli tutti. Amore voleva dire anche condivisione, condividere quell'avventura insieme, le paure ed i problemi per poi imparare ad affrontarli. Non avere paura di mostrarsi per ciò che si è e non vergognarsi per il proprio aspetto. Amore significava anche provare un'immensa gioia solo nel guardare la persona amata, sentire la sua voce ed suoi tocchi. Kiyoomi lo stava imparando, proprio come Atsumu. Ogni contatto, ogni tocco risultava come un brivido di piacere e di affetto. Quel bacio dimostrava l'amore che entrambi condividevano.

Le mani di Atsumu si posarono sui fianchi del mago mentre le loro labbra non smettevano di cercarsi. Fu la prima volta che Kiyoomi poté dire di essersi innamorato veramente di qualcuno, di sapere che ciò che l'arciere voleva non era il suo potere o la sua posizione reale, ma era solamente lui come persona. Le sue dita si perdevano tra i capelli biondi dell'altro mentre il suo corpo non poteva far altro che stargli vicino.

Quando le loro labbra si separarono non poterono fare a meno di guardarsi negli occhi, sembrava che in quel momento con un solo sguardo riuscivano a percepire i desideri dell'altro. E che altro potevano desiderare se non essere uniti tutta la notte. Tenersi stretti tra le braccia l'uno dell'altro consapevoli che non si sarebbero lasciati andare, accarezzare ogni angolo dell'altro corpo e dirsi che non si sarebbero mai più lasciati. Perché ormai era così, non l'avrebbero più fatto. Avevano iniziato quest'avventura insieme e sarebbero andati avanti fino alla fine.

Il sole cominciava a calare ed il buio iniziava a farsi vivo, ma ad ogni modo ciò non frenò il desiderio e la passione dei due ragazzi.

Nell'oscurità oltre al rumore della cascata si potevano udire i gemiti, i baci e i sospiri di quella coppia. I loro corpi si univano, le loro mani accarezzavano ogni angolo della pelle, le labbra si scontravano l'una contro l'altra mentre si stringevano in quel caldo contatto.

Su uno dei rami dell'albero accanto al fiume, un gufetto vegliava su quel luogo e con i suoi grandi occhi si assicurava che la tranquillità continuasse a regnare.

 

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Capitolo 6
*** La caduta ***


Si muoveva agilmente tra gli alberi, saltava da un ramo all’altro con destrezza e ciò gli permetteva di andare più veloce. Come fosse un animale selvatico, Atsumu riusciva a tenersi in equilibrio e allo stesso tempo a scoccare frecce con una mira impeccabile. Al contrario il suo compagno non era in grado di spostarsi in quel modo sui rami e perciò correva lungo il sentiero della foresta. La coppia del mago e l’arciere era diventata la preda numero uno delle guardie e anche stavolta erano inseguiti da esse.

Era passato un anno e mezzo dal primo incontro di Atsumu e Kiyoomi. Il bacio che si diedero quella notte segnò l’inizio di una storia d’amore, entrambi innamorati non potevano più fare a meno l’uno dell’altro e per questo avevano deciso di non lasciarsi mai più e di continuare a viaggiare insieme. Il pericolo era come un’ombra, li seguiva dovunque andavano, ma ciò non li fermava. Kiyoomi non era ancora stato trovato dai suoi genitori, rese prezioso quel tempo libero e cominciò ad esercitarsi con la magia, studiando sui suoi preziosi libri di incantesimi. Era riuscito a diventare più abile rispetto a prima, poteva tenere più a lungo magie di levitazione, riusciva ad evocare perfettamente tutti gli elementi della natura ed era diventato molto abile anche nell’utilizzo di magie difensive. Grazie allo studio e anche grazie ad Atsumu aveva sempre qualcosa da imparare. L’arciere dal canto suo ormai conosceva tutti i misteri di quei luoghi, ma con il tempo riuscì a incontrare sempre più persone e ad imparare anche lui qualcosa di nuovo, come per esempio ricette nuove. Ormai quella coppia era talmente affiatata che nessuno poteva scalfirli, non avevano paura di niente e vivevano ogni giorno insieme. La loro casa era il mondo.

Le persone non vedevano mai di buon occhio i maghi, pochi erano gli amici che sapevano della vera natura di Kiyoomi mentre per altri era meglio non dire una parola. Le guardie non avevano smesso di cercarlo, in più avevano cominciato a considerare Atsumu suo complice e per questo nei vari paesini vi erano annunci “Wanted” con il loro ritratto sopra. Nessuno però provava a venderli alla legge, erano talmente bravi da cavarsela contro chiunque che bastò poco per farlo capire a tutti.

Questa volta il motivo della loro fuga era dato da uno spiacevole incontro. Quella mattina i due ragazzi erano andati in una delle foreste più conosciute del regno, la foresta di Aresil. Una foresta nella quale gli alberi arrivavano all’altezza di ben 50 metri e le loro mele erano le più pregiate di ogni altro albero del regno. Le mele di Aresil erano due volte più grandi delle mele normali e avevano un effetto benevolo sulla salute più di qualunque altro frutto. Erano rare da trovare nei vari villaggi e chiunque avrebbe pagato molto per averle. Per racimolare una buona quantità di denaro i due ragazzi decisero di dirigersi lì proprio per cogliere quei speciali frutti, e per poi successivamente venderli. Per loro fortuna sapevano dove dovevano andare, si diressero senza problemi al villaggio di Veim e portarono le mele alla tavola calda “Neko treats”. Lì i loro amici Kuroo Tetsurou, proprietario della locanda, e il suo compagno Kenma Kozume, nonché talentuoso pasticciere, avrebbero accettato volentieri la scorta di mele. Il Neko treats era conosciuto per i suoi famosi dolcetti, la loro specialità erano le crostate e soprattutto la torta di mele di Aresil. Il nome della locanda si ispirava sia ai suoi gustosi prodotti, sia alla presenza del gatto dei proprietari che si aggirava nella sala. Per loro l’aiuto dell’arciere e del mago era divino e per questo non potevano rifiutare. Sfortunatamente però nel pomeriggio, proprio quando la coppia stava lasciando il villaggio, una guardia li aveva riconosciuti e da lì cominciò quel fastidioso inseguimento.

Kiyoomi non riusciva più a sopportare l’idea di correre, non aveva intenzione di fare del male alle guardie ma ad ogni modo non aveva nemmeno intenzione di scappare tutto il giorno. Invidiava Atsumu, quel ragazzo riusciva a muovere il suo corpo con talmente tanta agilità che nessuno poteva competergli. Ormai aveva imparato ad amare tutto di lui, dalla sua corporatura invidiabile al suo animo spensierato e libero. Stare insieme a lui tutti i giorni era diventato un sogno e per la prima volta Kiyoomi aveva cominciato ad amare la sua vita.

Per quanto Atsumu continuasse a scoccare frecce e a sfiorare di un millimetro le guardie con l’intento di spaventarle, esse non smettevano di inseguirli. Ormai i re di tutte le città più importanti avevano emanato serie leggi contro gli stregoni. Quest’ultimi spaventavano le persone, le rapivano e commettevano atti orribili, per questo non potevano permettersi di lasciarli liberi. Nemmeno la maestosa aquila in cielo riusciva a scacciare via le guardie, per colpa degli elmi e delle armature non era riuscita nemmeno a fargli un graffio. Non c’era altro modo di liberarsi di loro se non con la magia.

« Sono stanco di correre! » urlò Kiyoomi « Se continuiamo così vedrò di fare qualcosa! »

Il sorriso sul volto di Atsumu non mancava mai nel sentire quella voce.

« Devi cominciare ad allenarti più spesso! » rispose ironicamente urlando da sopra uno di quegli alberi « Non puoi sempre contare sulle tue manine magiche. » e lanciò nuovamente una freccia, questa volta contro una delle armature.

« Eri tu quello che diceva “Devi esercitarti con la magia!” O sbaglio?! »

Atsumu si lasciò sfuggire una risata mentre continuò a saltare da un ramo all’altro.

« Sono ancora qui » constatò il moro voltando lo sguardo indietro verso le guardie « Me ne occupo io va bene?… Atsumu? »

Quando il moro tornò a guardare davanti a sé notò il suo compagno cadere da uno di quei rami. Kiyoomi sentì una fitta al cuore colpirlo.

« ATSUMU! » urlò ed in men che non si dica allungò la mano verso di lui.

La sua mano venne avvolta da un’aura azzurro elettrico, i suoi occhi si illuminarono ed Atsumu si fermò a mezz’aria avvolto da quella stessa aura. Gli occhi dell’arciere erano chiusi ed il suo corpo era a peso morto: inspiegabilmente aveva perso i sensi.

Ciò portò il mago a fermarsi di botto. Le guardie li avrebbero catturati all’istante e non poteva permettersi una cosa del genere. La preoccupazione mista alla rabbia di essere inseguito provocarono una magia difensiva.

Il cielo cominciò a ricoprirsi di nubi, gocce d’acqua scesero con violenza mentre il suono dei tuoni si fece intenso. I suoi vestiti e i suoi capelli si bagnarono in men che non si dica e il suo ciuffo riccio si afflosciò sulla fronte.

Kiyoomi si voltò verso le guardie e con un’espressione furibonda lì minacciò senza ritegno.

« ANDATEVENE O VI AMMAZZO. »

In quel frangente cadde un fulmine proprio tra il mago e il gruppo di guardie. Ciò provocò la paura tra quegli uomini i quali corsero via a gambe levate. Kiyoomi non lo avrebbe mai fatto, ma in quel momento la paura e la rabbia avevano preso il sopravvento.

Adagiò Atsumu sul suolo mentre corse verso di lui. Le sue vesti erano bagnate, come il suo viso e tutto il corpo, nemmeno l’acqua lo aveva svegliato. Kiyoomi si inginocchiò subito vicino a lui, mise due dita sull’incavo del collo e successivamente gli sentì il polso. Quando sentì il suo battito, la paura e la preoccupazione svanirono ed il mago si lasciò andare in un grande sospiro di sollievo.

« Che diamine ti è successo? » mormorò tra sé.

Per fortuna il ragazzo respirava ancora, sembrava fosse stato colpito da un sonno profondo e per questo il moro capì che era solo svenuto. Il suo primo pensiero era quello di portare in salvo l’arciere.

Le nuvole cominciarono a dissiparsi, ma ad ogni modo il sole ormai era quasi tramontato e la luce del giorno era quasi scomparsa. Kiyoomi decise di cercare subito un luogo dove accendere un falò e dove poter passare la notte. Si incamminò portando Atsumu in spalla, la fatica si faceva sentire soprattutto dopo la corsa, ma non aveva altra scelta. Non avrebbe usato magie di levitazione per portare il corpo del suo compagno, sarebbe stato equivalente a portarlo in braccio e avrebbe sentito la stessa fatica. E poi non era rispettoso.

Camminò per qualche minuto mentre l’aquila che volava in alto nel cielo lo aiutava a trovare un buon luogo per accamparsi. Kiyoomi pensò che non era normale, era la prima volta che Atsumu sveniva all’improvviso senza essere colpito o senza aver sbattuto da qualche parte. Era sicuro che pochi secondi prima stesse bene, perciò non riusciva proprio a capire cosa fosse successo. Forse era solo stanchezza o semplicemente il suo corpo era arrivato al limite. Eppure nessuna di quelle spiegazioni per il mago avevano senso. La forza di Atsumu non poteva dare senso a quell’attimo di debolezza. Però era sicuro che nessuno lo avesse colpito, il suo corpo non presentava ferite recenti o bozzi in testa. Nemmeno la magia poteva esserne la causa, Kiyoomi se ne sarebbe accorto. Il mago non riusciva a trovare una spiegazione.

Quando l’aquila trovò un piazzamento di terra adatto per appiccare un falò, volò subito verso il suo padrone. Guidò Kiyoomi verso quel luogo dove per fortuna vi era anche un tronco d’albero su cui appoggiarsi. Fece sdraiare Atsumu con la schiena su quel tronco e ordinò al volatile di proteggerlo, nel mentre sarebbe andato a cercare della legna.

Grazie agli insegnamenti di Atsumu, Kiyoomi era diventato abile nelle tecniche di sopravvivenza. Sapeva quali rami doveva prendere, quale piante evitare e quale invece erano utili da usare. Prese vari rami sparsi nella foresta e li buttò tutti insieme davanti al tronco d’albero. Non poteva perdere tempo a cercare pietre focaie e perciò usò la magia per dare vita al fuoco. Quella fonte di calore era indispensabile, i suoi vestiti e quelli di Atsumu erano bagnati e chissà quanto ci avrebbero messo per asciugarsi. Per fortuna però la fiamma evocata dalla magia poteva rimanere eterna fin quanto lo stregone che l’aveva evocata voleva.

Il mago si sedette accanto ad Atsumu e cominciò a levargli gli indumenti di troppo per permettergli di asciugarsi prima. I tentativi di svegliarlo furono vani, né le scosse e né la respirazione bocca a bocca servirono, perciò Kiyoomi si arrangiò all’idea di dover aspettare il suo risveglio. Nel mentre grazie all’aiuto del suo protettore si procurò qualche coniglio e scoiattolo da poter mettere sotto i denti; grazie sempre agli insegnamenti dell’arciere Kiyoomi aveva imparato a maneggiare le sue prede per farle diventare cibo. Tutto ciò che gli serviva era un coltello e molto coraggio.

In quella serata per fortuna non vi era molto vento, il clima era mite ma era evidente che l’inverno stesse arrivando. Rispetto a prima l’aria cominciava ad essere sempre più gelida e ciò costituiva diversi problemi. Durante l’inverno le notti all’aria aperta diventavano fredde e scomode, se fosse arrivata la neve sarebbe risultata un problema ancora più fastidioso e per questo la coppia non poteva permettersi di passare troppo tempo nella foresta. Ciò significava che dovevano muoversi nelle locande e che avevano bisogno di soldi. Un altro problema però era il letargo di molti mammiferi, di molti animali che rappresentavano cibo per loro ed anche merce da vendere. Non importava quanto la vita d’inverno fosse difficile, quella coppia se la sarebbe sicuramente cavata. E poi per fortuna grazie alle mele di Aresil, avevano racimolato un bel mucchio di denaro.

Per dare più sapore alla carne il mago utilizzò alcune spezie, tra cui il rosmarino e il timo, e mise a cuocerla su diversi stecchini di legno. Mentre la carne cominciava a colorarsi ed il suo odore iniziava ad espandersi, Kiyoomi cominciò a togliersi il mantello e la veste che aveva indosso e li adagiò in modo che si asciugassero con il fuoco. Per fortuna attraverso la magia poteva controllare la fiamma e renderla più forte, così da poter velocizzare il tempo di asciugatura delle vesti. Con solamente l’intimo indosso, il mago era combattuto dal freddo venticello e dal caldo del falò. Sperava fermamente di non prendersi un’influenza.

« Perché… Sono mezzo nudo? »

Nel sentire quella voce Kiyoomi sussultò e si voltò all’istante verso di essa. Atsumu si era appena svegliato, aveva gli occhi leggermente aperti e con leggera fatica si tirò seduto.

« Atsumu stai bene?! » domandò subito il moro andando ad inginocchiarsi davanti all’altro.

Gli occhi castani dell’arciere si soffermarono sulla figura davanti a sé. Una vista niente male pensò, quel ragazzo di cui aveva imparato ad amare ogni singola caratteristica era proprio davanti a lui, a petto nudo e con i capelli scompigliati e leggermente bagnati. Un sorriso divertito si formò sul volto del biondo.

« Che avevi intenzione di fare? Stavi cercando di abusare di me? » domandò Atsumu con tono divertito.

Non diede tempo al moro di rispondere che avvolse un braccio sulle sue spalle facendolo cadere tra le sue braccia. Con leggero stupore e allo stesso tempo sollievo Kiyoomi non poté fare a meno che guardare il biondo. Si sentì davvero sollevato nel vedere che stava bene.

« No idiota! » rispose il mago con un mezzo sorriso sul volto « Mi hai fatto prendere un colpo- »

Le sue parole vennero travolte da continui baci. Atsumu cominciò a lasciare fugaci e dolci baci sul viso del moro, senza permettergli di rispondere o di ribellarsi. Ciò provocò il sorriso e le risate del mago, che non riusciva in nessun modo a fermare l’altro. L’arciere amava prendere alla sprovvista Kiyoomi e farlo sorridere, il suo sorriso e le sue risate rappresentavano la felicità del biondo. Più di tutto amava baciarlo, amava posare le labbra sulla pelle delicata e morbida del moro, amava lasciare il segno dei suoi baci o dei suoi morsi sul collo, sulla spalla o sull’interno coscia. Sentire il suo sorriso con le labbra, tenerlo stretto tra le sue braccia e farlo sentire in quel modo amato era la sensazione più bella del mondo.

« Allora perché non ho e non hai i vestiti addosso? » domandò l’arciere lasciando un ultimo bacio sulla punta del naso dell’altro.

Ci volle qualche secondo prima che Kiyoomi si riprendesse dalle risate provocate dal solletico. Persino il minimo contatto lo faceva sussultare, Atsumu lo aveva imparato col tempo e ne approfittava per farlo sorridere più spesso.

« Adesso ti spiego… » mormorò il mago col sorriso « Ma prima dimmi come ti senti. » domandò posando una mano sulla guancia dell’altro.

Anche se Atsumu non ricordava niente di ciò che era successo, in quel momento si sentiva come sempre. Si sentiva bene e bastava quello, non voleva far preoccupare ancora di più Kiyoomi.

« Sto bene. » rispose l’arciere ricambiando quel sorriso.

Nei minuti successivi Kiyoomi spiegò per filo e per segno quello che era successo, nel mentre entrambi addentarono quegli spiedini di scoiattolo e di coniglio che aveva preparato. Quella giornata era stata molto faticosa e l’inseguimento era stato il colpo di grazia, entrambi si sentivano stanchi e affamati. Tra le braccia di Atsumu, il mago raccontò della sua caduta improvvisa e di come non riusciva a darsi una spiegazione. Rispetto a lui però l’arciere non sembrava preoccupato.

« Credo che il mio corpo ha ceduto e la stanchezza ha preso il sopravvento. » ipotizzò mentre gustava il suo spiedino.

Alle orecchie dell’altro quella spiegazione non aveva affatto senso. Si sviene di stanchezza quando non si dorme da molto tempo, ma così all’improvviso non poteva essere quella la causa. Avrebbe voluto saperlo in qualche modo, ma in quel caso nemmeno la magia poteva aiutarlo. Kiyoomi era diventato bravo con la magia, ma non a tal punto da usare incantesimi curativi. Doveva fare ancora tanta strada prima di saperne usare uno correttamente.

« Non ne sono convinto, non ha senso. » rispose il moro « Non può essere semplice stanchezza. »

Dopo essersi gustato il suo cibo ed aver bevuto un po’ d’acqua Atsumu già si sentiva meglio. Non condivideva la preoccupazione del suo compagno, si sentiva bene e questo bastava.

« Non ti preoccupare Omi. » disse mentre riprese a lasciare qualche bacio sulla guancia dell’altro.

Il mago sospirò ed in qualche modo cercò di convincersi che non era nulla di grave. Se Atsumu avesse avuto qualcosa di davvero grave, se ne sarebbe accorto.

Tra un bacio e l’altro Atsumu portò Kiyoomi a stendersi sul terreno, ritrovandosi uno sopra l’altro. Cominciarono a baciarsi talmente tanto da non volersi più staccare, le dita del moro si immergevano tra i capelli biondi dell’altro mentre Atsumu faceva scivolare le sue mani lungo i fianchi del mago. I loro corpi si scontravano, le labbra dell’arciere cominciarono a muoversi, dalle labbra soffici fino al mento, poi piano piano scendevano verso il collo sul quale iniziarono ad accanirsi più carnalmente. Lasciarono qualche segno, qualche morso di troppo mentre le mani del biondo si facevano strada su quella soffice pelle.

« Aspetta… » mormorò il moro con un mezzo sorriso sul volto « No… Atsumu… »

I tentativi di fermare il ragazzo erano vani, le mani del moro vagavano dietro la schiena del biondo con l’intento di distaccarsi ma tutto ciò era inutile. Adesso che l’arciere aveva iniziato a baciare quella dolce pelle, non c’era modo di fermarlo. In quel vano tentativo le mani del mago si ritrovarono ad accarezzare ogni centimetro della schiena del biondo. Ed ecco ancora una volta che la sentiva.

Le sue dita viaggiarono lungo quella schiena andando incontro ad una cicatrice. Era profonda, grande e molto vecchia. Kiyoomi si accorse della sua presenza dalla prima volta che ebbe un rapporto con Atsumu, ma riuscì a vederla per intero solo dopo un giorno che fecero il bagno insieme nel fiume. Rimase colpito nel vederla, era come una lunga linea diagonale che marcava la sua schiena e dal suo aspetto si poteva intuire che fosse vecchia di molti anni. Non ebbe mai il coraggio di chiedergli da cosa fosse derivata, il mago conosceva quasi nulla della vita passata del biondo e aveva paura che chiederglielo potesse riportarlo ad un ricordo difficile. Doveva esserci un motivo se aveva deciso di vivere lontano dalle persone e dalla civiltà, ma su tale decisione Kiyoomi era convinto che ciò non avesse a che fare con il suo passato. Aveva deciso di vivere nella foresta perché amava quella vita, amava la natura. Oltre a questo però, non conosceva informazioni sulla sua vita precedente, l’unica cosa che sapeva è che i suoi genitori erano morti quando era piccolo e nient’altro. Di quella cicatrice non ne sapeva nulla, ma più il mago continuava a sentire quella ferita, più la voglia di saperne di più aumentava. Non riusciva ad andare avanti se continuava a rimanere all’oscuro.

« Atsumu... » il moro posò le mani sulle guance dell’arciere portando il suo sguardo verso il proprio « Posso chiederti una cosa? » nel mentre le dita accarezzavano dolcemente la sua pelle.

Il biondo rimase incantato a guardare il viso del suo compagno. I suoi occhi neri come l’oscurità brillavano di luce propria, mentre sul suo volto ricadeva qualche riccio ribelle. Prima di poter acconsentire, l’arciere diede un bacio sulla fronte del mago, nel punto esatto in cui si trovavano i due nei. Era una particolarità del ragazzo che Atsumu aveva imparato ad amare, ogni volta che si ritrovavano abbracciati o comunque uniti non poteva fare a meno di lasciargli un bacio.

Kiyoomi non avrebbe voluto rovinare il buon umore dell’altro, ma il pensiero di non sapere la causa di quella cicatrice non lo faceva star tranquillo.

« Posso sapere come hai fatto a procurarti quella cicatrice? È da troppo tempo che la vedo e non riesco a sopportare l’idea di non sapere come tu possa essertela procurata. »

Inizialmente Atsumu sembrò stupito nel sentire quella domanda, ma infondo doveva aspettarsela. Ormai era da molto che Kiyoomi se n’era accorto, prima o poi glielo avrebbe domandato. Ogni volta che lo facevano sentiva le sue dita accarezzargli la schiena e soffermarsi proprio sulla cicatrice, come per studiarla e allo stesso tempo accarezzarla, prendersene cura. Il mago era stato disposto a rivelare il suo passato oscuro quando glielo chiese, anche lui doveva dargli la stessa fiducia.

L’arciere si tirò seduto ed aiutò il suo compagno a sedersi accanto a lui. Era una vecchia storia che per quanto fosse spaventosa, ormai Atsumu ci aveva fatto l’abitudine.

« È successo quando ero piccolo. » esordì « Fin da bambino amavo stare nella foresta, intraprendere escursioni al suo interno ed osservare le creature e le piante che ci vivevano. Portavo sempre con me un piccolo arco che mio padre mi aveva regalato. » nel ricordo di quell’immagine il biondo sorrise.

« Inizialmente non sapevo nulla di caccia, mio padre mi insegnò le basi ma solo grazie all’esperienza raffinai le mie conoscenze su di essa. Passavo tutti i giorni fuori casa, cacciavo piccoli animali e piano piano imparai a cacciarne molti altri, tra cui uccelli e cervi. La caccia è sempre stata la mia ambizione e la cosa che amo più fare al mondo. Volevo vivere basandomi su quella e sopratutto volevo vivere esplorando tutto il regno.

Un giorno però mi imbattei in qualcosa di più grosso, un pericolo a cui non potevo competere. Senza rendermene conto mi ritrovai al cospetto di un orso. Era enorme rispetto a me, aveva un’aria spaventosa e soprattutto aggressiva. Davanti a quella bestia rimasi paralizzato dalla paura, mi sentì talmente impotente che non riuscivo a muovermi e fu come vedere la morte in faccia. » al solo pensiero Atsumu si incupì.

« L’unica cosa che mi salvò in quel momento fu l’istinto di sopravvivenza, perché come vidi l’orso muovere un muscolo, le mie gambe cominciarono a muoversi da sole. Mi voltai per fuggire e fu lì che quella bestia mi colpì. Riuscì a ferirmi con gli artigli sfregiando la mia schiena e lasciandomi un lungo e profondo graffio. Talmente profondo che sarei potuto rimanere paralizzato a vita. »

A quell’ultima frase Kiyoomi sgranò gli occhi dallo stupore. Sentì quasi la stessa paura che provò Atsumu in quel momento, il solo pensiero del suo compagno fermo immobile, incapace di muoversi e di non poter essere lo spirito libero che era, gli metteva i brividi.

« È terribile Atsumu… Non posso immaginare una cosa simile…. » la voce del moro tremava a quelle parole.

« In punto di morte riuscì ad alzarmi e corsi via… la volontà di vivere superò la paura ed in qualche strano modo riuscì a tornare a casa. È davvero incredibile come gli esseri umani riescano a difendersi anche nelle situazioni peggiori. Da quel giorno i miei genitori mi vietarono di uscire da solo, ma ovviamente questo non mi fermò. » ricordò lasciandosi scappare un sorriso.

Per quanto quella storia fosse spaventosa a sentirla, Atsumu non sembrava accusare troppo il dolore di quel ricordo. Kiyoomi trovò incredibile il fatto che il biondo ne parlasse con così tanta leggerezza, si sentiva male solo a pensare a quella scena. In quel momento era sicuro che se si fosse ritrovato nella sua stessa situazione, non avrebbe mai reagito in quel modo. Ciò dimostrava l’immenso coraggio e la sbalorditiva forza di quel ragazzo.

Atsumu infatti aveva sempre pensato che da quel giorno la sua vita era cambiata totalmente, aveva imparato ad essere più coraggioso e soprattutto a difendere la propria vita come meglio poteva. Aveva imparato a sopravvivere con le sue forze e gli bastava questo per continuare a fare ciò che amava. Infondo era incredibile come quell’episodio rappresentasse l’esempio di quanto amasse la caccia, perché ad ogni modo continuò a praticarla anche dopo averne subito le conseguenze.

Improvvisamente Atsumu sentì le labbra del moro a contatto con la sua guancia, risvegliandolo dai pensieri. Kiyoomi si avvicinò talmente tanto al suo viso da lasciargli un bacio sulla guancia.

« Sei un ragazzo straordinario. » sussurrò il mago.

Ogni volta che scopriva qualcosa di più sull’arciere, ne rimaneva sempre meravigliato. Era l’uomo più forte che avesse mai conosciuto, era esempio di forza ma anche di coraggio e di forza di volontà. La sua passione per quanto potesse essere pericolosa, era talmente forte da non riuscire a fermarlo. Contro ogni pericolo, ogni difficoltà, quel ragazzo riusciva a cavarsela con le proprie abilità. L’ammirazione che provava nei suoi confronti era indescrivibile.

Atsumu ne rimase sbalordito, si sentì appagato e allo stesso tempo amato. Non aveva mai incontrato qualcuno che lo ammirasse così tanto per le sue capacità, infondo aveva deciso di diventare sempre più forte per sé stesso. Eppure sentirsi dire tali parole lo faceva sentire speciale, al settimo cielo. Era come se da tutta la vita avesse avuto bisogno di quelle parole, ma non erano mai arrivate. Solo quando incontrò il mago, solo da quando erano diventati compagni che Atsumu si sentiva apprezzato. Infondo quel ragazzo lo amava proprio come faceva lui, e quando riusciva a dimostrarglielo lo rendeva davvero felice.

Un enorme sorriso si formò sul suo volto.

« Sono contento di averti conosciuto. »

Quelle parole acquisirono l’attenzione del moro.

« Avevamo bisogno l’uno dell’altro, non credi? » domandò Atsumu col sorriso.

A volte Kiyoomi pensava a come sarebbe stata la sua vita se non avesse conosciuto Atsumu. Se fosse finito con lo sposare Taro e rinunciare alla sua libertà; se fosse stato catturato dalle guardie senza avere modo di liberarsi oppure se non avesse avuto le capacità di continuare a vivere da solo. Quando lo guardava però smetteva di pensare e ricominciava a vivere. Dimenticava il passato e si lasciava andare al presente, a quella vita che aveva cominciato ad amare.

« Si… » rispose il mago sorridendo a sua volta « Credo proprio di si. »

 

 

 

 

 

 

Il mattino seguente la coppia riprese il proprio viaggio e soprattutto la caccia. Dovevano approfittare del fatto che gli animali non fossero ancora andati in letargo, questo significava che rappresentavano ancora cibo o merce da vendere

Sul ramo di un albero Atsumu tendeva una freccia, pronto a farla scoccare nel giusto momento. La preda in questione era una lepre, mangiava con delicatezza un ciuffo d’erba accanto ad un albero ed era ignara di ciò che gli stava per accadere. Sarebbe bastata una freccia per porre fine alla sua vita.

Sul terreno invece Kiyoomi si occupava di mettere nel sacco le prede che avrebbero cacciato, nel mentre però era attratto da ciò che stava per succedere. Ammirava come sempre l’abilità di Atsumu e trovava interessante vederlo in azione.

Quando il biondo lasciò andare la presa, la freccia scoccò.

Gli occhi del biondo sgranarono così come quelli del moro, perché la lepre, che poco prima stava mangiando, era corsa via. Al suo posto rimase la freccia conficcata nel terreno, la quale aveva fatto scappare dalla paura il povero animale.

Atsumu non poteva credere ai suoi occhi. Era la prima volta dopo anni che mancava un bersaglio, la sua forza non poteva essere diminuita e nemmeno la sua mira. L’arco era la sua forza, la sua vita, non poteva sbagliare in quello. Era talmente arrabbiato che in pochissimi secondi posizionò un’altra freccia e la spedì dritta verso l’animaletto, questa volta centrandolo in pieno. Ciò però non cambiava quello che era successo prima.

Proprio in quel momento Kiyoomi capì che qualcosa non andava in lui.  

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Capitolo 7
*** Spiacevole Incontro ***


Quella mattina come ogni domenica nella città portuale di Zehria si svolgeva il mercato mattutino. Al centro della cittadina vi erano numerosi stand nella quale i mercanti preparavano i propri banconi e vendevano la merce più prelibata. Dal cibo, alla frutta esotica fino ai gioielli, il mercato di Zehria era il più famoso di tutto il regno ed era rinomato per le sue materie prime di ottima qualità. La prima fra tutte era il pesce, la città era una delle poche ad avere lo sbocco sul mare e perciò l’unica a potersi permettere la pesca marittima. I piatti di pesce di Zehria erano famosi, l’esportazione di tale prodotto era diffuso in tutto il regno e per questo la città era considerata un punto d’incontro per mercanti e pescatori. Quando Atsumu si trovava nelle vicinanze, non poteva fare a meno di farci una scappata e visitare il celebre mercato.

Per Kiyoomi la vista di un mercatino talmente grande e vasto di merce lo incantava. Cominciò a guardarsi intorno incuriosito da tutto ciò che era in vendita, dal cibo locale e dai prodotti artigianali invidiabili. C’erano molti banconi con del pesce fresco, specie di pesci che non aveva mai visto in vita sua e che dall’aspetto pensava fossero difficili da pescare, ma anche deliziosi. Nei banchi di frutta invece venivano vendute prelibatezze da tutto il regno, frutti mai visti prima d’ora dai colori e dalle forme ambigue che attiravano gli occhi del ragazzo. Lì incredibilmente fu la prima volta che il mago vide frutti come per esempio l’ananas o l’avocado. Quando si spostava invece nelle bancarelle che profumavano di pane o di altri squisiti pasticci caldi, il moro non poteva rifiutarne l’assaggio. Nella sua vita selvaggia insieme ad Atsumu era raro mangiare dei pasti preparati, erano una delizia quando riusciva a metterli sotto ai denti, come ad esempio quando riusciva a far scrocchiare il pane e ad assaporarne il gusto.

In mezzo a quel mercato di buon cibo e brava gente, Kiyoomi adorava parlare con le persone. Quando nessuno riusciva a riconoscere che fosse un criminale o uno stregone, il moro si fingeva un comune viaggiatore e si interessava alle storie di paese. Non perché amava socializzare o perché voleva essere amichevole, ma era semplicemente curioso. Quando viveva nel castello insieme alla sua famiglia, cercava sempre delle scuse per uscire e per andare nel paese in cui viveva. Non riusciva a spiegarselo, ma la vita delle persone comuni lo affascinava, e le ammirava per come riuscivano ad andare avanti con le proprie forze. Quella curiosità non svanì mai, era sempre intenzionato a saperne di più e a conoscere quelle persone. Infondo era anche un modo per studiarle e per capire com’era la società dei suoi tempi.

Rispetto al mago, Atsumu parlava con le persone per il semplice piacere di socializzare. Quella mattina però si distaccò dai dialoghi e dal giro che aveva intrapreso l’altro e si spostò verso altri banconi. Ultimamente avevano affrontato parecchie avventure e i suoi averi cominciavano a rovinarsi, per esempio la sua borsa era quasi lacerata, la sua canotta bucata e gli stivali erano da cambiare. Persino i suoi coltelli erano leggermente rovinati e doveva cambiarli prima che le lame si spezzassero. Se c’era una cosa che però non era rovinata, quella era il suo arco. Poneva un’attenzione altissima su quel prezioso oggetto e se ne prendeva cura ogni giorno. Ad ogni modo doveva rinnovare le sue cose e per questo i suoi occhi si posarono solo sui banconi di artigianato.

Negli ultimi tempi Atsumu aveva capito che qualcosa non andava in sé. Non riusciva più ad uccidere le sue prede con una singola freccia, i suoi movimenti cominciavano ad essere lenti e la sua agilità stava svanendo. Erano delle piccole cose, ma per lui rappresentavano dei cambiamenti enormi. Sapeva che anche Kiyoomi se n’era accorto, ma ad ogni modo non ne avevano parlato. La spiegazione a questo calo di forza poteva essere dato da un senso di stanchezza, infondo non era un bene portare il proprio corpo all’estremo e bisognava dare un freno a quella vita spericolata. Ma poteva essere quella la sola causa? Non riusciva a darsi una spiegazione.

« Grazie mille. » sorrise ad uno dei mercanti con cui aveva effettuato uno scambio.

Quella mattinata era stata fruttuosa per gli affari, Atsumu era riuscito a far riparare la borsa, a cambiare i coltelli e gli stivali, e per questo si sentiva davvero soddisfatto.

Tornò a camminare tra i banconi nella curiosità di vedere cos’altro ci fosse in vendita quando di sfuggita notò qualcuno di sospetto. Fin da quando aveva pagato il mercante per i coltelli, il biondo si sentiva osservato, come se due occhi stessero seguendo ogni suo movimento. Anzi quattro occhi.

Si guardò intorno finché non vide da lontano due uomini. Lo stavano osservando e non avevano per niente un aspetto rassicurante. Uno aveva una bandana in testa, una cicatrice sull’occhio e lo sguardo di chi non aveva paura di niente. L’altro invece era calvo, sembrava più vecchio ed era evidente che non vedeva l’ora di spaccare il cranio a qualcuno. Non erano di certo guardie, ma nemmeno gente comune. A prima vista erano dei veri e propri criminali.

Quando incontrarono lo sguardo dell’arciere, entrambi si mossero. Atsumu capì che doveva andarsene il prima possibile da lì, non riusciva a capire che cosa volessero persone del genere da lui ma sicuramente non sarebbero stati disposti a rispondere a tale domanda. Riprese il suo cammino, cercò tra la folla di persone quel cappuccio viola scuro che lo aveva accompagnato fin’ora ma non riuscì a trovarlo. Non poteva urlare sennò avrebbe attirato l’attenzione e non poteva nemmeno correre, l’unica cosa che poteva fare era aumentare il passo e aprire gli occhi alla ricerca di Kiyoomi.

Si guardava intorno ma tra tutte quelle persone non c’era nessuno con un cappuccio in testa. La tensione cominciò a salire, l’arciere cominciò a sudare freddo mentre il suo passo cominciò a rallentare. Stava accadendo qualcosa. Non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo, sentì il suo corpo diventare sempre più pesante ed ogni movimento sembrava costargli una fatica. Iniziò a respirare in maniera irregolare, sembrava che il panico lo stesse sopraffacendo ma comunque riusciva a trascinare almeno i piedi. Camminava lentamente, non aveva nemmeno la forza di tenere le braccia in su e piano piano i suoi occhi si socchiusero.

Non stava bene, non stava per niente bene. Non provava dolore fisico ma era come se tutta la sua forza fosse stata prosciugata, come se la stanchezza avesse preso il sopravvento e gli avesse bruciato le ultime energie che gli erano rimaste. L’aria era diventata pesante, camminare era come trascinare un pesante macigno e respirare era difficile. Quella sensazione di debolezza, quella sensazione di non essere in grado di difendersi da solo era orribile. Aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno o si sarebbe lasciato morire, incapace di muovere un muscolo.

Con la poca forza che gli rimaneva, Atsumu posò quasi con violenza la mano sulla spalla del mago. Finalmente tra quelle numerose persone lo aveva trovato, era bastato guardare la sua veste per riconoscerlo. Acquisì subito la sua attenzione ed il ragazzo si voltò verso quel contatto.

« Kiyoomi… » riuscì a dire con fatica « Qualcuno mi… mi sta seguendo, do-dobbiamo andarcene da qui… »

Quando il moro notò le condizioni del biondo, cominciò a preoccuparsi e si mosse subito per aiutarlo.

« Atsumu che ti succede?! »

L’arciere non riuscì a mantenere l’equilibrio, stava per cadere ma per fortuna il mago lo prese al volo. Lo tenne tra le sue braccia mentre la sua mente vagava tra la paura di vederlo in quello stato e tra la confusione nel sentire le sue parole. Non riuscì a mettere in chiaro cosa stesse succedendo.

« Dobbiamo andarcene… » sibilò l’arciere mentre con fatica alzò leggermente l’indice verso quegli uomini.

Quando Kiyoomi spostò lo sguardo vide quei due uomini avvicinarsi. Camminavano con aria minacciosa, a prima vista non sembravano armati ma era chiaro che non avevano buone intenzioni. Non li aveva mai visti prima d’ora, non capì perché stessero seguendo Atsumu ma chiunque fossero dovevano lasciarlo stare.

Non potevano scappare in quelle condizioni, Atsumu non riusciva a muoversi e lui non aveva le forze né per portarlo in spalla, né per sollevarlo per un tempo prolungato utilizzando la magia. In qualsiasi modo però doveva metterlo in salvo, quella era la sua priorità. Non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male, in quel momento Atsumu non aveva le capacità per difendersi da solo e poteva contare solo sul mago. Kiyoomi capì che doveva usare le maniere forti, doveva usare la magia e difendere l’arciere, proprio come aveva fatto lui in passato con le sue forze.

Il moro portò Atsumu in un vicoletto, il più lontano che ci fosse dalla piazza della città e si assicurò che le sue condizioni fossero stabili. Il suo respiro per fortuna si era calmato, ma i suoi occhi erano socchiusi ed era evidente che non riuscisse nemmeno ad avere la forza per alzare una mano. Adesso non aveva tempo di pensare a quale fosse la causa del suo malanno, prima doveva liberarsi di quegli uomini e poi lo avrebbe portato in salvo.

« Rimani qui nascosto. »

Senza paura ma con molta rabbia, Kiyoomi tornò verso la piazza e si ritrovò davanti a quei due uomini. A loro se ne aggiunsero altri tre usciti fuori dalla folla di persone, e tutti e cinque si piazzarono proprio davanti al mago. I paesani intorno a loro capirono che stava per succedere qualcosa e la maggior parte di loro si allontanarono, mentre i più coraggiosi rimasero ad osservare incuriositi.

Ognuno dei criminali aveva diverse armi, la particolarità stava nel fatto che erano armi inusuali. L’uomo con la bandana tirò fuori da dietro la schiena una spada, la sua lama luccicava ed era evidente che fosse stata incantata; quello pelato invece sfoderò una mazza spinata, anche quella emetteva della luce innaturale per un oggetto simile; altri due tenevano in mano delle balestre ed infine tra loro vi era un uomo che sprigionava un senso d’autorità superiore. Aveva un’armatura color rosso scuso con dei disegni che andavano ad abbellirla, principalmente un teschio bianco sul petto. Dietro la schiena aveva uno spadone enorme, era nero ma si poteva chiaramente vedere che emanava un’aura di potere magico molto forte. Da ciò Kiyoomi dedusse che quell’uomo fosse il loro capo.

Davanti a quegli uomini il mago non dimostrò nemmeno un briciolo di paura.

« A cosa devo il piacere? » domandò ironico il mago, dal suo sguardo era deducibile quanto fosse infastidito dalla loro presenza.

« È da molto che ti stiamo cercando, finalmente ti abbiamo trovato. » esordì il capo dei criminali « Ti stanno aspettando a casa. »

Quelle parole fecero sgranare leggermente gli occhi del moro.

« Ho un messaggio per te: O torni dalla tua famiglia, o verranno loro a prenderti. » minacciò l’uomo « A te la scelta, Sakusa. »

Il sangue cominciò a diventare gelido, la paura iniziava a farsi strada nelle vene del mago. La sua famiglia lo aveva trovato, in un modo o nell’altro anche se non erano loro a trovarsi lì davanti a lui, sapevano dove si trovasse, e questa era la notizia peggiore che potesse sentire. Se fossero andati a prenderlo con le loro forze, Kiyoomi sapeva che non avrebbe avuto speranze. Non era forte tanto quanto loro, la sua magia in confronto non poteva competere ed uno scontro non avrebbe portato a niente di buono. Cosa avrebbe dovuto fare? Consegnarsi? Nemmeno per sogno. Nelle condizioni in cui si trovava Atsumu, il mago non poteva lasciarlo da solo. E poi non aveva per niente intenzione di rinunciare alla sua nuova vita, a quella libertà che si era conquistato. Non voleva dire addio al mondo che lo aveva ospitato, alla natura e sopratutto ad Atsumu. L’unica cosa che gli restava da fare era combattere, non si sarebbe mai arreso, avrebbe combattuto fino alla fine per la sua vita. L’avrebbe difesa con la magia o senza.

La paura riuscì a tramutarsi ancora una volta in rabbia, il solo pensiero di doversi arrendere fece ribollire il sangue del moro il quale alzò una mano verso quegli uomini. I suoi occhi acquisirono il solito colore azzurro elettrico, mentre la sua mano questa volta assunse un’aura gialla e da essa scagliò verso gli uomini numerosi lampi, simili a saette.

Per sua sfortuna però ciò non servì a niente, i criminali riuscirono a scacciare via quella magia grazie alle armi incantate e si buttarono subito al contrattacco. L’uomo con la spada e quello con la mazza spinata corsero ai lati del ragazzo, gli altri due rimasero distanti pronti a sparare dardi con delle balestre, nel mentre il loro capo, che teneva tra le mani l’enorme spadone, si lanciò contro il mago.

« KASASAGI » urlò il moro in una lingua non comprensibile a quegli uomini « ATTACCATE! »

Dal cielo azzurro arrivarono numerose gazze dalle ali nere e dal busto bianco che si scagliarono verso gli uomini, eseguendo l’ordine del loro padrone.

Kiyoomi nel mentre riuscì a difendersi creando delle barriere protettive attorno a sé, si liberò degli uomini ai lati lanciando loro delle sfere di energia e riuscì a schivare i dardi sparati. Non riuscì però a fare niente contro il loro capo e perciò venne colpito.

Scaraventato a terra con una ferita al petto, il mago non poté far altro che proteggersi con la sua stessa magia. Non poteva curarsi perché non ne aveva l’abilità, ma si sarebbe protetto utilizzando le sue resistenti barriere. La ferita si aprì leggermente ed il sangue cominciò ad uscire, ma anche se faceva male il ragazzo non si sarebbe arreso. Come un meccanismo di difesa le gazze, dopo aver visto il loro padrone essere attaccato, si scagliarono tutte insieme contro l’uomo con lo spadone e permisero al moro di potersi rialzare e di contrattaccare.

In tutto quel baccano Atsumu non poté far altro che osservare la scena da dietro il muro. Nel vedere le condizioni di Kiyoomi, l’arciere non riusciva a resistere e sentiva il bisogno di dover fare qualcosa. Cercò di prendere in mano il suo amato arco, riuscì ad estrarlo da dietro la schiena e a portarlo davanti a sé. Avvolse le sue dita intorno all’impugnatura, ma per quanto si sforzasse non riusciva nemmeno a chiuderle. Non riusciva ad impugnarlo nella maniera corretta. Voleva aiutare il suo compagno, ma era tutto inutile. Quel senso di debolezza non gli permetteva nemmeno di alzare l’arco. Era snervante non essere utile in alcun modo.

Quando il mago riuscì finalmente a rimettersi in piedi, lanciò contro ognuno dei suoi nemici delle scariche elettriche, riuscendo a fermare in tempo anche gli uomini con le balestre in mano, che avevano ripreso a caricare le loro armi. Kiyoomi decise di concentrare la sua energia magica su un ultimo attacco, un’ultima magia che avrebbe cacciato via quei criminali una volta per tutte. Per attuare tale magia c’era bisogno di molta concentrazione e tanta energia magica.

Concentrò le sue forze solo su quello. Chiuse gli occhi per concentrarsi mentre le sue mani si muovevano sinuosamente in un movimento delicato. Quando li riaprì, posizionò il palmo di una mano verso quegli uomini e da essa fuoriuscì un potente potere. Tale potere sprigionò una tempesta di neve attorno al mago, talmente forte e potente che travolse chiunque gli stesse attorno. In quel circolo di tempesta soffiavano venti gelidi e fu come se una violenta nevicata avesse colpito la piazza. Le bancarelle vennero scaraventate via, insieme agli oggetti, ed i criminali persero il loro equilibrio.

La tempesta era talmente forte che gli uomini non ebbero modo di poter contrattaccare, l’unica soluzione che gli rimaneva era la fuga. Scapparono a gambe levate, con i vestiti leggermente congelati e innevati. Tra tutti però rimase solo il loro capo, con un’espressione sofferente ma decisamente anche arrabbiata, cercava di farsi strada tra quella tempesta.

Il mago rimase immobile in mezzo alla piazza, dalla sua mano scagliava quel forte vento e quella forte bufera per tutto l’ambiente circostante. Con gli occhi illuminati dall’azzurro elettrico e lo sguardo più gelido della neve che aveva evocato, il mago si rivolse all’uomo.

« Riporta le mie parole: Non tornerò mai a casa. »

E detto ciò il vento della tempesta divenne talmente forte che l’uomo non ebbe modo di controbatterlo e fu scagliato lontano da quel luogo.

Finalmente Kiyoomi poté tornare a respirare. La magia svanì pian piano dalla sua mano, il vento freddo e la neve svanirono. Davanti a lui si stagliò la vista della piazzetta distrutta. Tutti quei banconi, tutti quegli alimenti e quegli oggetti artigianali erano stati spazzati via. Non era rimasto niente se non il mago. Le persone che si erano rifugiate nelle case cominciarono ad uscire e rimasero devastate davanti a quello spettacolo. Era una disperazione, quel luogo che prima portava gioia e allegria, adesso non era altro che una landa desolata. Il solo vedere tutta quella miseria, tutta la fatica di quelle persone spazzata via, spezzò il cuore al moro.

Fece un passo in avanti e, per quanto stesse soffrendo per la fatica e la ferita riportata, attraverso le sue mani, che vennero avvolte nuovamente dall’azzurro immenso dell’aura magica, cominciò a sistemare tutto quello che aveva distrutto. Gli oggetti volati, le bancarelle distrutte, gli ortaggi e tutto ciò che c’era prima tornò al suo posto. Le persone rimasero stupefatte davanti a quella scena ed anche meravigliate. Chi si stava disperando per aver perso tutto e chi invece era infuriato per ciò che era successo, si riprese nel vedere quella scena. Persino le guardie, che avevano avuto l’ordine di arrestare quello stregone, rimasero incantate nel vedere il suo gesto. Grazie alla magia il mercato tornò com’era prima.

Quando finalmente tutto tornò al suo posto, Kiyoomi si sentì più stanco e affannato che mai. Il suo pensiero però era rivolto verso l’uomo che amava, non perse altro tempo e tornò verso dove lo aveva lasciato.

Atsumu era ancora appoggiato al muro, aveva gli occhi socchiusi e per fortuna aveva ricominciato a respirare in maniera equilibrata. Il suo arco era appoggiato a terra accanto a lui, la sua mano destra verso di esso senza nemmeno tenerlo tra le mani. Quella situazione era destabilizzante.

Appena il mago lo vide si inginocchiò subito davanti a lui e con la mano gli tirò su leggermente il viso per guardarlo meglio.

« Tesoro come ti senti? Che ti è successo? » domandò il moro accarezzando leggermente la sua guancia.

Gli occhi del biondo si posarono sul ragazzo davanti a lui. Kiyoomi aveva i capelli più scompigliati del solito, leggermente sporchi di neve per via della tempesta che aveva causato e il viso pieno di graffi. Il suo sguardo però si posò verso il petto insanguinato del ragazzo, aveva un enorme graffio dal quale perse molto sangue, per fortuna però la ferita non era troppo profonda.

L’arciere era preoccupato per la salute del suo compagno, ma allo stesso tempo avrebbe voluto dirgli quanto era stato bravo e coraggioso e soprattutto che era fiero di lui. Non aveva nemmeno la forza di parlare, faticava anche al solo pensiero di dover pronunciare una parola.

Pensò bene a ciò che doveva dire.

« Omi… Ti prego… Ti scongiuro… »

Con voce bassa e debole l’arciere provò a chiamare il suo compagno. Posò con debolezza una mano sulla sua spalla e cercò con tutte le poche forze che aveva di stringerla. Quella stretta però era talmente debole che il moro si sentì stringere il cuore.

« Devi portarmi da mio fratello… »

In quello sguardo disperato e pieno di fiducia, Kiyoomi non poté fare a meno che rimanere perplesso e stupito. Quella proposta risuonava nelle sue orecchie come insensata, perché per la prima volta da quando aveva incontrato Atsumu, sentì parlare di un fratello. Fino ad allora il moro non aveva mai saputo che l’arciere avesse un fratello, non lo aveva mai nominato ed era riuscito solo a scoprire della morte dei suoi genitori. Pensò che allora il biondo non era solo, aveva una famiglia da qualche parte, eppure l’aveva abbandonata. La motivazione di tale scelta risultava ancora sconosciuta, ma ciò non aveva importanza. Qualsiasi cosa gli avesse chiesto Atsumu, Kiyoomi l’avrebbe fatta.

« Lo farò. »

Portò la mano dell’arciere davanti alle sue labbra lasciandogli un dolce e delicato bacio.

 

***
 

In quella fredda notte d’inverno, il cielo si presentava nuvoloso ed un leggero venticello muoveva le foglie nell’aria. Piccole e graziose gocce di pioggia scendevano sul suolo e provocavano la dolce musica soave della natura. Una perfetta atmosfera da passare, soprattutto se si era al chiuso e al caldo. Ad ascoltare quella melodia vi era una civetta, seduta sulla finestra di un locanda, osservava l’immagine di un piccolo paesino vuoto. La strada principale avvolta nel buio, veniva illuminata semplicemente dalla luce proveniente dalle finestre delle case paesane. Tutti cenavano con tranquillità nella propria abitazione, al caldo con i propri parenti e salvi dalla pioggia.

E mentre la civetta guardava quel dipinto naturale, nella stessa stanza il suo padrone sedeva su un letto da una piazza e mezza. Accanto a lui vi era sdraiato il suo compagno, era stanco ma stringeva con la poca forza che gli rimaneva la mano del mago.

Erano passati giorni dallo scontro contro i criminali e le condizioni di Atsumu non erano migliorate. Viaggiare era diventato difficile, l’arciere non riusciva a camminare da solo ed il mago doveva aiutarlo, poneva il braccio del biondo attorno al collo e lo sosteneva nel loro cammino. Per raggiungere il fratello di Atsumu, il mago si affidava ai suoi protettori che, sotto il comando del biondo, gli mostravano la strada volando in alto nel cielo. Ciò gli permetteva di non perdersi e di continuare sempre il cammino, ma ad ogni modo erano numerose le pause che dovevano prendere durante il viaggio. Rispetto a prima il loro passo era diminuito, impiegavano il doppio del tempo e così l’arrivo a destinazione sembrava sempre più lontano.

Ormai il biondo non era più in grado di badare a sé stesso. Il mago doveva pensare a dover procurare il cibo ad entrambi, a cacciare e a procurarsi dell’acqua. Lasciava che i suoi protettori facessero da guardia al biondo mentre Kiyoomi si sporcava le mani e si procurava ciò di cui avevano bisogno. Il taccuino su cui riportò tutti gli insegnamenti di Atsumu si rivelò molto utile, il mago fece tesoro di tutto ciò che aveva scritto e grazie ad esso riusciva a procurarsi piante curative, bacche o foglie commestibili che li avrebbero aiutati. Quell’agenda lo avevano guidato nel prendere le decisioni giuste e nel saper cosa fare al momento del bisogno.

Con Atsumu in quelle condizioni però, Kiyoomi pensava fosse meglio passare più notti nelle locande, così da poter dare al suo compagno un degno riposo, un pasto caldo ed un letto confortevole. L’arciere aveva bisogno del mago per qualsiasi cosa, anche per i bisogni primari. Lo aiutava a mangiare imboccandolo, a bere posando la ciotola sulle sue labbra ed anche a lavarsi. Per via delle sue condizioni, Atsumu non poteva badare più a sé stesso.

Durante quei giorni, Kiyoomi cercava in tutti i modi di esercitarsi nelle magie curative. Erano difficili, solo leggere come eseguire l’incantesimo lo turbava, ma ogni giorno si esercitava su piante o animali feriti. Per eseguire certe magie bisognava avere un potere magico molto sviluppato, bisognava concentrarsi mentalmente e imprimere tutta la propria energia sulle proprie mani. Per quanto ci provava però, era tutto inutile. Non riusciva a risanare fiori, nemmeno poveri animali indifesi, e finché non ci fosse riuscito con animali o piante, non avrebbe mai provato su Atsumu stesso.

« È così fastidioso… »

La voce di Atsumu era piuttosto fioca, sembrava come se gli mancasse il respiro. Avevano camminato molto quel giorno, erano riusciti a fare una buona strada ma era costato davvero tanto all’arciere. Le sue gambe sembravano cedere da un momento all’altro, verso il tramonto decisero di fermarsi ad una locanda. Qui Kiyoomi aiutò il biondo a mangiare una buona zuppa di manzo, un alimento che non mangiavano tutti i giorni e che dopo tanto tempo risultava squisito alle papille gustative.

« Lo so, non posso immaginare come ti senti. » sospirò il mago mentre accarezzava leggermente la mano dell’arciere.

Da quando l’aveva conosciuto, Kiyoomi pensava che Atsumu fosse un uomo indistruttibile. Aveva una forza invidiabile e quasi sovrumana, era abilissimo in qualsiasi cosa e se la cavava sempre. Pensava che niente e nessuno l’avrebbe scalfito, davanti a qualsiasi difficoltà avrebbe trovato il modo di andare avanti e non farsi mai mettere i piedi in testa. Adesso nel vederlo in quello stato gli piangeva il cuore.

Non conoscevano la causa di quel malanno, non riuscivano a capire da cosa derivasse e non ne conoscevano una cura. Non sapevano niente, continuavano il loro viaggio ignari del futuro e di ciò che sarebbe successo, se quella condizione fosse peggiorata o lo portasse direttamente al peggio del peggio. In queste situazioni però entrambi sapevano che bisognava mantenere un briciolo di ottimismo.

« In realtà… mi piace essere coccolato da te. » sorrise debolmente l’arciere « Mi piace come ti prendi cura di me. » volse lo sguardo verso il suo compagno.

Anche se debole, quel sorriso continuava ad avere un potere. Il potere di far sorridere a sua volta Kiyoomi, di renderlo felice e di farlo stare tranquillo, di dirgli che andava tutto bene e niente sarebbe andato storto.

« Sono bravo? » domandò con il sorriso il mago, le sue dita cominciarono ad immergersi in quei ciuffi biondi e accarezzavano la testa del malato.

« Bravissimo. » sorrise l’arciere « E grazie per tutto quello che fai… »

Quelle parole fecero sorridere ancora di più il mago, il quale si avvicinò verso il volto dell’altro lasciandogli un leggero bacio.

La causa di quel malanno era ancora ignota, ma Kiyoomi avrebbe fatto di tutto pur di guarire il suo compagno. Lo avrebbe portato da suo fratello il prima possibile.

Per quanto Atsumu odiasse l’idea di rivederlo non aveva altra scelta. Suo fratello rappresentava la sua unica speranza di guarigione.

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Capitolo 8
*** Sempre peggio ***


Il tramonto era vicino, la luce del sole si scuriva sempre di più fino a diventare un sottile strato arancione mentre al suo posto saliva in cielo la luna. C’era ancora tempo per poter approfittare della debole luce e continuare a camminare, ma bisognava trovare un riparo il prima possibile. Tra le nuvole di quel cielo velato volava un merlo dal piumaggio nero ed il becco arancione, osservava la terra sottostante e poneva molta attenzione alla ricerca di un luogo appartato. Il suo padrone gli aveva dato un compito, gli aveva ordinato di cercare un luogo dove avrebbe potuto passare la notte, e lui non voleva deluderlo. Per sua fortuna riuscì a trovare qualcosa che andava oltre le aspettative.

Viaggiare era sempre stato un piacere per i due ragazzi, amavano spostarsi di luogo in luogo e visitare i vari paesini del regno. Ognuno aveva le proprie usanze, le proprie abitudini e le proprie tradizioni ed era sempre un piacere imparare qualcosa di nuovo. Anche se adesso non potevano esplorare nuove terre e la fatica costava cara, riuscivano a trovare comunque piacevole viaggiare insieme. Seppur Kiyoomi doveva aiutare Atsumu a camminare entrambi amavano stare insieme.

Quel giorno avevano fatto progressi, erano riusciti a fare molta strada e ciò era un bene, perché più camminavano e più sarebbero arrivati prima dal fratello dell’arciere. Per quanto Kiyoomi avesse voluto sapere di più su questo misterioso ragazzo, Atsumu non diceva nulla e sembrava preferire il silenzio alle parole. Anche perché parlare per troppo tempo gli toglieva il respiro.

A piccoli passi avanzavano in quel sentiero coperto dagli alti alberi, l’orizzonte era ignoto ma comunque avrebbero percorso quella strada. Il loro viaggio al buio venne deviato però dall’arrivo del docile merlo che chioccolava qualcosa al suo padrone, incomprensibile per l’arciere.

« Qui vicino c’è qualcosa » tradusse il moro « Hai sentito Atsumu? Pochi passi e potremo riposare.»

In risposta il biondo accennò un sorriso. Cercò di concentrare le proprie forze nelle gambe, di dare un’ultima spinta prima di poterle far riposare tutta la notte. Con l’aiuto del mago riuscì a muoversi leggermente più veloce e dopo qualche minuto entrambi si ritrovarono fuori dalla foresta. In lontananza scorsero una struttura di pietra, da lontano sembrava una torre per metà immersa nel verde del muschio. Non potevano chiedere di meglio.

Dopo qualche minuto riuscirono ad arrivare ai piedi di quella torre. A primo impatto risultava abbandonata, le piante avevano preso il sopravvento e l’avevano ricoperta del loro colore sgargiante, ma di sicuro all’interno sarebbero stati bene.

La torre ai suoi piedi aveva dei piccoli scalini, vi era una porta in legno e dei fori che la attraversavano e che di sicuro fungevano come fessure per far entrare la luce e l’aria. Nessuna bandiera reale, né lo stemma di qualche banda di criminali, vi erano solo piante che l’attraversavano. Sarebbe stata di sicuro un rifugio perfetto.

Con leggera fatica Atsumu riuscì a salire quei gradini mentre si teneva stretto al suo compagno. Arrivati davanti alla porta in legno Kiyoomi cercò di darle una spinta utilizzando tutto il corpo e grazie a ciò riuscì ad aprirla e ad entrare. L’interno era buio, più il sole tramontava e più la luce scompariva e questo poteva solo significare che era il momento di accendere un falò. Non vi erano oggetti dentro, ciò faceva intendere ancora di più che quella torre fosse stata abbandonata molto tempo prima. L’unica cosa che ricadde agli occhi dei due ragazzi furono delle grandi scale a chiocciola di pietra.

Il mago portò l’arciere a sedersi, gli fece appoggiare la schiena contro il muro così da permettergli di riposare. Atsumu non aveva una bella cera, ma almeno rispetto ai giorni prima riusciva a tenere gli occhi aperti e a muovere leggermente le mani. Dietro la sua schiena continuava a portare sempre con sé l’arco, seppur non aveva le forze per usarlo.

Mentre entrambi riprendevano fiato dal viaggio che avevano percorso, Kiyoomi ordinò al suo protettore di procurarsi della legna e andò a sedersi accanto ad Atsumu. Sfruttò anche lui quel lasso di tempo per riposare le gambe. Non era facile dover aiutare qualcuno a camminare per tutto quel tempo, cominciava a sentire il dolore alle gambe e i suoi piedi erano stanchi di muoversi. Tuttavia non si sarebbe mai arreso.

« Come ti senti? » domandò il mago mentre con dolcezza unì le loro mani.

Era una domanda così ricorrente che ormai sentirla era diventata un’abitudine.

« Bene credo… » rispose l’arciere « Ho solo un po’ sete. »

A quella richiesta l’altro non esitò ed estrasse dalla sacca dell’arciere una ciotola vuota. Normalmente la utilizzavano per bere sulla sponda del fiume, immergendola e gustando l’acqua fresca delle montagne, ma in quel frangente, o quando non avevano acqua a portata di mano, serviva l’aiuto della magia per evocarne un po’. Gli elementi naturali che Kiyoomi riusciva ad evocare non influenzavano la loro natura, non li rendeva magici o velenosi. L’acqua che riusciva a creare tra le sue mani era semplicemente acqua fresca.

Riempita la ciotola, il mago aiutò il suo compagno a bere un sorso. Aveva bisogno del suo aiuto per qualsiasi cosa in quelle condizioni, se doveva bere o doveva mangiare aveva bisogno di chiederglielo, perché non aveva le forze per farlo da solo.

« Grazie… » ringraziò Atsumu posando lo sguardo sull’uomo accanto a lui.

Solo in quegli ultimi giorni Atsumu capì quanto amasse davvero Kiyoomi, ma sopratutto quanto quel sentimento fosse ricambiato. La sua inspiegabile condizione era frustrante sia per lui tanto quanto per il suo compagno. Avrebbe potuto abbandonarlo e tornare a viaggiare da solo, liberarsi di un peso talmente fastidioso da tenerlo incatenato senza dargli modo di essere libero. Eppure continuava a rimanere lì, a sostenerlo, ad aiutarlo nelle difficoltà e ad amarlo. Non si lamentava per quanto fosse faticoso, non dava a vedere quanto soffriva per la sua condizione, cercava di mostrarsi sempre col sorriso sul volto e cercava di trasmettergli ottimismo. Diamine quanto lo amava, quanto avrebbe voluto dimostrargli il suo amore e ringraziarlo davvero per tutto quello che stava facendo per lui.

Con leggera fatica la mano dell’arciere si avvicinò a quella del mago, intrecciò le loro dita e cercò di stringerle il più possibile.

« Grazie davvero…. Non esistono parole per descrivere la mia gratitudine… » mormorò il biondo volgendo i propri occhi verso quelli del suo compagno « Ti amo Kiyoomi. »

Un sorriso si formò sul volto dell’altro. Udire quelle parole lo facevano sempre sentire importante nei suoi confronti, gli trasmettevano talmente tanta gioia da non aver bisogno di sentire nient’altro. Per quanto quella situazione fosse snervante e faticosa, Kiyoomi avrebbe continuato a fare tutto il possibile. Aveva scoperto grazie ad Atsumu talmente tante cose e tante emozioni positive che prima non aveva mai provato, che si sentiva in debito con lui. Lo avrebbe seguito per tutta la vita, avrebbe accettato di stare al suo fianco qualunque siano state le conseguenze. Sapeva che un giorno sarebbe guarito ma anche se questo non fosse accaduto, lui avrebbe continuato a stargli vicino.

Avvicinò la mano verso la guancia di Atsumu e cominciò ad accarezzarla. Amava contemplare il suo volto, mettere a contatto le proprie mani sulla sua pelle e riempirlo di carezze e di baci. E come sempre amava farlo sorridere in qualsiasi modo.

« Anche io. » rispose Kiyoomi con la sincerità negli occhi e con un enorme sorriso spontaneo, un sorriso che solo Atsumu riusciva a provocare.

Quel momento di affetto venne interrotto dall’arrivo di alcuni merli, nel becco tenevano diversi rami che andarono a posare accanto ai due ragazzi, senza dar loro tempo di scambiarsi un bacio. Il moro si alzò per raccogliere quei rami e disporli nella giusta maniera per accendere il fuoco.

« Spero che tu abbia fame, io sto morendo. »

A quelle parole l’arciere sorrise di gusto.

« Anche io. »

Improvvisamente però da una delle fessure della torre si posizionò un allocco, era piccolo ed aveva un piumaggio marroncino. I merli che avevano portato la legna avevano già spiccato il volo, avevano svolto il loro compito di protettori del giorno ed ora sarebbero andati a riposare, mentre al loro posto sarebbe subentrato un uccello notturno. L’allocco cominciò ad emettere leggeri versetti che arrivarono all’istante alle orecchie del suo padrone, facendogli assumere un’espressione preoccupata.

« Che succede Omi? » domando l’arciere con un tono serio.

La preoccupazione si tramutò in fastidio e sul volto del moro si fece una viva una smorfia.

« C’è qualcuno nei paraggi » rispose « Dubito abbiano buone intenzioni. Vado a liberarmene. » detto ciò il mago fu pronto a muoversi

« Aspetta! »

Prima che potesse fare un passo in più però, venne fermato dalle parole di Atsumu.

« Portami in cima alla torre, ci penso io. »

Le parole dell’arciere risultarono fin troppo serie, dal suo tono di voce si capiva che non stava scherzando. Era stanco di dover stare in disparte, vedere come Kiyoomi si sporcava le mani per lui lo infastidiva e si sentiva terribilmente un peso. Non riusciva a vivere in quel modo, voleva muoversi e voleva agire, non rimanere nell’oscurità. Tutto ciò gli si poteva leggere negli occhi.

Kiyoomi rimase ad osservarlo, non aveva intenzione di metterlo in pericolo.

« Non devi sforzarti tanto. Già non hai abbastanza forze, se le esaurisci tutte non riuscirai nemmeno ad averle per aprire gli occhi. »

Era doloroso dire certe cose, ma la realtà era quella. Lo aveva notato nel loro viaggio, più Atsumu si sforzava più le forze rimaste venivano prosciugate. Il mago sapeva quanto fosse difficile per l’arciere non potersi muovere come prima, ma non avrebbe messo a rischio la sua vita.

« Non ho la certezza… che guarirò. Voglio poter scoccare almeno un’ultima freccia. »

Quell’incertezza formò un nodo alla gola del mago. Non voleva pensare al peggio, era fiducioso e voleva credere che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma se non fosse stato così avrebbe vissuto col rimorso fino alla morte.

« È rischioso! » cercò di obiettare « Se bruciassi tutte le tue forze cosa rimarrebbe? »

« Mi basterà una freccia. » cercò di convincerlo Atsumu « Solo una. Ti prego. »

Non avrebbe dovuto, non voleva metterlo in pericolo, ma non riuscì a dirgli di no. Aveva deciso di assecondare ogni desiderio del suo amato, seppur aveva paura di metterlo in pericolo non poteva far altro che aiutarlo.

Il mago sospirò rassegnato ed andò ad aiutare il suo compagno ad alzarsi. Il solo pensiero di dover fare tutte quelle scale lo preoccupava, sarebbe bastata una perdita d’equilibrio per rischiare di cadere.

« Come pensi di arrivare in cima? » domandò il moro mentre portò il braccio dell’altro intorno alle spalle.

L’arciere sembrò riflettere a quelle parole, non sarebbe riuscito a raggiungere la cima ne era certo. L’unica cosa che gli serviva era un punto alto ed una fessura dove avrebbe potuto far scoccare la sua freccia. Gli bastava una buona visuale, con quella sarebbe stato in grado di attaccare.

« Magari in cima no… Secondo piano? »

A quella risposta Kiyoomi gli scambiò un’occhiataccia. Amava Atsumu, ma quel suo spirito libero ed intraprendente lo portava a mettersi in pericolo fin troppo spesso.

Con leggera fatica ma molta determinazione i due ragazzi salirono le scale di quella torre. La luce stava scomparendo, ogni minuto che passava il cielo diventava sempre più buio e le possibilità di riuscire a vedere i loro nemici diventavano minime. Se fosse stato un gruppo di nemici il mago sapeva che una sola freccia non sarebbe bastata, non era nemmeno sicuro che Atsumu riuscisse a scoccarne almeno una. Però a qualsiasi costo lo avrebbe aiutato.

Quando arrivarono al secondo piano di quella torre per fortuna videro la presenza di una fessura. Insieme a loro salì anche il piccolo allocco che andò a posizionarsi proprio sulla finestra, come per controllare se da lì fossero visibili i loro nemici. Emise qualche versetto quando notò la presenza di quegli uomini.

Senza esitare Kiyoomi portò Atsumu a sedersi accanto a quella fessura, rimanendo nascosti dietro il muro. L’arciere con calma prese l’arco tra le mani e cercò di misurare la propria forza. Cominciò ad aprire e chiudere la mano per capire quanto tempo sarebbe riuscito a mantenere la corretta postura. Nel mentre accanto a lui il mago prese una delle tante frecce, posizionò le mani attorno alla punta e lasciò che gli occhi si illuminassero di azzurro. In men che non si dica la punta si illuminò di rosso e intorno ad essa fu possibile vedere un’aura magica.

« Basterà una sola freccia. » ripeté il moro « Spero li faccia spaventare. »

Incantando la freccia Kiyoomi aveva fatto in modo che essa avesse abbastanza potere da colpire un gruppo di persone. Avrebbe causato un’esplosione forte che li avrebbe fatti sobbalzare da terra e che avrebbe incendiato il terreno circostante. Il suo intento come sempre non era ucciderli, ma mettergli paura.

« Cosa devo colpire? » domandò Atsumu mentre si preparava fisicamente.

Prima di poter rispondere il moro si affacciò alla fessura. Vide che il gruppo di uomini era formato da cinque persone, come la scorsa volta. Non riusciva a distinguere nient’altro se non le figure di quegli uomini. Gli era impossibile capire se fossero armati, se avessero armature o armi da tiro. La cosa certa era che non fossero stregoni.

« Il punto più vicino tra tutti e cinque. »

Atsumu si affacciò leggermente e cercò di imprimere nella sua mente l’immagine di quegli uomini. Doveva calcolare la distanza tra loro, il loro movimento ed ogni eventuale loro mossa. Era sicuro che sarebbe riuscito a scoccare la freccia, ma doveva concentrarsi.

Prese un grande respiro, tra le mani teneva l’arco con una presa morbida. Doveva concentrarsi, doveva fare in modo che quelle poche forze rimaste sarebbero bastate per scoccare quella singola freccia. Doveva calcolare il tempo in cui avrebbe tenuto l’arco teso, il momento in cui si sarebbe voltato e avrebbe avuto visione ampia di quell’ambiente. Doveva farcela.

Prese la freccia incantata del moro, si posizionò con velocità davanti alla fessura e con le ultime forze rimaste strinse la presa dell’arco. Posizionò la freccia e la tese, per quanto sentisse dolore alle dita e alle braccia non avrebbe lasciato la presa finché non sarebbe stato sicuro. I suoi occhi viaggiavano su quel campo lontano, la mancanza di luce rendeva difficile il tutto, ma non impossibile. Quando vide il punto esatto dove avrebbe dovuto scoccare la freccia, Atsumu la lasciò andare. Subito dopo lasciò la presa e fece cadere l’arco a terra mentre strizzò gli occhi dal dolore.

La freccia attraversò tutta la valle, per quanto fosse stata tirata con destrezza e precisione sembrò invisibile agli occhi dei criminali. Ed infatti quegli uomini non riuscirono nemmeno a vederla. La freccia si piantò per terra, passò qualche secondo ed in un baleno venne causata un’esplosione. Quei nemici furono sbalzati in aria senza nemmeno capire da dove fosse avvenuta tale esplosione, la quale generò delle alte fiamme magiche.

« Ce l’hai fatta Atsumu! » sorrise il mago cercando di mostrarsi ottimista come sempre.

La sua mano si posò sulla schiena dell’altro cercando di sostenerlo in quel momento. Il dolore per fortuna passò in poco tempo e l’arciere riuscì a tirarsi di nuovo seduto respirando profondamente. Gli occhi leggermente chiusi ed un leggero sorriso sul volto. Dopo tanto tempo era riuscito a scoccare un’altra freccia, per lui ne era valsa la pena.

« Fukurō » richiamò il mago rivolgendosi all’allocco « Rimani di guardia fuori dalla torre. Se quegli uomini proveranno ad avvicinarsi di nuovo, attaccateli. »

E sotto ordine del suo padrone, il piccolo allocco spiccò il volo.

***

Passarono un paio d’ore, la luna splendeva alta nel cielo ed illuminava con una luce bianca e lucente i campi di grano circostanti. La torre risplendeva sotto la luce magica della notte mentre dalle sue fessure fuoriusciva il fumo di un falò.

Seduti attorno al fuoco scoppiettante ed entrambi stanchi morti, i due ragazzi si gustavano la deliziosa zuppa cucinata dal mago. Quest’ultimo aiutava l’arciere a mangiare, lo imboccava come fosse un bambino piccolo e si prendeva cura di lui. Per via di quella freccia Atsumu non si sentiva più le braccia. Erano deboli, riusciva a muoverle a malapena e se poteva evitava direttamente di farlo.

Era la seconda volta che la coppia era stata seguita e quasi attaccata da quegli uomini, Atsumu non capiva ancora chi fossero e che cosa volessero ed il fatto che Kiyoomi non ne parlasse, lo induceva a pensare che sapeva qualcosa. Non gli aveva accennato niente, non ne avevano mai parlato anche per via delle condizioni del biondo. Quelle erano la priorità dell’altro ed il motivo per cui non aveva aperto bocca era solo perché non voleva far preoccupare l’arciere più del dovuto. Ma lui voleva e doveva sapere cosa stava succedendo.

« Erano gli stessi uomini dell’altra volta? »

Gli occhi dell’arciere si posarono sul ragazzo accanto. Il viso di Kiyoomi illuminato dalla luce del fuoco lo rendeva terribilmente adorabile, sembrava più giovane per la sua età, anche se in realtà i due ragazzi si portavano solo qualche mese di distanza. Atsumu ripensò al primo giorno che lo vide nella locanda, ricordava il suo viso immacolato e la sua pelle perfetta, come fosse un principe. Se lo guardava adesso il suo volto aveva vari graffi ed era leggermente sporco. Ad ogni modo per lui era perfetto.

« Non sono riuscito a capirlo » rispose il mago mentre con delicatezza ripuliva la bocca del biondo con un panno « Erano troppo distanti. »

« Perché ci stanno seguendo? » insistette l’arciere « Chi sono… e cosa vogliono? »

Era inutile continuare a svagare, prima o poi Kiyoomi era sicuro che l’arciere se ne sarebbe accorto e che doveva dargli una risposta. Non avrebbe voluto farlo, le sue condizioni peggioravano e la prima cosa da fare era portarlo da suo fratello, poi avrebbero pensato al resto. Ma Atsumu avrebbe insistito e perciò il moro non aveva altra scelta che dirglielo.

« Non so con certezza chi siano, suppongo dei mercenari » cominciò il moro lasciandosi andare in un sospiro « La cosa certa è che sono stati mandati dalla mia famiglia. »

Seppur il dolore era insopportabile, Atsumu fece uno sforzo e prese la mano del mago. Sicuramente quella notizia non lo faceva stare per niente sereno, anzi pensò che non c’era notizia peggiore, ma comunque non voleva far preoccupare troppo Kiyoomi, proprio come stava facendo lui. Oltre alla preoccupazione però, l’arciere provava anche molta rabbia. Pensava che se un giorno la famiglia Sakusa fosse tornata per riprendersi il loro figlio e fratello, lui avrebbe fatto di tutto per impedirglielo. In quelle condizioni però non poteva combattere nemmeno una mosca, poteva solamente provare rancore e disprezzo per loro.

« Mandano dei semplici umani per riprendersi loro figlio? Che caduta di stile. »

Un leggero sorriso si formò sul volto del mago. Apprezzava come Atsumu cercasse di tirargli su il morale, ma c’era ben poco da fare. Se fossero arrivati da loro sarebbe stata la fine per entrambi. Dopo un secondo fallimento le probabilità che sarebbero venuti in carne ed ossa a recuperarlo erano superiori. Ma adesso non poteva pensare a quello, doveva pensare alla salute del suo compagno.

« La nostra priorità è portarti da tuo fratello. »

La voglia di saper di più su quel misterioso ragazzo lo divorava. Voleva sapere perché Atsumu non gliene aveva mai parlato, il motivo della loro divisione e che tipo di rapporto avessero. Sapeva però che non poteva chiederglielo, era sicuro che era un argomento delicato. Ad ogni modo doveva accertarsi di una sola cosa.

« Mi garantisci che tuo fratello sarà in grado di curarti? » domandò Kiyoomi stringendo la mano del biondo e guardandolo negli occhi.

Atsumu non ci pensò due volte prima di rispondere.

« Si, ne sono sicuro. »

***

La mattina seguente la coppia si rimise in viaggio, per quanto le loro gambe facessero male e i loro piedi fossero stanchi, non avevano altra scelta. Per fortuna si trovavano in mezzo alla pianura e in questo modo era più semplice seguire i protettori del mago. Questa volta a condurli verso la loro destinazione era un piccolo e gracile passero.

Nel loro viaggio mattutino i due ragazzi poterono ammirare le vaste terre coltivate e le piante da poco nate di quelle pianure. Infondo era uno spettacolo per gli occhi, rappresentavano il duro lavoro di umili persone che permettevano di sfamare la gente. Kiyoomi in effetti non ci aveva mai pensato, i cacciatori erano coloro che fornivano la carne, mentre i contadini erano quelli che si sporcavano le mani e che fornivano verdure in abbondanza. Il solo vedere quel paesaggio faceva venir fame al mago.

I raggi del sole erano talmente forti che quella camminata in mezzo ai campi la faceva diventare un agonia. Atsumu non lo dava a vedere, ma più il tempo passava e più sentiva che le forze lo stavano abbandonando. Quel senso di stanchezza stava logorando il suo corpo e se non avesse fatto qualcosa subito, non avrebbe mai voluto immaginare cosa gli sarebbe successo.

In quella fatica e quel caldo cocente, Kiyoomi sembrò avere un’illuminazione improvvisa. Da lontano scorse qualcosa che fino ad allora non aveva notato, sembrava qualcosa di grande che stava attraversando quel sentiero. Cercò di avvicinarsi il più possibile pur di capire che cosa fosse. I suoi occhi sembrarono illuminarsi a quella visione e cercò di camminare più in fretta tenendo stretto a sé Atsumu.

In lontananza sullo stesso sentiero vi era un carro trainato da un cavallo.

« ASPETTATE! » urlò il giovane mago « CHIUNQUE VOI SIATE, FERMI! »

La tentazione di voler usare la magia per fermare davvero quel carro era alta, ma Kiyoomi non poteva rischiare. Non sapeva chi ci fosse sopra, se era una brava o una cattiva persona e soprattutto se erano delle guardie. L’unica cosa che poteva fare era urlare più che poteva, sperando che quel carro si fermasse

Davanti a quella scena il piccolo passero decise di voler aiutare il suo padrone. Volò verso quell’ammasso di legno e ruote fino ad arrivare davanti alle due persone che lo trainavano. Per acquisire la loro attenzione prese col becco il capello di paglia di uno dei due e si allontanò con l’intento di non volerglielo restituire. Improvvisamente il carro si fermò.

Nel vedere ciò Kiyoomi cercò in tutti i modi di camminare più veloce. Più si avvicinavano e più riusciva a scrutare quel carro. Era un carretto di legno, aveva delle grandi ruote ed uno scomparto posteriore coperto ai lati da delle tende. Sul veicolo vi erano diverse verdure: delle zucche nel retro insieme a cespugli di insalata e pomodori. C’erano diversi utensili, dei forconi e delle pale, delle brocche e dei panni. Attaccate vi erano anche diversi tipi di spezie e persino delle candele. Si poteva ben intuire che quel carro appartenesse a dei contadini.

« MALEDETTO PASSERO, RIDAMMI IL CAPPELLO! »

Quelle urla acquisirono l’attenzione del moro che con il fiatone cercava di trascinarsi verso la parte anteriore del carro. Seduti su di esso vi erano due ragazzi; uno di loro era incredibilmente alto, persino più alto di lui, aveva dei capelli castano chiaro a cespuglio ed indossava una maglietta bianca sporca di terra. L’altro invece era molto più basso, aveva dei capelli bianchi sparati in aria ed era colui che stava urlando irritato.

Quello più basso era sceso dal carro e stava urlando contro il volatile che gli aveva rubato il cappello. Davanti a quella scena Kiyoomi rimase stupito, perché in poco tempo quel giovane ragazzo basso attuò un salto altissimo e strappò dal becco dell’uccello il suo capello. Il mago non riuscì a spiegarsi come un ragazzo così basso fosse riuscito a saltare tanto in alto.

Mentre il moro rimase stupito da quella scena, l’altro ragazzo si accorse della presenza del mago, ma soprattutto di quella di Atsumu tenuto stretto al suo corpo.

« E voi chi siete? » domandò il ragazzo basso guardandoli con le sopracciglia corrucciate.

« Siamo dei viaggiatori » rispose subito il moro « Il mio compagno non sta bene, vi prego aiutateci! »

Il respiro era mozzato, dopo tutta la fatica che aveva sofferto in quel cammino Kiyoomi sembrava disposto a tutto pur di farsi aiutare.

« Dove siete diretti? » domandò il più alto mentre scendeva dal carro.

A quella domanda il mago si arrestò. Solo Atsumu sapeva dove si trovava quel luogo, era stato lui ad ordinarlo ai protettori del moro perché quest’ultimo non ci era mai stato. Non sapeva dove si trovasse il fratello dell’arciere, l’unica cosa che poteva fare era affidarsi al suo compagno e ai suoi protettori.

« L-La taverna Ki-Kitsune… » riuscì a dire con un filo di voce il biondo « È q-qui vicino… »

L’attenzione del mago si concentrò esclusivamente sul suo compagno e cercò di tenerlo quanto più poteva. La sua voce stava svanendo, diventava sempre più debole proprio come il suo respiro. Atsumu avrebbe ceduto da un momento all’altro e davanti a quella scena il mago stava andando nel panico. Aveva giurato che l’avrebbe protetto fino alla fine e non voleva mancare a quella promessa.

In suo soccorso per fortuna arrivò anche il ragazzo alto e castano che avvolse il braccio libero di Atsumu attorno al proprio collo.

« Si la conosciamo… » rifletté ad alta voce il più basso « Infondo non è lontana, potremo portarvi lì ma in cambio che ci date? »

« Sta scherzando! Non vogliamo niente in cambio. » disse subito l’altro ragazzo « Sarà meglio farlo sdraiare sulla parte posteriore… Korai libera un po’ di spazio! »

Sbuffando il ragazzo più basso si mosse andando a spostare le varie verdure sul carro, liberando abbastanza spazio per far sdraiare l’arciere. Grazie all’aiuto del castano Kiyoomi riuscì a far sdraiare Atsumu nella parte posteriore del carro. La mano del mago stringeva non troppo forte quella dell’arciere, non l’avrebbe lasciata finché non sarebbero arrivati a destinazione. Si sedette accanto a lui assicurandosi che la sua condizione non fosse ulteriormente peggiorata e lo osservava sperando fino all’ultimo di fare in tempo.

« Andrà tutto bene » riuscì a dire debolmente il moro « Arriveremo lì sani e salvi, resisti un altro po’ » la voce tremava dalla paura mentre la sua mano stringeva quel contatto.

Atsumu aveva gli occhi socchiusi, era ancora cosciente ma il suo respiro era debole.

I due ragazzi nel mentre si rimisero alle redini del cavallo e con una spinta di fruste lo fecero ripartire.

« Grazie infinite per il vostro aiuto » mormorò il mago « Il mio nome è Kiyoomi, lui invece è Atsumu. »

A quelle parole il più basso voltò lo sguardo verso i loro nuovi ospiti e sfoggiò un grande sorriso compiaciuto.

« Io sono Korai e lui è Sachiro, siamo due contadini proprietari di una fattoria qui vicino. Piacere di conoscervi! »

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Capitolo 9
*** La taverna Kitzune ***


Nella taverna Kitzune tutti erano i benvenuti. Non importava chi tu fossi, da dove venissi e che cosa tu potessi aver fatto: se avevi fame o sete e non sapevi dove andare, quello era il posto giusto. In mezzo alla foresta tra gli alti e robusti alberi, la taverna accoglieva i suoi clienti con buona musica e buon cibo. Aperta dall’ora di pranzo fino a tarda notte, la taverna era sempre colma di clienti di ogni tipo ed il casino non mancava di certo. Esperti bardi suonavano soavi melodie con flauti o liuti donando al luogo una calda atmosfera e soprattutto facendo sentire le persone a casa. L’odore dei prelibati piatti attirava numerosi clienti mentre i boccali pieni di birra fino al midollo li rinfrescavano. Era una taverna rinomata e tutto ciò era grazie al suo carismatico oste.

Fin dall’infanzia Osamu aveva una forte passione per la cucina. Insieme a sua madre cucinava moltissimi piatti di ogni tipo, da stufati di verdure fino a bistecche di cervo, derivate dalla caccia di suo padre e di suo fratello. Aveva imparato molto in fretta le varie regole della cucina, riusciva ad abbinare le spezie con la carne giusta e scopriva sempre nuovi sapori. Il sogno di voler aprire una taverna tutta sua non tardò ad arrivare. Sognava che da grande avrebbe aperto la taverna più rinomata di tutto il suo paese, persino di tutto il regno, e che avrebbe portato gioia nella vita delle persone. C’era solo un problema che lo separava dal suo obiettivo: non aveva soldi. La sua famiglia non aveva abbastanza denaro per permettersi di comprare un locale vuoto e dopo la morte di sua madre, che arrivò anni dopo quella di suo padre, quel sogno sembrò intenzionato a scomparire. Fin quando un giorno in compagnia di suo fratello, intraprese una camminata nella foresta, dove scoprì la presenza di una casetta. Era piccola, malandata e piena di muffa, ma per Osamu quella casetta un giorno sarebbe diventata una grande taverna.

Inizialmente la taverna Kitzune non aveva l’aspetto di un locale dove mangiare e bere. Per quanto il ragazzo si fosse impegnato nel rendere quel luogo il più accogliente possibile, era evidente che quella casetta fosse cadente e in rovina. Inizialmente non aveva clienti, nessuno sapeva che nel bel mezzo della foresta ci fosse qualcuno che attendeva di vendere i propri piatti. Perciò Osamu si rimboccò le maniche e nel suo paesino cominciò a far assaggiare ai residenti la sua deliziosa zuppa di pomodoro, ingrediente astutamente rubato nel campo di un contadino. Fu da quel momento che le persone cominciarono ad apprezzare i suoi piatti, nel paese si sparse la voce della presenza di quella taverna ed in pochi giorni moltissime persone si recarono lì. Con il passare del tempo Osamu proponeva sempre piatti diversi alla sua clientela, le persone cominciarono ad amare la sua cucina e la taverna cominciò a guadagnare ciò che si meritava.

Insieme al fratello Atsumu, Osamu era diventato il proprietario di una rinomata taverna. In quell’ambiente lui si occupava di cucinare, di preparare le bevande e di prendersi cura della struttura, mentre il biondo invece lo aiutava con i soldi e con il servizio ai tavoli. Gestire una taverna in due era davvero difficile, più il successo arrivava e più persone cominciavano a venire, ma insieme i due gemelli riuscirono ad andare avanti. Cominciarono ad assumere dei fornitori, ovvero coloro che gli portavano gli ingredienti di cui avevano bisogno, ed oltre ai diversi cacciatori, vi era anche un giovane contadino dai capelli bianchi e neri sulle punte. Il suo nome era Kita Shinsuke e fece amicizia con i gemelli in pochissimo tempo. Era il figlio di una famiglia di contadini ed era diventato talmente abile nel suo lavoro che la sua verdura era considerata una delle migliori per le varie locande e osterie. Grazie ai loro fornitori Osamu poteva permettersi gli ingredienti di cui aveva bisogno e poteva servire ai clienti i suoi deliziosi piatti.

Spesso capitava che Atsumu si offrisse di andare a cacciare e di portare la carne di cui avevano bisogno a suo fratello, ma quest’ultimo non glielo permetteva. Osamu non poteva sopportare il ricordo di quell’incidente quasi mortale che aveva provato a portargli via suo fratello, a renderlo paralizzato e a rovinargli la vita. Rifiutava ogni volta che Atsumu provava ad andare a cacciare e ciò portava i due ragazzi a litigare. Le litigate erano molto frequenti perché il biondo non aveva intenzione di passare la propria vita nelle stesse quattro mura. Lui voleva uscire da quel luogo, voleva esplorare il mondo e stare a contatto con la natura. Adorava cacciare perché era un modo per mettere alla prova le sue abilità di sopravvivenza, voleva vivere la sua vita utilizzando esclusivamente le proprie forze e voleva essere libero. Quel suo ardente desiderio era forte tanto quanto quello di suo fratello di voler cucinare per le persone. Così un giorno Atsumu, stanco di vivere in quella maniera, decise di andarsene…

Aveva preparato la sacca cucita con amore da sua madre, al suo interno aveva inserito diversi oggetti tra cui una sacca di monete guadagnate con le mance, una ciotola di legno per permettergli di bere nei fiumi, una garza per curare le proprie ferite, una scorta di frutta e verdura, due pietre focaie e una buona scorta di frecce. Dietro la schiena avrebbe portato il suo prezioso e bellissimo arco, sempre a portata di mano ed in bella vista.

Era pronto ad uscire una volta per tutte da quelle quattro mura, avrebbe solcato la porta senza voltarsi e non sarebbe tornato indietro. Avrebbe viaggiato in lungo e in largo, scoperti nuovi luoghi e nuove culture e avrebbe imparato a vivere come un avventuriero. Si sarebbe basato semplicemente sulle proprie forze e avrebbe affinato le sue abilità. Avrebbe condotto una vita selvaggia, si sarebbe fatto delle nuove amicizie e sarebbe diventato famoso in tutto il regno per le sue capacità. Il suo sogno stava per realizzarsi, doveva solo oltrepassare quella porta.

« Dove credi di andare? »

Le parole gelide di suo fratello Osamu lo fulminarono all’istante. Il suo sguardo di ghiaccio e più arrabbiato del previsto lo scrutava da cima a fondo mentre a braccia incrociate lo guardava dallo stipite della porta della cucina.

L’unico ostacolo che lo bloccava era suo fratello.

« Me ne vado. » rispose secco l’altro ragazzo rivolgendo anche lui lo sguardo verso suo fratello.

Avevano litigato fin troppo per quel motivo, Atsumu era stanco di sentirsi dire cosa doveva fare ed era stanco di rimanere lì. Voleva vivere la sua vita come voleva, accettando tutti i rischi e pericoli del mondo esterno. Il pensiero di dover dire addio a suo fratello lo devastava, ma erano entrambi troppo testarti per ammetterlo. Infondo il biondo voleva dimostrargli che sapeva badare a sé stesso e che non aveva bisogno del suo aiuto.

« A morire? » domandò sprezzante Osamu.

« Non mi farai cambiare idea. » rispose Atsumu cominciando ad avviarsi verso la porta.

La luce del giorno lo invitava a seguire quella via, il sole sarebbe stato la sua bussola e il sentiero il suo futuro. Quella era la vita perfetta per lui, la natura lo avrebbe accolto a braccia aperte e come una madre lo avrebbe accudito, ma allo stesso tempo istruito tra i suoi numerosi pericoli.

« Nemmeno la cicatrice dietro la tua schiena ti farà cambiare idea?! Basterebbe una sola ferita profonda e rimarresti mutilato a vita. POSSIBILE CHE TU NON RIESCA A CAPIRLO?! »

Atsumu poté sentire il rumore dei passi di suo fratello avvicinarsi sempre di più, la sua voce era alterata ma vi era anche un briciolo di preoccupazione. Più di tutto Osamu non voleva che suo fratello morisse lì fuori da solo.

Si sentì prendere il braccio, ma immediatamente scostò quel tocco.

« LO SO! » rispose volgendo uno sguardo furente verso suo fratello « Ma non ho intenzione di passare la mia vita qui dentro! Voglio vedere il mondo, voglio imparare a cavarmela con le mie sole forze e voglio usare il mio arco. CHE TI PIACCIA O NO AMO LA CACCIA! »

Detto ciò Atsumu si avviò verso la porta e prima di uscire fuori, volse lo sguardo verso suo fratello.

Avrebbe voluto dirgli che si sbagliava, che un giorno gli avrebbe mostrato quanto fosse diventato forte e che si sarebbe ricreduto. Un giorno, e sperava non molto lontano, si sarebbero rincontrati e avrebbero riso del passato, di quanto entrambi erano testardi pur di raggiungere il proprio obiettivo. Magari quel giorno Osamu avrebbe accettato la sua vita, avrebbe permesso ad Atsumu di cacciare ed in quel modo avrebbero vissuto in armonia tra loro. Avrebbe voluto dirgli di attendere quel giorno, perché di certo Atsumu sarebbe tornato, non si sarebbe lasciato morire senza prima poter rivedere suo fratello. Avrebbe voluto dirgli tutte quelle cose, ma non lo fece.

Si voltò verso quel sentiero, verso la strada che lo avrebbe condotto in numerose avventure, che lo avrebbe accolto e lo avrebbe fatto crescere. Infondo alla luce vedeva il suo futuro e perciò decise di intraprendere quel sentiero, nella convinzione che un giorno glielo avrebbe mostrato con i suoi occhi, quanto fosse diventato forte.

E da quel momento i due gemelli non si rividero più.

 

 

 

 

 

Era una giornata come le altre, la taverna accoglieva come sempre i suoi più fidati clienti, tra gli squisiti odori provenienti dalla cucina e dall’accoglienza del fuoco del camino. Con l’inverno le persone tendevano sempre più spesso ad andare nella taverna e per il suo proprietario ciò significava affari extra, e anche buona compagnia. Solitamente la sera era il momento dove il locale era più popolato mentre all’ora di pranzo il proprietario poteva tirare un sospiro di sollievo, proprio come quel giorno.

« La mia famiglia vorrebbe ospitarti a pranzo un giorno di questi, vogliono assaggiare i piatti che prepari con i nostri ortaggi. »

Con un cappello di paglia in testa ed una divisa da contadino azzurra, Kita sedeva al bancone principale della taverna. Nella mano teneva un boccale di birra che sorseggiava con calma e con un leggero sorriso sul volto. Durante gli anni Kita era diventato un contadino di tutto rispetto, le persone e soprattutto la sua famiglia si erano rese conto del suo potenziale e per questo era diventato il proprietario della fattoria di casa. Lavorava molto di più rispetto a prima, ma almeno riusciva a guadagnare molto.

« Sono troppo impegnato ultimamente, la taverna sta avendo il pieno di clienti. »

Dietro al bancone invece vi era un ragazzo dalla corporatura robusta. Aveva i capelli castano scuro, una maglietta nera che metteva in risalto il suo poderoso petto ed un grembiule legato alla vita. Per uno come Osamu il lavoro era sacro, dava priorità più a quello che alla sua vita e spesso non riusciva a prendersi nemmeno una pausa. Anche in quel momento non riusciva a stare con le mani in mano, preparava dei deliziosi Onigiri pronti da servire ai suoi amici.

L’amicizia tra il contadino ed il famoso cuoco era cresciuta negli ultimi anni. Kita era sempre disposto a dare una mano all’altro, oltre ad essere un bravo contadino era anche abile in cucina. Per quanto avesse un anno in più rispetto ad Osamu, Kita era un ragazzo molto maturo e di una profonda saggezza. Quando aveva un consiglio da dare, non sbagliava mai.

« Dovresti assumere qualcun altro, non possiamo andare avanti in due. Sopratutto perché non abbiamo più tempo libero. »

Accanto all’oste a servire nei bicchieri le varie bevande vi era un ragazzo dai capelli castani, aveva una camicia nera e riusciva a portare vassoi con più di dieci boccali sopra.

Dopo l’abbandono di Atsumu, per Osamu fu difficile portare avanti la taverna da solo. Passò dei tempi molto duri dove non riuscì a gestire il locale e ciò lo portò ad appendere degli annunci per assumere qualcuno che lo aiutasse. Una sera si presentò un giovane ragazzo, stringeva in mano uno degli annunci e dichiarò di voler lavorare per la taverna. A primo impatto non sembrava abile in quell’ambito, dava l’impressione di essere inesperto e di non essere in grado di lavorare come secondo oste, eppure Suna Rintaro diede dimostrazione delle sue abilità. Aveva un portamento ed un equilibrio quasi innaturale, era perfetto come cameriere e si dimostrò una grande risorsa. Era un semplice ragazzo che aveva bisogno di lavorare, ma tra tutte le opportunità di lavoro che aveva ricevuto alla fine scelse di andare alla taverna Kitzune.

Sapeva che quello era il posto giusto, bastò estrarre una carta dal suo mazzo per capire che doveva recarsi lì. Nella carta vi era raffigurata una casa nella foresta che rappresentava proprio la taverna Kitzune. Sembrava una coincidenza, ma nella sua vita Suna aveva fatto molto spesso uso delle carte. Ciò che vi era raffigurato rappresentava il futuro, ciò che sarebbe successo e che avrebbe portato fortuna, a volte anche sfortuna; ma l’utilizzo di quel potere funzionava solo nelle mani giuste. Fin dalla nascita infatti Suna deteneva una delle abilità più mistiche che esistevano, la cartomanzia.

E la carta non sbagliava, perché in quel luogo il ragazzo incontrò un futuro che soddisfò tutte le sue aspettative. Raffinò le sue abilità, ebbe modo di guadagnare molto ma sopratutto fece la conoscenza di Osamu, il ragazzo con cui finì insieme. Avendo molto tempo a disposizione da soli, i due strinsero presto un forte legame che andò a sfociare in una relazione.

« Riusciamo a gestire i ritmi e questo basta e avanza. »

Sebbene il suo lavoro fosse faticoso ed impegnativo, Osamu lo adorava. Amava cucinare, amava il cibo e sopratutto amava abbinare diversi ingredienti tra loro trasformandoli in ottimi piatti da servire ai suoi clienti. Era riuscito a concentrare la sua vita sul lavoro e non poteva richiedere di meglio.

L’atmosfera della taverna quel giorno era come sempre molto accogliente. Vi erano coppie innamorate che gustavano i prelibati piatti del cuoco attorno ad un tavolo a lume di candela, amici che brindavano felici con boccali di birra e mercenari che riposavano dopo lunghe battaglie. La melodia del flauto di un bardo portava tranquillità e quiete nella taverna e nel vedere ciò che aveva creato, Osamu si sentiva più soddisfatto che mai.

Non sapeva però che quella quiete sarebbe stata rovinata.

La porta della taverna si aprì, lasciò entrare nel locale i raggi del sole ed insieme a loro la figura di due uomini. Uno di loro portava in spalle l’altro, indossava un mantello viola e aveva dei capelli ricci e neri. L’altro era debole, visibilmente svenuto e aveva gli occhi praticamente chiusi. Aveva i capelli biondi ma la radice scura, un arco sulla schiena e l’indimenticabile sacca color marroncino cucita da sua madre. Quel ragazzo mezzo svenuto tra le braccia di quello sconosciuto era indubbiamente Atsumu.

« Aiutatemi! »

Le urla del moro acquisirono l’attenzione di tutti i presenti. La sua voce era decisamente debole ma si sforzava di urlare, aveva un’espressione disperata e faticava a tenere tra le braccia il suo compagno.

« Non sta bene, dovete aiutarmi! »

Le mani dell’oste si fermarono immediatamente, i suoi occhi sgranarono davanti a quella visione e tremarono nel vedere quella scena. Il suo sguardo si concentrò su quella figura, sembrava così familiare e dannatamente simile a lui. Osamu sentì il proprio battito perdere un colpo e rimase a fissare quell’immagine. Non riusciva a mettere a fuoco, non voleva credere che quel ragazzo svenuto fosse suo fratello, quel ragazzo non poteva essere suo fratello. Era convinto, era fermamente convinto che Atsumu un giorno sarebbe tornato da quella porta col suo sorriso fastidioso, orgoglioso di aver avuto sempre ragione e di mostrarlo fieramente a suo fratello.

Quello non poteva essere lui, eppure non c’erano dubbi. Aveva i capelli di un biondo innaturale, il viso identico al suo e l’arco bianco dietro la sua schiena. I suoi occhi sgranarono nel vederlo in quello stato, incosciente e nemmeno in grado di potersi muovere. Come poteva trovarsi in quelle condizioni?

Osamu rimase sbalordito nel rivedere dopo cinque anni suo fratello, non era più il diciottenne ribelle che se n’era andato, era diventato un uomo. Era cresciuto, in altezza e in statura, non aveva la sua stessa robustezza, ma era evidente quanto avesse allenato il suo corpo. Era Atsumu, era lui ma finalmente maturato. Quanto gli era mancato, il solo pensiero di non averlo visto per tutti quegli anni faceva male al cuore, quanto tempo avevano sprecato l’uno lontano dall’altro.

« VI PREGO! » urlò lo sconosciuto « DOVETE AIUTARLO! »

Senza pensarci nemmeno un secondo, Osamu si precipitò verso suo fratello. Le persone nella taverna videro la scena stupefatte e confuse da quello che stava succedendo. L’atmosfera calma e pacava che regnava poco prima si tramutò in uno stupore generale ed un totale silenzio.

« TUTTI FUORI! » urlò l’oste « LA TAVERNA È CHIUSA! »

In men che non si dica le persone nella taverna uscirono dal locale. Senza discutere, senza obiettare con il proprietario, lasciarono il luogo con la coda tra le gambe, non prima di aver lanciato un’occhiata a quel ragazzo svenuto. Se c’era una cosa che i clienti della locanda Kitzune sapevano è che non si scherzava col suo proprietario.

Più si avvicinava più si rendeva conto che quel ragazzo era proprio Atsumu, era suo fratello. Non riusciva a capire che cosa gli fosse successo, che ci facesse lì ma soprattutto perché si trovava tra le braccia di quello sconosciuto. Prima di poterlo prendere tra le sue braccia, Osamu lanciò un rapido sguardo allo sconosciuto che lo sosteneva.

In quel momento Kiyoomi non ebbe più dubbi, quello era il fratello di Atsumu. Erano identici, avevano gli stessi lineamenti del volto, gli stessi tratti, avevano lo stesso viso. In confronto al biondo però, l’altro aveva una corporatura più robusta, i capelli scuri al naturale e uno sguardo diverso. In quel breve lasso di tempo, nella quale sia il mago che l’oste si guardarono, Kiyoomi sentì lo sguardo dell’altro fulminarlo. Osamu non sapeva chi fosse, ma già vedere quello sconosciuto entrare nella sua taverna con suo fratello svenuto in braccio non gli piaceva affatto.

« È da più di una settimana che non ha forze! » esordì il mago, aveva lo sguardo disperato ed un tono di voce preoccupato « Più passava il tempo e più diventava debole. Ormai è svenuto da più di un’ora! Ti prego devi salvarlo! »

La sua voce era supplicante, quasi tremava dalla paura di aver fatto troppo tardi. Durante il viaggio che intraprese con quella coppia di contadini, Atsumu chiuse gli occhi per riposare ma cadde in un profondo sonno. Un sonno che però non smetteva di cessare e per questo Kiyoomi cominciò a preoccuparsi. Era rimasto sempre ottimista davanti ad Atsumu, era convinto che sarebbe riuscito a curarlo in qualche modo, ma più passava il tempo e più perdeva le speranze. Finalmente però era arrivato lì, da suo fratello. Non riusciva a spiegarsi come un normale oste potesse aiutarlo, non riusciva a capire perché avevano fatto tutta quella strada per ritrovarsi in una taverna, ma Kiyoomi non poteva far altro che continuare ad avere fiducia in Atsumu.

Osamu non attese altro tempo, prese tra le braccia suo fratello ed immediatamente diede le spalle allo sconosciuto, incamminandosi verso una porta accanto al bancone.

« Rin. Kita. Andiamo. »

Il mago non poté far altro che seguirli, lo sguardo preoccupato ed il cuore eccessivamente pulsante.

La taverna Kitzune aveva una piccola sala, non era tanto spaziosa, ma accoglieva ben dieci tavoli, piccoli e grandi, e sopratutto era dotata di un caminetto in un lato della stanza. Appena si entrava nel locale, si poteva vedere davanti agli occhi un bancone non troppo grande dove venivano servite le bevande e il cibo. Ai lati del bancone vi erano due porte, una di esse fungeva da portale per la cucina dove l’oste si rimboccava le maniche e dava vita a piatti prelibati, mentre l’altra invece serviva da sgabuzzino, che a sua volta fungeva da corridoio per la camera del proprietario. In quello sgabuzzino però, vi era l’accesso al sotterraneo.

Senza indugiare i presenti seguirono Osamu in quel sotterraneo. Era buio ma vi erano delle scale in pietra che portavano di sotto, durante il cammino Suna si occupò di accendere le varie candele sparse sul muro. E quando ebbero abbastanza luce ad illuminare la stanza e i dintorni, Kiyoomi cominciò a capire il motivo del loro viaggio.

In quel sotterraneo vi era una stanza dai muri di pietra, era addobbata con diversi scaffali di legno ed in ognuno di essi vi erano una miriade di ingredienti, dai più strani ai più comuni. Al centro della stanza vi era un tavolo sempre in pietra, su di esso vi era adagiato un libro enorme aperto e altri ingredienti sparsi, tra fiori di montagna e uova di ragno. Da un lato invece vi era una specie di altare, diverse ciotole di legno ed un mortaio con un pestello. Davanti a tale luogo il mago rimase stupito.

Nessuno dei clienti della taverna Kitzune avrebbe mai sospettato che il loro amato oste fosse anche un notevole alchimista. Nel regno di Esarough era risaputo che la magia ed ogni atto considerato magico fosse vietato, molte città infatti consideravano l’alchimia una pratica da stregoni e la ritenevano contro la legge. L’alchimia, l’abile arte del creare pozioni, era un’altra passione che Osamu coltivava. Prima di morire sua madre decise di affidargli un libro, il quale conteneva tutti i segreti e le conoscenze che bisognava sapere riguardo a quell’arte. Attraverso l’alchimia era possibile creare pozioni per la salute, per la forza e per tantissime altre cose, ma si potevano creare anche veleni letali in grado di uccidere una persona. Era un’arte pericolosa, ma per chi la conosceva bene era considerata una grande risorsa.

Infondo era anche grazie a questo se Atsumu conosceva bene le piante della foresta.

Dopo essersi liberato degli oggetti sul tavolo, Osamu fece sdraiare suo fratello su di esso. Cominciò a controllare il suo battito, a sentire la sua fronte per vedere se fosse calda, ad aprire le palpebre per controllare gli occhi e a liberarlo dalla canotta per controllare meglio se avesse qualche ferita sul corpo. Durante quella “visita” Atsumu non diede segni di risveglio, rimase incosciente nel suo profondo sonno, mentre il suo cuore continuava a battere sempre di meno.

Vederlo in quelle condizioni faceva ribollire il sangue ad Osamu. Sapeva che suo fratello era forte, sapeva quanto fosse abile e che di sicuro era riuscito a raggiungere il suo obiettivo nella vita. Lo sapeva dal profondo del cuore perché lo conosceva bene e sapeva anche quanto fossero testardi entrambi. Sperava di rivederlo col sorriso, con quell’espressione da “ho sempre ragione” sul volto e con la convinzione di avercela fatta. Non riusciva a capire cosa potesse essere andato storto, non capiva perché era incosciente e da cosa diavolo era causato. Se l’avesse scoperto di sicuro sarebbe stato in grado di curarlo.

Alzò lo sguardo verso quello sconosciuto che si era presentato con Atsumu. Non aveva idea di chi fosse, tanto meno gli importava, ma doveva capire cosa stava succedendo.

« Chi diavolo sei tu? » domandò rivolgendo uno sguardo sprezzante verso quel ragazzo.

Era evidente che Kiyoomi non potesse rivelare la sua vera natura, non avrebbe mai potuto dire che era un mago. Cercò in ogni caso di non mentire, per il bene di Atsumu.

« Sono il suo compagno di viaggio, viaggiamo insieme da ormai un anno. »

Gli occhi del mago erano rivolti solo ed esclusivamente verso Atsumu. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, sperava che prima o poi si sarebbe svegliato perché non poteva sopportare di vederlo così, steso su quel tavolo incosciente. Voleva indietro il suo Atsumu, quello che sorrideva tutti i giorni e che era in grado di saltare da un ramo all’altro senza problemi. Quello che non aveva paura di niente, che con il suo arco si sentiva invincibile e che soprattutto si divertiva ad utilizzare. Voleva indietro il suo fidanzato, colui che lo riempiva di baci pur di farlo scoppiare a ridere, che lo abbracciava quando meno se lo aspettava, che lo faceva sentire normale quando il mondo lo considerava un mostro, che lo teneva tra le sue braccia quando aveva timori e paure e che non avrebbe mai lasciato perché lo amava troppo. Voleva vederlo vivere come prima.

« Com’è successo? Da quando ha cominciato a stare così male? »

Osamu cominciò a controllare nella sacca di Atsumu in cerca di qualche indizio. Qualsiasi cosa poteva esserne la causa, che fosse stato qualcosa che aveva mangiato o il veleno di qualche serpente.

« È successo all’improvviso. Una volta ha perso inspiegabilmente i sensi, poi al mercato ha avuto un mancamento e da quel momento non si è più ripreso. »

La voce del mago era tremante, era passato troppo tempo da quando Atsumu si era sentito male. Il pensiero che ormai era troppo tardi lo divorava, osservava il suo corpo ponendo attenzione al respiro che ancora lo teneva in vita.

Quelle informazioni sembravano inutili per l’oste. Continuò a cercare ma nella sacca non trovò niente, perciò decise di controllare i pantaloni. Proprio lì sentì qualcosa di solido, forse un sasso o qualsiasi altra cosa fosse. Quando tirò fuori l’oggetto dalle sue tasche, notò che si trattava di una statuina di legno.

La statuina di un piccolo gufo, dagli occhi luminosi di un azzurro intenso. Un azzurro che non sembrava per niente normale per Osamu. Portò la statuina leggermente più vicino per guardarla meglio e nei suoi occhi vide qualcosa. Iniziò a capire da cosa fosse causato quel malanno.

« Dove l’ha preso questo oggetto? »

Inizialmente il mago indugiò nel rispondere, non capiva che cosa c’entrasse il suo porta fortuna, ma ogni informazione poteva essere utile.

« È un porta fortuna, gliel’ho regalato circa un anno fa… qual è il problema? »

Senza ritegno e nemmeno dispiacere Osamu buttò la statuina per terra e successivamente la schiacciò con il piede, frantumandola in pezzi. Da quell’oggetto si alzò un lamento e fuori uscì un piccolo spirito oscuro. Davanti a quella visione tutti i presenti, a parte l’oste, rimasero stupiti, più di tutti il mago.

Lo spirito era talmente debole che andò a sfumarsi nell’aria, dimostrando una dura realtà. La statuina del piccolo gufo era stata maledetta.

Stando troppo tempo a contatto con un oggetto maledetto chiunque rischiava di ammalarsi. In base al tipo di maledizione, lo spirito reagiva in maniera diversa ed in questo caso stava assorbendo tutta l’energia di Atsumu. Se non fosse stato distrutto in tempo, lo spirito avrebbe rubato la vita dell’arciere e si sarebbe liberato dal sigillo che lo incatenava, in questo caso la statuina del gufo.

Il mago sgranò gli occhi. Ciò voleva dire che quel male era stato causato dal portafortuna che aveva regalato ad Atsumu, quindi significava che era stato lui a farlo ammalare. Era sconvolto, non aveva la minima idea che quell’oggetto fosse stato maledetto e per un mago come lui era una vergogna. Avrebbe dovuto accorgersene all’istante, ma non ne era stato in grado e aveva permesso a quell’oggetto di rubare le energie di Atsumu. Era come se lo avesse avvelenato con le sue stesse mani, inconsciamente aveva causato dolore alla persona che amava e questo era successo solo perché era uno stregone.

« N-Non può essere… » farfugliò nello stupore il moro, il senso di colpa lo stava logorando e non si sarebbe mai perdonato per il suo sbaglio.

Dall’altra parte del tavolo invece Osamu era furioso. Senza esitare prese la balestra appesa lì vicino sul muro e la puntò senza ritegno verso lo sconosciuto. Chiunque fosse quel ragazzo era pericoloso, aveva messo in pericolo la vita di suo fratello e questo bastava per farlo incazzare.

« SEI STATO TU?! » gridò furibondo l’oste incapace di contenere la rabbia.

Kiyoomi non rispose. Rimase con lo sguardo basso e perso nel vuoto, nel profondo senso di colpa e nel dolore che lo accompagnava. Si sentiva responsabile per ciò che era successo ad Atsumu, sentiva che era colpa sua e che essendo uno stregone non avrebbe mai potuto dare all’arciere un futuro sicuro.

Senza una risposta Osamu caricò il dardo sulla balestra e per quanto Suna e Kita cercarono di fermarlo, sparò un colpo.

Il dardo rimase a mezz’aria, a pochi centimetri dal ragazzo moro che acquisì gli sguardi stupefatti dei presenti.

Con gli occhi illuminati di azzurro, un’espressione dolorante sul volto e la mano avvolta in quell’aura magica, Kiyoomi si era rivelato. Aveva fermato il dardo, ora avvolto nella sua aura di magia, che lo puntava a pochi centimetri dal viso.

Prima di poter fare altro, osservò per pochi secondi Atsumu. Era colpa sua se si trovava su quel tavolo senza sensi, era solo colpa sua. Per tutto quel tempo era convinto di essersi preso cura di lui, di averlo aiutato a stare meglio e di averlo curato almeno di poco, quando invece era solo colpa sua se si trovava in quella condizione. Se l’arciere l’avesse saputo, che cosa avrebbe pensato di lui? Che cosa avrebbe detto? Avrebbe avuto la conferma che era un mostro come tutti gli altri. E lui non voleva farsi vedere in quel modo.

« VATTENE! FUORI DALLA MIA TAVERNA! »

Osamu ancora non riusciva a credere a ciò che aveva visto, ma questo non l’aveva fermato. Non voleva mai più vedere quello sporco essere davanti a sé, non voleva più vederlo nella sua taverna e non voleva più vederlo accanto a suo fratello.

Caricò un altro dardo, ma ciò non servì perché Kiyoomi era già scappato.

Nella stanza rimasero in tre, tutti sconvolti davanti a ciò che era successo. Non si sarebbero aspettati che quel misterioso individuo fosse uno stregone, una creatura pericolosa e spregevole che attaccava gli umani. La domanda che più si chiedevano era che diavolo ci faceva insieme ad Atsumu, che legame potevano avere due esseri così diversi tra loro?

Non era il momento di cercare risposte perché adesso la priorità era Atsumu.

Osamu non perse altro tempo e ancora arrabbiato andò a posare la balestra sul muro, facendola quasi cadere. Diede una breve occhiata al libro, cercando la pozione di cui aveva bisogno. Appena trovata si voltò verso i vari scaffali e prese da essi gli ingredienti di cui aveva bisogno, cominciando a preparare quella che sarebbe stata una pozione anti-maledizioni.

Mise all’interno del mortaio dell’aglio, un’ala di falena, bacche di ginepro, squame di pesce e piume di falco. Iniziò a tritare gli ingredienti col pestello cercando di crearne un miscuglio e con l’aiuto di Suna seguì passo passo il procedimento per creare la pozione.

Nel mentre Kita rimase ad osservare le scale da dove era andato via quello sconosciuto. Fin da quando lo aveva visto non aveva potuto fare a meno di osservarlo. Era certo che quel ragazzo, per quanto fosse uno stregone, non fosse la causa del male di Atsumu. Sembrava preoccupato per le condizioni dell’arciere e già il gesto di averlo portato fino alla taverna significava quanto ci tenesse. Era rimasto troppo sconvolto, troppo colpito dalle condizioni di Atsumu. Sapeva che Osamu era accecato dalla rabbia di rivedere suo fratello dopo quegli anni in quello stato, ma era sicuro che quel ragazzo non c’entrasse niente.

« È stato uno sbaglio lasciarlo andare via. » rifletté ad alta voce « Preparati Osamu, quando tuo fratello si sveglierà avrete molto su cui discutere »

Quelle parole non potevano che dimostrare la dura realtà.

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Capitolo 10
*** Casa dolce casa ***


Camminava in quella landa dispersa con lo sguardo vuoto e gli occhi leggermente arrossati ancora dal pianto. Non aveva più una meta, non aveva uno scopo e non sapeva che farne della sua vita. Era tornato a viaggiare da solo, a scappare da solo da quella vita che aveva sempre odiato. Non gli rimaneva niente, solamente il suo inutile potere e uno dei tanti protettori che lo seguivano, in questo caso un gracile corvo.

Era scappato da quella taverna, aveva corso per molto tempo con gli occhi intrisi di lacrime mentre si lasciava alle spalle quella vita che aveva sempre sognato. Una vita libera dalle sofferenze, nella quale era lui a decidere per sé stesso, ogni azione e ogni volontà. Una vita senza dover stare a sentire cosa fare e cosa non fare, dove poteva essere libero di esprimere le proprie emozioni, dove poteva sbagliare ma comunque riprovare, una vita che non lo legava alla sua natura ma che lo spronava a dare sempre il meglio di sé. Si lasciava alle spalle quel sogno che aveva sempre desiderato, quel futuro che bramava più di ogni altra cosa, lontano dalla sua famiglia e dalla sua influenza negativa.

Aveva corso per molto fino a ritrovarsi nel bel mezzo del nulla. Una landa mai esplorata che sembrava esser stata creata apposta per lui, per fargli capire che da quel momento in poi non avrebbe più rivisto niente come prima. Avrebbe detto addio alla natura che lo aveva ospitato, alle numerose foreste del regno che erano state la sua casa, che gli avevano insegnato molto dei suoi paesaggi e dei suoi abitanti. Addio a tutti quei paesi che lo avevano ospitato come se fosse una persona normale, a quegli amici che si era fatto e quelle tradizioni di cui si era affezionato. Doveva dire addio al mondo degli umani, perché da quel momento in poi la sua vita sarebbe tornata quella di prima. Un continuo viaggio a vuoto, con il solo scopo di dover scappare senza godersi la bellezza che il mondo gli offriva.

Doveva dire addio alle emozioni positive che aveva provato, tra la gioia e il divertimento, la passione e l’amore. Quelle emozioni che aveva provato solo grazie a quel ragazzo. Il ragazzo che gli aveva cambiato la vita, che gli aveva mostrato il lato bello delle cose e che lo aveva fatto sentire speciale, normale e amato. Lo stesso ragazzo che gli aveva affidato la sua fiducia sin dal primo momento, che si era battuto per lui anche se era un perfetto sconosciuto, anche sapendo della sua vera natura, ma che comunque difese con le unghie e con i denti. Il ragazzo che gli aveva insegnato che persino un filo d’erba durante la rugiada era bellissimo, gli aveva insegnato come fosse magico ascoltare i suoni della natura, quanto fossero belle le stelle senza la luce artificiale del fuoco o del sole. Gli aveva insegnato ad amare ogni creatura del mondo, a rispettarla anche in punto di morte, mostrandogli che la caccia facesse parte del ciclo della natura, ma che fosse comunque una pratica di grande rispetto. Gli aveva insegnato a sorridere, a far uscire le proprie emozioni, a farsi trasportare dal momento e a ridere per quanto fosse bella la vita. Gli aveva insegnato anche come piangere, che non bisognava reprimere le proprie emozioni, che nel momento delle difficoltà bisognava chiedere aiuto perché le persone più care glielo avrebbero dato.

Quel dannato ragazzo che era finito per innamorarsi di lui, che non riusciva a togliergli gli occhi di dosso perché lo considerava dannatamente bello tanto quanto la natura. Si era innamorato di qualsiasi suo aspetto, del suo carattere serio ma allo stesso tempo coraggioso, dei suoi boccoli neri che spesso e volentieri risultavano ribelli, dei suoi occhi oscuri che ritraevano le sue emozioni, della sua personalità per quanto complessa anche semplice. Amava ogni cosa di lui, dalla sua saggezza al suo modo di scherzare, da come si prese cura di lui nel momento del bisogno, da come aveva espresso tutta la sua ammirazione e lo aveva fatto sentire speciale. Amava i suoi pregi e i suoi difetti, il suo modo di approcciarsi alla vita, seppur in maniera negativa, i suoi punti di vista e i suoi pensieri incasinati nella testa. Quel ragazzo talmente forte era finito con l’innamorarsi proprio di lui, uno stregone, una creatura pericolosa per sé stesso e per il mondo circostante.

Doveva dire addio ad Atsumu e non aveva altra scelta.

Nel cammino Kiyoomi non riusciva a trattenere i singhiozzi. Continuava a asciugarsi le lacrime con la manica della tunica viola, quella dannata tunica che aveva deciso di tenere anche se apparteneva al passato. Voleva creare dei bei ricordi con essa perché nel bene o nel male gli era sempre piaciuta, ma infondo non faceva altro che ricordargli da dove veniva. Quella dannata tunica.

Il suo viaggio a vuoto non aveva più un senso. Non aveva più un piano, non sapeva dove andare e per questo camminava chissà dove. Avrebbe continuato a camminare a vuoto per tutta la vita, perché tanto ormai niente aveva senso. La sua nuova e amata vita era scomparsa ed era solo colpa sua e della sua natura di stregone. Non poteva cambiare ciò che era, non poteva liberarsi dei suoi poteri, quindi non poteva far altro che accettare la realtà. Ciò comunque non significava dover seguire le stesse orme della sua famiglia, perché anche in quel momento di disperazione e rabbia per sé stesso, Kiyoomi non avrebbe mai perso il controllo. Non l’aveva perso da tutta la vita, era stato forte fin dal primo momento e non poteva arrendersi adesso.

Non poteva… non poteva arrendersi al solo ricordo di quelle notti sotto il cielo stellato, tra le braccia del ragazzo che amava e che avrebbe amato per sempre, tra i suoi baci sulla guancia e il suo tentativo di riscaldarlo mentre all’orecchio gli sussurrava quanto fosse forte, quanto fosse coraggioso e maturo. Atsumu glielo ripeteva spesso, gli ricordava quanto fosse speciale come persona, perché non era da tutti riuscire a mantenere la propria volontà in una casa dove il male si mangiava a colazione. Era un miracolo che non fosse diventato perfido come la sua famiglia ed Atsumu ammirava la sua forza di volontà, glielo ripeteva spesso. Anche quando aveva gli incubi sul suo passato, sui sbagli che aveva commesso, sulle decisioni che l’avevano portato ad avere i rimorsi per tutta la vita, riusciva a non sentirsi solo. Perché tra le braccia di Atsumu, per quanto odiasse sentirsi debole, si sentiva protetto, si sentiva amato. E ciò venne ricambiato quando l’arciere aveva bisogno delle sue braccia attorno a lui, quando non aveva più le forze di respirare, quando si svegliava di soprassalto la notte ed il mago non poteva far altro che andarlo a calmare, sussurrandogli dolci parole alle orecchie.

Per quanto si sforzasse e ci provava, Kiyoomi non riusciva a fermare quei ricordi che riaffioravano nella mente. Quell’anno era passato molto in fretta, ma fu il più bello della sua vita e fu parte significante della sua storia. Non voleva ricordare, perché dover dire addio a quella vita lo logorava dentro, ma non voleva nemmeno dimenticare. Perché preferiva soffrire nei ricordi belli piuttosto che avere in mente solo quelli orribili.

Il suo respiro sembrò riprendere armonia quando da quella landa desolata non sentì altro che il silenzio. Il solo rumore che sentiva era dei suoi polmoni che faticavano a far entrare e uscire l’aria, che soffrivano perché la vita non sarebbe stata la stessa. Il suono del suo battito si arrestava piano piano, mentre intorno a sé non c’era nient’altro che il nulla.

Il corvo che lo seguiva si posò sulla sua spalla. Kiyoomi poteva sempre contare sulla loro protezione, i volatili di casa Sakusa che avevano il compito di proteggere ogni membro della famiglia, indipendentemente dalle sue azioni e scelte, dalla sua morale giusta o sbagliata. Nemmeno quei poveri animali potevano decidere che cosa fare della loro vita, non potevano seguire il flusso della natura ed erano condizionati a quegli esseri che erano gli stregoni. Non c’era giustizia nemmeno per loro.

« Karasu. » mormorò con quel filo di voce che gli rimaneva « Non c’è niente che tu possa fare per me. Non ho bisogno della tua protezione, ma Atsumu si. »

Avrebbe voluto liberare quell’animale dalle catene che lo legavano a lui, ma infondo si ritrovava sempre schiavo di quel potere. Perché sapeva che infondo senza quel potere, non era nessuno.

Senza la magia non aveva forza e in quel mondo sarebbe stato divorato in un baleno. Eppure Kiyoomi avrebbe preferito essere nessuno piuttosto che uno stregone purosangue, almeno in quella vita sarebbe stato libero di scegliere. Invece no, invece era schiavo di quella sua posizione di quel potere fin dalla nascita.

Alzò leggermente la mano dando modo al volatile di posarsi sulle sue dita. Accarezzò leggermente il suo capo, quel piumaggio nero al contatto era di una morbidezza soffice e sembrò provocare all’animale leggeri brividi, ma piacevoli.

« Mi dispiace dovervi dare ancora ordini, ma vi prego volate da Atsumu. Tornate in quella taverna e assicuratevi che nessuno gli faccia del male. Fatelo per il vostro padrone. »

Senza esitare, senza far uscire nemmeno un versetto, l’animale si alzò in volo ed intraprese quel viaggio, obbedendo così al suo padrone.

Adesso in quel deserto silenzioso non era rimasto nessun altro se non Kiyoomi ed i suoi pensieri che vagavano. Non mettevano a fuoco cosa sarebbe successo da quel momento in poi, il suo unico sollievo era quello di sapere che almeno Atsumu era al sicuro, perché con suo fratello non avrebbe avuto più niente da temere. Aveva qualcuno al suo fianco che si sarebbe preso cura di lui e questo era l’importante. Almeno lui non era solo e ciò portava sollievo al mago.

Ancora una volta Kiyoomi si passò la manica della tunica sugli occhi e si asciugò quelle lacrime che non smettevano di cessare. Aveva fatto molte promesse in quell’anno, fin troppe volte aveva promesso ad Atsumu che gli sarebbe rimasto accanto per tutta la vita. Aveva capito solo in quel momento che era impossibile, che non le avrebbe mai potute mantenere e che era un ingenuo. Non avrebbe più commesso quello sbaglio, non lo avrebbe più messo in pericolo.

Il silenzio di quella landa desolata sembrò interrompersi quando le orecchie del mago udirono un insolito suono. Il suono di un fruscìo, di qualcosa che strisciava per terra e che si avvicinava piano piano verso di lui. Con lo sguardo basso e le orecchie attizzate, Kiyoomi si trovò attorno a sé un animale che lo fissava, anzi un rettile. Sibilava qualcosa che non riusciva a comprendere, ma che era certo qualcun altro lo avrebbe capito. Era un serpente dalle squame verdi scure e rivolgeva i suoi occhi verso di lui.

Il simbolo dello stemma della famiglia Inoue, il cobra reale. Dal suo indistinguibile aspetto, dalle squame sulla testa che gli conferivano eleganza, quel terribile animale era uno dei più pericolosi al mondo.

Se per la famiglia Sakusa gli uccelli rappresentavano i suoi protettori, per la famiglia Inoue invece erano i rettili.

« Finalmente hai smesso di scappare. »

Quella voce arrivò alle spalle di Kiyoomi facendogli sgranare gli occhi. Sperava fosse un’allucinazione uditiva, ma non lo era affatto. Era finita, non poteva più scappare.

Come poteva dimenticare quella fastidiosa e terribile voce, solamente il suono irritava il moro che non si degnò di voltarsi. Lo avevano trovato proprio nel momento peggiore della sua vita, nel momento in cui era sul punto di cedere e di lasciarsi andare alla disperazione. Il momento in cui era debole, fragile e pronto ad arrendersi. Era per questo che non si erano mostrati prima, stavano aspettando il giusto momento, la giusta occasione. Quei bastardi avevano atteso il momento in cui si sarebbe ritrovato in ginocchio, con il cuore affranto per colpa di un umano, convinti che avrebbe cambiato idea.

Kiyoomi non gli avrebbe mai dato quella soddisfazione, non sarebbe mai tornato indietro. In quei cinque anni di fuga non aveva mai ceduto nemmeno un istante, non aveva abbandonato la sua convinzione e non lo avrebbe fatto quel giorno. Non si sarebbe mai mostrato debole davanti a quei veri mostri.

Raccolse tutto il coraggio che gli era rimasto, si asciugò una volta per tutte gli occhi e si voltò verso quell’essere mostrandosi in tutta la sua serietà. Per quanto fosse preoccupato, spaventato conoscendo la differenza di forza tra lui e quell’individuo, non avrebbe mai mostrato quei sentimenti. Mostrò come aveva sempre fatto i suoi occhi neri e imperscrutabili.

« Ti sbagli. Non smetterò mai di scappare. »

La voce ferma e fredda come il gelo nascose perfettamente il pianto che poco prima gli aveva mozzato il fiato. Il suo sguardo era sprezzante davanti a quel ragazzo. Aveva i capelli neri come i suoi, erano mossi ma perfettamente sistemati. Indossava una tunica reale blu scura e degli stivali marroni. Condivideva anche lui quello sguardo serio, odioso perché mostrava quanto quel ragazzo si sentisse superiore a chiunque altro.

« E adesso che ti ho trovato come pensi di fare? Non hai molte opzioni sai? »

Quanto lo odiava, quanto odiava quella sua calma e quella sicurezza che gli faceva credere di aver ragione. Quanto odiava quando lo faceva sentire inferiore perché più debole, quando si vantava di saper padroneggiare la magia come voleva e quando lo infastidiva provando piacere. Le sue parole bastarono per far fuoriuscire la rabbia che Kiyoomi provava da tutta la vita.

« Non hai sentito?! » ribatté mentre dal nervoso gli venne un tic all’occhio « Non pensare che verrò con te! Non tornerò in quella casa manco morto! »

Quelle parole che aveva sempre pensato e sempre rivolto ai suoi genitori sembrarono infastidire l’altro ragazzo. Taro lo guardava con uno sguardo di rimprovero, severo perché nella vita si era sempre sentito più maturo di quel ragazzo.

« La smetti di comportarti come un adolescente ribelle? Sarai anche cresciuto ma la tua mentalità rimane quella di un diciassettenne. » rimproverò mantenendo una certa compostezza ed eleganza « Devi cominciare a prenderti le tue responsabilità. »

« E chi me le ha imposte queste responsabilità eh? Chi ha il potere di decidere cos’è meglio per me se non me stesso?! »

« La tua natura di stregone. »

« TI SBAGLI! »

Kiyoomi non riuscì più a sopportarlo, non riuscì più a sopportare di sentire quelle parole. Era tutta la vita che glielo dicevano, doveva imparare a padroneggiare la magia perché era la sua natura, doveva commettere atti orribili perché questa è la natura degli stregoni, doveva sposarsi con un altro purosangue perché non poteva permettere di far estinguere la dinastia di potenti stregoni. Non ce la faceva più, non riusciva più a sopportare quel mondo, quella vita di cui non aveva mai voluto far parte.

Fu come andare incontro ad un possente drago senza però saper impugnare la spada. I suoi occhi si illuminarono del solito azzurro intenso e portò le sue mani verso Taro, lanciandogli contro spuntoni ghiacciati. Furono del tutto inutili, Kiyoomi lo sapeva, sapeva che non poteva competere. Taro parò quei colpi facendoli deviare con la propria magia, i suoi occhi rispetto all’altro si colorarono di un verde scuro.

« Pensi che io ti ami? » domandò consapevole che l’altro conoscesse già la risposta « Lo sai anche tu che non è così. Rispetto a te però io ci tengo alla nostra stirpe, alla nostra figura e a non rovinare l’onore della mia famiglia. Perché non lo capisci?! Insieme a me potresti diventare ancora più forte! »

Nel suo sguardo era evidente quel luccichio lussuoso. Quanto lo bramava, bramava il potere di Kiyoomi più di qualsiasi altra cosa. Essendo figlio di una famiglia di stregoni purosangue il suo potere era elevato rispetto a tutti gli altri stregoni, e se mai l’avesse sposato il loro potere sarebbe aumentato ancora di più.

« Non mi importa del potere. » rispose freddo e schietto Kiyoomi.

Bastarono quelle parole per far arrabbiare Taro, lasciando perdere la sua eleganza, smettendo di essere il nobile gentiluomo, per così dire, che reprimeva i suoi sentimenti. Nel suo sguardo si fece viva la rabbia, era furibondo perché doveva aver a che fare con un ragazzino come Kiyoomi, che non capiva quanto fosse forte il potere che aveva.

« Ti importa invece di quell’insulso umano vero?! » urlò Taro guardandolo con uno sguardo perfido « Possiamo arrivare a lui quando vogliamo, ti faremo passare la voglia di scappare se necessario fin quando non ti prenderai le TUE responsabilità! »

« NON VI AZZARDATE! » gridò il moro con uno sguardo omicida « NON VI PERMETTERÒ DI FARGLI DEL MALE! »

Kiyoomi sapeva che a maledire la statuina erano stati loro, i suoi genitori pensavano che sarebbe tornato indietro a riprendere tale oggetto perché era un prezioso ricordo per lui. Invece di far male a sé stesso però aveva fatto male ad Atsumu, e per questo non si poteva perdonare.

Non poteva lasciare che Atsumu corresse altri pericoli, non voleva farlo soffrire per nessun motivo al mondo. Avrebbe sacrificato sé stesso pur di lasciarlo libero di vivere la sua vita, insieme alle persone che gli erano più care. Avrebbe rinunciato a quella libertà che tanto cercava, a quella vita che sognava lontano dal suo passato, questo ed altro per il suo vero amato.

Per la prima volta in vita sua Kiyoomi si arrese davanti alla sua famiglia.

« Tornerò a casa » disse con un nodo alla gola, ma con la rabbia che pervadeva il suo corpo « Ma in cambio dovrete lasciar perdere quel ragazzo. Se scoprirò che lo avrete anche solo sfiorato, non avrò pietà. » il suo sguardo impetuoso rivolto verso il suo futuro sposo.

Un sorriso compiaciuto si formò sul volto di Taro, il quale ritrovò la compostezza e l’eleganza che aveva perso poco prima. Si sentiva come di aver conquistato finalmente il mondo.

Con un gesto della mano evocò delle manette verdi ed incantate sui polsi del moro e senza smettere di sorridere disse.

« Bentornato a casa, Kiyoomi Sakusa. »

***

La luce del sole era talmente forte che urtava la vista. Gli occhi dell’arciere si aprirono leggermente, erano confusi e mentre lentamente cercavano di mettere a fuoco l’immagine davanti a sé, il ragazzo iniziava a comprendere quella vista. Era la stessa di quando era adolescente, si svegliava ogni giorno della sua vita con quell’immagine, con la consapevolezza che avrebbe lavorato tutto il giorno.

Si trovava nella taverna di suo fratello, nella stanza in cui dormivano quando la gestivano ancora insieme. Come poteva dimenticare quanto fosse faticoso quel lavoro e soprattutto quanto non gli piacesse.

« Finalmente ti sei svegliato. »

Quelle parole aiutarono Atsumu a riportarlo nel mondo terreno. Inizialmente pensava fosse un sogno, ma quando si voltò vide davanti agli occhi suo fratello Osamu. Era cresciuto, era diventato più grande e non aveva niente a che fare con l’adolescente testardo di una volta.

Senza pensarci, quasi d’istinto, l’arciere si tirò seduto sul letto. Rimase qualche secondo ad osservarlo, come per analizzarlo, ma subito dopo si fiondò tra le braccia di suo fratello. Lo strinse a sé ed ebbe la conferma che non era un sogno. Dopo cinque anni lontano da quel luogo, lontano da suo fratello, Atsumu non riusciva ad esprimere quanto gli fosse mancato. Si sentì un idiota nel non esserlo andato a trovare prima, era rimasto ancora in collera per tutte le litigate che avevano avuto, ma solo in quel momento capì che era stato egoista.

« Mi sei mancato anche tu… » sorrise leggermente Osamu condividendo quell’abbraccio « Ma potevi almeno inviarmi una lettera. » quella dura verità sembrò una pugnalata al petto per l’arciere.

Dopo aver visto quasi morto suo fratello, Osamu aveva superato la collera e la rabbia che aveva provato in quegli anni. Ce l’aveva con l’arciere perché non gli aveva mai fatto sapere niente, se fosse vivo o fosse morto, se aveva trovato casa in qualche città o se continuava a viaggiare come un avventuriero. Era rimasto all’oscuro di tutto, ma di certo non era in vena di litigare proprio quel giorno. Finalmente poteva abbracciare suo fratello con la certezza che fosse vivo.

« Come ti senti? » domandò il proprietario della taverna scostando leggermente suo fratello per osservarlo meglio.

Vederlo sveglio, leggermente stordito ma comunque vegeto era un sollievo. La felicità che provava in quel momento era immensa, avrebbe voluto stare al suo fianco per tutto il giorno, sentire le storie delle sue avventure e magari immedesimarsi in quello che aveva affrontato. Gli era davvero mancato.

« Direi bene… ancora un po’ debole. » il sorriso sul volto del biondo era leggero, ancora assonnato da quel risveglio.

Atsumu stava pian piano acquisendo coscienza, spostava lo sguardo per tutta la stanza mentre nella mente gli tornavano i ricordi di ciò che era accaduto poco prima di svenire. Ricordava di esser stato su un carro, faceva caldo e l’unica cosa che sentiva erano le voci accanto a sé. In particolare ricordava la voce di Kiyoomi, lo sosteneva con dolci parole mentre poteva sentire la sua mano unita alla propria, le loro dita strette tra loro in una presa affettuosa. Era solo grazie a lui se si trovava accanto a suo fratello, ciò significava che erano riusciti ad arrivare alla taverna Kitzune e non poteva esserne più che sollevato. Era lì solo grazie a lui, non l’avrebbe mai ringraziato abbastanza per tutto ciò che aveva fatto.

« Dov’è Kiyoomi? » domandò mentre cercava di guardare oltre la porta.

C’erano molte cose che Osamu non si spiegava da quando Atsumu era tornato. Avrebbe voluto discuterne con lui, sopratutto di chi fosse quel tizio, ma dopo ciò che era successo l’oste non avrebbe mai permesso a quel presunto stregone di rimanere nella sua taverna, sopratutto dopo le accuse a suo carico. Probabilmente avrebbero litigato, ma per quanto Osamu fosse cresciuto, era rimasto il solito fratello iperprotettivo.

« Perché eri con uno stregone? »

La serietà del fratello colpì Atsumu. Ormai per lui stare con Kiyoomi era come stare con una persona normale, aveva capito che la sua natura non aveva niente a che fare con la sua persona. Si era quasi dimenticato che per gli umani gli stregoni erano visti come creature malvagie.

« Ti spiegherò tutto dopo, ora dove si trova? »

Non trovando risposta l’oste era titubante a rispondere a quella domanda. L’unica cosa che voleva in quel momento era stare con suo fratello in pace, non voleva per niente litigare. Doveva badare alla sua salute e sapeva di aver fatto la cosa giusta.

« ‘Samu dov’è?! »

« L’ho cacciato. »

Lo sguardo di Atsumu era incredulo, non poteva lasciar andare Kiyoomi in quel modo. Col pensiero costante che i suoi genitori lo stavano cercando, l’arciere non sarebbe mai stato tranquillo. Doveva rimanere al fianco del mago, sostenerlo ed aiutarlo perché non avrebbe permesso a nessuno di portarlo via da lui e soprattutto di privarlo della sua libertà. Il pensiero di averlo lasciato andare via senza poter fare niente lo logorava.

« Devo andare da lui. » l’arciere fece per alzarsi, ma venne fermato da suo fratello che con la mano sulla spalla, lo tenne seduto.

« Non puoi andare là fuori, devi aspettare almeno una settimana prima di riprenderti del tutto. »

« Una settimana?! » rispose incredulo il biondo « Stai scherzando spero! Perché diamine l’hai cacciato?! »

« ‘Tsumu la statuina a forma di gufo che avevi nelle tasche era maledetta. Quel tipo ha detto che te l’aveva regalata, come potevo reagire secondo te?! »

Atsumu non sembrò colpito da quelle parole, scosse la testa come in segno di negazione.

« Non è stato lui. » affermò con una spaventosa convinzione.

« Come puoi esserne certo? »

« NON L’AVREBBE MAI FATTO! » urlò Atsumu lasciando che un pizzico di rabbia prendesse il sopravvento « Lo so che tu non potevi saperlo, ma io ne sono certo. Devo andare da lui il prima possibile! »

Osamu lo osservò attentamente, il suo sguardo, che poco prima era affettuoso, si era tramutato in uno serio. Non avrebbe permesso che suo fratello finisse nel cacciarsi nei guai un’altra volta, non lo avrebbe lasciato andare, non in quelle condizioni.

« Perché? Che ha di così speciale? » domandò infastidito dalla sua insistenza.

Si chiedeva che cosa avesse quel ragazzo da far incantare tanto suo fratello, era la prima volta che vedeva Atsumu affezionato così tanto a qualcuno.

« ‘Samu mi sono innamorato. » quelle parole risuonarono tanto serie quanto ridicole, ma lo sguardo dell’arciere era talmente serio che ricordò ad Osamu lo stesso sguardo che gli rivolse l’ultima volta che lo vide, prima di abbandonarlo per cinque lunghi anni.

« Quel ragazzo… » continuò il biondo « …è la ragione per cui mi sveglio ogni giorno con la consapevolezza di amare la mia vita più di quanto non l’avessi mai fatto. Grazie a lui riesco a sorridere ogni giorno anche senza motivo, riesce a mandarmi fuori di testa con un solo sguardo ed è come se avesse occhi solo per me. Le prime volte che stavamo insieme non faceva altro che guardarmi con quegli occhi da bambino, luccicavano e mi osservavano come se avessi qualcosa di speciale. Mi ha sempre riempito di complimenti, mi considerava un Dio solo per la mia forza e la mia destrezza, mi ammirava e stimava e mi faceva sentire speciale. »

Nel portare alla memoria quelle immagini e quelle emozioni, Atsumu non poteva far altro che sorridere come un ingenuo.

« Amavo osservarlo quando la sua attenzione era rivolta alla natura, era così fine nei movimenti che sembrava un principe e quando glielo dicevo si metteva a ridere perché non era così. Quando ci baciammo per la prima volta fu magico, sembrava come se il mondo si fosse fermato e l’unico suono che si udiva erano i nostri respiri, le labbra che si scontravano e i cuori che battevano, come due ragazzini. Sembrava avesse bisogno di tutto l’amore che avevo da offrirgli, ogni notte lo stringevo tra le mie braccia e parlavamo, parlavamo di qualsiasi cosa dimenticando i problemi. Riuscivo a portarlo in un’altra dimensione, me lo diceva sempre, attraverso le mie parole si sentiva al sicuro mentre le mie braccia lo scaldavano. Poi quando meno me l’aspettavo cercava di farmi il solletico, di lasciarmi dei baci sull’incavo del collo finendo col posare la testa sulla mia spalla, stanco delle camminate e della caccia, ma mai sazio. Era riuscito ad amare la caccia tanto quanto piacesse a me, però insieme a lui sembrava diversa. Insieme a lui sembra tutto diverso, per quanto sia pericolosa la vita, lui riesce a ricordami anche quanto sia bella. Me ne sono totalmente innamorato da perderci la testa… ed ora non ho intenzione di lasciarlo da solo. »

Osamu tirò un sospiro di sollievo. Doveva immaginarselo, se c’era un motivo per cui Atsumu aveva perso la testa, non poteva esser altro che l’amore. Era diventato scemo per quel ragazzo, perché l’oste non l’aveva mai visto così. Ricordava suo fratello come il solito sbruffone che si credeva superiore agli altri, stava per conto suo e non voleva essere infastidito quando era impegnato a far qualcosa, soprattutto quando era impegnato a cacciare. Avevano litigato per tanto tempo riguardo alla caccia, Osamu capì tardi che quella era una battaglia inutile perché Atsumu non avrebbe mai smesso. Adesso non poteva far altro che accettare la vita che aveva scelto ed accettare anche la scelta di amare quel ragazzo.

Un leggero sorriso si formò sul suo volto, era davvero felice per suo fratello.

« Sono felice per te ‘Tsumu, ma non puoi andare. Devi aspettare che recuperi tutte le forze, poi sarai libero di fare quello che vuoi. »

A quelle parole Atsumu rimase leggermente sbalordito. Suo fratello non lo stava fermando, non gli aveva vietato di andarsene. Aveva finalmente accettato la sua vita, il suo modo di vivere e non poteva esserne più che felice. Eppure stare una settimana fermo, lontano da Kiyoomi e senza potergli dire che finalmente stava guarendo, lo faceva star male. Sperava con tutto sé stesso che la sua famiglia non lo trovasse.

« Grazie ‘Samu… grazie davvero di tutto. Sono stato un idiota. Dovevo tornare da te anche se avevamo litigato, infondo rimani sempre mio fratello- »

« Siamo stati due idioti, ma adesso siamo cresciuti non trovi? » finalmente Osamu mostrò uno dei suoi più grandi sorrisi, come uno di quelli che mostrava quando era bambino e si trovava davanti ad uno squisito piatto di arrosto « Voglio sapere tutto quello che hai fatto in questi anni nei minimi dettagli. »

Anche se il pensiero di Kiyoomi da solo là fuori senza nessuno lo turbava, Atsumu si sentì davvero appagato nel vedere suo fratello in quello stato.

Passarono il resto del giorno a parlare di tutto ciò che non si erano detti in quei cinque anni. Atsumu raccontò di tutte le sue avventure, di quanto era migliorato nei riflessi, nella caccia e nella cucina. Era riuscito a raggiungere il suo obiettivo ed era diventato in grado di badare a sé stesso, non vedeva l’ora di poterglielo mostrare. Dall’altra parte Osamu invece gli raccontò di come la taverna era cresciuta, i clienti aumentavano sempre di più e amavano i suoi piatti. Aveva inventato nuove ricette, era migliorato anche lui nelle proprie abilità e poteva competere con le alte cucine delle grandi città. Gli raccontò di Suna e di come anche lui si era preso una cotta per un ragazzo, avrebbe avuto modo di conoscerlo in quei giorni. Tra il lavoro e gli impegni però non aveva mai tempo per sé stesso, ma aveva giurato che adesso che era tornato si sarebbe preso alcuni giorni per rimediare a tutto quel tempo perso.

Entrambi contenti di potersi di nuovo abbracciare, i fratelli Miya si riconciliarono e misero fine all’astio che li aveva separati per cinque lunghi anni.

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Capitolo 11
*** La famiglia Sakusa ***


Il soffitto di quella stanza lo opprimeva, quelle pareti e quei mobili impressi nella sua mente insieme ai dolorosi ricordi della sua vita passata gli mozzavano il respiro. I suoi occhi rivolti verso il soffitto mentre lasciava sprofondare il corpo sul letto, mentre la sua mente vagava nel passato che dopo anni era tornato ad essere presente. Il rosso predominava sia nella camera che in quella casa, se poteva definirla tale, mostrando così l’alto ceto sociale della famiglia, la sua eleganza e la sua nobiltà. Quella nobiltà, quel sangue che non aveva mai voluto.

Il ragazzo dai riccioli neri odiava qualsiasi cosa di quella stanza. Dal comodino in legno pregiato che ospitava sopra di sé un enorme specchio, nella quale il moro si era visto versare lacrime molte volte; dall’enorme letto che occupava gran spazio in quella camera, dalle lenzuola migliori del regno nelle quali si era coperto molti notti con la speranza di sparire per sempre. Persino la finestra decorata da lussuose tende, gli mostrava le colline sperdute nei dintorni nel quale non poteva andare, ma dove ardentemente avrebbe voluto. La cosa che detestava di più però era la porta che lo divideva dal resto della casa e che molte volte prese a calci, poiché costretto a rimanere prigioniero nella sua stanza dai suoi genitori.

Odiava ogni singolo oggetto, ogni singolo ricordo e soprattutto odiava la sua famiglia.

La famiglia Sakusa godeva del rispetto e dell’approvazione di molte famiglie nobili di stregoni. Era conosciuta da tutti per il proprio sangue puro che non era mai stato sporcato da nessun umano. Come da tradizione ogni figlio della famiglia avrebbe dovuto sposarsi con un nobile reale di altrettante famiglie di maghi. Avrebbero portato ad una prole, portando così avanti la dinastia di una delle famiglie più potenti nel mondo dei maghi. Solo un componente non rispettava le regole, infangando così il nobile nome dei Sakusa. Solo Kiyoomi rappresentava un fallimento per la sua famiglia.

Fin da sempre la famiglia viveva in una villa pregiata su un colle, era enorme e si mostrava in tutta la sua maestosità. Ai suoi piedi vi risiedeva un paesino di umani, era un paesino tranquillo ed inspiegabilmente coperto ogni giorno da nuvole nel cielo, rendendolo grigio e cupo. Non aveva un nome, ma viveva sotto lo stretto controllo della famiglia Sakusa.

Da ciò che ricordava Kiyoomi era sempre stato succube delle regole e delle pretese dei suoi genitori. Fin dalla nascita gli stregoni possedevano dell’energia magica dentro di loro, le prime dimostrazioni erano visibili all’età di tre anni, ma i Sakusa cercavano di far uscire quel potere ancora prima. Tra tutti e tre i loro figli, Kiyoomi fu il primo a mostrare il suo vero potere a quasi due anni. Per i suoi genitori rappresentava un forte potenziale, magari l’erede più potente tra tutti, ma al figlio più piccolo della nobiltà e del potere non glien’era mai importato. D’altro canto il piccolo Kiyoomi era un bambino come tutti gli altri, ciò che più gli importava era essere felice e voleva divertirsi come un normale bambino. Era stato da sempre affascinato da quel paese di umani sottostante, da quelle persone umili che vivevano in armonia e che sembravano svolgere una vita tranquilla e felice. Amava da sempre osservare da lontano come la vita scorreva in quel luogo, le persone andavano d’amore e d’accordo e sembravano ai suoi occhi felici.

Ricordava da piccino le passeggiate che intraprendeva in quel paesino. Aveva la sua piccola chiesa, un fornaio dove ogni mattina le persone si recavano per comprare il pane, un pozzo al centro della piazza e tutti i beni necessari di cui un paese aveva bisogno. Le persone erano sempre state a disposizione di ogni desiderio della famiglia Sakusa, erano gentili, forse un po’ spaventate e agitate in loro presenza, ma negli occhi del piccolo mago sembravano essere brave persone. Quelle passeggiate con sua madre però erano rare, perché da famiglia nobile quale era bisognava passare il tempo con le persone di alto ceto sociale. E sopratutto bisognava allenare il proprio potere.

All’età di cinque anni il povero bambino era stato sottoposto a duri allenamenti per allenare sia il corpo che la mente. Lo costringevano a sprigionare tutto il suo potenziale, a praticare delle magie stancanti e faticose portandolo spesso a svenire dalla fatica o a sputare sangue dallo sforzo. Più cresceva, più le magie diventavano pericolose, tra il controllo della mente ed incantesimi di distruzione, i signori Sakusa non avevano timore di insegnare al loro figlio le basi della magia oscura. Spesso queste magie causavano del male al mago stesso che le evocava, molte volte Kiyoomi andava oltre i suoi limiti e rimaneva privo di ogni forza vitale. Per evitare ciò i suoi genitori gli insegnarono ad utilizzare tali incantesimi contro vari esseri viventi. Non solo animali, ma anche umani.

Da tutta la vita Kiyoomi viveva con il rimorso e il senso di colpa di aver dovuto ferire innocenti persone. Il ricordo di quelle immagini era doloroso, soffriva nel vedere le persone sottoposte a tali torture e cominciò a manifestare disgusto alla vista del sangue. Pensava che non era giusto, pensava che quelle persone avessero il diritto di essere libere e di vivere la loro vita. All’età di undici anni cominciò a comprendere che tutto quel dolore e tutta quella cattiveria era sbagliata, che la sua vita era sbagliata.

Cominciò quindi a ribellarsi, non accettava più gli insegnamenti dei suoi genitori e non accettava le loro pretese. Decise di non allenarsi più, di non voler più fare del male a degli innocenti, ma ciò non venne approvato dai suoi genitori. Kiyoomi si rivelò un vero problema per i signori Sakusa, nessuno dei loro figli si era mai rifiutato di obbedire e per questo molte volte ricorrevano a decisioni drastiche. Ogni volta che il ragazzo si rivolgeva a loro in malo modo, lo rinchiudevano in camera; ogni volta che eseguiva l’esatto opposto di quello che gli veniva ordinato, lo costringevano tramite la magia contro la sua volontà; ogni volta che si ribellava apertamente cercando di difendersi, lo frustavano.

Spesso il moro scappava di casa e correva per rifugiarsi nel paese, sentiva che quel luogo era l’unico che lo faceva star bene. Gli piaceva passeggiare per quelle vie, stare a contatto con le persone e fingere di far parte di quella vita umile. Per quanto fosse opaco e buio per via delle nuvole, il paese viveva di vita propria grazie ai propri abitanti. Le persone amavano Kiyoomi perché era l’unico componente della famiglia nobile che li trattava con rispetto e ugual modo, non si sentiva superiore a loro ed era affabile con tutti. Per la famiglia Sakusa il suo comportamento era un oltraggio, ma al ragazzo non importava.

Negli anni aveva imparato ad odiare la sua famiglia. I suoi genitori non avevano mai mostrato un cenno di affetto verso di lui, avevano sempre agito per il loro interesse e per voler sprigionare nei loro figli il potere magico. Li odiava, Kiyoomi si era sempre sentito come un burattino per loro, avevano bisogno di lui solo per il potere e per portare avanti il nome della famiglia. Nemmeno i suoi fratelli erano mai stati benevoli con lui, sembravano indifferenti e agivano sotto gli ordini e i voleri dei loro genitori. Anche in loro vi era il desiderio di accrescere il proprio potere ed in parte fu quello a spingerli ad accettare senza indugio il matrimonio combinato: attraverso il matrimonio sarebbero diventati ancora più potenti.

L’unico componente della famiglia che gli avesse mai voluto bene era suo cugino Komori. Durante l’infanzia i due passavano molto tempo a giocare tra loro come fossero normali bambini, solitamente utilizzavano delle piccole spade di legno e si sfidavano a duello nel quale dovevano disarmare il loro avversario. Komori era anche l’unico che lo abbracciava quando non lo vedeva dopo tanto tempo, il moro gli chiedeva spesso perché lo facesse siccome non era mai stato abituato ad una dimostrazione di affetto di quel tipo e rimase stupito quando comprese il significato di quel gesto. I suoi zii erano da sempre stati meno rigidi e più aperti nei modi di fare, non rappresentavano una famiglia altamente nobile e probabilmente per questo non insistevano sull’onore o sulla buona impressione.

Nell’adolescenza Kiyoomi si ribellò più di quanto non avesse mai fatto in vita sua, non gli importavano le punizioni o il dolore a cui doveva soccombere, l’unica cosa importante era mantenere la propria volontà. L’unica cosa che lo rendeva felice era andare contro i suoi genitori e per questo si divertiva a far loro dei torti, bastava non stare alle loro regole e fare l’esatto opposto di ciò che si aspettavano. Come quando, per esempio, si comportava bene con gli umani, si rivolgeva a loro con gentilezza e rispetto senza mostrarsi di alto livello oppure senza disprezzarli. Come quando smetteva di usare i suoi poteri per molto tempo, quando si rifiutava di attuare magie e di allenarsi per aumentare il suo potere. Ricordava le notti dove rientrava a casa tardi, passava molto tempo nel paese e si rifiutava di dire ciò che faceva lì, oppure le settimane dove non parlava più, evitava di stare con la famiglia e preferiva rimanere nelle quattro mura della sua stanza.

Poi vi fu quella volta in cui salvò la vita ad una bambina che stava per cadere nel pozzo, i paesani lo ringraziarono infinitamente per il suo gesto coraggioso, mentre i suoi genitori lo ripagarono con una settimana di torture. Ma ad ogni dolore subito Kiyoomi non cedeva, non avrebbe dato nessuna soddisfazione ai suoi genitori e continuava a comportarsi come meglio credeva. Come quando cercava di aiutare le povere persone sottoposte ai loro terribili esperimenti, cercava di farli fuggire e se non riusciva portava loro da mangiare e da bere, mentre sul volto esprimeva tutto il suo dispiacere e il suo senso di colpa, spesso ricoperto di lacrime. Poche volte lo avevano scoperto nell’attuare quel gesto e le conseguenze furono disastrose, ma la sua vena ribelle non smise mai di pulsare. Viveva la sua vita come meglio voleva e non badava alle conseguenze.

Un chiaro esempio del suo spirito di volontà fu quando consumò la sua prima volta a diciassette anni. Durante la notte di Halloween nel paese si svolse una festa, inaspettatamente si ritrovò insieme ad un suo amico umano con il quale passò una nottata inaspettata. Quel giorno fu uno dei più belli della sua vita, tornò nella villa con un sorriso stampato sul volto. Non perché si fosse innamorato, ma perché si sentì libero. Era stato libero di scegliere per sé stesso, senza che nessuno glielo imponesse o lo costringesse. Per fortuna nessuno lo venne a sapere, Kiyoomi tenne il segreto molto bene per paura di ciò che avrebbero potuto fargli. Non c’era modo peggiore per disonorare la famiglia, ma a lui non importava. Ogni volta che il moro vedeva nel viso dei suoi genitori l’avversione, ne gioiva.

Le conseguenze delle sue azioni erano sempre più dure e terribili, ma Kiyoomi non avrebbe mai seguito le orme della sua famiglia e non sarebbe mai diventato come loro. Non avrebbe mai rinunciato alla sua libertà di scelta, al libero arbitrio che ogni essere vivente avrebbe dovuto detenere.

Il peggio del peggio arrivò quando compiette la maggiore età. Kiyoomi non aveva mai pensato al suo futuro, ma adesso che era diventato grande ed indipendente era sicuro di voler andare via da quella casa. Infondo poteva contare sul suo piccolo rifugio nella foresta incantata, i suoi genitori vietavano di andare nei regni magici da soli, ma adesso non avrebbero potuto più dargli ordini. Pensava di essere libero, ma non era così.

I signori Sakusa fecero conoscere al più piccolo dei loro figli la famiglia Inoue e soprattutto il loro primogenito. Fin dalla prima volta che lo vide, Kiyoomi provò un odio profondo verso Taro. Era vestito come un principe, i suoi atteggiamenti erano eleganti e per quanto sembrasse educato mostrandosi come un bravo ragazzo, in realtà era una persona falsa e bugiarda. Odiava il suo modo di approcciarsi, si sentiva superiore a chiunque altro e soprattutto pensava di essere più forte. Aveva due anni in più rispetto al moro, ma si comportava come se si sentisse più maturo, come se rispetto a lui fosse un adulto. E lo odiava anche perché gli fu presentato come il suo futuro sposo, come la persona con cui avrebbe dovuto passare il resto della sua vita. Ovviamente davanti a tale decisione non condivisa, Kiyoomi si ribellò. Le punizioni per il suo comportamento diventavano sempre più severe, ci fu un momento della sua vita nella quale il moro non riusciva più a sopportare il dolore, sia fisico che psicologico. L’unico modo per smettere di soffrire era obbedire a tutte quelle assurdità. Per un periodo decise di farlo, finse di esser d’accordo con quell’assurda decisione ma soltanto per avere l’opportunità di scappare.

Senza che nessuno lo scoprisse, nel cuore della notte si precipitò dalla finestra della sua stanza e riuscì ad attutire la caduta con la magia. Con i suoi pochi averi avvolti in una coperta, scappò verso quei campi infiniti che aveva da sempre invidiato. Scappò con la speranza che nessuno lo vedesse e che finalmente lo avrebbero lasciato in pace.

Passò i seguenti anni da solo, vagando tra il mondo degli umani e i regni magici, rifugiandosi nella sua piccola casetta o intraprendendo viaggi per il regno di Esarough. Finalmente si sentiva libero dalle oppressioni che aveva subito da tutta la vita, ma ad ogni modo continuava ad avere quel passato troppo stretto a sé. La notte faceva numerosi incubi, non riposava bene e viveva nel terrore che lo avrebbero ritrovato. Riusciva a trovare la pace solo quando visitava i vari paesi del regno, quando osservava la vita delle persone scorrere e sorrideva alla vista di quella normalità che non aveva mai avuto. E poi all’improvviso conobbe Atsumu.

Atsumu gli mostrò un mondo totalmente diverso dal suo, un modo di vivere libero da ogni regola e da ogni convenzione sociale. Quel ragazzo rappresentava un raggio di sole nella vita di Kiyoomi, aveva deciso di portarlo con sé nel suo viaggio conoscendo la sua natura pericolosa di stregone. Gli aveva offerto la possibilità di scrivere un nuovo capitolo della sua vita, aveva la possibilità di vivere una vita totalmente diversa e tutto ciò era solo grazie all’arciere.

Grazie a lui aveva capito cosa significasse amare qualcuno, ma sopratutto il vero significato di essere amati.

Nel ricordo del suo compagno i suoi occhi si riempivano sempre di lacrime. Gli mancava tantissimo, lasciarlo fu la decisione più dura della sua vita e non poteva fare a meno che pensare a lui. Gli mancava tutto, svegliarsi la mattina con la libertà di scegliere cosa ne avrebbe fatto del suo giorno, tra i suoni della natura e il canto degli animali. Trovarsi al proprio fianco il ragazzo che amava che per tutta la notte gli aveva tenuto compagnia, che durante il giorno lo accompagnava nelle sue avventure e gli mostrava quanto fosse bello il mondo, le persone, la vita.

Adesso era chiuso in quella camera, in quella prigione, proprio come cinque anni prima. I suoi genitori non lo avevano degnato nemmeno di un saluto al suo ritorno, di certo non se lo aspettava, lo osservarono con uno sguardo severo. L’unica a dire una parola fu sua madre che lo rimproverò come se fosse un bambino.

« Spero che d’ora in avanti ti assumerai le tue responsabilità. »

Kiyoomi non poté fare a meno che volgerle uno sguardo d’odio, ma non aprì bocca. Doveva farlo per Atsumu, non poteva disobbedire o non sapeva che cosa gli avrebbero fatto. O meglio, fingeva di non saperlo. Infondo chiunque umano si metta in mezzo per rovinare il buon nome della famiglia era considerato un nemico, ma qualsiasi cosa sarebbe successa Kiyoomi avrebbe agito per il bene della persona che amava.

Adesso con il solo rumore della pioggia il moro non poteva far altro che ricordare, pensare e continuare a disprezzare quella casa. La magia di Taro lo teneva incatenato a quel luogo e non gli permetteva di andarsene, né dal paese né da casa sua. Non gli permetteva nemmeno di fare uso della propria magia, le manette ai polsi non erano visibili e non gli tenevano le mani bloccate, ma lo privavano del suo potere. Non c’era niente che poteva fare, e anche se avesse potuto, non l’avrebbe fatto. Doveva pensare ad Atsumu, a preservare la sua vita più di qualsiasi altra cosa.

***

Durante i giorni di riposo Atsumu cominciò a capire quanto gli fosse mancato suo fratello. Per quanto non riuscisse ad ammetterlo gli era mancata anche la taverna e ciò che capì di più fu il bisogno che necessitava il suo corpo dopo immense fatiche; era da molto tempo che non si prendeva una pausa. Era abituato a muoversi ogni giorno, sentiva il corpo formicolare ma comunque trovava quel tempo a letto molto rilassante. Per quanto volesse alzarsi e andare a cercare Kiyoomi il prima possibile, il suo corpo era contento di potersi prendere una pausa, soprattutto perché non era ancora completamente guarito.

Da quando si erano rincontrati Osamu non lo aveva lasciato solo nemmeno un secondo, dormiva al suo fianco ogni notte ed ogni mattina gli faceva bere quella disgustosa pozione anti-maledizione che aveva creato. Per fortuna l’effetto della pozione cominciava a dare i suoi frutti, Atsumu riusciva mano a mano a riprendere il controllo del suo corpo, finalmente la stanchezza stava svanendo ed ogni movimento non costava più tanta fatica.

Più i gemelli passano del tempo insieme e più si rendevano conto che si erano persi molto l’uno dell’altro. Atsumu si era perso il momento in cui la cucina di suo fratello aveva cominciato ad essere rinomata, la gioia nell’ottenere tutta quella gratificazione dai suoi clienti e persino da principi e nobili. Se fosse rimasto con lui immaginava come avrebbero festeggiato quegli omaggi; avrebbero passato una notte attorno ad un falò con in mano un fiasco pieni di birra, mangiando i cosciotti arrostiti di una lepre cacciata da Atsumu e avrebbero brindato scolandosi l’alcool a tutto spiano. Se ci fossero stati i loro genitori di sicuro li avrebbero rimproverati, ma già da piccoli avevano dovuto imparare a crescere senza di loro, basandosi solo sulle proprie forze e sulla propria indipendenza. Osamu si era perso invece il momento in cui Atsumu con gli anni aveva raggiunto il suo obiettivo, era diventato più forte. Non l’aveva visto migliorare con il tempo, suo fratello si era presentato davanti ai suoi occhi già con i risultati di tutti quegli anni di fatica. Era fiero di lui e adesso poteva dirglielo.

In quei giorni Osamu decise di chiudere momentaneamente la taverna, aveva deciso di badare a suo fratello nel migliore dei modi e soprattutto voleva passare ogni momento perso con lui. Parlarono molto durante quei giorni, non era facile dover raccontare tutto quello che era successo in cinque lunghi anni di allontanamento e per questo erano felici di poter rimediare. Oltre a raccontare tutte le proprie avventure, Atsumu decise di spiegare anche la storia che si celava dietro Kiyoomi e la sua famiglia. In quell’anno l’arciere aveva avuto modo di scoprire sempre di più su quel passato terribile e nel raccontare tutto quello che era successo al suo compagno gli venivano i brividi. Sperava con tutto sé stesso che Kiyoomi stesse al sicuro, il pensiero che fosse solo lo devastava e ciò Osamu poteva vederlo chiaramente sul suo volto. Provò pena per quel ragazzo che aveva cacciato con tanta brutalità, ma non si biasimava di certo. Vedere suo fratello in quelle condizioni gli aveva fatto perdere la lucidità e la paura e la rabbia avevano preso il sopravvento. Tutto quello che Atsumu gli raccontò sembrò fin troppo pericoloso per un semplice umano e soprattutto era certo che suo fratello non fosse al sicuro. E ciò non gli piaceva affatto.

Oltre alle belle chiacchierate con suo fratello, durante il secondo giorno di riposo Atsumu ricevette una visita da uno dei protettori di Kiyoomi. Un gracile usignolo si posò sulla fessura della stanza, lo scrutava con gli occhietti sgranati e non si mosse di lì per minuti, facendo capire all’arciere che forse quell’uccello era lì per un motivo. Quando cominciò persino a cantare, il biondo cercò in tutti i modi di capire cosa dicesse, ma era tutto inutile. Non sentiva altro che il canto di un comune uccello. Sapeva però che quella visita non era stata casuale.

In quei giorni il biondo ebbe anche modo di fare la conoscenza di Suna. A primo impatto Atsumu scrutò quel ragazzo cercando di capire se gli sarebbe mai piaciuto o no, di certo però l’arciere fu felice di sapere che c’era qualcuno ad aiutare suo fratello. “Grazie per avergli fatto compagnia” fu la prima cosa che dì al castano, il quale rispose con un sorrisetto di chi ne sapeva una più del diavolo. Suna non rivelò all’arciere della sua abilità di cartomante, si finse un semplice ragazzo e raccontò al biondo tutto ciò che era successo da quando aveva cominciato a lavorare nella taverna. Raccontò di come aveva conosciuto Osamu e di come alla fine si erano scambiati un fugace bacio dopo una lunga serata stancante di lavoro. Infondo per quanto poté suonare strano alle orecchie dell’arciere, era felice di sapere certe cose.

Durante una di quelle sere mentre Osamu era indaffarato a studiare insieme a Suna il libro di alchimia, Atsumu ricevette un’altra visita che gli fece sgranare gli occhi dallo stupore. Dopo cinque anni davanti ai suoi occhi rivide il suo vecchio amico, era cresciuto tantissimo e anche lui era maturato come suo fratello. Kita non poté che mostrare un enorme sorriso nel rivedere sano e salvo il biondo, era diventato grande proprio come lui eppure rivederlo in quello stato era come vedere un’altra persona.

Passarono molto tempo a parlare di ciò che era cambiato, Atsumu fu felice di sapere che finalmente il suo amico era diventato il proprietario della fattoria di famiglia e non poté fare a meno di promettergli che un giorno sarebbe andato a trovarlo insieme a Kiyoomi. Nel sentire quel nome Kita sembrò assumere ad un tratto un atteggiamento serio e rivolse all’arciere uno sguardo deciso.

« Dimmi un po’ Atsumu, quel ragazzo è importante per te vero? » quelle parole acquisirono lo stupore dell’arciere che guardò il suo amico con la massima attenzione « Si leggeva bene nel suo sguardo che per lui sei speciale. Osamu non poteva notarlo, era troppo spaventato e preoccupato per la tua salute, ma si vedeva che quel ragazzo aveva fatto tutta quella strada solo per te. Aveva un’espressione disperata, non smetteva di guardarti con la speranza che ti riprendessi e sembrava sul punto di crollare. Quando scoprì la causa del tuo malanno, il suo sguardo si spense. Non immagino cosa avrà pensato, ma sembrò come se il mondo gli fosse cascato addosso. »

Un grande sorriso si formò sul volto del contadino.

« Atsumu, quel ragazzo ti ama davvero. »

Davanti a tali parole l’arciere rimase in silenzio. Un nodo alla gola gli impedì di aprire bocca e di parlare, non riusciva a pensare a quanto dolore avesse provato Kiyoomi in quel momento. Aveva sofferto tanto nella sua vita, si sentì in colpa per averlo fatto preoccupare ancora di più e quasi gli veniva da piangere al pensiero che ora si trovasse da solo.

« Sembra un ragazzo in gamba, non fartelo scappare. » aggiunse Kita riportando nel volto del biondo un leggero sorriso.

Tornarono a parlare di come quegli anni erano passati, di come le cose erano cambiate e di come il rapporto tra Osamu e Kita si era rafforzato nel tempo. Kita era rimasto al fianco di Osamu nel momento in cui suo fratello se n’era andato, nel pensare a quel momento Atsumu non poté fare a meno che chiedersi cosa fosse successo dopo il suo abbandono. Pensava che suo fratello ce l’avesse avuta con lui per molto tempo e che sicuramente aveva cominciato anche ad odiarlo.

« Pensi anche tu che sia un pessimo fratello? » domandò con un tono leggermente scherzoso.

In risposta però Kita scambiò un grande sorriso e disse « Osamu non l’ha mai pensato. »

Quelle parole rassicurarono molto Atsumu, non riusciva a crederci fermamente ma infondo dopo tutto quello che suo fratello stava facendo per lui, come poteva pensare il contrario.

Nei giorni a venire Atsumu riuscì a rimettersi in piedi. Finalmente poteva camminare e muoversi come voleva, non provava più la stanchezza che lo aveva prosciugato, si sentiva libero di poter fare qualsiasi cosa. Infatti la prima cosa che fece non appena riacquistò le forze fu usare l’arco. Passava ore fuori dalla taverna con l’arco in mano, era tornato a cacciare piccoli animali e insieme a lui vi era Osamu che si occupava di tenerlo sotto controllo. L’oste rimase sbalordito da come suo fratello era diventato così abile, rispetto a prima Atsumu aveva subito un cambiamento incredibile ed era davvero fiero di lui. Ciò non cambiava però che Osamu rimproverò spesso suo fratello di non strafare troppo, il suo corpo non si era ancora ripreso del tutto e sarebbe stato un male farlo stancare prima del dovuto. La cosa positiva fu che almeno quelle ore di caccia fruttarono una buona scorta di cibo per il cuoco.

Una sera Osamu decise di voler cucinare una gustosa cena per suo fratello e per i loro amici. Cucinò un delizioso stufato di carne accompagnato da costolette di cervo e qualche verdura aromatizzata dell’orto di Kita. Fu la prima volta che passarono del tempo insieme tutti e quattro e Atsumu non poté esserne più che felice, finalmente era tornato da suo fratello e dalle persone che più gli erano rimaste care. Pensò che in futuro insieme a loro ci sarebbe stato anche Kiyoomi, qualsiasi cosa sarebbe successa Atsumu doveva garantire al suo compagno una vita ed un futuro migliore. Sapeva che di certo il mago avrebbe amato stare lì con loro, non poteva pensare alla sua assenza che Atsumu si sentiva in colpa, ma di certo avrebbe fatto di tutto per permettergli di stare lì con loro un giorno.

Improvvisamente durante la cena un piccolo allocco piombò dalla finestra e cadde sul tavolo spiegazzando le ali. Osamu era pronto a scacciare via quell’animale, ma prima che potesse farlo Atsumu lo fermò e rimase qualche instante ad osservare quel piccolo uccello. Ci volle qualche secondo ma l’arciere lo riconobbe, era lo stesso allocco che aveva vegliato su lui e Kiyoomi durante la notte alla torre. Il gracile volatile cominciò ad emettere una serie di versi simili ad ululati, ma incomprensibili per i quattro ragazzi. Atsumu però capì che dietro a quei suoni disperati c’era un significato, di certo quell’animale voleva dirgli qualcosa. L’ansia cominciò a salire, Atsumu aveva paura che dietro a quell’ululato impaurito vi era una richiesta d’aiuto. Che i genitori di Kiyoomi l’avessero trovato? Che era prossimo a sposarsi con quel tipo? Che fosse in pericolo? Con tutte quelle domande e quel poco tempo, l’arciere decise di partire il prima possibile.

Il giorno dopo Atsumu fu pronto a lasciare la taverna, il suo corpo era ancora leggermente stanco rispetto a come era prima ma non poteva aspettare altro tempo. Come cinque anni prima si mise alle spalle il suo arco, portò con sé la sua borsa e varcò la porta della taverna illuminato dalla luce del sole. Rispetto al passato però questa volta Osamu lo seguì. Di certo non era felice di veder andar via di già suo fratello, soprattutto nelle condizioni in cui si trovava il suo corpo, ma questa volta decise di non fermarlo.

« ‘Tsumu. » lo richiamò Osamu facendo voltare così l’arciere.

L’oste portava dietro la schiena la balestra che usava per difendersi, una sacca simile a quella di Atsumu e diverse pozioni infilate nella cinta dei pantaloni. Con sé stava portando il libro di alchimia, diversi ingredienti e anche uno spuntino.

« Non ho intenzione di lasciarti andare da solo. »

A quella vista Atsumu rimase seriamente sorpreso. Primo perché suo fratello non lo stava seriamente fermando, secondo stava lasciando la taverna e il suo lavoro solo per seguirlo.

« Non so quali pericoli mi attendono, sei sicuro di venire? Se ti succedesse qualcosa non potrei soppor- »

« Stammi a sentire. » ribatté suo fratello con una smorfia sul volto pronto a rimproverarlo « Tu da solo non vai da nessuna parte. Recupereremo il tuo ragazzo e poi sarai libero di fare come ti pare. »

L’arciere non poté fare a meno che sospirare. Questa volta sapeva di non poter fare niente, non sarebbe mai riuscito a far cambiare idea a suo fratello. Sorrise leggermente all’idea di poter passare altro tempo insieme a lui e soprattutto sorrise perché gli voleva bene.

Prima di lasciare la taverna i due gemelli andarono a salutare sia Suna che Kita. Osamu aveva deciso di affidare la taverna a loro, sapeva di poter contare sulla loro responsabilità. Sulla responsabilità di Kita per lo più.

Fuori dalla taverna ebbero modo di scambiarsi un ultimo saluto prima di cominciare quella pericolosa missione.

« Ci penseremo noi alla taverna. » ripeté per l’ennesima volta Suna al suo ragazzo « Ma prima che tu vada, voglio che prendi questa. »

Osamu si ritrovò nella mano una carta, una di quelle che utilizzava Suna. Era la prima volta che gliene affidava una, di solito il ragazzo evitava di usare il suo potere. Il futuro poteva essere pericoloso da conoscere, lo utilizzava solo in casi di estremo bisogno e di solito non rivelava a nessuno il contenuto delle sue carte. Questa volta però Suna si era ritrovato quell’ambigua carta nella tasca della tunica, quando la prese in mano capì che c’era un motivo per cui si era mostrata a lui e per fortuna aveva una buona sensazione. Il disegno raffigurato sulla carta presentava una specie di enorme varco oscuro e non riusciva a capire che cosa raffigurasse. Prima che Osamu potesse chiedere spiegazioni, il castano lo anticipò.

« Non so cosa sia. » affermò osservando la carta « Ma credo abbia a che fare con la magia. Sento che vi sarà utile. »

Davanti a tale dono Osamu non poté far altro che accettarlo e posò la carta nella tasca interna della tunica.

« Grazie, farò in modo di tornare sano e salvo. » E detto ciò si sporse per dare un bacio al ragazzo davanti a lui, un ultimo prima di lasciarlo.

Accanto a loro Kita e Atsumu si erano scambiati un abbraccio, ma prima che l’arciere potesse andare, il contadino insistette nel controllare prima una cosa. Si fece prestare la mappa di Atsumu, quella accuratamente disegnata da Akaashi nella quale vi erano incisi tutti i luoghi del regno. Impegnato a cercare qualcosa, Kita spostava lo sguardo molto velocemente sui vari luoghi del regno e quando riuscì a trovare ciò che cercava, prese la matita riposta sull’orecchio e cerchiò il luogo calcando più volte.

« Recatevi prima qui. » affermò senza distogliere lo sguardo dalla mappa « Vicino a Iriewell c’è un rinomato fabbro, si chiama Aran ed è un mio amico. Ditegli che vi mando io e sono sicuro che vi aiuterà. Troverete di certo le armi di cui avete bisogno, le stesse che usano i cacciatori di stregoni. » detto ciò il contadino chiuse la mappa e la porse al biondo con un sorriso.

Atsumu non poté far altro che scambiare un grande sorriso al suo amico. Durante la loro chiacchierata di quei giorni Kita aveva insistito molto nel convincere Atsumu a prepararsi al meglio per quel viaggio. Era una follia andare contro a degli stregoni talmente abili e di certo con solo l’arco non avrebbe potuto fare niente. Dovevano procurarsi le armi giuste e grazie a quell’informazione, Atsumu finalmente aveva una pista da seguire.

« Grazie mille Kita » sorrise l’arciere « Torneremo presto lo prometto. »

Detto ciò i gemelli salutarono una volta per tutte i loro amici. Prima di partire Atsumu promise loro che un giorno avrebbero passato una serata insieme come quella della sera precedente, la prossima volta però con loro ci sarebbe stato anche Kiyoomi.

La prossima volta avrebbe portato il moro come nuovo membro della loro piccola famiglia.

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Capitolo 12
*** Riunione di famiglia ***


Sul sentiero che lo aveva accompagnato in tutte le sue avventure, Atsumu proseguiva nel suo viaggio con forza e determinazione. Finalmente poteva muoversi senza sentire la stanchezza sopraffarlo, era libero di camminare e soprattutto di usare il suo arco. Durante il cammino si allenava, metteva alla prova il suo corpo saltando da un albero all’altro e scoccando frecce mentre era in movimento. La sua mira perfetta era tornata, la sua agilità che gli permetteva di spostarsi e di muoversi velocemente era rinvenuta e per questo il biondo si sentiva al settimo cielo. Insieme a lui però c’era suo fratello, che gli ricordava di non esagerare e di non portare le sue forze all’estremo.

I gemelli Miya avevano intrapreso quel viaggio da ormai un paio d’ore. Per fortuna la taverna Kitzune distava meno di cinque ore dalla città di Iriewell e perciò ancora meno tempo dalla forgia dell’amico di Kita. Entrambi non avevano mai sentito parlare di questo Aran, dovevano essere grati al loro amico per avergli dato quell’ottimo consiglio o non avrebbero avuto modo di affrontare la famiglia Sakusa. Avevano bisogno di qualsiasi cosa che rendesse i maghi vulnerabili, che fossero pozioni o addirittura ; non potevano avanzare impreparati.

Nel loro viaggio Osamu controllava dettagliatamente la mappa del fratello, cercando di percorrere la giusta via senza temere di perdersi. Era meravigliato con quanta precisione e quanta maestria fosse stata creata quella mappa, poté scorgere nel retro della pagina una dedica dello scrittore che l’aveva realizzata.

All’arciere più abile e forte che abbia mai conosciuto, il tuo amico Akaashi.

Nel vedere quelle parole Osamu pensò a quanti amici suo fratello aveva conosciuto nel corso del suo viaggio, quanti luoghi e meraviglie aveva esplorato. Doveva essersi divertito tantissimo in quei cinque anni, dai suoi racconti aveva vissuto la vita che aveva sempre voluto. Infondo per quanto ancora fosse arrabbiato con lui, Osamu fu felice per suo fratello.

Dopo quel leggero pensiero, l’alchimista tornò a pensare al loro viaggio ed un dubbio sorse inaspettato. Cominciò a domandarsi come sarebbero arrivati da Kiyoomi senza sapere dove fosse o se era davvero in pericolo.

« ‘Tsumu! » richiamò Osamu volgendo lo sguardo verso suo fratello.

Atsumu era in piedi sul ramo di un albero, si teneva ad esso con una mano e scrutava il sentiero che dovevano ancora percorrere. Nel sentire suo fratello chiamarlo, volse lo sguardo verso il terreno.

« Come facciamo ad arrivare dal tuo ragazzo senza sapere dov’è? »

« Non c’è nulla da temere. » rispose il biondo « Ci penseranno loro ad aiutarci. »

Detto ciò il biondo porse il braccio in aria, lasciando che una rondine si posasse sul suo avambraccio. Da quando avevano lasciato la taverna quella rondine li aveva seguiti e non li aveva persi d’occhio nemmeno un secondo. Atsumu intuì che grazie a Kiyoomi quegli uccelli lo stavano proteggendo ed era sicuro che se avesse dato loro un ordine, lo avrebbero eseguito. Per raggiungerlo non doveva far altro che ordinare loro di portarlo dal loro padrone.

« Sono i protettori di Kiyoomi, eseguono ogni suo ordine e credo che abbia deciso di affidarli a me » spiegò l’arciere lasciando volare via la rondine dal suo braccio « Loro sanno dove si trova. »

Quelle parole tranquillizzarono Osamu, almeno sapeva che non stavano facendo un viaggio a vuoto.

Da quando avevano lasciato la taverna, Atsumu non aveva trasparito alcun sorriso sul volto. Agli occhi di Osamu sembrava pensieroso e concentrato a pianificare le prossime mosse. Infondo da quando Atsumu era stato messo in guardia la sera prima non si sentiva affatto tranquillo. Non poteva immaginare che orribile sensazione avesse provato Kiyoomi quando aveva scoperto che la causa del proprio malanno era stata causata dal suo portafortuna. Sicuramente si era dato la colpa, soprattutto per la sua natura e per esser rimasto al fianco di un umano provocandogli solo dolore. Atsumu sapeva che non era colpa sua, quanto avrebbe voluto essere stato sveglio in quel momento e dirgli che non aveva commesso nessun errore. Quanto voleva ritrovarlo e stringerlo tra le proprie braccia dicendogli che non doveva preoccuparsi, non doveva temere per ciò che era perché non c’era niente che non andava in lui. Era perfetto così com’era, anche se la sua natura era pericolosa e nascondeva molti misteri, per lui rimaneva il ragazzo di cui si era innamorato. Il ragazzo più normale di tutto il regno, con le proprie paure e i propri pensieri, il ragazzo che sapeva piangere, sorridere e ridere come chiunque altro. Era normale tanto quanto gli altri, ma soprattutto per Atsumu era speciale.

L’arciere non poteva pensare a quanto il suo ragazzo si sentisse solo, l’unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento era stare al suo fianco e sentirsi amato per ciò che era. Dovunque fosse Atsumu lo avrebbe trovato, se costretto avrebbe combattuto pur di riaverlo al suo fianco. E questa volta gli avrebbe promesso che non l’avrebbe mai più lasciato. Qualunque cosa sarebbe accaduta in futuro, Atsumu voleva giurargli che sarebbe rimasto con lui. Non aveva paura delle conseguenze, della sua natura o della sua famiglia, sarebbe andato contro ogni cosa e ogni persona pur di rimanere per sempre insieme a lui.

Il flusso di pensieri del biondo fu interrotto dalla vista del paesino in lontananza. Dopo aver saltato sull’ennesimo ramo, Atsumu scrutava tra le foglie l’immagine di quelle case sparse, vi era un fiume che affiancava quel luogo ed ancora più lontano si potevano vedere le mura della città di Iriewell, in una figura indistinta e sfocata.

« Siamo vicini ‘Samu. » annunciò l’arciere ed in men che non si dica scese giù da quel ramo.

Il paesino in questione si chiamava Feewell, era davvero piccolo e contava meno di venti abitanti. Quando i due fratelli arrivarono in quel luogo, poterono vedere come quel paesino era immerso nel verde e avvolto dagli alberi, mentre dietro di lui si stendeva la valle con le sue colline verdi. Tra quelle poche case che c’erano, era possibile distinguere un piccolo chiosco che doveva essere la fornace del fabbro. Proprio accanto al chiosco vi era un crogiolo, alla vista sembrava un enorme forno ed aveva la funzione di sciogliere i metalli per creare a sua volta lingotti del metallo scelto.

Più i fratelli si avvicinavano, più notavano che ad utilizzare quell’arnese vi era un ragazzo dai capelli neri, indossava una canottiera ed era impegnato a sciogliere quello che sembrava del ferro.

« Salve, mi scusi » esordì Osamu mentre avanzava con cautela « Siamo amici di Kita Shinsuke, ci ha detto che qui avremmo trovato un ragazzo di nome Aran. »

A quelle parole il ragazzo si arrestò nel suo lavoro, si stiracchiò la schiena e si asciugò con un panno la fronte.

« Gli amici di Kita sono anche miei amici. » si voltò e mostrò un enorme sorriso amichevole « Mi chiamo Aran Ojiro, piacere di conoscervi. »

Avendo molta fama nel regno la famiglia Kita esportava il suo raccolto a molti paesi circostanti, tra questi vi era anche Feewell. Il più piccolo della famiglia, nonché il più abile, aveva avuto il compito di portare la frutta e la verdura in tutti quei paesi ed infatti fin dalla tenera età, Shinsuke intraprendeva lunghi viaggi per portare i suoi prodotti freschi a tutti. Ciò consentì ad Aran di fare la conoscenza di quel ragazzo, chiunque conoscesse Kita se ne innamorava perché sembrava la persona più matura e intelligente del regno. Fin da bambini strinsero una grande amicizia che li portò a mantenere i rapporti anche da grandi, infatti spesso si incontravano per passare del tempo insieme.

« Abbiamo bisogno del tuo aiuto. » esortò Atsumu con un tono di voce molto serio « Abbiamo bisogno di armi anti-magia e non abbiamo molto tempo. »

Quando il termine “magia” risuonò nelle orecchie del fabbro, quest’ultimo rimase per qualche secondo perplesso. Pochissime persone richiedevano armi di quel tipo e se lo facevano, ciò significava che erano dei cacciatori di stregoni. Solo questi individui potevano permettersi armi di quel tipo, nessun altra persona avrebbe potuto richiedere tali oggetti. Da una parte perché c’era bisogno di una certificazione rilasciata da un’accademia apposita, dall’altra perché le persone umili avevano paura dei maghi anche solo nel sentire le loro storie.

Nel vedere i due ragazzi che aveva davanti agli occhi, Aran era convinto che quei due non fossero cacciatori di stregoni. Non avevano le solite divise di quegli uomini, sembravano normali ragazzi in viaggio per chissà quale motivo. Probabilmente dietro al loro motivo si nascondeva una lunga storia.

« Non posso rilasciare delle armi di quel tipo per gente comune. » dopo tali parole il fabbro sembrò rifletterci sopra ed infine lasciò fuoriuscire un sospiro « Ma per chiunque sia amico di Kita, va bene. »

Aran lasciò entrare i due ragazzi dentro la sua capanna. Al suo interno i ragazzi rimasero quasi meravigliati dalle numerose armi che occupavano quel luogo. Spade di ogni misura, asce giganti e diversi tipi di archi, lì dentro si poteva trovare di tutto. Osamu sembrò incantato nel vedere quanti tipi di balestre quel ragazzo avesse prodotto ed era quasi tentato di volerne prendere una nuova. Atsumu invece teneva stretto a sé il suo lungo e prezioso arco.

« Giusto per curiosità, che cosa hanno di speciale le armi anti-stregoni? » domandò l’alchimista mentre osservava una delle balestre della collezione.

« Sono molto simili a quelle normali, ma l’unica cosa che cambia è il loro materiale. » rispose Aran mentre sembrava intento a cercare qualcosa in un grande baule.

Il rifugio non era molto grande, ma sembrava che contenesse tutto quello di cui un fabbro aveva bisogno. I materiali non mancavano, il ferro, l’acciaio, persino l’oro era presente nella collezione che quel ragazzo aveva. Nessuno dei due gemelli sapeva quale era il segreto delle armi contro la magia, ma la curiosità di conoscerlo salì a dismisura.

Mentre entrambi si guardavano attorno meravigliati, Aran cercava ancora di trovare ciò di cui aveva bisogno. Quando finalmente lo trovò, tirò fuori dal baule una spada. Era di un colorito tendente al rosso scuro, sembrava lucente e allo stesso tempo più pesante del semplice ferro o acciaio.

« Questa è un’arma anti-stregoni. Ciò che la rende speciale è il metallo con cui è stata costruita, viene chiamato “pietra della luna rossa” »

L’attenzione dei gemelli si concentro esclusivamente su quell’oggetto. Atsumu ricordò di aver visto una cosa del genere quel pomeriggio quando sia lui che Kiyoomi vennero attaccati da un gruppo di cacciatori di stregoni, la sua attenzione non si concentrò sul materiale delle loro armi ma le cose cominciavano ad avere un senso.

« È un elemento estremamente raro, basta il solo contatto fisico di questi oggetti con quelle creature per far sì che il loro potere svanisca. »

Quell’importante informazione fece sgranare gli occhi ad Atsumu. Sarebbe bastato trafiggere il corpo di uno stregone con una di quelle frecce per disattivare i suoi poteri. Se ciò era vero, allora non aveva bisogno di nient’altro che di frecce. Doveva fare in modo di conficcarne almeno una per ogni stregone, così da lasciare il via libera per combatterli. L’arciere non sapeva a quante persone sarebbe dovuto andare incontro, ma più munizioni aveva e meglio era.

« Abbiamo bisogno di frecce e di dardi, anche delle reti! » constatò il biondo « Dacci tutte quelle che hai, il prezzo non conta. »

Era una richiesta bizzarra, ma il fabbro non poté fare a meno che assecondarla. Negli occhi di Atsumu era viva la determinazione.

***

Nella villa della famiglia Sakusa era possibile udire il rumore dei passi assordanti ed il vociare che si aggirava per i vari corridoi delle camere. Kiyoomi sedeva sul suo letto mentre sentiva ogni minimo rumore provenire dall’enorme villa. Gente che andava e veniva, camerieri al servizio di ogni bisogno e il rumore dei tacchi che toccavano il tappeto rosso, che si stendeva lungo ogni centimetro della casa. Il giorno dopo si sarebbe svolto il fatidico matrimonio e quella sera nella villa si sarebbe tenuta una cena di famiglia.

Dopo molti anni tutti i componenti della famiglia erano stati chiamati per festeggiare la bella notizia del matrimonio del figlio più piccolo. La famiglia si era riunita, sia il fratello che la sorella di Kiyoomi si erano presentati alla villa con l’intenzione di sostenere il loro piccolo fratellino. Avevano portato doni per la cerimonia che sarebbe avvenuta e non vedevano l’ora di accogliere tra loro finalmente quel fratello che era scappato dopo tanto tempo. In loro sembrava non esserci alcun tipo di astio, non si mostrarono arrabbiati per il suo comportamento, era come se avessero dimenticato tutto. Per Kiyoomi i suoi fratelli erano come delle bambole di pezza, vivevano sempre con il sorriso sul volto e avevano sempre accettato le imposizioni dei loro genitori. Era come se non vedessero la realtà per ciò che era davvero, pensavano fermamente che il loro fratellino fosse contento del destino che gli era stato imposto.

Seduto su quelle coperte soffici e pregiate, Kiyoomi aveva smesso di dare spazio ai suoi pensieri. Ascoltava i rumori di quella casa senza pensare a ciò a cui stava andando incontro. Non aveva più i suoi poteri, non poteva scappare per colpa di quell’incantesimo. Le manette che lo tenevano legato a quel sortilegio lo privavano dell’unica arma che poteva usare per fuggire, senza di quella però si sentiva inutile.

Dopo svariati minuti di rumore, calò il silenzio. Fu come se in casa non fosse rimasto nessuno, nessun rumore di passi, nessun vociare distinto. Quel silenzio era la cosa più bella che il mago potesse sentire, ma era anche la più crudele. Dal silenzio la mente cominciava a vagare tra i pensieri e quella era l’ultima cosa che Kiyoomi voleva. Capì che tutti i componenti della famiglia si erano riuniti nella sala da pranzo, l’unica persona che mancava a quel tavolo era lui. L’unica che mancava e anche quella più attesa.

Si alzò da quel letto con un nodo alla gola che gli impediva di parlare. Da quando era tornato a casa aveva nascosto il suo mantello per evitare che lo avrebbero buttato, ormai si era affezionato a quell’indumento. Gli ricordava gli ultimi cinque anni, lo aveva indossato il giorno in cui aveva lasciato la villa e per sua disgrazia anche il giorno del suo ritorno. Oltre a quel ricordo però, vi erano legate le immagini di tutte le avventure che aveva passato con l’arciere. Non voleva permettere a nessuno di buttarlo, lo avrebbe portato con sé se mai sarebbe riuscito ad andarsene da lì.

Come nobile della casa Sakusa era stato costretto a vestire come un vero aristocratico, specialmente per quella cena di famiglia. Indossava una camicia bianca ottocentesca, sopra una giacca nera e dei pantaloni attillati neri. Cinque anni prima, quando era nel pieno della sua adolescenza e del suo momento ribelle, si sarebbe tolto quei vestiti e li avrebbe cambiati con qualcosa di meno elegante. Se si guardava allo specchio, Kiyoomi riusciva a vedere nel suo riflesso quel diciottenne ribelle che era una volta. Rispetto a prima però, questa volta quella vena ribelle non c’era più. Era stanco di ribellarsi, stanco di dover lottare per qualcosa che avrebbe dovuto avere a prescindere.

Con rammarico il ragazzo uscì da quella stanza, ciò che vide fu un corridoio completamente deserto. Poco più avanti vi era un’enorme scalinata che portava al piano terra, il tappeto rosso la percorreva mentre la ringhiera brillava d’un oro pregiato. La casa era illuminata da enormi lampadari a candelabro, la fiamma di tali candele era eterna e non cessava mai di spegnersi, non finché i padroni di casa volevano.

Era passata una settimana da quando era tornato a casa, fino a quel momento aveva evitato di stare a contatto con qualsiasi membro della famiglia. Passava il suo tempo in camera o nel paesino sottostante, cercava di evitare quella casa e le persone che ci vivevano. Mentre scendeva quelle scale molti ricordi riaffiorarono nella sua mente. La paura che aveva di scendere quelle scale da bambino, la rabbia con cui le percorreva quando era adolescente, e lo stupore che aveva provato non riuscendo a fare nessun altro passo, lo stupore nel vedere nello stipite della porta la persona che lo avrebbe privato del suo futuro.

A piccoli passi si avvicinava sempre di più alla porta della sala da pranzo. Ogni cosa di quella casa era pregiata, elegante e costosa. La porta era intagliata con massima attenzione, presentava il disegno dello stemma della casa e dell’animale che la rappresentava e la proteggeva, un maestoso corvo.

Kiyoomi prese un grande respiro. Cercò di non pensare a niente, doveva evitare di far uscire la rabbia e soprattutto doveva mantenere autocontrollo. Non ne aveva mai avuto cinque anni prima, la sua pazienza si sgretolava facilmente e le ribellioni erano molto frequenti. Questa volta però non poteva permetterlo, voleva risultare il più apatico possibile per non dare nessuna soddisfazione ai suoi genitori. Non doveva provare tristezza, rabbia o desolazione.

Aprì la porta posando una mano sul nobile disegno, a prima vista vide l’immenso tavolo che occupava la stanza. Era un tavolo molto lungo, presentava una tavola apparecchiata con precisione ed eleganza. I calici splendevano per quanto fossero cristallini, le posate ed i piatti erano argentati. Una grande brocca piena di vino rosso lievitava tra gli invitati e riempiva i loro bicchieri, vari camerieri entravano ed uscivano dalla cucina portando a tavola piatti dall’aspetto invitante, arrosto con patate, un vassoio pieno di formaggi e uva, torte salate ripiene di verdure e affettati. Nella cucina della famiglia Sakusa ad occuparsi del cibo erano da sempre stati esperti cuochi rinomati, ognuno di loro era umano ed obbediva ad ogni richiesta della famiglia.

Ad ogni passo Kiyoomi soffermava la sua attenzione su ogni componente della famiglia. I suoi genitori come sempre sedevano a capotavola, suo fratello maggiore al fianco di suo padre mentre sua sorella al fianco di sua madre. Davanti a loro sedevano i loro rispettivi coniugi, gli altri posti erano occupati dai signori Inoue e davanti al posto vuoto che doveva essere il suo, sedeva Taro.

Suo fratello maggiore, Mito Sakusa, indossava una veste reale blu, aveva dei capelli mori corti e mossi, gli occhi neri ed un neo sotto l’occhio destro ben visibile. Aveva un sorriso mozzato, lo sguardo spento ma rivolto verso il padre e sedeva composto con la schiena dritta. Sua sorella invece si chiamava Hitomi, aveva dei lunghi capelli mori lisci che gli scendevano sulle spalle, un viso immacolato ed un sorriso sempre presente sul volto. Il suo sorriso sembrava da sempre quello di una sorella premurosa, gentile e pronta ad aiutare chiunque ne avesse bisogno, eppure non l’aveva mai fatto. Era da sempre prigioniera delle regole della casa ed era finita con lo sposare il figlio della famiglia Shibata, un combattente che si lanciava in qualsiasi impresa avesse a portata di mano. Kiyoomi aveva sempre provato pena per sua sorella, ma non era mai riuscito a vedere cosa si celasse dietro a quella maschera permanente che indossava. Si mostrava come una donna perfetta, creata con cura dalle mani della loro madre.

Accanto alla sedia vuota nella quale doveva sedere, vi era un maggiordomo in piedi che attendeva il ragazzo. Kiyoomi lo ricordava bene quell’uomo e lo odiava. Si chiamava Motoki ed era il maggiordomo d’onore della famiglia Sakusa. Lavorava per loro da almeno trent’anni, era un uomo di mezza età con dei folti baffi ed indossava sempre un abito elegante. Era diverso da tutti gli altri servitori, perché rispetto a loro lui obbediva e credeva fermamente a qualsiasi cosa la famiglia Sakusa imponesse. Non si faceva scrupoli ad assecondare ogni loro desiderio, avrebbe anche ucciso per i suoi signori. Spesso quando il moro era più piccolo, lo sgridava per il suo atteggiamento ribelle. Non capisci quanto tu sia fortunato ad avere un potere simile, come poteva il mago dimenticare quelle parole. Lo odiava perché come tutti era solo un assetato di potere, invidioso perché umano fin dalla nascita.

Quando Kiyoomi si avvicinò alla sedia, il maggiordomo la spinse indietro per permettergli di sedersi. Senza parlare il moro fece cenno all’uomo di andarsene e contro ogni sua volontà prese posto a quella tavola. Non appena furono tutti al completo, la signora Sakusa si alzò dalla sedia.

Sua madre era da sempre invidiata per la sua bellezza, sembrava una donna fin troppo giovane per aver avuto tre figli e la sua pelle era lucente, senza rughe e risultava giovanile. Come sua figlia aveva dei lunghi capelli neri posti dietro la schiena, un abito reale viola scuro con una grande gonna e sulla sua spalla vi era un corvo. Aveva una postura perfetta, la carnagione chiara, quasi cadaverica, ed emanava un’aura di superiorità disumana. Tutte le persone lì presenti si voltarono verso la padrona di casa, persino Kiyoomi si sentì costretto da quel potere.

« Adesso che siamo al completo, possiamo iniziare la cena. Vi do il benvenuto nella villa della famiglia Sakusa. Spero che il pasto sia di vostro gradimento. »

Dopo quelle parole tutti gli invitati abbassarono il capo come segno di ringraziamento. I vassoi e i piatti pieni di cibo cominciarono a fluttuare intorno al tavolo, dando la possibilità agli ospiti di deliziarsi della cena.

Kiyoomi teneva lo sguardo basso, non dava cenno di voler mangiare e cercava di risultare il più impassibile possibile. Anche se la tristezza e la rabbia creavano una tempesta dentro di sé, non poteva permettersi di mostrarlo.

Ogni mezz’ora entravano e fuoriuscivano dalle porte della cucina camerieri, i quali posavano le portate piene di cibo sul tavolo e riprendevano i piatti vuoti da dover lavare. Il moro non sopportava l’idea che tali persone erano costrette a lavorare quando la magia poteva farlo al posto loro. Infondo il loro non era nemmeno un lavoro, era solo schiavitù. Era vero che avevano alloggio ed un pasto al giorno, ma persino i carcerati venivano trattati meglio.

Durante la cena il ragazzo non poteva fare a meno che sentire i discorsi crudeli e per lui insensati che i suoi familiari tenevano. Parlavano di questioni che a lui ormai non riguardavano affatto, di cui non gli importava niente di niente. Suo fratello si immergeva in discorsi riguardo alla magia con suo padre, un uomo d’onore che si sentiva capo di tutti. Sentì questioni riguardanti la loro famiglia, i suoi fratelli erano costretti da un momento all’altro a dover dare alla luce dei figli pur di continuare la dinastia della famiglia. Almeno per lui non c’era questo problema, ma non era sicuro che il suo presunto futuro sposo fosse felice di questo. Di certo avrebbe trovato il modo di poter dare alla luce un erede, avrebbe usato il matrimonio solo per diventare più forte e poi avrebbe assunto qualsiasi donna pur di permettergli tale scopo. Il pensiero di Kiyoomi però era rivolto solo ai suoi fratelli, se avessero avuto dei figli non poteva immaginare a quale tremenda vita sarebbero stati sottoposti.

Il tema principale che però animava le discussioni della serata era di certo il matrimonio. Chiamarlo in quel modo era solo una maniera elegante per nascondere ciò che in realtà era, un rituale. Durante tale atto i due promessi sposi dovevano unirsi attorno ad un cerchio formato dai loro più stretti parenti di sangue; il loro compito era quello di recitare una formula magica mentre la coppia doveva tenersi per mano, a debita distanza. Intorno alle braccia degli sposi si formava una catena che andava a simboleggiare il legame stretto ed eterno. Quel rituale serviva per far sì che la coppia condividesse molte cose: la salute, entrambi potevano capire se l’altro stava male, i propri sentimenti, riuscivano a percepire ciò che il loro cuore provava, ed infine univa il loro potere. Il potere però diveniva più forte quando i due sposi erano a contatto ravvicinato, se uno dei due moriva, andava perso parte del potere. Infine da quel rituale la loro mano sarebbe stata marchiata in eterno da un simbolo raffigurante lo stemma del proprio sposo, a simboleggiare così il loro legame.

Non era un matrimonio, ma una condanna alla schiavitù.

Quando arrivò l’ora del dolce una giovane ragazza uscì dalla cucina con in mano un vassoio contenente una deliziosa torta di mele, uno dei dolci preferiti della famiglia. Il vassoio era grande tanto quanto la giovane cameriera, sembrava che da un momento all’altro avrebbe ceduto, ma per fortuna la ragazza riuscì a portare il piatto sul tavolo. Kiyoomi notò che era davvero giovane, tremava nel recuperare i piatti sporchi da portare in cucina ed era evidente quanto stesse morendo di paura. La maggior parte dei servitori di famiglia Sakusa era gente povera, talmente disperata da accettare qualsiasi lavoro gli offrisse un tetto sotto cui stare. Eppure gli bastava un giorno per capire che quella villa rappresentava l’inferno per gli umani.

La cena continuò senza problemi finché un rumore assordante acquisì l’attenzione di tutti i presenti. La giovane cameriera tremante osservava i piatti che le erano caduti dalle mani, si inginocchiò per recuperarli ma la paura le bloccava anche il respiro. Un servizio del genere non poteva essere accettato nella villa Sakusa.

La padrona di casa sibilò un “piccola ingrata” per poi puntare la mano verso la ragazza. I capelli della giovane cameriera furono tirati verso l’alto fino a farle lasciare i piedi da terra. Appesa in aria la ragazza iniziò a gridare dal dolore con le lacrime agli occhi, muoveva le gambe cercando di ritrovare terreno ma non poteva niente contro quel potere sovrannaturale.

« Come osi ridicolizzare così la nostra famiglia?! »

Gli occhi della donna erano illuminati d’un blu scuro mentre continuava con quella magia, come se volesse strappare i capelli a quella ragazza.

« Lasciatela andare madre. »

La voce ferma e decisa di Kiyoomi acquisì l’attenzione degli ospiti. Fino a quel momento non aveva mosso un dito, ne aperto bocca, solo in quell’istante diede segno di essere lì presente alla cena.

« Non ne vale la pena, ci penserà Motoki a lei. Lasciate che siano gli umani a punirsi tra loro. »

La signora Sakusa posò lo sguardo severo e freddo verso il proprio figlio. Kiyoomi aveva perso la fiducia dei suoi genitori fin da quando viveva in quella casa, era stato il fallimento della famiglia e per questo non era per niente accettato. Ora che era tornato però sua madre sentiva di possedere finalmente controllo su di lui. Bastava usare l’umano di cui si era innamorato come ricatto per poter fare in modo che obbedisse ad ogni suo ordine.

Quelle parole sembrarono colmare la rabbia della donna. Abbassò la mano e con un gesto elegante si risistemò il guanto bianco.

« Ben detto. » rispose con serietà guardando verso il figlio più giovane, quasi compiaciuta di come finalmente si stava comportando.

Kiyoomi non poteva far altro che mentire, fingere di essere d’accordo e recitare la parte che i suoi genitori si aspettavano da lui, proprio come i suoi fratelli. Aveva deciso di rinunciare alla sua libertà, non avrebbe cercato di ribellarsi. Era diventato l’ennesimo burattino per la sua famiglia, ma per garantire la salute di Atsumu avrebbe fatto questo ed altro.

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Capitolo 13
*** Il fatidico giorno ***


Il giorno che aveva sperato non arrivasse mai, era diventato reale. Ciò per cui Kiyoomi aveva combattuto dall’adolescenza fino a quel momento era stato vano, doveva dire addio alla sua libertà e a quella speranza di vivere senza costrizioni. Il suo incubo stava per avverarsi e non poteva fare niente per fermarlo.

Come era stato per i primi due figli della famiglia Sakusa, anche per il più piccolo l’intero paese era a lavoro per organizzare un “matrimonio” perfetto. Tutti i paesani, che fossero adulti o bambini, dovevano svolgere un compito che avrebbe contribuito all’organizzazione di quella cerimonia, e soprattutto ad evitare qualsiasi imprevisto. Il fioraio del paese doveva portare alla famiglia i fiori più belli che avesse mai avuto, quei fiori sarebbero andati ad abbellire la piccola chiesa del paese dove si sarebbe svolta la cerimonia. Le altre decorazioni sarebbero state portate dalla sarta più brava del luogo, portando nastri e decori da utilizzare all’interno della chiesa. Il pasticcere, il panettiere e chiunque altro cuoco del borgo avrebbe dovuto contribuire ad un enorme banchetto per festeggiare; i musicisti più abili avrebbero suonato la musica più soave che esistesse; tutti si sarebbero vestiti in maniera elegante per festeggiare la bella notizia. Ma nella chiesa non sarebbe entrato nessun umano, avrebbero atteso fuori la fine della cerimonia fino all’arrivo della nuova coppia sposata.

Veniva chiamato matrimonio, ma non era altro che un rituale. L’unica cosa che permetteva a quella specie di cerimonia di essere considerata tale era la fatidica domanda che, come ad ogni matrimonio, si rivolgeva ai due sposi. Entrambi avrebbero dovuto acconsentire a quell’eterna vita che li attendeva, c’era bisogno di una stretta di mano e di un semplice “Sì” per legare l’anima dei due stregoni per sempre. Sarebbe bastato non rispondere o negare per evitare che quel rituale non si completasse, ma in quel modo Kiyoomi avrebbe messo in pericolo la sua vita e quella di Atsumu e ciò non poteva permetterlo.

Quella mattina nella villa Sakusa tutti erano impegnati a realizzare i preparativi per la cerimonia. Nella stanza dove aveva trascorso la sua vita piena di contrastanti emozioni, Kiyoomi lasciava che sua sorella lo preparasse per ciò che stava arrivando: per il suo matrimonio, seppur non voleva considerarlo tale. Con il sorriso di una donna gentile ma con gli occhi spenti di una bambola, sua sorella Hitomi sistemava i capelli riccioluti del fratello. Il moro sedeva davanti al comò con lo sguardo perso nel riflesso dello specchio. Erano giorni che in quel riflesso riusciva a vedersi com’era cinque anni prima, quando era un’adolescente che spesso piangeva per lo stress causato da quella vita, oppure quando era infuriato per tutte le ingiustizie e le punizioni che subiva. In quel momento non poté far altro che vederlo, il sé stesso di diciotto anni che lo guardava con disprezzo, perché non poteva credere che alla fine aveva ceduto a quella richiesta. Stava per rovinare la sua vita con le sue stesse mani e la cosa peggiore era che ne era consapevole.

Ancora non riusciva a credere che un giorno quel matrimonio sarebbe diventato realtà. Aveva passato l’esistenza a giurare persino sulla propria vita pur di non cedere la sua volontà e la sua libertà, le cose più preziose che una persona aveva. Da sempre era scappato da quel destino che i suoi genitori avevano scritto per lui, era andato alla ricerca di un’alternativa dove si sarebbe potuto sentire libero di scegliere per sé stesso. Da sempre aveva sofferto molto, era stato punito per tutte le volte che si era ribellato, costretto a scappare e vagare nella solitudine per anni, finché un giorno capì cosa voleva farne della sua vita. Voleva viaggiare, scoprire nuovi luoghi e sentirsi libero, ma se ripensava alla sua condizione capiva che quel sogno era impossibile, non poteva farlo. La sua natura era pericolosa per il mondo, per le persone e sopratutto per l’uomo che amava.

« Sei bellissimo! » sorrise ingenuamente Hitomi « Tuo marito non saprà resisterti, ne sono certa. » dallo specchio volgeva uno sguardo amorevole al suo piccolo fratellino.

Quella parola faceva venire il voltastomaco al ragazzo. Nella sua vita non aveva mai pensato di volersi sposare seriamente, non sarebbe stato pronto a voler condividere la sua vita con qualcuno. Pensava che il matrimonio fosse un altro modo per incatenare la vita di due persone e di renderle schiave di quel vincolo. Eppure adesso se pensava a qualcuno con cui avrebbe voluto condividere la propria vita in eterno, quel qualcuno era Atsumu. Se il matrimonio rappresentava un legame talmente forte per due persone umane, allora sarebbe stato disposto a compierlo per lui. Era certo che nella sua vita non si sarebbe mai stancato di passare ogni giorno con l’arciere, si era innamorato di qualsiasi sua piccola particolarità, e chissà quante altre avventure li attendeva in quella vita che sognava. Se fingeva che quel giorno si sarebbe legato a vita con il biondo, se lo immaginava sull’altare ad aspettarlo, forse poteva fingere di essere anche felice. La realtà però era difficile da accettare e sopratutto da cambiare.

In quello specchio, in quella stanza, in quella villa Kiyoomi sapeva che non sarebbe mai stato felice. Era consapevole che quel sogno ad occhi aperti era solo un illusione, il suo destino era stato scelto e la sua vita era stata venduta. Non sarebbe più stato felice, non avrebbe più provato quei sentimenti positivi che lo avevano fatto sentire vivo. Non avrebbe più provato amore, né affetto.

Per la cerimonia che stava arrivando il moro fu obbligato ad indossare un completo reale che lo faceva sembrare un principe. Il suo abito era nero, ma la camicia indosso e le maniche che fuoriuscivano erano bianche e creavano un contrasto chiaro-scuro. Sua sorella gli rese i capelli più lucenti di quanto li avesse mai avuti, i suoi riccioli neri erano stati sistemati così da non risultare ribelli. Era pronto per potersi mostrare davanti al suo futuro sposo, alla persona che odiava di più ma con la quale avrebbe passato il resto della vita.

Il rituale si sarebbe svolto nella chiesa del paese, non era né grande e né piccola, risultava perfetta per accogliere gli stregoni che avrebbe dovuto ospitare. Al suo interno i paesani avevano pensato a tutto, alle decorazioni, ai fiori e soprattutto a preparare l’altare. Su di esso ci sarebbero stati solo i due sposi mentre attorno a loro le rispettive famiglie.

I signori Sakusa erano già all’interno della chiesa, insieme a loro vi era il figlio maggiore, i signori Inoue e Taro. Tutti attendevano l’arrivo del giovane sposo.

Davanti al portone della chiesa Kiyoomi non poteva far altro che scrutarla nel minimo dettaglio. Un luogo che per gli umani rappresentava sicurezza e un posto sicuro, per lui non era altro che l’inizio della sua rovina. Sua sorella Hitomi avrebbe dovuto accompagnarlo all’interno dell’edificio, proprio come un padre avrebbe dovuto fare con una figlia al suo matrimonio. La sola differenza era che non c’erano buone intenzioni in quel gesto, niente di tutto quello era consensuale. I paesani davanti alla chiesa scambiavano dolci sorrisi e congratulazioni al più piccolo della famiglia, ma lui non riuscì a rispondere in alcun modo.

Davanti alla chiesa i suoi occhi la scrutavano tremanti, il suo corpo si rifiutava di muoversi e la paura aveva preso il sopravvento. In tutta la sua vita Kiyoomi aveva spesso avuto paura, dei suoi genitori, della propria magia, delle punizioni che gli riservavano. Per la prima volta però la paura prese il sopravvento, si sentì impotente davanti a ciò che stava per accadere e l’istinto gli consigliava di scappare. Sapeva però che arrivato a quel punto non poteva far niente, per quanto i suoi occhi volevano riempirsi di lacrime e le sue mani tremavano dal terrore, niente avrebbe cambiato ciò che stava per accadere.

« Sei pronto Kiyoomi? »

La dolce voce di sua sorella acquisì l’attenzione del moro, quest’ultimo volse lo sguardo verso di lei mostrando il terrore negli occhi. Niente però sembrò scuotere quella donna, il suo sorriso ingenuo era inscalfibile e lo sguardo verso suo fratello sembrava premuroso. Non riusciva a vedere quel terrore e quella paura nei suoi occhi, e se riusciva a percepirla alla ragazza sembrava non importare. Tutto doveva essere perfetto, così avevano detto i loro genitori, così dovevano andare le cose.

Hitomi posò una mano sulla schiena del fratello e lo portò leggermente avanti, ma il ragazzo non aveva intenzione di camminare. I suoi piedi erano incatenati al terreno e qualsiasi cosa lo smuovesse non serviva a niente, la paura era troppo evidente in sé.

Niente però avrebbe rovinato quella giornata.

Gli occhi della sorella maggiore si illuminarono di un violetto accesso mentre con un’altra spinta forzò suo fratello a muovere i piedi. Senza più avere controllo del proprio corpo, Kiyoomi si ritrovò ad aprire la porta della chiesa e ad entrare in quel luogo che avrebbe segnato la sua fine.

La chiesa si presentava con una grande navata centrale, in alto vi erano delle vetrate ben decorate mentre il pavimento brillava di un marmo elegante. Al centro vi era stato steso un tappeto rosso, simile a quello di casa Sakusa, ai suoi lati vi erano due file di panche vuote dove solo i primi posti erano occupati. L’altare era di marmo bianco, era stato liberato da tutti gli oggetti che di solito lo occupavano e sulla parete dietro ad esso vi era un’enorme croce. Il luogo era illuminato dalla luce che entrava dalle vetrate, sparse candele erano accese in ogni angolo e sotto la croce vi era un enorme candelabro. Quel luogo sarebbe sembrato carino in circostanze diverse, ma quel giorno qualsiasi cosa provocava terrore negli occhi del moro.

Le gambe del ragazzo si muovevano da sole, lentamente avanzavano verso l’altare mentre accanto a sé Hitomi lo seguiva sorridendo. Indossava un vestito lungo, pieno di fiori che la rendevano graziosa e tra i capelli teneva un’enorme rosa rossa. Kiyoomi invece per quanto fosse stato preparato con la massima precisione e la massima eleganza, sul suo volto non vi era alcun sorriso. La paura che regnava in lui non era più visibile, perché davanti ai suoi genitori non l’avrebbe mai mostrata. Il suo volto era apatico, i suoi occhi spenti e si era rassegnato a quell’idea che non avrebbe più avuto un futuro libero.

Il suo sguardo si posava sulle diverse persone lì davanti. Osservava attentamente suo fratello come per esprimere attraverso quello sguardo tutto il suo disgusto, perché ancora non riusciva a capire il comportamento dei suoi fratelli. Come avevano potuto fargli questo? Come potevano non capire come si sentisse realmente?

Quando Kiyoomi passò accanto ai suoi genitori, lui non li degnò nemmeno di uno sguardo. La sua attenzione si volse esclusivamente verso il ragazzo che stava sull’altare, verso il suo futuro marito. Taro indossava un completo elegante blu, i bottoni erano dorati e le maniche sporgenti della camicia bianca in bella vista. Vi era un grande sorriso sul suo volto, i suoi occhi puntati verso quelli del moro e porse con delicatezza una mano verso Kiyoomi. Le loro mani sarebbero dovute restare unite per molto tempo finché il rituale non si fosse compiuto.

La magia di Hitomi svanì e quando Kiyoomi si ritrovò davanti all’altare sentì il corpo quasi cedere dallo sforzo che aveva subito. Riuscì a mantenersi in equilibrio e i suoi occhi si posarono su quella mano tesa verso di lui, quella mano che lo incitava a salire lì sopra. Non era affatto come quella di Atsumu, l’arciere riusciva a farlo sentire al sicuro attraverso quel contatto e a guidarlo nelle loro avventure. La mano di Taro invece per quanto fosse in una posa elegante, da nobile educato quale era, lo istigava a sottomettersi, a dover rinunciare alla sua libertà. Per quanto la paura di perdere tale libertà, mista alla rabbia di quell’ingiustizia, fossero forti, Kiyoomi doveva ricordare il perché si trovava lì, perché lo stava facendo.

Atsumu, era semplicemente per lui che si stava costituendo a Taro. Doveva tenerlo al sicuro, doveva permettergli di vivere la sua vita da umano e non poteva ostacolare la sua libertà. La sua sola presenza, quel solo anno passato insieme lo aveva messo in pericolo ed ora non poteva rischiare che ciò accadesse di nuovo.

Prese quella mano, fece due passi avanti e si posizionò su quell’altare bianco. Non riusciva a fermare il tremolio del proprio corpo, ma ormai Kiyoomi aveva preso quella decisione. Lo stava facendo per Atsumu, doveva proteggerlo dalla sua famiglia. Aveva commesso un grosso errore, il mago doveva sapere che stando insieme a lui lo avrebbe messo in pericolo, prima o poi le conseguenze delle sue azioni sarebbero arrivate e l’unico che doveva pagare era lui. L’arciere era innocente, in mezzo a tutta quella questione di stregoni non c’entrava nulla ed era solo colpa sua se l’aveva messo in mezzo. Era colpa sua se l’aveva fatto innamorare di lui, era colpa sua se l’aveva messo in pericolo e doveva rimediare a quell’errore.

Ma infondo… quale errore? Lui non aveva commesso nessun reato. Se amare fosse stato un reato allora il mondo intero sarebbe finito in rovina. Era da tutta la vita che Kiyoomi lottava contro quell’ingiustizia, lottava contro le assurde regole di quella casa e soprattutto contro la sua natura. Eppure in quell’anno aveva capito che la sua natura non era poi così oscura, non era malvagia come pensava. Se ripensava a quell’anno ricordava di aver salvato Atsumu molte volte, ricordava di aver aiutato molte persone attraverso la sua magia; come quando aveva riportato in vita il mercato di Zehria, oppure quando aveva raccolto le mele di Aresil per i suoi nuovi amici. Aveva commesso tanti errori nella sua vita, ma se rifletteva bene non c’era niente di sbagliato in ciò che aveva fatto quell’anno.

Attorno ai due ragazzi sull’altare, le rispettive famiglie si posizionarono in un semicerchio. Ogni componente si teneva per mano e cominciarono a formulare quell’antico rituale che tutti gli stregoni dovevano compiere. Le mani dei due ragazzi dovevano rimanere unite mentre sul suolo cominciò a formarsi il simbolo di una runa. I rispettivi stemmi delle diverse famiglie venivano uniti in un unico stemma che avrebbe raffigurato il nuovo legame tra i due stregoni.

Taro non faceva altro che guardava il ragazzo davanti a sé, teneva stretta la sua mano con il timore che qualcosa potesse andare storto, mentre cercava di capire l’espressione del moro. Kiyoomi dal canto suo aveva lo sguardo totalmente perso nei pensieri, perché più ripercorreva la sua vita e più si convinceva che tutto quello era sbagliato. Era da tutta la vita che se lo ripeteva, tutta la vita a combattere pur di evitare quello che stava per accadere. Sarebbe bastato un semplice consenso per legare le anime dei due stregoni, per unirli nel potere ma anche nei sentimenti. Era un legame talmente intimo che andava oltre le questioni umane, era come poter leggere la mente di un’altra persona perché legata ad essa in ogni cosa. Era un modo per rinunciare alla propria libertà, un rituale che avrebbe rovinato la sua vita.

« Taro Inoue, accetti di consegnare il tuo potere e la tua anima al figlio della nobile famiglia Sakusa? » pronunciò la signora Inoue.

Lo sguardo del moro si alzò verso quello del suo futuro compagno, quegli odiosi occhi lo scrutavano dall’alto del suo potere. Il sorriso beffardo sul volto e l’espressione di un uomo che aveva conquistato il suo obiettivo.

« Si, accetto. »

« Kiyoomi Sakusa, accetti di consegnare il tuo potere e la tua anima al primogenito della nobile famiglia Inoue? »

No, Kiyoomi non voleva questo, non voleva rinunciare alla sua libertà personale. Non gli importava niente di quello stupido potere, non avrebbe mai accettato di obbedire ad ogni richiesta dei suoi genitori e non gli importava niente della sua natura. Se quello era il destino di uno stregone, allora Kiyoomi non voleva esserlo. Sarebbe stato l’unico stregone della famiglia Sakusa a sporcare il sangue dell’albero genealogico, sarebbe stato l’unico a mettere fine a quella gerarchia familiare. Forse sarebbe stato anche l’unico a morire per tale causa, ma non avrebbe mai più ceduto la sua vita.

Mi dispiace Atsumu.

Rompé il contatto. Il simbolo che si stava formando ai loro piedi svanì, la luce che emanava divenne sempre più fioca fino a scomparire. Kiyoomi portò la mano nella giacca interiore del suo completo, tirò fuori da essa un pugnale e lo scagliò contro il ragazzo davanti a sé. Sul suo volto era viva la rabbia, fu come se quella forte emozione avesse preso possesso del suo corpo e lo avesse spinto fino a quella decisione. Nel suo sguardo si riversò quel rancore che portava con sé da anni, sembrava impazzito ma arrivato fino a quel punto non era più riuscito a resistere. Non si sarebbe sottomesso così facilmente.

Quel gesto non servì a niente, la sua mano si fermò a mezz’aria, avvolta dall’aura verde scura della magia di Taro. I suoi occhi illuminati di verde lo scrutavano con molto stupore ma anche con un briciolo di collera.

« NON LO FARÒ MAI! » urlò dalla rabbia Kiyoomi « ANCHE A COSTO DI MORIRE ORA, NON RINUNCERÒ MAI ALLA MIA LIBERTÀ! »

Il suo sguardo pieno d’odio e rabbia sembrò far paura al ragazzo davanti a lui. Per quanto la magia lo tenesse fermò, Kiyoomi cercava in tutti i modi di spingere la presa e di colpire con quel pugnale il ragazzo. Era riuscito a nasconderlo nelle vesti senza che sua sorella lo vedesse, quella mattina era indeciso se portarlo con sé ma, non avendo la possibilità di usare la propria magia, Kiyoomi si sentiva disarmato. Adesso non gli importava più niente, anche a costo di morire non avrebbe rinunciato alla sua libertà.

Intorno ai due ragazzi i signori Inoue sembrarono sconvolti, mentre i signori Sakusa non potevano che essere furibondi. Tra tutti però quello più arrabbiato era Taro che ora condivideva quello stesso sguardo con il moro.

« Insolente… » riuscì a dire accecato dalla rabbia « Come hai- »

Taro non riuscì a finire la frase che qualcosa lo colpì. Fu come un lampo, in meno di un secondo una freccia lo colpì al petto togliendogli per un attimo il respiro. Una spessa freccia dal colorito rosso aveva trafitto il corpo del ragazzo, non era andata molto in profondità ma per un soffio aveva sfiorato il polmone.

La rabbia di Kiyoomi si tramutò in assoluto stupore, la sua mano, che era rimasta a mezz’aria per via della magia di Taro, tornò a muoversi liberamente e lasciò cadere il pugnale a terra. L’incantesimo che in quei giorni aveva privato il moro della propria magia e che lo aveva reso prigioniero del paese era svanita. Le manette che erano state evocate attorno ai suoi polsi si spezzarono. Finalmente il potere dentro di sé stava tornando.

Il moro portò le mani davanti a sé come per scrutarle, d’un tratto si illuminarono di azzurro, proprio come i suoi occhi e improvvisamente capì che il suo potere magico era tornato. Davanti a sé Taro cominciò a sputare sangue mentre le persone in cerchio si guardarono intorno per capire da dove fosse arrivata quella freccia, increduli per ciò che era appena accaduto. Per quanto si sforzasse, il primogenito della famiglia Inoue non riusciva a rigenerare quella ferita. La sua magia era del tutto svanita e qualsiasi cosa avesse avuto quella freccia, lo aveva reso estremamente debole.

Pochi secondi dopo si udì il rumore di uno sparo. Dall’alto una rete andò a colpire la secondogenita della famiglia Sakusa che l’avvolse e la rese incapace di ribellarsi. Kiyoomi riconobbe quella rete, fu la stessa che utilizzarono i cacciatori di stregoni quel giorno mentre era con l’arciere. Infatti sua sorella Hitomi per quanto si sforzasse non riusciva a muoversi e soprattutto non riusciva ad attuare alcuna magia. I signori Sakusa sembrarono accecati dalla rabbia, tutti i presenti alzarono lo sguardo in alto. Nel tetto della chiesa, tra le vetrate che la decoravano, vi era una fessura che lasciava intravedere il cielo.

E fu lì che tutti lo videro.

« KIYOOMI! »

Da quella fessura cadde una corda, attaccato ad essa vi era la sagoma di un ragazzo che in contrasto con la luce della luna nascondeva il suo volto. Nella mano libera però era evidente che stringesse un lungo arco.

« NON LASCERÒ CHE TI PRIVINO DELLA TUA LIBERTÀ! »

Quella voce suonò nelle orecchie del moro come la sua unica salvezza. La stessa voce che lo aveva accompagnato per un anno e che gli aveva ripetuto milioni di volte quanto fosse forte e coraggioso, la stessa che gli aveva giurato amore eterno. Kiyoomi alzò lo sguardo e finalmente dopo una settimana di terrore lo rivide, non più sdraiato su quel tavolo, ma vivo e vegeto. Atsumu era tornato. Il suo corpo si muoveva proprio come la prima volta che l’aveva visto, riusciva a tenersi a quella corda stringendola con il gomito mentre le sue mani erano libere di usare l’arco. Era tornato agile e forte come una volta, riusciva a muoversi con destrezza ed ora che poteva difendersi da solo, era pronto a combattere. Finalmente era guarito ed era tornato a riprendere il suo compagno di avventure per portarlo indietro con sé, a quella vita che avevano creato insieme.

Finalmente dopo giorni di agonia un lieve sorriso tornò a vivere sul volto del moro, i suoi occhi divennero leggermente lucidi e in uno strano modo Kiyoomi si sentì già libero. Bastò la sola presenza di Atsumu per farlo sentire al sicuro, per dargli la speranza di combattere fino alla fine per un futuro migliore. Per il loro futuro migliore.

Nella sua discesa Atsumu riuscì a scoccare frecce ad una velocità impeccabile, riuscì a colpire i signori Inoue sulla spalla e sulla gamba. Quelle frecce in pietra di luna rossa erano la sola speranza che aveva per combattere quegli stregoni, li indeboliva e impediva loro di attuare magie. Sapeva però che non erano abbastanza, ma qualunque fossero i mezzi a sua disposizione il biondo avrebbe combattuto.

Alla vista di quel ragazzo che stava compromettendo la cerimonia, la signora Sakusa alzò una mano verso di lui. Era pronta a scagliare contro quel misero umano una scarica elettrica talmente forte da ridurlo in cenere. Inaspettatamente però sentì qualcosa tirargli la mano fino a farla abbassare, notò che una catena illuminata di blu cercava di compromettere le sue intenzioni. La sua rabbia divenne ancora più accecante e voltò lo sguardo verso colui che stava attuando quella magia, verso il più piccolo dei suoi figli.

« TU… » urlò in preda alla rabbia « Sei un fallimento per la nostra famiglia! »

Quelle parole non urtarono nemmeno un po’ il ragazzo, il quale ricambiò un sorriso divertito come risposta. Agli occhi della donna sembrò come rivedere lo stesso ragazzo di cinque anni prima, l’adolescente ribelle che non si faceva mettere i piedi in testa.

« Lieto di sentirvelo dire madre! »

Kiyoomi stava evocando delle catene dal terreno per tenerla ferma, era riuscito a liberarsi di quel vincolo che non gli aveva permesso di usare la propria magia, ma adesso che poteva non si sarebbe tirato indietro. Avrebbe difeso Atsumu da tutti loro e se fosse stato costretto li avrebbe anche uccisi.

Grazie all’aiuto del moro Atsumu riuscì a scoccare l’ennesima freccia, questa volta rivolta verso il fratello maggiore del suo compagno, Mito Sakusa. Ogni persona lì presente per il biondo rappresentava una minaccia e non si sarebbe fermato davanti a nessuno. Non avrebbe lasciato loro l’occasione di contrattaccare.

La freccia per sfortuna sfiorò di pochissimo lo stregone sotto i suoi piedi, il quale riuscì a schivare in tempo e ad evitare tale attacco.

« Maledetto umano» sogghignò mentre si rimise in piedi « Ti pentirai di aver intralciato la nostra nobile famiglia! »

Mito cominciò a scagliare contro l’umano degli spuntoni di ghiaccio, i suoi occhi si illuminarono di blu notte mentre le sue mani vennero avvolte da un’aura bianca. Atsumu riuscì a schivare quei colpi molleggiando la fune che lo teneva in aria e che lo faceva scendere lentamente sul terreno.

« Staremo a vedere! » urlò in sfida, quasi divertito da quel combattimento.

L’arciere questa volta non si sarebbe fatto colpire molto facilmente, avevano provato ad ucciderlo attraverso quella maledizione ma adesso non glielo avrebbe permesso.

Il signor Sakusa era pronto ad aiutare suo figlio e a scagliare contro quell’umano una maledizione che lo avrebbe lentamente ucciso, ma non riuscì nemmeno a posizionare le mani che qualcosa lo colpì. Dall’alto delle vetrate arrivò un dardo a colpirgli la spalla, quella freccia colorata di rosso scuro sembrò pesare tanto quanto un macigno e portò il corpo del signor Sakusa a cedere e a portarsi in ginocchio.

« M-Ma cosa… »

Dalla stessa fessura da cui Atsumu era sceso, un altro umano stava osservando il combattimento dall’alto e stringeva tra le sue mani una balestra. Osamu era rimasto in disparte in quella difficile battaglia, dall’alto si assicurava che suo fratello combattesse senza problemi ed era pronto a colpire chiunque avesse provato ad attaccarlo. Aveva con sé la sua arma munita di dardi anti-magia ed era stato lui che, grazie ad un arpione datogli da Aran, era riuscito a sparare la rete cattura stregoni contro Hitomi. Rispetto ad Atsumu, Osamu faceva uso delle sue doti di alchimista, i suoi dardi erano imbottiti di un veleno anti-rigenerazione magica che permetteva di indebolire ancora di più uno stregone.

Il signor Sakusa infatti non riuscì più a far nulla. Il dardo lo aveva colpito in pieno petto, ma anche se lo avesse rimosso dal suo corpo, il suo potere magico non sarebbe tornato facilmente. Quella specie di veleno lo stava indebolendo sempre di più e lo portò ad inginocchiarsi, non avendo nemmeno le forze per rimanersi in piedi.

Nel mentre Kiyoomi era ancora impegnato a combattere contro sua madre, contro la donna che insieme a suo padre lo avevano maltrattato da tutta la vita. Finalmente il suo potere era tornato, la magia scorreva nel suo corpo come non aveva mai fatto prima e sembrò fosse incentivata dalle forti emozioni che stava provando. La rabbia principalmente era quella che spingeva il moro a combattere e grazie ad essa riuscì a scagliare contro sua madre diversi incantesimi. Sapeva però che lei era molto più forte di lui e che le sue catene non l’avrebbero mai tenuta ferma.

Dall’alto Osamu era pronto ad aiutare suo fratello contro il primogenito dei Sakusa, i due stavano ancora combattendo poiché Mito non aveva intenzione di farsi sconfiggere da un misero umano. L’alchimista aveva caricato nuovamente un dardo nella sua balestra, ma poco prima di poter far fuoco qualcosa acquisì la sua attenzione.

Dalla tasca della sua veste Osamu vide la carta donata da Suna sfilarsi via. La carta finì nella fessura sotto di lui e cadde all’interno della chiesa ad una velocità rallentata, come fosse una piuma che cadeva dal cielo. Sembrava stregata da qualche strano potere ma a qualsiasi cosa sarebbe servita quella carta, Osamu era convinto che li avrebbe aiutati.

Dondolandosi nell’aria la carta sembrò destinata ad arrivare ad una sola persona lì presente nella chiesa.

La signora Sakusa era riuscita a liberarsi da quelle catene ed ora cercava di perforare la barriera protettiva che Kiyoomi aveva evocato attorno a sé. Il moro si sforzava nel tenere viva quella magia il più possibile, ma poteva sentire le sue gambe cedere da un momento all’altro. Ad un tratto però il suo sguardo venne colpito da quel pezzo di carta che stava cadendo. L’immagine che raffigurava la carta era la stessa che Osamu e Suna videro prima della partenza dei gemelli. Era un buco nero, un’immagine misteriosa che dava un senso di ignoto e di profondità. Quell’immagine sembrò riaffiorare nella sua mente, si sforzò di capire dove l’avesse vista prima finché non capì la sua funzione.

Kiyoomi comprese che quella carta non era nient’altro che un portale.

Doveva prendere quella carta, grazie ad essa probabilmente sarebbe riuscito a spedire la sua famiglia e la famiglia Inoue in un regno magico, senza dargli la possibilità di tornare indietro. Esistevano diversi incantesimi che permettevano di evocare dei portali, da quel che sapeva quando un mago evocava un portale e successivamente lo chiudeva, nessuno poteva rievocarlo. Doveva assolutamente provare, era intento a prendere quella carta ma Kiyoomi non poteva far niente contro la magia di sua madre. Se avesse lasciato andare la barriera allora sarebbe stato colpito e fatto a mezzi.

Per fortuna in suo soccorso arrivò una freccia che colpì la donna e disattivò il suo potere magico. Atsumu era riuscito a liberarsi di Mito e finalmente poteva andare in soccorso del suo compagno.

Libero da ogni magia Kiyoomi porse la mano verso la carta e la fece arrivare tra le sue mani con la magia. La scrutò bene e notò che sotto quell’immagine vi erano delle incisioni, delle rune che avrebbero permesso al mago di attuare tale incantesimo. Aveva visto certe cose solo nei suoi libri, ma non aveva mai provato ad evocare un portale. Questa volta però doveva riuscirci a tutti i costi, se voleva liberarsi di loro quello era l’unico modo.

In una mano stringeva la carta mentre portò l’altra verso la parete contenente la croce. Concentrò mente e corpo, era un incantesimo difficile e qualsiasi distrazione lo avrebbe potuto rovinare. Tra le sue mani cominciò a fuoriuscire un’aura molto forte di potere, davanti a quella parete cominciò ad apparire un vortice nero, una tempesta di nubi che piano piano si allargava sempre di più.

Atsumu non capì cosa stava succedendo, ma corse al riparo il prima possibile. Le restanti persone invece erano incapaci di muoversi; il signor Sakusa era ancora steso in ginocchio con il veleno che circolava nelle sue vene; Hitomi era avvolta dalla rete di Osamu, Mito era stato colpito alla gamba e aveva perso l’equilibrio, la signora Sakusa era intenta a togliersi la freccia sulla spalla, ma da lontano Atsumu si era appostato dietro ad una colonna e la puntava con l’arco pronto a qualsiasi evenienza; i signori Inoue erano stati messi fuori gioco, mentre Taro stringeva la freccia al petto con l’intento di toglierla, la rabbia accecante era ben visibile nei suoi occhi.

Il portale per il mondo magico si aprì, Kiyoomi non sapeva quale mondo fosse ma in quel momento quella era la sua ultima preoccupazione. Nella chiesa gli oggetti cominciarono a volare, le panche vennero risucchiate verso quel vortice e le decorazioni iniziarono a cadere in quel limbo. Kiyoomi doveva tenersi con molta forza per non esser risucchiato, ma doveva fare in modo che tutte le altre persone lo fossero. Atsumu si teneva dietro ad una colonna portante della chiesa mentre i signori Inoue incoscienti furono i primi ad essere risucchiati. Non avendo più le forze tutti loro erano in pericolo di vita e non riuscivano a tenere i piedi per terra. Anche Hitomi venne risucchiata da quel portale e persino suo padre che ormai aveva perso i senti per il veleno. Mito combatteva contro quella corrente che lo trascinava, ma non riuscì a tenersi ad una panca che quel vortice lo risucchiò.

La signora Sakusa riuscì a liberarsi della freccia che aveva sulla spalla, ma ciò non servì a nulla perché non aveva abbastanza forze per aggrapparsi a qualcosa. Cercava di camminare contro corrente, ma quel potere era troppo forte per lei e stava venendo risucchiata piano piano da quel vortice. Prima di sparire però riuscì a scambiare lo sguardo con il mago che stava attuando la magia, con il figlio più piccolo. Ormai quella rabbia accecante era del tutto inutile perché davanti a quella situazione non poteva far niente. Prima di esser risucchiata del tutto Kiyoomi ricambiò quello sguardo con uno d’odio e di non perdono.

« Addio madre, farò in modo che le persone si ricordino di me per le mie buone azioni. »

Detto ciò il moro cercò di imprimere ancora più potere in quell’incantesimo, rendendo così più forte la corrente di quel vortice. Sua madre senza potersi difendere venne spedita nell’altro mondo, ed ora vi era solo una persona rimasta.

L’unica rimasta e persino quella messa peggio.

La ferita che Taro aveva riportato era molto grave, ma non così tanto da essere in fin di vita. Non avendo la possibilità di rigenerarsi però quella condizione peggiorava ogni minuto che passa e ciò gli avrebbe riscontrato una brutta cicatrice a vita. Taro guardava Kiyoomi con occhi furibondi, avrebbe voluto vendicarsi contro quel maledetto ragazzino, ma per una volta si sentì debole ed incapace di competere. Per una volta era Kiyoomi quello dal potere più potente e forte.

« Addio. » pronunciò freddamente Kiyoomi, un sorriso si fece vivo sul suo volto nel momento in cui Taro venne risucchiato da quel portale.

La magia cessò di esistere, piano piano Kiyoomi chiuse quel portale, quando ci riuscì sentì le braccia più pesanti del piombo. Nella chiesa era tornato il silenzio e la calma, finalmente quel combattimento era finito.

Finalmente il mago si era liberato della sua famiglia e di quel futuro terribile per sempre. Tutto ciò grazie a quel ragazzo umano che gli aveva cambiato la vita.

Il moro era esausto, quell’incantesimo gli prosciugò tutte le energie che aveva e per questo il suo corpo non aveva più forze. I suoi occhi si socchiusero mentre le gambe cedettero.

Kiyoomi poté vedere come il mondo cadeva insieme a lui, la visuale della croce scendeva fino a toccare quasi il pavimento. Aveva ceduto a tutta quella forza che aveva usato nell’incantesimo, il suo corpo non era abituato a sprigionare tale potere e per questo si sentì più debole che mai. I suoi occhi leggermente socchiusi stavano per abbandonarsi ad un lungo riposo, ma prima che potesse cadere per terra il ragazzo si sentì avvolto da delle braccia. Le stesse braccia che aveva imparato ad amare nell’ultimo anno. Lo stringevano a sé come un bambino stringeva il suo peluche preferito, cercavano di proteggerlo e di tenerlo per non farlo cadere.

I suoi occhi cominciarono a chiudersi mentre all’improvviso sentì il rumore del portone spalancarsi, e rumori di voci indistinte avvicinarsi sempre di più. Tutto cominciò a diventare buio, lentamente stava perdendo i sensi ma a lui non importava.

Finché sarebbe rimasto tra quelle braccia, Kiyoomi sapeva che sarebbe stato al sicuro.

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Capitolo 14
*** L'inizio di una leggenda ***


L’ambiente circostante era umido, dovunque si trovasse non batteva nemmeno un raggio di sole e per questo il freddo era tangente a contatto con la pelle. In quella strana umidità Kiyoomi sentiva un contatto caldo stringerlo a sé, come se attorno alla schiena avesse una coperta che lo tenesse al caldo. Aveva ancora gli occhi chiusi, cercava di riprendere coscienza ma era difficile mettere a fuoco tutto quello che era successo.

In quella stanza vi era un silenzio tombale, l’unico suono che riusciva ad udire era quello del suo respiro. Si sentiva terribilmente stanco, non provava alcun dolore fisico e fortunatamente non era ferito, ma sentiva il proprio respiro più fioco del solito. Lentamente si stava risvegliando, riuscì a riprendere coscienza e grazie a ciò riuscì a distinguere altri rumori attorno a sé. Riuscì ad udire il respiro di qualcun altro, insieme al suo sembrava che andassero all’unisono come se fossero legati. Cominciò a comprendere che quel caldo contatto che sentiva attorno a sé non era una coperta, ma delle braccia sconosciute che lo avvolgevano, quasi stringevano. Il capo era appoggiato su qualcosa di confortevole, mentre poteva sentire delle dita ignote farsi strada tra i suoi capelli e accarezzare dolcemente i suoi riccioli neri.

Dopo alcuni minuti di dormiveglia, Kiyoomi riuscì a trovare le forze per aprire leggermente gli occhi. Ancora non capiva dove si trovasse, ma era certo che era seduto per terra tra le braccia di qualcuno. Inizialmente non si preoccupò di chi fosse la persona che lo stava coccolando, quel contatto era talmente piacevole che sarebbe rimasto lì in eterno. I suoi occhi ancora assonnati e incapaci di mettere a fuoco scrutavano l’ambiente circostante, ciò che colse subito la sua attenzione furono delle sbarre che lo circondavano. Non vi era luminosità in quel luogo, l’unica fonte di luce derivava da alcune candele poste sui muri e da una minuscola fessura alta, anch’essa sbarrata, dalla quale entrava un filo di luce del giorno. Quando finalmente riuscì a distinguere l’ambiente circostante il moro capì di trovarsi in una prigione.

In mente cominciarono a tornare dei lampi di ricordi, scene nella testa di ciò che era successo prima che perdesse i sensi. La prima immagine che risaliva era quell’oscuro vortice di nubi, ricordava di averlo evocato ma non riusciva a darsi delle risposte. Non ricordava se era riuscito finalmente a liberarsi della sua famiglia o se era stato tutto un sogno.

D’un tratto, quasi d’istinto, Kiyoomi scostò le braccia che lo avvolgevano e si portò velocemente seduto. La vista della cella adesso risultava più chiara, intorno a lui vi erano delle pareti di pietra antiche e le sbarre che formavano la cella risultavano di un colore bizzarro. Il mago si voltò subito verso la persona che lo stava accarezzando poco prima e quando lo vide sentì il cuore in gola.

Aveva i capelli più scompigliati del solito, indossava solo i pantaloni mentre metà canotta era stata lacerata, mostrando liberamente il petto ben scolpito. Sul volto e sul corpo presentava numerosi graffi e alcune bruciature, gli occhi brillavano di un marrone intenso ed un sorriso si formò sul volto non appena lo vide sveglio. Dietro alla sua schiena però non vi era alcun arco.

Atsumu era seduto accanto a lui, non riusciva a capire cosa ci facessero lì dentro ma Kiyoomi si sentì improvvisamente sollevato.

« Finalmente ti sei sveg- »

L’arciere non riuscì a finire la frase che sentì l’altro avvolgerlo in uno stretto abbraccio. Kiyoomi si strinse a lui più che mai, affondò il volto sulla sua spalla lasciando che i propri riccioli gli solleticassero il mento. Non riusciva ancora a crederci, finalmente poteva riabbracciarlo liberamente. Finalmente era guarito, era tornato in ottima salute e si era salvato da quella tragica maledizione.

Voleva dirgli talmente tante cose che non sapeva da dove iniziare. Prima tra tutte voleva scusarsi per quello che gli aveva fatto, per non essere stato in grado di badare a lui e per aver lasciato che quella maledizione gli prosciugasse tutte le forze. Si sentiva terribilmente in colpa e non avrebbe mai voluto mostrarsi ai suoi occhi come il mostro che era. Voleva dirgli che gli era mancato, quei giorni senza di lui erano stati i più duri di tutta la sua vita, il pensiero di doversi sposare e rinunciare a tutto gli aveva lacerato l’anima. Voleva scusarsi perché alla fine aveva ceduto, era pronto a dover morire pur di non condannarsi a vita e con quel gesto avrebbe messo in pericolo anche Atsumu. Se non fosse stato per lui a quest’ora probabilmente sarebbe già morto. Non riusciva a descrivere a parole quanto fosse stato coraggioso in quell’azione, come sempre l’arciere l’aveva colpito per il suo coraggio e la sua forza d’animo e voleva ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per lui.

« Grazie al cielo sei salvo! » riuscì a dire mentre continuava a stringere quell’abbraccio « Sei vivo! Sei sopravvissuto contro la mia famiglia! Atsumu… »

Era difficile esprimere a parole i sentimenti che provava, si sentiva finalmente libero di un peso che aveva tenuto da tutta la vita. Non doveva più temere di essere trovato, di tornare in quella villa e in quella vita che aveva odiato. Tutto ciò era solo grazie a quel coraggioso ragazzo. Avrebbe voluto ringraziarlo, ma quell’abbraccio riuscì ad esprimere la sua gratitudine senza l’uso di parole.

« Va tutto bene Omi… » rispose l’altro col sorriso « L’importante è che sei sano e salvo. »

Le braccia dell’arciere tornarono ad avvolgere il moro a sé, lo tennero stretto in un tocco piacevole e soffice.

Diamine quanto gli era mancato, quei giorni non aveva fatto altro che pensare a lui, alla sua salute e a come potesse sentirsi in quella tremenda solitudine. Gli era mancata la sua compagnia, i suoi baci all’inizio della giornata, i suoi complimenti per ogni minima cosa. Gli erano mancati i suoi sorrisi, preziosi e rari che provenivano dal profondo del suo cuore e che lo facevano sentire la persona più speciale del regno. Quel ragazzo gli aveva insegnato cosa significasse amare qualcuno ed era l’unico che riusciva a farlo impazzire. Talmente era impazzito che aveva avuto il coraggio di sfidare un’intera famiglia di stregoni. Non poteva fare altrimenti, pur di tornare alla loro vita insieme Atsumu avrebbe fatto questo ed altro.

Sarebbero rimasti abbracciati per molto, ma c’erano ancora molte domande a cui Kiyoomi non riuscì a dare una spiegazione. Si scostò leggermente dall’abbraccio e nel volgere lo sguardo verso il suo ragazzo, sorrise inconsciamente. Il pensiero che avrebbe visto quel volto ogni giorno della sua vita lo mandava al settimo cielo, non vedeva l’ora di poter tornare a vivere come uno spirito libero. Adesso però dovevano vedersela col presente.

« Non ricordo più niente di quello che è successo. » mormorò il moro risultando ancora leggermente intorpidito « Che ci facciamo qui? »

Il suo tono poco prima felice e sul punto di lasciarsi andare in una gioiosa commozione tornò ad essere stanco e un poco serio. Quel luogo di certo non ispirava niente di rassicurante, non ricordava nulla dopo esser svenuto e non riusciva a capire che diavolo ci facessero dietro le sbarre.

Il mago poté sentire la mano dell’altro accarezzargli dolcemente la guancia, come per farlo sentire al sicuro anche in quella ignota situazione. Atsumu non riusciva a togliere gli occhi di dosso dal suo compagno, vederlo finalmente libero e soprattutto sano e salvo era un sollievo. Non poteva far altro che sorridere ingenuamente nel pensare che adesso non aveva più nulla di cui temere, era libero. Non c’era più nessun matrimonio combinato, i suoi genitori non avrebbero più potuto fargli del male, né torturarlo né ferirlo con la magia. Sarebbe stato libero di poter vivere senza una tale pressione opprimerlo, senza il timore che tutto sarebbe finito da un momento all’altro. Lasciò che la propria mano accarezzasse dolcemente la sua pelle mentre i ricordi tornarono a concentrarsi su tutto ciò che era successo.

« Dopo che sei svenuto le guardie hanno fatto irruzione nella chiesa. Per fortuna ti ho preso al volo prima che cadessi, ma davanti a loro non ho potuto fare niente e non sono riuscito a scappare. Ci hanno messo le manette e caricati su un carro… ed eccoci qui. »

Nel sentire quelle parole Kiyoomi rimase perplesso e non riuscì a capire chi poteva aver chiamato le guardie. La cerimonia non poteva essere interrotta da nessuno, i paesani dovevano restare fuori dalla chiesa, e poi avevano troppa paura della famiglia Sakusa per fare una cosa del genere. Nessun componente della sua famiglia poteva averlo fatto perché erano troppo impegnati in quel combattimento, nemmeno i coniugi dei suoi fratelli perché ormai erano partiti la mattina stessa, perciò chi poteva essere il colpevole?

La risposta arrivò immediata. L’unica persona che era rimasta fedele alla famiglia, che avrebbe fatto di tutto pur di proteggerla e di aiutarla, era per forza colpevole. Al solo pensiero il mago si lasciò scappare una smorfia e assunse un’espressione infastidita e arrabbiata. L’unico a poter fare una cosa simile era il maggiordomo d’onore della famiglia, Motoki. Era rimasto fuori dalla chiesa insieme ai paesani perché nessun umano poteva interferire con la cerimonia, ma di sicuro quando sentì il trambusto provenire all’interno dell’edificio si assicurò di controllare quale fosse il problema e capì che qualcosa non andava. Aveva di sicuro chiamato un protettore della famiglia e grazie a lui aveva spedito una lettera alle guardie, così da condannare sia lui che Atsumu.

Era certo che era stato lui, il solo pensiero di quel tradimento lo disgustava e odiava dal profondo del cuore quell’uomo. Se non fosse stato per lui probabilmente i due ragazzi adesso erano liberi, nel bel mezzo della foresta pronti a vivere quella vita insieme. La sua famiglia era riuscita ad intromettersi nella sua vita anche senza agire direttamente, il pensiero che ci fosse ancora qualcuno disposto a credere in loro gli faceva venire il voltastomaco. Sentì nascere in sé un senso di vendetta, non poteva permettere a nessuna persona che avesse contatti con la sua famiglia di intromettersi nella sua vita, nella sua nuova e libera vita.

Il mago si alzò da terra, ci mise un po’ di tempo dovuto ancora alla debolezza ma riuscì a mettersi in piedi senza cadere. Era furibondo, aveva bisogno di uscire da quella prigione e di schiarirsi le idee. Doveva pensare seriamente a ciò che aveva potuto trascurare, ai pericoli che forse aveva lasciato indietro e che potevano ripercuotersi nel futuro. Alzò la mano verso le sbarre, finalmente si sentiva libero di poter usare la magia come meglio voleva, senza stare a sentire la volontà di altre persone. Sentì per la prima volta una sensazione d’indipendenza che non aveva mai provato e che già gli piaceva.

Cercò di attuare una magia, ma qualcosa andò storto. Non sentì dentro di sé alcun potere magico, la forza che voleva sprigionare non portò a niente e improvvisamente il moro fu colpito da un giramento di testa. Sentì il corpo scosso da un brivido, la testa dolorante, quell’orribile sensazione fu talmente forte da fargli perdere l’equilibrio.

Prima che potesse cadere all’indietro Atsumu si era già tirato in piedi e lo prese al volo avvolgendo le braccia attorno al suo corpo.

« Non devi sforzarti Omi! » rimproverò l’arciere affettuosamente, preoccupato visibilmente per la sua salute « Non puoi usare la magia qui dentro, queste sbarre sono in pietra di luna rossa. È lo stesso materiale di cui erano fatte le mie frecce, a contatto con essa nessun mago riesce ad usare il proprio potere magico. »

Kiyoomi strizzò leggermente gli occhi e cercò di tenersi in piedi. Tutto cominciava ad avere senso, il motivo per cui la sua famiglia non aveva avuto modo di reagire era per colpa di quel materiale. Ripensandoci era lo stesso con cui i cacciatori di stregoni avevano cercato di catturarlo, non ne aveva mai sentito parlare eppure era un materiale mortale per gli stregoni. Se colpiti mortalmente da un arma forgiata in quella pietra, non avevano modo di poter rigenerare le proprie ferite. Doveva tenere bene a mente quella preziosa informazione.

Di colpo nella mente di Kiyoomi riaffiorò un particolare. Se quella prigione era stata costruita per contenere dei maghi, allora una cosa era assolutamente certa.

« Non dirmi che… siamo a Iriewell… »

Atsumu annuì sconsolato. « Mi hai fatto preoccupare, sono passate tante ore da quando sei svenuto. Ti prego non sforzare il tuo corpo. »

L’arciere portò il ragazzo a sedersi nuovamente per terra. Dopo tutto quel tempo dove era stato il mago a prendersi cura di lui, adesso toccava al biondo. Atsumu era certo che l’incantesimo di evocazione del portale del regno magico aveva prosciugato molte forze al suo compagno, non voleva rischiare ancora di più per la sua salute e voleva impedirgli di usare la magia, anche se ne avesse avuto modo.

« Come facciamo ad uscire da qui allora? » domandò Kiyoomi con un filo di voce, portandosi una mano sulla testa.

Di certo nella sua vita aveva affrontato di peggio, il suo corpo era stato portato al limite molte volte e spesso aveva rischiato di morire, ma dopo tutto quello che era successo non poteva far altro che sentirsi debole. Le sbarre anti-magia non aiutavano e di certo nemmeno la stanchezza derivata dal giorno prima.

« È questo il problema. » affermò l’arciere sedendosi accanto al suo compagno « Ascolta Omi, ho sentito le guardie discutere mentre ci portavano qui, hanno detto che ci giustizieranno in piazza. »

A quelle parole il mago sgranò gli occhi ed assunse un’espressione preoccupata. Spesso era capitato che nel suo viaggio le guardie lo avessero catturato, ma ogni volta Kiyoomi riusciva a liberarsi prima di raggiungere Iriewell. Adesso che si trovava in quella cella senza forze né magia non aveva idea di come uscire di lì.

Prima di poter fare domande però trovò sollievo nel sorriso che si era formato sul volto dell’arciere. Come sempre Atsumu riusciva a farlo sentire al sicuro, aveva talmente tanta fiducia in lui che si fidava di qualsiasi piano avesse in mente. Bastava guardare il suo sorriso per capire che sarebbe andato tutto bene.

« Non hai nulla di cui preoccuparti » rassicurò « Insieme a me c’era anche mio fratello, lui è riuscito a scappare all’arrivo delle guardie, ma sono certo che tornerà a prenderci. »

Lo sguardo del mago tornò a soffermarsi sul ragazzo accanto a lui. Probabilmente per via del caos di quel combattimento non aveva notato la presenza di suo fratello, ma sapere che anche lui era stato lì ad aiutare fece sentire Kiyoomi più sollevato. Se Osamu si era spinto fino a quel punto, allora forse aveva smesso di considerarlo un mostro, e di certo ciò era grazie ad Atsumu. Sapere che l’arciere poteva contare sull’aiuto di suo fratello era un’ottima notizia.

« Ne sei sicuro? » domandò il mago con leggero timore dovuto alla stanchezza.

La mano dell’arciere tornò ad accarezzare la soffice guancia del mago, lasciò che il proprio volto si avvicinasse al suo ed un dolce e soffice bacio toccò quella guancia. Kiyoomi chiuse gli occhi come per lasciarsi coccolare da quel gesto, gli erano mancati quei baci e soprattutto quelle labbra.

« Fidati di me. »

Sussurrò l’arciere voltando il viso dell’altro, ritrovandosi a pochi centimetri dalle sue labbra. Non si scambiavano un bacio da settimane, entrambi sentivano la mancanza di quel contatto più di ogni altra cosa ed entrambi lo desideravano più che mai. Lasciarono che le loro labbra si scontrassero dopo tutto quel tempo, finalmente poterono riunirle per dare vita ad un bacio, un bisognoso bacio di cui non potevano fare a meno.

Sulla piccola fessura in alto un corvo si andò a posare con grazia. Era troppo grande per passare tra le sbarre, ma i suoi piccoli occhietti erano volti verso chi c’era all’interno di quella cella. Questa volta il suo compito non era quello di proteggere una persona, bensì due.

***

Era una splendida giornata di sole, i raggi luminosi del giorno mettevano in risalto la città rendendola sgargiante e piena di vita. Iriewell era la città più grande del regno nonché deteneva il titolo di capitale, era circondata da alte mura in pietra ed ospitava le più importanti istituzioni, come per esempio l’accademia dei cacciatori di stregoni oppure le botteghe dei più rinomati sarti. Ad emergere in maniera maestosa e autoritaria vi era un enorme castello nella quale risiedeva una delle più importanti famiglie reali. Era anche la città più popolata del regno, durante il giorno la piazza principale era sempre piena di persone e di bambini che giocavano felici a rincorrersi. Di solito la vita scorreva normalmente, ognuno svolgeva il proprio lavoro in tranquillità e non c’era nulla di cui aver paura. Quella mattina però tutti gli abitanti erano concentrati su ciò che stava per accadere, su ogni muro della città erano stati appesi dei manifesti e il loro contenuto fece parlare molto tra le umili persone. Uno stregone sarebbe stato giustiziato in pubblico nella piazza principale.

Scortato dalle guardie Kiyoomi camminava con un passo lento, le mani dietro la schiena ammanettate ed indosso aveva ancora il vestito nuziale che era stato costretto ad indossare il giorno prima. Volgeva lo sguardo al cielo, si godeva quella fresca aria che gli solleticava il volto e non poteva fare a meno di pensare a quanto fosse bella quella giornata. Pensò che era un dispiacere non poter essere libero, se non fossero in quella situazione lui e Atsumu avrebbero potuto visitare un luogo dove non erano mai stati, apprezzando le meraviglie della natura. Posò lo sguardo verso l’enorme castello ben visibile dalla piazza principale, era certamente più grande rispetto alla villa dove era cresciuto ma infondo pensava che la vita di corte non fosse poi così diversa dalla sua. Obbligato a sottostare a delle regole, dover dare un’immagine falsa alle persone davanti a sé, di certo non doveva essere bello vivere in quel modo. Sotto il castello si stagliava l’enorme piazza della città, quel giorno colma di persone per via dell’importante evento. Sembrava che tutte quelle persone lo stessero aspettando, non vedevano l’ora di vedere dal vivo un mostro.

Una scorta di guardie circondavano lo stregone mentre poco più dietro a seguirlo c’era Atsumu, anche lui ammanettato e scortato da poco più di due guardie. Ormai era considerato complice del presunto mago e per la legge era destinato alla stessa sentenza del suo compagno. Rispetto all’altro però nessuno sembrava volgergli lo sguardo, a nessuno infondo importava di un semplice umano, e come tutti l’arciere non faceva altro che guardare il mago.

Entrambi camminavano tra la folla di persone, gli umili cittadini avevano occhi solo sul pericoloso stregone ed erano meravigliati da quanto quello che veniva definito un mostro fosse talmente simile ad un semplice ragazzo. Nelle storie raccontate dai cacciatori di stregoni che giravano da taverna a taverna, da paese a paese, quelle creature venivano descritte come pericolose e terrificanti, per questo motivo le semplici persone si immaginavano dei veri e propri mostri. Eppure nel guardare quello stregone che passava accanto a loro, non riuscivano a trovarne il pericolo. Infondo sembrava un ragazzo normale come tutti gli altri. Kiyoomi volgeva lo sguardo verso quelle persone, accennava quasi un sorriso di cortesia e non dava segni di stranezze o particolarità. Alto, con una corporatura sinuosa che sembrava un principe, con dei riccioli neri leggermente scompigliati e due nei sulla fronte, il ragazzo si mostrava in tutta la sua bellezza. Un normale ragazzo all’apparenza, condannato a morte per essere uno stregone.

Le guardie non mostravano alcun timore accanto allo stregone, grazie alle manette in pietra di luna rossa erano sicuri che non avrebbe potuto fare niente e che non li avrebbe potuti attaccare. Avevano ricevuto l’ordine di scortare i due prigionieri, attraversarono buona parte della piazza tenendoli sotto controllo fino a che non arrivarono al luogo dove si sarebbe svolta l’esecuzione.

Al centro della piazza era stato allestito un enorme palco di legno, sopra di esso vi era un uomo incappucciato con una veste del tutto nera. Il moro porse la sua attenzione verso quella figura, lo squadrava da cima a fondo poiché sotto quel sole e la sua splendida luce, quell’essere risultava come un angelo mandato dagli inferi. Era il boia, un uomo alto con una possente muscolatura, teneva nella mano una grossa mannaia e per via del cappuccio era impossibile intravedere il suo volto. Per Kiyoomi quell’uomo vestito di nero rappresentava la morte in persona.

« Lasciate che sia il primo ad essere giustiziato. » pronunciò il mago ad alta voce, facendo quasi sussultare le persone attorno a lui.

Poco distante Atsumu lo guardava con uno sguardo preoccupato, ma quasi complice. Era sicuro che suo fratello sarebbe tornato a salvarli, ma se ciò non fosse accaduto sarebbero ricorsi al piano B. Infondo anche se ammanettato il biondo sarebbe riuscito a liberarsi delle guardie attorno a lui senza problemi, ma non di tutte le altre che sorvegliavano la piazza. Al moro invece sarebbe bastato dare un ordine ai propri protettori per liberarsi delle manette. Avevano deciso di attendere, la violenza doveva essere l’ultima opzione per evadere. Inoltre non erano certi di potersela cavare con le proprie forze. Dovevano sperare che Osamu sarebbe tornato a prenderli.

Arrivati sotto il palco di legno le guardie spinsero il mago a salire delle piccole scalette e a posizionarsi accanto al boia. Grazie alla vicinanza Kiyoomi ebbe modo di osservare meglio quell’individuo ma non riuscì a scorgere nessun particolare. Sembrava una statua lì ferma immobile, incapace di parlare e di muoversi per propria volontà.

« Dev’essere un duro lavoro quello di tagliare teste. » commentò lo stregone con ironia andando a posizionarsi davanti a quell’individuo.

Si inginocchiò ed ebbe un’ampia visuale della piazza e della folla di persone che osservavano meravigliate ciò che stava per accadere. Molti di loro lo osservavano con curiosità, con stupore, come se si aspettassero che all’ultimo secondo attuasse una magia e si liberasse da quelle manette. Altri invece si coprivano gli occhi dalla paura di vedere la testa ed il sangue schizzare via. Al solo pensiero della propria testa staccata dal corpo il moro sembrò trattenere una risata.

Non aveva paura della morte, aveva rischiato talmente tante volte di raggiungere l’altro mondo che ormai la considerava una liberazione. A volte l’aveva anche desiderata, sul punto di crollare dalle pressioni fisiche e psicologiche della sua famiglia era finito a pensare alla morte come una soluzione, come fosse una salvezza. Grazie ad Atsumu però aveva scoperto quanto fosse sacra e preziosa la vita, aveva capito che valeva la pena vivere come meglio credeva e che quel mondo era troppo bello per non essere esplorato del tutto. Era riuscito a cogliere con uno sguardo diverso sia la vita che la morte, ma per quanto avesse capito l’importanza di vivere, non aveva timore di morire. Il suo unico timore era quello di perdere Atsumu.

Nella piazza cominciò a formarsi un silenzio comune. Il boia che fino a poco prima era rimasto immobile, aveva battuto sul legno il manico della mannaia, come per attirare l’attenzione, e l’aveva impugnata con entrambe le mani. L’attenzione di tutti i presenti era rivolta verso di lui.

Atsumu non poteva fare a meno che guardare la scena, sentiva le mani pronte a muoversi da sole, le gambe pronte a correre verso quel palco. Sarebbe scattato, se costretto, verso quell’individuo e non gli avrebbe permesso di storcere un capello al moro. Eppure prima che potesse farlo, qualcosa gli diede sicurezza, qualcosa gli fece capire che non ci sarebbe stato pericolo.

« Non muoverti. » furono le dure e fredde parole dell’esecutore.

Quella voce arrivata alle sue spalle risuonò nelle orecchie dello stregone. Era fredda, profonda, ma quelle parole riecheggiarono nella sua mente come se qualcosa gli sfuggisse. Era una voce familiare, forse l’aveva già sentita. Si, era sicuro che l’avesse già udita in passato, ma non ebbe tempo di capire che…

ZAAAAC

Nella piazza rimbombò il rumore delle manette cadute a terra, gli sguardi sconvolti delle persone rivolti verso ciò che era successo. Kiyoomi sentì le mani libere di potersi muovere, il potere magico tornare in lui ed il battito impazzito dallo stupore e dallo spavento. Si voltò verso l’uomo che l’aveva liberato ed ebbe la conferma del suo presentimento.

Il presunto boia si era tolto il cappuccio di dosso, i suoi capelli castani brillavano alla luce del sole e presentava sul volto un mezzo sorriso, soddisfatto della sua entrata in scena.

Da lontano Atsumu cercò di trattenere una risata, ma non riuscì proprio a resistere.

« Questo ragazzo che credete un mostro non ha commesso alcun reato. » annunciò Osamu alla piazza colma di persone.

Un mormorio si protese in tutta la piazza, le persone rimasero sconvolte da quel colpo di scena e tutti si chiesero chi fosse quello sconosciuto. Le guardie non riuscirono più a muovere un muscolo, nel vedere lo stregone libero e senza manette rimasero immobili dove si trovavano e lo fissavano con paura.

« È vero! » urlò una voce in mezzo alla folla. Un giovane dai capelli corvini e dallo sguardo serio attirò l’attenzione di tutti i presenti, quel giovane era Kageyama Tobio. « Non è un mostro. »

Accanto a lui un ragazzo dai capelli rossi gli stringeva il braccio e prese parola al suo posto « Senza il suo aiuto e quello di Atsumu non potremo permetterci le scorte di carne di cui avremmo bisogno! »

Dalle alte montagne due dei cuochi più famosi del regno era arrivati fino alla grande città pur di difendere la vita dei loro amici. Quei due ragazzi li avevano aiutati in così tante commissioni e richieste di aiuto che non potevano stare in disparte. Erano loro amici e per questo si sentivano in dovere di difenderli.

« Se non fosse per lui e per l’arciere non potremmo permetterci di cucinare i nostri dolci, insomma nessun altro riuscirebbe a raccogliere le mele di Aresil! » aggiunse un ragazzo dai capelli neri con un alto ciuffo dal fondo della folla. Al suo fianco vi era un ragazzo dai capelli metà biondi e metà castani che cercava di nascondersi dietro all’altro

I due pasticceri del “Neko Treats” non potevano di certo tirarsi indietro dopo che quel duo li aveva aiutati nelle loro faccende.

« Quel ragazzo ha salvato la vita al suo compagno! Senza di lui non sarebbe in vita! » urlò indignato un ragazzo basso dai capelli bianchi.

In poco tempo le persone della piazza cominciarono ad urlare indignate e a sostenere l’innocenza dei due ragazzi. Paesani che avevano ricevuto il loro aiuto, amici e persino sconosciuti pronti a difendere la vita del famoso duo.

Quel trambusto arrivò persino alle finestre del possente castello, da una di quelle fessure vi si affacciò la figura di un uomo con indosso una corona. Nel sentire le potreste del popolo quell’uomo non poteva fare a meno che cercare di capire cosa stesse succedendo.

Nella piazza arrivarono sempre più voci già conosciute, Kiyoomi non poteva credere alle sue orecchie ma tutte le persone che aveva aiutato nell’arco dell’anno che aveva trascorso con Atsumu erano lì, a sostenerlo. I rinomati cuochi diventati suoi amici, le persone del mercato di Zehria, il ragazzo disegnatore di mappe e persino i due contadini che lo avevano aiutato quando l’arciere stava male. Non pensavano fosse un mostro, anche se nessuno di loro sapeva della sua natura di stregone fino ad ora, adesso erano lì a difenderlo. Le sue buone azioni erano state ricompensate, le persone l’avevano riconosciuto per il suo buon animo e così anche il suo nome sarebbe stato ricordato in buon modo.

Nella piazza si creò il caos, le guardie non ebbero più modo di gestire la situazione e si trovarono impreparate davanti a tutto quel casino. Approfittando di ciò che stava succedendo Atsumu cercò di sgattaiolare lontano dagli ufficiali e di raggiungere il palco di legno. Prima che potesse farlo però un ragazzo gli afferrò il braccio per fermarlo ed acquisì la sua attenzione.

« Non vorrai rimanere ammanettato per sempre. » con un sorrisetto sul volto Suna faceva girare tra le dita un mazzo di chiavi che poi andò ad utilizzare per liberare il biondo.

Inconsciamente un sorriso si fece largo sul volto di Atsumu.

« Grazie mille Rin. » detto ciò il suo sguardo si posò sul palco di legno e si affrettò a raggiungerlo.

Ancora inginocchiato sul palco Kiyoomi non poteva fare a meno che sorridere davanti a tutta quella solidarietà. Si sentì appagato di tutte le buone azioni che aveva svolto e non poteva fare a meno che esserne felice.

« Kiyoomi » richiamò l’attenzione il finto boia « Mi dispiace per averti accusato per qualcosa che non avevi fatto. Non avrei dovuto essere così affrettato. »

Col sorriso sul volto lo stregone si tirò lentamente in piedi e volse lo sguardo verso Osamu.

« Sono contento che Atsumu abbia un fratello protettivo come te. »

In risposta l’oste ricambiò il sorriso e prima di poter aggiungere altro venne interrotto.

« ‘Samu! Sapevo che non mi avresti abbandonato! » urlò l’arciere raggiungendo velocemente il palco « Come hai fatto a riunire tutti qui?! »

« ‘Tsumu. » sorrise l’oste « Grazie alla dedica dietro la tua mappa sono risalito ad Akaashi, lui mi ha aiutato a riunire tutti. Sembra incredibile, ma nessuno si è tirato indietro. » detto ciò Osamu volse lo sguardo verso la piazza colma di persone « Hai visto? Hai una folla che ti acclama. »

Col sorriso di un bambino Atsumu voltò lo sguardo verso quell’immensa folla. Tutti i suoi amici non si erano dimenticati di lui, erano lì a sostenerlo e soprattutto ad aiutare lui ed il ragazzo che amava.

Tutti e tre i ragazzi non poterono fare a meno che rimanere sorpresi da come un’intera folla di persone li stesse acclamando. Persino chi non li conosceva ma erano stati testimoni delle loro buone azioni, avevano deciso di alzare la voce e di urlare in loro nome. Non si sarebbero dimenticati facilmente quello spettacolo davanti agli occhi.

« Contro il potere del popolo il re non può niente, soprattutto se non ha prove a vostro carico. Non possono arrestarvi, siete liberi. » pensò Osamu ad alta voce.

Ciò che l’oste disse era vero, ma niente era ancora deciso. Per essere davvero liberi dovevano ottenere l’approvazione del re stesso.

Atsumu volse lo sguardo versò il castello, sapeva che stavano attirando l’attenzione ed era la sua occasione per cambiare le cose. Nessun re poteva ignorare ciò che il popolo stava urlando.

« CONCEDETECI LA LIBERTÀ! » urlò rivolto verso quel possente edificio « Queste persone sono la prova delle nostre buone azioni! Continueremo ad aiutarle se ci lascerete liberi! »

Dalla finestra non vi fu più alcuna figura, le porte del terrazzo si spalancarono e da esse fuoriuscì un uomo. La corona splendente sul capo, una vestaglia reale rossa ed un’aria di autorità suprema. Alla vista del nobile re nella piazza le persone tacquero e non vi fu più alcun rumore. Era il momento giusto per avere un dialogo con la persona più importante di quel regno.

Il re non disse niente, rimase per qualche minuto in silenzio con lo sguardo volto verso quegli individui. Kiyoomi non aveva mai avuto modo di vederlo dal vivo, la regalità degli umani era una sciocchezza per gli stregoni e non c’entrava niente con la loro vita. Probabilmente il re conosceva la crudeltà della famiglia Sakusa, le terribili storie che derivavano dal paesino in cui regnava la famiglia e quelle che invece si erano propagate all’interno del regno. Come poteva fidarsi del figlio di una dinastia di terribili mostri? Kiyoomi non poteva biasimarlo, ma era la sua occasione per cambiare le cose.

« Maestà » riuscì a pronunciare con un filo di voce il moro, quella parola riecheggiò nel silenzio della piazza fino ad arrivare al diretto interessato « Sono desolato per il dolore e la disperazione che la mia famiglia ha causato nell’arco della sua esistenza. Farò in modo che il mio cognome verrà ricordato per le mie buone azioni, aiuterò quante persone possibili e porrò fine alle crudeli gesta della famiglia Sakusa. Datemi la possibilità di dimostrarlo, continuerò a fare del bene se mi concederete la libertà. »

Lo sguardo perforante dell’uomo si poteva vedere fin dalla piazza, era severo ma ad ogni modo il moro riponeva un briciolo di speranza. Pur libero dalle manette non aveva usato la magia, aveva posto speranza solo nelle sue parole e sperava che quel gesto fosse un segno della sua fiducia.

L’attesa era dolorosa ma dopo pochi minuti qualcosa accadde. Il re non aprì bocca eppure con un gesto lasciò intendere le sue intenzioni. Alzò la mano in aria e fece segno di poter andare. Da quel gesto ci fu uno stupore generale, poiché davanti ad un’intera piazza di testimoni la coppia divenuta famosa in tutto il regno era stata scagionata dai loro falsi crimini.

Sembrò come se quella notizia diede vita ad una festa, le persone gioirono per quella notizia e ci furono urla di gioia provenire da tutti. Quella notizia aveva dato il via libera ai due ragazzi, finalmente avrebbero potuto vivere senza dover scappare più da nessuno. Avrebbero viaggiato in lungo e in largo senza essere fermati, avrebbero aiutato chi avrebbe avuto bisogno del loro aiuto e soprattutto avrebbero vissuto insieme per sempre. Al pensiero Atsumu sorrise dalla gioia, finalmente poteva cominciare a vivere la sua vita con la persona che amava.

Corse ad abbracciare il suo compagno, lo strinse in un abbraccio gioioso mentre sul volto regnava un enorme sorriso.

« SIAMO LIBERI OMI! » urlò dalla gioia « Hai sentito?! Finalmente sei libero! »

Il moro non ebbe le forze per ricambiare quell’abbraccio, ma ebbe modo di ascoltare quelle parole. Nel sentirle Kiyoomi capì per la prima volta come ci si sentisse ad essere libero ed un sorriso si formò sul suo volto.

***

Il calore del fuoco combinato con la compagnia degli amici e del buon cibo era la cosa migliore che ci potesse essere al mondo, l’arciere l’aveva sempre pensata così. Nella taverna Kitzune vi era un’atmosfera di gioia e di divertimento, Atsumu aveva invitato tutti i suoi amici a brindare in onore della libertà che lui ed il mago avevano conquistato. Tutte le persone più care a loro si erano recate lì, tra la soave musica dei bardi al buon sapore della birra. Osamu li aveva accolti tutti come fossero anche suoi amici, si era messo ai fornelli con l’intento di cucinare degli squisiti piatti per tutti; per lui invece la cosa migliore del mondo era servire i propri piatti alle persone a cui voleva bene. E finalmente a quella festa c’era anche Kiyoomi, finalmente anche lui poteva far parte di quella vita spensierata.

Dopo aver ottenuto la benedizione dal re, Kiyoomi fu costretto a tornare per l’ultima volta nella villa della famiglia Sakusa. C’erano troppe questioni che aveva lasciato in sospeso, voleva recuperare gli ultimi oggetti a lui cari rimasti e soprattutto doveva assicurarsi di non lasciare problemi alle spalle. Questa volta però aveva la fortuna di non essere solo. Arrivato di nuovo nel paese dove era cresciuto, le persone lo guardavano meravigliato, stupite della sua presenza ancora lì, non avevano idea di ciò che era successo dopo l’arrivo delle guardie ed erano incuriosite da quel mistero. Ma ad attirare la loro attenzione questa volta era il giovane ragazzo biondo che lo seguiva. Un affascinante giovane con un arco posto dietro la schiena. Avendo ottenuto la libertà le guardie furono costrette a ridare al cacciatore la propria arma, il prezioso arco costruito con cura dalle sue stesse mani. Kiyoomi non rivolse né lo sguardo né la parola ai paesani, camminò diretto verso la villa con un solo intento.

Nell’aprire l’enorme portone della casa tutti i servitori caddero al cospetto dell’unico membro della famiglia rimasto, persino Motoki non poté fare a meno che inginocchiarsi obbediente davanti all’ultimo Sakusa presente. Ma dallo stregone non arrivò nessun ordine, nessuna richiesta da dover soddisfare.

« Non dovrete più servire nessuno, siete liberi di andarvene e di vivere come volete. » pronunciò il moro lasciando senza parole i poveri servitori.

Decise di dare ad ognuno di loro qualche moneta per aiutarli e gli consigliò di raggiungere il paese, dove di certo avrebbero trovato una dimora e soprattutto un lavoro che non li avrebbe condotti in schiavitù. Verso il maggiordomo d’onore della famiglia invece Kiyoomi rivolse uno sguardo d’odio e di disgusto. Per quanto avrebbe voluto fargliela pagare, sapeva che la vendetta non lo avrebbe aiutato a niente. Decise di fargli perdere la memoria attraverso un incantesimo, non si sarebbe più ricordato dell’esistenza della famiglia e magari in quel modo avrebbe perso la sua aspirazione alla magia. Successivamente Kiyoomi recuperò il mantello che aveva nascosto con cura i giorni precedenti, aveva intenzione di potarlo con sé nelle sue avventure, perché ormai per lui era divenuto un simbolo dell’inizio della storia tra lui ed Atsumu. Fatto ciò non vi fu più nulla da dover sistemare e la coppia lasciò la villa. Davanti ad essa Kiyoomi volse un ultimo sguardo, un’ultima occhiata prima di non rivederla più.

« Vuoi darmi una mano Atsumu? » propose col sorriso lo stregone.

Come poteva tirarsi indietro.

L’arciere lasciò scoccare una freccia infuocata verso la villa, accanto a sé Kiyoomi scatenò il fuoco contro di essa. Davanti ai loro occhi la villa bruciò nelle fiamme, lasciando sfumare all’aria tutta la cattiveria e la crudeltà che aveva contenuto. Quella vista allarmò i paesani che accorsero nel vedere ciò che stava succedendo. A dargli la risposta fu il mago stesso, dall’alto del colle dove era situata la casa Kiyoomi disse loro.

« Da oggi siete liberi dalla schiavitù e dall’influenza della famiglia Sakusa »

Per la prima volta un raggio di sole toccò quella terra, le nuvole che avevano coperto da sempre quel paese si dissiparono e la luce illuminò quel territorio. Dopo anni di servitù, le persone acclamarono con gioia l’inizio di una nuova vita finalmente libera.

Fu così che quella sera i due ragazzi andarono a festeggiare la loro libertà insieme ai propri amici. Nella taverna si respirava un’aria gioiosa e di esultanza, la birra riempiva i boccali di tutti e se finiva Suna si occupava di riempirli. Accanto al camino la maggior parte delle persone era incantata ad ascoltare le stravaganti avventure della coppia, cantate e venerate da un bardo. Tra quelle persone vi era anche Akaashi che scriveva con cura tutte le parole della canzone, come per riscrivere la storia di quella coppia; accanto a lui un giovane ragazzo dai capelli bianchi gli faceva compagnia e lo aiutava ad aggiungere stravaganti dettagli. In un tavolo pieno di boccali di birra Kageyama e Hinata discutevano di cucina con due vecchi amici d’infanzia, un tempo i cuochi della locanda “Il sole e la luna” erano stati stretti compagni dei pasticceri del “Neko Treats”. Da un lato della taverna Aran gustava la sua birra in compagnia del proprio amico contadino, accanto Hoshiumi osservava Kita con scetticismo mentre Hirugami lo affiancava e prendeva parte al discorso.

Kiyoomi era seduto in disparte, guardava come la taverna viveva della compagnia e della serenità che quelle persone trasmettevano. Rendevano quel luogo più accogliente di quanto già non lo fosse, lo animavano con i loro discorsi e soprattutto con le loro risate. Quell’immagine faceva sorridere inconsciamente il moro, era felice di trovarsi lì ed era solamente grazie all’arciere se anche lui poteva far parte di quella comunità.

Se ripensava a quando l’aveva incontrato, Kiyoomi non poteva far altro che sorridere come un adolescente innamorato. Il loro incontro era stato totalmente casuale, dal primo momento l’arciere era riuscito a strappare un sorriso sul volto del moro e ciò non era da tutti. Lo aveva considerato un amico anche solo dopo aver bevuto una sera insieme e quando l’aveva rivisto era persino stato intento a lottare pur di liberarlo dalle manette. Ciò che più lo colpì però fu che Atsumu non ebbe paura di lui, nemmeno quando mostrò il suo potere, lui non scappò. Al contrario voleva conoscerlo meglio, voleva aiutarlo perché ai suoi occhi era sembrato incapace di vivere in quella foresta. Non aveva mai avuto timore che lo avrebbe tradito o che addirittura lo avrebbe colpito alle spalle, fin dal primo momento gli aveva donato la sua fiducia. A pensare a tutto quello che era successo Kiyoomi si convinse di una cosa. Il destino era immutabile.

« Ti stai godendo la festa Omi? »

Col sorriso sul volto Atsumu aveva trovato modo di sedersi davanti al suo amato, in mano stringeva un boccale di birra ancora pieno. Quella sera aveva deciso di rindossare il camice e di voler aiutare suo fratello a servire tutte quelle persone, fino a che non aveva trovato il tempo di sedersi al tavolo col suo compagno.

« Direi di si… » rispose pensieroso il mago mentre un sorriso non lasciava il suo volto « Non avrei mai pensato che sarebbe finita così. »

Dall’altro lato Kiyoomi stringeva il boccale con entrambe le mani, era più concentrato ad osservare la taverna che a bere, ma soprattutto si era immerso troppo nei suoi pensieri. Nel pensare che era finito il suo incubo, che ancora non riusciva a credere di essersi liberato della sua famiglia e ancora doveva elaborare il fatto che avrebbe passato le proprie giornate con quel ragazzo.

Lo stregone poté sentire le mani del biondo posarsi sulle sue, sentì il suo pollice accarezzarle dolcemente e ciò attirò lo sguardo verso l’arciere.

« Non ti avrei mai lasciato lì. » affermò l’arciere con un sorriso confortevole « Abbiamo ancora tante avventure da affrontare insieme. »

Il sorriso del moro si ampliò di più. Era vero, dovevano ancora vivere quella vita che desideravano e non vedeva l’ora di cominciare.

« Hai intenzione di partire già da domani vero? »

« Certo che si. » sorrise Atsumu eccitato all’idea « Ho promesso ad Osamu che gli spedirò delle lettere regolarmente o davvero smetterà di volermi bene… infondo ti devo ringraziare Omi, se non fosse per tutta questa storia non sarei tornato qui da lui. »

In effetti se tutta quella storia non fosse mai accaduta, Kiyoomi non si sarebbe mai sentito libero del tutto. Le cose dovevano andare in quel modo, anche se avevano sofferto molto alla fine erano riusciti a raggiungere il loro lieto fine.

« Guardiamo al futuro. » disse il mago guardando negli occhi l’altro, successivamente alzò il boccale in aria e aggiunse « Alla nostra prossima avventura. »

A quel gesto Atsumu fece lo stesso.

« Al nostro futuro. » sorrise.

I due ragazzi fecero scontrare i boccali e sorrisero al futuro che li aspettava insieme.

La loro leggenda e le loro gesta sarebbero state cantate in ogni taverna del regno, sarebbero divenute canzoni e tutti avrebbero conosciuto la loro storia. La storia di un umano talmente forte da aver sconfitto una famiglia di stregoni con il suo arco, la storia di un mago buono che aiutava le persone grazie alla sua magia. La storia di un amore che nessuno avrebbe mai pensato potesse esistere, ma che viveva ogni giorno più intensamente e che non avrebbe mai smesso di vivere.

Da quel giorno nacque la leggenda dell’arciere e del mago.

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