Advent Calendar

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Advent Calendar ***
Capitolo 2: *** Gloves ***
Capitolo 3: *** Snowman ***
Capitolo 4: *** Christmas shopping ***
Capitolo 5: *** Hot Chocolate ***
Capitolo 6: *** Blanket ***
Capitolo 7: *** Ice Skating ***
Capitolo 8: *** Decorations ***
Capitolo 9: *** Christmas tree ***
Capitolo 10: *** Letters to Santa ***
Capitolo 11: *** Mistletoe ***
Capitolo 12: *** Gifts ***
Capitolo 13: *** Snow Globe ***
Capitolo 14: *** Reindeer ***
Capitolo 15: *** Cinnamon Rolls ***
Capitolo 16: *** Snow ***
Capitolo 17: *** Socks ***
Capitolo 18: *** Gingerbread ***
Capitolo 19: *** Fireplace ***
Capitolo 20: *** Movie night ***
Capitolo 21: *** Candy cane ***
Capitolo 22: *** Candles ***
Capitolo 23: *** Sweater ***
Capitolo 24: *** Christmas Eve ***



Capitolo 1
*** Advent Calendar ***



I. Advent Calendar


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Rose osservò compiaciuta il soggiorno magnificamente addobbato per le feste: candele, ghirlande, coperte in tartan, federe rosse e bianche e luci illuminavano e scaldavano lo spazio rendendolo ancora più accogliente del solito. In piedi accanto al camino di mattoni acceso, le cui fiamme avvolgevano la stanza con una calda luce dalle sfumature arancio-dorato, la strega sfiorò la calza rossa appesa accanto a quella di Hooland, una recente aggiunta alle decorazioni che, come da tradizione, sua madre preparava per ogni membro della famiglia ricamandone il nome con un sottile filo dorato.
Rose era molto orgogliosa delle sue decorazioni, della ghirlanda piena di nastri dorati e pigne appesa fuori dalla porta, di quella di bacche rosse sullo specchio dalla cornice dorata posato sopra al caminetto, degli schiaccianoci in fila accanto all’albero e delle palline di cristallo che contenevano fiocchi di neve incantanti capaci di non sciogliersi mai. I grandi e luminosi occhi azzurri della strega sorvolarono un’ultima volta la stanza prima di allontanarsi dal caminetto e spostarsi verso la cucina, decisa a prepararsi una tazza di tè bollente speziato da sorseggiare sul divano, con un libro in mano e avvolta dalla sua coperta di tartan preferita.
Aveva appena posato il bollitore rosso sul fornello acceso quando, in attesa che l’acqua fosse sufficientemente calda, si appoggiò al bancone per gettare un’altra occhiata all’ampia sala che ospitava sia la cucina che il soggiorno, chiedendosi quanto tempo sarebbe durato il bel centrotavola fatto di candele rosse e rami di pungitopo che aveva assemblato lei stessa prima che il suo fidanzato riuscisse a guastarlo in qualche modo. Con ogni probabilità rovesciandoci qualcosa sopra. Mentre l’acqua si scaldava all’interno del bollitore Rose distolse lo sguardo dal tavolo per gettare un’occhiata divertita ai barattoli di marshmallow, cioccolatini e bastoncini di zucchero che il giorno prima aveva allineato in un angolo della cucina, accanto alla macchina del caffè, certa che si sarebbero svuotati molto in fretta, sempre per mano di Hooland, o dei suoi fratelli minori quando avrebbero fatto loro visita. Ma tra tutte le decorazioni natalizie che il giorno prima erano state assemblate per tutta la casa Hooland aveva senza dubbio gradito maggiormente il calendario dell’avvento, appeso sul lato del frigorifero e pieno di cioccolatini assortiti che aspettavano di essere scartati. Il primo quella mattina Hooland lo aveva gentilmente concesso a lei, e Rose aveva iniziato la giornata con una deliziosa pralina al caramello salato, ma guardando il calendario la strega si accorse rapidamente di come non fosse affatto dritto, non certo come lei lo aveva lasciato il giorno prima. Di certo Hooland doveva averlo urtato un po’ troppo nel svuotare la prima casellina, e la strega si mosse istintivamente verso il frigo per raddrizzarlo mentre il bollitore, alle sue spalle, iniziava a fischiare piano sul fornello acceso.
 
Hooland stava marcendo nel suo studio da ore e ore, gli occhi verdi e sempre più stanchi incollati allo schermo del computer da talmente tanto che ormai quasi gli bruciavano. Quando sentì la porta aprirsi alle sue spalle il mago si sentì immensamente felice di avere la perfetta scusa per distrarsi e distogliere lo sguardo dallo schermo, dandosi una lieve spinta per far ruotare la sedia girevole e poter così posare lo sguardo sulla sua fidanzata. Rose in effetti lo stava guardando ferma sulla soglia, l’aria vagamente esasperata.
“Hool.”
“Ciao bellissima, finalmente una visione gradevole.” L’ex Tassorosso ignorò il tono rassegnato con cui la strega pronunciò il suo nome – forse a causa della forza dell’abitudine ormai nemmeno ci faceva più caso – sperando che gli avesse portato uno spuntino da sgranocchiare. Rose, invece, sollevò qualcosa che teneva in mano e che fino a quel momento il mago non aveva notato:
“Ti sei mangiato metà calendario dell’avvento, Hool, vero?”
“Io?! No di certo!”
“Sai Hool, questo è proprio il genere di cose che mi aspetterei dai miei fratellini, non da te.”
“Magari sono stati loro.”, suggerì Hool con aria innocente girandosi pigramente sulla sedia, le mani in grembo e lo sguardo da tenero angioletto mentre Rose abbassava il calendario fissandolo torva:
“E come sono entrati, dal camino come Babbo Natale?”
“Sei una strega, non lo sai che noi lo usiamo davvero il camino, al contrario di Babbo Natale?”
“Avrei dovuto saperlo che c’era qualcosa di strano quando mi hai lasciato il primo cioccolatino.”
Rose scosse il capo rassegnata prima di girare sui tacchi e uscire dalla stanza, lasciandolo di nuovo solo con tutti gli schermi allineati sulla sua enorme scrivania nera. Hooland non poté darle torto – del resto lo conosceva in troppo bene, ed effettivamente era stato ben felice di lasciarlo a lei, il contenuto della prima casella, dopo aver provveduto a svuotarne altre dieci –, e si scusò a voce alta senza troppa convinzione prima di chiederle se per caso potesse portargli delle patatine da sgranocchiare.
“Alza il sedere, se vuoi mangiare. E comunque l’anno prossimo di calendari ne avremo due, visto che sei un bambino.”
Un calendario pieno di cioccolato tutto per lui, rifletté Hool? Non suonava affatto male.




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 Angolo Autrice
🎄❄️☃️🧣

 
Quest’anno mi sono finalmente decisa a cimentarmi nella scrittura di un calendario dell’avvento, pertanto ringrazio tutte le persone che mi hanno inviato richieste e suggerimenti in merito ai personaggi da trattare nel corso del mese e oggi, in particolare, Sesy per avermi chiesto di tornare a scrivere di Hool e Rosie❤️
A domani!
Signorina Granger

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Capitolo 2
*** Gloves ***



II. Gloves 


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Andrew aveva ormai perso il conto del numero di sbuffi che aveva sentito provenire dalla sua fidanzata mentre procedevano fianco a fianco camminando lungo la costa frastagliata, sotto un cupo cielo grigio antracite e accanto all’Oceano agitato, con alte onde che si infrangevano sulla roccia provocando rumorosi scrosci.
Se di norma facevano quelle passeggiate tenendosi per mano quel mattino Iphigenia sembrava del tutto intenzionata a voler tenere le proprie celate alla vista, seppellite all’interno delle tasche del cappotto verde bottiglia e il viso pallido semi-nascosto da una spessa sciarpa di lana marrone abbinata al cappellino che le copriva parte dei lisci capelli biondo cenere.
“Iphe?”, domandò Andrew smettendo di scrutare l’acqua scura dell’Oceano per volgere lo sguardo sulla fidanzata, costretto come sempre ad abbassare il mento a causa delle spanne che li dividevano. Iphigenia non ricambiò la sua occhiata, limitandosi a rispondere con un mugugno dal suono leggermente scorbutico prima che il fidanzato inarcasse un sopracciglio color rame, sempre più perplesso: non era da Iphigenia avercela con lui per qualche motivo e chiudersi in un silenzio punitivo, al contrario, nelle rare occasioni che li vedevano discutere non mancava mai di fargli notare tutto ciò che l’aveva infastidita. Era difficile che qualcosa, o qualcuno, riuscisse a compiere l’impresa di costringere la brillante strega che aveva accanto al silenzio, nessuno lo sapeva meglio di lui.
“È tutto a posto?” Andrew guardò la fidanzata chiedendosi che cosa mai avesse potuto combinare – e dire che si era persino semi-defilato dai preparativi per il matrimonio lasciando fare quasi tutto a lei e a Jade pur di non creare problemi – mentre la ragazza annuiva fissando torva davanti a sé, sempre restando chiusa in un ostinato silenzio.
Tutto sommato poteva anche non avercela con lui, si disse Andrew tornando a fissare pensoso davanti a sé sforzandosi di adeguare le proprie falcate a quella della fidanzata, che faceva affidamento su un paio di gambe ben più corte delle sue. Magari aveva discusso con sua madre, o con Jade. No, che avesse discusso con la loro migliore amica era impensabile, di sicuro glielo avrebbe detto. più probabilmente aveva discusso con qualche suo collega, visto il gran numero di maschilisti bigotti, quasi tutto meno intelligenti di lei e per questo pieni di frustrazione e risentimento con cui la poverina era costretta ad avere a che fare ogni giorno. Andrew si stava scervellando sulla spinosa questione quando Iphigenia finalmente parlò, mormorando torva qualcosa a proposito di quanto freddo facesse mentre si stringeva nel cappotto, quasi rimpicciolendosi ancora di più accanto a lui.
Constato mentalmente che non facesse più freddo di altre mattine Andrew gettò pensoso un’occhiata alle tasche del cappotto rigonfie di Iphigenia che celavano alla vista le mani della fidanzata, esitando prima di azzardare un accenno di sorriso sollevando gli angoli delle labbra:
“Iphe, hai scordato i guanti a casa?”
Punta sul vivo, Iphigenia cadde in un’eloquente esitazione prima di scuotere il capo, negando con tutta la fermezza di cui era capace pur avendo già fornito la reale risposta al fidanzato con quell’eloquente pausa:
“… No.”
“E allora perché tieni le mani in tasca?”, la punzecchiò sorridendo l’ex Tassorosso mentre si chinava leggermente su di lei, ridacchiando quando Iphigenia, sempre senza guardarlo, si sforzava di manifestare noncuranza stringendosi debolmente nelle spalle:
“Perché fa freddo.”
“Non le tieni mai in tasca.”
“Oggi fa molto freddo.”, ribatté piccata la strega sempre rifiutandosi di guardarlo e scrutando invece davanti a sé con il mento sollevato a conferirle un’aria sostenuta che non convinse affatto il fidanzato: la verità era che non faceva poi più freddo rispetto ad altri giorni in cui avevano fatto la stessa passeggiata, e un sorriso divertito incurvò presto le labbra sottili di Andrew mentre si sfilava un guanto di pelle di drago alla volta scuotendo il capo.
“Sei assurda. Meglio gelarsi che ammettere di aver scordato qualcosa, vero?”
Andrew strinse gentilmente il gomito sinistro della fidanzata costringendola a sfilarsi la mano dalla tasca, sorridendo divertito nell’appurare di non essersi sbagliato. Forse il genio dei due era lei, ma la conosceva da troppi anni per farsi trarre in inganno. Iphigenia, per nulla contenta di aver svelato la sua dimenticanza, s’incupì mentre il fidanzato le passava i suoi guanti, invitandoli a metterli nonostante le stessero molto grandi.
“Gli sciocchi si scordano le cose, non io.”, brontolò piano la strega mentre si infilava i guanti marroni del fidanzato, che le sorrise mentre le stringeva un braccio attorno alle spalle, chinandosi leggermente per depositarle un bacio sulla testa:
“Te lo dico sempre che sei la sciocca più brillante del mondo, no?”




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Capitolo 3
*** Snowman ***



III. Snowman 


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Davvero non lo so, Charlie. È un periodo molto difficile.”
 Probabilmente anziché “difficile” la parola corretta che Adela Quested avrebbe dovuto scegliere sarebbe stata “confuso”, perché era proprio così che si sentiva da settimane, per non dire mesi, a quella parte: terribilmente confusa, incapace di prendere una decisione definitiva. Adela si sentiva congelata nel tempo e nello spazio esattamente come i cumoli di neve che aveva davanti e che stava ammassando, aiutandosi con le mani coperte da soffici guanti di cashmere pregiato, per dar vita a qualcosa il più simile possibile ad una palla. Si sentiva congelata – e per una volta non aveva niente a che vedere con il suo essere freddolosa a livello quasi patologico – e totalmente incapace di prendere una decisione, ma attorno a lei il tempo e le settimane passavano inesorabili, come testimoniava la caduta delle prime nevi su Hogwarts.
Sospirando Adela sollevò il piccolo ammasso di neve e lo depositò con la massima delicatezza sui due ai quali aveva già dato forma e impilato in precedenza con l’aiuto della sua migliore amica, che ogni anno fin dal loro primo inverno ad Hogwarts ignorava la sua profonda insofferenza verso il freddo, essendo cresciuta in mezzo all’umido clima tropicale indiano, e la trascinava nel parco per costruire un pupazzo di neve. Costruirne uno era diventata rapidamente una tradizione per lei e Charlotte, ma quel giorno Adela non l’aveva seguita fuori dal castello con la stessa serenità di sempre: la sua mente era altrove, rivolta al ragazzo che in un futuro non molto lontano avrebbe dovuto sposare, decisione di cui non si sentiva più poi così sicura.
“So che a te Ronny non piace e che sei di parte,” continuò Adela mentre s’infilava una mano guantata nella tasca del pesante cappotto, estraendone due bottoni scuri e lucidi come i suoi grandi occhi e una carota, “ma davvero non so che cosa fare. Non vorrei dare un dispiacere ai miei genitori”.
Adela sapeva che cosa le avrebbe detto la sua amica, rifletté mentre infilzava la “testa” del suo nuovo amico nevoso usando la carota e tutta la delicatezza di cui era capace per non guastare l’opera: Charlotte detestava Ronny e sosteneva soventemente di “dare dispiaceri ai suoi genitori da quando aveva avuto l’ardire di nascere femmina anziché maschio”, pertanto le avrebbe consigliato, come sempre, di ignorare i loro desideri e di seguire semplicemente i propri. Del resto non erano loro a doversi sposare, ma lei.
Adela sapeva esattamente che cosa le avrebbe detto l’amica e sapeva anche che aveva ragione, riflettè mentre usava i bottoni come occhi per il suo pupazzo, ma nell’arco di pochi istanti la Corvonero iniziò a chiedersi per quale motivo Charlotte non stesse dicendo proprio un bel niente: poiché la sua migliore amica non era famosa per la sua capacità di stare in silenzio e di tenere per sé le proprie opinioni, nemmeno quelle più scomode, Adela ruotò su se stessa per chiederle che cosa pensasse in merito a tutto ciò che era uscito dalla sua bocca fino a quel momento, ritrovandosi a fissare accigliata gli alberi innevati accanto ai quali si erano sistemate invece della sua amica.
Accigliata, Adela si guardò brevemente attorno appurando di non scorgere neanche l’ombra della sua migliore amica, che sembrava essersi dissolta nell’aria lasciando come prova del suo passaggio solo delle inequivocabili impronte sulla neve fresca. Sconcertata, Adela ebbe appena il tempo di chiedersi quando se ne fosse andata e come lei avesse potuto non accorgersi della sua assenza seguendo con lo sguardo la scia di impronte, dirette verso un punto del parco che non riusciva a scorgere a causa degli abeti innevati, quando scorse proprio Charlotte correre verso di lei dopo aver fatto capolino da dietro un albero, di ritorno dal luogo misterioso verso il quale si era recata poco prima.
“Charlie, ma dov’eri?!”, domandò perplessa e anche un tantino offesa Adela, che a quanto sembrava aveva parlato a vuoto per chissà quanti minuti, mentre Charlotte si faceva sempre più vicina correndo a perdifiato sulla neve, qualcosa stretto tra le braccia, le guance arrossate dal freddo e i capelli castani, sciolti, privi di qualsiasi acconciatura e che di certo avrebbero destato l’ira di sua madre, che si agitavano al vento e sulle sue spalle.
“Corri Adela!”, gridò la giovane strega mentre la raggiungeva e procedeva nella sua corsa senza fermarsi, superandola e schizzando via verso il castello. Dopo aver scorto una carota, un paio di rami e una sciarpa nelle mani dell’amica Adela anziché seguirla guardò accigliata prima la schiena di Charlotte e poi il loro pupazzo ormai completato: per quale motivo Charlotte era andata a prendere quegli oggetti, di cui non avevano avuto alcun bisogno?
La risposta a quell’interrogativo le giunse un attimo dopo, quando un’altra persona fece capolino, sempre correndo energicamente sulla neve, da dietro gli alberi, qualcuno molto familiare a lei quanto a Charlotte e che gridò minaccioso alla sua amica di fermarsi e di restituirgli quanto rubato. Alla vista di un William Cavendish visibilmente furente e apparentemente privato non solo degli “accessori” del suo pupazzo, ma anche della sua sciarpa, Adela non ci pensò due volte e si affrettò a seguire la sua amica sul soffice manto innevato che nel corso della notte precedente aveva ricoperto Hogwarts e dintorni, incespicando a causa di un paio di scarpe del tutto inadatte alla corsa:
“Charlie, ti odio!”, esclamò a pieni polmoni la giovane strega mentre sentiva i piedi bagnarsi inesorabilmente: non era difficile immaginare Charlotte Selwyn acquattarsi dietro un albero e assalire il pupazzo di neve di Will Cavendish giusto per urtare i nervi da perfezionista del ragazzo, ma si domandò comunque per quale motivo a rimetterci, quando si parlava delle idee della sua amica, dovesse essere sempre anche lei.



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Capitolo 4
*** Christmas shopping ***


IV. Christmas shopping

 
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Quando una settimana prima aveva vagamente accennato di non aver mai visitato Colmar, nemmeno durante il periodo delle feste, Joël si era chiesto per quale motivo Sabrina gli avesse gettato uno sguardo paragonabile a quello di chi si trova di fronte ad un essere dotato di antenne, pelle squamata e un paio o due di braccia in più. La sera stessa la fidanzata lo aveva informato della loro partenza per il pittoresco e antico villaggio dell’Alsazia prevista per la settimana successiva con il tono e lo sguardo di chi non è disposto ad ammettere repliche, e Joël di opporre resistenza non se l’era affatto sentita.
Una volta giunti a destinazione il musicista si era tuttavia visto costretto a ricredersi e a capire per quale motivo Sabrina lo avesse trascinato fin lì senza nemmeno chiedere la sua opinione: Colmar si era immediatamente rivelata uno degli angoli di mondo più belli che si fosse mai trovato ad osservare con i propri occhi, talmente deliziosa da far sembrare ogni suo angolo una cartolina. Il centro storico era stato illuminato e addobbato per le feste facendolo sembrare lo scenario di una fiaba, avvolto da una calda e rilassante aura di luce che fondendosi con la neve che aveva ricoperto ogni superficie e il profumo di cannella e vin brulè catturava lo sguardo di Joeel facendogli desiderare di non lasciare mai quel piccolo e pacifico angolo della Francia.
Il musicista, impegnato ad osservare le luminarie che decoravano gli splendidi chalet di legno colorati che si affacciavano sulle strade acciottolate, si stava giusto domandando per quale motivo avesse aspettato di superare i trent’anni prima di scovare una simile meraviglia quando Sabrina, lasciata la sua mano, gli si era parata davanti con uno sguardo pericolosamente determinato, le guance arrossate dal freddo e ciuffi di corti capelli color cioccolato che spuntavano dal basco di cashmere rosso abbinato alla sciarpa a trecce firmata Ralph Lauren:
“D’accordo, è arrivato il momento di fare quello che siamo venuti a fare.” Le parole della strega, che aveva l’aria combattiva di chi sta per salire su un ring, gettarono il musicista in un vortice di disperazione: aveva forse scordato qualcosa? Erano lì per un motivo che non riguardava il relax? Aveva assentito distrattamente fingendo di ascoltare una volta di troppo?
“… Goderci il weekend?”, azzardò Joël inarcando un sopracciglio e con scarsa convinzione mentre guardava con una punta di preoccupazione crescente la fidanzata infilare una mano in borsa: quando Sabrina cercava qualcosa nella sua borsa non si poteva mai sapere che cosa ne avrebbe tirato fuori.
“No. Comprare i regali che ci mancano. Anche perché chi le sente quelle cozze dei miei parenti se non gli porto un bel niente da Colmar?”
Non diciamogli nulla.”
“Non posso, mio fratello l’ha saputo da Anjali, pare che si siano visti l’altro giorno.” Sabrina sospirò mentre estraeva il telefono dalla sua mini shoulder di velluto nero, aprendo una delle cose che la facevano tirare avanti ogni giorno ormai da anni: una app adibita alle liste di cose da fare sulla quale da settimane aveva iniziato ad annotare i regali fatti e quelli che ancora mancavano da comprare. Per il weekend la strega aveva inserito una nuova sezione apposita dedicata ai souvenir che avrebbe dovuto portare alla famiglia – e ad Anjali – di ritorno dall’Alsazia.
“Silas e Anjali escono insieme?”, domandò Joël strabuzzando gli occhi stupefatto mentre Sabrina annuiva alzando gli occhi scuri al cielo, l’aria di chi non ha molta voglia di approfondire una questione:
“Pare che una volta al mese cenino insieme, immagino per sparlare di chiunque. Non vorrei essere nei loro vicini di tavolo. Ovviamente Silas l’ha detto a mia madre, a mio padre, a Joyce… Non escludo che l’abbia detto anche agli pneumatici della sua Porsche. A mio padre non abbiamo ancora preso nulla, ma per fortuna Colmar è famosa per il mercatino gastronomico gourmet in Place de la cathédrale, gli prendiamo litri di vino costosissimo, così lo facciamo ubriacare.”
“Mi sembra una buona idea. Mancano anche i nostri fratelli… ai miei prenderò delle orrende statuine.” Joël sorrise, deliziato nell’immaginare le facce schifate che i suoi parenti avrebbero fatto dinanzi ai suoi regali volutamente brutti una volta scartati. Persino dopo un paio d’anni, quando una qualche telefonata di sua madre finiva con urtargli i nervi, si beava nel ricordo delle mascelle snodate dei suoi fratelli e relativi consorti nel momento in cui avevano conosciuto Sabrina.
“Per Silas non ho idee, è troppo puerile per apprezzare dell’ottimo vino… Sai chi lo apprezzerebbe invece? Pierre. Insieme a qualcosa di dolce. Per Pierre non bado a spese, se lo merita.” Sabrina annuì alla sua ottima idea, parlando praticamente da sola e senza smettere di appuntarsi le cose sulla sua app – ora che ci pensava, doveva anche trovare il modo di seminare Joël per una decina di minuti per telefonare a Pierre ed assicurarsi che in sua assenza l’Hotel non stesse crollando – mentre il fidanzato le cingeva le spalle con un braccio, accostando la testa a quella della fidanzata per depositarle un bacio sulla tempia.
“A Claude e Michel che cosa prenderai?”
“Ogni anno gli regalo un maglione di cashmere a testa, è tradizione. Da qui gli porterò dei cioccolatini… a mia madre e a Joyce potrei prendere dei gioielli, qui le strade brulicano di orafi. Per Anjali prendiamo uno di quei costosissimi soprammobili di cristallo che fanno qui, adora i gingilli.” Sabrina continuò a digitare freneticamente per prendere nota delle sue idee con le dita lunghe fasciate dai guanti di pelle neri, gli occhi scuri che non si staccavano dallo schermo del telefono mentre Joël la prendeva delicatamente sottobraccio, costringendola a riprendere la loro passeggiata facendo attenzione a non farla scivolare sulla neve e progettando, come sempre, di sequestrarle il telefono fino al ritorno una volta conclusa la Missione Regali.
“Lei è la Regina delle Cose Belle e Inutili. Chi ha tutti i servizi di piatti che ha lei?!”
Nessuno, anche perché gliene abbiamo regalato un altro per Natale. Devi firmare il biglietto, a proposito.”
“Adoro la tua efficienza, il mio sforzo per fare i regali è minimo, grazie a te. A parte per il tuo regalo, è ovvio… che è sempre superfluo, visto che hai già me.” Joël sorrise mentre Sabrina riponeva il telefono all’interno della sua borsetta, riprendendolo per mano e gettandogli la solita occhiata esasperata che allargò il sorriso compiaciuto del fidanzato.
“Vin brulé?”, domandò Joël accennando alle casette di legno di uno dei mercatini di Colmar che facevano capolino, parzialmente visibili, dal fondo della stradina che stavano percorrendo, impregnata dall’inconfondibile profumo speziato della bevanda calda preferita dalla fidanzata.
“La risposta è sempre sì.”

 


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Capitolo 5
*** Hot Chocolate ***


IV. Hot Chocolate 


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Gabriel Greengrass vantava un dono innato: un’insuperabile abilità nell’urtare i nervi altrui, in special modo quelli appartenenti alle persone a lui più vicine e care. Fortunatamente l’ex Serpeverde era anche dotato di grande charme e della capacità di farsi perdonare in fretta, come tutti i membri della sua famiglia e i suoi amici non mancavano mai di fargli notare sbuffando quando, con un sorriso impossibile da ignorare, un abbraccio o un gesto carino, Gabriel finiva col far scordare completamente ciò che aveva infastidito coloro che lo circondavano.
Alla lista di persone che sapeva infastidire come non mai da un paio d’anni si era aggiunto anche un altro nome, quello della sua dapprima fidanzata e poi successivamente moglie: Gabriel era fermamente convinto di detenere un primato nella vita di Elena Greengrass, nata MacMillan, come la strega non mancava mai di fargli notare nel corso di ogni singola discussione che li vedeva coinvolti. Riusciva a farla adirare come nessun altro al mondo era mai riuscito, superando forse persino il primato a lungo detenuto dal padre della strega e il suo opinabile comportamento nei confronti della famiglia.
Elena si infastidiva facilmente, Gabriel lo sapeva forse meglio di chiunque altro, ma era anche vero che in genere l’arrabbiatura le passava considerevolmente in fretta. Quel giorno tuttavia aveva dovuto fare i conti con una realtà diversa da solito: Elena invece di trascorrere la domenica insieme aveva deciso di sbatterlo elegantemente fuori casa per tutto il pomeriggio, intimandogli di aver bisogno di spazio per una visita. Quando Gabriel aveva cercato di sottolineare che dopotutto conosceva l’ospite in questione piuttosto bene e che non c’era alcun bisogno di cacciarlo Elena gli aveva scoccato uno sguardo capace di incenerire l’acqua da sopra il bordo della sua tazza di caffè, costringendolo ad arrendersi e a chiedere asilo politico ad uno dei suoi migliori e più vecchi amici mandandogli una lettera che aveva fortunatamente trovato presto una risposta affermativa.

 
“Che cosa hai combinato?”, gli aveva chiesto Regan con un sospiro mentre sedevano su due poltrone davanti al camino acceso, cercando riparo dal freddo vicino al fuoco e con qualche dita di cognac nei bicchieri mentre fuori, per le strade di Londra, imperversava una bufera di neve.
“Onestamente non ne sono convinto, in settimana l’ho fatta innervosire più volte. In caso potrei dormire qui?”
“Te lo ricordi che mia moglie è molto amica della tua e che in questo momento sono insieme, vero, mentre con ogni probabilità Elena si starà lamentando di te con Stephanie?”
“Hai ragione, mi toccherà mandare un gufo a Jack!”

Tornato a casa – supponendo di essere di nuovo persona accetta visto che il loro Elfo Domestico non gli aveva riportato nessun messaggio di Elena che suggerisse il contrario – Gabriel aveva iniziato a riflettere su come rabbonire Elena, che anziché andarlo a salutare era rimasta nel suo salotto, seduta sul divano con un libro davanti al camino acceso che Stephanie aveva usato poco prima per tornare a casa da Regan e lanciarsi nel racconto dettagliato di ciò che il suo “amico con l’età mentale di un quindicenne” aveva combinato. La soluzione – o almeno così sperò – gli giunse nel riflettere su uno dei peggiori punti deboli della moglie, punto debole che lo spinse a correre in cucina e a chiedere aiuto all’Elfo di casa per mettere a punto un’impresa alla quale quelle mura ancora non avevano mai assistito: Gabriel Greengrass decise di mettersi ai fornelli. E la tazza di porcellana che, riempita di cioccolata calda alla cannella fumante e adagiata su un vassoio insieme a dei biscotti al burro, testimoniò il risultato di un lavoro di cui l’ex Serpeverde si sentì legittimato a giudicare piuttosto soddisfacente.
“Elena, ti ho portato qualcosa di dolce come te da mangiare.”, asserì Gabriel dopo aver spinto una delle due ante della porta che conduceva al rifugio anti-marito di Elena, che voltò appena il capo verso di lui smettendo brevemente di leggere il suo libro per scoccargli un’occhiata torva:
“Bravo, così non entro nel vestito che mi sono fatta fare dalla sarta per Natale!”
“Ma cosa vai dicendo, sei la donna più bella di tutte le sale di cui varchi la soglia!”
Elena lo conosceva troppo bene per farsi soggiogare così facilmente dalla sua ruffianaggine, e arricciò il naso con lieve stizza prima di chiudere il libro con un gesto secco e chiedergli di sistemare il vassoio sul tavolino di mogano posto tra il caminetto di marmo nero e il divano verde bosco abbinato alle poltroncine, la vestaglia verde bottiglia allacciata stretta sulla vita esile – era solita accogliere le sue amiche più care senza agghindarsi come l’etichetta avrebbe suggerito – e i lunghi e lisci capelli ramati legati in una streccia  fissata sulla nuca da uno dei tanti fermagli ereditati dalla madre.
“Come è andata con Stephanie?”, domandò Gabriel con un sorriso amabile mentre sedeva accanto alla moglie sul divano a tre posti, guardandola tamburellare distrattamente le unghie curatissime sulla copertina rigida del libro mentre fissava ostinata le fiamme che ardevano nel caminetto.
“Bene, naturalmente. Dice che sei un idiota e io non posso smentirla.”
Lo so, nemmeno io. Cioccolata? L’ho fatta io.”
“Davvero?”, domandò Elena con visibile scetticismo mentre volgeva finalmente lo sguardo su di lui, gettandogli un’occhiata perplessa che Gabriel finse di incassare offendendosi: in realtà non poteva darle torto visto e considerato che mai in vita sua aveva mai avuto l’esigenza di avvicinarsi ad un fornello.
“Puoi chiedere conferma al mio piccolo aiutante. Che, tra parentesi, trema di freddo sempre di più ogni giorno che passa, gli dovremmo far cucire insieme un bel po’ di federe pesanti da mettersi.”
“Ci penso io.”, asserì la strega prima di prendere delicatamente la tazza tra le dita curate e sollevarla, soffiando piano sulla cioccolata bollente prima di assaporarne un primo sorso. Gabriel, curioso, speranzoso e al tempo stesso un tantino preoccupato, la guardò leccarsi le labbra e riflettere brevemente prima di annuire con contenuto entusiasmo, determinata a non concedergli troppa soddisfazione:
Passabile. Ma apprezzo che tu ci abbia provato.”
“Grazie. Posso assaggiarla?”
No.”



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Capitolo 6
*** Blanket ***


 
VI. Blanket 


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Carter avrebbe voluto godersi il film che stava guardando sul suo enorme quanto amatissimo televisore, e ci stava anche provando con tutto se stesso: del resto niente gli impediva di farlo mentre se ne stava comodamente stravaccato su uno dei due divani di pelle del suo soggiorno, la testa di Sarge in grembo e le gambe lunghe distese con i piedi fissi sul bordo del tavolino da caffè, esattamente ciò che da adolescente sua madre gli aveva sempre categoricamente vietato di fare. Era persino provvisto di una ciotola di patatine, di marshmallow e di M&M’s, visione per nulla salutare che probabilmente avrebbe provocato uno svenimento da parte di sua nonna. Insomma, in teoria era tutto perfetto per consentirgli di rilassarsi e godersi il film, non fosse stato per un piccolo – o neanche tanto – particolare: la persona che gli sedeva accanto sul divano non solo gli stava rubando gli M&M’s prediletti, quelli alle arachidi, ma anche la coperta. Fuori dall’Arconia poteva anche star nevicando, poteva anche essere dicembre e il suo appartamento poteva anche essere completamente addobbato per le feste, non gli importava e non sarebbe di certo diventato magicamente più gentile e premuroso solo perché glielo imponeva il calendario:
“Senti, hai rotto il cazzo. Dammi questa benedetta coperta, ho i piedi gelati!”, sbottò per la terza volta nell’arco di dieci minuti il giornalista mentre afferrava il lembo della coperta grigio scuro che la zavorra aveva portato con sé, strattonandolo per cercare di coprirsi a sua volta. Niki, un marshmallow in mano e i grandi occhi verdi fissi sull’enorme schermo piatto, non esitò a voltarsi brevemente verso di lui per lanciargli un’occhiataccia, scacciargli la mano colpendola lievemente sul dorso usando la propria per riprendere pieno possesso della coperta – costellata da fotografie di un certo attore canadese – e riavvolgersela meglio attorno alle gambe e al busto con fare sostenuto:
“Ma che vuoi, è mia, me la sono portata da casa! Tu non sei degno della coperta-Ryan. Prenditene una!”
“Non ho voglia di alzarmi!”
“Appellala, coglione!”
“Ho scordato la bacchetta in cucina!”
Lo vedi che sei un coglione allora! Ora taci, Kevin sta iniziando a piazzare le trappole.” Niki tornò a concentrarsi sul film decidendo di ignorare il vicino, troppo presa dal seguire vicende che ormai conosceva a memoria dopo averle viste nel corso di ogni singolo periodo natalizio Natale della sua vita, mentre Carter persisteva nel guardarla torvo e Sarge a ronfare beatamente, ignaro dei battibecchi che ogni pochi minuti infiammavano la stanza:
“È il mio film di Natale preferito e me lo stai rovinando!”  Carter incrociò le braccia al petto e mise il muso fissando corrucciato le immagini colorate che si muovevano sullo schermo in alta definizione, deciso a non rivolgerle la parola per almeno cinque minuti mentre Niki, accanto a lui, tuffava la mano in mezzo alle patatine per raccoglierne qualcuna alzando gli occhi al cielo, per niente preoccupata. L’unica cosa che si premurò di far sapere al vicino fu che no, non poteva copiarle persino il film natalizio prediletto:
“Non ci provare, è il mio film di Natale preferito. Perché ci piacciono sempre le stesse cose?!”
Quello era un dubbio che assillava Carter da quando aveva avuto modo di approfondire la conoscenza della sua scorbutica vicina: come potevano avere gusti tanto compatibili quando lui era visibilmente più simpatico e gradevole di lei? Per il momento non disponeva di una risposta a quel quesito, ma si premurò ugualmente di strattonare un lembo della coperta per cercare di posarsela sulle gambe.



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Capitolo 7
*** Ice Skating ***


 
VII. Ice Skating  


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Dopo aver allacciato i pattini bianchi, regalo di Natale di suo fratello Cédric risalente all’anno precedente, Daphné si mise in piedi, percorrendo i pochi metri di neve fresca che la dividevano dalla sponda del lago prima di sentire finalmente le fredde lame di metallo a lungo rimaste inutilizzate scontrarsi con la spessa superficie di ghiaccio che si era formata sopra il livello dell’acqua. La giovane strega di siede una leggera spinta, allontanandosi di poco dalla riva mentre con i pattini creava dei sottilissimi solchi sulla lastra gelata, gli occhi verdi che ammiravano la luce del sole riflettersi sul lago e far brillare  il ghiaccio.
Si fermò quando sentì una familiare voce femminile chiamarla a gran voce e chiederle di aspettare, insieme ad un’altra che subito dopo imprecò sonoramente quando rischiò, con ogni probabilità, di scivolare e cadere di faccia. Daphné ruotò su se stessa con un movimento fluido e si infilò le mani fasciate da un paio di soffici guanti di cashmere rosa cipria, abbinati alla sciarpa e al berretto, nelle tasche del piumino talmente bianco da riuscire quasi a farla confondere con la distesa di neve che aveva ricoperto il parco di Beauxbâtons. Un lieve sorriso divertito distese le labbra della ragazza quando i suoi occhi si soffermarono sulle figure delle sue amiche, entrambe munite come lei di sciarpe, guanti e berretti e di un paio di pattini ai piedi. Di certo Lucinda sembrava molto più a suo agio e rilassata di Maëlle, che si aggrappava alla mano sinistra della portoghese come se quella stretta avesse dipeso tutta la sua vita.
“Tutto bene?”, domandò Daphné levando la voce in mezzo alla pace e al silenzio assoluto che fino a quel momento avevano regnato attorno al lago, per il momento ancora tutto per loro: si erano alzate presto appositamente per non dover fare i conti con l’enorme folla di studenti che di certo, alla vista di quel magnifico panorama, si sarebbe riversata all’esterno del castello nel corso della giornata.
“Bene un cazzo, sto per morire!”, bofonchiò amareggiata Maëlle prima di rischiare di cappottarsi con un acuto gridolino, riuscendo a restare in piedi solo aggrappandosi a Lucinda, che sbuffò esasperata mentre cercava di condurre l’amica verso Daphnè nella speranza che la pattinatrice più esperta del gruppo riuscisse a fare in modo che la bionda non si ustionasse la faccia sul ghiaccio.
“Devi tenerti bilanciata, se stai protesa in avanti come un giocatore di hockey cadi di sicuro!”
“E perché quelli stanno protesi in avanti e non cadono?!”, domandò esasperata la bionda mentre con la mano libera si aggiustava il berretto di lana bianco a trecce che si era calata sui folti capelli color grano e con l’altra si teneva saldamente aggrappata a quella di Lucinda, che scivolò sul ghiaccio verso Daphné mentre la francese le guardava, immobile e in attesa e con un sorriso appena percettibile sulle labbra. Quasi si pentì di aver lasciato il telefono nella borsa e di non poter fare un video.
“Non lo so, quelli sono enormi, hanno un baricentro diverso, tu controlla il tuo! Daphnè, tienila!”
Mentre Maëlle le faceva notare seccata di non avere la più pallida di dove accidenti fosse il suo baricentro e di avere l’equilibrio di un rinoceronte su una fune Lucinda le mise una mano guantata di viola sulla spalla e la spinse debolmente in avanti verso Daphné, che protese senza battere ciglio le braccia pronta ad afferrare l’amica. Maëlle non gradì affatto di essere colta di sorpresa in quel modo, e gridò terrorizzata mentre sfrecciava verso l’amica cercando di stare in piedi agitando le braccia, certa che si sarebbe rotta il setto nasale. Fortunatamente riuscì a percorrere quegli appena tre metri senza cadere, stringendo le mani di Daphné, che la costrinse a fermarsi con un lieve strattone, mentre Lucinda le raggiungeva ridacchiando divertita:
“Ti offendi se ti dico che mi ricordi un po’ un tacchino che cerca di prendere il volo?”
“La prossima volta il cazzo di lago ghiacciato lo sorvolo in sella alla mia scopa, altro che questi stupidi pattini!”




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Capitolo 8
*** Decorations ***



Auguri Bea❤️❄️


VIII. Decorations  


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L’albero di Natale svettava accanto al camino acceso insieme ad una scaletta di legno che Margot avrebbe usato per appendere le decorazioni ai rami verdi – quando l’aveva vista entrare in salotto brandendo quella scaletta pieghevole si era offerto subito di appendere le decorazioni sui rami alti al suo posto, certo che l’accoppiata Margot-scaletta si sarebbe potuta rilevare pericolosissima, ma la strega aveva rifiutato fermamente –, e mentre lui era stato relegato ad appendere le calze rosse al camino e una ghirlanda formata da rami di bacche rosse sul muro di pietra sopra di esso lei e Freya stavano svuotando gli scatoloni rossi che contenevano palline, ghirlande, fili di luci e tutto ciò che Margot era solita appendere all’albero.
“Margi, dove lo metto questo?”, domandò Håkon stringendo tra le mani callose la cornice del dipinto ad olio ritraente la costa scozzese che di norma si trovava sopra al caminetto e che per qualche settimana sarebbe stato sostituito dalla ghirlanda, ma a stento udì la risposta che ricevette dalla strega e non si accorse nemmeno di Chewbie, il loro cane, quando questi sgattaiolò furtivamente via dal soggiorno stringendo tra i denti una delle sue pantofole. I profondi occhi scuri di Håkon si focalizzarono invece su ciò che Margot stava tirando fuori da uno degli scatoloni, portandolo ad una breve riflessione che sfociò rapidamente nell’unica conclusione possibile:
“Margi,”, domandò con tono di voce fermo mentre Freya giocherellava con una piccola campanella d’oro, facendola tintinnare piano, “dove hai preso quelle decorazioni?”
“Queste? Le ho da un paio d’anni.”, rispose la strega sollevando delicatamente la confezione dallo scatolone e ricambiando il suo sguardo spalancando con innocenza i grandi e cristallini occhi azzurri. Peccato solo che Håkon non se la bevve:
“Ma davvero?”, domandò l’astronomo con una sottile eloquenza che la fidanzata finse di non percepire, limitandosi ad annuire rivolgendogli un candido sorriso mentre apriva la scatola per iniziare a tirare fuori le decorazioni.
“E perché io non le ho mai viste negli ultimi anni quando sono sempre venuto a trovarti insieme a Freya?”
“Perché non noti i dettagli, mi sembra piuttosto ovvio.”, si giustificò la strega mentre si metteva in piedi con un’alzata di spalle, pronta a salire in cima alla scaletta per disporre le decorazioni partendo dalla cima dell’albero. Håkon replicò torvo facendole notare come quanto avesse appena detto non corrispondesse affatto con la realtà, ma visto che non voleva accompagnare nessuno al San Mungo le suggerì anche di sfilarsi le pantofole di Baby Yoda prima di arrampicarsi sulla scaletta. Margot fortunatamente gli diede ascolto, salendo i gradini di legno solo con i calzini natalizi rossi e bianchi e appropinquandosi a riempire l’albero con tante piccole statuette a forma di stormtrooper natalizi. Alla vista di un minuscolo Yoda con un filo di lucine avvolto attorno e una palla di vetro contenente finta neve e una minuscola riproduzione del Millenium Falcon la tentazione di prendere a colpire il caminetto con la testa fu difficile da scacciare.
“Immagino che queste decorazioni non siano arrivate con il pacco misterioso che l’altro ieri non hai aperto davanti a me.”, suggerì calmo l’astronomo mentre guardava la fidanzata sempre stringendo il quadro e allo stesso tempo pronto ad afferrarla quando sarebbe quasi del tutto inevitabilmente caduta dalla scaletta.
“Ma figurati, lì dentro c’era il tuo regalo!”, asserì la strega rivolgendogli un’occhiata stranita, come se avesse appena pronunciato una ridicola assurdità, mentre si accingeva ad appendere una serie di palline di vetro che riportavano varie citazioni ormai familiari persino a lui.
“Margi, forse la faccenda di Etsy sta un tantino sfuggendo di mano. Soprattutto quando hai cinque scatoloni pieni di decorazioni.”
Ma se non compro mai nulla!”, esclamò sconvolta l’ex Tassorosso ignorando lo zerbino di Star Wars, la collezione di tazze a tema serie tv e saghe cinematografiche, le felpe e i quadretti sempre a tema Star Wars con cui aveva riempito una parete intera della camera da letto.
“A proposito, già che ci sei, perché non metti le candele e i globi di vetro sopra al camino?”, suggerì con un sorriso dolce la strega affrettandosi a cambiare discorso, guardandolo esitare prima di annuire e sospirare un assenso. Mentre Håkon si chinava per appoggiare il quadro sul tavolino da caffè di noce Freya, che le stava passando le decorazioni, mise in mano a Margot la tazza a forma di stormtrooper che le era arrivata due giorni prima insieme alle decorazioni e che aveva accidentalmente nascosto nello scatolone insieme a loro. Presa alla sprovvista, Margot si guardò frettolosamente attorno non sapendo dove metterla, finendo con l’appenderla per il panico ad un ramo rivolto verso la parete, nascosto alla vista dal punto in cui si trovava Håkon, prima di fingere di raddrizzare una pallina con nonchalance quando l’ex Grifondoro si rimise in piedi per prendere candele e globi con la neve da uno scatolone.
“Perché hai tutte queste candele natalizie che non accendi mai?”
“Perché sono troppo belle e costose per accenderle!”
“E allora a cosa servono?!”
Ma a cosa servissero – sicuramente a niente – quelle candele inutilizzate Håkon non l’avrebbe mai saputo, perché Freya gli si rivolse con un largo sorriso prima di dare a Margot il tempo di parlare, mostrandogli una confezione di decorazioni altamente sospetta e mai vista prima tanto quanto quella di Star Wars:
“Papino guarda, ti piacciono le decorazioni di Frozen?”, domandò allegra la bambina indicando una decorazione a forma di Sven – con tante piccole palline rosse appese alle lunghe corna – mentre Margot, si affrettava a rivolgerlesi sgranando eloquentemente gli occhi blu.
“… Che ti ha comprato la nonna, vero?!”
“… Certo! La nonna!”
“Siete impossibili! Di questo passo con tutto quello che comprate ci dovremo trasferire in una villa, o in alternativa mandare qualcuno fuori casa per avere un po’ di spazio…”
Håkon si pentì immediatamente di aver parlato quando vide le due scambiarsi un’occhiata, affrettandosi ad intimare ad entrambe di non pensarci nemmeno: di sicuro, inutile dirlo, il qualcuno che sarebbe stato mandato a vivere in tenda in giardino sarebbe stato lui. Il cane, invece, lo avrebbero tenuto.



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Capitolo 9
*** Christmas tree ***


 
IX. Christmas tree


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Kei era del tutto certo che la maggior parte della gente non avesse una frase che si ritrovava a ripetere con particolare frequenza, più o meno almeno una volta al giorno, e anche se così fosse stato di sicuro la maggior parte di tali individui non ne era consapevole. Lui, al contrario, sapeva benissimo quali fossero le parole che, messe in fila una davanti all’altra, erano ormai diventate una specie di mantra nelle sue giornate:
“Orion, cosa stai facendo?”
Il tono aveva cessato di essere sorpreso, preoccupato o genuinamente incuriosito già da molto tempo: ormai non gli restava altro che la rassegnazione, e fu proprio con tale stato d’animo che il ragazzo guardò il vicino e amico cercare di districarsi dal lungo filo di lucine in mezzo alle quali si era trovato invischiato.
“Francamente non saprei, volevo districare le lucine ma penso di essermi incastrato io stesso.”
“Non mi dire. Cerca almeno di spegnerle, ci stiamo accecando tutti e due.”
Mentre Orion cercava di ritrovare il pulsante di accensione che gli avrebbe quantomeno consentito di cessare di brillare come un’insegna di Broadway Kei diede le spalle all’abete finto che aveva appena finito di montare per avvicinarsi all’amico, gli occhi a mandorla socchiusi nel tentativo di non restare accecato dalle allegre lucine che passavano di continuo dal bianco e verde al blu e rosso.
“Mi dici come hai fatto ad incastrarti così, ti avrò dato le spalle sì e no per tre minuti per mettere in piedi l’albero!”
Raggiunto Orion Kei cercò l’estremità del lungo filo nero per liberarlo mentre l’astronomo si stringeva nelle spalle – per quanto gli fosse possibile –, asserendo di non esserne del tutto sicuro. Aveva deciso di tirare fuori le luci per aiutarlo e fare prima, ma non sapeva bene come aveva finito col restare ingabbiato nel filo.
Per Kei fu un sollievo riuscire a rinvenire il pulsante di accensione, premendolo ripetutamente per cambiare il motivetto luminoso delle lucine finchè tutte non furono finalmente spente, ridando un po’ di pace alla sua vista.
“Beh, grazie per l’aiuto, ma ricordiamoci che l’anno prossimo le luci posso anche tirarle fuori io dalla scatola.”
“Ricordati che è solo grazie a me se hai deciso di fare l’albero! Assurdo che tu non l’avessi mai preso, prima di quest’anno.” Orion scosse la testa con viva disapprovazione, fortemente compiaciuto di essere riuscito a persuadere l’amico a comprare, finalmente, un albero da mettere e addobbare nel soggiorno. Afferrata l’estremità del filo, Kei iniziò a tirarlo e a raggirare l’amico nel tentativo di liberarlo, guardando con sollievo le luci iniziare a srotolarsi mentre scuoteva distrattamente il capo, poco preoccupato della stizza provata da Orion:
“Che vuoi che ti dica, da piccolo non l’ho mai fatto, non fa parte della mia cultura. Però è carino, lo ammetto. Spero che Polaris non lo distrugga.”
Lo sguardo del padrone di casa indugiò brevemente e con una punta di preoccupazione sul suo gatto, che si era acquattato sul pavimento accanto all’albero ancora spoglio per studiarlo con curiosità e attenzione, annusando i rami più bassi nel tentativo di capire che cosa fosse quel nuovo mobilio alto e con i rami che non aveva mai visto. Forse un gioco nuovo?
“Se il mio sopravvive ogni anno ad Arthur sopravviverà anche il tuo a Polaris, fidati di me.”
“Non dovevo fidarmi di te anche per le luci?!”
“Non aggrapparti alle piccolezze adesso! Guarda cosa ti ho preso, regalo di Natale in anticipo.”
Orion accennò con un lieve movimento del capo e un sorriso compiaciuto in direzione dell’enorme divano del soggiorno e del basso tavolino di vetro posizionato davanti ad esso, invitando Kei a smettere momentaneamente di cercare di liberarlo per andare a vedere che cosa gli avesse portato in dono. Dopo un breve indugio e avergli scoccato una rapida occhiata dubbiosa il più giovane obbedì, allontanandosi dall’astronomo per annullare la distanza che lo separava dal divano e chinarsi così su una scatola pentagonale blu notte con i bordi decorati da sottili linee dorate che non aveva minimamente notato fino a quel momento.
“Non l’avevo neanche vista, quando l’hai messa sul tavolo?!”, domandò accigliato Kei sollevandola e voltandosi al contempo verso l’amico, che rispose al suo sopracciglio inarcato con un sorriso sornione e un’altra stretta di spalle:
“Mentre aprivi la scatola dell’albero.”
“Quindi hai avuto il tempo di piazzare qui una scatola e di incastrarti con le luci. Potresti essere da Guinnes dei Primati.”
Con quelle parole Kei tornò a guardare la scatola, sollevando delicatamente il coperchio per aprirla come un libro senza prestare particolare attenzione alle pigre lamentele di Orion. Una volta aperta gli occhi scuri del giovane scivolarono sui dodici incavi della scatola, tutti contenenti decorazioni di vetro e cristalli appese a fili argentati e raffiguranti le costellazioni dello zodiaco.
“Sono bellissimi. Grazie.” Un sorriso increspò le labbra di Kei mentre sfiorava con le pallide e affusolate dita della mano destra la costellazione del Sagittario, reggendo la scatola con la sinistra mentre Polaris mordicchiava indisturbato uno dei rami più bassi dell’albero spoglio e Orion sorrideva compiaciuto:
“Certo, ho buon gusto io! Quando sarò libero esigo un abbraccio. Ora dammi una mano, mi sento un legato come il tacchino del Thanksgiving!”
Consapevole che di quel passo avrebbero finito di addobbare l’albero dopo Natale Kei si chinò una seconda volta sul tavolino, riponendosi nuovamente la scatola per recuperare invece la bacchetta e puntarla contro Orion, guardando il filo di luci spente tremare per un istante prima di accasciarsi ai piedi dell’amico.
“Ah. Bravo, io non ci avevo pensato.”, ammise l’astronomo facendo un passo in avanti per lasciarsi il cumulo di plastica alle spalle, sorridendo allegro mentre l’amico, ripreso in mano il suo regalo, si avvicinava nuovamente a lui e all’albero scuotendo il capo:
“Non mi dire. Forza, dammi una mano. Cerchiamo di non distruggere le decorazioni che mi hai appena regalato e di finire entro domani… Orion, cosa fai, mi cade tutto!” Kei quasi trasalì quando Orion lo cinse senza preavviso con le lunghe braccia, stritolandolo e rischiando di fargli cadere le sue nuove e bellissime decorazioni sul pavimento ancor prima di averle tirate fuori dalla confezione. L’astronomo però non fece caso alla sua protesta, continuando imperterrito a stritolarlo per risarcirlo di tutti i natali passati senza albero, senza decorazioni e soprattutto praticamente senza la sua famiglia.
“Se anche fosse le aggiusti in un attimo, non scassare.”



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Capitolo 10
*** Letters to Santa ***


X. Letters to Santa


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Va bene bambine,” Adela sollevò prontamente il vaso di cristallo pieno di fiori freschi posato al centro del lungo tavolo rettangolare della sala da pranzo, determinata a metterlo al sicuro sul ripiano della cassettiera più vicina mentre non una, ma ben quattro bambine sfrecciavano una dietro l’altra all’interno della stanza, i visini sorridenti e pieni di entusiasmo “sedetevi e prendete penne e inchiostro.”
India, Dalia, Queen e Silvy occuparono le sedie a loro quotidianamente designate durante i pasti, le due più grandi sedute vicine e le piccole esattamente di fronte a loro. La sedia di Richard, alla destra del posto a capotavola dove normalmente sedeva Adela, rimase vuota come accadeva ogni giorno da diverse settimane a quella parte, e Dalia non tardò a gettare un’occhiata preoccupata al posto vuoto del fratello maggiore prima di rivolgersi con tono ansioso alla madre:
“Mamma, come farò Richie con la sua lettera?!”
“Sì, come farà Babbo Natale a portargli i regali?!”, le fece subito eco Silvy mentre sedeva facendo dondolare le gambe dalla sedia, i lunghi capelli scuri acconciati sulla nuca con stuoli di forcine e un fiocco come tutte le sue sorelle, nel suo caso verde chiaro. Dopo aver svitato il tappo del calamaio che la madre aveva preparato davanti alla sua sedia Queen rischiò di urtarlo e rovesciare la boccetta sul tavolo, ma Adela la salvò appena in tempo, reduce da undici anni di duro allenamento, prima di rivolgersi alla più piccola delle presenti con un caldo sorriso:
“Non preoccuparti Silvy, Richard la sua può sempre scriverla da Hogwarts. Lo so che insieme è più bello, ma adesso lui vive lì.”
Lo sguardo della strega scivolò sui quattro volti delle figlie scorgendo visibili tracce di disappunto e di amarezza – le più piccole in special modo sembravano ancora parecchio risentite per la partenza del fratello maggiore – che si affrettò a cercare di placare sfoggiando un largo sorriso:
“Ma tornerà tra un paio di settimane e non vorrà vedere musi lunghi quando varcherà la porta di casa insieme a vostro padre, quindi iniziate ad esercitarvi con dei volti allegri da mostrargli. O volete fargli credere che non siete felici di vederlo?”
Esattamente come aveva preventivato un coro di “no” si levò dal tavolo, e Adela annuì compiaciuta prima di invitare le quattro figlie ad iniziare a scrivere le loro lettere, le mani adorante dalla sottile fede d’oro e l’anello di fidanzamento strette sullo schienale della sua sedia mentre guardava le bambine impugnare, chi più maldestramente delle alte, le penne d’oca che aveva sistemato davanti ai loro posti poco prima del loro arrivo insieme a fogli di carta, inchiostro e ceralacca rossa per sigillarle.
“Karlos per la sua come farà, invece?”, domandò Dalia iniziando a scrivere accigliata pensando al fratello minore e alla seconda sedia rimasta vuota, quella alla sinistra di Adela, occupata dalla piccola torre di cuscini che consentiva al bambino di trovarsi all’altezza del tavolo quando vi si sedeva.
“Karlos sta dormendo ed è meglio lasciarlo fare per la sanità di tutti noi, specie la mia. La scriverà dopo io per lui.”
Non destare dal sonno i figli quando dormivano era diventata rapidamente una di quelle regole che Adela non si sognava nemmeno di non rispettare. Pochi minuti dopo, la strega era china alle spalle di Silvy, aiutando la figlia minore a compilare la sua lettera – la bambina aveva iniziato ad imparare a scrivere solo di recente – quando Hector varcò la soglia della stanza con un sorriso sulle labbra e sfilandosi i guanti di pelle di drago dalle mani, i lisci capelli scuri coperti da una lieve spruzzata di fiocchi di neve.
“Buongiorno bambine! State scrivendo le vostre lettere?”
Di norma le figlie correvano ad abbracciarlo tramortendolo non appena lo vedevano entrare in una stanza, ma quel mattino erano talmente prese dalla loro importantissima occupazione che si limitarono a salutarlo allegre e ad assentire prima di tornare a scrivere, riempiendo la sala da pranzo illuminata dalla luce fredda del mattino che entrava dalle finestre solo con il fruscio delle punte delle penne sulla pergamena.
Hector si sfilò anche la sciarpa di lana e lasciò tutto sulla sua sedia prima di raggiungere Adela, depositandole un bacio su una guancia prima di chiederle come stesse procedendo:
“Direi bene. Silvy se la sta cavando egregiamente, vero piccola?” La strega sfiorò con dolcezza i capelli scuri della bambina, che annuì mentre si voltava verso il padre con un sorriso entusiasta, invitandolo a guardare come stesse scrivendo. Dopo essersi complimentato con lei e averle dato un bacio Hector, reduce da una gelida passeggiata in compagnia dei loro setter, raggirò il tavolo per andare a dare un’occhiata anche a quelle delle due figlie maggiori, schiarendosi la voce per attirare l’attenzione della moglie quando lesse ciò che Dalia aveva scritto:
“Dalia, tesoro mio, forse non è il caso di chiedere a Babbo Natale che zia Charlotte venga a vivere con noi.”
“Perché no? Io le voglio bene!” La bambina levò lo sguardo sul padre sgranando gli occhi azzurri con la pura innocenza, certa di aver fatto un’ottima richiesta mentre Hector si chinava flettendo le ginocchia e posando una mano sullo schienale della sua sedia, annuendo pazientemente mentre Adela, in piedi dall’altro capo del tavolo, si sforzava di non ridacchiare.
“Anche noi. E anche lei ti vuole bene, ma non può vivere con noi. Vuoi forse che William, Sean e Camille restino soli senza di lei?”
Possono venire anche loro!”
Del resto casa loro, quella in Inghilterra come quella in India, non era già troppo affollata, si disse Adela mentre Hector scuoteva il capo sfoggiando la sua espressione più dispiaciuta:
“Ho paura che neanche Babbo Natale possa fare certi miracoli, tesoro.”
“Oh, che peccato!”
Hector annuì con aria comprensiva, accarezzando il nastrino blu notte che adornava i capelli della figlia mentre India, accanto a lei, scriveva con tanta foga da far penzolare i lembi rossi del suo fiocco. Chissà che cosa stava chiedendo per regalo, si disse Adela prima di affrettarsi a raggiungere il marito raggirando il tavolo per farla desistere su almeno qualche desiderio.
“È proprio un peccato. Ma la vedremo prestissimo, domani vengono tutti a cena qui. Contente?”
“La zia ci racconterà come si fa a botte con i cattivi!”, esclamò Queen sorridendo felice e agitando in aria la sua penna quasi fosse stata una bacchetta facendo ridacchiare tutte le sue sorelle, affrettandosi ad abbassare la mano quando la madre le scoccò un’occhiata severa:
“La zia non fa a botte, e neanche voi dovete, che sia ben chiaro! E tu, signorina.”, aggiunse spostando lo sguardo su Silvy, che sorrise angelica mentre Queen, accanto a lei, si affrettava a chiedere a Babbo Natale di farla diventare coma la zia una volta cresciuta. Magari avrebbe anche sposato un uomo bello come William! Si aggiustò il fiocco rosa tra i capelli appuntandosi di mettersi un bel vestito per la sera seguente mentre pensava sognante al marito della migliore amica dei suoi genitori.
“Tu e Sean vi dovete comportare bene.”
Silvy annuì, promettendo solennemente alla madre che l’avrebbe fatto senza smettere di sorridere con un’innocenza che avrebbe convinto solo un estraneo, non certo i suoi genitori, che si scambiarono un’occhiata prima che la madre, rassegnata, annunciasse con un sospiro di dover andare a nascondere tutto ciò che correva il rischio di andare in frantumi.



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Capitolo 11
*** Mistletoe ***


XI. Mistletoe


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Da un paio di giorni a quella parte Shou stava vivendo quello che non si sentiva di definire altro che uno strano fenomeno: aveva l’impressione di imbattersi in dei verdeggianti rametti di vischio ovunque andasse quando si spostava tra gli interminabili corridoi del castello per andare da un’aula all’altra, o ancora quando si dirigeva verso il Salone d’Ingresso per raggiungere la Sala Grande o le scale che scendevano nei Sotterranei. Il culmine di quelle stranezze si era verificato un sabato mattina, quando si era recato insieme a sua cugina all’interno della Guferia per spedire una lettera e, manco a dirlo, aveva scorto dei rami di vischio appesi alla porta d’ingresso.
“Che strano.”, si era limitato a commentare il Serpeverde aggrottando le sopracciglia mentre Lilian, accanto a lui, guardava prima scettica i rami verdi e le bacche rosse e poi lui con tiepida e malcelata rassegnazione, come se avesse appena compreso qualcosa che a lui stava evidentemente sfuggendo. Probabilmente, si era detto Shou senza dare troppo peso al fenomeno, quell’anno qualche Elfo Domestico particolarmente solerte aveva deciso di impegnarsi particolarmente per decorare il castello in vista delle feste natalizie, ed era rimasto sinceramente persuaso di quell’idea fino al mattino seguente, quando dopo aver lasciato la Sala Grande insieme a Malai, finito di fare colazione, si era apprestato a raggiungere l’aula di Trasfigurazione.
Lui tanto quanto l’amico si era fermato di colpo quando, svoltato l’angolo, la sua attenzione era stata irrimediabilmente catturata dal soffitto di pietra del lato del chiostro in fondo al quale si trovava l’ingresso dell’aula, soffitto che stava visibilmente facendo chiacchierare parecchio buona parte degli studenti del castello.
“Che cazzo dovrebbe essere?!”, domandò sbigottito Shou senza riuscire a trattenersi – per sua fortuna la Preside non si trovava a portata d’orecchio – mentre i suoi occhi sorvolavano rapidi il soffitto di pietra, quel mattino poco visibile a causa della distesa di vischio che sembrava essersene impossessata.
Non ne sono del tutto sicuro, ma oserei dire che qualcuno sembrerebbe piuttosto determinato a farsi baciare.”  Malai si strinse debolmente nelle spalle mentre l’amico, colto da un’illuminazione improvvisa e da una terribile consapevolezza, volgeva di scatto lo sguardo su di lui, gli occhi sgranati:
“Io sono due giorni che trovo vischio dappertutto!”
“Beh, lo sai che è pieno di matte che ti muoiono dietro.”
Ma io pensavo fossero decorazioni! O che alla peggio fossi stato tu!”
“In alcuni casi sono stato io, ma non riesco mai a beccare Amanda da nessuna parte…” Il Tassorosso sbuffò amareggiato mentre si passava distrattamente una mano tra i lunghi e ricci capelli castani, e per fortuna nessuno dei due, troppo presi ad osservare accigliati la distesa di vischio che da poco più avanti a dove si trovavano procedeva fino alla porta dell’aula, scorse cosa avvenne alle loro spalle: Demelza aveva deciso di accompagnare Margot fino all’aula dell’amica per finire il discorso iniziato a colazione, e le due, svoltato l’angolo, si fermarono a soli pochi metri di distanza dai due ragazzi osservando sbigottite tanto quanto loro il soffitto improvvisamente rigoglioso e verdeggiante.
Margot e Demelza guardarono accigliate il soffitto, poi guardarono Malai e Shou, e dopo essersi scambiate un’occhiata e aver compreso scoppiarono silenziosamente a ridere, affrettandosi a fare retromarcia per raggirare il cortile nell’altro verso e non farsi vedere o sentire dai due.
“Beh, senti, è un chiostro, lo percorriamo nell’altro senso.”, propose Malai con una stretta di spalle quasi avendo sentito a distanza i pensieri della madre e della di lei amica, ma l’ottima idea che pensava di aver appena avuto venne bruscamente spazzata via da un paio di Corvonero del loro anno che proprio in quel momento li superarono menzionando il vischio che si trovava anche sul lato parallelo del cortile.
“… Scherzavo, non c’è via di scampo. Chissà chi è che ti ama così disperatamente!” Malai rise, ma Shou non lo imitò, gettandogli invece un’occhiata truce mentre si sentiva pervadere dalla sgradevolissima sensazione di essere osservato e di essere stato messo all’angolo come un animale braccato.
“Io a una persona con evidenti problemi mentali simili non mi ci voglio avvicinare! Non ci resta che una cosa da fare.”
“Ovvero?! Non possiamo mica Smaterializzarci!”
 
Lilian, Priscilla e Tallulah avevano deciso di fare il giro più lungo per raggiungere l’aula per tardare il più possibile il loro ingresso a lezione e poter chiacchierare ancora un po’, ma si erano improvvisamente fermate a metà del tragitto quando una visione piuttosto curiosa e inusuale aveva attirato la loro attenzione. Le tre streghe stavano in piedi una accanto all’altra nello spazio che intercorreva tra due colonne, gli sguardi puntati nella medesima direzione e la stessa espressione accigliata e confusa stampata in viso mentre scrutavano due persone di loro conoscenza impegnate a raggiungere l’aula di Trasfigurazione strisciando a raso del muro, arrampicati su una sporgenza decorativa non particolarmente profonda.
“Cosa credete che stiano facendo?”, domandò Priscilla con tono incerto mentre Lilian, alla sua sinistra, scuoteva il capo rassegnata:
“Comincio a ripetermi che dovrei smettere di domandarmelo.”
“Forse stanno facendo un gioco dove il pavimento è fatto di lava!”
“Miss X, quelle si chiamano droghe pesanti.”
 
Ma quella è mia madre che ci fotografa?! Ma’, smettila!”, ordinò Malai sporgendosi leggermente in avanti per lanciare un appello che avrebbe voluto suonare perentorio a sua madre, che si stava quasi piegando in due dalle risate mentre Margot, accanto a lei, seguiva la bizzarra scenetta coprendosi le labbra con una mano, sforzandosi in tutti i modi per non imitare la collega e scoppiare a ridere in faccia ai due ragazzi peccando di scarsa sensibilità.
“Se l’anno prossimo vedo del vischio giuro che gli do fuoco.”





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Capitolo 12
*** Gifts ***



XII. Gifts


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Alphard agitò frettolosamente il cucchiaino all’interno della tazzina serigrafata bianca e nera, uno dei pezzi della collezione H Déco di Hermès che Anjali custodiva gelosamente all’interno di una vetrinetta, prima di sollevarlo e posarlo sul bordo dell’elegante piattino coordinato, nervoso. Sollevò la tazza cercando lo sguardo della donna che gli sedeva di fronte, ma non lo trovò: Sabrina a differenza sua stava sorseggiando il suo decaffeinato bollente in tutta calma, le gambe avvolte da un paio di pantaloni neri a sigaretta accavallate con grazia mentre faceva dondolare debolmente il piede sinistro fasciato da una decolleté del medesimo colore; teneva i grandi occhi scuri puntati distrattamente sulla finestra chiusa più vicina all’angolo del salotto dove sedevano, studiando pensosa i tetti di Zurigo che si stagliavano sul freddo cielo striato da nuvole grigio chiaro.
“Questa poltrona è sempre sorprendentemente comoda.”, sentenziò infine la donna mentre si sporgeva leggermente in avanti, verso basso tavolino che divideva la poltrona di pelle color caramello dove si era accomodata poco prima e il divano dove sedeva Alphard, per rimettere con delicatezza sul piattino la tazza vuota.
“È una Le Corbusier.”, osservò Alphard dopo una breve esitazione e inarcando un sopracciglio: dopo quella pausa tutto si sarebbe aspettato di sentire da parte della sua ospite tranne un commento sull’arredamento dell’attico. Le sue parole, sorprendentemente, destarono un sorriso sulle labbra carnose e velate da uno strato di lip oil che doveva costare una fortuna di Sabrina, che lo guardò stringendosi il ginocchio sinistro e inclinando leggermente la testa di lato, l’aria divertita:
“Curioso da parte tua credere che io non riconosca una Le Corbusier quando la vedo. Dovrei proprio regalarne una a Joël…” Sabrina accarezzò dolcemente i braccioli della poltrona mettendovisi più comoda, il piede che non la smetteva di dondolare lentamente mentre una minuscola traccia di esasperazione si faceva largo sul viso di Alphard destando un sorriso allegro sulle labbra della francese:
“Oh, che sbadata, era proprio di regali che si parlava poco fa!”
“Ti diverte tanto torturarmi, non è vero?”
“Solo un pochino. Non te la prendere Alphard, sai bene di piacermi.” Sabrina inclinò ancora la testa mentre il suo sorriso si faceva più, vistoso e divertito e la sua mano destra risaliva verso i corti capelli color cioccolato, prendendo ad attorcigliarsene una ciocca attorno all’indice affusolato ed olivastro senza distogliere i grandi e profondi occhi scuri dal volto del padrone di casa. Sì, constatò Alphard: la sua richiesta d’aiuto la divertiva profondamente.
“Allora. Che cosa regalare ad Anjali. Non sei la prima persona a chiedermelo.”
“Non è facile farle dei regali, anche se ha un gusto impeccabile… che incontra perfettamente il mio, del resto. Ma qualsiasi cosa mi venga in mente non mi sembra… abbastanza.” Alphard scosse il capo amareggiato mentre si strofinava debolmente i palmi delle mani sulle cosce e sui pantaloni blu notte sartoriali: adorava talmente a dismisura la sua fidanzata da non sapere mai che cosa regalarle. Aveva sempre il timore di non riuscire a riflettere ciò che provava per lei su ciò che le donava.
“Abbastanza costoso?”, azzardò Sabrina inarcando un sopracciglio, guardandolo esitare prima di scuotere il capo.
“Abbastanza bello.”
“Alphard, il discorso è semplice.”
Sabrina abbassò la gamba facendo scivolare un ginocchio sull’altro, piantando entrambi i piedi sul pavimento prima di sporgersi leggermente in avanti con il busto, i gomiti fasciati da una camicia bianca di seta oversized appoggiati sulle ginocchia e le mani giunte, le dita lunghe strette le une dalle altre. Alphard non osò interromperla, guardandola in attesa mentre la strega ricambiava il suo sguardo tenendo i grandi occhi scuri puntati con decisione dritti nei suoi, l’aria di chi ha qualcosa di insindacabile da dire. E Alphard se ne convinse sinceramente, in quel momento, che la sua ospite detenesse la verità assoluta sulla questione:
“Anjali non ha mai avuto bisogno di ricevere regali belli e costosi da un uomo. Può comprarsi tutto ciò che desidera da sola, e l’ha sempre fatto. Ama il lusso, è innegabile, ma il suo è un animo romantico, sognerebbe di vivere un film dell’età d’oro di Hollywood se solo potesse, quando le donne indossavano guanti abbinati ai cappellini e gli uomini dovevano fingere di essere gentiluomini distinti e ben educati per fare colpo su di loro. Beh, è anche per questo che ti ama, credo.”
Una pausa durante la quale Alphard non poté far altro che annuire, quasi pendendo dalle labbra di Sabrina mentre questa, scacciata una ciocca di capelli che le stava dando fastidio, riprendeva a parlare con tono pacato quanto deciso:
“Potresti comprarle qualsiasi cosa, certo, e sono sicura che le piacerebbe. Ma anche la sua famiglia potrebbe regalarle qualsiasi cosa, se ci pensi. Qualcosa di bellissimo e costoso. O potrebbe comprarselo lei. Prova a non pensare di comprarle qualcosa, invece.”
“Dovrei farle qualcosa io? Non sono bravo in queste cose, onestamente. Disegno a parte non ho gran manualità.”
“Tesoro, impegnati. Sai quanti uomini ci sono là fuori che alla mia amica comprerebbero anche uno yacht? Io lo so di sicuro, una volta ne ha rifiutato uno da un tipo che non le faceva la corte… naturalmente le consigliai di aspettare di testare la spa della barca prima di rinnegare qualsiasi possibilità.”
Ma che amica premurosa.”
Sabrina ignorò il suo sarcasmo, limitandosi ad alzarsi per infilarsi il suo lungo cappotto nero con la cinta in vita, allacciandosela mentre lo guardava scuotendo il capo:
“È Natale, Alphard. Ragiona in un’ottica meno improntata al consumismo e più a quello che provi per Anjali, fidati di me. Ora scusa ma devo andare, ho lasciato mio fratello e Joël a giocare a ping pong in sala da pranzo all’H0tel e temo per ciò che potrei trovare.”
Sabrina aveva lasciato Alphard alle sue meticolose riflessioni sul Natale, attività che lo avrebbe tenuto impegnato per tutta la sera impedendogli di seguire tutte le infinite sottotrame di Love Actually, film che la fidanzata avrebbe deciso di guardare, e aveva lasciato l’enorme appartamento che i due condividevano salendo in ascensore, diretta al pian terreno e poi fuori dal palazzo per Smaterializzarsi. Le porte si erano appena chiuse davanti a lei quando Sabrina aveva sentito il telefono iniziare a squillarle in borsa, leggendo con sollievo il nome della sua migliore amica sul display anziché quello di Pierre o di Michel: quando si allontanava lasciando soli i due bambini temeva sempre per l’incolumità generale del suo Hotel.
“Ciao Anji.” La strega rispose al telefono accostandoselo all’orecchio e studiandosi distrattamente le unghie smaltate di rosso della mano libera, allarmando quando percepì immediatamente una distinta nota di disperazione nella voce dell’amica:
“Sabs, mi puoi aiutare, sono in giro per negozi ma non so cosa regalare ad Alphard!”
Sola all’interno dell’ascensore Sabrina si concesse di alzare vistosamente gli occhi al cielo: non vedeva proprio l’ora che il Natale arrivasse.



Poiché avrebbero trascorso i due giorni seguenti in compagnia delle rispettive famiglie, e di conseguenza di una discreta quantità di caos e agitazione, avevano deciso di scambiarsi i regali passata la mezzanotte dopo aver trascorso la sera della Vigilia a casa, solo loro due.
Anjali sedeva accanto a lui sul pavimento avvolta da un pigiama rosso dal taglio maschile, appoggiata al divano con i calici di champagne vuoti accanto e una coperta sulle gambe quando gli aveva porto il suo regalo, sottile, rettangolare e sufficientemente grande da far presupporre ad Alphard che si trattasse di un quadro. Alphard amava l’arte, e stava già iniziando a pentirsi di aver dato retta a Sabrina e al suo sentimentale consiglio mentre strappava la carta sotto lo sguardo impaziente e un tantino preoccupato di Anjali, o almeno finchè la verità non lo stupì: non si trattava di un dipinto o di un’opera d’arte in generale, bensì di quella che riconobbe facilmente come una cartina geografica stampata in bianco e nero e incorniciata. L’unica nota di colore era rappresentata da un segno rosso più o meno all’altezza del centro.
Alla base della cartina erano segnate delle coordinate che non gli dissero alcunché, e stava sforzando la vista per capire che cosa la cartina quando Anjali, sorridendo e aggiustandosi i lunghi e lisci capelli scuri dietro un orecchio, gli andò in aiuto:
“È il Principato di Monaco. Visto che è lì che ci siamo conosciuti.”
 Dopo un breve attimo di realizzazione Alphard ritrattò immediatamente i pensieri formulati poco prima, e un sorriso gli distese le labbra mentre appoggiava il quadro sul divano per sporgersi verso di lei e stringerla in un abbraccio, ringraziandola prima di depositarle un tenero bacio su una guancia.
“Naturalmente deciderai tu dove appenderlo.”
Naturalmente!”
“Bene, questo è il tuo regalo. Spero che ti piaccia.”
Sciolto l’abbraccio Alphard passò alla fidanzata una semplicissima scatola bianca avvolta da un lungo nastro di raso rosso legato al centro per formare un fiocco, e la guardò sistemarsela sorridendo sulle ginocchia in nervosa attesa; Anjali sciolse il fiocco premurandosi di mettere da parte il nastro lasciandolo sul divano, e infine sollevò il coperchio della scatola mentre Alphard guardava le ciocche di capelli scuri scivolarle davanti al viso, celandolo parzialmente dal suo sguardo. Riuscì tuttavia a scorgere comunque le prime, istintive tracce di stupore e meraviglia sul bel volto della strega, visione che lo portò ad agitarsi leggermente sul posto prima di schiarirsi la voce:
“Ho pensato di darti alcune cose che avevo conservato.”
“Ma questi sono i biglietti del primo spettacolo che abbiamo visto insieme a teatro?!” Anjali sollevò un pezzo di carta ormai più che familiare ad Alphard per mostrarglielo, e il fidanzato annuì, spostandosi leggermente sul pavimento per far sì che fossero più vicini e guardare il contenuto della scatola insieme a lei:
“Sì. Questo è il biglietto del primo volo che ho mai preso per Zurigo… Questa forcina l’ho trovata una mattina sul comodino della mia camera in Hotel, credo che l’avessi dimenticata. Non sapevo se avremmo continuato a vederci dopo la fine dell’estate e l’ho tenuta… Ora puoi riaverla, scusami.”
Anjali rise, e prese la forcina di perle per mettersela nel palmo della mano e accarezzarla con l’indice, studiandola brevemente prima di tornare a guardare il fidanzato. Gli sorrise prima di baciarlo, ringraziandolo subito dopo per il bellissimo regalo che le aveva fatto.
“Meglio di qualsiasi cosa potessi comprarmi.”
Alphard ricambiò il sorriso prima di baciarla di nuovo, certo che da qualche parte, in quel preciso momento, Sabrina St John si stesse crogiolando nella consapevolezza di essere un’inesauribile fabbrica di ottime idee.




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Capitolo 13
*** Snow Globe ***


XIII. Snow Globe 


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Tallulah si era segregata in Biblioteca ormai un paio d’ore prima, e da quando si era seduta stava marcendo davanti all’enorme cumulo di compiti di Antiche Rune che il Professor MacMillan aveva gentilmente assegnato a lei e ai suoi sventurati compagni di classe il pomeriggio precedente, gettando un mucchio di adolescenti in un vortice di disperazione quando aveva neanche troppo vagamente accennato alla possibilità di interrogare persino nel corso delle ultimissime lezioni antecedenti alle vacanze di Natale.
Totalmente assorbita dalle rune ormai da ore, per Tallulah fu un vero sollievo appurare che qualcuno stava attraversando silenziosamente il lungo corridoio in fondo al quale si trovava il suo tavolo con l’evidente intenzione di raggiungerla, felice di scorgere il viso del suo fidanzato tanto quanto grata per la possibilità di distrarsi anche solo brevemente dai compiti e riprendere ad avere un qualche contatto che coinvolgesse persone in carne ed ossa anziché libri, penne e vecchissimi rotoli di pergamena dall’odore sgradevole presi in prestito dalla Biblioteca.
“Ciao. Sei venuto a salvarmi dalle rune?”, domandò a bassa voce la strega con un sorriso quando Hiro si fermò davanti al tavolo ricoperto da libri aperti e quaderni intrisi di lacrime pieni di scarabocchi e cancellature, ricambiando con un velo di amarezza il sorriso della fidanzata prima di scuotere debolmente il capo:
“Mi piacerebbe molto, ma penso che nessuno possa salvarsi da MacMillan.”
“Hai ragione, non ci restano che le preghiere.”, mormorò affranta la Corvonero spalmando gomiti, braccia e capo sui libri aperti che aveva davanti, quasi desiderando che l’assorbissero per farla svanire per sempre. Fortunatamente Hiro la informò di avere qualcosa in grado di risollevarle il morale, e la strega lo guardò incuriosita tirare fuori dallo zaino blu notte che portava in spalla una piccola scatola che posò sul tavolo davanti a lei, in mezzo a penne gettate alla rinfusa e fogli strappati e appallottolati.
Risollevatasi e rimessasi seduta dritta sulla sedia dallo schienale quasi dolorosamente rigido – aveva presentato una mozione per rendere più confortevoli le sedie della Biblioteca e di conseguenza un po’ più gradevole la permanenza dei poveri studenti già disperati di per sé, ma non era stata accolta – Tallulah guardò perplessa la sottile e vivace carta rossa e oro prima di tornare a studiare il viso sorridente del fidanzato con un sopracciglio inarcato, facendogli notare come mancassero ancora un paio di settimane a Natale.
“Lo so, questa è una piccola parte del regalo che ho deciso di darti prima.”
“Per evitare di farmi naufragare in un fiume di lacrime causate da MacMillan? Come sei carino.” Tallulah sorrise mentre prendeva la piccola scatola rettangolare per attirarla a sé, iniziando a strappare delicatamente il nastro adesivo per non rovinare la carta da pacchi natalizia mentre Hiro, sempre in piedi davanti a lei, sorrideva con una debole stretta di spalle:
“Sì, per quello e perché mi è arrivato stamattina per posta e non ho voglia di aspettare due settimane per dartelo e vedere la tua faccia.”
“Se è un dispositivo che aziona una botola ogni volta in cui un insegnante fa il mio nome potrei quasi piangere.”
“Mi spiace, era finito. Magari per il tuo compleanno.”
Tallulah sorrise mentre metteva da parte la carta rossa che Hiro aveva usato per avvolgere una scatola di cartoncino marrone, aprendola sempre più incuriosita e finendo col tirarne fuori una palla di vetro con la neve. Sarebbe stata una comunissima palla di vetro natalizia piena di liquido trasparente, corpuscoli bianchi e dotata una base rosso scarlatto non fosse stato per ciò che la sfera conteneva, visione che suscitò in Tallulah una risata che echeggiò piena di sorpresa tra gli alti scaffali della Biblioteca fino ad allora avvolta dal silenzio.
“Dove l’hai trovata? È bellissima!” Tallulah rise mentre capovolgeva e agitava la sfera, guardando i minuscoli fiocchi candidi fluttuare nel liquido trasparente avvolgendo la minuscola statuita a forma di Vegeta contenuta dal vetro mentre Hiro, pienamente soddisfatto dell’effetto sortito dal suo regalo, la guardava ricambiando il suo sorriso:
“Lo so, è fantastica. Penso che me la prenderò uguale con Goku dentro.”
“Per favore, la mia sarebbe comunque molto più bella!”
Tallulah abbracciò il suo nuovo soprammobile preferito con aria protettiva scoccando un’occhiata sostenuta al fidanzato, facendola sparire e scusandosi con voce mesta quando Madama Pince sbucò da dietro uno scaffale intimando a lei e ad Hiro di fare silenzio.




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Capitolo 14
*** Reindeer ***


XIV. Reindeer


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Le alte fiamme verde smeraldo che arsero nel caminetto di mattoni anticiparono di qualche istante l’arrivo di Jude, che scavalcò con le lunghe gambe, in un gesto ormai abitudinario e quasi automatico, la griglia parascintille di ferro battuto nera spolverandosi dalle spalle fasciate dal cappotto nero gli ultimi residui di polvere volante che gli erano rimasti addosso.
Stava giusto per levare la voce e chiamare Isabelle quando alzando lo sguardo scorse la silhouette della moglie in piedi davanti ad una delle finestre del soggiorno, china davanti al vetro mentre sembrava studiare il giardino innevato con aria concentrata e in religioso silenzio. Jolly, il loro border collie, aveva imitato la padrona forse chiedendosi che cosa ci fosse di interessante da vedere, e si era issato con le zampe anteriori sulla finestre per scrutare a sua volta attraverso il vetro, la vaporosa coda bianca e nera che si agitava.
Colto di sorpresa Jude si immobilizzò nel bel mezzo del soggiorno, le suole degli stivali neri che calpestavano lo spesso tappeto dal quale di norma Isabelle gli intimava di stare alla larga e lo sguardo stranito puntato sulla schiena della strega mentre si domandava perplesso che cosa avesse catturato la sua attenzione. Senza far rumore – Isabelle da anni sottolineava come fosse perfettamente in grado di essere silenziosissimo quando gli andava, per poi passare il resto del tempo a darle fastidio – Jude si avvicinò alla finestra, a lei e a Jolly, accarezzando la soffice testa pelosa del cane mentre si chinava leggermente in avanti sul vetro, ponendo la testa più o meno alla stessa altezza di quella di Isabelle prima di mormorare qualcosa con finto tono cospiratorio:
Cosa stiamo guardando?”
“La renna.”, rispose Isabelle con aria perentoria, serissima in volto mentre continuava imperterrita a scrutare la renna decorativa coperta di luci che illuminava debolmente il giardino ormai buio.
“Hai paura che scappi via? Se vuoi le prendiamo un recinto.”
“Hai poco da sfottere, idiota. Sono giorni che al mattino la trovo in un angolo del giardino e mi tocca spostarla per rimetterla vicino al vialetto.”
“E quindi?”
E quindi qualcuno che non gradisce la mia bellissima renna pensa bene di spostarla in modo da renderla meno visibile, è ovvio!”
“Capisco. E sospetti di qualcuno? Pensi che dovremmo chiamare gli Auror? Perché sai che quelli non mi piacciono proprio…”
Il tono grave di Jude costrinse Isabelle a smettere di monitorare il giardino per scoccargli un’occhiataccia, destando un ghigno sbilenco da amabile “angioletto” sulle labbra sottili del marito prima che Jude le scoccasse un rumoroso bacio su una guancia. La strega non fece commenti, limitandosi a borbottare qualcosa a proposito dei loro sgradevoli vicini prima di tornare a perlustrare il giardino con i grandi occhi verdi, appena in tempo per scorgere una figura sospetta calpestare la neve fresca e avvicinarsi inequivocabilmente anche al buio alla sua renna.
“Ecco, guarda!”, esclamò la strega assestando una gomitata sul fianco di Jude, che strizzò gli occhi eterocromatici cercando di vederci qualcosa, ancora piuttosto scettico e incapace di non pensare a cosa avrebbe pensato chiunque, passando davanti alla casa, avrebbe notato due svitati e un border collie impegnati a starsene incollati davanti ad una finestra.
“Non ci credo che c’è davvero qualcuno che ogni giorno perde tempo per spostare la tua dannata renna…” Jude lasciò la frase in sospeso mentre lui, Isabelle e Jolly guardavano la figura misteriosa arrancare fino alla renna, prenderla per il collo e iniziare a trascinarla lontano dal vialetto, verso un angolo poco visibile del giardino. Una seconda gomitata colpì con veemenza il fianco di Jude, giusto per ricordargli quanto Isabelle mal sopportasse che la sua parola venisse messa in discussione.
“… Cazzo, c’è davvero qualcuno che ogni giorno ti sposta la renna.”, fu tutto quello che Jude riuscì a mormorare attonito mentre Isabelle, accanto a lui, si raddrizzava agitando indispettita la mano sinistra, pronta ad escogitare un modo per farla pagare alla vicina:
“Quella lurida vecchia della McCluskey, lo sapevo che era lei, la odio!”
“E che vuoi fare, le copriamo la casa di carta igienica?”
“No, di renne! Le riempiamo di renne il giardino, visto che non le piacciono.”
“Certo, domani le andiamo a comprare, poi di notte ci vestiamo di nero e andiamo a trascinargliele in giardino con i passamontagna.”, Jude prese finalmente a snodarsi la sciarpa di lana verde bottiglia che si era allacciato al collo prima di tornare a casa scuotendo la testa, sentendosi ridicolo solo all’idea, ma finì col pentirsi di aver pronunciato quelle parole quando Isabelle annuì, gli diede una pacca sulla spalla e si congratulò con lui per l’ottima idea, oltre a fargli sapere che il giorno seguente sarebbero davvero andati a comprare le renne. E le avrebbero anche incantate, asserì la strega dopo averlo superato per andare in cucina – spiare le aveva messo fame, aveva voglia di uno spuntino – in modo da farle nitrire ininterrottamente.




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Capitolo 15
*** Cinnamon Rolls ***


 
XV. Cinnamon Rolls 


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Copenaghen nel mese di dicembre era meravigliosa, Rebecca finiva col stupirsi di quanto bella fosse la capitale danese piena di luci e decorazioni, specie quando calava il buio, ogni singolo anno, quasi come se ogni visita fosse la prima di tutta la sua vita. Certo in quel periodo dell’anno la città era bellissima, ma anche terribilmente fredda, e la strega stava cercando di scaldarsi spostando il peso da un piede all’altro, sforzandosi di non restare ferma nella stessa posizione troppo a lungo, tenendo le mani coperte da un paio di moffole di lana sepolte nelle tasche del piumino bianco che indossava, il cappuccio sollevato sulla testa già coperta da un berretto del medesimo colore. L’unico tocco di colore in tutto il suo abbigliamento era costituito da una sciarpa di cashmere rossa che in realtà apparteneva ad Emil ma che finiva soventemente col rubargli, perfettamente in tema con le luci e le decorazioni che animavano la città ormai avvolta dalla semi-oscurità. Rebecca stava aspettando il suo fidanzato in un angolo della lunghissima Strøget piena di turisti e danesi in cerca di regali di Natale, a pochi passi da Kongens Nytorv e circondata dalle deliziose costruzioni in legno che davano vita ad uno dei mercatini natalizi più grandi e belli che Rebecca avesse mai visto in vita sua, tolto forse solo quello viennese. Stando con Emil Rebecca aveva imparato ad amare la Danimarca e amava Copenaghen, specie in quel periodo dell’anno, ma stava ormai iniziava a maledire mentalmente il fidanzato per averla abbandonata lì di sana pianta, sparendo nel nulla dopo aver affermato di avere qualcosa di importante da comprare. Rebecca non aveva sinceramente idea di quale acquisto fosse abbastanza importante da farle subire il freddo sempre più pungente da sola, e se lo stava chiedendo con impazienza e amarezza crescente, agognando un bicchiere gigante di cioccolata calda o vin brulè bollente per scaldarsi un po’, quando finalmente scorse la silhouette alta, bionda e irrimediabilmente sorridente di Emil, facile da individuare anche in mezzo alla ressa grazie all’altezza e alle spalle larghe, farsi strada tra la folla per raggiungerla.
“Eccoti qui!”, esclamò il danese donandole uno dei suoi adorabili sorrisoni da orsacchiotto che di norma destavano in chiunque l’istinto di abbracciarlo, ma che quella sera Rebecca non ricambiò, limitandosi a guardarlo cupa prima di fargli notare che anche volendo non sarebbe potuta andare da nessuna parte, salvo forse in una ghiacciaia visto che era ormai vicina a trasformarsi in una statua.
“Lo so, fa un po’ freddo, scusa. Ma è per una buona causa, ho preso questi. Per me sono i migliori della città.” Emil mostrò alla fidanzata ciò che l’aveva spinto ad allontanarsi, un sacchetto di carta marrone pieno di cinnamon rolls profumati e coperti da una glassa di zucchero che, Rebecca lo sapeva ormai bene, si sarebbe ritrovata a sognare sospirando una volta fatto ritorno in Inghilterra. Del resto se si era allontanato per dei cinnamon rolls poteva perdonarlo.
“… Non quelli che fa tua madre?”, domandò la strega guardando il fidanzato aggrottando la fronte, piuttosto perplessa a seguito di quell’affermazione considerando che la madre di Emil preparava dolci per lavoro.
“A mia madre non dire niente. Cioccolata calda?”
“Certo, non mi sento più le dita dei piedi! Dopo possiamo portarci la cena in camera e ingozzarci guardando un film natalizio? Fa troppo freddo per andare in giro.” La strega prese a braccetto il fidanzato per avviarsi insieme a lui verso la piazza in cui sfociava la strada commerciale più lunga d’Europa, anch’ella piena di casette di legno dalle quali provenivano aromi deliziosi, appoggiandogli il capo sul braccio e sollevando al contempo il mento per poterlo guardare con l’espressione più implorante di cui era capace, i grandi occhi eterocromi pronti a pregarlo anche se non ce n’era affatto bisogno: come sempre Emil sorrise alla fidanzata, annuendo e pronto ad assecondare qualsiasi cosa potesse renderla felice.
“Tutto quello che vuoi.”




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Capitolo 16
*** Snow ***



XVI. Snow


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Persino in quel gelido pomeriggio di fine dicembre uscire in giardino era sembrata un’ottima idea a Sean, Silvy e John, e anche alle madri dei primi due: Charlotte e i figli si erano recati in visita a casa dei Grayfall insieme a John, loro ospite per i primi giorni di vacanze natalizie, finchè i genitori non l’avrebbero raggiunto per trascorrere insieme il Natale in Inghilterra e poi fare ritorno negli Stati Uniti in occasione del Capodanno. Quando i tre avevano manifestato l’intenzione di uscire infilandosi scarpe, berretti, guanti e cappotti pesanti sull’uscio della grande dimora di campagna Adela e Charlotte avevano tirato un sospiro di sollievo, determinate a non sollevare neanche l’ombra di un’obiezione: forse tutto sommato sarebbero riuscite a prendere il tè in santa pace, con la casa un po’ meno affollata.
Karlos e Camille, i loro ultimogeniti, si erano rapidamente uniti ai fratelli maggiori uscendo a loro volta nell’ampio giardino coperto da uno spesso e soffice manto di neve fresca, unendosi ad una furiosa battaglia a palle di neve dopo aver dato vita ad un pupazzo al quale era stata momentaneamente donata la sciarpa di Karlos. Dopo essersi presa una palla di neve dolorosamente gelata in piena faccia da parte del fratello minore Silvy si passò le mani guantate sul viso bagnato nel vano tentativo di asciugarsi la pelle trovando rifugio dietro il tronco di un albero, maledicendo a mezza voce il fratellino – che stava ridendo di lei senza alcuna vergogna a qualche metro di distanza insieme a Camille – tanto quanto Sean, che anziché stare dalla sua parte si era rapidamente unito alle risate di Karlos non appena l’amica, colpita, aveva iniziato a strillare, bocca e occhi pieni di neve.
“Brutto deficiente, non dovresti essere dalla mia parte?!”, sbottò infastidita la ragazza calciando un po’ di neve per cercare di buttarla addosso all’amico mentre John, nascosto dietro l’albero più vicino, si premurava di vendicarla colpendo Karlos in pieno petto.
“Dovevi vederti, quando ti ha colpita non te l’aspettavi proprio… hai agitato le braccia come un tricheco.” Sean ridacchiò, ma capì di aver oltrepassato la linea sottilissima che delimitava la pazienza della sua migliore amica quando scorse distintamente gli occhi chiari di Silvy assottigliarsi minacciosamente. Nel frattempo Camille aveva deciso di prendersela con John, che lamentò l’impossibilità di ricambiarle il favore – non poteva certo aggredire con montagne di neve gelata la migliore amica di sua sorella, nonché la stessa sorella del suo migliore amico – mentre cercava di rifuggirle chiedendo inutilmente aiuto a Sean.
“Tricheco sarai tu, stronzo!” Sua madre non era a portata d’orecchi, pertanto Silvy si concesse di insultare con candida gioia l’amico mentre si inginocchiava, raccogliendo un po’ di neve con le mani guantate per poi gettarsi verso di lui con l’intenzione di spalmargliela in faccia e sui capelli. Disgraziatamente la giovane strega scivolò, e aggrappandosi all’amico capitombolarono entrambi dritti distesi sulla neve, prendendo a litigare mentre cercavano di alzarsi. Naturalmente Karlos e Camille ne approfittarono per avvicinarsi e colpirli a ripetizione ridacchiando sotto lo sguardo rassegnato di John, che raggiunse i due e cercò invano di separarli mentre, a qualche metro di distanza, i volti esasperati di Adela e Charlotte facevano capolino dalla finestra aperta della cucina: il sole stava tramontando e si erano affacciate con l’intenzione di richiamare i figli per aiutare ad apparecchiare la tavola in vista della cena, ma finirono con assistere rassegnazione allo spettacolo gentilmente fornito da alcuni dei loro figli.
Abbiamo cresciuto dei selvaggi.”, constatò amaramente Adela con un basso sospiro e scuotendo il capo mentre l’amica volgeva lo sguardo su di lei inarcando un sopracciglio, le mani strette sull’infisso della finestra:
“Tu almeno ti puoi consolare, hai anche dei figli normali.”
“Francamente non me lo spiego, le sorelle di Silvy avrebbero dovuto darle il buon esempio!”
Le due donne tornarono a guardare la scena giusto in tempo per scorgere la suddetta ragazza issarsi sopra all’amico impugnando minacciosa un grumo di neve, intimandogli di arrendersi e di decretarsi sconfitto mentre, proprio accanto ad Adela e a Charlotte, una seconda finestra della cucina veniva spalancata: ne fuoriuscirono Queen e Dalia, entrambi impegnate a ridersela mentre la maggiore puntava una macchina fotografica verso lo spettacolino offerto dalla sorellina e dal suo migliore amico.
“Ragazzi, Queen vi sta fotografando.” Karlos decise di mostrare un po’ di pietà indicando le sorelle maggiori appostate alla finestra, facendo sì che Silvy smettesse di minacciare Sean e Sean di dimenarsi: tutti volsero lo sguardo nella direzione indicata dal più piccolo dei Grayfall, incluse Adela e Charlotte.
“Queen, cosa stai facendo? Non mettere in imbarazzo tua sorella con una foto ricordo!”, fu il rapido rimprovero che Adela rivolse ad un’altra delle sue figlie prima di sparire dalla cornice della finestra, determinata a strappare la macchina fotografica dalle mani di Queen mentre Charlotte, rimasta dov’era comodamente appoggiata all’infisso di legno, annuiva seria:
“Esattamente, ci pensano già da soli a mettersi in imbarazzo.”
Nel frattempo John aveva smesso di cercare di dissuadere Silvy o di levarla di dosso da Sean, che ancora si stava divincolando cercando di farla cadere sul prato coperto di neve: John voleva bene al suo amico, ma non voleva nemmeno trovarsi nel mirino di una Silvy Grayfall indignata.
“Silvy, lasciami cazzo, non è giusto, sei una ragazza e non posso suonartele neanche se te le meriti!”
“Sei tu che mi hai dato del tricheco!” La piccata replica della ragazza destò un profondo moto di indignazione in Charlotte, che all’udire le sue parole spalancò labbra e occhi verdi prima di rivolgersi a gran voce al figlio scuotendo la testa, profondamente delusa mentre Adela, vittoriosa, prendeva possesso della macchina fotografica prima di spedire Queen e Dalia ad apparecchiare la tavola.
Sean, vergognati! Adela io non ne posso più, la prossima volta li lasciamo da soli e andiamo noi due sole a cena a ristorante.”
 
 
Hector Grayfall aveva sei figli, pertanto era perfettamente abituato a tornare a casa sentendosi circondare da grida, accuse legate a cravatte, cappellini, calze di nylon o cosmetici spariti non appena usciva dal caminetto del soggiorno. Naturalmente ciò avveniva solo durante i periodi di vacanza, quando tutti i suoi figli si radunavano sotto il tetto domestico, e anche grazie all’infinita pazienza di cui l’uomo disponeva non si indispettiva quasi mai: tutto sommato quel caos gli piaceva, voleva dire che era a casa e che c’erano anche i ragazzi, anche se ciò comportava litigi e scaramucce continui.
Hector sapeva che quella sera avrebbero avuto i Cavendish e John Carrington ospiti a cena, pertanto scavalcò agilmente il parascintille di metallo nero e si spolverò i residui di Polvere Volante dalle spalle large fasciate dal cappotto blu notte guardandosi attorno con un sorriso placido sulle labbra, lieto di vedere la sua cara amica Charlotte e al tempo stesso pronto ad un livello di confusione generale persino superiore alla media che le mura di quella casa erano solite ospitare.
La prima cosa che Hector notò fu la sagoma del maggiore dei suoi figli, Richard, che se ne stava comodamente seduto su uno dei due divani color cuoio con un libro in mano, le lunghe gambe accavallate, vestito per la cena e i capelli biondo scuro pettinati.
“Ciao Richard. Tutto nella norma?” Hector sorrise al ragazzo mentre appoggiava la valigetta nera sul divano libero, guardandolo ricambiare brevemente il suo sguardo con un paio di iridi blu identiche alle sue prima di esibirsi in una lieve stretta di spalle.
“Buonasera papà. Sì, direi nulla di insolito.”
Richard, da buon primogenito, nonché fratello maggiore di ben quattro sorelle, aveva sviluppato come suo padre un superpotere particolare: sapeva leggere e concentrarsi anche nel pieno di qualsiasi trambusto, e infatti tornò rapidamente a concentrarsi sul suo libro mentre l’eco di passi affrettati giungeva dalla sala da pranzo. Hector ebbe appena il tempo di voltarsi per poter scorgere la familiare silhouette della sua migliore amica, che si diresse verso la porta di casa a passo di marcia prima di aprirla e uscire. Nel varcare l’uscio Charlotte si voltò e si accorse della sua presenza, rivolgendogli un sorriso e un saluto caloroso prima di tornare improvvisamente seria e inoltrarsi nel giardino coperto di neve senza chiudersi la porta alle spalle, quasi fosse certa di tornare molto in fretta.
Poco sorpreso Hector, che non aveva nemmeno avuto il tempo di ricambiare il saluto dell’amica, lasciò Richard alla sua lettura e il soggiorno, superando l’ingresso che si affacciava sull’elegante scala ricurva per giungere in sala da pranzo, trovandola vuota con il lungo tavolo dove la famiglia consumava quotidianamente i pasti apparecchiato a metà. Un discreto vociare suggerì rapidamente all’uomo dove si trovasse la sua famiglia, spingendolo ad inoltrarsi in cucina, e fu lì che scorse sua moglie e quasi tutte le sue figlie, tutte appostate davanti alle finestre aperte.
“Buonasera a tutti. Tutto pronto per cena?”
Hector raggiunse Adela e si fermò accanto a lei posandole gentilmente la mano sinistra sulla spalla, guardandola voltarsi e sollevare lo sguardo per rivolgergli un sorriso. Nel frattempo Karlos, Silvy, Camille e John, tutti in giardino, gridavano, apparentemente facendo il tifo per qualcuno.
“Ciao tesoro. Sì, tutto a posto. CeCe sta inseguendo Sean, penso che ceneremo presto, bisogna solo aspettare William.”  Hector ricambiò il sorriso della moglie, chinandosi per darle un bacio su una guancia mentre Silvy, in giardino, incitava la migliore amica della madre. John, Karlos e Camille al contrario stavano suggerendo a Sean di correre più in fretta.
“Quanto dite che ci metterà la zia a prenderlo e a trascinarlo dentro per i capelli dopo che le ha tirato addosso tutta quella neve?”, domandò India, giunta a sua volta in cucina poco prima attirata dallo scrocio di risate successivo al clamoroso errore di valutazione di uno dei loro ospiti, che aveva colpito sua madre con la neve con l’intenzione di colpire Queen, sbagliando finestra.
“Direi tre minuti al massimo.”, sentenziò Dalia con una stretta di spalle, ma Queen scosse il capo, poco convinta, mentre si allontanava dalla finestra per raggiungere Richard nel soggiorno:
“Due. Dalia non hai visto quanto era furiosa, prima mi ha detto che proprio oggi pomeriggio era andata a farsi la piega. Beh, io vado a preparare il carrello degli alcolici per gli aperitivi in soggiorno, vi chiamo quando arriva lo zio Will… Ciao papà.”
“Ciao tesoro.” Hector rispose al sorriso della figlia e si chinò per farsi lasciare un bacio sulla guancia. La guardò sparire attraverso la porta aperta prima di cingere le spalle di Adela con un braccio e riprendere a scrutare il giardino a sua volta, placidamente rilassato e felice di essere a casa: si prospettava una serata come tante, dopotutto.




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Capitolo 17
*** Socks ***


XVII. Socks


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Buon Natale colleghi adorati!”
I regali di Clodagh Garvey, in particolare quelli che giungevano in prossimità del giorno più complessivamente amato dell’anno dalla popolazione mondiale, spesso sapevano rivelarsi considerevolmente pericolosi, e questo Asriel aveva avuto modo di appurarlo ormai da diversi anni a quella parte. Fu quindi con una punta di reticenza che ringraziò e allungò la mano destra per prendere il pacchetto che la collega, in piedi davanti alla sua scrivania, gli stava allungando, un sorriso ad allargarle le labbra e ad illuminarle gli occhi e il viso pallido quanto arrossato, sulle guance e sul naso, dal freddo sfidato per presentarsi al lavoro.
Mentre James, che naturalmente aveva accolto il dono di Clodagh con molto più entusiasmo di lui – ma c’era forse qualche elemento natalizio, persino il più minuscolo, stupido, effimero ed invisibile allo sguardo, che quel ragazzo non amasse? – scartava il pacchettino rosso e dorato con un sorriso simile a quello dell’amica sulle labbra e con la stessa emozione riscontrabile sul volto di un bambino, Asriel si aggiustò gli occhiali da lettura neri sul naso per studiare brevemente il regalo ancora incartato, tastandone la morbidezza assai sospetta e appurandone le ridotte dimensioni con lo sguardo. Di norma che il pacchetto fosse piccolo si sarebbe potuto considerare un elemento capace di donare sollievo, ma Asriel conosceva Clodagh e conosceva i suoi regali, e strappò la carta verde bosco esalando un sospiro, certo di cosa ci avrebbe trovato dentro. 
Gli spessi calzini di lana color bordeaux, decorati da motivi bianchi di renne e fiocchi di neve, non lo stupirono affatto. E la sua espressione rassegnata non stupì Clodagh, che gli sorrise mentre James, i suoi – identici, ma color ruggine – in mano, lamentava l’impossibilità di provarli subito trovandosi in ufficio: l’anno prima il gesto non era stato particolarmente gradito.
“Immagino che non te lo aspettassi.”
“Come sempre immagini male. Saranno il quarto paio che mi regali.”, rispose agitando mollemente i calzini nello spazio che lo divideva dalla collega, sempre in piedi davanti alla scrivania e ancora imbacuccata nel berretto di lana verde pino e nella pesante sciarpa che le avvolgeva il collo, celando parzialmente alla vista altrui i corti e brillanti capelli rossi.
“Sono irlandese, le tradizioni contano!”
“Lo so, lo so, lo ripeti ogni dannato anno. Spero solo che Hampton non mi abbia regalato una copertina natalizia per la borsa dell’acqua calda come lo scorso anno seguendo il tuo esempio delle tradizioni…”
Asriel abbassò la voce mentre James andava a reucperare i suoi regali per loro: tutto sommato, anche se spesso lo irritava fortemente, non ci teneva affatto a ferire i suoi sentimenti. Poi chi l’avrebbe sentita, Clodagh, fargli la ramanzina accusandolo di essere poco sensibile?
“Non ne so nulla, ma di sicuro i miei bei calzini sono difficili da battere. Tu che ci hai regalato, il Manuale per essere brontoloni da te scritto ed edito?”
“Quest’anno mi sono attenuto alle tradizioni anche io. Tieni Hampton, buon Natale.”
Dal primo cassetto della sua scrivania Asriel tirò fuori due pacchetti – non incartati bene quanto quelli di Clodagh, ma il tentativo c’era stato – lanciandone uno a James e uno a Clodagh, alzando brevemente gli occhi al cielo quando il più giovane lo ringraziò e guardo con sguardo commosso.
Seguirono attimi di silenzio durante i quali James e Clodagh aprirono i loro regali sotto lo sguardo di compiaciuta attesa di Asriel, che stette a guardare tenendo i gomiti piantati sulla scrivanie e le dita delle mani intrecciate. Quando Clodagh sollevò un paio di pesanti calzini verdi e bianchi con l’interno foderato Asriel la vide strabuzzare gli occhi azzurri prima di tornare a guardarlo con aria stranita, quasi certa di avere a che fare con un gemello buono tenuto segreto fino a quel momento:
“Calzini?! No, scusa, sei davvero andato in un negozio e sei andato in cassa a pagare dei calzini natalizi?!”
“Penso che vivrò cinque anni di meno, ma sì. Un momento terribile.”
“Sono bellissimi, grazie Asriel!”, pigolò James quasi commosso mentre il collega alzava di nuovo gli occhi al cielo, deciso a restare seduto sulla sua sedia per non rischiare di essere avviluppato dall’abbraccio di qualcun altro tra i presenti:
“Prego. Ma non mi abbracciate, mi stropicciate il vestito!”
“Deve andare al Ballo delle Debuttanti più tardi!” Clodagh fece roteare in aria i suoi calzini nuovi sghignazzando, ignorando lo sguardo di cupo rimprovero che il collega le scoccò mentre James, incapace di resistere, iniziava a slacciarsi le scarpe per provarsi i calzini.




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Capitolo 18
*** Gingerbread ***



XVIII. Gingerbread


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Francamente, dopo quasi tre ore ritengo che questo si possa denominare a tutti gli effetti sfruttamento.”
“Francamente ce ne infischiamo. Olly, attento a non rovinare i bordi.”
Anziché premurarsi delle riserve espresse da Dante Ingrid si pulì sbrigativamente le mani sul grembiule bianco indossato e allacciato in vita sopra ad un vestito verde bottiglia prima di aggiustarsi distrattamente un’ondulata ciocca di capelli biondi, scivolata dalla presa del fermaglio con cui aveva dato vita ad un elegante twist francese, dietro l’orecchio. La strega parlò allungandosi un poco verso il marito, indicandogli la distesa di impasto – a cui aveva pensato Jane poco prima: Oliver e Dante avevano ricevuto l’ordine di non avvicinarsi ai mattarelli dopo aver inscenato un duello nel bel mezzo della cucina – dalle calde sfumature brune da cui Oliver stava dando vita ai tradizionali omini con l’aiuto di una formina di metallo. Dante, accanto a lui, non se la passava meglio: stava litigando con la sac à poche che Jane aveva precedentemente riempito di glassa bianca a base di acqua e zucchero, impegnato a decorare i biscotti già pronti e tiepidi. Jane che, proprio alle sue spalle, aprì il forno per recuperare l’ennesima teglia di omini di pan di zenzero facendo sì che tutta la cucina si riempisse di un caldo e gradevole aroma speziato mentre Oliver, dopo aver premuto la formina sull’impasto ripetendo un’azione che ormai iniziava a chiedersi se sarebbe stato in grado di interrompere tanto l’aveva fatta propria, si rivolgeva ad Ingrid con aria e tono alquanto offesi:
“Sto molto attento, il fatto che è sfilando l’impasto dalla formina a volte i bordi ne escono leggermente smussati.”
“Allora perché i miei sono perfetti?” La strega distese le labbra in un dolce sorriso mentre si sporgeva leggermente verso il marito, sfiorandogli il mento con una rapida carezza al profumo di zenzero mentre Oliver rispondeva al sorriso, incapace di fare altrimenti, acciuffandole la mano per depositarci un bacio sopra:
“Perché tu hai un tocco delicato che a me manca.” 
“Olly, torna tra noi, non sto sgobbando per sentirti fare le moine.” Il momento idilliaco tra i due si rivelò alquanto fugace a causa di Dante, che spezzò l’incantesimo sbuffando e puntando minaccioso la sac à poche contro l’amico, pronto a coprire di glassa anche lui qualora non fosse tornato al lavoro in fretta. Oliver non mancò di fargli notare il proprio disappunto tornando a dedicarsi all’impasto gettandogli un’occhiata torva, ma a rimproverarlo verbalmente pensò Jane, che recuperò la leccarda coperta da omini ancora crudi, disposti in ordinate file da Ingrid, per metterla in forno gettando al marito un’occhiata ammonitrice:
“Dan, Ingrid e Oliver sono ospiti, sii gentile per cortesia.”
“Oliver viene qui troppo spesso per essere considerato tale, tesoro. Ormai è quasi un parente, e come tale può venir maltrattato. Per Ingrid chiaramente il discorso è tutt’altro, lei è dolce come lo zucchero filato e come tale va trattata. Che cosa ne pensate dei miei omini? Piaceranno ai bambini del San Mungo?” Benchè trascorrere il primo pomeriggio di ferie a preparare biscotti non rientrasse nella lista delle sue occupazioni da sogno del proprio tempo libero Dante era felice di fare qualcosa che avrebbe fatto sorridere bambini malati, o ancor peggio costretti a restare in ospedale durante le festività a causa della permanenza forzata dei propri genitori. L’idea era stata di Jane, che al San Mungo trascorreva intere giornate e di recente rincasava da quei lunghissimi turni esausta e al tempo stesso sempre più atterrita da tutto il dolore che la quotidianamente la circondava, ma pur non essendo capace di stare ai fornelli Dante l’aveva assecondata più che volentieri: fare qualcosa di buono lo faceva sentire meglio.
Il sorriso con cui mostrò ad Oliver e ad Ingrid i suoi lavori più recenti appena conclusi, tuttavia, svanì non appena scorse l’espressione accigliata e criticona che si fece rapidamente strada sul volto dell’ex Grifondoro:
“Per tutti i Troll di Montagna, quei poveri bimbi passeranno il Natale in ospedale, ricoverati o per stare vicino ai loro genitori e fratelli, li vuoi spaventare con dei biscotti orrendi?”
La postura di Dante s’irrigidì di colpo mentre guardava l’amico sgranando offeso i grandi occhi azzurri, dischiudendo le labbra con pura stizza mentre Jane, alle sue spalle, si puliva le mani nel grembiule alzando i propri al cielo.
“Non sono orrendi, come ti permetti?! Decora tu, se pensi di avere tanto talento artistico!”
“Con piacere, diamoci il cambio.”
Anziché tirarsi indietro Oliver accettò di buon grado la sac à poche che l’amico gli aveva porto, pronto a scambiarsi le postazioni di lavoro per dimostrargli di essere un decoratore di biscotti in erba assai più capace di lui. Ingrid invece non si mosse, limitandosi ad un sospiro e a scuotere il capo mentre con l’aiuto di un mattarello e un po’ di farina si apprestava a stendere sulla spianatoia di legno un altro panetto di impasto:
“Stasera porterete voi i biscotti ai bambini, saranno felici dei coeranei.”





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Capitolo 19
*** Fireplace ***



XIX. Fireplace
 

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D
a quell’anno in poi il Natale non sarebbe più stato lo stesso, rifletté Charlotte Selwyn mentre sedeva su una poltrona dallo schienale alto posizionata davanti al caminetto lasciandosi scaldare dal gradevole tepore emanato dalle fiamme che ardevano i pesanti ceppi raccolti dalla Foresta Proibita. Il fuoco scoppiettava nel camino cullandola piacevolmente e illuminando con lievi e caldi bagliori il rivestimento di velluto color mattone della poltrona tanto quanto il suo bel viso, quella sera adombrato da preoccupazioni e una quantità eccessiva di pensieri.
Da quell’anno in poi il Natale non sarebbe più stato lo stesso, eppure Charlotte lo ricordava chiaramente, quello precedente: ricordava bene il momento in cui, calato il buio, lei e suo fratello si erano silenziosamente allontanati dal resto della famiglia, ritagliandosi un momento di pace, confidenze e silenzi tutto per loro mentre dal salone giungeva l’eco indistinto di risate, tintinnii di calici di cristallo e posate d’argento, mentre lo champagne veniva rimboccato e la fame, la sete e il viscerale bisogno di distrazione dei commensali placato, mentre tutti cercavano di distogliersi fugacemente, almeno per una sera, dal pensiero della guerra. Lei e Sean si erano seduti davanti al caminetto acceso fissando assorti le fiamme, e nel ricordare Charlotte non poté fare a meno di invidiare con una stretta al petto la se stessa del Natale passato, la Charlotte che ancora non aveva perso suo fratello e che di certo non immaginava che quella sarebbe stata la loro ultima festività, nonché l’ultimo compleanno di Sean, insieme.
La Charlotte del passato di certo nemmeno avrebbe immaginato che di lì ad un anno si sarebbe ritrovata a trascorrere un altro Natale ad Hogwarts, data che giorno dopo giorno i numeri della Gazzetta del Profeta e i calendari le ricordavano implacabili che si stava avvicinando inesorabilmente. Data che, per la prima volta in vita sua, Charlotte desiderava non arrivasse mai.
“Posso?”
All’udire una voce maschile calda, rassicurante e familiare Charlotte distolse lo sguardo dalle fiamme che ardevano nel camino per puro istinto avendola riconosciuta all’istante, e le bastò gettare una fugace occhiata al volto affilato e sorridente di uno dei suoi colleghi per annuire, assentendo silenziosamente prima di tornare a fissare assorta il fuoco, la mente e lo sguardo pieni di ricordi. Senza aggiungere altro Regan sedette sulla poltrona marrone che si trovava accanto a quella dell’amica, limitandosi ad accavallare le lunghe gambe e a fissare a sua volta il focolare mentre attendeva, pazientemente, che Charlotte si sentisse pronta a condividere con lui ciò che le passava per la mente. Aveva imparato molto tempo prima che talvolta aspettare è ciò che di meglio un amico possa fare.
“Il primo Natale senza Sean incombe su di me e mi sembra più minaccioso di un drago, Reg.”
Il sussurro che si librò dalle labbra di Charlotte fu talmente flebile da quasi confondersi con il crepitio del fuoco, ma Regan udì comunque le sue parole e ruotò il capo per posare lo sguardo sul volto teso, pieno di ombre, dell’amica. C’erano momenti in cui Regan riusciva a scorgere qualcosa di Sean nel viso di Charlotte, anche grazie alla luce e alle diverse angolazioni, e il Pozionista sorrise, dicendo esattamente ciò che sapeva il suo vecchio amico avrebbe detto:
 “Potrei vederti affrontare un drago.”
“Ho vissuto con mia madre per molti anni, ad onor del vero.”
Una bassa risata si liberò, roca e sincera, dal fondo della gola di Regan, che si mise più comodo contro l’alto schienale della sua poltrona mentre annuiva tornando a posare lo sguardo sul focolare. Trascorse qualche altro istante di silenzio, durante il quale una terza persona varcò senza far rumore la soglia della Sala Professori avvolta dalla semi oscurità, prima che Regan dicesse qualcos’altro:
“Sai che puoi venire da me e Stephanie quando vuoi, vero?”
“Sei molto gentile Reg, ma abusare della gentilezza altrui è qualcosa che non mi si confà. Questo Natale vorrei solo non vedere anima viva: non voglio vedere compassione nello sguardo di nessuno.”
William Cavendish si avvicinò alle poltrone occupate dai suoi colleghi, posando la mano sinistra sullo schienale di quella dove sedeva Charlotte prima di rendere nota la sua presenza posando lo sguardo sulla strega, scrutando il suo capo, la punta del suo naso dalle linee eleganti e i suoi folti capelli castani acconciati e tenuti fermi sulla nuca da un delicato fermaglio nero arricchito da perle bianche.
“La scuola si svuoterà a breve. Potresti rischiare di vedere praticamente solo me, questo Natale.”
“I miei più terribili pronostici si stanno per avverare, dunque. Il fantasma di Jacob Marley non è disponibile?”
“Temo di no, ma abbiamo il Barone, se ti aggrada la compagnia di un uomo che si trascina appresso delle pesanti catene.”
 “Ci rifletterò su e ti farò sapere, Cavendish.”
Charlotte tornò a rivolgersi al focolare mentre l’ombra di un sorriso appena visibile faceva capolino sul volto di Regan e William, scoccata un’ultima occhiata alla collega, dava le spalle al camino per andare a sedersi altrove e iniziare a correggere gli ultimi compiti del 1944.
Charlotte aveva ragione, il Natale da quell’anno in poi non sarebbe più stato lo stesso. Ciò che non immaginava era che avrebbe messo fine al 1945 e alla guerra proprio insieme a William.




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Capitolo 20
*** Movie night ***



XX. Movie night
 

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Benchè inizialmente avesse tentato in tutti i modi di opporsi e contrastare la proposta di Meadow in merito a come trascorrere la serata mentre se ne stava comodamente seduto sul divano componibile rosso sistemato a mo’ di letto sorseggiando una dolce Burrobirra speziata, lasciandosi scaldare piacevolmente la gola, Silas St John dovette ammettere a se stesso che il programma scelto dall’amica non si era rivelato poi così male. Certo lui avrebbe di gran lunga preferito vedere Il Grinch e non quella roba melensa piena di musiche strappalacrime, ma se non altro se ne stava comodo e al caldo, davanti ad un camino scoppiettante e circondato da leccornie mentre fuori dalla finestra del soggiorno scendevano lentamente candidi fiocchi di neve.
“Non posso credere che io sia stato tutta la vita senza vedere questo film.”, sussurrò Asher scuotendo la testa mentre fissava con occhi stupefatti e pieni di meraviglia le immagini in movimento davanti a lui, racchiudendo una campagna inglese innevata che lo aveva conquistato fin dalla primissima inquadratura. Silas, seduto tra lui e il bracciolo del divano – tutti e tre convenivano sempre che fosse preferibile tenere lui e Meadow separati – si staccò lo sbocco della bottiglia di Burrobirra dalle labbra per gettare all’amico un’occhiata di sbieco, a lui e alla sua gigantesca tazza di cioccolata coperta di panna montata e allegri smarties colorati.
“Lo dici perché ti piace e perché pensi sia meglio del Grinch o perché Jude Law è un figo da paura?”
All’improvviso Asher ammutolì, non del tutto sicuro di sapere cosa rispondere. Si limitò infine ad arrossire, tornando a concentrarsi sulla sua cioccolata calda fumante piena di cannella mentre Meadow, alla sua destra, si sporgeva leggermente in avanti con il busto per rivolgersi direttamente al padrone di casa con aria trionfante e tono di sfida:
“Arrenditi Silas, il mio film è meglio del tuo!”
“Niente è meglio del Grinch, ficcatelo in testa. Anche se ammetto che un film che conta sia Cameron Diaz che Kate Winslet non possa considerarsi malaccio.” Silas fece spallucce mentre si allungava per prendere una manciata di Api Frizzole da una delle enormi ciotole che avevano disseminato su tutto il divano – fortunatamente avrebbero potuto pulire con la magia, perché se c’era una cosa in cui Silas St John non si poteva certo definire competente era proprio l’economia domestica – senza degnare l’amica ed ex compagna di Casa di uno sguardo. A Meadow non restò che sbuffare – non sopportava non avere ragione e Silas, al tempo stesso, non ammetteva mai di essere nel torto – e lanciargli contro un cuscino casualmente di un’intensa tonalità di giallo simile all’oro che, insieme al divano, alla coperta rossa e agli altri cuscini, ricordava i colori che anni prima avevano decorato le loro uniformi scolastiche.
“Questo film è un classico! Domani sera, visto che Asher resta fino a lunedì, guarderemo Love Actually.”
“Adoro Love Actually!”  Mentre una Cameron Diaz impazzita correva nel bel mezzo della campagna inglese – ora per colpa sua Asher altro non desiderava che vivere in un cottage – l’ex Magicospino guardò l’amica con un gran sorriso e i cristallini occhi chiari nuovamente spalancati, felici ed innocenti quasi quanto quelli di un bambino. Meadow gli strinse un braccio attorno alle spalle con il suo solito modo di fare protettivo, assicurandogli di avere molto buon gusto mentre Silas Appellava in silenzio un’altra bottiglia di Burrobirra, aprendola e iniziando a sorseggiarla senza osare rivelare di adorare la celebre commedia romantica corale natalizia britannica e di averla guardata almeno una dozzina di volte.




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Capitolo 21
*** Candy cane ***



XXI. Candy Cane  


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Bel non aveva fatto altro che pensarci per settimane intere, scervellandosi alla ricerca del regalo ideale da fare a Marley per Natale senza mai riuscire a farsi venire in mente qualcosa di buono, o almeno non secondo il suo pensiero ipercritico: che cosa poteva donare a qualcuno che, potenzialmente, avrebbe potuto comprarsi pressochè qualsiasi cosa desiderasse? La sua amica era figlia di gente spaventosamente ricca, come aveva avuto modo di apprendere solo settimane dopo averne fatto la conoscenza il giorno in cui entrambi erano arrivati ad Hogwarts, quando si erano seduti allo stesso tavolo della Sala Grande dopo essere stati Smistati in Tassorosso. La notizia aveva lasciato il giovane Bel McKinnon parecchio di stucco: a vederla, con la divisa stropicciata, le scarpe infangate e i capelli spesso non particolarmente in ordine Marley gli era sempre sembrata la persona più semplice del mondo, e per quanto si sforzasse faticava ad immaginarsela passare le feste in un vero e proprio maniero, probabilmente dotato di un albero gigantesco addobbato con decorazioni di cristallo ben diverse da quelle che lui e i suoi fratelli usavano per preparare l’albero, finendo spesso col farne cadere la maggior parte sul pavimento prima di completare l’opera.
Per settimane Bel si era chiesto, sempre più demoralizzato con il passare dei giorni e l’avvicinarsi della scadenza, che cosa donare alla sua amica e alla fine il momento di darle il regalo era inesorabilmente arrivato, quando pochi giorni prima di Natale si erano trovati seduti uno di fronte all’altra in un vagone dell’Espresso per Hogwarts, diretti verso Londra.
Marley stava guardando il paesaggio innevato sfrecciarle davanti agli occhi, la fronte liscia premuta contro il vetro freddo, quando Bel si era sfilato dalla tasca del cappotto blu una piccola scatola quadrata color verde bosco adornata da un sottile nastro dorato, porgendogliela timidamente dopo essersi allungato verso di lei informandola con un mite balbettio di doverle dare il suo regalo di Natale.
La giovane strega aveva subito distolto lo sguardo dalle distese di neve che circondavano la locomotiva a vapore per posare i grandi ed espressivi occhi azzurri sul viso pallido dell’amico e sul pacchetto che le stava porgendo, donandogli immediatamente uno dei suoi più radiosi e vivaci sorrisi prima di ringraziarlo e prendergli delicatamente la scatola dalle mani.
“Dovresti aprirlo prima di ringraziarmi.”, mormorò Bel distogliendo lo sguardo dall’amica per chinare il capo e puntare gli occhi celesti sulle punte dei propri piedi, preoccupato all’idea che il regalo potesse non piacerle per niente mentre Marley, al contrario, tirava il nastro dorato per sciogliere il nodo che teneva chiusa la scatola rivolgendogli un sorriso:
“Nah, è un regalo che hai deciso di fare a me, quindi ti ringrazio in ogni caso.”
Bel non obbiettò, picchiettandosi le punte dei piedi l’una contro l’altra mentre teneva le piccole mani pallide sprofondate nelle tasche del cappotto, in muta attesa mentre l’amica sollevava il coperchio della scatola trovandovi all’interno, avvolta da strati di sottilissima carta velina scarlatta, una decorazione a forma di bastoncino di zucchero bianca e rossa legata ad un sottile filo dorato.
“Due settimane fa sei tornata da Mielandia piena di bastoncini di zucchero. E hai detto che li adori.”, mormorò Bel sprofondando il più possibile nel suo cappotto e contro il sedile del vagone mentre Marley sollevava la piccola decorazione tenendola per il filo dorato, osservando con lieve stupore il bastoncino di zucchero prima di distendere nuovamente le labbra in un sorriso carico d’entusiasmo:
“Adoro la menta piperita, infatti. Grazie Bel, è bellissimo! Mia madre non mi fa mai, mai toccare niente che sia appeso all’albero, sai, dice che romperei tutto e rovinerei ore di lavoro degli Elfi Domestici… Finalmente ho una decorazione tutta mia! La metterò da qualche parte in camera.”
Marley ripose con cura la decorazione all’interno della scatola mentre Bel si sentiva pervadere da un’ondata di sollievo che gli sembrò alleggerirlo di diversi chili, ricambiando felice il sorriso dell’amica quando lei si sporse in avanti per stritolarlo in uno dei suoi energici ed affettuosi abbracci.




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Capitolo 22
*** Candles ***



XXII. Candles
 

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Stephanie non dovrebbe più aver paura: il suo corpo e la sua mente sono stati messi a dura prova più e più volte, prima all’Accademia e poi nel mondo vero, quando è stata gettata in mezzo a ciò per cui è stata preparata per anni ma che forse, se n’è resa conto tardi, nessuno è mai davvero pronto ad affrontare.
Stephanie non dovrebbe più aver paura, né fuori né tantomeno all’interno delle mura domestiche: nella propria cosa non si dovrebbe mai aver paura, si ritrova a considerare quasi con rabbia mentre i suoi grandi occhi azzurri fissano con insistenza la piccola, fragilissima fiammella che si agita sopra ad una candela accesa, una candela bianca che sa di vaniglia e sa di casa quasi quanto Regan, che siede di fronte a lei sul pavimento e le stringe la mano sinistra nella propria. Regan vuole essere rassicurante e convincerla che andrà tutto bene mentre le sfiora piano e ritmicamente il dorso della mano segnata da numerosi tagli con il pollice, ma esattamente come lei nella mano destra stringe la bacchetta, pronto ad usarla per Smaterializzarsi altrove se il tetto dovesse iniziare a crollare sulle loro teste.
Stephanie continua a fissare la fiamma della candela che sa di vaniglia e che avrebbe voluto accendere in ben altro contesto, magari per rilassarsi facendo un bagno caldo dopo una giornata o una nottata intense. A quell’ora tarda, invece, mentre l’eco lontano delle sirene rimbomba nelle sue orecchie, Stephanie l’aroma di vaniglia quasi non lo sente: tutti i suoi sensi altamente addestrati sono concentrati su quella fiamma sottile che potrebbe spegnersi da un momento all’altro, basterebbe un lieve spiffero, e la guarda muoversi e agitarsi ad ogni tremolio che colpisce le pareti della cantina.
Stephanie non dovrebbe aver paura, in fondo sa che grazie agli incantesimi nessuna bomba potrebbe colpirli, eppure fissa la fiamma aspettando che smetta di agitarsi e che fuori dalle mura domestiche tutto si plachi. Entro poche ore il sole sorgerà, il mondo sarà di nuovo silenzioso, anche se con un po’ di orrore in più, e lei varcherà la porta di casa, sempre che resti in piedi, per andare a fare la cosa giusta senza aver paura. Due giorni dopo, alla Vigilia di Natale, accenderà di nuovo quella candela alla vaniglia e la sistemerà al centro del tavolo per cenare insieme a Regan, si terranno per mano proprio come in quel momento e lei controllerà di continuo che la fiamma resti immobile.




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Capitolo 23
*** Sweater ***



XXIII. Sweater
 

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Phil non è mai stato entusiasta nei confronti di quella ridicola iniziativa del Secret Santa – diventato una tradizione ovviamente grazie ad una brillante idea della Campbell – e ancor meno si ritrova ad esserlo al fatidico momento dello scambio dei regali, quando lui e i suoi colleghi sono tutti riuniti in Sala Professori affinché ciascuno apra il pacchetto con il proprio nome. Se non altro, si dice Phil cercando ci consolarsi mentre siede tra Neville e Beaumont con le braccia rigorosamente strette al petto e l’espressione meno felice e allegra del suo repertorio stampata in viso, presto quell’agonia sarà finita. Presto la maggior parte degli studenti tornerà a Londra con l’Espresso per Hogwarts, la scuola si svuoterà quasi del tutto e anche lui e i suoi colleghi potranno godersi delle meritate vacanze.  
Phil non vede l’ora di poter tornare nella sua amata Londra e di lasciarsi Hogwarts e il suo lavoro alle spalle per qualche giorno, per poterlo fare deve solo aspettare che tutti abbiano preso il proprio regalo dal mucchio ai piedi dell’alto e scintillante abete addobbato – inaccettabile che nel loro punto di ritrovo non ci sia un albero di Natale a scaldare e rallegrare l’ambiente! Anche questa, chiaramente, un’idea partorita da un’ex Tassorosso di bassa statura e dagli enormi ed espressivi occhioni azzurri – e l’abbiano aperto. Lui, se non altro, si sente parzialmente sollevato in merito alla sua sorte: al pescaggio di due settimane prima gli è capitato Beaumont, e Phil sa benissimo di aver avuto parecchia fortuna e che gli sarebbe potuta andare molto, molto peggio: avrebbe sempre potuto pescare il nome della Pipistrella, anche se a giudicare dall’espressione cupa e dal volto cinereo sfoggiati da Håkon al termine di quella riunione Phil è piuttosto certo di sapere a chi quel triste destino sia spettato. È anche sollevato di non aver estratto il nome della Campbell, che ha più o meno gli stessi gusti di una bambina di otto anni. E Phil non è sicuro di sapere cosa regalare ad una bambina di otto anni.
È quando si alza e si avvicina all’albero, giunto il suo turno di aprire il regalo misterioso, che Phil capisce che la sua fortuna si è invertita. Del resto prima o poi doveva accadere, constata mentre si china per prendere il pacchetto che riporta il suo nome, un pacchetto soffice come una nuvola avvolto con estrema cura da un’adorabile carta regalo scintillante e coloratissima. Solo dalla scelta della carta, coperta da piccoli elfi di Babbo Natale, e dal nome scritto con un pennarello scarlatto sull’etichetta di cartoncino (Phineas) appesa al regalo Phil capisce che il suo Secret Santa non ci tiene affatto a rimanere tale, e torna lentamente e silenziosamente a sedersi facendo del suo meglio per non posare lo sguardo su Margot, seduta come sempre tra Demelza e Håkon – che non sembra particolarmente contento a sua volta con il berretto di lana rosso che ha ricevuto e che è stato costretto ad infilarsi –, quando le passa davanti: non le darà soddisfazione alcuna, anche se un brivido gelido gli scende lungo la schiena solo immaginando quale orrore quel bel pacchetto potrebbe contenere.
Aprire il regalo si rivela in sé un amaro scherzo: la Campbell deve aver usato metri di quella carta colorata e degna di una bambina di otto anni, perché strato dopo strato Phil continua a strappare e a togliere, ma del suo regalo neanche l’ombra. Il tempo passa e la sua pazienza cala sempre di più mentre inizia a chiedersi se il regalo non sia la carta stessa – in fondo quelli che stanno popolando la sua mente sono scenari di gran lunga più catastrofici rispetto a ricevere in dono un mucchio di carta, come spazzole a forma di unicorno o bigodini – quando, finalmente e dopo molti strati, strappato un pezzo di carta scorge un assaggio del suo regalo, la cui consistenza appare inequivocabile: la Campbell deve avergli regalato dei calzini, una sciarpa o qualcosa del genere. L’idea lo terrorizza quasi quanto quella di trascorrere un weekend con la Pipistrella mentre strappa lentamente gli ultimi rimasugli di carta che ancora trattengono il dono misterioso e lo celano alla vista, e deve seriamente farsi coraggio prima di sollevare ciò che la Campbell ha deciso di rifilargli per, naturalmente, prendersi gioco di lui.
Quello che Phil ha davanti non è una sciarpa, né dei calzini. È un maglione, un bizzarro maglione color cremisi che dovrebbe essere natalizio, osservano rapidamente gli attenti occhi chiari di Phil, ma che sembra non esserlo del tutto, almeno non tradizionalmente. Che cos’è quello strano robot ricamato nel bel mezzo del suo maglione, si domanda? E quegli omini bianchi? Per non parlare di quella tremenda scritta del tutto sgrammaticata: May Christmas Be With You? Deve averlo davvero confezionato una bambina di otto anni, quel maglione, constata con una lieve smorfia mentre stringe le labbra essendo insofferente nei confronti delle sgrammaticature fin dalla tenera età.
Non essendo difficile intuire di chi quel regalo sia opera Phil decide di fare appello a tutto il suo autocontrollo: abbassa il maglione posandoselo sulle ginocchia e punta lo sguardo dritto sul volto pallido e sorridente di Margot, che lo osserva in placida attesa di una qualche reazione con la sua solita aria del tutto amabile ed innocente. No, non le darà soddisfazione.
“Grazie.”, si limita a dire senza battere ciglio e con il tono più pacato ed inespressivo possibile. Margot non risponde, ma il sorriso sulle sue labbra si allarga e Phil sa che cosa sta pensando, del resto volente o no la conosce da davvero molto tempo: spera proprio di vederglielo addosso, prima o poi.
È assai probabile, si ritrova a riflettere Phil qualche ora dopo mentre prepara i bagagli radunando parte delle sue cose per fare ritorno a Londra, che quell’orrendo maglione e quei bizzarri elementi lontani dal classico folklore natalizio facciano parte di quegli strani film di fantascienza per i quali la sua collega nutre notoriamente una considerevole devozione. Di certo non lo metterà in presenza di altri esseri umani nemmeno sotto lauto compenso monetario, ma Phil lo solleva e ne tasta scettico la morbidezza prima di scrollare le spalle e gettarlo in valigia: se è caldo e morbido può sempre metterlo quando nessuno lo vedrà, quando starà correggendo i compiti dei suoi allievi, leggendo o traducendo chiuso in una stanza solitaria. Naturalmente questo la Campbell non dovrà mai saperlo.


 


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Capitolo 24
*** Christmas Eve ***



XXIV. Christmas Eve
 

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Aurora sistema l’ultima candela agli agrumi nel bel mezzo del lungo tavolo rettangolare della sala da pranzo, accanto a fili di luci e centrotavola composti da pungitopo e bacche rosse. La accende accostando la punta della sua bacchetta allo stoppino e un istante un'altra fiammella è pronta a rallegrare la sala addobbata e a scaldare l’atmosfera mentre, dalla sala attigua, un allegro vociare e un tintinnio di calici pieni di champagne – sidro di mele analcolico per gli ospiti più giovani – le fa sapere che i presenti si stanno divertendo e godendo la serata. Raddrizzata la candela Aurora ripone la bacchetta appoggiandola sul tavolo, accanto ad un piatto di porcellana bordato d’oro sul quale è stato piegato un tovagliolo verde pino, legato da un nastrino in tinta col bordo del piatto insieme ad un rametto di agrifoglio, e raddrizza con cura il nastro di velluto rosso scuro che lei stessa ha legato alla base dello stelo di ogni calice prima dell’arrivo dei suoi ospiti.
“Ti serve una mano?”
Charlotte si è unita a lei raggiungendola nella sala da pranzo, e Aurora alza lo sguardo per consentire ai suoi occhi di accarezzare la figura familiare della sua vecchia amica, in piedi sulla soglia con un calice semivuoto in mano e un vestito di velluto verde addosso che mette piacevolmente in risalto il colore delle sue iridi. Un sorriso solca ben presto le labbra di Aurora mentre la padrona di casa raddrizza la schiena, scuotendo debolmente il capo mentre le sue mani cercano lo schienale di legno della sedia che ha davanti:
“Direi che è tutto pronto.”
“Avverto gli altri, se vuoi.”
L’Auror accenna con un lieve movimento del capo in direzione della stanza attigua, dove il fuoco scoppietta in un imponente camino di mattoni e tutti chiacchierano e ridono, chi seduto, chi in piedi, chi, come i loro due figli maggiori insieme ai migliori amici, se ne sta seduto davanti al fuoco speculando sui regali che riceveranno per le feste. Aurora assente con un cenno e la ringrazia con un sorriso, tornando ad osservare soddisfatta il tavolo apparecchiato e addobbato per la cena più attesa dell’anno – i suoi ospiti sono talmente tanti da aver dovuto unire ben due tavoli e aver fatto apparire altre sedie con la magia –: il giorno seguente l’attendono i festeggiamenti con la sua famiglia, che ormai vivendo stabilmente negli Stati Uniti incontra quasi esclusivamente in occasione delle feste o altre ricorrenze speciali, ma quella sera è tutta per le vecchie conoscenze che ogni anno l’attendono quando ritorna nel vecchio continente.
Se c’è qualcuno in grado di farsi ascoltare quella è Charlotte Selwyn, e Aurora non prova il benchè minimo stupore nel vederla riapparire poco dopo, Adela a braccetto e Hector e William subito dietro. Un caloroso sorriso allarga le labbra sottili di Aurora mentre osserva i suoi ospiti sfilare uno dietro l’altro affluendo nell’interno della sala, quasi tutti chiacchierando: Stephanie, Evangeline ed Elena lamentano l’ossessione dei mariti per il campionato di Quidditch anche sotto le feste, mentre Jack cerca maldestramente di difendere se stesso e i suoi amici; Regan e Gabriel, dietro di loro, discutono a proposito di qualcosa che intendono fare il giorno seguente, e ad Aurora non serve ascoltare più di qualche parola per capire, sorridere e sentirsi stringere un pochino il cuore. Per ultimi entrano in una massa rumorosa tutti i loro figli, Sean, John, Silvy, Virginia, Graham e Rose per primi e Camille, Edith e Karlos subito dietro, seguiti dal resto della numerosa nidiata dei Grayfall, con India, Dalie e Queen che deridono Richard per qualcosa, dei Greengrass, mentre Gale cerca invano di sfuggire alle grinfie delle sue sorelle, Eleanor intenta a tentare di raddrizzargli il nodo della cravatta ed Eloise a dargli una sistemata ai capelli rossi, e gli altri due figli di Regan e Stephanie, Andrew e Krystal, e di Jack ed Evangeline, Berenice e Claude.
“Ci sono i segnaposti, così non potrete litigare neanche volendo. I ragazzi tutti da quella parte.”, informa Aurora con tono pacato e paziente, ma velato da una vaga nota imperante mentre indica il secondo tavolo che hanno accostato al primo scatenando la felicità di tutti i suoi più giovani ospiti, che si accalcano immediatamente attorno alle sedie per trovare il proprio posto. I restanti presenti non ci mettono molto a rendersi conto che Aurora ha praticamente diviso uomini e donne circondandosi dalle sue amiche, e Regan non tarda a sollevare il legittimo dubbio che forse le signore presenti intendono sedersi vicine per sparlare di loro. Charlotte si rivolge prontamente all’amico con una stretta di spalle, scoccando un bacio sulla guancia di William prima di assicurargli che è precisamente quello il loro intento prima di prendere posto, sedendosi tra il posto assegnato ad Adela e quello alla destra della sedia a capotavola, dove sederà Aurora.
Aurora che invece, prima di sedersi, viene raggiunta da Evangeline, alla quale ha assegnato il posto alla sua sinistra. L’amica le sorride e le deposita un bacio su una guancia, facendo scivolare brevemente il suo braccio sotto quello della donna con cui un tempo condivideva la camera da letto. I biondissimi capelli di Evangeline scintillano sotto le luci delle candele che fluttuano sopra al tavolo, riportando forse tutti gli adulti ai giorni lontani in cui cenavano nella Sala Grande di Hogwarts, mentre come Aurora la donna scruta la sala, la lunghissima tavolata e le persone felici che siedono davanti a loro.
“Bellissima serata, ma da te non ci si può aspettare niente di diverso.”
“Detto da te Evie è un grande complimento.”
Si scambiano un sorriso, sentendo che nonostante ormai da anni si vedano di rado le cose non sono cambiate poi così tanto: quando si incontrano c’è sempre una piccola parte di loro che torna ad Hogwarts. Quando rivede quelle persone Aurora si rivede consumare i pasti della Sala Grande, salire i gradini del Salone d’Ingresso per andare a lezione, dormire nel suo letto a baldacchino nella Torre di Corvonero dopo aver chiacchierato con Evangeline fino a tarda ora. A volte rivede anche il suo primo amore e i suoi occhi verdi, e forse è esattamente per questo che anni prima salire su una nave diretta verso l’America e attraversare l’Oceano è stato più semplice di restare a circondarsi delle persone che sempre la legheranno ad Hogwarts.
Aurora sorride mentre il braccio di Evie scivola via dal suo e il ricordo degli occhi verdi di Sean sfuma dalla sua mente, sedendo a sua volta e facendo cenno ai suoi ospiti di prepararsi per le numerose portate che gli Elfi Domestici stanno per servire.
“Bene. Ceniamo.”




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Angolo Autrice
🎄❄️☃️🧣

 
Eccoci alla fine di questo Calendario dell’Avvento, scriverlo è stato parecchio impegnativo ma sono felicissima di aver portato a termine questo progetto delizioso. Rinnovo i ringraziamenti alle persone che mi hanno inviato richieste in merito ai personaggi di cui scrivere e ringrazio coloro che hanno speso del tempo per commentare le varie OS e anche solo per leggerle.
Buon Natale!
Signorina Granger

 

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