Alpha Centauri

di Neamh Moonstar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 365 giorni e poco più ***
Capitolo 2: *** E poi, all'improvviso... ***
Capitolo 3: *** Sono qui ***
Capitolo 4: *** Perso ***
Capitolo 5: *** È tutto nella tua testa ***
Capitolo 6: *** Insospettabile ***
Capitolo 7: *** Parlami, ascoltami ***
Capitolo 8: *** Qualcuno su cui contare ***
Capitolo 9: *** L'opinione di Muriel ***
Capitolo 10: *** Abbiamo visite ***
Capitolo 11: *** Il segreto ***
Capitolo 12: *** Alpha Centauri ***
Capitolo 13: *** La fuga ***
Capitolo 14: *** Ricominciamo da capo? ***
Capitolo 15: *** Rombi di tuono ***
Capitolo 16: *** Il Libro della Vita ***
Capitolo 17: *** Tu credi nell'amore? ***
Capitolo 18: *** Noi ***
Capitolo 19: *** Nuovi inizi ***
Capitolo 20: *** Baciami Ancora ***



Capitolo 1
*** 365 giorni e poco più ***


Salve, salve, salve!

Questa è la mia primissima long basata sulla seconda stagione. Ho deciso di iniziare a pubblicarla anche perché, sarò sincera, continuare i miei vecchi lavori fa ancora alquanto strano al momento. Mi sento come se tutto ciò che stavo scrivendo si sia rivelato sbagliato 😭. Spero di non essere l'unica.

In ogni caso, due precisazioni:

1 - con molta probabilità, il rating sarà giallo per sicurezza.

2 - spero di non aver involontariamente "copiato" uno dei mille milioni di lavori che stanno uscendo ultimamente (e giustamente). Qualsiasi similitudine non è voluta.

Detto ciò, allacciate le cinture! Sarà un lungo viaggio.

Con amore,

- Neamh


•°•°•

Tornare a casa fu doloroso. Forse perché quelle mura grigie non erano più casa da un po', ormai. D'altronde, ora erano decisamente diverse da come le aveva lasciate.


Aveva aperto la porta quasi sdraiandocisi sopra. Aveva cercato di annegare i suoi dispiaceri nell'alcool e aveva lasciato che la cosa gli sfuggisse di mano. In fondo, aveva decisamente bisogno di una mente il meno lucida possibile per tornare al suo appartamento dopo tutto ciò che era accaduto.

Aveva un odore diverso, quasi acre, da pizzicore al naso. Ovvio: Shax, a differenza sua, adorava l'Inferno; perciò lasciava sempre che un po' di stantio misto muffa entrasse con lei e si mescolasse al profumo fin troppo dolce che si versava addosso. Nulla di irrisolvibile: quando si sarebbe ripreso - e ciò avrebbe potuto richiedere dai cinque minuti ai cinque anni - Crowley avrebbe schioccato le dita e sarebbe sparito tutto. Nel frattempo, però, decise di trascinarsi fino al divano fin troppo morbido del salotto e vi ci si tuffò sopra - di faccia.

Lì rimase, immobile, fino al mattino dopo. Tanto non aveva certamente bisogno di respirare, perciò mantenne il volto ben premuto sul cuscino e aspettò che la sbronza smettesse di martellargli la testa. Riuscì persino a farsi una dormita che non implicasse sogni scomodi, il che fu una sottospecie di benedizione.

Era troppo debole per sognarlo, troppo distrutto, troppo tradito e rotto e deluso e-


Si rigirò di schiena con un sospiro. Il sole era alto, il suo corpo scricchiolante e la sua nausea più forte che mai. Non voleva sapere che ore fossero e non si sentiva ancora pronto a ricomporsi. Decise di restare a fissare il soffito, intanto che combatteva contro i primi pensieri lucidi - i quali affioravano di tanto in tanto a ricordargli ciò che si erano detti. Ciò che si erano fatti.

Alla fine, per quanto avesse disperatamente tentato di non farlo, una lacrima gli scivolò sulla guancia e si mise a piangere. Ne seguirono altre, grosse, calde che andarono a bagnargli il collo e il petto mezzo scoperto. Tra i singhiozzi, le sentì andare ad infrangersi sul pavimento, una dopo l'altra, un tic, tic, tic che divenne presto la sua unica compagnia.

Si raggomitolò su un fianco e le ore gli scivolarono addosso lente e strazianti. Si sentiva così solo tutto d'un tratto, come se gli avessero tolto un pezzo. E in effetti era proprio così... Una parte di lui se n'era andata.

Ma non voleva pensarci. Non doveva pensarci. Avevano chiuso.

Per sempre.


Scivolò giù dal divano che era di nuovo sera - anche se non avrebbe saputo dire di che giorno. Si sentiva prosciugato, ma iniziò comunque ad aggirarsi per casa come uno zombie, dita pronte a schioccare. Osservò quasi con interesse le similitudini che c'erano tra lui e il demone che lo aveva sostituito per tutto quel tempo. Dato che entrambi non avevano veramente bisogno di niente di terreno, l'appartamento permaneva quasi vuoto, salvo per quegli oggettini interessanti che attiravano la loro attenzione. Nel caso di Crowley erano stati alcuni pezzi d'arte - tanti regalatogli dai creatori stessi - e le piante - che ancora doveva togliere dalle scatole in cui le aveva stipate. Nel caso di Shax erano tanti piccoli accessori: alcune spille, rossetti dai colori decisi, i suddetti profumi fin troppo dolci per una con quel caratteraccio... Tutto ciò che l'aveva contraddistinta viaggiava dal rosso al vinaccia, perciò era facile da individuare e facile da far sparire.


Non fu un processo rapido, né semplice.

Crowley ci mise settimane intere a resettare il suo angolo di mondo. Si rese conto che quell'appartamento non gli era mancato per niente: era troppo vuoto, troppo freddo, non aveva un velo di polvere, e non odorava di tè, o cioccolata calda, o carta stampata, o-

Scosse la testa. Non poteva permettersi un altra crisi, non ora. Si concentrò sul risistemare il salotto, rimanendo qualche minuto in più ad osservare il divano.

Non era male: era comodo, morbido ed invitante. Come quello alla libreria.

No.

Fece sparire anche quello e vi rimise il suo, bello ma scomodo da morire. Andava bene così.

Andava benissimo così.


Trovò le forze di rimettere apposto le piante dopo un mese. Erano talmente mogie da far venire i brividi e, quel che era peggio, Crowley non riusciva proprio a biasimarle. Non riuscì nemmeno a dir loro qualcosa perché sapeva: sapeva che le sue sgridate non sarebbero state sincere - non lo erano mai - ma intrise di una tristezza che non riusciva ad annegare in nessun alcolico esistente. Le aveva provate tutte.

Aveva persino provato a passeggiare, ma aveva smesso dopo che per la sesta volta le sue gambe lo avevano automaticamente portato a Soho. Allora faceva dietrofront, si stringeva nella giacchetta e andava via a testa bassa prima che qualcuno potesse riconoscerlo.

La verità è che era sempre troppo occupato a non pensare per stare attento a dove metteva i piedi. Si ritrovava sempre a sbattere contro le spalle della gente, ad urtare contro qualche palo, a farsi suonare da qualche automobilista in corsa... Tutto perché una parte di lui - quella che rimaneva, sola e abbandonata - cercava sempre di ricondurlo lì, in quell'angolo di strada che odorava di ricordi che non voleva, e che sapeva troppo di tè e cioccolata calda con una leggera punta di caffè.

Si morse il labbro tanto da farlo sanguinare. Il sapore ferroso che prese a pizzicargli la lingua fu abbastanza da allontanare la sensazione - per ora.

Già. Per quanto ancora sperava di andare avanti in quel modo? Il passato gli aleggiava sulla spalla, imperterrito e sussurrante. Prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo.

Prima o poi. Non ora.

Non ora.


Fu una battaglia che si protrasse per tre mesi interi. Le giornate le passava o dormendo, o bevendo, o facendo entrambe le cose a turno. Si distraeva guardando la tv e cambiando canale ogni volta che iniziava un film romantico, o ogni volta che si imbatteva in un attore con gli occhi azzurri, i capelli biondi o i riccioli.

Si sentiva uno stupido, ma allontanava qualsivoglia sensazione con una bottiglia di qualsiasi cosa non fosse acqua. Tanto non poteva fargli male - a meno che non lo volesse. Aveva perso tutto: peggio di così non poteva andare, no?

Forse fu quella consapevolezza a portarlo davanti allo specchio una mattina.

Una passeggiata, solo una, si disse. Era distrutto, i suoi capelli erano passati dal rosso brillante al bordeaux spento; sotto gli occhi si erano formate due linee scure e marcate. Ne hai decisamente bisogno, sembri un morto che cammina.

E si sentiva morto, effettivamente. Null'altro che un'entità sola e triste che fa avanti e indietro per un appartamento semi vuoto - e che ora si stava lentamente preparando per fare avanti e indietro per una città mezza piena.


Era una bella giornata. Mite, piacevolmente fresca e moderatamente soleggiata.

Sembrava una specie di scherzo dato il suo stato d'animo... ma, effettivamente, era la prima volta che Crowley faceva caso al meteo. Le sue uscite precedenti erano iniziate e finite con lui che non prestava mai attenzione a niente, mentre adesso si sentiva fisico e presente in mezzo al marciapiede e al solito viavai londinese.

Doveva essere un buon segno.

    Raggiunse la Bentley e le diede due affettuose pacche sul tettuccio. «Ehi, bella» salutò. «Ti sono mancato?»

Dovette rischiararsi la voce un paio di volte. Non parlava con nessuno da tanto: suonava come un basso scordato. Certo, aveva già dato il buongiorno alla sua beniamina le poche volte che era uscito, ma non erano mai suonati così spenti.

Questo non era decisamente un buon segno, invece.

    Il piccolo moto di gioia che gli arrivò in risposta lo fece sorridere - per la prima volta dopo quella che gli era parsa un'eternità. «Facciamo un giro?» Chiese senza pensarci. Glielo doveva: l'aveva lasciata parcheggiata lì fin troppo tempo. Avevano entrambi bisogno di correre un po', di scappare da quella melma di realtà.

Ovviamente, lei ne fu infinitamente entusiasta.


Premere sull'acceleratore fu quasi liberatorio. Era uno sfogo a cui Crowley non aveva voluto pensare - soprattutto perché anche lì, nel familiare abitacolo della sua macchina, i ricordi rischiavano di tornare ad investirlo. Primo tra tutti, il posto vuoto accanto a lui era straziante da guardare - tanto che decise di ignorarlo del tutto. Poi c'erano gli onnipresenti Queen che sembravano aver scritto canzoni solo per lui e l'amore che lo aveva distrutto - quelli, purtroppo e per fortuna, non poteva proprio né cambiarli né zittirli.

Girò a vuoto per un'oretta buona, concentrato solo sul rombo del motore e il fischio delle ruote sull'asfalto. Non aveva meta, né obbiettivo. Voleva solo vagare come si era prefissato di fare, così prese svolte a caso - ignorando gli altri automobilisti, i pedoni, le bici, i semafori e il senso di marcia. Poi, così com'era partito, di botto si fermò.

O meglio, la Bentley lo fece. Frenò da sola accanto ad un marciapiede e si rifiutò di andare oltre. Per un secondo, al demone parve una bimba capricciosa che incrociava le braccia e puntava i piedi a terra - con tanto di broncio.

    «Che ti prende?» Chiese, più preoccupato che adirato. Fu quando decise di dare un'occhiata fuori che si accorse dell'inghippo.

Un brivido gli percorse la spina dorsale. Sospirò, cercò di ripartire, ma niente. Erano cementati lì.

    Strinse le mani sul volante: «Brava, ti ricordi ancora la strada per arrivare alla libreria. Ora potremmo andarcene?» Mormorò. «Per favore.»

L'aria stessa di quel luogo pareva schiacciarlo. L'edificio rosso - ma tu guarda, come i suoi capelli - dall'altro lato della strada era dolorosamente invitante. Ma no, si era ripromesso di non tornarci.

Avevano chiuso, per sempre.

    «Sei una bastarda» disse allora, facendosi ricadere le braccia sulle cosce. «Hai imparato dall'angelo, vero? È sempre stato una pessima influenza... Almeno per quel che riguarda te.»

Da quant'era che non lo nominava? Non così tanto, ma gli era parso davvero un secolo. Faceva un male cane.

Provò ad aprire la portiera ma, ovviamente, non si mosse di un millimetro: era in trappola. Ringhiò, incespicò nella sua stessa lingua, si mise le mani tra i capelli, si tolse gli occhiali e si passò le dita sugli occhi. Non voleva scendere, non voleva varcare quel maledetto uscio, non voleva starsene in quella via dove tutti lo conoscevano e non lo vedevano da tre mesi, non voleva.

    Emise un lamento. «E va bene! Ci vado, ma solo perché sei tu» ringhiò infine, arrendendosi.

Con un moto di vittoria, la macchina si aprì e lo lasciò uscire. Aveva pianificato tutto alla perfezione, l'adorabile stronzetta.

Crowley non seppe se sentirsi doppiamente tradito o terribilmente fiero.


°•°•°


La campanella che lo accolse all'entrata gli parve dolorosamente stonata. Inoltre, venne investito da tutti quegli odori che il suo inutile cervello aveva cercato di dimenticare - prima tra tutte la cioccolata calda. Tutto il suo essere si rimescolò in un moto di rifiuto e gioia talmente incasinato da farlo star male. La sola vista di quelle pile di libri, di quel pulviscolo che aleggiava a mezz'aria, di quegli oggettini sparsi in giro, fece urlare la sua aura. Doveva andarsene. Aveva ancora la mano sulla porta: poteva aprirla e fuggire prima di crollare in lacrime lì sul parquet.

Fu una consapevolezza a frenarlo.

In quel posto non era cambiato assolutamente niente... Assurdo. Eppure ora era gestito solo ed unicamente da-

    «Oh, è lei!» Canticchiò una vocina.

Alzando lo sguardo, Crowley si ritrovò a faccia a faccia con colei che i suoi pensieri avevano appena cercato di tirare fuori.

Se ne stava in cima alla scala a chiocciola e gli sorrideva allegramente con un libro ben stretto al petto. Il suo faccino sui toni del cacao pareva scintillare: si vedeva che si sentiva a suo agio lì, felice e contenta nel suo maglioncino color crema e nella sua gonnellina beige.

    Le rivolse un cenno di testa: «Ciao, Muriel». Diede uno sguardo ai dintorni, cercando di non far trasparire il dolore che gli provocava il conoscerli perfettamente a memoria. «Sempre affollato qui» mormorò con fare sarcastico. Erano solo lui e la piccoletta - ex angelo di basso rango ora promossa a libraia a tempo pieno.

    Quest'ultima lo raggiunse con una corsetta. «Oh, no: c'è sempre qualcuno. Solo che oggi è mercoledì.»

Lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Il cielo è azzurro, l'ossigeno si respira, le librerie sono chiuse di mercoledì.

    Crowley annuì come si annuisce ai dati di fatto, poi diede uno sguardo a una pila di volumi su un tavolino. «Di' un po', come vanno gli affari? A me pare che non manchi nemmeno un libro qui dentro.»

    Muriel parve leggermente imbarazzata. Spostò il peso dai talloni alle punte un paio di volte - senza mai smettere di sorridere, seppur ora un po' più nervosamente. «È che, vede,» iniziò, pensando bene a come esporre il concetto, «è tutto così interessante e avvincente. Non posso lasciar andare via un libro senza averci dato almeno un'occhiata, no? Sarebbe un peccato.»

Sembrava di sentir parlare Aziraphale, il che era tutto dire. La cosa stupì il rosso non poco. Incredibile ma vero, forse la piccoletta non era poi la scelta peggiore da mettere lì dentro.

Metatron ci aveva visto lungo.

    Quel nome lo mise a disagio. Decise di spazzarlo via come spazzava via qualsiasi cosa dalla sua testa, ormai. «Hai decisamente ragione» disse solo, guadagnandosi un saltello di giubilo.

    «In ogni caso, è bello averla qui» canticchiò Muriel. «Ho imparato a fare la cioccolata calda. Ne vuole un po'?»

    Crowley sbarrò gli occhi. «Davvero?»

Forse era un po' troppo prevenuto nei suoi confronti, ma aveva come l'impressione che Muriel e i fornelli non fossero due cose esattamente compatibili. Già era strano che lei e la libreria fossero compatibili...

    Eppure, se fosse andato a cercare la parola "raggiante" sul dizionario, ci avrebbe sicuramente trovato l'espressione soddisfatta che aveva davanti. «Davvero davvero. Venga.»


La cucinetta della libreria - come il resto dell'ambiente, d'altronde - era confortevole, accogliente e con i muri sui toni del giallo - ma tu guarda, come i suoi occhi.

L'angelo non la usava se non per farsi il te o, appunto, la cioccolata. La stessa che Muriel adesso stava accuratamente rigirando in un pentolino.

    «Devo proprio chiedertelo» intervenne Crowley, ora spaparanzato su una sedia, «quanto ci hai messo ad imparare?»

E soprattutto, senza bruciare nulla?

    Lei ridacchiò. «Oh, solo una decina di tentativi. Non puoi lasciarla troppo poco sul fuoco ma nemmeno troppo: è molto complicato.»

Il demone trattenne una risatina nervosa. Dieci tentativi e l'edificio era ancora in piedi: una buona notizia non guasta mai.

Alla fine si ritrovò a sorseggiare una cioccolata di tutto rispetto - con tanto di panna e cannella. Fu quasi calmante, per quanto anche quel sapore non facesse altro che ricordargli di lui. Di loro. Quel "loro" che non era mai esistito veramente.

    «E a lei come va?» Gli chiese Muriel ad un certo punto, giocherellando con il ciuffo di panna nella sua tazza.

    Crowley non dovette nemmeno pensarci: «Malissimo.»

Affondò quell'affermazione nel cacao, spostando lo sguardo - perennemente coperto - sulla superficie lignea del tavolo.

    «Le manca Aziraphale, immagino.»

Il silenzio che seguì quell'affermazione lo colpì come una palla da demolizione. Nella sua ingenuità, Muriel aveva dato voce a ciò che lui aveva soffocato per tre mesi. Aveva ragione lei e faceva davvero un male cane.

    In mancanza di una risposta, la piccoletta fece spallucce e riprese: «Sa, quando sono venuta ad ispezionare, ho preso qualche appunto» spiegò. «Su di lei avevo scritto che mi pareva scorbutico ma anche gentile, che mi piace il modo in cui cammina, che adora la sua macchina...» Elencò, spostando gli occhioni scuri verso l'alto intanto che ricordava. «E alla fine ho appuntato che non faceva altro che guardare il Tradito- ehm, Aziraphale. Sembrava renderla di buon umore.»

Doveva essere una prerogativa dei cori più bassi del Paradiso quella di essere adorabilmente ingenui ma per nulla stupidi.

    «E la cosa non ti ha stranita?»

    Muriel sbarrò gli occhi. «Oh, no. Insomma, all'inizio un pochino, ma: ha visto cos'è successo con l'arcangelo supremo e Belzebù, no? Se possono farlo loro-»

    «-Perché noi no, eh?»

Si alzò senza nemmeno rendersene conto. Afferrò la tazza, se la trangugiò più velocemente dei sei espressi di Nina e fece per fuggire il più lontano possibile da lì.

Era stato un errore.

    «Aspetti!» Lo bloccò la voce ora un po' più rotta di Muriel.

Si voltò a guardarla. Sembrava minuscola in mezzo agli scaffali; un elemento in più che cercava di adattarsi a fatica in un ambiente che era tutto il contrario del luogo in cui era nata: pieno, soffocante, a tratti buio e solitario.

    «Perché non torna a far visita alla libreria qualche volta?» Propose lei, leggermente nervosa e molto, molto speranzosa.

    Crowley sospirò. «Ti senti sola, eh?»

Lei annuì, il sorriso triste ma onnipresente.

    «E allora siamo in due, agente.»

    «Potremmo essere soli insieme!»

Quel discorso lo riportò un po' troppo ai tempi di Giobbe. Sa un po' di solitudine.

La storia era davvero destinata a ripetersi, allora...

    Fissò quella figurina tutta stoffe morbide e ricciolini corvini. Ancora non si capacitava del fatto che fosse riuscita a tirare avanti la baracca da sola per tutto quel tempo... Eppure eccola lì. «Ma sì, perché no» le rispose infine, venendo immediatamente investito da un moto di gioia e gratitudine.

    «Ottimo! Allora io la aspetterò qui. Anche perché, sa, non saprei dove altro andare.»

    «Mh. Lo sai usare il telefono?»

    Lei annuì energicamente. «Quel coso che squilla? Oh, sí. Anche se ammetto che mi fa venire uno spavento tutte le volte.»

    «Capita quando tieni troppo tempo la testa sui libri». Muriel parve non capire, così passò oltre: «Ti chiamo quando sto per arrivare.»

    «Così ho tutto il tempo di farle una cioccolata!»

    «Così hai tutto il tempo di fare la cioccolata, sì».


°•°•°


Si pentì di quell'idea nel momento esatto in cui rimise piede nel suo appartamento.

    «Ma che ti salta in mente?!» Urlò al suo riflesso nello specchio del bagno. «Ti fai lasciare da un angelo e subito ti attacchi ad un altro? Qual'è il tuo problema?»

A rispondergli fu il rubinetto difettoso della doccia. Le gocce che ticchettavano gli ricordarono troppo le sue stesse lacrime, tanto che si decise a spostarsi in camera.

La verità è che non riusciva a staccarsi dal passato. Più tempo passava, più le ferite si aprivano invece di rimarginarsi. Tutto ad un certo punto tornava: Maggie e Nina che gli dicevano di parlare con Aziraphale, Metatron che entrava in scena per scombinare tutto, l'angelo che gli faceva proposte assurde...

E poi c'era quello stupido, disperatissimo, bacio. Quello che da solo gli faceva salire il magone e pizzicare le labbra; quello che lo portava a rinchiudersi a riccio e ingoiare una bottiglia di scotch dietro l'altra.

La più grande cazzata della sua esistenza.


Alla fine chiamò veramente Muriel. Nonostante tutto, si decise a lasciare le sue mura grigie per tornare a Soho.

E lo fece per mesi.

Dapprima erano visite saltuarie, magari solo il mercoledì. Poi, lentamente ma inesorabilmente, divenne una cosa giornaliera.

Si presentava agli orari di chiusura e la piccoletta lo accoglieva con un sorriso e una tazza di cioccolata calda. Gli parlava dell'ultimo libro che aveva letto e lui ascoltava, nonostante sapesse già molte di quelle trame - tutta colpa di Aziraphale, ovviamente.

    Ogni tanto la portava fuori dalla libreria. Sotto natale, le fece scoprire quella che gli umani annoveravano come la migliore delle atmosfere. «Che ne pensi, agente?»

La chiamava sempre così e a lei non pareva dare fastidio.

    «È bellissimo! Adoro i colori delle luci.»

    «E tutto per festeggiare la nascita del figlio del vostro boss. Assurdo, vero?»

    Lei aveva inclinato la testa, confusa. «Ma non era nato in primavera?»

    «Ho provato a spiegarlo agli umani: non vogliono sentire ragioni.»


Muriel amava il mondo, ma odiava la confusione. Crowley capiva perfettamente: il Paradiso era silenzioso oltre che fin troppo bianco. Così le loro passeggiate non duravano mai tanto, e finivano sempre con il loro tempestivo rientro nella pacifica quiete della libreria.

Lì, la piccoletta gli faceva un sacco di domande e lui - che sapeva meglio di chiunque altro cosa significasse avere dei dubbi - le rispondeva sempre. Era allora che i loro discorsi deviavano a destra e a manca.

A Crowley non dispiaceva. Tutto quel parlare lo aiutava a non pensare - e lo aiutava anche a non sentirsi in colpa del fatto che stava praticamente usando Muriel come distrazione. Si rese dolorosamente conto di aver bisogno di un contatto.

Ho bisogno di te. La cosa peggiore da dire in amore.


    «Crede che Aziraphale tornerà?» Gli chiese una volta, intanto che spolverava un po' cannella nelle loro solite tazze di cioccolata. «A fare visita come fa lei, dico. Adora questo posto, in fondo.»

    Il rosso si fece scappare una risata amara. «Dubito fortemente. È troppo occupato a fare il suo lavoro in Paradiso.»

Dirlo fu più o meno come essere sparati al petto. La verità è l'arma più tagliente di tutte.

    «Oh, beh. Fare l'arcangelo non è semplice» affermò Muriel con un sorriso incerto. Era proprio dai suoi sorrisi che si imparava a leggerla. Erano le incrinazioni di quell'espressione le pagine da analizzare per conoscerla.

    «Già. Come darti torto, agente».


Aziraphale non sarebbe mai tornato, ormai era chiaro. Crowley lo capì nel momento in cui si rese conto che dal loro bacio erano passati trecentosessantacinque giorni e poco più. Un anno in cui lui aveva disperatamente cercato di non pensare a ciò che era accaduto, fallendo miseramente.

Era ora di mettersi l'anima in pace. Le cose erano cambiate in modo irreversibile.

O almeno, così credeva.


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Capitolo 2
*** E poi, all'improvviso... ***


Non era sempre lui a chiamare Muriel. Qualche volta, Muriel chiamava lui.

Spesso era per chiedergli cose tipo: "Come dico di 'no' ad un 'cliente' senza offenderlo?". E lui sorrideva, perché una richiesta del genere significava che qualcuno si era già offeso, e tanto anche. Di nuovo, si chiese come avesse fatto la piccoletta a sopravvivere da sola per tutto quel tempo. Doveva essere tra i preferiti di Dio: altrimenti non si spiegava come mai nessuno l'avesse ancora pesantemente mandata a quel paese. Quello, o la sua ingenuità e il suo sorriso da cucciolo erano capaci di far fare tre passi indietro a chiunque.

Entrambe le opzioni erano valide.


Come al solito, andava a trovarla quando sapeva di non beccare nessun altro in giro per il quartiere. La sua vera paura era quella di ritrovarsi o Maggie, o Nina - o peggio: entrambe - davanti. Non avrebbe mai e poi mai avuto il coraggio di spiegare loro cos'era successo, né aveva intenzione di giustificare loro la sua letargia, o il suo ermetismo, o il suo correre da Muriel perché era l'unica cosa vagamente angelica rimasta in libreria. Nina soprattutto era capacissima di fargli una testa grande quanto l'Inghilterra su quanto sbagliato fosse il suo comportamento. Ma che altro avrebbe potuto fare? Non ci pensava nemmeno ad andare in Paradiso: era territorio di Metatron, adesso - o meglio: tecnicamente lo era sempre stato, ma mai così tanto. Non voleva nemmeno sapere se e come Aziraphale fosse riuscito a cambiarlo. Non voleva saperne assolutamente niente. Quel posto era morto da eoni per lui.

Se l'angelo voleva restarci, Crowley non era nessuno per dirgli di no. Se non voleva tornare nemmeno per un saluto, allora era libero di farlo.

Un saggio una volta gli aveva detto: "Amare significa decidere di stare con qualcuno pur sapendo che non puoi controllare qualcosa che non è tuo."

Aziraphale non era suo. Non lo era mai stato e mai lo sarebbe stato. Era intelligente: se c'era qualcuno capace di cavarsela in Paradiso adesso che non c'era più mister pomposo, quello era lui.

Forse avrebbe dovuto dirglielo quella volta. Forse avrebbe dovuto porsi meglio: era stato fin troppo insicuro, aveva esitato troppo e aveva lasciato che la decisione di Aziraphale cambiasse completamente il discorso che davvero voleva fare. Forse, forse, forse.

    «E ci stai pensando troppo, di nuovo» si disse, trangugiando l'ennesimo bicchier di vino. Mai piangere sul latte versato: era la prima cosa che ti insegnavano all'Inferno, anche perché non potevi fare altrimenti. Una volta sceso, non puoi risalire - Metatron o non Metatron.

In sostanza, sì: continuava a fare un male cane, ma poteva farci veramente poco.


Era un tranquillo pomeriggio d'estate, e se ne stava tutto storto sul divano, aspettando semplicemente che il sole calasse - così da potersi dirigere verso Soho. Da quando il clima si era rifatto un po' più caldo, le cioccolate si erano trasformate in succhi di frutta per la piccoletta e, beh, tante altre cose per lui.

    Una volta, Muriel aveva inclinato la testa e storto il naso davanti ad un bicchiere di whisky. «Che cos'è?»

    «Non credo proprio ti piacerebbe. Ma sai cosa dico sempre io?»

    «No. Cosa dice sempre?»

    «Che tentare non nuoce.»

    Le aveva passato il bicchiere, ma lei si era inclinata all'indietro e aveva scosso la testa. «No, grazie. Ha un odore orribile.»

    Lui si era fatto scappare un sorriso amaro. «Credimi, anche il sapore non è il massimo.»

    «E allora perché lo beve?»

    «Mi piace la sensazione che lascia.»

E la botta in testa che ti da, fu quello che non aggiunse. Si rese conto che l'acool era come l'amore: alle volte era buono, alla lunga faceva male, altre volte aveva un saporaccio ma non potevi comunque farne a meno. Così come lui non poteva fare a meno di pensare che era passato un anno e l'unica cosa simile agli usignoli che aveva sentito era stata la risata di Muriel.

Non si era mai ubriacato davanti a lei: ci sarebbe rimasta male. Non l'aveva mai invitata a mangiare: non sembrava interessata a quelle cose. A lei piacevano quelle piccolezze che gli umani consideravano scontate: il calore del sole, il freddo dell'inverno, il colore del cielo, l'odore della carta, la sensazione che la cioccolata calda ti dà quando scende nell'esofago, il suono della musica e cose così. Osservarla mentre si faceva coinvolgere da quelle cose era diventato terapeutico - non abbastanza da far cessare il dolore misto depressione che Crowley sentiva ammontare nel suo ipotetico stomaco, ma comunque terapeutico.

Ormai la considerava un'amica, per quanto strana. Almeno era gradevole, a differenza della stragrande maggioranza del Paradiso. Forse era proprio per quello che Metatron l'aveva incastrata tra quelle quattro mura: non se ne faceva niente di un'inetta.

Una cosa era certa: stare con lei era meglio che starsene da soli in una pozza di lacrime.


    Quando squillò il cellulare, interrompendo la sua leggera sbronzata, dovette rimettersi in fretta prima di rispondere. «Ehi, agente. Cosa c'è?»

Si stava ancora scrollando di dosso la sensazione di confusione e leggerezza indotta dal vino, ma ciò che gli arrivò in risposta lo fece riprendere abbastanza da renderlo lucido all'istante.

    «Ricorda quando mi ha detto che gli umani ci mettono un po' ad innamorarsi?» Chiese Muriel, la solita nota di contentezza nella voce.

    «Parli di Maggie e Nina, vero?»

Aveva appena finito di pensare a loro... Alle volte, l'universo aveva un interessante senso dell'umorismo.

    «Mhmh. Le ho appena viste fare quella cosa strana che fanno gli umani quando si, beh, quando si innamorano. Sa, quella cosa con le labbra.»

Oh... Oh. Allora alla fine era successo.

Crowley si fece scappare un sorriso amaro. Già: era quello che gli umani facevano quando capivano di essere fatti gli uni per gli altri. Era un linguaggio universale: una delle poche cose su cui erano tutti d'accordo. Era un simbolo chiaro, un segno di affetto profondo e sicuro... Giusto?

Per un attimo lo sentì di nuovo, quel sapore: tè, cioccolata calda e una nota inconfondibile di caffè. Stavolta non fece niente per mandarla via.

    «Già, a proposito di quelle due. Non gli hai detto che ci vediamo, vero?» Chiese invece, ricacciando indietro il magone che si era formato nella sua gola.

    Muriel si mise a pensare. «In effetti no. Non ne ho mai avuta l'occasione.»

    «Bene, non dirglielo. Non voglio che sappiano che continuo a tornare a Soho, ok?»

    «Oh, va bene». Pareva sorpresa, ma il tutto le scivolò addosso alquanto rapidamente: «Nel caso, dirò loro che non ho ricevuto nessuna visita degna di nota. Sarò insospettabile.»

    «Insospettabile, eh? Come il migliore dei criminali.»

    Lei ridacchiò. «Oh, sì: soprattutto quelli dei libri gialli.»

    Crowley si fece scappare una leggera risata: «Ah, hai iniziato a leggere quelli». Aziraphale ne sarebbe stato contento: li adorava e non conosceva nessuno di così interessato da parlarne - e non aveva idea di come funzionasse un forum, perciò era davvero solo con la sua passione per Sherlock e affini. Lui e Muriel avrebbero intrattenuto le meglio conversazioni.

    «Sono davvero intriganti: mi piacciono.»

E sì, quella è una cosa che il suo angelo avrebbe decisamente detto.

Ma non è tuo, non è mai stato tuo e mai lo sarà. E queste cose non te le dirà mai più perché avete chiuso. Per sempre.

    Mise nuovamente a tacere i suoi pensieri, calandoli sotto una maschera di simpatia. «Posso ancora chiamarti "agente", vero? O hai già in mente un nome da malvivente?»

Ascoltò la risata dall'altra parte della cornetta intanto che si rimetteva a bere, lo sguardo perso in un punto vuoto davanti a sé.

    «Beh, non sono più un'agente, né un'ispettrice... Ma se può farle piacere, può continuare a chiamarmi così.»

    Crowley si prese tutto il tempo di ripulire il bicchiere anche dall'ultima, microscopica gocciolina. Dopodiché schioccò le dita, lo riempì di nuovo e bevve un altro, lungo sorso. «Perché no» rispose infine. «Come titolo ti sta proprio bene».


°•°•°


Le sere alla libreria erano sempre state tranquille, silenziose e perfette per le chiacchierate. Erano un bel ricordo, talmente bello che Crowley poteva sentirlo dolere lì dove stava il suo inutile cuore.

    «Sono stata io a renderla triste?»

Sbatté gli occhi un paio di volte - una volta tanto li aveva scoperti, e a Muriel non aveva fatto né caldo né freddo. Anzi, adesso lo stava guardando con un sorriso triste, rigirandosi il bicchiere di succo d'arancia tra le mani.

    La fissò, confuso. «In che senso?»

    «Le sue amiche umane» rispose lei, accennando con la testa alla caffetteria. «Sa, non volevo farle ripensare ad Aziraphale dopo che mi ha detto quanta fatica sta facendo per, beh, non pensarci.»

Oh. Sapeva bene che tralasciare certi dettagli era pericoloso, ma c'era cascato con tutte le scarpe. Accidenti a lui e ai suoi momenti di debolezza.

E poi - quasi istintivamente - una volta arrivato, subito era andato a rintanarsi sul divano, portando lei ad accomodarsi ben composta sulla poltrona di Aziraphale, lì, al lato est della libreria. Sembrava lo facesse apposta a voler ricostruire una realtà che non esisteva più.

    «Nah, tra noi non c'è nulla del genere» mentì. O meglio: sperò di mentire.

A dirla tutta: nemmeno lui sapeva che razza di relazione fosse, la loro. O meglio: che tipo di relazione fosse stata.

    Muriel inclinó la testa. «Ah, no? E allora cosa c'è?»

    «È complicato, agente.»

Seguì un poco convinto: "Mh" che mise a nanna la conversazione, almeno per un po'.

Crowley ebbe tutto il tempo di rimettersi a pensare durante quel breve periodo di silenzio. Ovviamente non portò a nulla di buono. Si rese conto che sentiva una punta bruciante di gelosia nei confronti delle umane dall'altra parte della strada. In fondo, loro erano riuscite nel loro intento; mentre lui era lì e quello che aveva sempre considerato come l'unico amore della sua esistenza era da qualche parte lassù, oltre il cielo incredibilmente terso di quella sera.

Era chiaro che avessero sbagliato tutto, così com'era chiaro dove avessero sbagliato. Il problema ora era: come sistemare la questione?

Semplice: non potevano sistemarla. Erano incompatibili, punto. Avevano chiuso.

Per sempre.


    «Posso farle una domanda senza che si arrabbi?»

Oh, no. Guardò la piccoletta e si rese conto di quanto la preoccupazione e l'indecisione avessero quasi - non del tutto, ma poco ci mancava - soppresso il suo sorriso.

    «Devo iniziare a preoccuparmi?»

    «Mi dica solo se posso.»

    Date le premesse, il rosso non ne era poi così convinto. La sua testa gli stava ovviamente urlando di non lasciarla fare, ma, ehi: la curiosità era sempre più forte e le vinceva tutte. Perciò, si raddrizzò appena e le fece un cenno con la testa: «Va bene. Puoi.»

Muriel poggiò il suo bicchiere sulla scrivania e lo fissò con gli occhioni da gufo che si ritrovava. Doveva essere il suo tentativo di apparire seria almeno per una volta.

    «Cosa farebbe se Aziraphale decidesse di tornare?»

A Crowley sarebbe piaciuto rispondere con l'ennesima risata sarcastica e il solito: "Tanto non succederà mai", anche perché era la verità.

Eppure, stavolta si mise veramente a pensare all'eventualità. Per quanto bello sarebbe stato un epilogo da film, con tanto di frasi farcite fino all'osso di smancerie, sapeva bene che la realtà sarebbe stata un'altra: più dura e decisamente più, beh, realistica.

    «Mi arrabbierei con lui» confessò. Perché sì, lo aveva sempre saputo: sotto alle lacrime, ben sepolta sotto la disperazione, se ne stava una base di rabbia non indifferente. Non aveva fatto altro che soffocarla, ma era lì e bruciava di tradimento. Sapeva di abbandono.

    «Beh,» balbettò Muriel - forse non aspettandosi una risposta del genere. «Allora mi piacerebbe se Aziraphale tornasse davvero. Risolvereste le vostre divergenze.»

    Stavolta il demone rise di gusto. «Stai leggendo troppo, agente. Non funziona così nemmeno tra gli umani, figurati tra di noi.»

    Lei fece spallucce: «Tentar non nuoce. Giusto?»

Ahia, sta imparando in fretta a usare su di te la tua stessa medicina: tienila a bada.

    Crowley scosse la testa. «Vero, ma tentare significherebbe litigare di nuovo e, sinceramente, non ne ho proprio voglia.»

    Recuperando la sua bibita, la piccoletta si alzò e andò a sedersi accanto a lui. «Non ci capisco molto di queste cose» ammise - come se non fosse già palese, «però mi piaceva il modo in cui facevate le cose insieme: era bello da guardare.»

    «Era bello anche da provare, ma ormai è finita. Impara una cosa» mormorò lui, ingoiando a fatica il groppo nella sua gola. «Nulla è per sempre.»

Quelle parole rimbombavano come un'eco nella sua testa almeno per venti delle ventiquattro ore della giornata. Le odiava e non ne capiva il senso, ma erano lì.

E lo torturavano.


°•°•°


La mattina dopo venne svegliato dall'improvviso squillo del cellulare.

Si mise a sedere di scatto, ancora mezzo intontito. Gli ci volle un attimo di raccoglimento - e qualche imprecazione ben assestata - per convincersi a rispondere.

    «Hai idea di che ore ssiano?!» Sibilò.

In realtà, non ne aveva idea nemmeno lui, ma era decisamente troppo presto per una chiacchierata. Vero era che Muriel non dormiva perché sapeva di non averne bisogno - e non aveva idea di come si facesse. Crowley, invece, lo aveva ormai adottato come modo migliore, dopo l'alcool, per spegnere il cervello.

    «Mi dispiace, non volevo disturbarla. È che, ecco, beh-»

Wow, sembrava davvero turbata. Forse non era poi così presto e la piccoletta aveva appena sperimentato cosa significa avere a che fare con gli umani rudi, testardi e poco affetti dall'ingenuità.

    Richiudendo gli occhi e tuffandosi sul cuscino, il rosso sospirò. «Spiegati con calma, agente. Se inizi a balbettare non ci capisco niente.»

    Dall'altra parte della cornetta si udirono un paio di fruscii. «Va bene, va bene» una risata nervosa, «ha ragione.»

    Le diede cinque secondi, dopodiché iniziò a spingere: «Ebbene?»

Iniziava seriamente a preoccuparsi. Era la volta buona: aveva incendiato qualcosa, o magari aveva fatto esplodere una tubatura e aveva allagato il seminterrato. O peggio: le era caduto il succo di mela sulla pagina.

    «Si tratta di Aziraphale. È tornato.»


Adesso sì che era sveglio. Quelle parole avevano funzionato meglio di una secchiata di ghiaccio dritta in faccia, e meglio ancora di una scarica elettrica dritta in vena.

Era scattato in piedi senza nemmeno rendersene conto e aveva chiuso la chiamata, salvo poi starsene lì, immobile, tremante, incapace di reagire.

Il cuore gli batteva all'impazzata, sbattendo senza pietà contro le sue costole. Non poteva essere vero... era un sogno - un incubo, forse. Ma no, era la realtà quella, ne era certo. Stava succedendo veramente?

Non avrebbe dovuto farlo, ma ormai la tentazione era forte. Con cautela, provò ad utilizzare un trucchetto che lo aveva accompagnato per secoli, quello che lo aiutava a trovare l'angelo quando ne aveva bisogno.

Così cercò la più familiare delle auree e la trovò subito, lì, in libreria. Era splendente e perfetta come sempre: una luce bianca, azzurra e dorata che sapeva di casa, sicurezza e-

No.


Il mondo riprese a girare, ma lui non si prese nemmeno il tempo di sistemarsi come doveva. Semplicemente, schioccò le dita e corse fuori.

Le loro separazioni non erano mai per sempre. In fondo lo aveva detto anche Aziraphale stesso: "Nulla è per sempre".

Eppure la loro ultima lite era sembrata una ghigliottina: li aveva divisi così profondamente da lacerarli, così duramente da far mettere ad entrambi il punto su una relazione che pareva essere appena cominciata - o che era morta ancor prima di cominciare davvero.

Crowley si era sentito tradito, così tanto da dirsi che non sarebbe tornato dall'angelo nemmeno se gli fosse piombato davanti - in ginocchio, per giunta.

Peccato che fosse solo tutta una stupida storiella che si ripeteva per non ammettere quanto in realtà sperasse in un ritorno. Sperava in un chiarimento. Sperava in una svolta.

E adesso la svolta era arrivata così, di colpo, senza preavviso. Dopo un anno intero da quel disperatissimo bacio.

Non riusciva a capacitarsene. Entrò nella Bentley cercando di raccogliere le idee e capire cosa dire, cosa fare, come comportarsi, da dove iniziare...

Schiacciò il piede sull'acceleratore sapendo che stava sbagliando di nuovo: stava andando lì agitato, teso e senza un discorso. Non era pronto. Avrebbe dovuto darsi tempo... Avrebbe dovuto farlo aspettare come Aziraphale aveva fatto sempre aspettare lui.

Sarebbe stato giusto.

Sarebbe stato utile.

Sarebbe stato sensato, certamente di più di quello che stava facendo.


Prese svolte a caso - ignorando gli altri automobilisti, i pedoni, le bici, i semafori e il senso di marcia. Non sapeva nemmeno che emozione fosse quella che stava provando. Era teso, arrabbiato, disperato ma anche un po' sollevato. La sua aura rigirava e ribolliva come lava di un vulcano, e poteva sentire l'adrenalina corrergli su per le braccia.

Arrivò a destinazione e lì, per qualche secondo, si fece cogliere dal panico.

Era sull'orlo di un precipizio e le opzioni erano due: allontanarsi dal bordo o assecondare la voglia di volare. Sarebbe stato un casino in ogni caso, se lo sentiva.

Eppure scelse di scendere dall'auto.

La breve camminata che lo portò all'ingresso gli parve infinita. Aprì la porta e la campanella gli rimbombò nelle orecchie. Davanti a lui c'era Muriel, ma stavolta non sorrideva, anzi: stava cercando di dirgli qualcosa, ma non riuscì a capirla.

Avrebbe dovuto percepire già da lì che qualcosa non andava, ma il tempo fece il resto.

Gli bastò addentrarsi un po' di più, giusto qualche passo. Fu allora che l'universo parve bloccarsi di nuovo.

    Si bloccò a sua volta, smise di respirare, e il suo cuore perse un battito, fremette, vacillò e si ruppe. «Angelo?»


Qualsiasi emozione fosse quella che aveva provato fino ad allora, adesso era sparita.

E l'ansia si era sciolta, riducendosi in una metaforica pozza tra le fughe del parquet.

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Capitolo 3
*** Sono qui ***


A Muriel piaceva la sua nuova vita.

Era diversa, era cominciata anche troppo in fretta, e l'aveva buttata nel bel mezzo di dinamiche e cose che non capiva. Era migliorata coi giorni, soprattutto grazie a Crowley, ma alle volte continuava comunque a non capire.

Tutto le sembrava strano, complicato, ma interessante. In fondo, lei era brava con le cose complicate: per eoni non aveva fatto altro che gestire, scrivere e rileggere contratti complicati. Gli umani e la Terra, però, erano di un complicato diverso, mai uguale e mai sicuro.

Eppure le piaceva, anzi: non lo avrebbe mai detto ad alta voce, ma si trovava meglio lì che dietro la sua noiosissima scrivania in Paradiso. Almeno sulla Terra c'erano i colori, e i suoni, e i sapori... C'era sempre qualcosa di nuovo da scoprire e qualcosa di interessante da fare. Soprattutto con Crowley.


Il demone le aveva insegnato tante cose. Ad esempio, aveva scoperto che alle anatre non piace il pane, o che agli scoiattoli non si dovrebbe dare da mangiare, ma gli umani lo fanno lo stesso - e agli scoiattoli piace.

Aveva imparato perché le cose cadono sempre verso il basso, che gli umani hanno relazioni difficili da comprendere appieno - persino per loro stessi, e che c'è un motivo se il cielo è azzurro e le piante sono verdi. Aveva persino scoperto che a Crowley le piante piacevano tanto e ne sapeva ancor di più.

Poi aveva capito molte cose su come gestire la libreria. Non era facile, ma gli umani tendevano sempre a sorriderle e a comportarsi bene - a parte qualche volta. Spesso si sentiva sopraffatta dalle tante cose che le venivano chieste, dai tanti rumori che i clienti creavano in quel luogo normalmente silenzioso. Anche per questo amava la sera: era il momento in cui tutti sparivano e lei rimaneva sola per trenta minuti - aveva imparato a contarli. Passati quelli, non era più sola: Crowley la chiamava e lei sapeva di dover preparare un angolino dove poter chiacchierare.


Il suo giorno preferito era il mercoledì.

Solitamente, il demone la portava da qualche parte a passeggiare, e lei scopriva qualcosa di nuovo. Lui, poi, era esattamente come lo aveva descritto: aveva la faccia sempre seria o corrugata, ma il fare sempre gentile. Ed era sempre, perennemente, triste.

E arrabbiato.

Le dispiaceva, ma non sapeva bene cosa fare. Non era ancora molto brava a capire i sentimenti, per quanto i libri che leggeva le stessero dando degli ottimi suggerimenti. Le parole erano facili da capire, così come i personaggi, ma la realtà era molto diversa... La lasciava confusa.

Si disse che Crowley aveva semplicemente bisogno di Aziraphale. Dovevano parlare come facevano di solito gli umani che litigavano, ma non potevano certamente farlo se rimanevano così lontani. E se ci avevano già provato prima di separarsi, beh, dovevano provarci di nuovo. Era l'unico modo.

Così sperò, pregò persino, che Aziraphale tornasse. Certo, adesso che era salito di grado ne aveva di cose da fare... Ma di certo sarebbe riuscito a trovare un po' di tempo per la sua libreria e il suo demone, no?


Quando accadde, non era mercoledì. Era martedì mattina, e lei avrebbe dovuto aprire per le sette - aveva imparato tutto l'orologio, così da non sbagliare mai.

A fermarla fu uno strano bagliore proveniente da un tappeto circolare che si trovava a metà tra l'area ad est e quella ad ovest della libreria. Altro non era che un fascio di luce bianca che traspariva da sotto la stoffa, illuminando appena l'area circostante.

Era strano, però... Lei era lì da un anno, ormai - glielo aveva detto Crowley - e non aveva mai visto una cosa del genere.

Così, una volta poggiato il libro che aveva tra le braccia, andò a scoprire quello che vide poi essere un intricato e ronzante cerchio disegnato in bianco sul pavimento. Bizzarro.

Era sempre stato lì? Se lo sapeva, doveva essersene dimenticata: poteva capitare. Si chiese se fosse una cosa normale da avere in una libreria, e la risposta le arrivò da lì a pochi secondi.

Dopo un breve ma intenso fascio di luce.


°•°•°


Non era cambiato poi granché, ma tanto Aziraphale non cambiava mai.

Era sempre lui, solo con degli abiti leggermente diversi: una versione un po' più candida e un po' più "paradisiaca" del suo solito completo. Per il resto, era tutto lì dove Crowley lo aveva lasciato: i soliti riccioli, solo più candidi del normale; i soliti occhietti azzuri, solo più chiari e persi del normale...

Già, persi.


Qualcosa non quadrava.

Quando lo aveva chiamato, Crowley aveva visto lo sguardo dell'angelo posarsi su di lui per un secondo, solo uno. Poi quelle iridi fin troppo chiare avevano iniziato a spostarsi in giro per la libreria, confuse, spaventate e, sì: perse.

Aziraphale sembrava in tutto e per tutto perso. Non si era mosso, non si era spostato dal centro del cerchio e non aveva detto una parola.

Qualcosa decisamente non quadrava.


    «Fa' così da quando è arrivato» spiegò Muriel, evidentemente confusa. «Quando è comparso l'ho salutato, ma non mi ha risposto. Non mi ha nemmeno guardata.»

E una cosa del genere non era decisamente da lui. Aziraphale era gentile con tutti, nessuno escluso; metteva le buone maniere prima della sopravvivenza, alle volte. E Muriel, poi, era lo stesso angelo che aveva fatto entrare con un sorriso e al quale aveva offerto una tazza di tè... Non aveva motivo di ignorarla in quel modo.

Non aveva motivo di avere quell'espressione quasi vuota in volto. Persino le sue mani normalmente indaffarate, sempre prese a torturarsi a vicenda, se ne stavano ora inermi ed immobili lungo i suoi fianchi.

    Crowley fece ricadere lo sguardo sulle linee ancora leggermente intermittenti del cerchio. Si stava spegnendo, ma non era ancora del tutto disattivato: non avrebbe dovuto avvicinarsi in quel modo, ma doveva. Fece tre decisi passi avanti e si tolse gli occhiali dal volto. «Angelo?» Ripeté, stavolta con più urgenza.

Niente. Lo sguardo dell'altro si posò su di lui per un secondo, lo sorpassò e tornò a vagare. Non un movimento. Non una parola.

Cosa cazzo sta succedendo?

    «E va bene, mi costringi a farlo.»

Era una pazzia. Pregò solo - si fa per dire - che l'energia rimasta in quella maledetta circonferenza non fosse abbastanza da renderlo una montagnetta di ipotetica ed occulta polvere.

Per sicurezza, comunque, non calpestò le linee, ma vi rimase al margine. Allungò giusto le braccia abbastanza da afferrare il colletto della giacca di Aziraphale e dargli una decisa scrollata. E dire che l'ultima volta che lo aveva afferrato in quel modo non era andata a finire molto bene...

    «Sono qui» ringhiò - più per la preoccupazione che per la rabbia. «Guardami.»

E l'altro lo guardò, certo: per un attimo solo. Dopodiché, i suoi occhi volarono verso il vuoto, confusi quanto lui. Assenti quanto lui. Persi quanto lui.

Era davvero un incubo, allora - e della peggior specie. Non sapendo che altro fare, Crowley cercò di tirare quel corpo inerme un po' più a sé, pronto ad alzare la voce. I loro nasi arrivarono a toccarsi e la paura iniziò a farsi sentire: era un'onda che gli saliva alla testa e gli riscendeva alle ginocchia.

Non fece in tempo a dire né fare altro. Aziraphale ebbe un leggero, impercettibile ma decisivo tremito che lo fece vacillare in avanti.

Afferrarlo fu ovvio ed istintivo. Allontanarsi dal cerchio fu quasi una conseguenza, una reazione involontaria ma necessaria. Stringerlo a sé, invece, fu un bisogno nato dal terrore e dalla confusione.

    Il rosso sentì le ginocchia piombargli a terra, e capì subito che non era stato il peso improvviso che si era ritrovato fra le braccia, ma la paura. Una paura fottuta. «Angelo?» E tre, il tono che sembrava una richiesta disperata: un "cosa sta succedendo?" che non ci aveva creduto abbastanza. «Guardami, idiota. Sono qui.»

Stavolta, quando i loro sguardi si incrociarono, durarono un secondo intero e persino qualcosina in più. Poi quelle pozze troppo azzurre si chiusero e piombò il silenzio.

Un silenzio destinato a non durare.

    «Che- che facciamo?» Balbettò Muriel.

    Tanto bastò a far staccare lo sguardo di Crowley dal volto ora assopito ed inespressivo di Aziraphale. «Prendi i cuscini del divano» ordinò, la voce ancora tremante e lo sguardo ancora sconcertato, «e mettili tutti da un lato. Non importa quale: so che stai per chiedermelo. Scegline uno.»

Lei annuì e corse a fare ciò che le era stato chiesto.

Intanto, il rosso dovette combattere con una nuova, terribile notizia. Nel tirare su l'angelo, si accorse che, effettivamente, qualcosa di diverso in lui c'era davvero: non era più di quella morbidezza confortante, dolce e delicata che gli si addiceva. Era fin troppo leggero, fin troppo prosciugato; sollevarlo fu fin troppo facile, e poggiarlo sul divano richiese una delicatezza quasi maniacale. Crowley ebbe quasi paura di romperlo intanto che gli faceva poggiare la testa sui cuscini che Muriel aveva accatastato a lato finestra.

A lavoro ultimato indietreggiò e si ritrovò fianco a fianco con la piccoletta che, per una volta da quando si conoscevano, era decisamente sconvolta - non con il sorriso sconvolto, no: sconvolta e basta. Lo erano entrambi.

    «Ma... Sta bene?» Mormorò lei. Più che una domanda, sembrava una richiesta. La richiesta di una rassicurazione.

Rassicurazione che Crowley non poteva darle.

    «Non lo so» rispose infatti quest'ultimo. Poi dalla bocca gli uscì un sospiro nervoso e tremante. «Non lo so!» Ripeté, iniziando a fare nervosamente avanti e indietro per la piccolissima area che separava il divano dalla poltrona. «Non ne ho idea! Non so cosa stia succedendo!»

Era tutto così assurdo.

Un anno. Era bastato un anno a sconvolgere la sua esistenza: prima la separazione, poi la disperazione, l'alcool, la rabbia, i pochi momenti di pace con Muriel, la gelosia e adesso questo? Adesso? Così?

    «Perché va sempre a finire così?» Urlò a nessuno in particolare.

    La risposta dell'altra fu inaspettata, infatti. «Così come?»

Quella vocina confusa, così diversa dal tono giulivo e frizzante di sempre, fece bloccare il viavai nervoso del demone. Ecco, anche quello era ingiusto: strappare così brutalmente la piccoletta dalla sua campana di vetro... Era crudele. Crudele in tutto e per tutto.

    Allungando un braccio verso il divano, Crowley si fece scappare un singhiozzo. «Così» ripeté. «Con lui in qualche cazzo di casino che io devo risolvere.»

Non ce la faceva più. Pensava avessero chiuso per sempre, e adesso eccolo lì: spaventato - terrorizzato, anzi - preoccupato e in pensiero per lo stesso essere che lo aveva lasciato solo e in lacrime. Lo stesso che aveva avuto l'ardire di tornare in quelle condizioni pietose, dando per scontato che avrebbe trovato un paio di braccia pronte ad accoglierlo.

E c'era riuscito, il bastardo. Aveva dato Crowley per scontato, di nuovo.

E aveva fatto centro.


Si passò una manica sugli occhi, ma era troppo tardi. Qualsiasi cosa facesse era sempre e comunque troppo tardi.

Pazienza. Aveva pianto per mesi: poteva permettersi di piangere ancora, no? Tanto al peggio non c'è mai fine, e due lacrime non avrebbero cambiato quella triste verità.

    Sentì un tocco sulla spalla, leggero ed incerto. Quando ebbe finito di strofinarsi inutilmente le guance, si ritrovò davanti agli occhioni scuri e poco convinti di Muriel. «Ha bisogno del suo aiuto» affermò lei, ovviamente chiedendosi se quello fosse il giusto approccio alla situazione. «Anche io ho spesso bisogno di aiuto. È per questo che l'ho chiamata quando Aziraphale è piombato all'improvviso: non sapevo cosa fare. Di solito lei sa sempre cosa fare, invece. Sa come funziona la gravità, o sa dove andare a passeggiare. Sa perché le piante sono verdi, e sa perché il cielo è azzurro. Sa un sacco di cose. Perciò-». Esitò appena, ma alla fine parve trovare le parole giuste: «Perciò, sono sicura che saprà anche cosa fare adesso. Magari non subito, ma... Sì. Lo capirà.»

    Crowley si ritrovò a sbattere le palpebre un paio di volte, e di certo non per colpa delle lacrime. Gli succedeva solo quando qualcosa lo stupiva veramente. E infatti: «Wow» commentò.

Non che fosse il migliore dei discorsi, però aveva avuto un certo effetto. Era stato sincero, genuino e diretto. Gli era piaciuto, anche perché, prima di quel momento, non aveva mai capito di averne bisogno. Erano semplici parole di affermazione, ma avevano un peso particolare; sapevano di: "Io so che tu puoi". Ed erano belle.

    «Grazie» aggiunse, dando uno scherzoso pugnetto alla spalla di Muriel. «Davvero. Niente male, agente.»

    Lei non parve subito convinta. «Aspetti, davvero?»

    «Davvero davvero.»

    «Ho risollevato il suo stato d'animo?»

Una luce iniziò a far breccia su quel visino sui toni del cacao.

    «Beh, per quello ti ci vorrebbe un miracolo. Ma sì, hai decisamente migliorato la situazione.»

    Allora Muriel emise un sospiro di sollievo e tornò a sorridere. «Oh, meno male. Ero così preoccupata: credevo di star solo peggiorando la situazione. Sa, non ho mai consolato nessuno e quindi non-»

    Crowley le piantò un dito sulla bocca. «Oh, eccoti qui. Dov'eri finita?» Scherzò - e lei, ovviamente, non capì; ma andava bene lo stesso. Riavere il solito super giulivo agente al suo fianco era abbastanza. «Su una cosa hai torto marcio, comunque.»

    La piccoletta inclinó la testa. «Su cosa?»

    «Non sarò io a capire cosa fare, ma noi. Capiremo insieme cosa diamine sta succedendo.»

Io e te. Un concetto che credeva bello che morto.

Lo disse con più determinazione di quella che veramente aveva, ma al momento poteva bastare. Anche perché, tornando a guardare la figura stesa sul divano, non poté fare a meno di sentire l'ipotetico stomaco stringersi in una morsa. Dell'angelo che aveva amato non era rimasto che un involucro così pallido da sembrare un fantasma, e la cosa - per quanto odiasse ammetterlo - lo terrorizzava.


°•°•°


Un rombo di tuono risuonò nell'aria, rimbombando tra gli scaffali della libreria.

Strano, pensò Muriel. C'era il sole prima, e neanche una nuvola in cielo.

Alle volte le piaceva stare a guardare come la notte lasciava spazio al giorno, e quel martedì era iniziato con un'azzurrissima e tersissima mattinata. Si prospettava una bella giornata, insomma.

Adesso, però, andò a dare uno sguardo fuori dalla finestra e vide che nel cielo stava accadendo qualcosa di bizzarro. I cumolonembi parvero apparire dal nulla, moltiplicandosi e vorticando fino ad ammassarsi in un unico blocco grigio dai riflessi nerastri.

Ora, lei non era certamente un'esperta in cielo, o in nuvole, o in pioggia... Ma Crowley sì.

    Difatti, quando il demone la raggiunse, le già presenti rughe sulla sua fronte si fecero ancora più marcate. «Ci mancava solo questa» mormorò, intanto che grosse e pesanti gocce di pioggia andavano a sbattere contro il vetro.

    «Non è normale, vero?»

    Lui scosse la testa. «Decisamente no.»

    «E crede abbia a che fare con...» sussurrò, allungando un dito verso Aziraphale.

Aveva capito che il tono di voce non faceva poi così tanto la differenza; nonostante ciò, una parte di lei non ci teneva molto a svegliare l'angelo sul divano. Da quand'era arrivato, aveva provato tante emozioni che non le piacevano: paura, incertezza, preoccupazione... Non le aveva mai sperimentate su di sé, tantomeno tutte in una volta. Avrebbe preferito non riprovarle, poco ma sicuro.

    «Possibile» rispose l'altro dopo un pesante attimo di silenzio. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma richiuse la bocca di scatto e si mise a guardarsi attorno.

Stavolta, a Muriel non servì chiedere. Lo aveva sentito anche lei: l'inconfondibile tintinnio di un miracolo; la leggera e frizzante sensazione di uno schiocco di dita andato a buon fine.

Peccato che nessuno avesse schioccato niente.

    «Non ti muovere» le ordinò Crowley, andando ad afferrare una sedia poco più in là.

E lei rimase immobile, composta come sempre, seppur un po' confusa dal fatto che il rosso stesse salendo sopra la suddetta sedia. Non gli chiese comunque cosa stesse facendo - un po' per non disturbarlo e un po' perché parlare avrebbe implicato il muovere qualcosa.

Lo osservò allungare un dito verso l'alto. Nonostante sopra le loro teste non ci fosse niente - se non il soffitto, ma quello era abbastanza in alto - il polpastrello del demone parve fare contatto con qualcosa. Sembrava una barriera semi-invisibile e lattiginosa che li avvolgeva come una cupola.

Bizzarro. Davvero bizzarro.

    Almeno per lei, dato che Crowley, invece, parve capire tutto. Scese con un balzo, rimettendo la sedia apposto. «Conosco questo miracolo» disse solo, spostando di nuovo lo sguardo su Aziraphale.

    Muriel non sapeva se la cosa avrebbe dovuto rincuorarla, ma ci provò lo stesso: «Oh, beh, è una bella notizia, no?»

    Lui non parve convinto, ma annuì comunque. «Più o meno. Senti, agente: mi sa che qui bisogna aprire un'indagine.»

In effetti, avevano davvero un bel mistero tra le mani. Nei libri che aveva letto non c'erano né angeli, né demoni, né miracoli; anzi: alle volte c'erano cose molto più lugubri, tipo i cadaveri, o i criminali...

Però il concetto era quello: succedeva qualcosa di molto strano e qualcuno di molto brillante arrivava a risolvere la situazione.

    «Ho ancora il mio taccuino» affermò, fiera di averlo conservato. «Potrebbe esserci utile.»

Ci aveva appuntato tantissime cose quando aveva fatto la sua prima ispezione. Certo, questa non era esattamente un'ispezione, ma andava bene comunque. No?

    «Sì, ottima idea. Va' a prenderlo: mi sa che ne avremo anche troppe di cose da appuntare.»

Sembrava abbattuto, poverino. Ma era normale: tante cose bizzarre tutte insieme facevano quell'effetto. E poi era di Aziraphale che stavano parlando: Crowley ci teneva, anche se era triste e arrabbiato.


Così, Muriel fece di corsa le scalette e andò a recuperare i suoi pochi ma utili ferri del mestiere.

Si sentì già meglio con il blocchetto e la penna alla mano. Sapeva per esperienza quanto fosse importante mettere le cose per iscritto. In Paradiso lo faceva spesso: appuntava tutte le piccolezze, le clausole facili da perdere e gli appunti ancor più facili da dimenticare. In quello era brava davvero, insomma: si sentiva già un po' più nel suo ambiente.

E poi, tutte le emozioni negative che aveva provato erano appena state soppiantate dalla curiosità. Voleva capire cosa stesse succedendo, e non vedeva l'ora di andare un po' più a fondo in quell'assurda storia.


Ridiscese sapendo cosa doveva fare, sapendo che non era sola, e sapendo che era martedì ma non avrebbe aperto. Era bene guardare il lato positivo, in fondo.

No?

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Capitolo 4
*** Perso ***


    «Conosco questo miracolo» ripeté, come se rimarcare quelle parole potesse aiutarlo a renderle più vere.

    Muriel aprì il suo taccuino: «Ottimo. E in cosa consiste?» Chiese, gli occhi che brillavano. Sembrava proprio l'esempio vivente di poliziotto buono, il che doveva fare di Crowley quello cattivo.


Se ne stavano lei sulla poltrona e lui sul bordo del divano, le dita che sfioravano il fianco di Aziraphale.

Era strano vederlo così innaturalmente immobile. Quell'angelo era un continuo gesticolare, parlottare, insistere... Gli unici momenti in cui dovevi assicurarti che respirasse ancora - nonostante non ne avesse bisogno - era quando si metteva a leggere o a ragionare su qualcosa che riteneva importante. Per il resto, non era normale che stesse fermo o, peggio ancora, che dormisse.

Non aveva mai voluto farlo: diceva che era inutile, poco consono per uno come lui - e con un ruolo come il suo che lo richiedeva sempre vigile. Adesso, invece, a nulla valsero i tuoni sempre più insistenti al di fuori, le gocce che sbattevano imperterrite sulle finestre, il chiacchiericcio delle altre due entità presenti, i rumori della città - ora ovattati ma pur sempre presenti - che ogni tanto si accavallavano al resto... Non c'era un'ombra di riconoscimento su quel volto tranquillo, né una smorfia di fastidio. Niente.

Tutto, da quella postura rilassata a quel candore troppo acceso, sapeva di morte.

E Crowley non riusciva a pensarci. Per questo cercò di concentrarsi sul discorso il più possibile.

    «È del tutto identico a quello che abbiamo usato per nascondere "Jim"» spiegò, mimando le virgolette con le dita.

    L'altra si mise a subito a scrivere, salvo fermarsi a metà processo, lo sguardo interrogativo. «Quello che ha fatto scattare l'allarme in Paradiso?»

    «Sí, sí, quello da non so quanti Lazzari che ha fatto scendere Michele e compagnia.»

Non aveva idea del perché quel trucchetto avesse fatto tutto quel baccano. Probabilmente era colpa di Jim: nella sua momentanea stupidità doveva aver amplificato il tutto... in qualche modo.

    Lo spiegò anche a Muriel, la quale parve non esattamente sicura di ciò che andò ad appuntare. Come spesso accadeva, però, l'incertezza le scivolò dal volto come mani sul sapone. «Perciò, qualcuno sta cercando di nascondere qualcosa qui dentro» affermò invece con il tono di chi ha avuto un'intuizione geniale.

    Crowley annuì: «E penso anche di sapere chi.»

Tornò a guardare Aziraphale con una certa punta di fastidio nell'ipotetico stomaco - che andò a mescolarsi con la paura, la preoccupazione e tutto il resto. Guarda guarda chi ha scoperto di avere torto marcio riguardo all'alto dei cieli.

L'angelo era fuggito e si stava nascondendo, quindi. Ora che aveva effettivamente i poteri per farlo, quel piccolo miracolo doveva essergli uscito ad occhi chiusi - letteralmente.

Eppure, qualcosa continuava a non quadrare.

La pioggia insistente era arrivata con lui e sembrava destinata a non smettere mai. E poi c'era quel suo inquietante stato catatonico che Crowley sperò essere temporaneo, magari un effetto collaterale dato dalla sua apparizione improvvisa.

A proposito di quella...

    Si alzò con un unico movimento fluido e andò ad appostarsi davanti al cerchio ancora scoperto. «Perché usare questo?» Chiese alla piccoletta che gli era appena trotterellata dietro. «È un arcangelo supremo: avrebbe potuto schioccare le dita e comparire qui.»

    Muriel si picchiettò il labbro con la punta della penna. «Magari questo è un metodo più silenzioso» azzardò, chiaramente non sapendo se quello che aveva detto avesse senso.

    Ma Crowley si rese conto che ne aveva eccome, di senso. «Il Paradiso si accorge di tutti i miracoli, no?»

    «Oh, sì. Vengono tutti registrati, catalogati e smistati» rispose l'altra, fiera di conoscere a memoria quel procedimento certosino. «Alcune volte lo facevo io. Per i miracoli più piccoli, si intende.»

Ma quel cerchio non era esattamente un miracolo, e lo spiegò anche alla sua improbabile partner. Era un disegno ben tracciato sul terreno, una serie di simboli particolari e significativi che poteva essere attivato da qualche candela ben posizionata - anche finta andava bene. Persino un umano avrebbe potuto usarli - e lo avevano fatto, mannaggia alle evocazioni demoniache. L'unico modo per farsi beccare dal Paradiso ad usare uno di quei cosi, era adoperarlo apposta per collegarsi con quest'ultimo - o anche friggerci dentro qualche demone poteva essere efficace.

Aziraphale lo aveva fatto prima dell'Apocalisse e, guarda caso, aveva parlato con Metatron.

    Quando Crowley si voltò a guardarlo per l'ennesima volta, l'angelo rimase una figurina troppo bianca e troppo immobile sul divano. «Se l'è studiata bene» mormorò, una punta non indifferente di ammirazione nella voce. «Dobbiamo capire perché.»

    «E temo che possa dircelo solo Aziraphale stesso» affermò Muriel, mettendo finalmente il punto a quella che era stata una lunga e fitta appuntata. «Lui o qualcuno in Paradiso.»

Il rosso non ci teneva proprio a tornare lassù, soprattutto adesso che mister "tieni del caffè" la faceva da padrone. Chiedere a qualcuno ai piani alti era decisamente fuori questione, perciò sì: rimaneva una sola opzione.

    «Senti, agente» disse, dando una pacchetta sulla spalla di Muriel, «perché non vai a preparare qualcosa da bere, mh? Ci prendiamo cinque secondi per ragionare. Ah, cinque secondi non letterali: è un modo di dire.»

    Lei fu subito d'accordo. «Dato che ha ricominciato a piovere, posso rifare la cioccolata calda?»

    «Sì, buona idea.»

    «Preparo due o tre tazze?»

Quella domanda andò ad accendere nell'aura di Crowley un qualcosa che se ne stava nascosto ormai da un anno, ben infilato tra le pieghe della tristezza. Era speranza: la speranza che Aziraphale potesse svegliarsi fresco come una rosa, vigile come sempre e, soprattutto, pronto a fornire spiegazioni davanti ad una tazza di cioccolata calda. La stessa speranza che aveva chiesto sottovoce quel ritorno, seppur decisamente diverso.

    «Fanne tre» rispose infine. «Mai dire mai.»


Muriel se ne andò in cucina, lasciando il demone solo con ciò che rimaneva dell'amore della sua esistenza.

Si chiese se poteva ancora definirlo tale, se quella non era stata che la solita, stupida, separazione o se era davvero cambiato tutto.

Avvicinò la poltrona al divano e vi si buttò sopra, andando a ripassare con lo sguardo quel profilo che ormai avrebbe potuto ridipingere ad occhi chiusi e con una mano sola. Nonostante l'innaturalità della situazione, si rese nuovamente conto che era tutto di nuovo lì, a un non nulla da lui: quei ricciolini che alle volte aveva preso in giro, ma che in realtà adorava; quel naso leggermente rivolto all'insù che tante volte aveva segretamente voluto toccare, e quelle labbra che erano passate dall'essere un tabù all'essere la ragione stessa del suo dolore. Era tornato tutto quello che aveva amato e che, purtroppo o per fortuna, credeva proprio di amare ancora - sotto sotto.

Poteva sentirlo, l'amore: era una scintilla che si ostinava a brillare tra le tenebre - un'immagine suggestiva che descriveva qualcosa di molto, molto reale.

Erano incompatibili, ma perfetti l'uno per l'altro: una concretezza che li teneva legati anche quando si ferivano a vicenda così tanto. Era davvero, davvero odioso.

    Con un moto di nervosismo, Crowley afferrò la mano di Aziraphale, stringendola tanto da sperare di ottenere una reazione che non venne mai. «Ti detesto, lo sai?» sussurrò tra i denti, sapendo che quelle parole non avrebbero fatto trasparire neanche un po' del fastidio che avrebbero dovuto far sentire. «Non riesco a lasciarti andare nemmeno se te lo meriteresti.»

Non era del tutto vero. Lo aveva lasciato andare via eccome, ma era stato come farsi staccare un braccio. E adesso si sentiva vittima di uno scherzo crudele: gli era stato restituito tutto, ma non gli era stato restituito niente.

    «Hai fatto un'idiozia, te ne sei reso conto, bene» continuò, sottolineando l'ultima parola. «Non ascolti mai, questo l'ho capito. Ora però torna e parla» supplicò. «Sono qui, parlami

Parlare. La cosa che non facevano mai, o meglio: lo facevano in modo sbagliato. Riempivano l'aria di parole senza mai farne valere nessuna. Si dicevano cose senza dare loro un vero peso. Non arrivavano mai al punto, giravano e rigiravano frasi che non servivano mai a niente: bla, bla, bla, bla...

E adesso, evidentemente, non potevano fare più nemmeno quello. Perché Aziraphale riaprì gli occhi solo per puntarli nel vuoto davanti a sé. Esattamente come prima, quello sguardo sembrava vago, distratto e perso. Perso tra le mura a lui familiari, perso davanti all'essere a lui più vicino.

    Crowley sospirò, allentando un po' la presa sulla mano dell'altro - ma senza lasciarla mai. «Oppure continua a fare di testa tua, come sempre.»

Non avrebbe dovuto dirlo con tutta quella dolcezza, eppure...

Gli scostò un po' di riccioli dalla fronte. Erano un po' più vaporosi e decisamente morbidi, troppo ordinati: praticamente delle piccole volute che si accavallavano. Troppo bianco, troppo ordine, troppo silenzio. Come in Paradiso.

Già, il Paradiso.

    «Sono stati loro a farti questo?» Chiese a quel volto tanto bello quanto inespressivo. «O sei stato tu?»

Le pozze troppo azzurre dell'altro si posarono su di lui per un attimo, poi scivolarono da qualche parte oltre la poltrona, oltre gli scaffali, oltre la realtà.

Effettivamente, entrambe le opzioni erano valide. O era stato il piano di sopra a rimbambirlo, o si era reso inutilizzabile da solo, sperando che qualcuno (Crowley, ovviamente) venisse in suo aiuto. La domanda rimaneva: perché?


    «Si è svegliato?»

La voce fece fare al rosso un leggero salto sulla sedia. Muriel era tornata con un vassoio e il solito sorrisino cordiale; come d'accordo, aveva preparato cioccolata calda per tutti ed era stata anche alquanto celere nel farlo. Rimaneva un angioletto obbediente ed efficente, poco ma sicuro.

    «Più o meno» rispose lui, accettando una tazza ancora bella fumante. «Ancora non mi risponde.»

    La piccoletta emise un pensoso: "mh", dopodiché abbandonò la sua cioccolata e prese posto sul bordo del divano. «Sarebbe bello sapere cosa gli passa per la testa» disse, osservando attentamente Aziraphale - come se una sola, seppur accurata, occhiata fosse abbastanza da capire cosa non andasse in lui.

    Scivolando un po' lungo la poltrona, Crowley bevve un lungo e lento sorso. «Sempre se gli funziona ancora» commentò. «Sembra che se la sia dimenticata da qualche parte.»

Il che, in effetti, non era poi così assurdo da pensare. In fondo, Jim era riuscito a spostare e nascondere un bel pezzo di sé stesso - se non praticamente tutto - un po' come fosse una semplice cartella piena di documenti da mettere in un archivio. Magari Aziraphale aveva fatto altrettanto.

    Quando lo disse a Muriel, lei accolse l'idea appuntandola freneticamente. «Giusto. Mi piace: è una cosa molto intelligente da fare. Però, questo significa che dovremo capire dove si è cacciato.»

    «Più facile a dirsi che a farsi. La sua aura è qui, l'ho sentita» affermò Crowley, ricordando la luce bianca, azzurra e dorata che sapeva di casa. «Quindi, in realtà lui è qui. A mancare è, beh...» La sua coscienza? «Diciamo che metà di lui è qui e l'altra metà è chissà dove.»

Più si ripeteva il concetto e meno questo aveva senso. La piccoletta, invece, segnò il tutto come una bambina al quale viene fatto il dettato.

Come si trova la coscienza di un angelo? Non era certamente come trovare un mazzo di chiavi lasciato chissà dove. Certamente, Crowley non poteva schioccare le dita e ritrovarsela in mano.

Diede un'occhiata ad Aziraphale, ma notò che il suo sguardo non si fermava mai in un punto troppo a lungo, anzi: rimaneva a vagare da una parte per un po', poi scivolava all'altra, poi ogni tanto socchiudeva le palpebre per riaprirle e ricominciare da capo. Sembrava non lo sapesse nemmeno lui, e non era rincuorante.

    «Lei conosce Aziraphale meglio di chiunque altro» affermò Muriel, facendo scattare la penna. «Se dovesse nascondere qualcosa di importante, dove lo metterebbe?»

    Non che l'angelo fosse così bravo a nascondere le cose. Non ci riusciva nemmeno con le sue emozioni: era una creatura ovvia e palese. Il rosso sapeva perfettamente quand'era nervoso, quand'era imbarazzato, quando voleva qualcosa... O forse non era poi così intuitivo ed era soltanto il tempo passato assieme a renderlo tale. In ogni caso: «Sotto gli occhi di tutti. È così che siamo abituati a fare le cose: palesemente ma non troppo.»

In effetti era sempre stato così. La loro collaborazione era ovvia, ma sfuggiva dalle mani di chiunque riuscisse in qualche modo a notarla. Ce n'era voluto di tempo prima che qualcuno iniziasse veramente a vederla e a prenderla come un problema.

Vero anche era che ad Aziraphale quei trucchetti piacevano: quelli che consistevano nel farti scomparire le cose davanti agli occhi, quando in realtà non stavi semplicemente prestando attenzione. L'idea era farti concentrare su una cosa per distrarti dall'altra, dalla mano che cambia la carta o dal movimento che ne nasconde un'altra.

    Muriel inclinó la testa: «Non credo di aver capito.»

    «Un modo per spiegartelo c'è» realizzò Crowley. «Quanto sei brava a mantenere i segreti?»

    «Non lo so» ammise lei. «Non ne ho mai mantenuto uno.»

    «Ti va di provare?»


Il loro scambio, dopo l'Apocalisse, era stato un trucchetto davvero niente male.

Era l'esempio perfetto: una fregatura in bella vista, sotto gli occhi di tutti, ma talmente inaspettata e impossibile da non lasciare sospetti.

    Nello scoprirla, Muriel emise un lungo: "oh" di stupore e comprensione. «Questo spiega molte cose» disse, enfatizzando la "o" di "molte". «Giravano tante voci strane tra le scrivanie. Gli arcangeli erano sconvolti.»

    Sembrava divertita, il che fece sorridere anche Crowley. «Capisci adesso? È questo che intendo: è così che facciamo le cose» spiegò. «Certo, il miracolo con Jim è stato un bel buco nell'acqua da quel punto di vista.»

    Muriel scosse la testa: «Non direi. Sì, il Paradiso si è accorto del miracolo in sé per sé, ma non si è accorto di Gabrie- ehm, Jim. Insomma, sì,» incespicò. «Che Jim era Gabriele.»

    «Sí, insomma,» tagliò corto il rosso, «per farla breve: il modo migliore per nascondere qualcosa, è metterla sotto gli occhi di tutti. È così che Aziraphale farebbe.»

In bella vista, ok. Ma dove?

    «In un libro?» Propose Muriel.

    «Nah, troppo ovvio. È comunque non avrebbe avuto possibilità di farlo, dato che non è mai tornato qui prima di oggi» affermò Crowley. «E non ha portato niente con sé.»

Jim aveva una scatola e una mosca che ronzava per la libreria. Aziraphale era arrivato solo con il suo sguardo perso e il suo fare imbambolato.

    «Beh, allora dentro di lui.»

    Il demone aggrottò le sopracciglia e fissò la sua partner. «In che senso?»

    «È arrivato da solo, senza niente in mano... Magari è solo, non so, intrappolato in sé stesso?» Rispose lei, stringendosi nelle spalle. «È un'idea stupida?»

No, si disse Crowley. Solo un po' strana.

O forse no?

Gli risuonarono in mente le parole che la piccoletta stessa aveva detto poco prima: «Sarebbe bello sapere cosa gli passa per la testa.»

    In mancanza di una risposta, Muriel riprese a parlottare. «Insomma, se è riuscito ad occupare il corpo di Aziraphale, allora, forse, può entrare anche nella sua mente o... Inconscio? Credo? So che alcuni angeli lo hanno fatto con gli umani. Cioè, entravano nei loro sogni e portavano messaggi. Lo so perché ho sistemato alcuni documenti in cui-»

    Crowley si alzò di scatto, abbandonò la tazza sul tavolino accanto a sé, si abbassò abbastanza da metterle le mani sulle guance e la fissò dritta negli occhi. «Tu sei intelligente.»

E fanculo Metatron: non ci ha capito un cacchio.

    La mollò solo per essere richiamato da una vocina insicura. «Aspetti, la mia è solo un'idea» lamentò Muriel. «E lei è un demone: non so se questa cosa vale anche per i demoni.»

    «Fidati» la rassicurò lui, riprendendo posto sulla poltrona. «Non sono poi tante le cose che un angelo può fare e un demone no.»

Riprese la mano di Aziraphale e si calò gli occhiali sul viso. Non sapeva nemmeno da dove iniziare, ma la piccoletta aveva ragione da vendere: se era riuscito a scivolare dentro quel corpo, se riusciva a vedere quell'aura, allora fare un salto in quella testa non poteva essere così complicato.

    «Mi fai un favore?» Chiese alla sua partner.

Muriel annuì, il taccuino stretto al petto.

    «Controlla che non arrivi nessuno.»


Schioccò le dita e lui ed Aziraphale si ritrovarono al piano di sopra, laddove Jim aveva occupato la stanza. Ovviamente, aveva fatto sì che l'angelo si ritrovasse sul letto, la testa ben poggiata al cuscino.

Quel posto era semplicemente più appartato, più lontano dall'ingresso e molto, molto più tranquillo. E poi, se avesse avuto bisogno di qualcosa, Muriel era sempre al piano di sotto.

    Si sistemò sulla sedia che aveva appena magicamente occupato, stringendo bene la mano dell'altro. «Bene. Spero non ti dia fastidio se invado il tuo spazio personale.»

Un'occhiata assente si posò su di lui per un attimo e poi cambiò direzione, come se fosse confusa dall'improvviso cambio di ambientazione.

    «Chi tace acconsente.»

Poi, senza avere la benché minima idea di cosa stesse facendo, il rosso chiuse gli occhi e si concentrò.


°•°•°


"Ovunque tu sia, ti vengo a prendere" gli disse una volta. Certo, mai si sarebbe immaginato di arrivare a quel punto.


Crowley capì di essere riuscito nel suo intento quando schiuse un occhio e si ritrovò in mezzo ad un ambiente grigio-bluastro pieno zeppo di libri e scaffali. C'era un silenzio tombale, rotto solo dalla lontanissima eco di chissà quale melodia classica.

    Rigirò su sé stesso, confuso. Tutto attorno parevano esserci solo libri, libretti, tomi e volumi. «Ci credo che sembri perso. Chi non si perderebbe qui dentro?» Disse a... Beh, nessuno.

La sua voce si disperse nell'aria, come a rimarcare il fatto che quello era il subconscio di Aziraphale, sì, ma dell'angelo neanche l'ombra.

Per nulla rincuorante.


Dando un veloce sguardo verso l'alto, il rosso si accorse di un particolare interessante.

C'era una superficie azzurro spento sopra di lui che, gradualmente, andava a confondersi con chiazze sempre più fitte di cielo notturno. E se c'era una cosa che aveva imparato nel corso dei secoli era che se non sapevi dove andare, dovevi seguire le stelle.

Così tenne il naso ben rivolto verso l'alto ed avanzò, proseguendo finché non si ritrovò davanti agli occhi uno spettacolo nero, viola e bluastro puntellato di stelle e scie colorate. Gli ricordarono molto la sua nebulosa, quella a cui aveva scaldato i motori e che aveva visto scomparire dalla sua vista mentre Cadeva.

Fu quando alcune sfumature e alcuni puntini lontani iniziarono a mescolarsi che si rese conto di una cosa, anzi, due.

La prima era che le librerie erano sparite, lasciando spazio solo ed esclusivamente a quel pezzo di universo uscito fuori dal nulla.

La seconda era che, ehi, ma questa è la mia nebulosa. 

Che ci faceva la sua nebulosa nella testa dell'angelo?


Ignorò la stretta al cuore che quella realizzazione gli aveva provocato e andò avanti, innoltrandosi sempre più in quel tuffo nel passato dal sapore agrodolce.

Fu allora che la vide: una figurina candida girata di spalle che fissava il cielo a braccia incrociate.

C'era tutto: quei ricciolini che alle volte aveva preso in giro, ma che in realtà adorava; quel completo troppo bianco, quella postura sempre composta...

    Gli corse incontro quasi istintivamente. I suoi passi non facevano il minimo rumore in quell'universo immaginario ma, per fortuna, la sua voce sì. «Angelo!» Esclamò, il cuore a mille.


E l'altro, dopo un leggero sussulto, si girò a guardarlo. Quegli occhi non scivolarono, non vagarono, non si distaccarono e non si persero.


Si allacciarono ai suoi e lì rimasero.

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Capitolo 5
*** È tutto nella tua testa ***


Aziraphale lo stava guardando. Lo stava fissando davvero.

Fu abbastanza da inchiodare Crowley sul posto, tremendamente preoccupato di veder scivolare via anche quell'occhiata.

Dopo quello che aveva passato, quegli occhi gli parvero una specie di benedizione: la prima nota positiva dopo mesi e mesi di nera disperazione.

Così rimase lì per due secondi che parvero due ore, sguardo aureo fisso in quello ceruleo e finalmente attento dell'altro.


Due secondi che vennero brutalmente spezzati.


    L'angelo sospirò, alzò gli occhi al cielo, fece ricadere le braccia sui fianchi ed emise un mezzo lamento. «Ecco, sta succedendo di nuovo» piagnucolò, troncando di netto l'atmosfera.

    Il rosso ci mise un attimo a processare la situazione. Aggrottò la fronte, si sfilò gli occhiali e andò ad appostarsi davanti ad Aziraphale con un sopracciglio inarcato. «Che vai blaterando?» Chiese, stralunato.

Ma poi: dopo un anno è questo il saluto che ottengo? Wow, toccante.

    L'altro sbuffò: «Smettila. Lo so che non esisti; quindi, per favore, sparisci.»

Il silenzio che cadde fu imbarazzante. Crowley non sapeva se ridere, piangere o continuare a fissare l'angelo come avesse qualcosa di stupido scritto in fronte - o magari tutte e tre le cose, non necessariamente in quell'ordine.

    «Ah, io non esisto?» Chiese invece, cercando di capire per l'ennesima volta cosa accidenti stesse succedendo.

    L'altro annuì: «Precisamente. Sei un parto della mia mente, proprio come tutto qui è un parto della mia mente. Quindi, se non ti dispiace, mi piacerebbe se te ne andassi. Sto cercando di capire come uscire...»

    Il rosso si voltò verso la distesa infinita e multicolore davanti a sé. Poi tornò a concentrarsi su Aziraphale ancora un po' confuso, ma anche vagamente divertito. «Fammi capire: stai cercando di uscire dalla tua testa?»

    L'angelo parve esasperato. «Di solito ci metti molto di meno a sparire.»

    «Di solito? Quante altre volte mi hai già visto?»

    Gli occhi che Crowley aveva disperatamente cercato di ritrovare si riempirono di lacrime, diventando due specchi azzurri e frustrati che riflettevano la luce delle stelle. «Non lo so. Troppe, va bene? Troppe» lamentò Aziraphale, passandosi un braccio sugli occhi. «È già una situazione difficile di per sé; non c'è bisogno che tu venga a ricordarmi quanto avessi torto.»

Quelle parole fecero un effetto alquanto contrastante. Da un lato, Crowley si sentì affranto e decisamente straziato dal fatto che l'angelo continuasse continuamente a pensare a lui - esattamente come lui aveva continuamente pensato ad Aziraphale per tutto quel tempo, cercando in un modo o nell'altro di soffocare l'abitudine.

    Dall'altro, beh. Si cacciò le mani nelle tasche troppo piccole dei pantaloni e mormorò: «Io te l'avevo detto, no? Ma tu fai sempre di testa tua e-»

    L'altro alzò una mano, interrompendolo: «Lo so, lo so. E quindi me lo merito, giusto? Me l'hai già detto. Non fai che ripetermelo.»

A quanto pareva, Aziraphale stava passando una fase di auto-rimprovero con i controfiocchi. Era talmente tanto immerso nei suoi pensieri da non capire cosa stesse succedendo, o chi avesse davanti. Di certo era tanto perso lì quanto nella realtà, e da solo ci avrebbe messo una vita o due ad uscire - sempre se riusciva ad uscire.

    «E visto che non so quanto il tuo tornare a rimproverarmi sia di aiuto» continuò quest'ultimo con tono di ammonimento, «va' via.»

Scandì le ultime parole e, di nuovo, fissò Crowley intensamente - probabilmente aspettandosi che, così facendo, il demone sparisse in una nuvoletta di fumo.

Come al solito, ragionare con quella testolina dura sarebbe stata un'impresa. Eppure, quell'aria di famigliarità riuscì a portare Crowley a stare al gioco, probabilmente sapendo che alla fine l'avrebbe spuntata e Aziraphale avrebbe capito.

    «A me pare che tu ti stia rimproverando da solo» affermò quindi con un ghigno scherzoso sul volto. «Io sto solo precisando una cosa che sai benissimo essere vera: ovvero che sei cocciuto.»

    Lo sguardo dell'altro si indurì per un attimo, scivolando poi in una stufa resa. «Possibile. In ogni caso, anche quello non mi aiuta.»

Quel facciotto impettito fu un raggio di sole fin troppo caldo e fin troppo invitante. L'aura di Crowley fece due saltelli contenti per poi indietreggiare di nuovo, combattuta tra il dolce ritorno ai battibecchi e la consapevolezza dell'ancora presente divario tra di loro.

    Ma non era quello il momento di fare a botte con i sentimenti. Il rosso aveva il coltello dalla parte del manico, e non aveva nessuna intenzione di perdere quell'occasione. «Per questo sono qui» affermò, facendo finta di ammirare un po' quel meraviglioso pezzetto di universo. «Almeno hai la minima idea di come ci sei finito qua dentro?»

    Aziraphale lo guardò confuso, incrociò le braccia e ignorò la domanda. «Tu mi aiuterai ad andarmene?»

    Crowley sfoggiò un altro sorriso: «Proprio io.»

    L'angelo emise un leggero e decisamente incredulo: "mhmh", che però fu abbastanza da fargli ricadere le braccia lungo i fianchi. «E va bene, cara la mia visione. Se proprio lo vuoi sapere, sì: so come ci sono finito.»

Non appena ebbe pronunciato quelle parole, l'ambiente attorno a loro cambiò completamente. Il cielo multicolore venne sostituito da un candore esagerato e così splendente da far male agli occhi. Si ritrovarono tra mura bianche, pavimenti così lucidi da potercisi specchiare e vetrate così ampie da abbracciare il mondo.

A Crowley salì un brivido di fastidio lungo l'ipotetica spina dorsale. Il Paradiso.

    «Stavamo parlando» riprese Aziraphale, voltandosi verso quello che sembrava in tutto e per tutto il tavolo per le riunioni di un ufficio.

Attorno ad esso c'erano quattro sedie, e tutte tranne una avevano davanti un blocchetto per gli appunti - che effettivamente assomigliava molto a quello di Muriel. C'era uno spazio vuoto dove non c'erano sedie ma solo oggetti sul tavolo; mentre un solo posto, quello più a destra, aveva davanti a sé anche una tazza ancora fumante di, beh, qualcosa che Crowley non riuscì a vedere.

    «Tu e gli altri arcangeli?» Chiese invece.

    L'altro annuì: «Noi, Saraquel e Metatron.»

    «E di cosa stavate parlando?»

    «È proprio questo il punto» affermò Aziraphale, facendosi un po' più vicino. «È quello che ho cercato di nascondere. È stato l'oggetto della nostra conversazione a farmi capire che dovevo andarmene» sussurrò.

    Crowley sbatté gli occhi un paio di volte: «Frena. Adesso sono confuso» ammise.

    Fortunatamente, l'altro parve capire. Prese un inutile respiro, armandosi di santa - alquanto letteralmente - pazienza. «So di cos'abbiamo discusso durante quella riunione, e so che è un argomento che mi ha mandato in ansia. Allora ho capito che dovevo tornare sulla Terra» spiegò. «Però non potevo certo schioccare le dita e scappare: se ne sarebbero accorti tutti.»

    I pezzi iniziarono lentamente ad andare al proprio posto: fin lì era semplice. «E quindi hai usato un cerchio» completò infatti il rosso.

    Aziraphale annuì: «Esattamente. Sono andato sul sicuro: ho nascosto quello che sapevo, ho preparato un miracolo veloce che ci nascondesse, e poi, beh-» mormorò, iniziando a torturarsi le dita. «Sono tornato alla libreria sperando che tu ci fossi. E sperando che tu mi accogliessi, soprattutto... Solo che se sono qui, significa che qualcosa è andato storto.»

    Crowley si sentì raggelare. Fissò l'angelo con tanto d'occhi e la bocca semi aperta in un moto di quello che poté tranquillamente definire orgoglio. «Hai nascosto quello che sai» ripeté, ancora non ben conscio di ciò che aveva sentito.

    L'altro annuì. «Sì, proprio laggiù» disse, indicando la serie apparentemente infinita di librerie che erano appena comparse in lontananza. Il grigio-bluastro aveva soppiantato il bianco senza che Crowley se ne accorgesse. «Ora come ora non saprei dirti bene dove tra gli scaffali, ma se mi ci avvicino, riesco a trovarlo in un attimo.»

Alla domanda, "Dove nasconderebbe le cose Aziraphale?", Muriel aveva risposto "un libro". C'era andata molto, ma molto vicina.

    «E poi hai nascosto te stesso» riprese Crowley.

    «Se non puoi trovare me, non puoi nemmeno trovare questo posto, no?» Affermò l'angelo.

    E poi, il demone arrivò al punto che gli aveva fatto ritorcere l'aura - in modo fin troppo positivo. «Hai detto di aver preparato un miracolo che ci nascondesse. Hai usato il plurale.»

    Su quel bel volto candido e morbido cadde un velo di tristezza. «Certo che sì. Stavo per rimetterti nei guai, perciò dovevo assicurarmi che nessuno ti facesse del male» affermò. «È un trucchetto molto più semplice da utilizzare se sei un arcangelo, lo ammetto. Nella promozione ci sono anche aspetti positivi». Le sue mani si abbracciarono l'un l'altra, vagamente nervose; poi, il suo sguardo si illuminò di nuovo: «Oh, ho incluso anche Muriel nell'operazione. Cioè: non ho fatto a lei la stessa identica cosa che ho fatto a noi, ma spero non ti dispiaccia. È che volevo parlarle e quindi-»

    Crowley lo interruppe, mettendogli le mani sulle guance e combattendo contro la voglia matta che aveva di premere quella fronte con la sua - il divario, ricorda il divario. «Tu sei intelligente» affermò in un soffio.

E fanculo il Paradiso: sei troppo sveglio per loro.

    Aziraphale arrossì appena, sorpreso. «Beh, grazie, io-» balbettò, prima di sbarrare gli occhi e fare tre passi indietro, staccandosi dalla presa dell'altro. «Aspetta un secondo. Ora che ci penso: come fai a sapere del cerchio?»

    Stavolta fu il rosso a farsi cascare le braccia. «Andiamo, ti ho appena detto che sei intelligente e mi cadi così? Ancora non ci arrivi?»

    L'angelo aggrottò le sopracciglia. «A cosa dovrei arrivare?»

Crowley sospirò. Certe cose non cambiano mai: più una cosa era palese, meno Aziraphale sembrava vederla.

    «Non hai sbagliato niente, angelo. Ci sei arrivato eccome alla libreria e sì, io ero lì» spiegò, sentendo uno strano pizzicore farsi strada dapprima sulle sue guance e finire poi a fargli lacrimare gli occhi. «Non so perché una parte di te sia ancora qui, ma devi farla uscire. Dobbiamo farla uscire.»

Ecco fatto, hai usato il plurale anche tu. Non hai imparato niente dall'ultima volta?

Ignorò quella vocina e allungò una mano sperando, chiedendo e pregando che Aziraphale la prendesse e si facesse trascinare via da lì. Inchiodò lo sguardo a quello dell'altro e vi vide susseguirsi tutte le sfumature: la confusione, la realizzazione, lo stupore e infine la gioia. Una scintilla di gioia.

    «Crowley?»

Non era una domanda, né un dubbio e tantomeno una richiesta di conferma. Era una certezza.

    Il rosso annuì: «Proprio io.»


Le mani di Aziraphale smisero di abbracciarsi l'un l'altra. Una di esse, lentamente ma inesorabilmente, si allungò verso quella di Crowley. 

Le loro dita si sfiorarono, ma nulla di più.

Alcuni colpi rimbombarono nell'aria, facendoli allontanare.


°•°•°


Fu come svegliarsi di colpo da un sonno profondo. In una parola: traumatico.


Crowley fece un leggero balzo sulla sedia, faticando a capire chi, come, cosa, quando e perché.

Fortunatamente, furono tutte questioni abbastanza facili da risolvere: c'erano lui - ancora tutto intero, per fortuna - e Aziraphale nella stanza di sopra, in libreria. L'angelo era tornato a sonnecchiare, e, a giudicare dalla luce fioca, si era fatta sera.

In quanto al rumore che lo aveva strappato così di colpo dalla conversazione, scoprì che altro non era che un leggero ma insistente bussare alla porta.

    «Ehm, Crowley?» Lo richiamò Muriel. «So di star disturbando, ma avremmo un problema.»

Neanche il tempo di riprendersi, eh?

    Con un sospiro, il demone si passò due dita sugli occhi. «Arrivo subito!» Rispose, la voce roca.

    «Va bene, ehm, allora la aspetto di sotto.»

Al rumore della pioggia sul vetro si mescolò quello dei passetti di Muriel che tornava al piano inferiore. Per venirlo a chiamare, significava che la situazione era davvero seria.

    «Ci mancava solo questa» sussurrò, rendendosi conto di avere ancora una mano ancorata a quella dell'angelo.

La strinse, chiedendosi se fosse cambiato qualcosa in lui... Ma no, era alquanto improbabile. Se stava dormendo, significava che era ancora incastrato lì assieme a qualsiasi cosa lo avesse indotto a fuggire.

Poteva nascondersi, anzi, nasconderli da tutto il Paradiso... Ma Metatron era un altro paio di maniche. C'era un motivo se era stato investito a Voce di Dio: la sua influenza e importanza erano giusto una spanna sotto a quelle dell'Altissima. Quello lì sapeva tutto di tutti, sempre.

Avrebbe scoperto l'inghippo: era solo questione di tempo.


Una cosa per volta.

    Alzandosi, Crowley passò una mano tra i riccioli troppo candidi e troppo morbidi di Aziraphale. «Torno subito, promesso» disse, prendendo la porta.

Adesso che sapeva di essere sotto l'ala protettrice del suo angelo, poté sentir riaffiorare un po' del buon vecchio ottimismo. Cercò comunque di non montarsi troppo la testa: c'erano ancora tante questioni in sospeso e il divario, onnipresente, che gli ricordava quanto stronzi potessero essere i sentimenti.

    Saltò gli ultimi due scalini e atterrò di sotto, dirigendosi verso la perennemente tintinnante presenza di Muriel. «Che succede, agente?» Chiese, raggiungendola all'ingresso.

    Lei se ne stava lì, un sorriso nervoso sul volto e un pezzo di carta leggermente umida tra le mani. «Ecco, mentre voi eravate di sopra, ho sentito un rumore venire dalla buchetta sulla porta. Quando sono andata a controllare, ho trovato questa.»

Gli allungò il biglietto e Crowley lo dispiegò confuso. Non era una lettera - e quindi nessuna bolletta o raccomandata facile da gestire - ma una semplice nota accuratamente ripiegata.

Sopra, con una calligrafia ordinata, c'era scritto: "Alla signorina Muriel e al signor Crowley: ho bisogno di parlarvi con una certa urgenza. Venite a trovarmi il prima possibile."

In realtà, c'era scritto: "ugrenza", ma magari era un errore dovuto proprio al fatto che il tutto era stato scritto con urgenza.

    E infatti: «Dice che è urgente» affermò Muriel. «Forse dovremmo darci un'occhiata.»

    Quando lesse il nome in fondo alla nota, il rosso si fece scappare un lamento. «È Maggie. Come accidenti fa a sapere che siamo qui?»

    La piccoletta fece spallucce: «Beh, l'umana lavora qui vicino, io vivo a due passi dal suo esercizio e la sua macchina è parcheggiata proprio qui di fronte all'ingresso.»

    «Non è quello» mormorò Crowley.

Aziraphale era stato chiaro: con Muriel aveva usato un procedimento diverso - magari perché ci teneva che mandasse avanti la libreria al suo posto - ma loro due... Se su di loro c'era lo stesso metaforico velo che c'era stato su Jim, allora come mai Maggie lo aveva nominato?

    «L'umana in questione nasconde qualcosa» affermò, smaterializzando il foglietto nell'etere.

    Muriel si illuminò e si fece comparire il taccuino tra le mani. «Andiamo ad investigare?»

    Con uno schiocco di dita, Crowley fece comparire un ombrello. «Sì, agente. Andiamo ad investigare» disse, aprendo la porta e prendendo la sua improbabile partner sottobraccio.

Forse c'era qualcun altro incastrato tra le pieghe di quell'intricata questione. Qualcuno di insospettabile.

Già, insospettabile. Come il migliore dei criminali.


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Capitolo 6
*** Insospettabile ***


La prudenza non è mai troppa, perciò Crowley chiuse a non seppe nemmeno lui quante mandate la libreria. Sperò di potersi davvero permettere di lasciare l'angelo da solo, ma si trattava di fare una capatina lì accanto: in caso di problemi, sarebbe sarebbe bastato uno schiocco di dita per ritrovarsi di nuovo lì accanto a lui.

Ora come ora, doveva concentrarsi sulla richiesta di Maggie. Così percorse con Muriel il breve tratto che li separava dall'umana, rendendosi immediatamente conto di quanto innaturale fosse la pioggia scrosciante che li avvolgeva. Persino i tuoni in lontananza parevano bizzarri: profondi ruggiti che parevano un avvertimento, l'ennesimo campanello d'allarme.


Il negozio di Maggie era tranquillo e silenzioso come sempre. Spesso e volentieri, l'umana lamentava la scarsità di clientela - dovuta ai tempi che correvano, alle crisi degli anni precedenti, al fatto che nessuno comprava più i dischi, eccetera eccetera. Se quella piccola attività non aveva chiuso battenti, era solo merito di Aziraphale e della sua passione per la roba stravecchia che non usava più anima viva. D'altronde, sulla carta il proprietario era lui: tutta colpa di un contratto di cui Crowley non ricordava granché ma che, in qualche modo, centrava con la bisnonna di Maggie.

    A proposito dell'umana, se ne stava dove sempre: dietro al bancone. Sembrava un po' tesa nel suo cardigan color crema, ma li accolse comunque con un sorriso: «Siete venuti.»

    «Avevi detto che era urgente» affermò Crowley, facendo cadere l'ombrello zuppo nel portaombrelli all'ingresso.

    Si avvicinò alla donna, poggiando le braccia sulla superficie lignea del bancone. Mise su l'espressione più disinvolta del mondo, come se si fossero appena incontrati per prendere una normalissima tazza di tè. «Allora, quale sarebbe questa questione urgente?» Chiese, ripetendo l'ultima parola come se avesse la lettera maiuscola.

Muriel si era appostata accanto a lui, taccuino e penna alla mano. Almeno sembrava che uno dei due si stesse divertendo.

    Maggie diede una veloce occhiata fuori dalla finestra, poi si poggiò al bancone anche lei, abbassando la voce. «So che qualcosa non va là dentro» sussurrò, indicando la libreria con la testa.

    Il rosso aggrottò le sopracciglia. «E cosa ti fa pensare che qualcosa non vada?»

    L'altra sospirò, spostandosi nervosamente una ciocca bionda dietro l'orecchio. «Lei sparisce per mesi, ma quando torna nessuno la nota. E non è la prima volta che fa cose strane, signor Crowley: non è esattamente tipo da passare inosservato.»

    Lui fece spallucce: «Essere discreti e particolari non è poi così strano. E poi: nessuno mi nota, ma tu per qualche motivo ci riesci benissimo. Ecco, questa sì che è una cosa strana.»

    L'espressione di Maggie si sciolse in una maschera di preoccupazione. «Ascolti, non so perché io ci riesca, va bene? Ma sono in pensiero. Il signor Fell sparisce nel nulla lasciando questa ragazza al suo posto» disse, indicando Muriel. «Nello stesso periodo sparisce anche lei, finché ad un certo punto non ricompare e tutti si comportano come non fosse mai successo niente. E vogliamo parlare di questo tempo?»

Nel momento in cui allungò un braccio verso l'esterno, ci fu un altro rombo di tuono.

Vista così, sembrava semplicemente una donna tremendamente preoccupata. Ma c'era un dettaglio che continuava a ronzare nella testa di Crowley: il miracolo che avrebbe dovuto nasconderlo e che, come Maggie stessa aveva confermato, non pareva funzionare proprio su tutti.

    Fece cadere un attimo di silenzio - il quale venne riempito solo dalla pioggia e dallo scribacchare frenetico di Muriel. Poi rispose: «Cosa ne sai che, non so, il proprietario del tuo negozio non sia in vacanza e la mia amica qui non sia, ad esempio, la figlia della sorella di mia cugina? Forse stiamo solo mandando avanti la baracca nel mentre. In quanto al tempo: siamo a Londra e piove». Si allontanò con una fluida spinta delle braccia e fissò Maggie con un sorrisetto soddisfatto: «Forse ti stai solo preoccupando troppo. Vero, agente?»

    La piccoletta annuì energicamente: «Oh, sì. Noi non abbiamo né visto, né detto, né fatto niente che fosse degno di nota.»

    Maggie li guardò entrambi con un'espressione che viaggiava tra la confusione, lo stranimento e la preoccupazione. Poi si concentrò su di lui: «La chiacchierata con il signor Fell non è andata bene, non è vero?»

Il modo in cui lo disse - affranto e decisamente dispiaciuto - fece salire un brivido lungo l'ipotetica schiena del demone. E dire che aveva fatto di tutto per evitare quella conversazione...

    «Se proprio ci tieni a saperlo, no. È andata malissimo» disse, il tono duro.

    Lei annuì, torturando un po' la manica del suo cardigan. «E... E quindi, è per questo che il signor Fell se n'è andato.»

    «Risposta esatta. Ora che lo sai, cosa credi abbia a che fare con tutte le cose "strane" di cui mi hai parlato?»

Non voleva sembrare così aspro, ma non poteva farne a meno. Era una ferita ancora aperta, quella. Il divario, gli ricordò la vocina della sua coscienza, era una voragine che non era ancora pronto a saltare.

    Maggie sospirò di nuovo, stavolta in quella che parve ansia misto resa. Deglutì, fece volare lo sguardo altrove per un secondo, e infine tornò a fissare Crowley. «E va bene, mettiamola così» mormorò. «So che il signor Fell è tornato.»

Bingo.

    «Interessante. Cosa ti fa pensare che sia tornato?»

Persino Muriel smise di prendere appunti, iniziando a fissare l'umana con immensa curiosità.

Maggie parve esitare. Ormai era chiaro: stava nascondendo qualcosa di grosso, qualcosa che aveva deciso di tirare fuori in quello tra tutti i momenti.

    Le ci volle un respiro, ma alla fine sputò il rospo: «L'ho sentito. Ho sentito che compariva, ho sentito il suo miracolo, tutto» confessò, sempre più crucciata. «Non molto tempo dopo è iniziato il disastro: la pioggia, io che dico a Nina che il tizio dei sei espressi è tornato e lei che mi guarda storta.. era da un po' che mi chiedevo cosa stesse succedendo, ma adesso-» si bloccò. Sembrava sull'orlo delle lacrime. «Vi prego, non ditelo a nessuno.»

Maggie era sempre stata insospettabile: una normalissima umana con un normalissimo lavoro e normalissimi problemi di cuore. Eppure, ora che quelle parole erano venute alla luce, Crowley iniziò a fare due più due. Maggie che già dal modo di fare sembrava avere il passato più noioso e vago del mondo, Maggie che - Aziraphale una volta glielo aveva accennato - assomigliava tanto alla sua bisnonna, Maggie che non aveva paura dei demoni ma che esitava a dire "ti amo", Maggie che non faceva altro che dire: "Lei è un angelo, signor Fell" come se sapesse.

    Crowley vi si avvicinò di nuovo, squadrandola dall'alto verso il basso. «Da dove sei scappata?» Chiese, sfilandosi gli occhiali dal viso e puntandole uno sguardo indagatore addosso. «L'Inferno? Il Paradiso?»

Non si stupì del fatto che fosse così difficile da capire. Un gruppetto di angeli belli influenti non era riuscito a rendersi conto che c'era qualcosa di strano in Bildad - oltre alla professione e alla barba; perciò, non era poi così fuori dal mondo l'idea che non fosse facile rendersi conto che l'umana di fronte a lui non era poi così umana.

    Maggie scosse la testa: «Non ha importanza. Però è vero: sono scappata anche io. E sa cosa succede a chi fugge?»

    Muriel sussultò e alzò una mano: «Io lo so! Vengono adottate sanzioni estreme.»

Oh, no. Di nuovo.

    «Sul sserio?» Sibilò Crowley, ora con il nervosismo a mille.

    La donna - o meglio, l'essere che assomigliava ad una donna - annuì: «In un certo senso è logico: se non vuoi stare né sopra né sotto, allora non servi. E se non servi, allora prendono il Libro della Vita e ti fanno sparire: semplice.»


Il Libro della Vita era sempre stato una specie di creatura mitologica. Per un po', Crowley lo aveva considerato una leggenda: una storiella inventata per spaventare l'una o l'altra fazione. Sembrava un po' la punizione che le autorità utilizzavano per tenere tutti a bada: la peggiore delle fini e la più spaventosa delle possibilità. Eppure, negli ultimi tempi aveva capito che era uno strumento spaventosamente reale: un oggetto di uso comune che poteva passare tra le mani di chiunque fosse abbastanza in alto - o in basso, nel caso dell'Inferno - nella scala gerarchica. Era l'unico anello di congiunzione tra l'Alto dei Cieli e le Profondità della Terra; una lunga lista di nomi che poteva essere modificata con una semplice gomma da cancellare - seppur ipotetica.

Avevano minacciato di far sparire Aziraphale già l'anno prima, e adesso quella possibilità si era concretizzata di nuovo.

    «Crowley» lo richiamò Maggie, strappandolo ai suoi pensieri. «È proprio per questo che sono preoccupata. Il giorno in cui il signor Fell se ne andato, ho fatto finta di dormire apposta perché lo avevo sentito... Metatron fa davvero paura quando arriva. Sembra un rombo di tuono.»

Neanche a farlo apposta, persino il cielo riprese a rimbombare.

    Il rosso fece tamburellare le dita sul bancone, ancora ben stretto dal nodo nel suo stomaco. «Quel gran- io non ho sentito un bel niente. È semplicemente entrato a creare danni.»

E ad infilare idee del cazzo nella testa di Aziraphale.

Non aveva mai dato per scontato che potesse essere anche colpa sua. Certo, l'angelo era stato un idiota con i controfiocchi a dire di sì, ma il modo in cui Metatron doveva avergliela venduta... Faticava persino ad immaginarlo.

    «E tornerà ancora» affermò l'altra. «Prima o poi si renderà conto di quello che sta succedendo. Dovete trovare una soluzione.»

    Allora Crowley si allontanò di nuovo, stavolta per iniziare a camminare nervosamente avanti e indietro. «Fosse facile! Aziraphale è tornato più rimbambito di un'anatra dopo un chilo e mezzo di pane. Sto disperatamente cercando di aiutarlo intanto che tutto il mio essere mi ricorda quanto schifoso sia stato il giorno in cui ci siamo separati, e tu mi vieni a dire che potrebbe andarsene di nuovo? Per sempre?»

Gli parve di vomitarle, quelle parole. Scivolarono via dalla sua bocca senza che potesse fare granché per fermarle. Era tutto troppo e tutto in troppo poco tempo: era sopraffatto persino dal tic, tic, tic della pioggia al di fuori. Era stanco, e al peggio non c'era mai fine.

    Si fermò, e nel silenzio che seguì, lo sguardo di Maggie si addolcì tanto da diventare un sorriso carico di comprensione. «Sa come ho fatto a scamparla finora?» Gli disse, il tono di miele. «Ho usato più o meno lo stesso miracolo che il suo angelo sta usando per tenervi il più possibile fuori dai guai, ma c'è altro. Le sembrerà scontato» ammise, «ma mi sono innamorata. Ogni volta mi innamoravo di qualcosa: la musica, i sorrisi delle persone, la gentilezza del signor Fell, l'odore della pioggia, Nina... tutte le cose che mi spingevano a restare qui invece che nel luogo da cui sono venuta.»

Non era poi così tanto scontato, si disse Crowley. Alla fine, lui ed Aziraphale avevano fatto una cosa simile: si erano nascosti, avevano svicolato, tutto perché amavano stare assieme e amavano ciò che la Terra aveva loro da offrire. Caspita, avevano persino cercato di salvarlo quel benedetto pianeta.

    «So dove vuoi arrivare» sospirò quindi. «Ma non sarà il magico potere dell'affetto a risolvere questo casino.»

    «Perché no? Mi guardi: mi sono invaghita di un'umana. Mi sono allontanata per motivi come questo: è una follia, ma sono ancora qui.»

Stava sorridendo. Il suo intero mondo era nei casini, ma sorrideva. Sapere di avere accanto la persona che ami doveva fare quell'effetto... Una sensazione che a Crowley parve aliena e lontana.

    Non riusciva proprio a credere che fosse così semplice. Fece ricadere le braccia lungo i fianchi e scosse la testa. «Ne sono contento. Senti, ti ringrazio per la dritta» disse, rimettendosi gli occhiali sul viso, «ma a meno che tu non abbia idea di come risistemare un angelo, ti chiederei solo di fare attenzione e di stare lontana da questa storia. Non vorrai mica farti cancellare dall'esistenza.»

    Maggie parve esitare per un momento. Poi annuì e riprese a giocherellare con la stoffa del cardigan. «Va bene, ma... Sono qui se avete bisogno di qualcosa.»

    Muriel uscì dal suo silenzio per andare ad afferrare la manica di Crowley. «Possiamo invitarla a prendere una cioccolata calda?» Chiese. «Magari domani.»

Al rosso parve una bimba che chiedeva disperatamente giocattoli nuovi alla mamma. Si chiese se la sua partner se la fosse fatta amica o se l'avesse adottata.

    «Non so, agente; la libreria è giurisdizione tua, adesso. Che dici? Può entrare?» Chiese, indicando Maggie - la quale parve piacevolmente divertita.

    La piccoletta annuì: «Ma certo!»

    «E allora è andata. Hai appuntato tutto?»

Alla risposta affermativa di Muriel, se la riprese sottobraccio e fece per andarsene.

    «Lei è un amore, signor Crowley» lo bloccò Maggie. Aveva ancora quel sorrisetto dolce sul volto.

    Lui alzò gli occhi al cielo. «Assolutamente no. E comunque: Muriel qui non è una ragazza, e sulla nota hai sbagliato a scrivere la parola "urgenza". Si sa che la grammatica non è la migliore amica dei demoni.»

    Maggie non si scompose: «Che ne sa che non sono semplicemente dislessica?» Disse, facendo l'occhiolino. «E comunque, è semantica.»


Li salutò con la mano, ma fu solo la piccoletta a ricambiare. Crowley si limitò a recuperare l'ombrello e a tenersi la sua partner stretta intanto che tornavano in libreria. Aveva decisamente bisogno di una pausa.

    Se ne accorse persino lei. «Sta bene?» Gli chiese infatti. «Vuole che le porti una di quelle sue bibite strane?»

    Lui andò direttamente a tuffarsi sul divano. «Sì, grazie. Non voglio pensare né ad Aziraphale, né a Maggie, né a Metatron e al suo stupido caffè. Vorrei almeno una manciata di secondi di pace.»

    Muriel ebbe un brivido. «Non mi piace il caffè: la signorina Nina me lo ha fatto assaggiare, una volta. È troppo amaro: non so come facciano gli umani a berlo.»

Gli umani e gli angeli, si disse Crowley. Persino le labbra di Aziraphale quel giorno avevano l'inconfondibile gusto del caffè, seppur addolcito da qualsiasi cosa Metatron ci avesse fatto mettere dentro.

    «Non è male una volta che ti ci abitui» un po' come Cadere. «Se ci pensi, anche il cacao è amaro.»

    Muriel poggiò un bicchiere sul tavolo. «Lo so: per questo ci metto lo zucchero, la cannella e la panna. Vado a prenderle il, ehm, cos'ha detto che vuole?»

    «La prima cosa che vedi va bene.»

La vide trotterellare via, sospirando. Si disse che sarebbe stato bello migliorare le situazioni così come si migliorava il saporaccio del caffè o quello del cacao.

    Fece una smorfia: «Nemmeno ad Aziraphale piace il caffè» mormorò al vuoto.

Preferiva il tè: era più delicato, più da lui. Il caffè era roba da tipi come Crowley - che era capace di ingoiarsi sei espressi come fossero acqua, o come Metatron - che invece lo inzaccherava tanto da renderlo dolce. Un po' come aveva fatto con la pillola del Paradiso: l'aveva indorata.


Ci fu un altro tuono, ma non fu quello a far scattare a sedere il rosso.

"Ne ho ungurgitate di cose ai miei tempi" aveva detto Metatron, passando il bicchiere ad Aziraphale.

Ma quando mai? Quello non metteva piede sulla Terra da eoni: l'ultima volta che c'era stato, gli umani li aveva visti sì e no da lontano.

La voce di Dio era proprio bugiarda, allora. Ma quello non era poi così sconvolgente: c'era altro, una sensazione che aveva iniziato a formicolare per l'aura di Crowley.

Tale sensazione lo portò ad alzarsi, l'energia improvvisamente ritrovata. C'era una cosa che doveva vedere, un dubbio che doveva confutare.


Così salì le scale e tornò da Aziraphale.

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Capitolo 7
*** Parlami, ascoltami ***


Il Paradiso aveva l'odore dell'aria pulita, dei cieli tersi e delle nuvole. Sapeva di aria fredda e stanze vuote, tutte cose che Aziraphale aveva perso nel corso del tempo. Man mano che gli anni passavano, prendeva sempre più l'odore della terra, della pioggia, del sole, delle cose buone, fino ad arrivare al trinomio che Crowley considerava perfetto su di lui: polvere, pagine stampate e tè. Ogni tanto faceva capolino l'immancabile cioccolata calda, ma il resto permaneva uguale, fisso, costante.

Preso dalla preoccupazione e dalla paura com'era, il rosso non aveva pensato di controllare anche quel particolare. Così tornò di sopra, chiuse la porta e si riavvicinò al letto.

Ad accoglierlo ci fu il solito sguardo perso e vuoto che vagava lentamente tra le mura della libreria; lo specchio troppo azzurro che non assomigliava per niente allo sguardo che aveva amato. Ma c'era qualcos'altro oltre a quei ricciolini troppo ben acconciati e dietro a quegli abiti senza una grinza.

Concentrandosi, Crowley notò che Aziraphale non odorava più né di vecchie pagine, né di tè e neanche di cioccolata calda, ma solo di cieli tersi, nuvole, stanze vuote e caffè.

Quell'ultimo particolare stonava proprio quanto un chicco di caffè in mezzo alla farina; stonava come aveva stonato durante quel maledetto bacio, e stonava come stonavano le parole di Metatron.

C'era una tazza sul tavolo delle riunioni, ricordò. Avrebbe potuto essere di chiunque, ma qualcosa gli disse che quello era il posto di Aziraphale.


Non si sarebbe fatto interrompere, stavolta.

Prese la porta e ridiscese le scale. Come da copione, trovò Muriel indaffarata a riempirgli un bicchiere.

    «Oh, è qui» disse lei con un sorriso. «Pensavo non le andasse di tornare di sopra.»

    «Ho cambiato idea» rispose lui, prendendole lo scotch dalle mani e buttandolo giù in un solo sorso. «C'è una cosa che devo controllare.»

    La piccoletta, ormai abituata a quel tipo di ingurgitate nervose, non si scompose. «Va bene. Che ne dice se mi metto a ricontrollare gli appunti, nel frattempo?»

    Crowley le diede uno scherzoso pugnetto sulla spalla. «Preparati a scriverne ancora: ci sono cose su cui devo aggiornarti.»

Sapeva che Muriel, santa Muriel, sarebbe rimasta vigile e attenta come l'agente ispettrice che era. Se qualcosa non andava, così com'era accaduto con la nota di Maggie, glielo avrebbe detto.

Alla fin fine, era bello avere qualcuno su cui contare.


    «Te l'avevo detto che sarei tornato subito, no?» Disse, andando a riprendere posto accanto all'angelo.

Lo aspettava una lunga chiacchierata, il che era già una prospettiva desolante. Ma la situazione era capace di degenerare in fretta: ogni tuono ed ogni goccia di pioggia gli ricordavano Metatron e il discorso di Maggie su quello che sarebbe successo se avesse scoperto tutto. Anzi, no: non "se", ma "quando".

Già lo sapeva, ma se lo ripeté: era solo questione di tempo.

    Afferrò la mano tiepida e abbandonata di Aziraphale, facendo un respiro profondo. «Va bene, sto arrivando» annunciò a bassa voce.

Stavolta, sapeva benissimo ciò che stava facendo. Ma fu comunque un salto vertiginoso.


°•°•°


Il suo primo pensiero fu: ho sbagliato qualcosa. Perché quella era la libreria, solo un po' più scura, come fosse illuminata solo dalla fioca luce di qualche candela. Mancavano gli odori, mancavano i suoni del tempo arrabbiato e della folla, ma l'ambiente era lo stesso: familiare ed inconfondibile.

    «Sei tornato» lo richiamò un tono carico di commozione che da solo spedì la sua aura a un passo dal precipizio.

Voltandosi, Crowley vide Aziraphale seduto composto come sempre ad un tavolo che, effettivamente, era stato imbandito con qualche candela, del vino e un paio di bicchieri. Un altro tuffo nel passato che gli fece venire un groppo in gola.

    «Te l'ho detto: dobbiamo farti uscire da qui» affermò, andando a buttarsi sulla sedia accanto all'angelo. Gli venne automatico spingerla un po' più indietro, sapendo che l'altro se ne sarebbe probabilmente accorto.

    Aziraphale annuì. Pareva leggermente crucciato, ma si sforzò di sorridere intanto che versava un liquido fin troppo rosso nei loro bicchieri. «Non so che sapore possa avere qui dentro» ammise, porgendogliene uno.

    Effettivamente, era una questione interessante da testare. Portandosi il vino alle labbra, Crowley scoprì che aveva un sapore assolutamente verosimile, forse leggermente più fruttato di quello che doveva essere. Emise un: "mh" di approvazione. «Hai buona memoria per i sapori: chi l'avrebbe mai detto» scherzò.

    L'altro rise leggermente, una risata soffice e un po' soffocata. Non bevve nulla, limitandosi a giocherellare con il suo bicchiere. «Scusa per l'ultima volta» mormorò. «Quand'è stato? Ieri? Ho perso la cognizione del tempo.»

    «No, solo qualche ora fa. E poi sei confuso, te lo concedo. Ma-» sottolineò, prima che Aziraphale potesse riprendere parola, «voglio delle scuse "appropriate", come diresti tu.»

    L'angelo alzò gli occhi al cielo, ma una volta tanto non si lamentò. «E va bene, avrai la tua danza. Penso di dovertelo...»

    «Ci conto. Non appena sarai fuori, perlomeno.»

Avrebbe dovuto essere un attimo di leggerezza: un cuscinetto tra ciò che era accaduto qualche ora prima e ciò che stava per succedere ora; ma c'era una certa tensione nell'aria. Il silenzio di tomba di quel luogo, poi, non faceva che peggiorare la sensazione.

    Mettendo il vino da parte, Crowley si raddrizzò appena sulla sedia. «Ascolta, tu hai idea di cosa stia succedendo fuori da qui?»

Tanto valeva mettere già le cose in chiaro. L'ultima cosa di cui avevano bisogno era ricadere in discorsi inutili e vaghi, in cose non dette e in silenzi imbarazzanti.

    Aziraphale scosse la testa: «In effetti no. So solo che tu mi hai accolto nonostante tutto, e-»

    «Angelo. Non è quello il punto» lo fermò il rosso, facendosi un po' più avanti.

Sul volto dell'altro si dipinse una maschera di delusione. Ovviamente doveva mettersi a parlare di quello tra tutti gli argomenti - ora che non era né nelle condizioni, né nella posizione di farlo. Il modo in cui prese a torturarsi le dita diceva tutto: voleva sapere a che punto stavano le cose tra loro, e Crowley non aveva nessuna intenzione di dirgli che sentiva ancora un blocco non indifferente di distanza; una distanza che una parte di lui voleva colmare, mentre l'altra voleva aspettare che si riducesse.

    «L'ho fatto, è vero» continuò il demone, un po' per rassicurazione e un po' per verità, «ma da quando sei tornato, le cose si sono fatte strane.»

    Finalmente, Aziraphale mise su un'espressione confusa e preoccupata. «In che senso?»

    «In primis, quello che resta di te è una figurina bianca e imbambolata che continua a fissare il vuoto. E la pioggia. Piove ininterrottamente, Aziraphale. Cioè, più del normale e siamo a fine luglio.»

L'angelo sbarrò gli occhietti azzurri per un attimo, poi aggrottò la fronte, mettendosi a ragionare. Era un ottimo segno: stava prendendo in considerazione la situazione. Forse sarebbero riusciti a rimettere insieme i pezzi e le cose in chiaro.

Forse.

    «È strano. Magari ho sbagliato qualcosa mentre cercavo di tornare indietro» mormorò. «Eppure mi sembrava stesse andando tutto per il meglio.»

    Crowley si mise a fissarlo seriamente. Si tolse gli occhiali e non sbatté le palpebre neanche una volta. «Proprio per questo penso dovresti prendere in considerazione il fatto che qualcuno abbia cercato di metterti i bastoni tra le ruote.»

    Aziraphale sussultò. «Oh, no. Posso assicurarti che nessuno si è accorto di niente.»

    «Non sto parlando di quello, angelo. Non del momento in cui hai deciso di fuggire» precisò il rosso. «Parlo del prima. Fintanto che eri in Paradiso a fare quello che dovevi, qualcuno ha giocato d'anticipo.»

    L'altro scosse la testa, sempre più confuso. «Non facevamo altro che parlare e decidere questioni, e-» si bloccò per rimettere a posto i pensieri. Si vedeva dalla faccia che aveva fin troppe cose per la testa, magari troppi momenti e dialoghi da analizzare. «Non ti seguo» disse infine, lasciando che quella possibilità lo mandasse in ansia.

    «Guardami e ragiona» gli intimò Crowley. Avere addosso quelle pozze ora perfettamente dell'azzurro che amava, gli fece nuovamente un effetto ambivalente. L'angelo, da parte sua, sembrò sciogliersi appena di fronte ai loro sguardi incatenati, cosa che spinse il rosso a battere il ferro fintanto che era caldo. «Dovevano evitare che te ne andassi. Perciò ti hanno fatto qualcosa affinché non ci riuscissi, o che ci riuscissi male.»

    «Tipo cosa?» Chiese Aziraphale senza togliergli gli occhi di dosso.

    «Ah, non lo so. Dimmelo tu.»

    L'angelo sbuffò, non tanto per la frustrazione quanto per la difficoltà nel far quadrare quella teoria nella sua testa - anche se nella sua testa c'era già. «Non lo so, dubito. Te l'ho detto: parlavamo, decidevamo questioni attorno ad un tavolo, prendevamo appunti e caffè intanto che-»

    Crowley si alzò di colpo. «Lo sapevo!» Esclamò tra il vittorioso e il furioso.

    Aziraphale lo fissò inebetito. «Di che parli?»

    «Angelo, tu detesti il caffè.»

    La facciotta corrugata che gli arrivò in risposta fu un colpo basso. «Non è vero: l'ho bevuto anche in passato.»

    «Sì, con dentro tre litri di latte, forse.»

    «Esatto. Beh, in Paradiso non c'è il latte» precisò Aziraphale, «ma nella mia testa non c'è vino: è lo stesso principio. Ci mettevo qualcosa dentro; sciroppo di mandorle, di solito.»

    «E perché non berti del tè e basta, mh?»

La conversazione aveva preso una piega strana. Mai il demone si sarebbe immaginato di battibeccare con l'angelo per via di qualche tazza di caffè - e di liti stupide ne avevano avute parecchie nel corso del tempo. Eppure eccolo lì, in piedi di fronte ad Aziraphale, frustrato dal fatto che non riuscisse ancora a capire quanto marce fossero le azioni di Metatron. Perché sì, era opera sua: per forza.

    Il silenzio denso e impenetrabile li avvolse, intanto che il neo arcangelo iniziava lentamente ma inesorabilmente a cedere. Scosse la testa leggermente, crucciato e ferito. «Ho sempre sentito che qualcosa non andava, ma ero convinto di poterla cambiare» confessò, la voce incrinata. «Per questo non mi sono mai fatto pesare le obiezioni che facevo, o le idee che proponevo: una volta tanto sentivo di poter fare la differenza.»

    «È quello che Metatron ti ha voluto far credere» spinse Crowley, sapendo che rigirare il coltello nella piaga era necessario, per quanto doloroso. «Ha fatto leva sulla tua ingenuità, lo capisci? A lui bastava che rimanessi incentivato e propositivo abbastanza da tappare il buco lasciato da Gabriele.»

E c'era riuscito per un anno intero. Non aveva idea di cosa potesse esserci in quello sciroppo di mandorle; magari in sé per sé era un ingrediente normalissimo, ma alterato abbastanza da rendere il Paradiso il luogo pieno di possibilità che sarebbe dovuto essere.

    «Quindi...» esitò Aziraphale, le mani che si abbracciavano l'un l'altra, «È colpa sua se sono rimasto incastrato qui?»

    «Penso proprio di sì» affermò il rosso, ora un po' più sollevato. «Ma qualcosa ha spezzato l'atmosfera e ti ha spinto ad andartene. Qui arriviamo all'altra questione importante: cos'hai sentito di così terribile da spingerti a fare questo?»

Qualsiasi cosa avessero detto durante l'ultima riunione, era stata abbastanza da andare oltre l'influenza che Metatron aveva tenuto salda su Aziraphale per tutto quel tempo. Doveva essere davvero importante se l'angelo aveva deciso di nasconderla tra i mille miliardi di meandri della sua mente. Sicuramente era quella la chiave di tutta quella storia, ed era ora che Aziraphale la tirasse fuori, tirando sé stesso fuori di conseguenza.

O almeno, quella era la speranza.


    E invece, l'angelo sospirò. Per la prima volta da quando aveva versato il vino, ne bevve un minuscolo sorso. «La situazione è peggio di quello che credevo» mormorò più a sé stesso che al demone davanti a lui.

    «Lo so. Appunto per questo dobbiamo cercare quello che hai nascosto, angelo» spinse nuovamente quest'ultimo, l'urgenza ben marcata nella voce. «Hai detto che saresti riuscito a trovarlo dando uno sguardo a quelle librerie.»

O almeno, a quelle che sembravano file infinite di librerie piene zeppe di scaffali.

    E rieccole, le pozze azzurre che lo fissavano attente ma serie, leggermente incrinate. «Tuona anche, oltre a piovere?»

    Crowley lo guardò inebetito. «Cos- sì. Ma chi se ne frega, Aziraphale. Ti ho detto-»

    L'altro alzò appena una mano, bloccandolo. «Hai detto che è iniziata dopo che sono arrivato, no? Beh, allora è per forza un segnale del Paradiso. Ascolta...»

No, tu ascolta me, dannazione. Avrebbe voluto urlare il rosso, ma si trattenne, i pugni stretti lungo i fianchi.

    «Sono andato a vedere cos'avevo nascosto» confessò l'angelo. «L'ho fatto intanto che ti aspettavo: speravo di poterti mettere al corrente, ma quando mi sono ricordato di cosa si trattasse... beh-» sospirò, ora un po' più determinato e meno ansioso di prima, «non posso rimetterti nei guai. Non dopo tutto quello che è successo e non dopo tutto quello che ti ho fatto passare.»

Oh, no. Di nuovo.

Crowley colse l'antifona: Aziraphale non gli avrebbe detto niente, così come aveva già fatto altre volte - volte in cui la questione aveva vitale importanza.

    Ma no. Non stavolta; non l'avrebbe permesso. «Siamo tutti nei guai» ringhiò, «Tutti. Smettila di metterti al centro dell'universo e ragiona. Come puoi pretendere di gestire tutto questo casino da solo?»

Conosceva bene quell'espressione irremovibile, quella piccola ruga che, zitta zitta, faceva trasparire dispiacere.

    L'angelo si alzò, si poggiò le mani in grembo e fece un piccolo respiro. «Sono felice del fatto che tu voglia aiutarmi, davvero. Quasi non ci speravo» ammise. «Vuoi darmi una mano? Bene. Fammi uscire da qui; al resto penserò io. Se Metatron torna, ci parlo io: è una questione troppo delicata che potrebbe seriamente metterti nei guai, lo capisci?»


Certe cose non cambiano mai. Aziraphale, ad esempio: lui non cambiava mai. Stessi vestiti, stesso taglio, stesse abitudini, stesse, maledettissime-

    «Hai finito di avere idee idiote?!»

Di nuovo, a Crowley parve di vomitarle quelle parole. Gli pareva di essere davanti ad un muro, e se finora aveva portato pazienza, adesso poteva sentire quel poco di calma che gli restava incrinarsi.

    Fu più forte di lui, più forte delle intenzioni che aveva di rimanere sui bordi del divario. «È successo con Jim, è successo con Metatron... Tu ci provi proprio gusto a fare chiacchierare con chi ti vuole fare del male - o ha voluto fartene, per quel che conta. E la cosa peggiore è che ti fai persino abbindolare». Si mise a gesticolare platealmente, spinto da tutto il nervosismo che provava nei confronti di mister "voce di Dio". «Ma sì, vieni in Paradiso a capeggiare. Perché non ti porti dietro anche il tuo cucciolo del disastro? Potremmo persino riattaccargli le alucce. Ti rendi conto di quanto suoni assurdo?!»

Se la sua voce avesse potuto echeggiare, lo avrebbe fatto. Ma non c'erano pareti dove sbattere, lì; né vento a cui gettare cose che sarebbero andate man mano svanendo. No, lì tutto sarebbe rimasto indelebile e fermo come il silenzio che li avvolgeva.

    Aziraphale rimase immobile e serio come prima. Solo una lacrima tradì il suo stato d'animo, rotolando giù per la sua guancia. «Ti rivolevo felice» sussurrò, «come quando accendevi le nebulose e dicevi loro quanto fossero stupende». Fece un sorriso rotto, amaro, macchiato di nostalgia. «Come il giorno in cui mi sono innamorato di te. A te sembra idiota, questo?»

Fu come ricevere un pugno allo stomaco.

Crowley ci aveva sperato per troppo tempo di sentire quel tipo di parole. E adesso, nel momento più sbagliato in assoluto, quel velato ma presente "ti amo" lo aveva investito come uno tsunami, lasciandolo senza fiato, senza forze e senza voce.

Anzi, quasi senza voce.

    Scosse la testa. «Per una volta nella tua esistenza, potresti ascoltarmi?»

Avrebbe voluto urlarlo, ma gli uscì solo un sussurro strozzato.

    «Davvero non ci arrivi? Se voglio che tu mi dica cosa nascondi è proprio perché-»

Gli sembrava l'ultimo giorno in cui si erano visti: un nastro che si riavvolgeva e ripeteva ancora una volta, tutto uguale. È tutto uguale: stiamo sbagliando di nuovo.

L'indecisione, una punta di imbarazzo, la paura... Tutto ciò che gli aveva bloccato la gola la primissima volta era tornato.

    Anche stavolta, però, riuscì a spingersi a confessare. «Se voglio che tu mi dica cosa nascondi è proprio perché ti amo troppo per perderti a causa di quegli stronzi al piano di sopra.»

Voleva che collaborassero, che unissero le forze, che trovassero una soluzione assieme come avevano sempre fatto. Voleva un "noi", solo più forte, più unito e più legato di ciò che era già stato. Voleva mettere fine a quella questione, riprendersi Aziraphale e portarselo finalmente via, laddove niente e nessuno avrebbe potuto toccarli.

Voleva costruire la loro Alpha Centauri, ma non poteva farlo se in risposta gli arrivava sempre e solo quello sguardo serio, ma al contempo intenerito e triste. Non poteva farlo davanti a quel volto rigato di lacrime affrante.

Non poteva farlo se tra loro continuava ad esserci quel maledetto divario.


Ma l'altro si passò un braccio sugli occhi - mossa inutile, dato che non sembrava destinato a smettere di piangere.

Avrebbe voluto dire qualcosa, ma esitò. Una, due, tre volte.

Di' qualcosa. Pregò Crowley. Di' solo qualcosa.

Ma così come nella realtà, anche lì gli arrivò in risposta un silenzio innaturale che durò dei secondi infiniti.

Era così concentrato a fissare Aziraphale, che non si accorse subito di quanto i dintorni si stessero facendo vaghi e sfumati.

    Quando lo notò, fece un sorrisetto amaro. «Stai cercando di buttarmi fuori, eh?»

Gli occhi dell'altro si slacciarono dai suoi e finirono sull'ipotetico pavimento.

    «Molto bene» rispose Crowley, occhiali di nuovo sul viso. «Se credi di scamparla così, fa' pure. Devo tirarti fuori da qui, ricordi? Sta' certo che lo farò.»

Affermò prima di scomparire.

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Capitolo 8
*** Qualcuno su cui contare ***


Scrivere con il rumore della pioggia in sottofondo era incredibilmente rilassante. Inoltre, ripassare gli appunti aiutò Muriel a fare mente locale delle tante cose accadute in quel breve lasso di tempo.

Aziraphale che tornava, le sue condizioni particolari, l'umana di fronte che non era umana, il Libro della Vita... E poi c'erano i momenti che Crowley passava con il suo angelo. Ancora non sapeva bene cosa il demone stesse facendo, chiuso nella stanzetta al piano superiore che lei stessa utilizzava per allontanarsi dal mondo. Però aveva detto che l'avrebbe aggiornata, e Crowley era un demone di parola. Perciò attese.

Aveva preso un plico di fogli, li aveva raccolti e ne aveva fatto un registro ben curato degli eventi. Per un attimo, le parve di essere tornata al suo vecchio lavoro, solo che l'ambiente era molto più bello, profumava di buono e offriva una giusta dose di silenzio.

L'unica cosa che ogni tanto la spaventava, erano i tuoni. Arrivavano all'improvviso, facendo tremare il cielo e le finestre. Le ricordavano gli angeli superiori: gli unici che solevano arrivare sottoforma di fulmini, non prima di aver fatto, appunto, tuonare la loro presenza. Dopo la conversazione che aveva avuto con Maggie, aveva iniziato a sentirsi terribilmente scoperta. Se Metatron avesse capito che collaborava con Crowley, le avrebbe fatto passare dei guai belli grossi.

Perciò, ogni tanto si fermava e si stringeva nella morbida coperta che aveva trovato sullo schienale del divano: la faceva stare bene, come se avesse tirato fuori le ali e vi si fosse imbozzolata. Stringeva un po' la sua tazza di cioccolata calda e continuava a fare il suo lavoro.


Era ormai notte fonda. Muriel adorava la notte: le migliori storie le aveva lette mentre gli umani di quell'angolo di Terra - e Crowley - dormivano. Certo, era anche un momento in cui si ritrovava sola, ma era troppo occupata a seguire la trama di turno per rendersene conto.

Aveva quasi finito di ricopiare accuratamente le sue annotazioni, quando un rumore la fece sobbalzare. Non fu un tuono, stavolta, ma una porta che era stata appena furiosamente sbattuta.

Si voltò di scatto verso la scaletta a chiocciola che portava al piano di sopra, e vide con la coda dell'occhio una figura slanciata, rossa e nera che si catapultava di sotto, marciava nervosa fino all'ingresso, lo apriva di getto e si buttava di fuori, dritta in mezzo alle intemperie. Fu tutto così rapido che le ci volle un attimo per capire cosa stesse succedendo.

Abbandonò i suoi appunti e si avvicinò all'entrata. Dalla porta ancora mezza aperta entrava una fitta pioggia che lucidò il parquet nel giro di pochi secondi. Al di fuori udì l'ormai familiare rumore di una portiera che si chiudeva - alquanto violentemente - ma alla quale non seguì l'altrettanto familiare rombo del motore.

Era ancora in tempo.

Si sistemò la coperta sulle spalle ed afferrò l'ombrello che Crowley aveva fatto comparire perché non si bagnassero intanto che raggiungevano il negozio di Maggie. Dopodiché, si avventurò fuori.

La pioggia sferzante si avventò sul suo piccolo riparo, costringendola ad avvicinarselo un po' alla testa. Fortunatamente, la nera vettura era appostata laddove il suo proprietario l'aveva lasciata: a pochi metri dall'ingresso - luogo in cui, normalmente, chiunque si sarebbe preso una multa.

La raggiunse a piccoli passi affrettati e diede uno sguardo oltre il vetro costellato di goccioline. Ancor più fortunatamente, il demone era lì: una sfocata e ricurva sagoma scura a lato conducente.

    Sollevata, batté sul vetro. «Crowley?» Richiamò, sperando che la sua voce sovrastasse almeno un po' quella dell'acquazzone.

Per quanto si facesse piccola sotto l'ombrello, la pioggia era talmente forte da inzupparla comunque. Inserì subito la sensazione nella lista di: "Cose della Terra che mi piacciono un po' meno", a metà tra gli umani maleducati e il troppo rumore.

Grazie al cielo, finì presto.


Udì il confortante tintinnio di un miracolo, e subito si ritrovò seduta a lato passeggero, asciutta, l'ombrello ben chiuso e riposto sulle sue gambe. Lo scrosciare si ridusse ad un ovattato e continuo sbattere contro il tettuccio sopra la sua testa.

Accanto a lei c'era Crowley. Era rimasto in silenzio, le braccia incrociate, la postura rigida e corrucciata. Più lacrime facevano capolino dalle lenti dei suoi immancabili occhiali da sole, andando a rigargli le guance sottili.

    «Sta bene?» Mormorò Muriel, non sapendo bene come porsi.

Era una domanda stupida, la sua. Se ne rendeva conto, ma era così che gli umani facevano: si porgevano domande scontate, sperando che la risposta non lo fosse.

    L'altro ci mise un po' a rispondere. Dovette fare un paio di inutili respiri profondi, i quali non resero di certo le sue spalle più sciolte o la sua voce meno roca. «La Bentley non vuole che io me ne vada, perciò potrei stare meglio.»

Muriel ringraziò silenziosamente la vettura. Lo aveva capito subito che quello non era un veicolo normale: già dalle prime volte che l'aveva visto, aveva notato qualcosa di particolare, qualcosa a cui non avrebbe saputo dare un nome e che rendeva la macchina di Crowley un po' più viva. Doveva essere tutto l'affetto che il demone vi riversava sopra - sempre se "affetto" era la parola giusta.

    «È successo qualcosa con Aziraphale?» Chiese poi, avanzando la questione con delicatezza. «Non siete riusciti a parlare?»

    «Questo è un modo di spiegare la situazione, sì». Il rosso non andò oltre, non subito.

Muriel gli diede tempo, osservando distrattamente il modo in cui le gocce di pioggia si univano, separavano e rincorrevano sul parabrezza. Si voltò nuovamente verso l'altro solo dopo aver udito un pesante sospiro.

    «Non lo trovi stupido?» Mormorò Crowley, lo sguardo perennemente fisso davanti a sé. «Prima cerco di mantenere le distanze, e poi mi arrabbio se lui decide di fare lo stesso.»

Allora avevano conversato almeno un pochino - il che, in effetti, era rassicurante.

    Il tutto, però, pareva un bell'inghippo. Lei non sapeva praticamente niente di conversazioni importanti, se non quello che leggeva nei romanzi. Aveva bisogno di qualche informazione in più, così chiese: «Ci sono state altre divergenze?»

    L'altro sbuffò, si tolse gli occhiali e si passò due dita sulle palpebre. Quando le riaprì, i suoi occhi erano incredibilmente lucidi e più dorati del solito. «Ricordi quando ti ho detto che c'erano delle cose sulle quali dovevo metterti al corrente?»

Muriel annuì, schioccò le dita, e si ritrovò il blocchetto in mano. Qualcosa le disse che il discorso sarebbe stato lungo.


E in effetti lo fu, e Muriel si ritrovò più volte a stupirsi di ciò che stava appuntando ed ascoltando.

    «Quindi, Aziraphale ha sentito in Paradiso qualcosa che lo ha scioccato» ricapitolò, «e ha deciso di andarsene senza dare troppo nell'occhio. Per riuscirci ha preparato un miracolo e nascosto qualsiasi cosa abbia scoperto dentro di sé in caso di emergenza. Solo che è rimasto intrappolato a sua volta... giusto?» Chiese, conscia di quanto assurdo il tutto suonasse se detto ad alta voce.

    Crowley annuì. «Sotto sotto aveva già capito che qualcosa non quadrava. Solo che adesso non vuole dirmi cosa nasconde: è convinto di poter risolvere la situazione solo facendo quattro chiacchiere con quel bastardo di Metatron. Lui e il suo stupido caffè.»

    Muriel arricciò il naso. «L'ho detto io che il caffè è terribile» affermò, giocherellando con la penna.

Il rosso accanto a lei si limitò ad appoggiare le braccia sul volante e a buttarci la testa. Era ovviamente ancora triste ed arrabbiato, come spesso lo aveva visto da quando si erano conosciuti.

Lui ed Aziraphale avevano bisogno di tempo e di una chiacchierata che fosse molto più fisica che metafisica, ne era certa. Nel frattempo, tutto ciò che lei poteva fare era continuare ad offrire il suo incondizionato supporto.

Così, fece una cosa che sperò sortire lo stesso effetto che aveva tra i personaggi di cui aveva letto. Mise via i ferri del mestiere - assicurandosi di miracolarli sulla scrivania - e poggiò la mano sulla spalla di Crowley.


Aveva sentito dire che il contatto fisico era importante sulla Terra. Lei non ne aveva mai ricevuto così tanto, anzi non ne aveva mai ricevuto per niente: nessun angelo ne aveva bisogno o ne sentiva la necessità.

    Eppure, sotto natale, lei e il demone si erano ritrovati in mezzo una folla così rumorosa da far fischiare le orecchie. Ne era rimasta un po' sopraffatta, tanto che Crowley doveva essersene accorto. Difatti, si ritrovò presto con il braccio ben allacciato a quello dell'altro; pratica che il rosso aveva ripetuto altre volte, dicendo cose tipo: «Ti lasci intontire troppo dalla confusione, agente» oppure; «Tendi a girovagare quando un posto ti incuriosisce. Non vorrai perderti».

Così facendo si era sempre sentita meglio, meno sola, meno persa e meno a disagio. Era confortante, il contatto... E se funzionava con lei e con gli umani, allora, forse, avrebbe funzionato con Crowley.


Sentì il braccio del rosso irrigidirsi e in un attimo si ritrovò quello sguardo aureo addosso.

Per quanto particolari, quegli occhi non le avevano mai fatto paura. Non gliene fecero nemmeno adesso che si erano ridotti a due pozze dorate tagliate da una linea sottile.

Più che altro, si chiese se quella reazione non fosse il segno che stava facendo una cosa stupida o sbagliata. Magari avrebbe dovuto ritrarre la mano e-

A fermare i suoi pensieri fu un tremito, seguito da un singhiozzo soffocato. Non era la prima volta che lo vedeva piangere, ma le lacrime non erano mai state così grandi e così tante come in quel momento.

Osservò Crowley cercare di combattere contro sé stesso, passandosi continuamente le braccia sugli occhi, ovviamente invano. Forse ne aveva semplicemente bisogno: gli umani lo chiamavano "sfogo". Sembrava un po' un acquazzone, in effetti: il pianto era la pioggia, i tuoni erano i singhiozzi.

Certo, era molto improbabile che fossero proprio le sue carezze a fare la differenza, ma Muriel iniziò comunque a passare la mano sulle spalle del rosso, avanti e indietro, attendendo pazientemente che tutti quei piccoli sobbalzi cessassero.


Passarono parecchi minuti, di ciò era certa. Minuti in cui a farla da padrone furono il ticchettio della pioggia, gli occasionali tuoni, le macchine che passavano di tanto in tanto e i sospiri tremanti di un demone disperato.

    Fu quest'ultimo a prendersi qualche secondo di raccoglimento, alzando gli occhi al cielo e facendo due inutili ma confortanti respiri. «Scusa» mormorò solo, senza guardarla - forse per vergogna, forse per effettivo imbarazzo.

    Lei sorrise: «Si figuri. Ho sentito dire che piangere aiuta. Ma devo ammettere che visto così non sembra molto confortante.»

    Crowley fece un sorriso amaro. «Non lo è, te lo posso assicurare. È difficile da spiegare, spero solo che tu non debba provarlo mai» affermò. Poi tornò a guardarla, facendole un cenno con la testa: «Sorridi talmente tanto che sembrerebbe strano.»

    Le venne automatico sbarrare gli occhi. «Ed è una cosa sbagliata?»

    «Nah. Solo, si vede che non hai mai avuto motivo di essere triste.»

Non era del tutto vero, si disse Muriel. Vedere Crowley triste, rendeva un po' triste anche lei; lo capì dal formicolio nel suo ipotetico stomaco. Forse era quella la cosiddetta empatia, e forse lo stava capendo perché adesso aveva qualcuno da chiamare amico.

Il che non era affatto male.

    «Vuole tornare dentro?» Chiese, interrompendo solo ora il contatto. «Magari se ci sediamo comodi e all'asciutto, le idee ci vengono prima.»

Era ancora convinta del fatto che riportare Aziraphale indietro avrebbe migliorato la situazione. Era da quello che dovevano partire, e dovevano anche farlo il prima possibile: i tuoni sembravano farsi sempre più presenti e ruggenti.

    Fortunatamente, Crowley annuì. «Va bene, andiamo» disse, togliendole l'ombrello dalle cosce e uscendo con la stessa fluidità che Muriel gli aveva visto usare spesso - e che le era sempre piaciuta, come la sua camminata.

Lo seguì con lo sguardo intanto che faceva il giro dell'auto per aprirle la portiera e porgerle una mano; offerta che accolse con gioia e gratitudine - senza dire una parola, dato che aveva scoperto quanto certi ringraziamenti lo innervosissero.


Si sedettero l'uno accanto all'altra sul divano, in silenzio. Lei composta e pensosa, lui pensoso ma non esattamente composto.

Muriel avrebbe voluto dire o fare qualcosa, ma le parve inopportuno rompere la quiete che si era creata. Inoltre, si vedeva che Crowley stava pensando a qualcosa: si tamburellava silenziosamente le dita contro la gamba, sguardo ancora scoperto e fisso nel vuoto.

    Fu lui a parlare per primo, buttando la testa sullo schienale e guardandola di sbieco. «Cosa pensi che debba fare?»

   «Lei e Aziraphale siete quelli che hanno fatto scattare l'allarme in Paradiso con un mezzo miracolo. Non so bene cos'abbia fatto Metatron, ma qualsiasi cosa sia, sono certa che potete contrastarla» insieme, fu ciò che la piccoletta non aggiunse.

    Crowley scosse la testa, poco convinto. «Nah, quel miracolo è stato un caso: scommetto che Jim ci ha involontariamente messo lo zampino. Per quanto riguarda Metastronzo, forse ha semplicemente reso Aziraphale inerme per far sì che riprenderselo fosse più facile.»

    «Non penso sappia che potete parlare telepaticamente, però» affermò Muriel. «È una cosa che non si è mai fatta tra angeli e demoni.»

Cercò il più possibile di apparire sicura e convincente, stavolta. Parve funzionare, o così evinse dall'alzata di sopracciglia dell'altro.

    «Può essere, ma prima o poi se ne renderà conto: non è stupido» ammise infatti Crowley, sprofondando di più nel divano. «Chi accidenti ce l'ha la forza di trovare una soluzione, adesso?»

Muriel immaginò che il problema principale per il rosso fosse proprio quello di tornare da Aziraphale dopo ciò che era successo. Litigare doveva essere davvero ma davvero brutto se quelli erano i risultati. Sperò di non dover mai litigare con Crowley, anche se per ora le cose tra loro sembravano star andando lisce come l'olio.

Situazione complicata, le relazioni.

    Non sapendo che altro fare, tornò ai suoi appunti. «Forse dovremmo prenderci la famosa pausa di cui parlava. O meglio: lei può prendersela, insomma, io ho solo scritto e copiato» disse, facendo spallucce. Sperò di non sembrare troppo goffa o imbarazzata.

Avrebbe voluto aggiungere altro, ma le bastò voltarsi nuovamente verso il divano per capire che qualsiasi cosa sarebbe stata rimandata al mattino.

È buffo, si disse. Ma sarà l'abitudine.

I demoni non dormono, così come gli angeli. Nemmeno si stancano, a dirla tutta. Ma gli sfoghi non erano una cosa da demoni e tantomeno da angeli, quindi, magari, facevano lo stesso effetto su tutti: ti svuotavano. O almeno, così aveva letto.


Si tolse la coperta dalle spalle e la avvolse delicatamente attorno al rosso, sperando di non svegliarlo. Poi diede uno sguardo alla scrivania e si disse che una soluzione poteva anche provare a trovarla lei.

Sì, ma come?

Diede uno sguardo alla scala a chiocciola, pensosa e un po' preoccupata. Crowley era uscito così di fretta, lasciando Aziraphale da solo... Anzi, lo avevano lasciato da solo entrambi, il che non era certamente sicuro, data la situazione.

Certo, erano coperti da un miracolo, ma Muriel sapeva meglio del demone che Metatron non solo non era stupido, ma certamente era anche abbastanza potente da capire cosa stesse accadendo.

Così, decise di andare a dare un'occhiata.

Quando aprì la porta che Crowley aveva sbattuto, notò con sollievo che Aziraphale era ancora lì - assente come sempre, ma lì.

Le venne automatico andare a chiudere le tende, forse perché così l'ambiente dava più l'idea di sicurezza e calore - come la coperta.

A proposito di coperte.

    «Da quando ha iniziato a piovere, l'aria si è fatta decisamente più fredda» disse alla figurina bianca che, sapeva bene, non le avrebbe risposto. 

Recuperò un plaid dall'armadio, la stese sul neo arcangelo e prese posto accanto al letto, studiando il profilo di quell'essere che lei aveva conosciuto quando ancora era un principato dal fare gentile e dal sorriso pronto.

Le dispiacque vederlo così, anche perché gli stava simpatico: si preoccupava sempre di tutto, un po' come lei. Avrebbero potuto essere amici.

Magari potevano ancora esserlo.


Avrebbero trovato una soluzione, si disse. Le cose si sarebbero risolte, in un modo o nell'altro.

    «Beh, spero di averla messa un po' più a suo agio» mormorò, sistemando una grinza nel tessuto morbido del plaid.

Dopodiché, un po' per conforto e un po' per curiosità, prese delicatamente la mano di Aziraphale.

Fu allora che accadde qualcosa di molto, molto ma molto bizzarro.

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Capitolo 9
*** L'opinione di Muriel ***


Non era sicura di come fosse finita per terra. Ora che ci guardava bene, non c'era nemmeno della vera e propria "terra" sotto di sé.

Aveva sentito qualcosa di strano, come una mano che la tirava verso il basso. Poi si era ritrovata lì: in mezzo ad una distesa grigio-bluastara piena di scaffali e libri sparsi in giro.

Si soffiò un ricciolo corvino dalla faccia, ancora confusa. Davanti ai suoi occhi c'era una figurina incredibilmente bianca ed incredibilmente familiare che la osservava sorpresa.

    «Oh, sei tu» esclamò Aziraphale, gli occhietti azzurri sbarrati. Poi la sua espressione crollò, tramutandosi in dispiacere. «Cielo, scusami» disse, raggiungendola e porgendole una mano. «Ti sei fatta male?»

    Ancora non ben convinta di cosa stesse accadendo, Muriel accettò l'aiuto e si rimise in piedi. «No, no. Sto bene, solo, ehm-»

Sicuramente non aveva provato dolore - una sensazione conosciuta durante i primi cinque o sei tentativi di preparazione della cioccolata calda; ora, però, non sapeva bene cosa dire.

    Optò per un: «Dove ci troviamo?» condito da un sorriso nervoso.

    L'altro sospirò. «Lunga storia, cara. Vieni, ti spiego.»

Si accomodarono attorno ad un tavolino che fino ad un secondo prima non c'era. Accanto alle sedie erano poste delle belle tazzine di porcellana del tutto identiche a quella che Aziraphale aveva messo tra le mani di Muriel la prima volta che era entrata in libreria.

    «Non volevo trascinarti qui» iniziò a spiegarsi lui, versando il tè più brillante e visivamente invitante che la piccoletta avesse mai visto. «Stavo provando una cosa. Pensavo che Crowley fosse tornato, ma-»

    Fu il sussulto di Muriel a bloccarlo. «Ma certo! So esattamente dove siamo. Crowley me lo ha spiegato» ricordò, ora decisamente più sollevata. «Devo dire, però, che me la immaginavo un po' più, beh...» commentò, fissandosi sui toni monotoni del mondo che li circondava. «"calda" e accogliente, la sua testa.»

    L'altro sbatté gli occhi un paio di volte, probabilmente indeciso su come prendere quelle parole. «Quindi tu sai già quello che è successo?» Chiese invece, rigirandosi la tazzina tra le mani.

    Lei annuì fiera. «E ho anche appuntato tutto: non si sa mai cosa potrebbe rivelarsi rilevante.»

    In risposta le arrivò un sorriso leggero e vagamente affranto. «Vi state dando da fare» mormorò Aziraphale, lo sguardo ora perso nel suo tè ancora intatto.

    «Ovvio che sì! Ho suggerito io a Crowley di provare ad entrare qui dentro. Certo, all'inizio non ero sicura che avrebbe funzionato... Ma siete riusciti a parlarvi, il che è ottimo.»

Muriel non voleva certo vantarsi, ma l'aver avuto un'idea l'aveva fatta sentire bene e, soprattutto, utile alla risoluzione del loro problema. Sorrise, evidenziando quello che era stato un effettivo passo avanti nella loro indagine - magari, così facendo, poteva far sentire meglio anche il neo arcangelo.

    Quest'ultimo, però, tornò a fissarla con sorpresa. «Sai, credo di averti sottovalutato, cara» confessò, l'espressione dolce ma ancora leggermente rotta da un'ombra che non sembrava volersi scostare dal suo viso. «Devo ammetterlo: un po' speravo che iniziaste a parlarvi, anche solo per farvi compagnia. Insomma: lui è rimasto da solo e tu non hai idea di come gestire la libreria...»

Muriel lo trovò un pensiero carino. Ma, in fondo, era di Crowley e la casa di Aziraphale che si parlava: l'ex principato ci teneva, anche adesso che era così triste. E poi, non l'avrebbe in qualche modo inclusa nel suo piano se non l'avesse considerata d'aiuto, no?

Era bello sentirsi importanti, davvero importanti, per qualcuno.

    «Ci parliamo eccome» affermò infatti. «Ci facciamo compagnia, chiacchieriamo, e ora come ora cerchiamo di capire cosa succede. Solo che...»

Quel "solo che" fece illuminare un po' il volto dell'altro, andando a stirare qualche ruga.

    Muriel continuò: «Nonostante tutto, nulla sembra mai renderlo davvero felice. Sorride, si fa qualche risata, ma non dura mai tanto. Da parte mia, cerco sempre di dire o fare qualcosa, ma non sono molto brava nelle relazioni, sa? Ho letto qualcosa a riguardo, ma Crowley non è certo una serie di parole stampate. È diverso quando ci provi davvero.» 

Ripensò al tempo che avevano trascorso insieme, partendo dalla primissima volta che lo aveva visto. Capì che lui e Aziraphale avevano la stessa identica ombra sul viso: un velo di tristezza, dispiacere e nostalgia che faticavano a nascondere o mandare via. Si mancavano l'un l'altro, ma non riuscivano e non volevano colmare le distanze. Ed era un peccato: li aveva visti insieme e il senso di stranimento le era passato nel giro di pochi secondi.

Si vedeva che erano fatti l'uno per l'altro e che la cosa, per quanto bella, rendeva la separazione ancora peggiore.

    Aziraphale allontanò la tazzina con due dita, sospirando. Era sull'orlo delle lacrime, ma non ne fece cadere neanche mezza. «Vorrei che capisse, sai?» Mormorò, la voce bassa e strozzata da uno sfogo che chiedeva di uscire. «Vorrei si rendesse conto che anche io volevo stare con lui, solo in modo diverso. Volevo, in un certo senso, rimetterci sullo stesso piano: sarebbe stato più semplice e lui sarebbe tornato felice come prima». Si strinse nelle spalle e un sorriso triste cercò di allontanare il pianto imminente, inutilmente. «Ma immagino di aver fatto un errore troppo grande a pensarlo. Come al solito: ci spero troppo, ci credo troppo, vedo troppo bianco dove c'è solo nero. È semplicemente assurdo che ancora non si sia stancato.»

Cadde un silenzio pesante e, con grande sorpresa di Muriel, davvero fastidioso.

Soppesò quelle parole con un pensoso: "mh", cercando di capire bene come poter rispondere. Si sentiva un po' in mezzo a quello che Crowley aveva chiamato"baratro": la distanza che sentiva tra lui e il suo angelo, il dolore lasciato dalla loro incapacità di dirsi chiaramente le cose in faccia. Aveva provato ad appuntarlo quando ancora erano in macchina, circondati dal rumore battente della pioggia, ma aveva presto capito che per certe cose non c'erano descrizioni o note che tenessero.

    «Non può stancarsi di lei» affermò infine, sicura della conclusione a cui era arrivata. «Come può stancarsi dell'essere che ama? Quando un libro mi piace, non mi stanco certo di leggerlo solo perché una parte mi ha rattristata». Non era certa che fosse la stessa cosa ma, lì per lì, le parve una metafora azzeccata. «Ora, non so per certo cosa le abbia detto Metatron, ma vuole sapere la mia opinione, anche se non conta poi tanto?»

Aziraphale tornò a guardarla, lasciando finalmente che una sola, piccola lacrima gli rigasse la guancia morbida. Non disse niente, ma diede il consenso con un leggero cenno della testa.

    «Bene, ecco il punto» iniziò Muriel, non senza aver prima messo in ordine le cose che voleva dire. «Penso che Crowley sappia benissimo quali fossero le sue intenzioni. Sa quanto ci tiene alla sua compagnia, alla sua felicità e tutto il resto; così come lei sa che per lui è la stessa cosa. Il punto è proprio questo: volete le stesse identiche cose. Volete stare insieme, volete essere felici insieme... Tanto che da separati vi mancate e basta». Le sembrò un'ovvietà: in fondo, a lei era bastato un attimo per capirlo. «Se solo sapesse quanto male sta Crowley senza di lei. Non fa che piangere, e disperarsi, e distrarsi... E lo capisco, sa? Mi piaceva il modo in cui facevate le cose insieme: era bello da guardare, e Crowley ha detto che era anche bello da provare. Lei non deve cambiare assolutamente niente, non c'è bisogno di mettervi sullo stesso piano: siete perfetti proprio perché siete su due piani diversi e funzionate lo stesso» concluse. «Dovete solo imparare a collaborare: fate cose pazzesche quando collaborate. Crowley insiste nel dire che il miracolo che ha fatto scattare l'allarme in Paradiso sia stato un caso. Beh, io non ci credo. E ci credo ancora meno da quando mi ha detto cosa avete fatto dopo l'Apocalisse. Se potete fare questo, allora potete anche parlare, riappacificarvi e sistemare questa situazione.»

Non aveva mai espresso un pensiero così tanto, così liberamente e in modo così sicuro. Si sentì come se le avessero tolto un peso dall'ipotetico cuore.

Allora capì perché Crowley avrebbe voluto che lui ed Aziraphale se ne stessero lontani dal Paradiso così come dall'Inferno. Erano due estremi troppo lontani tra loro e troppo costrittivi. Persino Maggie si era allontanata, e Muriel ne stava capendo ancor meglio le ragioni. Si stava bene lì in mezzo: non c'era troppo bianco, né troppo nero; solo gradazioni di grigio. Non c'erano solo scartoffie infinite, scadenze e appunti da sistemare; c'erano i suoni, i colori, gli odori, le cose da fare, la cioccolata calda... C'era il piacevole disordine della Terra: una mescolanza di cose belle, cose brutte e cose che stavano giusto al centro.

C'era l'amicizia e c'era l'amore, quel sentimento che doveva essere trattato bene e che aveva bisogno di tanto lavoro, ma che lasciava i migliori sorrisi, i migliori sguardi e i migliori gesti.


    Aziraphale passò qualche minuto a torturare distrattamente l'orlo della sua manica. «Non- non dovrei cambiare niente nemmeno sapendo che la situazione migliorerebbe?»

    «Dipende da cosa intende per: "migliorare", immagino. Io so solo una cosa» puntualizzò Muriel con un sorriso, «se il suo obiettivo è rendere Crowley felice, allora deve sapere che c'è una sola cosa capace di farlo.»

Si ritrovò nuovamente quelle luccicanti pozze azzurre addosso, ora incerte e dubbiose.

    «Non devo dirglielo davvero» affermò con una leggera risata. Era così semplice, ma quei due sapevano renderla così complicata. «Comunque, posso assicurarle che lasciare che la aiuti lo renderebbe molto felice al momento.»

    L'altro si passò le mani sugli occhi, prendendosi un secondo di raccoglimento. Sembrava un po' meno cupo e vagamente più determinato. Rimase un attimo a fissare il vuoto, poi scosse leggermente la testa. «Lo so, e mi piace pensare che tu abbia ragione sulla collaborazione. Ma puoi star certa del fatto che metterlo in mezzo è un rischio che non voglio correre.»

    «E lo capisco, davvero. Ma non può sperare di risolvere la questione con Metatron - da solo, per giunta. Già la sua fuga l'ha messa in una brutta posizione. Lo ha detto anche Maggie: potrebbero usare il Libro della Vita contro di lei.»

Il solo pensiero fece salire un brivido lungo tutta l'aura di Muriel. Sparire in quel modo era una fine che non avrebbe augurato nemmeno al più maleducato degli esseri umani. La sola idea che ciò fosse possibile era terrificante.

    Aziraphale aggrottò le sopracciglia. «Il Libro della Vita? Maggie? Che c'entra la povera Maggie?»

    «Crowley non gliel'ha detto?»

    «Direi proprio di no.»

Oh, allora c'era davvero qualcosa che non andava nel loro scegliere le questioni di priorità. Poco male, glielo avrebbe spiegato.


Mettere il neo arcangelo al corrente fu un'operazione lunga che Muriel riuscì a completare solo grazie alla sua naturale organizzazione.

    «Capisce adesso?» Disse a discorso ultimato. «La situazione è grave. Il Paradiso ha cercato di tenerla dalla sua parte, ora che non può più farlo, non ci vorrà molto affinché Metatron passi alle misure estreme.»

    Aziraphale aveva ripreso a stropicciare l'eterea stoffa della sua giacca bianchissima, preso da un ragionamento che cercava di non apparire terrorizzato. «Questo non fa che peggiorare le cose» mormorò in quello che sembrava un piagnucolio. «Ed è tutta colpa mia. Lo vedi? Come posso pretendere di chiedere aiuto? Ho sempre amato pensare che a Crowley piacesse aiutarmi, ma adesso non posso permettermi di chiedergli di farlo.»

    «Per come la vedo io, questo è il momento perfetto, invece. Ha bisogno di lui.»

Durante una delle loro tante serate insieme, Crowley le aveva detto che: "Ho bisogno di te" è una delle cose peggiori da dire in amore. E Muriel se l'era segnato, poiché agli umani quelle parole parevano piacere eccome, invece. Le mettevano in molti romanzi, usandole come ancora per salvare la situazione. Così, aveva capito che il problema non stava nell'avere bisogno di qualcuno in sé per sé; il problema stava nell'ammettere che si aveva bisogno di un aiuto. E Aziraphale aveva bisogno di aiuto, così come lei aveva avuto bisogno di aiuto e compagnia.

    Lui le rivolse un sorriso triste: «Non sarai brava in queste cose, ma impari in fretta.»

    E per quanto quelle parole le piacessero, Muriel le mise da parte, guardando Aziraphale con quella che sperò essere una ferma richiesta. «Mi dica solo che ci ripenserà. Per favore.»

Quel volto morbido si fece illeggibile, tanto da farle temere che non avrebbe ricevuto una risposta.

    Fortunatamente, la risposta arrivò, seppur non quella che sperava. «Preferirei sparire per sempre sapendo di aver salvato lui, piuttosto che rischiare che gli accada qualcosa.»

Quel tono improvvisamente fermo e serio le fece sentire un brutto formicolio allo stomaco. Certo, era un punto di vista comprensibile, ma allo stesso tempo sbagliato: non voleva accettarlo e nemmeno ci riusciva.

    «Però, su una cosa hai ragione» continuò Aziraphale, facendole rialzare lo sguardo. «Non posso pretendere di risolvere questa situazione da solo,» disse, sorridendo amaramente. «È buffo: una volta tanto che voglio salvarmi da solo, mi ritrovo a dover chiedere aiuto.»

    Muriel sentì la speranza risalirle le membra e un sorriso riaccenderle le guance. «Vuol dire che rivelerà a Crowley quello che nasconde qui dentro?»

    L'altro deglutì, si torturó le dita, si guardò attorno con un certo timore nello sguardo e sbuffò. «Ci penserò» disse infine, il tono piccolo e strozzato.

    A lei bastò. Tirò un sospiro di sollievo: «Meno male, grazie. Grazie davvero.»

    «Ti andrebbe di farmi un piccolo favore?» Chiese poi lui, raddrizzandosi un po' nella sedia in cui era involontariamente scivolato. «Manderesti Crowley da me?»

    «Non ce ne sarebbe stato bisogno: è più che convinto di volerla tirare fuori. Però lo farò sicuramente se può farle piacere.»

    Aziraphale le rivolse un altro sorriso, stavolta carico di gratitudine. «Sei gentile, solo mi piacerebbe sapere come fare ad andarmene. Ci ho provato sin dal primo momento.»

    Muriel fece spallucce. «Beh, ci ha provato da solo. Ora non è più solo, però.»

Quelle parole parvero fare breccia nell'aura triste e densa di sensi di colpa dell'altro. Forse, adesso le cose avrebbero iniziato a prendere una piega differente.


E in fretta, possibilmente.


°•°•°


A svegliarlo fu una presa non troppo forte ma decisamente insistente sulle sue spalle, seguita da una vocina eccitata che ripeteva il suo nome.

    A Crowley venne un colpo, tanto che si ritrovò a sobbalzare - non abbastanza da togliersi il peso dell'altra di dosso. «Perchè devi sempre svegliarmi così?» Lamentò, stringendo gli occhi e strofinandoseli con uno sbuffo.

    «Mi dispiace» canticchiò Muriel in un tono che era tante cose, ma certamente non dispiaciuto. «Non indovinerà mai cosa mi è successo.»

    Il rosso la sentì spostare la poltrona e la immaginò caderci sopra - magari ciondolando con le gambe. Schiuse un occhio per scoprire che ci aveva azzeccato: sembrava una bimba in un negozio di caramelle. «Sentiamo. Sembra che le cose incredibili succedano sempre mentre io non ci sono, eh?»

    Lei ridacchiò. «Ho parlato con Aziraphale.»

Lo disse come se fosse la cosa più normale dell'universo: il cielo è azzurro, l'ossigeno si respira, lei aveva parlato con Aziraphale.

    Fu abbastanza da svegliarlo e farlo scattare in una posizione poco composta ma molto più dritta. «Tu cosa?!»

    «Sono andata di sopra a vedere come stava» spiegò la piccoletta. «Ero preoccupata, sa: ieri notte lo abbiamo lasciato da solo e dopo tutto il discorso con Maggie-»

    «Agente, va' al punto.»

    «Giusto. Beh, mi ha involontariamente trascinata nella sua testa. È stato strano, ma siamo riusciti a conversare.»

Si mise a parlottare di come avessero discusso di cose importanti e come lui, alla fine di tutto, le avesse chiesto come stesse andando in libreria. A quanto pareva, avevano parlato di ciò che era accaduto, di Sherlock Holmes, di un sacco di altre cose che la mente di Crowley non riuscì a registrare.

Non tutte.

    «Frena, frena, frena. Aziraphale ha detto cosa

    Lei sussultò eccitata: «Oh, mi ha detto di tornare a chiamarla. Sono quasi sicura che sia pronto a rivelarle cosa nasconde, adesso.»

    Il demone spalancò la bocca talmente tanto da credere di slogarsela. «Cos- tu- voi-» incespicò, ancora non del tutto certo di ciò che aveva sentito. «Come accidenti hai fatto?»

    Muriel fece spallucce: «Ho espresso la mia opinione.»

La piccoletta, nella sua ingenuità, diceva sempre ciò che pensava. Era adorabilmente imprevedibile, semplicemente sveglia, fin troppo brava ad imparare e incredibilmente brava a capire ciò che non conosceva. Bastava toglierle il guinzaglio e lasciarla fare.

E fanculo il Paradiso, c'è un motivo se non vuole quelli come lei.

O quelli come Aziraphale.


Crowley diede uno sguardo all'ora: erano quasi le sette del mattino, ma la pioggia non lo lasciava presagire poi tanto.

    «Wow. E quindi adesso mi tocca tornare lì, eh?» Chiese, sentendo una leggera stilettata di ansia mangiargli lo stomaco. In fondo, Aziraphale poteva ancora cambiare idea e rinchiudersi a riccio: non sarebbe stato poi così strano.

E poi, il divario rendeva la possibilità di ricongiunzione una prospettiva quasi assurda. Una parte di lui continuava a dirgli che non poteva semplicemente essere vero.

Eppure, guardando gli scuri occhioni da gufo che lo guardavano e annuivano, si disse che magari una microscopica speranza c'era.


Qualcosa gli disse che sarebbe stata un'altra lunghissima giornata.

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Capitolo 10
*** Abbiamo visite ***


Era da tempo, ormai, che le cose andavano di male in peggio. Se una gerarchia vecchia eoni viene smantellata, il crollo si sente e si ripercuote su chiunque vi si trovi all'interno.

Tutti in Paradiso sapevano quando i disordini erano iniziati e, soprattutto, sapevano di chi era stata la colpa. Non era un segreto, anche perché è difficile far ritirare un numero così grande di truppe senza dare nell'occhio. E proprio per questo motivo, Metatron sapeva a cosa stava andando incontro.

Non che gli importasse davvero dell'opinione altrui, o dell'effetto che la sua decisione avrebbe avuto sugli altri. Aveva architettato un piano perfetto, caduto all'improvviso e senza che se ne accorgesse. Un colpo basso da parte di un esserino cotanto in basso... Era stato abbastanza da fargli decidere che tanto, ormai, non esisteva più un ordine né una quiete: se gli arcangeli potevano sparire regolarmente e vagare senza controllo, allora lui poteva tranquillamente usare il pugno duro e far valere l'autorità che aveva.

    «Lo dicevo io che non sarebbe durata a lungo» affermò calma Saraquel alle sue spalle. «È ingenuo, non stupido: prima o poi avrebbe capito che lo tenevi soggiogato.»

Metatron non si voltò nemmeno a guardarla - tanto, il vetro che aveva davanti era talmente lucido da restituirgli la sua immagine in modo perfetto. Era quella professionale e pragmatica, Saraquel: la perfetta seconda che, alla fine, si ritrovava sempre ad avere ragione. Un elemento prezioso se si sapeva come gestirlo.

    «Se è davvero così intelligente, allora tornerà da dov'è venuto» disse solo, lasciando trasparire una calma innaturale per una situazione come quella.

    Ma l'altra non parve convinta. «Non credo. È riuscito a sgattaiolare via senza che ce ne accorgessimo, non prima di essere sfuggito al tuo controllo dopo una semplice riunione - per quanto decisiva» ricapitolò. «Non credo abbia intenzione di tornare dopo tutto questo.»

    «Vedrai che capirà. Non so cosa stia facendo, ma so esattamente dov'è» affermò Metatron, dando un veloce sguardo all'enorme globo al centro della stanza. Non aveva segnalato nulla di anomalo: nessun fascio di luce, nessun miracolo; non era scattato neanche un'allarme. Ma non ce n'era bisogno: Aziraphale era un abitudinario e c'era un solo posto dove poteva essere andato; casa. O almeno, quella che considerava tale. «Gli darò ancora qualche ora di tempo. Se non recepisce, manderò qualcuno di sotto a chiarire la sua posizione.»

    «Sempre se l'Inferno non si mobilita prima» affermò Saraquel, fluttuando un po' più vicina alla finestra. «Di sotto sono agitati esattamente quanto noi: nuova gestione, nuove regole e ora le voci che girano sul fatto che, guarda un po', il Paradiso si è perso un altro arcangelo.»

    L'altro rimase impassibile. «I demoni sono sempre stati dei ficcanaso agitati. Per quel che mi riguarda: una visitina anche da parte dell'Inferno è solo una spinta in più.»

    «A proposito di demoni. Crowley non ti preoccupa?»

    Finalmente, Metatron voltò la testa verso la sua seconda. Pareva perplesso. «Dovrebbe preoccuparmi? Semmai, lui è proprio il motivo che convincerà Aziraphale a tornare.»

    «Era ai piani alti una volta» gli ricordò Saraquel. «Tra i troni, se non vado errata.»

    «Esattamente come te. E allora?»

    «Non credi che il miracolo che ha nascosto Gabriele sia anche opera sua?»

    Lui fece un verso di noncuranza. «Non ha funzionato granché bene: ho sentito l'allarme dai piani alti.»

    «Forse stai sottovalutando la situazione.»

Non c'era rimprovero in quelle parole, solo un rimarcare quello che Saraquel riteneva un fatto. Il motivo era ovvio: nessuno avrebbe mai avuto l'ardire di mettersi contro Metatron, e lui lo sapeva benissimo.

    «Possono usare tutti i trucchi che vogliono. Nulla dura per sempre: neanche i nascondigli. Questa storia sarà finita prima del grande giorno.»

    «Hai intenzione di minacciarlo, quindi? Perché continuo a dubitare che verrà qui di sua spontanea volontà.»

Sempre terra terra, lei. Diceva le cose come stavano e il tutto con una naturalezza devastante.

    «Per carità, gli angeli non fanno queste cose. E comunque, non ce ne sarà bisogno. Lo hai detto anche tu: Aziraphale è ingenuo, non stupido. Avrà sicuramente intenzione di fare una chiacchierata per tenere il suo cucciolo del disastro fuori da questa questione: un'evenienza che sono pronto ad accogliere.»

    Ma Saraquel era irremovibile nelle sue convinzioni: lo si leggeva dal suo volto decisamente scettico. «E se non dovesse accadere?»

    «È semplice, mia cara: adotteremo sanzioni estreme. Come dicono gli umani: abbiamo il coltello dalla parte del manico. Andrà tutto bene.»

Era scritto che il bene ne sarebbe uscito sempre vincitore: era un dato di fatto indelebile che non sarebbe stato certo distrutto da due entità ribelli. Non erano che pedine in più sulla scacchiera e, se le buone avrebbero continuato a non funzionare, Metatron le avrebbe eliminate con le cattive.

    «Se lo dici tu» si arrese alla fine l'altra. «Immagino tu voglia che vada io a Londra per "chiarire la posizione" di Aziraphale.»

    La voce di Dio annuì. «Non ci vorrà molto, vedrai. Ho lasciato qualcuno laggiù. Qualcuno che non ci mentirebbe mai, anche perché non è certamente in grado di farlo.»


Ma certo, Muriel. Saraquel l'aveva vista con Crowley in Paradiso, intanto che cercavano di scoprire cosa fosse accaduto a Gabriele.

Il demone era riuscito ad aprire quella cartella come nulla fosse, un gesto che le era rimasto impresso come il fatto che non si ricordasse di lei. Era strano: conosceva la password, ma non riconosceva i suoi vecchi colleghi.

Qualcosa non quadrava in quella storia, e sicuramente c'era lo zampino di Metatron.

Accettò di andare a controllare, ma non certo per fare un favore al suo superiore. Troppe cose stavano girando nel modo sbagliato, ultimamente. E, chissà perché, era sempre colpa delle solite entità.


°•°•°


Crowley non riusciva proprio a smettere di tamburellare le dita sul tavolo. Non provava così tanta ansia da, beh, un annetto.

Se ne stava buttato sulla sedia della cucinetta, la testa in pappa che cercava di mettere su un discorso. Era tutto molto più semplice quando non doveva dire all'angelo nulla di veramente introspettivo o nulla di veramente significativo. Aveva un'occasione d'oro tra le mani, ma aveva paura di lasciarsela scappare o di rovinarla come l'ultima volta.

No, si disse, l'ultima volta avete sbagliato momento e modalità. Adesso sarete solo voi, il silenzio soffocante, e nessuno alle spalle che vi fa proposte del cazzo. Andrà bene.

Ma sarebbe andato veramente tutto bene? Non avrebbe sopportato di perdere l'amore della sua esistenza per l'ennesima volta. Dopo ciò che gli aveva detto Muriel, si era detto di voler accorciare il divario; ma adesso aveva paura che farlo li avrebbe di nuovo feriti entrambi.

    Emise un lamento e poggiò la fronte sul tavolo. «Sono proprio un cretino» mormorò - più a sé stesso che ad altri.

    Peccato che Muriel fosse lì, davanti a lui, intenta a mangiucchiare un biscotto. «Maggie è brava nelle relazioni» affermò, «magari può darci un consiglio.»

    «Ah, già. Dimenticavo che lei e Nina si scambiano effusioni in pubblica piazza, adesso.»

Abbassa l'ira, demone, si rimproverò. Non è la più schifosa delle idee.

    Fortunatamente, l'altra non colse l'antifona. «Nei libri le cose si risolvono con un bacio, di solito. Dice che è davvero così?»

    Se la situazione non fosse stata tragicomica, il rosso le avrebbe probabilmente raccontato anche di quel gesto completamente stupido. Ma si limitò a fare una mezza risata soffocata. «Credimi: non funziona.»

    Muriel fece un verso di delusione. «Peccato. Sembrava una cosa carina.»


La mattina stava scorrendo in modo terribilmente lento. Non avevano dato un orario preciso alla più o meno umana di fronte, ma di solito chiudeva per l'ora di pranzo. Chissà se davvero aveva intenzione di saltare la visita di routine alla sua ragazza per venire da loro a prendersi qualcosa.

Nel frattempo, in ogni caso, non faceva che piovere e Crowley non faceva che pensare. Forse sarebbe semplicemente dovuto tornare di sopra e smetterla di rimuginare. Da un lato, però, aveva persino paura di ciò che avrebbe potuto scoprire. In fondo, Aziraphale aveva detto che avrebbe potuto metterlo nei guai, in pericolo... Certamente non suonava rassicurante.

Quel tira e molla mentale lo avrebbe presto mandato al manicomio, se lo sentiva.


    Un tuono fece rimbombare le pareti, portando Muriel a stringersi un po' nelle spalle. «Sbaglio o sono più forti di ieri?»

    L'altro sbuffò. «Non sbagli: è il Paradiso che continua a rompere.»

Non aveva idea di quanto sarebbe durata quella quiete. In ogni caso, "non molto" sarebbe stato un ottimo riassunto.

Gli risuonarono in testa le parole di Maggie: «Metatron fa davvero paura quando arriva. Sembra un rombo di tuono.»

Al bastardo piaceva farsi notare: tipico dei pezzi grossi in Paradiso. Altro non erano che un gruppo di enormi e stupidi palloni gonfiati con l'ego più grosso di una balena.

Chissà cosa cazzarola voleva ancora. I suoi sottoposti continuavano a fuggire e lui ancora non capiva che qualcosa non andava nel suo stupido modo di fare. Quel che era peggio, però, era che Dio gli lasciava campo libero.

Le cose erano due: o l'Altissima aveva qualche rotella fuori posto, o era troppo distratta per vedere che la Sua voce stava combinando casini.

In ogni caso, chissà perché lo schifo doveva ricadere sempre su di loro.


Un bussare incessante li fece sobbalzare entrambi - a dirla tutta, Crowley era ad un non nulla dal fare un salto giù dalla sedia.

Si costrinse a calmarsi: si sentiva quando erano Paradiso e Inferno a fare visita, e né lui né Muriel avevano sentito nulla. Andava tutto assolutamente, decisamente e senza ombra di dubbio bene.

    «Vado a vedere» annunciò la piccoletta prendendo la sua oramai inseparabile coperta e mettendosela sulle spalle.

Il rosso annuì, ma aspettò di vederla uscire dalla stanza solo per scivolarle - o meglio, strisciarle - dietro. Rimase nascosto tra gli scaffali, occhi ben piantati sull'ingresso. Era più che pronto a saltare fuori all'improvviso in caso di bisogno, ma gli bastò attendere per capire che non sarebbe successo nulla.

Muriel aprì la porta, ritrovandosi di fronte ad una chiara figurina stretta stretta sotto il suo ombrello. Sopra di lei, l'acqua scrosciava imperterrita.

    «So di essere in anticipo» disse Maggie, il solito tono vagamente nervoso. «Ma potrei entrare?»


Si ritrovarono tutti e tre davanti ad una tazza di cioccolata calda. Crowley aveva lasciato alla piccoletta le redini della situazione, anche perché non si sarebbe mai sognato di toglierle la soddisfazione di spiegare tutto ciò che era successo e che lei aveva, accuratamente e senza sbavature, appuntato.

Maggie la ascoltò in silenzio, trangugiando. Aveva detto che aprire non avrebbe avuto senso, dato che la pioggia teneva tutti chiusi dentro casa - e il rosso dovette astenersi dal ribadire che non avrebbe avuto senso in nessun caso. Inoltre, Nina si era presa un "raffreddore"; per quel motivo aveva colto subito l'invito che Muriel le aveva fatto il giorno prima.

    A discorso ultimato, il suo sguardo stralunato ricadde su Crowley. «E non sei ancora tornato a parlargli?»

    «Stavo per farlo, per la cronaca» mentì lui. «Poi sei comparsa tu.»

Incredibile come di tutte le cose che la piccoletta le aveva detto, Maggie si fosse stupita proprio di quella meno fuori dal mondo.

    «Si può sapere cosa vi siete detti un anno fa?» Chiese poi quest'ultima, mettendo la sua tazza da parte. «Capisco perfettamente quanto sia difficile, ma-»

Crowley non capì se a bloccarla era stato il suo sguardo duro e scoperto, o la consapevolezza dello star facendo la figura dell'ipocrita. In ogni caso, ne fu infinitamente felice.

    «Diciamo che la sincerità non mi sta giovando granché, ultimamente. Sto solo cercando di andare da lui con la minima idea di cosa dire e come dirlo» affermò. «È così assurdo?»

    Maggie si addolcì appena, sorridendogli. «No, hai ragione. Posso capire». Era da quando era entrata che aveva cercato di mettere su un tono di confidenza, magari per rendere quel discorso un po' più lieto. «Beh, concentrati in primis sullo scoprire cosa nasconde: niente sentimentalismi, almeno per il momento.»

    Ovviamente, Muriel approvò in pieno. «Abbiamo lo stesso punto di vista: è fantastico!»

    Crowley le fece un sorriso che pareva più una smorfia che altro. «Meraviglioso» disse, alzandosi e facendo un inutile respiro profondo.

A forza di grattuggiarsi il cervello, avrebbe finito con il consumarlo. Doveva andare per gradi, e il primo passo era capire cosa avesse scatenato quel casino. Poteva farcela, anzi: doveva farcela.

Di qualsiasi cosa si trattasse, non era certo solo ad affrontarla. Aveva dalla sua parte ben due angeli e qualsiasi cosa fosse Maggie: quattro teste erano certamente meglio di una.

Ma sarebbero state meglio di Metatron?


°•°•°


Quando erano l'Inferno o il Paradiso a fare visita, si sentiva. Infatti, sia Muriel che Crowley che Maggie se ne accorsero quando nell'aria risuonò un etereo squillo di trombe.

    Il rosso strinse i pugni in quella che la piccoletta registró come paura, la stessa che le era risalita lungo l'ipotetica spina dorsale. «Cazzo» mormorò solo, voltando lo sguardo ora oscurato verso l'uscio della cucinetta. «Non hanno perso tempo: tipico.»

    Maggie si alzò in piedi e lo guardò. Sembrava determinata, seppur nel suo sguardo ci fosse un'ombra di preoccupazione non indifferente. «Non è un problema: ce ne occupiamo io e Muriel. Tanto, non possono essere certi che tu sia qui, no? Sei nascosto» affermò. «Vai dal signor Fell, e stavolta parlaci

    Crowley incespicò un po' volte. Normalmente, Muriel lo avrebbe trovato divertente, ma stavolta non riuscì proprio a vederne il lato positivo. «Ci ho parlato. Non faccio che parlargli da quando-»

    «Sai bene cosa intendo.»

Per un secondo, la piccoletta si sentì un mondo a parte. Gli sguardi incatenati di Maggie e Crowley si stavano dicendo qualcosa che solo loro capivano e che lei, evidentemente, non sapeva. Qualsiasi cosa fosse, portò il demone a emettere un leggero gorgoglio di frustrazione e resa.

Muriel lo vide dirigersi fuori, non senza prima essersi fermato un secondo a metterle una mano sulla spalla. Lo tradusse come un: "Fate attenzione" o, in termini più da Crowley, "Non fate idiozie". Più facile a dirsi che a farsi, come si soleva dire.


Bussarono alla porta, e la piccoletta si fece scappare un sussulto. Male, si disse. Male, male.

    «Bene» esordì Maggie, «andiamo ad accogliere gli ospiti.»

    Ma Muriel le fu subito davanti, la preoccupazione a mille. «Aspetti! Io non ho mai dovuto mentire al Paradiso» affermò. «E se non ci riesco? E se dico qualcosa che non dovrei?»

    L'altra le mise le mani sulle spalle, un sorriso incoraggiante sul volto. «So cosa si prova, credimi» le disse, facendole l'occhiolino. «Ci sono passata. Ascolta: tu fa' come non fosse mai accaduto niente. Comportati come facevi in Paradiso prima di tutta questa storia, e vedrai che andrà tutto benissimo. Va bene?»

Il bussare si fece più insistente, seguito da un tuono che prometteva guai. Muriel si ritrovò ad annuire, per quanto fosse tutto fuorché sicura.

E se fosse stato Metatron? E se qualcosa fosse andato storto? E se fosse finita nei guai? E se, se, se.

Si preoccupava sempre di troppe cose: la caratteristica che l'aveva fatta sentire un po' più vicina ad Aziraphale.

Mentre rimuginava, andò a rimettere la sua coperta sul divano. Nascose i suoi appunti in un cassetto e trovò persino il tempo di lisciarsi la gonna. Dietro di lei, Maggie prese un libro a caso da uno scaffale e si accomodò sulla prima poltrona disponibile, rivolgendole un cenno di intesa.

Mettendo su il più convincente dei sorrisi, la piccoletta si fece coraggio e andò ad aprire la porta.


°•°•°


Metatron c'era andato giù pesante con la pioggia. Aveva accennato al fatto che avrebbe ridotto il mondo ad uno stato che il diluvio universale avrebbe potuto invidiare, ma Saraquel non si aspettava certo una cosa simile.

Per quanto la pioggia non potesse toccarla, lo scrosciare che produceva cadendo sull'asfalto la disturbava. Il Paradiso era silenzioso, a differenza della Terra. I tuoni, i ticchettii, le ruote sul bagnato erano tutti parte di una cacofonia che la fece fluttuare il più velocemente possibile verso l'entrata della libreria.

Dovette bussare due volte, il che bastò a suggerirle che Metatron aveva ragione. Era ovvio che Aziraphale fosse tornato lì, così com'era ovvio che Crowley avesse fatto altrettanto.

Eppure, le cose non andarono come aveva previsto.


Ovviamente, fu Muriel ad accoglierla.

    Aveva il solito sorriso ingenuotto sul volto, puntellato solo dal nervosismo che produceva l'essere d'innanzi ad un superiore. «Buongiorno!» Canticchiò. «A cosa devo la visita?»

Avanzando sulla rampa da lei stessa creata, Saraquel si guardò attorno. Non le pareva che quel posto fosse cambiato granché: era il solito ammasso di oggetti e disordine.

    «Semplice visita di controllo» affermò in quella che era pur sempre la verità, solo non del tutto approfondita. «Mi manda Metatron.»

Tirò un'occhiata di sottecchi all'umana sulla poltrona. Evidentemente, era una di quei "clienti" o qualunque fosse il nome degli avventori di quel luogo. Come previsto, questa non le rivolse che un semplice "Salve" prima di tornare alla sua lettura. Non poteva capire ciò che si sarebbero dette, perciò le voltò le spalle e si sovrappose tra lei e Muriel.

    Questa si mise educatamente le mani dietro la schiena. «Strano. Finora non ho ricevuto visite di controllo né messaggi o lettere» affermò, il sorriso perennemente sul viso.

    Saraquel andò al punto. «Ho bisogno solo di un'informazione semplice e veloce. Di che tu sappia, Aziraphale è passato di qui?»

    Sul volto di Muriel si dipinse una quasi esagerata espressione di sorpresa. «Perché avrebbe dovuto? Pensavo fosse in Paradiso.»

Effettivamente, scandagliando bene ogni singolo anfratto sia fisico che metafisico della libreria, Saraquel non sentì nulla di anche solo vagamente angelico - Muriel esclusa. Le cose erano due: o davvero il neo arcangelo non era lì, oppure si stava nascondendo particolarmente bene.

Ho lasciato qualcuno laggiù. Aveva detto Metatron. Qualcuno che non ci mentirebbe mai, anche perché non è certamente in grado di farlo.

Effettivamente, l'angioletto di fronte a lei pareva, come al solito, alquanto svampito. Ma così come Aziraphale, forse anche Muriel era capace di nascondere qualcosa. Se c'era una cosa che i recenti eventi le avevano insegnato, era che l'apparenza ingannava spesso.

    «E che mi dici dei demoni?» Chiese poi, sguardo fisso sulla sua sottoposta. «Ne è passato qualcuno? Specialmente quel Crowley. Ti ricorderai di lui.»

    Muriel annuì: «Oh, ma certo. Come dimenticarlo: l'ho persino portato in Paradiso. Non si vede da un po', in effetti.»

Oltre a non esserci nulla di angelico, pareva non esserci neanche niente di demoniaco in libreria. Strano, molto, troppo strano.

Saraquel non si fece certo fermare da quei particolari. Le cose potevano essere molto più complicate di quel che sembravano: quei due li avevano ingannati con Gabriele, dopotutto. Prima ancora, avevano fermato l'Apocalisse ed erano sempre stati particolarmente strani, immuni a qualsiasi cosa dovesse far loro del male.

    «Bene, immagino di dover rivolgere le mie attenzioni altrove, allora» affermò, pacata.

Muriel annuì energicamente.

    «So che tu non mi daresti mai informazioni errate, dico bene?»

Muriel fece una leggera smorfia e scosse il capo. Poi si bloccò, sbatté gli occhioni scuri, realizzò, e riprese ad annuire.

    «Essia, continua pure a fare ciò che stavi facendo». Fece per tornare alla porta, ma si fermò per qualche secondo accanto al fianco della piccoletta. «Semmai Crowley dovesse tornare, digli che lo saluto.»


Tornò da dov'era venuta, lasciandosi dietro la pace fin troppo perfetta della libreria e il rumore fin troppo assordante dell'acquazzone. Avrebbe riferito ciò che non aveva percepito a Metatron, dopodiché avrebbe fatto un giro in qualche angelico archivio.

C'erano alcune cose che doveva controllare.

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Capitolo 11
*** Il segreto ***


Quando arrivò, la prima cosa che rivide furono le stelle. Illuminavano un cielo macchiato di rosa, viola e sprazzi di giallo: un'atmosfera che normalmente lo avrebbe fatto perlomeno sorridere, ma che quella volta gli fece solo ricadere addosso un altro velo di ansia. Era ovvio che Aziraphale stesse cercando di rendere l'atmosfera il più piacevole possibile, il che significava che la questione che aveva tra le mani era davvero grave come diceva.

Con un sospiro, Crowley si tolse gli occhiali e si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con l'essere più composto e complicato della sua esistenza.

    Questi, con le mani ansiose ben attorcigliate l'una all'altra, gli rivolse un leggero sorriso. «Sei tornato di nuovo» mormorò nel silenzio.

Il tono che utilizzò era di un tipo che il rosso fece fatica a catalogare. Li conosceva tutti: quello felice, quello annoiato, quello che pareva casuale ma che nascondeva una o più richieste... Questo era stranamente stupito, come se non ci credesse o non se lo aspettasse. Forse, una volta tanto, l'angelo non aveva dato il suo intervento per scontato.


Crowley non si era preparato un discorso, ma capì che non ce n'era bisogno. Doveva fare una semplice ma complicatissima cosa: essere chiaro. Doveva dire esattamente ciò che pensava e ciò che voleva, no?

Maggie lo aveva detto: niente sentimentalismi, non subito. E l'agente aveva ragione: dovevano partire dalle priorità.

    Così, il rosso avanzò sicuro - o almeno, così cercò di apparire - verso Aziraphale. Gli mise entrambe le mani sulle spalle, stringendo un po' la presa e godendo per un secondo del fatto che fossero salde e morbide come ricordava. «Ascolta, so che abbiamo davvero un bel po' di cose da dirci» iniziò, fissando intensamente le pozze azzurre e stupite di fronte a sé. «E ti prometto che lo faremo. Parleremo di tutto: di noi, di quello che è successo l'ultima volta, tutto. Va bene? È una promessa» ripeté, enfatizzando il concetto. «Ora però, proprio qui fuori, c'è qualche inviato del Paradiso sicuramente venuto a cercarti. Sai cosa vuol dire, vero?»

    Aziraphale staccò lo sguardo e sospirò: «Immaginavo sarebbe successo» disse, tornando subito a fissare l'altro con una punta di determinazione misto timore. «Sei davvero sicuro di volermi ancora aiutare?»

Wow, quella era decisamente una novità. Crowley non si era mai posto quel dubbio, nemmeno le volte in cui la situazione si era fatta pesante e le cose stavano per crollare. Lui aiutava l'angelo e basta: così aveva deciso di fare e così aveva sempre fatto. Mai e poi mai aveva messo in discussione la cosa ma, soprattutto, mai e poi mai era stato Aziraphale stesso a farlo.

    Per una volta, almeno, fu sicuro di ciò che stava per dire. «Te l'ho detto: se voglio che tu mi dica cosa nascondi, è proprio perché ti amo troppo per perderti a causa di quegli stronzi al piano di sopra» ripeté, stavolta con fermezza. «Non mi interessa a cosa stiamo andando incontro, mi interessa andarci incontro insieme.»

Dovevano solo imparare a collaborare. Buffo: lo avevano sempre fatto, no?

Certo che sì, si disse Crowley, ma solo poche volte avevano unito le forze per davvero. C'era differenza tra il farsi qualche favore e l'aiutarsi. Inoltre, ogni buona collaborazione parte dal dialogo: quella cosa che entrambi facevano molto male, evidentemente.

    Aziraphale annuì, ma sul suo volto era piombata la vera e propria preoccupazione. «Ho paura» mormorò. «E se dovesse succederti qualcosa?»

Al rosso scappò una mezza risata. Si costrinse a non piangere intanto che decideva se dire la cosa più dolorosa, decisamente smielata ed appiccicosa che gli fosse mai venuta in mente.

    «Dubito esista qualcosa o qualcuno che possa farmi stare peggio di come sono stato finora. Un anno senza di te, e l'idea di un'eternità senza di te, fanno più male di qualsiasi altra cosa.»

Non si spinse oltre: non era il momento. Il baratro era sotto di lui, ma non vi si buttò, non subito.

Vero era che avevano passato molto più di trecentosessantacinque giorni separati, ma quella volta era stato diverso. La separazione aveva colpito diversamente, forse per via della sua mezza confessione, forse per via del bacio... In ogni caso, era stato fottutamente doloroso.

Altrettanto doloroso fu vedere gli occhi dell'altro riempirsi di lacrime dopo quell'affermazione. Stava chiaramente combattendo contro la voglia di aggiungere qualcosa, il che, per quanto straziante, era anche stranamente positivo. Aveva capito: una volta tanto aveva ascoltato attentamente e aveva capito, abbattendo la voglia che aveva di portare avanti il discorso.

Non solo; dopo essersi passato un braccio sugli occhi - e dopo essersi preso tanti preziosi secondi - Aziraphale scostò delicatamente le mani di Crowley dalle sue spalle solo perché potesse stringerne una. Dopodiché, senza una parola, iniziò ad avanzare verso un punto imprecisato del simil-infinito che li avvolgeva.

Il rosso si lasciò guidare, ora ben incastrato tra due emozioni contrastanti. Da un lato c'era un sollievo misto sorpresa che gli rimescolava l'aura, la consapevolezza che aveva funzionato davvero e che l'angelo era stato a sentire. Ancor più forte vibrava l'eco della sua promessa: avrebbero messo le cose in chiaro una volta raggiunto un momento più calmo, più adatto. Era un barlume di speranza, quella punta di ottimismo che aveva annegato nell'alcool e nella tristezza.

Dall'altro lato c'era la ferma ma dolce stretta delle loro mani che, dopo un tempo breve ma infinito, tornavano finalmente a toccarsi. Avrebbe voluto stringere la presa, sentire quel calore che tanto aveva amato e che adesso gli faceva venire voglia di prendere una rincorsa dalla parte opposta per uscire da lì, tenersi stretto Aziraphale e fuggire.

Ma no, non ora. Non ancora.

Si concentrò sul panorama che cambiava. Il cielo lasciò spazio a file di scaffali sempre più fitti e sempre più simili a quelli della libreria.

Man mano che camminavano, l'ambiente diventava più familiare, più simile a un qualcosa che si sarebbe potuto trovare nella mente dell'angelo e meno simile ad una semplice distesa bluastra di tomi.

    «Dove siamo, esattamente?» Chiese, genuinamente curioso di capire come funzionasse quella specie di "dimensione parallela".

    «In un posto dove nessuno a parte me può entrare» affermò l'altro. «Beh, me e adesso anche te». Gli rivolse un leggero sorriso, poi tornò ad avere la stessa espressione stoica che aveva messo su poco prima; una maschera di determinazione rotta solo dal pianto che aveva trattenuto - ma non cercato di nascondere, un'altra novità che fece balzare l'ipotetico cuore di Crowley.

Era stranamente rassicurante vedere Aziraphale così sicuro. Quell'angelico fascio di ansia era spettacolare quando si impuntava: un'altra debolezza che il rosso si costrinse a soffocare, riportando i piedi per terra - o qualsiasi cosa fosse quella sotto di loro.

    «Sai, l'agen- ehm, Muriel aveva detto che avresti potuto nascondere le cose nei libri» disse invece, cercando di trovare una logica al percorso che stavano facendo. «Aveva ragione, direi.»

    L'angelo emise una leggera risata. «Immagino di essere alquanto prevedibile» disse, imbarazzato. Si fermò davanti ad uno scaffale che non aveva assolutamente nulla di diverso rispetto a tutti gli altri, lasciando delicatamente la mano di Crowley.

Scelse senza pensarci un volume che al rosso parve assolutamente casuale, nient'altro che uno dei tanti libri stravecchi che riempivano la libreria. Eppure, Aziraphale lo aprì con la delicatezza che riservava alle prime edizioni, come fosse più importante degli altri, come fosse completamente diverso.

Tra le pagine si trovava qualcosa: una specie di involucro bianco.

    «Che cos'è?» Chiese il demone, incuriosito.

    «È una cartella» spiegò l'angelo, tirandola fuori e rimettendo il volume al suo posto. «Viene direttamente dal Paradiso, perciò non è fisica. Non può stare fuori, ma qui dentro sì.»

La aprì, rivelando che al suo interno altro non c'era che un singolo foglio ben appuntato. La calligrafia era assolutamente inconfondibile: Crowley l'aveva vista su innumerevoli lettere.

    «Sono appunti tuoi?» Azzardò.

    Aziraphale sospirò, ora nuovamente preoccupato. «Molto più che semplici appunti: è il riassunto della nostra ultima riunione. Qualcuno di noi si prendeva la responsabilità di mettere tutto per iscritto, sai, perché venisse archiviato. Quella volta è toccato a me». Il rosso lo vide stringersi per un attimo il documento al petto, poi - con suo grande sollievo - l'angelo glielo porse. «Leggilo e capirai cosa intendevo.»


Il Paradiso era pieno di manie strane. Una di queste era quella di tenere tutto in cartelle che venivano poi archiviate in archivi infiniti, pieni di eteree scartoffie inutili. Erano i poveretti come Muriel a metterci mano: formichine ben addestrate che si occupavano solo di riordinare note e appunti. Certo, più in alto eri e più belle ed importanti erano le cartacce che potevi maneggiare, ma rimaneva comunque un lavoro aberrante.

    Con una certa ansia, Crowley prese l'oggetto della fuga. Solo dopo si rese conto di una cosa. «Aspetta un minuto. Mi stai dicendo che hai rubato un documento dagli archivi?»

    L'altro avvampò. «Assolutamente no! L'ho, ehm- preso in prestito con la scusa di doverlo correggere.»

Il rosso cercò di contenere una risata - derivata soprattutto dal fatto che adorava quando Aziraphale faceva qualcosa di considerabile sbagliato. Si costrinse a concentrarsi su ciò che aveva in mano, deciso ad arrivare in fondo a quella storia. Con la coda dell'occhio, poteva vedere l'altro torturarsi le dita.


Il documento sembrava essere il numero 1616, il che significa che gli arcangeli erano riusciti a fare la bellezza di mille e passa incontri in un anno. Crowley si disse che avrebbe preferito Cadere di nuovo piuttosto che ritrovarsi davanti a quel gruppo di pomposi per ben 1616 volte.

Già quell'informazione avrebbe dovuto suggerirgli che di cose importanti da sistemare ne avevano avute eccome.

Saltò qualche inutile preambolo, arrivando all'oggetto della riunione: la cosiddetta "Seconda Venuta".

Solo il nome gli fece venire un brivido. Venuta? Venuta di chi? O di cosa?

Corse a leggere, un po' spinto dalla curiosità e un po' dal timore. Fortunatamente, ormai era talmente allenato a decifrare quel corsivo che fu semplice come sfogliare un depliant.

    “I qui presenti Arcangeli, guidati dalla presenza della Voce di Dio - nonché capo dei Serafini - e dall'angelo da questi incaricato suo secondo, decretano ormai prossima la Seconda Venuta e il conseguente annientamento di qualsivoglia forma di peccato, malignità e cattiveria. La consegna verrà fatta dall'Arcangelo Supremo stesso, e ad essa seguirà l'azione del Generale in carica - i cui compiti sono già stati stabiliti. Pertanto, durante il prossimo periodo verranno allertate le truppe e preparato il necessario. La collaborazione di ogni singola Gerarchia è necessaria al corretto svolgimento delle operazioni. Il trionfo delle Armate Celesti è prossimo.”


Come se non fosse già chiaro, quella era la prova provata del fatto che Aziraphale non fosse completamente in sé durante la sua permanenza al piano di sopra. Nonostante i paroloni fossero decisamente da lui, era chiaro che la parte dell'annientamento non fosse del tutto opera sua; anzi...

    «È questo che ti ha fatto capire che qualcosa non andava» mormorò Crowley, ancora mezzo confuso da ciò che aveva letto. «Vogliono davvero distruggere l'Inferno?»

Non erano riusciti ad avere l'Apocalisse, ma avrebbero avuto qualcosa di meglio, a quanto pareva.

    Aziraphale annuì tristemente. «Sì, ma c'è di peggio. Ricordi quando hai detto di aver "messo al mondo" l'Anticristo?»

E come dimenticarlo? Era da lì che era cominciato il disastro ormai anni prima.

    Alla risposta affermativa del rosso, l'angelo continuò. «Bene, a me toccherà fare una cosa simile. Mettiamola così...»

Si capiva che era già tanto che fosse riuscito a dirlo in un colpo solo. Il suo sguardo cadde violentemente verso il basso, facendosi sempre più lucido e preoccupato.

    A Crowley servì un attimo per capire. Quell'attimo sfociò in una strabuzzata d'occhi e una spalancata di bocca. «O mio- beh, cioè, cazzo» commentò infine, non sapendo come altro descrivere la situazione.

Alla fine, quindi, il Paradiso aveva deciso di riportare giù il figlio del capo. Poco originale, considerando che l'Inferno ci aveva già provato, ma efficace.

Giravano voci su quel tipo: si diceva che riportarlo sulla scacchiera avrebbe portato l'Inferno a ridursi ad un'ammasso di demoni in poltiglia. Era un caso particolare: se lo ricordava bene, così come ricordava il visibilio che aveva portato il suo schivare la morte come fosse roba da tutti i giorni. Aveva quel fare calmo ma sicuro di chi sa di saperne di più, di avere la verità in tasca.

E adesso Aziraphale tra tutti avrebbe dovuto riportarlo sulla Terra. Su quel documento era messo tutto nero su bianco, come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo: il cielo è azzurro, l'ossigeno si respira e il figlio di Dio stava per tornare in circolazione.

    L'angelo parve esasperato - certamente non da Crowley, ma da ciò che quel documento comportava. «Capisci, adesso? Io-» si fece bloccare da quello che sarebbe dovuto essere un singhiozzo. Lo inghiottì, voltando la testa per domare le lacrime. «Non si faranno problemi a partire da te.»

Era verissimo, purtroppo. Di un vero doloroso. Così com'era vero che se un anno prima avesse deciso di tornare in Paradiso, sarebbe stato al sicuro. Ma no, sarebbe stato troppo facile farlo semplicemente tornare il frizzante creatore di stelle che era stato, anche perché...

Allontanò quel pensiero. Il Paradiso non aveva certamente voluto fargli un favore: era molto più probabile che Metatron avesse intenzione di ucciderlo una volta varcata la soglia dell'ascensore. No: lì gatta ci covava.

    «Va bene. Quindi è questo il problema» affermò, cacciandosi il foglio nella tasca interna della giacchetta. «Dobbiamo solo capire come risolverlo. Non prima di essere usciti da qui.»

Ostentò più sicurezza di quella che effettivamente aveva. Ciò che veramente lo animava in quel momento era la determinazione - e, in qualche modo, i sentimenti che si facevano a botte nella sua aura.

    Aziraphale esitò. Si perse in un ragionamento che lo portò solo a farsi ricadere le braccia lungo i fianchi. «Sì, ma... Come? Non sai per quanto e quante volte ci ho provato» lamentò, guardandosi attorno. «In realtà, non lo so nemmeno io.»

    Crowley aveva una sola, se così si poteva chiamare, idea. Muriel lo aveva detto: facevano cose pazzesche quando collaboravano; così, allungò una mano come la primissima volta che era entrato lì dentro. «Allora direi che hai già passato abbastanza tempo a sentirti in colpa, piangerti addosso e pianificare» gli disse - con più dolcezza del dovuto, ma non poteva farne a meno. Prima che Aziraphale potesse pensare di prendergliela, la tirò indietro, ricevendo uno sguardo confuso e anche un po' deluso. «Concentrati sull'uscire di qui, non sulla stretta.»

    L'altro arrossì appena, aggrottando la fronte. «Lo so, lo so» sbuffò. Poi si riaddolcì con un sospiro. «Mi dispiace di aver causato tutti questi problemi. E grazie, davvero.»

Di "grazie" detti con quello stesso tono di miele e quella stessa espressione, ora poteva dirlo, innamorata, Crowley ne aveva ricevuti a bizzeffe.

Ma quel "mi dispiace"? Era così genuino, così sincero, così immediato... Era dolce ed era vero.

    Il rosso ridistese la mano, un sorriso leggero ma presente sul volto. «Ti perdono.»

Per quanto paresse un po' un colpo basso e una bastardata rivolgergli quelle parole, queste sortirono l'effetto che si aspettava: illuminarono il volto candido dell'altro, ora decisamente sollevato e persino felice.


Era un interessante sprazzo di pace, quello lì. Erano accadute tante piccole ma importanti cose che avevano riacceso la speranza. Certo, ce n'era davvero tanto di lavoro da fare: una mole spropositata che rischiava di riallargare il divario.

Ma adesso erano insieme, si disse Crowley, stavano collaborando e la mano di Aziraphale era di nuovo stretta alla sua. Magari non sarebbe successo nulla, magari avrebbero dovuto riprovarci, magari avevano bisogno di un'idea migliore...

Stava tutto nell'immaginarsi fuori da lì, magari a chilometri di distanza, magari fuori dal mondo. Magari bastava voler fermamente immaginare di fare dietrofront e fuggire, come aveva fatto poco prima. 


Fu stranamente facile, quasi istintivo. Si concentrarono sulla stessa cosa nello stesso momento. Intrecciarono le dita e aspettarono che il mondo attorno a loro si riducesse ad un ammasso di ombre sfumate.

Dopodiché, uscirono.


°•°•°


Il balzo che fece sulla sedia fu quasi più traumatico del primo. Intanto che si concedeva un attimo per ricomporsi, Crowley sentì una stretta tiepida e debole attorno alle dita.

Il suo sguardo ancora stravolto ricadde sul letto. Aziraphale era sempre lì, una figurina assopita ancora fin troppo bianca, ma con la mano ancora ben ancorata alla sua.

Per un attimo, il rosso sentì una morsa di terrore stritolargli l'aura. E se avesse sbagliato? E se non avesse funzionato?

In quel caso, basterebbe riprovarci. Calmati.

Ma calmarsi non era un'opzione. Poteva essere anche peggiorata la situazione, per quel che ne sapeva.

    Si scostò dalla sedia e si inginocchiò accanto alla sponda del letto senza mai rompere il contatto. Scostò qualche ricciolo dalla fronte dell'altro, mangiato dall'apprensione. «Angelo?» Richiamò, sperando e quasi pregando di ricevere una risposta.

Per un attimo gli parve di essere tornato alla mattina precedente, a quando si era ritrovato davanti ad un'entità persa che somigliava solo esteriormente a quella che aveva amato - e che amava ancora, per quanto più dolorosamente.

Fortunatamente, la sensazione era destinata a non durare.


Vide l'altro portarsi la mano libera al volto e strofinarsi un occhio, la fronte aggrottata. Gli ci volle un attimo, così come sempre per qualsiasi cosa, ma alla fine schiuse gli occhi.

Erano due pozze azzurre ma non troppo, confuse e stanche più che perse, che volarono subito verso di lui.

Non scivolarono, non vagarono, non si distaccarono e non si persero. Si allacciarono al suo volto, lì rimasero e, dolcemente, sorrisero.

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Capitolo 12
*** Alpha Centauri ***


Non avrebbe dovuto farlo, ma fu praticamente istintivo, inevitabile, più forte di lui.

Quel sorriso leggero ruppe qualcosa nell'aura di Crowley: una specie di muro immaginario che adesso poteva sentire sgretolarsi e crollare un mattoncino alla volta. Il pianto gli risalì su per la gola, gli inondò gli occhi e lo portò a singhiozzare. Subito dopo, il suo corpo si mosse da solo, andando ad avvolgere le spalle dell'altro.

Lo strinse forte, gli afferrò la giacca, affondò il naso in quei riccioli di neve e pianse. Sentì un profondo sollievo nel notare che Aziraphale, dopo un solo attimo di esitazione, stava già ricambiando l'abbraccio, seppur più dolcemente.

Laddove il rosso aumentava la presa - colto forse dal terrore di vederlo sparire di nuovo, forse dalla consapevolezza che erano riusciti a tornare indietro entrambi - l'angelo accarezzava con cura e affetto infiniti, passando le mani su e giù per la schiena del demone.

È qui, si ripeté quest'ultimo in un mantra che prese a rimbombare nella sua testa. È qui, è qui con te, andrà tutto bene. Risolverete tutto.

Non avrebbe dovuto attaccarsi già così tanto, ma ne aveva un bisogno esagerato. Fu come prendere una boccata d'ossigeno dopo svariati minuti di apnea. Era un momento di debolezza che sentiva la necessità di concedersi se non voleva impazzire tra la pioggia, il Paradiso, la Venuta e i rimasugli di quell'anno terribile, rischiarato solo a tratti.

Aziraphale gli era mancato più di quello che credeva, più di quello che avrebbe voluto, dovuto e ammesso. Lo tenne stretto a sé come se ne andasse della sua intera esistenza, e quasi non gli dispiacque riempire di lacrime le stoffe troppo perfette di quegli abiti.


Si calmò lentamente, lasciando che i singhiozzi si sciogliessero sotto il tocco delicato e affettuoso dell'altro che, di tanto in tanto, lo zittiva con dolcezza e premura.

Godette di quella dimostrazione d'affetto ancora per qualche minuto, rendendosi conto del fatto che non si erano mai abbracciati prima di allora - il che era stupido, in effetti. Ora come ora, Crowley ci sarebbe volentieri rimasto ore in quella stretta; ma non poteva. Avevano una grossa gatta da pelare.

Si staccò quasi dolorosamente, passandosi un braccio sugli occhi. Le mani di Aziraphale, le stesse che non avevano saputo dove poggiarsi durante il loro bacio, sembravano ora intenzionate a non lasciarlo mai andare, scivolandogli sulle spalle in un moto di conforto.

Di solito, quello era il punto in cui il rosso andava a nascondere gli occhi lucidi, oscurando quelli dell'angelo di conseguenza; ma non stavolta. Stavolta accolse tutto il dispiacere, tutto l'amore e tutta la fedeltà racchiusi in quelle pozze azzurre. Aziraphale ci stava sperando davvero in qualcosa di più, e si vedeva dal fare languido con cui spostava lo sguardo sulle sue labbra. Il peggio era che Crowley lo avrebbe persino accontentato se solo non avesse deciso di mettersi un freno.

Di sicuro, era bello riavere quegli occhi addosso dopo aver temuto di vederli vagare per sempre. Si sarebbe accontentato, almeno per il momento.

    Avrebbe voluto dire qualcosa, ma l'angelo lo precedette. «Stai meglio?» Gli chiese con una dolcezza che, normalmente, il rosso avrebbe allontanato in un finto moto di rifiuto.

    Questi annuì: «"Meglio" è la parola giusta, sì. Tu?»

    Per la prima volta da quando era tornato, Aziraphale si mise ad osservare i dintorni con effettiva attenzione. «Sono felice di vedere che questo posto non è davvero cambiato poi granché» commentò, raddrizzandosi.

Nonostante sembrasse rallentato, Crowley non poté fare a meno di notare quanto splendesse invece la sua aura. Il fatto era che l'angelo pareva emanare proprio una sensazione diversa, adesso che poteva studiarlo meglio. Era più potente, più luminoso, e la sua essenza era più vibrante di ciò che ricordava. Ma, in fondo, era un arcangelo quello che aveva davanti: un titolo fin troppo altisonante per una creatura così evidentemente poco perfetta.

    Si fece scappare un sorriso affettuoso. «Ovvio, figurati se l'agente metteva qualcosa fuori posto» disse, ricordandosi improvvisamente in quale contesto aveva lasciato la piccoletta l'ultima volta.

Si lasciò scappare un'imprecazione e abbandonò la sedia per andare a dare un'occhiata fuori dalla finestra. Il cielo sopra i cumolonembi si stava rabbuiando, il che significava che tirare fuori l'angelo aveva richiesto più tempo del previsto.

    «Non scherzavi riguardo alla pioggia» mormorò Aziraphale, dando a sua volta uno sguardo al mondo esterno. Si era già messo sulla sponda del letto, il che fece stringere per un secondo l'ipotetico cuore di Crowley.

    Mise faticosamente da parte il suo lato protettivo, cercando di cammuffarlo in un'affermazione ragionevole. «Te l'avevo detto. Ora, potresti restare fermo dove sei?» Rimproverò, andando a mettere due ferme mani sulle spalle di Aziraphale. «Sei qui da nemmeno cinque minuti. Datti un attimo: ne hai bisogno.»

Va bene, poteva essere un'affermazione decisamente più ragionevole e convincente; anche perché non ottenne l'effetto sperato.

    L'angelo sbatté gli occhi, confuso. «Sto bene, davvero» affermò, il tono rassicurante - ma non abbastanza a detta del rosso.

    Difatti, questi strinse la presa. «Giusto per sicurezza. Magari vado di sotto, ti porto qualcosa, ci prendiamo due minuti e poi torniamo ai nostri affari, mh?»

Lo faresti per me? Per favore? Era quello che avrebbe voluto dire, anzi, pregare. Fortunatamente, capì dalle micro espressioni dell'altro che non ce ne sarebbe stato bisogno.

    Aziraphale si fece scappare una leggera risata che, da sola, parve rendere la situazione decisamente più sopportabile. «Da quando sei tu quello che vuole fare con calma?»

    «Da quando ho scoperto che non bevi cioccolata calda da un anno. Rimettiti come prima, potresti svenire per l'astinenza» scherzò Crowley, lasciandolo e andando già verso la porta. Si girò solo per scoprire che era riuscito a convincerlo e a strappargli persino un altro sorriso.

Sapeva già che, nonostante gli sforzi, quella visione avrebbe cercato in tutti i modi di mandare a quel paese la sua volontà di mantenere il distacco saldo fino ad una conversazione fatta come si doveva. La storia della sua esistenza, in pratica.


Scese le scale con una molla nel passo, ritrovandosi faccia a faccia con l'agente più in ansia che avesse mai visto.

    Quando i loro sguardi si incrociarono, Muriel si mise una mano sul petto. «Iniziavo a preoccuparmi» confessò, sorridendo come mai aveva sorriso prima di allora. «Sa, non sapevo se venire di sopra, restare qui, o, beh-»

    Mentre lei balbettava, Crowley si guardò attorno. «Sei rimasta sola?» Chiese, osservando la libreria con circospezione. Effettivamente, oltre alla piccoletta, i libri, la polvere e i tuoni al di fuori, non sembrava esserci nessun altro.

    «La signorina Maggie è andata via oggi pomeriggio dopo aver ricevuto una telefonata che, suppongo, fosse della signorina Nina» spiegò Muriel, ora decisamente più tranquilla. «Ammetto di essermi sentita un po' a disagio qui da sola, soprattutto dopo l'arrivo di Saraquel. Temevo potesse comparire qualcun altro.»

Il rosso si morse una guancia. Non sapeva chi fosse peggio tra gli arcangeli, ma Saraquel sembrava quella più sveglia - il che poteva essere sia un bene che un male. Ricordò il modo in cui gli aveva parlato in Paradiso, dicendogli che si erano già visti in passato. Poteva tranquillamente aver cambiato aspetto nel corso del tempo, ma Crowley era decisamente convinto di non averla mai vista in vita propria.

    Lasciò cadere la questione, tanto non era importante. Piuttosto, prese Muriel sottobraccio e la portò in cucina. «Che ne dici se prepariamo tre belle tazze di cioccolata calda, allora? Così, per allentare la tensione.»

    L'altra colse l'antifona spaventosamente in fretta, sussultando. «Ci siete riusciti? Aziraphale è tornato davvero?»

Bastò la conferma a farla saltellare per la gioia. Era fin troppo adorabile per gestire una situazione così pressante da sola, eppure eccola lì: fresca fresca di incontro a sorpresa con uno dei massimi rappresentanti del Paradiso.

    Poggiandosi con nonchalance al tavolo, Crowley la guardò iniziare a rimescolare allegramente in un pentolino. «Di' un po'. Cos'avete detto alla piccola sentinella di Metatron?» Chiese, genuinamente curioso.

    La domanda oscurò il sorriso di lei con un velo di ovvio disagio. «Beh, le ho semplicemente fatto capire che non avevo idea di dove foste» affermò, il tono stridulo e i movimenti un po' più affrettati.

Ma che carina, una principiante.

    Il rosso le diede un pugnetto sulla spalla. «Benvenuta nel club dei disertori. Come ci si sente ad essere una criminale, agente?»

    «È spaventoso, ma allo stesso tempo divertente» affermò Muriel, stavolta seriamente. Poi, abbassò la fiamma per inclinare la testa e dargli una lunga occhiata. «Sa, sembra più felice adesso.»

    Crowley sbatté gli occhi un paio di volte. Wow, le bastava davvero così poco per leggerlo? Alle volte la invidiava davvero. «Dici davvero?»

    «Davvero davvero. Ne sono contenta.»

E si vedeva che lo era, soprattutto dal modo giulivo in cui spruzzò la panna, spolverò la cannella e mise tutto su un vassoio che il rosso si offrì di portarle.

D'altronde, a guardar bene, una delle tazze sembrava un po' più piena delle altre.


°•°•°


Aziraphale fece un respiro profondo. L'aria di casa gli era mancata e non se n'era neanche accorto. Si era lasciato abbindolare così bene da farsi allontanare dalle sue mura preferite, il che lo fece sentire ancora più male.

Ancora più in colpa.


Provava una certa urgenza, come se tutti i "ti perdono" che aveva rivolto a Crowley gli stessero cadendo addosso. Era sempre stato la parte peggiore della coppia: quello dubbioso, quello restio, quello che vedeva cattive intenzioni dove non c'erano... Ne aveva fatti tanti di casini, ma l'altro non si era mai arreso con lui. Mai.

Difatti, il perdono lo aveva ricevuto anche se non se lo meritava - e ne era consapevole. E l'unica volta che era stato convinto di poter fare la cosa giusta, l'universo gli aveva remato contro. Sentiva il bisogno di redimersi ulteriormente, di fare qualcosa che lo rendesse degno di tali scuse, ma avrebbe dovuto aspettare. Di certo, sistemare la situazione Metatron con le emozioni che gli galoppavano nell'aura non era la miglior scelta; ma nemmeno il suo stato d'animo attuale era di aiuto.

Quando sentì la porta aprirsi, si passò nervosamente un braccio sugli occhi. Non era il momento. Non era mai il momento.

    «Angelo, abbiamo compagnia» annunciò Crowley, posando un vassoio sul comodino.

Dietro di lui comparve Muriel, evidentemente felice di rivederlo. Da un lato, era anche merito della piccoletta se era di nuovo lì, nella sua intonsa libreria. Avevano avuto modo di parlare per un po' quando l'aveva trascinata nella sua testa per errore, e aveva scoperto che avevano molte cose in comune. Era felice di sapere che a tutto il suo mondo ci aveva pensato lei, facendo sicuramente un lavoro migliore di quello che lui avrebbe mai fatto.

    Allontanò il pensiero, accogliendo con gioia la tazza che gli era stata messa tra le mani. «Una compagnia più che lieta, direi» commentò, accogliendo con gioia il sapore di panna e cacao nella sua bocca. Anche quello gli era mancato; era un dolce schiaffo alla pur sempre presente amarezza del caffè.


Muriel approfittò della situazione per metterlo al corrente di ciò che era accaduto nelle ultime ore. Aveva sempre tutto ben appuntato ed organizzato, lei: una caratteristica che la rendeva ancora più una buona compagnia agli occhi del neo arcangelo.

    «Saraquel è l'aiutante di Metatron, adesso» spiegò, non appena la piccoletta ebbe finito di raccontare la sua prima, importante bugia. «Capisco perché, in effetti. È organizzata, professionale, seria, dice sempre quello che pensa. Oltre a me, era quella che aveva sempre qualche opinione da avanzare.»

    «Stranamente, non mi fa paura come gli altri» confessò Muriel. «Quando ha incontrato me e Crowley in Paradiso è stata molto cordiale.»

    Aziraphale sbatté gli occhi, confuso. Si voltò verso il suo demone: «Conosci Saraquel?»

    «No, lei conosce me per qualche motivo. Ma non è questo il punto. Dobbiamo parlarle della vostra milleseicentesima riunione» affermò questi, indicando Muriel con la testa.

E fu quello che fecero, in modo persino stranamente organizzato. 

    La piccoletta ne rimase stupita, certo, ma non per molto. Presto, la Seconda Venuta le causó molta più perplessità che altro. «Di già? Sapevo che era in programma, ma pensavo ci volesse un po' di tempo prima di metterla in pratica.»

Effettivamente, era una voce che girava in Paradiso da moltissimo tempo. Dopo l'Apocalisse mancata, poi, i sussurri si erano intensificati, chiedendosi se tutto quel casino non fosse che un pretesto per accelerare i tempi. Aziraphale lo aveva scoperto dopo nemmeno un giorno o due di permanenza, ma lì per lì non ci aveva fatto molto caso. Semplicemente, aveva iniziato a fare il suo lavoro e non aveva commentato.

    «Ora che ci penso, per quand'è che sarebbe programmata questa cosa?» Chiese Crowley, tamburellando nervosamente le dita contro la sua tazza ancora intatta.

    Ecco, quello era un altro particolare che l'arcangelo aveva fatto fatica a rivelare. Non perché la data fosse spaventosamente vicina, ma semplicemente perché: «Non lo so» ammise.

    Gli altri due lo fissarono allibiti, soprattutto il rosso, il quale mise giù la cioccolata solo per alzarsi nervosamente dalla sedia. «Come sarebbe a dire?!»

    «Solo Metatron e Saraquel lo sanno» sospirò Aziraphale, facendo ricadere lo sguardo verso il basso per un attimo. «Però, non c'è molto che possano fare senza di me, no? Dovrei farla io la consegna.»

    Crowley aveva preso a fare avanti e indietro, semplicemente incapace di stare fermo ogni qualvolta qualcosa gli metteva ansia. «Questo li rende solo più determinati a trovarti» affermò. «E sanno che questo è il primo posto in cui ti verrebbe in mente di nasconderti.»

Era fin troppo vero: Metatron aveva già inviato qualcuno a controllare, e presto avrebbe capito che l'assenza del suo nuovo arcangelo era solo apparente. Erano di fronte ad un vicolo cieco e ancora non sapevano come uscirne. Avevano bisogno di più tempo, e Aziraphale si accorse che lì dentro non ne avevano.

Forse c'era una cosa che potevano fare. Era un po' azzardata, ma era l'unica soluzione alla quale era riuscito a pensare.

    Poggiò la tazza, stringendo nervosamente le lenzuola sotto i suoi palmi. «Andiamocene, allora. Almeno fintanto che non avremo capito cosa fare» disse tutto d'un fiato.

Lo sguardo aureo di Crowley lo investì, incredulo. Il neo arcangelo si pentì immediatamente di ciò che aveva appena detto, iniziando a rimproverarsi interiormente. Stupido, non puoi proporgli la stessa cosa per la quale avete litigato. Come puoi chiedergli ciò se sei stato tu il primo a rifiutare?

Il pianto gli salì alla gola, ma lo ingoiò. Il silenzio faceva male alle orecchie, ma si costrinse a sopportarlo.

    Fu Muriel, santa Muriel, a romperlo. «Aziraphale ha ragione» disse, come se avesse avuto la migliore delle illuminazioni. «Ci vorrà un po' prima che se ne accorgano. Nel frattempo, potrete pensare ad un piano.»

    Il demone fece volare lo sguardo verso entrambi più volte. Alla fine, lo puntò in quello ora offuscato del suo angelo. «Dici sul serio?» Mormorò a mezza voce.

Aziraphale non riuscì a capire se era un: "Sul serio?" Stizzito, o un: "Sul serio? Finalmente hai deciso di fuggire con me?" Carico di gioia. Si sentì ancora peggio nel constatare che Crowley sapeva leggere benissimo lui, ma lui non era capace di fare altrettanto.

    In ogni caso, la risposta era una. Un semplice, tremante, secco: «Sì.»

    La risposta, con suo grande sconcerto, non fu rivolta a lui. Semplicemente, Crowley fece un cenno della testa verso Muriel. «Nell'elenco telefonico, sai trovare il numero di Maggie?» Chiese, facendo rotolare le parole fuori dalla sua bocca. Sembrava una molla sul punto di balzare per aria. «Devo chiederle una cosa.»

    La piccoletta annuì energicamente: «Ma certo! Faccio in un attimo. La chiamo quando risponde» disse, quasi volando al piano di sotto.

Una volta che furono rimasti soli, Aziraphale sentì le mani tremanti dell'altro afferrarlo per la giacca. Per un attimo ebbe un brivido di puro terrore, il quale si sciolse immediatamente quando le labbra del rosso andarono a stampargli un bacio sulla fronte - caldo e carico di premura.

Lasciò che una lacrima gli rigasse la guancia, incapace di capire come prendere quella reazione. Ci aveva sperato in un altro tocco sulle labbra, ma aveva sentito una strana repulsione nel momento in cui aveva creduto di sentirlo arrivare.

Cosa non andava in lui, esattamente? Perché doveva sempre respingere la persona più importante della sua esistenza? Perché era sempre così profondamente segnato da ciò che il Paradiso gli aveva insegnato, nonostante le volte in cui non era stato d'accordo?

Continuava, anche inconsciamente, a sbagliare. Voleva amare, ma non sapeva come farlo. Qualsiasi cosa facesse non andava mai come sperava.

    Il suo pianto venne asciugato da due dita che passarono, decisamente ma con cura, sotto i suoi occhi. Ma ciò non bastò comunque a fermare le lacrime, anzi: «Sai che non è una fuga definitiva, vero?» Sentì l'urgenza di spiegare alle belle pozze dorate che aveva davanti.

    Crowley annuì, un po' più serio e amareggiato di prima. «Lo so, lo so. Nulla è per sempre, giusto?»

Forse, il rosso non ci credeva davvero. Forse non ci credeva davvero nemmeno Aziraphale a quell'affermazione. Qualunque fosse la verità, la lasciarono nell'aria, pronti a riprendersela al momento opportuno.

    Ora come ora, Muriel era già tornata, facendo le scale di corsa. «È al telefono che aspetta» annunciò.


Il neo arcangelo scese al piano di sotto con la sua perennemente giuliva "sottoposta" - la quale aveva dolcemente insistito a cingergli il braccio per le scale; tocco che Aziraphale non rifiutò per gentilezza.

    Avevano seguito a ruota il passo affrettato di Crowley, il quale aveva afferrato la cornetta, poggiandosi alla scrivania in pochi, fluidi, movimenti. «Ehi, sì, sono io. Mi avevi detto di chiamarti in caso di bisogno, no? Beh, eccomi qui» disse, lasciando qualche attimo all' altra per rispondere. «Ottimo, senti. Come hai fatto a nasconderi così bene finora? Ma soprattutto, posso usare lo stesso trucchetto su un luogo?»

L'area attorno a loro si riempì di: "mhmh" e tuoni, alcuni più vicini di altri, intanto che Aziraphale e Muriel si scambiavano qualche occhiata dubbiosa e una scrollata di spalle.

    La telefonata si concluse con il rosso che, giocherellando con la molla della cornetta, sembrava fare a botte con un sacco di ragionamenti. «Ho capito, va bene. Sì, ti tengo aggiornata. No, non faccio idiozie. Magari te lo dico dopo, va bene. Ok, d'accordo, senti: grazie, davvero. Salutami Nina, ciao». Sbuffò, guardò gli angeli davanti a sé e fece un inutile ma calmante respiro profondo. «Non sarà come andare su Alpha Centauri, ma credo di avere un posto in mente.»

Che fosse ai confini del cosmo o semplicemente in un altra zona del Regno Unito, ad Aziraphale non importava. Una volta tanto, sarebbe andato fino in capo al mondo se ciò significava rimediare al danno che aveva causato.

Meglio tardi che mai, si disse. Era ora che iniziasse davvero a fare la cosa giusta.


°•°•°


Saraquel sfilò la cartella che tanto aveva cercato da uno dei miliardi di archivi stipati in quell'angolo di Paradiso. Era una di quelle che non potevi aprire a meno che non fossi abbastanza in alto da poterlo fare ma, fortunatamente, lei aveva esattamente ciò che serviva.

Fluttuò verso il suo "ufficio" che alla fine era una stanza fin troppo grande e fin troppo esposta per essere un luogo privato. Se ne sarebbe fatta una ragione, aveva un bel malloppo di cose da analizzare e doveva farlo prima che Metatron la richiamasse. Perciò, non perse tempo.

Poggiò il tutto sulla sua scrivania, aprendo il fascicolo pieno di simil fogli ben impilati e ancora candidi, seppur lasciati lì per eoni.

Nessuno andava mai a bazzicare nei documenti dei Caduti, ma quello era un caso particolare: il caso particolare per eccellenza. Il qualcuno di cui Metatron non si preoccupava. Il qualcuno che non si ricordava di lei.


Così, nel silenzio assordante del Paradiso, l'aiutante in carica del capo dei Serafini decise di fare un tuffo nel passato, un passato lontano ma ancora pieno di segreti.

Alcuni più cruciali di altri.

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Capitolo 13
*** La fuga ***


Ciao a tuttə!

Chiedo infinitamente scusa per il ritardo, ma la mia voglia di concludere la Dicotomia una volta per tutte - e i casini della vita, soprattutto - hanno reso la realizzazione di questo capitolo un'Odissea non da poco.

Sappiate che apprezzo ogni singolo feedback, anche quando non rispondo o me ne dimentico. Ne approfitto, quindi, per ringraziare chiunque abbia la pazienza di attendermi e la voglia di leggermi ❤️.

Che dire, se non: buona lettura!

Con amore,

Neamh


--


La pioggia le scrosciava attorno, creando una fitta cortina che rendeva l'entrata della libreria un'offuscata macchietta rossastra. Era da un po' che andava avanti così, e più tuonava, più a Shax saliva una specie di brivido fastidioso lungo l'ipotetica spina dorsale.

Tutto si sarebbe aspettata, tranne tornare in quel postaccio per lo stesso identico motivo di un anno prima. Le erano arrivate voci bizzarre, e l'esperienza le aveva ormai insegnato che bizzarro equivaleva a Crowley il novantanove e passa percento delle volte.

Il Paradiso continuava a perdere arcangeli, mentre l'Inferno continuava a girare attorno allo stesso demone da troppo tempo. Quella testina rossa iniziava seriamente a darle fastidio, soprattutto adesso che sembrava essersi volatilizzato al pari del suo cocchino.

Qualsiasi cosa accadesse, qualsiasi problema ci fosse, era sempre e comunque colpa loro.

Quella storia puzzava, e non solo di umidità.


    «Stai cercando qualcosa?» Le chiese una voce alle sue spalle, subito preceduta da un tuono fin troppo vicino al suolo.

Nonostante il rumore forte ed insistente dell'acqua sull'asfalto, Shax poté sentirla forte e chiara. La riconobbe persino, e tanto bastò a farle venire la pelle d'oca.

    Si voltò, celando il nervosismo sotto una maschera di serietà. «Potrei chiederti la stessa cosa» affermò, fissando l'elegante figura davanti a lei. «Ho sentito dire che non scendi spesso, eppure è già la seconda volta che vieni da queste parti.»

Il massimo esponente dei piani alti e la massima esponente dei piani bassi si fissarono negli occhi.

A Metatron piaceva fare la differenza. Laddove gli angeli prediligevano abiti chiari e ben adattati alle loro forme più visibili, il capo dei Serafini preferiva avvolgersi in giacche scure e comode che lo facevano sembrare un vecchietto affabile.

Anche a Shax piaceva fare la differenza. Laddove i demoni amavano farsi vedere con strati su strati di deformi e strappate simil stoffe scure, lei prediligeva tutto ciò che fosse elegante, rosso e vinaccia - e che la facesse sembrare una signora bella e composta.

Non una goccia cadeva loro addosso. L'acqua pareva volerli volutamente evitare, andando direttamente a schiantarsi sul terreno.

    Come se stesse parlando con una collega, o una conoscente di vecchia data, Metatron affermò: «Sto solo facendo il mio lavoro, così come tu stai facendo il tuo.»

    «È vero che ti sei perso la tua nuova recluta?» Ridacchiò lei. «Basta un solo anno e subito la quota di arcangeli supremi che fuggono si alza.»

    «Interessante sentirselo dire dalla sostituta del Signore delle Mosche che, se ben ricordo, ha deciso di andarsene volontariamente» affermò Metatron, sistemandosi la giacca. «Vedi, è proprio questa la differenza: il vostro ex-capo ha deciso di svolazzare chissà dove di sua spontanea volontà, mentre sono stato io ad allontanare l'ex-arcangelo, spedendolo qui. Ciò che è accaduto dopo, non è altro che una spiacevole conseguenza.»

Riusciva ad apparire sicuro, pur mantenendo quel finto tono cordiale. Puzzava di fregatura lontano un miglio, tanto che Shax si chiese come facessero i suoi sottoposti a fidarsi di lui. D'altronde, avrebbe voluto ribattere, dire che per tirare giù quella sottospecie di diluvio universale bisognava essere davvero spazientiti - e per nulla in controllo della situazione. Ma si ritrovò a richiudere la bocca, bloccata da un'altra arguta affermazione.

    «Se non vado errato» riprese lui, «è vero, io ho perso due angeli. Ma tra Belzebù e Crowley, mi pare che anche voi siate a quota due. A proposito della serpe: dov'è?»

    Al demone scappò una smorfia. «Non è ovvio? È esattamente dove si trova il vostro fuggitivo.»

    «Ovviamente: la libreria. Il piccolo, intoccabile nascondiglio in cui Aziraphale ha costruito il suo piccolo angolo di mondo. Dove, altrimenti?». Si era avvicinato, sostando accanto alla sua controparte, sguardo fisso davanti a sé. «Ne resti ancora fuori, vedo.»

    «Non amo questo posto» borbottò lei. «Le luci sono accese» fece notare poi, indicando con la testa l'offuscato bagliore giallo e accogliente che filtrava dalle finestre.

    «Se ne occupa uno dei miei, adesso. Qualcuno che non potrebbe torcerti un capello nemmeno volendo.»

    «Qualcuno che non ti tradirebbe mai?»

Lo disse con sarcasmo graffiante, ma non una punta di fastidio cadde sul volto di Metatron. Ovviamente, lui non si faceva toccare da certe cose: era in alto, era potente, il male non gli faceva che ribrezzo. La situazione era strana come sempre lo era stata negli ultimi anni, eppure lui se ne stava stoico davanti all'ingresso, pervaso dalla stessa calma che si potrebbe avere sorseggiando del caffè durante una fredda mattina autunnale. Aveva qualcosa in mente - quello, o era semplicemente il classico pallone gonfiato che crede di avere ragione. Un tipico angelo, insomma.

    «Penso che non abbia nemmeno idea di cosa sia il tradimento» rispose infatti, facendo un passo avanti verso l'ingresso. «Credo che entrare sia l'unico modo per ottenere informazioni, in ogni caso.»

    «Non farai nulla per fermarmi?» Chiese il demone, il tono carico di dura incredulità.

    «A me pare che ti stia frenando da sola. Da quanto sei qui, esattamente?»

A dirla tutta, Shax non lo sapeva. Si sentì alquanto stupida: in fondo, ora avrebbe potuto sfondare la porta senza che nessuno le dicesse niente. Forse, a frenarla era proprio l'idea che un arcangelo fuggitivo - e presumibilmente con ancora tutte le memorie al loro posto - avrebbe potuto innescare una trappola mortale sull'uscio senza troppi problemi. Forse era semplicemente l'atmosfera che puzzava come i piani alti del Paradiso: aria pulita, cieli tersi e nuvole. Forse era la pioggia che le dava fastidio. Forse - e questa era l'ipotesi più probabile - il suo sesto senso aveva ragione e la stava mettendo in guardia.

    Stringendo i pugni - ma tenendoli ben nascosti nelle tasche affinché Metatron non li vedesse - si avvicinò a sua volta. «Non da molto» mentí. «Che aspetti? Bussa.»

Ma al capo dei Serafini non serviva certo bussare. Semplicemente, aprì l'ingresso della libreria come fosse casa sua e vi entrò, seguito a ruota dalla sua elegante e decisamente poco convinta controparte - la quale avrebbe scoperto che dare ascolto ai propri istinti può essere fondamentale, alle volte.

Peccato che lo avrebbe scoperto troppo tardi.


°•°•°


Ventiquattro ore prima, Crowley aveva preso Muriel per le spalle, rosicchiato da quella che aveva catalogato come ansia.

    «Hai capito cosa devi fare?» Le chiese, sentendosi anche un po' in colpa per il fare da mammina preoccupata che stava adottando. Sapeva benissimo che la piccoletta non era stupida e che di certo non aveva bisogno che le cose le fossero ripetute venti volte. Eppure, non poteva fare a meno di dirsi che, se solo avesse potuto, se la sarebbe portata dietro - e si sarebbe sentito meglio.

    «Continuare a far finta che io non vi abbia mai visti, rispondere sempre al telefono come se stessi parlando con un cliente, usare le parole in codice durante la chiamata se ci sono altri angeli oltre a me...» catalogò lei, picchiettandosi il mento con un dito. «Direi che ho tutto sotto controllo.»

E, in effetti, era molto probabile che fosse così. In fondo, erano rimasti a parlare per ore attorno al tavolo della cucinetta, intenti a pianificare quella che era in tutto e per tutto una fuga.


Per tutto il tempo, Crowley aveva cercato in tutti i modi di concentrarsi sullo scribacchare di Muriel piuttosto che su Aziraphale accanto a lui.

Quasi involontariamente, aveva spostato la sedia un po' più lontano dal quella dell'altro, esattamente come la seconda volta che avevano parlato telepaticamente.

Come al solito, era stato mangiato sia dal rimorso che dalla consapevolezza che necessitavano entrambi di quella sottospecie di separazione. Fortunatamente, spesso e volentieri, i pensieri negativi vennero eclissati dal ragionare delle sue creature celesti preferite, le quali trovarono - ed alquanto agilmente, pure - delle ottime idee.

Alla fine, il piano venne architettato nella seguente maniera: Crowley si sarebbe occupato di portare sé stesso e Aziraphale lontani da lì - incluse tutte le magagne che sarebbero seguite. Muriel sarebbe dovuta rimanere in libreria per evitare di destare sospetti, il che aveva portato alla creazione delle suddette parole in codice.

Erano state una trovata del neo-arcangelo stesso, il quale era ormai abituato ad intrattenere conversazioni al telefono che fossero il meno sgamabili possibile. In effetti, Crowley si disse che, a differenza sua, Aziraphale non si era mai infilato in una cabina telefonica e raramente si era ritrovato in libreria completamente solo. Ne aveva di assi per la manica, e sapeva bene come usarli.

Come al solito, avrebbero operato in segreto, nascosti sotto gli occhi di tutti. La più formidabile delle magie o, come il demone preferiva dire, il migliore dei trucchetti.


    «Non sarà per molto» ricordò Aziraphale, avvicinandosi come se avesse paura di disturbare - e probabilmente era proprio così. «Inoltre, abbiamo anche deciso cosa fare in caso di emergenza. Giusto, cara?» Chiese, rivolgendo alla piccoletta un sorriso cordiale.

Il rosso non poté fare a meno di notare che anche l'angelo, per quanto faticosamente, stava cercando di mantenere una certa distanza. Se ne stava a un metro dalla sua spalla, incerto su quanto gli fosse permesso avvicinarsi.

    Muriel annuì. «So come trovarvi, nel caso. Ho conservato la cartina, scritto le coordinate e messo tutto dove nessuno guarderebbe mai.»

Quasi saltellava, mani dietro la schiena, sorriso sincero perennemente sul volto. Probabilmente, si sentiva al settimo cielo nel suo nuovo ruolo di agente segreto. La piccola poliziotta stava assaporando l'adrenalina che si prova ad andare contro le regole, e a Crowley faceva leggermente paura - nonostante provasse, al contempo, una punta di fierezza.

    Si costrinse a lasciarla andare con un sospiro. «Non fare idiozie.»

    Lei ridacchiò. «Finora non ne ho mai fatte. Non inizierò di certo adesso.»

Fosse stato per lui, avrebbe risposto con un convinto: "Mh", e avrebbe preso la porta. Venne bloccato dal leggero colpetto che Aziraphale gli diede sul braccio, seguito da un'espressione di vago rimprovero e un cenno della testa.

Sentendo già le guance formicolargli, il rosso alzò gli occhi al cielo e allargò le braccia, giusto un pochino, quasi sperando che Muriel non capisse.

E invece, come al solito, lei capì al volo.

Se la ritrovò aggrappata alla vita, stretto - strangolato, quasi - da un abbraccio che sapeva di goffa prima volta, ma anche di affetto genuino. Era proprio da lei, si disse, intanto che le dava qualche imbarazzata pacca sulle spalle.


Salirono in macchina, venendo subito ingolfati dal ticchettare violento ed imperterrito della pioggia sul tettuccio.

La prima cosa che Crowley notò, fu il rombo che la Bentley fece appena accesa. Sembravano quasi le fusa contente di un gattone nero al quale è stata messa davanti una ciotola di leccornie. Era evidentemente contenta della presenza dell'angelo, il quale la salutò con qualche leggera pacca sul cruscotto e un sorriso fin troppo triste sul volto.

    «Non l'avrai mica convinta tu ad abbracciarmi» borbottò il rosso, partendo in volata - non del tutto, causa l'asfalto bagnato.

    «Si vedeva che voleva farlo» affermò Aziraphale. «Ti vuole bene.»

Crowley non rispose, anche perché non avrebbe saputo come ribattere. Era ovvio, come il colore del cielo e il giorno di chiusura delle librerie, eppure faceva uno strano effetto.

Complicate davvero, le relazioni. Particolare davvero sapere che gli esseri che più lo amavano erano due angeli.


Non dissero una parola per tutto il viaggio. Nemmeno i Queen fiatarono, probabilmente, anzi, decisamente perché la Bentley stessa avrebbe voluto che i suoi passeggeri parlassero.

Ma no, non era il momento.

Dando un'occhiata ogni tanto al sedile accanto al suo, Crowley si ritrovava sempre davanti ad un neo-arcangelo assorto, o comunque che gli sorrideva lievemente, le mani o intente a stropicciarsi, o pronte ad aggrapparsi a qualcosa ogni volta che la velocità aumentava di un pelo.

L'atmosfera era ad un crocevia tra la calma e l'imbarazzo, il tutto condito dalla pioggia che, scoprirono, non si fermò nemmeno quando furono ormai lontani dalla città.

Oltre le miriadi di goccioline sul vetro, il paesaggio al di fuori si faceva sempre meno affollato di edifici e sempre più costellato di orizzonti addolciti da verdissime colline. Sulla strada non incontrarono che qualche umano coraggioso che cercava di passare oltre la sferzante cortina di pioggia.

    «Come mai hai scelto proprio questo posto?» Gli chiese l'angelo ad un certo punto.

Era chiaro che, in realtà, lo aveva già immaginato benissimo da solo. Il suo, si disse il rosso, era solo un modo per rompere la quiete innaturale che si era creata tra loro.

    «È lontano, isolato, tranquillo e c'è una bella vista ovunque tu vada» affermò. «Ti piacerà. Dove stiamo andando, dico.»

Era un po' come andare su Alpha Centauri, in effetti. Solo meno spettacolare, meno lontano e in un contesto decisamente meno felice di quello che il demone aveva immaginato.


I tuoni smisero di seguirli, ad un certo punto - il che fu rassicurante.

Più si addentravano nell'amena zona delle South Downs, più Crowley sentiva un certo sollievo. Certo, non che fossero andati in capo al mondo, ma almeno erano lontani dalla capitale, dalla libreria, da Soho, da laddove chiunque avrebbe potuto trovarli se solo ci avesse provato abbastanza.

Inoltre, era da un po' che lui e Aziraphale non andavano a visitare quelle scogliere così bianche, dritte e levigate da far quasi paura. Lì, il mare in burrasca si infrangeva su un territorio florido ma quasi disabitato dove, non troppo lontano dalla costa, se ne stava un piccolo, accogliente e ben curato cottage che già iniziava ad intravedersi a lato della strada.

In mezzo al freddo e all'umidità sembrava un piccolo falò dal crepitare accogliente.

    «Me lo ricordo, questo» disse l'angelo una volta che ebbero accostato nel vialetto d'entrata. Fissava le pareti bianche dell'abitazione come fossero fatte di perla. «Ne scattai una foto, tempo fa. Mi piacque tantissimo.»

    Crowley si fece scappare una mezza risata. «Già, foto che hai lasciato sulla scrivania. E poi, figurati se mi dimenticavo di tutte le volte che mi hai detto quanto ti sarebbe piaciuto viverci.»

    L'altro arrossì appena, andando subito a posare lo sguardo verso il basso. «Non dirmi che hai fatto in modo che rimanesse disabitato per tutto questo tempo.»

    «Forse» lo liquidò il rosso, aprendo la portiera e facendo comparire un ombrello. «Resta dove sei.»

Fece il giro dell'auto e aprì il lato passeggero, offrendo un braccio come fosse semplice prassi. Prendendoglielo, l'angelo si fece stretto stretto accanto a lui. Il leggero solletico di quei ricciolini - ora leggermente più scombinati - sulla tempia gli fece salire un brivido su per la schiena.

Aziraphale mormorò un timido "grazie", stringendo la presa quasi come avesse paura di lasciarlo andare - e forse era davvero così.


Entrarono, e la prima cosa che Crowley fece fu accendere il camino.

Le fiamme illuminarono un accogliente salottino, inondandolo di una luce morbida e calda. Al di fuori si sentiva il lontano infrangersi delle onde, mischiato all'ormai immancabile ticchettio della pioggia sui vetri.

    «Siediti, ti preparo qualcosa» disse, smaterializzando l'ombrello e staccandosi da Aziraphale come se dovesse slogarsi una spalla perché ciò avvenisse.

Per quante volte la provava, quella sensazione di volerlo ma non poterlo ancora avere lo torturava. Quel che faceva ancor più male, però, era quell'innaturale silenzio. Difatti, l'angelo fece un solo cenno con la testa - intanto che lasciava la presa come se si stesse staccando dalla sua unica fonte di vita; dopodiché andò semplicemente a sedersi mesto, le mani nervose a differenza di tutto il resto. Si era svegliato solo per tornare a rinchiudersi in sé stesso, ed era insopportabile da vedere.

Proprio per questo, Crowley decise di far comparire in cucina tutte le cose che, normalmente, avrebbero tirato su il morale di Aziraphale. Di sicuro non avrebbero mai cavato un ragno dal buco continuando ad essere così tristi e depressi. A giovarne ancor meno sarebbe stata la loro relazione - che già era un'impresa da salvare. Così, sperò di poter colmare il divario con una tazza fumante di Earl Grey, qualche biscotto al burro e il servizio accompagnato da un sorriso che cercava di essere rassicurante.

Parve funzionare, almeno sulle prime. Vedere l'angelo godersi l'odore del tè e il sapore dei biscotti fu un balsamo per l'anima. Per un attimo, il rosso poté far finta che nulla fosse mai accaduto, poggiando gli occhiali sul tavolino davanti alle loro ginocchia e la testa su un palmo. Erano solo loro, per adesso. Loro, il calduccio del focolare, il tempaccio che li rendeva solo più inclini ad avvicinarsi. Erano lontani, immersi in uno dei loro luoghi preferiti, niente di cui preoccuparsi, nessuno da cui scappare; come se quel cottage fosse la loro Alpha Centauri.

    Poi, come spesso accadeva, Aziraphale ruppe la magia. «Dovresti chiamare Muriel» affermò, posando la tazza ora vuota. «Non vorrei che si preoccupasse.»

    Crowley scivolò un po' lungo lo schienale, braccia incrociate. «Tra qualche minuto, tanto ha il mio numero in caso di emergenza, e siamo appena arrivati. Prima di tutto, vorrei che la smettessi di essere così mogio. Non vorrai dirmi che il perdono su di te non funziona.»

Mise tutta la leggerezza e la scherzosità possibile in quelle parole, ma ottenne solo l'ennesimo sorriso velato dalle lacrime che già facevano luccicare le iridi celesti dell'altro.

    «Non è quello.»

    «E allora cos'è?»

    La normalmente dritta e composta postura di Aziraphale crollò in un sospiro. «Sono tante cose di cui non credo tu voglia ancora parlare.»

Si era fatto attento ed empatico, il che era sia rincuorante che doloroso. Forse, il cambiamento necessitava davvero tutta quella fatica, e forse ne sarebbe davvero valsa la pena.

    «Ti ho promesso che ne parleremo, e intendo mantenere la parola» lo rassicurò Crowley, cercando di rassicurare anche se stesso. «Avrai tutto il tempo di piagnucolare e giustificarti». Forse stava sbagliando al voler rimettere in piedi quel finto tono duro, ma era l'unico modo di sdrammatizzare che conosceva. Gli prese persino una mano, stringendola abbastanza da fargli capire che andava non bene, ma già molto meglio di quanto non stesse andando prima.

    Aziraphale aggrottò appena la fronte, forse non contento di quel "piagnucolare". Non durò molto; difatti: «Non penso di potermi giustificare ulteriormente» ammise, stavolta cercando di mantenere un po' il contatto visivo. «Muriel ha detto che, almeno a parere suo, avevi capito perfettamente le mie intenzioni. E ci credo, solo che-»

    «-Solo che non sembrava, vero?»

E rieccola, la lacrima traditrice che scivolava giù per quella guancia morbida e perfetta.

Era troppo presto per quel tipo di discorsi, ma Crowley non poté fare a meno di allontanare quella piccola scintilla di tristezza con un pollice.

    «Sei proprio un idiota» affermò, ovviamente senza nemmeno un filo della stessa durezza che aveva portato al bacio dell'anno prima. «Ti conosco: sapevo già cosa volevi fare, ancora prima che me lo dicessi. Sei tu che ancora non hai capito perché ti ho detto di no, vero?»

Lo sguardo dell'altro parlò da sé. Chiaramente, c'erano i sensi di colpa, così come c'erano la voglia di redimersi e sistemare le cose in quegli occhi. Ma Aziraphale ancora non aveva colto il punto.

    «Perché ci volevi lontani da tutto e tutti? Volevi che fossimo felici insieme esattamente quanto lo volevo io, solo non come dicevo io... giusto?»

    «Certo, però quello è solo parte del motivo. Vorrei ci arrivassi da te.»

Non disse altro, alzandosi dal divano con una sola spinta delle braccia. Ripescò il cellulare dalla tasca, guardando con la coda dell'occhio la mano di Aziraphale che scivolava via dalla sua, restando per un attimo a mezz'aria.

Una volta tanto, Crowley non avrebbe ceduto. Una parte di lui gli stava disperatamente chiedendo di tornare accanto all'angelo e dirgli tutto lì, subito. Ma no. Gli sarebbe rimasto accanto, ma nient'altro. Avrebbero chiarito tutto e trovato il modo di gestire la situazione, ma non adesso.

In primis, il rosso doveva chiamare la loro piccola agente sotto copertura. Lo fece fissando la pioggia rendere il normalmente spettacolare paesaggio al di fuori una specie di quadro di Turner*.

Ancora non aveva visto un tuono, perciò avevano veramente guadagnato tempo.

E lo avrebbero utilizzato per bene, quel tempo.


°•°•°


Saraquel aveva finito di leggere la documentazione che aveva raccolto solo per scoprire che Metatron aveva intenzione di andare a Soho da solo.

    «Così presto?» Aveva chiesto, un sopracciglio alzato. «Mi viene da pensare che tu abbia qualcosa in mente.»

    E lui, pacato come sempre, aveva fatto un piccolo sorriso. «Io ho sempre qualcosa in mente. Comunque, voglio semplicemente fare un saluto ad una, chiamiamola, "collega".»

    «L'Inferno si è svegliato. Alla buon'ora.»

    «Esattamente. Sono curioso di sapere cosa ne pensa Shax della situazione.»

Il tono in cui lo disse faceva trasparire tutto tranne buone intenzioni. Ma poco importava: con lui momentaneamente fuori dal Paradiso, Saraquel poteva mettere in ordine le idee.


Tutti i Caduti avevano una motivazione dietro la loro scelta. Alcuni si erano semplicemente trovati in disaccordo con Dio, mentre altri avevano deciso di seguire a ruota qualcuno che, ai tempi, consideravano un amico.

Crowley, ad esempio, faceva parte della prima categoria; ma c'era di più. C'era un piccolo particolare che le aveva fatto capire alcune cose importanti, cose che era decisa a portare alla luce.

Avrebbe tenuto d'occhio il capo dei Serafini e lo avrebbe seguito dalla distanza. In fondo, se c'era qualcuno capace di trovare Aziraphale, quello era lui.

Era solo questione di tempo.


--


*William Turner (Londra, 23 aprile 1775 – Chelsea, 19 dicembre 1851) è stato un pittore e incisore inglese appartenente al movimento romantico. Famoso per le sue opere ad olio, Turner fu anche uno dei più grandi maestri britannici nella realizzazione di paesaggi all'acquerello, e meritò il soprannome di «pittore della luce».

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Capitolo 14
*** Ricominciamo da capo? ***


La notte gli passò davanti, uggiosa come uggiosa era stata qualsiasi cosa avesse visto e sperimentato da quand'era tornato.

Sospirò, lasciando un alone sul vetro della finestra della cucina. Se ne stava lì, in piedi, una tazza fumante in mano, in silenzio. Crowley si era addormentato sul divano del salotto, il che aveva dato ad Aziraphale la possibilità di rimanere - di nuovo - solo con i suoi pensieri.

Non ce la faceva più a rimuginare, ma una cosa era vera: era davvero lento a capire le cose, e solo ora aveva iniziato a vedere davvero la situazione dal punto di vista del demone. Quegli attimi di silenzio l'avevano fatto arrivare nuovamente alla conclusione che aveva sempre sbagliato tutto, e ciò non aveva fatto altro che attanagliargli l'ipotetico cuore.

Pianse a lungo, soffocando i singhiozzi perché non si sentissero troppo. Alla fine, il cielo si schiarì e lui non aveva bevuto niente, né toccato cibo. Aveva un buco nello stomaco che non poteva semplicemente essere riempito: una voragine di sensi di colpa e cose che faceva fatica ad accettare.

Provò a passeggiare per il cottage nel disperato tentativo di allontanare i pensieri fintanto che non fosse arrivato il momento di tirarli fuori. Scoprì che al piano di sopra c'erano tre belle ed accoglienti stanze, una delle quali era abbastanza grande da contenere un discreto numero di scaffali. Nell'altra c'era un letto matrimoniale che a Crowley sarebbe decisamente piaciuto di più del divano al piano di sotto; mentre l'ultima era un bagno che, con qualche ritocco qua e là, sarebbe stato decisamente più carino di quello che già era.

Si fece scappare un sorriso amaro. Non potevano restare lì, era stato il primo a dirlo. Eppure, ora come ora, gli sarebbe piaciuto rinchiudersi tra quelle quattro mura e restarci, lontano da tutti.

Voleva fuggire dopo che aveva fatto di tutto per rimanere. Era il solito stupido, ingenuo, ipocrita. Era proprio un angelo forgiato dal Paradiso, c'era ben poco da fare.


Ridiscese il più silenziosamente possibile, soffermandosi a due passi da Crowley.

Il fuoco del camino si stava ormai riducendo a nient'altro che una fiammella soffocata dai ciocchi bruciacchiati di legno, lasciando che il ticchettio della pioggia tornasse ad essere il brusio dominante. L'aria si stava facendo sempre più fredda, il che portò l'angelo a ravvivare il fuoco con un gesto della mano, riportando l'ambiente in un'atmosfera calda e rassicurante.

Dopo qualche secondo di ripensamento, fece comparire dal nulla una morbida coperta sui toni del crema, poggiandola con una delicatezza quasi maniacale sul corpo assopito e mezzo storto dell'altro. Con sollievo, notò di essere stato abbastanza delicato da non svegliarlo.

Doveva tenersi occupato in qualche modo, magari pensando a come risolvere la situazione. Aveva fatto un casino, come sempre, e non aveva nessunissima intenzione di lasciare che fosse Crowley a pensarci, stavolta.

Era stato pessimo fin troppo a lungo. Era arrivato il momento di finirla.


Alla fine, preso da un'innaturale ed impellente necessità di aria, Aziraphale si procurò un ombrello e si diresse fuori.

Nonostante quel clima fosse tutto fuorché normale e tutto fuorché rassicurante, c'era qualcosa nell'umidità, nelle gocce che gli ticchettavano sulla testa, nell'ambiente ricoperto di nebbia che lo faceva sentire meglio. Era lontano, lì. Nascosto da l'unica idea intelligente che gli fosse venuta. Aveva del tempo prezioso che doveva utilizzare bene.

Rimase lì svariati minuti, facendo dei respiri profondi utili solo dal punto di vista emotivo. Il più delle volte, aiutarono a ricacciare indietro il magone e ad evitare che un altro pianto - per quanto piccolo e strozzato - lo cogliesse.


Furono dei passi ad ovattare il dolore; passi che culminarono al suo fianco.

    «Per un attimo mi sono spaventato» ammise Crowley, sguardo scoperto e fisso davanti a sé. «Che ci fai qui fuori?»

Con un sospiro, Aziraphale si voltò a guardarlo. Si stagliava in modo particolare in mezzo a tutto quel grigiore; una macchia nera, rossa e dorata che si schermava dalla pioggia con un ombrello scuro quanto lei. Era uno spettacolo, come sempre.

Uno spettacolo al quale non meritava di assistere.

    «Sai quando ho erroneamente parlato con Muriel?» Chiese l'angelo infine, anche per testare se quello fosse il momento giusto per parlare o meno. Il curioso: "mhmh?" dell'altro gli diede via libera. «Mi ha detto che c'è una sola cosa che potrebbe renderti felice.»

    Le iridi dorate di Crowley si scostarono dalla nebbia per andare, finalmente, a sprofondare in quelle di Aziraphale. «E sarebbe?» Chiese, pur sapendo esattamente quale fosse la risposta.

    L'angelo deglutì nervoso. «Me. Io sono quell'unica cosa, a quanto pare.»

    Crowley inclinó la testa. «Perché lo dici in quel modo?» Chiese tra lo stranito e il deluso. «Tu non sei abbastanza?»

    «No!». Non avrebbe voluto urlarlo, davvero. Eppure eccolo lì, con il tono lamentoso e piagnucolante che metteva su quando le cose non andavano come voleva. «No, non sono abbastanza. Non quando avrei potuto avere la possibilità di sistemare questo mondo, l'intero universo persino, pur di rivedere il sorriso del primo giorno. Non quando non ho fatto altro che mentirti, ferirti e-» un singhiozzo gli fece morire le parole in gola per un secondo, ma non si sarebbe fatto fermare dalle emozioni e dalla paura, stavolta. «Volevo sistemare le cose in modo che andassero bene ad entrambi. Volevo migliorare e migliorare tutto ciò che abbiamo attorno» affermò. «Per noi. Per te.»

    Dopo alcuni secondi di silenzio che parvero infiniti, Crowley alzò gli occhi al cielo, lottando contro un movimento esasperato delle braccia. «Persino quando ci arrivi non ci arrivi» ringhiò, portando l'altro a fare un'espressione confusa. «Nel senso che io non voglio l'intero, maledettissimo universo. Io voglio te. Voglio solo te. Pace per le stelle, le alucce bianche e tutto il resto: non mi servono più. Neanche me la ricordo la vita in Paradiso! Come può essere ancora la mia felicità, quella?»

    Per un attimo, Aziraphale non seppe come prenderla. Era stato investito da un'ondata di sincerità e chiarezza alla quale non era abituato. C'era qualcosa di sbagliato in quelle parole; o forse c'era qualcosa che lui reputava sbagliato. Scosse la testa quasi in automatico. «Ma- ma io sono la scelta peggiore possibile...»

    «Mi hai mai visto fare scelte sensate?»

    Quell'affermazione lo fece sorridere, ma anche riflettere. «Probabilmente, tra noi due sei tu quello che fa le cose più sensate in generale.»

    «Quindi è un altro punto a mio favore.»

    «In effetti, sì.»

    Con un leggero sorriso - che l'angelo colse come fosse un raggio di sole in mezzo al diluvio che li circondava - Crowley scosse la testa. «So che per un sacco di tempo non hanno fatto altro che evidenziare i tuoi difetti, lassù» affermò, facendo un cenno schifato verso l'alto. «E so che sei rimasto fregato quando mister voce di Dio in persona è venuto invece a dirti quanto fossi bravo; ma il punto è che a me piaci anche per quelli. Anzi, forse mi piaci soprattutto per quelli. Sono ciò che rendono te, beh, te». Scrollò le spalle, rimettendosi a guardare verso il vuoto con un'espressione che si stava chiedendo se avesse effettivamente fatto un discorso coerente.

    Caspita se era migliorato rispetto all'anno prima. Sembrava sapere esattamente dove mettere le parole, cosa che Aziraphale non si sentiva ancora di saper fare nel modo giusto. Strinse nervosamente il manico del suo ombrello, cercando di capire cosa chiedere e come chiederlo. «Persino quando i miei difetti portano a disastri come questo?» disse infine, mettendo brevemente una mano sotto la pioggia. Era innaturalmente gelida.

    «Ehi, io vado matto per i disastri.»

    «Questo va leggermente oltre il normale casino a cui siamo abituati, temo.»

    «Eppure eccoci qui.»

    L'angelo si fece scappare un altro sorriso. Si sentiva ogni secondo sempre più leggero, come se il peso che aveva sul petto si stesse via via sbriciolando. «Sai, spesso i disastri in cui mi cacciavo erano una scusa per rivederti» disse, con una mezza risata. «Ovviamente, questo non conta.»

La tensione venne allegerita da altre lievi risate, le quali andarono a rendere il clima molto più sopportabile. Tra loro era rimasto giusto lo spazio che serviva a non far scontrare le teste dei loro ombrelli.

    Rincuorato dal fatto che, nonostante tutto, stessero riuscendo a riavvicinarsi, Aziraphale decise di andare oltre ora che ne aveva l'occasione. «Mi dispiace per aver reagito male al tuo bacio» confessò quindi, sguardo che andò involontariamente a cadere sulle punte delle sue scarpe. «Non hai idea di quanto io abbia aspettato quel momento, o quante volte io abbia sperato che accadesse. Solo, lì per lì mi è sembrato-»

No, non sbagliato. Quell'aggettivo voleva farlo sparire dalla sua testa, ma non riusciva a trovare un sostituto.

    Fu Crowley a suggerirgli cosa dire, il tono mesto e basso. «Decisamente fuori tempo, direi. Non era il momento.»

    «È stata colpa mia» si affrettò a dire l'angelo, improvvisamente straziato dall'idea che l'altro potesse sentirsi colpevole di una situazione della quale era in tutto e per tutto la vittima. Nel farlo, riprese a fissarlo dritto nelle iridi dorate. «Ti ho portato alla disperazione, non sapevi cosa fare. E poi, come sempre, ho avuto paura. Ho sempre avuto paura di ammettere che-»

Oh. Non lo aveva mai detto, in effetti. Non per intero. Aveva solo ammesso di essersi innamorato, ma non aveva mai messo quelle due parole una dietro l'altra come Crowley, invece, aveva già fatto per ben due volte.

    Prese un respiro. «Non ho mai voluto ammettere che ti amo.»

Diede una veloce occhiata ai dintorni e si disse che, effettivamente, il motivo era chiaro. Lo era sempre stato e il demone glielo aveva persino detto chissà quante volte.

Erano lontani da tutto, lì. Non c'erano né l'Inferno né il Paradiso a dir loro con chi potessero stringere legami o come dovessero stringerli. C'era un motivo se Gabriele e Belzebù se n'erano andati: avevano capito che se volevano ritagliarsi il loro angolo di Terra, o universo - a seconda di dove si fossero effettivamente andati a cacciare - dovevano crearsi il loro spazio.

Quel piccolo cottage non troppo fuori dal mondo assomigliava tanto all'idea che Crowley si era fatto della loro Alpha Centauri. Un luogo lontano ma neanche tanto, dove il cielo era abbastanza sgombro da vedere le stelle e l'aria era abbastanza tranquilla da godersi un libro in pace.

    Sentì due dita delicate contro la guancia che lo spinsero lievemente a voltarsi. Si ritrovò davanti ad un'offuscata macchietta rossastra, nera e dorata, e da lì capì che si era rimesso a piangere; solo, stavolta lasciò che le lacrime gli scendessero copiose sul viso. Non aveva più intenzione di nascondersi da Crowley, né di nascondergli qualcosa. Difatti, scosso da un singhiozzo, ammise: «Ho ancora paura.»

Intanto che era occupato a passarsi una manica sugli occhi, Aziraphale sentì una presa veloce sfilargli l'ombrello dalla mano. L'acqua gelida gli piombò addosso, causandogli un brivido lungo l'ipotetica spina dorsale. Il leggero shock mise il pianto da parte abbastanza da fargli rendere conto che Crowley aveva buttato ben poco cerimoniosamente entrambi gli ombrelli nell'erba, lasciando che l'acqua piovana li inzuppasse da capo a piedi.

    Prima che potesse commentare, lo stesso demone lo interruppe. «Ecco, come nel film che ti dicevo» disse, tremando appena - chissà se per il freddo o l'emozione. «Ricominciamo da capo?»

Era una richiesta di permesso, quella. Era un semplice e genuino voler costruire qualcosa assieme, un pezzetto alla volta, un cambiamento alla volta. Era un voler affrontare nuovamente qualcosa di estremamente più grande di loro solamente per riavvicinarsi. E in quel momento, non senza stupore, Aziraphale si rese conto di aver letto bene quelle parole. Forse stava davvero migliorando come avrebbe voluto.

Annuì senza nemmeno pensarci. Certo che voleva ricominciare da capo. Non poteva stare senza Crowley, ma non perché avesse possessivamente bisogno di lui; semplicemente stava bene con lui, si sentiva libero con lui, amava tutto di lui: la gentilezza che faceva fatica a nascondere, il fare sarcastico, i favori che gli faceva (anche quando erano la risposta ad un capriccio). Stare in alto senza di lui non aveva senso. Avrebbe potuto dare il suo nome a interi pezzi di Paradiso, ma non sarebbe stato come averlo vicino.

Raccolse quei pensieri e si disse che avrebbe dato loro una voce - magari quando il pianto glielo avrebbe permesso. Ora come ora, si limitò a sorridere e ad accogliere quelle mani tiepide che andavano a raccogliere le sue.


Lo vide arrivare, stavolta. Non senza una punta di ansia nell'ipotetico stomaco, lasciò che quel bacio gli toccasse le labbra con una dolcezza e una cautela che tanto contrastavano con l'urgenza e la durezza dell'anno prima.

Si rese conto di non saper bene cosa fare. La prima volta era rimasto così basito da quel gesto che non aveva saputo dove mettere le mani. Stavolta schiuse giusto un po' la bocca e si concentrò sulla morbidezza di quel gesto, mista al freddo della pioggia.

Le cose evolsero stranamente in fretta e con una facilità disarmante.

Presero dapprima goffamente ma inesorabilmente a separarsi solo per riunirsi; i leggeri schiocchi delle loro labbra che si inseguivano furono abbastanza da far dimenticare loro del ticchettio incessante delle gocce che piombavano sul terreno.

Le loro mani si intrecciavano, ogni tanto si separavano per andare a posarsi sulle guance, dietro la schiena, attorno alla vita...

Non erano gesti affamati, semmai erano carichi di sollievo. Erano un respiro profondo dopo le incomprensioni, un simbolo di pace ritrovata.

    Quando si staccarono, fronte contro fronte, ad Aziraphale scappò il primo vero e completo sorriso dopo un anno. «Sei una meraviglia» mormorò ai suoi occhi preferiti, chiedendosi perché non avesse mai pensato prima di rivolgere un complimento così semplice e così vero. Lo stesso che avrebbe voluto sentirsi dire a sua volta.

Crowley, in tutta risposta, lo strinse a sé, mani ben affondate nei suoi riccioli. Magari lo aveva imbarazzato, magari non sapeva bene cosa dire, magari aveva solo bisogno di un abbraccio.

Qualsiasi cosa fosse, Aziraphale gliel'avrebbe concessa. Con una punta di auto ironia, si disse che la libreria era stata il suo Eden, il caffè la sua mela, e Crowley il dio dal quale aveva deciso di allontanarsi. E da bravo sostenitore della redenzione qual'era, si sarebbe dato da fare per assicurarsi la propria.


Rimasero lì, stretti stretti, ancora per un po'. Crowley non smise nemmeno per un secondo di stringere Aziraphale e Aziraphale si preoccupò di passare con premura le mani sulla schiena di Crowley.

Quando una folata d'aria più decisa e gelida delle altre si alzò, però, all'angelo salí un brivido che costrinse l'altro a staccarsi e prendergli le spalle.

    «Andiamo dentro» mormorò il rosso, cingendolo con un braccio e trascinandolo verso casa.

Sarebbe stato semplice asciugarsi con uno schiocco di dita, ma avvolgersi in due pesanti coperte davanti al fuoco aveva tutto un altro sapore.

    Intanto che Crowley si occupava di passargli un panno tra i capelli, Aziraphale emise un sospiro mesto. «Che facciamo adesso?» Chiese, rendendosi conto di non essere riuscito a trovare mezza idea per risolvere la questione Metatron, Seconda Venuta e tutto il resto.

    «Qualcosa ci inventeremo» rispose Crowley, decisamente meno convinto di lui. «Ancora non si sentono i tuoni. È un buon segno.»

Più che un buon segno, era una magra consolazione, si disse l'angelo intanto che veniva inglobato in un altro abbraccio.

    «Sai» riprese poi il rosso, «forse, se non fosse stato per Metastronzo, lo avresti cambiato davvero il Paradiso.»

    «Beh, di certo avevo tante idee in mente.»

    «Avresti costretto tutti ad indossare kilt e tartan?»

    Aziraphale combatté contro una risata - e contro l'immagine fin troppo buffa che si era figurato. «Forse» rispose, il tono furbetto che non tirava fuori da troppo di quel tempo. «Solo il tartan. I kilt ce li hanno già, ma non mi sarebbe dispiaciuto dargli una sistemata.»

    «Ho sinceramente paura a chiederti i dettagli.»

    «Suvvia, non erano idee così terribili. Senti questa-»

Il suo discorso venne tranciato da un deciso: "No, grazie", seguito da Crowley che si staccava da lui per imbozzolarsi nelle coperte ed evitare il discorso.

    Non fosse stata una situazione così comica, Aziraphale avrebbe anche fatto finta di offendersi. Quella volta si limitò a scuotere la testa. «Come vuoi. Mi terrò le mie fantastiche idee per me» disse, allungando le mani verso lo scoppiettante fuoco del camino. Lasciò che l'altro tornasse da dov'era venuto per poggiare la testa sulla sua spalla con un deciso e al contempo sollevato: "Mh", intanto che tornava a rimuginare. «Dovremmo richiamare Muriel. La poverina sarà preoccupata.»

    «Faccio io tra un attimo, non preoccuparti. E poi, vedrai che starà benone: è una in gamba.»

    «Già. Sono felice che ti abbia fatto compagnia intanto che non c'ero. Ha sicuramente fatto un lavoro migliore di quello che avrei fatto io» affermò Aziraphale con una punta alquanto cocente di auto critica.

    Crowley lo prese per il bavero della giacca - il che fu abbastanza da far capire all'altro che la situazione lo aveva seriamente alterato. «Non ti azzardare a compararti a lei» disse con una fermezza e una serietà infinite. «Non siete la stessa cosa.»

    L'angelo fremette. «Lo so, lo so. Non era mia intenzione.»

    «Sarà meglio». Il rosso gli stampò un bacio sulla fronte, tornando ad avvolgerlo come se ne andasse della sua stessa esistenza.

C'era un non so che di familiarità in quei gesti, in quei battibecchi... Ad Aziraphale non dispiaceva. Avrebbe voluto che fosse sempre così.

Lo sarà, si disse, dando uno sguardo al salotto e ricordando le stanze al piano di sopra.

    «Quando tutto sarà finito, potremmo venire a vivere qui» mormorò, quasi come se fosse stato qualcun altro a mettergli quelle parole in bocca.

    Crowley lo fissò stralunato. «E tutta la storia del: "non è una fuga definitiva"?»

    L'angelo arrossì. «Ho cambiato idea.»

Riuscì a malapena a finire la frase prima che l'altro gli rubasse un altro bacio. Esattamente come il precedente, non era che un dolce ringraziamento e un enorme sospiro di sollievo.

Certo, sotto sotto, oltre alla gioia che quel gesto gli causava, Aziraphale poteva ancora sentire una punta di timore che lo strattonava.

Decise di ignorarla.

Probabilmente non se ne sarebbe andata per un bel po', rimanendo quatta quatta agli angoli della sua mente. Sapeva che avrebbe continuato comunque a sentire la vocina fastidiosa che gli urlava che stava sbagliando tutto, anche se non sapeva bene quali fossero i contorni di quel fantomatico "tutto".


Ricambiò qualche altro piccolo bacio, zittendo i suoi pensieri almeno fintanto che lui e Crowley non si fossero separati di nuovo.

Di certo, era un buon modo per ricominciare da capo.


°•°•°


Se c'era una cosa a cui Muriel era abituata al pari delle scartoffie, quella era la compostezza davanti ai superiori. E per un secondo, solo uno, quasi si sentì fiera del fare disinvolto con il quale aveva preso posizione davanti ai più sgraditi ed inaspettati degli ospiti.

Avrebbe dovuto capire che le cose stavano per degenerare nel momento esatto in cui aveva sentito schiantarsi un tuono più forte e vicino degli altri. Tempo qualche manciata di minuti e la porta della libreria si era aperta, lasciando entrare Metatron e il demone elegante che aveva sostituito Crowley per un po'.

    «Buongiorno, mia cara» aveva salutato il capo dei Serafini con un tono che la piccoletta avrebbe potuto definire caldo. «So che è una visita inaspettata, ma avrai capito che la situazione non è delle migliori, al momento.»

Il sorriso che le rivolse aveva un non so che di plastico - un po' come fosse una maschera messa su così tante volte da sembrare ormai fin troppo perfetta.

    «Oh, no, è sempre un piacere ricevere una vostra visita» mentí Muriel, come da copione. Ci stava prendendo la mano, e la cosa faceva guizzare la sua aura in modo particolare.

    Fortunatamente, Metatron parve abboccare all'amo. «Forse ti ricorderai di Shax» disse, allungando un braccio verso la simil-signora dal rossetto fin troppo rosso.

    Questa rimase seria e composta, quasi come fosse capitata lì per errore e la stessero costringendo a socializzare. «Mi ricordo della tua piccola ed inutile tirapiedi. Risparmiati i convenevoli e andiamo al punto.»

Muriel si trattenne dallo storcere il naso. Era proprio vero: l'unico demone simpatico era Crowley - lui non le avrebbe mai rivolto quelle brutte parole. Gli altri avevano sempre quell'aura oscura e minacciosa che sembrava voler mangiucchiare tutto ciò che di angelico e benevolo esistesse al mondo.

    Come se avesse sentito i suoi pensieri, Metatron emise un leggero sospiro. «Perdonala. È che siamo entrambi in una posizione scomoda che sta mettendo in seria difficoltà le nostre capacità di leader» spiegò con una punta di quella che la piccoletta riconobbe essere delusione. «Capita anche ai migliori; per questo spero tu possa darci una mano.»

Ovviamente, con il solito guizzo di sempre, Muriel acconsentì.

    La domanda che le fu rivolta non era niente di inaspettato: «Hai per caso ricevuto la visita del demone Crowley, di recente? Era solito venire in questo posto, in fondo.»

    «Così come Aziraphale» aggiunse Shax tirando un'occhiata tagliente alla sua angelica controparte. Non aggiunse altro, ma tanto non ce n'era bisogno.

    «Oh, no. Non vedo nessuno dei due da quando mi è stata affidata la libreria» affermò Muriel con sicurezza.

    Metatron annuì pensoso. «Immaginavo, ma valeva la pena tentare. Solo una cosa...»

Con grande perplessità sia della piccoletta che di Shax, il capo dei Serafini infilò la mano sotto la sua pesante ed elegante giacca scura. Dopo qualche secondo, tirò fuori un libro vecchio, consunto e dalle pagine ingiallite - del tutto identico a quelli che avevano circondato Muriel per mesi.

    Lo aprì in un punto apparentemente indefinito, mostrando ad entrambe una pagina fitta di scritte talmente accavallate l'una all'altra da risultare incomprensibili. «Mi passeresti una penna, cara?» Chiese poi, allungando il palmo aperto verso Muriel.

Questa, ancora ben decisa a voler tenere salda la sua maschera, afferrò l'unica penna della scrivania e gliela mise in mano.

    Fu Shax a parlare per lei, il tono cauto. «Che stai facendo?»

Ma l'altro non le rispose. Fece semplicemente scivolare lo sguardo sulla pagina, alla ricerca di qualcosa.

Quando arrivò al punto che gli serviva, con calma e naturalezza, tracciò una spessa riga nera su una delle tante accozzaglie di simboli e lettere.


Quel gesto provocò l'impensabile.


Con un sussulto, Muriel alzò lo sguardo verso Shax solo per vederla smaterializzarsi e sparire in una nuvoletta di particelle che tanto le ricordarono il pulviscolo che aleggiava nella libreria.

Il demone non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di ciò che le stava accadendo. Semplicemente, scomparve come neve al sole, senza un suono né un lamento.

In un attimo fu come se non fosse mai esistita.


    Richiudendo il libro di botto, Metatron tornò a sorridere alla sua sottoposta. «Bene, ora che siamo soli, che dici?» Chiese, il tono che trasudava autorità fin sopra la finta simpatia. «Ricominciamo da capo?»


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Capitolo 15
*** Rombi di tuono ***


Le cose avevano appena iniziato a riassestarsi, rendendo il divario sempre più piccolo; nient'altro che una crepa nel terreno. Avesse potuto, Crowley ci sarebbe morto su quel divano, davanti al camino, gli abiti ancora volutamente umidi e Aziraphale tra le braccia che fissava le fiamme, pensoso.

Diede spesso un bacio a quei riccioli che gli solleticavano il naso, assicurandosi che la coperta avvolgesse per bene le spalle dell'altro. Dopo tutta la sofferenza che aveva patito, si sentiva l'essere oscuro più felice dell'universo. Se solo non fosse stato per la realtà che incombeva sulle loro teste, avrebbe abbracciato Aziraphale fino a che il sole non avesse smesso di splendere - anche se, ora come ora, non gli parve la prospettiva migliore dato il tempaccio innaturale.

In realtà, non gliene fregava nulla neanche della pioggia. Poteva continuare a piovere per sempre, per quel che lo riguardava. Nella sua testa, il clima era solo un pretesto per baciare di nuovo Aziraphale sotto gli scrosci battenti.

Peccato che non potesse permettersi quel lusso. Il suo angelo si stava spremendo le meningi intanto che lui, come sempre, si faceva trascinare dal suo sempre prestante fare protettivo. Per quanto quel posto fosse al sicuro, per quanto loro fossero al sicuro, non sarebbe durata ancora a lungo.

Non faceva che ripeterselo.


Aveva chiamato Muriel solo una volta da quando erano arrivati, ed Aziraphale aveva insistito perché lo rifacesse. Ovviamente, la piccoletta se la stava cavando alla grande - il che rese Crowley un pelo più tranquillo.

Attese giusto qualche minuto, osservando l'altro che, nonostante l'evidente preoccupazione, si poggiava a lui senza un filo di tensione in corpo. Si sfilò il cellulare dalla tasca, cercando di muoversi il meno possibile - anche se, alla fine, il tutto risultò in una serie di movimenti raffazzonati e limitati, mannaggia alle taschine troppo strette dei suoi jeans.


Fu quando fece partire la chiamata che tutto crollò di nuovo.


L'ultima volta, Muriel ci aveva messo due squilli a rispondere. Crowley se ne stava davanti alla finestra, fermo ad osservare il paesaggio nebbioso, e la voce della sua piccola agente sotto copertura gli era sembrata un raggio di sole che tagliava la foschia.

Stavolta, gli squilli si susseguirono una, due, tre volte. Dopo l'ultimo tentativo, il demone si drizzò sul divano in un solo, secco colpo di ansia misto terrore.

    Il movimento portò Aziraphale a rimettersi composto. «Che succede?» Chiese, evidentemente preoccupato. «Stai bene?»

    Crowley fissò lo schermo del cellulare come fosse uscito direttamente da un film horror. Gli tremavano le mani, e la paura sembrava star facendo le montagne russe attorno al suo ipotetico stomaco. «Qualcosa non va» disse in un soffio.


L'ultima volta che si era sentito così, il mondo era in procinto di finire.


°•°•°


Gli occhi del rosso si erano fatti simili a due grandi laghi dorati, tagliati giusto nel mezzo da due linee sottili e nere come la morte. Segno inequivocabile del fatto che la situazione era seria oltre che preoccupante.

Per affermare quel timore, ad Aziraphale bastò dare un'occhiata allo schermo ancora acceso del cellulare di Crowley.

In lontananza si udì l'eco impercettibile ma presente di un tuono.

Il loro tempo era finito.


    L'angelo si alzò, ripiegando la coperta e facendo sparire l'acqua e l'umidità dai loro capelli e dai loro abiti. «Quante volte hai provato a chiamarla?» Chiese, cercando di apparire il più determinato possibile.

    «Troppe» fu la risposta del suo demone, ora ridotto ad un saltellante fascio di nervi. «Che facciamo?»

Quella sì che era un'ottima domanda. Aziraphale si accorse di non avere un piano, ma solo tante - azzardate, per giunta - intenzioni.

Stranamente, non provava né ansia né paura, però. Più rimaneva in silenzio in mezzo a quell'aria cosparsa di umidità e minuti contati, più il timore veniva sopraffatto dall'idea che non era solo e che un modo per uscirne - forse, chissà come - gli sarebbe venuto in mente. E no, non a Crowley; ad entrambi.

Anzi.

    «Ho qualche mezza idea, ma non ti piacerà» affermò, conscio del fatto che non fosse esattamente il migliore degli esordi.

    Difatti, la postura nervosa dell'altro crollò in un'esagerata ricaduta delle braccia. «Ma non mi dire» ringhiò Crowley in quello che doveva essere un disperato tentativo di mascherare la paura con il sarcasmo.

    «Lo so, lo so. Ascoltami: ho semplicemente bisogno che tu rimanga sull'uscio.»

E se l'inizio non era stato dei migliori, quell'affermazione segnò un'evidente peggioramento.

    «Non farai sul serio. Ne abbiamo parlato.»

La delusione intrisa in quel tono fece capire ad Aziraphale che doveva essere chiaro, una volta tanto. Se voleva un'occasione per dire esattamente cosa gli passava per la testa, beh, eccola lì.

    «Non ho nessuna intenzione di fare tutto da solo» affermò quindi. «Sarò sincero: non so come ne usciremo. Voglio solo che tu faccia andare avanti me.»

Un lampo illuminò lo spazio tra di loro, ora fermi a fissarsi - l'angelo speranzoso e il demone molto, ma molto poco convinto.

    «Non lo so, angelo. Non mi piace» mormorò questi infatti, gli occhi ora un po' più lucidi. «Che intenzioni hai?»

    «Devo ricordarti che Metatron ha bisogno di me? Dubito mi farà qualcosa. Quello che rischia, qui, sei tu.»

Se c'era un modo, anche solo mezzo, di sistemare le cose senza che nessuno si facesse male, allora Aziraphale era pronto ad applicarlo. Era persino pronto a tornare di Sopra e sovvertire il sistema dall'interno per davvero, stavolta.

    Crowley scosse la testa. «E che fai? Lo prendi a parole?»

    «Hai qualche altra brillante idea? Una sola idea?»

Ovviamente, il rosso non ne aveva: glielo si leggeva in faccia - così come gli si leggevano la frustrazione e l'ansia.

    Così, Aziraphale riprese: «Lascia che sia io a proteggere te, per una volta. Ti prego.»

    Dopo un verso gorgogliante misto resa e paura cieca, Crowley annuì - più a sé stesso che all'angelo - in una specie di forzata auto convinzione. «E va bene» si arrese infine. «Ma se prova a farti qualcosa, esco e gli faccio il cu-»

Un tuono fece tremare le pareti. A pochi metri dalla porta di ingresso si abbatté un fulmine che - a giudicare da ciò che si intravedeva dalle finestre - aveva bruciato un bel po' di erba umida, rilasciando un fumo chiaro che sapeva di aria pulita, cieli tersi e nuvole.

Dopodiché, si abbatté un silenzio rotto solo dalla pioggia che ticchettava, ora stranamente più silenziosa, sul tetto del cottage.

    Aziraphale sentì la mano di Crowley attanagliarsi alla propria, e il primo briciolo di paura venne prontamente spazzato via. «È ora di uscire allo scoperto» disse poi, schioccando le dita.


°•°•°


Quando giunsero a destinazione, davanti a Metatron si palesarono solo le colline verdi e le scogliere immerse dalla nebbia. Nulla che non si fosse aspettato: sapeva che gli sarebbe bastato attendere.

Difatti, pochi attimi dopo, risuonarono nell'aria tre piccoli miracoli.

Il primo fece comparire dal nulla una graziosa casetta dalle pareti bianche.

Il secondo non ebbe un effetto visibile, ma fece rivedere l'aura splendente di Aziraphale al capo dei Serafini.

Il terzo fu opera di quest'ultimo, il quale alzò la mano libera, schioccò le dita e fermò il tempo.

Il mondo piombò nel silenzio più assoluto. Le gocce di pioggia si bloccarono a mezz'aria, diventando tante piccole sferette traslucide. Ora potevano essere solo lui, il neo arcangelo, il demone più assurdo che avesse mai conosciuto e lei, la piccoletta tremante al suo fianco.

L'aveva presa a braccetto: una stretta dal fare amichevole che, però, era persino troppo stretta.

Muriel, dopo aver faticosamente rivelato la posizione del cottage, era rimasta in silenzio. Aveva paura e le lacrime agli occhi, ma non ne aveva fatta cadere nemmeno mezza, conscia del pericolo che lei e gli altri disertori stavano correndo.

    «Non volevo arrivare a questo» le aveva detto Metatron in libreria. «Ma l'alternativa sarebbe stata minacciarti, e gli angeli non fanno queste cose, no?»

Era più intelligente del previsto, l'inetta, ma comunque facile da piegare come qualsiasi angelo del suo rango. Era il pretesto perfetto per far uscire quei due allo scoperto e, guarda caso, aveva funzionato alla perfezione.


La porta del cottage si aprì e, per la prima volta dopo giorni, Metatron si ritrovò davanti alla sua nuova recluta.

Aziraphale era praticamente tornato quello di una volta: riccioli un po' più scombinati, abiti meno candidi e più sui toni del crema, occhi un po' meno azzurri... Ma la sua aura era ancora quella decisa e splendente di un arcangelo.

Dietro al biondo, fermo sull'uscio, se ne stava Crowley. Dritto come un righello, le braccia incrociate e gli occhi scoperti che andavano da Metatron stesso a Muriel. Sia dalla postura che dallo sguardo, si vedeva che stava cercando di apparire determinato nonostante il terrore.

    Quello veramente determinato dei due era Aziraphale stesso, il quale fece alcuni passi avanti e, con una fermezza che poco gli si addiceva, si mise tra il suo capo e il suo demone. «Metatron» disse solo, a mo' di saluto.

    «Sei sempre stato sveglio» esordì questi, tirando Muriel un po' più verso di sé. «Hai usato dei poteri che prima non avevi a regola d'arte. Quel buono a nulla del tuo predecessore ti ha, seppur involontariamente, insegnato bene.»

    Il neo arcangelo fece un inutile - ma evidentemente rincuorante - respiro profondo. «So cosa vuoi, e ti posso assicurare che non c'è bisogno di tenere in ostaggio nessuno per arrivarci» affermò, facendo un cenno della testa verso la piccoletta - la quale abbassò lo sguardo, forse per via del senso di colpa o forse per semplice timore.

    «Oh, ora sei tu quello che vuole contrattare. Interessante. E dire che pensavo di essere stato equo: ti ho offerto sia un posto in Paradiso che la possibilità di portare il tuo, chiamiamolo, "partner" con te. Cos'altro potevi volere di più?»

    Incredibilmente, la risposta arrivò dall'uscio. «Magari che non usassi giochetti del cazzo, bastardo.»

Aziraphale alzò una mano per bloccare quello scatto d'ira, ma tanto Metatron sapeva meglio di Crowley stesso che quell'inveire non era altro che un modo di esorcizzare la paura.

Se il demone ci teneva tanto ad essere messo in mezzo, tanto valeva accontentarlo.

    «E dire che eri tanto felice prima di Cadere» affermò quindi, sguardo fisso su quello aureo del rosso. «Era logico immaginare che saresti tornato di sopra più che volentieri.»

    In risposta gli arrivò un leggero ma deciso scuotimento di testa. «Quella felicità non esiste più» affermò Crowley, trattenendo a stento un sibilo nervoso.

Metatron si fece scappare un sorriso amaro: alla fin fine, era ovvio che la pensasse così.


Il loro scambio venne bloccato da un altro fulmine che andò a cadere poco lontano da Metatron, esattamente alla sua destra, beffandosi bellamente del miracolo che aveva fermato il mondo.

    «Ecco perché avevo rilevato movimenti strani» affermò Saraquel, comparendo in mezzo ad una macchia di terreno bruciato. «Ho interrotto qualcosa?»

Poggiate sulle gambe, aveva delle cartelle bianchissime e piene zeppe di fogli. Qualcuno aveva fatto una capatina agli archivi, a quanto pareva. Poco male.

    «Capiti al momento giusto, in realtà» affermò il capo dei Serafini. «Stavo facendo una chiacchierata con i nostri interessanti disertori. Tra non molto avrei comunque avuto bisogno della tua assistenza.»

    Fluttuando un po' più vicina al suo superiore, Saraquel fissò sia Aziraphale che Crowley come se li stesse attentamente studiando. «È un piacere rivedervi» disse poi con sincerità palpabile.

Il neo arcangelo le rivolse un leggero sorriso, mentre il demone si limitò ad aggrottare le sopracciglia.

    «Vedo che la situazione è ancora un po' in stallo» continuò poi il braccio destro di Metatron, stavolta soffermandosi particolarmente sulla stretta che stava tenendo Muriel bloccata al fianco dello stesso capo dei Serafini.

    «Il tempo non ci manca» affermò quest'ultimo, pacato come sempre.

Aveva il coltello dalla parte del manico, celato sottoforma di libro in una delle tante tasche della sua giacca scura. Nessuno tranne la piccoletta poteva saperlo, e la cosa lo faceva sentire a suo agio in maniera spropositata.

Sapeva esattamente come far tornare Aziraphale sotto la sua ala. Ora come ora, però, si concentrò sulla sua aiutante.

Saraquel aveva evidentemente tante cose da dire. Era quella professionale e pragmatica, lei; e i demoni non erano gli unici ficcanaso curiosi dell'universo. I documenti poggiati sulle sue gambe erano ovviamente frutto di dubbi e domande di un essere arguto e intelligente.

Ma tutti sapevano che fine facevano gli angioletti svegli con troppe questioni per la testa.

    «Immagino tu voglia approfittare di questo momento di quiete per chiarire alcune questioni» disse quindi, indicando i fascicoli con un gentile gesto della mano. «Non vedo perché tenere certe informazioni celate ancora a lungo.»

Saraquel lo fissò seria ed impassibile. Sapeva che aveva qualcosa in mente, ma non poteva farci niente. 

    «Su, avanti» la esortò allora Metatron. «Di' ai nostri eroi come stanno davvero le cose.»

Aziraphale e Crowley si scambiarono uno sguardo interrogativo.

    Fu il biondo a parlare per entrambi. «Quali questioni?» Chiese, la facciotta dubbiosa che Metatron aveva visto almeno mille volte durante le loro riunioni.

    Tamburellando brevemente le dita sui braccioli della sua sedia, Saraquel andò a puntare lo sguardo verso quello di Crowley - il quale inarcò un sopracciglio, confuso e ovviamente poco felice dell'attenzione che gli era stata riservata. «Non cercavi di liquidarmi quando hai affermato di non conoscermi» disse lei, il tono che pareva voler sottolineare ogni singola parola.

    Il demone alzò gli occhi al cielo. «Ancora con questa storia... prima Furfur, poi tu. Non so proprio di cosa stiate parlando e, sinceramente, nemmeno mi interessa.»

    «Sai almeno perché sei stato, diciamo, allontanato dal Paradiso?»

    «Tutti sanno perché sono Caduto» puntualizzò Crowley, il tono duro ma il fare più infastidito che effettivamente arrabbiato. «Si può sapere che centra?» 

    «E che mi dici di lui?» Incalzò quindi Saraquel, indicando Aziraphale. «Di lui ti ricordi?»

Le guance scarne del demone si colorarono appena. Persino la sua postura si addolcì, portandolo a poggiarsi con finta nonchalance allo stipite della porta.

    A rispondere, però, fu l'angelo stesso. «Certo che sì» affermò con un sorriso che da solo parve alleggerire la situazione. «Ci conosciamo da un sacco di tempo.»

C'era una tenerezza tale in quelle parole che il capo dei Serafini ebbe l'impressione di poterla toccare, afferrare persino. Accanto a lui, ora un po' meno tremante, Muriel fissava la scena con aria curiosa - quasi come si fosse dimenticata della stretta che Metatron le stava ancora forzando sul braccio, del Libro e di tutto il resto.

    «Quand'è stata l'ultima volta che vi siete visti prima della Caduta?»

Ormai, quello di Saraquel sembrava un interrogatorio. O meglio, decisamente doveva sembrarlo agli occhi di Crowley, il quale aveva iniziato a non riuscire più a stare fermo nel ristretto rettangolo dell'entrata. Forse, molto semplicemente, il braccio destro di Metatron stava toccando tasti dolenti.

    Forse, Aziraphale continuò a rispondere al suo posto proprio perché lo sapeva fin troppo bene. «Mi ha fatto vedere la sua nebulosa» spiegò infatti, lo sguardo morbido volto verso il vuoto intanto che ricordava. «Abbiamo parlato.»

    «Di cosa?»

A quella domanda rispose un silenzio confuso come gli sguardi dei disertori. Il capo dei Serafini si fece scappare un altro, stavolta più affilato, sorrisetto amaro.

    Saraquel si mise a far passare le dita sulle cartelle ancora ben poggiate sulle sue cosce, pensosa. «Di cosa avete parlato?» Ripeté.

    «Cosa te ne importa?» Ringhiò il rosso, ora con evidente timore. «Non è importante.»

    «Dici così perché è vero, o semplicemente perché non te lo ricordi?»

    Aziraphale, proprio in mezzo a Saraquel e Crowley, li guardò a turno almeno un paio di volte. Poi prese a torturarsi nervosamente le mani. Tutta la sua - almeno apparente - sicurezza parve evaporare nell'aria ferma che li circondava. «Perchè, ci siamo detti qualcosa di importante?»

Metatron guardò il neo arcangelo così come aveva spesso e volentieri fatto in Paradiso d'innanzi ad una richiesta più ardita delle altre. Qualcuno inizia a capire che gli mancano dei pezzi. Di quelli grossi, per giunta.

    Fu allora che Saraquel si rivolse verso di lui. «Era questo che intendevi quando dicevi che Crowley sarebbe stata la chiave per riportare Aziraphale da te?» chiese con una fermezza che non lasciava trasparire emozioni.

Era fatta così, il braccio destro di Metatron: sempre composta, anche quando aveva tutte le ragioni di avere paura o essere arrabbiata e confusa.

    Il capo dei Serafini fece spallucce. «Era la mia ultima opzione, ma mi hai dato il pretesto perfetto per utilizzarla. Tanto valeva dirglielo.»

    A quel punto, Crowley si staccò dall'entrata, coprendo la distanza che lo separava da Aziraphale in una manciata di secondi. Venne fermato dalla stretta al polso di quest'ultimo, la quale non riuscì comunque a frenare la sua lingua. «Dirci cosa? Di cosa cazzo state parlando?» Esclamò, il nervosismo a mille.

Metatron non poté dirlo con certezza in mezzo alla nebbiolina, ma pareva quasi che il demone stesse fumando.

    Saraquel sospirò. Evidentemente si era preparata a quell'evenienza, tanto che riuscì - in qualche modo - a rivelare il tutto nella maniera più distaccata possibile. «Sei Caduto per colpa sua» affermò, indicando Aziraphale con la testa.

Furono poche, semplici, ma durissime parole che bastarono a drenare tutta la breve tensione che si era creata.

Persino Muriel si fece scappare un sussulto - che bloccò prontamente con una mano davanti alla bocca.

Il neo arcangelo staccò la presa dal polso di Crowley con una lentezza quasi dolorosa. Era sbiancato, quasi più di quanto avesse fatto in Paradiso. Tremava impercettibilmente, e se prima era stato il portavoce della situazione, adesso pareva incapace di formare anche solo mezza sillaba. Semplicemente, fissava i suoi superiori con gli occhi sbarrati, il capo che scuoteva leggermente, incredulo.

    Il demone, dal canto suo, parve riprendersi molto più in fretta - e molto più violentemente. «Cazzate» ringhiò. «Ve lo state inventando per fregarci. Ne siete perfettamente capaci.»

    Saraquel scosse la testa, ora leggermente affranta. «Le motivazioni dei Caduti sono state tutte registrate. Non fu facile: ai tempi c'erano decisamente meno angeli come Muriel a tenere tutto in ordine. In ogni caso, ti sei messo idee pericolose in testa, ma lo hai fatto perché è stato Aziraphale a darti, involontariamente, gli spunti per farlo. È stato lui stesso a riferirlo ai piani alti, forse sperando che una sua confessione potesse tirarti fuori dai guai». Intanto che spiegava, tirò fuori uno dei tanti fogli stipati nelle sue cartelle e lo mostrò ai suoi interlocutori. «È successo durante la vostra chiacchierata. Deve averti detto qualcosa che non ti è piaciuto riguardo alla tua nebulosa.»

    Metatron lo ricordava come fosse ieri. Osservò Crowley strappare il foglio dalle mani della sua seconda, fissandolo come se potesse prendere istantaneamente fuoco lì, tra le sue dita. «È la procedura» disse allora. «Decidemmo di eliminare i ricordi potenzialmente pericolosi di chiunque venisse allontanato o abbassato di grado. Si è sempre rivelata una strategia utile al fine di evitare ulteriori problemi con certi soggetti.»

    «Diciamo pure che fu tutta un'idea tua» lo corresse Saraquel con una certa durezza.

    «Era necessario ed ha sempre funzionato benissimo, almeno fino all'anno scorso. È per questo che in molti si ricordando di te ma non tu di loro» spiegò il capo dei Serafini, stavolta rivolto al demone che gli lanciava occhiate taglienti tra una riga e l'altra del documento. «Aziraphale lo sapeva, almeno fino al giorno in cui non ha rispettato il suo compito nell'Eden. È sceso di grado, ergo: abbiamo... ho rispettato la procedura.»

Sarebbe dovuta rimanere segreta, quella pratica. Era una di quelle cose da utilizzare solo in casi di estrema emergenza - un po' come il Libro della Vita ancora ben riposto nel suo cappotto. Ma era da tempo, ormai, che le cose andavano di male in peggio. Se una gerarchia vecchia eoni viene smantellata, il crollo si sente e si ripercuote su chiunque vi si trovi all'interno. E Metatron iniziava a stancarsi di quella situazione stagnante.

Come già aveva deciso da tempo, se gli arcangeli potevano sparire regolarmente e vagare senza controllo, se angeli e demoni potevano fare comunella, allora lui poteva tranquillamente usare il pugno duro e far valere l'autorità che aveva.

    Crowley accartocciò il foglio di colpo, stringendolo tra le dita come se volesse farlo sparire con la sola forza dei suoi pugni. «Non mi interessa» mormorò, tremante e lacrimante. Si voltò verso Aziraphale - il quale si era messo a fissare un punto imprecisato dell'erba, lo sguardo sconvolto - e si gettò il pezzo di carta alle spalle, prendendogli le braccia. «Non me ne frega niente, angelo. Hai capito?» Esclamò, la voce strozzata dal pianto imminente.

Ma lo sguardo lucido del neo arcangelo si posò su quello di Metatron, alla ricerca di una smentita. Smentita che, ovviamente, il capo dei Serafini non poteva dargli.

    «È per questo che non volevo che stessi con lui. Non fintanto che è un demone, almeno» disse invece questi, cercando di apparire il più affranto possibile. «Se avesse deciso di tornare alla vecchia gloria come avevo suggerito io, sarebbe stato come cancellare ciò che hai involontariamente fatto. Spero che tu capisca, adesso. Non puoi stare con l'essere che tu stesso hai distrutto, né puoi aspettarti che possa esserci qualcosa di più di una semplice collaborazione. Una relazione del genere può aver funzionato con Gabriele, ma-» sbuffò, «voi due? Siete semplicemente incompatibili, proprio come qualsiasi angelo e qualsiasi demone dovrebbero essere. Alla fin fine, non avete nulla di speciale.»

Quelle parole parvero colpire nel segno. Una lacrima scivolò lungo la guancia di Aziraphale, andando a schiantarsi sul terreno esattamente come le gocce di pioggia avevano fatto fino a poco prima.

    Crowley gli prese le guance, come se ciò potesse bastare a fermare i pensieri che - Metatron sapeva - avevano ormai iniziato a galoppare frenetici nella mente del biondo. «Ehi, ascolta me. Quando dico che tutto di quel periodo è morto, intendo tutto, Aziraphale. Qualsiasi cosa sia successa, qualsiasi cosa tu abbia detto, persino qualsiasi stella io abbia creato, è come se non esistesse più. Non mi interessa» scandì le ultime parole. «Non mi interessa.»

    «Eri così felice...» fu l'unica cosa che il biondo riuscì a mormorare. Lo disse con un tono così basso e così rotto che, se non fosse stato per il silenzio pressante attorno a loro, nessuno, se non il demone, avrebbe potuto sentirlo.

    «Io sono felice. Lo sono quando sto con te.»

Ed era vero, lo sapevano tutti lì.

Lo sapeva Saraquel, la quale se ne stava ora a braccia incrociate - il volto apparentemente serio che nascondeva una crescente amarezza.

Lo sapeva Muriel, che ormai Crowley lo conosceva abbastanza; lo aveva visto soffrire tanto da poter affermare che stava bene solo quando stava con Aziraphale.

Lo sapeva Metatron, che era ormai giunto alla conclusione che poteva convincere il neo arcangelo, ma non avrebbe mai smosso Crowley di un millimetro. Testardo di un demone. L'amore è una condanna peggiore di quella in cui già vivi.

    Lo sapeva Aziraphale che, nonostante tutto, prese le mani di Crowley e se le staccò lentamente dal viso. «Non dovresti» sussurrò. «Né dovresti amarmi.»

Il rosso scosse la testa, pronto a rimbeccare - e a dirgliene quattro, magari; a ripetergli fino allo sfinimento che aveva torto, torto marcio. Ma venne bloccato dalla mano che l'altro gli poggiò delicatamente sulle labbra.

    «Non dovresti» ripeté Aziraphale, «perché so cosa ti ho detto quel giorno, e so anche il perché. Non è stato involontario.»


Saraquel aggrottò le sopracciglia, facendo crollare in un solo colpo il suo fare sempre composto.

Muriel, dal canto suo, sussultò visivamente - e si fece persino scappare un verso di sbigottimento, stavolta.

E per la prima volta da almeno un anno, Metatron rimase sorpreso.

Forse, le cose si sarebbero risolte molto più facilmente di quanto aveva previsto.

E sarebbe stato Aziraphale a fare tutto il lavoro.

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Capitolo 16
*** Il Libro della Vita ***


Aziraphale l'aveva incontrata di persona una sola volta in tutta la sua esistenza. Dopodiché l'avrebbe solamente sentita, nient'altro che un echeggiante voce proveniente da chissà quale punto del cielo.

Allora però l'aveva vista, bella in modo indescrivibile, mentre discuteva proprio con Metatron.


Erano tempi difficili: la Ribellione era alle porte, e i nomi di coloro che sarebbero stati condannati - a quale fine ancora non si sapeva - venivano sussurrati in ogni angolo di Paradiso. Quell'angolo in particolare non sarebbe dovuto essere appannaggio di tutti, ma l'allora cherubino aveva deciso di fare uno strappo alla regola.

La motivazione era semplice: tra tutti i nomi, ce n'era uno che non meritava di essere pronunciato; non in mezzo a quelli di coloro che, presto o tardi, si sarebbero opposti.

Non avrebbe saputo dire da dove aveva tirato fuori il coraggio di presentarsi proprio d'innanzi a Dio, ma vero era che aveva provato tante sensazioni ed emozioni strane da quando aveva incontrato lui.

Sì, lui: l'angelo con i capelli rossi e la fissa delle nebulose. C'era qualcosa che non andava in quello lì - in senso assolutamente positivo. Era diverso; diverso nel senso che stare accanto a lui era come osservare una pioggia di stelle cadenti: mozzafiato ed emozionante. Aziraphale non avrebbe saputo spiegarlo altrimenti.

    Era organizzato, di solito. Pensava sempre a cosa dire, di solito. Quella volta arrivò alle spalle di Dio e, semplicemente, interruppe il dialogo che stava avendo con il Suo secondo con un timido: «Ehm, Salve» che non sapeva dove sarebbe andato a parare.

Metatron gli aveva tirato un'occhiataccia. Stava persino per dirgliene quattro - forse anche otto - ma venne fermato dalla cordiale voce di Dio.

    «Ciao, Aziraphale» aveva salutato Lei con un sorriso dolce e sincero. «A cosa devo la visita?»

    L'angelo prese a torturarsi le dita come spesso avrebbe fatto da quel giorno in poi. «Ecco, vedete, riguarda i Ribelli» balbettò, dovendo riprendere l'ultima parola a causa di un tremolio non indifferente della voce.

    «Ne stavamo giusto parlando» rispose Dio, indicando il suo sempre più serio secondo con la testa.

    «Lo so. Per questo vorrei approfittare della situazione per, beh- per avvisarvi che c'è stato un errore.»

Quelle parole parvero piombare sui tre come macigni. Per due secondi - che ad Aziraphale parvero duemila - il silenzio più tombale la fece da padrone.

    Fu Metatron a rispondere, ora decisamente arrabbiato. «Stai osando insinuare che Dio ha commesso un errore?» Rimproverò.

    «No! Non è così semplice.»

    Con un sospiro, Lei alzò una mano e li invitò al silenzio. «Luce mia» disse al Suo cherubino, «cosa stai cercando di dire?»

    «Che c'è un nome di troppo nella vostra lista. Il nome di qualcuno che non si merita di essere punito.»

    «E come fai a dirlo?» Rimbeccò il capo dei Serafini, puntando sul suo sottoposto uno sguardo torvo.

A quel punto, Aziraphale abbassò gli occhi. Gli pizzicavano le guance, ma non poteva farsi vedere sull'orlo del pianto. Non ora.

    «È vero che ha iniziato a fare domande pericolose, ma è solo perché il dubbio gliel'ho messo in testa io» confessò. «Non avrei dovuto dirgli niente: era la regola. Dovrei essere punito io, non lui.»

Anche perché...

No, non era il caso di peggiorare la situazione. Già stava facendo fatica a contenere le emozioni quando doveva mostrarsi deciso.

    «Luce mia...» riprese Dio, il tono intriso di dispiacere e comprensione. «Temo di non poterci fare nulla. Ormai, ognuno di loro ha preso questa decisione.»

    «Sì, ma gli ho rivelato piani che non avrebbe dovuto sapere!»

Dovrà pur contare qualcosa. Dovrà pur esserci una conseguenza.

    «Tu gli hai solo detto la verità. Una verità che, prima o poi, avrebbe dovuto conoscere. Se non vuole accettarla, la colpa non è di certo tua.»

Non c'era bisogno di contesto, né di soggetto. L'Altissima sapeva sempre tutto di tutti, perciò - come Metatron aveva giustamente sottolineato - non poteva sbagliare.

Eppure, ad Aziraphale tutta quella situazione pareva sbagliata. Tutta. Dall'inizio alla fine.

Era tutta colpa sua.

Era lui l'errore.


Non avrebbe saputo dire perché gli fosse tornato in mente adesso, così di colpo. Eppure, il ricordo aveva iniziato a riaffiorare da qualche parte tra le domande di Saraquel, le espressioni di Muriel, le parole di Metatron e le mani di Crowley sulle sue braccia.

Non avrebbe dovuto ricordarselo: era la procedura. E invece eccola lì, chiara come il sole: la verità.

    «Non è stato involontario» ripeté in un sussurro. Esattamente com'era successo davanti a Dio, anche in quel momento aveva gli occhi ricolmi di lacrime che stava disperatamente cercando di non versare.

Non l'avrebbe scampata facendo la vittima quella volta, anche perché era in tutto e per tutto il carnefice.

Così, ricacciò indietro il magone e fissò le quattro paia di occhi che lo stavano guardando, soffermandosi sulle sue pozze dorate preferite - ora intrise di terrore e confusione.

Non erano sempre state così. Una volta erano di un bel color nocciola, o forse erano di una sfumatura più simile al cacao. Era difficile da dire sotto le luci cangianti della nebulosa.

Si fece scappare un sorriso.

    «Eri la cosa più bella dell'universo. L'ho pensato da subito, anche se non lo sapevo.»

Forse non aveva granché senso, ma in fondo, ai tempi si era sentito così: pieno di cose a cui non sapeva dare una spiegazione. Non avrebbe saputo dirlo meglio.

    «Davanti a noi stavano succedendo cose incredibili, ma io non facevo altro che tornare a guardare te. Avevi un sorriso mozzafiato...»

Eri così felice.

Per un solo secondo, la voce gli morì in gola. Quello era il confine, il passo decisivo. Si costrinse a tirarla fuori, perché doveva almeno per una volta fare la cosa giusta.

    «Amavi così tanto ciò a cui avevi lavorato da avere occhi solo per il cielo, e le stelle, e il tuo pezzo di universo. Tanto da- beh, tanto da non curarti di me.»

Era una cosa così stupida provare gelosia nei confronti della volta celeste, eppure lui c'era riuscito. Tutto quello che voleva era un pezzo di quello sguardo luminoso, una briciola di quel sorriso, uno solo dei complimenti che erano stati rivolti a quell'angolo di infinito.

    «E così ho fatto l'unica cosa che, sapevo, avrebbe attirato la tua attenzione. Ti ho svelato che fine avrebbe fatto il tuo lavoro.»

Aveva colpito dritto al cuore. Aveva preso quello che agli occhi dell'allora angelo era una meraviglia e l'aveva accartocciata, stroncando quella gioia sul nascere. Aveva ridotto l'universo ad una carta da parati - per citare. Aveva bellamente preso tutti quei colori, e quelle scie luminose, e quelle stelle, e aveva praticamente detto: certo, è bellissimo, ma non lo vedrà mai nessuno. Anzi, prima o poi sparirà.

Perché nulla è per sempre.

    «In teoria, non avrei dovuto» aggiunse. «Erano le regole. Dicendoti tutto, ho anche anticipato i tempi.»

Presto o tardi lo avrebbero saputo tutti. Il piano che comprendeva la creazione della Terra sarebbe passato dai cori più alti a quelli più bassi del Paradiso. Il tutto sarebbe dovuto accadere gradualmente.

    «Eri la cosa più bella dell'universo» ripeté, «e sei finito in rovina solo perché io volevo che mi prestassi attenzione.»


Nessuno avrebbe dovuto farsi domande.

Questo perché nessuno avrebbe dovuto avere dubbi.

E questo perché tutto era stato predisposto.

E lui, l'allora cherubino, aveva fatto crollare tutto solo perché l'essere di cui si era innamorato era talmente perso nel suo lavoro da non essersi nemmeno presentato.

Qualsiasi cosa, sin dai primi istanti - in realtà, sin da ancor prima che esistesse l'idea di istante - si era rotta per colpa sua.


Era stata tutta colpa sua.


Tirare fuori quelle parole fu liberatorio in modo quasi esagerato. Difatti, si sentì improvvisamente vuoto, come se oltre al peso del rimorso se ne fosse andato praticamente tutto il resto.

Sentì le mani di Crowley staccarsi dalle sue braccia, ma fu come se stesse accadendo a qualcun altro; come se la sua mente e il suo corpo fossero su piani diversi della realtà.

Tornò a guardare il suo demone, ma non riuscì a capire se fosse deluso, triste o confuso... Non era mai stato bravo a leggerlo - forse perché non meritava nemmeno la capacità di farlo.

Lasciò che il pianto gli offuscasse la vista, così da rendere il tutto meno visibile e più sopportabile.

    Percepì Metatron dire una cosa simile a: «Esattamente come avevo detto. Non può funzionare.»

E aveva ragione. Aveva pienamente ragione.


Attraverso il velo di lacrime, Aziraphale intravide il capo dei Serafini usare il braccio libero per tirare qualcosa fuori dalla giacca.

Sembrava un libro - forse lo era.

Muriel parve spaventata da quel gesto. Aveva iniziato a divincolarsi e, per la prima volta da quand'era arrivata, aveva esclamato qualcosa.

Persino Saraquel stava parlando. Crowley, invece, pareva immobile quanto lui. Chissà se anche il suo demone stava provando quella strana sensazione di svuotamento. Chissà se anche per lui il mondo si era ridotto a nient'altro che una cacofonia di rimbombi.


Il libro si aprì. Ora Metatron aveva in mano una penna: una di quelle vecchie, da intingere nell'inchiostro. Aziraphale la riconobbe subito, nonostante la confusione sorda che aveva in testa: era la sua, quella che teneva sulla scrivania.

Era una piuma nera e lucida. Gliel'aveva data Crowley secoli orsono - scherzando e dicendo che tanto ne aveva altre. L'aveva gelosamente custodita fintanto che non aveva aperto la libreria; dopodiché le aveva dato un nuovo scopo.

Adesso, il suo superiore la stava usando per tracciare quella che sembrava una linea in mezzo alle pagine.

Forse, la cosa avrebbe dovuto allarmarlo così come stava allarmando Muriel. Ma la visione non gli causò che un'ondata di pura apatia.

Non provava né ansia né paura. Più rimaneva zitto in mezzo a quell'aria cosparsa di umidità e silenzio, più il timore veniva sopraffatto e soffocato dalla sensazione di niente che aveva iniziato a mangiarselo subito a termine della sua confessione.


Chiuse gli occhi e le lacrime gli rigarono le guance.


Quando li riaprì, aveva ricominciato a piovere.

Laria fredda gli pizzicava la faccia, colpendo ancor più sonoramente laddove il pianto gliela stava lavando.

Ora che aveva la vista sgombra, Aziraphale notò che la piccoletta - in che modo non avrebbe saputo dire - si era staccata dalla morsa del suo superiore, allontanandosene. Ora se ne stava immobile tre metri più in là con le lacrime agli occhi e le mani sulla bocca.

Saraquel si stava passando due dita sugli occhi. Scoccò giusto un'occhiata a Metatron, il quale richiuse il suo libro con un tonfo e se lo ricacciò in tasca - smaterializzando la penna chissà dove.

Tra di loro, proprio nel punto dove stava Crowley, non c'era più nulla: solo uno spiazzo d'erba verdissima e bagnata.

Era scomparso come neve al sole, senza un suono né un lamento. In un attimo fu come se non fosse mai esistito.

Ed è tutta colpa tua.


    «Bene, problema risolto. Finalmente, aggiungerei» annunciò il capo dei Serafini con soddisfazione. «Possiamo tornare ai nostri affari. Tu» ordinò, voltandosi verso Muriel, «torna alla tua scrivania. Tra un po' ne avrai anche troppe di scartoffie di cui occuparti. Vedi di non deludermi, stavolta.»

Lei non rispose nemmeno: era troppo occupata a fissare il prato per farlo.

    A Metatron parve non importare. «In quanto a te, Aziraphale: sarà bene che tu vada a prenderla.»

Il neo arcangelo sapeva benissimo di chi stava parlando. Era scritto nero su bianco in un foglio metafisico: La consegna verrà fatta dall'Arcangelo Supremo stesso. Il suo compito era stato deciso durante la riunione 1616, perciò non gli restava che portarlo a termine.

Tanto, non c'era nient'altro che potesse fare. Non c'era nient'altro che importasse. Poteva solo annuire e fare quello che qualsiasi angelo freddo e ligio al dovere avrebbe fatto: seguire gli ordini e fare la cosa giusta, una volta tanto.

    Soddisfatto, il capo dei Serafini indicò la sua seconda. «Saraquel ti accompagnerà fino al Piano di Sopra. Dopodiché si unirà a me per finire i preparativi.»


Così, Aziraphale affiancò l'aiutante di Metatron. Si era mosso come se fosse stato il vento a spingerlo, più che la sua volontà effettiva.

Si asciugò le guance con compostezza, come se le lacrime non fossero state che un semplice contrattempo. Lasciò che le braccia gli ricadessero sui fianchi, deboli come il battito del suo inutile cuore.

Era la sua condanna, quella. La sua punizione. Era giusto che andasse così.

    «Aziraphale?» Lo richiamò una vocina rotta e tremante.

Si voltò per incontrare il volto disperato di Muriel. Anche lei era rimasta sola, si rese conto. Era ingiusto, in effetti: lei era sempre stata la versione migliore di lui. Era più dolce, più genuina, più angelica in tutto e per tutto. E a Crowley piaceva: aveva imparato a volerle bene.

Ora sarebbe tornata da dov'era venuta e la libreria sarebbe rimasta vuota.

Ed è tutta colpa tua.

Non le disse niente. Scostò semplicemente lo sguardo verso il vuoto e scoccò le dita.

    «Aziraphale!»

Ma ormai se n'era già andato.


La luce dell'ascensore era accecante, il suo interno fin troppo lucido.

Aziraphale riuscì a darsi un'occhiata grazie al riflesso che gli rimandarono le porte. Non sembrava neanche più lui: il vuoto sembrava averlo scavato fuori oltre che dentro. Aveva i capelli fin troppo in ordine, il papillon fin troppo dritto e le mani fin troppo immobili.

    Accanto a lui, Saraquel aveva le braccia incrociate e la fronte leggermente aggrottata. «Amava davvero quello che faceva» disse ad un certo punto, rompendo il leggero ronzio che stava accompagnando la loro ascesa. «Era quello che metteva tutti di buon umore. O meglio: con me lo faceva benissimo. Era capace di parlare per ore ed ore dei suoi progetti, dei suoi appunti, dei suoi piani, delle sue stelle...» Le scappò una mezza risata affettuosa. «Gli si accendeva una luce negli occhi tutte le volte. Mi è mancata quando se n'è andato: anche per questo ho volontariamente accettato di essere abbassata di grado. Lassù non c'era più niente e nessuno che mi motivasse a restare - ed era anche l'unico modo di evitare la procedura nel caso Metatron avesse pensato di attuarla». Fece una pausa. Aziraphale non si voltò nemmeno a guardarla: lasciò semplicemente che il suo sguardo passasse da un riflesso all'altro. «Ho rivisto quella luce nel momento esatto in cui è balzato per proteggerti. Avrà perso la sua nebulosa, ma ha trovato te. Non ci capisco niente di amore, ma di una cosa sono certa: Metatron ha torto marcio.»


Le porte si aprirono.

    Aziraphale uscì grazie alla stessa inerzia di poco prima. Alle sue spalle echeggiò un: «Mi dispiace che le cose siano andate in questo modo. Non potevo sapere che Metatron avesse messo le mani sul Libro della Vita.»

L'ascensore si richiuse e iniziò la discesa, lasciandolo solo in una stanza troppo bianca, troppo luminosa e troppo pulita. L'odore di cieli tersi e nuvole gli diede alla testa.

Avanzò lentamente, lasciando che il rimbombo dei suoi passi gli riempisse il vuoto che aveva in testa.

    Era così fuori dalla realtà che, quando qualcuno di molto particolare comparve sulla sua strada, non si stupì nemmeno. Semplicemente si fermò, composto come un soldatino, e accennò un sorriso. «Salve» disse solo.

Davanti a lui c'era una bambina dalla pelle scura. I capelli ricci e corvini le erano stati intrecciati ad arte sulla nuca, salvo poi sciogliersi vaporosi fino alle spalle. Indossava un semplice vestitino bianco decorato sui bordi da un leggero filo dorato. Aveva gli occhi grigi e curiosi di una giovane umana, anche se umana lo era solo per metà.

    «Tu sei quello che dovrebbe accompagnarmi?» Chiese questa, inclinando la testa.

Aziraphale annuì.

    «Oh» esclamò lei. Poi aggrottò la fronte. «Aspetta, io ti ho già visto.»

    Aziraphale annuì nuovamente. «È stato molto tempo fa.»

    La bambina venne colta da un moto di realizzazione che la fece sorridere. «Ma certo! Mi ricordo di te. Caspita, quella è stata proprio una giornataccia» esclamò. Poi rabbrividì: «Mi fa ancora male tutto se ci penso. Mi spiace che anche tu abbia dovuto assistere a quello spettacolo raccapricciante. I Romani sapevano come torturare la gente, poco ma sicuro.»

Il modo in cui aveva messo le mani sui fianchi la fece sembrare improvvisamente più grande. Sembrava quasi che si stesse abituando alle sue nuove sembianze - e magari era proprio così.

    Aziraphale fece spallucce. «Alla fine è andata bene, però.»

    «Che cos'ha detto per farli arrabbiare tanto?»

    «'Amatevi l'un l'altro'.»

Scosse la testa. Non era il momento.

    «Sì, diciamo di sì. Di certo, la notizia ha fatto scalpore. Ne parlano ancora?»

    «Oh, sì. Ogni giorno, o comunque, almeno una volta l'anno.»

    «Pensa tu» rise lei. «In effetti, ora che ci penso: tu eri quello incaricato di stare sulla Terra. Hai un nome particolare...» schioccò spesso le dita, cercando di ricordare. «A- Azi- qualcosa?»

    «Aziraphale.»

    «Giusto! Scusami, è che voi angeli siete davvero davvero tanti» ammise. Poi allungò una mano: «Io sono Eve.»

Ma certo: prima Adam, poi lei. Aveva perfettamente senso.

Aziraphale ricambiò la stretta. Persino quel contatto gli parve incorporeo, come se non fosse più capace di provare nemmeno il tatto oltre alle emozioni.

    «Sai cos'altro mi è venuto in mente?» Riprese Eve. «Non eri solo l'ultima volta che ci siamo visti. Ho conosciuto il demone che era con te. So che non dovrei dire queste cose, ma era davvero un tipo simpatico.»

Giusto. Crowley, che d'altronde aveva deciso proprio quel giorno di volersi chiamare così, glielo aveva accennato.

    «Erano stati quaranta lunghissimi e noiosissimi giorni» raccontò lei. «Non so se hai mai fatto una passeggiata nel deserto, ma posso assicurarti che stare senz'acqua sotto al sole non è il massimo. Solo che, sai, non puoi pretendere di insegnare il sacrificio alle persone senza farlo a tua volta». Fece spallucce. «Fortunatamente, alla fine è arrivato lui. Abbiamo chiacchierato un po', mi ha fatto vedere il mondo... è stato divertente. Ha alleggerito la situazione. Non dirlo a nessuno, ma gli devo un favore.»

    Nemmeno quella storia riuscì a smuovere l'animo di Aziraphale: si sentiva come se stessero parlando di un amico immaginario. Si sforzò solo di mantenere il fare affabile. «Non lo dirò a nessuno» promise. «Allora, vogliamo andare?» Chiese poi, sapendo che da quel momento in poi lo avrebbe aspettato l'ignoto. Non sapeva cosa sarebbe successo, né dove sarebbe andato. Poteva solo portare a termine il lavoro e lasciarsi trascinare dagli eventi.

Almeno, ora che non esiste più, non è più in pericolo.

    Ma Eve non si mosse. Ridusse gli occhi ad una fessura e lo studiò da cima a fondo con lo sguardo quasi incolore che si ritrovava. «Perchè sei così triste?» Chiese.

    «Non sono triste.»

Non era una bugia. Aziraphale non era triste; semplicemente, era niente. Solo e più niente.

    «Vero, è persino peggio: i principati brillano, questo me lo ricordo. Tu sei alquanto spento.»

Brillano. Come le stelle.

    «Non sono più un principato. Da un po'.»

    Eve sbatté gli occhi un paio di volte. «In che senso?»

Fu allora che la coltre di apatia nell'animo del biondo decise di schiudersi appena, lasciando che sbucasse una punta di confusione.

    «Metatron non ti ha detto niente?»

    «Perchè, a te che cos'ha detto?»

La confusione si fece improvvisamente palpabile e ben piantata sui volti di entrambi.

    «Beh, ehm...» balbettò Aziraphale, ritrovandosi, come non fosse mai accaduto niente, le dita indaffarate a stringersi l'un l'altra. «Secondo ciò che abbiamo detto durante la nostra ultima riunione: la Seconda Venuta porterà con sé il conseguente annientamento di qualsivoglia forma di peccato, malignità e cattiveria» recitò. «Sono un arcangelo da un anno, ormai, e sono qui per accompagnarti, proprio come hai detto prima.»

    Dopo essersi presa un attimo per ragionare, Eve sospirò e alzò gli occhi al cielo. «Ancora con questa storia?» Esclamò, facendo rimbombare la sua vocina tra le eteree mura del Paradiso. «Ecco perché nessuno è venuto a consultarmi: credevate di sapere già tutto.»

Aveva incrociato le braccia, iniziando a battere la punta della sua scarpetta di vernice sul pavimento immacolato. Quella sì che era una reazione inaspettata, tanto da aver fatto tornare Aziraphale con i piedi per terra.

Non aveva più la più pallida idea di cosa stesse succedendo.

    «Io credevo che Metatron avesse parlato con Dio e-»

    «Mio Padre e Metatron non parlano da un sacco di tempo» lo interruppe Eve. «E la storia dell'annientare il Male se la sono inventata gli umani. Mi spieghi come lo gestisco il Giudizio Universale senza l'Inferno?»

Aziraphale non seppe come rispondere. Effettivamente, era una contraddizione bella e buona.

    «Ma dico, nessuno di voi si fa domande? Caspita, qualcuno che fa domande ci vuole, o va a finire così.»

Quell'affermazione gli causò un tonfo al cuore. Nessuno avrebbe dovuto farsi domande; difatti, nessuno aveva mai pensato di chiedere ad Eve quali fossero davvero i suoi piani.

    «D'altronde» riprese lei, «non posso eliminare il male senza eliminare l'umanità: sono due cose strettamente collegate, così come il bene e l'umanità. E io l'umanità la vorrei aiutare per evitare che finisca in buona parte dentro ad un buco puzzolente.»

    «Ma- ma Metatron ha disposto tutto» spiegò Aziraphale, cercando di dare un senso a tutta quella situazione - più a se stesso che altro. «Ha persino preso il Libro della Vita. Ero convinto che lo avesse con sé apposta per- beh- pensavo che avesse un permesso» balbettò. Eve lo guardò come se avesse qualcosa di stupido scritto in fronte. «Non- non ha un permesso?»

    «Il Libro della Vita?!»

Aziraphale lo prese come un: "No."

    «Nessuno dovrebbe appropriarsene» affermò Eve. «Quello è praticamente un catalogo. Dovrebbe servire a tenere tutte le forme di vita in un unico posto, sai, per registrarle. È fatto per essere scritto di volta in volta, e nessuna delle voci al suo interno dovrebbe essere cancellata». Poi incrociò le braccia. «Non dirmi che ha cancellato qualcuno.»

Il neo arcangelo sentì un groppo in gola. Se prima la sua mente risultava più vuota della stanza in cui si trovavano, adesso gli si era improvvisamente riempita di tutto: domande, confusione, rimorso, nostalgia e solitudine.

D'un tratto, sentì il peso di ciò che era accaduto. Le lacrime non si soffermarono nemmeno, stavolta: scesero semplicemente, copiose e pesanti. I led sulle loro teste parvero sfarfallare, ma magari era solo un'impressione.

    Per un attimo gli parve di perdere l'equilibrio da quanto gli tremavano le gambe. «È tutta colpa mia» disse, stavolta a voce alta. Ebbe come l'impressione che tutto l'universo lo avesse sentito.

    I passetti di Eve lo raggiunsero. La intravide mentre si inginocchiava davanti a lui - perché sì, era piombato con le ginocchia al suolo e nemmeno se n'era accorto. «Ho bisogno che mi racconti cos'è successo» gli disse, seria ma gentile al contempo. «Non posso certo iniziare il mio piano di aiuto alla Terra se già dall'inizio ci sono più cose che non vanno, no?»


Così fecero.

Eve aveva fatto comparire due poltrone comode e morbide che davano su un'enorme finestra che Aziraphale, perso com'era, non aveva nemmeno notato.

Visto che erano molto in alto, al di fuori non si estendevano le più grandi città della Terra, bensì la volta celeste così come l'angelo l'aveva vista quel fatidico giorno. Ora come ora, però, quelle stelle e quei colori parevano senza vita. In lontananza gli parve di vedere Alpha Centauri, e un dolore gli attanagliò l'aura.

A Eve raccontò tutto, intanto che lei faceva dondolare le gambe, pensosa. Non disse una parola per tutto il tempo che ad Aziraphale servì per dirle dell'angelo dai capelli rossi di cui si era innamorato, lo stesso che aveva fatto Cadere. Le disse persino del bacio, dei secoli che aveva passato a combattere tra quello che riteneva giusto e quello che gli altri ritenevano giusto. Tirò fuori tutto quello che gli venne in mente, lasciando che la sua voce si rompesse e prendendosi gli attimi di cui aveva bisogno.

Disse a voce alta che l'amore della sua esistenza non esisteva più. Formulare quelle parole fu quasi peggio del ricordare l'offuscata mano di Metatron che cancellava Crowley dal Libro con una facilità disarmante.

Era tutta colpa sua.

Anche questo ripeté, perché era l'unica e l'ultima convinzione che gli rimaneva.

A discorso ultimato, Eve non parlò - non subito. Schioccò le dita, e tra le mani si ritrovò proprio lui: il Libro della Vita. Ad Aziraphale fece strano scoprire quanto rovinato, smunto e del tutto simile a quelli della sua libreria sembrasse. Ma soprattutto, si chiese se Metatron si sarebbe accorto del fatto che gli era sparito dalla tasca.

    Sfogliandolo, la bambina fece scorrere il dito lungo le righe confuse che riempivano le pagine. Emise un mesto: "mh", prima di sospirare. «Hai una penna?»

    «Ehm, non ho idea di dove Metatron abbia messo la mia.»

    «Ti ha pure preso la penna?!»

Ad Aziraphale scappò un sorriso - il primo sorriso sincero dopo chissà quanto, dato che ormai lo scorrere del tempo non aveva più senso, né logica.

    «Beh, prestami una piuma, allora.»

E lui obbedì, perché era pur sempre la figlia di Dio quella che aveva davanti. Aprì le ali con delicatezza, affinché non risultassero fastidiose contro lo schienale della poltrona.

    Lasciò che fosse Eve stessa a scegliere una delle sue piume candide. Ne staccò una con premura, assicurandogli che sarebbe ricresciuta nel giro di poco. «Sai» disse poi, «se sei riuscito a ricordarti tutte quelle cose nonostante la procedura, significa che sei davvero forte. Si vede che sei stato un cherubino. Certe cose non puoi cancellarle.»

    Aziraphale annuì a mo' di ringraziamento, incapace di capire cosa dire e come dirlo. «Che succederà adesso?» Chiese, invece.

    «Beh, te l'ho detto: devo un favore al tuo, chiamiamolo, amico. C'è solo un problema» disse lei, tornando a fissare le pagine del Libro. Doveva esserci un bel buco, lì; uno spazio bianco che solo lei vedeva. «Riscrivere il suo nome non è sufficiente. Una volta che hai cancellato qualcuno, è difficile riportarlo indietro esattamente com'era. Penso potrebbe farlo solo mio Padre o, in alternativa... Beh, potresti farlo tu.»

    Il neo arcangelo sbarrò gli occhi. «Io?»

    «Beh, sì. Nessuno conosce Crowley meglio di te.»

Aziraphale si mise a guardare il cielo al di fuori, valutando quelle parole. Non era sicuro di conoscerlo così tanto: in fondo, non riusciva mai veramente a leggerlo come Crowley stesso leggeva lui. Il suo demone era sempre stato un libro aperto, ma scritto in parte in una lingua che lui non comprendeva - o che non voleva comprendere.

Eppure, Eve gli stava proponendo un modo di farlo tornare. Per niente al mondo si sarebbe lasciato scappare quell'opportunità. Non dopo tutto il male che aveva causato.

    «Tu credi nella redenzione?» Chiese infatti lei, che tanto bambina non sembrava quando metteva su quel tono.

    Aziraphale annuì. «Certo che sì.»

    «Nel perdono?»

    «Più di qualsiasi altra cosa.»

    «E nell'amore?»

    «Ovviamente.»

    Allora, Eve fece un sorrisetto furbo. «Nella resurrezione?»

    Aziraphale si fece scappare una risata leggera. «Penso di doverci credere, sì.»

    «E allora devi farmi un paio di favori. Il primo: smetterla di perdonare gli altri a caso e iniziare a perdonare un po' te stesso. Il secondo, seguire attentamente quello che ti dirò di fare.»

E lui acconsentì, annuendo energicamente e pronto a prendere nota di tutto. Pronto a fare qualsiasi cosa gli sarebbe stata richiesta.

    «Ah, e per la cronaca» riprese Eve, «sarò anche solo un terzo di mio Padre, ma persino io so che non sbaglia mai. Perciò, quando dice che prima o poi Crowley avrebbe comunque scoperto tutto, significa che è così. Probabilmente sarebbe Caduto comunque, e probabilmente si sarebbe arrabbiato con te per non avergli detto nulla prima. Inoltre, volevi la sua attenzione perché ti sei, come direbbero gli umani, preso una bella cotta.»

    «Non mi pare una cosa molto positiva...»

    «Aziraphale, sei stato il primo. Il primo ad innamorarsi, intendo. Hai idea di cosa significhi?»

A dirla tutta, Aziraphale non riusciva a cogliere quel punto. Certo, l'amore era una bella cosa e tutto il resto, ma aveva comunque portato ad esiti non del tutto positivi - almeno nel suo caso. D'altronde, lui non aveva idea di come ci si amasse davvero. Tutto quello che aveva tra le mani erano le osservazioni che aveva fatto guardando gli umani, Jane Austen, un bacio finito in tragedia e una seconda occasione finita ancora peggio.

    La risata armoniosa e infantile di Eve distese le rughe di dubbio sulla sua fronte. «Caspiterina, tu ami come gli umani: senza capirci niente. Sicuro di essere un angelo?»

    «Fin troppo sicuro» mormorò lui, il tono mesto. Di certo, alle volte ragionava esattamente come tutti gli altri angeli. A dirla tutta, era anche perché non aveva mai conosciuto altro modo di pensare.

    «Beh, dovresti allontanarti un po' dal Paradiso, allora. Penso ti stia un po' stretto.»

E gli stava stretto davvero. Avrebbe potuto compararlo ad una maglietta della taglia sbagliata dalla quale, però, non riusciva a separarsi. Gli umani l'avrebbero chiamata una "zona di comfort".

    «Immagino tu abbia ragione.»

    «Certo che ce l'ho: sono un terzo di mio Padre.»

Risero assieme, stavolta, riscaldando un po' l'atmosfera fredda che emanavano quelle pareti tutte uguali.

    «E quindi tu?» Chiese poi Aziraphale. «Cosa farai?»

    «Oh, non preoccuparti di me: ho già tutto programmato. Ho persino in mente una bellissima entrata in scena.»

    Le sorrise. «Non vedo l'ora di vederla, allora.»

    Lei gongolò per un attimo, poi scelse una pagina apparentemente a caso del Libro, tenendo in mano la piuma di Aziraphale. «Sarà meglio che ci sbrighiamo, allora; anche perché alla lista si è aggiunta una bella chiacchierata con Metatron e compagnia. Sei pronto?»


Il neo arcangelo diede un'ultima occhiata all'universo.

Alpha Centauri era un sistema stellare triplo situato nella costellazione australe del Centauro. Era la stella più luminosa della costellazione, nonché terza stella più brillante del cielo notturno a occhio nudo. In particolare, Proxima Centauri, delle tre stelle che componevano il sistema, era dopo il Sole la stella più vicina alla Terra.

Le iniziali del nome di quel sistema erano anche le loro iniziali.

Era costituito da una coppia di stelle di sequenza principale di luminosità simile, una nana gialla e una nana arancione molto vicine fra loro che, e a occhio nudo o con un piccolo binocolo, sembravano essere un'unica stella.*

Capiva perfettamente perché a Crowley piacesse tanto.

La prima cosa che avrebbe fatto semmai lo avesse rivisto, sarebbe stata portarlo lassù. Come aveva sempre voluto.


    «Mai stato così pronto» disse quindi.

L'ignoto non gli faceva più paura. Qualsiasi cosa fosse successa, l'avrebbe fatta con piacere. L'avrebbe fatta per amore.

Ma soprattutto, l'avrebbe fatta per perdonarsi.






* Grazie Wikipedia, ma soprattutto grazie a chiunque abbia inserito il riferimento a Good Omens nella sezione: "Nella cultura" della entry dedicata ad Alpha Centauri.

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Capitolo 17
*** Tu credi nell'amore? ***


La notte passava sempre troppo in fretta per i suoi gusti.

Si raggomitolò nelle coperte, coprendosi la testa per evitare che la luce del mattino lo disturbasse. Iniziò a capire che qualcosa non quadrava solo nel momento in cui si accorse che il profumo delle lenzuola non era quello a cui era abituato. Di certo, nel suo appartamento non aveva mai sentito l'odore della polvere, o della carta vecchia, o del tè... Quelle erano cose che appartenevano alla libreria.

Magari se lo stava sognando - era interamente possibile, conoscendosi.

A fargli aggrottare le sopracciglia fu una realizzazione.

Aspetta un attimo, si disse. Quale luce? Piove da giorni!


Crowley aprì gli occhi di scatto e si sedette in un secondo, come se qualcuno gli avesse dato un colpo di frusta dritto dritto sulla schiena.

Fuori c'era il sole.

Il sole.

Si catapultò fuori dal letto, attorcigliandosi nelle coperte. Piombò sul pavimento con un tonfo, e si rimise in piedi in un attimo solo per scoprire che le gambe gli tremavano e la testa gli girava. Finì contro una parete di schiena e scivolò fino a terra - più confuso che effettivamente allarmato.

    «Ma che cazzo...» mormorò, notando che nemmeno la sua voce stava collaborando, roca com'era. Si sentiva intorpidito, come quella volta che si era svegliato dopo un intero secolo di dormita - la migliore della sua esistenza, d'altronde; rimasta ancora imbattuta.

Lentamente e poggiando le mani contro il muro, si alzò nuovamente e si guardò attorno. Era al piano di sopra della libreria, laddove stava l'unico letto dell'edificio - lo stesso nel quale stava dormendo fino a poco prima. Ogni cosa era al suo posto: libri, fogli sparsi, polvere... A stonare erano le coperte divelte dalle quali si era liberato e il sole che filtrava dalla finestra. Al di fuori, Londra andava avanti e indietro come sempre aveva fatto prima della pioggia.

Il rosso cercò di fare mente locale. Va bene, ricordava il tempaccio, ma che altro?

Nella sua mente riaffiorarono lontane immagini di sbronze, notti passate a piangere, ma anche passeggiate al parco e tantissime tazze di cioccolata calda.

Si ricordava di Muriel, del modo in cui scribacchiava sul suo taccuino, di quando si perdeva in mezzo alla folla e si tappava le orecchie perché odiava la confusione. Soprattutto, la ricordava spaventata e tremante, forzatamente allacciata al braccio di Metatron.

Giusto, il Metastronzo. Quel brutto bastardo aveva causato tutto, e Saraquel lo aveva aiutato - o almeno, così credeva. C'era anche lei, e aveva detto un sacco di cose.

Aveva fatto un sacco di domande.

È vero, domande.

E poi Aziraphale si era messo a piangere.

Oh, cazzo.


Ignorando lo stato in cui si trovava, Crowley barcollò verso la porta. La aprì praticamente poggiandocisi sopra, un po' come faceva quando si riempiva volutamente di bottiglie intere di alcolici.

    «Aziraphale?» Richiamò, sforzando la gola e raggiungendo faticosamente le scale a chiocciola.

A rispondergli non fu il suo angelo, ma qualcuno di molto, molto familiare.

    «Crowley?» Esclamò Muriel, comparendo alla base delle scale. Alzò lo sguardo e sorrise come spesso il rosso le aveva visto fare, con la differenza che, stavolta, aveva gli occhi ricolmi di lacrime. «Crowley!»

L'agente che piangeva? Che accidenti stava succedendo?

    Rallentando giusto per evitare di rotolare di sotto, il demone andò a cercare stabilità tra le pronte braccia dell'altra. «Che succede?» Chiese, dando voce ai suoi pensieri. Aveva la testa in pappa, ma era certo di non essere mai tornato in libreria. L'ultima volta che aveva visto l'agente, e Saraquel, e Metatron, e Aziraphale, erano fuori - all'esterno, da qualche parte.

    Muriel si prese un lungo attimo prima di rispondere. Lo fissava da capo a piedi, come se non lo vedesse da una vita, o come se avesse qualcosa di strano in faccia - Crowley non avrebbe saputo dirlo. «Sei vivo» mormorò infine, stringendo la presa sui suoi avambracci. «Io- cioè, Metatron mi ha detto di tornare in Paradiso; ma io sono tornata qui, invece. Ogni giorno. Oggi doveva essere l'ultimo, ma dopo qualche ora è comparso il sole,  come non fosse mai successo niente. Poi ho sentito dei rumori, ma lei non c'era più e-»

    Crowley le poggiò una mano sulla bocca, stralunato. «Di che stai parlando? Perché dovrei essere morto?» Esclamò. Poi alzò gli occhi al cielo. «Agente, te l'ho già spiegato. Dormire non significa-»

    «Non è quello!» Lo interruppe lei, scoprendosi il volto. «È stato Metatron: aveva il Libro.»

Il Libro?

Ecco, quello proprio non se lo ricordava. In quel momento, aveva in testa solo il volto di Aziraphale rigato di lacrime. L'angelo si stava incolpando per qualcosa, ma non avrebbe saputo dire cosa di preciso.

Era tutto così strano... Gli sembrava di star disperatamente cercando di ripescare un sogno, anche se era quasi certo di averle vissute veramente quelle cose. C'era nebbia, e l'erba era verdissima, ed era uscito da un cottage dalle pareti bianche.

    «Dov'è Aziraphale?» Chiese, sperando che Muriel lo sapesse e che glielo indicasse con un sorriso e un gesto della mano - così come aveva fatto con le vetrine decorate sotto natale.

    Ma lei abbassò la testa, affranta. «Se n'è andato. È tornato di Sopra.»


È tornato di Sopra.

A Crowley non pareva possibile. Avevano rimesso le cose a posto, ne era certo. Cavolo, si erano baciati sotto la pioggia, e quel tocco gli aveva ballato sulle labbra per tutto il tempo. Persino adesso sentiva un piacevole pizzicore là dove i baci di Aziraphale lo avevano toccato.

Qualcosa non andava, e non vedeva l'ora che Muriel tornasse dalla cucinetta per raccontargli tutto.

Nel frattempo, era andato a tuffarsi sul divano. Si sentiva strano, come se gli avessero tirato l'aura fuori dal corpo e gliel'avessero rimessa dentro dopo averla rivoltata come un calzino - e, a giudicare da ciò che aveva detto Muriel, era molto probabile che fosse così.

Lo credeva morto, il che lo aveva portato a cercare di ragionare. Non era stato semplice: la sua mente lo aveva riportato a Maggie per qualche motivo, e ai libri sparsi ovunque attorno a lui. Perché stava faticando così tanto a ricordare? Perché la testa gli faceva così maledettamente male?

    «Non si sforzi tanto» lo ammonì la piccoletta con dolcezza, mettendo un vassoio sul tavolino - proprio come ai bei vecchi tempi.

    Gli porse la tazza come se avesse paura di frantumargli le dita nel processo, cosa che portò Crowley a ricordarle che: «Sto bene, rilassati». Glielo aveva già ripetuto almeno tre volte - anche se era vero fino ad un certo punto. «Vieni qui.»

La fece accomodare sul divano accanto a lui, lasciando che premesse il fianco contro il suo. Aveva bisogno di risposte, ma mai si sarebbe sognato di tirargliele fuori tutte di colpo.

    «Si vede che non hai mai avuto motivo di essere triste» le aveva detto una volta.

Ora, invece, si vedeva che la piccoletta aveva passato davvero un momentaccio. Non era solo triste: era decisamente affranta. Tamburellava le dita contro la sua tazza e non aveva nemmeno un briciolo del sorriso che sfoggiava di solito. Metatron era capace di distruggere tutti i suoi angeli preferiti - che poi erano solo due, ma valevano come due milioni.

Ovunque fosse il capo dei Serafini, a Crowley sarebbe piaciuto dargli un bel calcio laddove non batte il sole. Ora come ora, però, doveva capirci qualcosa.


Muriel gli raccontò tutto dal momento in cui Aziraphale era ricomparso in libreria.

Alla fine, Crowley scoprì che a mancargli del tutto erano solo gli ultimi pezzi del puzzle. Quando scoprì il motivo di tale mancanza, per poco non fece cadere sul parquet ciò che rimaneva della sua cioccolata.

Capì perché continuava a fissarsi su Maggie e i libri. Semplicemente, avevano parlato con lei del Libro della Vita, e sempre lei aveva messo sia lui che Muriel al corrente del pericolo.

Certo, non si aspettava che Metatron se ne andasse bellamente in giro con un'arma di distruzione di massa nella giacca. A dirla tutta, non se l'aspettava nessuno.

Aveva minacciato la sua agente, aveva fatto già sparire Shax per far capire di cosa fosse capace, e poi aveva tranquillamente cancellato lui davanti agli occhi di Aziraphale. Ma quel che era peggio: lo aveva fatto nel momento peggiore.

La confessione del suo angelo gli bruciava adesso vivida tra i ricordi, rimbombandogli nella testa. Come avrebbe detto Gabriele, adesso sapeva esattamente dove fossero i mobili in quella stanza che era la sua mente, ma si era fissato su uno di essi in particolare.

    «Quell'idiota» sussurrò senza nemmeno un briciolo della rabbia che avrebbe dovuto provare.

La verità era che non sapeva esattamente cosa pensare. Da un lato, continuava a non fregargliene assolutamente nulla di ciò che era accaduto tra loro in Paradiso. Dall'altro, voleva sbattersi una mano in faccia.

Chissà perché non era stupito. Alla fin fine, creare un problema gigantesco solo per un leggero capriccio era la cosa più da Aziraphale che Aziraphale potesse fare. Era sempre così: voleva le crepes e per poco non si faceva tagliare la testa, voleva che gli fosse chiesto scusa e gli faceva fare un intero balletto, voleva ricambiargli un favore e metteva su un intero spettacolo di magia, voleva attenzione e faceva crollare tutte le sue più rosee aspettative... Certe cose non cambiavano mai.

Ciò che più gli dava fastidio, però, era il non aver avuto il tempo di metabolizzare il tutto e rispondere al suo angelo come si doveva. Metatron non gliene aveva dato.

    «Dobbiamo andare da lui» disse alla fine, risoluto. Aveva stretto il polso di Muriel, sperando che acconsentisse. «Devo parlargli. Deve vedere che sono qui.»

E magari gli do pure un bel ceffone, stavolta.

    «Era alquanto distrutto l'ultima volta che l'ho visto» affermò lei, liberandosi le mani solo per dargli qualche leggera pacca sulle nocche. «Non sembrava più lui. Stava quasi peggio di quando è sbucato fuori dal cerchio.»

E ciò la diceva lunga.

    «Motivo in più. Non posso perderlo di nuovo, capisci? Non dopo tutto questo casino. Non dopo che sono miracolosamente sopravvissuto.»

Nemmeno di quello gli importava. L'importante era esserci.

Per Aziraphale.


Li interruppe un leggero bussare alla porta.

    Fu Muriel ad alzarsi, intimandogli di restare dov'era. «Dev'essere qualcuno che si chiede come mai la libreria è chiusa: mi è capitato spesso negli ultimi giorni. Faccio in un attimo.»

E Crowley acconsentì, sciogliendosi sullo schienale e passandosi le dita sugli occhi scoperti. Che situazione assurda, si disse. Non volevo ignorarlo: stavo solo cercando di fare bene il mio lavoro.

    Poi udì una vocina provenire dalla porta. «Il signor Crowley è in casa?» Aveva chiesto, educata e composta.

Il demone si era sporto un po', sguardo puntato all'ingresso. Chi mai poteva volerlo? D'altronde, non aveva mai sentito quella voce in vita sua.

    «Oh, ehm, sì» aveva risposto Muriel. «Solo che non si sente molto bene. Non potrebbe ripassare più tardi?»

    «La prego, ci vorrà un attimo.»

    Con uno sbuffo, Crowley si alzò e fece qualche cauto passo verso la sua agente. «Falla entrare, ci penso io.»

Quando la piccoletta aprì la porta, il rosso rimase basito nel veder entrare una bimba dalla pelle scura, gli occhi grigi e i capelli ricci. Doveva avere sì e no sette anni.

Non aveva la più pallida idea di chi fosse.

    «Ciao!» Salutò la nuova arrivata. «Ci hai messo tre giorni anche tu, eh? Devono essere le tempistiche standard.»

Crowley alzò un sopracciglio, confuso. Muriel lo affiancò e gli rivolse una scrollata di spalle che sapeva tanto di: "Ah, non chiedere a me."

    «Scusate, avete ragione» riprese la bambina, ridacchiando. «Mi chiamo Eve. Aziraphale avrebbe dovuto accompagnarmi, ma ci sono stati dei piccoli contrattempi e sono un po' in ritardo sulla tabella di marcia.»

Aziraphale avrebbe dovuto-

    Crowley e Muriel sbarrarono gli occhi all'unisono, si scambiarono un'occhiata stralunata e, in coro, esclamarono: «Tu, cosa?!»

Eve si rimise a ridere.


Il documento riportante la riunione 1616 che Aziraphale aveva scritto di proprio pugno, recitava testualmente: I qui presenti Arcangeli, guidati dalla presenza della Voce di Dio - nonché capo dei Serafini - e dall'angelo da questi incaricato suo secondo, decretano ormai prossima la Seconda Venuta e il conseguente annientamento di qualsivoglia forma di peccato, malignità e cattiveria. La consegna verrà fatta dall'Arcangelo Supremo stesso.

Eppure, Eve se ne stava adesso ben comoda sulla poltrona dell'angelo che avrebbe dovuto "metterla al mondo", le gambe ciondolanti e una tazza di cioccolata calda tra le mani. Sembrava una qualsiasi bambina che si godeva una leccornia, peccato che non lo fosse - o meglio, lo era solo per metà. Sicuramente, non aveva intenzione di annientare Crowley; semmai, sembrava felice di vederlo tutto d'un pezzo.

Muriel si era seduta sul divano, mentre il rosso non c'era riuscito proprio. Si sentiva troppo nervoso e decisamente fuori luogo. Anche nel suo abitino, Eve sembrava un'adorabile bestiolina; mentre lui era scalzo, con i capelli scombinati e i vestiti stropicciati dal tempo che aveva passato a dormire - tre giorni, a detta della bambina.

Prima Adam, poi Eve. Che fantasia.

    «È da un po' che non ci si vede» le disse ad un certo punto, stufo del silenzio che si era creato nel momento in cui la loro improbabile ospite aveva ricevuto la sua prelibatezza stracolma di panna. «E ammetto che non avrei mai immaginato di rivederti, beh, così

    Eve inclinó la testa. «Ma se tu eri vestito da donna l'ultima volta che ti ho visto.»

    «Mozione accolta. Che ci fai qui?»

    «Ti ricambio il favore.»

    «Favore? Che favore?»

    «La chiacchierata nel deserto, ricordi?»

    Oh, eccome se la ricordava. «Diciamo che la storia dei quaranta giorni di sopravvivenza a lacrime e preghiere mi è sempre sembrata stupida.»

    «Lo so, ma che vuoi farci: era necessario.»

Sarà anche stato necessario, ma rimane stupido.

    Il rosso decise di non prolungare ulteriormente e inutilmente quel discorso. Piuttosto, decise di tirare fuori il dilemma principale. «Hai detto che Aziraphale avrebbe dovuto accompagnarti. Dov'è adesso?»

    «Volevo giusto parlartene» affermò Eve, dando un sorso alla cioccolata prima di posarla. «È stato lui a riportarti indietro - sotto mio aiuto e consiglio, ovviamente. Sai, non potevo scomodare mio Padre: già ci è rimasto male quando gli ho detto che cosa stava combinando Metatron.»

Quindi Metastronzo se la stava vedendo con Sua Maestà. Solo l'idea fece crogiolare l'aura oscura di Crowley nella contentezza.

Persino Muriel si era portata una mano alla bocca nel goffo tentativo di nascondere un sorrisino divertito. Era davvero una bellissima visione: stava tornando la solita lei.

La cosa migliore, però, era sapere che era stato proprio Aziraphale a sistemare la situazione. Il demone si chiese se fosse ancora il caso di dirgliene quattro adesso che sapeva come stavano le cose.

    «C'è solo un problema.»

Ti pareva. Quelle poche parole avevano sbriciolato le poche gioie che erano appena appena affiorate.

    «Sarebbe?» Chiese Crowley, già pregustando una batosta coi controcavoli.

    «Come ho detto, non potevo chiedere a mio Padre. Aziraphale ha fatto un lavoro egregio: praticamente, è come se ti avesse ricreato da capo. Sì è personalmente assicurato di non tralasciare nessun dettaglio, e posso assicurarti che ha ancora la stoffa del cherubino. Ci sa fare.»

Il demone aveva sempre saputo che il suo angelo, sotto il fare composto e adorabile che adorava mostrare, era una creatura sensazionale e sensazionalmente potente. Ora, però, quella convinzione si era concretizzata persino di più.

Non sapeva quanto Eve avesse messo lo zampino nel processo, ma anche solo l'idea che Aziraphale si fosse dato così tanto da fare per salvarlo gli scaldava l'inutile cuore.

Ma il "ma" vero e proprio doveva ancora arrivare.

    Difatti, la bambina riprese: «Ha deciso lui di portarti qui in libreria: diceva che è il tuo posto preferito. Io ho formalizzato il tutto e ti ho riscritto nel Libro della Vita. Il problema di cui ti parlavo è che, beh, Aziraphale non è Dio» e fin lì non ci pioveva. «Anche con il mio aiuto, non può portare a termine un'impresa simile con facilità o senza conseguenze. Avevamo tenuto in conto la cosa, ma lui era positivamente convinto di ciò che stava facendo.»

    «Conseguenze? Quali conseguenze?» Chiese Crowley, allarmato.

A qualsiasi problema si poteva trovare una soluzione. Si era stancato? Lo avrebbe fatto riposare. Si era ferito in qualche modo? Lo avrebbe curato. Qualcuno aveva avuto da ridere? Avrebbe avuto da ridire anche lui, senza dubbio.

    «Diciamo che ha dato tutto sé stesso per salvare te. Non appena ho finito di reinserirti, lui è sparito. Quando ho cercato il suo nome tra le pagine, non c'era più.»


Non c'era più.


Crowley sentì le gambe cedergli e piombò sul divano. Le mani di Muriel gli afferrarono il braccio, e poté udirla rimettersi a lacrimare.

Tutto era crollato, di nuovo. Ormai aveva perso il conto delle volte in cui ciò a cui teneva spariva o comunque rischiava di sparire dalla sua esistenza.

Aveva perso le stelle, ma se n'era fatto una ragione. Alla fine, era stato uno di quei mali venuti per non nuocere. Il suo angelo si era sentito in colpa, quando in realtà aveva contribuito a far nascere tutte le cose belle che erano avvenute in seguito.

Aziraphale stesso era ciò che aveva perso di più. Non faceva che perderlo e riprenderlo, perderlo e riprenderlo, perderlo e- stavolta non avrebbe ripreso un bel niente.

Persino i loro baci erano uno staccarsi e un riattaccarsi continuo. Non avrebbe più avuto nemmeno quelli.

Muriel gli aveva detto che Aziraphale sembrava essersi svuotato di tutto a seguito della sua cancellazione. Beh, Crowley non sentiva il vuoto: Crowley sentiva il male. Provava un dolore sordo ma martellante che lo soffocava. Non voleva vivere se il prezzo era farlo senza il suo angelo. Avrebbe preferito sparire per sempre e non tornare mai più.


    «Tieni» disse ad un certo punto Eve, avvicinandosi a lui e strappandolo per un attimo alla cacofonia di pensieri che gli vorticava in testa. «Me l'ha prestata per scrivere.»

Gli aveva poggiato una bella piuma candida sulle cosce. Crowley la prese tra le dita con una delicatezza che ben poco gli si addiceva, un po' come se fosse fatta di porcellana. 

Era immacolata e perfetta, bella come lo era stata quel giorno sotto la pioggia. Per lui, l'Eden sarebbe rimasto per sempre il loro primo, vero incontro. Quello durante il quale si erano conosciuti per ciò che sarebbero rimasti per il tempo a venire.

    «Gli ho promesso che sarebbe ricresciuta» riprese la bambina. «Pensavo ti avrebbe fatto piacere riaverla.»

Il rosso realizzò che il suo nome nel Libro era stato riscritto con quella stessa piuma. Sentì di non meritarselo quel sacrificio. Aziraphale non aveva nessun diritto di sentirsi così tanto in dovere di redimersi nei suoi confronti.

Quell'idiota.


    Sentì le braccia di Muriel cingergli le spalle, ma le scostò con delicatezza, lo sguardo perso e colmo di lacrime. «Vado di sopra» disse solo, cercando di rimettersi in piedi senza frantumarsi al suolo.

Si sentiva come una foglia al vento. Prima o poi sarebbe stato sopraffatto da tutte le emozioni che, ora come ora, stavano combattendo nel suo ipotetico stomaco.

Che senso aveva vivere senza un motivo per farlo? Era uno yang senza lo yin, un'ombra senza luce: da solo non aveva senso, o ce l'aveva solo per metà.

Rifiutò l'aiuto che l'agente stava disperatamente cercando di dargli, aggrappandosi al corrimano della scala a chiocciola.

Non salutò nemmeno Eve, tanto l'avrebbe rivista, prima o poi. Era tornata per restare, o almeno così doveva essere. Non sapeva perché il piano fosse cambiato così di colpo, ma non poteva fregargliene di meno. Tanto, come avrebbe detto Aziraphale, era una di quelle cose ineffabili. Non poteva capirla.


Rientrò in camera maledicendo il momento in cui aveva messo piede fuori dal letto. Si accasciò sfinito alla porta e si concentrò solo sulla sensazione della piuma di Aziraphale tra le dita.

Era l'unica cosa che gli rimaneva, oltre a quello stesso posto, ai libri, all'odore della polvere, della carta stampata, del tè...

Già gli mancavano quei baci. Avrebbe fatto di tutto pur di tornare davanti al camino del cottage, laddove - se lo ricordava bene - aveva affondato il volto nei suoi riccioli preferiti.

Non li avrebbe rivisti mai più.


Conscio di quella realtà, lasciò che le sue ginocchia cedessero nuovamente e rimase seduto sul parquet freddo - il calore del sole che filtrava dalla finestra parve non riuscire nemmeno a raggiungerlo.

Dopodiché lo colse un singhiozzo, poi un altro e un altro ancora. E, dopo aver fatto brevemente a botte con il dolore, decise di soccombervi e piangere.


°•°•°


    «Ci sarà pure qualcosa che può fare!» Aveva esclamato Muriel, fissando Eve con infinita supplica.

Crowley aveva praticamente scalato le scale, trascinandosi al piano di sopra. Esattamente com'era successo con Aziraphale, anche lui sembrava essersi svuotato. Se prima era parso debole e scoordinato, la notizia di ciò che era successo al suo angelo lo aveva in tutto e per tutto distrutto.

    La bambina, in tutta risposta, aveva finito la sua cioccolata e l'aveva guardata con una serietà che poco si addiceva al suo volto giovane. «Muriel, giusto? Bene. Tu credi nell'amore?» Aveva chiesto.

L'agente preferita di Crowley non aveva mai incontrato Eve ai tempi d'oro, ma aveva sentito parecchie voci sul suo conto. Si diceva che riportarla sulla scacchiera avrebbe portato l'Inferno a ridursi ad un'ammasso di demoni in poltiglia; ma, evidentemente, si trattava di fandonie. Era un caso particolare: certamente ricordava il visibilio che aveva portato la sua prima nascita e, non troppo tempo dopo, il suo schivare la morte come fosse roba da tutti i giorni. Aveva quel fare calmo ma sicuro di chi sa di saperne di più, di avere la verità in tasca. E infatti eccola lì, tranquilla come se non stesse per tornare e stravolgere di nuovo il mondo.

    «Certo che ci credo» rispose sicura.

Aveva letto abbastanza storie romantiche da sapere che gli umani ci tenevano davvero tanto a quel sentimento, così come aveva letto abbastanza gialli da sapere che erano capaci persino di uccidere per amore. Aveva visto Aziraphale e Crowley cercare di appianare le loro divergenze solo per amore. E sempre per amore, Aziraphale aveva dato tutto.

Ci credeva più che mai.

    «Tu te ne sei accorta subito, non è vero? Di quanto questi due siano incapaci da soli ma fortissimi assieme. Sei intelligente» rispose Eve, alzandosi dalla poltrona in cui si era riaccomodata. «Andrà tutto bene fintanto che continuerete a crederci. So che può sembrare una frase fatta, ma è così». Aggiunse che Aziraphale ci credeva, ed era riuscito a riportare Crowley indietro.

Se un po' di fede poteva fare quello, allora chissà che altro poteva succedere, ancora.


    Prima di andarsene, Eve rivolse a Muriel un sorriso che assomigliava in tutto e per tutto a quello di una bambina che aveva appena scoperto qualcosa di incredibile. «Tu mi piaci. Mi sono sempre piaciute le persone come te: umili, ultime, dolci e gentili. Non devi tornare in Paradiso, se non vuoi. Mi pare che tu stia molto bene qui.»

    Leggermente imbarazzata, l'agente aveva annuito. «Ho un amico di cui occuparmi.»

    «E te ne occuperai egregiamente.»

Se Eve stessa ne era convinta, allora doveva essere vero.

    «Posso chiederle solo una cosa?» Azzardò Muriel che, ripensando a Crowley, fu nuovamente colta da un dubbio.

    «Ma certo. Tutto quello che vuoi.»

    Era quasi natale, e il rosso l'aveva portata in giro per mercatini, spiegandole che il tutto era stato fatto per il "compleanno del figlio del boss". «Ma lei non è nata in primavera?»

    Eve emise una risata cristallina. «Non sai in quanti hanno provato a spiegarlo agli umani. Non vogliono sentire ragioni.»


Ispirava fiducia, quella bambina. Forse era per questo che a una buona fetta di umanità era sempre piaciuta tanto.

Sarebbe stato interessante vedere che cos'avrebbe combinato ma, soprattutto, a Muriel interessava sapere cosa intendesse veramente con ciò che le aveva detto.

Aveva una sola speranza a cui aggrapparsi e vi si sarebbe aggrappata fino alla fine. Le sarebbe bastato crederci; credere che qualcosa sarebbe successo.

Lo avrebbe fatto.

E avrebbe cercato di far si che Crowley la pensasse allo stesso modo.

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Capitolo 18
*** Noi ***


I led avevano iniziato a sfarfallare davvero, stavolta; ma non li aveva che intravisti.

Un attimo dopo c'era luce dappertutto: veniva da lui stesso, lo accecava e faceva male, pareva ustionargli il viso. Era peggio che staccarsi l'aureola dalla testa.

Ma doveva fidarsi.

Gli era stato promesso che la sua piuma sarebbe ricresciuta, perciò doveva resistere.

Solo un altro po', qualche minuto ancora.

Poteva farcela.


°•°•°


    «Ad Aziraphale non piacerebbe vederla in questo stato.»

Quello era ormai il mantra che lo buttava giù dal letto ogni mattina. A dirla tutta, era anche la convinzione che lo spingeva a vivere in tutto e per tutto.

Muriel lo aveva capito, per questo non faceva che ripeterglielo.

E così, Crowley strisciava fuori dalla sua camera - alle volte in senso letterale - e si faceva aiutare.


Erano state settimane difficili. I primi tempi non era quasi mai uscito; semplicemente, se ne stava buttato nel letto a fissare la piuma del suo angelo.

Si era spesso detto che non poteva essere vero: un mondo senza Aziraphale, semplicemente, non poteva esistere. Lui senza Aziraphale non poteva esistere. Perciò doveva esserci un inghippo da qualche parte, qualcosa che era sfuggito a tutti, persino ad Eve.

Era quasi arrivato a crederci. Poi, un pomeriggio, non ce l'aveva fatta più.

Aveva dato un pugno alla porta, poi alla parete e poi - dato che ormai reggersi in piedi era diventata un'impresa titanica - era ricaduto sul letto e aveva soffocato un urlo nel cuscino.

Era stata Muriel, santa Muriel, a rinsavirlo.

Si era ripromesso di non attaccarsi a lei: era ingiusto. L'agente aveva tutto il diritto di godersi la libertà come se l'era goduta lui quando l'aveva ottenuta, e invece si ritrovava a prendersi cura di un demone a pezzi.

Quel che era peggio, è che pareva persino non darle fastidio. Ma, in fondo, si parlava di Muriel: lei faceva sempre tutto con un saltello e un sorriso. Chiunque avrebbe voluto avere la spensieratezza che aveva lei; e per questo era davvero ancora molto strano ricordarla abbattuta.

    Fortunatamente, la piccoletta aveva smesso di abbattersi il giorno in cui Eve se n'era andata. «Le va di fare una passeggiata?» Aveva spesso chiesto.

E Crowley, pur di non sprofondare in qualche altra brutta crisi, pur di non farsi sanguinare di nuovo le nocche, pur mantenerla contenta, diceva sempre di sì. Si infilava una giacchetta e le creava una tasca solo perché la piuma ci stesse, poi si passava una mano tra i capelli - che aveva deciso di lasciar crescere per i fatti loro - prendeva Muriel sotto braccio e andava a prendere una boccata d'aria.

Il più delle volte funzionava a meraviglia - nonostante non fosse ancora pronto a camminare per più di mezz'ora di fila - lasciandolo un po' più tranquillo di quand'era partito. Forse era il sole a calmarlo, o forse il ritorno della solita confusione - che invece Muriel continuava a detestare.


Era venuta a trovarli Maggie, un giorno. Aveva confermato che il bel tempo era tornato di punto in bianco e nessuno aveva battuto ciglio. Sembrava contenta, poi il suo sorriso era crollato una volta che le avevano detto cosa fosse accaduto. Ci era rimasta talmente male da chiudere il negozio per un po' - ma chissà se qualcuno se n'era accorto. Crowley si chiese cos'avrebbe raccontato a Nina, o all'intera Soho.


In quel periodo, iniziò a parlare alla piuma. Era da pazzi - di ciò era conscio, tanto che all'inizio si chiese dove fosse finita la sua santità mentale - ma lo trovava rilassante, persino piacevole.

    Semplicemente, una sera si era lanciato sul materasso e l'aveva ripresa tra le dita. «Vorrei che fossi qui» aveva mormorato, senza pensarci. Poi aveva preso a raccontare della sua giornata, del tempo che si era riassestato, delle persone che aveva visto per strada, del modo in cui la piccoletta si prendeva cura di lui e della libreria tutto allo stesso tempo. «Dovresti vederla: saresti fiero di lei.»

    Alle volte finiva di parlare e poi, piuma stretta al petto, iniziava a chiedere: «Non potresti tornare qui, anche solo per un secondo? Giuro che non ti prenderò a schiaffi come avevo pensato». O ancora: «Muriel ti farà la cioccolata calda come piace a te: stracolma di panna e chissà quante altre schifezze zuccherose in mezzo». Una volta che era leggermente più di buon umore, aveva persino provato a scherzarci su: «Potrei provare a vendere qualche libro: scommetto che questo ti farebbe ritornare.»

Ma più le sue parole andavano a finire nel vuoto, più la piuma tra le sue dita restava in silenzio, lentamente ma inesorabilmente, le chiacchierate diventavano più simili a preghiere.

Preghiere e suppliche.

    Muriel, per tirarlo su, riproponeva il mantra: «Ad Aziraphale non piacerebbe vederla in questo stato». Poi aggiungeva: «Dovrebbe provare a sperarci.»

    «Sperare? E in cosa?»

    «Nel suo ritorno.»

    «È morto, agente. Non può tornare.»

Eppure, ogni singola sera, Crowley tornava a pregare alla sua piuma; a parlarle come fosse il suo angelo e non solo un pezzo del suo angelo. In un certo senso, sotto sotto, ci sperava anche lui; ma a vincere era sempre la realizzazione del fatto che non si trattava di essere ottimisti, stavolta, ma realisti.

    «Ci sto provando a vivere l'esistenza che mi hai ridato» confessò una volta alla sua morbida, candida ed inanimata confidente. «Ma non ci riesco senza di te.»


Gli ci volle un bel po' per tornare a camminare da solo. Fu alquanto snervante.

Vero era che tornare in vita dopo essere stati completamente cancellati non capitava tutti i giorni, ma i giramenti di testa, le gambe molli e le camminate fin troppo brevi andarono a minare il suo già altalenante stato d'animo.

    «Non riesco a fare niente» si era lamentato una volta, faccia nei cuscini del divano.

Era mercoledì, e lui e Muriel si stavano godendo un po' di pace e solitudine. Era il loro giorno preferito: l'unico in cui nessuno veniva loro a fare domande scomode, o a cercare tomi vecchi di millenni.

    «Deve darsi tempo» lo aveva consolato lei, posandogli una mano tra le scapole.

    «È passato un mese. Anzi, quasi due.»

    «Beh, magari ce ne vogliono tre, quasi quattro.»

    Crowley fece riaffiorare la faccia per guardarla storto. «Ma come fai ad essere così ottimista?»

    «Gliel'ho detto: dobbiamo avere speranza.»

No, dobbiamo avere fede, si disse lui. E io quella non ce l'ho più da un bel pezzo.

    In realtà, non era del tutto vero. La verità era che si fidava di due sole creature: una era Aziraphale, l'altra Muriel. Il primo non c'era più, l'altra era fin troppo ottimista; ma soprattutto: «Te l'ha detto Eve, no? Guarda che quella è sempre stata criptica» commentò. «Ti fa capire una cosa per l'altra e poi si lamenta se nessuno fa mai quello che chiede di fare.»

    L'agente rimase in silenzio per un po', pesando quelle parole. «Lo so, ma voglio crederci comunque.»

    A quel punto, Crowley aveva sbuffato, tornando ad eclissarsi. «Buon per te.»

Alla fine, comunque, fu grazie al fare giulivo dell'amica che il rosso riuscì a riprendersi completamente. Lentamente, le loro passeggiate si allungarono di qualche minuto, qualche mezz'ora, qualche ora... e lui riuscì a gestire sempre meglio i giramenti.

Ciò che davvero non riusciva a gestire, per quanto ci provasse, erano i suoi stati d'animo.


Un mattino non ce l'aveva fatta proprio ad alzarsi; nemmeno dopo il solito: "Ad Aziraphale non piacerebbe vederla in questo stato".

Perché era ovvio che fosse così, ma tanto Aziraphale non lo avrebbe mai visto in quello stato. Non lo avrebbe rivisto proprio.

Voleva solo raggomitolarsi nelle coperte e non uscire mai più. Non prese nemmeno in mano la piuma: vederla gli avrebbe fatto troppo male; gli avrebbe ricordato le chiacchierate attorno ad un tavolo, davanti ad un bicchier di vino, magari riguardo qualche strano meccanismo dell'universo.

No, non poteva farcela. Così, semplicemente, rimase immobile e sperò che la polvere lo ricoprisse fino a sparire.


La cosa si ripeté spesso, giorno dopo giorno. Non era mai facile capire di quale umore Crowley si sarebbe svegliato la mattina, o con quale umore sarebbe andato a dormire - sempre se ci riusciva, a dormire.

Ci volle un po', ma come sempre fu Muriel, santa Muriel, a risolvere la situazione.


°•°•°


La luce era sparita.

A dirla tutta, qualsiasi cosa era sparita.

Tranne una voce.

    «Vorrei che fossi qui» aveva detto.

E lui avrebbe voluto tornarci, lì. Però non ci riusciva, non da solo.

Era troppo stanco: aveva lavorato tanto. Aveva raccolto secoli e secoli di ricordi, chiacchierate, litigate, risate, sorrisi... Poi aveva schioccato le dita, e la sua mente e la sua aura si erano come svuotate.

Non era sicuro di essere riuscito nel suo intento. Non era più nemmeno sicuro di quale fosse il suddetto intento.

Sapeva solo di esserci ancora, da qualche parte. Non era sparito, e la voce stava iniziando a farsi familiare.

Doveva essere un buon segno.


°•°•°


Ne passarono sette di mesi.

Mesi in cui non accadde nulla di importante, tranne forse che Crowley aveva finalmente reimparato a scendere le scale saltando tre scalini alla volta.

Era tornato quello di sempre: solite posizioni innaturali sul divano, solito fare sarcastico, solita camminata da male alle anche, solita dolcezza nascosta sotto chili e chili di nonchalance misto durezza.

Almeno, al di fuori sembrava così.

In realtà, il dolore che aveva dentro non passava mai. Muriel continuava a cercare di indirizzarlo verso la positività, ma per lui non c'era verso di vederla. L'unica consolazione che aveva erano le lunghe chiacchierate con la piuma - che portava sempre con sé e che custodiva gelosamente.

Anche l'agente continuava a contribuire, ovviamente. Nel momento in cui l'estate aveva lasciato posto all'autunno, l'aveva portata a vedere i colori delle foglie che cambiavano. Quando l'autunno aveva lasciato posto all'inverno, l'aveva portata a visitare i posti della Terra dove nevicava di più. Le faceva vedere le cose che le piacevano: il cielo che si annuvolava, gli odori in mezzo alle strade che mutavano assieme alle stagioni, tutte le piccole cose che l'umanità ignorava ma che affascinavano Muriel come fosse la prima volta.

Faceva bene ad entrambi, alla fine. Era una piacevole distrazione la loro reciproca compagnia.


Quando l'inverno lasciò posto alla primavera, il rosso iniziò a stancarsi di raccontare della sua giornata a qualcuno che, sapeva, non avrebbe risposto mai più.

Decise di darsi un ultimatum.

Non era per niente convinto del fatto che, così facendo, il dolore sarebbe passato; ma vero era che non poteva continuare a rimanere attaccato a ciò che era accaduto. L'unica cosa sana che poteva fare era ricordare ciò che era stato e vivere l'esistenza che gli era stata data un giorno per volta - o almeno tentare.

Per quanto straziante fosse, aveva ancora qualcuno su cui contare; aveva la libertà, una bambina da tenere d'occhio, le sue piante da accudire, i sei espressi di Nina e le visite di Maggie. Aveva la libreria da mantenere esattamente come Aziraphale avrebbe voluto che rimanesse.

C'era solo un'ultima cosa che doveva provare.


Era un placido primo pomeriggio. Si era chiuso in camera con la scusa di voler fare un sonnellino e aveva tirato fuori la piuma.

La fissò in controluce: era ancora immacolata e perfetta, così come l'aveva mantenuta. Aveva sempre cercato di non strapazzarla troppo, di non piegarla, di non esporla alle intemperie... pareva una reliquia, ormai: la teneva come fosse in una teca e le rivolgeva le sue richieste.

C'era una comodino accanto al letto che Crowley non utilizzava mai - se non per poggiarci il cellulare durante la notte. Aveva tre cassetti, tutti vuoti.

Ne aprì uno.

    «Allora, sono arrivato ad una conclusione» disse alla sua silenziosa interlocutrice. «Ho deciso di pregarti per bene. Lo so, è blasfemo, ma ormai le ho provate tutte. Posso solo fare un ultimo tentativo; un tentativo in cui metterò tutta la fede, speranza, positività e, non so, cose belle possibili». Proprio come vuole Muriel.

Come sempre, gli rispose il silenzio.

    «Perciò, eccoci qui: siamo solo noi due, come ai bei vecchi tempi. Te lo chiederò un'ultima volta, dopodiché, se non funziona, ti metterò in questo cassetto e non ti recupererò mai più.»

Gli erano venute le lacrime agli occhi. Non era pronto, forse non lo sarebbe stato mai.

Quello era il punto di non ritorno.

    «Quindi, ti prego, ti supplico se necessario. Nulla è più lo stesso senza di te. Voglio che torni da me. Ho bisogno che torni da me.»

Ne ho bisogno, pensò più forte. Ho bisogno di te.


°•°•°


    Ho bisogno di te.

Anche lui lo aveva detto, una volta. Forse non era stata la cosa migliore da dire, ma rendeva bene la disperazione e la supplica che aveva cercato di esternare.

Stavolta era accaduto lo stesso, ma qualcosa era cambiato: poteva sentirlo.


Come si era ritrovato in quella situazione? Nel ripensarci, gli tornarono in mente lunghe ciocche rosse, due bellissimi occhi dorati e tanti piccoli gesti che avevano stravolto tutto il suo mondo, tutte le sue convinzioni e tutti i suoi punti di vista.

Ma certo, se lo ricordava benissimo: si era innamorato. Qualcuno gli aveva detto che era stato il primo a farlo, persino.

Ai tempi non aveva idea di cosa stesse provando. Persino adesso che lo sapeva, faceva fatica a capire sempre come avrebbe dovuto comportarsi. Aveva fatto tanti errori, ma aveva salvato l'amore della sua esistenza apposta per riparare i danni.

Magari aveva persino esagerato.

Ma lui era un esagerato, pur non facendolo apposta - il più delle volte. I suoi difetti erano parte di lui e c'era qualcuno, là fuori, che li amava.

Che lo amava.


Adesso sì che aveva la forza per tornare, anche se, ora come ora, non sapeva bene né dove né da chi.

Ma qualunque fosse il posto, era casa.

Chiunque fosse la persona, era amore.


Raccolse tutta la fede, la speranza, la positività e le cose belle che gli stavano arrivando. Si concentrò.


E schioccò le dita.


°•°•°


Le loro separazioni non erano mai per sempre.

In fondo, lo aveva detto anche Aziraphale stesso: "Nulla è per sempre".

Crowley avrebbe dovuto capirlo, ormai. Certe cose non cambiavano mai, come lo scorrere delle stagioni o il carattere imprevedibile del suo angelo.

Avrebbe dovuto capirlo che c'era un inghippo, esattamente come aveva spesso e volentieri cercato di convincersi.

Avrebbe dovuto smetterla di rotolare nella sua stessa disperazione e stare a sentire Muriel, dato che era estremamente intelligente e riusciva a capire le cose molto prima di lui. Cacchio, le aveva pure fatto una marea di complimenti. 


Quando la piuma aveva iniziato a brillare lievemente tra le sue dita, aveva fortemente creduto di esserselo immaginato - il che era molto possibile, conoscendosi.

Poi, però, aveva iniziato a pizzicargli contro i polpastrelli. La lasciò andare di colpo, dolorante, e la vide posarsi lievemente sul letto.

Rimase attaccato alla porta, basito, intanto che fissava il bagliore andare e venire.

Poi, l'intermittenza finì e per tre lunghi secondi regnò la luce.


°•°•°


Lo avvolsero tanti odori diversi. Riconobbe un misto di polvere, pagine stampate e tè, e subito si sentì meglio.

Casa aveva anche uno strano sentore di cioccolata calda, secoli di storia stipati in piccoli scaffali e piantine in vaso. Concentrandosi sui rumori in sottofondo, scoprì che era circondata da macchine, chiacchiere e persone che entravano ovattate da chissà quale finestra.

Il nulla era stato sostituito da qualcosa di morbido sotto la sua schiena. Lenzuola, si disse, che sapevano di pulito, ma anche di petricore e lacrime.

Era tornato, ma ancora non sapeva bene dove: nella sua mente parevano mancare dei pezzi che, lentamente, stavano tornando e trovando il loro posto - o che comunque sarebbero tornati, prima o poi.

Non aveva nessuna fretta.

Poteva tranquillamente riposare adesso che tutta la fatica e tutti i miracoli gli gravavano addosso come macigni.


O meglio, così credeva.


Una manata gli arrivò veloce sulla guancia, facendolo trasalire. Una scrollata lo fece ritrovare faccia a faccia con gli stessi - preoccupatissimi - occhi dorati che aveva rivisto nei suoi ricordi. Erano confusi, offuscati dalla testa che gli girava e dal peso che sentiva fin dentro l'aura, ma erano proprio loro.

    «Avevi detto che non mi avresti preso a schiaffi» lamentò.

Era sicurissimo di averlo sentito. Non poteva essersi sbagliato.

    In risposta gli arrivarono un singhiozzo e la voce familiare, stavolta rotta dal pianto: «Questo è perché sei l'essere più stupido, imbecille e idiota che io abbia mai conosciuto!» Esclamò. Non era per niente adirata: quello che Aziraphale sentiva era un misto di sbigottimento e sollievo.

Per questo non si offese, anzi: sorrise persino. Sarebbe volentieri tornato a dormire, ma venne bloccato dalle labbra dell'altro che premevano forte e disperatamente sulle sue.

È proprio come la prima volta, si disse. Anche il primo bacio che Crowley gli aveva dato era stata una disperata richiesta.

Era stato un: "Resta".

E Aziraphale sarebbe rimasto, stavolta. Perché ora ricordava perfettamente: era per questo che lo aveva fatto, era per questo che adesso Crowley era di nuovo lì con lui. Lo aveva fatto perché potessero stare e restare insieme.

Così si lasciò andare e accolse quel bacio, quelle mani ora sulle sue guance - una occupata ad accarezzare la gota ferita. Non si mosse se non per ricambiare, separarsi brevemente per poi tornare a cercare il contatto che tanto aveva voluto provare ancora, e ancora, e ancora...

    Quando si separarono, fu solo perché un altro bacio - dolce e delicato, stavolta - potesse solleticargli il naso. «E questo è perché ti amo» udì, nient'altro che un sussurro lontano.

Adesso sì che poteva tornare a riposare. Aveva chi vegliava su di lui e una mano che gli accarezzava i capelli.

Sarebbe andato tutto bene perché erano solo loro, stavolta. Erano un "noi", un gruppo di due, una coppia. Tutto quello che volevano, lo sarebbero stati - o lo sarebbero diventati, se necessario.

Avevano fatto l'impossibile.

Non restava loro che godere del resto.



ANGOLINO AUTRICE RAPIDO: Hanno confermato la terza stagione! 😭 Per quanto sapessi che sarebbe accaduto, ammetto che avevo speranze molto basse per la fine di quest'anno. Avrei voluto pubblicare ieri per festeggiare, ma chi ci stava con la testa? L'ho fatto oggi con rinnovato entusiasmo. Buon annuncio di terza stagione a tuttə e a tuttə buona lettura ❤️

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Capitolo 19
*** Nuovi inizi ***


Si risvegliò sotto al tocco delicato di una carezza sulla sua guancia.

Non aveva idea di quante ore fossero passate. Sapeva solo di stare bene lì, al calduccio nel suo letto, con quelle mani delicate che gli ricordavano che andava tutto bene, che ce l'aveva fatta e che doveva solo pensare a riposare.

Si sentiva ancora come se il mondo intero gli fosse caduto addosso. Era esausto: aveva dato tutto sé stesso, ed aveva appena iniziato a riprendersi. Per questo, una volta riaperti gli occhi, gli ci volle qualche secondo per ricordarsi dove fosse, con chi fosse e cosa stesse succedendo.

    «Angelo?» Lo richiamò una voce, bassa e sussurrata, così lieve che credette di essersela sognata.

Crowley.

    Appena lo rivide, gli sorrise appena. Riuscì a stento a mormorare un: «Ciao» roco e debole.

L'altro ricambiò il sorriso e si mise silenziosamente a piangere.

Era da un po' che lo udiva singhiozzare al suo fianco: uno dei tanti suoni che era riuscito a captare mentre riposava. Dopo il loro lungo bacio, Aziraphale aveva sentito Crowley scendere da lui per inginocchiarsi accanto alla sponda del letto. Lì il demone aveva iniziato ad accarezzargli la testa, e il viso, e le braccia... Ogni tanto gli dava qualche leggero bacio sulla fronte, lasciando che le lacrime andassero a bagnare il volto di entrambi.

    «Come stai?» Gli chiese questi, sempre senza alzare la voce. Era come se avesse paura di fargli male anche solo parlando.

Dietro di lui, Aziraphale intravide una figura sfocata e color crema intenta a poggiare qualcosa sul comodino. Nella stanza aleggiava un piacevole odore di cioccolata calda appena fatta.

    «Bene, soprattutto adesso che so che ci sei ancora» rispose, le parole che faticavano ad uscire.

La verità era che aveva sonno: una sensazione aliena per lui. Non aveva mai amato dormire, ma ora avrebbe volentieri sonnecchiato per giorni interi.

    «Smetti di fare lo smielato. Dico sul serio» lo riprese Crowley senza nemmeno un briciolo di rimprovero. «Non ti do la cioccolata se non mi dici come ti senti.»

    La figura alle spalle del rosso fece un sussulto. «Eh, no: dovrà passare su di me. Non me la sento di lasciarlo senza, poverino.»

Ad Aziraphale scappò una debole risata. Ma certo, Muriel.

    «Ciao, cara» la salutò, felice di sapere che pareva essere tornata contenta come sempre l'aveva vista.

    Lei trotterellò accanto al letto e finalmente l'angelo riuscì a metterla a fuoco. «Salve! Come sta?»

  «Stanco, direi» ammise Aziraphale. «Ma bene. Davvero bene.»

    Crowley gli scoccò un'occhiataccia - che finì per essere più tenera che veramente arrabbiata - e si passò una manica sotto gli occhi. «Ah, a lei lo dici, però. Cos'è, state complottando contro di me?» 

    «Su, su» lo rassicurò Muriel, dandogli qualche leggera pacca sulla spalla. «Ha detto che sta bene, dovrebbe esserne felice.»

Si misero a battibeccare intanto che il demone aiutava - con delicatezza infinita - Aziraphale a raddrizzarsi, sistemandogli il cuscino dietro la schiena.

Quando gli porsero la sua generosa dose di cioccolata, l'angelo scoprì di non essere capace nemmeno di alzare le mani per prenderla. Qualsiasi cosa facesse gli costava una fatica immane. Se non fosse stato per la spossatezza, avrebbe trovato la situazione alquanto snervante.

    «Va tutto bene» lo rassicurò Crowley, poggiandogli la tazza sulle labbra. «Anche io ci ho messo tanto. Devi darti tempo.»

Con il suo aiuto, Aziraphale accolse con gioia la dolcezza e il calore di una delle sue leccornie preferite in assoluto. Riuscì a trangugiarne lentamente una buona parte prima di finire completamente le poche energie che aveva accumulato.

Gli parve di sciogliersi contro il cuscino - anzi, i cusciniCe n'erano sempre stati così tanti?


Dormì a lungo in quei giorni. Da un lato ne sentiva un bisogno disperato, dall'altro gli dispiaceva interrompere le brevi chiacchierate che riusciva ad avere con Crowley tra un sogno che non ricordava e l'altro.

Il demone, ovviamente, non ne rimase mai né deluso né indispettito. Non faceva che ripetergli di quanto lui stesso avesse faticato a rimettersi in piedi, e di quanto fosse chiaro che il riposo gli stava giovando.

    «Io sono sempre qui» gli sussurrò una volta, accarezzandogli la testa e scombinandogli affettuosamente i riccioli. «Non appena starai meglio, andremo a fare un giro. Ti porterò a mangiare qualcosa, faremo un picnic, tutto quello che vuoi. Perciò, ti devi riprendere per bene.»

Era quasi strano vederlo così apertamente affettuoso - uno strano bello. A dirla tutta, il solo vederlo era abbastanza da riempire l'angelo di gioia. Non era mai stato così bene in vita sua; quello sguardo aureo e pieno d'amore era abbastanza da allontanare, seppur momentaneamente, la fatica insediata nelle sue ipotetiche ossa.

Così, rincuorato, Aziraphale si prendeva il suo tempo. Ad ogni risveglio si sentiva sempre un po' meglio, riusciva a pensare un po' più agilmente, a parlare senza trascinare troppo le parole, a riconoscere i contorni della sua stanza. Ogni volta, però, rivedeva Crowley o con gli occhi lucidi o intento a passarsi una mano sulla faccia. Allora gli tornavano in mente i singhiozzi lontani che avevano fatto breccia nei suoi sogni vaghi e confusi.

Era sollevato, lo capiva: ne aveva passate così tante in così poco tempo, aveva temuto di rimanere solo... ma vederlo in quello stato gli faceva male lo stesso. Inoltre, il demone non si staccava mai dalla sponda del letto, rimaneva sempre a contatto con lui - che fosse con un tocco, un bacio o una carezza. E tutte le volte che Aziraphale provava a confortarlo, Crowley iniziava a confortare lui chiedendogli nuovamente come stesse, dicendogli ancora una volta che sembrava stare sempre meglio, passandogli una tazza di tè...

Parlavano poco anche di ciò che era accaduto nei lunghi sette mesi in cui Aziraphale era in tutto e per tutto morto - o quasi. Era chiaro che Crowley non voleva rimuginarci e, le poche volte che lo faceva, si incolpava per non aver riposto più fiducia in ciò che erano capaci di fare assieme.

    «Avrei dovuto capire subito cosa dovevo fare» disse una volta, allungandosi abbastanza da cingerlo in un abbraccio. «Saresti tornato da me molto, molto prima.»


Una mattina, fu Muriel - santa Muriel - a "cacciare" il rosso fuori dalla stanza.

In realtà, fu una specie di battibecco che non sfociò in una litigata solo perché Aziraphale era lì presente - ed era consapevole di ciò.

Non che Crowley non si fidasse a lasciare Muriel sola con lui - semmai, era tutto il contrario. Semplicemente, non voleva allontanarsi. L'angelo lo capì dalle risposte stentate, dal continuo inciampare nella sua stessa lingua, dagli sguardi preoccupati che gli arrivavano, dal tono di supplica che rivolgeva alla sua piccola agente.

    «Per favore, solo una mezz'oretta» lo pregò Muriel ad un certo punto. Poi abbassò la voce, mormorando qualcosa che Aziraphale non riuscì a comprendere.

Ci volle un po', ma alla fine il demone strisciò fuori come se lo avessero staccato dalla sua stessa fonte di vita. Qualsiasi cosa la piccoletta avesse detto, aveva fatto centro.

    «Mi dispiace» mormorò quest'ultima una volta che lei e Aziraphale furono lasciati soli. «Non volevo allontanarlo da lei, è solo che-» balbettò, «sono giorni che a malapena si alza da terra. Piange e ha paura che qualcosa possa portarla di nuovo via. Mentre lei non c'era, provavo a tirargli su il morale passeggiando, portandolo in giro... ha sempre funzionato, perciò-»

    «Perciò hai giustamente pensato che fosse una buona idea» completò l'altro. Poi le sorrise. «Grazie.»

    Muriel parve sorpresa da quella reazione. «Non le dispiace? Ha fatto così tanto per Crowley, e adesso...»

    «Ho fatto tanto per vederlo felice. Continuare a struggersi per me non lo aiuta in quel senso» affermò Aziraphale, cercando di drizzarsi un po' sul letto.

Lasciò che la piccoletta gli desse una mano, accompagnandolo con un rassicurante braccio attorno alle spalle.

    «Sono così felice che sia tornato» disse quindi quest'ultima, ora più giuliva e decisamente più sollevata. «Chissà perché, ho sempre saputo che sarebbe successo.» 

Gli strizzò un occhio, il che portò Aziraphale a ridacchiare brevemente.

    Una volta passato quel breve ma piacevole attimo di leggerezza, il biondo tornò serio e la fissò negli occhi. «Mi dispiace per ciò che è successo al cottage» mormorò, ricordando il volto addolorato e lacrimante della povera Muriel intanto che lui, ormai senza motivo di esistere, tornava in Paradiso.

    La piccoletta abbassò lo sguardo. «In parte è stata colpa mia. Non avrei dovuto dire a Metatron dov'eravate nascosti: avevamo fatto un patto ed io l'ho rotto.»

    «Non avevi altra scelta. Ti avrebbe cancellata dalla faccia dell'universo così come ha fatto con Crowley. Perché tu lo sappia: né io né lui te ne abbiamo fatto una colpa. Mai, nemmeno per un secondo abbiamo pensato che tu ci avessi traditi.»

Anzi, si disse, eravamo occupati a pensare a come salvare anche te.

Ormai, Muriel era diventata parte integrante dell'esistenza di entrambi. Era il loro piccolo, sveglio e adorabile angelo custode; aveva reso tutto ciò che era accaduto possibile e, semplicemente, lei c'era. Sempre. E Aziraphale non l'avrebbe mai ringraziata abbastanza per quello; non sarebbe mai riuscito ad esprimere quanto riconoscente fosse nei suoi confronti, o quanto apprezzasse la cura che aveva riposto nei confronti di Crowley.

    «Sei- sei stata bravissima» disse solo, ricacciando indietro il pensiero che, si rese conto, non aveva fatto altro che fargli male per tutto il tempo: quello che gli sussurrava quanto lei fosse stata un angelo ed un'amica migliore di lui.

    «Non azzardarti a paragonarti a lei» lo aveva sgridato Crowley una volta, stritolandogli la giacca.

Aveva ragione: non avrebbe dovuto farlo. Non lo avrebbe fatto mai più.

E se prima pareva sollevata, adesso Muriel non poté fare a meno di sedersi sulla sponda del letto per prendergli una mano - esattamente come aveva fatto il giorno in cui Aziraphale l'aveva trascinata nella sua testa per errore.

Non c'era bisogno di aggiungere altro. L'angelo non poteva saperlo, ma lei lo aveva sempre pensato che sarebbero potuti diventare amici.

Effettivamente, avevano tantissime cose in comune; cose che avrebbero approfondito da quel giorno in poi. Entrambi erano esseri composti e delicati, anche se Muriel non aveva le complicate sfaccettature e gli angolini taglienti che invece celava Aziraphale. A entrambi piacevano la calma, il silenzio, i luoghi pieni di oggetti e tomi polverosi. A entrambi piacevano le cose dolci, e la musica classica e i libri che trattavano di faccende misteriose.

Fu da quelli che partirono a costruire il loro rapporto. Difatti, quella stessa mattina, Muriel propose di leggere qualcosa assieme, e Aziraphale - ovviamente - acconsentì.

Nonostante l'angelo conoscesse quasi a memoria buona parte delle storie stipate dentro casa sua, rileggerle gli aveva sempre e solo fatto piacere. Propose un libro a lei e lei lo fece con lui, e presero a leggere in silenzio - uno comodo nel suo letto, l'altra a gambe incrociate sulla sponda del materasso. Di tanto in tanto si scambiavano opinioni, idee, osservazioni...

Quando Crowley tornò, non disse una parola. Sapeva molto bene che distrarre un angelo - due, in questo caso - dalla lettura equivaleva al disturbare un orso bruno bello assopito nel suo letargo. Così, un po' più sollevato e tranquillo di quand'era partito, prese una sedia e lì rimase a guardarli con una punta di affetto che Aziraphale avrebbe notato a miglia e miglia di distanza.


Le giornate passarono così, tra letture, tazze di tè, cioccolata, latte caldo o bicchieri di qualsiasi cosa avessero voglia. Quando arrivava il momento di quello che Crowley aveva scherzosamente nominato: "club del libro", il rosso si calava gli occhiali sul viso e andava a fare il suo solito giro dell'isolato.

Paradossalmente, staccarsi da Aziraphale pareva fargli bene. Quando tornava, l'angelo stesso vedeva la differenza e tirava un sospiro di sollievo. La verità, e lo capì presto, era che a Crowley serviva allontanarsi per poi tornare e scoprire che, sì, Aziraphale era ancora lì. Entrambi erano ancora lì. Andava tutto bene.

E se tornava intanto che lui e Muriel erano ancora occupati a finire i loro rispettivi capitoli, si metteva tranquillamente in disparte e si distraeva con il cellulare, o sonnecchiava sulla sua sedia, o diceva brevemente la sua. Poi, e solo poi - quando la piccoletta decideva di tornare di sotto - si rimetteva accanto al suo angelo.

Allora parlottavano del più e del meno. Aziraphale aveva capito che non era ancora il momento di tornare su certe questioni - cosa Eve avesse in mente, che fine avesse fatto Metatron, cosa stessero facendo in Paradiso o come se la stesse cavando l'Inferno con l'ennesimo cambio di gestione - così, semplicemente, non le tirava fuori. Lo avrebbe fatto, perché aveva imparato quanto importante fosse, ma non adesso.

Andavano avanti finché l'angelo non iniziava a sbadigliare, o a confondere le parole, o a passarsi una mano sugli occhi. C'erano ancora momenti in cui si sentiva come se lo avessero spremuto come un limone - similitudine che fece ridere Crowley.

    «È il meno, angelo» gli aveva detto, sorridendo. «Tu non hai proprio la minima idea di quello che hai fatto, eh?»

In realtà, Aziraphale ne aveva eccome un'idea minima. Era, per l'appunto, solo minima, però.

Non che gli fosse permesso appuntare quel particolare: il demone lo zittiva se ci provava. E lo faceva con un bacio, di solito.


°•°•°


Camminare si rivelò, come sempre, essere una perfetta distrazione.

Certo, le prime volte che era uscito per allontanarsi da Aziraphale, a Crowley era parso di prendere tutto il suo corpo di peso per trascinarlo oltre l'uscio, in mezzo alla strada, attraverso il parco... Una parte di lui si era sentita in colpa: doveva stare con il suo angelo, assicurarsi che stesse bene, che avesse il tè pronto al suo risveglio.

    «Non vorrebbe vederla così. Ricorda?» Aveva sussurrato poi Muriel, facendolo arrivare ad una conclusione.

Per sette mesi, il rosso era passato da uno stato d'animo all'altro, sballottato dalla consapevolezza che Aziraphale non c'era più e più ci sarebbe stato. Ora quella prospettiva era cambiata, e lui non poteva certo sperare di aiutare il suo angelo stando male per primo - non dopo che Aziraphale aveva letteralmente speso tutto sé stesso per farlo tornare indietro.

Starà bene, continuava a dirsi, intanto che vagava per il quartiere. C'è Muriel con lui, e poi è forte, sa cavarsela benissimo da solo, lo sai.

Difatti, quando tornò e vide i suoi angeli preferiti coinvolti a parlottare di Jane Austen, la morsa attorno al suo ipotetico stomaco si sciolse. Rimase a guardarli per un po', sentendo per la prima volta in tutta la sua esistenza il calore del concetto di "famiglia".

Perché sì, quello parevano tutti e tre assieme: una famiglia.


Nonostante sia lui che Aziraphale stessero pian piano migliorando - lui moralmente e Aziraphale fisicamente - c'erano semplicemente delle volte in cui a Crowley tornavano in mente i brutti ricordi.

Aveva sempre fatto schifo in quelle cose: nello spazzare via il dolore che aveva provato. Da un lato, pensava fosse giusto che anche le cose brutte facessero parte di lui; dall'altro, per quanto provasse a combattere contro il magone che gli saliva, alla fine si metteva a piangere.

C'era sempre una punta di paura insediata nel suo animo oscuro. Aveva paura di veder crollare tutto per l'ennesima volta, o di vedere Aziraphale sparire in una nuvoletta di fumo.

Era per quello che passava le notti accanto al letto, fissando il suo angelo mentre sognava cose di cui si sarebbe dimenticato al mattino, mentre faceva qualche adorabile smorfietta delle sue nel sonno, o quando si raggomitolava appena su un fianco. Erano tutte cose che gli facevano capire che è qui, è qui con te, sta bene. Va tutto bene.

Una volta, una di quelle in cui si era sentito peggio del solito, aveva fatto il giro del letto e si era ritagliato il suo strettissimo angolino di materasso. Si era addossato accanto all'altro, quasi volesse diventare parte integrante del braccio che gli stava cingendo o della spalla in cui stava affondando il naso.

    Dopo un po' che lacrimava in silenzio, gli occhi stretti, aveva sentito una carezza sfiorargli i capelli. «Cosa c'è?» Gli aveva sussurrato Aziraphale, il tono morbido e accogliente che tagliava il buio attorno a loro.

E lui, in tutta risposta, aveva scrollato la testa e aveva faticosamente cercato di abbracciarlo. Lo strinse così forte da temere di romperlo, ma si sentì infinitamente rincuorato dal modo saldo ma allo stesso tempo rassicurante con cui Aziraphale stava ricambiando il gesto.

    «Avevi bisogno di un po' di conforto, eh?» Disse questi in una leggera e intenerita risata.

    Crowley annuì, sentendosi anche un po' uno schifo. Non era lui che doveva essere confortato; al massimo era quello che doveva confortare - maledetta ogni cosa. «Scusa» mormorò infatti.

    Questo portò Aziraphale a scostarsi e a fissarlo dritto negli occhi, basito. «E di cosa ti staresti scusando, esattamente?»

    «Di averti svegliato, in primis. Poi c'è il fatto che ti ho preso il letto, e che non dovresti essere tu ad aiutare me, semmai-»

Venne bloccato da un tenero, delicato e soffice bacio sulle labbra che fu abbastanza da spedirlo momentaneamente all'altro mondo.

    «Caro, ho fatto l'impossibile per riaverti con me» lo riprese l'angelo, ora con la bocca a mezzo centimetro dalla sua. «Voglio che mi disturbi. Voglio che tu mi dica di cos'hai bisogno. Anche perché non sono molto bravo a capirlo da me, temo.»

    «Voglio un altro bacio» rispose Crowley in un soffio, senza nemmeno pensarci.

E poi un altro. E poi un altro. E poi un altro ancora, fu quello che non disse.

Ma tanto non fu necessario.

Aziraphale gli prese il volto tra le mani e lo baciò a lungo, dolcemente come solo lui sapeva fare. Poi si allontanò un secondo, solo uno, per tornare a far incastrare perfettamente le loro labbra, due pezzi di puzzle fatti apposta per unirsi.

Crowley non seppe grazie a quale miracolo riuscì a non infilare le mani sotto la camiciola celeste dell'altro, per poi affondare le dita in quel corpo morbido. Si limitò a stringergli le spalle e ad esplorare nuovi angoli di quelle labbra meravigliose.

Non adesso, si disse. Lo stancheresti, e poi non sai nemmeno se è d'accordo.

Erano diventati bravi, poco ma sicuro. Ormai sapevano come allontanarsi e riprendersi a regola d'arte, e Crowley ci sarebbe volentieri morto tra quei baci. Sarebbe andato avanti fino al mattino, poi per tutto il pomeriggio, poi per tutta la sera... Ma si fermò quando iniziò a rendersi conto che l'altro stava iniziando lentamente a rallentare e scostarsi, rendendo gli schiocchi tra le loro labbra sempre più deboli e meno frequenti.

    Gli prese una mano e gli baciò le nocche; un modo per interrompere il loro contatto - per il momento. «Torna a dormire» disse, ora più calmo, rinvigorito da quello scambio.

    «Tu stai meglio?» Chiese Aziraphale in un mormorio esausto, intanto che si passava una mano sugli occhi.

Era di una tenerezza quasi devastante.

    Crowley gli sorrise. «Mai stato così bene in vita mia.»

Detto ciò, tornò a stringerlo a sé, le mani affondate nei suoi riccioli di neve preferiti. Lo avrebbe cullato fino al mattino, se necessario.

    «Ehi, Crowley?» Udì dopo qualche lungo minuto.

    «Dimmi tutto.»

    «Non appena starò meglio, vorrei che facessi una cosa per me.»

Il rosso fissò per un attimo quel volto dolcemente assopito e sentì le guance pizzicargli.

Te ne faccio anche mille, di cose. Ti basta chiedere, e lo sai. Tutto, puoi chiedermi tutto quello che vuoi.

    «Certo» sussurrò invece. «Cosa vuoi che faccia?»

    «Portami su Alpha Centauri.»


°•°•°


Gli ci volle un bel po' per tornare a camminare da solo. Fu alquanto snervante.

Fortunatamente, per quanto impaziente potesse essere alle volte, Aziraphale aveva imparato a domare la cosa.

Arrivò al punto in cui le sue dormite non duravano che poche ore. Certo, accade dopo che ebbe involontariamente passato tre giorni di fila a sonnecchiare come un ghiro - parole di Muriel. A Crowley era decisamente venuto un colpo - svanito subito dopo aver visto l'angelo più in forma di quanto non fosse stato negli ultimi giorni.

Il tempo che adesso passava sveglio fece realizzare ad Aziraphale che si era stancato di rimanere tra quelle quattro mura, per quanto Crowley e Muriel rendessero la situazione migliore. Amava la sua libreria, ma gli mancava sentire il sole sul viso, il venticello tra i capelli, le gocce di pioggia sulla faccia... Gli mancava persino la confusione. Rischiare di sparire per sempre ti faceva vedere il mondo in modo diverso: ti aiutava ad apprezzare di più le piccole cose che prima davi per scontate, poco ma sicuro.

Lo disse a Crowley, il quale si mise subito in marcia per aiutarlo a rimettersi in piedi.

Non andò a finire granché bene. 

    Capitombolarono entrambi sul parquet al primo tentativo e nel giro di qualche passo per la stanza. Il rosso fu su di lui in meno di un battito di ciglia. «Stai bene?»

Era teso, cosa che fece chiedere ad Aziraphale se fosse stata una buona idea.

    Si sforzò di sorridergli, ignorando le ginocchia doloranti e i palmi delle mani ora un po' arrossati a causa del colpo sul parquet. «Sto bene, tranquillo.»

Ci riprovarono spesso, anche con l'aiuto di Muriel. Arrivarono con calma ad uscire dalla stanza, a fare un giretto del piano superiore, e poi persino a scendere le scale.

Crowley lo teneva stretto a sé come lui l'aveva afferrato quella lontana notte al cimitero di Stirling: una mano che gli cingeva il braccio e una che lo tratteneva per la vita.

Il rosso aveva sempre quell'aria concentrata in quei momenti: una ruga gli solcava lo spazio tra le sopracciglia, stava attento a qualsiasi piccolo ostacolo sul loro cammino e lo costringeva a fare uno scalino alla volta. Come sempre, era il suo demone custode pronto a balzare come una molla alla prima necessità. Solo che, stavolta, Aziraphale non ne avrebbe approfittato, non avrebbe usato quel comportamento come scusa, non lo avrebbe dato per scontato.

    «E allora devi farmi un paio di favori» gli aveva detto Eve. «Il primo: smetterla di perdonare gli altri a caso e iniziare a perdonare un po' te stesso

E lo stava facendo: si stava perdonando. In fondo, Crowley aveva ragione: quel che era stato non importava più. Importava invece ciò che sarebbe accaduto da adesso in poi, importavano le scelte che avrebbero fatto e il rapporto che avrebbero costruito.

    Per poco non scivolò lungo uno scalino, venendo prontamente afferrato dalle pronte braccia dell'altro. «Angelo, ti ho detto di fare piano» lo rimproverò - più spaventato che effettivamente arrabbiato.

    «Scusa, caro. Ero sovrappensiero.»


Una mattina, decise di sgattaiolare fuori dal letto da solo.

Si era concesso due ore di sonno, poi aveva semplicemente speso il resto del tempo a leggere l'ennesimo romanzo di cui voleva parlare a Muriel, avvolto dalle braccia di Crowley attorno alla sua vita.

Staccarsi senza disturbarlo per scivolare fuori dalle lenzuola fu un'impresa a dir poco, soprattutto perché si sentiva ancora un po': "Rimbambito, tipo un'anatra dopo un chilo e mezzo di pane", come aveva detto una volta il demone stesso. D'altronde, stavano veramente stretti lì, in quel rettangolino di materasso. Non c'era movimento di cui non ci si potesse accorgere; fortunatamente, il rosso dormiva alla grossa - il che diede ad Aziraphale la possibilità di mettergli la coperta fino alle spalle e di rubargli un bacio sulla punta del naso.

Scese con calma, ancorato al corrimano. Dalla cucinetta proveniva un'odorino niente male, perciò si avviò lì intanto che si infilava la morbida giacca che era solito tenere dentro casa.

    Trovò Muriel indaffarata davanti ad una padellina. Quando lo notò, parve illuminarsi. «Buongiorno!» Canticchiò. «È venuto fin qui da solo?» Chiese poi, cercando di sbirciare oltre le spalle del biondo.

    «Direi proprio di sì. Dopo tutta la fatica che abbiamo fatto, è decisamente soddisfacente» affermò lui, effettivamente fiero di sé stesso. «È la ricetta dei pancake che ti ho dato, quella che vedo?»

Muriel non dormiva, leggeva tanto e mangiava poco. Aziraphale si era subito detto che non l'avrebbe mai lasciata sulla Terra a vivere solo di cioccolata calda e Sherlock Holmes, perciò le aveva insegnato come si cucinava - una cosa che lui stesso aveva imparato a fare nei momenti di noia, o in quelli in cui voleva mettere qualcosa sotto i denti ma non sapeva dove andare. Crowley scherzava dicendo che, di quel passo, sarebbe diventata golosa quanto lui.

Aziraphale non vedeva il problema, sinceramente.

    «Esatto! Vuole assaggiare? Non mi sono nemmeno ustionata il dito, stavolta.»

Ovviamente, aveva fatto un ottimo lavoro. Decisero di preparare la colazione prima di finire tutto loro due soli. Fortunatamente, Crowley non era un simpatizzante del cibo quanto i suoi angeli - anche se c'era da dire che, da quando era Muriel a occuparsene, aveva messo in bocca più di una forchetta.

    Parlando del diavolo, il demone arrivò in volata sull'uscio, i capelli ancora scombinati e i vestiti ancora raggrinziti. «Angelo, io giuro che-». Si bloccò non appena li vide entrambi occupati a disporre alcuni pezzettini di frutta accuratamente tagliati a bordo piatto. Allora sospirò. «Siete incorreggibili, voi due.»

Già così, la giornata si prospettava meravigliosa. E quando Aziraphale credette che non sarebbe potuta andare meglio dopo le risate a colazione, Crowley decise di portarlo a fare due passi al St.James.

Mai aria fu più buona di quella che respirò quella volta, durante la sua prima passeggiata dopo tutto il casino che avevano vissuto. Nonostante il traffico, il viavai, il loro passo lento e attento, il braccio del rosso ben ancorato al suo parve una benedizione - e forse lo era.

Tornarono a sedersi alla solita panchina, andarono ad osservare le solite anatre anche se, il più delle volte, i loro sguardi andavano a scontrarsi l'un l'altro, portandoli a ridere imbarazzati.

Si baciarono in cima ad un ponticello, incuranti di tutto e tutti.

L'atmosfera sapeva di nuovi inizi.

Anche se, in realtà, qualcosa di nuovo era già iniziato da un bel po'.


°•°•°


    «Portami su Alpha Centauri.»

Non era coerente quando te l'ha detto, aveva pensato Crowley. Diciamo pure che stava dormendo, perciò era solo una cosa che la sua mente ha tirato fuori. La stanchezza, ecco cos'era. Gli passerà.

Ma ad Aziraphale non era passata per niente.


Quella volta che aveva beatamente sonnecchiato per tre giorni di fila, era iniziata un pomeriggio in cui, dopo una chiacchierata, l'angelo aveva semplicemente poggiato la testa sulla spalla di Crowley e lì era rimasto.

Di tanto in tanto, il rosso lo sentiva mormorare. Lo zittì dolcemente sulle prime, un leggero sorriso sul volto e un moto di tenerezza nel cuore. Poi, incuriosito da qualsiasi cosa stesse passando per la testa di Aziraphale, si mise ad ascoltare.

    «Portami su Alpha Centauri.»

    «Angelo?»

    «Alpha Centauri. Portami su Alpha Centauri.»

Sembrava l'unica cosa che riusciva a fare breccia nei sogni vaghi e confusi di cui l'angelo gli raccontava. Un'unica richiesta che, di tanto in tanto, gli scivolava fuori dalla bocca.

Ci teneva. Ci teneva davvero.

Per questo motivo, Crowley si fece ancor più determinato nell'aiutarlo a riprendersi.

Ogni volta che lo stringeva a sé fino a portarlo ad alzarsi, gli tornavano in mente quelle parole sussurrate di cui, apparentemente, l'altro non aveva memoria.

    «Portami su Alpha Centauri.»

E ci sarebbero andati, finalmente. Se era quello che Aziraphale voleva, l'avrebbero fatto.


Divenne il suo primo obbiettivo, intanto che le loro vite tornavano in carreggiata.

Uscivano spesso, alle volte solo lui ed Aziraphale, mentre altre volte si portavano dietro Muriel. Andavano a trovare Maggie e Nina - alla quale raccontarono un sacco di scuse per giustificare ciò che era accaduto negli ultimi tempi. Tornarono in caffetteria spesso e volentieri, e ogni volta a Crowley pareva di ricevere un'occhiata dubbiosa da parte della proprietaria. Sperò ardentemente che Maggie riuscisse a convincerla che stavano dicendo la verità, ma qualcosa gli sussurrava che, presto o tardi, l'umana avrebbe capito che qualcosa non quadrava.

Le storie che raccontavano a tutta Soho, però, avrebbero dovuto attendere.


Una questione più urgente si presentò alla porta della libreria un mercoledì mattina, proprio durante il piccolo club del libro di Aziraphale e Muriel.

Si erano presi le poltrone accanto alla scrivania, lasciando a Crowley il divano tutto per sé. Quando bussarono, fu quest'ultimo a rimettersi in piedi - anche perché Aziraphale gli aveva chiesto se: "Puoi andare a vedere chi è, caro?" con quel tono che da solo era capace di rispedirlo in Paradiso molto meglio dei patti di Metastronzo.

Così, il rosso era andato ad accogliere chiunque fosse il poco furbo individuo che aveva deciso di fare visita nell'unico giorno di chiusura.

    «Ma dico, sai leggere? Il cartello dice che-»

    «Siete chiusi, lo so. È sempre un piacere rivederti.»

Crowley non si fece scappare un'imprecazione per molto, molto poco. Davanti a lui, braccia incrociate, c'era Saraquel.

Le chiuse la porta in faccia.

    «Chi era?» Chiese l'angelo stralunato non appena lo vide tornare.

    «Nessuno.»

Bussarono di nuovo, stavolta con più urgenza.

    «Beh, Nessuno ha ancora intenzione di entrare, credo». Nel dirlo, il biondo sbuffò, posò il suo volume e fece per alzarsi.

Bastò ed avanzò a far tornare Crowley sui suoi passi con un ringhio di frustrazione.

    Spalancò l'ingresso con veemenza. «Cosa c'è?»

    Saraquel, che non pareva per niente infastidita né turbata da quella reazione, alzò un plico di fogli che - il demone notò solo ora - si era adagiata sulle gambe. «Sono venuta a riportarti la cartella.»

    «Non la voglio la tua stupida cartella.»

    «E sono venuta a portarvi novità.»

    Da dentro, arrivò un imperioso: «Crowley» che fece più o meno l'effetto di un carbone ardente lungo la schiena. «Falla entrare.»


    La ex-braccio destro di Metatron mise i documenti tra le mani di Muriel, prima di prendere parola. «Siete spariti entrambi nel nulla, ma ho capito che le cose avevano preso una piega strana nel momento in cui una bambina ha letteralmente rispedito Metatron al Creatore.»

Si era messa tra le poltrone ed il divano, laddove tutti potevano vederla.

Per tutto il tempo, Crowley si preoccupò di fulminarla con lo sguardo. L'ultima cosa che voleva era riavere l'essere più vicino a Metatron in casa loro.

    «Che cos'è successo?» Le chiese Aziraphale, lo sguardo interrogativo.

    «Potrei chiedervi la stessa cosa.»

    «Hai sentito l'angelo» la riprese il rosso, tenendo i sibili il più a freno possibile. «Un'informazione per l'altra. Inizia tu.»

Stavolta ignorò il richiamo di Aziraphale - un sussurrato e duro: "Crowley." (Con il punto alla fine che si sentiva tutto).

    «E va bene, se è quello che vuoi» concesse alla fine Saraquel con un sospiro. «Immaginate la nostra sorpresa nel ritrovarci davanti una giovane umana impettita e con il Libro della Vita in mano. Metatron non si era neppure accorto di non averlo più in tasca. Come ho già detto: Eve, mi pare si chiami, lo ha spedito da suo Padre in men che non si dica. Mi ha lasciata da sola a comunicare all'intero Paradiso che avrebbe gestito tutto ciò che sarebbe venuto in seguito da sé.»

A Crowley scappò da ridere. Immaginare la tanto seria e composta Saraquel andare su e giù per il Paradiso a fermare gli eserciti e le preparazioni per l'ennesima volta era, beh, un vero e proprio balsamo per l'anima.

    Aziraphale lo fece tornare con i piedi per terra. «Un attimo, sta facendo tutto da sola? Nessuno che la accompagni? Nessuno che la tenga d'occhio?»

    «Non proprio» puntualizzò l'ex-aiutante di Metatron. «Ha intenzione di nascere a marzo dell'anno prossimo in un luogo di non si sa bene quale parte dell'Africa. Si è scelta da sé i suoi nuovi genitori: una coppia che ha cercato di avere figli per anni prima di arrendersi - una prassi già utilizzata. È tutto ciò che ci è dato sapere. Scommetto che basterà seguire le interessanti storie che avverranno tra non molto per scovarla.»

    Crowley si fece scappare uno sbuffo divertito, intanto che si allungava sul divano. «Furba la ragazzina. Avrà capito che non ci si può fidare di nessuno.»

    «Di nessuno tranne che di suo Padre. Sono gli unici a sapere cosa accadrà nei prossimi tempi» affermò Saraquel, tamburellando contro il bracciolo della sua sedia. «Metatron non è tornato da allora. Siamo tutti un po' spaesati, ma immagino che non ci resti che attendere eventuali istruzioni.»

    «Marzo, eh?» Intervenne Muriel, lo sguardo pensoso e perso da qualche parte tra la cartella tra le sue mani e le righine sottili sulla sua gonna. «In primavera!» Esclamò poi. «Ha scelto di tornare in primavera.»

Nessuno, tranne Crowley, capì il senso di quell'intervento.

    Saraquel passò oltre: «In ogni caso, il mondo intero si sta già preparando alla sua Venuta. In un certo senso, è come se tutto stesse già cambiando. Anche se, c'è da dire» e qui guardò sia Crowley che Aziraphale, «che è gia accaduto qualcosa di molto particolare. Ora ditemi: come siete sfuggiti alla totale obliterazione?»


Glielo raccontarono. Anzi, fu Aziraphale a farlo.

    Saraquel non parve mai sorpresa. Semmai, sembrava star ragionando attentamente su ciò che le veniva riferito. «Te l'avevo detto che Metatron aveva torto marcio su di voi» disse ad un certo punto all'angelo, il quale annuì come si annuisce ai discorsi assennati.

    «Che piani avete, adesso?» Chiese poi lei, genuinamente incuriosita.

    Stavolta, fu Crowley a risponderle. «Semplice» disse, «ce ne andremo su Alpha Centauri.»

Aziraphale si voltò a fissarlo.

Aveva gli occhi che brillavano.


°•°•°


Partirono un mattino di maggio con il sole addosso e i sorrisi sul volto.

Crowley aveva affidato la cartella di Saraquel a Muriel, dicendole che poteva anche buttarla nella stufa. Tanto, non c'era più niente che riguardasse né lui ne Aziraphale là dentro.


La piccoletta stessa era emozionata per loro, saltellante e su di giri, neanche stesse per affrontarlo lei il viaggio. Li abbracciò entrambi a lungo, promettendogli che sarebbe venuta a trovarli ogni volta che poteva, e assicurandogli che avrebbe tenuto la libreria in condizioni perfette.

    L'angelo ripose tutta la sua fiducia - e gran parte delle sue cose - a lei, sapendo che non avrebbe potuto scegliere persona, anzi, angelo migliore. «Chiamami quando finisci il capitolo, va bene?»

    «Ma certo! Non vedo l'ora di parlargliene.»

    Crowley, dal canto suo, le diede un leggero pugnetto sulla spalla. Nessuna raccomandazione, nessun consiglio, solo un: «Mi mancherai, agente.»

    «Suvvia, non dica così» gongolò appena lei, mani dietro la schiena. «È solo fino a mercoledì.»

    «Beh, mi mancherai ogni lunedì, ogni martedì, ogni giovedì-»

Aziraphale li osservò intanto che le parole del rosso venivano prontamente bloccate da un altro, stretto, goffo ma affettuoso abbraccio di Muriel - la quale ricevette in cambio qualche imbarazzata pacca sulla testa.

Guarda cos'abbiamo costruito, pensò l'angelo. Possiamo solo fare di meglio, adesso.


La Bentley li aspettava come un gattone nero aspetta al sole che gli vengano versati i croccantini, il motore che faceva le fusa. Li accolse con una gioia che Aziraphale poté sentir rimbalzare per tutto l'abitacolo.

    «Pronto?» Gli chiese Crowley.

    «Certo che- aspetta. Spero che tu intenda: "pronto a partire ad una velocità consona?"»

    «Tu che ne dici?»

    Con un sospiro, Aziraphale si aggrappò all'aggrappabile. Certe cose non cambiavano proprio mai. «Te lo concedo solo per stavolta.»

    «Come farai quando andremo verso la vera e propria Alpha Centauri? Sai che per salire fin lassù ci vuole una bella spinta, vero? Come pensi che funzionino-»

    «Crowley, so come funzionano i razzi. Senti, parti e basta: ci penseremo quand'è il momento.»

Così si avviarono laddove le città lasciavano posto a dolci colline avvolte da un cielo azzurrissimo. La zona delle South Downs aveva un certo non so che sotto la pioggia, ma al sole sembravano uscite da un libro fantasy.

Quella, si ripeté Aziraphale, era la loro Alpha Centauri: un luogo lontano ma neanche tanto, dove il cielo era abbastanza sgombro da vedere le stelle e l'aria era abbastanza tranquilla da godersi un libro in pace.

Era lì che avrebbero costruito il loro nuovo inizio.

Lì che tutto sarebbe cambiato una volta e per sempre.



**


ANGOLINO AUTRICE:

NO, non è la fine. Manca ancora un solo capitolo che concluderà in bellezza la storia e che sarà, beh, un po' più vicino al rating giallo degli altri (motivo per il quale l'ho messo per sicurezza sin dall'inizio: sapevo che sarei potuta arrivare a ciò che accadrà in seguito).

Perciò, ci sentiamo alla prossima.

Un bacio,

- Neamh

(E nel caso non dovessimo sentirci prima, BUON NATALE ✨🎄)

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Capitolo 20
*** Baciami Ancora ***


C'era una cosa che Aziraphale non aveva mai confessato a Crowley: quello che aveva pensato dopo il loro primissimo bacio.

Era parso scostante, come se avesse provato un moto di repulsione, quando in realtà nella sua mente non faceva che urlare: "Baciami ancora, ti prego. Fallo di nuovo."

Non aveva più avuto occasione né motivo di dirglielo. Alla fine, quel messaggio era passato ad ogni loro scambio.

E continuò a passare una volta arrivati nelle loro nuova casa.


Il cottage era rimasto esattamente come lo avevano lasciato, con tanto di coperte ben ripiegate sul divano. Nel camino erano rimasti solo ciocchi di legno sbruciacchiati e cenere, mentre nell'aria si era stipato un pressante odore di chiuso - nulla che non si potesse sistemare.

Si scambiarono un'occhiata e si misero all'opera. Aprirono le finestre sia al piano di sotto che quello di sopra, ed iniziarono a portare dentro le loro cose. Nel retro della Bentley - ora felicemente parcheggiata nel cortile - ci stavano decisamente più cose di quelle che il ristretto spazio avrebbe potuto contenere. Ovviamente, la stragrande maggioranza della roba era di Aziraphale - l'unico tra i due abbastanza attaccato a certi abiti o a certi libri da volerseli portare dietro. In quanto a Crowley, lui aveva già in mente dove posizionare le piante - che, incredibilmente, sembravano felici quanto lui.

Faceva più freddo da quelle parti a causa del vento e della vicinanza del mare, per questo riaccesero il camino e attesero che il calore del fuoco inondasse il salotto - ora più verde e pieno di libri ben ordinati sugli scaffali della libreria addossata ad una parete, sulla mensola dello stesso camino e sul tavolino davanti al divano. Crowley preparò del tè e si versò un bicchiere di vino - miracolato direttamente dalla dispensa in libreria - andando ad affiancare Aziraphale davanti al fuoco scoppiettante.

Per un po' furono solo loro, spalla contro spalla, e il silenzio rotto dal crepitare del fuoco e dalle onde lontane. Se la felicità avesse avuto un volto, per l'angelo sarebbe stato quello. Si sciolse contro lo schienale del divano, assaporando il suo Earl Grey e godendosi quel momento come se volesse cristallizzarlo per sempre.

Crowley lo stava fissando, poteva intravederlo con la coda dell'occhio.

Il rosso aveva lasciato gli occhiali da qualche parte all'ingresso, e adesso gli stava puntando addosso quelle belle pozze dorate, intanto che rigirava il poco vino rimasto nel bicchiere.

    Sorridendo, Aziraphale finì con calma il suo tè prima di chiedere: «Cosa c'è?»

L'altro, in tutta risposta, posò il vino e si contorse sul divano come solo un serpente avrebbe potuto fare. Arrivò a cingergli la vita con le braccia, stringendola come se volesse affondarvi dentro. Non disse una parola.

    L'angelo gli mise dolcemente una mano tra i capelli. Crowley li stava lasciando crescere ormai da un po', tanto che ora sembrano una miriade di onde rosse e corpose che gli scendevano fin sotto le orecchie. «Non potrebbe andare meglio di così» commentò poi, snodando con cura le ciocche scombinate dell'altro.

    Questi sciolse l'abbraccio per alzare il volto, i palmi ora piantati sul cuscino del divano. «Ne sei sicuro?» Chiese, un leggero sorriso furbo sulle guance sottili.

    Aziraphale tenne la mano sulla sua testa, stando al gioco e facendo finta di pensarci su. «Ne sono abbastanza sicuro, perché?»

    Crowley alzò gli occhi al cielo. «Il primo passo lo devo fare sempre io, eh?» Disse scherzoso prima di iniziare a baciarlo.

L'angelo soffocò un sorriso, accogliendo quel tocco che premeva in attesa di essere ricambiato. Non era del tutto vero: alle volte aveva iniziato lui, prendendo delicatamente quel volto scarno tra le mani, baciandolo con tutta la dolcezza di cui era capace. In risposta gli arrivava sempre un gesto più irruento, più disperato ma pur sempre attento a non strafare. Gli piaceva quel contrasto: sapeva di loro.


Quella volta, la situazione prese lentamente una piega diversa.

Aziraphale si ritrovò a scivolare lungo lo schienale, fino ad arrivare con la testa ben premuta sul bracciolo del divano. Poggiò delicatamente la tazza ora fredda e vuota sul pavimento, intanto che continuava ad esplorare ogni angolo delle labbra sottili dell'altro, ora ben premute contro le sue.

Crowley lo stava sovrastando, bloccandogli i fianchi con le gambe. Capì dove i loro baci sarebbero sfociati nel momento in cui le dita del rosso andarono a sciogliergli il papillon, piano, come se stessero chiedendo il permesso.

L'angelo prese subito a pensare alle implicazioni di quella cosa. Alla fin fine, era un piacere inutile che difficilmente avrebbe mai appagato l'amore e l'affetto che provavano l'uno nei confronti dell'altro. Non aveva nulla di diverso dai baci, dalle loro dita intrecciate quando passeggiavano o dagli abbracci che adesso si scambiavano un po' più spesso. Non sentiva il bisogno di farlo - stava bene anche solo con le loro normali dimostrazioni di affetto - ma era una cosa in più, un gesto che rimarcava ancora una volta quanto si amassero e quanto fossero pronti ad affidarsi totalmente l'uno all'altro. Era come sfornare un biscotto in più da mettere sul vassoio. Non vedeva perché non acconsentire.

Così concesse il permesso, sfiorando il colletto della camicia già mezza sbottonata di Crowley e sfiorandogli una clavicola con la punta delle dita. Non sapeva nemmeno dove mettere le mani intanto che l'altro si occupava di liberarlo della sua di camicia - le labbra occupate a baciargli ora la punta del naso, ora la guancia, ora le palpebre, ora la fronte...

Per un attimo si sentì persino in imbarazzo. Si chiese se il demone non lo avesse già fatto prima... Era interamente possibile: l'Inferno era il primo promotore di quel genere di cose. Gli salì un brivido lungo la schiena al pensiero, un istinto primordiale che lo sgridava e gli urlava che non avrebbe dovuto farlo.

    Tanto bastò a far fermare Crowley, ora intento a guardarlo con una punta di preoccupazione. «Stai bene? Se non vuoi, possiamo anche-»

    «No, non è quello» si affrettò a dire Aziraphale, conscio del pizzicore che sentiva sulle guance. «È che io non so... Cioè, non ho idea di come...» incespicò.

    In risposta gli arrivò una risata affettuosa. «Già, nemmeno io.»

    «Davvero?»

    «Mhmh.»

    «E allora, come... Cioè, cosa dovremmo fare?»

    Crowley fece spallucce. «Non ne ho idea» disse, riprendendo a baciarlo come se ne andasse della sua stessa esistenza.


°•°•°


Era vero: Crowley non aveva la più pallida idea di cosa stessero facendo. La constatazione lo fece sorridere intanto che, finalmente, affondava le mani nel ventre morbido di Aziraphale.

Intanto, tastò con le labbra ogni millimetro di quel volto meraviglioso, lasciando che l'angelo litigasse con la stoffa liscia della sua camicia. Un brivido di gioia gli risalì fin sopra la nuca quando si ritrovò con le spalle scoperte.

Stavano stretti e scomodi lì, ma la cosa passava in secondo piano ad ogni gesto che si scambiavano.

Ci presero la mano abbastanza in fretta, seppur goffamente. Risero quando, intenti a muoversi, si ritrovavano a scontrarsi. Sembrava un gioco del quale non conoscevano le regole, ma che non vedevano l'ora di imparare.

Alla fine, dopo essersi avvinghiati per minuti interminabili, i loro abiti finirono sul pavimento - o meglio, quelli di Aziraphale ci finirono. I suoi sarebbero probabilmente spariti ad un certo punto.

Ciò che accadde dopo fu una questione di istinto, fiducia ed immaginazione.

Il resto del mondo, semplicemente, scomparve. Erano solo loro, stretti l'uno all'altro da carezze, mani che affondavano ovunque e baci sempre più affannati che non smettevano di cercarsi.

Alle volte, a Crowley pareva di correre troppo. Avrebbe voluto ricoprire di baci non solo il volto, ma ogni singolo millimetro, ogni singola ruga, ogni singolo punto del suo angelo. Ma si sentiva un po' come un lupo che metteva un coniglietto all'angolo, sovrastandolo affamato. Così cercò di trovare un equilibrio tra i suoi brividi di piacere e i movimenti più delicati ed insicuri dell'altro.

Aveva perso una buona fetta di firmamento, ma ora aveva la sua personale stella tra le mani e mai, mai avrebbe rischiato di stringerla troppo pur di godere della luce che emanava. 

Scoprì che gli piaceva, non tanto per la goduria che ne ricavava ma più per il fatto che, così facendo, lui e Aziraphale parevano diventare una cosa sola. Un po' come Alpha Centauri: erano due stelle che da lontano parevano una.

Mise una cura spropositata in ogni stretta, in ogni spinta, in ogni tocco, come se stesse bussando ad una porta che, invece, gli sarebbe piaciuto scardinare. Amò il modo in cui, alla fine, l'angelo lo strinse forte a sé, premendolo contro il suo petto in un dolce ma fermo abbraccio.

Fu lì che si fermarono, non a malincuore. Piombò il silenzio, rotto dal crepitare del fuoco - il che fece sembrare i loro respiri profondi fin troppo rumorosi.


Non accade di nuovo poi così spesso, ma tanto non ce ne fu bisogno.

Finirono di rendere quel cottage il loro cottage. C'era una stanza al piano di sopra che Aziraphale fece diventare una specie di versione in miniatura della sua libreria - per quanto avesse già provveduto a riempire ogni scaffale e superficie inutilizzata della casa di tutti i volumi a lui più cari. Al tutto si unirono le ora più numerose piante di Crowley, le quali passavano spesso dal timore che il demone gli suscitava alla calma che la sola presenza dell'angelo gli infondeva. Nonostante ciò, nessuna della foglie verdissime mostrò mai nemmeno la più piccola macchia.

C'era una sola camera da letto che solo il rosso utilizzava a dovere, di tanto in tanto. Il più delle volte, Aziraphale si metteva sotto le coperte, accendeva la lampada sul suo comodino e si metteva a leggere. Allora, Crowley ne approfittava per cingergli la vita con un braccio e sonnecchiare tra il fruscio delle pagine, la morbidezza del suo angelo e il lontano rumore delle onde che si infrangevano sulla costa. La prima cosa che faceva al mattino era strisciare verso la guancia di Aziraphale per baciarla.


Si baciavano spesso, in ogni angolo, addossati ad ogni parete. Ormai, Crowley aveva capito come fare: i suoi gesti erano sempre repentini, ma mai violenti. Non aveva più motivo di premere contro le labbra dell'altro con la stessa foga della prima volta; così chiedeva sempre il permesso prima di avventarsi sulle sue labbra preferite con una passione che gli ballava su e giù per l'aura.

Aziraphale gli rispondeva sempre, sciogliendosi contro lo scaffale contro cui lo aveva spinto, o contro la parete sulla quale il suo corpo esile lo premeva.

Presto, diventò una cosa normale scambiarsi quei gesti di affetto. Normale ma mai noiosa, né ovvia, né scontata.

Crowley si rese presto conto di essere quello più appiccicoso - evidenza che spesso lo faceva arrossire. Gli veniva automatico: abbracciava Aziraphale da dietro intanto che questi si metteva a preparare il tè, o gli strisciava sulle cosce o attorno al braccio intanto che leggeva, aspettandosi una grattatina affettuosa sulle squame. Era sempre lui ad iniziare gli scambi più infervorati, quelli in cui le loro labbra si cercavano affamate, schioccando nell'aria placida tra le pareti. Sempre lui era quello che si arrampicava sinuoso sul corpo morbido dell'angelo, stringendolo con le gambe, le poche volte che facevano l'amore. E tutte le volte adorava gli sguardi di Aziraphale che, silenziosi, gli chiedevano di più; che avrebbero sempre voluto chiedergli di più.

L'angelo, infatti, era molto più delicato ma non certo più distaccato di lui. Aziraphale era quello delle occhiate languide e dei sorrisi carichi di affetto. Era quello delle dolci carezze sulla guancia o dei morbidi baci sulle labbra, brevi ma inebrianti. Era quello che si offriva di versare il vino, di accendere le candele sul loro tavolo quando cenavano, di leggere qualcosa ad alta voce di tanto in tanto. Era quello che, spesso e volentieri, faceva partire il grammofono e richiedeva un ballo.

Crowley amava i loro valzer. La prima volta che lui e Aziraphale avevano ballato, non si era goduto che il contatto dei loro palmi mentre volteggiavano; adesso, invece, non c'era una situazione mortale che li aspettava all'esterno, nessuno che li cercasse. Erano, assieme al mondo, sospesi in un'attesa calma come le acque di un lago durante una giornata senza vento.


Ogni mercoledì veniva a trovarli Muriel, come d'accordo. La piccoletta stringeva sempre entrambi come una bambina in visita dai nonni - e Crowley faceva sempre finta di sospirare rassegnato, dandole qualche pacca affettuosa tra le scapole; mentre Aziraphale ricambiava con la stessa cordialità di sempre.

Il rosso aveva ormai preso l'abitudine di stare in disparte intanto che i suoi angeli discutevano ognuno del proprio libro, sempre impegnati nel loro piccolo club di lettura. Ogni tanto commentava qualcosa, intanto che scivolava lungo lo schienale della sua sedia, caviglie poggiate sulla mensola del camino. Per il resto, si godeva la compagnia dell'amore della sua esistenza e di quella che ormai aveva etichettato come sua migliore amica - non che lo avesse mai ammesso ad alta voce.

Non c'era bisogno di chiedere, tanto sapeva che per Aziraphale era lo stesso. L'angelo voleva bene a Muriel in modo diverso, come se lei e Crowley fossero i libri più preziosi nella grande libreria che erano ed erano state le sue relazioni.

L'agente li teneva al corrente su Soho, su tutto ciò che avevano lasciato. Disse loro che le sarebbe piaciuto scoprire che cosa fosse Maggie - anche se, angelo o demone che fosse, le cose non sarebbero cambiate né ai suoi occhi, né a quelli di Aziraphale e Crowley.

Chissà se cambieranno a quelli di Nina, non poté che chiedersi quest'ultimo, genuinamente curioso di sapere in che modo quella bizzarra relazione sarebbe andata avanti. Solo il tempo lo avrebbe detto, perciò si limitò ad aspettare - per quanto frustrante.

Ogni tanto parlavano di Eve. Ormai mancavano solo una manciata di mesi alla sua nascita, l'evento che - non sapevano né come né esattamente dove - avrebbe stravolto di nuovo tutto.

L'idea faceva insinuare una punta di ansia nell'aura oscura del demone. Ansia che andava a riversare su Aziraphale non appena rimanevano soli.

    «Mi chiedo cos'abbia in mente quella bambina» disse una sera tardi, dopo che Muriel li aveva salutati e aveva schioccato le dita per tornare a casa. «Spero che Inferno e Paradiso non tornino a rompere le scatole appena nasce. Speravo di non rivedere più nessuno dei due.»

Erano in cucina, seduti l'uno accanto all'altro, che sorseggiavano vino nel silenzio della loro dimora.

    Aziraphale sospirò. «Ci ho pensato spesso anche io. Ma semmai dovessero tornare da noi per qualche motivo, li manderemo via.»

Lo disse con sicurezza, un tono che da solo fece sciogliere l'aura di Crowley.

Lo amava ancora di più quando faceva così.


Il tempo passò come nel migliore dei sogni. Uscivano, passeggiavano tra gli immensi paesaggi verdi e dolci delle South Downs, osservando il mare dall'alto della scogliera dritta e bianca dietro casa loro.

Viaggiavano spesso, portando la Bentley a ruggire di gioia. Andarono ovunque avessero voglia: a Londra per salutare le vecchie amicizie, a Edimburgo per fare una capatina alla Royal Mile, poi uscirono dal paese e dal continente perché Aziraphale potesse pranzare con quello che voleva.

E poi un giorno, finalmente, quando sulla Terra non ebbero voglia di fare granché, Crowley li portò dove sempre avrebbe voluto.


La verità era che anche l'angelo sonnecchiava di tanto in tanto. Era diventato un evento così raro da sorprendere il rosso le poche che accadeva. Da un lato, lo metteva leggermente in ansia: gli ricordava il periodo che Aziraphale aveva passato sul lettino in libreria, debole e prosciugato dal miracolo che aveva fatto per salvarlo. Dall'altro lo inteneriva e lo divertiva - per il semplice fatto che avrebbe potuto stuzzicare scherzosamente Aziraphale per tutto il mattino successivo, ammiccando al fatto che "il bene non dorme mai, bla, bla, bla". Il più delle volte, Crowley lo osservava per sì e no un paio di orette, passandogli le dita tra le ciocche candide e invidiandolo per la calma e l'imperturbabilità che mostrava mentre dormiva. Altre volte, invece, lo risentiva mormorare.

    La richiesta era rimasta sempre la stessa: «Portami su Alpha Centauri» detto con lo stesso, sussurrato tono che Aziraphale usava per dirgli: «Baciami ancora» quando lo incastrava in un angolo, o lo addossava alla parete di turno.

Erano entrambe richieste che Crowley non poteva certo rifiutare. D'altronde, scoprì presto il perché della prima.

    «Vedi, quando Eve ed io abbiamo parlato in Paradiso, eravamo davanti ad una vetrata» gli aveva raccontato Aziraphale stesso una mattina, steso sul letto accanto a lui, il tono ancora graffiato dalle poche ore di sonno che si era concesso. «Si vedeva Alpha Centauri da lì. Mi ha fatto pensare a te e mi sono ripromesso che ci saremmo andati. È stata una delle ultime cose che ho pensato prima di riportarti indietro. Forse è per questo che non faccio che ripeterlo.»

Si era messo ad analizzare la sua situazione così come avrebbe analizzato le strofe di una poesia. Crowley, dal canto suo, non poté che ripensare a quel gesto assurdo, troppo grande per una creatura come il suo angelo - che sì, era forte, ma non così tanto da ripescarlo ovunque finissero gli esseri cancellati dal Libro.

    Gli baciò un angolo della bocca, avvolgendogli il petto con un braccio. «Ancora non ci credo a quello che hai fatto» sussurrò, il naso che sfiorava i riccioli dell'altro.

    Aziraphale rise appena, voltandosi fino a far sfiorare i loro nasi. «Lo rifarei, se necessario.»


Partire per le stelle fu alquanto divertente; o meglio: lo fu per Crowley e la Bentley. Aziraphale rimase con gli occhi stretti e le dita affondate al sedile per tutto il viaggio. Non si lamentò solo grazie alla consapevolezza che senza velocità non sarebbero arrivati lontano.

Più si avvicinavano alla stella più luminosa della costellazione del Centauro, più il bagliore bianco davanti ai loro occhi si sdoppiava, mostrando la piccola Alpha Centauri b, la compagna spesso nascosta della prima.

Ad entrambi parve per un attimo di essere tornati agli albori, l'uno accanto all'altro in mezzo ad un'infinità di stelle vicine e lontane, attorniati da colori più o meno sgargianti che sporcavano la nera piattezza del cosmo.

Fu come respirare una boccata d'aria fresca, nonostante di aria non ce ne fosse nemmeno un briciolo lassù. Crowley tenne la mano di Aziraphale per tutto il tempo, osservando le sfumature dello spazio perdersi nell'azzurro di quelle iridi ora occupate a fissare lo spettacolare vuoto attorno a loro, rischiarato dal bagliore e dal calore delle due stelle alle loro spalle - che erano vicine, sì, ma ancora abbastanza lontane da non accecarli.

    «È bello come la prima volta» commentò Aziraphale senza guardarlo.

    Divertito da quello scambio di ruoli, Crowley ridacchiò. Il suono della sua risata rimase fermo, incapace di echeggiare. «No, angelo. È persino meglio» disse, tirandolo verso di sé, affinché potessero iniziare a danzare nell'infinito.


°•°•°


Sette anni dopo


Era da tempo ormai che Aziraphale leggeva con attenzione qualsiasi giornale di qualsiasi testata giornalistica riuscisse a trovare. Quella mattina non fu da meno. Si alzò dal letto all'alba, stando molto attento a non svegliare Crowley; scese in cucina, si preparò la colazione e attese.

Alle sette in punto, un leggero tonfo davanti alla porta gli suggerì che il primo giornale era arrivato: il Daily Telegraph ben arrotolato sullo zerbino, esattamente come aveva voluto che fosse anni addietro. Gli era bastato schioccare le dita perché arrivasse sempre alla stessa ora anche lì, dove le comunicazioni non erano sempre efficienti come in città - a meno che non si disponesse di uno di quegli strani aggeggini connessi a Internet, come il cellulare di Crowley.

Andò a recuperarlo, venendo subito investito dalla prima, frizzante, aria primaverile dell'anno che si mescolava al vento che per proveniva dal mare. Normalmente ne avrebbe goduto per un po' con il volto baciato dal sole tiepido, ma era troppo curioso di sapere quali notizie avrebbe letto stavolta. Così rientrò quasi di corsa e aprì il quotidiano sul tavolo.


Il primo giorno di primavera di ormai sette anni prima, un poverissimo villaggio della Repubblica Democratica del Congo era improvvisamente diventato uno dei luoghi più chiacchierati, studiati e intervistati del mondo. Molto semplicemente, in quello che da sempre era annoverato come uno dei luoghi più mangiati dalla fame del globo, una piccola fetta di popolazione si era ritrovata tra le mani un raccolto anomalo e quasi fin troppo abbondante di banane - soprattutto considerate le poche persone che abitavano quella lontana e triste fetta di terra.

Il raccolto non fu che il primo di tanti "miracolosi" eventi. Non troppo tempo dopo, infatti, sotto al villaggio venne trovata una miniera di diamanti che, chissà perché, nessun colosso occidentale riuscì ad accaparrarsi.

Seguirono acqua sempre pulita, alberi sempre più fitti ed animali sempre più numerosi e mai ostili alla presenza dell'uomo. Incredibilmente famosa divenne la testimonianza di una madre, la quale confessò di essere riuscita a concepire una bambina dopo svariati tentativi troncati dalla fame e dalle condizioni degradanti del luogo in cui viveva. Disse persino che il parto non era stato né particolarmente difficile o doloroso, e che i nove mesi di attesa erano passati con naturalezza, senza che lei o la piccola ne soffrissero. Scherzò, dicendo che il tutto era avvenuto prima che il villaggio iniziasse magicamente a prosperare, e che tutto pareva aver avuto inizio con la nascita di sua figlia.

Ovviamente, l'aveva chiamata Eve. E quel giorno, Eve avrebbe compiuto sette anni.


La prima pagina di quella mattina parlava di come il tipico clima della foresta pluviale pareva non abbattersi con la stessa, normale imprevidibilità di sempre nel Villaggio dei Miracoli, com'era stato soprannominato. Aziraphale non se ne stupì, ma questo non lo fermò dal leggere riga per riga, alla ricerca di qualcosa che lo aiutasse a capire quale fosse il piano della bambina. Già da tempo gli era poi balenata in mente l'idea di arrivare fin laggiù di persona e studiare la situazione. Avrebbe dovuto parlarne con Crowley.


    Il demone lo raggiunse verso le dieci con cellulare in mano e i rossi capelli scombinati dal sonno. «Hai visto?» Chiese in uno sbadiglio, prendendo posto accanto a lui. Aveva aperto più pagine di notiziari online e le stava guardando in successione.

    Aziraphale annuì, anche lui intento ad osservare i titoli degli altri giornali che, gradualmente, erano comparsi davanti alla porta. «Più il tempo passa più i segni si fanno evidenti. Peccato che questo non ci aiuti a capire granché.»

    Il rosso sbuffò, strofinandosi un occhio. «Scommetto che anche gli altri si stanno arrovellando il cervello» affermò, riferendosi ad Inferno e Paradiso.

Su quello non ci pioveva. Persino Muriel si era messa ad indagare per conto proprio, chiamandoli spesso - alle volte al cellulare di Crowley, alle volte al telefono fisso che Aziraphale aveva messo nello studio. L'angelo si disse che anche a lei sarebbe piaciuto andare a far visita a Eve. Lo avrebbe detto sia a Crowley che a Muriel, allora.

    Una cosa per volta. «Ti preparo qualcosa?» Chiese, scostando qualche scombinata ciocca cremisi dalla fronte del compagno. Si erano fatte davvero lunghe, tanto ricadergli leggermente sulle spalle.

    Crowley fece spallucce. «Se ti va» disse, stampandogli un bacio sulla guancia.

Aziraphale gli sorrise e andò ai fornelli, ancora non ben sicuro di cosa fare. Il suo demone mangiava di gusto solo quello che preparavano lui e Muriel, perciò non aveva di che preoccuparsi. Qualsiasi cosa poteva andare bene, ma era un gesto d'amore quello: ci avrebbe messo il cuore, come al solito.


Le sue intenzioni vennero bloccate da un ritmico, quasi allegro bussare alla porta. Sia lui che Crowley si voltarono, straniti. Nessuno veniva mai a trovarli così presto, a parte forse Muriel il mercoledì.

Ma non era mercoledì.

    «Vado io, caro. Resta pure dove sei» disse Aziraphale, mettendo una mano sulla spalla di Crowley intanto che lo superava per dirigersi alla porta.

Di sottecchi, vide il demone alzarsi e seguirlo fino all'entrata della cucina. Lo stava tenendo d'occhio come un cane da guardia, sicuramente pronto a balzare se alla porta si fosse presentata qualcuna delle loro vecchie, non tanto gradite, conoscenze. Aziraphale non poté che provare una punta di piacere e affetto, intanto che andava ad aprire.

Non che si aspettasse veramente qualcuno dall'Inferno o dal Paradiso, ma era una possibilità tangibile che, seppur per un attimo, lo preoccupò.

Una volta schiusa la porta per dare un'occhiata all'esterno, però, quel pensiero scomparve come neve al sole.

Sull'uscio, composta e sorridente, c'era Eve.

    «Ciao, Aziraphale» lo salutò la bambina. Teneva le mani dietro la schiena, e spostava il peso dai talloni alle punte, evidentemente felice e a suo agio.


La fecero accomodare in salotto e lei andò subito a mettersi davanti al fuoco.

Era leggermente diversa dall'ultima volta che l'avevano vista. Non aveva più gli occhi grigi, ma di un profondo color nocciola più simile a quello degli umani che abitavano nell'area in cui aveva scelto di nascere. I capelli le erano stati tutti abilmente raccolti, richiudendo i suoi riccioli corvini in tante treccine fini e decorate da fili di tessuto colorato. L'unica cosa bianca e linda che indossava era la giacchetta che ancora si ostinava a tenere addosso, mentre il resto del suo abbigliamento era estremamente semplice, anzi: Aziraphale notò con tenerezza le scarpe intatte ma sporche e polverose della bambina, ricordandosi che quello, alla fin fine, era sempre stato il modus operandi di Eve. Poteva nascere nello sfarzo e nella comodità senza sforzo né problemi, ma, di nuovo, aveva volutamente deciso di non farlo, puntando invece al migliorare un luogo che aveva decisamente bisogno di un miracolo.

    «Dì un po'» le disse Crowley, affiancandola, «che ci fai qui?»

    Lei fece spallucce, accettando con gratitudine il tè caldo che Aziraphale le stava porgendo. «Volevo vedere come stavate.»

    L'angelo la affiancò al lato opposto, sorridendo per un secondo al valore simbolico delle loro posizioni: Crowley a destra, lui a sinistra e Eve giusto in mezzo. «I tuoi genitori saranno preoccupati» commentò, genuinamente in pensiero per i nuovi prescelti che adesso si sarebbero ritrovati a fare i conti con qualcosa di molto, decisamente più grande di loro.

    Lei ridacchiò affettuosamente. «Non sarà comunque peggio di quella volta che ho mollato i miei per andare al tempio.»

    Anche a Crowley scappò da ridere. «Il lupetto non ha perso il vizio.»

Aziraphale non poteva che concordare. Da molti punti di vista, Eve non era cambiata affatto. Era il mondo ad essere cambiato, e tanto pure. L'angelo si chiese come avrebbe agito la piccola adesso. Magari si era presa del tempo prima di nascere apposta per guardarsi attorno, capire esattamente con che cosa aveva a che fare.

    La osservò intanto che sorseggiava, poi si ritrovò addosso i suoi occhietti scuri e seri. «Non devi preoccuparti. La mia nuova mamma lo sa che vado sempre in giro, alle volte molto più in là del nostro villaggio. Con il tempo capirà che mi spingo anche oltre il Congo o oltre l'Africa, come stavolta» spiegò. «Anche se qui da voi fa davvero freddo. Non ci sono abituata.»

Ecco spiegato il motivo della sua giacchetta fin troppo immacolata. Aziraphale capì che doveva averla fatta comparire dal nulla per reggere al cambio di temperatura repentino.

    Le rivolse un sorriso e fece per alzarsi. «Se vuoi, ho un plaid di sopra» iniziò a dire, prima che lei gli afferrasse le dita della mano per fermarlo.

    «Aspetta, vado io» disse, balzando in piedi e finendo il tè ormai tiepido in pochi sorsi. «Voglio vedere casa vostra.» In un attimo era già su per le scale.

    Crowley sospirò e si tirò su con un unico, fluido movimento. «La seguo» disse solo. C'era un tacito: "Non so se e dove metterà le mani, ma non voglio che frughi in giro" nel suo sguardo. Ad Aziraphale parve come se ce lo avesse scritto in fronte, proprio sotto la cortina di ciocche rossastre.

    «Va bene, caro. Io credo che mi metterò a fare le crepes.»

    «Ma non avevi già fatto colazione?»

    L'angelo alzò gli occhi al cielo. «È il compleanno di Eve, Crowley. Direi che per l'occasione vanno bene.»

Detto ciò si alzò le mani della camicia fino al gomito - movimento che il demone osservò per qualche secondo di troppo - e tornò in cucina.




Crowley seguì Eve su per le scale. La trovò nello studio, intenta a guardare i libri di Aziraphale con curiosità e stupore.

Si poggiò con una spalla allo stipite della porta e si mise ad osservarla, braccia incrociate. Quasi sussultò quando gli occhi della bambina si posarono su di lui, ora privi di innocenza e ricolmi di una serietà che fin poco si addiceva a quel volto infantile.

    «So cosa vuoi chiedermi» gli disse, sfilando un volume alla cieca e andando a prendere posto sulla poltrona dell'angelo. Solo allora scollò lo sguardo da quello di Crowley, affondandolo nella pagina che aveva appena aperto. «Puoi farlo. Non sei tu se non fai domande.»

    Il rosso sospirò. Era impossibile scappare da lei: rimaneva pur sempre un terzo di suo Padre. Aveva un modo diverso di vedere le cose, e sicuramente aveva scrutato la sua domanda appena entrata. Non aveva motivo di indugiare. Così chiese: «Come avete fatto? A riportarmi indietro, dico. Non sei esattamente scesa nei dettagli l'ultima volta, e Aziraphale non ricorda granché.»

Se non il vuoto in cui è rimasto intrappolato per mesi, pensò con un brivido.

    Eve si strinse il volume al petto e riprese a guardarlo, stavolta con un sorriso. «Credo che tu la sappia già la risposta.»

Crowley la guardò stralunato intanto che lei si alzava e trotterellava via dalla stanza, diretta in camera da letto.

    La seguì, incespicando nella lingua più volte. «Perchè devi sempre essere così criptica?» Lamentò. Mai una volta che lei e Sua Maestà dicessero le cose così come stavano. Si divertivano a far scervellare chiunque non fosse all'altezza dei loro pensieri ineffabili.

Oh.

Si bloccò davanti al letto, sbarrando gli occhi. Eve pareva divertita.

Ma certo, non poteva dirglielo: era uno di quei concetti troppo alti da essere espressi in parole. Che novità.

    «Mai una soddisfazione» commentò, intanto che la bambina poggiava il libro sul materasso, mettendosi il plaid sulle spalle a mo' di mantello.

Solo allora Crowley si rese conto che Eve aveva scelto una delle tante bibbie che Aziraphale amava collezionare, chissà per quale motivo. Era come se volesse riscriverla direttamente tra quelle pagine la storia - e magari ne sarebbe stata perfettamente capace.


Prima di tornare di sotto, lei lo stupì prendendolo per mano. Aveva veramente le ditina gelide.

Il rosso si ritrovò trascinato verso il salotto in un modo del tutto simile a quello che Aziraphale aveva adottato per trascinarlo in mezzo al ballo in libreria. Si sentì quasi obbligato a rimanerle accanto sul divano, in silenzio, intanto che sfogliava le pagine sottilissime alla ricerca di chissà che cosa.

Tornarono in cucina solo quando Aziraphale li richiamò. Effettivamente, nell'aria iniziava a sentirsi l'odore dello zucchero a velo.

Eve lasciò il libro sul tavolino davanti al divano, ripiegò il plaid e fece sparire la sua giacchetta. Saltellò da Aziraphale, aiutandolo ad apparecchiare senza che le venisse chiesto né detto dove avessero riposto le posate e i bicchieri. Si sedette a capotavola e l'angelo le posò una crepes ben impiattata e decorata davanti con un sorriso leggero e cordiale.

    «Beh, buon natale» scherzò Crowley, buttandosi sulla sua sedia.

A vederla così, con gli occhioni che le luccicavano e la bocca sporca di cioccolata, Eve sembrava una piccola umana qualsiasi. Eppure, da lì a qualche anno, avrebbe stravolto il mondo in un modo che solo lei sapeva.

    Incredibilmente, fu l'angelo a mettere in ballo la questione, stuzzicando un angolo del suo dolce con la punta della forchetta. Si rivolse alla piccola con una certa riverenza. «Allora, hai già qualche piano per il futuro?»

    Ancor più incredibilmente, Eve annuì. «Ho in mente una perfetta entrata in scena. Andrò in Europa con un aereo privato, e ci sarete anche voi.»

    Fino all'aereo, a Crowley sarebbe anche scappato da ridere. Il resto della frase, invece, portò lui e l'angelo a guardarsi, straniti. «Noi?» Chiese, incredulo e persino preoccupato. L'ultima cosa che voleva era essere di nuovo infilato in qualche affare, angelico o no che fosse.

Il punto, però, era che né il Paradiso né l'Inferno c'entravano, stavolta. C'entravano solo Eve e l'umanità.

    Difatti, la bimba annuì di nuovo. «Voi due siete perfetti per la mia causa» affermò, ora un po' più seria - e meno sporca in viso. «Vorrei che il mondo vi somigliasse almeno un po'.»

Fu tutto ciò che disse. Non scese nei dettagli, non delineò un piano né chiese loro se fossero d'accordo. Li avrebbe lasciati ragionare sulla questione, questo sì. Forse, un giorno, li avrebbe messi al corrente di tutto.

Crowley sorrise amaramente. Certo che passare da dodici discepoli a solo due era davvero una gran bella differenza. D'altronde, lui era un demone, ma a lei non pareva importare.



Eve se ne andò verso mezzogiorno - non senza aver prima aiutato Aziraphale a sparecchiare.

Prima di uscire, riprese il suo fare da bambina e, con un saltello, andò ad abbracciare l'angelo, gettandogli le braccia attorno alla vita.

Il biondo rimase interdetto per un attimo e lanciò un'occhiata a Crowley prima di posare una mano sulle scapole e sulla testa della piccola.

Nemmeno il rosso avrebbe saputo come reagire, in realtà. Fissò la scena con una leggera ruga tra le sopracciglia e gli venne automatico indietreggiare di un passo quando Eve si staccò, sguardo fisso in quello ceruleo di Aziraphale.

    «Sai, Metatron era l'angelo personale di mio padre» affermò lei.

Il demone sorrise appena, l'aura crogiolante di soddisfazione. Era, ha detto: "era". Ha usato il passato.

    «Vorrei che tu fossi il mio. Non adesso, ovviamente: quando sarò più grande» concluse poi Eve, portando sia Aziraphale che Crowley a sbarrare gli occhi d'innanzi a quella proposta.

A differenza di quanto era accaduto con il capo dei Serafini, stavolta l'angelo rivolse al suo demone una silenziosa richiesta. La richiesta di un parere.

    La bambina se ne accorse. «Oh, tranquilli. Non ho nessuna intenzione di separarvi: come ho detto, vorrei che ci foste entrambi.»

    A quel punto, Crowley non poté più tenere il dubbio a freno. Ma, in fondo, Eve aveva ragione: non era lui se non faceva domande. «Posso capire che tu voglia Aziraphale al tuo fianco» affermò infatti. Lo voglio anche io al mio, per sempre, fu ciò che non disse. «Ma io? Cosa te ne fai di me? Sono l'essere più sbagliato in assoluto.»

    L'angelo avrebbe voluto replicare, ma lei lo fermò con un semplice gesto della mano, ora concentrata sul rosso. «Anche le stelle cadono, Crowley» affermò poi, il tono placido. «Ma sempre stelle rimangono. Anzi: gli umani paiono preferirle quando sfrecciano nel cielo.»


Quelle parole rimasero ferme nell'aria quando lei se ne andò.

Aziraphale e Crowley rimasero l'uno accanto all'altro d'innanzi alla porta aperta del loro cottage, accarezzati dall'aria primaverile. A quanto pareva, il loro lavoro non era ancora finito. Quella era solo una tregua: la calma prima di, beh, qualcosa. Forse una tempesta, forse una semplice pioggerella.

    L'angelo prese delicatamente la mano del suo demone, stringendola lievemente. «Qualsiasi cosa accada, almeno saremo assieme» affermò, speranzoso e fiducioso.

    Crowley lo guardò negli occhi e non poté che sorridere. «Hai ragione» mormorò, ricambiando la stretta. Poi, con un unico movimento fluido dei suoi, lo baciò e richiuse la porta con la mano libera.


I loro baci si protrassero, intermittenti, fino a sera. Come sempre, le loro labbra si separavano per poi ritrovarsi ancora, e ancora, e ancora. Quello era il loro modus operandi, il loro modo di amarsi, addossati ad una parete o contro una finestra.

Quando le tenebre calarono del tutto, uscirono in giardino, mani strette e dita intrecciate. Sopra di loro, evidente nel cielo notturno, una stella bianca - che in realtà erano due - vegliava su di loro fredda e costante.

Il cielo era stupendo laggiù, più pulito e quindi piu terso, più pieno di dettagli. Il nero era sporco di blu tenue, bianco e azzurro laddove le stelle lo rischiaravano. Eppure, Aziraphale non lo stava guardando: i suoi occhi erano troppo occupati a delineare l'alta, slanciata figura alla sua sinistra.

    Crowley se ne accorse, ma non se ne stupì. In fondo: Aziraphale era quello delle occhiate languide. «Cosa c'è?» Chiese solo, il tono caldo e morbido, come la cioccolata calda.

Sapeva già la risposta.

    Difatti: «Baciami ancora» chiese l'altro.

E Crowley lo fece. Avrebbe fatto quello e molto, molto altro. Lo avrebbe baciato fino alla fine, qualunque fosse la fine o in qualsiasi momento sarebbe avvenuta.

Qualsiasi cosa sarebbe successa da adesso in poi, l'avrebbero affrontata insieme, si ripeté. Ormai lo aveva capito: facevano cose incredibili quando collaboravano, ed era per questo che Eve li voleva entrambi accanto a sé. Lei lo sapeva, così come Muriel lo aveva sempre saputo, così come tutti tranne loro avevano sempre pensato.


Non c'era bene senza male, o ombre senza luce. Loro erano la prova provata di quell'equilibrio.

E, secondo Eve, erano ciò di cui il mondo aveva bisogno.


- Fine



--


ANGOLO AUTRICE:

E anche questa avventura è giunta al termine. Nata come fanfiction sfogo post seconda stagione, è presto diventata il mio lavoro più seguito e recensito. Per questo, ringrazio chiunque abbia letto, chiunque abbia atteso e chiunque abbia commentato. Dal profondo del mio cuore, grazie e ancora grazie ♥️

Dato poi che l'anno è appena cominciato, vi auguro un felicissimo 2024 e vi abbraccio tuttə dalla distanza. Che le vostre giornate siano liete, e che anche nei momenti bui le stelle possano darvi speranza con la loro luce.

Vi adoro da qui fino ad Alpha Centauri.

Con amore,

Neamh.


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