Maritombola 14

di TheSlavicShadow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 34. gatto [Germania e Prussia] ***
Capitolo 2: *** 51. Felicità – Al Bano e Romina Power [Spamano] ***
Capitolo 3: *** 60. The Catalyst – Linkin Park [Germania + altri] ***
Capitolo 4: *** 72. compagnə di band [Bad Touch Trio + Inghilterra] ***
Capitolo 5: *** 82. ipotermia [RuPru] ***
Capitolo 6: *** 04. Augustus Hill, Oz [GerIta] ***
Capitolo 7: *** 23. Tokyo [Ameripan....?] ***
Capitolo 8: *** 61. consapevolezza [Ungheria + Prussia] ***
Capitolo 9: *** 74. comandante e sottopostə [Prussia + Federico II] ***
Capitolo 10: *** 87. brina [RuPru] ***
Capitolo 11: *** 19. betoniera [Romano + Gerita] ***
Capitolo 12: *** 39. agave [Spamano] ***
Capitolo 13: *** 59. Paper Romance – Groove Armada [FrUk] ***
Capitolo 14: *** 76. cavaliere e stalliere [AusHun] ***
Capitolo 15: *** 89. chai latte [UsUk] ***



Capitolo 1
*** 34. gatto [Germania e Prussia] ***


Lo avrebbe mandato al manicomio. Lo sapeva. Ne era certo.

Ovunque si girasse trovava il pelo di quell'essere demoniaco che suo fratello si era portato dietro dalla sua lunga permanenza sovietica. Ed era sicuro che quel gatto lo odiasse. Odiava lui. Odiava i suoi cani. Odiava tutto quello che lo riguardava.

“Fratello, se non lo fai sparire tu, me ne occuperò io.” Ludwig era entrato in soggiorno, trovando suo fratello beatamente svaccato sul divano con un libro in mano. Teneva il gatto in malo modo e questi cercava di graffiarlo. Gli avrebbe tirato il collo prima o poi.

“E’ solo un gatto, West. Che problema ti da?” Il Prussiano lo aveva guardato inarcando un sopracciglio, ma senza spostarsi dalla sua comoda posizione.

“E’ un demonio. Riportalo da dove lo hai preso. Ha attaccato i miei cani!”

“I tuoi cani sono grandi e grossi!” Gilbert aveva riso alzandosi finalmente dal divano e avvicinandoglisi. Aveva recuperato il grosso felino dal pelo lungo e lo aveva stretto a sé come se fosse una cosa dolce e carina da coccolare. “Cosa ti ha fatto questo bestione, piccolo Vanja?”

Odiava quel gatto. Odiava il modo in cui suo fratello gli fosse attaccato. Odiava il nome che gli aveva messo. Odiava ancora di più la persona che glielo aveva regalato. Lo odiava dal momento in cui suo fratello era entrato in casa con un batuffolo di pelo in mano, raggiante come un bambino la mattina di Natale.

“IO non gli ho fatto nulla, per il momento!” Ludwig detestava quel gatto. Non poteva soffrirne la presenza, ma vedere il fratello così rilassato lo faceva capitolare ogni volta. Ogni volta che voleva impacchettare il felino per rispedirlo al mittente alla fine si bloccava. Ogni giorno lo detestava dal profondo quando quella bestia satanica entrava in camera sua all’alba e lo svegliava mettendogli il suo puzzolente deretano sul viso. Ogni giorno lo detestava ancora di più quando gli passava tra le gambe per farlo cadere. 

Ma era un uomo debole quando si trattava di suo fratello. Come avrebbe potuto togliergli qualcosa che lo rendeva felice?

 

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Capitolo 2
*** 51. Felicità – Al Bano e Romina Power [Spamano] ***


Era un caldo pomeriggio dell’estate spagnola. Uno di quelli che aveva vissuto migliaia di volte quando era un bambino e viveva lì con Antonio. Con la differenza che adesso si trovava lì di sua spontanea volontà. 

Se ne stava seduto al tavolo della cucina mentre osservava lo Spagnolo cucinare ascoltando vecchie canzoni di cui nessuno sentiva la mancanza. Fischiettava e canticchiava tra sé e sé, e questo gli faceva sempre provare tantissima nostalgia. Nei suoi ricordi Antonio cantava molto spesso. Con molta probabilità l’amore per la musica glielo aveva trasmesso proprio lui. 

“Oh, ti prego! Cambia sta playlist o di spacco il cellulare!” Lovino aveva nascosto il viso tra le mani quando delle note troppo famigliari gli erano arrivate alle orecchie. Quella canzone era stata un tormentone. Continuava ad esserlo anche dopo 40 anni, e lui la odiava perché ad Antonio piaceva fin troppo.

Felicità, È tenersi per mano, andare lontano, la felicità” Lo Spagnolo si era voltato subito verso di lui, con un sorriso che si espandeva da orecchio a orecchio. 40 anni che Antonio cantava a squarciagola quella canzone ogni volta che la sentiva.

E lui non sapeva mai come sentirsi a riguardo, perché l’altro uomo con la guardava sempre con adorazione mentre la cantava. Sentiva ogni volta - anche in quel momento - le guance andare in fiamme e il cuore battere forte, come se fosse la prima volta. Come se fosse solo un ragazzino alla prima cotta. 

“No. Scordatelo.” Antonio gli si era avvicinato, prendendolo per mano e costringendolo ad alzarsi dalla sedia. Lo aveva subito stretto a sè, muovendosi a ritmo, e lui voleva solo sotterrarsi da qualche parte. 

È cantare a due voci quanto mi piaci, la felicità” Lo Spagnolo continuava a cantare con la gioia palpabile nella voce. Lo faceva volteggiare per la cucina e lui voleva solo nascondere il viso nell’incavo del suo collo e morire di imbarazzo.

Era quella la felicità. Lo era sempre stata. Era stare con Antonio. Era guardarlo cucinare. Era ascoltare la sua voce sempre piena di amore quando si trattava di lui. Era ballare in una cucina baciata dal caldo sole pomeridiano. 

Era Antonio la felicità.

 

Senti nell'aria c'è già

La nostra canzone d'amore che va

Come un pensiero che sa di felicità

Senti nell'aria c'è già

Un raggio di sole più caldo che va

Come un sorriso che sa di felicità

 

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Capitolo 3
*** 60. The Catalyst – Linkin Park [Germania + altri] ***


Norimberga, 1946

 

La storia è scritta dai vincitori” era una frase che suo fratello aveva spesso pronunciato. Ed era così. I vincitori di qualsiasi conflitto ne uscivano puliti. Ne uscivano eroi. 

I vincitori potevano andare in giro a testa alta nonostante le loro mani grondassero di sangue tanto quanto quelle degli altri. Eppure potevano avere il ruolo di giudice, giuria e boia sulle vite di tutti.

Se ne era stato seduto in disparte ad ogni processo. Aveva ascoltato ogni capo d’accusa. Aveva ascoltato ogni verdetto. E per ogni condanna a morte era sicuro di poter trovare una controparte dall’altra parte. 

Solo che ne erano usciti completamente sconfitti su ogni fronte. E si odiava per questo. Si odiava per tutto quello che aveva permesso e che adesso lo aveva colpito come un macigno.

Incolpava di questo anche suo fratello che spesso lo aveva tenuto all’oscuro delle cose più orribili che avevano fatto. C’erano state cose che aveva scoperto in sede di processo e prigionia. Suo fratello no. Suo fratello non era stupito di nulla di quello che avevano detto durante i vari processi. 

Quante erano le cose che avrebbero dovuto farsi perdonare tutti loro? Quante atrocità avevano commesso tutti quanti in quella guerra? Non si salvava nessuno. Non poteva salvarsi nessuno. Erano tutti peccatori verso il genere umano.

Come avevano potuto permettere alle loro nazioni di compiere tutte quelle violenze? Non si era reso conto fino a quel momento quanto fosse un gioco malato quello che stavano facendo. E in quel momento gli sembrava che tutta quella situazione avesse ripercussioni solo di lui.

“Come fate ad andare avanti come se nulla fosse?” Aveva guardato le potenze Alleate che parlavano tra di loro come se non avessero appena concluso un lunghissimo processo per crimini di guerra. Aveva notato anche lo sguardo di suo fratello su di sé e si sentiva schiacciato da tutto quello che era successo.

“West, sono solo umani. Continueranno a farsi la guerra fino alla fine dei loro giorni e troveranno metodi sempre più brutali.”

“Ma tu sapevi tutto e non glielo hai impedito!” Aveva notato suo fratello sospirare e passarsi una mano tra i capelli. Suo fratello aveva sempre fatto la guerra. Era sempre stato uno Stato militare ed aveva la guerra nel sangue. Era quasi un gioco per lui scendere in battaglia, e il resto non lo riguardava.

“Ehi, non possiamo intervenire più di tanto.” L’Inglese si era fatto avanti. Erano tutti più vecchi di lui. Avevano tutti combattuto molto più di lui. Lui non aveva memoria diretta del suo passato, di cui suo fratello gli aveva parlato. Se avesse ricordato sarebbe stato come loro? Sarebbe potuto andare avanti con una coscienza più leggera? Non si sarebbe più incolpato a quel modo di cose su cui non aveva avuto alcun potere?

Avrebbe potuto sopportare tutta quella follia umana senza esserne schiacciato totalmente?

God, save us everyone
Will we burn inside the fires of a thousand suns?
For the sins of our hand
The sins of our tongue
The sins of our fathers
The sins of our young, no!
 

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Capitolo 4
*** 72. compagnə di band [Bad Touch Trio + Inghilterra] ***


“Perché vorresti un altro membro per la band?” Gilbert Beilschmidt aveva guardato male Arthur Kirkland. Il biondo lo aveva guardato male, riponendo la propria chitarra al suo posto e gli aveva dato le spalle. “Siamo già in 4. Non ci serve un altro. A meno che non sia una bella donna con le tette enormi.”

“Se ti sente Ivan ti appende per le palle.” Come a sottolineare le proprie parole, Francis Bonnefoy aveva colpito con forza i piatti della batteria, e per tutta risposta Gilbert aveva alzato il dito medio nella sua direzione. Quella band era una sua creazione coi suoi compagni delle superiori. Avevano iniziato per gioco nel suo garage e ora si esibivano nei locali. E lui non voleva che nessun equilibrio venisse alterato.

“Kirkland, parlo con te, frocio del cazzo. Chi vorresti far entrare nella band?”

“Alfred. Quel Alfred.” A rispondere era stato il loro frontman, Antonio Fernandez Carriedo. Il ragazzo dai capelli castani aveva fatto un enorme sorriso mentre lo diceva, ammiccando verso il biondo che continuava a dare le spalle a tutti i presenti.

Gilbert lo aveva guardato di nuovo. Dalla propria posizione poteva vedere le guance dell’altro di un bel colore rosso che stonava sulla sua pelle chiara. 

“Non puoi essere serio. Solo perché vuoi far colpo su di lui non puoi farlo entrare nella band. E poi cosa suonerebbe? Il triangolo?”

“Stai zitto!” Arthur si era voltato finalmente verso i propri amici, rosso in viso, e quasi urlando dall’imbarazzo per essere stato colto in flagrante. “Sa suonare la tastiera, potrebbe esserci utile!”

“Abbiamo già questo sfigato qui alla tastiera.” Gilbert aveva indicato Antonio che aveva solo riso, andando subito dopo a sedersi per godere di quello spettacolo. Per tutti era sempre uno spettacolo per gli occhi guardare Arthur Kirkland che si imbarazzava e diventava di conseguenza isterico. “E forse ti devo ricordare che io sono pure andato al conservatorio suonando il pianoforte. Quindi se vuoi far colpo fallo diventare la tua groupie personale.”

“Come sei rozzo e per nulla romantico, mon ami.” Francis si era alzato dalla batteria, passando subito un braccio attorno alle spalle di Arthur. “Mon cher, portalo pure a vedere le prove, così puoi ammaliarlo.”

Arthur aveva spostato in malo modo il braccio del compagno di band, aveva preso la propria borsa mettendola a tracolla e si era avviato alla porta. Gli altri tre lo guardavano divertiti mentre apriva la porta.

“Andate al diavolo tutti e tre! Vi odio!” Li aveva guardati malissimo, prima di sbattere la porta e andarsene, mentre gli altri ridevano.

 

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Capitolo 5
*** 82. ipotermia [RuPru] ***


Mosca, 197*

 

Aveva affondato le mani di più nelle tasche del caldo cappotto che indossava. Si era stretto su sé stesso cercando di mantenere quanto più calore possibile. La sciarpa gli copriva il viso, ma non era abbastanza. Il freddo moscovita gli entrava in profondità, congelandogli ogni muscolo. Dimenticavano sempre tutti che non era nato in un posto così freddo. Ci aveva passato praticamente tutta la sua esistenza al nord, ma a volte quasi rimpiangeva il caldo e la sabbia del posto dove era nato.

“Gilbert, dai! Muoviti!” Aveva guardato malissimo l’uomo che si stava sbracciando nella sua direzione. Sorrideva felice. Guardava anche tutti i suoi coinquilini forzati che si legavano i pattini. Ma lui non voleva. Non voleva assolutamente fare una cosa simile. 

Aveva sempre pessimi ricordi dell’inverno russo.

“Non ci penso nemmeno. Me ne resto qui ad aspettare il momento per chiamare l’ambulanza.”

“Stiamo aspettando solo te, bisbetico!” Da dietro, anche se non riusciva a vederla, aveva sentito la voce di quella stregaccia ungherese. Cosa poteva saperne lei dei suoi traumi?

“Voi siete pazzi! Quello è solo un laghetto ghiacciato! Si spezzerà tutto e andrete giù a peso morto!”

Almeno 10 paia di occhi erano immediatamente su di lui e se non fosse che stava congelando avrebbe sicuramente sentito le proprie guance andare a fuoco. Aveva visto qualcuno ridacchiare. Aveva visto Ucraina improvvisamente preoccupata. Ma quello che gli dava più sui nervi era sicuramente Ivan che si era avvicinato a lui, camminando coi pattini sulla neve. Mentalmente gli augurava di cadere e spezzarsi la caviglia. O anche entrambe già che c’era.

“Gilbert, tesoro. Non sapevo che avessi ancora questo trauma dopo 800 anni, ma ti assicuro, deficiente, che il ghiaccio di gennaio reggerebbe pure tutto il tuo esercito con tutte le armature e i cavalli. Non stiamo parlando di aprile, idiota.”

Voleva ribattere. Voleva ribattere con forza, ma le labbra, ben nascoste dalla sciarpa, restavano serrate perché sapeva che qualsiasi frase avesse detto non avrebbe avuto alcun effetto. Era stato stupido in passato, e adesso si sentiva ancora più stupido ad essere preso in giro per la propria stupidità.

 

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Capitolo 6
*** 04. Augustus Hill, Oz [GerIta] ***


4. “The worst stab wound is the one to the heart. Sure, most people survive it, but the heart is never quite the same. There’s always a scar, which I guess, is meant to remind you that even for a little while, someone made your heart beat faster.” (Augustus Hill, Oz)

 

188*

 

Lo stava osservando da lontano. Non aveva il coraggio necessario per avvicinarsi. Non aveva il coraggio di farsi male ancora una volta. 

Non lo riconosceva. Non sapeva più il suo nome. Non lo guardava più allo stesso modo. E lui non credeva che sarebbe stato in grado di sorridergli senza spezzarsi di fronte a lui. 

Aveva desiderato incontrarlo sin da quando Prussia gli aveva comunicato che lo aveva trovato, che lo aveva preso con sé per curarlo. Perché Prussia sapeva. Sapeva quello che li aveva uniti quando erano praticamente due bambini, quando il massimo che si erano scambiati era qualche innocente bacio. 

E Prussia lo aveva preso in giro più di una volta perché l’altro pensava che fosse una bella ragazzina. 

Prussia glielo aveva presentato. E gli aveva comunicato che purtroppo non ricordava nulla di quando era il glorioso Sacro Romano Impero. 

Ricordava ancora il loro ultimo incontro. Quando il Tedesco gli aveva comunicato che partiva per la guerra e gli chiedeva di aspettare il suo ritorno. 

Solo che non era mai ritornato e il suo cuore si era spezzato quando gli avevano comunicato la sua morte. Aveva pianto, aveva urlato. Era rimasto ad aspettare il suo ritorno, senza sapere che quello era stato un addio. Era rimasto con una dichiarazione d’amore a cui non aveva risposto se non con un bacio, e al suo ritorno gli avrebbe detto che anche lui lo amava.

Ed invece adesso aveva davanti a sé un ragazzo più alto e più serio, ma con il suo stesso viso, con i suoi stessi occhi. E gli veniva ancora il batticuore nel guardarlo. 

Quando gli aveva rivolto la parola la prima volta, il suo cuore aveva perso un battito. Era la stessa voce, leggermente più matura, ma era la stessa voce che aveva amato in passato. 

Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, nemmeno quando il nuovo Stato Tedesco lo aveva guardato. Aveva preso coraggio. Gli aveva sorriso e aveva alzato una mano per salutarlo. Il ragazzo era arrossito. Diventando ancora più rosso quando suo fratello gli dava una gomitata e diceva qualcosa. 

Lo aveva visto avvicinarsi, ancora rosso in viso, e gli sembrava in tutto e per tutto il ragazzo che aveva conosciuto così tanto tempo fa ormai. Non poteva far altro che sorridere.

“Salve, Italia. Bella festa, non trovate?” Italia aveva sorriso a quel goffo approccio e al modo in cui non riusciva a guardarlo senza arrossire. Faceva male e riapriva una ferita che aveva fatto molta fatica a chiudersi. 

“Sono felice di rivederti, Germania.”

Faceva male. Faceva malissimo, ma quel viso imbarazzato gli faceva battere nuovamente il cuore.

 

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Capitolo 7
*** 23. Tokyo [Ameripan....?] ***


Edo, 186*

 

Sapeva che era un comportamento rude, maleducato, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da quel ragazzo mentre passeggiavano per i giardini del nuovo palazzo imperiale. Era un invasore. Era un invasore straniero che non avrebbe mai dovuto far entrare nei propri confini. Erano bastati quei pochi europei che aveva conosciuto in passato e forse avrebbe dovuto dar retta a quei tradizionalisti che continuavano a volere i confini chiusi.

Ma non riusciva a togliere gli occhi da quei capelli biondi. Da quel sorriso enorme. Da quegli occhi azzurri che stavano osservando tutto con una meraviglia che non aveva forse mai visto in altre persone. 

Osservava tutto con l’eccitazione di un bambino, e parlava anche troppo velocemente facendogli perdere per strada qualche parola.

Aveva studiato la sua lingua. Quando il suo imperatore aveva deciso di aprirsi all’Occidente si era impegnato. Aveva imparato altre lingue, ma quella giovane nazione rendeva quelle lezioni quasi inutili con tutto quell’entusiasmo.

“America-san, non riesco a seguire tutte le vostre parole.” Aveva cercato di parlargli nel modo più cortese possibile. Da quella alleanza dipendeva il suo futuro e non voleva in qualche modo offenderlo.

“Perdonami, mi sono lasciato trasportare dall’emozione perché qui è davvero meraviglioso.” L’Americano lo aveva guardato, senza mai smettere di sorridere. E quel sorriso stava riscaldando il suo cuore che credeva avvizzito dal tempo e dalla storia. Da quanto tempo non si era sentito vivo in presenza di qualcuno? Erano ormai secoli che quelle sensazioni erano scomparse dal suo animo. Eppure eccolo lì a sentire delle emozioni risvegliarsi per colpa di un sorriso. Perché non c’era nulla di positivo in quella loro apertura. Erano mossi quasi dalla disperazione di essere stati lasciati indietro mentre il mondo andava avanti. 

Eppure da quando lo aveva incontrato la prima volta, qualcosa era cambiato. Sicuramente solo per lui. Non poteva credere o sperare che un giovane con tutto il futuro davanti potesse guardare una nazione decrepita come lo era lui. 

Ma quel sorriso, quel sorriso lo avrebbe custodito per molto tempo nel proprio cuore.

 

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Capitolo 8
*** 61. consapevolezza [Ungheria + Prussia] ***


Est Europa, 14**

 

Aveva sempre saputo di essere diversa dalle altre nazioni che la circondavano. Sapeva di essere fisicamente diversa da loro, ma non c’era nulla nella sua forza che le avesse fatto venire dei dubbi al riguardo. 

Era diversa, ma sarebbe cambiata crescendo. Sarebbe diventata come gli altri. Perché era forte. Era brava a combattere. Aveva sconfitto in battaglia diversi di loro. 

Non c’era nulla che le aveva mai fatto venire il dubbio. Nemmeno lo sguardo perplesso del suo nemico preferito. Ricordava che Gilbert aveva cercato di dirle qualcosa, ma lei lo aveva ignorato. Anche se l’imbarazzo sul suo viso era fin troppo chiaro.

Esattamente come in quel momento. 

Gilbert aveva distolto immediatamente lo sguardo, non appena l’aveva scorta sotto l’albero. Lui lo sapeva. Lo aveva intuito da molto tempo visto come aveva iniziato a comportarsi con lei. Era solo lei che ancora non aveva accettato la realtà. Quella consapevolezza cercava di relegarla da qualche parte nel profondo.

“Copriti, per favore.” Il cavaliere era arrossito e lei aveva guardato in basso. Aveva visto il suo seno a causa della camicia strappata. E non aveva potuto fare altro che sorridere. Gilbert era pur sempre un mezzo monaco. Era sempre attorniato da soli uomini.

Come anche lei del resto. Ma aveva sempre ingannato tutti, tranne lui con molta probabilità.

“Sembra che io mi sia indebolita da quando questo corpo ha iniziato a cambiare e non ho potuto fare nulla per fermare la trasformazione. Pensavo mi dovesse crescere altro.”

“Quella cosa non cresce. Ci nasci.” Gilbert le aveva rivolto uno sguardo fugace, sempre più rosso in viso. Era così che l’avrebbero vista tutti adesso? Avrebbe dovuto aspettarsi più sguardi addosso? Era questo che significava essere donna? E non voleva. Non voleva che adesso la vedessero sotto un’altra luce. Voleva continuare a combattere, a guidare gli eserciti.

Come avrebbe reagito Austria nello scoprirlo? Avrebbe potuto esternargli quel sciocco sentimento che credeva di provare e sempre accantonato perché erano entrambi maschi. Ma ora? Ora che lei era consapevole di sé cosa sarebbe successo?

“Copriti per favore.” Aveva osservato Gilbert porgerle il proprio mantello, senza tuttavia guardarla. 

“Tu lo sapevi già, non è vero?” Si era alzata in piedi, avvolgendosi nel mantello dell’altro. Il Prussiano le aveva soltanto annuito, e lei gli aveva rivolto un sorriso. Gilbert sapeva e non aveva mai cambiato atteggiamento verso di lei. L’aveva fronteggiata come se fosse un nemico qualsiasi e di questo gli era estremamente grata. “Grazie.”

 

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Capitolo 9
*** 74. comandante e sottopostə [Prussia + Federico II] ***


Prussia, 174*

 

Se ne stava in disparte ad osservare il proprio re discutere con i propri consiglieri e comandati sulle strategie che sarebbero state più efficaci in battaglia. Osservava e non aveva alcuna urgenza di intervenire dando qualche spunto qua e la. 

Osservava con orgoglio quel figlio non biologicamente suo che era ancora così giovane, appena divenuto sovrano, ma che sapeva esattamente come muoversi su quella scacchiera di folli. Aveva una sicurezza innata quando si trattava di strategie di guerra, tanto che non sentiva alcun bisogno di tenergli la mano come aveva fatto con altri prima di lui.

Avevano un vero comandante alla guida del regno, molto più di quanto lo stesso re-soldato suo padre non fosse stato. Quel giovane uomo era molto più intuitivo e furbo. Dotato di intelligenza militare ed artistica. Tutto quello che secondo lui doveva avere un bravo regnante.

Guardava il suo comandante, e per una volta poteva tranquillamente prendere il posto di sottoposto affidandosi completamente a lui. Lo aveva del resto educato lui. Gli aveva trasmesso tutto il suo sapere accumulato in secoli di guerre e battaglie.

“Partiremo domani all’alba. Per voi va bene?” Federico gli si era avvicinato dopo aver congedato tutti gli altri. 

“Non mi sembra di averti interrotto nemmeno una volta, no? Mi fido del tuo giudizio riguardo questa guerra. E onestamente io voglio solo dar fastidio a quell’odioso Austriaco, nulla di più. Se anche non dovessimo ottenere la Slesia, almeno avremmo dimostrato al mondo quanto siamo diventati potenti.”

Aveva notato il suo re sorridere. Era appena diventato re e voleva dimostrare a tutti il proprio valore. Voleva far vedere di essere molto più bravo a fare la guerra di quando non lo fosse stato il padre che tanto odiava. Aveva bisogno di affermarsi. Aveva bisogno di sentirsi apprezzato per quello che faceva. 

“Vedrete, signore, farò diventare questo piccolo regno una grande potenza. Nessuno potrà più guardarci dall’alto al basso.”

“Ah, l’entusiasmo di voi giovani è così travolgente.” Gilbert gli aveva messo una mano sulla spalla. Sapeva che Federico non lo avrebbe mai deluso. Sapeva chi aveva cresciuto e il re sapeva di poter fare sempre affidamento su di lui. Insieme avrebbero dimostrato a tutti quanto era temibile il loro piccolo esercito.

E lui avrebbe seguito quel giovane comandante ovunque.

 

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Capitolo 10
*** 87. brina [RuPru] ***


Leipzig, ottobre 1813

 

Si strinse di più nel proprio mantello caldo. La pelliccia soffice gli accarezzava il mento, e forse avrebbe dovuto mettersi addosso qualcosa di ancora più caldo. Ma era del resto solo ottobre, non avrebbe dovuto fare così freddo.

Ma il freddo lo aveva portato uno dei suoi alleati, ne era certo. Quello si muoveva sempre con il suo inverno interiore.

Sorrise tra sé e sé mentre guardava le distese di brina su quello che sarebbe diventato presto un campo di battaglia, ma che ora era solo una distesa di cristalli di ghiaccio che gli metteva calma. Avrebbe dovuto essere teso. Avrebbe dovuto avere tutti i sensi all’erta. Ma quel campo gli metteva solo una infinita calma e non avrebbe voluto renderlo il teatro di un’altra battaglia.

Un passo pesante, stivali che schiacciavano le foglie ghiacciate, lo avevano distolto dalla sua contemplazione. Non aveva nemmeno bisogno di voltarsi per sapere chi si stesse avvicinando. Quei passi li riconosceva sempre. 

“Non capisco se sei nervoso o eccitato dall’incontrare Francis.”

Aveva ridacchiato, senza distogliere lo sguardo dalla radura. 

“Sei così insicuro di te da essere venuto a controllare che non fossi sgattaiolato nel suo letto?” Aveva voltato la testa, alzando poi lo sguardo per guardare il Russo che se ne stava in piedi accanto a lui. Era già vestito di tutto punto, pronto ad una nuova battaglia. “Questa volta scendi in battaglia o te ne resti ancora nelle retrovie col damerino?”

“Non ci penso affatto a sporcarmi inutilmente. Il lavoro sporco lo lascio a te molto volentieri.”

“Voglio vedere da vicino il terrore sulla faccia di Francis mentre distruggo il suo esercito.”

“Non era il tuo migliore amico? E anche qualcosa di più?”

“E quando mai questo mi ha bloccato dal fare il culo anche a te?”

Ivan lo aveva guardato, ma non aveva voluto rispondergli. Aveva solo sospirato, sedendosi semplicemente accanto a lui. La brina aveva scricchiolato sotto il suo peso, ed era un rumore molto rilassante. 

“Fai attenzione più tardi. Non voglio dover venire a salvarti.” Facendo finta di nulla, Ivan aveva sfiorato la sua mano, appoggiata sulle foglie ghiacciate. Aveva osservato le sue dita mentre accarezzavano delicatamente il dorso della sua mano. Era sempre un controsenso che quelle mani fossero capaci di tanta delicatezza e contemporaneamente potessero ucciderti con molta facilità.

“Non c’è più questo pericolo. Sono diventati deboli, anche grazie a te.” Aveva girato la mano per poter stringere quella dell’altro. Non voleva pensare alla battaglia in quel momento. Voleva solo godersi quell’istante di pace accanto all’altro uomo e non pensare a nient’altro.

 

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Capitolo 11
*** 19. betoniera [Romano + Gerita] ***


Era disturbante. Era molto disturbante tutto quello che succedeva davanti ai suoi occhi. Gli stava per partire un tic nervoso se avesse dovuto continuare ad assistere a quello spettacolo. Non sapeva nemmeno quando la sua meritata vacanza si era trasformata in un incubo. Doveva passare qualche giorno in tranquillità assoluta al mare. Senza dover pensare a nulla se non ad abbronzarsi e rifarsi gli occhi con le bellezze locali che scendevano in spiaggia.

Invece eccolo lì. Sotto l’ombrellone a passare i peggiori giorni della sua vita. 

Feliciano si era autoinvitato, ma quello non era nulla di nuovo. Si autoinvitava sempre quel suo stupido fratello. Ci era così abituato che si sarebbe stupito del contrario.

Quello che non aveva previsto nell’invito era un energumeno tedesco bianco latte che gli stava rovinando la piazza. E suo fratello.

Se ne stava sotto l’ombrellone a guardare malissimo il Tedesco che sembrava quasi imbarazzato dalle attenzioni che stava ricevendo. Soprattutto da quell’idiota di suo fratello che gli stava appeso addosso come se fosse un suo gemello parassita. 

Ah se solo lo avesse saputo! Se avesse avuto il sentore che quel cretino del suo fratellino si sarebbe portato dietro il compagno - che ancora faticava a chiamare così nonostante tutto - si sarebbe portato dietro una bella betoniera e lo avrebbe trasformato nel pilastro portante di un palazzo qualsiasi. Aveva sorriso a quel pensiero. Era così cattivo e di pessimo gusto che si era congratulato con sé stesso, mentre spingeva di più sul naso gli occhiali da sole. 

Gliene avrebbe regalata una in miniatura per il compleanno, giusto per ricordargli di stare al proprio posto. Ovvero il più lontano possibile dalle loro coste e soprattutto da quello sprovveduto di suo fratello. Che continuava ad offrire uno spettacolo davvero pietoso ed osceno ai suoi poveri occhi continuando a stare vicino al crucco.

 

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Capitolo 12
*** 39. agave [Spamano] ***


Madrid, 193*

 

Odiava vederlo in quello stato. Gli faceva venire voglia di prenderlo a calci in bocca. Odiava vedere il modo in cui a volte finiva per ridursi. Non era nulla di nuovo. Aveva assistito a diverse sbronze dello Spagnolo e le aveva sempre detestate. L’alcool tirava fuori il lato peggiore di quell’uomo, lo aveva sempre fatto. Antonio aveva sempre affogato i suoi tormenti in qualsiasi alcolico potesse trovare utile in quel momento. 

Sotto quel perenne sorriso caldo come il sole di agosto, si nascondeva un animo tormentato da tutta la storia che aveva vissuto.

“Mi pequeño, tú eres aquí.” L’uomo gli aveva sorriso, ma quel sorriso non sfiorava in alcun modo i suoi occhi. Era uno di quei momenti in cui il peso del mondo lo stava soffocando e ne sarebbe uscita la sua parte più crudele. Ne sarebbe uscito un Antonio che faceva paura.

“Ho appena scacciato Gilbert. Smettila di frequentarti con quello, non ne uscirà nulla di buono.”

Antonio aveva riso, ma era una risata vuota. Era una risata che gli faceva venire i brividi.

“Non sei nella posizione di dirmi proprio nulla, Lovi. Siete fascisti anche voi.” Aveva pronunciato quella parola con disprezzo. E lo capiva. Lo capiva fin troppo bene. Quella era una ideologia che non lo rispecchiava in alcun modo. Non rispecchiava nessuno dei due. “Dov’è tuo fratello adesso? Con il fratellino di Gilbert, no? State per allearvi con loro?”

“Almeno io non gli ho permesso di bombardare le mie città per sperimentare le loro armi.”

A quelle parole lo Spagnolo aveva sbattuto il palmo della mano con forza sul tavolo, rovesciando la bottiglia di tequila che gli aveva fatto compagnia fino a quel momento. Aveva toccato un tasto dolente. Molto dolente. Nessuno amava la sua gente quanto Antonio. 

“Tu non puoi parlare! Li avete affiancati in quel massacro!”

“Per questo sono qui.” Lovino gli si era avvicinato, inginocchiadosi accanto a lui e guardandolo. Erano tutti quanti solo delle pedine in un gioco al massacro molto più grande di loro. Avevano vissuto così a lungo, e gli umani avevano trovato davvero modi sempre più terrificanti per ammazzarsi. Sapeva anche che il Prussiano che aveva scacciato in malo modo era lì per lo stesso motivo suo. Ed era sicuro che quel massacro aveva colpito anche lui. 

“Voglio che queste guerre finiscano, querido.” Si era sporto verso la nazione più giovane e aveva preso il suo viso tra le proprie mani. “Non possiamo continuare così. Non posso continuare così.”

“Lo so, ma non possiamo farci nulla.”

 

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Capitolo 13
*** 59. Paper Romance – Groove Armada [FrUk] ***


17**

 

Osservava l’uomo che gli dormiva accanto, coperto solo da un lenzuolo tutto spiegazzato. Osservava con attenzione ogni minimo particolare di quel corpo, perché sapeva che stava tutto per cambiare. C'erano troppe cose che si erano messe in moto, e loro non avrebbero potuto fermarle in alcun modo. Forse nemmeno volevano tentare di farlo. Forse era anche solo il normale corso degli eventi.

Per quanto tempo aveva intrattenuto quella specie di relazione? Per quanto tempo si erano fatti la guerra salvo poi ritrovarsi a condividere il letto nei modi più passionali possibili?

Ma qualcosa era cambiato. Arthur era cambiato. Stava diventando distante e non poteva nemmeno fargliene una colpa. Chi non avrebbe perso la testa per un po’ di carne fresca? Ed era così adorabile mentre si struggeva dai sensi di colpa verso quello che continuava a definire come amore fraterno e nulla di più.

Uno struggimento tale che aveva iniziato a cercarlo sempre più spesso per trovare conforto tra le sue braccia. E con qualcos’altro. Aveva pensato con un sorriso mentre si chinava a posare un bacio sui capelli scompigliati dell’Inglese. 

Sapeva che stava cambiando tutto. Arthur non sarebbe più stato suo, non come lo era stato fino a quel momento per lo meno. Lo avrebbe dovuto condividere con qualcuno che se ne stava dall’altra parte dell’oceano. Qualcuno i cui occhi azzurri erano limpidi come il cielo. Poteva capirlo. Quel bambino che avevano trovato in quelle lande desolate si era trasformato in un meraviglioso ragazzo. Arthur poi gli era sempre stato fin troppo attaccato, molto più di quanto non fosse stato con il suo fratellino. 

Quella giovane colonia aveva completamente catturato l’attenzione del suo amante. E sapeva di averlo perso. Fisicamente era ancora lì. Era ancora suo. Ma il suo cuore aveva già salpato per altri lidi.

In un remoto angolo del suo cervello questa informazione faceva male. Lui non era mai stato fedele all’Inglese. Aveva impollinato più di un fiore con il suo amore. Ma Arthur era sempre stato solo suo per tutti quei secoli. 

Sarebbe cambiato tutto. Sarebbero cambiati entrambi. C’erano nuove persone che stavano entrando nei loro cuori.

Ma si sarebbe tenuto stretto quell’uomo ancora per qualche attimo, prima di lasciarlo andare.

 

My golden heart beats for you

My golden heart beats for two

I feel my pain

The time it takes

For us to change

Its gonna happen anyway

 

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Capitolo 14
*** 76. cavaliere e stalliere [AusHun] ***


15**

 

Era entrato nelle stalle del suo castello stringendosi nel cappotto per ripararsi dalla pungente aria del mattino. Non gli piaceva il mattino. Non gli piaceva uscire presto al mattino. Soprattutto se questo richiedeva salire in sella. Ma doveva. Il suo sovrano lo aveva fatto chiamare e lui doveva obbedire. A volte si chiedeva se non fosse il caso di risiedere insieme alla famiglia reale, ma poi si diceva che no, non aveva alcun interesse a sacrificare anche la sua libertà personale per il bene superiore. 

Aveva anche pensato di farli aspettare. Sicuramente avrebbero discusso di altre guerre, e lui non aveva alcun interesse in questo. Non aveva mai avuto reale interesse nel fare la guerra ai vicini, e lasciava ad altri la decisione di quale strategia seguire. Appoggiava sempre i suoi sovrani, ma se poteva starsene a casa propria stava decisamente meglio. 

“Oh, Elizaveta. Non pensavo di trovarti qui a quest’ora.” Aveva guardato la giovane donna che stava preparando il suo cavallo. Lo aveva anche appena spazzolato, a giudicare dal manto brillante dell’animale. “Non è necessario che tu faccia questo, non è compito tuo.” 

 “Lo faccio con piacere, signor Roderich.” La ragazza si era voltata verso di lui, sorridendo. Quel sorriso lo faceva arrossire fino alla punta dei capelli ogni volta. Gli aveva fatto la guerra per molto tempo. Lo aveva sconfitto più volte. E adesso era lì, a sorridergli ogni volta che lo vedeva. “E ti accompagno fino al palazzo reale.”

“Non è necessario.” Si era messo a posto gli occhiali mentre le si avvicinava. Era pronta per una cavalcata ora che la osservava. Aveva anche legato i lunghi capelli in una treccia. 

“Ma so che non ti piace cavalcare al mattino presto. Lo faccio con molto piacere. Voleva venire anche Italia con noi, ma l’ho lasciato dormire.” 

Sorrideva. Sorrideva sempre quando lo guardava, anche se improvvisamente si era ritrovata ad essere uno Stato sottomesso. Ma gli sorrideva sempre in un modo così dolce che non poteva essere solo per finta o per cortesia. Gli sorrideva e lui avrebbe tanto voluto avere il coraggio di avvicinarsi e sfiorare il suo viso con la punta delle proprie dita. 

 

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Capitolo 15
*** 89. chai latte [UsUk] ***


Con un sorrisetto soddisfatto aveva osservato la faccia disgustata del giovane uomo che gli sedeva di fronte. Notava come cercava di mantenere una espressione neutra. Come cercasse di restare composto. Ma lo sapeva benissimo che quella particolare bevanda non poteva incontrare i suoi gusti veramente disgustosi.

Aveva per anni assistito a come la sua cultura, se così poteva definirla quella accozzaglia di persone poco gradite alla madre patria spedita oltreoceano, aveva deturpato ogni prelibatezza del mondo insozzandola della qualsiasi. Ricordava ancora con vivida gioia il modo in cui quel rompiscatole italiano lo aveva insultato e quasi passato alle mani quando lo aveva visto mettere del ketchup, a crudo, sopra un piatto di spaghetti poltigliosi.

“Dunque, cosa te ne pare, Alfred? Questo è il vero chai latte.” Arthur aveva appoggiato la tazza di porcellana sul piattino abbinato, guardando sempre l’Americano. Aveva tirato fuori il set di porcellana migliore che aveva. Tutto solo per farlo sentire indegno di appropriarsi e deturpare le pietanze degli altri.

“Mh. Buono. Saporito. Particolare.” Alfred lo aveva imitato, appoggiando subito la tazza anche lui. Ma non lo guardava. Cercava sicuramente qualcosa di sagace da dire, ma ovviamente non ne aveva alcuna capacità.

“Molto meglio di quella cosa che ti ostini a spacciare per chai latte nei tuoi Starbucks.”

“Anche qui avete molti Starbucks!” Il giovane Stato era subito scattato sull’attenti, ma lui non ne era minimamente toccato. Faceva sempre così quando sapeva che era nel torto su qualcosa.

“Solo perché i giovani sono stupidi e credono che seguire le mode americane li renda in qualche modo interessanti. E per postare le foto su Instagram. Che spreco di tempo e di soldi fare le file in quei caffè, se tali si possono definire.”

“Sei proprio vecchio. Puzzi di naftalina e credi di sapere cosa stai dicendo, ma è solo la demenza senile a parlare.”

Voleva lanciargli la bevanda calda addosso, ma doveva essere superiore. Doveva.

 

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