Oblivion

di JenevieveEFP
(/viewuser.php?uid=1102808)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quello ***
Capitolo 2: *** Mi dispiace ***
Capitolo 3: *** Cioccolata ***
Capitolo 4: *** Oblivion ***
Capitolo 5: *** Accordo ***
Capitolo 6: *** Inviti ***
Capitolo 7: *** Scommesse ***
Capitolo 8: *** Risveglio ***
Capitolo 9: *** Il piano ***
Capitolo 10: *** Discorsi ***
Capitolo 11: *** Bugie ***
Capitolo 12: *** Piante solitarie ***
Capitolo 13: *** L'appuntamento ***
Capitolo 14: *** Verità ***
Capitolo 15: *** Indagini ***
Capitolo 16: *** Sanguinoso Halloween ***
Capitolo 17: *** Trappola ***
Capitolo 18: *** Proteggere ***
Capitolo 19: *** Lealtà ***
Capitolo 20: *** La determinazione dei Serpeverde ***
Capitolo 21: *** Ferite ***
Capitolo 22: *** Domande ***
Capitolo 23: *** Dolce e amaro ***
Capitolo 24: *** L'unione ***
Capitolo 25: *** Prime volte ***



Capitolo 1
*** Quello ***


Note: Come in tutte le mie fanficion preferisco usare i nomi originali dei personaggi (Snape, McGonagall, Dumbledore, e via discorrendo).
Non essendo disponibile nella selezione iniziale segnalo qui che la seconda coppia della storia sarà una Remus/Severus.
Inoltre, la storia d'amore fra Harry e Ginny non è mai esistita.
Commenti e recensioni di ogni tipo sono sempre enormemente graditi <3
Buona lettura!
 

Capitolo 1: "Quello"


 


«Harry, Ron, Hermione!?»
La voce di Remus Lupin non era mai stata così atterrita, bassa e flebile, ma li fece sussultare violentemente come se avesse urlato.
Erano nella Stamberga Strillante, chini sul corpo esangue ed esanime di Severus Snape. La voce di Voldemort aveva appena finito di annunciare la sua tregua di un’ora a tutta Hogwarts e dintorni, l’ultimatum perché Harry si consegnasse da solo nella Foresta Proibita.
Lupin era appena sbucato impolverato e zoppicante dall’angusto passaggio segreto e li fissava allibito, pietrificato da quella scena.
«Non siamo stati noi a … a fargli questo.» affermò Harry con un’improvvisa agitata urgenza.
«Cos’è successo?» domandò Lupin atterrito, avvicinandosi e chinandosi a fatica accanto al capo dell’uomo svenuto in una pozza di sangue.
Harry reggeva ancora in mano la fiala traboccante dei ricordi che il pozionista gli aveva affidato con le sue ultime forze, mentre Hermione, scarmigliata e terrorizzata versava qualche goccia di Dittamo sulle profonde orrende ferite aperte dalle zanne di Nagini. Ron cercava come poteva di aiutarla tamponando a mani nude. La carne tentava di ripararsi grazie all’intervento della pozione, ma il veleno del serpente rendeva vano il suo effetto curativo, come fosse un potente solvente contro una colla di scarsa qualità. C’era così tanto sangue che era difficile vedere dove iniziasse la pelle recisa di Snape e dove le dita di Ron.
«Vol … lui, l’ha fatto azzannare da Nagini.» spiegò Harry, inghiottendo a vuoto. «Voleva assicurarsi di avere l’obbedienza della bacchetta di Dumbledore.»
Lupin ci mise qualche attimo a seguire il ragionamento, a cui Harry aveva rimosso qualche dettaglio essenziale: l’intera spiegazione della bacchetta di Sambuco e tutte quelle verità che avevano faticosamente raccolto negli ultimi mesi.
«L’obbedienza della bacchetta di Albus?» domandò infatti confuso il licantropo.
«Sì. Tu-sai-chi ha rubato la bacchetta dalla sua tomba, ma a quanto pare non gli è fedele come deve. Non è potente come vuole, non riusciva a uccidermi. Così ha pensato che uccidendo chi aveva sconfitto a sua volta Dumbledore, avrebbe ottenuto la piena lealtà della bacchetta.» semplificò teso.
«Però ora che ci penso … » mormorò Hermione. « … forse il vero padrone della bacchetta non è Snape.»
Harry sgranò gli occhi e parlò a bassa voce, atterrito.
«Può essere che sì beh, in fondo Dumbledore prima di morire era stato disarmato da … Malfoy.»
«Come possiamo essere certi che la lealtà della bacchetta si sposti con un banale expelliarmus o un omicidio?» obiettò Ron, la voce ridotta ad un sibilo acuto d’ansia.
Lupin prese un respiro profondo e intervenne, indicando Snape.
«Se è così, se la sua morte può avvantaggiare tu-sai-chi, allora dobbiamo tenerlo in vita.»
«Il Dittamo non funziona.» spiegò Hermione, disperata. «Ê una ferita troppo grave e ha perso troppo sangue, sta morendo!»
«È come la ferita di papà, ricordate?» fece Ron, cupo. «L’unica speranza è il San Mungo.»
Si scambiarono tutti un’occhiata tesa.
«Possiamo cercare un camino ancora integro e provare con la metropolvere.» propose Hermione, che ormai centellinava il dittamo goccia per goccia, blando e inefficace.
«O un elfo domestico, riescono a fare anche lunghi viaggi, no?» suggerì Ron.
«Ho visto Kreacher da qualche parte.» mormorò Harry. Guardò l’oggetto e poi Snape in un alternarsi di frustrata rabbia e a tratti pena. Chiuse gli occhi e ringhiò:
«Kreacher!»





Nemmeno l’impeto del temporale riusciva a sovrastare quelle voci, un grottesco crescendo del cupo ringhio di un uomo e l’isterico schiamazzo di una donna. Cercavano di scavalcarsi a vicenda senza riuscire a spiegarsi effettivamente alcunché: impossibile sentirsi reciprocamente a quel volume. Voci che rimbombavano dalla cucina lungo il corridoio e le scale dello squallido appartamento, trafiggendo l’esile barriera della porta chiusa di camera sua, condannandolo a partecipare involontariamente all’ennesima lite. Se le sentiva pulsare odiosamente nel cranio, quelle due voci. Distingueva solo parte delle parole e pregava nervosamente di non sentirci il proprio nome in mezzo. “Fa che stiano litigando per gli affari loro. Fa che non sia per me.” Pregava, atterrito.“Fa che finisca presto, che se ne vadano tutti e due, non farli salire, ti prego.”
Smunto e sporco, il piccolo Severus se ne stava ben stretto nei suoi brutti vestiti di seconda o forse terza mano. Avevano ancora cucita addosso la puzza di qualcun altro. Non c’era modo di toglierlo quel fetore, ma in fondo tenevano caldo, non costavano niente e lui aveva già maturato un denso senso di inadeguatezza fisica tale, da gradire le ampie volute di stoffa entro cui celare il proprio corpo tutto spigoli.
Trattenne il respiro quando gli parve di sentire suo padre gridare qualcosa come “quello ha fatto”, il resto non era chiaro. Quello, era il sinonimo preferito di Tobias Snape per non scomodarsi ad usare il nome del figlio. Le sue formule più frequenti erano “quello non ascolta”, “quello mi manca di rispetto”, “quello spostato di tuo figlio” insieme ai grandi classici generici “quello ha fatto/detto/rotto”.
Chiuse gli occhi, appellandosi all’ostinata resilienza che già aveva a nove anni, ma ogni speranza crollò quando senti il litigio scemare e i passi pesanti di suo padre risalire le scale. Si rannicchiò meglio nell’angolino fra letto e parete in cui s’era rattrappito, manco potesse scomparirvi dentro. Ogni passo era un’indicazione fondamentale per capire se Tobias fosse diretto da lui o meno. Stava percorrendo il corridoio a grandi falcate. “Forse va in bagno” sperò il bambino, col cuore in gola come un erbivoro rintanato troppo in prossimità dei predatori. Tobias rallentò. Ci fu un silenzio lungo in cui il piccolo tornò a respirare e poi una manata pesante abbassò di scatto la maniglia della sua porta facendolo sussultare. Atterrito fissò l’uomo entrare come una furia. Cencioso, il volto sporco di barba rada, infiammato di rabbia mal controllata ed alcool.
«Questa dannata porta, come ti ho detto che deve stare?» sibilò Tobias con un gelo carico di disprezzo, temibile e doloroso da subire per un bambino.
«Aperta.» mugugnò, cercando di trincerare la paura dietro un muro di rigore ridicolo in un bimbo così piccolo.
«E allora perché è chiusa?» soffiò a denti stretti l’altro.
«Facevate troppo rumore.» ebbe il coraggio di fargli notare il piccolo e capì di aver scelto la risposta sbagliata ancora prima di aver terminato la parola.
Suo padre fu su di lui in due passi e la sua sporca mano callosa gli calò pesantemente su una guancia in un manrovescio ben assestato.
Gli urlò qualcosa circa la propria libertà di alzare la voce quanto desiderava in casa propria, deliri sul rispetto e la gratitudine, ma Severus non ascoltava più, finito lungo disteso sul letto sentiva solo dolore al lato del capo. Era così intenso da fargli male tutto: il collo, la tempia, l’orecchio. Sentiva anche un calore umido strisciargli sulla pelle ed impiastricciargli i capelli unti. Eppure non era stato un colpo tanto forte da giustificare del sangue.
Tobias e il temporale si fecero distanti, la luce calò e solo il dolore rimase, addirittura crescente. Sentì emergere dal vuoto un’altra voce maschile. Anche questa era arrabbiata con lui, non urlava, ma era chiaro il disprezzo e una certa foga di fondo.
«Così? Dopo ciò che hai fatto?» gli stava molto vicino, era familiare. «Non te ne puoi andare così, avanti Severus apri gli occhi!» gli intimò ancora. O forse lo stava spronando, c’erano dosi eguali di rabbia e disperazione in quell’uomo.
Ma era difficile trovare la voglia di tornare vigile, perché il dolore era lancinante lì sul collo e avvertiva anche una certa pressione, una mano calda che sembrava infierire schiacciando la sua ferita. Non poteva capire che era la mano che gli stava tenendo l’anima in corpo insieme al sangue.
Severus non ci provò nemmeno ad aprire gli occhi e in un istante venne il blackout della perdita di coscienza.
Quando ebbe la disgrazia di ritornare sveglio non capì se fossero passati minuti o ore, il dolore c’era ancora tutto persino per respirare, il sangue lo sentiva ancora fresco sulla pelle e i capelli, ma il pavimento non era più duro e scomodo e nessuno gli stava schiacciando crudelmente la gola. C’erano delle voci che parlavano concitate intorno a lui. Poi avvertì una strana sensazione: lì dove sul collo e parte del viso i capelli erano rimasti fastidiosamente incollati sulla pelle, di punto in bianco scomparvero. Non era come se qualcuno li avesse scostati, erano proprio spariti, tagliati via di netto per magia.
Provò ad aprire gli occhi, ma due millimetri bastarono a farlo desistere: era in un luogo fastidiosamente luminoso. Li serrò ancora, voci lo chiamarono, perse nuovamente i sensi.






Il San Mungo non era mai stato travolto da una tale ondata di caos e feriti dall’epoca della prima guerra magica. La battaglia di Hogwarts era finita a stento da mezz’ora e le forze della sola Madam Pomfrey, coi pochi che sapevano destreggiarsi con gli incantesimi curativi, non erano bastate a soccorrere tutti al castello. C’erano feriti in ogni condizione e gli Auror sorvegliavano a vista quei pochi mangiamorte che, in gravi condizioni, stavano venendo soccorsi fra le stanze blindate dei reparti.
La stanza dove era stato portato Snape era probabilmente la più sorvegliata, con un nugolo di maghi e streghe che non ne volevano sapere di smettere di affacciarsi a controllare l’operato disperato dei medimaghi.
C’erano Lupin, Tonks e Shacklebolt, accompagnati dalla McGonagall che nonostante le ferite appena curate aveva insistito per unirsi alla scorta dell’impopolare preside di Hogwarts. In molti affollavano i corridoi in piccoli gruppetti assembrati fuori da ogni stanza. Erano parenti, amici o feriti lievi ancora in attesa di cure e persino qualche curioso che nessuno aveva davvero voglia di scacciare. Correvano voci e ipotesi, qualcuno aveva sentito quanto Harry aveva spiegato durante gli attimi salienti della battaglia contro Voldemort, sulla fedeltà di Snape a Dumbledore, la bacchetta di Sambuco, gli horcrux, ma i più ne parlavano con cautela o scetticismo, se non direttamente completa ignoranza circa i soggetti e i temi dello scambio.
Sedute su una panca un po’ più appartata vicino alla porta della stanza di Snape, c’erano solo tre persone in completo silenzio da decine di minuti: Lucius, Narcissa e Draco Malfoy. Erano blandamente sorvegliati a vista da Shacklebolt, sporchi e solo lievemente feriti, ogni traccia dell’antica alterigia sostituita da un’atterrita e guardinga incredulità. Draco era seduto al centro, i genitori incollati ai fianchi manco fossero statuine della natività. Narcissa era l’unica fra loro a possedere ancora una bacchetta, mentre chi di bacchette ne custodiva due invece era Remus Lupin. L’uomo impugnava ancora la propria, mentre quella di Snape gli sbucava da una tasca della giacca logora e sporca di sangue.
«Remus, posso...?» mugugnò Tonks lì vicino, accennando a tutto quel sangue che l’amico aveva addosso.
Lupin, che stava immobile come una vedetta davanti alla porta chiusa le lanciò un’occhiata confusa, evidentemente interrotto in un momento riflessivo che gli aveva dipinto in faccia una smorfia nervosa sin dall’attimo in cui erano arrivati, subito dopo il termine della battaglia.
«Oh. Non preoccuparti, ci penso io.» abbozzò un sorriso teso ma schietto.
«È tutto di Snape?» intervenne serissima, da una seggiola lì accanto, la McGonagall. Si era sistemata alla bell’é meglio le vesti e il disastrato chignon. Aveva l’aria esausta ma stava bene, e la sua espressione severa era una maschera capace di celare alla perfezione cosa provasse in merito all’uomo in fin di vita.
«Sì.» confermò Lupin, che si diede un’occhiata e si rese conto solo in quel momento di quanto fosse sporco. Riuscì a tirare qualche gratta e netta che a malapena levò il grosso lasciando però ampie macchie rossastre, quando un brusio dal fondo del corridoio li distrasse tutti.
“Harry Potter”, “Potter!” furono i numerosi sussurri eccitati che correvano fra le bocche dei maghi e delle streghe nel corridoio, rispettosamente a bassa voce vista la natura del luogo in cui si trovavano.
Remus vide il ragazzo farsi strada a fatica fra pacche e strette di mano, occhiate apprensive o incredule e richieste del perché si trovasse lì e non a festeggiare la vittoria. Ad accompagnarlo c’era solo Hermione. Ron era rimasto indietro insieme alla famiglia a piangere il terribile lutto di Fred.
«Harry.» lo chiamò subito Lupin quando vide che il ragazzo ed Hermione sembravano puntare proprio verso di lui.
«Harry, stai bene sì?» si aggiunse apprensiva Tonks.
L’intero gruppo a guardia della porta della stanza di Snape si chiuse intorno ai due ragazzi appena arrivati. Le loro ferite erano già state abbondantemente trattate e si portavano dietro una disastrata stanchezza fatta di indumenti logori e sporchi, capelli spettinati, facce segnate come praticamente ogni mago e strega nei dintorni.
Tutti si erano improvvisamente scordati di tenere d’occhio i tre Malfoy seduti pochi metri più indietro, ma questi si erano uniti alla fila di sguardi confusi e curiosi anziché tentare un’improbabile fuga.
«Il preside … se la caverà?» fu la prima frettolosa domanda di Harry, che ignorò di netto quella di Tonks.
Lupin e Tonks lo fissarono un po’ spiazzati, tanto che a rispondere fu la McGonagall.
«Non si sa.» disse con una freddezza composta, signorile, per quanto stanca. «Potter, ciò che dicevi durante lo scontro con Voldemort era vero o un bluff?» non si trattenne dal domandare, cercando con lo sguardo anche Hermione. «Snape era davvero d’accordo con Dumbledore? Come hanno potuto ordire una cosa del genere?»
«Sì.» dichiarò Hermione, con un’urgenza che ricordava le risposte date alle interrogazioni. «Snape è innocente.» 
«Era stato tutto perfettamente calcolato dal professor Dumbledore.» andò dritto al sodo Harry.
«Come fate ad esserne così sicuri?» fu Lupin a risolvere la domanda che strappò numerosi cenni di condivisa perplessità fra i presenti.
«Il ritratto del preside Dumbledore potrà confermarvelo oltre ogni ragionevole dubbio.» dichiarò Hermione, pratica.
«Ma Snape l’ha ... ucciso.» obiettò la McGonagall, con un’impennata di doloroso rancore impossibile da celare nello sguardo.
«Per quanto possa sembrare assurdo e atroce, Snape e Dumbledore erano d’accordo anche su quel punto.» spiegò Harry mesto. «Il professor Dumbledore era praticamente in fin di vita, e Voldemort aveva ordinato a Draco Malfoy di ucciderlo.» ricostruì il ragazzo.
Tutti si voltarono a cercare i tre Malfoy sulla panca, che sbiancarono più di quanto già non fossero.
«È la verità.» trovò il coraggio di ammettere Narcissa, la voce ridotta ad un soffio a stento udibile. Inghiottì a vuoto, ignorando le occhiate ammonitrici del marito e decise di parlare ancora. «Quel compito non era altro che una condanna, una punizione per la nostra famiglia. Avevamo stretto un voto infrangibile, Severus ed io. Avrebbe dovuto proteggere Draco, aiutarlo, finanche assolvere al suo compito qualora non ce l’avesse fatta. Bellatrix era molto sospettosa verso Severus, pensava fosse un doppiogiochista. Quel voto infrangibile prima, e l’assassinio di Dumbledore poi, furono la prova definitiva della fedeltà di Severus.»
«O almeno così pensavamo.» non poté impedirsi di mormorare amaramente Lucius.
Draco era paralizzato in mezzo ai genitori. Disarmato, annichilito e incapace di guardare chiunque in faccia o dare un contributo.
Harry guardò Narcissa dritta negli occhi, e anche se non le disse nulla non poté che rivolgerle un silenzioso ringraziamento.
«Il professor Dumbledore l’ha praticamente costretto a farlo.» aggiunse dunque Harry. «Per salvargli la vita dalle conseguenze del voto infrangibile, salvare quella di Draco, e consentirgli di ottenere la massima fiducia per portare avanti credibilmente il suo ruolo di spia, oltre che morire imbattuto per provare a mantenere la fedeltà della Bacchetta di Sambuco o perlomeno trasmetterla al professor Snape.»
«Voi come fate a sapere tutto questo?» obiettò Remus, allibito.
«Ve l’ha detto il ritratto del Preside Dumbledore?» ipotizzò Tonks, esterrefatta.
«Non è possibile che Snape abbia manomesso il ritratto?» avanzò Shacklebolt scettico.
«Quando avrebbe dovuto farlo?» obiettò la McGonagall.
«Non so, forse si preparava un piano b per discolparsi qualora Voldemort avesse perso la guerra.» ribatté Shacklebolt.
Harry cercò in tasca la fialetta dei ricordi di Snape che aveva accuratamente recuperato dal pensatoio mentre gli altri esponevano tutti i loro dubbi. Cercò gli occhi di Hermione, che ricambiò la domanda silenziosa che l’altro le rivolgeva con un assenso serissimo.
«Tu resta qui e riposa.» sussurrò discreta, accostandogli il viso al profilo e tendendogli una mano. «Io mostro il ricordo ai membri dell’Ordine, spiegando loro tutto ciò che posso sulla ricerca degli horcrux. Quando vedi Ron digli che tornerò presto.»
Harry non esitò un istante ad estrarre l’ampolla e cederla alla ragazza, annuendo con un sorriso grato.
«Cos’è?» chiese subito Lupin. Sembrava profondamente sconvolto, incredulo.
Hermione si avvicinò a lui e Tonks per primi, in un confabulare discreto che poi ripeté cauta e cortese anche verso Shacklebolt e la McGonagall, atteggiamento che si guadagnò diverse occhiate contrariate dai curiosi nei dintorni.
Lupin, Tonks, Shacklebolt e la McGonagall si guardarono a loro volta dubbiosi, ma alla fine fecero spazio ad Hermione e la seguirono.
Quando il gruppetto si fu allontanato, il chiacchiericcio intorno riprese basso e discreto, ed Harry voltò le spalle a tutti, ritrovandosi a fronteggiare la panca dove erano seduti i Malfoy due metri più in là.
Lucius s’era rimesso in piedi e Narcissa si accingeva a fare altrettanto. L’uomo sembrava profondamente irritato, deluso quasi, lei invece solo terribilmente stanca. Solo Draco, capo chino, spettinato e sfiancato, sembrava una volta tanto non volerli copiare.
«Andiamo via, Draco.» lo richiamò stizzito il padre.
«Io … » mormorò dubbioso il ragazzo.
«Vuoi restare qui a vegliare un traditore?» sibilò Lucius.
«Mi ha salvato la vita. Più d’una volta.» ebbe il coraggio di ribattere il ragazzo.
«Perché era costretto.» insinuò crudelmente Lucius. «Per un voto fatto non certo nel tuo interesse, ma nel suo. Alla fine era solo un mezzosangue che-»
«Anche Voldemort lo era.» lo interruppe Draco, parlando a voce molto bassa. «Un mezzosangue.»
Harry sgranò gli occhi, stupito, Lucius boccheggiò, scandalizzato come se il figlio avesse appena bestemmiato in maniera particolarmente colorita. Prima che potesse anche solo provare a rispondergli però, Narcissa lo afferrò a braccetto in una presa ferrea.
«Noi ti precediamo Draco.» spiegò, asciutta. «Cerca di tornare per pranzo e non stancarti oltre.»
Draco le rivolse un sorriso mesto e la donna si trascinò letteralmente via il marito verso il fondo del corridoio.
Harry si ritrovò in un istante gli occhi grigi del biondo puntati in faccia.
«Perché hai deciso di restare?» chiese un po’ impacciato.
«Non so. Sento che devo stare qui, ed inoltre è il mio padrino.» ammise Draco, guardando la porta chiusa della stanza di Severus. «E tu? Perché non sei andato con la Granger? Ti hanno detto di controllarci o cosa?» sulle ultime sembrava sinceramente turbato, ma poco ostile per i suoi standard.
«Ah.» mugolò Harry, interdetto. «No.» negò poi più convinto sul finale. «Hermione mi ha solo detto di riposarmi.»
Draco sembrò per un attimo spaesato, esitante, imbarazzato. Alla fine si scostò, scivolando a sedere più in là e gli indicò lo spazio libero al suo fianco.
«Allora riposati.» lo invitò senza guardarlo negli occhi.
Harry non fece complimenti e si andò a sedere accanto al ragazzo con un piccolo sbuffo stremato.
Calò un silenzio che durò qualche istante, e poi a parlare fu Draco.
«Finiremo sotto processo, insieme agli altri mangiamorte?» sussurrò senza celare l’ansia.
«No. Non credo. Shacklebolt non vi avrebbe lasciati qui così, altrimenti. E se così fosse non esiterei a difendervi, dopo quello che ha fatto tua madre.»
Draco lo guardò confuso.
«Davvero? Cos’ha fatto mia madre?»
«Ha salvato il mondo magico, te e me con una piccola semplice bugia.» riassunse Harry in uno sbuffo divertito, curandosi di abbassare la voce visto che alcuni fra i maghi e le streghe che riempivano il corridoio li fissavano curiosi.
«Cosa?» mormorò il biondo.
«Nella foresta, quando Voldemort le ha chiesto di controllare se io fossi ancora vivo, lei ha deciso di tradirlo e rischiare tutto.» rivelò Harry a bassa voce, osservando lo stupore fiorire e diventare shock in faccia all’altro. «Lei si è avvicinata e la prima cosa che ha fatto quando ha capito che il mio cuore batteva è stato chiedermi dove fossi tu, se fossi ancora vivo. Poi ha mentito a Voldemort senza esitare. Le mie sono ipotesi, dovrai chiedere personalmente a tua madre perché l’ha fatto ma, credo avesse capito che agli occhi del suo padrone era poco più di un oggetto. Che tutta la vostra famiglia - ad eccezione di Bellatrix - era costantemente in pericolo vicino a Voldemort. Ha fatto la scelta giusta per voi, immagino e per tutti noi. Credo sia abbastanza per risparmiarvi qualsivoglia condanna.»
Draco ci mise diversi attimi ad assorbire la realtà, lo guardò speranzoso.
«Puoi … » iniziò esitante. « … dirlo agli Auror? In maniera discreta magari.»
Harry si accigliò.
«Hai paura che tuo padre possa farle del male?»
«No, non lui.» chiarì subito. «Ma non vorrei che qualcuno degli esaltati che non sono stati catturati si mettessero a cercare vendetta.» concluse scoccandogli un’occhiata apprensiva, intensa.
«Va bene. Non metterò gli annunci sulla Gazzetta del Profeta, tranquillo.» garantì Harry, distendendo un abbozzo di sorriso.
«Grazie Potter, molto apprezzato.» 
Draco ricambiò il suo sorriso con uno un po’ teso e imbarazzato, ed Harry sgranò gli occhi.
«Quasi dimenticavo.» prese a frugare nella tasca interna della giacca logora che si era infilato per coprire la maglia strappata e sporca di sangue. Sotto gli occhi interrogativi dell’altro andò ad estrarre la bacchetta di biancospino e afferrata per la punta gliela porse per il manico manco fosse un coltello. «Se non l’ha già saputo, dovremmo evitare anche di far sapere a tuo padre che questa è la bacchetta che ha sconfitto Voldemort.» gli sorrise, sornione.
Draco lo fissò ad occhi sgranati, paralizzato dalla sorpresa.
«La prendi o me la tengo io?» lo spronò il moro, con un sorriso morbido alla sua immobilità. «Mi sono trovato bene con la tua bacchetta e non so perché, ma sento che ritroverà subito la sua lealtà nei tuoi confronti. Mi sembra quasi di sentirla fremere per tornare da te.»
«La lealtà?» mormorò Draco incerto. Recuperata la bacchetta se la portò al petto con ambo le mani manco fosse un cucciolo tremante.
«Le bacchette hanno le loro preferenze, sono loro a sceglierci.» cantilenò Harry. «E mostrano anche lealtà al mago con cui sentono di trovarsi allineate, evidentemente.»
«Ah. Ora capisco. Beh, grazie per avermela resa. E ..  grazie per averci salvati.» mormorò il biondo, che non riusciva a levargli gli occhi di dosso, quasi incantato. Gli porse la mano, esattamente come aveva fatto al loro primo incontro da bambini.
Stavolta però Harry la acchiappò in una stretta decisa con un sorriso stanco ma incoraggiante.







Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Mi dispiace ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 

«Mi dispiace, Severus.» la voce del bambino era delicata, rassicurante. «Passerà presto. Potter l’ha provato diverse volte su Pettigrew, è innocuo.» gli disse, fermo in piedi al suo fianco, una mano protesa a porgergli un fazzoletto di stoffa che aveva maldestramente fatto apparire.
Severus gli schiaffeggiò via la mano con una delle proprie sporche di sangue, scoccandogli un’occhiata furente.
Erano in piedi nel bagno dei ragazzi, lì dove s’era rifugiato dopo un battibecco con Potter e Black che era finito con lui che perdeva dignità e sangue dal naso. Una fattura semplice da primo anno, infantile e sostanzialmente innocua, che gli aveva tuttavia inzuppato il colletto della maglia sotto l’uniforme, facendolo fuggire più per l’imbarazzo che per il dolore. Era così agitato e accaldato in faccia che non aveva avuto nemmeno la freddezza di provare un semplice Gratta e Netta.
«Come sai il mio nome? E chi ti ha detto che puoi usarlo?» berciò acido e autoritario il piccolo Serpeverde, in una perfetta imitazione del tono crudele di suo padre. Si affacciò al lavandino da cui prese a darsi una sciacquata sommaria al viso, mentre l’altro bambino si chinava pazientemente a raccogliere il fazzoletto che la sua manata aveva fatto finire a terra.
«Mi dispiace, Snape.» si corresse dondolando sul posto, teso come ad un’interrogazione a sorpresa. «Mi ricordavo di te dalla cerimonia di smistamento. Eri fra gli ultimi in lista e un sacco di bambini stavano venendo smistati alle altre case. Ti avevo visto sempre accanto a Lily Evans fin dal treno, dunque speravo che anche tu saresti stato scelto per...» smise di provare a spiegarsi quando vide un ulteriore peggioramento sulla faccetta pallida e smunta di Severus. Ora sembrava direttamente furioso e triste.
«Grifondoro?» sputò acido, punto nel vivo. «E perché mai speravi una cosa simile? Credi forse che il Cappello Parlante assecondi i capricci dei bambini e li mandi dove sono i loro amici, così, solo per fargli un piacere? Cresci un po’, la magia è una cosa seria, lo smistamento è una cerimonia sacra che va avanti da secoli, non funziona come pare a dei mocciosi.»
L’altro arrossì, incassando leggermente la testa fra le spalle.
«No è che io … speravo di avere solo più compagni in dormitorio.» ammise a voce bassa. «Tanti più amici. Cioè, possiamo ancora essere amici in realtà.» si corresse subito.
Severus, che intanto aveva ripreso a lavarsi la faccia, sbuffò così forte che fece schizzare acqua e goccioline di sangue fino allo specchio. Si voltò a fissarlo con un disprezzo palese sul volto umido, ed uno scetticismo acuto a caricare la risposta.
«Io e te? Amici?»
«Sì. Perché no?»
«Perché, quanti Serpeverde e Grifondoro amici conosci?»
«Beh tu ed Evans non siete amici?» lo contraddisse speranzoso.
Severus esitò, colpito e affondato, dunque tornò sulla difensiva.
«Lo eravamo da prima dello smistamento.» risolse secco. «Ma non ti credo, ad ogni modo. Perché sei qui? Potter e Black ti hanno mandato per cercare di convincermi a non riferire ai professori cosa mi hanno fatto?» ipotizzò aspro, studiandosi di straforo il suo riflesso da dietro la cortina di capelli unticci.
«N-no.» tentennò l’altro. «Mi sembravi spaventato e volevo dirti che starai bene entro pochi minuti. Solo questo.»
«Molto gentile.» soffiò Severus, marcatamente ironico. «Troppo, per uno che frequenta quel gruppo di spostati. Avresti potuto fermarli, se ti importava.»
«I-io-» ebbe appena il tempo di bofonchiare, ma venne interrotto.
«Come ti chiami?» sbottò spazientito Severus, il cui flusso anomalo di sangue stava finalmente iniziando a scemare, lasciandogli il viso umido d’acqua e gonfio di vergogna.
«Ah, già, che sciocco. Remus Lupin.» si affrettò a presentarsi il ragazzino, allungandogli timidamente una mano ed un sorriso un po’ forzato ma speranzoso, paziente.
«Lupin.» ripeté il moro, chiudendo il getto d’acqua del rubinetto e voltandosi di scatto. «Riferisci pure ai tuoi amici che intendo andare a dire cosa mi hanno fatto alla direttrice di Grifondoro.»
Remus ritrasse la mano, perdendo il sorriso in favore di uno sguardo intristito, quasi colpevole.
«Era solo uno scherzo.» mormorò sconfitto. «E anche tu hai provato a colpire Potter.»
«Potter mi ha attaccato per primo, poi con Black in due contro uno. Questo inoltre non fa che dimostrarmi che sei venuto qui solo per cercare di evitare loro una punizione.» ringhiò seccato.
«Mi dispiace.» ripeté Remus, a capo chino. «No, non sono venuto qui per quello. È solo che-»
Ma ancora Severus lo interruppe, scansandolo con una manata debole per guadagnarsi una veloce uscita dai bagni senza sentire tutto ciò che aveva da dire.
«Risparmia il fiato. I miei compagni più anziani mi hanno già spiegato bene come funziona con voi Grifondoro. Che vi vantate di essere coraggiosi e nobili d’animo, ma in realtà siete sciocchi, avventati, bulli irrispettosi dall’ego smisurato.»
Remus si accigliò leggermente.
«Io ti sembro un bullo dall’ego smisurato?» gli chiese con un sorriso amaro.
Severus squadrò con aria tesa e dubbiosa quel bimbo così simile a sé, smunto, timido, vestito di stracci sotto l’uniforme.
«Può darsi.»
«Quindi anche la tua amica Lily lo è?»
Severus arrossì di rabbia e Remus si portò una mano davanti alla bocca.
«Scusa. Mi dispiace Severus.»
Il serpeverde scappò via, accalorato dalla furia. Mentre scendeva verso i sotterranei gli rimbombava ancora in testa quel “mi dispiace, Severus.”





«Mi dispiace, Severus.» aveva appena mormorato Remus, seduto accanto al letto.
Era l’una del mattino, i guaritori avevano lasciato la stanza da pochi minuti per potersi concedere un po’ di riposo dopo aver stabilizzato faticosamente l’uomo. Alcuni dovevano invece dedicare attenzioni ai numerosi feriti ancora in attesa di visite approfondite dopo la battaglia della giornata precedente. Remus s’era subito offerto volontario per sorvegliarlo, promettendo ad Harry, Hermione, Draco, Tonks, Shacklebolt e la McGonagall di spedirgli prontamente un gufo in caso di novità. Da che Harry aveva raccontato loro la verità ed Hermione mostrato il ricordo, il gruppo dell’Ordine della Fenice s’era ostinatamente inchiodato fuori dalla stanza di Snape insieme ad un taciturno e solitario Malfoy, finché non erano stati i medimaghi a pregarli di tornare a casa e limitarsi ad una sola visita per volta.
I guaritori avevano spiegato che la sopravvivenza di Severus era ancora in dubbio, ma le speranze non erano assenti. Avevano trattato solo una volta quel genere di veleno anni prima, su Arthur Weasley, ma non erano effettivamente riusciti a rompere la maledizione che lo permeava né a mettere a punto un antidoto. Nel caso del signor Weasley infatti, si erano limitati a combattere il dissanguamento finché gli effetti non erano svaniti da soli nel giro di alcune settimane, concedendo finalmente al sangue di coagularsi e alla ferita di risanarsi naturalmente.
Nel caso di Severus la questione era decisamente più delicata, visto il punto in cui il serpente aveva morso, le vene che aveva reciso e il sangue perso che faticavano a rigenerare con le pozioni. Temevano che il veleno potesse essere arrivato fino al cervello, con conseguenze imprevedibili. Era un caso che aveva richiesto la loro attenzione per praticamente tutta la giornata, ed aveva anche qualche evento anomalo al seguito, come una febbre alta costante che non sembrava voler scendere neppure con le pozioni apposite.
Severus era sdraiato sotto una coperta leggera che gli lambiva il petto, un cuscino basso sotto la testa, ed un incantesimo che provvedeva a tamponargli viso e fronte con una pezza umida e fresca a intervalli regolari.
Gli avevano tagliato i capelli per la fretta di scoprire l’entità del danno, ed ora col collo fasciato fino al mento e parte della testa, più pochi centimetri di capelli scuri e mal tagliati, era quasi irriconoscibile. Aveva un colorito malsano, un pallore anche peggiore del normale su quella pelle olivastra, metà del volto leggermente più infiammato e gonfio in corrispondenza della zona ferita, ma era assopito con un’aria relativamente serena grazie a massicce dosi di pozioni.
«Mi dispiace tanto.» ripeté a bassa voce Lupin. «Di non avere davvero provato ad esserti amico da ragazzi, per paura di perdere l’approvazione di Sirius e James. Di non averci riprovato da adulti. Di averti detestato così profondamente senza sapere la verità. Mi dispiace di aver sperato di poterti uccidere con le mie stesse mani.»
Il discorso del licantropo era destinato ad essere un soliloquio basso, che non prevedeva nemmeno un cenno di risposta dall’altro.
«Non provo più alcun rancore verso di te. Voglio che tu viva, e trovi finalmente un’esistenza serena. Ammiro ciò che hai fatto, quanto profondamente ti sei sacrificato. Quanto coraggiosamente hai portato avanti il tuo scopo.» prese un respiro profondo. «Le tue colpe sono simili a quelle di tanti di noi, me incluso. E voglio chiederti scusa di persona, dunque ti prego, lotta ancora una volta con tutto il coraggio e la determinazione di un Serpeverde.» concluse con gli occhi lucidi.
Quando si accorse che l’incantesimo alla pezza bagnata stava un po’ sbagliando mira, cedendo da un lato, si armò di bacchetta e lo annullò. Gli rinfrescò il volto e il petto in parte scoperto dalle lenzuola, ripetendo la cosa allo stesso intervallo regolare a cui era stato eseguito l’incantesimo. Ogni tanto sfiorava la pelle febbricitante sulla fronte con un tocco lieve, premuroso.
Passarono diverse ore silenziose, con poche occasionali visite da parte dei medimaghi che non avevano niente di nuovo da suggerire. Solo pozioni sedative, tentativi esasperatamente infruttuosi di abbassare la febbre, e rassegnazione.
Erano praticamente le sei del mattino quando Remus fece una pausa per sgranchirsi le gambe, lasciando nuovamente all’incantesimo il compito di tamponare occasionalmente il capo dell’uomo febbricitante.
Camminò dal letto alla finestra con una pazienza rafforzata dalla determinazione ed una pozione per tenersi ben desto. Il cielo fuori dalle vetrate ben pulite aveva iniziato a schiarirsi ormai da mezz’ora e i primi raggi del sole filtravano morbidi in un’alba pulita, senza nubi. Stava quasi per perdersi in quel gradevole attimo di serenità, quando un lieve gemito strozzato alle sue spalle lo fece voltare di scatto.
Severus aveva gli occhi chiusi e una smorfia di dolore marcata in viso. Tornò in tre rapide falcate al suo fianco, con l’ansia a pesargli sul collo in un brivido sgradevole. Gli sfiorò la testa scansando la pezza, sembrava che la febbre stesse salendo indipendentemente dall’acqua fredda che andava a sfiorargli la pelle. Lo vide annaspare per respirare, gemere più forte, strizzare le lenzuola in una presa così dura da sbiancare le nocche. Le sue labbra tremarono prima di schiudersi ed emettere un rantolo orribile.
«N-on vo-le-vo.»
Remus si sbloccò a fatica dall’attimo di orrore, superò di corsa il letto e colpì con forza il piccolo campanello incantato che avrebbe allertato i guaritori.





A nessuno sembrava piacere l’odore dell’aula di Pozioni quanto a lui. I suoi compagni, anche i più abili nella materia, lamentavano spesso il puzzo umido e irritante degli ingredienti meno freschi, il rancido di quelli di origine animale, il muschiato penetrante di molti di quelli vegetali. A lui invece tutto quello piaceva da morire. Pensava ironicamente che dopo aver tollerato la puzza della sua vecchia casa paterna, dei suoi indumenti di seconda mano, avrebbe potuto tollerare di tutto. Era fra gli studenti migliori del secondo anno, a pari merito forse solo con Lily, come Slughorn non si stancava mai di ripetere. 
Quel giorno la lezione si sarebbe svolta proprio con Serpeverde e Grifondoro, e prima ancora che tutti gli studenti prendessero posto davanti al proprio calderone, un gaudente Slughorn li aveva invitati a dividersi in gruppi da tre. Era scoppiato un piccolo attimo di caos in cui tutti si affrettavano per far gruppo coi propri amici più intimi o semplicemente coi migliori.
Sirius e James si erano subito presi da parte Remus, occhieggiati da un disperato Peter rimasto indietro. “Scusa Peter, la prossima volta.” avevano ridacchiato i due, trascinandosi a braccetto un lusingato ma dispiaciuto Remus.
Tendenzialmente tutti tentavano di rimanere ben separati fra le due casate, e Severus per uno speranzoso attimo vide le file assottigliarsi da ambo i gruppi, lasciando sola la figura di Lily Evans. Si fece indietro come se volesse nascondersi nel caos dei compagni che si spostavano, provando ad intercettare timidamente lo sguardo di lei in una muta preghiera. Lily lo vide, gli sorrise di nascosto e capì, rifiutando qualche invito bisognoso dalle amiche. Quel piccolo cenno accese il cuore di Severus con una forza inaudita e quando si ritrovò dunque da solo con lei e Peter Minus erano tutti e tre incredibilmente lieti dello strano assortimento. Lily e Severus per il semplice fatto di poter collaborare, Peter perché sapeva di essere finito coi migliori del suo anno. Un’altra cosa che rese ulteriormente felice Severus - anche se dall’esterno ostentò una smorfia infastidita per compiacere i suoi compagni Serpeverde - fu che al vederli assieme Potter sembrava irritato.
«Hey Peter, non è che vuoi fare a cambio?» aveva proposto James.
«Non importa. Va bene così.» gli aveva risposto furbescamente quello.
Severus squadrò Pettigrew con sufficienza, ritrovandosi a sbirciare invece Lupin con curiosità. Era allegro una volta tanto, in piedi accanto a Black, che fissava come fosse l’alba del giorno nuovo. Severus distolse lo sguardo, stizzito.
Slughorn confermò i gruppi, spiegando loro che avrebbero avuto solo un’ora di tempo e tantissimo lavoro da svolgere.
Peter si rivelò essere un assistente insolitamente affidabile, dopo che Severus e Lily presero le redini del progetto facendosi carico delle operazioni più delicate fra gli ingredienti, e lasciando i lavoretti più noiosi all’altro.
A metà lezione il calderone del loro gruppo era già caldo e attivo, mentre il resto della classe arrancava a finire le preparazioni iniziali. Severus e Lily controllavano spesso e volentieri ogni dettaglio, il ragazzo in particolare le stava molto vicino con la scusa di controllare la pozione. Faceva molto caldo.
Man mano che passavano i minuti gli stava mancando il fiato e si stava annebbiando la mente, finché non iniziò proprio a provare dolore al capo. Era confuso, anche spostarsi di mezzo passo indietro non sembrava funzionare, eppure Lily sembrava tranquillissima, il viso pulito e asciutto, l’aria concentrata. La guardò bene in faccia, la vista appannata.
Lily alzò il capo, puntando lui e Peter con i suoi grandi occhi verdi. Erano spalancati in un moto di stupore genuino.
«Perché mi avete uccisa?» chiese mortalmente seria.
«Come?» mormorò Severus, dolente. L’ambiente dell’aula di pozioni iniziò a farsi completamente fumoso, come se stesse svanendo dalla scena. Sentì Peter dire qualcosa ma la sua voce era ovattata. Non capiva.
«Perché mi avete uccisa?» ripeté placida Lily.
«I-io non … » boccheggiò. Sentì un dolore lancinante alla testa, mentre il serpeggiare pesante del senso di colpa gli affondava il cuore in petto. Qualcosa di caldo e umido gli stava scivolando sul collo, sgradevole.
«Ero felice. Con James ed Harry.» insisté la ragazzina, fissandolo serissima. Sentiva e vedeva solo lei ormai.
«Io non volevo.» mugolò stordito.
«Non volevi? Cosa importa?» accusò lei, severa. «Alla fine sono morta per colpa tua. Perché non hai voluto darmi retta. Tu hai scelto da che parte stare, tu volevi eccome. Avresti sacrificato James e il mio bambino, per avermi.»
«N-no Lily io … non potevo sapere che fossi tu. Non potevo! Io pensavo che la profezia parlasse di un avversario già in vita, non certo di un bambino. Lily ti supplico, credimi. Non volevo. Non volevo.» bofonchiò ma gli mancava il fiato e ormai Lily gli parlava a voce sempre più alta, rabbiosa, sovrastandolo di netto.
«Basta mentire! Non te ne sarebbe importato niente se anche l’avessi saputo, pensavi solo a te. Non hai provato pietà per James, per il mio bambino orfano, forse nemmeno per me. Sei un mostro. Eri solo deluso perché non potevi più avermi, la tua ridicola speranza di possedermi era svanita per sempre. Come avrei potuto mai scegliere te? Brutto, patetico, povero, crudele. Ti detesto. Non ti perdonerò mai. Dovresti morire, sei solo un assassino. Avanti: lasciati andare, sconta i tuoi peccati.»
C’era troppo caldo. Troppo dolore.
«M-mi dispiace per il tuo bambino. Mi dispiace per James.» singhiozzò, gli occhi invasi dalle lacrime. «Non farmi questo. Ti supplico. Lo so. Lo so che è tutta colpa mia. Lo so che sono un mostro. Non farmi provare pena anche per lui. Per loro. Non ce la faccio. Lasciami almeno l’odio, non posso provare anche questa colpa.» supplicò.
«Hai odiato mio figlio, un bambino innocente, pur di andare avanti e trovare la forza di compiere la tua vendetta. Ora non meriti più il lusso di una distrazione. Ora meriti solo la sofferenza o la morte, Severus.»
La piccola Lily rabbiosa scomparve. Il mondo si rovesciò con una capriola da togliergli il fiato. Gemette di dolore, gli occhi serrati e il viso rigato di lacrime. Qualcosa lo trattenne. Si sentì toccare una mano mentre un freddo umido gli premeva sulla fronte. Una sensazione violenta, capace di riportarlo sul piano della realtà.
«Severus.» una voce vicina lo chiamava col tono di una supplica morbida. «Ti prego, resisti. I medimaghi stanno arrivando.» 
Dalle nebbie cupe del suo sogno vide come in una diapositiva troppo veloce il visetto un po’ malinconico e serio di Remus Lupin a dodici anni. Lo guardava, muoveva la bocca ma non sentiva cosa stesse dicendo.
Poi tornò il buio.


.



«Remus, ti prego, va a casa a riposare. È quasi una settimana che sei qui e ti concedi solo poche pause per dormire.» lo rimproverò bonariamente Tonks. «Devi anche vivere un po’, non credi?»
Si erano seduti ad uno dei tavolini della sala da the dell’ultimo piano al San Mungo, messi di fronte ad un earl grey ancora rovente ed una manciata di biscotti. Erano le sette del mattino, e dalle finestre filtrava la luce chiara dell’alba appena sbocciata, con qualche sporadica macchia di nubi al fronte.
«Non ho molto da fare a casa, Dora.» obiettò pacato Remus, con un sorriso stanco. 
«Però fra due giorni … » rispose lei in un sussurro, fissandolo con un’occhiata apprensiva. I capelli della ragazza avevano assunto una delicata sfumatura di castano chiaro brizzolato, come se fossero incerti fra la tristezza e la gioia, una copia fedele di quelli dell’uomo che aveva davanti.
«Lo so.» concluse per lei Remus, incupendosi. «Fra due giorni dovrò assentarmi per forza.»
«Hai trovato un posto sicuro?» chiese lei azzardando una carezza timida alla sua mano posata sul tavolo.
Remus subì quel tocco affettuoso con un accenno di lieve rigidità. Annuì e ritrasse con calma la mano con la scusa di acchiappare un biscotto. Tonks se ne rese conto, arrossì vagamente e si dedicò anche lei nervosamente al tè, ascoltando la voce dell’altro. 
«Minerva mi ha offerto un collegamento diretto al camino del suo ufficio ad Hogwarts, perché possa andare lì con largo anticipo. Mi ha messo a disposizione la vecchia Stamberga Strillante o una porzione protetta della Foresta Proibita, in cui trasformarmi in sicurezza.» spiegò serissimo, la voce moderata e l’espressione profondamente infelice.
«È un’ottima soluzione, Remus.» mugugnò la ragazza, indagandone l’aria abbattuta con un cipiglio curioso. «Perché non ne sembri nemmeno un po’ felice?»
«Mi ha offerto anche la mia vecchia cattedra di Difesa.» aggiunse l’uomo, con un sorriso mesto.
Tonks sgranò gli occhi, dissimulando poi la sorpresa in un sorriso incoraggiante.
«E tu hai accettato no? È un’offerta magnifica!»
«Le ho chiesto un mese di tempo per decidere, me ne ha concessi due.» ammise lui, tuffando il biscotto nel tè così a lungo da farlo diventare una delicata spugnetta di briciole. 
«Cosa ti ha trattenuto dall’accettare subito?»
«Tutti sanno cosa sono, Dora.»
«Un eroe? Un ottimo docente? Un Auror? I tempi sono cambiati, Remus. Non ci sono più le influenze negative di Lucius Malfoy nel comitato. Potresti rappresentare il cambiamento di cui tutti abbiamo bisogno.» disse concitata.
Remus continuava a sembrare incerto, così Tonks proseguì.
«So che questo anno scolastico è stato considerato non valido. Dovranno ripeterlo tutti, Remus. Harry, Ron ed Hermione intendono finire gli studi, avrai il loro sostegno e quello di tutti i ragazzi e i docenti che hanno combattuto ad Hogwarts al nostro fianco.»
«Lo so.» ammise lui, affrettandosi a mangiare.
«Allora prendila davvero in considerazione. Mi sembra una grande occasione e insegnare ti è sempre piaciuto. Chi meglio di te?»
L’uomo annuì, sguardo basso. Mangiarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri e dubbi per diversi minuti, finché Tonks non si fece coraggio e parlò. Aveva l’aria di essere sull’orlo di una piccola implosione.
«Remus, è da molto tempo che vorrei chiederti una cosa.»
Lupin inghiottì l’ennesimo biscotto zuppo praticamente intero.
«Mh. Dimmi pure.»
«Tu sei ... come Sirius, vero?» mormorò lei titubante.
Il licantropo abbassò lo sguardo sul fondo della tazza da tè sporco di briciole zuppe.
«Sì.» confermò in un sussurro mesto. «Mi dispiace.»
Tonks sbatté più volte le palpebre, incassando il colpo con un sorriso tenue, stoicissimo.
«No, non devi scusarti. Avrei dovuto capirlo prima. Anche solo dagli sguardi che vi scambiavate a Grimmauld Place. Io … mi sono voluta illudere. Sono una stupida.» prese a borbottare un po’ troppo in fretta, dando un colpetto sbadato con la mano alla propria tazzina. L’oggetto rischiò quasi di ruzzolare oltre il bordo del tavolo, ma Remus lo salvò acchiappandolo al volo.
«Non lo sei.» mormorò rimettendo a posto la tazzina con grande cura. «Perdonami per non aver chiarito prima.»
«No, scusa, non intendevo quello.» s’affrettò a dire lei, sempre più agitata, rossa in viso sino ai capelli. «Tu non mi dovevi alcuna spiegazione.» aveva gli occhi lucidi.
«Invece sì, avrei dovuto darti qualche spiegazione quando mi sono reso conto che tu ti stavi infatuando di me.» dichiarò serio Remus. «Ma è meglio così.»
«Eh?» mormorò lei, guardandolo confusa.
«Dora. Meriti qualcuno di meglio, francamente. Di giovane come te. E sano.»
Tonks passò rapidamente dall’imbarazzo ad un accenno di rabbia nervosa. Lo guardò dritto negli occhi con un’insistenza tale da obbligarlo a ricambiare.
«Tu sei giovane e sano, Remus.»
«Tu sei molto più giovane di me.» abbozzò lui in difficoltà. «E no, io sono tutto fuorché sano.»
«Quindi per te l’amore può nascere solo fra due persone di età identica e in perfetta salute? Pensi si possa controllare, Remus?»
«No, scusami. Non intendevo questo.»
«Sì che intendevi proprio quello!» sbottò lei alzandosi in piedi di scatto. Urtò il tavolino, facendo sobbalzare entrambe le tazzine sta volta. «Non so se stessi cercando di consolarmi o cosa, ma se troverai mai un uomo speciale un giorno, più giovane o grande di te, rifiuterai anche lui per questo? Anche tu meriti amore, Remus, ed una vita normale. Riprenditi ciò che meriti se-sei … » un singhiozzo, stava piangendo. « … sei un uomo stupendo. Così stupendo che a nessuno capace di vederti importerebbe del tuo problema.»
«Dora.» mormorò Remus, mortificato. Si alzò anche lui e prima che lei potesse provare a fuggire la avvicinò per stringerla in un abbraccio silenzioso, caloroso. «Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Grazie per le tue parole.»
Lei lo strinse forte, pianse silenziosa contro una sua spalla.
«Odio la tua gentilezza. Non mi dai nemmeno la consolazione del rancore.» singhiozzò.
«Sei autorizzata a odiarmi per un po’, Dora. Non sono un santo.»
Lei rise e pianse insieme.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cioccolata ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 

La biblioteca era deserta e silenziosa come di rado. Per quelle vacanze di Natale la scuola era praticamente semi-vuota, dato che la stragrande maggioranza degli studenti aveva optato per rientrare a casa dalle proprie famiglie. Lui a Spinner’s End non tornava mai e quell’anno non avrebbe fatto eccezione. Aveva scritto una breve lettera a sua madre in cui spiegava di avere troppo da studiare e la donna non aveva nemmeno provato a persuaderlo a tornare. Persino gli odiati Potter e Black erano fuori dalla circolazione, ma anche Lily purtroppo, che come nei due anni precedenti aveva scelto di tornare dai suoi amati genitori babbani e la detestabile sorella Petunia.
Severus era immerso in un prolifico trattato di pozioni, fuori nevicava fitto e le luci delle lampade ad olio tremolavano lievi agli spifferi gelati. A rompere la calma sonnacchiosa fu un qualche fastidio che lo portò a massaggiarsi il collo sulla destra con una smorfia dolente. Si sgranchì un po’ forzato alla pausa.
Insieme allo schioccare delle proprie ossa sentì anche un altro rumore, un tonfo inatteso e ovattato. Qualcosa di pesante doveva essere caduto da uno degli scaffali qualche metro più indietro. Si alzò col viso corrugato dal dubbio e affrettò il passo andando a sbirciare ogni reparto. Dopo manco cinque metri inchiodò di fronte alla fonte del rumore: quello che riconobbe come Remus Lupin era inginocchiato a terra, gli dava le spalle e stava rimettendo in ordine frettolosamente un mucchietto di fogli ed un grosso libro di trasfigurazione. Aveva una vecchia cartella di cuoio rovinata a tracolla, ancora mezza aperta.
«Non l’avrai fatto cadere, spero?» parlò lento e marcatamente compiaciuto Severus, facendo sussultare l’altro ragazzino. «Madame Pince ti farà una lavata di capo.» non nascose minimamente il divertimento che quella eventualità gli causava.
Perse il sorriso però, quando Remus si voltò, scoccandogli un’occhiata spaurita.
Aveva un aspetto penoso, stretto nei suoi vestiti lisi, il colorito malaticcio, le spalle fiacche e l’aria esausta come se fosse provato da una brutta influenza. Aveva un graffio in via di guarigione sul mento, gli occhi stanchi, la mano destra stretta da bende pulite.
«Non è successo niente.» bofonchiò debole. «N-non glielo dire, per favore, Snape.» mormorò supplicante, mentre faticava a recuperare tutto. Il libro aveva giusto un piccolo ammacco sul dorso.
Severus strinse le labbra in una smorfia indecisa, gli occhi scuri carichi di curiosità
«Hai una cera orribile. Più del solito, intendo. Che cosa ti è successo stavolta?» gli chiese asciutto, estraendo la bacchetta.
Remus abbassò lo sguardo, alacremente fisso su ciò che stava facendo.
«Sono stato poco bene e sono inciampato, ieri. Nulla di grave.»
«Per via questo malore non sei tornato a casa per le vacanze?»
«Sì, esatto. Ma ora va meglio.»
«Non mi pare Lupin. Voglio dire, non sei nemmeno capace di impugnare la tua bacchetta per rimettere in ordine con dignità come un mago.» con un gesto preciso della propria fece svolazzare dolcemente il pesante libro, fino a depositarlo sul ripiano più vicino. Un semplice: «Reparo.» e la copertina tornò intatta.
Remus lo guardò palesemente stupito da quella cortesia insperata, raccolse i fogli e si rimise traballante in piedi.
«Grazie.» mormorò con un sorriso tirato.
Severus rimase un istante di troppo incastrato su quell’espressione grata, quindi si accigliò di botto.
«Non era per aiutare te. Ma evitare danni ad un bene della scuola. Stai più attento: se non riferisco alla Pince è solo perché tanto con la faccia che hai le faresti così pena che non ti rimprovererebbe neppure.» sibilò arcigno.
«Ah sì?» gli sorrise ironicamente scettico l’altro. «Beh. Grazie a nome della scuola.» Si avvicinò al libro, e con un notevole impaccio andò ad infilarselo nella cartella insieme ai fogli.
«Te lo fanno portare fuori di qui?» domandò fra l’incredulo e l’indignato Severus.
L’altro annuì, mentre ritrasse la cartella dal tavolo tornando a farsi carico del suo intero peso con la tracolla che gli tagliava il petto di traverso. Nonostante fosse leggermente più alto del Serpeverde, era così malconcio che quel peso bastò a farlo ingobbire come il tronco di un giovane alberello troppo fragile per i suoi stessi frutti.
«Già. Non sto ancora abbastanza bene da starmene ore seduto qui.» ammise con un sospiro. «Lo leggerò a letto. Ho avuto il permesso dalla McGonagall, già confermato da Madame Pince.» tagliò corto, cacciando una mano in tasca in un frugare breve.
Severus inarcò un sopracciglio fra l’impreparato e lo stupefatto quando lo vide tirare fuori una mezza tavoletta di cioccolato e porgergliela insieme ad un altro sorriso grato.
Spiazzato fece mezzo passo indietro, manco gli avesse appena puntato contro un’arma.
«Dai, prendila. È per ringraziarti di avermi aiutato.» spiegò docile il ragazzino. «Non ci sono testimoni, tranquillo. Le nostre cortesie inter-casa rimarranno segrete.» aggiunse ironico, complice.
«Non mi piacciono i dolci.» dichiarò a disagio.
«Davvero?» considerò, scettico Lupin. «Strano, quando c’è la torta al lampone la divori sempre.»
Snape arrossì.
«Controlli quel che mangio ora?»
Remus ridacchiò piano.
«Beh io la lascio qui, è il caso che vada.» risolse poggiando la tavoletta sulla scrivania più vicina.
A sto giro il mannaro non stette ad aspettare repliche, filò via dopo un breve cenno di saluto, con una certa urgenza indolente. Severus lo fissò attento, esitò brevemente, ma alla fine intascò il dolce, recuperò al volo i suoi appunti e si lanciò all’inseguimento del Grifondoro, più discretamente che poté. Raggiungerlo fu semplice, appesantito com’era dal libro e dal suo misterioso malanno camminava piano. Lo vide arrancare o fermarsi forzatamente a riprendere fiato lungo lo spietato tragitto tutto scale per la torre di Grifondoro. Si guardò spesso intorno, a volte sul punto di intervenire, ma alla fine si limitò a seguirlo in silenzio e lo vegliò nella sua faticosa risalita finché non lo vide sparire oltre il quadro della signora grassa.
Rimasto da solo, confuso e sovrappensiero si portò alle labbra la tavoletta di cioccolata. Un morso gli distese l’espressione. 
Sentì caldo, all’improvviso. Tornò indietro e tutto iniziò a farsi sempre più confuso passo dopo passo. Con la mano libera si toccò nervosamente il collo a destra.

Aprì gli occhi con una pigrizia lentissima. Il lucore tenue di una lampada ad olio tenuta bassa nella stanza buia faceva luccicare le goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte. Sollevò a stento un dito della mano sinistra, sbatté più volte le palpebre e si guardò meglio intorno.
Il respiro iniziò a farsi irregolare, un soffio svelto che assecondava il cuore in corsa. La sua espressione era inorridita, dolente.
Inquadrò a fatica nel semibuio della stanza una finestra che si affacciava su un cielo notturno. A sinistra c’era una porta socchiusa, di fronte e ai lati pochi altri letti vuoti. Dopo lunghi minuti sentì passi e le voci soffuse di due persone che parlavano.
La porta venne aperta e la luce delicata del corridoio bastò a fargli quasi chiudere gli occhi ma non ad impedirgli di riconoscere la figura cenciosa di Remus Lupin.
Remus appena vide che l’altro era sveglio sgranò gli occhi, si affrettò a richiamare il medimago con cui aveva parlato fin lì, ed entrambi si precipitarono al letto dell’uomo.
«Severus?» lo richiamò fra l’eccitato e l’allarmato.
Severus osservava quasi solo lui. Provò ad aprire la bocca per rispondergli ma ne uscì a stento un rantolo dolente.
Il medimago intanto, un ometto basso e gracile sulla sessantina, alzò sensibilmente la luminosità della lampada sul comodino, iniziando a controllarlo da vicino.
«Non sforzi il collo, Snape. Ha una brutta ferita maledetta, deve tenere il capo immobile.» gli intimò. «Vado a chiamare gli altri e recuperare il necessario.» annunciò dunque sbrigandosi ad uscire, lasciandoli soli. 
Severus fece una piccola smorfia con le labbra, gli occhi arrossati l’unica finestra di comunicazione verso il mondo. Erano socchiusi, dolenti, turbati.
«Abbiamo vinto.» lo rassicurò Remus con fierezza. «Voldemort è stato definitivamente sconfitto. Sei rimasto praticamente incosciente per otto giorni.» prese a raccontare con calma. «Harry ed Hermione subito dopo la battaglia ci hanno raccontato tutto quel che serviva a capire veramente da che parte stavi. Non temere, sei al sicuro ora.» chiarì, rivolgendogli un sorriso caloroso dei suoi. Gli sfiorò timidamente una mano, ma poi la ritrasse come ustionato dal suo stesso gesto istintivo.
Severus sgranò leggermente gli occhi, poi li richiuse, emise una sorta di verso basso d’assenso.
Remus indietreggiò d'un passo.
«Posso immaginare di non essere in cima alla classifica delle persone che ora vorresti avere accanto, Severus. Ma dovrai sopportarmi, almeno fino al plenilunio quando ti lascerò in pace per qualche giorno.» spiegò con un sorriso amaro. «Ho deciso di vegliare su di te finché non sarai fuori pericolo, dunque se vuoi vedermi sparire vedi di riprenderti in fretta.» concluse, con la sua solita ironia morbida e gentile.
Severus tornò a fissarlo in volto con una smorfia dolente, non sembrava avere un gran ventaglio di espressioni. Lupin andò a sedersi su una poltrona che sembrava avere la sua sagoma impressa, subito accanto al letto.
«Fintanto che non puoi parlare, facciamo così: muovendo la mano sinistra mi comunicherai “no”, muovendo la destra invece “sì”. Ci riesci?»
Severus ci mise qualche istante di troppo, ma alla fine mosse la mano destra per comunicare “sì”.
«Molto bene. Vuoi che ti aggiorni subito su tutto ciò che è successo durante la battaglia?»
L’uomo mosse ancora la mano destra.
«Va bene. Se diventasse troppo o volessi interrompermi usa sempre il “no”.» raccomandò pacato Remus.
Nei minuti che seguirono, mentre tornarono gli altri medimaghi e guaritori per controllare lo stato dell’uomo, Remus raccontò ogni cosa dell’orribile battaglia di poco più di una settimana prima, delle vittime da ambo le parti, gli arresti ed ogni altra notizia utile che gli venisse in mente prima che i guaritori lo accompagnassero gentilmente alla porta per far riposare il ferito.







Era passata un’altra settimana dal risveglio di Severus e le sue condizioni si erano finalmente stabilizzate. Oltre ai medimaghi che lo seguivano alacremente, aveva ricevuto visite regolari solo da Remus e la McGonagall, per minimizzare lo stress. Solo dopo quei sette giorni, quando finalmente era riuscito a recuperare la voce e la forza per parlare, gli furono concesse altre due visite: Harry Potter e Draco Malfoy, che a quanto gli riferirono erano scesi a compromessi pur di dividersi i dieci minuti consentiti.
Il pozionista aveva sempre un aspetto orribile, anche se leggermente migliore di due settimane prima. I capelli erano stati aggiustati un minimo nel taglio corto a cui erano stati ridotti per praticità. Sdraiato sul letto e ancora incapace di alzarsi in piedi o tirarsi a sedere autonomamente, accolse in quella forzata posa rilassata i due ragazzi che si affrettarono ad entrare.
Draco si avvicinò svelto al letto del padrino, e con tutto il contegno che potè frenò l’apprensione per domandargli in tono dignitoso:
«Come ti senti?»
«Meglio di ieri sicuramente..» mormorò sarcastico. «Non riesco a muovere la parte destra del corpo, la febbre non scende come dovrebbe e continuo a fare incubi sgradevoli.»
«Incubi di che tipo, signore?» azzardò Harry, allarmato.
«Non come quelli che facevi tu, Potter, non preoccuparti.» lo rassicurò secco. «Sciocchezze. Scene del passato inventate dalla mente, cose mai successe.» ammise stizzito. Poi si accigliò e li squadrò serissimo. «Come mai questa urgenza di vedermi al punto da entrare insieme voi due?»
«Volevamo esprimere entrambi lo stesso concetto.» prese parola Draco. «Quindi abbiamo deciso di unire le forze, per una volta.»
«Che concetto?»
«Che siamo felici che tu sia sopravvissuto e che siamo qui, per ogni aiuto di cui dovessi avere bisogno.» affermò il biondo con un raro sorriso carico d’affetto.
Severus rispose a quel sorriso con una smorfia insofferente.
«Ah sì? E Lucius cosa ne pensa?» calcò con cruda ironia.
«Non l’ho informato della mia visita. Non ne sarebbe lieto, temo.» ammise Draco con un sorriso quasi di sfida.
Harry lo guardò con un sorriso sorpreso.
«Lupin mi ha raccontato tutto. Il tradimento di Narcissa. Com’è l’atmosfera a casa?» chiese il pozionista.
«Tesa. Mamma e papà hanno litigato aspramente i primi giorni, ed ora lui evita di parlare sia con lei che con me.»
«E i tuoi amici?»
«Ho scritto a Nott, Parkinson, Goyle, Zabini e pochi altri.» spiegò freddo. «Gli ho comunicato che non intendo più avere a che fare con loro e le loro famiglie.»
La sorpresa sul viso di Harry sembrava non volersene andar via.
«Non ti mancheranno i tuoi amici?» gli chiese perplesso il grifondoro.
«No. Nessuno di loro lo era davvero, in fin dei conti.» decretò con una smorfia dolente il biondo. «Noi Serpeverde abbiamo un po’ questa condanna, pare. Di non poter avere amici reali ma solo alleati di convenienza.»
Harry gli rifilò una timida pacca amichevole sulla spalla, che fece inarcare un sopracciglio a Severus.
«Forse dovreste gemellarvi con Tassorosso e imparare da loro. Ma intanto beh, almeno non siamo più nemici Malfoy.»
Draco gli rivolse un sorriso volpino.
«Dici che c’è il rischio che diventiamo amici, Potter?»
«Sono davvero passate solo due settimane?» si intromise aspro e sarcastico Severus, per quanto debole nella voce bassa.
Draco arrossì un po’ ed Harry ridacchiò tranquillo. Fu il biondo a tornare a parlare.
«Sono passate due settimane, anche se la prima è sembrata un anno, col dubbio atroce che te ne stessi andando.» tornò a rimarcare un po’ impacciato da una felicità carica di sollievo. «E a proposito, la prossima a venire a trovarti sarà mamma..»
«Dille che non è necessario.» rifiutò fiacco il pozionista.
«Non credo vorrà sentire un no.» ammise Draco. «Vuole ringraziarti.»
Severus gli scoccò un’occhiata acidula.
«Ringraziarmi?»
«Sì. Per avermi protetto. Anche oltre il vincolo del voto infrangibile, intendo.»
«Sono il tuo padrino, è normale.» minimizzò l’uomo, a disagio.
Harry azzardò un mezzo passo in avanti, affiancando Draco accanto al letto dell’ex preside.
«A proposito di ringraziamenti. Volevo offrirle anche il mio, signore. E dirle quanto ammiro il sacrificio che ha fatto, senza la quale non credo l’avremmo spuntata. Sono … beh sì, felice che mi abbia affidato quei ricordi. Che volesse che io sapessi la verità.» era palese una certa dose di emozione nella sua voce. Non c’era più nemmeno l’ombra dell’antica ostilità che aveva mostrato per così tanti anni nei confronti del pozionista, sostituita da un’ammirazione genuina. «Se avessi saputo … » aggiunse, ma si bloccò.
Draco li squadrava curioso, ed Harry tacque.
Severus sembrava ancora più infastidito di prima.
«Non ti ho lasciato quei ricordi per avere la tua comprensione o pietà, Potter.» sebbene a fatica, parlò col solito sdegno nella voce.
«No, signore?» chiese il grifondoro, il cui sorriso si affievolì lentamente.
Draco studiava la scena senza tuttavia osare far domande.
«No.» confermò l’altro. «Te li ho lasciati, nella profondità più intima di essi, perché tu potessi capire che potevi fidarti di me. Le mie ragioni, la profezia, il fatto che non stavo cercando di ingannarti in qualche modo e così portare a termine la missione. Tutto qui.» chiarì secco.
L’espressione di Harry virò completamente su un mezzo sorriso fra imbarazzato e deluso.
«Capisco. Beh, la ringrazio in ogni caso. Ha funzionato molto bene. Le auguro di rimettersi presto, signore.» concluse un po’ rigido.
Severus emise un verso d’assenso stentato e il grifondoro si allontanò. Draco fu sul punto di provare a fermarlo ma esitò, lasciandolo uscire.
«Di cosa parlava?» azzardò dunque verso Severus «Perché sembrava … ferito?»
«E perché a te sembra importare tanto di lui all’improvviso?» gli chiese di rimando, aspro. «Avete fatto amicizia finalmente, dopo tutti questi anni?» aggiunse, pungente.
Draco arrossì di puro disagio e tentennò. Fu ancora il professore a parlare, la voce ormai ridotta ad un sussurro.
«Vai dal tuo amico, Draco. Immagino non te ne siano rimasti molti stando a quanto dicevi poc’anzi. È un amico potente che dovrai tenerti stretto, ora. I Malfoy ne avranno bisogno.» insinuò.
Draco sospirò.
«Sì, hai ragione. Ti lascio riposare, tornerò a trovarti insieme a mia madre, appena possibile.» Gli rivolse un cenno leggero col capo, quindi si lanciò all’inseguimento di Harry fuori dalla stanza.
Severus rimase solo e quando non sentì più i passi dei due ragazzi fuori chiuse gli occhi e il suo viso rigido si ammorbidì in un’espressione di sconforto puro. Da un occhio cadde una lacrima solitaria, strinse i denti e diede una debole manata alla sponda del letto.
«Sarebbe stato meglio se mi aveste lasciato morire, sia tu che tuo padre.» mormorò, fiacco.







Draco, che aveva seguito di corsa Harry fino al fondo del corridoio fuori dalla stanza di Snape lo richiamò appena fu a due passi da lui.
«Potter!»
Il moro si voltò stupito.
«Ehi. Che succede? Come mai sei già uscito?»
«Snape mi ha praticamente cacciato.» ammise con un piccolo sbuffo.
«Ma che gli è preso?» sbottò dunque Harry, confuso. «Sembra quasi come se fosse …»
«Infelice d’essere sopravvissuto?» suppose Draco con un sorriso mesto.
«Già..»
«Temo lo sia. Forse beh, i sensi di colpa. Per Dumbledore.» abbassò lo sguardo al nominare il defunto preside.
Harry chiuse gli occhi e in un sospiro ammise:
«E per la profezia.»
«La profezia?»
«Sì.»
«Parli di quella che Voldemort voleva che mio padre rubasse al Ministero?» lo fissò confuso.
«Esattamente.» confermò Harry, riaprendo gli occhi, dietro cui mostrò una profonda tristezza.
«Quella profezia fu fatta dalla Cooman durante un colloquio con Dumbledore. Il professor Snape, all’epoca un Mangiamorte fedele, s’era trovato fatalmente ad origliarla. Ma ne udì solo metà, e corse a riferirla a Voldemort così com’era. Quella mezza profezia è stato ciò che ha condannato a morte i miei genitori, ma che ha portato anche alla prima caduta di Voldemort. Non avevo mai capito perché Dumbledore si fidasse così del professor Snape. Diceva che sapeva quanto fosse pentito, ed io non gli ho mai creduto, finché in punto di morte settimane fa quando, Nagini l’aveva azzannato, Snape mi ha affidato un suo ricordo.» raccontò cupo.
«Snape era innamorato di mia madre. Erano stati amici per tutta l’infanzia e avevano finito per separarsi gli ultimi anni ad Hogwarts, ma lui la amava ancora profondamente.»
Draco lo fissava esterrefatto.
«Quindi … lui ha riferito a Voldemort la profezia che l’ha portato dai Potter, causando così la morte di tua madre, che amava da una vita intera?» riassunse con una smorfia dolente.
«Precisamente. Nel ricordo che mi ha lasciato c’erano tutte le parti essenziali per capire il suo rimorso, il motivo per cui Dumbledore si fidava di lui, ed il senso profondo del resto della profezia. Dovevo essere disposto ad andare incontro alla morte, per battere Voldemort. Senza quel ricordo, non avremmo vinto.» 
«Pensavo stupidamente me le avesse lasciate per darmi una parte di sé. Oltre che per farmi vincere la guerra, chiaramente. Pensavo insomma, fosse un gesto di fiducia.» concluse, andando a sedersi pesantemente su una sedia libera in un angolino di una piccola sala d’attesa.
Draco lo affiancò, sconvolto da quelle rivelazioni.
«Per questo ha rifiutato la nostra gratitudine e l’implicito affetto che gli stavamo dando. Probabilmente sente di non meritarlo. Di meritare solo la solitudine.» spiegò, il capo chino e l’aria demotivata.
Harry lo guardava attento, incapace di levargli gli occhi di dosso ormai da un bel po’.
«Malfoy?»
«Mh?»
«Ti sei separato dai tuoi vecchi amici unicamente per tagliare i ponti con ogni legame alla magia oscura, o stai facendo come il professor Snape?» chiese diretto.
Draco ricambiò il suo sguardo con uno spiazzato. Strinse le mani sulla stoffa pregiata dei pantaloni damascati, nervosamente.
«Non ho sulle spalle la colpa di un omicidio diretto, ma di tanti indiretti sì. Primo fra tutti Crabbe.»
Harry scosse il capo, negando.
«Crabbe si è ucciso con le sue stesse mani.»
«Era un mio tirapiedi. L’ho trascinato io in quel mondo. L’ho fomentato.» insistette il biondo, l’espressione sul volto che si faceva più tesa e dolente.
«La sua famiglia l’ha trascinato in quel mondo. Così come la tua ha trascinato te. Ma alla fine tu e tua madre avete fatto le scelte giuste. So cosa significa provare rimpianto per gli errori fatti, ma alla fine contano anche le decisioni giuste.»
«Tu?» chiese incredulo. «Tu sei l’eroe del mondo magico, che rimpianti hai?»
«Non sono un eroe, non ho mai voluto esserlo né creduto di esserlo. Sono solo un ragazzo che ha avuto la sfortuna di nascere il giorno sbagliato e venire scelto da Voldemort al posto di Neville.»
«Longbottom? Che vuol dire che sei stato scelto?»
«Sì, lui. La profezia poteva adattarsi perfettamente anche a Neville. Ma è stato Voldemort, curiosamente, a rendermi il prescelto. Non ha temuto il purosangue, ma qualcuno più vicino a lui. Io non ho fatto altro che venire travolto dal destino, dagli eventi, dalle scelte giuste e sbagliate di tutti. E alla fine ho vinto solo perché Dumbledore aveva pianificato tutto per mettermi nelle condizioni di farlo e perché ho accettato la profezia fino in fondo: dovevo morire. Non posso fare a meno di pensare che se Voldemort non avesse scelto me, forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse meglio.» concluse con un sospiro pesante.
«O forse peggio.» propose Draco con un sorriso amaro ma incoraggiante.
«Beh, questo vale anche per te. E credo che tu abbia iniziato a fare le scelte giuste da molto prima di quanto credi.» gli ricordò con un sorrisetto sarcastico Harry. «Pensi non mi sia accorto che la notte in cui ci avevate catturati a casa tua hai fatto davvero del tuo peggio come mangiamorte? Ti eri fatto praticamente strappare le bacchette di mano.»
Draco abbozzò un sorriso più convinto e poi aggrottò la fronte.
«Potter.» lo richiamò un po’ teso.
«Mh?»
«Poco fa Snape - probabilmente nella fretta di offendermi e scacciarmi - ha ipotizzato che volessi esserti amico solo per avere un alleato potente nel nuovo mondo magico.»
«Ed è così?» chiese con un sorriso scettico Harry.
«No.» negò Draco, guardandolo negli occhi, esitante. «È solo che, beh mi piaci.» Arrossì un po’ e si affrettò a puntualizzare: «Intendo come persona. Non sei quello che ho creduto per anni. Non provo più rancore o invidia per te. Sei una persona che vorrei davvero avere come amico, per quanto forse io non sappia cosa vuol dire averne uno.» concluse impacciato.
Anche Harry patì un lieve rossore ad altezza guance. Distolse lo sguardo con un sorrisetto istupidito.
«Anche tu sei diverso da come credevo. C’è … tanto di più di te che non pensavo esistesse lì dentro.»
Draco fece uno sbuffo tristemente ironico.
«Se vuoi sopravvivere fra i Malfoy e i Serpeverde certe cose non puoi mostrarle.»
«Ci ho messo un po' a capirlo.» ammise Harry ironico. «E mi piace questo lato di te. Lo capisco se non vuoi sbandierarlo ai quattro venti ma, insomma, non è male avere una sensibilità a volte. Poi, beh è reciproco: voglio esserti amico.» concluse con un impaccio simile al suo.
Draco sorrise a sua volta,  poi calò un istante di troppo di imbarazzato silenzio e a romperlo fu lui.
«Se me l’avessero detto anni fa, che sarei diventato tuo amico, non ci avrei creduto.»
Harry gli lanciò un’occhiata sorniona.
«Sono stato davvero così detestabile? Pensavo di essere io il buono e l’eroe della situazione.»
Draco gli scoccò un’occhiata a metà fra divertito e accigliato.
«Oh avanti. Eri il favorito in ogni situazione, tutti ti trattavano coi guanti.»
«Chi? Io?» ridacchiò Harry. «Sì in effetti mi ricordo, fra una campagna denigratoria e l’altra del ministero, mezzo mondo magico che non mi credeva quando dicevo qualcosa di scomodo. Oh! Come dimenticare la Umbridge!? Quanto mi favoriva lei!»
Risero entrambi.
«Parliamo della coppa delle case.> proseguì Draco. «Ehi? Che c’è?» un po’ confuso.
Draco strinse le labbra, esitò prima di risponde.
«Niente. Un … un ricordo improvviso.»
«Dumbledore?» ipotizzò cauto il moro.
Draco annuì esitante, cercò un respiro lento ma come buttò fuori gli sfuggì una sorta di singhiozzo commosso che poi ruppe ufficialmente il suo autocontrollo. Si piazzò una mano in faccia coprendosi gli occhi lucidi.
«Che cavolo.» mugugnò imbarazzato.
Harry esitò, si guardò attorno e poi gli sorrise con una dolcezza mesta.
«Malfoy, se hai bisogno insomma, piangi. Non è certo la prima volta che ti vedo farlo e non c’è niente di male.»
A quelle parole Draco emise un mugolio dolente e poi cedette definitivamente. Pianse, sebbene sforzandosi di farlo in silenzio.
Harry esitò, ma alla fine scelse di provare ad allacciargli un braccio attorno alle spalle. Il biondo sembrava così sconvolto dal crollo emotivo che non obiettò né cercò di evitarlo, anzi.
«Ti favoriva, lo disprezzavo, ma non meritava quella fine. Né meritava di essere ucciso da Severus. Né Severus meritava di dover fare una cosa simile per salvare me e ridursi così.» Singhiozzò a denti stretti. Poi si lasciò definitivamente scorrere un fiume di parole basse fra le labbra. «Quando l’ho visto cadere dalla torre mi sono sentito morire con lui mentre tutti attorno a me volevano solo che gioissi. Ho un marchio indelebile sulla pelle che faccio di tutto per ignorare ma non posso levarmi di dosso. E provo vergogna ogni giorno di più, Potter e ansia, all’idea di sentirlo un giorno tornare a fare male.» si sfogò col viso arrossato dallo sforzo di non alzare troppo la voce, di non piangere troppo apertamente mentre si grattava nervoso l’avambraccio da sopra la manica della camicia. «M-mi dispiace. Mi dispiace anche di questa scena patetica, ma non ho nessuno con cui parlarne.»
Harry scosse piano il capo.
«Di queste cose di solito si parla con gli amici e visto che ormai lo siamo.» ironizzò tenue. «Lo so come ti senti. Ora lo capisco meglio. Non avevi molta scelta. Stavi proteggendo la tua famiglia e te stesso. Non sei l’unico che porterà sulle spalle questi pesi, anche io ne ho parecchi.» ammise dolente.
«Tu?» gli fece incredulo Draco, calmando a fatica le lacrime e il movimento delle dita.
«Sì. A partire da Sirius, sino a tutti coloro che non sono riuscito a proteggere. O che sono morti nei mesi che ci ho messo a scoprire la verità sul mio destino. Tutti quelli che ci hanno rimesso perché non ho seguito i consigli di chi era più saggio di me.» ammise contrito.
Draco abbassò lo sguardo.
«Non pensavo.» mugugnò e tirò su col naso. «Prima o poi passa, Potter? Perché dicono che il tempo cura tutto, ma io più tempo passa e peggio mi sento.» ammise, demotivato.
Harry lo lasciò andare appena i singhiozzi cessarono, ma gli tenne una mano appesa alla spalla in una presa solida.
«Chi ha detto quella cosa sul tempo mentiva. Sì, cioè, alcune cose fanno meno male, ci pensi meno ma non te le dimentichi mica. Però alla fine si trova sempre modo per tirare avanti. Lo dobbiamo alle persone che non ce l’hanno fatta, il goderti la vita che hai avuto salva. Ma per il resto, non sei da solo, Malfoy.» gli ricordò, con decisione.
Draco ormai rosso in faccia, emise un ultimo piccolo singhiozzo insieme ad uno stentato:
«Grazie, Potter.»
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Oblivion ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 


«Sev, ormai sei fissato ormai con quel ragazzo. Non puoi lasciar perdere?» Lily suonava esasperata.
Stavano facendo una passeggiata in un punto tranquillo del giardino ad Hogwarts, lontani da occhi indiscreti.
«No che non lo lascio perdere.» insistette Severus. «Ha qualcosa di strano, ormai sono cinque anni che ci abbiamo a che fare, non puoi dirmi che ti bevi davvero la storia dell’essere cagionevole. Secondo me è vittima di una maledizione.»
Lily fece un sospiro pesante.
«Non sono affari nostri Sev. È un bravo ragazzo, migliore di Potter, Black e Pettigrew di sicuro.»
«E se fossero proprio quei tre maiali a fargli del male?»
Lily lo guardò sorpresa.
«Che c’è, stai cadendo anche tu vittima del fascino di Lupin?»
Severus sgranò gli occhi e arrossì un po’.
«Cosa vuol dire anche io? Che sciocchezze dici?»
«Beh, è piuttosto carino anche se malconcio. Qualcuna dice che le cicatrici gli donano in realtà, sono affascinanti.» ridacchiò.
«Stai scherzando, vero?»
«Sì e no.» ammise. «Dai Sev, ti prendevo un po’ in giro.»
«Piantala, di grazia. Odio quando fai così. Voglio scoprire cosa nasconde Lupin e basta, ormai sono deciso, non c’è nessuna attrazione o altre schifezze del genere.»
«Beh sei tu che ti sei detto preoccupato per le sue condizioni, che fosse vittima di quei tre.» gli fece notare sorniona.
Severus abbassò lo sguardo, imbarazzato.
«Non è male come persona. Ogni tanto ci parlo, quando Potter e Black sono fuori dalle scatole ovviamente. Se quei tre lo maltrattano qualcuno deve fermarli e punirli, una volta per tutte.»
«Sev, guarda che lo so che ogni tanto vi vedete.» sorrise sorniona Lily. «Mi ha detto che qualche volta avete studiato insieme e che gli dispiace che tu non voglia essere suo amico.»
«Finché va dietro a quelli.» si giustificò irritato.
«Sono amici e lo proteggono, è normale che gli vada dietro. Non credo gli facciano del male, quindi mettiti l’anima in pace e lascia stare, ok? Prima di finire nei guai come al solito.» sospirò la ragazza.
Severus non fece in tempo a risponderle, che dalla distanza una voce lo richiamò baldanzosa.
«Ehi, Snivellus!»
Era Sirius Black, che con un ghigno poco rassicurante stava risalendo lungo il sentiero.
Severus mise mano alla bacchetta e Lily si parò davanti a lui preventivamente.
«Black, a cosa dobbiamo il piacere?» lo richiamò sarcastica.
«Evans, devo conferire con Snivellus.» annunciò quello tronfio e sornione. «Puoi gentilmente tornare al castello? Prometto che te lo restituisco intero e non affatturato.»
Severus fece uno sbuffo aspro.
«Come se fossi in grado di combinare qualcosa senza Potter e Pettigrew a coprirti.»
«Oh no, col cavolo che vi lascio soli voi due!» obiettò Lily.
«Snivellus dille qualcosa, avanti. Siamo al quinto anno ormai, dovresti iniziare a staccarti dalla gonnella della mammina.»
A frenare il gesto con cui Severus stava per puntargli la bacchetta contro fu Lily, che rimase ostinatamente in mezzo a fare da scudo umano.
«Finitela voi due. Qualsiasi cosa tu gli debba dire puoi dirla anche qui.»
Severus, furente, indietreggiò di mezzo passo e scartò di lato.
«Torna al castello, me la vedo da solo.» le ordinò.
«Sicuro?» chiese lei fissandolo turbata.
«Ecco, bravo, finalmente una scelta dignitosa.»
Severus guardò Lily negli occhi con aria mortalmente seria e lei sbuffò, risentita.
«Se non tornate dentro entro quindici minuti avviso la McGonagall.» minacciò.
Sirius ridacchiò, Severus annuì e la ragazza se ne andò, guardinga.
Black si avvicinò all’altro con lo stesso ghigno divertito con cui era arrivato.
«Sputa il rospo.» lo spronò il serpeverde.
Il sorriso di Sirius si fece addirittura più sinistro.
«Mi sto rendendo conto che ormai la faida fra noi è andata avanti troppo a lungo, Snive … Snape.» si corresse. «Voglio offrirti uno spunto di pace.»
«Perché?» obiettò scettico.
«Te l’ho detto, mi sono stancato di questo clima.»
«Balle. Sei un pessimo bugiardo, Black. Dimmi cosa vuoi.»
«Ok, ok.» rise l’altro con leggerezza. «Ero sincero in parte. Voglio farti un favore. Mi sono accorto di cosa sta succedendo fra te e Remus, pensate siamo tutti ciechi?»
Severus sgranò gli occhi.
«C-cosa? Non sta succedendo proprio niente fra me e Lupin.» ringhiò infastidito. «Che diamine avete tutti oggi con queste insinuazioni malate?»
«Eh?» Black sembrava perplesso. «Malate?»
«Sì. Dire ad un maschio che è ossessionato da un altro maschio è … disgustoso e perverso.»
Sirius lo fissava come se avesse due teste.
«Perché mai?» ma prima che l’altro potesse rispondere gli fece cenno di lasciar perdere. «Non lo faccio per te. Lo faccio per Remus. Gli pesa non poter essere amico tuo, è ovvio. Per quanto l’idea mi faccia raccapriccio comunque è mio amico e voglio che sia felice.»
«Quindi? Sei venuto qui per darmi la tua benedizione?» sibilò il serpeverde, sempre rigorosamente diffidente.
«Sì, in un certo senso. E per dimostrarti che sono sincero ti svelerò un piccolo segreto.»
Severus si fece silenzioso, estremamente attento.
«Questa notte faremo una festa per tirare un po’ su di morale Remus, che s’è di nuovo sentito male stamane. Voglio che venga anche tu, sarai la sorpresa che lo tirerà su.»
Severus arrossì leggermente, fissando a terra con aria confusa.
«Se sta male come farete a fare una festa? In infermeria?» bofonchiò scettico.
«Non è ridotto così male, e ha già preso la medicina, entro stanotte starà meglio. Non andremo in infermeria, ma in un posto più … riservato. Questa è la prova che non sto mentendo, Snape: ti sto invitando in un luogo davvero esclusivo.»
«È dove sgattaiolate spesso la notte?»
«Sì. Per arrivare al punto giusto devi percorrere un sentiero nascosto, non lo conosce nessuno a parte noi, dunque tienitelo per te.» si raccomandò mortalmente serio. «L’ingresso si trova alla base del Platano Picchiatore. C’è un punto fra le radici a Nord, che se premuto paralizza i rami impazziti. Ti basterà far volare un sasso abbastanza pesante fra i nodi alle radici e lo troverai facilmente.»
Severus lo fissava dritto negli occhi con aria tesa.
«Non ti credo.»
Sirius fece un sospiro pesante e alzò le mani in segno di resa.
«Beh, io ci ho provato. Se vuoi tentare, stanotte saremo lì.» concluse con una smorfia sprezzante, quasi di sfida. «Ci si vede, Snape.»
Calò un buio innaturale mentre Black si allontanava e poi la scena cambiò del tutto. Era notte.
Stava percorrendo il passaggio per la Stamberga Strillante, in una corsa ansiosa col cuore in gola. Arrivato allo sbocco avanzò guardingo nell’ambiente distrutto, polveroso e mal illuminato. Rimase in silenzio a lungo limitandosi a camminare cauto fra gli ambienti, finché un dettaglio emerse dal buio e lo gelò sul posto. Due occhi gialli lo puntavano dal fondo di una sala, e in quel punto sentì uno sbuffo, un ringhio animalesco e poi il fiato di una creatura ben più grossa di lui iniziare a scaldarsi. Era un lupo grigio enorme, che tirò su la testa e iniziò a ringhiare prima di scattare verso di lui.
«N-no.» si era ritrovato a guaire pianissimo, la mano ancora stretta sulla bacchetta spenta.
Il lupo in due balzi gli fu addosso, così bruscamente da farlo cadere rovinosamente a terra di schiena. Spalancò le fauci e fu in quel momento che un raggio di luce rossa ruppe il semibuio polveroso, colpendo la bestia in mezzo agli occhi. L’animale cadde su un fianco guaendo stordito e più furibondo di prima.
«Snape!» la voce di James Potter, carica di allerta, gli giunse alle spalle.
Si voltò, pallido e terrorizzato e vide il Grifondoro corrergli incontro.
«Vieni via, muoviti!» gli ruggì contro acchiappandolo per un braccio per tirarlo sù a forza.
Severus non disse una sillaba, si lasciò trascinare in una corsa a perdifiato insieme all’odiato bullo finché non furono fuori dal passaggio. James lo portò oltre il raggio d’azione del platano picchiatore e poi bloccò la via.
«Sei tutto intero?» mormorò ansante Potter. Gli occhi dietro le lenti erano sgranati di terrore.
Severus annuì, sotto shock.
Il mondo divenne nero ancora una volta e quando tornò a vedere si trovava al cospetto di Dumbledore e la McGonagall riuniti nell’ufficio del primo. C’erano anche Sirius e James, muti e intenti a subirsi una profusa lavata di capo dalla direttrice di Grifondoro.
I due vennero puniti con una quantità di punti in meno da cui difficilmente si sarebbero ripresi entro fine anno e a porre fine al soliloquio rabbioso della McGonagall fu solo l’invito stanco ma gentile del preside a portare via i due studenti nella torre di Grifondoro.
Una volta rimasto solo con Severus, che aveva fatto scena muta atterrito, Dumbledore gli si mise a sedere accanto, stemperando l’aria funerea di prima in favore di uno sguardo apprensivo.
«Severus. Immagino non sia la domanda più inattesa e brillante del mondo ma: come stai?» gli chiese basso.
«Male.» ammise il ragazzino, che non fu capace di tenersi dentro un singhiozzo ed un pianto nervoso. Si nascose il volto arrossato fra le mani.
«Lasciale uscire, non preoccuparti.» gli consigliò gentilmente. «È assolutamente doveroso dopo ciò che hai visto, non reprimerle.»
Severus si lasciò andare, ma l’emozione che venne fuori fu una graduale collera che lo fece scattare in piedi.
«Come ha potuto?!» gli gridò contro.
«Fare cosa, Severus?»
«Far entrare a scuola un mostro!» ringhiò con gli occhi colmi di lacrime. «Ha tradito la nostra fiducia!»
«Remus non ha colpa di ciò che è e che gli è capitato da bambino, Severus. Impedirgli di ricevere un’istruzione sarebbe stato un atto crudele quasi più della sua malattia.»
«Non è una malattia è … è …» non riusciva a tirar fuori altro.
«Hai ragione. Una maledizione, ma possiamo vederla più come un malanno incurabile con cui si deve convivere.» sospirò Dumbledore, facendogli cenno di tornare a sedersi accanto a lui, sulla poltrona comoda che aveva fatto apparire per tutti e tre gli studenti poco prima.
«No. Io. No.» singhiozzò Severus. «Deve espellerli, tutti e tre! Volevano ammazzarmi!»
«Non credo fosse il loro intento. Non di Potter e Lupin almeno.» sospirò l’uomo, col suo placido sarcasmo.
«Li espella o lo dirò a tutti, domani, che c’è un mannaro nascosto ad Hogwarts!» lo minacciò il ragazzino, tirando su col naso.
Quando vide il volto del preside farsi scuro, mortalmente severo, impallidì e si morse la lingua. Chiuse gli occhi quando lo vide sollevare una mano, manco si aspettasse un ceffone come i tanti che suo padre gli aveva rifilato in passato. Lo schiaffo non arrivò. Al suo posto ricevette una leggera carezza su una spalla, un gesto di consolazione a cui era così poco abituato che scoppiò a piangere più forte.
«Perdonami Severus. Quello che ti è accaduto oggi è in gran parte colpa mia. Ma non intendo allontanare da Hogwarts nessuno di quei ragazzi, specialmente non Remus, che quando verrà a sapere quello che è successo stanotte sono sicuro ne sarà profondamente addolorato.»
Il serpeverde si ritrovò ad ammorbidire un po’ l’espressione. I suoi occhi carichi di lacrime erano dispiaciuti. Cercò di calmarsi, e Dumbledore gli offrì un fazzoletto con cui tamponarsi il viso.
«Ho bisogno che tu mi faccia una promessa, Severus.»
L’uomo lo guardava intensamente negli occhi.
«Devi tenere per te il segreto di Lupin. Concedigli di finire la scuola e provare a vivere una vita il più normale possibile, come te e tutti gli altri ragazzi. Non cacciarlo via da quella che è diventata ormai la sua casa così come lo è per te.»
Severus abbassò lo sguardo, profondamente amareggiato. Rimase in silenzio per diversi attimi e alla fine decretò:
«Non lo dirò a nessuno. Ma ad una condizione.»
«Ti ascolto.»
«Deve eseguire un incantesimo di memoria su di me.» disse con fermezza, rialzando gli occhi scurissimi in faccia al preside. Erano arrossati, lucidi, ma decisi.
Dumbledore si accigliò.
«Dimenticare questa esperienza potrebbe portarti a ricalcare gli stessi passi e ripeterla, Severus. So che sei troppo intelligente per chiedermi una cosa simile, dunque a cosa ti riferisci?»
«Voglio dimenticare un sentimento.»
Dumbledore lo fissò con una calma perplessità.
«Quale?»
«La … la sciocca attrazione che provo per Lupin.» ammise fissandosi le ginocchia con aria colpevole, profondamente umiliato. «Se sono finito in questa trappola è colpa anche di quel sentimento. Non lo voglio.»
Dumbledore distese l’espressione, un moto di comprensione poco lieta in volto.
«Oh Severus. Non posso farti una cosa così atroce.»
«Atroce?» sbottò il ragazzino. «Atroce è provare questa dannata infatuazione per un altro ragazzo. Un mannaro, per giunta.»
«Perché dici così? La sua natura di ragazzo e di licantropo non lo rende forse degno di essere amato?»
«A-amore?» balbettò teso.
«Amore, affetto, in qualsivoglia sfumatura qualcuno possa provare per lui. Perché vuoi privati e privarlo di una cosa così bella?»
«Non ci trovo niente di bello. E mi sento tradito.» tornò a piangere Severus, stavolta piano, con una tristezza rassegnata. «Non intendo soffrire ulteriormente. Finirà esattamente come con Lily. Resterò solo, lo so. Perché perdere tempo a illudersi?»
Dumbledore lo guardò con una profonda pena e gli occhi velati da un lucore triste. Gli sollevò con delicatezza il viso, cercandone ancora lo sguardo.
«L’Oblivion non durerà per sempre, Severus. La forza di un sentimento capace di farti piangere di disperazione verrà a galla prima o poi.»
Severus lo guardò con una sofferenza identica negli occhi.
«Lei è il mago più forte di tutti i tempi. Il suo Oblivion non cederà di fronte ad una cotta adolescenziale.»
«Mi lusinga molto il tuo giudizio, Severus. Ma anche ammesso che sia così, prima o poi morirò ed è altamente probabile che col tempo la forza dell’incantesimo vacilli.»
«Lei morirà quando io sarò vecchio e sarò abbastanza saggio da superare tutto questo.» insistette ostinato il ragazzino. «Lo faccia. La prego. Non posso resistere così.»
«Severus, non pensi che valga la pena provare a … »
«NO!» urlò l’altro fra rabbia e disperazione. «Lo faccia o andrò a parlare di quanto successo con tutti i Serpeverde stanotte stesso!» due singhiozzi gli scossero il petto e aggiunse un lamento più basso. «La prego.»
Dumbledore emise un sospiro addolorato, rassegnato. Riluttante impugnò la bacchetta e la puntò con un gesto elegante contro il capo del Serpeverde.
«Severus. Pensa intensamente a tutto ciò che di lui e dei tuoi sentimenti per lui vuoi dimenticare.» mormorò, tristemente.
Il ragazzino chiuse gli occhi. La cioccolata, i sorrisi, lo studio insieme, i piccoli tentativi nascosti di amicizia reciproca gli sfilarono davanti in un pochi attimi. L’affetto, il senso di empatica comprensione della solitudine dell’altro ragazzo. Quel germoglio d’amore. Tutto venne spinto come da un abile colpo di scopa sotto il tappeto più remoto della sua mente e celato.
Severus spalancò gli occhi. Era sudato, febbricitante, sconvolto. Sdraiato sul suo letto al San Mungo, la prima cosa che vide fu una figura sdraiata sulla poltroncina lì accanto. Remus Lupin, stremato e addormentato.
«No.» mormorò pianissimo, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime e orrore. «No, no, no.» Sollevò a fatica la mano sinistra per piazzarsela sulla bocca, trattenere i singhiozzi e piangere in silenzio.





Dopo l’ultimo incubo di Severus, le sue condizioni fisiche iniziarono a migliorare. La febbre calò nel giro di pochi giorni e i sogni tormentati terminarono improvvisamente. Verso metà giugno riusciva a stare seduto per qualche ora senza supporti e mangiare cibi solidi, ma non era ancora capace di impugnare la bacchetta con la mano dominante né eseguire incantesimi. In quelle settimane aveva ricevuto poche visite perché aveva chiesto espressamente ai medimaghi di rifiutare ogni persona che chiedesse di lui. L’unico che riusciva a intrufolarsi dopo mille insistenze era Remus.
Una di quelle mattine infatti, il licantropo bussò alla sua porta e si presentò con il vassoio della colazione svolazzante a mezz’aria.
Severus si mise lentamente seduto, squadrandolo accigliato.
«Come riesci a convincerli a farti entrare ogni volta?»
«Con la gentilezza e la promessa che ti porterò io il cibo.» gli rispose con un paziente sarcasmo. «Buon giorno anche a te comunque. Come ti senti oggi?» 
L’uomo gli scoccò un’occhiata seria, colma di malumore. Le brutte ferite al collo erano ancora fasciate, il gonfiore e il rossore al viso si erano attenuati e lentamente i capelli avevano cominciato a ricrescere, ma il viso era ancora ben spoglio dell’usuale cortina unta.
«Meglio. Infatti reputo queste visite superflue. Sono fuori pericolo, puoi anche evitare di venire.»
Remus sospirò pazientemente, un po’ intristito e gli fece atterrare morbidamente il vassoio sulle gambe.
«Severus.» iniziò a dire, mettendosi a sedere stanco sulla poltrona accanto al letto. «Non credi che sia arrivato il momento di lasciar andare i vecchi rancori? Dopo tutto questo tempo e dopo tutto quello che abbiamo vissuto di recente. Non possiamo finalmente essere … » esitò, ma poi lo guardo in faccia con aria risoluta. « … amici?»
Il pozionista incassò con un’impennata netta nei respiri. L’espressione si colorò subito di una nota aspra.
«Hai sempre avuto questa strana compulsione di circondarti di amici, di piacere a tutti.» mormorò basso e ostile. «Ne hai così pochi da doverti ridurre a frequentare me?»
Remus inarcò un sopracciglio, ma poi sciolse l’espressione in un sorriso amaro.
«Non hai tutti i torti, Severus. Sin da bambino volevo che tutti fossero miei amici perché non ne avevo mai avuti dopo ciò che mi aveva fatto Fenrir.» ammise, la voce calma e debole. «Si desidera ciò che non si può avere, no?»
«E tutti questi anni di solitudine non ti hanno insegnato ad abituarti e smettere di inseguire gli sciocchi desideri d’infanzia?»
Remus gli ripropose lo stesso sorriso di prima.
«Non sono bravo come te ad allontanare tutti. Vorrei esserlo, con alcuni, ma non ci riesco.»
Severus trasse un sospiro lento.
«E perché mai ti stai impuntando proprio con me, dunque?»
Il licantropo si fermò a pensare, preso in contropiede dalla semplice domanda.
«Ti devo delle scuse da una vita, Severus. Scuse che non ho mai trovato la forza di farti, ma che forse avrebbero potuto cambiare tantissime cose del nostro passato e presente. Forse è questo ciò che mi porta a tornare da te ogni volta che posso.» ammise, cercandone lo sguardo, attento.
Snape non lo ricambiò, occhi bassi sulle uova strapazzate, il pane tostato e la frutta pazientemente tagliata. Fissava tutto con un disprezzo amaro, ma non lo interruppe.
«Voglio chiederti scusa, dirti che mi dispiace di non averti mai difeso né aver mai provato a fermare James e Sirius, quando ti davano il tormento. Ero reso vigliacco dal bisogno compulsivo - come dicevi - di compiacerli e tenermeli stretti. Gli volevo bene ed erano la mia ancora di salvezza in un mondo altrimenti infelice e solitario. Mi accettavano per quello che ero. Ma anche tu meritavi qualcuno che ti volesse bene e … beh, lo meriti ancora.»
Severus strinse la mascella mentre un rossore sgradevole gli risalì alle guance. Emise uno sbuffo rabbioso.
«Molto bravo a fare discorsi, Lupin. Lo ricordi vero che è colpa mia, se Lily e James Potter sono morti? E di conseguenza tutti quelli dopo di loro? Lo ricordi che sono stato un Mangiamorte convinto per un decennio? Ti ricordi che sono un assassino?»
«Lo ricordo, sì.» ammise Remus chiudendo gli occhi. «E se questa è la tua obiezione perdonami ma è debole. La tua pena la stai scontando, è palese. Così come è ovvio che sei pentito di ciò che eri e hai fatto davvero tutto il possibile per rimediare. Pensi che riuscirai mai a perdonare me, James e Sirius? O anche solo te stesso? O intendi vivere di rimpianto e rancore fino all’ultimo dei tuoi giorni?» Remus riaprì gli occhi, guardandolo con una tesa compassione.
Il pozionista quasi tremava e lo guardò a stento.
«Smettila. Sta zitto.» sibilò a denti stretti.
«E se non volessi smetterla?» si impuntò l’altro.
«Vattene.» un altro sibilo.
«Severus, per favore … »
Il moro sgranò gli occhi fissandolo con un moto profondo di orrore e allerta.
«VATTENE VIA! NON MI SERVE LA TUA PIETA’ NE’ LA TUA AMICIZIA PIETOSA, LUPIN! NON VOGLIO AVERE NIENTE DA SPARTIRE CON UN LICANTROPO E NON VOGLIO PERDONARE PROPRIO NESSUNO! LASCIAMI IN PACE!» urlò scaraventando a terra il vassoio e il suo contenuto.
Remus sussultò, restò fermo qualche istante, manco quel vassoio l’avesse preso in faccia. Poi socchiuse gli occhi, dolente. Con un colpo paziente di bacchetta rimise in ordine e pulì a terra. Posò il vassoio vuoto sul comodino accanto al letto e fece sparire il cibo rovinato. Si alzò quindi in piedi e senza dire altro né guardare Severus uscì dalla stanza con un’aria profondamente sconfitta, umiliata.
Severus tornò a sdraiarsi. Tremava dal nervoso, la fronte imperlata di sudore, il respiro svelto come avesse corso.
Chiuse gli occhi e mormorò senza voce.
«Mi dispiace. Mi dispiace tanto. È per il tuo bene.»

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Accordo ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 


Giugno passò con una lentezza calda e uggiosa. Severus era rimasto in gran parte da solo a godersi i suoi lentissimi progressi fisici, accudito dai guaritori a cui aveva rimarcato aspramente la richiesta di non far passare alcun visitatore. Una mattina di inizio luglio però, ricevette una persona che non accettò in nessun modo il divieto di incontrarlo.
Era seduto a letto, debole ma ormai capace di stare su senza sostegni, il collo ancora fasciato da una benda leggera. Aveva tenuto i capelli corti in vista dell’estate.
La porta della sua stanza si aprì dopo due colpi di nocche gentili e la figura composta e slanciata di Minerva McGonagall fece il suo ingresso.
«Buon giorno Severus.» lo salutò con un modesto sorriso tiepido, squadrandolo da capo a piedi.
«Buon giorno Minerva.» ricambiò lui, serio, indicandole la poltrona lì accanto. «Prego. Non ho di meglio da offrire.»
«Sono stata su sedute più scomode.» ironizzò placida, accomodandosi. Poi si fece più seria e chiese cauta. «Come ti senti?»
«Meglio.» rispose apatico.
«Meglio.» ripeté lei inarcando un sopracciglio. «Tutto qui? Non ne sembri nemmeno un po’ lieto.»
L’uomo strinse la mascella.
«Ah no?»
L’altra sospirò e lo fissò dritto negli occhi.
«Severus, capisco che il senso di colpa sia un veleno anche più robusto di quello che ti ha lacerato la carne.»
«Ma?» chiese lui scettico.
«Non c’è nessun ma.» sbuffò lei, serissima. «O meglio, che ci sia o meno un “ma” a dare un proseguo a quella frase dipende solo da te. Sono quindi venuta a trovarti per due ragioni, ed una delle due contempla proprio un enorme “ma”.»
Severus non rispose, abbassando lo sguardo e facendole cenno col capo di proseguire.
«La prima è perché volevo vedere come stavi, ovviamente. La seconda è perché volevo capire che intenzioni avessi per il tuo futuro.»
«Il mio futuro?» mormorò amaro.
«Sì, Severus. Quello che intendi fare del resto della tua vita. Il futuro. O forse mediti di stare qui seduto fino a che non avrai i capelli grigi?» 
«Non avreste dovuto salvarmi.» mormorò lui a denti stretti.
«Eppure ti abbiamo salvato. E sono ben di più a questo mondo le persone liete che tu sia vivo, di quelle che non lo sono. Qualsiasi sia il peso della tua pena è ora di cominciare a lasciarlo andare, non credi?» Fece una pausa, le labbra strette in una linea severa. «Parlami, per favore. Dimmi come ti senti, non solo fisicamente.» lo guardava con apprensione genuina.
Severus esitò a lungo, gli occhi bassi e arrossati si fecero un po’ lucidi.
«Ho ucciso Dumbledore. Causato la morte di Lily e tanti altri. La mia anima è in pezzi, non ho la forza di andare avanti.» ammise a bassa voce. «Ho assolto al mio compito per cercare di rimediare al danno che ho compiuto alleandomi con Voldemort da giovane e spifferandogli quella profezia. Il pensiero che quello fosse un nodo ineluttabile del destino, e che alla fine sia stato annientato, non riesce a darmi che pochissimo sollievo. Morire sarebbe stata la giusta fine per me.» concluse funereo.
La preside trasse un respiro lento e andò a stringere le dita esili e rugose sulla spalla più vicina dell’uomo.
«Severus, guardami.» ordinò seria. L’altro obbedì. «Avere una vita da vivere è un lusso, dopo una guerra. Puoi provare a cambiarla, a trovare uno scopo e lottare ancora per ciò che credi sia giusto. Puoi fare ancora del bene, costruire qualcosa, curare la tua anima pezzo per pezzo. Il mondo non è finito, le arti oscure non si sono estinte: c’è ancora da combattere e ci sarà sempre. Morendo lasceresti un vuoto doloroso nei cuori di tante persone, oltre a perdere la chance di fare ancora qualcosa della tua vita. Ed anche se tragicamente sei l’unico a pensare il contrario, te la meriti la vita. Se proprio ti aiuta a tirare avanti vedila come un’altra pena da scontare.» concluse con una fiacca ironia.
Severus non riuscì a trattenere le lacrime, che scesero silenziose. Nascose il viso dietro una mano e la preside, turbata ma non sorpresa, gli sfiorò la spalla in un composto gesto di vicinanza.
«Che cosa posso fare, Minerva?» mormorò.
«Tornare a insegnare, ad esempio.»
Il pozionista rialzò il capo, guardò la preside negli occhi con una vena di incredulo dolore.
«Insegnare? Io?» inghiottì a vuoto.
«Certo.»
«Dopo tutto ciò che ho fatto? Sono un assassino, Minerva: vuoi che un omicida col marchio nero insegni nella tua scuola? Il comitato non lo permetterebbe.» mormorò amaramente.
«Credi di essere l’unico che ha spezzato una vita in guerra, Severus?» obiettò lei, fissandolo con indulgenza. «Il comitato non è più quello di prima. Puoi star certo che nessuno avrà niente da obiettare e se a qualcuno non andrà bene potranno tranquillamente portare i loro figli in un’altra scuola.» concluse, altera.
Severus si asciugò gli occhi con l’unica mano che gli funzionava bene, la destra era immobile distesa al fianco. Rimase diversi attimi in un silenzio meditativo, e alla fine mormorò.
«Pozioni.»
La preside sorrise tiepida ma sollevata.
«Saresti stato un eccellente insegnante di Difesa, ma per fortuna ho già un nome per quella posizione. Se dovesse servirti un aiuto nel caso in cui il tuo corpo fosse ancora troppo debole, chiederò il supporto del professor Slughorn per il tempo che servirà.»
Severus le scoccò un’occhiata interrogativa.
«Chi insegnerà Difesa?»
«Remus Lupin.» sorrise affabile la McGonagall, il tono serio e orgoglioso.
Severus la fissò confuso manco avesse ricevuto uno schiaffo.
«Non teme polemiche e problemi? Ormai la sua natura è di pubblico dominio.» chiese tornando a fatica alla consueta freddezza. Aveva il respiro leggermente accelerato.
«No, Severus. Come per te, non le temo per lui. Ci saranno? Poco ma sicuro. Le ascolterò? No. Ho il supporto del Ministero e tanto mi basta, stesso discorso di prima. A chi non piacerà, beh … esistono altre scuole di magia e stregoneria in Europa.» sbuffò stizzita.
Il pozionista annuì debolmente e la donna proseguì.
«A tal proposito, volevo chiedere la tua disponibilità a preparare mensilmente la pozione Antilupo, per consentire a Remus di trascorrere il plenilunio in tutta serenità e ovviamente in sicurezza per gli studenti. Sarai in grado di farla per fine settembre?»
«I guaritori sono pronti a dimettermi entro il fine settimana. Per settembre sarò in grado di insegnare e fare pozioni, presumo. In caso contrario mi avvarrò dell’aiuto di Slughorn.» spiegò, sebbene con una smorfia sul finale.
«Molto bene, ma … dimetterti così presto?» mormorò dubbiosa.
«Sì. Ormai sono fuori pericolo, ho chiesto loro di affrettarsi a lasciarmi andare.»
«Significa che sei già in grado di impugnare una bacchetta e difenderti? Di provvedere a te stesso per ogni bisogno basilare come cucinare e così via?» chiese fra lo speranzoso e lo scettico. «Ti prego di non mentirmi.»
«No. Ma mi arrangerò.»
«Severus!» la donna rizzò la schiena, in volto un’espressione arcigna di rimprovero. «Lo sai bene che rischi corri, con gli sgherri di Voldemort ancora in giro. Sanno dov’è casa tua e-» venne interrotta da un bussare gentile alla porta.
«Avanti.» rispose prontamente Severus, ma quando la porta si aprì e vide chi stava entrando strinse i denti e inspirò più forte.
Remus Lupin, visibilmente affaticato e indolenzito, fece la sua comparsa sull’uscio rivolgendo ai due un sorriso di circostanza.
«Buongiorno. Snape. Minerva. Passavo di qui e mi hanno detto che eri passata a trovarlo così … » spiegò fiacco. Camminava lentamente, aveva un braccio fasciato e l’aria instabile. 
«Oh.» sussultò la donna. «Ieri era plenilunio. Come stai?» gli fece cenno di entrare, poi sdoppiò la poltroncina su cui era seduta e gliela indicò.
«Sono stato meglio, ma anche peggio.» sospirò fiaccamente ironico il licantropo, che andò a sedersi di buon grado. «Nulla di grave, mi hanno prestato tutte le cure necessarie e potrò tornare a casa in mattinata.» spiegò mentre di tanto in tanto sbirciava Severus, mai in volto.
La preside emise un sospiro lento, rassegnato.
«Capiti proprio a fagiuolo, comunque.» 
Severus squadrava fisso Remus, visibilmente teso e accigliato, mentre Minerva prese a spiegare concitata.
«Non è ancora in grado di difendersi né provvedere a sé stesso ma vuole farsi dimettere e tornare a casa da solo! Non posso accoglierlo ad Hogwarts fino all’inizio della scuola, non è agibile finché gli Auror non avranno ultimato i controlli per rimuovere eventuali residui di maledizioni e magia oscura.»
Remus si fece teso nella sua stanchezza, lo sguardo basso.
«Posso capire che voglia tornare in un luogo familiare ed anche i medimaghi sostengono che le dimissioni gioverebbero alla sua salute generale.» tentò, conciliante. Esitò ma poi si rivolse a Severus, fissandogli il petto, mai oltre. «So che Minerva intendeva offrirti la cattedra di Pozioni, hai accettato?»
L’uomo annuì con un “mh-mh” a labbra chiuse.
«Quindi si tratterebbe di trascorrere solo luglio e agosto in casa sua a riposare. Potremmo fare dei turni di guardia noi dell’Ordine.»
«Non sarà necessario.» intervenne secco, il pozionista.
«Oh per favore.» lamentò la McGonagall. «Certo che sarà necessario.»
«No.» insisté orgoglioso. «Basteranno alcuni incanti protettivi sul perimetro esterno. Se qualcuno varcherà il loro confine avrò il tempo di scappare con la metropolvere.»
Sebbene la donna non sembrasse affatto convinta, Remus tornò a dargli man forte.
«Non ha tutti i torti, Minerva. Magari … ho un’idea. Una via di mezzo per i primi tempi.» spiegò pensieroso.
Severus lo guardò dubbioso e curioso ma non lo interruppe.
«Finché non sarai in grado di tornare ad impugnare la bacchetta agevolmente verrò a trovarti di tanto in tanto. Ti porterò il necessario, mi assicurerò tu abbia da mangiare e darò un’occhiata in giro, nulla più.»
Severus si irrigidì, poi fece un sorriso affilato.
«Fantastico. Avrò un licantropo come elfo domestico?» sibilò acido.
«Esatto. Ma senza scomodare gli elfi di Hogwarts, che hanno già il loro bel da farsi coi preparativi per l’anno nuovo.» rispose l’altro, con un sorriso amaro. «In cambio, visto che ormai ti conosco e so che non ami sentirti in debito né tolleri di ricevere aiuto, mi insegnerai a produrre un’accettabile pozione Antilupo.» concluse con un sospiro profondo, manco il solo parlare l’avesse sfiancato. Guardò alternativamente il pozionista e la preside, in attesa di pareri.
«Mi sembra senz’altro più accettabile della completa solitudine.» decretò Minerva, titubante. «Tu cosa ne pensi, Severus?»
L’uomo fissava da un lato con la mascella contratta, ma mentre la sua bocca stava già per pronunciare un no, Remus gli parlò sopra.
«Ah, volevo chiarire una cosa rispetto al nostro ultimo incontro e scambio, Snape. Non era la pietà a farmi tornare qui da te a vegliarti e controllarti. Così come non è la pietà a motivare la mia proposta attuale.»
«Ah no?» sibilò l’altro.
«No. È il rispetto.» affermò Remus con un sorriso sincero. «Ammiro il tuo coraggio, la tua forza e intelligenza. E sei praticamente l’ultimo degli amici, no perdonami, dei compagni dei tempi della scuola che mi è rimasto in vita.» concluse con un sorriso rassegnato. «Anche se mi disprezzerai a vita questo non cambierà la stima che provo per te. Ti aiuterò sempre, che ti piaccia o meno.» il sorriso svirgolò verso una marcata ironia.
Severus chiuse gli occhi, sembrava irritato, ostile.
«Va bene. Fa come vuoi.» decretò secco.
«Oh, bene.» sospirò e sorrise la McGonagall. «Lieta che si sia trovato un accordo. Andrò subito a parlare col Ministro Shacklebolt dunque. Predisporremo gli incantesimi di protezione necessari e ti scorteremo per il ritorno a casa fra una settimana.» concluse decisa.
Severus annuì, Minerva gli toccò ancora la spalla sana in una carezza incoraggiante.
«Rimettiti al meglio, Severus. Ricorda ciò che ti ho detto.» si raccomandò, prima di dirigersi alla porta.
Remus esitò ma alla fine si alzò pochi istanti dopo e, offerto un saluto un po’ rigido, si congedò anche lui.
Snape tornò a sdraiarsi lentamente, gli occhi fissi sulla porta appena chiusa dal mannaro. Si accostò la mano sinistra al petto, all'altezza del cuore e artigliò la stoffa della maglietta.
«Debole.» mormorò a sé stesso, disgustato.






Il maniero Malfoy era splendido come sempre sotto i raggi moribondi del pomeriggio. Tirato a lucido in ogni sua porzione, sulle vetrate delle belle finestre c’era il riflesso dei giardini floridi e di un orizzonte che prometteva un bel tramonto vivace di inizio Luglio. Nel salone principale emersero una ad una fra le fiamme della metropolvere le figure dei tre padroni di casa. Lucius camminò nervoso reggendosi al bastone da passeggio, per mettere più distanza possibile fra la moglie e il figlio che stavano arrivando subito dopo. Tutti e tre erano vestiti elegantissimi in completi pregiati, i due maschi di nero e argento, Narcissa di un sontuoso rosso scuro. 
Quando Draco accennò a svignarsela verso le scale, mentre il padre si andava a sedere pesantemente sulla sua poltrona preferita, Narcissa si schiarì la voce.
«Draco, aspetta per favore. Desidero parlarvi di una cosa.»
Figlio e marito la fissarono interrogativi, Lucius con una vena di rancore.
«Chi ti dice che io intenda ascoltarti?» disse stizzito.
«Padre, per favore.» sospirò Draco, facendo dietrofront per tornare verso la madre, che intanto si era avvicinata al riluttante Lucius.
«È più di un mese che ti rifiuti di parlarmi Lucius, ma oggi mi ascolterai. O così o ti legherò alla sedia.» sibilò, sfiorando la bacchetta al fianco.
Lucius la guardò a metà fra intimorito e offeso.
«Bene. Ma misura attentamente ciò che intendi dire, Narcissa. Perché ho appena perso metà del mio patrimonio per colpa tua.» berciò di rimando.
«Per colpa sua?» si inserì Draco rabbioso. «Per merito suo, semmai, siamo stati risparmiati dal Ministero. Saresti finito ad Azkaban ed io con te, se lei non avesse fatto quel che ha fatto per salvare Potter.»
Lucius allungò un’occhiata sprezzante anche al figlio.
«Se lei non avesse tradito non avremmo mai dovuto sottostare a nessun processo da quei luridi mezzosangue! Saremmo stati finalmente sotto il dominio del Signore Oscuro, ricoperti della gloria che meritavamo!»
Narcissa gli si piazzò davanti e lo fissò severa.
«Lucius. Per quanto sia forte il tuo disprezzo per il mondo babbano e i sanguesporco, non puoi negare che il Signore Oscuro ha portato solo dolore e paura a questa famiglia. Non dire che avresti voluto vivere sotto il suo regno, perché faceva paura anche a te e stavamo meglio quando non c’era.»
Lucius fremette rabbioso, ma prima che potesse protestare la moglie gli fece un cenno con la mano e proseguì.
«Voglio spiegarti bene perché l’ho tradito. Le ragioni sono due.»
Draco si mise a sedere poco più in là, mentre un elfo domestico passava silenzioso a portar loro qualcosa di rinfrescante da bere. «Quando il Signore Oscuro aveva decretato la tregua di un’ora in mezzo alla battaglia ad Hogwarts, mentre fuggivo dal castello avevo visto passare Remus Lupin e l’avevo seguito. Si era infilato in un passaggio che partiva dall’esterno, dal Platano Picchiatore. Volevo capire la situazione e trovare Draco. Alla fine del passaggio c’era una vecchia dimora distrutta ed ho spiato per qualche minuto la scena per capire cosa stesse accadendo. C’era Severus riverso a terra, Potter, Granger, Weasley e Lupin che gli stavano addosso. Inizialmente pensavo l’avessero ammazzato loro, ma ascoltandone i discorsi ho capito che era il contrario. Voldemort aveva fatto azzannare Severus alla gola da Nagini, e questo ormai lo sappiamo bene.» raccontò con un sospiro amaro.
Lucius aveva la fronte aggrottata, ma non la interruppe, facendole anzi un cenno seccato perché proseguisse. Draco era turbato.
«Mi sono nascosta meglio che ho potuto, seguendoli in silenzio mentre lo trasportavano fuori dal passaggio. Ascoltando le parole di Potter e il resto del gruppo, ho capito che Voldemort aveva cercato di uccidere Severus perché pensava che lui - avendo ucciso Dumbledore - si fosse guadagnato il possesso e la fedeltà della sua bacchetta.»
«La fedeltà della bacchetta?» chiese Draco stupito. «Potter quando mi ha restituito la mia ha parlato di qualcosa di simile.»
Narcissa annuì.
«In quel momento ho pensato però che colui che aveva effettivamente disarmato Dumbledore era stato Draco.» aggiunse la donna con un moto di orrore evidente nello sguardo.
Lucius si fece confuso, fissò il figlio con aria preoccupata e poi sgranò gli occhi.
Narcissa, che a vederlo cambiare espressione si ritrovò con gli occhi lucidi, gli si fece vicina e gli sfiorò una spalla.
«Hai capito ora, Lucius? Se Voldemort aveva provato ad uccidere uno come Snape con tale facilità, solo per avere l’obbedienza di una bacchetta, se avesse scoperto che forse il padrone di quell’arma poteva essere nostro figlio, non avrebbe esitato un istante. Era disperato, stava perdendo e non lo capiva.» mormorò trattenendo a fatica orgogliosamente le lacrime.
Lucius le sfiorò la mano titubante. La sua rabbia era come evaporata in una nuvola di fumo incorporeo.
«L’avrebbe ucciso, e avevo terrore anzi che l’avesse già fatto. Questa era la prima ragione. La seconda è che, appena ho sentito che Potter respirava ancora dopo aver ricevuto un anatema che uccide, sapevo che Voldemort non avrebbe mai vinto. Sapevo che la vittoria sarebbe stata di Potter e in quell’istante l’idea mi dava un sollievo così grande. Lucius, perdonami per aver infranto la tua speranza di gloria, ma con Voldemort avremmo vissuto sempre e solo nel terrore. Anche quando ho saputo della morte di Bella mi sono sentita quasi …  sollevata.» ammise a voce bassissima, senza riuscire più a trattenersi.
La donna scoppiò a piangere, Lucius si alzò e la abbracciò un po’ impacciato, offrendole il petto contro cui nascondere la vergogna e la disperazione di quel momento di debolezza.
«Mi … mi dispiace Narcissa.» mormorò così piano che Draco quasi non sentì.
Il ragazzo, con gli occhi lucidi a sua volta, distolse lo sguardo. Quando fece per allontanarsi però, ambo le mani dei genitori lo acchiapparono costringendolo ad unirsi a quel rarissimo abbraccio.
«Ora staremo meglio.» singhiozzò Narcissa. «Ora andrà tutto bene, è finita.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Inviti ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 


All’inizio della seconda settimana di luglio Severus venne dimesso dal San Mungo. La febbre era svanita definitivamente e riusciva quasi a camminare stabilmente con l’aiuto di un bastone e frequenti pause. Tutta la parte destra del suo corpo era più debole, in particolare il braccio e la mano, che faticava anche solo a tirare su. Con sua enorme frustrazione, non era ancora capace di impugnare la bacchetta ed eseguire incanti anche semplici neppure con la mano sinistra. Il suo potere era come infiacchito a prescindere dall’agilità comunque minore di quella mano. Al collo aveva ancora una benda di garza, sebbene finalmente le brutte ferite delle zanne di Nagini si fossero ormai cicatrizzate.
Una piccola scorta di Auror l’aveva accompagnato a casa sua a Spinner’s End e aveva eseguito un giro di perlustrazione di sicurezza all’esterno, fra le villette a schiera fatte a stampo in zona. Sembrava tutto tranquillo.
Come promesso, l’unico che era rimasto ad assisterlo era Remus Lupin. Era quasi ora di cena e il licantropo si era appostato in cucina a preparare qualche scorta di cibo.
Severus era seduto in salotto, sulla sua fedele poltrona. C’era il profumo di qualcosa di buono che veniva dalla piccola cucina lì accanto, i rumori regolari di coltelli che affettavano magicamente gli ingredienti, il delicato sobbollire delle pentole, lo sfrigolare del cibo in padella. Erano rimasti in silenzio tutto il tempo, con un velo di tensione palpabile come una cappa di nebbia. 
Dopo circa un’ora Remus sbucò dalla cucina e annunciò con un sorriso un po’ stanco:
«È tutto pronto, dovrebbe bastare per una settimana abbondante.»
Severus gli mostrò la sua solita facciata fredda, fissandolo dal basso della sua posizione seduta.
«Non immaginavo sapessi anche cucinare.» chiosò sgradevolmente sarcastico.
Remus rispose con un sorriso dei suoi, finemente ironici.
«Ho imparato ad arrangiarmi negli ultimi anni, sai com’è, dopo il plenilunio ho una fame da lupi.» 
Severus non poté fermare il piccolo guizzo divertito di un angolo della bocca, ma non tardò a tornare subito serio.
«A tal proposito, il prossimo plenilunio si avvicina e non abbiamo tempo da perdere. Possiamo iniziare oggi stesso dalla parte teorica.»
Gli indicò un libro di pozioni abbastanza nuovo fra i centinaia incastrati ovunque fra i mobili. Il licantropo andò a prenderlo con l’attitudine calma di un bravo scolaro, gli si sedette accanto e iniziarono a passare in rassegna ogni parte della preparazione, scandita da frequenti commentacci e rimbecchi aspri del pozionista ad ogni errore.
Quando terminarono con quel ripasso approfondito, Remus aveva riempito fitto fitto un foglio per gli appunti con tutte le correzioni certosine e i suggerimenti del pozionista. Era ormai arrivata la sera, l’ora di cena passata da un pezzo e il licantropo raccolse la propria roba, pronto a levare le tende.
«Grazie per l’aiuto, Snape.» gli disse, mentre si allontanava verso il camino, la mano destra già protesa al vasetto di polvere volante. «E grazie anche per tutte le volte che mi hai preparato la pozione qualche anno fa, ad Hogwarts.» provò col solito stoico sorriso conciliante.
«Sì beh, non è che volessi fartela. Dumbledore mi obbligava.» puntualizzò quello, impietoso.
Remus sospirò. Lo stoico sorriso si fece un po’ mesto.
«Certo, hai ragione. Beh, grazie comunque per non averla sbagliata di proposito per avvelenarmi, allora. Tornerò la prossima settimana, ma se avessi bisogno mandami un gufo o vieni liberamente da me.» consigliò con un’occhiata seria.
«Nh.» mugugnò Severus.
«Buona serata.» concluse dunque, prima di annunciare l’indirizzo di casa, sparendo fra lingue di fuoco verdastro.
Il pozionista non salutò. Quando fu solo recuperò il bastone e zoppicò fino alla cucina.
Era una vecchia piccola cucina babbana, piastrellata di bianco sporco e con una minuta finestra che dava sul muro di mattoni della casa accanto. La corrente elettrica non scorreva più da decenni e gli elettrodomestici datati erano lì solo per riempire gli spazi. C’erano anche un tavolino rettangolare con tre sedie in legno, ma nessun tocco decorativo. Remus non solo aveva cucinato, ma anche ripulito ogni cosa che gli era servita per farlo. Gli aveva lasciato sul tavolo diversi contenitori sigillati contenenti abbondanti porzioni di vari alimenti, pane, frutta e vino. Quelle confezioni erano incantate perché rimanesse tutto ben conservato per il tempo necessario. Aveva pensato letteralmente a tutto, lasciandogli a pronta disposizione anche dei piatti puliti, stoviglie e bicchieri.
Severus rimase un minuto buono immobile a contemplare tutto, poi un pesante brontolio dal fondo dello stomaco lo portò a sedersi e iniziare lentamente a servirsi. Prese due mestolate di insalata con patate e due cosciotti di pollo e dopo essersi messo in bocca una modesta forchettata della prima sgranò gli occhi. Un lieve rossore gli colorò le guance e non poté fermare un sorriso ora che era da solo. Mangiò di gusto fino all’ultimo boccone e fu allora che notò in un lato in disparte sul tavolo, accanto alla frutta, una tavoletta di cioccolato. Acchiappò il dolce con un tocco esitante. Era della stessa identica marca che Remus gli aveva offerto così tante volte da ragazzini. Tutte quelle volte che aveva scelto di dimenticare. Carezzò l’incarto con lo stesso intento con cui un cieco avrebbe cercato i rilievi del braille, prese un lento sospiro e poi rimise a posto la tavoletta nell’esatta posizione in cui l’aveva trovata.



Durante la settimana il tempo passò con una lentezza spietata per il pozionista, scandito da letture in cui non riusciva a concentrarsi come voleva, pozioni curative da assumere con precisione, e i momenti lieti dei pasti.
Il lunedì successivo a metà mattina, il camino si accese con le fiammelle della metropolvere e ne sbucò Remus, armato di due buste di stoffa. Severus era seduto alla sua fedele poltrona, in grembo un vecchio libro di letteratura inglese babbana.
Dopo un tiepido scambio di saluti, il mannaro gli chiese:
«Come ti senti?» squadrandolo attento, ma mai in volto. Fissò incuriosito il libro.
«Come una settimana fa. Fiacco e ancora non riesco a muovere il braccio come vorrei.» ammise l’altro, asciutto.
«Beh, meglio stabile che peggio.» sentenziò morbidamente ottimista Remus. «Cucino e torno per riprendere con la pozione. Ho procurato gli ingredienti che mancavano.»
Severus annuì e lo lasciò andare, evitando a sua volta di guardarlo negli occhi, i propri bassi e immobili sulle righe stampate su carta ingiallita.
La visita di Lupin fu identica a quella del lunedì precedente. Dopo che finì di preparare studiarono la pozione Antilupo ancora in via del tutto teorica e infine arrivarono al momento dei saluti a ora di cena inoltrata.
Remus era in piedi di fronte al caminetto, in una mano la polvere volante, nell’altra i fogli con gli appunti. Anziché filarsela esitò un attimo, voltandosi a cercare Severus, che si era alzato e zoppicava con l’aiuto di una stampella verso la cucina.
Il padrone di casa notò quell’esitazione e si fermò a guardare l’altro con aria interrogativa.
«Che c’è?»
Il licantropo rimase a fissarlo come intontito e in attesa per qualche attimo, poi risolse con nonchalance.
«Fa strano essere tuo studente.»
«Fa strano averti come allievo.» rispose con un sottile e stanco sarcasmo.
«Sei un ottimo insegnante.» aggiunse con un sorriso buono. «Sono contento che tu abbia accettato la tua vecchia cattedra. Gli studenti avranno il meglio e se lo meritano.»
Severus rimase un attimo interdetto, poi si accigliò.
«Mh. Lo so, non ho bisogno che me lo dica tu.»
Il sorriso di Remus si infiacchì e si voltò a gettare la polvere nel camino dopo esservi entrato.
«Buona serata, a lunedì prossimo.»
Scandì il nome della destinazione e venne inghiottito dalle fiamme verdi.
«Dannazione.» sbuffò il pozionista una volta rimasto solo, affrettandosi a zoppicare in cucina.
Guardò i soliti contenitori allineati sul tavolo, la tavoletta di cioccolato era stata doppiata da una seconda. Le diede una carezza e mormorò piano, fra sé e sé.
«Perché hai esitato prima di andartene? Non sarà mica che volevi ti invitassi a cena?»
Aveva una smorfia dubbiosa, tesa.
«Tsk.» sbuffò. «È solo come un cane e testardo come un mulo.» considerò demoralizzato.
Recuperò il primo pasto disponibile dunque e iniziò a mangiare, ingerendo cibo e sorsate dense di sconforto e solitudine.
Dall’altro lato del camino invece, Remus era appena approdato nel salotto della sua modesta dimora. Era una casetta isolata in campagna, piccola quanto l’appartamento di Severus. Tutta in legno e pietra, di fattura babbana ma con qualche correzione magica a renderla più accogliente. Il salotto fungeva anche da sala da pranzo, arredato da mobili rustici e un po’ datati, di legno poco pregiato. C’era un divano di stoffa nera, un tappeto logoro e impolverato, un tavolo tondo con tre sedie ed un piccolo mobile a cassetti vicino alla porta d’ingresso. Le luci erano lampade ad olio incantate sparse qua e là, che davano all’ambiente un’aria piacevolmente rilassante e intima.
Remus buttò gli appunti di pozioni sul tavolo di passaggio e poi proseguì lungo un piccolo corridoio che portava in bagno. Piastrellato di bianco con qualche sbeccatura, datato anche per i babbani, aveva perlomeno un bello specchio a parete sul lavandino. Accaldato si sfilò la camicia, si diede una sciacquata al viso con qualche manata d’acqua fresca e studiò il proprio riflesso gocciolante. Il volto invecchiato da stress e cicatrici aveva un’espressione infelice. Gli occhi color miele erano spenti e giudicavano severamente ogni segno che lo deturpava. Anche su collo e petto correvano graffi antichi a tagliare un fisico snello ma ancora scattante. Studiò la barba rada che aveva lasciato crescere un po’ troppo selvaggiamente nelle ultime settimane, i capelli brizzolati e scombinati.
«Sei un idiota.» si disse. «Figurati se ti invita a cena, non vedeva l’ora ti levassi dalle palle. Stupido.» si redarguì a denti stretti.
Passò le dita lungo la cicatrice più grande che avesse, un taglio che partiva da una guancia, scivolava sul mento occultata fra la barba, e poi riprendeva dalla clavicola destra segnando parte del petto. Fece un passo indietro per aumentare l’inquadratura di sé stesso allo specchio. Afferrò la bacchetta preso da un improvviso lampo di ispirazione, ma poi fissò il proprio riflesso negli occhi e si bloccò.
«A che serve?» mormorò abbassando il braccio, demotivato.





«Io dico che dovresti invitarlo.» disse Ginny in tono convinto.
«Non pensi che la mamma … ?» mormorò Ron, decisamente meno convinto, cercando lo sguardo di Hermione con una muta richiesta d’aiuto.
«E se facessimo la festa fuori casa? Ormai siamo abbastanza grandi» suggerì Hermione dopo aver agganciato l’occhiata allarmata del fidanzato.
«Non sono proprio convinto che accetterebbe. Lui li compiva a Giugno e non mi ha mica invitato.» obiettò Harry.
I quattro erano seduti al tavolo da pranzo della nuova Tana. Una casa finalmente spaziosa e comoda che il Ministero aveva messo a disposizione dei Weasley da un apposito fondo creato dopo il conflitto. Fondo in cui erano confluite molte delle risorse recuperate da famiglie di Mangiamorte, per restituire un aiuto alla comunità magica che tanto aveva perduto per colpa di Voldemort.
Era una casa luminosa, rustica come la Tana originale, e ben presto riadattata nel suo stile dalle abili mani di Molly.
«Beh, magari pensava le stesse scemenze che pensi tu.» lo provocò Ginny divertita. «”Oh no, e se non accettasse il mio invito?”» fece con una vocetta acuta e ansiosa.
Ron rise di gusto, Hermione si trattenne a fatica.
Harry scoccò a tutti un’occhiata offesa.
«Com’è che ti è venuta questa strana voglia di invitare Malfoy al mio compleanno, Gin?»
Ginny tirò fuori un sorriso sornione da stregatto ed Hermione intervenne prontamente.
«Ehm, Harry. Ricordi la festa della settimana scorsa?»
«Eh? Quella al pub babbano?»
«Sì. Ecco. Quella dove a furia di brindisi in onore dei caduti alla fine siete caduti ubriachi pure tu, Ron e Percy.»
«Sì?»
«Ecco. Diciamo che mentre eri ubriaco fradicio potresti esserti lasciato scappare qualcosa di un po’, come dire, equivoco.» ammise la mora, arrossendo vagamente.
Ron sembrava confuso come Harry. Ginny sembrava una bomba pronta a detonare.
«Herm ed io parlavamo di ragazzi carini e tu te ne sei uscito con: “Draco Malfoy è molto carino”.» gli fece pure una realistica imitazione da sbronzo.
Harry sgranò gli occhi e arrossì, Ron era a metà fra esterrefatto e divertito.
«Ma io non me lo ricordo.» obiettò il rosso.
«Tu e Percy eravate in bagno a rimettere l’anima.» sogghignò Ginny.
«Beh ma che significa.» disse Harry, in uno slancio orgoglioso. «Era solo un’osservazione a beneficio di voi ragazze, ti pare che mi piace Malfoy in quel senso?»
Hermione gli fece disperatamente cenno di zittirsi. Ginny proruppe in una risatina sinistra.
«Oh no, Harry. Questa carta non la puoi più giocare.»
«C-cosa?»
«Quando ti abbiamo chiesto se scherzassi ci hai spiegato dettagliatamente perché Malfoy sia un ragazzo interessante. Intelligente, più sensibile di quanto non abbia mai dato a vedere. E che aveva degli occhi così belli, anche se avresti voluto vederlo sorridere di più anziché sempre infelice o in lacrime e … » Hermione la interruppe con una gomitata.
Ron rideva a lacrime.
«Non ci credo! Harry ha una cotta per … per Draco-furetto-Malfoy.»
Harry oltre che rosso in faccia sembrava anche visibilmente allarmato. Hermione non tardò a intuire il suo spaesamento, si piegò verso di lui e gli sussurrò:
«L’omosessualità non è un tabù nel mondo magico, Harry. Sghignazzano così genuinamente perché si tratta di Malfoy, rilassati.»
«Ah.» mormorò il ragazzo, allibito. Quindi rialzò la voce.
«Sentite, ero ubriaco e … ok, trovo Malfoy carino ma non ne facciamo una questione di stato, mh?»
Ron calmò a fatica l’attimo di ilarità brutale e ansante chiese:
«Vi siete già baciati?»
«Ma ti pare?» sbuffò Harry.
«Come fai a dire che è sensibile? Quando vi siete parlati?» tirò oltre Ginny, voltandosi poi verso Hermione con aria complice. «Te l’avevo detto che mi era sembrato di averli visti insieme qualche volta di troppo al San Mungo. Con la scusa di vegliare Snape.»
«Dai, lasciamolo in pace.» sospirò Hermione, sebbene una vena di divertimento e curiosità fosse evidente anche sul suo viso. «Concentriamoci piuttosto. Lista degli invitati e dove fare la festa, avanti!» li spronò, accennando al foglio ancora rigorosamente bianco che aveva davanti.
«Oh no, non se la cava mica così.» obiettò Ginny.
Prima che la ragazza potesse tornare a tormentare Harry però una voce la interruppe.
«Organizzate la festa per Harry? La facciamo da noi vero?»
Un’indaffarata Molly era appena rientrata in casa, armata di un grosso cesto carico di fragole.
Ci fu un attimo di imbarazzato mutismo generale, rotto da Ginny.
«Mamma, cosa ti darebbe più fastidio? Che facessimo la festa fuori casa - intendo proprio altrove per conto nostro - o che invitassimo alla festa Draco Malfoy?»
Molly quasi fece cadere il cesto per la sorpresa.
«Ma che? Cos’è una specie di scommessa? Volete farmi prendere un colpo?» lamentò indignata.
Alle spalle di Molly fece la sua comparsa anche Arthur, seguito a ruota da Percy. Anche loro erano armati di ceste cariche di frutta di stagione.
«Che succede, chi ti vuol far prendere un colpo?» chiese il marito, apprensivo.
La donna si voltò e gli indicò accigliata il gruppetto di ragazzi.
«Parlavano della festa per Harry. Vogliono farla fuori casa, per conto loro! Ma dico io, ora che finalmente abbiamo una casa ampia e comoda per organizzare un party come si deve? Ma cosa gli viene in mente?»
Ginny e Ron scoppiarono a ridere, Hermione lo fece più discretamente, sotto i baffi.
«Beh, direi abbiamo il primo invitato da segnare, Harry.» sentenziò Ron dandogli una robusta pacca fra le scapole.
Così, il nome di Draco Malfoy venne apposto in cima alla neonata lista degli invitati, ed Harry era ormai irrimediabilmente paonazzo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Scommesse ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 



Era l’ultimo lunedì di Luglio, la giornata era abbastanza calda per gli standard locali e persino Severus si era concesso una maglietta a maniche corte. Non aveva recuperato ancora molto della funzionalità della mano dominante, e pure la gamba e la spalla da quel lato erano rigide e poco funzionali. Riusciva a camminare da solo anche se a fatica e si era persino concesso qualche passeggiata molto breve fuori casa. Le uniche visite che aveva ricevuto i giorni precedenti erano state da membri dell’Ordine della Fenice per controllare che tutto fosse sicuro e in ordine.
Remus sarebbe arrivato entro pochi minuti, era sempre stato puntuale le settimane prima e Severus si era ritrovato a fare una cosa che mai aveva fatto prima: cercare di darsi un’aggiustata davanti allo specchio.
Aveva i capelli corti per la prima volta in vita sua, la ciocca più lunga non superava i dieci centimetri. L’assenza della fedele cortina scura gli minimizzava un po’ i grandi difetti del brutto colorito insalubre e del naso adunco, ma scopriva impietosamente le due brutte cicatrici rosso scuro che gli erano rimaste come regalo da Nagini. Sollevò lentamente il capo stringendo i denti per il dolore che ancora provava e ammirò lo scempio che aveva appena liberato dalle bende dopo settimane. Non perdeva più sangue, ormai il veleno maledetto stava lentamente perdendo efficacia. Provò ad impugnare la bacchetta con scarsissimi risultati. Anche dalla mano non dominante era abbastanza goffo, quindi procedette a farsi la barba col vecchio rasoio di suo padre e una gran cautela, lasciando un accenno del pizzetto a cui era abituato da una vita.
Quando ebbe finito fece un sospiro insoddisfatto e tornò lentamente al piano di sotto zoppicando armato di bastone.
A metà scalinata sentì il crepitio leggero delle fiamme del camino e una vampata dai riflessi verdastri gli fece intuire che Remus era arrivato. Tempo due secondi infatti e la voce dell’uomo riempì il silenzio solitario di quella casa.
«Snape?»
«Sono qui.» annunciò con voce monocorde mentre scendeva l’ultimo gradino e svoltava in salotto.
Remus, appena approdato in salotto con le solite buste fra le mani, rimase un attimo imbambolato a fissarlo, poi ruppe l’attimo con un sorriso esitante.
«Sai che stai davvero bene coi capelli corti?»
Severus guardò di lato, a disagio. Strinse la mascella e senza manco guardarlo parlò in tono piatto, sprezzante.
«Tu invece sei il solito rottame, Lupin. E non hai nemmeno la scusa di un braccio fuori uso.»
Remus fece una piccola smorfia, sospirò paziente e infine sorrise amaro abbassando lo sguardo.
«Come darti torto.» mormorò, quindi si spostò verso la cucina senza aggiungere altro.
Severus si morse nervosamente un labbro mentre fissava la sua schiena allontanarsi, esitò ma non lo fermò e se ne tornò alla solita poltrona. Al solito libro fermo da giorni allo stesso capitolo.
Quando il cibo fu pronto e conservato con la stessa cura di sempre, Remus tornò da lui e si spostarono nello studio che faceva da laboratorio. Uno stanzino carico di tomi, scaffali alti fino al soffitto stipati di ogni genere di ingrediente, e un tavolo con un paio di calderoni pronti all’uso.
«Non ti ho chiesto come stai.» mormorò il licantropo. L’uomo suonava un po’ più freddo ma sempre cortese.
«Non sono ancora in grado di impugnare la bacchetta o gestire preparazioni così articolate.» ammise contrito Severus, mentre si andava a sedere sull’unica seggiola libera.
«Se mi guiderai come abbiamo provato nella teoria sono certo di riuscire.» considerò Remus. «Qualora dovessi fallire ho un passaggio per Hogwarts e la cara vecchia Stamberga Strillante.» aggiunse con un sorriso amaro.
«Non falliremo.» decretò serissimo il pozionista.
Appunti e ingredienti alla mano, dopo le ultime revisioni, Lupin si mise dunque all’opera sotto gli occhi attenti del padrone di casa.
Ci vollero quasi due ore, ma alla fine il preparato sembrava sobbollire al giusto stadio. Un piccolo passaggio di tanti, per quella pozione così lunga e complessa. Venne il momento di una pausa forzata e Severus, quando vide il licantropo intento a conservare la propria roba, parlò ostentando un tono disinteressato, casuale.
«Resta qui, stanotte. Le prossime ventiquattro ore saranno la fase più critica. In caso di problemi col preparato temo di non poter intervenire.»
Remus sgranò gli occhi sulle prime, fissandolo interdetto. Sembrava pronto a sorridere genuinamente alle prime tre parole, ma alla precisazione sulla pozione l’espressione naufragò verso un sorriso di circostanza.
«Ah, sì, certo.» concordò.
«Di sopra la stanza subito sulla sinistra è libera, puoi stare lì.» lo istruì piatto.
«Va bene. Grazie.»
Il pozionista si alzò e gli fece cenno di seguirlo. Lo condusse sino in cucina e cenarono in una densa coltre di silenzio. Solo verso fine pasto gli parlò di nuovo.
«Non hai nessun ricordo di ciò che accade la notte del plenilunio?»
Remus lo fissò un po’ stupito, quindi scosse il capo.
«Nulla, vuoto assoluto.» ammise, visibilmente a disagio.
«E durante l’assunzione dell’antilupo? La pozione in fondo ti concede l’autocontrollo in forma animale.»
«Non ricordo nulla anche di quei momenti. Dumbledore è stato l’unico ad assistere alla mia trasformazione ad Hogwarts quando ero sotto gli effetti della pozione. Mi aveva raccontato che sembravo solo un grosso lupo mansueto e incredibilmente ben educato. In effetti al mio ritorno in forma umana l’ufficio era perfettamente in ordine e non avevo nessuna ferita addosso.» spiegò, iniziando a ritirare i piatti sporchi con un impaccio evidente.
Severus lo fissava pensieroso, valutativo.
«Quando eravamo ad Hogwarts, Potter, Black e Pettigrew venivano a trovarti durante il plenilunio. Come mai non sono finiti sbranati?»
Remus si fermò e guardò l’altro con un accenno di diffidenza, il tono sulla difensiva.
«C’era voluto molto tempo, ma erano diventati animaghi tutti e tre pur di provare ad avvicinarsi con cautela. Peter era diventato ciò che pensava fosse più sicuro per nascondersi e scappare nel caso in cui avessi reagito male. James quello che pensava fosse più sicuro per cercare di affrontarmi in caso di pericolo. Sirius quello che sentiva essere più affine a me. Era come se, in quella forma, fossimo capaci di comunicare, ma a quanto mi raccontavano non era una comunicazione verbale. Più qualcosa di animalesco, fatto di istinti, versi, odori familiari. La loro compagnia mi rendeva più mansueto, evidentemente sapevo che erano amici, ma non sempre era così. Mi avevano raccontato che qualche volta ero di “pessimo umore” e avevano dovuto filarsela anche in forma animale.» concluse con un’espressione fiacca.
«Capisco. Quindi solo davanti a creature in forma umana non guarderesti loro in faccia nemmeno fossero cari amici, giusto?»
«Esatto.» ammise Remus, teso. «Perché mi fai queste domande?» chiese poi fissandolo per la prima volta in faccia con un cipiglio dolente.
Severus resse lo sguardo con uno serio dei propri.
«Voglio che tu passi qui la notte di plenilunio.» dichiarò con decisione.
«Come?» esclamò il licantropo, fissandolo esterrefatto.
«Hai capito bene.»
«Ma è rischioso. Io non-»
«Se la pozione antilupo uscirà come deve non sarà rischioso.»
Remus fece una smorfia dolente, incrociò le braccia al petto.
«Perché vuoi assistere ad una oscenità simile?»
Severus lo fissava con implacabile sicurezza. Strinse i denti qualche istante e poi spiegò, con la solita leggerezza indifferente.
«Vedila come una curiosità scientifica. Ed anche il desiderio di superare il trauma che lo stupido scherzo di Black mi ha lasciato.»
Remus chiuse un attimo gli occhi, come se stesse assorbendo un brutto schiaffo.
«Curiosità scientifica. Capisco.» mormorò piatto, quindi con un colpo di bacchetta finì di pulire e sistemare tutto.
Entrambi furono sul punto di parlare ma si trattennero più volte e così, con uno stitico “buona notte” se ne andarono ognuno nella propria stanza.
Il mattino seguente a colazione la scena fu simile, fatta di silenzi, disagio e occasionali passaggi al laboratorio. La pozione filava liscia.








Il grande giardino della nuova Tana dei Weasley era stato inaugurato degnamente dalla grande festa per i diciotto anni di Harry. Sul bel patio c’era un’enorme tavolata di legno carica dei manicaretti preparati da Molly con l’aiuto di tutti, inclusi Fleur e Bill arrivati per l’occasione. C’erano anche tavolini sparsi e panche, e una serie di lanterne magiche che svolazzavano qua e là dove serviva luce, seguendo con discrezione gli spostamenti degli invitati. C’erano praticamente mezza casata di Grifondoro, più una manciata abbondante di amici di Tassorosso e Corvonero, ma nessun Serpeverde. Mentre i ragazzi occupavano l’esterno, all’interno si erano riuniti gli adulti dietro pressante insistenza di Fleur, Bill, Charlie e George al grido di “lasciamogli un po’ di intimità, ne avranno bisogno”. Nonostante le proteste di Molly alla fine avevano fatto così. Praticamente quasi tutti i membri dell’Ordine della Fenice, più un paio di insegnanti e Hagrid, che era già alla terza pinta di birra senza battere ciglio, erano nel salone di casa Weasley a mangiare e ricordare i bei vecchi tempi, i caduti del conflitto, o parlare speranzosi di ciò che i giovani promettevano per il futuro.
Ormai a metà serata, dopo che il banchetto e la torta erano stati dilapidati e tutti avevano fatto un giro sulla nuova Firebolt di Harry, il festeggiato insieme a Luna, Ron, Hermione e Ginny si andarono a sedere ad un tavolino più tranquillo.
L’aria era piacevolmente fresca e il cielo faceva sfoggio di una parure di stelle e luna quasi piena.
Harry, seduto in maniera scomposta su una panca, era intento ad ammirare proprio quella luna quasi completamente tonda con aria malinconica.
«Forse avrei dovuto rimandare di qualche giorno.» considerò pensieroso.
«Mh? Perché mai?» mugugnò Ron.
«Domani inizia il plenilunio.» gli ricordò mogio. «Remus mi ha scritto ieri scusandosi per il fatto che non ce l’avrebbe fatta ad essere qui oggi.»
«Ha iniziato ad assumere la pozione antilupo immagino, dunque sarà già troppo debole.» aggiunse Hermione mesta.
«Mi diceva Tonks che Snape lo sta aiutando a produrla.» li informò Ginny con un sopracciglio inarcato.
«Lo sta aiutando? Il professor Snape non è ancora in grado di farla da sé per le ferite o è diventato improvvisamente supportivo?» se ne uscì Luna con quel suo tono in cui non si riusciva a discernere fra genuina perplessità o sottile ironia.
«Non è ancora in grado a quanto pare.» confermò Ginny. «Anche papà ci aveva messo mesi a riprendersi del tutto dal veleno di Nagini. Il professor Lupin a quanto pare lo aiuta a sua volta.»
«Lo aiuta come?» chiese Harry perplesso.
«In casa, tipo … cucina, pulizie eccetera.»
«Ah, gli fa da marito?» chiese con disarmante semplicità Luna.
Ron, che stava bevendo del succo si ritrovò a tossirlo dal naso, mentre Harry, Hermione e Ginny sembravano a metà fra divertiti e imbarazzati.
«Più o meno.» rise la rossa.
«Non sarebbero male come coppia, certo un po’ di conflitti pregressi e disastri da superare.» propose Luna gioviale e un po’ sognante.
«In effetti.» convenne Ginny.
«Ehi dai no, che schifo, sono due professori!» le richiamò Ron, cercando come sempre aiuto in Hermione.
Ma Hermione ridacchiava imbarazzata e alzò le mani in cenno di resa.
«No dai, anche tu?» Ron la guardò teatralmente turbato. «Sono vecchi, non potete fantasticare su persone della vostra età come tutte?»
«Hai ragione.» convenne Ginny, ammiccando per qualche motivo al festeggiato. «Harry, dicci un po’. Malfoy ha dato disdetta alla fine? L’avevi invitato sì?»
«Ecco, meglio.» bofonchiò Ron visibilmente divertito.
«Anche Malfoy era stato invitato? Oh, che gesto carino Harry.» intervenne Luna.
Harry emise un sospiro leggero, fece spallucce.
«Sì, l’ho invitato e no, non ho ricevuto risposta.»
«Ooh.» mugugnarono in coro Luna e Ginny, dispiaciute.
«Che screanzato però. Poteva almeno dirti un cortese no.» bofonchiò la rossa.
«Magari non se l’aspettava e non sapeva che dire.» provò una timida difesa Hermione.
«Chi, Malfoy senza parole?» commentò sarcastico Ron.
«In effetti è insolito.» convenne Luna facendosi mortalmente seria. «Che sia stato trattenuto?» aggiunse in tono vivacemente complottista.
Anche gli altri quattro si fecero seri all’improvviso.
«Magari dai genitori?» mediò Hermione.
«Ma è abbastanza grande, insomma. Anche se fosse, avrebbe potuto spedire comunque un gufo, non penso lo abbiano chiuso a chiave in casa.» osservò Ron stizzito.
«Gli sarà successo qualcosa?» ipotizzò invece Luna. «In fondo ora i Malfoy hanno molti nemici.»
Si scambiarono tutti un’occhiata seria, genuinamente possibilista.
Il più turbato dall’ipotesi era Harry, che si alzò di scatto guadagnandosi le occhiate allarmate degli altri quattro.
«Che hai in mente?» chiese Ron.
«Andare a controllare, no?»
«E come?»
«Chiediamo a tuo padre, sono sicuro che un collegamento alla dimora dei Malfoy ci sia da qualche parte. Al Ministero di sicuro.» spiegò con una nota agitata nella voce, iniziando già a muoversi verso la porta sul retro che dava al salone.
Gli altri lo seguirono svelti, nessuno ebbe nulla da obiettare. Arrivati a due passi dalla porta a vetri, che era stata lasciata aperta, si bloccarono. Tutti gli adulti nel salone erano ammutoliti di botto. Si accostarono all’uscio e capirono presto perché.
In piedi davanti al caminetto della sala, ancora leggermente impolverato per il viaggio in metropolvere, sostava Draco Malfoy.
Anche loro rimasero impalati lì, vittime dell’evidente sbigottimento generale.
Draco era altrettanto a disagio, come se fosse finito nel posto sbagliato al momento sbagliato. Indossava un completo semplice, scuro e non troppo formale, i capelli pettinati in maniera impeccabile e leggermente più corti di settimane prima. Portava qualche piccolo anello d’argento alle dita, che bastavano a dargli un minimo di eleganza in più rispetto alla media dei suoi coetanei.
A rompere quei secondi di purissimo disagio ci provò Ninfadora. La ragazza si avvicinò con un sorriso incoraggiante, i capelli che si schiarirono gradualmente facendosi biondicci.
«Cugino. Sei un po’ in ritardo.» provò a sforzarsi di suonare allegra. «Vieni, gli altri sono tutti in giardino. Abbiamo preferito separarci fra ragazzi e attempati.» sorrise.
Draco la osservò con un’occhiata smarrita, quasi si fosse reso conto solo in quel preciso istante del fatto che quella fosse a tutti gli effetti sua cugina. Le rivolse un sorriso tenue e un po’ forzato e si lasciò guidare verso la porta che dava al giardino.
Lì dietro intanto c’erano ad aspettarli Luna, Ginny, Harry, Ron ed Hermione, che avevano assistito alla scena con un sorriso nettamente sollevato.
«Guardate chi è arrivato?» annunciò solare Tonks.
Draco osservò lo strano comitato di accoglienza e fece un sorriso un po’ di circostanza, ancora a disagio.
Ginny sussurrò qualcosa ad Hermione che annuì, fece uno strano cenno d’intesa a Tonks, quindi afferrò a braccetto Ron e iniziò ad allontanarsi.
«Noi andiamo a prendere da bere, non fate a botte eh.»
Ginny acchiappò Luna allo stesso modo e con un sorrisetto sornione tutti se la filarono lasciando Harry e Draco da soli.
I due si fissarono un po’ storditi da quel curioso evento, quindi ridacchiarono in un leggero imbarazzo.
«Che gli è preso a tutti?» bofonchiò Draco.
«Non ne ho idea.»
«Ah, comunque, auguri Potter.»
«Grazie. Pensavo non saresti venuto.» ammise il moro, accennando a fare due passi per levarsi dal patio, lì dove qualche occhiata di troppo arrivava sia dalla zona salotto sia dai compagni in giardino.
«Diciamo che un certo qualcuno aveva intercettato l’invito fra la posta e solo grazie ad un elfo domestico molto leale ho scoperto il fattaccio oggi, all’ultimo secondo.» sorrise sarcastico il biondo.
«Tuo padre?» ipotizzò Harry sornione.
«Esatto.»
«E come l’ha presa dunque la tua uscita all’ultimo minuto?»
«Con un profondo sdegno e qualche battuta acida tipo “oh, vai alla nostra casa in campagna gentilmente ceduta ai Weasley”.»
«Ah, per la questione delle multe?»
«Esatto, ogni casa che salta fuori assegnata a qualcuno è convinto di averla pagata lui personalmente.»
«Beh, digli un sincero grazie da parte di tutti allora.» rise Harry.
Anche Draco rise, il disagio di prima ormai scivolato via.
«Lo farò, promesso.» poi di botto si fece pensieroso. «Io, beh ecco, per questo motivo temo di non avere alcun regalo.»
Harry gli fece un cenno eloquente con la mano.
«Oh non importa, figurati. Basta che tu sia venuto, ecco. Ci stavamo preoccupando in realtà.»
«Mh? Preoccupando?» chiese meravigliato.
«Sì.» ammise Harry con un sorriso imbarazzato «Pensavamo al peggio, insomma, senza una risposta all’invito pensavamo magari che fosse successo qualcosa. Cioè, Luna lo pensava, ma abbiamo iniziato a panicare tutti in effetti.»
Il biondo sorrise, sembrava lusingato.
«Non abbiamo ancora ricevuto lettere minatorie Potter, non preoccuparti. Solo qualche occhiata non molto diversa da quelle di poco fa in salone o da quelle.» Gli indicò col mento un nugolo di compagni di scuola diversi metri più in là, intenti a fissarli curiosi.
Harry rise con indulgenza.
«Finché sono occhiate perplesse e non ostili va tutto bene.»
«Mh. Sono preparato ad occhiate peggiori.» dichiarò con un sorriso amaro Draco.
Harry si fece più serio.
«Non hai davvero nessun rapporto da salvare ad Hogwarts delle tue vecchie amicizie?» e aggiunse, perplesso. «Farai l’ultimo anno ripetuto ad Hogwarts, vero?»
«Nessun rapporto, ma va bene così.» ammise il biondo distogliendo lo sguardo. «Mentre per il settimo anno, sì. Ho insistito molto con mamma e papà ma alla fine hanno acconsentito a farmi frequentare. Papà è convinto che andrò a restaurare qualche connessione con famiglie di purosangue rispettabili, mamma che io abbia ancora degli alleati fra i Serpeverde. Ho preferito non essere completamente sincero con loro, voglio che stiano tranquilli, me la caverò da solo.»
Harry gli diede una piccola pacca sulla spalla, incoraggiante.
«Beh, i Weasley sono purosangue. Ed io sono tuo amico e alleato ormai. I tuoi non hanno specificato la casata, no?»
Draco si lasciò scappare un’altra risata aperta ed Harry lo fissò con un sorriso inebetito.
«Che c’è?» ridacchiò il biondo. «Perché mi fissi così?»
«Niente, ammiravo il processo di evoluzione che hai avuto.» lo sfotté in tono bonario. «Da “mio padre lo verrà a sapere” da “me la caverò da solo”.»
Draco gli rifilò un’occhiataccia che era solo un lontano ricordo di quelle aspre e ostili d’un tempo, le labbra inclinate in un sorriso.
«Lo prendo come un complimento, Potter.»
«Lo era.» confermò il moro.
A furia di chiacchierare e camminare finirono per allontanarsi del tutto dal giardino, al punto che la lanterna incantata di turno rinunciò a pedinarli, l’incantesimo indebolito.
Dalla distanza diverse paia d’occhi li sbirciarono finché poterono, chi curiosi chi direttamente perplessi.
Fra tutti un gruppetto composto da Ginny, Ron, Hermione, Tonks, più Percy e George appena arrivati, era particolarmente attento.
«Ok, sotto con le puntate.» dichiarò George a bassa voce, gettando le braccia sulle spalle dei fratelli. «Semplice amicizia, cotta unilaterale da chi a chi? Cotta corrisposta? Primo bacio in arrivo?»
Hermione storse il naso, ma non poté fare a meno di sorridere con indulgenza al fioccare delle puntate da cui solo un imbarazzato Percy si scostò. 
«Cotta corrisposta.» votarono Ginny e Luna in coro.
Ron fissava come un falco i due lontani, valutativo, serissimo.
«Punto tutto sul primo bacio.» dichiarò serio.
«Uh-uh!» rise George. «Percy? Mione? Tonks?»
«Io mi astengo.» alzò le mani Percy.
«Idem.» rise Tonks, allontanandosi insieme al ragazzo. «Siamo troppo vecchi per queste cose, vieni via.»
«Semplice amicizia.» votò Hermione, guadagnandosi un divertito coretto di “boo”. «Va bene, va bene. Se può rendere Harry felice beh, spero cotta corrisposta. Ma io non scommetto eh.» chiarì, divertita.
«Bene, bene.» bofonchiò George, facendo apparire un paio di binocoli.
«Ma che fai, li spii?» sibilò Hermione.
«Beh ovvio.» commentò con naturalezza il ragazzo.
«Allora che fanno?» intervenne Ginny divertita.
«Parlano.»
«E basta?»
«Sì.»
«Non riesci a capire di cosa?»
«Ci sto provando. Uhm … mi sa che stanno parlando di … » lasciò un attimo di suspance.
«Di?»
«Oh no.»
«Cosa?»
«Quidditch.» concluse deluso George.
«Beh, è un inizio.» commentò speranzoso Ron.
«Ok, ora basta.» rise Hermione, che con un colpo della bacchetta trasmutò i binocoli in una papera di gomma.
Quando la discussione che seguì terminò e la paperella tornò in forma di binocoli, Harry e Draco erano tornati in prossimità del giardino, intenti a chiacchierare tranquilli. Sorridevano divertiti, ridacchiavano alle rispettive battute, ma non avevano addosso alcunché che lasciasse sospettare avvincenti momenti romantici nel breve lasso di tempo in cui erano spariti.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Risveglio ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 



«Sono ancora in tempo per andarmene.» sospirò dolente Remus.
«No.» obiettò Severus con fermezza. «Ne abbiamo parlato a sufficienza, risparmia le forze.»
La pozione che il licantropo aveva iniziato ad assumere da giorni l’aveva indebolito come da programma. Fiacco e indolente, attendeva l’ineluttabile sorgere della luna piena con una tensione palpabile. Aveva lasciato i suoi vestiti miserevoli in camera e si era coperto con un semplice mantello lungo e largo abbastanza da non finire stracciato durante la mutazione. Nonostante fosse ben coperto sotto la stoffa scura, aveva tenuto pudicamente lo sguardo a terra tutto il tempo.
Erano entrambi seduti in salotto uno di fronte all’altro su due poltrone spaiate.
«Almeno legami. Se qualcosa dovesse andare storto non avresti modo di fermarmi.» provò un’ultima linea di difesa.
«Non sono ancora capace nemmeno di legarti, temo.» ammise Severus alzando a fatica il braccio destro che a stento era tornato a rispondere ai comandi più basilari. Non abbastanza per impugnare la bacchetta.
Remus emise un sospiro pesante e con voce flebile disse:
«Mi faresti perlomeno un favore?»
«Mh?»
«Stai per vedermi come non vorrei mai essere visto da nessuno. Ti affiderei la mia stessa vita, anche se tu mi detesti.» mormorò, infelice. «Puoi per favore chiamarmi per nome d’ora in avanti?»
Gli rivolse un sorriso docile, esausto.
Severus si perse qualche attimo in quell’espressione capace di ingentilire ogni singola cicatrice che gli sfregiava il viso. Fuori era ormai buio, e l’ora era giunta. La luce dei lampioni per strada si fondeva a quella pallida della luna piena, che finì di sorgere nascosta dalle case tutte uguali.
Non fece in tempo a rispondergli che lo vide sgranare gli occhi. Ebbe un sussulto violento, gambe e braccia presero a tremargli e Severus inghiottì a vuoto. Lupin serrò gli occhi dalle iridi che si erano macchiate di giallo, piegò il busto in avanti manco fosse sul punto di vomitare, e poi il suo corpo iniziò a venire scosso da una serie di scatti violenti che lo portarono a cadere in ginocchio.
Snape si alzò in piedi lentamente quando vide l’altro ringhiare di dolore, il suo corpo deformarsi grottescamente. Le ossa cambiavano forma, la carne si copriva di pelo grigio scuro, il volto era mostruoso e informe. Il mantello si afflosciò per adattarsi alle nuove forme, alla sagoma carponi.
Durò tutto pochi terribili secondi e alla fine la figura sotto la stoffa si immobilizzò. Lo sentiva respirare intensamente come fanno i cani affannati, e poi lo vide divincolarsi goffamente fra le pieghe di cotone. Era un grosso lupo grigio, col muso rovinato dalle cicatrici, sensibilmente più grande di un lupo comune. Era più robusto di come era da ragazzino, ma l’aria era relativamente mansueta.
«Remus.» lo chiamò esitante, sottovoce. «Stai bene?»
L’animale lo guardò negli occhi, il muso rilassato, la posa tranquilla, ma non fece alcun cenno di aver compreso la domanda. Balzò sulla poltrona su cui sedeva poco prima e si accucciò tranquillo come niente fosse successo.
Severus tornò a respirare con più calma. Zoppicò pian piano verso il lupo, che continuava a tenerlo d’occhio. Gli allungò lentamente la mano sana e si irrigidì quando vide la bestia alzare il grosso muso verso le sue dita. Gli sarebbe bastato un morso per staccargliela di netto. O infettarlo con la sua stessa maledizione. Esitò un istante, come sul punto di ritrarsi, ma alla fine restò lì e Remus lo annusò come avrebbe fatto un normalissimo cane. Poi, proprio come un normalissimo cane, gli offrì mansueto la testa sotto le dita a caccia di una carezza.
Severus sgranò gli occhi e vinta l’esitazione si ritrovò ad assecondarlo. Affondò le dita nel pelo morbido e corto fra le orecchie del lupo, scivolando in una carezza fin troppo delicata lungo la collottola folta. L’animale chiuse gli occhi e si rilassò del tutto, il muso poggiato sulle zampe raccolte.
«Non era curiosità scientifica, sai?» ammise il pozionista in un soffio, ripetendo la carezza con più sicurezza. Si mise a sedere su uno sgabello lì accanto, stanco da quei pochi minuti in piedi.
Il lupo non aprì gli occhi. Non sembrava sentire che le carezze.
Le parole esondarono dalle labbra del pozionista, come un torrente troppo a lungo gonfiato dalle piogge.
«Provavo qualcosa per te, quando eravamo ragazzini. Ma l’avevo dimenticato. Per scelta.» spiegò con un sorriso amarissimo. «Capivo come ti sentivi, e capisco come ti senti ancora oggi. Non è cambiato niente. Sono sempre il diverso, il disagiato, il solitario. Mi sento solo da tutta la vita, e anche tu. Posso dire a tutti e a me stesso che la solitudine è piacevole, che le persone sono sgradevoli e fastidiose, che non ho bisogno di niente e nessuno, ma è una bugia.» aveva gli occhi lucidi e il respiro accelerato.
«La realtà è che provo di nuovo qualcosa per te. Non è pietà né semplice solidarietà fra reietti. Provo qualcosa che uno come me non merita di poter sentire. Qualcosa di bello.» pianse in silenzio mentre si confessava a quella creatura letale ma inerme, rilassata. Lo carezzò sul dorso, sul muso, dietro le orecchie. «Mi sento febbricitante, quando vieni a trovarmi. Quando mangio ciò che cucini per me. Non sei un cuoco eccezionale, non montarti la testa, ma il fatto che lo fai tu lo rende speciale. Gustoso.» singhiozzò. Dovette fare una piccola pausa, riprendere fiato.
«Mi dispiace se sarò duro con te. Se ti farò soffrire. Ho paura di quello che vedo nei tuoi occhi e al contempo lo vorrei, non riesco a scacciarti come vorrei e dovrei. Sono un vigliacco solo e patetico.» inghiottì a vuoto. «Non merito il tuo bene, la tua amicizia o la tua stima. Ti terrò vicino ma a distanza, ti aiuterò e proteggerò, finché non troverai qualcuno con un cuore integro e capace di amarti. Qualcuno che si meriti la persona meravigliosa che sei.» concluse, col tono fermo di un giuramento solenne.
Gli diede un’ultima carezza e si rimise in piedi. L’animale aprì gli occhi, assonnato e lo fissò dal basso.
«Che c’è?» mugugnò l’uomo asciugandosi via le lacrime con una manata.
La bestia ovviamente non rispose, così Severus gli dedicò un’ultima occhiata cauta e si iniziò ad allontanare verso il corridoio e le scale. Dopo un po’ sentì il rumore leggero delle zampe dell’animale che saltava giù dalla poltrona e saliva le scale rapidamente. Arrivato in cima si voltò allarmato e se lo vide trotterellare incontro come niente fosse. Sussultò alla vista di quegli occhi gialli e attenti, della stazza impressionante dell’animale.
«La … la tua stanza è quella, ricordi?» mugugnò stupidamente, indietreggiando cauto e indicando a Remus la porta della stanza che gli aveva ceduto giorni prima.
L’animale rimase fermo dov’era.
«Non vorrai mica … » mugugnò, teso.
Fece una smorfia dolente reggendosi a fatica al bastone, quindi entrò in camera propria. Quella stessa camera che era stata la sua fin da bambino. Non era cambiato niente a parte un letto più comodo e un numero enorme di libri stipati ovunque. La mobilia era povera, essenziale: libreria, scaffali, armadio, scrivania, sedia e un letto singolo.
Il lupo lo seguì fin dentro e si accucciò a terra, al centro della stanza.
«Perché ho l’impressione che se andassi in un’altra stanza mi seguiresti?» sospirò ironico il padrone di casa.
Si rassegnò dunque, fra stanchezza fisica e non a quella realtà: avrebbe dormito con un lupo mannaro accucciato in camera.


Quando Severus riaprì gli occhi, dopo un grandioso sbadiglio si mise a sedere sul letto e, ancora un po’ intontito, la prima direzione verso cui guardò fu il punto dove ricordava che Remus si era appisolato diverse ore prima.
Dovette schiaffarsi una mano in faccia per trattenere un singhiozzo di sorpresa altrimenti rumoroso. Remus era lì come l’aveva lasciato, profondamente addormentato, ma in forma umana e completamente nudo. Una vampata di calore gli arrossò le guance e non poté fermare un piccolo scatto nervoso del bassoventre che lo portò a serrare le cosce. Con gli occhi sgranati finì per osservare ogni centimetro quel corpo rovinato dalle cicatrici, le forme marcatamente maschili sottolineate da una muscolatura agile nella media. L’altro era sdraiato un po’ scompostamente su un fianco, e dalla sua posizione arrivò a inquadarne anche il sesso rilassato. Distolse subito lo sguardo con aria colpevole, ormai accaldato e sveglissimo.
Si alzò con estrema lentezza, esitò sul da farsi ma alla fine acchiappò il lenzuolo dal proprio letto e andò a coprire l’altro dal petto in giù, più delicatamente che poté. Si sforzò di evitare altre occhiate a zone private del suo ospite, ma finì comunque per guardarne il volto da vicino. Sembrava rilassato, indifeso. Dopo averlo coperto a modo dunque si allontanò, maledicendo il bastone a cui doveva reggersi e la gamba che non rispondeva bene, che resero lenta e poco furtiva la sua fuga in favore del bagno.
Dopo una doccia fresca fece una colazione solitaria e pensierosa, e anche una volta che ebbe finito restò vigliaccamente in cucina, dove non avrebbe corso il rischio di incrociare l’altro di passaggio come in salotto.
Fu solo dopo una buona mezz’ora che sentì i passi di Remus sulle scale. Abituato sin da piccolo a prestare estrema attenzione ad ogni suono dei passi e gli spostamenti del padre, non tardò a capire che: il licantropo doveva essersi cambiato perché i suoi passi non erano quelli di una persona scalza; che non doveva essere esattamente in forma date le frequenti pause; si stava dirigendo proprio da lui. Prese un respiro profondo, scacciò via l’espressione turbata in favore di una fredda e annoiata, acchiappò una pesca e le diede un morso.
Quando Remus si affacciò oltre l’uscio, era completamente vestito, i capelli ordinati, fresco di una doccia che si era preso la briga di farsi prima di scendere. Aveva tuttavia un’aria estremamente stanca, che portò Severus a scostare la sedia accanto alla propria e invitarlo ad accomodarsi senza guardarlo troppo a lungo in faccia.
Remus non si fece pregare. Si sedette pesantemente accanto a lui, a sua volta ben intento ad evitare il contatto visivo.
«Mi dispiace.» disse dopo un minuto buono di silenzio, la voce ridotta a un sussurro. Dovette appoggiare i gomiti sul tavolo per sorreggere la schiena incurvata dalla fatica.
«Non è successo niente di cui dispiacerti.» commentò neutro Severus.
«Non pensavo ti avrei seguito fino alla tua stanza.»
«Poteva andare peggio. Sono tutto intero, in fondo.»
Il sarcasmo pungente del pozionista strappò un sorriso stanco e amarognolo al licantropo.
«Nh. Non hai tutti i torti.»
Severus azzardò un’occhiata laterale molto breve per studiarne l’espressione.
«La pozione ha funzionato come doveva. Non hai fatto niente di pericoloso. Sei venuto in camera e ti sei accucciato a terra come un cane.» gli spiegò in tono sbrigativo, annoiato quasi. Gli allungò dunque la scatola che conteneva la colazione, in una muta offerta.
Remus rimase stupito da quel piccolo gesto di gentilezza, ma fu quando guardò la mano che gli offriva il cibo che rimase definitivamente imbambolato.
Severus sgranò gli occhi quando vide l’attimo di immobilità altrui. La mano che gli tendeva il cibo era quella con cui l’aveva accarezzato quella notte. 
«Che c’è?» gli chiese, diretto.
Remus sembrava confuso. Scosse il capo e fece cenno di lasciar perdere, preferendo concentrarsi sulla colazione.
«Niente, scusa.» mormorò debole. «Fra poco andrò via. Mi serve ancora un po’.»
Severus sospirò.
«Non credo tu sia in grado di viaggiare con la metropolvere entro breve. Resta qui fin quando non sarai sicuro.» spiegò ostentando indifferenza.
«Va bene. Grazie.» sospirò il licantropo.
Passarono una mattinata scandita da poche chiacchiere e lunghi silenzi stanchi in cui Remus scivolava spesso e volentieri in sonni esausti. Mangiarono insieme a pranzo e a sera erano nuovamente seduti alle poltrone in salotto, Remus troppo stanco per fare qualsiasi cosa a parte sostare lì ad occhi chiusi, Severus intento a fissarlo di straforo.
Dopo lunghi minuti di silenzio, fu il padrone di casa a parlare.
«Toglimi una curiosità.»
«Mh?»
«Eri d’accordo con Black, la notte in cui mi aveva fatto entrare nel passaggio per la Stamberga Strillante?»
Remus si rabbuiò, riaprì gli occhi e lo fissò confuso.
«No. E ti dirò di più, dopo quella volta i rapporti fra me e Sirius si sono incrinati.»
Severus lo fissò scettico.
«Ah sì? Eppure mi sembravate sempre amici come prima.»
Remus richiuse gli occhi con una smorfia contrita.
«Io e lui ci frequentavamo.»
«Non mi dici niente di nuovo.»
«No, intendo … ci frequentavamo. In senso romantico.» ammise contrito.
«Ma certo.» mormorò il pozionista, acido. «Ora capisco tante cose.»
«Sì?»
«Certo, tutte quelle cose che da ragazzino non avrei potuto certo decifrare. Gli sguardi di Black verso di te, il fatto che ti stesse continuamente addosso. Aveva sempre un braccio appeso alle tue spalle.» ricordò, carico di disprezzo. «Chiaro che vi frequentaste.»
Remus, sempre ad occhi chiusi emise un piccolo mugugno indolente.
«Dopo quella notte non ho più voluto saperne di lui da quel profilo. Mi sentivo tradito. Gli volevo sempre molto bene, mi attraeva fisicamente, ma il suo gesto mi aveva fatto passare ogni infatuazione.» ammise con un sorriso amaro e imbarazzato. «Credo anche che ciò che ha fatto Sirius fosse frutto di una forma di gelosia verso di te.»
«Me? Uno come lui che aveva tutto, invidioso di me?» sibilò basso e ostile.
«Sì. Perché si era accorto che ogni tanto ti parlavo. Qualcuno gli aveva detto di averci visti studiare insieme.» sospirò stanco. «E comunque lui non aveva niente, Severus. Non aveva altro che noi. Era un rinnegato senza nessun amore da parte della sua famiglia e-»
«Perché lo difendi?» il moro alzò debolmente la voce, con di un fiotto di rancore antico ma ancora ardente.
«Perché era mio amico.» ammise il licantropo, lo sguardo nuovamente in basso. «E nonostante tutto gli volevo bene. Non ti sto chiedendo di perdonarlo, Severus, ormai per quello è tardi. Ti sto chiedendo di perdonare me. Di darmi un’altra chance di essere tuo amico, non perché ne ho pochi ma perché ci tengo a te. Non mi va proprio giù che tu sia ancora ostile dopo tutto quello che abbiamo passato.» gli rifilò un’occhiata debole, speranzosa.
Severus si irrigidì. Il respiro stava iniziando ad accelerare sensibilmente. Strinse con la mano sana l’impugnatura del bastone posato lì accanto.
«Quando Black è tornato da Azkaban, voi due siete tornati a frequentarvi?» chiese a denti stretti.
«No. Ritrovarsi è stato splendido finché è durato, ma io non sentivo più niente per lui in tal senso. E lui non aveva più spazio nel suo cuore per quel tipo di sentimento.»
Severus, già teso, si accigliò ulteriormente.
«Cosa intendi?»
«Azkaban, il rancore, la paura e il dolore: avevano come cancellato certi aspetti di lui. Provava affetto sincero per me, per Harry. Ma principalmente odio. Il suo cuore era come … inaridito, compromesso.» ammise il licantropo, malinconico.
«E ora invece? Pensavo te la intendessi con Tonks. O almeno, lei sembra molto presa.» insinuò, crudelmente sarcastico.
Remus sgranò gli occhi, spiazzato.
«Siamo solo buoni amici.» spiegò paziente. «Io non … con le donne, insomma.» mugugnò lanciandogli un’occhiata indecifrabile. «Ma anche se fosse, è una ragazzina ai miei occhi.»
Severus dondolava nervosamente una gamba e ormai stringeva così forte il bastone da far sbiancare le nocche. Inghiottì a vuoto, prese un respiro profondo e parlò.
«Ecco perché continui a tornare da me e fare quei discorsi sul volermi come amico. Sei più solo e disperato di quanto credessi, Lupin. Non so cosa ti sei messo in testa, o in cosa speri, ma io non condivido le tue perversioni. Penso sia il caso che tu torni a casa tua appena possibile: ormai la pozione la sai fare ed io sono di nuovo in grado di impugnare la bacchetta.» mentì, granitico nel tono, rivolgendogli un’occhiata affilata.
Remus prima sbiancò, poi arrossì violentemente. Resse il suo sguardo senza fare niente per nascondere quanto quelle parole l’avessero scosso e ferito.
Si alzò in piedi con il briciolo di forze che ancora aveva in corpo, mosso da imbarazzo e delusione cocenti.
«Sì, hai ragione, come sempre.» spiegò col tono piatto di un automa. «Ti ringrazio per l’aiuto datomi fino ad ora.»
Severus distolse lo sguardo, ma con la coda dell’occhio vide Remus allontanarsi a fatica, e infine la familiare fiammata verde dal camino annunciò il congedo del collega.
Lasciò cadere il bastone a terra, reclinò la testa indietro sulla spalliera della poltrona e si lasciò andare ad un silenzioso pianto liberatorio.
Aveva il fiato corto e il capo sudato come se il veleno di Nagini fosse tornato a infettargli le membra.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il piano ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 
Capitolo breve, per farmi perdonare il prossimo arriverà un po' prima! 
 




Agosto fu un mese lungo e frustrante per Severus. Per vincere la noia e non morire di depressione prese a fare passeggiate sempre più lunghe fuori casa nelle ore fresche e la cosa contribuì a migliorare gradualmente le sue condizioni fisiche. Una settimana dopo la discussione tremenda con cui aveva definitivamente scacciato Remus, fu in grado di riprendere in mano la bacchetta e iniziare a recuperare autonomia come mago. Fu come tornare ai primi anni di scuola: i movimenti erano imprecisi e goffi, gli incantesimi uscivano in una versione notevolmente più fiacca del normale. Per le settimane successive, ogni lunedì mattina si ritrovò due buste della spesa ai piedi del camino. Erano quasi sempre poggiate un po’ alla rinfusa, una volta ne erano rotolate fuori uova e mele, un’altra aveva trovato l’attizzatoio e le pinze rovesciate come se, chi era passato a lasciargli quell’offerta, fosse stato sempre troppo di fretta. Era una spesa scelta con cura, completa di ogni alimento fondamentale, anche se il grande assente era la consueta barretta di cioccolato.
Anche le visite dei colleghi o della McGonagall finirono, troppo presi dai preparativi per l’imminente inizio dell’anno scolastico.
A fine mese poi, in prossimità dell’arrivo della luna piena, Severus iniziò a patire una certa agitazione. Fu più volte sul punto di scrivere una missiva, ma si bloccava sempre sulla prima parola.
L’ultimo lunedì del mese, a pochi giorni dal plenilunio e dalla fine di agosto stesso, decise di sedersi tutto il giorno in salotto a partire dalle prime luci dell’alba per provare a sorprendere il misterioso benefattore della spesa. Non dovette attendere molto: pochi minuti prima che scoccassero le sette del mattino e le fiammelle verdi si materializzarono nel camino.
Si alzò più in fretta che poté, bastone alla mano, e si piantò come una sentinella a due passi da lì. La figura che ne venne fuori era nettamente più minuta di quella di Lupin. Con vago stupore si ritrovò a fissare un’incespicante Tonks armata di buste della spesa che caracollava fuori e lo fissava con altrettanto stupore.
«Oh, buongiorno Snape.» gli sorrise un po’ tesa e imbarazzata. Posò a terra le buste e fu un miracolo che non rovesciò la bottiglia del latte.
«Buongiorno, Tonks.» non si sforzò di nascondere la delusione nel vederla. «Dunque eri tu a lasciare qui la roba ogni lunedì? Avrei dovuto intuirlo dai danni ad ogni consegna.» ironizzò, spiacevolmente freddo nel tono.
«Già, ero proprio io.» lei sorrideva ancora di pura circostanza. «Remus mi aveva raccomandato di non disturbarti e che verso quest’ora ti avrei trovato assopito, così … » argomentò titubante.
Severus mise su la sua aria più sgradevolmente ironica, tornò a sedersi con calma sulla poltrona e parlò.
«Lui come se la sta cavando? È riuscito a produrre almeno un’ampolla di pozione del colore giusto?»
Sul viso di Tonks svanì subito ogni traccia di sorriso. I capelli e gli occhi le si scurirono un po’, la pazienza già smezzata e il timore reverenziale verso l’altro sciolto come neve ad agosto.
«Che strano. Pensavo non ti importasse niente di lui, a giudicare da come l’hai trattato l’ultima volta.» considerò incrociando le braccia al petto.
«Curiosità scientifica.» sorrise aspro il pozionista.
«L’ha realizzata, sì.» sbottò lei. «Dovresti esserne lieto e ringraziarlo anzi per come ti ha assistito pazientemente le settimane scorse.» 
«L’ho ringraziato insegnandogli come preparare una pozione impeccabile, Tonks.» minimizzò lui secco. «Ne ha già assunto le prime dosi, dunque. È ancora in vita?»
Tonks si fece se possibile più nervosa e indignata.
«L’ha controllata anche Slughorn e non aveva niente da invidiare alla tua. Nessuna imperfezione. Sì, ne ha assunto le prime dosi e sta benone.» ruggì fiera per conto terzi.
Severus emise un impercettibile sospiro di sollievo.
«Bene.» decretò con sufficienza. «Ora, se non hai altro da riferirmi … » le indicò con falsa cortesia il camino.
Tonks lo fissò accigliata. Per un attimo la rabbia lasciò il posto ad un’osservazione dubbiosa del suo interlocutore. Prese un sospiro lento per darsi una calmata.
«C’è una cosa che volevo chiederti, in effetti. Perché l’hai cacciato in quel modo? Voleva solo esserti amico, ci è rimasto male.» provò a suonare conciliante.
«Ah sì? Direi che non sono questioni che ti riguardano, Tonks. È un adulto, notevolmente più adulto di te. Si riprenderà.» sentenziò, con ancora un tono di secca sufficienza.
«Oh sì che mi riguardano.» insistette lei che anziché indietreggiare gli si avvicinò ostinata. «Remus è mio amico ed i-» ma l’altro la interruppe.
«Daresti la vita per difenderlo anche se ti ha relegata alla posizione di eterna amica e nulla più, lo so, l’ho compreso. Ma tu sei la perfetta leale Tassorosso e te lo fai andar bene comunque. Risparmiami questa scenetta di commovente dedizione, per favore.» disse squadrandola duramente. 
Mentre lei arrossiva di rabbia e imbarazzo, lui proseguì.
«Proprio come lui non desidera te come compagna, io non desidero lui come amico né nessun’altra cosa, in realtà. Un concetto semplice, puoi capirlo anche tu: se rispetti la sua volontà verso di te puoi rispettare anche la mia verso di lui, è semplice.»
Tonks strinse la mascella, una mano ebbe un piccolo scatto come fosse sul punto di acchiappare la bacchetta e maledirlo. Ma anziché urlargli contro si prese un respiro lento a richiamare ancora una volta la calma e lo studiò scettica.
«Dimmi solo perché. Perché rifiutare qualcosa di così prezioso come un’amicizia disinteressata?»
«Quello che tu ritieni prezioso e brami non è necessariamente tale per tutti, non credi?»
Lei strinse gli occhi fissandolo valutativa, meno ostile di prima.
«Pensavo che i Serpeverde fossero perlomeno opportunisti. Capisco che tu non dia valore all’amicizia, ma sei praticamente da solo e non ti tieni buono nessun alleato. Nemmeno quando questi ti servirebbero palesemente.» considerò acuta. «Ho come l’impressione che tu ti stia autosabotando per punirti.» decretò dunque.
Severus rimase interdetto per qualche istante, quindi si rabbuiò.
«Grazie per la spesa, Tonks.» iniziò, senza nascondere una vena di tedio. «Ma d’ora in avanti non sarà più necessario alcuno dei tuoi non richiesti servigi. Puoi andare.»
«Allora ho fatto centro.» lo provocò con un sorriso ironico.
«La tua presenza non è più necessaria, Tonks. Come non lo era le settimane scorse. Addio.» insisté lui nervoso.
La ragazza sbuffò, spazientita.
«A cosa è servito salvarti la vita se poi devi viverla così, facendo del male a te stesso e agli altri?» soffiò prima di acchiappare maldestramente la polvere volante e congedarsi senza aspettare una risposta.
Severus, rimasto solo, fissò sovrappensiero le buste di carta traboccanti di buon cibo.
«È quello che mi chiedo anche io.» mormorò apatico.



Tonks atterrò nel camino di casa Lupin inzaccherata di polvere volante e con un’arrabbiatura ancora fresca. Attraversò il salotto e si fiondò alla porta sul retro, fuori in giardino, col passo di marcia sicuro di chi sa dove trovare il suo obiettivo.
L’abitazione era inserita in un appezzamento di terra più ampio della dimora stessa, in un grazioso contesto di campagna senza vicini di casa nel raggio di chilometri. Lupin era seduto fra l’erba rada e non molto curata all’ombra di un albero enorme e solido, la schiena poggiata sul tronco, le gambe rilassate. Aveva gli occhi chiusi ma li riaprì lentamente quando sentì i passi di Ninfadora.
«Remus.» lo richiamò ammorbidendo subito l’espressione. «Come stai?»
L’uomo la guardò dal basso e le offrì un sorriso simile, per quanto intaccato dalla stanchezza.
«Come mi aspettavo di stare, Dora. Stanco morto e con il saporaccio di quella pozione pessima ancora in gola.»
Lei andò a sederglisi di fronte con un sospiro lento.
«Ho incontrato Snape.»
«Oh. Mi dispiace.» sorrise lui, con debole sarcasmo.
«Penso di aver capito cos’ha che non va e non credo ti disprezzi come vuol far intendere.»
«Ah sì?» chiese l’altro sbirciandola con aria scettica.
«Credo odi molto sé stesso. E si stia punendo eternamente per tutti i suoi errori, allontanando ogni persona di malo modo più che mai.» sospirò con una tardiva vena di pietà.
«Sì. Lo pensavo anch’io.» ammise il licantropo, chiudendo gli occhi e reclinando la testa contro il tronco, troppo stanco per reggerla sul suo stesso collo. «Ma credimi, è stato molto convincente l’altra volta. Mi disprezza per tante cose, non ultima la mia omosessualità. È figlio di un babbano, e sicuramente ha influito negativamente sul suo già scarso giudizio verso di me. Molti babbani ce l’hanno con gli omosessuali, di norma. Il suo comportamento verso di me è peggiorato proprio quando gli ho fatto capire questo aspetto.»
Tonks si mordicchiò nervosamente un labbro.
«Mi ha chiesto di te. Uno che ti detesta non si sarebbe fermato a far domande, non trovi?» ipotizzò pensierosa. «Mi avrebbe subito liquidata. Ho anzi l’impressione che stesse lì ad aspettare appositamente di vedere chi fosse il misterioso benefattore della spesa. Forse si aspettava proprio te.»
«Oh, anche questo non è insolito, non vederci dietro niente di più. È sempre stato morbosamente curioso. Passi la teoria dell’autosabotare ogni legame amichevole, ma che aspettasse me mi sembra improbabile.» sospirò mesto.
La ragazza aveva ora i capelli di un naturale castano scuro, con qualche lieve sprazzo brizzolato come se stesse involontariamente copiando la capigliatura dell’altro.
«Remus, posso farti una domanda molto personale e chiederti di essere sincero?» premise esitante.
«Va bene.»
«Tu provi qualcosa per Snape, non è vero?» chiese contrita.
Il licantropo strinse i denti e riaprì gli occhi, andando a fissare le fronde ancora verdi dell’albero baciate dai raggi del sole di primo mattino.
«Sì.» ammise controvoglia.
Tonks fece un sorriso amaro, che non riuscì a scacciare l’incipit di invidia e infelicità che provò. Remus la guardò in faccia e sospirò.
«Mi dispiace, Dora. Mi dispiace tanto di doverti deludere così. Non so spiegarti perché proprio lui.» le mormorò, allungando debolmente un braccio per cingerle le spalle e tirarsela più vicina in un mezzo abbraccio.
Lei non resistette e scoppiò a piangere.
Remus sentì le forme della ragazza cambiare sotto di sé e si separò fissandola confuso. Era mutata in una versione nuova di sé stessa. Spalle più larghe, il petto piatto, il viso dalle forme marcatamente maschili. Un bel ragazzo dai capelli castani che lo fissava con gli occhi lucidi e il volto rigato di lacrime.
«Lo sai che potrei fare questo in ogni momento, se volessi.» gli disse singhiozzando con la voce un timbro più scura della sua.
Remus lo fissò stupito poi scosse il capo e gli diede una carezza lenta fra i capelli.
«Non potrei mai chiederti una cosa simile, Dora. Se questa fosse una forma spontanea che senti di voler assumere sarebbe un conto, ma così sarebbe come costringerti a rinunciare alla tua identità per compiacere i miei gusti sessuali. Negare la tua femminilità, e tutto quello che comporta. Sarebbe terribile e crudele.»
Tonks chiuse gli occhi e tornò a gettarsi fra le sue braccia. Il corpo ritornò rapidamente alla forma normale.
«Non è più crudele così?» singhiozzò.
«Doloroso forse. Ma portarti a rinnegare te stessa alla lunga ti distruggerebbe.» sospirò lui.
La ragazza rialzò il capo. Lo fissò con un’occhiata contrita e un accenno di risentimento.
«E tu lo sai bene come ci si sente, vero? Sai bene cos’è il rifiuto e sai bene com’è rinnegare sé stessi, Remus.» ringhiò debolmente.
«Temo di sì.» confermò lui, fissandola accigliato.
«E allora perché tu accetti di vivere con questo peso, quando dici agli altri di non farlo?»
«Io … » mormorò in difficoltà il licantropo.
«È così Remus. Anche tu ti stai punendo. Ma a differenza di Snape non hai proprio nulla per cui fare ammenda. Non è colpa tua la tua maledizione, vuoi mettertelo in testa?»
«Lo so, razionalmente almeno. Ma non è semplice.» ammise lui amaramente. «E poi cosa potrei farci, Dora? Con Snape, intendo. Lui non mi vuole nemmeno intorno come amico, e come tu rispetti il mio rifiuto io rispetto il suo.»
«Non è la stessa cosa. Potresti insistere, per esempio.» sbottò lei lasciandolo andare, le lacrime placate dalla piccola crisi iraconda.
«Oh.» mugugnò lui. «Ci ho provato. Cosa posso fare, costringerlo?»
«Oh, quanto sei ingenuo Remus.» tirò sul col naso.
«Come?»
«Ti ho detto che mi ha chiesto di te!» sbuffò. «Non è vero che ti disprezza. C’è qualcosa sotto che non dice. Fidati del mio intuito, per favore.»
«Non voglio dubitare, Dora. Ma temo che le sue domande fossero frutto solo del suo essere curioso. Forse addirittura sperava di sentire che mi ero avvelenato per sbaglio.» soffiò, tristemente ironico. «Non c’è altra ragione di fondo. Mi disprezza e non gliene importa niente di me, prima lo accetterò e meglio sarà.»
«Non si può essere curiosi di qualcuno di cui non ce ne frega niente, Remus. E mi è sembrato quasi deluso di vedere me, così come sollevato di sapere che stessi bene. Voleva informazioni, anche se le celava dietro frasi acide, era palese. Inoltre il fatto che ti abbia allontanato così bruscamente quando ti sei aperto con lui è ancora più sospetto.»
«Va bene. Fingiamo siano tutte casualità. Quindi, cosa potrei mai fare?» sospirò, esausto.
Tonks si asciugò il viso con una manata e recuperò una parvenza di sorriso determinato.
«Ho un piano.»
Remus la fissò perplesso, quindi tornò a chiudere gli occhi.
«Ok, ok. Ne riparliamo fra due giorni?»
«Va bene.» concordò lei. «Ma non sperare che me ne dimentichi.»

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Discorsi ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 


Il primo giorno ad Hogwarts fu speciale e grandioso come sempre. La scuola era tornata agli antichi fasti, con qualche statua in più per onorare coloro che erano periti durante il conflitto fra quelle antiche mura. La preside McGonagall tenne un discorso solenne e toccante, uno sprone all’unione e la solidarietà, al lavoro comune e la pace, che venne applaudito con entusiasmo da tutti salvo alcuni tiepidi battimani dai Serpeverde. La strega aveva presentato il corpo docenti, ripristinando quella che era stata la formazione di pochi anni prima con Hagrid a Cura delle creature magiche, Snape a Pozioni e Lupin a Difesa contro le Arti Oscure. Il professor Slughorn invece avrebbe offerto supporto per i primi mesi a Snape e sostituito Lupin durante il plenilunio. La preside parlò con estrema franchezza e tranquillità nel breve passaggio in cui li informava delle supplenze a Lupin, guadagnandosi diversi applausi da varie casate che strapparono un sorriso tenue ad uno stanco ma tranquillo Remus. Varie casate ad eccezione, ovviamente, di Serpeverde.
Remus si era guadagnato parecchie occhiate incuriosite quella sera, molte delle quali più lusinghiere di quanto sospettasse. Giorni prima, appena passato il plenilunio a fine mese, Tonks aveva insistito per dargli una sistemata con l’aiuto di Molly Weasley, ben più esperta con gli incanti per la cura personale. Gli avevano sistemato i capelli e accorciato drasticamente la barba, lasciando quel tanto che bastava per minimizzare alcune delle cicatrici sul volto. Molly si era impegnata dunque per trovargli qualche indumento migliore. Calzava un bel completo grigio scuro adeguato alle sue forme agili e ben proporzionate, in un bel progresso rispetto agli stracci informi e rattoppati di un tempo.
Severus l’aveva sbirciato diverse volte quando era sicuro di non avere sguardi indiscreti addosso e anche lui si era guadagnato la sua fetta di occhiate curiose visto che aveva tenuto i capelli corti.
La persona che però aveva rubato davvero un certo tipo di attenzioni, occhiatine ridanciane e qualche sospiro non solo fra le ragazze, era stato un giovane uomo che la preside aveva presentato come Eli Porter, un assistente del Ministero che si trovava lì in semplice veste di rappresentante. Porter era in piedi accanto all’uscita della sala grande, fermo e fiero come una guardia della regina. Era un uomo sulla trentina o poco più, fisico slanciato e atletico, lunghi capelli rossi raccolti in una coda disordinata. Aveva penetranti occhi scuri, la pelle leggermente abbronzata e la barba corta e ben curata.
Allo smistamento i nuovi studenti furono sensibilmente meno degli anni precedenti, con un netto calo di ragazzini assegnati a Serpeverde. Fra i pochi nuovi ingressi e alcuni ritiri dei figli o stretti parenti di mangiamorte, la tavolata della casa di Salazar era piena praticamente per metà. Draco sedeva accanto a uno studente del quinto anno che lo fissava con astio, e una ragazzina del primo dall’aria invece ben lieta della propria postazione. Dei vecchi compagni del ragazzo, seduti pochi posti più indietro, erano rimasti solo Zabini, Parkinson e Nott. I tre gli avevano lanciato occhiate serissime e mai corrisposte per tutta la serata.
A fine cena i primi ad alzarsi da tavola furono i docenti seguiti dai prefetti pronti a guidare i compagni nei rispettivi dormitori.
Quando Remus sfilò accanto ad Eli Porter, che non si era mosso di un centimetro tutta la sera, questi finalmente si schiodò dal suo ruolo di bella statuina e lo fermò parlandogli a bassa voce e rivolgendogli un sorriso raggiante. Fecero qualche passo spostandosi verso un lato esterno della sala grande.
Un gruppetto di Serpeverde rallentò per seguire e commentare la scena quando furono sicuri che i professori fossero più o meno tutti fuori portata di udito.
«Secondo voi quel tizio l’hanno mandato per controllare che il mannaro non sbrani nessuno?» insinuò Pansy Parkinson con un sarcasmo aspro.
«Possibile.» rise Blaise Zabini che procedeva al suo fianco con l’aria di sufficienza di chi non voleva essere lì.
Nott sembrava del tutto disinteressato, persino infastidito e si staccò dal gruppo per avanzare oltre in direzione di Draco, che si stava ancora alzando da tavola qualche metro più indietro.
La voce di Ron Weasley si inserì nel discorso.
«”Il mannaro” è il tuo insegnante di Difesa e il Direttore della casa di Grifondoro, Parkinson. Direi anche un eroe di guerra ma temo dal tuo punto di vista sia il contrario. Ad ogni modo penso sarebbe saggio un po’ di rispetto in più, che ne dici?» era insolitamente serio e severo nel tono.
Diversi curiosi si fermarono ad ascoltare mentre il gruppo si assembrava a due passi dall’uscita.
«Non ho detto niente di irrispettoso, Weasley. È la pura verità.» cinguettò Pansy sorniona. «Abbiamo un mannaro che gira libero per la scuola. Il fatto che gli abbiano messo un guardiano alle calcagna mi sembra anzi una cosa sorprendentemente positiva da parte del Ministero. Certo magari una museruola … »
«Penso sia più probabile che Porter sia qui per sorvegliare i figli dei mangiamorte e simpatizzanti vari, a dirla tutta.» si insinuò piccata Ginny che si stava avvicinando insieme ad Hermione, Harry e Neville.
Un discreto vociare iniziò a levarsi dal gruppo sempre più folto di curiosi e finì per attirare l’attenzione proprio di Porter e Lupin, nonché di Snape, che squadrava tutti con lo stesso cipiglio aspro. L’uomo aveva appena lasciato il suo posto al tavolo degli insegnanti e il doversi appoggiare al bastone ad ogni passo rese la sua traversata tediosamente lenta.
«Dai Pansy, lascia perdere.» mediò sorprendentemente Zabini, acchiappando l’amica a braccetto. «Sappiamo tutti quanto siano coraggiosi  e valorosi i Grifondoro. Avere un licantropo come Direttore fa evidentemente parte delle prove di coraggio della casata.»
Qualcuno, prevalentemente Serpeverde, rise alla battuta. Persino Harry e Ron si lasciarono scappare un sorriso. Chi non la prese affatto bene invece fu Ginny, che fissava Zabini con astio.
«In effetti ognuno ha il direttore che si merita, noi un mannaro voi un mang-» Hermione la interruppe con una gomitata fra le costole.
Prima che qualcuno potesse anche solo pensare di ribattere due voci si levarono alte e con lo stesso tono severo.
«Venti punti in meno a Serpeverde.»
«Venti punti in meno a Grifondoro.»
I ragazzi si voltarono, constatando con orrore che da un lato Snape, dall’altro Lupin avevano appena comandato le sanzioni. Persino i due docenti si guardarono stupiti dalla contemporaneità della cosa.
Cadde un istante di silenzio perplesso, poi un chiacchiericcio diffuso e i ragazzi presero a disperdersi sotto lo sprone di Hermione e Neville, i due caposcuola.
«Avanti, andiamo a riposare, prima di iniziare l’anno con così tanti punti in meno da non riuscire a recuperare per generazioni.» sospirò Hermione.
Pansy e Ginny si allontanarono con un grugno di fastidio simile. Draco aveva ignorato il battibecco pur di filarsela inseguito da un Theodore Nott dall’aria incarognita, cosa che catturò lo sguardo curioso di Harry e Ron.
Passato l’istante, Severus e Remus distolsero rispettivamente lo sguardo, il secondo richiamato da un perplesso Porter. Il pozionista li vide allontanarsi e parlottare a bassa voce, cosa che gli fece contrarre la mascella nervosamente e diede la spinta necessaria a defilarsi verso i sotterranei.
Un lieve chiacchiericcio divertito e perplesso rimbalzava fra i gruppetti di ragazzi pigramente intenti a raggiungere i propri dormitori.
«Ehi, ma ho sentito male io o Snape ha tolto punti a Serpeverde e Lupin a Grifondoro?»
«Anche a me è parso di sentire così.»
«Nah, non è possibile, è perché hanno parlato uno sopra l’altro. Vi siete confusi, figuratevi se quei due si difendono a vicenda. Ho sentito che il professor Snape fu il motivo per cui Lupin venne licenziato anni fa.»
Mentre tutti andavano a dormire con i primi pettegolezzi dell’anno, Harry dopo un rapido cenno d’intesa con Ron, optò per una piccola deviazione. Seguì Draco che, raggiunto da Nott, si era andato a fermare in un punto relativamente isolato sotto una scalinata. Si nascose meglio che poté, in ascolto dello scambio fra i due ragazzi che non tardò a farsi vivace fin dalle prime battute.
«Perché, Draco?» sbottò Nott. «Passi quell’oca di Pansy, passi l’idiota di Zabini, ma io? Perché io?»
«Non voglio avere più niente a che fare con nessuno di voi, Theodore.» rispose secco l’altro.
«Sono completamente da solo, Draco!» ruggì di una disperazione palese. «Mio padre non se l’è cavata con qualche multa come il tuo.»
«Mi dispiace che tu sia rimasto da solo, Theo. Anche io lo sono.» la voce del biondo era contrita.
«Tu? Solo? Per favore! Tu non hai proprio idea di cosa significhi la solitudine: hai dei genitori, elfi domestici, un futuro. Tu ci hai mollati per tua scelta, per convenienza. Le voci girano, sai? Ora sei amico di Potter, molto furbo da parte tua. Perché non ti fai spostare anche fra i Grifondoro a sto punto? Tanto è questione di mesi e Serpeverde verrà chiusa.»
«Non dire sciocchezze.» sospirò il biondo. «Sono amico di Potter perché … beh ovvio che sono amico di Potter. Non esserlo sarebbe una follia. Ti sei dimenticato che ho il marchio nero?» sibilò.
«Gira voce che sei andato persino alla sua festa di compleanno, Draco.» ringhiò Nott.
«Sì, è vero.» ammise Draco con un tono di sufficienza, quasi schifato. «Non volevo andarci, ma poi mia madre mi ha convinto.»
«Certo, dopo come ha tradito era ovvio che lei spingesse per farti entrare nelle grazie del sopravvissuto.» sbuffò sprezzante il moro.
«Se vuoi un consiglio, anzi due, Nott … » ringhiò Draco, improvvisamente aggressivo. « … non parlare di mia madre con quel tono e in merito a Potter, dovresti mettere da parte l’orgoglio e iniziare a fartelo amico anche tu. Lui e tutti gli altri idioti della compagnia, se serve.»
Harry irrigidì la mascella, occhi sgranati e la mano che fremette vicina alla tasca che custodiva la bacchetta.
«Io non ho niente da spartire con quei cani.» sibilò Nott.
«Oh piantala. Non hai mai creduto davvero agli ideali di Voldemort, avevi terrore di ricevere il marchio come tutti.»
«Mio padre è stato sbattuto ad Azkaban a vita. Non lo rivedrò mai più!» la voce di Nott era instabile, come sull’orlo di un pianto nervoso. «Ho passato gli scorsi mesi da solo in casa, mi hanno portato via quasi tutto, non ho più nemmeno un elfo domestico. Sono dovuto andare a mangiare nelle bettole più scadenti, persino dai babbani. Parkinson e Zabini non sono mai venuti a trovarmi, né nessun altro dei nostri compagni, manco fossi un appestato. Pensi qualcuno mi prenderà a lavorare da qualche parte dopo aver finito gli studi? Pensavo che almeno tu non mi avresti voltato le spalle!»
«Se volevi un buon amico dovevi cercartelo in Tassorosso.» decretò Draco, duramente. «Non posso né voglio venire più associato a niente che possa anche solo lontanamente portarmi a perdere altro, Theo. Se io e papà non siamo ad Azkaban lo dobbiamo solo alla lungimiranza di mia madre. Tu chiamalo pure tradimento, se vuoi, ma ha fatto la scelta migliore per tutti. Se vuoi che torni a esserti amico vedi di farti amico Potter e compagnia e riabilitare la tua immagine pubblica. Non c’è altra via.»
«Dici seriamente, Draco?» il tono del ragazzo era basso, suonava profondamente ferito. «Devo farmi amico il nostro nemico e dimenticarmi che la sua vittoria è stata la nostra rovina?»
«La sua vittoria è stata la nostra salvezza, che ti piaccia o no.» ringhiò basso Draco. «Quanto pensi che saremmo durati sotto Voldemort? Era un mezzosangue folle e disumano, non avresti voluto vivere sotto di lui, credimi. Potter ha vinto, ed è meglio per tutti. Sei un Serpeverde, per Merlino! Passa dal lato dei vincenti prima che puoi o rimani a terra a morire da solo fra gli sconfitti: è finita.» concluse esasperato.
Harry si scostò di scatto dalla sua posizione e filò via col volto segnato da una smorfia rabbiosa.
Risalì fino alla torre di Grifondoro, dove trovò i compagni nella sala comune intenti a portare avanti una vivace festicciola.
«Ehi Harry, cos’è successo?» Lo accolse subito Ron che fu il primo a notare la sua faccia contratta.
«Niente, non preoccuparti. Io salgo a dormire, sono stanco.» tagliò corto un po’ bruscamente, filandosela verso il dormitorio maschile.
Ron lo seguì, e una volta che raggiunsero la loro stanza comune, attualmente vuota visto che i compagni erano tutti di sotto, si mise a piantonare l’uscio con le braccia incrociate.
«Niente un cavolo: stavi seguendo Malfoy e Nott, è successo qualcosa. Parla, o andrò io a parlare con Malfoy domani.» ordinò con una smorfia imbronciata.
«Ah sì? E che gli dirai?» sbuffò infelice Harry lasciandosi cadere pesantemente seduto sul letto.
«Che il mio migliore amico aveva una smorfia orribile e sono sicuro che c’entri lui?» propose sarcastico.
Harry prese a dondolare nervosamente una gamba e dopo qualche attimo di riflessione, a capo chino spiegò:
«Ho sentito la loro conversazione. Nott gli chiedeva come mai l’avesse mollato per diventare amico mio. Malfoy ha detto delle cose …  tremende.» raccontò rabbioso.
Ron aggrottò la fronte e gli si avvicinò di qualche passo.
«Cose tipo?»
«Tipo che sta fingendo di essere amico mio perché sono il vincitore del conflitto e perché deve tenersi lontano dai mangiamorte per non rischiare altro con la sua famiglia. Cose tipo che alla mia festa non ci voleva venire davvero ma alla fine si è fatto convincere dalla madre pur di allacciare i rapporti di convenienza con me. Che anche Nott e gli altri, volente o nolente, avrebbero dovuto farsi amici me e tutti voi. Vi ha definiti “gli idioti della compagnia”, o qualcosa di simile.» concluse lugubre.
Ron sembrava diviso fra lo scioccato e l’irritato.
«Lurida serpe. Non è cambiato di una virgola.» inveì a bassa voce. «Eppure sembrava davvero amichevole, diamine!»
«Già. Ed io che ci sono cascato come un idiota, appunto.» ringhiò basso Harry, rifilando un calcio al baule ai piedi del letto
Ron rimuginò qualche secondo, quindi decretò in tono solenne.
«Bene, allora gli daremo quel che merita.»
«Mh? Che intendi?»
«Se la tua amicizia è solo una facciata politica beh, ti basterà piantarlo in asso. Non parlarci più, non farti vedere insieme a lui e se altri Serpeverde provano ad avvicinarsi stessa cosa: ignorali tutti. Che vadano al diavolo.»
Harry annuì, l’umore cupo e ormai compromesso.



Intanto, qualche piano più giù, Remus Lupin ed Eli Porter erano appena entrati nello studio dell’insegnante di Difesa. L’impiegato del Ministero chiuse la porta dietro di sé e fissò l’altro con un sorriso malizioso.
«Non credi sia troppo avventato e anche vagamente scorretto?» sussurrò Remus divertito, mentre si incamminava verso la scrivania.
«Per niente, Remus. A mali estremi … » sospirò Eli, mentre il suo corpo mutò in pochi istanti. Al suo posto comparve Tonks, infilata nel completo maschile un po’ troppo largo che aveva scelto per interpretare Porter. « … estremi rimedi.»
Remus si passò una mano fra i capelli e andò a posare il sedere sul bordo della scrivania.
«Mh, non sono molto convinto, Dora.»
«Fai male. L’ho osservato tutta la sera e ti stava mangiando con gli occhi.» sogghignò lei. «Anche quando ci ha visti parlottare in sala grande ci fissava.»
«Magari fissava te?» sbuffò fra serio e faceto Remus. «Hai scelto una facciata decisamente troppo gradevole per la tua missione.»
«Il Ministero non mi ha chiesto di scegliere un aspetto specifico, per questo ruolo.» rise Tonks, raggiante. «Dunque tanto vale unire l’utile al dilettevole no?»
«Cercare di far ingelosire un uomo chiaramente non omosessuale e che mi detesta sarebbe dilettevole?» la rimproverò ironico.
«Oh sì. Da morire. E che non sia gay o bisessuale è tutto da dimostrare. Fidati del mio intuito femminile, Remus. Gli piaci più di quanto non voglia ammettere. Magari è così disabituato ai legami affettivi che manco se ne rende conto, di desiderarti.» Anche lei andò a sedersi sul bordo della scrivania, sebbene le ci vollero due tentativi perché al primo scivolò.
«Se lo dici tu.» sospirò l‘altro bonariamente.
Tonks si fece più seria all’improvviso.
«Pensavo una cosa, a proposito. Ne avevamo parlato settimane fa con il Ministro, non so perché mi sia tornato in mente solo ora.»
«Mh?»
«Ricordi la notte della battaglia dei sette potter?»
«Sì, certo.»
«Ripensandoci, Snape ti aveva salvato la vita.»
«In effetti.» rifletté Remus. «Ma non penso l’avesse fatto per me, se è questo ciò a cui vuoi alludere.»
«Ah no?» fece lei con un sorriso ammiccante.
«Stava semplicemente salvando un compagno in armi e potenzialmente Harry. Non poteva sapere che il Potter che era con me fosse in realtà George.»
«Poteva lasciar morire te e salvare quello che lui credeva Potter. Invece s’è esposto ad un rischio enorme.»
«Dora, dove vuoi andare a parare?» tagliò corto il licantropo.
«Non ti detesta a morte, ecco dove voglio arrivare. È già qualcosa. E se questa scenetta che metteremo su non darà i suoi frutti entro qualche settimana beh, non ti resterà altro che andare da lui ed essere diretto.» provò a motivarlo.
«Sono già stato diretto.» sospirò. «Anche ammesso sia vera la tua teoria che in realtà stia mettendo su un muro perché tende ad autosabotarsi, chi sono io per impedirglielo? Per obbligarlo a stare meglio, a rifarsi una vita? Evidentemente non … »
Tonks sbuffò rumorosamente interrompendolo.
«Remus?»
«Mh?»
«Forse hai ragione, è inutile lavorare su Snape.»
Lui la fissò sorpreso.
«Oh, bene. Ti sei convinta finalmente?»
«Sì. Capisco che dobbiamo prima lavorare su di te.» sogghignò lei furbescamente.
Remus inarcò un sopracciglio, perplesso, ma non la interruppe.
«Anche tu ti stai continuamente autosabotando. Anche tu ti senti cronicamente immeritevole d’affetto. Prima curiamo questa tua malattia e poi vediamo di pensare a quell’altra testa dura.»
Remus emise un profondo sospiro rassegnato.
«Se lo dici tu.»


 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Bugie ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 


La prima lezione in comune fra l’ultimo anno di Grifondoro e Serpeverde a metà settembre fu quella di pozioni. Nell’aula la tensione era palpabile fra gli studenti, tutti riuniti in due gruppi separati ai lati opposti della grande tavolata coi calderoni. I ragazzi verde e argento erano circa la metà dei rosso oro.
«Spero nessuno abbia avuto l’infelice idea di metterci insieme anche per un’ora di Difesa.» commentò a bassa voce Ron, guadagnandosi l’assenso divertito di Harry e diversi altri, ed il sospiro rassegnato di Hermione.
Il fitto brusio di chiacchiere e occhiate ostili venne interrotto solo dal richiamo gioviale di Horace Slughorn alla cattedra. Al suo fianco sedeva Snape, braccia incrociate e sguardo un po’ fiacco ma sempre serissimo.
«Buongiorno a tutti ragazzi. Oggi faremo una lezione un po’ particolare, su suggerimento del professor Snape.» premise con un sorriso giusto un po’ teso, cedendo parola al docente più giovane.
Snape squadrò tutti gli studenti prima di parlare con una calma che trasudava tedio.
«Il professor Slughorn mi ha convinto ad accogliere anche quanti di voi avevano valutazioni di poco inferiori ai miei standard usuali per il settimo anno. Ritenetevi dunque privilegiati.» spiegò senza mai sciogliere l’intreccio delle braccia. «Proprio per questo la lezione di oggi sarà una sorta di ripasso sulla corretta lavorazione di molti ingredienti di base: tecniche, consigli per migliorare l’estrazione dei componenti e così via. Questo apparentemente banale esercizio ci aiuterà a risparmiarci scene abominevoli e indegne di un settimo anno durante le prossime lezioni.» concluse, soffermandosi con una certa insistenza su Ron, Harry e pochi altri Grifondoro.
Il rosso non sembrava però turbato come gli anni precedenti, e quando il pozionista smise di fissarlo si chinò verso Harry ed Hermione e mormorò, con un sorriso sarcastico:
«Secondo voi il fatto che gli abbiamo salvato la vita lo porterà ad essere un po’ più clemente?»
«Mpf. Forse il contrario.» rise piano Harry.
Seguì un lieve brusio fra gli studenti, chi più chi meno entusiasta. A romperlo fu ancora Slughorn.
«Molto bene. Dividetevi in gruppetti da minimo tre e massimo cinque per favore. Possibilmente anche intercasa, coraggio.»
I ragazzi si guardarono scettici e perplessi e cominciarono a raggrupparsi svogliati. Tutti con altri membri della propria casata. Uno fra i pochi che rimase fuori da ogni abbozzo di gruppo fu Draco. Fermo e teso da un lato, stava sbirciando con aria esitante i Grifondoro e in particolare Harry che però evitava di guardare in sua direzione dall’inizio della lezione. Snape squadrò il figlioccio con la fronte aggrottata.
«No, professor Slughorn.» annunciò il pozionista a voce bassa, ma comunque capace di zittire tutta l’aula. «Lavoreranno da soli, così che nessuno possa mettere una pezza alle lacune altrui.»
Horace lo guardò un po’ sorpreso, ma quando inquadrò anche lui Draco, fermo e visibilmente isolato dagli altri, annuì.
«Sì, forse è meglio.» convenne, cancellando ogni perplessità con un sorrisone dei suoi. «Bene ragazzi, lavoro singolo, avanti. Così potremmo aiutarvi più nel dettaglio.»
I gruppi si separarono, e tutti si avvicinarono alla propria postazione ancora più svogliati di prima.
«Tsk.» sbuffò Zabini quando passò accanto a Draco. «L’unica pezza che è stata messa qui oggi è quella alla tua solitudine.» mormorò sarcastico, scatenando diversi sbuffi e mugolii d’approvazione fra i compagni.
Draco prese un respiro profondo e gli scoccò un’occhiata sprezzante.
«Non credo che abbia cambiato idea per colpa mia.» gli rispose altrettanto piano. «Quanto per la vostra incapacità di fare gruppo e sfruttare i vantaggi che ne derivano.»
Prima che Zabini potesse rispondere però, si inserì Nott che si stava avvicinando seguito da Pansy.
«Non tutti sono disposti a ingoiarsi la dignità pur di cavarsela.» sibilò acre.
Ogni discussione nascente venne però interrotta dal richiamo di Snape.
«Prendete posto e cominciate, vi distribuiremo gli ingredienti in ordine di difficoltà.» ordinò secco.
La peculiare lezione di ripasso ebbe così inizio, fra una fitta rete di sguardi tesi se non direttamente ostili, destinati a sedarsi solo di fronte alle operazioni più difficili sugli ingredienti. Slughorn riuscì a stento ad alleggerire un po’ l’ambiente con frequenti giri fra i tavoli e incoraggiamenti, al punto che persino Snape si limitò ad osservare la situazione risparmiandosi i soliti interventi acidi.
Quando l’ora di pozioni terminò e tutti si apprestarono a lasciare l’aula, Ron aveva un raro sorriso soddisfatto in faccia.
«Non è stato male dai.» ammise divertito ad Harry ed Hermione che lo affiancavano.
«Perché Slughorn ha molta pazienza.» iniziò a dire sorridente la ragazza.
«E perché Snape non ha fatto niente.» concluse rigorosamente a bassa voce Harry.
Poco più indietro Draco si affrettò a inseguire il terzetto e cercare di affiancare proprio Potter.
«Ehi.» lo richiamò con un sorriso incerto. «Lezione più strana di sempre?» propose scherzoso, ma subito serrò la bocca quando vide la reazione sul volto dell’altro.
Harry aveva ricambiato il suo sorriso con a stento un cenno di saluto e uno d’assenso, senza fermarsi né rispondergli.
Draco si accigliò e si fermò sul posto, ma non fu il solo. Hermione squadrò il biondo e poi il moro con aria confusa, mormorando all’amico:
«Sbaglio o stai evitando Malfoy da giorni e quando prova ad avvicinarti sei freddo e sbrigativo? Che mi sono persa?»
«Nh? No niente di che.» mentì il moro distrattamente.
«Harry. Non costringermi a chiedere a Malfoy, per favore.» minacciò lei.
«A furia di baciarvi tu e Ron ora dite le stesse cose.» bofonchiò malmostoso.
«Come?»
«Niente.»
Draco rimase indietro a fissarli allontanarsi con un cipiglio confuso, mentre Nott e Zabini gli sfilarono accanto con compiaciuto divertimento. Il secondo gli rifilò anche una discreta spallata che quasi lo fece sbilanciare.
Harry ed Hermione come diversi altri, si voltarono a sbirciare incuriositi dal chiacchierio che si stava alzando indietro fra i Serpeverde.
«Oh, scusa Malfoy.» mormorò Blaise mellifluo.
«Non ha più appoggi, Blaise, devi essere più delicato con lui.» rincarò Theodore scatenando diverse risatine fra i compagni intorno.
Il biondo si rimise dritto e gli scoccò un’occhiata furiosa.
«Che cos’hai fatto?» ringhiò verso Nott.
«Io? Niente. Non so di che parli.» ammise l’altro, divertito.
Draco mise mano alla bacchetta ed Harry osservò la scena con aria contrita, combattuta. Hermione mosse un passo con aria seccata e anche Ron sembrava sul punto di intervenire, ma a bloccare il rischio di un duello fu la voce annoiata di Snape, che avanzava zoppicante appena uscito dall’aula.
«Vi do dieci secondi per sparire dalla mia vista o leverò il doppio dei punti ad ognuno di voi. Malfoy, dopo pranzo passa nel mio ufficio.» ordinò secco.
I ragazzi, seppur sbuffando, non se lo fecero ripetere una seconda volta e si allontanarono. Draco lanciò giusto un’occhiata confusa al docente, annuì e si rimise in marcia.
Hermione acchiappò Harry per un braccio, fece cenno a Ron di andare e costrinse il moro a seguirla verso un corridoio laterale.
Quando ebbero raggiunto un punto sufficientemente pacifico, mollò l’amico e gli si piazzò davanti con un cipiglio severo.
«Sputa il rospo.»
Harry trasse un lento respiro e svogliatamente raccontò la scena a cui aveva assistito il primo giorno di scuola. Malfoy che ammetteva a Nott di aver fatto finta di essere suo amico dalla fine della guerra.
Hermione non sembrò particolarmente colpita o stupita, fece persino spallucce.
«Harry, è un Serpeverde. I Serpeverde mentono.» dichiarò come fosse ovvio.
«Sì, lo sapevo ma non credevo potesse arrivare a fingere così tanto per convenienza. Venire al mio compleanno quand-» l’altra lo interruppe.
«Intendevo che forse ha mentito a Nott.»
«Eh?»
«Pensaci bene. Non ha più amici né alleati lì dentro, è in una posizione davvero rischiosa, hai visto come lo trattano già dopo un paio di settimane? Ci manca pure che si metta a dichiarare pubblicamente di essere sinceramente amico tuo per diventare definitivamente un paria. Ovvio che con loro manterrà una facciata da furbo doppiogiochista, ma io penso che in realtà con te fosse sincero.»
Harry sgranò gli occhi, sorpreso.
«Dici che era tutta una scena con Nott? Ma mesi fa ha rinnegato tutti i suoi amici, mi aveva detto di aver tagliato i ponti scrivendogli una lettera. Perché mai ora dovrebbe cercare di salvare la faccia con loro se non li vuole più attorno?»
Hermione si fece pensierosa, ma risolse il dubbio facendo spallucce.
«Beh, mesi fa era appena finita la guerra. Mesi fa non ce li aveva davanti in carne, ossa e bacchette. Forse manco credeva di tornare ad Hogwarts, mesi fa. Ora però ci deve convivere per un intero anno scolastico a stretto contatto. Mi sembra una strategia di sopravvivenza, francamente.» propose convinta.
Harry fissava il pavimento con aria profondamente dubbiosa, quasi ferita.
«Come posso esserne sicuro? E se magari fa veramente il doppiogioco con me?»
Hermione studiò con calma il disagio dell’amico, quindi sospirò.
«Beh, a meno che tu non abbia del Veritaserum, parlagli, no?»
«E che cosa gli dico? Che l’ho origliato mentre era con Nott?» sbuffò l’altro.
«Sì.»
«Scherzi?» si incupì Harry.
«Cioè, dirgli che hai fatto una cosa innocente ma scorretta no, e rinunciare a lui come amico abbandonandolo va bene?»
Harry non poté fare a meno di fissarla interdetto, incapace di contraddirla, così la ragazza insistette.
«Ecco, allora magari dopo aspettalo fuori dall’ufficio di Snape, prova a intercettarlo e chiarisci questa cosa il prima possibile, prima che degeneri in chissà che.»
Harry non sembrava entusiasta ma annuì, si voltò e fece per allontanarsi frettolosamente, ma Hermione lo acchiappò ancora una volta per un braccio.
«Aspetta un attimo. Ho ancora una domanda.» spiegò seria.
Il moro frenò e tornò a girarsi, fissandola teso.
«Harry tu … » iniziò lei, un po’ imbarazzata. «Il rapporto che è nato fra te e Malfoy nei mesi scorsi. Non era una semplice amicizia, vero?»
Harry sgranò gli occhi. Incrociò le braccia al petto e strinse qualche attimo le labbra prima di risponderle.
«Cosa intendi? Certo che era una semplice amicizia.»
«Allora perché sei così teso?» lo pungolò lei con un’occhiata penetrante, indagatoria.
«Perché non sopporto di essere stato raggirato.» sbuffò il moro, sedando a fatica il nervoso.
«Harry.» lo redarguì con un sospiro basso l’altra. «Per favore. Hai come timore di qualcosa, si vede. Un po’ troppo per un semplice rapporto di amicizia nato da pochi mesi e potenzialmente perso.»
Il moro inghiottì a vuoto. La guardò negli occhi e non si trattenne dallo sbottare.
«Ho paura di scoprire che era sincero con Nott e non con me. O di sentirlo negare e magari farmi raggirare ancora.» ammise con un ritorno di fiamma del suo usuale nervosismo. «Io pensavo davvero che fosse una persona migliore, stavo … iniziando a provare qualcosa per lui.»
Hermione, ancora una volta, non ne sembrò affatto sorpresa.
«Mh.» mugolò pensierosa. «Allora fa così: proponigli un’alternativa e vedi come reagisce. Digli che hai assistito alla sua discussione con Nott e che non c’è alcun bisogno che finga di essere tuo amico. Che può calare la maschera e sei disposto a fingere di fronte agli altri, offrirgli la protezione che gli serve.»
Harry la guardò confuso.
«Cioé? Che senso ha?»
«Il senso è che così lo metteresti alla prova. Gli daresti ciò che ipoteticamente vuole, senza il peso di doverti più mentire o frequentare controvoglia. Se fosse davvero motivato dall’utilitarismo del legame, in questo modo verrebbe allo scoperto e accetterebbe. Se invece fosse genuinamente interessato a frequentarti beh, penso chiarirebbe l’equivoco.» concluse facendo spallucce.
«Ok, ha senso.» ammise Harry, sebbene continuasse ad avere una smorfia incerta, tesa. «Un po’ macchinoso ma ha senso.»
Hermione sorrise morbidamente e gli rifilò una pacca affettuosa.
«Andrà bene, vedrai. Coraggio, ora andiamo a mangiare.»




Dopo pranzo Draco si alzò da tavola e nello sfilare accanto ai compagni qualcuno gli fece lo sgambetto facendolo incespicare di malo modo.
«Malfoy dato che stai andando, fatti prestare il bastone dal professor Snape. Stai patendo troppo la mancanza di un supporto.» sogghignò Pansy, facendo ridere tutta la tavolata e persino qualche ragazzo dei tavoli accanto.
Il biondo arrossì leggermente ma ignorò la cosa, tirando dritto per la sua strada.
Hermione diede una leggera gomitata ad Harry, indicandogli il ragazzo in allontanamento.
«Visto? Vai, avanti!» sibilò.
Ma Harry fece una smorfia e scosse il capo.
«Senti, ci parlo domani, ok? Ora sono stanco, davvero, ho mangiato troppo. Non sono lucido per affrontare discussioni.» mugugnò, ma sembrava più teso che assonnato.
Hermione lo guardò severa, scosse il capo e sospirò senza insistere.
«Che succede?» si intromise curiosa Ginny.
Anche Ron, sebbene profondamente distratto dall’ingozzarsi di una seconda porzione di torta di zucca, emise un mugugno interrogativo.
«Hai presente la questione di Malfoy?» sospirò Harry svogliato.
«Mh-mh.» annuì Ron.
«Io no, che questione?» sibilò Ginny.
Harry fece una smorfia un po’ atterrita e rassegnata, quindi raccontò tutto curandosi di abbassare un minimo la voce per tenere la cosa fra loro. Al termine Ginny ed Hermione erano convintissime della versione di un Malfoy vigliacco ma realmente interessato ad Harry, mentre Ron manteneva un ostinato dubbio diffidente.
Draco intanto era arrivato a bussare alla porta dell’ufficio di Snape con un’espressione profondamente avvilita. 
La voce calma del docente lo invitò ad entrare e così fece.
Severus era seduto dietro la sua scrivania, intento a leggere l’ultima copia della Gazzetta del Profeta e gli fece cenno di accomodarsi su una delle sedie di fronte alla sua.
«Di cosa voleva parlarmi, Signore?» si annunciò rigidamente, accomodandosi.
«Siamo soli, accantona le formalità.» lo informò il pozionista. «Rilassati pure. Non intendo punirti.»
Il biondo perse un minimo di tensione ed abbozzò un sorriso breve e fiacco.
«Grazie.»
«Hai una cera quasi peggiore della mia, Draco. Ecco di cosa voglio parlarti. Per quanto io possa sforzarmi di immaginare e presagire, voglio sapere bene che cosa ti sta succedendo e cosa sta succedendo con i tuoi compagni Serpeverde e Potter. Ho sentito delle voci contrastanti, in merito.» lo interrogò fissandolo intensamente.
Draco sgranò leggermente gli occhi.
«Che voci?»
«Dimmi tu la tua versione, per cominciare.»
Il biondo si morse nervosamente il labbro inferiore.
«Posso parlarti francamente? Non so cosa fare e con chi confidarmi, sono completamente solo.» ammise, profondamente a disagio.
Severus inarcò un sopracciglio, ma sospirò paziente.
«Parla liberamente.» concesse.
«Credo … di essermi preso una cotta per Potter.» ammise il ragazzo, le guance velate di rosa e gli occhi fissi sulle mani di Snape pur di evitarne lo sguardo. Lo vide perdere quasi la presa sul giornale per la sorpresa.
«Come prego?» mormorò, accigliato.
«Quello che ho detto. Mi interessa Harry Potter. Da qualche mese ormai.»
«Non è un buon momento per fare scherzi.» borbottò l’uomo, in difficoltà. «Cosa penserebbero Lucius e Narcissa di una cosa simile?»
Draco sbuffò fra divertito e dolente.
«A papà verrebbe un colpo. Mamma penso sarebbe persino entusiasta. Insomma è un ottimo partito: ricco, famoso, influente, un mago potente.» spiegò fra serio e faceto.
«Ma è un maschio.» obiettò il pozionista, che stritolò fra le dita della mano sana la sua copia del Profeta.
Draco rialzò timidamente lo sguardo e lo fissò perplesso.
«Sì, e quindi?»
«E quindi niente, è un maschio e tu sei maschio.» ripeté Snape con la stizza delle ovvietà.
«Ah, intendi per la questione dell’avere figli?»
«No intendo per … » si bloccò, pensieroso. «Lascia perdere.» mollò il giornale, seccato. «Ti sei preso una cotta per Potter. Ma lui ho notato che ti ignora clamorosamente, quindi dov’è il problema?»
«Beh, il problema è che ha preso ad ignorarmi da quando abbiamo iniziato la scuola. Per tutta l’estate, da quando ti vegliavamo al San Mungo e alla sua festa di compleanno, era stato molto … non so se è stata tutta una mia illusione o cosa.» spiegò passandosi nervoso le dita fra i capelli. «Ma mi sembrava interessato anche lui. Cioè c’era una certa intesa fra noi, anche solo come amici. Non so cosa sia successo dunque, così di botto.» concluse deluso.
Severus incrociò le braccia al petto.
«Quindi contavi sulla sua amicizia per avere qualcuno a scuola, ma ora sei effettivamente solo?»
«Sì. E ovviamente tutti me lo fanno pesare. Ma non è solamente una questione di politica, lui mi manca davvero. Non avevo mai provato niente di simile per nessuno. Cioè, al massimo attrazione per Zabini a livello fisico.» ammise, avvilito.
Il pozionista lo fissava con la fronte aggrottata e il cipiglio più severo del suo repertorio.
«Passerà. Ti sei ritrovato lui davanti, amichevole, gradevole e carismatico, in un momento di debolezza e solitudine. Ti sei preso una cotta ma non è niente di che. Faresti meglio a tenerti buono almeno qualche tuo vecchio amico e lasciar perdere Potter.» consigliò aspro.
«Ho parlato con Nott un paio di volte.» sbuffò il biondo. «Gli ho detto che cercavo l’amicizia di Potter solo per interesse e ho tentato di convincerlo a farselo amico a sua volta, anche solo per finta. A passare dalla parte dei vincitori almeno in nome del buon senso. Ma non ne vuole manco sentir parlare.» sospirò pesantemente. «Non voglio avere a che fare con nessuno di loro finché sposano ancora apertamente quegli ideali marci. Non voglio e non posso permettermelo. Ma mi sento solo.» aggiunse grattandosi nervosamente l’avambraccio sinistro.
Snape ammorbidì di poco l’espressione.
«Allora impara a starci, da solo. Perché è il destino di molti di noi, temo.»
Draco fece una smorfia profondamente dolente, come se avesse inghiottito un grumo di spine.
«Ma io non voglio stare solo.» lamentò pianissimo. «E non è solamente una cotta. A me piace davvero Potter. Non era come credevo che fosse: è brillante, forte, divertente. Mi fa sentire bene e al sicuro. Mi viene voglia di abbracciarlo, baciarlo, conoscerlo ancora di più. Stargli accanto. Non riesco a togliermelo dalla testa.» elencò quasi senza prendere fiato, le guance paonazze e il viso attraversato da una frustrazione profonda.
Severus chiuse gli occhi per qualche secondo, ma quando li riaprì era tornato all’espressione dura e fissa di sempre.
«Draco. Quale che sia il peso di questa infatuazione, devi capire che non ha alcun futuro. Prima lo accetterai e prima potrai porre fine a questa cosa immediatamente.»
«Ma i-» fece per obiettare ma l’altro gli parlò sopra.
«Non-ha-futuro.» scandì impietoso. «Se lui ti ricambiasse non ti eviterebbe così, per prima cosa, ma cercherebbe un confronto. E se proprio vuoi illuderti che ti ricambi, il fatto che ti eviti dimostra che vuole mettere il punto ad ogni possibile situazione fra voi. Se ci tieni a lui come dici, lascialo perdere. Avere una relazione ora, o peggio ancora da adulti, sarebbe tanto complesso per te quanto per lui a livello sociale.» il suo tono era granitico.
Draco strinse i denti, mentre un fremito lo portò ad alzarsi di scatto.
«Perché? Perché io sono … ?» sibilò.
«Un mangiamorte, esatto.» completò secco il padrino.
Il biondo iniziò a singhiozzare faticando a trattenersi, una mano sul volto in un moto di vergogna e dolore.
«Passerà, Draco. Col tempo passerà. Se gli vuoi bene come dici farai meglio a stargli lontano e dimenticartelo. Avrà una vita più serena, dopo quante ne ha passate per colpa di persone come noi.» mormorò con lo sguardo fisso a terra, l’espressione vacua e un po’ distante.
«Come faccio a ignorare i miei sentimenti? Come faccio a stare solo?» ringhiò cedendo alla disperazione e al timore.
«Non sei solo, prima di tutto.» sbuffò Snape. «Hai me fra i docenti, Lucius e Narcissa, e le potenzialità di trovarti nuove amicizie più adeguate, se proprio non ne puoi fare a meno. Sei giovanissimo, Draco. Lo dimenticherai, prima o poi.»
«No che non lo dimenticherò.» sbottò il biondo, scoccandogli la prima vera occhiata feroce del pomeriggio. Aveva il volto rigato di lacrime e arrossato dalla rabbia.
Snape lo fissò a lungo in silenzio, l’espressione impietosa e rigida, ma alla fine abbassò lo sguardo.
«Lo so cosa provi. Ora è atroce e ti sembra insormontabile, ma fra qualche settimana farà già meno male.» spiegò. «Se non sarà così ti darò una mano non appena avrò recuperato ogni facoltà motoria e pieno potere.» concluse, accennando alla tasca dove teneva la bacchetta.
Draco smise di piangere dopo un altro paio di singhiozzi e lo fissò confuso.
«Aiutarmi, con la magia?»
«Sì.»
«E come? Esiste una pozione o un incantesimo per far passare un dolore simile?» sibilò tirando su col naso.
«Sì, Draco.» ammise funereo l’uomo, ancora incapace di guardarlo direttamente.
«E qual è?»
«L’Oblivion.» decretò il pozionista, tornando finalmente a fissarlo. I suoi occhi scuri erano spenti, distanti.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Piante solitarie ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 

Verso fine settembre venne il turno della seconda lezione in comune fra il settimo anno di Grifondoro e Serpeverde: erbologia. Quando i ragazzi entrarono in serra, accolti da una sorridente professoressa Sprout, si ritrovarono davanti anche il bel muso serioso di Eli Porter. Tonks nelle vesti del solerte uomo del Ministero, si era appostata in piedi in un angolo, con la sua solita aria rigida e immota da guardiano in servizio.
Si levò subito un vociare divertito fra alcuni gruppetti di ragazze, e Pansy Parkinson lo squadrava con un’espressione complessa da decifrare, come divisa fra attrazione e disprezzo.
«Allora non è qui solo per controllare che Lupin non ci sbrani.» sussurrò perfidamente agli altri compagni.
Chi fissava Porter con meno entusiasmo era invece Zabini.
«Mancano un paio di giorni al plenilunio. Lo vorrei proprio vedere un duello fra il belloccio del Ministero e il mannaro. Secondo me durerebbe un minuto netto.» propose con sadico divertimento.
«Beh, se è un auror del Ministero non sarà completamente debole, no?» mugugnò Pansy controvoglia.
«Cos’è, ti piace?» insinuò piccato Blaise.
«Contro un mannaro anche un auror può fare poco.» si inserì Nott, il tono teso e contrtito. «Questo la dice lunga su quanto sia grave che abbiano concesso a Lupin di varcare anche solo la soglia di questa scuola.»
«Siete un disco rotto.» la voce annoiata di Ron irruppe nei loro scambi mentre procedevano svogliati verso i propri posti.
«Già, sarà almeno la quarta volta che li sento fare questo discorso.» sospirò Neville poco più indietro, in un raro moto di sarcasmo.
Il gruppo di Serpeverde si zittì controvoglia dopo aver scoccato una serie di occhiate acidule ai due.
La professoressa richiamò l’attenzione di tutti con un rumoroso schiarirsi della gola, mentre Porter osservava proprio quel gruppetto con aria più attenta.
La grande tavolata al centro della serra reggeva una delle piante in vaso più massicce che avessero mai visto. Aveva un vaso largo come una betoniera, ed enormi radici a vista tutte intrecciate fra loro e sporgenti dal terriccio. Pochissime foglie giallognole e verdi dall’aria malandata penzolavano dai rami radi.
«Oggi salveremo la vita di queste Manfole Solitarie.» annunciò lieta la docente. «Questa è una pianta unica del suo genere. I primi mesi di vita le piantine sono infatti tutte ben separate, ma con estrema lentezza mese dopo mese, nel corso di almeno dodici mesi, si spostano per congiungersi in gruppi di circa quaranta esemplari.»
«Cosa vuol dire che si spostano?» mugugnò Ron, allibito.
«Si spostano, Weasley.» ripeté la docente. «Hanno radici in grado di compiere lenti movimenti e camminano lungo il terreno finché non trovano le radici delle loro compagne a cui aggrapparsi. Una giovane Manfola Solitaria lasciata a sé stessa e impossibilitata a raggiungere le compagne muore nel giro di poche settimane.»
«Allora come mai si chiamano Solitarie?» intervenne Pansy, che aveva occhi più per Eli che per la Manfola.
«Ottima domanda Parkinson. Il peculiare ciclo vitale di queste piante fa sì che esse, una volta congiunte, inizino a stringersi sempre più forte sino a stritolarsi le radici a vicenda. Questo legame di convivenza dura per un anno dopo che tutte le Manfole si sono riunite, e poi la pianta inizia a morire. Le Manfole una volta unite infatti non si separano più nemmeno per salvarsi la vita. Però, se separate manualmente e rinvasate da adulte con un particolare metodo, riescono a sopravvivere ancora a lungo e dare anche preziosi frutti utilissimi per realizzare diverse pozioni.»
«Quindi, dobbiamo tipo … snodarle?» intervenne ancora Pansy.
Zabini sbuffò e mugugnò a mezza voce.
«Come se te ne fregasse qualcosa, vuoi solo farti notare da Porter.»
«Sì, Parkinson.» confermò compiaciuta la docente. «Qualcuno di voi sa già per caso come fare, e quali sono i rischi di questo procedimento?»
Le uniche due mani che si alzarono furono quelle di Hermione e Neville, e la cosa fece sorridere Eli e incupire Pansy appena lo notò.
«Longbottom.» sorrise incoraggiante la Sprout.
Il ragazzo prese a parlare con una rara sicurezza nella voce e il tono ispirato di chi ha passione per la materia.
«Per separare le Manfole bisogna usare modi gentili e un po’ di decisione. Accarezzarle e consolarle per l’imminente separazione. Convincerle insomma ad allentare leggermente la presa e gradualmente slacciare le radici e rinvasarle. Per fare ciò bisogna essere in uno stato d’animo il più possibile sereno e rilassato, senza fretta, in modo da non trasmettere alle piante la propria agitazione o crearle dubbi. Quindi l’ideale è pensare a qualcosa che ci rilassa.» spiegò gentile. «Una volta separate e rinvasate, se si è fatto tutto correttamente, la Manfola metterà radici nella terra senza cercare di scappare o togliersi la vita per la tristezza della separazione.»
«Togliersi la vita?» mormorò Ron atterrito.
«Già.» intervenne mesta Hermione. «Se separate bruscamente dalle compagne e rinvasate prima che siano pronte a rimanere da sole, tendono ad evadere dal vaso e lasciarsi morire. Insomma, vanno convinte prima e consolate dopo.»
«Eccellente spiegazione. Cinque punti a Grifondoro!» sentenziò compiaciuta la Sprout. «Ce la farete, non preoccupatevi troppo. Anche in caso di tentato suicidio dopo il rinvaso sono abbastanza lente e si possono convincere.» rise tranquilla. «Dividetevi in coppie per favore. Uno sarà l’addetto a tirare le radici lentamente e l’altro a rassicurare la pianta e supportarla emotivamente.»
La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze di ambo le casate sembrava abbastanza inquietato dalla mansione, ma iniziarono a dividersi comunque in coppie e munirsi di guanti, terriccio, vaso nuovo e posizionarsi intorno all’enorme grappolo di piantine.
Draco non celò il nervosismo man mano che i compagni si mettevano in coppie lasciandolo in disparte e Ron, dopo un rapido cenno d’intesa con Hermione, rifilò una sonora spinta ad Harry portandolo a caracollare vicino a Malfoy. Harry fissò entrambi gli amici con un cipiglio irritato, ed Hermione si limitò a scandire in labiale un bel “parlagli”.
Draco ed Harry si guardarono interdetti, tesi, ma non ebbero manco il tempo di allontanarsi che la professoressa ordinò:
«Coraggio, cominciamo. Bisogna iniziare tutti insieme o sarà più difficile, presto!»
Ci fu un istante di panico fra il moro e il biondo, ma il secondo fu più svelto e riuscì ad acchiappare le radici, lasciando dunque ad Harry il ruolo meno dignitoso di terapeuta per piante.
All’inizio la maggior parte dei ragazzi fu in difficoltà, soprattutto chi doveva improvvisarsi consolatore. Copiarono tutti i modi di Hermione e Neville e solo dopo una decina di minuti le radici, grosse come manici di scopa, iniziarono a cedere.
Draco teneva lo sguardo basso, una smorfia vagamente irritata ed Harry si rivelò un pessimo consolatore di vegetali.
«Avanti, lasciati andare. Ti sentirai meglio, quando sarai da sola nel tuo vaso, vedrai.» mormorava, poco convinto e tesissimo.
«Potter, non si muove di un millimetro. Prova qualcos’altro.» suggerì Draco a disagio, il viso arrossato dallo sforzo di tirare le radici.
«Che altro devo fare?» sbuffò Harry. «Gli altri stanno dicendo tutti cose simili e funziona.»
«O abbiamo beccato la pianta peggiore o tu non sei convincente, non c’è molto campo.» sibilò il biondo.
«Magari stai tirando troppo forte tu e il distacco così brusco non le piace?» lo accusò accigliato Harry.
«Ragazzi, non davanti alla pianta.» li redarguì dolcemente la Sprout che stava facendo il giro del tavolo. «Rilassatevi, avanti.»
«Va bene, professoressa.» mugugnò Harry, poco convinto. 
Draco smise di tirare, ma non sembrava minimamente capace di rilassarsi accanto al moro.
Nessuno dei due alzò mai lo sguardo verso il viso dell’altro e i successivi tentativi furono tutti molto fiacchi. Harry provò in ogni modo a convincere la pianta a mollare la presa, e per quanto Draco tirasse e provasse a sua volta a motivarla quella restava immota. Le piantine degli altri invece si erano gradualmente allentate, qualcuno aveva già snodato la propria dalla matassa e stava procedendo a consolarla, coccolarla e infilarla nel terriccio nuovo. Persino Zabini, finito svogliatamente in coppia con una Grifondoro, era riuscito nel compito.
Gli unici che dopo quasi un’ora non avevano smosso granché erano Harry e Draco da un lato, e Pansy e Theodore dall’altro. La prima sembrava insolitamente ispirata mentre carezzava le radici e sbirciava verso Porter, mentre Nott rifilava strattoni secchi e irritati alla pianta mormorando commenti infastiditi e demotivanti.
«Nott, vuoi smetterla di insultare la pianta e tirarla così forte?» mormorò esasperata Pansy mentre gli altri ultimavano le delicate operazioni di travaso e consolazione.
«Sei una pianta stupida e debole. Lo vedi che tutte le tue amiche sono già per conto loro? Sganciati, avanti.» sibilò Theodore, tirando se possibile ancora più forte per scalzare qualche altro centimetro dalla terra e dalle radici della pianta di Harry e Draco.
«Non parlarle così, è una pianta forte e intelligente!» ringhiò Pansy, rifilando al compagno una spallata per costringerlo a spostarsi.
La pianta cedette bruscamente la presa, forse colpita dalla decisione di Parkinson, forse solo scalzata dalla violenza dello strattone. Una radice si staccò e volò con la violenza di una frustata contro il volto della ragazza, che indietreggiò squittendo di dolore.
«Oh per Merlino!» la Sprout ed Eli si avvicinarono a Pansy, mentre Nott indietreggiava seccato e indifferente.
La pianta tornò dunque ad abbracciarsi lentamente all’altra con cui stavano lavorando Draco ed Harry, che emisero insieme uno sbuffo profondamente frustrato.
Eli acchiappò Pansy per le spalle quando la ragazza si sbilanciò indietro, le mani premute sulla guancia dove un po’ di sangue iniziava a colare. Stordita dalla botta e dallo spavento, rimase qualche secondo adagiata contro il petto solido di Porter a metà fra sofferenza e pace.
«Fa vedere.» le disse Eli, serio e apprensivo.
Pansy sembrava improvvisamente anestetizzata, tanto che quando levò le mani per farsi controllare dall’uomo e dalla Sprout non emise nemmeno una lamentela o un verso per lo sfregio che le lacerava la pelle.
Zabini assistette alla scena con un fastidio evidente, ma impegnato com’era a tenere le radici sotto il terriccio del nuovo vaso per arginare i tentativi di fuga della pianta, non poté fare altro che rodersi in silenzio.
«Non è grave, la tossicità della pianta è lieve, però è meglio che tu vada in infermeria.» comandò la professoressa appena ebbe studiato la situazione.
«La accompagno io.» si propose Eli, abbozzando un sorriso incoraggiante.
Pansy ci mise un po’ a ritrovare contegno sotto gli sguardi a tratti divertiti a tratti invidiosi di alcune compagne.
«Ovvio, mi pare il minimo. Andiamo.» disse stizzita, avviandosi verso l’uscita della serra, seguita da un divertito Porter.
Draco, distratto dalla scena, lasciò completamente la presa sulle radici che stava tirando da decine di minuti, ed Harry smise di parlare alla pianta con uno sbuffo esasperato.
Mentre Porter e Parkinson si allontanavano, e i ragazzi iniziavano a chiacchierare divertiti e deconcentrarsi, la Sprout li richiamò all’ordine.
«Ragazzi non perdete concentrazione. Siamo alla fase finale, avanti manca poco, assicuratevi che le piantine siano stabili e ferme. Nott torna qui, finiremo insieme. Malfoy e Potter, coraggio, manchiamo solo noi.» li spronò ottimista.
Nott tornò a denti stretti indietro, mentre Harry allungò di scatto le mani alle radici.
«Malfoy, parlale tu a sto giro.»
Draco fece una smorfia profondamente a disagio ma obbedì. Si avvicinò alla pianta e copiò quello che dall’altro lato stava facendo la Sprout. Carezzò qualche stelo, un paio di foglie e il sottile tronco della Manfola. Gesti che Harry osservò incantato, senza accorgersene.
«Lasciati andare. Starai bene da sola.» mormorò pianissimo il biondo, con una tristezza di fondo che risvegliò Harry dalla sua immobilità.
«Devi farlo anche per la tua compagna. Se non la lasci morirete entrambe. Non è meglio stare da sole nel vaso, magari anche vicine e senza toccarsi, ma vive per molti altri anni?» spiegò così piano che solo Harry riuscì a sentirlo vista la vicinanza.
Le radici iniziarono ad allentarsi dopo qualche minuto e sotto le mani esperte della Sprout dall’altro lato finalmente le ultime due piante si lasciarono andare. La docente rinvasò subito la propria, che attechì bene.
Quella inserita nel vaso nuovo da Harry invece non stava ferma, al punto che la Sprout decretò la fine della lezione ma chiese ad Harry e Draco di trattenersi ancora qualche minuto per tentare di calmarla e metterla a suo agio.
«Se entro un quarto d’ora non si calma beh, lasciatela andare e pensate alla cena.» sospirò la docente, mentre trasportava le altre piante aiutata da un gruppetto di allievi frettolosi di filarsela verso la sala grande. «Io vado a controllare come sta Parkinson.»
Hermione e Ron rifilarono una serie di occhiate ammonitrici e incoraggianti ad Harry, quindi lasciarono la serra insieme ai compagni.
Harry e Draco rimasero soli, le mani guantate sozze di terra premute sulle radici che si spostavano molto lentamente per cercare la fuga. Nessuno dei due provò a parlare alla Manfola, ma dopo diversi minuti di silenzio Harry si schiarì la gola e cercò timidamente lo sguardo del compagno.
«Malfoy, c’è una cosa di cui dovevo parlarti da un po’.»
Draco tenne gli occhi ostinatamente sul vaso quando rispose, la voce bassa e piatta.
«Tipo spiegarmi perché all’improvviso hai preso a ignorarmi e mi hai tolto pure il saluto?»
«Già.» sospirò il Grifondoro, che lasciò perdere la pianta e scivolò a sedere più vicino all’altro. La Manfola sembrava essersi placata.
«Sono tutt’orecchi.» mormorò il biondo, che si ostinava a non guardarlo mai direttamente.
«Ecco, il primo giorno di scuola quando ti sei allontanato con Nott io ti ho seguito.»
Draco aggrottò la fronte e poi un lampo di comprensione gliela distese subito dopo.
«E hai origliato il nostro scambio.» dedusse con un sorriso amaro.
«Già. Non ti ho seguito perché non mi fidassi di te, ma perché avevo paura che Nott potesse avere pessime intenzioni e alla fine ho sentito beh, tutto.» ammise il Grifondoro.
Draco gli scoccò la prima occhiata da giorni, carico di una sorpresa stordita.
«Eri … preoccupato per me?» mormorò.
«Sì.» confessò un po’ impacciato Harry. «E … non sono venuto subito a chiederti conto della cosa perché insomma, mi vergognavo di averti spiato e anche perché avevo timore di scoprire che eri sincero con Nott e mentivi con me.» Lo guardò negli occhi piuttosto seriamente. «Voglio dirti che non è necessario che tu finga di essere mio amico, se non lo vuoi. Non è necessario che tu mi frequenti, se non ti sto simpatico. Posso aiutarti mantenendo comunque una facciata amichevole davanti a tutti, pur senza interazioni forzate insomma.» spiegò con un sospiro un po’ rigido.
Draco distolse di nuovo lo sguardo, e lasciò andare anche lui le radici apparentemente immote della Manfola. Rimase in silenzio per lunghi secondi a fissare la piantina solitaria e finalmente stabilizzata, e dopo un profondo sospiro spiegò.
«Ero sincero con Nott.» mentre lo diceva i suoi occhi si facevano inespressivi, distanti. «Non mi interessi se non oltre il ruolo di sicurezza che puoi offrirmi apparendo come mio alleato. Sono contento tu abbia ammazzato Voldemort ma non mi definirei tuo amico, non mi interessi in nessun altro senso, Potter.»
Harry lo fissò con un’occhiata ferita e confusa, poi si irrigidì.
«Dici sul serio?» mormorò teso.
«Ovvio.» sbuffò Draco, alzandosi di scatto. «Dato che sei stato così schietto beh, a che serve portare avanti questa pantomima? Tanto ormai.» spiegò vago, fissando rigido l’esterno della serra.  «Possiamo anche smettere di incontrarci e parlarci, comunque. Ho fatto meglio i miei conti: non mi conviene esserti amico, qui.»
«Capisco.» sibilò Harry col viso leggermente arrossato da una vampata di rabbia e imbarazzo.
Fissava un punto indefinito del tavolaccio da lavoro mentre con la coda dell’occhio controllava i movimenti nervosi di Draco. Lo vide sfilarsi i guanti e il grembiule in fretta e furia, mollare tutto dove capita e avviarsi all’uscita della serra.
Fu sul punto di richiamarlo, esitò, ma finì distratto dal crollo fragoroso della piantina che cappottò a terra seminando terriccio ovunque. Non vista e trascurata, si era lentamente dissotterrata mentre i due discutevano.
Draco andò via nascondendogli il volto che si stava rigando di lacrime, mentre Harry restò a cercare di sistemare rabbiosamente il vegetale suicida, ma quello appassì con inquietante rapidità fra le sue dita nervose.






A cena Hermione, Ron e Ginny torchiarono Harry, ma il ragazzo non scucì una parola del suo scambio con Draco, causando ripetuti rimbrotti rabbiosi dal rosso che ripeteva ogni dieci minuti con aria rassegnata: “L’avevo detto, lo sapevo che era uno stronzetto.”
Al tavolo di Serpeverde, Pansy era tornata un po’ in ritardo rispetto ai compagni dopo la breve gita in infermeria, ma non c’era più traccia di sangue né il minimo graffio sul suo volto. Il posto di Draco era vuoto, mentre Eli Porter era stabilmente tornato alla sua postazione di guardia vicino all’ingresso della sala grande. 
Al termine della cena, quando buona parte degli studenti si erano già avviati ai dormitori, Pansy si attardò per avvicinarsi ad Eli ostentando un’aria un po’ seccata che non le venne troppo bene. I suoi occhi erano infatti accesi da una luce vivacemente attenta e interessata.
«Parkinson, come ti senti?» le chiese cortese Porter squadrandola brevemente prima di deviare la sua attenzione verso il tavolo in fondo a cui sedevano i docenti, ancora intenti a parlare.
«Bene.» ammise lei, che sbirciò più volte i dintorni. Quando fu sicura di non avere compagni di Serpeverde in prossimità parlò ancora, a voce comunque bassa. «Volevo ringraziarla per avermi accompagnata, signor Porter.»
«Dovere.» sorrise tranquillo.
Pansy non colse l’invito implicito al congedo, ma anzi si fermò lì e domandò curiosa.
«Lei è un Auror, giusto?»
«Esatto.» confermò lui, squadrandola con maggior attenzione.
«E rimarrà qui per tutto l’anno?»
«Dipende.» ammise, povero di dettagli.
«Da cosa?»
«Dall’eventuale mole di problemi che potrebbero verificarsi.»
Pansy si accigliò.
«Problemi fra noi studenti? Sta tenendo d’occhio i figli di mangiamorte, vero?»
«Non posso entrare nel dettaglio del mio compito, signorina Parkinson. Ti basti sapere che sono qui come supporto a beneficio di tutti. La scuola ha passato dei momenti bui e il Ministero ha preferito dare una mano come possibile. Nessuno è sotto inchiesta o un sorvegliato speciale.» si chinò di poco in avanti, andando a sussurrarle con un sorriso sornione. «Nemmeno il professor Lupin.»
Pansy arrossì bruscamente e lo fissò dritto negli occhi, brevemente inebetita.
«Lei ha frequentato Hogwarts?» mugugnò col tono dell’imbarazzata chiacchiera evasiva.
«Sì.» confermò Eli che tornò a raddrizzarsi, impettito e fiero.
«A che casata apparteneva?» suonava speranzosa.
«Corvonero.» Tonks mentì con naturalezza. 
«Oh.» la serpeverde sospirò un po’ delusa. «Quanti anni ha? Sembra abbastanza giovane.»
Eli sorrise.
«Abbastanza da essere tuo padre, Parkinson.»
«Non ci credo.» mugugnò lei mettendo su un broncio infantile.
«Temo proprio di sì.» sospirò teatralmente Eli.
Intanto dal tavolo dei docenti si alzò Remus, e la cosa rubò subito l’attenzione di Porter, che si affrettò a congedare più esplicitamente la ragazza.
«Ora perdonami Parkinson, ma devo parlare col professor Lupin di una faccenda. Riposa bene, oggi è stata una giornata impegnativa.» consigliò, spostandosi di lato ed urtando accidentalmente uno degli sgabelli posizionati per Mrs Norris. «Oops.»
Pansy sorrise, con un colpo di bacchetta rimise a posto lo sgabello e annuì.
«Grazie, buonanotte anche a lei.» cinguettò più lieta del solito.
Mentre Remus e Porter si ricongiungevano, Pansy filò verso i sotterranei, seguita a vista da un nervosissimo Blaise Zabini che aveva assistito dalla distanza a tutta la scena.
Quando la ragazza raggiunse la sala comune di Serpeverde, Blaise la acchiappò per un polso costringendola a muoversi verso uno dei divani vuoti.
«Che diamine stai combinando col tizio del Ministero?» la rimproverò in un sibilo basso e rancoroso.
Pansy sfilò nervosamente la mano dalle dita del ragazzo e sbuffò innervosita.
«Non sono affari tuoi, Blaise. Vattene a letto. O torna a fare lo sfigato con quella biondina insipida di Grifondoro con cui hai fatto coppia oggi ad Erbologia.»
Blaise fece una smorfia aspra e sbuffò.
«Era l’ultima rimasta, tu eri con Nott e meglio lei di Draco. Che altro dovevo fare, scusa?»
«Spedire la biondina da Nott e venire con me?»
«Nott non avrebbe mai collaborato con un Grifondoro, lo sai com’è incazzato e intrattabile di questi tempi.» obiettò esasperato.
«Sì beh, chi se ne frega. Io sono più importante di Nott.» sibilò lei, spintonandolo via.
«Pansy, aspetta!»
Ma la ragazza prese la via dei dormitori femminili, ignorandolo fino a che non furono costretti a separarsi. Entrò come una furia nella stanza che condivideva con altre quattro studentesse. Solo uno dei letti era occupato da una bimbetta bassa e piuttosto magra del primo anno, intenta a mettersi sotto le coperte.
Pansy si lasciò cadere esausta sul proprio letto, quindi guardò verso la compagna che le rivolse un piccolo cenno di saluto intimorito.
«Kelly, giusto?» le disse di punto in bianco Pansy.
«Sì.» mormorò pianissimo lei.
«Mi serve un favore.»
La bambina sgranò gli occhi ma non osò negare e annuì col capo, muta.
«Voglio che pedini ogni volta che potrai Eli Porter e mi riferisca qualsiasi cosa su di lui: spostamenti, atteggiamenti, chiacchiere coi docenti e gli studenti. Tutto.»
La bimba sembrava profondamente atterrita.
«Oh non fare quella faccia.» le sorrise Pansy. «Sei del primo anno. Anche se dovessero beccarti te la caveresti con niente e potresti dire che ti eri smarrita.»
L’altra annuì, anche se molto poco convinta. Non si dilungarono in chiacchiere e in breve si misero a letto.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** L'appuntamento ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 


«Non serve che mi accompagni, sono ancora in forze.» disse Remus, teso e ironico mentre procedeva lungo il corridoio verso i sotterranei.
«Oh sì che c’è bisogno.» gli rispose profondamente divertita Tonks, nelle vesti di Eli Porter.
«Ti sei messo del dopobarba?» mormorò Remus annusandolo dalla breve distanza che li separava, uno a fianco all’altro.
«Sì.»
«E hai qualcosa di strano, sei quasi più bello del normale, Eli.» concluse la sua analisi Remus, squadrando il corpo aitante dell’uomo dai capelli fulvi.
«Sto prendendo familiarità con questo corpo. Tutto qui.» sorrise divertito l’altro, la voce molto bassa.
«Quindi non c’entra niente il fatto che stiamo andando da Snape e vuoi in qualche modo provocarlo?» sospirò sarcastico il licantropo.
«Oh no, proprio niente.» sogghignò l’altro.
Era sera tardi, fuori aveva cominciato a cadere una timida pioggerella di fine settembre, pronta ad annunciare il freddo dell’autunno appena arrivato. I corridoi erano vuoti, gli studenti rientrati pigramente ai dormitori dopo cena.
Pochi metri ancora e arrivarono di fronte alla porta dello studio di Snape, che era tenuta socchiusa. Subito di fronte c’era quella dello studiolo più piccolo di Slughorn, completamente chiusa.
Remus bussò due volte dopo aver preso un respiro profondo d’incoraggiamento e la voce del pozionista diede subito l’avanti.
Ad accoglierli c’erano sia Severus che Horace, il primo seduto alla sua scrivania e il secondo intento a travasare con cura il contenuto di un calderone in un paio di robuste bottigliette di vetro.
«Oh, Remus, signor Porter.» li salutò gioviale Slughorn.
Snape li guardò due secondi netti, poi abbassò gli occhi ad un grosso tomo di pozioni che prese a consultare con improvvisa urgenza. Aveva la mascella contratta, una smorfia irritata, e non si tenne in bocca un commento acido.
«Giri con la scorta, Lupin?»
Prima che il licantropo potesse rispondergli fu però Eli ad intervenire.
«Nessuna scorta, professore. Faccio solo compagnia ad un caro amico.» dichiarò con un sorriso smagliante.
Snape non resistette a scoccargli un’occhiata di fuoco ed un’altra imbeccata aspra.
«Addirittura caro amico? Da quant’è che vi conoscete, un mese?»
«Un po’ prima, in realtà.» ammise Eli, passeggiando distrattamente verso la cattedra.
Remus gli lanciò un’occhiata seria e ammonitrice, ma venne richiamato da un sorridente Slughorn che, una volta finito di apporre i tappi di sughero alle bottigliette gliele indicò. Erano tre, riempite fino all’orlo di una perfetta Pozione Antilupo.
«Eccole qui Remus.»
«Grazie mille, Horace. E ovviamente anche a te, Severus.» disse Remus provando così a interrompere lo scambio fra Snape e Tonks, ma non riuscì.
«Strano. Non ti avevo mai visto in sua compagnia. Non ti avevo mai visto nemmeno fra le fila degli Auror del Ministero, in realtà.» proseguì infatti il pozionista, freddo e vagamente ostile.
«Ho terminato il mio addestramento solo pochi mesi fa.» mentì Eli. «Ma con Remus ci conosciamo da un bel po’. Non quanto voi due ovviamente, ma abbastanza da poterlo definire appunto un caro amico.» concluse, con un sorriso vagamente malizioso.
Severus lo scrutò dal basso con un’occhiata quasi disgustata.
«Capisco.» disse a denti stretti. «Avete la pozione, potete andare.» decretò dunque, tornando a fissare il libro ed evitando di incrociare Remus.
«Sì, penso sia il caso.» intervenne il licantropo, che recuperate le bottigliette acchiappò Eli per un braccio e lo tirò via, verso l’uscita. «Grazie ancora ad entrambi.»
«Dovere, Remus.» sorrise Horace, sebbene un po’ confuso dalla scena a cui aveva appena assistito.
Eli e Remus tornarono nei corridoi e percorsero insieme il lungo tragitto verso il settimo piano, all’ufficio del docente di Difesa.
Una volta dentro, Remus poggiò le tre bottigliette sulla propria scrivania e si mise a sedere.
Tonks chiuse la porta alle proprie spalle e si ritrasformò, fissando l’amico con un sorrisone divertito.
«È geloso da morire dai, come fai a non vederlo?»
Remus scosse il capo in un negare rassegnato.
«Oppure è semplicemente disgustato dall’idea che io ed Eli, due maschi, facciamo chissà cosa?»
Tonks fece teatralmente finta di riflettere.
«Nah. Geloso marcio.» decretò sorniona.
«Beh, ad ogni modo non provocarlo, ok?» consigliò in un rimprovero bonario.
«Perché, che può farti? Dire in giro che sei un licantropo? Oops. Lo sanno tutti.» sogghignò, avvicinandosi un po’ goffamente alla scrivania dell’altro. L’orlo dei pantaloni troppo lunghi le finì fra i piedi e inciampò, evitando per un pelo di finire a terra di faccia.
«Tutto ok?»
«Sì, tranquillo.» sbuffò lei, mettendosi cautamente a sedere. Gli indicò dunque le boccette con la pozione. «La prenderai stanotte la prima?»
«No, domani mattina.» spiegò lui, facendosi sensibilmente più teso. «La luna sorgerà nel tardo pomeriggio del trenta, avrò modo di prendere la terza dose la mattina di quel giorno, inutile indebolirsi già da stanotte.»
«Ottima idea.» convenne Tonks.
Mentre loro chiacchieravano, fuori dalla porta dell’ufficio una sagoma minuta era intenta a spiare avidamente dal buco della serratura. Era rannicchiata e rigida come un sasso per la tensione nervosa, si guardava spesso e volentieri attorno. Quando sentì un rumore dal fondo del corridoio sussultò e scattò indietro. Spiccò una corsa a perdifiato lungo le scale e fece così tutto il tragitto sino ai sotterranei e al dormitorio di Serpeverde. Una volta entrata non ebbe nemmeno tempo di recuperare fiato che si ritrovò davanti in sala comune Pansy Parkinson e Blaise Zabini.
«Ehi, Kelly.» la salutò gioviale Pansy. «Ti hanno beccata?»
La bambina negò, il fiato cortissimo e il cuore ancora in gola.
«Vieni, siedi con noi. Hai scoperto qualcosa stasera?»
Kelly prese un respiro profondo, e sorrise con fierezza, annuendo. Si andò a sedere accanto alla ragazza, pronta a vuotare il sacco.






L’ultimo giorno di settembre fu anche il primo in cui le temperature iniziarono a calare drasticamente, le giornate a farsi più corte in un autunno che si anticipava già un po’ folle. Pioveva a dirotto da tutta la sera prima, e quando a colazione Harry ricevette il gufo con la posta dovette dargli una mano ad asciugarsi un po’ con la magia. Fra le poche missive umidicce c’era una piccola lettera mal fatta. Aprendola, vide che era un semplice foglietto di pergamena ripiegato, con all’interno una riga scarsa di testo:

 
Incontriamoci a mezzanotte, terzo corridoio a sinistra dopo le scale per il sesto piano. Devo parlarti. 

Draco


Harry cercò con uno sguardo svelto la testa bionda al tavolo di Serpeverde e quando ne incrociò lo sguardo l’altro distolse rapidamente il proprio. Mangiava da solo, come ormai da settimane.
«Ehi, già arrivata la posta?» gli chiese un assonnato Ron che era appena arrivato. 
«Sì, proprio ora. Per te niente.»
Il rosso scavalcò la panca con uno sbadiglio rumoroso, ed Harry intascò frettolosamente il biglietto e prese a mangiare come niente fosse.
«Che abbiamo alla prima ora?» mugugnò l’amico, iniziando a servirsi di succo e tortini alla zucca.
«Pozioni con Tassorosso.» intervenne Hermione, anche lei appena arrivata.
«Mh. Perfetto.» mugugnò sarcastico Ron. «Le lezioni di Pozioni alla prima ora dovrebbero essere bandite. Quella puzza subito dopo colazione.» bofonchiò ostile.
«Prova a mangiare un po’ meno magari?» gli consigliò lei, sedendoglisi accanto e rifilandogli una gomitata scherzosa.
«Nah. Altrimenti con che energia posso sopportare Snape?»
«Beh dai, non è male da quando Slughorn gli fa compagnia.» considerò Harry.
«Giusto perché non fa quasi niente, quasi mi spiace si stia riprendendo.» concesse Ron divertito, ma poi si zittì dopo un’occhiataccia di Hermione e iniziò a ingozzarsi.
«A proposito, il professor Slughorn poi ci farà anche la prima lezione di Difesa, subito dopo.» fece notare la ragazza.
Tutti e tre lanciarono un’occhiata al tavolo degli insegnanti, dove il grande assente era Remus Lupin. Anche Eli mancava all’appello dalla sua solita postazione di guardia all’ingresso.
«Slughorn se la caverà. È uno pieno di risorse.» concesse Harry.
«Avete visto come sta Remus?» bofonchiò Ron.
«Sono andata a trovarlo ieri insieme a Ginny.» confermò Hermione. «Era alla seconda dose di Pozione Antilupo, stava già piuttosto male. La terza dovrebbe averla presa stamane.» spiegò con un’espressione dolente.
«Che seccatura quella robaccia.» sbuffò Ron. «Non potevano lasciare che andasse nella Stamberga come faceva da ragazzo?»
«I genitori dei nostri compagni non l’avrebbero mai concesso.» sbuffò Hermione.
«E poi si faceva piuttosto male.» aggiunse Harry. «Almeno con la pozione ne esce stanco morto ma tutto intero.»
«Mh, ha senso. Che rottura però.»
«Già.» sospirò Hermione, che quella mattina sembrava avere poco appetito.
Harry rimase distratto per buona parte della colazione e anche delle lezioni delle prime ore. A Pozioni fallì miseramente il suo lavoro, riprendendosi a stento a Difesa contro le Arti Oscure. Slughorn si rivelò un buon sostituto, sebbene meno creativo e appassionato di Lupin.
Quando venne la sera, la pioggia s’era placata ma il cielo non prometteva bene per il giorno successivo. 
Harry esitò a lungo nei dormitori di Grifondoro. Aspettò che i compagni si fossero addormentati e sgattaiolò fuori con ancora una smorfia profondamente incerta sul viso. Scelse di fare tutto il tragitto dalla torre al punto dell’incontro sotto il mantello dell’invisibilità, il passo lento e qualche piccola fermata esitante.
Quando arrivò era in ritardo di un quarto d’ora o poco più e il corridoio era vuoto, mal illuminato da fiaccole che schiacciavano al muro ombre ampie e cupe. Indeciso e teso, restò in attesa passeggiando qui e la guardingo. Fu solo dopo una ventina di minuti che avvertì dei rumori. Non somigliavano per niente ai passi di Draco, forse nemmeno ai passi di una persona. Mise mano alla bacchetta, la fronte aggrottata dal dubbio e si gelò sul posto quando a svoltare l’angolo fu la sagoma scura e inequivocabile di un enorme lupo grigio scuro. Remus Lupin, nella sua forma completamente trasformata, procedeva a passo svelto verso di lui. A giudicare dall’espressione sul suo muso e le zanne scoperte, era tutt’altro che pacifico e in sé. Il lupo annusò l’aria e sgranò di poco i grandi occhi giallastri verso il punto in cui si trovava nascosto Harry. Dal passo svelto iniziale spiccò una vera e propria corsa che puntava dritta verso di lui.
Harry si sfilò il mantello rovesciandolo a terra per liberarsi dall’impaccio e prese a correre più veloce che poté per fare dietrofront. L’animale era però nettamente più veloce.
«Impedimenta!» comandò a denti stretti prendendo a fatica la mira mentre la creatura macinava distanze a vista d’occhio. Mancò l’obiettivo di pochissimo e svoltato l’angolo si ritrovò a scendere di corsa la rampa che poche decine di minuti prima aveva fatto in salita.
«Petrificus totalus.» ruggì ancora.
Stavolta centrò il bersaglio, ma il mannaro subì un lieve rallentamento, a stento infastidito nella propria avanzata.
Harry non si fermò mai, proseguì più veloce che poté a scavalcare gradini , levò la bacchetta e ruggì:
«Accio, Firebolt!»
Poi ancora contro il licantropo:
«IMPEDIMENTA!» urlò con maggiore decisione di prima.
Lo centrò in pieno, ma proprio come prima il risultato fu estremamente blando e a stento rallentò la corsa della bestia, che di contro incespicò sui primi gradini e ruggì furiosa.
«Stupeficium!» Ebbe a stento l’effetto di uno schiaffo. 
«Incarceramus!» tentò ancora.
Corde robuste si avvilupparono attorno al corpo del lupo, che però le ruppe come fossero sottili lacci di stoffa.
Harry si guardò attorno disperato. Non c’erano oggetti sulla lunga scalinata, mal illuminata come il corridoio, e i quadri alle pareti iniziavano parecchi metri al di sotto.
Vide una macchia scura in fondo alla scalinata e la sua faccia già terrorizzata si macchiò di un’ulteriore vena di paura appena la inquadrò meglio.
Severus Snape fissava dal basso la scena con il suo stesso orrore sul volto.
«POTTER!» lo richiamò con un grido affaticato.
L’esitazione costò cara al ragazzo e si ritrovò travolto dal licantropo, che aveva deciso di coprire gli ultimi metri con un salto pur di arrivargli addosso. La caduta fu violenta per entrambi, e ruzzolarono giù uno addosso all’altro sotto gli occhi atterriti del pozionista.
Snape mollò il bastone e iniziò a salire zoppicante le scale, la mano destra non rispondeva perfettamente ai comandi e acchiappare la bacchetta fu un compito goffo e impreciso.
«Molliare.» comandò l’uomo, muovendo a fatica l’oggetto puntato alla parte finale della rampa da cui Potter e Lupin stavano ruzzolando giù.
Funzionò male, perché la caduta venne attutita davvero di poco. Harry atterrò di malomodo a pochi passi da Severus, mentre Remus finì per cadere poco più giù, sul ballatoio.
La firebolt, che intanto aveva fatto tutto il percorso necessario, atterrò nel punto in cui si trovava Harry poco prima quando l’aveva richiamata, rotolando a sua volta lungo le scale qualche metro più indietro rispetto al ragazzo.
Harry cercò di rialzarsi, una tempia sporca di sangue e una spalla ferita da tre profonde artigliate, la bacchetta ancora miracolosamente in mano.
Remus si scrollò di dosso lo stordimento e più iracondo che mai inquadrò anche Severus. Rimase fermo per diversi istanti a ringhiare e guardarlo negli occhi e il pozionista gli si avvicinò teso, il respiro in corsa libera per l’agitazione violenta che lo scuoteva.
«P-professore.» mugolò Harry dolente. Si voltò e richiamò ancora: «Accio firebolt.»
La scopa gli volò finalmente in mano, ma col braccio sinistro fuori uso dovette aggrapparcisi e montare su a fatica.
Severus tese la mano sana al licantropo, che per un attimo sembrò quasi distrarsi, rilassare un minimo il muso e smettere di ringhiare. Lo  annusò in qualche attimo di stasi, quindi si voltò, ignorandolo per tornare a cercare Harry.
Il moro intanto era montato in sella e si era alzato instabile in volo. Sfilò accanto al licantropo e gli rifilò un calcio contro il muso che lo fece tornare a ringhiare. Appena fu certo di averlo alle calcagna, sfrecciò giù lungo la scalinata, inseguito dalla bestia che faticava finalmente a stargli dietro.
Snape si affacciò oltre le scale, gli occhi sgranati fissi sui due e seguì la fuga di Potter che fece da esca portando Remus verso l’uscita. Li perse di vista dopo poco e si affrettò faticosamente a scendere, in enorme ritardo rispetto a loro.
Quando finalmente arrivò al piano terra vide che il portone principale era stato spalancato. Argus Filch in vestaglia da notte con Mrs Norris in braccio era accucciato in un angolo, il volto avvizzito era terrorizzato.
«Filch!» lo richiamò subito.
«Professor Snape!» pigolò quello rimettendosi di scatto in piedi appena lo vide.
«Cos’hai visto?»
«Potter a bordo di una scopa inseguito da un lupo enorme. Era … Lupin?» chiese, fra il disgusto e il semplice orrore.
«Sono usciti?»
«Sì. Potter ha spalancato il portone e-»
«Hai visto dove si sono diretti?»
«No, mi sono nascosto e ho detto ai quadri e ai fantasmi di chiamare i professori.» ammise con una traccia sgradevole di imbarazzo in viso.
Severus annuì nervoso, mentre tutt’attorno i quadri già dai piani superiori stavano vivacemente conversando, eccitati.
«Severus, Argus!» la voce della preside li raggiunse qualche metro più indietro. Anche lei in vestaglia stava scendendo svelta una gradinata e poco più indietro anche altri docenti nelle medesime condizioni ne ricalcavano i passi.
«Minerva!» ansimò Severus. «Potter è andato fuori in sella alla scopa per far allontanare Lupin. Non sappiamo dove sia andato, era ferito.» riassunse col fiato ancora corto.
«Oh per Merlino. Ecco cos’erano quelle macchie di sangue sulle scale.» mormorò la donna. Nonostante l’agitazione si voltò verso i colleghi in arrivo e prese a dare indicazioni con tono deciso. «I direttori delle case vadano ad assicurarsi che nessuno studente abbia lasciato i dormitori. Se faranno domande non concedete loro alcuna informazione sull’accaduto, dite solo che si tratta di un controllo di routine per via del plenilunio. Horace per favore tu occupati dei Grifondoro.»
Snape e gli altri tre annuirono e si diressero verso i rispettivi dormitori, sebbene il primo avesse un’espressione profondamente dolente e agitata.
«Sybill vai a svegliare Hagrid e spiegagli la situazione, Irma e Septima, andate a dare un’occhiata nell’ufficio di Remus e cercate Eli Porter. Avrebbe dovuto sorvegliarlo stanotte, potrebbe essere ferito: massima cautela. Noi altri intanto andiamo a cercare Potter, ci divideremo a gruppi di tre.» dettò svelta e pratica le istruzioni, che nessuno contestò nemmeno con uno sguardo. Radunò il piccolo manipolo di docenti e personale rimasto, quindi si rivolse al custode.
«Argus tu resta qua e assicurati di tenere sbarrata la porta e che nessuno esca. Parla coi quadri e spargi la voce fra loro che tacciano su quanto possono aver visto, stessa cosa coi fantasmi. Se dovesse arrivare Peeves a dar noia o creare caos minaccialo pure a mio nome di farlo finire tramutato in un lampadario a vita.»
Filch annuì di buon grado e quando i professori uscirono sbarrò il portone alle loro spalle.
Snape intanto zoppicò con estrema fatica sino ai sotterranei, e quando fu sicuro di essere lontano da occhi e orecchie indiscrete deviò verso un’aula vuota. Chiuse la porta alle proprie spalle, accese poche luci e si lasciò andare pesantemente con la schiena contro la porta chiusa. Prese un respiro tremulo e forzatamente lungo, mentre le gambe si fecero deboli. La mano che reggeva il bastone tremava e dopo pochi secondi scivolò goffamente seduto a terra. Si raccolse la testa fra le mani, incapace di controllare il respiro, gli occhi sgranati e lucidi.
«Sei un adulto, piantala.» mormorò fra i filari dei denti stretti. «Non puoi fare così. Finiscila, ora.»
Ma il suo training autogeno a base di rimproveri non servì a molto per frenare quell’attacco d’ansia intenso. Restò lì sull’orlo delle lacrime per una manciata di minuti, quanto gli ci volle a tornare a respirare più tranquillamente e fermare i tremori, concedendosi solo tre parole più gentili di prima. Parole sussurrate quasi senza voce. “Andrà tutto bene.”
Si diede una sistemata, si rimise in piedi a fatica e solo quando ebbe recuperato la consueta facciata apatica e controllata lasciò l’aula zoppicando verso i dormitori di Serpeverde.
Nessuno degli assonnati studenti della casata era fuori posto.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Verità ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 




Quando Harry aprì le palpebre ci riuscì a stento. Aveva il viso sudato, gli occhi stanchi e brucianti per la luce del mattino che gli arrivava indirettamente contro. Si sforzò di mettere a fuoco i dintorni e gli ci volle più di qualche tentativo.
Era sdraiato su uno dei letti dell’infermeria, un braccio pesantemente bendato, indosso un camice pulito e il lenzuolo a coprirlo fino al petto.
«Harry.» la voce di Ron richiamò la sua attenzione da un lato della stanza.
Il rosso era lì insieme ad Hermione. Si erano appena alzati di scatto da due poltroncine e si avvicinarono svelti.
«Harry. Mi senti?» ripeté il ragazzo, mentre l’altra chiamava a gran voce:
«Madam Pomfrey! Ha ripreso i sensi!»
«Sì, ti sento.» mugolò Harry, dolente.
Madam Pomfrey fu sulla porta in un battito di ciglia, bacchetta alla mano e tunica candida in perfetto ordine. Si avvicinò svelta al letto, mentre Ron ed Hermione si spostavano dall’altro lato.
«Potter, non ce la fai proprio a stare fuori dalla mia infermeria eh?» lo salutò con apprensiva ironia.
«A quanto pare.» mormorò debole il ragazzo, mentre la guaritrice prese a controllargli i parametri.
«Come ti senti?» intervenne Ron, il tono ansioso e avido di informazioni.
«Mh. Mi fa male tutto. Il braccio in particolare.» ammise fiacco, poi sgranò gli occhi recuperando lucidità tutto d’un colpo. «Dov’è Remus? Sta bene?»
«Sta bene, tranquillo, è praticamente illeso.» si affrettò a rassicurarlo Hermione.
«Cos’è successo?» insistette il ragazzo.
La guaritrice dovette premergli una mano sul petto per trattenerlo dall’alzarsi.
«Potter, per favore. So che tanto dirti di riposare è inutile, ma almeno resta sdraiato e non farti salire la temperatura ulteriormente: fatico a tenerti sano con le pozioni che ho. Non vuoi andare al San Mungo, vero?»
Harry annuì e si calmò a forza.
«No. Ok. Ma spiegatemi, per favore.»
Madam Pomfrey sospirò e fece un cenno d’assenso a Ron ed Hermione.
«Va bene, ma non fatelo alzare. Vado a chiamare Minerva.» ordinò, dirigendosi alla porta.
«Voglio vedere anche Remus.» disse con fermezza il ragazzo.
La guaritrice si voltò e lo fissò un po’ esitante.
«Ma certo. Che sciocca sono stata a pensare che avessi bisogno di tempo per rimetterti mentalmente, dopo aver lottato contro un mannaro.» sbuffò poi con un sorriso amaramente sarcastico. Quindi si allontanò.
«Allora?» Harry spronò gli amici.
«Quanto ricordi di ieri?» chiese Ron.
«Tutto fino al punto in cui sono volato con la scopa fuori dal castello inseguito da Remus. Poi inizia a farsi tutto fumoso. Ho volato verso la Foresta proibita, più lontano che potessi e più in alto che arrivassi e poi … buio.»
«Ok.» annuì Hermione. «I professori ti hanno trovato solo due ore fa. Sono circa le nove del mattino. Eri svenuto in una piccola radura, avevi la febbre alta. Hanno recuperato anche la scopa.»
«Intera.» precisò a margine Ron.
«E Remus?»
«Lui è stato trovato poco prima, in forma umana visto che ormai la luna era tramontata. Aveva qualche graffio e un occhio nero, nulla che Madam Pomfrey non abbia risolto in pochi minuti una volta al castello. A quanto pare eri riuscito a portarlo in una zona di vegetazione molto fitta e avete avuto fortuna a non venire attaccati da altre creature. Hagrid sostiene che i centauri abbiano vegliato su di voi dalla distanza.»
Hermione esitò, e a concludere il rapporto fu Ron.
«Non sei stato morso. Ma i graffi alla spalla beh, non si chiudono facilmente.» ammise mesto.
«Come quelli di Bill?» chiese Harry amaramente.
«Sì.» confermò il rosso. «Dovresti cavartela come lui in un paio di settimane. Solo con tre segnacci in più sul braccio.» provò a suonare noncurante ma la sua espressione era tesa.
Harry aveva la fronte aggrottata, l’aria pensierosa.
«Malfoy?» chiese all’improvviso, gli occhi sgranati da un fiotto d’allerta.
«Abbiamo trovato il biglietto nella tua tasca.» spiegò Hermione, concitata. «Era una trappola, Harry. Qualcuno ha manomesso la pozione di Remus e aperto la porta del suo studio riuscendo in qualche modo ad aggirare gli incantesimi con cui era stato sigillato. Ha inoltre creato una sorta di blocco da un lato del corridoio del settimo piano perché Remus fosse libero di scendere solo al sesto, lì dove avrebbe trovato te a mezzanotte. Anche Porter è stato messo adeguatamente fuori uso: verso le undici di notte ha ricevuto una missiva urgente dal Ministero, che gli ordinava di recarsi immediatamente a Londra. Sembrava perfettamente autentica, ci è voluto un po’ perché capisse che era un falso e tornasse qui.»
Ron fece uno sbuffo carico di frustrazione, ed Harry parlò in fretta.
«Non è stato Malfoy.»
«Mpf.» sbuffò il rosso. «Dopo quello che ci hai raccontato del vostro ultimo scambio.» bofonchiò rancoroso.
«Non è stato lui.» insistette con veemenza Harry.
Ron fece una smorfia aspra, diede un colpetto nervoso ad uno sgabello lì vicino e poi emise un sospiro lento.
«Lo so. Non ha molto senso che facesse una follia simile, scherzavo.» ammise infine mogio.
«Sì? Beh, non dirlo manco per scherzo, ok?» lo redarguì Harry, rabbioso.
«Ehi, calmo, ok? Non siamo più sotto un Ministro demenziale, nessuno lo arresterà solo perché avevate litigato e poi è comparso un biglietto col suo nome e cose simili.»
Harry sbuffò e chiuse gli occhi, cercando di calmare il respiro.
Intervenne cauta Hermione, che posò una mano sul braccio di Ron.
«Siamo tutti ragionevolmente sicuri che Malfoy non sia il responsabile, sarebbe stato davvero sciocco da parte sua. La McGonagall ha dovuto scrivere al Ministero e le hanno imposto di tenerlo sott’occhio oltre che interrogarlo approfonditamente. L’hanno richiamato circa mezz’ora fa infatti. Draco non è fra i sospettati, te lo assicuro. Il Ministro sembrava anzi preoccupato per la sua sicurezza.»
I loro scambi e dubbi furono interrotti bruscamente dalla voce della preside che era appena entrata in infermeria.
«Potter!» esclamò ansiosa.
Camminava svelta, seguita da un infiacchito Remus che avanzava a fatica reggendosi a un braccio di Eli Porter. Poco dietro un atterrito Draco e uno zoppicante Snape a chiudere il gruppo. Tutti lo fissavano con diversi gradi di apprensione in volto.
«Harry.» mormorò Remus, che aveva l’aria di un condannato a morte particolarmente pentito.
«Rem- professor Lupin. Sto bene.» gli sorrise fiacco il moro.
«No che non stai bene.» sospirò profondamente costernato il licantropo, che venne scortato ad una sedia accanto al letto.
«Piuttosto. Le ho dato un calcio in faccia, stanotte. Non mi toglie nemmeno cinque punti?» ironizzò debolmente il ragazzo.
Hermione, Ron, Eli e la preside sorrisero, per quanto amaramente.
Snape rimase un po’ in disparte, notevolmente teso, mentre Draco guardava soltanto Harry con una fissità quasi assente.
«Te ne dovrei togliere cinquanta perché avresti dovuto provare di peggio per fermarmi, Harry. Sei incorreggibile.» scherzò di malavoglia anche il professore mentre si accomodava. Tonks nelle sembianze di Eli era tesissima e tenne una mano sulla spalla di Remus manco temesse di vederselo sparire da sotto il naso.
«Potter.» la voce di Draco si levò bassa, e il biondo si guadagnò le occhiate sorprese di tutti. «Non sono stato io. Te lo giuro.» Lo guardava negli occhi con una serietà assoluta, urgente.
«Lo so. Non ne ho mai dubitato, Malfoy.» dichiarò Harry, che lo guardava alla stessa maniera.
Il biondo sgranò gli occhi, colpito. Rimase a fissare il verde dello sguardo stanco dell’altro con un’improvvisa fissità.
«Siamo tutti concordi su questo.» intervenne la preside. «Per tale motivo prego tutti di non rivelare questo e altri dettagli della faccenda a nessuno al di fuori di questa stanza.»
«Che versione daremo?» intervenne Severus, la voce fredda e forzatamente compassata. Aggiunse poi, prima che potessero rispondergli. «Ah, il professor Slughorn ed io abbiamo controllato i resti della pozione assunta da Lupin: è stata aggiunta una minuscola dose di zucchero, del tutto impercettibile al gusto e l’olfatto. Abbiamo faticato persino a trovare tale traccia. Poca ma quanto bastava tuttavia a renderla quasi del tutto inefficace nei suoi effetti positivi.»
«Chiunque sia stato voleva danneggiare sia Potter che il professor Lupin, ed anche indirettamente Malfoy.» riassunse la preside. «Ho scritto stamane stesso al Ministro, sarà necessario un livello d’attenzione e sicurezza maggiore, oltre che effettuare le debite indagini. È stato sciocco da parte mia credere di essere ormai al sicuro.» ammise severa.
«Non è colpa tua.» intervenne Remus, esausto. «Chi ha fatto questo ha studiato bene la situazione e atteso che avessimo la guardia abbassata. Siamo stati tutti ingenui.»
Harry provò nuovamente a mettersi seduto, il viso arrossato per la febbre e un’espressione nervosa in volto.
«Minerva.» Madam Pomfrey richiamò l’attenzione di tutti dall’ingresso. «Potter è visibilmente provato. Se non avete altro di indispensabile da riferirgli o chiedergli …» tagliò corto.
«Sto bene.» obiettò Harry ostinato.
«Harry, per favore.» intervenne Remus con la sua voce pacata, ancora più fiacca del normale. Gli sfiorò la spalla sana e lo spinse nuovamente sul letto. «Non stai bene. Non ti ho morso è vero, ma un graffio è comunque profondamente dannoso. Hai delle tossine in circolo nell’organismo, hai bisogno di riposo fisico e mentale. Per favore.»
«Concordo.» affermò con fermezza la preside. Fece un piccolo battimani. «Forza, leviamo le tende. Poppy ci darà presto notizie e orari di visita adeguati.»
«Certo.» garantì la guaritrice, spostandosi di lato per liberare teatralmente l’uscita.
Hermione e Ron diedero una carezza e una pacca amichevole al compagno come commiato. Remus gli sfiorò affettuosamente una gamba, ancora visibilmente contrito e si alzò a fatica aiutato da un muto e serissimo Eli. 
Snape si limitò a voltarsi e posare una mano sulla spalla di Draco.
«Vieni.» gli mormorò. «Non penso sia il caso di lasciarti tornare da solo al dormitorio.»
«Aspettate.» disse Draco, guadagnandosi altre occhiate stupite. «Posso parlare qualche minuto da solo con Potter, per favore?» cercò Poppy con un’occhiata speranzosa.
La guaritrice valutò Harry, che le fece un cenno d’assenso prima di squadrare il biondo con un fiacco stupore.
«Va bene, ma cerca di non sottoporlo a stress superflui, discussioni e simili.» si raccomandò serissima.
Tutti lasciarono la stanza con aria vagamente dubbiosa, soprattutto Ron che squadrava Draco con severità, ma chi esitò davvero fu Snape. Strinse più forte la mano attorno alla spalla del biondo, sussurrandogli teso.
«Che hai in mente?»
Draco lo guardò negli occhi con una serietà determinata.
«Lui si fida di me. E avrei potuto perderlo, stanotte.» gli sussurrò. «Se ne sarebbe andato convinto che lo odiassi. Non ce la faccio. Non ho niente di buono dentro a parte questo sentimento. Voglio lasciarlo libero, sarà lui a decidere cosa farne.»
Severus sgranò gli occhi e lo lasciò andare come se si fosse ustionato. Non gli disse niente, e dopo una lunga occhiata tesa si limitò a seguire gli altri verso l’esterno. 
Hermione e Ron tornarono ai dormitori, Madam Pomfrey nella sua stanza. Lupin, Porter e Snape seguirono la preside nel suo ufficio.
Draco chiuse con calma la porta dell'infermeria con un’esitazione tesa, palpabile. Si voltò verso Harry che intanto, contravvenendo ai consigli della guaritrice, si era faticosamente messo seduto.
«Credo che non dovresti stare così.» gli fece notare infatti, incapace di schiodarsi dalla porta.
«Ce la faccio.» dichiarò orgoglioso, studiandolo con una smorfia indolente. «Di cosa vuoi parlarmi? So che sei innocente, non c’è bisogno che mi spieghi alcunché, ti credo.» premise stancamente. «E anche se ti guardava malissimo, pure Ron è convinto della tua innocenza.»
Draco si avvicinò a capo chino, mani appese alle tasche della veste.
«No, non è per quello. Io … non so da che parte cominciare.» mormorò.
Harry lo fissava perplesso.
«Prova dall’inizio?»
Il biondo si chiuse in un silenzio pensieroso e dopo un lento sospiro ammise:
«È complicato, ma in pratica ti ho mentito.»
«Ah sì? Beh non è una novità.» ribatté l’altro sarcastico.
«No, intendo che ti ho mentito sul fatto di aver mentito.»
«Eh?»
«La conversazione che hai sentito fra me e Nott settimane fa, ecco, non ero sincero con lui.»
Harry lo fissava confuso, ma non lo interruppe quando capì che l’altro stava covando una spiegazione più corposa.
«Gli ho mentito perché … sono un vigliacco, Potter. Inutile girarci intorno.» ammise a fatica avvicinandosi al letto, ma incapace di guardarlo negli occhi. «Sulle prime era stato facile mandare tutti al diavolo subito dopo la fine della guerra, quando avevo scritto a tutti quelle lettere per prendere le distanze. Però una volta tornato a scuola mi sono ritrovato tutti contro e mi sono sentito schifosamente solo fin dal primo giorno. La verità è che mi mancavano Zabini, Parkinson e Nott. Insomma, quando mi sono trovato davanti Theodore non ho avuto il coraggio di dirgli che tu mi …» esitò. « … mi stai simpatico veramente e che avevamo fatto sinceramente amicizia. Ho pensato che fingendo di esserti amico per interesse forse l’avrebbe accettato. O che magari avrebbe seguito il mio esempio staccandosi completamente dagli ideali del padre. Se mi avesse dato ascolto penso che anche Zabini e Parkinson avrebbero abbassato le armi.» concluse, ancora visibilmente teso.
La confusione sul volto di Harry invece non era diminuita nemmeno di un grado.
«E perché non me l’hai detto subito, allora? Quando eravamo nella serra e ti avevo chiesto conto di questa storia.»
Le guance di Draco si colorarono di un vago alone rosato.
«B-beh, non mi parlavi da settimane, pensavo che ci avessi ripensato circa l’essermi amico.» bofonchiò agitato.
Harry si accigliò e con la mano sana gli afferrò un polso, scuotendolo un minimo per costringerlo a guardarlo in faccia.
«Malfoy, basta bugie. Ok, ci ho messo settimane a trovare la voglia di confrontarmi con te su quella conversazione, è vero. Perché mi aveva fatto male sentirla e non volevo avere la conferma che fosse reale. Non capisco: perché essere amici andava bene all’inizio e poi dopo poche settimane non mi volevi più?»
«Perché …» Draco alzò timidamente lo sguardo verso il suo, ora paonazzo. «... mi piaci. Mi piaci molto. Non come amico, intendo. Stavo iniziando a pensare a te in un altro senso, e indovina? Ho avuto paura anche di quello. Sia che tu potessi rifiutarmi, ma soprattutto ricambiare. Quindi ho panicato e ho scelto di tagliare i ponti e restare da solo, ma a quanto pare sono troppo debole per riuscirci.» ammise amaro.
Harry, che già era rosso e accaldato per la febbre, inghiottì a vuoto e ammorbidì la presa sul suo polso senza tuttavia ritrarre la mano.
«Io, ti piaccio?»
Draco annuì, fissandolo negli occhi con un’emozione macchiata di timore e incertezza.
«Aspetta.» proseguì Harry. «Cioè, capisco la paura del rifiuto. Ma cosa significa che avevi paura che io ricambiassi?»
I loro sguardi erano carichi di un sentimento simile, timidamente arenato dietro la paura. Una piccola speranza emozionata, che tremolava ad ogni parola di troppo, pronta a infiammarsi o soffocare.
«Beh, se tu provassi qualcosa per me sarebbe un problema.» ammise in un mormorio fiacco Draco.
Harry fece una smorfia dolente.
«Perché mai?»
Draco distolse lo sguardo incassando leggermente il capo fra le spalle.
«Perché sei Harry Potter.» disse amaro col tono delle ovvietà.
Harry si incupì.
«Capisco.» sibilò. «Hai visto la reazione dei tuoi amici alla nostra presunta amicizia e hai capito che se fossimo addirittura qualcosa di più non tornerebbero mai più a rivolgerti la parola.» suppose sprezzante.
«No, io.» provò a difendersi Draco, ma l’altro gli parlò sopra, debole per le ferite ma risvegliato da una rabbia anche più veloce del suo solito.
«E chissà che direbbe tuo padre. Figurarsi se un sangue sporco sarebbe degno di un Malfoy! Non sono abbastanza per te, giusto? È questo il problema? Pensavo fossi meglio di così, che idiota.» concluse mollandogli il polso con un gesto debole ma stizzito.
Draco tornò a fissarlo negli occhi, ora paonazzo di rabbia più che imbarazzo. Si sporse verso di lui e gli sibilò a un palmo dal naso.
«Ringrazia che sei ferito o ti prenderei a schiaffi.»
Non gli diede tuttavia tempo di rispondere che lo afferrò per il capo, e chiuse la distanza fra le loro bocche con un bacio. Harry sgranò gli occhi, la rabbia infranta dalla sorpresa. Gli posò la mano sana sul petto, agganciò le dita alla sua cravatta e dopo una piccola esitazione serrò le palpebre e ricambiò il bacio di cuore. Ci volle pochissimo perché entrambi schiudessero le labbra in cerca di un contatto più intimo, per quanto un po’ goffo e parimenti inesperto.
Si separarono dopo poche pause e riprese, quando il desiderio reciproco di baciarsi era stato in minima parte sedato.
Rossi in faccia, riaprirono gli occhi squadrandosi da vicino, esitanti.
«Avevo paura per te, Harry.» mormorò Draco. «Che tu mi ricambiassi e finissi per stare insieme a un mangiamorte. Sono io a non sentirmi abbastanza per te.» ammise senza nascondere la vena di dolore acuto che gli attraversava il cuore riversandosi nei suoi occhi grigi, lucidi.
«E quindi?» mormorò Harry con un sorriso fiacco, lasciandogli andare la cravatta per rifilargli una carezza esitante.
«E quindi?» sbuffò dolente il biondo. «Cosa direbbero i tuoi amici e sostenitori? Come ti tratterebbe il mondo magico? Potresti finire per avere difficoltà anche a trovare un lavoro in futuro. Quanti dubiterebbero che io non ti abbia stregato con l’inganno?» 
«Draco, pensi me ne fregherebbe qualcosa?» gli chiese con un’occhiata sarcastica, intensa.
«No, ed è esattamente quello il problema. Sei un testone impulsivo e iracondo, che agisce senza pensare al proprio bene.» ammise, ricambiando la sua carezza in ritardo. Si mise a sedere sul bordo del letto, incapace di lasciarlo andare.
«E quindi hai pensato bene che troncare i rapporti fosse una buona idea.» lo sfottè il moro.
«Già. Peccato che stamane appena ho saputo cosa ti era successo mi sia sentito morire. Non pensavo che, dalla fine della guerra, avrei mai avuto di nuovo un attacco di panico.» ammise, imbarazzato.
Harry trattenne a fatica una smorfia dolente e Draco lo spinse delicatamente giù per portarlo a sdraiarsi.
«Beh, ora penso avrai capito che non intendo rifiutarti. E che mi piaci anche tu.» gli spiegò con un sorriso rotto solo dalla fatica.
«L’avevo intuito, sì.» sbuffò divertito il biondo, passandosi una mano sugli occhi lucidi. «Ma intuisco anche che sei bollente e devi riposarti. E che probabilmente Madam Pomfrey entrerà da quella porta da un momento all’altro a chiedermi di andarmene, dunque è il caso di proseguire questa discussione in un altro momento.»
«Temo di sì.» ammise il moro, scocciato. Allungò la mano sana a sfiorare quella più vicina dell’altro, fissandolo dal basso con un sorriso lentamente sempre più ebete e debole.
«Comunque per me sei abbastanza, e non me n'è mai importato niente del mondo e le sue opinioni. Se ci sarà da combattere ancora lo farò.»
Draco guardò ansioso la porta chiusa dell’infermeria, si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore, quindi non resistette e si chinò per strappargli un altro bacio.





Appena Severus, Remus e la preside furono dentro l’ufficio di quest’ultima, non ebbero nemmeno il tempo di iniziare a parlare che Eli si voltò verso Lupin e lo strinse in un abbraccio carico d’ansia e apprensione.
«Mi dispiace, Remus.» mormorò.
La McGonagall distolse lo sguardo e si schiarì delicatamente la gola, mentre Snape sgranò gli occhi davanti a quel gesto d’affetto. Remus sorrise un po’ imbarazzato e ricambiò l’abbraccio.
«Va tutto bene, Eli. Nessuno si è fatto male, per fortuna e non hai alcuna colpa.» gli spiegò dolcemente.
Snape strinse il bastone con forza, la mascella contratta e l’espressione indecifrabile. Senza preavviso iniziò ad allontanarsi.
«Severus?» chiese confusa la preside.
Eli e Remus si separarono, fissando anche loro il pozionista con aria interrogativa.
«Immagino che Porter indagherà sulla faccenda e si occuperà meglio della sicurezza di Lupin.» spiegò con la voce più tediata che possedesse. «Se dobbiamo riunire il corpo insegnanti al quarto piano come dicevamo, è il caso che vada a controllare che la zona sia opportunamente deserta.»
La preside lo guardò un po’ confusa, ma gli fece un cenno affermativo.
«Va bene, Severus. Intanto userò i ritratti per comunicare e convocare alcuni dei docenti. Gli altri li raggiungerò di persona. Entro un’ora ci riuniremo alla quinta aula in disuso del quarto piano.»
L’uomo annuì e si affrettò ad uscire, il volto arrossato da un’impennata di agitazione improvvisa.
Lupin rimase qualche istante di troppo a fissare la porta chiusa, ed Eli si ritrasformò subito in Tonks. La McGonagall, per niente sorpresa, lanciò un incanto protettivo alla porta e dispose le sedie.
«Sarà una lunga mattinata. La nostra unica fortuna è che oggi è domenica.» sospirò, lanciando un’occhiata fugace al ritratto di Dumbledore che li guardava con un lieve sorriso incuriosito dalla sua tela. «Quindi siamo d’accordo con quanto dicevamo prima? Riveleremo l’identità di Tonks ai docenti, Potter, Granger, Weasley e Malfoy, di modo da favorirne le indagini in caso debba infiltrarsi sotto mentite spoglie. Nelle notti di luna piena faremo almeno in tre da piantone all’ufficio di Remus e zone limitrofe.»
Tonks annuì convinta, senza riuscire a trattenersi in bocca un commento acido.
«Inutile dire che i sospetti per me ricadono tutti su Serpeverde.»
«Continuo a non essere d’accordo col metodo.» intervenne invece Remus, appostatosi stancamente su una poltrona. Aveva l’aria demoralizzata e tesa, ma anche profondamente priva di energie. «Più che proteggere me dovresti proteggere gli studenti, mi difendo fin troppo bene in forma animale. E per com’è andata stanotte direi che il target era più Harry che io: rinchiudimi nella Stamberga Strillante. Sarà più sicuro.»
«Remus, il target eravate chiaramente entrambi.» insistette la giovane auror. «Sei sempre il solito, ti svaluti e trascuri. Avrebbero potuto metterci del veleno e non dello zucchero nella pozione. Avendoti qui sarà più facile proteggerti e controllarti.»
«Appunto, avrebbero potuto.» sorrise mesto il licantropo. «Eppure non l’hanno fatto. Significa che l’obiettivo non era uccidermi ma usarmi per uccidere.»
Prima che Tonks potesse intervenire però, lo fece la preside.
«Quale che fosse l’obiettivo finale fra te, Harry e Draco - se non direttamente tutti e tre - dobbiamo tenere gli occhi aperti. Questa situazione è grave e dobbiamo agire subito per venirne a capo. Il colpevole non sei tu, Remus. La soluzione non è confinare te.» stabilì con fermezza.
«Va bene.» sospirò stanco.
«Sono d’accordo.» confermò invece soddisfatta Tonks.
La preside si alzò con fluidità felina nonostante l’età, e fece cenno a Remus di restare seduto e a Tonks di avvicinarsi.
«Riposa per favore. Il signor Porter ed io andremo a convocare i docenti e controllare la situazione.»
«Spero sia tutto tranquillo.» mormorò Tonks che intanto riprese le forme di Eli.
La preside uscì con calma tallonata dall’auror, e Remus non ebbe la forza di opporsi. Una volta rimasto solo, sprofondò maggiormente nella poltrona, gli occhi pesanti e arrossati. Con un colpo di bacchetta fece scendere una tendina a coprire la fastidiosa luce del mattino che filtrava da una finestra proprio verso il suo capo e chiuse gli occhi.
Quando fu sul punto di cedere alla stanchezza e assopirsi, una voce gentile lo richiamò da una parete.
«Remus, posso disturbare il tuo riposo per qualche minuto?»
Il licantropo aprì subito le palpebre e si ritrovò ad osservare il ritratto di Dumbledore che gli sorrideva affabile dalla sua cornice.
«Albus.» lo salutò con un sorriso fiacco. «Certo.» acconsentì tirandosi a sedere più composto con enorme fatica.
«Resta comodo, Remus, per carità.» lo invitò bonario l’altro. «Questo vecchio su un dipinto nuovo vuole solo farti una brevissima predica.» premise.
«Ogni consiglio è ben accetto, Albus.» ammise rimettendosi più comodo.
«Molto bene.» sorrise affabile l’altro. «Vedi, il dramma dell’odio è che a volte è addirittura più facile da accogliere dell’amore. Quindi il mio unico consiglio per te è di insistere con tutta la tua forza con coloro che proprio non ce la fanno da soli ad accettare l’amore.»
Sul viso di Remus passò un lampo di sorpresa e confusione, seguito da un vago imbarazzo.
«Co-come prego? Cosa … chi intende?» balbettò.
«Quello che ho detto, mio caro ragazzo.» sorrise gentile Dumbledore. «Nulla più nulla meno.» concluse, facendogli un occhiolino ed un cenno con la mano atto a fermarne ogni altra replica. «Ora perdonami, ma è il caso che vada a fare qualche chiacchiera con alcuni colleghi. Riposa pure.»
«Va bene. Grazie?» disse titubante il licantropo, osservando la figura dipinta uscire dalla sua cornice verso chissà dove.



Quando Lupin si ricongiunse ad Eli circa un’ora dopo, l’uomo lo acchiappò a braccetto e si avviarono verso i piani inferiori.
«Sei riuscito a chiudere occhio, Remus?» Eli parlava piano nonostante fossero effettivamente soli.
«Nemmeno un minuto. Poi il ritratto di Albus mi ha detto una cosa strana.» ammise, visibilmente impensierito.
«Che cosa?»
«È stato molto sibillino, in realtà. Ha fatto un brevissimo discorso su quanto l’odio sia più facile da scegliere dell’amore e poi mi ha consigliato di insistere con tutte le forze con coloro che non ce la fanno da soli ad accettare l’amore.»
Eli sgranò gli occhi e gli rivolse un sorriso vivace, per quanto ancora teso dagli eventi.
«Parlava di Snape, è ovvio. E ovviamente anche di te e del fatto che proprio come quel testone sei incapace di accettare di poter essere amato.»
«Eh?» mormorò Lupin allibito. «Dumbledore è un uomo di immensa saggezza anche in forma di dipinto, ma come avrebbe potuto sapere di ciò che provo e soprattutto di ciò che ipoteticamente dovrebbe provare Severus?»
«Oh, ancora con queste ipotesi? Dai, è evidente cosa provi per te. Dumbledore avrà fatto facilmente due più due. O forse sa qualcosa che non sai da prima. Cosa pensi che ci facesse Snape sulle scale verso il tuo ufficio ieri notte? Stava venendo a controllare come stessi. Tutte quelle rampe di scale nelle condizioni in cui è, solo per venire da te per solerzia? E nell’ufficio della preside, quando mi ha visto abbracciarti ed è praticamente scappato via indignato? Avanti.»
Remus sospirò, teso e indeciso.
«Magari non era indignato per gelosia, ma per disgusto? Ci ho provato, non mi ha voluto. Che altro posso fare?»
«Insistere, ovviamente. Finché non cederà.»
«Quella si chiama persecuzione, Eli. Se non vuole devo rispettare la sua volontà.»
«Il problema non è che non vuole, Remus. Ma che lo vuole tanto quanto lo vuoi tu, ma è impigliato nella tua stessa trappola. Sensi di colpa, autostima ferita. Forse quello che intendeva Dumbledore era questo: cura te stesso e aiuta lui a fare altrettanto.»
Remus si passò una mano sul viso, profondamente affaticato.
«Può darsi. Ma non ho la presunzione di poter salvare né rendere felice nessuno. Che sia come amico o qualsiasi altra cosa.»
«Oh sì che puoi rendere felice qualcuno, Remus. Devi accettarlo prima o poi.»
«Non credo che-» si interruppe quando arrivarono al piano giusto. «Ne riparliamo dopo.»
Entrarono nella quinta porta, un’ampia e polverosa aula in disuso, piena di banchi accatastati, le vetrate oscurate da drappi scuri e poche lanterne accese. Remus andò subito a sedersi su una seggiola, Eli provò a fare altrettanto ma ne beccò una rotta e dopo un discreto capitombolo optò per stare in piedi accanto al licantropo senza rischiare di fare altri danni.
Pochi minuti dopo arrivarono gradualmente tutti gli altri docenti, chi più chi meno turbato. A chiudere il giro furono Filch e Madam Pomfrey, quindi la stanza venne adeguatamente isolata acusticamente, la serratura protetta e la preside prese parola.
«Avete avuto modo di parlare coi vostri studenti?» chiese guardando uno ad uno tutti i colleghi. «Quanto è trapelato di ciò che è accaduto stanotte?»
Il primo a rispondere fu Slughorn.
«Granger e Weasley mi hanno avvertito che alcuni loro compagni si sono incuriositi per l’assenza di Potter questa mattina. Hanno giustificato la cosa inventando una sua presunta uscita alle prime luci dell’alba per aiutare Rubeus con … qualche faccenda nell’orto.» spiegò vago, guardando verso il mezzo gigante con aria speranzosa. «La signorina Granger ha inoltre suggerito, per avvalorare questa versione anche a fronte della permanenza di Potter in infermeria, di ideare una scusa credibile circa un infortunio nel suddetto orto.»
Hagrid, mortalmente turbato all’angolo dell’aula, ci mise qualche istante di troppo a processare il tutto ma alla fine grugnì in assenso.
«Ci sta, sì. Se mi chiedono dov’era Harry, ci dico che era con me. Se chiedono cosa gli è successo ci diciamo che si è ferito mentre cercavamo di estrarre degli Unyl dal terreno. Escono sempre dopo la luna piena quelli. Anche se in effetti nel mio orto non ci sono mai stati ma … chi se ne frega. I ragazzi non lo sanno.» sbottò cupo.
«È una buona idea, professore.» concesse la McGonagall con un sorriso incoraggiante e un’espressione piacevolmente sorpresa.
«I miei ragazzi sembrano del tutto ignari.» intervenne la Sprout.
«I Corvonero hanno fatto qualche domanda, forse hanno notato una certa agitazione fra noi docenti a colazione.» sospirò invece Flitwick. «Ma confido nel fatto che la loro spiccata intelligenza li aiuterà a intuire anche quanto sia giusto e saggio tenere per sé eventuali dubbi di troppo.»
«I Serpeverde sembravano ignari e solo irritati per il brusco risveglio quando stamane sono andato a prendere Malfoy.» spiegò Snape, mortalmente serio.
«Nessuno di loro aveva atteggiamenti sospetti?» chiese Eli con la sua voce bassa e uno sguardo marcatamente inquisitore verso il pozionista.
Snape lo fissò con un mezzo sorriso acido e sarcastico.
«Mi sta chiedendo se qualcuno di loro sembrava colpevole di questo agguato, Porter?»
«Esattamente.» ammise l’auror con un’occhiata di sfida.
«No. Nessuno di loro sogghignava malignamente o faceva domande insolite.» confermò freddamente. «A tal proposito, sembra aver già sospetti verso i miei studenti o sbaglio?»
«Non sbaglia, Snape.»
Tutti li fissavano tesi, persino la McGonagall esitò ad intervenire.
«Bene, le consiglio di non focalizzarsi unicamente su di loro. Magari potrebbe rischiare di perdersi il reale colpevole altrove.» suggerì col suo consueto tono freddo e sprezzante.
«Oh avanti, Snape. Non trascurerò nessuno nelle mie indagini, ma mi pare abbastanza improbabile che troveremo il responsabile fra le fila di Tassorosso, Grifondoro o Corvonero.»
«Perché no?» sibilò il pozionista, squadrando Lupin con ostentato disprezzo. «Il movente di un simile gesto potrebbe essere non tanto l’odio verso Potter quanto un dissenso verso Lupin.»
«Come prego?» quasi ringhiò Eli, avanzando di mezzo passo.
Remus lo afferrò debolmente per un braccio.
«Ha capito perfettamente, Porter. Qualche studente potrebbe avere semplicemente agito spinto dal desiderio di mostrare quanto un licantropo sia poco gradito nel corpo insegnanti. Quale modo migliore se non inscenando un agguato che tutti avrebbero facilmente attribuito ad un Serpeverde?» spiegò a denti stretti.
Eli si liberò dalla presa di Remus con uno strattone, livido di rabbia. In poche falcate fu davanti al pozionista che guardava in cagnesco.I docenti li fissavano tesi, ma ancora restii a intervenire.
«Mi hanno raccontato cos’hai fatto a Remus anni fa, Snape. E conosco anche i vostri trascorsi.» sibilò, venendo meno ad ogni briciolo di cortesia nei toni. «Che Lupin sia inadeguato al suo posto lo insinui solo tu e qualche altro Serpeverde per partito preso. Tutti gli altri, che erano a combattere fianco a fianco a Remus durante la battaglia di Hogwarts, sanno bene quanto valga come insegnante, come uomo e quanto non metterebbe a repentaglio la vita di nessuno.»
«Lui no di certo, sappiamo tutti che eroe è.» rispose tediato e sarcastico l’altro. «Ma gli incidenti capitano, e questa notte l’ho visto bene coi miei occhi.»
«A proposito, come mai ti trovavi proprio lì sulle scale per il settimo piano?» sibilò Eli. I suoi capelli rossi sembrarono farsi ancora più di fuoco.
«Banale casualità.» chiarì Snape, fissandolo negli occhi con un guizzo di rabbia malcelata. «Stavo proprio andando a verificare che tu stessi facendo bene il tuo lavoro e che la trasformazione di Lupin-»
«ORA BASTA!» ringhiò Remus, così cupo e rabbioso che tutti si voltarono a fissarlo allibiti, la voce quasi irriconoscibile. Aveva lo sguardo acceso da una furia ferita, dolente.
Eli sgranò gli occhi, tornò indietro e gli posò una mano su una spalla, mormorando uno “scusa”.
«Concordo, adesso basta.» intervenne severa la preside. «La lealtà del professor Snape non è oggetto di discussione, così come l’innocenza della sua casa. Le indagini verranno svolte con eguale attenzione come il signor Porter ha garantito, e torno a rimarcare che la scelta di Remus per il ruolo di docente è assolutamente valida. Ciò che è successo stanotte non è stato in alcun modo colpa sua.»
Remus tuttavia era agitato. Aveva il viso arrossato, gli occhi dall’iride color miele venata ancora di una stilla gialla. Guardò un’unica volta Severus dritto negli occhi, portandolo per una volta ad abbassare lo sguardo, cosa che il pozionista dissimulò in un’occhiata seccata.
«Filch, hai qualcosa da dire?» proseguì la McGonagall.
«Quadri, fantasmi e persino Peeves sono stati adeguatamente istruiti al silenzio, signora preside.» chiuse il giro il custode, anche se la cosa non sembrava renderlo esattamente lieto. Si era messo seduto nell’angolo dell’aula più lontano possibile da Lupin, che fissava guardingo e atterrito. Mrs Norris a sua volta acciambellata sul suo grembo con la coda che dondolava nervosamente.
«Molto bene. Allora il piano è il seguente.» annunciò la preside. «Terremo il silenzio assoluto sulla faccenda. Non daremo alcuna spiegazione e solo se interrogati eventualmente su Potter e le sue ferite ci atterremo alla versione suggerita da Granger e da Hagrid. Porteremo avanti le indagini con cautela verso ogni studente e al plenilunio monitoreremo tanto i dormitori quanto l’ufficio stesso del professor Lupin. C’è qualche domanda o altre segnalazioni importanti?»
Ad alzare la mano fu Snape. L’uomo fissava ancora verso Eli e la sua mano appesa alla spalla di Remus con rancore puro.
«Toglimi solo una curiosità, Porter. Com’è che hai creduto ad una banale missiva che ti diceva di abbandonare la postazione di guardia in un momento simile?»
Eli prese un sospiro lento, e sotto gli occhi tesi di tutti si ritrasformò, tornando alle sue sembianze naturali.
«Perché era una missiva apparentemente originale, inviata dal Ministero con tutti i sigilli e all’interno c’era il mio vero nome.» ammise.
«Tonks?» squittì Hagrid, esterrefatto.
«Già.» confermò lei. «Mi dispiace di avervi ingannati per queste settimane. Dovendo stare in missione pronta a tutto ho preferito assumere un’altra identità. Vi chiedo di non rivelarla in giro. Abbiamo deciso di dire questo segreto anche a Malfoy, Potter, Granger e i Wesley, per facilitare le collaborazioni in caso necessiti di infiltrarmi fra gli studenti.»
Snape perse all’improvviso ogni vena aggressiva. Sembrava come sedato da una dose massiccia di un medicinale efficace.
«A questo punto può essere stato qualcuno di esterno al corpo studenti.» ipotizzò il pozionista. «Qualcuno che ha raggiunto il Ministero e in qualche modo anche Hogwarts e che aveva informazioni accurate su di te e la tua missione.»
«Possibile.» ammise Tonks, che studiava l’uomo con rinnovata curiosità.
«Questo pomeriggio mi recherò al Ministero per parlare con Shacklebolt.» rese noto la preside. «Dato che la missiva è giunta dal Ministero è fondamentale che io gli comunichi personalmente questa falla nella sicurezza e dovremo trovare un modo più sicuro di comunicare.»
Si levò un lieve brusio fra i docenti, molti annuirono, altri si scambiarono osservazioni, ma alla fine nessuno pose altre domande.
«Ora per favore uscite in piccoli gruppi, in modo da non destare sospetti. Al ritorno dal mio colloquio col Ministro verrò ad informarvi uno alla volta delle eventuali novità.»
A due a due cominciarono a intervalli regolari a lasciare l’aula. Fra i primi ad andarsene ci furono Remus seguito da Eli che gli faceva da supporto.
Gli ultimi furono invece Snape e la McGonagall.
«Severus tu … ?» lo interrogò la donna, esitante, quando rimasero soli.
«Io?» chiese lui, freddamente.
«Pensi davvero che Remus non debba insegnare per colpa della sua maledizione?»
«A questo punto sì.» confermò cupo. «Se non troveremo mai il colpevole cosa faremo? Aspetteremo che succeda qualcos’altro e ci scappi una vittima? Obbligheremo Tonks a restare qui a vita come guardiana sotto mentite spoglie? Se questo tentativo è stato un fallimento, il colpevole farà di peggio alla prossima.» mormorò stancamente.
La preside emise un sospiro pesante, fissando l’altro con l’aria dolente di chi sta per fare una domanda di cui sa già la risposta.
«Quindi cosa suggerisci di fare?»
Il pozionista strinse il bastone a cui si reggeva con una ferocia tale da fargli tremare la mano.
«Mandare Lupin a casa. Lì dove sarà al sicuro e non potrà accidentalmente nuocere a nessuno studente.» mormorò funereo.
La donna abbassò lo sguardo, ma non gli rispose subito e l’altro insistette.
«Minerva. Promettimelo. Se non troveremo il colpevole entro breve manderai via Lupin, non puoi tenerlo qui con un rischio simile.» nella sua voce c’era una vena di disperazione difficile da celare.
La preside lo guardò confusa.
«Severus?»
L’uomo insistette, granitico.
«Promettimelo.»
L’altra sospirò ancora una volta, ma alla fine annuì mestamente.
Intanto Lupin e Porter si erano appena infilati nell’ufficio del primo. Sigillata la porta, Tonks riprese la sua forma e rifilò un calcio rabbioso ad un cestino delle cartacce lì accanto.
Remus andò a sedersi su una poltrona bassa vicino al caminetto, l’umore sotto le scarpe e l’espressione profondamente amareggiata.
«Dora.» mormorò.
«Remus, mi dispiace.» sospirò la ragazza, che si affrettò a raggiungerlo. «Non pensavo avrebbe finito per dire tutte quelle crudeltà e-»
«Dora.» ripeté cupo. «Devi farmi un favore.»
«Remus? chiese lei, turbata.
«Non supporre mai più che Severus Snape provi qualcosa nei miei confronti.»
«Ma-»
«Dora. Per piacere.» il licantropo si passò una mano sul viso a cancellare l’alone di un lucore che gli stava infiammando lo sguardo. «Non ce la faccio a sopportare questo sentimento così. Con la sciocca speranza di poter essere ricambiato. Snape mi vuole il più lontano possibile da sé e quale che sia il motivo non ci posso fare niente. Ha fatto la sua scelta e pensare che sia per amore è a questo punto un’illusione patetica e anche un’offesa verso la sua intelligenza.»
«Remus.» sospirò lei, chinandosi e andando ad abbracciarlo.
Lupin cedette al bisogno di sfogarsi e pianse con una compostezza forzata.
«Non ce la faccio più Dora. A vivere e rivivere il rifiuto, il disprezzo e l’odio. La solitudine in confronto è attraente. Quindi ora, ti prego, lasciami solo e mettiamo la parola fine a ogni questione con lui. Voglio fare finta che non esista.»
Tonks guardò l’amico con un’aria profondamente addolorata ma annuì senza obiezioni. Titubante lo lasciò andare con una carezza e uscì dall’ufficio una volta recuperate le sembianze di Eli.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Indagini ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!

 

 
Erano passate poche settimane dall’agguato al settimo piano, e le pochissime chiacchiere che si erano diffuse sull’agitazione dei docenti erano scemate presto. Con un lieve anticipo sulla tabella di marcia, la Preside aveva deciso di anticipare la stagione del Quidditch, così verso metà ottobre iniziarono i provini per la formazione delle nuove squadre.
Era metà pomeriggio di domenica, ed Harry e Ron stavano entrando negli spogliatoi in cui i Serpeverde stavano finendo di cambiarsi dopo la loro sessione di selezioni.
«Già guarito dallo scontro con le bestie di Hagrid, Potter?» l’aveva accolto con sprezzante ostilità uno dei nuovi battitori verde argento.
«Purtroppo per te sì.» gli rispose a tono il moro.
Dopo uno scambio fugace di sguardi ostili qui e là, Harry finì per soffermarsi su Draco, intento a finire di rivestirsi lontano dal resto dei compagni. Aveva il volto segnato da un grosso livido in via di formazione e un labbro spaccato da cui il sangue doveva aver smesso di colare solo da poco. Il moro contrasse la mascella ma resistette all’impulso di avvicinarsi all’altro, aspettando pazientemente, teso, che tutti i Serpeverde uscissero. Quando fu il turno di Draco di passargli accanto e fu ragionevolmente sicuro di essere fuori portata d'orecchio dei compagni Grifondoro che stavano entrando, gli mormorò:
«Vediamoci in campo fra due ore esatte.»
Draco annuì impercettibilmente e così l’appuntamento fu stabilito.
I provini dei Grifondoro durarono poco più delle due ore previste, ma alla fine dopo una lunga doccia e dopo aver atteso pazientemente che tutti i compagni filassero al castello per la cena, Harry raggiunse il bordo campo dove lo attendeva Draco.
Era ormai quasi ora di cena, il cielo era cupo e vivacemente stellato, la luna invisibile perché nel pieno della sua fase nuova.
Il biondo gli fece cenno di seguirlo e si andarono a nascondere con una certa buona dose di paranoia sotto gli spalti a gradoni. Si misero a sedere su una sporgenza di legno della struttura che somigliava ad una grossa panca un po’ bassa, uno accanto all’altro. Draco sembrava esausto e subito si inclinò verso la spalla più vicina del moro per poggiarvi contro la testa.
Harry gli cinse le spalle con un braccio e non si tenne più la domanda che gli lampeggiava in faccia fin da prima.
«Cos’è successo?» mormorò sfiorandogli una guancia in punta di dita.
«Mi hanno tempestato di bolidi, con la scusa di testare la mia agilità.» sospirò Draco.
«Che idioti.» bofonchiò Harry, con stento uno sbuffo irritato.
«Comunque non ho notato niente di sospetto, ora come ora. Anche se non sto riuscendo a raccogliere informazioni come vorrei.» ammise il biondo, guardingo nonostante il luogo isolato in cui si erano nascosti. «Mi tengono tutti a distanza come un vaioloso.» ammise, frustrato.
Harry trasse un respiro profondo e scosse il capo in un cenno negativo.
«Hai fatto quel che potevi, non forzare le cose, è rischioso. Fra l’altro non è detto che i responsabili siano Serpeverde.» provò a suonare conciliante, ma non era molto convinto.
Draco infatti gli scoccò un’occhiata amaramente sarcastica.
«Molto gentile da parte tua Harry ma siamo onesti, avanti. È ovvio che sia stato uno dei nostri.» considerò, senza mai staccarsi dal mezzo abbraccio dell’altro.
Il moro prese ad accarezzargli i capelli.
«Hai qualche sospetto, vero?»
«Già.» ammise, chiudendo gli occhi con una smorfia dolente. «Zabini, Parkinson e Nott sono i più arrabbiati con me. E anche i più capaci a livello di abilità, specialmente Nott in Incantesimi e Pozioni: è un tipo molto intelligente. Forse il più intelligente che conosca lì dentro.» fece una piccola pausa in cui si intesì visibilmente. «Harry, se venisse fuori che è colpa di uno di loro, finirebbero ad Azkaban per una cosa simile, vero?» domandò riaprendo le palpebre per scoccare al compagno un’occhiata che non nascondeva nemmeno un grammo della sua preoccupazione di fondo.
Harry strinse la mascella e annuì.
«Molto probabilmente sì.»
Draco emise un sospiro lento, tremulo.
«Ho fatto una stronzata ad abbandonarli. Soprattutto Nott. Sono stato un amico davvero di merda e il solito vigliacco.» mormorò.
«Draco.» lo richiamò l’altro, facendogli scorrere altre carezze in punta di dita lungo la guancia e il mento lividi. «C’è ancora tempo per fare qualcosa. Non tutto è perduto, ok? Se troviamo il responsabile possiamo provare a discuterci e chiudere questa faccenda senza coinvolgere nessun altro.»
Il biondo annuì con una scrollata di spalle poco fiduciosa.
«Abbiamo fatto bene a tenere il segreto. Se venisse fuori non solo che siamo amici ma che ci frequentiamo sarebbe un disastro e le mie chance di raccogliere informazioni si esaurirebbero definitivamente.» mormorò. «Anche se è frustrante poterci vedere solo così e solo per pochi minuti.» ammise un po’ demoralizzato.
Harry emise un mugugno d’assenso.
«Io non ho detto niente manco a Ron, Hermione e Ginny. Ma penso che almeno a loro tre dovremmo dirlo. Ron ti detesta ancora a morte ingiustamente.» spiegò con un sorriso mesto. «E a parte questo penso che avere tre alleati in più ci aiuterebbe un bel po’.»
Draco gli rivolse un’occhiata un po’ turbata, ma alla fine annuì.
«Sì, forse hai ragione.» ammise con un sospiro arrendevole. «Sarebbe bello avere un posto dove stare da soli, in pace e senza rischi.»
Harry annuì e dopo un attimo di esitazione parlò, incerto.
«Pensi che la stanza delle necessità sia andata distrutta o funzioni ancora?»
«Non ne ho idea, ma giorni fa ci pensavo anch’io. Aprirla potrebbe essere rischioso.»
«Però … » mormorò Harry, teso. « … l’Ardemonio era solo in una stanza specifica. Non ci sono mai state connessioni fra le stanze. Forse è sufficiente evitare di riaprire - quella stanza - e basta. O forse le fiamme si sono estinte dopo aver divorato ogni cosa?»
«È vero. Ma sei disposto a rischiare di riaprire quell’inferno solo per avere un po’ di intimità?» sbuffò Draco, fiaccamente divertito.
«Decisamente no, o almeno non senza certezze. Intimità a parte era un posto formidabile e utile.»
«Dobbiamo cercare più informazioni sull’Ardemonio.» convenne Draco.
«Chiederò a Lupin.» concordò Harry, che ancora una volta esitò e poi cercò lo sguardo altrui con uno più insistente. «Draco, se riuscissimo ad aprirla, tu … beh, te la sentiresti di entrarci? O magari no? Visto quello che è successo insomma. Non voglio forzarti.» mugugnò dubbioso.
Draco sgranò le palpebre dietro un piccolo moto sorpreso. Fissò gli occhi verdi dell’altro con un sorriso ammansito e grato.
«Grazie.» mugugnò, un po’ imbarazzato.
«Mh? Di che?»
«Di aver pensato questa cosa. A come potrei sentirmi in quel posto.»
«Beh, di niente.» sorrise Harry.
«Non lo so, comunque. Ho pensato anche a quello ma ho preferito non indugiarci troppo su. Credo che dovrei andarci, per capire come mi fa sentire.»
Mentre lo diceva era teso, ed Harry se lo strinse maggiormente contro.
«Ci andremo insieme, se vorrai. Una volta capito quanto possa essere sicuro o meno.» affermò con cautela.
Draco annuì un paio di volte, quindi alzò il muso in una muta richiesta d’un bacio che non tardò ad arrivare.
Dopo i primi contatti affettuosi e delicati, specialmente viste le condizioni di Draco col suo labbro spaccato di fresco, si ritrovarono a fissarsi con una vena di desiderio decisamente più profonda da riempire di un semplice paio di baci. Draco era rosso in faccia, Harry dondolava nervosamente una gamba. Gli bastò quello sguardo complice e carico di frustrazione per scoppiare a ridere entrambi.
«Dobbiamo trovare davvero un posto sicuro in cui stare per conto nostro.»
«Decisamente.»







Ottobre si stava avviando al termine, portando con sé il carico di zucche giganti dall’orto di Hagrid, i primi freddi rigidi e le preparazioni per l’imminente festività di Halloween, che sarebbe fatalmente coincisa con il plenilunio del mese.
Nell’aula di Difesa, Lupin aveva appena terminato una bella lezione congiunta al settimo anno di Serpeverde e Corvonero, ancora in forze prima dell’inizio dell’usuale assunzione di pozione antilupo.
Eli Porter sostava sull’ingresso dell’aula, braccia incrociate e l’aria più severa che mai.
«Ben fatto Jenkins.» Lupin si complimentò con uno degli studenti di Corvonero che aveva appena portato a termine con successo l’esecuzione di un incanto difensivo. «Direi che la lezione può concludersi qui, siete stati tutti molto bravi. Qualche domanda?» concluse avviandosi alla cattedra.
Fra tutti, chi si era applicata molto poco era stata Pansy. In piedi accanto a un gruppo di compagne e Blaise, aveva collaborato molto poco e passato buona parte della lezione a fissare Eli Porter in cagnesco, salvo arrossire confusa e distogliere lo sguardo quando l’uomo guardava verso di lei.
Nel silenzio generale fu proprio Pansy ad alzare una mano.
«Sì, Parkinson?» la invitò cortese Lupin.
La ragazza strinse i denti nervosamente, esitò un istante prima di parlare, ma quando lo fece usò un tono duro e sicuro.
«Ciò che abbiamo imparato oggi può esserci utile a difenderci da un lupo mannaro?»
L’aula si fece tombale. Alcuni Serpeverde come Zabini e Nott sorrisero crudelmente. Draco, lasciato come sempre in disparte si accigliò, mentre Eli inarcò un sopracciglio dietro un moto di vaga ostilità.
Tutti gli occhi puntarono prima la ragazza poi Remus che, accomodatosi in cattedra, mostrò una nonchalance assoluta. Il licantropo studiò i volti degli studenti. Nonostante qualche smorfia contrariata, anche fra i Corvonero si sparse una curiosità avida.
«Un’ottima domanda, Parkinson.» rispose serio e tranquillo. «Temo di no, purtroppo. I comuni incantesimi hanno un effetto ridotto contro un licantropo completamente trasformato e solo gli scudi di maghi e streghe potenti possono aiutare a respingerlo. L’unica speranza è quella di agire sull’ambiente circostante per frenarlo o bloccarlo, o lanciare lo stesso incantesimo in più persone contemporaneamente.»
Pansy arrossì d’imbarazzo a quella risposta seria e tranquilla, così si limitò ad emettere un mugolio d’assenso. Luna da un lato dell’aula  ghignava divertita e soddisfatta.
I ragazzi iniziarono ad uscire in un fitto brusio di commenti a mezza voce, diretti alla sala grande, mentre Lupin e Porter presero la via dei sotterranei. Lupin tenne lo sguardo basso, pensieroso, e l’auror non si intromise nel fitto delle sue elucubrazioni. Giunti alla porta dell’ufficio di Snape bussarono e a dargli l’avanti fu la voce cortese di Slughorn.
«Prego, venite.» li invitò.
L’uomo era seduto ad un tavolo laterale, intento a sorvegliare tre boccette di Pozione Antilupo appena travasate. Snape invece era seduto alla sua scrivania, intento a correggere una piccola montagna di pergamene che sembravano assorbirlo così profondamente da impedirgli di guardare verso i due ospiti. Aveva recuperato quasi completamente la buona mobilità della mano destra, con cui maneggiava la bacchetta senza troppe difficoltà, ma il bastone era rimasto un compagno fedele posteggiato accanto alla sedia.
Anche Lupin, quasi in un tacito accordo, evitò chirurgicamente di guardare verso Snape, cosa che fece sospirare Eli.
Il licantropo mise su un sorriso grato verso Horace, e gli allungò una scarsella che portava a tracolla.
«Assumerò la prima ora stesso. Le altre due le porterò con me senza mai separarmene.» spiegò serissimo.
Slughorn annuì con aria egualmente contrita.
«L’abbiamo realizzata tenendola sempre sott’occhio e sigillando l’ufficio con ogni genere di precauzione nelle scorse settimane.» spiegò l’uomo, teso. «Abbiamo anche controllato un campione poco fa: non risulta in alcun modo alterata.» garantì, aprendo un sorriso un po’ stentato.
Remus ricambiò l’espressione con gratitudine.
«Ti ringrazio Horace, e mi dispiace di portare tutti questi problemi.»
«Ehi.» mormorò Eli.
Slughorn trattenne a fatica il sorriso, era teso e non aggiunse altro se non un vago cenno con una mano, come a dire di lasciar perdere.
Quando Remus ebbe bevuto tutta la prima dose della disgustosa pozione, salutò ancora Slughorn, e lasciò l’ufficio di Snape fingendo che l’uomo non esistesse.
Appena arrivò nel proprio di ufficio, con Eli alle calcagna come un mastino fedele, si andò a sedere con uno sbuffo già stanco.
Tonks sigillò la porta con tutti gli incantesimi del caso e riprese le sue forme.
«Dunque ti va bene così?» chiese all’amico, squadrandolo con un’occhiata dolente.
«Così come?»
«Con Snape. Fate semplicemente finta che l’altro non esista da settimane.» quando vide Remus accigliarsi e aprire bocca per ribattere lo anticipò. «Lo so che non vuoi parlarne, Remus. Ma questa cosa non è sana. Settimane fa quando mi sono trasformata davanti ai docenti e ha capito che non fossi un tuo misterioso amante sembrava come … rasserenato.»
Remus non alzò mai lo sguardo né disse alcunché, così la ragazza continuò, sebbene esitante.
«Vorrei provare a parlargli.»
Il licantropo chiuse gli occhi, non sembrava sorpreso da tale risoluzione, solo teso.
«E cosa vorresti dirgli che non sappia già?» mormorò cupo.
«Che è un idiota.» semplificò Tonks con una scrollata di spalle.
Lupin riaprì gli occhi e stavolta era genuinamente sorpreso.
«Davvero?»
«Già. Non credo che grandi discorsi possano convincerlo, né è mio compito in effetti. Ma ci tengo a comunicargli che a lasciare andare per paura e orgoglio una persona stupenda come te, lo rende uno degli stregoni più idioti che conosca.» aprì un sorriso divertito, intenerito.
Nemmeno lo scetticismo cupo di Remus riuscì a resistere alla dolcezza affettuosa dell’amica. Sorrise anche lui e annuì.
«Siamo entrambi due idioti.» confermò.
«Un po’. Sì.» sorrise mesta lei.
Stettero qualche attimo in silenzio, poi Remus si accigliò.
«A proposito di idioti. Mi incuriosisce Pansy Parkinson.»
«Anche a me. Mi guardava strano, più degli altri giorni. E quella domanda così sgradevole a fine lezione era decisamente più audace del suo solito.»
Remus sospirò.
«Non aveva tutti i torti, comunque. Insegnargli come difendersi da quelli come me è parte del mio lavoro.»
«Remus … »
«No Dora, niente Remus. Non guardarmi così. Hai visto le facce dei ragazzi di Corvonero? Anche loro erano interessati. Che gli studenti abbiano timore di me è evidente, a prescindere da quanto possa essere circolato dell’incidente del mese scorso.» ammise serio. «Se non troveremo il colpevole entro Natale penso sia il caso che io rassegni le mie dimissioni.»
Tonks quasi cadde dallo sgabello su cui si era instabilmente appollaiata, inciampando sull’orlo troppo lungo dei pantaloni.
«Non puoi essere serio, Rem!»
«Serissimo, Dora. È troppo rischioso.»
«E chi insegnerà al posto tuo?»
«Slughorn. Mi hanno detto che è stato un buon supplente. E ormai Snape ha quasi del tutto recuperato l’uso del braccio destro, non ha più bisogno di un supporto.»
Tonks si morse nervosamente un labbro e infine dichiarò, in tono sicuro.
«Troverò il responsabile prima di Natale. Ma tu non te ne andrai, Remus. A costo di chiuderti una volta al mese nella Stamberga strillante e sorvegliarti per il resto dell’anno.»
«E poi l’anno successivo, e quello dopo?» la provocò amaramente l’altro. «Sarò sempre un problema, Dora.»
«E allora troveremo sempre una soluzione!» sbottò la ragazza, prima di rimettersi in piedi e ritrasformarsi in Eli. Gli indicò col mento la porta e senza dargli tempo di ribattere vi si avviò. «Faccio qualche giro di perlustrazione, devo studiare meglio i Serpeverde e capire come iniziare le indagini, tornerò entro un’ora.»
«Va bene.» sospirò Remus, acchiappando la bacchetta.
Si scambiarono un cenno, quindi l’auror uscì ed entrambi gettarono diversi incanti protettivi sull’uscio.



Intanto, diversi piani più sotto nella sala comune di Serpeverde, la piccola Kelly era stata accolta come una pari dal gruppo di Parkinson, Zabini, Nott e pochi altri del settimo anno. Sedeva su un divano attorniata da quel nugolo di ragazzi molto più grandi di lei, gongolante come una sorellina viziata fra i fratelli maggiori.
«Allora, lo farai ancora, sì?» la incalzava Pansy, che reggeva in grembo una scatola di cartone di medie dimensioni chiusa da un fiocchetto di raso.
Il sorriso della bimba si incrinò per qualche attimo, ma sotto la pressione di tutti quegli sguardi si forzò ad annuire.
«Devo seguire sempre il signor Porter?» mormorò pianissimo.
«Sì.» confermò con una smorfia stizzita Pansy. «E mi raccomando, continua a tenere per te ogni cosa che scopri, inclusa la faccenda della sua identità. Se venisse fuori fra una chiacchiera e l’altra risalirebbero subito a noi.»
La bimba annuì un po’ allarmata, ma bastò un sorriso sul bel viso di Zabini a farla arrossire e gongolare come prima.
«Segui chiunque possa servire.» intervenne Nott, in piedi poco più in là, mortalmente serio. «C’è qualcosa che non quadra e voglio altri dettagli.»
Pansy porse alla bimba la scatola con un sorriso amichevole.
«Questa è per te, un regalino per il tuo lavoro ben svolto.»
Kelly si affrettò eccitata a sciogliere il nodo di raso del fiocco, scostò il coperchio e si ritrovò davanti una macchina fotografica di modeste dimensioni. Era un modello un po’ datato, di quelli in uso nel mondo magico e opportunamente modificata, completamente meccanica.
«Questa è una macchina fotografica?» chiese la bimba, confusa.
«Esatto. Ne hai mai usata una?»
«No.» ammise, senza perdere il sorriso.
«Non è difficile, se ci riescono i babbani ci riuscirai anche tu.» sentenziò Zabini. «È incantata per scattare comodamente anche con poca luce senza emettere lampi di luce, sbuffi di fumo o altro. Il modello preferito dai fotografi dei giornalisti migliori del Profeta. Ti aiuteremo coi rudimenti, ma dovrai esercitarti di nascosto e non mostrarla a nessuno. Mai, per nessuna ragione.» si raccomandò serio.
«Sì, la terrò nascosta.» promise la piccola, visibilmente emozionata, rimettendo subito il tappo alla scatola. «Grazie.»
«Tu penserai solo a scattare.» la istruì Pansy. «Tutto quello che può sembrarti interessante sui nostri avversari, inclusi i docenti, cerca di fotografarlo.»
«Falle una bella foto di “Eli Porter-Tonks”, così è contenta.» si inserì sornione Zabini.
Pansy arrossì con violenza e gli rifilò una gomitata poderosa che lo fece piegare in due.
«Piantala, cretino! Se avessi saputo chi era!»
«Non ero io quello innamorato di una metamorfomaga travestita.» insisté lui, gongolante e dolorante insieme, ogni traccia dell’antica gelosia ormai svanita.
Mentre Pansy e Zabini battibeccavano e i compagni vicini ridevano, Nott si accostò serissimo a Kelly e le sussurrò:
«Segui anche Potter e Malfoy. Voglio capire se sono segretamente amici o cosa. Non me la raccontano giusta.»
La ragazzina annuì senza più alcuna traccia di dubbio in volto.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Sanguinoso Halloween ***


Ti piace questa storia? Dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book.
Questa è la mia pagina IG dove pubblico aggiornamenti ed estratti: https://www.instagram.com/sibybooks/
Come modesta autrice autopubblicata alle prime armi, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare!
Intanto ti ringrazio di avermi letta qui ed eventualmente recensita (cosa che, non ti nego, è un piacere immane lato scrittore), arrivederci al prossimo capitolo o alla prossima storia!







La sera di Halloween Hogwarts offrì come ogni anno il suo lauto banchetto, servito nella sala grande riccamente arredata a tema. C’erano zucche animate che distribuivano dolcetti recitando barzellette e freddure all’inglese, più un paio delle gigantesche zucche da record di Hagrid che erano state posizionate agli angoli della sala. Scavate come piccole voragini, in queste ultime si poteva entrare comodamente dalle enormi bocche ghignanti. Il soffitto stellato era infestato da pipistrelli che ogni tanto scendevano in gruppetti verso gli studenti ed esplodevano in una nuvoletta di fumo arancione e glitter, lasciando al malcapitato di turno un cappellino da zucca adagiato sulla testa.
Era la prima vera grande festa dalla fine della guerra, e come sempre accade in tali frangenti, fu un profondo momento di sollievo e relax generale, come se niente di orribile fosse mai successo fra quelle antiche mura.
Il coprifuoco per tutti era stato imposto a mezzanotte, col totale divieto di transitare al settimo piano salvo per coloro che dovevano raggiungere il proprio dormitorio alla torre di Grifondoro. La preside non aveva neppure provato ad inventare chissà quale scusa, tutti sapevano bene che lì c’era l’ufficio del professore di Difesa contro le arti oscure, che fatalmente avrebbe dovuto affrontare la propria maledizione proprio quella notte.
Fuori dall’ufficio di Lupin si erano riuniti a far da guardia in quattro: Tonks dietro le fedeli sembianze di Eli Porter, Snape, Flitwick e la preside. Gli altri docenti erano invece sparsi fra la sala grande e i vari piani a tenere d’occhio la situazione.
Tonks e Snape erano i più vicini alla porta, sbarrata da incantesimi e un robusto passante metallico chiuso dall’esterno. Snape stava in piedi quasi regolarmente, appoggiato un minimo al bastone comunque presente. Aveva recuperato molto, dopo il lungo periodo di degenza. Gli unici ricordi visibili dell’aggressione di Nagini erano le cicatrici sul collo e i capelli tenuti corti.
La professoressa McGonagall era seduta su una panca di pietra accanto alla finestra, intenta a scrutare il cielo nuvoloso delle nove di sera. Quando da dietro la linea dell’orizzonte finì di sorgere la luna, fece un cenno d’intesa ai colleghi. Quasi immediatamente sentirono il rumore di qualcosa che cadeva dentro la stanza di Lupin, un piccolo tonfo che li fece irrigidire. Nel silenzio totale del corridoio udirono chiaramente ringhi, lamenti e qualche altro oggetto che finiva a terra frantumandosi. Durò qualche minuto e alla fine tornò il silenzio assoluto.
Si guardarono serissimi, turbati, ed Eli parlò con urgenza.
«Voglio controllare come sta. Fatemi da retroguardia.» propose agli altri.
«Sei sicuro?» mormorò atterrita la preside, che si alzò e mosse con calma verso la porta.
«Sì. Se la pozione ha funzionato non sarà un pericolo. In caso contrario dobbiamo saperlo, potrebbe essere una situazione d’emergenza.» insistette, sfoderando la bacchetta e mettendo mano al robusto passante metallico.
«Aspetta.» lo bloccò Snape.
«Mh?»
«Lascia andare me. Tu stai indietro: sei sicuramente il più svelto a reagire in caso di problemi.» ordinò secco, con una smorfia di vago disprezzo nel concedergli quel complimento.
«Proprio perché sono il più svelto.» obiettò l’auror, ma il pozionista lo interruppe.
«Io sono quello messo peggio, sono il più sacrificabile. Dovresti averlo imparato, durante l’addestramento.» lo redarguì arcigno. «La pozione l’ho fatta e sorvegliata io per tutto il tempo. So che è impeccabile e nessuno può averla alterata, sta volta.»
Eli guardò intensamente l’uomo che a sua volta impugnò la bacchetta con cautela e si accostò alla porta.
Flitwick e la McGonagall assistettero tesi e la preside annuì a sancire il proprio mesto accordo con la proposta di Severus.
Eli trasse un profondo respiro frustrato, quindi sbloccò la serratura e si fece indietro, bacchetta puntata all’uscio e passaggio libero per Snape.
«Sono pronta.» gli scappò il femminile, tanto era tesa e concentrata.
Severus afferrò la maniglia con mano salda, stringendola qualche istante con forza. Aveva la mascella e ogni fibra del corpo tesa, pronto a scattare, nonostante la sicurezza mostrata a parole. 
I colleghi indietreggiarono di poco prendendo posizione. La preside e l’insegnante di incantesimi animarono le panche di pietra che l’attentatore aveva usato come sbarramenti il mese precedente e ne copiarono la strategia. Le pesanti panche vennero ingrandite e triplicate in numero, quindi svolazzarono come fossero piume da un lato e dall’altro del corridoio, diventando ostacoli e non più comodi supporti.
Snape aprì la porta e venne accolto dal silenzio. Entrò e intanto Eli si accostò all’uscio e lo socchiuse, sbirciando dentro a sua volta, pronto a reagire. Il pozionista avanzò di due passi guardando attento ovunque. La scrivania era disordinata, la poltrona di Lupin riversa a terra insieme ad un paio di libri e la bisaccia dove aveva riposto le bottiglie vuote della pozione. Una era rotolata via e si era infranta.
Fece cautamente il giro della scrivania e infine lo trovò. Quell’enorme lupo grigio che ormai aveva imparato a riconoscere bene, era accucciato tranquillamente sotto la scrivania come un grosso cane intento a riposare. Aveva l’aria tranquilla, la coda rilassata, gli occhi socchiusi.
Severus si immobilizzò lì, a due metri dal licantropo, che alzò pigramente il testone e riaprì bene gli occhi. Lo fissò con l’imperscrutabilità delle bestie feroci, ma sul suo muso non c’era traccia di aggressività o cattive intenzioni.
«Sta bene. È qui sotto.»  Avvisò Severus, cercando con lo sguardo Eli che lo fissava teso dallo spiraglio della porta socchiusa.
«Grazie a Merlino.» sospirò sollevato l’auror, e con lui anche la preside e Flitwick.
Eli rimase un attimo esitante lì, quindi fece un cenno svelto alla preside e il docente rimasti nel corridoio, ed entrò a sua volta nell’ufficio. Si chiuse la porta alle spalle mentre Snape lo guardò interrogativo.
Il lupo intanto si sollevò pigramente e si mosse incontro al pozionista manco un cane tranquillo che trotterella verso il padrone.
Tonks riprese le sue forme originarie, la bacchetta ancora in mano ma la posa rilassata.
«Volevo parlarti un attimo.» spiegò così il suo ingresso.
Severus inarcò un sopracciglio, interdetto tanto dalla premessa quanto dall’avvicinamento di Lupin. Con un movimento della bacchetta fece tornare su la poltrona e gli oggetti che erano finiti a terra.
«Parla, prego.» concesse, serio.
Intanto Remus si fermò ai piedi dell’uomo, e si mise tranquillamente seduto come un cane ben addestrato, per quanto vista la stazza enorme avesse la testa praticamente all’altezza del petto altrui. Tonks guardò la scena con un sorriso strano, a metà fra intenerito e invidioso: il lupo sembrava preso solo dal pozionista e non l’aveva nemmeno degnata di uno sguardo.
«Volevo dirti che penso tu sia un grandissimo idiota, Snape.» dichiarò candidamente.
L’uomo, preso in contropiede, prima sgranò gli occhi poi si accigliò.
«Come prego?» sibilò aspro.
«Hai capito benissimo.» ribadì con un sorriso affabile l’altra. Poi gli indicò il licantropo seduto di fronte a lui che sembrava quasi in attesa di qualcosa. «Prenditi cura di Remus come lui si è preso cura di te mesi fa. Magari tu sei convinto di meritare tutti i mali del mondo, e dopo come l’hai trattato negli ultimi mesi potrei anche essere d’accordo con te.» ammise con un fondo di ironia mesta, ma schietta. «Remus no, però. Non si merita quello che gli stai facendo. Non pretende niente, rispetta te e la tua volontà come io rispetto la sua verso di me, e così almeno un rapporto di amicizia si può tenere su. Smetti di caricarlo anche del tuo dolore, smetti di fare l’idiota.» glielo disse col tono più serio di cui disponesse, in un ordine deciso, stanco.
Snape la fissò interdetto in un lungo silenzio che rimase tale quando Tonks riprese l’aspetto di Eli e lasciò la stanza, senza aggiungere altro. Lo sentì annunciare alla preside e al professor Flitwick che era tutto in ordine, prima che la porta tornasse a chiudersi e lasciarlo solo col mannaro ammansito dalla pozione.
Guardò l’animale negli occhi, ancora del tutto teso, e allungò esitante la stessa mano con cui l’aveva accarezzato mesi prima, a casa propria. L’animale socchiuse gli occhi e piegò il testone al suo cospetto. La mano magra del pozionista trovò la peluria corta e fitta sul capo del lupo, gli fece una carezza esitante fra le orecchie beandosi della sua espressione da bestia mansueta e compiaciuta. Più lo accarezzava più riusciva a rilassarsi.
«Mi dispiace.» ammise pianissimo, prima di ritrarsi esitante. Zoppicò indietro, guadagnandosi un’occhiata fissa dal lupo e una piccola musata contro un fianco, quindi si allontanò verso l’uscita.
Remus seguì i suoi movimenti senza però cercare di fermarlo né accompagnarlo, come se avesse compreso quell’amaro congedo. Tornò semplicemente al posto che si era scelto, quella nicchia riparata sotto la scrivania, e ci si andò ad accucciare.





Verso le undici e mezza, satolli di dolciumi e soddisfatti, i ragazzi iniziarono a fare pigramente ritorno ai propri dormitori sotto gli occhi attenti dei docenti di guardia. Harry, dopo aver appurato che al settimo piano fosse tutto a posto, si era dato appuntamento con Draco in un’aula in disuso al terzo piano per poter passare almeno una mezz’ora di pace insieme. Una volta dentro sigillarono la porta con un incantesimo e controllarono attentamente di essere soli.
Era una stanza ampia, carica di strani strumenti di misurazione rotti e impolverati. Non c’erano tavoli né panche o sedie, solo una cattedra in un angolo. Doveva essere stato il ritrovo occasionale di altre coppie, perché in giro c’erano delle chiazze di pulito sparse qua e là. Lungo una parete correva una fila di finestre finemente decorate, da cui filtrava tenue la luce esterna della luna piena e delle fiaccole lontane.
Appena furono sicuri di non avere sorprese, i due si allacciarono in un abbraccio bisognoso e un bacio affamato come tanti prima d’allora. Nel pieno dei loro diciotto anni carichi di ormoni e desideri insoddisfatti, si staccarono solo quando, col fiato corto, si resero conto di essere a rischio di volere ben di più.
«Non ce la faccio più così.» sospirò Draco leccandosi le labbra nervosamente, il viso accaldato e la tunica stropicciata.
«Idem. Se torniamo a baciarci io non credo di farcela a tenermelo buono.» ammiccò il moro indicando in basso lì dove sotto l’uniforme nera  c’era la patta dei jeans.
Draco arrossì un po’ di più, ma gli rivolse un’occhiata maliziosa.
«Tu … l’hai mai fatto?» chiese piano.
«No.» ammise Harry, in imbarazzo ma incapace di staccare le mani dai suoi fianchi. «Tu?»
Draco distolse lo sguardo quando confessò un po’ controvoglia che:
«Quasi, con Zabini ci siamo baciati, toccati e beh, poco altro. Però no, l’atto in sé manca anche a me.»
Harry fece uno sbuffo e un sorriso stranito, andando a carezzargli via una lunga ciocca bionda che gli era scivolata sul viso. Il biondo aveva smesso da mesi di accorciare i capelli, che ora gli arrivavano quasi all’attaccatura delle spalle.
«Poco altro, tipo?»
«Tipo un lavoro di mano e uno di bocca?» sintetizzò Draco fra imbarazzato, divertito e su di giri anche solo per quel tocco.
«Non avrei mai detto che Zabini preferisse gli uomini.» scherzò Harry.
«Infatti preferisce le donne. Pansy per la precisione. Le muore dietro, ma lei non se lo fila e voleva provare qualcosa di diverso.» iniziò a spiegare divertito ma poi finì per rabbuiarsi.
Harry proseguì con quella carezza sul suo viso, portandolo a rialzare il capo con un tocco gentile sotto il mento.
«Ti mancano, vero?»
«Già.» sospirò il biondo. Ma poi scosse la testa, come a scacciar via l’attimo di disappunto, recuperando decisione. «Parliamo di noi, al diavolo il resto.»
Harry sorrise e annuì.
«Ok, ci sto. Noi.»
Draco si fece coraggio e iniziò a giocherellare con la cravatta rosso oro, annodandola delicatamente fra le dita.
«Se decidessimo di provare a fare qualcosa di più, tu lo faresti qui?» indagò.
Harry inarcò un sopracciglio e si guardò intorno.
«Qui?» chiese dubbioso.
«No, scemo, non qui-qui. Che schifo. Intendevo qui ad Hogwarts.» rise il biondo.
«Ah! Mh, beh sì perché no? Cioè, a patto di trovare un minimo di intimità e sicurezza.» specificò con una smorfia frustrata.
«Praticamente impossibile, senza la stanza delle necessità e facendo parte di casate diverse.» mugugnò funereo Draco. Poi però distese l’espressione, come illuminato da un’idea improvvisa. «Natale.»
«Mh?»
«Potremmo tornare a casa insieme per Natale. Mamma e papà mi hanno intestato una piccola proprietà in campagna per non farsela sequestrare mesi fa.» spiegò divertito.
Harry sorrise con aria un po’ scettica alla proposta, quindi piegò il capo e avvicinò il muso al collo del ragazzo, in un impeto non annunciato e istintivo. Prese a baciarlo e parlare sopra la sua pelle.
«Tu credi di resistere due mesi? Io mi sa di no.»
«Se fai così manco due minuti.» ammise sornione il biondo, reclinando il capo da un lato per dare più spazio alle attenzioni dell’altro che lo fecero fremere.
«Ok, ok. Mi fermo.» sospirò il moro, fra divertito e spazientito. «E Con Zabini dove … ?» indagò dunque tirandosi di poco indietro.
«A casa sua, un’estate.»
Harry lo fissò dritto negli occhi per diversi istanti, in silenzio, tanto che Draco si ritrovò a sbuffare una mezza risata.
«Che c’è? Perché mi guardi così?» gli diede un colpetto col naso contro il mento, le mani appollaiate morbidamente sul suo petto.
«Niente, ho appena capito che non reggerò due mesi.» rise l’altro.
Draco lo abbracciò stretto e col viso arrossato e caldo gli parlò ad un soffio da un orecchio, facendogli venire una piacevole pelle d’oca.
«Non voglio che la mia prima volta né la tua sia in questo postaccio lurido. Ma penso sia necessario darci almeno un minimo di sollievo o saltiamo in aria. Quindi … ti accontenti di una mano o della mia bocca?» propose col viso in fiamme e la voce abbassata dal desiderio.
«Mi sforzerò, ma solo se mi consentirai di ricambiare.» rise Harry, gli occhi accesi dalla medesima voglia.
«Ovviamente sì.» sentenziò l’altro, scoccandogli un bacio su una guancia.
Seguirono diversi altri baci, sempre più intimi e ci volle ben poco per arrivare a realizzare quanto si erano ripromessi sul concedersi finalmente un qualcosa in più.



Quando Harry uscì dall’aula, qualche minuto prima di Draco, aveva in faccia un sorriso serafico e rilassato come non l’aveva da mesi o forse da una vita intera. Risalì fino al settimo piano, deciso a dare un’ultima controllata alla zona dell’ufficio di Remus. Il suo sorriso però si spense subito quando vide che oltre ad Eli Porter e la preside, erano presenti anche Ron, Ginny ed Hermione e che sembravano tutti e tre parecchio turbati. Ron camminava avanti e indietro nervosamente, mentre la sorella lo riprendeva aspra.
«Puoi stare fermo un momento?»
«No?»
La McGonagall e Porter avevano un cipiglio serio e pensieroso, molto simile a quello di Hermione ferma in piedi poco più in là. Harry affrettò il passo e il primo a vederlo fu Ron.
«Harry!» esclamò correndogli incontro.
«Te l’avevo detto che sarebbe passato prima qui!» esclamò Ginny accodandosi al fratello.
«Che ci fate voi qui? È successo qualcosa?» si agitò subito il moro.
Hermione li raggiunse con più calma, sembrava comunque molto tesa e seria.
Ron, appena gli fu davanti gli mise una mano sulla spalla in un gesto strano, quasi fra consolazione e precauzione. Ginny si morse nervosamente un labbro e così a rispondere fu Hermione.
«Harry è successa una cosa.» sembrava in difficoltà.
«Cosa? Avanti, parla. Remus?» ipotizzò agitato scoccando un’occhiata ansiosa anche alla preside e Tonks, che però gli fecero cenno di no.
«No no. Lupin sta bene. È che … » si infilò una mano in tasca e dopo un lungo sospiro teso porse ad Harry un cartoncino rettangolare. « … quando ti sei allontanato dopo cena sono iniziate a circolare queste fra vari studenti.»
Harry afferrò quel cartoncino e lo rigirò. Si ritrovò ad ammirare una fotografia magica in movimento, che ritraeva da un’angolazione un po’ storta lui e Draco intenti a scambiarsi prima una carezza e poi un bacio sulle labbra. La foto era fatta male, ma i soggetti erano indubbiamente chiari, ripresi negli spogliatoi del campo da Quidditch.
Il moro sgranò gli occhi, fissando la scena con uno stordimento quasi nauseato.
«Quando cavolo meditavi di dircelo?» ruggì Ron, che dopo l’accenno di supporto che gli aveva offerto prima con la mano sulla spalla incrociò le braccia al petto fissandolo accigliato.
«È vera?» chiese invece Ginny.
«Piantatela.» li redarguì Hermione.
Harry emise un ringhio basso a denti stretti, un verso di rabbia gutturale che fece indietreggiare Ginny ed Hermione di mezzo passo e sgranare gli occhi di Ron. La McGonagall e Porter scattarono in piedi, e da spettatori passivi che erano si accostarono al quartetto di studenti con aria turbata.
«Harry.» lo richiamò Ron, che lo osservava quasi intimorito. «Ehi, tranquillo, ok? Non volevo aggredirti è che … sì insomma.» bofonchiò teso.
Harry li fissò un po’ smarrito appena vide quelle espressioni sui loro volti.
«I-io. Non, scusate. Non so cosa mi è preso. Non volevo ringhiare a quel modo.» ammise confuso e imbarazzato.
Ginny fu la prima a riprendersi dall’attimo di allerta generale.
«Anche Bill col plenilunio diventa più nervoso.» spiegò con noncuranza. «Mi sa che è normale, niente di grave.»
Hermione annuì a darle man forte, ed Harry trasse un respiro profondo abbassando lo sguardo, dispiaciuto.
«Volevamo dirvelo da giorni.» confessò accennando alla foto che intanto aveva strizzato così forte fra le dita da spiegazzarla malamente. «Non abbiamo trovato un attimo né un’occasione per farlo insieme, ma l’avremmo fatto a giorni. Dico davvero.» garantì tornando ad occhieggiarli serio.
«Da quanto state insieme?» chiese timidamente Hermione.
«Da circa un mese. Quando ho rischiato di rimanerci secco a fine settembre ci siamo parlati, si era confessato e mi aveva spiegato alcune cose in infermeria.»
Ron fece una piccola smorfia indignata ma si tenne per sé ogni commento piccato.
«Di quando è quella foto? Quando ve l’hanno fatta?» chiese invece, un po’ a denti stretti.
«Dopo l’allenamento di giovedì scorso. Pensavamo fossero tutti a cena dato che era molto tardi.» si giustificò il moro passandosi una mano sul viso. Poi sgranò gli occhi. «Hai detto che è iniziata a girare dopo cena fra gli studenti?»
«Sì.» confermò Ginny. «Non abbiamo capito da chi sia partita, ce n’erano diverse copie abbandonate vicino alle zucche. Saranno state una cinquantina in totale, massimo cento. Alcuni le hanno prese, è partito il passamano e praticamente dieci minuti dopo che tu e Draco ve ne siete andati ad ogni tavolata c’erano gruppetti da cinque o sei persone con una foto ciascuno.»
«Le faremo confiscare e distruggere, è un evento increscioso che non passerà impunito.» intervenne la preside.
Harry e i compagni sembrarono ricordarsi di non essere soli solo in quel momento. Il moro incassò un po’ la testa fra le spalle.
«M-mi dispiace, Preside. Non volevo che accadesse niente di simile né noi abbiamo fatto niente di … sì insomma, niente di più.» iniziò a giustificarsi.
La donna gli fece cenno di fermarsi, le labbra strette in una smorfia severa.
«Non vi punirò per un bacio Harry, tuttavia vi invito ad una maggiore cautela in futuro e a scegliere con maggiore cura attività e luoghi consoni al decoro scolastico.»
Harry inghiottì a vuoto e annuì, salvo poi cambiare repentinamente espressione come folgorato da una realizzazione improvvisa.
«Draco!» esclamò allarmato.
Lo videro fare uno scatto e solo Ron fu in grado di acchiapparlo in tempo per un braccio e bloccarlo.
«Harry, fermo.»
«Ron, devo andare da lui.» protestò il moro.
Fu necessario anche l’intervento di Tonks che, con la rinnovata forza fisica del prestante Eli, riuscì a trattenerlo per una spalla.
«Aspetta Harry, ragioniamo.»
«Pensi possa essere in pericolo?»  chiese invece la preside, mortalmente seria.
«Sì.» confermò animatamente Harry. «Lo trattano da schifo da settimane. Per questo aveva mentito a Nott il primo giorno dicendo che la nostra fosse un’amicizia di convenienza.» spiegò concitato un po’ alla donna e Tonks, un po’ agli amici. «Ad ogni allenamento di Quidditch gli tocca passare dall’infermeria per farsi rimettere a posto lividi e slogature con cui i compagni di squadra lo fanno uscire puntualmente.»
«Perché non me ne avete parlato prima?» rispose modestamente alterata la docente.
«Non ha voluto lui, per orgoglio. E anche se ha tagliato i rapporti mesi fa ci tiene ancora ai suoi vecchi amici, a Serpeverde e la squadra. Non vuole metterli nei casini, insomma.» spiegò Harry, smettendo di cercare di liberarsi. «Lasciatemi andare per favore, devo controllare che stia bene.»
«Cosa intendi fare, bussare al dormitorio di Serpeverde finché non ti fanno entrare?» chiese ironica Ginny.
«È un’idea.» sbuffò il moro.
«Una pessima idea.» si intromise Hermione. «Peggioreresti solo la sua posizione senza prima sapere come intenda gestire la situazione.»
«Concordo.» confermò la preside. «Penso sia il caso che voi quattro andiate a svegliare il professor Snape e chiediate a lui di intervenire, per sicurezza. Porter ed io non possiamo lasciare questa postazione. Vi raccomando comunque la massima cautela e di tornare indietro il prima possibile.»
Harry non sembrava troppo soddisfatto della risoluzione, ma prese un respiro lento e spazientito e annuì. Ron ed Eli lo lasciarono andare, così non perse tempo e si mise in marcia, seguito dagli altri tre.
«Se non tornerete tutti entro trenta minuti verrò a controllare.» gli urlò dietro Eli, con una smorfia apprensiva.
Harry si fece di corsa il tragitto sino ai sotterranei e arrivato alla porta dell’ufficio di Snape bussò vivacemente un paio di volte.
Era così agitato e nervoso che Ron tornò ad appendergli una mano su una spalla per sicurezza, manco temesse di vederlo scappare via e mandare al diavolo il piano.
Il professore di pozioni non si fece attendere molto. Quando aprì l’uscio era ancora vestito con la tunica scura, segno che non era stato interrotto nell’atto di riposare. Aveva un’espressione corrucciata, ma appena si ritrovò davanti i quattro Grifondoro intenti a fissarlo atterriti si fece preoccupato anche lui.
«Cosa ci fate qui? È successo qualcosa?» chiese svelto.
«Sì.» confermò Harry, che gli allungò senza troppe cerimonie la foto spiegazzata dove lui e Draco erano intenti a scambiarsi quelle carezze e infine baciarsi.
L’uomo rimase un attimo pietrificato a quella vista, alternando lo sguardo scuro fra la foto e il viso di Harry come se stesse cercando di riconoscerlo, stordito.
«Che diamine significa, Potter?» sibilò ostile.
«Qualcuno ci ha fatto questa foto, giorni fa.» tagliò corto il ragazzo. «E a fine cena l’hanno fatta circolare ovunque appena ce ne siamo andati. Tutta la scuola lo sa, inclusi i Serpeve-»
Manco fece a tempo a finire di nominare la casata che il professore lo scostò spingendogli una mano sul petto e avanzò armato di bastone verso il fondo del corridoio.
Buttò la foto a terra e sibilò al gruppo.
«Andatevene ai vostri dormitori, avvisate la Preside e Porter se non l’avete già fatto e rimanete dentro.» ordinò tassativo.
«No.» ruggì Harry, ringhiando così forte da far fermare e voltare il pozionista che lo scrutò con un lampo di allerta.
Ron acchiappò l’amico più stretto per il braccio, mentre Ginny ed Hermione si misero vicine, come pronte a dargli una mano. Il moro dunque proseguì, parlando a denti stretti, il viso macchiato da una smorfia rabbiosa ben più aspra delle sue normali piccole esplosioni d’ira.
«Prima voglio vedere come sta, poi me ne andrò a letto. La prego.» aggiunse in un minuscolo barlume di conciliazione.
Snape strinse i denti davanti alla foga ansiosa del ragazzo, quindi gli indicò il proprio studio.
«Aspettate lì dentro. Non toccate niente, e non andate in giro.»
Sebbene molto controvoglia, Harry annuì e obbedì. Gli amici lo scortarono ben volentieri dentro l’ufficio di Snape e il docente proseguì la sua zoppicante ma furiosa avanzata verso i dormitori.





Quando Draco tornò alla sala comune di Serpeverde si ritrovò davanti tutti i compagni di ogni anno assiepati fra i divanetti come serpi nella tana. Il suo arrivo interruppe palesemente le vivaci chiacchiere che erano in corso fino a quel momento. 
I prescelti di Salazar non erano mai stati così pochi nella storia di Hogwarts, ci stavano tutti in quell’ambiente ampio senza doversi manco stringere. Lo fissavano più intensamente del normale: alcuni sogghignavano, pochissimi erano semplicemente seri, ma la maggior parte lo puntava con ostilità aperta. Pansy era fra quelle che ghignavano sadicamente divertite, seduta accanto a Kelly, le teneva la mano come a una sorellina un po’ impaurita. Zabini e Nott poco più in là lo fissavano invece con disprezzo. Il secondo in particolare aveva la mascella contratta e le braccia incrociate. Nessuno però disse niente, così il biondo si limitò ad entrare nella tana delle serpi e incamminarsi verso la zona dei dormitori.
L’avevano costretto a cambiare letto fin dal primo giorno, e anziché condividere la stanza con i compagni di sempre del settimo anno, era finito con alcuni del primo e del secondo.
Quando mise la mano sulla porta della stanza però esitò. Aggrottò la fronte e ruotò il capo verso il fondo del corridoio. La sala comune era rimasta completamente silenziosa.
«Che diamine … ?» mormorò a sé stesso. Si ritrovò ad inghiottire a vuoto e rabbrividire dietro un moto improvviso di paura che lo portò a mollare la presa sulla maniglia. Il suo respiro iniziò ad accelerare e sul viso germogliò una smorfia ansiosa.
Ci mise un minuto buono a calmarsi e nonostante l’attesa nessuno aveva ripreso a parlare nella sala comune. Mise cautamente mano alla bacchetta e aprì la porta con una manata brusca, senza tuttavia entrare.
Nulla si mosse, così entrò con una calma guardinga. Prima ancora di inquadrare il proprio letto però si portò una mano al naso e alla bocca, il viso torto in una smorfia schifata. Quando vide il proprio letto si paralizzò del tutto. Le coperte, il cuscino e i lunghi drappi verde e argento che pendevano sul baldacchino, erano zuppi di un denso liquido rosso che ancora sgocciolava lento in alcuni punti. Sembrava una macabra ricostruzione di un orribile delitto e al centro della scena, manco fosse il cadavere, c’era una delle foto in movimento che erano circolate in serata, anch’essa chiazzata di rosso.
Draco si avvicinò tremante di nervoso e timore, e quando vide meglio la foto di sé ed Harry dovette premersi più forte la mano in faccia per non sussultare rumorosamente. Tirò su la testa di poco, scacciando un conato di vomito.
«Che cos’è successo qui?» la voce calda e ironica di Zabini gli arrivò come una frustata e lo fece voltare di scatto.
L’ex amico, seguito da Nott e pochi altri, si erano affacciati dall’uscio e lo fissavano con un ghigno sardonico.
«Che schifo ma è sangue?» proseguì il moro.
Draco levò la bacchetta e la puntò contro il gruppo, che perse immediatamente il sorriso baldanzoso. Nott fu il primo ad estrarre la propria con una smorfia irritata.
«Perché non me lo dici tu, Zabini? Sono abbastanza sicuro che tu sappia perfettamente cos’è questo schifo.» ringhiò il biondo, fissandolo con una rabbia ferita.
«Perché mai dovrei saperlo?» fece ironico l’altro, che mise una mano sulla spalla di Nott, portandolo ad abbassare la bacchetta.
«Sarà stato uno scherzo del Barone Sanguinario.» arrivò un suggerimento da un ragazzone poco dietro, il nuovo capitano della squadra di Quidditch verde argento.
«Già.» ruggì Nott, aspro. «Deve aver visto quelle foto in cui te la fai con Potter e avrà pensato di ridecorare adeguatamente il tuo letto colorandolo di rosso.»
Il gruppo scoppiò a ridere, e dal fondo del corridoio anche diverse voci femminili stavano tornando ad animarsi.
«Dovresti pulire, Malfoy. Io non voglio dormire con questa puzza.» si fece avanti baldanzoso uno dei suoi giovanissimi compagni di stanza. L’audacia del piccoletto fece scoppiare a ridere ancora più forte i più grandi, che lo complimentarono vivacemente con qualche pacca sulla schiena.
Il viso di Draco si colorò di una sfumatura simile a quella dei drappi macchiati al suo fianco. Imbarazzo e rabbia lo portarono a muovere la bacchetta con una frustata che fece indietreggiare i compagni di mezzo passo, congelando i loro sorrisi.
«Diffindo!» ruggì, mentre in contemporanea Nott sibilò un:
«Protego.»
Lo scudo fu inutile, perché Draco non aveva mirato verso di loro, ma alle coperte e ai drappi sporchi del letto. Li tagliò bruscamente, sfogando sulle stoffe tutta la propria frustrazione. Quando ebbe finito a terra c’erano grossi mucchi sporchi che fissò con odio, valutativo. Non ebbe tuttavia il tempo di calmarsi abbastanza per decidere cosa farne, che la voce di Pansy Parkinson si levò dalla sala comune, squillante come un avviso forzato.
«Professor Snape, buona sera.»
Calò un silenzio teso fra tutti, in cui si sentì il pozionista rispondere cupo alla ragazza.
«Andate tutte a dormire.»
«Sì professore, stavamo giusto per farlo.» rispose titubante la ragazza.
Draco puntò la bacchetta contro i compagni e ruggì basso:
«Andatevene!»
Gli altri, ostilità a parte, furono ben lieti di obbedire e filarsela, inclusi i tre ragazzini che erano suoi compagni di stanza. Sciamarono via rapidamente nelle stanze adiacenti, mentre il rintocco del bastone di Snape segnalava il suo arrivo imminente.
Draco fece sparire le coperte sporche, tirò un paio di gratta e netta disperati sul resto del letto rimasto con solo il lenzuolo di sopra e appellò la foto sporca di sangue che si nascose in tasca. Il risultato non fu proprio impeccabile, ma era il meglio che riuscì a mettere su fino all’arrivo del pozionista.
Severus si fermò sull’uscio con una smorfia già contrita in partenza e studiò il figlioccio poco più in là, con una serietà incapace di celare del tutto l’apprensione.
«Che succede qui? Perché sento puzza di sangue?» chiese zoppicando dentro.
«Niente, professore. Un piccolo scherzo di Halloween.» inventò, sebbene la sua espressione tesa dicesse tutt’altro.
Snape lo fissò con un’occhiata di eloquente disappunto per la mal articolata bugia, quindi si chiuse la porta alle spalle e la sigillò.
«Uno scherzo solo a te, suppongo.» considerò con un crudo sarcasmo. «Cos’hanno fatto? Non mentirmi, Draco. Potter è venuto a bussare alla mia porta pochi minuti fa, mi ha mostrato la foto e sembrava pronto a demolire l’ingresso dei dormitori.»
Draco si intesì maggiormente, quindi tornò ad avvicinarsi al letto. Prese a spiegare a capo chino, mentre ogni tanto lanciava qualche altro gratta e netta per ripulire le gocce che gli erano sfuggite.
«Il letto era zuppo di sangue. L’odore era quello, anche se penso sia solo una pozione. Almeno spero.» sbuffò tristemente sarcastico. «Mi stavano aspettando, ma non hanno fatto nient’altro di particolare.»
«Bene.» sospirò Snape, muovendosi nuovamente verso la porta. «Vieni con me.»
«Come prego?»
«Non puoi dormire qui, non è sicuro.»
Draco si accigliò e non mosse un muscolo.
«Vuoi mettermi in una stanza da solo come un malato contagioso?»
«No, voglio proprio toglierti da questi dormitori. Non è sicuro, Draco. Queste cose tendono a peggiorare, quando l’obiettivo di un branco è uno solo. E si inaspriscono sempre di più fino a conseguenze serie.» spiegò, mortalmente serio.
Draco incrociò le braccia al petto, i piedi ben piantati a terra e il capo leggermente sollevato. Aveva ancora le guance arrossate e l’aria agitata.
«No. Non lascerò la mia casa. Impareranno ad accettarmi. Ad accettarci, me e Potter.» dichiarò con fermezza orgogliosa.
Snape picchiò a terra il bastone, in un rintocco secco che fece irrigidire il biondo. Sul viso olivastro dell’uomo germogliò una smorfia di dolore e rabbia.
«Ti avevo avvertito, Draco. Sapevo che i tuoi sentimenti avrebbero avuto conseguenze disastrose sulla tua vita e in parte anche quella di Potter. Perché diamine non mi hai dato ascolto?» ruggì a voce alta. «Sei solo uno sciocco ragazzino con una cotta adolescenziale che gli impedisce di ragionare lucidamente. Quando questo colpo di testa finirà e Potter ti lascerà, perché si sarà reso conto di che vita gli spetterà a starti vicino, ti sentirai sprofondare in una solitudine per cui, credimi, non sei affatto pronto.» lo rimproverò aspro. «Sei disposto a sopportare mesi di tormenti dai tuoi ex amici per pochi flebili attimi di divertimento? Per un rapporto destinato a morire?»
Draco lo fissò a palpebre sgranate, più scosso dalle parole severe dell’uomo che dal ributtante scherzo dei suoi compagni di casata. Si portò una mano alla tasca, lì dove aveva nascosto la foto sporca di sangue, che strinse con mano tremante.
«Sì.» rispose. La voce bassa di paura, gli occhi arrossati e illanguiditi da un accenno di lacrime. «Non sono un idiota. Non ho più undici anni, Severus. Lo so che potrebbe finire in ogni momento. Ma ne vale la pena. Ne vale dannatamente la pena.» inghiottì a vuoto, si passò una mano sugli occhi per cancellare le lacrime e gli propose un sorriso falso, disperato. «Non rimarrò solo, quando se ne andrà. Ci sarai tu, no?» nonostante avesse cercato di lavarsi via le lacrime quelle tornarono prepotentemente indietro più forti di prima. Nel gesto si era pure sporcato una guancia con uno sbuffo di sangue che gli era rimasto fra le dita.
Snape strinse la mascella, stordito dalle parole e l’espressione del ragazzo. Gli si avvicinò titubante mentre quello faceva di tutto per frenare le lacrime, senza successo.
«Ci sarò.» gli disse soltanto, andando a spalmargli una sorta di carezza sulla guancia con la scusa di pulire via lo sbuffo di sangue. «Piangi, se devi sfogarti. Poi datti una ripulita, non farti vedere così dagli altri se vuoi restare davvero qui a testa alta. Manderò su un elfo domestico perché sistemi il letto.»
Draco annuì, lasciandosi andare completamente dopo quell’accenno raro di affetto dal padrino. Pianse, ma mentre lo faceva trovò comunque la forza di spiegare, fra un singhiozzo e l’altro.
«Dì ad Harry che è tu-tutto ok, ti prego. N-on farlo stare in pensiero tutta la notte. Gli parlerò io domani. E non dire niente di tutto questo a mamma e papà.»
«Va bene.» sospirò il pozionista, ancora teso e visibilmente contrariato. «Non c’è rischio coi tuoi genitori, non ci parliamo dalla fine della guerra.» ammise in un blando e amaro tentativo di sarcasmo che fu capace almeno di far sorridere il biondo.
Si separarono pochi attimi dopo, in cui Draco andò a sedersi stanco sul letto sfatto e Snape attraversò la sala comune improvvisamente deserta fino all’uscita dei dormitori.
Tornò al suo ufficio, dove Potter e compagni erano in una nervosissima attesa.
«Sta bene.» li informò serissimo. «Gli ho parlato. I suoi compagni lo ignorano più del normale, ma niente di particolare.» mentì, facendo cenno a tutti verso la porta.
«Va bene, grazie.» scucì Hermione, con un sorriso teso ma grato.
Harry invece fissò il pozionista con un dubbio scettico, ma non obiettò anche perché gli amici iniziarono a tirarlo per la manica per condurlo alla porta. Snape tornò a sedere con una calma stanca alla sua scrivania, e prima che Harry uscisse lo richiamò.
«Potter.»
«Sì, signore?»
L’uomo lo fissò dritto negli occhi, accigliato.
«Occhi aperti. Proteggilo e fa che ne valga la pena.» si raccomandò a denti stretti.
Harry, dopo l’accenno di sorpresa iniziale, annuì serio.
«Sì, signore. Non è un gioco né un capriccio, per me.» garantì, lasciando così a Severus il suo turno di farsi stupire.
Si scambiarono un cenno col capo, fra intesa e freddo commiato, quindi Harry tornò dagli amici che lo attendevano nel corridoio, pronti a tornare alla torre di Grifondoro.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Trappola ***


Ecco finalmente il capitolo 17, un po' più lungo del normale per farmi perdonare il ritardo immane. Gli impegni ultimamente si stanno rosicchiando tutto il mio poco tempo libero, costringendomi a scrivere solo nel weekend, ma il progetto va avanti e la fanfic non verrà abbandonata, odio le cose incompiute!
A proposito di scrittura per chi fosse interessato al mio primo romanzo l'ho reso da poco disponibile su Kindle Unlimited e rimarrà con tale opzione attiva probabilmente fin dopo Natale! Ecco il link: https://www.amazon.it/dp/B0CH1NLLGL

 



Il giorno dopo Halloween Remus si era ritrasformato nel suo ufficio, dove era rimasto a riposare, stremato dagli effetti della pozione Antilupo. Tonks non aveva mai abbandonato la sua postazione di guardia fuori dalla porta e dietro le usuali spoglie di Eli Porter. Di tanto in tanto, lontano dalla sua vista, ronzava in zona la figura scura di Snape che aveva preso a fare qualche giro di ronda aggiuntivo al settimo piano nonostante camminasse ancora appoggiato al bastone.
Intanto in sala grande gli studenti erano arrivati incredibilmente in anticipo per la colazione, e nell’aria c’era un certo fermento dopo le foto circolate la sera prima. 
Harry e Draco arrivarono separati e in momenti diversi, il primo circondato dagli amici più intimi, il secondo da solo. Si guardarono in silenzio dalla distanza fra le tavolate, con un’occhiata tesa che non sfuggì praticamente a nessuno.
La preside teneva d’occhio la situazione con una preoccupazione sottile ma palese, mentre gli altri docenti iniziavano a mangiare tranquilli e ignari.
Harry e compagni presero posto senza problemi al tavolo di Grifondoro, dove comunque era calato un inusuale silenzio guardingo. Draco invece, arrivato al suo posto, già abbastanza marginale, si rese conto che qualcuno vi aveva versato sopra una tazza abbondante dello stesso liquido simile a sangue con cui gli avevano imbrattato il letto la notte prima. Storse il naso sotto gli sguardi fissi e ostili dei compagni, mentre Parkinson chiosava:
«Prova a cercare posto al tavolo di Grifondoro, Malfoy. Tanto ormai … »
Tutti risero, meno Draco che fece del suo meglio per mantenere un’espressione indifferente. Soffocò sul nascere il conato di vomito che gli risalì alla vista del sangue, finto ma disgustosamente credibile. Si spostò al fondo della tavolata dove, forte dei numerosi posti vuoti, andò a sedersi lontano da tutti. Il cibo non tardò ad arrivare insieme a posate e stoviglie immacolate, incantate dagli elfi domestici per servire i ragazzi ovunque si andassero a sedere, tuttavia non toccò niente.
Harry squadrò la scena dalla distanza con un cipiglio nervoso ed Hermione al suo fianco gli posò una mano sulla spalla fissandolo apprensiva.
«Harry, lo capisco che hai voglia di alzarti e intervenire, ma devi essere paziente.» gli mormorò. «Ci servono informazioni.»
«Paziente?» rispose sarcastico a voce bassa. Poi però la guardò in faccia, più serio. «Hai qualcosa in mente?»
«Esatto. E perché questo qualcosa prenda corpo ho bisogno che tu non intervenga, ora come ora.» spiegò cauta. «Lascerò un biglietto a Malfoy, alla terza ora abbiamo una lezione in comune. Dobbiamo andare tutti e tra da Tonks.»
Harry annuì, e si sforzò di smettere anche solo di guardare verso Draco, come a togliersi la tentazione.
Presto l’interesse della sala per la peculiare nuova coppia scemò, visto che i due ragazzi a stento guardavano uno verso l’altro. 
Dopo il pranzo, Draco fu il primo ad arrivare in cima alla scalinata per il settimo piano. Durante il pasto, fresco di una scena simile a quella della colazione, aveva mangiato poco o niente. Stavolta il sangue gliel’avevano fatto trovare direttamente sul piatto e nel bicchiere ed era finito per spostarsi definitivamente a fondo tavola, isolato più che mai.
Quando si affacciò sul corridoio, trovò Tonks nelle solite vesti di Eli Porter seduto a guardia dell’ufficio di Lupin. Inizialmente esitò ma quando si rese conto d’essere stato individuato rivolse alla cugina un sorriso di pura circostanza e si avvicinò.
«Ehi. Che ci fai da queste parti?» chiese Porter, squadrandolo da capo a piedi.
«Har- Potter e Granger mi hanno chiesto di venire qui dopo pranzo. Chiesto di persona, niente bigliettini.» specificò serio. «Non so perché abbiano scelto proprio questo punto.» aggiunse, dubbioso.
«Puoi chiamarlo Harry, se ti viene naturale.» gli mormorò Eli con un occhiolino complice e un sorriso gentile che scemò subito quando aggiunse, più serio: «Mi dispiace per quello che è successo con la foto. Harry mi ha spiegato la situazione ieri notte.»
«Siamo stati stupidi e incauti.» ammise Draco cupo. «Specialmente dopo quello che è successo il mese scorso. Dovevamo aspettarcelo che qualcuno ci tenesse d’occhio.»
«Siete poco più che ragazzini, e state sperimentando l’amore.» concesse Eli dolcemente. «È normale perdere un po’ di lucidità.»
Draco annuì, vagamente in imbarazzo.
Harry ed Hermione non si fecero attendere molto, pochi minuti dopo li raggiunsero.
«Ehi, tutto bene?» li salutò Eli.
«Sì, nei limiti del possibile.» ammise Harry con un sorriso apertamente insoddisfatto.
Lui ed Hermione si fermarono di fronte a Draco e lo squadrarono da capo a piedi.
«Tu piuttosto, come stai? Ho visto cos’hanno fatto quegli str-»
Eli li interruppe, quindi gli fece cenno verso la porta dell’ufficio di Remus.
«Entriamo, staremo più tranquilli. Remus sta dormendo ed è così stremato che difficilmente si sveglierà per un paio di persone che chiacchierano. Se vi serve un po’ di solitudine poi posso uscire.»
«Oh, no.» mormorò Hermione. «Abbiamo bisogno proprio di te.»
Eli non nascose un cipiglio curioso, quindi fece strada nell’ufficio del licantropo.
Era tutto in ordine nella parte dell’ingresso, lì dove c’erano la scrivania, i libri e le poltrone. L’uomo era nella stanzetta adiacente, lì dove c’era la sua camera da letto la cui porta era chiusa.
Si accomodarono alla scrivania e Tonks riprese le sue forme normali dopo aver protetto l’uscio con i soliti incantesimi.
Harry non ebbe tempo di riprendere il discorso che Draco lo anticipò.
«Mi stanno facendo qualche scherzo idiota, ma niente di grave. Se avessero voluto mi avrebbero già avvelenato o peggio. Non preoccuparti, ok?»
«Facile a dirsi.» sbuffò il moro, quindi si voltò a cercare Hermione con un’occhiata eloquente. «Herm, che avevi in mente? Perché siamo qui?»
La ragazza non si fece pregare.
«Ho un’idea per stanare il misterioso fotografo. Ed anche una per consentirvi di annullare, o quasi, gli effetti della prima foto che è stata diffusa ieri notte.» annunciò soddisfatta. «E proprio per questa seconda strategia, che è una variante della prima, avrò bisogno del tuo aiuto.» concluse seria verso Tonks.
Nymphadora, che intanto era appena inciampata sull’orlo dei pantaloni troppo lunghi, approdò bruscamente alla scrivania su cui si mise seduta, gli occhi chiari fissi sul particolare terzetto.
«Di che si tratta?»
«Nel primo caso getteremo un’esca e lo faremo casata per casata in modo da non escludere nessun sospetto. Faremo girare la voce che Draco ed Harry si debbano incontrare in un punto specifico. Sceglieremo un luogo adeguato, che abbia una sola via d’ingresso e uscita ed io resterò appostata sotto il mantello dell’invisibilità. A questo punto è abbastanza probabile che la persona che vi ha fatto quella foto si presenti e riusciremo a beccarla. Se necessario ripeteremo l’operazione finché non la staneremo.»
«Come faremo a comunicare? Qualsiasi segnale sonoro potrebbe far scappare questa persona.» la interrogò Draco, accigliato.
«Monete incantate: ne avremo in tasca una a testa, se sfiorate con la bacchetta si scaldano o gelano a seconda dell’ordine impartito. Posso usarle per fornirvi indicazioni semplici come il fatto che la spia stia arrivando o di darvela a gambe, dobbiamo solo decidere i codici.»
«Mh.» annuì Draco compiaciuto. «Può funzionare. E quando la persona si avvicinerà per dare un’occhiata come intendi procedere?»
«Mi assicurerò che sia armata di fotocamera e non un curioso a caso, per prima cosa. A quel punto vi darò il segnale e la chiuderemo dai due lati: voi da una parte io dal fondo del corridoio. Poi beh, potremmo fare con calma una bella chiacchierata tutti insieme.» spiegò sarcastica.
«Forse meglio che tu vada diretta di Petrificus totalum.» suggerì Tonks, seria.
«Non hai tutti i torti.» convenne Harry. «Meglio andare sul sicuro, anche perché non sappiamo con chi abbiamo a che fare.»
Anche Hermione e Draco annuirono.
«E la variante del piano per cui servo io?» chiese Tonks.
«È un po’ più complicato, ma non impossibile. La prima parte è uguale: un incontro fra Harry e Draco che faccia gola al nostro spione. Ma in questo caso dovremmo lasciare che scatti la sua foto compromettente, limitandoci a vedere di chi si tratta prima di lasciarlo andare, libero di pubblicare anche questo secondo scatto. Il momento andrà orchestrato bene in maniera da far sì che dalla foto si possa capire l’ora e la data del giorno in cui è stata scattata, perché mentre Tonks con l’aspetto di Draco andrà all’incontro con Harry, il vero Draco dovrà essere in quel preciso momento da un’altra parte, possibilmente ben in vista a molti altri studenti di Hogwarts.»
Harry sgranò gli occhi e sorrise.
«In questo modo potremmo dichiarare che le foto sono tutte false?»
«Esatto.» confermò Hermione. «Dei falsi realizzati con qualcuno col vostro aspetto ottenuto magari grazie alla polisucco. Nella prima foto che vi hanno fatto Harry non aveva gli occhiali, questo è un altro dettaglio a cui possiamo appigliarci per sostenere tale versione. Questa scappatoia è utile qualora vogliate ovviamente negare la vostra… relazione?» esitò, squadrandoli un minimo imbarazzata.
Harry e Draco si guardarono spiazzati.
«Non ne abbiamo parlato.» ammise il moro, fissando il compagno con un dubbio incerto. «Non ne abbiamo avuto tempo.»
Draco ricambiò il suo sguardo con uno altrettanto esitante e così a proseguire fu ancora Harry.
«Se vuoi scegliere l’opzione foto false beh, non è un problema. Lo capisco se non ti senti ancora pronto ad esporti, davvero.»
Draco gli afferrò l’avambraccio, dandogli una carezza gentile col pollice, discreta in maniera che Tonks ed Hermione non vedessero.
«Io … penso di sì. Credo che sia più cauta. Scusa. Sono il solito vigliacco.» ammise con un sorriso contrito.
«Va bene così. Non è un problema, sono coraggioso io per entrambi.» Sbuffò Harry con un sorriso sbruffone un po’ forzato che riuscì perlomeno a strapparne uno genuino al biondo.
«Se delegittimando quella foto i tuoi compagni smettessero di darti il tormento sarebbe perfetto.» si unì Hermione, supportiva. «Non è vigliaccheria volersi proteggere e passare un anno scolastico più sereno. Avrete tempo più avanti per uscire allo scoperto.»
Draco annuì, e pure Tonks rincarò la dose.
«Quella persona va catturata ad ogni costo. Per quello prima vi ho suggerito di ricorrere subito ad un Petrificus, senza mezze misure. Potrebbe trattarsi di un semplice studente intento a spiarvi ma anche dello stesso che ha scoperto il mio segreto e orchestrato l’agguato ad Harry e Remus. È una pista promettente, sicuramente di più di quelle che ho battuto fino ad oggi.» poi si rivolse ad Hermione. «Hai già pensato a come mettere in atto il secondo piano nel dettaglio?»
La Grifondoro annuì.
«Sì. Potremmo farlo già oggi pomeriggio, volendo.»
Tonks rivolse una breve occhiata ansiosa alla porta chiusa della stanza da letto di Remus, esitò brevemente, ma alla fine annuì.
«Va bene, si può fare.» cercò Harry e Draco con lo sguardo, ed entrambi annuirono decisi. Riprese le forme di Eli e si avviò alla porta. «Torno subito, devo chiedere un favore ad una persona e poi sono tutta vostra. Intanto iniziate a discutere bene i dettagli.» suggerì con un sorriso gentile, prima di lasciarli soli a confabulare.






Aiutata da Ron, Luna e Ginny, Hermione si era curata di far arrivare con discrezione ai Serpeverde il pettegolezzo che Harry e Draco si sarebbero incontrati alle cinque, subito dopo l’allenamento pomeridiano di Serpeverde, nella piccola aula che precede la torre di Astronomia.
L’allenamento fu uno dei più sgradevoli della vita di Draco. Snape non era presente, quindi i compagni erano stati ancora più liberi di dargli il tormento. Nella partita simulata che avevano fatto, persino quelli che dovevano essere i battitori dalla sua parte avevano passato il tempo a cercare di disarcionarlo coi bolidi. Dopo i rivoltanti scherzetti a base di sangue finto, erano passati ad una nuova strategia: nessuno gli parlava più. Non gli davano direttive, non rispondevano a domande dirette e nemmeno gli rivolgevano insulti e sfottò, in un trattamento del silenzio sfiancante.
Alla fine di quello strazio, che il biondo affrontò a denti stretti e senza lamentele, negli spogliatoi se la prese molto comoda. Aveva un brutto livido allo zigomo sinistro, il braccio destro dolente fin dalla base della spalla e una caviglia gonfia. I compagni lo sbirciavano con astio e curiosità, come in attesa di capirne le mosse, ma lui si attardò al punto da ritrovarsi in compagnia dei primi giocatori di Tassorosso che stavano arrivando in vista del loro turno di allenamento. I ragazzi giallo-nero lo guardarono curiosi, ma l’unico che si fece avanti fu il capitano. Un ragazzone alto e robusto, dai cortissimi capelli castani, che giocava nel ruolo di battitore.
«Qualcosa mi dice che non sei ridotto così per uno sfortunato incidente.» spiegò con un sarcasmo mesto, gli occhi scuri ingentiliti da un po’ di pietà.
Draco fece del suo meglio per raddrizzare orgogliosamente la schiena e non fare smorfie di dolore mentre finiva di indossare la mantella.
«Allenamento speciale.» spiegò altrettanto sarcastico. «Nulla che Madam Pomfrey non possa risolvere in venti minuti, comunque.»
Il capitano Tassorosso lo squadrò meglio da capo a piedi, poi guardò verso la porta degli spogliatoi da cui l’ultimo dei Serpeverde era appena uscito.
«Posso accompagnarti fino all’infermeria, se vuoi.» propose a bassa voce.
Draco lo fissò sorpreso, ma dopo una breve esitazione annuì, per quanto a disagio.
«Mh, ok. Grazie.» bofonchiò.
«Ragazzi, mi assento per una decina di minuti, intanto voi iniziate a scaldarvi.» annunciò il ragazzone ai compagni, prima di precedere Draco verso l’uscita.
Quando i due raggiunsero l’infermeria erano ormai le cinque e venti. Tonks intanto aveva cambiato forma e trasfigurato i propri indumenti per vestire alla perfezione i panni del biondo con largo anticipo. La metamorfomagus aveva dunque raggiunto Harry nella piccola aula che fungeva da supporto alla torre di Astronomia. Era una stanza ordinata, che ospitava tutti gli strumenti necessari alle osservazioni, misurazioni, calcoli e disegno delle mappe celesti.
Hermione era appostata sotto il mantello dell’invisibilità da un lato del corridoio, l’unico passaggio obbligato per raggiungere la torre. Alle cinque e venti, lanciò il segnale agli altri due, sfiorando la propria moneta incantata con la bacchetta. La giovane Kelly gli era appena sfilata davanti intenta ad avanzare con un’ansia guardinga. Sotto i drappi abbondanti della tunica custodiva gelosamente la macchina fotografica.
Appena Harry e Tonks ricevettero il segnale si scambiarono uno sguardo d’intesa e iniziarono la loro recita.
«Non ce la faccio più a vederti così, di nascosto da tutti.» spiegò Harry, ostentando un’aria nervosa.
«Non possiamo fare altrimenti, Harry.» sibilò il falso Draco, in piedi mezzo passo di fronte a lui.
La porta della stanza era stata chiusa con un incantesimo semplice, che infatti la bambina fu in grado di rompere facilmente dopo aver origliato un po’. Schiuse con estrema cautela l’uscio una volta sbloccata la serratura, finché non ebbe uno spiraglio utile ad avere una visuale parziale su entrambi, attorniati dagli strumenti di Astronomia.
«Ma ormai lo sanno tutti che stiamo insieme. Perché non venire ufficialmente allo scoperto?» obiettò il moro.
«È solo una foto, non hanno molto altro. Posso ancora inventarmi qualcosa per negare o giustificarmi. Dire che era stata una follia del momento.»
Kelly si guardò cauta attorno, quindi si accucciò meglio davanti alla porta schiusa.
«Cos’è, lo era davvero? Una follia del momento?» sbuffò Harry, realisticamente infastidito.
«No, ovvio che no.» lo rassicurò apprensivo il biondo, che gli si fece più vicino.
Hermione si mosse piano qualche metro alle spalle di Kelly, le mani ancora su bacchetta e gettone. Quando vide meglio in faccia la bambina aggrottò la fronte con una smorfia contrariata.
«Quindi vuoi continuare a vederci così, come due criminali che devono nascondersi?» sospirò il moro.
Draco gli afferrò un braccio e poi una mano, stringendola fra le proprie.
«Per un po’, Harry. Abbi pazienza.» si allungò verso l’altro e si scambiarono un bacio a stampo, ben diverso da quelli che Harry e il Draco originale si concedevano.
Kelly si mise in posizione, aprì un po’ di più la porta con estrema lentezza, quindi iniziò a scattare. Anche il meccanismo era perfettamente silenzioso, incantato a posta per quel mestiere.
Hermione diede due tocchi di bacchetta al gettone e sia Harry che Draco sgranarono leggermente gli occhi. Harry abbassò così tanto la voce da risultare a stento udibile dal biondo, parlandogli quasi sulle labbra.
«Diamogli qualcosa di interessante.»
Draco annuì, e col un sorriso un po’ imbarazzato di chi è a metà fra il nervoso e la ridarella alzò le mani alla cravatta di Harry e cominciò a sfilargliela. Passò dunque ai bottoni della camicia, mentre il moro si lasciava scivolare giù dalle spalle la tunica nera.
Kelly continuò a scattare a ritmo regolare, il fiato trattenuto e gli occhi sgranati.
Draco afferrò con decisione la camicia di Harry e gliela abbassò con uno strattone, scoprendone le spalle e parte del petto. Gli avvicinò il viso al collo e ci posò sopra le labbra, offrendo all’obiettivo della piccola Serpeverde una posa decisamente inequivocabile.
Kelly fece un piccolo sussulto, un ultimo scatto e indietreggiò di botto. Hermione si scansò per evitare il rischio di venire investita nel corridoio angusto. La bambina aveva un sorriso soddisfatto ma era anche decisamente paonazza. Riconservò frettolosamente la macchina fotografica senza più osare guardare i due dentro l’aula, quindi scappò via di corsa con una mano sulla bocca ed una a tenere la fotocamera.
Hermione la seguì in parte e quando fu sicura che quella era andata via diede un altro paio di segnali col gettone. Harry e Draco si separarono scoppiando a ridere, imbarazzati, quindi Tonks recuperò le forme di Eli e ritrasfigurò i vestiti di conseguenza.
«Facci l’abitudine Harry, se vorrai diventare Auror come dici queste cose possono capitare, in certe missioni.» spiegò fra serio e faceto.
Il moro sbuffò divertito mentre si rivestiva, infreddolito.
«Spero in qualche missione più movimentata, in realtà.»
«Non mancheranno manco quelle.» sospirò l’altro, muovendosi verso la porta. «Ti precedo. Ci vediamo alla capanna di Hagrid.»
Harry lo scrutò interrogativo.
«Non all’ufficio di Lupin?»
«No, ho lasciato qualcun altro di guardia, non preoccuparti. E poi è il caso che tu dica ad Hagrid che sta succedendo con Draco, non credi?» suggerì facendogli l’occhiolino.
Harry perse un po’ il sorriso, ma annuì.
«Già. Non so come la prenderà. Ma non voglio lo venga a sapere da una delle foto lasciate in giro.»
Eli annuì e dopo avergli rifilato una pacca d’incoraggiamento uscì: Harry ed Hermione l’avrebbero raggiunto con cautela poco più tardi alla capanna del professore di Cura delle Creature Magiche.








L’ufficio di Lupin era invaso dalla luce rossastra del tramonto che filtrava dalle finestre, ma Severus Snape era seduto alla scrivania a braccia incrociate, indifferente al piccolo spettacolo naturale. Il bastone era incastrato lì accanto a portata di mano, mentre una piccola boccetta dal contenuto arancione era poggiata fra le scartoffie davanti a lui. Dondolò nervosamente una gamba, sciolse l’intreccio delle braccia e spostò la pozione da un lato, con uno sbuffo infastidito.
«Dannata Tonks. Una dannata trappola.» sibilò fra i denti.
Più osservava la pozione arancione più la sua gamba sana dondolava nevrotica. Acchiappò un mazzetto di fogli disordinati e iniziò a scorrere fra le pagine. Erano compiti da correggere, alcuni già in parte corretti, più qualche foglio per gli appunti. Carezzò con l’indice la grafia pulita ed elegante di Remus, scorrendo fra le righe in cui il docente aveva segnato gli appunti per una lezione speciale di Natale per il primo anno. Non riuscì a trattenere un minuscolo sorriso, così mise da parte anche quei fogli con un gesto secco.
Guardò la porta della camera di Remus, la pozione messa in disparte, i compiti mezzo corretti. Prese tempo. Prima accese il caminetto, poi si armò di calamaio e penna e continuò le correzioni, rimise in ordine la scrivania, esaminò i cassetti facendo sparire ogni cartaccia di cioccolata, finché non ebbe davvero più niente da fare. Era passata a stento mezz’ora.
Con un sospiro teso afferrò la pozione, artigliò il bastone e si alzò. Il suo passo verso la stanza di Remus era ancora un po’ incerto, ma per quanto ritardasse alla fine arrivò alla meta. Bussò un paio di volte, ma non ottenne risposta. Teso, finì per aprire la porta e sbirciare.
La stanza privata di Remus non aveva molti oggetti. C’era la sua fedele valigia espandibile aperta, con dentro tutti i suoi pochi averi essenziali, come se fosse un ospite in un albergo, sempre pronto ad andarsene in ogni momento.
Una singola lampada ad olio illuminava l’ambiente dal comodino, le tende erano completamente tirate e l’uomo era sdraiato sotto le coperte sul letto ampio da un lato della stanza.
«Lupin?» lo chiamò avvicinandosi con l’espressione più dura che possedesse.
L’altro non rispose.
Andò a poggiare la pozione sul comodino accanto alla lampada, quindi si chinò un po’ storto sulla figura distesa. Era raggomitolato a tal punto da lasciare scoperti solo i capelli e parte della fronte.
Con la mano ora libera andò a toccargli una spalla e scuoterlo leggermente.
«Lupin?» riprovò più forte.
Il licantropo prese un respiro più profondo, tirò su la testa e scoprì il viso pallido. Aprì lentamente gli occhi, come se fosse troppo esausto anche solo per tornare sveglio. In quel lento lasso di tempo Severus rimase imbambolato a fissarlo, chino su di lui e poggiato storto sul bastone, la mano sinistra ancora sulla sua spalla.
Appena Remus riuscì a recuperare abbastanza lucidità da capire chi aveva davanti fece un piccolo debole scatto che lo portò a girarsi e stendersi a pancia in su. Il movimento levò così l’appoggio a Severus che finì per inciampare sul bordo del letto e finirgli addosso con un verso di infastidita sorpresa.
Remus sgranò gli occhi, improvvisamente desto e allungò le braccia in avanti, un po’ per ripararsi un po’ per acchiappare l’altro. Debole com’era finì solo per posargli le mani sul petto e rallentarne la caduta verso il proprio.
Severus si diede subito una spinta goffa e scivolò indietro, seduto storto accanto all’altro, la mano sana premuta all’altezza del cuore di Remus.
Fu solo allora che si rese conto, al netto delle coperte scostate nei movimenti goffi di entrambi, che Remus era nudo. Ritrasse di scatto la mano ma non poté fermare l’impennata di sangue che gli colorò le guance, il battito troppo forte del cuore che comandò ai polmoni un respiro più intenso, tremulo.
Ci fu un istante di reciproco imbarazzo in cui Severus si rialzò in piedi recuperando la consueta serietà arcigna e Remus si tirò su le coperte manco una dama pudica.
«Tonks mi ha chiesto di darle il cambio e portarti una pozione rinvigorente.» bofonchiò Snape appena ebbe recuperato l’autocontrollo necessario a parlare con calma. Additò la pozione sul comodino, quindi si concesse un’occhiata al viso dell’altro.
Remus lo fissava con una confusione fiacca, ma annuì.
«Dov’è andata?» chiese debolmente.
«Ti ha raccontato di Malfoy e Potter?»
Remus si accigliò, una vena d’ansia palese gli attraversò il viso.
«No. È successo qualcosa?»
«Sì, ma stanno bene.» chiarì subito il pozionista, che tornò presto ad indicargli la pozione. «Pensa a bere quella piuttosto, o stasera non avrai manco la forza di mangiare.».
Remus, che faticava anche solo a tenere gli occhi aperti, gli rivolse un sorriso tenue.
«Grazie, ma temo di non riuscire ad alzarmi. Più tardi, quando tornerà Dora.» ammise mesto.
Severus lo fissò teso e incerto per qualche attimo, quindi gli allungò una mano distogliendo lo sguardo.
«Questo è il massimo che posso fare.» bofonchiò.
Il sorriso di Remus si aprì un po’ di più, quindi afferrò quella mano col poco di forze che aveva e si fece aiutare a mettersi in parte seduto. Severus lo lasciò andare subito, piazzandogli piuttosto qualche cuscino dietro la schiena.
«Tu ed Horace eravate molto ispirati sta volta, eh? La pozione era perfetta, non mi aveva mai buttato giù così intensamente.» scherzò mentre Severus gli passava la boccetta di ricostituente.
«Tende ad avere effetti peggiori in inverno. Le difese naturali del corpo crollano in fretta. O forse stai solo diventando vecchio.»
Remus bevve un sorso di pozione, ma staccò subito le labbra perché gli scappò uno sbuffo divertito.
«Ehi. Tu sei più vecchio di me. Anche se di pochi mesi.» lo accusò scherzoso, sebbene l’umore fosse sempre relativamente fiacco. Guardava l’altro in viso di rado, carico di una vergogna che proprio non riusciva a scollarsi di dosso in quel periodo del mese.
La fronte di Snape si aggrottò.
«Tu sai quando compio gli anni?»
«Ho un vago ricordo, sì. Nove gennaio? O dieci?»
«Nove. Come fai a saperlo?»
«Nove, ecco.» mormorò andando a prendere tempo nel bere l’ultimo sorso della pozione prima di rispondergli. «Forse eravamo al sesto anno, o al quinto. Sirius aveva scoperto del tuo compleanno, non ricordo come. Fatto sta che stava pianificando di farti uno scherzo dei suoi.»
La fronte di Snape non si distese affatto, anzi sembrò ancora più perplesso.
«Non ricordo odiosi scherzi di compleanno a scuola.»
«Perché l’avevo convinto a passare una serata con me piuttosto che dare noia a te in un giorno simile.» ammise il licantropo col sorriso imbarazzato e distante di chi richiama un vecchio ricordo gradevole.
Severus strinse i denti e la presa sul bastone, emettendo a stento un mugugno a dar segno di aver capito.
«Mh.»
Remus gli porse la boccetta vuota insieme ad un basso “grazie”, quindi si lasciò andare con la schiena sui cuscini.
«Prima di andare, puoi raccontarmi cos’è successo a Draco ed Harry?» chiese chiudendo gli occhi.
Severus si guardò intorno, quindi fece comparire una sedia e prese posto accanto al letto.
«A quanto pare si frequentano.» spiegò a denti stretti.
Remus, nonostante fosse esausto riaprì di scatto gli occhi andando a studiare l’espressione severa del pozionista.
«E la cosa è di dominio pubblico?»
«Già. Quei due sciocchi si sono fatti beccare da qualcuno armato di una macchina fotografica, che ha provveduto a scattare loro una foto mentre si scambiavano un bacio. La foto è stata fatta circolare in svariate copie ieri sera.»
Remus strinse le labbra, quindi sciolse un sospiro lento.
«Immagino la posizione sociale di Draco sia ulteriormente peggiorata. Sta bene?»
«Gli hanno fatto un brutto scherzo, ma nessuna aggressione. Non che mi abbia riferito, perlomeno. Sembra voler proteggere ostinatamente i suoi vecchi amici, nonostante tutto.» spiegò senza troppo biasimo nel tono.
«Pensi possa esserci una correlazione fra chi ha spiato loro e chi ha scoperto il segreto di Tonks?»
«Sì, è una possibilità concreta e se tutto andrà bene lo scopriremo presto: Tonks con l’aiuto di Potter e Granger è andata a tendere una potenziale trappola all’autore dello scatto. Per questo mi ha chiesto di darle il cambio qui.»
Remus annuì, quindi gli chiese, serissimo:
«Immagino che tu sia ostile alla relazione fra Draco ed Harry.»
Snape sbuffò.
«Fai spesso domande di cui conosci già la risposta, Lupin?» confermò.
«Perché mai sei ostile? Se hanno deciso di avvicinarsi è perché evidentemente si trovano bene insieme, pensano ne valga la pena.»
«Dove vuoi andare a parare con queste domande?» sibilò il pozionista, nervoso.
«Da nessuna parte, voglio solo capire.» sospirò stanco e spazientito Lupin. «Perché sei ostile alla loro relazione?»
«Perché sono due uomini, per prima cosa e po-.»
Remus lo interruppe.
«Chi te l’ha messa in testa questa idiozia che l’omosessualità sia un problema?» sbottò secco.
Severus strinse nervosamente le labbra, quindi voltò il capo da un lato ostentando un’espressione carica di disprezzo.
«Lasciamo perdere. Riposati.» decretò alzandosi in piedi e recuperando frettolosamente il bastone.
«Di tutte le cose che potevi assorbire della cultura babbana hai preso proprio la più sciocca, Snape.» lo accusò Remus, deluso.
Severus gli scoccò un’occhiata cupa.
«A ben pensarci, Lupin, non è affar tuo cosa io pensi delle pessime scelte del mio figlioccio.»
«No, infatti, hai ragione.» ammise l’altro, sfilandosi a fatica i cuscini da dietro la schiena. L’improvviso moto di stizza e amarezza gli infusero un briciolo di energie. «Vai pure, avrai di meglio da fare. Non serve che tu mi faccia da guardia, il plenilunio è passato, non sono più una minaccia per almeno un mese.» lo scacciò con un sarcasmo secco piuttosto raro.
Severus rimase un po’ interdetto, al punto che non disse niente e si limitò ad andare via, chiudendosi la porta della stanza alle spalle. Una volta rimasto solo nello studio esitò, ma alla fine si andò a sedere di nuovo alla scrivania. Si passò una mano sul viso, poi fra i capelli ancora corti, quindi sospirò stancamente e tornò al suo ruolo di guardiano silenzioso.




Subito dopo cena, Pansy, Blaise, Theodore e Kelly si ritrovarono in una delle aule vuote nel seminterrato. Nott sigillò la porta con qualche incantesimo, mentre Pansy e Blaise spronarono la bambina a parlare. Quella tirò fuori un piccolo mazzolino di foto sviluppate poco prima e gliele offrì con un sorrisone a metà fra orgoglioso e imbarazzato.
Pansy squittì entusiasta.
«Blaise, guarda questa, è perfetta! Potter a petto nudo, Draco che gli bacia il collo.» guardò Kelly e le concesse un’occhiata soddisfatta. «Ottimo lavoro. Però, per il futuro: non restare oltre se vedi che iniziano a spogliarsi così.» le spiegò con tanto di occhiolino.
«No. No. Eew.» mugugnò quella, paonazza.
«Questa gli varrà come minimo una punizione.» considerò Blaise, compiaciuto.
«Cinquanta copie di questa dovrebbero bastare. Le diffonderemo domani a colazione.» spiegò Pansy che, armata di bacchetta, cominciò subito a duplicare le foto.
Nott si affacciò a sbirciare oltre le teste dei compagni e fece una smorfia schifata.
«Questa storia non mi piace.» berciò aspro.
«Ovvio, sono Malfoy e Potter.» rise Zabini.
«No intendo la facilità con cui si sono fatti beccare di nuovo dopo la prima volta. C’è qualcosa che non quadra, avanti, usate il cervello.» li redarguì aspramente. «Prima gira la voce di un loro appuntamento, come se gli amici di Potter potessero tradirlo così facilmente o come se Malfoy avesse qualcuno a cui confidare cose simili. Poi la porta della stanza dentro cui sono andati era guardacaso alla portata di un banale Alohomora da primo anno.»
«Se fosse stata una trappola l’avrebbero già bloccata, no?» obiettò Pansy.
Kelly smise subito di sorridere e incassò un po’ la testa fra le spalle.
«E in merito all’informazione nessun tradimento. Una dei corvonero aveva sentito per sbaglio Potter dare appuntamento a Malfoy in un corridoio isolato, dove pensavano evidentemente di essere soli. Lei l’ha detto ad un amico, che l’ha detto ad un altro e così via. Lo sai come corrono in fretta queste cose.»
Nott tuttavia non sembrava affatto convinto. Sfilò una delle foto dalle mani di Pansy e la analizzò con la fronte aggrottata e la mascella stretta.
«Non diffondetele, c’è qualcosa che non va.» concluse secco, abbandonando lo scatto fra le braccia di Blaise.
«Cosa può capitare? Ormai ce le abbiamo, chi se ne importa se era una trappola, evidentemente non è andata a buon fine.» insisté Pansy.
Kelly sembrava sempre più agitata, Blaise pensieroso.
Nott le rivolse un’occhiataccia nervosa, quindi si avvicinò alla bimba e le mormorò cupo poche parole.
«Fai sparire quella roba. Nascondi la macchina e ogni copia delle foto che hai ancora con te. Se ti beccano non osare fare i nostri nomi o la tua vita in questa scuola è finita.»
La bambina si irrigidì, gli occhi lucidi puntati in quelli scuri e rabbiosi di Theodore. Inghiottì a vuoto e annuì tremante.
Pansy le pose una mano sulla spalla.
«Tranquilla, non succederà un bel niente. Domani rideremo di tutta questa storia, vedrai.»
Nott si raddrizzò con uno sbuffo secco, quindi allungò una mano a Pansy.
«Hai ancora una copia della prima foto?»
«Sì, perché?»
«Dammela.»
«Che hai in mente?»
«Vedrai.»
Pansy lo fissò perplessa ma non chiese oltre. Si alzò in piedi e indicò la porta.
«Andiamo ai dormitori, le ultime copie le ho conservate lì.»
Così si allontanarono, tallonati da Kelly che, col suo fardello fotografico nascosto sotto la tunica, sembrava sinceramente sul punto di vomitare.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Proteggere ***


Capitolo 18: “Proteggere”





«Era una bambina. Una del primo anno.» fu la prima cosa che disse Hermione, profondamente indignata, appena il gruppo si fu riunito davanti alla capanna di Hagrid al tramonto.
Davanti a lei c’era Harry, subito dopo Draco, ed Eli a chiudere la fila.
«Sai il suo nome?» chiese l’auror.
Harry intanto andò a bussare alla porta un paio di volte.
«No.» ammise Hermione, cercando Draco con uno sguardo interrogativo. «È bassa, molto magra. Mora coi capelli lisci e piuttosto lunghi.»
«Kelly Wells, mi pare. No, White. Qualcosa del genere.» spiegò Draco. «Non ho socializzato molto coi primini.» 
Vennero interrotti dall’aprirsi del grosso portone di legno, dietro cui si ergeva l’ancor più grosso padrone di casa. Dietro la barba ispida si aprì un sorrisone allegro. 
«Harry, Mione, signor Porter!» ammiccò ad Eli. Poi vide Draco e il suo sorriso si congelò. «Malfoy?» bofonchiò senza entusiasmo. «Che ti è successo?» accennò al suo volto prima di spostarsi e liberare il passaggio per tutti.
Il viso di Draco era ancora segnato in parte dai lividi dei bolidi incassati all’allenamento del pomeriggio, ma il suo passo era stabile.
«Professore.» lo salutò teso il ragazzo, con la faccia stranita di chi forse lo chiamava a quel modo per la prima volta in vita sua. «Un allenamento finito male.» tagliò corto entrando insieme agli altri.
Hermione, con la fronte aggrottata da un moto di perplessità, si rivolse proprio al biondo.
«Hai tenuto i lividi per rendere ancora più credibile la versione delle foto false?»
«Esatto.» confermò lui. «Almeno diamo un senso alle botte che ho incassato.»
Lei gli rivolse un piccolo sorriso mesto, quindi si andarono a sedere su panche e sgabelli attorno al tavolaccio da pranzo di Hagrid. Thor era accucciato pigramente accanto al caminetto, fece a tutti un uggiolio di saluto ma non si alzò.
«Siamo venuti a trovarti perché c’è una cosa che devo dirti, Hagrid.» premise un po’ esitante Harry.
Il mezzo gigante, che intanto si era messo all’opera per preparare il tè, si voltò verso il gruppo, squadrandoli apprensivo.
«Che è successo ancora?»
«Niente di grave in realtà.»
«Allora spiega, avanti.» lo spronò, nuovamente allegro.
«Beh, ecco … io e Draco stiamo insieme. Da qualche settimana.» affermò il moro con decisione.
Ad Hagrid scivolò di mano la teiera, che fece un gran fracasso sui fornelli e si rovesciò a terra. Disinteressato dal piccolo allagamento che ne conseguì, si voltò verso i due, il faccione sospeso fra shock e conseguente confusione.
«Eh? Cioè, insieme tipo che … insieme a coppia?» borbottò, mentre tutti lo guardavano un po’ tesi.
Hermione, combattuta fra l’attenzione alla scena e al disastro della teiera ripulì il secondo con un discreto tocco della bacchetta.
«Sì, in quel senso.» confermò Harry . «Avevamo tenuto la cosa per noi, ma qualcuno giorni fa ci ha fatto delle foto a nostra insaputa e le ha fatte circolare in giro. Non volevo che tu lo scoprissi così, per colpa di una foto rubata. Volevo essere io a dirtelo. Per quello la faccia di Draco è ridotta a quel modo: i suoi compagni gli danno il tormento da inizio anno, ma ancora di più da quando sono uscite le foto.» dichiarò con fermezza.
Hagrid si avvicinò meglio ad Harry e lo sbirciò più da vicino. Poi ruotò il testone verso Draco e serissimo gli chiese:
«Non ci hai fatto un qualche incantesimo, vero?»
Eli ed Harry non trattennero uno sbuffo divertito, Draco negò scuotendo nervosamente il capo, mentre Hermione intervenne in tono leggero.
«No, tranquillo, ho controllato. Harry non è vittima di alcun filtro o simili.»
«Davvero hai controllato?» mugugnò Harry, ancora col sorriso sulle labbra.
Hermione si schiarì colpevolmente la gola e distolse lo sguardo, quindi fu il turno di Eli.
«Hermione non ha visto tutto il tempo che avete trascorso assieme al San Mungo quando Snape era ricoverato.» spiegò con l’aria compiaciuta di chi la sa lunga. «Volta dopo volta l’avevo immaginato da un pezzo, come sarebbe finita.»
Draco sembrava nettamente in imbarazzo, piazzato lì con la compostezza rigida di una seduta in tribunale al banco degli accusati, era incapace di sorridere o anche solo aprire bocca.
L’altro che non sorrideva nemmeno un po’ era Hagrid.
«Mh.» grugnì il mezzo gigante. Fece il giro del tavolo, acchiappò uno sgabello e si mise a sedere proprio davanti al biondo.
L’espressione brutalmente seria dell’uomo fece scivolare lentamente via i sorrisi di tutti, e aumentare sensibilmente la tensione del suo interlocutore.
«Non mi sono mai piaciuti i Serpeverde. Non mi sono mai piaciuti i Malfoy. E non mi sono mai piaciuti i Mangiamorte.» iniziò a spiegare col suo vocione cupo. «Tu e tuo padre mi avete fatto del male, in passato. Tante altre ci avete provato e avete fallito.» fece una piccola pausa, in cui era facile scorgere sul suo viso irsuto un rancore dolente, ferito. Aveva poggiato una manona sul tavolo, il pugno grosso quasi quanto la testa del ragazzo che stava affrontando.
Draco era diventato se possibile ancora più pallido, gli occhi grigi slargati in allerta come quelli di una bestiola pronta a scappare.
«Però, mi fido ciecamente di Harry. Se a lui ci piaci significa che qualcosa di buono l’hai tirato fuori, alla fine.» borbottò distendendo un po’ l’espressione.
Draco tirò un impercettibile sospiro di sollievo, quindi abbassò un po’ la testa e parlò guardandolo a stento negli occhi.
«Mi dispiace per tutto ciò che ho fatto. E anche per ciò che ha fatto mio padre. La mia vita prima era come … danzare con una musica forte e gradevole, in una bella sala da ballo. Danzavo con gli altri, senza pensare o chiedermi alcunché, mi godevo la vita e la bella musica. Poi è come se la musica si fosse interrotta di botto. Mi sono ritrovato al buio, stordito, da solo e ho capito che era tutta un’illusione.»
Hagrid lo seguì un po’ confuso.
«Intendi, la guerra? Voldemort?» mormorò.
«Sì. Il suo ritorno. Lì la musica è sparita e la realtà mi è arrivata in faccia peggio dei bolidi dei miei compagni. Ho provato a comportarmi come mi avevano insegnato, mi sono fatto marchiare perché pensavo fosse l’unica strada per me, ho fatto delle cose orribili a cui non posso più rimediare. C’è voluto tanto tempo, troppo, ma alla fine ho capito. Quindi …  mi dispiace davvero, di tutto.» concluse contrito.
Harry posò una mano fra le scapole del ragazzo dandogli una carezza discreta, ma calorosa. Eli fissava il cugino con un’occhiata fissa, piacevolmente sorpreso, simile a quella di Hermione. Anche Hagrid ammorbidì un po’ l’espressione e distese il pugno.
«Va bene.» disse soltanto, rialzandosi con un piccolo sbuffo stanco.
«Oggi abbiamo teso una trappola a chi ci ha fatto la foto.» disse Harry dopo qualche attimo di silenzio generale.
«Ah sì? E chi era il colpevole?» si informò il padrone di casa, che riprese a fare il tè.
«Una bimba di Serpeverde del primo anno.» ammise mestamente Eli.
«Penso che dietro ci siano Zabini, Parkinson e Nott.» intervenne Draco molto piano.
«Eh? Non erano mica i tuoi migliori amici quei tre?»
«In estate ho troncato i rapporti. Non volevo più avere niente a che fare con chiunque fosse vicino ai vecchi ideali del Signore Oscuro. Poi me ne sono pentito, non per come mi stanno trattando ma perché in un certo senso mi mancano.»
Hagrid sbirciò il biondo con un briciolo di pietà oltre la tensione diffidente e rancorosa di prima.
«Beh è ovvio che ti mancano. Ci sei cresciuto assieme che eravate bambini, sono i tuoi amici più vecchi, no? Ci devi fare pace.»
«Non credo vogliano più avere niente a che fare con me, ormai. Specialmente Nott.» ammise amaramente il biondo.
«Abbiamo deciso di negare la nostra relazione in pubblico.» si inserì Harry. «Così da provare ad alleggerire un po’ il peso delle azioni ostili verso Draco. Almeno finché non finiremo l’anno scolastico o le cose non si saranno calmate, insomma.»
Hagrid fece una smorfia e un grugnito insoddisfatti, quindi posò le tazzine enormi e sbeccate davanti a ognuno di loro un po’ troppo bruscamente.
«Non sei mai stato coraggioso, Malfoy.» lo rimproverò guardandolo dritto in faccia. «Però non dovresti scappare, ma anzi lottare e rispondere quando è qualcosa che conta per te. Che senso ha che aspetti a dopo? Avrai sempre questo trattamento, la vita non è brutta e ingiusta solo a scuola. Devi imparare a difenderti e anche a proteggere.»
Draco sgranò gli occhi fissando quelli del docente con uno stupore genuino.
«Proteggere?» ripeté.
«Sì, chiaro, proteggere.» rincarò l’altro. «Te stesso, ma anche Harry. Quando si è in due bisogna pensare per due.» spiegò, mentre andava a controllare il bollitore.
«Penso abbia bisogno di un po’ di tempo, Hagrid.» provò a mediare Hermione.
Draco era ammutolito, pensieroso, ed Harry finì per cercargli una mano con la propria da sotto il tavolo. Si scambiarono una stretta docile, bisognosa di contatto.
«Per ora va bene così.» sottoscrisse Harry. «La questione urgente è interrogare quella ragazzina che ci ha fatto le foto e scoprire quanto più possibile.»
«Già.» intervenne Eli. «Può essere persino connessa a chi aveva teso l’agguato a Remus ed Harry il mese scorso. Il primo di noi che la troverà da sola la fermerà per chiederle conto di tutta questa faccenda.»
«Quindi pensate che possano c’entrare con l’agguato a Lupin ma state ancora qui ad aspettare con le mani in mano?» sbuffò il mezzo gigante. «Perché non interrogarla subito? E chi se ne frega se vi vedono fermarla. Anzi, meglio, che si prendono paura.»
«In mancanza di informazioni dobbiamo agire con cautela, anche per non rischiare di far cadere la copertura di Tonks con altre persone.» intervenne Hermione. «Se ci fosse un legame di qualche tipo fra quella ragazzina e chi ha ordito la trappola ad Harry e Lupin finiremmo per metterlo in allerta. Potrebbe diventare più difficile scoprirlo o potremmo causare una reazione violenta.». 
«Siete troppo cervellotici per me, non vi capisco.» sospirò rassegnato l’altro. «Però va bene, se secondo voi è il modo migliore di gestire la cosa mi fido. C’avete la testa per pensare che va meglio della mia sicuro.» si sforzò di fargli un sorriso, ma si capiva che fosse ancora e teso.
Dopo pochi minuti, fra chiacchiere e dubbi strategici, venne servito il tè insieme a dei biscotti stranamente edibili. Tutti li assaggiarono a parte Draco, che si limitò a sorseggiare la bevanda calda a cui aggiunse diversi cucchiaini di zucchero.
Quando venne il momento dei saluti decisero di andarsene a piccoli gruppi per evitare di farsi vedere tutti insieme in zona. La prima fu Hermione, con la promessa di dar loro un segnale di via libera coi gettoni.
Poi toccò ad Eli ed Harry, perché il primo insistette per muoversi insieme.
Rimasti da soli nella capanna, Draco ed Hagrid passarono qualche minuto in completo silenzio, reciprocamente in imbarazzo, facendo di tutto per non guardarsi. Quando arrivò il segnale dal gettone il biondo si alzò, salutò a bassa voce, ma non appena fu sull’uscio venne fermato dal vocione del padrone di casa.
«Malfoy.»
«Sì?»
«Senti. Le cose brutte che facciamo non sempre le possiamo cambiare. Ci devi mettere una pezza o una pietra sopra o non tiri avanti.» consigliò, più conciliante di prima. «E non dimenticarti mai che sono sempre un professore di questa scuola.» concluse impettito, scoccandogli un’occhiata intensa.
«Uh? S-sì, professore.» mugugnò il ragazzo, annuendo contrito.
Hagrid sbuffò, finì di abbandonare le tazze da tè sul lavello e gli si accostò con un sorriso teso ma divertito.
«Non intendevo nel senso che mi devi rispetto. Intendevo tipo “sono un professore anche io eh”. Posso aiutare, se qualcuno ti da problemi. Ci devo badare anche io a voi studenti, non siete mica soli. Quindi se hai bisogno di una mano o uno sguardo chiedi.» gli ricordò dandogli una pacca sulla schiena così forte che sembrava quasi volerlo sbattere fuori di casa più che rassicurare.
Draco incespicò un passo oltre l’uscio, quindi annuì ancora.
«Sì, me ne ricorderò. Grazie e … buona serata?» mugugnò confuso, prima di allontanarsi.
Hagrid si guardò perplesso la manona con cui l’aveva appena colpito.
«Diamine, era più robusto da ragazzino.»





Quando Eli ed Harry ebbero messo abbastanza distanza fra la capanna di Hagrid e la destinazione comune della scuola, il primo si guardò attentamente intorno e, una volta appurato che fossero soli, parlò a bassa voce.
«Ti dispiace che non sia ancora pronto a uscire allo scoperto, vero? Durante la nostra recita pomeridiana eri decisamente troppo convincente.»
«Un po’ sì.» ammise il moro. «Ma non è un problema, davvero. So che lo fa perché ha paura dei compagni, non perché si vergogna di me o cose simili.» 
«Sicuro?»
«Sì. E dovreste avere un po’ di fiducia in lui. Non possiamo pretendere che un ragazzo che è stato vigliacco per tutta la vita si tramuti improvvisamente in un leone. Ha già fatto passi da gigante. Va bene così, davvero. È un casino ma va bene.»
Eli alzò le mani in segno di resa.
«Va bene, va bene. Mi fido.»
Superato il portone del castello, Eli indicò ad Harry il corridoio per la sala grande.
«Credo sia meglio che tu vada a cena.»
«Mh? Volevo venire a trovare Remus, in realtà.»
«Penso sia più utile che tu sia presente in sala grande, sia mai che decidano di far circolare le foto stasera. Poi Remus sarà stanco morto, meglio se passi domani.»
Harry fece una smorfia un po’ confusa, ma annuì.
«Hai ragione. Allora buonanotte e a domani.»
«A domani, notte Harry.»
Si separarono, ed Eli imboccò il tragitto verso le scale e il settimo piano. Arrivato di fronte alla porta dell’ufficio di Remus esitò. Bussò due volte e rimase in attesa. Non gli arrivò risposta, ma dopo qualche attimo la porta venne aperta e si ritrovò davanti il viso arcigno e indignato di Snape.
«Cia-» fece per salutarlo ma quello gli fece immediatamente cenno di tacere.
Senza dire una parola lo superò e se ne andò zoppicante col bastone appresso.
Eli lo fissò allibito, ma non lo bloccò.
«Oh Harry, se sapessi quanto sono ancora più incasinati questi due.» sospirò a mezza voce, esasperato.
Una volta dentro, a porta chiusa e incanti di protezione applicati, recuperò le sue sembianze.
Non fece molto caso all’ufficio dalla scrivania riordinata meticolosamente, puntò dritta alla porta della stanza di Remus, a cui bussò più forte.
«Rem?»
«Avanti.» gli rispose la voce mogia del licantropo.
Tonks trovò Lupin seduto a letto, il pigiama indossato, cuscini a reggergli la schiena e le coperte sulle gambe. Stava leggendo un libro, ma a giudicare dall’espressione non era molto concentrato né intrattenuto. Quando alzò lo sguardo su di lei non nascose una nota di accusa dolente.
«Perché mi hai mandato proprio lui, Dora?» le chiese, cupo.
La ragazza andò a sedersi sul letto accanto all’amico ed emise un sospiro stanco.
«Scusa. Lo so. Ma è stato più forte di me. Avete litigato ancora?»
«No, non proprio.» sbuffò l’altro.
«Vi siete baciati?» insinuò lei fra serio e faceto.
«Dora.» la rimproverò Remus. «Mi ha aggiornato sulla faccenda di Harry e Draco. Gli ho chiesto cosa ne pensasse del loro rapporto e la discussione stava per degenerare sulle solite note omofobe. Così l’ho bloccato e mandato subito via. Non ho molta pazienza oggi.» ammise teso.
«Ti ha dato la pozione ricostituente? Stai meglio no?»
«Sì, l’ho presa ore fa. Molto meglio.» ammise mogio. «Bastava quella e potevi portarmela tu o chiunque in realtà. Non è necessario che resti a farmi da guardia, né tu né nessun altro. Come vedi non è successo niente.»
Tonks inarcò un sopracciglio.
«Quante ore fa hai scacciato Snape?»
«Che c’entra?»
«Rispondimi, per favore.»
«Poco dopo che ho assunto la pozione, perché?»
Tonks emise uno sbuffo divertito, quasi deliziato.
«Che c’è?»
«Era ancora qui.»
«Eh?»
«Snape. Era qui, nel tuo ufficio. Come ho bussato non ha parlato, mi ha aperto la porta, fatto cenno di tacere e se n’è andato come un ladro. L’hai cacciato ore fa ed è rimasto a farti da guardia, in silenzio, per ore.» spiegò con un entusiasmo vivace.
Remus rimase interdetto, piacevolmente sorpreso.
«Non hai più scuse, Rem. Non c’è nessuna spiegazione che possa giustificare il suo essere rimasto qui se non il fatto che ci tenga a te.»
Il licantropo abbassò lo sguardo, tormentando fra le dita le pagine del libro.
«Com’è andata col vostro piano?» cambiò bruscamente discorso.
Tonks gli mise un broncio infantile ma non insistette.
«Bene. Abbiamo beccato il colpevole: è una bimbetta del primo anno di Serpeverde. Malfoy dice che dovrebbe chiamarsi Kelly.»
«Kelly White?»
«Sì, qualcosa del genere. Ha scattato le foto ed è scappata subito.»
Remus si accigliò.
«Perché l’avete lasciata andare?»
«Una piccola strategia di Hermione. In sostanza abbiamo fatto in modo che Draco fosse in un altro posto davanti a dei testimoni, mentre io sotto le sue spoglie mi trovavo con Harry nell’aula della torre di Astronomia. Avevamo dietro alcuni strumenti che rendono immediato capire data e ora precisa, quindi, quando verosimilmente questa seconda foto verrà pubblicata, Harry e Draco potranno dichiarare che sia un falso e delegittimare anche la prima.»
«Ingegnoso. Hanno deciso di fingere di non avere una relazione, dunque?»
«Sì. Per proteggere Draco. I suoi cari compari Serpeverde lo stanno strapazzando un po’ troppo. Dall’allenamento del pomeriggio ne è uscito martoriato manco l’avessero usato per il tiro a segno.» sbuffò infastidita.
«Mh, sì. Snape mi ha accennato qualcosa.» sospirò Remus massaggiandosi con due dita la radice del naso. «Quindi aspetterete che venga pubblicata anche questa foto prima di andare da Kelly?»
«Esatto. Poco fa siamo andati a trovare Hagrid. Harry gli ha detto di Draco. Non ne era molto felice, ma l’ha accettato.»
«Comprensibile.» convenne l’altro. «Conoscendo Hagrid non mi sarei aspettato di meno.»
«E tu? Cosa pensi di loro?»
Remus mise da parte il libro, quindi scivolò meglio sotto le coperte scostando alcuni cuscini.
«Penso che non è affar mio giudicare la loro relazione, quindi non penso proprio nulla.» ammise fiacco.
«Ottima risposta.» sorrise Tonks, dandogli una mano a sistemarsi.
«Ti lascio dormire, torno di là.»
«Torna nella tua stanza, e dormi anche tu.» mugugnò Lupin. «Davvero, state investendo tutti troppo tempo per il mio problema.»
«Piantala Rem. Finché non sei in forze preferisco non lasciarti da solo. Stiamo investendo tutti il tempo che sentiamo di volerti dare. Il tempo che meriti. Vogliamo proteggerti.» sentenziò.
«Grazie, Dora. Buona notte.» cedette Remus, mentre l’altra usciva.
«Notte.»







La mattina del due novembre a colazione, le copie dell’ultima foto scattata ad Harry e Draco attesero gli studenti appese alla bacheca nel corridoio poco prima della sala grande. Si formò infatti un discreto gruppo di studenti animato da chiacchiere vivaci, smorfie schifate, guance arrossate e sorrisi maliziosi. La foto era la più compromettente, quella in cui Harry era finito a petto nudo e Draco gli baciava il collo. Diversi studenti arraffarono gli scatti, che sparirono prima che i professori potessero rendersi conto di quell’insolito assembramento.
Harry, Hermione, Ron, Ginny e Luna, gli ultimi messi a parte del piano la sera prima, assisterono alla scena ostentando fastidio e indolenza
Draco arrivò poco più tardi, quando ormai tutti si stavano spostando alla sala grande. Il suo ingresso venne accolto da un rumoroso fischio d’apprezzamento dal tavolo di Grifondoro, e diverse risatine, fischi meno lieti o occhiatacce specialmente da quello di Serpeverde.
Il biondo guardò in basso ostentando confusione e fastidio, ma non provò nemmeno a raggiungere il suo solito posto, andando a sedersi direttamente in fondo alla tavolata.
I docenti seduti al tavolo in fondo si scambiarono qualche commento perplesso.
«Che diamine sta succedendo?» borbottò la preside.
«Lasciamoli fare, ma teniamoli d’occhio.» suggerì un debole Remus Lupin appena approdato al suo posto.
«Un piano di Granger per mettere una pezza alla questione della foto e indagare sul colpevole.» le spiegò a bassa voce Snape che le sedeva accanto.
La preside osservò i colleghi e poi gli studenti con un cipiglio severo, ma si sforzò di lasciar correre come suggerito.
Al tavolo di Serpeverde intanto, un ragazzetto del terzo anno alzò di poco la voce per farsi sentire dai compagni e da Draco appostato in fondo.
«Malfoy, oggi fa particolarmente freddo. Perché non vai a scaldare un po’ il tuo fidanzatino?»
Mentre tutti risero, Draco gli scoccò un’occhiata gelida.
«Di che cosa stai parlando, di grazia?»
«Ah già, sei arrivato in ritardo.» gli fece quello. Pescò una delle foto arraffate dalla bacheca e gliela lanciò facendola finire a terra poco più in là.
I Serpeverde si zittirono. Tutti fissavano Draco avidamente e presto anche gli studenti alle altre tavolate fecero lo stesso quando capirono cosa stava succedendo. Il biondo recuperò la foto con un elegante cenno della bacchetta, ma non la toccò nemmeno, facendola fluttuare davanti ai propri occhi con aria disgustata.
La studiò piuttosto a lungo, e alla fine si rivolse all’intera tavolata.
«Mh. Nella prima foto vi eravate impegnati di più. Qui siete stati disattenti.» dichiarò, mellifluo.
«Che diamine significa?» mugugnò il ragazzino.
«Questo non sono io. E quello non è Potter, così come non ero io nella prima foto che avete fatto girare l’altro giorno.» dichiarò fra l’annoiato e il tediato.
«Pensi di cavartela così facilmente?» intervenne Zabini.
«Cavarmela?» sorrise Draco, mostrando bene il volto segnato dai lividi. «Eppure sei un ragazzo intelligente, Zabini. Possibile che non ti renda conto di un falso? Nella foto di giorni fa il presunto Potter non aveva neppure gli occhiali. In questa invece si può leggere abbastanza tranquillamente data e ora da quello strumento astronomico in alto a destra.» inclinò la bacchetta e così ruotò la foto a beneficio degli occhi dei compagni.
Chiunque avesse preso una foto dalla bacheca e non l’avesse già in mano si affrettò a sfilarla dalle tasche e controllare.
«Se non erro, risulta la data di ieri e le cinque del pomeriggio. Peccato che a quell’ora fossi da Madam Pomfrey in infermeria, dopo gli ultimi allenamenti.» si indicò la faccia pesta.
Zabini serrò la mascella, Nott fece una smorfia acida e Parkinson strinse nervosamente i pugni mentre la sala esplodeva in un brusio vivace.
«È vero.» si levò la voce del capitano della squadra di Tassorosso. «L’ho accompagnato personalmente ieri, siamo rimasti un quarto d’ora buono ed erano già le cinque passate.»
«In effetti non ha nessun livido qui.» si unì la voce di un’altra ragazza di Grifondoro.
«Non poteva essere prima delle cinque?» disse un altro.
«Nah, prima delle cinque era ad allenamento, no?»
«E allora magari si è rotto quell’affare lì di astronomia?»
«Lo strumento è impeccabile, non dire scemenze!»
«Anche l’Harry di questa foto non ha gli occhiali.» squittì divertita Luna.
Tutta una serie di chiacchiere, considerazioni e teorie vennero esposte, mentre Draco faceva volare la foto direttamente nel camino più vicino. Riconservò la bacchetta, ma quando fu il momento di impugnare le posate e mangiare non toccò nulla, fissando il cibo con aria disgustata.
Anche i professori si scambiarono qualche commento perplesso, e in quel piccolo marasma la preside sbuffò inviperita verso Remus e Severus.
«Ditemi, tutto ciò significa che il piano di Hermione è andato a buon fine?»
«Direi che è andato a gonfie vele.» sorrise stanco ma serafico Remus.
«Già. Anche se un richiamo all’ordine non guasterebbe.» convenne il pozionista, che fissava gli studenti con una certa schifata indignazione.
Dopo circa dieci minuti di chiacchiere vivaci il richiamo non fu necessario perché i ragazzi esaurirono velocemente interesse per il gossip sfumato. In tanti buttarono la foto fra le fiamme come aveva fatto Draco, pochi altri la tennero.
A fine colazione Nott comandò con discrezione a Pansy, Blaise e Kelly di ritrovarsi dopo le lezioni mattutine nella solita aula deserta dei sotterranei, raccomandando alla più piccola di non andare mai in giro da sola. La bambina, proprio come Draco in fondo al tavolo, non aveva toccato cibo e a stento rispondeva quando interpellata.
Quando arrivò il momento dell’incontro si chiusero dentro la stanza prescelta e dopo averla sigillata Pansy rifilò un calcio rabbioso ad una povera seggiola di passaggio.
Kelly sussultò e si andò a mettere spalle al muro, due passi di distanza dagli altri tre.
«Inutile che ti arrabbi. Vi avevo avvertiti.» sibilò Theodore, fermo a braccia incrociate.
Aveva i capelli corti e spettinati più che mai, gli occhi scurissimi affossati da occhiaie pesanti su un viso pallido, che gli davano un’aria un cupa da corvo. Fra altezza e magrezza sembrava quasi una versione giovane di Snape.
Pansy gli scoccò un’occhiata di fuoco, ma agitata com’era non riuscì a dire niente, così intervenne Zabini, titubante.
«A questo punto potremmo rivelare che il Draco della seconda foto è Tonks. Almeno ai Serpeverde.» propose accigliato.
«No!» ruggì Theodore, alzando così tanto la voce da far irrigidire gli altri tre. «Assolutamente. Ci esporremmo a un rischio enorme facendo uscire una bomba simile.»
L’unica che trovò il coraggio di aprire bocca fu Pansy.
«Quindi gli lascerai fare il loro giochino e mandare a rotoli tutto il lavoro che abbiamo fatto? Kelly ha rischiato di finire nei casini per niente?»
«Precisamente.» berciò Nott. «E non parlare di lei come se te ne importasse qualcosa, è carne da macello e sei stata tu a sceglierla per essere tale.»
Kelly si portò le mani al viso e soffocò un singhiozzo spaventato, le spalle minute premute contro la parete manco sperasse di sparirci attraverso.
«Il tuo piano è stato un fallimento che ha rischiato anzi di far diventare Draco il martire degno della pietà e compassione di tutti e non il lurido traditore voltagabbana che è.» continuò il moro avvicinandosi per fronteggiare Pansy a muso duro. «Noi non possiamo proprio un bel niente contro Potter e la sua cerchia. Hai scelto di metterti contro un obiettivo più grande di te: accetta la sconfitta e non fare altre stronzate impulsive del genere.» concluse, la mascella contratta e il tono indurito da una furia mal contenuta.
Pansy era paonazza per rabbia e indignazione, ma il timore che le rese gli occhi lucidi la tenne ben ferma e zitta. Zabini invece si spostò lentamente, frapponendosi fra i due, una mano leggermente protesa indietro verso la ragazza.
«Va bene, va bene. Calmo Theo. Lasceremo perdere Malfoy e questa storia, promesso.»
L’espressione sul viso di Theodore cambiò come il vento. Dalla rabbia fiorì un sorriso sinistro.
«Non ho detto di lasciare in pace Malfoy, solo di non coinvolgere Potter né le altre casate, che tanto sono tutte sue alleate. Non possiamo fidarci di nessuno né far uscire niente di ciò che sappiamo e abbiamo fatto.»
«Quindi, cosa proponi di fare?» mugugnò Pansy.
«L’idea di Zabini andava bene, ma senza dettagli su Tonks e con discrezione. Alimentate la teoria che la seconda foto era appunto un falso, ma realizzato proprio da Potter e compagni per cercare di pararsi il culo per la prima. Quanto a Draco, continuate a dargli il tormento col sangue e col silenzio: non ha mai retto né il primo né la solitudine, alla lunga crollerà.» spiegò impietoso. «E dite a quei deficienti del Quidditch di smettere di colpirlo in faccia. Ogni livido visibile è un amico in più che si farà fra le altre casate.»
«Va bene.» annuì Zabini.
Pansy tirò su col naso e annuì a sua volta, un minimo più tranquilla.
Nott li aggirò per raggiungere Kelly, che alla sua vista prese a tremolare. Pansy fece un passo verso i due ma Zabini la bloccò facendole segno di no col capo.
«White, ascoltami bene: devi stare molto attenta.» le spiegò severo. «Bocca chiusa su questa faccenda, non parlarne nemmeno con gli amici e se ti beccano dì che non sai nulla né ricordi di aver fatto alcuna foto, che non sai nemmeno come si fanno, le foto. Non bere né mangiare cose di cui non sei sicura e che ti vengono offerte, potrebbero metterci dentro del Veritaserum per interrogarti. E soprattutto non girare mai da sola nei corridoi o fuori. Stai sempre con qualcuno del primo anno, e non farti vedere troppo in giro con Pansy quando siete fuori dalla nostra sala comune.»
La bambina annuì, muta.
«Ripetimi ciò che ti ho detto, voglio essere certo che tu abbia capito.»
Quella tirò su col naso, inghiottì a vuoto e parlò pianissimo, ancora più piccola di fronte a quel ragazzone alto e magro.
«D-devo stare zitta. Non mangiare cose sospette. Non gi-girare da sola, né troppo attorno a Pansy quando gli altri possono vederci. E non devo fidarmi di nessuno delle altre casate.»
Nott ammorbidì di poco l’espressione, concedendole una smorfia simile a un sorriso.
«Bene. Almeno ad una il cervello funziona ancora.» decretò, avviandosi verso la porta. «Vado per primo. Kelly subito dopo: fatti una corsa sino al dormitorio e cerca qualcuno dei nostri con cui raggiungere la sala grande per il pranzo.» poi si rivolse a Blaise e Pansy. «Voi due per ultimi, guardatele le spalle.» si raccomandò.
Prima che il ragazzo finisse di sciogliere tutti gli incantesimi e sbloccare la porta, Kelly gli chiese titubante, quasi inudibile.
«S-se non c’è nessuno in dormitorio come faccio?»
Nott la squadrò apatico.
«Salti il pranzo e ci resti finché non arriverà qualcuno che non siamo noi tre.»
La bimba fece una piccola smorfia dolente, ma non osò contestare.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Lealtà ***





Era passata qualche settimana da quando la seconda foto di Harry e Draco era circolata a scuola, e quasi nessuno parlava più della cosa. Gli unici a guardare il biondo con ostilità e sospetto erano i suoi compagni di casata, che non sembravano stancarsi mai di tormentarlo con scherzi disgustosi. Kelly si era letteralmente trincerata dietro ogni compagnia che potesse tenerla lontana da avvicinamenti indesiderati, al punto che nemmeno Draco era riuscito a trovarla un attimo da sola.
Un pomeriggio subito dopo pranzo, Tonks, sempre fedelmente celata dietro le sembianze di Eli, bussò energicamente alla porta dell’ufficio di Snape.
«Avanti.» lo invitò la voce bassa dell’uomo.
L’auror entrò senza troppe cerimonie, in faccia una smorfia contrita, i gesti rapidi e nervosi. Sigillò la porta con un incantesimo per proteggerli da ascoltatori indesiderati, e tanta era la fretta di raggiungere il pozionista alla scrivania a cui era seduto, che quando si avvicinò stava ancora comandando il blocco della serratura con la bacchetta.
Snape lo fissò con un sopracciglio inarcato e un accenno di stizza.
«Buon pomeriggio, Tonks. Ti vedo agitata.» mormorò sarcastico, chiudendo lentamente il libro che era intento a consultare.
«Ho appena fatto rapporto a Minerva.» sibilò appena gli fu davanti. «Mi ha detto dell’odiosa promessa che le hai strappato. Quella di far allontanare Remus qualora non si trovasse il colpevole dell’agguato.»
Snape prese un sospiro lento e distolse lo sguardo senza perdere un grammo di tedio.
«E ti ha anche detto che l’accordo era di mandarlo via entro breve? No perché, sono passati un mese e mezzo ormai dall’incidente di inizio Ottobre. Fin troppo, per quanto mi riguarda.»
«Fortuna che lei non è del tuo stesso avviso. Mi ha dato tempo fino a Natale.» sbottò.
«Pessima scelta.» sibilò secco Snape. «Non è al sicuro, né lui né gli studenti. Mandandolo a casa si risolverebbero tutti i problemi in un colpo solo. Pensaci: saresti persino libera di tornare a vivere la tua vita anziché stare qui a fargli da guardia del corpo.»
Eli sbuffò, con un sorriso sarcastico.
«Non parlare della mia vita come se te ne importasse qualcosa. Non credo te ne freghi neppure degli studenti, vuoi solo allontanare l’oggetto del desiderio che non hai il coraggio e la forza di prenderti.»
Snape gli scoccò un’occhiata più fiacca del solito, dolente. Anche la risposta arrivò qualche attimo in ritardo rispetto alla sua usuale parlantina pungente e spontanea.
«Perché non resti in queste sembianze maschili e te lo prendi tu?» mormorò cupo. «Sareste entrambi felici e soddisfatti e smetteresti di darmi il tormento.»
Eli chiuse gli occhi per qualche secondo con una smorfia contrita manco avesse incassato un ceffone. Quando li riaprì nei suoi occhi il dolore era ancora visibile, accentuato dal sorriso amaro che gli mostrò.
«Pensi che non gliel’abbia proposto, Severus? Lui non vuole né me né Eli. Lui vuole te.»
Snape contrasse la mascella, la gamba sana prese e dondolare nervosamente.
«Basta con questa storia.» sospirò.
«Pensi che sarai felice, quando Remus verrà eventualmente allontanato dalla scuola?»
«Basta.» sibilò ancora.
«Pensi che sarai felice, da solo, con l’ennesimo rimpianto della tua vita sul cuore? Sapendo che hai punito te stesso ma anche lui?»
«BASTA!» urlò esasperato il pozionista, fissando l’altro con odio. «Se hai qualcos’altro da dirmi cambia subito discorso o vattene!»
Eli era agitato, il viso arrossato da un nervosismo dolente, difficile da controllare. I capelli si fecero più rossi, ardenti come fiamme vive, e gli ci vollero alcuni attimi per calmarsi e tornare a parlare ad un volume più civile.
«Mi serve il tuo aiuto.» masticò nervoso.
Anche Severus rimase fermo e zitto a imporsi un po’ di calma, quindi più serio ma ancora contrito gli fece cenno di proseguire.
«Kelly White, la bambina che abbiamo visto fare le foto ad Harry e Draco, sta facendo di tutto per non farsi beccare da sola. Abbiamo cercato l’occasione giusta per fermarla e interrogarla con discrezione, ma dopo una settimana è il caso di cambiare strategia.»
«Che hai in mente?»
«Potresti trovare un pretesto per fermarla, da sola, dopo una lezione di pozioni?»
Severus inarcò un sopracciglio.
«Vuoi anche che le versi del Veritaserum in gola, già che ci sono?»
«Se fosse legale non ti direi di no.» sbuffò ironico. «Mi basta che la fermi, al resto penserò io.»
«Col primo anno ho lezione stasera alle quattro. La tratterrò per le cinque, fatti trovare per tempo.»
«Ci sarò.» decretò secco.
Si scambiarono un’occhiata nervosa, vagamente ostile, quindi senza degnarlo di un saluto l’auror si congedò.


Quando venne il pomeriggio Eli arrivò all’appuntamento in abbondante anticipo. Fermo fuori dall’aula di pozioni in attesa del termine dell’ora, venne richiamato da una voce alle sue spalle.
«Signor Porter.»
Si voltò e si trovò davanti Draco, esitante e perplesso. Aveva una brutta cera ormai da qualche giorno, occhiaie marcate e l’aria un po’ provata.
«Malfoy.» lo salutò squadrandolo un paio di volte. «Che ci fai qui?»
Draco si avvicinò alla cugina, si guardò cauto intorno, quindi parlò a voce bassa.
«Sono venuto a cercare Severus, dovrei parlargli di una cosa urgente.» confessò, l’aria mogia, demoralizzata.
Eli si fece piuttosto serio e altrettanto piano spiegò:
«La sua lezione terminerà fra venti minuti, è con quelli del primo di Serpeverde. Gli ho chiesto il favore di trattenere Kelly con una scusa qualsiasi, non è più possibile rimandare.»
«Ah.» mormorò Draco, le palpebre sgranate dalla sorpresa. «È una buona idea.» ammise.
«Hai un’aria terribile, Draco.» mormorò dunque il rosso. «Sembri anche più magrolino.»
«Ho perso un po’ l’appetito da giorni.» ammise in tono vago.
Eli lo soppesò per l’ennesima volta.
«Senti, so di non essere Snape e tu ed io non abbiamo mai avuto confidenza ma, beh, se vuoi parlare ci sono.» mormorò un po’ in imbarazzo ma schietto.
Draco lo guardò dubbioso, si prese qualche attimo per riflettere, dunque ficcò una mano in tasca e ne trasse una lettera spiegazzata.
«È arrivata stamane.» spiegò in un sussurro, porgendogliela. «Sembra autentica, il sigillo è giusto, la grafia pure.»
Sulla busta il mittente risultava la famiglia Malfoy. All’interno della lettera c’erano poche righe scritte in una grafia ariosa, impeccabile ed elegante.

 
“Qualche giorno fa tua madre ed io abbiamo ricevuto una lettera anonima. Al suo interno vi era una fotografia indecorosa, che raffigura te ed Harry Potter nell’atto di scambiarvi baci ed effusioni. Desideriamo ricevere dei chiarimenti immediatamente. Se si tratta di una foto autentica, per quanto mi riguarda preferisco che a Natale tu resti ad Hogwarts. E, sempre in caso sia autentica, sii più cauto con cose simili: questo modo sconsiderato di agire è pericoloso nella tua posizione.“


Quando ebbe finito di leggere, l’auror rivolse all’altro un’occhiata dolente e gli restituì la lettera.
«Mi dispiace, Draco. Non riesco ad immaginare come ti senta ora.» confessò.
Il biondo la rimise subito in tasca, senza manco curarsi di piegarla bene.
«Mi sento … come se in realtà me lo meritassi.» mugugnò incassando un po’ la testa fra le spalle e massaggiandosi nervosamente un braccio. «Forse tutto ciò che mi sta succedendo è un castigo adeguato a quello che ho fatto per anni. A quello che ha fatto la mia famiglia.»
«Ehi, no. Non cadere in questi ragionamenti.» lo rimproverò apprensivo. «Se posso permettermi, non andare a cercare aiuto - con queste idee in testa - proprio da Snape. Quell’uomo vive nel rancore verso sé stesso, ed è una via dolorosa quanto inutile per tutti, credimi.» sussurrò, vagamente astioso.
«Non so cosa fare.» ammise il biondo con aria frustrata. «Le parole di Hagrid di settimane fa mi sono entrate in testa e non riesco a smettere di pensarci. Penso al fatto che dovrei trovare il coraggio di ammettere quello che provo almeno coi miei genitori. Proteggere Harry dal loro odio, farmi valere.»
Eli lasciò cadere la tensione e gli sorrise spontaneamente.
«E allora fallo, scrivigli una lettera e confessa la tua relazione almeno con loro. Spiegagli la situazione. Non conosco tuo padre, ma se noti alla fine della lettera sembrava vagamente preoccupato. Insomma, ci tiene a te.»
Draco sollevò un’occhiata esitante al viso dell’altro, ma non ebbe modo di rispondergli che la porta dell’aula di pozioni si aprì e ne vennero fuori i pochi ragazzini Serpeverde del primo anno.
«Ne riparliamo dopo.» mormorò Eli muovendosi verso il corridoio.
Draco lo acchiappò per una manica.
«Aspetta.»
«Mh?»
«Lascia che provi io a parlare con Kelly.» chiese piano, lo sguardo animato da una muta supplica.
«Cosa vuoi dirle?»
«Voglio provare a vedere se si può ragionare con lei senza spaventarla troppo. L’ho osservata molto negli ultimi giorni, a tavola. Ha paura come un animale braccato.»
L’auror ci pensò su qualche secondo, quindi annuì e gli cedette il passo.
«Va bene. Io ti aspetto qui fuori. Nel caso in cui tu fallisca, proverò io.»
Draco annuì, e quando tutti i ragazzini si furono allontanati si avviò all’aula di pozioni.
Una volta sull’uscio sbirciò dentro e vide Kelly seduta accanto alla scrivania del docente. Snape le stava mostrando delle correzioni su una pergamena scritta fitta ma la bambina annuiva tesa e distratta. Quando poi videro il biondo sulla porta, il pozionista inarcò un sopracciglio e la bimba sgranò gli occhi, impallidendo di botto.
«Buon pomeriggio, professore. Avrei bisogno di parlarle.»
Kelly non ebbe il tempo di tirare un sospiro di sollievo che Draco proseguì.
«Ma prima vorrei scambiare due parole anche con White, se possibile.»
Snape, con tutta la sua perplessità, recuperò il bastone e si alzò in piedi.
«Fa pure. Quando hai finito mi trovi nel mio ufficio. White fammi trovare quelle correzioni fatte entro dopodomani.»
Kelly sembrava sull’orlo di un attacco di panico, ma il docente lasciò l’aula senza dar peso alle sue mute occhiate disperate.
Quando Snape ebbe chiuso la porta si ritrovò davanti Eli fermo lì fuori come un piantone.
«Mi ha chiesto di provare lui e gli ho ceduto il passo.» spiegò a bassa voce l’auror.
Severus accettò la cosa con un mugugno indifferente e si mosse verso il fondo del corridoio, lì dove si trovava il suo ufficio.
«Snape.» lo richiamò Eli.
«Nh?»
«Draco verrà a chiederti consiglio, dopo.» spiegò serio. «Per favore, aiutalo ad essere felice. Non ad essere un altro … te.» consigliò con una smorfia amara.
La fronte di Severus si aggrottò, ma l’uomo non disse alcunché e proseguì per la sua strada.
Dentro l’aula di pozioni, fra il tepore umido e gli odori ancora freschi delle preparazioni dell’ultima lezione, Kelly White sembrava profondamente nauseata.
Draco prese una sedia e si piazzò di fronte a lei, che non riusciva a smettere di fissarlo atterrita.
«Ora che ti vedo da vicino, mi ricordo di te.» iniziò a dire il ragazzo, la voce calma e tranquilla.
«Eh?» mugugnò la bimba.
«Il primo giorno eri seduta accanto a me, dopo la cerimonia di smistamento. Mi fissavi con un’occhiata contenta, quasi affascinata. Non eri terrorizzata né schifata o arrabbiata. Mi puoi spiegare cos’è successo in un paio di mesi al punto da portarti a fare una cosa così sgradevole come quello che hai fatto settimane fa?»
Kelly scosse il capo, e tremolante negò.
«Io non ho fatto niente, Malfoy. Non so di che parli. Per favore devo andare a fare i compiti, lasciami andare.» mugugnò contrita.
«Sai perché seduto di fronte a te a parlare di questa faccenda ci sono io e non la preside, Snape, o Porter? Perché li ho pregati di lasciarmi tentare per primo. Non voglio che nessuno dei nostri finisca nei guai, tu meno di tutti. Voglio proteggervi.»
«D-da, da chi?» mormorò ad occhi sgranati.
«Dalle vostre pessime scelte, White. Dal rancore di chi probabilmente ti ha usata per danneggiarmi. E dal rischio di subire conseguenze che non vi meritate del tutto.»
«C-cosa?»
«Un mese fa hanno fatto un agguato al professor Lupin e Potter. Non ne abbiamo parlato per non diffondere il panico, ma hanno rischiato di farsi molto male e il Ministero sta indagando. Per ora hanno pazienza, ma presto la esauriranno e inizieranno ad interrogare gli studenti e cose simili. Chi pensi che saranno i primi a venire convocati?»
«I-io non ho fatto niente, lo giuro.» singhiozzò lei.
«Ovvio che non sei stata tu. Tu hai solo fatto delle foto per uno scherzo cretino che ti è stato sicuramente commissionato da qualcun altro.»
«N-no.» provò a negare lei.
«White, più neghi più peggiori il problema. Ti avranno detto di stare zitta, immagino. Forse persino minacciata, se ho capito chi c’è dietro. Io voglio proteggervi tutti, credimi. Non me ne frega niente della faccenda delle foto, ho già detto a Potter, Porter, la preside e chiunque che non voglio prendano alcun provvedimento per quello. Io voglio solo tutte le informazioni che hai per trovare chi è che ha cercato di far ammazzare Potter. E se si tratta di uno dei nostri provare a salvarlo prima che arrivi il Ministero e lo sbatta ad Azkaban.»
Kelly negò forsennatamente con la testa.
«Non ne so niente. Non ne so niente. Lo giuro.»
«Kelly. Guardami negli occhi, per favore.»
La bambina si sforzò di fare come richiesto, ma non vedeva granché da dietro i lacrimoni terrorizzati che iniziarono a precipitare giù.
Il biondo si tirò su la manica della maglia, scoprendo l’avambraccio sinistro e mostrandole il marchio nero, cosa che la fece quasi scattare via dalla sedia.
«Vedo che sai cos’è.» mormorò tristemente ironico. «Questo marchio è l’errore più grande della mia vita. Una cosa che non posso cancellare in nessun modo, e ci ho messo troppo tempo a capirlo. Qualcuno dei nostri compagni è ancora convinto che questa causa fosse quella giusta e mi odia a morte per averla rinnegata. La realtà è che Potter è l’unica ragione per cui oggi viviamo in pace e quell’orrore se n’è andato. Non avresti voluto vivere in un mondo governato da Voldemort, credimi.»
La bimba, per quanto provasse a frenare le lacrime premendo le mani sul viso, non riuscì a calmarsi.
«I-io non so niente. I-io ho solo fatto delle foto. Perché … »
Draco si abbassò la manica e le andò a sfiorare una spalla.
«Raccontami tutto quello che sai. Ti giuro che farò di tutto per proteggervi. Se avessi voluto farvi del male sareste già finiti tutti dalla preside o peggio.»
Lei prima sussultò a quel tocco, poi arrossì violentemente e prese a balbettare fra un singhiozzo e l’altro.
«Mi hanno chiesto di seguirti. Perché volevano sapere cosa facevi con Potter, se eravate davvero amici come si diceva.»
«Quando?»
«A … a fine Settembre.»
«Chi?»
Kelly si morse il labbro inferiore.
«S-se te lo dico mi faranno del male.»
«Hai fatto un patto di qualche tipo? Firmato un qualche contratto magico vincolante?»
«N-no.»
«Allora non avere paura, ti proteggerò. Non lo verranno nemmeno a sapere.»
Lei tirò su col naso e soffiò piano tre nomi.
«Parkinson. Zabini e Nott.»
Draco chiuse brevemente gli occhi, prese un respiro profondo mentre la sua espressione si faceva nettamente più infelice.
«Lo sospettavo. Ti hanno chiesto di spiarmi e tu hai fatto la prima foto?»
«S-sì.»
«Hai seguito solo me e Potter? Dimmi ogni dettaglio di ciò che hai scoperto, per favore. E di ciò che ti hanno costretta a fare.»
Kelly prese un respiro profondo, ma anziché calmarsi di più proruppe in un pianto ancora più violento.
«Solo te e Potter. Non gli interessava nessun altro, te lo giuro. Quando avete smesso di girare insieme però non sapevo più cosa fare e mi hanno lasciata in pace. Finché giorni fa non è arrivata quella voce del vostro incontro. Vi ho seguiti sino alla torre e fatto un’altra foto. Non so altro, non ho altre foto, è finita qui. Te lo giuro.»
«Calma, va tutto bene.» tornò a rassicurarla Draco. «Ho ancora una domanda, devi essere sincera, Kelly. Da questa risposta può cambiare tutto. È l’unico modo che ho per aiutare tutti a cavarsela senza conseguenze, per favore.»
«O-ok.» singhiozzò, mentre Draco le pose anche l’altra mano sulla spalla.
«Per caso hai scoperto qualcosa di particolare anche su Eli Porter? O ti hanno chiesto di seguirlo o li hai sentiti discutere sul suo conto?»
Kelly inghiottì un grumo di saliva enorme, quindi scosse la testa, negando.
«So che … che è un Auror del ministero. Lo disprezzano, soprattutto Zabini, perché Pansy ha una cotta per lui. Dicono che è lì perché deve controllare che il professor Lupin non ci ammazzi quando c’è la luna piena.»
«Solo questo?»
«Sì.» pianse nascondendo il viso pallido fra le mani in un nuovo pianto violento.
Draco la fissò per qualche istante, quindi le diede una piccola pacca sul capo.
«È tutto ok. Non hai fatto niente di male, andrà bene. Ora sfogati, e appena starai meglio potrai andare via.» sospirò, rimettendosi in piedi.
Lei lo guardò dal basso con un’espressione profondamente dolente ed una punta della stessa attrazione infatuata che gli aveva riservato il primo giorno di scuola.
Annuì, tirando su col naso e non disse più niente.
«Ricordati che siamo dalla tua parte, Kelly. Non solo io ma anche Porter, Granger, i Weasley, Potter, Snape o Lupin. Se mai dovessi avere bisogno di aiuto ti basta rivolgerti ad uno qualsiasi di noi. E stessa cosa vale per Nott, Zabini e Parkinson, se mai dovessero averne bisogno. Non voglio che nessuno faccia loro alcun male, questa storia va risolta fra noi.» concluse, prima di avviarsi alla porta.
La bimba annuì, iniziando lentamente a calmarsi. Quando riuscì a smettere di piangere Draco lasciò l’aula, si richiuse la porta alle spalle e venne raggiunto da Eli che l’attendeva qualche passo più in là.
«Com’è andata?» mormorò l’auror.
«Non mi convince del tutto.» ammise il biondo. «Mi ha spiegato che i mandanti delle foto sono Nott, Zabini e Parkinson. L’avevano istruita affinché seguisse me ed Harry. Le ho chiesto con insistenza se sapesse qualcosa sul tuo conto, e mi ha detto solo che Pansy ha una cotta per te.» fece una smorfia poco convinta. «Certo è che l’hanno intimidita. Non riusciva a smettere di piangere. Le ho detto che la proteggeremo.»
«Lo faremo, è ovvio.» confermò Eli, pensieroso.
Draco cercò lo sguardo dell’altro con uno che era ancora una volta una supplica.
«Tonks.» mormorò pianissimo. «Proteggiamoli tutti. Ti prego.»
Eli inspirò profondamente, e annuì.
«Faremo di tutto per evitare conseguenze gravi o, nel caso peggiore, avere pene lievi, ma dobbiamo scoprire chi è stato a scrivere quel bigliettino a tuo nome, chi ha alterato la pozione di Remus e sbloccato la sua porta un mese fa. Dev’essere stato per forza qualcuno dentro la scuola, e per quanto mi auguri che le uniche colpe di quei tre e di White siano in merito alle foto, non posso fare a meno di sospettare di loro.»
Sentirono dei movimenti da dentro l’aula, una sedia che si scostava.
«Vai da Snape.» gli sussurrò con urgenza Eli. «Và e non farti demoralizzare da quel corvaccio, anzi, aiutalo tu per favore. Io non penso di esserne capace.»
Draco gli rivolse un’occhiata confusa, ma lo lasciò andare e si affrettò ad allontanarsi.
Prima che Kelly mettesse il naso fuori dalla porta, lui bussò ed entrò nell’ufficio di Snape.
«Accomodati, raccontami com’è andata.» lo invitò l’uomo che era in piedi accanto al camino, il bastone sempre saldamente in mano.
Draco andò a sedersi su una delle due poltroncine di fronte alla scrivania del docente.
«Ha vuotato il sacco, ma non credo completamente. Dietro le foto ci sono Nott, Parkinson e Zabini.»
Snape emise un piccolo sbuffo, non sembrava sorpreso.
«E in merito all’identità di Porter?»
«Dice di non sapere niente. Anzi, che Pansy ha una cotta per lui.»
«Effettivamente gli rivolgeva qualche imbarazzante occhiata interessata, qualche volta. Altre sembrava solo indignata.» confermò il pozionista, con una smorfia schifata.
«White è stata minacciata per cercare di tenerla buona. Le ho detto che la proteggeremo e in caso di bisogno di cercarci. Io, tu, Potter, Porter e tutti gli altri.» sospirò stancamente.
Snape si voltò e gli rivolse un’occhiata profondamente seria.
«Se il colpevole dell’agguato è fra quei tre è meglio che non venga fuori, Draco. Specialmente se si tratta di Theodore, il ministero ci metterebbe meno di un minuto a decidere di spedirlo a fare compagnia a Nott senior.»
«Lo so bene. Per quello intendo confrontarmi con loro tre il prima possibile e togliermi ogni dubbio.»
«No. È rischioso.» gli fece notare, funereo.
«Se mi avessero voluto morto … » 
«Non dirlo, non puoi saperlo.» lo interruppe brusco. «Magari mettendoli alle strette li porteresti a non avere altra scelta che nuocerti.»
«Non importa.» sbuffò il biondo. «Questa storia deve finire, devo provarci. Voglio del Veritaserum, Severus. Se non me lo fornirai tu lo produrrò da me.»
L’uomo si schiodò dal camino con una camminata incredibilmente svelta, per quanto claudicante. Raggiunse il biondo in un paio di falcate e gli afferrò una spalla, fissandolo con un’occhiata seria, urgente.
«A furia di baciare Potter sei stato infettato dalla sua sconsideratezza?» sibilò. «Lascia che siamo noi ad occuparcene. O pensi di essere più abile di me, Tonks e la Preside?»
«Non ho detto questo.» mormorò Draco, contrito. «Ma penso che con voi potrebbero essere abbastanza freddi da negare ogni cosa. Sono stato loro amico per una vita, sono arrabbiati ok, ma posso ancora provare a parlargli come tale. Voglio risolvere con loro: sono stato un vigliacco e un amico di merda, devo loro delle scuse. Capiranno che voglio proteggerli, se sarò io ad andare da loro. Senza docenti, ministero o Harry ad intimorirli.»
Snape strinse così forte la mano sulla spalla del ragazzo da strappargli una smorfia infastidita. Prese un respiro profondo, esasperato, e lo lasciò andare di scatto.
«Tonks prima mi ha detto che dovevi parlarmi di qualcosa. Di che si tratta?» chiese secco, andando a sedersi oltre la scrivania.
Draco si riscosse e se possibile si fece ancora più teso.
«Ah. Già.» trasse dalla tasca la lettera di suo padre e la allungò all’uomo.
Snape lesse svelto e serrò le labbra in una smorfia rigida.
«Come hai intenzione di agire? Lo sai che non ho più nessun rapporto coi tuoi genitori, non posso fare niente per aiutarti.»
«Mi avevi detto che ci saresti stato per me, che non sarei rimasto da solo.»
«Sì ma … »
«Non voglio che parli con loro.» chiarì. «Voglio chiederti ospitalità, qualora decidessero di sbattermi fuori di casa. Un posto dove stare finché non riuscirò eventualmente a trovarne uno per me.»
Snape inarcò un sopracciglio.
«Quindi non intendi negare.»
«No.»
L’altro reagì con una smorfia ancora più secca e insoddisfatta.
«Va bene. Se servirà ti darò ospitalità.» concesse, salvo poi aggiungere, dubbioso. «Avevo sentito dire che ti avessero intestato una casa in campagna.»
«Sì, per non farsela sequestrare dal ministero mesi fa. Ma è mia solo sulla carta, non era un contratto magico. Senza la loro autorizzazione non potrei comunque entrarci.»
Severus emise un sospiro pesante, scosse il capo.
«Te l’avevo detto che questa relazione sarebbe stata problematica. E questo è solo l’inizio.»
«Non mi sono mai illuso che sarebbe stato semplice.» ammise il biondo. «Ma più vado avanti più penso che ne valga la pena.»
«Perché?» mormorò l’altro, corrucciato.
«Perché è bello non sentirsi più solo.»
«Potresti avere chiunque altro, per non sentirti più solo.»
«No, perché a darmi quella sensazione è solo lui. E non c’entra niente col sesso o la normale compagnia di un amico. Non è qualcosa che riesco a spiegare. So solo che … ne vale la pena.» concluse con fermezza.
Severus lo fissò a lungo, insolitamente a corto di risposte.






Dopo cena, lungo la strada per i dormitori di Serpeverde, Nott, Parkinson e Zabini intercettarono Kelly in barba ad ogni cautela e la costrinsero a seguirli verso la consueta aula vuota dove erano soliti riunirsi.
Quando la porta fu sigillata, Nott si voltò rabbioso verso la bambina e quella indietreggiò così svelta verso la cattedra che quasi ci finì stesa sopra.
«Mi hanno riferito che Snape ti ha trattenuta dopo le lezioni del pomeriggio. Cosa voleva?» sibilò duro, avvicinandosi alla piccola.
Pansy e Blaise rimasero leggermente in disparte a fissare la scena, rigidi come statue.
Kelly prese leggermente a tremare.
«Mi ha fatto delle correzioni ad un compito. Ma poi è arrivato Malfoy.» mormorò.
Nott sgranò gli occhi fissandola con un’intensità capace di innescare un incendio.
«Cosa ti ha detto quel cane?»
«Sapeva di me e le foto. Ho negato in ogni modo, ma ne era sicuro, non mi ascoltava.»
Anche Nott iniziò a tremolare, ma l’espressione iraconda tradiva una tensione nervosa.
«Quindi hai vuotato il sacco?» ringhiò.
«N-no. Cioè, solo sulle foto, alla fine.» pigolò la bimba. «Lui ripeteva che vuole proteggerci tutti. Che non vuole che questa faccenda diventi una cosa grave, o che ci si mettano in mezzo quelli del Ministero. Non gliene fregava niente delle foto, voleva sapere di Porter. Ha parlato di un agguato.»
Nott se possibile si incupì ancora di più.
«Un agguato. E tu che cazzo gli hai detto?»
«S-su questo ho negato.» tirò su col naso. «Gli ho detto che mi avete chiesto di fare le foto e pedinare solo lui e Potter. E mi ha creduto.»
L’altro sembrò calmarsi un po’ e indietreggiò, pensieroso.
«Noi non abbiamo fatto nessun agguato.» intervenne Pansy, sebbene la sua voce fosse flebile. «Se davvero non gli importa delle foto allora siamo al sicuro, no?»
«Se teniamo la bocca chiusa sì, siamo al sicuro.» mormorò basso e cupo Theodore.
«Malfoy dice che … » tentò ancora la bambina, ma Theodore la zittì.
«Malfoy sta con Potter, e dice un sacco di stronzate. Non fidarti, mai. Non dirgli niente che possa portarlo a fregarci.» Quindi si voltò verso gli altri due. «È la sua parola contro la nostra. Non dategli niente con cui può portarci dalla Preside, o diventeremo il loro fottuto capro espiatorio com’è successo a mio padre.» intimò, e nessuno ebbe il coraggio di contraddirlo.
Annuirono tutti in silenzio, e dopo un altro giro di occhiate severe, Theodore fu il primo a lasciare la stanza.
Rimasti soli, Pansy si avvicinò a Kelly, tallonata da Blaise.
«Ehi. Sei stata brava, non dare retta a Nott, è sempre più nervoso ma non ti farà davvero del male.» le spiegò con un accenno un po’ titubante di sorriso. 
Kelly trasse un respiro tremulo, calmando a fatica le lacrime.
«Malfoy sembrava sincero, quando diceva che voleva proteggere noi Serpeverde.» mormorò. «Nott mi fa più paura.»
«Sai la cosa ironica, Kelly? Malfoy ha il marchio nero, Theo no. Non ha mai fatto male a nessuno, si è sempre fatto gli affari propri nonostante gli ideali del padre. È solo molto frustrato perché è rimasto da solo e senza soldi, senza prospettive, e non sa se gli faranno mai rivedere il padre. Neanche i nostri genitori vogliono averci a che fare. Gli hanno fatto terra bruciata attorno e Blaise ed io siamo gli unici amici che gli restano da quando Draco ci ha mollati.»
Kelly abbassò il capo, con aria mesta e Pansy proseguì.
«Dobbiamo lasciarlo sfogare un po’ e se dare il tormento a Malfoy farà sentire meglio Theodore beh, ci sta. Io non intendo collaborare con quel traditore.»
«Neanche io.» si unì Blaise. «Malfoy ha già abbastanza potere e amicizie per cavarsela e non è affidabile. Dobbiamo proteggerci fra noi, non credergli. Non è questione di lealtà e principi sciocchi da Tassorosso. Qui si tratta di sopravvivenza o diventeremo davvero sempre il capro espiatorio di tutti. Hai visto fin dal primo giorno come ci trattano tutti.»
La bambina annuì e Pansy le indicò la porta.
«Ormai non serve più a molto la cautela nel non farci vedere assieme. Andiamo.» sospirò stancamente, e così lasciarono l’aula.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** La determinazione dei Serpeverde ***




Era ormai arrivato metà novembre e Draco aveva convinto faticosamente tutti a non intervenire nei confronti di Nott, Parkinson e Zabini, e di lasciare a lui l’ultimo tentativo di convincerli a collaborare. Giorno dopo giorno non era riuscito però ad avvicinarli, visto che i tre, come anche Kelly White, facevano di tutto per non rischiare di incrociarlo o restare da soli con lui. Fra studio e dolorosi allenamenti in vista del pieno della stagione di Quidditch, il suo tempo e le occasioni si erano ulteriormente ridotti.
L’ultimo incontro fra Serpeverde e Corvonero fu uno dei match peggiori della storia dei verde argento. Persero con uno scarto enorme, e la squadra non aveva più unione né motivazione. Draco si era beccato un bolide che nessuno dei suoi battitori s’era preso la briga di fermare, e con il cercatore di riserva, la partita era finita in meno di quindici minuti.
L’unica nota positiva di quell’infelice domenica fu che il biondo, di ritorno dall’infermeria, trovò finalmente la fortuita occasione che cercava da giorni. Blaise e Pansy stavano finendo di redigere una lunga e tediosa relazione di pozioni in sala comune e Nott era seduto poco più in là a ripassare.
Quando entrò e gli altri tre lo videro lo fissarono con astio e si alzarono, ma Draco fu più svelto. Trasse svelto la bacchetta e appellò i fogli con la relazione, che schizzarono via dalla scrivania sotto il naso di Pansy fino alle sue mani.
«Ma cosa … ?»  squittì indignata la ragazza.
Draco fece dietrofront e corse fuori dal dormitorio.
«Diamine, no! Ho appena finito di scriverla!» ruggì la ragazza lanciandosi all’inseguimento del biondo. Zabini si accodò e a seguire Nott, con un ringhio infastidito.
«Non seguirlo, lascialo perdere!» le ruggì dietro, ma la ragazza era già fuori.
Draco corse fino all’aula vuota di pozioni, spostandosi sul fondo. Gli altri tre lo raggiunsero e lui sigillò la porta alle loro spalle. Pansy appellò a sé i compiti che le erano stati sottratti, mentre gli altri due estraevano la bacchetta e la puntavano verso Draco, guardandosi intorno tesi.
«Non è una trappola.» spiegò il biondo, ansante nonostante la breve corsa. «Mettetele giù. Siamo soli.» sbuffò. «E finitela con questa idiozia del silenzio, parlatemi e chiariamoci!»
A rompere il trattamento del silenzio che andava avanti da settimane fu Pansy, che stringeva gelosamente le pergamene appena recuperate.
«Chiarire? Cosa c’è da chiarire, Malfoy? Ci hai piantati in asso, ed ora che stai subendo le conseguenze che ti meriti non ti va più e vuoi una tregua?»
«Lascialo perdere, andiamocene.» sibilò Nott.
«Che ci fai in giro a quest’ora? Non dovresti essere alla partita?» obiettò invece Zabini.
«No, non voglio chiarire per quello.» spiegò il biondo a Pansy, prima di rivolgere uno sbuffo noncurante a Blaise. «È finita poco fa, abbiamo perso.»
«Come diamine avete fatto a perdere in, quanto, quindici minuti?» sbuffò il moro.
«Al diavolo il Quidditch!» ruggì Pansy. «Spiegami per cosa vorresti chiarire. Sentiamo.»
Draco si avvicinò cauto ai tre. Aveva il passo un po’ malfermo e una pessima cera. I vestiti gli cadevano leggermente più larghi del mese prima.
«Qualcuno un mese fa ha cercato di far ammazzare Potter da Lupin, usando un particolare stratagemma per allontanare Eli Porter dalla sua postazione, alterando la pozione Antilupo per far finire Potter fra le sue grinfie. Un agguato ben studiato, per cui era necessario avere delle informazioni abbastanza riservate su noi e Porter. Subito dopo è venuta fuori la prima foto fra me ed Harry, ed è diventato palese che qualcuno ci spiasse.»
«E quindi?» sibilò Zabini.
«E quindi, significa che c’è qualcuno dentro la scuola che sta agendo nell’ombra, e indovina quale casata è entrata subito nel mirino del Ministero? Quando abbiamo scoperto chi c’era dietro le foto, chi ci aveva palesemente seguiti da giorni, indovina un po’ chi s’è preso addosso tutti i sospetti?» spiegò sarcastico.
Pansy inghiottì a vuoto, mentre a parlare fu Nott.
«Sai benissimo ormai che a fare le foto è stata White. Cosa diamine c’entrerebbe con questa storia dell’agguato a Potter e Lupin?»
«Tutto o niente, potenzialmente, ed è questo il problema. Per quanto mi riguarda non me ne importa un cavolo delle foto, o di quanto sangue finto mi metterete a mensa o sul letto, o delle botte che mi tirano quelli della squadra e del trattamento del silenzio.» fu il suo turno di lasciar trasparire una rabbia svogliata. «Sono pronto a prendermi le conseguenze delle mie azioni: sono stato un amico di merda e so che delle mie scuse non ve ne farete un bel niente, ma questo è il mio modo per farvele. Non mi interessa una tregua, voglio solo fare in modo che la faccenda dell’agguato venga risolta senza che nessuno di voi finisca ad Azkaban. Voglio proteggervi, diamine!» sbuffò esasperato.
Nonostante tutti e tre lo fissassero con astio, rimasero zitti per qualche attimo, intenti a riflettere.
«Perché dovremmo crederti? Ovvio che ti importa delle foto e del resto, o non avresti fatto quel casino giorni fa per delegittimarle.» obiettò cupo Nott.
«Non mi importa nel senso che non mi interessa che qualcuno prenda provvedimenti verso di voi.» Precisò Draco, stancamente. «Perché pensate ci sia io ora a farvi questi discorsi e non Porter o direttamente la preside?»
I tre si scambiarono un’occhiata tesa.
«Quindi cosa vuoi, Malfoy?» rincarò sempre Nott.
«Voglio che siate sinceri.» mormorò quello, fissandoli intensamente. «Che mi diciate se dietro l’agguato a Potter c’è uno di voi o qualcuno che conoscete. Se si tratta di uno studente possiamo cavarcela con una punizione scolastica e chiuderla in silenzio. Ho convinto tutti a risolverla così a patto che venga fuori il colpevole e che questa storia finisca qui.»
«E se non fosse stato nessuno di noi a fare quella roba? Ci hai pensato o anche tu dai per scontato che il colpevole sia davanti a te? Se non sapessimo nemmeno chi possa averlo fatto?» intervenne Zabini.
Draco lo fissò dritto negli occhi.
«Se fosse così mi augurerei soltanto che siate stati davvero sinceri con me, perché io sarei l’ultima spiaggia che vi resta, in caso contrario.»
«Ci stai chiedendo di fidarci di te, ma non tu non ti fidi palesemente di noi.» sbuffò Pansy che iniziò a muoversi verso l’uscita. «Per me direi che abbiamo chiarito a sufficienza.»
«No Pansy. Io non vi sto chiedendo, vi sto dimostrando che potete fidarvi di me. Non volete che venga fuori una cosa simile? Almeno confessatelo a me. Solo a me. A chiudere questa faccenda ci penserò io. Vi prego, se sapete qualcosa ditemelo.» concluse, teso e dolente.
Ci fu un lunghissimo attimo di silenzio e immobilità generale, e a romperlo fu Nott.
«Sai cosa ho sentito dire a due ragazzini Grifondoro l’altro giorno?» spiegò rigido. «Nessuno può fidarsi di un Serpeverde. Mai.»
Sollevò verso Draco un’occhiata meno aggressiva di prima, più tendente all’infelice e anticipò persino Pansy in favore dell’uscita. La ragazza lo seguì poco dopo, sguardo basso e una stessa infelicità di fondo a piegarle le spalle. 
L’unico che si attardò fu Zabini. Andò a fermarsi di fronte al biondo e lo squadrò da capo a piedi con una smorfia diffidente e un po’ rigida, le braccia incrociate al petto.
«Se non mangi qualcosa non ti reggerai sulla scopa, al prossimo match.» mormorò ostentando un tono casuale, disinteressato.
Draco lo guardò un po’ stupito, poi fece spallucce.
«A fine partita ho detto al capitano e a Severus che intendevo smettere.» ammise. «Non mi divertivo più e sono stanco di prendere mazzate ad ogni allenamento.»
«Fantastico.» sbuffò sarcastico il moro. «Le chance di vittoria di Serpeverde sono definitivamente crollate.»
Fece per allontanarsi, ma Draco lo fermò.
«Blaise. Hai mandato tu la foto di me e Potter a mio padre?»
L’altro si voltò, un sopracciglio inarcato.
«Non ho mandato proprio un bel niente. Credo sia stato Nott.»
«Mh. Immaginavo.»
«Come l’ha presa la tua famiglia?» indagò dunque.
«Male.»
Blaise non si tenne un bocca un sorriso compiaciuto.
«Quanto?»
«Probabilmente non mi faranno rimettere piede in casa.»
L’altro rise, in faccia una smorfia scettica.
«Tua madre non reggerà due mesi senza vederti, te la caverai con niente e tutto finirà bene. Come sempre per te.»
«Quindi secondo te io me la sto cavando con niente, Blaise? Me la sto cavando bene?» ringhiò quasi. «E se già ho questi problemi qui a scuola, pensi che fuori mi andrà meglio stando al fianco di Harry? Pensi al mondo piacerà vedere che un eroe sta con un reietto come me?»
Blaise tornò a fronteggiarlo, allungò una mano verso il suo viso e quello chiuse di scatto gli occhi, in allerta. Non gli arrivò nessuno schiaffo però, solo una mezza carezza su una guancia.
«Avresti potuto avere molto di meglio di Potter. Guarda come ti sei ridotto: guance incavate, occhiaie, ansie, problemi su problemi da risolvere.»
Draco schiuse gli occhi, stordito e sorpreso da quel tocco.
«Di meglio? Tipo? Tu mi hai rifiutato.» gli ricordò con un sorriso amaro.
Blaise ritrasse la mano, ricambiando l’espressione con una simile.
«Non parlavo di me, lo sai chi mi piace davvero.»
«Pansy, già. Resta il fatto che per ciò che provo da mesi, il meglio per me è proprio Potter.»
«Potter non ti darà degli eredi purosangue con cui mandare avanti il nome dei Malfoy.»
«Oh piantala, come se me ne fosse mai fregato qualcosa. Pensa a Pansy. Potrei dirti che anche tu potresti avere di meglio e conoscendo i gusti di tua madre direi una ragazza almeno dieci volte più ricca. Eppure non credo te ne freghi niente: tu vuoi lei, come io voglio Potter. Fine.» chiarì deciso.
Blaise fece una smorfia poco convinta, ma non obiettò e iniziò anzi a muoversi verso l’uscita.
«Dirò agli altri di smetterla col sangue, almeno a tavola: è un peccato vederti sfiorire così.» concesse stizzito, prima di filare fuori senza salutarlo.
Draco scosse il capo e sbuffò nervoso. Rimasto solo si mise a sedere sulla prima sedia libera con un sospiro sfiancato, l’espressione mogia e sconfitta.





Il pomeriggio successivo, mentre il grosso degli studenti era fuori per una delle prime visite ad Hogsmeade, la McGonagall convocò nel suo ufficio tutte le parti interessate alle indagini.
Draco ed Harry si trovarono lungo il corridoio poco lontano dall’ufficio della preside. Lì il moro gli si avvicinò e approfittò della solitudine per rubargli un bacio al volo.
«Credo che presto potrai farlo senza guardarti intorno come un ladro.» lo informò Draco, con un sarcasmo debole.
«Mh?»
«Ho scritto a papà ieri. Gli ho confermato che la foto era vera. Mi sono sentito come … libero da un macigno, sai? Penso non me ne importi più niente delle reazioni negative dei miei compagni. Anzi, a volte penso solo di meritarmele.» confessò pianissimo.
Harry sorrise sulle prime, ma verso il finale strinse le labbra.
«Ok, forse un pizzico di bullismo te lo meritavi dopo tutti questi anni a fare lo stronzetto.» ironizzò, fra serio e faceto. «Ma questo non è un pizzico, e non te lo meriti manco un po’. Pensi non mi sia accorto che non mangi bene da settimane? Sulla scopa non riuscivi manco a stare dritto ieri, forse ormai sei più leggero di lei.»
Draco sbuffò con una smorfia fra offeso e divertito e gli rifilò una gomitata fra le costole.
«Ouch.»
«Adesso andrà meglio. Zabini ha detto che la pianteranno col sangue. Il Quidditch onestamente non mi interessa più. Non sono più in condizione di batterti con una squadra simile. Non c’è più gusto.»
«Ah ecco. Confermi che giocavi praticamente solo per me allora.» lo provocò il moro facendogli il solletico a un fianco.
«Pensavo fosse scontato.» ridacchiò Draco.
Harry gli allacciò un braccio intorno alle spalle e se lo strinse un po’ più vicino mentre percorrevano gli ultimi metri. Draco lo acchiappò per la veste all’altezza del fianco e proseguì, poco più serio.
«Stamane mi è arrivata una lettera da mamma. Diceva di non dar troppo peso alle parole di papà, che gli passerà, anche se è meglio che non torni per Natale.» poi cercò lo sguardo dell’altro con una smorfia strana, quasi imbarazzata. «Ah e … mi ha anche detto di scordarmi di andare da solo con te alla casa in campagna.»
Harry non riuscì a restare serio sul finale.
«Dannazione. I nostri gloriosi piani di intimità.»
«Ci toccherà farlo qui a scuola o in una lurida camera d’albergo ad Hogsmeade.» sbuffò il Serpeverde, arricciando il naso sull’ultima ipotesi.
Si scambiarono un sorriso frustrato e si lasciarono andare appena arrivarono alla porta. Dopo aver bussato, la voce della preside li invitò ad avanzare.
L’ultimo ad arrivare pochi minuti dopo fu Snape e una volta riuniti tutti, la porta venne protetta con gli usuali incantesimi.
Alla scrivania era seduta la McGonagall, mentre sulle due sedie davanti alla donna c’erano Lupin e Tonks, la seconda nelle sue sembianze reali. Snape si era accomodato ad una seggiola poco più in là, mentre Draco, Harry ed Hermione avevano preferito stare in piedi.
«Malfoy raccontaci com’è andata, per favore.» lo invitò cortese la preside.
«Parkinson, Nott e Zabini hanno confermato sostanzialmente la versione di Kelly White: dicono di averle fatto scattare le foto a me ed Harry e di averle diffuse, ma che non c’entrano niente con l’agguato di fine settembre.»
Tonks sbuffò, ma non lo interruppe.
«Non ho rivelato loro l’identità di Tonks, e gli ho spiegato più che bene il rischio che corrono eventualmente a mentire su una cosa simile. Gli ho offerto la prospettiva di cavarsela con una semplice punizione scolastica come avevamo detto, qualora ci avessero consegnato il colpevole o eventualmente confessato. Gli ho spiegato bene che io ero l’ultimo approccio gentile alla faccenda, che dopo di me ci sarebbe potuto essere ben di peggio.»
«E hanno continuato a dichiarare di non saperne nulla?» commentò Tonks, scettica.
«Sì.» confermò Draco, serissimo.
«Tu che ne pensi?» lo interrogò dunque la preside. «Ti sembravano sinceri?»
«Sì, ma ovviamente non posso escludere che mentissero.» ammise controvoglia. «Però … sembravano meno ostili. Zabini si è anche fermato a parlare un po’ con me, da solo, e mi ha detto che avrebbe fatto finire alcuni brutti scherzi che gli altri mi stavano facendo.» spiegò lanciando un’occhiata speranzosa a tutti.
«Non è abbastanza, Draco.» fu proprio Nymphadora a obiettare con urgenza. «Non possiamo far finta che non sia accaduto niente. Che fosse qualcosa al pari di quei brutti scherzi che ti hanno fatto nelle ultime settimane.»
«All’ultimo plenilunio non è successo niente.» provò a dargli supporto Harry, anche se non sembrava troppo convinto.
«Magari era solo un caso o per via delle misure di sicurezza rafforzate.» obiettò Snape.
«Senti Draco, lo capisco che sono i tuoi vecchi amici e ci tieni a loro.» parlò Tonks con una smorfia contrita. «Ma non possiamo correre il rischio di lasciarli andare solo sulla fiducia. Dobbiamo interrogarli ancora, e riferire al Ministero per avere l’autorizzazione ad usare ogni mezzo, incluso il Veritaserum. Se sono innocenti verrà fuori e non gli accadrà nulla.»
Draco cercò una mano di Harry con discrezione fra le volute delle relative vesti. Fra le sue dita c’era un’urgenza nervosa e il moro gliele strinse e carezzò lentamente.
«Tonks ha ragione.» rincarò con sufficienza Snape. «Questa storia non può venire ignorata solo perché sembra tutto tranquillo.»
«Però se fossero davvero loro i colpevoli, con un avviso simile penso starebbero buoni.» spiegò Hermione. «Forse potremmo provare a battere altre piste.»
«No. Non abbiamo altre piste sensate e non possiamo far finta di nulla e andare avanti.» sbottò Tonks, i cui capelli si erano tinti di uno sgradevole verdognolo. «Se un colpevole non verrà trovato, Remus dovrà lasciare il lavoro.»
«Cosa?!» sbottò Harry. «E perché mai?»
«Perché significherebbe che la mia presenza qui è eccessivamente rischiosa per gli studenti, oltre che per me.» gli spiegò il diretto interessato. «Te la sei cavata, al nostro ultimo incontro, ma avrei potuto ferirti in maniera più grave o … »
«No!» sbottò ancora il Grifondoro, che nella foga del momento lasciò andare la mano di Draco. «No, no. Non ha senso, sarebbe come piegarsi al capriccio del colpevole, punendo te.»
«Tenerlo lì senza avere disarmato il colpevole significherebbe esporre tutti ad un rischio grave, Potter.» lo redarguì aspro Snape.
«E allora andiamo avanti con le indagini. Chiediamo il permesso al Ministero di interrogare Zabini, Parkinson e Nott col Veritaserum.» soffiò il moro, con una punta di panico nello sguardo.
Draco era impallidito più del normale.
«No.» ringhiò basso, guadagnandosi diverse occhiate spiazzate.
«Draco?» mormorò piano Harry, guardandolo confuso. «Hai detto che ti sembravano sinceri. Se non hanno colpe no-»
«E se invece qualche colpa la avessero, anche solo in parte? Se sapessero qualcosa e finissero per venire processati? Li manderesti praticamente ad Azkaban, specialmente Nott che ha il padre già lì dentro! La situazione è stabile così com’è, non è successo altro e loro sono stati avvisati. Se anche dovessero avere una qualche colpa praticamente finirebbe tutto qui, loro sono a posto.» parlava con un affanno eccessivo, come se avesse appena corso. «Riusciresti a garantirgli di salvarsi, se finissero fra le grinfie del Ministero?»
Harry lo fissava con una smorfia contrita.
«Quindi per salvare potenzialmente loro, dovrebbe rimetterci Remus?» la sua voce era di poco più alta, nervosa. «Se fossero loro i colpevoli o i complici, cosa che a questo punto mi sembra quasi ovvia, dovremmo lasciarli liberi e impuniti e scacciare per la seconda volta da Hogwarts una persona che non ha alcuna colpa?»
Draco strinse i denti, pallido e spaventato com’era non trovò nemmeno le energie di rispondere alla furia del moro, che continuò a parlargli sempre più forte.
«Gli hai dato tempo e tutte le occasioni del caso per collaborare. Se non hanno colpa ne usciranno indenni, se hanno colpa beh, sarà solo un problema loro e si prenderanno la punizione che gli spetta.»
«Harry.» chiamò Hermione, posandogli una mano sulla spalla.
«Per una volta sono quasi d’accordo con Potter.» intervenne Snape, richiamando prepotentemente l’attenzione di tutti. «Il Veritaserum può essere d’aiuto, ma non è una risorsa infallibile. Esistono metodi per aggirarlo, se si è sufficientemente preparati, altrimenti gli interrogatori del Ministero durerebbero tutti pochi secondi. Anche con questo strumento potremmo ritrovarci di fronte ad un nulla di fatto con dei potenziali colpevoli in libertà. Dobbiamo estendere le indagini e intanto la soluzione più sicura per tutti è una sola.» concluse ruotando il capo verso Remus con un’occhiata dura, eloquente.
Harry, livido di rabbia, fece qualche passo verso il pozionista.
«L’hai già cacciato una volta. Non ce la fai proprio a farti passare l’odio per lui?»
«Potter!» lo richiamò indignata la preside. «Un po’ di rispetto!»
«Harry, per favore.» fece eco anche Remus.
«No, sono stanco di queste cose.» ruggì il Grifondoro. «Sono stanco di scendere a compromessi e veder soffrire le persone che non lo meritano. Non ho combattuto per questo, mi rifiuto di perdere Remus un’altra volta. Lui merita quella cattedra più di chiunque altro.»
Draco tremava leggermente, ormai distante qualche passo da Harry che fissava con aria ferita e dolente.
«Harry.» lo richiamò debole, avvicinandoglisi.
«Malfoy?» mormorò Hermione, che fissava l’altro apprensiva.
Harry si voltò di scatto verso il biondo, l’espressione iraconda ancora fresca sul viso. Non fece in tempo ad aprire bocca che l’altro ebbe un brusco capogiro e cadde in avanti. Il moro scattò subito e con lui Hermione anche se lei era troppo indietro per fare qualcosa.
«Draco!» esclamò mentre afferrava il ragazzo, tirandoselo in parte contro e in parte accompagnandolo gentilmente a terra, disteso.
Tutti si alzarono allarmati e, a scapito della lieve zoppia, il primo ad arrivare e chinarsi sul biondo fu Severus.
«Draco?» lo richiamò con urgenza. Gli andò ad afferrare il polso, mentre Harry gli controllava il capo.
 Aveva gli occhi chiusi, il viso cinereo e sudato.
«Ha la febbre, ed è debole: sono settimane che non mangia decentemente.» spiegò agitato il Grifondoro.
«In infermeria, subito! Potrebbe essere solo un malore ma anche peggio.» ordinò la preside, che si chinò a sfiorare la fronte di Draco mentre Snape continuava a studiarne le condizioni.
Nessuno ebbe niente da obiettare.






Visto lo stato d’ansia generale - in particolare quella di Harry - Madam Pomfrey preferì visitare Draco da sola. Il gruppo si spostò così nella stanza adiacente per proseguire la riunione. Era la stanza riservata alle scorte mediche, dunque lo spazio era poco ed erano circondati da libri, boccette di vetro, unguenti e qualche strano strumento. 
Nonostante la Preside avesse fatto comparire sedie comode per tutti, Harry era rimasto in piedi vicino alla porta, e passeggiava nervosamente avanti e indietro.
«Harry, siediti e sta tranquillo per favore. Madam Pomfrey ha già confermato che non si tratta di un avvelenamento.» lo invitò Hermione lì accanto, esasperata.
«Puoi escludere una maledizione?» sbuffò il ragazzo senza fermarsi.
«Hai detto tu stesso in che condizioni fisiche era, Harry.»
«Non sembrava avere alcun segno di maledizioni, per quanto poco posso averlo studiato nel tragitto.» intervenne Snape, che nonostante tutto non riusciva a smettere di stringere convulsamente il bastone. «Ora per favore siediti e finiamo di discutere quel che abbiamo interrotto. Puoi anche tornare a insultarmi se ti pare, ma piantala di far innervosire tutti, Potter.» sibilò con un sarcasmo fiacco.
Harry gli scoccò un’occhiata apertamente ostile ma obbedì e tornò seduto.
«Prima ho perso la pazienza, e le chiedo scusa, professor Snape.» masticò nervoso fra i denti. «Però nella rabbia la mia domanda era genuina e vorrei una risposta, qualunque essa sia. Vuole davvero cacciare Remus per un’idiozia come un’antica rivalità mai superata, o perché vuole la cattedra di Difesa?» sbuffò scettico.
Remus, che era seduto accanto ad Eli, fece per intromettersi ma fu proprio l’auror a sfiorargli la spalla e bloccarlo.
Nessuno osò muovere obiezioni a quelle domande, gli occhi puntati tutti sul pozionista seduto alla destra della preside.
«Può darsi.» dichiarò quello, con la consueta sgradevole freddezza. «O forse voglio genuinamente proteggere gli studenti e persino lui. Non contempli proprio tale possibilità?»
«Chi gli ha teso l’agguato poteva voler colpire me nello specifico, ma anche lui. E vista la lettera falsa arrivata dal Ministero il responsabile è tanto qui fra noi quanto all’esterno.» obiettò Harry. «Mandarlo via significherebbe esporlo a rischi.»
Snape esitò, forse per la prima volta nella vita mentre discuteva con Harry, e tale indugio diede modo ad Eli di inserirsi con un’urgenza improvvisa.
«Harry non ha tutti i torti.»
«Dora, è improbabile che fossi io l’obiettivo.» sospirò il licantropo. «Avendo avuto accesso alla pozione Antilupo, al colpevole sarebbe bastato avvelenarla, anziché zuccherarla. Io ero solo lo strumento per nuocere ad Harry.»
«Non possiamo esserne certi.» si inserì il ragazzo. «Magari volevano farci fuori entrambi? Finché resti qui possiamo difenderci più facilmente. Fuori significa stare divisi, e la minaccia è palesemente oltre lo scherzo di un paio di studenti arrabbiati.»
«Harry ha ragione.» disse Eli. «Continui a vederti come un problema, ma dimentichi il tuo valore come stregone e come docente. Noi abbiamo bisogno che tu stia qui.»
Remus chiuse gli occhi e parlò basso, cupo.
«Io sono oggettivamente un problema, Dora. Ovunque mi inserisca, rappresento un rischio.»
«Hai frequentato questa scuola come studente per sette anni, insegnato per quasi uno e non è morto nessuno, Remus.» Eli alzò sensibilmente la voce. «Abbiamo abbassato la guardia una volta sola, lasciando incustodite le tue pozioni perché non potevamo immaginarci che qualcuno le avrebbe adulterate. Ora non accadrà più. Sei al sicuro qui, la scuola è al sicuro da te: mi spieghi che diamine dovrebbe accadere?»
Remus riaprì gli occhi e gli scoccò un’occhiata profondamente dolente, ma non riuscì a controbattere.
Come lui, anche Severus sembrava roso dai dubbi.
«Abbiamo ancora una strada da tentare prima di pensare ad allontanare Remus, no?» intervenne Hermione, rompendo l’attimo di tensione generale. «L’interrogatorio a Nott, Zabini e Parkinson da parte della Preside o del professor Snape potrebbe funzionare più del tentativo di Draco, e come ultima spiaggia rimarrebbe il Ministero.»
Harry rivolse un’occhiata alla porta, ansioso, quando il nome di Draco solcò le labbra dell’amica.
Tutti cercarono con uno sguardo teso e speranzoso la preside, che si massaggiò una tempia fra le dita e alla fine emise un sospiro lento, dolente.
«Mi dispiace molto sia per Draco che per Remus, qualsiasi decisione io prenda rischierà di danneggiare ambo le parti. Ma devo dare priorità alla sicurezza di tutti. Procederemo con l’ultimo interrogatorio, davvero l’ultima chance che possiamo offrire. Eli parlerà con Parkinson, io con Zabini e Severus con Nott. Se questo passaggio non dovesse darci risposte soddisfacenti chiederemo al Ministero di procedere con tutti i suoi mezzi, anche se ciò dovesse significare il rischio di far finire qualcuno di loro ad Azkaban. In tal caso faremo del nostro meglio per aiutarli, ma a quel punto sarà al di là delle nostre possibilità.»
Nessuno, nemmeno Tonks, sembrava felice dell’ultima eventualità.
«Procederemo subito noi tre. Mentre in merito al Ministero, in caso si renda necessario, li avvertiremo subito dopo Natale, in modo tale da lasciare tranquilli gli studenti almeno per le feste.»
«Ancora un plenilunio dunque?» mormorò Lupin.
«Sì. E lo farai come il precedente, Remus. Al sicuro nel tuo ufficio e ben sorvegliato.» decretò la preside.
Remus trasse un respiro profondo, ma alla fine annuì.
«Se non dovesse saltare fuori nessun colpevole, nemmeno dopo le indagini del Ministero, sarò io a dimettermi.»
«Remus.» mormorò dolente Eli.
Harry dondolava nervosamente una gamba, la mascella contratta, ma non disse nulla.
Ogni ulteriore discussione venne sospesa quando Madam Pomfrey entrò nella stanza, annunciando che Draco stava meglio.
Per evitare di affaticarlo con le visite, tutti preferirono lasciare che fosse Harry a stargli accanto, così si congedarono. Snape in particolare andò via solo dopo aver strappato ad Harry la promessa che non avrebbe fatto stressare ulteriormente il compagno.
Quando Harry arrivò al letto di Draco lo trovò seduto, la schiena contro un mucchietto di cuscini. Aveva l’aria più tranquilla rispetto a poco prima, il colorito più sano. 
Si fissarono in silenzio per qualche attimo, seri, tesi, quindi Harry si mise a sedere accanto a lui e gli sfiorò una mano con la propria.
«Scusa se prima ti ho urlato contro.» mormorò.
Draco non ricambiò il tocco delle sue dita, facendo una piccola smorfia amareggiata.
«Cos’hanno deciso?» gli chiese basso, funereo.
«Gli daranno un’ultima chance. L’ultimo interrogatorio lo faranno Snape, Tonks e la McGonagall, rispettivamente con Nott, Parkinson e Zabini.»
«Useranno il Veritaserum?»
«No. Se non dovessero convincerli della loro innocenza procederanno con l’informare il Ministero, dopo Natale.»
Draco chiuse gli occhi.
«Se non dovessimo trovare il colpevole nemmeno così, Remus si dimetterà.»
«Non li convinceranno mai.» mormorò cupo il biondo. «Non hanno convinto nemmeno me. Tanto vale chiamare subito il Ministero.»
«La preside preferisce lasciare che tutti si godano tranquillamente le feste.» spiegò Harry con la massima delicatezza possibile.
«L’ultimo Natale prima di rischiare di finire ad Azkaban.» sorrise amaramente l’altro. Quando riaprì gli occhi andò finalmente a stringere la mano del moro. «Anche io ti devo delle scuse.» ammise un po’ teso.
«No, non me ne devi.»
«Sì invece. Ci ho pensato fino ad ora e, beh, di Lupin scusa ma non me ne importa molto. Ho capito perché vuoi che resti, oltre all’ingiustizia: immagino che per te sia come un padre, ormai.»
Harry sgranò gli occhi, sorpreso. Annuì muto, senza interromperlo.
«Ma è un adulto, e anche se la sua maledizione non è colpa sua, se rischia di diventare un’arma involontaria penso sia meglio che vada via. Nott, Zabini e Parkinson sono ragazzini come noi e possono aver fatto un errore così come l’ho fatto io o come lo fece Severus, mio padre e tanti altri. Sono quasi certo ormai che c’entrino qualcosa nell’agguato, ma meritano una seconda chance come l’abbiamo avuta praticamente tutti. Loro per me valgono più di Lupin.»
Harry fece per parlare, ma Draco gli strinse più forte la mano e gli rivolse un’occhiata intensa, bloccandolo.
«Ti devo delle scuse perché sono stato egoista, ho ceduto all’ansia e non ho pensato che c’è anche una terza parte da proteggere. Tu. Ho dato per scontato, ancora una volta, che tu fossi invincibile. Il protettore di tutti che non ha bisogno di essere salvato o difeso.» la sua espressione era profondamente amareggiata, costernata. 
«L’obiettivo di quell’agguato eri chiaramente tu, Harry. E tu per me sei un gradino sopra i miei vecchi amici: è te che devo e voglio proteggere, prima di chiunque altro. Perché non sei invincibile, quindi per favore smetti di comportarti come tale e scusami se ogni tanto me lo scordo.» concluse, con gli occhi lucidi.
Harry scattò verso il ragazzo e lo strinse in un abbraccio forte, bisognoso, che venne subito ricambiato.
«Mi dispiace, Draco.» gli mormorò contro una guancia. «Mi dispiace che sia tutto così difficile. Non ti posso giurare che sarà la prima ed ultima volta, se mi starai accanto.»
Draco lo afferrò ai lati del volto e lo costrinse a scostare il capo per guardarlo negli occhi coi propri arrossati, lucidi, ma decisi.
«Harry. Poco fa ho pensato a te morto e i miei amici vivi e impuniti. Ho capito che, se servisse a proteggerti, scorterei tutti i miei più cari amici e parenti sino ad Azkaban personalmente.»
Le guance di Harry si scaldarono di botto sotto i pollici del ragazzo che lo teneva per il capo. Sciolse un sorriso infatuato e gli accarezzò i capelli.
«La determinazione dei Serpeverde a volte fa paura.» scherzò in un soffio.
Draco gli sbuffò una mezza risata contro le labbra, prima che chiudessero entrambi ogni discussione dietro un bacio lento e bisognoso.
Quando si separarono Harry tornò ad abbracciarlo e massaggiargli lentamente la schiena.
«Devi tornare a mangiare bene.» mormorò, baciandogli il collo.
«Mi spiace farti sentire le ossa.» mugugnò l’altro un po’ imbarazzato.
Harry rise.
«Le tue ossa sono al posto giusto, non è per quello. È che se svieni così facilmente, poi come faremo quando saremo fra le luride coperte della stanza d’albergo ad Hogsmeade?»
Draco scoppiò a ridere.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Ferite ***




Uno degli ultimi giorni di novembre, dopo la lezione pomeridiana di pozioni del settimo anno, Snape chiese a Theodore Nott di seguirlo nel suo ufficio per parlare. Quando furono dentro, accomodati alla scrivania, il primo ad aprir bocca fu proprio lo studente.
«Strano. Pensavo di essere il sospettato numero uno e meritarmi perlomeno l’auror o la preside come Zabini e Parkinson.» parlò con un sarcasmo acuto. «Perché mi interroga proprio lei?»
Aveva in viso un’espressione rasente all’apatia, i capelli più trasandati che mai, occhiaie marcate che lo facevano somigliare sempre più al suo vecchio padre.
Snape inarcò un sopracciglio, ma non si perse in cerimonie.
«La preside ha ritenuto, evidentemente, che io fossi il soggetto più indicato per dialogare con te. Le sue ragioni non sono di nostro interesse.» spiegò flemmatico.
«Dialogare.» ripeté scettico il ragazzo. «Bene, dialoghiamo allora.»
«Mi sembra sciocco ripeterti ciò che Malfoy ti ha già chiesto giorni addietro, nonché ciò che Zabini e Parkinson ti avranno già riferito del loro colloquio con la preside e Porter: sai perfettamente perché sei qui.» premise l’uomo, fissandolo dritto negli occhi. «La mia domanda è una sola: sai qualcosa dell’agguato a Lupin e Potter?»
Nott aggrottò la fronte, le braccia incrociate sul petto magro, l’aria disinteressata.
«Pensavo sarebbe partito direttamente con la legilimanzia.»
«Tuo padre è sempre stato un buon occlumante. Confido che ti abbia insegnato come resisterle o addirittura aggirarla da un bel pezzo.»
«Mi ha insegnato qualcosa, sì. Ad esempio che con essa è possibile anche alterare la mente di chi la subisce e che per questo difficilmente il Ministero accetta informazioni estrapolate a quel modo. Però pensavo ci avrebbe provato ugualmente, per curiosità personale magari.»
Snape non riuscì a trattenere un piccolo sorriso compiaciuto.
«Forse non ci provo proprio perché conosco il tuo valore come mago. Sei sempre stato una spanna sopra gli altri. Anche migliore di Zabini, Parkinson e Malfoy. La cosa curiosa è che non hai mai fatto mostra né praticamente grande uso delle tue doti, sei sempre stato un solitario incrollabile, alienato da ogni conflitto. Mi chiedevo che progetti avessi per il tuo futuro, con questi talenti.»
«Progetti.» mormorò il ragazzo, abbassando lo sguardo con la medesima aria piatta e indifferente di prima. «Gliene importa veramente qualcosa del mio futuro?» chiese ironico.
«Dipende da te, potenzialmente sì.» confermò con eguale sarcasmo. «Mi chiedevo dove meditassi di arrivare. Al Ministero magari? O magari lavorare in proprio per ricostruire il nome e la fortuna di famiglia? Oppure raggiungere tuo padre ad Azkaban e chiudere lì la linea dei Nott?»
Theodore non nascose una smorfia infastidita.
«A mio padre e me non è andata bene come ai Malfoy. Qualcuno doveva pur pagare. Non credo che avrò mai un futuro roseo al Ministero. Forse neppure in tutto lo Stato.»
«Uno abile come te ha futuro, Nott. Anche in un ambiente ostile. Dipende tutto dalle scelte che farai. La scelta corretta, in questo momento, può tenerti lontano da ogni rischio di raggiungere il vecchio Nott e anzi rialzare la tua reputazione agli occhi della società.»
«La scelta giusta, dice?» mormorò il ragazzo con un sorriso vuoto, che non toccava gli occhi scuri.
«La scelta giusta per te. Sì.»
Ci fu un lungo attimo di silenzio in cui Theodore sembrava quasi assente, immerso in una riflessione profonda. Snape non fece niente, lasciandogli i suoi tempi finché non fu lui a decidere di rompere l’attimo.
«Se anche sapessi qualcosa di quello che le serve, come potrei mai fidarmi di chi ha tradito così profondamente la sua causa?» spiegò, le palpebre a mezz’asta a stemperare una marcata vena di disprezzo. «Non so niente di quell’agguato e in realtà ho assistito quasi del tutto passivamente anche allo scherzo delle foto ai danni di Malfoy e Potter. È stata Pansy a istruire Kelly White per spiare quei due e Zabini gli è andato dietro perché è cotto di lei.»
Snape espirò profondamente, senza nascondere una smorfia dolente a quella risposta.
«Non direi del tutto passivamente. Hai mandato tu la lettera con la foto ai genitori di Draco, ben conscio dei danni che una cosa simile avrebbe provocato.» considerò scettico.
Nott alzò le mani in segno di resa.
«Per quello ho detto “quasi del tutto passivamente”. La foto che ho inviato è stata una cortesia a Narcissa e Lucius per la gentilezza che mi avevano dimostrato anni fa, al primo arresto di papà, quando mi ospitarono da loro. Mi sembrava doveroso informarli delle pessime scelte del figlio.»
Snape fece una smorfia amara.
«Gentilezza che non ti hanno riservato invece mesi fa, a quanto mi ha riferito Draco. Sei stato lasciato da solo.»
«È stato lei stesso a dirlo: sono un solitario, non mi è mai interessato inserirmi in alcun conflitto, non so chi possa aver cercato di eliminare Potter. Vede: io sto bene, da solo.» dichiarò, alzandosi in piedi.
Snape afferrò il bastone e fece altrettanto.
«Sei abbastanza intelligente e informato sulla situazione da capire quale sarà il prossimo passo, Theodore.»
Il ragazzo annuì.
«Un interrogatorio e una cella al Ministero, per iniziare.» dichiarò con una serietà incrollabile.
«Può darsi che decidano di infiacchirti direttamente ad Azkaban.» lo allertò, mortalmente serio.
«Vorrà dire che andrò a portare un saluto a mio padre.» scherzò con una cupa rassegnazione.
«Pensavo stessi bene da solo. Eppure ho quasi l’impressione che tu stia facendo di tutto per rivederlo presto.»
Theodore lo fissò da dietro le palpebre a mezz’asta, una vena di tedio e tensione ben visibile sul suo volto.
«Non tutti hanno avuto la sfortuna di avere un padre indecoroso, professore.»
Severus sgranò le palpebre e strinse convulsamente la presa sul bastone, rivolgendo al ragazzo un’occhiata di fuoco che gli fece fare mezzo passo indietro.
«Sei congedato, Nott.» sibilò fra i denti.
L’altro non aggiunse niente e senza nemmeno salutare lasciò l’aula.
«Sciocco ragazzo.» ringhiò nervoso Severus. «Spero davvero siate innocenti.»







La sera del ventinove novembre gli studenti si erano da poco accomodati per la cena in sala grande, davanti al consueto banchetto. C’era un alone di nervosismo fra gli insegnanti e anche alcuni dei ragazzi ai tavoli: era la sera in cui ci sarebbe stata la luna piena del mese.
Al tavolo dei docenti mancavano all’appello Snape e la preside: ormai era cosa nota che fossero al settimo piano a fare da guardia all’ufficio di Remus insieme a Eli Porter. 
Al tavolo di Serpeverde Draco era seduto in fondo come al solito, mentre Parkinson e Zabini affiancavano Kelly White. La bambina aveva un’aria assente, disinteressata al cibo o alle chiacchiere dei compagni. Nott fu l’ultimo ad arrivare, ma anziché sedersi al suo posto andò a piazzarsi di fronte a Draco, guadagnandosi diverse occhiate perplesse dai compagni.
Persino dal tavolo di Grifondoro Ron diede una gomitata ad Harry per indicargli in direzione dei due.
«Che ha in mente Nott?»
Anche Hermione e Ginny si voltarono ad assistere alla scena.
Theodore aveva in faccia un ghigno sprezzante, divertito. Sembrava su di giri, esaltato.
Draco, che aveva a stento iniziato a mangiare, lo fissò interrogativo e quello si chinò un po’ più in avanti e andò a parlargli a denti stretti. Sembrava incredibilmente divertito e arrabbiato al tempo stesso.
«Malfoy. Come se la passano mamma e papà?  Immagino siano fieri delle tue nuove amicizie fra Potter e Weasley.»
Qualcuno dal tavolo rise, Draco aggrottò la fronte studiando il compagno a lungo, prima di rispondergli.
«Che hai combinato, Nott?» mormorò nervoso.
Quello scoppiò a ridere e poi scosse il capo, negando.
«Io? Niente. Volevo solo sentire come sta la famiglia del mio caro vecchio amico. Volevo essere gentile.» spiegò prima di abbassare lo sguardo per qualche attimo verso il proprio grembo.
Draco lo studiò con sospetto.
«Che hai lì? Lasciami mangiare in pace, se hai voglia di litigare possiamo farlo in sala comune senza dare spettacolo.»
Theodore mise una mano in tasca e fece spallucce.
«Mangia, sì.» rise alzandosi con calma. «Che sei dimagrito tanto. Se ti sparisce il culo poi a Potter che gli dai?» berciò a voce abbastanza alta da farsi sentire da molti nei dintorni, ma non dal tavolo dei professori in fondo.
Diversi Serpeverde scoppiarono sguaiatamente a ridere, mentre qualcuno si portò le mani alla bocca, scandalizzato. Draco arrossì sensibilmente, e al tavolo di Grifondoro Ginny e Ron dovettero trattenere Harry fisicamente.
Nott si allontanò con una baldanza tranquilla, incassando complimenti da alcuni compagni e rimproveri dai Tassorosso della tavolata accanto.
Draco chiuse gli occhi, sforzandosi di calmare una rabbia confusa e imbarazzata. Quando li riaprì però si trovò di fronte Blaise e Pansy.
«Che volete anche voi?» sbottò.
I due, a differenza dei compagni, non sembravano affatto divertiti. Pansy era tesa e Blaise fissava nervosamente verso Nott intento a tornare al suo posto.
«Vieni con noi.» gli disse la ragazza, accennando al portone aperto sul corridoio. «Per favore.» aggiunse più piano.
Non gli diedero manco il tempo di rispondere che si avviarono verso l’uscita della sala grande e Draco li seguì.
«Che cavolo succede? Perché va con loro?» ringhiò Harry, ormai tenuto a bada da un braccio di Ron sulle spalle e una mano di Ginny appesa al gomito.
«Harry, sta buono. Riesco ancora a vederli da qui, stanno solo parlando.»
«Lasciatemi, voglio andare a vedere.» sbuffò spazientito.
«Col cavolo che ti lasciamo, col temperamento che hai in plenilunio finisce che li schianti a vista.» scherzo Ginny.
«Se non tornano entro pochi minuti vado a controllare.» promise Hermione, sporta un po’ indietro per vedere meglio.
Draco, Blaise e Pansy si fermarono a pochi passi oltre l’uscio. I due lo guidarono verso un punto in cui la visuale dal tavolo di Serpeverde risultava coperta.
«Che sta succedendo?» chiese Draco, diffidente e guardingo.
«Avevi detto che potevamo rivolgerci a te in caso di bisogno, no?» premise Pansy, che si stava tormentando un lembo della veste fra due dita.
«Certo.» confermò lui.
«Nott è strano, più del solito. Da oggi pomeriggio, da che siamo tornati dalla visita ad Hogsmeade, è come se fosse più … aggressivo, volgare.» spiegò Blaise. «E ha uno strano sorriso in faccia. Insomma, è Nott. Nott non sorride.»
«Ho notato.» ammise Draco, la fronte aggrottata. 
Prima che potesse commentare oltre, Pansy proseguì con urgenza.
«Prima di cena ha trascinato Kelly in un’aula in disuso dicendole che voleva parlarle e sono rimasti lì una manciata di minuti. Quando è uscita era come, non so, apatica. Non ha detto una parola, non sembra manco ascoltare, non mangia.»
«C’è qualcosa che non va, Draco. Penso sia meglio che avvisi Potter e gli insegnanti.» chiosò Blaise.
Draco lanciò un’occhiata all’interno della sala e la sua perplessità aumentò esponenzialmente.
Kelly White si era alzata dal suo posto e stava camminando verso il tavolo di Grifondoro. Draco mise mano alla bacchetta e scattò dentro, seguito in ritardo dagli altri due.
La bambina bassa e magra com’era passò quasi del tutto inosservata, al punto che arrivò vicino ad Harry prima che questi si accorgesse di lei.
Ron lasciò andare finalmente le spalle dell’amico e si girò per scoccare alla bimba la medesima occhiata sorpresa di tutti gli altri lì accanto.
«White?» le chiese Hermione, perplessa ma cortese.
Kelly non rispose e mentre Harry ruotava sulla sedia per voltarsi meglio verso di lei, quella sfilò una delle mani che teneva in tasca e scattò verso il suo collo.
«STUPEFICIUM!» ruggì la voce di Draco mentre un raggio rosso centrava la piccola in mezzo alle scapole, facendola volare due metri più in là.
Ci fu un attimo di orrore e sorpresa che gelò tutta la sala, subito prima che il fragore di sedie scostate e chiacchiere allarmate la riempisse ancora. Tutti si alzarono, chi adocchiando Draco, chi la bambina a terra. Molti misero mano alla bacchetta. Hermione fu la prima a raggiungere la Serpeverde e quando si chinò per controllarla emise un singulto di sorpresa.
«Harry!»
Il moro, confuso e in allerta come tutti i compagni, si avvicinò all’amica, bacchetta alla mano. Hermione stava sfilando dalle dita di Kelly un coltello appuntito. Era uno dei coltellacci lasciati in uno dei piatti da portata con l’arrosto, ancora unto e sporco di cibo.
I professori stavano iniziando ad arrivare di corsa dal fondo della sala, mentre un brusio e diversi commenti inorriditi solcavano l’aria.
Draco si fermò a pochi passi da Harry con cui scambiò un’occhiata allarmata prima di voltarsi verso la tavolata di Serpeverde.
«Dov’è Nott?!» esclamò verso i compagni.
Quelli, confusi si guardarono intorno ma a rispondergli fu una ragazzina di Tassorosso.
«L’ho visto uscire poco dopo che voi siete entrati. Sembrava di fretta.»
Il biondo si voltò trovandosi di fronte Blaise e Pansy fermi, sconvolti.
«Dite ai professori di chiudere tutti qui dentro o portarli nei dormitori, spiegategli la situazione, subito!» ruggì, prima di spiccare una corsa verso il corridoio.
Harry scattò nell’esatto istante in cui vide il biondo uscire, senza che nessuno avesse la prontezza di dire o fare niente per fermarlo.
«Draco!» lo chiamò quando furono fuori, diretti alle scale.
«C’è qualcosa che non va in Nott. È scappato fuori poco fa, mentre eravamo tutti distratti.» lo aggiornò con urgenza. «Blaise e Pansy mi stavano giusto spiegando che era strano fin dal pomeriggio, da quando sono tornati da Hogsmeade.»
Harry lo raggiunse svelto, la mascella contratta da una rabbia improvvisa, feroce. Arrivati all’imboccatura delle scale si rivolsero ad alcuni quadri alle pareti.
«Avete visto passare qualcuno qui?»
«Oh sì.» rispose un cavaliere. «Un tipo alto e magro, aveva una faccia spaventosa. È andato di sopra, sembrava molto divertito.»
«Sta andando da Remus?» suppose Harry.
Draco annuì e ripresero a correre. Ad ogni piano i quadri confermarono che Nott li aveva preceduti di pochi minuti.
Fu a pochi metri dal corridoio del settimo piano che i due sentirono il fragore di un’esplosione. Draco si fermò, l’ansia saldata alla gola, mentre Harry proseguì la sua corsa, più svelto di prima.
Arrivato al corridoio, notò un polverone di calcinacci in mezzo a cui qualcuno stava tossendo.
Sentì alcune voci familiari, quella di Eli e Snape e la voce più debole e dolente della preside che spazzò via il grosso della nube di polvere.
«Harry!» fu la prima cosa che esclamò la donna appena lo vide. Si reggeva ad una parete, era sporca di polvere e sangue che le colava dalla testa. Nella parete di fronte a lei, quella in cui si trovava l’ufficio di Lupin, c’era un grosso squarcio nella pietra, come se qualcuno avesse aperto un varco con una bomba anziché perdere tempo a demolire la porta protetta dagli incantesimi. Altrettanto sporchi di polvere e visibilmente storditi, Snape e Porter, bacchetta alla mano, si stavano rialzando a fatica tossendo violentemente.
Harry non esitò ad avvicinarsi, mentre Draco si riscosse e andò ad aiutare la Preside.
«Chiamate rinforzi, non state qui, è pericoloso!» gli disse quella.
«Andate voi, io resto qui.» ruggì Harry, avanzando verso Eli e Snape.
L’auror e il pozionista annotarono la sua presenza con uno sguardo fugace e poi si voltarono verso il fondo del corridoio. Da un angolo buio sentirono alcuni versi grotteschi, dolenti. Lamenti simili invece arrivavano da dentro la stanza sventrata dell’ufficio di Lupin.
«Lumos!» comandò Snape indirizzando la bacchetta verso quel punto.
Sotto il fascio di luce videro uno spettacolo capace di bloccargli il respiro in gola. C’era Theodore Nott, spalle alla parete, e il suo corpo stava subendo una trasformazione orribile. Le sue forme si fecero più ampie, crebbe di poco in altezza e poi il corpo iniziò a riempirsi di una folta peluria scura. L’assetto delle spalle e del cranio cambiò in una forma animalesca, le orecchie si allungarono.
«INCARCERAMUS!»
«STUPEFICIUM!»
Comandarono contemporaneamente Harry e Snape, seguiti con un istante di ritardo da Eli che tentò a sua volta uno schiantesimo.
Nonostante la trasformazione fosse appena iniziata, quel corpo deforme era già immune alle magie che furono capaci giusto di farlo sussultare e ringhiare. Le corde evocate da Harry finirono lacerate come carta, appena la figura enorme della bestia completò la sua trasformazione.
«Quello è Greyback!» ringhiò Snape.
«Come … » mormorò Eli atterrito.
«Andate via, presto!» urlò Harry a Draco e la Preside.
Il Serpeverde era paralizzato dal terrore e fu solo grazie alla McGonagall che lo afferrò per un braccio che riuscì a sbloccarsi. La donna lo spinse indietro con una manata.
«Vai! Chiama i rinforzi! Dobbiamo mettere al sicuro gli studenti e far uscire Greyback da qui!»
Il ragazzo annuì, scambiò a stento un’occhiata fulminea con Harry e corse via.
La preside rimase più indietro, mentre Severus, Harry ed Eli ripresero a bersagliare l’enorme lupo mannaro appena questi si schiodò con un balzo dalla sua posizione. Se Remus era grosso, Greyback sembrava addirittura più grande. Era un lupo anomalo anche nelle forme, il muso aguzzo e la sagoma robusta, fitta di una folta peluria nera su cui spiccava il dorso grigio. Aveva gli stessi occhi folli della sua forma umana e zanne aguzze ed esposte. Nonostante la mole era però incredibilmente veloce. Schivò facilmente gli ostacoli di pietra che la McGonagall provò ad erigere per imprigionarlo, balzando dritto verso Snape.
«Sectumsempra.» ringhiò il pozionista.
«Fianto duri!»
«Repello Inimicum!»
Tentarono Eli ed Harry.
La maledizione di Severus fu in grado a stento di aprire una ferita lieve sul muso del mannaro che non ci fece manco caso. I due potenti scudi combinati non furono invece in grado di bloccarne l’avanzata e in un battito di ciglia la bestia fu addosso all’uomo.
«Severus!» urlò debole la McGonagall, che a stento si reggeva in piedi, accasciata alla parete.
«Sectumsempra!» tentò disperato Harry.
Una nuova ferita si aprì sul fianco di Fenrir, ma non era che un graffio. Snape alzò le braccia per proteggersi istintivamente il volto mentre cadeva violentemente a terra, schiacciato dal peso della belva che puntò subito al collo.
Mentre Eli, Harry e Minerva cercavano disperatamente di rallentare l’animale con ogni incantesimo dannoso che conoscessero, quello serrò le fauci e azzannò il braccio sinistro del pozionista, che emise un ringhio di dolore basso e straziante. Le zanne gialle e enormi del mannaro gli tranciarono carne e ossa come fosse fatto di burro. Non contento del sapore del sangue che iniziò a schizzare sul suo muso, riaprì le fauci e puntò all’altro braccio con cui l’uomo cercava di ripararsi la testa.
L’ennesimo giro di maledizioni, corde e incantesimi lo rallentò a stento. Prima che potesse sbranargli anche l’altro braccio però, Fenrir venne sbalzato via da una furia che lo travolse da un fianco.
Lupin, completamente trasformato proprio come lui, era balzato fuori dall’apertura nella parete e gli era saltato addosso con le zanne subito in cerca del suo collo.
Le due bestie ringhiavano rabbiosamente e finirono una sull’altra diversi metri più indietro per via della spinta brutale del più giovane.
Eli ed Harry superarono in fretta l’attimo di shock, si avvicinarono a Severus che agonizzava a terra e lo trascinarono via.
La McGonagall fece appello alle ultime forze rimaste e smosse ogni masso e frammento di pietra di dimensioni importanti fra quelli riversi a terra. Li moltiplicò e ingrandì, li accumulò e spinse alle spalle dei tre che stavano fuggendo, creando una barriera improvvisata fra loro e i mannari.
Severus venne adagiato accanto alla donna che crollò esausta ed esangue a terra, quindi Harry ed Eli applicarono ogni protezione che conoscevano alla barriera di pietra.
Harry aveva un’espressione rabbiosa, dolente. Eli piangeva di rabbia e orrore.
«Non reggerà.» sibilò il ragazzo. «Non reggerà per sempre, può scalarla o abbatterla, è abbastanza grosso e potente da riuscirci.»
«Lo so.» singhiozzò Eli.
Dall’altro lato della barriera udivano chiari i rumori dello scontro fra i due mannari. Sentivano i loro movimenti, l’impatto dei corpi quando si scagliavano a terra uno contro l’altro, i guaiti e i grugniti di dolore atroci ad ogni morso e artigliata.
Eli si accostò subito a Severus e prese a soccorrerlo come riusciva, mentre Harry fremeva e teneva d’occhio tanto la barriera quanto il fondo del corridoio da cui iniziavano le scale.
«Cos’è successo?» ringhiò senza ritegno verso la preside ed Eli.
«È arrivato Nott e non abbiamo fatto in tempo a metterci in guardia che ha lanciato qualcosa contro la parete. Un oggetto maledetto, presumo. C’è stata un’esplosione così forte che, noi che eravamo vicini alla porta dell’ufficio, siamo finiti a terra e lui si è rifugiato in fondo al corridoio. Poi siete arrivati voi e hai visto il resto. È stato tutto molto veloce.»
«Era in sala grande con noi, prima. Si comportava in modo strano. Kelly White ha cercato di pugnalarmi alle spalle, penso sotto Imperio a questo punto, ma Draco l’ha fermata. Appena ci siamo resi conto che Nott era sparito siamo corsi fuori e siamo arrivati fin qui.»
Si zittì quando arrivò il ruggito rabbioso di uno dei due mannari oltre la barriera, subito coperto da un tonfo e un guaito.
Harry proseguì svelto, camminando nervosamente avanti e indietro. La mano armata gli tremava leggermente.
«Draco stava parlando con Zabini e Parkinson. Gli avevano appena detto che Nott era strano dal pomeriggio. Da quando erano tornati da Hogsmeade.»
«La polisucco … per scambiarsi con Nott.» ringhiò Severus, pallido e sofferente nonostante il primo soccorso di Eli. Riverso a terra sulla schiena, aveva il braccio sinistro piegato sul petto, ed era un miracolo che l’avambraccio fosse rimasto attaccato. Fra la carne lacera e il sangue si vedevano le ossa.
Eli fece del suo meglio per fermare la corsa del sangue, le mani ancora più tremanti di quelle di Harry. Sul suo bel viso sporco di polvere c’erano le scie di due lacrime.
Il combattimento fra i due mannari andava avanti senza pause, anche se il suono degli scontri era sempre più rado e i guaiti di dolore delle due bestie sempre più acuti e penosi ad ogni scambio.
Snape era sempre più pallido e fiacco, il respiro corto.
«Tonks.» gemette. «Potter.»
I due si fecero più vicini, attenti.
«Se mi dovessi trasformare … » mormorò fra i denti stretti. « … tagliatemi subito la gola.»
Fu in quel momento che Harry ed Eli si scambiarono un’occhiata inizialmente confusa. Poi, quando guardarono il braccio sbranato dell’uomo sgranarono gli occhi in una realizzazione cruda.
«Già. Morso.» sottolineò con debole sarcasmo l’uomo.
Ogni scambio venne però sospeso di fronte all’arrivo dei rinforzi.
Praticamente tutto il corpo docenti ad eccezione di pochi elementi, più Draco, Hermione, Ginny, Ron e diversi altri studenti del settimo anno, stavano risalendo di corsa l’ultima rampa. C’erano persino Parkinson e Zabini. Hagrid, nonostante la scarsa agilità, compensava facendo i gradini cinque per volta.
«Cos’è successo?» sbottò affannato il mezzo gigante, che fu il primo a raggiungere i quattro vicini alla barriera di pietra.
«Greyback sta combattendo contro Remus.» spiegò Harry, in un ringhio di pura impotenza.
«È arrivato con le sembianze di Nott, probabilmente grazie alla polisucco.» aggiunse Eli, che venne rapidamente affiancato da Madam Pomfrey nei soccorsi a Severus e la Preside. «Ha fatto esplodere una parete dell’ufficio di Remus, poi si è trasformato. Abbiamo combattuto come potevamo per rallentarlo, ma nulla funzionava. Ha ferito Severus, stava per ucciderlo ma è venuto fuori Remus che l’ha bloccato e ci ha consentito di ritirarci e tirare su questa barriera.»
«Dobbiamo abbatterla e dargli una mano, non possiamo lasciarlo combattere da solo. Greyback è più anziano ma più grosso e feroce, e non è indebolito dalla pozione antilupo» ringhiò Harry. «Tutti insieme possiamo fermarlo: anche se è immune ad uno o due incantesimi contemporaneamente, cinque o dieci non li reggerà.»
Tutti si scambiarono un’occhiata tesa e il primo a rispondere fu Hagrid, che si avvicinò alla barriera.
«Tiratela giù, vado avanti io per sicurezza.»
La McGonagall, aiutata da Hermione e Ginny a rimettersi seduta, levò la bacchetta.
«Quando siete pronti.» spiegò debolmente.
Alle spalle di Hagrid si formò una linea di docenti e studenti, bacchette sguainate.
«Appena la barriera cala, schiantesimi e incarceramus.» comandò Harry e nessuno ebbe di che obiettare.
Pansy fu l’unica, tremante e in lacrime, a restare indietro e Ginny le indicò la McGonagall.
«Stai accanto alla Preside, se non riesci a combattere.»
La Serpeverde era così agitata che non perse tempo a ribattere e obbedì.
Anche Zabini scelse una posizione arretrata, ma era comunque fra coloro che avevano estratto la bacchetta ed era pronto a colpire.
Da dietro la massa di pietre e incantesimi, i versi dei mannari erano ormai sempre più rari. C’era l’occasionale sbuffo dolente e l’ansimare da grosso cane ferito di entrambi.
«Pronti!» gridò Harry, che sciolse insieme ad Eli le due barriere che avevano gettato.
Prima che la McGonagall sciogliesse il proprio incantesimo sui massi, un verso penoso e acuto rimbalzò fra le mura del corridoio. Era un guaito basso e doloroso, a cui seguì un verso simile ad un gorgoglio liquido e strozzato. Ci fu un tonfo e poi fu silenzio completo. Tutti rimasero sospesi nell’atto confuso di interpretare il senso di quei suoni.
Ad alzarsi, fu la voce debole e contrita di Severus.
«REMUS!» chiamò disperatamente.
La risposta fu un ululato debole e prolungato.
Severus chiuse gli occhi, sul viso gli si aprì un sorriso fiacco.
«Ha vinto.» dichiarò in un sussurro, prima di perdere i sensi.
La preside diede un debole cenno con la bacchetta e la barriera di pietra si sgretolò come sabbia, aprendo agli occhi di tutti una scena orribile.
A terra c’erano copiosi schizzi di sangue, e da un lato del corridoio c’era l’enorme sagoma di Greyback riversa su un fianco. Aveva parecchie lacerazioni su tutto il corpo, ma sotto l’enorme testa si stava aprendo una chiazza considerevole di sangue che sembrava sgorgare tutto dalla gola. Ogni tanto muoveva il capo o le zampe in spasmi dolenti, il respiro sempre più lento e gorgogliante, gli occhi lucidi e fiacchi della bestia morente.
Lupin era poco più avanti, altrettanto sporco e segnato da lacerazioni profonde, di cui una al dorso. Il suo muso era tinto di sangue caldo, che schizzava in goccioline ad ogni respiro affannato. Aveva la mascella digrignata, gli occhi accesi da una ferocia che mise tutti sull’attenti.
«Remus. Siamo noi.» lo chiamò Hagrid, ancora piazzato davanti a tutti.
Zabini si spostò davanti a Pansy e la preside, Harry ed Eli avanzarono al fianco di Hagrid. Draco, per quanto tremante, raggiunse il compagno.
Remus si mosse verso il gruppo, la smorfia aggressiva si ammorbidì gradualmente. Zoppicava leggermente dalla zampa anteriore destra. Abbassò il capo e nonostante tutti fossero all’erta, Hagrid sorrise.
«Non ci attaccherà, è calmo.» spiegò, manco fosse una delle due creature magiche a lezione.
Il mannaro procedette indisturbato mentre tutti si spostavano, tesi e attenti.
Andò fino a Snape e Madam Pomfrey e si accucciò stancamente accanto al primo, facendo tirare un generico sospiro di sollievo. La curatrice analizzò confusa le sue ferite.
«Non sono un’esperta di animali, ma sembra non avere lacerazioni gravi, se la caverà.»
Mentre parte del gruppo si avvicinava cauto a Greyback, le bacchette puntate verso il licantropo che a stento respirava nel suo stesso sangue, Blaise si accostò a Draco.
«Se quello è Greyback, dov’è Theodore?»
«Poppy.» chiamò la voce debole della preside.
«Minerva?»
«Dai un’occhiata a Greyback, per favore.» chiese, allungando una mano verso Pansy, atterrita e ferma lì accanto.
La Serpeverde aiutò la preside a rialzarsi e fare qualche passo in avanti, mentre la guaritrice si avvicinò al licantropo, scortata dai docenti Hagrid ed Harry. Andò a chinarsi esitante e studiare da vicino le ferite visibili in mezzo al folto mantello grigio scuro. Ogni sussulto e ringhio della bestia, per quanto flebile e stentato, faceva scattare i nervi a tutti.
«Sta morendo. Se non chiudo questa ferita al collo non reggerà che pochi secondi, credo.» spiegò ad alta voce.
«Pensi che chiudendo quella ferita possa rialzarsi e attaccarci o scappare?» la interrogò ancora la donna.
«Dubito che riesca anche a sopravvivere, in realtà, senza cure ulteriori e nuovo sangue.»
«Prova a chiuderla.» ordinò secca la preside.
«Cosa?» ringhiò Harry, ma non fu l’unico ad avere una reazione simile.
«Minerva tu … ?» esitò la guaritrice.
«Se dovesse morire, poco male. Ma se dovesse salvarsi sarebbe meglio: potrebbe avere informazioni importanti su Nott o eventuali complici.»
Sebbene nervosi e tutt’altro che lieti, tutti annuirono ed anche Harry non ebbe da obiettare.
«Legatelo.» aggiunse la preside, osservando la scena con una smorfia rigida e dolente.
Mentre la guaritrice si affrettava a risanare i profondi tagli al collo di Greyback, Hermione e il professor Flitwick fecero comparire robuste corde e catene intorno al corpo del lupo. 
Quando la ferita più grossa fu chiusa l’animale emise un rantolo e un guaito penosi, gli occhi e la mascella serrati. L’unica cosa che sembrava in grado di muovere, debolmente, era la coda.
Mentre i docenti iniziavano a trasportare i feriti, Draco si accostò ad Harry. Le loro mani tremolanti si unirono in una stretta che diede un briciolo di fermezza a entrambi.
«Lo troveremo.» gli mormorò Harry.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Domande ***



La notte dell’attacco nessuno riuscì a dormire. Gli studenti erano stati portati tutti ai rispettivi dormitori presidiati dai docenti, e la voce di quel che era accaduto era girata in fretta. Due docenti erano stati incaricati di viaggiare con la metropolvere fino al Ministero, per chiamare rinforzi e spiegare l’accaduto al Primo Ministro.
A sorvegliare i feriti in infermeria erano rimasti in pianta stabile Hagrid nel corridoio e la preside dentro, in compagnia di Tonks, Harry, Draco, Hermione e Ron. Le ferite dell’anziana erano state completamente guarite dagli unguenti di Madam Pomfrey, che si era invece concentrata sul rimettere in sesto il disastro che Greyback aveva causato al braccio sinistro di Snape. Remus non si era mai voluto allontanare da lui, così l’avevano sistemato sul letto subito accanto, su cui era accucciato, stanco e ferito. Era ancora vigile, gli occhi gialli socchiusi e fissi su Severus, il pelo e le ferite ripulite con pazienza da Tonks.
Greyback, anche lui in forma animale vista l’ora, era stato incatenato pesantemente ad una branda fra le più vicine all’ingresso, la più facile da tenere d’occhio sia da dentro che da fuori. Era sopravvissuto, ma versava ancora in condizioni gravi, privo di sensi da ore o forse troppo debole per fare qualsiasi cosa oltre a respirare.
Quando Madam Pomfrey si rialzò con una smorfia dolente, dopo ore di lavoro china su Snape, erano ormai le due del mattino.
«Ho finito.» annunciò. «Guardate.»
Tutti si riunirono attorno al letto del pozionista, che era steso sopra le coperte e ancora privo di sensi. La guaritrice sollevò delicatamente il braccio sinistro dell’uomo per mostrarlo meglio.
La carne era tornata tutta intatta, sebbene fossero presenti delle vistose e orride cicatrici lì dove la magia aveva appena rigenerato le mancanze, rinsaldato le ossa e suturato la pelle.
«Il marchio nero … » mormorò Draco, atterrito. « … è scomparso?»
«Guarda il tuo.» suggerì con urgenza Harry.
Il biondo scoprì l'avambraccio, ma il suo tatuaggio era ancora ben visibile.
«Non ha senso.» mormorò Ron.
«Madam Pomfrey, quando ha iniziato a curarlo era ancora lì?» chiese Hermione.
«Impossibile dirlo, la carne era troppo lacera.»
«Non dovrebbe potersi rimuovere così facilmente.» obiettò Draco, che abbassata la manica si toccava nervosamente l’avambraccio.
«Forse è passato all’altro braccio?» suggerì Ron, dubbioso.
Draco sollevò la manica destra del docente, ma anche lì la pelle era priva di segni.
«Temo che la maledizione del marchio nero sia stata semplicemente spezzata da una più potente e antica.» parlò piano la McGonagall. La donna fissava il braccio pulito di Snape con una smorfia profondamente addolorata.
«Intende dire … ?» mormorò Hermione, atterrita.
La preside indicò col mento Greyback.
«L’ha morso.» ricordò a tutti, col tono mesto della cruda ovvietà.
«Perché allora è ancora in questa forma?» obiettò Ron.
«Credo che la trasformazione avverrà dal prossimo ciclo lunare completo.» suggerì la preside. «Quando Remus tornerà in forma umana avremo la conferma da lui.»
Draco cercò la mano di Harry, ma lui anziché limitarsi a trovargli le dita andò a cingergli le spalle con un braccio e se lo strinse contro.
«Se la caverà. È forte. E non è solo.» decretò tesa Tonks, accennando alla sagoma di Remus che riposava sulla branda accanto.
Dall’ingresso aperto sentirono delle voci maschili, fra cui quella profonda di Shacklebolt e quella ancora più bassa di Hagrid che lo salutava. Tutti si voltarono verso la porta, da cui il Ministro stava passando scortato da due Auror. Bacchetta sguainata, manteneva personalmente l’incanto con cui trasportava a mezz’aria il corpo magro di Theodore Nott.
«Theo!» scattò Draco che, seguito a ruota da Harry, si avvicinò al gruppo appena arrivato.
«Sta bene, non è ferito gravemente.» lo rassicurò serio Shacklebolt, guidando il corpo privo di sensi al primo letto libero.
Madam Pomfrey e la preside si avvicinarono subito dopo, mentre gli altri si limitarono a tenere d’occhio la situazione restando accanto a Snape.
Il ministro fece un cenno ai due colleghi, che uscirono dall’infermeria per andare a far compagnia ad Hagrid alla sua postazione di guardia.
Theodore aveva il volto livido in più punti, il mento macchiato di sangue, i polsi escoriati.
«Per favore, fatevi indietro. Penso sia il caso che lo visiti più attentamente: voglio escludere graffi, morsi e altre lesioni.» spiegò mesta Madam Pomfrey. Tutti indietreggiarono e la curatrice richiamò un paravento dietro cui riparò il letto del ragazzo e sé stessa.
Il gruppo si riunì al letto di Snape e il Ministro prese a spiegare, anticipando i quesiti sui volti tesi di tutti.
«L’abbiamo trovato legato in una stanza di una bettola ad Hogsmeade. Era cosciente, ma per sicurezza ho preferito addormentarlo per il tragitto fin qui.»
«Cos’ha detto?» chiese ansiosa la preside.
«Ha chiesto di Hogwarts, se fosse morto qualcuno. Era ancora fortemente stordito per le botte ma sembrava stranamente calmo, quasi rassegnato. Appena l’abbiamo liberato non ha tentato né di fuggire né di attaccare.»
«E come ha reagito? Gli avete spiegato quello che è accaduto?» indagò Draco.
«Sembrava in un certo senso sollevato. Ci ha chiesto con insistenza di salvare suo padre.»
«Suo padre?» mormorò Tonks, perplessa.
«Ho già ordinato di mandare una squadra ad Azkaban per controllare.»
Dopo pochi minuti Madam Pomfrey scostò il paravento. I lividi sul viso di Theodore erano quasi del tutto spariti così come i segni ai polsi e al collo, i vestiti erano stati sistemati. Sembrava semplicemente profondamente addormentato.
«Sta bene, non ha altre ferite addosso per fortuna.» decretò.
Shacklebolt si riavvicinò, affiancato dalla preside e da Draco. Con un tocco della bacchetta fece comparire delle solide manette con cui incatenò il ragazzo alle spondine del letto, prima di sciogliere l’incanto che lo teneva assopito.
Nott riaprì lentamente gli occhi, come se si stesse svegliando naturalmente da un buon sonno ristoratore. Quando vide dove si trovava e le persone che lo circondavano tuttavia sgranò le palpebre. Alzò di poco le braccia realizzando di essere ammanettato, dunque si guardò meglio intorno. Quando vide l’enorme sagoma di Greyback incatenato un letto più in là serrò la mascella e non poté trattenere un fremito.
Il più vicino a lui era Draco, che lo fissava in volto con una smorfia rigida.
«Spiegami cos’è successo, Theo.» mormorò, dolente.
Nott chiuse gli occhi e rimase in silenzio.
«Ti prego.» aggiunse il biondo.
L’altro fece una sorta di sorriso amaro, fiacco.
«Verso la fine dell’estate sono stato avvicinato da tre uomini, compari di Greyback.» prese a spiegare, le palpebre ancora abbassate per rifuggire il suo sguardo fisso. «Mi avevano spiegato com’erano riusciti a scappare alla fine della battaglia di Hogwarts, e di come la Granger avesse quasi ammazzato il loro capo. Volevano vendicarsi col mio aiuto. Mi avevano spiegato di avere contatti con qualcuno all’interno del Ministero e di Azkaban, e che mio padre stava molto male e non sarebbe sopravvissuto a lungo. Mi avevano persino portato una ciocca dei suoi capelli come prova.» digrignò i denti. «Avevo scritto parecchie lettere al Ministero per chiedere di lui, ma o non ricevevo risposta o mi tornavano indietro missive dai toni generici e ufficiali ma inconcludenti.»
Draco strinse convulsamente un lembo della coperta, ma né lui né gli altri interruppero la confessione del ragazzo.
«Mi avevano promesso che, se avessi collaborato e fossi riuscito ad ammazzare almeno Potter, Snape, Lupin o Granger, avrebbero fatto evadere mio padre e saremmo potuti scappare dall’Inghilterra.»
«E tu hai accettato.» lo accusò secco Harry.
«No, Potter. Ho rifiutato.» ringhiò Theodore, scoccandogli un’occhiata velenosa. «E per tutta risposta mi sono ritrovato davanti Greyback in persona con un dito di mio padre fra le mani. Mi aveva detto che, se non avessi fatto qualcosa, mi avrebbero riportato papà a casa pezzo per pezzo. Da agosto, ogni settimana, mi portavano un suo dito.» singhiozzò per la rabbia e il disgusto.
Tutti lo fissarono scioccati, Hermione con una mano davanti alla bocca, Draco così immobile che quasi non respirava.
«Quando Kelly White aveva preso a spiarvi e aveva scoperto accidentalmente l'identità di Tonks io avevo già iniziato il mio piano per provare a far scontrare Lupin e Potter. Lei mi ha solo offerto un dettaglio in più per sbarazzarmi di Tonks senza rischi. L’uomo di Greyback al Ministero ha mandato la lettera per levare Tonks di mezzo, io ho alterato la pozione di Lupin e fatto sì che Potter andasse dritto da lui. Non mi aspettavo che funzionasse, ma pensavo che almeno uno dei due ne sarebbe uscito male e Greyback sarebbe stato soddisfatto per un po’.» confessò, fissando Harry con un rancore e un’accusa palesi sul volto.
«Perché non hai chiesto aiuto almeno a noi? Avremmo potuto fare qualcosa.» obiettò il Grifondoro, nervoso.
«Ci ho pensato seriamente, quando settimane fa Draco era venuto a parlarci.» ammise Theodore spostando lo sguardo verso Greyback. «Non mi fidavo di nessuno di voi, né del fatto che avreste tutelato davvero l’incolumità di mio padre, ma non potevo fidarmi manco di loro. La loro spia al Ministero era chiaramente qualcuno a conoscenza di informazioni sui detenuti e chissà che altro. Se avessero scoperto che vi avevo scritto o incontrato avrebbero fatto a pezzi papà.»
«Far entrare Greyback non è stata una tua scelta, vero?» mormorò Hermione.
Theodore le scoccò un’occhiata meno ostile rispetto agli altri e annuì.
«Ero fermo da un mese, in attesa di capire la situazione, e Greyback era sempre più impaziente e arrabbiato. Oggi non è certo la prima volta che mi mette le mani addosso, ma almeno le altre volte evitava di colpirmi al volto.» ammise cupo, grattandosi nervosamente un braccio.
«Non sopportava che Lupin stesse vivendo una vita normale. Avevamo preso ad incontrarci ad Hogsmeade e pretendeva un rapporto dettagliato regolare e che pianificassi presto qualcos’altro di più efficace. Mi diceva che presto avrebbe iniziato a far tagliare parti più grandi di un dito a mio padre, e che mi avrebbe morso per infettarmi. Ieri poi ha perso definitivamente la pazienza, il mio nuovo piano non gli interessava, voleva entrare lui. Quando mi sono rifiutato e ho cercato di andarmene mi ha atterrato e colpito. Da lì in poi non ricordo niente, ma posso immaginare cos’abbia fatto.» concluse cupo.
«È entrato con le tue sembianze.» spiegò Draco. «Ha imperiato White per comandarle di ammazzare Harry. Kelly è così giovane che manco sapeva come fare usando la magia e ha cercato semplicemente di pugnalarlo. Se non l’avessi fermata forse ci sarebbe anche riuscita. Nella confusione è salito da Lupin, ha usato un oggetto maledetto per causare un’esplosione, forse come diversivo per trasformarsi al momento giusto, forse per cercare di ammazzare Snape, la preside e Tonks di guardia.»
Theodore tornò a guardare verso Greyback senza celare un profondo astio.
«Come avete fatto a ridurlo a quel modo?»
«Noi non abbiamo fatto quasi niente, gli incantesimi a stento lo scalfivano.» intervenne Harry, braccia incrociate e un nervoso mal trattenuto. «L’esplosione però aveva danneggiato la parete dell’ufficio di Remus. Forse Greyback voleva liberarlo per ammazzare anche lui e non ha messo in conto che Lupin potesse riuscire a tenergli testa e persino sconfiggerlo.»
Theodore fissò ad occhi sgranati il lupo grigiastro che riposava come un enorme cane tranquillo sul letto accanto a quello di Snape. Spostò dunque l’attenzione sul Primo Ministro con una strana risolutezza in volto.
«Ho confessato. Portatemi da mio padre.» disse duramente.
«No!» soffiò Draco. «Non puoi essere serio, Theodore.»
«E invece lo sono.» ringhiò il ragazzo, che stava iniziando a tremare dal nervoso. «Portatemi da lui. Che altro volete che faccia? Ho detto tutto ciò che sapevo, farò tutto quello che volete, collaborerò in ogni modo, ma voglio vedere mio padre. Non mi importa se mi lascerete lì a marcire con lui.» più parlava più la rassegnazione apatica e fredda con cui aveva spiegato fino a poco prima iniziava a crollare.
Tutti, persino Shacklebolt, lo fissavano con una vena di pietà difficile da celare.
«Non guardatemi così!» crollò il ragazzo, le cui guance si rigarono di lacrime nervose. «Ho cercato di ammazzare due persone, ci proverò ancora se non -» non finì la frase, Draco l’aveva zittito con una manata brusca sul viso. Uno schiaffo non troppo convinto.
«Piantala di dire idiozie!» urlò il biondo. «Non sei un criminale, non sei un complice di Greyback e i suoi: sei una vittima!»
«Pensi me ne sarebbe fregato qualcosa se avesse ammazzato Potter e Lupin?» ringhiò Theodore disperato.
«Eppure non volevi che Greyback entrasse a scuola.» gli fece notare seria la preside.
«Non me ne frega più niente!» pianse e urlò Nott. «Mandatemi da mio padre e basta! Non lo lascerò solo! Non posso lasciarlo solo. Lui non mi ha mai - »
«NOTT.»
La voce rabbiosa di Severus Snape si era levata come una fucilata, capace di zittire tutti e farli voltare verso di lui. Persino Remus aprì gli occhi e sollevò debolmente la testa ferita, quando lo sentì parlare.
Il pozionista si era messo in piedi e sembrava incredibilmente in forze. 
Theodore lo osservò tremante di nervoso, i singhiozzi schiacciati a fatica in gola.
«Tuo padre ti ha abbandonato quando ha deciso di servire il Signore oscuro.» affermò, funereo.
«NO!» ringhiò Theodore.
«Tuo padre ti ha abbandonato quando ha deciso di tornare una seconda volta a combattere per lui, quando eri ancora un ragazzino e sapeva benissimo che non avresti avuto nessuno da cui tornare, se fosse finito arrestato o morto.» alzò nuovamente la voce per superare il volume dei ringhi rabbiosi di Theodore. «Tu l’hai capito fin da subito, che saresti rimasto da solo, perché per lui valevi molto meno dei suoi ideali. L’hai capito fin da bambino e ti sei preparato fino a questo momento, cercando di tagliare fuori dalla tua vita ogni amico, ogni legame. TU, hai scelto di essere solo, anche quando c’era chi era disposto a starti vicino. Ti stava bene finché eri tu a scegliere di rimanere solo, ma quando sono stati il mondo intero e Draco ad abbandonarti, non hai potuto fare a meno di provare un dolore lancinante, perché era come sentire ancora l’abbandono del tuo stesso padre.» concluse, cupo.
Theodore smise di piangere e urlare con un verso strozzato, come se qualcuno gli avesse trapassato la gola con una lama. Aveva gli occhi sgranati su Snape, che intanto si era avvicinato al suo letto portando gli altri a scostarsi un po’.
Severus si rivolse a Shacklebolt, il tono nettamente più contenuto.
«Lo sbatterà ad Azkaban come crede tanto di desiderare?»
Il Primo ministro aveva un’espressione dura in volto. Prese un respiro profondo e scosse il capo.
«Ha agito sotto ricatto. Un ricatto molto pesante ed una situazione complessa. Non sono sicuro che il tribunale lo assolverebbe all'unanimità, ma alla luce di ciò ritengo una condanna abbastanza improbabile e personalmente non caldeggerei tale scelta. Sempre ammesso ovviamente che gli interrogatori agli altri ragazzi e Greyback confermino la sua versione dei fatti.»
Theodore tornò ad emettere un respiro tremulo, ma prima che potesse comporre anche solo una sillaba, Severus gli fece cenno di fermarsi.
«Chi si convince di voler restare solo lo fa per illudersi di meritarlo o di esserne davvero capace. Ma l’odiosa verità è che non siamo fatti per essere soli, Theodore. Non avrai mai l’affetto di tuo padre facendoti sbattere ad Azkaban. Smetti di inseguirlo e tormentarti e accetta piuttosto quello di chi te ne offre ora.»
Tonks, nello stupore generale, fissava Severus come se lo stesse vedendo per la prima volta.
Draco tornò ad accostarsi al letto dell’ex amico, che aveva ripreso a piangere in silenzio, gli occhi puntati al soffitto e la testa reclinata leggermente indietro, come a tagliare ostinatamente via ogni persona dal suo campo visivo.
Il biondo non disse niente, si limitò a posargli una mano su una spalla e restargli accanto.
Mentre tutti tornavano a sedersi e riposare, stavolta vicini a Remus, Shacklebolt si avvicinò a Snape e la McGonagall e parlò rivolto al primo.
«Sta bene, Snape? Ho visto come era ridotto quando sono arrivato ore fa.»
«Avevo solo quella ferita al braccio, Ministro. Poppy ha fatto un lavoro magistrale.» confermò, mostrandogli il braccio con le sue nuove cicatrici.
Kingsley sgranò gli occhi.
«Il marchio nero?»
«Scomparso.» spiegò la preside, studiando Severus con aria interrogativa.
«Greyback mi ha praticamente spappolato il braccio a morsi.» ammise il pozionista, in volto una smorfia amara. «La maledizione della licantropia deve aver annullato quella del vecchio marchio di Voldemort.» Andò a ricambiare l’occhiata della preside con una contrita e le indicò Remus. «Minerva, ora saremo in due, lo capisco se vorrai mand-»
La preside gli parlò sopra.
«Ora dovrai produrre la pozione Antilupo per due. Dovrò parlare con Slughorn, temo sia necessario che resti a farti da supporto per un bel po’: non intendo perdere così in fretta il mio nuovo vicepreside.» poi guardò verso Shacklebolt. «Sempre che il Ministro non abbia nulla in contrario.»
L’uomo scosse il capo con un sorriso sarcastico sul volto.
«Gli affari di Hogwarts sono affari di Hogwarts. Mi fido ciecamente del tuo giudizio, preside McGonagall. E a tal proposito, avrei una proposta.»
Gli altri due lo guardarono interrogativi.
«Vorrei condurre gli interrogatori qui ad Hogwarts. Sia per Nott e Greyback che agli altri ragazzi: Zabini, Parkinson e White, se non erro. Intendo usare il Veritaserum, per quanto poco ortodosso e attendibile. Penso che i ragazzi non abbiano gli strumenti per essersi eventualmente premuniti per un rischio simile e forse neppure Greyback.»
«Come mai vuoi interrogarli qui?» chiese a bassa voce la preside.
«Finché non verrà fuori il nome della spia al Ministero non penso sia cauto far sì che trapelino informazioni di alcun tipo. Preferirei inoltre risolverla qui soprattutto per Nott. Non voglio rinchiuderlo in una cella in attesa di processo, né che rischi in alcun modo di finire ad Azkaban così giovane. Gli risparmierò questa procedura inutile e dolorosa così che possa ultimare gli studi.»
Severus e Minerva annuirono.
«Finché non saremo al sicuro, incluso il padre di Nott eventualmente, è meglio che il ragazzo stia qui ma devo essere certo che sia innocuo per tutti.»
«Credo sia un buon occlumante come suo padre ma, posso eventualmente provare anche con la Legilimanzia, se abbassa la guardia.» propose Severus.
«Sì. Non dobbiamo lesinare sulle tecniche. Tutto ciò che può essere utile lo useremo.» spiegò, mentre estraeva dalla tasca un piccolo orologio antiquato. «Fra due ore e mezzo circa tramonterà la luna e Remus e Greyback torneranno alla forma umana. Dobbiamo liberare l’infermeria e mettere Nott in una stanza sicura in cui poterlo sorvegliare qui nei dintorni. Mi servirà anche un altro ambiente per interrogare gli altri tre.»
«Intendi interrogarli in nottata?» chiese Severus, perplesso.
«Solo Nott. Non penso avrò tempo di gestirli tutti e quattro in due ore e voglio essere qui quando Greyback si sveglierà.»
«Bene, mi metto all’opera.» annunciò la preside, che fermò sul nascere ogni possibile intervento di Snape. «Tu stenditi e riposa, e tieni d’occhio Remus.» ordinò fissandolo con un’occhiata intransigente.
Nott venne liberato pochi minuti dopo e scortato in un’aula vuota nelle vicinanze. Draco ed Harry si offrirono di fargli da guardiani e, sebbene titubanti, la preside e il Ministro accettarono. Ron ed Hermione invece preferirono rimanere a fare da guardia all’esterno dell’aula.





Erano passate almeno due ore da quando l’infermeria era stata svuotata dei ragazzi e gli insegnanti. Madam Pomfrey passava regolarmente a controllare le condizioni di Remus e quelle di Greyback, mentre Severus era stato quasi costretto a tornare a letto nonostante fosse tutt’altro che stanco.
Tonks tornò esausta alle quattro del mattino, e andò a piazzarsi sulla prima sedia in mezzo ai letti di Severus e Remus.
«Novità?» le chiese subito l’uomo.
«Nott è stato interrogato a lungo, sia senza che col Veritaserum: la sua versione è rimasta sempre coerente. È moralmente a pezzi e si rifiuta di parlare con Draco ed Harry che sono rimasti a fargli compagnia e controllarlo. La preside ha fatto apparire tre brande nell’aula e Nott s’è subito rintanato sotto le coperte.» ammise mesta. «Il Ministro sta redigendo il primo rapporto, ci raggiungerà a breve.»
«Bene.» mormorò Severus.
Tonks esitò, quindi avvicinò di poco la sedia.
«Tu come stai?»
«Insolitamente bene. Mi sento energico, leggero. Suppongo siano gli influssi della luna piena e della maledizione che ha iniziato a scorrermi dentro. Immagino anche che al tramonto, fra mezz’ora, sarò tutt’altro che in forze.» spiegò cupo.
«Intendevo come stai mentalmente.» precisò l’altra.
«Non lo so.» ammise l’uomo, distogliendo lo sguardo. «Forse non ho ancora realizzato davvero quanto la mia vita stia per cambiare.» spiegò a voce bassa.
«Se il discorso che hai fatto a Nott ore fa, quello sulla solitudine, è qualcosa che finalmente hai compreso e accettato anche per te beh, direi che la tua vita potrebbe persino cambiare in meglio a discapito della maledizione.» fece una pausa e cercò con insistenza lo sguardo basso dell’altro. 
«Credi tu stesso a ciò che gli hai detto, Severus?»
Il pozionista trasse un respiro profondo e le rivolse un’occhiata seria. Annuì a labbra chiuse e lei sorrise, senza dire altro.
Pochi minuti dopo Shacklebolt e la McGonagall li raggiunsero. L’uomo teneva l’altra a braccetto, visibilmente stanca ma determinata a restargli accanto. Tonks le cedette immediatamente il posto a sedere, mentre lei e il Primo Ministro si spostavano in funzione del letto di Greyback. Fuori dalla porta c’erano ancora Hagrid e gli altri due Auror a fare da guardia, e non tardò a ripresentarsi pure Madam Pomfrey che si era concessa un doveroso e breve sonno ristoratore, dopo l’impegnativa operazione al braccio di Severus.
Rimasero tutti fermi alle loro postazioni, Snape e la preside attenti a Remus, gli altri tre a Greyback.
Fu quasi all’orlo delle cinque del mattino che i due licantropi, opportunamente coperti dalle lenzuola, recuperarono la loro forma umana. Remus non si svegliò subito, visibilmente esausto. 
Chi aprì quasi immediatamente gli occhi fu Greyback. Sdraiato a pancia in su, man mano che il folto della peluria scomparve, vennero alla luce le ferite che Pomfrey non aveva trattato per timore che potesse riprendersi. Aveva un aspetto orribile, mortalmente pallido, lo sguardo debole ma spaventato delle bestie ferite. Sul collo c’erano le due grosse ferite ricucite d’emergenza dalla guaritrice, più una serie di lacerazioni e graffi meno profondi. Aveva altri tagli che si riaprirono in quel celere cambio di forma e il lenzuolo si chiazzò di sangue all’altezza di una coscia e del fianco sinistro. Sebbene nessuno osò rimuovere le catene che lo assicuravano al letto, Madam Pomfrey si affrettò a curarlo e nessuno la fermò.
Fenrir emise un verso basso e dolente, poi strinse i denti e parlò.
«Acqua.» pregò, rauco.
Shacklebolt estrasse da una tasca del mantello una boccetta piena di pozione ricostituente. La aprì e la accostò alla bocca del licantropo.
Quello lo fissò diffidente, e piegò lentamente il capo di lato.
«È una pozione ricostituente.» spiegò con una freddezza pratica e tranquilla il Ministro. «Hai perso una quantità eccessiva di sangue e sei disidratato. O berrai o non vedrai l’alba di oggi. A te la scelta.»
Con estrema riluttanza e frustrazione il mannaro collaborò e andò ad accostare le labbra al vetro. Kingsley lo aiutò pazientemente a bere, e quando quello ebbe finito attese pochi secondi prima di iniziare a interrogarlo.
«Chi è la spia al Ministero?»
«Jayden Niels.» mormorò fiacco il licantropo, gli occhi sgranati dalla sorpresa.
«Come l’avete reclutato?»
«Non è dei nostri, era sotto Imperio e Confundus.»
«Chi sono i tuoi complici e dove si trovano ora?»
«Kahlani e Ophelia Alsop. Nathaniel Scarr. Joseph Hancott.» vuotò il sacco con l’aria disgustata manco stesse vomitando. «Non so dove siano ora.»
«Dov’erano l’ultima volta che li hai visti?»
«Al nostro ritrovo nella foresta vicino al passo di Llanberis nel Galles settentrionale.»
«Era Jayden Niels a fornirvi la possibilità di arrivare fino ad Azkaban e Nott?»
«Sì.»
«Avete altri complici?»
«No.»
«Nessun altro mandante, o leader o simpatizzante che voleva aiutarvi?»
«No.»
Shacklebolt fece una pausa, poi a denti stretti chiese:
«Hai picchiato e minacciato Theodore Nott perché tentasse di uccidere qualcuno ad Hogwarts per te?»
«Sì.»
«Spiega nel dettaglio come e le tue ragioni.»
Man mano che Fenrir recuperava le forze e le sue ferite più serie venivano ripulite e curate, le risposte all’interrogatorio si fecero sempre più ringhiate e malmostose, ma non sembrava comunque capace di tenersele fra le labbra.
«Dopo la battaglia di mesi fa pensavo fosse tutto finito. Alsop, Scarr e Hancott erano gli ultimi compagni rimasti, mi hanno salvato dopo che quella puttanella della Granger mi aveva quasi ammazzato. Quando mi sono rimesso ho iniziato a pensare alla vendetta. Abbiamo trovato Niels a inizio Agosto, volevamo usare lui ma era troppo debole per arrivare ad ammazzare te e gli altri cani del Ministero. Quando abbiamo saputo che Potter e amici sarebbero tornati a scuola abbiamo pensato ai potenziali alleati che potevamo avere ancora qui. Non c’era nessuno a parte il figlio di Nott, che però è un vigliacco che non si è mai fatto marchiare dal Signore oscuro.»
Severus chiuse gli occhi. Era nervoso, e nettamente più debole di poco prima, come se la stanchezza gli fosse arrivata addosso all’improvviso. Ascoltò le parole rauche e odiose di Greyback in silenzio.
«Sapevamo che non avrebbe collaborato, così abbiamo usato Niels per arrivare a Nott padre. Il vecchio era debole e moribondo, abbiamo fatto leva sul figlio ma non era capace di farlo personalmente e sono dovuto interveni-urgh!» digrignò i denti quando la guaritrice chiuse nella maniera meno delicata possibile l’ennesima ferita.
«Chi ti ha fornito la polisucco?»
«L’hanno fatta i fratelli Alsop.»
«E il manufatto maledetto che ha causato l’esplosione?»
«Un ricordino che aveva nascosto Scarr.»
«Qual era il tuo piano una volta entrato ad Hogwarts?» intervenne la preside.
«Non avevo un piano, ero solo stanco di aspettare. Volevo trasformarmi nella sala grande e lanciare l’esplosivo sui professori. Però poi ho visto che mancava proprio quel cane traditore di Snape e probabilmente ammazzare Potter sarebbe stato difficile in mezzo a tutta quella gente. Ho ordinato alla bambina stupida di ammazzare quello sciagurato e sono andato al settimo piano, dove avevo capito esserci Lupin, Snape e lei, vecchia bastarda.»
Madam Pomfrey lo fece guaire di dolore nel sigillare l’ultima ferita al fianco.
«Hai distrutto la parete dell’ufficio di Remus perché pensavi di liberarlo e batterlo?» insinuò la preside con un’ironia pungente.
«Sì.» ringhiò Greyback tirando uno strattone violento alle catene.
«Nott senior è ancora vivo?» chiese invece Tonks.
«Non lo so, l’ultima volta che ho fatto controllare sì, ma era messo male. Penso sia schiattato ormai.»
Calò un silenzio cupo nell’infermeria, almeno finché non si alzò debole e roca la voce di Remus.
«Tu sei davvero felice e fiero di essere un licantropo, Greyback?»
Tutti si voltarono verso Remus, e Madam Pomfrey si affrettò a raggiungerlo.
«No.» rispose fra i denti Fenrir, che si morse così forte un labbro da farlo sanguinare.
«Perché?» insistette Remus, mentre la guaritrice lo aiutava a mettersi seduto.
Anche Severus si rialzò a fatica e si mise seduto a bordo del letto, studiando gli altri due mannari con una tensione cupa.
«Perché la gente mi tratta come un mostro.»
«Beh, lo sei.» sibilò cupo Remus.
«Non lo ero quando sono stato maledetto da bambino.» ammise a denti così stretti che rischiava di farsene saltare uno.
«Hai scelto di diventarlo, però.» si inserì Tonks. «Perché?»
«Rendo al mondo quello che mi da, e mi sento bene ogni volta che qualcuno mi teme o soffre come ho sofferto io. Il dolore e il sangue degli altri, di chi vive la vita normale e tranquilla che io non posso avere, è l’unico modo che ho per vivere la mia.»
«Se tu avessi fatto la scelta giusta avresti sofferto e fatto soffrire molto meno.» considerò amaramente Remus.
«La scelta giusta, Lupin? Vivere a testa bassa ai margini della società come hai fatto tu? Se non ci accettano allora che ci temano: io sono libero.» ringhiò Fenrir.
«Non sei mai stato libero un singolo giorno della tua vita.» parlò basso e aspro, Severus. «Ti sei fatto usare da Voldemort come uno spaventapasseri perché speravi di ottenere finalmente un briciolo di accettazione, di far parte di qualcosa e di essere rispettato.»
Greyback iniziò a ringhiare e lamentarsi, ma Snape gli parlò sopra.
«Eri convinto di avere un orgoglio come licantropo, hai ceduto a diventare una bestia anche fuori dal plenilunio ma in realtà detestavi per primo la tua condizione. Non sei mai riuscito a crearti un gruppo stabile, un branco, perché tutti in fondo vivevano come te e non facevano altro che farsi ammazzare o ammazzarsi uno dopo l’altro.»
«STA ZITTO, TRADITORE!» prese a urlare e agitarsi Greyback.
Prima che potesse riaprire bocca però, Shacklebolt anticipò di poco Tonks e schiantò il licantropo senza troppe cerimonie. I due uomini di guardia oltre la porta si erano affacciati a controllare la situazione e il Primo Ministro indicò loro Greyback svenuto.
«Portiamolo dritto ad Azkaban. Starà lì in attesa del processo.»
«Gentile da parte tua concedergli un processo.» commentò sarcastica Tonks.
«È un essere umano.» dichiarò cupo il ministro. «Non gli darò il lusso di sentirsi trattato come un mostro. Un mostro non ha scelta, lui l’ha avuta.»
«Concordo, Kingsley.» commentò dura ma soddisfatta la McGonagall. «Ora come intendi agire?»
«Penso sia meglio che io accompagni direttamente Greyback ad Azkaban e voglio intervenire subito al Ministero per Niels, prima di spedire un paio di squadre a caccia dei complici.» cercò Tonks con uno sguardo serio. «Posso chiederti l’ultimo giro di straordinari per gestire tu gli ultimi interrogatori ufficiali col Veritaserum ai tre ragazzi di Serpeverde?»
Tonks annuì.
«Volentieri. Anche se credo non ci saranno grandi sorprese.»
«Lo credo anch'io.» confermò con un sorriso incoraggiante l’uomo. «Finché la situazione non sarà risolta, inoltre, penso sia meglio che tu resti ancora qui ad Hogwarts come Eli Porter.»
«Sono d’accordo.» confermò lei, spostandosi verso il letto di Remus. «Ehi.» lo richiamò con un sorriso tenue.
L’uomo però non sembrava di buon umore, si rimise stancamente sotto le coperte dando le spalle a tutti senza rispondere al cenno di lei.
Tonks si morse nervosamente un labbro e si guardò attorno. La preside, Madam Pomfrey e il Primo Ministro stavano scortando Greyback fuori dall’infermeria insieme ai due Auror. Snape era tornato a sedersi sul suo letto lì accanto e fissava Remus con aria tesa. Scambiò un’occhiata svelta col pozionista e gli mormorò, sfilandogli accanto:
«Buona fortuna.» prima di recuperare le sembianze maschili di Porter e dirigersi all’uscita.
Severus fissò le spalle dell’Auror con aria perplessa, riscuotendosi solo quando la porta dell’infermeria venne chiusa e rimase solo col collega.
Esitò per diversi attimi, ma alla fine rinsaldò la presa sul bastone e zoppicò fino al letto di Remus, sedendosi pesantemente sulla sedia libera lì accanto.
Allungò la mano libera al lembo in alto delle coperte e lo fece scivolare lentamente in basso, quanto bastava per scoprire in parte il capo del licantropo. Raggomitolato in posizione fetale, le mani raccolte alla fronte, aveva gli occhi lucidi e il fiato strozzato da un pianto silenzioso.
«Mi dispiace.» singhiozzò piano, nascondendo meglio il viso fra le braccia e il cuscino. «Avevi ragione.»
Severus gli afferrò una mano, forzando la debole resistenza dell’altro.
«Sei ferito, esausto e sotto shock. Non è il momento di parlare. Riposa.» gli disse con un tono molto raro fra le sue corde. Una voce bassa e gentile.
Remus versò poche altre lacrime e poi la stanchezza vinse, lasciandolo addormentare stremato con la mano docilmente agganciata a quella di Severus.




 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Dolce e amaro ***




La sera del trenta novembre, subito dopo cena, Snape tornò in infermeria. A meno di ventiquattro ore dall’incidente, l’unico ospite di Madam Pomfrey era Lupin.
Sulla porta esitò qualche minuto prima di bussare. Non ottenne risposta, ma entrò comunque, la fronte aggrottata dal dubbio.
Remus era seduto a letto, sul comodino i resti di una cena solitaria e l’ampolla vuota di una pozione ricostituente. Aveva un’aria profondamente apatica e stanca, che mutò davvero di poco quando adocchiò il suo visitatore. Gli occhi color miele del licantropo si sgranarono brevemente e poi si abbassarono a fissare le coperte che gli tenevano in caldo le gambe. Aveva un bendaggio leggero al collo, un cerotto su una guancia, i capelli spettinati e un camice bianco candido.
Severus si chiuse la porta alle spalle e andò a sedersi alla solita sedia accanto al letto dell’altro. A differenza di Remus, lui aveva recuperato le sue condizioni fisiche antecedenti allo scontro. Si appoggiava ancora al bastone ma la sua zoppia era ormai quasi impercettibile. Studiò Lupin per qualche attimo, ma quello non disse niente limitandosi ad evitare di ricambiarne lo sguardo.
«Ti hanno aggiornato?» chiese piano, il pozionista.
«No.» ammise, con la voce rauca di chi non parla da troppe ore. «Avevo chiesto di non vedere nessuno.»
«Madam Pomfrey sta cenando, le ho chiesto qualche minuto per parlare con te.» spiegò Severus, che a fronte del silenzio teso dell’altro riprese subito a parlare.
«Le riparazioni al tuo ufficio sono quasi ultimate. Se ne stanno occupando gli Auror, a quanto pare ci sono alcune maledizioni da disarmare. Gli interrogatori a Zabini, Parkinson e White non hanno dato grandi sorprese neppure a fronte dell’uso del Veritaserum. Sapevano di Tonks, e non l’avevano ammesso perché terrorizzati da Nott. Avevano capito che c’era qualcosa che non andava, ma non pensavano davvero che Theodore fosse coinvolto fino a quel punto.» 
«A tutti gli studenti abbiamo spiegato dell’agguato di Greyback, di come ha controllato la mente di Kelly White, ma non abbiamo diffuso i dettagli inerenti a Nott.»
«Che ne sarà di lui?» chiese Remus, con un briciolo di interesse in mezzo all’apatia generale.
«Shacklebolt ha insistito per gestire la cosa personalmente e in fretta. Gli hanno concesso l’innocenza perché era sotto ricatto diretto. Non potrà più recarsi ad Hogsmeade per la sua sicurezza e abbiamo ricevuto ordine di tenerlo sott’occhio fino alla fine dell'anno.»
«E suo padre?»
«L’hanno trovato in fin di vita ad Azkaban. L’hanno curato e prima di riportarlo in una cella sicura hanno acconsentito ad una breve visita da parte del figlio. Greyback invece è stato rinchiuso in una cella speciale, isolata. Due dei quattro complici l’hanno già raggiunto, degli altri non ci sono tracce, per ora.»
Remus chiuse gli occhi, come avesse ricevuto uno schiaffo a sentire nominare Fenrir.
«Minerva ha offerto un accordo a Nott, Zabini, Parkinson e White.» proseguì il pozionista. «In cambio del loro silenzio sulla faccenda e su di me, non prenderemo provvedimenti disciplinari contro di loro. Alla fine se Potter è vivo lo dobbiamo a Zabini e Parkinson che hanno allertato Draco, per quanto all’ultimo secondo.»
Remus riaprì gli occhi e lo fissò per la prima volta dritto nei suoi. Aveva l’aria di un cane bastonato molto forte.
Severus resse l’occhiata, ricambiandola con una infastidita. Andò a frugarsi in tasca e ne tirò fuori una piccola confezione che gli allungò senza troppe cerimonie.
Remus guardò confuso la sua mano, poi sgranò gli occhi quando afferrò quella che si rivelò essere una barretta di cioccolato avvolta nel suo bell’incarto oro e argento. Se la portò al petto, manco si aspettasse di assimilarla solo accostandosela al cuore.
Non disse niente, limitandosi a fissare il pozionista con uno stupore dolente, dispiaciuto.
«Mangiala. Dicevi sempre che ti migliora l’umore, no?» comandò il moro.
«Grazie.» sussurrò l’altro, abbassando lo sguardo mentre prese a scartare la cioccolata con gesti lenti, inconcludenti.
«Non mi serve la legilimanzia per capire cosa ti tormenta. Avanti, dillo.» lo provocò.
«Se sai cosa mi tormenta, vuoi forse dirmi che non lo pensi anche tu?» mormorò funereo l’altro. 
«Voglio sentirtelo dire.» insistette Severus.
Lupin spezzò un frammento di cioccolato con un gesto nervoso, ma non lo portò alla bocca.
«Se me ne fossi andato mesi fa, quando l’avevi suggerito, non saremmo finiti così. Non avrei esposto tutti all’ennesimo rischio.»
Snape strinse la mascella e prese un respiro profondo.
«Non è un ragionamento sbagliato, ma neppure troppo corretto in realtà.» sentenziò aspro. «Greyback aveva parecchi obiettivi: Potter, Granger, Minerva, Draco o me, tanto per cominciare. Non eri l’unica ragione per cui era qui.»
«Sei stato morso perché eri a fare da guardia a me.» ringhiò Remus, che sembrava sempre meno lontano dal calmarsi. «Lo capisci quanto cambierà in peggio la tua vita d’ora in poi?»
Snape strinse convulsamente i pugni.
«No, non lo capisco ancora bene, probabilmente.» confessò cupo. «Ma se dobbiamo ragionare sui fatti beh, mi hai salvato la vita da un attacco che era inteso tanto verso te quanto me. Stare qui a rimuginare su come sarebbe potuta andare se tu non fossi stato ad Hogwarts è un esercizio inutile, vorrei te ne rendessi conto.»
Lupin reclinò il capo all’indietro, strizzando a fatica due lacrime amare che gli inumidirono comunque gli occhi. Il cioccolato lo lasciò andare sulle coperte, manco fosse diventato rovente.
«Non avrei mai augurato una maledizione simile a nessuno. Non riesco a pensare ad altro. Voglio solo andarmen-» 
Non finì il suo singhiozzo che Snape gli parlò sopra.
«Aveva ragione Potter, sai? E credo tu sappia quanto mi costa ammetterlo.»
Remus azzardò un’occhiata laterale, lo sbirciò confuso da dietro le ciglia umide.
«Cosa?» mormorò.
«Anche io ho pensato subito di andare via, ma Minerva è stata categorica: ci vuole qui. Raddoppieremo la produzione di Antilupo. Mi ha lasciato anche completa libertà sulla scelta di informare o meno gli studenti di ciò che sono ora.»
Remus non riuscì più a trattenere le lacrime, scosso da piccoli tremiti nervosi tornò a piegare il capo in avanti e chiudere un po’ le spalle.
«E in cosa aveva ragione Harry?» singhiozzò a denti stretti.
«In merito al fatto che andarcene significherebbe dare un'enorme vittoria alla causa di Greyback. Farci ridurre come lui: reietti incattiviti dalla solitudine e il disprezzo della società. Dobbiamo stare al nostro posto, Remus, avere una vita il più possibile normale e soddisfacente e per questo io credo che … » esitò.
Lupin sgranò gli occhi quando si sentì chiamare per nome.
«Credi che?» lo spronò a finire, tamponandosi la faccia con la manica del camice.
Snape abbassò lo sguardo alle proprie mani strette sulle cosce, tacque per lunghi attimi con la confusione di chi fatica a trovare le parole giuste.
«Io penso che noi due non ci amiamo.»
«C-come?» sussurrò Remus, spiazzato.
«Intendo, non amiamo noi stessi. Io mi odio, tu ti odi.» proseguì visibilmente in difficoltà il pozionista. «Però … » prese coraggio, puntando l’altro dritto negli occhi. « … potremmo volerci del bene a vicenda. Come a … sopperire alle rispettive mancanze.» mormorò.
Remus sgranò gli occhi, ancora lucidi, improvvisamente più attento e sveglio.
«Tu intendi … ?» chiese esitante.
Severus prese un respiro profondo, chiuse gli occhi e a voce molto bassa confessò:
«Io … mi sono innamorato di te quando avevamo tredici anni, o poco più.»
Nonostante il tono lieve, Remus rimase stordito come se l’altro gli avesse urlato in faccia. Trattenne il fiato, come ad evitare il rischio di interromperlo anche solo respirando.
«Ero proprio ossessionato da te. Per quello Black riuscì ad attirarmi facilmente in trappola al quinto anno. Dopo l’incidente alla Stamberga avevo praticamente costretto Dumbledore a sottopormi ad un Oblivion per dimenticarmi ciò che provavo per te, in cambio del silenzio su ciò che eri. Mi sono ricordato di tutto ciò mesi fa, mentre lottavo contro la febbre e il veleno di Nagini. Albus me l’aveva detto, che con un sentimento come l’amore l’Oblivion non sarebbe durato per sempre, ma io provavo troppa invidia e dolore per conviverci. Era un tormento che pensavo si sarebbe cancellato col tempo.»
«Chissà come sarebbero andate le cose se avessi scelto diversamente.» concluse, riaprendo gli occhi dietro cui si scorgeva ancora quello stesso tormento di quando era un ragazzino.
Remus lo fissava con uno stordimento trasognato. Inghiottì a vuoto e parlò piano.
«E ora, cosa provi?»
Severus rialzò lo sguardo nel suo e proseguì, ancora con una certa difficoltà.
«Lo stesso identico sentimento di più di vent’anni fa. Lo stesso identico dolore e desiderio.»
«Perché dolore?» mormorò Remus allungandogli timidamente una mano.
Severus gli accostò la propria, si sfiorarono le dita, cauti e impacciati.
«Credo tu lo sappia bene, Remus.» sussurrò mesto. «Sentivo e sento di non meritare né te né un po’ di gioia o normalità. Ho cercato di allontanarti in ogni modo, di farti del male, scacciarti, ma al contempo non riuscivo a fare a meno di starti vicino e pensare a te. Ieri, quando ho aperto gli occhi in infermeria, dopo che Poppy mi ha rimesso in sesto il braccio, a mente fredda riuscivo a pensare solo a te. Al fatto che volevo starti vicino, e che anche se probabilmente mi merito la solitudine io non la desidero davvero ma mi ci sono rifugiato dentro, proprio come Nott. Non mi importava di nient’altro ieri e non mi importa di nient’altro oggi: né della maledizione della licantropia, né del giudizio della gente, né del fatto che sei un uomo. Io voglio solo … te.» si bloccò, lo sguardo ancorato al suo.
Remus rimase fermo per qualche attimo col cuore in gola e poi la sua espressione mutò: ogni traccia di frustrazione, dolore, dubbio, venne lavata via da un sorriso tiepido. Rinsaldò la presa sulla mano del moro e senza preavviso lo tirò verso di sé con uno strattone.
Severus si ritrovò proiettato in avanti, gli occhi sgranati dalla sorpresa. Scivolò con un ginocchio sul letto per non rischiare di cadere addosso all’altro, che lo afferrò per il colletto della camicia e lo tirò ancora più giù. Sollevò il capo e avvicinò il volto al suo. I loro nasi si sfioravano, gli occhi finalmente persi uno in quelli dell’altro. Nonostante la foga impulsiva del gesto però, attese qualche attimo, finché non fu proprio Severus a chiudere la brevissima distanza e unire le loro labbra.
Dopo la tensione del primo contatto si rilassarono rapidamente, con la calma improvvisa delle profonde liberazioni. 
Severus scivolò a sedere sul bordo del letto e appese la mano libera a una spalla dell’altro, tirandoselo un po’ più vicino. Remus dettò il ritmo del bacio, guidandolo da un contatto fin troppo casto ad un massaggio più audace in pochi attimi. Gli piazzò una mano fra i capelli, accarezzandogli la nuca e le ciocche scure e corte.
Fu un bacio iniziato con desiderio e disperazione, dolce e doloroso, che non tardò a sporcarsi di ogni altro vivace sentimento che provavano da troppo tempo. 
L’impulso del primo contatto non si chetò subito. Anche quando si staccavano tornavano a cercarsi, bisognosi di un altro giro contro le rispettive labbra.
Quando si separarono per davvero erano entrambi storditi e confusi, col cuore lanciato in una corsa da velocista.
Remus tenne il capo dell’altro fra le dita e gli spiegò piano, con un sorriso commosso.
«Pensavo sarei diventato vecchio, prima che ti decidessi perlomeno ad essermi amico.»
Severus fece uno dei suoi sorrisi storti ma schietti. Gli carezzò il collo e poi lo abbracciò mollemente tirandoselo contro il petto.
«Mi dispiace, Remus. Di tutto quello che ti ho fatto negli ultimi anni e di averci messo così tanto ad accettare te e quello che sento per te.»
L’altro tirò su il capo, gli sfiorò la fronte con la propria in un colpetto di testa innocuo. Raccolse quel frammento di cioccolato che aveva spezzato ed era rimasto incastrato nella carta argentata.
«Passerà tutto. Il dolore, il rancore e il rimpianto.» mormorò. «E forse rimarrà un po’ di dolce.»
Mentre loro parlavano piano, uniti come due bestiole che si leccano a vicenda le ferite, una figuretta minuta si scostava molto lentamente dalla porta socchiusa.
Kelly White, col volto color pomodoro in barba al suo cognome, spiccò una silenziosa corsetta che le consentì di scappare il più lontano possibile dalla zona dell’infermeria.



Quando Kelly raggiunse i dormitori di Serpeverde, ancora visibilmente scossa, trovò ad accoglierla Blaise e Pansy seduti davanti al camino su uno dei divani verde smeraldo della sala comune. Seduto al tavolo poco più in là c’era Draco, intento a cercare di scrivere qualcosa su una pergamena non molto fitta di righe. Il grosso degli altri compagni era già andato a letto, e solo alcuni di loro erano sistemati fra tavolini e divani, chi intento a leggere un libro, chi a ripassare.
Appena la videro, Pansy e Blaise fecero cenno alla bambina di raggiungerli, mentre Draco studiava la situazione pochi metri più indietro con aria curiosa.
«Allora, l’hai trovato?» chiese in tono annoiato Blaise.
«No.» mormorò la bimba, che evitò di sedersi accanto a loro preferendo lanciarsi verso i dormitori.
«Allora perché hai quella faccia?» indagò divertita Pansy.
Draco ripiegò e intascò la lettera, fece sparire calamaio e penna e si alzò, avvicinandosi cauto agli altri.
«Chi cercavate?» chiese, incapace di celare una vaga preoccupazione.
«Snape.» rispose Pansy, abbassando la voce per non farsi sentire dai compagni poco lontano. «Voleva chiedergli scusa o qualcosa del genere.»
«Ah.» mugugnò Draco, squadrando la bambina con un’occhiata curiosa.
«S-sì.» mugugnò quella. «L’ho trovato ma … mi sento in imbarazzo ecco. Credo gli scriverò una lettera.» inventò di sana pianta.
«È il suo insegnante preferito e adora Pozioni.» spiegò Blaise, abbassando a sua volta la voce. «Teme che dopo il casino recente le metterà voti orribili per sempre.»
«Non è per quello.» squittì White, in difficoltà. «Mi dispiace davvero per lui.» mugugnò.
I tre la guardarono un po’ perplessi, quindi Draco mormorò:
«Tu non hai colpa, comunque. Nessuno di noi ne ha per quella faccenda, dunque non serve scusarsi. Essere attenta e impegnarti tanto durante le lezioni sarà il giusto modo di compiacerlo, credimi.»
«S-sì, hai ragione. Io ora … vado a dormire. Buona notte.» disse la piccola, fuggendo di fatto lungo le scale verso i dormitori delle ragazze.
Pansy si alzò con un sospiro stanco.
«Non è ancora molto brava a mentire.» sorrise agli altri due, quindi seguì Kelly dopo un rapido cenno di saluto.
Blaise incassò il congedo della ragazza con una smorfia insoddisfatta, quindi fece cenno a Draco di raggiungerlo sul divano.
Draco lo affiancò, sebbene un po' spiazzato dall’invito.
Dal tavolo in fondo si alzò un ragazzone del sesto anno, uno dei battitori che sfilò verso i dormitori maschili dopo avergli scoccato un’occhiata stizzita.
Entrambi lo ignorarono, e Draco si rivolse all’ex amico.
«Come va? In generale e con Pansy intendo.» sussurrò.
«Va bene. Per quanto possa andare bene un qualcosa che non va.» sottolineò sarcastico le ultime due parole.
«Sei sempre stato un tipo diretto, immagino ti sia già dichiarato.»
Blaise annuì.
«Cosa ti ha detto?»
«Che le serve tempo per pensarci. Che le piaccio ma forse è solo perché sono troppo bello e non capisce se quello che prova è un affetto platonico misto ad attrazione fisica e…  non lo so, non ci ho capito niente. Ha detto anche che vorrebbe conoscere qualcun altro prima di rischiare di impegnarsi a diciotto anni e cose simili.» ammise amaramente. «La capisco, in parte. Ormai noi Serpeverde siamo rimasti così pochi che non si può dire ci sia una grande scelta.»
«Perché credi sia andato a pescare fra i Grifondoro?» scherzò Draco.
Blaise si concesse una risatina divertita, annotando attento l’uscita di scena dell’ultimo compagno che era rimasto in sala. Quando furono completamente soli si avvicinò meglio a Draco.
«Inizio a pensare di aver fatto una scemenza a rifiutarti, anni fa.» ammise con un sorriso triste. Allungò una mano verso il viso dell’altro, la pelle scurissima in netto contrasto con quella esangue di Draco. Lo sfiorò a stento.
Il biondo incassò quella carezza con un piccolo brivido confuso, gli occhi persi per un istante di troppo in quelli scuri del compagno.
Zabini si piegò verso di lui e fu quando provò a baciarlo che l’altro si riscosse. Alzò una mano frapponendola fra i loro volti e indietreggiò di poco col busto.
«Wow. Allora è una cosa seria con Potter.» rise Blaise ironico, che tornò a sedersi dritto.
Draco sospirò con un sorriso mesto e gli sfiorò una spalla.
«Lo so quanto fa schifo essere soli, Blaise. Vorrei non essere stato un vigliacco mesi fa quando vi ho piantati in asso. Forse certe cose non sarebbero accadute. Forse Severus sarebbe-»
Blaise fece per interromperlo, ma venne a sua volta bloccato dall’aprirsi della porta d’accesso alla sala comune, qualche passo più a destra. Si voltarono entrambi e si bloccarono per il leggero stupore quando videro chi stava entrando.
Theodore Nott con l’aria più apatica e smorta del suo repertorio sfilò oltre l’uscio, annotò la loro presenza e filò dritto verso le scale.
Blaise e Draco si scambiarono un’occhiata tesa e il moro sussurrò:
«È appena tornato dalla visita al padre.»
«Andiamo.» propose Draco.
L’altro annuì. Si alzarono e seguirono il compagno verso la stanza che era ormai diventata d’uso singolo di Blaise e Theodore, visti i pochissimi studenti rimasti.
Nott, arrivato al suo letto, si era tolto giusto la mantella che aveva abbandonato sulle coperte, e poi si era messo a sedere. Fissava a terra, l’aria profondamente apatica e insensibile agli stimoli. Ignorò l’ingresso dei due compagni, che rimasero a fissarlo turbati per diversi attimi prima di richiamarlo.
«Theo. Ti hanno fatto incontrare tuo padre?» chiese Blaise, nel tono più delicato che poté, andando a sedersi sul letto accanto a quello del compagno, lì dove poteva fronteggiarlo.
Draco invece azzardò ad avvicinarsi un po’ di più a Nott, ma rimase in piedi e quando quello non rispose in alcun modo allungò una mano verso una sua spalla.
«Theodore.» lo richiamò piano.
Il ragazzo scansò la sua mano con un colpo della propria.
«Lasciatemi in pace.» mormorò rauco.
Draco non si lasciò scoraggiare, e non solo tornò a cercargli la spalla con una mano, ma vi aggiunse anche l’altra.
«No che non ti lascio in pace. L’ho già fatto una volta questo errore. Guardami e parlami, Theo.» ordinò deciso, stringendo la presa per resistere ai fiacchi tentativi dell’altro di divincolarsi.
Nott chiuse gli occhi, teso e infastidito e girò ostinatamente il capo da un lato, manco potesse cancellare Draco e la sua insistenza dal proprio mondo.
Blaise si alzò dal letto e andò a sedersi direttamente accanto a Theodore. Il ragazzo espirò rumorosamente, ulteriormente infastidito dall’avvertire quella vicinanza.
«A giudicare dalla tua reazione direi che alla fine l’hai visto, tuo padre.» spiegò basso Zabini. «Cos’è successo? Come sta?»
Theodore fece scena muta, anche dopo diverse altre domande e insistenze da parte di entrambi.
Quando fu palese che il ragazzo non voleva cedere, Draco lo lasciò andare con una smorfia profondamente addolorata. 
Si cambiarono in silenzio infilandosi nei relativi pigiami e poi sotto le coperte, spensero le luci.
Dopo pochi minuti, il silenzio venne interrotto dalla voce bassa e piatta di Nott.
«Ti hanno rimesso in questa stanza per farmi da guardia, Malfoy?»
Draco fece un piccolo sbuffo.
«Dimmi com’è andata con tuo padre e ti dirò perché sono nuovamente in questa stanza.» lo provocò ironico.
Dopo un minuto buono di silenzio, la voce bassa e infelice di Nott tornò a farsi sentire.
«Mi hanno fatto incontrare papà in una cella al Ministero. L’avevano curato ma era messo comunque male.» raccontò  piano, atono. «Avevamo quindici minuti di tempo ed è rimasto zitto a fissarmi per almeno dieci. Mi guardava come se stesse vedendo una delle cose più disgustose e deludenti della sua vita. Poi ha parlato ed è stato anche peggio.»
«Cosa ti ha detto?» lo spronò debolmente Draco.
«Che dovevo ringraziare quei cani sanguesporco del Ministero per averlo ammanettato, o mi avrebbe ammazzato di botte. Mi ha dato del vigliacco per non aver avuto il coraggio di uccidervi tutti personalmente e che avrebbe preferito morire piuttosto che vedermi ancora dopo una cosa simile.» concluse funereo.
«Tu hai provato a parlargli?» tentò Zabini poco convinto.
«No. Che cosa potevo dirgli che già non sapesse? Che non voglio davvero ammazzarvi perché non me ne frega niente dei suoi valori?» sbuffò il ragazzo, la voce cupa e piatta.
«Spiegargli le tue ragioni non sarebbe stato sbagliato. Dirgli che vorresti ancora provare a vivere una vita normale, senza andare a fondo con lui?» provò Draco.
Nott emise uno sbuffo frustrato.
«Mi ha disconosciuto.» aggiunse greve.
«Cosa?» esclamò Draco scattando sù. Riaccese una delle lampade ad olio sul comodino, in una luce fioca che invase l’ambiente con delicatezza.
Theodore era sdraiato su un fianco, dava le spalle a entrambi i letti dei compagni e quando vide quella luce si coprì con forza fino alla fronte.
Blaise e Draco si alzarono, inforcarono le pantofole e gli si avvicinarono, il secondo con una certa premura.
«Che vuol dire che ti ha disconosciuto? Non può farlo.» obiettò Zabini.
«Può.» mormorò cupo Draco. «E significa che … »
«Significa che non ho nulla. Non sono più nulla. Non posso nemmeno tornare a casa finché lui non morirà. Forse nemmeno dopo la sua morte. Significa che non lo rivedrò mai più.» mormorò il ragazzo, profondamente depresso.
Lo videro tremolare sotto le coperte.
Blaise restò in piedi, incapace di dire qualsiasi cosa, mentre Draco andò a posare una mano su una spalla dell’ex amico sotto le coperte.
«Lasciatemi in pace. Non me ne faccio un cazzo della vostra pietà.» sibilò basso quello, dando una scrollata brusca con la spalla per levarsi di dosso la mano del biondo.
«Theo.» lo richiamò Draco, tirando le coperte per forzare l’altro a scoprire almeno la testa. «Guardami, per favore.»
Theodore tirò su il capo e gli rivolse un’occhiata infelice, dolente, anche peggiore dell’apatia ostentata prima. Aveva gli occhi lucidi, occhiaie marcate ed una rassegnazione da condannato a morte.
Draco si accovacciò accanto al letto per essere alla sua stessa altezza, la mano ancora aggrappata alla coperta.
«Non pretendo di tornare ad essere il tuo migliore amico, né un amico e basta. Ma non rifarò la stessa stronzata due volte. Non sei solo, non ti lascerò indietro.» promise.
L’indolenza di Theodore si infranse come un vetro filato colpito nel punto giusto. Chiuse gli occhi, il viso aggrottato dal dolore di un pianto che non poté trattenere.
«E come intendi fare?» singhiozzò. «Nemmeno tu hai più il supporto di tuo padre. Siamo qualcosa che non riconoscono, che non amano più. Li abbiamo traditi e delusi. Non siamo più niente.»
Draco tornò a cercargli la spalla con la mano, lo strinse e gli parlò piano.
«Papà non è mai stato molto affettuoso, lo conosci. Però nel periodo in cui era tornato a casa dopo la permanenza ad Azkaban era ancora peggio. Come se quei mesi lì gli avessero rotto qualcosa dentro, e ancora oggi è rimasta traccia di questo danno. È più impulsivo, infelice e insofferente: ha quasi tolto la parola a mia madre per settimane dopo la guerra. Non credo che tuo padre non ti ami, credo sia solo distrutto dagli anni in quel posto di merda. Non credo sia più lui a parlare ma i sentimenti orribili che gli sono rimasti dentro senza nessuna gioia. Se avesse voluto che tu diventassi un assassino ti avrebbe costretto a ricevere il marchio nero, invece a suo tempo ti ha lasciato libero.»
Theodore pianse se possibile più forte di prima, tornando a nascondere il volto contro il cuscino.
«Sta zitto. Ti odio.» ringhiò, ma stavolta non si sottrasse al suo tocco, anzi si accostò quasi più vicino.
«Odiami quanto ti pare.» sospirò pazientemente Draco. «Se ti fa stare meglio lo accetterò. Ma non isolarti da noi, non fare follie. Troveremo una soluzione.»
Theodore si sforzò di fermare il pianto ma tutto ciò che uscì fu un rantolo rabbioso e un altro attacco di singhiozzi e respiri mozzi.
Draco si rimise in piedi, cercò Blaise con un’occhiata determinata.
«Stagli vicino per favore. Io devo finire una cosa.» mormorò, sfilandogli accanto.
Il moro annuì e gli diede il cambio, mentre il ragazzo si mise seduto a letto e recuperò la pergamena che aveva riposto prima. Armato di penna e calamaio, poggiato sul comodino, riprese a scrivere quelle righe che prima non sembravano proprio voler fluire.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** L'unione ***




I primi di dicembre Hogwarts aveva iniziato a cambiare veste in vista del Natale. Hagrid aveva già portato nella sala grande una dozzina di floridi abeti, più uno enorme posizionato al centro fra le quattro tavolate degli studenti. I professori, aiutati da molti ragazzi, avevano provveduto ad appendere festoni, candele incantate, fiocchi e palline, che avevano contribuito a soffocare un po’ l’orrore del recente attacco di Greyback a scuola.
La mattina del cinque dicembre, i ragazzi entrarono in sala grande e trovarono le tavolate ordinatamente apparecchiate ma completamente sguarnite di cibo. In un vivace chiacchiericcio generale, tutti si accomodarono ai loro posti sotto gli occhi dell’intero corpo docenti già riunito al tavolo in fondo. Eli Porter era ormai una presenza stabile, al punto che gli era stato finalmente offerto un posto a sedere alla sinistra di Hagrid.
Quando l’ultimo ragazzino si fu seduto, la preside si alzò con calma e si avvicinò al piccolo scranno da cui si facevano solitamente gli annunci e tutti si zittirono attenti.
«Buongiorno. Come i vostri stomaci avranno sicuramente notato, la colazione non è stata ancora servita: questo perché desidero fare prima un annuncio importante. Hogwarts andrà incontro per il mese di dicembre ad un evento peculiare, che si è verificato prima d’ora solo due volte in un millennio e più di storia della scuola.» annunciò solenne. Aveva un’aria molto seria, persino un po’ accigliata.
Hermione, dal suo posto accanto a Ron sorrise sorpresa.
La preside levò la bacchetta e con un gesto molle del polso cambiò in un colpo solo tutti gli stendardi appesi alle pareti. Serpeverde, Grifondoro, Tassorosso e Corvonero scomparvero dalle rispettive insegne e al loro posto comparve il simbolo della scuola che li racchiudeva tutti e quattro.
Mentre un brusio eccitato e sorpreso si levava fra gli studenti, la preside proseguì.
«Per tutto il mese di dicembre le competizioni fra le casate verranno sospese, ad eccezione del campionato di Quidditch che proseguirà regolarmente. Non vi saranno dunque punti da assegnare per le clessidre, né in merito né in demerito. I posti a sedere ai vari tavoli qui nella sala grande saranno liberi. A partire da oggi stesso, anzi da ora, potrete sedervi ad un’altra tavolata a volta scelta, accanto a chi preferite.»
Il brusio si alzò notevolmente, e la maggior parte delle voci sembrava divertita.
«Sebbene ognuno di voi manterrà i colori della propria casata sull’uniforme, vi sarà concesso accedere alla sala comune di tutte le altre casate. Abbiamo provveduto ad incantare e collegare i camini di ogni sala comune, posizionando una scorta di metropolvere speciale accanto a ciascuno. Il funzionamento è identico a quello della metropolvere normale, per la destinazione dovrete specificare chiaramente la casata che intendete raggiungere. Gli accessi usuali rimarranno protetti dalle relative parole d’ordine.»
Il brusio crebbe ad un vociare sempre più intenso, tanto che la preside fece cenno a tutti di attendere.
«Ovviamente ci sono delle condizioni a cui attenersi pedissequamente. La prima è che ognuno di voi manterrà il proprio posto letto al dormitorio come assegnatogli, non saranno consentiti spostamenti in tal senso. I dormitori resteranno infatti accessibili solo agli studenti della relativa casata: potrete visitare insomma solo le rispettive sale comuni.»
«La seconda regola è che i camini consentiranno questi trasporti solo fino a mezzanotte. Dieci minuti prima di tale scadenza un rintocco vi avvertirà dell’imminente chiusura, pertanto dovrete sbrigarvi a tornare al vostro dormitorio o vi toccherà farlo a piedi, possibilmente in fretta.»
Diverse mani si alzarono a chiedere parola, ma la donna fece ancora un cenno a di avere pazienza.
«Prima di eventuali interrogativi, vorrei ricordare a chi non ha studiato approfonditamente la storia della scuola, che questa peculiare gemellanza fra casate si verificò in passato in occasioni molto infauste. Situazioni tragiche che avevano richiesto l’unione di tutti gli studenti per questioni di sicurezza e bisogno. Oggi non è così. Lo scopo è quello di coltivare un maggiore senso di unione, amicizia e fratellanza inter-casa. Pertanto, chiunque venga sorpreso a utilizzare questo strumento per infastidire, danneggiare o provocare danno ai compagni, si vedrà precludere l’accesso al camino.» spiegò con un cipiglio fra i più severi mentre squadrava l’intera scolaresca.
Alcune mani si abbassarono, e la McGonagall fece cenno di parlare ad un ragazzino del terzo anno di Tassorosso.
«Durerà solo un mese? Non si potrebbe farlo per due?»
Una voce dal tavolo di Serpeverde borbottò acida:
«Durerà addirittura un mese, vorrai dire.»
Qualcuno rise, qualcun altro sbuffò.
«Esattamente signor Atkinson. Per ora sarà solo un mese.»
«E se volessi rimanere a dormire nella sala comune di Tassorosso?» chiese divertito un quinto anno di Grifondoro.
«Niente pigiama party, signor Taylor.» negò aspra la preside. «Potremmo fare un’eccezione, se vi comporterete adeguatamente, forse solo le sere di Natale e Capodanno.»
Il chiacchierio si alzò vivace su tale punto, e la preside emise un sospiro pesante, facendo cenno di calmarsi.
«Sono conscia del fatto che molti di voi cercheranno di aggirare le regole, o misurarne la tolleranza.» spiegò, lanciando un’occhiata severa ad alcuni in particolare, fra cui Harry e Ron. «Vi ricordo però che anche se non perderete punti, le punizioni singole sono sempre attive. Inoltre, se potremmo dirci persino clementi sui brevissimi ritardi nei giorni comuni, il coprifuoco diventerà del tutto tassativo la sera del prossimo plenilunio, il 28 dicembre. La luna sorgerà alle 19, dunque subito dopo cena verrete scortati tutti nei vostri dormitori e lì dovrete rimanere. Per quella giornata i trasporti nei camini resteranno inattivi.»
Un ragazzo di Serpeverde del secondo anno alzò la mano, ma iniziò a parlare praticamente prima che la preside gli concedesse il permesso.
«Dato che questi disagi ogni mese avvengono per colpa del direttore della casa di Grifondoro, perché non bloccare solo il loro, di camino? Non è giusto che ci rimettiamo tutti.»
La McGonagall lo fulminò con lo sguardo e quello abbassò il proprio, arrossendo nonostante l’approvazione di qualche compagno.
«Perché il blocco dei camini non è un castigo, Jenkins, ma una prevenzione per evitare di farvi stare in giro. Una sera a letto presto non farà del male a nessuno.»
Mentre la donna spiegava, Remus, conscio di avere addosso diverse paia d’occhi fra studenti e insegnanti, strinse nervosamente una mano a pugno. Severus fissò per diversi attimi quella mano rovinata dalle cicatrici, contratta fino a tremolare leggermente, quindi si alzò in piedi con calma. Lo stridere della sua sedia a terra fece spostare l’attenzione di tutti su di lui.
Remus lo guardò prima con confusione, poi allerta.
«Severus, non …» mormorò, ma quello gli fece cenno di fermarsi e iniziò a parlare a voce alta, rivolto agli studenti di Serpeverde.
«Signor Jenkins la sua domanda era così idiotica che fossi in lei mi scuserei con la preside per averla costretta ad udirla e rispondervi.» spiegò duramente. «Però mi offre uno spunto per qualcosa che prima o poi avrei comunque annunciato.»
Remus trattenne il respiro per la tensione. Chiunque sapesse quello che era successo durante lo scontro con Greyback era sull’attenti alla stessa maniera. Draco fra tutti fissava il padrino con una vena di timore, Hermione era apprensiva proprio come la preside, mentre Harry, Ginny, Ron ed Eli avevano lo stesso identico sorriso di fiera approvazione.
«Durante l’ultimo scontro con Fenrir Greyback di qualche giorno fa, il professor Lupin, nonostante fosse in forma animale e indebolito dalla pozione antilupo, ha lottato per difenderci rischiando la vita e guadagnandone ferite da cui si sta ancora riprendendo.» iniziò l’uomo, la voce calma e profonda, seria. «Durante tale scontro anche io sono stato ferito da Greyback. Per la precisione, mi ha morso.»
Nella sala grande calò un silenzio di tomba, in cui il vicepreside proseguì indisturbato.
«Abbiamo dunque la certezza, o quasi, che il 28 dicembre anche io finirò col trasformarmi al sorgere della luna piena. Né a me né al professor Lupin l’idea di vivere con questa condizione piace, ve lo posso garantire. Tuttavia non possiamo fare altro che andare avanti e cercare di vivere al meglio, continuando a insegnarvi ciò che sappiamo, anche con il disturbo di un paio di giorni di assenza al mese.» Fece per risedersi, ma prima aggiunse, stizzito: «Ah, Jenkins. La mancanza di rispetto verso il direttore della casa di Grifondoro le varrà tre sabati in punizione con me.»
Il ragazzino di Serpeverde era ormai così rosso in faccia che avrebbe fatto pendant con la divisa di Grifondoro.
Nel silenzio generale, mentre il professore tornava al suo posto e la McGonagall si schiariva la gola, una ragazza del sesto di Tassorosso parlò dopo aver sventolato timidamente la mano.
«Ehm, mi scusi signora preside, ma quindi possiamo alzarci e cambiare posto anche ora, volendo?»
La McGonagall tornò a sorridere e la sala grande si rianimò di chiacchiere eccitate. C’era chi guardava Snape e Lupin con maggior timore di prima, chi con ammirazione e rispetto.
Sotto il tavolo, non visti grazie al lungo drappo della tovaglia natalizia, Remus e Severus cercarono le rispettive mani in una stretta nervosa.
«Sì, signorina Clarke. Potete e anzi vi invito a farlo, così da farvi servire la colazione nel vostro nuovo posto. Su, coraggio.» li spronò la preside, sebbene non sembrasse completamente entusiasta del cambiamento.
Clarke si alzò con uno squittio entusiasta e con una corsetta raggiunse un’amica al tavolo di Corvonero che la accolse eccitata, facendole spazio accanto a sé.
Sebbene un po’ timidamente, diverse sedie vennero spostate. Qualcuno raggiunse gli amici, qualcun altro il fidanzato o la fidanzata, ed entro dieci minuti una trentina di studenti si erano spostati e chiacchieravano di buon umore. L’unico tavolo a cui nessuno andò a sedersi e da cui nessuno si alzò fu quello di Serpeverde. Harry e Draco si guardavano incerti dalla distanza.
«Va da lui, avanti. Sta praticamente cercando di evocarti lì con gli occhi.» Ron spronò l’amico tirandogli una gomitata gentile.
Al tavolo di Serpeverde invece fu Zabini ad accostarsi a Draco, che era tornato a sedersi accanto a lui e Nott.
«Vai, tanto ormai che hai da perdere? Sono tutti scioccati per Snape.» lo provocò con un sussurro ironico.
Pansy osservò la scena con un disgusto palpabile come buona parte dei suoi compagni. Anche Kelly White, che inizialmente aveva puntato un bimbetto di Tassorosso con aria tentata, aveva subito cambiato registro al vedere la reazione della ragazza più grande, provvedendo a copiarne postura e smorfia.
Quando tutti si accorsero che i Serpeverde erano stati esclusi dal peculiare gemellaggio, cadde un silenzio strano. Tutti guardavano i verdeargento, inclusi i docenti e la preside, con aria incerta.
«Avanti.» bofonchiò Hagrid.
Harry e Draco si alzarono nello stesso momento dopo un piccolo cenno d’intesa. Si mossero insieme andando uno incontro all’altro. Non raggiunsero i rispettivi tavoli però. Si fermarono a quello di Tassorosso nel mezzo e si sedettero uno di fronte all’altro, accolti subito dai commenti entusiasti dei gialloneri. Fu a quel punto che un paio di Tassorosso si alzarono dopo un breve confabulare e andarono in massa al tavolo mezzo vuoto di Serpeverde.
Il bimbo che Kelly aveva puntato prima le sorrise raggiante mentre si sedeva accanto a lei e la facciata indignata della bimba si sciolse lentamente. Sotto gli occhi curiosi di tutti, i Tassorosso iniziarono lentamente a rompere le fila dei Serpeverde: uno dei battitori della squadra giallonero si conquistò il posto accanto al portiere verdeargento con un paio di complimenti sulle parate del loro ultimo incontro. Una coppia di sorelle del quinto e settimo si sistemarono in mezzo allo sparuto gruppo del primo e secondo anno. Un corpulento ragazzone del settimo invece, puntò una quasi altrettanto robusta coetanea, sorridendole affabile mentre le spiegava che prima si fossero seduti e prima avrebbero iniziato a mangiare.
Fu poi il turno di Luna e Ginny, che andarono a piazzarsi, la prima accanto e l’altra di fronte, ad un allibito Theodore Nott.
«Oh, è davvero stupendo vedere la sala grande da questa angolazione, non ci ero mai stata.» commentò Luna deliziata, manco fosse la prima volta che ammirava l’architettura del castello.
Ginny rivolse a Theodore un sorriso sardonico, più di sfida che amichevole.
«Sono una purosangue, Nott. Puoi sforzarti di mangiare al mio stesso tavolo e magari farmi anche un mezzo sorriso, avanti.» lo provocò.
Il ragazzo la fissò a metà fra indignato e stordito, poi abbassò lo sguardo al proprio piatto e si chiuse dietro un broncio malmostoso che fece ridacchiare la rossa.
Quando finalmente le tavolate furono un po’ più eterogenee, la preside sorrise più serenamente.
«Molto bene. Ovviamente senza fare troppo trambusto, potrete cambiare posto ogni giorno come preferite. Ed ora, buon appetito a tutti.» annunciò, sancendo di fatto l’inizio della colazione.
Quando il cibo apparve fra i tavoli, perfettamente porzionato per i nuovi curiosi equilibri di studenti, una parte dei malumori vennero sedati dalla premura di mettersi finalmente qualcosa nello stomaco.
Gli studenti che si erano spostati per primi sembravano tutti particolarmente contenti, ma anche molti di coloro che non si erano mossi accolsero la novità con un fermento positivo.
Harry e Draco mangiarono in silenzio, cercando di trattenere i sorrisini beoti ogni volta che i loro sguardi si incrociavano.






Qualche giorno dopo l’annuncio della peculiare iniziativa di gemellaggio fra le case, il numero di studenti che aveva cambiato postazione a tavola era cresciuto esponenzialmente. La tavolata di Serpeverde era una fra le meno frequentate, ma i Tassorosso sembravano aver fatto una missione personale il fargli compagnia. Erano anche gli unici ad aver visitato la loro sala comune a parte Harry, Luna e Ginny. La rossa sembrava trovare particolarmente divertente dare bonariamente il tormento a Nott, che dopo i primi giorni di broncio e tentativi di scacciarla si era arreso ad averla seduta di fronte almeno un pasto al giorno.
Al pranzo della domenica infatti, Ginny aveva occupato il posto di fronte a Theodore, riuscendo a strappargli persino qualche chiacchiera svogliata ed esasperata. Il suo umore non era mai migliorato dall’infelice incontro col padre di giorni prima.
A porre fine alle torture della Grifondoro verso il ragazzo arrivò a fine pranzo Snape. Era accompagnato da Draco, che aveva recuperato pochi attimi prima dalla tavolata di Corvonero dove si era seduto in compagnia di Harry. Nessuno dei due aveva ancora osato sedersi alle rispettive tavolate.
«Nott, vieni con me per favore.» lo richiamò serio.
Il ragazzo si alzò di buon grado, lasciando Ginny con un broncio insoddisfatto e giusto un grugnito come cenno di commiato, prima di seguire il pozionista e Draco.
Attraversarono la sala grande sotto gli occhi curiosi di diversi compagni, poi una volta fuori nel corridoio Snape anticipò ogni quesito.
«Draco, vai di sotto nel mio studio. Nott verrà con me nell’ufficio della preside.»
«C’è qualcosa che non va?» chiese il biondo, apprensivo.
«No, anzi.» ammise Severus facendogli cenno di sbrigarsi.
«Va bene, professore.»
Nott non disse niente, si limitò a seguire il vicepreside lungo le varie scalinate e fu ancora una volta l’uomo a parlare.
«Non so come prepararti a ciò che sta per succedere, Nott. Non so se sia il mio ruolo dirti alcunché per spronarti in un senso o in un altro.» spiegò incerto, mentre Theodore lo guardava sempre più perplesso.
«Di cosa si tratta?»
«Ti verrà fatta una proposta nell’ufficio della preside. Qualcosa che potrebbe aiutarti a cambiare la tua vita. Non voglio influenzarti però, dovrai decidere da te.»
Theodore, ancora più confuso di prima, guardò il docente con la fronte aggrottata.
«Qualcosa che potrebbe cambiare la mia vita?»
«Già.»
Arrivarono fino all’ufficio della preside, e prima di pronunciare la parola d’ordine Snape si rivolse al ragazzo con un'ultima occhiata serissima.
«Non dovrai decidere oggi così su due piedi. Pondera bene la tua scelta.»
«Non vuole proprio darmi alcun consiglio, signore? Forse stavolta potrei darle ascolto.» ammise, teso ma ironico.
Snape esitò, ma alla fine negò.
«Non ora. Ma mi troverai nel mio ufficio più tardi, se vorrai parlarmi.»
Nott annuì, quindi gli fece cenno di procedere, braccia incrociate e una posizione tesa, chiusa.
Quando entrò nell’ufficio della preside, vi trovò dentro solo una persona ad attenderlo.
Accomodato su una delle poltrone davanti alla scrivania della McGonagall, c’era Lucius Malfoy. Elegante e pallido come sempre, l’espressione altezzosa tornata quasi completamente ai vecchi fasti sul suo volto sbarbato.
Theodore rimase fermo sulla porta a fissare l’altro con aria confusa, mentre quello appena lo vide piegò leggermente il capo in un cenno di saluto e gli indicò col bastone da passeggio la poltrona accanto alla propria.
«Vieni qui, Theodore. Parliamo come persone civili.» spiegò mellifluo.
Nott strinse la mascella, ma lo raggiunse e si mise a sedere dove indicatogli.
«Il professor Snape ha parlato di una proposta. Mi aspettavo qualcuno del Ministero, non lei, signor Malfoy.» ammise, digrignando quasi i denti nel pronunciare il suo nome. Lo fissava con un astio attento, vivido e cocente.
«Di fatto, è una proposta quella che ho per te.» confermò l’uomo, spendendo uno dei suoi sorrisi gelidi. «Dovresti placare il tuo rancore. Sono quanto di più vicino hai ad un alleato, ora come ora.»
«Che tipo di proposta?» mormorò diffidente Nott.
«Non sei uno che si perde in convenevoli.» rise ironico Lucius. «Va bene, ti verrò incontro. Narcissa ed io siamo venuti a conoscenza dei dettagli di quanto accaduto qui ad Hogwarts nei mesi scorsi. Ed anche di quanto accaduto con tuo padre ad Azkaban, del tuo ultimo confronto con lui e le relative conseguenze.»
Theodore strinse se possibile ancora più forte l’incrocio delle braccia al petto.
«Gliel’ha riferito Draco?» sibilò, nervoso.
Lucius non negò né confermò, ma anzi continuò come non fosse stato interrotto.
«Mio padre e il tuo, come ben sai, erano profondamente legati. Non è un caso che tu sia venuto al mondo tre mesi dopo Draco. Tuo padre decise di avere te quando seppe della gravidanza di Narcissa, nella speranza di unire un giorno le nostre famiglie.»
Theodore abbassò lo sguardo e incassò un po’ il capo fra le spalle.
«Dicono abbia sofferto più la morte di Abraxas Malfoy che non quella di mia madre e che fossero profondamente uniti.»
Lucius storse leggermente il naso.
«Temo di non poterti dare conferma o smentita di questa voce, mio padre tendeva a tenermi lontano dalla sua vita privata.» spiegò, un po’ freddamente. «Sicuro è che i loro ideali fossero i medesimi, ed anche i loro metodi come educatori.» ammise con lo sguardo immoto di chi ricorda qualcosa di spiacevole troppo rapidamente. «Il progetto di un’unione matrimoniale naufragò parzialmente tuttavia, quando tu nascesti, maschio come Draco.»
«Perché parzialmente e non del tutto?» fu il turno di Theodore di storcere il naso.
«Perché entrambi desideravano degli eredi diretti del nostro sangue. Un’unione fra due uomini o due donne sarebbe stata quasi del tutto inutile, specialmente vista la carenza di bambini purosangue da adottare. Tuttavia, proprio per questa incognita, tale sentiero rimase comunque potenzialmente viabile. Per questo vi abbiamo fatti avvicinare fin da bambini e siamo stati lieti di vedere quanto andaste d’accordo.» emise un sospiro lento mentre il suo sorriso mutò in un’espressione amareggiata. «Chi l’avrebbe mai predetto, che il recente conflitto avrebbe lasciato diversi purosangue orfani.»
Theodore alzò uno sguardo allarmato verso Lucius.
«Non vorrà mica propormi … » sussurrò, con le guance velate di rosa.
Lucius tornò a sorridere con un piccolo sbuffo. Tirò fuori da una tasca del mantello un rotolo di pergamena tenuto fermo da un laccetto verde smeraldo. Disfò il nodo e gli porse il documento.
«È stata un’idea di Draco. Sei maggiorenne, puoi scegliere tu. Non così su due piedi, chiaramente, prenditi il tempo che desideri. Anche se l’ideale sarebbe che tu scegliessi prima della fine della scuola per questioni legali e organizzative.»
Theodore lesse attentamente le righe eleganti che segnavano la pergamena, gli occhi sgranati, improvvisamente fermissimo.





Nell’ufficio di Snape intanto, Draco si era accomodato alla scrivania e di fronte a lui sedeva Narcissa. La donna aveva recuperato ancora meglio di Lucius l’antica regale bellezza e compostezza. Aveva abbracciato stretto il figlio, in pochi attimi di una solitaria e intima dolcezza, prima di tornare seduti ognuno al proprio posto. 
«Papà non vuole vedermi, giusto?» fu la prima cosa che le chiese.
Narcissa gli fece un sorriso ironico.
«Temo di no, è ancora piuttosto risentito per la questione di Potter. Ogni nuova missiva che mi mandi la prima cosa che mi chiede è se stiate ancora insieme. Tuttavia è rimasto molto colpito dalla tua ultima lettera e la proposta che gli hai fatto, se la cosa andasse in porto non escluderei possa degnarsi di salutarti presto.» spiegò con leggerezza.
Draco abbassò lo sguardo a terra, con un sorriso vuoto, un po’ infelice.
«Mi dispiace che le cose non siano andate per il verso giusto. Che - io - non sia andato per il verso giusto. Se Theo accettasse sarebbe un buon rimedio, ma ad essere sincero l’ho proposto più il suo bene che per il nostro. Non avrei dovuto lasciarlo solo la prima volta: in questo modo dunque potrei stargli accanto.»
«In effetti mi hai molto stupita, pensavo quasi fossi ammattito e la lettera fosse un falso.» ammise la donna con un sorrisetto acuto.
Gli tese una mano e Draco la afferrò, confuso. 
«Non dire mai più che tu non sei “il verso giusto”, Draco. Sarebbe come insinuare che ti ho fatto e cresciuto male. Le cose sono andate nel verso più strano e sgradevole possibile, è vero, ma tu sei giusto. E sei vivo, il che è ancora più importante.»
Draco tornò a sorridere più spontaneamente, le labbra scosse da un piccolo fremito e le palpebre improvvisamente più attive.
La porta dell’ufficio si aprì, e il legittimo proprietario entrò senza troppe cerimonie mentre i due Malfoy interrompevano il contatto.
«Narcissa.» piegò il capo lui, in un saluto cortese.
«Severus.» ricambiò lei, studiandolo da cima a fondo con un’occhiata ferma, penetrante. «Hai tenuto i capelli corti.» constatò in tono compiaciuto. «Ti trovo incredibilmente bene, nonostante tutto e nonostante il bastone.» concesse.
«Potrei farne a meno, ma mi sono abituato.» ammise quello, che di fatto camminava abbastanza bene. Andò a sedersi dall’altro capo della scrivania con calma.
Draco fissava entrambi con aria tesa.
«Dimmi Severus, tu pensi che Nott accetterà?» lo interrogò la bionda.
«Dipende da quanta devozione o meno gli è rimasta verso il padre, e da quanto rancore o meno gli è rimasto verso Draco e i Malfoy. Sul primo punto mi direi ottimista, visto come l’ha scacciato Nott senior, ma un figlio deluso e ripudiato può comunque avere la sfortuna di vivere nel rimpianto.» spiegò ironico il pozionista.
«Abbiamo inserito una clausola nel documento. Potrà tenere il suo cognome, se lo desidera.» aggiunse la donna.
«Una buona idea.» confermò Snape.
Calò un breve silenzio teso, rotto poco dopo da Narcissa.
«Ho saputo del gemellaggio fra le casate.» spiegò arricciando un po’ il naso. «Ragazzi che si siedono dove vogliono, che entrano nelle sale comuni degli altri … »
«Non credere che io ne sia entusiasta.» convenne Snape. «Ma era una misura necessaria ed ho votato positivamente.»
«Necessaria? Necessaria a chi, e per cosa?» obiettò lei stizzita.
«Per i Serpeverde, Narcissa.»
La donna lo fissò accigliata, ma non lo interruppe.
«Sai che da dopo il conflitto il numero dei nostri si è praticamente dimezzato. Fra ritiri e poca voglia di farsi smistare nella casata che oggi è considerata la più infausta.»
«Perché, da quando si può scegliere dove farsi smistare?»
«A quanto pare si può.» intervenne Draco. «Harry … Potter dice che il cappello parlante gli propose Grifondoro o Serpeverde e fu lui a pregarlo di non mandarlo da noi.»
Sia il professore che sua madre lo guardarono stupiti. Narcissa poi rise.
«Un Serpeverde mancato, questa devo proprio raccontarla a Lucius. Sempre ammesso non scelga di filarsela senza di me pur di non incontrarvi.» aggiunse divertita sebbene con una punta amara sul finale. «Mi dicevi, Severus. A parte le defezioni, perché questa infelice iniziativa delle case?»
«I ragazzi di Serpeverde stavano venendo isolati, e in diverse occasioni direttamente bullizzati dai compagni.»
«Beh, meglio soli che con altri in giro fra le proprie cose.»
«No, Narcissa. Soli non è mai una buona scelta. Soli significa estinti, ghettizzati e incattiviti.» ammise l’uomo, guadagnandosi un’occhiata stupita dalla donna. «Forzarli all’interazione significa salvare loro e l’intera casata di Salazar, credimi.»
Narcissa emise un sospiro lento, sul viso pallido un’espressione poco convinta.
«E sta funzionando?»
«In parte sì. I Tassorosso sono stati i primi ad avvicinarsi, e sono quelli che stanno riuscendo a socializzare meglio. Gli altri, salvo qualche elemento, sono ancora restii. Se dicembre non dovesse bastare protrarremo l’iniziativa.»
«Mh.» mugugnò scettica la bionda. «Costringere alla vicinanza non sempre risolve i conflitti. Lucius ci ha messo tre mesi a parlarmi di nuovo eppure dormiamo nello stesso letto.»
Draco arrossì leggermente e distolse lo sguardo dalla madre, mentre Severus non si scompose.
«A volte ci può volere più tempo ma parlandosi, tendenzialmente, ci si viene quasi sempre incontro.»
Narcissa lo guardò meglio, la fronte leggermente aggrottata.
«C’è qualcosa di diverso in te. E non parlo delle migliorie estetiche. Sembri quasi più ... sereno.»
«Lo sono. In parte.» 
«Che stranezza, Severus. Avrei pensato di trovarti tutt’altro che tranquillo, visto quello che ti è successo.»
Sia il docente che Draco la guardarono confusi e lei proseguì.
«Sebbene Draco si sia opportunamente scordato di raccontarci quel dettaglio, la voce su di te e la tua nuova … condizione, è circolata in fretta.» ammise senza celare una smorfia disgustata alla parola condizione. «Per questo mi aspettavo di trovarti in uno stato mentale addirittura peggiore di come ti avevo lasciato mesi fa al San Mungo.» Fece una piccolissima pausa, prese un respiro lento.
«Tuttavia hai salvato la vita di Draco ben più di una volta, quindi se tu stai meglio, me ne rallegro.» concesse, un po’ freddamente.
Snape agganciò con due dita l’orlo della manica sinistra, la abbassò fino al gomito e mostrò l’avambraccio alla donna. C’erano ancora le orrende cicatrici del morso di Greyback.
Narcissa sgranò gli occhi.
«Dov’è il marchio nero?»
«Fra le zanne di Greyback, suppongo.» spiegò ironico mentre riabbassava la manica. «Abbiamo ipotizzato possa essere stato cancellato dalla nuova maledizione. Da quando è scomparso mi sento un peso in meno sul cuore.»
Draco si passò nervosamente una mano sull’avambraccio e prima che Narcissa potesse richiamarlo lo fece il vicepreside.
«Draco. Il tuo marchio è lì da poco, non l’hai quasi mai usato, non ci hai mai creduto davvero, non l’hai mai voluto davvero, e ora è inattivo. Il peso che avrà su di te sarà il peso che vorrai dargli tu. Poco più che una sgradevole cicatrice, se lo vorrai.»
Draco guardò con apprensione l’uomo, poi sua madre.
«La penso alla stessa maniera.» confermò infatti lei.
Il ragazzo non sembrava molto convinto. Espirò con più forza e ammise:
«Quando sono solo e non ho niente con cui distrarmi, come la notte prima di dormire o la mattina al risveglio, ho dei pensieri orribili, delle sensazioni sgradevoli. A volte lo sento pesante, questo braccio. A volte mi sembra di sentire il marchio pizzicare, ma è solo una sensazione brevissima, come il ricordo di un dolore.» rialzò lo sguardo verso la madre, e ammorbidì di poco l’espressione, in un mezzo sorriso. «Quando sono con te e papà, con Severus o con Harry, però, tutto passa e mi scordo di averlo.»
Narcissa tornò a tendere una mano al figlio in cerca della sua più vicina. Gli strinse le dita in un tocco discreto, composto.
«Non hai nominato Zabini, Parkinson né Nott nel tuo elenco. Loro non migliorano questa tua condizione?»
«Un po’.» ammise il biondo. «Con loro ho la sensazione di aver incrinato per sempre il nostro rapporto. In particolare con Theodore.»
«I rapporti si possono aggiustare, Draco.» intervenne Severus. «Credimi, anche quelli in cui ci si è fatto davvero molto male.»
Il ragazzo chiuse gli occhi per qualche secondo e annuì.
«Pensate che Theo accetterà la proposta?»
Snape storse la bocca, in una smorfia incerta.
«Lo convinceremo, vedrai.» dichiarò Narcissa. «Sono certa che Lucius riuscirà a persuaderlo. Hanno molte cose in comune, lui e Theodore: cresciuti come figli unici da un padre solitario e sgradevole. Ha qualcosa in comune anche con me, in fin dei conti. Non ci è mai piaciuto schierarci. Lo faremo ragionare e gli faremo capire che è principalmente per il suo bene. Inoltre per te è un bel sacrificio, Draco. Chissà che non accetti proprio per farti scontare l’averlo abbandonato.» concluse, con un sorriso ironico.
Anche Draco tornò a sorridere, per quanto ancora segnato dall’ansia.
L’attesa di notizie da Lucius si protrasse per poco ancora. Tempo di bere una tazza di tè, e l’uomo bussò alla porta.
Quando Malfoy senior aprì l’uscio dell’ufficio di Snape diede un’occhiata all’interno. Appena si rese conto che la moglie era in compagnia di Snape e Draco fece una smorfia seccata e uscì, limitandosi a dire:
«Andiamo a casa, Narcissa.» mentre tornava a camminare lungo il corridoio.
La bionda non fece in tempo a rispondergli ed alzarsi, che Draco scattò via dalla sedia e corse fuori.
Lucius fissò il figlio interdetto e spiazzato, quando se lo ritrovò allacciato addosso in un abbraccio così stretto da far male.
«Draco, cosa diamine … » borbottò in imbarazzo. 
Narcissa e Snape uscirono un attimo dopo, la prima sorrise divertita a quella scena, il secondo si limitò a incassare un’occhiata storta di Lucius e guardarsi attorno. Il corridoio era deserto a parte loro.
Draco non disse niente, rimase fermo e zitto con la testa contro il suo petto e gli occhi chiusi.
Sebbene teso e impacciato, l’uomo gli posò una mano su una spalla, ma non lo scacciò.
«Speri che si risolverà tutto così, Draco? Che con un semplice abbraccio possa dimenticarmi all’improvviso della tua vergognosa scelta in fatto di frequentazioni?»
«Perché no, padre?» mormorò dolente il ragazzo. Rialzò il capo e finalmente allentò la presa lasciandolo andare. Tuttavia gli tenne una mano aggrappata al mantello. «Perché deve essere tutto così complicato e doloroso? E se non avessimo tempo per i lunghi rancori?» aggiunse, ansioso.
Lucius aggrottò la fronte, la mano ancora saldamente posata sulla spalla del figlio ebbe una sorta di piccolo spasmo.
«Cosa vuol dire? Perché non dovremmo avere tempo?» mormorò.
«C’ero anch'io fra quelli che Greyback voleva ammazzare oltre ad Harry, Severus e gli altri. Due complici sono ancora in libertà e chissà quanti altri ci detestano, a questo mondo. Non siamo fuori pericolo, padre.»
La mascella di Lucius si contrasse sensibilmente.
«Draco, soldi e fama a parte l’unico vantaggio che hai nel tenerti accanto Potter è la sua forza come mago. Usalo e fatti proteggere come si deve, a costo di usare lui e tutti i suoi amichetti come scudo.»
Draco gli sorrise amaramente.
«E se ti dicessi che sono io a dover e voler proteggere lui?»
Lucius non celò una smorfia irritata.
«Ti direi che ti sei definitivamente mangiato ogni buon senso.» sibilò. «Ma dato che non sembri voler tornare alla ragione beh, immagino di non poter fare niente di più se non manifestarti il mio disappunto per il resto della nostra vita.» concluse, nervoso ma rassegnato. Ritrasse quindi la mano dalla spalla del figlio, dandogli un colpetto leggero col dorso delle dita come a spazzare via qualcosa a mezz’aria.
Draco lasciò andare la mantella del padre con una certa riluttanza e annuì, sebbene il suo sorriso fosse di poco meno amaro. Rassegnato, ma presente.
«Dimmi di Theodore, ha già deciso?» lo interrogò dunque con urgenza.
L’uomo si scordò rapidamente del moto di rabbia e gli sorrise soddisfatto.
«Sì. Ha avuto i suoi dubbi e qualche esitazione, ma alla fine ha detto di sì e firmato oggi stesso.»
Narcissa si accostò a figlio e marito con un sorriso strano, un po’ confuso ma egualmente soddisfatto.
«Che cognome sceglierà?» chiese la donna.
«Terrà entrambi, ma ufficialmente ha scelto Malfoy.»
Narcissa posò una carezza fra le scapole di Draco, che sembrava condividere la sua stordita soddisfazione.
«Non pensavo avrei perso lo status di figlio unico alla mia età.» mormorò, cercando Severus con uno sguardo incredulo.
Snape lo ricambiò con un sorriso sarcastico, quindi sbuffò e si allontanò dopo un vago cenno di saluto che solo madre e figlio si degnarono di ricambiare.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Prime volte ***



Alla vigilia di Natale il banchetto della cena fu sontuoso come ogni anno ad Hogwarts, e pochi avevano scelto di tornare a casa per le vacanze. Gli studenti erano su di giri per la possibilità - concessa in via del tutto eccezionale quella notte - di dormire nella sala comune e persino i dormitori dei loro amici di altre casate.
Dopo la cena infatti ci fu un fuggi fuggi generale e pochi si erano attardati ai tavoli. C’è chi si era organizzato per dei veri e propri pigiama party, sgraffignando persino dolciumi dal banchetto, chi invece si stava organizzando all’ultimo secondo.
Fu quando il grosso degli studenti si fu avviato, sotto lo sguardo apprensivo e ancora un po’ dubbioso della preside, che Harry si alzò da tavola e andò a sedersi nel posto vuoto davanti a Draco, al tavolo di Serpeverde.
Il biondo sedeva accanto a Blaise e Theodore. Zabini quasi non si accorse dell’arrivo dell’intruso Grifondoro, impegnatissimo a osservare in cagnesco un aitante cacciatore di Corvonero che stava facendo ridacchiare un po’ troppo Pansy da che l’aveva invitata al loro tavolo.
Theodore invece registrò l’arrivo di Potter con una smorfia.
«Ciao.» salutò Harry, con un sorriso esitante, teso.
Nott emise a stento un grugnito di saluto, mentre Zabini prima lo salutò con un cenno distratto poi tornò a fissarlo con cipiglio indagatore.
«Potter. Che ci fai qui? Che piani hai per stanotte?»
«Nessun piano.» ammise il moro, che però occhieggiava Draco con un che di speranzoso.
Il biondo si rivolse dunque a Blaise e Theodore, orientando loro la copia identica dell’aria speranzosa di Harry.
«Non ce lo stai chiedendo davvero.» sibilò Theodore.
«Daaai.» mugugnò Draco. «Blaise aiutami, avanti.»
Zabini alzò le mani in segno di resa.
«Solo perché è Natale: mi devi un favore.» sospirò divertito.
Draco sorrise eccitato, quindi tornò ad insistere verso Theodore.
«Avanti, fai un regalo al tuo fratellino.» lo spronò, ironico.
Theodore incrociò le braccia al petto, fissando Harry con aria apertamente astiosa.
«Ma non potete andare a dormire nel dormitorio di Grifondoro o da quei simpaticoni di Tassorosso?» sbuffò aspro.
«Tutto pieno, e troppa gente.» confessò Draco. «Dai, solo per una notte, Theo.»
«Se ci lasci la stanza ti dico dove dormirà stanotte Ginny.» propose Harry, sornione.
Theodore arrossì leggermente.
«E perché diamine dovrebbe interessarmi?» borbottò.
«Per andarci anche tu o per evitarla?» rise Harry. «A tua scelta.»
Theodore si alzò di scatto con uno sbuffo esasperato.
«Va bene, fate come vi pare, che non ho comunque intenzione di dormire nella stessa stanza con voi. Ma non vi passi manco per l’anticamera del cervello di fare cose lì dentro, anche se siete sul letto di Draco: potrei vomitare fino alla fine dell’anno scolastico.» sibilò, pianissimo.
Harry, Draco e persino Blaise, risero di cuore.
«Theo, lo sai vero che Draco ed io lì dentro, qualche anno fa abbiamo … ?» lo provocò Blaise.
Nott lo guardò storto.
«Tu sei ok.» sentenziò, facendoli involontariamente ridere ancora.
Harry e Draco quindi si alzarono all’unisono.
«Bene, allora grazie eh?»
«Non mi scorderò questo nobile gesto.» rise il biondo.
Fecero per allontanarsi, ma Theodore li richiamò subito.
«Potter.»
«Mh?»
«Dov’è che dorme la Weasley?» mugugnò distogliendo lo sguardo.
Harry gli rivolse un sorrisetto da furfante mentre si affiancava a Draco.
«Corvonero, al pigiama party nella loro sala comune. C’è ancora qualche posto, sai?»
«Nh.» grugnì il ragazzo, che senza dire altro fece cenno a Blaise di seguirlo e iniziò ad allontanarsi verso l’uscita dalla sala grande.
Harry e Draco li osservarono divertiti, anche quando Blaise rise e quasi fece cadere Theodore con una sonora pacca fra le scapole. Il moro sembrava essersi momentaneamente dimenticato di Pansy.
Al tavolo dei docenti intanto, alcuni fra cui Snape si erano già ritirati verso i rispettivi uffici. Eli invece intercettò Remus quando lo vide alzarsi dal suo posto.
«Rem, vieni con me. Ho un regalo di Natale da consegnarti.» premise con un sorrisetto vivace.
Mentre Harry e Draco sgattaiolavano  verso i sotterranei, Eli guidò Remus sino al settimo piano.
«È stata una bella impresa a quanto mi hanno detto i colleghi.» gli spiegò il metamorfomagus quando arrivarono al cospetto dell’ufficio del professore di Difesa.
Tutto era tornato in ordine come se poche settimane prima quelle pareti non fossero state demolite da un ordigno oscuro. Quando furono dentro, Remus studiò stupito la stanza principale tornata perfettamente come prima.
«Avete scoperto il tipo di manufatto che ha causato l’esplosione?» chiese mentre si accomodò alla scrivania.
«Era un oggetto unico nel suo genere.» ammise Eli, che si piazzò invece sul bordo del tavolo senza cambiare aspetto. «Aveva sopra tre diverse maledizioni, e romperle è stato difficile. La nostra fortuna è che erano tutte studiate per intaccare gli oggetti e gli ambienti ma non le persone.»
«Danni da esplosione a parte.» gli ricordò sarcastico Remus.
Eli sorrise, finalmente più disteso e annuì.
«Già. Ma anche lì alla fine ce la siamo cavata, no?»
Remus annuì e lo fissò pensieroso.
«Non posso fare a meno di notare che stai tornando sempre meno spesso alla tua forma originale.» considerò, curioso.
Eli strinse le labbra, teso.
«Posso dirti quello che sento senza rischio di giudizi?»
«Ti ho mai giudicata?»
«No, ma conoscendoti potresti avanzare delle ipotesi errate, Rem.»
L’altro lo fissò accigliato, ma gli fece cenno di proseguire.
«Dimmi. Prometto solennemente di non avanzare ipotesi di nessun tipo.»
Eli sospirò e si fece coraggio.
«La verità è che mi trovo bene in queste forme. Mi sembra anche di essere un po’ meno goffa del solito. Mi sento a posto, non è una forzatura. Mi sento come se questa fosse la mia forma più calzante e mi piace riferirmi a me al maschile o sentire quando lo fanno gli altri.»
Remus fece per aprir bocca ma l’altro lo fermò.
«Non è la prima volta che prendo questa forma, Rem. Non l’ho creata né per te, né per questa missione. L’ho creata per me stesso, da adolescente. Ma era qualcosa di privato, che non volevo mostrare, soprattutto a mamma e papà. Temevo il loro giudizio più di quello di chiunque. Temevo potessero pensare che li odiavo, che mi vergognavo del mio corpo e di loro.»
Remus si fermò brevemente a riflettere, ma alla fine annuì.
«Capisco. E non è affatto così, so quanto li ami.»
«Grazie.» sorrise Eli. «Penso resterò in questa forma per un po’. Magari un giorno mi verrà voglia di cambiarla ancora, chi lo sa. Per ora sto bene qui e non voglio parlarne con nessun altro.»
Remus gli sorrise di rimando.
«Non ti forzerò a farlo, è una tua scelta, è il tuo corpo e ci devi stare bene tu dentro.»
Il metamorfomagus lo fissò con un sorriso raggiante, fiero.
«Ora è il tuo turno, Rem.»
«Eh? In che senso?»
«Il tuo turno di dirmi i fatti tuoi, ovviamente.» rise tranquillo. «Mi hai evitato per giorni, ma ora non mi scappi. E poi devo anche dirti una piccola grande novità che abbiamo implementato al tuo ufficio. Il vero regalo di Natale.»
«Immagino tu voglia sapere di Severus.» mormorò il licantropo, con una vena di timida ironia.
«Ovvio e di chi altri se no?»
Remus sbuffò, divertito.
«Giorni fa è venuto a trovarmi in infermeria. Abbiamo parlato e mi ha confessato i suoi sentimenti. O meglio, mi ha confessato ciò che ha provato per me fin da quando eravamo ragazzini.»
«Eh? Davvero?»
«Aveva una cotta per me fin da adolescente. In effetti ricordo che prima dell’incidente alla Stamberga avevamo un rapporto relativamente buono. Ci incontravamo di nascosto, ogni tanto. Parlavamo o studiavamo insieme in ogni occasione in cui nessuno poteva vederci.» raccontò con un sorriso malinconico che crollò subito sul seguito. «Sirius ed io all’epoca ci frequentavamo, deve aver intuito ancora meglio di me l’interessamento di Severus e la mia ritrosia a fargli del male insieme a James e Peter. Penso sia per quello che gli tese quell’agguato. Forse non voleva che morisse, ma solo che mi vedesse nella mia vera forma e ne avesse orrore. O almeno, mi piace pensare che sia stato così.» fece una pausa, grattando nervosamente con le unghie sul bordo piegato di una pergamena.
«Ho capito solo di recente quanto questo fatto mi abbia segnato. Sirius, senza volerlo, mi inflisse un vero e proprio trauma nei confronti della mia identità: ero qualcuno di spaventoso, che avrebbe allontanato chiunque salvo pochissimi amici. Qualcosa di cui vergognarmi profondamente.»
Eli strinse le labbra, frenandosi in bocca parole troppo impulsive e lasciando modo all’amico di continuare.
«Severus mi ha raccontato di aver sfruttato quella situazione per strappare un accordo ad Albus. Lo obbligò a usare l’Oblivion su di lui per fargli dimenticare i suoi sentimenti per me, in modo da poter vivere più serenamente.»
«Che idea sciocca.» sbuffò Eli. «Dimenticare qualcosa di così prezioso.»
«Per lui era un fardello insostenibile e il secondo amore che sentiva non sarebbe mai stato ricambiato. Non lo biasimo per la scelta. Il punto è che l’Oblivion si è sciolto nei mesi in cui era ricoverato al San Mungo. Infatti in quel periodo era strano, nei miei confronti.»
«Eravate entrambi strani.» considerò ironico l’altro.
«Te ne do atto.» ammise Remus.
«Cosa l’ha fatto decidere finalmente a confessarsi?»
«Il rischio di avermi perso, per l’ennesima volta, e lui pensa anche la cancellazione del marchio nero. Sostiene che da quando quel tatuaggio non c’è più si senta l’animo meno pesante.» spiegò, incerto.
«Che il marchio nero avesse una maledizione in tal senso?»
«Possibile.»
«Però Lucius Malfoy mi sembra sempre innamorato di mia zia. E guarda Draco, che si è dato una svegliata con Harry.»
«Ci ho pensato anche io. Le ipotesi sono due: o il marchio nero di Severus aveva qualcosa di particolare, visto quanto era innamorato di Lily. O perderlo dopo tutti quegli anni è stato semplicemente un sollievo psicologico per Severus. Una liberazione.»
«La seconda ha più senso. Voldemort non sapeva del suo amore per Lily quando l’aveva marchiato, no?»
«Infatti.» confermò Remus. «Ma le maledizioni di quel tipo sono abbastanza imprevedibili e misteriose. Non ne avremo mai la certezza, temo.»
Eli annuì, quindi il suo sorriso si colorò di una vena maliziosa.
«Vi siete già baciati, spero.»
Remus si schiarì la gola e ammise, con fare vago.
«Più di una volta.»
Eli scese dal tavolo con un saltello incredibilmente agile.
«Bene. Ti dico la novità del tuo ufficio, che spero aiuterà a portare tanti altri di quei baci.» annunciò allegro.
Remus lo guardò curioso mentre si spostava accanto al caminetto. Gli fece cenno di avvicinarsi e gli indicò il vaso di coccio che custodiva la scorta di metropolvere.
«Non dirmi che … » mormorò divertito il licantropo.
«Esatto. Per facilitare gli spostamenti quando sarete stanchi per la pozione Antilupo e le trasformazioni, abbiamo incantato e collegato il tuo camino al suo. Potrete usarli solo voi e la Preside, per sicurezza.»
Gli indicò dunque la parte frontale del vasetto di coccio, lì dove era incastonata una gemma verde smeraldo tonda come un piccolo bulbo oculare. Aveva anche una peculiare lavorazione attorno che ricordava un paio di palpebre, che lo facevano sembrare in tutto e per tutto un occhio aperto.
«Questo è un segnalino incantato. Potete scegliere di tenerlo aperto, lasciando così implicitamente aperta all’altro la possibilità di usare il trasporto. Oppure potete chiuderlo se preferite bloccarlo per qualsivoglia ragione.»
«Molto ingegnoso.» ammise Remus.
«È stata un’idea di Severus, sai? Ha convinto Minerva dicendole che farsi sette piani di scale ogni volta per portarti la pozione Antilupo o venire a trovarti, fosse una sofferenza che non può più permettersi. Inoltre ha chiesto di poter stare con te durante il plenilunio, entrambi nel tuo ufficio, per semplificare le operazioni di controllo da parte nostra.»
«Una buona idea anche questa.» convenne Remus. «Che mi dici, a proposito della sorveglianza? Quanto ancora dovrai restare qui?»
«Oh non dirlo come se fosse una cosa brutta, adoro Hogwarts e poterti stare accanto.» sbuffò schietto. «Ieri abbiamo fatto un passo avanti nella localizzazione degli ultimi due complici di Greyback. Appena li avremo acciuffati ridurremo la mia presenza a pochi giorni al mese, durante il plenilunio.» concluse soddisfatto.
Remus si voltò verso l’amico e l’abbracciò di impulso.
Eli, superata la sorpresa iniziale lo strinse a sé con eguale bisogno.
«Sono un idiota.» mormorò il metamorfomagus.
«E perché mai?»
«Avrei dovuto strapparti un bacio d’addio finché eri libero.»
Remus raddrizzò il capo e gli rivolse un sorriso mesto.
«Pensi ti avrebbe fatto bene?»
«No.» ammise l’altro, sciogliendo l’abbraccio. «Non penso avrebbe giovato a nessuno, in realtà. Sai invece cosa mi fa bene?»
«Mh?»
Eli gli posò una mano fra le scapole e gli diede una spintarella verso il camino.
«L’idea che tu sia felice con lui. Raggiungilo, avanti. Ha lasciato il camino aperto, penso non veda l’ora che tu appaia da lì.»
Remus gli rivolse un sorriso grato, infatuato di qualcosa di diverso dall’amore romantico, ma ugualmente forte e sincero.
«Grazie ancora, e buon Natale, Eli.»
«Buon Natale, Remus.»






Quando Remus comparve fra le fiamme smeraldo nel camino di Severus, lo trovò seduto su una poltrona proprio lì davanti, armato dell’ultima copia del Profeta.
«Ho un dejavu.» lo salutò divertito mentre usciva, spolverandosi le vesti.
Severus posò il giornale e gli sorrise sarcastico.
«Ti mancano solo le buste della spesa.» e gli indicò la poltrona accanto alla propria.
Remus si accomodò e passò una mano sul bracciolo della poltrona, saggiandone il rivestimento di stoffa castano scuro.
«Questa è nuova.» constatò con un sorriso furbo.
«Già.» ammise l’altro distogliendo lo sguardo, evasivo. «Tonks ha finito di spiegarti tutto, immagino?»
«Sì, proprio poco fa. E a proposito, ricordi che non amava essere chiamata Nymphadora?»
«Mh? Sì, perché?»
«D’ora in poi quando parli con lui chiamalo Eli, per favore.»
«È accaduto qualcosa?» chiese il pozionista, accigliato.
«No, o meglio … diciamo che ha scelto questa forma, per ora.»
Severus strinse nervosamente le labbra, quindi scoccò all’altro un’occhiata dubbiosa.
«Ha scelto di rimanere un uomo?»
«Sì.»
«Non lo fa per cercare di arrivare a te, giusto?» chiese, diffidente.
Remus sbuffò e scosse il capo.
«Ok, ammetto di averlo pensato anche io. E lui ha pensato che l’avrei pensato.» ammise mesto. «Ma non è così. Lo fa per sé stesso, e dice che quella è una forma che aveva già sperimentato in passato. Una parte di sé slegata alla sua infatuazione per me.»
Severus abbassò lo sguardo e annuì, visibilmente poco convinto.
Remus lo fissò in silenzio per diversi attimi prima di alzarsi e andare a sedersi, senza troppe cerimonie, sul bracciolo della poltrona del pozionista. Quello lo accolse stupito e gli allacciò istintivamente un braccio attorno alla vita.
«Severus, non hai motivo di sentire nessun turbamento verso Eli. Non ho alcun interesse romantico per lui né mai l’avrò, non sentirti in competizione o minacciato.»
L’uomo chiuse gli occhi.
«È odiosa questa cosa che mi leggi così bene, Remus.»
«Mi piaci tu. Altrimenti avrei scelto lui quando me lo propose la prima volta, non credi?»
«Questo è vero. Ma non posso fare a meno di … »
«Dì?»
«... è sciocco. Sentirmi inferiore.»
«Perché mai? Cos’hai meno di lui?»
Severus riaprì le palpebre per scoccargli un’occhiata nervosa, quasi offeso dalla domanda.
«Oh avanti: è più giovane, ti ama, è bello.» elencò.
Remus gli posò una mano fra i capelli, che strinse con delicatezza per costringerlo a rialzare il capo, esporre il viso.
«Le prime due non posso negarle, ma in merito alla bellezza beh, anche tu lo sei.»
«Sciocchezze, non mentire per farmi piacere. Non sono mai stato bello.»
Remus inarcò un sopracciglio senza però perdere un sorriso incoraggiante, caloroso. Gli accarezzò una guancia, poi scivolò verso la linea della mascella, al mento scurito dal pizzetto tenuto corto, e infine approdò al collo dove c’erano le cicatrici delle zanne di Nagini.
«Perché dovrei mentirti: mi piaci molto, Severus. Con i capelli tagliati così ancora più di quando eravamo ragazzini, a dirla tutta.» ammise con lo sguardo acceso di una venatura maliziosa.
Sebbene lusingato da parole e carezze, il moro manteneva uno scetticismo di fondo che l’altro decise di cancellare con un bacio. Dopo il primo contatto ne seguirono altri sempre più profondi e affamati, e Severus lo strinse a sé con decisione, facendolo finire seduto sulle proprie cosce.
Quando tornarono a guardarsi negli occhi Remus gli carezzò la nuca con una mano, il petto con l’altra.
«Sei ancora nervoso, lo sento.» gli mormorò contro una guancia. «C’è dell’altro. Eli e la tua autostima non c’entrano davvero.»
Severus espirò profondamente e annuì.
«Non posso fare a meno di pensare alla prossima luna piena. So che andrà tutto bene, la pozione è pronta e l’abbiamo tenuta al sicuro, non ne temo gli effetti indebolenti o altro ma se inizialmente ero sicuro, adesso mi sento …» esitò. « … mi sento anche un vigliacco a parlare di questi dubbi proprio con te.» ammise a capo chino.
Remus tornò a stringergli i capelli per fargli rialzare la testa con un po’ di energia in più di prima. La presa fece sgranare gli occhi a Severus, che non trattenne un piccolo sussulto e l’impennata  dei battiti del cuore che seguì.
«Chi meglio di me per parlarne? Non avere mai vergogna o timore di dirmi alcunché, Severus. Voglio ogni lato di te, amo ogni pregio e difetto, non mi fai paura.» gli mormorò, allentando la presa sui suoi capelli per riprendere a carezzarli.
«Mh.» mugugnò il pozionista, improvvisamente troppo stordito per rispondergli. Gli fissava il viso e le labbra con fin troppa intensità.
«Trasformarsi è molto doloroso, e l’hai visto con i tuoi occhi.» proseguì Lupin. «Tornare umani no, neanche te ne accorgi e metà delle volte sei troppo stremato al tramonto della luna anche solo per svegliarti. Al risveglio la tua bacchetta sarà con te, ma non i tuoi vestiti. E anche questo l’hai visto coi tuoi occhi.» abbozzò un sorriso.
«GIà.» ammise, prendendo un minimo di colore al ricordo.
Tornarono a baciarsi, le rispettive mani sempre meno timide nel prendere le misure sui loro corpi tanto a lungo desiderati. Remus si spostò e finì col piazzare un ginocchio fra le cosce dell’altro pur di fronteggiarlo. Severus sussultò leggermente. Avevano il respiro accelerato, il cuore in corsa libera.
Poi Severus si separò di scatto, gli occhi sgranati e il volto arrossato.
«Uh.» mugugnò. «S-scusa.»  Lo guardò dal basso con un cipiglio imbarazzato, mentre le mani abbandonavano il suo corpo per afferrarsi un lembo del maglione e tirarlo in basso a coprire l’inguine.
Remus gli sorrise divertito.
«Scusa per cosa?» mormorò con la voce più bassa e calda.
La cosa non fece altro che peggiorare l’imbarazzo e l’agitazione del moro.
«Questa cosa è … vergognosa. Io … diamine non ho più quindici anni.» bofonchiò col viso arrossato e lo sguardo basso.
Remus non trattenne una risatina bassa, leggera. Afferrò una mano dell’uomo ostacolandone i gesti con cui cercava di coprire il rigonfiamento molesto che gli aveva riempito la patta dei pantaloni.
«Ah perché, contavi di non usarlo più già a trentotto anni?» lo provocò.
Severus alzò lo sguardo nel suo.
«Tu contavi di … ? Con me?»
«Già. Contavo di … e per la cronaca, più ci si avvicina al plenilunio più il corpo tende ad essere sensibile a certi stimoli.» ammise Remus, portandogli la mano fra le proprie di cosce, perché potesse sentire di non essere l’unico ad avere quel particolare problema.
Il moro inghiottì a vuoto, incapace di trattenere un fremito d’eccitazione pura.
Remus sorrise compiaciuto, quindi tornò a chinarsi verso le sue labbra e ci parlò sopra, in un soffio.
«Andiamo a letto. Facciamo quello che suggerisce l’istinto, fino a dove ci va, mh?»
L’altro chiuse gli occhi, sorrise.
«Tirami un’altra volta i capelli come hai fatto prima e ti seguirò in capo al mondo.» confessò, nonostante l’imbarazzo.
Remus non se lo fece ripetere due volte.






Il ventotto dicembre arrivò e gli studenti, a parte due, filarono a dormire subito dopo cena nei rispettivi dormitori.
Draco Malfoy ed Harry Potter avevano insistito così tanto che avevano ricevuto il permesso di raggiungere Eli e la preside al settimo piano, per aiutare a tenere d’occhio la zona e la situazione.
Non appena arrivarono dalla preside e l’auror, Harry li aggiornò.
«Sembra tutto tranquillo nei dintorni.»
«Anche in zona sotterranei erano tutti al loro posto e il professor Slughorn ogni tanto controllerà il corridoio antistante i dormitori di Serpeverde.» aggiunse Draco.
«A quest’ora si saranno già trasformati da un pezzo, giusto?» chiese Harry con urgenza.
«Abbiamo udito a stento qualche lamento in corrispondenza dell’orario in cui la luna stava sorgendo. Poi assoluta calma.» confermò la preside, fissandolo intensamente. «Perché ho la netta impressione che tu voglia entrare a controllare?»
Harry sorrise con aria assolutamente colpevole.
«Ormai mi conosce troppo bene.» ammise, rivolgendole dunque un’occhiata profondamente determinata.
Draco strinse nervosamente un lembo della veste del compagno, ma quando la preside fece cenno al ragazzo di avvicinarsi lo lasciò andare senza esitazioni.
«Voi restate qui per sicurezza.» comandò la McGonagall a Draco ed Eli.
La porta dell’ufficio venne sbloccata, e fu proprio la preside a precedere Harry. Entrarono con estrema cautela, bacchette alla mano.
«Li vedete?» chiese piano Eli, sbirciando a sua volta senza entrare.
«Nella sala non ci sono.» spiegò Harry a bassa voce.
«Devono essersi trasformati nella camera da letto.» considerò la preside, andando proprio in quella direzione. La porta era spalancata.
Harry la seguì a ruota, mentre Eli era ormai abbondantemente dentro l’ufficio tanto si era sbilanciato per l’urgenza di curiosare. Draco rimase cautamente indietro, visibilmente in ansia.
Passò qualche attimo, prima che Harry si affacciasse dalla camera da letto, rivolgendo ad Eli un sorriso tranquillo.
«Sono entrambi qui, sembra tutto a posto.»
Sia l’auror che Draco tirarono un sospiro di sollievo, quindi Harry fece loro cenno di avvicinarsi.
«Te la senti di entrare?» chiese Eli al cugino.
Draco si morse nervosamente un labbro quindi abbassò la voce e gli chiese:
«Pensi che un ex mangiamorte potrebbe mai fare l’Auror?»
Eli lo fissò spiazzato e curioso.
«Non ci sono regole che lo impediscano, che io sappia.» gli disse, sorridendo spontaneo. «Hai intenzione di … ?»
Draco annuì.
«Forse non ho nemmeno un decimo del coraggio che servirebbe. Ma se c’è una cosa che ho imparato da Severus è che il coraggio lo si può ottenere con la determinazione. Ed io voglio fare qualcosa per proteggere Harry: non intendo passare il resto della vita ad aspettarlo a casa di ritorno dalle missioni, chiedendomi se è ancora vivo.»
Eli gli rivolse un sorriso ancora più ampio, meravigliato. Gli diede una pacca su una spalla e si spostò dalla porta.
«Prego allora, inizia da qui la tua prova di coraggio.» lo invitò con convinzione.
Draco trasse un respiro profondo, annuì ed entrò. Lo precedette persino verso la camera dove Harry e la preside li stavano aspettando.
Entrò con calma, andando ad affiancare subito Harry, ma si irrigidì notevolmente quando vide Remus e Severus.
Erano due lupi imponenti, ben più grandi di quelli comuni. Quello grigio era tranquillamente accucciato a terra e li studiava tutti con un’occhiata seria, pacifica. L’altro invece aveva uno splendido mantello nero senza nemmeno una macchia chiara a sporcarlo, ed era di poco più snello di Lupin. Ritto sulle quattro zampe, il lupo nero li osservava con una severità solenne, fermo in una sorta di posizione di guardia fra loro e il lupo grigio dietro di lui.
L’agitazione di Draco scemò lentamente, anche se fu uno spettacolo che lo lasciò ammutolito e un po’ stordito.
Harry gli si fece ancora più vicino, gli allacciò un braccio alla vita con cautela e prese a parlargli pianissimo in modo da non farsi sentire né da Eli né dalla McGonagall.
«Draco, devo dirti una cosa, prima che mi passi ancora di mente. Ormai lo so da giorni e mi scordo sempre.»
«Mh?» gli fece quello, sbirciandolo confuso.
«Ho scoperto che la stanza delle necessità funziona ed è sicura.»
Il biondo sgranò gli occhi, lo guardò dritto in faccia e le sue guance si accesero di rosso.






Fine

 



Grazie mille per aver letto questa storia sino alla fine!
Se ti è piaciuta dai un’occhiata alla mia pagina autore, troverai altre fanfiction di questo genere in attesa di essere lette!
Se poi ti piace come scrivo e la lettura è il tuo vizio insaziabile, sappi che ho pubblicato di recente il mio primo romanzo M/M (Il procione e la formica), e si trova comodamente su Amazon in formato cartaceo ed e-book anche con Kindle Unlimited. 
Come modesta autrice autopubblicata, ogni forma di pubblicità è fondamentale per far arrivare il mio piccolo romanzo agli appassionati di questa nicchia. Se vuoi darmi una mano basta anche solo spargere la voce fra eventuali potenziali lettori in cerca di nuove pagine da divorare.
Intanto ti ringrazio di avermi letta ed eventualmente recensita, arrivederci alla prossima avventura!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4060022