Incubo a Whitechapel

di Zobeyde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scones, omicidi e demoni ***
Capitolo 2: *** Le Malebolge ***
Capitolo 3: *** Un bagno di luna ***
Capitolo 4: *** Nella perigliosa mia discesa ***



Capitolo 1
*** Scones, omicidi e demoni ***


Ho deciso di scrivere questa mini-long di tre capitoli per un'autrice che stimo molto, AlbAM, che mi ha supportata con grande affetto sin dai miei esordi su Efp! A lei appartiene il personaggio di Azaele, protagonista della divertentissima serie di racconti "Un Diavolo a Roma", che vi consiglio di leggere! 

Cara AlbAM, spero tanto che questa storia possa piacerti e soprattutto di aver reso giustizia al tuo Azaele! <3 

A tutti gli altri auguro come sempre buona lettura!





 






I.
SCONES, OMICIDI E DEMONI




 
Londra, 1888.

 
La townhouse della famiglia Waldegrave sorgeva a pochi passi dai Giardini di Kensington, in una larga via costellata da palazzine a schiera bianche.
In quell’uggioso pomeriggio di inizio novembre, Solomon Blake sedeva in una comoda poltrona di velluto imbottito dentro un salotto dalla boiserie scura, circondato da felci rigogliose, animali impagliati e specchi dalle intarsiature dorate che riflettevano la luce soffusa dei candelabri a gas; xilografie giapponesi, paraventi in palissandro e statuette di divinità indù, frutto degli ultimi saccheggi della Compagnia delle Indie Orientali, completavano l’arredamento, assieme a una raccolta di testi massonici tra cui Solomon aveva individuato un paio di titoli interessanti. Ma ancor più interessante era la padrona di casa, che troneggiava all’alto capo di un tavolino basso su cui erano adagiati vassoi carichi di tramezzini e scones , e un servizio da tè in porcellana.
Rosemary Waldegrave, vedova di un giudice e convolata a seconde nozze con un comandante della Royal Navy, era una donna sinuosa, con lucidi capelli castani raccolti in uno chignon e vispi occhi nocciola che la facevano sembrare più giovane di quanto non fosse in realtà. Indossava uno splendido abito in moiré verde petrolio e al lungo collo aveva vezzosamente legato un cinturino di velluto nero; l’alta borghesia londinese in genere denigrava che una signora cedesse alla vanità, ma a lei non sembrava interessare, il che gliel’aveva resa subito simpatica.
«Vi ringrazio per aver risposto subito al mio invito, signor Blake» disse, mentre, con movimenti languidi e aggraziati, versava il tè fumante nelle tazzine. «Come ho accennato nella mia lettera, sono enormemente preoccupata!»
«È stato per me un dovere, milady» replicò Solomon con un sorriso, portando la tazzina alle labbra. «Ma prego, ditemi pure cosa vi affigge.»
Lady Waldegrave congiunse le mani in grembo, e la luminosità dei suoi occhi fu offuscata da un’ombra. «Avrete sicuramente letto degli orribili fatti che stanno sconvolgendo Londra: c’è un assassino a piede libero, che ha già mietuto cinque vittime nel giro di pochi mesi!»
Sì, Solomon aveva appreso dal London Daily News dell’ultimo ritrovamento proprio quella mattina: Mary Jane Kelly, venticinque anni, prostituta, il cui corpo giaceva in un lago di sangue dentro una squallida stanzetta a Spitalfields. La sua estrazione sociale, unita alla gola recisa fino alle vertebre, all’addome squarciato, e agli organi asportati, collegavano l’omicidio agli altri quattro avvenuti a partire dall’agosto di quell’anno. E anche in questo caso, nessun testimone, nessun indizio, ma un’unica certezza: il responsabile non poteva essere che Jack lo Squartatore, l’uomo senza volto che assaliva nel cuore della notte le giovani donne con brutalità inaudita, per poi svanire come fumo tra le nebbie dell’East End.
«Scotland Yard brancola nel buio» continuò tetra lady Waldegrave. «E vi confesso che ormai ho il terrore di mettere piede fuori casa, soprattutto da quando il mio Charles è ripartito per l’Egitto.»
«In tutta franchezza, non credo di comprendere i vostri timori» obiettò Solomon. «È l’East End il terreno di caccia dell’assassino, e tutte le sue vittime appartenevano ai ceti più bassi.»
La bella signora rabbrividì. «E se dovesse decidere di spingersi fin qui, nel West End? E dare la caccia anche alle signore per bene? Ho una figlia di diciassette anni, signor Blake. Se le capitasse qualcosa ne sarei distrutta!»
«La giovane Arabella. È per lei che mi avete convocato, no?»
Lady Waldegrave sospirò, malinconica. «Charles ha provato a dissuadermi: la magia è una faccenda con cui la maggior parte dei gentiluomini inglesi non ama avere a che fare. Ma ho sempre meno fiducia nelle autorità. Così ho pensato che voi potreste…ecco, usare i vostri particolari talenti per tenere la mia Arabella al sicuro.»
Solomon si adagiò contro lo schienale della poltrona e accavallò le lunghe gambe. «Quel che mi chiedete è un sortilegio di protezione.»
«Ne siete davvero in grado?» Lady Waldegrave si sporse sul tavolino, gli occhi da cerbiatta divenuti grandi come piattini da tè. «Fareste questo per la mia Arabella, signor Blake?»
Ah, i Mancanti e la loro adorabile reverenza nei confronti della magia! Spesso si aveva l’impressione di parlare con dei bambini.
«Nulla di più semplice» rispose lo stregone, con un’alzata di spalle. «Ma come mai avete deciso di rivolgervi alle Scienze Occulte? Non sarebbe più sicuro allontanare vostra figlia da Londra per un po’? Mandarla, che so, in campagna o in collegio, finché l’assassino non sarà assicurato alla giustizia?»
Un leggero imbarazzo balenò sul volto della donna. «Il fatto è che le abbiamo trovato un pretendente. L’ammiraglio Huxley è impegnato in Egitto con mio marito, ma conto di farlo sposare con Arabella al suo ritorno, per Natale.»
«Aaah» fece Solomon. «Capisco.»
In quell’istante, udì il pavimento nel corridoio scricchiolare impercettibilmente e colse un veloce movimento di stoffa dietro la porta socchiusa. Sembrava proprio che la conversazione non fosse più privata.
«So cosa state pensando» stava intanto dicendo lady Waldegrave, che non dava segno di essersene accorta. «La sicurezza di Arabella dovrebbe avere la priorità. Ma lord Huxley è un ottimo partito, e al suo rientro tutto dovrà essere pronto. Una madre ha a cuore il futuro dei propri figli. Voi siete un uomo di mondo, signor Blake, mi comprenderete.»
«Oh, comprendo perfettamente» replicò Solomon, non senza ironia. «Le mie felicitazioni. Arabella sarà molto emozionata.»
«Ecco, lei non ne è ancora al corrente» ribatté lady Waldegrave, inclinando lievemente il capo. «Non prende mai molto bene i cambiamenti, e il fatto che lord Huxley sia trent’anni più vecchio potrebbe scoraggiarla. Le darò la notizia al momento opportuno, e sarà indubbiamente al settimo cielo! Soprattutto quando vedrà gli splendidi doni di nozze che riceverà dall’Egitto!»
Ah, povera Arabella!
Solomon posò la tazza sul piattino. «E ditemi, vostro marito si reca spesso in Egitto?»
«Ha partecipato attivamente all’occupazione dell’82» raccontò lady Waldegrave, senza nascondere un certo orgoglio. «Il console lo tiene in altissima considerazione.»
«Avrà sicuramente portato con sé molti oggetti di pregio. Non ho potuto fare a meno di notare che nutre una predilezione per i souvenir esotici.»
Lady Waldegrave captò al volo l’antifona, perché il suo sorriso acquisì una piega maliziosa. «Naturalmente. Siete anche voi un estimatore, vedo. Sono sicura di poter convincere Charles a cedervi alcuni dei suoi tesori, in cambio dei vostri servigi.»
Solomon aveva compreso sin da subito di trovarsi di fronte a una persona che parlava la sua stessa lingua; dopotutto, i britannici avevano da sempre avuto fiuto per gli affari.
Afferrò uno scone dal vassoio. «In tal caso, sarò ben lieto di mettere i miei talenti al vostro servizio, milady
Consumato il tè, lady Waldegrave gli indicò come raggiungere la stanza di Arabella, a quell’ora impegnata nei suoi esercizi al pianoforte. Solomon salì le maestose scale che si perdevano nel buio della casa e attraversò un lungo corridoio; anche lì spiccavano i trofei che lord Waldegrave aveva sottratto ai territori schiacciati sotto l’egemonia del Commonwealth.
Sarà sicuramente qui, da qualche parte.
Non si sarebbe di certo accontentato di un fermacarte a forma di scarabeo come ricompensa. Il suo obiettivo era molto specifico: il Libro dei Morti, inestimabile papiro su cui erano raccolti secoli di formule magiche per mettere in comunicazione il Regno della Materia e quello dello Spirito.
Erano anni che Solomon era sulle sue tracce e, se le sue indagini erano corrette, doveva essere finito proprio nelle mani di lord Waldegrave.
Do ut des, “dare e avere”: una formula che funzionava sempre, specialmente coi Mancanti, abituati ad arraffare tutto quel che potevano e col minimo sforzo possibile. Lady Waldegrave rientrava perfettamente nell’equazione: amante della bella vita, non avrebbe esitato a vendere la propria figlia pur di assicurarsi l’affare dell’anno. Bella e pragmatica. Decisamente il suo tipo di donna. Solomon considerò che non gli sarebbe affatto dispiaciuto approfondire la sua conoscenza. Se ci fosse stato il tempo, magari, prima del rientro del marito…
Un ticchettio da una delle finestre interruppe il flusso dei suoi pensieri.
«D’accordo, eccomi» disse Solomon, agitando le dita. «Non mi sono dimenticato di te.»
La finestra si spalancò e un grosso corvo bianco volò dentro con grazia, per poi appollaiarsi come al solito sulla spalla destra dello stregone.
«Sarà una cosa veloce» gli annunciò. «Il tempo di gettare un incantesimo di protezione sulla ragazza. Tu, nel frattempo, trova il Libro.»
In risposta, Wiglaf sventolò le ali e gracchiò piano.
Solomon sospirò. «E va bene! Puoi prendere anche qualche gioiello, ma niente di troppo vistoso. Non facciamo come l’ultima volta.»
Soddisfatto, il corvo spiccò il volo e in pochi istanti svanì dietro l’angolo. Solomon invece proseguì dritto fino alla camera di Arabella e bussò.
«Perdonate il disturbo, milady» disse con gentilezza. «Mi manda vostra madre. Sono Solomon Blake, Arcistregone dell’Ovest. Se permettete una parola…»
Girò la maniglia, ma la porta era chiusa a chiave. Dall’interno, non proveniva neppure una nota di pianoforte.
«Arabella?» fece Solomon, sorpreso. «Non abbiate timore: vostra madre mi ha incaricato di farvi un incantesimo di protezione. Vi garantisco che non sentirete nulla.»
La porta rimase chiusa. Solomon iniziava a esaurire la pazienza. Adolescenti!
«Perdonate l’insistenza, ma avrei una certa fretta» incalzò. «Se non aprite questa porta all’istante, dovrò entrare da solo!»
Ruotò un dito e la serratura scattò. Dentro non c’era nessuno. La stanza, tappezzata da delicata carta da parati a fiori lilla, era rischiarata dalle luci della strada, e la finestra spalancata lasciava entrare la gelida aria novembrina.
Lo sguardo di Solomon indugiò sulle lenzuola annodate a formare una fune, un’estremità assicurata alla colonna del letto, l’altra calata oltre il parapetto. Storse la bocca. «Questo potrebbe essere un problema.»
Evidentemente, lady Waldegrave era l’unica in quella casa ad attendere con impazienza le nozze con l’ammiraglio Huxley.
Solomon accese qualche luce e si mise a esaminare la stanza, alla ricerca di un indizio su dove Arabella potesse essersi cacciata. Aprì il guardaroba: non sembrava mancare nulla, eccetto forse un cappotto pesante. Strano, quale signorina sarebbe scappata di casa senza portarsi dietro almeno un cambio d’abito? Passò a rovistare i cassetti dello scrittoio, trovandovi solo carta da lettere intonsa e boccette d’inchiostro. Si mise a spulciare persino gli spartiti adagiati sul leggio del pianoforte a muro, ma niente.
Possibile che fosse sparita senza lasciare nemmeno un biglietto d’addio? Le giovani dell’alta società si sentivano tutte un po’ delle eroine tragiche, in fondo, come quelle dei romanzi che amavano tanto leggere.
Mentre era lì che si arrovellava il cervello, Wiglaf planò nella stanza e si abbarbicò sulla ringhiera del letto.
«Allora?» chiese Solomon, voltandosi. «Trovato il Libro?»
Imprecò di nuovo quando vide che nel becco reggeva un voluminoso fagotto, traboccante di gioielli. «Ti avevo detto di non esagerare!»
Il corvo mollò il bottino sul letto, gracchiando deluso.
«Dobbiamo trovare la ragazza» disse Solomon, lisciandosi il pizzetto appuntito. «Riflettiamo: una lady in fuga da un matrimonio combinato. Dove potrebbe andare? Da qualcuno di cui si fida, certo. Un parente, o un amico di famiglia? No no, verrebbe rispedita a casa prima di cena. Magari da qualcuno fuori città, che i genitori non conoscono, tipo un’amica di penna…ma dove sono finite allora le lettere?»
La sua attenzione fu catturata dal caminetto spento. Si avvicinò per osservare i tizzoni da vicino. Come pensava, erano ancora caldi. E tra la cenere distinse chiaramente residui di carta carbonizzata.
«Ci hai provato, ragazzina.»
Tracciò un disegno nell’aria e la cenere vorticò verso l’alto; i frammenti di carta si riattaccarono l’uno all’altro, ricostruendo nella mano di Solomon un pezzo di carta straccia su cui era scritto qualcosa.…
«Frying Pan» lesse Solomon, aguzzando la vista. Perché quel nome non gli era nuovo?
Lo stregone cominciò a misurare la stanza avanti e indietro, cercando di fare mente locale. E poi, l’illuminazione lo colpì con la forza di un treno.
«È nell’East End» sussurrò, richiamando alla memoria l’articolo letto sul giornale quella mattina. «È dove è stata vista per l’ultima volta una delle vittime di Jack lo Squartatore!»
Gettò uno sguardo fuori dalla finestra, alla torbida oscurità delle strade di Londra sul far della sera. Oh, Arabella! In che guaio sei andata a cacciarti?
 
C’era un ottimo motivo se Spitalfields era soprannominato da molti “quel malvagio angolo di mondo dimenticato persino dal Diavolo”; un groviglio di stradine buie e strette, su cui incombevano minacciosi i casermoni in mattoni delle workhouse e le case ammassate le une alle altre, dentro cui erano stipate dozzine di famiglie. I miasmi del Tamigi appestavano l’aria, assieme al fetore proveniente dai mattatoi di Buck’s Row, e dalla spazzatura che marciva per le strade sterrate; ovunque si aveva la sgradevole sensazione di essere squadrati da brutti ceffi pronti a puntarti un coltello alla gola e lasciarti in mutande, e gli accattoni vagavano nelle macchie d’ombra tra i lampioni a gas. Insomma, al posto di Solomon chiunque si sarebbe sentito scoraggiato dall’avventurarsi laggiù. Ma non lui; malgrado apparisse poco più che trentenne, Solomon Blake aveva vissuto molto lungo, e visto così tante cose assurde da aver quasi dimenticato cosa significasse provare paura. E poi, con la sua padronanza delle arti magiche e marziali, era con molte probabilità la persona più pericolosa nei paraggi.
Il Frying Pan era un pub di poche pretese, all’angolo di Brick Lane e Thrawl Street, e Solomon non avrebbe potuto apparire più fuori luogo laggiù, con la sua elegante redingote nera, il cappello a bombetta e il bastone da passeggio dall’impugnatura in argento a forma di testa di corvo. Si ritrovò accerchiato da una marmaglia brulicante che tracannava birra, fumava, urlava e si prendeva a pugni, il tutto con l’allegro sottofondo di una piccola banda che strimpellava in un angolo. Se lady Waldegrave avesse saputo che la sua innocente Arabella si trovava in quella bolgia infernale, le sarebbe venuto un colpo.
Solomon ordinò un bicchiere di pessimo scotch, passando in rassegna le poche presenze femminili: prostitute dal volto pesantemente truccato, alcune praticamente bambine, si gettavano addosso agli avventori riuniti attorno ai tavoli da gioco, e operaie dall’aria sfatta annegavano la fatica e i dispiaceri della giornata nell’assenzio. Erano proprio loro le vittime predilette del famigerato Jack lo Squartatore, donne disperate e senza futuro che arrancavano per sopravvivere…
La crudeltà di cui erano capaci i Mancanti spesso lo lasciava senza parole.
Solomon continuò a studiare l’ambiente con attenzione e terminò il suo scotch, ma proprio quando si era rassegnato all’idea che forse era arrivato tardi, la vide: un’esile figurina dai boccoli castani, avvolta in un cappotto di velluto color pervinca, stava salendo le scale che conducevano ai piani superiori, gettandosi alle spalle occhiate circospette.
Trovata.
Senza indugio, Solomon la seguì. Avanzò per un corridoio lungo il quale si affacciavano diversi appartamenti, dove le prostitute intrattenevano i clienti. Vide Arabella infilarsi dentro una stanza in fondo e chiudere la porta.
Solomon si avvicinò, la mano già posata sulla maniglia…
«Non saresti dovuta venire qui, Bella! È troppo pericoloso» stava dicendo una giovane e tesa voce maschile dall’interno. «Soprattutto dopo quegli orribili omicidi…»
Solomon si bloccò, tendendo bene le orecchie.
«Ma ho dovuto farlo, Paul!» replicò quella che senza dubbio era la voce di Arabella, incrinata dal principio di un pianto. «Mia madre vuole farmi sposare! Sta già organizzato tutto, ha persino fatto venire a casa uno strano uomo inquietante per gettarmi addosso un maleficio che mi tenga sotto il suo controllo!»
Offeso, Solomon aggrottò la fronte. Qualcuno in passato poteva averlo anche definito strano…ma addirittura inquietante!?
«Non potevo più restare laggiù» gemette Arabella, affranta. «Io voglio stare con te, Paul, e so che anche tu lo vuoi: scappiamo via, io e te! Gettiamoci alle spalle la mia famiglia e questa città maledetta!»
«Lo vorrei tanto» sospirò il ragazzo di nome Paul. «Sai che non c’è cosa al mondo che desidero di più, Bella. Ma che genere di vita potrei offrirti? Guarda in che condizioni vivo!»
«Non mi importa! Preferisco vivere in povertà con te, piuttosto che prigioniera di un vecchio bavoso!»
Solomon non poteva darle torto, ma dubitava che le cose sarebbero state così facili come Arabella le dipingeva. Era pronto a riportare coi piedi per terra quei Romeo e Giulietta del XIX secolo, quando i suoi sensi captarono una presenza oscura, la cui aura gli fece rizzare i capelli sulla nuca. Si volse di scatto, verso il corridoio ammantato dalla penombra e apparentemente deserto.
Agì d’istinto. S’infilò nella prima stanza alla sua destra, chiuse la porta e usò il suo bastone per tracciare sulle assi marce del pavimento un cerchio intrecciato con vari simboli, che arsero all’istante di una vivida luce azzurra. Poi fece un passo indietro e picchiettò la punta del bastone per terra.
Trascorse una manciata di secondi, e poi un uomo piovve letteralmente dal nulla all’interno al cerchio, atterrando pesantemente sul pavimento con un’imprecazione colorita.
«Ma porc…ti sembra il modo di evocare la gente? Dove le hai lasciate le buone maniere!?»
Solomon sogghignò, congiungendo le mani sulla testa di corvo in cima al bastone. «Salute a te, Azaele. È passato quasi un secolo dall’ultima volta, ma la discrezione continua a non essere il tuo forte.»
L’uomo nel cerchio magico incrociò braccia e gambe e lo fissò truce. Era alto, sulla trentina, con capelli ricci e bruni e la carnagione olivastra tipicamente mediterranea. L’ampio caban nero col bavero sollevato che indossava sopra la blusa bianca e il basco calato sulla testa gli conferivano l’aspetto di un consumato capitano di nave.
Ma Solomon sapeva bene che genere di creatura si trovava davanti.
«Almeno io non ho il brutto vizio di derubare gli umani» gli rispose il marinaio a tono. «O di pedinare le adolescenti. Dì un po’, ma non ti vergogni alla tua età? Razza di pervertito!»
«Per l’amor del cielo!» s’indignò lo stregone. «Sto solo cercando di riportare quella ragazza da sua madre, prima che la faccia morire di crepacuore!»
Azaele lo scrutò con sospetto. «Gli stregoni non fanno mai niente per niente, specialmente tu. Deve esserci qualcosa sotto.»
«Per essere un demone millenario sei pieno di pregiudizi.»
«O magari dopo tutti questi anni ho imparato a conoscerti» replicò Azaele, puntandogli contro un dito accusatore. «Sei un bugiardo.»
«Mi piace raccontare storie interessanti.»
«Un imbroglione.»
«Non è colpa mia se la gente si beve tutto quel che dico!»
«E soprattutto, sei un ladro!»
«Mi assicuro che le cose di valore vadano nelle mani 
giuste 
Esasperato, Azaele alzò gli occhi al soffitto. «Non mi meraviglia che tutti i Gironi infernali facciano a gara per averti!»
«Allora i tuoi colleghi dovrebbero metterci un po’ più d’impegno» suggerì Solomon, affabile. «Non siete mai riusciti a prendere la mia anima in tutti questi anni, e di occasioni ne avete avute a bizzeffe. Anche se ammetto che Razel quella volta a Budapest ci è andato vicino…ma veniamo a noi: cosa ti porta qui a Londra?»
Il demone scrollò le spalle. «Sono arrivato a bordo di un mercantile. Il mare aperto è un ottimo posto dove mietere anime: i marinai bevono tutto il tempo, e cadono giù dal ponte che è una bellezza…almeno, questo era il piano prima che sbarcassi.»
Una ruga profonda marcò la fronte del demone. «Qualcos’altro è arrivato a Londra prima di me. Qualcosa che non appartiene al vostro mondo.»
«Spiegati meglio.»
«Gli omicidi» disse Azaele. «Quelli dietro cui la polizia sta impazzendo. Non sono opera di un uomo comune: mesi fa è stata denunciata la fuga di un Utente del Settimo Girone.»
«I Violenti» completò Solomon, il sopracciglio scettico che si abbassava a formare un’espressione più simile alla preoccupazione. «Stai dicendo che un’anima infernale è scappata mesi fa, e voi demoni decidete di darvi una mossa soltanto adesso?!»
«Ehi, non dare la colpa a me se Laggiù nessuno legge mai le circolari» protestò Azaele. «È l’Inferno, che ti aspetti?»
Solomon fece schioccare la lingua. «Siamo in ottime mani, allora.»
«Senti, rimetterò le cose a posto» assicurò Azaele. «Quando un dannato attacca lascia sempre dietro di sé una scia infernale. L’ho seguita fin qui…ma la tua aura magica l’ha coperta, e ora l’ho persa. Però non può essere andato troppo lontano, almeno credo…»
«“Almeno credo?”» ripeté Solomon, sconcertato. «Azaele, quest’uom…questa cosa ha già ucciso cinque persone!»
«Lo so, lo so, e sarà rispedito all’Inferno in men che non si dica, così saremo tutti contenti! Gli omicidi finiranno, gli umani dormiranno sonni tranquilli, e forse Safet non mi decapiterà con la sua katana preferita…»
«Te lo puoi scordare» lo interruppe Solomon. «È evidente che tu non sia la creatura più adatta a svolgere questo incarico: resterai qui buono buono, finché non mi sarò occupato della faccenda.»
«Cosa!?»
«Mi hai sentito.» Gli occhi dello stregone mandarono un pericoloso bagliore azzurro. «Ho stretto un accordo molto proficuo con lady Waldegrave e non lo manderò a monte perché sua figlia è stata fatta a fette per un vostro errore!»
Sbalordito, Azaele scattò in piedi e mosse un passo oltre il bordo del cerchio, ma una forza invisibile lo spintonò all’indietro, facendolo ricadere a terra.
«Fidati, per la tua sicurezza e quella di tutti è meglio se resti in questo cerchio magico.»
«Solomon, un dannato a piede libero non va sottovalutato!» lo avvertì Azaele. «È stato per secoli esposto alla nostra magia oscura, ha sviluppato poteri enormi! E qui sulla Terra sono notevolmente amplificati!»
«Ho già affrontato demoni in passato» ribatté lo stregone, sprezzante. «Conosco la vostra magia e so come gestirla.»
«Lascia almeno che ti dia una mano! So come funziona la mente di un dannato meglio di te!»
«Certo, lo sai così bene da non avere la più pallida idea di dove possa trovarsi in questo momento!» ironizzò Solomon. «Non mi serve il tuo aiuto, io lavoro bene da solo. Wiglaf?»
Ci fu un bagliore e il corvo bianco si materializzò nella stanza, andandosi ad appollaiare sul davanzale della finestra.
«Tienilo d’occhio finché non avrò finito» comandò lo stregone, sollevando la bombetta in segno di saluto. «Goodbye, my dear. È stato un piacere.»
«Oh, non ti azzardare!»
Ma lo stregone aveva già lasciato la stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
«Il solito figlio di…» Azaele serrò di nuovo le braccia al petto, fumando di collera, e scoccò un’occhiata bieca all’indirizzo del corvo albino, che se ne stava impettito come una sentinella. «E tu sei anche peggio di lui, traditore di un Famiglio!»
 
Mentre il demone e lo stregone erano impegnati a discutere, Arabella Waldegrave e il suo giovane amante, Paul, avevano lasciato il minuscolo appartamento sopra il Frying Pan passando da un corridoio nascosto che collegava la palazzina a quella accanto.
«L’appartamento di solito lo usa una mia amica, Lettie» le aveva spiegato il ragazzo, tenendola per mano mentre la guidava nell’angusto e buio spazio e illuminando i loro passi con una lanterna. «Qualche volta mi ha fatto da modella; usa questo passaggio quando i clienti iniziano a diventare violenti.»
I due sbucarono in un vicolo buio, e scesero furtivamente lungo l’isolato.
«Conosco un posto dove saremo al sicuro» disse Paul. «Dove lo stregone assoldato da tua madre non potrà trovarti. Aspettami qui, torno subito.»
Arabella occhieggiò le estremità buie della strada, nervosa. «Vuoi lasciarmi qui da sola?»
«Ci vorrà solo un momento» assicurò Paul. «Devo…andare a prendere una cosa. Tornerò prima che te ne sia accorta, promesso!»
Arabella fissò il volto del ragazzo, i capelli color zafferano, gli occhi calmi e gentili e i lineamenti puliti del viso, che l’avevano attratta sin dal giorno in cui l’aveva incontrato, mentre dipingeva sulle sponde di un laghetto ai Giardini di Kensington. Gli sorrise, ritrovando nel suo cuore il coraggio di fidarsi. «Va bene, ma fa’ presto.»
Prima di lasciarla, Paul tirò fuori dalla tasca un coltellino, più simile a una spatola per dipingere. «Se qualcuno dovesse avvicinarsi…usalo. Prima ancora di fare domande, va bene?»
Riluttante, la ragazza prese l’arma e la nascose sotto il cappotto. «V-va bene.»
E dopo averle sorriso un’ultima volta, Paul voltò l’angolo e fu inghiottito dalle ombre del vicolo. Arabella restò sola, le braccia strette al corpo, attraversata da brividi d’inquietudine, mentre teneva d’occhio l’oscurità. Improvvisamente, un’ombra slanciata si allungò sul muro di mattoni alle sue spalle.
«Finalmente vi ho trovata, milady
La ragazza si voltò con un balzo, trattenendo a stento uno strillo. «State lontano da me, demonio!»
«Ho ricevuto insulti peggiori» commentò Solomon, in tono paziente. «Rilassatevi, sono qui per riportarvi a casa sana e salva.»
Arabella arretrò, sfoderando il coltellino. «So benissimo cosa siete, signore! Provate ad avvicinarvi di un solo passo e ve ne pentirete!»
Solomon occhieggiò la minuscola lama, divertito. «Con quello non riuscireste neppure a sgusciare un’ostrica.»
«Vi avverto che non ho nessuna intenzione di seguirvi!» affermò Arabella, mentre la paura cedeva il passo a uno cipiglio agguerrito. Aveva ereditato gli stessi lucenti capelli castani, gli occhi scuri e i tratti armoniosi della madre, sebbene ancora acerbi, e nella penombra di quel miserabile vicolo il suo viso piccolo e rotondo brillava come una perla.
«Non siate sconsiderata, l’East End non è posto adatto a una lady» ribatté Solomon. «Soprattutto con un pazzo omicida a piede libero. Vi conviene seguirmi con le buone, altrimenti…»
«Altrimenti cosa?» lo sfidò la ragazza, per nulla intimorita. «Mi farete un maleficio? Proprio come vi ha ordinato mia madre?»
«Ci sto seriamente pensando» replicò infastidito lo stregone. «Potrei sempre farvi sparire la bocca, almeno stareste zitta. Ora piantatela di fare i capricci, il cocchiere ci aspe…»
Non terminò mai la frase.
Fece appena in tempo a scorgere il terrore impossessarsi dei grandi occhi di Arabella, la sua bocca spalancarsi mentre raccoglieva il fiato per urlare.
Un’esplosione di stelle e fuochi d’artificio. Un dolore lancinante alla nuca. Istintivamente, Solomon sollevò il bastone, mentre ondeggiava come ubriaco appoggiandosi contro il muro.
Non l’ho sentito nemmeno avvicinarsi. Come ho fatto a non sentirlo?
Fu l’ultimo pensiero razionale che gli attraversò la mente, assieme a un’umiliante ondata di panico. Subito dopo, crollò in avanti e tutto divenne buio.


 

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Capitolo 2
*** Le Malebolge ***


 


II.
LE MALEBOLGE

 

 
«Dite che è morto?»
«Di sicuro è pallido come un morto.»
«Secondo voi è vero che è un mago?»
«Non lo so, a vederlo così non sembra molto magico …oh, si è mosso! Forse si sta svegliando!»
Solomon aprì gli occhi con un grugnito. Non c’erano molti dubbi a riguardo, qualcuno doveva averlo colpito alla testa molto forte, a giudicare dal dolore persistente che gli martellava il cranio. Era anche piuttosto sicuro di essere caduto in mezzo ai cassonetti sul ciglio della strada, stando all’odore che emanavano i suoi abiti. Adesso però non si trovava più in strada, ma sdraiato su un materasso pulcioso, in uno squallido stanzone con file di lettini di ferro. E soprattutto, era circondato da una moltitudine di bambini con indosso tuniche dello stesso grigio delle pareti, e che lo stavano osservando con occhi spalancati.
Bambini! Alla fine, ci sono finito sul serio all’inferno!
Riuscì a girarsi sul fianco con fatica. «Che è successo..?»
«Succede che sei un idiota!»
A parlare non erano stati i bambini, ma un uomo bruno e riccioluto, vestito da marinaio, che lo fissava accigliato con la schiena poggiata alla parete e le braccia conserte. Aggrappato alla sua spalla, c’era Wiglaf.
«Azaele?» gracchiò Solomon. «Come diamine hai fatto a uscire dal cerchio?!»
Il demone allargò le braccia. «Sei incredibile! Ti preoccupi di come sia scappato e non che ti abbia salvato la vita! È merito di Wiglaf, comunque: grazie al vostro legame ha percepito che eri in pericolo e si è lasciato convincere a liberarmi.»
Il corvo bianco sventolò le ali e raggiunse il suo padrone, saltellando sul letto come un cagnolino.
Solomon però non era molto in vena di festeggiamenti. Si passò una mano tra i capelli arruffati, cercando di mettere ordine tra i pensieri. «Qualcuno mi è arrivato alle spalle…ma per qualche assurda ragione i miei sensi non lo hanno avvertito! Ero…ero insieme ad Arabella! Lei dov’è? Sta bene?»
Lo sguardo di Azaele si intristì. «Mi dispiace, non ne ho idea. Non c’era nessun altro a parte te, quando sono arrivato nel vicolo.»
Lo stregone sibilò un’imprecazione. «Deve averla presa!»
«Solomon» disse Azaele, accorato. «Ho cercato di avvertirti, il Dannato è diventato troppo potente, non puoi affrontarlo da solo! Ti serve il mio aiuto! Ritroveremo la ragazza, puoi starne certo.»
«Ah, sì? E come?» Solomon si massaggiò la tempia dolorante. «Con molte probabilità è già bella che morta, esattamente come le altre cinque donne assassinate!»
«Non è morta» ribatté il demone. «Ho fatto una capatina Giù da me, mentre aspettavo che ti riprendessi: all’Inferno la sua anima non è stata registrata. E nemmeno ai Piani Alti l’hanno vista, ho chiesto a un amico.»
Solomon si alzò dal letto, barcollando leggermente. «In tal caso, dobbiamo darci una mossa. Per prima cosa, devo tornare sul luogo dell’accaduto e raccogliere indizi e…un momento!» Si tastò la redingote, gettandosi attorno occhiate allarmate. «No…no no no!»
«Mi dici che ti prende adesso?»
«Maledizione, dov’è finito?» Solomon gettò all’aria cuscino e coperte. Non gli importava che Azaele e i bambini lo stessero fissando come se fosse pazzo, doveva ritrovarlo a tutti i costi. «Dov’è il mio orologio!?»
I bambini si guardarono con aria colpevole, poi, uno di loro, coi capelli color topo e le lentiggini, tossicchiò e disse: «Ehm, cerca questo?»
E da dietro la schiena tirò fuori un orologio d’argento col coperchio intarsiato, attaccato a una catenina.
Solomon lo fulminò con un’occhiataccia. «Dà qua, piccolo ladruncolo!»
E gli strappò l’orologio di mano, così bruscamente che gli altri bambini si ritrassero spaventati.
«E dai, Sol, rilassati» intervenne Azaele. «Sono sicuro che non volevano farti un dispetto.»
Lo stregone estrasse un fazzoletto e ripulì per bene l’orologio dalle impronte, poi lo ripose al sicuro sotto la giacca. «Da dove saltano fuori tutti questi marmocchi?»
«Siamo in un orfanotrofio» spiegò Azaele. «Mi serviva un posto sicuro dove portarti: i Dannati non sopportano i bambini, la loro innocenza per loro è tossica. Ho detto che sei un mago, e che se ci avessero nascosti avresti regalato loro un unicorno!»
Bastò la parola “unicorno” per far sparire la paura dai visini dei bambini, che in men che non si dica circondarono Solomon saltellando e urlando eccitati. Lo stregone guardò il demone con occhi stretti. «Ma che bella idea! E dove dovrei andare a prenderlo un unicorno?»
«Oh, ma se ad Arcanta ne avete un intero allevamento! Puoi prenderne uno in prestito dal Bestiario, no?»
Solomon fece schioccare la lingua. «Basta con queste sciocchezze! Pensiamo a come ritrovare Arabella!»
E lasciò in tutta fretta lo stanzone. Azaele trasse un altro profondo respiro e lo seguì, ma prima salutò con la mano i bambini, che ricambiarono allegramente.
Tornarono in strada, percorsa da carretti e gremita da una calca rumorosa, che procedeva tra urla e spintoni; lavandaie che trascinavano le gonne pesanti nel fango, venditori ambulanti di pasticci che decantavano la propria merce, e poi operai, medicanti e spazzacamini dalle facce nere di sudiciume. E in alto, sopra quel miserabile viavai, oltre i tetti di ardesia luccicanti di pioggia e le ciminiere che eruttavano fiumi di fuliggine, un cielo plumbeo e gravido di nuvole fosche.
«Da questa parte.»
Solomon si fece largo agilmente con Azaele al seguito, fino al vicoletto sul retro del Fryin Pan dove aveva visto Arabella per l’ultima volta. Come c’era da aspettarsi, qualunque traccia l’assassino avesse lasciato dietro di sé, era stata lavata via dalla pioggia.
«Era sola quando l’hai incontrata?» domandò Azaele.
«No» rispose lo stregone, chinandosi per esaminare da vicino il selciato pieno di pozzanghere. Trovò solo il coltellino che la ragazza aveva inutilmente usato per difendersi. «C’era un giovanotto con lei, un certo Paul. Sembra che stessero progettando di lasciare Londra insieme.»
«Forse sa qualcosa» propose il demone. «Chiediamo di lui al pub, magari qualcuno lo conosce.»
Solomon si tirò su. «Non serve: ci sta seguendo già da un po’.»
Azaele si volse verso l’estremità del vicolo; fece appena in tempo a scorgere una sagoma sussultare, e poi gettarsi nella fiumana di persone sulla via principale. Demone e stregone si scambiarono un’occhiata.
«Tu vai destra e io a sinistra?» chiese Azaele.
«Io a destra e tu a sinistra.»
Un attimo dopo, si erano entrambi dileguati.
 
Paul Everett correva a perdifiato lungo Flower and Dean Street, sgomitando tra la folla e schivando carri carichi di carbone. Sgusciò in una stradina dopo l’altra, mimetizzandosi nella penombra fumosa e maleodorante con la dimestichezza di chi conosce quel quartiere meglio delle proprie tasche. Una volta sicuro di aver seminato i suoi inseguitori, si concesse qualche istante per prendere fiato, indugiando sotto un viadotto della ferrovia…
«Puoi smetterla di affannarti, giovanotto. Sei al capolinea.»
Il ragazzo sollevò la testa di scatto, boccheggiando.
Il gentiluomo col cappello a bombetta e il bastone da passeggio era stagliato a un capo della strada, ma al contrario di Paul non aveva affatto l’aria affaticata. «Il giovane Paul, deduco.»
Il ragazzo non rispose, e compì uno slancio verso il lato opposto della strada. Non riuscì a compiere molti passi, perché un’ombra spaventosa si allungò di fronte a lui, dotata di corna e ampie ali da pipistrello. Paul arrestò la corsa, terrorizzato, e subito dopo fu sollevato per aria e schiacciato contro un muro di mattoni.
«Calma, biondino» intervenne un’altra voce, e subito dopo Azaele emerse dalle ombre del vicolo, le mani affondate nel cappotto. «Vogliamo solo parlare.»
Il giovane si divincolò, ma una forza invisibile lo teneva inchiodato al muro. «Che volete da me? Io non ho fatto niente!»
«E allora perché sei scappato via in quel modo?»
«Perché?» ansimò il ragazzo, continuando a dibattersi come una furia. Alzò il braccio e indicò Solomon. «Perché quello lì ha rapito la mia ragazza!»
Lo stregone sbatté le palpebre. «La tua ragazza è stata così incosciente da scappare di casa, e io sono incaricato di riportarla dai suoi genitori!»
«E dovrei credervi sulla parola!?»
«Ascolta, Paul» intervenne Azaele, moderando i toni. «È evidente che siamo dalla stessa parte: stiamo cercando Arabella e la creatura che l’ha rapita. Crediamo sia la stessa dietro agli omicidi di Jack lo Squartatore. Tu ieri hai visto qualcosa?»
Senza abbandonare l’atteggiamento guardingo, Paul scosse la testa. «Non ne sono sicuro. Le avevo detto di aspettarmi un minuto, e quando sono tornato ho visto lui.» E fece un altro cenno brusco verso Solomon. «Che la minacciava!»
«Tecnicamente, è stata lei a minacciare me» puntualizzò lo stregone. «Con una spatola.»
«Poi cosa è accaduto?» domandò Azaele.
«Ho visto qualcosa» fece Paul, esitante. «Ma non sono sicuro che fosse un uomo, sembrava fatto di…di fumo. L’ho visto strisciare lungo il vicolo, emergere dalla nebbia, e poi tutti i lampioni si sono spenti all’improvviso. Ho sentito Arabella gridare, ma non vedevo niente!»
Pensieroso, Solomon guardò Azaele. «Ti ritrovi con questa descrizione? Era il famoso Dannato?»
«Difficile dirlo» ammise il demone. «Le anime, trapassando, vengono separate dal corpo, perciò in teoria non hanno una forma propria nel mondo mortale. Sono puro spirito, quindi necessitano di possedere qualcun altro. Non ho mai sentito di Dannati che se ne vanno a spasso senza un corpo fisico. In effetti, non riuscirebbero neppure a camminare.»
«Perciò il Dannato potrebbe aver posseduto il corpo di chiunque?»
«Be’ sì. Almeno, credo.»
Solomon sospirò. «Per essere un esperto non ti stai dimostrando molto utile!»
«Almeno io non mi sono fatto mettere ko con una botta in testa!»
«Non puoi chiedere ai tuoi colleghi qualche informazione?» lo spronò Solomon, con impazienza. «All’Inferno dovranno pur tenere un registro dei detenuti! Basta vedere chi manca e sapremo con cosa abbiamo a che fare!»
Azaele si grattò la nuca. «Il fatto è che al momento c’è un po’ di caos Laggiù: sai, con il colera abbiamo avuto un sacco di nuovi arrivi e…»
«Ma se l’epidemia di colera è stata nel’54!»
«Abbiamo una burocrazia lenta.»
Solomon si schiaffeggiò la fronte. «Ci rinuncio!»
«Scusate» s’intromise Paul. «Io ancora appeso al muro!»
Solomon agitò distrattamente la mano e il ragazzo piombò a terra con un’imprecazione.
«Quindi, cosa facciamo adesso?» chiese Azaele.
«C’è un solo modo per ottenere risposte» appurò Solomon, accarezzandosi il pizzetto. «Interrogare direttamente le vittime: mi auguro abbiate stomaci forti, signori, si va all’obitorio.»
«Perché parla al plurale?» protestò Paul. «Che c’entro io? Non vi conosco neanche!»
«Perché, finché non avrò trovato una pista migliore, resti il sospettato numero uno» rispose Solomon, agguantandolo per la collottola. «E non ho intenzione di perderti di vista!»

 
Tutti i corpi delle vittime attribuite a Jack lo Squartatore erano conservati nell’obitorio di Old Montague Street. Appena prima di varcare la soglia, Azaele domandò: «Qual è il piano? Entriamo e diciamo: “Buongiorno, passavamo di qui e abbiamo pensato di dare un’occhiata alla vostra collezione di corpi mutilati?”»
«Lascia fare a me» replicò lo stregone. «Mi occorre solo un veloce cambio d’abito.»
Sfilò la bombetta e la capovolse, trasformandola in un elmetto con visiera e lo stemma di Scotland Yard. Dopodiché, effettuò una piroetta e la redingote fu sostituita da un lungo cappotto blu decorato da galloni.
Paul si lasciò sfuggire un fischio. «Accidenti, gran bel trucco!»
«Lo so.» Solomon si piantò in testa l’elmetto. «Ora, reggetemi il gioco.»
Entrarono. La camera mortuaria aveva i soffitti bassi, voltati a botte, e una fila di tavoli con sopra allineati cadaveri coperti da lenzuoli. Vi aleggiavano un freddo e un’umidità pungenti, insieme all’odore di ammoniaca e quello dolciastro della carne in putrefazione.
In fondo, un uomo baffuto, con gli occhiali e un grembiule macchiato di sangue, stava discutendo con un poliziotto. Quando li vide arrivare, l’agente portò subito la mano al manganello: «Che significa? Cosa volete?»
«Sono l’ispettore Spratlin» disse Solomon, tranquillo. «Ho con me il fratello e il nipote dell’ultima vittima. Li ho portati affinché ne accertino l’identità, e ci diano indizi utili per risalire all’assassino.»
«Abbiamo già accertato che si tratta di Mary Jane Kelly» borbottò l’agente, sospettoso. «L’ha identificata la sua padrona di casa. Il procuratore…»
«Il procuratore vuole che l’indagine venga chiusa in fretta, prima che il Parlamento prenda provvedimenti» lo interruppe Solomon, sempre calmo ma deciso. «Il dipartimento non sta facendo una gran figura di fronte al Paese. Di questo passo, ci saranno un bel po’ di tagli al personale.»
L’agente deglutì rumorosamente. «Molto bene…dottor Llewellyn, proceda.»
Il medico si avvicinò a uno dei tavoli e sollevò il lenzuolo. Solomon sentì Paul trattenere un conato. «Povera ragazza, se capitasse ad Arabella…!»
In vita, Mary Jane Kelly doveva essere stata una donna molto avvenente, formosa, dai capelli rossi e la pelle chiara spolverata di lentiggini. La sua gola era stata recisa da sinistra a destra, con due tagli precisi. Trachea, esofago e midollo spinale erano stati tagliati. Il volto orribilmente deturpato da lividi e segni di percosse. E il ventre dilaniato.
«Le mancano le orecchie» notò Azaele, indicando i fori ai lati del cranio.
«Non solo quelle» disse il medico. «Le hanno asportato anche fegato e polmoni.»
«E dove sono finiti?»
Il dottor Llewellyn scrollò le spalle. «Non ne ho idea. L’assassino deve averli tenuti con sé. Lo ha fatto anche con le altre quattro vittime: a Mary Anne Nichols ha asportato l’intestino e il pancreas, ad Annie Chapman utero e vescica. A Elizabeth Stride mancavano naso, seni e il rene destro, e a Catherine Eddowes…addirittura i denti!»
«Interessante.» Solomon girò attorno al tavolo per esaminare il cadavere da varie angolazioni, gli occhi accesi da uno scintillio eccitato. «Davvero uno splendido lavoro. Così preciso, pulito…artistico, oserei dire!»
«Ehm» fece Azaele. «Non sono sicuro che sia sano di fare certi apprezzamenti.»
Solomon lo ignorò, tornando a rivolgersi al medico. «Chiunque sia stato, di certo conosce l’anatomia umana. Mi dica, dottore, è giusto supporre che questa sventurata sia stata colpita con due armi diverse?»
«Be’, sì» rispose quello, sorpreso. «Una baionetta d’ordinanza e poi…uno strumento più affilato e preciso, tipo un bisturi o un rasoio.»
«Ha parlato di una baionetta?» chiese Azaele. «Come quella di un soldato?»
«Questo restringerebbe il campo» commentò il poliziotto «Ci sono parecchi soldati che vanno a Whitechapel, per divertirsi con le ragazze.»
«Questo non lo chiamerei divertimento» disse Solomon. «E non credo possa trattarsi di un militare.»
«E perché mai?»
«Quale soldato si presenterebbe in caserma con l’uniforme insanguinata? E, a giudicare da queste ferite, deve essersi sporcato parecchio. La baionetta potrebbe averla tranquillamente rubata.»
«E non dimentichiamoci del bisturi» intervenne Paul. «Potrebbe trattarsi di un medico?»
«O di un barbiere» aggiunse Azaele.
«In ogni caso, qualcuno in grado di dileguarsi senza attirare l’attenzione» concluse Solomon. «Che abiti solo, nei dintorni, e possa giustificare il sangue sui vestiti. E, a proposito di vestiti…potrei vedere quelli della vittima?»
«Da questa parte.»
Gli averi di Mary Jane Kelly erano stati riposti in una cassetta, con un cartellino che ne indicava la proprietà, e contavano stivaletti stringati coperti di fango, un cappotto malconcio, camicetta di flanella, e poi vari strati di sottoveste intrisi di sangue secco. Solomon rovistò nelle tasche del cappotto e vi trovò due grosse monete. «Queste non appartenevano alla vittima.»
«Come fai a dirlo?» chiese Azaele. «Forse erano i suoi ultimi risparmi.»
«Dubito ci si possa comprare qualcosa» obiettò lo stregone, osservandole alla luce. «Sono oboli celtici. Venivano posti sugli occhi dei defunti prima della sepoltura.»
«Dunque stiamo cercando un appassionato di storia antica?»
«Si direbbe» mormorò Solomon, distratto da un pensiero. «Grazie agente, dottor Llewellyn: è stata una piacevole chiacchierata! Andiamo, non c’è un minuto da perdere!»
Dopodiché girò i tacchi e lasciò il sotterraneo. Paul diede una leggera gomitata ad Azaele. «Ma è sempre così?»
«Sempre» sospirò il demone. «E inizio a pensare che lui e l’assassino abbiano molto in comune!»
Di nuovo in strada, Solomon si liberò del travestimento e disse: «Monete di quel tipo sono facilmente reperibili in qualche vecchia tomba. È probabile che l’assassino li abbia acquistati in un banco dei pegni. Giovanotto, tu che sei del posto, ne conosci uno abbastanza vicino ai luoghi degli omicidi?»
«Quindi fate sul serio?» domandò Paul. «Volete mettervi sulle tracce di un pazzo assassino?»
«Tu non vuoi salvare Arabella?» chiese Azaele.
Il volto del ragazzo diventò subito molto serio e determinato. «Lo voglio più di ogni altra cosa. Se le è capitato qualcosa di brutto, potrei uccidere quel mostro con le mie stesse mani! Non mi importa quanto sia pericoloso!»
Azaele sorrise, colpito dalla sua grinta. «In tal caso» disse, porgendogli la mano. «Benvenuto in squadra!»
«Non siamo una squadra» obiettò Solomon, piattamente. «E non stiamo arruolando volontari. Dicci dove si trova il banco dei pegni e tornatene a casa.»
«Sentite, io a Whitechapel ci sono nato» ribatté Paul. «Conosco ogni vicolo e buco merdoso, vi posso aiutare!»
Solomon incrociò le braccia. «Grazie, ma no, grazie. L’ultima cosa che mi serve è un altro adolescente in crisi ormonale a cui fare da balia.»
«E dai, Sol!» insistette invece Azaele. «È un ragazzo innamorato! E ha ragione, conosce il quartiere meglio di noi.»
Alla fine, lo stregone dovette cedere. «E va bene! L’importante è che non ci rallenti.»
Paul li condusse a un negozio in un’arteria deserta di Thawl Street. Gli affari non dovevano andare troppo bene, a giudicare dalla polvere che ricopriva gli oggetti in vetrina e dall’assenza di clienti. Il loro ingresso fu anticipato dal suono di un cicalino.
Il proprietario, un ometto ricurvo coi capelli unti, li squadrò da capo a piedi. «I signori desiderano?»
«Buonuomo, per caso riconosce queste monete?»
Solomon estrasse i due oboli dalla tasca e li adagiò sul bancone. L’ometto tirò fuori dalla redingote logora un monocolo e li studiò da vicino. «Mhm, può darsi.»
Azaele si sporse in avanti. «Ricorda a chi li ha venduti?»
«Be’, di qui passa un sacco di gente» fece l’altro, in tono vago. «Ricordo una donna, però. È stata qui alcuni mesi fa. Era particolarmente interessata all’artigianato celtico: amuleti, pugnali cerimoniali, cose così. Le ho detto che questo non è mica il British Museum!»
Solomon e Azaele incrociarono gli sguardi, facendosi attenti. «Ricorda che aspetto aveva? Ha lasciato un nome?»
Il proprietario restituì loro le monete. «No, garantisco sempre privacy ai miei clienti.»
«Ovvio che lo fa» disse Azaele, accigliato. «La maggior parte della merce che espone è rubata! Mi dica un po’, quante tombe ha profanato?»
«Calunnie!» esclamò il rigattiere, spazientendosi. «Io sono solo un onesto rivenditore! E ora, vi prego di andarvene!»
«Aspetti!» torno alla carica Solomon. «La donna ha comprato qualcos’altro? Qualcosa di poco comune, tipo un’arma…?»
«Ho detto» ringhiò l’uomo. «Di andarvene, o chiamo la polizia!»
E li sbatté in strada, senza troppe cerimonie.
«Quel miserabile» brontolò Azaele. «Lo getterò dritto tra i Fraudolenti!»
«Potevi risparmiartela» disse Solomon, seccato. «Avrebbe potuto darci altre informazioni!»
«Insomma, sappiamo che gli oboli erano in possesso di una donna» li richiamò all’attenzione Paul. «Quindi può essere che li abbia comprati proprio Mary Jane Kelly.»
«Non ce la vedo una prostituta a interessarsi di antiquariato» ribatté Solomon. «No, la persona in questione ha fatto un acquisto mirato. Comincio a sospettare che gli omicidi facciano parte di un disegno più grande.»
«Aspetta» disse Azaele. «Stai dicendo che possa trattarsi di un qualche rituale magico?»
«Questo spiegherebbe l’ossessione per gli organi» dedusse Solomon. «Orecchie, fegato, polmoni…l’assassino sta mettendo insieme i pezzi per creare qualcosa. Ma cosa?»
«Però gli mancano occhi e cuore» s’inserì Paul. «Non li ha ancora asportati a nessuna delle vittime.»
Lo stregone si rabbuiò. «Significa che presto colpirà ancora. Ma almeno adesso abbiamo una pista da seguire…quella donna, chiunque fosse, forse lavora per lo Squartatore. Dovevo immaginare che avesse un complice!»
«Se gli interessa la mitologia celtica, è probabile che abbia consultato dei libri in biblioteca» suppose Azaele. «Potremmo partire da lì!»
Lo stregone lo fisso, meravigliato. «Da non credere, per una volta hai avuto una buona idea. La mia compagnia ti sta rendendo più intelligente.»
«Peccato che la mia invece non ti sta rendendo meno stronzo!»
«Ehm» fece Paul, a un tratto nervoso. «Intendete andarci…adesso?»
«Certo, adesso» disse Solomon. «Prima riusciamo a risalire al killer e prima troveremo Arabella.»
«Ma si sta facendo buio» insistette il ragazzo, che per qualche ragione continuava ad occhieggiare il cielo, come se temesse l’arrivo di qualcosa da un momento all’altro. «È pericoloso girare di notte. Forse è meglio pensarci domattina.»
Insospettito, Solomon era sul punto di riempirlo di domande, quando ebbe la sensazione che non fossero più soli e si bloccò, in ascolto. «Abbiamo compagnia.»
Quattro uomini si erano avvicinati di nascosto alle loro spalle, risalendo dal vicolo vuoto. Paul non ebbe neanche il tempo di girarsi, che uno di loro gli torse il braccio dietro la schiena e puntò un coltellaccio sudicio alla sua gola.
«Fuori la grana» disse, con voce rauca. «O strappo via la faccia a questo bamboccio.»
«Ci state rapinando?» esclamò Azaele, sorpreso.
«No, vi stiamo invitando a un party. Certo che vi stiamo rapinando!»
«Ma io non ho denaro» ribatté Azaele.
«Nemmeno io» disse Solomon, con una smorfia. «È sporco, e per quel che mi riguarda, completamente inutile.»
«In questo caso, ci toccherà perquisirvi!»
Lo stregone sospirò. «Sicuro di non volerla risolvere da gentiluomini?»
Gli altri tre balzarono loro addosso.
«Lo prendo per un “no”.»
Il bastone da passeggio di Solomon tracciò un arco basso, e ne colpì uno alle gambe, mandandolo di faccia a terra; con un'altra brusca rotazione, l'asta spezzò il polso al secondo, che ululò di dolore. Azaele, nel frattempo, schivò agile un pugno in rotta di collisione con la sua mascella, poi dalla sua schiena si aprirono due immense ali nere, che usò per sbalzare via gli assalitori. Quelli indietreggiarono, sbalorditi. «Ma che diavolo..?»
«Ben detto!» sibilò il demone, cambiando aspetto; la sua pelle si tinse di nero pece e i suoi occhi si accesero di un sinistro bagliore infuocato. Le mani si allungarono, curvandosi a forma di artiglio e dalla sua fronte spuntarono due corna ricurve.
«Allora» disse, la coda puntuta che frustava l’aria. «Chi vuole farsi un giretto con me all’Inferno?»
Approfittando del fatto che fossero rimasti tutti a bocca aperta, Paul si liberò dell’aggressore piantandogli il tacco della scarpa dritta sul piede e assestandogli una gomitata.
I quattro malviventi non indugiarono un minuto di più e se la diedero a gambe levate lungo il vicolo, incespicando gli uni sugli altri.
«Molto ad effetto» approvò Solomon, sistemandosi la giacca.
«Grazie!» Il demone sorrise, e recuperò l’aspetto da marinaio. «Anche se la coda è alquanto fastidiosa. Spero solo di non aver spaventato Paul…Paul?»
Si guardarono attorno. Il ragazzo era sparito. «Ops».
Solomon non aveva neanche la forza di arrabbiarsi. «Perfetto, ci è sfuggito di nuovo! Proprio quando aveva iniziato a comportarsi in modo sospetto!»
«Ma dai» disse Azaele. «Pensavo che avessimo assodato che è un bravo ragazzo!»
«E allora come mai ha cercato di tirarsi indietro appena si è accorto che avevamo trovato una pista, eh?»
Azaele storse la bocca, ma poi guardò in basso. «Aspetta.»
Si chinò e raccolse un foglietto accartocciato da terra. «Forse so dov’è.»
Solomon gli prese di mano il foglietto e lo voltò. Si trattava di un volantino di spettacoli teatrali.
«“Il Pozzo Fatato”» lesse. «Ho la netta impressione che troveremo lì le risposte che cerchiamo.»


 

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Capitolo 3
*** Un bagno di luna ***





III.
UN BAGNO DI LUNA

 

 
«Io lo sapevo!» brontolò Solomon, mentre procedeva a passo spedito lungo Wentworth Road. «Me lo sentivo che quel tipo nascondeva qualcosa! “Il giovane squattrinato che si strugge d’amore per la ricca ereditiera?” Ah! Sul serio sperava di darcela a bere?»
«Forse lo stai giudicando un po’ troppo precipitosamente» provò a farlo ragionare Azaele, sforzandosi di tenere il passo. Niente da fare, si disse, quell’uomo era peggio di un segugio addestrato: quando puntava un obiettivo non c’era nessuna forza, né in cielo e né in terra, in grado di farlo desistere. «Potrebbe aver avuto un milione di ragioni per piantarci in asso: ti ricordo che siamo sulle tracce di un serial killer! Gli umani non hanno mai avuto un buon rapporto con la Morte.»
Solomon non si degnò nemmeno di rispondergli, e inchiodò bruscamente. «Il posto deve essere questo.»
Malgrado il volantino promettesse spettacoli teatrali, il Pozzo delle Fate era, a tutti gli effetti, una casa di piacere, e alcune prostitute erano appostate all’ingresso a fumare, invitando i passanti alla trasgressione.
«Non hanno paura dell’assassino?» sussurrò Azaele.
«Sicuramente» rispose Solomon, accigliato. «Ma forse hanno più paura di morire di fame.»
Entrarono. Era evidente che i proprietari volessero richiamare alla mente il voluttuoso fasto dei bordelli parigini, con le pareti tinte di rosso e la sovrabbondanza di arredi, ma la visione d’insieme trasudava cattivo gusto e decadenza. Un palcoscenico tuttavia c’era, in fondo alla sala principale, illuminato dagli sprazzi di luce delle candele.
Dietro il bancone di legno del bar, una donna fumava una sigaretta leggendo il Times. Era praticamente una gigantessa, con spalle da lottatrice e una folta chioma argentea raccolta in una treccia. Stregone e demone si avvicinarono.
«Le tariffe sono indicate qui dietro.» Il donnone indicò pigramente un cartello alle sue spalle, senza staccare gli occhi dal giornale. «Non facciamo sconti, se siete in due pagate doppio. Al momento le stanze sono tutte occupate. Bevete qualcosa, nell’attesa?»
Solomon, a dirla tutta, un whisky lo avrebbe bevuto volentieri, ma c’erano questioni più urgenti: «In verità, stiamo cercando una persona.»
«Un ragazzo» disse Azaele. «Alto, capelli biondi, sui diciassette anni…»
«Oh» fece la donna, alzando gli occhi per un brevissimo istante. «Avete gusti molto specifici. D’accordo, forse ve lo riesco a procurare…»
«Non per quello!» s’indignò Azaele. «Il suo nome è Paul Everett. Lo conosce? È stato qui?»
Finalmente, lei abbassò il giornale, e ai due saltò all’occhio la profonda scollatura del suo abito, che metteva strategicamente in risalto tre abbondanti seni coperti da tatuaggi. Una Dimenticata, intuì Solomon. Una mezzosangue: in parte umana, ma discendente da antiche creature magiche, ormai relegate ai confini della società mancante e di Arcanta…
«Non lo conosco» rispose il donnone seccamente, scrutandoli ora con diffidenza. «E qui di solito il tempo si paga. Se non avete intenzione di consumare, vi invito ad andarvene. E subito.»
Vista la sua stazza, sarebbe riuscita a sbattere fuori qualsiasi piantagrane da sola, ma a un suo cenno, Solomon vide comparire due energumeni dalla pelle grigio-verde, le cui mani squadrate terminavano con unghie nere ad artiglio.
Azaele però non voleva saperne di mollare l’osso: «Se ci lascia spiegare la situazione, sono sicuro che capirà quanto sia importante…»
«Molto bene» disse invece Solomon, battendogli una mano sulla spalla. «Togliamo il disturbo, grazie per la collaborazione. Andiamo, Aza.»
E lo trascinò fuori dal locale.
«Sapeva qualcosa» disse il demone. «Avremmo dovuto insistere! Forse Paul è nei guai.»
«Non sarebbe servito a niente» replicò lo stregone. «Ci saremmo solo messi contro la comunità di Dimenticati di Londra. E poi, hai visto quanto era enorme quella donna? Scommetto che è mezza orchessa.»
«E allora cosa facciamo? Come scopriamo dov’è Paul?»
Solomon si accarezzò il pizzetto, riflettendo qualche istante. Poi, all’improvviso, disse: «Ho un’idea.»
Azaele se ne rallegrò. «Uh, menomale!»
 «Ma tu dovrai tirarmi un pugno.»
«Cosa!? E perché?»
«Perché sarebbe poco credibile che un gentleman picchiasse un rude lupo di mare in mezzo alla strada, no? Cerca solo di non rompermi il naso.»
Visto che però il demone esitava, Solomon sbuffò: «Andiamo, lo so che non vedevi l’ora di farlo!»
«Solomon, fatti venire un’altra idea, perché io non ti prenderò a pugni!»
«E allora non troveremo mai Paul» replicò lo stregone, asciutto. «O Arabella. Il Dannato continuerà a seminare morte, e sarà ancora una volta solo colpa tua! Ma tanto ormai ci sei abituato, no? Per te i fallimenti sono all’ordine del giorno.»
Azaele si fece scuro in viso. «Smettila, non sei divertente.»
«Non fai che combinare pasticci» continuò Solomon, in tono severo. «Ti fai sfuggire le anime infernali, condanni giovani donne alla dannazione eterna per un capriccio. Non mi meraviglia che i tuoi genitori si siano sbarazzati di te: come demone fai pena, figuriamoci come saresti stato da angelo…!»
Il cazzotto che arrivò subito dopo non lo colse di sorpresa, ma l’impatto fu più violento di quanto avesse premeditato e lo mandò dritto a terra.
Azaele afferrò Solomon per la giacca, gli occhi accesi da un feroce bagliore rosso e i canini affilati in mostra. «Rimangiati tutto, immediatamente!»
«Mi creda, signore, le sto dicendo la verità!» esclamò Solomon, infondendo nella voce la giusta dose di terrore. «Non conosco questo Paul Everett! Non so dove sia, né cosa abbia fatto per farla arrabbiare! Ma non mi faccia del male, la prego!»
Malgrado la furia omicida, Azaele lo fissò sbalordito. «Ma che stai dicendo?!»
Nel frattempo, come Solomon aveva previsto, molte teste si erano affacciate alle finestre, e una piccola folla si era riunita in strada per assistere al loro show. Con la coda dell’occhio, lo stregone vide una ragazza uscire dal Pozzo delle Fate e poi sgattaiolare furtiva tra i passanti.
«Ha funzionato» mormorò, soddisfatto. «Ora puoi lasciarmi.»
«E credi di potertela cavare così?»
«Azaele, vuoi trovate Paul o no? Dobbiamo seguire quella ragazza. Ci condurrà dritti da lui.»
Con una smorfia, il demone mollò la presa, e Solomon poté rialzarsi. Sentiva lo zigomo destro in fiamme, ma bastò passarvi sopra la mano perché livido e dolore svanissero. «Ottima performance, comunque. Molto convincente.»
«Sei un pezzo di merda.»
«Ferisce più la spada. Ora muoviamoci, prima che faccia perdere anche lei le sue tracce.»
 
Grazie al legame telepatico con Wiglaf, che Solomon aveva lasciato a svolazzare nei paraggi, fu semplice raggiungere la giovane prostituta; lui e Azaele si acquattarono dietro un angolo, e la videro entrare in un caseggiato affacciato su una deserta George Yard.
Dopo aver aperto la porta con la magia, stregone e demone percorsero un corridoio buio e fatiscente. Fecero in tempo a vedere l’ultima porta sulla destra chiudersi e seppero che era quella giusta. Si appostarono ai lati dell’entrata, in allerta, dopodiché si scambiarono uno sguardo d’intesa e fecero irruzione.
L’appartamento era umido e freddo, e una muffa lanuginosa incorniciava le finestre, da cui entrava la luce bigia dei lampioni. La stanza principale era disadorna, fatta eccezione per un tavolo su cui erano visibili chiazze scure.
«Guarda» bisbigliò Azaele, indicando qualcosa che pendeva dal soffitto: ceppi di metallo arrugginito, attaccati a spesse catene.
Un brivido gelido corse lungo la spina dorsale di Solomon. Ne aveva viste tante di cose terribili nella sua vita, ma il pensiero di cosa potessero servire lo fece inorridire. «Pare che abbiamo trovato l’antro del mostro.»
«Aspetta, non saltiamo a conclusioni affrettate…»
«Per la barba di Merlino, Azaele, di quante altre prove hai bisogno? È esattamente il genere di posto dove porterei le mie vittime, se fossi Jack Lo Squartatore! Isolato, vicino ai luoghi degli omicidi…»
«Va bene, ma…»
Solomon prese a far su e giù per la stanza. «E la ragazza? Quella del Pozzo delle Fate? È la sua complice, quella che ha acquistato gli oboli dal rigattiere! Una Dimenticata, che forse ha ereditato qualche talento magico…»
Azaele fece saettare lo sguardo dietro di lui. «Ehm, Solomon…»
«Il nostro Paul le ha offerto qualcosa in cambio del suo aiuto» andò avanti Solomon, tutto preso dalle sue deduzioni. «Denaro, un qualche tipo di riscatto sociale…oppure, è bastato fare leva sul suo fascino da ragazzo della porta accanto…»
«Solomon.» Azaele lo afferrò per la spalla e lo costrinse a fermarsi. «Forse dovremmo chiederlo direttamente a lei
Nella stanza era apparsa una giovane donna, e malgrado gli stracci che aveva indosso, era quasi sicuramente la più bella che Solomon avesse mai visto: aveva una criniera di riccioli viola e grandi iridi dorate, la pelle color bronzo e zigomi così perfetti da sembrare scolpiti. Distratto com’era dalla sua avvenenza, Solomon non aveva quasi fatto caso alla sinuosa coda nera da gatto che sbucava sotto la sua gonna.
«E voi due chi cazzo siete?» sbottò lei, portandosi le mani ai fianchi.
«Non ha importanza» rispose Solomon. «Siamo qui per Paul Everett. Sappiamo che lo stai nascondendo.»
Gli occhi dorati della ragazza si strinsero. «Non so di cosa parliate.»
«Ti abbiamo seguita. Sei corsa qui non appena hai sentito che qualcuno stava cercando Paul, per avvertirlo. Ma puoi smetterla di fingere: abbiamo capito chi è realmente, e intendiamo riportarlo da dove è venuto, prima che faccia del male a qualcun altro.»
«Ma che stronzate vai dicendo?!» esclamò la ragazza. «Paul non ha mai fatto del male a una mosca!»
«Le cinque donne che ha brutalmente ucciso la penserebbero diversamente» ribatté Solomon. «E chissà quante altre ne ha portate qui per torturarle, appese a quelle catene!»
La ragazza-gatto lo fissò, sbigottita. E poi, completamente senza alcuna logica, scoppiò a ridere.
Solomon si risentì. «Vorrei proprio sapere che ho detto di divertente!»
«Oh, per le corna di Oberon» esalò la ragazza. «Siete degli idioti!»
«Prego!?»
«Non avete capito un cazzo di niente. Paul non è Jack Lo Squartatore!»
Azaele e Solomon si scambiarono un’occhiata interdetta, poi il demone chiese: «E allora, quelle catene a cosa servono?»
Il viso della ragazza si rattristò. «Servono a lui.»
In quell’istante, si udì un suono lungo e lamentoso, da far accapponare la pelle. Solomon, Azaele e la ragazza-gatto si guardarono.
«Ha bisogno di me» mormorò lei, con voce tesa. «Sentite, qualsiasi cosa vogliate da Paul, non è un buon momento per…»
Il lamento si fece sentire di nuovo, e subito dopo il suono di qualcosa che cadeva, che andava in frantumi, che colpiva il pavimento…
«Santo cielo!» esclamò la ragazza-gatto, e si precipitò nella stanza da cui era venuta. Senza avere la più pallida idea di cosa stesse succedendo, Solomon e Azaele decisero di seguirla.
Si ritrovarono in una camera da letto a soqquadro: il vetro della finestra in pezzi, il pavimento invaso da cuscini sventrati e piume che danzavano leggere nel freddo. La carta da parati era ridotta a brandelli, come lacerata a colpi di coltello.
Paul Everett si contorceva in un angolo, le braccia immobilizzate da una camicia di forza, e ragliava come un animale agonizzante. La ragazza-gatto era accucciata vicino a lui.
«Oh, tesoro» sussurrava, accarezzandogli i capelli fradici di sudore. «Lo so che fa male, ma ci vuole qualche ora perché faccia effetto.»
In risposta, Paul batté con forza la fronte contro il muro.
«Ma che cosa gli prende?» chiese Azaele, angosciato. «Perché fa così?»
La ragazza-gatto scagliò su di loro un’occhiata torva. «Fa così ogni volta che c’è la luna piena! Potrebbe trasformarsi e basta, ma non vuole rischiare di fare del male a qualcuno, e si condanna a una sofferenza atroce!»
La verità colpì in pieno Solomon, come uno schiaffo. «È un licantropo.»
La ragazza-gatto sbuffò. «Bravo, genio. Ci sei arrivato!»
«Come riesce a contenere la metamorfosi?» domandò lo stregone, avvicinandosi con prudenza. Non credeva di aver mai visto qualcosa di simile: dalle gengive snudate del ragazzo fuoriuscivano zanne affilate e viscide di bava, serrate in un ringhio sofferente. I suoi occhi erano iniettati di sangue, e una leggera peluria bruna gli copriva le guance.
«Grazie alla mia pozione» spiegò la donna-gatto. «L’ho trovata su delle pagine di grimorio, comprate da uno stracciaiolo al Mercato Nero dell’Occulto: un half-gobelin del cazzo, me le ha fatte pagare un occhio della testa!»
Intanto, Paul continuava a dimenarsi e a gemere. «Melina! Ti prego, fallo smettere!»
«Sono qui, tesoro» disse la gatta. «Resisti, tra poco starai meglio.»
Solomon si impose di rimanere sul razionale. «È impossibile che sia riuscito a tirare avanti così da solo: chi ci garantisce che non sia stato lui ad aggredire quelle donne? Il tavolo nell’altra stanza è macchiato di sangue…»
«È macchiato di vernice!» soffiò Melina. «Paul è un pittore! Tu, marinaio, tira giù quel panno!» 
Azaele si avvicinò a un ammasso informe poggiato contro il muro e tirò via il lenzuolo che lo copriva. «Oh!»
Tele. Dozzine di tele dipinte, incisioni, ciascuna con un soggetto diverso: un tramonto infuocato su Westminster, i Giardini di Kensington avvolti nella bruma del mattino, barconi che galleggiavano malinconici lungo il Tamigi. Molti raffiguravano figure umane, proletari, fioraie, prostitute…diversi schizzi a carboncino ritraevano Arabella, cogliendo ogni sfumatura del suo umore…
«Sono splendidi» commentò il demone. «Paul, sei praticamente il nuovo William Turner!»
Il ragazzo rispose con un grugnito, e si accasciò stremato sul pavimento.
«Bene» concluse bruscamente Melina. «Ora che abbiamo appurato che siete due incompetenti, che ne dite di aiutarmi a rimetterlo a letto?»
Issarono Paul e lo fecero stendere sul giaciglio. Solomon gettò su di lui un incantesimo per aiutarlo a dormire e, lentamente, il poveretto scivolò in un sonno agitato.
«Non può continuare così» disse lo stregone. «Quella pozione che gli somministri, fammi dare un’occhiata alla ricetta.»
Con reticenza, la ragazza-gatto infilò una mano nella scollatura ne tirò fuori dei fogli ripiegati. «Gliela devo somministrare ogni mezzora.»
Solomon esaminò le pagine, ingiallite e rovinate, e scosse la testa. «Come pensavo: è una ricetta vecchia di almeno quattro secoli. Non mi stupisce che ci metta tanto ad agire.»
Melina lo guardò truce. «Questo è quello che passa il convento! Tu sei in grado di fare di meglio, cervellone?»
«Ovviamente» replicò Solomon, con sussiego. «Il Cerchio d’Oro ha perfezionato la Lozione Versipellis tempo fa, in modo da eliminare totalmente il dolore e ridurre il dosaggio a sole due volte al giorno.»
A quelle parole, lo sguardo della ragazza divenne di ghiaccio. «Capisco» sibilò, facendo ondeggiare pericolosamente la coda. «Sei uno di quegli spocchiosi bacchetta magica-nel-culo di Arcanta!»
«Ti consiglierei di moderare il linguaggio, non si addice a una signorina. E poi, i maghi non usano più le bacchette…»
«Fanculo!» sputò Melina, furiosa. «Se Paul è in queste condizioni da quando è nato, la colpa è solo dei vostri Decani! Voi maghi ad Arcanta a godervi i benefici della magia…e noi altri costretti a racimolare quel poco che avete lasciato!»
Azaele inclinò il capo. «Non ha mica tutti i torti, sai?»
Melina si fermò a un palmo da Solomon, e puntò gli occhi felini nei suoi «Dimmi un po’, stregone, ti sei mai chiesto cosa significa vivere nel mondo reale? Essere considerati rifiuti della società, costretti a tirare fuori gli artigli per sopravvivere? Ogni sera mi esibisco al Pozzo delle Fate, per un branco di porci bavosi, credi sia divertente? Che alle ragazze morte piacesse vendersi per la strada? Ma a voi di Arcanta cosa ve ne frega dei problemi che quelli come noi affrontano ogni giorno? Della fame, delle malattie, degli abusi!»
Con le spalle al muro, lui cercò argomenti validi con cui controbattere, ma non ne trovò. Tutto ciò che riuscì a borbottare fu: «Non faccio io le regole ad Arcanta.»
«Già. E perché mai alzare un dito per cambiarle, eh?»
«Sentite» intervenne Azaele, mettendosi in mezzo. «Perché non ci calmiamo e proviamo a collaborare? Vi ricordo che abbiamo ancora un paio di cosette da risolvere: tipo un Dannato pazzo e assassino, una ragazza rapita, un licantropo in crisi da luna piena…»
«Hai ragione» disse Solomon, rigidamente. «Direi che siamo di nuovo in un vicolo cieco. Bisogna farsi venire in mente qualcosa, ma prima, pensiamo a Paul. Gli preparerò una Versipellis come si deve. Puoi procurarmi gli ingredienti che mi servono?»
Melina annuì, senza tuttavia abbandonare il cipiglio scontroso.
«Ottimo!» esclamò Azaele, vivace. «Visto? Alla fine, basta poco per andare d’accordo!»
 
Circa un’oretta più tardi, Solomon era chino su un paiolo sospeso sopra un focolare incrostato di fuliggine, intendo a mescolare spezie, sali e radici triturate. Una volta pronta, la Versipellis aveva assunto un color oro pallido e rilasciava corpose volute di vapore.
«Ecco» disse lo stregone tornando da Melina, che vegliava su Paul seduta sul bordo del letto come una sfinge. «Con questa riuscirà a sopportare gli effetti della luna piena senza doversi ammanettare. Ti ho scritto la nuova ricetta, cerca di non smarrirla.»
La gatta prese la tazza e il taccuino che lui le porgeva, restando sulla difensiva. «Perché ci stai aiutando, stregone?»
«Non lo so» ammise lui, con franchezza. «Forse perché sono un iperattivo, e il mio cervello ha bisogno di essere sempre al lavoro. Oppure, perché neppure io sopporto quello che la Cittadella ha fatto alla magia.»
«Non mi dire» fece lei, scettica. «Sì, deve essere proprio terribile avere tutto ciò che si vuole con uno schiocco di dita.»
«Non ha senso avere tutto se vivi da prigioniero» obiettò lo stregone. «Sono dell’idea che tenere la magia sottochiave sia un crimine. Così come lo è disprezzare chi è diverso.»
Gli occhi dorati della gatta lo sondarono in profondità, come se fosse indecisa se credergli o meno. In quell’istante, Paul si mosse sotto le coperte, e mugugnò: «Ara..bella…»
«Avevi ragione» osservò la gatta. «Sembra che stia meglio. Sogna, addirittura.»
Solomon si guardò attorno. «Dov’è finito Azaele?»
«È volato sul tetto» rispose Melina. «Credo volesse restare un po’ da solo.»
E adesso che diamine gli piglia a quell’altro?
«Vado a sentire che cos’ha.»
Uscì dalla finestra e usò un incantesimo di levitazione per librarsi fino al tetto. Azaele era seduto sullo spiovente, coi gomiti poggiati sulle ginocchia, le ali nere piegate sulla schiena e lo sguardo che vagava lontano. Solomon gli si fermò accanto. «Si può sapere che succede?»
Il demone sospirò. «Succede che avevi ragione, prima.»
Lo stregone inarcò un sopracciglio, perplesso. Poi, capì. «Oh. Ti riferisci a quando ti ho provocato per indurti a colpirmi. Ammetto di esserci andato giù pesante, ma tu non ti decidevi…»
«Be’, hai toccato le corde giuste» disse Azaele. «E non sai quanto ti odio per questo.»
Solomon si sedette accanto a lui. «Per quel che può valere, ti conosco troppo poco per pensare davvero quelle cose. E non è colpa tua se ci troviamo in questa situazione.»
«Ma ho comunque le mie colpe» mormorò Azaele. «Le ho verso Alba.»
Lo stregone tacque, a disagio. Quella aveva tutta l’aria di essere una conversazione cuore a cuore, e lui non era sicuro di volerla gestire. Quasi rimpiangeva di non essere rimasto di sotto…
Azaele trasse un altro sospiro triste. «Per colpa mia, la sua anima non potrà mai accedere al Paradiso, e sarà condannata a reincarnarsi in eterno, senza possibilità di perdono. Sono passati secoli da allora, ma ancora non riesco a darmi pace per questo.»
«Be’, ti sei innamorato» borbottò Solomon. «Persino a una creatura millenaria è concesso avere delle debolezze, di tanto in tanto.»
Azaele lo guardò. «Quindi, ne sei ancora convinto.»
«Di cosa?»
«Che i sentimenti umani siano debolezze. È per questo che in tutti questi anni non hai mai cercato una compagna?»
«Non era di questo che stavamo parlando.»
«Ma ne stiamo parlando adesso.»
«Ho cose più importanti a cui pensare» tagliò corto lo stregone. «Accumulare più conoscenze, diventare più potente, spodestare i Decani…»
«Ti stai condannando a un’esistenza molto infelice, lo sai? Voglio dire, non sarete millenari, ma anche voi maghi vivete a lungo.»
«Non sarebbe la prima cosa che ho dovuto sacrificare» replicò Solomon, con voce spenta. «E poi, niente dura per sempre. Soprattutto l’amore.»
«Il mio amore per Alba sì!» replicò Azaele, con fervore. «So di aver commesso un errore, ma i pochi momenti che ho trascorso insieme a lei sono stati i più felici della mia intera esistenza. E sono disposto ad attraversare gli oceani del tempo pur di ritrovarla!»
«Bella frase. Qualcuno dovrebbe metterla in un romanzo.»
«Un giorno, riuscirò a salvare la sua anima» disse il demone e, nei suoi occhi, Solomon scorse ancora una volta quel bagliore infuocato. Ma era un fuoco diverso, stavolta: non ardeva di rabbia, ma di determinazione. «Anche a costo di dover rinunciare a lei per sempre. Ma espierò i miei peccati, e le donerò il Paradiso.»
Solomon restò in silenzio per un momento, osservando la città sotto il tenue chiarore argenteo della luna. Non era d’accordo con la maggior parte delle sue affermazioni, ma una parte di lui iniziava a nutrire un sincero rispetto per quella strana creatura. Era la parte di sé che aveva sempre fatto di tutto per soffocare, sotto strati di presunzione e cinismo; eppure, anche a distanza di anni, quel frammento stropicciato di anima continuava a soffrire la mancanza di Jonathan, a custodirne gelosamente il ricordo, in un vecchio orologio da cui non riusciva a separarsi...  
«Di sicuro ci riuscirai.»
Il demone sorrise con riconoscenza, ma ad un tratto, un bagliore nel cielo richiamò l’attenzione di entrambi: qualcosa di splendente era appena sfrecciato sopra i tetti di Londra, perdendosi in pochi attimi tra i cordoni di fumo delle ciminiere.
«E quello cos’era?»
Azaele scattò in piedi. «Una cometa! Deve essere il segnale di Michele!»
«Di che accidenti stai parlando?»
Azaele si voltò a guardarlo, con un sorriso raggiante. «Ti ricordi del mio amico, quello ai Piani Alti? Gli ho chiesto di rintracciare le anime delle donne assassinate: deve averci parlato, e forse è riuscito a scoprire qualcosa sull’assassino!»
Lo stregone ci rimase di sale. «E me lo vieni a dire solo adesso!?»
«Be’, ecco, non ero sicuro che ci sarebbe riuscito…Lassù sono molto più efficienti di noi all’inferno, però sanno essere parecchio rigidi sulle procedure…»
Solomon ormai aveva perso le speranze. «Almeno finalmente ci troveremo per le mani qualcosa di utile!»
Raggiunsero Melina per aggiornarla sulle novità.
«Quindi, un angelo, un vero angelo, ci rivelerà l’identità di Jack Lo Squartatore?» concluse alla fine, esterrefatta.
«Cosa che avrebbe potuto fare sin da subito» polemizzò Solomon. «Ci saremmo risparmiati un bel po’ di figuracce!»
«Dovrò incontrarlo fuori Londra, lontano dal controllo del suo supervisore» spiegò Azaele. «Quel vecchiaccio di Ysrafael sa essere una vera palla al piede. Posso lasciare voi due soli un’oretta senza che proviate ad accoltellarvi?»
Lo stregone e la gatta si lanciarono uno sguardo bieco. «Ci proveremo.»
«Bene, meglio di niente.»
Mentre il demone spiegava le ali e si apprestava a partire, Melina gli si avvicinò. «Sai, il tuo amico potrebbe anche essere carino, se non si impegnasse tanto per fare lo stronzo.»
Azaele alzò gli occhi al cielo. «Scommetto che glielo dicono tutte!»
Rimasti soli, Solomon e Melina andarono a controllare Paul, ma una volta appurato che stesse dormendo beatamente, si ritrovarono seduti sul letto di lei, in silenzio e senza sapere come impiegare il tempo. Così, come era prevedibile in situazioni del genere, in cui un uomo si trova in una camera da letto con una bella donna, a Solomon venne in mente di proporre: «Ti andrebbe una partita a scacchi?»
Dopo un’iniziale confusione, lei alzò le spalle. «Perché no. Ma non abbiamo una scacchiera.»
Solomon rovistò sotto la giacca e ne estrasse una scatolina di legno. La aprì come fosse un foglio di carta ripiegato e, in men che non si dica, ebbe tra le mani un set di scacchi al completo.
«Fammi capire» disse Melina, mentre lui disponeva con cura le pedine sulla tavola. «Te ne vai giro con una scacchiera in tasca?»
«Te l’ho detto: ho un cervello iperattivo. Io prendo i Neri, tu i Bianchi. Prego, a te la mossa.»
Per un po’ rimasero concentrati sulla partita, ma poi, spinto dalla curiosità, Solomon chiese: «Perché ti prendi cura di Paul? Che tipo di relazione avete? Siete amanti?»
Melina gli riservò un’occhiataccia, mentre mangiava il suo pedone. «È praticamente mio fratello! Siamo tutt’e due orfani, cresciuti insieme da un’amica di mia madre. Era una strega decaduta.»
«Questo spiega la tua predisposizione per le arti magiche.»
«La vecchia Babette aveva vissuto per anni a Parigi» raccontò la gatta. «È stato lì che ha conosciuto mia madre: lei era una Bastit, una delle ultime donne-gatto d’Egitto. S’innamorò di un soldato e decise di seguirlo in Europa, dove però lui aveva già una moglie e dei figli. Scelta molto stupida.»
Con un paio di mosse, gli diede scacco matto. «Perciò, sto molto attenta a non innamorarmi: gli uomini sono tutti bugiardi. E soprattutto, mi rifiuto di andare coi soldati.»
Dal suo giaciglio, Paul emise una serie di borbottii e pronunciò un altro paio di volte il nome di Arabella. Melina sospirò.
«Paul non potrebbe essere più diverso da me» disse. «È maledettamente romantico, uno di quelli che per amore commetterebbero follie. Gliel’ho sempre detto che così facendo si sarebbe messo nei guai, ma non mi ha mai dato retta. Deve essere per questo che non mi ha detto niente di questa ragazza misteriosa di cui si è invaghito.»
«Probabilmente perché sa che hai ragione» convenne Solomon. «Azaele può anche schierarsi dalla loro parte, ma resta il fatto che Paul, malgrado il talento, è un ragazzo dei bassi fondi, e che lady Waldegrave ha già pensato a sistemare la figlia…»
«Cosa!?» Melina strabuzzò gli occhi e fece cadere alcune pedine. «Waldegrave hai detto? Arabella è la figlia del comandante Charles Waldegrave!?»
«Be’, figliastra» rispose Solomon, confuso. «Perché, lo conosci?»
Melina fece una smorfia di puro disgusto. «Quel vecchio maiale passa più tempo al Pozzo delle Fate che a servire il suo Paese! Si vanta di essere un buon cristiano, e poi gli piace seviziare Pixie, Fauni e Sirene! Ci ha provato pure con me, ma gli ho dato il ben servito!» Scoprì i canini appuntiti in un ghigno ferino. «Scommetto che dice a tutti che quella cicatrice sull’occhio se l’è fatta in guerra!»
Solomon però stava ascoltando solo in parte, colto da una folgorazione.
«Una delle possibili armi usate dall’assassino era una baionetta» sussurrò, tra sé. «Avevo scartato l’ipotesi che potesse trattarsi di un soldato ma…»
Scattò in piedi, come se avesse preso la scossa. «Devo andare!»
Melina lo fissò a bocca aperta. «Ma Azaele ha detto di aspettarlo qui. Potrebbe tornare da un momento all’altro con l’identità dell’assassino…»
«Non c’è tempo!» esclamò Solomon, afferrando in fretta bastone e soprabito. «Se ho ragione, Arabella potrebbe morire questa notte stessa!»
«Cosa!?»
«Il rituale! Quello per cui occorrono gli organi di cinque persone diverse: sapevo di averne già sentito parlare, ma non riuscivo a ricordare dove… poi, grazie a te, mi è tornato in mente! È un’antica liturgia egizia, legata alla reincarnazione! E veniva effettuata l’ultima notte di luna piena!»
Melina scosse la testa, orripilata. «Il Dannato, quello di cui parlava Aza…vuole riottenere il suo corpo, non è così?»
«Gli mancano solo due pezzi» rispose Solomon, ragionando in fretta. «Occhi e cuore. E se questo è l’ultimo plenilunio, vuol dire che intende estrarli stanotte.»
«Ma cosa c’entra Waldegrave in tutto questo?»
«Waldegrave ha portato dall’Egitto il Libro dei Morti» spiegò Solomon. «Sono stato un idiota a non esserci arrivato prima! E adesso, il Dannato ha tutti gli strumenti per poter tornare in vita. Sono certo che la storia degli oboli celtici era un modo per depistarci.»
Melina lo guardò dritto negli occhi. «Vuoi andare ad affrontare Waldegrave da solo?»
«Non posso aspettare il ritorno di Azaele» rispose Solomon, deciso. «Potrebbe essere già troppo tardi. Te la senti di rimanere qui da sola? Paul per ora è troppo debole per difenderti.»
Melina assunse un’espressione dura, e aprì la mano di scatto, mostrando un ventaglio di artigli affilati. «Me la caverò.»
Solomon annuì, dopodiché si affrettò a raggiungere la porta.
«Stregone» disse Melina, prima che uscisse. «Sii prudente.»
Lui le offrì un sorrisetto scaltro e si dileguò nella notte.


 


Lo so, lo so, lo so!
Ci ho messo un'era geologica ad aggiornare.
E lo so, avevo detto che questa mini-long sarebbe stata di soli tre capitoli.
Ma io sono un po' come Solomon Blake: fate male a fidarvi di me! ;)
Scherzi a parte, il 2024 è iniziato con una sfiga dopo l'altra, che mi hanno portato via non solo un sacco di tempo ma anche di energie. 
Ho deciso di aggiungere un ulteriore capitolo perché altrimenti questo rischiava di diventare chilometrico, e nel finale succederanno un sacco di cose a cui voglio dare il giusto spazio!


Spero davvero di riuscire a dare una degna conclusione a quest'avventura in tempi brevi.

Un caro saluto a tutti e un grazie speciale a chi ha letto e soprattutto commentato! <3

 

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Capitolo 4
*** Nella perigliosa mia discesa ***


 




IV.
NELLA PERIGLIOSA MIA DISCESA

 
 
 
Solomon si materializzò in pochi istanti di fronte all’elegante facciata di casa Waldegrave; le finestre erano tutte buie, e dall’interno non provenivano rumori.
«Tieniti pronto» mormorò al corvo albino sulla sua spalla.
Diede un paio di colpi alla porta con l’impugnatura del bastone e un minuto dopo, sulla soglia apparve Rosemary Waldegrave in persona, che reggeva in mano un candelabro acceso.
«Signor Blake!» esclamò. «Che inaspettata sorpresa!»
«Perdonate l’ora tarda, milady. Ma ho bisogno di parlarvi con urgenza.»
Non gli sfuggì che il bel volto della dama era pallido e teso, e che i suoi occhi saettavano da un capo all’altro della strada. «Molto bene. Prego.»
A parte per la luce ondeggiante del candeliere, il vestibolo era immerso nel buio.
«È saltata la corrente» spiegò la padrona di casa. «E poi dicono che l’energia elettrica sia il futuro! Sfortuna vuole che abbia anche dato ai domestici un giorno di riposo…!»
«Lady Walvedrave» la interruppe Solomon. «Sono qui per Arabella, potrebbe essere in grave pericolo.»
Lei fece una risatina. «Oh, non dovete preoccuparvi! Quella bricconcella è ritornata a casa ieri sera. Un semplice colpo di testa, cose da adolescenti!»
Solomon non se la bevve. «Se non vi dispiace, voglio accertarmi che stia bene. Mi avete assoldato per proteggerla, dopotutto, no?»
«Siete molto gentile, ma non ce n’è bisogno. E poi, a quest’ora starà dormendo…»
«Rosemary» disse Solomon, fissandola attentamente. «Vostro marito non è mai ripartito per l’Africa, non è così?»
Il sorriso della donna vacillò. «N-non so di cosa parliate…»
«In questi mesi non si è mai mosso da Londra» continuò Solomon. «E voi avete coperto i suoi crimini nei bassifondi.»
Lady Waldegrave trasalì, oltraggiata. «Come osate rivolgere simili accuse a un valoroso soldato di Sua Maestà!?»
«Vi ha costretta?»
Lei si pietrificò.
«Ha minacciato di farvi del male?» incalzò lo stregone. «O di farne ad Arabella? È per questo che lo state proteggendo. Per questo fate tutto quello che vi dice.»
Lady Wandegrave sembrò andare nel panico. Il suo colorito si fece ancora più terreo e gli occhi le si riempirono di lacrime. «È un mostro» sussurrò, le labbra tremanti. «Ho commesso un terribile errore a sposarlo, e adesso…oh, che Dio mi perdoni! Quelle povere ragazze…!»
«Va tutto bene» tentò di rassicurarla Solomon. «Sono qui per fermarlo. Voi e vostra figlia siete solo vittime in tutto questo, e vi prometto che sarete al sicuro.»
Lei deglutì e fece un segno di assenso. «È in cantina. Con Arabella.»
«Fatemi strada.»
Lo guidò nei tetri meandri della grande casa, fino a una porta chiusa. Con mano malferma, afferrò il pomello e lo girò, mostrando una scala di legno che si perdeva nel buio.
«Voi aspettate qui» disse Solomon. «Tra poco sarà tutto finito.»
Due grosse lacrime scivolarono lungo le guance della donna. «Non so come ringraziarvi, signor Blake. Siete il nostro salvatore!»
Senza perdere altro tempo, lui scese vigile e silenzioso nella fitta oscurità. Si ritrovò in un enorme sotterraneo illuminato dai bagliori aranciati di un inceneritore, e subito il naso di Solomon fu aggredito dal tanfo di sangue putrido e carne bruciata, che gli rivoltò lo stomaco.
Un uomo gli dava le spalle, ma, anche nella penombra, il cappotto della marina inglese era inconfondibile. Era chino su un tavolo da lavoro, su cui erano allineati diversi oggetti: una sfilza di coltelli, uncini e seghe di varia grandezza, rotoli di papiro, e poi vasi canopi dai coperchi a forma di teste animali.
C’era anche Arabella, legata a una sedia e imbavagliata, che si divincolava strenuamente. Non appena si accorse di Solomon, la ragazza emise un mugolio soffocato.
«Waldegrave!» tuonò lo stregone, avanzando nella stanza. «Allontanatevi immediatamente da quella ragazza e arrendetevi! Ho scoperto le vostre malefatte!»
L’uomo drizzò la schiena e si volse lentamente. Tra le braccia reggeva una balestra carica, e sorrideva.
«Ben arrivato, mr Blake!» I lampi incandescenti della fornace distorcevano in modo grottesco i suoi lineamenti, dandogli un’aria da folle. «La stavamo giusto aspettando!»
Solomon evocò all’istante una barriera magica, ma quando il dardo partì, sibilando come un calabrone attraverso la stanza, non colpì lui.
Colpì in pieno Wiglaf.
Il corvo emise uno strillo terribile e venne infilzato contro la parete, dove rimase bloccato a sbattere freneticamente le ali, in un vorticare di piume bianche.
Fu come se una lama arroventata fosse penetrata sotto la scapola di Solomon, paralizzandolo. Sbalordito, lo stregone si portò una mano al cuore, mentre le gambe cedevano e crollava in ginocchio e senza fiato sul pavimento.
«Ah, il potente legame tra un mago e il suo famiglio!» commentò una voce, dal buio alle sue spalle. «Un ricordo che i maghi moderni hanno ormai perduto. Ma voi siete un uomo all’antica, vero, Blake?»
Lady Waldegrave apparve accanto allo stregone, con un sorriso enigmatico a fior di labbra. «Purtroppo, siete anche prevedibile: immaginavo che sotto tutto quel cinismo si nascondesse un cavaliere pronto a soccorrere una donzella alla prima lacrimuccia!»
«L-lady Waldegrave» ansimò lui, stordito dal dolore. «Che significa!?»
Si udì uno schianto e un tonfo, quando Arabella spinse tutto il suo peso sul lato destro della sedia e cadde insieme ad essa, riuscendo ad allentare il bavaglio.
«Blake!» gridò. «Quella non è mia madre! È una trappola!»
La donna le rivolse un’occhiata di rimprovero. «Taci, ragazzina! Mi hai fatto già perdere fin troppo tempo!»
Sollevò la mano, e la sedia si raddrizzò da sola.  Solomon era completamente smarrito. «Voi siete una maga!?»
«Sono La Maga» rispose lei, asciutta. «Vissuta in un tempo lontano, quando questo Paese era ancora giovane incorrotto.»
Attraversò la stanza e raggiunge Lord Waldegrave, che imbracciava ancora la balestra con quel sorriso spiritato in faccia.
«E devo dire di essere alquanto delusa da voi: credevo avreste scoperto subito la verità. Dall’erede del grande Merlino mi aspettavo molto di più.»
La mente di Solomon fu attraversata dallo shock, un’illuminazione dolorosamente elettrica. «Chi siete?»
La donna che si spacciava per Rosemary Waldegrave sorrise. «Nel Vecchio Mondo ho posseduto diversi nomi. Ma le nuove generazioni mi conoscono semplicemente come Morgana.»
Solomon la fissò, incredulo, frastornato. «Quindi, siete voi l’Utente evaso dall’inferno.»
Le belle labbra di lei si arricciarono. «Sì, è così che i monaci del Nuovo Credo chiamavano il letamaio in cui mi hanno imprigionata.»
Con fatica, lo stregone si rimise in piedi, mentre Wiglaf cercava ancora di liberarsi, ma per qualche ragione il demone sembrava incapace di sfruttare i suoi poteri.
«Anche nel Vecchio Mondo esistevano metodi per contrastare la magia» spiegò Morgana, come se gli avesse letto nel pensiero. «Prima dell’acciaio alchemico, veniva usato il legno di frassino benedetto.»
«Mossa astuta» commentò Solomon, non senza ammirazione. «Come quella di ammaliare un collezionista di manufatti magici e costringerlo a sporcarsi le mani per voi.»
La maga emise una risata sprezzante. «Non ho mai avuto bisogno che qualcun altro facesse il lavoro al posto mio. Di sicuro non questo omuncolo.» Fece un cenno sdegnoso verso Lord Waldegrave. «Ma avrà comunque la sua utilità: quando i messi infernali verranno a reclamare un’anima, sarò ben lieta di cedere la sua. Potete star certo che se lo meriti.»
«Gli omicidi sono dunque opera vostra?»
«La cosa vi sorprende? Ne ero sicura.» Morgana afferrò dal tavolo un lungo uncino dorato, di quelli che i mummificatori usavano per estrarre le cervella del defunto dalle narici. «Del resto, chi mai riterrebbe una donna capace di tali efferatezze? L’angelo del focolare, mite e sottomessa, praticamente invisibile agli occhi della società. Come invisibili erano le donne che ho ucciso: nessuno si è mai curato di loro, finché non sono apparse sui giornali. E nessuno fa domande se una donna esce da una casa coi vestiti insanguinati: più probabile che si tratti di un’ostetrica che di un’assassina.»
«Perciò» disse Solomon, ora che finalmente ogni tassello stava andando al proprio posto. «Avete attirato quelle donne con una scusa, le avete uccise e ne avete estratto gli organi. Sarà stato indubbiamente facile, nel Vecchio Mondo dovevate essere avvezza ai sacrifici umani. E gli oboli celtici? Un vero tocco di classe. Suppongo voleste omaggiare le vostre origini.»
Morgana scrollò le spalle. «Che volete farci, sono una nostalgica. Quando ho visto quei cimeli a prendere polvere in una squallida vetrina non ho resistito.»
«Affascinante» si complimentò stregone, in tutta sincerità. «Ma c’è ancora una cosa che non mi spiego.»
«Chiedete pure.»
«Arabella. Perché è ancora viva? Avete tutti i mezzi per compiere il rituale, la luna è sorta da un pezzo. Cos’altro aspettate?»
La maga lo studiò, e i suoi occhi scintillarono in modo sinistro. «Oh, sul serio non ci siete ancora arrivato? Ma aspettavo voi, naturalmente!»
Solomon si sentì come immobilizzato sul posto. «Me?»
Lei rise ancora. «Ma certo, signor Blake. Il rituale non può avere inizio senza il vostro contributo.»
«E in che modo potrei contribuire?»
«Con il vostro cuore» sibilò Morgana, scrutandolo ora in modo famelico. «Un cuore palpitante di energia magica, la sola cosa che può infondere nuova vita a un ammasso di organi. Oh, non è più così facile incontrare un mago di questi tempi, non da quando vi siete barricati tra le mura di Arcanta. Ma voi siete uno spirito libero, un avventuriero. E siete morbosamente attratto dai tesori, così come dai misteri.»
La spavalderia che Solomon aveva mantenuto sino a quel momento iniziava a venir meno. «Avete architettato tutto questo solo catturarmi?»
«Avrei risolto la faccenda molto più in fretta» rispose Morgana, scoccando un’altra occhiataccia ad Arabella: «Ma questa mocciosa ha deciso di scappare, e voi di inseguirla per mezza Londra! Ieri ero quasi riuscita a riacciuffarvi, ma non avevo messo in conto il famiglio…né quel satanasso di bassa lega che Safet ha mandato a cercarmi.»
Malgrado il dolore che ancora gli scorreva nelle ossa come fuoco liquido, Solomon passò la mano lungo l’asta del bastone, tramutandolo in una spada. «Mi rincresce di avervi reso le cose difficili. Ma posso assicurare che venderò cara la pelle.»
Con la mano libera, comandò alla fornace di eruttare una fiammata contro Morgana e, approfittando del diversivo, scattò in avanti pronto a compiere un affondo…
Un istante dopo, l’oscurità più fitta piombò nel sotterraneo, e Solomon si sentì afferrare per le braccia e scaraventare contro il muro. Il fiato gli fuoriuscì violentemente dai polmoni, ma lottò lo stesso per divincolarsi dai viticci di tenebra che gli stringevano i polsi. Ovviamente, fu tutto inutile.
«Non siate stupido.» L’oscurità si aprì a mo’ di sipario, e Morgana ne emerse sfolgorante come una dea abissale. «Sono più antica e più potente di voi: in effetti, ai miei occhi non siete che un bambino recalcitrante.»
Le ombre ripresero a guizzare intorno alla maga, ronzando come un nugolo di insetti affamati. Un brivido di inquietudine, mista a qualcosa di simile all’esaltazione, gli serpeggiò lungo la schiena. Una Plasmavuoto…
In tutti quegli anni, in tutti i suoi studi, Solomon non aveva mai assistito al manifestarsi di un simile potere, così antico e implacabile.  E, per la prima volta dopo molto tempo, si trovò totalmente impreparato.
Ha ragione, fu costretto a riconoscere. Non ho speranze di batterla.
«Perché state facendo tutto questo?» domandò, augurandosi che il suo tentativo di guadagnare tempo non apparisse disperato. «Gli omicidi, il rituale…siete evasa dall’inferno, avete preso possesso di un corpo avvenente e in salute, conservato i vostri poteri…»
Morgana spinse in avanti il mento, con fierezza. «E vivere in eterno da parassita? Il rituale mi restituirà il mio vero corpo, l’aspetto che in passato incuteva terrore nei Mancanti.» Tornò a sorridergli, con ferocia. «E la prima cosa che farò sarà punirli per ciò che hanno fatto alla mia Britannia: un tempo, queste terre erano rigogliose, pregne di magia, mentre ora i fiumi sono torbidi, le foreste falciate via, persino l’aria è avvelenata dai miasmi delle fabbriche! Gli Inglesi hanno rovinato quest’isola, l’hanno ridotta a una spietata macchina che schiaccia e sfrutta ogni angolo del globo!»
Morgana sollevò la mano con grazia, e le ombre modellarono tra le sue dita un sottile pugnale nero. «Ma adesso, basta chiacchiere: fate il bravo, Solomon Blake, e lasciate che vi strappi il cuore.»
Malgrado la situazione fosse tutt’altro che divertente, lui sogghignò. «Devo darvi una delusione: dicono che non ne abbia uno.»
La lama gli squarciò la camicia, facendo saltare tutti i bottoni. «Lo scopriremo presto.»
In quel preciso istante, si udì un fracasso e l’unica finestra implose in una pioggia di vetri rotti. Lord Waldegrave urlò un’imprecazione e anche Morgana si volse con stupore. «In nome della Grande Dea, si può sapere ora che succede?»
La risposta giunse sottoforma di un ringhio basso e composito, che ricordava il tramestio di una cascata; una figura slanciata ma possente aveva messo al tappeto Lord Waldegrave, schiacciandolo sotto i suoi artigli. Quattro zampe, pancia a terra, e una folta pelliccia bruna su cui si infrangevano i raggi della luna.
Solomon era senza parole. «Paul!?»
La bestia si volse e i suoi occhi trafissero la maga come dardi infuocati, ma lei si limitò a schioccare la lingua, infastidita. «Ci mancava solo il sacco di pulci!»
Il lupo balzò con gli artigli protesi, ma una propaggine di oscurità lo sferzò in pieno, mandandolo a sbattere contro il tavolo.
«Avrei dovuto sbarazzarmi subito anche di te» commentò Morgana, sollevando una mano avvolta da fumo nero. «Ringraziami, ragazzo: ti sto risparmiando una vita di sofferenze ed emarginazione…»
Non ebbe neanche finito di parlare che un’ombra saettò agile alle sue spalle e subito dopo Morgana urlò, coprendosi gli occhi con la mano. Veloce come era arrivata, l’ombra schizzò via.
Morgana emise un ringhio furente, il sangue che le colava tra le dita. «Sudici scherzi della natura!»
Con un gesto ampio, comandò alle ombre di strisciare come serpenti per la stanza. Solomon vide una figura balzare da una parete all’altra con la coda ondeggiante, in fuga dai tentacoli di oscurità.
«Melina!»
La gatta compì un balzo e si appese a una trave del soffitto, come un’acrobata. Le spire di tenebra l’avevano quasi raggiunta, quando una luce bianca e accecante invase la cantina, e quando si diradò, Morgana era a terra, e sopra di lei incombevano due uomini provvisti di corna e grandi ali nere a membrana.
Uno di loro era Azaele, con la freccia di frassino in pugno e Wiglaf sulla sua spalla, di nuovo libero. L’altro demone era alto e massiccio come un armadio, con una cresta di capelli rosso fuoco; indossava un lungo pastrano di pelle nera aperto sul petto, e nella mano ad artiglio reggeva una semplice valigetta di cuoio.
«Anvedi un po’ chi abbiamo qui!» Il rosso batté una grossa mano sulla spalla di Azaele. «Avevi ragione, regazzì: dopo più di duecento anni, valeva la pena fare una capatina a Londra. Pronta a tornare a casa, dolcezza? La suite infernale ti aspetta!»
Morgana li fissò con odio, malgrado i quattro profondi tagli che le deturpavano il volto. «Se speri che vi seguirò docilmente, hai fatto male i conti, Razel!»
«E invece te ce ritorni di corsa all’inferno!» replicò il demone, aggrottando le sopracciglia fulve. «Hai combinato abbastanza guai.»
Sollevò le linguette metalliche e aprì la valigetta di pelle, dal cui interno scaturiva una luce infuocata.
Per nulla intenzionata ad arrendersi, Morgana serrò le dita, e le ombre tornarono a vorticare intorno a loro, vive e fameliche. Da esse emersero creature a quattro zampe, simili a grossi cani ringhianti fatti di tenebra, che si lanciarono sui due demoni.
Razel ne colpì uno al volo con un portentoso pugno, dissolvendolo come fumo, ma il trionfo non fece in tempo a balenare sul suo volto, perché subito dopo il mostro si ricompose, sdoppiandosi.
«Ma che.,,?»
Le Creature Vuote gli si avventarono contro, seminando graffi e morsi, finché, per scrollarsele di dosso, Razel perse la presa sulla valigetta.
«Aza!» gridò. «Prendila!»
Azaele spiegò le ali, ma Morgana materializzò una foresta di aculei di oscurità per tenerlo a distanza. Lui e Razel indietreggiarono, mentre i cani di tenebra li marcavano stretti.
Impegnato com’era a seguire il tutto, Solomon non si accorse che una presenza silenziosa era scivolata al suo fianco.
«Questo sarebbe davvero un buon momento per una delle tue magie, stregone!»
Lui si voltò, meravigliato. «Non credevo saresti venuta a salvarmi.»
Melina gli fece l’occhiolino. «Per sdebitarti, invece degli scacchi puoi portarmi fuori a cena una di queste sere! Sempre se non finiamo ammazzati.»
Solomon ricambiò il sorriso, ma poi tornò a concentrarsi sulla battaglia. «È troppo potente per me.»
«E allora come la fermiamo? Con l’astuzia?»
Lui scosse la testa. «No, penso che stavolta opterò per qualcosa di molto stupido.»
Nel frattempo, Morgana si era rimessa in piedi e ora teneva sotto scacco i due demoni in una prigione di oscurità. «Non siete poi così spaventosi lontani dal vostro mondo, vero? Ma non temete, saprò ripagarvi per l’ospitalità: tra non molto, mieterò così tante anime umane che l’inferno scoppierà!»
Approfittando della sua distrazione, Solomon compì uno slancio verso la maga e, senza sapere bene neppure lui cosa stesse facendo, l’afferrò alle spalle, bloccandole le braccia lungo il corpo. Che pessima idea…
«Tu!» strillò Morgana, e l’oscurità che l’avvolgeva ribollì d’indignazione. «Come osi?!»
«Azaele!» gridò Solomon, mentre il Vuoto già lo avviluppava nella sua morsa. «Adesso!»
Senza farselo ripetere, il demone si gettò in scivolata sul pavimento, finché non riuscì ad afferrare la valigetta. Non appena l’aprì, un’esplosione riempì la stanza di fiamme, dal pavimento al soffitto.
«No!» urlò Morgana.
Con la stessa rapidità, le fiamme infernali vennero risucchiate verso il basso…e Morgana e Solomon insieme a loro.
Lo stregone sentì i suoi piedi staccarsi da terra, mentre una forza mostruosa lo trascinava verso il basso, verso il calore di un fuoco grande quanto il mondo…
Decisamente una pessima idea
Un abisso incandescente si aprì sotto di lui, e in quel momento ne ebbe la certezza. Sarebbe morto. L’inferno, alla fine, avrebbe reclamato la sua anima.
Il calore aumentò ancora, mentre Solomon continuava a precipitare, in una discesa senza fine…
E poi, una mano afferrò saldamente il suo braccio.
La discesa si fermò, e iniziò una vertiginosa salita, scandita da possenti battiti d’ali, finché Solomon non si ritrovò a ruzzolare sul freddo pavimento di pietra della cantina dei Waldegrave.
Spalancò la bocca, inghiottendo quanta più aria poté, e quando si girò faticosamente sul fianco, vide Azaele carponi accanto a lui.
«Sei stato tu» sussurrò lo stregone. «Mi hai appena tirato fuori dall’inferno!»
«Già» disse il demone, guardandolo storto. «E ho una gran voglia di tirarti un altro pugno!»
Melina e Razel li raggiunsero di corsa.
«Te la sei cavata anche stavolta, stregone» commentò il nerboruto con la cresta, un po’ deluso. «E dire che c’eravamo così vicini!»
Solomon ridacchiò, spazzolando via la cenere dai vestiti. «Razel, vecchio mio. Il tuo inglese maccheronico è sempre una gioia per le mie orecchie!»
«Non tirare la corda!» ringhiò il demone. «Guarda che nun ce metto proprio niente a riaprì il portale e spedirti de sotto!»
«Direi che una seconda occasione se l’è meritata» disse Azaele. «E poi, l’importante è che l’Utente sia tornato sotto la custodia di Safet.»
Gettarono uno sguardo a ciò che restava nel sotterraneo: il Vuoto si era definitivamente dissipato, e con esso tutti i suoi spaventosi abomini; lord e lady Waldegrave giacevano svenuti sul pavimento in mezzo ai detriti, e Paul era di nuovo nella sua forma umana, inginocchiato col volto nascosto fra le mani e Arabella al suo fianco.
«Non mi importa» la sentirono sussurrare, con delicatezza. «Paul, non devi più vergognarti per ciò che sei.»
«Ma sono un mostro» protestò lui, con voce roca. «Come puoi amare uno come me?»
«Non sei un mostro.» Arabella allontanò le sue mani, gentilmente ma con decisione, in modo che lui la guardasse. «Sei un ragazzo coraggioso, sensibile e pieno di talento. E io voglio stare con te, qualunque sia la tua natura.»
Paul si costrinse a guardarla negli occhi e, lentamente, un timido sorriso si fece strada sul suo viso.
«State bene?» domandò Azaele, avvicinandosi.
La ragazza si volse a guardarlo e sorrise. «Staremo bene!»


 
Tre settimane più tardi, Solomon e Azaele si ritrovarono a sedere insieme su una panchina del Battersea Park; gli ultimi raggi del sole filtravano attraverso il merletto di rami, e facevano risplendere la superficie del Tamigi, appena visibile nella foschia.
«Pare davvero che sia finita» commentò lo stregone, sfogliando la copia del Times che reggeva tra le mani. «Niente più omicidi. Scotland Yard se ne prenderà sicuramente il merito, ma ho come l’impressione che di Jack Lo Squartatore si parlerà ancora per molto tempo.»
«E del comandante Waldegrave?» domandò il demone. «Qualche novità sul processo?»
Solomon emise un brusco sospiro dal naso. «È un uomo ricco e potente, di certo se la caverà con poco. Se non altro, per un po’ non farà vedere la sua brutta faccia nell’East End.»
Azaele annuì, cupamente. «Ho fatto del mio meglio per indirizzare la polizia da lui: le prove di ciò che combinava al Pozzo delle Fate erano schiaccianti!»
«Immagino che, quando sarà il momento, ci penseranno i tuoi colleghi a dargli ciò che si merita.» Accigliato, Solomon mise via il giornale. «Demoni, mostri, streghe…ho visto innumerevoli cose assurde in vita mia, ma i Mancanti e la loro politica le battono tutte.»
«Su questo siamo d’accordo» disse Azaele. «Ma spero davvero che Arabella e Paul riescano ad avere una vita felice a Parigi.»
Erano salpati una settimana fa: nessun luogo al mondo avrebbe potuto valorizzare il talento di un giovane artista meglio di Parigi, e poi, grazie alla Versipellis che Solomon gli aveva lasciato, insieme a un piccolo gruzzolo e una buona parola presso dei galleristi di sua conoscenza, era sicuro che Paul e Arabella si sarebbero costruiti una vita più che rispettabile.
«Potresti fare un salto a trovarli» propose lo stregone. «Per vedere come se la cavano.»
«E tu potresti accompagnarmi. A Parigi c’è anche un’altra persona che sarebbe felice di rivederti.»
Azaele tirò fuori dalla tasca del cappotto un biglietto e glielo sventolò davanti al naso, sorridendo con malizia. «È il nuovo indirizzo di Melina! Mi ha chiesto di dartelo.»
Solomon prese dalle sue mani il biglietto e lo osservò per un istante, pensieroso. E poi, sotto lo sguardo sbigottito di Azaele, lo strappò in tanti piccoli pezzettini.
Il demone gettò la testa all’indietro con un verso esasperato. «Ma perché devi essere così!?»
«Te l’ho già spiegato» disse Solomon, con voce distaccata e incolore. «Ho cose più importanti a cui pensare.»
«Cosa c’è di più importante di una bella ragazza a cui evidentemente piaci?»
Solomon tacque, ma i suoi pensieri tornarono a rimuginare su quanto vissuto: su Morgana e sul Vuoto, sui prodigi che aveva visto compiersi davanti ai suoi occhi.
Chissà cosa potrei fare con un simile potere….
«Ho la magia» rispose solamente ad Azaele. «È tutto ciò di cui ho bisogno.»
Lui storse la bocca. «Non sarà sempre così: un giorno, mi piacerebbe davvero vederti al fianco di una donna che ti ama. E magari, anche con dei figli.»
A Solomon scappò una risata. «Menomale che sei immortale, Azaele, perché ti toccherà aspettare per l’eternità!»
Lo stregone si alzò, infilò in testa il cappello a bombetta e impugnò il bastone. «Ora sarà meglio che richiami i tuoi piccoli amici: ho poco tempo prima che i Decani si accorgano del furto.»
Azaele guardò verso il prato: quattro splendidi unicorni dal manto bianco-argento e gli zoccoli dorati brucavano placidamente nell’erba alta, mentre un gruppo di ragazzini emozionati giravano loro attorno riempiendoli di carezze. «Farò credere loro di aver avuto un bellissimo sogno.»
«Azaele.»
Lui si voltò.
«Buona fortuna con quella ragazza, Alba
» disse Solomon. «Spero davvero che tu riesca a ritrovarla.»
Azaele sorrise e lo guardò incamminarsi lungo il sentiero, finché la sua sagoma slanciata non svanì nella nebbia.



 

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