Zig zag d'amore

di Scrittrice Vagabonda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


L'amore arriva quando meno te lo aspetti e non sai quanto può durare.

Io sono Mary, e sono pazzamente innamorata di John.

Io e Gin siamo studentesse universitarie, entrambe appassionate di lingue orientali. Per le vacanze avevamo deciso di trasferirci per un mese a Tokyo, una città che mescola sapientemente tecnologia e romanticismo.

La mia amica Genevieve mi aveva obbligata ad andare a una festa. Lei la definiva "fenomenale", "ultramegafenomenale", come dice lei, o, nel mio gergo, "spacca di brutto". Proprio lì, in quella festa, ho conosciuto lui, John Kawashima.

"No Gin, ti prego, non ne ho voglia di venire a una festa, sono stanca", mi lamentai con la mia amica, che mi guardava con aria di rimprovero.

"Va bene che gli orientali non ti affascinano, ma io ne ho adocchiati due che sono una favola", mi strizzò l'occhio, e io le ricambiai con un sorriso affettuoso.

Avevamo appena finito lezione di lingua locale, e la mia testa scoppiava dalle tante informazioni che il mio cervello aveva accumulato.

"Almeno fammi da spalla, se non ti filano li lasci a me", mi strizzò di nuovo l'occhio, e a quel punto dovetti accettare: non si lascia un'amica in balia di un flirt a quattro.

Sorrisi ed esclamai:

"Va bene!"

Gin mi strinse le braccia intorno al collo e con voce acuta e felicissima esclamò:

"Grazie, sei una vera amica!"

Le sorrisi e ci preparammo per la festa.

I giapponesi sono persone rispettosissime e calme, per cui immaginavo che le loro feste fossero piatte e monotone. Ma quando mi ritrovai davanti al locale, dovetti ricredermi: la gente era già ubriaca e l'atmosfera era elettrica.

In quella confusione di voci e urla, Gin mi prese la mano e si inoltrò nella mischia. Arrivate al bancone, ordinò due "angeli azzurri".

"Ci vai giù pensante, eh?"

Ci girammo: la mia amica sfoggiò un sorriso smagliante, mentre io mi limitai ad accennarlo, ero molto diffidente.

"Mark!"

"Gin!"

Si abbracciarono e iniziarono le presentazioni. Mark si era portato un amico, John.

Il ragazzo che avevo davanti era di origine ispanico-orientali. Aveva tratti giapponesi (moro, leggerissima cresta in avanti, pelle olivastra e occhi a mandorla con iridi verdi), il tutto incorniciato da una passione ispanica che dopo quell'incontro avrei scoperto lentamente e dolorosamente.

Strinsi la sua mano, e i brividi mi percorsero la schiena. Sentivo un'attrazione immediata e inspiegabile per lui.

John si limitò, come me, a un leggerissimo sorriso, mentre Gin e Mark erano praticamente scomparsi.

Il barman ci servì gli "angeli azzurri". John me ne porse uno e se ne servì un altro. Li bevemmo entrambi d'un fiato.

Sorrise. I suoi capelli corvini contrastavano con i miei bruni. I suoi occhi verdi rapivano i miei nocciola. La musica tecno, l'ambiente discoteca e il lucernario stellato facevano diventare quella serata incredibilmente romantica.

Ero attirata da quegli occhi che catturavano i miei, quegli smeraldi che mi annebbiavano la mente. La ragione era a spasso con l'alcool dell'angelo azzurro.

Cosa poteva succedere di più?

A parte il fatto che non riuscivo a staccare lo sguardo da quegli occhi così luccicanti e allo stesso tempo desiderosi di me...

Ah già, quel bacio! Quel maledettissimo bacio dato così senza preavviso, solo lasciandosi all'istinto e alla passione pura.

John si avvicinava sempre di più mentre i nostri respiri si scontravano. Il suo, caldo e passionale, contro il mio, timido e distaccato. Seguì l'incontro delle labbra, le sue esperte e viaggiatrici a contatto con le mie ristrettive e caute.

Mi sentii avvolta da un calore immaginabile. Ne volevo sempre di più, volevo fare mio quel corpo. Chiusi gli occhi, mi lasciai avvolgere da quella passione con il caldo che aumentava e il cuore che scoppiava.

Aprii di nuovo gli occhi, ma lui era scomparso.

Che fosse un sogno?

No, non lo era. Le mie labbra erano infuocate e dentro morivo dal desiderio di riavere le sue attaccate alle mie, incollate. Passai la serata con le stelle e la Luna, mentre dentro ero pura passione. Sorrisi. Mi ero innamorata...

Ma com'è possibile? Ragiona, Mary, l'hai visto solo una volta, niente più.

Scrollai la testa per convincermi che aveva ragione il mio cervello, ma il cuore sapeva quello che provavo. Ora so cosa significa innamorarsi.

Per la prima volta provai una nuova emozione, più che altro fisica. M'imbarazzavo dei pensieri malefici che il cuore mi disegnava sulla lavagna del mio cervello, ma era la verità: lo desideravo più di ogni altra cosa.

John Kawashima, tu sarai mio, per sempre.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La testa mi doleva. Guardai l'ora e sbarrai gli occhi.

"Gin, è tardi! Svegliati!"

Mi girai e l'altra metà del letto matrimoniale era vuota. Dov'era finita Gin?!

La preoccupazione e l'ansia mi fecero dimenticare del ritardo. Presi il cellulare e composi il suo numero, ma niente, non rispondeva. Decisi di lasciarle un messaggio sulla segreteria telefonica.

Mi precipitai fuori dall'appartamento e corsi a lezione come un fulmine. I giapponesi erano molto puntuali, forse peggio degli svizzeri. Entrai con il fiatone, per fortuna ero arrivata in orario.

"Ehi Mary, siamo qui!"

Notai la mano di Gin che andava da un lato all'altro dell'aula per attirare la mia attenzione. Con lei c'erano Mark e... oh no! John...

Ma che cosa ci facevano loro lì?

La lingua la sapevano benissimo. Fulminai Gin con lo sguardo, che rimise a posto il braccio e sul suo volto si dipinse un'aria preoccupata.

Mi sedetti vicino a lei e presi il cellulare.

 Digitai:

"Dopo mi spieghi cosa diavolo hai fatto ieri sera, dove hai dormito e soprattutto PERCHÉ LORO SONO QUI!"

Lesse il messaggio, prese il cellulare e digitò a sua volta:

"Certo, non vedo l'ora di spiegarti tutto. E tu... spiegami di John!"

Arrossii. La vidi strizzare l'occhio maliziosamente mentre John, con aria divertita, mi guardava ammaliato. Il pensiero della sera scorsa mi invase insieme al caldo e alla tachicardia.

Spostai la visuale sulla cattedra e sullo schermo ancora bianco, cercando di concentrarmi sulla lezione. Ma quegli occhi smeraldo erano fissi sul mio volto e rappresentavano una fonte di distrazione per me, corpo e cervello compresi.

Gin si accorse dei nostri sguardi fuggitivi e quel sorrisetto che aveva non mi tranquillizzava affatto. La presi per un braccio e le intimai di non farsi strane idee, ma ormai era troppo tardi: si era già fatta il film di me e John.

Secondo Gin, l'amore andava vissuto in ogni momento e in ogni sua sfaccettatura. Infatti, a differenza di me, era di larghe vedute, ma non era stupida. Con la coda dell'occhio notai la mano di Mark sopra la gamba scoperta dalla minigonna di Gin e lei che gli intrecciava le dita.

Quello che mi doveva dire l'avevo immaginato da quel gesto: si erano messi insieme. Non sapevo come, né quanto poteva durare quella relazione, ma quel che sapevo è che Gin non si sarebbe risparmiata niente. Era passione pura.

E io?! Io, a differenza sua, ero di strettissime vedute. Sognavo ancora il principe azzurro che solo la sera scorsa aveva preso forma... sì, lui, John, il cavaliere misterioso che rapisce le donzelle solo con un bacio.

La lezione terminò. Come previsto, Gin mi disse che stava con Mark e tutto questo dopo esserci andate a letto insieme. Mi sorrise e, prendendomi la mano, mi porse un biglietto recante:

"Ciao, scusa per il bacio... mi hai rapito. Questo è il mio numero. Se né vuoi altri, chiamami... John."

Arrossii. "Se né vuoi altri?!" Ma che sbruffone, chi si credeva di essere? Accartocciai il foglietto e lo buttai, mentre avevo l'espressione sbalordita di Gin addosso. Entrammo nell'appartamento.

"Perché l'hai buttato?"

Mise il biglietto sul tavolo. Lo osservai giusto il tempo di formulare una giustificazione, ma ne uscii fuori con un'ulteriore domanda:

"E tu perché l'hai preso?"

Sbalordita e incapace di capire i miei sentimenti, mi urlò:

"Perché lui è interessato a te!"

Sbottai dapprima ridendo, poi calzando di più il tono di voce per affermare quello che stavo per dirle:

"Se fosse interessato a me, non mi avrebbe scritto quelle parole. Credimi, lui mi vuole solo portare a letto e basta!"

Rise ancora, incredula del mio rifiuto e ostinata a farmi uscire con lui:

"Provaci, almeno ti sarai fatta un giapponese carino." Mi strizzò l'occhio e io sbottai del tutto:

"Io, Gin, non sono come te che si mette con il primo che capita dopo una notte di fuoco... io, valuto le situazioni."

Mi fermai. La vidi con le lagrime agli occhi e in collera mi urlò addosso:

"Veramente io e Mark stavamo insieme già da prima del viaggio!"

Posò il biglietto e uscì dall'appartamento. Inutile i miei tentativi di fermarla.

Sconsolata, mi sedetti e rilessi quel biglietto. In me la voglia di rivederlo era forte, ma l'orgoglio mi diceva che se mi fossi innamorata era la fine. Inutile, lo ero già.

Presi il cellulare e digitai il numero, inviando il seguente messaggio:

"Ciao, sono Mary. Ci tengo a precisare che da te, per il momento, voglio solo un'amicizia, niente di più. Per cui non farti film mentali sui baci che dai, perché non m'incanti."

Rilessi il messaggio inviato. Ma cosa avevo fatto? Un'amicizia?! Perché ho scritto quella parola?! L'orgoglio mi consolava dandomi ragione: io da lui volevo solo un'amicizia. Ma il cuore mi prospettava il nostro incontro, e non era da amici.

"Ti va bene se ci vediamo adesso in piazza Teng Shi?"

Ma allora non aveva proprio capito niente.

"-Ok, va bene-"

Uscii con la musica nelle orecchie per rilassarmi e per iniziare un discorso sensato che non sfociasse in ragazza o sesso. Ma me li scordai tutti quando lo vidi appoggiato a un palo che guardava nella mia direzione. Evidentemente si aspettava che sbucassi da quella via. I miei occhi furono di nuovo magnetizzati dai suoi e i passi che ci dividevano erano a poco a poco nulli.

Nessuno dei due parlò. L'istinto prese il sopravvento così gli misi le braccia intorno al collo e lo baciai. Ma che cosa mi succedeva? Che cosa stavo facendo?! Se me l'avrebbero detto, io non ci avrei creduto. Lui accetta il bacio, le nostre lingue s'incontrano e giocano mentre in noi la passione amorosa sboccia tutto di colpo.

Sta succedendo tutto troppo in fretta. Ho paura. Mi stacco con un gesto brusco da lasciarlo sconcertato e con dell'amaro in bocca.

"Scusa... scusami, non volevo."

Mi volto e inizio a correre. Che stupida sono stata! Perché l'ho fatto?

Ho paura di soffrire, sono confusa e non voglio innamorarmi. Mi sento delusa di me stessa, delusa da lui che non mi ha fermata ma al contrario ha reso quel mio gesto ancora più folle accettandolo. Lui che è rimasto in quella piazza esterrefatto, non se l'aspettava e neanche io.

Non dovevo andare a quell'appuntamento. Che stupida sono stata, una vera stupida che crede che l'amore arrivi in una notte. Con questi pensieri mi diressi verso casa con il cuore che mi urlava amore e la ragione pentimento.

Avevo bisogno di Gin, ma lei è andata via perché, grazie alla mia istintività, l'ho ferita. Ora sono sola in una città come Tokyo, dove l'amore viene celato sotto una maschera fredda. E io in quel momento avevo bisogno di calore, ma se ci penso mi viene in mente lui.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Guardai l'ora: erano le 6. Di Gin nemmeno l'ombra. Preoccupata, mi precipitai fuori, ma dall'altra parte del cancello c'era lui. Da quanto tempo stava lì?

Fumava tranquillamente la sua sigaretta, fissando un punto indeterminato dell'asfalto. Con voce seria:

"Possibile che dove sono io ci sei anche tu?"

Si girò verso di me, sorrise debolmente mentre con voce sorniona:

"Bel modo di vedermi, presentarti e finire il nostro appuntamento." Guardò l'orologio.

"Sai, ho aspettato tre ore sotto casa tua e di solito non aspetto nessuna."

C'è sempre una prima volta, pensai mentre commettevo l'errore di guardarlo negli occhi.

Arrossii e la voglia fremente di dargli un bacio prevaricò la mia ragione, ma fui fermata dall'orgoglio.

"Per forza, chissà quante ne baci inaspettatamente e dopo aver visto le loro facce basite te ne vai."

Sorrisi, sicura di avere la situazione in mano. Aprii il cancello, lo richiusi e mi ritrovai a due centimetri di distanza da quel volto che con ineffabile sicurezza sapeva quale effetto faceva sulle ragazze.

Si avvicinò, io mi ritirai facendo un passo indietro, ritrovandomi le sbarre del cancello dietro alla schiena. Lo fissai e con scontrosità:

"Devo andare."

Mi voltai in una qualunque direzione, purché lontano da lui, dal suo corpo perfetto, dalla sua bocca e dai suoi occhi, soprattutto da quest'ultimi perché più secondi passavo a osservarli e più l'istinto gli avrebbe stampato un bacio.

Attese che fossi a 100 metri per urlarmi:

"Se stai cercando Genevieve, non preoccuparti, è con Mark."

Fu la voce seria e delusa alle mie spalle. Ma cosa si aspettava? Io non sono e non mi devo permettere di essere attratta da lui.

Mi bloccai. E ora che faccio? Con apparente calma mi girai, guardai in un punto indeterminato e con voce distaccata:

"Grazie, allora me ne torno a casa."

Mi rispose con voce dolce e sensuale da lasciare senza fiato, con i brividi che ti sfioravano ogni cellula della mia pelle, accarezzandola, stuzzicandomi tutti i pensieri istintivi repressi poco fa quando a fatica mi smagnetizzai da quegli occhi.

"Ma come mi lasci così al nostro primo appuntamento?"

Al nostro primo appuntamento?! E da quando io sono uscita con l'intenzione che quella giornata strana era il nostro appuntamento?! Da MAI. Più la parola "mai" mi rimbombava nel cervello e più la sfera sentimentale mi diceva – "da sempre" – creando in me confusione che sfociò in rabbia.

 

Quel ragazzo era capace di farmi innamorare di lui ma allo stesso tempo di odiarlo.

“Ascoltami bene, sbruffone! Uno non è un appuntamento, due se pensi di portarmi a letto ti sbagli di grosso e tre tu non mi piaci e mai mi piacerai.”

Sorrisi soddisfatta di me stessa e dei miei nervi saldi. Non mi aspettavo di essere così determinata.

Stavo entrando nel cortile quando lui mi bloccò per il polso, facendomi sobbalzare. Mi girò e con un sorriso canzonatorio, sguardo intenso e malizioso:

“Allora perché mi hai dato un bacio in piazza?”

Ecco, bella domanda: perché ti ho dato un bacio? Sorrisi per distrarlo, per sfuggire dalla sua espressione sempre più intensa. In me si formò un vuoto: non sapevo cosa dirgli, quale scusa plausibile? Nessuna! Calò il panico. Lui, bastardamente, se ne accorse e ne approfittò per avvicinarsi ancora di più. Mi liberai dalla presa, ma non dalla sua espressione. Con tono il più serio possibile:

“Non è vero! Per tutte e due le volte mi hai baciato tu!”

Esclamai con rabbia per sottolineare che non mi era piaciuto, che di lui non m'importava niente. Ma dentro morivo dalla voglia di riavere quelle sue attenzioni. E per qualche strano motivo, lui lo percepiva.

Lo fissai come a rimarcare e sottolineare con più decisione la frase che l'orgoglio mi cacciò fuori. Un'espressione basita stava dipingendomi il volto: stava ridendo. Si stava prendendo gioco di me?

Entrai, sbattendo il cancello sul suo volto da diavolo tentatore come a delineare che la conversazione era finita. Almeno era quello che credevo, perché lui mi prese per la mano, mi schiacciò tra le ringhiere in modo che fossi imprigionata dal suo viso angelico e sorridendo:

“Sei terribile e combattiva. È vero, in discoteca te l'ho dato io, ma oggi mi hai lasciato a bocca aperta, mia cara Mery.”

Tremavo. L'adrenalina viaggiava per tutto il mio corpo. Potevo sentire tutto il suo potere. Se prima faticavo a non strappargli un altro bacio, ora mi era praticamente impossibile. I nostri occhi, i nostri respiri giocarono e non si risparmiarono le nostre espressioni: la sua beffarda e sicura contro la mia scontrosa e arrabbiata.

Entrambe nascondevano la stessa cosa: il volere strappare baci all'altro.

“Lasciami, devo andare.”

Mi lamentai, stufa di quella situazione che stava sfuggendo di mano. Il bianco dei denti risaltava ancora di più i suoi occhi:

“Eh no, prima devi darmi questo!”

Mi tirò a sé. Mi sentii schiacciata nella ringhiera, ma in Paradiso. Devo dire che con la lingua ci sapeva fare. Le sbarre non divisero le nostre mani, i nostri sospiri. Quello che volevo era quel corpo sopra il mio, così caldo, protettivo, sicuro. Si staccò di colpo, lasciandomi senza parole, con gli occhi lucidi dal piacere e la voglia prorompente dentro.

“Devo andare, ciao.”

Proferì con tono distaccato, come se un secondo prima non avesse provato niente. Mi sorrise, mi liberò e si avviò verso la via, lasciandomi in balia di una tempesta mentre i miei occhi seguivano i suoi passi e il mio cuore mi batteva dentro sempre di più ad ogni passo che lui era lontano da me.

Rimase basita, sconcertata, vogliosa per tutta la notte. Voleva quel corpo dentro di sé.

Sorrise pensando a lui. Che bastardo! Stava cercando di farla innamorare facendole venire voglia di lui.

Guardò il cellulare. Vi era un messaggio. Sperò di Gin, invece con suo grande stupore era il suo.

"Ciao, baci davvero bene. Ci vediamo a lezione domani."

Rilesse il messaggio mentre i suoi occhi diventavano tristi. A lui importava solo di questo? I baci che dava?

Sorrise pensando che forse anche lui voleva quel che voleva lei, ma lo dimostrava così, con indifferenza. Si accorse di aver commesso un errore fatale mentre l'istinto e la rabbia aggredivano Gin dicendole che lei valutava le situazioni, perché oggi aveva dimostrato l'esatto contrario. Si pentì di aver detto a Gin che era una facile, perché a quanto pare lo era anche lei.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


A lezione, Gin e Mark non si presentarono, ma John, come promesso nel messaggio, sì.

Appena lo vidi, il cuore iniziò la sua lunga tachicardia, mentre le mani cominciavano a tremare e a sudare. Quel ragazzo mi faceva uno strano effetto. Mi sentivo come un cono gelato che si squagliava sotto i raggi della sua bellezza.

Mi sedetti nelle file opposte a dove era lui, ma come previsto mi raggiunse in un nanosecondo. Mi sorrise.

"Ciao."

"Ciao."

Proferii con tono imbarazzato. Non mi ero scordata del bacio tra le ringhiere e la cosa mi imbarazzava non poco.

Ci osservammo, ma fummo distratti da un'altra voce.

"Ciao, scusate, è possibile sedersi qui?"

Mi girai e vidi un ragazzo alto, biondo con occhi celestiali che caldamente m'indicava il posto libero di fianco a me.

Sorrisi, distolsi l'attenzione da John e proferii un bellissimo sorriso.

"No, no, prego, accomodati."

"Grazie."

Mise a posto la sua roba e potei osservarlo meglio.

Capelli lunghi color del miele, occhi contornati da lentiggini e pelle candida come la neve.

Accortosi delle mie attenzioni, si girò e, sempre con quel bellissimo sorriso:

"Piacere, Nick."

Sorrisi.

"Piacere, Mary."

Vidi la mano di John protrarsi per presentarsi, ma Nick non ci fece caso.

Con la coda dell'occhio vidi John alzarsi. Era arrabbiato? Era geloso? Non m'importava, dentro di me una piccola vocina mi gridava vendetta.

"Scusami, io sono Nick"

Proferì il mio nuovo amico a John, il quale si voltò di scatto e con occhi fulminei e voce scontrosa:

"Piacere, io sono John."

Ammetto che la mia voce dentro di me avrebbe voluto che John continuasse la frase:

"...e questa è la mia ragazza, per cui fila."

Ma non è successo, perché effettivamente noi due non eravamo insieme. Eravamo amici che avevano un forte sentimento in comune.

John se ne andò arrabbiato e Nick, potei notare, ci rimase male.

"Dai, non preoccuparti, gli passerà."

Sorrisi per rimetterlo di buon umore e per fortuna non ci mise poco.

"Ma è sempre così scorbutico il tuo amico?"

"Immagino di sì."

La lezione iniziò. Per fortuna eravamo nelle ultime file, perché in quelle ore non ascoltammo nemmeno una parola.

Scoprii che Nick era americano e si era trasferito a Tokyo, come me, per imparare meglio la lingua.

Era l'opposto di John: caldo, affettuoso, solare e gentile.

"Allora ci vediamo in Piazza Wang Sei, così mi dai gli appunti che ho perso grazie al ritardo dell'aereo."

Mi sorrise, annuii. Era davvero molto simpatico.

"Certo, alle tre sarò lì!"

Le nostre strade si divisero verso le vie opposte. Ero felicissima.

Era davvero molto garbato ed educato, non come John, beffardo e misterioso.

Parla del diavolo e spuntano le corna.

John era appoggiato al cancello, che si fumava una sigaretta. Come al solito, aveva lo sguardo perso nel vuoto.

Appena mi vide, gettò la sigaretta ancora accesa sulla strada e mi attese.

Aveva un'espressione che non lasciava trapelare nessuna emozione. Era fredda, glaciale e misteriosa. Era John.

Con voce pesante e arrabbiata:

"Che cosa ci fai qui?"

Non rispose. Mi prese per le spalle, facendomi cadere la borsa. Mi sbatté contro il muro e, senza lasciarmi proferire parola, mi baciò.

Fu un bacio caldo e appassionato, forse troppo, perché persi la lucidità e non so come ci ritrovammo nel mio appartamento a fare l'amore.

Potevo sentire i nostri sospiri, gemiti che si scontravano e univano come noi.

Per la prima volta scoprii un nuovo John: caldo, protettivo, violento al punto giusto.

Mi aveva fatto provare un piacere intenso, passionale e avvolgente. Un piacere che ti rimane sulla pelle e che ti induce a volere ancora quel corpo sul tuo, quei sospiri, quei gemiti rivolti solo a te e soprattutto a volerlo ancora dentro te per essere ancora una volta immortali.

“oh no avevo promesso a Nick che ci saremmo visti alle tre”

John si girò di scatto

“e allora? Domani ti scusi”

“a te è tutto semplice eh? Perché gli hai risposto male stamattina”

Proferii in tono deluso e arrabbiato

“perché mi andava e mi è antipatico”

“ti andava? Come ti andava di fare sesso con me oggi pomeriggio?”

Fece spallucce si mise i boxer e si vestì.

Ero delusa , aveva avuto quel che voleva, me 

“allora è questo che volevi da me bravo congratulazioni ci sei riuscito e ora sparisci da casa mia”

Mi sorrise con quel sorriso beffardo.

“Non dirmi che non ti è piaciuto,** e poi questo non era l’ultimo ma il primo di una serie di baci e di amore.”

Mi baciò di nuovo senza preavviso, e di nuovo scomparse dalla soglia dell’ingresso. Mi diressi verso la finestra che dava sulla strada e arrabbiata urlai:

“Io non sono la tua lolita!”

Si girò e con un occhiolino e la linguaccia:

“No, sei la mia Mary!”

Sorpresa da quelle parole e confusa:

“Mi vuoi dire cosa vuoi da me?”

Non rispose, anzi fece finta di non aver sentito, mentre sapevo che aveva captato ogni singola parola.

Richiusi la finestra confusa.

Quel che sapevo era che domani avrei chiarito con Nick e non mi sarei più fatta rapire da John.

Sorrisi nonostante la confusione: il mio cuore godeva di quel mistero che John mi avvolgeva.

Mi sdraiai sul letto e potei sentire il suo odore: era caldo, avvolgente come lo era stato lui in quegli attimi di amore, di passione e di possesso.

Amareggiata mi accorsi che mi aveva ancora una volta rapita e finché non mi diceva cosa voleva da me, lui me l’avrebbe sempre fatta.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


- Dove sei? Nick -

Il cellulare vibrò con mia grande sorpresa. Era Nick! Ma come faceva ad avere il mio numero?

"Scusami, mi son completamente dimenticata gli appunti. Te li do domani, promesso!"

"Io sono in piazza, se vuoi ci possiamo vedere."

Mi aveva aspettato tutto quel tempo?? Quale divinità amorosa mi concedeva così tante chance con i ragazzi? Non lo so, ma quel che constatai è che sia Nick che John mi aspettavano.

Mi alzai, mi misi i primi vestiti che trovai, presi gli appunti e uscii.

"-Sto arrivando, Mary-"

Arrivata al luogo indicato, non ci misi molto a identificarlo, dato che spuntava tra tante chiome corvine.

Mi avvicinai e mi bloccai di colpo.

"Gin!"

Gin mi guardò e con mio grande stupore mi sorrise.

"Mary!"

Spalancammo le braccia e corremmo una nell'altra come due amiche che non si vedevano da tempo. E come due cretine, iniziammo a piangere.

"Scusa se non mi sono più fatta sentire e se sono uscita via in quel modo."

Le asciugai le lacrime.

"No, scusami te per la mia impulsività e il mio modo di fare."

Ci riabbracciammo e nel pianto ridemmo.

Nick ci osservò e ci raggiunse preoccupato.

“Va tutto bene?”

Annuimmo.

“Sì, fratellone, è tutto a posto.”

Fratellone? E da quando Gin aveva un fratello?

La guardai sorpresa.

“Esatto, Mary, lui è mio fratello, per meglio dire fratellastro.”

Mi spiegarono che i loro genitori, entrambi vedovi, si erano risposati, ed ecco qui chiarito il mistero.

“Devo dire che qualcosa in comune ce l’avete.”

Loro mi guardarono stupiti e curiosi. Risi.

“Avete in comune gli occhi, entrambi azzurri: tu, Nick, del cielo e tu, Gin, del mare.”

Risero.

“Certo che tu sei proprio filosofa,” proferì Nick, mentre Gin aggiunse:

“Se io fossi bionda o lui rosso, saremmo gemelli!”

Ridemmo insieme. Diedi gli appunti a Nick, ci salutammo e insieme a Gin mi avviai verso casa.

“Come va con Mark?”

Vidi il suo volto mutare, da solare diventò triste e cupo. Mi guardò con le lagrime agli occhi.

“L’ho beccato con un’altra e l’ho lasciato.”

Si fermò. La guardai piangere.

“Il fatto è che lo amo e ho agito d’istinto.”

Mi guardò con quegli occhi del mare così luminosi, mentre la sua chioma sembrava più folta con i pochi raggi che il sole ancora ci donava. Mi abbracciò e con le lagrime che le rigavano il viso, in un sussurro di vento:

“Lo voglio di nuovo, lo voglio rivedere e lo voglio perdonare.”

Erano parole potenti, forti e sconvolgenti. Eravamo solo studentesse, ma per l’amore eravamo già donne.

La strinsi forte e la rassicurai.

“Domani vedrai che ci sarà,” le feci l’occhiolino e lei si rasserenò.

Giunte a casa, decisi di mandare un messaggio a John. Non l’avrei mai fatto, ma Gin stavolta si era innamorata sul serio. La vedevo distratta, confusa, triste e sbadata.

Feci un bel respiro e digitai il messaggio:

Ciao, domani ti va se io, Gin, Mark e te andassimo al cinema?

“Non riesci proprio a staccarti da me, eh?”

Prima di rispondere, proferii un enorme sospiro. Se avessi lasciato andare l’istinto, avrei rovinato tutto.

Alle otto al cinema Hou Chu.

“Ci sarà anche lui?”

Lui chi? Pensai e mi ricordai di stamattina. Sfortunatamente, digitai senza pensarci:

Perché ti preoccupi se c’è anche Nick? Ti ricordo che non stiamo insieme, per cui sono libera come lo sei tu di stare con chi vogliamo.

Non mi rispose, ma sperai caldamente che domani si presentasse all’appuntamento.

Andai in salotto. Gin stava digitando ogni canale presente a Tokyo, con il risultato di non sapere quale scegliere e avere le lagrime agli occhi a ogni sequenza che incontrava romantica.

L’abbracciai e la coccolai.

“Non preoccuparti, domani cinema.”

Le diedi un bacio e si rasserenò.

Erano le otto e noi eravamo puntuali al cinema. Di John e Mark nemmeno l'ombra.

"Eccolo lì!" proferì Gin al massimo dell'ansia.

I ragazzi ci avvistarono e ci raggiunsero. Vidi John con appresso una biondina.

Mi sorrise. "Piacere, Mel."

Le sorrisi e mi presentai. John aveva un'aria di sfida nei miei confronti.

Approfittò della distrazione della ragazza: "Ma il tuo amichetto, doc'è?"

Non gli risposi. Mi girai, ma mi bloccò per il laccio della borsetta.

Mi girai di scatto, arrabbiata e delusa. Come si permetteva di fare lo sbruffone in quel modo? E chi era quella?

Respirai e cercai di mandare giù la gelosia.

"Non eri tu quella che mi ha scritto che potevamo frequentare chi volevamo?"

Che stronzo!

"Esatto, sono contenta per te. Divertiti con la biondina stasera!"

Non lasciò la presa. Anzi, mi prese per il polso facendomi andare a sbattere contro il suo petto.

Potei notare l'effetto che gli facevo: era identico al mio, ma lui lo mascherava benissimo.

Chiusi gli occhi e sentii il suo cuore aumentare il ritmo. Mi staccai di colpo e me ne andai con Gin.

Dentro ero passione, gelosia e confusione. Perché mi faceva questo?

Guardai dietro e vi era lui che sorrideva alla bionda. Ricacciai ogni mia lacrima con la promessa che mi sarei vendicata.

 

Mi calmai e mi resi conto che ero una sciocca. Lui aveva ottenuto da me quello che voleva e ora ci provava con un'altra. Il fatto è che io non ho ancora avuto da lui quello che desidero.

Ci pensai a fondo: io desideravo il suo amore.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


L'aria fresca della sera mi schiaffeggiò il viso, facendomi riprendere i sensi. John mi teneva ancora per mano, la sua stretta era salda e rassicurante.

"Dove andiamo?" chiesi, cercando di nascondere la mia trepidazione.

Un sorriso enigmatico si formò sulle sue labbra. "C'è un posto che voglio farti vedere."

Camminammo per alcuni minuti in silenzio, immersi nel buio della notte. Le luci della città si specchiavano nelle pozzanghere, creando un gioco di riflessi che illuminava il nostro cammino.

Finalmente, arrivammo davanti a un piccolo parco. Un cancello di ferro battuto lo separava dalla strada, e al centro, una fontana illuminata diffondeva una luce soffusa.

John mi condusse verso una panchina di legno situata sotto un albero secolare. Ci sedemmo in silenzio, lasciandoci avvolgere dal canto degli uccelli notturni.

"È bellissimo qui," sussurrai, incantata dall'atmosfera magica del luogo.

"Lo so," rispose John, con un tono nella voce che mi fece rabbrividire. "È il mio posto preferito per pensare."

Rimanemmo in silenzio per alcuni minuti, entrambi persi nei nostri pensieri. Poi, John si voltò verso di me e mi guardò negli occhi.

"C'è qualcosa che devo dirti," disse con voce seria. "Qualcosa che ho tenuto nascosto per troppo tempo."

Il mio cuore iniziò a battere forte. Un senso di inquietudine mi pervase, ma allo stesso tempo, una strana eccitazione mi bruciava dentro.

"Cosa c'è?" chiesi con un filo di voce.

John inspirò a fondo, come se stesse prendendo coraggio. "Non sono come gli altri," disse. "C'è qualcosa di diverso in me."

Feci per parlare, ma lui mi interruppe. "Non è niente di cui aver paura," si affrettò a dire. "È solo che... io non sono umano."

Rimasi a bocca aperta, incapace di credere a ciò che stavo ascoltando.

"Non... non capisco," balbettai.

John mi prese la mano e la strinse con delicatezza. "Sono un vampiro," disse con voce pacata.

Il mondo mi crollò addosso. Vampiri? Non potevo essere più sconvolta. Tutto ciò che pensavo di sapere sul mondo era stato spazzato via in un istante.

"Ma... come è possibile?" chiesi, cercando di razionalizzare l'assurdità della situazione.

John mi raccontò la sua storia, di come era stato trasformato in vampiro secoli prima, e di come si fosse nascosto tra gli umani per sopravvivere.

Mentre lo ascoltavo, una sensazione di smarrimento si impossessò di me. Non sapevo cosa pensare, cosa dire. Tutto ciò che sapevo era che John era diverso, ma non per questo era meno reale, o meno importante per me.

"Non ho paura di te," dissi con fermezza, guardandolo negli occhi.

Un sorriso illuminò il suo volto. "Grazie," disse. "Era questo che speravo."

Rimanemmo seduti ancora per un po', a parlare sotto le stelle. John mi raccontò storie del suo passato, della sua vita da vampiro, e io lo ascoltavo con avidità, affascinata da ogni sua parola.

Quando fu il momento di tornare al cinema, mi sentivo diversa. Il mondo che mi circondava non era più lo stesso. Avevo scoperto un segreto che avrebbe potuto cambiare per sempre la mia vita.

Ma una cosa era certa: non avrei mai più guardato John allo stesso modo.

La neve cadeva copiosa, creando un manto bianco che ricopriva la città di Tokyo. Il freddo pungente mi attraversava il giubbotto leggero, facendomi tremare. John, invece, se ne stava lì, impassibile, con una sigaretta accesa tra le labbra.

"Che mi vuoi dire?" chiesi con voce impaziente.

Lui finì di fumare la sigaretta, poi si voltò verso di me e sorrise. "Scusa," disse. "Non volevo solo..."

Si fermò, come se cercasse le parole giuste.

"Solo che cosa?" chiesi con insistenza.

Lui mi guardò negli occhi. "Solo che non volevo farti del male," disse con voce pacata. "So che sono diverso, e so che questo può spaventare. Ma io non sono una cattiva persona."

Le sue parole mi colpirono. Era la prima volta che si apriva con me in questo modo, e la sua sincerità mi commosse.

"Non ho paura di te," dissi con fermezza.

Un sorriso illuminò il suo volto. "Grazie," disse. "Era questo che speravo."

Rimanemmo in silenzio per alcuni minuti, a guardare la neve che cadeva. Il mondo intorno a noi sembrava fermo, immobile.

Poi, John si avvicinò a me e mi prese la mano. "Vieni," disse. "Ho qualcosa da farti vedere."

Mi condusse verso un piccolo parco situato vicino al cinema. Il parco era deserto, e la neve lo aveva trasformato in un paesaggio fiabesco.

John mi fece sedere su una panchina e si sedette accanto a me. "Guarda," disse, indicando il cielo.

Alzai gli occhi e vidi una miriade di stelle che brillavano nel cielo notturno. La neve che cadeva le rendeva ancora più luminose, creando uno spettacolo mozzafiato.

"È bellissimo," sussurrai.

"Sì, lo è," disse John. "E questo è solo l'inizio."

Mi guardò negli occhi e vidi una luce nuova nel suo sguardo. Una luce che mi parlava di speranza, di futuro.

In quel momento, capii che non importava se John era diverso. Era la persona che amavo, e questo era tutto ciò che contava.

La neve continuava a cadere, ma io non sentivo più il freddo. Ero avvolta dal calore del suo amore, e sapevo che non avrei mai più avuto paura.

Entrammo nel cinema, ma la scena che ci si presentò davanti agli occhi era decisamente più bella e romantica di quanto ci aspettassimo. Gin e Mark si baciavano amabilmente, immersi in un'atmosfera di dolcezza e passione. Nel frattempo, la biondina si stava avvicinando al suo cavaliere, che la guardava con un'espressione di perplessità, come se non la conoscesse.

Il film terminò e uscimmo dal cinema. La neve cadeva ancora, creando un paesaggio fiabesco e romantico. Gin e Mark ci salutarono, entrambi desiderosi di raccontarsi e confidarsi chissà quali segreti. Il polipo attaccato a John non mostrava alcuna intenzione di andarsene, e lui iniziava a spazientirsi.

"Ciao, io torno a casa", dissi congedandomi.

John mi guardò preoccupato. "Come, da sola?" chiese.

Mel intervenne in mia difesa. "Non preoccuparti, caro, non siamo nel Bronx", rassicurò John.

Dovetti trattenere a stento l'impulso di scaraventare il polipo all'inferno al posto di Lucifero. "Caro?" pensai. Da quando un corteggiatore si definisce "caro"? E soprattutto, da quando lo si chiama così a un primo appuntamento? E se mi fossi sbagliata? Se in realtà quella era la sua ragazza e lui mi aveva usata solo per una scappatella pomeridiana?

Le lagrime che cercavo di trattenere sgorgarono copiose sul mio viso. L'istinto mi urlava di scappare da quella situazione, e così feci. Corsi a perdifiato sotto i fiocchi di neve, senza una meta precisa, ma con l'unico scopo di liberarmi di John Kawashima.

Mi fermai a un palo della luce per riprendere fiato, ma nella coltre di nebbia vidi una figura che correva verso di me a ritmo sostenuto. Era lui, John, che mi stava cercando.

Cosa succederà ora? John mi raggiungerà? Mi spiegherà la sua relazione con la biondina? Oppure questa fuga sarà l'inizio di una nuova avventura?

La suspense è alle stelle!

Arrivato, mi guardò con aria furiosa. "Non farlo mai più!" esclamò.

"Cosa? Scappare!" chiesi, sorpresa dal suo tono.

Annuì, ancora contrariato. "Perché non dovrei scappare? Piuttosto, tu hai lasciato la tua ragazza là al freddo e al gelo! Vai da lei, abbracciala, coccolala, fai l'amore con lei, non ti preoccupare di me. Me la so cavare anche da sola!"

Mi girai per andarmene, ma lui mi trattenne, imprigionandomi al suo petto. "E se invece lei non è la mia ragazza, ma un'amica? E se fossi geloso di Nick?"

Sospirò e lo guardai negli occhi. "Non scherzavo quando ti dissi che tu sei la Mia Mery!"

Era serio, sincero. Cercai di staccarmi da lui, ma me lo impedì, stringendomi ancora più a sé e baciandomi.

Fu un bacio romantico e caloroso, nonostante i fiocchi di neve che ci cadevano addosso.

Si staccò da me e intrecciò le sue dita con le mie. "Mery, io sono geloso, molto geloso. Mel è solo un'amica e l'ho portata con me per farti ingelosire, niente di più."

Mi guardò intensamente. "Tu sei la mia ragazza e ho il diritto di proteggerti da tutto e da tutti."

Aspetta un attimo... io chi ero per lui? E da quando?

"Scusami, ma da quando io sono la tua ragazza?" chiesi, perplessa.

Ci pensò per un attimo. "Dal nostro primo bacio."

"E se non volessi accettare?"

Sorrise, sapendo che non dicevo sul serio. Mi appoggiò al palo e mi baciò di nuovo.

In quel momento, in quell'istante, capii chi era John Kawashima: il tipico duro dal cuore tenero, dolce, orgoglioso e molto geloso di me!

Si staccò da me e in un sussurro disse: "Ti prego, resta con me. Ho bisogno di te!"

Fui sorpresa da quelle parole e commossa. Nessuno mi aveva mai detto con così tanto affetto e amore quelle parole: Ho bisogno di te.

Lo abbracciai e lasciammo che i nostri respiri scaldassero i nostri corpi. Andare nell'appartamento avrebbe rotto l'atmosfera magica che si era creata. In quel luogo, un fiore di loto stava sbocciando molto lentamente, petalo per petalo. L'acqua che lo alimentava erano i nostri abbracci e il concime erano i nostri sospiri.

 

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