Lieve, l’abisso

di SeleneMarino
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Erwin • Sparviero ***
Capitolo 2: *** Shadis • Bastardo ***
Capitolo 3: *** Petra • Sincero ***
Capitolo 4: *** Hange • Anomalo ***
Capitolo 5: *** Erwin • Grazia ***
Capitolo 6: *** Armin • Abisso ***
Capitolo 7: *** Erwin • Disobbedienza ***



Capitolo 1
*** Erwin • Sparviero ***


Lieve, l'abisso

Nota
Levi è uno di quei personaggi che o si amano o si odiano, perciò mi sono divertita a osservarlo da diversi punti di vista. Ne sono uscite fuori alcune flashfic e one-shot abbastanza diverse fra loro.
Si possono leggere anche da sole, ma qui sotto le trovate in ordine cronologico. Vanno da prima di "No regrets" al "ritorno a Shiganshina".

  1. Sparviero
    Punto di vista: Erwin Smith.
    «Il ladro interruppe la sua fuga fermandosi per un istante in equilibrio sulla sbarra che tagliava il vicolo. L’inseguitore lo aveva spinto nell’agguato di un terzo uomo, che lo accolse da un cornicione con una sferzata rabbiosa.» [continua]
     
  2. Bastardo
    Punto di vista: Keith Shadis.
    «Il comandante Shadis trovava esasperante il gesto repentino con cui al momento meno opportuno, cioè quello di maggior pericolo, lo stronzetto si rigirava in mano l’impugnatura destra, rivolgeva la lama dietro di sé e si metteva a girare come una stupida trottola esibizionista.»  [continua]
     
  3. Sincero
    Punto di vista: Petra Ral
    «— Mica male il capitano, eh? — le diede di gomito Nanaba, seduta sulla panca accanto a lei.
    Petra quasi si strozzò con la birra.» 
    [continua]
     
  4. Anomalo
    Punto di vista: Hange Zoe.
    «La prima volta che aveva visto quegli occhi, non erano ancora così disperati. Tetri e taglienti, però, sì. Ardenti di una soddisfazione repressa, per aver abbattuto quel primo Anomalo con innaturale noncuranza.» [continua]
     
  5. Grazia
    Punto di vista: Erwin Smith.
    « — Abbiamo perso metà dei nostri soldati per un cazzo di niente. Li abbiamo uccisi noi, Erwin.
    — Hanno offerto i loro…
    — Risparmiami queste cazzate.» 
    [continua]
     
  6. Abisso
    Punto di vista: Armin Arlert 
    Levi l’aveva salvato, avrebbero detto gli altri; l’aveva maledetto, avrebbe precisato fra sé Armin, ricacciando indietro la gratitudine. E poi, come si poteva anche solo pensare che il suo briciolo di intelligenza valesse il sacrificio di un uomo come il comandante Smith?» [continua]
  7.  


    Extra

  8. Disobbedienza
    Punto di vista: Erwin Smith.
    «Erwin si sentì inchiodare al muro da quegli occhi d’acciaio per i quali si sarebbe volentieri lasciato divorare vivo. Ma questo non poteva dirlo.»  [continua]
     
 

Sparviero

Nota
Flashfic ambientata nella città sotterranea prima di ACWNR.
Che cosa avrà pensato Erwin la prima volta che ha visto Levi?
Chi vuole può vederci un pizzico di Eruri.
 

Il ladro interruppe la sua fuga, fermandosi per un istante in equilibrio sulla sbarra che tagliava il vicolo a mezz’aria. L'inseguitore lo aveva spinto nell'agguato di un terzo uomo, che lo accolse da un cornicione con una sferzata rabbiosa.

Il fuggitivo piegò le ginocchia, schivò, si inarcò con un salto all'indietro, si capovolse, afferrò la stessa sbarra oltrepassandola da sotto e, sfruttando la rotazione, tranciò le ginocchia dell'uomo con una lama minuscola estratta da chissà dove.

Atterrò in cima al muro di fondo del vicolo, si infilò in una finestra sfondata e sparì.

Nel fagotto che portava sulle spalle doveva esserci il dispositivo rubato — uno dei tre. Anche senza indossarlo, quell'uomo volava a passo di valzer, con ampi e fulminei volteggi di rondine, letale e improvviso come uno sparviero.
Come facesse, era un mistero che il capitano Erwin Smith del Corpo di ricerca, appostato sul tetto, poteva solo contemplare, segretamente estasiato.


Note:
1. Sì, è un (tentativo probabilmente maldestro di descrivere un) Korbut flip.
2. L'accenno al valzer vuole essere un omaggio alla tenera (per quanto teneri possano essere gli Ackerman) ed esilarante "Nessun rimpianto [Walls save the Queen]" di drisinil.

Grazie di cuore per essere qui! Questa serie è una delle prime cose che provo a scrivere e spero che possa essere piacevole. Se vi va di fermarvi a fare due chiacchiere su AoT, vi aspetto a braccia aperte 🤗

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Capitolo 2
*** Shadis • Bastardo ***


Nota dell'autrice
Flashfic ambientata subito dopo gli eventi di ACWNR / No regrets.
Al comandante Shadis Levi non sta molto simpatico.


Bastardo


Recalcitrante, riottoso, ostile. In una parola, insopportabile.

Eppure eseguiva alla lettera ogni istruzione che riceveva. Tutte tranne una: impugnare le spade correttamente. Il comandante Shadis trovava esasperante il gesto repentino con cui al momento meno opportuno, cioè quello di maggior pericolo, lo stronzetto si rigirava in mano l’impugnatura destra, rivolgeva la lama dietro di sé e si metteva a girare come una stupida trottola esibizionista.

Ma messo davanti al dato di fatto che quella feccia, in barba a qualsiasi legge della fisica, sapeva ridurre a brandelli un gigante nella stessa manciata di secondi che quello avrebbe impiegato a far fuori tre uomini addestrati come si deve, beh, poteva anche soprassedere su un simile dettaglio tecnico. Quello che contava erano i risultati. 

E poi ce n’era un altro, e non era tanto un dettaglio. Il piccolo bastardo si rifiutava di fare il saluto. Quei suoi due scagnozzi almeno ci avevano provato, seppur con una goffaggine al limite della supponenza. Ma il bastardo con la faccia da schiaffi no.

— Soldato, offri il tuo cuore!

Nessuna reazione.

— Offri il tuo cuore, ho detto, lurido ratto!

Ancora nulla.

Se si fosse trattato di un cadetto dodicenne, avrebbe pelato patate per giorni, spaccato legna per settimane e corso ogni sera fino allo sfinimento; se avesse persistito nella sua protervia, alla fine sarebbe stato spedito a zappare sassi.

Ma il bastardo senza cognome non era un cadetto, aveva di certo più anni dei pochi che dimostrava e, quel che era peggio, mandarlo nei campi sarebbe stato un favore, considerato che veniva dalle fogne. Perciò, a conti fatti, la punizione migliore era costringerlo ad assistere, con tutta la sua spudorata potenza, alle stragi di ragazzini a cui il Corpo di ricerca doveva la sua pessima fama. Sì: per quanto la sua lealtà fosse come minimo dubbia, era meglio tenerselo lì.



Grazie a chiunque abbia letto fin qui!

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Capitolo 3
*** Petra • Sincero ***


Sincero


Petra non sopportava il modo in cui Auruo emulava Levi. Era forzato e ridicolo, e più lei glielo faceva notare, più lui continuava a fare il cretino. Meno male che, almeno di sera, non era costretta ad averci a che fare. 

— Mica male il capitano, eh? — le diede di gomito Nanaba, seduta sulla panca accanto a lei. 

Petra quasi si strozzò con la birra. L’altra alzò teatralmente gli occhi al cielo. 

— Così forte e tenebroso! — Continuò a prenderla in giro. 

— Piantala, scema! — Rise Petra dandole un pugno sulla spalla.

— Stai sempre a fissarlo, è palese. — Nanaba le agitò una mano davanti agli occhi, che in effetti puntavano non così casualmente al tavolo a cui erano seduti il capitano e il comandante.  

— Lo guardo perché voglio imparare a combattere come lui.

— Vuoi imparare come non si tiene in mano una tazza, forse. — Ribatté Nanaba, con un’occhiata sarcastica al gesto peculiare con cui il soldato più musone dell’umanità stava bevendo un tè — o qualche altra sbobba troppo analcolica per la locandaccia in cui si trovavano. 

— E comunque non mi piacciono i tipi tenebrosi. Mi piacciono i tipi sinceri.

— Lui è così sincero che è capace solo di insultare.

— Non è vero! — Petra bevve un altro sorso, arrossendo un po’.

— Ah-ha? Che cosa non mi hai raccontato?

— Niente di niente.

— Certo, come no. Quindi ti piacciono i tipi tenebrosi ma anche un po’ gentili. Sei proprio la regina dei cliché, soldato Ral!

***

Fu un lampo, un rimpianto, una stretta al cuore.

La ragazza sembrava implorare pietà, in ginocchio contro la corteccia ruvida, il collo piegato innaturalmente all’indietro. Per un istante Levi pensò che i suoi occhi erano stati dolci e limpidi come il cielo che non avrebbero più riflettuto, lontano, oltre quegli alberi muti e imbrattati di sangue.

Non se ne era mai accorto prima.






Nota dell'autrice

Grazie a chiunque abbia letto fin qui! Spero di aver fatto un po' la linguaccia alla patina rosa confetto che spesso avvolge Petra. ;)
Lo spunto viene dall’idea di capovolgere un cliché, quello dell’amore a prima vista che diventa "all'ultimo sguardo" (vedi qui sotto).

***

Questa storia partecipa all'iniziativa di scrittura “Come non li avevi mai (visti, letti, scritti)” di Legar, Sia_ e Mari indetta sul forum Ferisce la Penna.
Prompt n.7: "Amore all'ultimo sguardo".

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Capitolo 4
*** Hange • Anomalo ***


Nota dell'autrice
Questa one shot è ambientata al rientro dalla 57ª spedizione, dopo la mancata cattura del Gigante femmina.
Levi è piuttosto malconcio e Hange cerca di farlo parlare, mentre riflette sulle sue abilità.


 

Anomalo


 

— Si può sapere come fai a camminarci sopra?

Silenzio. Occhiata assassina.

— Non dovresti.

Per tutta risposta, Levi accelerò il passo.

— Mikasa mi ha raccontato tutto.

— Quella stronzetta parla solo quando non deve.

Fermati, Levi!

— Fanculo, quattrocchi.

Hange lo seguì imperterrita fino alle stalle, studiandone con attenzione l’andatura. Levi non sembrava dare segni di cedimento, ma stringeva troppo forte le briglie del cavallo accanto a sé: le sue nocche impallidivano. Lasciò l’animale, si fermò per un attimo e la guardò di sottecchi mentre anche lei sistemava il suo.

Temporeggiava per restare solo, ma Hange non gliel’avrebbe data vinta. Con lentezza esasperata ricaricò il foraggio e mise in ordine le bardature. Levi era ancora lì impalato a fingere indifferenza.

Hange fece per incamminarsi al quartier generale e tese le orecchie. Finalmente quel cocciuto si mosse.

L’odore del fieno permeava l’aria calda della sera; i grilli prendevano il posto delle cicale. Il rumore dei passi alle spalle di Hange, dapprima uniforme, si fece asimmetrico. Poi strascicato.

Hange continuò a camminare, senza voltarsi. Attraversarono il cortile, si avvicinarono alla porta — chiusa — che dava nel refettorio — vuoto. I pochi superstiti erano ancora impegnati a fare rapporto, o a farsi ricucire, o a lavarsi di dosso il sudiciume e l’angoscia di quella…

— Giornata di merda. — Fece Levi, come leggendole nel pensiero.

— Non mi hai ancora detto che cosa è successo nella foresta.

— Non ti aveva spifferato tutto quella ragazzina inquietante?

— Voglio saperlo da te. — Ribadì lei con fermezza, girandosi a osservarlo.

Cedimento, infine.

Levi si lasciò cadere su un tronco grezzo che faceva da panca, emettendo un sibilo fra i denti, le mani intrecciate davanti a sé, i gomiti sulle ginocchia.

Hange si sedette sull’erba di fronte a lui. La frangia e il crepuscolo gli adombravano il viso, ma lei non aveva bisogno di vederlo, per sapere che i suoi occhi erano puntati su qualcosa che non c’era, cupi e affilati come le lame che gli pendevano, sconfitte, dai fianchi.

 ***

La prima volta che aveva visto quegli occhi, non erano ancora così disperati. Tetri e taglienti, però, sì. Ardenti di una soddisfazione repressa, per aver abbattuto quel primo Anomalo con innaturale noncuranza.

Innaturale. Come aveva fatto a muoversi a quella velocità, conficcare così prontamente le lame nella schiena del gigante, tagliargli la nuca con tale esattezza? Quel teppistello non aveva solo l’agilità che era lecito aspettarsi in un corpo così minuto. Non aveva solo una forza insospettabile per la sua stazza. Sembrava capace di leggere qualunque situazione e adattarvisi all’istante: col corpo e con la mente. C’era qualcosa di strano in quella perspicacia, in quell’intelligenza del movimento. Scienza dell’uccidere. Brutalità calcolata. C’era qualcosa che lo faceva somigliare, per quanto assurda potesse essere questa ipotesi, a uno di quei giganti anomali.

Ancora a distanza di anni, Hange si lambiccava il cervello in cerca di una risposta, ma l’orgoglio di Levi finora le aveva impedito di prelevargli anche solo una goccia di sangue, prendergli misure, sottoporlo a prove sistematiche.

— Non sono uno dei tuoi cazzo di giganti da laboratorio, quattrocchi. — La zittiva ogni volta.

Perciò tutte le supposizioni di Hange restavano prive di fondamento scientifico, e questo era molto frustrante. Le cose non erano migliorate nemmeno con l’arrivo di quella ragazza implacabile e taciturna — Ackerman. Le sue capacità sembravano simili a quelle di Levi, così come il suo caratteraccio; in ogni caso, al momento la priorità del Corpo di ricerca era comunque studiare — e se possibile sfruttare — le trasformazioni di Eren.

 ***

  La mocciosa voleva farsi ammazzare per salvare il suo amichetto. — Si decise a sputare Levi.

  A me ha detto che voleva far fuori il gigante femmina dopo che tu lo avevi reso inoffensivo.

— È lo stesso. — Fece Levi con impazienza. — Mi sono messo in mezzo perché quella... cosa stava per mandare la mocciosa a spiaccicarsi su qualche albero.

Come Petra, pensò Hange, che aveva preso parte al recupero dei corpi.

— Ho tagliato la bocca della stronza gigante, recuperato il moccioso e ordinato alla sua amichetta di ritirarsi. Lui sta bene. Si rigenera come una cazzo di lucertola. Fine della storia.

— Però nel frattempo la "stronza gigante" ha colpito te. — Ribatté Hange, che non aveva più voglia di girarci attorno.

— Sono io che ho colpito lei. La sua mano. Aveva già indurito la pelle, quindi niente spade. Le ho dato un calcio. Mi è venuto di merda, ma almeno la mocciosa è viva.

— Hai rotto qualcosa?

— Può darsi. Ho sentito il rumore. — rispose lui, piatto.

— Posso dare un’occhiata? — Chiese Hange accennando alla gamba sinistra, su cui Levi era andato appoggiandosi sempre meno.

— No.

— Allora vai in infermeria.

— Tsk. Per sentirmi dire di non fare niente per un mese.

Si alzò con aria infastidita e la guardò dall’alto in basso.

— Guarda che Erwin ti metterà a riposo in ogni caso. — aggiunse Hange in un ultimo tentativo di persuasione.

Levi le voltò le spalle e fece alcuni passi.

— Dove vai?

— Dove dovresti andare anche tu: a lavarmi. Puzzo di morte. — Ribatté con un’occhiata di sbieco. Poi si diresse, sempre sforzandosi di camminare normalmente, alle docce ormai auspicabilmente vuote.

Hange lo guardò allontanarsi nel buio.

Tra la capacità del ragazzino di farsi ricrescere interi arti in poche ore e il vizio di Levi di ignorare le proprie ferite c’era forse qualcosa in comune?

 

 


Altra nota dell'autrice
Grazie per essere qui! L'arco narrativo del "Gigante femmina" è uno dei miei preferiti in AoT e spero di avergli reso giustizia, o almeno di non averlo maltrattato troppo. Lo stesso vale, naturalmente, per i personaggi. Sarei felice di conoscere la vostra opinione :)

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Capitolo 5
*** Erwin • Grazia ***


Grazia

Tu stai indietro, Levi.
A te non piacciono le morti inutili.

[AoT - anime, S1E25]

 

 

Lo trovò nell’ultima doccia: era rivolto al muro, aveva i capelli arruffati e pieni di schiuma e si strofinava meticolosamente ogni centimetro di pelle con quel che restava di una saponetta. Il tutto in equilibrio su una gamba sola — ma non senza una certa grazia, notò Erwin.

— Hai finito di guardarmi il culo, comandante? — sbottò l’uomo aprendo il rubinetto.

— È stata una spedizione difficile per tutti, Levi. — rispose Erwin stancamente, evitando gli schizzi di acqua gelida.

— Difficile! Tsk. Ci vuole davvero la faccia come il culo.

— Prego? — Erwin alzò un sopracciglio.

— La 57ª spedizione fuori le mura riprese l’altro con sarcasmo — è stata una merda inutile e lo sai.

— Abbiamo dimostrato la lealtà del ragazzo e lo abbiamo riportato indietro. Non la definirei inutile.

— Abbiamo perso metà dei nostri soldati per un cazzo di niente. Li abbiamo uccisi noi, Erwin.

— Hanno offerto i loro…

Risparmiami queste cazzate. — lo interruppe Levi fulminandolo con lo sguardo e chiudendo l’acqua. — I porci ora si prenderanno il moccioso e ci taglieranno i fondi. Non aspettavano altro.

— Questa notte ci sarà una riunione straordinaria per discutere la questione. Salveremo il salvabile, in qualche modo. — Il comandante tacque per qualche istante; poi allungò un asciugamano al suo sottoposto, che lo afferrò senza tante cerimonie. — Prima però voglio parlare con le reclute: bisogna scoprire chi è la talpa dietro al gigante femmina. 

La schiuma scendeva gorgogliando nello scarico.

— Dobbiamo prenderla. — Aggiunse piano Levi con l’aria di un rapace che punta la sua preda, mentre finiva di asciugarsi.

Tu non devi fare proprio niente. — Scattò Erwin. — Stanotte sorvegli Eren e poi riposo.

Levi lo ignorò e iniziò a rivestirsi con evidente fatica.

— E vai a farti vedere quella gamba, o ti ci porto di peso.



Grazie a chiunque abbia letto fin qui!

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Capitolo 6
*** Armin • Abisso ***



Nota dell'autrice
Questa storia si è praticamente scritta da sola, dandomi lo spunto per le precedenti.
Armin è un personaggio che apprezzo moltissimo e non vedevo l'ora di pubblicare la sua parte! ♥︎ Spero di non averlo stravolto.


Questa storia partecipa all'iniziativa di scrittura Le 12 fatiche dello scrittore di fanfiction indetta da LadyPalma e Mati sul forum Ferisce la Penna.


Abisso


Armin non era tipo da farsi abbindolare dalla forza bruta, e questo era ovvio, considerato quanti calci nelle costole si era dovuto prendere fin da bambino per il solo fatto di possedere un cervello e di volerlo usare. 

— Sei sicuro di voler prendere anche Arlert? — Aveva chiesto, in tono lugubre, la caposquadra Hange.

— Ci serve.

— Non ha il fisico, Levi! È un miracolo che se la sia sempre cavata finora. Non durerebbe un giorno nella tua squadra.

— Miracolo un cazzo. È l’unico tra quei mocciosi ad avere un cervello. 

— Anche Kirschtein non è stupido, e la forza non gli manca. Fatti bastare lui, no? 

— Kirschtein non è stupido, ma il biondino è un cazzo di genio. 

— In effetti ha delle doti strategiche sorprendenti — aveva ammesso lei con riluttanza — ed Erwin l’ha puntato da un pezzo, ma...

— Appena rimette il culo sul cavallo, Erwin è merda di gigante. — Il tono del capitano era persino più aspro del solito.

— La “merda di gigante” non esiste, e comunque Erwin non può continuare a combattere in queste condizioni: dovrà farsene una ragione. Si occuperà della strategia e, già che ci siamo, terrà Arlert con sé. Lo convinceremo. — Aveva concluso Hange, con meno convinzione di quanto le sue parole avrebbero richiesto.

— No. Ci serve un altro cervello oltre al tuo, quattrocchi. Sul campo. O il biondino, o niente.

Armin aveva origliato la conversazione qualche ora prima che lui, Eren e tutti gli altri fossero convocati da Levi come sua nuova squadra, e non gli era piaciuta per niente. Non era tipo da trovare divertente la violenza, nemmeno quella verbale, e il linguaggio da bassifondi del capitano gli dava enormemente fastidio, anche quando serviva, per così dire, a fargli un complimento. 

Erano molte le cose che lo infastidivano del suo superiore, a dire la verità. 

— Il soldato più forte dell’umanità! — aveva gridato anni prima un piccolo Eren in estasi.

— Stronzate — aveva bofonchiato il soldato da lontano, mentre il Corpo di ricerca sfilava mesto per la città.

Da quel giorno le parole crude di Levi non erano mai sfuggite ad Armin, così come la sua supponenza e quell’aria perennemente annoiata, che sembrava voler gridare in silenzio quanto più forte e letale lui fosse di tutti gli altri e quanto il suo corpo fosse una minuscola e implacabile macchina da guerra. Quello che il corpo di Armin, altrettanto minuscolo, non sarebbe mai stato. 

Forse la cosa che più lo infastidiva, però, era che adesso il suo corpo lo era diventato, una macchina da guerra. Solo, di proporzioni gigantesche. Colossali, a dirla tutta.

Levi l’aveva salvato, avrebbero detto gli altri; l’aveva maledetto, avrebbe precisato fra sé Armin, ricacciando indietro la gratitudine. E poi, come si poteva anche solo pensare che il suo briciolo di intelligenza valesse il sacrificio di un uomo come il comandante Smith? 

Un genio, lui? Grazie tante. Adesso era un “cazzo di genio” cannibale capace di trasformarsi in un mostro incendiario. Un mostro inutile, in mano sua, perché con quale coraggio avrebbe potuto servirsene? Il gigante colossale era un’arma che nessuno sano di mente avrebbe mai voluto usare.  

Fino a che punto però sarebbe riuscito a sottrarvisi? Prima o poi sarebbe arrivata una circostanza così disperata da spingerlo a frantumare e bruciare — trucidare — ogni cosa sotto i suoi piedi. Sarebbe arrivata una circostanza in cui la bruta necessità avrebbe vinto, di nuovo, sulla sua coscienza, ed era inutile illudersi del contrario: per quanto potesse raccontarsi di odiare la violenza, per quanto potesse desiderare di essere una persona buona, Armin non poteva negare la realtà dei fatti. Le persone buone non uccidevano altre persone, nemmeno per salvare un compagno in pericolo. 

Avrebbe potuto andarsene da altruista, lasciando il mare agli altri, se solo quella siringa fosse stata usata su chi, pensava Armin, la meritava davvero. Invece Levi aveva scelto il comandante: aveva preferito donarla a lui, la grazia di morire con un sogno intatto, e aveva riportato tra i vivi Armin, che era il più debole, inutile, illuso fra tutte le reclute, inchiodandolo alla sua mostruosità. 

Il ragazzo finì di vomitare, alzò la testa e incrociò lo sguardo del capitano. Era l’abisso.

 


Nota dell'autrice
Grazie a chiunque abbia avuto la pazienza di leggere fin qui! Spero che sia stato piacevole.
- Segue pippone - 
Vorrei aggiungere che non condivido il disprezzo che ho fatto rivolgere da Armin a se stesso! 
Sono anche convinta che la scelta di salvare lui e non Erwin abbia senso in termini di trama e di caratterizzazione dei personaggi.
Che Erwin abbia imboccato una strada suicida si capisce già prima della spedizione a Shiganshina; mi pare una conclusione coerente non solo con il suo personaggio, totalmente dedito alla propria causa e tormentato dalla montagna di cadaveri che ben sappiamo, ma anche con quello di Levi, per il quale non avrebbe senso, credo, condannare Erwin a diventare un "demone" senza più uno scopo. Per di più, è ricorrente in Levi la scelta di salvare i ragazzini, per quanto ostenti di disprezzarli, quindi si capisce come la scelta infine ricada su Armin. E poi, oh, sentite, Armin è davvero un "cazzo di genio" e merita il posto di rilievo che Isayama gli ha riservato! Tutto questo pippone solo per prevenire eventuali polemiche e chiarire la mia posizione sul famigerato "serumbowl". 😇
 

 

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Capitolo 7
*** Erwin • Disobbedienza ***


Seguito, inizialmente non previsto, di “Grazia”. Missing moment dell’episodio 25 dell’anime, che si discosta dal manga in modo abbastanza contraddittorio, però ha questa inquadratura che personalmente adoro! E niente, il mio cervello è partito per la tangente. 


 

Disobbedienza

 

 

Comandante Erwin Smith, uomo tutto d’un pezzo e combattente esemplare: così lo definivano pubblicamente i soldati del Corpo di ricerca. “Pazzo megalomane che gioca a dadi con le vite dei civili” sarebbe stato più calzante, rifletté lui immaginando i loro pensieri più reconditi e leggendo quelli non così nascosti di Nile Doak e di mezza Gendarmeria. Tutti comunque avrebbero dovuto concordare su una cosa: non era il tipo d’uomo che perde la calma facilmente.

Erwin continuava a ripeterselo invano mentre osservava il piccolo profilo spigoloso emergere dai vapori dei due giganti ai piedi del Wall Sina e sentiva le braccia fremere dalla voglia di andargli incontro, sollevarlo di mezzo metro e prenderlo sonoramente a sberle. Un tale comportamento, tuttavia, sarebbe stato inammissibile per il suo ruolo, così restò immobile a osservare Levi avvicinarsi rigido e spedito.

Dietro l’espressione impassibile, un occhio attento avrebbe potuto scorgere in quel viso affilato un’ombra di colpevolezza. E l’occhio di Erwin era molto, molto attento. Levi guardava risolutamente dritto davanti a sé senza vedere né il comandante, né nessuno dei soldati schierati alle sue spalle1. Erwin attese pazientemente che lo incrociasse e ricambiò senza incontrarlo il suo sguardo duro. A un occhio attento sarebbe stato anche evidente che quella grandissima faccia tosta di un avanzo di galera zoppicava, per quanto cercasse di nasconderlo. Lo percepì allontanarsi alle sue spalle fra gli edifici scampati alla furia dei due giganti mutaforma e represse l’impulso di seguirlo immediatamente.

C’era molto da fare. In lontananza, la squadra di Hange si affaccendava intorno al cristallo in cui si era rinchiusa Leonhart: ottenerne informazioni utili non si prospettava come un compito facile. Jaeger, riemerso dal suo gigante, doveva essere riportato sotto la custodia del Corpo di ricerca prima che tutto il lavoro della giornata e della notte precedente finisse vanificato. Le reclute scalpitavano e, come se non fosse bastato, il sindaco di Stohess pretendeva spiegazioni per le numerose vittime fra i civili. Erwin eseguì con scrupolo tutto ciò che il dovere gli imponeva, ignorando il fremito di rabbia che continuava a percorrergli il corpo. 

Qualche ora e diversi problemi dopo riuscì a svincolarsi brevemente per inoltrarsi con discrezione tra i vicoli di Stohess. La città era silenziosa e spettrale, porte e finestre sbarrate per la paura.

Erwin non dovette aspettare molto: in pochi minuti, con un sibilo e un guizzo di verde Levi gli atterrò davanti vacillando leggermente. Sotto il cappuccio era molto pallido.

— Mi hai disobbedito. — Lo rimproverò Erwin con meno durezza e più delusione di quanto avrebbe voluto.

— Sì.

— Non è da te.

— Lo so.

— Dovrei prendere provvedimenti. 

— Dovresti. — “Ma non lo farai”, intendeva dire la canaglia. Quella consapevolezza esibita mandava Erwin su tutte le furie. 

I due si inoltrarono nella città. Nella penombra del tramonto Levi si muoveva con la stessa disinvoltura furtiva che aveva avuto da giovane ladro nel sottosuolo. Suo malgrado, Erwin non riusciva a smettere di guardarlo; era sempre andata così fin dall’inizio.

— Non voglio nemmeno sapere come sei riuscito a portarti qui il dispositivo e la divisa.

Levi si addentrò in un vicolo, si scosse via il cappuccio e sostenne lo sguardo di Erwin. 

— Come è andata la tua scommessa? — Gli chiese, invece di replicare.

Sapeva esattamente dove colpire per provocarlo; per di più, ora la scossa sotto la pelle che il comandante sentiva non era né di risentimento per l’attacco personale, né di sdegno per l’insubordinazione. 

Lottando contro se stesso, Erwin soppesò l’esito del piano. Stanare la traditrice dietro al gigante femmina era la parte riuscita. Certo sarebbe stato meglio evitare che Jaeger si trasformasse: quel ragazzo andava tenuto a freno; che Leonhart si fosse sottratta in quel modo all’interrogatorio, poi, era una vera sconfitta. Dare ragione a Levi, tuttavia, era fuori discussione.

— Ti avevo ordinato di starne fuori. — Gli ricordò invece.

Il capitano incrociò le braccia e appoggiò la schiena al muro con un sospiro soffocato.

— Quanti civili morti, Erwin?

— Non lo sappiamo ancora.

— Dovevi lasciarla a me, quella talpa di merda.

Erwin gli si accostò. Solo da vicino notò che tremava e sudava, avvolto da una tristezza profonda che trascendeva il risentimento.

— Non sei in condizioni, mi pare evidente. 

— Mi pare di aver dimostrato il contrario. — Come al solito, ne faceva una questione puramente fisica. Erwin decise di ribattere sullo stesso piano.

— I feriti non combattono, Levi, non c’è bisogno che te lo spieghi.

— Spiegamelo.

Era davvero esasperante.

— Primo, mi hai disobbedito e non sei più passato in infermeria, quindi non sappiamo nemmeno che tipo di ferite hai. 

— Ho sistemato tutto da solo. Sono capace.

— Di andartene in giro a volare con ossa rotte o chissà cos’altro. 

Levi alzò le spalle.

— Qualunque cosa abbia, passerà come ha sempre fatto. 

Erwin alzò gli occhi al cielo. Essere cresciuto fuori dalla civiltà era un conto, ma rifiutarsi di accedere anche alle più banali cure mediche del Corpo più negletto dell’esercito era decisamente eccessivo.

— Tu non sei normale. — Sbottò senza riuscire a trattenersi.

— Direi proprio di no. — Mormorò Levi con una punta di rammarico.

— Secondo, — riprese Erwin recuperando un tono professionale, — se avessi preso parte all’azione di oggi avresti rischiato di subire danni permanenti.

— Forse. Però avremmo catturato quella stronza ed evitato tutto questo casino.

— Era un rischio troppo alto. Non potevo permettermi di correrlo.

— Certo. Per te siamo tutti delle cazzo di pedine su una scacchiera e io sono la stramaledetta regina2 che tu non puoi permetterti di usare.

Certo che era la regina. Era tutto. Ogni cosa bella e brutta che si potesse trovare nel rimasuglio di umanità intrappolato fra quelle mura. Era la violenza più bieca e la grazia più sublime; era la goccia, ma anche la pietra; un soldato e un criminale, un’anima antica e un bambino indifeso. Questo avrebbe voluto dirgli.

— Si chiama catena di comando. Il superiore ordina, i sottoposti eseguono. — Sputò invece il comandante.

— Si chiama scommettere con la pelle di tutti meno che con la mia.

Colpito e affondato. Erwin si sentì inchiodare al muro da quegli occhi d’acciaio per i quali si sarebbe volentieri lasciato divorare vivo. Ma questo non poteva dirlo.

Improvviso come era arrivato, Levi diede gas, sparò i rampini e si dileguò fra le case. Il comandante Smith, uomo tutto d’un pezzo e combattente esemplare, non ebbe la forza di seguirlo. 

A pochi isolati di distanza, la conta delle vittime proseguiva.

 


1. L’espressione proviene da qui: «Amavo Gallo, e insieme lo odiavo. Nei primi anni della mia vita ero così affascinato da lui che mi accorgevo di me stesso solo quando mi riflettevo nei suoi vivaci occhi azzurri, che non vedevano né me né nessun altro». (G.Vidal, Giuliano) ^ torna su

2. Come sappiamo un po’ tutti (correggetemi se sbaglio), negli scacchi la regina è il pezzo più potente: l'unico che può muoversi in tutte le direzioni a qualsiasi distanza.^ torna su

 

Note

Se avete letto fin qui, vi ringrazio tanto! 💛
- - Segue sproloquio - -
Oggettivamente non è un granché, quindi perdonate se i personaggi sono OOC. Non è mai mia intenzione stravolgerli, ma Erwin è proprio difficile da inquadrare! Diciamo che nella mia testa sarebbe attratto da Levi e cercherebbe di non darlo a vedere per rispetto del proprio ruolo, mentre Levi, beh, sappiamo che non è il tipo più espansivo del mondo e che la sua frase più romantica è "rinuncia al tuo sogno e muori". Capiamoci. 😉

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