Prime Volte

di Florence
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Forbice - 2004 ***
Capitolo 2: *** Un Dio - 2004 ***
Capitolo 3: *** Nero - 2006/2008 ***
Capitolo 4: *** Effetto Farfalla - 2008 ***
Capitolo 5: *** Stagioni - 2009 ***
Capitolo 6: *** Perché - 2010 ***
Capitolo 7: *** #P - 2011 ***
Capitolo 8: *** Probabilità - 2011 ***
Capitolo 9: *** Onde - 2012 ***
Capitolo 10: *** Ponte - 2012 ***
Capitolo 11: *** Cтрах- 2012 ***
Capitolo 12: *** Fire - 2012 ***
Capitolo 13: *** Entanglement - 2013 ***
Capitolo 14: *** Stammi Vicino - 2014 ***



Capitolo 1
*** Forbice - 2004 ***


Forbice - 2004

Victor

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt: Consiglio

 

-------------------

 

-Devi deciderti Victor!-

Georgi incrocia le braccia, un paio di forbici fa capolino dall'incavo del suo gomito sinistro. Si vede più inquietante del solito, nel riflesso dello specchio. Un po’ più in basso, nota una minuscola lacrima che si nasconde dietro le lunghe ciglia chiare del suo amico, seduto davanti a lui di spalle. Victor tiene gli occhi bassi, puntati sulle mani che sta torcendo in grembo una con l'altra, ma non le sta davvero guardando. Georgi ne è sicuro.

Lascia andare un sospiro, posa le forbici sul mobiletto del camerino, davanti a loro e si appoggia con entrambi i gomiti sulle spalle di Victor, che sussulta.

-Allora, ti decidi a spiegarmi il perché di questa decisione?-

Anche Victor sospira, l'aria lascia le sue labbra in un soffio lungo e desolato.

Apre gli occhi e guarda in su, come a cercare una risposta in quelli del suo amico. Si conoscono da una vita, praticamente, può azzardarsi a vuotare il sacco con lui.

 

-Lei… si sente a disagio… Mi ha detto che sembro una femmina e che non riesce a…-

-Chi?-

-Svetlana…-

Georgi si solleva e di nuovo si mette a braccia conserte, spostando il peso su una gamba, per guardare meglio il suo interlocutore.

-Quella Svetlana!?-

Victor stringe le labbra, un po’ colpevole, un po’ imbarazzato.

L'altro scatta all'indietro, le mani gli tappano la bocca prima che possa strillare.

-Ti scopi Svetlana Kurnikova e me lo dici così!?-

Victor avvampa. -Frena, frena frena! Io non… mi scopoSvetlana…- Butta un occhio alla porta del camerino, spera che nessuno abbia ascoltato quello scambio di battute.

-Ah no? E che ci fai? Ci vai a raccogliere i fiori assieme?- Georgi non vorrebbe essere così caustico, ma maledizione: Svetlana Kurnikova! Lei è… è il desiderio proibito di tutta la squadra maschile di pattinaggio di figura e probabilmente di mezzo mondo del balletto di San Pietroburgo! Dannato Nikiforov, se lo doveva immaginare! Prima pucci-pucci alla festa di capodanno, poi quelle uscite con “una”, che puzzavano tanto di roba top secret e poi…

-Siamo amici, solo questo…-

 

-Amici!? Cito: “lei è a disagio” e anche “le sembro una femmina e lei non riesce a…” A fare cosa, disgraziato!? Non riesce a raccogliere le margherite!?-

Victor è paonazzo. -No…no non è co…-

-... Oppure non riesce a venire a letto con te, perché soffoca avviluppata da… da…- Con le mani, Georgi schiaffeggia la lunga chioma di Victor, facendo volare i suoi capelli in un turbine argentato.

 

-Ohi, basta eh!- Victor ferma le mani dell'altro con un colpo leggero del braccio. Gli tocca dire tutto…

-Credo che sia invidiosa… Si sta facendo allungare i capelli da sei anni e questi non collaborano e allora…-

-Miss neurone ci arriva che ce li ha ricci!? E che per arrivare ad averli lunghi un metro come i tuoi le ci vorrebbe una vita intera?-

Victor si sgonfia come un palloncino.

-Gliel'ho fatto notare anche io- sbuffa via.

 

Georgi torna nella posa a braccia annodate, il peso sulla gamba più indietro e il piede davanti che batte sul pavimento di gres.

-Quindi, qual è il problema?- Guarda torvo l'altro, ovvio che il discorso non finisca lì. È un bel po’ che Victor gli sembra strano, se può usare un eufemismo, diciamo da quando è uscito la prima volta con…

 

-Ma ci hai almeno provato?- E la risposta sarà un no.

 

-No.-

Ecco, come volevasi dimostrare. 

Tanto lo sapeva che prima o poi ci sarebbe finito in questo discorso, sperava almeno che fosse in una circostanza meno controversa. Un'idea sorvola la sua mente come un falco sulla steppa.

-E con Irina Bobulova? Con lei ci sei andato a letto?-

 

-No…-

 

-Georgiana Litpzichova?-

 

-No… però abbiamo…-

-Cosa?-

-Ecco… quasi- Victor stringe i denti e allarga le labbra. Sa di aver detto un'eresia, almeno per le orecchie tracimanti testosterone di Georgi Popovich.

 

-Diavolo, Victor! Georgiana è famosa per presentarsi a un nuovo uomo, dargli la mano e scoparselo nel giro di un quarto d'ora! Se la sono fatta tutti! Anche-

 

-Non me lo dire! Non voglio sentire una parola in più su Georgiana!-

 

Georgi stende le labbra in un sorriso sghembo. Fa quasi paura.

-Sentiamo… perché ti dà tanta noia parlare di lei?-

-Beh, perché è un'amica, diamine!- 

 

E certo. Cos'altro se non un'amica! Georgi si arrende e lascia crollare le braccia lungo i fianchi. Ma perché doveva toccare a lui quel discorso!?

 

Si abbassa sui talloni fino ad avere gli occhi più in basso di Victor, mette una mano sul suo braccio e si sforza di apparire il più adulto e confortante possibile.

 

Adulto e confortante. Seee! Lui!? Farà un macello, lo sa.

-Victor, allora, vediamo… Georgiana, Irina, Svetlana… c'è qualcun'altra con cui sei uscito e non ci hai fatto niente?-

 

Christophe Giacometti.

Denis Jarjayes.

Marc Taylor.

Alexj Brotorv.

 

Ma che va a pensare! Sono state uscite per una bevuta dopo le gare e poi loro sono maschi!

 

Allora Victor porta l'indice della mano libera alle labbra, ci deve pensare meglio.

 

-Masha Kozlova. Michelle Dupaine. Oh… anche Renée Grandier. Carina, lei…!-

 

Georgi chiude gli occhi.

-Carina?-

-Sì, carina! Ha dei bellissimi occhi verdi e delle mani così delicate…-

-Carina! Ha la quarta e non perde occasione per mostrarle! E la Kozlova!? Anche lei la definisci ‘carina’!?-

Victor stringe le labbra, di nuovo nascoste dall'indice della sinistra.

-No, lei è decisamente sexy, hai ragione!-

 

Georgi pensa che non ce la può fare!

-E posso sapere come mai, se la trovi sexy, non te la sei scopata??? Anche lei è del gruppo “visioni aperte, cosce spalancate”! Cazzo Victor, cos'hai che non va!?-

E mentre lo dice, Georgi capisce. Merda… Da rosso per l'arringa animata, impallidisce, si scosta dal braccio di Victor, lo vede avvampare, le mani che si serrano sui braccioli della sedia, occhi che sfuggono.

 

Silenzio.

Solo il ticchettio dell'orologio di retaggio sovietico spezza l'aria e dà il ritmo a due pensieri così distanti e vicini.

 

-A te non piacciono le donne…-

-Non voglio mancare di rispetto a nessuna!-

 

Oh…

 

Ah!

 

Victor sente il cuore fermarsi e riprendere a battere, è la prima volta che qualcuno gli dice quella cosa ed è travolto dal peso di quella affermazione.

 

-Beh… beh… cioè… sei un cavaliere di quelli di inizio Novecento?- Georgi ci prova, forse ha frainteso tutto. 

O forse no.

 

Gli rispondono due occhi spalancati su di lui, occhi grandi come fanali che illuminano come riflettori l'atleta in pista. Dietro a essi, il cervello di Victor macchina e processa informazioni, sensazioni, pensieri a una velocità devastante.

 

Rullo di tamburi…

Si esibisce adesso “Consapevolezza Nikiforov” sulle note di I Will Survive! Il suo programma libero ha tre quadrupli nella prima metà e una serie di trottole più un quintuplo carpiato arrampicato sugli specchi nella seconda metà! Un applauso a…

 

-Sono gay?-

-Nomacosavaiapensare Victor! E abbassa la voce, cazzo!-

 

Ancora i riflettori azzurri tendenti al grigio non si sono spenti. Ora trasudano angoscia, quasi lacrime. È una cosa così… vergognosa da dover parlare piano? 

 

-Sono gay…- Bisbiglia.

 

Georgi inspira, inspira, inspira…

 

-Ti piacciono i maschi?-

-No!-

 

No? 

 

-E allora forse è davvero un discorso di… cavalleria? Rispetto?- Ci prova. Lui ci prova davvero a convincerlo e convincersi che sia l'unica spiegazione logica e in fondo non può criticare quel modus vivendi così dannatamente dandy d'altri tempi del suo amico. Cucca: tanto basta.

 

-A me piace Georgiana! E anche la Grandier!  Le sue tette formato gigante, sono sode e ci si sta bene col naso lì in mezzo, che ti credi!? Che sia cieco? Che non abbia… provato? Che non sia finito lungo disteso sul letto di Svetlana mentre lei… oh, dannazione! Le danno noia i miei capelli mentre noi…-

 

Victor va nel pallone, non ci capisce più niente.

 

Anche Georgi non capisce più nulla, però e allora azzarda ancora. 

-Te le sei fatte o no?-

-No! Sì… insomma… quasi!-

 

Georgi afferra una sedia e la porta vicino a quella di Victor. Si siede a cavalcioni, ha bisogno di un sostegno per appoggiare la testa quando gli crollerà in avanti, lo sa.

 

-Definisci “quasi”.-

 

Victor gesticola, i lunghi capelli si muovono attorno alle sue spalle come serpenti sottilissimi.

Georgi pensa che loro due hanno la stessa età, ma Cristo Santo, lui sembra averne quattordici di anni, non diciassette!

Era a quattordici anni che lui si era posto la prima volta la domanda “ma se gliel'ho infilato a metà, conta come scopata o no?” non adesso, che è quasi maggiorenne!

 

-Calmati.- Afferra le mani di Victor, lo guarda, gliele alza e abbassa, sorridendogli e mostrandogli come si fa a respirare.

 

-Du… dunque… Io le… porto fuori, cioè, usciamo e di solito poi facciamo quattro passi e…-

-Stringi il campo. Scegline una e racconta.-

 

Victor ci pensa. Tra tutte, forse, quella che gli è più rimasta impressa è… Christophe…

No, d'accordo, quello non c'entra nulla.

 

-Svetlana, ok. Siamo usciti, era un venerdì sera e lo sai che Yakov me lo lascia libero, almeno fino alle una. Mi sono fatto trovare sotto casa sua: beata lei che vive già da sola e non in un dormitorio comune come noi!-

-Beh, ha più di vent'anni, fai te… Certo che tu tutte le fortune, eh! Vai avanti…-

-Sì, Ok. Insomma, la passo a prendere e andiamo a cena in quel ristorantino thai, quello sulla Kamennoostrovskiy. Buono. Dopo avevamo deciso di andare al cinema, davano “L'isola” al Rodina… A quel punto la riaccompagno a casa e lei mi invita a salire… Sai, prima a tavola avevamo parlato molto e durante il film al cinema mi teneva la mano… e quindi, giù al portone di casa sua lei mi fa “Dai, vieni su, ti faccio vedere la mia stanza” e io “Ok. Perché no?” Abbiamo preso l'ascensore e appena si sono chiuse le porte lei mi ha baciato e… È stato bello… sì, decisamente bello… Eh eh! E allora siamo entrati nel suo appartamento e non ha fatto in tempo a chiudersi la porta che lei si è tolta in un nanosecondo la maglia e sotto aveva solo un reggiseno di pizzo e poi mi ha trascinato in camera e…-

 

-Stop.- Georgi allunga una mano davanti a sé. -Prima hai detto che non ci hai provato con lei.-

 

Victor esala un sospiro stizzito.

-Fammici arrivare!-

-Prego.-

-Grazie.-

-Ascolto.-

-Ok… Allora… dicevo… Mi trascina sul letto e io rido, no? Sai, ero nervoso… la cena stava facendo a cazzotti con l'ansia nello stomaco e…- Un'occhiata al vetriolo fa svolgere la pellicola più velocemente

Ok.

-Mi dice “fammi tua” e io… Cazzo… perché non ho bevuto di più a cena!? Le dico “Non aver fretta, baby…”-

 

Georgi sente la necessità di rimettere, inspira, fa cenno con la testa di andare avanti. Ok. Mai, mai più si ficcherà in una situazione del genere. Prima e ultima volta! 

 

-Allora la sfioro con un dito… Mi accorgo che sto tremando, panico… Devo farmi dire che crema per il corpo usa, perché era così liscia e profumata…-

 

Mai più… mai più!

 

-E lei dice “E dai, mettiti comodo” e prende la mia mano e se la piazza su un seno e io… Gesù! Sento formicolare un po’... Insomma… sotto… E lei si solleva e mi tira via la giacca e poi di nuovo mi bacia e si mette praticamente a cavalcioni su di me e io…-

 

-Ti era venuto duro…-

 

-No! È questo il problema! E lei se ne è accorta! E allora inizia a sbottonare la camicia e intanto mi bacia e mi lecca tutto il collo e il petto e io… wow… Chiudo gli occhi e non penso che è Svetlana Kurnikova a infilare le mani dentro la camicia e graffiare sulla pancia, sulla schiena… Mi lascio baciare e spogliare e lei mi fa “Apri gli occhi” con una voce… ma una voce che… E io apro gli occhi e lei si era tolta il reggiseno e… Oddio! Ho sentito di nuovo formicolare tutto e ho capito che…-

 

-Allora almeno ti sarà venuto duro!-

 

-Sì! Però mi è anche preso un colpo, sono scattato in ginocchio sul letto sbalzandola via e facendola ricadere lunga distesa. Io lì per lì volevo scappare, perché se poi non… insomma… Ma lei ha frainteso, ha pensato che volessi stare sopra e mi ha sorriso come… come… Magari si aspettava, che so, che mi tuffassi a pesce su di lei, ma io ero pietrificato e ha lei ripreso in mano la situazione, mi ha tirato verso il basso, cioè… avevo le sue tette proprio lì a due centimetri e allora in un gesto quasi meccanico ho strappato via l'elastico dai miei capelli per non vedere troppo, perché se vedevo ancora allora ci stava che poi, cioè…-

 

Georgi sospira ancora. Victor lo guarda come se avesse confessato l'omicidio di un neonato.

 

-È stato allora che ti ha detto che devi tagliarli?-

-...-

-Ti ha detto “questi capelli danno noia, dovresti tagliarli” e…-

-No, li ha afferrati e ha iniziato a tirare e diceva “Accidenti a questi capelli, voglio vederti in faccia mentre ti farò godere come un…”-

 

-Ah!-

-Ah… solo che mi ha fatto male! Mi voleva fare lo scalpo! E quando mi ha buttato giù e mi ha tirato via pantaloni e mutande tutto insieme… ecco… lui era tornato un po’... mogio… diciamo…-

 

Georgi sbatte un palmo sulla spalliera della sedia che sta cavalcando. Sembra più il racconto di un incontro di lotta che del preludio a una scopata, sant’iddio! 

 

-Ti si è ammosciato perché ti ha tirato i capelli!? Cazzo, Victor, fai proprio cagare come amante!-

 

Gli occhi azzurri diventano di ghiaccio, l'espressione si fa severa: Victor non l'ha presa bene.

 

-Quella è una ninfomane che mi ha tirato i capelli e poi, come se non bastasse, ha detto anche “Oh, ci penso io quaggiù” e si è chinata e me lo ha…-

 

-Ok! Ok. Basta così! Ma alla fine, quindi!?-

 

-Quindi… le ho detto che i capelli sono parte di me, che non li taglio da quando ho memoria, che sono un po’ come i capelli di Sansone e che anche i suoi sono bellissimi e che non si tirano i capelli, sennò si sciupano e allora lei mi ha detto che li vuole fare allungare e mi ha chiesto se li spunto quando c'è la luna nuova e se funziona e poi che balsamo uso e poi-

 

-Vi siete messi a parlare di capelli mentre ti faceva un pompino?-

 

Victor è rosso tiziano. Abbassa lo sguardo. Conclude.

-Ha smesso subito di fare… quella cosa là, perché lui non collaborava… Allora lei mi ha detto “Non preoccuparti, cucciolo, va bene così” e mi abbracciato e siamo stati tutta la notte a chiacchierare e… e… È tutto.-

 

Georgi non crede alle sue orecchie.

-Scusa… solo per capire eh… E con le altre?-

 

Victor non risponde.

Poi prende aria e coraggio.

 

-Siamo rimasti buoni amici. Più o meno è andata allo stesso modo. Georgiana però è stata la meglio: ci ha riprovato più volte, alla fine, una volta, ce l'abbiamo quasi fatta, ma eravamo già diventati così amici che sul più bello è stata lei a dire “ma che siamo facendo, Vitya?” ed è scoppiata a ridere.-

 

Anche Georgi ride, a questo punto.

 

-Però mi ha fatto un pompino roba da oro e… e anch'io mi sono dato da fare con…- indica la bocca, ma quando tira fuori la lingua è talmente rosso e Georgi talmente travolto dalle risate, che non se ne accorge neppure.

 

-Cioè, ma mi spieghi come faccio a pensare di… Se poi ci entri in confidenza e dall'altra parte… capisci… Io non… Non c'è stata nessuna scoperta, nessuna conquista, l'interesse era solo da parte loro e poi… Non ho sentito niente qui.-

Victor porta una mano all'altezza del cuore, non dice altro. È agitato, vorrebbe scappare e vorrebbe capire e anche sperare e provare e…

 

Georgi smette di ridere, come potrebbe continuare a ridere di quel fenomeno che finalmente si è aperto come un gelsomino notturno e cerca risposte in lui? Lo guarda: Victor è un ragazzo bellissimo, non gli manca niente, forse solo un po’ di sano machismo sovietico. Ma Georgi non ha difficoltà a mettersi nei panni di tutte quelle ragazze che mirano a fare cose con Victor. Però poi si chiede…. lui, davvero, cos'è che cerca? 

 

Dopo un bel po’, Georgi si alza e si rimette alle spalle di Victor.

-Quindi, in definitiva, perché vuoi tagliare i capelli, adesso?-

 

E Victor muta, sul suo volto torna l'espressione seria, adulta, statuaria da dio della pista di ghiaccio. Stringe un pugno e una scintilla nei suoi occhi si accende.

 

-Perché devo crescere. Voglio crescere. Perché arriverà qualcuno che forse la penserà come Svetlana e sputacchierà i miei capelli che gli entrano in bocca, e allora so che vorrò apparire più maschio, più adulto. Perché io in questa insicurezza ci muoio, Georgi.-

 

-Wow… È un bel passo avanti, Vitya!-

Georgi riprende in mano le forbici.

 

-Vado?-

 

È già con le lame sulle ciocche, quando…

 

-Aspetta!-

-Di nuovo!?-

-Aspetta… prima… dammi un consiglio, Georgi…-

 

L'interpellato si siede di nuovo, Victor lo guarda negli occhi.

 

-Cosa ho sbagliato, finora? Io sento dentro di me la voglia di amare ed essere amato in tutti i modi in cui si può amare. Con gli occhi, con l'anima, con il corpo… Perché non ne sono capace? A volte mi sento scoppiare e non vedo l'ora di uscire con una ragazza, ma poi…-

 

Georgi sorride, abbassa appena la testa, guarda ancora l'amico. 

 

-Io credo che presto ti sbloccherai e farai furore fuori e dentro al letto. Credo che ti divertirai parecchio e farai divertire appieno le tue conquiste. E anche che troverai tante persone con cui passerai la notte a parlare e parlare e ridere… E poi credo che passerai giorni a chiederti cosa abbia significato tutto ciò. Ma se mi parli di amore… caro mio… l'amore! Ah l'amour l'amour! Quando quello arriverà, sono sicuro che lo capirai da solo, perché non importerà se hai i capelli lunghi i corti o se ti tornerà in gola il thai o se lei avrà la quarta o sarà piatta come un ceppo o grassottella o più secca di un'acciuga o se all'inizio non ci sarà intesa tra testa, cuore e parti basse: arriverà un attimo in cui tutto sarà chiaro dentro di te e saprai di aver trovato la persona giusta che ti farà ridere, ti accenderà come un cerino, che ti coccolerà e che vorrai coccolare e vorrai essere una cosa sola con lei. E quando succederà… oh, Victor… allora sarai felice davvero.-

 

Victor lo guarda, nei suoi occhi si agita una tempesta di emozioni. Sorride e posa una mano su quella di Georgi.

 

-Taglia.- Comanda e tiene gli occhi aperti mentre le ciocche cadono a terra una dopo l'altra, insieme alle sue paure.

 

Paura di essere quello che è.

Paura di non piacere.

Paura di piacere troppo.

Paura di non avere il coraggio di osare.

Paura di osare troppo.

Paura di lasciarsi andare ai suoi pensieri.

Paura di scontrarsi con i suoi desideri.

Paura di capire cosa voglia davvero.

Paura di osare e paura di aver paura.

 

Paura di amare, di lottare, di mettersi in gioco, di affrontare un percorso che non sia in discesa, paura di abbandonare i sogni, paura di soccombere alla noia, paura di essere coinvolto troppo. Paura di restare solo.

 

-Grazie-, dice soltanto, quando Georgi ha finito il suo lavoro.

 

-Prego-, gli risponde lui e batte una mano sulla sua spalla.

-Però un consiglio: se ricapita… evita i film pacco e resta su una cucina più tradizionale. Lascia perdere le cose esotiche come thai o giapponese o indiano, che rischi di farti andre di traverso un pezzo di sushi o che lei abbia la lingua ancora piena di piccante e poi son cazzi amari!- Sghignazza, ammicca e poi torna serio. -E mettiti la sciarpa, quando esci, adesso ti farà freddo al collo-, aggiunge e va via, perché ha un appuntamento con una ragazza che gli piace. Si chiama Anya, ha già detto che la sposerà, ma ancora non hanno avuto un appuntamento da soli.

 

Victor pulisce per terra, prende le sue cose, e spegne la luce, prima di chiudere il camerino dietro a sé.

In mano ha le forbici che ha usato Georgi. Le guarda, le apre, passa un dito su ciascuna delle due lame. Per un attimo, poco prima, si è sentito al bivio, davanti appunto a una forbice di possibilità. 

Si perde nei pensieri finché non viene scosso da un rumore dal fondo del corridoio.

Sospira. Punta le dita sul perno e richiude le forbici, le lascia sul mobiletto all'ingresso ed esce.

 

È il momento di tornare a pensare solo al pattinaggio, ha un aereo quella sera stessa, Mosca lo attende e la medaglia d'oro sarà sua. Non è approdato ai senior per perder tempo dietro le ragazze, è ora di fare sul serio.

 

Non sa se riuscirà a vincere tutte le sue paure, né se troverà mai l'amore che diceva Georgi. Al momento c'è un solo vero amore nella sua vita e sta a lui conquistarlo, gara dopo gara. 

A tutto il resto ci penserà poi, ora è il tempo di volare.



 

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Capitolo 2
*** Un Dio - 2004 ***


Un Dio - 2004

Yuri


OS partecipante alla challenge Prime Volte indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia - Prime volte 

 

Prompt: Mezzanotte


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Yuuri aveva organizzato tutto nel dettaglio. Aveva convinto Takeshi a una tregua, in cambio di tre numeri di One Piece che gli erano sfuggiti quando li davano in edicola, cinque carte Pokemon serie V astro olo a scelta e una scatola di biscotti al burro che non si trovavano al combini e che a Yu-Topia erano invece offerti col pacchetto onsen+massaggio.

In cambio, era arrivato l'invito.


-Yuu-chan, sei sicuro di voler andare a fare il pigiama party da Takeshi?-

La mamma è sempre un passo avanti. Certo, ovvio che le faccia strano questa richiesta, d'altronde Noshigori non perde mai occasione di prendere in giro Yuuri e metterlo in ridicolo davanti a Yuuko, sulla pista e non.

-Ci saranno anche gli altri del corso, tranquilla ma’. Prima facciamo un allenamento all'Ice Castle tutti insieme, prendiamo le pizze e dopo ci fermiamo a dormire da Takeshi.- Non era sufficiente per tranquillizzare la mamma…

-Tutto qui. E poi domattina c'è scuola, quindi vedrai che non faremo tardi. Massimo le dieci e mezza, undici a scialare. Lo sai che Noshigori è uno che fa tanto il grande, ma poi crolla come una pera cotta alle nove e mezza, no?-

Hiroko Katsuki non è convinta, Yuuri lo legge nella ruga che solca verticalmente la sua fronte.

-Mamma, cosa ti preoccupa?- Le domanda, stringendole le braccia tra le sue mani.

La donna sospira, stringe le labbra, sposta lo sguardo e una spolverata di imbarazzo le arrossa il viso paffuto.

-Voi non… non farete cose… sconvenienti, vero?-

Yuuri allontana le mani come scottato.

-Scon… in che senso!?-

-Quei ragazzi sono più grandi di te, Yuu-chan… non ti faranno guardare video da… da adulti… vero?- Adesso è paonazza e Yuuri più di lei.

 

-Ma’, tuo figlio ha barattato l'invito con dei manga di One piece e delle carte Pokemon… davvero pensi che questi ragazzini abbiano una visione così ampia del mondo?- Mari si intromette nella conversazione e Kamisama! per una volta Yuuri è felice di averla per sorella.

-Tutt’al più giocheranno a qualche videogame, massimo della trasgressione: spegnere la luce alle dieci e mezzo! Fidati di loro, ma’.-

 

Yuuri annuisce con veemenza, Hiroko sospira e si tranquillizza, Mari sfoglia il catalogo virtuale dei regali che suo fratello le dovrà in cambio di quella arringa.

 

-Scappo o farò tardi!- Ne approfitta il piccolo di casa Katsuki, bacia la mamma, lancia un gesto d'intesa alla sorella, urla un saluto al padre e gratta la testa di Vicchan. -Fai il bravo-, dice al barboncino e lui abbaia. 


-Mari, quant'è cresciuto…- Hiroko si siede e ha quasi i lucciconi agli occhi. È la prima volta che suo figlio si ferma a dormire da qualcuno e, anche se ha già tredici anni, a lei fa effetto.

-Ma’, ma… te lo ricordi che giorno è oggi?- Mari è una traditrice. Se Yuuri fosse lì, la prenderebbe a sberle.

-No, che c'è oggi?-

-La Rostelecom Cup, l'ultima tappa prima della finale del Grand Prix e Mr Nikiforov è come sempre tra i favoriti. Pensi davvero che giocheranno ai videogames o, ancora più improbabile, si mettano a guardare filmini porno tutti insieme?-

 

Hiroko sbianca, poi rinsavisce.

-Mari Katsuki, modera il linguaggio!- Le servono però più informazioni. -Dove la vedrebbero questa gara? Yuuri ha detto che non la danno in TV. E poi, a che ora sarebbe?-

 

Mari prende il guinzaglio di Vicchan, ha lanciato la bomba e adesso se la deve svignare.

-I Noshigori hanno la parabola e troveranno qualche canale russo che la trasmette. Mi pare che inizi alle diciassette e trenta, giù di lì… Ciao ma’!- E scappa via.

 

La signora Katsuki non fa in tempo a rispondere, ma un dubbio la assale; scatta verso la porta della locanda e sbraita verso la figlia.

-Ora nostra o ora della Russia?-

 

-Russia, mamma, Russia!- Le risponde la figlia, sventolando una mano, prima di svoltare l'angolo, trascinata dal cane.

 

Hiroko torna dentro, alzando una a una le dita della sinistra davanti a sé.

-Cosa conti?- Le chiede il marito.

-Diciassette più… quante ore di fuso ci sono tra qui e Mosca?-

-Hum… sei, mi pare…-

-Diciassette e trenta più sei… Le undici e mezzo! Kamisama, Yuuri!-

L'indomani loro figlio sarà uno zombie a scuola, ci può mettere la firma.

 

---

 

Nel salotto di casa Noshigori crepita la stessa elettricità che c'è su un cavo dell'alta tensione immerso in una nuvola.

-Silenzio!-

-Passa le patatine!-

-Shhh!-

-Allora, l'hai trovato il canale?-

-Non si capisce qual è, accidenti!-

-Dai Takeshi, sarà quello dell'altra volta.-

-Trovalo te!-

-Si chiama “Sport” non è mica complicato!-

-Sì, ma è scritto in cirillico!-

-Aspetta, lascia fare a me.-

-Спорт, eccolo!-

-Grande Katsuki! Da quando sai leggere il cirillico?-

-Lui sa tutto su Victor Nikiforov, vuoi che non sappia leggere quella scrittura?-

-Shhh! Inizia!-

 

Il pigiama party tanto decantato, in realtà è ristretto solo a loro tre: Yuuri, Yuuko e Takeshi, anche se all'ultimo si stanno già chiudendo gli occhi. Menomale che hanno una casa enorme e i suoi sono a letto già da un pezzo. Dovrebbero esserci anche loro, erano quelli i patti con i solo genitori, visto che lui si è svegliato alle sei per aiutarli a sistemare il palazzetto e ha promesso che non avrebbero fatto tardi. Però Takeshi non accetta che Yuuko possa rimanere sveglia da sola con Katsuki: anche se lui è un debole e un pappamolle e un piagnucolone, non può rischiare che un momento così notturno lo veda come unica compagnia di Yuuko. No no no. Se non fosse stata lei a pregarlo per farli andare lì a vedere la TV satellitare, col cavolo che avrebbe concesso al pappamolle di infilarsi in casa sua di notte, per sbavare come un lama davanti alle evoluzioni di quel damerino dalla chioma fluente di Victor Nikiforov!

 

-Non si capisce nulla!- Si lamenta il padrone di casa.

-È in russo, Takeshi-kun, è normale!- Ribatte il più piccolo.

-Ma come si capisce chi è chi, allora?-

-A parte che i nomi non è che cambino da una lingua all'altra, e poi abbiamo il nostro traduttore dal cirillico al giapponese qua, no?- Yuuko fa un sorriso e indica Yuuri.

-E state un po’ zitti! Non occorre leggere o sentire, si riconoscono, eh!- Ovvio. Per il pappamolle, forse, ma per Takeshi sono tutti uguali: tanti damerini vestiti in maschera che ballano sui pattini. Se solo non fosse la fonte primaria di introito della sua famiglia, lui il pattinaggio sul ghiaccio lo avrebbe abolito al suo primo fallimento ai Pre-Novice.

 

Takeshi pensa che, a parte Nikiforov, lui non conosce proprio nessuno di quelli famosi, ma Yuuko squittisce ed esclama: -Quello è lo svizzero! Com'è carino!!!-

 

Carino un corno! Sarà bravo, ok, ma carino no eh! È tutto il contrario di lui, che non è di certo biondo e con gli occhi verdi, magro e sempre sorridente, accidenti! E Yuuko definisce quello carino!?

 

-Doppio toe-loop più triplo Axel…-

-Trottola alta, combinazione con lutz singolo e passi.-

-La musica è il Bolero di Ravel, ci sta tutta!-

-Guarda Yuuko-chan! Un triplo Salchow!-

-Oddio Yuuri-chan! È bravissimo! Com'è carino!-

 

Takeshi ribolle a braccia conserte, però Yuuko sembra così felice… Si sistema meglio sul divano, ecco, un cuscino in più non guasta, gli occhi gli si chiudono, ma deve resistere al sonno.

Guarda le ombre degli amici che gli danzano davanti, accompagnati da quelle canzoncine morbide in sottofondo e qualcuno che gracchia in una lingua sconosciuta. Ma quant’è bella Yuuko…


-Sta a lui. Oddio Yuuko-chan!-

-Calmo Yuuri-chan! Respira! L'hai visto?-

-No, ancora non l’hanno inquadrato, ma avevo letto l'ordine di ingresso. Oddio oddio, che costume avrà? Su che musica si esibi… COSA!?!?-

Yuuko è sbalordita quanto Yuuri. 

“Victor Nikiforov” in cirillico lo sa leggere anche lei e ha pure sentito il nome annunciato, ma… ma… chi è quello che sta entrando nel rink? Quello non è Victor!!!

 

-Yuuri… Yuuri respira, ci deve essere un error-

-È lui. È proprio lui…- A Yuuri trema la voce mentre si avvicina allo schermo quasi volesse entrarci dentro e vedere dal vivo Victor Nikiforov, la fata gloriosa, il giovane Apollo di tutte le Russie, il ragazzo dai lunghi capelli d'argento che…

Yuuko si tappa la bocca con entrambe le mani e butta un occhio all'amico: è concentrato, una ruga divide a metà la sua fronte, oltre la montatura degli occhiali. Sta trattenendo il fiato.

Yuuri sta assistendo alla metamorfosi del suo idolo, lei assiste alla sua reazione e ha  paura. 

Alla domanda “Perché ti piace tanto Victor?”, Yuuri ha sempre risposto “Perché è bravissimo, ti incanta, è grazia allo stato puro, e poi… ma hai visto i suoi capelli…!” con tanto di occhi a cuore e mani giunte al petto. Da grande, ha dichiarato Yuuri a dieci anni, quando entrerà nei senior, anche lui si farà allungare i capelli.

 

Nello schermo zoomano sul pattinatore, si soffermano sul suo volto, ha l'espressione concentrata, gli occhi di ghiaccio potrebbero incendiare anche loro via etere e appare diverso, più consapevole, più adulto, più… maschio. Un ciuffo gli copre la fronte, tagliando a metà l'occhio sinistro, la nuca è scoperta, la linea del collo appare diversa dal solito, eppure con i capelli legati l’effetto avrebbe dovuto essere lo stesso. Poi Victor deglutisce e la telecamera è lì zoomata sul pomo d’adamo che lentamente va su e giù.

 

Yuuko è incantata, ma come si può essere più belli di così!? Yuuri al suo fianco non si è ancora mosso né ha detto nulla, la ragazza ha dei dubbi sul fatto che respiri ancora. 

Si decide ad abbandonare per un attimo l’immagine di quel dio di perfezione che buca lo schermo e controlla l’amico.

Yuuri è serio, il suo volto riflette la stessa concentrazione del suo idolo. Poi la musica parte e l'ordine degli elementi si stravolge sullo schermo e sulle espressioni dipinte sul volto dell'amico. Yuuri danza insieme a Victor, le emozioni piroettano e saltano nei suoi occhi e Yuuko è catturata da entrambe le interpretazioni.

 

La musica finisce, Victor è immobile nella posizione di chiusura, gli occhi trapanano la lastra di ghiaccio come raggi laser azzurri, poi si rilassa, sorride a trentadue denti come suo solito e si passa una mano tra i capelli, per spostare il ciuffo dagli occhi.


-Cosa è stato?- Takeshi scatta di colpo, svegliato da un urletto stridulo accanto a lui. Sbatte le palpebre per mettere a fuoco e non gli piace, non gli piace per niente quello che vede!

 

Yuuko e Yuuri si tengono per mano, saltellano sul posto, traboccano euforia e cuori da ogni poro, squittiscono, aprono e chiudono le bocche increduli, balbettano pezzi di parole, piangono quasi e infine crollano giù ginocchioni uno di fronte all’altra, con gli occhi incollati allo schermo, che finalmente si svela al padrone di casa. E così anche lui vede e capisce.

 

-Oh- dice soltanto, e forse farebbe bene a non aggiungere altro, ma gli occhi a cuore di Yuuko, Kamisama, no! -Beh, che avete da strillare? Si è tagliato i capelli, e allora? Almeno adesso sembra un po’ di più un maschio e non una femminuccia. Anche bruttino, come maschio, direi. No, ragazzi?-

 

Mezzanotte.

È mezzanotte esatta quando Takeshi scopre due cose di fondamentale importanza per il suo futuro.

Mai, mai offendere Victor Nikiforov davanti a Yuuko o la sua vendetta sarà di nuovo violenta e si concentrerà ancora sui suoi stinchi. Ma soprattutto, e vale ben più di un paio di lividi, non avrà mai nulla da temere in futuro da Yuuri Katsuki. Se c’è qualcuno sulla faccia della terra che quel rimbambito di Yuuri potrà mai desiderare, amare, venerare eccetera eccetera, non sarà mai Yuuko o qualsivoglia ragazza. Yuuri è innamorato perso di un maschio, di un russo, di un personaggio famoso e, povero pappamolle, mai e poi mai Victor Nikiforov incrocerà nemmeno per errore la sua strada.

 

Yuuko sbadiglia.

-Signorina, il suo letto nella stanza di mia sorella è pronto-, le dice Takeshi, in modalità perfetto gentiluomo. Poi si rivolge al cartone animato impalato davanti al televisore ormai spento. -In quanto a te, Katsuki, muovi il culo e vieni a dormire!-

 

Yuuri si volta, sul viso il sorriso ebete dei miracolati, alza la mano e mostra il suo trofeo: sul suo telefono, il display riproduce una foto che ha scattato senza nemmeno rendersene conto. Il suo dio, solcato da righine verdi causate dall’mpeg è lì, con la mano affondata nel ciuffo ribelle, e gli occhi di entrambi luccicano come stelle.




 

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Capitolo 3
*** Nero - 2006/2008 ***


Nero - 2006-2008

Yuuri
 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt: Messaggio

 

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-Sono preoccupata per tuo fratello.- 

Yuuko lancia la bomba mentre sono a mollo nella vasca termale a Yu-Topia. Non è raro che passi del tempo in compagnia di Mari Katsuki, ma, quella volta, l'idea di trovarsi a fare quattro chiacchiere insieme nel giorno di chiusura dell'onsen, era subito apparsa strana all'erede dello stabilimento. Yuuko ha cinque anni meno di lei e due in più del fratello e quella differenza di età, se in qualche modo l'ha avvicinata al più piccolo, è sempre stata uno scoglio tra loro per rimanere da sole a quattr'occhi.

-Spara-, le risponde Mari. È un po’ preoccupata anche lei per Yuuri, ma è più comodo non parlarne con nessuno e attendere che il rampollo cresca. Ha quindici anni ed è in grado di muoversi sulle sue gambette incerte anche senza che mamma papera gli mostri il sentiero.

-In questo momento lui è molto sicuro di sé, te ne sarai accorta. Ha preso l’idea di stravincere a livello nazionale come la sua missione di vita, perché è convinto che prima o poi si troverà a poter gareggiare contro Victor Nikiforov.-

-Sai quanta strada deve ancora fare?-

Yuuko le rivolge un’occhiata più matura dei suoi diciassette anni. C’è dentro fino al collo anche lei e la conosce bene quella strada da percorrere.

-Lo so e francamente mi domando come possa affrontare le gare degli juniores che ha fatto finora con tutta quella sicurezza e piazzarsi sempre in buone posizioni, però…- Gli occhi chiari affogano tra le volute di vapore, si rialzano spalancati e si puntano sulla giovane donna accanto a lei.

-... però nella categoria senior è tutta un’altra cosa, è così?- Continua per lei Mari. Ci ha pensato parecchio negli ultimi mesi e sa che, tempo un anno o due, Yuuri dovrà affrontare il salto. Ha sentito parlare di trasferte in posti lontani, luoghi che solo a pensarci deve prendere l’atlante per capire in quale parte del mondo siano, di ambienti sconosciuti e densi di ostacoli. Nomi altisonanti che per il momento sono relegati all’angolo della sua cartella mentale “Gotha del pattinaggio”.

Yuuko sospira, affonda fino al collo dentro l’acqua. -Sì, ma non è solo quello. Più si avvicinerà alla sua meta, più sono sicura che la sicurezza di Yuuri inizierà a sgretolarsi. Lui è solo, te ne rendi conto, Mari-san?-

La donna la guarda con curiosità. Fino a quel momento esiste un trinomio indissolubile nella sua mente ed è Yuuri-Yuuko-Coach Kimura e non vede un solo motivo per cui Yuuri possa sentirsi solo. Yuuko si spiega.

-Nel gruppo di ragazze ci siamo io, Naomi, Naru, Sayuri, Kiyoko, più o meno grandi di età, ma nel suo gruppo c’è Yuuri e… beh… Yuuri. Non ci sono altri pattinatori maschi, oltre a lui, forse qualche ragazzino che inizia ad approcciarsi, ma con l’idea di provare il pattinaggio di coppia. Nel maschile individuale Yuuri-chan è solo, qui ad Hasetsu.-

Mari prova un leggero senso di nausea, ma non ci fa caso. -Beh, ma a livello nazionale non è da solo: ci sei tu e c’è il coach Kimura: non sarà mai solo durante le competizioni e negli allenamenti extra, no?-

Yuuko stringe le labbra e sospira. Mari ha ragione, ma c’è qualcosa che non sa ancora.

-Yuuri-chan e io passiamo insieme più tempo del dovuto, oltre gli allenamenti e oltre gli extra, lo sai bene. Ma non può durare per sempre. Io… io mi…- Arrosisce.

-Tu cosa?- 

-Io mi sono fidanzata e… penso che dovrò impegnarmi perché questo rapporto non naufraghi prima ancora di realizzarsi del tutto, Mari-san.-

-Oh.-

Mari non dice altro, comprende, ma di nuovo quel senso di nausea la coglie.

-E che vuol dire!? Lui può passare il suo tempo libero con gli amici e non gli farebbe male impegnarsi un po’ di più nello studio, oppure dare una mano qua all’onsen! Hai paura che si annoi? E poi c’è sempre Nishigori! Oltretutto Yuuri dice che nell’ultimo periodo lui è meno antipatico nei suoi confronti. E sarebbe anche l’ora!-

A quel punto Yuuko avvampa, guarda Mari, scosta lo sguardo, Mari capisce. In fondo, o uno o l'altro…

-Ah. Beh… Sì… ok, ho capito…- 

Un’idea sorvola la mente di entrambe, ma a dare voce è la sorella dell’interessato.

-Pensi che Yuuri abbia una cotta per te e che potrebbe essere geloso…?-

-No! No… non penso proprio, Mari-san, cosa dici!?-

Buffe le sfumature del porpora che può assumere il viso di una persona imbarazzata. Buffo pensare di essere altrettanto rossa, pensa Mari.

Ha un tarlo in testa da anni ormai, ma non si è mai azzardata a domandare a nessuno, però, se Yuuri non è interessato all'unica ragazza che frequenta, allora il dubbio aumenta. Pensa che quello possa essere il momento giusto, ingoia il rospo e prova a sondare il terreno.

-Yuuri-chan… lui… Ecco… tutta questa ammirazione che ha per il russo e anche il fatto che sia il solo in zona a voler fare il pattinaggio individuale… Se poi mi dici che non ha una cotta per te… allora… come dire… pensi che… per caso…?-

Yuuko avvicina le sopracciglia e scivola ancora più in basso nell’acqua. Si avvicina inconsapevolmente verso Mari, come se il discorso si stesse facendo più delicato.

-Pensi che mio fratello… insomma… che lui possa essere…-

-Cosa?- 

Ormai il colore delle gote di entrambe è simile.

-Gay…?-

Yuuko sussulta.

-Kamisama Mari-san! Io… sinceramente non ci ho mai pensato e… non lo so, non ne ho idea! Certo, è indubbio quanto ammiri Victor e aspiri a emularlo, così come è certo che nessuno lo abbia mai visto trattenersi a chiacchierare con una ragazza, a parte me…-

-... e che abbia la camera tappezzata di poster di Victor, che conservi maniacalmente ogni ritaglio di giornale su di lui, ma anche su altri pattinatori, sempre uomini eh…-

-Ah, e anche che sia praticamente l’unico che ancora prenda lezioni di balletto da Minako-san. Però, Mari-san, credimi: non lo so e penso proprio di no. Piuttosto lui…-

-... non ha occhi, testa e interesse per altro che non sia il pattinaggio?-

-Esatto.-

-Esatto.-

 

A quel punto Yuuko prende una boccata d’aria e si immerge completamente. Poi riemerge in uno sbuffo.

-Torniamo al discorso iniziale: se io vacillo, se io per un qualunque motivo dovessi non esserci relativamente a quel mondo, cosa ne sarà di Yuuri?-

Mari stringe i denti. -Non lo so.- 

-La tua famiglia è in grado di sostenerlo sempre e comunque, in ogni fase del suo percorso sportivo?-

-Non lo so…- È onesta. Loro non ne sanno molto di pattinaggio, di competizioni, di tornei, di roba tecnica. Yuuri non è mai stato invadente, ha nascosto tutto il suo mondo all’interno delle quattro mura della sua stanza, scegliendo quasi di chiudere fuori il resto della famiglia, come se volesse che tutta la sua passione non fosse così evidente, come se si sforzasse di recitare la parte del bravo figlio normale, lasciando l’atleta promettente fuori dalla porta di casa. Ha sempre rimediato risultati scolastici soddisfacenti, si è sempre occupato da solo del suo cane, ha sempre evitato di subissarli con resoconti, progetti, programmi. Quello che a casa Katsuki compare come il figlio minore, è sempre stato un ragazzino disponibile, affettuoso, responsabile, normale. Timido, ok, ma normale.

Mari ce l'ha un'idea del perché Yuuri si comporti così, ma non vuole parlarne.

 

-Quando Yuuri-chan spiccherà il volo, perché lo so che ce la farà, dovrete sostenerlo, Mari. Se ci sarà da accompagnarlo a Tokyo per una gara, o a Osaka o… o in Cina, ce lo porterete, vero? Non lo lascerete mai da solo, è così?-

Mari annuisce, ma non è molto convinta. I suoi sono impegnati sei giorni su sette all’onsen e il settimo lo passano a riorganizzare per la settimana successiva. Lei li aiuta, ha già rinunciato agli studi, a farsi una vita propria, per sostenere i vecchi e l’illusione di un pezzo di tradizione locale che difendono come una reliquia. Inoltre non è che i soldi avanzino, nella loro famiglia. Chi potrebbe davvero accollarsi quello che Yuuko le sta chiedendo?

La sua mente calcolatrice pensa che, salendo di categoria, anche i premi in denaro per i primi piazzamenti alle gare salgano di conseguenza e che forse Yuuri potrà essere in grado di sostenersi da solo, a livello economico, ma non è di quello che sta parlando Yuuko.

 

-Sai, Mari-san… c’è un momento in cui il pattinatore è più solo di tutti gli altri, io l’ho provato, ma Yuuri ancora no. È sempre prima di una gara, quando si è veramente lontani da casa. Prima di entrare sul rink, o la notte prima, in una stanza di hotel e non si riesce a dormire.  Ecco, io… - Yuuko scuote la testa e sospira. -Niente… soltanto… Cercate di non lasciarlo da solo in quei momenti, ok?-

Non prosegue il racconto, bastano i suoi occhi a parlare per lei. Mari sente lo stomaco stringersi, ma non è tipo da farsi suggestionare.

-Ok. Ma tu non preoccuparti più del dovuto per lui e pensa alla tua relazione, me lo prometti? Yuuri non è più un bambino piccolo, lo capirà da solo che una nuova coppietta ha bisogno della sua privacy!-

Se fossero due maschi, le avrebbe battuto un colpo sulla spalla, ammiccando e pretendendo un resoconto più dettagliato delle parti piccanti, ma Yuuko è già arrossita, è meglio evitare di infierire.

Però quei discorsi inconclusi su suo fratello non l'abbandonano, grattano come un tarlo in quella parte della coscienza che Mari vorrebbe non avere.

Fa un sorriso teso, prende aria e si immerge. Sta sott’acqua finché non le bruciano i polmoni, con gli occhi serrati e un’angoscia sottile che non riesce a lavarsi via.

Quando riemerge, Yuuko non è più lì, la vede che si sta sistemando un telo attorno al corpo, fuori dalla vasca. 

-È tardissimo! Ho perso la cognizione del tempo! Devo scappare all’Ice Castle per gli allenamenti! Grazie della chiacchierata, Mari-san!-

-Grazie a te, Yuuko-san-, borbotta e si convince che non ci sia niente di cui preoccuparsi seriamente.



 

 


 



 

Yuuri lo sa bene quando qualcosa si è spezzato dentro di lui e ogni volta che ci ripensa si sente un grandissimo stronzo. Anche in quel momento, steso sul letto con la musica del programma corto nelle orecchie, mentre ripete nella sua testa, secondo per secondo, tutti i due minuti e quaranta di esibizione.

 

È stato quando “la Dama” dell’Ice Castle lo ha abbandonato definitivamente al suo destino, risucchiata in un futuro in cui le loro strade si sarebbero allontanate sempre di più. 

 

Ci aveva messo due anni per metabolizzare che Yuuko e Nishigori fossero fidanzati e, se da principio quel briciolo di gentilezza in più da parte del bulletto di Hasetsu gli era parso un grande guadagno, c'era voluto poco per realizzare quanto invece la sua vita sarebbe sbiadita.

Takeshi si era mostrato da subito possessivo e geloso e Yuuko sembrava così piena di lui, così perduta, così innamorata…

Per questo, Yuuri aveva imparato subito a non comportarsi più con lei come “l'amica fangirl” che ogni tre parole infilava un ‘Victor!’ vomitando cuori e a tenersi per sé tutta quella piccola costellazione di argomenti frivoli e vitali che riempivano i momenti vuoti delle sue giornate. Non si era mai reso conto di quanto fosse importante la presenza di Yuuko, finché non aveva iniziato a perderla e allora si era fatta strada attraverso ogni spiffero della sua anima una sensazione fredda e sconosciuta che lo avvolgeva piano piano. Era come un nero vischioso che si annidava negli angoli di silenzio sempre maggiori, si nascondeva tra le pieghe delle coperte di notte, lo avvicinava quando vedeva Takeshi all'uscita degli allenamenti, lo seguiva mentre tornava a casa da solo o quando correva sul lungomare e non sentiva più il rumore familiare dei passi della sua amica vicino a sé. 

Era un nero silenzioso che gli uccideva il sorriso sul viso quando realizzava, cellulare già alla mano, che non era più il caso di mandarle il messaggino della buonanotte accompagnato dallo sticker di Victor che buttava un bacio, oppure che lei lo avrebbe visto da sé il servizio sul loro idolo apparso sull’ultimo numero di World Figure Skating, non occorreva più prestarglielo, perché glielo avrebbe comprato Takeshi. 

Un nero che era dilagato quando Yuuko gli aveva regalato i poster di Victor che aveva staccato dalla sua cameretta, perché non poteva mica tenere appese le foto di un altro, visto che ora stava con Takeshi! 

Takeshi, Takeshi, Takeshi! Prima era Victor, Victor, Victor! ed erano in due a fantasticare e disegnare una strada da percorrere insieme. Prima Yuuri si sentiva un po’ speciale, ormai non era più importante per Yuuko. Per nessuno.

Allora tanto valeva bastarsi da solo, con i suoi pensieri, con i suoi progetti, con tutto un mondo a colori che piano piano scoloriva e lasciare che quella spessa coperta nera lo avviluppasse ogni giorno un po’ di più.

La sua stanza era diventata un fortino inaccessibile a tutti, compresa la mamma che non doveva più pulirla e rassettarla, perché ci pensava da solo. Vicchan era rimasto il suo ultimo vero amico, l’unico a cui confidasse ancora i suoi sogni, l’unico con cui parlare di Victor, l’unico che non lo avrebbe mai giudicato, qualunque scelta avesse fatto, qualunque fallimento lo avesse atteso. 

Il coach Kimura si era presto reso conto che si era incrinato qualcosa in lui e aveva provato a parlarne con i suoi genitori, prima del suo passaggio alla categoria senior. Era un salto che andava affrontato in maniera consapevole e voleva esser certo che Yuuri ne fosse convinto, perché, dopo, tutto sarebbe stato ancora più difficile. Ma nessuno aveva capito che difficile, la sua vita, lo era già da un pezzo. Di riflesso, dopo le prime domande che gli erano state poste, del tipo ‘Va tutto bene, Yuu-chan?’, ‘C'è qualcosa che ti turba?’, ‘Se non vuoi più fare le gare, non devi preoccuparti!’, lui aveva mostrato una nuova determinazione sul ghiaccio e indossato un sorriso rassicurante ogniqualvolta fosse stato in presenza dell’allenatore. Non dovevano strappargli il sogno, nessuno doveva provarci.

Sorrideva sempre, Yuuri, anche quando vedeva con orrore il nero allargarsi sulla pista e risalire sui pattini, durante le gare, fino a stritolarlo e togliergli il fiato e allora cercava occhi amici che gli dessero fiducia, ma non c'era mai nessuno a guardarlo. Lo stavano lasciando solo e il suo sogno, a volte, prendeva le tinte lugubri di un incubo da cui lottava a denti stretti per non svegliarsi. 

Era diventato bravo a tenersi tutto dentro, a fingere affinché nessuno potesse azzardarsi a domandargli ancora se fosse tutto ok. “Sì, certo che è tutto ok!”: un sorriso gentile e via, a testa bassa, dritto lungo la sua personale segreta scelta di vita, per evitare che gli venisse imposto di rinunciare prima ancora di poterci provare. Perché: ‘Yuuri, lo capisci che solo uno su un milione ce la fa?’ 

Lui doveva passare ai senior a ogni costo e, un sorriso dopo l’altro, così era stato. Sarebbe stato quell'unico su un milione. Tutto procedeva lentamente secondo i suoi piani e allora poteva permettersi anche di sognare un pochino di più e tenere a bada il nero, almeno fino alla prossima gara.

Zitto zitto avrebbe vinto i Nazionali, sarebbe scampato alle prime competizioni internazionali, avrebbe avuto l’accredito per il Grand-Prix e finalmente si sarebbe confrontato con i big della sua disciplina, per dimostrare che lui, unico su quel fottuto milione, ce l'aveva fatta. Finalmente sarebbe stato soddisfatto, finalmente avrebbe realizzato il suo sogno di sfiorare la vetta del mondo. Finalmente avrebbe incontrato Victor Nikiforov.

 

Non come Yuuko, che si era distratta lungo la strada e si era fatta fregare dall’amore.

 

Per due anni era riuscito a tenersi dentro quel groviglio senza nome che il solo pensiero di lei insieme a Nishigori gli smuoveva dentro. Per due anni aveva finto di non vedere quanto quel nero fosse insidioso, pensando che bastasse non prestare attenzione agli scricchiolii del ghiaccio sempre più scuro, perché tutto filasse in qualche modo liscio. 

Ma poi Yuuko gli aveva chiesto di trovarsi al palazzetto per parlare.

 

“Yuuri, c’è una cosa che devo dirti…”, aveva iniziato e Yuuri aveva già capito che tutto sarebbe cambiato ancora di più. Era un martedì pomeriggio e lei era arrivata in anticipo agli allenamenti, ma non aveva portato con sé i pattini. 

“Aspetto un bambino, Yuuri, non posso più pattinare… Non fare quella faccia! Va tutto bene! Ci sposeremo tra tre mesi, è già tutto deciso e finché il bambino avrà bisogno di me io lavorerò con Takeshi all’Ice Castle. Dopo… dopo tornerò a pattinare, te lo prometto, Yuuri.”

 

Crack.

 

E il nero non aveva più trovato confini, si era espanso in tutto il suo universo in un big bang di sofferenza, dove i sentimenti come l’invidia, la gelosia, la rabbia, lo sconforto, la tristezza, la vergogna, il rimpianto si erano mischiati e conglomerati in quel maledetto, sconfinato nero che gli spezzava il fiato e gli appannava gli occhi.

 

“Non verrai alla gara a Niigata, quindi?” era stato capace di domandarle dopo un lungo silenzio. Nessun ‘come stai?’, ‘Sei felice?’ ‘Sono felice per te.’ Yuuko aveva serrato le labbra e scosso la testa.

“E alla finale a Nagano, ci sarai?” 

Lei gli aveva fatto una carezza: “No, Yuuri, non ci sarò. Ma tu devi farcela, capito? Tu ci devi arrivare in finale. Devi conquistarlo, il mondo del ghiaccio, perché io lo so che ne sei capace.”

“E la nostra promessa di conquistarlo  insieme?” 

Yuuri aveva respinto le lacrime, Yuuko se n’era concessa una soltanto.

“Perdonami…” Gli aveva detto ed era andata via.

Yuuko non aveva mantenuto la sua parola e lui, quella volta, era stato uno stronzo.



 

Ormai la musica prosegue nelle orecchie senza che lui la senta. È perso nel ricordo di quel martedì pomeriggio fuori dall'Ice Castle.

 

-Victor, ma tu manderesti a monte la tua carriera per amore?- 

Il poster di Nikiforov, col costume della finale dei Campionati Europei dell’anno precedente, non risponde. Yuuri sbatte le palpebre, il Victor di carta continua a sorridere ignaro delle sue domande, appeso sul muro davanti al letto.

-Non si possono rovinare tutti i piani di una vita per l’amore…- Insiste Yuuri e si lascia cadere disteso sul letto.

 

Fa ripartire la musica da capo e ripassa ancora una volta i passi e i salti dei programmi che porterà in America. È la prima vera gara importante che affronterà, ormai manca poco, si sente carico, sa di avere la possibilità di farcela, non importa se alla fine sarà da solo in quei giorni. 

In fondo anche Victor viaggia sempre da solo, no? Lui e il mitico allenatore Yacov Feltsman. Quante battute facevano lui e Yuuko sul mitico Feltsman…!

E poi, meglio da solo. 

 

Yuuri inizia a sentirsi in seria difficoltà relazionale nei confronti di tutti quelli che lo circondano: la coppietta felice e frastornata da un matrimonio fulmine e in fibrillazione per la nascita ormai prossima, Mari e la sua indolenza congenita, la beata ignoranza di mamma e papà e Minako-san, kapò di giorno nei suoi confronti e beona portuale la sera, come dice lei “per dimenticare”. 

 

È come se alle sue spalle si fossero già chiuse le porte scorrevoli dell'area partenze nell'aeroporto della vita: non gli arrivano più le voci del resto del suo mondo e solo quel sorriso inconsapevole del Victor appeso al muro sembra dargli conforto.

-Ci sarai tu a sostenermi durante la gara, vero Victor?- Sghignazza, scuote la testa, spegne la luce e dorme.

 

Ce la farà. Ma è un illuso. 

 

------

 

Il colpo di grazia arriva appena l’aereo su cui sta viaggiando tocca terra sulla pista di Paine Field, a Everett, negli USA. Non c’è mai stato negli Stati Uniti, è emozionato. È lì per lo Skate America: sa di dover vincere se aspira a qualificarsi per il Grand Prix e al Grand Prix finalmente incontrerà Victor, quindi il suo  obiettivo è assolutamente da centrare.

Il carrello si scontra con l’asfalto con la delicatezza di un elefante franato dal decimo piano, l’aereo sussulta, il cuore di Yuuri perde un colpo. Dal finestrino la pista è avvolta nella bruma, in lontananza spariscono oltre il profilo del terminal le luci della metropoli. È sera, Kimura-san dorme ancora e tocca a lui svegliarlo, con una serie di colpetti sul braccio. Non è venuto nessun altro, sono solo loro due: lui, con tutta la saggezza dei suoi quasi diciott'anni sulle spalle e Kimura-san, con il peso dei suoi sessantasette a gravare sulla sua resistenza. 

 

Appena l’aereo spegne i motori, Yuuri accende il telefono ed è travolto da decine di messaggi e chiamate perse. Sono di Mari, di mamma, di Nishigori. Un pensiero lo trapassa: che sia accaduto qualcosa di brutto a Yuuko-chan? Apre convulsamente l’app di messaggistica, mentre il suo allenatore si stropiccia la faccia, sforzandosi di tornare nel mondo dei vivi.

Yuuri non capisce i messaggi spezzettati che legge di fretta e si getta sull’ultimo arrivato: dall’anteprima sembra una foto e gliela manda Nishigori. Ci clikka sopra e il mondo crolla. Questa volta crolla davvero.

 

Ti presento le nostre piccole gioie: Axel, Loop e Lutz Nishigori! Due chili scarsi a testa, ma stanno bene. Yuuko è stata grandiosa, adesso sta bene anche lei, dovrà rimanere qualche giorno in clinica!

 

Sono nate.

Yuuri guarda le tre testoline nere strette nell’abbraccio di mamma e papà. Yuuko, la sua cara Yuuko, sembra stremata, ma i suoi occhi brillano nonostante sia una foto scattata senza flash e abbia i capillari delle guance esplosi. Brillano come non glieli ha mai visti brillare nemmeno dal vivo, neanche dopo un primo posto all’ultima gara della sua vita.

Yuuko è felice, è arrivata al traguardo e lui non è nemmeno partito. Non è con lei.

 

D’altronde, la sua presenza sarebbe stata semplicemente fuori luogo e inutile. Avrebbe voluto urlarle un’ultima volta da bordopista “Vai e fatti valere!”, come faceva sempre prima di una gara, o soltanto augurarle ogni bene all’ingresso della clinica. Si sarebbe accontentato di poco, ma ormai, ormai, non è più in tempo neanche per quello.

 

-Oh, guarda: Yuuko ha sgravato!- Esclama Kimura accanto a lui, ruotando il cellulare nella sua direzione. La foto che mostra è un’altra, il mittente è un altro. Yuuri legge: “Ecco le mie tre gioie, il mio futuro. Arigato gozaimasu per essere stato la mia guida durante la parentesi sul ghiaccio della mia vita. Con affetto, Yuuko Nishigori.”

 

Una parentesi.

Ecco cosa è stato quello che Yuuko ha condiviso con lui. Una parentesi. Yuuri sente male in fondo al petto e si sente uno stronzo. È solo come mai prima di allora.

 

Kimura sbadiglia, fa una smorfia piegando il collo a destra e a sinistra. Yuuri ancora non lo sa, ma quella è l’ultima trasferta che il vecchio gli concede. Dopo, o mollare o trovarsi qualcun altro, perché lui non ce la fa più. Trasferirsi in città, forse, dall’altra parte del Giappone, magari, perché di allenatori validi non è che ce ne siano poi molti sulla piazza.

 

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La notte arriva e lo trova impreparato, solo, nella stanza al quarantasettesimo piano dell’hotel in una zona defilata di Hong-Kong. È la notte più lunga e più nera che abbia mai affrontato e tra le mani stringe il telefono. Deve ancora rispondere al messaggio di Takeshi, congratularsi con Yuuko, respirare.

Perché nessuno l'ha avvisato che sarebbe arrivato un momento così? Perché gli hanno detto soltanto “Vai e fatti valere!”, “Mi raccomando, comportati bene!” Perché lo hanno lasciato da solo? 

 

Ma era quello che volevi, no? Che nessuno si accorgesse di te, che fossi libero di strisciare nel nero lungo quei tuoi sogni di merda, pensando di andare a fare una scampagnata!

 

Alterna un dormiveglia denso di immagini sfocate, qualcosa che è lì vicino e più che si allunga per afferrarlo, più la distanza aumenta fino a diventare insormontabile, a ore in cui il nero lo divora e lui osserva a occhi sgranati la sua vita, come un film che si svolge davanti a sé.

Tante cadute, attimi di gioia a ogni nuova cosa imparata, il ghiaccio, i libri, le corse con Yuuko e le coccole di Vicchan. E poi la paura, l'inadeguatezza, le prese in giro, la dieta, il terrore davanti alla giuria, il terrore davanti alla bilancia, il terrore di aver accettato che va bene rimanere solo.

I poster di Victor in camera sua, un mito che non ha mai sentito più lontano di quel momento.

 

Trema, non ce la può fare ad affrontare la gara l'indomani. Cos'è lui, se non un misero, insicuro sognatore che da solo non è mai riuscito a fare un passo più in là della sua gamba? Dov'è Yuuko, la sua forza, la luce di tutti gli anni spesi a inseguire un sogno? Era il loro sogno, erano le loro fantasie sull'entrata trionfale in un mondo fatto di ghiaccio e lustrini, riflettori e sorrisi. Dov'è la sua amica, con cui si scambiava le foto dei pattinatori più famosi, quasi componessero un album di figurine, dov'è il suo mito, Victor? 

È tutto troppo lontano. Irraggiungibile.

E dov'è il suo allenatore, ridotto all'ombra di sé stesso, piegato dall'artrosi e il desiderio di passare il tempo con i nipotini, invece che trascinarlo e farsi trascinare qua e là nella speranza -vana- di dare vita a un nuovo campione? 

Il nero avanza, nella stanza c'è solo il led rosso di un televisore che non ha mai acceso, dalle tende filtra appena il chiarore della città che pulsa e gli ricorda i suoi doveri.

Fa partire la musica del suo programma corto, prova a ripetere nella mente i passi che corrispondono a ogni nota, a ogni cambio di ritmo. Una trottola bassa, sequenza di passi, gìrati!, passi incrociati all'indietro, accelera!, salta, un doppio Flip, no, così non va, ha poco slancio, non atterra con la giusta inclinazione, si riprende, ha perso la combinazione col toe-loop, e poi… sì, ancora trottole, trottole alte, no, erano passi, cambia direzione, slancio, triplo Lutz, Lutz… Lutz…

 

La musica scorre, ma il nero se l'è inghiottito. 

 

Lutz.

Loop.

Axel.

 

Yuuko è felice con le sue figlie. Yuuko splende. Yuuko ha fatto la scelta giusta.

 

Lui è solo e il nero è dentro la sua testa ormai, dietro le lenti storte sul naso, sotto quel ridicolo costume celeste, che grida serenità.

 

Serenità…

 

Sono le sette quando dei colpi perforano il silenzio. Si alza lentamente, i suoi muscoli protestano per il freddo e la tensione. Si volta: non si era nemmeno infilato sotto le coperte.

Tra le mani stringe ancora il telefono, è quasi scarico.

Sono le sette e lui non ha ancora scritto a Yuuko. 

-Arrivo-, risponde rivolto alla porta e si affretta a digitare.

 

-Yuuri-kun, devo parlarti-, è l'allenatore. Anche lui ha passato la notte in bianco, ma in fondo al suo nero ha trovato lucida l'immagine dei suoi nipoti. Ha preso una decisione e deve comunicarla a Katsuki. È giovane, saprà cavarsela, lo aiuterà a trovare qualcun altro che possa essergli più utile di quanto non riesca a fare lui.

 

-Eccomi. Entra Kimura-san, scusa il caos…-

Non ha nemmeno aperto la valigia, il letto è stropicciato, ma intatto.

-Quale caos?- Domanda l'anziano, poi nota le occhiaie scure nascoste dalla montatura degli occhiali di Yuuri e capisce. 

Si siede in punta al letto e alza gli occhi sul suo unico pupillo.

-Perdonami, Yuri…-

 

-----

 

Le bambine sono voraci e piangono, piangono tutte e tre insieme. 

Yuuko sorride, ancora stordita dal picco di ossitocina e dalla stanchezza. Ne sta allattando due, la terza protesta, Takeshi la culla, lì, accanto al suo letto.

 

Qualcosa vibra sul comodino.

-Guardo io-, propone il marito, ma lei scuote la testa, immagina.

-Tieni lei un secondo solo-, gli chiede e si stacca dal seno Axel. No, è Loop. Lutz.

 

Sblocca rapidamente il telefono e visualizza il messaggio. 

 

Siete la cosa più bella del mondo. Sei stata bravissima, tu hai vinto tutto. Ti auguro il meglio, per te, per Takeshi, per le piccole Noshigori: vi meritate ogni istante di felicità. Ti abbraccio tanto, Yuuko-san. Sii felice e orgogliosa di te.

 

Yuuko-san.

 

Yuuko sospira. Sì, lei ha vinto tutto davvero, anche se sarà un gran casino, d'ora in avanti. Stira le labbra in un sorriso stanco, per un istante si sente in colpa per aver lasciato Yuuri da solo.

 

Grazie. Ora pensa a te e vinci, vinci anche per me.

 

Invia il messaggio e si concede un sospiro.

 

-Ecco-, allunga la mano verso il marito e si fa passare una delle figlie, che si attacca famelica a lei.

 

È tutta luce in quella stanza d'ospedale. Le bambine scintillano, gli occhi di Takeshi brillano, lei sa di splendere, lei è una mamma!

 

-Spero che se la cavi-, bisbiglia, suo marito la sente.

-Katsuki è resiliente, Okaasan, lo sai. Si piegherà, andrà in pezzi, ma ogni volta troverà il modo di rimetterli insieme e tornerà a casa sorridente, un passo più vicino alla sua meta. Smetti di preoccuparti per lui.-

 

Preoccupati della nostra vita, adesso.

 

Yuuko annuisce, allunga una mano, sente il padre delle sue figlie vicino a lei.

 

-Hai ragione, Otoosan.-

 

È tutta luce in quella stanza. Il nero se l'è portato via Yuuri.



 

Due giorni dopo, lei esce dall'ospedale e inizia la sua avventura come mamma e moglie affettuosa. Si rimboccherà le maniche e distribuirà tutto l'amore che le scoppia in petto, illuminerà la pista, la casa, il futuro delle sue bambine.

 

Due giorni dopo Yuuri rientra a casa. Si fa lasciare dal taxi davanti a Yu-Topia. Ai suoi aveva detto che sarebbe tornato tre ore più tardi. Almeno non perderanno tempo per andare a recuperarlo all'aeroporto.

-Sono tornato-, annuncia sull'ingresso di casa. 

Mari, la mamma e papà appaiono davanti a lui, silenziosi e indecisi su cosa dire, come dirlo, cosa pensare. Yuuri ha fatto un disastro nel corto e si è ritirato prima di esibirsi nel libero, è l'apoteosi del fallimento, ma sorride.

-C’è una novità che devo dirvi-, dice, senza neanche dare ai suoi il tempo di aprir bocca. La tensione ha tolto l'aria a tutti e tre, ma ne ha lasciato un soffio per lui.

-Kimura-san va in pensione, non potrà più seguirmi d’ora in poi, ma mi ha trovato un allenatore che è disponibile. Ci ho parlato, sembra in gamba e dice che farà di me un vero campione. Mi ha chiesto di pensarci su. Devo dargli una risposta: se accetto, tra due mesi mi trasferirò a Detroit, così non sarò più un peso per voi e anch'io sarò più libero di impegnarmi negli allenamenti e nello studio, senza sentirmi in colpa per la mia inutilità qua a Hasetsu. La sua parcella è modesta, a Detroit mi troverei un lavoretto e lo pagherei senza gravare su di voi. Nel caso accettassi, potrebbe essermi d'aiuto se voleste affittare la mia stanza, in modo da ricavarci qualche yen. 

Attende un commento dalla sua famiglia, che non arriva. Nessuno era preparato a tutto questo e non sanno cosa consigliargli. Yuuri ne prende atto, fa un inchino e sale di sopra.

 

-Più tardi andrò a trovare i Nishigori, ho preso dei pensierini per le bambine. Adesso ho bisogno di una doccia.-

 

Mari sospira, la mamma si lascia cadere sulla prima sedia che trova, il papà sbotta.

 

Il nero risale le scale e segue Yuuri, nessun altro della sua famiglia ha il coraggio di fare altrettanto. Lo stanno lasciando solo. 

 

Yuuri si stende sul suo letto e resta immobile a fissare il soffitto. C’è una crepa nell’intonaco, in un angolo: quella stanza va imbiancata prima che lui se ne vada, se vuole lasciarla in uso per qualche ospite. Andranno tolti anche i poster e gli adesivi che da ragazzo aveva attaccato sull’armadio. Tutte le sue cose le raccoglierà in uno scatolone, dovrebbero entrarci: in basso i libri e la sua collezione di riviste, poi i cd e i blocchi degli appunti che ha conservato; c’è posto per i peluche di quando era bambino e anche per le scatole di puzzle e costruzioni con cui ha smesso di giocare da anni. In cima i vestiti da conservare, sicuramente i costumi delle sue prime gare, la vecchia divisa delle medie e quella appena dismessa del liceo. Sopra a tutto chiuderà nella scatola il quaderno con la copertina verde e blu, quello dove si alternano la sua calligrafia e quella di Yuuko-chan. Yuuri si alza e lo prende dal cassetto più in basso della scrivania, sepolto sotto anni di scartoffie e inutilità. Ci sono dei diagrammi nelle prime pagine, nei quali è indicato l’ordine delle gare che avrebbero voluto affrontare. Un progetto pieno di sfide per lei, un percorso complicato e denso di soddisfazioni per lui e poi c’è un terzo grafico in cui le linee si incrociano, perché il “piano B” prevedeva il pattinaggio a coppie, in caso di fallimento delle carriere individuali. Già si immaginavano a volteggiare in pista tra gli incitamenti di tutti i loro amici e parenti e quel paracadute non faceva paura, non era l’emblema di una disfatta, ma il coronamento della loro amicizia. 

Yuuri chiude il quaderno con un sospiro e lo rimette al suo posto, si sofferma a osservare il poster di Victor della gara juniores a Sofia, nel 2001, quando ancora portava i capelli lunghi. Aveva la sua età quando li ha tagliati, Yuuri se lo ricorda ancora. In un’intervista lesse che quella decisione segnava l’inizio della sua età adulta e nasceva dalla determinazione di ripartire con una visione completamente diversa della vita, in cui sarebbe stato regista e non più soltanto attore, un’era di responsabilità e decisioni prese da solo. 

 

Yuuko era diventata adulta leggendo il risultato di un test di gravidanza. 

Mari, probabilmente, quando aveva deciso di seguire le orme dei loro genitori.

 

-Dammi il coraggio, Victor…- sussurra Yuuri, incatenato all’immagine del poster. Stringe i denti e butta via fino all’ultimo filo d’aria che ha nei polmoni. Sblocca il cellulare e scorre la rubrica: Celestino Cialdini.

 

Accetto la sua proposta, Celestino-san, verrò a Detroit. Grazie per l’opportunità. 

 

 In America è quasi mezzanotte, ma la risposta del coach arriva subito.

 

Ottimo! Ci speravo! Non vedo l'ora di fare da coach a un atleta come te, intanto ti preparo la strada. Ciao Ciao!

 

È fatta. Yuuri stringe il telefono al petto e si alza, gli occhi puntati su un Victor con i capelli corti.

 

-Sono diventato adulto anch’io-, pronuncia piano e per la prima volta ci crede davvero.

 

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Capitolo 4
*** Effetto Farfalla - 2008 ***


Effetto farfalla - 2008

Victor || Yuuri

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt: Reggicalze

 

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-Victor! Apri questa porta!!!-

 

Una gragnuola di colpi sveglia Victor, ha il braccio addormentato, schiacciato dal peso di una testa scura. Ciocche di capelli lunghi gli entrano in bocca. Cerca di muoversi, ma le gambe sono aggrovigliate insieme ad altre gambe, qualcuno si muove al suo fianco, struscia la barba sul suo collo, lo graffia.

La porta viene colpita ancora. -Disgraziato! Alzati immediatamente!- È Yacov, sembra particolarmente arrabbiato…

Victor riesce a liberare un braccio, si massaggia il viso, è stordito, non ricorda molto di quella notte, ma riconosce il profumo maschile che gli entra nel naso.

Allunga la mano per la lasciare una carezza sulla gamba poggiata su di lui, ma le dita scoprono e si fermano su qualcosa di stoffa. Tocca, sfiora, cerca di capire, allarga il palmo: quello è un reggicalze, senza ombra di dubbio!

Un mugolio sottile si leva dalla sua sinistra, parecchio più in basso. E quello è un reggicalze. Chris non porta i reggicalze!

Che diavolo…

Victor si tira su di scatto, in un gomitolo di mugolii e lamenti. Anche Christophe Giacometti apre gli occhi, ma non riesce a sollevarsi, è trattenuto sul letto da qualcosa di ingombrante.

-Quoi ce bordel…-

 

Altri colpi potenti fanno tremare la porta, la testa di Victor gira.

-Chris, chi diavolo sono queste???-

Nel letto insieme a lui e lo svizzero ci sono due donne, che ancora dormono.

-Dimmelo tu! Ieri sera speravo di rimanere da soli e darci alla pazza gioia e invece ti sei fatto abbordare e convincere da queste due cameriere… ballerine… chi diavolo sono, Victor!?-

-Non ne ho idea…-

 

-Victor Nikiforov, apri subito questa porta o giuro che stavolta ti lascio per strada e ti devi trovare un altro allenatore!!!-

 

-Nascondiamole!-

-Sveglia! Sveglia!-

Colpetti sulle guance, strattoni, proteste, guaiti, ma le ragazze oppongono resistenza, si coprono con le lenzuola e offrono espressioni offese.

-Come abbiamo potuto!? È tutta colpa tua, Victor!-

-Devi credermi! Non mi ricordo niente di ieri sera! Io non… Cos'è successo?- Chiede confuso Victor alle ragazze, non si capacita di come siano finiti in una situazione simile.

La rossa sbuffa irritata. Si è rotta di reggere ancora la parte, davanti a quei due occhioni terrorizzati!

-Non è successo nulla! Nulla! Noi ci siamo impegnate, come ci era stato chiesto, ma voi due…- Alza spazientita le sopracciglia, butta un'occhiataccia alla compagna.

-Io l'avevo detto che questi due preferivano stare da soli… Vabbè, andiamocene, Samantha…-

 

-È l'ultimo avvertimento Victor Nikiforov, giuro che sono già abbastanza incazzato! Ti sento che sei lì dentro! Apri questa porta o la sfondo!-

 

Victor e Chris si fanno prendere dal panico, sollevano di peso le due sconosciute e le chiudono dentro al bagno. 

 

-Ehi! Che modi!-

-Non provatevi a uscire! …Vi prego…!-

 

Chris, veloce come un fulmine, raccoglie da terra una manciata tra gonne, camicette, abitini succinti, reggiseni e si infila nell'armadio all'ingresso, nascondendo con un'occhiata complice le prove e il colpevole. Victor si infila un paio di boxer al volo e apre la porta. Yacov entra nella stanza come un toro.

 

-Dov'è? Dov'è quel disgraziato di uno svizzero!- Avanza come un treno, facendo saettare gli occhi a destra e sinistra.

-Non so di cosa tu stia parlando, Yacov… E buongiorno…-

-Buongiorno un cazzo! Tu sei la mia rovina e non ti rendi conto che facendo così finirai per rovinare anche te!  Non hai nemmeno ventun anni, Victor! Devi smetterla con questo vizietto o non mi basterà più allungare mazzette ai paparazzi per pararti il culo e far sparire le foto che vi fate rubare, tu e quell'altro incosciente di Giacometti! Hai altri dieci anni minimo di carriera se non sputtani tutto così!- L'uomo fruga nella stanza, Victor si affretta ad infilare tutte le cose che trova in giro nel trolley, a casaccio, si veste saltellando per la stanza, mentre il vecchio continua a blaterare e blaterare e a lui viene solo da ridere.

-Prendi tutto, disgraziato!- Ringhia Yacov tra i denti e lo aiuta a pigiare le cose nella valigia, poi si volta e controlla nell'armadio in caso sia rimasto qualcosa.

 

-Aehm… Bonjour!- 

Victor guarda con le lacrime agli occhi Christophe Giacometti, medaglia d'argento subito dietro di lui allo Skate Canada della sera prima, uscire nudo come un verme dal suo nascondiglio, le mani a coppa a coprirsi davanti. Scivola radente alla parete fino al letto, si siede, cerca i suoi vestiti.

-Victor, non è che li hai messi in valigia con i tuoi…?- Bisbiglia e a quel punto Yacov, rosso in volto come un peperone maturo, esplode come un geyser!

-Maledetti! Disgraziati! Stupidi incoscienti!!!-

Si porta le mani ai pochi capelli che ha e, tra i singhiozzi e le lacrime, inizia a bubolare. -Almeno sono stati soldi spesi bene! Maledetti che non siete altro! Mi farete morire d’infarto! Cosa ci fai tu qua, Giacometti! Non rispondere! Lo so! Almeno abbi la decenza di scomparire dopo che avete fatto i vostri comodi! Siete degli scellerati! Dei… dei… pervertiti!-

 

Intanto Christophe è riuscito a rivestirsi e Victor ha chiuso il bagaglio.

-Non siamo pervertiti!- Si picca Chris, -Non stiamo facendo del male a nessuno, non c'è niente di male in quello che…-

-In Svizzera! Insieme alle mucche e agli yodol, forse! Ma lui è russo! Lo capisci che vuol dire?-

Chris incrocia le braccia al petto, Victor congiunge le mani in una muta richiesta allo svizzero di non replicare.

-Sparisci…- Esala l'allenatore, crollando seduto sul letto, ma Chris tentenna. Victor gli si avvicina e bisbiglia al suo orecchio: -Ci rifaremo tra tre settimane a Mosca, adesso vai- e lo spinge verso la porta, ma Chris punta i piedi.

-Sparisci!!!-

 

-Veramente io… vorrei recuperare.. la medaglia… S'il vous plaît!-

-La medaglia!-

-La medaglia, cazzo!-

 

Non resta altro da fare che aprire la porta del bagno, dove le due signorine aspettano coperte con degli asciugamani, in ubbidiente silenzio. Sui loro décolleté spiccano rispettivamente la medaglia d'oro e quella d'argento.

 

-Oh…- Sussurra Yacov.

-Oh oh…- Gli fa eco Victor.

-Oh!- S'impone Chris e pretende il suo trofeo.

 

E allora accade una cosa strana, che nessuno si sarebbe aspettato.

Yacov si attacca al telefono, borbotta qualcosa in inglese a non si sa chi, allunga le mani verso le signorine e si fa restituire le medaglie.

-Rivestitevi e aspettate qua-, comanda alle due e le chiude di nuovo in bagno. Poi si siede sul letto e fa cenno agli sciamannati che ascoltino.

 

-Questo cambia tutto-, esordisce, è quasi impacciato, ma c'è una nota sollevata nella sua vociona.

-Ragazzi, dovete capire che le vostre posizioni sono in bilico: voi due siete in cima a tutte le classifiche, ma ci sono altri che piano piano si fanno strada nel pattinaggio: stranieri i cui nomi iniziano a ricorrere e presto insidieranno il vostro podio. Pochi giorni fa, allo Skate America, è arrivato primo Michele Crispino e sul podio accanto a lui c'era il cinese Cao Bin, staccato di pochi centesimi. Sono giovani, appena arrivati dagli juniores, ma hanno la determinazione giusta per andare avanti. E poi c'è un manipolo di inetti da tutti i paesi che ogni anno ci provano, ma anche chi si è ritirato all'ultimo, ho sentito che ha stretto accordi con allenatori più capaci, ha trovato il modo di migliorarsi. Migliorerà. Voi dovete stare attenti. Se foste colpiti da uno scandalo, tu, Victor, rischi di essere radiato dalla Federazione e tu, ‘yodol’, che tutte le ripercussioni ricadano sulle tue spalle. Non potete permettere di perdere anni per uno scandalo, non vi conviene, siete all'apice della carriera, dovete tenervi stretti i vostri successi, perché se siete costretti a fermarvi, non ripartirete più. Se a causa di questi vostri giochetti Victor sparisce dalle scene, i giudici se la rifaranno su di te, Giacometti, e se tu ti fai radiare, disgraziato, io mi rifarò su di te.-

Fa una pausa, ha ancora l'indice premuto sul petto di Victor, ma una specie di sorriso si allunga sul suo volto burbero. 

-Ma questo cambia ogni cosa…- Indica con la mano tesa la porta del bagno, il suo telefono vibra, Yacov legge un messaggio, batte tra loro le mani una volta e si alza.

-Tu vieni con me-, afferra Chris per un braccio e lo trascina fuori dalla camera.

-E tu, Victor, aspetta cinque minuti esatti e esci con quelle ragazze da qui. Accertati che ci sia chi deve esserci nel corridoio e salutale come si deve…-

 

Yacov sbatte la porta e se ne va con Chris.

 

Victor capisce, ingurgita aria, stringe i denti. Tutto questo è una violenza che sta subendo e a cui si sta piegando. Giura che è la prima e l'ultima volta che si farà manipolare così. Starà più attento, si nasconderà… Ma lui non ha niente da nascondere, maledizione!

Cinque minuti ha detto Yacov. Ha cinque minuti per sbollire la rabbia e metter su la maschera del giovane maschio sciupafemmine e ingordo.

Poi fa uscire le ragazze dal bagno e le accompagna alla porta, prendendo il trolley e il cappotto.

 

-Grazie per la splendida nottata-, CLICK sussurra sulle labbra di quella mora e lei lo bacia. CLICK.

-Sei stata meravigliosa- CLICK e stringe a sé la rossa. CLICK.

Abbraccia entrambe CLICK e le accompagna all'ascensore. 

Un ultimo click lo avverte che la messinscena è terminata.

Ficca le ragazze a forza nella cabina e poi prende le scale.


 


 



 

-Yuuko-san, le mie più sentite felicitazioni.-

Yuuri tiene la testa bassa, mentre, con entrambe le braccia allungate, porge il piccolo pensiero che ha comprato all'aeroporto di Paine Field per le gemelle.

-Non dovevi disturbarti, Yuuri-chan, grazie…- 

-Perdonatemi per aver aspettato un pochino, prima di venire a trovarvi… Ma ecco, io… dovevo sistemare… Sai… tutte le scartoffie… il trasferimento… Detroit… Perdonami, Yuuko-san…- 

Yuuko guarda preoccupata l'amico, poi rivolge uno sguardo denso di parole al marito.

-Vado a controllare le piccole-, dice lui ed esce dalla stanza. 

Ci ha messo due settimane, Katsuki, per ingoiare il rospo del suo disastro allo Skate America, non si è precipitato subito in clinica, come aveva anticipato al suo rientro. Ha atteso che i Nishigori fossero di nuovo tutti a casa e le bambine si fossero ambientate e per strada iniziassero ad allestire le decorazioni natalizie e che Mari lo prendesse per un orecchio e lo costringesse a mettere il naso fuori dalla sua stanza.

 

Yuuko si rammarica, Yuuri non la chiama più Yuuko-chan, è passato al “san”, ha tagliato i ponti anche con lei. Lo sapeva che prima o poi sarebbe successo e solo la sua nuova condizione di mamma le permette di non scivolare ancor più nel dispiacere.

Yuuri sta zitto, è imbarazzato come non mai.

-Posso aprirlo?- Domanda Yuuko, riferendosi al regalo appena ricevuto.

-Ma certo!- Yuuri si scuote, alza il viso, lo sguardo vaga e si ferma sul tavolino basso su cui è stato servito il tè, poi scivola più a lato, sulle riviste che hanno portato le cognate di Yuuko per ammazzare il tempo.

Ne prende una, la sfoglia sovrappensiero, facendo frullare le pagine e immediatamente queste si fermano sulla pagina su cui la rivista è rimasta a lungo più aperta: c'è un articolo intero su Victor Nikiforov.

Gli occhi di Yuuri scorrono le righe famelici, Yuuko trattiene il fiato, Yuuri gira la pagina. C'è una foto di Victor recentissima, è in quello che sembra un corridoio d'albergo e lui sta baciando una ragazza mora, mentre stringe una rossa.

 

Il campione di pattinaggio stupisce ancora: i festeggiamenti per la medaglia allo Skate Canada proseguono sotto le lenzuola, nella notte d'oro di Victor -Re di cuori - Nikiforov.

Sono false, quindi, le voci che lo vedevano fare coppia con lo svizzero Christophe Giacometti, medaglia d’argento alle sue spalle?

 

Yuuko lo sta ringraziando per le tre tutine rosa da neonata che ha comprato per le bambine, si aggiunge ai ringraziamenti anche Takeshi, tornando con una carrozzina a tre posti, le neonate strillano, il campanello della porta squilla, c'è il caos attorno a lui, ma Yuuri non è lì.

Si rende conto per la prima volta che Victor, il suo Victor, il mito, la leggenda vivente, il modello a cui ambisce di avvicinarsi non è un dio, non è infallibile. Victor è un uomo, con le sue debolezze, i suoi passi falsi, una vita oltre la pista, che Yuuri ha sempre immaginato coincidere con la totalità dell’esistenza del suo modello. Victor è… è come tutti gli altri, si è fatto beccare in un momento di imperfezione, perché anche lui non è… non è…

 

Yuuko fa un cenno al marito, lui imbastisce un discorso che Yuuri non sente, ma si trova a ringraziarlo quando viene accompagnato in cucina, e la porta si chiude, lasciando che il silenzio si fermi tra loro.

 

-Yuuri-, lo chiama Takeshi, -Yuuri… vedrai che le cose si sistemeranno. Quando sarai a Detroit, avrai le possibilità che qua non…-

-Grazie-, Yuuri gli sorride, fa un leggero inchino, -Adesso devo proprio andare-, inventa, -Saluta Yuuko-san da parte mia e dai un bacio alle bambine.-

 

Takeshi non lo ferma e lo scorta all'ingresso. Sulla porta incrociano l'ex allenatore Kimura-san, in visita con la moglie, ma Yuuri nemmeno se ne rende conto.

Scende le scale, esce per strada e cammina, cammina sempre più veloce, più veloce finché i piedi non si staccano da terra e corre, corre lontano da Yuuko, lontano da quelle foto, lontano da tutto, corre, corre e non si ferma finché non raggiunge il mare. Solo allora, col fiato in gola, permette a una lacrima di scappare via e lascia che il nero lo inghiotta ancora.


 

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Capitolo 5
*** Stagioni - 2009 ***


Stagioni - 2009

Yuuri

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt: Compleanno

 

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Il primo mese che Yuuri Katsuki è a Detroit, lo passa ad ambientarsi, sovraccarico di scartoffie, iscrizione in ritardo all'università, recupero dei corsi persi, primi approcci con la pista e studio reciproco da parte del coach Celestino Cialdini. È la prima volta che si trova così lontano da casa: è stato lui a volerlo, fa parte del suo piano di vita, ma quando passa la frenesia per tutte quelle cose da sbrigare, si scopre solo e affamato di tutti i piccoli momenti domestici che condivano il riso sciapo della quotidianità. Gli mancano le sigarette fumate di nascosto da Mari, mentre lui le copriva le spalle con i suoi, gli manca l’abbaiare giocoso di Vicchan, gli manca il katsudon di mamma, gli manca affacciarsi alla finestra e vedere il Castello di Hasetsu, in lontananza, mentre in giardino suo padre spala la neve e canticchia vecchie melodie tradizionali. Gli manca il calore di sedersi a tavola tutti insieme, gli mancano le prove di danza con Minako-san, gli manca l’odore del parquet del suo studio, quello che c’è all’ingresso dell’Ice Castle, che è particolare, perché Yuuko raccoglie le bucce dei mandarini e le lascia a seccare sui radiatori, per profumare l’ambiente. Gli manca l’idea di lei ragazza, gli manca correre sul lungomare, gli manca il bagno caldo che preparava la mamma, gli manca il suo ambiente e si sente stritolato nelle conseguenze della sua decisione. Ma non tornerà a casa se non vittorioso, se l’è promesso quando ha varcato quella soglia l’ultima volta.

Il secondo mese, Celestino è tentato di impacchettare Yuuri e rimandarlo in Giappone con la Fed-Ex e un barile di xanax.

Il terzo mese Yuuri inizia a ingranare e riesce a mettere di fila una combinazione con un triplo Axel e un doppio toe-loop tra un miliardo di trottole e sequenze di passi superlative. Intanto salta il Four Continents e la possibilità di tornare alle gare.

Il quarto mese Yuuri dà il primo esame all'università e si trova un lavoretto  al KFC di quartiere. Perfeziona il triplo Flip e continua a consumare il ghiaccio della pista tra sequenze di passi sempre più spettacolari e trottole via via più veloci. 

Il quinto mese Yuuri lascia il lavoro al KFC e si sente un fallito, ma non ce la fa davvero a coniugare studio, allenamenti e lavoro: è troppo per un ragazzo di diciott'anni impegnato a livello agonistico. Intanto salta anche il Campionato Mondiale a Squadre, nonostante Celestino lo avesse iscritto e avesse preparato per lui un programma corto che gli calzava alla perfezione. Sarebbe stato a Tokyo: Celestino annusa che forse il motivo per cui Yuuri si rifiuta è proprio per non tornare nella sua terra, perché si vergognerebbe troppo se fallisse così vicino a casa.

Il sesto mese Celestino vuole liberarsi di Yuuri e dei suoi sbalzi d'umore, dei poster di Victor Nikiforov con cui ha tappezzato il suo alloggio al campus universitario e dei continui rifiuti a farsi una bevuta insieme, qualche volta il sabato sera. Non ne può più di un potenziale campione che se la fa sotto appena gli viene chiesto di mettersi in gioco e intanto ha impostato il nome del suo idolo, che brama di incontrare, come password del WiFi.

Il settimo mese Celestino bussa alla porta di Yuuri spingendogli in casa un nuovo allievo che si è impegnato ad allenare. Si chiama Phichit Chulanont, viene dalla Thailandia e ha tre anni meno di lui. È un bambino praticamente e per farlo accettare nel campus ha fatto carte false. Phichit frequenterà le superiori e Yuuri gli starà dietro aiutandolo negli studi per quindici dollari l'ora, sottratti dall'onorario che deve al coach.

L'ottavo mese Yuuri sembra finalmente fiorire. È andato subito d'accordo con Phichit e i due sono diventati buoni amici. Phichit ammira tantissimo Yuuri e Yuuri ha accolto la coppia di criceti che Phichit ha adottato, quasi fossero cani. Phichit ha concesso a Yuuri di tenere al muro i poster di Nikiforov, Yuuri ha permesso a Phichit di creare per lui un account Instagram, un canale YouTube e una pagina Facebook dedicata alle loro avventure a Detroit. Intanto spunta la possibilità di volare dall'altra parte del mondo per i giochi invernali in Nuova Zelanda e Yuuri sale sull'aereo con Celestino alla volta di Dunedin. Lo ha dovuto cercare su Google Earth dove si trovi ed è molto, molto lontano da Detroit, ma soprattutto da casa. Una volta smaltito il fuso orario, Yuuri prende un bel respiro e incanta il pubblico con le sue sequenze di passi e le trottole da capogiro, ma crolla sui salti, incassa la sconfitta e torna a casa. Conosce però alcuni pattinatori più grandi di lui, che hanno a loro volta incontrato Victor Nikiforov almeno una volta nella vita e si sente un po’ più vicino al suo sogno, anche se poi trascorre i due mesi successivi a battere la testa (e il sedere) sui salti.


-Non ne posso più, Celestino, pietà!- Il ghiaccio è freddo e fa male, i pantaloni della sua tuta di allenamento sono fradici e Yuuri ha bisogno di soffiarsi il naso.

-Devi riuscire a fare il triplo Salchow a occhi chiusi, Yuuri! Non mi importa se domani avrai il culo blu per i lividi! Impegnati e non cadere più!-

 

Phichit riprende tutto e lo carica sul canale YouTube di Yuuri. Quella sera, mentre si lamenta per il dolore alle gambe, Yuuri se ne accorge e cancella il video, ma ha già avuto ventisei visualizzazioni.

-Tu mi insegni ad essere più fluido nei passi e io ti insegno il Salchow, ci stai?- Gli propone Phichit e fanno tagliare la stretta di mano, che sancisce l'accordo, dalla zampina di uno dei due criceti.

 

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È passato un anno lontano da casa, ancora due settimane e Yuuri compirà diciannove anni. Al suo attivo ha imparato a fare a occhi chiusi il triplo Salchow e sta facendo le valigie per la prima gara dello Skate America. Victor Nikiforov non ci sarà nemmeno questa volta, ma Phichit si aggregherà a Yuri e Celestino e poi tutti insieme partiranno di corsa verso Varsavia per la sua ultima gara negli juniores.

 

-Dalla prossima volta saremo avversari-, sussurra Phichit prima di crollare addormentato sul suo letto in albergo, a Lake Placid.

Yuuri gli sorride e lo lascia riposare. È la prima volta che non vede nero intorno a sé e che riesce a sentirsi un po’ tranquillo prima di una gara. Infila gli auricolari, fa partire la musica del suo corto e ripassa con gli occhi chiusi i passi e i salti.

Si sveglia nella stessa posizione, con gli auricolari ancora nelle orecchie e il telefono completamente scarico. Ha sognato, non gli capitava da un bel po’ e, da quel che ricorda, era un bel sogno, c'era luce.

Quel pomeriggio arriva secondo dopo il programma corto, all'attivo quattro salti su cinque ben fatti e un triplo Salchow fallito. Ha però compiuto tutte le rotazioni previste e si è ripreso subito, solo una mano poggiata per terra. 

La notte successiva la passa in bianco, col terrore di una posizione sul podio da mantenere e la mano, quella mano, che brucia come se avesse toccato brace, invece che ghiaccio. Phichit gli dice di non agitarsi, che, anzi, deve essere soddisfatto per un tale ritorno alle gare e anche Kimura-san e Yuuko-san gli scrivono che è stato bravissimo, ma Yuuri sente il mostro che si agita dentro il suo addome, si muove tra le viscere, cerca spazio, gli strizza lo stomaco, risale fino al cervello, gli paralizza il fiato in petto e le palpebre, affinché il nero della notte non si allontani dalle sue retine e l'ansia inizi a lavorarselo operosa e subdola. 

Prima del libero, mentre Celestino gli stende un velo di correttore sotto gli occhi per cercare di coprire almeno un po’ quelle occhiaie che ha guadagnato, Yuuri incrocia il suo sguardo e Celestino sospira. -Devi buttarti sapendo che peggio di un disastro annunciato non puoi fare. Magari cadi, magari riesci a volare, ma sta attento a non farti male. Per tutto il resto c'è una soluzione rapida, da un infortunio si esce dopo mesi.- Phichit suppone che non sia una frase motivazionale particolarmente adatta alla situazione, lui avrebbe detto “Vai, vola libero ché ne hai le forze!”, però, in qualche modo, funziona. Yuuri non si spacca, non cade, non cede, non osa, non spicca, non brilla, non si qualifica, ma alla fine arriva quarto. Incassa, riflette, non dà a vedere esteriormente che si disperi, ma dentro muore un po’. Bastava un terzo posto e sarebbe volato a Tokyo, per la finale del Grand Prix. Lì avrebbe finalmente incontrato Victor Nikiforov, ma non accadrà. E poi Tokyo era troppo vicino a casa, meglio così.

Phichit, invece, smaltito il fuso orario tra Lake Placid e Varsavia, arriva secondo e saluta la categoria juniores con un bell’inchino, un argento al collo e la determinazione giusta per salire di grado e raggiungere finalmente il suo amico Yuuri.

 

Sull’aereo che li riporta a Detroit, Phichit parla, parla, parla mentre Yuuri vorrebbe soltanto silenzio attorno a sé. A un certo punto Phichit crede di fare una cosa gradita all'amico e gli mostra la galleria di screenshot che ha sul telefono relativa al binomio pattinatori-gossip. Blatera dei nuovi talenti, di pettegolezzi frivoli e tiene per ultime le notizie su Victor. Spuntano di nuovo le foto del russo che strapazza le due ragazze a Everett, l’anno prima e le indiscrezioni su una presunta liaison con Christophe Giacometti, accompagnate dalle foto dei due che prendono un caffè parlottando vicini vicini, su una qualche pista di sci in Francia. Phichit ci costruisce sopra un romanzo rosa: probabilmente Victor è uno a cui va bene ogni cosa, basta sballarsi, un tipo da una notte e via, come tutti quelli che arrivano alla vetta e perdono contatto con la realtà. 

Yuuri vorrebbe buttarsi giù dall'aereo. La chiacchierata si conclude con la promessa che il thailandese fa al giapponese:  anche se mancano pochissimi giorni, per il suo compleanno gli organizzerà una festa che lo rimetterà al mondo e gli farà dimenticare Nikiforov, il quarto posto e anche come si chiama. Inviterà molte, molte ragazze e ci sarà molto, molto da bere. Tanto Phichit ha sedici anni e per lui l’alcool è proibito, quindi Yuuri potrà stare tranquillo: avrà un angelo custode che lo fermerà prima del bicchiere del troppo pieno e lo riporterà a casa sobrio e salvo.

 

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Il primo a crollare ubriaco fradicio è Phichit. 

Quell’irresponsabile di Celestino si dimentica che il ragazzo è minorenne e continua a riempirgli il bicchiere di birra, spumante e altre porcherie, ridendo sguaiatamente e brindando alla medaglia d’argento del ragazzino e all’ottimo piazzamento -dice lui- di Yuuri.

Sono in un locale non distante dal palazzetto del ghiaccio dove si allenano, hanno preso un tavolo per loro tre e un’altra decina tra allievi e compagni di studio e Yuuri affoga il nero nell’alcool. Presto raggiunge Phichit e Celestino nelle valli bagnate dal fiume birra e perde la cognizione del tempo e della decenza. Quando arriva la torta che Celestino ha fatto preparare per lui, spegne le candeline e biascica -Nikiforov, fottiti!-, ma lo capisce soltanto Phichit e da lì parte il delirio.

 

-Hai detto bene, bro! Che si fotta, quel damerino spocchioso che non si degna nemmeno di partecipare alle nostre gare!- Phichit brinda alla sua profonda osservazione e Yuuri si ingozza di torta.

-O che si faccia fottere dal suo svizzero!- Rincara Yuuri, con la ragione completamente partita per la tangente e un nodo allo stomaco che non va giù nemmeno con un bicchiere intero di spumante.

-O che si fotta quelle baldracche, tanto a noi che ce ne frega!- Ride sguaiatamente il più giovane e infila in bocca una manciata di torta direttamente con le mani, sporcandosi tutto. Cerca qualcosa per pulirsi il muso e nota due ragazze di età indefinibile che sorridono verso di loro. Forse sono amiche dell’università di Yuuri, chi se ne importa. -Ehi, bellezze, ci fate compagnia?- Propone alle sconosciute e gli scappa un singhiozzo. Yuuri lo raggiunge e gli passa un braccio sulle spalle, ha bisogno di un appoggio o rischia di cadere, oltretutto deve aver lasciato gli occhiali da qualche parte e vede tutto appannato.

-Ehi, bro, ho invitato a ballare queste due signorine, che ne dici?-

Yuuri esamina l’oggetto della proposta: vede due macchie indistinte, una mora e una rossa e gli torna in mente la foto di Victor. Se lo fa Victor, lo può fare anche lui, no?

-Sei troppo piccolo tu, ci penso io-, ordina all’amico con un singhiozzo, inspira aria e allunga entrambe le mani verso le ragazze.

-Mi concedete un ballo?- Sghignazza, mentre Phichit avvia la registrazione sul telefono e Celestino mesce l’ennesimo bicchiere di spumante per se stesso.

Le due ci pensano, fanno spallucce e -Perché no?- Accettano.

 

Yuuri è in pista e balla stretto avvinghiato a entrambe, una sui cui fianchi ha poggiato le mani e l’altra alle sue spalle che si struscia come una gatta. Qualcuno urla il suo nome, Grande Yuuri! Dai, Yuuri! Sei il migliore! Grazie ai fumi dell’alcool, la pista da ballo muta e si trasforma in un rink; l’odore del ghiaccio gli entra nel naso, gli dà alla testa: quegli incitamenti sono per lui, sta per eseguire il suo programma, si sente acclamato, ha la carica che serve, può vincere e volare perfino a Tokyo per la finale del Grand Prix, può incontrare e scontrarsi con Victor! E che la musica parta, lui è pronto! Dai, Yuuri! Sei il migliore!


Sequenza di passi, perfetta. Due braccia attorno al collo.

 

Trottole, trottole come se non ci fosse un domani. Labbra sulle sue.

 

Combinazione triplo Toe-Loop più doppio Flip, andata. Una mano sotto la maglia.

 

Serpentina, transizione, piroetta alta. Lingua contro la sua. C’è qualcosa di strano sul ghiaccio.

 

Triplo Axel, riuscito. Una mano sui pantaloni, lingua in profondità. 

 

Piroette angelo, trottola alta, subito un flip. Altre mani che lo trascinano via. I pattini non fanno più rumore sul ghiaccio, che succede?

 

Quadruplo Loop, ce l'ha fatta! Non è più sulla pista, braccia che lo stringono. È nel bagno. Non ha messo i coprilame, ma sta ancora esibendosi… dov’è?

 

Quadruplo Axel, non ce la farà mai! Dov’è la pista? Dov’è il ghiaccio, cosa… cosa sta…?


-Ehi! Ehi, ferma!- C’è una ragazza in ginocchio davanti a lui, gli sta abbassando la zip dei jeans. Ma cosa…!? Dove si trova?

-Ferma! Sta’ buona! Non farl…- Oddio, sono in due e l’altra gli ha appena tappato la bocca con la sua! Che diavolo sta succedendo!?

 

È tutto sbagliato.

 

Riesce a scrollarsele di dosso appena in tempo e si precipita sul water. Vomita anche l'anima.

-Ehi bello, tutto ok?-

-Che schifo, io me ne vado!-

-Ma sì, faceva tanto il playboy, con quelle mani frenetiche, ma è solo l'ennesima checca!-

-Peccato, era un bel bocconcino. Ciao bello, riprenditi!-


Co… cosa?

 

-Scusate… io non… Scusatemi…- Allunga una mano al pulsante e fa scorrere l'acqua, rimane immobile a contemplare il water tutto sporco. Poi, lentamente, riesce ad alzarsi, si richiude i pantaloni, esce dal bagno, la testa gira, sbatte contro un muro, torna verso il locale, ticchettio di tacchi in lontananza, risatine. Vuole vomitare di nuovo. Cazzo, ma cos'è successo???

 

-Yuuri! Che faccia hai!? Dove ti eri cacciato? I tuoi amici stanno iniziando ad andare via, vieni a salutarli!- È Celestino, mai nome fu più adatto! Come un angelo custode lo tira a sé, lo abbranca sotto la sua ala, lo mette davanti al gruppo degli invitati e gli fa fare ciao ciao con la mano. Poi afferra Phichit per la collottola, allunga la carta di credito alla cassa e trascina i suoi allievi nella notte gelida di Detroit. Passeggiano ondeggiando in tre, sorreggendosi come degli ubriaconi con le braccia l’uno sulle spalle dell’altro, finché il coach non scarica i ragazzi sul pianerottolo del loro alloggio.

-Uuuh! Che bevuta! Vi siete divertiti? Mi sa che ti ho trascinato via prima che tu ti divertissi davvero, Yuuretto bello! Perdonami! Mi raccomando: adesso tanta nanna e domattina un’aspirina a testa! Ah, e ancora buon compleanno, campione!- Celestino se ne va e Yuuri e Phichit rimangono basiti, impalati nell’ingresso del loro bilocale.

 

-Ma che cavolo…- Borbotta Phichit, -Potevamo divertirci un altro po’!-

Yuuri non risponde, non ha aperto bocca da quando è uscito dal bagno del locale, nel quale non ricorda nemmeno come ci sia capitato. Crolla sul divano con la testa rivolta al soffitto.

-Ehi, Yuuri, tutto ok?- Domanda Phichit, poi si lascia cadere accanto a lui e rutta.

-Yuuri? Ohi? Allora? Te la sei spassata eh, vecchio porcone! Altro che Nikifor…-

-Zitto!-

 

Yuuri si sente sporco, dentro e fuori. Non sa cosa sia successo, non ha idea di chi fossero quelle due, ma ringrazia che non fossero compagne di studio. Si sente sbagliato, violato, come se avesse dato via l’anima, in cambio di un effimero stordimento e una paura strisciante inizia a risalire dalle sue gambe.

-Cos’è successo, Phichit?- Ha timore della risposta che riceverà, ma l’altro non proferisce parola. Gli mette in mano il suo smartphone e preme sul tasto play.

 

Yuuri stenta a riconoscersi. Non è lui quello, non può essere lui!? Quando mai cazzo ha ballato a quel modo, con altra gente, con delle… delle ragazze, poi!? E quelle mani, le sue mani, la sua… oh kamisama

-Te le sei fatte, dentro al bagno?-

Yuuri non risponde di nuovo, sta fermo col telefono di Phichit in mano e gli occhi sbarrati davanti a sé. 

-Almeno una… almeno un…- Phichit indica i suoi piani bassi, poi punta l’indice verso la sua bocca aperta e Yuuri serra gli occhi. È semplicemente disgustato e terrorizzato e… Non ricorda. Non ricorda niente.

-Non lo so! Spero proprio di no!-

 

Phichit ruota la testa guardandolo fisso, sembra un gufo: -Come “spero proprio di no”!? Non volevi?-

-Phichit… No…! Io non…- Esala il fiato, si sgonfia, si arrende alla confessione e alla presa di coscienza che lo fulmina come un San Paolo sulla via di Damasco. 

Prende aria, molta aria. -A me non interessano le ragazze, Phichit…- Fa una pausa, riprende, muove una mano nell'aria.

-O meglio… un tempo mi piaceva tantissimo una ragazza, lei era un'amica, ma non solo. Mi piaceva proprio, era così carina… Chissà, forse all'epoca ho confuso l'amicizia con l'amore, ma ormai non importa più. Fa parte del passato. E poi, crescendo, ho capito che… beh, forse era solo amicizia, perché io credo che in realtà a me le ragazze proprio non  interessino. E credo di averne avuto la riprova prima…-

Il thailandese sbatte le palpebre senza mutare espressione: -Capisco… Ma allora come mai, con quelle due, tu…?-

Beh, le risposte sono due: la prima è perché ce lo ha buttato lui con un calcio in culo, in quella situazione, la seconda perché… perché…

 

-Come Victor! Volevi fare come Victor! È così?- Nemmeno sedici anni e la capacità di analisi di Freud. Yuuri annuisce, fa ricadere di nuovo la testa indietro, piagnucola, pesta i piedi a terra e agita le mani, poi si affloscia immobile.

 

-Io dico che anche lui si è trovato in una situazione del genere, sai?- Phichit parla a voce bassa e si rannicchia sul divano, gli si stanno iniziando a chiudere gli occhi.

-Lui non è davvero un tipo così… almeno non credo… Se ho detto il contrario… non lo so… E poi tu eri ubriaco marcio… Non facevo nemmeno te un tipo così, a dirla tutta, ma sei stato davvero divertente!- Sbadiglia, non ha finito. -E sai una cosa? Al di là di com’è finita… prima eri molto, molto sexy, Yuuri, veramente molto molto molto… Quasi quasi stavo per cadere ai tuoi piedi anche io… Però Yuuri, davvero non ricordi nulla? Non è una bella cosa questa, rischi di ritrovarti ad aver combinato un pasticcio, se ti ricapita e poi…-

 

Si è addormentato. 

 

-Stai tranquillo, Phich, ho imparato la lezione…- Bisbiglia Yuuri. Phichit è un vero amico.

Sospira per l’ultima volta e si copre il viso con una braccio. Ne ha fatte di cazzate in vita sua, ma quella…! Ripete mentalmente che non c’è nulla di sbagliato in lui, nell’essersi preso una sbronza per il suo primo compleanno lontano da casa, d’altronde non è successo nulla di irreparabile, mica ha chiesto a qualcuno di sposarlo o di seguirlo in capo al mondo, no?

L’ultimo pensiero lucido che ha, è se hanno in casa l’aspirina, poi scivola tra i sogni su pattini d’argento e riprende a danzare, a saltare, a essere aria, fuoco, musica e sorride.


 

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Capitolo 6
*** Perché - 2010 ***


Perché - 2010

Victor

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt: 500000 $ (modificato in 500000 )

 

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-Scommetto cinquecentomila rubli che ce la faccio!- Victor sfreccia sui pattini vicino ai suoi compagni di squadra, sorride strafottente, si volta e inizia ad andare all'indietro, sul ghiaccio della pista di allenamento a San Pietroburgo.

Ha vinto il campionato del mondo e tre Grand Prix di pattinaggio sul ghiaccio, non si contano gli ori nelle competizioni minori e con le tutte le altre medaglie che ha vinto ci può addobbare l’albero di natale di Rockefeller Center. Eppure non si sente soddisfatto. 

La prima sensazione che ha provato appena ha smesso il sorriso d’ordinanza, al termine dell’ultima premiazione, è stata di vuoto. Il mondo attorno a sé, i flash dei fotografi, i colori dei costumi, le scritte delle pubblicità, ogni immagine è apparsa in bianco e nero, i suoni si sono distorti, la percezione dell’ambiente è cambiata, tutto gli è apparso vago, indefinito, sbiadito, ovattato, noioso. Ormai è così dopo ogni gara, dopo ogni podio.

-Stammi a guardare-, proclama rivolto a Yacov Feltsman, mentre aumenta la velocità della sua pattinata. Si muove flessuoso, ricamando a ogni giro passi nuovi, per impreziosire quella cavalcata sempre più vorticosa, sempre più veloce. Non vuole soltanto tentare un nuovo salto, vuole rendere grandiosa tutta la sequenza.

-Smettila di dire idiozie, Victor, per piacere! Basta con queste stronzate da rockstar annoiata che vuole a tutti i costi cercare il brivido del pericolo, fermati!- Risponde a braccia conserte e voce tonante il vecchio allenatore, sul bordo del rink. Ne ha già visti parecchi di giovinastri annebbiati dalla fame di gloria e potere, ma Victor non ha quello scopo, è per questo che gli fa più paura di tutti.

-Non sto scherzando, Yacov. Sta a guardare il Quadruplo Nikiforov…-

La conferma la trova nel tono che usa quando gli scivola vicino. No, Victor non sta scherzando.

 

Sono le dieci di sera, quello sconsiderato del suo pattinatore di punta è in pista da cinque ore consecutive e ancora non ha sbollito la sua… rabbia? Frustrazione? Fame? Che cazzo ha che non va, dannato Nikiforov!? E, come se non bastasse, Qui, Qui e Qua gli danno anche corda!

Sono rimasti al palazzetto solo Georgi e i due del pattinaggio a coppie, che per fortuna non allena lui. La loro coach si è dileguata già da qualche minuto, così come Mila Babicheva e il giovanissimo Yuri Plisetski. Per lo meno Victor ha aspettato di avere meno pubblico possibile, prima di dare di matto, ma il suo pubblico lo incita, invece che ignorarlo.

 

-Non puoi scommettere tutti quei soldi per un salto in allenamento!- Lo provoca Dimitrij urlando verso di lui e Georgi gli batte su un braccio.

-Guarda che ne potrebbe scommettere dieci volte di più… Di certo non gli mancano!- Amicca, per niente preoccupato. Lo sa che Victor vuole fare lo sbruffone, ormai c'è abituato, ma ritiene di conoscerlo abbastanza per affermare che quello è tutto un bluff. Tutt’al più vorrà tentare una combinazione con due quadrupli, glielo aveva accennato tempo addietro. Quando Victor scommette a soldi non è mai serio. In generale lui non è mai serio davvero, anche se… Gli torna in mente quella volta che se n’era uscito con la storia che voleva tagliarsi i capelli: l'aveva messa su un piano futile, di praticità tra le lenzuola, ma poi… Un brivido gli attraversa la schiena, Georgi si volta verso l'amico in pista, non si sente più tanto tranquillo.

-Se sei così ricco, aumenta la posta in gioco!- Gli urla Dimitrij, poi si rivolge agli altri due. -Ha per caso l’albero dei soldi in giardino?-

-Lo sai quanto ha vinto tra campionato del mondo, i due Grand Prix e le altre gare in cui ha preso l'oro negli ultimi anni? Per non parlare di tutti gli eventi a cui partecipa e per cui lo pagano un’enormità! Mica come noi!- Gli risponde piccata Ekaterina, ma, un attimo dopo, si artiglia al braccio del compagno, deglutisce con gli occhi puntati sulla pista, non trattiene la voce. -Oddio lo fa davvero!-

 

-Victor!-

 

Dimitrij sta ancora facendo calcoli a mente, chiedendosi perché, se Victor è davvero un Paperon de Paperoni, continui a vivere negli alloggi della squadra. Solleva il capo quando la sua partner gli strizza il braccio, e assiste al salto più spettacolare e astruso che abbia mai visto e che, nemmeno nei suoi incubi alcolici, avrebbe mai pensato che uno sano di mente avrebbe potuto tentare. Il Nikiforov, lo chiamerà.

 

Non è un flip, non è un Axel, parte da una trottola alta, si dà uno slancio circolare, fa due, tre, quattro rotazioni, cazzo!, apre le gambe mentre è per aria, le richiude… no, non ce la fa a richiuderle…

 

-Victor!!!-

 

La caduta è altrettanto spettacolare.

Yacov si precipita in pista, scivola per terra, raggiunge il biondo. È bianco come un cencio, vede scorrere davanti agli occhi tutta la sua vita e quella di Victor.

 

Una risata precede il movimento fluido con cui Nikiforov si rimette in piedi.

-Non mi sono fatto nulla!- esclama e continua a ridere mentre il coach lo tasta qua e là, come se lo stesse perquisendo al check-in in aeroporto.

Con il colorito, a Yacov tornano in bocca le parole o meglio gli insulti. Riesce a metterne in fila di particolarmente creativi, alcuni dei quali dall'accento bielorusso o giù di lì, che aumentano di intensità con il volume delle risate di Victor.

 

Georgi intuisce che la misura del vecchio è colma e fa cenno ai due colleghi del pattinaggio a coppie di levare le tende.

-Ma dobbiamo riscuotere la scommessa!- Protesta Dimitrij e guadagna uno scappellotto da Ekaterina. Nemmeno lei ha mai visto qualcosa di più folle, perché il ghiaccio è infido, la gravità infranta illude, ma poi punisce, perché quella volta gli è andata bene, a Victor Nikiforov, ma non scommetterebbe nemmeno un rublo che il miracolo possa ripetersi. I tre lasciano la pista in silenzio.


-Victor!!! Smettila!!!- Yacov afferra il più giovane dal colletto della felpa con entrambe le mani, sente scricchiolare i denti da quanto li sta stringendo, per evitare di lasciarsi andare alla violenza, ma Victor è sprezzante del pericolo e gli ride in faccia ancora più sguaiatamente. È un fantoccio di pezza tra le sue mani, con indosso soltanto una maschera deformata dalle risate. Rimane immobile anche quando vede arrivare il manrovescio sulla sua faccia, continua a ridere anche se un filo di sangue gli cola dalla bocca. 

 

Te l'ho fatta, vecchio stronzo!

 

Yacov lascia la presa sulla maglia dell'allievo, in un istintivo moto di vergogna, poi serra i pugni lungo i fianchi e diventa sempre più rosso.

Deve sbollire la rabbia o la prossima volta non si limiterà a uno schiaffo a cinque dita, rischia di compromettersi. L'ha siglata lui la polizza infortuni di Victor, ha presente il suo valore.

Si allontana dal centro della pista e si ferma al limite a testa china, una mano posata sul bordo, l'altra ancora abbandonata lungo il fianco.

-Victor, non puoi continuare così…- La sua voce è grave, ha perso il tono furibondo di poco prima, c'è solo una inumana preoccupazione che la agita. Questa volta gli è andata bene, ma se ritenta, lui…

 

-Così come, Yacov? Cercando di crescere? Di evolvermi? Di portare qualcosa di diverso e che non si sia mai visto prima alle Olimpiadi? Di provare ancora stupore e interesse per il mondo?- Victor rigurgita amarezza, nemmeno urla. Si passa una mano sul mento e toglie la macchia di sangue, quindi esce dalla pista sorpassando l'allenatore.

I coprilame non sono al loro posto e Victor vuole andarsene subito. Ringhia e con la lama del pattino destro si accanisce sulle stringhe del sinistro e viceversa, finché non sono a brandelli, li calcia lontani e se ne va scalzo verso gli spogliatoi.

 

Yacov sospira, sarà una lunga notte, sarà come le altre volte. Dovrà seguirlo di nascosto in giro per i quartieri peggiori di San Pietroburgo e raccattarlo quando avrà raggiunto il limite di alcol che quel suo corpo perfetto può reggere. Ogni tanto succede, di solito quando torna a casa con una medaglia al collo. Negli ultimi anni è già accaduto almeno tre volte che Victor avesse un crollo di quel tipo. Ogni volta quella atassia rancorosa è durata settimane e Yacov sa di non essere pagato a sufficienza per contenere anche le uscite di testa della sua primadonna. Ma Victor è insostituibile, inutile negarlo, è davvero la primadonna del suo show e il primo animo fragile di cui lui si sia veramente interessato. Quel ragazzo ha sempre smosso dentro di lui sentimenti contrastanti contro i quali non ha difese. All'inizio era l'orgoglio di contribuire alla crescita di un tale talento, poi l'affetto quasi paterno, ma anche l'invidia per assistere a qualcosa che per lui era sempre stata irraggiungibile. Poi il cameratismo, la responsabilità, la pazienza, l'ira. Ora prova solo pietà per Victor, perché nemmeno lui ha il coraggio di scavare a fondo nel groviglio buio che quel ragazzo si porta nel petto e scoprire contro quali demoni stia ancora lottando da solo. Non ce la fa ad andare oltre e fermarlo prima che si ubriachi fino a perdere i ricordi: è più facile raccogliere i cocci e rimetterli insieme, che stargli vicino con pazienza, evitando che si rompa.

 

Lo lascia andar via dal palazzetto rivestito di tutto punto, elegante come se non fosse successo niente: anche l'invidia per il suo aspetto, ogni tanto, lo punge, ma non è quello il momento adatto per pensarci.

Lo segue sulla sua auto mentre Victor sale sul taxi che lo sta aspettando e solca tutta la città. Prega che almeno si fermi a mangiare qualcosa, prima di abbandonarsi all'oblio, ma a un tratto il taxi fa una svolta inattesa, devia verso un quartiere elegante, procede spedito e si ferma nell'ultimo posto dove Yacov avrebbe pensato volesse tornare Victor.

 

Lì, al ventunesimo piano del grattacielo di nuova costruzione, c'è l'appartamento extralusso che Victor ha comprato e arredato da qualche tempo e nel quale non è mai voluto tornare a passarci nemmeno una notte. “Mi sentirei solo”, ha sempre addotto come scusa per continuare a vivere negli alloggi della Federazione e per la prima volta Yacov comprende sul serio quelle parole.

Nessuno sa di questo appartamento, nemmeno Georgi Popovich: per tutti Victor è un bohémien che accumula soldi e non li usa.

 

Quella sera, Victor vuole rimanere da solo con i suoi fantasmi, finché il fuoco che gli consuma l'anima non si acquieti.

Lo vede scendere dalla vettura e chinarsi verso il finestrino per pagare l'autista; insieme a lui esce dall'auto anche il suo cane. Quando diavolo l'ha recuperato il cane!? Che fosse tutto programmato? Tutte quelle ore di allenamento, la sfida di un salto azzardato, la rabbia, la fuga… che faccia tutto parte di uno show in cui Victor ha recitato il ruolo del bello e dannato!?

 

Yacov aspetta di vedere accendersi le luci dietro le grandi finestre dell'appartamento, quindi reclina un po’ il sedile della sua auto e si sistema meglio il cappotto sulle ginocchia. Resterà lì per un po’, poi lo chiamerà al telefono e proverà a farci due chiacchiere: è speranzoso che la situazione non sia poi così tragica come teme. Se ha con sé Makkachin, Victor non può fare idiozie, come distruggere casa o far salire qualcuno di poco raccomandabile.

 

---

 

Un colpo sul tetto dell'auto sveglia Yacov di soprassalto, cos'è stato? Scolla le palpebre e guarda fuori: non c'è nessuno. Forse il vento ha staccato un ramoscello dall'albero sotto cui ha parcheggiato, gli pare di intravederlo incastrato vicino ai tergicristalli. Solleva lo sguardo: le luci in casa di Victor sono sempre accese, allora controlla che ore siano. Le due passate, non ha idea se nel frattempo sia arrivato qualcun altro o se il ragazzo sia collassato per l'alcool. È il caso che provi a contattare il suo atleta e sperare almeno che lo faccia entrare in casa per parlargli.

Gli telefona, Victor ha una suoneria così rumorosa che se anche stesse dormendo non può non svegliarsi! Lo manderà a quel paese, ci sta, ma capirà che lui c'è. C'è sempre per Victor, solo non riescono a dirselo a parole.

Il telefono squilla a vuoto finché non cade la linea. Yacov sbuffa. Potrebbe andarsene via e fregarsene o affrontare una bella litigata notturna, prima che la pistola diventi fredda. Sbuffa ancora e sistema il cappello sul capo: come se avesse mai contemplato seriamente la prima opzione…

Esce dall'auto in una sinfonia di mugolii: le sue giunture non hanno gradito la posizione scomoda e il freddo della notte,  Si solleva il bavero e percorre il lungo piazzale lastricato che separa la strada dall'ingresso del condominio. Il portiere lo riconosce e lo lascia entrare: è stato Yacov a occuparsi dei lavori nell'appartamento e sempre lui è l'unico che ogni tanto ci va, almeno così credeva fino a poche ore prima.

 

Prende l'ascensore e, quando le porte si aprono sul corridoio immacolato del ventunesimo piano, la prima cosa che Yacov registra è l'abbaiare concitato di un cane.

 

Makkachin!

 

È colpito da un brutto presentimento. Per la prima volta, Yacov ha davvero paura per Victor.

Fruga nelle tasche estraendone più mazzi di chiavi, finché non trova quelle dell’appartamento. Il cane continua ad abbaiare e uggiolare, da fuori si sente che sta grattando con le unghie sulla porta…

Dio no! Fa che sia la stanchezza, la vecchiaia! Yacov prega con tutta l’anima che quel pensiero che lo fulmina sia sbagliato!

 

-Victor!- Chiama e bussa all'uscio, prima di infilare la chiave nella toppa, -Victor!- insiste mentre apre la porta, -Victor!- con tutto il fiato in gola, ma gli risponde soltanto la voce del cane che si avventa sulle sue gambe.

-Buono… buono Makkachin, o sveglierai tutto il palazzo!- Yacov richiude alle sue spalle e continua a chiamare il suo ragazzo. Forse Victor è uscito e ha lasciato le luci accese per non lasciare il cane al buio… Stronzate: avrebbe un senso soltanto uscire con il cane, alle due di notte… -Victor, sei in casa?- Forse si è addormentato con le cuffie alle orecchie e lo sa bene, Yacov, quanto quel ragazzo abbia il sonno pesante! -Victor, dove sei?- Forse semplicemente non vuole rispondergli, vuole restare davvero solo… 

Makkachin prende tra i denti il lembo del suo cappotto e inizia a tirare, mentre Yacov apre la porta della camera da letto e -Victor! Sei qui?- Victor non c'è.

Si fa trascinare dal cane verso il fondo del lungo corridoio in marmo, sente un macigno sempre più pesante alla bocca dello stomaco, si muove come al rallentatore, apre la porta del bagno.

 

-Victor! No…-

 

Lo trova disteso a terra davanti al water, sporco di vomito e lacrime rapprese, immobile, sparso sul pavimento in un intreccio scomposto di braccia e gambe.

 

-Victor! Vitya!- È su di lui, cerca di sollevarlo per tenere la testa sulle sue gambe, prende un asciugamano dal suo sostegno e gli pulisce grossolanamente il viso. -Vitya! Vitya!- Lo chiama, lo schiaffeggia, si china sul suo petto con l'orecchio, Grazie! Grazie Dio! È vivo.

A stento lo trascina lontano dallo sporco, dà fondo alle sue forze per sollevarlo, lo piega sul lavabo, apre l'acqua fredda sul suo viso. -Vitya! Vitya! Apri gli occhi!-

Lo asciuga e il cane abbaia e abbaia e lo colpisce con la coda, si alza sulle zampe fino al bordo del lavandino, guaisce, tocca il suo padrone col muso, incrocia lo sguardo di Yacov.

 

Restano immobili per un momento, o forse è per un tempo indistinto e dilatato, occhi negli occhi, il cane e il vecchio.

 

-Mettiamolo sul letto-, ora Yacov parla al cane, parla a Victor, parla a sé stesso, si dà ordini, li esegue. L’adrenalina gli bombarda il cervello, le braccia pulsano, le gambe resistono.

Sei un uomo forte, Yacov Feltsman, ce la puoi fare a salvare il tuo Vitya! Si comanda nella mente, i pensieri si accavallano ai pensieri, il cuore esplode nel petto. Veloce! Veloce!

 

-Vitya…-

Ora Victor è disteso, Yacov lo copre e continua a chiamarlo, a schiaffeggiare le guance pallide, non ha ancora preso fiato.

Makkachin è un cane buono, si annuncia con un latrato sommesso, si avvicina al vecchio e apre la bocca sul suo grembo, lasciandovi cadere qualcosa.

 

-Ivadal… Benedetto ragazzo…- Yacov stringe il blister vuoto dei sonniferi tra le mani, serra i denti e guarda verso il soffitto. Victor l'ha fatto tingere di blu scuro e ha fatto incastonare nel controsoffitto tanti minuscoli led. “Sarà come dormire sotto un cielo stellato!” Diceva. “Sarà bellissimo, Yacov! Quando troverò l'amore, sarà bellissimo addormentarsi insieme sotto le stelle ogni sera!” Sorrideva, sognava. Sperava.

 

-Cosa hai fatto, Vitya…?- una lacrima scivola dall'occhio di Yacov, i ricordi sfuggono e si inseguono e in ciascuno di essi c'è Victor che sorride. Si domanda per la prima volta quanti di quei sorrisi siano stati genuini.

 

Makkachin abbaia solo una volta e lo riporta sulla terra.

-Dobbiamo chiamare un'ambulanza.- Yacov fruga nella tasca per prendere il telefono, ma si accorge di non indossare più il cappotto. Forse l'ha tolto senza rendersene conto, in un qualche istante della lotta contro le sue forze per mettere a letto Victor.

L’uomo crolla e inizia a urlare, imprecare, sputacchiare veleno e colpe e rimorsi tutto intorno. Scatta bruscamente e si alza dal capezzale del giovane maledicendo tutto il mondo. Il telefono, dov'è il telefono?

È allora che Victor apre gli occhi e Makkachin abbaia di nuovo.

 

-Sta zitto, stupido cane!- Abbaia anche Yacov, tornando con il telefono tra le mani callose, per sbloccarlo e fare partire la chiamata.

La mano di Victor si solleva dal materasso, si tende verso di lui e il telefono cade a terra.

 

-Vitya!- Yacov stringe la mano del ragazzo tra le sue, scivola in ginocchio accanto al letto, è travolto dall'emozione e dalla rabbia perché non capisce, non capisce, perché!?

 

Perché Victor mi hai fatto questo?

 

-Ci… sono… Yac…- Ha la voce roca, Victor, gli fa tanto male la gola, ma è sveglio, è vivo, è passata. Adesso può piangere anche lui.

 

-Mi hai fatto prendere un infarto…- Invece di sbraitare, Yakov sussurra con la mano tra le sue, davanti alle labbra.

-Scusami…-

Dura un attimo quella bolla di loro due da soli. Vecchio e giovane uomo, allenatore e atleta di punta, mentore e discepolo, padre e figlio che non ha mai avuto. Poi Makkachin balza sul letto e abbaia in un modo diverso, lecca il viso del suo padrone, Victor lo accarezza e lo stringe a sé.

Yacov lascia la mano di Victor e -Via! Via cane! Lascialo respirare!- torna fuori la sua parte scattosa e ringhiante, di nuovo il vocione grave e rumoroso copre quello dell’animale, che si spegne in un mugolio soddisfatto.

 

-Che diavolo ti è saltato in mente, Victor?- Domanda bruscamente l'allenatore, sedendosi sul letto. In mano ha il blister vuoto del sonnifero, nei suoi occhi non c'è più la struggente dolcezza di un attimo prima, sono occhi taglienti, che chiedono il conto di quella bravata.

 

Victor chiude i suoi e resta con la mano affondata tra i riccioli bruni dell'animale. Tiene gli occhi aperti a fatica, deve fare violenza su se stesso per non crollare di nuovo nel sonno.

 

-Non ce la faccio più, Yacov… Non avevo più neanche voglia di farmela passare, stavolta… Volevo solo che finisse… Volevo solo dormire e spegnere per un po’ i pensieri… Ho preso tre sonniferi, ma non funzionava… perciò ne ho presi altri due… tre… non ricordo… Volevo soltanto dimenticarmi per un po’ di questa corsa vuota e inutile. Mi sento come un topo di laboratorio che corre, corre sulla sua ruota dorata e non riesce a scappare via. Ne ho prese altre… alla fine mi sono reso conto di averle prese tutte, le pasticche e ho… ho avuto paura, Yacov! Ho… ho cercato di vomitare… Ho vomitato, ma il sonnifero era già entrato in circolo e allora… Sono caduto e ho sbattuto la testa… Allora mi sono arreso. Io non voglio morire! Vorrei solo essere felice…-

 

-Fa vedere…- Yakov sente il suo battito accelerare, non si era reso conto del fatto che il ragazzo avesse battuto la testa. Controlla tra i capelli chiari, nota solo allora il segno di un taglio, che era rimasto nascosto sotto al ciuffo, a sinistra. Non è grave, la ferita è già rimarginata. Una mezzaluna di fuoco sulla pelle di latte.

-Perché?- Lui non capisce, proprio non… non ci arriva.

 

-Me l'hai fatto fare di nuovo, Yacov… dopo la gara tu… mi hai detto “Esci con quella ragazza, è carina. Fatti vedere con lei”, ma io non volevo… Perché? Perché hanno dovuto pubblicare quelle foto? Non ho fatto niente di male e non volevo nemmeno… Te lo chiedo io perché, Yacov! Perché vuoi che appaia come tutti vogliono che sia? Perché non posso osare di più sul ghiaccio, perché non mi fai provare questo nuovo salto, perché devo sempre restare negli schemi, uniformarmi, mentire? Perché non posso essere me stesso, perché non posso vedermi con chi voglio, non posso innamorarmi di chi voglio, perché mi avete fatto le ali, se mi tenete in gabbia?-

 

A ogni perché Yacov sente una pugnalata nel petto.

 

-... perché non hai più fiducia in me, Yacov?- Una lacrima scivola lungo il viso pallido e viene assorbita dalla federa del cuscino.

Un'altra cade a terra, tra i piedi dell'allenatore. Non si è mai sentito tanto vecchio come in quel momento.

 

-Cosa vuoi davvero, Victor?- Gli domanda. Non ha una risposta a quei perché che non sbricioli ancora di più il giovane di quanto già non sia in pezzi.

 

Victor sospira, muove la mano sul dorso del suo cane.

-Voglio emozionarmi ancora, come la prima volta. Non posso pensare che il mondo sia già finito, che non ci siano nuove sfide per cui entusiasmarmi e sognare. Intorno a me c'è la luce: quando pattino libero, quando sto aspettando che inizi la gara, quando sto per mettermi in gioco, tutto è luce. Ma poi si spegne insieme ai riflettori della pista, poi sono giornate grigie, solitarie, senza affetto, divorate dal nero… Io voglio stupirmi e stupire ancora, voglio regalare al pattinaggio un nuovo salto, voglio incontrare le gente, voglio ridere senza motivo, voglio viaggiare senza un perché, voglio vivere senza un calendario prestabilito che scandisca i miei giorni e le mie notti. Voglio vedermi con chi mi pare, voglio un abbraccio che non sia programmato per far vendere i tabloid. Voglio scappare via, lontano da tutto e da tutti per cercare la luce anche nelle piccole cose di ogni giorno. Mi basta una scintilla, non chiedo di più… Yacov, lasciami libero di trovarla… lasciami libero… di… inseguire un nuovo… scopo…-

 

Yacov sospira, non replica. Stringe le labbra e resta zitto, guardando Victor scivolare nel sonno.

 

-Io sono di là. Se hai bisogno, chiamami-, bisbiglia dopo un po’. Si alza e lascia socchiusa la porta.


Percorre a passi pesanti il corridoio fino in salotto, si lascia crollare sul divano e solo allora allenta il nodo alla cravatta che gli ha tolto il fiato fino a quel momento. Adesso può provare a respirare anche lui. Victor dormirà ancora, si sveglierà sotto un cielo di stelle di led e rialzerà la testa, come ogni volta. Perché lui è il migliore ed essere i migliori vuol dire andare avanti a ogni costo, ingoiando frustrazione, accettando i compromessi, senza chiedersi perché.

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Capitolo 7
*** #P - 2011 ***


#P - 2011

Yuuri

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt: autobus

 

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Nota alla lettura: finora ho cercato di indicare tutte gare cronologicamente corrette e realmente esistite. Non è stato facile districarmi in questo dedalo che, ammetto, continua a rimanermi abbastanza ostico. Comunque, diciamo che fin qua non dovrei aver commesso particolari errori, comprese contemporaneità o quasi di eventi avvenuti a Yuuri o a Victor. In questo capitolo invece, ho inventato alla grande. L'ho ambientato a Vancouver, ma non ho volutamente citato una particolare competizione o un momento esatto, perché tanto avrei sbagliato sapendo di sbagliare. Sappiate solo che questa storia si svolge a Vancouver, in un qualche momento del 2011. Perché questa scelta? Perché conosco Vancouver e quando ho pensato alla “trama” di questa FF non ho potuto che immaginarla lungo la Stanley Park Causeway. Cos'è? Una strada che taglia in due una foresta, un parco di conifere altissime, praticamente dentro Vancouver e termina sul Lions Gate, un ponte enorme che unisce le due metà della stessa città. Ci ho lasciato il cuore, da quelle parti e ho voluto mettere qua il capitolo forse più “poetico” di tutta la raccolta scritta finora. Quindi beccatevela così! 

 

---

 

Sull'autobus-navetta che collega il centro congressi di Vancouver con l’Ice Dome si fanno incontri di tutti i tipi.

Il viaggio dura poco, una mezz'oretta a seconda del traffico, e a bordo salgono più che altro gli atleti più giovani e quelli meno famosi. 

Sì, perché il gruppo dei professionisti con la P maiuscola e il portafoglio con la P di pieno, quello no, loro si spostano in taxi o con vetture private. Celestino non viaggia con loro, li anticipa di almeno due corse, dice che vuole fare public-relations da solo.

 

Yuuri è contento di prendere quell'autobus per diversi motivi e tutti iniziano anche loro per P.

Phichit, è il primo. Ha deciso che ci va davvero d'accordo con il ragazzo, anche se la differenza di età dovrebbe scoraggiarlo, lui è contento di condividere il peso di qualcosa che ancora sente più grande di lui.

Photo-shoot lungo la strada che conduce al palazzetto, è il secondo motivo. Già, perché quel trombone di bus fa una strada più lunga, per raccattare anche quelli che non alloggiano in uno degli hotel del centro congressi e passa attraverso una foresta di abeti, pini e cedri altissimi, che è bellissimo fotografare in movimento. In quegli scatti Yuuri riesce a fermare il tempo, a congelarlo e tenere per sé la prova che il mondo può essere bello e sereno, che c'è luce intorno e che, anche suo il suo nero è sempre pronto a mangiarselo, là fuori esistono angoli di luce e pace. Ha iniziato dalla gara precedente a guardare le foto di quella galleria speciale che ha sul telefono, mentre nelle orecchie suonava la sua musica e si è incredibilmente tranquillizzato.

“Peace”, che è il nome della cartella con quelle foto nella sua galleria. Ha raccolto gli scatti che ha realizzato nel tempo: c'è il tramonto sul mare ad Hasetsu, vecchie foto del monte Fuji, gabbiani in controluce su un cielo terso, fiori di ciliegio, alberi, tante foto di Vicchan di quando era un cucciolo e di quando giocava con la neve, la piccola mano di una delle gemelle Nishigori, il vapore che sale dalle terme di Yu-Topia, alcune foto in cui Victor emana luce sulla pista.

Passaparola, invece, è una novità nata il giorno prima, proprio su quell'autobus, grazie a un gruppetto di ragazzini di nemmeno dieci anni che sono stati trascinati dalla scuola locale come assistenti per raccogliere fiori e peluche al termine delle esibizioni. Sono allievi iscritti alle categorie dei novice e si siedono in fondo al pullman. Il gioco consiste nel dire una frase al vicino di posto e poi, in un telefono senza fili, farle fare tutto il giro tra i passeggeri fino a tornare in fondo. Quello che ne esce è esilarante, perché i ragazzini parlano uno slang mooolto canadese e sul bus ci sono atleti di tutte le nazionalità ed età.

La prima volta la frase “A Jason piace Rebecca” era tornata indietro come “Il jazz mi piace e la bistecca”; la seconda frase si era trasformata da “Faccio il tifo per JJ” in un “Il ciccione è gay”. 

Yuuri ride come un pazzo a ogni nuova comunicazione da trasmettere e Phichit riprende il tutto, è quasi un peccato che quei viaggi durino così poco.

Appena le porte del mezzo si aprono, Yuuri deve trattenere ogni volta il respiro e la mente concentrata su quell'atmosfera, per non disperdere i pensieri allegri prima ancora di entrare nell'Ice Dome.

Le prove del primo giorno scivolano via placide, come lui sulla pista e ogni tanto prendono anche il volo, perché la testa è più leggera, la vita non deve essere sempre dura, il nero può anche rimanere a casa e dimenticarsi di lui, no?

 

Al secondo giorno, qualche “P” inizia a scricchiolare, ma il buonumore di Yuuri ancora non vacilla. Insomma, Phichit ha battuto una spalla atterrando rovinosamente su un triplo Axel in allenamento e pare soffrire abbastanza, ma ha detto che stringerà i denti e poi si farà rimettere in sesto a Detroit. Certo, se fosse capitato a lui… Yuuri ci riflette su: se fosse capitato a lui non lo sa mica se sarebbe riuscito a salire sull’autobus, al ritorno, con lo stesso sorriso sul viso e la voglia di riprendere a fare quel gioco con i ragazzini… Hummmm… 

Ma intanto un'altra P ha preso il volo ed il suo portafogli, che -maledizione!- deve aver lasciato in hotel e quando va alle macchinette, perché ha bisogno di un caffè, non riesce proprio a ritrovare.

L'altra P in pericolo è quella del pino. L'albero, sì. Tornando lungo la strada nel bosco, il secondo pomeriggio, nota un discreto numero di operai che stanno tagliando un pino altissimo. Prova a chiedere all'accompagnatore del gruppo e lui gli riferisce che è in programma di ampliare il numero di corsie della strada, quindi molti alberi verranno abbattuti: quello è il primo. Yuuri scatta più foto che può, infuocate dal tramonto che cola tra i rami degli alberi, per conservarne il ricordo a imperitura memoria, poi sospira. A volte gli sembra che ogni cosa bella sia in bilico, che sia impossibile fermarsi e pensare che tutto continuerà ad andare sempre bene, che nascosta dietro l'angolo ci sia sempre una delusione, uno smottamento che parte da una pietra, poi ne raccoglie due, tre, fino a far crollare tutte le volte la fiducia nel futuro.

Ma il gioco del passaparola scaccia i pensieri bui e lascia il sorriso sui volti degli atleti di Detroit e va bene così.

 

Il giorno della gara nel programma corto, Yuuri si sveglia di soprassalto un'ora prima della sveglia. È la P di panico e paura, la prima P della giornata e corre in bagno tenendosi la pancia. Forse è stata colpa di un'altra P, quella di poutin, l'agglomerato sublime di patatine fritte e formaggio cagliato fuso che ha divorato a cena la sera prima. Ormai ha nella testa il chiodo che, quel giorno, ogni P che gli ha dato forza all'inizio, lo distruggerà e forse ha ragione.

Hanno iniziato all'alba a segare i pini, la strada ha già un aspetto diverso, più desolato, il panico mordicchia alla bocca dello stomaco e non ci sono scatti di speranza da collezionare nella cartella ‘Peace’.

Mette via sconfortato il telefono proprio quando inizia a piovere. P di pioggia.

 

Ma poi inizia il giochino del passaparola. 

 

-Copre la luna se la mano appoggi…?- Declama Phichit, con un punto interrogativo in viso. È il suo turno di concludere il giro e, se lui ride mentre gli spiegano che la frase sarebbe stata “Buona fortuna per la gara di oggi!”, Yuuri ci vede invece un malaugurio.

Sta al suo amico thailandese inventare la frase che dovrà pronunciare lui e spera di non fare una figuraccia, perché è la prima volta che tocca a lui di dirla ad alta voce.

Di tutto il poema che Phichit prepara, riconosce bisbigliata solo una parte, che si ripete da bocca a orecchio e serpeggia muta negli occhi via via più straniti di ragazzini e adulti.

 

Quello che gli arriva è: “Sotto le stelle voglio farmi scopare da Victor Nikiforov”.

Yuuri avvampa, inizia ad agitare le mani davanti al viso, si rifiuta di dirlo ad alta voce, ma i ragazzini sono perfidi, maledizione, e lui non ha tempo per inventare qualcosa che suoni simile a… a…

-Sotto le stelle voglio… farti ubriacare con… con…-

-Coraggio, giapponese!-

-Io non avevo detto questo!- Protesta Phichit, -E nemmeno io gli ho passato questa frase! Sta barando!- Fa eco uno degli juniores più smaliziato.

-Finisci la frase!- 

-E dilla come te l'ho detta io!- E giù, risate.

-Con…?-

Yuuri cerca un aiuto nel compagno di squadra, che alza le sopracciglia e adesso ride con l'espressione di quello che “non è colpa mia!”, mentre riprende tutto con il cellulare.

 

-Ricomincia!-

-Tutta d'un fiato!-

 

-Sotto le stelle voglio farti ubriacare con… Vodka Smirnoff!- 

Cos'è il genio? Fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità di esecuzione, no?

Yuuri tira un sospiro di sollievo, metà autobus ride, Phichit lo guarda interdetto.

-Avevo detto “Raggiungerai le stelle come Victor Nikiforov”, a dire il vero! Come hanno fatto a cambiare anche l'ordine delle parole!?-

L'amico lo guarda con un sorriso falsissimo a novanta denti serrati: -Ridi.- Ordina. -Ché è andata bene così…-

 

Poco dopo, mentre raggiungono a piedi il palazzetto, sotto lo stesso ombrello, Phichit domanda cosa effettivamente gli fosse arrivato della frase di buon augurio che lui aveva trasmesso all’amici.

-Non vuoi saperlo davvero…- Sghignazza in risposta Yuuri.

-Oh, sì che voglio! Te lo ordino o metto online il video che ti ho fatto!-

Yuuri capitola. -Ok, ok!- e riferisce sottovoce la frase oscena.

-Oh…!- Commenta Phichit, ma è la sua espressione, più che il movimento che fa con la spalla che sembra già guarita, ad accendere finalmente la miccia della risata in Yuuri.

Dopo un lungo periodo di conflitto interiore nei confronti del mito Nikiforov, da un po’ di tempo Yuuri sembra essersi riconciliato con l'idea della sua “musa ispiratrice”. Ha fatto pace con quelle immagini di tabloid che hanno sfarfallato per mesi dentro ai suoi occhi e piano piano è tornato a venerarlo, ispirarsi a lui, vederlo come scopo per vincere alle gare. Yuuri gli ha parlato del suo “sogno di un ragazzino” di seguire le orme di Victor, di quando quel progetto era condiviso con una sua amica che si è ritirata, di come sia stato doloroso accettare di essere rimasto da solo, di quanto si fosse sentito smarrito, privo di uno scopo, orfano di una meta. Ma poi, piano piano, tutto è rientrato nei ranghi, Yuuri ha ricominciato a credere in sé stesso e a sognare. Phichit ne approfitta, ormai lo vede che non c'è più imbarazzo nell'usare il russo nei suoi scherzi all'amico.

 

-”Sotto le stelle voglio farmi scopare da Victor Nikiforov”. Interessante… Ammettilo che ti piacerebbe!- Lo provoca allora il più giovane, mentre Yuuri ride. 

-Oh, certo! Come no! Ma solo se è sotto le stelle, mi raccomando!-

-Piove! Ti devi accontentare di stelle disegnate!-

-Seee, o luminose o niente!-

-Allora facciamo così: un cielo di stelle led, eh? Al chiuso, così non piove. Come lo vedi? Hai presente quei soffitti di design, come ci sono al planetario?-

-Certo… ci sto! Trovami un cielo di stelle led e io… No, aspetta…!- Yuuri arrossisce.

-Aaah! Ah ah ah, l'hai detto!!! Ora ti manca solo di convincere Vi…-

-Mi manca solo la Vodka Smirnoff, altroché!-

 

Il programma corto di Yuuri è un successo, quella sera. Grazie a Phichit, grazie al passaparola, grazie alle P, che in fondo in fondo non lo hanno deluso per davvero.

L'amico invece non è stato molto fortunato, è caduto di nuovo sulla spalla e si è bevuto l'ultimo posto e un bicchiere d'acqua, per buttare giù antidolorifici da cavallo, ma è ugualmente allegro.

 

In camera, alla sera, Phichit ogni tanto mugola dal dolore che non se ne va, ma divora ugualmente social e video delle loro esecuzioni, commentando brioso ogni nuovo aggiornamento dei loro pattinatori preferiti e masticando patatine. Tutto a un tratto si blocca, butta giù senza masticare l'ultimo boccone, si graffia la gola, tossisce. Spegne il cellulare.

-Ehi! Phic! Non ti strozzare!- Yuuri gli passa la sua bottiglietta d'acqua, battendogli dei colpi sulla schiena.

-Stai bene?- Domanda all'amico, -Che ti è preso?-

Phichit si lascia sfuggire un'occhiata verso il suo telefono buio, si morde la lingua, arrossisce. -Tutto… tutto ok… Ho sentito una… una fitta alla spalla-, inventa.

-Cerca di non dormirci col peso sopra-, gli consiglia Yuuri e spegne l'abat-jour sul suo comodino. -Buonanotte, e in bocca al lupo per domani.-

-Anche a te, Yuu-chan… in bocca al lupo… per tutto…-

Quando la luce è spenta e i pensieri iniziano ad affollare il silenzio, Phichit parla.

-Sai… io ci credo nel tuo sogno. Sarà anche il sogno di un ragazzino, un sogno stupido, ma è quello che ti fa volare sulla pista e incantare il pubblico. Credimi Yuuri Katsuki. E se questo tuo sogno include Victor, continua a sognarlo. I desideri prima o poi si avverano, lo sai. Il mio sogno è fare un grandioso spettacolo On Ice in Thailandia, riportare un po’ del bello, che noi viviamo tutti i giorni, nella mia terra, fare iniziare a sognare insieme a me tutti i bambini che pensano che la vita sia dura, fatta solo di fango e cose brutte. Sono sogni diversi, ma vedrai che insieme ce la faremo, Yuu-Chan!-

 

Yuuri sorride, con gli occhi stretti per non farsi scappare quelle immagini che ha evocato l'amico.

-Grazie.- Gli dice soltanto.

 

Phichit, di spalle, sblocca il suo smartphone. È ancora aperto sull'ultimo post di Instagram visualizzato, di uno degli account preferiti di Yuuri: è una foto scattata da un letto, si vedono una piccola porzione della camera, il musetto riccioluto di un cane marrone e un soffitto trapuntato di piccole stelle led.

 

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v-nikiforov Sleeping with my only love under my starry sky ⭐🐶💙

#dreams #makka #stars #uandme #led







 

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Capitolo 8
*** Probabilità - 2011 ***


Probabilità - 2011

Victor

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Nota alla lettura: Google translate fa schifo! Ma non importa, non è affatto necessario andare a cercare cosa significano le cose che troverete di seguito: si capisce dal contesto e se non si capisce, tanto meglio. Tanto nemmeno Victor non le capisce…

 

Prompt: Matematica

 

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Dicono che ho il cuore di ghiaccio, quelli che mi odiano. Che quando scendo in pista sono freddo e attento e compio ogni passo, ogni salto, con la calcolatrice in testa, per fare la somma di ogni bonus, di ogni punto, di ogni penalità. Dicono che so prima io della giuria il mio punteggio finale, anzi, dicono che lo suggerisco io alla giuria. E che me lo alzo di almeno due punti ogni volta. Dicono anche che non decurto mai le penalità, ma io non ne faccio di errori, a questo non pensano.

Dicono che la Disney farà un film su di me, perché sono diventato così famoso che si inventeranno un personaggio glaciale, col cuore indurito e i capelli platino, talmente cattivo e spietato da congelare il mondo attorno a sé. Dicono che mi hanno già pagato fior di quattrini, che mi starebbe bene anche impersonare una strega, pur di fare soldi, che, anzi, visto che sono un frocio, prima o poi mi farò operare per diventare donna e poter competere anche nel pattinaggio femminile, ma solo dopo aver sfondato in quello a coppie. Anzi no, a coppie no, perché io non sono in grado di condividere niente con nessuno, ecco quello che dicono. 

Che sono avido, che non lascio spazio agli altri, che l'unico scopo della mia vita sia vincere, vincere e ancora vincere. Su tutti, in ogni tipo di gara, senza pietà.

Dicono tante cose di me, ma solo una è azzeccata: ho una calcolatrice in testa e riesco a calcolare i punteggi. Peccato che nessuno di questi che parlano abbia capito che la componente artistica conti tanto quanto quella tecnica e che io punti tanto su quell'aspetto, perché quando pattino non sono di ghiaccio, ma ardo come un fuoco inestinguibile.

Perché la passione che ci metto, tutto il mio amore per la vita, per la bellezza, per la tenerezza e per la sensualità, loro non lo comprendono. Non lo vedono o fanno finta di non vederlo. E non sanno che la variante imprevedibile di tutti i miei calcoli è proprio questa: io vivo ciò che metto in scena sul ghiaccio, lo sento, ma non so come e quanto la giuria saprà capirlo.

 

Avevo dimenticato pure io davvero l'importanza di sentirmi tutt'uno con la danza e il ghiaccio, con la mente rivolta ai calcoli del punteggio e ho addirittura cercato di inventare un nuovo salto, che avrebbe dovuto scrivere il mio nome nella lista dei salti da competizione e cambiare regole e predomini. Ma non era quello che mi avrebbe restituito l'amore per il pattinaggio, che si stava impoverendo, e allora mi sono spinto oltre, vagando alla cieca, rinunciando a un tale onore. L'ho capito solo dopo, cosa fosse quello che cercavo davvero, quando ho tentato, primo nella storia, un quintuplo in una competizione, sono atterrato in una caduta e mi sono ritrovato inginocchiato sul ghiaccio, come un innamorato che chieda in sposa la pista. Ho sentito un brivido percorrermi dalla testa alle lame sotto ai miei piedi e  ho improvvisato un extra nella storia che stavo narrando. L’ho modificata affidandomi alle sensazioni e alla musica che scorreva, mentre avevo puntati addosso gli occhi dei giudici: ho veramente chiesto in sposa la mia arte, in quel momento, ho smesso di contare punti, bonus,  errori e ho lasciato che la musica mi entrasse dentro e mi guidasse fino alla fine. Allora, con il cuore che batteva furioso e le lacrime agli occhi, ho ritrovato me stesso e ho capito che la somma di tanti elementi, a volte, può fare un numero imprevedibile.

Dicono che quella volta ho stravinto solo perché ho allungato una mazzetta alla giuria. Dicono che nessuno ha mai tentato un quintuplo e che con il mio errore ho trascinato a fondo una generazione di giovani talenti che non oseranno più farlo.

Dicono che era tutto calcolato.

 

Ma non è vero nulla. Quella volta sono rinato, come una nuova specie di fiore, come un nuovo numero primo e ho provato di nuovo stupore.

Invece quelle vipere hanno detto che, dopo, sono diventato ancora più altezzoso e vanitoso… Non ne posso più di tutti quelli che dicono. Non li sopporto più.


Per questo, anche se Yacov mi rimprovera ancora per quel quintuplo fallito, anche se è di nuovo all'attacco per perfezionare la mia tecnica e inserire tutti i quadrupli nella seconda parte dei miei programmi, anche se, per potercela fare, mi sta sottoponendo a prove di resistenza che mi spezzano le ossa e mandano a fuoco i polmoni e i risultati si iniziano a vedere, io dico stop.

 

Basta.

 

Adesso mando tutti a quel paese e vado a farmi una vacanza in un posto dove non mi troveranno mai.

Lascio la SIM del telefono a casa, porto solo Makkachin con me e chiudo i ponti con il resto del mondo per due settimane. Per la prima volta, Victor Nikiforov scompare dalle vostre vite!

 

Alé!


---


Ho prenotato un albergo, comprato un volo, fatto la valigia e preso il mio cane.

Ho comprato una SIM locale: nessuno conosce il numero di telefono, ma ho comunque fatto accesso ai miei account social anche da qua, bloccando tutte le chat. Voi vedete e nessuno può contattarmi e fare domande. Che bellezza!

Dove mi trovo? Non lo dirò a nessuno, ma sto bene attento a fare ingelosire tutta la pletora di amici e malelingue, riempiendo Instagram di foto meravigliose e che non svelino in nessun modo dove mi sono rifugiato.

Sono alle Maldive? In Australia? In Polinesia? Oppure ai caraibi?

Non lo capite, eh? Perché una noce di cocco su una spiaggia senza alcun riferimento non significa nulla, solo che in questo momento vi odio tutti e voglio farvi schiattare d'invidia. Odio anche chi amo, odio il mio lavoro, odio l'aria umida di San Pietroburgo, odio i pattini, odio il ghiaccio, ho bisogno di sole e mare e caldo e silenzio.

Posto la foto sfocata di un piatto strano, con un calice di vino accanto, al tramonto, in una veranda illuminata dalle torce: vi sfido a indovinare dove sono!

Il mio cane che dorme sull'amaca, una foglia di palma e una barca a vela in lontananza sulle acque cristalline, senza isole, scogli, moli o cose del genere, dov'è?

Forse sono in paradiso e voi non lo saprete mai, forse direte che ho allungato una mazzetta a Dio, per una vacanza quassù, ma non capirete ugualmente dove sono.

Non mi troverete mai.

 

Cosa ci guadagno, se leggo comunque su Instagram i vostri commenti e le elucubrazioni che fate, le teorie di complotto e merda del genere? La soddisfazione di vedere che senza di me non ci potete vivere, neanche per due settimane. E allora così sia! Lambiccatevi pure il cervello a cercare di indovinare, ma ricordate che io sono un calcolatore.

A ogni vostro like, a ogni commento, io sommo le parole gentili e sottraggo gli insulti, moltiplico i tentativi di contattarmi e divido le mie risposte e alla fine il risultato mi darà il valore che davvero mi attribuite e quello che io attribuisco a voi.

 

Vincerò un oro nella prossima gara ufficiale? Forse un argento? Un bronzo?

Chi se ne frega!

Intanto io sto qui e mi riposo e ricarico queste batterie che sono quindici anni che voi mi succhiate, come vitelli allergici al lattosio.



 

-Makka! Vieni qua!-

 

Il mio cane corre alzando un polverone alle sue spalle, anche stanotte dormirò in un letto pulito di bucato, eppure pieno di sabbia: ma se non è questa la felicità, allora cos'è?

Un massaggio, le coccole del mio cagnolone morbido, un po’ di relax, un cocktail alla frutta, un bagno e un pisolino all'ombra di una palma. Aaaah, che vita, ragazzi!


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Sono qua da quattro giorni e ho girato l'isola in lungo e in largo venti volte. L'ho percorsa camminando piano e riempiendomi gli occhi della natura rigogliosa, l'ho fatta a corsa cinque volte di fila, ho noleggiato una bicicletta e ho pedalato con Makkachin al mio fianco. Ormai la conosco a memoria questa cazzo di isola!

Forse avrei dovuto trovarmi un luogo più grande, come rifugio dell'eremita. Ci saranno sì e no quattrocento abitanti in tutta l'isola ed era vero, quando scrivevano che NON è una meta turistica. C'è l'albergo dove sto io -tre stanze e un ristorantino sul mare- e c'è un solo ospite… Io!

Bello eh… però alla lunga… insomma… Menomale che ho portato con me tutti i libri che erano in stallo sul comodino da ann e una vagonata di sudoku da risolvere: sono inchiodato in paradiso per altri dieci giorni, ma posso viaggiare con la mente negli inferni di tutti questi personaggi di fantasia, o stiracchiare i neuroni facendo calcoli a mente. Penso che, dietro uno sventurato che si mette in viaggio per trovare l'amore, ci sia uno scrittore che non abbia mai passato il confine del proprio stato. Se lui può volare lontano e guardare il mondo dall'alto attraverso gli occhi del protagonista che ha dato alla luce, anche io posso immaginare di essere un'altra persona e srotolare le trame del tempo e dello spazio, trovarmi lontano, in un'avventura contro orchi o gangster, tra le braccia del mio amore perduto per cui brucio di passione e rimpianto oppure in un intrigo internazionale a fianco di Robert Langdon. E quando tutto mi annoia, prendo il sole, ascolto musica, gioco col cane o… faccio calcoli! D'altronde, per quegli stronzi che non sanno nemmeno fare a mente la somma dei punti di una gara, io sono un calcolatore, no?

 

Al tramonto noleggio una barca, mi porto Makkachin e un libro, mi rilasso e lo divoro con la stessa curiosità con cui mi approccio all'ideazione di una nuova coreografia.

È il terzo giorno che galleggio trattenuto da una lunga fune su queste acque cristalline e ho finito il secondo libro. Ho la musica nelle orecchie e per fortuna il cellulare non prende, in mezzo al mare. Sono libero. Sono acqua e vento, sono sole e pioggia sono…

 

-Aaah!- 

Splash!

 

Cos'è stato???

 

-Dū s̄i ẁā khuṇ ca pị h̄ịn!-

Poso il libro e mi sollevo, guardandomi attorno. C'è una tavola da kite surf e…

-Scusami! Scusami tantissimo!!!-

Allungo la mano per aiutare un ragazzo che ho appena travolto: c'è un po’ di corrente e la barca si è allontanata dalla riva. Makkachin abbaia, poi, animato da non so quale istinto primordiale, si getta in acqua e spinge col muso il sedere del surfista per aiutarlo a salire a bordo.

-Tóa k̄hxng c̄hạn!- Esclama il ragazzo nella sua lingua, indicando la sua tavola che si allontana.

-Makka! Riporta!- Vediamo se tutti i rubli che ho pagato per addestrarlo sono stati ben spesi…

Il mio cane è un mito: tre zampate in acqua e afferra tra i denti il laccio che penzola dalla tavola; altre quattro zampate e me lo porge.

-Bravo Makkachin! Ben fatto!-

Mi sporgo per aiutare il mio eroe a risalire a bordo e mi volto verso il ragazzino.

Quello che vedo mi fa rizzare i capelli: mi fissa come se stesse guardando un fantasma, punta l'indice tremante verso di me, balbetta, farfuglia parole nel suo idioma, sbianca.

Ora, ragioniamo: la probabilità che nel duemilaundici, in un luogo NON turistico, ok, ma assolutamente civilizzato e discretamente attrezzato, direi, possa incappare in un indigeno col Sundek rosa shocking che pensi che, solo perché sono biondo slavato e alto venti centimetri più di lui, possa non essere un umano è assolutamente nulla. Quella è roba da libri di Burroughs, non la realtà. Quindi, accantonata la reazione letteraria dell'incontro con “il diverso”, perché cavolo questo piccolo thailandese dalla pelle ambrata e i capelli neri come l’ebano mi fissa con gli occhi fuori dalle orbite e sembra che stia per scoppiare!?

 

Ora scoppia…

 

-Oh Dio dei social, Santo Instagram da Bangkok, Divino Hashtag e Beato Tasto Condividi!!! Ma tu sei Victor Nikiforov in persona!!!!!!!- Esclama in un perfetto inglese.

 

Ecco. Quello non lo avevo messo in conto.

La probabilità di essere riconosciuto in un'isola NON turistica di sedici chilometri quadrati, con gli accessi contingentati, perché è una riserva naturale nel nulla del Golfo del Siam, fuori stagione, quella non l'avevo proprio calcolata. Vero che sono un personaggio abbastanza conosciuto, però, dai… che cavolo! Con zero turisti, in questo sputo di mondo, la probabilità di incontrare qualcuno che mi riconosca sarà del… del due per cento? Meno?

Faccio per parlare, ma lui mi anticipa.

 

-Ma sì, tu sei Victor! Tu sei un mi-to!!! Congratulazioni per aver vinto il secondo Campionato del Mondo di fila! Ah, anche per i tre Gran Prix! E anche per aver partecipato alle Olimpiadi! Accidenti, non ci voleva proprio quell'infortunio subito prima del corto. Però ti sei ripreso! Eccome se ti sei ripreso! E quel quintuplo Axel…! Mi pungesse una pastinaca sulla chiappa se non è stato geniale! Cioè… hai infilato un Euler per darti la spinta e poi giù di trottole come se fossi Taz! E vogliamo parlare del… Ehi Victor, com'è che non hai partecipato alla gara di febbraio a Vancouver? Ti aspettavamo!!! Pensa che Yuu-chan si è iscritto solo perché aveva sentito dei rumors che ci saresti stato anche tu! Poverino… come c'è rimasto male! Ma sicuro che quest'anno ci qualifichiamo tutti e due per il Grand Prix e poi vedi come siamo bravini, anche noi! A proposito, cosa ci fai a Koh Mak? Oddio, un'idea me l'ero fatta che potessi essere da queste parti, ma proprio qua! Cioè… roba da matti!!! Certo, con il cane che si chiama MAKkachin, devo dire che hai scelto l'isola perfetta! Che gli avevo detto a Yuu-chan? Vieni a Koh Mak…kachin, bro! Porta bene!-

 

Il ragazzino ride e non molla la mia mano, io sto iniziando a sudare freddo…

 

-Scusa… ci conosciamo?- Azzardo.

 

-Ma certo che sì! Cioè… io conosco te, ma ho dei dubbi che tu conosca me! Piacere, Phichit Chulanont! Sono un pattinatore anch'io! Sono nei senior da due anni, sono bravino eeeh, però ancora non ci siamo incontrati in gara! Sai, personalmente devo ancora crescere… Come si dice… ogni cosa a suo tempo e poi…-

 

-TU SEI UN PATTINATORE ISCRITTO ALL’ISU???-

 

Perché sto urlando?

Beh, vediamo… forse perché ho appena calcolato la probabilità che una persona che mi conoscesse, che facesse il mio stesso mestiere, che a quanto pare tiene a mente ogni mio programma, che si ricorda di me, che ha un amico che si è iscritto alla gara perché pensava che ci fossi io è… è tipo lo zero zero zero uno per cento! Cazzo!!!

 

Il ragazzino annuisce più volte, come se volesse shakerarsi il cervello. -Se mi fossi impegnato un po’ di più, avrei potuto partecipare insieme a te alle Olimpiadi. Sai qua in Thailandia non è che ci sia il pienone di pattinatori professionisti! È per questo che sono dovuto andare ad allenarmi in America. È lì che ho conosciuto Yuu-chan e ho imparato ogni cosa su di te!- Punta gli occhi su Makkachin, allunga una mano.

-Qua la zampa, Makka! Ma lo sai che sei più bello dal vero, che non nelle foto che il tuo padrone mette su Instagram? Me lo diceva Yuu-chan che dal vivo dovevi essere sicuramente molto più eccezionale che in TV… anche il tuo cane lo è! A proposito: con questo scoop divento vincitore del contest “Dov'è Victor?”!!! Lo hai visto? Cariiino! Ti hanno infilato nei disegni di “Dov'è Wally?” e ti si deve trovare! Che poi sarebbe puntare a soldi su quale sia il luogo dove sei scappato! Ah, ora che ci penso: perché sei scappato, Victor?-

 

Lo guardo, ha ancora la mia mano nella sua, ma non mi importa, crollo sulla pedana della barchetta e lui si sbilancia. Mi molla la mano, ma continua a sorridere a mille denti, felice come un bambino la mattina di Natale.

-Come hai detto che ti chiami?- Sono maleducato, ma anche troppo sconvolto da quel fiume di parole.

-Phichit. Phichit Chulanont!-

Sudo.

-E… cosa ci fai a Koh Mak, Phichit…?-

Fa la faccia da “che domande del cazzo!” e: -Ci sta il fratello di mia nonna qua! Sono in vacanza con tutta la famiglia! Sai, non li vedevo da sei mesi, non immagini che voglia avevo di tornare un po’ a casa! Ah, io però sono di Bangkok, eh! Qua ci veniamo in ferie quando possiamo, è un bel posto, non trovi?-

 

-Ssì… bello… un po’... come dire…? Piccino…?-

 

Phichit riprende a parlare e parlare e mi spiega che l'isola bla bla bla…

 

-Ce lo facciamo un selfie, quando torniamo a riva?-

-Cosa!?-

-Un selfie, così lo posto sul mio account e poi vedi quanti like mi mettono! Potrei dire a Yuu-chan di raggiungerci: sai come sarebbe felice! È il suo sogno di una vita, incontrarti!-

 

-Cosa!? Frena frena frena! Tu non posterai nessun selfie, nella maniera più assoluta!!!-

 

Il ragazzo mi guarda a metà tra il deluso e l'incazzato. -Ma io…-

-Io un corno! Sono dovuto venire in questo buco dimenticato da Dio per starmene in pace, da solo, senza rompimenti e occhi puntati addosso e tu non rovinerai tutto per un dannato selfie! Mi hai capito? E non pensare neanche per scherzo di chiamare qua qualcun altro che mi conosca! Io non sono qui, io non esisto, tu non mi hai mai incontrato!-

Phichit porta una mano ad avvolgersi il mento, mi ci gioco un orecchio che sta calcolando quanto mi costerà tappargli la bocca, ma tanto, finché siamo su questa santa barca, è lui quello senza armi e smartphone!

-Non vorresti fare felice un bravo ragazzo come Yuuri?-

-E chi diavolo è Yuuri!? Comunque no, grazie, le buone azioni sono momentaneamente sospese, richiamare più tardi per richiederne una!-

-Yuuri è Yuu-chan! Oh, Victor, ti preeego!!! Tu sei da sempre il suo idolo, la sua fonte di ispirazione, il faro nei momenti più bui della sua vita!-

Fa gli occhioni da cucciolo, ma resisterò. Devo trovare un accordo e devo farlo prima che quel…

-Ehi! Che sta facendo!?- Strillo sbracciandomi verso terra, rivolto all'uomo che inizia a ritirare la fune che trattiene la mia barca, per riportarci a riva. Quello fa spallucce e tira.

-Fermo! Non abbiamo ancora finito!-

L'anziano si tocca l'orologio al suo polso e ignora le mie proteste. Ho un tempo minimo per stringere un accordo con Phichit.

-Non pubblicherai le mie foto e non rivelerai a nessuno dove mi trovo, nemmeno a… a Yucian, né adesso né quando sarò rientrato in Russia. In cambio… quello che vuoi! Soldi? Un invito a qualche cosa? Lezioni private di pattinaggio? Un pirozhki!?-

Phichit ondeggia, mentre la barca scivola sull'acqua, sta valutando la sua ricompensa. Devo mettergli pressione.

-Guarda che appena riprendo la linea chiamo il mio avvocato e ti faccio fare una diffida, se provi a fregarmi! Lo sai cos'è una diffida, vero?- Credo di avere gli occhi di fuori e il fiatone. Phichit mi guarda.

-È qualcosa che non ha valore se siamo in giurisdizioni diverse. Ho studiato diritto in quarta, che ti credi!-

 

Merda…

 

-Ci sto. Manterrò il riserbo totale su questo incontro. Ok?-

La barca si ferma a riva, il fondo struscia sulla sabbia, entrambi barcolliamo. Makkachin abbaia e corre a terra.

 

-Cosa vuoi in cambio.- Non è una domanda, la mia. Sento già che è una condanna.

-Mmm… facciamo che ci penso, ok? Ora scusa, ma devo…-

Il ragazzino mi molla così e saltella giulivo verso l'anziano, gli si butta al collo e -Lung!!! P̄h̀ān pị nān khæ̀ h̄ịn læ̂w! C̄hạn phb ẁā khuṇ h̄emāa s̄m!- Esclama.

 

-Khuṇ p̄h̀ān pị læ̂w... Khuṇ pĕn yạng ngị b̂āng thī̀ xmerikā?- Gli risponde l'altro e si allontanano a braccetto.

 

Si conoscono?

Beh, sì, su nemmeno quattrocento abitanti, considerando il numero medio di parenti che un thailandese standard può avere e tenendo conto che Phichit ha detto che sua nonna ha un fratello sull'isola, la probabilità che quello sia uno di essi è molto alta.

Trascino sulla sabbia la tavola da kite surf e li seguo fino alla rimessa.

 

-Quanto le devo?- Domando all'uomo.

-K̄heā t̂xng c̀āy khuṇ thèā h̄ịr̀?- Ah, me lo traduce? Carino… Aspetta, che dice ora?

-Tæ̀ xeā ǹā lung xeā rạtnā k̄hêā bạỵchī sa yạng ngị k̆ xyū̀ nı khrxbkhrạw!-

L'uomo annuisce.

-Te lo segna sul conto dell'albergo, tranquillo Vic!-

 

Vic!?

 

-Adesso devo scappare dai miei! Ci becchiamo, Vic!- 

Di nuovo…

Phichit scappa via e io resto impalato con il cane che mi saltella intorno. Col cavolo che ci becchiamo di nuovo, Phichit Chulanont! Piuttosto mi barrico in camera per tutto il tempo che mi resta sull’isola! Mi fai paura, tu mi…


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Per lo meno, la mia stanza ha una bella terrazza che dà sul mare. Ci sono delle tende che garantiscono un po’ di privacy e l’aria è gentile, anche se sono le tre del pomeriggio e il sole batte da fare schifo. Ho quasi finito la crema solare e se non la ricompro, appena riuscirò a mettere di nuovo piede fuori da qui mi prenderò una di quelle scottature da febbrone assicurato. Ho consumato la cena e la colazione in camera, o meglio, sulla terrazza, che per fortuna è a piano terra, così almeno Makka può uscire a gironzolare attorno e rientrare appena lo chiamo. Perché io col cavolo che vado di nuovo a giro, col rischio di incontrare di nuovo il pattinatore thailandese! Piuttosto mi barrico qua dentro per altri dieci giorni!

La prima cosa che ho fatto, dopo che sono rientrato, ieri sera, è stata andare a cercare su Google chi minchia sia questo Phichit. Per un attimo ho avuto il dubbio che fosse tutto un bluff, ma quando ho capito che è lui quello che mette sempre per primo “mi piace” ai miei post su Facebook e mi riempie di cuoricini Instagram, nemmeno vivesse anche di notte col telefono fisso in mano, ammetto di essermi sentito male. 

Non è che dovevo capitare sull’isola sperduta con un fan, no, questo sarebbe stato soltanto drammatico: sono sull’isola sperduta con @phichit+chu, il mio incubo! Quello che Chris, una volta, ha definito “l’ammazza-privacy”! Cioè… quel ragazzo vive sui social, praticamente! E questo è tragicamente drammatico! Quel ragazzino tradirà la parola data e in men che non si dica sarò raggiunto da Yacov e dalla TV e da Chris, che non vede l’ora di farsi una vacanza insieme al mare e dagli impegni e… Ti prego no!!!

Comunque, già che c’ero, perché sono un professionista serio, io, stamano sono andato a cercarmi anche che tipo di pattinatore sia Phichit Chulanont e… tanto di cappello! Ho scoperto che il ragazzino ha diciott’anni, si allena a Detroit con il coach Cialdini e carica su YouTube tutti i video delle sue esibizioni, delle gare e anche degli allenamenti. Praticamente potrei elencare uno per uno i suoi punti di forza e quelli deboli. Ci sa fare con sequenze e trottole: non ci mette tutta l’espressività del mondo, però ha una vitalità fuori dall’ordinario. È abbastanza ferrato nei salti, direi che il suo cavallo di battaglia senza dubbio è il triplo Salchow. In uno dei video su YouTube, si vede addirittura che cerca di insegnarlo a un altro pattinatore. Non è chiaro il suo approccio, così come non è chiaro cosa cerchi invece di insegnargli l’altro, a occhio direi come essere più fluido nei passi, ma c’è qualcosa che non mi convince in quella dinamica. Da quel che si vede dal video, l’altro sembra ancora più orientale di Phichit, forse è cinese, chissà, ma non mi importa: quello che mi salta agli occhi, in ogni video in cui Phichit è in primo piano, è questo cinese sullo sfondo, che solca il ghiaccio come se stesse amoreggiando con la pista o ci si stesse incazzando o… insomma, quel tizio è davvero espressivo e si muove come se… bah… no, vabbè, non esageriamo. Però è notevole, devo essere obiettivo. Cattura l'attenzione, anche perché non è magro allampanato come il suo amichetto stalker, sembra… morbido…

E guarda qua com'è arzillo il thailandesino che tenta una serpentina! E Cialdini che gli sbraita dietro per dirgli di essere più elegante!? È buffo quell'uomo, mi ricordo ancora di quando pattinava, ero un bambino… Si sente una voce vicina che commenta, ha un timbro interessante… e… beh, sì: ha ragione! “Phichit sembri un criceto che corre!” gli urla, e ha proprio ragione! 

Makkachin si accuccia ai miei piedi, affondo la mano nel pelo stopposo di salsedine, fino a sentire la sua ciccia morbida e calda. Guaisce.

-Cosa c'è, amore di papà? Hai fame?- 

Controllo l'orologio: sì che ha fame, è tardissimo! Sto guardando i video di Phichit da ore, ho perso la cognizione del tempo.

Ordino il pranzo in camera e la pappa per il cane, poi gli lascio anche un pezzo del mio pollo. -Lo so che devo metterti a dieta, Makka, la verità è che mi piaci tanto così cicciottello!-

 

Mi rimetto a guardare i video di Phichit. Ce n'è uno girato su un autobus da qualche parte in mezzo alla neve, mi sa che stanno andando a una gara e Phichit ha filmato un qualche gioco che fanno tutti insieme, ragazzini e adulti. Ecco, ora si vede meglio il suo amico, credo sia lui… Beh, sì, ha il viso tondo e gli occhiali sul naso ed è impacciato come a volte si nota nei video, mentre parla con Cialdini sul fondo della pista: decisamente è lui. Ma che bel primo piano… Com'è carino… tutto rosso! Ma che stanno combinando? Il video ha più di cento likes, aspetta, lo rimetto da capo e cerco di capire il gioco.

C’è un gran vociare e tante risate, la strada scorre lungo una foresta di abeti, che bel panorama. Ah, ecco… sì… ho capito: stanno facendo il telefono senza fili e a ogni passaparola le risate aumentano e anche le espressioni sconvolte dei passeggeri. 

È finito il giro: sembra stia proprio al cinese di dire ad alta voce la frase e si imbarazza ancora di più. Eccolo che parla.

“Sotto le stelle voglio… farti ubriacare… con… con…” No, non è cinese quello, dall’accento del suo inglese direi che è più giapponese. L'ho già sentita questa voce…

 

“Coraggio, giapponese!” Appunto.

“Io non avevo detto questo!” Deve essere Phichit a parlare, riconosco il timbro della voce.

“E nemmeno io gli ho passato questa frase! Sta barando!” Dice qualcun altro, e poi si sente sussurrare piano piano, tanto che devo alzare il volume al massimo: “Io gli ho detto Sotto le stelle voglio farmi scopare da Victor Nikiforov”, perché non la ripete? Si vergogna, il tuo amico?”

 

Oh! Gospodi, Pomiluy! Kakogo cherta!?

Ma che stanno dicendo!?!?!? Cosa c’entro io??? Perché, perché, PERCHÉ ogni volta che c’è di mezzo il pattinaggio, esce fuori il mio nome!? E perché, yebat’! mi hanno infilato in una frase… in una frase del genere!?

 

“Finisci la frase!” Starnazza qualcun altro, “E dilla come te l'ho detta io!” Ridono. Tutti ridono in quel video… ridono… di me? O del giapponese, che sembra cercare disperatamente un aiuto in chi sta filmando e fa degli occhi da cucciolo disperato, mentre Phichit -infame!- ride e la ripresa ballonzola insieme a lui?

“Ricomincia!” “Tutta d'un fiato!”

Il giapponese è rosso fino alle punte delle orecchie, gli tremano gli occhi, le labbra… ma si può essere più tenerelli di così!? Se dice ad alta voce quella frase giuro che lo scovo ovunque si trovi e lo pesto a sangue!

 

“Sotto… le stelle voglio farti ubriacare con… Vodka Smirnoff…”

 

Ah. 

 

Ah!

Ebbravoilgiapponesino!!! Ha salvato capre e cavoli, e soprattutto ha salvato la mia reputazione su YouTube… anche se qualcosa di molto sboccato, prima, si era comunque un po' sentito…

 

Mah. Questi ragazzini di oggi… Mi sa che Phichit dovrà tenersi basso con il suo ricatto, perché con questo video lo trascino in tribunale per diffamazione, eh!

 

Vado avanti, c’è tutto un mondo in quel canale YouTube e sull’account Instagram di Chulanont, ci posso fare sera. Cerco il profilo del giapponese, è l’unico che sia stato dalla mia parte su quell’autobus, almeno merita che conosca il suo nome, e poi è caruccio, lui: @yuuri.katsuki. 

 

Wow… 

Ha un profilo Instagram blindato, solo qualche misera foto di alberi o del mare visibile e anche… Makkachin!? No… no no, quello è un barboncino toy, non è… blin, u nego yest' sobaka pochti takaya zhe, kak u menya! Ha un cane quasi uguale al mio!

Non so quanto tempo ho passato in compagnia dei video buffi di quei ragazzi. È strano pensare che io non abbia mai avuto qualcuno con cui fossi tanto legato come quei due, che non abbia mai speso del tempo mischiandomi con bambini e sconosciuti a fare un gioco… È… è deprimente… 

Makka mi sente sospirare e mi raggiunge, coprendomi di sabbia le gambe. -L'unica costante della mia vita sei sempre stato tu, Moya milaya lyubov’, se solo tu potessi parlare…-

 

Bussano alla porta, sarà la signora con la cena. Basta malinconia!

 

-Hello!- Apro e sorrido come mi hanno insegnato da bambino, quel sorriso a occhi socchiusi che strappa baci, che… -Phichit!? Che diavolo ci fai, qui!?-

-Servizio in camera!- Il marmocchio sorride felice come una pasqua.

Lo guardo entrare nella mia camera con un vassoio in mano, attraversarla tutta e posare la mia cena sul tavolo della mia terrazza!

Prima che possa chiedergli qualunque spiegazione, ci pensa lui e io sono fottuto.

-Sono il nipote della proprietaria dell’albergo e mi stavo annoiando con i miei fratellini più piccoli o con le cugine troppo… bleah! Mi sono offerto di fare da cameriere e, visto che ci sei solo tu come ospite, sarò il tuo cameriere personale! Contento? Eh? Eh?-

 

Lo guardo torvo, mentre sollevo il coperchio del vassoio. -Perché ci sono due piatti, due bicchieri, due set di posate e due tovaglioli?-

-Beh, in qualità di tuo cameriere personale, ho pensato che ti sentissi solo soletto e quindi… ceno insieme a te, contento? Eh? Eh? Così parliamo un po’!-

 

Non ce la posso fare. So di avere un’espressione tutt’altro che amichevole. Che vadano a quel paese Phichit Chulanont e tutta la sua famiglia messa insieme! Sto per cenare con una bomba a orologeria, come minimo ha piazzato delle telecamere nascoste nel portico o ha una microspia addosso in questo momento.

Gli faccio cenno di accomodarsi e lui per prima cosa poggia il telefono sul tavolo.

-È spento: prometto che rispetto la promessa che ti ho fatto. Una promessa è una promessa! Sono qui per dirti cosa voglio in cambio da te, ma prima… racconta un po’ cosa hai fatto di bello in queste lunghe ore?-

Sorride, Phichit, è a suo agio e ha un’allegria addosso che è contagiosa.

-Ho stalkerato tutti i tuoi profili social, amante dei criceti…-

Lui mi guarda a bocca aperta, io rispondo con una finta aria da spia e poi scoppiamo a ridere entrambi.

-Dai, mangiamo…-

Il cibo che prepara sua zia è ottimo e devo dire che la compagnia si sta rivelando piacevole.

Abbiamo spettegolato un po’ sui pattinatori su cui via via Phichit mi faceva domande, alcuni li ha conosciuti anche lui e ho confermato le sue impressioni su di loro. Abbiamo condiviso il som tam e un paio di birre “omaggio della casa” e riso, riso tanto.

 

-Non sei una bestia solitaria, vero Vic?- Dice sedendosi di fronte a me. Adesso è serio.

-Cosa intendi?-

-Nel senso… sei scappato qua da solo, in un buco d’isola, per allontanarti da tutto e da tutti, ma… tu non sei così, è vero? Mi sembri più un tipo che si sente bene in mezzo alla gente, uno gioviale, che non se la tira. Dì la verità: in fondo in fondo ti stai pentendo di essere venuto a lasciare un po’ di soldi su Koh Mak, eh?-

Non riesco a mantenere l’espressione seria, sento le labbra che si piegano da sole all’insù. Possibile che questo soldo di cacio sia così bravo a leggermi dentro, anche se non ci siamo mai praticamente incontrati prima d’ora?

Phichit è così spontaneo e divertente… Posso lasciarmi andare e se poi metterà tutto su YouTube… sai cosa!? Pace!

 

-Ora non sono più da solo, no? Ho un cameriere personale a tenermi compagnia, o sbaglio?-

Sorridiamo in due e ci avventiamo sul dessert.


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-Ah, se Yuuri fosse qui…- 

Phichit è sull’amaca, io sto facendo le coccole a Makka, seduto sull’ultimo scalino della terrazza.

-Dov’è adesso il tuo amico?-

-A Detroit, è rimasto lì da solo. Anche Celestino è tornato in Italia questa settimana.-

-E perché non è andato a trovare la sua famiglia anche lui?-

Phichit alza le spalle in un milione di non detti.

-Ho visto i vostri video su YouTube…-

Lui si solleva dall’amaca, mi guarda stupito. Annuisco.

-Avete stoffa, entrambi, in modi molto diversi l’uno dall’altro. Direi che tu pattini per divertirti e per divertire il pubblico, Phich, è così?-

Si illumina tutto. -Sì, è proprio così! Ma come hai fatto a… Sai, io ho un sogno e il pattinaggio è il mezzo con cui voglio arrivare a conquistare il mio sogno. Voglio portare una specie di “Holiday on Ice” qua in Thailandia… non c’è mai stato niente del genere e il biglietto sarà a prezzi popolari e i bambini entreranno gratis, perché tutti sappiano quanta magia c’è in quello che faccio, quanti colori e…- Non trova le parole per descrivere quello che vuole dire, ma l’ho capito perfettamente, per questo gli sorrido.

Phichit ha le stelle negli occhi e ricambia con un sorriso pieno di mille parole.

-Il tuo amico, invece…?- Gli domando e si rabbuia subito. 

-Yuuri, dici? Non lo so perché pattina… Credo… credo perché abbia un mondo intero dentro di sé e quello è l’unico modo che conosca per aprirsi agli altri. È così timido e riservato… È un cagasotto, diciamocelo! Ma quando è in pista, lui… Non lo so, diventa un altro. Alle volte mi sembra di veder pattinare te, da quante emozioni riesce a trasmettere. Però solo negli allenamenti, eh! Perché in gara, poi… riesce a fare certi disastri! Yuuri è un mistero, anche per me, ma gli voglio un gran bene.-

-Hai provato a insegnargli il triplo Salchow…-

-Wow! Ma tu sei davvero un genio! L'hai capito dai video! Sì! Ci abbiamo passato giornate intere, io a farlo saltare come un grillo e lui a insegnarmi come rendere più armonioso tutto il resto.-

-Ci siete riusciti?-

Phichit alza le sopracciglia e increspa la bocca. -Mmm… Io sì, sono un maestro più bravo di lui, evidentemente. Yuuri salta il quadruplo adesso, ma stai tranquillo che in gara non lo vedrai mai riuscirci. Lui… come maestro insomma… Non riesco a eguagliarlo, non ho un briciolo della sua espressività, non c'è verso. Celestino dice che ci metto sempre troppa allegria nei miei programmi, anche quando parlano di sofferenza o morte o…-

-E tu non scegliere programmi di questo tipo, no?-

-La fai semplice! Ora, immaginati… come potrei competere con la danza degli Orsetti del cuore, contro dei mostri come te? Cioè… dai!-

 

Rimaniamo in silenzio per un po’. Phichit ha ragione, in qualche il modo il mondo del pattinaggio ha un retaggio classico, derivato dal balletto e quindi le tematiche trattate sono gioco-forza epiche o tragiche e quel ragazzo sprizza allegria da tutti i pori, è innegabile.

 

-Ho tanti video degli allenamenti che non ho mai caricato, vuoi vederli? Così mi dici dove sbaglio…-

Annuisco, mi viene da ridere perché mi sono scelto il buco di culo del mondo, per dimenticarmi per un po’ anche del pattinaggio, e guarda come sta andando!

 

Le immagini scorrono nel buio della notte stellata. Questa è la cosa che adoro di più di Koh Mak: il cielo di notte, con la via lattea che brilla, talmente bella da togliere il fiato.

Ma c'è un'altra cosa che mi sta togliendo il fiato ed è sullo sfondo del video di Phichit che prova un quadruplo Toe-Loop. È sublime.

-Sta… sta parlando di rimpianto e struggimento per qualcosa che ha lasciato andare via… E ora cerca il riscatto, la musica sale, è il momento per un salto… Ce l'ha fatta. Allora ci riesce davvero!-

Phichit mi fissa ammutolito, io non mi sono reso neanche conto di aver pensato ad alta voce.

-Ma tu stai guardando Yuuri dietro a me!- Sbotta, poi cambia tono, perché vuole un gran bene al suo amico. -È proprio come hai detto: il programma che sta provando parla di lui, della sua vita e… Come fai a dire che in quel momento la musica sale e sta per fare un salto!? Non c'è la musica sotto! Allora è vero che tu hai poteri sovrannaturali!-

Beh… si capisce, ragazzo, io lo capisco…

-Scusami… Allora, per completare un quadruplo Toe-Loop e avere abbastanza equilibrio per atterrare sulla lama, devi entrarci con un tre avanti destro o sinistro e cambi piede. Tu qua ci arrivi dritto, quindi sei sbilanciato in avanti.-

Phichit mi guarda, scuote la testa e sorride: -Anche secondo me Yuuri non ha bisogno di musica, per trasmettere le emozioni che prova. Dovresti vederlo dal vivo… in allenamento però!- Ride e io rido con lui, mentre blocca il telefono e lo schermo si spegne. L'unica luce proviene dal piccolo villaggio in lontananza, lungo la costa e dal firmamento che splende immobile e silenzioso, riflettendosi sul mare.

-Chissà, prima o poi magari vi vedrò pattinare entrambi- e mi piacerebbe davvero essere per una volta spettatore e non esclusivamente concorrente in pista. Mi piacerebbe prendermela comoda, ammirare da fuori tutto quello che gli altri pattinatori creano sul ghiaccio, emozionarmi per le loro esibizioni, lasciarmi trasportare dalle loro emozioni.

 

-Posso chiederti una cosa, Victor?-

Certo.

-Dicono tante cose su di te… cose cattive… ma tu mi sembri una persona completamente diversa da come ti descrivono: interessata agli altri e molto competente, onesta e seria.-

Abbozzo un sorriso, gli artigli delle malelingue si estendono fin qua, mi scovano, mi graffiano, ma non mi interessa.

-Quelle foto che ti hanno fatto qualche anno fa… con quelle due ragazze insieme in Canada… È tutto vero quello che scrivevano? E… di te e Giacometti? E che tu sei… sei…-

Allungo una mano sulla sua testa, gli spettino i capelli ispidi per farlo tacere prima che si imbarazzi ancora di più.

-No, forse e sì.- Aspetto di vedere la sua reazione e mi spiazza. Sembra soddisfatto di quelle tre risposte lapidarie.

Sorride, arrossisce, sposta lo sguardo, china il capo.

-Posso chiederti un'altra cosa?-

-Certo.-

-Quello che… quello che vorrei in cambio del mio silenzio sul luogo dove ti trovi.-

 

Ci siamo. Non ho la più pallida idea di cosa mi aspetterà.

-Ti ascolto.-

Prende un respiro profondo e pianta i suoi occhi nei miei.

-Se mai… se mai dovessi incontrare il mio amico Yuuri, ecco io vorrei che… che tu ti mostrassi per come sei davvero, così come sei adesso e che non facessi mai nulla per ferirlo o deluderlo… Ho deciso che non gli racconterò mai che ci siamo incontrati in questa vacanza, ci rimarrebbe troppo male. Lo avevo invitato, ma non ha voluto ascoltarmi: sarebbe l'ennesima occasione persa della sua vita e non voglio che abbia altri rimpianti su cui rimuginare. Lui adesso è da solo a Detroit, perché si flagella per i suoi insuccessi e si vergogna a tornare a casa. Ma la verità è che vorrebbe farlo, anche perché il suo cane ha problemi di salute, ma a casa… Lì si scontrerebbe con i suoi fantasmi, con i sensi colpa, si arrenderebbe al fallimento, all’ordinarietà, si spegnerebbe e io non voglio che accada. A volte credo che l'unica luce che veda in fondo al tunnel dei suoi rimpianti sia tu, Victor. Per questo… Non importa quello che scrivono sui giornali o dicono di te: tu devi restare il suo idolo buono, pulito, affidabile, sano, se mai ti troverai faccia a faccia con lui. Per favore, Victor.-

 

Sono senza parole, non so che replicare, sono travolto dal calore dell'amicizia che lega questo ragazzino al suo compagno di squadra, dalla maturità delle sue parole, dalla tristezza di quello che ha detto e dalla responsabilità che mi sta dando.

Io non sono un idolo, sono un uomo, con i miei difetti, le mie debolezze, i miei lati oscuri e troppe cose sbagliate da dimenticare. Io non posso essere considerato come…

-È tardissimo, Victor, devo tornare dalla zia!- Esclama Phichit e scappa via.

 

Sospiro al cielo brillante e scuoto il capo. Non credo che riuscirei a non deludere il suo amico, non credo di essere così come loro pensano che sia.

 

Ma non è un problema reale: forse in futuro potrò confrontarmi con loro durante una gara, ma la probabilità che incontri di nuovo Phichit o che abbia a che fare direttamente con Yuuri Katsuki per un tempo tale da riuscire a deluderlo è piccola, esageratamente piccola, matematicamente impossibile.



 

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Capitolo 9
*** Onde - 2012 ***


Onde - 2012

Yuuri
_____

Victor

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt: onde

 

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Ci ha messo meno di un mese, Yuuri, dopo che si è trasferito a Detroit, per capire quale fosse l'elemento che più gli mancava del suo essere a casa: il rumore delle onde che si infrangono sulla spiaggia, d'estate e d'inverno. Non c’era stato giorno, nella sua vita ad Hasetsu, in cui non avesse raggiunto la riva e non si fosse fermato ad ascoltare lo sciabordio ipnotico delle onde. Ci si perdeva, nell’ascolto del respiro del mare e sincronizzava il suo umore con esso. Si calmava, nei giorni di bonaccia e ne traeva energia, scintille, nuova prospettiva, quando i cavalloni ruggivano sulla battigia. Aveva lasciato che il ritmo delle onde lo pervadesse e scrivesse dentro di lui una sinfonia indelebile fatta di emozioni, attimi, battiti.

Ma a Detroit, Yuuri non ha trovato il mare. 

Ci sono soltanto due laghi, dalle acque scure e quasi immobili, due personalità differenti, come sono differenti i due aspetti del suo essere. Il St. Clair, in città, più docile, poco profondo, che accetta le lente acque dal delta del fiume immissario e le tiene con sé per una settimana, prima di lasciarle lentamente scivolare via, e il lago Erie, forte e immenso, che si forma grazie alle acque del suo fratello minore e poi si svuota con fragore attraverso le cascate del Niagara. Se il cielo si incazza e frusta il Michigan con i suoi venti di tempesta, può capitare che su quest’ultimo si formino persino le onde, ma Yuuri capisce subito che è tutta un’altra cosa: anche se è enorme - se non ci pensa può sembrare quasi il mare - l’Erie non è un mare e non respira

Quindi Yuuri, deve accontentarsi di fissare uno o l’altro lago e farsi bastare lo sciabordio leggero delle nere acque estive sulle sponde sassose. Ma d'inverno il lago St. Clair muore. L'inverno si mangia anche l’Erie e lo congela. Le sottili increspature dell'acqua sono immobili, pietrificate, mute.

 

Tutto è fermo, tutto è incastrato molecola con molecola, pensiero con pensiero, battito con battito. 

 

Yuuri vuole le onde, le sente agitarsi dentro di sé e non può farle uscire. Il ghiaccio, che dovrebbe essere suo amico e alleato, lo imprigiona e lo inchioda in un’immobile attesa di un futuro che forse non sarà mai in grado di conquistare. 

Quando è arrivato a Detroit, la cosa che più lo ha sconvolto è stato il freddo. L’inverno del duemilaotto-duemilanove è stato uno dei più gelidi degli ultimi anni e gli è entrato nelle ossa, come un imprinting che gli ha irrigidito l’anima. A Detroit, Yuuri capisce subito che finirà per spegnersi, ma resiste, cerca il calore con insistenza, spera che il sole scongeli il suo umore, presto o tardi, ma, quando accade, non arriva niente di più del timido muoversi di acque melmose ed estranee.

 

Dopo un anno di ghiaccio e stasi e respiri stroncati in gola e silenzio e acque dolci e congestione dei suoi demoni, Yuuri desidera come non mai il mare. Le onde che ha dentro premono, tumultuano, ruggiscono sempre più di rado. Il suo mare è troppo lontano, non ce la fa a raggiungerlo, inizia ad accontentarsi della calma del lago.

 

Dopo due anni di torpore e giornate che si ripetono una uguale all'altra, allenamenti che si susseguono uno gemello dell'altro, dopo troppi salti falliti, Yuuri sente che il ghiaccio - il ‘suo elemento’, no? - sta congelando anche la sua anima e si addormenta immobile, ignaro se con la primavera riuscirà di nuovo a svegliarsi e riprendere a volare. E le onde, dentro di lui, tacciono sempre di più, resta solo l'eco di un ringhio lontano. Una parte di sé è tentata dal silenzio. Quella parte di sé vuole arrendersi e tornare al suo mare, a casa, in sordina. Ma Yuuri resiste ancora, con la disperazione arresa di chi sta dimenticando i propri sogni chiusi in un cassetto. 

 

Dopo quasi tre anni e calma piatta, col cuore gonfio e incastrato nel reticolo perfetto di molecole intirizzite, Yuuri nota che qualcosa è cambiato nel suo rapporto con Phichit. È la prima crepa sul ghiaccio.

 

Il buffo ragazzo thailandese è tornato dalle vacanze in terra natia con l'euforia e l'entusiasmo di un bambino. Lo ha travolto con un milione di fotografie dall'aroma familiare (dove ho già visto questa spiaggia?) e con un buco di narrazione lungo dieci giorni (“sono stato da mia nonna al mare, niente da raccontare, dieci giorni a contare i granelli di sabbia, fare bagni nell’acqua immobile e dondolarmi sull’amaca”). 

Phichit ha fatto subito notare a Yuuri quanto lo abbia trovato ingrassato e lento, dopo neanche un mese di assenza, e lo ha messo in guardia sul fatto che avrebbe potuto batterlo persino lui, senza sforzi. Yuuri non ha negato e ha addossato la colpa alla fame nervosa. -Mica sono andato a rilassarmi in vacanza, io!- Ci ha scherzato su, ma poi ha iniziato subito a mettersi a dieta. Phichit lo ha costretto ad andare a correre insieme, farcendo quelle ore di consigli, pettegolezzi, dissertazioni sui criceti e racconti della sua terra, comportandosi con più disinvoltura possibile. 

Dato che il suo amico ha sempre detestato correre, tutto questo era già molto strano, ma è stato qualche settimana dopo, quando ha definitivamente calato la maschera e si è mostrato molto più adulto di quello che avrebbe mai pensato, che Yuuri ha avuto la conferma: qualcosa ha cambiato Phichit in quei giorni sull'isola, qualcosa che si è riflesso in sguardi più attenti, premure più invadenti, consigli più insistenti. 

 

Ci ha messo un mese, Phichit, prima di lanciare la bomba.

 

-Devi lottare, Yuu-chan, lottare e partecipare al Grand Prix, quest'anno. Fallo per me. Fallo per te. Io lo so che hai le capacità e la tecnica per raggiungere il tuo obiettivo e mi fa male vedere come ti stia dimenticando del tuo sogno. Devi scuoterti, Yuuri, devi infilarti in testa che tu ce la puoi fare.- Gli dice una sera di autunno, al termine di una sessione di corsa. Fa già un freddo cane, estremo persino per un luogo gelido come Detroit e i loro respiri si condensano in piccole nubi dense. 

Mentre le acque dei due laghi lentamente iniziano a congelarsi, Yuuri sente l’onda risalire dentro di sé e sceglie finalmente di non imprigionarla più. La lascia gonfiare, pronto a cavalcarla e riprendersi il suo sogno. Ci volevano un ragazzino determinato e la sua supplica così accorata per spezzare il ghiaccio che la teneva in trappola sotto la superficie. 

 

La stagione deve ancora iniziare e lui si impegna per tuffarsi a capofitto in quei flutti pieni di energia. Torna al suo peso forma impegnandosi negli allenamenti, si priva di qualsiasi peccato di gola, si ficca in testa quelle quattro parole che Phichit gli ha detto: “ce la puoi fare”. Non sa perché si fidi di lui, ma lo fa e basta. Ci crede e ci crede anche il loro coach. Celestino gli prepara una coreografia imponente, si lascia convincere che Yuuri abbia tutte le carte in regola per diventare il suo allievo più forte, lo allena dall’alba al tramonto, dà tutto perché lui dia tutto. Yuuri si impegna per qualificarsi agli eventi del Grand Prix e ce la fa, contro ogni suo pronostico. Si sente forte, si sente benedetto dalla sorte, finalmente! Si erge a testa alta, per qualche giorno si sente sulla cresta dell’onda e le sta sopra a testa alta, finché non si infrange sulle sponde aguzze e crudeli della realtà: fallisce al Trophée Bompard in Francia e si trascina, consapevole che non avrà più senso nemmeno provarci, alla gara successiva in Canada. Era scontato che finisse così: d’altronde Parigi è troppo lontana dal mare e Toronto è incastrata nei grandi laghi ghiacciati del nord America. Yuuri non è più sull'onda, non ha più il respiro del mare dentro di sé, non sente più il sangue spingere furioso e placarsi, spingere e placarsi. Spingere e placarsi.

Non può fare niente contro la prepotenza insidiosa e discreta del ghiaccio che si riappropria di lui, se non accettare che il tumulto dentro di sé si plachi e torni a dormire.

 

Il suo sogno è sempre più sbiadito, il successo che gli serve per arrivare là dove volano le stelle non arriva neanche con l’inizio del nuovo anno. Celestino però ha ancora fiducia in lui e lo iscrive alle qualificazioni per il Four Continents. Yuuri è scettico e le affronta prendendo la situazione sottogamba, senza energia, con la pigra lentezza delle acque scure che lambiscono la sponda del lago in cui ha costretto il suo mare. Non ci pensa, non si impegna seriamente, non sente nemmeno la tensione della competizione e così rilassato supera le selezioni. È come il boato di un blocco di ghiaccio che senza avviso si stacca e precipita in mare, alzando le onde. La sua squadra è in festa, dal Giappone gli arrivano il sostegno e le esortazioni di Minako e Yuuko, e quell’onda si alimenta di nuovo, gli gonfia il petto di prospettiva nuova, lo trascina speranzoso fino in Colorado per la gara, armato fino ai denti di una determinazione che non pensava di avere ancora.

Ma il mare è troppo, troppo lontano da Colorado Springs e Yuuri non se lo ricorda più come lasciarsi andare al suo palpito. Prima della gara  finale, sente di nuovo il petto pieno di diavoli arrabbiati che vanno in controfase alla sua onda e, invece di gonfiarla, la smorzano, la mettono a tacere, lo boicottano. Lo fanno cadere e fallire e rimanere immobile sulla pista ghiacciata della sua esistenza mediocre. Può tornare a Detroit con la coda tra le gambe, gli riesce bene, è la cosa che ha imparato meglio in quegli ultimi anni. Vola da un deserto fino a un lago ghiacciato e si arrende nuovamente nella stasi. Stavolta si arrende davvero.



 

Phichit smanetta sul suo telefono, è primavera. Ha promesso che quest'estate non partirà, deve programmare i suoi studi universitari, deve scegliere bene, deve perfezionarsi, deve ripassare chimica, deve dipingere la sua metà stanza, deve allevare criceti, deve trovare una qualunque scusa per non muoversi da Detroit - perché neanche Yuuri lo farà e lui ha scelto di stargli vicino. È da un po’ che ci pensa: deve scoprire le sue carte, almeno in parte, per aiutare il suo amico e dopo quasi un anno che si tiene dentro quel segreto, è il momento di farlo.

 

-Guarda. Cosa vedi?-

Gli piazza sotto al naso il telefono su cui scorre il video di un vecchio allenamento che aveva registrato.

-Vedo che sbagli l'entrata del triplo Flip-, risponde cauto Yuuri, -ma adesso hai imparato a farlo, no?-

-Non me, guarda te, sullo sfondo!-

Yuuri è perplesso.

-Vedo… che sto provando quel vecchio programma libero che volevo tentare, sulla musica che aveva composto quella ragazza del conservatorio. E faccio abbastanza schifo. Guarda: nemmeno un triplo toe-loop.-

Phichit lo rimprovera con un'occhiataccia. -Mancavano tre giorni alla partenza per Vancouver, cioè a una gara. G A R A: per te è normale dare di matto. Oltretutto non era neanche il programma che avevi deciso di eseguire in competizione. Non è questo che devi notare, baka!- Phichit non usa mai vocaboli giapponesi: quando lo fa, è perché vuole mordere esattamente dove si nasconde l’orgoglio menomato di Yuuri.

Allora lui presta più attenzione, aggrotta le sopracciglia, prende dalle mani dell'amico il telefono, per osservare meglio il video, ma non vede niente di significativo.

-Qua è dove doveva esserci la transizione tra rimpianto e riscatto, la musica saliva e poi c'era il salto… che pessimo Salchow ho fatto… Vedi?-

 

Phichit si riprende il cellulare e incrocia le braccia al petto, inclinando la testa da un lato. -Ti concentri sull'errore e non noti il resto: hai visto che sei riuscito a capire cosa stavi facendo e a immaginare la musica dietro i tuoi movimenti?-

-Ma me la ricordo, la musica, Phichit-kun!-

-Beh, allora: notiziona! Ti svelo un segreto. In passato ho avuto modo di mostrare questo video a… qualcuno che s'intende di pattinaggio e sai che mi ha detto? Mica ha guardato i miei tentativi in primo piano, figuriamoci! Ha detto che tu, sullo sfondo, stavi parlando proprio di rimpianto e riscatto. Il tutto senza conoscere né sentire la musica. Questo perché tu sei speciale, Yuuri, anche se non vuoi accettarlo. Perché la tua danza in pista trasmette e amplifica le tue intenzioni, molto più di quello che credi. Cosa significa questo? Che devi essere te stesso anche in gara, che non devi permettere al… che ne so!?, al panico? all'ansia da prestazione? al cagotto? di metterti in un angolo. L'interpretazione è fondamentale in un'esibizione: non c'è solo la componente tecnica e tu devi puntare sull'interpretazione. Lasciatelo dire da un Pinocchio che crede di saltellare tra le margherite anche quando deve interpretare un Romeo avvelenato!-

 

Yuuri guarda Phichit, ha una dichiarazione e una domanda in testa, è fondamentale scegliere l'ordine giusto per esporle.

-Da quando sei diventato così saggio, Phich?- Opta per una via di mezzo.

-Io sono nato saggio, Yuuribello, sei tu che non te ne sei mai accorto!-

Il giapponese sorride. Non sa come sfruttare quella piccola lezione di vita, ma sorride.

-E chi sarebbe l'esperto di pattinaggio che ti ha detto quelle cose di me?- Ecco la seconda domanda, quella che lo incuriosisce di più.

Phichit sfarfalla una mano in aria.

-Oh, nessuno… uno che ho conosciuto l’estate scorsa in Thailandia…-

-Dato che nel tuo paese il pattinaggio è un gradino più in basso della cenerentola degli sport, immagino che un esperto thailandese sia un luminare, nel nostro settore!-

Phichit fa una smorfia. -Gne, gne, gne! Ma sai un corno te chi bazzico in vacanza!-

-Tutti veterani del rink, suppongo!-

-No! Principalmente ragazze, molte ragazze. Ho i miei giri, ma può capitare di confrontarmi anche con… diciamo qualcuno di un po' più che ‘esperto’…- Ma Phichit Chulanont ha fatto una promessa a quel qualcuno e non deve esporsi troppo, quindi si declassa. -Oh, le ragazze sono… le mie cugine, le zie e mia nonna, eh!- Glissa sulla seconda parte, ma tant’è.

Yuuri ride, è sempre più raro che lo faccia, le guance non sono più abituate a quell'esercizio e dopo un po’ fanno male. -Esco. Vado ad allenarmi un po’.- Dichiara infilando il giubbotto.

 

-Yuuri.-

Si sente afferrare per un braccio e, quando si volta, l’espressione dell'amico è seria.

-Cosa ti manca più di tutto, Yuuri?-

 

Così, senza un perché. Ma Phichit è Freud, no? Capisce sempre un secondo prima quello che frulla tra i pensieri del suo amico, individua la minuscola crepa nella corazza che tiene in trappola la sua anima combattiva.

 

-Le onde-, gli risponde Yuuri e se ne va.

 

Ad agosto ti porto a respirare le onde. Promette Phichit e in testa elabora un piano.

Non ha più contattato Victor Nikiforov dopo la surreale vacanza trascorsa con lui, a volte si domanda se la sua mente non abbia inventato tutto. Non è abituato a ricordare il passato senza foto alla mano, ma in quei dieci giorni era stato di parola e non ne aveva mai scattata una al russo. Fatto sta che in quel momento deve frenare l'impulso di aprire la messaggistica di Instagram e contattare “il vate”. Ci penserà da solo a trascinare Yuuri al Grand Prix, a costo di prenderlo per i capelli e lanciarlo in pista.


---


L'autunno del duemiladodici è un periodo fruttuoso. La breve vacanza sull’Atlantico, che Phichit gli ha imposto ad agosto, ha dato i suoi frutti. Finalmente Yuuri ha potuto respirare il mare e sincronizzarsi di nuovo sulle sue frequenze. Ha dimenticato il senso di costrizione al petto, l'impossibilità di riuscire a trovare la forza di ribellarsi alla coltre pesante che lo opprimeva e si è lasciato andare. Ha giocato sulla spiaggia, ha rincorso i gabbiani, si è tuffato, ha bevuto il sole e il vento, si è fatto colpire dai cavalloni, è riemerso e non gli è mai sembrato più bello il poter respirare. Ha ripreso dal cassetto il suo sogno arreso e ci ha chiuso dentro la malinconia, ha fatto progetti, ha mangiato con gusto, ha corso fino a perdere il fiato e ha riso, soprattutto ha riso finché non gli hanno fatto male gli addominali ed è crollato esausto e soddisfatto sulla sabbia lambita dal mare. 

Adesso Yuuri si sente di nuovo in gioco, come un surfista che ha ritrovato finalmente l’onda perfetta, come l’onda che travolge tutto. Riesce a passare lo scoglio delle selezioni ai campionati regionali, gareggiando di nascosto ai suoi in Giappone. Non avvisa nessuno del suo ennesimo tentativo, si concede in incognito la visione dell’oceano Pacifico dall’isola di Shikoku, passa e stravince, garantendosi l’accesso alle due competizioni del Grand Prix

Torna a Detroit e si sente bene. Ha fatto pace con il ghiaccio, ha riconquistato il suo mare, sente di nuovo la forza delle onde ruggire nel petto. Ora gli basta solo continuare ad allenarsi senza perdere la ritrovata grinta.

 

Un pomeriggio, durante le prove, Celestino ha un’epifania e crede di comprendere un altro dei motivi che potrebbero aver portato il suo atleta a sentirsi spaesato, alle volte,  sui rink di gara. Vuole che Yuuri sia perfetto, che nulla sia lasciato al caso. Stavolta vuole un paracadute, una ruota di scorta e razzi segnalatori per far correre il suo uomo dritto sul podio senza intoppi.

-Yuuri, adesso vorrei che provassi il pezzo del corto con il triplo Lutz. Va bene anche se viene doppio.- È una richiesta strana, da parte del coach e Phichit si sofferma a osservare cos’abbia in mente. Yuuri ubbidisce e solca il ghiaccio con la sua solita grazia, poi affronta la diagonale, si volta, stacca con il filo esterno sinistro, ruota tre volte e atterra un salto perfetto.

Celestino gli si avvicina con un sorriso, gli spettina la frangia e si ferma sul ponte del naso con l’indice puntato: -Adesso rifallo-, gli dice, sfilandogli gli occhiali e il mondo sbiadisce di colpo. Yuuri avverte nitidamente il familiare grumo di panico, che lo accompagna in ogni gara, iniziare a formarsi al centro del suo stomaco, abbozza una protesta, inghiotte a vuoto.

-Vai, Yuuri!!!- Lo esorta Phichit da bordo pista e lui sospira. In fondo non c’è niente di diverso dalle altre volte che lo ha fatto durante le gare, no? L’ultima volta c’è riuscito, quindi… Stai calmo.

 

Riprende a pattinare, compie un paio di giri per prendere le misure, accelera sulla diagonale stringendo appena gli occhi, si volta, stacca e si accorge subito che c’è qualcosa che non va, maledizione! Due rotazioni soltanto e l’appoggio è instabile. Yuuri rotola come un sacco di patate fino alla barriera del rink, Celestino gli è subito a fianco.

-Tutto bene?- Domanda, porgendogli una mano per rialzarsi.

Yuuri è rosso in viso, lo fissa strizzando gli occhi e afferra la mano; -Sì, sì, tutto ok…-

-Hai capito, no? Non prendi bene le misure.-

-Sì, Celestino, ho capito… Adesso posso riavere gli occhiali, per favore?-

L’uomo sorride e di nuovo gli scompiglia i capelli. -Sì, prendili, ma dopo gli allenamenti andiamo subito a comprare le lenti a contatto, ok?-


Viaggiano in tre, sull’auto di Celestino, Yuuri ha scelto di mettersi dietro a braccia conserte e il broncio sul viso: non gli riesce di portarle, le lenti, è inutile che insistano!  Hanno idea di quante volte ci abbia provato in passato, prima delle gare, prima del diploma, prima di… prima incontrarsi il sabato sera con i suoi amici, con Yuuko!?

-Vedrai che troveranno il modello giusto per te. Deve essere una questione di insufficienza di idratazione: anche mio nipote in Italia aveva lo stesso problema, ma poi ha risolto con un po’ di lacrime artificiali e…-

-A Yuu-chan non servono le lacrime artificiali, ci pensa da solo a piangere di continuo!- Sghignazza Phichit, seduto davanti.

-Ah. Ah. Ah. Simpatico…- Borbotta il diretto interessato, per nulla convinto che stavolta potrà essere diversa dalle precedenti.

 

---

 

-Dite cheeeeese!- Click! Celestino immortala l’attimo con un selfie di squadra poco prima di iniziare a divorare come tre trichechi affamati gli hamburger di Wendy’s. Ha fatto tirare a lucido i suoi ragazzi prima di quell’uscita improvvisata: li porterà in un localino dove fanno musica jazz dal vivo, per farli svagare un po’. Festeggiano i nuovi costumi appena arrivati dalla sartoria sportiva e la prima uscita di Yuuri-sexyman-Katsuki con le lenti a contatto e un nuovo taglio dal barbiere, imposto anche quello.

Lui è nero, Celestino se la ride e Phichit cerca di alleggerire l’atmosfera.

-Sei così figo che anche se sbagli i salti nessuno se ne accorgerà! Devi tenere i capelli all’indietro anche in gara, eh! Mi raccomando! Una leccata di gel e via!-

-Non ci penso nemmeno! Sembro un… un…-

-”UN”! Appunto! Dai retta al tuo amico che è molto più sveglio di te, Yuuricaro! Mamma t’ha fatto bello e tu vuoi nasconderti al mondo: lascia che qualche giudice donna si faccia confondere dal giapponesino sexy e ti aumenti di qualche punto la valutazione! Eddai su!!! Guarda che il fascino orientale non è da sottovalutare…-

Yuuri è sempre più nero, ma diventa anche un po’ rosso, perché scopre che i complimenti - quel tipo di complimenti -  gli fanno sotto sotto piacere, e un po’ se ne compiace, un po’ se ne vergogna. Ma l’hamburger è squisito e non ne mangiava uno senza vincoli di dieta da una vita, la serata prosegue con musica soft ben eseguita e quattro chiacchiere in compagnia, il cielo è terso e si intravedono le stelle e quando esce dal locale non si appannano nemmeno gli oc…

-Oh!-

-Che c’è Yuribello?-

-Le lenti! Non mi ricordavo più di averle addosso! Io… io ci vedo, Celestino! Vedo le stelle, vedo distintamente le sagome dei grattacieli in lontananza, io… Grazie…- Sente due lacrimucce premere ai lati degli occhi: Phichit aveva ragione a prenderlo in giro sulla storia delle lacrime artificiali, disgraziatoed è tutto così… così…  

 

Ce la puoi fare.

 

-Portami in pista, Celestino. Adesso.-

 

Il libero che Yuuri esegue nella penombra delle luci del palazzetto accese solo per metà, senza musica di sottofondo, con ai piedi i pattini e addosso gli stessi abiti con cui sono usciti a cena, è la migliore interpretazione che Phichit e Celestino gli abbiano mai visto fare. Phichit riprende tutto di nascosto e immediatamente, prima di avere il tempo di ripensarci, fa una cosa scorretta, di cui si pente subito dopo, perché è al limite dello spionaggio, del tradimento del… Invia il video all’account Instagram di Victor Nikiforov via posta privata. Non si sono più sentiti dall’estate dell’anno precedente, né incontrati per sbaglio in un fazzoletto di mondo, e non ha mai scambiato il numero di telefono con lui, ma sente, sente, che è la cosa più giusta da fare in quel momento.

Se Yuuri lo scoprisse, lo ucciderebbe. Se Celestino se ne accorgesse, lo caccerebbe dalla sua squadra. Ma se Victor vedesse quel video, se non cancellasse la posta in ingresso come spam dei fans, se si prendesse quei quattro minuti… oh, Phichit è certo che qualcosa cambierebbe nel grande ordine del destino.

 

-Come vi è parso?- Domanda Yuuri, dopo aver ripreso fiato e averli raggiunti fuori dalla pista. Celestino ha gli occhi che brillano, Phichit ha un’espressione distratta, ma un attimo dopo esplode in un tripudio di esclamazioni e complimenti a cui si aggrega il coach.

-Hai tutte le carte per vincere, Yuuri. Intendo vincere tutto, non solo le coppe intermedie. Credo che sia stata l’esibizione migliore di un mio atleta da quando ho iniziato ad allenare. Forse la più commovente che abbia mai visto in assoluto. Bravo! Bravo ragazzo mio!-

 

Yuuri non si è mai sentito così, prima d’ora, è la prima volta che si fida, che sente che potrebbe davvero avere la forza di mostrare al mondo qualcosa di nuovo, che sta nascendo dentro di lui e preme per svelarsi. Ha sempre pensato di avere un lato di sé del tutto nascosto, capace di sorprenderlo e sorprendere gli altri, ma non ha mai osato abbastanza per scoprirlo davvero. Ma stavolta ci crede. Quanto è dolce lasciarsi cullare da quelle parole… Bravo… ragazzo mio… vincere… Hanno il suono della risacca che prende forza, della marea che sale, dell’energia che si accumula e si rafforza di se stessa, del petto che si solleva, dell’onda che gonfia, gonfia e torna a ruggire la sua volontà, la determinazione, la voglia di prendersi tutto, di spaccare, di arrivare. Finalmente arrivare…



 

 


 



 

Victor è a passeggio con Makkachin, il cappotto sbottonato svolazza sulle sue gambe a ogni passo. Gli piace il freddo, è nato nel freddo e vive di ghiaccio, ma se c'è una cosa che il freddo gli infligge, sono i dolori alle mani. È da quando soffriva di geloni nella sua più tenera fanciullezza, un tempo ormai indistinto i cui ricordi sbiadiscono anno dopo anno, che l'unica difesa che si impone contro il freddo è un paio di guanti di pelle, imbottiti di pelliccia. Ed è per questo che sbuffa spazientito quando il suo telefono squilla, con la suoneria allegra che ha associato a Chris.

Ma è troppo tempo che non si vedono e non si sono sentiti neanche dopo le gare intermedie del Grand Prix e Victor deve per forza sfilare il guanto e rispondere alla chiamata.

-Pronto, Chris?-

-Ciao Vitya, che fai di bello?- 

-Sto convincendo Makkachin a fare la cacca, perché voglio tornare a casa e vedere le registrazioni del tuo programma libero.-

-Quindi non mi stavi guardando in diretta?-

Victor sospira. No, non lo stava facendo, in realtà si era addormentato sul divano e poi il cane ha iniziato a raspare sulla porta per uscire.

-Non mi dire nulla! Voglio la sorpresa!-

-Nessuna sorpresa… in tutti i sensi! Indovina come sono arrivato?-

Victor ghigna, lo immagina. Ormai lui e Chris ci scherzano su.

-Ma come!? Anche senza di me in gara? Come hai fatto ad arrivare ancora secondo?-

Chris Sghignazza, in sottofondo si sente l'eco di un vociare indistinto, il suono familiare di uno spogliatoio.

-Perché non ci sei solo tu di esageratamente bravo, nel mondo! Sorpresa! Quest'anno è spuntato uno che darà del filo da torcere anche a te, vecchio mio!-

Victor è curioso. -JJ il canadese?-

-Macché JJ! Lui è un pivello, a confronto! Tutto adrenalina travestita da testosterone… Questo è più anziano, un uomo fatto e finito! Anche parecchio belloccio, direi…-

Chi sarà mai?

-Il cinese, quello che ha vinto l'ultimo Four Continents?-

-Fuochino… questo è giapponese e ha ventun’anni…-

-Chiamalo anziano!-

-Insomma, fatto sta che sembrava di vedere te in pista, Victor! Hai un gemello dal culo d'acciaio e gli occhi a mandorla e non mi hai mai detto niente?-

Oh… Victor non risponde, è turbato.

-Yuuri Katsuki: l'avevi mai sentito questo nome?-

 

 

Yuuri Katsuki… l'amico del thailandese di due estati fa… Quello che non aveva bisogno di musica, per farti sentire ogni nota nel petto…

 

-Mai sentito. Embè?-

-Embè… vatti a vedere le registrazioni, bello mio, vai…-

-Ti voglio bene, Chris…-

-Certo, come no… se lo dici con questo tono sei proprio credibile. Guarda che se non mi prendo io l'oro quest'anno, dobbiamo fare come sempre: tu primo, io secondo e poi ce la spassiamo in hotel, rigorosamente in fila… Ah ah ah!!!-

-Chris!!!-

-Ti voglio bene anch'io, mon cherÀ bientôt!-

 

Yuuri Katsuki. 

 

Era un anno e mezzo che non sentiva quel nome e nemmeno ci pensava più a tutta quella storia, a dir la verità. Gli aveva lasciato un magone nel petto; per qualche giorno la brillantezza della sua vacanza in solitaria ne era stata un po’ appannata. L'aveva cancellata con la stessa facilità con cui uno scontrino su carta termica lasciato sul cruscotto al sole, dopo un po’, svanisce.

 

Phichit Chulanont e Yuuri Katsuki…

Il thailandesino era stato di parola e nessuno aveva mai saputo dove si fosse rintanato il mitico Nikiforov nell'estate del duemilaundici. Ma lui, lui, non aveva fatto niente per mantenere la sua promessa. Avrebbe dovuto essere autentico se mai avesse incontrato Yuuri Katsuki. Non che avesse avuto modo di farlo, intendiamoci, però… evidentemente quel momento stava per arrivare.

 

-Coraggio, Makka, hai finito?- Victor guarda sconsolato il cane, adesso ha voglia di correre a casa e togliersi la curiosità di vedere la registrazione della gara.

Sta per mettere via il telefono, quando gli vibra in mano. L’ennesima notifica di Instagram, che noia… Però stavolta è un messaggio, un messaggio di Yuri Plisetsky, per l’esattezza, il ragazzino di Mosca che vuole seguire le sue orme e ha la stoffa per farlo, nonché una bella dose di insistenza.

Apre la chat, vede un bel dito medio alzato apposta per lui e il messaggino tanto dolce di quel fanciullo : “Sono primo, fottiti vecchio: due anni e ti mangio la pappa in capo!”

Victor scuote la testa e torna indietro e solo allora si accorge di un altro messaggio non letto, di quasi un mese prima, dall'account @phichit+chi.

 

Il ragazzo thailandese!

 

Non ci sono parole scritte, solo un video. Victor ci clicca sopra.


E l’onda della musica sale. 


 

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Capitolo 10
*** Ponte - 2012 ***


 

Ponte - 2012

Yuuri

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt: beagle

 

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-Snoopy ne ubegay!-

Un beagle grassottello parte alla carica strattonando il guinzaglio alla sua padrona, punta con la lingua di fuori il gruppo di persone in coda fuori dall’Iceberg Skating Palace di Sochi e travolge Yuuri Katsuki, ventun’anni, distratto a parlare al telefono.

-Ehi! Aahh!- Gli cade il telefono di mano, la cover azzurra si graffia un po’, ma salva lo schermo. La telefonata continua, Yuuri sente la voce di sua mamma che lo chiama, piccina piccina, giù da terra.

-Okaasan, eccomi. Mi è caduto il telefono, scusami. Qualcosa mi ha colpito… Ma… Ehi! Ciao bello! È stato un cane, mamma! Vedessi che bello, è un beagle.-

La mamma impiega un istante di troppo a rispondere, Yuuri lo sente.

-Mamma, come sta Vicchan…?-

Un sospiro.

Sono mesi che Vicchan sta male, Yuuri lo sa, ma non è mai tornato in Giappone per stare un po’ con lui. L’anno prima ha provato a convincere i suoi a prenderlo con sé a Detroit, morso dai sensi di colpa e dalla nostalgia, ma loro si sono imposti: come avrebbe fatto a gestire un cane, per di più malato, con tutte le cose che doveva fare in America? Le lezioni all’università, lo studio per gli esami, le ripetizioni, gli allenamenti… per non parlare delle gare! Assolutamente no, piuttosto avrebbe potuto farsi vedere lui e passare del tempo a casa, col cane e con loro, no? 

Gliel’hanno detto soltanto da qualche mese cosa abbia davvero Vicchan, perché non volevano farlo preoccupare senza la possibilità che lui potesse fare nulla da laggiù, ma quando Yuuri l’ha saputo, gli è caduto un pezzetto di mondo addosso. “Non venire apposta a trovarlo, verrai dopo la stagione. Intanto allenati e torna in Giappone con una medaglia al collo” È stata Mari a scriverglielo per prima; dopo, in modi più o meno simili, anche la mamma e il papà gli hanno rivolto la stessa supplica.  Yuuri non sa esattamente l’entità del tumore che sta lentamente uccidendo il suo cane, non sa a che stadio sia, non è stato messo a conoscenza delle cure che gli sono state somministrate. Gli dicono solo che “è tutto sotto controllo”. Ha pianto, quando ha urlato contro la sua famiglia di accettare almeno il bonifico che gli stava mandando per sostenere le cure, perché Vicchan, in fondo, era il suo cane, non di qualcun altro e faceva così male saperlo malato e sofferente dall’altra parte del mondo…

 

La madre dice qualcosa. Un morso in mezzo allo stomaco avrebbe fatto meno male a Yuuri.

-No, mamma, non ne riparliamo dopo la gara, voglio sapere adesso come sta Vicchan!-

Celestino si volta a guardarlo: è raro che Yuuri abbia di quegli eccessi o che urli e tanto più che lo faccia con qualcuno della sua famiglia. Anche il beagle che lo ha travolto si ferma e alza il muso, per osservare la fonte di quel chiasso. Yuuri si china su di lui, sovrappensiero e lo accarezza, mentre ascolta le parole della mamma.

-Come Vicchan respirava male!? … Dal veterinario… sì… la clinica Yamaguchi? … Era meglio se lo portavate da loro… ti ho detto che pago io, mamma! … Quanto starà lì? No… no! Non ci sto tranquillo! … Va bene… Ok, ho capito…-

 

La padrona raggiunge trafelata il beagle e infila due dita sotto al collare.

-Prosti yego! On ochen' zhivoy pes!- Dice, e Celestino fa segno di non comprendere.

-Oh, scusi, tu non parlare russo! Dicevo di perdonare mio cane, è molto vivace! Snoopy, bud' khoroshim!-

Yuuri non si accorge che la padrona è lì per riprendersi il cane e continua a parlare a telefono, grattandogli dolcemente il petto e il dorso. La donna resta indecisa sul da farsi e chiede con lo sguardo all’uomo con la coda di cavallo.

-Può lasciarlo un attimo al… al ragazzo?- Domanda Celestino, indicando Yuuri. Non capisce quello di cui sta parlando al telefono, in giapponese, con sua mamma, ma intuisce, dal tono di voce e da quel “Vicchan” ripetuto più volte, che si tratti di qualche brutta notizia relativa al suo cane.

 

-Mamma, allora, dopodomani sera ho il corto e domenica il libero e poi torno a casa… Sì… Sì!... Compro subito il biglietto dell’aereo. No… non ci resto per il galà e lo spettacolo finale, parto subito, te l’ho detto! Mi raccomando, tu chiamami per qualunque motivo… No… No, mamma, ti dico che arrivo… Perché dici che non importa? Mamma, come sta davvero Vicchan??? Se sei vicina a lui, fammelo vedere, allora!-

Yuuri ha alzato di nuovo il tono di voce, Celestino non capisce, ma il fatto che abbia smesso di accarezzare il beagle e si sia alzato in piedi pronto a scattare, gli fa temere il peggio. Lo vede smanettare sul telefono e poi portarselo davanti al viso: sta facendo una videochiamata, evidentemente, e sembra tranquillizzarsi un po’. Dall’altoparlante si ode un Bau! Ai piedi di Yuuri, il beagle abbaia. Bau! di nuovo dal telefono, Bau!, risponde il beagle. 

Yuuri si scioglie, si abbassa di nuovo sul beagle e lo inquadra, dice qualcos’altro in giapponese, un Arigato arriva alle orecchie dei presenti e la comunicazione si interrompe.

Yuuri fa un sospirone, torna nel mondo dei presenti, fa scorrere lo sguardo su Celestino e… chi è quella donna?

-Yuuri, puoi liberare il cane della signora, adesso, per piacere?- Domanda imbarazzato l'allenatore, Yuuri avvampa e si inchina alla donna.

-Gomen… Gomen nasai… Mi scusi!-

Lei lo guarda con aria materna, forse ha intuito qualcosa o ha buttato l'occhio sullo schermo del telefono che Yuuri protendeva verso il suo cane.

-Lui è Snoopy, e piaci molto a lui!-  È allegra, la sua voce si intona bene con i capelli rossi e il suo aspetto giovanile.

-Sei un pattinatore?- Domanda a Yuuri.

-Sì…-

-Anche mia figlia è pattinatore, si allena a San Pietroburgo, siamo venuti tutti a vedere lei per la finale di Grand Prix. Sei anche tu qua per finale?-

-Aehm… sì… Lui è il mio allenatore, Celestino Cialdini e io mi chiamo Yuri, Yuuri Katsuki, piacere-, congiunge le mani davanti a sé e accenna un breve inchino. Celestino alza un lato della bocca: sono quattro anni che Yuuri ha lasciato il Giappone, ma ancora non ha imparato gli usi e i costumi occidentali.

-Molto lieto, signora-, stringe la mano della donna e, con un cenno del capo, indica al suo atleta che hanno aperto il palazzetto.

-Arrivederci. Ciao Snoopy!- Saluta Yuuri.

-Dobbiamo andare, stanno consegnando i pass. È stato un piacere signora-, Celestino fa un sorriso e precede Yuuri al Welcome Desk.

 

-Credevo che Snoopy fosse un bracchetto-, osserva una volta che si sono allontanati.

-Snoopy è un beagle, da che pianeta vieni, Celestino?- Gli risponde Yuuri, ma c'è un'ombra scura nella sua voce.

-Il tuo cane… Si è aggravato?-

Il giovane annuisce, quindi si ferma.

-Celestino… comunque vada… io partirò per il Giappone al termine del libero. Non posso continuare a rimandare, c'è la possibilità che Vicchan…- Abbassa la testa, non ce la fa a terminare la frase. 

-Ci sarebbero il galà sul ghiaccio, con l'esibizione dei pattinatori e la cena di gala dopo la prova del libero… Avresti modo di parlare in tranquillità con Victor e…-

-Non mi importa, Celestino! Io devo tornare da Vicchan prima che sia troppo tardi. Lo capisci? In questo momento è… Dovrei partire adesso, anzi!- Yuuri riprende il telefono, digita freneticamente qualcosa, ha un'espressione allucinata.

-Ecco, c'è un volo tra quattro ore che fa scalo a Mosca e poi diretto a Tokyo e-

Celestino stringe le labbra, sospira, mette una mano sul braccio del ragazzo, prima che si faccia trascinare da quella follia.

-Non farlo, Yuuri. Questa gara è quello che aspetti da una vita. Ti prometto che non ti impedirò di partire appena finirà l'esecuzione del libero, ma… promettimi che non farai stupidaggini, fino ad allora.- È serio, Celestino, maledettamente serio, poi sorride. -Lo hai visto poco fa in videochiamata il tuo cane, no? Vedrai che non c'è motivo di preoccuparsi proprio adesso: se la situazione fosse ancora più grave, i tuoi te l'avrebbero detto, non ti priverebbero della possibilità di riabbracciarlo un'ultima volta.-

Yuuri è un bambino in quel momento, pende dalle labbra del suo allenatore, perché ha ragione: la mamma gli avrebbe chiesto di tornare subito, lo sa quanto ci tiene a Vicchan. Annuisce mansueto e spegne il display.

-Quindi adesso stai tranquillo e concentrati sul motivo per cui siamo qui. Hai tutte le carte per potercela fare, Yuuri e in più hai anche l'effetto sorpresa, visto che non ti conosce quasi nessuno!- Prende sottobraccio il suo campione e si avvia verso l'area riservata agli atleti. -E poi, non vuoi avere la possibilità di stracciare Victor Nikiforov? Pensa se riuscissi a fare meglio di lui! Dovrà a ogni costo parlarti e questo fa parte del tuo grande sogno, no? Adesso corri a fare un po’ di stretching, ché dopo devi mettere i pattini e provare il ghiaccio del tuo palcoscenico!-


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Le parole di Celestino hanno avuto il potere taumaturgico di calmare totalmente l'ansia che stava iniziando a strizzare le viscere di Yuuri. Mentre scova un posticino defilato per fare gli allungamenti, sente il cuore battere veloce per un altro tipo di tensione, quella che si prova un attimo prima di saltare e raggiungere la meta. Da qualche parte, in quell'enorme struttura dell'Iceberg Skating Castle c'è Victor Nikiforov, l'uomo che, senza averlo mai incontrato, ha condizionato gli ultimi dieci anni anni della sua vita, forse anche di più. Il suo mito, l'esempio da seguire, l'idolo che ha sempre tentato di emulare e con la sua sola esistenza gli ha dato uno scopo, è stato la causa e l'effetto di tutto quello che ha vissuto, della sua passione, della sua fissazione, degli scherzi, delle confidenze, di desideri a cui non ha mai davvero saputo dare un nome.

Victor è lì e sta per incontrarlo e il cuore batte forte. Cosa gli dirà? Sarà in grado di sostenere il suo sguardo, di seguirlo mentre scivola in pista senza rimanere abbagliato? E se per caso ne restasse deluso? Se dal vivo non fosse come l'ha sempre immaginato, se lo avesse idealizzato troppo? Il cuore batte sempre più forte.

 

Vede gli altri atleti che iniziano a dirigersi verso la pista, con i pattini già ai piedi. C'è lo svizzero Giacometti, che ha battuto allo Trophée Eric Bompard a Parigi e che di persona è molto più umano, eccentrico e divertente di quanto avesse mai pensato, vittima del pregiudizio di averlo sempre sospettato essere ‘qualcosa di più’, per Victor; c'è il canadese Jean Jacques Leroy, anche lui conosciuto nella medesima occasione, poche settimane prima: un ragazzo dalle mille risorse e dall’ego spropositato; c'è Cao Bin, dalla Cina, che aveva già incontrato quando ancora era allenato da Kimura e c'è Michele Crispino, che non ha mai conosciuto prima, ma ha capito che fosse lui vedendolo chiacchierare in italiano con Celestino, mentre stavano ritirando i pass.

Corre a mettere i pattini chiedendosi perché ci siano tutti, tranne Victor.

 

Forse i divi si devono fare attendere… Forse è in un'area riservata per gli atleti russi… Forse non l'ha notato, gli è passato davanti e lui non se n'è nemmeno accorto… Forse è già in pista, perché ha il superpotere del teletrasporto o forse…


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-Voglio morire…-

Celestino batte pacche leggere sulla schiena di Yuuri. Ormai è sera e il ragazzo non è voluto scendere per la cena. Celestino un po’ lo capisce, perché è stato davvero inatteso e scorretto, per il campione di casa, non presentarsi alla prima sessione di allenamenti. Ha visto tutta la sicurezza che era riuscito a insufflare nei polmoni di Yuuri scemare poco a poco, mentre ripassava i salti e le sequenze principali dei suoi due programmi con un occhio sul ghiaccio e uno all'ingresso della pista e adesso, dopo un'altra telefonata antelucana a casa sua per accertarsi delle condizioni del cane, Yuuri è passato alla sua fase emo. Però, ancora, non è stato colpito dall'ansia, come al solito. Una volta Phichit aveva detto che alla voce “ansia”, sul Wikipedia, avrebbero dovuto mettere come foto esplicativa la faccia verde che Yuuri assumeva prima di una gara e al momento, fortunatamente, il colorito del ragazzo non ha ancora preso quel tono.

Yuuri è pallido e molliccio, ma Celestino è confidente che ancora le cose siano del tutto sotto controllo.

 

Alla seconda sessione di allenamenti, dove a turno viene passata la musica di ciascuno dei concorrenti per una prova del proprio programma, Victor di nuovo non si fa vedere. Solo alla fine, quando ormai quattro pattinatori su cinque hanno tolto i pattini e fatto le borse per tornare ai rispettivi hotel, Victor fa la sua apparizione e a Yuuri pare di vedere la Madonna. Victor sfila nel corridoio con la giacca della tuta poggiata sulle spalle, seguito da Feltsman e altri quattro o cinque atleti russi, dispensa sorrisi che non arrivano oltre le sue labbra - surreali - e tira dritto, scivolando direttamente in pista verso Giacometti che, guarda caso, è l'unico a non esserne ancora uscito.

-Dobbiamo andare, Yuuri… non puoi rimanere qua a fargli la radiografia, dai, vieni. Lo rivedrai domattina alle ultime prove e poi di pomeriggio per il corto.- Yuuri ubbidisce e si sente trascinare via con violenza dall'Eden appena raggiunto, eppure cammina a dieci centimetri da terra e la sua mente è leggera.

 

--- 

 

Ci pensa una telefonata di sua sorella, a farlo ripiombare pesantemente a terra. Yuuri si sveglia di soprassalto dopo aver dormito un paio d'ore scarse e già si aspetta il peggio, ma Mari voleva soltanto sapere dove trovare i documenti relativi all'adozione del cane. Servono per qualcosa che neanche lei ha capito, forse per capire se abbia un pedigree ed eventuali predisposizioni familiari alla sua malattia. Sono le quattro del mattino, Celestino ficca la testa sotto al cuscino e prova a riaddormentarsi. Ha deciso di stare in stanza con Yuuri, dietro consiglio di Phichit, che gli ha preannunciato nottate da dimenticare, e già quella sera (sera… notte!), è stato a chiacchierare con il suo atleta di ogni argomento dello scibile umano finché lui non è crollato.

A Detroit invece sono le otto di sera e Yuuri scivola dal suo letto per chiudersi in bagno e chiamare l'amico thailandese. Parla sottovoce per non disturbare il coach, ma lui sente tutta la conversazione attraverso la porta chiusa e si preoccupa. Yuuri chiede a Phichit, senza entrare nel dettaglio, di srotolare i suoi tentacoli social, accedere ai suoi account (tanto la password la conosce, è la stessa per tutti, la conoscono anche i muri di camera sua ed è il nome di qualcuno che si sta facendo desiderare un po’ troppo all'Iceberg Skating Castle) e prendere più informazioni possibili sulle reali condizioni di Vicchan, al posto suo.

È scaltro Yuuri e ragiona con freddezza, tranne che quando gli serve davvero. Alle prove della mattina dopo, infatti, oltre ad attendere Victor Nikiforov, nemmeno fosse Gesù sul Giordano, si distrae di continuo per andare a controllare sul telefono se ci siano novità. Quando Victor arriva in pista e inizia a solcarla con una grazia squisita e salta con le ali di un angelo, Yuuri dimentica per un po’ tutto quello che scorre al di fuori del tempo e dello spazio ed è letteralmente incantato, tanto da non guardare dove stia andando, finire con lo sbattere contro Michele Crispino, rischiare di cadere ed essere preso il culo da Christophe Giacometti. Letteralmente, appunto.

Al termine dell'allenamento, poi, succede una cosa strana: Yuuri si ritrova alle panche all'uscita del rink da solo con Victor. La tensione e l'aspettativa del giapponese si possono palpare, ma, in quel momento, il telefono che ha in mano vibra. I due si guardano per un tempo in cui Yuuri, pensa Celestino, srotola tutto il film della sua vita passata nel cono d'ombra dell'altro, stanno per dire qualcosa, poi Yuuri distoglie lo sguardo e risponde alla chiamata. Victor resta immobile a guardarlo per un attimo di troppo, si volta e se ne va.

 

-Pronto! Okaasan, cos'è successo? Come sta Vicchan?-

Si sforza di bisbigliare, ma non ci riesce e quelli che sono ancora lì intorno si voltano a osservarlo.

La conversazione dura poco, in realtà la madre voleva più che altro chiamarlo per assicurarsi che stesse bene e avesse dormito a sufficienza. È preoccupata per la prova che il suo bambino sta per affrontare. Gli domanda se abbia visto Victor, lui risponde di no e domanda ancora come stia il cane.

-Ti chiamo appena finisce la gara, mamma-, ma sa già che non lo farà, perché sarà già notte, in Giappone e non vuole disturbare. Tutt’al più, se ci fossero notizie degne di nota, chiamerà sua sorella.


Tornati in albergo, Celestino si occupa nell'ordine che il ragazzo mangi un pranzo adeguato, faccia almeno un quarto d'ora di respirazione assoluta per gestire lo stress, una doccia calda e indossi le lenti a contatto, poi gli passa il gel tra i capelli, lo infila nel costume di gara e gli fa mettere sopra la tuta. Se lo lasciasse vestirsi da solo nello spogliatoio del palazzetto, come minimo Yuuri scenderebbe in pista con un pantalone infilato nel braccio e viceversa. Lo conosce abbastanza, ormai, per captare tutti quei sintomi di una potente crisi d'ansia che lo attende dietro l'angolo. La voce è salita di un'ottava, gli occhi sono sgranati, le mani sudate.

Mentre attende che si allacci i pattini, ormai a una manciata di minuti dall'esibizione, Celestino ha un colpo di genio e cala l'asso.

-Yuuri, Phichit mi ha mandato un messaggio… dice che ti devo fare in bocca al lupo e mi chiede di riferirti queste testuali parole: ‘Oniichan risponde al tuo messaggio che la situazione sta migliorando, la rete conferma’… È un messaggio in codice, per caso?- Se la ride sotto i baffi, ma l'effetto che ottiene è quello sperato: Yuuri sembra riprendere contatto con la realtà in un istante, soffia via la tensione, lo sguardo si fa attento, è pronto a scattare e dare il massimo, con il cuore più leggero e l'adrenalina accumulata come propulsore ai suoi salti.

Infatti non ne sbaglia uno: per la prima volta da quando se l'è accollato, Celestino è veramente orgoglioso del suo atleta, che a sorpresa si piazza al secondo posto in classifica, a fianco del suo mito, del suo idolo, di tutto quello che ha sempre voluto essere. 

Yuuri e Victor siedono vicini nell'area riservata ai primi classificati provvisori, dopo un kiss&cry surreale in cui Yuuri boccheggiava come un pesce incapace di proferire parola, e di nuovo si ritrovano a guardarsi per un attimo, di nuovo stanno per parlarsi, ma Yacov Feltsman reclama il suo campione a gran voce e lo trascina via.

 

Nemmeno quella volta Yuuri è riuscito a scambiare una parola con Victor, ha già sprecato due occasioni che aspettava da sempre, ma per la prima volta sente la meta vicina, gli brillano gli occhi, sa che manca poco per arrivare a Victor e salire sulla cima del mondo accanto a lui. Per la prima volta ci crede davvero, ringrazia la pazienza dei suoi familiari, l’affetto di Phichit, la guida di Celestino e pensa che andrà tutto bene: la gara, la salute di Vicchan, il suo futuro. Si delinea netto dietro ai suoi occhi il diagramma che aveva tracciato una vita prima insieme a Yuuko sul quaderno dei loro progetti: alla fine del suo percorso c’era la scritta Grand Prix e il disegnino di un omino coi capelli neri felice accanto a uno col ciuffo biondo chiarissimo. Manca poco… davvero poco… il cuore gli batte forte, la sensazione di potercela fare arde come una stella nel suo petto.


E poi, nell'arco di un pochi minuti, tutto precipita.

Yuuri, alla fermata del bus per tornare in albergo, chiama emozionato sua sorella: anche se è quasi mezzanotte, sa di trovarla sicuramente sveglia, ma non fa in tempo a raccontarle della gara, che dietro la sua voce mogia sente al telefono l’abbaiare di un cane, il rimbombo di un altoparlante e il soffio di un singhiozzo strozzato.

Sei dal veterinario? Chiede allarmato, sei con Vicchan? Ma lei non risponde. Parla, parla Mari! Se sei lì con lui, ti prego, fammelo vedere, facciamo una videochiamata! No, Yuuri… non è possibile. Ma l'abbiamo fatta ieri, alla clinica capiranno, dai, per favore, fammi vedere Vicchan, è importante! Mari, Mari, attacca per favore. Otoosan sta' zitto! Mari, che sta succedendo, Mari? Per il bene di tuo fratello, chiudi la chiamata, Mari! Signori Katsuki, potete entrare. Mari, che succede, passami papà, cosa sono queste voci, dove sei? Signorina Katsuki, cortesemente, può mettere una firma qua? All'ingresso ha detto che è lei la proprietaria del cane, dovrebbe… MARI! Cosa diavolo sta succedendo??? Mari, digli che lo richiamiamo dopo. Ora non è il momento. MARI RISPONDIMI!


-VICCHAN È MORTO, YUURI! CI HANNO CHIAMATI POCO FA, SIAMO ARRIVATI ADESSO IN CLINICA E ORA NON POSSO CONSOLARE LA MAMMA, OCCUPARMI DEI DOCUMENTI, TROVARE I SOLDI CHE DOBBIAMO PAGARE E STARE ANCHE A TELEFONO CON TE! TU PENSA A PATTINARE E A COMBINARE QUALCOSA DI BUONO!- E mette giù.

 

Negli occhi di Yuuri scorrono tutte le emozioni che lo annientano, Celestino le distingue una a una. Ansia, tensione, paura, angoscia, terrore, disperazione, incredulità, orrore, dolore, rimorso, il nulla.

Celestino non ha capito una parola di quello che ha detto Yuuri in giapponese, ma capisce tutto lo stesso, glielo legge negli occhi. Compie un piccolo movimento verso di lui, vorrebbe dargli conforto, ma non sa come si fa. Quel piccolo avvicinarsi, Yuuri lo vede come l'unica diga che possa frenare la sua picchiata verso l'inferno, si aggrappa al collo del coach e piange. Piange tutte le sue lacrime, piange il senso di colpa per non essere tornato dal suo Vicchan, piange la solitudine che ha assorbito in quattro anni lontano da casa, piange il rimpianto per non aver avuto il coraggio di partire il giorno prima, quando ancora sarebbe stato in tempo, piange il dolore della perdita, piange la sensazione del pelo arricciato del suo cucciolo tra le dita, che non tornerà più. Piange l'inutilità di quello che ha appena conquistato, piange la ridicolezza di tutti i suoi sogni, piange la rabbia, la frustrazione, la vergogna, lo strazio di una vita intera. Piange fino all'ultima lacrima, finché non restano che singhiozzi a rimbombargli in petto e i muscoli intorpiditi.

 

Resta aggrappato a Celestino finché qualcosa non batte ripetutamente sul suo polpaccio, allora si stacca e abbassa lo sguardo.

 

-Snoopy! Ty snova sbezhal ot etogo mal'chika!- Una donna dai capelli rossi li raggiunge trafelata e vede un giovane spezzato, col volto rosso rigato di lacrime, che si china sul suo beagle e gli accarezza la testa. Lo abbraccia e Snoopy si fa abbracciare - non lo fa mai con nessuno. Si avvicina all'uomo che lo accompagna e rimane in attesa.

-La gara è andata male?- Domanda la donna.

-In verità è arrivato secondo… ma ha appena ricevuto una brutta notizia… Sa, il suo cane…-

La donna sospira e cerca le parole, è difficile da tradurre in inglese.

-Suo amico cane si è fermato a mezzo del ponte e ha veduto Snoopy: “stagli vicino”, ha detto e Snoopy adesso è qui per lui.-

Celestino non è un amante degli animali, non lo è mai stato neanche da bambino, ma comprende, nell'inglese arrotolato della donna, il suo messaggio.

 

-Grazie-, le dice e si prepara a raccattare i cocci di Yuuri.


---


Peggio di così non poteva andare, contro il destino Celestino non ha armi abbastanza affilate o parole d’incoraggiamento adeguate. Siede al bancone del bar nella lounge dell’hotel con le mani tra i capelli. Ha lasciato Yuuri in camera dopo avergli somministrato a tradimento quattro gocce di Valium. Si sente colpevole per il gesto, ma, diavolo!, quattro gocce non possono compromettere la gara dell’indomani più di quanto non stia già facendo quella paradossale situazione!

Prima di rientrare, ha staccato il ragazzo dal cane della russa, l’ha fatto salire sul bus e ha ringraziato la lunga serie di telefonate che gli sono arrivate dal Giappone durante il tragitto, per avergli evitato di parlare con lui. Non si sente in grado di offrire un vero conforto morale, quindi ha mandato un messaggio a Phichit per aggiornarlo sulla situazione. In risposta ha avuto indietro un’unica parola: “Merda…!”

Yuuri, a telefono, aveva lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi ancora gonfi dal pianto. Ha parlato meccanicamente con sua madre, che si scusava per la indelicatezza di Mari e lo rassicurava che Vicchan adesso starà sicuramente meglio, che si era addormentato felice per aver sentito la sua voce il giorno prima e che ora lui deve resistere e completare le sue gare. Ha ascoltato Yuuko, che gli ha offerto una telefonata fotocopia della precedente, salvo aggiungere “io credo in te, Yuuri. Vivi il nostro sogno anche per me, adesso!”. Ha risposto anche alla chiamata di Minako, che lo ha spronato a dedicare “la sua vittoria” al cucciolo, tanto da lassù lo vedrà di sicuro e infine lo ha chiamato Phichit. 

-Yuuri, ho saputo. Mi dispiace tanto… davvero… Immagino come ti senta in questo momento e allora fai quello che sai fare meglio: pattina, vola e non lasciarti travolgere dal dolore. Capito?-

-...-

-Yuu-chan, hai capito?-

-... sì… ho ca…-

-No, tu non hai capito un tubo, Yuuri! Tu adesso devi andare lì e farti valere, cazzo! Perché se io mi dedicavo un po’ di più a me stesso, invece di farti compagnia a correre per smaltire la pancia, se tu fossi stato un maestro più bravo, con me, e mi avessi trasmesso almeno un decimo della tua grazia, se per una volta io non fossi stato considerato come ‘il secondo’, forse avrei potuto esserci io, al posto tuo, su quella cazzo di pista di Sochi! Quindi me lo devi! Lo devi a me, alla tua famiglia, a Celestino e lo devi anche al tuo cane, perché è per questo momento che sei stato così a lungo lontano da lui, maledizione!-

Non è occorso il vivavoce a Celestino, seduto accanto a Yuuri sull’autobus, per udire chiaramente la partenale di Phichit e… beh… si è pentito un po’ per aver sempre sottovalutato il thailandese, per via della sua età e della sua apparente frivolezza. Ha guardato Yuuri che annuiva e mugolava una risposta, mentre con occhi vitrei fissava il sostegno in ferro davanti a sé.

 

E ora l’ha lasciato in camera a dormire, o, almeno, così pensava.

Mezzora prima, Yuuri ha detto “non ho fame, vai pure da solo a cena, coach” con la compostezza di un condannato alla pena capitale e si è chiuso in bagno, ma quando Celestino torna in camera, Yuuri non c’è.

Scende di nuovo alla lounge, si guarda in giro, prova a chiamarlo, ma il telefono è staccato. Sono venuti da soli in quel cazzo di posto sul Mar Nero, come fa adesso a ritrovare quell’idiota, in tarda serata, senza un aiuto? Un pensiero lo fulmina: che sia partito? Che abbia preso un taxi e prenotato un volo per tornare in Giappone, quello sciagurato? Torna in camera e fruga tra le cose del ragazzo: il passaporto è sulla scrivania, così come i documenti delle gare e tutte le sue cose. Sul comodino ci sono i suoi occhiali e il telefono, che ha lasciato lì. Celestino tira un sospiro di sollievo, ma si ritrova punto e da capo.

Esce per strada nei dintorni dell’hotel, senza sapere cosa fare. Quando lo troverà, lo strozzerà con le sue mani, quel deficiente! Ma perché non ha portato anche Phichit!?

È lì, che vaga sperduto per strada e senza una meta, quando si sente chiamare.

-Signore? Signore, mi scusi!- 

Non capisce di chi sia la voce, ma un bau! che si avvicina fuga ogni dubbio.

-Sta cercando il ragazzo, per caso?-

-Sì! Lo ha visto?- Santa, santa donna e santo il suo bracchetto!

-Sono appena stata con mia figlia a fare un giro in villaggio qua vicino, quello che stanno costruendo per Olimpiadi di duemilaquattordici, molto bello! Faranno anche un parco giochi, ma non è aperto ancora, torneremo! C’è una food court provvisoria in mezzo a villaggio: Snoopy ha trovato suo ragazzo lì. Era molto triste lui, ma ora sembra che sta meglio!-

Celestino è confuso, si fa dare indicazioni più precise e in pochi minuti raggiunge il grande capannone sotto cui aleggiano ancora mille profumi diversi. Sono rimaste poche persone, ormai, data l’ora tarda, quindi ci mette poco a individuare “suo ragazzo” e, quando lo vede, impallidisce. 

Se con la morte del cane era molto probabile che Yuuri avrebbe perso ogni incentivo a gareggiare l’indomani, vedendo le decine di piatti e piattini vuoti davanti a lui, è certo che adesso sarà un disastro completo. Quel deficiente si è ingozzato come un porco in vista del Natale!

-Yuuri… ma che hai fatto?- Domanda incredulo e il ragazzo, con uno sbadiglio, gli sorride.

-Fame nervosa…- Dice semplicemente e gli ciondola la testa.

-Hai pagato, almeno?-

Yuuri solleva il pollice e Celestino lo prende per la collottola del giaccone pesante.

-Adesso fili a dormire, oppure ti ficco un dito in gola e ti faccio vomitare tutta questa merda che ti sei ingurgitato!- Di nuovo il pollice su. Quattro gocce, effetto ritardato, ma il Valium funziona sempre…

Yuuri barcolla verso il coach, massaggiandosi la pancia piena.

-Celestino, per favore, adesso mi puoi rendere gli occhiali?- Domanda strizzando gli occhi miopi.

-Guarda che io non te li ho presi, sono in hotel. Se ti fossi tolto le lenti a contatto come si è raccomandato l'ottico, ché poi ti si irritano gli occhi se le tieni troppo, e ti fossi messo a letto, sicuramente li avresti già trovati sul tuo comodino, accanto al telefono che hai deliberatamente lasciato in stanza per inscenare questa fuga da adolescente del cazzo.-

Yuuri abbassa lo sguardo.

-Aehm… Celestino… c’è un problema… Le lenti… Non le ho più, non vedo niente… Devo averle perse quando prima ho… ho pianto tanto…-

Yuuri abbozza un sorriso di circostanza, colpevole, vergognoso. Bollito.

Celestino si colpisce la fronte con la mano. Adesso sì che sono completamente fottuti.


 

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Capitolo 11
*** Cтрах- 2012 ***


Cтрах- 2012

Victor

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt: teatro

 

----------------

 

Quante volte l’ho fatto… Svegliarmi, fingere di rimanere concentrato, seguire Yacov, concedermi qualche saluto, un pasto leggero, prepararmi, indossare i panni di un altro, lasciare che qualcuno sistemi i dettagli, calzare i pattini, indossare la maschera, salire sul palco.

Ogni volta è come le precedenti, la replica della replica di uno spettacolo andato in scena da troppi anni, ma che riesce ancora a incantare il pubblico, la chiamano la magia del teatro, ma io ormai non sono più né attore, né personaggio, tantomeno regista della mia vita.

 

Questa volta c’è una variante alla tabella di marcia ed è cosa gradita. L’incertezza di un momento, la trama che cambia appena e offre l'opportunità al me attore di rompere la quarta parete e al faro di seguirmi mentre scendo in platea.

Stavolta c’è un altro spettacolo interessante, su un altro palco, forse il pubblico si concentrerà sulla sua trama. Intanto iniziate a scrivere il mio epitaffio, sì, mentre guardate lui: Yuri Plisetsky. La sorpresa, il fenomeno, l’erede, il protagonista di un'altra storia. Sarà un eroe buono? Sarà un usurpatore? Brucerà come un cerino e sarà presto dimenticato? O proseguirà la mia storia, seguirà le mie orme, sarà lui il nuovo Re?

Ma che importa chi porterà la corona: i re passano, da sempre e per sempre, quindi guardate lui e distogliete l’attenzione da me, soltanto per una sera, vi prego…

Anche io sono qua ad acclamarlo, vedete? Non sono ad allenarmi per la mia gara insieme alle altre comparse di questa giornata, sono qua con voi, perché voi foste qua e guardaste lui. Lo vedete? Bene, non distogliete mai lo sguardo da lui, lasciatevi incantare. Ve lo lascio, io intanto vado avanti, ci vedremo con calma dopo. Per una volta godetevi un altro spettacolo e lasciatemi nell’ombra.

 

---


-Mon amour, dove ti eri cacciato? Ti sembra questa l'ora di arrivare alle prove libere? Ti ricordo che domani hai una gara anche tu!- Chris solca la pista vuota e mi raggiunge.

-Ero alla finale dello Junior Grand Prix: quel ragazzino ribelle ha stravinto. Mi hanno incastrato fino al termine della interviste…-

-Non sembri contento… oppure sì?-

 

Indosso i pattini e raggiungo il centro del rink. -Adesso che ho tutta la pista libera a mia disposizione, sono contento, sì. Arrivare così tardi è servito a qualcosa…-

-Ringrazia che abbiano concesso questo strappo al regolamento… Certo, per “il Re”, questo e altro…-

-Sei invidioso, Chris?-

-Come potrei? Come vedi, nessuno mi ha chiesto di uscire…-

Chris mi scivola a fianco soddisfatto. Sembra piacergli sentirsi privilegiato e poter essere rimasto sul ghiaccio oltre il tempo concesso, perché tutti sanno che lui è “amico di Victor”. Butta uno sguardo agli ultimi atleti rimasti a bordo pista e sorride sornione. Non li guardo nemmeno, per una volta non volevo pubblico per cui sforzarmi a reggere un ruolo che mi ha stancato, spero se ne vadano il prima possibile. Chris, invece, adora queste situazioni, come se da comprimario potesse salire di grado solo stando vicino al protagonista. Per questo afferra la mia mano, aumentando la velocità mentre mi trascina dietro a sé. 

Vuoi che ti faccia sentire importante, Chris? D’accordo, giocherò un po’ per te.

-Plus lentement, mon petit chocolat blanc…- Lo so che gli piace quando parlo in francese e infatti lui reagisce subito: punta i pattini, si ferma e si gira, piantandomi le mani aperte sul petto e facendomi andare a scontrare addosso a lui. Gli occhi verdi scintillano la sua voce si fa roca, lo so a cosa stai pensando, sporcaccione…! 

-Plus lent... plus rapide… Oui! Encore... Encore!- Proclama a voce alta e ride, mentre mi spinge avanti a sé, perché riprenda a pattinare e mi si avvicina, mi sfiora il fianco mentre passa e mi beve con lo sguardo. Poi nota qualcosa fuori dalla pista e decide che può chiudere il suo sipario. Si allontana e prende a pattinare da solo.

 

-Ti sei divertito abbastanza a fare questo spettacolino?- Gli domando in un bisbiglio, raggiungendolo.

-Oui, mon cher… Mi diverto sempre quando vedo i novellini guardarti con bramosia e timore.-

-C’era ancora qualcuno?- Mi decido a guardarmi attorno, ma il palazzetto è deserto. Solo Yacov che parla con l’allenatore di Chris e Georgi che spippola al telefono.

-Sì, quel giapponese che mi ha strappato l’oro a Parigi, ma adesso è andato via… Aveva un che di inquietante, nel modo in cui ti stava fissando.-

Rallento e guardo verso l’ingresso della pista. Era lui. Ho perso l'occasione di complimentarmi per la sua esecuzione in quel video che… Ma no… perché essere gentili verso un avversario?

-Sei curioso? Non lo hai ancora incontrato?-

-No, non sono curioso e no, non l’ho mai incontrato finora. Devo preoccuparmi?- Accelero e carico un salto. Atterro stabile sulla lama esterna e chiudo un semicerchio a fianco di Chris.

-Uhm… non direi… mi sembra piuttosto spaesato, non credo che sarà una minaccia… Ha tutto un altro aspetto rispetto all’ultima gara in Francia, come se avesse perso la brillantezza.-

Faccio un cenno a Yacov perché faccia partire la mia musica.

-Lo hai guardato con attenzione, Chris… Cosa farai se stavolta arrivi secondo dietro a lui? Manterrai la tradizione di farti scopare da chi ha la medaglia d’oro al collo?- Allargo un sorriso sghembo per farlo incazzare. -Adesso fammi spazio-, gli comando e lui, da bravo secondo, ubbidisce. 

Le prime note della mia musica rimbombano nell’ambiente vuoto, devo iniziare a provare i miei programmi. Prima di sparire come Victor e diventare tutt'uno con la storia che voglio mostrare, noto che Georgi ferma Chris appena esce dal rink e parla concitatamente con lui. 

Ma ora basta distrazioni: ora ci siamo solo io e il ghiaccio.



 

-Avete discusso?- Vado subito da Georgi, appena termina l'allenamento. In realtà non mi interessa un granché se e di cosa abbiano parlato lui e Chris, perché adesso che ho preso contatto col mio elemento mi sento bene. È più un modo per iniziare una conversazione.

-Non ci tornare da lui-, afferma Georgi, incrociando le braccia. 

Non intendevo quel genere di conversazione, accidenti…

-Da quando ti interessa la mia vita sentimentale, Georgi?- 

Non cominciare, per favore…

-Da quando ti conosco, Vitya. È della tua vita sessuale che non voglio sapere niente e mi pare che Christophe Giacometti rientri nella seconda. O sbaglio?-

Touchè…

-Chris è un amico…-

-Uno scopamico, vorrai dire…-

-Visto che di quella parte non vuoi sapere niente, per te è solo un amico.-

Georgi storce le labbra in un ghigno.

-Fa’ quello che vuoi, Victor, ma ricordati sempre che avere qualcuno che ti ami davvero, che ti aspetti la sera a casa, che voglia condividere con te non soltanto il divertimento di una notte, ma anche i piccoli istanti di ogni giorno e sia pronto ad esserci anche nei momenti bui, conta molto di più di una scopata e via.-

Georgi è serio, le sue parole si infilano tra le mie cellule. Era da tempo immemore che non avevamo una conversazione così profonda, forse addirittura da quando avevo deciso di prendere in mano le redini del mio futuro, dando un taglio netto al vecchio Victor, letteralmente. C'ero mai riuscito davvero? 

-Me lo ricorderò-, gli rispondo e mi lascio fagocitare dalla consueta sfilza di considerazioni, rimbrotti e puntualizzazioni di Yacov sulla mia esecuzione. 


***

 

Quello che è successo non è possibile: dopo lo short program il giapponese mi sta attaccato alle calcagna.

Ero concentrato sul video in cui eseguiva il suo programma libero, ma non mi ero mai posto questioni sul corto. Forse, se fossi riuscito a parlare con lui al termine degli allenamenti, avrei potuto capire che tipo di avversario avrei dovuto aspettarmi…

E invece non ce l’ho fatta nemmeno dopo la gara: ero troppo stupito per essere io a intavolare una discussione per primo, dannazione!

Sono davanti a lui in classifica, d’accordo, ma è come se mi avesse schiacciato con cento punti di distacco. E quello doveva essere lo Yucian timido e intimorito quando arrivavano le gare!? Quello che se la faceva sotto e combinava disastri? Oh, Phichit Chulanont, questa informazione fuorviante ti costerà cara, la prossima volta che mi capiti a tiro!

Ora, analizziamo il perché di tutta st’irritazione che mi prende, anche se in cima alla classifica provvisoria ci sono io… Mi hanno insegnato a fare così, no? Una lista dei pro e dei contro, un consuntivo degli eventi e delle conseguenze, quindi vediamo perché ho uno scoppiettante Yuuri Katsuki attaccato al culo e quanto sia merito suo e quanto demerito mio.

Dunque… per cominciare credo che, come un ogni cosa, ciascuno abbia i suoi gusti, anche in fatto di pattinatori. Ora… Christophe è un pattinatore deciso e potente, che sa trasmettere in modo incisivo tutta la sensualità che emana con quel modo tranchant di muoversi. È spavaldo, sicuro di sé e indubbiamente mi piace come pattina e interpreta la musica. Il giovane JJ è veramente un tipo: a lui non gliene frega niente di interpretare qualcosa, è autoreferenziale, si basta per quel che è e il problema è che è un mostro di tecnica ed esuberanza. Accende gli spettatori e li incatena con la maestria con cui vive il ritmo. Mi piace anche lui, in un modo diverso.

Plisetsky è quello in cui mi sono rivisto di più, finora: il tocco di Yacov è inconfondibile, ma c'è troppo Yuri Plisetsky nei suoi personaggi. Non li interpreta, lui li cavalca e le sue emozioni emergono nette. È molto aggraziato, flessibile, atletico e veloce e la sua tecnica non è seconda alla mia, ma non è ancora adulto nella parte dell'essere in fase con il tema del suo programma.

Yuuri Katsuki, invece, mi ha travolto. Non è una cima nella tecnica, soprattutto nei salti - e questo già lo sapevo - ma non credevo che quello che avevo visto nel video di Chulanont fosse così differente dal vederlo dal vivo. Yuuri Katsuki scivola sulle note, svanendo e trasformandosi in emozione allo stato essenziale. Lo guardi e ti perdi. Lo guardi e ti innamori del suo modo di vivere la pista, di essere non personaggio, ma anima, messaggio e interprete al tempo stesso. Si muove come un velluto, morbido e silenzioso, ti scalda.

Yuri Katsuki, tra tutti i miei avversari, è stato l'unico che mi abbia fatto battere così forte il cuore, nell’assistere alla sua esibizione. Non posso fare il tifo per il nemico, ma è successo proprio così e, quando è stato il mio turno, ho provato con meraviglia e orrore la sensazione che i miei movimenti non seguissero più la mia testa, ma si trasformassero per emulare i suoi, come a voler trovare un alfabeto comune tramite cui comunicare le emozioni da lui a me, da me a lui. L'ho superato di pochissimi punti, forse perché non sono stato sufficientemente bravo da lasciarmi ispirare del tutto da lui, forse perché sono stato troppo bravo a rimettermi in carreggiata a metà programma.

Fatto sta che, per la prima volta, un altro ha influenzato la mia interpretazione senza nemmeno mai nemmeno conoscerci.

Sono sconvolto e stupito. Sono spaventato. Sono una preda consapevole, ipnotizzata dal suo carnefice.

Domani, comunque vada, devo parlarci, perché sono troppo curioso di conoscere questo pattinatore silenzioso che crea emozione e musica dal ghiaccio.


---


-Gospodin Nikiforov! Quali sono le sue impressioni prima di affrontare la prova del programma libero?-

-Mister Nikiforov, è la prima volta che qualcuno le sta attaccato col fiato sul collo come stavolta, prima dell’ultima prova: come si sente?-

 

Yacov tira dritto ignorando i giornalisti appostati nel settore che collega l’ala degli atleti di casa al piano gara. I pattinatori di accompagnamento e gli altri dello staff russo sono liberi di sorridere, fare brevi cenni di saluto con la mano, oppure mandare tutti a fanculo col dito medio, come si ostina a fare Plisetsky. Secondo copione, chi sta per scendere in pista, rimane in mezzo al gruppo e cammina senza guardare negli occhi nessuno, rimanendo concentrato al massimo. Quando ha gareggiato Yuri, due giorni prima, non è riuscito ad attenersi alle regole di Yacov, ha insultato un paio di giornalisti a caso, ringhiato contro le sue fans ed ha sorpassato tutti per mettersi tronfio a capofila. Poco fa Mila ha sfilato con la stessa dignità della Regina Elisabetta e si è guadagnata un bronzo. Ora sono io quello circondato dagli altri, conosco a memoria il copione: devo camminare a testa alta con un sorriso benevolo sul viso e non ascoltare.

Soprattutto non ascoltare.

 

-Victor! Ha paura che l’outsider Yuuri Katsuki possa strappargli l’oro all’ultimo momento?-

 

Io…

 

-Vitya, dvigaysya i idi-, borbotta nel suo dialetto stretto Yacov. Certo, certo che mi do una mossa, vecchio burbero, ma questi spuntano come funghi!

 

-Mr. Nikiforov! è vero che ha deciso di cambiare all’ultimo momento i salti del suo programma libero per aumentare la difficoltà e quindi il punteggio?-

-Nikiforov!-

-Victor! Intende rilasciare qualche dichiarazione?-


Devo restare concentrato. Devo restare concentrato, accidenti, e rendere al massimo. Certo che sono stupito anch’io dal risultato del corto di Katsuki, che credono!? Che sia davvero adiabatico, come insinuano? Che sia così cieco da non vedere quello che si muove intorno a me? Secondo loro perché non ho chiuso occhio stanotte!?

Yacov si volta e mi lancia un’occhiataccia. Lui ha visto le mie occhiaie prima che le coprissi col trucco e teme che non riesca a rispettare il solito copione. Ma sono un attore navigato, io! Non risponderò, vecchio, sta’ tranquillo: lo so come funziona… 

 

-Gospodin Victor: cosa farà se dovesse arrivare secondo?-

-Signor Nikiforov!-

-Victor!-

 

-Victor, ha paura?-


Sì, ho paura…

 

Rallento per un istante, questo non c'è scritto tra le note della regia, ma per fortuna siamo già arrivati all'area della pista e nessuno se ne rende conto. Georgi e Yuri vanno a occupare i posti sugli spalti, Mila si trattiene con noi e mi sistema il bavero del costume.

-Muoviti-, Yacov scosta il tendone e ci rifugiamo all’interno dell’area riservata ai concorrenti. Ha la fronte aggrottata, è nervoso anche lui. In pista si sta esibendo il cinese Cao Bin, Yacov domanda a che punto del programma sia e torna da me, mentre Mila si mette in disparte.

-Dopo di lui ci sono Leroy, Giacometti, poi il giapponese e poi tocca a te. Pronto ad andare in scena?- Non rispondo. -Vitya, ci sei?-

-Sì.-

 

Ho paura.

 

È sempre stato facile salire sul mio palco ghiacciato, da quando ero un moccioso: ogni volta, quando il sipario si apre, i riflettori si accendono e prendo contatto col mio elemento, ogni volta Victor svanisce e divento il mio personaggio. Lui vive in me e non ho bisogno di ripetermi la sua storia, per recitarla. Viene e basta e io lo assecondo. Assecondo la spinta del ghiaccio, ogni sua imperfezione sul mio cammino e mi muovo esattamente come voglio che si muova l’eroe della mia storia.

Ma stavolta, forse per la prima volta, ho paura. Sento che c'è qualcosa di diverso, temo di aver perso la connessione col mio personaggio, non so se riuscirò a far altro che indossare la sua maschera senza riuscire a essere lui. Non dopo aver visto qualcuno farlo forse in modo migliore di me.

Stavolta non sento la scintilla.

 

Dopo quello che è accaduto ieri, dopo quello che so che può fare Yuuri Katsuki lasciato libero sul palco prima di me, non riconosco più il ruolo che mi sono scritto. La pista non è più l'ambiente familiare di sempre, allestito secondo le mie astruse volontà di regista e attore, no. Stavolta è diverso: lui mi precede e può modificare il contesto, capovolgere la forma del mio mondo e non ho modo di prevedere quanto o come troverò il contorno al mio ingresso dopo di lui. È come avere in testa il copione per una messinscena che so che sta cambiando, ma nessuno può dirmi in che modo avverrà o come reagire. Dovrò improvvisare.

Troverò un pubblico amico che mi aspetta? Oppure l'onda della novità travolgerà il mio carisma e mi farà esibire su lava ardente, invece che su un tappeto bianco? In quanti saranno dalla parte del nuovo, in quanti rimarranno fedeli a me?

 

Mi chiamano: il giapponese sta per iniziare, dopo di lui ci sono io. Si aspettano che rimanga attento a sbirciare da dietro le quinte la sua interpretazione, pronto a fare il mio ingresso trionfale, seguendo le note sul copione consunto che conosco a memoria, ma la trama è cambiata. Può cambiare ancora. Il risultato può essere stravolto, la leggenda vivente potrebbe essere eclissata. Ho paura della bravura di Yuuri Katsuki, ha la stoffa del protagonista buono che tutti cercano, quello a cui non ci si può non affezionare. Ho paura che, se mi fermo a guardarlo ancora una volta dal vero, possa cadere di nuovo nella sua trappola di velluto e miele, che possa risentirne la mia interpretazione, come è successo ieri.

Yacov mi fa cenno di affacciarmi, ma non ho bisogno di guardare cosa succede sul palco. Il libero di Yuuri Katsuki lo conosco già, ho guardato e riguardato il video di Phichit decine di volte e so che cosa possa tirare fuori come interprete che mi precede in scena. È qualcosa in bilico tra la possibilità ignota e un incanto da togliere il fiato.

 

Mi basta soltanto ascoltare a occhi chiusi la musica scelta per lui, per rivedere nella mia testa ogni singolo fotogramma di quel miracolo muto che mi ha conquistato e terrorizzato, facendo tremare ogni volta le mie mani che reggevano il telefono su cui girava il video.

Vorrei stupirmi e ammirarlo per la prima volta come uno spettatore in platea, ma anche ignorarlo perché il mio ruolo, la mia interpretazione non hanno relazione con la sua. Non devono averne.

So di dover dare il mio meglio e so come far vivere le emozioni di quello che interpreterò - ma sto smarrendo la freddezza. Stavolta non sento la scintilla.

Ma io ho il mio monologo da interpretare, lui il suo e non posso, non posso cedere alla tentazione di inserirmi nella sua storia e trasformare il suo assolo in un pas de deux.

Devo aspettare qua, non farmi influenzare e varcare la quinta a testa alta e nervi saldi quando starà a me. Nient'altro.


-Sei preoccupato, Victor?- 

Apro gli occhi, Yacov mi parla. Ha l'espressione accigliata, forse è solo una  ruga che ormai la consuetudine ha scavato nella sua pelle, proprio in mezzo agli occhi.

-Affatto, dovrei?- Sorrido, mi mostro gentile, appaio tranquillo, seguo il copione.

-Non direi proprio… pensavo volessi guardare l'esibizione del giapponese… ne sta combinando delle belle!-

Un battito feroce. Ho paura. Se ripete quello che ho già visto nel video, ho ragione di sentire vacillare il mio ruolo da protagonista. Forse però potrebbe essere un bene essere spodestato da uno sconosciuto: meglio che chinare la testa a chi mi ha sempre morso le caviglie e inseguito con caparbia e invidia. Ho paura? No, forse no…

-La conosco già, solo la musica non l’avevo ancora sentita.- Sorrido ancora, spiegando i miei perché e mi indico un orecchio con l'indice.

Yacov avvicina le sopracciglia, la riga in mezzo alla fronte si fa più marcata.

-Che vuoi dire? Hai guardato le registrazioni del Trophée Bompard?-

Oh no! No. Quando ho trovato su Instagram il video che mi ha mandato Phichit Chulanont, non ho voluto sporcare quella visione essenziale di espressività e forza allo stato puro, sovrapponendo le immagini di uno Yuuri con un costume di scena e una musica che avrei potuto aver male interpretato. Volevo essere sorpreso proprio qui e adesso. Le note che il giapponese aveva creato col suo solo movimento in pista, in quel video, si sposano perfettamente con quelle che adesso stanno accarezzando l'aria del palazzetto, su questo non ho dubbi. Me ne sono reso conto da almeno due minuti, ascoltando la musica senza trovare il coraggio di guardarlo.

 

Yacov lascia cadere la domanda. -Beh, tra un minuto il giapponese finirà questo strazio, quindi preparati.-

-Strazio?-

Yacov adesso le solleva, le sopracciglia e una croce si disegna sulla sua fronte.

-Se per caso hai avuto paura di rischiare di non farcela stavolta, stai sereno, Vitya: nessuno ti strapperà l'oro. Rilassati e preparati ad entrare in scena con il tuo solito allure…-

Quello che dice Yacov non ha senso. Sono in pericolo eccome! Mi volto e per la prima volta guardo la pista che mi ero preclusa. Vedo il giapponese fasciato in una tuta attillata, che si muove completamente fuori tempo rispetto alla sua musica.

-Non è possibile!-

Yacov ghigna alla mia esclamazione, incrocia le braccia e mi guarda sornione. -Capisci, adesso, perché va tutto bene?-

-Non va bene per niente!- Sono sbalordito.

 

Sulla pista, il mio rivale piange e scivola e pattina e trema e ruota e ondeggia e stacca e cade e si rialza e il sale delle sue lacrime scava minuscoli fori sul ghiaccio, lì dove ci ha sbattuto sopra ora un ginocchio, ora il fianco, ora il gomito. Il pubblico si spende in “Oohh!” , “Aaah!” sorpresi e divertiti. È crudele il pubblico. Pretende uno spettacolo da batticuore, ma si esalta e spera in un disastro su cui spettegolare.

Dov'è finito il cigno nero del video di Phichit? Quello sulla pista non è la stessa persona! 

 

Qualcuno si avvicina, posa una mano sulla mia spalla 

-Ti garantisco che a Parigi non era così… Altrimenti non mi sarei fatto soffiare il primo posto.”

È Chris, ha la mia stessa espressione attonita sul viso, ma in un attimo vira.

-Sono primo per adesso, quindi immagino che stasera…- Mi fa l'occhiolino, sorrido come si può sorridere a un bambino e lui rincara la dose. -Potrei prendermelo io l’oro, stavolta, se tu non sei perfetto, sai?- Mi guarda con un’espressione da gatto.

-Sarebbe una bella novità, sono tentato…-

-No, invece! Dai il tuo massimo, come sempre! Vederti competere dal vivo con l'intenzione di vincere è già metà del mio premio di consolazione. L’altra metà me la prendo stanotte-, bisbiglia vicino al mio orecchio e si allontana. -Piuttosto… qualcuno dovrà consolare quel povero giapponese al gala di stasera… Volontari?-  Sghignazza elegante, sollevando l’ilarità di chi è lì attorno.

 

-Mi dispiace rovinarti i piani, Giacometti, ma non credo che il tuo amico dagli occhi a mandorla si presenterà alla festa. Casualmente, mia madre ieri ha avuto modo di conoscere personalmente lui e il suo coach e aveva già pronosticato una sua probabile debacle… Beh, aveva ragione, direi!- Mila ci raggiunge, lei ci sguazza in quelle situazioni. È un bon bon, quando vuole, e quando vuole è uno squalo pronto a gettar fango sugli altri.

-Milà! Bonjour Mademoiselle! Spiegati meglio, sono tutto orecchie!-

Chris reclama pettegolezzi, io non posso impedire ai miei muscoli di irrigidirsi. I quattro minuti dell'esibizione di Yuuri Katsuki stanno per scadere, tocca a me, non posso ascoltare la storia che Mila ha da raccontare, anche se sono maledettamente curioso, adesso…

-Vieni a prendere un caffè e te lo racconto… O non vuoi perdere lo spettacolo del nostro Zar?- Mila si siede su una delle panche per lo staff e picchietta il posto vuoto accanto a sé. Chris si accomoda pregustando una lunga serie di pettegolezzi freschi freschi. 

 

Adesso devo concentrarmi. Basta distrazioni. Appena lui esce dalla pista, entro io e spacco il mondo.

 

La musica tace, qualche sparuto applauso e poi c’è solo silenzio. Posso quasi sentire il lamento muto di Katsuki. Resto fermo, incapace di alcun movimento e osservo il fantasma di quello che credevo l'unico capace di insidiarmi l'oro, sfilare mesto davanti a me, uscendo dal rink. L'allenatore lo cattura immediatamente in un abbraccio, gli mette i coprilame con movimenti tremuli e lo scorta verso il kiss&cry sottraendolo dal subitaneo assalto dei giornalisti.

Per un istante, dal bozzo che lo protegge, Katsuki alza lo sguardo e incrocia il mio. È una marea di lava che erutta e si rapprende, quella che si agita negli occhi umidi del giapponese, un fiume ininterrotto di sofferenza e vergogna. Mi sento morire per lui e non mi accorgo che sto trattenendo il fiato. Poi se ne va.


Centoquindici virgola ottantacinque.

 

È il punteggio più basso di tutti, più basso del peggior punteggio che abbia mai visto realizzare in una finale di una competizione tra professionisti. È un disastro. Non ho il cuore di voltarmi verso la coppia in attesa del verdetto, so già che Katsuki è scivolato in ultima posizione, franando, dal podio, dritto nel gotha del Guinness dei primati per i peggiori fallimenti sportivi.

 

-Entra. Sta a te-, mi dice brusco Yacov e mi spinge per un braccio al varco nell'anello di bordo pista.

-Bonne chance, non Cher!- Trilla Christophe e mi lancia un bacio al volo. Se potesse, di sicuro mi tasterebbe il culo per portarmi fortuna.

-Pokazhi, chego ty stoish', Victor-, gli fa eco Mila.

 

Prendo un respiro profondo. È tutto a posto, come ogni volta. Il protagonista sono ancora io. Non ho più paura.

 

Si va in scena. 


---


-Si può sapere cos’avevi prima della tua esibizione?- Chris è sempre diretto con me. Col resto del mondo si avvita su mille giri di parole per arrivare a essere pungente, ironico, sfuggente, ma con me è schietto, come un calice di merlot delle sue terre.

Alzo le spalle e ingoio un cioccolatino. Ne ho nascosti un paio in tasca, mentre ero al tavolo della sala stampa, non mi ha visto nessuno.

-Tieni-, ne offro uno al mio svizzero, che storce il naso.

-Cioccolato russo? Parbleu! Tu mi offendi, Nikiforov!- Ma lo accetta, lo scarta e lo mastica come un fulmine.

-Stasera ci andiamo al galà?- 

Non sono affatto convinto di averne voglia. Non ne avevo prima, tantomeno adesso, che tutta la tensione è calata. Certo, non credo che riuscirei a sottrarmi al dovere, d’altronde sono la star della serata, no? Ma che palle. Che enormi, sconfinate, incommensurabili palle. 

Chris non mi lascia il tempo di rispondere. -Ci sarà da divertirsi! Certo che ci andiamo, non pensare nemmeno di dare buca! Cos’è, hai progetti più… interessanti che non possono aspettare che finisca il party?- Ammicca e allude. 

A volte mi domando come, per lui, il tempo non abbia cambiato il nostro rapporto. D’accordo, è iniziata come un gioco tra le lenzuola, con tutta l’euforia dell’aver scovato uno uguale a noi, nel grande lago ghiacciato del pattinaggio di figura, tutto lustrini e granito. Ed è stato bello, finché non ci siamo conosciuti più a fondo, ma poi, almeno da parte mia, tutta la curiosità per quegli incontri clandestini, l’alone di segretezza e vedo-non-vedo che ci siamo costruiti attorno, la voglia di trasgredire, sono lentamente scivolati in qualcosa di diverso.

Non ho mai provato amore per Chris, neanche quando l’attrazione era selvaggia e prepotente. In realtà mi domando se ne abbia mai provato per qualcuno. Comunque, adesso vorrei che Chris capisse che per me lui è solo un amico. Il migliore che abbia, ma un amico, niente di più. Provo più piacere a passare una serata a chiacchierare con lui, a scherzare e ricordare vecchi aneddoti che non a scopare, ecco. Forse sto invecchiando…

Ma il signor Giacometti non demorde e reclama il suo consueto premio di consolazione per essere di nuovo arrivato dietro di me. Sa già che non saprò rifiutarglielo, mi conosce troppo bene: per questo dico che ormai siamo eccessivamente amici per continuare a fare sesso per tutta la notte, dopo ogni gara. Ma sarà così anche stanotte, conosco lui e conosco me.

-D’accordo, andiamo al galà-, taglio corto, mentre ci accingiamo a raggiungere ciascuno il proprio staff tecnico.

 

-A proposito… lo sai cosa mi ha detto poi Mila Babicheva?- Ecco il demone del gossipparo che sfrigola sotto gli occhioni verdi di Chris! Mi afferra un gomito e mi ferma, prima che i nostri allenatori ci vedano.

-Sentiamo…- Adocchio un angolo più appartato per parlare, vicino all’area ristorazione, -Prendiamoci qualcosa da bere, mentre me lo racconti.-

-Sono al quarto caffè da dopo la mia esibizione, Vivì! Vuoi proprio che rimanga sveglio con gli occhi spalancati tutta la notte!- Ordina l’ennesimo caffè, ammiccando verso di me. Quanto riesce ad essere sempre completamente a suo agio, Christophe Giacometti! Che si tratti di affiancare un novellino del rink e palpargli il sedere o sostenere col sorriso sulle labbra e lingua biforcuta un’intervista in cui viene incoronato ufficialmente “Eterno Secondo”, Chris veleggia sempre sul pelo dell’onda, trasforma ogni situazione a suo vantaggio.

-Quindi?- Ho ordinato un tè di Matsesta, dicono che sia il tè che cresce più a nord del mondo ed è prodotto qua vicino. È aromatico e bollente, mi brucia la lingua, accarezza il palato.

-Quindi cosa?-

Faccio un ghigno a Chris. Sa perfettamente a cosa mi sto riferendo, ma vuole che glielo chieda ad alta voce. Farò di più, così impara a stuzzicarmi.

-Quindi, cosa ti ha raccontato di così interessante Mila a proposito di Yuuri Katsuki? Sai… quel giapponesino mi intriga molto. È così… particolare. Non trovi?- Sorrido strafottente ed ecco che Chris si acciglia.

-Ci hai parlato?- Una nota appena più scura nella sua voce. Gelosia?

-Mmm… no…- Sorseggio lentamente il tè.

Parlare a Yuuri Katsuki, a quello che mi ha folgorato in quel video del thailandese, rimanere da solo con lui e parlarci: effettivamente è una cosa che sto aspettando di fare da quando l'ho visto la prima volta in allenamento, ma per un motivo o l'altro non sono ancora riuscito a farlo. Adesso è più complicato e più necessario che mai. Sento la presenza incorporea di Phichit Chulanont che mi osserva dall’alto con biasimo e mi dice: “Sii te stesso e consola il mio amico Yuu-chan!

 

-E come fai a dire che è particolare, allora? A me pare ordinario, anzi, di quei tipi che ne azzeccano per caso una su un milione e non reggono la sensazione di essere a un passo dal traguardo…- Invidia? No, Chris ci è abituato a stare a un passo dal traguardo. Io l’ho abituato così. A seguirmi, cercarmi, giocare. 

-Insomma, raccontami, ché dobbiamo sbrigarci. Altrimenti me lo dici dopo, è lo stesso…- E io reggo il gioco, mi mostro disinteressato, ma: -Ah, anche io volevo raccontarti una cosa…- Ed ecco che l’ingordigia di Chris è stuzzicata, si accendono gli occhi e la fame di news gli solletica già il palato.

-Prima tu-, ovviamente, mi impongo.

Chris sbuffa.

-Nulla di che… Pare che il giapponese abbia fatto una schifezza nel libero, perché banalmente era disperato. La madre di Mila ieri lo ha incontrato nel momento in cui aveva appena ricevuto una brutta notizia:  dice che gli è morto il cane, mentre lui gareggiava nel corto e, quando lo ha saputo, ha dato di matto. Credo che Katsuki possa avere la stoffa… ma siamo seri: buttare via tutto così solo perché dall'altra parte del mondo ti è morto il cane! E non solo: ieri è stato visto ingozzarsi come un porco a tarda serata… ci credo che non staccava nemmeno di venti centimetri, nei salti!-

Lo dice come se stesse parlando di qualcuno di astratto, non di una persona che gli è appena passata accanto in lacrime. Mi accorgo che sto stringendo la tazza tra le mani quando la sbatto contro i denti, ma Ser'yozno?, c'era davvero tutto quello strazio, dietro il fallimento del loro avversario? Non ci posso pensare a come possa sentirsi… 

Gli è morto il cane… 

Se succedesse a me… No, altro che fare una performance disastrosa come quella! Non sarei nemmeno sceso in pista! Come può aver affrontato la gara, forse la gara più importante della sua vita, con un peso simile sul cuore? 

È qualcosa di irrazionale che muove il mio dito sul pulsante del telefono, posato sul tavolo accanto al piattino, affinché si possa attivare il display. Il muso allegro di Makkachin mi sorride in un milione di pixel. Se solo gli accadesse qualcosa di brutto prima di una gara io… 

Chris è un insensibile gattaro…

-Beh, ora si spiega tutto.-

-Tutto cosa?-

-Come uno che ha le palle per gareggiare davanti alle telecamere di tutto il mondo, dopo un dolore simile, possa averti battuto, a Parigi.- Finisco in un sorso il tè e mi alzo. -Devo andare-, e la mia voce trema.


Sono sconvolto da quello che ho saputo sull’uomo che mi ha fatto arrivare alla prova del libero con una paura di perdere il titolo che non avevo mai provato prima. Perché sono sicuro che, se non fosse capitato quello che è capitato, il giapponese mi avrebbe messo davvero in seria difficoltà. Quando ho visto il video di Phichit… sono rimasto semplicemente incantato. Se avesse ripetuto in gara un'esibizione come quella, avrebbe raggiunto facilmente i duecentodieci punti, li ho calcolati ogni volta che ho premuto play, e non c'era neanche la musica a sottolineare la sua espressività nella componente artistica! Io ho vinto con duecentouno e sessantacinque e avevo solo cinque punti più di lui, dopo il corto. Yuuri Katsuki avrebbe potuto conquistare l'oro.

 

Yacov sta aspettando Yuri Plisetsky e me all'ingresso del palazzetto, gli altri si sono già avviati in hotel.

Incontro nel corridoio il piccolo punk di Russia, all'uscita dei bagni. Ha il volto rosso e i denti serrati in un ringhio. Conoscendolo ha litigato con qualcuno. Prima o poi quel ragazzino dovrà cambiare atteggiamento, perché tutta quella rabbia mal si sposa col suo aspetto efebico e, se davvero vorrà proporsi come mio successore sul trono di Russia, dovrà venire a patti tra quello che è il suo aspetto e quello che gli ribolle nel sangue. Quando lo guardo durante gli allenamenti, l'idea che mi dà ogni volta è di osservare un cucciolo di tigre, troppo piccolo e carino per fare davvero paura, che vorrebbe ruggire, ma invece miagola.

Lo affianco.

-Vorrei darti dei consigli circa la tua esibizione di ieri…- Gli dico.

Ma il tigrotto ringhia. -Se vuoi metterti a fare il coach, smetti di gareggiare e lascia campo libero a me, che sono il futuro. Tu sei passato, vecchio.-

-Yuri, dai… Dobbiamo parlare del libero, la sequenza di passi ha bisogno di…-

-E chi se frega, tanto ho vinto io, no?- 

Ribelle. Divertente, tenero, grazioso e ribelle. Yacov sta crescendo una bella gatta da pelare e infatti, appena ci sente arrivare, gli si tappa la vena.

-Ah, Yuri! Non puoi andare avanti per sempre a parlare così a tutti!- Apostrofa Plisetsky, mettendosi a sbraitare. Quell'uomo urla, urla sempre, poco importa se Yuri ed io abbiamo glorificato il suo lavoro con due medaglie d'oro.

Speravo di riuscire ad andarmene via senza incorrere di nuovo nelle domande dei giornalisti appostati nella hall, ma se questi due non la smettono di fare cane e gatto, presto saremo di nuovo accerchiati.

Già mi sento addosso gli occhi di qualcuno… Mi volto e, davanti a me, vicino all'uscita, c'è Yuuri Katsuki. È fermo accanto a un giornalista orientale, ha lo zaino sulle spalle, gli occhiali storti e mi sta fissando con espressione smarrita. 

Forse è l'ultima occasione che ho di parlare con lui. Glielo devo, perché ricordo le parole esatte del suo amico thailandese: “tu devi restare il suo idolo buono, pulito, affidabile, sano, se mai ti troverai faccia a faccia con lui. Per favore, Victor.”

-Facciamo una foto tutti insieme?- Gli domando, sorridendo. Vorrei avvicinarmi e presentarci, ma lui sobbalza terrorizzato, si volta e si incammina verso l’uscita del palazzetto, ignorando le parole del suo coach.

Non ci sono riuscito neanche stavolta.

Lo osservo andare via, trascinando un trolley carico di rimpianti e lasciandomi con un milione di domande senza risposta.


 

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Capitolo 12
*** Fire - 2012 ***


Fire - 2012

Victor || Yuuri

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt - falò

 

NOTA DI REGIA: Qua ci starebbe decisamente bene che leggeste la O-S “Te l’appoggio”, che collega il precedente capitolo a questo. È la descrizione di quel famoso party di chiusura del GP di Sochi, dal punto di vista di Christophe Giacometti. Se volete, la trovate qua.


---


-Pronto.-

-Pronto Celestino? Non state dormendo, spero… Volevo avere notizie di Yuuri… Ho provato a chiamarlo più volte dopo la gara, ma non mi ha risposto. Immagino che sia a pezzi… Non è partito per il Giappone, vero?-

-Phichit… no, non sto dormendo. Yuuri è qua a Sochi, non è partito. Ha cancellato il volo prima della gara. Sapeva già che sarebbe stato un disastro e non avrebbe avuto il coraggio di tornare a casa. Quello sciocco…-

-È lì con te? Puoi passarmelo?-

-No, non… non è con me...-

-Ma come sta adesso?-

-Senti, Phichit… Sono successe delle cose… Io… mi rendo conto di aver sbagliato tutto con Yuuri, forse anche prima di arrivare qua. Io… non lo so come sta: non ce l’ho fatta a rimanere, dopo che lui… Scusami, lui è ancora al party. Saprà cavarsela…-

-Cosa!? Che è successo, Celestino? Cos’hai? Tu non hai sbagliato niente con Yuuri, torna da lui, non fatemi preoccupare, per favore!-

-Io… credo di non essere il coach adatto a Yuuri… Lui… lui vuole che lo alleni qualcun altro, d'ora in poi. Non posso biasimarlo, ma… Ne riparleremo quando è sobrio, mi prenderò le mie respon-

-Celestino, Yuuri è ubriaco??? Hai lasciato Yuuri da solo, mentre era ubriaco???-

-Io…-

-Vai! Torna a prenderlo, prima che combini qualche cazzata delle sue! Avrete tempo per litigare con calma domani o… o mai!-

-Ti dico che starà bene…-

-Come fai a saperlo se l'hai lasciato da solo!?-

-Yuuri non è solo…-

-In che sen-

-Senti, Phichit, torna buono a fare quello che stavi facendo e lasciami in pace adesso, per favore! Yuuri sta bene, starà bene e stai tranquillo che te lo riporto tutto intero a casa. Sempre se vorrà tornare…-

-Celest-

Tu tu tu tuuuu…


 


 



 

Il lungomare di Sochi scorre indistinto fuori dal finestrino del taxi, il respiro di Yuuri sul mio collo mi appanna la ragione, mi sfasa i battiti e non c’è un perché razionale. Si è addormentato crollando addosso a me appena l'auto si è messa in moto.

Qualcosa brucia sulla spiaggia, è una vampata imponente.

-Chto tam proiskhodit?- Domando al tassista. È un falò, dice. Prima ha portato degli atleti juniores in spiaggia per festeggiare la fine del Grand Prix, probabilmente l'hanno acceso loro. Molti di quei ragazzini non hanno mai visto il mare, prima d’ora. Capisco. Vivono di ghiaccio, anelano il fuoco, anche se dura poco, anche se brucia tutto in un istante.

 

Yuuri si muove, gli occhiali scivolano sulle mie gambe, il suo naso mi sfiora il collo, la mia pelle va a fuoco.

Vivono due persone distinte in Yuuri, non lo conosco ancora, ma ne sono abbastanza certo. Una è proprio come una falò che divampa, passa, stordisce, brucia, toglie il fiato e frastorna i pensieri: è lo Yuuri misterioso, quello del video di Phichit, quello che ho visto ieri in pista durante il programma corto e mi ha fatto paura. È una persona determinata, consapevole del suo talento e delle sue capacità, consapevole della naturale sensualità che emana. È lo Yuuri che, col suo peso addosso a me, sta bruciando anche i miei pensieri. L’altra è un animo tormentato, pudico, timido, spaventato, soverchiato dai pensieri, dalle responsabilità, in balia degli eventi, incapace di essere padrone di se stesso, inconsapevole di quanto adorabile appaia agli occhi degli altri anche così, messo a nudo. Sconfitto prima ancora di combattere. L’ho capito poco fa, sono bastate poche parole, alcuni gesti, due occhi d’onice che brillavano o catturavano tutta la luce che c’era intorno, in un alternarsi di chiaroscuro che mi ha confuso.

Prendo i suoi occhiali, piego le stanghette e li infilo nel taschino del mio cappotto. Non deve perderli: l’ho capito che quello è il suo scudo contro il mondo, uno scudo infido, che rende nitida ai suoi occhi spaventati quella realtà spietata da cui vuole proteggersi.

Yuuri è come Clark Kent e Superman insieme, è buffo questo pensiero, ma ci credo.

Si muove ancora, sospira nel sonno, struscia il viso sulla mia spalla.

 

Non sono mai stato così vicino a Yuuri Katsuki.

Pensare che poco più di tre ore fa credevo di aver perso l'ultima occasione per parlargli e che, fino a due giorni fa, Yuuri era soltanto un'idea, un'immagine digitale bidimensionale sullo schermo del mio telefono. Un mistero.

Invece lui è una fenice, che si dà fuoco e scompare per poi rinascere da capo più lucente di prima. Dalle ceneri fredde della sua disfatta, stasera ho visto risorgere un bagliore. Certo, facciamo pure una battutaccia: se ci butti l’alcool, anche il lumicino più fioco divampa! Beh… questo è quello che è successo a Yuuri, in effetti. Ho visto il suo coach trascinarlo a forza al party di chiusura del Grand Prix e quasi costringerlo a mangiare qualcosa, bere un goccio per rilassarsi, rimanendo sempre in disparte e poi l'ho osservato quando, con orrore, ha provato a trattenere il suo atleta con ancora più forza, dopo l'ennesimo calice di champagne e a smorzarne la risorta - o forse neonata - audacia con cui lui si è buttato nelle danze. Celestino Cialdini era così imbarazzato, che si è scolato pure lui due coppe di champagne di fila. Ne teneva una nella mano destra e una nella sinistra, insieme ai primi abiti di Yuuri, che via via ha trovato disseminati nel salone.

 

Quando ha iniziato a ballare, Yuuri si è trasformato, ha preso ad ardere, è diventato un'altra persona, un centro di gravità verso cui tutti hanno puntato l'interesse, sempre di più, via via che la difficoltà di quel che stava facendo aumentava e la stoffa a coprire il suo corpo diminuiva. Povero Chris… si è battuto con valore e con un mini slip nero, ma il fascino esotico di questo giapponese matto, in boxer e calzini, lo ha stracciato.

Ammetto che è stato un belvedere. Sono di carne, non ho guardato solo gli occhi di Yuuri, ma anche tutto il resto e cavolo… è burroso e tonico allo stesso tempo, è… cioè: viene voglia di strapazzarlo di coccole come un peluche e poi scoparselo, perché è… Non riesco a descriverlo, è così… Ci sono due Yuuri contemporaneamente nella stessa persona e sono entrambi irresistibili, come quei giocattoli che piacciono a tutti, per un verso o per l’altro, anche a chi li critica. Yuuri… Yuuri è la mezza stagione, il semifreddo, un’apericena… 

Non mi ero ancora avvicinato a lui, fino a quel momento. Intendiamoci: ero incuriosito, ero dispiaciuto, volevo essere educato, ma non era quello il mio chiodo fisso della serata o, a maggior ragione, di quella trasferta a Sochi. Non mi sono svegliato con il solo scopo di incontrare lui. Yuuri è capitato, è stato un effetto collaterale di una situazione noiosa, una sorpresa inattesa e a me le sorprese piacciono. Ho scoperto un paio d’ore fa che anche Yuuri mi piace e adesso lui mi sta respirando nel collo…

 

Le prime parole che ci siamo scambiati non le dimenticherò mai, anche se dovessi dimenticarmi di lui, del suo modo goffo di affrontare la gente, degli occhi dalle mille espressioni, del suo odore, del calore del suo corpo abbandonato su di me in questo taxi che contiene tutto il mondo. Ha balbettato: “Mi… mi chiamo Yuuri Katsuki e sono il tuo fan… più fedele da… da sempre. Non ti avrei mai tolto l'oro, Victor… Anche se… se mai ne fossi stato davvero capace…!”

“Non dirlo neanche per scherzo Yuuri! In battaglia è tutto concesso!”

“No, in amore tutto è concesso, Victor… Vuoi ballare con me?”

 

E abbiamo ballato, oh se abbiamo ballato! Non mi era mai capitato di essere portato in un tango, di abbandonarmi al casqué perfetto tra le braccia solide e avvolgenti di uno sconosciuto, di ridere, ridere, ridere così tanto, guardando un altro al centro esatto di un palcoscenico che aspettava me, non lui, come protagonista della serata. Yuuri mi ha rubato completamente la scena ed è stata una sorpresa. Ripeto… a me le sorprese piacciono, mi piacciono davvero…

 

“Se vinco la gara di ballo, verrai a farmi da coach?” Mi ha chiesto a un tratto, tenendomi stretto come se fossi la cosa più preziosa che avesse mai avuto tra le mani e togliendomi il fiato per lo stupore di quel gesto. Mi correggo, ce ne sono tre di Yuuri: il pattinatore che ti incanta, il disperato che ti smuove tenerezza e compassione e questo Yuuri, quello che ti accende una miccia in pancia e ti toglie ogni goccia di sangue voglia risalire più in alto dell’inguine.

E quella gara di ballo l'ha vinta, eh, ha stracciato perfino il tigrotto e il buon vecchio Chris, che non è secondo a nessuno in quanto a sensualità e ritmo. Finora, almeno, anche col suo slip sexy… Pensare che se l’era messo per me, per il nostro dopo gara insieme, perché è sempre stato così, no?

 

No. Non sono con Chris adesso. Sono con Yuuri.

 

“Diventa il mio coach!”... Mi ha detto. Quel tono, le parole, il suo sguardo… Sì! Gli volevo rispondere di sì, senza nemmeno rifletterci, ma poi… Come poteva essere seria una richiesta sbuffata tra i fumi dell'alcool?

 

Il quarto Yuuri: quello che ti prende in giro, quello a cui non credere mai, lo Yuuri distante mentre ti sta addosso, lo Yuuri perso in un mondo inaccessibile. Lo Yuuri che non viene a fare una foto con te, lo Yuuri che poi scompare.

 

Chi sei davvero Yuuri Katsuki? Cos'ha il tuo sguardo, che sbriciola le fondamenta di ogni mio pensiero razionale?

 

Ho preso quel momento e l'ho archiviato in mezzo ai ricordi folgoranti della mia vita. Non sono molti, ma sono preziosi.

Me ne sarei andato di lì a poco, se lui non mi avesse raggiunto, lontano dalla pista da ballo e mi avesse detto “Non te ne andare! Lo so… lo so che hai mille impegni, che devi conversare con gli altri, che c'è Giacometti che ti aspetta e… e probabilmente hai già organizzato come continuare i festeggiamenti fuori di qua, ma… Non te ne andare, Victor, ti prego… Ho paura di perderti per sempre”.

 

Perdermi per sempre: non puoi perdere qualcuno che non hai mai avuto.

In quel momento mi è tornato di nuovo alla mente cosa mi aveva detto Phichit.

“Tu sei da sempre il suo idolo, la sua fonte di ispirazione, il faro nei momenti più bui della sua vita!”

 

Per lui io esisto da sempre…



 

L’ho dovuto svegliare tappandogli il naso. L’ho scosso, ho dato dei piccoli schiaffetti alle sue guance - morbide! morbide! dannatamente morbide, da mordere! - e alla fine gli ho stretto il naso tra indice e pollice, finché non è diventato tutto rosso e ha sussultato. Mi ha guardato con un’espressione che andrebbe usata come foto esplicativa dell’incredulità, ha sbattuto gli occhi per mettermi a fuoco e ha sussurrato con una voce profonda e nuova, che ti trapassa le viscere e lascia una scarica che, quando si è spenta, sai che dopo non sarai più lo stesso: “Victor? Sto sognando… non puoi essere tu…”

Ho dovuto attingere a tutta la mia forza di volontà per rispondergli, perché era successo qualcosa d'importante e ancora non me ne rendevo conto.

“Sono io, Yuuri, e siamo arrivati al tuo albergo. Dai, che sei stanco morto, usciamo dal taxi. Tieni, rimettiti gli occhiali… Attento… vieni… Ti reggo io… Bravo…”

 

È tornato in sé per un attimo mentre l'ascensore partiva, ha barcollato, mi ha guardato, mi ha aperto in due l'anima con un sorriso brillo, ha preso il mio viso tra le mani e mi ha fermato il cuore. Poi è crollato di nuovo su di me.

 

Ho aperto e chiuso la porta della sua stanza con la tessera magnetica che teneva nel taschino e ho tagliato il resto del mondo fuori. Ho buttato via tutta l'aria che trattenevo da quando ho creduto che volesse baciarmi in ascensore e l'ho guardato.

Cosa ci devo fare, adesso, con te, Yuuri Katsuki?


-Eccoci. Dai, arriviamo fino al letto, così ti stendi un… Attento, Yuuri!!!-

Sono caduto sopra di lui! Perché mi ha trascinato giù e mi sta abbracciando? Cosa… Cosa vuole quest'uomo da me? Cosa voglio io da lui? 

Mi ha già convinto con una sola frase a scombinare tutti i miei piani per la serata e accompagnarlo all'hotel, cos'altro… vuole… adesso…? Vuole… vuole… me?

 

Non ti ha convinto lui. Sei stato tu a proporti. 

“Non me ne vado, Yuuri, non mi perderai, te lo prometto, ma sei esausto. Lascia che ti porti via da qui.”

 

Cosa mi stai facendo, Yuuri?

 

-Ho vinto la sfida, Victor… Mi farai da coach, adesso?-

Lasciami… dai lasciami Yuuri, non posso stare così vicino a te, mentre cerco di capire perché mi chiedi una cosa simile.

Ecco, bravo… lasciami sedere. Lasciami prendere le distanze finché sono in tempo.

-Stai sveglio!- Gli dico. Voglio che sia lucido quando mi risponderà.

Si mette di fianco, la testa sorretta dalla mano. Ha la camicia ancora mezza sbottonata che lascia intravedere le clavicole, la cravatta allentata e gli occhiali storti sul naso, che scoprono metà dei suoi occhi scuri. Ci si può perdere in quegli occhi…

-Perché vuoi che ti faccia da allenatore, Yuuri? Sono un pattinatore, sono un tuo avversario, non so come si faccia a fare il coach…-

Perché proprio io, perché non lo hai chiesto a Yacov?

Mi guarda e sorride. Qualunque sia la spiegazione che mi darà, mi ha già convinto con quel sorriso assoluto.

-Da quando… da quando ho messo i pattini ai piedi mi sono sempre… ispirato a te. Tutti gli allenatori che ho avuto mi hanno sempre spinto a trovare il mio stile, ma… il mio stile sei tu. Ho fatto schifo prima, in gara, ma io… io ce la posso fare a portare in pista quello… quello che tu mi hai già insegnato, Victor, solo guardandoti in TV… Ma non è sufficiente… Ho bisogno di te. Stammi vicino.- 

Balbetta in un inglese strascicato e scattoso, mi guarda con quegli occhi lucidi e vaghi, ma è estremamente serio e mi… mi trafigge, maledizione! Con quelle parole lui mi inchioda, mi trattiene, mi incatena, e quegli occhi… quel sorriso…

 

Stammi vicino.

 

Devo usare una forza sconfinata per rimanere serio e credibile.

-Lo so che ne sei capace, Yuuri, ti ho visto provare il tuo programma libero senza musica ed eri… eri tu la musica, Yuuri Katsuki! Tu non sei come me, forse hai addirittura più potenzialità di me e sei già in grado di dimostrarlo. Non hai bisogno di me come coach…-

Ti sto dando buca, Yuuri: è la scelta più saggia per entrambi. Perché mi sento strano accanto a te, come se si fosse spenta d'un colpo la gravità che mi trattiene a terra e naufrago nello spazio infinito delle emozioni, attratto solo da te.

Mi alzo ed è uno sforzo inumano, perché adesso so che è lui che mi incatena con una forza incredibile a sé, e alzarmi, significa allontanarmi da lui.

 

-No… Ti prego… Stammi vicino, Victor. Non te ne andare…- Mi prende la mano, non fa altro. La mano nella sua e le stelle negli occhi che mi fissano.

 

Mi scoppia in petto il cuore, nessuno… nessuno mi ha mai implorato così, nessuno ha mai dimostrato di tenere così tanto a me… È… è una sensazione nuova, non la conosco, io non la conosco e mi fa paura. E mi piace. 

Tutto quello che gravita intorno a te, Yuuri Katsuki, mi fa paura e mi attrae. Io sono la falena, tu il fuoco che, inconsapevole, mi divorerai.

 

Si solleva in piedi, senza lasciare la presa dalla mia mano. -Ti prego… non te ne andare…- Ripete, ma ha un capogiro e lo afferro prima che perda l’equilibrio. Adesso sono io che lo sto stringendo al mio petto e…

 

TU-TUM.

 

È il tuo cuore, Yuuri, che sta battendo così forte? O è il mio? I nostri battiti si fondono tra loro. Dovrei lasciarti andare, immagino… ma se… se cadessi di nuovo e…

 

TU-TUM.

 

Alza lo sguardo ed è come essere trafitti da strali di stelle, è come…

 

TU-TUM.

 

Apre le labbra, mi guarda incantato. Le sue labbra…

 

TU-TUM.

 

È vicino… Basterebbe che mi piegassi appena per… per baciarlo… e…

 

TU-TUM.

 

Gira la testa di lato, posa l’orecchio sul mio cuore, i palmi sul mio petto…

Le tue mani…

 

TU-TUM.

 

-Tu sei vero… non è un sogno… Sei davvero qua… il tuo cuore… batte insieme al mio…- Sussurra emozione ed come averlo baciato dieci, cento volte.

 

TU-TUM.

 

Si stringe di più e non trattengo un sospiro. Yuuri sposta le mani sulle mie spalle e mi tira giù, di nuovo a sedere sul letto e poi ancora più giù, finché non siamo distesi. Si sistema con la testa sul mio petto, sotto l’incavo della spalla e sta fermo, mentre io sto per essere lanciato in orbita attorno al sole e mi brucio, prendo fuoco come quel falò sulla spiaggia e non posso trattenermi dall’abbracciarlo e sentire sotto le mani quel corpo caldo, che trema appena. Le mie mani…

 

-Suki desu.- È un soffio.

 

Che vuoi dire, Yuuri? Non lo conosco il giapponese, perché mi parli in giapponese proprio adesso…?

 

-Mmn?-

 

-Watashi wa anata ga totemo suki desu, Victoruu...-

 

Ha preso il mio nome e l'ha fatto suo, in un modo diverso, con una pronuncia che è l’eco delle mille volte che lo ha ripetuto in passato, lontano da me. Faccio scorrere la mano sul suo braccio, sento la sua gamba che si muove e sfiora la mia, fino a creare un intreccio.

 

Le tue gambe… le mie gambe…

 

-Ti allenerò, ma solo quando sarai pronto, Yuuri.-

 

TU-TUM.

 

-Come saprò di essere pronto?-

 

Devo respirare. Ho fatto una promessa e non me ne sono neanche reso conto. Ho parlato di getto, senza considerare le implicazioni di quello che ho detto, ma Yuuri sta iniziando a chiudere gli occhi, sta cedendo all'alcool e alla tensione che lo scioglie. 

Dovrei lasciarlo dormire e andarmene prima che sia troppo tardi. 

 

Non te ne andare.

 

-Oggi, dopo la gara… ti ho chiesto di fare una foto insieme, ma tu te ne sei andato senza rispondermi. Perché Yuuri?-

 

Gli occhi si chiudono, la mano stringe la stoffa della mia giacca, la stritola.

 

-Perché non sono degno di te…-

 

Sospiro e mi volto appena, i suoi capelli mi solleticano il viso.

 

-Quando capirai che sei più che degno di me, sarai pronto. Ma non so se io sarò degno di ciò che mi hai chiesto di essere per te.-

 

Perché ho paura di te, Yuuri. Ho paura e sono irrazionalmente attratto da te.

 

-Sei già tutto per me… Prima eri solo un’idea, un concetto assoluto e irraggiungibile. Adesso…- Non mi stringe di più, non si avvicina a cercare un maggior contatto, sta fermo eppure sento che il suo abbraccio è più disperato, il cuore batte più rapido, i suoi pensieri ronzano come uno sciame di api. Devo guardarlo, perché anche lui deve capire cosa mi fanno quelle parole. Scivolo da sotto di lui, punto i gomiti e lo sovrasto e mi gira la testa da quanto è… io non lo so… l'unica certezza è che mi sento bruciare l'anima.

 

-Non sono un’idea irraggiungibile. Sono qua.- Con te.

 

-Come faccio a sapere che non è solo un sogno?- Non puoi dirlo mentre mi guardi così! Non totalmente inerme sotto di me, che non ti sfioro per non prender fuoco, non con le labbra schiuse e gli occhi lucidi, un disastro di capelli nerissimi che ti sfiorano la fronte e quegli occhiali ancora storti. Prima di rendermene conto, ho sfilato quello schermo di vetro che nasconde le tue stelle, ho passato una mano tra i tuoi capelli, per liberare la fronte, ho toccato la tua pelle. Scotti e mi hai scottato.

Io non ce la faccio più a resistere… Yuuri… perdonami…

 

Mi abbasso e mi fermo a un soffio dalle tue labbra. Lo vuoi anche tu, Yuuri? Oppure ho frainteso tutto quello che mi hai detto - come lo hai detto?

 

-Questo è reale.- 

L’ho detto io? Ho annullato io la distanza e ti ho baciato? Oppure sei stato tu, Yuuri, perfetto sconosciuto che calza a pennello in quell’angolo che ho sempre lasciato libero nel mio cuore? 

Che importa… perché il falò ha preso fuoco e le scintille cadono ovunque fuori e dentro di me. Perché il contatto morbido sta diventando umido, perché è sicuramente tua la mano che scivola tra i capelli sulla mia nuca e mi trattiene, sono le tue labbra screpolate che succhiano le mie, la tua lingua che cerca la mia, è il tuo respiro che sa di champagne che diventa la mia aria.

Che importa se ti schiaccio col mio peso, se tutto brucia e se tu alimenti queste fiamme! Basta che non smetti, non interrompermi, ti prego Yuuri, non interromperti. Dove la nascondevi tutta questa passione, tutta questa voluttà? Dietro quale bagliore dei tuoi occhi neri, sotto quale Yuuri?

Si volta e si stacca da me, sorride e ha le labbra rosse come due fragole.

-No, non è reale… È il mio sogno di baciare nessun'altro se non te, che non ho mai confidato a nessuno… Perché se fosse reale…- Pianta due occhi più enormi dell'universo su di me, mi risucchia nel suo angolo di fiamme e terrore, -... se fosse reale, tu saresti il primo e rimarresti l'unico.-

 

Cosa… cosa intendi, Yuuri? Il primo… l'unico…? Forse che non avevi mai baciato nessuno, che ti ho… ti ho rubato il primo bacio, Yuuri?

-Perdonami-, mi stacco da te e mi fa male l'anima. Io sono… mentre tu invece sei… Mi alzo, copro il mio viso colpevole premendoci le mani, è come se mi avessero frullato testa e cuore e avessero incendiato il plasma dell'anima che ne è uscito.

Devo andare via, prima che sia troppo tardi. Sono già troppo coinvolto.

 

Mi sono bruciato. La mia anima rimarrà sfigurata per sempre, lo sento.

 

Arrivo alle porta e sento un lamento, una voce che piange lontano dal presente e vicina a me.

-Ti prego… non te ne andare…-

Ancora.

-Non dovevo permettermi neanche di sfiorarti… Perdonami, Victor! Non ne avevo il diritto… Tu sei il migliore e il migliore merita altro che non…-

-Zitto! Ti prego, zitto…- Lo sto abbracciando io, ora e non so neanche quando sia corso da lui. Stringo la sua testa al mio petto, sento le lacrime che trapassano la seta della camicia. 

Basta, se non parlo, muoio.

 

-Come hai fatto, Yuuri? Come ci sei riuscito ad infilarti qui?- Colpisco con la punta delle dita all'altezza del mio cuore. -Ero così curioso di conoscerti, eri la novità che aspettavo in gara, anche se in realtà… io ti conoscevo già, attraverso le parole e tutto quello che mi aveva mostrato Phichit di te. Mi avevi conquistato già prima di incontrarti!-

-Phichit?-

-Sì… Phichit… lui ha mantenuto il segreto perché gliel'ho chiesto io, finché non mi ha… Mi ha mandato un tuo video, mentre provavi il tuo programma libero, in abiti normali. Mi hai fatto emozionare, Yuuri, come se stessi pattinando io stesso e… e volevo parlarti, dirti quanto ti avessi trovato meraviglioso e poi… poi mi hai fatto paura, perché sei stato così grandioso nella prova di ieri e credevo di non riuscire a superarti di nuovo… e quando ci siamo trovati vicini non sono riuscito a dirti tutte queste cose e… e poi… Oh cavolo!- Lo stringo ancora di più e gli bacio la testa, i capelli, la fronte e lui trema tra le mie braccia.

-Sei perfetto, Yuuri… non è soltanto il modo in cui pattini… è la passione che si agita dietro ai tuoi occhi… sei tu! Guardati! Sei perfetto! Hai un viso bellissimo… e il tuo… sei… Mi piaci da impazzire! Come hai fatto, Yuuri!? Come hai staccato il blocco di ghiaccio che avevo qua?- Di nuovo mi batto il petto una, due volte, tre, ma lui ferma la mia mano, scioglie il pugno, intreccia le dita con le mie.

 

Mi bacia ancora, tanti piccoli baci sulle guance, sugli occhi chiusi e gonfi, sul mento, sulla bocca che ha il suo sapore.

 

-È solo un sogno…- bisbiglia prima di mordermi piano il labbro e succhiare e scorrere fino al collo e allora non ce la faccio più e lo spingo di nuovo sul letto e lo bacio e lo mangio e lo respiro e mordo e succhio la pelle sottile della gola e lui ansima e io impazzisco ed è fuoco ed è acqua ed è roccia e… e…

-È solo un sogno…- ripete e si rilassa sotto di me. 

-Yuuri! Yuuri ti prego… Stai sveglio. Non puoi crollare adesso, noi, dobbiamo parlare, capire e… e…-

-Dimmi, Victor.- 

Sei lucido? O stai galleggiando in un sogno? Mi senti? Mi vedi? Ti stai prendendo gioco di me, dopo che mi hai già portato via la ragione?

Quale Yuuri sei?

Quale Yuuri voglio che tu sia?

 

Tutti.

 

Ho paura. 

Ti voglio. Non posso. Mi fai impazzire. Ho paura. Di te, di me, di noi due insieme. 

Ti voglio… ma non posso… Non adesso, non così.

 

-Yuuri… fermiamoci qua. Io verrò da te e ti farò da coach, da compagno, da amante, da maestro, da allievo, qualunque cosa tu voglia, ma me lo devi chiedere quando sei padrone della tua volontà, non adesso, non dopo tutto quello che hai bevuto e quello che…-

Gli strappo un ultimo bacio che sa già di rimpianto.

Mi strappo un pezzo di anima e mi allontano da lui. I suoi occhi stanno cedendo alle palpebre pesanti, la mente vola via e lui sorride.

-Devi essere tu a chiamarmi, hai capito Yuuri? Io sarò pronto. Sarò pronto.-

Dico per l'ultima volta. Lo copro con il lenzuolo, lo guardo e imprimo la sua immagine nella mia memoria.

 

Me ne vado. Il fuoco si spegne.


 


 


Sono finito. 

Alla fine, il mio sogno più grande, incontrare Victor Nikiforov, è passato, senza che neanche riuscissi a dirgli una parola. Sono rimasto schiacciato dalla vergogna, dal timore di apparire sbagliato, indegno di avvicinarmi. 

 

L'ultimo ricordo che ho di lui è che parlava ad altri durante il party alla fine del Grand Prix, dispensava sorrisi col suo fare elegante, era al centro della scena. Tutti pendevano dalle sue labbra. Irradiava una luce accecante. Come avrei potuto avvicinarmi e rivolgergli la parola? Uno come me, insignificante e invisibile. Uno che ha fatto un simile disastro davanti ai suoi occhi. Uno di cui Victor non ricorderà nemmeno il nome.

 

No… non avrò mai più neanche la tentazione di cercare di incontrarlo di nuovo, dopo essermi illuso nel corto e poi aver combinato un tale schifo. 

Il bilancio della mia trasferta a Sochi è  deprimente. Ho perso la gara più importante della mia vita, ho perso il mio Vicchan, ho perso ogni speranza di realizzare il mio sogno e di conoscere Victor. Sono stato buono soltanto a coprirmi di ridicolo in pista davanti a tutto il mondo e poi bere fino a dimenticare persino dove mi trovassi.


Quando Phichit è venuto a prenderci all'aeroporto, ho impiegato un minuto scarso a raccontargli di quei tre giorni che hanno distrutto la mia vita.

“Ero terrorizzato per la gara, preoccupato per il mio cane. Ho superato la prima prova soltanto grazie all'incoraggiamento che tu mi hai dato e alle rassicurazioni che mi hai fatto riferire da Celestino. Ho creduto di farcela, dopo il programma corto, per un attimo ci ho creduto davvero, ma poi sono crollato. Ho perso il mio cane, ho mangiato fino a scoppiare, ho perso la gara, ho perso la mia dignità. Ho perso l'occasione della mia vita di conoscere Victor e mi sono ubriacato per dimenticarmi di ogni cosa. Per fortuna Celestino mi ha riportato in hotel e non mi ha mai fatto domande su come mi fossi sentito.

È tutto.”

 

Phichit mi ha guardato dubbioso, ha provato ad avanzare delle proteste, ma Celestino ha scosso la testa e gli ha fatto capire di non indagare oltre. Sono proprio fortunato ad avere Celestino come coach, è un brav’uomo che sopporta stoicamente un atleta miserabile come me.

 

Dopo Sochi mi sono rimasti solo lui, Phichit e uno strano segno viola che ho sul collo. Devo essermi fatto male e nemmeno me ne sono accorto, ubriaco com'ero. Adesso, non ho più neanche un sogno, non ho più nemmeno la speranza di poter incontrare ancora Victor e provare a rivolgergli la parola.

 

Adesso ho davvero toccato il fondo.

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Capitolo 13
*** Entanglement - 2013 ***


Entanglement - 2013

Yuuri         ||        Victor

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt: calcio

 

NOTE DI REGIA: Tutta questa raccolta (long spezzettata?) presenta dei riferimenti temporali con indicazioni degli anni in cui si svolgono i vari capitoli. Ho fatto delle ricerche, per quanto si parli di un prodotto di finzione, e sono giunta alle seguenti conclusioni. 

Il GP di Sochi è realmente avvenuto nel dicembre 2012.

In seguito, nell'anime viene detto che “un anno dopo, a marzo…” Yuuri torna in Giappone. Ad aprile arriva Victor a fargli da coach e l'anno stesso si conclude con il GP delle ultime puntate, a Barcellona. Questo GP è realmente avvenuto, nel dicembre 2014.

Questo mi fa dedurre che tra “il prologo” (Sochi) e “l'epilogo” (GP Barcellona) siano passati due anni.

Yuuri rientrerebbe dunque ad Hasetsu un anno e tre mesi dopo Sochi, quindi nel marzo 2014, non l'anno solare dopo (marzo 2013), cioè dopo soli 3 mesi dal GP di Sochi. Il che è verosimile, in quanto nel frattempo viene detto che non riesce a qualificarsi al Campionato Mondiale, arriva undicesimo ai Nazionali Giapponesi, salta il Four Continents e le Universiadi. Più si laurea e molla Celestino. Il tutto in tre mesi farebbe andare via di cervello non solo Katsudon, ma tutto il genere umano…

Inoltre il Campionato Mondiale vinto da Victor con “Resta vicino a me” si svolge in Giappone e nel 2014 il CM si è effettivamente svolto in Giappone (a Saitama, Tokyo, mentre nell'anime viene indicato Yoyogi, Tokyo, ma sono dettagli…).

Quindi… niente: tra Sochi e l'arrivo di Victor ad Hasetsu passa un anno e quattro mesi, tempo avvolto nel mistero. Convincetemi che stia sbagliando, se la pensate diversamente. A onor di cronaca, nell'anime, almeno nei sottotitoli in italiano, ci sono qua e là alcune piccole discordanze con questa mia teoria, ma discordano a loro volta con la reale possibilità che manchi un anno intero all'appello (per tutto quello che ho scritto sopra) e sono anche abbastanza dubbiosa sulla bontà delle traduzioni. Quindi mi baso sulla realtà dei fatti (GP Sochi 2012, CM 2014 in Giappone e GP Barcellona 2014).

 

Ecco, in questo capitolo e nel conclusivo, il prossimo, ho voluto coprire i missing moments di questo anno “di mistero”.

Enjoy!

 

PS: questo è un capitolo a “intervista doppia”, diciamo… capirete voi chi parla via via.

 

---


Ho conosciuto un ragazzo, frequenta i miei stessi corsi all'università e gioca a calcio, nella squadra nel club dell'università.

 

*°*°*°*

 

Ho conosciuto un uomo. Frequenta la compagnia di vecchie amiche e gioca a calcio, nello Zenith San Pietroburgo, ma è di Kazan. 

 

*°*°*°*

 

Si chiama Peter, ha un anno più di me ed è il centravanti della squadra. A giugno si laureerà.

 

*°*°*°*

 

Si chiama Aleksandr, ha due anni meno di me ed è terzino. Un ottimo terzino.

Cos’è un terzino?

 

*°*°*°*

 

Peter ha un carattere effervescente e vitale, non l'ho mai visto imbronciato o arrabbiato. Sorride sempre e, quando non sorride, ride. Anche quando dorme gli angoli della sua bocca sono piegati all'insù. Ho guardato Peter dormire solo una volta, mentre io non riuscivo a chiudere occhio per l’ansia. Peter è felice di poter giocare a calcio e ci mette tutto se stesso per poter diventare un fuoriclasse famoso.

 

*°*°*°*

 

Aleksandr è un tipo serio, riflessivo, ha una personalità forte, ma non esuberante. Sa cosa vuole nella vita, perché lo ha già ottenuto. Sua madre è kazaka, suo padre è russo fino al midollo. Aleksandr è come lui, ma ha tratti fin troppo orientali. Per questo mi ha attratto. Ha gli occhi scuri e i capelli neri e quando dorme, non dorme mai davvero, è sempre guardingo e all'erta e se mi sveglio per primo, non riesco mai a guardare il suo viso rilassato tra le spire dei sogni, perché lui ‘mi sente’ e si alza subito.

 

*°*°*°*

 

Peter è il tipico americano biondo, con gli occhi azzurri, ha una bellezza solare, estiva. Ho avuto la conferma che mi piacciono i maschi quando ho conosciuto Peter e, per un po’, ho creduto che non ci fosse niente di più giusto di aver conquistato finalmente la consapevolezza di me stesso. Ma tra il dire e il fare c’erano di mezzo i poster di Victor appesi in camera mia e la sensazione che non fosse la prima volta che guardavo un altro, a pochi passi da me, con la fame negli occhi.

 

*°*°*°*

 

Ho incontrato Aleksandr per la prima volta a inizio giugno, a un concerto. Alcune ragazze stavano chiedendogli l'autografo e lui borbottava qualcosa circa il fatto che odiasse essere famoso. L'ho avvicinato, non so perché, forse perché pensavo di attirare l'attenzione di quelle fans su di me e lasciarlo libero. Ho scoperto per la prima volta con Aleksandr che il pattinaggio è un circuito chiuso e che il resto del pianeta non conosce e non ha il minimo interesse a conoscere il mio mondo. Neanche Aleksandr. Per tutti esiste solo il calcio. Nessuno mi ha riconosciuto a quel concerto, tutti gli occhi erano per lui e anche i miei ci hanno messo poco a seguire la massa. Avevo bisogno di qualcosa che calamitasse la mia attenzione e l'ho trovata. Cercavo Yuuri e ho trovato Aleksandr.

 

*°*°*°*

 

Peter è una calamita per le ragazze, ma gli piaccio io. Non ha usato molti giri di parole per farmelo capire. Mi ha aspettato fuori dalla facoltà, un mercoledì pomeriggio di inizio giugno e mi ha detto: “Yuuri, mi piaci. Nel senso che… sono gay e mi piaci davvero. Se per caso anche a te interessassero i ragazzi… beh, ti andrebbe di uscire insieme un giorno di questi?”

Il mio viso ha sperimentato alcune temperature di colore mai provate prima, mentre elaboravo quelle parole così schiette.

 

*°*°*°*

 

Non pensavo che Aleksandr fosse interessato agli uomini, popolare com'era tra le donne, e ho dovuto usare tutta la mia arte oratoria per convincerlo a scappare dal concerto insieme a me. “Sono della zona, se vuoi conosco un posto più tranquillo dove non ti troveranno mai” e l'ho portato alla Società Sportiva dei Campioni, dove mi alleno.

“Giochi a hockey?” Mi ha domandato. “No, io pattino…” “In che senso?” “Pattino… pattinaggio artistico di figura. Sono abbastanza famoso come…” “Sei uno di quelle checche che si mettono le tutine con le paillettes e ballano sul ghiaccio?” 

Voleva prendermi in giro? Interessante… Ho realizzato in quel momento cosa si provi ad essere considerati ‘nessuno’ e quanto bruci sentirsi giudicati senza conoscermi. Ho duellato con Aleksandr e a lui è piaciuto. 

“In verità preferisco pizzi e piume, ma anche le paillettes possono andare, se il personaggio lo richiede… Comunque, questa checca, non conoscerà la differenza tra un terzino e un centravanti, bello mio, ma ha vinto più ori di quanti non ne vincerai mai tu in una vita intera, con altri dieci gorilla a inseguire un pallone.”

Aleksandr allora mi ha fatto un sorriso strano.

“Dimostrami che sei un uomo e non una checca…” 

Allora io gli ho fatto un sorriso strano.

“Posso tagliarti la gola con una lama mentre eseguo un quadruplo Flip e non te ne renderesti neanche conto. Ma tu non hai idea di cosa sia un quadruplo flip, no? Beh, è qualcosa per cui servono addominali e quadricipiti più allenati dei tuoi. Lo senti?” 

Aleksandr ha trovato subito molto interessanti i miei addominali e mi ha dato ragione. Siamo finiti a letto insieme quella sera stessa, lui è stato un bravo bambino ubbidiente e io gli ho dimostrato… beh, lo ha capito quello che gli ho dimostrato. Non sapevo se ridere o piangere, se lo detestavo o mi interessasse, ma sicuramente è stato qualcosa di molto, molto diverso da quello cui ero abituato. Da quello che turba i miei pensieri da sei mesi.

 

*°*°*°*

 

“Io… sì… cioè… no… non lo so… Proviamo?” Ho detto a Peter e lui mi ha sorriso. “Dai, forte! Andiamo a vedere Breaking Dawn domani sera e poi ci facciamo un hamburger dal Mac?” “Veramente domani sera io…” “Vabbè, no problem! Ma non hai dietro la tua solita borsa per gli allenamenti, oggi, quindi sei libero, vero? Usciamo stasera!”

Ho fatto in tempo ad avvisare Phichit che non sarei tornato per cena, che Peter mi ha preso la mano, mi ha trascinato nel parcheggio dietro la biblioteca e mi fa fatto montare sulla sua moto. “Andiamo!” Mi ha detto ed è partito a tutta birra.

Ci siamo fermati in un pub e abbiamo bevuto un po’, dopo il cinema e il fast food, prendendo in giro i personaggi del film e poi mi ha baciato. Era il mio primo bacio. 

Era il mio primo bacio?

Se considero quelli scambiati anni fa con due sconosciute, mentre ero ubriaco al mio compleanno, no, non lo era. Quindi doveva essere il mio primo bacio con un uomo.

Era il mio primo bacio con un uomo?

Direi di sì… eppure il mio corpo ha reagito come se fosse qualcosa di già sperimentato. La versione sbiadita di qualcosa di già sperimentato, forse perché era accaduta soltanto nei miei sogni.

Io non sto bene.

 

*°*°*°*

 

Aleksandr ha il terrore che qualcuno scopra che è gay. Ne andrebbe della sua carriera, della sicurezza della sua famiglia, del suo onore. “Come fai a non aver paura anche tu?” Mi ha domandato la terza volta che tornavamo a casa mia. “Non ci ho mai pensato così seriamente”, gli ho risposto. “Sono un uomo libero in un paese libero, a chi vuoi che importi con chi vado a letto!?”

Ha scosso la testa e mi ha dato le spalle.

“Importa a me. Perché tu non devi andare con nessun altro, capito? Ma non devi dire a nessuno che lo fai con me. Perché questo non è un paese libero, ficcatelo in testa, Victor.”

Sono un po’ morto dentro, in quel momento, ma ero accecato da lui. Completamente accecato. Avevo bisogno di un miraggio col quale illudermi di poter placare la mia sete.

 

*°*°*°*

 

Ho deluso Peter. Aveva preparato una cenetta romantica nel suo alloggio, scacciando i due coinquilini e cucinando carne stufata e purè di patate tutto da solo. Ha preso il vino, ha messo su la musica e ha iniziato a baciarmi. Mancava poco, poco davvero, a… Ma ho avuto paura. Lo conosco da troppo poco tempo e… “Non importa, bello. È tutto ok”, ma non era per nulla ok, perché mi ha… mi ha chiesto delle cose che mi vergogno solo a pensarle. Ho qualche problema, non c'è dubbio. Peter mi piace, mi piace tanto, è affettuoso e per niente permaloso e sa anche come convincermi e mettermi a mio agio. Allora perché sono così spaventato dal fare cose con lui? 

 

*°*°*°*

 

Aleksandr ha una partita importante, tra una settimana, e si rifiuta di venire a letto con me. “Il preparatore atletico è stato categorico: niente sesso ché vi spompate, ha detto.” E così è una settimana che non ci vediamo o se ci vediamo noi non… eppure è così bello quando lo facciamo. Io mica mi faccio tutti questi problemi, anche se ho una gara, e dubito che a lui serva tutta la mobilità che serve a me sulla pista.

Decisamente odio il calcio.

 

*°*°*°*

 

Peter è venuto a vedere i miei allenamenti ed è rimasto flashato. Dice che è stupefacente quello che riesco a fare, che lui non ci riuscirebbe mai. Mi ha stupito, perché di certo non ero in forma. Non lo sono più da quel dannato ultimo posto al Grand Prix di Sochi. Mi ha devastato e tolto quel briciolo di coraggio che avevo, infatti sto accumulando un fallimento dietro l'altro. Ma per Peter sono bravo. Ha voluto provare i pattini e, quando se ne sono andati tutti, l'ho accontentato. Si è fatto male a un ginocchio e rideva come un coglione mentre lo accompagnavo al pronto soccorso. Sarebbe stato fermo per due settimane dal calcio ed era colpa mia, accidenti!

“Appena riparto vieni a fare una partita con me!” Ha detto tutto spavaldo. Non so se volesse mostrarmi che nello sport lui è davvero bravo o se invece meditasse di rompermi una gamba per vendetta. Io non ci vado a giocare a calcio con lui, nemmeno se mi prega in cinese!

 

*°*°*°*

 

Aleksandr ha fatto schifo nella sua partita importante, o, almeno, non ha fatto goal, che per quanto ne so io di calcio, vuol dire fare schifo. Dice che un terzino non deve fare goal e me l'hanno confermato anche quelli in tribuna accanto a me, quando sono andato a vedere la partita con un biglietto omaggio. Si vede che non ci capisco proprio nulla. Per me è tutto un impiastro di sudore e muscoli, tatuaggi e testosterone. L’unica musica che c’è durante una partita di calcio, è quella dei cori gutturali e inneggianti alla violenza. Ecco cos'è il calcio. Era meglio se mi trovavo un musicista, se lo scopo era quello di non pensare. Aleksandr, quella sera, è tornato da me esausto, ma troppo galvanizzato dalla vittoria della sua squadra, affamato e rapace e mi ha mostrato come nel calcio conti essere i più aggressivi, i più crudeli possibile, quando si tratti di spezzare caviglie, legamenti, cuori, pur di essere i primi. Mi ha spezzato quella volta, Aleksander, e forse mi sta bene così. 

 

*°*°*°*

 

Oggi Peter si laurea. Ho detto a Phichit e Celestino che sarei stato tutto il giorno in facoltà, che devo recuperare per l'ultimo esame, e che non sarei tornato neanche a cena. È una bugia.

“Non importa”, mi ha risposto Phichit: “Tanto oggi non mi alleno nemmeno io. Vado con Sarah a Lansing a piazzare tre criceti. Sarà dura separarmi da loro…”

La coppia di animaletti che Phichit aveva portato con sé al suo arrivo a Detroit, due maschietti, ci ha lasciato sei mesi fa. Ne ha presi altri due, ma questi sono un maschio e una femmina... Nel giro di un mese ci siamo ritrovati in casa otto criceti. Dopo due mesi erano tredici minuscole palline di pelo e due genitori fertili e incazzati. Per questo Phichit sta cercando di dare via le cucciolate e lo fa insieme alla sua ragazza. Si sono messi insieme una sera di marzo, mentre io ero solo in casa a ingozzarmi di patatine e guardavo una replica di Friends alla TV, e su un altro canale andava in onda la finale del Campionato Mondiale. Il quarto di fila che ha vinto Victor. 

Celestino ha preso un nuovo atleta di quindici anni da allenare e non fa più caso alle mie assenze. Anche Phichit non fa più caso al fatto che sono spesso altrove, non gli ho mai detto nulla di Peter e lui non mi ha mai chiesto nulla. 

Non racconterò a Phichit di Peter, qualcosa mi dice che cercherebbe di convincermi a non uscire più con lui, in virtù di una folle fedeltà che dovrei rispettare nei confronti di Victor Nikiforov. 

Ma forse anche Peter è solo un'idea. Come Victor.

 

*°*°*°*

 

“Sei diventato sfuggente, Victor”, mi ha detto Aleksandr dopo che avevamo fatto cose, l'altra notte. “Hai la testa altrove, è così?” Nella penombra dei punti led dimmerati al minimo, in camera mia, ho guardato il suo profilo in controluce. Capelli neri e occhi tagliati all'orientale.

“È così. Io vivo in fuorigioco, tu marchi stretto.”

“Non vuol dire un cazzo!”

“Lo sai, non ci capisco nulla di calcio. Dormiamo adesso”, ma non ho chiuso occhio. È stata la prima volta che ho potuto guardare Aleksandr dormire, ma non me ne fregava più niente. È stata anche la prima volta in cui non ho resistito a una tentazione che mi strizzava il fegato da dicembre. 

Prima di andarmene dalla stanza dell'hotel dove Yuuri Katsuki russava con più alcool in corpo che sangue, quella notte a Sochi, avevo premuto il suo indice sul punto di sblocco del suo telefono e avevo chiamato il mio. Volevo avere il suo numero e non avevo avuto il coraggio di chiederglielo. Quella notte, con Aleksandr che mi respirava accanto dopo che avevamo avuto un rapporto, ho fissato per mezz'ora la scheda di Yuuri registrata in rubrica, immobile come un concentrato di angoscia e rimpianti. Poi ho aperto WhatsApp sulla chat immacolata. Perché, Yuuri, non mi ha mai cercato? Perché non ha significato nulla, tutto quello che ci siamo detti quella sera? Perché mi sono illuso che avrei potuto davvero spezzare la mia carriera per uno sconosciuto che non aveva significato niente, per me?

Perché guardo Aleksandr dormire accanto a me e immagino che ci sia Yuuri, al suo posto?

Perché sono un bugiardo e non ammetto finalmente che Yuuri ha significato così tanto e invece di tenermelo stretto, l'ho lasciato uscire dalla mia vita in sordina, così come vi era entrato?

 

*°*°*°*

 

Peter ha voluto che ci fossi anch'io alla sua festa di laurea. Ho conosciuto i suoi compagni di squadra, i suoi genitori e suo fratello più grande. Mi ha presentato come “un compagno di studi che si laureerà entro l'anno”. È ottimista, Peter, e sono state ottimiste quelle ragazze che per tutta la festa hanno ballato con lui, pensando di strappargli un appuntamento, finché, come tutti, non sono tornate a casa all'alba, quando la festa è finita.

“Dopo devo dirti due cose, aspetta ad andartene”, mi detto Peter. Sotto le luci agli ultravioletti della discoteca dove ha festeggiato, i suoi capelli apparivano così chiari e gli occhi talmente trasparenti che ho creduto di guardare Victor, per un istante. 

“Eccomi!” Ha esclamato dopo aver salutato tutti gli invitati, mentre riemergevo da un angolo in disparte dove mi ero isolato. Mi ha baciato, ma le luci erano cambiate, Peter aveva di nuovo i capelli biondo scuro e gli occhi del suo colore bellissimo, ma torbido.

“Ho una notizia bella e una brutta, quale vuoi sentire per prima?”

“Quella bella.”

“Mi hanno regalato una mini vacanza per due a Cape Cod, posso portare chi voglio. Vieni con me? Si parte tra due settimane!”

Il mare! Ho sorriso “Sì”, gli ho detto “È bellissimo, Pete!”

“Adesso la cattiva…”

“Spara!” Nulla poteva adombrare l'aspettativa di scappare sul mare con Peter, neanche il fatto che non fosse l'uomo per cui ho vissuto e lottato e amato il ghiaccio da quando ho ricordi.

“Tra due mesi devo andare via. Mi trasferisco a Chicago. Mi hanno preso nella squadra di calcio di serie B e mi hanno assicurato che potrò fare strada, se mi impegnerò con tutto me stesso.”

“Oh… Congratulazioni…”

Non siamo andati a Cape Cod. È finita quella sera stessa, con un lungo bacio d'addio, la promessa che ci saremmo tenuti in contatto e l'ultimo tentativo da parte sua di passare la notte insieme.

Ho declinato, la notte ormai era scolorita in un'alba grigiastra e dopo quattro ore avrei avuto lezione e poi gli allenamenti e quell'impegno che rimandavo da un bel pezzo e…

Peter e io siamo stati insieme per cinque settimane e due giorni, ci siamo avvicinati con un sorriso e lasciati con un altro sorriso. Non ci siamo più sentiti.

Mentre tornavo a casa, con uno strano senso di liberazione che faceva a cazzotti con l'angoscia che avrei dovuto razionalmente provare, il telefono ha vibrato nella mia tasca. Chi cavolo può essere alle cinque del mattino!?

Era un messaggio di WhatsApp da un numero sconosciuto, c'era scritto soltanto “Ciao. Come stai, Yuuri?”

Ho bloccato il contatto e sono andato a dormire.

Mi sento sospeso, come se avessi messo in standby la costruzione del mosaico della mia vita, come se mancasse un tassello fondamentale per riuscire a mettere al posto giusto tutti gli altri elementi e comprendere cosa mi manchi per sentirmi finalmente completo.

Prima di addormentarmi, ho posato un'ultima volta lo sguardo sui poster di Victor e ho sorriso. 

 

*°*°*°*

 

Aleksandr è stato venduto al Borussia Dortmund, se ne va in Germania. Yuuri non ha mai risposto al mio messaggio. Quest'anno non partirò in vacanza con Aleksandr, come avevamo progettato. Mi ha lasciato dopo un mese e mezzo da quando avevamo preso a frequentarci, con una telefonata. “Parto. Mi hanno offerto veramente tanto, non ho potuto rifiutare e non avrei voluto, in ogni caso. Farò il tifo per te quest’inverno, per le tue gare di pattinaggio. Spero che riuscirai a trovare quello che cerchi e a sconfiggere i tuoi demoni.” Ho accolto la notizia quasi con sollievo. Quest'estate non andrò in vacanza neanche da solo, ho il cuore indolenzito, ma non per il calciatore. Lui è stato un periodo, una spunta sull’elenco delle cento cose da fare per dimenticare quello che mi manca. C’è troppa confusione nella mia testa, troppo silenzio nel mio cuore. Voglio rimanere a casa. Mi sono distratto a sufficienza con l'illusione di cancellare con un colpo di spugna un tormento che non mi abbandona.

Sto ancora aspettando un segnale da parte tua, Yuuri Katsuki e non voglio più distrarmi e distogliere l'attenzione. La mia vita va avanti uguale a sé stessa, finché non mi cercherai tu. Allora sarò pronto a scattare sull'attenti e correre da te. E se non mi cercherai mai, continuerò a pattinare e a fare l’amore con te attraverso le emozioni che mi regalerà ancora il ghiaccio.




 

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Capitolo 14
*** Stammi Vicino - 2014 ***


Stammi Vicino - 2014

Yuuri  ||  Victor



 

OS seguito delle precedenti e conclusiva. Questa OS non partecipa alla challenge “Prime volte”, ma è un missing moment che volevo includere nella raccolta e che la completa (forse.)


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Yuuri ha battuto il suo record personale: nel duemilatredici ha fallito tutto.


I Campionati Nazionali giapponesi: è arrivato undicesimo di dodici e il dodicesimo si è ritirato.

 

Il Four Continents: o meglio, a questo non si è mai qualificato.

 

Le Universiadi invernali: ma aveva da preparare la tesi, era quasi giustificato.

 

Le qualificazioni al Campionato Mondiale: tecnicamente già fallite con la sua disfatta al nazionale.

 

La riuscita di un rapporto di coppia: ma, quello con Peter, non lo ha mai considerato un vero obiettivo.

 

Dimenticarsi di Victor Nikiforov: che era il motivo per cui aveva provato a farsi andar bene Peter, anche se non lo ammetterebbe nemmeno a uno dei criceti di Phichit, morti ammazzati dai loro genitori prima ancora che gli spuntasse il pelo.

 

Ha fatto poker, praticamente. Anzi, poker più uno.

 

Per completare il capolavoro dell'anno dispari, gli sarebbe mancato mandare a monte tutti i suoi piani a Detroit e rompere con Phichit e Celestino, ma è abbastanza fiducioso che, quei due eventi, non possano verificarsi mai. Anche perché l'anno finalmente finisce nella più totale anonimia.


Alle prime luci del duemilaquattordici, dopo una mezzanotte passata a veder prima pomiciare Phichit con Sarah e poi a consolarlo, quando lei lo ha mollato su due piedi alle tre di notte, dicendo “non sei un vero uomo”, Yuuri è certo che sarà un disastro pure il nuovo anno, nonostante il tentativo di iniziarlo festeggiando al Motor City New Year's Eve  e annaffiando il freddo della notte con birra e una bottiglia di champagne economico comprata a metà.

Per lo meno Phichit è sempre con lui.

 

Pur essendo due amici per la pelle, però, Yuuri e Phichit hanno una differenza sostanziale: mentre Yuuri, quando si ubriaca, dimentica ogni cosa, Phichit invece tende a ricordare anche dettagli di un passato lontano e ha la sgradevole tendenza a riaprire argomenti già chiusi e accanirsi finché non ottiene risposte alle questioni in sospeso.

È per questo che, tra un pianto disperato e l'altro, il thailandese dice cose che spezzano la residua autostima di Yuuri e, senza volerlo, gli danno il colpo di grazia.

 

-... ma io l'amavo! Che vuol dire ‘non è la morte di nessuno’!? Parli bene, tu, che ti sei sentito sollevato, quando ti sei lasciato con il calciatore!- Esclama Phichit all'ennesimo tentativo di consolarlo da parte di Yuuri.

-Co… cosa!? E tu come lo sapevi?- Yuuri è già tutto rosso come un peperone, perché se Phichit ha detto quella cosa, allora ha piena consapevolezza del fatto che lui sia omosessuale DOCG e non soltanto a livello puramente teorico, cosa che finora era stato un assioma della loro amicizia. A Yuuri piaceva Victor Nikiforov e non gli piacevano le ragazze, dunque non poteva essere che gay.

-E dai, Yuu-chan! Vi ho beccati una volta che vi baciavate dietro la biblioteca e ti ho visto come ti facevi bello ogni volta che dovevi andare anche soltanto a fare la spesa, e poi non sei affatto bravo a parlare piano al telefono, quando ti chiudi in bagno! Ho il letto al di là della parete, credi che non sapessi tutto fin da principio?-

-Ma… allora… perché non mi hai mai fatto domande?- Yuuri è disorientato. Una frequentazione che stava iniziando a dubitare fosse mai esistita davvero, dal momento che non aveva lasciato alcuna traccia nella sua vita, era adesso resa pubblica e quindi diventava reale.

-Perché, se volevi parlarne, lo avresti fatto tu per primo. Siamo amici noi… no…?-

C'è un filo di incertezza in quella domanda/affermazione.

-Certo che siamo amici! Non dubitarne nemmeno per un secondo! Io ti racconto sempre tutto… beh… a parte questa storia che…-

La voce si affievolisce sempre più, Yuuri si fa piccino piccino. Phichit invece si picca ancora di più.

-Tanto che importa! Il mio coinquilino si è fatto per due mesi il ragazzo più sexy della facoltà, ma mica ci sono rimasto male, che non me l'ha detto! Erano affari suoi!-

-Non è durata due mesi e non mi sono fatto nessuno, io!-

Yuuri strilla color tramonto d'estate sul mare e Phichit strabuzza gli occhi.

-E dovrei crederci? Come quella volta che sei tornato da Sochi depresso come un calzino smarrito in lavatrice e con un succhiotto sul collo? Ma dai!?-

-Io cosa???-

Gli occhi di Yuuri, resi ancora più enormi dalle lenti degli occhiali, sembrano due pancake accanto a una faccia di marmellata di fragole. Phichit dà una sorsata direttamente dalla bottiglia di champagne che si sono divisi e alza un sopracciglio.

-Tu sei tornato da Sochi sconsolato per la sconfitta e la delusione di non aver parlato a Victor, ma con un succhiotto tondo e viola sul collo, grande quanto il Lake Saint Clair! Ergo, qualcosa hai fatto, mentre eri lì, con qualcuno… Perché non penso proprio che te lo sia fatto da solo o che Celestino abbia cambiato sponda due minuti dopo averti abbandonato ubriaco al party di gala, arrabbiato e offeso con te! Però è un anno che non ti decidi a parlamene e io sono molto deluso!-

 

Yuuri è sconcertato da quello che sente, la sua testa smette di tentare di dare una logica a quelle parole e va in burn out. Quasi quasi gli fumano le orecchie.

-Io avrei fatto…? E Celestino era offeso…? Mi avrebbe abbandonato…? Ma che stai dicendo, Phichit!? Io ero distrutto, semmai, mi sono ubriacato dalla disperazione, sì, e Celestino mi ha riportato in albergo, perché ci tiene a me! Mi sarò fatto male in gara o… non lo so! Per questo avevo un livido. Li-vi-do!-

Strappa dalle mani di Phichit lo champagne e prende una lunga sorsata. Mentre il liquido si espande nella sua bocca e le bollicine salgono su al naso, una potente sensazione di deja-vu colpisce Yuuri in mezzo al petto e gli strappa il respiro.

-Senti, bello: non vuoi parlarne? Ok, chi se ne frega. Vuoi parlarne? Benissimo, sono tutt'orecchi. Ma non prendermi per deficiente, che proprio non è serata… Allora, visto che mi pare che tu mi stia prendendo in giro, decido io: parlane, voglio finalmente una spiegazione. Cos'è davvero successo la notte prima che tornaste da Sochi? Perché io sono morto dalla curiosità, tutte le mattine che entravi in cucina grattandoti le palle e sbadigliando con la faccia al soffitto, tipo che volessi mettere in mostra quel bollo che avevi sul collo, finché non è sparito da sé! Adesso sono io quello a pezzi… è tuo dovere di migliore amico distrarmi, tirarmi su il morale, raccontarmi qualcosa che mi dimostri che non sono l'unico coglione che si fa lasciare a una festa della ragazza più dolce e bella e…-

-Su! Su, Phich, non ricominciare a piangere adesso…- Yuuri lo prende per le spalle e lo scrolla un po’. Phichit è arrabbiato, frustrato, deluso e vuole che il suo migliore amico gli dimostri di esserci passato anche lui oppure che… che cazzo! -Fammi vedere che sei mio amico e parla, dannazione, che è un anno che muoio dalla curiosità e sembra che tra te e Celestino abbiate la bocca cucita!-

L'ha presa come una questione di vita o di morte, ma Yuuri davvero non sa come rispondere.

-Io… Non so che dirti, Phichit, non mi ricordo niente… Un attimo prima ero alla festa e mi stavo ubriacando a champagne per la vergogna, e un attimo dopo sento Celestino che entra in camera, chiude la porta dietro di sé e mi dice “Come ti senti, Yuuri? Perdonami se…” Oh cazzo!-

 

Perdonami se mi sono arrabbiato e ti ho mollato alla festa da solo. 

 

-’Oh cazzo’? Che ti prende ora?-

Yuuri guarda Phichit e sbianca.

-Mi è tornato in mente che… Hai ragione… Celestino mi ha davvero mollato alla festa da solo! Brutto stronzo, inaffidabile, traditore! Sarebbe meglio che mi trovassi un altro allenatore, ecco che mi prende!-

 

… be my coach?

 

-Oh cazzo…-

-E ora che c'è?-

I pancake adesso sono avvolti dal giallo malaticcio di una faccia di sciroppo d'acero. Yuuri si sforza di ricordare, di trovare la conferma in un frammento più esteso di quella pellicola bruciata, se davvero abbia mai pronunciato quelle parole che gli sono tornate alla mente, e soprattutto a chi. Si sforza, si fa venire il mal di testa, ma niente, proprio non ricorda.

-Dici… che non sono tornato in camera… da solo?- Domanda balbettando.

-Ti ho visto ubriaco, amico, e non credo proprio che ne saresti stato in grado, nemmeno se il party fosse stato al piano terra del tuo hotel… Forse ti ci ha accompagnato qualcuno e hai passato una notte di sesso bollente con lui. Lei. Insomma, non ho ancora capito se sei un tipo da tette o cazzi…!-

-Phichit!-

-Phichit cosa? Tette o cazzi?- È un sorriso alcolico, ma almeno è un sorriso e Yuuri gliela deve una risposta chiara, non per deduzione dopo aver origliato le sue telefonate con Peter.

-Ca… insomma, mi piacciono i maschi, Ok? E non parliamone più!- È di nuovo fragoloso, come un tramonto d'estate, il pomodoro sulla pizza, un segnale di stop in mezzo alla neve.

-Quindi ci sei andato, con Peter Smith, sì o no?-

-No!-

-Non ci credo…-

-Devi credermi, invece!-

-Era talmente bello che me lo sarei fatto pure io…-

-Phichit!-

Phichit guarda il viso scandalizzato di Yuuri e ride, finalmente.

-Vabbè… Vorrà dire che morirò senza sapere cosa’hai combinato a Sochi… Ma secondo te, dimmelo in totale onestà, Yuu-chan, cos’ho sbagliato con Sarah?- E ricomincia a piangere.

Yuuri è sollevato, può distrarre l'attenzione dell'amico da quei discorsi su di lui. Dà una sorsata allo champagne e passa la bottiglia a Phichit.

-To’ finiscila pure. Non lo so cos’hai sbagliato con Sarah, Phich-chan, ma di sicuro io non sono la persona più adatta ad aiutarti nelle faccende di cuore, mi dispiace… Sono uscito con Peter solo per togliermi dalla testa la mia ossessione per Victor e la figura di cacca che ho fatto alla gara e…-

-... E ci sei riuscito?-

-No…-

Cala il silenzio. Dopo un po’ Phichit risucchia aria dalla bocca e pronuncia la frase più saggia di tutta la notte di inizio anno.

-Siamo proprio due frane in amore, Yuu-chan! Proprio due frane che resteranno da soli per tutta la vita, a ubriacarsi per non pensare alle occasioni perse…-


---


Yuuri passa le prime settimane dell'anno ad arrovellarsi il cervello per ricordare cosa sia successo davvero a Sochi e a terminare la stesura della sua tesi.

Celestino non gli appare più come lo zio simpatico pronto a farsi in quattro per lui e si scopre diffidente nei suoi riguardi. Al termine di un allenamento disastroso, in una mattinata di sole che si infila gioioso attraverso le vetrate del palazzetto in cui si ritrova la squadra di pattinaggio, Yuuri rompe gli argini e si ammutina alle indicazioni dell'uomo.

 

-Arrivaci con più velocità, Yuuri!-

-Mi ammazzo se vado più veloce, Celestino!-

-Fai come ti dico, almeno provaci una volta! Devi fidarti di me, dannazione!-

È la goccia che fa tracimare il vaso.

Yuuri accelera, ma nella direzione opposta e arpiona le punte dei pattini quasi sul limite del ghiaccio, sbattendo sulla barriera davanti all'allenatore. Allunga una mano e lo afferra per il bavero del giaccone.

-Dovrei fidarmi di te!? Sei sicuro che possa davvero fidarmi di te, eh, Celestino? Di uno che mi ha nascosto una cosa così importante? Come ci sono tornato in hotel l'ultima notte a Sochi e perché mi hai mollato, da solo e ubriaco fradicio, a quel party? Voglio una risposta!-

Celestino sbianca, Phichit ascolta quella minaccia, prende il ragazzino nuovo che si allena con loro e lo fa allontanare verso il lato opposto della pista.

Yuuri molla la presa, realizza la gravità di ciò che ha fatto e si sente morire.

-Io… perdonami Celestino… Non importa… È passato un anno ormai…- Non riesce a dire di più. 

Si aspetta che l'uomo inizi a urlare e lo cacci via, è il minimo che si meriterebbe per una tale mancanza di rispetto. Celestino invece sospira e gli mette una mano sulla spalla.

-Sono io che devo scusarmi con te, Yuuri, perché è vero che ti ho lasciato da solo quella notte, ma nemmeno io so come tu abbia fatto a tornare in albergo, chi ti abbia aiutato o cosa sia successo, devi credermi. E… un'altra cosa, Yuuri…- Prende più aria che può e la soffia via un un sospiro sofferto. -Credo di non essere più in grado di allenarti… Ci sto pensando da un po’. Tu sei un atleta incredibile, non hai idea di quanto tu sia meraviglioso, quando sei nella giusta disposizione psicologica. Non sei secondo a nessuno, nemmeno a… al tuo Victor Nikiforov. Hai delle potenzialità spaventose, Yuuri, ma io… non sono l'allenatore adatto a te. Non riesco a farti fiorire, non riesco a comprendere cosa ti passi per la testa, come acquietare le tue ansie e come esaltare i tuoi punti di forza. Yuuri, io…-

 

Phichit guarda la scena fingendo di ascoltare i bla bla bla del ragazzino che gli parla, ed è preoccupato. Ora Yuuri abbassa la testa, poi lo fa Celestino. Rimangono in silenzio. Ora Yuuri e Celestino si stanno abbracciando, Yuuri piange, Celestino lo stringe di più, si allontana, lo serra alle spalle e si abbassa per guardarlo negli occhi. Ora sorridono entrambi, Yuuri vacilla, domanda qualcosa all'uomo e poi manda su e giù la testa, con aria determinata.

Ora si allontana da lui e riprende a pattinare in cerchio, sempre più veloce e salta un Lutz sottoruotato, ma esageratamente alto e poi inizia a fare piroette e, a ogni giro Phichit lo vede sorridere e piangere, sorridere e piangere e le lacrime schizzano attorno a lui. Yuuri esce dalla pista e se ne va, Celestino lo osserva, si asciuga gli occhi, stira le guance serrando i denti, sospira e si volta verso di loro.

-Ragazzi, per stamani abbiamo finito. Ci rivediamo stasera alle cinque e mezzo-, dice forte, ma la sua voce s’incrina.

 

---


-E così te ne vai…-

Phichit ha perso l'appetito. Gioca con le briciole di pane accanto al piatto ancora pieno.

-Già… ma prima devo laurearmi, non scappo domani, tranquillo Phich-chan.-

-E continuerai a venire alla pista…-

Yuuri fa un sorriso mesto. -Non ci posso stare senza pattinare, Celestino ha detto che è ok se ci vado quando non ha gli allenamenti con voi, così non vi distraete. E poi così sono libero di provare quello che voglio, magari mi viene in mente un'idea, oppure senza gli occhi puntati addosso riesco a…-

-Se vorrai, io verrò con te e starò buono sugli spalti a guardarti, in silenzio.-

Yuuri vede gli occhi lucidi dell'amico e si sente un mostro. Eppure sarebbe comunque finita prima o poi, lo sapevano entrambi.

-Guarda che non sto morendo… ci vedremo tutti i giorni fino a marzo e poi ci sentiremo via Skype e, appena è possibile, troveremo il modo di incontrarci di persona e…-

Phichit lo fa tacere premendo la mano sul suo braccio che continua a muoversi.

-Lo so-, gli dice. -Ma prima di partire, prenditi almeno un paio di criceti, così non resterai da solo, in Giappone…-

Yuuri ride, si commuove, piange, ride tra le lacrime che cerca di trattenere, stringe forte il braccio di Phichit.

-Sei stato un fratello, per me-, non è ancora il momento di salutarsi, ma il lungo addio è già iniziato.

-Anche tu, Yuu-chan, il migliore di tutti quelli che abbia davvero.-

-Però non me li prendo i criceti, Phich, senza offesa…- e sono pianti e sono risa e sono pacche e sono strette e sono sguardi.

 

---

 

Phichit ha deciso che non manderà quei video a nessuno, tantomeno a Victor Nikiforov. Quel maledetto damerino impomatato aveva promesso che si sarebbe occupato di Yuuri se lo avesse incontrato. Phichit aveva rinunciato ad aggregarsi a Celestino e Yuuri, quando erano andati a Sochi, per non essere di troppo e lasciare che le cose facessero il suo corso, perché sapeva che ci sarebbe stato Victor e finalmente Yuuri lo avrebbe potuto incontrare. Ma Victor non ha rispettato la promessa: gli ha rimandato indietro uno Yuuri spezzato nell'anima, uno Yuuri che adesso se ne va.

Li terrà per sé, quei video in cui il suo fratello d'elezione pattina sulla sua musica, quella che Victor ha presentato col nuovo anno e che lo porterà in Giappone -aaah, destino infame!- a concorrere per il mondiale. Terrà per sé le immagini di quell'angelo che solca il ghiaccio in uno spettacolo commovente, mentre le note struggenti gli si appoggiano addosso e lo rivestono di una maturità artistica che non aveva mai mostrato prima, mentre si appresta a fare i bagagli per tornare a casa e abbandonare il pattinaggio.

Gli ha chiesto perché si ostini a pattinare il libero di Victor. “Perché in un modo che non so spiegarti, sento che parla di me.” Phichit non sa se quella sia solo un’illusione, una follia o il canto del cigno di un pattinatore professionista che sta mollando tutto, ma è certo che nessun programma si sia mai veramente adattato con tale morbida perfezione a Yuuri Katsuki.

Phichit stoppa la ripresa, sospira e mette via il telefono. Saranno solo suoi quei ricordi, sarà solo suo lo Yuuri che pattina con tutta la passione che ha dentro e che il mondo, purtroppo, non conoscerà mai più.

 

Yuuri si ritira, torna a casa, rinuncia al sogno. La sua stella si spegne.



 

 


 


Yuuri…

 

Ho una memoria che è un colabrodo, mi dimentico spesso quello che prometto, quello che dico, i nomi della gente, le loro facce, ma due immagini credo di avere scolpite nella mente: il solco sul ghiaccio che si è creato la prima volta che ho pattinato, a sei anni, e l'espressione dei tuoi occhi mentre mi chiedevi di essere il tuo allenatore.

Non il tuo viso dolce, non il tuo corpo di creta plasmabile, non la tua voce o il modo in cui pronunciavi il mio nome: i tuoi occhi.

Dimentico i momenti, dimentico le situazioni, a volte dimentico anche cosa sto facendo o perché lo faccio.

Ma le emozioni, quelle rimangono attaccate alle fibre della mia anima come vernice indelebile. Ricordo ancora la felicità che provai da bambino quando mi misero la prima volta i pattini ai piedi, lo stupore di quando vidi per la prima volta il mare scuro di San Pietroburgo, l'euforia per il mio primo salto, la soddisfazione della prima medaglia, la paura di restare da solo, quando compresi che nessuno dei miei familiari mi avrebbe mai sostenuto e seguito nella mia vita sportiva, il rimpianto per non aver lottato di più per non perderli, il sollievo di aver avuto Yacov accanto, la gioia quando presi con me Makkachin, il terrore di essere stato a un passo dalla morte, per aver compiuto una sciocchezza, l’orgoglio di potermi comprare una casa con i soldi che mi ero guadagnato, la passione a stento sopita di quella notte con te.

E poi ci sei tu, che hai preso un'emozione e me l'hai spiegata, trasformandola in un sentimento. Per uno come me, curioso e in cerca di qualunque cosa possa ancora sorprendermi, questa scoperta è stata ossigeno su una fiamma ormai spenta.

Credevo che la passione fosse il punto di arrivo in un rapporto tra due persone e invece mi hai insegnato che è il punto di partenza. Che se prendi quella fiamma e hai la pazienza di tenerla stretta tra le mani per il tempo sufficiente a non scottarti più, il calore dolce che emana è un sollievo per il cuore, oltre che per la carne. Che dentro a un ricordo c'è più emozione che dentro a un letto, che l'immagine dei tuoi occhi che brillano affidandomi il tuo futuro è più sensuale dell'immagine di te che balli sul ghiaccio o in mezzo a una sala ricevimenti al gala e incanti tutti.

Che l'amore, folle o giusto che sia, è qualcosa che va metabolizzato e compreso e ha tante facce diverse, ognuna imprescindibile dalle altre.

L'amore è fuoco, l'amore è ridere, l'amore è scoprire è svelare è assaggiare, l'amore è stupirsi e spaventarsi, l'amore è un battito più forte o un battito che si perde, l'amore è il tocco leggero di una mano, lo sfiorarsi di due anime e di due bocche tremanti. L'amore è attesa, l'amore è riflessione, l'amore è tanto più amore se è lontano da chi si ama. L'amore è dubbio, speranza, delusione e nasce nell'attimo in cui, quel che perdi, diventa quel che sei. L'amore è strapparsi un sogno dall'anima e lasciarlo in un cassetto, in attesa che l'amore torni, che il fuoco arda ancora, che lo stupore tolga il fiato e la tua voce s’intoni alla mia per parlare d'amore.

L'amore è scoprire cos'è l'amore e non sorprendersi, perché piano piano è già parte di te, e poi sorprendersi ancora, perché ogni momento d’amore è diverso da tutti gli altri. L'amore è cercare di dimenticare e più ci si sforza, più l'amore scava e lascia una traccia ed è impossibile dimenticarsi dell'amore. Può fare meno male, può trasformarsi in una cicatrice, ma l'unica cosa che non è possibile all'amore è dimenticarsi che esiste.

 

Yuuri… ho ventisette anni, ho avuto tanti amanti, ho solcato cieli, ho riso tanto e pianto ancora di più; ho lottato per cose, ho vissuto cose, ho temuto cose, ho conosciuto cose e ho creduto di aver conosciuto anche l'amore, ma mi sbagliavo. L'amore è irrazionalità, è segreto è follia è assuefazione a non essere corrisposto. È un pensiero latente, ma costante, è la fiamma pilota delle giornate arruffate, pigre e di quelle di azione, di gloria.

Il mio amore folle, irragionevole, immotivato, caldo e luminoso, sei tu.

Anche se io non lo fossi per te, anche se il tempo e la distanza provassero a convincermi che sto prendendo un abbaglio, anche se l'attesa si mangerà la speranza e la speranza porterà via con sé il calore.

L'amore resta tatuato sull'anima per sempre, che sbocci un nuovo amore o che non si ami più.

 

Ho aspettato che tu mi chiamassi.

Ho pregato perché tu lo facessi.

Ho temuto che dimenticassi.

Ho sperato che tu ricordassi.

 

Ho scritto versi che parlano di te e di me, ho inciso su carta le mie emozioni, le speranze, ho imbrattato i ricordi col senso di abbandono, ho fermato quella notte nel tempo del mio sentimento, ho creato una poesia e le ho dato vita sul ghiaccio. Ho cercato un interprete che comprendesse il significato delle parole e dei movimenti e ho partecipato alla scelta delle note cui affidare il mio messaggio per te.

Ho fatto cucire un abito, ho allacciato i pattini e sono sceso in pista, per urlarti di venire da me. Ho vinto ori, ho sorriso davanti agli obiettivi, ma sorridevo a te.

E poi ho aspettato ancora.

 

Da quella notte ho aspettato più di quattrocentoottanta giorni che tu tornassi da me. Più di un anno trascorso in balia di un tepore che mi ha fatto sorridere al risveglio e piangere alla sera, ogni mattina, ogni notte.

Ho stappato champagne, affidando al primo desiderio dell'anno di ritrovarti e rimanendo in disparte, per lasciare la possibilità di scelta a te.

 

Ti ho seguito da lontano e ti ho visto arrenderti, sono volato nella tua terra, dove ti eri ritirato, partecipando a una gara, solo perché speravo di vedere i tuoi occhi tra mille occhi puntati su di me e ho ingoiato un'altra delusione, mentre sorridevo con l’ennesima medaglia al collo e tu non c'eri.

E allora, così vicino a te e mai così lontano, ho iniziato a cedere alla sconfitta, ad abituarmi alla resa, a non graffiare più sulla ferita perché restasse aperta e lasciare che diventasse cicatrice.

 

E poi, un giorno che iniziava a profumare di primavera, ho ricevuto un regalo inatteso.


“Ehi, vecchio! Che cazzo significa questo???”

Il messaggio di Yuri Plisestky, moscone gentile e amorevole che mi ronza troppo vicino, mi ha destato dal torpore di un pomeriggio pigro passato a non far nulla. A cercare di dimenticare.

Il bimbo vuole che guardi un video: saranno gattini incazzati o l’ennesima band hard rock?

Ho un deja-vu, mentre clicco sul link, una volta ci sono rimasto scottato a compiere quel gesto…


Katsuki Yuri esegue il programma FS “Resta qui vicino a me” di Victor*

 

Sei tu…

Di nuovo tu…

E scivoli e voli e vivi un'emozione che ci siamo donati e la fai tua, e la rubi a me. E me la doni.

 

TU-TUM…


Sento una voce che piange lontano

Anche tu, sei stato forse abbandonato?

Orsù finisca presto questo calice di vino

e inizio a prepararmi

Adesso fa’ silenzio

Con una spada vorrei tagliare quelle gole

che cantano d'amore

Vorrei serrare nel gelo le mani

che scrivono quei versi d'ardente passione

Questa storia che senso non ha

Svanirà questa notte assieme alle stelle

Se potessi vederti dalla speranza nascerà l'eternità

Stammi vicino, non te ne andare

Ho paura di perderti

Le tue mani, le tue gambe,

le mie mani, le mie gambe,

e i battiti del cuore

si fondono tra loro

Partiamo insieme

Ora sono pronto



 

TU-TUM.




 

Yuuri, sono pronto.

Sto venendo da te.



 

 


 

 

*Didascalia ripresa dai sottotitoli dell'episodio 1. L'aria in realtà si chiama “Stammi vicino, non te ne andare”. L'aria è stata composta appositamente per Yuri!!! On Ice, quindi, per me, è un originale della serie e io gliela faccio scrivere a ciccio Victor e poi far musicare da qualcun altro non specificato. Oh! 😝

 

 


 

 

ORBENE! Direi che siamo giunti alla fine di questa raccolta di missing moments relativi al prequel della serie.

Di qua in poi, guardatevi l'anime, che tanto inizia un paio di saluti e un volo intercontinentale dopo questa scena.

 

Quindi, la raccolta è terminata? 

Diciamo di sì, nel senso che al momento non ho scritto altro e credo di essere stata esaustiva per quello che era il mio intento.

Ma quindi “sì sì” o “sì forse”?

Sì boh. Ho alcune scene aggiuntive in pentola, perché, come mi mancava tutto il “pre”, sento che mi manca anche “il durante”, cioè quei mesi bui che vanno dalla Disfida all'Ice Castle (primavera) all'inizio delle qualificazioni per il GP (autunno). Almeno quattro mesi di buio cosmico. Periodo che, per inciso, ci fanno annusare con la sigla di chiusura e in cui succedono cose che portano a un bel po’ di puci-puci tra Victor e Yuuri, da un certo punto della serie in poi. Insomma, parliamo chiaro: dal “non entrare in camera mia!” al “ti compro un anello perché sì” (passando dal “vieni che ti spalmo il burrocacao in modo sexy”, “che vuoi che sia se ti abbraccio come ammiamoglie mentre guardiamo in pubblico una gara alla tivù”, “stai fermo col pattino sennò mi tagli il naso mentre ti bacio i piedi davanti a tutti”, “un bacio in mondovisione non si nega a nessuno”, “ci tocca avvicinare i letti anche in questo hotel”, ecc ecc ecc ecc) *qualcosa* deve pur essere successo! Eh, via!

Quindi boh. Scriverò altro? Boh. Veramente: boh. 

Visto che non credo ci siano folle pronte a strapparsi i capelli in entrambi i casi, per ora metto la raccolta come completa, poi si starà a vedere. 

Posso sempre scriverne un'altra dal titolo “Seconde volte” ah ah ah! O, meglio… “Certe volte”...

 

Un grazie infinito a chi ha seguito questo esperimento lampo che ho fatto in un tempo brevissimo e soprattutto a chi mi ha donato un po’ del suo prezioso tempo per riportarmi le sue impressioni! ❤️

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