Terapia Reciproca

di Lea Coleman
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nemici ***
Capitolo 2: *** La Sentenza ***



Capitolo 1
*** Nemici ***


 

 

 

 

 


 

TERAPIA RECIPROCA
1. Nemici

 

 

 

 

 

 

 

 

La loro lotta andava avanti ormai da anni.

Quello che InuYasha e Kagome condividevano, oltre alla medesima divisa scolastica, era un profondo odio l’uno verso l’altra. I due, sin dalle elementari, avevano preso a stuzzicarsi. Era iniziato come un gioco: dapprima erano linguacce e parole poco gentili, poi capelli strappati e giocattoli rubati, infine erano arrivati a veri e pigmentati lividi.

Spesso la signora Higurashi era corsa a scuola solo per trovare la figlia in lacrime.

«Signora,» prendeva a dirgli l’insegnante: «non sappiamo più come comportarci, non fanno altro che litigare.»

Kagome era stata la prima a non cadere sotto la prepotenza del bambino e, forse, proprio per ciò InuYasha non riusciva a sopportarla. Non accettava che lui, il ragazzino più grande e forte del terzo anno, potesse farsi mettere i piedi in testa da una mocciosa di prima. Avevano undici e tredici anni quando li beccarono a picchiarsi nel cortile e furono entrambi sospesi per un’intera settimana.

InuYasha non le faceva sconti solo perché fosse una ragazza, anzi. Kagome sapeva rispondere. Quando lui la prendeva per i capelli, lei agguantava i suoi e tiravano fin quando in mano non rimanevano lunghe ciocche corvine.

La situazione degenerò ulteriormente quando la pubertà li colpì.

InuYasha era diventato più robusto ed alto, mentre Kagome si era ritrovata ad indossare un apparecchio odontoiatrico e due spessi occhiali: fu una gioia per lui prenderla in giro. Per tutte le elementari la ragazzina si era dovuta difendere dal suo bullo personale.

Nello stesso periodo, sua madre l’aveva iscritta ad un corso di autodifesa, disperata dai continui contusioni che notava sulla pelle di sua figlia e, inaspettatamente, l’adolescente aveva scoperto di essere un’amante dello sport. Non solo le permetteva di contro attaccare agli scherzi di InuYasha, ma a poco a poco l’aveva aiutata nella transizione in una donna.

Si scoprì una vera appassionata di atletica.

Fu per questa sua ispirazione che a quindici anni si propose come cheerleader. Il provino non le parve particolarmente difficile e, come si era augurata, l’avevano presa senza troppi dubbi, facendola diventare la più giovane della sua squadra.

D’altra parte, InuYasha era diventato quello che tutti si sarebbero aspettati diventasse: un teppista.

I primi anni di medie, il ragazzo aveva preso l’abitudine di girare con un gruppo poco raccomandabile ed a fare i primi furti. Era stato bocciato e pareva che la cosa non l’avesse minimamente toccato. Non lo si poteva biasimare, la vita non era stata gentile con lui: sua madre era morta qualche anno prima e, da allora, il suo temperamento era peggiorato sempre più.

Una delle poche gioie era tormentare quella ragazzina di due anni più piccola di lui.

Ora, a diciassette anni, InuYasha sedeva insieme ai propri d’amici sugli spalti. In campo la squadra di football si preparava per la partita della stessa sera. Eppure, mentre il restante gruppo osservava l’allenamento con spiccante cinismo, il suo sguardo tendeva più in là, dove Kagome stava esercitandosi.

I riscaldamenti delle squadre erano pubblici e chiunque poteva assistervi.

Sfortunatamente, questo comprendeva che anche InuYasha potesse presentarsi ad infastidire le cheerleader: «Tira fuori le forme Higurashi! Non vedo muoversi nulla da quassù.»

Kagome era china ad allacciarsi le scarpe quando lo sentì. Si tirò velocemente su e sbuffò irritata. Si voltò solo per notare come InuYasha ed il branco che lo accompagnava stessero ridendo sotto i baffi: lei si morse un labbro ma resistette alla provocazione.

Le sue compagne cercarono dunque di tirarla su di morale: non farci caso, disse una, è solo un idiota, lamentò un’altra.

«Keh! Sono troppo lontano io, o stai diventando sorda Higurashi?»

Non ce la fece ad ignorarlo ulteriormente. Kagome prese ad avvicinarsi agli spalti con una calma animalesca: ad InuYasha parve pronta a sbranarlo mentre si muoveva con un’eleganza che non passò inosservata.

«Vedo che stai sprecando la tua vita, come al solito, no Taishō.» aveva detto lei fermandosi di fronte agli spalti.

InuYasha era dunque sceso qualche gradino per trovarsi il più vicino possibile alla ragazza. La scrutò dall’alto verso il basso come manzo fresco.

L’estate precedente, il bruco aveva schiuso l’involucro ed era diventata una giovane farfalla. Kagome aveva abbandonato gli occhiali e tolto l’apparecchio, raggiunto un’ottima forma fisica, lasciato sempre di più la sua adolescente timidezza per una giusta dose di determinatezza. Tuttavia, la genetica non le aveva concesso un seno prosperoso ed InuYasha ne aveva subito intravisto un mezzo di derisione.

«Non è colpa mia se le lezioni sono estremamente noiose.»

«Vattene, InuYasha.» sputò velenosa lei. «Non ho bisogno di te qui oggi.»

«Keh! Comincio a credere che non mi sopporti.»

Kagome aveva alzato gli occhi al cielo e s’era voltata per andarsene, non volendogli concedere fin troppo del suo tempo. Ritornò alla propria posizione poco prima che il capitano accendesse lo stereo. Immediatamente si allontanò dalle distrazioni.

Le piaceva davvero essere una cheerleader.

Le donava una sicurezza che poche volte riusciva a sperimentare altrove, soprattutto con InuYasha. Ecco perché, in fondo, molto in fondo, godeva nel vederlo sugli spalti mentre ballava: sapeva che almeno in quello, per quanto lui cercasse periodicamente di prenderla in giro, non poteva che rispettare l’opinione comune.

Lei era una delle migliori.

Quanto si sentiva soddisfatta quando, dopo l’ennesima capriola, lui l’osservava infastidito. Poteva giurare di sentire i suoi pensieri; avrei voluto cadessi, s’immaginava ringhiarle addosso. Invece lei era un fenomeno, non sbagliava mai.

Eppure, quella volta, al momento del salto, Kagome non riuscì a girarsi col dovuto tempo e per poco non si stortò una caviglia. Si rovesciò su una compagna e si ritrovò per terra. Fortunatamente, nessuno si fece male, ma per un istante tutti trattennero il fiato.

«Oddio Kagome,» la soccorse un alto ragazzo biondo: «Ti ho visto a terra, come stai?»

Hōjō era, inimmaginabilmente, il capitano della squadra liceale di football, e questo perché non pareva per nulla un ragazzo capace di scansare due avversari con una semplice spallata. Dietro il casco si nascondeva un animo gentile e premuroso che contrastava con la natura dello sport di cui era appassionato.

Spesso le amiche le avevano detto che avesse preso una cotta per lei, ma la ragazza aveva scacciato quel pensiero ridendo: sarebbero stati una bella coppia, comunque.

Lui le aveva offerto una mano per rialzarsi e lei aveva felicemente accettato.

«Mi sono distratta.» aveva detto la cheerleader rassicurandolo: «È difficile concentrarsi mentre hai quei occhi viscidi addosso.»

Entrambi guardarono verso gli spalti.

InuYasha rideva con un sorriso malizioso: anche lui era ben a conoscenza dell’interesse che Hōjō avesse per la sua preda. Molto probabilmente stava godendosi lo spettacolo imbarazzante di una Kagome stesa a terra.

Quanto le dava fastidio vederlo gongolare per un suo errore.

«Lascialo stare.»

«È facile a dirsi quando non hai una sanguisuga come spettatore.»


 

Gli allenamenti erano ormai terminati.

Il sole stava prendendo a calare dietro gli spalti e tutti stavano avviandosi verso casa. Kagome stava riponendo la borraccia dentro la propria borsa quando InuYasha la sovrastò oscurandole gli ultimi raggi della giornata.

«Ottimo allenamento, Higurashi.»

«Sono stanca, no Taishō. Non ho le forze per litigare oggi.» sospirò lei ponendosi la borsa a tracolla. Quindi, senza rivolgergli alcuno sguardo, si voltò verso l’uscita del campo. Dietro di lei, InuYasha la seguiva imitandone il passo.

«L’avevo notato. Sai, non ti ho mai visto cadere durante un allenamento. Chissà se potrò godermi nuovamente lo spettacolo durante la partita.»

Erano quasi giunti al grande parcheggio in cui Kagome aveva lasciato la propria bici, aldilà della lunga strada poco illuminata, quando l’adolescente lasciò cadere furiosamente il borsone sull’asfalto e fece retro-front. InuYasha restò con le braccia incrociate, lo sguardo compiaciuto e la postura perfettamente retta mentre l’osservava avvicinarsi con gli occhi da tigre.

«Per tua informazione, quello che è successo oggi è tutta colpa tua.» disse lei a pochi centimetri di distanza dal suo volto.

«Mia?»

«Te e i tuoi piccoli seguaci vi divertite tanto a prendermi di mira.» lui distolse lo sguardo ridendo e Kagome fece una smorfia di sdegno: «Ti fa ridere?»

«Keh! Penso che tu sia pazza. Questo mi fa ridere.»

«Da quanto va avanti questa lotta? Perché ce l’hai tanto con me?»

InuYasha si sorprese. Si ritrovò a guardarla direttamente negli occhi, cosa che non faceva abitualmente, e ne rimase incantato: la patina di rabbia e tristezza non oscuravano la lucentezza di quei grandi occhi color nocciola. Non aveva mai notato le sue ciglia folte ed il neo che le incorniciava una tempia.

«Questo è il nostro rapporto.» concluse lui senza tono.

«E dovrà sempre essere così?»

La domanda lo destabilizzò. Non ricordava nemmeno più il perché fosse iniziata quella lotta: sapeva solo che doveva continuare. Era un pilastro che gli dava stabilità: sapere che ogni giorno avrebbe incontrato Higurashi e l’avrebbe infastidita era un punto fisso nella sua agenda e ciò faceva si che lui volesse affrontare la scuola... solo per vederla.

InuYasha scosse dunque la testa e sulle labbra gli si dipinse un sorriso cattivo.

Si avvicinò quanto bastava per sentire il suo profumo: «Non ti libererai mai di me, Kagome

«Vai all’inferno.» sputò lei: «Un giorno me ne andrò da questo posto di merda, mentre tu sarai sempre il povero ragazzo sugli spalti.»

InuYasha cambiò repentinamente espressione. Non riuscì a controbattere se non mostrandole uno sguardo a dir poco infuriato. Aveva fatto breccia. Cosa sarebbe stato di lui una volta che Higurashi se ne fosse andata via?

Soddisfatta, Kagome indietreggiò lentamente. Voleva assaporarsi ogni sfumatura del volto del ragazzo, le sue sopracciglia corrucciate, gli occhi infiammati, i muscoli tesi. Era come se l’equilibrio fosse stato ristabilito, si sentiva estremamente soddisfatta di se. Poi, successe tutto repentinamente, perché l’espressione di InuYasha cambiò dall’odio alla preoccupazione in un istante.

Lei poté solo sentire il suono di un clacson mentre veniva sollevata e scaraventata a metri di distanza. Colpì la testa violentemente, il suo corpo rotolò distante, fermandosi lontano da dove la macchina l’aveva colpita.


 


 


 


 


 


Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto :)
Cosa non si fa per non studiare!

 

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Capitolo 2
*** La Sentenza ***


 

 

 

 

 


 

2. La Sentenza

 

 

 

 

 

 

 

 

«La Corte così provvede: dichiara InuYasha no Taishō colpevole dei capi d’accusa a Lei imputati… »

InuYasha si voltò impotente verso il proprio avvocato, uno di quelli che suo padre gli aveva affidato disinteressatamente, mentre questi riponeva gli occhiali da vista sul banco e strofinava le tempie sfinito. Il giudice aveva sentenziato ed entrambi aveva velocemente capito che non potessero che accogliere dispiaciuti il verdetto. 

Qualche sabato addietro, Hakudoshi – colui che lo aveva introdotto nel gruppo con cui ora passava la maggior parte delle ore scolastiche – aveva avuto la brillante idea di rubare un’automobile. Una Mercedes del 2006. Lì per lì InuYasha non aveva apprezzato la proposta, aveva sentito una pessima sensazione annidarsi all’altezza del petto nonché la vocina della propria coscienza farsi coraggio e rimproverarlo.

Eppure, dopo qualche birra di troppo, gli era sembrata una di quelle avventure che non gli sarebbe ricapitata mai più nella vita ed era salito a bordo.

I due avevano guidato fino a notte inoltrata, cantando le canzoni che passava la radio e gridando al mondo la loro strafottenza, la loro rabbia. Più buttava giù alcool, più InuYasha si sentiva impunibile e il volto del proprio amico si riduceva a semplici contorni.

Un pensiero fisso gli balenava in testa: se si fossero schiantati, se fosse usciti di strada, a qualcuno sarebbe importato?

A quanto pare sì, perché poco prima delle cinque del mattino, la polizia li notò e li pedinò fin quando Hakudoshi non dovette accostare e tirare le mani sopra la testa. Il proprietario della Mercedes si era accorto velocemente del furto.

Ora InuYasha sedava di fronte ad una Corte il cui presidente era un uomo grasso e pelato da cui non traspariva alcuna autorevolezza. Eppure, una volta aperta bocca, gli era uscita la voce come un ruggito: «… condanna lo stesso ai sensi degli articoli 624 del c.p. e 47 L. sull’ordinamento penitenziale allo svolgimento di un anno e sei mesi di servizi sociali presso il centro socio-riabilitativo Goshimboku

Il ragazzo avrebbe voluto ringhiare, alzarsi, sbattere le mani sul tavolo di legno, ma non poté far altro che maledire se stesso per quella stronzata. Si portò le mani sul volto ed espirò la frustrazione.

I giudici della Corte si alzarono portandosi sotto braccio i documenti sul caso mentre il suo avvocato si sporgeva sulla sedia: lui gli disse che aveva fatto il possibile, ma che, essendo stato colto in flagranza di reato, aveva potuto fare ben poco.

InuYasha non lo ascoltò nemmeno.

Una volta tornato a casa, il ragazzo buttò il proprio completo firmato, comprato appositamente per l’udienza, nella pattumiera e si ritrovò in mutande di fronte al cestino. I muscoli fremevano sotto la pelle olivastra e le unghie si conficcavano nella carne mentre le parole di suo padre facevano rumore tra i suoi pensieri.

Sono così deluso, aveva detto; se ora ti vedesse tua madre, pensi sarebbe felice di quello che sei diventato?

A quella frase InuYasha gli aveva riso in volto. Quale lezione di vita voleva dare un uomo che aveva messo erroneamente incita una donna per poi apparire e sparire come se nulla fosse, come se non fosse già sposato, come se non trattasse il figlio come un errore. Sua madre non c’era più; forse anche il suo corpo si era definitivamente decomposto. Non poteva improtarle di meno.

Suo fratello, invece, aveva sogghignato: «Sapevo che saresti finito dentro uno di questi giorni.»

InuYasha si riebbe dai propri pensieri tirando un forte calcio alla pattumiera che per poco non cadde e si rovesciò. Ci volle tutta la propria forza di volontà per non tirare un pugno al muro, o al mobile, o altrove, forse anche a se stesso.

Odiava tutto di quel piccolo appartamento che suo padre gli aveva comprato per tenerlo distante. Sospettava che vederlo per casa gli ricordasse la donna che aveva abbandonato: era stato più facile spendere soldi che tempo e sistemarlo in un bilocale arredato a pochi passi dal suo liceo.

InuYasha aprì senza grazia il frigorifero e agguantò una bottiglia di birra. Poi si spaparanzò sul divano e accese la tv. Un anno e mezzo di servizio sociale, diamine.

Sarà orribile, pensò prendendo un sorso.


 

«Il tuo lavoro qui è abbastanza semplice.»

A pochi centimetri di distanza, in piedi di fronte a InuYasha, una anziana signora stava istruendo il ragazzo che ascoltava disinteressato. Il suo volto era rivolto verso il basso e i suoi occhi erano inespressivi: ogni tanto annuiva alle domande della direttrice dell’istituto, ma erano attimi rari.

«Sarai principalmente un inserviente: pulirai le padelle, laverai i pazienti, riordinerai la stanza… »

«Keh!»

La donna strinse in due fessure piccole i propri occhi fingendo che InuYasha non avesse mai parlato: «Sarai affiancato da Kaede, una delle infermiere più esperte. Confido che non commetterai errori, No Taishō.» aveva pronunciato il suo cognome come se avesse avuto ribrezzo.

«Altro?»

«Sarai reperibile 24 ore su 24. Ti daremo un cerca-persone cosicché tu non possa scappare da qualche parte. Il tuo orario lavorativo partirà dalle 8.00 fino alle 18.00, escluse possibili chiamate.»

«Praticamente, mi schiavizzerete.»

A quel suo commento, la direttrice si era drizzata, gonfiando il petto orgogliosamente, e aveva mostrato al ragazzo un sorriso per nulla comprensivo: «Ragazzino, ringrazia che tu non abbia precedenti penali o a quest’ora staresti in riformatorio.»

InuYasha si morse la lingua.

Dunque la direttrice aveva preso a camminare lungo il corridoio che collegava l’asettica entrata del centro alle stanze adibite al ristoro del personale infermieristico. Al loro fianco emergeva una camera di quattro mura celesti con all’interno un letto ed una piccola finestrella: «Quando dovrai fare il turno serale, qui sarà dove dormirai.» annunciò la direttrice e InuYasha restò a guardare la stanza spoglia con orrore. 

Kaede era una donna sulla sessantina con due vividi occhi incorniciati dalle rughe della vecchiaia. InuYasha ne ebbe quasi paura quando la direttrice li presentò l’un l’altro. Nonostante la sua andatura ricurva, in lei aveva visto una grinta che poche volte aveva riconosciuto in qualcun'altro, neppure nei suoi coetanei.

L’anziana l’aveva subito avvisato: qui sarai sorvegliato, non fare scemate o sei finito. Lui non aveva potuto che annuire intimorito.

«Bene!» esclamò dunque la direttrice: «In bocca al lupo InuYasha.» sogghignò prima di svanire lungo il corridoio.

Kaede lo prese sotto la propria ala e lo condusse allo sgabuzzino dove teneva i prodotti igenici. Quando aprì la porta, la donna fissò con una certa intensità il ragazzo, studiandolo: «Cosa ti guardi?» aveva ringhiato lui infastidito.

Lei aveva alzato le spalle: «Sembri uno di quei ragazzi che non ha mai tenuto in mano uno straccio.»


 

La prima mattina del proprio lavoro pareva non finire più.

InuYasha si era trovato a pulire più vomito di quello che avesse mai visto a una tipica festa liceale. Le padelle poi, ah, erano la cosa peggiore: si era trovato per la prima volta a saltare il pranzo pur di non rigettare mentre passava il disinfettante.

Era solo l’inizio di un lungo percorso, si ripeteva continuamente, come una cantilena.

Aveva intravisto i colleghi andare da una stanza all’altra dell’istituto senza mai realmente presentarsi o fermarsi a conversare. Riconosceva di essere sul gradino più basso della scala gerarchica. Non che si aspettasse altro: in quel posto doveva essere visto come l'ennesimo caso umano affidatogli. 

Aveva passato la prima parte di quella giornata a sognare di tornare a casa. Generalmente l’edificio era silenzioso. Di tanto in tanto, InuYasha sentiva un vecchio tossire o qualcuno lamentarsi: per lo più, molti signori erano anziani abbandonati dalle proprie famiglie che si stavano lentamente lasciando andare.

Qualche volta qualcuno dava di matto, ma erano eventi rari.

Tuttavia, verso il tardo pomeriggio, poco prima che potesse concludersi la giornata più disgustosa della propria vita, Kaede gli era apparsa alle spalle con il volto esasperato: «Ragazzo, ci serve il tuo aiuto.»

InuYasha non se lo fece ripetere due volte; era stato felice di lasciare lo scopettone per seguire la vecchia lungo il corridoio.

«C’è una ragazza che non mangia da giorni. Nonostante la sua condizione è incredibilmente forte: non riusciamo a inserirle da sola la cannula per nutrirla. Abbiamo bisogno di più persone che la tengano ferma.»

InuYasha aveva allora sospirato. Sperava in un qualcosa di più emozionante e non riteneva tale vedere una poveretta essere succube di una malattia e venir cibata via naso. Al solo pensiero gli erano venuti i brividi. Eppure, tutto gli pareva meglio che pulire i gabinetti intasati.

Il ragazzo si accorse di essere arrivato quando, di fronte a una camera, vide un’infermiera cingersi le spalle come a volersi proteggere e ondeggiare impaziente da destra a sinistra. InuYasha aveva sentito chiaramente il suo nervosismo mentre Kaede gli aveva reciprocamente presentati e lui le aveva stretto cordialmente la mano.

«Dobbiamo andare a prendere la macchina.» annunciò Kaede subito dopo: «InuYasha, segui Sango, lei ti spiegherà cosa fare.»

Lui aveva annuito prima che la vecchia si allontanasse con un passo spedito e per nulla barcollante. D’altro canto, Sango pareva poter crollare da un momento all’altro: non doveva essere la sua prima volta e qualsiasi esperienza pregressa l'aveva aver alquanto traumatizzata. InuYasha aveva inizialmente pensato che fosse proprio una donna: nonostante fosse il suo lavoro, Sango sembrava una bambina agitata per un'imminente interrogazione.

Tuttavia, una volta varcata la soglia della camera, anche lui dovette rimangiarsi le proprie parole perché un nodo ingarbugliato di ansia gli si andò ad annidare alla gola e da lì non si spostò più.

Sango parve non accorgersene: si avvicinò alla ragazza con cui InuYasha aveva intrapreso per anni un’ardua battaglia spiegando la sua condizione, di come fosse essenziale che lei mangiasse e di come ultimamente si rifiutasse anche di aprire la bocca. Non poteva crederci: Kagome era proprio di fronte a lui.

«InuYasha, mi stai ascoltando?»

La verità era che no. Nella mente del ragazzo si ripeteva inesorabilmente il giorno dell’incidente, quando lui e Kagome stavano parlando affianco alla strada e, d’improvviso, lei era stata investita. L’aveva vista volare per qualche metro, atterrare colpendo violentemente la testa e rimanere immobile.

Lui non aveva esitato. Si era precipitato a soccorrerla: l’aveva presa tra le braccia e aveva cercato di svegliarla in tutti i modi. Lei pareva esanime, non rispondeva, le aveva preso a sanguinare il naso e a stento riusciva a respirare. InuYasha dovette trattenersi dal schiaffeggiarla violentemente da quanto stava preoccupandosi.

Intanto l’uomo a bordo della macchina era sopraggiunto disperato: aveva iniziato a scusarsi, a chiedersi cos’avrebbe fatto, che non voleva finire in carcere. Insomma aveva dato di matto.

«Chiama un’ambulanza diamine!» aveva strillato dun tratto InuYasha.

Kagome, tuttavia, pareva non riprendersi. Il ragazzo non poteva che cercare di rianimarla: la poggiò il più delicatamente possibile sull'asfalto, unì le mani a pugno e le colpì il petto una, due, tre volte. Poi si chinò e le soffiò ossigeno tra le labbra. Quando, dopo la terza volta, la ragazza persisteva nella sua incoscenza, lui prese ad imprecare più ferocemente. Ripetè per qualche minuto di fila il processo fin quando finalmente lei non riaprì lentamente gli occhi: i suoi due grandi occhi marroni, ma senza alcuna luce.

Non aveva pensato ad altro negli ultimi mesi.

Dopodiché aveva sentito le sirene suonare.

«InuYasha spostati.»

Kaede giunse infine col macchinario che pareva uno strumento di tortura facendo rinvenire il ragazzo dai propri pensieri. Fu in quel momento che sentì Kagome gemere.

InuYasha la fissò: era dimagrita. Dalla carne emergevano notevolmente le clavicole, le vene delle mani e della fronte, le sue labbra erano di un mix disomogeneo di color rosa e grigio spento, come i suoi occhi.

«Allora, vuoi darci una mano?» chiese Sango posizionandosi da un lato del letto ospedaliero dove Kagome sedeva.

Ancora una volta, InuYasha non se lo fece ripetere. Prese questa palla al balzo e sorrise tra se e se. Osservò come la collega avesse preso il polso della ragazza stringendolo sul materasso e la copiò: nel toccare Kagome, capì ancora di più quanto fosse pelle ed ossa. Lei lottò, ovviamente, ma lui era più forte e la costrinse a restare ferma. Che sensazione inebriante, pensò lui.

«So che non ti piace,» aveva allora sussurrato Kaede preparando la sonda. C’era qualcosa di mortificante nella sua voce che InuYasha trovò eccessivo: «ma dobbiamo farlo per il tuo bene.»

Il ragazzo trattenne un ghigno soddisfatto quando vide la sua acerrima nemica dimenarsi e gemere. Gli era mancato vedere la sua sofferenza in questi ultimi mesi: quante possibilità potevano esserci di averla alla propria mercé, così, immobile e indifesa? Ah, che soddisfazione, aveva pensato.

Kaede aveva dunque preso ad infilargli la sonda cautamente dal naso. Kagome aveva preso a dimenarsi maggiormente e InuYasha dovette ammere che fosse inaspettatamente forte. Ma lui ebbe la meglio e la spinse ancora di più verso il materasso: questo dovette averle fatto male, perché lei alzò gli occhi verso di lui e lo guardo come un cucciolo appena bastonato.

E InuYasha vide i suoi grandi occhi color mogano, così tristi e spaventati, riempirsi di lacrime.

Kagome lo aveva guardato con una sorda disperazione, eppure lui aveva nitidamente sentito cosa gli stesse chiedendo. La ragazza che aveva sempre preso di mira non avrebbe mai pregato per il suo aiuto, eppure eccola lì, a supplicarlo silenziosamente.

E d’improvviso, non si divertì più.

La vide rilassarsi dolcemente solo nel momento in cui sentì il cibo caldo depositarsi nel suo stomaco.

«Ok InuYasha, puoi lasciarla.» disse Sango e fu come togliere le mani dalle fiamme.

Lui balzò indietro deciso e si precipitò fuori da quell’inferno: giurò di sentire un mugolio partire dalla stanza mentre, a passo spedito, spingeva la porta e se ne andava. Eppure, per la prima volta, gli mancò il coraggio e non si voltò.


 


 


 


 


 

Buondì! Spero di non avervi fatto attendere troppo!
Più scrivo e più mi appassiono a questa storia, non vedo l’ora di continuarla!
Fatemi sapere com'è il capito, lo apprezzerei moltissimo!


 

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