A Promise

di M a k o
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


A Promise (pt.1)
N.d.A. in fondo alla pagina.
Buona lettura!



A PROMISE
(Prima parte)



1


You only saw the dark side of me
Bring me back to my reality
I have lost my belief


A Ryoken era bastato un solo attimo per comprendere che quel ragazzo intento a fissarlo con sguardo terrorizzato fosse diverso da tutti gli altri, proprio come lo era lui. Gli era bastato davvero poco e forse anche per quel ragazzo era stato così: aveva spalancato gli occhi, mettendo ancora più in risalto quelle bellissime iridi verde chiaro, e nel giro di poco dei brividi affamati si erano impossessati di ogni muscolo del suo corpo, prendendone il controllo completo.
Si era alzato in piedi barcollando e, tentando di proferire delle parole che si frantumavano in gola e uscivano spezzate e incomprensibili dalla sua bocca
    (“mi dispiace, non volevo, spero di non averti privato di così tanto tempo”)
gli aveva dato le spalle e se ne era poi andato via di corsa, stando comunque bene attento a non urtare o anche solo sfiorare qualcuno.
Ryoken era rimasto senza fiato. In quel tiepido primo pomeriggio di metà marzo, per la prima volta in tutta la vita non si era sentito solo. E, sempre per la prima volta, si era anche sentito compreso nonostante, paradossalmente, il ragazzo col quale si era scontrato per sbaglio non avesse capito nulla di lui, tanto la paura che aveva provato aveva preso il sopravvento — e come dargli torto? Con un potere del genere, chiunque sarebbe fuggito via.
Quello che ignorava, però, era che Ryoken, a differenza del resto del mondo, non aveva motivo alcuno di mandarlo via; anzi, con ogni probabilità erano destinati a questo: a incontrarsi e diventare l'uno il sostegno dell'altro e viceversa.
Sapeva già dove avrebbe potuto trovarlo: la divisa scolastica blu che indossava indicava la sua appartenenza alla scuola superiore di Den City e Ryoken ne conosceva l'ubicazione.
Ora non gli restava che attendere che il calendario si alleggerisse di un altro giorno.
    (E il tempo scorreva inesorabile).


2

Yusaku si barricò in casa con uno scatto veloce della chiave nella serratura della porta. Poggiò la schiena contro quella superficie liscia e dura e poi si accasciò a terra, con lo zaino malamente adagiato tra le sue braccia, oggetto fortunato poiché non era vittima della sua maledizione.
Rendendosi conto di ciò, in un moto di rabbia
    (no, era disperazione)
feroce che doveva assolutamente sfogare, Yusaku lo scagliò con mala grazia lontano da lui, soffocando a stento un grido che aveva tutta l'aria di essere una supplica.
Si coprì il volto con le mani e iniziò a piangere sommessamente, con il cuore che ancora batteva celere nella cassa toracica e ogni muscolo del corpo scosso da tremori beffardi e annichilenti.
Quanto tempo gli aveva tolto? Due settimane? Un mese?
Si era scontrato con quel ragazzo e subito dopo, essendo caduto a terra, il contatto fisico si era immediatamente annullato, quindi forse, nel migliore dei casi, gli aveva sottratto solo qualche giorno… ma era comunque troppo. Era sempre troppo se anche il semplice sfiorare qualcuno significava privarlo di un frammento di vita.
Quel ragazzo non lo conosceva, quindi non poteva saperlo, ma aveva comunque intuito che qualcosa non andava, perché i suoi occhi azzurri
    (così chiari, limpidi e belli)
si erano spalancati in un moto di sorpresa, lo stesso sguardo col quale chiunque tendeva a osservarlo prima che il disgusto si impadronisse dei lineamenti del volto.
Yusaku non aveva avuto modo di osservare quel cambiamento sul viso del ragazzo, ma era certo che fosse andata esattamente così. Se solo il professor Zaizen non si fosse trattenuto più del solito con la sua lezione, tutto questo non sarebbe mai capitato: Yusaku sarebbe uscito in orario da scuola e non avrebbe avuto a che fare con la ressa del primo pomeriggio, un vero e proprio coacervo infernale che tendeva sempre a evitare con tutte le proprie forze e, così facendo, non avrebbe avuto la vita di un'altra persona sulla coscienza e avrebbe fatto ritorno a casa in tutta tranquillità.
E ora, invece, si ritrovava a rimuginare su quanto accaduto e a incolparsi di ogni cosa.
Lasciò che le lacrime gli rigassero il volto per minuti che parvero ore e chiuse istintivamente gli occhi nella tetra speranza di essere inghiottito una volta per tutte dall'oscurità.


3

Yusaku pareva essere l'unico umano vittima di quella inspiegabile maledizione: nel corso degli anni non erano emersi altri casi analoghi al suo e non ne erano mai stati registrati prima della sua nascita. Yusaku era unico al mondo, ma la sua unicità se la sarebbe volentieri strappata di dosso se in cambio avesse ottenuto l'opportunità di condurre una vita normale e tranquilla.
L'isolamento sociale lo stava distruggendo sempre più, senza contare che gli sguardi duri come pietre da parte dei suoi compagni di scuola gli provocavano un dolore lancinante al petto, come se una creatura malvagia si divertisse a gettare ogni volta del sale sulle sue ferite ancora aperte.
Yusaku non sapeva più cosa fare; era completamente solo, perso e privo di qualsiasi punto di riferimento. Per lui era già un miracolo aver compiuto sedici anni ed esserci ancora… perché, in fondo, cos'altro avrebbe potuto fare nel corso della sua tormentata esistenza se non arrancare e cercare quantomeno di sopravvivere?
Quella notte, come era solito fare quasi sempre, si addormentò abbracciando un cuscino, tentando di immaginare cosa si provasse a sprofondare tra le braccia di un essere umano. Un gesto che, purtroppo, sapeva nessuno al mondo gli avrebbe mai riservato.


4

Doveva essere uno scherzo. Per forza, non poteva essere altrimenti; era sicuramente in preda alle allucinazioni, non vi era altra spiegazione. In quella nuova giornata di metà marzo, tiepida come la precedente e forse anche leggermente più calda
    (o forse era solo il suo cuore a essersi un poco agitato)
Yusaku incontrò ancora una volta il ragazzo dagli occhi azzurri.
Indossava una maglietta chiara a maniche corte e sopra una giacca grigia, dei pantaloni anch'essi grigi e delle scarpe bianche. Il ritratto dell'eleganza.
Ma la cosa più incredibile fu che non lo incontrò per caso e in un luogo qualsiasi come potevano essere la piazza della città o il centro commerciale ristrutturato da poco, bensì all'uscita della scuola, quella che varcava sempre da solo e che mai, neanche per sbaglio, l'aveva visto in compagnia di qualcuno. A rendere il tutto ancora più straordinario fu il fatto che quel ragazzo stesse aspettando proprio lui, difatti quando i loro sguardi si incrociarono, alzò una mano in segno di saluto e cominciò ad avanzare nella sua direzione.
Si udirono dei mormorii concitati intorno a loro, come una decina di picchi che battevano con insistenza il becco contro la dura corteccia di un albero, e Yusaku per primo ne avrebbe preso parte se non fosse stato il diretto interessato di quell'evento fuori dal comune. Dopotutto, era la prima volta che qualcuno si approcciava a lui con così tanta naturalezza, come se non ci fosse proprio niente di sbagliato nel fare ciò.
Forse quel ragazzo voleva chiedergli spiegazioni circa quanto accaduto il giorno prima, o magari l'aveva già capito e voleva solo urlargli contro di stargli alla larga, come già avevano fatto diverse persone nel corso degli anni una volta aver realizzato la portata della maledizione che gravava sulle sue fragili spalle.
Yusaku era ormai pronto e abituato a tutto, difatti chiuse gli occhi, seguendo il suo più atavico istinto, pronto alla sfuriata. Nei suoi riguardi non esistevano mezze misure: o la gente lo ignorava al punto tale da fargli dubitare di esistere o gli urlava contro le peggio cattiverie che lo portavano ad abbracciare il desiderio di volatilizzarsi nel nulla e sparire una volta per tutte.
Per questo, quando ogni sua più funesta previsione non si realizzò, non poté fare a meno di riaprire gli occhi di scatto, sgranandoli quasi volesse portarli oltre il limite consentito. Quel ragazzo... l'aveva davvero invitato a pranzare con lui?
Il brusio che li circondava si fece ancora più insistente e fu solo quando Yusaku cominciò a guardarsi intorno spaesato che la folla prese a diradarsi via via sempre più, come se chiunque avesse sbloccato un nuovo tipo di terrore dentro di sé, ovvero quello di essere maledetto solo perché il proprio sguardo incontrava il suo. Tutti tranne quel ragazzo, a quanto pareva, il quale non si era mosso di un millimetro e anzi, era in trepidante attesa di ricevere una risposta positiva da parte sua.
Yusaku deglutì una, due, tre volte prima di prendere parola. «Scusa...» disse quasi in un sussurro. «Credo di non aver capito. Potresti ripetere?»
Non ci stava facendo una bella figura, assolutamente no. Ma con ogni probabilità aveva capito male e...
    «Volevo chiederti se ti andava di pranzare con me» ripeté il ragazzo, e un sorriso candido gli incurvò le labbra sottili, rendendolo ancora più attraente di quanto già non fosse.
Yusaku avvertì il terreno sparire sotto la suola delle scarpe e l'aria tardò ad arrivargli ai polmoni. «Io...» balbettò, abbassando lo sguardo.
“Hai idea di cosa mi hai appena chiesto?”, avrebbe voluto dirgli, o peggio, urlargli in faccia, prima di allontanarsi da lì senza dargli l'opportunità di replicare. Questo però era ciò che la parte razionale gli stava suggerendo con impeto, una esuberanza sfiancante che stava iniziando a infastidirlo non poco. La parte irrazionale della sua essenza, invece, era un lago piatto e tranquillo, una voce morbida che lo invitava ad accettare quella strana richiesta.
    (Non ti farà del male).
    (E tu come fai a saperlo?)
    (Lo so e basta).
    «Ehm... sicuro di non aver sbagliato persona?» tentò un'ultima volta, ancora frastornato e col cuore a mille.
Il sorriso del ragazzo si allargò. «Sicurissimo» rispose.
Yusaku arrossì lievemente. «Allora… allora va bene».


5


I have lost the will to fly
With broken wings I can't even try
I have lost my belief


Il tragitto verso la destinazione misteriosa fu avvolto da un manto di mutismo strano e anche un po' agitato — questo solo da parte di Yusaku, però.
Non sapeva dove quel ragazzo volesse portarlo, ma a un tratto si ritrovò a sperare che non si trattasse di un ristorante o luoghi simili, perché gli si era improvvisamente serrata la bocca dello stomaco. Anche solo un sandwich o un onigiri acquistato al konbini sarebbero andati bene…
Mentre proseguivano nella loro camminata, Yusaku non poté fare a meno di domandarsi come mai quel ragazzo desiderasse tanto pranzare con lui. Voleva forse bombardarlo di quesiti circa la sua condizione? Doveva forse esporre un progetto alla classe — a proposito, chissà quale scuola superiore frequentava, o forse era già uno studente universitario? —, oppure voleva proporgli di intimidire qualcuno col suo potere — e magari pagarlo per questo?
Accantonò immediatamente l'ultima ipotesi: non gli sembrava proprio il tipo da abbassarsi a compiere un gesto tanto meschino. Ma in fondo, che cosa sapeva di lui? Ignorava perfino il suo nome.
Era talmente ingarbugliato nel ginepraio che erano diventati i suoi pensieri che a stento riuscì a udire l'unica parola che il giovane pronunciò, un “Attento” deciso e, al contempo, velato da una nota di spensieratezza. Si accorse appena in tempo della coppia di ragazze che camminava nella direzione opposta alla loro ed era in procinto di scansarsi per evitare di rovinare la giornata
    (o la vita intera)
di un altro essere umano quando sì, si scansò, ma non come avrebbe voluto.
Il ragazzo l'aveva attirato a sé, stringendogli il fianco con garbo, e Yusaku per poco non urlò. Sordo ai gridolini eccitati delle due ragazze che avevano assistito alla scena un attimo prima di proseguire nella direzione opposta — e che stavano frattanto aggiungendo commenti riguardo un tipo di galanteria che credevano ormai estinto —, non poté fare altro se non concentrarsi su ciò che il suo corpo stava percependo, un subbuglio di emozioni indefinibili che si diramavano impazzite in ogni dove.
Lo stava toccando. Quel ragazzo aveva deliberatamente scelto di toccarlo, attirarlo a sé e persistere in quel contatto fisico che si stava imbrattando sempre più di panico e terrore.
La sentiva, era ormai in atto: la maledizione che gravava sulle sue spalle si stava cibando con voracità della vita di quel ragazzo, banchettando senza sosta e sbavando ovunque. Avvertiva il tempo che gli stava sottraendo insinuarsi dentro di lui, nelle vene, schizzando poi al cervello ed esplodendo in un concerto di fuochi d'artificio vermigli.
    «Lasciami andare» sussurrò con voce spezzata e pregna di agitazione. Tentò di divincolarsi e porre almeno qualche passo di distanza tra loro, ma invano: la stretta di quel ragazzo si era accentuata e ora le dita della mano affondavano con maggior decisione nel suo fianco.
    «No, non credo che ti lascerò andare ora» disse con tranquillità, senza alcuna inflessione particolare nel tono di voce. Pareva infatti non provare il minimo terrore nei confronti di ciò che stava succedendo e anzi, sembrava volerne sempre di più.
Fu lì che Yusaku cadde in un abisso di panico senza fine: possibile che quel ragazzo desiderasse morire e avesse trovato in lui la soluzione più rapida e ottimale? Con ogni probabilità non aveva il coraggio di suicidarsi e lo scontro accidentale che avevano avuto il giorno prima gli aveva aperto le porte a una nuova prospettiva alquanto allettante.
Doveva staccarsi immediatamente, ormai non c'era più tempo: gli aveva già sottratto abbastanza, forse una decina d'anni, e quel ragazzo gli stava soltanto stringendo un fianco; se avesse approfondito il contatto fisico, presto Yusaku si sarebbe ritrovato nell'orribile posizione di dover sorreggere un corpo inanimato ormai privo di vita.
Ma una cosa del genere non avvenne mai. Anzi, accadde l'esatto opposto poiché fu Yusaku a vedere una porta aprirsi dinanzi a sé.
    (Qualcosa di assolutamente incredibile e inaspettato).
    (Tremendo e meraviglioso al tempo stesso).


6

Quando, disgraziatamente, il contatto fisico con qualcuno tendeva a prolungarsi, Yusaku era in grado osservare per brevi attimi alcune reminiscenze legate a quella che era stata la vita della persona toccata fino a quel momento. Ricordava, per esempio, prima che una maschera di disgusto ne tramutasse i lineamenti del volto, il primo appuntamento che una giovane dai lunghi capelli corvini aveva avuto col senpai del terzo anno delle superiori che tanto le piaceva, oppure, andando un po' indietro, del suo primo giorno di scuola media, oppure ancora, avanzando sempre più all'indietro, la prima volta che da bambina era salita su una bicicletta senza le due ruotine di sostegno — era caduta malamente sul duro asfalto, sbucciandosi le ginocchia, e aveva iniziato a piangere a dirotto.
Di una anziana signora, che dopo aver realizzato quanto accaduto gli aveva dato del demonio con asprezza, rammentava invece il giorno in cui tenne per la prima volta in braccio il suo nipotino, poi quando assistette al matrimonio del suo unico figlio, quando lo accompagnò a scuola il primo giorno delle elementari e quando lo allattò al seno per la prima volta, in ospedale, quando era ancora una ragazza che forse era diventata madre troppo presto.
Non sapeva come mai ma, a quanto pareva, era anche condannato ad assistere a degli squarci di normalità che lui non avrebbe mai assaporato oltre che privare le persone di preziosi secondi
    (ore, giorni, mesi, anni)
di vita al solo tocco.
Tutto questo l'aveva portato a rifuggire il contatto fisico allo stesso modo in cui i ragni fuggono impauriti alla presenza del basilisco: non poteva fare altro se non scappare dinanzi a quello che era diventato il suo nemico per eccellenza, qualcosa che sapeva di non poter sconfiggere, un duello perso in partenza sotto tutti i punti di vista.
Per questo, nel momento in cui iniziò ad affondare nella vita di quel ragazzo, Yusaku non poté fare a meno di sorprendersi di quanto stesse andando a ritroso, senza più riuscire a fermarsi. Vide albe e tramonti in città situate dall'altra parte del mondo — ma non era questa la cosa strabiliante, bensì il fatto che si trattasse di una Londra del 1970 o di una Parigi del 1950 o di una Stoccolma del 1890 — e un susseguirsi di persone sempre diverse che avevano in comune solo la vecchiaia che diveniva via via giovinezza e il tempo andava indietro, indietro, indietro e quel ragazzo però rimaneva sempre uguale, uguale, uguale.
Yusaku assistette inerme a dolorosi addii che si tramutavano in buffi primi incontri, a sguardi pregni di compassione, quella che nessuno gli aveva mai riservato, e a lacrime versate in silenzio nel tentativo di mantenere intatta una forza d'animo che vacillava e scricchiolava.
Iniziò a unire i tasselli di quell'intricato puzzle tra loro, cercando di avvicinarsi sempre più alla triste verità: possibile che quel ragazzo fosse…?
Proprio nel momento in cui era in procinto di dare un nome a quel concetto che tanto lo frastornava, il giovane spezzò il contatto fisico tra loro, e Yusaku ripiombò bruscamente nella realtà del presente. Impiegò qualche istante a riprendersi e, nel momento in cui alzò lo sguardo per incontrare gli occhi azzurri dello sconosciuto, per la prima volta da quando aveva compreso di essere maledetto fu accolto da un'espressione assolutamente tranquilla e cordiale, come se fino a pochi istanti prima non fosse accaduto proprio nulla. Ancora più incredibile fu il fatto che quel ragazzo pareva essergli addirittura grato.
    «Ti ringrazio» disse infatti con un sorriso. «Ora va molto meglio».
E Yusaku, per la prima volta in tutta la vita, provò qualcosa all'altezza del petto che non fossero dolore e rassegnazione; qualcosa di impronunciabile al quale ancora non voleva dare una forma per timore che svanisse nel nulla in un concerto di bolle di sapone.


7

    «Prometti di non scappare mentre ti do le spalle?»
Yusaku si imbronciò appena, provando un vago senso di imbarazzo che si riflesse sulle gote velatamente arrossate.
    «Hai la mia parola» borbottò, distogliendo lo sguardo.
    «Ottimo, allora intanto puoi prendere posto. Non ci metterò molto».
    «D'accordo».
Si sedette a uno dei tavolini più distanti, in modo da evitare di attirare l'attenzione — di certo non avrebbero discusso di cose ordinarie come un film da vedere al cinema nel week-end o quanto fossero belle le scarpe sportive in vendita nel nuovo negozio che aveva recentemente aperto al centro commerciale — e attese, con una punta di agitazione frammista a impazienza che gli strisciava sottopelle.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e constatò che generalmente a quell'ora — verso le due del pomeriggio — fosse a casa già da un po', al riparo tra le sue quattro mura, senza più correre il rischio di diventare un pericolo per gli altri. E invece ora si trovava all'aperto, seduto a un tavolino in attesa che un ragazzo del quale ignorava perfino il nome arrivasse con il pranzo per entrambi.
    (Roba da tutti i giorni, no?)
Si guardò intorno e si perse a osservare il viavài di persone che volgevano in ogni direzione, il chiacchiericcio insistente, profumi indistinti e al contempo invitanti che giungevano da lontano e poi puntò irrimediabilmente lo sguardo verso quel ragazzo che, in quel momento, stava attendendo con pazienza che il vassoio si riempisse con tutto ciò che aveva richiesto per poi prendere posto di fronte a lui.
Yusaku non era mai stato al Café Nagi, ma sapeva che quel furgoncino dai colori caldi e chiari che si spostava per tutta la città vendeva soprattutto hot dog e lui li mangiava volentieri, quindi era anche felice di trovarsi lì… ma come doveva interpretare quell'invito a pranzo?
Era questo ciò che più lo impensieriva, e se da una parte non vedeva l'ora di scoprirlo, dall'altra sperava che quel ragazzo prendesse posto di fronte a lui il più tardi possibile, in modo tale da concedergli un altro po' di tempo per crogiolarsi nella fioca illusione che tutto sarebbe andato per il meglio.


8

Sul vassoio era accuratamente riposto il doppio di tutto: due confezioni di cartone contenenti un hot dog a testa, due vaschette sempre di cartone colme di patatine fritte, due lattine medie di soda e due taiyaki riposti l'uno sopra l'altro nelle loro confezioni di plastica che ricordavano vagamente la forma di un pesce. Era un pranzo semplice, pregno di grassi e calorie, eppure era il più bello che avesse mai visto e il più buono che avesse mai assaporato.
Fino a quel momento, Yusaku non aveva mai saputo cosa si provasse a condividere parte del proprio tempo con qualcuno: era sempre stato un muto spettatore delle vite altrui che, relegato a una distanza di sicurezza, non poteva fare altro se non immaginare come sarebbe stata la sua esistenza se non si fosse rivelato un pericolo per gli altri. E fino a quell'istante non era mai riuscito a colmare il vuoto che provava dentro di sé poiché le fantasie venivano perennemente spazzate via da folate di vento che lo distruggevano ogni giorno sempre più
    (l'indifferenza altrui nei suoi confronti, le occhiatacce, le parole che avevano lo stesso effetto del morso di uno squalo)
e che gli ricordavano con morbosa insistenza che non c'era posto per lui in un mondo in cui la vita bisognava toccarla con mano.
Sentì di aver ottenuto una piccola rivincita ed era intenzionato più che mai a tenersela stretta.
    «Come ti chiami?» domandò, arrossendo subito dopo in quanto la sua voce si era unita a quella del ragazzo che gli stava di fronte nel pronunciare la stessa, identica frase.
    «Prima tu» gli disse questi con un sorriso candido, e Yusaku, mentre articolava il suo nome quasi in un sussurro, si perse per qualche attimo nell'incurvatura di quelle labbra sottili.
    «E tu?» chiese poi, come se si fosse appena ridestato da un bel sogno.
    «Ryoken».
    (E in fondo, a essere onesto, quel nome suonava proprio come un bel sogno).


9

    «Ciò che è successo prima… cos'è stato?»
Aveva finalmente trovato il coraggio di porgli quella domanda, di rendere concreta quella situazione e di uscire, anche se molto a malincuore, dal bel sogno a occhi aperti che era stato l'intero pranzo. Il sapore del cioccolato contenuto nel taiyaki permeava ancora sulla sua lingua.
    «Penso che tu l'abbia già capito» rispose Ryoken con calma.
    «Credo di sì…» sussurrò Yusaku, abbassando un poco lo sguardo. «Però è davvero strano. Com'è possibile che…?»
    «Sono secoli che me lo domando e ancora non ho trovato una risposta».
Secoli. Era assurdo pensare che Ryoken li avesse vissuti per davvero, ma ciò che Yusaku aveva visto nel momento in cui si erano toccati ne era una prova inconfutabile.
    «Anche se» proseguì Ryoken, allungando una mano nella sua direzione, «forse oggi ho finalmente trovato un punto di inizio».
Yusaku sussultò nel momento in cui la mano di Ryoken sfiorò la sua e, d'istinto, la ritrasse velocemente. Ryoken sorrise ancora una volta.
    «Non aver paura,» gli disse con un tono di voce che voleva essere rassicurante, «lascia che si nutra. A differenza delle altre persone, a me non fa del male».
    «E se poi ne volesse sempre di più?»
    «E se invece dovesse saziarsi?»
Yusaku guardò Ryoken come se quest'ultimo avesse iniziato a parlare in una lingua arcana e sconosciuta.
    «In tutti questi anni non ha mai dato segno di essere in grado di saziarsi» rispose con una punta di disprezzo nel tono di voce.
    «Questo perché hai sempre fatto del tuo meglio per evitare il contatto fisico» spiegò Ryoken. «Di conseguenza, più le neghi il suo nutrimento, più lei diventa affamata. L'ho percepito quando ci siamo toccati: pare davvero disperata. Per questo non posso fare a meno di domandarmi: se provassi a darle ciò che vuole… non credi che ti lascerebbe in pace?»
Yusaku non ci aveva mai pensato ma, a dirla tutta, se anche l'avesse fatto, con ogni probabilità la parte pessimista della sua persona avrebbe preso il sopravvento e non l'avrebbe considerata una soluzione plausibile. Però quelle parole le aveva pronunciate Ryoken. E dette da lui non poterono che sortire un effetto distensivo sul suo intero corpo, come se Yusaku le avesse attese una vita intera
    (e in realtà era proprio così).
Alla fine, sempre accompagnato da un pizzico di incertezza, poggiò nuovamente la mano sul tavolo e Ryoken la sfiorò un'altra volta ancora.
La sgradevole sensazione di star privando un altro essere umano di giorni
    (settimane, mesi, anni)
importanti di vita persisteva ancora, ma Yusaku non si ritrasse, decidendo invece di proseguire con quel contatto che si stava pian piano aprendo un varco in quel coacervo informe di dolore, portando con sé tanta benevolenza.
Lasciò che Ryoken gli carezzasse con garbo il dorso e che poi gli voltasse la mano per cominciare a tracciare dei piccoli sentieri sul palmo, come se si fosse improvvisato un chiromante alle prime armi e avesse deciso di leggergli il futuro
    (chissà quale linea stava studiando silenziosamente in quel momento).
    (Quella della saggezza? O forse era quella del destino?)
Non ebbe tempo per rifletterci su: più il contatto fisico persisteva, più entrava nell'esistenza di Ryoken, come se si trovasse al cinema e avesse scelto di vedere un film che mostrava tutto ciò che il ragazzo aveva vissuto nel corso dei secoli. Si sentì partecipe e coinvolto in qualcosa che non gli apparteneva, assistette ancora una volta ad albe meravigliose e tramonti mozzafiato in città che non aveva mai visitato e in epoche in cui non era ancora nato. Provò il forte impulso di rendere quella vita straordinaria la coperta con la quale si sarebbe coricato a letto quella notte, come se in realtà non pesasse tanto quanto mille macigni e fosse, invece, la sola cosa che gli avrebbe permesso di andare avanti un altro giorno ancora.
Per la prima volta se ne fregò delle conseguenze che un contatto fisico troppo prolungato con qualcuno portava con sé e non badò alla maledizione che si ingozzava e strozzava nella sua stessa ingordigia. Per la prima volta si sentì così bene che quando Ryoken pose fine a tutto ciò, Yusaku provò qualcosa direttamente proporzionale a tutto quel benessere che aveva accumulato: disperazione.
    «Non… non credo che sia ancora sazia» balbettò, cercando di non lasciar trasparire l'imbarazzo che, beffardo, si era comunque manifestato vistosamente sulle gote.
    «Lo so» concordò Ryoken, divertito. «Ma per il momento credo sia meglio fermarci qui».


10

Ryoken si era offerto di accompagnarlo a casa e Yusaku aveva accettato senza farselo ripetere due volte. E fu proprio durante quella passeggiata, mente erano intenti a parlare del più e del meno, che ci fu un altro evento straordinario: un bambino delle elementari, con una cartella tre volte più grande di lui issata sulle piccole spalle, era intento a correre con fare goffo nella direzione opposta alla loro e sarebbe rovinato malamente a terra se Yusaku non lo avesse sorretto con prontezza.
Ryoken non disse nulla, lasciando a Yusaku il tempo di arrivarci da solo. E quando ciò accadde, per poco non lasciò andare il bambino quando ancora stava cercando di risollevarsi a dovere — e in quel caso sì che sarebbe caduto a terra, completamente affossato dal peso di quello zaino dall'aspetto di un possente macigno nero come la pece.
Il cuore di Yusaku perse una decina di battiti, uno dietro l'altro. Perché Ryoken non era intervenuto? Dopo tutto il bene che gli aveva fatto era improvvisamente diventato sadico e aveva deciso di rovinargli la giornata prendendo di mira quel bambino che non c'entrava nulla? Pensava che fosse una cosa divertente da fare?
Yusaku era in procinto di dire qualcosa di molto cattivo quando il bambino puntò lo sguardo su di lui e un dolce sorriso si proiettò sul suo volto un poco arrossato.
    «Ehm… grazie!» esclamò, tornando ad assumere la posizione eretta.
Ricominciò a sgambettare nella direzione opposta alla loro e, subito dopo, Yusaku si voltò verso Ryoken. Aprì bocca più e più volte, senza però riuscire ad articolare alcun suono. Era esterrefatto.
Quando poi comprese che Ryoken sapeva non sarebbe accaduto nulla con quel bambino — a quanto pareva la sua vita aveva placato la maledizione, almeno per il momento —, si vergognò talmente tanto di aver pensato male di lui che iniziò a camminare con passo celere verso casa senza prestare attenzione alla voce di Ryoken che lo chiamava con insistenza.
Quando giunsero a destinazione — Ryoken era riuscito a colmare la distanza che li separava in poche falcate nonostante Yusaku camminasse spedito —, ci fu qualche attimo di esitazione da parte di entrambi, come se nessuno dei due volesse compiere il primo passo per porre fine a quell'incontro. Fu Ryoken a farsi avanti, anche se a malincuore.
    «Ti ringrazio per la compagnia» disse, e non fece in tempo ad aggiungere altro poiché Yusaku, colto da un impeto di coraggio che non credeva di possedere, parlò a sua volta.
    «Possiamo rivederci?» chiese tutto d'un fiato, con le gote che avevano improvvisamente preso fuoco.
Ryoken non poté fare a meno di sorridere. «Stavo per chiedertelo io» ammise, e Yusaku arrossì ancora di più. «Certo che possiamo rivederci. Tutte le volte che vorrai».
E Yusaku, questa volta, riuscì a fermarsi in tempo, perché qualcosa gli era esploso all'altezza del petto e se non l'avesse domato avrebbe risposto con una sola parola dalla potenza di mille soli: “Sempre”.






Questa mini long (che all'inizio doveva essere una One Shot) me la porto dietro ormai da un anno.
Mi è venuta in mente pensando a un prompt della Everybody Needs A Hug Challenge del mio forum, Siate Curiosi Sempre, anche se poi 1) come mio solito ho iniziato a scrivere troppo e quindi essendo diventata una mini long è fuori gara e 2) il prompt che avevo scelto è andato in una direzione e io in un'altra, quindi diciamo che rimane poco e niente di quello che avevo in mente all'inizio.
Ma va benissimo così perché questa versione mi piace tantissimo e spero possa piacere anche a voi.

Non posso non citare A Promise dei Dead by April, perché se non fosse stato per questa meravigliosa canzone, la storia sarebbe risultata incompleta, almeno secondo me.
Tra l'altro, questa canzone è la mia preferita in assoluto, del tipo che se mi dovessero chiedere “qual è la tua canzone preferita nella vita?” io direi proprio questa.
La amo con tutta me stessa e non vedo l'ora di inserire il ritornello nella seconda parte della storia.

Cosa ne pensate delle maledizioni che affliggono Ryoken e Yusaku?
All'apparenza sembra solo Yusaku quello maledetto, ma anche Ryoken, costretto alla vita eterna, non se la passa certo meglio.
Il loro incontro è davvero frutto del caso, secondo voi?
Fatemi sapere, se vi va.

Dovrei aver detto tutto.
Vi ringrazio per essere arrivati fino a qui.

M a k o

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


A Promise (pt.2)
N.d.A. in fondo alla pagina.
Buona lettura!



A PROMISE
(Seconda parte)



11


Without you I fail in every way
Picture a world for me where I can stay
Without you I break in every way
Imagine a place for us where you and I stay


Il modo in cui le dita delle loro mani si intrecciavano era meraviglioso. Yusaku avrebbe potuto guardarle per ore intere con gli occhi pregni di meraviglia e non se ne sarebbe mai stancato.
    «Ryoken» lo chiamò quasi in un sussurro durante un tramonto vermiglio. Avevano trascorso un nuovo pomeriggio insieme e questo aveva ricucito un altro po' i brandelli dell'anima di Yusaku. «Che cosa provi quando ci tocchiamo?»
Ryoken era l'unico in grado di offrirgli una risposta esaustiva in merito. L'unico in grado di saziare quel desiderio di sapere, di metterlo dinanzi la realtà dei fatti senza tergiversare.
Il ragazzo lo guardò negli occhi senza sciogliere la stretta delle loro mani. Si prese qualche istante per sé e poi replicò: «Avverto come uno strappo. Ma non fa male» si affrettò ad aggiungere, notando l'espressione addolorata di Yusaku. «Almeno non a me. Credo che la tua maledizione spaventi così tanto gli altri perché li priva di ciò che di più prezioso hanno, qualcosa che per loro è limitato. Io non ho di questi problemi, anzi… alcune volte mi sento così pesante che ho come la sensazione di essere schiacciato da un macigno immenso».
Seguirono lunghi istanti di silenzio prima che Ryoken riprendesse il filo del discorso: «Mi odi se ti dico che la tua maledizione a me fa del bene? Per la prima volta in tutta la vita riesco a sentirmi capito per davvero e… io lo so che hai sofferto, l'ho percepito fin dal primo momento in cui ti ho visto. Non voglio assolutamente sminuire il tuo dolore. Inoltre, più ti tocco, più entro in empatia con la tua maledizione. Lei non vorrebbe essere così. Lei… sta cercando di realizzare quale sia la sua vera identità, il suo posto nel mondo. E per farlo ha bisogno di nutrirsi. Vuole la mia linfa vitale, la brama con tutta se stessa, ma la desidera in un modo che non ha nulla di malvagio. Lei vuole solo essere compresa, lo stesso che hai desiderato tu per sedici anni, lo stesso che ho desiderato io per secoli interi».
La stretta delle loro mani si era fatta indissolubile.
    (Come se fossero state progettate per quello).

E mentre il sole chiudeva sempre più le palpebre infuocate su quella fetta di mondo, Yusaku avvertì ancora una volta quella sensazione che aveva provato il giorno del loro primo appuntamento, quando Ryoken si era offerto di accompagnarlo a casa: il desiderio irrefrenabile e viscerale di non allontanarsi mai più da lui. Ryoken era l'altra metà che Yusaku aveva sempre cercato, una persona in grado stargli accanto senza farlo sentire sbagliato o inadatto alla vita.
    (Ryoken era un concetto impronunciabile, un'incurvatura romantica delle labbra, un lontano effluvio di fiori di campo trasportato dal vento).
    «Io non ti odio. Non potrei mai odiarti. Sei la prima persona che mi fa sentire al posto giusto… non so perché io e te siamo così, ma forse un giorno troveremo le risposte a ogni nostra domanda. Fino a quel momento…»
Fino a quel momento vorrei restare con te, avrebbe voluto dirgli. E anche dopo. Voglio aiutarti a condividere il peso di questo infinito che sento sempre più mio. Perché non voglio più saperti solo e non voglio più che questa solitudine corroda anche me. Siamo due numeri primi che si sono finalmente trovati in mezzo alla vastità dell'universo, e se ci siamo incontrati deve esserci un motivo, me lo sento.
Ma non riuscì a pronunciare parola alcuna poiché Ryoken sciolse la stretta delle loro mani e si sporse verso di lui, avvolgendolo nel calore del suo corpo. Lo stava abbracciando. Lo stava abbracciando su un prato primaverile, durante un tramonto dalle sfumature del dolce sapore di un nuovo inizio
    (una nuova vita)
e con un'intensità tale da farlo sentire una cosa sola con la completezza assoluta.
Se le loro mani erano state progettate su misura per stringersi tra loro, i loro petti erano stati fabbricati per aderire perfettamente. C'era qualcosa di unico e irripetibile in quell'abbraccio, una conquista importante, un sogno che diventava realtà dopo innumerevoli sofferenze.
    (C'era tutto ciò che non erano mai stati prima e che ora potevano essere).
Così era questo, un abbraccio. Era diventare un tutt'uno con il cuore di un'altra persona, era fondersi in una cosa sola, nuova e meravigliosa.
Tutte le gelide notti che Yusaku aveva trascorso nella solitudine più totale, stringendo a sé un cuscino inanimato nel disperato tentativo di immaginare cosa si provasse a essere abbracciati, furono spazzate via con garbo e compassione, sostituite da un calore intenso all'altezza del cuore.
Mentre si lasciavano andare sempre più a quel contatto intimo e incantevole, Yusaku chiuse gli occhi colmi di lacrime cristalline e salate e sognò per brevi istanti una bellissima ragazza dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri, limpidi e trasparenti che sorrideva con genuina felicità. Non sapeva chi fosse, ma la comprendeva appieno.
    (Era felice anche lui).


12

Fu naturale, per loro, dormire insieme quella notte. A casa di Ryoken, in riva al mare, cullati dal dolce suono delle onde, stretti l'uno all'altro in quel legame divenuto oramai indissolubile.
Avevano un disperato bisogno di rimanere attaccati e di sentire i loro cuori battere all'unisono. Avevano bisogno di non sentirsi più soli. E avevano bisogno di sentirsi al sicuro, di rifugiarsi nella certezza che insieme avrebbero superato ogni avversità.
    (Quella notte, per la prima volta dopo tanto tempo, una giovane donna dimenticata poté finalmente riunire le due metà strappate del suo cuore in un'unica essenza traboccante d'amore).


13

“Per me il tempo scorre in maniera differente. Come un placido corso d'acqua che non ha fretta di sfociare nel mare”. Ryoken glielo aveva confidato in una notte colma di stelle lontane e bellissime e Yusaku non trovò difficile credere a quell'affermazione — l'aveva avvertito lui stesso con un semplice tocco e, ancora di più, ogniqualvolta osservava quella vita infinita svolgersi a ritroso dinanzi i propri occhi meravigliati. Perché, a una manifestazione simile, non vi avrebbe mai fatto davvero l'abitudine, ne era più che certo.
Perdersi in lunghi abbracci era diventata parte integrante della loro quotidianità, come se vivessero solo per quello, per stare insieme il più possibile e non staccarsi mai.
    (E, in fondo, era proprio così).
    (Un tempo infinito messo a disposizione per due piccoli esseri umani come loro).
Yusaku aveva iniziato a comprendere le parole di Ryoken nel giro di poche settimane: anche per lui il tempo aveva iniziato a scorrere in maniera diversa, come se una sbiadita patina di irrealtà gli si fosse adagiata sulle iridi chiare. Una patina che distorceva in maniera quasi impercettibile il susseguirsi infinito e monotono dei secondi, ma Yusaku era comunque in grado di coglierne ogni sfumatura dissimile dal normale.
Ryoken percepiva questa distorsione in maniera ancora più marcata e Yusaku spesso si domandava come dovesse apparire il mondo ai suoi occhi. Come dovesse apparire lui ai suoi occhi.
Ryoken lo guardava in un modo che lo faceva sentire strano e desiderato al tempo stesso. Forse era questo che si provava quando si era importanti per qualcuno. Yusaku non aveva mai avuto certezze in merito poiché nessuno l'aveva mai fatto sentire così e cielo, era quanto di più bello potesse esistere sulla faccia del pianeta.
Non vi avrebbe mai rinunciato. Per nulla al mondo. Ora che aveva assaporato la vera felicità, avrebbe fatto di tutto per tenersela stretta.


14

    «Ohi, Fujiki!»
La voce di Shima Naoki gli giunse alle orecchie come un'esplosione che fece tremare i timpani per secondi interminabili. Yusaku si fermò, voltandosi lentamente nella sua direzione. Si era già allontanato a sufficienza dall'edificio scolastico e, per tale motivo, intuì che il ragazzo l'avesse seguito per un po'.
    «Ti serve qualcosa?» domandò con il tono di voce più anonimo che possedeva. Nulla contro Shima Naoki, aveva solo una gran voglia di tornare a casa.
    (Di tornare da Ryoken).
    «Senti un po', ma perché fino a qualche mese fa nessuno ti rivolgeva la parola?» gli chiese questi, una volta raggiunto. Aveva il fiato corto, segno che stare al suo passo gli era difficile. Ottimo, avrebbe potuto seminarlo in fretta nel caso fosse diventato troppo insistente.
Yusaku si limitò a fare spallucce e un piccolo sorriso affiorò sulle sue labbra. «Nulla di che, giravano solo strane voci sul mio conto» disse, prima di riprendere a camminare.
Nel corso dei mesi, la percezione nei suoi confronti era decisamente mutata. Dapprima in maniera quasi impercettibile — proprio come la patina che gli si era adagiata sulle iridi e che distorceva lo scorrere del tempo alla sua vista —, fino a diventare sempre più evidente.
Tutto iniziò neanche due settimane addietro, quando un suo compagno di classe gli diede una pacca sulla spalla per congratularsi con lui dell'eccellente voto che aveva preso nel test di matematica. Yusaku strabuzzò gli occhi al punto tale che se da quel momento in poi tutti quanti avessero iniziato a chiamarlo “pesce palla” non se la sarebbe nemmeno presa. Dopo lunghi attimi di incertezza, si era limitato a ringraziarlo frettolosamente e uscire dalla classe per chiudersi in bagno e telefonare a Ryoken.
    «Te ne sei accorto?» gli chiese questi dopo che Yusaku ebbe raccontato per filo e per segno quanto accaduto. «Credo che la tua maledizione stia iniziando pian piano a saziarsi. Di conseguenza, appare molto meno minacciosa agli occhi degli altri, o quantomeno a ciò che percepiscono quando ti sono vicini».
Quelle parole gli si insinuarono nelle vene, trasportando nuova linfa vitale al cuore.
    «Questo… questo non lo avevo preventivato» ammise con un filo di voce e il labbro inferiore che tremava appena.
    «D'ora in avanti allora fallo. Presta attenzione a cosa e soprattutto a chi ti circonda, sono convinto che ti basterà poco per cogliere tutte le differenze rispetto a prima. Non è meraviglioso, Yusaku? Ora potrai goderti la vita come un normale ragazzo delle superiori!»
Yusaku non credeva di essere mai stato normale e di certo non avrebbe iniziato in quel momento. La normalità dei suoi coetanei non gli era mai appartenuta ma forse, da quel giorno in poi, avrebbe potuto provare a capire di che cosa si trattasse.
    «Senti, Ryoken…» pronunciò il suo nome piano, proprio mentre suonava la campanella che annunciava la fine dell'intervallo, «… come fanno a non ricordare nulla? A inizio anno scolastico mi stavano tutti alla larga e mi guardavano come se fossi il demonio sceso in Terra, ma ora… ora sono più gentili, ma sembra che abbiano completamente rimosso tutto ciò che c'è stato prima».
Ryoken non rispose subito e quell'attesa lo portò ad agitarsi un poco. Quando finalmente lo fece, Yusaku si sentì di nuovo ancorato al pavimento del bagno: «Forse anche loro avevano una patina sugli occhi che impediva di vederti per ciò che sei realmente. Apparivi come un individuo distorto e pericoloso, ma forse nemmeno se ne rendevano conto. Anche se questo non cancella tutto il dolore che hai provato per quasi diciassette anni…»
Yusaku fece un profondo respiro prima di domandare: «E tu, Ryoken? Tu come mi hai visto in tutto questo tempo?»
Questa volta, Ryoken impiegò molto meno tempo a rispondere. E, nel farlo, Yusaku immaginò che stesse sorridendo nello stesso modo in cui, mesi addietro, l'aveva invitato a pranzo per la prima volta.
    «Bellissimo, Yusaku. Mi sei apparso bellissimo fin dal primo momento che ti ho incontrato».
Mentre ripensava a quel frammento di vita, a come si fosse sentito nell'udire quelle parole
    (il cuore che batteva celere, le gote ridotte a un ammasso di carne bruciata, le gambe molli)
e al fatto che lui e Ryoken non avevano più ripreso in mano quella discussione senza un apparente motivo, Yusaku non si accorse, almeno in un primo momento, che Shima Naoki stesse continuando a seguirlo quasi arrancando al suo fianco.
    «Sì, ma è davvero strano, Fujiki! Nessuno sa nulla di te, tipo dove abiti o quali sono le tue passioni… sei un vero mistero!»
Yusaku si fermò una seconda volta e fissò per mezzo istante il ragazzo che stava riprendendo fiato. «Abito nella villa in riva al mare e mi piacciono i videogiochi» rispose semplicemente, nella speranza che così facendo avesse soddisfatto la curiosità del suo interlocutore.
Shima Naoki parve riscuotersi da un lungo torpore. «Eh?! La villa in riva al mare?! Ma è enorme! Quanti siete in famiglia?!»
Yusaku non ascoltò il resto — gli aveva chiesto se fosse ricco o qualcosa di simile — e riprese a camminare con la mente indirizzata a un'unica domanda e a un'unica persona: quanti siete in famiglia?
Lui e Ryoken cos'erano in realtà? Avevano un rapporto del tutto diverso rispetto a quello che instauravano i ragazzi della loro età: vivevano insieme — era stato naturale, per Yusaku, trasferirsi nella villa in riva al mare quando Ryoken glielo aveva chiesto — e dormivano abbracciati tutte le notti.
Ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare che il loro stile di vita fosse dettato da un'esigenza primordiale che li voleva insieme in un modo impossibile da descrivere.
Yusaku doveva percorrere ogni giorno un tragitto molto più lungo sia per andare a scuola che per tornare a casa, ma questo non gli pesava affatto. Anzi, così facendo aveva modo di guardarsi intorno e di osservare la città sotto innumerevoli sfumature che non aveva mai colto.
    (Poteva sentirsi al sicuro a camminare tra la gente, senza più provare il terrore atavico di fare del male a qualcuno semplicemente sfiorandolo).
Più si avvicinava alla villa, più il dolce suono delle onde del mare gli cullava i timpani, rilassando il suo intero corpo. E quando giungeva a casa e si chiudeva la porta alle spalle, ecco che l'invitante profumo del pranzo gli solleticava le narici; la consapevolezza che ad accoglierlo ci fosse qualcuno e che non avrebbe mai più trascorso le sue tristi giornate nella solitudine assoluta era la conquista più bella che avesse mai ottenuto.
Alcune volte Ryoken lo aspettava fuori da scuola per andare a desinare da qualche parte in città oppure portava con sé dei bento da aprire una volta giunti al parco cittadino. Erano le sorprese che Yusaku più apprezzava poiché gli riempivano il cuore di una felicità tremante. Ed era tutto merito di Ryoken.
Ryoken che lo faceva sentire bellissimo per davvero.


15

Yusaku si rese conto di aver seminato Shima Naoki quando mancava ormai poco per raggiungere casa. Fece spallucce e si ripromise di sforzarsi di scambiare qualche altra chiacchiera con lui l'indomani a scuola per farsi perdonare.
Ora i suoi pensieri erano tutti dedicati a Ryoken, al desiderio di riabbracciarlo e di raccontargli come fosse andata la giornata — e sapere come fosse andata la sua.
Ryoken nel corso dei secoli aveva frequentato l'università una cinquantina di volte e, se all'inizio lo aveva fatto per restare al passo coi tempi e ricevere un'istruzione adeguata, a lungo andare il tutto si era tramutato in una disperata ricerca di risposte circa la sua condizione
    (maledizione).
Risposte che, nel presente, non aveva ancora trovato.
Così ora Ryoken trascorreva le sue giornate a prendere libri in prestito dalla biblioteca o ad acquistarli in libreria e leggere, leggere a non finire, leggere fino a imparare a memoria paragrafi interi. Aveva frequentato l'università troppe volte per rendersi conto che lì non avrebbe mai trovato ciò che cercava e anche Yusaku aveva ormai capito che nell'ordinarietà del programma scolastico della scuola superiore che frequentava non avrebbe mai trovato nulla di utile e interessante riguardo loro.
Ryoken però non si arrendeva, era sicuro che qualcosa, un giorno, sarebbe sicuramente emerso in mezzo a quel coacervo di pagine stampate con l'inchiostro scuro. In fondo doveva pur impiegare le sue giornate in qualcosa, no? E visto tutto l'impegno che ci metteva, Yusaku si stava impegnando a sua volta nel mantenere un rendimento scolastico lodevole e socializzare un po' di più coi compagni di classe.
    (Ma Ryoken rimaneva sempre il suo preferito).
L'immensa villa nella quale vivevano si era presto tramutata in una biblioteca che racchiudeva al suo interno storie antiche e pericolose, altre dolci come un bel sogno e altre ancora amare come una medicina non zuccherata.
Era un bel posto, forse davvero troppo grande per due sole persone, ma comunque accogliente e luminoso. Ed era casa loro, lo era a tutti gli effetti.
Anche se, a essere sincero fin nel profondo, Yusaku sentiva che mancava qualcosa. Come se, nonostante tutto, quello non fosse il posto giusto per loro. Non sapeva spiegarsi come o perché, ma alcune volte immaginava di vivere tra la neve, lontano da tutto e da tutti, al riparo dal bollente sole estivo e dalla sabbia che ustionava la pelle.
Fece spallucce un'altra volta ancora, relegando quell'idea al semplice pensiero che fosse ormai estate inoltrata, le vacanze di agosto non erano ancora arrivate e lui mal sopportava il caldo. Erano, dunque, solo i pensieri di un adolescente come tanti che non vedeva l'ora di trovare ristoro durante la stagione più afosa dell'anno.


16

Solitamente, quando rientrava in casa, Yusaku era accolto non solo dagli invitanti profumi delle pietanze cucinate per il pranzo, ma anche dal sorriso di Ryoken, dal suo “Bentornato” e da un lungo abbraccio. Quel giorno fu diverso perché non accadde nulla di tutto ciò che aveva ormai iniziato a comporre la loro quotidianità.
Ma, nonostante tutto, fu meraviglioso lo stesso. Forse anche più bello. Anzi, lo fu sicuramente.
Ryoken era seduto sul divano, lo sguardo fisso su due pagine che, dalla distanza in cui si trovava, Yusaku non riuscì a identificare. Lo spesso volume poggiato sulle sue cosce era aperto circa a metà, segno che avesse trascorso l'intera mattinata a leggerlo — aveva iniziato la sera addietro, leggendo però solo le prime pagine.
    «Ryoken…» Yusaku lo chiamò piano, quasi avesse il timore di spaventarlo. E in effetti era proprio così, dato che il ragazzo pareva completamente assorbito da ciò che aveva letto in quelle pagine che sapevano di lontano, di terre mai viste prima ed epoche sconosciute perfino a lui che per settecento anni aveva camminato per le strade dell'intero pianeta.
A sentire il suo nome, Ryoken si ridestò con un lieve sobbalzo da tutti i suoi pensieri. «Yusaku…» sussurrò piano a sua volta dopo aver alzato lo sguardo su di lui. Poi si riscosse del tutto e, dopo aver poggiato il volume sul tavolino in vetro, si alzò in piedi e gli andò incontro.
Non gli chiese scusa per non aver ancora preparato il pranzo, né per non averlo accolto come suo solito. Non fece niente di tutto ciò. Gli strinse forte le mani e lo guardò in un modo che Yusaku non avrebbe mai dimenticato: era come se Ryoken fosse entrato in contatto con ciò che si nascondeva al centro dell'universo, la fonte di energia massima e suprema.
Come se una nuova vita — o un nuovo modo di viverla e interpretarla — si fosse fatto spazio nei suoi pensieri. Era come se, nelle sue iridi azzurre, si fosse materializzato il segreto più importante fra tutti. Il loro.
    «Ho trovato la risposta che abbiamo a lungo cercato».


17

Tanto tempo fa, nelle fredde Terre del Nord, viveva un piccolo villaggio di contadini da più di cinque generazioni. Erano persone umili e perbene che, nonostante la rigidità della loro terra, erano sempre grate per ciò che offriva loro.
Non vivevano nella miseria assoluta, ma erano comunque costrette a compiere tanti sacrifici per garantire un pasto caldo la sera ai loro figli prima di andare a dormire.
Il Sole, ammirato e impietosito al tempo stesso dalla loro tenacia, decise di aiutarli offrendo un dono dal valore inestimabile: trasformò uno dei suoi più caldi raggi in una giovane donna che chiamò Synnöve e le disse che, da quel momento in poi, avrebbe portato gioia e prosperità al villaggio grazie al potere custodito nella sua mano destra, il quale dava tutto senza chiedere nulla in cambio; al contempo, però, quell'immenso potere era controbilanciato da ciò che risiedeva nella sua mano sinistra, ovvero la possibilità di togliere tutto senza pietà alcuna. Stava a lei decidere come e quando usare entrambi i suoi poteri.
Così Synnöve giunse al villaggio e fu accolta con benevolenza e devozione. Era figlia del Sole e, proprio per questo, brillava di luce propria; i lunghi capelli parevano fili dorati che se intrecciati tra loro creavano meraviglie mai viste prima e gli occhi erano simili a due pezzi di cielo ritagliati su misura per lei. Sorrideva sempre, Synnöve, perché questo sapeva fare, portava gioia e serenità ovunque volgesse lo sguardo e scaldava il cuore di chiunque incontrasse sul proprio cammino.
Il figlio del capo villaggio si innamorò perdutamente di lei e la corteggiò per settimane intere prima che Synnöve accettasse di sposarlo. Nel mentre, però, qualcosa di sinistro aveva iniziato a insinuarsi nel villaggio e ad aleggiare mortifero tra le abitazioni. Qualcosa di oscuro e spaventoso, in grado di frantumare l'animo umano e rimodellarlo in un'essenza torbida e mefitica.
Più Synnöve usava i poteri custoditi nella sua mano destra, più si rendeva conto che qualcosa non andava. Dapprima non vi aveva fatto caso: i contadini, meravigliati dalla prosperità che ella aveva portato al villaggio, l'avevano ringraziata e venerata con una devozione nello sguardo in grado di scaldare il Sole stesso; ma nel giro di poco tutto ciò che Synnöve aveva fatto e continuava a fare per loro non bastava più: i campi da coltivare erano troppo piccoli e andavano ampliati, la neve da sciogliere era sempre di più, le infrastrutture necessitavano di piani più alti, sempre più alti, fino a toccare il cielo, e i gioielli in oro e argento puro da vendere o indossare per rimirarsi dinanzi lo specchio per ore intere non erano mai abbastanza.
Nessuno si fermava più ad ammirare i fiori sbocciati tra la neve, quegli stessi fiori colorati che avevano suscitato così tanta meraviglia il primo giorno che erano emersi con graziosa timidezza; ora chiunque li calpestava senza curarsi minimamente del loro dolore e dei loro singulti spezzati, perfino i bambini si stavano inabissando sempre più nella spirale eterna dell'ingordigia e dell'avarizia.
Il villaggio brillava più del Sole per tutto l'oro e l'argento che Synnöve aveva donato ai suoi abitanti, ma dentro era vuoto, era una terra arida di sentimenti genuini e spensieratezza. I contadini pensavano solo ad arricchirsi e vivere in un lusso che non avevano mai assaporato e che non sapevano come gestire.
E allora Synnöve comprese che il suo dono non era più visto come un miracolo, bensì come una fonte di potere assoluto. Tutti quanti avevano perso la luce negli occhi, sostituita da un lampo di pura malignità.
La giovane donna compì dunque una scelta che avrebbe cambiato per sempre la sua sorte: usò il potere sigillato nella sua mano sinistra per riportare tutto quanto al suo stadio iniziale e mentre compiva la sua magia rivide la vita di ogni abitante del villaggio svolgersi a ritroso dinanzi a lei. Pian piano, lentamente e con molta grazia, i tratti del viso di ognuno mutarono in quelli dolci e gentili dell'umiltà e ritornarono a ciò che erano un tempo, quando la neve rendeva difficile coltivare i campi ma nessuno si lamentava mai e chiunque era grato al pallido Sole di offrire parte del suo immenso calore anche lì, in quella terra così lontana e aspra alla vita.
Fu lì che Synnöve comprese di aver sbagliato, di aver offerto troppo in così poco tempo e di aver corrotto senza volerlo la mente e i desideri di quelle persone tanto semplici. Voleva porre rimedio agli errori commessi e, per farlo, doveva rimanere ferma nelle sue posizioni: non si lasciò abbindolare dalle suppliche dei contadini, dai pianti delle donne e dalle grida dei bambini e non si scompose minimamente nel momento in cui tutta la loro disperazione si tramutò in una lunga sequela di minacce e bestemmie e ruggiti infuriati.
Sapeva che a parlare non erano le loro vere essenze, ma la corruzione che le aveva contaminate. In quel villaggio ritornato al suo stadio iniziale, coi piccoli campi coperti da un manto di soffice neve e le case vuote di beni di lusso ma piene di vita, Synnöve spiegò che non avrebbe usato i poteri della sua mano destra per un anno intero, in modo tale che ogni abitante potesse riscoprire se stesso attraverso il sacrificio del duro lavoro. Chinò il capo e domandò il loro perdono per averli resi talmente schiavi delle ricchezze materiali da dimenticare quali fossero i veri valori della vita.
Quella stessa sera, Synnöve annunciò che se ne sarebbe andata e che avrebbe vegliato su di loro fino al suo ritorno l'anno successivo, ma il figlio del capo villaggio insistette affinché la giovane donna rimanesse fino al mattino successivo, in modo tale non solo di riposare, ma anche di partire guidata dalla luce del Sole.
Synnöve accettò, intenerita dalla sua gentilezza, e gli promise che l'anno successivo, quando tutto si fosse risolto, l'avrebbe sposato. Ma il figlio del capo villaggio non era più intenzionato a sposarla, non dopo l'affronto che aveva recato alla sua famiglia privandola di tutti i tesori che avevano accumulato grazie al suo potere e che ora non avevano più a causa di quello che lui riteneva un puerile capriccio.
Egli era l'uomo più avido e meschino delle lontane Terre del Nord ma, a differenza di tanti altri, era sempre stato bravo a celare questo oscuro tratto della sua persona sotto strati e strati e strati di finta bontà e compassione. Aveva sempre odiato la miseria nella quale viveva lui, solo e soltanto lui, perché per gli abitanti del suo villaggio non provava nulla se non un profondo ribrezzo.
Così decise che quella notte, mentre Synnöve dormiva, le avrebbe amputato la mano sinistra e l'avrebbe bruciata, in modo tale che la giovane non avrebbe mai più potuto sottrargli le sue ricchezze ma solo donargliele, come una moglie devota doveva fare. L'avrebbe costretta a sposarlo quella stessa notte, all'oscuro di tutto il villaggio, perfino di suo padre. E una volta divenuto più ricco e importante di lui, avrebbe comandato su tutti quanti come unico e vero signore di quelle terre bianche e grigie.
Così la notte giunse, amara e inesorabile, e le lunghe ombre avvolsero le strade deserte e i campi ricoperti di neve. Synnöve faticava ad addormentarsi, non riusciva a provare un solo briciolo di serenità e l'inquietudine le serpeggiava sottopelle facendola svegliare di soprassalto al minimo rumore.
Per questo, quando la luna fu alta e piena nel cielo e la porta della sua camera si aprì, lei spalancò gli occhi di scatto, colta da un terrore gelido e pungente, un terrore che le serrò la gola con dita scheletriche e avvizzite. Era un raggio di Sole, Synnöve, ma tutto il suo calore venne meno nel momento in cui, voltandosi e alzando il busto, vide l'uomo che amava armato di un coltello affilato avanzare verso di lei con fulmini e saette di follia pura che esplodevano nei suoi occhi.
Tutto le fu subito chiaro: comprese che non avrebbe mai potuto cambiare il cuore ormai troppo corrotto di quelle povere creature confinate nelle gelide Terre del Nord. E il dolore che provò nel realizzare una verità di questo tipo fu così grande, immenso e atroce che la uccise.
Synnöve, il dono del Sole, morì di crepacuore ancor prima che il suo promesso sposo ebbe il tempo di affondare il coltello nel suo braccio sinistro. Il suo cuore si strappò a metà e si dissolse nel nulla, ma non prima di aver preso in custodia i poteri racchiusi nelle sue mani: nella parte destra vi confinò la prosperità e la ricchezza e in quella sinistra il ritorno al punto di origine.
Le mani della giovane divennero così due mani comuni, prive di qualsiasi unicità. E ancor prima che il figlio del capo villaggio potesse rendersi conto di ciò che era capitato, una potente bufera di neve si abbatté su quelle terre dimenticate dal Sole, seppellendole ed estinguendole per sempre.
Il cuore spaccato a metà di Synnöve vagò in lungo e in largo per tutto il mondo alla ricerca di qualcuno che lo potesse proteggere. Ma le due metà si erano perse e allontanate, senza più ritrovarsi, rendendo così instabili i poteri che custodivano al loro interno ed elevandoli a qualcosa che, se preso singolarmente, risultava terrificante e minaccioso: la vita eterna nella parte destra e l'annientamento della linfa vitale in quella sinistra.
Fino a quando due anime gemelle condannate alla solitudine perpetua non avranno modo di incontrarsi e completarsi a vicenda, il cuore strappato di Synnöve continuerà a soffrire, trasportato dal vento della disperazione.
Solo due vere anime gemelle saranno in grado di spezzare la maledizione e, così facendo, Synnöve potrà finalmente riposare in pace.





Dead by April — A Promise || Siate Curiosi Sempre

Ditemi se il ritornello della canzone non urla DATASTORMSHIPPING a ogni parola.
Questa canzone parla davvero di loro, non c'è altra spiegazione.
E vorrei dire che questa storia è nata proprio con l'intento di creare una leggenda al suo interno (quella di Synnöve), ma mentirei se lo dicessi, perché questa mini long vive per tutt'altro motivo che scoprirete nel prossimo capitolo, che sarà anche l'ultimo — rido perché inizialmente questa storia doveva essere una One Shot.
Più che altro, desideravo concluderla oggi perché è il 20 marzo ed è il compleanno di Yusaku, sempre secondo i miei personalissimi Headcanon e quindi non è nulla di ufficiale, ma almeno oggi ho pubblicato il cuore di questa storia, quindi va benissimo anche così.

Spero con tutta me stessa di avervi offerto delle risposte esaustive circa le maledizioni di Ryoken e Yusaku e che tutto fili liscio e senza alcun intoppo.
Una mega confezione di biscotti in regalo a tutti coloro che, nelle recensioni al primo capitolo, hanno intuito che si trattasse di una questione di “anime gemelle”, perché è proprio così: solo due vere anime gemelle possono spezzare la maledizione di Synnöve e questo destino è capitato proprio a Ryoken e Yusaku perché sono sadica e mi piace sguazzare nell'Angst trascinando questi due poveri disgraziati con me, in sostanza.

La leggenda è ambientata in Svezia. So che nello scritto non l'ho mai specificato, ma in ogni caso sì, le fredde Terre del Nord in questa mini long sono proprio la Svezia — omaggio ai Dead by April che sono svedesi e non solo, fosse per me mi trasferirei a Göteborg tipo SUBITO, ma dettagli.
Amo la Svezia pur non essendoci mai stata e spero un giorno di poterla visitare.


Synnöve significa dono del sole ed è la variante svedese di Synnøve (nome norvegese); ovviamente ai tempi di questa leggenda (qualcosa come uno o due millenni fa) il nome Synnöve ancora non esisteva, dato che deriva dall'antico nome anglosassone Sunngifu e poi, nel Medioevo, da Sunnifa.
Mi sono presa la libertà di chiamare la donna della leggenda Synnöve solo per rimarcare il fatto che la leggenda è svedese, tutto qui.

Non vedo l'ora di farvi scoprire cosa succederà nel terzo (e ultimo) capitolo.
Avete qualche teoria a riguardo? Fatemi sapere, se vi va.
Io intanto vi ringrazio per essere arrivati fino a qui.

M a k o

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


A Promise (pt.3)
N.d.A. in fondo alla pagina.
Buona lettura!



A PROMISE
(Terza parte)




18

“Fino a quando due anime gemelle condannate alla solitudine perpetua non avranno modo di incontrarsi e completarsi a vicenda, il cuore strappato di Synnöve continuerà a soffrire, trasportato dal vento della disperazione.
Solo due vere anime gemelle saranno in grado di spezzare la maledizione e, così facendo, Synnöve potrà finalmente riposare in pace”.
Yusaku aveva letto e riletto quelle ultime frasi così tante volte che gli si erano impresse nell'anima, sottopelle. La leggenda di Synnöve giaceva sempiterna su quelle pagine carezzate dallo scorrere inesorabile del tempo, parole nero pece che pulsavano di vita, dolore e un altro sentimento al quale Yusaku aveva imparato a dare una forma nel corso del tempo da quando Ryoken si era fatto spazio nella sua esistenza, raccogliendola da terra con mani calde e gentili e trasformando le sue giornate vuote e solitarie in momenti degni di essere vissuti.
Ma quella non era solo la leggenda di Synnöve: era qualcosa di molto più grande e immenso, un frammento di storia che aveva viaggiato nel corso dei secoli alla disperata ricerca del proprio posto nel mondo. Aveva sorpassato un'infinità di epoche e si era perso tra miliardi di persone differenti prima di trovare Ryoken e poi, settecento anni dopo, trovare anche Yusaku.
E fu lì, proprio in quel momento che Yusaku si rese conto fin nel profondo che ciò che aveva appena letto non fosse un'antica leggenda, bensì la realtà di un mondo lontano e sconosciuto che aveva lottato fino allo stremo per poterlo raggiungere.
Quella era una storia che, da qualche parte del pianeta, era capitata per davvero. Si era avverato tutto ciò che aveva letto in quelle pagine scolorite e in quel presente tanto distante stava ancora proseguendo nel suo estenuante cammino. Perché non era finita. Non ancora, almeno.
Si stava avviando lentamente verso la sua conclusione. Ma se il sole fosse esploso in quel momento, loro se ne sarebbero accorti solo otto minuti dopo, poiché la sua luce impiega quel lasso di tempo per raggiungere la Terra.
    (E i loro personali otto minuti prima del vero finale erano ancora tutti da vivere).
Yusaku chiuse il voluminoso tomo e lo poggiò sul tavolino. Si voltò verso Ryoken il quale, seduto sul divano accanto a lui, attendeva trepidante la sua risposta in merito.
    «Cosa ne pensi?» gli chiese infatti a mezza voce, con una nota di titubanza che gli fece tremare le corde vocali.
Yusaku non replicò nell'immediato. Aveva quasi il terrore di spezzare in due quel momento, proprio come il cuore di Synnöve era stato strappato in due parti uguali prima di dissolversi nel nulla e vagare per secoli interi prima di trovare due anime gemelle in grado di completarsi a vicenda.
Avvertì i battiti cardiaci farsi più concitati e le punte delle dita iniziarono a formicolare. Yusaku non si era mai sentito così strano in vita propria, nemmeno quando aveva realizzato che il modo in cui Ryoken lo guardava sempre fosse pregno di desiderio e quel sentimento incondizionato e impronunciabile.
    (Qualcosa che ricambiava con ogni fibra del suo essere).
Il solo fatto di avere così tanto bisogno l'uno dell'altro al punto tale da dormire abbracciati ogni notte era una prova evidente e concreta di quanto il loro legame fosse diverso rispetto a tutti gli altri, la stella più luminosa di una costellazione infinita.
E ora, mentre si voltava verso Ryoken e lo guardava dritto negli occhi, Yusaku provò l'atavico desiderio di diventare una cosa sola con lui. La sua anima, ancor prima della sua carne, fremeva per questo.
Si avvicinò a Ryoken lentamente, le labbra un poco schiuse e gli occhi che brillavano di una luce soffice e carezzevole. Quando i loro respiri trovarono un punto d'incontro caldo e compatto, Yusaku comprese che da quel momento in poi niente sarebbe più stato come prima; che ogni nuovo abbraccio, ogni nuovo contatto fisico e ogni nuovo intreccio di dita sarebbe stato più intenso, amplificato, incandescente come il nucleo di una stella in procinto di collassare su se stesso.
Ryoken ricambiò il suo sguardo e gli prese il volto tra le mani, lasciandogli intendere che desiderasse la stessa cosa. E questa volta, anziché nutrirsi di quella vita eterna che tanto l'appagava, la maledizione — o ciò che ne rimaneva — sospirò di sollievo.
E quando le loro labbra si incontrarono per la prima volta, qualcosa, da qualche altra parte in un altro universo, si accese per un piccolo istante in un mondo ormai sull'orlo del declino eterno. Una rassegnazione dolce come il miele che profumava come la notte dei tempi.


19

Si erano toccati, sfiorati e carezzati un'infinità di volte. Si erano abbracciati e stretti forte l'uno all'altro per notti interminabili, allacciati in un legame che li voleva uniti nell'anima, due cuori che in realtà erano le due metà complementari dello stesso spirito.
E ora, mentre si scambiavano il loro primo bacio d'amore, compresero entrambi il vero significato della storia di Synnöve. Per secoli interi il suo cuore strappato a metà aveva a lungo cercato qualcuno che potesse infondergli nuovamente speranza e scaldarlo col proprio calore, e se aveva scelto loro due doveva davvero esserci un motivo. Forse settecento anni addietro Ryoken non avrebbe mai amato per davvero e forse, nell'età contemporanea, Yusaku sarebbe sempre rimasto solo. In un modo o nell'altro, erano destinati a incontrarsi e incastrarsi tra loro al punto tale che c'era voluta un'antica leggenda nordica per far sì che ciò accadesse.
E ora che tutto ciò si stava realizzando, ora che le loro labbra erano unite in un dolce sospiro d'amore e ora che le loro mani vagavano sulla pelle accaldata, si sentirono più completi che mai. Perfetti e insostituibili, armonia allo stato puro.
Mentre Ryoken lo spogliava e coi polpastrelli percorreva i sentieri del suo corpo, Yusaku provò una profonda pace interiore in grado di renderlo un tutt'uno con il centro dell'universo; non aveva mai provato sensazioni simili né aveva mai creduto che un giorno le avrebbe sperimentate con qualcuno, e fu proprio per questo che la sua felicità si amplificò al punto tale da toccare le stelle: perché ogni suo timore era stato scacciato via dalla sua testa e tutto ciò che rimaneva era il dolce suono della neve che si poggiava sui tetti delle case.
    (Quindi era questo ciò che significava essere importante per qualcuno, essere il suo tutto, la sua ancora di salvezza).
Lui e Ryoken si erano salvati a vicenda, avevano colmato le loro perenni solitudini con lunghi abbracci e notti a perdersi in fiumi di parole e racconti sussurrati sotto le candide lenzuola; erano stati l'uno il sostegno dell'altro, la Stella Polare che non smetteva mai di indicare la giusta direzione da prendere.
E allora Yusaku capì, mentre diventava una cosa sola con Ryoken, che tutta la sofferenza che avevano provato aveva avuto un senso. Un senso dolceamaro che permeava ancora sulla lingua, ma che prima o poi si sarebbe dissolto nel nulla.
Mentre facevano l'amore e si guardavano negli occhi riscoprendosi un'altra volta ancora, entrambi si resero conto che le loro anime erano fatte per perdersi altrove, lontane da tutto ciò che concerneva la caoticità del mondo contemporaneo.
Tra la neve sarebbe andato tutto bene.
    (Tra la neve sarebbe stato tutto più bello).


20

La sottile patina che distorceva lo scorrere del tempo gli si era adagiata sugli occhi più di settecento anni addietro. Ryoken ai tempi aveva diciotto anni e sempre diciotto anni aveva quando suo padre era invecchiato al punto tale da non riconoscerlo più, quando la sua prima infatuazione aveva perso la luce nelle iridi grigie come la nebbia e quando tutti gli abitanti del villaggio nel quale viveva si erano armati di coltelli e torce rudimentali per dargli la caccia poiché considerato un demonio che si nutriva della vita di tutti coloro che gli stavano accanto.
Aveva capito fin troppo bene che c'era qualcosa che non andava, di essere diverso rispetto a tutti gli altri abitanti del villaggio; a lungo andare, però, gli era bastato ancora meno per rendersi conto di essere diverso dal resto del mondo intero.
Vagava in un limbo eterno nel quale la sua vita era perennemente spaccata a metà; era circondato da persone che avevano un rapporto diverso col tempo, ne temevano lo scorrere inesorabile delle lancette e lo pregavano di essere clemente nei confronti dei loro corpi, delle loro menti, delle loro ossa.
Ryoken temeva il tempo per un altro motivo: perché erano alla pari. Il tempo scorreva e Ryoken scorreva con lui, alla stessa velocità, una scheggia di luce che attraversava l'universo e al contempo una chiocciola che vagava con placida calma lungo un sentiero di campagna.
Il tempo era diverso per ogni essere umano presente sul pianeta, ma per lui era una certezza inconfutabile, l'oggettività assoluta, un fidato compagno che gravava sulle sue spalle doloranti. Le sue lame affilate non lo scalfivano minimamente e questo era il dolore più atroce che avesse mai provato: lui era una costante in mezzo a tante varianti, un punto fisso, un disco rotto.
Il tempo scorreva placido senza alcuna alterazione: un secondo dopo l'altro, senza mai accelerare o frenare bruscamente.
    (E lui assisteva inerme).
Era vittima di qualcosa che non sapeva spiegarsi. Aveva compreso di essere diverso, ma gli sfuggiva il perché.
Perché proprio lui? Quali peccati aveva commesso per meritare una simile condanna?
Perché non poteva che trattarsi di questo, della condanna più crudele fra tutte: godere di una giovinezza sempiterna e inscalfibile mentre il tempo divorava la vita altrui senza lasciare scampo.
Aveva amato e voluto bene e stimato e ammirato persone che poi si erano spente davanti ai suoi occhi mentre lui rimaneva sempre uguale e quella patina, quella maledetta patina le distorceva in un modo talmente atroce da mozzargli il respiro. Più gli anni passavano e più Ryoken percepiva l'alienazione dal mondo intero farsi sempre più pesante e opprimente.
    (La condanna della vita eterna gravava sulle sue spalle sempre più doloranti. Era una pesantezza indescrivibile, un macigno che lo schiacciava sempre più giorno dopo giorno).
Aveva viaggiato per tutto il mondo, l'aveva esplorato in lungo e in largo, ma mai nessun luogo lo aveva fatto sentire davvero a casa. E più le lancette ticchettavano inesorabili, più Ryoken si rendeva conto, con un'amarezza senza fine, che non avrebbe mai avuto una vita normale. Nessuno comprendeva appieno cosa significasse vivere — e vivere e vivere e vivere — con l'eterna costante di rimanere uguale in mezzo a persone destinate a mutare nel corso degli anni; Ryoken durante i secoli era maturato, aveva sviluppato una adattabilità necessaria per poter sopravvivere agli svariati spostamenti che doveva compiere ogni cinque o sei anni e aveva studiato all'università tutto ciò che poteva apprendere per rimanere al passo coi tempi e trovare una risposta, anche solo vaga, a ciò che lo affliggeva. Solo che, come c'era da aspettarsi, ogni suo sforzo era risultato vano, un ammasso di polvere trasportato via dal gelido vento invernale.
Poi però aveva incontrato Yusaku. In un giorno come tanti, dove il susseguirsi dei secondi, dei minuti e delle ore era lo stesso di sempre
    (la solita immagine riflessa allo specchio, il solito sguardo spento, la solita maschera di finta disinvoltura da sfoggiare davanti a dei perfetti estranei)
e Ryoken dopo decenni aveva deciso di tornare in Giappone, la sua terra natia, spinto soprattutto dalla curiosità di vedere di persona quanto fosse mutata nel corso della sua assenza che per altro.
L'incontro con Yusaku fu del tutto casuale, eppure gli bastò un solo attimo per rendersi conto di aver trovato il suo incredibile punto d'inizio: per la prima volta, la sottile patina che gli copriva gli occhi non distorceva la figura di quel giovane ragazzo che si trovava di fronte a lui e Ryoken ebbe modo di vederlo per ciò che era realmente.
    (Bellissimo. Quel ragazzo era bellissimo e fragile e spaventato. E proprio per questo gli apparve come una creatura meravigliosa).
Yusaku era destinato a entrare nella sua vita allo stesso modo in cui Ryoken era destinato a farsi spazio nella sua; lui che, dopo secoli in cui era sopravvissuto a tutti i suoi affetti, aveva tentato in ogni modo possibile e immaginabile di non legarsi più a nessuno poiché non si era mai abituato al dolore della perdita.
Dopo tanta sofferenza e solitudine, aveva finalmente trovato qualcuno non solo in grado di comprenderlo fino in fondo, ma anche di alleviare il fardello che gravava sulla sua intera essenza. Il senso di pesantezza che gli opprimeva il petto andava scemando sempre più ogniqualvolta stringeva Yusaku a sé e mai in vita propria aveva provato un benessere simile. Yusaku era la cura di ogni suo male.
Per questo, a lungo andare, Ryoken si rese conto di ciò che effettivamente il loro legame comportava: più rimanevano l'uno accanto all'altro, più Yusaku diventava come lui e maturava dentro di sé una concezione del tempo sempre più lontana e diversa rispetto a tutto il resto del mondo.
Non voleva essere la sua condanna. Anche se questo significava doversi allontanare dalla cosa
    (persona)
più bella che la vita gli avesse mai donato.


21

Il mare profumava di incanto e meraviglia e la rena era fresca sotto i polpastrelli. Un migliaio
    (o forse un miliardo)
di stelle vegliavano su di loro, incastonate nel cielo in un senso logico che a loro ancora sfuggiva.
Avevano cenato in riva al mare, quella sera. Un grande telo colorato e sottile ricopriva una minuscola porzione di spiaggia tutta per loro e il cestino da pic-nic era ormai mezzo vuoto. Avevano speso i minuti così, sotto lo sguardo vigile del firmamento illuminato.
    «Yusaku». Ryoken lo chiamò piano, in un sussurro che si perse tra le stelle riflesse sull'acqua cristallina del mare. Temeva di rovinare la serata dando una forma ai tarli che gli divoravano la mente.
Yusaku voltò il capo nella sua direzione e sorrise candidamente. «Sì?» domandò, e in quello sguardo Ryoken vi intravide così tanta innocenza da sentirsi quasi stordito.
Deglutì e proseguì: «Non voglio girarci intorno, quindi te lo chiedo direttamente» disse, avvicinando una mano alla sua. La sfiorò e il solo tocco con la pelle di Yusaku gli fece raggiungere vette altissime, come se fosse diventato un tutt'uno con le punte innevate delle montagne. «Non vorresti vivere un'esistenza normale?»
Yusaku sembrò pensarci su un attimo, poi rispose: «Dipende da cosa intendi per “esistenza normale”».
    «Quella che vivono tutti gli altri».
    «Perché, la nostra non lo è? Non è un'esistenza normale quella che viviamo insieme tutti i giorni?»
Ryoken sussultò e ritrasse un poco la mano. Toccare Yusaku significava renderlo sempre più simile a lui e non voleva trasformare la loro vita insieme in una condanna per la persona che amava.
    «Lo sarebbe se il tempo scorresse in maniera differente anche per noi» sussurrò. Aveva la gola riarsa e lo stomaco chiuso per la paura. «Ma non è così e penso che ormai te ne sia reso conto anche tu: stai diventando come me, Yusaku, e non voglio condannarti a—»
Subito dopo, il mondo si capovolse e per un attimo Ryoken ebbe la sensazione che le stelle stessero per cascargli addosso. Erano vicine, sempre più vicine, pietre preziose di grandezze indefinite, salvo poi realizzare che fossero gli occhi di Yusaku.
Yusaku che gli si era letteralmente buttato addosso e ora lo sovrastava come la creatura meravigliosa che era.
    (E Ryoken temeva di averlo rovinato per sempre).
    «Se stare con te significa vivere una condanna, allora sì, condannami per il resto dei miei giorni».
Il cuore di Ryoken perse un battito. Quello stesso cuore che avrebbe dovuto smettere di pompare il sangue circa settecento anni addietro. Quello stesso cuore che si era illuso di conoscere a fondo ogni sentimento mai provato dall'essere umano, ma si sbagliava: prima di conoscere Yusaku, Ryoken non si era mai innamorato per davvero. La sua unica priorità, ora, era il ragazzo dai stupendi occhi verdi steso su di lui.
    «Io voglio che tu sia felice» parlò piano, sostenendo il suo sguardo. «Non voglio farti patire ciò che ho subìto io per settecento anni. Forse siamo ancora in tempo per…»
    «Per che cosa, Ryoken? Per vivere lontani l'uno dall'altro? È davvero questo ciò che vuoi?»
    «No». Lo disse subito, senza pensarci due volte. Lo disse subito, senza riuscire a frenare la lingua, perché in fondo era la verità: tutto ciò che desiderava era poter vivere accanto a Yusaku, l'unico in grado di farlo sentire in pace col mondo. E si sentì egoista nel dare una forma a quel pensiero, perché così facendo non lo proteggeva affatto.
    «Io voglio vivere con te, Yusaku. Ma non voglio nemmeno che tu soffra come ho sofferto io. Per secoli interi ho vissuto nascondendomi dal resto del mondo, spostandomi di città in città quando capivo che non c'era più posto per me, quando la gente iniziava a insospettirsi sulla mia vera identità. Non ho mai avuto una vera casa o delle amicizie stabili e… non voglio che tu patisca tutto questo per causa mia. Io lo so che siamo legati, lo sento fin nel profondo, ma è davvero giusto che tu subisca il mio stesso destino? Sei davvero disposto ad accettare tutto questo pur di restare con me?»
Yusaku annuì, avvicinando le labbra alle sue. «Tu mi hai salvato dalla solitudine. Ora è giunto il momento che io faccia altrettanto. E se per farlo dovrò vivere altri settecento anni senza invecchiare mai, lo accetto. Se questo significa restare con te e alleviare il vuoto che hai dentro, lo farò. Non sei più solo, Ryoken. Ora potremo essere soli insieme e trovare il nostro posto nel mondo, un giorno».
    (Tra la neve, amore mio. Dove tutto è più bello e profuma di un nuovo inizio).
    «Cosa ne pensi?»
Ryoken gli rispose con un bacio. In quella notte d'estate, tra sospiri trasportati dalle onde e il chiaro di luna che impreziosiva il cielo, Ryoken giurò a se stesso che mai più avrebbe anche solo pensato di rinunciare a Yusaku, la sua vera anima gemella.
Si sentì finalmente liberato da tutto quel peso che aveva gravato su ogni cellula del suo corpo per secoli interi. Era libero, e Yusaku con lui.
Erano liberi insieme.
    «Ti ho mai detto che sei bellissimo?»


22

    «Ryoken».
Yusaku lo chiamò durante la notte, conscio che non stesse dormendo. E infatti era così, aveva trascorso ore intere a fissare il soffitto senza riuscire a chiudere occhio, complici la calura estiva e gli innumerevoli pensieri che ancora vorticavano nella sua testa.
Nulla che avesse a che vedere col separarsi da Yusaku, però. Erano pensieri più belli, un desiderio che aveva iniziato a maturare dentro di lui da quando la storia di Synnöve aveva dato un senso alla sua esistenza.
Alcune volte Ryoken si domandava se non fosse stato un caso che quel voluminoso libro contenente le leggende dimenticate dal mondo fosse finito proprio tra le sue mani. Riflettendoci bene, quante possibilità vi erano che un volume simile, del quale non si sapeva nulla — l'autore e l'anno di pubblicazione erano ignoti — fosse capitato proprio tra le sue mani e, guarda caso, proprio dopo aver conosciuto Yusaku?
Ryoken non poteva fare a meno di pensare che fosse stata la stessa Synnöve a fare in modo che quel libro giungesse a lui. Perfino la ragazza che lavorava in biblioteca era rimasta sorpresa quando aveva cercato quel tomo per registrare la prenotazione di Ryoken: non risultava nell'elenco dei libri ed era come se da un giorno all'altro fosse apparso tra gli scaffali circondato da uno spesso alone di mistero, la stessa patina che distorceva lo scorrere del tempo che Ryoken conosceva fin troppo bene e che, oramai, anche Yusaku aveva imparato a fare sua.
    «Sì, Yusaku?» rispose, senza smettere di fissare il soffitto, conscio che anche Yusaku stesse facendo altrettanto.
    «Dove vorresti essere, ora?»
    «Tra la neve. E tu?»
    «Anche io».
Ryoken sorrise. «Un giorno ti ci porterò, Yusaku. Te lo prometto».
Non lo vide, ma immaginò che anche Yusaku avesse sorriso. «Non vedo l'ora. Anche se… ho come la sensazione di dover ancora fare qualcosa, qui. Ma non so quanto tempo mi ci vorrà».
    «Che intendi dire?»
    «Che nonostante desideri ardentemente andarmene da qui, mi sento… ancorato. Come se ci fosse qualcosa di irrisolto che devo portare a termine».
Ryoken gli sfiorò la mano con la propria e riuscì a percepire tutta la sua ansia al semplice tocco. «Non ti preoccupare. Abbiamo tutto il tempo del mondo dalla nostra parte. Quando ti sentirai pronto, ce ne andremo. Ma fino ad allora, non farti pressioni di alcun tipo, d'accordo?»
Yusaku ricambiò quel piccolo gesto e sfiorò la mano di Ryoken a sua volta.
    «D'accordo. E grazie… per tutto».


23

La svolta avvenne durante un giorno afoso di metà agosto. La calura delle ore pomeridiane era sfiancante e Yusaku si era recato al konbini più vicino per fare rifornimento di cibi e bevande fresche.
Aveva perso alla morra cinese contro Ryoken e per tutto il tragitto che lo separava dal konbini non aveva fatto altro che borbottare infastidito circa la cocente — in tutti i sensi — sconfitta e la penitenza da soddisfare. In compenso, però, ebbe modo di scoprire una verità sensazionale che gli avrebbe permesso di comprendere quali fossero i grandi irrisolti nella sua vita.
Non tutte le partite perse a morra cinese venivano per nuocere.
Era ancora intento a meditare la rivincita contro Ryoken quando si accorse che una ragazza che camminava poco più avanti di lui aveva perso il portafogli lungo il marciapiede. Yusaku compì i pochi passi che lo separavano dall'oggetto, si chinò e lo raccolse.
    «Scusa» la chiamò poi, avanzando verso di lei. La giovane si voltò e, quando la osservò in volto, Yusaku la riconobbe subito: era la ragazza dai capelli corvini che aveva accidentalmente sfiorato tempo addietro, quando ancora Ryoken non era entrato nella sua vita e la maledizione implorava di essere saziata in una nenia senza fine.
Yusaku ricordava di aver scavato un poco nella sua vita e di aver indirettamente assistito al suo primo appuntamento col senpai del terzo anno di superiori che tanto le piaceva più altri avvenimenti legati alla sua infanzia. Lei era una di loro: una di quelle persone che avevano nutrito, senza volerlo, la sua maledizione, perdendo così attimi preziosi di esistenza da vivere.
Forse fu proprio per questo che, in un primo momento che durò una frazione di secondo, Yusaku fu quasi tentato di ritrarre la mano e passare erroneamente per un borseggiatore. Poi però rammentò che ora le cose erano diverse, erano cambiate e che tutto questo lo doveva a Ryoken.
    (A Ryoken che lo faceva sentire parte di un mondo più accogliente e gentile).
    «Ti è caduto questo» disse con voce un poco arrochita mentre le porgeva il portafogli.
Lei lo guardò per qualche istante e poi sorrise, allungando la mano verso l'oggetto che aveva smarrito. Nel fare ciò, le loro dita si sfiorarono inavvertitamente e fu in quel momento, proprio in quell'istante che Yusaku avvertì qualcosa staccarsi dentro di sé e dissolversi nel nulla, qualcosa che faceva parte di lui ma che in realtà non gli apparteneva.
Quando guardò la giovane negli occhi e li vide riempirsi di immensa gioia e gratitudine, comprese tutto: le aveva appena restituito la vita che le aveva tolto quando l'aveva toccata la prima volta.
Ciò che accadde dopo fu talmente caotico che riunire i pezzi in un secondo momento risultò difficile, sì, ma anche tanto soddisfacente. Dimenticò il perché fosse uscito di casa e tornò alla villa in riva al mare di corsa, con la fronte imperlata di sudore e il respiro corto.
    «Già di ritorno?» gli domandò Ryoken quando lo vide entrare in salotto, alzando lo sguardo su di lui dalle pagine che stava leggendo — ricette di pietanze che non prevedessero l'uso del forno o dei fornelli, vista la calura di quelle giornate.
Yusaku ignorò la sua domanda e parlò tutto d'un fiato: «Ho capito cosa devo fare!» esclamò, colto da un'euforia che non credeva nemmeno di possedere.
    «Devo ritrovare le persone che ho toccato prima di incontrarti e restituire loro ciò che ho preso… credi che ce la farò?»
Ryoken si alzò dal divano e gli prese il volto tra le mani. «Ne sono più che convinto» disse con un sorriso.
Yusaku ricambiò il sorriso e i suoi occhi si riempirono di una speranza indescrivibile. «Quando avrò restituito ciò che devo, potremo andare a casa».
E Ryoken non avrebbe mai pensato che un giorno sarebbe arrivato quel momento anche per lui ma, a quanto pareva, il miracolo si stava compiendo per davvero. Gli sfiorò le labbra con le proprie e si crogiolò in tutto quell'incanto.
    «Non vedo l'ora, Yusaku».


24

Yusaku si diplomò due anni e mezzo dopo, quando ancora non ne aveva compiuti diciassette. Il tempo per lui aveva iniziato a scorrere in maniera differente qualche mese prima il suo diciassettesimo compleanno e, di conseguenza, solo la sua mente era andata avanti, mentre il suo corpo era rimasto lo stesso.
Non che avesse suscitato sospetti di alcun tipo, in fondo aveva la fortuna di essere un ragazzo abbastanza alto e dal fisico slanciato, motivo per il quale in molti non avevano fatto caso alla staticità della sua persona.
Ryoken aveva assistito alla cerimonia del diploma ed era orgoglioso di lui. Gli aveva donato un voluminoso mazzo di fiori rosa per festeggiare quel bellissimo traguardo e il modo in cui Yusaku l'aveva preso tra le mani e l'aveva guardato con amore aveva reso Ryoken la persona più felice del pianeta.
In quei due anni e mezzo, Yusaku era riuscito a ritrovare quasi tutte le persone che erano entrate in contatto con lui quando la maledizione era ancora fuori controllo, restituendo loro quei preziosi frammenti di vita che aveva sottratto senza volerlo. Mancava solo una persona, solo un ultimo tassello prima di completare il puzzle e poter finalmente tornare a casa.
Erano intenti a camminare mano nella mano lungo il marciapiede quando Yusaku si fermò di colpo. Il traffico di Den City non accennava a fermarsi e c'era una signora, a pochi metri di distanza da loro, che attendeva paziente che il semaforo diventasse verde.
    «Aspetta qui» disse, mentre scioglieva la stretta e gli porgeva il mazzo di fiori rosa. «Credo… credo di averla trovata».
    (L'ultima persona. L'ultimo tassello del puzzle).
Ryoken non rispose, troppo sconvolto interiormente per attaccare le parole tra loro e formare una frase di senso compiuto. Stava accadendo. Stava accadendo per davvero.
Mancava ormai così poco alla coronazione del loro sogno che stentava a crederci.
Gli occhi pizzicarono e lui comprese che fosse tutto reale. Era felice. E, ancor prima che per se stesso, era felice per Yusaku.
    «Mi scusi, signora, posso aiutarla ad attraversare la strada?»


25

Era finita. La sua lunga ricerca era finita e ora si sentiva più libero che mai.
Dopo aver aiutato l'anziana signora ad attraversare la strada — la stessa che un tempo gli aveva dato del demonio e che era diventata madre troppo giovane —, Yusaku tornò da Ryoken e lo abbracciò forte.
Fu lì che Ryoken si riscosse dal coacervo che erano i suoi pensieri e ricambiò l'abbraccio, perdendosi nel profumo dei suoi capelli.
    «Ora possiamo andare, Ryoken. Possiamo andare a casa».
Gli occhi pizzicarono un'altra volta ancora. E per la prima volta in tutta la loro vita, entrambi piansero di gioia.


26

Non sapevano in quale punto della Svezia si trovassero esattamente, ma sentivano che quello non poteva che essere il posto giusto per loro. La piccola baita nella quale avevano deciso di vivere era isolata dal resto del villaggio che si trovava a valle ed era tutto ciò che avessero mai desiderato: un punto nel mondo solo per loro da poter chiamare casa, lontano da tutto e da tutti, tra la neve fredda e il cielo intarsiato di stelle luminose.
Il camino quella sera era acceso e le coperte calde e i cuscini erano sparsi lungo il grande tappeto, creando un mosaico accogliente e colorato intorno ai loro corpi. Yusaku gemeva al suo tocco e sospirava a ogni suo bacio. Era eccitato tanto quanto lui e l'erezione che svettava tra le sue gambe necessitava di attenzioni. Attenzioni che Ryoken non esitò a dargli infondendogli piacere con l'ausilio della bocca.
Quanto era bello fare l'amore lì, in mezzo alla neve, in un luogo che apparteneva solo a loro. Quanto era bello abbracciarsi forte e diventare una cosa sola, uniti dal sentimento più forte e puro del mondo.
Quando entrò dentro di lui, affondando nelle sue pareti calde, Ryoken si sentì più vivo che mai. Iniziò a muoversi piano, con la dovuta calma, assaporando quel momento idilliaco fino in fondo. Si perse nelle iridi verdi di Yusaku velate dal desiderio e in quel gioco di luci dovuto allo scoppiettare del fuoco nel camino.
    (Meraviglioso. Era tutto meraviglioso).
Poi accadde. Una piccola scossa gli pizzicò il cervello e lui si ritrovò ad assistere inerme a qualcosa che, in un primo momento, lo sconvolse: vide se stesso inginocchiato a terra, il corpo martoriato da segni, tagli e bruciature dovute a un conflitto apocalittico, mentre teneva tra le braccia un ragazzo che di umano non aveva quasi più nulla — ma i suoi occhi verdi velati dalle lacrime sì, erano un segno di umanità inconfutabile.
Yusaku. Quel ragazzo era Yusaku, il suo amore, la sua anima gemella.
E poi sentì la sua stessa voce pronunciare parole che gli si impressero sottopelle come un marchio incancellabile: «Ora è tutto finito e appena ce ne andremo da qui troverò un modo per farti tornare umano. E potremo finalmente vivere per davvero, io e te, lontani da qui. Immagina una baita in montagna, tra la neve, col camino in salotto acceso, mentre tu ed io facciamo l'amore davanti al fuoco. Pensa a quanto saremo felici quando ci lasceremo finalmente alle spalle questo inferno. Riesci a immaginarlo?»
Tra le sue braccia, distrutto da una guerra che non aveva voluto, Yusaku sospirò, senza riuscire a smettere di piangere. «Sì… riesco a immaginarlo. E non vedo l'ora di vivere tutto questo con te, amore mio».
Li vide baciarsi poco prima che dal cielo piovessero migliaia e migliaia di bombe. Poco prima che il mondo smettesse di esistere. Poco prima che tornasse alla sua realtà.
    «Che succede?» gli domandò Yusaku preoccupato, poggiando una mano sulla sua gota. Le dita si bagnarono di lacrime e Ryoken trattenne a stento un singulto.
    «Niente, è solo che… credo di essere finalmente riuscito a mantenere una promessa che ti ho fatto tanto tempo fa… da qualche altra parte, in un altro universo…»
Sussultò, rendendosi conto in quel momento che l'altro Yusaku fosse un androide — cosa aveva dovuto patire per ridursi in quello stato?
E il se stesso che lo teneva tra le braccia lo amava perdutamente, non c'era altra spiegazione.
    (Forse il loro amore era una costante in ogni universo possibile).
Yusaku sorrise, un'incurvatura dolce delle labbra che Ryoken non avrebbe mai dimenticato. Non vi era alcuna traccia di scherno nel suo sguardo e questo lo rincuorò tantissimo, perché ciò che aveva visto era vero e nessuno gli avrebbe mai fatto cambiare idea a riguardo.
    «Allora ti ringrazio per averla mantenuta».
Ripresero a fare l'amore e mai come in quegli attimi essere una cosa sola fu tutto ciò al quale poterono aggrapparsi per andare avanti insieme. Ed erano solo all'inizio.


27

Nel corso dei secoli, tante leggende erano nate per raccontare alle nuove generazioni chi fossero i due ragazzi che vivevano nella piccola baita tra le montagne. Alcune narravano che fossero due spiriti che vagavano tra le terre innevate in attesa di dissolversi e diventare un tutt'uno con la natura, altre ancora che fossero due entità benigne che apparivano dinanzi le persone pure di cuore.
In ogni caso, erano sempre descritti come due figure a tratti eteree fortemente connesse al soprannaturale. Nessuno poneva domande quando scendevano a valle per fare degli acquisti, nessuno li additava se raccoglievano da terra un guanto caduto e lo riconsegnavano silenziosamente al legittimo proprietario.
Nessuno diceva o faceva niente poiché non aveva nulla da dire o fare se non rimanere incantato dinanzi quei piccoli gesti o nel modo in cui le dita delle loro mani fossero state fabbricate per intrecciarsi tra loro alla perfezione. Alcune volte gli abitanti del villaggio avevano anche l'impressione che i due ragazzi fossero accompagnati da una giovane donna dai lunghi capelli biondi, bellissima e molto più eterea di loro. Quando però osservavano le impronte impresse sulla neve, di quelle della ragazza non vi era mai traccia.
Erano tutti lontani, lontanissimi dalla realtà dei fatti ed era meglio così. Nessuno doveva sapere che le due metà strappate del cuore di Synnöve si stavano pian piano ricucendo tra loro, ristabilendo così l'equilibrio tra i due poteri contenuti in esse. Nessuno doveva sapere che Ryoken e Yusaku fossero legati per l'eternità e dall'eternità, in attesa di invecchiare insieme dopo aver adempiuto al loro compito.
    (Quello era tutto ciò che era loro rimasto, un segreto coperto da un soffice manto di neve immacolata).
Un giorno il tempo avrebbe iniziato a scorrere normalmente anche per loro. Fino a quel momento, avrebbero continuato a vivere nella loro piccola casa tra le montagne, protetti dal silenzio della neve.
Fino all'ultimo istante trascorso insieme.


Picture a world for us
A promise to set me free
Imagine a place for us
A promise will set me free






… ho davvero scritto una mini long di tre capitoli solo per fixare una vecchia One Shot Android!AU del 2021 in cui Ryoken e Yusaku muoiono durante una guerra contro delle creature aliene ma riescono quantomeno a confessarsi i loro sentimenti reciproci prima di essere bombardati?
SÌ, L'HO FATTO PER DAVVERO.
Innanzitutto: trovate la One Shot in questione QUI, anche se vi SCONSIGLIO candidamente di leggerla perché se ripenso a come scrivevo nel 2021 mi sale lo skif, ma ovviamente siete liberi di fare come più preferite.

La Android!AU è una storia che mi è rimasta sul groppo per tantissimo tempo e questa mini long è nata davvero per dare un senso alla morte dei Ryoken e Yusaku di quell'universo: il Ryoken di A Promise (ora comprendete anche il significato del titolo e della canzone, vero?) ha un flash in cui vede la sua variante stringere tra le braccia la variante di Yusaku e promettergli esattamente ciò che loro riescono a realizzare in questa mini long: vivere tra la neve, in una baita in montagna, solo loro e il forte sentimento che li unisce.
Ora, ero molto tentata di farli invecchiare insieme, nel senso che una volta arrivati in Svezia si rendevano conto che il tempo aveva finalmente iniziato a scorrere in maniera normale anche per loro, ma ho optato per rendere immortali entrambi perché non è ancora arrivato quel momento, diciamo che questa storia non è propriamente conclusa e se voglio citare Doctor Strange, il Multiverso è un concetto di cui sappiamo spaventosamente poco.
Mi fermo qui perché altrimenti rischio di spoilerare troppo.

Come sempre ringrazio i Dead by April che con A Promise mi hanno ispirata a livelli stratosferici e cito anche il mio forum, Siate Curiosi Sempre, se volete dare un'occhiata alle attività attualmente in corso — questa storia partecipa all'iniziativa annuale Fissa un obiettivo (e superalo).
Continuo l'angolino spam dicendovi che voglio provare a scrivere tante altre mini long su Ryoken e Yusaku e proprio per questo ho aperto un serie in cui per ora ne fanno parte questa e Ipernova, altra mini long a cui tengo molto e che ho scritto in occasione della Year of the OTP.
Se poi volete dare un'occhiata alle altre storie scritte per la YOTP, le trovate in questa Raccolta: I can live because of this love.
Ci tenevo a citare la Raccolta e la mini long perché attualmente sono i due progetti a cui tengo di più, oltre ovviamente ad A Promise — tutti e tre progetti CONCLUSI e io sono qui a domandarmi come sia riuscita a compiere una simile impresa, dato che solitamente sono la queen dei progetti lasciati in sospeso.

Spero che quest'ultimo capitolo sia stato la degna conclusione di questa storia.
Avrei voluto aggiornare prima, ma alla fine ho scritto troppo come mio solito e quindi sono stata costretta a rimandare — spero, dunque, che ne sia valsa l'attesa.
Vi ringrazio di cuore per essere arrivati fino a qui.
Alla prossima!

M a k o

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