Il segreto di Troia

di Avion946
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza e conclusione ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


                             
                                                                                                                       Il segreto di Troia
                                                                                  Prima parte -  L’inizio dell’avventura
                                                                                                            Cap I^
Emanuele Rizzo, un bel ragazzo di 23 anni, si teneva ben stretto ai braccioli del suo sedile, sballottato sull’autobus, piuttosto vetusto, ma apparentemente ancora efficiente. Il mezzo, condotto con una guida alquanto spericolata, lungo una strada che aveva evidenti problemi di manutenzione, lo stava conducendo dalla cittadina di Bandirma, sulla spiaggia meridionale del mar di Marmara, fino alla località di Canakkale, insediamento sulla sponda asiatica dello stretto dei Dardanelli. Il suo stomaco era già stato messo a dura prova sul traghetto che per quasi tre ore l’aveva ‘strapazzato’durante il tragitto da Yenikapi , un quartiere periferico di Istambul, fino a Bandirma. Emanuele era lì per conto del suo professore universitario di filologia, letteratura e linguistica, Fiorenzo Giordani, che gli aveva richiesto di mettere a punto una tesi su un argomento preciso che l’aveva particolarmente interessato nel corso dei suoi studi, circa il passaggio dalla civiltà Minoica a quella Micenea nell’antica Grecia. In particolare era curioso circa una vicenda che sembrò avere avuto particolare importanza nel periodo intorno al 1200 A.C. , nel quale risulterebbe ci fosse stato un determinante evento bellico che aveva portato, come conseguenza, all’apertura delle rotte commerciali fra la Grecia e l’Asia Minore. Fino a quel momento esse erano state controllate da una città che, per la sua posizione, aveva il potere di padroneggiare la situazione, legata ai traffici di quelle zone. Raccogliendo tutti i dati relativi alla posizione, all’epoca e ai documenti raccolti, tutto portava a concludere che l’evento in questione si riferisse alla guerra che aveva coinvolto la città di Troia e che era terminata con la sua distruzione ad opera dei Greci. Certo, la guerra di Troia era stata narrata da poeti e storici che in qualche modo l’avevano presentata dal loro punto di vista. Prima Omero, con l’Iliade e l’Odissea e poi l’Eneide di Publio Virgilio Marone. Poi ne avevano parlato anche Apollodoro e Igino, seppur senza molti particolari. Ma dal punto di vista archeologico e storico, risultano sufficienti prove per supportare comunque gli eventi narrati. Ora, quindi, Emanuele era appunto diretto alle rovine della città in questione per una visita accurata e per preparare una relazione approfondita su tutto ciò che avrebbe potuto raccogliere nel corso della sua esperienza. In realtà, il suo viaggio aveva anche un secondo fine. Lui non era proprio un estraneo in quei luoghi. Infatti, alla fine della seconda guerra mondiale, suo nonno, originario dell’isola di Chio, leggermente a sud della sua attuale posizione, aveva deciso di trasferirsi in Italia. Per motivi personali, aveva deciso di cambiare il suo nome che era Yorgo Rizos, in Giorgio Rizzo, anche se in casa sua si era continuato a parlare più il greco che l’italiano. Il nonno aveva preso la decisione giusta perché, arrivato come semplice calzolaio, aveva saputo cogliere delle occasioni ed era diventato, col tempo e col duro lavoro,  il proprietario di un importante calzaturificio nel quale lavorava tutta la famiglia. Emanuele, quindi, aveva sentito parlare tanto di quei posti e conosceva abbastanza la lingua,  per cavarsela con i locali. Anche il suo aspetto,faceva pensare ad uno del posto. Alto, magro, pelle chiara ed un viso dai tratti scolpiti con un naso affilato ed un mento quadrato che gli conferivano un’aria di grande energia. Una folta capigliatura bionda e riccia, si univa ad un bel paio di occhi azzurri, capaci di uno sguardo profondo e a due zigomi piuttosto pronunciati. Il suo aspetto gli aveva valso, fra i suoi amici, il soprannome de ‘il greco’ e questo apparentemente, gli conferiva un certo fascino nei confronti delle ragazze che frequentavano la sua compagnia e quindi, lui non si lamentava di certo. Giunse a destinazione verso le 12.30. Dall’alba, aveva viaggiato circa 6 ore ma mancava ancora una tappa per compiere il suo tragitto. Accanto alla fermata dell’autobus, si trovava infatti un parcheggio dal quale partivano i taxi che, con un ultima tratta di circa 30 Km, conducevano i visitatori alle rovine della città di Troia. L’autista del taxi di turno, dopo averlo soppesato con occhio professionale e dopo averlo catalogato nella categoria “giovani turisti sprovveduti”, gli chiese 20 euro per portarlo a destinazione. Rimase quindi piuttosto male quando il ragazzo, seppure in un greco essenziale, gli fece capire che, almeno stavolta, nella sua valutazione si era sbagliato e che gli offriva al massimo 5 euro per il suo servizio. Alla fine, il tassista cedette per 8 euro, giurando che ci stava rimettendo e che i suoi figli, quella sera, avrebbero avuto solo una grama cena. L’auto prese la strada E87, la Izmir-Canakkale/Yolu verso sud e la percorse per circa 28 Km, lasciandola in prossimità del villaggio di Ciplak. Le rovine comparvero all’improvviso anche se, evidentemente, non c’era rimasto granchè del sito. Quello che si vedeva, faceva però pensare a qualcosa che doveva essere stato grandioso, nella sua epoca. Si scorgevano, comunque, dei tratti di una cinta di mura di spessore notevole. Una larga strada lastricata, portava all’ingresso del sito, davanti al quale era stato posto un imponente cavallo di legno che naturalmente si riferiva all’episodio finale della guerra raccontata da Omero. La cosa interessante è che la vicenda del cavallo, seppure determinante per l’esito della guerra, non viene citato nell’Iliade e se ne fa appena un cenno nell’Odissea, mentre l’aedo Demagogo canta alla corte di Alcinoo che ospitò Ulisse. Se ne parla invece, diffusamente nell’Eneide di Virgilio, dove, nel secondo libro, Enea racconta il fatto alla regina Didone. In effetti l’Iliade racconta solo gli eventi relativi a 51 giorni della guerra. Ossia , dopo 10 anni di assedio, dal momento in cui Achille litiga con Agamennone che gli porta via Briseide, ai funerali di Ettore. Altre fonti forniscono ulteriori notizie, come ad esempio lo storico Igino, di origine spagnola, vissuto nel primo secolo d.C. o Apollodoro, di origine siriana, vissuto all’incirca nello stesso periodo. Superati i resti di quelle che erano state delle mura possenti, si procedeva circondati da ruderi di varie forme e dimensioni. Alla fine, il tragitto previsto, conduceva alla sommità della collina di Hissarlik che rappresentava il punto più alto dell’insediamento, quello dove si ritiene che sorgesse il tempio di Atena dell’antica città. Lì giunto, dall’alto, Emanuele potè osservare la grande piana che si trovava fra i ruderi ed il mare, distante circa 2 chilometri e si sentì colto da una forte emozione poiché, entrando nello spirito della storia raccontata da Omero, su quel terreno si erano mossi ed avevano combattuto i più grandi eroi greci e troiani. Ora che era giunto finalmente in quel luogo, il ragazzo cercò di immedesimarsi sempre di più, nell’atmosfera del sito, immaginando la vita dei Troiani e le loro esperienze, legate alle vicende della guerra. Come poteva essere stata la vita di quelle persone, che erano passate da una situazione di grandezza, sicurezza e prosperità ad una condizione da assediati, colpiti da continui lutti e dolori, via via che la guerra procedeva. Per capire bene la testimonianza di tutto ciò che lo circondava, avrebbe dovuto prendere attentamente visione del sito, con la conseguenza che si sarebbe dovuto trattenere sul posto per un certo periodo,  e quindi sarebbe stato costretto a trovare un alloggio nelle vicinanze. La mattina prima di partire da Istambul gli avevano detto che  nei  paesi di Ciplak o Kalafat, vicini al sito archeologico,  venivano solitamente ospitati i visitatori che, come lui, si trattenevano per alcuni giorni. Ciò che maggiormente avrebbe richiesto tempo nello studio delle rovine, dipendeva dal fatto che, colui che reclamò la scoperta del sito della città di Troia, Heirich Schliemen, attratto, secondo parecchie voci, più dalla ricerca del tesoro di Priamo che da quella delle testimonianze storiche, procedette negli scavi, senza un grande rispetto per il sito. Si era trovato infatti davanti i resti di ben 9 città, ognuna edificata sull’altra, il che rappresentava un bell’enigma da risolvere. Quale era infatti la città che era stata citata da Omero? Il primo insediamento, il più profondo, corrispondeva ad un villaggio neolitico, databile circa al 2000 avanti Cristo, mentre il più recente, il nono, corrisponde ai resti di una città romana. Uno solo di questi livelli, il settimo, databile fra il 1200 e il 1250 a.C., ha le caratteristiche che lo farebbero identificare come i resti di una città, distrutta da un colossale incendio, come accadde appunto a quella descritta da Omero. Dal punto in cui il ragazzo si trovava, osservando la pianura sottostante, provava una strana sensazione. Aveva l’impressione di aver già visto quello scenario ma molto più ricco di particolari, però non riusciva a spiegarsi quella strana sensazione. Istintivamente volse lo sguardo a destra e a sinistra per cercare di vedere il corso dei due fiumi , il Simoenta e lo Scamandro. Strano che avesse fatto una cosa simile perché, da dove si trovava lui, al momento, questi non erano più visibili. Ma lui sapeva che erano lì e si ricordava di averli visti. Ma come mai? Si sentiva molto confuso. Certamente la stanchezza del viaggio e l’emozione di trovarsi in quel luogo, gli stavano giocando un brutto scherzo. Un’occhiata all’orologio gli fece scoprire che ormai erano le 16.30 e, sapendo che il sito avrebbe chiuso alle 17.00, capì che doveva affrettarsi per uscire. Poi, di nuovo,  quella stranissima sensazione di deja vue. Un lampo improvviso gli fece chiudere gli occhi. Sentiva ronzare le orecchie e quando riaprì gli occhi, gli apparve tutto confuso e sfocato. Provò un forte senso di vertigini e, mentre si girava per cercare di tornare comunque verso l’uscita, un piede scivolò su una pietra che si era smossa sotto il suo peso ed Emanuele cadde a terra, ruzzolando giù per una breve scarpata e arrestandosi, incosciente, contro una fitta macchia di arbusti.
 
Ilario si rialzò rapido da terra, piuttosto contrariato. Si rese conto, infatti, che il laccio con cui aveva riparato alla meglio il suo sandalo destro, aveva ceduto all’improvviso. Indubbiamente se la cavava molto meglio con le stoffe che con le calzature. Eseguì rapidamente una ulteriore, sommaria riparazione e, constatato che non si era fatto nulla di male, riprese velocemente il cammino verso il laboratorio che distava almeno ancora un chilometro. Con i suoi quasi 17 anni, era alto, magro, pelle chiara ed un viso dai tratti scolpiti con un naso affilato ed un mento quadrato che gli conferivano un’aria di grande energia. Una folta capigliatura bionda e riccia, si univa ad un bel paio di occhi azzurri, capaci di uno sguardo profondo e a due zigomi piuttosto pronunciati. Il suo volto sempre sorridente e la sua capacità di vedere il lato bello e divertente delle cose, aveva fatto si che la gente avesse cominciato a chiamarlo Ilario, piuttosto che con il suo vero nome Ilia. Si era alzato un po’ tardi quel mattino ma la madre, con cui, su certi argomenti, c’era poco da scherzare, aveva insistito perché, prima di uscire, terminasse la sua colazione, con la scusa che poi, al lavoro, avrebbe saltato il pranzo, cosa che d’altronde, accadeva spesso. Comunque, prima che uscisse di casa, gli aveva già messo nella bisaccia un bel pezzo di formaggio di capra, avvolto in una focaccia di orzo, e una manciata di fichi secchi e uva passa. Il sole si stava ormai già alzando e la temperatura diventava più mite. Era l’inizio della primavera e tutta la natura, attorno a lui, dava segni di risveglio. Ilarioindossava una tunica di lana marrone, al ginocchio, fermata in vita da una sottile cintura di cuoio, ornata con una fibbia di bronzo che riportava inciso lo stemma della sua famiglia, ossia la testa di un ariete. Lo aveva scelto suo padre, Stoyan, quando si era trasferito sull’isola su cui si trovavano in quel momento, ovvero l’isola di Lemno. L’uomo, un abile imprenditore nel campo della tessitura ,era originario della città di Corinto, che in quel periodo era considerato il principale centro del commercio e della produzione delle stoffe per tutta la Grecia. Ampliando il suo giro di affari, Stoyan aveva acquistato un nuovo gruppo di schiavi, fra i quali c’era una giovane , di nome Agata, proveniente dalla Licia, in Asia Minore. Un anno dopo, l’aveva liberata e l’aveva sposata. Si può dire che era stata la sua fortuna. Infatti, la donna, colta e intelligente, gli aveva parlato della sua terra e delle possibilità che ci sarebbero state, trasferendosi in Asia Minore, piuttosto che essere uno dei tanti a Corinto. I costosi tessuti pregiati provenienti dall’Asia avrebbero avuto un prezzo minore e loro sarebbero stati i primi a disporne e avrebbero, per di più, avuto un grande mercato per i loro manufatti. Stoyan aveva trovato una valida via di mezzo. Sarebbe rimasto su suolo greco ma a brevissima distanza dalle coste dell’Asia Minore. L’isola, infatti, non distava più di 60 miglia dalla città di Troia, che sorgeva sulla costa Asiatica, proprio all’ ingresso dell’Ellesponto, porta di accesso ai grandi territori dell’oriente. Con quella città aveva già stabilito contatti e realizzato lucrosi commerci. Priamo e la sua corte, abituati al lusso, apprezzavano ed amavano i tessuti che venivano prodotti sull’isola per la loro accuratezza e per i loro colori e fantastici disegni eseguiti a regola d’arte. Erano molto richiesti specialmente i tappeti e gli arazzi di altissimo livello che venivano realizzati sull’isola. Ilario, già a 16 anni, aveva meritato, la qualifica di ‘zoographoi’ ovvero provetto disegnatore di stoffe, che normalmente si otteneva in età molto più avanzata e con anni di impegno e costanza. Per lui, invece era stata una cosa naturale. Vedeva, nella sua mente, dei disegni di varia complessità e riusciva a realizzarli con una abilità che nessun altro dei tessitori più anziani, gli ‘erithoi, era capace di fare. Suo fratello maggiore, Hector, aveva invece scelto di curare l’allevamento degli animali che erano stati portati sull’isola. Infatti, all’inizio, giungendo in un territorio quasi disabitato, Stoyan aveva introdotto pecore e capre che avrebbero fornito la lana per la tessitura. Ma poi, trovando un territorio favorevole, aveva aggiunto anche suini, bovini e galline. Per rendersi più indipendente possibile dalla terra ferma, aveva anche dedicato un ampio spazio all’agricoltura per arrivare a coprire, quanto più possibile, il fabbisogno della sua famiglia e dei numerosi schiavi che lavoravano ormai sull’isola, addetti alle mansioni più disparate. Era una sorta di piccolo mondo, gestito con efficienza e intelligenza. Parecchi schiavi erano lì con la loro famiglia e, molti di loro, avevano delle condizioni di vita migliori che se fossero stati uomini liberi, sulla terra ferma. Inoltre Stoyan, sapientemente consigliato dalla moglie, aveva deciso di ricompensare quelli che avessero svolto al meglio il loro lavoro, con piccole somme, equivalenti a pochi oboli, moneta di poco valore, equivalente al prezzo di circa un grammo d’argento. Ma essendo costoro completamente spesati, riuscivano a mettere qualcosa da parte, per comprare oggetti di loro gradimento dalle navi di passaggio che facevano scalo sull’isola. Finalmente Ilario varcò il cancello del recinto che racchiudeva il complesso della filanda. Si trattava di una struttura che comprendeva un ampio cortile nel quale erano posizionate 10 grandi vasche,scavate nella roccia, e nelle quali avveniva la magia della tintura dei tessuti. C’erano poi due costruzioni principali ad un piano, realizzate in mattoni, a forma di parallelepipedo. Una più grande, nella quale erano posti i telai, necessari alla produzione delle stoffe. L’altra, ospitava il magazzino, nel quale erano conservate le stoffe meno pregiate ed una piccola fucina nella quale degli schiavi, espertissimi artigiani, riuscivano a ridurre i metalli pregiati in sottili fili che venivano poi utilizzati per la composizione di fantasiosi disegni sui tessuti di maggior valore. La prima cosa che colpiva i sensi era l’odore acre proveniente dalle vasche, utilizzate per il fissaggio della tintura. Il lavoro era svolto da 5 schiavi che immergevano i tessuti nei liquidi utilizzati, dopo il passaggio per tingerli con i colori voluti ossia il giallo, il turchese e la vinaccia. Questi liquidi avevanoeffetti leggermente corrosivi ed era per questo che era previsto un frequente avvicendamento per tale lavoro. A parte, in una piccola costruzione a ridosso della parete più lontana del recinto, avveniva il processo per la colorazione con il rosso. Normalmente esso si otteneva dalla porpora che si ricavava da un crostaceo chiamato murice, con un processo lungo e costoso, per le minime quantità che si potevano ottenere da ogni esemplare. Molti anni prima, però, uno schiavo persiano, che, a suo dire, era stato un importante commerciante di tessuti ed esperto di procedimenti di tessitura, finito in disgrazia per aver ucciso un suo rivale in amore per legittima difesa, o almeno questa era la sua storia, pensando di riscattarsi la libertà, aveva svelato a Stoyan, il segreto per ottenere il colore rosso in modo più semplice e notevolmente a buon mercato, con qualità più che soddisfacente. Stoyan non solo l’aveva liberato ma lo aveva preso nella veste di suo braccio destro. L’ex schiavo che si chiamava Asha, aveva subito accettato anche perché, nella sua terra non sarebbe più potuto tornare, ed inoltre, nel breve tempo che era stato in quel luogo come schiavo, si era perdutamente innamorato, ricambiato, della governate della casa del padrone, Frida che era diventata presto sua moglie. Il segreto del colore rosso era custodito più che gelosamente eaveva attirato l’attenzione di molti operatori del ramo. Ilario si diresse senza perdere tempo verso il fabbricato dei telai, rispondendo ai saluti scherzosi degli altri lavoratori, con i quali aveva stretto una buona amicizia, anche grazie al suo buon carattere e al rispetto che si era meritato con il suo lavoro. Entrando nella costruzione, vide che i sei telai erano tutti in azione. Si trattava di dispositivi verticali di diverse dimensioni, davanti ai quali operavano, con grande abilità, delle donne che, vedendolo entrare, lo salutarono cordialmente. Il ragazzo si avvicinò ai telai mentre le donne, che desideravano un suo parere sul lavoro svolto, si erano fermate per consentirgli di controllare. Dopo aver dato un consiglio ad una di loro, per un risultato migliore, si diresse finalmente alla sua postazione. Lì si trovavano un tavolo con dei disegni a colori, relativi a progetti di tessitura ed un telaio di grandi dimensioni su cui era iniziato un lavoro di assemblaggio di un arazzo di colore azzurro, intessuto e ornato con fili in oro. Stava dando un’occhiata ai disegni per stabilire come procedere nel suo lavoro, quando, :“Finalmente il signorino si è deciso ad arrivare – l’apostrofò un uomo anziano, che altri non era se non Asha, che stava controllando la qualità del prezioso manufatto. L’uomo si presentava con un aspetto molto curato, indossando una tunica lunga color vinaccia fermata alla vita da una cintura alta di pelle nera lucidata. Asha, che dopo il periodo di schiavitù aveva ripreso in fretta i modi del ricco commerciante, aveva all’incirca cinquanta anni e una corporatura longilinea ma robusta. Era alto come Ilario e aveva dei tratti del viso molto marcati con degli occhi neri e penetranti. Portava dei lunghi capelli bianchi raccolti sul capo in una crocchia, come, a suo dire, usavano i suoi conterranei.Ilario lo guardò per un istante, evitò di rispondere e si diresse subito al telaio per controllare gli esiti del suo lavoro alla luce del sole. Non aveva un buonissimo rapporto con quell’uomo che non gli rivolgeva mai un complimento, ma solo critiche. La sera prima, aveva dovuto interrompere il lavoro perché la luce delle torce non gli consentiva di procedere con la necessaria efficienza e sicurezza. Si tranquillizzò, vedendo che era tutto a posto e che i disegni realizzati corrispondevano perfettamente al modello che lui aveva riportato su un foglio di papiro. Era un tipo di supporto per scrivere e disegnare che una nave aveva portato da un viaggio nei paesi del sud, da una terra chiamata Egitto. I fogli si ricavavano da una pianta acquatica che ora cresceva lungo le rive del fiume Erimanto che scorreva nel centro dell’isola. Ilario riprese subito il lavoro e, concentratissimo, andò avanti per quasi tutto il giorno, fino a che l’arazzo non venne terminato. Naturalmente, come aveva sospettato sua madre, non aveva toccato cibo. Consegnato il prezioso manufatto al magazzino, con una fame da lupo, si accinse a tornare a casa. Lo trattenne un attimo Asha, che, dopo aver dato disposizioni agli schiavi che si trattenevano nella struttura per la notte, si incamminò verso la casa assieme a lui. Infatti l’uomo abitava con sua moglie , assieme ad altri schiavi, che svolgevano lavori inerenti con l’abitazione o di responsabilità, nella residenza della famiglia del ragazzo. Durante il tragitto, disse a Ilario che da un giorno all’altro avrebbe attraccato al porticciolo di Effimia, relativamente vicino alla loro casa, la loro nave, Espero, che tornava dal periodo invernale passato nel porto della città di Troia. Infatti, durante la brutta stagione, il mare era soggetto a violentissime burrasche e venti contrari che avrebbero certamente fatto affondare le piccole e fragili navi che si usavano per il trasporto delle merci. Pertanto, chi desiderava commerciare con i paesi dell’Asia Minore, si recava a Troia all’inizio dell’autunno. Lasciava la nave in porto e si spostava, via terra, nei paesi lontani dell’interno, alla ricerca di ricchezza e buoni affari per tutta la durata dell’inverno. Naturalmente la città percepiva un nolo per ogni nave ospitata e, questo, costituiva un’ altra consistente fonte di guadagno. Il comandante della Espero, di nome Thais, fungeva anche da agente di commercio per conto di Stoyan e, nel corso degli anni, aveva mostrato di essere molto abile e fidato. Quando i due giunsero a casa, il sole era già calato da un pezzo e la madre del ragazzo, Agata, li accolse con impazienza poiché il padre era già arrivato e attendeva di cenare. L’uomo, quella mattina, non era andato alla filanda perché aveva preferito recarsi a controllare le greggi allevate sull’isola e per prendere accordi per la tosatura che sarebbe dovuta iniziare da lì ad una settimana circa. La casa era grande e spaziosa. Aveva la forma di un grosso parallelepipedo con i lati frontali più larghi. Aveva due piani ed, al centro, com’era l’usanza, c’era un vasto cortile con in mezzo una vasca di forma quadrata per la raccolta delle acque piovane. L’ingresso si apriva a sud perché i raggi del sole illuminassero il più possibile il salone/soggiorno che era situato al pian terreno dalla parte opposta. Sempre al pianterreno, si trovavano la cucina, la stanza da bagno, uno studiolo usato dal padrone di casa per i suoi affari, una vasta dispensa, un magazzinetto, che conteneva un vasto campionario dei tessuti prodotti, e la stanza di Asha e Frida. Al piano superiore c’era invece la camera padronale, con un ampio guardaroba, e le stanze destinate ad ospitare i figli e gli schiavi che lavoravano nella casa o quelli che svolgevano mansioni di maggiore importanza rispetto agli altri. Infine c’era una stanza, con la porta rinforzata, che conteneva i tessuti ed i manufatti più preziosi. Questo, sia per sicurezza, sia per il fatto che molti commercianti, per trattare gli affari, si recavano direttamente a casa di Stoyan che poteva così mostrare loro il campionario normale e, se era il caso, anche merce più preziosa. La reputazione che l’uomo si era creata, aveva fatto sì che andassero da lui anche clienti di grande prestigio per ammirare e comprare le fantastiche produzioni del suo laboratorio. Infatti, ad esempio, un po’ di tempo prima, Thais, il capitano dell’Esperia, durante uno dei suoi viaggi invernali, aveva trovato dei mercanti provenienti da un lontanissimo paese dell’oriente che gli avevano venduto una stoffa incredibile, mai vista, che avevano chiamato seta. Era simile al bisso ma più morbida, più liscia e calda e leggera. Era costosissima e la sua fattura era un segreto. Quando Stoyan la vide, ne rimase affascinato e capì subito che avrebbe potuto fare degli ottimi affari. Non riuscì a svelare il segreto della sua produzione ma, con l’aiuto di Asha e di Ilario, scoprì il modo di ridurre il tessuto di nuovo in filo e da lì, ritessere la seta con colori e disegni particolari. Alla fine Thais aveva trovato un fornitore direttamente a Troia che, naturalmente, applicava dei prezzi altissimi. Ilario, dopo essersi velocemente lavato e cambiato, raggiunse a tavola il padre e la madre, i suoi fratelli e, subito dopo, arrivò anche Asha. La sala era arredata con un grande tavolino di forma rettangolare, attorno a cui erano disposti degli sgabelli su cui sedevano i presenti. Solo Stoyan sedeva su una sedia con schienale e braccioli che gli aveva regalato uno dei suoi clienti in segno di riconoscenza per la qualità del lavoro. Era rimasta per un po’ di tempo inutilizzata finchè la moglie non disse che in fondo lui era il capo di casa e si meritava l’onore di usarla. Nessuno ebbe nulla a che ridire e solo l’interessato, da una parte soddisfatto, si chiedeva tutt’ora cosa gli avrebbe chiesto la moglie in cambio di quella cortesia. Fin’ora, però, la donna non aveva avanzato nessuna richiesta. Di solito, le donne non mangiavano con gli uomini ma Agata aveva assunto una tale posizione all’interno della famiglia, che la rendeva preziosa per la conduzione dell’attività. Dava consigli su eventuali manufatti, si interessava della moda del momento parlando con il personale delle navi che passavano, e gestiva, assieme al marito,gran parte delle attività che si svolgevano sull’isola. In realtà sarebbe stata gradita a tavola anche la presenza di Frida ma lei aveva sempre rifiutato, dicendo che vedeva il marito anche troppo, per doverlo sopportare mentre mangiava ed era sicura che, se avesse abbandonato la cucina, durante i pasti, gli schiavi avrebbero mandato la casa in malora. La cena fu semplice e costituita da un abbondante piatto di pesce arrosto, con lenticchie e piselli, tutto condito con una salsa piuttosto saporita e focacce d’orzo. Alla fine, la schiava che serviva a tavola portò un grande vassoio ricolmo di biscotti chiamati staitos. Sitrattava di dolci realizzati con farina di farro e coperti di semi di sesamo e miele. Erano stati serviti con noci e uva passa. Durante la cena Stoyan confermò che, con il bel tempo che si stava stabilizzando, ben presto sarebbe arrivata l’ Esperia, recando merci, i guadagni del loro commercio con Troia e notizie varie. E fu infatti nel pomeriggio di due giorni dopo, che venne avvistata la vela di una piccola nave che dirigeva, senza dubbio, nel porticciolo di Effimia. Giunta in prossimità della terra ferma, la vela di forma quadrata era stata ammainata ed il natante aveva proseguito, spinto dai remi,dieci per lato,con grande prudenza per evitare le varie secche e alcuni scogli affioranti che c’erano sul suo percorso. Alla fine, con un’ultima agile manovra, giunse al molo e fu presto ormeggiata. Era proprio la Esperia che tornava dal suo lungo viaggio. Il capitano si stava dando da fare per verificare la correttezza dell’ormeggio e, nel fare ciò, spronava i suoi uomini con termini piuttosto bruschi ed a volte niente affatto lusinghieri. Quello eraThais , un uomo molto robusto, sulla cinquantina, di statura un po’ sotto la media ma con un corpo estremamente muscoloso. Sul viso, dai tratti piuttosto rozzi, si poteva leggere però un’espressione scaltra e intelligente, con due occhi capaci di cogliere ogni particolare dei luoghi e delle persone. Aveva la pelle scura ma nessuno sapeva esattamente da dove provenisse ne’ quale fosse il suo passato prima che si desse all’onesto commercio. Molte voci raccontavano che fosse stato per molti anni un temuto pirata che operava al largo delle coste della Sicilia e, a testimonianza di ciò, si potevano notare le numerose cicatrici che erano sul suo corpo. In particolare una, piuttosto estesa e impressionante, che andava dalla guancia destra, attraverso il collo e la spalla, lungo tutto il braccio, fino alla piega del gomito. Quei segni, in effetti, sembravano avvalorare le voci circa il passato dell’uomo, quali esiti dei combattimenti per conquistare le navi da depredare. Nessuno però sapeva la verità e nemmeno il suo fido timoniere, Oreste, che era al suo fianco da molti anni. Il resto dell’equipaggio, una ventina di uomini, cambiava spesso ma questo dipendeva dal fatto che Thais, in navigazione era severissimo e sbarcava immediatamente i marinai che, secondo lui, non erano all’altezza della sua nave. Si narrava addirittura che, in seguito ad alcuni accessi d’ira, ne avrebbe buttati a mare alcuni, rei di aver effettuato manovre errate o di avergli risposto con i toni sbagliati, nel corso della navigazione e abbandonandoli al loro destino. Faceva eccezione un anziano marinaio di nome Makar, che si occupava del carico e che ne era responsabile. Una specie di agente della sicurezza. Quando tutto fu sistemato a bordo, il sole era ormai molto basso sull’orizzonte. Date le ultime necessarie disposizioni al resto dell’equipaggio, il capitano, accompagnato dal suo timoniere, scese finalmente a terra e si diresse verso la casa di Stoyan. A breve distanza dall’approdo, era stata costruita una solida capanna nella quale l’equipaggio avrebbe trovato riparo durante la sua permanenza a terra. In previsione dell’arrivo della nave, la costruzione era stata fornita del necessario per accendere il fuoco e di discreta quantità di acqua dolce. Per l’occasione Thais, conoscendo bene Agata, si era ripulito per bene e si era vestito elegantemente. Indossava infatti un chitone, ossia una lunga tunica di lino, con fermagli d’argento sulle spalle e tenuta in vita da una cintura anch’essa in argento e un clamide di colore azzurro, ossia un mantello corto di lana allacciato su una spalla. Assieme a lui e al timoniere, c’erano anche cinque marinai che trasportavano, ognuno, un grosso pacco. Quando il gruppo giunse all’abitazione, era ormai sera inoltrata. La notizia del loro arrivo si era sparsa velocemente sull’isola e quindi, all’interno della casa, erano pronti ad accoglierli. Quando giunsero alla porta, alcuni schiavi della casa, presero in carico i pacchi che i marinai avevano trasportato fin lì e, in cambio, consegnarono loro delle ceste che contenevano quanto necessario per un’ abbondante cena per tutto l’equipaggio. Dopodiché, i cinque uomini tornarono alla nave. Il capitano ed il timoniere entrarono invece nella casa ed attraversato il piccolo cortile, giunsero alla sala da pranzo dove il padrone di casa li attendeva. Quando Stoyan li vide, si alzò e corse incontro a Thais abbaracciandolo calorosamente, come un vecchio amico. “Finalmente – gli disse – non vedevo l’ora che tornassi! Come è andata e tu, come stai?”.”Bene, grazie agli dei che mi hanno protetto anche stavolta – rispose l’altro, contento anche lui di rivedere il suo amico – e vedo che stai bene anche tu. Ci sono grosse novità – aggiunse – non crederai alle tue orecchie”. Ma prima che potesse continuare con il suo discorso, si udì una voce di donna molto energica che, piuttosto arrabbiata, gridò alla volta del capitano: “Un’altra volta questo pirata in casa mia! Questa è una casa per bene e io, certi figuri, non ce li voglio vedere! Quante volte lo devo dire?”. Era Agata che , arrivata di soppiatto, con le mani sui fianchi, ora guardava Thais con occhi di fuoco. “Moglie, il capitano è mio ospite e non ti scordare che questa è casa mia!”. “Casa tua? - Rispose energicamente la donna al marito – Se non fosse per me, tu ora abiteresti in una spelonca!”. E i tre rimasero a guardarsi con sguardi severi. Il timoniere era rimasto in disparte, in silenzio, per non essere coinvolto, poi, d’improvviso, l’atmosfera cambiò. Agata scoppiò a ridere e andò a sua volta ad abbracciare il capitano. “Pirata, lo sei davvero, ma sei comunque il mio pirata preferito”. Aggiunse che era contenta di rivederlo e che le avrebbe dovuto raccontare tutte le novità di Troia. Gli schiavi, a quel punto, portarono da mangiare e la cena potè cominciare. Ilario e i suoi due fratelli Hector e Maia, sorella minore, che si erano tenuti in disparte durante la prima fase dell’incontro, vennero invitati dal padre, con un cenno, ad unirsi ai commensali. I tre ragazzi si avvicinarono con circospezione, anche Hector che era il più grande. Quel personaggio così particolare li metteva un po’ in soggezione. Un uomo con un passato quantomeno chiacchierato, con quelle cicatrici, che andava per mare, che visitava terre lontane e misteriose e incontrava gente straniera che parlava le lingue più diverse. Sembrava loro un personaggio eccezionale. Alla fine, anche al timoniere venne chiesto di unirsi alla tavola. Di solito i ragazzi non erano invitati a cena quando era presente qualche ospite ma, stavolta, Stoyan voleva che ancheloro ascoltassero i racconti di quell’uomo per rendersi conto che, se anche non si erano mai mossi di lì, quello non era tutto il mondo e che , al di là del mare, in ogni direzione, c’erano altri paesi e altre genti, con i loro usi e le loro tradizioni. Del gruppo faceva parte naturalmente anche Asha che però, come al solito, non era riuscito a convincere la moglie Frida ad unirsi alla compagnia. Anche lei era un’ex schiava liberata che ora, per volere di Agata, aveva le mansioni di governante della casa e al bisogno, tata dei ragazzi. Anche Ashaaffermò che il livello degli ospiti si era molto abbassato da quando si invitavano a mangiare anche i banditi. Thais si voltò verso di lui, esclamando – Basta con queste storie altrimenti qualcuno finirà per crederci. Io sono sempre stato un navigatore e un onesto commerciante!”.”No – intervenne dalla porta di comunicazione con la cucina Frida a cui si era affacciata – La verità à che non ti hanno mai preso”. E scoppiarono tutti in una fragorosa risata, riprendendo poi a mangiare di gusto. I ragazzi, superata la ritrosia iniziale, si erano adeguati al clima piacevole della serata. Alla fina anche Frida si era decisa ad unirsi alla compagnia, anche se solo per ascoltare.
Durante l’abbondante cena, il capitano si rivelò per un parlatore abile e spiritoso. Rispondeva in modo esauriente a tutte le domande che gli venivano rivolte circa le sue esperienze di viaggio e raccontò le ultime novità della città di Troia. E poi ciò che accadeva nei paesi limitrofi. Nella Dardania, con il vecchio re Anchise, nella Misia, nella Licia e tanti altri. Il capitano citava nomi di personaggi importanti. Priamo ed Ecuba, il re e la regina di Troia. E poi Ettore, il loro valoroso figlio, destinato a succedere al padre pur non essendo il più grande. E poi la storia di Paride ed Elena, che per seguire il suo amante aveva lasciato il marito Menelao, re di Sparta, circa sette anni prima. E apparentemente senza scrupoli, aveva abbandonato anche la sua figlioletta di quattro anni, di nome Ermione, portandosi appresso, inoltre, una buona porzione del tesoro reale, con la scusa che era parte della sua dote. Questo aveva fatto sì che i rapporti, già tesi, fra la Grecia e la città di Troia divenissero sempre più critici. In tutto quel tempo c’era stato uno scambio di proposte, minacce, richieste, offese, ma tutto senza risultato. Agamennone, che in qualità di nuovo re di Micene, rappresentava gli Achei, da una parte avrebbe avuto tutto l’interesse a muovere guerra a Troia ma, dall’altra, si rendeva conto che si trattava di un’impresa dall’esito molto incerto, senza nessuna garanzia di vittoria, specie per il fatto che non poteva contare con sicurezza sul sostegno di tutti i suoi alleati, mentre Troia aveva degli alleati fedeli che l’avrebbero di certo sostenuta, se non altro, per interesse. Per cui, fino a quel momento, tutte le richieste del fratello Menelao, avevano ricevuto, da parte di Agamennone, solo risposte vaghe e tese a prendere tempo. “Ma come vive Elena a corte? Non hanno mai pensato che potesse creare dei seri problemi? – chiese curiosa Agata. “Vive in un palazzo vicino alla reggia, come tutte le famiglie dei figli del re. Ha una personalità molto forte. Le donne, logicamente, non l’hanno in gran simpatia, a partire da Ecuba. Ma Priamo, invece, l’ha presa sotto la sua protezione e non vuole sentire storie. Sa che quello che suo figlio Paride ha commesso è sbagliato, ma la considera una sorta di vendetta contro i Greci per il fatto che loro, a suo tempo, gli rapirono la sorella Esione”.”Davvero? – chiesecurioso Ilario che seguiva la storia affascinato dalle parole del capitano e che si immaginava, nella sua mente tutte le scene descritte. Stoyan non lo rimproverò per essersi intromesso nei discorsi dei “grandi” e invece spiegò a sua volta: “Il padre di Priamo, Laomedonte, re di Troia, si era fatto dei nemici potenti. La città fu attaccata e vinta. Il re venne ucciso e i suoi figli catturati. Priamo, che a quel tempo si chiamava Poldarce, fu salvato dalla sorella Esione che pagò il suo riscatto e, per questo, cambiò nome. Infatti Priamo ha come significato “il riscattato”. Il re di Salamina, Talamone accettò il riscatto ma si portò via Esione e, da allora, lei è sua prigioniera. Trovò divertente, a suo tempo, rimettere quel ragazzo inesperto sul trono della sua città distrutta, come una beffa. Invece Priamo riuscì a risollevare le sorti di Troia, con iniziative intelligenti, con alleanze convenienti. Fra l’altro, per aumentare le ricchezze dei suoi sudditi, promosse la produzione dei tessuti e la loro lavorazione. La fama dei prodotti tessili di Troia è famosa. Si dice che le tessitrici più abili siano proprio alcune delle sue figlie e che, per paura di perderle, il padre non permetta loro di sposarsi”.”Povera Esione – disse Frida, forse ripensando alla sua vecchia condizione – mi fa un po’ pena. Almeno spero che Talamone la tratti bene”.”Certo che la tratta bene. – intervenne di nuovo Thais - Deve vivere il più a lungo possibile per far dispetto a Priamo che gliel’ha richiesta più e più volte, e ricevendo sempre un rifiuto. Ecco perché è contento del fatto che ora Elena sia nella sua città, come se fosse una ritorsione, una rivalsa”.”Ma tu Elena l’hai mai vista? – chiese curioso Hector. “Ah, si! – rispose il capitano che sollevò lo sguardo a fissare per un attimo il nulla, come qualcuno che ricorda qualcosa di fantastico. Rimase così alcuni secondi e, poi, resosi conto di essersi assentato, riprese – Scusate, ma una volta che la vedete non potete smettere di pensarci”.”Quindi è veramente così bella? – chiese Agata – e Paride non è geloso?”.”Bella è poco, ti cattura per il suo fascino. E poi c’è il fatto che, per rispondere alla gelosia della altre donne della corte, lei, rifacendosi alle usanze della sua terra, Sparta, si veste con abiti provocanti, ad esempio alcuni che le lasciano scoperto il seno, fra il naturale biasimo delle altre”.”Non ci posso credere – esclamò sconcertata Agata e valutò se mandare via dalla tavola la figlia Maia. Però, prima che potesse arrivare ad una decisione, Thais, riprese:”Malgrado ciò che si possa pensare, Elena è seria e totalmente devota a Paride. Nessuno ha mai potuto dire una parola su di lei. Anche perché si tratterebbe di inimicarsi Priamo e questo non lo vuole nessuno. Cioè, quasi, nessuno. Il realtà il figlio maggiore del re, Deifobo, ha provato ad avvicinarla ma lei, senza nessun problema, l’ha messo subito a posto”. “Quindi tutto procede come se nulla fosse – intervenne Asha. “In realtà – continuò il capitano – si diceva che Agamennone stesse valutando l’opportunità di organizzare una campagna contro Troia. Ma non tanto per rendere la moglie al fratello - Qui si interruppe e rivolto verso la schiava che distribuiva il vino, con il bicchiere alzato, disse – ehi, ragazza vieni qui e dammi da bere, che se devo raccontare tutta la storia mi si secca la gola. Su, in fretta!”. La ragazza, con la brocca in mano, rivolse uno sguardo ad Agata che, prima della cena, l’aveva istruita perché limitasse il vino con il capitano. Poi, quando la padrona di casa le fece un cenno di assenso, si avvicinò all’ospite e iniziò a empirgli il bicchiere. Velocissimo, il capitano le cinse la vita con un braccio, cercando di tirarla a sè e la ragazza, sorpresa ma anche spaventata, lasciòla brocca che fu prontamente afferrata dall’uomo che, subito dopo, lasciò andare la ragazza. Agata guardò il marito per vedere se sarebbe intervenuto a quella scorrettezza. “Thais, stai calmo - disse questi infatti con atteggiamento calmo ma severo– le ragazze di questa casa sono delle ragazze per bene e non quelle con cui te la fai, assieme al tuo equipaggio, durante i tuoi viaggi”. Il capitano, resosi conto di aver superato il limite, chiese scusa ai presenti e poi, come se nulla fosse stato, riprese il suo racconto e l’episodio venne presto dimenticato. “La città di Priamo ha il totale controllo della porta verso l’Asia Minore il che significa che controlla tutti i commerci da cui la Grecia in parte dipende. Lo stagno, il ferro, il rame, l’argento, tanto per dire. E c’è di peggio. Quando Priamo ha avuto sentore che i Greci stavano ponderando un’aggressione, ha limitato i commerci, sapendo che i metalli, in particolare, sarebbero serviti a fabbricare armi. Questo naturalmente ha peggiorato una situazione già molto tesa”.”Ma allora ci sono possibilità di una guerra – disse preoccupata Agata. “Non credo – rispose il capitano dopo un bel sorso di vino – Non a tempi brevi comunque. Agamennone dovrebbe infatti armare una flotta ingente per trasportare abbastanza guerrieri , provviste, equipaggiamenti. E poi, per cosa? Le mura di Troia sono inespugnabili. Ve lo assicuro. Voi non le avete viste ma io si”.”E’ vero che c’è una leggenda, circa la costruzione di quelle mura? – chiese curioso Hector. “Leggenda? – rispose Thais – Se voi aveste visto quelle difese, sareste disposti a credere completamente alla storia che i Troiani raccontano ai loro figli. Ossia che le mura furono costruite da Poseidone e Apollo per punizione, per ordine di Giove. E questi le fecero così grandi e imponenti che la città divenne inespugnabile. La leggenda in realtà non finisce qui. C’è un seguito ma i Troiani non lo raccontano volentieri. Si dice che il re di Troia, a quell’epoca Laomedonte, appunto il padre di Priamo, si rifiutò di pagare quanto pattuito. E allora Poseidone, per vendetta, scatenò contro la città un tremendo mostro marino che abbattè una parte delle mura e uccise molti dei cittadini. Allora si narra che il re, disperato, abbia invocato l’aiuto di Ercole, promettendogli in cambio le tre magnifiche cavalle che lo stesso Zeusaveva regalato a suo nonno Troo. Ma ottenuto l’aiuto, di nuovo tentò di sottrarsi ai suoi impegni, tentando di raggirare l’eroe che, a quel punto, si vendicò portando lì un esercito e mettendo la città a ferro e a fuoco”.”Beh – intervenne Stoyan – è un fatto che la guerra c’è stata veramente. E quindi le mura non sono poi così invalicabili”.”A quell’epoca un terremoto ne fece crollare una parte e, di quella breccia, larga circa un centinaio di metri, approfittarono i nemici prima che Laomedonte potesse riparare il danno. Infatti, osservando la città, oggi, si nota una parte della cinta che è leggermente diversa dal resto ma comunque, sempre formidabile”.”Ma cosa c’è di vero, a proposito di Ercole? E’ esistito veramente? – chiese incuriosito Ilario. “Io, di certo, non lo so, ma ci sono molte testimonianze della sua esistenza – rispose il capitano – Secondo alcune voci, infatti, che le sue armi sarebbero state lasciate a degli eroi greci. Ad esempio il suo famoso arco sembrerebbe essere in possesso di un certo Filottete, che vivrebbe in una cittadina della Tessagliachiamata Malibea, che lo venera, giustamente, come una reliquia. Maora - continuò il capitano, rivolgendosi al padrone di casa – l’importante è che i nostri rapporti commerciali con la città di Troia, proseguono al meglio e, a questo proposito, ho una sorpresa per le due donne della casa e poi, semmai, parleremo un po’ d’affari”. Detto ciò, rivolse un gesto al timoniere che, alzatosi dal suo posto, andò a raccogliere un involto di stoffa che aveva conservato su una panca accanto a lui e lo consegnò al suo capitano. Questi lo prese e, rivolto ad Agata e a Frida, disse : “Questo è un regalo per voi due. Malgrado quello che andate dicendo di me, io non ce l’ho affatto con voi. E questo lo dimostra – e posò l’involto sul tavolo. Poi, sorridendo continuò – Ricordate, il regalo è solo per voi e non consentite ai vostri uomini di metterci sopra le loro manacce!”. A quel punto le due donne, sorprese e incuriosite, si avvicinarono. Frida iniziò a svolgere la pezza che richiudeva il contenuto dell’involto e alla fine apparvero due ampi teli di stoffa. Uno di colore celeste cielo, l’altro color rosa. Le due donne osservarono attentamente la stoffa e poi, di tacito accordo, scelsero Agata quello celeste e Frida quello rosa. Fra la curiosità generale, valutarono attentamente il loro regalo che si rivelò per essere veramente pregiato. “Ma cos’è – chiese Agata – una specie di bisso?”.”Altro che bisso! – esclamò Stoyan che aveva riconosciuto subito il tessuto – è seta!”. “Seta? – chiesero le due donne ed anche gli altri presenti. “Si, seta – confermò Stoyan che si era avvicinato ed ora tastava ammirato il tessuto celeste scelto dalla moglie. Era rimasto sorpreso da quella stoffa fantastica e rarissima. Liscia e compatta, eppure morbida, calda e leggera. Un sogno. Loro l’avevano comprata, a carissimo prezzo, e l’avevano anche lavorata ma non si erano nemmeno mai avvicinati al livello di fattura del tessuto che ora era fra le sue mani. “Bellissimo! – continuò, rivolto a Thais – Ma quanto è costato e dove l’hai trovato, soprattutto?”. “Hai ragione, è costoso – rispose l’altro – ma di ciò non ti preoccupare perché è proprio di questo argomento che ti devo parlare. Ti devo dire delle cose importantissime. – Poi cambiando istantaneamente atteggiamento, rivolto agli altri commensali e sollevando il bicchiere, disse – Basta, adesso. Godiamoci la serata!”. La cena si protrasse ancora a lungo, e, mentre i ragazzi erano curiosissimi per quella stoffa pregiata e particolare che avevano visto solo di rado, le due donne, che avevano avuto quell’incredibile regalo, cercavano di metterlo in salvo dal rischio di una macchia di cibo o di vino. Malgrado le domande del padrone di casa, il capitano fu irremovibile. Ne avrebbe parlato soltanto il giorno seguente e solo con lui. Alla fine Thais ed il timoniere si accomiatarono, dicendo che andavano a raggiungere l’equipaggio, specialmente per evitare che non procurassero danni o che si andassero a cacciare in qualche guaio con gli abitanti dell’isola, specie con quelli di genere femminile. Quella notte il padrone di casa, dormì un sonno molto inquieto. Se conosceva bene il capitano, questi, la mattina seguente, gli avrebbe proposto un affare grosso, importante, ma probabilmente rischioso. L’atteggiamento dell’uomo lo aveva insospettito. Quei regali di così alto valore alle due donne senza pretendere nulla in cambio, infatti, lo inquietavano e di certo ci doveva essere dietro qualcosa.
Quando giunse la mattina del giorno seguente, Stoyan, dopo una rapida colazione, si recò subito nel suo studiolo, preparando tutto per ricevere il capitano che avrebbe dovuto rendere conto del suo viaggio. Thais si presentò di buon’ora e, con il padrone di casa, sistemò subito la parte dell’incontro dedicata agli affari. Gli ordini, gli scambi, i guadagni. Tutto era andato al meglio e c’era solo da esserne felici. Ma… C’era in piedi la proposta del capitano e Stoyan l’aspettava con impazienza. “Insomma !” – alla fine sbottò, avendo la sensazione che l’altro stesse prendendo tempo, come se non sapesse da dove cominciare – si può sapere di cosa mi devi parlare?”.”Allora – esordì l’altro, dopo aver fatto un lungo respiro – Innanzi tutto ti devo avvisare che stai per ricevere la visita di un principe troiano”.”Cosa? – lo interruppe l’altro sorpreso da quella notizia – E che vuole da me, un principe di Troia?”.”Si tratta di Polite, figlio di Priamo, che verrà qui accompagnato dalla consorte, la principessa Tecla”.”E quando?” – chiese Stoyan piuttosto preoccupato. Sulla sua isola aveva ricevuto clienti d’alto rango e dignitari maun principe, e inoltre accompagnato dalla moglie, era un’ altra cosa. E poi la domanda venne spontanea – E che vuole da me un principe di Troia?”.”Apparentemente solo vedere il campionario dei tuoi tessuti più pregiati che io ho potuto mostrare presso la reggia solo in parte”.”E in realtà – chiese nervoso l’altro – che hai combinato? Cosa ti sei inventato? In cosa mi hai coinvolto?”.”Niente che non avresti fatto tu stesso. Torniamo al regalo che ho fatto eri a tua moglie”.”La seta! Sapevo che c’era sotto qualcosa”.”Dimmi un po’ , allora, tu cosa si di quel tessuto?”.”Beh – rispose l’altro, calmandosi un po’ – E’ una stoffa speciale, eccezionale. E’ simile al bisso che produciamo anche qui ma di qualità molto, molto superiore. E’ comparsa in Grecia circa un centinaio di anni fa e in quantità sempre molto limitata. E’ prodotta, sembra in una terra lontana, ad oriente e quindi, per tutto quanto ho detto ha un prezzo elevatissimo. E allora?”. “E allora, se ti dicessi che quella stoffa che ti ho portato ieri sera, proviene direttamente da Troia?”.”Vuoi dire che è contraffatta, è falsa?”.”No, ripeto, voglio solo dire che viene da Troia”.”Significherebbe che quel diavolo di Priamo ne ha scoperto il segreto?”. Il capitano abbassò di moltola voce. “Sembra di si. Ma questa è un’informazione segreta e che tale deve restare. Io l’ho avuta da alcune mie fonti per le quali nutro la massima fiducia. Mi hanno assicurato che i Troiani, in qualche modo, hanno scoperto il segreto della seta e lo custodiscono con la massima attenzione. Hanno cominciato a produrne per loro conto modeste quantità, che commercializzano a prezzi elevatissimi con adeguati guadagni. Non vogliono certo invadere il mercato con quantità tali da far nascere sospetti o abbassarne il prezzo. Insomma, massimo guadagno con minimo impegno. Il rischio è che, se si sapesse una cosa simile, il valore della seta scenderebbe moltissimo”.”Va bene, ammesso che tutto ciò corrisponda a verità, ancora non mi hai detto cosa viene a fare Polite sulla mia isola e che c’entriamo noi con questa storia”.”Perché io ho lavorato bene, per tua fortuna. A Troia, a corte, dove mi hanno ricevuto, sono stati apprezzati molto i tessuti realizzati da tuo figlio. Per la tecnica, per la ricchezza, per la maestria. Priamo, che come tu sai ha un’importante attività relativa alla tessitura nella sua città, ha espresso di avere un contatto diretto con voi, per studiare la possibilità che voi vogliate trasmettere alcune vostre tecniche agli operatori della sua città”.”Certo, - rispose piuttosto alterato il padrone di casa – e così ci portano via i nostri clienti! Bel lavoro che hai fatto”.” Ma non capisci che il gioco vale la candela? Che te ne importa di pochi clienti di fronte alla possibilità di ottenere il segreto della seta?”. Stoyan, seppure ancora molto incerto, decise di sentire il resto della storia. “E inoltre – proseguì il capitano – non dovrete mica insegnare loro mica tutto, solo quello che riterrete necessario”. Stoyan non era ancora convinto, però. “Ma e il segreto della seta, come lo scopriremmo? Cercando di spiare il loro lavoro?”.”No, questo è il bello. Il segreto vi sarà consegnato da qualcuno che non ha simpatia per Priamo e la sua famiglia. E non vuole nulla in cambio, se non rovinare i suoi affari”.”Troppo bello per essere vero. Ma perché questa persona non ha comunicato il segreto direttamente a te?”.”Perché mi ha detto che per capire tutto il procedimento occorre qualcuno del mestiere”.”Quindi, come si svolgerebbe la cosa?”.”Semplice.Uno di voi, in grado di trasmettere ciò che viene richiesto, si recherà a Troia per un paio di mesi e svolgerà il suo apparente lavoro di istruttore. In cambio di questo accordo, Priamo si impegna a acquistare tutta la produzione dell’isola per dieci anni. Non è un buon affare? Pensa a cosa c’è in ballo”.”Ma quindi, chi dovrebbe andare?”.”Ma tu,naturalmente – rispose Thais. “Ma non è così semplice, purtroppo – esclamò il padrone di casa alzando la voce – Non sono io che produco i tessuti preziosi, che li disegno e li realizzo! Purtroppo devo ammettere che l’artefice è mio figlio Ilario. E’ bravissimo, ce l’ha nel sangue”.”Uhm… e questo è un problema – disse dubbioso il capitano”.”Certo che lo è. Mio figlio ha solo sedici anni, non si è mai mosso da qui e non conosce altra vita che quella sull’isola. Ti immagini da solo in una città come quella?Agata non darebbe mai il permesso per farlo partire”. Il capitano, conoscendo la donna, sapeva che non era il caso di insistere ed ora, come rimediare? Per fortuna che la risposta la dette lo stesso Stoyan: “Andrò io. Non sono certo digiuno dell’argomento. Non ci scordiamo che l’attività l’ho creata io. Riuscirò a cavarmela”.”Magnifico, rispose l’altro. Ora appronta tutto. Stai per ricevere in casa tua un principe Troiano”.
Due giorni dopo, uno dei marinai della Espero, di guardia, avvistò una grossa imbarcazione che si avvicinava, diretta al porticciolo di Effimia e quindi corse immediatamente alla casa, per avvisare dell’arrivo dell’ospite. Durante la sua attesa, erano stati portanti avanti grandi preparativi. Agata, alla quale il marito non aveva ancora fatto a tempo a dire nulla di preciso, aveva un diavolo per capello e, malgrado alla fine avesse accettato di preparare la casa per quella visita, non condivideva di certo l’entusiasmo per l’evento. La casa aveva già ospitato persone importanti, anche se non di rango così elevato, ma, alla fine, sia Agata che Frida, si erano rimboccate le maniche e si erano date da fare, aiutate dalle schiave. L’abitazione, d’altronde sempre pulita, ora brillava come uno specchio.Nella sala per ricevere, erano stati portati tre triclini che sarebbero stati riservati ai nobilissimi ospiti e al padrone di casa. Le due donne, assieme agli schiavi della cucina, avevano preparato un fastoso banchetto con tutto ciò che di più prelibato era sull’isola. Stoyan aveva personalmente scelto il vino migliore che sarebbe stato servito a tavola. Infine, gli schiavi che avrebbero dovuto servire i commensali, erano stati addestrati a lungo da Frida. Agata, comunque, non voleva comparire a tavola perché i Troiani avevano di certo preso informazioni su di loro e quindi sapevano che lei, seppure ora libera e padrona di casa, era stata una schiava e non voleva mettere in imbarazzo il marito. Stoyan e Thais, corsero subito alla spiaggia per ricevere il troiano. Il più nervoso di tutti era, in realtà, il capitano, il quale, nel momento in cui si stava per stabilire quel contatto preliminare, non aveva idea di come avrebbero preso la cosa sia Agata che Stoyan, al quale effettivamente, non aveva avuto il coraggio di dire tutta la verità. Sperava solo che la sorpresa e il miraggio di un guadagno favoloso, li convincesse a non opporsi al vero patto che era stato stipulato fra lui e i Troiani. La nave, pur essendo piuttosto lontana, aveva già ammainato la vela e procedeva a forza di remi. Via via che si avvicinava, rivelava le sue reali, grandi dimensioni e la sua forma insolita. Infatti, si scorgevano due serie di remi sovrapposte per lato e di conseguenza due ponti. Thais disse che ne aveva vista solo un’altra, prima, durante un suo viaggio alle terre del sud. Il grosso natante procedeva lentamente e con fatica mentre diversi uomini a bordo, sporti sulle murate, davano ai due timonieri, uno per ogni lato della poppa, ordini convulsi e continui per evitare di finire in secca o urtare qualche scoglio. Alla fine, dopo un tempo che parve interminabile, la nave, a circa cinquanta metri dal pontile, gettò in mare tre ancore per assicurarsi adeguatamente al fondale. Accostarsi di più , con uno scafo di quelle dimensioni, avrebbe rappresentato un rischio eccessivo. Vennero ritirate tutte le file di remi. La nave, ora che da vicino risultava ben visibile, appariva riccamente decorata con fregi di bronzo ed elettro, un minerale ferroso simile all’argento ma maggiormente malleabile. A prua si vedeva una elegante polena, in legno scolpito, raffigurante un delfino. A poppa si ergeva il castello superiore, in legno decorato con eleganti disegni dai colori molto vivaci. Aveva delle porte e delle finestre, in quel momento tutte aperte ma coperte da pesanti cortine color vinaccia. Probabilmente era l’alloggio destinato ai due passeggeri d’alto rango. Mentre i due sulla riva erano ancora intenti ad ammirare la nave appena giunta, sulla fiancata più vicina a loro, venne calata in mare una lancia che, da sola, era lunga almeno la metà dell’Espero, probabilmente con funzioni di scialuppa. A bordo presero posto otto uomini che fungevano da rematori ed altri quattro con involti e pacchi. Quelli ai remi vestivano una corta tunica di colore azzurro, con alla base una decorazione in rosso. Gli altri, indossavano lo stesso indumento ma di colore giallo, con decorazioni in giallo più scuro. Uno di loro portava un mantello. Indubbiamente, su una nave come quella, era previsto che gli uomini fossero vestiti con abiti differenti a seconda delle mansioni che svolgevano, come se fossero ancora a corte. Quando giunsero al molo, quelli vestiti di giallo, veloci ed efficienti, raccolsero il loro carico, sbarcarono e, senza perdere tempo, chiesero dove fosse la casa di ‘un certo’ Stoyan. Questi, preso alla sprovvista, si limitò a indicare la direzione giusta e quelli, senza aggiungere altro, si incamminarono veloci. Dalla barca un uomo disse di avvisare ‘chi di dovere’ che il principe e la consorte, sarebbero scesi dalla nave più tardi, per recarsi direttamente a cena e che avrebbero provveduto da soli a raggiungere la casa. Praticamente un commiato. Poi la barca si scostò dal pontile per tornare sotto bordo alla sua nave. “Ma chi erano quelli? – chiese Stoyan al capitano, riferendosi al gruppo di uomini che era partito poco prima per la sua casa. “Certamente degli schiavi, per controllare che la casa sia a posto per ricevere il principe e, magari, per preparare qualcosa del pasto, qualora la cucine della casa non si mostrasse all’altezza dell’ospite”.”Che gli dei ci aiutino! – esclamò Stoyan, pensando alla reazione della moglie che già aveva accettato quella situazione molto malvolentieri e a cosa avrebbe detto anchesolo per il sospetto che la sua cucina non si dimostrasse all’altezza. Per cui, assieme al capitano, visto che per il momento lì non avevano più nulla da fare, si limitarono a lasciare un uomo di guardia, che avvisasse dell’arrivo del principe e poi tornarono verso la casa, più veloci che poterono. Lungo il tragitto però Stoyan chiese all’altro :”Ma se il principe viene a cena, quando potrò fargli vedere i nostri manufatti? Lo sai che ci vuole del tempo ed una situazione adeguata, senza rischi di macchie di vino o ditate di unto – e si sentì un brivido lungo la schiena, solo a pensare ad una cosa del genere. “Non temere – rispose l’altro – ci sarà tutto il tempo e l’attenzione necessari. E poi, il tuo lavoro l’hanno già visto, no?”.”Appunto. Allora, che sono venuti a fare?”.”Ma, una visita, che so, un invito ufficiale a Troia, immagino – poi visto che l’altro non era convinto, decise di giocare un’ altra carta per prendere comunque tempo – E va bene. Quando ho portato a corte i tuoi tessuti, re Priamo ha delegato Polite, che si occupa di tutta l’organizzazione della filatura, tessitura e coloratura delle stoffe, per valutare la qualità dei prodotti. Due giorni dopo, il principe mi ha chiamato e mi ha chiesto come ottenevate il color porpora, visto che era risultato migliore di quello che usano loro”.”Dimmi un po’, non gli avrai mica detto del segreto della porpora, per caso? – chiese allarmato il padrone di casa, prendendo l’altro per un braccio ed obbligandolo a fermarsi.”Ma che dici? – rispose l’altro, liberandosi dalla stretta di Stoyan – Ma se io non lo conosco nemmeno”.”Per fortuna, a questo punto”. “Ma no, certo ho dovuto ammettere che utilizzate un procedimento diverso, e magari anche più economico…”.”Lo sapevo. E adesso che succederà?”.”Nulla, andrai a Troia, porterai una certa riserva del tuo colorante, e lo userai al bisogno, senza dover dare ulteriori spiegazioni”.”Il prodotto degenera in fretta. Lo dovrò preparare in loco e loro vedranno gli ingredienti”.”E da quelli possono risalire al procedimento per ottenere il colore?”.”Difficile, molto difficile ma non impossibile per gente del mestiere”.”Ma tu, intanto, scoprirai il segreto della seta. Non ci guadagni?”.”Certo, la gola tagliata, se solo qualcuno avrà un sospetto”.”Nessuno sospetterà. Tu non dovrai fare nulla. Ho un contatto, una persona fidata ed influente che si limiterà a fornirti tutto il necessario per venire in possesso del procedimento. E sarai al sicuro perché è una persona importante che ricopre un incarico di altissimo prestigio. Per motivi suoi, odia Priamo e Troia e vuole solo vendicarsi di qualcosa di terribile che gli è stato fatto in passato”.”Importante, influente, e chi sarebbe”.”Per ora fermiamoci qui – disse il capitano – Vediamo come va la serata e poi decideremo il da farsi”. Stoyan comprese che l’altro per il momento non avrebbe più aggiunto alcunché e partì, veloce, verso la sua casa, convinto che non avrebbe certo trovato un’atmosfera idilliaca. Thais si sbrigò a seguirlo, molto incerto per come sarebbero andate le cose quando il suo amico avrebbe scoperto la verità. La cosa più difficile sarebbe stata quella di convincere Agata a non opporsi al patto. Stoyan non era ancora sulla soglia di casa che già sentì la voce della moglie che , veramente arrabbiata, inveiva contro qualcuno. “…e dite al vostro principe che non è permesso a nessuno, dico a nessuno, venire a fare controlli sulla mia casa! Sulla mia cucina, perfino!”.”Ma signora…. – tentava di replicare un uomo di mezza età e piuttosto in carne chino davanti a lei, in segno di rispetto, mentre gli altri tre, anche loro inchinati, sembravano ripararsi dietro a lui – non siamo qui per controllare nulla. Noi siamo qui per…”.”Per impicciarvi delle cose della mia casa! – proseguì Agata, ancora più irritata, che non voleva sentire ragioni. A quel punto Stoyan che aveva visto una situazione senza uscita, decise di intervenire. “Che succede qui? – e subito gli uomini del principe si rivolsero a lui con espressione speranzosa che questi potesse tirarli fuori da quella situazione tremenda. “Succede – rispose la moglie – che il ‘tuo’ principe, non si fida di entrare in casa nostra se prima questi quattro scellerati non hanno controllato che sia tutto alla sua altezza e che addirittura ha avuto la sfrontatezza di portarsi il cibo da casa, quasi che noi non sappiamo cucinare o siamo in grado di preparare solo porcherie!”.”E’ vero ? – chiese severamente il padrone di casa a quello che sembrava essere il portavoce del gruppo. “No signore – rispose subito quello con tono dimesso – Può sembrare, ma non è così – in realtà non aveva il coraggio di dire che la donna si era sbagliata. Di certo questo atteggiamento faceva parte dell’addestramento fatto alla corte di Troia – Le stoviglie sono un regalo per voi, per la vostra casa, ma non siete obbligati ad usarle stasera e le vivande non sono per il principe, ma solo per fare assaggiare a voi alcune specialità della nostra terra, della nostra città”.”Che dici moglie – chiese a quel punto il padrone di casa sperando che tutto fosse chiaro per la donna – ti ha convinto?”.”Messa così, può passare e possono entrare in cucina ma stessero attenti a non commettere passi falsi o li faccio servire a tavola allo spiedo come specialità di Lemno”. A quel punto i quattro uomini entrati nella cucina, posarono le ceste al suolo e iniziarono a tirare fuori stoviglie e ingredienti. Poi si misero a preparare le loro vivande. Agata e Frida non li perdevano d’occhio, anche per far vedere che, comunque, erano loro a comandare ma, allo stesso tempo, rapite dall’abilità di quegli uomini di trattare il cibo con delicate e pure veloci preparazioni, con effetti veramente belli a vedersi. Di certo, le aspettative a corte erano molto alte e quel personale si doveva essere affinato nel suo operato in anni di pratica. Poco dopo il calar del sole, un marinaio dell’Espero giunse di corsa, per avvisare che gli ospiti stavano arrivando. Erano state usate due portantine in legno dorato, scoperte, trasportate ognuna da quattro uomini robusti, vestiti con la tunica corta di colore giallo. Giunte davanti alla casa, le portantine vennero adagiate con cautela al suolo e i loro occupanti poterono scendere a terra. I due ospiti, Polite e sua moglie Tecla, erano ambedue molto giovani ed estremamente eleganti. Lui, con un viso simpatico e intelligente incorniciato da capelli neri ricci e lunghi fino alle spalle. La moglie, con un viso sottile ed una espressione attenta, era piuttosto magra ma il corpo appariva longilineo e piuttosto muscoloso. Ambedue indossavano delle tuniche di lana bianchissime, lunghe fino ai piedi, fermate in vita da una fascia di pelle marrone con una fibbia d’oro, ornata con il simbolo della civetta, animale sacro alla dea Atena. Avevano anche sulle spalle un corto mantello di lana rossa, ornato sul bordo inferiore con ricami e inserti in oro. Il principe aveva un modo di fare franco e gioviale che metteva subito gli altri a loro agio. La moglie appariva molto sicura di sè stessa , consapevole del suo rango, cosa che però amministrava con grande accortezza. Indubbiamente, frequentare la corte, costituiva una valida scuola di vita. Stoyan, che era subito accorso a riceverli, si inchinò in segno di omaggio ma quelli si mossero subito verso di lui, sorridendo e porgendogli direttamente la mano. Polite disse che si sentiva lui, onorato, di essere ricevuto così, praticamente senza preavviso e si scusò per aver creato eventualmente disordine nella tranquilla vita dell’isola. Con queste premesse, subito l’atmosfera si distese e il padrone di casa, accompagnato dai due suoi figli maschi, Hector ed Ilario, invitò i due principi ad entrare. Era presente in veste di intermediario Thais, sempre molto nervoso. Quando giunsero nella sala, i due ospiti si accomodarono con grande naturalezza sui triclini a loro riservati. Non così fece il padrone di casa, a cui comunque spettava quell’onore ma a cui era poco abituato, sentendosi a volte, perfino ridicolo, agli occhi della sua famiglia. Agata, in quanto donna, era rimasta in cucina. Anche Asha, che pure era socio dell’attività, non dimenticando la sua origine di schiavo, era voluto rimanere in disparte, per non mettere eventualmente in imbarazzo Stoyan. Appena le schiave addette al servizio per la cena cominciarono a portare le vivande in tavola, Tecla, con un tono che non ammetteva repliche, chiese di vedere subito la padrona di casa. La donna, sorpresa, si fece avanti, lanciando occhiate preoccupate verso il marito. Ma subito la situazione si distese, appena la principessa si alzò e si fece incontro ad Agata. Le disse infatti di essere nata nella città di Lirnesso, della Misia, vicina ai confini con la Licia da cui proveniva la padrona di casa e aggiunse che le loro famiglie erano addirittura imparentate. Si ricordava di quando una turba di rinnegati, aveva fatto scorrerie nei loro territori, rapendo ragazze belle e di buona famiglia per venderle, con profitto, al mercato degli schiavi. Ora, quindi, pretese che Agata stesse a tavola assieme a loro, perché non aveva nulla da rimproverarsi per quello che le era successo e disse al padrone di casa che doveva essere onorato per aver potuto avere una moglie di tale valore. Stoyan concordò naturalmente con la principessa e lo dimostrò dichiarando che aveva fatto di Agata la sua padrona e che tutto, o quasi, era sotto il suo controllo. Tecla si mise a ridere e aggiunse che comunque aveva piacere a non essere l’unica donna in quella stanza fra tanti uomini che, magari, avrebbero parlato solo di affari. Forse fu proprio per la loro presenza che la cena procedette piacevolmente e allegramente. Il principe volle comunque conoscere direttamente i due figli del padrone di casa e si informò di quale fosse la loro occupazione sull’isola. Quando seppe di Ilario, gli volle stringere la mano, aggiungendo che avrebbero avuto modo di conoscersi più a fondo. La principessa era incredibile. Raccontava aneddoti sulla sua città, soddisfacendo la curiosità dei commensali. I due ragazzi,la guardavano a bocca aperta. Non avevano mai visto una ragazza così disinvolta, simpatica, spigliata. Hector sentiva addirittura di essersene innamorato. Il principe, pur partecipando alla conversazione, sembrava più interessato al cibo locale, dimostrandosi un forte mangiatore, in contrasto con la sua taglia longilinea. Anche gli ospitifecero molto onore a delle bistecche di bovino che i principi avevano portato da Troia per far loro assaggiare le specialità della loro terra. Provenivano da un particolare allevamento che si trovava sul monte Ida, relativamente vicino alla loro città e affidato alle cure di Mestore, anche lui figlio di Priamo. Ilario, nel sentire i racconti della principessa si immaginava la città di Troia, la vita quotidiana dei suoi abitanti in una condizione di ricchezza e opulenza, la corte con i suoi lussi e il suo fascino. L’unico che continuava a mostrare una certa tensione era Thais e Stoyan , che non lo perdeva d’occhio, era un po’ preoccupato, chiedendosi il motivo di quell’atteggiamento del capitano. Al termine della cena, Polite fece portare dalla cucina un’otre di vino che era stato tenuto da parte fino a quel momento. “Ora – disse – questo vino servirà a siglare completamente il nostro accordo”. Uno dei suoi schiavi, avvicinatosi al cratere, ossia il vaso a bocca larga, destinato a miscelare il vino che veniva consumato a tavola, si mise a preparare la bevanda. Poi, raccogliendola in una caraffa, servì il fantastico liquido ambrato e profumato ai commensali. La bevanda si sposò magnificamente con un fantastico dolce ai fichi e al miele che Frida aveva cucinato nel pomeriggio e che sembrava piacere in modo particolare ai due nobili. Fatto l’ennesimo brindisi, Polite venne finalmente al punto. “Sono molto contento di avervi conosciuto e vi sono grato per averci accolto nella vostra casa in questo modo particolarmente caloroso. Come sapete sono di ritorno, assieme a mia moglie, da un viaggio d’affari dalla lontana Sicilia. Tornando verso casa, però, non potevo fare a meno di passare di qui, perché, dopo aver visto i vostri manufatti, volevo anzitutto conoscere l’artefice di quegli splendidi arazzi e poi, naturalmente, concludere il nostro accordo, stretto, in via preliminare con il vostro rappresentante Thais”. Il padrone di casa era rimasto molto compiaciuto per le parole di Polite. Doveva solo trovare il modo di comunicare a sua moglie che si sarebbe dovuto recare a Troia per un po’ di tempo per stabilire migliori contatti commerciali e poi c’era l’altro motivo, quello segreto, che avrebbe dovuto portare Agata ad accettare con meno risereve la sua partenza. Malauguratamente aveva tergiversato un po’ troppo prima di parlarne ed ora temeva di non avere più tempo per prepararla poiché Polite avrebbe potuto sollevare la cosa da un momento all’altro. Non potè far altro che raccomandarsi agli dei perché la donna la prendesse bene. D’altronde, non sarebbe partito subito, perché avrebbe dovuto, prima di tutto, portare a termine le operazioni di tosatura del bestiame e solo poi sarebbe potuto andare. C’era tutto il tempo, per cui, per parlarle e convincerla dell’opportunità dell’accordo. A quel punto, si alzò e indicando con orgoglio suo figlio minore, disse: “Questo è mio figlio Ilia, che noi chiamiamo Ilario. E’ lui che realizza quei tessuti e quei decori che vi hanno tanto colpito. Ha solo sedici anni ma, nel suo campo, ha pochi rivali”.”Da quel che ho visto – disse il principe - ne sono sicuro. – Poi, alzando la coppa verso di lui in segno di omaggio, aggiunse – Allora, ti senti pronto per l’avventura che ti attende? Sei pronto per il viaggio?”. Nella stanza, seguì un profondo, improvviso silenzio. Ilario era rimasto sconcertato perché non aveva capito il senso della domanda. La stessa cosa valeva per Stoyan che però , all’improvviso, temette di capire l’atteggiamento preoccupato del capitano. Che razza di accordo aveva stipulato con i Troiani, a sua insaputa? Non ebbe però il tempo di dire nulla perché fu preceduto da Agata, incredula e preoccupata. “Che storia è questa – chiese rivolta verso il marito, aspettando di venire da lui subito rassicurata. – Che vuol dire, pronto a partire? E per dove?”. Rispose invece il principe: “Vedo che il nostro comune amico, il capitano, non ha fatto evidentemente in tempo a comunicarvi i precisi termini dell’accordo”. Il tono era, a questo punto, fra l’infastidito ed il contrariato. “Noi siamo qui per questo - continuò – e credevamo di essere stati ben chiari!!”.”Si, si – rispose subito Stoyan, desideroso di non inimicarsi Polite – Thais mi aveva detto dell’accordo ma avevo capito che dovevo essere io, a venire a Troia – e intanto con la coda dell’occhio osservava la moglie che era rimasta in piedi, sempre più contrariata per essere stata tenuta all’oscuro di tutto. “Tu? – chiese il principe – Perché, sei tu, che fai quei lavori? Sei in grado anche tu di eseguirli?”. “No, ma credevo che si trattasse solo di stabilire un diverso rapporto commerciale e che avrei potuto concluderlo io”.”No – rispose il principe con una certa aria di sopportazione, come se parlasse con qualcuno non molto sveglio – L’accordo era che voi ci avreste trasmesso la tecnica di tessitura di quei prodotti e noi, per dieci anni, avremmo assorbito la vostra intera produzione a prezzi convenienti per tutti. E’ chiaro, quindi, a questo punto, che noi vogliamo lui”.”Ma lui è un ragazzo, ancora – si intromise Agata, senzapensare alle convenienze – Non ha esperienza e non ha mai lasciato l’isola!”.”Donna! – rispose il principe con tono piuttosto seccato – Questi sono discorsi da uomini perciò, visto che sei la padrona di casa, ti devo rispetto e mi limiterò a dirti, per ora, solo di restarne fuori. – Poi, rivolto a Stoyan, con un tono che non ammetteva esitazioni – E allora, siamo d’accordo?”. Ora il tempo della cortesia si era esaurito ed era venuto fuori il principe, abituato a farsi obbedire senza perdere tempo. Stoyan zittì con uno sguardo di fuoco la moglie che, arrossita per la rabbia stava per replicare, col solo effetto di peggiorare le cose. Fu solo per riguardo al marito che, arrabbiatissima, fece un inchino e abbandonò la sala per lasciare soli gli uomini e raggiunse la cucina. Tanto poi il marito avrebbe dovuto parlare con lei e allora si sarebbe fatta sentire per bene. Mai avrebbe dato il consenso perchè suo figlio, così giovane, andasse, da solo, in quella città di cui si dicevano tante cose e non tutte belle o lusinghiere. Fu Tecla che , come di certo aveva imparato a fare in tanti anni di vita a corte, a trovare una soluzione che facesse tutti contenti e che consentisse a ognuno di salvare la faccia. “Caro marito – disse rivolta a Polite – sono convinta che i genitori vogliano solo salutare il figlio come si deve e dargli qualche giusto consiglio – e poi, guardando i presenti – è così? Non è vero? – e senza attendere risposta, continuò – Ora è tardi ed è il momento di raggiungere la nostra nave. Noi salperemo comunque domattina, con il sole alto. Il ragazzo ci raggiungerà e potrà partire con noi”. Poi si alzò, imitata dal marito, che apparentemente, dal suo comportamento,sembrò abituato ad affidarsi alla moglie, evidentemente più in gamba di lui. Stoyan e Agata accompagnarono la coppia alle loro portantine e si inchinarono quando queste, sollevate dagli schiavi, si allontanarono per tornare alla nave. Quando finalmente gli ospiti furono a ragionevole distanza, Agata ‘esplose’ e rivolta ai presenti, disse con rabbia:”Ora mi spiegate cos’è tutto questo pasticcio e perché mio figlio, un ragazzino, deve andare con quella gente, nella loro città!”.”Ti assicuro – rispose altrettanto agitato il marito – Non ne sapevo nulla nemmeno io. Ero solo a conoscenza del fatto che probabilmente ero io, a dover partire, ma non subito, e avrei avuto tutto il tempo di parlartene. E in ogni caso, non ne ero affatto contento”.”Ma comunque, cos’è questa storia? – chiese la donna – In passato non c’era mai stato bisogno di contattare direttamente i Troiani nella loro città. A questo bastava il lavoro di Thais”.”Ecco, appunto – rispose il marito – E’ proprio lui che ha combinato tutto”. Poi, guardandosi attorno si accorse che la persona in questione, non era presente e la chiamò a gran voce perché ci fosse finalmente una spiegazione chiara e completa circa le iniziative dell’uomo e l’accordo raggiunto. Evidentemente, per come erano andate le cose, temendo l’ira dei padroni di casa, il capitano aveva cercato di tenersi alla larga, come se questo l’avesse potuto mantenere al riparo dalla loro rabbia. Malvolentieri Thais si fece vanti, seguito da Asha che, fino a quel momento, si era tenuto sempre in disparte ma che, in qualità di socio, aveva tutto il diritto di sapere come stavano le cose. Rientrati nella sala dove si era svolto il banchetto, tutti ripresero posto a sedere, facendo in modo che il capitano fosse in mezzo a loro. “Allora – chiese quasi furioso Stoyan che era arrabbiatissimo per essere stato ripreso in casa sua da un ospite e per la litigata che avrebbe di certo dovuto sostenere con sua moglie – ora ci spieghi tutta questa storia, con chiarezza e dal principio!”. Il capitano trasse un profondo respiro e cercò le parole giuste per iniziare il suo racconto. In realtà, nelle ultime ore aveva provato e riprovato il suo discorso varie volte ma alla fine, le cose per lui, si mettevano sempre male. Eppure, quando era nato tutto, la cosa gli era sembrata così semplice e fattibile. Di certo, però, si era fatto ingannare dall’avidità. Oramai, però, il momento era arrivato e le cose erano andate troppo avanti. “Bene – iniziò – sono pronto a darvi tutte le spiegazioni che volete ma, per prima cosa andiamo nello studio di Stoyan, a porte chiuse, perché, alcune cose che dirò, non devono essere divulgate”. Il padrone di casa, viste le cose che aveva già saputo, dovette concordare con Thais e quindi, facendo strada, si trasferì con il gruppo dei presenti nella piccola stanza, lasciando Hector all’esterno, con il compito di sorvegliare affinchè nessuno origliasse. Il ragazzo ci era rimasto piuttosto male ma il padre gli assicurò che lo avrebbe messo subito al corrente di tutto. Accanto a lui rimase anche la piccola Maia. All’interno della stanza i presenti, Stoyan, sua moglie, Ilario, Asha e il capitano, si accomodarono e iniziarono finalmente le spiegazioni. Thais ripetè quello che già aveva detto a Stoyan, della seta, dell’accordo, e dei contatti che avrebbero mandato la cosa a buon fine. Era necessario, perché i Troiani non sospettassero di nulla, che andasse il ragazzo che avrebbe destato meno sospetti su eventuali segrete manovre. “E io che ti ho anche ringraziato per il regalo! – esclamò arrabbiatissima Agata – Accidenti a te e alla seta! Ma ti rendi conto che, se i Troiani dovessero anche solo sospettare dell’imbroglio, il mio ragazzo verrà immediatamente ucciso?”. Ilario, che in tutta questa storia, almeno fino a quel momento, era rimasto piuttosto confuso ma le parole della madre lo colpirono molto. Da una parte, aveva capito che avrebbe potuto andare nella città di Troia. Il suo sogno, la sua curiosità per quel mondo così diverso dall’isola, fra persone che solo aveva potuto immaginare per aver ascoltato i racconti dei clienti di passaggio, dei marinai delle navi che facevano scalo nel loro porticciolo. Contemporaneamente si rese conto del compito estremamente difficile e di responsabilità. Trasmettere il suo lavoro, la sua conoscenza a persone di certo più grandi di lui, di una casta indubbiamente superiore ed, inoltre, affrontare un tremendo rischio con l’effettivo pericolo di essere giustiziato in qualità di spia. “Basta! – disse decisa Agata – finisce qui e non ne voglio più sentir parlare!”. Afferrò per un braccio Ilario ancora sconcertato e fece per uscire. “Un momento! – disse invece Stoyan con voce ferma – Non è così semplice. Ora che Polite è qui e si aspetta di imbarcare il ragazzo, se noi blocchiamo tutto, la prenderà come un’offesa personale, una mancanza di rispetto. Rischiamo di perdere Troia come cliente e di avere problemi di commercio con le terre dell’est che invece è il solo e vero motivo per cui abbiamo creato la nostra impresa su quest’isola”.”Esatto! – approfittò per aggiungere Thais – E allora sarà stato tutto inutile. D’altronde, di che si tratta in fondo. Troia è a sessanta miglia da qui. Un giorno di navigazione con il vento giusto. E poi, è previsto un periodo di due o tre mesi al massimo e io mi impegno a riportarvi il ragazzoqui, personalmente, ricco, cresciuto e in possesso di un’esperienza che non potrà fare altro che del bene alla vostra attività”.”Certo, – si intromise Asha – E naturalmente alle tue tasche”.”E’ così, non lo posso negare– rispose deciso e sincero il capitano. “Bene – proseguì Stoyan – ma ascolta. Noi ci mettiamo la faccia come artigiani e commercianti, noi ci impegniamo a trasmettere il nostro lavoro e la nostra conoscenza. Agata – e fece un cenno verso la donna – rischia la vita di suo figlio. Tu, cosa ci hai messo in questo affare? Cosa rischi?”.”Io ho combinato questo affare incredibile e ho trovato la persona che ci darà il segreto di Troia. E’ una persona importante, di cui nessuno può sospettare e sarà la garanzia della sicurezza del ragazzo. Andrà tutto bene e noi faremo tutti soldi a palate”. “Nemmeno per sogno – insistette la donna stringendo maggiormente il braccio del ragazzo, avendo notato che le parole del capitano avevano avuto effetto sul resto dei presenti- Non consentirò che mio figlio vada da solo in quella terra straniera e pericolosa!”.”E non andrà da solo – intervenne a sorpresa Asha – Andrà con il suo schiavo personale, quello che lo assiste nel suo lavoro quotidiano, ossia il sottoscritto”. Per un attimo cadde il silenzio. Ilario si sentì come colpire da una doccia gelata. Una possibile avventura straordinaria in quella città magica, sotto il controllo di Asha? Non lo avrebbe lasciato libero un attimo. Non gli avrebbe dato tregua con il lavoro. Avrebbe veduto quell’ambiente mitico da lontano, con la sicurezza e la consapevolezza di aver sprecato una magnifica occasione. Invece, agli altri, apparentemente, l’idea non dispiacque. Anche Agata aveva lasciato la presa sul braccio del figlio. “Si, ma – chiese Stoyan – come faremo passare Asha per lo schiavo di Ilario?. – Poi diretto all’interessato – Tu sei il mio socio e, quando Polite ti vedrà, sospetterà immediatamente di qualcosa e la prenderà forse piuttosto male”.”No - rispose l’altro. I Troiani non mi hanno mai visto e anche durante gli incontri con i clienti, non sono mai comparso ufficialmente perché ci sono delle cose della mia vita che voi non conoscete e che non sono ancora risolte, per cui è necessario, per me, mantenere un profilo basso”. Effettivamente Stoyan di lui sapeva che proveniva appunto dalla Persia dove era stato per diverso tempo un ricco e potente mercante. Poi qualcosa era accaduto e, di certo, molto grave. Tale da ridurlo in schiavitù e parecchio male in arnese, fino al momento in cui l’aveva comprato, perché l’altro gli aveva assicurato di essere pratico dell’arte della tessitura e non se ne era mai pentito. E non aveva mai voluto indagare ulteriormente sulla vita del suo attuale socio. “Di certo i Troiani non negheranno al ragazzo il sostegno del suo schiavo, loro poi sono abituati a queste cose. Ma dovrà apparire credibile, ossia ossequioso e discreto. – disse il capitano. E poi diretto all’interessato, chiese – Te la sentirai veramente di sostenere la parte?”.”Se l’idea viene da me, significa che me la sento eccome. Non dimenticare che io ci sono già passato e, se non fosse per la generosità di Stoyan, sarei ancora in quella condizione. In realtà sono curioso di mettere il naso nelle filande di Priamo perché il ragazzo sarà pure sveglio, ma quattro occhi vedono meglio di due”. Anche il padrone di casa a quel punto sembrò essere convinto. Solo la moglie non era ancora pienamente d’accordo.”Ma cosa temi – le chiese Asha – che non sappia prendermi cura del tuo ragazzo?”.”Ma si, certo, però quell’ambiente, quelle donne, quelle cortigiane. A vedere un povero ragazzo , inesperto, ingenuo… insomma, ne ho sentite di tutti i colori. E poi mica solo le donne!”. “Andiamo – intervenne Stoyan – tuo figlio ha sedici anni! Mica penserai che se ne sia stato con le mani in mano! Sono convinto che parecchie delle ragazze dell’isola, avrebbero molto da raccontare – e guardò Ilario che arrossì violentemente – Non è il verginello che pensi. Conosce le cose della vita, anche per averle sentite, parlando con gli schiavi e ascoltando le storie dei marinai e dei clienti che capitano qui sull’isola. Insomma saprà cavarsela. E poi Asha non è uomo da sottovalutare”. Alla fine Agata si lasciò convincere ma pretese sia da parte del marito e di Thais che, al massimo dopo quattro mesi, se suo figlio non fosse ancora tornato, sarebbero andati loro stessi a riprenderlo per riportarlo a casa, a qualsiasi costo. Ilario si sentiva estremamente confuso. All’improvviso, dopo anni di una vita tranquilla sulla sua isola, sarebbe stato catapultato in una realtà di cui aveva sentito tanto parlare, descritta come luogo di lusso, di sfarzo, di vita brillante, di sicure avventure. E poi avrebbe potuto incontrare quelle persone di cui si raccontava la sera, attorno al fuoco, quasi che fossero dei miti. Priamo, Paride, i suoi fratelli e, soprattutto, Elena, lei, la bellissima. Avrebbe potuto vedere con i suoi occhicosac’era di vero in quella che poteva essere magari solo una leggenda. E poi c’era Asha. Come si sarebbe comportato nei suoi confronti? Come l’avrebbe controllato? Magari gli avrebbe fatto fare una vita ritirata, al sicuro, per proteggerlo. Non gli era mai stato molto simpatico e l’altro, negli anni, non aveva fatto nulla per fargli cambiare opinione. Il ragazzo aveva sempre sospettato che nella vita di quell’uomo, ci fosse qualcosa di poco chiaro, una zona buia, di cui nessuno sapeva nulla, cosa che, d’altronde, aveva confessato poc’anzi lui stesso. E poi, avrebbe dovuto insegnare. A chi? Magari a persone più grandi e che si ritenevano superiori a lui. Sarebbe stato in grado di cavarsela? Non ebbe comunque tempo per ragionare oltre perché la partenza sarebbe stata il mattino seguente e c’erano tante cose da preparare a cominciare dai bagagli e dal necessarioper il lavoro. Stoyan doveva dare le sue istruzioni al figlio e al socio e Agata stava sempre in mezzo , come se non si fosse voluta perdere un attimo di vicinanza con il suo ragazzo, per il breve periodo che lo separava dalla partenza. Asha intanto preparava il suo bagaglio e salutava Frida che, pazientemente, l’avrebbe atteso. Thais, in tutta quella frenetica attività, aveva preferito scomparire per evitare magari che Agata e il marito ci ripensassero e gli facessero passare un brutto quarto d’ora e così, approfittando del trambusto, era tornato alla sua nave. Prima di andare a dormire Stoyan, Asha e Ilario, si recarono velocemente al laboratorio per prendere gli attrezzi necessari per il compito che li attendeva. Il ragazzo scelse con cura i suoi strumenti con i quali avrebbe eseguito i vari lavori e i due uomini prepararono una riserva degli elementi che occorrevano per preparare il colore porpora, ossia il loro segreto. Asha e Ilario avrebbero dovuto effettuare la preparazione del colore di volta in volta perché, purtroppo il liquido colorato ottenuto, perdeva in fretta le sue qualità coloranti. Questo naturalmente rappresentava un rischio di essere spiati e che il segreto fosse loro carpito. Per fortuna, il componente finaleera costituito da una miscela di numerosi elementi ed inoltre, anche se gli ingredienti fossero stati individuati, la preparazione della tinta richiedeva una procedura quasi impossibile da replicare senza conoscerla. Il fatto era che il processo, prima o poi, sarebbe stato scoperto e quindi tanto valeva metterlo in gioco in quel vantaggiosissimo contratto con la città di Troia. La notte passò velocemente e Ilario non riuscì quasi a chiudere occhio. La sorellina Maia volle dormire abbracciata con lui e pianse quasi tutta la notte. Il fratello Hector, dalla stanza vicina le diceva di piantarla, che era una stupidina. In realtà, si vedeva chec’era rimasto male ed era un po’ invidioso. Lui, il maggiore, sarebbe dovuto restare sull’isola a badare al bestiame mentre il fratellino minore se ne andava a Troia. Figurarsi al suo ritorno, cosa sarebbe stato capace di raccontare. Però, via via che le ore passavano, l’invidia cedeva il passo all’affetto e alla fine anche Hector si alzò dal suo letto per abbracciare il fratello minore. Ci tenne però a fare il ‘grande’, il ‘maggiore’ e quindi, volle dargli il consiglio di stare attento perché ogni medaglia ha sempre il suo rovescio. Il realtà il ragazzo, essendo rimasto fuori dalla stanza in cui si erano prese tutte le decisioni, ancora non conosceva nemmeno il succo della storia ed era incredibilmente curioso. Quando il mattino seguente il sole sorse, trovò nella casa di Stoyan tutti già svegli. Chi per un motivo, chi per un altro, avevano dormito poco e male. Maia appariva la più disperata, come se il fratello fosse dovuto partire per sempre. C’era un bel rapporto fra i due e lei spesso raccontava a lui i suoi pensieri, le sue paure, i suoi dubbi e lui, malgrado la sua giovane età, aveva sempre saputo trovare per lei le risposte giuste. La rassicurò ulteriormente, confermandole che sarebbe stato via al massimo tre mesi o comunque non oltre la fine dell’estate, limite invalicabile perché fosse possibile la traversata di ritorno e che comunque Thais si era impegnato ad andare a riprenderlo ben prima di quella data. Agata aveva tormentato il marito per tutta la notte, con domande, dubbi e timori, come se, anche lui, non ne avesse avuti. Certo, la posta in gioco era grossa ma, se a Troia avessero scoperto l’inganno, molto probabilmente Ilario avrebbe rischiato di fare una brutta fine e poi magari sarebbe potuto toccare anche a loro. Accidenti a Thais e alla sua avidità. Anche Asha aveva dovuto rassicurare Frida. Lei sapeva bene che il marito era una persona di esperienza e che, per il poco che aveva saputo del suo passato, aveva capito che al bisogno avrebbe trovato il modo di cavarsela. Appena alzata, Agata si era messa a preparare un’ abbondante colazione a base di focacce, miele e frutta secca, obbligando il figlio minore a mangiarne a sazietà, cosa che il ragazzo fece con una certa fatica poiché aveva lo stomaco chiuso per l’emozione di ciò che l’aspettava. Non voleva parlarne con nessuno ma, sapendo dai marinai, che molti, alle prime traversate, trovandosi in mare aperto, soffrivano il mal di mare, temeva che ne avrebbe sofferto a sua volta ed era piuttosto preoccupato. La madre, che agiva come in trance, aveva anche preparato una grossa bisaccia in cui aveva stipato il vestiario del figlio. Nel vedere gli abiti del ragazzo, si rese conto della loro modestia e sperò che non lo facessero sfigurare nella città dove era diretto. Poi la donna si slacciò dal collo una catenina in argento e corallo che il marito le aveva regalato al momento delle nozze e la mise a quello del ragazzo, dicendogli che con quella gli sarebbe stata sempre vicina e che lo avrebbe protetto. Stoyan e Asha, in disparte, parlarono a lungo fra di loro. Il padre stava, fra le altre cose, raccomandando il figlio al suo socio, che lo proteggesse e lo guidasse come se fosse stato il suo di figlio. Poi chiamaronoIlario per le ultime raccomandazioni. Stoyan gli dettedel denaro per le sue spese, aggiungendo che il suo socio ne avrebbe portato abbastanza per non avere comunque problemi durante il soggiorno. L’uomo si accorse che Hector, il quale non era stato chiamato, cercava, seppure a distanza, di carpire il senso della conversazione, ma aveva deciso, almeno per ora, che non sarebbe stato il caso di metterlo al corrente di tutta la faccenda. Il rischio era alto e meno gente conosceva i particolari, meglio sarebbe stato. Raccomandò di nuovo al suo socio di serbare al meglio il loro segreto circa le tinture, segreto che i Troiani avrebbero di certo tentato di carpire. Chissà, in caso che le cose si fossero messe male, avrebbero sempre potuto tentare di usarlo come elemento di scambio per salvarsi. Poi si abbracciarono tutti e decisero che erano pronti per dare inizio a quell’avventura. Ilario abbracciò a lungo la madre e la sorella che, alla fine, rimasero a salutarlo sulla porta di casa per non dare a vedere ai Troiani scene inopportune. Il gruppo formato dagli uomini giunse al molo di attracco quando il sole era già alto e trovarono la scialuppa della nave troiana ad attenderli. Il bagaglio dei due viaggiatori consisteva in due capienti bisacce, che portavano a tracolla, e in una cassa di vimini intrecciati di discrete dimensioni, chiusa con un sigillo che aveva disposto Stoyan in persona. Subito il capo equipaggio fece segno al ragazzo di sbrigarsi. Ilario si girò e strinse la mano al padre che non gli disse nulla ma il suo sguardo valse mille parole. Gli stava dicendo che gli voleva bene, che era fiero di lui e che gli dispiaceva moltissimo doversene separare. Con il fratello si scambiarono, invece, un ultimo abbraccio. Le ultime parole di Stoyan furono per Asha per raccomandargli ulteriormente di vegliare su Ilario. Il capo equipaggio della scialuppa fece obiezioni al momento in cui Asha fece per imbarcarsi perché gli era stato detto che avrebbe dovuto salire a bordo solo il ragazzo. Ilario fece presente che quell’uomo era il suo schiavo personale, che era addestrato nel suo lavoro per aiutarlo nella sua attività e che non era disposto a fare a meno di lui. Se quello avesse rappresentato un problema allora la nave avrebbe potuto partire immediatamente, ma senza di loro. Il marinaio, sapendo di dover rispondere al principe del buon fine del suo incarico, stabilì che, in fondo, un semplice schiavo non avrebbe fatto la differenza e chequello che importava era imbarcare il ragazzo. Quindi cedette ma non prima di aver detto con aria decisa, al nuovo passeggero, che era solo uno schiavo, che non desse fastidio e che obbedisse a tutti gli ordini senza fiatare. Asha, con grande dignità, evitò di rispondere e in silenzio, caricatosi faticosamente sulle spalle la cassa, salì sulla barca e, subito, si mise da parte, in ossequio a quanto gli era stato detto. Quindi, imbarcato anche il ragazzo, immediatamente l’imbarcazione scostò dal molo e i rematori, in poco tempo, la portarono alla nave troiana. Servendosi di alcuni gradini fissati sulla fiancata, gli uomini salirono a bordo. Subito dopo, un gruppo di marinai, perfettamente addestrati issarono a bordo anche la scialuppa. L’equipaggio tirò a bordo le tre ancore con cui avevano assicurato la nave e i remi vennero estratti e messi in acqua. Poi l’imbarcazione, con lentezza e cautela, viste le difficili condizioni del fondale, iniziò a muoversi verso il mare aperto. Dalla bassa murata del ponte superiore Ilario salutava con il braccio quelli che erano rimasti a terra. Accanto a lui apparve il principe Polite che gli mise un braccio attorno alle spalle e gli disse qualcosa sorridendo. Poi fece anche lui un cenno di saluto verso terra e sparì alla vista. La nave si allontanò sospinta dai remi finchè fu possibile issare la vela. Alla fine Stoyan e suo figlio Hector, si decisero a tornare a casa per riprendere il loro lavoro. Senza Ilario e Asha ci sarebbe stato di più da fare per ognuno. In tutta quella storia Thais non si era fatto vedere. Aveva ritenuto che fosse più prudente per lui.
 
 
 
                                                                                               Cap II^
La nave si era appena scostata dal molo e già, vedendo i suoi cari allontanarsi, Ilario si fece prendere dal magone. Asha era sparito, mandato con toni bruschi nel ponte inferiore, ricevendo il secco ordine di non dare fastidio. Fu una sorpresa per lui, quindi, quando si sentì cingere le spalle da un braccio e quando realizzò che il gesto veniva dal principe in persona. Polite gli disse sorridendo: “Tranquillo, ragazzo, stai per vivere una bellissima avventura. Non te ne pentirai. Purtroppo per te, il tempo volerà senza che tu te ne renda conto e, quando tornerai nella tua isoletta, avrai per sempre nostalgia di Troia. E’ una città che non si dimentica. Ora, goditi il viaggio e se hai bisogno di qualcosa, fammelo sapere”. Quindi di allontanò per tornare nel suo alloggio. Le figure dei suoi cari erano diventate piccole piccole e le scorgeva appena. Una delle due, forse suo fratello, con un braccio alzato, salutava. Poi scomparvero. Un gruppo di marinai corse su ponte e, con la massima efficienza, issò la grande vela che poi fu assicurata con delle solide cime ad appositi appigli, disposti lungo le murate. Il grosso pezzo di stoffa, di colore marrone scuro con un sole giallo disegnato al centro, piuttosto scolorito, forse a causa della salsedine, rimase per un attimo floscio ma, subito, opportunamente orientato, con una specie di schiocco, prese il vento e si tese, gonfiandosi. Il ragazzo percepì che la velocità della nave stava aumentando, così come il suo beccheggio. Intanto, la serie di remi del ponte superiore venne ritirata mentre rimaneva in funzione invece quella del ponte inferiore. Ora il sole era alto e picchiava forte, il mare era abbastanza calmo e la nave filava che era un piacere. Alcuni marinai erano rimasti accanto ai punti di fissaggio delle cime della vela e, seguendo gli ordini di un uomo, che osservava il mare dalla prua della nave, agivano tirandole o allentandole per fare in modo che la vela fosse sempre nella condizione giusta per prendere il vento al meglio.A poppa, su una pedana rialzata, due marinai piuttosto robusti, controllavano le aste dei timoni, uno per ogni lato dell’imbarcazione. Un uomo anziano, con barba e capelli grigi, vestito con una tunica azzurra, fermata sulle spalle con ornamenti d’oro e tenuta in via da una cintura di cuoio con una fibbia d’oro anch’essa, osservava l’orizzonte con a fianco un giovane vestito come lui ma i fermagli e la cintura erano semplicemente di cuoio. Probabilmente erano il comandante ed un suo aiutante. Gli ricordava, per corporatura e statura, Thais ma questo aveva dei modi molto più raffinati, malgrado mostrasse anche lui carattere e forte personalità. Poi il ragazzo di rese conto di non vedere più terra da nessuna parte e che ormai erano circondati solo dal mare. Era la prima volta che si trovava in quella situazione e, chissà perché, era convinto che non fosse possibile. Ci doveva essere sempre una terra in vista, altrimenti si sarebbero persi, ne era sicuro. Gli tornarono alla mente i racconti dei marinai che aveva ascoltato tante volte la sera, sulla sua isola, accanto al fuoco. I mostri marini, i naufragi, le navi scomparse e si sentì prendere dalla paura. Percepì nettamente che il ponte si muoveva di continuo sotto i suoi piedi e che la linea dell’orizzonte, rispetto al parapetto della nave, saliva e scendeva di continuo. Iniziò a sentire freddo, divenne pallido, iniziò a sudare e poi, subito dopo, il suo stomaco si fece sentire. Fece appena a tempo ad affacciarsi alla murata che rimise tutta l’abbondante colazione che sua madre, al mattino, l’aveva costretto a mangiare. Subito un marinaio corse verso di lui ma non era certo per vedere come stava. Anzi. “Stupido ragazzo - lo apostrofò con rabbia – hai sporcato il ponte. Ma non ti vergogni? Adesso pulisci tutto, muoviti!” e gli gettò un secchio ed uno straccio. Ilario, ancora stordito, non capiva nemmeno cosa gli stesse succedendo. Sentiva solo che qualcuno urlava vicino a lui. Si sentiva malissimo. Dov’era casa sua? E dov’era sua madre che l’avrebbe subito soccorso? Cominciava già a pentirsi per essere partito. Poi, pian piano iniziò a riprendersi e sentì distintamente il marinaio che, rabbiosamente, urlava al suo indirizzo:”Avanti, idiota, pulisci! Questa è la nave del principe e non può..”. Le parole gli morirono in gola. Un mano di ferro gli aveva serrato il collo da dietro e lo aveva spinto di colpo contro la murata. Si trattava di Asha, che era intervenuto appena aveva capito cosa stava succedendo. Pur essendo stato confinato nel ponte inferiore, non aveva perduto un attimo di vista il ragazzo ed appena aveva capito che qualcosa non andava, era subito giunto in soccorso del suo protetto. Sia perché il ragazzo era sotto la sua responsabilità, sia perché era un ospite del principe e nessuno, a bordo, doveva permettersi di mancargli di rispetto. Capitava spesso che i servitori si identificassero con i loro padroni ma Asha sapeva, per la sua lunga esperienza, che queste persone andavano subito rimesse al loro posto. Per cui, ora teneva il marinaio contro la murata, in bilico, e solo lui poteva decidere se farlo cadere fuori bordo o no. Il marinaio era terrorizzato e si rendeva conto della sua terribile posizione. Era noto che un marinaio caduto in acqua, non sarebbe stato recuperato e che di conseguenza, cadere, avrebbe significato morire e quindi cominciò a chiedere pietà. Altri marinai che avevano assistito a quella scena, non sapevano se intervenire o meno, vista la precaria condizione del loro compagno.“Che succede là sotto? – chiese con piglio autoritario Polite che si era affacciato alla balaustra del ponte sopraelevato, dove era il suo appartamento. Richiamato dalle grida, aveva assistito a tutta la scena ed ora chiedeva spiegazione del perché, un suo marinaio, stava per essere gettato a mare dallo schiavo di un ospite a bordo. Poiché il ragazzo, ancora confuso, intimorito dal tono di voce del principe, non si risolveva a dire qualcosa, fu Asha che, senza allentare la presa sul suo avversario, rispose:”Quest’uomo ha offeso e aggredito il mio padrone. Sono semplicemente intervenuto in sua difesa”. “E’ vero? – chiese Polite direttamente a Ilario che confermò le parole del suo schiavo. “Bene – disse il principe. Poi diretta ad Asha – tu lascia andare immediatamente il mio marinaio e non ti azzardare più a toccare uno dei miei uomini o getto te, a mare, senza perdere un secondo. – E poi diretto all’equipaggio, aggiunse – Ricordate che questi sono miei ospiti personali e vanno trattati con il massimo rispetto.”. Poi attese che lo schiavo lasciasse andare il suo marinaio e, data un’ultima occhiata al ponte, rientrò nella sua cabina. Quello schiavo non lo convinceva affatto. Per essere un semplice precettore era anche troppo abile nella lotta e incredibilmente forte, malgrado l’apparente età avanzata. Forse la sapeva non era esattamente quello che diceva di essere. Comunque, lui doveva solo portare quelle persone in città. Poi se ne sarebbe dovuto occupare qualcun altro. Quando Asha, seppure a malincuore, dovette lasciare andare il marinaio, questi, massaggiandosi il collo, gli disse a bassa voce:”Non finisce qui!”. L’altro gli rispose :“Ci puoi giurare! – con uno sguardo veramente inquietante – e non dimenticarti di lavare il ponte della nave del tuo principe”. Il marinaio, masticando amaro, chiamò due schiavi della nave e fece loro eseguire il lavoro. Asha aiutò l ragazzo ad alzarsie lo condusse verso poppa, accanto alla postazione rialzata dei due timonieri. Lì si sedettero, appoggiandosi alla murata, in modo da non intralciare il lavoro dei marinai. In quel posto ci sarebbe sempre stato qualcuno ben sveglio e nessuno si sarebbe azzardato a fare loro qualche brutto scherzo, approfittando dell’oscurità della notte. L’anziano chiese al ragazzo come si sentiva e poi, trasse dalla sua bisaccia una sacca che conteneva quelle che sembravano scaglie di pesce secco e ordinò al ragazzo di masticarle. Questi, con lo stomaco sempre in subbuglio, cercò di opporsi ma l’altro fu irremovibile. Effettivamente, dopo un iniziale rifiuto dello stomaco ad accettare alcunché, iniziò a sentirsi decisamente meglio. Il resto del giorno proseguì così, cullati da un mare sorprendentemente calmo, con Ilario perso in uno strano torpore, dovuto al sole, alle onde, e al fatto che durante la notte non aveva chiuso occhio. Il suo compagno appariva invece vigile ed attento a ciò che accadeva attorno a loro. Temeva che il marinaio di poc’anzi , volesse vendicarsi, magari assieme a qualche suo collega, malgrado gli ordini del principe., In mare, si sa, accadevano tanti incidenti… Nelle prime ore della sera, finalmente, venne avvistata molto in lontananza, la terra. In realtà, il viaggio avrebbe potuto essere più breve ma il principe aveva dato ordine di procedere con calma, come se non avesse alcuna fretta di tornare a casa. Asha pensò che Polite in viaggio o là, sulla nave, era un principe che rappresentava la città di Troia, il comandante della nave e della missione. A casa, era sempre un principe, ma uno dei tanti, considerato l’alto numero dei figli di Priamo. Infatti, solo appena prima dell’alba, apparvero nel buio delle luci che sembravano sospese sul mare. Ilario, che intanto si era abbastanza ripreso dal suo malessere ma che non riusciva a dormire, in buona parte a causa dell’eccitazione, chiese al suo compagno:”Siamo arrivati? E’ quella la città? – poi guardando meglio, aggiunse – Ma… vedo solo tre luci. E’ tutto qui o forse dormono ancora tutti?”. Asha, con un sorriso, fece sfogare il ragazzo poi lo informò che quella che stavano vedendo era un sistema di illuminazione che si trovava su Tenedo, un’isoletta a poca distanza dalla costa e su cui era dislocato un piccolo contingente militare, che aveva lo scopo di avvisare Troia in caso di attacchi dal mare. Mentre passavano a lato dell’isola, iniziò a delinearsi la costa asiatica, mentre il sole sorgeva alle sue spalle, e anche piuttosto in fretta, mettendo in evidenza il profilo delle alture e consentendo poi di distinguere un numero sempre maggiore di particolari. Quelli che erano sembrati a Ilario i profili di una altura di forma regolare, si rivelarono invece essere i contorni di un enorme complesso di mura di cinta a difesa di una città che, pure a quella distanza, gli sembrò enorme e che, comunque, per gli standard dell’epoca, era effettivamente molto grande, in grado di ospitare almeno 80.000 persone. Il ragazzo non riusciva nemmeno a concepirlo quel numero ed, a bocca aperta, continuava a fissare la costa che si avvicinava sempre di più. Il capitano aveva fatto prudentemente ammainare la vela ed ora la nave , pur essendo a circa un chilometro dal porto, che però si distingueva perfettamente, procedeva solo a forza di remi. Il ragazzo, sempre più eccitato, pensando all’avventura che lo attendeva, eppure anche piuttosto intimorito, per paura di non essere all’altezza del compito che lo aspettava, osservava curioso il porto pieno di navi, provenienti da tutti i paesi e le terre che avevano contatti commerciali con Troia. Erano natanti che avevano, quasi tutti, trascorso in quel luogo l’inverno, mentre i loro capitani ed i mercanti che trasportavano, avevano concluso i loro viaggi ed i loro affari nell’interno e adesso, finalmente, si apprestavano a tornare ai loro porti di origine. Ora la città si distingueva nettamente, pur distando poco più di due chilometri dalla costa. Le sue proporzioni erano infatti tali, da consentire di vederne alcuni particolari anche a quella distanza. Ilario notò altri dettagli della grande cinta esterna di mura, alta almeno una trentina di metri che correva, imponente, lungo tutti i confini della città. Sulla facciata anteriore, si scorgeva una porta enorme, che consentiva l’ingresso in città. All’interno dell’imponenteinsediamento, si scorgeva un’altra possente e completa cinta muraria che proteggeva una cittadella, al centro della città,che culminava con una costruzione facilmente riconducibile ad un tempio. Ai lati di Troia, scorrevano due grandi fiumi che giungevano fino al mare. Il ragazzo era veramente meravigliato per le enormi proporzioni di tutto ciò che vedeva. Asha lo osservava fra il divertito ed il dispiaciuto. Malgrado non fosse così evidente, lui era molto attaccato al ragazzo. Vedeva il suo entusiasmo, la sua emozione e sperava che non si facesse troppo male quando, inevitabilmente, passata la prima impressione, avrebbe preso atto del lato scuro della corte, di quell’ambiente. Lui lo sapeva bene, per il suo passato che nessuno conosceva. Le invidie, l’odio, le congiure di palazzo, le vendette, la gelosia. Avrebbe dovuto vegliare sul ragazzo giorno e notte o, almeno, finchè questi non avesse dimostrato di aver imparato a cavarsela da solo. E poi non poteva dimenticare la loro missione, veramente pericolosa. Intanto erano giunti nelle immediate prossimità di un molo che si trovava discosto da quelli a cui erano ancorate le altre navi. Evidentemente, era una zona riservata ai natanti al sevizio della corte. Ora Asha doveva stare attento o, comunque, almeno sperare che nessuno, fra tutti quei commercianti, capitani e viaggiatori, lo riconoscesse. Contava sul fatto che da quando aveva dovuto fuggire dal suo paese, erano passati molti anni e che i primi tempi, trascorsi in una durissima schiavitù, lo avevano pesantemente trasformato. Si sentiva insolitamente bene, però, come se una parte della sua vecchia personalità, sepolta da tanto tempo, non aspettasse altro che tornare in superficie. Alla fine, dopo una serie di abili manovre, la nave aveva attraccato e, a terra, degli uomini con delle robuste cime, la stavano assicurando ad alcuni pilastri in pietra, infissi al suolo lungo la banchina. “Bene, ci siamo – disse Asha al ragazzo – andiamo incontro al nostro destino”.”Non vedo l’ora – rispose l’altro, mentre raccoglieva le sue cose – Ma adesso che dobbiamo fare?”. La cabina del principe aveva le tende chiuse e tirate, segno che, o stava ancora dormendo con la sua signora, o non voleva essere disturbato. Fu il capitano che raggiunse i due Greci e disse loro in tono brusco: “Raccogliete le vostre cose e scendete a terra “. Non offrì loro alcun aiuto per il bagaglio e si ritirò, assorbito dalle varie incombenze, collegate con l’attracco e magari con la gestione del carico. Forse non gli era andato giù quello che era accaduto fra Asha ed il suo marinaio che aveva corso il rischio di finire fuori bordo. Dovettero scendere al ponte inferiore, recuperare faticosamente la loro cassa e poi, passando su una traballante passerella, furono finalmente a terra, in attesa di sapere cosa sarebbe stato di loro. Polite non era più comparso, come se, una volta esaurito il compito di imbarcarli, si fosse totalmente disinteressato della questione. Il ragazzo, passato il primo momento di eccitazione, cominciò a provare un certo disagio a causa di tutta la gente che si muoveva freneticamente attorno a lui, presa in diverse incombenze, a cui non era abituato. Inoltre, nella sua fantasia, aveva immaginato che avrebbe avuto un ruolo importante. D’altronde, per andarlo a prendere a casa sua, si era scomodato addirittura un principe. Ora invece cominciava a rendersi conto che era stato semplicemente prelevato e trasportato, come se fosse stato solo unpacco. Trascorsero così una ventina di minuti, quando notarono che, dalla città, si stava velocemente avvicinando di corsa un nutrito gruppo di uomini armati, guidati da un uomo a cavallo. L’agitazione, attorno a loro, iniziò a farsi tangibile e tutti i presenti, presero a muoversi e lavorare con maggiore lena ed energia, controllando che tutto risultasse al meglio. I carichi vennero disposti e impilati nel modo più ordinato possibile, il suolo era stato accuratamente ripulito e alla fine, quasi tutti si erano fermati, come in attesa di un severo controllo. Asha trovò il modo di chiedere ad un marinaio che stava nervosamente tentando di sistemare del cordame che si era aggrovigliato, cosa stava succedendo. Quello, senza smettere di lavorare, disse con voce concitata che stava arrivando il principe Deifobo con i suoi uomini. Il padre, Priamo, l’aveva messo al comando e al controllo del porto, mansione che il principe svolgeva in modo estremamente severo e rigoroso. Il principe indossava una pesante corazza di bronzo decorato con bellissime incisioni. Appariva di costituzione robusta, non molto alto, sembrava però molto prestante. Il viso era parzialmente ricoperto dall’elmo ma si distinguevano i suoi occhi chiari e colpiva il suo sguardo freddo e indagatore. Al fianco aveva una corta spada in un fodero di cuoio lucido. Il numeroso gruppo dietro di lui era formato da uomini pesantemente armati con corazze, spade e lance, praticamente un equipaggiamento da battaglia. In realtà, tutto quello sfoggio di armi, trasmetteva un senso di inquietudine e probabilmente era proprio questo l’effetto che si voleva ottenere. Dove si trovavano infatti, nella zona dove fino a poco prima si sentivano voci e rumori, ora era sceso il silenzio. Le persone che si trovavano in quel luogo, procedevano nei loro compiti rapidi, spediti e silenziosi e, apparentemente, con il proposito di potersi allontanare al più presto. Il principe, sempre a cavallo, avanzava in quella moltitudine, sferzando quelli che non si sbrigavano a cedergli il passo. Deifobo, dall’alto della sua cavalcatura, osservava con sguardo sprezzante, l’attività attorno a lui. Asha e Ilario, fermi ed in attesa fra tanto movimento, richiamarono subito la sua attenzione. Senza scendere da cavallo, si avvicinò loro e, con tono brusco, chiese:”Chi siete voi e che fate qui?”. Asha, notando il nervosismo del ragazzo, si inchinò profondamente e, guardando il suolo, come avrebbe fatto un vero schiavo, disse:”Eccellenza, veniamo dall’isola di Lemno. Questo è il mio padrone Ilario. Siamo qui perché il re ci ha fatto invitare”. Le parole del greco sembrarono far infuriare l’uomo. “Il re? – gridò- Il re che si scomoda per uno zotico ed un sudicio schiavo? Adesso vi aggiusto io!”. E staccò la sferza dalla sella con il proposito di punire severamente quei due cialtroni. Asha non sapeva cosa fare ma si mise comunque davanti al ragazzo, deciso a proteggerlo a tutti i costi. Poi, prima che accadesse l’irreparabile, si udì una voce proveniente dalla nave. “Ehi, fratello, fermati! Calmati! Quelli sono ospiti di tuo padre, che tu ci creda o no”. Polite, appoggiato al parapetto della sua cabina, era intervenuto appena in tempo per frenare l’ira del fratello che era rimasto con la sferza sollevata ed ora non sapeva che fare. Anche i suoi uomini borbottavano fra loro, come se fossero delusi per non aver potuto assistere ad una bella fustigazione. “Come, ospiti ?– chiese dubbioso Deifobo, sospettoso che il fratello lo volesse prendere in giro, cosa che accadeva piuttosto spesso – Questi due miserabili?”.”Uno, il ragazzo – rispose Polite con l’atteggiamento di chi spiega le cose ad un ragazzino – è un artigiano incredibilmente abile, tanto che nostro padre, lo vuole conoscere e lo vuole al suo servizio, e l’altro è il suo precettore. Perciò, ora smetti di giocare al soldato e scortali in città, dove sono attesi”. Detto questo, si ritirò nella sua cabina, chiudendosi le tende dietro la schiena. Era chiaro che fra i due fratelli non correva buon sangue. Deifobo, ancora seccato per la figura che gli aveva fatto fare Polite davanti a tutti, non avendo altra scelta, rivolto ai due stranieri, con voce aspra, disse:”Seguitemi”. Girò il cavallo e si avviò. Poi, notando che i due, in realtà, non si erano mossi, si girò di scatto con un atteggiamento molto aggressivo ma Asha, sempre mostrandosi molto ossequioso, fece osservare che avevano con loro del bagaglio pesante e che sarebbe servito aiuto per portarlo fino alla città. Il principe, che non vedeva l’ora di togliersi da quella situazione, per lui molto imbarazzante, si guardò nervosamente attorno poi, individuati due pescatori che avevano commesso l’ingenuità di interrompere il loro lavoro per osservare la scena, indicandoli con la sferza, gridò :”Voi due, aiutate questi stranieri con il loro bagaglio!”. I marinai ebbero un moto di pretesta, ma poi, dopo essersi guardati negli occhi, senza una parola, si caricarono la cassa sulle spalle. Due soldati, con passo spedito, accompagnarono il gruppettoverso la porta della città. Ilario era ancora confuso per ciò che era accaduto mentre il suo compagno già percepiva l’atmosfera della corte. Sperava solo che non ci andassero di mezzo loro due. Vista la natura della loro missione, non avevano certo bisogno di ulteriori problemi. Via via che si avvicinavano alla città, le mura incombevano su di loro sempre di più, finchè il ragazzo, quasi a disagio, disse al suo compagno:”Ma sono gigantesche. Com’è stato possibile costruirle in questo modo e di queste dimensioni. Sembrano montagne!”. Asha sorrise allo sgomento di Ilario che, essendo cresciuto su un’isola che non aveva mai lasciato, non riusciva a rendersi conto di costruzioni così importanti. Per altro, quelle mura erano famose nel mondo conosciuto per essere in grado di resistere a qualsiasi tipo di attacco da parte dell’uomo, fornendo così ai Troiani la convinzione di una sicurezza assoluta.”Si, hai ragione – rispose – e infatti il loro aspetto giustifica la leggenda a cui ha accennato Thais a casa tua. Ora, però, sta bene con occhi e orecchie aperte e cerchiamo di capire cosa ci aspetta”. Anche la porta della città, che attraversavano, non era da meno. Stavano infatti passando per quella che era chiamata ‘porta Scea’. Era alta dodici metri e le ante, composte da vari strati sovrapposti di legno stagionato e lastre di bronzo, raggiungevano lo spessore di due metri. Era larga circa quattordici metri. Era così pesante che, per spostarla, occorreva fare ricorso ad un tiro composto da otto buoi che la facevano scorrere lungo un profondo binario. Questo rendeva quasi impossibile abbatterla perché, a parte la sua robustezza, essa si apriva solo spostandola di lato. Attorno a loro, la gente era sempre più numerosa. Cittadini, mercanti, contadini, viaggiatori, davano luogo ad un via vai continuo, collegato di certo con le molteplici attività che si svolgevano nella città. Anche i loro abiti apparivano molto diversi fra loro. I cittadini si riconoscevano per un abbigliamento piuttosto ricco e curato, al contrario dei contadini e gli artigiani che mostravano invece degli abiti più modesti e spesso trasandati. Quelli che attrassero di più l’attenzione di Ilario, furono i tanti tipi di stranieri che incontravano. Molti con la pelle scurissima, con diverse caratteristiche somatiche, alcuni piuttosto bassi e con un taglio di occhi che lui non aveva mai visto e poi, il loro abbigliamento, spesso di foggia inusuale e composto datessuti lavorati in modi che non conosceva.
Giunti al corpo di guardia all’ingresso della città, i due soldati fecero loro segno di fermarsi e andarono a parlare con in capoposto. Quelli, dai gesti, mostrarono di non aver la più pallida idea di chi fossero quei due stranieri e di dove dovessero essere condotti ma poi, dopo un ulteriore conciliabolo, la loro scortatornòe disse ai due Greci di seguirli all’interno della città. I due marinai che portavano il carico, provarono a protestare per il prolungarsi di quell’impegno pesante e di certo gratuito ma i due soldati ripeterono loro l’ordine di muoversi, ponendo le mani sull’elsa delle spade, al che, i due capirono di non avere scelta e si adattarono. Stavano addentrandosi nella città, dirigendosi verso le mura della cinta interna. Le strade erano piuttosto larghe, molto pulite, e le costruzioni ai loro lati erano quasi tutte di almeno tre piani. Molte erano rifinite in marmo e, comunque, erano tutte in ottime condizioni. I piani bassi ospitavano moltissime attività commerciali, con merci esposte di ogni tipo e si vedevano anche molte osterie, all’interno delle quali, malgrado fossero appena le prime ore del mattino, c’erano già numerosi avventori, seduti ai tavoli a mangiare e a bere. Dall’atteggiamento dei clienti si vedeva che quei posti erano luoghi dove le persone si incontravano per parlare, per prendere accordi, per fare affari e stipulare contratti. Ai lati di tutte le strade, correvano dei canaletti con acqua corrente, apparentemente adibiti all’eliminazione dei rifiuti. Durante il loro tragitto i due nuovi arrivati, si trovarono spesso ad attraversare dei fantastici giardini perfettamente curati, con folti alberi e fontane, alcune delle qualicon elaborati giochi d’acqua. Queste ultime, in particolare, suscitavano la meraviglia del ragazzo che non aveva mai visto nulla del genere. In realtà, la città, proprio per la presenza dei due fiumi che la costeggiavano, non aveva assolutamente problemi idrici. In particolare il fiume alla sua destra, guardando dal mare, lo Scamandro, veniva utilizzato per alimentare con le sue acque pulite la città per i vari usi, mentre quello di sinistra, il Simoenta, era usato per scaricare i rifiuti urbani portandoli fino al mare. Finalmente giunsero ad un’ampia porta, che si apriva lungo la cinta delle mura interne. Era spalancata ma presidiata da una ventina di soldati armati e permetteva l’accesso ad un grande piazzale, sulla destra del quale, sorgeva un magnifico palazzo di due piani, completamente rivestito di marmo bianco e ornato con numerose e grandi statue con forme di animali. Sull’altro lato, era stato realizzato un ampio giardino con folti e grossi alberi, sotto i quali c’era un gran numero di panche di marmo su cui erano sedute molte persone, evidentemente in attesa di qualcosa. I due soldati fecero segno ai due nuovi arrivati di andarsi ad unire agli altri, poi, dopo aver chiesto i loro nomi e il motivo della loro presenza, entrarono nel palazzo da cui uscirono dopo pochi minuti. Dissero al ragazzo e al suo schiavo che erano stati annunciati e che dovevano attendere il loro turno, assieme agli altri e non dovevano muoversi da lì perché, in città, muoversi senza permesso, per gli stranieri, poteva essere molto pericoloso. Non c’era altra scelta che aspettare. Il tempo passava molto lentamente. Ogni tanto qualcuno veniva chiamato ma la fila dei postulanti era ancora piuttosto lunga. Passato il mezzodì, i due marinai, iniziarono ragionevolmente a protestare. Asha prese da parte il ragazzo e gli disse qualcosa all’orecchio. Allora Ilario chiamò uno dei due portatori e gli pose in mano cinque oboli, monete di discreto valore, dicendogli di recarsi di corsa presso una delle taverne che avevano superato lungo il loro tragitto e di prendere da mangiare e da bere per tutti e quattro, senza badare a spese. Il marinaio osservò un attimo le monete, sorpreso per la generosità del greco e poi corse via scomparendo in un attimo. “Tornerà? – chiese il ragazzo, dubbioso, al suo compagno. “Tornerà, stai tranquillo – rispose l’altro. E infatti, dopo meno di un quarto d’ora, l’uomo tornò con un capace canestro sotto il braccio ed un grosso orcio che reggeva faticosamente per un manico. Depose tutto ai piedi del gruppetto, poi si sedette a sua volta in attesa. Asha scoprì il paniere, scostando il panno che lo copriva e rimase sbalordito per la quantità di cibo che l’altro aveva comprato. C’era una grossa ciotola con del maiale a pezzi, condito da una spessa salsa molto speziata. In un’altra c’era un abbondante pasticcio di acciughe da cui proveniva un ottimo profumo. Avvolto in grosse foglie intrecciate si vedeva un grosso pezzo di formaggio fresco con un odore piuttosto intenso. Poi c’erano molte focacce, frutta secca, frutta fresca e dolci. Il marinaio, che doveva averci pensato un po’, alla fine si decise e restituì al ragazzo, che apprezzò il gesto, due oboli. “Per tutti gli dei – si lasciò sfuggire Asha – ma questo è un pasto per dieci persone!”. “Ma noi.. siamo digiuni da stamattina – pensò di giustificarsi il marinaio – e poi, chissà quanto dovremo ancora aspettare”. “Stai tranquillo – rispose l’altro sorridendo – Anche noi abbiamo parecchio appetito, perciò, sotto e vediamo di finire tutto”. Gli altri non si fecero ripetere l’invito e, in un clima quasi festoso, cominciarono a dividersi le varie vivande. Gli altri in attesa attorno a loro iniziarono a loro volta a consumare del cibo che si erano portati , probabilmente già edotti dal fatto che l’attesa sarebbe stata lunga ed altri si organizzarono per rifornirsi a loro volta presso qualche bottega vicina. Ilario aveva preso una larga focaccia e l’aveva riempita con il pasticcio di pesce mentre il suo compagno aveva preferito mettere nella sua un bel pezzo di formaggio. Nell’orcio c’era del vino ma Asha fece cenno al ragazzo di astenersi e di dissetarsi, semmai con l’acqua della fontana che era lì vicino. I due marinai, mentre si riempivano la pancia di tutto e un po’, senza fare complimenti, come se non avessero mangiato da giorni, si fecero più loquaci. “Allora che effetto vi ha fatto la città? Chiesero. “Certamente grande, sotto tutti gli aspetti – disse il ragazzo - E poi, - aggiunse- le dimensioni delle mura sono impressionanti”. “Avevi mai visto niente di simile in vita tua ? – chiese l’altro marinaio ad Asha, senza smettere di mangiare. “Ho viaggiato molto, rispose l’altro – ma devo ammettere che mura così, non l’avevo , mai viste. Verrebbe quasi da credere alla leggenda”.”Quale leggenda ? chiese curioso il ragazzo. “Si, dai, racconta – lo incitarono i due marinai. Asha, che per i suoi gusti, aveva già mangiato abbastanza non ebbe problemi a raccontare. “C’è una leggenda dietro la costruzione di queste mura, ed è anche relativa a tempi nemmeno troppo lontani, considerando che riguarda il padre di Priamo. “Davvero ? – chiese uno dei marinai – Si parla di un mito legato a queste mura ma non credevo che fosse una cosa così recente!”.”Infatti, probabilmente non lo è – rispose l’altro – ma può essere che sia stata cronologicamente e opportunamente dispostaper portare meriti e onori a Priamo”.”In che modo? – chiese il ragazzo. “I fatti grossomodo li hai già ascoltati giorni fa narrati da Thais ma non sai tutta la storia. La leggenda racconta che gli dei Poseidone e Apollo, furono obbligati da Giove, per punizione, a costruire queste mura enormi per proteggere da qualsiasi attacco la città fondata tanti anni prima da Dardano”. Mentre Asha raccontava, anche altri, in attesa come loro, si erano avvicinati per ascoltare. Pochi resistevano al fascino di una storia ben raccontata, specie se riguardava gli dei, le gesta di eroi, personaggi mitologici. E non era insolito che degli schiavi provenienti da terre lontane , alcuni molto istruiti, fossero utilizzati dai loro padroni come narratori di storie o addirittura precettori per i loro figli. Nessuno trovò insolito, quindi, che fosse uno schiavo a narrare i fatti. “Bene,– disse Asha – Al termine del lavoro, le mura si rivelarono un’opera meravigliosa che avrebbe garantito alla città l’invincibilità per secoli. ‘Avrebbe’, appunto, perché si narra che Laomedonte, il re, si rifiutò di versare quanto pattuito. A questo punto,la leggenda racconta che Poseidone, in particolare, la prese molto male e per rabbia e vendetta, fece uscire dal mare un terribile mostro marino che divorava tutti quelli che si accostavano alla riva. Quando per la paura, nessuno si avvicinò più al mare, il mostro, insaziabile, andò a cercare le sue vittime anche nelle campagne. Insomma, nessuno era più al sicuro”.”E che accadde al mostro? – chiese uno dei presenti che dall’abbigliamento sembrava essere un ricco mercante straniero. “L’ira di Nettuno era implacabile – continuò a raccontare il persiano – Tanto che provocò anche delle tremende mareggiate che allagarono perfino le campagne, distruggendo i raccolti. A quel punto, il re, messo alle strette dai suoi sudditi, consultò l’oracolo il quale disse che, per placare l’ira del dio, egli avrebbe dovuto sacrificare la figlia prediletta, Esione, offrendola al mostro che, in quel modo, si sarebbe placato. Il sovrano, suo malgrado, vista la situazione, capì che non aveva altra scelta che accettare”. In quel momento un soldato chiamò il prossimo della lista che, con un gesto di disappunto, per non poter ascoltare il resto della storia, lasciò la comitiva. “Continua! – dissero più persone che si erano raccolte attorno ad Asha ed al suo giovane padrone. “Eravamo giunti al punto in cui il re decide di accettare le condizioni rivelate dall’oracolo – riprese il persiano – Ma, e qui la leggenda continua, perchè Ercole, che doveva passare di lì a poco per quei territori, saputa la storia, si affrettò a venire a Troia. “Ercole! – si sentì da più parti. L’attenzione aumentò in modo notevole perché stava per entrare in scena un grande eroe che conoscevano quasi tutti. “Ercole giunse appena in tempo per vedere la ragazza disperata, incatenata ad uno scoglio, offerta al mostro e decise di intervenire, eliminando la minaccia. L’impresa era però, molto impegnativa e pericolosa. Così l’eroe chiese a Laomedonte che, in cambio del suo aiuto, gli venissero consegnate le due puledre divine, capaci di galoppare a velocità incredibili, che Zeus in persona aveva donato alla città di Troia. Il re, attaccatissimo alla ragazza, accettò immediatamente, senza discutere.Soddisfatto per l’accordo, l’eroe spezzò le catene che imprigionavano la ragazza e la riconsegnò al padre. Poi, tornò sulla riva del mare per affrontare il mostro. Fu una battaglia epica e durissima che si protrasse per tre giorni e che terminò con la vittoria di Ercole”. A quel punto Asha si fermò per bere un sorso di vino molto annacquato che gli era stato offerto. “Finisce così? – chiese uno degli ascoltatori con aria quasi delusa. “Al contrario! – riprese il persiano – Si può dire che il bello inizia adesso – e tutti si strinsero di nuovo ad ascoltare – A questo punto, sembrava tutto sistemato. E invece, no. Perché il re non seppe resistere alla propria avidità e quindi, con un gesto veramente stupido, consegnò ad Ercole una coppia di puledre bellissime, ma non quelle stabilite nel patto”. “Ma tu hai dato dello stupido al re! – esclamò uno dei presenti, prendendo le distanze come per paura di essere coinvolto per le parole che erano state pronunciate dallo schiavo. Altri ascoltatori non sapevano che fare. “No! No, aspettate – disse Ashafacendo un gesto con le mani per calmare gli animi. – Ascoltate ancora e capirete che sto per tessere le lodi di Priamo che si è rivelato un uomo abilissimo e di grande valore”. Rassicurati da quelle affermazioni, i presenti si disposero ad riprendere l’ascolto, se possibile, più curiosi di prima. “Naturalmente – riprese Asha – Ercole si rese conto immediatamente dell’inganno e, tornato indietro, pretese che Laomendonte onorasse il patto. Naturalmente l’altro non ne volle sapere e , quindi, Ercole, spinto dallo spirito della vendetta, riunì un esercito greco, chiedendo l’aiuto di Salamina, Argo ed altre città della Tessaglia, fra cui Ftia. Con trenta navi, questo gruppo, mosse alla conquista della città. Ercole con la sua forza immane, riuscì a provocare una breccia nelle possenti mura , sulle quali Laomedonte si era basato per la sua impunità e quindi i Greci irruppero nella città, mettendo tutto a ferro e fuoco e ricavando un notevole bottino”.”E’ vero – disse uno degli ascoltatori – Una parte delle mura a est della porta Scea è stata riparata e si vede bene la differenza con il resto della costruzione”.”Il re, fu ucciso – riprese a raccontare Asha – e i suoi figli presi come schiavi.Ercole si dichiarò soddisfatto e vendicato e abbandonò la compagnia”.”Ma allora, Priamo, come entra in tutta questa storia? – chiese uno dei presenti. Asha si era intanto accorto che parecchi dei soldati che gestivano la situazione nella piazza, si erano a loro volta avvicinati per ascoltare, per cui ora doveva stare molto attento ad ogni singola parola che diceva per non essere frainteso. Quindi, riprese il racconto. “Effettivamente i Greci stavano per partire, ormai non c’era rimasto più nulla da prendere e la città era quasi tutta un mucchio di rovine. Ma la figlia di Laomedonte, Esione, chiese a Talamone, re di Salamina, di lasciare libero suo fratello minore, Poldarce, impegnandosi, in cambio, ad essere sua schiava tutta la vita. Il re ebbe un’idea che ritenne molto divertente. Liberò il ragazzo e lo incoronò re, con una cerimonia che voleva sembrare una buffonata, di una città in cenere, sfidandolo a governare quel mucchio di rovine. Prima di partire, però, gli cambiò nome. Lo chiamò Priamo che significa letteralmente, il ‘riscattato’. Talamone aveva però fatto male i suoi conti perché Priamo era si, giovane ma intelligente e abile. Aveva seguito fin da piccolo tutto ciò che avveniva nella corte di suo padre, ossia l’organizzazione del commercio, dell’economia, delle armi. Sapeva quali erano le priorità per uscire da quella situazione disperata in cui i Greci l’avevano lasciato. Intanto, era anche a conoscenza che una parte del tesoro, sia pur piccola, si era salvata. Aveva cercato l’aiuto e il sostegno dei vicini e degli alleati, promettendo favori di cui poi, naturalmente, nel tempo, si era abilmente liberato. Aveva poi cercato un’attività in cui la città potesse eccellere e, osservata la situazione del commercio, indirizzò la produzione cittadina, fra le altre cose, sulla tessitura ad alto livello. Fece immediatamente riparare la breccia nelle mura, in modo da recuperare una certa sicurezza. E poi, naturalmente, resosi conto della posizione geografica della città, sostenuto dai suoi potenti alleati, ne approfittò per prendere il controllo di tutti traffici greci con l’Asia Minore”.”Ma comunque, - osservò uno dei presenti – una parte delle mura meno robusta c’è ancora”.”Certo – intervenne un alto graduato della truppa che stava ascoltando – Ma voi provate ad avvicinarvi con intenzioni ostili e vedrete cosa vi succede. C’è un corpo di guardia permanente che sorveglia quella parte. Sono circa trenta metri ma sono fortificati e difesi da più di trecento uomini. Il re non vuole più sorprese ed è per questo che in città c’è una forza militare permanente di 25.000 uomini”.”Ecco, allora il perché di tutti questi soldati in giro – osservò uno dei mercanti stranieri– Ma come sono i rapporti con la popolazione?”. L’altro sorrise e rispose:”I soldati ‘sono’ la popolazione. Ogni famiglia presta a rotazione i suoi membri validi per la truppa a difesa della città. Quindi, in realtà, oltre agliarmati, potenzialmente, ogni uomo valido della città è un soldato. In caso di bisogno, Troia può mettere insieme più di cinquantamila soldati in poco tempo”. “Ci sono anche delle truppe esterne – aggiunse un cittadino che era in attesa come gli altri – Ma non entrano mai in contatto con i Troiani”.”Ma perché tutti questi soldati? – chiese un altro mercante straniero – Proprio stamattina ne ho visto un gruppo proprio fuori città, impegnato in un durissimo addestramento”.”Non è un mistero – intervenne un altro degli uomini in attesa – Troia, con la sua capacità di controllare praticamente tutti i traffici fra le terre occidentali e l’Asia Minore, ha destato il malcontento di molti stati, a cominciare dai Greci.”.”Ma è vero cheTroia ha aumentato i tributi su molte merci?”.”Si – rispose un altro con tono stizzito – Io lo so bene! A cominciare dall’argento sul quale il tributo è aumentato del 50%. Ed è tutta colpa di Talamone!”. “Che c’entra Talamone? – chiese un altro – Ormai sono passati anni dalla guerra”.”Certo – rispose il mercante di prima – sono passati ormai molti anni ma Talamone continua a tenere schiava Esione e tutti i tentativi di Priamo di farla liberare, non hanno approdato a nulla. Anzi, Talamone ha dichiarato che proprio per dispetto nei confronti di Troia, non la libererà mai. Allora per ritorsione, Priamo ha accresciuto tutti i dazi e ha fortemente limitato il commercio dell’argento, nella speranza che gli altri stati, facciano pressione su Talamone per farlo cedere”.”Infatti, quando Paride ha portato Elena, Priamo ne è stato contentissimo, quasi che fosse una ripicca nei confronti dei Greci – aggiunse un altro”.”Si, però il marito, Menelao, dopo averne chiesto ripetutamente la restituzione, assieme alla parte del tesoro di Sparta che la donna si era portata appresso, – osservò un anziano cittadino – si è rivolto ad Agamennone, suo fratello, e potente re di Micene che, di fatto, controlla gli altri regni greci, chiedendogli di fare guerra a Troia. E Agamennone è anche coinvolto personalmente perché sua moglie, Clitennestra, è la sorella di Elena”.”Si, ma non è così semplice – Intervenne un mercante greco – Intanto, Agamennone ha raggiunto la sua posizione da poco e deve stare molto attento a muoversi per consolidarla. Poi, non è che si organizza così una spedizione su due piedi. Ammesso che si siano stipulati gli accordi, servono i soldati, le armi, i viveri e soprattutto le navi per portarli fino a qua. E per un esercito ci vogliono tante navi. Che i Greci non hanno”. Intanto con il passare delle ore, il gruppo delle persone in attesa, si era molto ridotto e si stava facendo sera. Asha chiese ad uno dei soldati che era seduto accanto a lui: “Ma Elena, esiste davvero? Perché io ho sentito dire che si tratta solo di una leggenda”.”Esiste, esiste – disse un altro soldato – io una volta l’ho vista da vicino e vi assicuro che… “.”Soldato! – tuonò brusco il capoposto – non parlare con questa gente e, soprattutto, attento a quello che dici”. Evidentemente era stato toccato un argomento delicato ed il capoposto non voleva guai per le chiacchiere dei suoi soldati. Il gruppo si era di nuovo sciolto ed era sceso il silenzio. Quando arrivò il loro turno, i due greci seguirono il soldato che li aveva chiamati, fin dentro la stanza del funzionario che svolgeva il lavoro di ricevere richieste e postulanti. L’uomo, piuttosto anziano, sedeva ad un grosso tavolo con una elegante intelaiatura in legno dorato ed un prezioso piano di marmo, quasi completamente ricoperto da pergamene arrotolate e impilate, di certo secondo un ordine chiaro soltanto a lui. Altre pergamene, in gran numero, erano stipate su vari scaffali distribuiti in giro per la grande stanza. L’uomo appariva piuttosto stanco, di certo per la lunga giornata trascorsa ad ascoltare le più svariate richieste, alcune delle quali presentate con una certa insistenza e non sempre in modo educato. Guardando quei due, dapprima non seppe che pensare. Un ragazzo molto giovane con degli abiti da viaggio piuttosto ordinari e per di più anche trasandati, con una grossa bisaccia a tracolla, ed un anziano schiavo che lo seguiva, anch’egli con una bisaccia. Alla fine, decise di chiedere a quei due chi fossero e cosa volessero, prevedendo già di cavarsela con poco e farli cacciare dal soldato, senza tanti complimenti. Come prevedeva il protocollo fu il ragazzo che si fece avanti e, seppure incerto, intimorito da quel rappresentante dell’autorità della corte, si presentò e spiegò il motivo per cui erano li. L’uomo corrugò la fronte. Il re Priamo che mandava a chiamare quei due zotici? Come era possibile? “Ma io non so nulla di voi – disse – e non ho capito chi diamine dite di essere”. Ilario, a quel punto, perse tutta la sua timidezza e, rivolto al suo accompagnatore, gli disse:”Adesso sono veramente stufo di tutta questa storia. Andiamocene e torniamo alla nostra isola!”. Asha, più calmo e conoscendo meglio come gestire le cose, gli rispose : “Padrone, voi avete ragione ma credo che vostro padre, vedendovi tornare, resterebbe molto deluso – poi, alzando la voce in modo che il funzionario sentisse distintamente le sue parole, continuò – Per non parlare poi di cosadirebbe il re, che ha talmente desiderato il nostro arrivo, che ha mandato a prenderci con la sua nave, nientedimeno che il principe Polite e sua moglie”. Il funzionario che aveva sentito tutto, stupito, chiese “Avete detto che Polite in persona è venuto a prendervi con la sua nave per ordine diretto del re Priamo?”.”Su sua specifica richiesta – continuò a spiegare Asha – Siamo sbarcati stamattina. Poi siamo stati presi in consegna dagli uomini del principe Deifobo che ci hanno scaricato qui fuori ed ora, dopo una intera giornata di attesa, voi ci dite che non sapete niente di noi? E’ questo il modo in cui trattate normalmente i vostri ospiti?”.Per conservare un minimo di controllo, l’uomo, piuttosto preoccupato per non sapere come gestire la situazione, rispose con aria seccata:”Volete insegnare a me a svolgere il mio lavoro? – Era particolarmente contrariato perché gli uomini di Deifobo che li accompagnavano non avrebbero dovuto portarli da lui, a meno che non ci fosse sotto qualcosa. Quindi aggiunse – Ci sono delle formalità da sbrigare prima che uno straniero possa essere ammesso a corte. E comunque ormai è tardi. Vi farò accompagnare presso una locanda di fiducia dove passerete la notte, naturalmente ospiti di Troia”. Asha che aveva capito la situazione non fece commenti. Due soldati si occuparono di accompagnarli alla loro nuova meta, al di fuori delle mura interne. I due marinai, che erano ancora con loro, si caricarono il bagaglio e li seguirono. Giunti a destinazione, un soldato spiegò all’oste la situazione. Questi, un uomo anziano, basso e molto corpulento, di nome Egan, dopo aver dato un’occhiata ai due, sembrò non essere molto soddisfatto della cosa. I due greci apparivano piuttosto rozzi rispetto alla clientela che egli di solito serviva e temevache potessero rovinargli la reputazione. Comunque, non avendo scelta, fece buon viso e fece loro cenno di entrare. I soldati a quel punto se ne andarono e Asha, chiamò i due marinai. “Ragazzi, a causa nostra, avete perduto un giorno di lavoro e ci dispiace sinceramente – prese dalla bisaccia una borsa con del denaro e mise in mano ad ognuno dei due, due monete da un obolo, di certo di più di quanto avrebbero guadagnato con il loro normale lavoro – Questi sono per compensare il vostro tempo”. Il più anziano dei due lo ringraziò, dicendo: “Ci avete fatto mangiare come signori, abbiamo ascoltato una bella storia ed ora ci pagate pure. Grazie. Non ci dimenticheremo di voi. Se vi servisse qualcosa, finchè sarete qui, cercateci al porto, noi siamo li tutti i giorni e se non ci trovate chiedete di Trofim, che sono io”. Detto questo se ne andarono , seguiti dallo sguardo dell’oste che aveva osservato con occhio avido il passaggio del denaro e la capiente borsa che Asha aveva riposto nella sua bisaccia. Mentre salivano le scale che portavano alla loro camera, il ragazzo chiese al suo accompagnatore se valeva la pena di dare ai due marinai tutto quel danaro e l’altro gli rispose che due amici o comunque alleati, avrebbero potuto far comodo. Dopo essersi sistemati, scesero nella sala comune dove cenarono con della carne edelle focacce. Venne anche servita loro una brocca con dentro del vino che i due non toccarono, dopo che Asha si era accorto che si trattava di una bevanda fortemente speziata che, per sua esperienza, poteva essere pericolosa. Non si fidava affatto dell’oste e aveva notato come questi aveva osservato il denaro e la sua borsa. Quell’uomo dai modi untuosi, con il suo abito elegante ma macchiato di grasso, coperto di gioielli pacchiani e in gran parte evidentemente falsi non piaceva a nessuno dei due. Alla fine del pasto, comunque, questi si accostò al tavolo e con la coda dell’occhio si accorse che il vino non era stato toccato, manifestando un certo disappunto. Quindi, rivolto al ragazzo, con sussiego, gli disse: “Ragazzo, io accolgo dei viaggiatori per conto del funzionario di corte che avete conosciuto ma è chiaro che lui mi paga solo per il servizio di base ma, tutto il resto, il cibo, il vino, la stanza privata sono tutti costi aggiuntivi”.”Ah si, - intervenne Asha – E a quanto ammonterebbe la differenza?”. L’oste esitò perché non sapeva fino a che punto poteva osare. Quei due sembravano proprio due sempliciotti e poi, il ricordo di quella borsa piena di pezzi d’argento vista in mano allo schiavo, lo fece azzardare e, tutto d’un fiato, disse:”Una dracma a testa!”.”Una dracma a testa? – esclamò l’uomo anziano balzando in piedi – Con due dracme ci vado a palazzo reale! Una cifra simile per un piatto di carne scadente e per un letto pulcioso! Pezzo di farabutto! – e afferratolo per il petto cominciò a scrollarlo con una insospettabile energia – Noi siamo ospiti del re, non lo dimenticare. Non ti daremo un soldo!”. “Ma signore – provò a replicare l’altro usando sorprendentemente il termine ‘signore’ nei confronti di uno schiavo – Io sono un commerciante onesto ed ho detto la verità – insistette, con voce piagnucolosa piuttosto spaventato dallo sguardo truce dell’altro. “Onesto! – replicò il persiano – chissà quanti poveracci hai spennato – poi, cambiando tono e lasciatolo andare, aggiunse – Ora noi ce ne andiamo nella nostra stanza. Domattina verrà una scorta mandata dal principe Deifobo a prelevarci e non credo che sarebbero contenti nel sapere che hai tentato di imbrogliarci. Quindi stanotte, niente scherzi – per dare maggiore peso alle sue parole mise una mano, in modo eloquente, sull’impugnature del lungo pugnale che aveva al suo fianco. “Ma per chi mi avete preso? Ma guarda che gente che mi tocca sopportare – disse l’oste allontanandosi più arrabbiato per non essere riuscito a togliere del danaro a quei due, che per essere stato offeso. Comunque, pur turbato da quella borsa piena d’argento, decise che era meglio rinunciarci. Lo schiavo sembrava molto pericoloso. Durante la notte, comunque, i due decisero di dormire a turno. La porta si poteva chiudere con un paletto ma questo, per la sua robustezza appariva semplicemente decorativo e quindi stabilirono di non correre rischi. Non si fidavano affatto di quella gente. Non temevano tanto per il danaro, quanto per il contenuto del loro bagaglio. Un prezioso dono per il re, una buona parte dei loro attrezzi, dei tagli di stoffa pregiata da usarsi come campioni ed un certo quantitativo d’oro, già trattato, da usarsi per le decorazioni e, infine, una discreta riserva del loro ingrediente segreto. La notte trascorse comunque senza incidenti. Al mattino, poco dopo l’alba, erano già svegli tutti e due, dopo una nottata durante la quale avevano comunque dormito poco e male. Scesero nella sala comune e pretesero la colazione che fu loro servita da un’allegra e giovanissima servetta. Delle focacce d’orzo, del formaggio, dell’uva passa, noci e fichi. Per bere, del latte e del vino annacquato. Finito, si disposero ad aspettare la loro scorta. “Ma alla fine verrà veramente qualcuno ? – chiese dubbioso il ragazzo – Non è che ci siamo montati la testa? E’giorno fatto e ancora non si vede nessuno”.”Ragazzo – lo rassicurò il suo compagno. Stai tranquillo. Qui tutto si muove con i tempi della corte. Non siamo più sulla nostra isoletta. Verranno, oh, se verranno. Non ti dimenticare che sono loro che vogliono qualcosa da noi. Temo invece che siamo vittime di una stupida schermaglia di competenze che però, almeno per ora, non ci riguarda”. Malgrado le parole rassicuranti di Asha, passò una buona parte del mattino e già l’oste valutava l’eventualità di tornare alla carica, ritenendo di essere davanti a due fanfaroni. Fu verso mezzodì che giunsero, di corsa, trafelati, dieci soldati guidati da un caposquadra che chiese immediatamente di loro. L’oste, fra il sorpreso e il contrariato, si limitò ad indicarli con un gesto, allontanandosi subito dopo. Il capo delle guardie li raggiunse subito e con tono brusco, si rivolse al ragazzo: “Ma dove vi eravate cacciati? E’ da ieri che vi cerchiamo!”. Ilario, che aveva cominciato a capire come andavano le cose in quel posto, rispose calmo:”E’ da ieri che ci sbattete a destra e a manca, alla fine i tuoi colleghi ci hanno abbandonato nelle grinfie di quel bel tomo ed ora arrivate con tutto comodo, dando la colpa a noi. Spero che almeno voi abbiate le idee chiare perché cominciamo ad essere stufi di venire presi in giro e, prima di stasera, saremo sulla prima nave che ci riporterà a casa”. Il soldato che si era spettato dal ragazzo un atteggiamentopiù remissivo, rispose con tono più calmo. “Certo che sappiamo dove andare. Vi devo scortare al palazzo reale, e presentare al funzionario Risto, che si occupa del personale della corte”. Quindi fece segno a due soldati che, senza discutere, si caricarono del bagaglio ed il gruppo si mosse verso la sua nuova destinazione. Senza una parola, percorsero diverse strade con abitazioni, negozi e locande ma , via via che si avvicinavano alle mura della cittadella, i due nuovi arrivati notarono che le costruzioni erano maggiormente curate e l’offerta delle botteghe si faceva più raffinata. Giunti nuovamente alle mura della cittadella, videro che il portone, come il giorno precedente, era spalancato ma presidiato da un gran numero di soldati di guardia, comandati da un ufficiale a cui si rivolse il capo della scorta, per spiegare la situazione. Questi, dopo averlo ascoltato fece cenno ai suoi soldati di far passare gli ospiti. Finalmente Ilario ed Asha erano dentro la cittadella della corte di Troia. Il ragazzo era molto emozionato mentre, il suo compagno, assai meno. Sperava anzi che una volta presentati, sarebbe stato loro permesso di abitare nella parte esterna della città perché così, sarebbero stati meno controllati e liberi nei loro movimenti per portare a termine la loro missione che, alla fine, era il vero e unico motivo per cui erano in quel posto. La cittadella appariva fantastica, con tutti i suoi sontuosi palazzi rivestiti di marmo pregiato, i viali con alberi fronzuti, aiole piene di fiori colorati e fontane con formidabili giochi d’acqua. Oltre al re, in quel luogo vivevano i figli adulti di Priamo, ognuno con la propria famiglia, i dignitari di altissimo rango, gli ospiti di grande riguardo e, naturalmente il personale addetto alla cura della corte. Il gruppo giunse finalmente ad un imponente palazzo di tre piani che era la loro meta. Il loro bagaglio venne trattenuto dabbasso, mentre ai due venne dato ordine di accedere al piano superiore, dov’era l’anticamera del funzionario che li attendeva. Passarono circa cinque ore ad aspettare e iniziavano ad averne veramente abbastanza. Poi, il capo della scorta che li aveva accompagnati, assieme a due altri soldati, entrò nell’anticamera per dire che il funzionario ora era disposto a riceverli ma, quando i due si alzarono, mise una mano sul petto del ragazzo per fermarlo e disse: “Il funzionario vuole parlare prima con lo schiavo. Da solo! – aggiunse con un tono di voce che non ammetteva repliche. Ciononostante, Asha provò ad obiettare che il vero ospite era il suo padrone e che, quindi, era lui che doveva entrare. Il soldato fu irremovibile e, anzi, fece segno ai suoi di farsi avanti per far osservare gli ordini. Il persiano capì, a quel punto che doveva esserci sotto qualcosa e, quindi, fece segno al ragazzo di aspettare e si diresse verso la porta dell’ufficio dove era a atteso. Gli turbinavano per la mente mille pensieri. Forse erano stati scoperti, qualcuno li aveva traditi, sarebbero stati arrestati e che ne sarebbe stato del ragazzo? L’uomo anziano, pieno di dubbi e timori, varcò comunque la porta in legno pregiato, ornato da inserti in bronzo che riproducevano fiori e frutti, che si chiuse immediatamente dietro di lui. La stanza, di discrete dimensioni aveva un pavimento in marmo rosso perfettamente levigato e le pareti affrescate con disegni di creature mitologiche e abbellite con arazzi.
Il mobilio, in legno scuro, lucidato, consisteva in due grandi cassapanche accanto ad una parete, una serie di mensole, piene di documenti, sulla parete opposta, e, oltre a quattro grandi candelabri ai lati della stanza, un elegante tavolo dietro al quale sedeva un uomo anziano, con una folta barba bianca, come i suoi capelli e un viso solcato di rughe ma con una espressione estremamente sprezzante e minacciosa. Le due lampade ad olio che ardevano sul tavolo illuminavano perfettamente il viso del funzionario, cosicchè Asha lo riconobbe all’istante e non ebbe dubbi sull’identità di chi lo osservava con i suoi occhi di taglioorientale e lo sguardo penetrante, quasi che lo volesse passare da parte a parte. Egli indossava un elaborato turbante, impreziosito da una grossa gemma nella parte frontale eun magnifico mantello ricamato, segno dell’alto rango che aveva raggiunto. Il persiano, dapprima, percepì un brivido lungo la schiena e poi, malgrado in un primo momento avesse sperato ardentemente di essersi sbagliato, iniziò a provare, dopo tanti anni, il senso della paura. Davanti a lui c’era un uomo del suo passato, un incubo che tornava a tormentarlo. La sola sua vista fu in grado di risvegliare antichi fantasmi che era sicuro di aver sotterrato definitivamente e che ora, invece, tornavano a manifestarsi, lacerandogli l’anima. Il suo vero nome era Bemus ed era l’unica persona che non avrebbe mai voluto più incontrare. Questi non perse tempo e disse subito:”Allora Asha, come ti fai chiamare adesso,vieni avanti e affronta il tuo destino. – poi aggiunse secco – Vigliacco, ladro e traditore! Vieni avanti, che ti possa guardare in faccia dopo tanti anni!”. L’altro, dopo un attimo di seria difficoltà, sembrò aver recuperato il suo autocontrollo. Se era destino che fosse giunta la sua fine, se ne sarebbe andato con stile. La sua unica preoccupazione era per il ragazzo, che non doveva essere coinvolto in quella tremenda storia. Per cui avanzò con sicurezza e, a sua volta, si rivolse all’altro con rabbia e livore:”Traditori e assassini! Mi avete costretto a fuggire dalla mia casa, dalla mia famiglia, solo perché non ero d’accordo con voi!”.”Però – rispose l’altro con altrettanto livore e alzando la voce – prima di scappare, ti sei portato via diversi segreti della nostra società e li hai usati per arricchirti!”. “Dopo la fuga – rispose amaramente Asha – mi sono dovuto nascondere per anni. Passare per un misero schiavo, adattandomi ai lavori più umili, sempre per non dare nell’occhio. Poi, alla fine mi sono solo trovato un po’ di pace e solo grazie al mio attuale padrone. Ti sembro ricco? Non ho venduto i vostri segreti e non ho fatto nulla contro di voi. Volevo solo ritrovare una vita decente. Va bene, ora potete uccidermi quando volete – poi, ripreso vigore e rabbia, aggiunse – Avete ucciso la mia famiglia, distrutto la mia casa e la mia vita, cos’altro mi potete togliere?”. L’altro lo osservò con uno sguardo molto strano. “Ma come? Non l’avevi capito? Noi non abbiamo ucciso nessuno. Tua moglie è morta si, ma di malattia e solo qualche anno dopo la tua fuga. I tuoi figli sono tuttora vivi e vegeti e lavorano per noi. Loro ti odiano perché sono consapevoli che tu sei stato l’artefice della loro disgrazia e, se hanno conservato qualcosa, è solo perché tua moglie, a suo tempo, ti ha denunciato”. L’altro era rimasto annientato da quelle rivelazioni come se avesse subito un colpo d’ascia e si limitò a rispondere: “Maledetti, siete stati voi che me li avete messi contro. Non vi credo!”. “Ora – proseguì l’altro senza minimamente badare alla rabbia del suo ospite – potrei facilmente farti uccidere all’istante perché , avrai capito, che ho conquistato una notevole posizione, qui. Sono arrivato in questa città, dieci anni or sono, proprio per cercarti. Invece mi ci sono trovato bene ed ho visto grandi possibilità per qualcuno di pochi scrupoli e dotato dell’opportuno senso degli affari. Ho raggiunto un grado di grande potere ed ho molti amici importanti – poi, senza dare all’altro tempo di replicare, affermò, alzando il tono della sua voce – So perché sei qui! Non cambi mai, ladro una volta, ladro per sempre!”. “Ti sbagli – rispose calmo il persiano che aveva ritrovato il suo sangue freddo. Ora che era in pericolo il figlio del suo socio, doveva giocarsela bene, specie se l’altro aveva detto la verità – sonoqui solo per proteggere il ragazzo durante il suo lavoro, e specialmente da gente come te. E vedo che avevo pienamente ragione”. “Certo – rispose l’altro – sei nel giusto a preoccuparti per la sorte del giovane. Sai cosa si rischia per quello che voi avete in mente? La morte”.”Ti sbagli. Qui nessuno rischia nulla. Il giovane fa il suo lavoro e, alla fine, se ne ritorna a casa con il patto commerciale stabilito per la sua attività”.”Basta con questa commedia! - esplose l’altro, alzandosi bruscamente in piedi e facendo rovesciare a terra il pesante sedione su cui era seduto- Basta! Credi che io sia uno stupido? So benissimo perché voi due siete qui. E lo so perché io capisco a volo le situazione ambigue, equivoche, sospette”. Vedendo che l’altro non dava segno di aver capito, aggiunse: “Il tuo capitano Thais, una vera volpe. Si muoveva come un toro in un negozio di vasi di coccio, beveva troppo e andava troppo con le donne. Gli altri non hanno capito ma io si. Gli ho lasciato il modo di ordire tutta la trama. Due ore dopo la vostra partenza da Lemno, è stato rapito e, intanto chePolite se la prendeva comoda, io l’ho fatto riportare qui prima del vostro arrivo. E mentre voi perdevate tempo ed eravate in attesa di sapere che cosa dovevate fare,l’ho interrogato a fondo, per avere conferme del vostro piano”.” Il capitano Thais, qui a Troia? – chiese esitante Asha. “Si, qui a Troia. Ma non ufficialmente. Nessuno l’ha visto arrivare e ci ho fatto una bella chiacchierata – si fermò. Osservando il viso dell’altro farsi pallido – Ti stai preoccupando? E hai ragione. Il capitano ha confermato i miei sospetti ed ha svelato il vostro piano. Ma una sola cosa non sapeva. Chi è il vostro contatto e ti assicuro che, se l’avesse saputo, me l’avrebbe detto – aggiunse con un tono e un’aria da non lasciare dubbi. “E ora dove è Thais ? – chiese il persiano, temendo di sentire la risposta. “Ahimè,- confermò l’altro,-temo che ci abbia lasciati e questo ti mette in una difficile posizione perché, a questo punto, non potete più contare sulla sua nave per andarvene dalla città”.”E allora? – chiese l’altro – deciso a giocare a carte scoperte – Cosa succede adesso?”.”Succede – rispose Bemus ritrovando la sua calma – che ora voi andate avanti con la vostra missione e, appena il traditore si fa vivo, voi me lo consegnate. Perché, se non tradisce con voi, magari lo fa con qualcun altro. E questa è l’unica ragione per cui siete ancora vivi”.”E poi? Appena ti diremo chi è, saremo morti lo stesso!”.”Tu, senz’altro, perché è una questione personale. Per il ragazzo, ci penserò. Questa è l’unica cosa che puoi fare per dargli una possibilità”.”E il traditore?”.”Niente di più semplice. Per conoscere il segreto deve essere un pezzo grosso e se io lo smaschero, lo avrò in pugno”.”Un altro poveraccio da ricattare”.”Non farti illusioni – rispose il funzionario – Qui non ci sono poveracci o persone a posto. Questa è una corte. Ricordi com’è? – chiese riferendosi al passato. Asha ricordava bene. “Allora – continuò Bemus – ora avrete il vostro alloggio, farete ciò che siete venuti a fare e poi, mi direte quello che voglio sapere e non fate i furbi perché non vi perderò d’occhio. Ma state attenti a come vi muovete, perché avrete a che fare con una persona terribile, che controlla tutto il settore della tessitura e della filatura. Una vera strega, che al minimo segno sospetto, non esiterà a farvi fuori, togliendomi il disturbo”.”Ma tu, - chiese dubbioso Asha – conosci il segreto della seta?”.”No, - confessò l’altro – è uno dei segreti meglio custoditi della città. La zona dove si produce, è molto vasta. Confina con la filanda principale, dove andrete a lavorare voi, ma ne è separata da una robusto muro di cinta con un imponente servizio di guardia. So che al suo centro è stato realizzato un bosco con alberi particolari, mai visti prima, qui”. “Ma allora sarà un trattamento particolare di qualche fibra vegetale”.”No, non credo. Tre volte l’anno, vengono a Troia, dei grossi carri provenienti da lontanissime terre a est. Sono accompagnati da un robusto drappello di guerrieri, completamente ricoperti da corazze di pelle nera e con il volto mascherato. Hanno lunghi archi, lance e strane spade che usano con una incredibile maestria. Chi ha provato a sfidarli è stato letteralmente fatto a pezzi e portano qualcosa di molto prezioso. Se fossero gli alberi il vero segreto, quelli non avrebbero ragione di venire. Poi, quando ripartono, i loro carri sono pieni di merci preziose, di certo per pagare i loro servigi”.”Sai dirmi altro?””Abbiamo preso dei rami degli alberi. Gli stranieri li chiamano Song Pai Pi . Producono dei fiori bianchi e delle bacche rosse ma non ne abbiamo ricavato nulla – Poi, rendendosi conto che stava dando informazioni al suo nemico, riprese il suo tono brusco – Adesso basta! Fuori di qui e mettiti al lavoro. Sai quello che devi fare”.”Va bene – replicò l’altro – ma il ragazzo, almeno per ora, lasciamolo fuori da questa storia. Sarà meglio per tutti e reciterà meglio la sua parte”. “Concesso – rispose il funzionario – e adesso fuori di qui!”. Mentre tornava dal suo protetto Asha riflettè sul fatto che Thais era chiaramente morto e la loro eventuale via di fuga non esisteva quindi più. Sembrava che le cose si fossero messe proprio male ma vedeva comunque qualche possibilità perché aveva già battuto Bemus in passato e, seppure in questo caso quasi tutte carte fossero a suo sfavore, non era ancora detta. Decise, in ogni caso, di non dire nulla al suo giovaneaccompagnatore. Questi, nel vederlo uscire dalla stanza, gli fece mille domande. L’altro gli disse che, in realtà, volevano sapere quale fosse realmente il suo ruolo in questa storia e quanto fosse competente in materia di stoffe e filati. Riferì che lui aveva detto loro che il vero esperto, sotto tutti i punti di vista era il suo padrone e che quindi il suo ruolo era più che altro di protezione, consiglio e controllo, in quanto suo precettore. Poi aveva dovuto discutere sui termini della loro permanenza e quindi solo situazioni di basso livello che non lo dovevano riguardare. Ilario sembrò accettare per il momento le sue spiegazioni. Ad attenderli, al portone del palazzo, trovarono una coppia di giovani schiavi, un ragazzo ed unaragazza, che dissero loro che il bagaglio era già a destinazione e ora li avrebbero guidati ai loro alloggi. Apprezzarono molto il fatto che non avevano più a che fare con i soldati, anche se l’uomo anziano sapeva che questa, almeno per lui, rappresentava solo una tregua. Durante il tragitto Asha chiese notizie del funzionario con cui aveva parlato, con lo scopo di avere più informazioni possibili sul suo ‘nemico’ e quelli, con grande deferenza gli risposero di non sapere un granchè ma che si trattava del potente Risto, una personalità molto influente a palazzo e che meritava profondo rispetto. “Bene – pensò il persiano – Indubbiamente si è saputo muovere, ma la partita è ancora aperta e forse era stato uno sbaglio rivelarsi così in fretta. Evidentemente non aveva saputo resistere alla tentazione di minacciarlo e spaventarlo. Così facendo l’aveva messo in guardia e chissà che non trovasse il modo di uscire da quella situazione, pur senza farsi troppe illusioni. I due schiavi li accompagnarono su un tragitto che costeggiava il lato interno delle mura della cittadella. Lungo la strada, sorgevano delle costruzioni, di tre piani, rivestite in marmo bianco, piuttosto eleganti e tutte uguali. Apparentemente divise in appartamenti, ognuno dei quali, munito di un terrazzo che dava sulla strada. Ogni costruzione aveva un largo accesso, sorvegliato da un gruppo di soldati. “Chi abita qui? – chiese Ilario allo schiavo che li accompagnava. “Qui abitano i funzionari di medio livello della corte, con le loro famiglie – rispose il giovane. “E noi staremo qui? – chiese di nuovo il ragazzo. “No – rispose l’altro – voi starete più avanti, dove abitano le persone collegate con il lavoro della tessitura, ma vedrai tu stesso perché siamo pressochèarrivati”. Quasi all’improvviso, la strada sboccò su una grande piazza, abbellita con un fantastico giardino, con al centro una ampia fontana circolare arricchita con statue e giochi d’acqua. L’ingresso alla piazza era sorvegliato da una ventina di soldati, comandati da un ufficiale. Le costruzioni attorno alla piazza, molto più eleganti e rifinite di quelle lungo il tragitto,avevano solo due piani. Erano comunque attesi perché, a quel punto i due schiavi li affidarono all’ufficiale, dopo averli avvisati che avrebbero provveduto a portare loro il pranzo nell’alloggio assegnato. Intanto Ilario notò, su alcune panche, attorno alla fontana, delle ragazze sedute che, dal momento del loro arrivo,li osservavano con curiosità e parlando fra di loro, ridendo e scherzando. Il ragazzo, vedendole, rimase quasi rapito dalla loro bellezza e dalla loro eleganza, convincendosi che quelle erano le ragazze più belle del mondo. Era rimasto colpito dai loro visi truccati, dalle loro acconciature e dalla ricchezza delle loro vesti, seppur di fattura piuttosto semplice. Forse erano quelle le mitiche figlie del re? Ma che gli stava succedendo? Stava forse vivendo una favola, un sogno? E subito dopo non potè non chiedersi se lui sarebbe stato all’altezza di confrontarsi con persone come quelle. Poi, una voce rude e sgradevole, ruppe la magia. “Ehi, voi! – Gridò un uomo anziano uscito dal portone di una delle costruzioni che dava sulla piazza – Venite qui!” . Colui che si era rivolto a loro in modo così brusco era un uomo piuttosto anziano, corpulento con un viso pieno di rughe e con degli occhi piccoli e malvagi. Portava la divisa degli schiavi di corte ma questa era impreziosita da una cintura in cuoio chiaro. L’uomo aveva al collo una collana d’oro con un ciondolo in ambra lavorata e due bracciali ornati con delle pietre dure. Alle dita tozze portava diversi anelli con pietre colorate. Quando i due uomini giunsero davanti a lui, quello continuò sempre con lo stesso tono sprezzante:”Finalmente vi siete degnati di farvi vivi. Dove siete andati girando per la città? Due campagnoli in cerca di emozioni, mentre qui vi stavamo aspettando. – e poi, alzando la voce, aggiunse – Perché ci avete messo tanto? Qui siete a Troia, non nella vostra isoletta, capito?”. Asha si rese conto che nella piazza, sia le ragazze che i soldati, si stavano godendo la scena nel vedere i due ‘campagnoli’ umiliati. Sapeva di non poter intervenire nella sua condizione di schiavo e che sarebbe toccato al suo padrone rispondere a tono a quel farabutto. Si limitò quindi a sussurrare al suo compagno “Fatti valere!”, sperando che questi si fosse reso conto che avevano davanti uno schiavo. Il ragazzo in realtà non aveva preso bene quel ‘benvenuto’ per cui, guardando l’uomo con uno sguardo fermo, gli chiese con piglio deciso:”Chi sei tu e come ti chiami? -poi, visto che l’altro quasi sorpreso da quella reazione da parte di un ragazzo, non rispondeva, di nuovo, alzando la voce, di nuovo domandò – Qual è il tuo nome?”. E lo fissò con i pugni sui fianchi. L’altro, ancora sorpreso, notando anche lui la vasta platea che stava seguendo curiosa la scena, cercava una strategia che non gli facesse perdere la faccia ma il ragazzo, che ora si stava arrabbiando sul serio, con grande soddisfazione del suo compagno, aggiunse senza dargli il tempo di reagire: “Allora ascolta, chiunque tu sia! Dall’abito che indossi, è chiaro che sei uno schiavo e non fa nulla se ti sei ripulito e coperto di orpelli come una prostituta, sempre uno schiavo rimani e io invece sono un ospite di re Priamo e non è ammissibileche mi faccia maltrattare da te. L’altro aveva incassato le parole del ragazzo come uno schiaffo ma, rendendosi conto che quello che gli era stato detto era in fondo vero, malgrado in viso fosse diventato paonazzo per la rabbia e la pessima figura che stava facendo davanti ai presenti che non perdevano una parola, non osò replicare. Continuò invece Ilario, con la massima soddisfazione del suo compagno che faticava a rimanere serio. “Ora siamo stufi di essere sbattuti a destra e a manca da servitori imbelli e incapaci. Se sai dove sono i nostri alloggi, allora guidaci altrimenti chiama qualcuno in grado di farlo e togliti dai piedi”. A quel punto potè intervenire Asha che preso da parte l’uomo, gli disse: “Ascolta, schiavo senza nome, il mio padrone è stato invitato personalmente dal re e quindi, se gli manchi di rispetto, è come se mancassi di rispetto a Priamo. Ora siamo stanchi e vogliamo solo riposare. Sei in grado di aiutarci?”. Lo schiavo sembrò rimuginare sul da farsi. Era vero che era stato offeso e gli era stato dato ‘della prostituta’ ma in parte, il torto era il suo, che aveva voluto esagerare, maltrattando quei due stranieri, secondo il suo modo di fare. Capì, quindi, di non aver scelta, almeno per il momento, e decise di fare buon viso a cattivo gioco. Facendo forza su sé stesso, si impose di calmarsi e disse:”Certo che so dove sono i vostri alloggi. Sono qui per questo – e, abbozzando un mezzo inchino, fece ai due cenno di seguirli, cosa che essi fecero, sperando che la loro avventura iniziale andasse a buon fine e mentre i presenti, perduto l’interesse alla vicenda, tornavano alle loro attività. Lo schiavo li precedette all’interno dell’androne della costruzione più vicina. Lungo il corridoio che attraversarono, c’erano delle porte in color verde, bordate d’ore, tutte chiuse e, lungo le pareti, si vedevano degli affreschi a colori vivaci che raffiguravano fanciulle in abiti succinti che filavano e tessevano. Ilario, un po’ in imbarazzo, ritenne che quelle raffigurate non fossero le figlie del re. Lungo le pareti, inoltre erano disposti, a intervalli regolari, mobili in legno scuro lucidato, con piani di marmo chiaro che sostenevano dei vasi con dentro delle gradevoli creazioni floreali. Dal soffitto, pendevano delle lampade di metallo dorato. I pavimenti, in marmo bianco, erano perfettamente lucidi. Al termine del corridoio giunsero in uno slargo, con al centro una fontanella a forma di conca con piedistallo, con uno zampillo d’acqua, da dove partivano delle ampie scale per il piano superiore. Là giunti, la loro guida si accostò ad una porta e dopo averla aperta, fece segno ai due di entrare. L’ambiente era in penombra ma, quando lo schiavo aprì le pesanti cortine che schermavano la luce del sole, l’ampia sala in cui si trovavano venne fortemente illuminata. La stanza dava accesso ad un terrazzo, da cui, guardandoleggermente sulla destra, si poteva apprezzare un panorama bellissimo che comprendeva parte della piazza da cui erano entrati nell’edificio, una porzione della città ed in lontananza, il mare. Invece, proprio di fronte, correva per un breve tratto, ad una distanza di una trentina di metri, il muro di cinta interno.“Ecco – disse lo schiavo – questo è il vostro alloggio per il tempo che resterete qui. Questa dove ci troviamo è la sala principale dove fra l’altro vi sarà servito il cibo, 3 volte al giorno”. Poi si avvicinò ad una porta e la spalancò. “Questa è la camera da letto – ed indicò un letto, coperto da un telo di lana di colore verde, ricamato con fili rossi. Ai piedi del letto, c’era un ampio baule in legno per contenere gli abiti dell’ospite, poi un tavolo con una lampada e due eleganti sedie.Quindi aprì un’altra porta che dava su una stanzetta, all’interno della quale, illuminato da una finestrella in alto sulla parete, si vedeva una sorta di brandina con lenzuola e coperte su un lato e indicando Asha, gli disse – Tu dormirai qui”. Oltre alla brandina non c’erano altri mobili che non ci sarebbero comunque entrati. “Qui, di norma, non soggiornano né tantomeno dormono degli schiavi ma nel vostro caso, è stata fatta un’eccezione e, per evitare questioni, almeno per il momento, nel fabbricato ci siete soltanto voi. Ora, per finire, ecco qui – e aprì un’ultima porta che conduceva alla stanza da bagno. Era abbastanza ampia, ben illuminata,e conteneva una capace vasca di marmo bianco e delle mensole in metallo dorato su cui era poggiata un’abbondante dotazione di oggetti per la cura personale. “Ora darò disposizioni per il vostro cibo e per un bagno . Vi chiedo, almeno per il momento, di non lasciare il vostro alloggio. Poi capirete perché. Dabbassoc’è una pattuglia di soldati che vegliano sulla vostra incolumità. Se avete bisogno di qualcosa, tirate quella fascia di stoffa che vedete accanto alla parete – indicò una striscia di stoffa a righe colorate che scendeva da una piccola fessura del soffitto, accanto alla porta di ingresso. Più tardi, qualcuno vi porterà qualcosa da mangiare e non vi venga in mente di uscire da qui per girovagare per il palazzo o per le strade. Al tramonto, tutti i passaggi sono presidiati da soldati che hanno ordini precisi e con gli stranieri non fanno complimenti”. Poi concluse :” Ed ora, - accennò ad un leggero inchino e con una strana espressione in viso – arrivederci a presto! – e uscì dall’appartamento, chiudendosi la porta alle spalle. Osservando curiosi la loro nuova sistemazione, il ragazzo vide che accanto alla cameretta destinata ad Asha, c’era uno sgabuzzino che non era stato mostrato loro e che conteneva il bagaglio. L’uomo anziano, da parte sua, si stava dando molto da fare a controllare i soffitti, le pareti, scostando i mobili e guardando dietro agli arazzi ma alla fine sembrò non aver trovato quello che cercava. Allora andò sul terrazzo ed osservò che un camminamento delle mura di fronte, correva alla loro stessa altezza e veniva percorso, con una certa regolarità, dalle guardie armate che sorvegliavano la cittadella. Questo servizio dava l’idea che fosse più rappresentativo che utile, rimaneva però il fatto che Bemus avrebbe potuto farli sorvegliare da li. “Il nostro bagaglio sembra sia stato aperto – notò il ragazzo – E’ possibile?”.”Ci puoi scommettere – rispose l’altro – le nostre lunghe attese hanno dato loro il modo di lavorare con calma. Ma stai tranquillo, non hanno trovato nulla di significativo. Anzi, - aggiunse con un sorriso – qualcosa hanno trovato, ma servirà solo a farli scervellare. E’ stata un’idea di tuo padre. Non ti scordare che anche noi abbiamo un segreto da tutelare ed è naturale che abbiano voluto cercare di barare. Il nostro segreto è al sicuro e presto ne verrai a conoscenza anche tu”. L’altro annuì senza aggiungere nulla. In realtà, la procedura per ottenere il colore rosso, l’aveva scoperta da un pezzo, semplicemente facendo molta attenzione alla prassi seguita ogni volta dal persiano e da suo padre. Poco dopo, due giovani schiavi, un ragazzo ed una ragazza, entrarono nella sala, portando due vassoi con il cibo per il pranzo e del vino. Ilario chiese quando avrebbero portato dell’acqua per potersi lavare e allora il ragazzo, con aria di sufficienza gli chiese di seguirlo nella sala da bagno. C’erano diverse anfore di metallo e di coccio, però tutte vuote. Lo schiavo indicò un tubo in metallo, della larghezza di circa dieci centimetri, che sporgeva orizzontalmente dalla parete, accanto alla vasca, per una ventina di centimetri e azionò una piccola leva che era all’estremità del tubo stesso. Da questo, immediatamente, uscì un getto d’acqua fresca e limpida che andò a cadere su una grata fissata sul pavimento, che ne permise il deflusso. Lo schiavo rimise la leva in posizione iniziale e l’acqua smise di scorrere. Aggiunse: “Se volete, la potete anche bere”. Asha rimase molto colpito da quella soluzione. Aveva già visto qualcosa del genere, nel corso delle sue peregrinazioni ma riteneva che quella fosse una cosa riservata ad un re. Invece qui era a disposizione, non solo della corte, ma anche per i personaggi di livello superiore e per gli ospiti di riguardo. I due schiavi se ne andarono ed il persiano, scosse il ragazzo che era rimasto addirittura a bocca aperta, davanti a quella sorpresa. “Andiamo a mangiare – gli disse Asha. Non ti dimenticare che questa è Troia. Chissà quante ne dovremo ancora vedere e pensa quante ne avrai da raccontare quando tornerai a casa. – Poi, cambiando tono aggiunse – Ma attento, non è tutt’oro quel che riluce e guardati sempre attorno con molta attenzione. In un ambiente come questo non sai mai di chi ti puoi fidare. “Va bene – convenne il ragazzo – hai ragione. D’altronde, io non ho alcuna esperienza e per questo sei qui con me. Io mi fido di te e seguirò alla lettera i tuo consigli. Per quanto riguarda il letto, prendi tu quello grande. Io mi accomoderò nella cameretta”.”Assolutamente no! – rispose alquanto irritato l’altro – E’ proprio questo il genere di errori che dobbiamo evitare. Basta una svista, una distrazione ed il nostro piano comincia destare sospetti. Io sono stato accettato solo perché hanno visto un vecchio che hanno valutato come innocuo, quindi, se invece notassero qualche anomalia nella nostra storia, poterebbero avere di sospetti. E stai attento perché, dalle mura di cinta, c’è, forse per caso, un camminamento dal quale si vede perfettamente l’interno del nostro alloggio. Per cui, se intendi fare qualcosa che ritieni che non debba essere visto, chiudi le tende, sia di giorno che di notte”. Il ragazzo si rese conto che l’altro aveva perfettamente ragione, non per nulla era stato mandato con lui per consigliarlo e guidarlo. Il pranzo che era stato servito era piuttosto ricco. C’era un contenitore con una zuppa calda di legumi, poi carne di manzo arrostita, piuttosto rara, se non nelle case di persone assai benestanti, ed un altro con due polli arrosto. Nonché formaggio, frutta, focacce. Insomma, quasi un banchetto. “A giudicare da questo pasto, sembra che ci valutino come persone importanti – disse Ilario che stava facendo onore alle vivande. “Non credo – rispose l’altro – probabilmente il pasto è uguale per tutti quelli che vivono all’interno della cittadella. Terminarono il loro abbondante pranzo , senza tuttavia toccare il vino. Asha non riusciva a fidarsi e poi non voleva che il ragazzo si assuefacesse a quella bevanda. Iniziarono a disfare il loro bagaglio e a controllare gli involucri che proteggevano i vari oggetti. Per primo, il prezioso regalo per il re, poi i contenitori per i loro ingredienti, per le varie tinte, e per i sottilissimi fili d’oro e d’argento che avevano portato per mostrare il loro lavoro. Esaminarono con particolare attenzione il contenitore in cui, apparentemente, erano conservati i vari ingredienti per la loro segreta tinta rossa. Si accorsero subito che erano stati aperti, seppure richiusi con grande maestria, ma non perfettamente. Notarono anche, da segni che avevano praticato sui singoli contenitori, che per ogni elemento era stato effettuato un minimo prelievo.”Va bene – sorrise Asha – lo avevamo previsto. Nel gruppo ci sono dei componenti inutili che servono solo a creare confusione ed uno addirittura pericoloso da maneggiare. Ci sarà da farsi quattro risate”. Il ragazzo sapeva bene che il risultato ottimale si otteneva con una procedura complicata legata a calore, tempi e concentrazioni. Praticamente quasi impossibile da replicare per tentativi. Inoltre, per non lasciare nulla al caso, uno degli ingredienti era contenuto solo nel doppio fondo di due anonime scatole contenti i loro attrezzi, che erano nelle loro bisacce, da cui non si erano mai separati. Ilario, ora che sentiva avvicinarsi il momento di fare ciò per cui era stato ufficialmente chiamato, chiese al suo compagno come avrebbe potuto organizzare il lavoro. Si sentiva prendere dall’ansia.
Lui, un semplice ragazzo, di modeste origini, insegnare a quella gente così critica e sofisticata. L’avrebbero letteralmente sotterrato, con la loro boria, la loro superbia, ma l’altro lo riprese con una certa severità. Comprendeva perfettamente l’atteggiamento del suo protetto ma non poteva dargli ragione, perché avrebbe rischiato di farlo finire sempre di più nel panico. Gli ricordò invece che, nel suo lavoro, non era secondo a nessuno e, se i suoi allievi erano appena intelligenti, lo avrebbero ascoltato perché avevanotutto da guadagnarci. Ormai, avevano sistemato e organizzatole loro cose, quando la porta di ingresso del loro appartamento, si aprì di botto, sbattendo violentemente contro lo stipite, come fosse stata mossa da una forza sovrumana. Attraverso di essa, passò con atteggiamento molto ostile, una donna alta, imponente, di mezz’età, con un viso magro, i tratti molto marcati ed uno sguardo estremamente inquietante. Indossava una ampia tunica bianca ed un largo mantello che le cingeva le spalle, nascondendone la figura ma si capiva, comunque, che era forte e molto robusta. Aveva una profonda ruga che le solcava verticalmente il centro della fronte e osservava i due stranieri, che ancora non si erano ripresi dalla sorpresa, come se volesse fulminarli. Dietro di lei, rimasti fuori della porta, c’erano due schiavi, uno dei quali quello che aveva accolto i due stranieri. La nuova venuta si portò le mani ai fianchi, continuando a guardarli con sguardo ostile poi esclamò, con voce decisa e risoluta: “Chi si è permesso! – poi ripetè – Chi si è permesso di maltrattare il mio schiavo?”. Ilario osservò il suo compagno sperando che, in quanto più abile con le parole avrebbe potuto rispondere in modo acconcio ma quello gli ricambiò lo sguardo, facendogli capire che, in qualità di padrone, avrebbe dovuto rispondere lui. Ilario si fece coraggio e, dopo un lieve inchino rispose in modo estremamente rispettoso e prudente, più che altro perché non sapeva ancora chi aveva di fronte:”Signora, nessuno ha maltrattato il vostro schiavo. Ci ha accolto in modo molto sgarbato, irriverente e offensivo. Non ci ha nemmeno voluto dire il suo nome e, di malgarbo, ci ha accompagnato qui. Gli è stato solo detto di comportarsi con il rispetto dovuto agli ospiti e di stare al suo posto. Da dove veniamo noi, l’ospitalità è sacra e spero che ciò valga anche nella vostra città”. La donna che lo aveva ascoltato in silenzio valutando con attenzione le sue parole si volse e, con lo stesso tono di voce di prima, chiamò: “Vieni avanti!”. Al che, quasi strisciando contro lo stipite, lo schiavo in questione si fece avanti, arrestandosi un passo dietro la donna che rivolta verso di lui, continuò:”E’ vero quello che dice il ragazzo?”.”Ma signora – rispose l’altro con voce incerta ed esitante, eseguendo un profondo inchino – mi era stato detto di..”.”Silenzio! – lo ammutolì la donna – Vattene fuori!”. “Ma signora – cercò di replicare l’altro”.”Fuori! – ribattè la sua padrona con maggior foga – Non ho certo bisogno di una scorta, con questi due”. Poi, tornando a guardare i due stranieri, mentre il suo schiavo se ne andava con la coda fra le gambe, riprese:”Greci, brutta razza!”. Cominciamo bene, pensarono all’unisono i due uomini che ancora stavano cercando di capire cosa stava succedendo. Non era certo così che avevano immaginato il loro arrivo a Troia. “Io sono Teano – riprese a parlare quella – e sentirete spesso parlare di me, anche perché, per tutto il tempo del vostro soggiorno, dipenderete da me. Io sono sacerdotessa di Atena e grande sacerdotessa di Apollo. Mio marito è Antenore, consigliere di Priamo. Io non vi volevo qui. Come ho detto, non mi piacete. Mi siete stati imposti e ho dovuto accettare. Ma alle mie regole, però”. Dette modo ai due uomini di capire che lei era una persona importante, potente e che, con lei, non si scherzava ma i due, in realtà, si stavano chiedendo cosa c’entravano loro con Atena e Apollo. “Fra i miei compiti – continuò la donna – c’è quello di sorvegliare l’attività dei tessitori che sono quelli con cui voi dovrete, purtroppo, avere a che fare. In realtà sono quasi tutte giovanissime ragazze e in gran parte, sono figlie di Priamo. Le altre, per il loro ceto e la loro condizione, sono allo stesso livello, almeno per voi. Sono giovani, sono belle e ingenue e, solo l’idea che voi le avviciniate, mi manda in bestia. Ma voi farete il vostro lavoro, che io giudicherò di giorno in giorno, per vedere se ne vale la pena. Non vi perderò d’occhio un secondo e, se vedrò un’occhiata strana, un contatto immotivato, un contegno irrispettoso, Priamo o non Priamo, voi ve la vedrete con me, capito?”. Poi, a voce più alta, per far comprendere che voleva una risposta chiara e precisa, ripetè:”Capito?”. I due uomini, a testa china, ancora confusi per quell’attacco violento e, per ora, completamente gratuito, risposero all’unisono:”Si, signora, abbiamo capito”. Al che la donna, senza aggiungere una parola, si voltò e uscì dalla porta che venne chiusa da uno degli schiavi che la accompagnavano. Passarono diversi minuti prima che i due uomini si riprendessero. Erano ambedue sgomenti e arrabbiati per essere stati aggrediti a quel modo, ma, più che altro, erano preoccupati, seppure permotivi diversi. Asha riteneva che, con il controllo stretto e continuo di quella donna, la loro missione si faceva veramente difficile. Ilario, invece, pensava che avrebbe dovuto relazionarsi con tutte quelle ragazze di alto rango, nobili e di certo orgogliose, vanitose, forse addirittura arroganti. E che avrebbe potuto fare lui, un ragazzo ignorante e sempliciotto, che aveva sempre frequentato delle ragazze semplici e non certo molto colte? Il suo compagno, che aveva intuito i suoi pensieri, gli ripetè che era la sua abilità che li aveva portati in quella città e che, se lui non fosse stato veramente bravo, tutte le macchinazioni, i sotterfugi messi in atto da Thais, non sarebbero mai bastati a portarli in quel luogo. Piuttosto sorpreso dai complimenti del suo compagno che invece era stato con lui sempre piuttosto severo, il ragazzo cercò di tranquillizzarsi. Poi furono nuovamente sorpresi dal fatto che, senza alcun preavviso, la porta si spalancò ed entrarono i due giovani schiavi che avevano già veduto al mattino che recavanoi vassoi e l’anfora per la cena. Deposero tutto sul tavolo della sala e, ritirati gli avanzi del pranzo, se ne andarono. Il persiano era molto infastidito dal fatto che quella porta venisse aperta da chiunque senza preavviso. Non conosceva le abitudini del posto ma avevano bisogno di una maggiore garanzia di sicurezza e riservatezza. Ilario intanto era andato a vedere cosa avevano ricevuto per la cena e con grande meraviglia, notò che, a parte dei biscotti dolci al miele ed un piatto con un pesce arrosto, si trattava quasi della replica precisa del loro pranzo. Ridendo, osservò: “Qui ci vogliono mettere all’ingrasso. Ci scoppierà lo stomaco!”. Iniziarono comunque a mangiare quando qualcuno bussò alla porta che venne poi aperta e i due ospiti videro la testa di un giovane che si affacciava e che subito chiese se poteva entrare. Asha pensò che quella era la prima persona che bussava alla porta e, pertanto, anche solo per quello, fece cenno al suo protetto, consigliandolo a far accomodare il nuovo venuto. Si trattava di un ragazzo, apparentemente più giovane di Ilario. Era di media statura e con un bel viso allegro. I capelli neri, folti e ricci, ricadevano sulla fronte. Ispirava un naturale senso di simpatia ma, stranamente, indossava un abito quasi uguale a quello della donna che li aveva maltrattati e minacciati poco prima. “Permettete ? – chiese di nuovo il nuovo arrivato, avvicinandosi alla tavola imbandita – Scusate se disturbo il vostro pasto, ma non sono riuscito a resistere alla curiosità, quando ho saputo che c’erano dei nuovi ospiti in città. Due volti nuovi, finalmente! E poi, uno è un giovanedella mia stessa età”. “Prego – rispose Ilario – vieni pure avanti e accomodati con noi. Come vedi divido la tavola con il mio schiavo perché è il mio precettore e gli sono molto legato. Spero che la cosa non ti disturbi. – poi si interruppe, come se avesse avuto un dubbio - A meno che non sia venuto anche tu ad insultarci e a minacciarci – aggiunse. Il nuovo venuto si fece una bella risata, rispondendo:”So che avete ricevuto la visita dell’amabile Teano e non vi invidio. Quando vuole, può essere una persona sgradevole, e da un po’ vuole piuttosto spesso”.”Ma chi è, veramente? – chiese Ilario - Ed è vero che ha potere su noi due?”. “Teano è innanzitutto una sacerdotessa, importante. E’ la sacerdotessa di Atena a cui è legata la protezione e la salvezza della città di Troia. E’ la custode responsabile del Palladio, ossia una statua lignea della dea che garantisce, con la sua presenza nel tempio al culmine della cittadella, l’inviolabilità della città da parte di chiunque. E’ anche sacerdotessa di Apollo di cui cura il culto assieme ad altre tre persone. Inoltre è la moglie di un consigliere del re. L’anziano Antenore, su cui ha una certa influenza ma copre anche diversi altri incarichi di fiducia. Ora, per capire se ha potere si di voi, dovrei sapere il motivo per cui siete qui”. Fu Asha a spiegarlo, esaltando al massimo le doti e le capacità del suo ‘padroncino’. Il troiano stette ad ascoltare attentamente. Poi quasi ridendo, disse:”Amici miei, credo che siate veramente nei guai! – Poi, dopo un attimo, riprese – Anzitutto, chiedo scusa per non essermi ancora presentato. Sono Eleno, figlio di Priamo e di Ecuba”. I due ospiti, preso atto che si trovavano al cospetto di un principe di sangue reale si alzarono subito in piedi in segno di rispetto ma l’altro ridendo disse loro:”No, no – facendo seguire alle sue parole un eloquente gesto che li invitava a rimettersi seduti – Io a corte non conto molto. Almeno non ancora, finche’ non avrò compiuto 18 anni e ne mancano quasi due. Dal mio vestito, avrete capito che sono anche io un sacerdote, di Apollo, per essere precisi ma ancora non ho prestato il giuramento perché sono troppo giovane. La stessa cosa vale per mia sorella gemella, Cassandra. Siamo stati destinati a questo incarico perché, ambedue abbiamo il dono del vaticinio. Però quella veramente brava è mia sorella. Io me la cavo, ma mi limito a seguire gli insegnamenti dei miei maestri. Ho anche qualche incarico di scarso rilievo a corte. Ma non me ne importa niente. Non sono ambizioso e non ho tanta fretta di crescere – Poi guardando il tavolo e tutto ciò che vi era sopra, chiese – Non vi dispiace se vi faccio compagnia, mentre mangiate?”.”Ma certamente principe – rispose ossequioso il ragazzo. “Solo Eleno,per favore – disse l’altro – Qui di principi ce ne sono tanti che questo titolo non ha poi un così grande valore. Ma non dite a nessuno che l’ho detto. Qui, quello che conta è ciò che si fa, o ciò che si controlla. Ma ora – continuò il principe che si era generosamente servito di tutto un po’ – Veniamo a voi. Le tessitrici più abili di Troia, quelle con le quali, se ho capito bene, avrete a che fare, sono quasi tutte figlie di Priamo. Le altre sono comunque appartenenti alle famiglie più nobili della città. Il re non le vuole lasciare andare, non vuole perdere la loro grande abilità e perciò le fa vivere in una sorta di gineceo, quasi isolato dal mondo esterno, per evitare, per quanto possibile, che conoscano uomini e che pensino a sposarsi, abbandonando l’attività. E ora, - e fece una pausa per bere un bel sorso di vino – secondo voi, chi credete che sia stato incaricato a vegliare su tutte queste giovani?”. Guardando i due ospiti, Eleno capì che ci erano arrivati subito. “E già, - continuò, quindi – la cara e buona Teano. Ecco perché non vi perderà d’occhio un istante ed ecco perché deve essersi opposta al nostro arrivo, con ogni mezzo”.”Quindi sarà sempre presente, - disse Ilario, con una certa inquietudine.”No, per vostra fortuna. I suoi molteplici incarichi non glielo permetterebbero, ma sarà di certo presente la sua ‘anima nera’, uno schiavo che ha saputo, chissà come, conquistare la sua fiducia e che ha sfruttato questa cosa per acquisire una condizione superiore perfino ad alcuni funzionari troiani. Si chiama Tassos e può essere veramente pericoloso se vi prende in antipatia”.”Crediamo di averlo già incontrato e, sia io che il mio schiavo, che non lo conoscevamo, di fronte alle sue maniere aggressive e scortesi, lo abbiamo rimesso al suo posto”.”Bravi, quello è il solo giusto modo di trattare con persone come lui. In questa città ciò che importa è di non farsi sopraffare, specie da chi non ne ha il diritto. Per cui, in qualità di ospite di mio padre, sentiti in diritto di rispondere per le rime a chi ti manca di rispetto. Senza esagerare, naturalmente”. Ilario a quel punto cercò di informarsi su ciò che gli stava più a cuore, ossia su come quelle ragazzelo avrebbero ricevuto. Era veramente, sempre più preoccupato e, da ciò che aveva saputo fino a quel momento, ne aveva ben donde. Eleno, dall’espressione del ragazzo, capì la sua difficoltà e, visto che si era dimostrato una persona semplice, spontanea e simpatica, lo volle aiutare, in qualche modo. Per cui gli disse:”Va bene, allora, ascolta. Tutte quelle ragazze sono di nobile casta e ne sono pienamente consapevoli. Con tutta la loro vanità, superbia, alterigia, boria, presunzione, certo. Ma tutto questo, dove le ha portate. Solo in una gabbia dorata. Non vedono mai uomini, se non fra i loro parenti, perché il re non lo gradisce. Quasi tutte loro, alla sera, tornano alle loro lussuose case ma incontrano solo i loro familiari. Come vestali, insomma, ma senza esserlo, senza aver fatto alcun giuramento. Ora, immagina. All’improvviso, arrivate voi. ‘Tu’ , in particolare. Un bel ragazzo, hai una bella figura, sei aperto e simpatico, per non parlare del tuo sorriso. Pensiveramente che perderanno tempo a prenderti in giro? Io credo che invece faranno il possibile per attirare la tua attenzione, se non altro per orgoglio femminile”. Il principe vide che il ragazzo lo seguiva con attenzione, mentre il suo schiavo assentiva, mostrando di apprezzare il discorso e le argomentazioni del troiano. Questi, continuò:”Ah, certo, qualcosa faranno, se non altro per non mostrarsitroppo arrendevoli. Vedranno di capire di che pasta sei fatto. Se sarai capace di mantenere la tua posizione di insegnante, con il necessario distacco, vedrai che alla fine, saranno molto interessate e disponibili, quindi, attento. Beh, per essere sinceri, un paio di loro sono abbastanza cattive, cattive dentro, intendo, in particolare una. Ma tu fatti valere. Ne hai l’autorità. Priamo ti ha voluto nel tuo ruolo malgrado l’opposizione di Teano. Questo ti dà un grande prestigio ed una grande autorevolezza”.”Ma quando inizierò con il lavoro? – chiese il ragazzo.”Magari anche domani – rispose l’altro – Ma soprattutto, ricordati che dopodomaniincontrerai Priamo in persona che ti riceverà nel corso dell’udienza che il re concede di norma nei giorni dispari del mese”. A quel punto, il troiano prese commiato, dicendo che si sarebbe fatto rivedere presto. Ilario era piuttosto sollevato dalle parole che Eleno gli aveva rivolto. Asha, invece era abbastanza preoccupato, pensando a come avrebbe potuto difendersi dagli intrighi di Risto , soprattutto come preservare il ragazzo da quella minaccia. Presero sonno tutti e due tardi e con difficoltà per cui, quando al mattino giunsero i due schiavi con i vassoi della colazione, li trovarono profondamente addormentati e li dovettero svegliare. Asha, chiese ai due ragazzi di seguirlo vicino allo stipite della porta e mostrò loro un pesante regolo di legno che serviva a sbarrare le ante dell’uscio e disse loro che, da quel momento, chiunque, prima di entrare, avrebbe dovuto bussare ed attendere il permesso altrimenti avrebbe assaggiato quel bastone. Lo disse in modo assai convincente ed i due dichiararono di aver capito perfettamente e promisero di avvisare anche gli altri poi, inchinandosi, si ritirarono, osservandolo con aria piuttosto preoccupata.
Ilario, mentre si disponevano a fare colazione, chiese all’altro se non fosse stato un po’ troppo duro con quei due schiavi. Asha gli ricordò cosa aveva detto loro Eleno la sera prima, circa il farsi rispettare. Fecero un’abbondante colazione e, mentre finivano di mettersi d’accordo sul metodo da seguire per il loro lavoro, le porte dell’appartamento si spalancarono di colpo e, di nuovo, entrò Teano come una furia.”Bene – disse senza nemmeno dare ai due il tempo di riprendersi – Ora arrivate addirittura minacciare gli schiavi del palazzo!”. Ilario si alzò, cercando di dominare la rabbia che provava nei confronti di quella donna. Si accorse che, stranamente, non aveva più paura, segno che indubbiamente, stava crescendo in fretta, in quei pochi giorni. Dietro la donna, aveva notato Tassos con un sorriso maligno. Evidentemente era stato lui a far si che la sua padrona fosse a conoscenza dei fatti.“Signora – esordì controllandosi – Riteniamo piuttosto strano che, con tutti gli incarichi che ricoprite, ci degnate tanto della vostra attenzione e della vostra compagnia. Sappiamo, perché ce lo avete detto voi stessa, che mal sopportate la nostra presenza. Noi cercheremo di dare meno fastidio possibile e di fare al meglio il nostro lavoro ma per questo dobbiamo essere lasciati in pace e tranquilli e questo non è possibile se la gente, nell’appartamento a noi assegnato, va e viene come se fosse al mercato. Come ho già detto, da dove veniamo noi, l’ospite è sacro, chiunque sia, e nessuno si permetterebbe di venire meno a questo principio”. “ Ma voi vi siete permessi di picchiare i ragazzi!”.”Nessuno ha picchiato i ragazzi – esplose Ilario – e chiunque afferma questo, è un bugiardo! – poi, guardando dietro la donna – Ne sai qualcosa, tu,Tassos? Pensi che la tua padrona continuerà a difenderti sapendo che le menti continuamente? – poi, senza dare tempo a nessuno di interromperlo, di nuovo rivolto alla donna – Siamo statinoi, quelli maltrattati, fin dall’inizio. Offesi, trascurati, minacciati. E se ne avete veramente il potere, come dite, allora fateci tornare a casa e finiamo questa storia, perché, onestamente, siamo veramente stufi. Troia, almeno per noi, non si è rivelata quel posto incredibile di cui tutti fantasticano”. Teano, sorpresa dalla veemenza del ragazzo, si prese alcuni secondi per rispondere poi, con tono gelido, disse:”No, qui nessuno torna a casa. Piccolo ragazzo impudente. Ti farò sbattere il naso contro la tua stessa prosopopea. Con le principesse farai una figuraccia e, quando ti sarai rivelato per quella montatura e impostura che sei, allora cadrai in disgrazia e io sarò più che libera e legittimata a farvi gettare, te e quel tuo schiavo, dalle mura della città per spedire le vostre carcasse in mare, attraverso le acque del fiume Scamandro”.” Bene – rispose il ragazzo senza fare una piega. Sentiva il cuore schiantarglisi in petto ma non avrebbe mai dato soddisfazione a quella megera – Ora che le cose sono state chiarite, qualcuno si può degnare di informarmi su cosa devo fare e dove farlo. Perché fin’ora, e voi ne siete la dimostrazione, siamo solo stati offesi e minacciati di morte, solo per il fatto di essere qui”. La donna, rossa in viso, furiosa per non avere ottenuto l’effetto che voleva, senza rispondere, si girò di scatto, fece cenno al suo schiavo di seguirla e lasciò la stanza a passo svelto. Asha era sempre più meravigliato di come l ragazzo aveva gestito la cosa. Ma dove aveva trovato il coraggio? “Complimenti –gli disse – Hai gestito la situazione alla grande. Io stesso non so come avrei reagito!”. Il ragazzo lo guardò e fatto un profondo respiro, quasi si accasciò al suolo. Si sentiva pressochè esausto per tutta l’energia che aveva dovuto usare per affrontare quello scontro. Accettò con mano incerta il bicchiere d’acqua che l’altro gli porgeva per aiutarloa riprendersi e lo bevve d’un fiato. “In realtà – rispose Ilario – io invece mi ispiro proprio a te. Poiché per il ruolo che hai scelto di interpretare, tu non puoi intervenire, io agisco come penso come ritengo che faresti tu”.”Grazie – rispose l’altro leggermente sorpreso – ma credo che tu mi sopravvaluti. Non so se sarei stato capace di far fronte a quella sorta di Erinne”. Passato il momento di nervosismo, tornarono alla loro colazione, consolandosi con dei gustosissimi dolcetti al miele che consumarono intingendoli nel vino che Asha aveva prudentemente allungato con acqua. Stavano valutando se provare ad uscire, quando qualcuno bussò alla porta. Sorpresi che la loro richiesta fosse comunque stata accettata, malgrado il mal garbo mostrato da Teano, si chiesero chi fosse. Asha si alzò, andò ad aprire e si trovò davanti un uomo alto, piuttosto avanti negli anni,massiccio, vestito con una elegante tunica lunga in tessuto verde, ornata con ricami gialli, fissata in vita da una cintura di pelle scura, ornata di borchie in bronzo lucido. Aveva una lunga barba bianca, ben curata e due occhi chiari, che esprimevano una grande curiosità. Dietro a lui, due schiavi, lo accompagnavano ed uno era Tassos, che mostrava un atteggiamento totalmente indifferente. Apparentemente, i due stranieri erano al cospetto di un funzionario della corte. Asha, con un profondo inchino, lo invitò ad entrare, mentre Ilario, inchinandosi a sua volta, salutò rispettosamente il nuovo arrivato, che comunque rimase sulla porta. “Signore, - iniziò quello, rivolto al ragazzo che sentendosi chiamare ‘signore’ si meravigliò non poco – il mio nome è Syrus, sono un funzionario della corte del re e mi occupo di gestire gran parte delle fasi della tessitura che si eseguono in città. Ti sarei grato se mi seguissi, così potrò mostrarti il tuo luogo di lavoro”. Il ragazzo, già pronto, si limitò a mettersi a tracolla la bisaccia che aveva preparato la sera prima e, senza perdere tempo, seguì l’uomo che si era già mosso per scendere le scale. Asha, dopo aver preso anche lui la sua bisaccia, li seguì subito, chiudendo la porta dietro le loro spalle.
 
 
 
 
                                                                                            Cap III^
 
Lungo la strada, Syrus ritenne di istruire Ilario circa il suo ruolo. Asha, che camminava leggermente indietro, non perdeva però una parola di quel colloquio. “Ora ti porterò dai tuoi allievi che, in realtà, sono quasi tutte ragazze. Sono molto giovani ebelle e devono essere trattate con il massimo rispetto. Non è consentito, con loro, nessun contatto, nemmeno accidentale. Ricordatevi sempre che Teano, anche se indirettamente, vi sorveglia”.”Se le ragazze esigono rispetto, - rispose leggermente seccato il ragazzo per quell’ennesima provocazione - dovranno mostrare rispetto a loro volta. E non parliamo dei contatti ‘accidentali’! Ma scherziamo? E se dovessero essere loro a cercare un contatto, magari per scherzo? Pensate di avere a che fare davvero con dei selvaggi? Pensate di avere solo voi la palma della civiltà? Quello che mi colpisce maggiormente è che fin’ora tutti ci hanno detto quello che non dovevamo o non potevamo fare. Nessuno si è interessato del nostro lavoro o delle mie abilità!”. “Signore – rispose l’uomo leggermente turbato – Non volevo assolutamente mancarvi di rispetto. Mi sono limitato a mettervi in guardia dall’ambiente in cui vi troverete a lavorare nel vostro interesse e per la vostra tranquillità. – poi aggiunse – Ora vi condurrò nel luogo dove svolgerete il vostro lavoro. Vi troverete 29 allieve e 2 allievi. Sono tutti abili e competenti. Nella sala, ai quattro angoli, vedrete sedute delle donne anziane. Sono le ‘reverende madri’, in realtà sono sacerdotesse anziane dedite al culto della dea Atena,con il compito di vegliare sul comportamento dei giovani, che si sa, sono abbastanza esuberanti e vanno tenuti un po’ a freno. Voi non avrete nessun contatto diretto con loro. Adesso, seguitemi per favore”. Durante la conversazione, avevano coperto un bel tragitto lungo le mura. Ora l’uomo prese una strada in salita che portava ad un grande spiazzo, dietro il quale si vedeva una elegante costruzione a due piani, rifinita in marmo beige, che era indubbiamente la loro meta. Quando raggiunsero il palazzo, i due ospiti notarono che esso aveva una parete in comune con il tempio, al centro della cittadella. Si entrava attraverso un pesante portone in legno, decorato con pannelli di bronzo che indubbiamente fungevano anche da rinforzo, presidiato da almeno una compagnia di soldati armati i quali controllavano tutta la piazza e le mura della costruzione. Alcuni uomini erano anche disposti sul tetto. Il ragazzo pensò che Priamodoveva tenere parecchio a ciò che si svolgeva all’interno. Magari c’era il segreto della seta. Ma non si volle illudere. Se così fosse stato non lo avrebbero mai fatto entrare, per cui attese di vedere quello che gli era riservato. La loro guida si allontanò per andare a parlare al capo delle guardie e gli mostrò una pergamena che, fino a quel momento, aveva conservato, celata sotto la tunica. L’ufficiale la studiò a lungo e poi si avvicinò ai due uomini, li osservò con attenzione e alla fine chiese loro di dichiarare i loro nomi. Il soldato annuì ma disse che solo il ragazzo poteva accedere alla struttura. Lo schiavo al massimo poteva attendere fuori. Ilario, forte delle sue esperienze precedenti, fu irremovibile. Lo schiavo era una parte essenziale nel suo lavoro e nel corso di quella prima visita, in modo particolare, valutata la situazione sarebbe stato essenziale il suo consiglio per organizzare il da farsi. Pertanto, malgrado l’invito silente di Asha a non esagerare, disse che se non entravano in due, non sarebbe entrato nessuno. La sua guida e il soldato, in disparte, discussero animatamente per alcuni minuti, mentre il ragazzo guardava intorno, con sguardo indifferente, come se il discorso non lo riguardasse affatto. Alla fine l’ufficiale tornò, dicendo che potevano passare tutti e due, ma pretese di perquisire a fondo lo schiavo, al quale tolse il pugnale, per sicurezza. Lo avrebbe riavuto alla fine della visita. Il pesante portone venne aperto da quattro soldati e subito richiuso dietro di loro. Ashasi rese conto sempre di più che, se le cose si fossero messe male, sarebbe stato praticamente impossibile fuggire da quella struttura. Troia si era rivelata, a quel punto, un posto in cui era difficile entrare ma da cui era di certo più difficile uscire. Superato un breve colonnato, si ritrovarono in un lussureggiante giardino estremamente curato. Grossi alberi d’alto fusto, riparavano dal sole, con la loro immensa chioma , ampie zone d’erba verde e aiuole fiorite. Panche di marmo, elegantemente scolpite, erano raccolte attorno a dei tavoli dello stesso materiale, dal piano rotondo. Rallegravano inoltre lo scenario delle fontanelle che con i loro giochi d’acqua contribuivano a suggerire una sensazione di pace e di benessere. Fra le chiome degli alberi si sentiva il verso di molti e diversi uccelli e quello che maggiormente colpì Asha fu la rete di protezione che copriva tutto il cielo del giardino. Naturalmente era messa li per non consentire agli uccelli di fuggire ma di certo concorreva a trasmettere la sensazione di essere comunque in una gabbia. Ora quel luogo era deserto. “Qui – spiegò la loro guida – durante gli intervalli di lavoro, i giovani vengono a rilassarsi e, se la stagione lo consente, possono anche consumare i pasti. Ora noi siamo diretti al laboratorio – e indicò una costruzione bassa e apparentemente molto ampia che sorgeva davanti a loro. - Consiste, come vedrete, in una enorme stanza nella quale si svolge quasi tutta l’attività di filatura collegate con articoli di alto livello come stoffe speciali, tessuti particolari, arazzi e cose simili. Le costruzioni che sorgono dietro, sono collegate con altre attività connesse con la creazione ed il trattamento dei vari tessuti ossia il trattamento della materia prima, la filatura e la tintura, ma la cosa non vi riguarda. Voi lavorerete solo qui e per nessun motivo dovrete entrare nelle zone riservate. “Ma io dovrò capire come si lavora in questo posto – osservò meravigliato Ilario – come potrò farmi un’idea del lavoro da svolgere se non conosco le varie attività?”.”Signore – rispose Syrus allargando le braccia – io vi riferisco ciò che mi è stato detto di farvi sapere”. “Bene, - rispose il ragazzo più contrariato che mai – per fortuna domani mattina, avrò occasione di essere ricevuto dal re in persona e spero che, in quell’occasione, potrò avere lumi maggiori circa il motivo della mia presenza in questa città. E ora andiamo”. “Ti devo chiedere ancora di non fare entrare il tuo schiavo. Potrebbero esserci delle conseguenze”. “Questo – e Ilario prese Asha per un braccio – non è solo il mio schiavo. E’ il mio precettore, la mia guida e il mio consigliere e io ne ho bisogno per portare i materiali necessari, per portare avanti e mostrare le varie lavorazioni. Quindi non accetto scuse, deve vedere anche lui dove si svolgerà il nostro lavoro, andiamo”.”Come vuoi. Ma io non posso entrare. Dentro ci sono delle altre persone e te la vedrai con loro. Buona fortuna, comunque”. E l’anziano troiano si limitò ad aprire la porta d’ingresso al laboratorio facendo cenno ai due di entrare. I due stranieri varcarono la porta, seguiti dai due schiavi di Teano, che, evidentemente, avevano l’incarico di riportare alla loro padrona tutto ciò che sarebbe accaduto. In pochi secondi, Ilario osservò l’ambiente che aveva davanti, notando un’ampia sala di forma rettangolare. All’interno, lungo le pareti, correva un colonnato di marmo verde, formando una sorta di galleria attorno alla stanza, con un pavimento rialzato, e lungo la quale erano poste, a contatto delle pareti, delle cassapanche, delle grandi mensole ed armadi, con e senza ante, tutto in legno dorato, decorato con disegni verdi. In fondo alla stanza erano montato quattro grandi telai orizzontali, in quel momento tutti al lavoro. Al centro della sala vi erano diversi tavoli di legno rettangolari, laccati in vernice bianca e rifilati in oro, e attorno a loro diverse sedie o panche, a seconda delle lavorazioni che venivano svolte. Su quasi tutti i tavoli, c’erano numerosi piccoli telai orizzontali e, sedute o in giro per la grande sala, il ragazzo potè notare una trentina di bellissime fanciulle, vestite con abiti multicolori, di fattura piuttosto audace. Erano quasi tutte pettinate con elaborate acconciature ed i loro visi apparivano molto truccati. L’atmosfera del lavoro era piuttosto leggiadra, con le ragazze che parlavano fra di loro, scherzando, da un tavolo all’altro, con risatine e scherzi, tutto sotto l’occhio vigile di quattro donne, molto anziane, sedute agli angoli della sala, in posizione sopraelevata, come aveva detto loro Syrus, vestite di bianco e così immobili da sembrare quasi finte. Ognuna di esse reggeva una robusto bastone al quale, in quel momento, si limitavano ad appoggiarsi. Appena la porta della sala si era aperta, le ragazze avevano rivolto la loro attenzione all’ingresso e, nel vedere degli estranei e per di più, di sesso maschile, corsero subito, da un tavolo all’altro, voci, gesti, osservazioni e commenti veloci e poi, il silenzio, come in attesa di vedere come in attesa degli eventi. Ilario si sentì fissato da tutti quegli occhi che esprimevano diversi atteggiamenti. Curiosità, fastidio, superiorità, interesse, indifferenza. Era comunque sceso su tutto l’ambiente, un silenzio imbarazzante. Ilario si rese conto di essere stato mandato allo sbaraglio, senza nessuna presentazione o preparazione, come se qualcuno avesse voluto metterlo in difficoltà dall’inizio e immaginò chi dovesse ringraziare per quella difficile situazione. Doveva cavarsela da solo perché, Asha, che pure avrebbe di certo saputo come avviare il contatto, nella sua veste, non poteva assolutamente intervenire. Una delle donne anziane, la più vicina ai nuovi venuti, si alzò, appoggiandosi al bastone e si pose davanti a loro. “Io sono una delle reverende madri addette al controllo e alla protezione di chi lavora in questo luogo – disse la donna con voce ferma ed espressione severa – Siamo state informate del tuo arrivo ed abbiamo accettato di riceverti, pur sapendo che creerai comunque scompiglio nella nostra tranquilla attività. Tu sei tollerato ma il tuo schiavo non è gradito. Tu parlerai alle ragazze solo in gruppo ed a rispettosa distanza. Mai potrai avere con loro contatti ravvicinati. Il tuo lavoro avverrà solo in nostra presenza. Il tuo schiavo non potrà mai avvicinare le ragazze e non dovrà per nessuna motivo parlare con loro, pena una severa punizione”. Ilario, piuttosto seccato per quell’ennesima mancanza di rispetto, si girò verso Asha il quale con un’occhiata gli fece capire che per lui andava bene. Invece, non andava bene per niente, pensava il ragazzo. Erano continuamente sotto controllo, questa volta, addirittura, sotto una pesante minaccia. Non era così che aveva immaginato le cose e, malgrado sapesse bene cosa c’era in ballo, non riusciva ad accettare la situazione. Perciò gli sembrò naturale rispondere:”Reverenda madre, con tutto il dovuto rispetto, prendo atto della vostra situazione e della vostra responsabilità. Non credo però che le condizioni e le restrizioni mi possano consentire di lavorare in modo efficace e produttivo. La severa punizione per il mio schiavo che, indubbiamente sa stare al suo posto, non è ammissibile. Io sono l’unico in diritto di punirlo qualora commetta errori. Forse non vi è chiaro ciò che mi è stato chiesto di fare per cui, al momento, sono costretto a sospendere questo incontro. Domani sarò ricevuto dal re, il quale spero mi fornisca finalmente la spiegazione di ciò che ci si aspetta da me”. Fece un inchino alla donna che era rimasta sconcertata dalla reazione dello straniero ed un altro verso le ragazze che, a quel punto, non aveva osato nemmeno salutare, per non incorrere in qualche trasgressione. Quindi, fatto un cenno ad Asha di seguirlo,si diresse verso la porta, davanti alla quale erano rimasti Tassos e l’altro schiavo. Non sapendo che fare, i due erano fermi davanti all’uscita. “Aprite la porta e scansatevi – disse loro Ilario con tono estremamente deciso. Poi vedendo che quelli esitavano – Aprite!- ripetè in tono che non ammetteva rifiuto. I due uomini, che non sapevano che fare, guardarono verso la reverenda madre che, pur malvolentieri, fece segno loro di lasciar passare i due stranieri. Purtroppo non si erano dimostrati malleabili come le era stato assicurato. Il compito suo e delle altre sorveglianti, non si annunciava per nulla facile. I due ospiti ora erano di nuovo nel giardino e le guardie che li avevano visti uscire così decisi dalla porta, si fecero loro incontro per chiedere spiegazioni. Ilario si limitò a dire che quello era stato solo un incontro per stabilire un breve primo contatto e che solo il giorno seguente, il re, nel corso dell’udienza, finalmente gli avrebbe impartito precise istruzioni circa il suo compito. Quindi chiese di essere riaccompagnato agli alloggi. Il capo delle guardie non trovò nulla da eccepire e quindifece scortare i due ospiti da una pattuglia di soldati. Tornati nel loro appartamento e rimasti soli, Ilario, finalmente, sfogò tutta la sua rabbia mentre Asha cercava prudentemente di calmarlo anche se,pure lui, si era piuttosto adirato per come andavano le cose e si rese conto che solo l’inaspettato, coraggioso comportamento del ragazzo aveva limitato i danni. Cercò di spiegare a Ilario che, in una struttura come quella di una corte, spesso, gli equilibri di potere, erano oltremodo precari e legati a invidie, dispetti, spiate, maldicenze e, chi era riuscito a ritagliarsi un minimo di autorità o di controllo, temeva in ogni istante di perderlo. Figurarsi come poteva essere veduto l’ingresso in una società così pianificata e così ordinata di due barbari, che arrivavano a turbare un ambiente legato ad una attività così importante e critica come la tessitura. Molto probabilmente, tutte quelle persone che avevano incontrato, non ce l’avevano con loro ma temevano, che a causa loro, avrebbero potuto avere noie e questo non lo potevano, non lo volevano, permettere. Fece comunque di nuovo i complimenti al ragazzo per come si era comportato e gli disse che il padre Stoyan sarebbe stato fiero di lui. Impiegarono il resto della mattinata per continuare a sistemare i loro materiale, sapendo che comunque dovevano essere pronti a iniziare il loro lavoro. Dedicarono particolare cura a controllare e preparare al meglio il prezioso regalo per il re e, verificato che fosse tutto perfetto, lo avvolsero con attenzione in una pezza di delicato lino bianco. Verso l’ora del pranzo, sentirono bussare alla porta. Asha andò ad aprire e si trovò davanti i due giovani schiavi addetti alle vettovaglie con i soliti due vassoi e la caraffa del vino. “Bene – pensò– prima vittoria. Ora almeno bussano”. Attaccarono con impegno le vivande che, come al solito, erano sufficienti almeno per quattro persone, senza toccare il vino che, essendo speziato, non convinceva il persiano. Nel primo pomeriggio, per valutare quanto potessero osare nella loro posizione, decisero di uscire e, ad un indeciso capo della guardia, dissero che, se il problema era rappresentato dalla loro sicurezza, sarebbe bastato che venissero designati allo scopo un paio di soldati che, anzi, avrebbero fatto anche da guida. Avrebbero consentito loro di aggirarsi per i quartieri vicini, evitando che commettessero errori. Alla fine, la spuntarono e però chiesero che qualcuno facesse una attenta guardia al loro alloggio perché conteneva un prezioso dono per il re. All’inizio, i soldati della scorta mantennero un atteggiamento distaccato e sospettoso nei confronti dei due stranieri ma poi, proseguendo nella passeggiata,si resero conto che essi erano veramente interessati alle persone, al loro modo di vestire, alle botteghe e alle merci esposte. I due rivolsero molte domande su vari argomenti e, pian piano, il loro rapporto si distese. Il quartiere che stavano visitando in quel momento era posto in posizione periferica, rispetto ai palazzi del potere ma pur sempre all’interno della cittadella. Le persone che avevano incontrato apparivano quasi tutte di buon livello con abiti eleganti ed in ogni caso più che dignitosi e, nelle botteghe, le merci esposte apparivano di ottima qualità. I due stranieri erano evidentemente molto interessati alle stoffe esposte in vendita che erano indubbiamentedi ottima fattura ma, anche le più care, non eccezionali. La loro produzione a Lemno era decisamente di qualità superiore e, forse, era questo il motivo della loro presenza a Troia. Per quanto cercassero, però, non trovarono nulla che avesse a che fare con la seta, e, a parte delle domande molto vaghe, per non destare sospetti, decisero di far cadere l’argomento. Mentre erano davanti ad un negozio, valutando la merce esposta, furono avvicinati da due uomini,dall’abbigliamento abbastanza trasandato che dapprima mostrarono interesse anche loro per le stoffe esposte ma poi, avvicinandosi ad Asha, in particolare, gli dissero, a voce bassa, come per non farsi sentire dalla scorta che era rimasta leggermente discosta, apparentemente annoiata per quella fase del loro giro:”Speriamo che vi troviate bene e che facciate fruttare bene il vostro tempo. In ogni caso vi portiamo i saluti del potente Risto che si preoccupa sempre per voi”. Detto questo si allontanarono dileguandosi velocemente fra la folla. Ilario era rimasto sorpreso e non aveva capito bene il significato di quel breve colloquio, mentre lo aveva capito bene il suo compagno. Risto, o meglio Bemus, gli faceva sapere che non lo perdeva d’occhio un solo istante. Asha pensò che non c’era nulla da fare per il momento. Ne sapeva troppo poco di tutto. Della città, del loro lavoro, di come si svolgevano le cose in quel posto. Come in altri casi, forse, le informazioni, avrebbero potuto salvarlo. Con la scusa che erano stanchi per il lungo tragitto, quindi, consigliò al suo ‘padrone’, di fare sosta presso una locanda, invitando naturalmente la loro scorta alla quale, anzi, chiesero consiglio circa il locale da scegliere. Quelli, dopo una debolissima resistenza, accettarono molto volentieri, con la prospettiva di una bevuta gratis e indicarono subito un locale dove erano piuttosto conosciuti e dove sarebbero stati bene e, soprattutto, il vino era eccellente. I due ospiti, naturalmente, in realtà bevvero pochissimo ed annacquando, per quanto possibile, le loro bevande, cosa che invece la loro scorta si guardò bene dal fare. I soldati non arrivarono al punto di ubriacarsi ma divennero molto loquaci. Confermarono che la milizia, all’interno della cittadella, era composta per lo più da cittadini che, a turno, prestavano servizio per compiti ritenuti a basso rischio. I soldati più addestrati, e di ben altro livello, salvo qualche eccezione, quale, ad esempio, il tempio che custodiva il Palladio, erano quelli che difendevano il porto e le mura esterne della città ed erano agli ordini di Ettore. La zona della filanda era comunque continuamente e pesantemente presidiata. La loro scorta, con i compagni, sorvegliava l’esterno della zona dove si lavorava e dove viveva la maggior parte delle persone coinvolte con l’attività della tessitura. C’era però una zona dove il servizio di controllo e di guardia era affidato ad un corpo scelto, formato da 300 soldati esperti e pesantemente armati, che agivano, eccezionalmente, sotto il comando di Teano. Nemmeno a loro era consentito avvicinarsi. Le ragazze che lavoravano in quel luogo, a volte tornavano alle loro case ma più spesso trascorrevano la notte nella zona dove lavoravano, in un complesso precluso a tutti. Asha, per cambiare discorso, chiese se ci fossero dei poveri a Troia. I due soldati, ci pensarono un poco, come se seccasse loro dover ammettere la realtà.”Ci sono, ci sono – rispose il più anziano dei due – Qui, nella cittadella, non ne vedrete, ma nella città esterna e specialmente al porto, ce ne sono diversi. Sono per lo più persone che non si sono adattate alla vita e alle leggi di Troia e, quindi, sono cadute in disgrazia. Altri hanno violato le leggi e si sono rovinati assieme alle loro famiglie. Poi abbiamo gli stranieri, che sono arrivati qui in cerca di fortuna ma non l’hanno trovata. Non vedrete mai nessuno , però, a mendicare. Non è permesso e la pena è severissima. Per come è organizzata la vita in città, tutti trovano qualche occupazione che consente loro di vivere almeno in modo decoroso”. Alla fine del loro giro, i due ospiti furono riaccompagnati ai loro alloggi. Quella sera, durante la cena, il ragazzo si mostrò molto pensieroso. “Domani – disse alla fine, esprimendo le sue preoccupazioni – dovrò parlare a un re. – Poi, dopo una pausa – E non un re qualunque. A Priamo, nientedimeno! Io, Ilario, il ragazzo di Lemnos, che non ha mai messo un piede fuori dalla sua isoletta. Dovrò porgere i miei omaggi a Priamo! E che gli dico, come mi devo rivolgere a lui?”.”Capisco i tuoi timori. Il fatto che io sarò dietro di te, purtroppo, non ti può aiutare perché a me, in qualità di schiavo, non sarà concesso nemmeno di sollevare la testa. Però ti voglio tranquillizzare, dicendoti che il re è un uomo noto per la sua intelligenza e ti assicuro che penserà lui a metterti a tuo agio. Non ti scordare che ti ha mandato a chiamare e, quindi, è lui che vuole qualcosa da te e ti assicuro che il re sa bene perché sei qui. Di certo pertanto ha dato il suo benestare”.”Beh – rispose il ragazzo – quello che mi dici, effettivamente, mi rassicura un po’. E poi, che può succedere? Che io rovini tutto? In tal caso, ci cacceranno a calci e torneremo prima a casa. A quel punto, ci sarà solo da affrontare l’ira di mio padre ma quella la conosco e so come cavarmela”. Asha rise a quella battuta, per tranquillizzare il suo protetto ma dentro di sé sapeva bene che non era così semplice. Bastava pensare al messaggio che gli era stato trasmesso quella sera stessa. La missione doveva funzionare e lui aveva bisogno di tempo per studiare qualcosa che consentisse loro di cavarsela. Tutti e due passarono una notte agitata e all’alba erano già svegli. In silenzio si prepararono indossando gli abiti adatti per presentarsi ad un re. Ilario si sentiva leggermente a disagio con la tunica lunga che il suo compagno gli aveva fatto indossare. Se l’avesse veduto sua sorella! Toccava continuamente la collanina che gli aveva affidato la madre e che gli dava un certo conforto. Osservandosi nella superficie di bronzo riflettente che c’era nella sua stanza da letto, a stento si riconosceva. La tunica, fermata alla vita da una cintura di pelle chiara ed i fermagli in argento, gli sembrava esagerata per un ragazzo come lui ma Asha gli aveva fatto notare che era il minimo per presentarsi davanti ad un re. Bene, già di prima mattina erano pronti, il regalo per Priamo era pronto. Ed ora? Bussarono alla porta e Ilario, contravvenendo alle regole per via dell’eccitazione, andò ad aprire l’uscio e si trovò davanti Eleno, con i due schiavi che portavano ivassoi per la colazione. Quando questi se furono andati, il troiano chiese al ragazzo:”Non pensavate mica che vi avrei lasciati soli in giorno come questo, vero?”. Senza farsi problemi, si sedette al tavolo e cominciò a fare colazione insieme ai due ospiti. In realtà aveva un modo di fare così spontaneo e naturale, che nessuno ebbe nulla da eccepire.”Visto che nessuno vi ha dato informazioni circa l’evento di oggi – iniziò a dire Eleno – desumo che non vi siate fatti molti amici in questi giorni, anzi, credo che qualcuno ce l’abbia addirittura con voi”.”Di certo si tratta di Teano – disse sicuro il ragazzo. “Non ne sarei così sicuro – rispose l’altro – Teano avrebbe agito in altro modo. Se veramente avesse voluto, voi non sareste mai arrivati qui né avreste conosciuto le ragazze. Comunque, ora questo discorso è secondario. Ora sono qui e a voi ci penso io, quindi state tranquilli”. “Ma abbiamo tempo, signore? – chiese Asha. “Si, abbiamo tutto il tempo – rispose il principe – L’udienza comincia sempre verso la tarda mattinata e all’inizio, Priamo ascolta sempre i suoi consiglieri che lo informano circa il programma della giornata. Poi riceve i suoi figli, ai quali deve comunicare qualcosa o da cui vuole informazioni. E di quelli, nessuno è molto mattiniero. Poi viene il turno dei dignitari e dei delegati delle città vicine e infine riceve quelli, come voi, che abbiano comunque un contatto o un legame con le cose della corte”.”Ma riceve anche il popolo ? – chiese curioso Ilario. “In teoria, si – disse Eleno – ma è difficile e, comunque, non prima che i postulanti abbiano superato una selezione durissima da parte dei funzionari”.”Cosa dovrò dire al re? – chiese ansioso il ragazzo. “Tu niente – rispose il principe sorridendo per l’atteggiamento del ragazzo – Sarai chiamato davanti a lui, da un dignitario addetto a questo compito. A quel punto, ti avvicinerai a capo chino e ti fermerai a circa tre metri dagli scalini che portano al trono. Per indicare il punto preciso, c’è una cornice di marmo scuro che circonda la scalinata. Giunto lì, farai un inchino profondo e attenderai. Sarà Priamo a parlare per primo e tu dovrai solo rispondere in modo essenziale e conciso, senza chiacchiere inutili. E, soprattutto, attento. Al re piace dare l’impressione di essere una persona cordiale, disponibile, quasi amichevole. Non ti fare ingannare. Priamo è re da tanti anni e non tollera essere contraddetto o sentire obiezioni. Sorridi e dì sempre di si. Se il re ti prenderà a benvolere, la tua vita diverrà più facile e più sicura. Bene, siete pronti. E’ ora di andare”. Detto ciò, si alzò e si diresse verso la porta. Asha, preso quasi di sorpresa, di corsa, si precipitò ad aprirla davanti al principe il quale si fermò un attimo e disse al ragazzo:”Il tuo schiavo dovrebbe essere più pronto. E poi, quando bussano alla porta, è sempre lo schiavo che deve aprire, altrimenti qualcuno, qui alla corte, dove certe cose si notano, potrebbe cominciare a farsi delle domande”. E uscì, mentre gli altri due si guardarono in faccia, un po’ sorpresi da quell’osservazione, ma anche grati per come la cosa era stata fatta notare loro, quasi fosse un fatto senza nessuna importanza. Il principe li guidò verso la reggia che era situata appena al di sotto del tempio di Athena. Lungo la strada sorgevano magnifici palazzi con terrazze piene di verde, curate come giardini e ornate di piccole fontane. C’erano molte parti comuni, corredate da eleganti panche di marmo con schienali e braccioli in bronzo lavorato che il ragazzo non aveva mai visto. “Queste – spiegò la loro guida – sono le case dei principi e delle loro famiglie. Priamo gradisce che i suoi figli stiano tutti accanto a lui. Almeno quelli che non hanno scelto diversamente o quelli che hanno incarichi che li impegnano altrove. Ad esempio, l’ottimacarne che hai mangiato questi giorni, proviene da un allevamento speciale, che si trova sul monte Ida e di cui si occupa personalmente il principe Mestore”. Via via che si avvicinavano al palazzo della reggia, Ilario ne notava i particolari. Cinto da un alto muro di marmo bianco, era composto di tre piani. Al pianterreno, gli disse Eleno, c’era la sala del trono, il corpo di guardia e altri locali destinati a riunioni e gestione degli affari della corte. Era difficile che il re non si occupasse di qualcosa e quindi, tutto si doveva svolgere vicino a lui. Al secondo piano c’erano gli appartamenti reali ed al terzo, infine, c’erano gli alloggi destinati alla servitù, ad alcuni funzionari di basso rango e ad eventuali ospiti non importanti. Quelli più importanti, venivano ospitati invece in una costruzione adiacente, separata da un magnifico giardino al centro del quale sorgeva un tempietto con una grande statua di Zeus. Avvicinandosi alla porta centrale presidiata dagli uomini di Ettore, pesantemente armati, la folla si faceva sempre più numerosa. Molti erano lì per i motivi più svariati, nella speranza che fosse arrivato il loro turno per essere ricevuti, in buona parte per chiedere giustizia per qualche torto che era stato loro fatto o per ottenere permessi o concessioni. Forse quella era la loro unica speranza, dopo aver perso tanto tempo a scontrarsi con indifferenti e venali funzionari della corte, senza ottenere nulla. La presenza del principe consentì ai due uomini di superare abbastanza agevolmente i vari sbarramenti sia di folla che di guardie. Superata finalmente la porta di ingresso, si trovarono in una stanza di medie dimensioni dove dei soldati, controllavano quelli che erano stati autorizzatiad entrare. Da lì, un corridoio piuttosto ampio, con bellissime pitture alle pareti, anch’esso sorvegliato da numerose guardie disposte a brevi intervalli regolari, conduceva ad una vasta anticamera, con un pavimento di un prezioso marmo nero,attraversato da sottili nervaturebianco-verdi. Su un lato si apriva un vasto passaggio , munito di pesantitende che però, in quel momento, erano completamente spalancate, e che conduceva sul giardino bellissimo e curatissimo. Al centro si poteva vedere distintamente il tempio di Zeus che conteneva una grande statua del dio. Le pareti della stanza erano decorate da fini mosaici colorati che raffiguravano personaggi mitologici, dei e vedute della città. Apparentemente, però nessuno dei presenti in quella sala, sembrava interessarsi delle pregiate opere d’arte. Malgrado lungo le pareti fossero disposte numerose panche, erano quasi tutti in piedi, alcuni passeggiando nervosamente, altri dondolandosi sulle gambe, tutti, comunque, in attesa di essere ricevuti dal re, convinti a giocarsi le loro carte migliori per ottenere ciò per cui erano lì e per cui avevano dovuto superare chissà quale trafila e quali ostacoli. Ed ora, magari in pochi secondi, chissà dopo quali tempi di attesa, sarebbero stati esauditi o si sarebbero rovinati. Ilario, che di fronte alla novità della reggia, si era un pochino calmato, tornò a farsi contagiare dall’atmosfera dell’ambiente. Il ragazzo notò che un’altra parete era munita di un passaggio, protetto con una pesante cortina di tela rossa,che doveva condurre a qualche altro ambiente. Ogni tanto, uno dei teli della tenda veniva sollevata ed un dignitario, affacciandosi, faceva segno ad uno dei presenti che poteva passare. Eleno disse ai due di seguirlo. Si avviò verso una delle tende laterali e, facendo un cenno ad uno dei soldati di guardia, che subito si scostò, superò il tendaggio seguito dai suoi ospiti. E si trovarono nella sala del trono. Ilario rimase letteralmente a bocca aperta e quasi paralizzato dall’emozione. Mai si sarebbe aspettato ciò che aveva davanti. La sala era molto grande. Al centro, il trono, posto su un’isola rialzata, piuttosto ampia, a cui si accedeva tramite cinque larghi gradini. Ai lati dell’isola, quattro robuste colonne sorreggevano una leggera copertura in legno a forma di tetto spiovente con fregi d’oro. Ai lati di questa zona, erano disposti dei tendaggi di tessuto finissimo che però in quel momento erano aperti. Nella sala, diverse colonne, disposte con uno schema geometrico, consentivano di separare vari spazi con un sistema di cortine per ottenere, all’occorrenza, delle zone riservate. Nella sala erano presenti varie persone. C’erano i postulanti, chini in segno di rispetto, intenti a perorare le loro cause, attentamente sorvegliati da soldati che ad un minimo cenno non avrebbero esitante a sbatterli fuori, c’erano dei funzionari, che a richiesta fornivano, in tempo reale, al sovrano, informazioni e dati circa le questioni che venivano trattate. C’erano membri della famiglia reale, presenti a vario titolo, e poi, naturalmente c’era il re. Priamo era seduto sul suo grande trono di marmo bianco con cuscini e coperture in broccato rosso e oro. Appariva molto vecchio e magro, con dei lunghi capelli bianche ed una lunga barba dello stesso colore, piuttosto rada. Peròquell’uomo emanava un’energia che contrastava decisamente con il suo aspetto e lasciava sconcertati. Era sorprendentemente sveglio, attento e deciso. Indossava una lunga tunica bianca con fregi in argento e sopra, un mantello di broccato dorato. Accanto a lui, in un trono solo leggermente più piccolo, sedeva una donna. Era molto anziana ma conservava una certa bellezza. Aveva dei lunghi capelli grigi, sapientemente acconciati con nastri e gioielli. A Ilario, apparivano come due dei e non riusciva a credere di essere in quel luogo, accanto a quelle figure quasi mitiche. Immaginava il momento in cui l’avrebbe raccontato alla sua famiglia. “Quelli sono i miei genitori – gli sussurrò il principe – Quella è mia madre Ecuba. Mio padre ha preso in realtà una moglie più giovane, Laotoe – e indicò una donna seduta in disparte, lontana dal trono, che parlava e scherzava con alcuni ospiti, palesemente di alto livello, che si trovavano nella sala accanto a lei. Era una donna non giovanissima, piuttosto formosa, vestita elegantemente, e con i lunghi capelli sistemati in una complicata acconciatura. “Il re, però, - continuò Eleno – è talmente attaccato a mia madre, che le ha comunque mantenuto il suo status di regina e Laotoe ha accettato di buon grado la situazione. Ora però, stai bene attento a cosa succede e a quali sono le procedure, così, quando sarà il tuo turno, saprai cosa fare”. Il ragazzo seguì il consiglio della sua guida perché, una cosa è ascoltare delle istruzioni, per quanto semplici, e ben diverso era assistere di persona agli eventi. Fu colpito dal fatto che, nelle vicinanze dei sovrani, non si scorgesse nessun soldato di guardia. Apparentemente in quella sala si sentivano sicuri.Osservò quindi le persone normali, come lui, che si presentavano davanti al re. Prima eseguivano un profondo inchino e poi, rimanendo in quella posizione venivano interrogati da un vecchio dignitario che era in piedi a fianco del re, circa la loro identità ed il motivo per cui si trovavano lì. “Quelloè Antenore – spiegò il principe – E’ il consigliere anziano di Priamo. E’ un brav’uomo e il suo giudizio è sempre giusto e imparziale. Riserva per lui, lo stesso rispetto dovuto al re. A proposito, è il marito di Teano, nessuno è perfetto! – aggiunse sorridendo. Dopo che il postulante aveva esposto il suo caso, il re si rivolgeva al suo consigliere che gli forniva dei dati, dei chiarimenti e forse un parere. Infine il re dava la sua risposta ed il consigliere faceva cenno all’interessato che il suo tempo era finito e che doveva ritirarsi, al che questi, sempre in posizione prona, retrocedeva senza commentare la risposta ricevuta e quindi, a distanza ragionevole, si voltava e senza perdere tempo usciva dalla sala, contento, deluso o arrabbiato per come erano andate le cose. E tutto finiva lì. “Se hai osservato abbastanza, possiamo andare – disse Eleno a Ilario – Ricorda, fermati inchinato dietro di me e non parlare finchè non ti verrà espressamente ordinato di farlo e dì solo il minimo indispensabile. Non ti avvicinare mai al re, a meno che non ti sia ordinato di farlo. E anche in questo caso, con grande attenzione e rispetto. Non vedi soldati ma ti assicuro che sono presenti, abilmente celati alla vista e sono estremamente efficienti e determinati. Quanto a te – aggiunse rivolto ad Asha che recava sulla braccia il dono per il re – seguici ma mettiti in ginocchio dietro di noi, non sollevare mai la testa e non dire una parola”. Appena il postulante che era in quel momento davanti al re fu congedato, fece segno di andare, anche se quasi certamente non era il loro turno. Indubbiamente, essere uno dei figli prediletti del re, aveva i suoi vantaggi. I due ospiti si affrettarono a seguirlo, comportandosi come era stato loro consigliato.Il principe si arrestò ai bordi dell’isola su cui era il trono, chinò lievemente il capo e, rivolgendosi direttamente al re disse : “Padre , se permetti, dopo tante questioni serie, ti vorrei presentare questo ragazzo che hai fatto chiamare dall’isola di Lemno. Non vede l’ora di cominciare a lavorare per te e, pensa, ha persino un dono e sarebbe molto grato e onorato se tu volessi accettarlo”. Priamo, dopo una prima sorpresa per la variazione del programma, sorrise incuriosito, contento per la presenza di uno dei suoi figli prediletti. “Un regalo per me? – e rivolto al figlio – Qual è il suo nome e cosa può fare per me?”.”Padre – rispose ll principe – il suo nome è Ilario, figlio di Stoyan, dell’isola di Lemno. Sembra che sia dotato di una grande maestria nell’arte della tessitura e della decorazione delle stoffe. Per questo è stato invitato qui a Troia, perché trasmetta ad alcuni degli operatori locali la sua arte”.”Si – disse il re – ora ricordo, ho visto i lavori che provengono da quell’isola e sono veramente meravigliosi ed alcuni, mi dispiace ammetterlo, di qualità superiore a quelli che produciamo noi – Poi, rivolto ad Ilario – Sei tu, ragazzo, che li esegui?”. Ilario, che aveva da sempre temuto quel momento, estremamente impacciato, rosso come un peperone, con voce incerta, finalmente riuscì a dire:”Si maestà, almeno credo..”.”Almeno credi? – ripetè Priamo con voce piuttosto divertita dall’atteggiamento impacciato di quel ragazzo. Pensò che se, come era evidente, si era conquistato la simpatia di Eleno, doveva trattarsi di una persona valida e a posto, seppure in questo momento, a causa della situazione insolita in cui si trovava era estremamente in difficoltà. “Stai tranquillo – riprese il re – se sei arrivato fin qui davanti a me, vuol dire che sei la persona giusta ed io apprezzo molto quelli che non si vantano solo per mettersi in mostra – e gettò un’occhiata molto significativa verso diverse persone che stazionavano accanto al trono. Quello che sai fare ce lo dimostrerai, va bene?”.”Si maestà – rispose il ragazzo che aveva riacquistato un minimo di controllo. “Ma ora – disse Priamo – fammi vedere il dono a cui ha accennato Eleno. Sono proprio curioso”. Ilario si girò verso Asha e prese dalle sue braccia l’involto di lino bianco che questi gli porgeva poi, invitato da Eleno, si accostò alla base dei gradino porgendo il dono con le braccia tese in avanti. “Questo ve lo invia mio padre Stoyan, sperando di farvi cosa gradita, con la preghiera di accettarlo. “Beh, ma cos’è? – chiese il re. Ilario, seppure impacciato, si sbrigò a disfare con attenzione l’involto, liberando uno splendido mantello di broccato color porpora, con dei magnifici e complicati ricami in argento. La bellezza dell’oggetto sollevò l’ammirazione dei presenti che potevano apprezzarne appieno la bellezza ed il valore. Perfino il re, rimase un attimo sorpreso per la bellezza e l’indubbio talento legato a quel manufatto. Poi, subito dopo, disse: “Lo voglio provare.– E alzatosi, aggiunse – Ragazzo, portamelo qui!”. Ilario, indeciso, non sapeva cosa fare. Aveva ricevuto l’ordine di non avvicinarsi al re per nessun motivo, ma se era lui stesso a chiederglielo? “Allora? – disse Priamo con impazienza – Devo venire io a prenderlo?”. “Perdonate maestà – rispose il ragazzo, sempre più confuso, mentre saliva incerto i gradini verso il trono. Temeva di aver capito male, di sbagliare e di sentirsi piombare addosso i soldati di guardia. Comunque si fermò a breve distanza dal re porgendo il mantello con le braccia in aventi e la testa china. Priamo fece un rapido gesto ad uno schiavo che era dietro il trono il quale lo aiutò a togliersi il mantello che portava, per indossare quello nuovo ricevuto in dono. Intanto Eleno aveva richiamato l’attenzione del ragazzo, facendogli segno di ritornare in basso, cosa che egli fece prontamente, ricordandosi di non voltare mai le spalle. “Come mi sta?- chiese Priamo alla moglie Ecuba, pavoneggiandosi nel suo nuovo indumento. “E’ bellissimo, veramente bellissimo – rispose questa. E poi rivolta al ragazzo, chiese – L’hai fatto tu?”. “Io ho solo progettato ed eseguito i ricami, signora – rispose questi, leggermente più calmo. “Sono bellissimi e di squisita fattura – disse la regina. Poi, rivolta al ragazzo gli disse sorridendo – Conto che durante la tua permanenza ne farai un altro anche per me”.”Si, certo, - intervenne il re – ma non bello come questo! – aggiunse scherzando – Da domani inizierai a lavorare. Procedi a tua discrezione e, fra due settimane, tornerai per illustrarmi i progressi delle mie ragazze. Sei il benvenuto e, se dovessi avere problemi, trova il modo di farmelo sapere, magari tramite Eleno, che sembra averti preso sotto la sua protezione”. Poi, tornò a sedersi e il ragazzo si sentì tirare per la tunica. Era il principe che gli segnalava che il suo tempo era scaduto. Tutto il gruppetto, quindi, si allontanò retrocedendo fin quasi alle tende e poi uscì dalla sala. Il ragazzo era ancora frastornato per quello che era accaduto e chiese al principe come era andata. Lo stesso Eleno, appariva turbato.Era stato sorpreso anche lui dall’atteggiamento particolarmente bonario del re nei confronti del ragazzo, invitandolo ad avvicinarsi a lui e consentendogli di parlare con la regina, cosa che non era consentito quasi a nessuno. Era evidente che aveva voluto mandare un segnale forte a qualcuno. Il ragazzo, non si toccava. “Direi benissimo – rispose – Il re, con il suo atteggiamento ti ha mostrato una grande benevolenza, come per ribadire che finchè resterai a Troia, sarai un suo protetto e nessuno, a questo punto, avrà il coraggio di toccarti. Quello che è accaduto, si saprà in fretta, ma ti dico già che, per come sono andate le cose, hai destato l’invidia e a rivalità di almeno la metà delle persone che oggi erano in quella sala”. Ilario non sapeva se credere al principe ma era comunque contento di avere superato quella primaprova che lo aveva preoccupato molto e che Priamo avesse gradito il dono. In realtà si trattava di un manufatto che era stato preparato per un importante personaggio di Atene che aveva effettuato l’ordine a suo tempo ma poi, per qualche motivo non aveva più avuto l’opportunità di pagarlo e, poichè Stoyan, visto il valore dell’oggetto, non aveva accettato di cederlo a credito, aveva rinunciato al suo mantello. Era stata una fortuna perché altrimenti, visto il brevissimo preavviso, non avrebbero saputo cosa usare per un adeguato regalo al re di Troia.Il mattino successivo, di buon’ora, dopo che ebbero bussato alla porta dell’appartamento, Asha si trovò davantiTassos ed il suo inseparabile compagno che dissero loro di muoversi perché il lavoro li attendeva. Il persiano, vista la malagrazia dei due schiavi, rispose con lo stesso tono che il suo padrone stava terminando la sua colazione per cui disse loro di scendere in strada ed attendere. Poi sbattè loro l’uscio in faccia. “Non avrai esagerato? – chiese il ragazzo che in realtà aveva già finito di mangiare. “No, sta tranquillo – rispose il suo compagno – quei due vanno messi a posto. Anzi, dovremo trovare il modo di liberarcene perché se, come credo, ci staranno addosso tutto il tempo con il compito di spiarci, saremo in chiara difficoltà a portare avanti il nostro piano”. Quando scesero, trovarono i sue schiavi ad attenderli e dicendo che non era più necessaria la scorta, li invitarono a seguirli. Ilario sapeva che la loro condizione era cambiatapoiché, di certo, ciò che era accaduto durante l’udienza del re, si erasaputo in fretta. Ora lui era ufficialmente un incaricato a servizio di Priamo e questo gli avrebbe reso possibile muoversi con maggiori possibilità. I soldati di guardia alla porta della filanda, riconosciutili, li fecero entrare senza problemi. Giunti nella sala dove erano le ragazze, i due schiavi si andarono a sederesu due sedie al lato della grande stanza, lasciando i due nuovi venutidavanti al loro pubblico. Al loro ingresso, l’attività si era quasi arrestata e le ragazze guardavano con grande interesse Ilario. Più di una fece dei rapidi commenti a bassa voce che provocarono delle risatine da parte delle altre. Una delle presenti, però, che si distingueva perché completamente vestita di bianco, pareva indifferente a ciò che accadeva intorno. “Perché ci siamo fermate? E che ci fa qui,questo zotico?”. Non era di certo la più bella, ma aveva qualcosa che attirava l’attenzione. Le reverende madri, in silenzio, fissavano i due nuovi venuti con uno sguardo freddo, quasi astioso, come se per il capriccio del re, dovessero sopportare l’ingerenza di quei due stranieri. Ilario prese atto che effettivamente alcune delle ragazze erano veramente bellissime e, come la volta precedente non potè fare a meno di notare il pesante ed elaborato trucco della maggior parte di loro, unito al fatto di un abbigliamento piuttosto disinibito. Per qualche istante, non seppe che dire, temendo di fare una ben meschina figura davanti a quelle rappresentanti della nobiltà troiana. Si accorse che stava arrossendo e che le gambe leggermente gli tremavano. Per un istante, si pentì di aver accettato e sentì che avrebbe voluto non essere lì in quel momento. Fu proprio in quella, nel silenzio generale, che Tassos disse al suo collega, con un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire da tutti:“Cosa potrà mai insegnare qui, questo bifolco?”. Queste parole ebbero per il ragazzo, l’effetto di una frustata che lo fece reagire molto energicamente e, ricordando ciò che gli aveva detto Priamo il giorno precedente, decise di giocare il tutto per tutto. Con una voce ferma e decisa che nessuno si sarebbe mai aspettato , esclamò : “Questo bifolco viene da un’isola vicina, l’isola di Lemno, da dove è stato chiamato dal vostro re, perché possiede un livello di abilità, nel campo della tessitura, che evidentemente voi ancora non avete raggiunto. Perciò, d’ora in poi, esigo il rispetto dovuto a coloro che vengono a condividere il loro sapere. – Fece una pausa e guardò le ragazze ad una ad una negli occhi con tale severità che furono loro ad abbassare lo sguardo, meno una, che era quella che l’aveva gratificato con l’appellativodi zotico. Un vero osso duro ma il ragazzo pensò che se fosseriuscito a conquistare il suo rispetto o almeno la sua attenzione, avrebbe goduto di un buon vantaggio. Poi,rivolto ai due schiavi,con lo stesso tono perentorio disse:”Quanto a te, pezzo di farabutto che hai osato insultarmi, fuori di qui, assieme al tuo degno compagno! Non vi voglio più vedere e sbrigatevi, altrimenti ordinerò al mio schiavo di cacciarvi a frustate!”. Tassos ebbe un moto di ribellione ma poi si rese conto che tutti lo stavano guardando e valutando il suo comportamento. Era pur sempre uno schiavo, ma quel maledetto ragazzo l’aveva messo in una situazione in cui non poteva reagire come avrebbe desiderato. Per cui, moderando con grande sforzo il tono della voce, rispose:”Ma signore, noi non possiamo uscire, non possiamo lasciare le ragazze con due uomini e per di più stranieri”. “Io vedo quattro reverende madri,ben capaci di mantenere l’ordine e poi vedo davanti a me almeno quaranta persone fra ragazze e ragazzi, molte delle quali più forti e più robuste di me. Chi credete sia in maggior pericolo loro o io?”. Dal gruppo delle ragazze si udirono risatine e commenti sottovoce. “Fuori! – intimò di nuovo Ilario – e fece segno ad Asha di farsi avanti. Quest’ultimo raccolse una piccola verga che serviva per rinforzare e tenere tesi i tessuti che venivano realizzati sui telai e si mosse verso i due che, guardatisi in faccia, decisero di andarsene fuori. Naturalmente sarebbero rimasti nei paraggi, pensando, magari al modo di fargliela pagare. Tassos non sapeva come si sarebbe potuto giustificare con la sua padrona per lo sviluppo delle cose. Lei gli aveva ordinato di non perdere di vista un attimo i due ospiti e, pertanto, aveva ordinato di non esagerare. Ed ora, invece, si era fatto addirittura cacciare. Nel silenzio che era seguito alla scena, Ilario guardò verso le reverende madri in cerca di una reazione ma non ne vide alcuna. Di certo, erano loro il vero strumento di controllo. La presenza di quei due lazzaroni avrebbe solo contribuito ad alimentare un’atmosfera di disturbo e fastidio. Quindi, rivolto alle ragazze disse: “Signore, credo che ora possiamo cominciare. - Si sentiva tranquillo. Tassos alla fine gli aveva fatto un favore perché gli aveva prodotto la reazione adatta per presentarsi nel modo giusto. – Vediamo di ricominciare con le dovute maniere. Mi chiamo Ilario, vengo dall’isola di Lemnos. Mio padre possiede un impianto tessile, nel quale facciamo praticamente tutte le lavorazioni. Sembra che alcuni dei nostri prodotti abbiano impressionato favorevolmente i vostri concittadini per cui ci è stato chiesto di venire qui a mostrarli a voi, che siete, a quanto so, le più abili filatrici della città”.”E’ per questo che ci hanno insultato, inviandoci il garzone di bottega – disse rivolta alle sue colleghe la solita ragazza. Ma Ilario non si fece impressionare. Ormai aveva trovato l’atteggiamento giusto. “E’ vero. Sono giovane. Ho solo sedici anni – rispose – Sono stato ragazzo di bottega perché è così che si comincia. Tutti. – e osservò le persone davanti a lui. Se volevano capire… - Ho imparato il mestiere, ho studiato, mi sono appassionato e sono diventato piuttosto bravo. L’anno passato, assieme ad un nutrito numero di aspiranti, mi sono presentato alla commissione di valutazione dei massimi esperti di tessuti della Grecia che si riunisce ogni anno a Corinto, con lo scopo di valutare il livello di preparazione degli operatori del settore. Dopo una serie di difficili prove, assieme a soli due altri partecipanti, ho ottenuto la qualifica ufficiale di ‘Zoographoi’, ossia tessitore provetto. Ora credo che questo mi conferisca il diritto di pensare di poter insegnare qualcosa a qualcuno qui dentro”.”Non a me – disse sprezzante la ragazza vestita di bianco – se il re non giudica più all’altezza il nostro operato, ce lo faccia sapere e saremo liete di servire la città in altro modo. – Si alzò e con passo deciso, guadagnò una porta laterale, abbandonando la stanza”. “Peggio per lei – rispose calmo Ilario. Le altre ragazze, sembrarono non accorgersi di quanto era accaduto, probabilmente abituate ai comportamenti bruschi di quella persona. Dopo le garbate parole del ragazzo, avevano mutato il loro cauto silenzio in un atteggiamento di interesse e simpatia. Alcune di loro, gli rivolgevano addirittura degli sguardi maliziosi e sussurrando, si scambiavano a bassa voce brevi commenti che provocavano risatine e rossore del viso. “Lui – proseguì Ilario, facendo finta di non notare nulla – si chiama Asha. E’ il mio schiavo, anzi è il mio migliore aiutante e collaboratore. Mi darà una mano a portare avanti il mio impegno. Non interagirà mai con voi e non avrà nessun contatto. A meno che non siate voi a prendere l’iniziativa e, comunque, sempre con il permesso delle reverende madri”. Una delle sorveglianti, apparentemente la più anziana, battè con forza il bastone al suolo più volte, indubbiamente per richiamare l’attenzione e richiedere silenzio. Era magrissima e la cosa era evidenziata dalla strettissima cintura in pelle chiara, ornata da una fibbia d’oro a forma di civetta, che le cingeva in vita la lunga tunica bianca. La pelle del viso appariva incartapecorita ma lo sguardo era vivissimo e incuteva rispetto. Alzatasi, fece due passi avanti e, rivolta al ragazzo, disse: “Sono Artemia, sacerdotessa di Atena, così come le altre tre donne che vedi. Siamo addette a sorvegliare il lavoro che viene svolto e le persone che operano qui, nessuno escluso – e fece vagare lo sguardo sulle ragazze ed i ragazzi molti dei quali abbassarono gli occhi – Siamo state avvertite del tuo arrivo. Svolgi bene e correttamente il tuo lavoro e noi non interverremo. Non molestare le ragazze, non prenderti libertà con loro, te la vedresti con me. Il tuo schiavo è a malapena tollerato quindi, dovrà essere quasi invisibile e non dovrà, ripeto, non dovrà, per nessun motivo, avvicinarsi alla ragazze e tantomeno interagire con loro. Tu ti rivolgerai a noi sempre chiamandoci ‘reverenda madre’”. Si girò per tornare al suo posto. Poi sembrò ripensarci e rivolta al ragazzo, aggiunse:”Quanto a quei due che hai scacciato ti sei preso una eccessiva libertà, considerato che questa è casa nostra ma, l’unico motivo, per cui non siamo intervenute, è che quei due non ci sono mai piaciuti. Purtroppo, sapendo chi hanno dietro le spalle, non abbiamo mai protestato. L’iniziativa è stata tua e tua è la responsabilità. Ora, inizia il tuo lavoro e vediamo se sei capace veramente di fare qualcosa o se sei solo uno sbruffone”. Detto questo tornò al suo posto e rimase in attesa, come tutti gli altri presenti. “Bene – disse Ilario – per sapere da dove cominciare, vorrei vedere dei vostri lavori per capire dove vi posso aiutare e dove invece siete più cheindipendenti”. Le ragazze, scambiandosi rapide occhiate, si mostrarono subito disposte a farsi avanti, a malapena tenute a bada dai richiami delle reverende madri. Ilario, come aveva prospettato, era lui che doveva difendersi dall’impeto e dall’entusiasmo dei suoi allievi. Questi, con lo scopo di mostrare il loro lavoro si avvicinavano al nuovo venuto, spesso anche troppo, con frequenti contatti più o meno accidentali e maliziosi. Ilario si rese ben conto che le ragazze stavano in certo qual modo giocando con lui, ma cercava, ciononostante, di mantenere la sua concentrazione su quello che gli veniva mostrato e ciò che gli veniva detto. Sapeva che quell’atteggiamento derivava dal fatto che lui, in quel momento, rappresentava la novità, la nota diversa, la curiosità. Solo questo, e non si faceva di certo illusioni.Asha, per evitare guai, si teneva ben lontano dalla mischia, seppure tentato di dare una mano al suo compagno. Quest’ultimo, ebbe comunque modo di valutare il lavoro che si svolgeva fra quelle mura. Di buon livello ma non certo eccezionale. Arrivò alla conclusione che i tessitori più abili non si trovavano lì. Probabilmente i migliori erano addetti alla lavorazione della seta, e comunque non in quel posto. Quasi certamente, operavano nella zona che era preclusa per loro. Ilario, d’accordo con il suo compagno, decise di iniziare dal ricamo. Le ragazze erano piuttosto abili ma, lui aveva un’arma segreta, ossia, gli attrezzi che si era fatto appositamente costruire o aveva realizzato da solo sull’isola. Si trattava di una serie di uncinetti e aghi fabbricati con un metallo rarissimo, detto il metallo delle stelle perché veniva spesso ritrovato in grossi sassi che gli dei facevano piovere dal cielo. Il ragazzo aveva un buon metodo per spiegare le cose, che piaceva molto ai suoi allievi perché parlava con semplicità ma anche competenza, dimostrando di conoscere bene il fatto suo. In realtà, malgrado fosse sostenuto dalla sua passione, a smentire ciò che aveva detto la ragazza che poi si era allontanata, possedeva anche una buona cultura. Infatti suo padre, Stoyan, prevedendo per lui una importante carriera che lo avrebbe portato a viaggiare e conoscere clienti di alto livello, aveva preteso che avesse una notevole istruzione e, per ottenere questo, lo aveva messo in competizione con la sorella minore Maia, che si era rivelata intelligentissima e portata per lo studio e, quindi, una degna rivale. Intanto, Asha, che si doveva tenere in disparte, approfittava per osservare, con occhio attento, tutti gli ambienti a cui riusciva ad avere accesso, per trovare qualche indizio relativo alla loro missione ma, ancora, non aveva scoperto nulla. Ilario stava organizzando il lavoro mentre conosceva meglio i suoi allievi. Stava imparando i loro nomi e le loro posizioni sociali. Molti eranoi figli e le figlie del re e della regina Ecuba, l’unica che gli aveva dato figlie femmine. Infatti Priamo dalla prima moglie, Arisbe, ripudiata, aveva avuto solo un figlio maschio, Esaco, ormai piuttosto grande di età, trasferitosi sul monte Ida per stare vicino a sua madre. Dalla terza, invece due maschi, Licaone e Polidoro, entrambi troppo giovani e comunque più interessati all’uso delle armi. Non riusciva però a sapere chi fosse la ragazza che lo osteggiava così tanto. Alle sue richieste, veniva risposto con diniego o semplicemente cambiando discorso. Poi qualcuno gli disse che era meglio lasciar stare, e non fare domande in proposito. Qualcun altro, gli sussurrò di stare attento perché il vero pericolo non erano le reverende madri ma lei. Insomma una sorta di spia, una serpe velenosa. Chi l’aveva sfidata, seppure figlio di re, non ne era uscito bene. Il terzo giorno di lavoro, senza dire una parola, la ragazza vestita di bianco, ritornò e, seduta a suo posto, riprese la sua attività esattamente da dove l’aveva lasciata, estraniandosi totalmente da ciò che le avveniva attorno e Ilario, che non andava certo in cerca di seccature, la ignoròa sua volta. I nuovi attrezzi personalizzati che il ragazzo aveva mostrato ai presenti, erano stati molto apprezzati e alcuni di loro, quelli più capaci, comprendevano quale fosse la potenzialità di quegli strumenti e proposero di farli replicare da alcuni artigiani locali di riconosciuta abilità. Dopo una settimana trascorsa praticamente a guardare, Asha decise di divertirsi un po’. Fece richiedere dal ragazzo la disponibilità di un luogo adatto per ricreare il loro color porpora, allo scopo di disporre di tessuti di quel colore, per portare avanti il lavoro con gli allievi. I Troiani risposero immediatamente in modo positivo ed, anzi, misero anche a loro disposizione due schiavi esperti nel campo delle tinte, nel caso avessero ‘bisogno di aiuto’. Quando fu tutto pronto, i due ospiti si recarono con tutti i loro ingredienti segreti nel luogo che era stato messo a loro disposizione dove c’erano, fra l’altro due grandi vasche una delle quali costruita in modo tale da poter scaldare ciò che ci veniva messo dentro, magari durante i passaggi intermedi della lavorazione. Vennero subito raggiunti da due uomini anziani, con la livrea degli schiavi del palazzo reale, che si misero a loro completa disposizione. L’aspetto particolarmente ben curato dei due uomini, mise subito in sospetto Asha che, data un’occhiata al ragazzo che assentì, decise di capire se si era sbagliato nella sua valutazione. Per cui, preso il comando delle operazioni dette ai due degli ordini bruschi e pesanti. Quelli obbedirono ma, dalle loro reazioni, il persiano si convinse che aveva a che fare non con due schiavi ma con due spie non abituate a lavorare in modo pesante e, soprattutto, agli ordini di uno schiavo. Meglio, si sarebbero divertiti di più. “Ma guarda che razza di fannulloni ci hanno mandato – disse al ragazzo – Abbiamo chiesto un aiuto e ci mandano questi due. Non va affatto bene. Per noi, ve ne potete anche andare!”. Sui volti dei due uomini comparve un’espressione di ansia e preoccupazione. Chissà cosa sarebbe successo loro, se avessero dovuto confessare a chi li aveva inviati, che erano stati addirittura cacciati per non essere stati all’altezza della situazione. “Signore – disse uno dei due ad Asha che pensò che per chiamare lui, uno schiavo, signore, dovevano essere proprio terrorizzati all’idea di fallire nel compito a loro assegnato – Chiediamo scusa, non avevamo capito. Diteci cosa dovremo fare e noi lo faremo, subito”. Il persiano non chiedeva di meglio. Quelli avrebbero fatto qualsiasi cosa per svolgere la loro missione di scoprire il segreto del colore. Asha sapeva bene che i necessari ingredienti erano già stati individuati e prelevati durante la perquisizione illecita che era stata fatta ai lorobagagli. Almeno così pensavano i Troiani. Perché, in realtà, non avevano messo le mani sul componente che i due portavano occultato nelle loro bisacce, dalle quali non si erano mai separati. Ora dovevano scoprire la procedura. Ilario ed il suo compagno decisero di mettere in scena la commedia. Fecero eseguire ai due schiavi una serie di numerose azioni, anche complesse, durante le quali venivano miscelati più componenti con effetti molto lontani da quelli attesi. Alcuni passaggi, erano tanto inutili quanto faticosi. Poi Asha fece portare ad ebollizione il liquido di una delle vasche. Fingendosi preoccupato, disse ai due schiavi che il segreto della riuscita del processo era nella alta temperatura che doveva essere raggiunta e inviò i due a prendere altra legna, di corsa. Appena questi si furono allontanati, versò nel composto la giusta dose del vero componente segreto. Quando i due tornarono stanchissimi e carichi di legna, trovarono che il processo era in realtà terminato e andato a buon fine. Ora la tinta doveva solo freddarsi e sarebbe stato possibile utilizzarla. Il ragazzo disse ai due uomini che, alla fine, si erano comportati bene e che se fosse servito, li avrebbe fatti richiamare. Poi, per completare la commedia, su indicazione di Asha dette ad ognuno di loro una piccola mancia. Quelli si guardarono in faccia come se fossero sorpresi, ma poi, ringraziando, se ne andarono, praticamente distrutti dalla fatica ma sicuri di aver carpito il segreto. Come avevano fatto quei due ingenui a fidarsi di loro? I due ‘ingenui’ attesero che i troiani si fossero allontanati e poi, dandosi delle gran pacche sulle spalle, iniziarono a ridere a crepapelle ripensando ai momenti d’inferno che avevano fatto passare a quelle due spie. Alle volte che, per eseguire i loro ordini strampalati si erano ustionati, o avevano dovuto sollevare pesi tremendi o quando, ad uno di loro, era stato ordinato di entrare nella vasca per agitare meglio la soluzione, ne era uscito tinto di giallo fino alla cintola. “E tutto per niente! – commentò Ilario. Quando avrebbero tentato di replicare il processo avrebbero ottenuto una sorta di zuppa maleodorante di un colore terribile. “Si però – disse l’anziano – non dimenticare che noi non siamo meglio di loro. Anche noi abbiamo uno scopo e se ci va male, ci troveremo molto peggio che con una zuppa maleodorante”. La considerazione li fece tornare seri ma poco dopo il ragazzo ritornò a ridere, imitato dal persiano, mentre ritornavano al loro alloggio.
Due giorni dopo, Ilario ed il suo compagno, poterono osservare il tessuto tinto con il loro colore. Era perfetto. Nessuno, quindi, poteva asserire che il processo non aveva funzionato. Ora il ragazzo, in attesa che venissero messi a punto dei nuovi utensili, stava illustrando i metodi per progettare e disegnare delle trame piuttosto complesse che poi avrebbero dovuto essere realizzate al telaio. Osservò che, comunque i Troiani potevano disporre di filati di qualità eccezionale, molti dei quali provenienti da paesi lontani dell’est, come pareva fosse anche per la seta ma, di quella, ancora nessuna traccia. Gli allievi rispondevano bene nel corso degli incontri e,a parte degli scherzi, delle sottili allusioni e veloci sguardi, le ragazze, in particolar modo, si mostrarono veramente abili e capaci di apprendere al volo le nuove nozioni. Ora Ilario capiva perchè il re non voleva perderle. Al termine di un turno di lavoro, quando ormai tutti erano usciti dalla sala delle lavorazioni, comprese le reverende madri, il ragazzo si era attardato per sistemare gli attrezzi e mettere a posto dei filati utilizzati quel giorno, aiutato da Asha. Furono molto sorpresi quando udirono una voce dietro di loro che chiese, con aria di scherno e rimprovero:”Vi siete divertiti a prendere in giro quei due disgraziati?”. Quando si voltarono, di scatto, si trovarono davanti la ragazza vestita di bianco che, con le mani sui fianchi, li fissava con astio. “Senti chi parla – rispose Ilario, sorpreso del fatto che la ragazza che aveva sempre mantenuto le distanze, ora fosse lì, davanti a loro e, per lo più, da sola, con il rischio di metterli nei guai- Noi abbiamo chiesto aiuto e quando ci hanno mandato quei due schiavi, li abbiamo utilizzati, tutto qui”.”Sapete benissimo che quelli non erano due schiavi. Erano due dei nostri migliori esperti di tintura, incaricati di carpire il vostro segreto”.”Dal tono di voce che usi – rispose il ragazzo – direi che non ci sono riusciti. Ma di certo hanno assistito a tutto il processo, anzi hanno eseguito loro stessi le fasi più delicate della procedura”.”Si certo, per preparare forse una zuppa di ceci. Di chi è stata l’idea? Tua o di quell’altro? – e indicò il persiano che si era tenuto prudentemente a distanza, fingendo di sistemare del materiale. “Senti – le disse il ragazzo – la tinta funziona. Là c’è il tessuto che è stato preparato ed è disponibile per le lavorazioni che inizieremo domani. Se non ti fidi di noi, vieni tu stessa ad aiutarci e vedrai che non ti nasconderemo nulla!”.”Certo – rispose quella – e così, mentre voi farete la vostra magia, a me, magari, farete preparare una bella zuppa di cavoli!”.”Magari viene anche buona! – rispose di getto il ragazzo, non riuscendo a trattenere le risate che contagiarono anche Asha. ”Siete… siete, due farabutti! – disse la ragazza con astio, andandosene. “Se la ragazza sa tutto - fece presente Asha, quasi se pensasse ad alta voce – vuol dire che da qualche parte ne hanno parlato, dopo aver provato a replicare la mistura senza successo. Se sapessimo finalmente chi è veramente quella giovane, sapremmo anche dove e a che livello è stato affrontato l’argomento”. “L’importante – rispose il ragazzo – è che, per ora, il nostro segreto sia ancora al sicuro. Limitiamoci al nostro lavoro e aspettiamo semplicemente che qualcuno ci contatti, come nel piano originale”. Il persiano assentì, dubbioso, ma tenne le sue riserve per sé. Non voleva far sapere al suo compagno gli sviluppi che la cosa aveva preso. Ossia che Thais, probabilmente sotto tortura, aveva rivelato tutto e che era morto, privandoli della eventuale via di fuga, prospettata nel caso che qualcosa fosse andato storto. Chissà, forse il loro contatto si era spaventato e non si sarebbe fatto vivo. Ma per ora, il ragazzo meno ne sapeva, e meglio sarebbe stato. Non aveva senso farlo preoccupare inutilmente mentre lui cercava disperatamente di trovare una soluzione. Nei giorni seguenti, comunque, continuò a cercare di scoprire qualcosa che avesse a che fare con la loro vera missione. Parlando con i suoi ‘colleghi’ schiavi ed alcune delle guardie, aveva saputo che dietro al locale nel quale avvenivano le attività legate alla tintura dei tessuti, sorgeva una specie di roccaforte, con delle mura di cinta alte come quelle del palazzo reale. Si vedevano nella costruzione delle finestre ma solo al piano più alto. Le mura erano strettamente sorvegliate da truppe speciali, agli ordini di Ettore, che spesso andava a controllare la situazione. Due soli varchi di ingresso, protetti da porte solidissime, facevano di quella costruzione un fabbricato quasi inespugnabile, che, apparentemente, non avrebbe avuto nessun motivo di esserlo se non per proteggere qualcosa di segreto e di prezioso. Ilario, per l’udienza con il re, nel corso della quale avrebbe dovuto parlare del suo lavoro e dei progressi fatti, aveva preparato un taglio di stoffa colorata con una fantasia particolarmente complessa, che aveva messo a punto con gli allievi. Il disegno era ulteriormente impreziosito da sottilissimi fili d’argento inseriti nella trama, che era la vera novità rispetto al lavoro che i ragazzi normalmente svolgevano. Un ottimo risultato. Anche stavolta, il ragazzo venne accompagnato da Eleno che, chissà per quale motivo, lo aveva preso sotto la sua protezione. Stavolta, però, ad Asha non fu consentito di entrare nel palazzoe così, lui fu costretto ad attendere fuori assieme a degli altri ‘indesiderati’, con i quali, però, attaccò presto discorso, apprendendo molte notizie interessanti. Come la volta precedente Eleno ed il suo protetto, si posizionarono dietro una tenda, da dovepotevano comunque vedere comodamente il trono e ciò che accadeva intorno a loro. Il principe, richiamò l’attenzione di Ilario su due figure accanto al re. Uno era alto, robusto e slanciato. Aveva un bel viso, intelligente, incorniciato da una folta capigliatura bionda e riccia. Vestiva semplicemente con untunica che gli arrivava a mezza coscia ed un corto mantello marrone, senza particolari ornamenti o gioielli. L’altro era più basso, più robusto ma il viso aveva dei lineamenti delicatissimi, veramente bello. Anche lui aveva un’espressione sveglia ma il suo abbigliamento era più ricercato, più curato dell’altro. Portava inoltre diversi anelli ed al collo aveva una catena d’oro, da cui pendeva un grosso rubino. Eleno disse al ragazzo che quelli erano i due figli prediletti del re. Il primo era Ettore che, pur non essendo il figlio più grande, sembrava fosse destinato a succedere al padre e che, per ora, aveva la carica di capo dell’esercito, che ricopriva con grande impegno ed efficacia. L’altro era Paride e Ilario, nel saperlo, rimase molto colpito. Quello era il famoso Paride, quello del rapimento, praticamente una leggenda, della quale si parlava la sera attorno al fuoco ed ora era qui, davanti a lui ed il ragazzo si sentì come se fosse anch’egli una parte di quel mondo fantastico. In quel momento, i due stavano parlando con il padre che, a sua volta, si rivolgeva spesso al suo consigliere Antenore ma non si capiva cosa stessero dicendo. Il re sembrava essere molto contrariato ed il ragazzo pensò che quello non fosse un buon momento per farsi avanti ma Eleno, che conosceva suo padre, lo trascinò letteralmente fuori da dietro la tenda ed , effettivamente, Priamo, che aveva notato il movimento, nel vederli, mutò subito espressione. “Oh, finalmente – disse – dei volti amici. Con buone notizie, spero. – e si rivolse un’occhiata molto allusiva ai suoi figli. Poi, di nuovo ai novi arrivati, con atteggiamento diverso – Ditemi qualcosa di bello!”. “Padre – disse Eleno inchinandosi mentre si avvicinava al trono – Voi sapete che è un’immensa gioia già potervi incontrare, con tutto il da fare che avete. Il mio nuovo amico e vostro protetto, secondo il suo impegno, ha qualcosa da mostrarvi – e volgendosi fece segno ad Ilario di avvicinarsi. Il ragazzo, un po’ più tranquillo rispetto alla volta precedente, si appropinquò e si fermò davanti agli scalini che conducevano al trono. A quel punto, sollevò le braccia su cui recava un esteso taglio del tessuto realizzato e sempre con il capo chino, disse:”Maestà, ciò che vi reco è stato realizzato dalle ragazze di Troia, con il mio modesto consiglio e aiuto. Sarei molto onorato, sapendo la grande competenza che avete nel ramo, se vi degnaste di dare un giudizio in merito”. “E cosa aspetti – disse il re sorridendo. Non sapeva perché, ma quel ragazzo lo metteva di buon umore e, con le notizie che circolavano, ne aveva veramente bisogno - Portamelo qui, che lo possa vedere”. Il ragazzo percepì il mormorio dei presenti ma non osò disobbedire perciò, molto agitato e rosso in viso, salì i gradini che aveva davanti e giunto a circa un metro di distanza da Priamo, sempre in posizione china, dispiegò il tessuto perché l’altro lo potesse osservare. Avvicinandosi al re, Ilario, inavvertitamente era passato davanti ad Ecuba alla quale, senza pensare, aveva detto :”Chiedo scusa, maestà” e quella aveva risposto con un lieve sorriso. Ora era lì, fermo immobile, in una posizione che gli faceva dolere praticamente tutti i muscoli, ma, con il timore di aver violato una decina di norme di etichetta, non osava muoversi per non combinare ulteriori danni. Il re si alzò, gli si avvicinò e prese dalle mani del ragazzo un lembo di quel bellissimo tessuto. “Questo, dici che l’hanno fatto le mie figlie? – chiese con espressione seria. “Si maestà, con l’intento di compiacervi – rispose timidamente Ilario. “Bene, dì loro che ci sono riuscite in pieno. E’ fantastico”.”Posso vedere anche io? – chiese inaspettatamente la regina. Il re fece segno al giovane di avvicinarsi alla regina e questi, rigido come un pupazzo sempre più indolenzito, eseguì, facendo del suo meglio. Anche la regina apprezzò molto il lavoro e si complimentò.Il ragazzo era comunque soddisfatto. Il suo lavoro era stato apprezzato ed ora era arrivato il momento di andarsene e finalmente di far riposare la schiena indolenzita. Invece sentì dietro di lui un’altra voce giovane e delicata di una donna che disse: “Vorrei vedere anche io, se mi è permesso”. Ilario, sorpreso, istintivamente si girò e rimase letteralmente folgorato. A pochissima distanza da lui c’era una donna che si era avvicinata senza che se ne accorgesse. Ma che donna! Il suo viso, incorniciato da lunghi capelli biondi, sapientemente accorciati, non era solo bellissimo, ma emanava un’energia indescrivibile e potente che magnetizzava lo sguardo delle persone e, naturalmente, in modo particolare quello degli uomini, ma non solo. Era di statura normale ma il suo corpo aveva un’armonia di forme che lasciava quasi senza fiato. Era quasi impossibile distogliere lo sguardo da lei anche perché, il suo vestito, era praticamente inconsistente. A parte un gonnellino dorato che le arrivava a mezza coscia, Il resto del corpo era coperto solo da alcuni strati di velo, sapientemente drappeggiati, che in realtà non lasciavano molto spazio all’immaginazione, secondo gli usi di Sparta, città dalla quale la donna proveniva. Quella era nientemeno che Elena, lì, davanti a lui. Ilario si sentiva in qualche modo trascinato nella leggenda che riguardava Elena, Paride, Priamo e tutta la corte di Troia. Solo quello valeva il viaggio. La donna si guardò attorno con sguardo sicuro, quasi di sfida. Il ragazzo aveva sentito raccontare, da alcuni marinai, che Elena ostentava il proprio corpo quasi nudo, non tanto per seguire gli usi della sua terra, ma, più che altro, come sfida alle donne della corte troiana che non l’avevano accolta poi così bene. Elena salì le scale del trono e andò ad abbracciare Priamo che la salutò dicendole:”Benvenuta, figliola mia”. E dandole un bacio sulla fronte. Ecuba, che non appariva altrettanto entusiasta nel vederla, si limitò a salutarla con un lieve cenno del capo ed un sorriso piuttosto tirato. La donna prese dalle mani del re un lembo del tessuto e, voltatasi verso Ilario, commentò:”Ma è bellissimo.Tu, così giovane, sei già in grado di operare queste magie?”. Il ragazzo si rese conto che quella leggenda stava parlando proprio con lui. Rimaneva chino nella sua posizione anche perché non sapeva dove guardare temendo di mancare di rispetto alla donna. Certo, sulla sua isola aveva visto diverse fanciulle svestite, in varie occasioni, ma non aveva mai incontrato una donna con quelle capacità di seduzione. Dalla sua posizione, sempre più scomoda e faticosa, arrivava comunque a vedere le bellissime gambe di Elena. Alla fine trovò comunque la forza ed il coraggio di risponderle:”Si, mia signora, ma, naturalmente con l’aiuto delle altre ragazze della filanda”.”Mi piace la tua modestia – rispose gentilmente la donna – Ma io so che sei tu che sei venuto a trasmettere il tuo sapere qui, a Troia – poi, dopo un attimo, chiese – Pensi che potrei venire anche io da te, per imparare qualcosa?”.”Sarebbe un onore, mia signora – riuscì a rispondere Ilario con la voce più atona che potè. Lui, il ragazzo, che insegnava qualcosa ad una leggenda. E chi gli avrebbe mai creduto? Riusciva ad immaginare l’espressione dei suoi familiari ma pensava a quella di suo fratello che sarebbe stato folle di gelosia. “Bene, ci penserò – rispose la donna. A quel punto intervenne una voce maschile:”Ma amore mio, ha già tante cose da fare che non troveresti il tempo per trastullarti con cose banali”. Ilario, nel sentire definire come banale il suo lavoro, ci rimase un po’ male e sollevò leggermente la testa per vedere chi avesse parlato in quei termini e vide Paride, che si era fatto avanti e aveva circondato con un braccio le spalle di Elena, come per affermarne il possesso davanti a tutta la corte. Come se quella fosse stata una donna che poteva appartenere ad un uomo, se non fosse stata d’accordo. Il principe prese a suo volta il tessuto dalle mani della donna, gli diede un’occhiata superficiale e poi lo gettò al ragazzo che riuscì a malapena a prenderlo al volo, dicendo:”Bel lavoro, comunque”. Ed assieme ad Elena, si voltò e si diresse verso il giardino, uscendo dalla sala. Ilario, che non sapeva a quel punto cosa fare, si sentì tirare un lembo della tunica da dietro, segno che Eleno gli stava comunicando che il suo tempo era terminato e, nel modo prescritto, se ne doveva andare. Usciti dalla sala, Ilario chiese ad Eleno:”Ma è vero che io, Ilario di Lemno, ho parlato con la leggendaria Elena? – Poi come se volesse ripeterlo a se stesso – Io! Ma ti immagini, se lo sapesse mio padre? E l’espressione di mio fratello!”.”Si, certo, hai parlato con lei, con la leggenda, come dici tu. Ma dopo un po’, le leggende perdono forza, smalto, senza nulla togliere al valore di quella donna. Ma non ti fare ingannare. Lei è molto diversa da quello che può apparire ad un primo sguardo. In realtà è una donna forte, che ha molto sofferto proprio a causa della sua bellezza, che non le ha causato altro che guai. Già, appena adolescente, fu rapita da Teseo, all’epoca sovrano di Atene, che, pur cinquantenne, la voleva sposare. Essendo però la ragazza troppo giovane per lui, decise di attendere un po’ di tempo e la fece rinchiudere nella fortezza di Afidna, sotto la sorveglianza della madre Etra, la quale, bisogna riconoscere, che non approvò mai quella pazzia del figlio e, per questo, trattò Elena al meglio possibile. Approfittando dell’assenza di Teseo, i fratelli di Elena, Castore e Polluce, che venivano chiamati i Dioscuri, per una leggenda che li voleva figli di Zeus, con un piccolo esercito, assediarono la fortezza finchè liberarono la sorella. Elena intercedette per Etra che però, fu portata via, e divenne l’ancella della ragazza. Il padre, Tindaro, sapendo che la bellezza della fanciulla avrebbe attirato altri guai, trovò il modo di farla sposare al più presto. Fu un’astuzia di Ulisse, un re con poco potere ma grande ingegno, che permise a Menelao di poterla sposare, senza che gli altri sovrani pretendenti,si facessero guerra fra di loro, obbligandoli, anzi ad un giuramento di reciproca assistenza, qualora uno di loro non avesse accettato di rinunciare alla ragazza. Quello che colpisce è che Agamennone, fratello di Menelao ma più potente, pur avendo visto Elena, preferì prendere in moglie la sorella di lei, Clitennestra, bellissima anche lei, in quanto, però, molto colpito dalla sua saggezza e dal suo acume nelle faccende della politica, cosa assai rara nelle donne”. Ilario aveva ascoltato affascinato tutto quel discorso, sentendosi trasportato in qualche modo in quel mondo mitico che vedeva le gesta di Teseo, dei Dioscuri, Zeus, Agamennone e non gli sembrava ancora vero. Usciti dal palazzo, il ragazzo raccontòtutto ciò che era accaduto nel corso dell’udienza ad Asha, il quale non riuscì a nascondere la sua delusione per essere stato lasciato al di fuori di quella esperienza ma, nella sua condizione di schiavo, doveva accettare la situazione. Ilario fece notare la freddezza con cui le altre donne trattavano Elena. “Forse sono semplicemente gelose dei loro mariti perché , quando è presente, gli uomini sembrano rapiti e non riescono a toglierle gli occhi di dosso”.”Forse temono di più l’ira di un marito tradito, che ha giurato di vendicarsi – osservo il persiano. “Ma che può fare un marito contro le mura di Troia? – rispose il ragazzo. “Non ci dimentichiamo che Menelao è il re di Sparta e comanda un forte esercito e poi, dietro le spalle ha il fratello Agamennone che, in quanto re di Micene, comanda praticamente tutta la Grecia”.”Non è proprio così – intervenne Eleno – E’ vero che Agamennone controlla tutta la Grecia ma è vero, altresì, che i vari re godono di una notevole autonomia”.”Effettivamente sono già passati otto anni – disse il ragazzo – E se Menelao o, comunque, i Greci avessero voluto fare qualcosa, avrebbero già agito. Non avrebbero fatto passare tutto questo tempo”.”Scusa – gli rispose Asha prima che lo potesse fare Eleno – Ma non è così semplice. Hai visto le mura della città, come hai fatto osservare tu stesso poco fa. Per poter affrontare uno scontro con Troia, ci vorrebbe un potentissimo esercito e per portare qui un sufficiente numero di uomini sarebbero necessarie almeno mille navi e i Greci non le hanno. Quindi…”.”Per essere uno schiavo – osservò il principe – direi che la sai parecchio lunga. E non è la prima volta che questo mi colpisce. Nascondi forse qualcosa?”. “Chiedo scusa signore per aver parlato liberamente – rispose Asha con un inchino, rendendosi conto che, nella foga del discorso, aveva dimenticato di impersonare la figura di uno schiavo ed era intervenuto direttamente nel dialogo – Ma mi sia consentito dire che, in quanto precettore nella famiglia del ragazzo, tengo ad essere informato un po’ su tutto”.”Ma Priamo non sembra temere comunque nulla da parte dei Greci – disse Ilario, con lo scopo di togliere l’attenzione del principe dal persiano – Anzi, sembra trattarla come una sua protetta”.”Non solo - rispose Eleno – E’ contentissimo della situazione. Considera la ragazza come una degna rivalsa ed una vendetta per ciò che i Greci hanno fatto a sua sorella Esione, tuttora in mano a Talamonee per la qualeha fatto fuoco e fiamme per riaverla ma senza esito. L’ultimo tentativo l’ha effettuato l’anno scorso, alla fine dell’estate ma Talamone gli ha fatto sapere che non gliela restituirà mai. E’ chiaro che quando Priamo si è trovato davanti Elena, non gli è parso vero. Quasi che fosse anche lei un ostaggio, pure se non è assolutamente così. E poi, la ragazza non è venuta a mani vuote. Si è portata via metà del tesoro reale di Sparta che, però, per essere sinceri era la dote che essa aveva portato al marito”.”Effettivamente questo non lo sapevo – riconobbe Asha. “Allora non saprai nemmeno – riprese il principe – che uno dei motivi per cui Leonida è particolarmente amareggiato è che Elena, scegliendo di andarsene, ha lasciato dietro di sé una bambina, Ermione, che all’epoca aveva solo quattro anni e che oggi, quindi dovrebbe averne circa dodici o tredici e questo è forse l’aspetto, per me, più triste della storia – concluse Eleno che prese commiato da loro che tornarono al loro alloggio pensando che dietro ad ogni storia , ad ogni leggenda, andando a scavare, si può trovare talvolta qualche elemento poco felice o di certo meno esaltante. Passò una settimana, durante la quale il ragazzo attese invano che Elena si facesse viva. Probabilmente era stata dissuasa da qualcuno o se ne era semplicemente dimenticata. Durante quel periodo, egli aveva fatto vedere alle sue allieve, aspettando, che i nuovi attrezzi fossero messi a punto dagli artigiani della corte, come ottenere un filato di argento più sottile. Continuavano i suoi battibecchi con la ragazza vestita di bianco che, con ogni mezzo, tentava di sminuire, criticare o mettere in difficoltà il suo lavoro. All’inizio Ilario era molto disturbato e seccato da questo atteggiamento ma poi si rese conto che il suo uditorio ad ogni critica parteggiava sempre di più per lui, facendolo sentire piuttosto popolare, e questo gli fece molto piacere. Inoltre quell’azione lo costringeva a stare sempre attento a ciò che faceva e controllare almeno due volte tutto quello che proponeva alla sua classe. Tutto ciò con ottimi risultati. Alla fine, qualcuno si era fatto sfuggire che il suo nome era Crino, ma non aveva voluto aggiungere nulla di più come se, anche solo parlarne fosse rischioso. Però il ragazzo non poteva fare a meno di chiedersi chi fosse in realtà e cosa ci facesse in quel posto. Non era una figlia del re e non era nemmeno una nobile. Non eccelleva nel lavoro, aveva sempre un atteggiamento triste e scontroso ma Ilario cominciava a chiedersi se il suo modo di fare potesse derivare dal desiderio di ribellarsi a qualcosa o qualcuno. Non frequentava la filanda con regolarità, aveva rapporti praticamente nulli con il resto dei presenti e consumava da sola i pasti. Ilario la sera, dopo cena, aveva preso l’abitudine di scendere nel parco e sedersi davanti alla fontana, osservando i riflessi delle lampade che illuminavano il posto, sulla superficie dell’acqua. Gli piaceva quel posto. Il quartiere era praticamente disabitato e quindi non aveva mai incontrato nessuno. Questo gli consentiva di viaggiare con la sua fantasia e la sua immaginazione. All’inizio Asha lo aveva accompagnato ma poi aveva preferito andare a coricarsi per essere pronto, al mattino, per preparare tutto quello che era necessario al lavoro del giorno mentre Ilario ancora dormiva. Di solito il ragazzo, a casa sua, a quell’ora, era con sua sorella Maia che gli raccontava dei suoi sogni, delle sue aspettative. Facevano progetti insieme in cui compariva sempre qualche viaggio in paesi lontani. Avevano trovato un loro ‘posto segreto’,in cima ad uno scoglio, sotto un grosso albero e la’, osservando il mare , pensavano al loro futuro, stimolati, durante l’estate, dalle luci delle navi, che, sfidando le tenebre, costeggiavano l’isola per raggiungere la propria meta al più presto possibile. Suo padre si tratteneva nella sala da pranzo insieme ad Asha e al figlio maggiore Hector, parlando più che altro di lavoro, del bestiame, di qualche progetto mentre, in cucina, la madre Agata, aiutata dalla governante Frida, controllava che fosse tutto a posto. Quella sera, mentre si avvicinava al suo solito posto nel giardino, vide che sulla panca che lui preferiva, c’era già seduto qualcuno. Avvicinandosi, curioso per quella insolita presenza, si accorse che lo sconosciuto era una ragazza la cui sagoma e figura conosceva molto bene. A quel punto, senza pensarci, decise di avvicinarsi, e si appropinquò facendo finta di niente, sotto lo sguardo distratto dei soldati che pattugliavano tutta la zona. Non si era sbagliato, era proprio Crino, con il suo abito bianco ed un velo che copriva i lunghi capelli biondi. Appariva assorta, nel fissare l’acqua della fontana, proprio come di solito faceva lui. Poi, d’improvviso, si girò verso il ragazzo che, di certo, aveva sentito avvicinarsi, ed in tono quasi scherzoso gli disse:”Vieni qua, ‘maestro’, siediti accanto a me, se non hai paura”. Dopo un attimo di incertezza, Ilario, che non voleva darle soddisfazione, si sedette mantenendo comunque una prudente distanza. “Parlami della tua isola – gli chiese Crino in tono deciso ma non aggressivo. Il ragazzo, preso alla sprovvista, dapprima non sapeva come interpretare quella richiesta e non sapeva cosa dire. Ma poi, stranamente, iniziò a parlare, cosa che gli riusciva sempre più facile, immedesimandosi nel suo stesso racconto. Disse della sua casa, della sua famiglia, dell’attività, dei collaboratori. Tutto insomma. La ragazza lo ascoltava in silenzio, continuando a fissare l’acqua della fontana. Quando Ilario tacque, lei gli disse con voce incolore:”Da come la descrivi, la tua isola sembra un luogo fantastico ed io ti credo”.”Un luogo fantastico? – rispose stupito l’altro – Detto da una persona che vive in questo posto, è un’affermazione alquanto strana”.”Che ne sai, tu? Che non hai visto niente e non sai niente! – replicò Crino in tono brusco. Poi , più tranquilla, aggiunse – Hai visto quello che la città vuol far vedere a chi viene da fuori. I negozi, le persone, la Corte, la ricchezza. Che ne sai dei rapporti fra la gente, del vero clima della Corte, dei veri sentimenti degli abitanti?”.”Si, ma non credo che debba poi essere così brutto, qui, specie per te che sei una principessa!”.”Una principessa? – ripetè l’altra in tono beffardo – Ma chi te l’ha detto? Lo vedi che davvero non sai di che parli?”.”Ma io…. – cominciò a dire il ragazzo incerto”.”Tu niente. Sei solo un ragazzino e ti credi chissà chi. Ed io, che perdo tempo a parlare qui con te”. La ragazza, decisa e seccata, si alzò e, senza voltarsi e senza una parola, si allontanò in fretta, attraversando il piazzale e scomparendo dietro un angolo. Il giovane, mestamente, ancora confuso per quanto accaduto, ritornò al suo alloggio, pensando se e in qualche modo avesse mancato di rispetto alla ragazza. Quello che però maggiormente lo confondeva era che, parlando con lei, aveva colto un aspetto della sua personalità quasi ingenuo, spontaneo, molto diverso da quello aggressivo, ostile e canzonatorio che ostentava al mattino.Per un breve attimo aveva notato degli occhi dolcissimi, pieni di malinconia e ne era rimasto colpito, turbato e non riusciva a togliere quelle immagini dalla testa. Asha era già addormentato e Ilario non ritenne di raccontargli l’accaduto, di certo, privo di una reale importanza. Il mattino successivo, al laboratorio, Crino non lo degnò di uno sguardo e lui, che aveva cercato i suoi occhi tutto il giorno, ci rimase molto male. Il ricordo della sera precedente lo turbava ancora e, alla fine, ne parlò con Asha che, notato il suo atteggiamento, glie ne aveva chiesto il motivo. Consigliò al suo compagno di stare attento perché erano stati avvisati a proposito delle ragazze e poi avevano da portare a buon fine un lavoro al termine del quale, se fosse andato tutto bene, avrebbero dovuto lasciare la città e badaredi rimanerne alla larga per ovvi motivi. Il ragazzo disse che ne era ben consapevole. “E poi? – commentò – quand’anche avessi in mente qualcosa, che speranze avrei? Io sono solo un poveraccio, un buzzurro, come mi hanno definito fin dal primo giorno”.”Non dire questo – rispose il persiano irritato – Anche tu, se vogliamo, sei un principe. Tuo padre è praticante il re di Lemno e tu sei suo figlio!”.”Però! – osservò Ilario, seppure con una certa ironia – Ma la nostra isola è minuscola, altro che regno”. “Non credere – rispose l’altro – Non tutti i regni sono così estesi. Itaca, per esempio, nonpiù grande della nostra isola”.”Ma il re è Ulisse ed è un personaggio di cui tutti parlano. Alcuni marinai di passaggio dalla nostra isola raccontavano che perfino Agamennone ascolta il suo consiglio”.”Certo, perché è il valore della persona che conta, non il suo regno – poi, però, si corresse – Beh, quasi sempre”. Il ragazzo rimase a pensare a quelle parole. Ilario, principe di Lemnos. “Ma che stupidaggini – osservò ridendo – Buone solo a farsi quattro risate, magari attorno ad un fuoco, d’inverno. – Poi dopo aver riflettuto un poco, disse serio al persiano – Oh, non ti venga di dire a mio padre questa cosa, che già è abbastanza tiranno così. Pensa se ritenesse di potersi considerare un re!”. E tutti e due scoppiarono a ridere. Il giovane non voleva farsi illusioni ma ogni sera, dopo cena, scendeva nel giardino sotto il suo alloggio, nella speranza che la ragazza si rifacesse vedere ma le sue aspettative andavano deluse. La mattina, al laboratorio, mentre il lavoro precedeva abbastanza bene, Crino aveva ripreso a stuzzicarlo e punzecchiarlo, con battute acide o canzonatorie ma Ilario, che aveva visto qualcosa in quella ragazza, se ne sentiva stranamente e irragionevolmente attratto. Poi, una sera, la vide di nuovo, seduta allo stesso posto. Senza avvisare il suo compagno che, d’altronde, già dormiva, scese di corsa le scale e, solo dopo aver verificato che la giovane era ancora lì, rallentò i suoi passi, come a far vedere che stava semplicemente passeggiando. Senza una parola, si sedette accanto a lei che sembrava profondamente assorta ad osservare i giochi di luce sulla superficie dell’acqua della fontana. Dopo pochi di minuti Crino, si rivolse verso di lui egli disse con voce tranquilla:”Raccontami ancora. Dimmi della vita semplice delle persone normali – poi, notata l’espressione incerta di Ilario, volendo essere più chiara, aggiunse – Parlami ancora della tua famiglia”. L’altro, dopo aver raccolto un attimo le idee, iniziò a parlare. Nemmeno lui sapeva il perché ma non riusciva a dire di no alle richieste di quella ragazza quando si comportava in quel modo con lui, così diversamente dal mattino. Cominciò descrivendo i suoi genitori, i suoi fratelli, della sua casa, degli schiavi che in realtà formavano una grande famiglia a cui si era affezionato e che erano tutti realmente gentili con lui. Poi, d’improvviso, parlando della sorella, fu colpito da un forte magone, si commosse e gli vennero le lacrime agli occhi e per un attimo la sua voce si ruppe. Crino lo notò subitogli mise una mano su una spalla e con voce insolitamente dolce, gli disse:”Scusami, non mi sono resa conto che questi racconti potessero farti soffrire. Ma il fatto è che sono curiosa sul tuo conto. Quando abbiamo saputo che un ragazzino greco veniva ad insegnare a noi come si lavorava, pur assecondando il capriccio del re, eravamoprofondamente prevenute nei tuoi confronti. Ma tu ci hai sorpreso tutte. Per prima cosa, sei veramente bravo e non te ne vanti. Poi hai dimostrato una maturità inaspettata per la tua età. Sembri molto sicuro di te stesso ma poi hai questi attimi di fragilità che fanno di te una persona vera”.”Ma allora, se pensi questo di me, perché la mattina ti rivolgi a me come se fossi il tuo peggior nemico?”.”Perché… perché. La voce della ragazza si fece aspra - Perché tu non sai chi sono io e, se sarai fortunato, non lo saprai mai. Cosa credi che facciano le reverende madri ? Sorvegliano e riportano. Finchè le altre ragazze fanno le stupide con te, non succede nulla ma se dovessero vedere degli atteggiamenti insoliti, in particolare nei miei confronti,allora tu, Priamo o non Priamo potresti correre dei rischi molto seri. Tu non hai idea con chi hai a che fare.” E così dicendo, come la volta precedente, senza aggiungere altro, si alzò e piuttosto intristita ma decisa se ne andò senza aggiungere altro. Quando il ragazzo tornò nel suo alloggio, trovò Asha che lo aspettava con aria molto seria. Si era svegliato e non trovandolo si era preoccupato. Poi, affacciatosi al terrazzo li aveva veduti insieme. Non aveva saputo cosa pensare. Poi aveva ipotizzato che Crino fosse il loro contatto, cosa che però l’altro si affrettò a smentire. “Allora ascolta il mio consiglio – disse il persiano – Stai in guardia con quella ragazza. E’ malvagia, te lo assicuro e in qualche modo sta giocando con te. Non ti fidare. E poi, una volta terminata la nostra missione, sulla nostra isola sarai l’eroe della situazione e non ci sarà ragazza che ti potrà resistere. Quindi abbi pazienza ancora un po’ e cerca di non rovinare tutto.
 
 
                                                                                        Cap IV^
 
Trascorse una nuova settimana. Ormai, Ilario e il suo compagno, erano stati considerati come ospiti di riguardo anche dai soldati della guardia ederano liberi di muoversi per la città senza necessità di una scorta.Intanto, il ragazzo aveva fatto preparare dei bei campioni di stoffa da mostrare al re nel corso della nuova udienza del mercoledì. La fine della sua missione si avvicinava sempre di più. Era soddisfatto dei risultati ottenuti e non vedeva l’ora di tornare a casa. Il martedì,durante il pranzo, arrivò invece Eleno che lo informò che tutte le udienze erano state sospese. Di prima mattina, infatti,era stata avvistata una nave greca che aveva appena superato l’isoletta di Tenedo e che portava, issata sull’albero, un’insegna che indicava la presenza a bordo di un ambasciatore. Era sola e attendeva fuori del porto. Il principe raccontò che Priamo, immediatamente avvisato, aveva riunito attorno a sé i suoi figli, a cui erano affidati incarichi importanti, i rappresentanti dei suoi alleati ed i suoi più fidati consiglieri. Uno era l’anziano Antenore che aveva sempre un atteggiamento ponderato e moderato, l’altro era il più giovane Antimaco, più irruento e portato ad una rapida azione e soluzione dei problemi, nemico giurato dei Greci. Quando il sole fu alto, la nave greca avanzò ed attraccò al molo. Eleno, dopo il suo messaggio, aveva lasciato l’alloggio di Ilario per tornare alla reggia, non prima di aver assicurato al ragazzo, che sarebbe tornato quella sera, per raccontare ciò che era accaduto. Egli aveva diritto ad assistere ad eventi importanti come quello, non tanto in qualità di figlio del re, ma come sacerdote di Apollo, dotato di poteri di vaticinio, cosa che condivideva con la sorella Cassandra la quale, di certo, avrebbe assistito anche lei all’incontro. Ilario ed Asha, da parte loro, si diressero verso un punto da cui si poteva scorgere il passaggio predisposto per il corteo dell’ambasceria, che avrebbe raggiunto il palazzo reale, per vedere e sentire chi ne facesse parte. Dalla folla assiepata proveniva un forte vocìo ma la parola che si distingueva con più frequenza, era il nome di Elena. Ci volle un bel po’ di tempo perché il corteo arrivasse alla loro altezza, perché il porto del Sigeo, dove era avvenuto lo sbarco, distava dalla città un paio di chilometri e, tanto per far capire ai Greci l’aria che tirava, si ritenne di non andarli a prendere né con cavalli, né con un carro e dovettero fare tutta la strada a piedi, controllati da una numerosa scorta di soldati con a capo Deifobo, che , per l’occasione, sfoggiava l’ alta uniforme. A lui, erano state affidate le prime formalità, al porto, previste per l’incontro e intese a garantire l’incolumità degli ambasciatori. Quando il corteo giunse alla loro altezza, improvvisamente scese il silenzio. Preceduto da un gruppo di soldati che mantenevano sgombro il tragitto previsto, arrivò Deifobo, seguito da tre uomini elegantemente vestiti. Chiudevano la sfilata dieci marinai greci che recavano degli involti, probabilmente degli omaggi per Priamo e infine altri soldati troiani che fungevano da retroguardia. Il primo dei tre uomini era piuttosto piccolo di statura ma con un corpo estremamente solido e muscoloso, aveva la pelle olivastra e dei particolari capelli, quasi del colore del rame. Colpivano i suoi occhi, per lo sguardo estremamente acuto e indagatore che sembravano osservare tutto e tutti. Il secondo era piuttosto simile al primo, ma aveva dei capelli biondi e ricci. La sua espressione era corrucciata, quasi rabbiosa. L’ultimo era un giovane alto, con dei folti capelli ricci e neri. Aveva un bel viso sereno e, passando, salutava intorno. Qualcuno nella folla, riconobbe nel secondo uomo, Menelao, di certo venuto di persona a reclamare la moglie Elena. Altri dissero che il primo era un certo Ulisse, re di una piccola isola, senza molta importanza, ma che aveva in qualche modo conquistato la fiducia di Agamennone.Ilario si ricordò di questo nome, citato da Eleno, per raccontare come si era potuta sposare Elena, senza che ci fossero difficoltà da parte dei tanti pretendenti. Era anche un valente guerriero e per le sue capacità, Agamennone gli aveva spesso assegnato degli incarichi importanti che erano sempre stati portati a buon fine. Ilario si rese conto che con quell’esperienza stava conoscendo dei personaggi che fino a quel momento rappresentavano per lui solo leggende. Ma quella in cui si trovava ora era una città, importante, ricca e piena di vita. Era lì che si svolgeva, secondo lui, la vita vera, che accadevano le cose importanti, non certo su un’isoletta come la sua. Quando comunicò questa osservazione ad Asha, quello gli rispose che non era tutto così bello come sembrava e molti, dopo aver girato per le città, in lungo e in largo, sarebbero stati addirittura disposti a pagare pur di poter vivere su un’isola come Lemno. Quando il corteo fu passato, la gente, pian piano, si diradò e anche loro due se ne tornarono ai loro alloggi. Le persone avevano ripreso le loro normali attività ma molti non potevano fare a meno di chiedersi a cosa era dovuta quella visita inaspettata. La presenza nel gruppo, di Menelao, in effetti, lasciava poco spazio al’immaginazione. Tutti speravano che comunque da quell’evento non derivassero guai o malanni di sorta. In effetti, anche se la città aveva ripreso il suo volto usuale, la gente non poteva non chiedersi cosa stesse accadendo al palazzo reale e così, bene o male, nel primo pomeriggio molti si erano ritrovati a gironzolare per le strade attorno al centro della città, con il fine di scoprire qualcosa. Anche Ilario ed Asha, poiché tutte le attività all’interno della cittadella erano state sospese, facilitati dalla loro condizioni di ospiti speciali, si ritrovarono a ridosso delle mura del palazzo, quando si iniziò a udire un forte clamore. Poco dopo, passò davanti a loro il corteo dei greci, a fatica difeso dalla folla, a tratti estremamente violenta, segno che dall’ambasciata non era scaturito niente di buono e, anzi, di assai poco diplomatico. I due tornarono al loro alloggio, molto dubbiosi circa l’evoluzione delle cose. Infatti la loro posizione era piuttosto delicata. Erano si, ospiti di Priamo, ma comunque appartenevano al mondo dei Greci e , se le cose si fossero messe male, quale sarebbe stata la loro posizione? Verso sera, quasi contemporaneamente agli schiavi che avevano portato le cibarie per la cena, giunse Eleno. Appariva piuttosto cupo e, diversamente dal solito, senza dire una parola, si versò un bicchiere di vino, che il persiano aveva però già prudentemente allungato con acqua, e lo bevve d’un fiato. Poi se ne versò un altro e, sempre in silenzio lo bevve più lentamente, come se stesse cercando le parole da dire, per riferire quanto accaduto. I due ospiti, attesero che il principe fosse pronto a parlare e infatti, poco dopo, questi cominciò.”Niente di buono – esordì – Gli ambasciatori erano Ulisse, re di Itaca, Menelao, in persona, e Palamede, re di Eubea. Ha esordito naturalmente Menelao che ha reclamato a gran voce la restituzione della moglie. Ha minacciato pesanti ritorsioni, naturalmente di carattere militare. Paride ed Elena, naturalmente non erano presenti e Priamo ha risposto che solo a suo figlio poteva essere rivolta quella richiesta e che comunque Elena, non era affatto una prigioniera, ma solo un’ospite. Menelao non l’ha presa bene ed ha iniziato a proferire altre minacce. A quel punto è intervenuto Ulisse, che ha tentato di calmare gli animi. Poi, però, subito dopo, ha iniziato ad avanzare, a nome di Agamennone, pesantissime richieste di risarcimento, non tanto per Elena, quanto per pretesi gravi danni che la politica protezionistica commerciale di Troia, avrebbe causato ai Greci. Priamo a quel punto ha iniziato a perdere la pazienza anche perché, se da una parte, l’anziano consigliere Antenore cercava di mediare, dall’altra il più giovane consigliere Antimaco, nemico giurato dei Greci, invitava il re a non perdere tempo con quegli uomini, chiaramente in malafede, inviati lì, con il solo scopo di provocare. Alla fine, infatti, Ulisse ha consegnato a Priamo la tavoletta rossa di Ares, in segnodi rottura della pace. Priamo, con disprezzo, l’ha sbattuta per terra ma Ettore, veloce l’ha recuperata per metterla al sicuro. A quel punto, fedele alla sua natura, Deifobo si è infuriato a sua volta e ha incitato i presenti a linciare quei tre definendoli‘farabutti’, ma Antenore, conoscendo le leggi che proteggono in ogni caso gli ambasciatori, e sapendo quali pesanti punizioni divine sarebbero derivate dall’infrangerle, ha invocato su di loro la protezione di Zeus Xenos che protegge gli ambasciatori, gli ospiti ed i forestieri in generale. Quindi lo stesso Antenore, aiutato da Ettore e da molti dei suoi soldati, ha scortato i tre Greci accogliendoli nella sua casa, dove saranno al sicuro fino al momento della loro partenza che avverrà domani. “Ma allora, sarà la guerra? – chiese Asha che vedeva le cose complicarsi non poco. Una guerra fra Greci e Troiani avrebbe coinvolto, di certo, tutta l’Asia Minore a causa delle numerose alleanze di Priamo in quel territorioed il commercio sarebbe di certo andato in crisi. “Probabile – rispose il principe – Ma questo, mio padre, se lo aspetta da un pezzo. In particolare, da quando ha ridotto i traffici attraverso l’ Ellesponto, causando un’impennata dei prezzi di certi articoli e facendo aumentare a dismisura i guadagni della città. Ma non è stato per il guadagno che l’ha fatto, bensì per cercare di forzare la mano ai Greci per ottenere il rilascio della sorella. Comunque i prezzi di alcuni materiali sono ormai andati alle stelle ed era normale che i Greci alla fine reagissero. Però mio padre ha pianificato tutto per tempo. Ha rafforzato le sue alleanze con i regni vicini. La Peonia, la Tracia del nord, la Licia, la Misa, la Frigia e la Caria, hanno assicurato il loro incondizionato aiuto, consistente, in caso di necessità, in 250.000 uomini armati che, uniti a quelli di Troia, costituiscono un esercito impressionante”.”Ma se la missione appare così difficile, per non dire impossibile – chiese Ilario – com’è che i Greci hanno addirittura avvisato Troia delle loro intenzioni?”. “Difficile a dirsi – convenne Eleno – Consideriamo che solo per mettere d’accordo i vari regni della Grecia, Agamennone ci metta alcuni mesi. Poi, per trasportare le truppe, serviranno tantissime navi che i Greci dovranno costruire di sana pianta. Alla fine, l’inverno impedirà qualsiasi iniziativa da parte loro. Quindi semmai, se ne parlerà non prima dell’anno prossimo. E a quel punto, Priamo sarà stato in grado di preparasi per bene ad affrontare un conflitto”.”Però – intervenne Asha, rivolto al principe – se non mi sbaglio vi vedo comunque preoccupato, signore”.”E hai ragione. La logica indicherebbe che è tutto sotto controllo, ma non è proprio così. Qualcosa ci minaccia comunque. Dagli auspici sono venuti dei segnali inquietanti e mia sorella, presente all’evento, ha pronunciato profezie terribili, incitando i presenti addirittura a linciare i Greci presenti nella sala e, devo dire, che è stata molto convincente. Poi, come al solito qualcuno l’ha definita una povera pazza e la cosa è finita lì. Quindi, non so. Di certo qualcosa di brutto o quantomeno di sgradevole ci attende”.”Tutti gli alleati di Priamo manterranno la loro parola? – chiese il persiano. “Certo. Anzi, no. Anchise, re dei Dardani, che era presente, ha affermato che questa, semmai ci sarà, non è la sua guerra e non intende farsi coinvolgere in un conflitto che non lo riguarda e, per confermare il suo atteggiamento, ha immediatamente abbandonato la sala del trono, portandosi via il figlio Enea che però non sembrava molto d’accordo”. “Ed ora? – chiese Ilario. “Ed ora, tutto continuerà come prima – assicurò Eleno – almeno per un anno o due. Voi ve ne sarete andati da un pezzo e, semmai, assisterete agli eventi da casa vostra”. Quando Eleno li lasciò, Asha, con aria preoccupata, disse:”Non mi piace, non mi piace proprio. L’ultima cosa che ci serve è di rimanere coinvolti in una guerra, come se non avessimo già abbastanza problemi a cui pensare”.”Ma hai sentito Eleno,e poi noi che c’entriamo in questa storia?”.”I Greci, gli ‘Achei’ hanno offeso e minacciato Troia e tutti i suoi cittadini e hanno dichiarato la guerra. Come la prenderanno i Troiani nei nostri confronti? Come ci considererà Priamo, amici o nemici? E se qualcuno, a cui non siamo simpatici, volesse cominciare a togliersi qualche soddisfazione?”.”Ma ci sono tanti altri Greci in città – osservò il ragazzo – Mercanti, commercianti, visitatori. Non credo che la popolazione li assalirebbe. Eleno, per esempio, non mi sembra cambiato nei nostri confronti”.”Eleno è solo un ragazzo. Ma gli altri…. Comunque, penso che, finchè resteremo alla cittadella, saremo abbastanza al sicuro”. Quella notte Ilario dormì molto male e quando, la mattina, vennero gli schiavi a portare la colazione, chiese loro se ci fossero novità. Quelli dissero che la nave degli ambasciatori era ripartita prima dell’alba, probabilmente per evitare ulteriori disordini. Altro non vollero o seppero dire. Asha ed il ragazzo decisero comunque di recarsi al lavoro come se niente fosse accaduto. Nessuno ebbe nulla da ridire e le cose proseguirono come al solito. Poi, a tarda mattinata, si fece viva Crino, che, apparentemente si arrogava il diritto di fare un po’ come le pareva, almeno entro certi limiti. Perché, se dava l’dea di uno spirito libero, dal suo comportamento e dal suo malumore, si capiva che comunque era incatenata in una società rigida che in qualche modo la controllava. Naturalmente, non perse occasione per punzecchiare il ragazzo.”Allora – disse con tono acido – Alla fine voi Greci, avete avuto il coraggio di farvi vivi ma ve ne siete dovuti andare con la coda fra le gambe”. “Io non conosco i fatti della Grecia – rispose calmo Ilario che, conoscendola, non voleva cadere nella sua provocazione – Spero solo che le minacce degli ambasciatori non si concretizzino perché, una guerra, sarebbe una tragedia e ci sarebbero migliaia di morti da ambo le parti”.”Quello che volete è solo il tesoro di Troia, la sua ricchezza. Siete solo dei predoni, ma vi schianterete contro le mura della città e sarete sterminati dal filo delle nostre spade!”.”Ma perché – chiese Ilario – continui a dire “siete”, “farete”, ti sembro un predone io?”.”Sei un greco, no?”. “Ah certo! Allora – disse il ragazzo alzando la voce – state attenti tutti, perché mi ruberò tutta la riserva d’oro dei forzieri che sono là in fondo e poi, magari, anche i vostri gioielli, tanto già che ci sono..”.”Oh, si, scherza – gli disse con astio la ragazza – Ma io so che prima di andartene qualcosa ruberai!”.”Che cosa? – chiese preoccupato il ragazzo – che vuoi dire?”.”Che qualcosa ruberai, io lo so!”. E voltatasi, senza aggiungere altro, se ne andò, lasciando l’altro abbastanza inquieto, a causa della sua ambigua dichiarazione. Poi, una delle principesse, con cui aveva trovato un po’ più di confidenza, disse, ridendo:”Oh si, certo che lo farà! Il nostro cuore l’ha già rubato e so di certo che questo vale per parecchie di noi – concluse ridendo assieme agli altri presenti. Naturalmente questo portò una delle reverende madri a intervenire, sbattendo il bastone al suolo e riprendendo severamente la tessitrice. Apparentemente, la cosa finì li, ma alla fine del turno del lavoro, mentre tornavano al loro alloggio, il ragazzo espresse i suoi dubbi su quando affermato da Crino.”No – disse Asha – non credo che sappia nulla. Avrà buttato là una frase per provocarti, come al solito. Magari si riferiva veramente a quello che ti ha detto quella ragazza, per scherzare”. “Non lo so – rispose incerto Ilario – Crino è molto strana, nessuno ne vuole nemmeno parlare. Da lei mi aspetto di tutto. Vediamo come si svilupperà la situazione. Ma intanto, il nostro contatto non si è fatto ancora vivo. Cosa aspetta?”. “Aspetterà che il nostro soggiorno qui sia quasi alla fine. Inutile rischiare prima del tempo”.”Già, il ritorno… Chissà come sarà, tornare a casa, dopo tutto questo. Di certo mi mancherà”.”Sicuro che ti mancherà. Ma certamente non ti mancheranno la confusione, l’invidia, l’essere sempre guardato dall’alto in basso. Scusa se ti rovino un momento speciale ma, la visione delle cose da parte di un vecchio, è molto diversa dalla tua, e noto delle cose che di certo a te sfuggono. A casa, ritroverai la tua famiglia, il lavoro che ti piace e, cosa più importante, ora che sei cresciuto in tutti i sensi, tuo padre non potrà più rifiutarsi di farti viaggiare, magari accompagnandolo nei suoi viaggi di affari”. Era da poco sorto il sole, quando Asha scosse vigorosamente il ragazzo che dormiva profondamente nel suo letto.”Che c’è – domandò questi ancora assonnato. “Svegliati – rispose l’altro piuttosto agitato – Sta accadendo qualcosa! Qualcosa di grosso!”. Effettivamente, si sentiva vociare dalla strada. Da lontano di udivano i suoni provenienti da molti corni, come se fosse un segnale di allarme. I due subito si affacciarono e videro, dabbasso,degli uomini che correvano verso il centro della cittadella, gridando:”Presto! Presto! All’armi, all’armi!”. Decisero di scendere sulla via e, subito, si accorsero che i soldati di guardia non c’erano e non se ne vedevano nemmeno sulle mura della cittadella. “Ma che succede ? – chiese Asha ad un ragazzo che passava di corsa accanto a lui. Quello, senza nemmeno fermarsi, in preda all’agitazione, gridò allontanandosi:”I Greci! I Greci! Ci attaccano!”.”Ma com’è possibile chiese il persiano al suo compagno – ma se solo ieri… - Poi capì – Ah, scorretti! Era solo una trappola , perché non si possa dire che non ci sia stata una proposta di pace, seppure con condizioni impossibili da accettare, e che la città sia stata attaccata senza preavviso, a tradimento. – Poi, come riflettendo fra sé – Ma come, attaccano, e da dove?”.”C’è solo un modo per sapere di più – rispose il ragazzo – Andare in città” E già si dirigeva verso la porta delle mura interne. “Aspetta, non sappiamo cosa sta succedendo! E se fossero già entrati in città? Rischiamo di essere uccisi dai nostri stessi compagni!”.”Almeno saliamo allora sulle mura – suggerì il ragazzo – Sono uno dei punti più alti della città! Riusciremo pure a vedere qualcosa”. Le mura apparivano totalmente sguarnite e i due non trovarono nessuno all’interno. La costruzione, veramente molto spessa, fungeva da difesa e contemporaneamente da alloggio per il corpo di guardia. Iniziarono a risalire i vari piani per arrivare in cima. Ad ogni livello trovavano camminamenti e alloggi, ora totalmente sguarniti ma che davano l’impressione di essere stati abbandonati all’improvviso. Non si vedevano armi in giro, segno che i soldati, andandosene, le avevano portate con loro, mentre, invece si vedevano dei piatti sui tavoli con ancora dentro il cibo come a mostrare che l’allarme era stato repentino e immediato. La situazione appariva seria. Arrivarono in cima alle mura e videro che da lì lo sguardo si poteva spingere fino al mare. Questo, vicino alla sponda, proprio davanti al porto del Sigeo, brulicava di navi. Pur da quella distanza, si distingueva il colore azzurro delle prue e il colore rosso dei lati. Quindi navi achee. Impossibile, a prima vista, capire quante fossero. Sulla riva, un mare di uomini, soldati troiani, che si riconoscevano dal pennacchio rosso in cima all’elmo, erano pronti a respingere lo sbarco. Anche per questi, era difficile stimarne il numero, ma ricordando che, in teoria, ogni cittadino era un soldato, allora si poteva valutare che in quel momento, sulla spiaggia, non c’erano meno di trentamila uomini. Quello era un momento delicatissimo con gli assalitori pesantemente svantaggiati. Se i Troiani, fossero riusciti a respingerli in mare, infliggendo loro perdite gravissime, allora l’attacco sarebbe terminato nel giro di poco tempo, con esito rovinoso per i Greci. Appena le navi toccarono la sponda, dei soldati saltarono sulla spiaggia per attaccare i difensori, seguiti da molti altri. Arrivò dopo pochi secondi, l’urlo degli uomini in battaglia, un suono terribile, che scuoteva l’animo di chi lo avesse ascoltato. In quel suono si riconoscevano la rabbia, il furore, la violenza incontrollata, la paura, la collera, il desiderio di uccidere, di distruggere. Dalla sua posizione, Ilario vide delle persone, in piedi, sulla sommità del muro esterno. Probabilmente era lo stesso Priamo, con i notabili della corte ed i responsabili dell’esercito, che controllavano la situazione dall’alto. I Troiani si battevano molto bene ed i Greci, ancora ammassati sulle navi, non riuscivano a fare progressi, subendo perdite gravissime. Poi, sulla sinistra dello schieramento, riuscirono ad approdare delle navi prive dei colori degli Achei, dalle quali sbarcarono con grande impeto numerosi guerrieri con le armature completamente nere, che riuscirono ad attaccare i Troiani di sorpresa, sul fianco del loro schieramento. I nuovi arrivati, combattevano come furie e si facevano largo fra i difensori, abbattendo ogni tentativo di arrestarli. Bastò un attimo. Nelle file troiane iniziò a serpeggiare l’indecisione, alla quale seguì la paura e l’azione dei Troiani iniziò a perdere efficacia sempre di più, permettendo agli attaccanti di prendere terra in numero sempre maggiore. Ad un preciso segnale, per limitare le perdite, i Troiani cominciarono a ritirarsi all’interno della città. Solo che a quel punto, più che una ritirata fu una rotta, con i Greci che incalzavano senza tregua gli avversari, almeno finchè gli arcieri, dall’alto delle mura, non furono in grado di bersagliarli con effetti molto pesanti. D’improvviso, ci fu un grande silenzio. Pur da quella distanza, il ragazzo ed il suo compagno potevano vedere che la spiaggia era cosparsa di un elevatissimo numero di corpi di caduti di ambo le parti. Subito dopo i Greci, per consolidare al più presto la loro posizione, iniziarono ad organizzare lo sbarco ed un campo improvvisato, con grande efficienza, mentre i Troiani, al sicuro, li osservavano dall’alto delle mura. “Ora che succede – chiese Ilario con voce esitante – Ci considereranno nemici e ci faranno prigionieri?”. “Onestamente non so, ma non credo. Come avevamo detto, ci sono moltissimi Greci in città e non credo che i Troiani vogliano caricarsi di un tal numero di prigionieri. Comunque staremo a vedere. Noi non possiamo fare nulla”. Quella mattina non si recarono al lavoro ma si limitarono a trattenersi nello splendido giardino vicino al loro alloggio, osservando cosa accadeva attorno a loro. Con il passare delle ore, la zona tornò a popolarsi. Chi si era allontanato per scoprire cosa accadeva, tornò al suo lavoro o alla sua casa. Anche i soldati tornarono per riprendere la loro posizione sulle mura e ricostituire il servizio di guardia. Asha notò che le loro divise erano perfette ed immacolate, da cui capì che non avevano partecipato alla battaglia. Di certo si era preferito utilizzare soldati più esperti e meglio armati, anche se, purtroppo per loro, questo non aveva influito molto sull’esito dello scontro. Per il momento, non sapendo come sarebbero state accolte le loro domande, i due decisero di non chiedere nulla. Per il loro pasto dovettero attendere la sera, segno che un po’ di disordine c’era stato ma la cena fu servita normalmente. Purtroppo per loro, i due schiavi incaricati della consegna, insistettero a dire di non sapere nulla circa gli eventi della giornata. Stavano finendo di consumare il loro triste pasto quando, senza preavviso, la porta si spalancò ed entrò come una furia Eleno che si sbattè l’uscio dietro le spalle. “Datemi qualcosa da bere! – disse con tono che non ammetteva repliche. Asha si affrettò a versargli un intero bicchiere di vino diluito e l’altro lo buttò giù come niente fosse, poi tese di nuovo bicchiere per farselo riempire, dicendo:”Senza acqua, questa volta!”. Si mise a sedere e alla fine disse:”Scusate l’intrusione ma avevo bisogno di parlare con qualcuno che non fosse Troiano – un sorso di vino e poi – avete saputo cosa è successo oggi?”.”Beh – disse cauto Ilario – quando abbiamo avvertito il trambusto stamattina, non sapendo cosa stesse succedendo, siamo saliti sulle mura, qui davanti, e abbiamo assistito grossomodo a quello che è accaduto ma non conosciamo i particolari”.”Gli eventi sono questi – disse il principe bevendo un altro sorso di vino – I Greci ci hanno teso una bella trappola! La loro ambasciata serviva solo a consegnare la dichiarazione di guerra, poiché non si potesse dire che la città era stata attaccata senza preavviso. In realtà, la loro flotta era nascosta dietro l’isola di Tenedo e quindi erano, evidentemente, già decisi ad attaccare”.”Chiedo scusa, ma so che sull’isola avete una guarnigione che serve proprio ad avvisarvi in caso di minaccia dal mare – disse il persiano – Se non siete stati avvisati, vuol dire che i Greci hanno assaltato e distrutto quel distaccamento quindi, tecnicamente, vi hanno attaccato prima della dichiarazione”. Il principe guardò l’altro con uno sguardo piuttosto strano. “L’ho già detto – riprese – tu, come schiavo mi convinci poco ma, chiunque tu sia, non ritengo che tu abbia cattive intenzioni e credo veramente che tu abbia come solo obiettivo quello di proteggere questo ragazzo. E comunque, hai ragione – continuò, cambiando tono - Hanno distrutto la guarnigione dell’isola ed hanno oltraggiato il Tempio di Apollo che vi sorge, profanandolo e uccidendo i sacerdoti. Per questo gli dei li puniranno”.”Purtroppo non mi sembra che Agamennone ed i suoi alleati abbiano molta paura degli dei, a meno che, gli eventi non li costringano”. Eleno chiese un altro bicchiere di vino ed i due si guardarono osservando come quella bevanda, così forte, ancora non avesse fatto effetto sul giovane. Il principe riprese a raccontare:”Per contrastare lo sbarco, stamattina, Ettore ed i suoi luogotenenti, avevano schierato sulla spiaggia 25.000 dei migliori soldati di Troia. All’inizio, sembrava che riuscissimo ad arrestare e addirittura a respingere l’attacco e poi, il disastro. Sulla sinistra dello schieramento, sono riuscite ad approdare, facendosi largo fra le altre navi greche, quelle dei Mirmidoni, comandati da un giovane chiamato Achille, un guerriero invincibile, accompagnato da una leggenda che lo vuole invulnerabile e i suoi combattenti sono tutti alla sua altezza. All’inizio, le nostre truppe erano riuscite comunque a far fronte anche a questa minaccia senonchè, Achille, in un duello epico, è riuscito ad uccidere uno dei nostri eroi, di nome Cicno, che si diceva fosse figlio di Poseidone. Vedendolo cadere, i suoi uomini si sono persi di coraggio e la paura è serpeggiata nelle fila dei Troiani al punto che, nemmeno Ettore, che pure combatteva come un leone, è riuscito a rincuorare le truppe. Per questo, dall’alto delle mura, qualcuno ha ordinato la ritirata ed è stato un vero massacro, limitato solo dal fatto che i nostri arcieri hanno tenuto i Greci a distanza. Ed ora, a corte, invece di prendersela con i nostri aggressori, tutti si danno la colpa l’un l’altro per ciò che è accaduto e nessuno riesce ad affrontare la situazione a mente fredda. E la cosa peggiore, che chi più ha da dire, non ha nemmeno partecipato allo scontro e si è limitato ad assistere agli eventi, al sicuro, dall’alto delle mura. Ettore, che pure ha combattuto in modo encomiabile, è sotto accusa per non aver saputo controllare meglio la battaglia, mentre Deifobo, che con i suoi soldati da commedia, se ne stava al sicuro in città, è uno dei peggiori accusatori! Non si possono sentire! E per questo sono venuto qui da voi, che in questo momento, siete una compagnia preferibile ai miei furiosi concittadini”.”Ma noi siamo Greci – fece osservare il ragazzo – Il nemico. Non hai paura che ti tagliamo la gola?”.”Già – rispose l’altro con un sorriso – non ci avevo pensato. Ed è quello che avete intenzione di fare?”. Non ci fu bisogno di rispondere perché il vino fece il suo effetto facendo cadere Eleno in un sonno profondo. I due lo sollevarono, lo deposero sul letto della stanza del ragazzo e lo coprirono con il suo mantello. Al mattino, il principe dormiva ancora, quando ormai il sole era già alto e i due ospiti non avevano voluto svegliarlo. Senza nessuna notizia certa, era anche inutile provare a fare progetti e quindi si limitarono a mangiare svogliatamente la loro colazione che era stata portata loro, puntualmente recata come ogni mattina. Segno che probabilmente la città, al sicuro delle sue invalicabili mura, tentava di riprendere un suo naturale ordine, in attesa di eventuali sviluppi. D’improvviso, qualcuno cominciò a bussare violentemente alla porta e continuò finchè Asha non andò ad aprirla. A quel punto, con un piglio determinato e deciso, entrò una ragazza. I due uomini, che ancora dovevano riprendersi dalla sorpresa, rimasero ammutoliti a guardarla perché era davvero un personaggio molto singolare. Piuttosto alta, completamente vestita di nero con una tunica che la copriva fino ai piedi, fermata in vita da una cintura lavorata in argento. Aveva un viso magro, quasi scavato, una pelle bianchissima e due occhi con uno sguardo che sembrava capace di trafiggere una persona. I lunghi capelli di un nero corvino, erano semplicemente raccolti in una coda di cavallo ma, fra loro, c’era una singolare ciocca bianca che la ragazza non si curava di nascondere e che anzi le conferiva un’aria misteriosa, arcana che ispirava un naturale rispetto. Era accompagnata da due schiavi che però si erano limitati a rimanere in corridoio. Dopo aver fissato i due uomini nella stanza per qualche secondo, con voce decisa chiese loro:”Mi hanno detto che mio fratello è venuto qui, da voi! Dov’è?”. “Vostro fratello ? – chiese Ilario – Ma allora voi signora, siete Cassandra, la veggente più dotata e potente della città, a quel che dice vostro fratello, che fra l’altro è veramente qui, ma sta ancora dormendo”. E indicò la stanza dove, dalla porta rimasta aperta, si poteva vedere il principe disteso sul letto. La ragazza, senza dire una parola, si avvicinò immediatamente al fratello e gli pose una mano sulla fronte. Dopo qualche istante, come rassicurata, si voltò ed uscì dalla stanza. “Scusatemi – disse ai due uomini – ma sono molto attaccata a mio fratello e così, quando lui è uscito da palazzo, dopo che avevamo discusso in modo piuttosto concitato, ero molto preoccupata. La nostra posizione di veggenti, ci pone in una condizione difficile. La gente, in genere, ha paura di noi e ci avvicina solo quando vuole sapere qualcosa e, ancora peggio, se il vaticinio non è favorevole, molti addirittura se la prendono con noi, come se fosse colpa nostra. – Poi si sedette e con atteggiamento più calmo, aggiunse – Ieri sera l’hanno pressato assieme agli altri, senza pietà, per sapere come si sarebbe evoluta questa situazione terribile ma gli dei sono stati molto vaghi circa il futuro e non c’erano abbastanza segni da interpretare. – Poi, guardando verso il suolo con tono sconsolato, continuò - Io, che ho visto il futuro già il giorno dell’ambasceria, non sono stata creduta, perché i miei vaticini non sono graditi ed allora, ho ritenuto di restare fuori dalla questione – Poi , ripresasi – Mio fratello mi aveva parlato molto bene di voi ed ero sicura che alla fine sarebbe venuto qui”.”Scusate, signora – chiese il ragazzo – ma il vostro vaticinio, se posso osare chiederlo, cosa diceva?”. “La mia predizione, l’ho fatta in pubblico, davanti a tutti, nella sala del trono, presenti anche quei tre sedicenti ambasciatori, quindi non è certo un segreto. Ho detto al re che, se non avesse accettato le condizioni dei Greci, la città sarebbe stata distrutta e la sua popolazione sterminata. Non ci saranno né mura, né soldati, a fermare la furia dei Greci. Ma ormai, per come si sono messe le cose, il destino della città è segnato”. I due uomini erano rimasti letteralmente sorpresi e allibiti dalla durezza e alla ineluttabilità di quella conclusione che, a dire della ragazza era inevitabile. “Ma, e i vostri concittadini, cosa hanno detto?”.”I miei cari concittadini, hanno ritenuto di non ascoltarmi, così stolidamente attaccati alla leggenda dell’inviolabilità delle mura di Troia. Hanno preferito ascoltare la voce di Antimaco, il consigliere giovane del re, che incitava alla guerra, alla battaglia. E così ha condannato tutti a morte”. “Questo dono che avete in comune con vostro fratello, come si manifesta? “.”Mio fratello si sente più sicuro se, prima di interrogare gli dei, procede con il cerimoniale previsto io, invece, non ne ho bisogno. Mi appare, quando è il momento, una scena che si riferisce al futuro di una persona o all’evolversi di una situazione”.”Quindi – insistette il ragazzo – per esempio, guardando noi due, sapresti dirci cosa ci attende?”. Cassandra li osservò a lungo poi, con voce incolore chiese:”Siete sicuri di volerlo sapere?”.”Certo – rispose spavaldamente il ragazzo, prima che Asha potesse esprimere il suo parere”.”Va bene – disse la veggente, con voce triste – Morirete tutti e due se non vi sbrigate a lasciare questa città condannata. – Poi, indicando il persiano, continuò – Tu, molto presto e, per te, – aggiunse indicando il ragazzo – ci vorrà molto di più ma anche tu, alla fine, non avrai scampo”. Il silenzio che seguì quelle parole fu improvvisamente rotto dalla voce furente di Eleno che si rivolgeva alla sorella:”Ma che stai dicendo? Ma che ti salta in testa di dire queste cose? – poi, rivolto ai due uomini, ancora attoniti per quanto avevano udito – Non le fate caso, non le credete. Fa la profetessa di sventura per darsi importanza, solo che, invece, ottiene che la gente effettivamente spaventata, l’allontani”. Poi aggiunse:”Grazie per l’ospitalità e, comunque, ero anche venuto a dirvi che la volontà del re è quella di consentire, a tutti gli stranieri, di lasciare in sicurezza la città, considerando che la situazione potrebbe precipitare. Ora torno a corte, per vedere che succede, e semmai avessi qualche altra novità, ve lo farò sapere”. Detto questo, prese bruscamente la sorella per un braccio e, letteralmente la trascinò via. Seguendoli con lo sguardo dal balcone, i due uomini notarono che il principe, giunto in strada,si rivolgeva alla sorella con un tono di palese rimprovero, mentre la ragazza non rispondeva nulla. “Dì – chiese il ragazzo al suo compagno – ma tu credi a quello che ha detto?”.”Io so che mi ha fatto rizzare i capelli sulla testa – rispose ancora turbato il persiano – Pensiamo però a quello che ci ha detto Eleno poco fa. Ossia che possiamo scegliere di andarcene”.”Certo , possiamo. Ma la nostra missione? Il nostro misterioso contatto si farà vivo, o la nuova situazione ha mandato tutto all’aria?”.”Io non me ne preoccuperei troppo. Vediamo di uscire da questa trappola e di tornarcene a casa. Se non fosse stato per le manovre di Thais, tutto questo non sarebbe mai cominciato. Noi siamo in grado di andare avanti con il nostro lavoro anche senza conoscere il segreto dei Troiani. L’avidità ci ha accecato. A quest’ora saremmo a casa e avremmo saputo degli eventi per aver visto la flotta greca passare per la nostra isola”.”Già, la nostra isola – rispose il ragazzo – Avranno visto la flotta e avranno capito. Cosa penseranno di noi, i miei genitori? E, naturalmente, anche tua moglie”.”Stai tranquillo – rispose l’altro, anche con lo scopo di calmare Ilario – questa guerra non ci toccherà. Noi dobbiamo solo salire sulla nave che fra qualche giorno ci riporterà a casa. Poi tutto questo sarà solo un ricordo”. Il ragazzo sembrò accettare le parole del suo compagno, anche, perché, sembravano piuttosto sensate. Non sapendo come fosse più conveniente comportarsi per loro, decisero comunque di recarsi al lavoro. Nel peggiore dei casi, avrebbero trovato la porta chiusa e non li avrebbero fatti passare. Invece l’attività andava avanti, come nulla fosse accaduto. Entrarono nella sala come sempre. Le ragazze erano tutte al loro posto e lavoravano con il solito impegno. Diversamente dagli altri giorni, però, parlottavano frequentemente fra loro, pur sotto il solito sguardo severo delle reverende madri. Quando li videro, li salutarono cordialmente, cosicchè i due pensarono di poter riprendere il lavoro come se nulla fosse accaduto. Invece, da lì a qualche minuto, Crino, che era dietro una colonna a prelevare del filato di cui aveva bisogno, tornando al suo posto, con voce aspra disse apparentemente rivolta alle sue compagne:”State attente, ragazze!Il nemico è fra noi! – e indicandoli con un dito, proseguì – Non l’avete riconosciuto? Prima, attenteranno alla nostra virtù, poi ci ruberanno tutto! Non sono queste le vostre intenzioni? Greci! – pronunciò l’ultima parola come una staffilata. Se l’atteggiamento della ragazza era legato solo ad una strategia, dovette riconoscere Ilario che era molto efficace,ed era difficile che non ce l’avesse davvero con lui. Seguì un profondo silenzio alle parole di Crino, mentre i presenti, comprese le reverende madri attendevano di vedere cos’avrebbe risposto il ragazzo. “Effettivamente, se io vi giurassi di non sapere nulla delle intenzioni dei vostri aggressori, con molta probabilità, non mi credereste e avreste ragione, anche se questa è la verità – rispose il ragazzo pesando attentamente le parole – Dico solo che noi non siamo “i Greci” che avete visto là fuori. Io sono Ilario, ho sedici anni e vengo dall’isoletta di Lemnos a poche leghe da qui e che è l’unico posto che conoscevo prima di venire a Troia. Quello, poi – e indicò il suo compagno – è uno schiavo e per di più, persiano. Non ritengo, onestamente, di rappresentare per voi un grosso pericolo, checché ne dica la vostra compagna anche perché, vista la situazione, per il nostro numero, potreste effettivamente farci a pezzi in ogni istante, se solo voleste. Però – e si guardò tranquillamente intorno – se pensate che la nostra presenza rappresenti per voi un’ offesa o un pericolo, possiamo tranquillamente ritirarci”. Le ragazze si guardarono in viso poi, una di loro, figlia di Priamo, molto bella, di nome Domnesia,che si era già fatta notare in passato per i suoi interventi, rispose :” Noi non dubitiamo di te e non abbiamo paura. Crediamo che veramente tu non abbia nulla a che fare con quelli là fuori. Per cui, ora sei qui e porterai avanti il lavoro finche non ci avrai insegnato tutto quello che potrai – poi guardandosi attorno per cercare il sostegno delle altre presenti, continuò – noi non abbiamo altro che da guadagnarci. Per cui, andiamo avanti!”. “Stupide! – gridò loro Crino – Poi non dite che non vi avevo avvertite. Siete solo delle stupide galline!”. E, come il suo solito, abbandonò la stanza, mentre le ragazze presenti espresseroqualche commento maligno su quella strega appena uscita. Ilario, ringraziò le sue allieve e preparò il lavoro per quella giornata, sotto lo sguardo attento delle reverende madri che in tutta quella situazione si erano limitate ad assistere. Il ragazzo pensava che le ragazze si erano sbagliate in realtà. Il secondo fine, ce l’aveva eccome, ma non era quello a cui aveva alluso Crino. Quella sera ricevettero la solita visita di Eleno il quale, apparentemente, aveva preso in simpatia Ilario ma ancheAsha, però, al quale consentiva di intervenire nel discorso da pari a pari, fortemente affascinato dalla sua cultura e dalla sua esperienza. Sentiva che i due erano veramente al di sopra delle parti e gradiva di potersi confrontare con qualcuno, così, sfogandosi per quella che riteneva essere una condotta sbagliata da parte dei Troiani. Disse loro, infatti, che grazie all’inazione dei suoi cittadini, ora i Greci avevano preso possesso in modo concreto della spiaggia e del porto del Sigeo. Avevano proseguito con lo sbarco per tutto il giorno, scegliendo per il loro accampamento una laguna sulla destra del porto, caratterizzata da lunghe e alte dune di sabbia, che li avrebbero protetti da eventuali sorprese da parte dei Troiani e dalle intemperie. Sul lato sinistro dell’accampamento, che rappresentavala zona più vulnerabile dello schieramento, si erano stabiliti i Mirmidoni, le truppe più forti ed efficienti di tutto l’esercito greco, quelli che avevano segnato la sorte nel corso del primo scontro. In città, dopo l’agitazione, l’allarme e il terrore legati al primo assalto, stava tornando la normalità ed i cittadini, consapevoli dell’invalicabilità delle loro mura, riprendevano le loro attività, sicuri di non correre alcun pericolo. Il giorno seguente, Ilario ed il suo compagno si avventurarono nella città esterna, senza che nessuno badasse a loro più di tanto. Il loro scopo era di ascoltare le chiacchiere della gente e dei soldati, per capire come si stava evolvendo la situazione. Riuscirono perfino a salire in cima alle mura, proprio in prossimità delle porte Scee, ovvero quelle di fronte al mare, e poterono avere conferma dell’ impressione che avevano avuto la prima volta che le avevano viste. Ossia i Greci non sarebbero mai riusciti a sfondarle. Dall’alto si poteva agevolmente vedere il campo greco, in cui ferveva una grande attività, non tanto dal punto di vista militare, quanto da quello logistico. Le navi erano state ormai tirate tutte in secca, meno una ventina che, probabilmente, avrebbero mantenuto un servizio regolare di collegamento con la patria. Era stato scavatoun profondo fossato difensivo per le posizioni dei Greci, sopra il quale veniva realizzata una robusta staccionata che veniva completata e rinforzata di giorno in giorno. Si vedeva anche un grande numero di tende di diversa dimensione, certamente legate a diversi usi. I Troiani si chiedevano cosa stesse passando per la testa di Agamennone. Aveva portato sotto le mura di Troia un esercito imponente, composto da non meno di ottantamila uomini ma, contro le sue difese non avrebbero potuto fare nulla. Stavano tornando verso il loro alloggio, silenziosi, incerti circa il loro futuro, quando furono malamente urtati da un uomo che, palesemente, fuggiva in preda alla paura e che si infilò in un vicolo che si apriva fra due costruzioni, a breve distanza. Sopraggiunsero in un tempo brevissimo tre scalmanati, armati di coltello che, dopo un attimo di esitazione, si infilarono nel medesimo vicolo, scomparendo alla vista. Asha aveva avuto modo di osservare il volto del fuggitivo, anche sesolo per un istante. Dal vicolo giungevano dei suoni e dei rumori che indicavano lo svolgersi di uno scontro, di una lotta. Evidentemente il fuggitivo, in qualche modo, teneva testa ai suoi aggressori, almeno finchè poteva. “Tre contro uno – disse il persiano – Così non può andare. – Estrasse il suo pugnalee, dopo aver ordinato al ragazzo con voce perentoria di aspettare lì dove si trovava, si gettò a sua volta nel vicolo. I suoi occhi si abituarono quasi subito alla penombra e scorsero il fuggitivo che ormai a terra e con varie ferite, ancora resisteva come poteva agli attacchi degli aggressori che l’avevano circondato per dargli il colpo di grazia. Asha piombò loro addosso e, approfittando della sorpresa, con due rapidi fendenti, mise fuori combattimento altrettanti avversari. Il terzo, ripresosi da quella imprevista irruzione, balzò addosso al nuovo arrivato, urlando che l’avrebbe ucciso come un animale. Il persiano non si fece spaventare e in pochi colpi, ebbe ragione dell’altro, assestandogli un tremendo fendente che gli squarciò l’addome. I primi due avversari, pur seriamente feriti, riuscirono ad alzarsi in piedi e ad allontanarsi, lasciando indietro il loro compagno, sicuramente morto. Le cure di Asha andarono all’uomo aggredito, che aveva immediatamente riconosciuto. Si trattava di Trofim, il marinaio troiano che aveva trasportato il bagaglio al loro arrivo. L’uomo aveva diverse ferite ma, per fortuna, nessuna grave. Si alzò faticosamente e, a sua volta, riconobbe il suo salvatore. “Ti ringrazio di cuore – gli disse parlando con fatica – Se non fosse stato per te, quelle carogne mi avrebbero già fatto fuori”. Asha che aveva accompagnato l’altro ad una fontanella per farlo bere e pulirgli le ferite, chiese:”Ma cosa è successo? Chi erano quelli?”. Il marinaio dapprima non voleva parlare. Poi, vista l’insistenza dell’altro, disse:”Quella è brutta gente. Con il beneplacido di chi dovrebbe mantenere l’ordine , controllano il porto e quasi tutti i traffici ed ora, hanno allungato le loro sudice mani anche sull’attività dei pescatori. Io, insieme a mio fratello, ho cercato di resistere, perché le loro richieste sono davvero troppo esose e non ti lasciano abbastanza per vivere. Il risultato è stato che abbiamo trovato la barca danneggiata e, poiché non ci siamo comunque arresi e, anzi , abbiamo denunciato pubblicamente la cosa, quelli, stasera, mi volevano fare la pelle e ci sarebbero riusciti, se non fosse stato per voi”.”Ho capito – disse il persiano – Ma ora, hai un posto dove rifugiarti? Perché quelli, lo sai, ci riproveranno”.”Purtroppo lo so. Per fortuna, fuori città, vicino alla Porta Dardanica, vivono delle persone che mi ospiteranno e mi aiuteranno. Peccato, perche’ questo significa che dovrò trasformarmi in contadino, ma almeno resterò vivo. Ti ringrazio, comunque, perché mi hai salvato la vita, rischiando la tua. Ti sono debitore”.”Stai tranquillo – rispose Asha con un sorriso – che troverò presto il modo di farti sdebitare. In una città straniera, in cui non si conosce nessuno, ogni amico è prezioso. Ma ora vai, in fretta, perché magari quelli non erano soli potrebbero venirne altri a cercarti”.”Va bene grazie ma, prima, se tu avessi bisogno di me, al di fuori della Porta Dardanica, c’è una fattoria con un grande recinto. Lì vengono radunate le bestie che sono inviate dal monte Ida per essere macellate e fornire la carne per la corte. Chiedi di me e dì che ti manda Glauco. Ti aiuteranno. Ora vado, e saluta il tuo padrone”. Detto questo, malgrado le ferite, sparì in fretta attraverso le stradine che, apparentemente, conosceva molto bene. Mentre tornavano al loro alloggio Ilario chiese al suo compagno:”Ma che ti è preso? Potevi rimanere ucciso!”. “Ci vuole altro che quei miserabili tagliagole. Se erano in tre, era perché non valevano davvero molto. Comunque scusa, è stato un impulso del momento perché avevo riconosciuto Trofim. E poi, non è stato nemmeno per quello. In passato, qualcuno ha fatto qualcosa di simile per me ed è stato come pagare un debito. Comunque, sta tranquillo. Sono convinto di aver fatto un buon affare. Quell’uomo ci sarà utile, ne sono convinto”. Nei due giorni seguenti, il lavoro procedette normalmente. Malgrado gli ultimi eventi, il ragazzo riusciva a relazionarsi sempre meglio con le sue allieve che, da parte loro, avevano smesso di ‘giocare’ con lui. Faceva eccezione la solita Crino che se ne stava in disparte e, se coinvolta in qualcosa, o non rispondeva o lo faceva in modo sgarbato. Ilario arrivò alla conclusione che non valeva la pena di porsi ulteriori domande su quella ragazzae decise di ignorarla. La cosa, in realtà, in parte gli dispiaceva perché, nel profondo, sentiva chenon era cattiva ma era solo in guerra con il mondo. Era anche piuttosto carina, malgrado non si curasse come le altre e anzi, forse, era proprio questo che le donava un certo fascino. Chissà, magari in un’altra situazione… Ma ora Ilario sapeva che aveva ben altro per la testa. La sua missione, l’attacco alla città, il suo desiderio di tornarsene a casa. Era trascorso quasi un mese dallo sbarco, quando finalmente arrivò la notizia che gli stranieri, e quindi naturalmente anche i Greci, avrebbero potuto lasciare la città in sicurezza per tornare alle loro case. Gli assedianti avrebbero garantito un passaggio sicuro lungo le loro fila, fino alla spiaggia, per l’imbarco. I due ne stavano parlando durante la cena, quando, qualcuno tentò di aprire la porta del loro alloggio che ormai, per prudenza, veniva sistematicamente sbarrata da Asha, a scanso di sorprese. Seguirono allora dei violenti colpi all’uscio. “Chi sarà? – chiese Ilario con una giustificata inquietudine – Apri, comunque e vediamo di capire di che si tratta”. Il persiano aprì la porta e, immediatamente, scansandolo con prepotenza e furia, entrò nella stanza una figura completamente coperta da un ampio mantello e un cappuccio che non consentivano di risalire all’identità del ‘visitatore’. Si capiva dalle movenze solo che doveva trattarsi di un uomo ed anche piuttosto in carne. Questi rimase un attimo fermo ad osservare lo scenario attorno a lui, quindi fece segno al persiano di chiudere l’uscio e poi, subito dopo le cortine alla finestra. Si trattava forse del loro misterioso contatto. In effetti, vista la situazione, era ora che si facesse vivo. L’uomo si tirò giù il cappuccio facendosi riconoscere. Asha ebbe un sussulto involontario. Mai si sarebbe aspettato quella visita. Si trattava di Bemus, conosciuto in città come Risto, il suo peggior nemico, che ora osservava tutti e due i presenti con un sorriso che non riusciva a celare la sua reale cattiveria. Quindi rivolto ad Asha, con tono sprezzante, disse:”Credevate che mi sarei dimenticato di voi? In effetti, al momento, non eravate in cima ai miei pensieri ma poi, avete combinato un guaio che mi ha costretto ad intervenire”. Detto questo, avanzò verso la tavola e presa l’anfora del vino se ne versò un generoso bicchiere. Ilario chiese al suo compagno se conoscesse quell’uomo. Dopo aver svuotato il suo bicchiere in pochi sorsi, il nuovo venuto rispose al ragazzo:”Si, si. Il tuo schiavo, o chiunque sia veramente, mi conosce e anche molto bene. Ed io conosco lui! Da tanto tempo. Voi, di lui, invece non sapete un bel nulla, se avete deciso di prendervelo in casa e tuo padre, se conoscesse la verità, si sarebbe ben guardato dall’affidarti ad un simile individuo. “Bemus! – esclamò Asha – falla finita e dicci cosa vuoi!”.”Quanta fretta – rispose il funzionario con tono canzonatorio di chi sapeva di avere una posizione di vantaggio – Secondo me, è importante che invece il ragazzo sappia chi sei veramente, cosicchè, quando ti avrò eliminato come meriti,lui si renderà conto che, in realtà, gli ho fatto un favore e sarà in obbligo con me”. Quest’uomo - e indicò Asha che era rimasto in silenzio, come schiacciato dalle parole dell’altro – è una vera belva. Ha tradito, ucciso e fatto uccidere decine e decine di persone innocenti per la sua ambizione, il suo tornaconto ed ora si nasconde, solo in attesa di poter ricominciare daccapo”.”E’ passato tanto tempo – intervenne il persiano con voce triste, senza tentare di negare ciò che era stato detto – Mi sono pentito di tutte le atrocità che ho commesso. Poi, rivolto al ragazzo, continuò – E’ vero che all’inizio mi nascondevo ma poi, nella tua casa, su quell’isola, ho trovato la mia serenità. Ho capito di aver sbagliato, spinto, sostenuto e a volte costretto da gente come questo mascalzone qui presente, che ora viene dal passato ad accusarmi. Infine ho conosciuto Frida e ho capito che volevo solo concludere la mia vita in pace”.”Oh, - rispose Bemus con il suo solito tono canzonatorio – che storia commovente! Puoi raccontarla a lui, che non ti conosce, masappiamo bene entrambi che gente come noi non può cambiare, mai – Poi, rivolto al ragazzo, continuò – So perché siete qui e so che in qualche modo lo otterrete. E tu, pensi davvero che un uomo come questo, scoperto il segreto di Priamo, lo condividerà con voi? Ti ucciderà immediatamente per liberasi di te. Fuggirà e, con il suosegreto che lo renderà nuovamente ricco e potente, tornerà esattamente come prima, anzi, peggio di prima perché vorrà la sua vendetta contro quelli che l’hanno costretto a fuggire”. Ilario era evidentemente molto confuso e non poteva non vedere il suo compagno sotto una luce completamente diversa. Di lui, in effetti, non sapeva nulla, a parte quello che egli aveva rivelato, ossia di essere di origine persiana e quello che diceva essere il suo nome.Era evidentemente una persona colta, naturalmente distinta e in grado di farsi obbedire, ma, da lì a dire che era una canaglia e un pluriomicida, ce ne correva, anche se egli stesso aveva appena ammesso qualcosa. “Pur supponendo che il mio schiavo sia chi dite voi, non capisco ancora cosa volete”.”Cosa voglio? Voglio tutto. Voglio il segreto di Priamo e voglio la mia vendetta, poichè, nel fuggire, tanti anni fa, quest’uomo ha causato anche la mia rovina, in quanto io ero il suo socio occulto, quello che si occupava del lavoro sporco. Ecco perché so tante cose di lui!”.”Ma allora, - disse Ilario – Voi siete proprio come lui, anzi, peggio di lui!”.”Al contario! – rispose l’uomo con soddisfazione – Forse non avrò proprio tutte le sue qualità, ma decisamente sono più furbo, molto più furbo. A differenza sua, che ha cercato solo di sparire, io sono venuto qui, a Troia, ho fatto i miei passi, ho messo a frutto la mia abilità ed ora, sono qualcuno. Ho il potere”.”E allora cosa vuoi da me, se hai già tutto quello che desideri”.”Voglio darti una lezione, una volta per sempre. Non la vuoi proprio smettere di interferire con i miei piani, vero?”.”Ma … di che parli? – chiese Asha – totalmente sorpreso. Da quando era giunto in città aveva mantenuto per quanto possibile un profilo bassissimo. Poi, capì. “Esatto! – esclamò Bemius, vedendo l’espressione del persiano – Ci sei arrivato. Cosa ti è venuto in mente di immischiarti in quella faccenda, giù, in città, con quel marinaio ostinato e ribelle? Un uomo ucciso, un altro ferito gravemente e quel che è peggio, Trofim fuggito! – esclamò dando sfogo alla sua rabbia – E sai cosa significa questo? – continuò in tono gelido, senza alzare la voce – Che qualcuno, al porto, può cominciare a pensare di disobbedire ai miei uomini che controllano la zona e di farla franca. Questo avete fatto, ed ora me la dovete pagare”.”Che hai in mente? – chiese il persiano con astio. “Per la seta, posso aspettare ma ora, a titolo di indennizzo per i guai che ho avuto e che potrei avere in futuro, per colpa vostra, voglio il segreto della tinta rossa e lo voglio subito”. Velocissimo afferrò il ragazzo per un braccio, estrasse un pugnale e glielo puntò alla gola. Questi, preso alla sprovvista, iniziò ad arretrare, fino a trovarsi con le spalle al muro. “Ma che vuoi fare – chiese il persiano, spaventatissimo. “Lo vedi – rispose freddo Bemus – Dammi ciò che voglio o uccido il ragazzo. Non scherzo”. E premette con maggior forza il pugnale contro la gola del suo prigioniero. “E che dirai alle guardie, dopo? – chiese disperato Asha. “Il bello è che non mi ha visto nessuno. Nessuno sa che io sono qui. Sono bravo in questo e chissà, potrei anche mettere le cose in modo da far sembrare che tu hai ucciso il tuo padrone”.”No, no! Ti prego! Hai vinto. Ecco ciò che vuoi. Porto l’ingrediente segreto nella mia tunica. Te lo consegnerò eti dirò come ottenerlo e trattarlo. Mise una mano sotto un lembo della tunica per estrarre una piccola sacca, e contemporaneamente siavvicinò al suo nemico per consegnarglielo. Almeno questo era ciò di cui era convinto il ragazzo e, di certo, anche il suo aggressore, tant’è che rimase fermo ad attendere la resa del persiano. Questi, invece, giunto alla giusta distanza, con una mano, bloccò in una morsa di acciaio il polso di Bemius che stringeva il coltello per impedirgli di ferire Ilario e con l’altra, lasciata cadere la sacca, estrasse in un lampo il suo micidiale pugnale che immerse senza esitare nel fianco dell’altro, all’altezza dei reni, segnandone la fine, il tutto in un silenzio assoluto. Ilario, che aveva il volto del funzionario a pochi centimetri dal suo, lo vide assumere una espressione quasi sorpresa e poi, nel giro di secondi, il suo sguardo si fece vitreo e, semplicemente, così, si afflosciò a terra, mentre Asha lo accompagnava nella caduta, ma solo per evitare che il suo compagno fosse ferito dal pugnale con cui era stato minacciato. “L’hai ucciso – riuscì a dire Ilario con voce roca – Così, a sangue freddo!”. “Mi dispiace, non ho avuto scelta. Era determinato a vendicarsi e, una volta ottenuto ciò che voleva, ci avrebbe uccisi entrambi. Credimi! – insistette, vedendo lo sguardo carico di orrore del suo compagno – O lui o noi!”. Il ragazzo, ancora confuso per quell’accavallarsi degli eventi, tentò di ragionare su quanto era appena accaduto e alla fine chiese:”Ma chi era questo? Io non l’avevo mai visto! E poi, quello che ha detto di te, è vero? Io sapevo che avevi ucciso un uomo ma quello che lui ha detto…. Insomma! Non riesco a crederci”.”Ora quello che conta – rispose l’altro con voce conciliante e di nuovo controllata – è se credi che una persona possa cambiare. Quando sono arrivato sulla vostra isola, ho capito che avevo davanti la fatidica ‘seconda occasione’ che tanti sognano invano. Ho trovato una nuova vita, il rispetto, la pace che cercavo e perfino l’amore. Se avessi voluto, avrei potuto andarmene a mio piacimento e anche con ingenti somme che tuo padre mi ha affidato, non poche volte. E’ vero che ho sbagliato in passato ma ho pagato carissimo il mio errore, tu non sai quanto”. Il suo sguardo andò verso la finestra aperta, perdendosi nel vuoto, come a rivivere episodi lontani. “Va bene, - gli rispose il ragazzo – mi fido di te, perché non ti ho mai visto compiere gesti cattivianche se avresti avuto tante occasioni. Ma ora, che facciamo? Se qualcuno scopre quello che è successo qui, siamo morti!”.”’Sono’, morto – ribadì Asha – Perché sono io che ho ucciso questo miserabile e l’ho fatto da solo, seppure con grande soddisfazione”.”Non so se ciò, a Troia, ha un grande valore perché, se questo tizio aveva raggiunto una posizione così importante, come diceva, la punizione sarà esemplare”.”Calma, calma – disse il persiano che aveva riacquistato in fretta il suo sangue freddo – lasciami pensare – Poi, ricordando le parole di Bemus – Lui ha dettoche è venuto da solo e senza farsi vedere da nessuno. Questo è l’elemento che ci salverà”. Poi, dopo aver riflettuto qualche minuto, chiese al suo compagno:”Te la senti di rimanere qui, da solo, con il cadavere, per qualche ora?”.”Beh, penso di si – rispose il ragazzo, affatto entusiasta della situazione. “Allora, io ora esco e, se tutto andrà come spero, potremo uscire al meglio da questa storia”. Poi, aiutato dal compagno, trascinò il corpo nella stanza del bagno, lo sollevò e lo mise nella vasca. Pulì alla meglio la scia di sangue lasciata dal cadavere e chiuse la porta. “Ora vado – disse Asha – Fino a domani non dovrebbe venire nessuno. Ed io, domattina, conto di essere già qui di ritorno. “Ma dove vai? – chiese Ilario, piuttosto preoccupato. “Vado a riscuotere un debito che non credevo avrei dovuto reclamare così presto. Ma nulla avviene mai per caso. Ora aspettami e, comunque vada, io tornerò, non ti lascio in questo pasticcio. Te lo prometto”. Poi, copertosi con il mantello, uscì. Il ragazzo, improvvisamente, si sentì molto solo ed ebbe un brivido di freddo. In parte era ancora sotto shock per quanto era accaduto. Un uomo ucciso davanti a i suoi occhi, lui stesso minacciato con un coltello alla gola, le rivelazioni su Asha, che ora appariva molto diverso da ciò che aveva sempre creduto. Che avrebbe detto suo padre se avesse saputo tutto ciò. E che avrebbe raccontato in famiglia al suo ritorno. Se ‘fosse’ tornato a casa, a questo punto. Passato il momento dell’eccitazione, iniziava a sentirsi spossato e impaurito, sempre di più. C’era nella stanza accanto un cadavere e, con improvviso spavento, si rese conto che la scia di sangue non era stata affatto cancellata e si vedeva benissimo. Preso un panno, pensò di cancellarla meglio ma si rese conto che avrebbe dovuto prendere l’acqua nella stanza del bagno, cosa che lo bloccò. Poi si fece coraggio, lentamente aprì la porta e rimase in attesa, nemmeno lui sapeva di cosa. Poi, visto che tutto taceva, andò verso la presa dell’acqua, anche se ciò lo costringeva ad avvicinarsi molto alla vasca. Con agitazione estrema si avvicinò, mentre la sua immaginazione gli giocava gli scherzi più terribili. Vedeva una mano che usciva da sotto al mantello e lo serrava senza che lui riuscisse a liberarsi. Vedeva un volto insanguinato con gli occhi sbarrati che lo guardava urlando. Gli mancò il respiro e fu immediatamente coperto da un velo di sudore gelato. In realtà non avveniva proprio nulla ed il corpo era statocompletamente avvolto nel suo mantello da Asha. Così Ilario, fattosi coraggio e vergognandosi un po’, per essersi spaventato come un ragazzino, riuscì a cancellare completamente la scia di sangue dal pavimento della sala. Quando terminò il suo lavoro, era quasi l’alba. Non voleva restare ancora solo in quella stanza e, aperte le cortine, si sedette al balcone, in modo da osservare la strada da cui sperava di veder tornare il compagno al più presto. La stanchezza, una brezza lieve ed il tempo trascorso, alla fine lo fecero assopire finchè un raggio di sole che lo colpì direttamente in viso, lo svegliò. Il ragazzo ricordò immediatamente tutto ciò che era accaduto e si fece prendere dall’angoscia. Il suo compagno non era ancora tornato e lui non sapeva cosa fare. Gli mancò persino il coraggio di rientrare nella sala. Poi, finalmente, sulla strada, apparve Asha. Non era solo. Dietro a lui, camminavano due uomini che portavano, a fatica, una grossa cesta a forma di parallelepipedo, attaccata con delle funi ad un robusto palo che iportatori sorreggevano in spalla, uno dietro l’altro. Quando giunsero al corpo di guardia, naturalmente, il responsabile li fermò e chiese cosa ci fosse dentro a quel contenitore. Il persiano fece mettere la cesta a terra e, apertala senza indugio, mostrò tutti i tessuti che essa conteneva. Pezze di cotone colorato, tagli di broccato, teli di lino e perfino una piccola quantità di seta. Ilario, dal balcone, sentì distintamente che il suo compagno stava spiegando che quel materiale serviva con urgenza per realizzare dei lavori che il re, in persona, aveva richiesto loro prima della loro partenza. Sapendo, infatti, che i due sarebbero tornati di lì a poco in patria, Priamo aveva commissionato loro dei lavori particolari, per fare dei doni ad alcuni membri della corte, cosa che corrispondeva più o meno al vero. Peraltro, per questo incarico, aveva già ottenuto un congruo e generoso anticipo. Il soldato osservò tutte quelle stoffe e poi, disse che era tutto a posto. Asha rimise tutto nella cesta ma, prima di chiuderla per portarla nel suo alloggio, ne trasse un taglio di broccato che dette al capoposto, dicendogli di fare un regalo alla sua donna. Questi all’inizio rifiutò ma, debitamente stimolato dal persiano, che conosceva le cose della vita, alla fine accettò il dono, facendolo immediatamente sparire e dicendogli di togliersi di mezzo in fretta. Pochi minuti dopo, Asha, seguito dai due portatori, entrò nell’appartamento e richiuse immediatamente la porta alle loro spalle. Uno dei due era Trofim il quale chiese, senza perdere tempo:”Dov’è?”.”Piano – disse il persiano – Andiamo con ordine. Prima svuotiamo la cesta”. E così fecero. Poi il persiano accompagnò i due nella stanza da bagno dove Bemus giaceva. Tutti insieme sollevarono il corpo e lo deposero a terra. Nel poggiarlo il mantello si aprì e Trofim lo riconobbe immediatamente. “Ma è.. – esclamò stupito. Poi, con un moto di rabbia, sferrò al corpo un violento calcio. “No! – gli intimò Asha – queste cose non si fanno!”.”Ma lo sai chi è quest’uomo? – rispose l’altro con ira. Il persiano gli fece cenno di abbassare il tono della voce perché, se dalla strada li avessero sentiti urlare, sarebbero probabilmente saliti a controllare. Il troiano abbassò il tono della voce ma la sua rabbia non si placò affatto e, con tono controllato ma rabbioso, indicando il corpo a terra, continuò:”Questo è l’uomo che ha dato l’ordine di uccidermi. Questo bastardo ha fatto soffrire centinaia di disgraziati. Dovrebbero darti un premio per quello che hai fatto. Almeno metà dei cittadini di Troia, ti porterebbe in trionfo se sapessero dell’accaduto! Personalmente io e la mia famiglia ti saremo riconoscenti per sempre”. “Non ha importanza ciò che questo farabutto ha combinato da vivo. Ora è morto ed i morti si rispettano perché altrimenti rischiamo di destare l’ira di Plutone”.”Ma tu credi in queste cose? – gli chiese quasi incredulo il troiano. “Non so, a questo punto della mia vita, a cosa credo realmente. Però so che, in questo momento, tutto deve filare liscio e l’ira di un dio, seppure ipotetica, non ci serve proprio”. I due troiani avvolsero di nuovo il corpo nel mantello e, dopo aver controllato con molta attenzione, che non perdesse sangue, lo misero nella cesta. “Bene – disse loro Asha, ora sapete cosa dovete fare. Ma poi, come farete a farlo sparire?”. “Questo è compito nostro. Non è necessario che tu sappia di più”. Ciò detto i due uomini sollevarono la cesta ma prima che si incamminassero, il persiano tentò di compensarli con delle monete d’oro. I due rifiutarono decisamente affermando che per il servigio reso, sarebbero stati loro in perenne debito con lui. Detto questo, se ne andarono. Dal balcone Ilario osservò, assieme al suo compagno, i due che si allontanavano muovendosi con grande maestria, dando a vedere che la cesta, ora vuota, era estremamente leggera.
 
                                                                                       Cap V^
 
Anche se durante il loro soggiorno i due uomini avevano accettato di eseguire lavori particolari per diversi nobili e dignitari della corte, cosa che aveva consentito loro di guadagnare una bella cifra in oro, purtroppo erano consapevoli che il loro obiettivo primario, non era stato raggiunto. Il giorno precedente a quello della loro partenza, avevano preso commiato dagli allievi che,senza badare alla reazione energica delle reverende madri che, tutte insieme, iniziarono a gridare battendo i bastoni al suolo, vollero abbracciare Ilario, alcune addirittura piangendo, e altre si lasciarono persino andare a qualche bacio. Alla fine, lasciarono la struttura, pensando che, effettivamente, il tempo era veramente volato. Quella era l’ultima serache avrebbero trascorso a Troia ed era ormai tutto pronto. Preparati i bagagli e sistemate tutte le loro cose, i due uomini si accingevano a consumare quella che sarebbe sta la loro ultima cena in quella stanza. Improvvisamente, qualcuno bussò energicamente alla loro porta. Quando Asha aprì,si trovò davanti uno sconosciuto, coperto da un ampio mantello verde che celava in parte il suo volto. Questi, senza perdere tempo, disse di preparasi e di seguirlo subito, perché c’era una persona che voleva vederli. Il persiano era alquanto dubbioso. L’invito era piuttosto sibillino e poteva nascondere qualche trappola e, alla luce degli ultimi avvenimenti, poteva essere opportuno stare attenti. “Va bene, - disse – ma vengo io solo”.”No – rispose l’altro con voce autoritaria – Tutti e due e disarmati. Queste sono le condizioni. Ed ora andiamo perché non ho tempo da perdere – e si incamminò.”Che facciamo? – chiese Ilario al suo compagno. “Te la senti? – rispose questi. Al segno affermativo del ragazzo, decisero di seguire entrambi il loro contatto. Presero di corsa i loro mantelli e seguirono l’uomo che stava già uscendo dalla porta del loro edificio ma, prima di varcare l’uscio, Asha si fece comunque scivolare un corto pugnale nella tunica. Lo raggiunsero di corsa,procedendo poi a passo svelto ma restando ad una ragionevole distanza per non dare troppo nell’occhio. Attraversarono la piazza con la fontana al centroe si diressero verso un vicolo, che si notava appena e che separava due grosse costruzioni. Quella a destraera adibita a magazzino mentre, l’altra, ospitava i grossi telai per lavorazioni particolari e che, di solito, era piena di vita e attività, mentre, al momento, era deserta e silenziosa. Proseguirono fino ad una porta non sorvegliata e lì, la loro guida, si fermò e bussò con una cadenza che faceva pensare ad un codice convenzionale. L’uscio si aprì e la guida lo superò, in fretta, seguita dai due uomini. Si ritrovarono in un andito a pianta circolare, senza finestre, da cui partivano tre corridoi a raggiera, il tutto illuminato fiocamente da tre lampade ad olio fissate alle pareti, a distanza regolare una dall’altra. Chi aveva aperto la porta era scomparso mentre la loro guida, prese una torcia che era attaccata al muro all’inizio di uno dei passaggi, l’accese e procedette dicendo di seguirlo. Il lungo corridoio, con una marcata pendenza in discesa, li portò fino ad una tenda oltre la quale c’era una stanza quadrata anch’essa senza finestre e fiocamente illuminata. “Una trappola perfetta! – pensò Asha, deciso a vendere cara la pelle. L’ambiente aveva al centro un piccolo tavolo di marmo con il piano rotondo e due panche di legno erano accostate alle pareti. “Voi attendete qui – disse l’uomo e scomparve dietro la tenda da cui erano passati. I due uomini erano alquanto inquieti. Se quella era un tranello, c’erano cascati in pieno e sarebbero scomparsi nel nulla. Mentre valutavano seriamente e nervosamente la loro situazione, dietro di loro si aprì nella parete un passaggio segreto e ne uscì in silenzio una persona che esclamò con il suo solito tono di voce:”Ma guarda chi si vede! I miei due amici greci!”. Il tono della voce e la sorpresa fecero sussultare i due che si voltarono di colpo, in preda ad una forte agitazione che si tramutò in profondo turbamento, quando realizzarono che davanti a loro si trovava Teano, che li osservava con il suo solito sguardo truce, senza battere ciglio. Era evidente che aveva scoperto tutto. Qualcuno li aveva denunciati ed ora sarebbero finiti nelle acque del fiume Simoenta che li avrebbe scaricati a mare, senza lasciare tracce. Alla fine, Asha che aveva ripreso un minimo di controllo, chiese:”Signora, che ci facciamo qui? Perché ci avete convocato?”.”Tu, stai zitto, schiavo – rispose la donna con tono molto aggressivo – o chiunque tu sia davvero. Io parlo solo con il ragazzo”. Poi, con un tono di voce più morbido, rivolta ad Ilario, continuò:”Allora, avete deciso di lasciare la città, di tornare a casa. E della vostra missione, non ne volete più sapere?”.”Signora – rispose il ragazzo, cercando di essere più convincente possibile, - perdonate ma non sappiamo cosa volete dire. La nostra missione, per quello che abbiamo potuto, l’abbiamo svolta tutti i giorni. Con le ragazze della filanda”.”Certo – rispose la donna – Quella di facciata. Ma quella vera cominciava al momento di partire. Adesso, vista la situazione”. Il ragazzo non sapeva che dire. Evidentemente Teano era stata informata da qualche spia. “Va bene – disse Ilario – Allora adesso cosa farete? Ci denuncerete?”.”Denunciarvi? – rispose la donna con uno strano sorriso – E perché? Il vostro misterioso contatto sono io. Sono io, che vi rivelerò il segreto della seta. Io, la custode di uno dei più importanti segreti della città, la sacerdotessa di Atena, che tradisco il mio re, la mia città!”. Dopo un attimo di silenzio, si girò lentamente e, da dietro la porta, prese un piccolo canestro coperto da un panno, che era rimasto nascosto alla vista. Lo posò sul piano del tavolo e fece segno ai due uomini, ancora sconcertati per la rivelazione, di avvicinarsi. La donna sollevò il panno e, all’interno del cestino, i due poterono vedere dei batuffoli simili a quelli del cotone, adagiati su un letto di foglie verdi. “Quelli che sembrano batuffoli sono invece i bozzoli di un particolare baco che viene da una lontanissima terra d’oriente – iniziò a spiegare Teano – Ma il bozzolo è costituito da un filo sottilissimo che può essere ottenuto ed utilizzato per ricavare la seta. Questi bachi che vedete qui, non sono per ottenere la seta ma per ricavare delle crisalidi che vi consentiranno di avere altre larve utili ad avviare la produzione”.”Ma perché fate questo – chiese il ragazzo che non era riuscito a trattenere la propria curiosità – Noi eravamo convinti che voi foste nostra nemica”.”Non sono vostra nemica, più che altro perché mi siete completamente indifferenti. Voi, infatti, rappresentate solo il mezzo della mia vendetta contro Priamo. Priamo e la sua famiglia maledetta!”. Concluse la donna con la voce piena di rabbia. Poi, guardando i due uomini con profonda tristezza, continuò:”Quella famiglia mi ha tolto ciò che io avevo di più caro al mondo. E Priamo non ha fatto nulla. Il re ha perfino coperto il colpevole!”.”Ma cos’è che ti hanno tolto di così importante? – si azzardò a chiedere Asha, malgrado il divieto di parlare. “Paride ha ucciso mio figlio! Anteo,- aggiunse con la voce rotta - un bambino di sei anni. Il mio figlio più piccolo. L’unico capace di farmi sorridere e darmi un minimo di felicità. Era la mia gioia, la mia vita e lui me l’ha portata via, con la sua irresponsabilità, la sua incoscienza, la sua superficialità. Ora Anteo è morto e io non ho più lacrime – poi, dopo un breve pausa – E Priamo non ha detto nulla. Così, Paride, va libero e tranquillo come se nulla fosse stato. Mio figlio non valeva niente per loro, nemmeno da spenderci una parola. E allora, devono pagare. Io devo trovare il modo di far loro del male. Devono soffrire così come ho sofferto io e questo, è solo l’inizio”. “Ma, Paride che uccide un bambino… - iniziò a dire il ragazzo con tono incredulo – Com’è possibile?”.”Perché mio figlio era preso, ammirato da lui e lo seguiva dappertutto. Un giorno Paride l’ha portato in un cantiere navale e l’ha lasciato solo, per pavoneggiarsi con i suoi amici e mio figlio è morto in uno stupido incidente. Ma per me, è come se l’avesse ucciso lui, con le sue mani perché glie lo avevo affidato e, invece, non l’ha controllato quando più ce n’era bisogno”. Gli uomini erano rimasti in silenzio, dopo aver scoperto un lato di quella donna che non avrebbero mai sospettato che esistesse. Una madre disperata, consumata dal dolore della perdita di un figlio, di un bambino. Teano, dopo un attimo si ricompose e ripreso il solito atteggiamento distaccato, come se nulla fosse accaduto, iniziò a spiegare ai due tutto quello che dovevano sapere sulla complicata procedura per ottenere il prezioso filato della seta. Fu estremamente chiara e si assicurò che tutti e due avessero capito tutti passaggi da eseguire. Alla fine, la donna disse loro:”Adesso andate e tenete a mente ciò che vi ho detto. Cogliete questa occasione perché non ne avrete altre. Noi non ci vedremo più. Mi raccomando la coltivazione del gelso, perché è un elemento fondamentale del processo”. Detto questo si voltò e, senza una parola, scomparve attraverso la porta da cui era entrata che si chiuse alle sue spalle. I due attesero che tornasse la loro guida, ma, dopo aver aspettato un poco, si resero conto di essere soli, in un edificio vuoto. Per cui, ripercorrendo a ritroso il cammino fatto, tornarono all’esterno e da lì, senza incontrare nessuno, tornarono al loro alloggio ancora leggermente confusi e increduli per quanto era successo. Asha seduto al tavolo della sala, osservava curioso il contenuto del cestino che Teano aveva consegnato loro, ancora incredulo e meravigliato per tutto ciò che aveva scoperto quella sera. Ilario, seppure eccitato dalla cosa, era invece distratto da un pensiero fisso e più volte si affacciò al terrazzo, in attesa di qualcosa che sperava ardentemente. E, alla fine, accadde. Non sapeva perché ma era sicuro che la ragazza si sarebbe fatta viva. Infatti, Crino, come le altre volte, lentamente si avvicinò alla solita panca e si sedette rimando ad osservare l’acqua della fontana, davanti a lei. Il ragazzo, si precipitò letteralmente giù per le scale ma poi, al portone si fermò, per non dare l’idea che avesse corso. Lasciò passare un paio di minuti per riassumere una respirazione normale ed un apparente controllo, poi si avvicinò, come a far capire che anche lui era lì, per caso, come al solito. Si sedette in silenzio accanto alla ragazza ed attese, non sapendo nemmeno lui, cosa. Passò un tempo apparentemente interminabile durante il quale Ilario immaginava di aprire la conversazione con qualche banalità poi, fu invece Crino che, con voce incolore disse, senza guardarlo:”Domani è il grande giorno, te ne vai a casa”.”Purtroppo questo è ciò che devo fare. Non avevo scelta, disgraziatamente”.”C’è sempre una scelta, purchè si sia disposti ad accettarne le conseguenze e, naturalmente, dopo aver valutato attentamente la validità dei criteri – disse la ragazza con l’aria di parlare più con sé stessa che con altri. “Beh, - rispose il ragazzo che non capiva quel comportamento – Ormai è fatta. I bagagli sono pronti. Non mi dirai mica che sentirai la mia mancanza, dopo avermi sistematicamente attaccato per tutto questo tempo ed aver cercato di mettermi in cattiva luce con gli altri”.”Sai, alla fine ci si abitua a tutto…. No, non è nemmeno questa la verità. All’inizio mi spettavo uno straniero saccente, rozzo, sgarbato. Poi, arrivi tu. Un ragazzo, certo, ma con grande sorpresa, ti sei rivelato competente, gentile, istruito e in gamba. Tu sei pulito, il classico bravo ragazzo, insomma. Giorno dopo giorno le mie certezze sono cadute ed ho capito chi sei e quanto vali”. Il viso di Crino, aveva cambiato espressione ed ora appariva quasi triste. Ilario non sapeva che pensare e ancor meno dove sarebbe andata a parare quella conversazione. “Ho cercato di metterti in cattiva luce in tutti i modi, perché non potevo permetterti di averla vinta ma, ogni volta, mi hai fatto fare la figura che meritavo”.”Ma io non credo – rispose l’altro – e poi mi dovevo difendere dai tuoi attacchi”.”Tu non conosci la corte e le chiacchiere che si fanno. Non puoi giudicare. Come ti ho detto l’altra volta, tu non hai idea di chi sono io. Anche se a volte, nemmeno io, so bene chi sia. Sono la figlia di un re, ma non sono principessa, la mia famiglia è molto potente, ma ha deciso che io debba fare la sacerdotessa perché, apparentemente, a una persona come me, solo questo consente il suo rango. Un bel destino non c’è che dire. Nessuno che potrebbe minacciare questi progettipuò essere lasciato agire impunemente. Lo so bene, è già successo in passato. Ed ora io sono rassegnata a fare la tessitrice. Poi la sacerdotessa e, alla fine, forse, otterrò la mia rivincita, ma magari sarò ormai diventata vecchia”. Ora finalmente il ragazzo capiva tutto. Non si era sbagliato. Quella non era una ragazza cattiva, ma una ribelle, e si rendeva conto che, effettivamente, la corte poteva avere degli aspetti che sacrificavano le persone senza alcuno scrupolo. Non sapeva che dire ma non ce ne fu bisogno perché Crino lo sorprese nuovamente. “Parti, - disse – tornatene alla tua casa, alla tua famiglia e alla tua vita, dovunque ti porti. Io mi ricorderò comunque di te, che sei stato un bel momento in questo posto..”. Poi, con mossa rapida e inattesa, abbracciò Ilario che rimase completamente allibito e spiazzato e gli stampò un bacio sulla bocca. Quindi, velocissima, si allontanò e sparì in pochi istanti, lasciando l’altro confuso, che ancora si interrogava su ciò che era veramente accaduto. Istintivamente guardò verso il terrazzo del suo alloggio e notò la sagoma di Asha che certamente aveva visto tutto. Tornato nel suo alloggio, capì che però il persiano non voleva commentare l’accaduto, limitandosi a dire che il giorno seguente sarebbero stati lontani da lì e da tutto quello.
Al mattino, si svegliarono prestissimo e iniziarono a raccogliere le loro cose. Trofim e suo fratello Neo, erano venuti ad aiutarli per il bagaglio ed avevano condotto con loro un asino con due capaci bisacce, una per lato, per le cose più ingombranti. Poiché i due in partenza, volevano portare il più possibile dei tessuti acquistati in città, avevano ridotto il numero dei loro oggetti personalial minimo indispensabile, ovvero al contenuto delle loro bisacce che avrebbero portato a tracolla, come quando erano arrivati in città. Ilario nella sua, a parte qualche panno personale, aveva i propri attrezzi di lavoro dai quali, per quanto possibile, non si separava mai. Una generosa dose del loro ingrediente segreto e la borsa dell’oro e dell’argento che i due avevano guadagnato con il lavoro durante la permanenza in città. Bisognava ammettere che Priamo, contento comunque dei risultati ottenuti, era stato molto generoso nei loro confronti. Tanto che Asha, dopo essersi consultato con il suo compagno, aveva ritenuto di preparare prima della partenza, una grande quantità di tinta rossa, da lasciare in omaggio ai Troiani che però avrebbero dovuto usare in fretta a causa della deperibilità del prodotto. Il persiano, invece, nella sua, aveva degli abiti di ricambio per tutti e due, una piccola somma in argento per eventuali spese minute e una parte dell’ingrediente segreto. Caricato l’asino, i due scambiarono un cenno di saluto con i soldati di guardia e si incamminarono verso il porto. Gli invasori greci, pur essendo accampati alla sinistra del porto del Sigeo, occupavano comunque tutta la spiaggia e avevano garantito un passaggio sicuro per i loro connazionali. Inoltre avevano messo a disposizione una cinquantina di navi che avrebbero fatto, se necessario, la spola con la madre patria. Quando Ilario ed il suo compagno giunsero alle porte della città, si resero conto che molti li avevano già preceduti e che da lì alla riva del mare, si snodava una lunga fila di persone che arrivava fino alla sponda dove erano già presenti le navi pronte a salpare. Vista la quantità di gente davanti a loro, ai due fu subito chiaro che non sarebbero riusciti a salire sulle navi quel giorno stesso e avrebbero dovuto attendere almeno un paio di giorni o più. Quando giunse il pomeriggio, ormai tutte le imbarcazioni messe a disposizione erano salpate e, a coloro che avrebbero dovuto attendere ancora per imbarcarsi, non restò che accamparsi in prossimità della spiaggia. Per alleviare la situazione di chi era in attesa, i Greci avevano allestito dei punti di ristoro dove veniva distribuita acqua potabile e cibi essenziali come focacce e futta secca. Erano anche state montate delle grosse tende, per proteggere le persona dal calore del sole e dall’umidità della notte. La situazione quindi in realtà, seppur spiacevole, non era poi così drammatica. Trofim e Neo erano rimasti per aiutare con il bagaglio i loro amici, quando si sarebbero dovuti imbarcare. La sera, sul tardi, furono accesi dei fuochi e le persone, dopo la cena, ci si raccolsero attorno, parlando, cantando, raccontando storie o ascoltando qualche aedo. Ilario non vedeva l’ora di partire. Tutta quella baraonda lo infastidiva e lo confondeva. Non era abituato a stare a stretto contatto con tanta gente. La prossimità, il frastuono continuo, lo mettevano molto a disagio, a differenza dei suoi compagni. Stava seduto, rigido, stretto alla sua bisaccia, come se fosse un’ancora di salvezza, e guardava continuamente verso l’orizzonte, ormai invisibile, come nella speranza vana di poter vedere qualche natante in arrivo. La seconda sera, dopo la prima partenza, cominciò a circolare la voce che, già il giorno seguente, sarebbe stata di ritorno qualche nave che aveva dovuto raggiungere i porti più vicini. La notizia però non riuscì a risollevare gli animi di quanti ancora erano in attesa, provati da quel campeggio scomodo e disagevole. Malgrado fosse l’inizio dell’ estate, la forte umidità notturna accanto alla spiaggia, si era fatta sentiree molti avevano riportato vari malanni. Quasi tutti erano stretti attorno al fuoco per scaldarsi e non si coglieva più l’atmosfera che solo due giorni prima aveva animato quella comunità. Fin dalla sera prima, inoltre, delle pattuglie di soldati greci, avevano cominciato a girare fra i gruppi accampati. Ufficialmente erano lì per verificare che non ci fossero problemi e che tutti avessero ciò che era loro necessario. Al mattino però, molti fra coloro che attendevano di imbarcarsi denunciarono di aver subito numerosi furti e diverse donne raccontarono di essere state molestate, alcune in modo molto pesante. Fu per questo che, quando durante la seconda sera di attesa, Asha vide avvicinarsi un gruppetto di soldati greci, disse ai vicini di stare in guardia. I nuovi arrivati parlavano a voce alta fra loro e scherzavano, cercando di coinvolgere quelli che sedevano attorno ai fuochi ma, visti i precedenti, con scarso successo. In realtà sembravano piuttosto alticci e non si preoccupavano affatto delle reazioni della gente. Quando questi giunsero accanto al fuoco vicino al quale erano Asha, il ragazzo e i due marinai che li accompagnavano, fu possibile vedere chiaramente che tutti indossavano l’armatura ed erano pesantemente armati con spada e pugnali. Apparentemente il gruppo rispondeva ad un uomo massiccio, rozzo, con una espressione di rabbia e disprezzo sul viso. I compagni lo chiamavano Egan. Questi avanzava fra la folla in attesa, aggredendo verbalmente i presenti, accusandoli di fare affari con i nemici della Grecia e proferendo oscenità nei confronti delle donne, supportato dai suoi compagni. Quasi tutti avevano paura di quel gruppo e accettavano gli insulti senza avere il coraggio di reagire. L’uomo, approfittando della soggezione della gente, senza ritegno, frugava nei loro bagagli, disfacendoli e probabilmente aveva già fatto sparire qualcosa, subito passato ai suoi uomini. Quando giunse all’altezza del gruppo del ragazzo, adocchiò le due grosse bisacce che erano state scaricate dall’asino e ci infilò una mano dentro tirando fuori una pezza di lino. Non soddisfatto del risultato, ripetè l’operazione, mentre Asha teneva fermo Ilario che avrebbe voluto reagire. Stavolta l’uomo estrasse dalla bisaccia una bella pezza di broccato.”Ma guarda un po’ che bellezza – esclamò l’uomo mostrando il suo bottino ai compagni – Questo starebbe proprio bene addosso a mia moglie. Quasi quasi me la prendo come anticipo sul bottino di guerra della città!”. A quel punto Asha si alzò in piedi, e affrontò l’uomo strappandogli dalle mani il pezzo di stoffa. “Questo – disse in tono fermo guardando l’altro dritto negli occhi – non è nessun bottino. E’ roba nostra e tu non hai nessun diritto di fare ciò che fai. Dovremmo stare tutti dalla stessa parte, no?”. Il grosso greco lo guardò per un istante, sorpreso per la reazione dell’altro e contrariato per la brutta figura che aveva fatto davanti ai suoi compagni che ora lo deridevano schernendolo. “Dalla stessa parte? – rispose il gradasso – Tu non sei greco. Chissà da che buco di posto arrivi e poi, sei un lurido schiavo. Come ti permetti di affrontarmi così! – e gli dette uno spintone che lo fece cadere quasi nel fuoco. “Ma io sono grecoe tuo pari – esclamò Ilario che non era riuscito a rimanere fermo, davanti a quella scena”.”Un pupetto! – lo schernì l’altro, rivolto ai suoi uomini che risero con lui – Un pupetto che alza la voce. – Poi cambiando tono – Lo sai chi sono io? Eh, lo sai?”. “Si – rispose il ragazzo, sostenuto dalla sua rabbia e senza più alcun controllo – sei un ladro!”. “Io! Un ladro! – urlò l’altro indignato – Io sono Egan , di Itaca. Sono un oplita ed il ‘quiliarca’, il capitano dei miei uomini”. “Bene,- rispose il ragazzo che non riusciva a controllare la lingua – Allora i tuoi uomini hanno un capitano ladro”.”Questa me la paghi, ragazzo o non ragazzo – e, estraendo la spada si mosse deciso verso Ilario. Subito si mise in mezzo Asha, cercando di fermare l’uomo infuriato. Questi cercò di togliere di mezzo il persiano, dandogli un tremendo colpo col piatto della spada su una spalla, dicendogli minaccioso:”A te, penso dopo – e proseguì diretto verso il ragazzo che, ora molto spaventato, non riusciva nemmeno a muoversi. “No! – si rifece sotto Asha, estraendo il suo pugnale – Pensaci ora!”. E si gettò contro il greco. Questo, preso alla sprovvista dal primo assalto, dapprima indietreggiò. Poi, ripreso il controllo, grazie alla sua maggiore esperienza, giovinezza e forza, ebbe ben presto ragione del suo avversario e lo scontro terminò quandoEgan senza scrupoli, affondò la lama della sua spada nel torace del persiano che si accasciò al suolo perdendo una gran quantità di sangue a causa della gravità della ferita. Il tempo sembrò fermarsi. Tutti attorno tacevano. Anche i compagni del greco, erano rimasti fermi davanti a quella scena, consapevoli di aver esagerato. Ilario, lentamente si avvicinò al suo compagno che, ancora scosso da una lieve tremito, stava esalando l’ultimo respiro. Alla fine si ritrovò il corpo esanime del persiano fra le braccia, coperto di sangue. “Maledetto! – urlò diretto al Greco e con uno sguardo carico di odio – lo hai ucciso come un cane!”.L’altro, che non voleva ammettere di aver sbagliato, sollevò la spada e disse, avanzando:”E ne ho anche per te! “.”E allora datti da fare – urlò il ragazzo. Si alzò di colpo, con il pugnale di Asha fra le mani, con il quale menò un fendente terribile sorprendendo il suo avversario che fu violentemente colpito al viso. Questi lanciò un tremendo grido di dolore e si prese il viso fra le mani, perdendo copiosamente sangue. I suoi compagni, nel vedere la scena, si misero attorno a lui, cercando di valutare la gravità della ferita. Trofim ed il fratello, approfittarono di quel momento di pausa, per prendere il ragazzo che, pur nella concitazione, meccanicamente, riuscì ad afferrare la sua bisaccia, e portarlo via, al più presto da quel luogo, confondendosi con le altre centinaia di persone accampate. Ilario, dapprima voleva tornare indietro per cercare di recuperare il corpo del suo compagno e poi, anche per vedere di recuperare qualcosa della loro roba che era rimasta sulla zona dello scontro. I due suoi nuovi amici riuscirono per fortuna a dissuaderlo perché, di lì a poco, videro che i compagni di Egan, si aggiravano per l’accampamento, di certo alla ricerca di chi aveva ferito il loro capitano. A quel punto, i due troiani, che conoscevano perfettamente il terreno, decisero che sarebbero stati più al sicuro lasciando l’accampamento e così, sfruttando le caratteristiche del suolo per rimanere fuori dalla vista di coloro che erano sulla spiaggia, lentamente si ritirarono verso le mura della città, raggiungendo un profondo anfratto del terreno dove trovarono sicuro rifugio. Fu una notte indimenticabile per Ilario, ancora incredulo per l’immane disgrazia che gli era piovuta sulla testa. Ad un passo dal tornare a casa, ora tutto era perduto. Poi si rese conto di avere a tracolla la sua bisaccia e si ricordò che il suo compagno aveva insistito perché lui prendesse quasi tutto il loro denaro e anche una buona quantità del loro ingrediente segreto. E anche tutti i suoi attrezzi erano al sicuro con lui. Poi, dopo questa breve consolazione, ripiombò nell’angoscia. Avevanella sua bisaccia anche l’involto che Teano gli aveva consegnato. Lo scopo di tutta quella storia. Pensò con grande amarezza che se non fosse riuscito a lasciare Troia, tutto quello che era successo, sarebbe accaduto per nulla. Il solo pensiero lo faceva stare ancora peggio ma non ne poteva evidentemente parlare con nessuno. Il suo compagno, o meglio il suo protettore, era morto ed ora lui era solo, in una situazione estremamente difficile. I due troiani insistettero perché cercasse di riposare, in quanto la giornata seguente sarebbe stata molto complicata. Malgrado una notte estremamente travagliata, riuscì a prendere sonno ma, all’alba, appena aperti gli occhi, fu aggredito dal ricordo degli eventi della sera prima. Fu colpito da un’ondata di nausea, seguita da una sensazione di panico e comunque di grande freddo che lo fece tremare. I due suoi nuovi amici, che erano restati con lui, cercarono di consolarlo, di riscaldarlo e di fargli mangiare qualcosa ma fu tutto inutile. Il suo pensiero fisso, ormai, era come lasciare Troia. Il fratello di Trofim, Neo, si offrì di andare in avanscoperta per capire come era la situazione e, senza dare nell’occhio, si mischiò a tutte quelle persone sulla spiaggia che stavano sistemando le loro cose per poter riprendere la fila che li avrebbe condotti all’imbarco. Dalla loro posizione Ilario ed il suo nuovo compagno videro che effettivamente, nel corso della notte, alcune navi erano tornate ed ora, con la luce del giorno si stavano accostando alla riva per far riprendere le operazioni di imbarco. Poco dopo tornò Neo e non aveva, purtroppo, buone notizie. Innanzitutto la loro roba era sparita assieme all’asino. Il cadavere di Asha, che era stato letteralmente spogliato giaceva ancora là dove era caduto ma a sorvegliare la zona erano rimasti quattro soldati greci, probabilmente per vedere se qualcuno sarebbe tornato a recuperare il corpo. Lungo la linea di imbarco, diversi soldati controllavano attentamente le file, poiché era stata messa in giro la notizia che, nel corso della notte, un ragazzo, ubriaco, aveva assalito a tradimento un ufficiale greco che ora giaceva gravemente ferito. I controlli erano severissimi. Il ragazzo non sarebbe riuscito a imbarcarsi, non sarebbe riuscito a tornare a casa. Ora che il suo compagno non c’era più, avvertiva tutta la vulnerabilità di un sedicenne. Incredibilila forza, il coraggio e la sicurezza che l’altro era stato capace di trasmettergli in quel breve periodo. Ed ora aveva perfino dato la vita per lui. Trascorse alcune ore dietro il suo riparo, osservando la spiaggia e, in particolare, la zona di imbarco per verificare che i controlli fossero ancora attivi. Si rese conto, purtroppo, che via via che la fila di imbarco si esauriva, diventava sempre più facile per i soldati greci, controllare la situazione. Per ora, quindi, nulla da fare. Poi ebbe l’impressione di sentire nella sua testa la voce di Asha che gli diceva di stare tranquillo. Sarebbe andato tutto bene. Aveva ancora tutto il danaro guadagnato e, cosa più importante, aveva l’ingrediente segreto della tinta che i Troiani volevano ancora. Avrebbe quindi potuto tornare in città per fare il suo lavoro ed attendere una migliore occasione per tornare a casa, considerando che l’impresa dei Greci era destinata a fallire. Nulla avrebbero mai potuto contro quelle mura. Ilario, si riscosse, rendendosi conto di aver sognato. La tensione, il caldo, la stanchezza, lo avevano fattoassopire senza che se ne accorgesse ed i suoi compagni avevano trovato giusto non svegliarlo. Ilario però dovette convenire che ciò che aveva sognato, corrispondeva a verità. Quindi dette una ultima occhiata alla spiaggia, dove gli ultimi della fila si stavano imbarcando, e provò una fitta di angoscia. La sua casa, così vicina ed ora così lontana. Poi si riprese e chiese ai due troiani se potessero condurlo in qualche posto mentre valutava il suo rientro in città. Trofim accettò immediatamente di accoglierlo nella sua casa. Non dimenticava che il persiano gli aveva salvato la vita e aveva liberato tanta povera gente dall’oppressione di quel farabutto di Risto. Ilario si ricordò che la casa era in realtà una fattoria che si trovava appena al di fuori della Porta Dardanica. Quando giunse si rese conto che, più che una fattoria, quella struttura era prevalentemente un grosso laboratorio di macellazione. Sul monte Ida, uno dei figli di Priamo, Mestore, si occupava di un enorme allevamento di bestiame selezionato, che veniva utilizzato per alimentare le mense della corte e degli alti funzionari. Ilario, che aveva più volte aiutato il fratello nell’allevamento che aveva sulla sua isola, non era nuovo alle operazioni che si svolgevano in quel posto. Così, per non essere considerato un peso e per impegnare la sua mente, impedendole di pensare, si gettò a capofitto nel lavoro che si fece assegnare,faticando fino allo sfinimento, per crollare poi, addormentato, al giungere della sera. Consapevole che ciò che Teano gli aveva consegnato, poteva solo metterlo nei guai, appena aveva potuto, aveva scavato una profonda buca e lo aveva seppellito. Le giornate presero a susseguirsi, mentre Ilario sembrava aver perso la cognizione del tempo ed un chiaro legame con la realtà. Nessuno gli disse niente o cercò di intervenire. Probabilmente quella era la via migliore che la sua mente aveva scelto, perché il ragazzo potesse assorbire e gestire le conseguenze del tremendo colpo che aveva subito, nel miglior modo possibile. Dopo una ventina di giorni della sua permanenza, era seduto vicino al fuoco, la sera, stanchissimo. Ascoltava distrattamente i fatti relativi all’assedio che gli altri commentavano. Sembrava che i Troiani, per ora si limitassero a controllare gli invasori. Questi, preso atto che non avevano possibilità di superare quelle mura, anche subendo perdite tremende, stavano di certo studiando qualche piano di battaglia mentre rinforzavano sempre di più le difese del loro campo. A quel punto, uno degli operai chiese se loro, così, al di fuori delle mura, avrebbero corso pericolo poiché i Greci, una volta sistemato al meglio il loro campo, avrebbero cinto d’assedio la città per impedire ogni contatto con il mondo esterno e chi fosse rimasto fuori, sarebbe certamente stato subito ucciso o preso prigioniero. “Non lo faranno – intervene uno dei responsabili della struttura che aveva contatto con la corte – Ho avuto rassicurazioni in merito”.”Che rassicurazioni ? – chiese uno degli anziani. “Questo perché Agamennone, nell’organizzare la campagna, ha dovuto accettare, per avere il favore degli dei, la condizione imposta da Zeus Xenos, che maledice coloro che tormentano gli altri con la fame e la sete, provocandone la pazzia e egli non può correre questo rischio, specie con la competizione che c’è fra i vari re greci”.”E’ la stessa divinità a cui si è appellato Antenore – osservò uno degli operai – quando ha dovuto difendere la vita degli ambasciatori”.”Ma se il potere di Agamennone è così in bilico, come è riuscito a convincere gli altri comandanti a seguirlo in una impresa come questa, che deve avere avuto un prezzo elevatissimo? – osservò un altro. “Intanto, naturalmente, ha il suo peso il ricchissimo bottino offerto dalla città in caso di conquista – rispose il responsabile di prima – E poi, non ci dobbiamo dimenticare della faccenda di Elena che dopo essere stata rapita, deve essere riportata in patria e, al momento della sua scelta a favore di Menelao, Ulisse con un abile strattagemma, ottenne da parte di tutti i suoi ex pretendenti, un impegno per difendere la donna se qualcuno le avesse fatto un torto. Un pegno sacro che non può essere sciolto ossia, il ‘giuramento del cavallo’ ”. “E’ vero – disse uno del gruppo – Ne ho sentito parlare. Si tratta di un antico rituale per cui si smembra un cavallo in tanti pezzi quanti sono i partecipanti al rito. Poi, ognuno di loro, ponendo il piede destro sul pezzo di animale che ha davanti, giura per Zeus, per Persefone e per i morti dell’Ade, pena una morte orribile, fra spasimi e tormenti”.”Ma è terribile! – osservò un altro. “”Si, però, a quanto pare ha funzionato – replicò l’anziano di prima. “Non è così semplice – osservò il responsabile della struttura che era un po’ più addentro ai fatti, avendo avuto contatti con la corte – In realtà, oltre che tenere al bottino della nostra città, la nostra sconfitta aprirebbe ai Greci le porte all’Asia Minore, senza più i controlli e i dazi imposti da Priamo”.”Che gli Dei ci aiutino, allora – disse l’anziano – Non ci lasceranno stare finchè non ci avranno sconfitto!”.”Taci, vecchio! – lo riprese rabbiosamente il responsabile – Bada a quel che dici! Non riusciranno mai a valicare quelle mura e alla fine, se non sceglieranno di andarsene con la coda fra le gambe , Agamennone per primo, saremo noi ad avere la loro testa! Capito? – e guardò attorno negli occhi tutti i presenti attorno, quasi con atteggiamento di sfida. Poi lasciò bruscamente la compagnia che, dopo quell’episodio, si sciolse a sua volta per andare a dormire. La sera successiva, mentre Ilario era seduto in un angolo da solo, come al solito, stanchissimo, per aver trasportato per tutto il giorno su un carretto delle carcasse di animali perché fossero sottoposte alle previste lavorazioni, gli si sedette accanto Trofim con un piccolo otre di vino. Cercò di convincerlo che la scelta fatta, di lavorare lì, indubbiamente gli rendeva onore ma non era di certo la migliore per lui. Aveva infatti nelle mani un mestiere incredibile, un dono, quasi, che gli era valso nientemeno che un invito da parte del re ed ora, tutto questo andava sprecato. Il ragazzo tentò di spiegare che non se la sentiva di rientrare in città dopo che aveva salutato tutti, per aver fatto la scelta di tornare a casa. Altri erano restati. E poi si sentiva colpevole per la morte di Asha. Forse, se avesse misurato le sue parole con Egan, il suo compagno sarebbe ancora vivo. Infine c’era un’altra questione, forse la più grave da affrontare ma di quella non poteva di certo parlarne con qualcuno. Infatti, come l’avrebbe presa Teano, nel vederselo ancora davanti, dopo che aveva conosciuto il suo segreto? Però i suoi amici avevano ragione. Cosa stava facendo lì? Cosa si aspettava che succedesse? Pensò al da farsi e, alla fine, prese una decisione. Chiese ed ottenne il permesso di aiutare a trasportare e scaricare il prossimo carico di carne alla cucina della reggia. Entrò in città senza che gli fossero fatte domande, dalla Porta Dardanica che di giorno rimaneva sempre aperta, seppure fortemente presidiata e in condizione da poter essere immediatamente sprangata al minimo segno di allarme delle vedette che vegliavano di continuo dalla sommità delle mura. Dopo aver portato a termine il suo compito, prese una sacca in cui aveva messo i suoi abiti migliori. Si lavò accuratamente e si vestì in modo da rendersi presentabile dopodiché, senza ripensamenti, si recò alla casa di Eleno. Se non si era sbagliato su di lui, di certo era la persona giusta per trovare una soluzione adatta a risolvere la questione. Il giovane indovino non era in casa ma il ragazzo fu comunque fatto entrare da uno schiavo che lo aveva riconosciuto. Fu accompagnato in un piccolo cortile della casa dove gli venne detto di attendere. Era un bel posto con alberi, fiori ed una fontanella con uno zampillo che produceva un suono che invitava alla calma ed alla pace, proprio ciò di cui Ilario aveva più bisogno in quel momento. Si sedette e restò così, con gli occhi chiusi, quasi perdendo la cognizione del tempo, tranquillo finalmente dopo tanti giorni. Si rese conto, all’improvviso di non essere solo. Quando riaprì gli occhi si accorse che Cassandra, arrivata silenziosamente e chissà da quanto tempo, lo stava osservando. Scattò nervosamente in piedi facendo un impacciato inchino e scusandosi per la sua presenza. Quella bellissima ragazza lo metteva fortemente a disagio. Percepiva in lei una profonda sofferenza. “Scusa – gli disse lei – ti ho visto così sereno che non ti ho voluto disturbare. Ma cosa ci fai qui? Ero sicura che tu fossi partito”. Quando il ragazzo le spiegò quanto era accaduto lei annuì tristemente. “Il tuo destino ti perseguita. Ma tu devi trovare il modo di andartene da qui o questa città sarà la tua tomba. Eppure vi avevo avvisati, te ed il tuo compagno”. Ilario rabbrividì ricordando la profezia che Cassandra aveva fatto su di loro non più di un mese prima. Il disagio che seguì le parole della ragazza venne spezzato dall’arrivo di Eleno. “Ehi – disse con tono allegro – ma che ci fai qui? Non sei riuscito a fare a meno di me? – Poi notando l’espressione del ragazzo e percependo l’atmosfera piuttosto tesa, chiese – Ma che è successo? – e poi, guardando la sorella, aggiunse – Sei stata tu! Che gli hai detto stavolta?”.”No, no – rispose Ilario – tua sorella non c’entra. Anzi, aveva tentato di avvisarci, ma…”. E raccontò al principe tutta la storia ma, poiché con Eleno si sentiva pienamente a suo agio, non si limitò a quello, ma finalmente si sfogò con qualcuno, esternando, dopo tanto, tempo tutte le sue angosce. Disse del suo grande dolore, delle sue incertezze e dellaconfusione circa il suo futuro. Il principe lo aveva ascoltato con grande partecipazione e, alla fine, gli chiese semplicemente:”Perché non resti a Troia? Tanto a corte tutti sono convinti che alla fine dell’estate i Greci, dopo aver capito che per loro non c’è nulla da fare, dovranno tornarsene a casa per non rimanere bloccati su quella spiaggia affrontando tutte le conseguenze di un isolamento di mesi con un clima terribile. Allora te ne potrai tornare a casa tranquillamente”. Le parole di Eleno fecero tornare una nuova speranza nell’animo del ragazzo. “Anzi – aggiunse il principe – ti dirò di più. Quand’anche i Greci fossero così pazzi da sfidare l’inverno, all’inizio della primavera giungeranno i rinforzi promessi dagli alleati di Priamo. 250.000 uomini che, assieme ai Troiani, spazzeranno via gli invasori. A quel punto, io stesso, ti procurò un passaggio per casa tua. E’ una promessa”.”Grazie! – esclamò il ragazzo mentre Cassandra, apparentemente contrariata, si allontanava – Anche se per rivedere i miei, a questo punto, dovrò aspettare un anno”.”Bene! – rispose l’altro – Questo è lo spirito giusto. Ora farò in modo che per te, tutto riprenda come era al momento della tua partenza. Il tuo alloggio dovrebbe essere ancora libero ma, per riorganizzare il tuo ritorno ci potrebbero volere un paio di giorni. Nell’attesa, resterai qui – concluse con il tono di chi non ammette repliche.”Ma io veramente non vorrei essereun peso e posso nell’attesa tornare dove sono stato fin’ora dove ho dei buoni amici”.”No , no. Non se ne parla. Sai quante stanze ha questo palazzo? Potrebbe ospitare una famiglia di almeno dieci persone e siamo solo in due. Con Cassandra vicino, la gente si tiene alla larga. Sono contento di ospitare qualcuno, sicuro di poter finalmente parlare chiaro circa ciò che penso. Onestamente sono sicuro di potermi fidare di te molto di più di quanto non mi senta di fare con parecchi dei miei concittadini”. Al ragazzo non rimase che accettare. Fu estremamente sorpreso dalla ricchezza dell’appartamento che gli fu assegnato per l’eleganza degli oggetti, l’accuratezza delle finiture, la ricchezza degli arredi. Poi si ricordò che quella era comunque la casa di un principe di Troia. Affacciandosi alla finestra, si accorse di avere la vista direttamente sui giardini reali e, istintivamente, quasi spaventato, si tirò subito indietro, sperando di non essere stato visto. Consumò un lauto pranzo che gli venne servito da una giovane schiava nelle sue stanze. La cosa gli fece tornare alla mente analoghe situazioni del recente passato ed un velo di tristezza scese a infastidirlo e la cosa un po’ lo sorprese. Sentiva fortemente la mancanza di Asha. Ma non era tanto il fatto che ora era solo in terra straniera e nella condizione attuale. Ciò che veramente lo amareggiava era la reale mancanza del suo compagno. La vicinanza giornaliera e la frequentazione continua, gli aveva fatto conoscere una persona diversa da quella dell’isola. Gli era stato vicino, lo aveva aiutato, gli aveva insegnato tante cose e, alla fine era morto per lui. Forse era veramente cambiato. La persona che aveva descritto Bemus, non si sarebbe mai comportata così. In attesa di conoscere il suo destino, sentendosi un po’ oppresso da quelle mura, alla fine, verso sera, si fece audace e uscì dal suo appartamento con lo scopo di raggiungere un cortiletto interno che aveva attraversato al mattino e che l’aveva molto colpito per la sua bellezza. Al buio, con una sapiente illuminazione delle torce e delle lampade, appariva perfino più bello e suggestivo. Sedette su una panca di marmo con lo sguardo perso nei giochi d’acqua della piccola fontana accanto a lui. Poi, all’improvviso avvertì una forte presenza, vicina. Giratosi di scatto, si trovò davanti Cassandra. Lei lo guardava con uno strano sguardo fra il severo e il triste e non parlava. Fu quindi Ilario che, alzandosi in piedi, le disse:”Chiedo scusa principessa se ho invaso il vostro spazio, ma questo posto è così bello che non ho saputo resistere. Ora però vi lascio alla vostra tranquillità”. Fece per andarsene ma fu la ragazza a trattenerlo. “No, ti prego resta. – poi dopo una pausa, aggiunse – Hai ragione. Questo posto è magico in qualche modo. E’ l’unico luogo dove le mie capacità si attenuano ed io posso avere un po’ di pace. Credi che sia facile, per me, vivere in questa città, in questo posto? – poi, con tristezza aggiunse – Il mio dono mi rende particolare ma il problema è che, come avrai capito, la gente teme le mie visioni e, per difendersi dal fato avverso, decide di non credermi. – altra pausa – E poi, le cose accadono e la mia previsione, a quel punto non conta più nulla. Il mio non è un dono. E’ una maledizione!”. “Scusa – disse il ragazzo, vedendola piangere – non volevo farti intristire. Combino solo guai”: E fece di nuovo per andare via ma la ragazza lo fermò con una mano sulla spalla. “No, - gli disse gentilmente – resta. Sto bene con te. A modo tuo sei molto diverso dagli altri che sono qui. La tua visione l’hai avuta e sei ancora in tempo per ribaltare il tuo destino, quindi niente è perduto. Parlami di qualcosa di bello, di cosa c’è fuori di qui, della tua isola, ad esempio”.”Trovo strano che qualcuno di Troia, con tutte le meraviglie che offre, possa trovare bella la mia isola sperduta. – poi ripensò che, in realtà, ciò era già accaduto con un’altra ragazza solo pochi giorni prima e iniziò a dubitare veramente della situazione di quel posto - Però ricordo che Asha – e qui un velo di tristezza discese su di lui – mi metteva in guardia dalle illusioni di questa città”.” Certo, - osservò lei – è ricca, è splendente, è sfarzosa, è affascinante e vuota, almeno per me. La ricchezza acceca la gente, tira fuori il peggio da loro. Il potere che ne deriva, innesca delle dinamiche terribili, con vere rivalità, abilmentedissimulate, che fanno vivere, spesso, la gente in una situazione di malessere che le consuma pian piano”.”Ma questo che mi descrivi sembra un incubo. Io non ho visto tutte queste cose che mi dici”.”E’ solo colpa del potere. Per fortuna non tutti sono così ambiziosi da rinunciare ai propri sogni. Ma qui, alla corte, è difficile. Ognuno cerca di ritagliarsi un piccolo spazio e mio padre, che l’ha capito, invece di portare pace fra i suoi figli, sfrutta a suo vantaggio le loro debolezze. Eleno è un caso speciale. Sei stato fortunato ad incontrarlo”.”E’ vero. Fin dall’inizio mi ha sempre aiutato ed io gliene sono grato. Anche ora lo sta facendo e spero proprio che possa consentirmi di tornare a casa”.”E questo sarà un bene. Ma ora parlami della tua isola, ti servirà a sentire casa un po’ più vicina – e si sedette accanto a lui per ascoltare. Il ragazzo non si fece pregare ed iniziò descrivendo la sua casa, la sua famiglia, le varie attività e tutto ciò che accadeva mentre Cassandra ascoltava con relativa attenzione come se fosse presente solo in parte e la sua mente intanto vagasse lontano da lì. E fu così che li trovò Eleno quando tornò a casa. A quel punto la ragazza si alzò e, con un breve commiato, prima che i due ragazzi cercassero di trattenerla, si allontanò velocemente. Il nuovo venuto recava buone notizie. Infatti, se Ilario avesse voluto riprendere il suo lavoro a Troia, sarebbe stato il benvenuto. La sua opera era ancora gradita. L’assedio era considerato dalla città solo una grana che si sarebbe risolta appena i Greci si fossero resi conto della loro impossibilità di fare alcunché. Agamennone aveva voluto fare la sua mossa e per questo aveva mostrato i muscoli, muovendo tutta quella gente e utilizzando tutti quei mezzi ma non gli sarebbe servito a nulla. Prima se ne sarebbe reso conto e prima avrebbe tolto le tende. Il ragazzo pensò che tornare a lavorare alla filanda, era sempre meglio che trasportare carretti con ossa e frattaglie di animali, come aveva fatto negli ultimi tempi. Aveva salvato i suoi attrezzi, possedeva ancora una discreta somma di danaro e avrebbe potuto anche imbarcarsi più in là, da qualche porto della Misia, a nord di Troia e da lì, raggiungere la sua casa. Doveva però risolvere la questione di Teano. Infatti si chiedeva come avrebbe reagito la donna sapendo che lui era ancora in città e a conoscenza del suo segreto. Decise di affrontare una cosa alla volta. Ringraziò il suo ospite e, passata la notte a casa del principe, dopo averlo ringraziato, tornò al suo alloggio iniziale che intanto era stato rimesso in ordine. Le guardie lo fecero passare senza alcuna obiezione. Probabilmente erano state avvertite e l’appartamento, era stato completamente rimesso a nuovo con nuovi mobili, nuove tappezzerie e nuove decorazioni come se Ilario ed Asha non ci avessero mai soggiornato. Ed invece c’erano stati, pensò il ragazzo con commozione. Rivide il lettuccio in cui si era accomodato il suo compagno, il tavolo al quale mangiavano e dove lui aveva scoperto una persona completamente diversa da quella sempre conosciuta sull’isola. Rivide il punto in cui Bemus era caduto, dopo aver provato ad ucciderlo. Sembrava trascorso un secolo. Ora tutto era passato e lui era rimasto solo. A parte Eleno non aveva un amico né un appoggio. Poi, decise di reagire. Era giovane e anche grazie ad Asha ora sapeva affrontare meglio le situazioni. Suo padre sarebbe stato fiero di lui. Ma prima di tutto avrebbe dovuto risolvere la questione di Teano. Meglio che l’affrontasse lui prima che lo sorprendesse lei. Fu difficile prendere sonno quella notte, a causa dei ricordi legati a quell’alloggio ma, comunque, dormiva della grossa quanto al mattino gli schiavi, alla solita ora lo svegliarono per consegnare la colazione. Notò che la razione era rimasta per due persone ed ebbe un moto di tristezza. Percepì in modo più profondo che ora avrebbe dovuto imparare a cavarsela da solo. Mentre pensava a come avrebbe trascorso quella giornata, la porta violentemente si aprì e comparve la brutta faccia di Tassos, con il suo solito ghigno malvagio. “Chi si rivede – disse in tono canzonatorio – Le cose sono cambiate ora, vero? Ora che nemmeno i tuoi ti hanno rivoluto ed il tuo amico non c’è più!”. Ora che il persiano non c’era più per proteggere il ragazzo, lo schiavo si era fatto più spavaldo. Prima che l’altro avesse il tempo di replicare, aggiunse nel suo solito modo sgradevole: “Hai un appuntamento. Urgente. E tu sai con chi.Muoviti e andiamo. Il ragazzo che aveva già tanti pensieri per la testa, decise di lasciar correre per adesso sull’atteggiamento dell’altro, specie perché già sapeva cosa l’aspettava ed era molto preoccupato. Inoltre, il fatto che non era più accompagnato dal suo amico, lo faceva sentire di nuovo un sedicenne fragile e vulnerabile. Non avrebbe mai creduto che quell’uomo potesse avere su di lui un simile ascendente. Lo schiavo lo condusse nello stesso luogo dove solo pochi giorni prima, i due uomini avevano scoperto il segreto di Troia, questa volta, però, in una stanza diversa. Per la direzione presa e la distanza percorsa, seppure sottoterra, Ilario stimò che dovessero trovarsi sotto il tempio di Atena. Tassos si era sistemato alle sue spalle, forse per chiudergli eventuali vie di fuga o anche semplicemente per godersi la scena , come se già sapesse cosa sarebbe accaduto. Non dovettero attendere molto perché, da una porta laterale, giunse veloce Teano, come se avesse fretta di chiudere quella storia. La donna guardò il ragazzo con un’espressione triste e rassegnata. Il suo piano non era andato a buon fine ed ora lei doveva prendere una decisione seppure difficile e dolorosa. Ora che si era scoperta, non poteva fidarsi del ragazzo che sarebbe rimasto in città e, senza mezzi termini, glielo disse. Ilario sentì la mano dello schiavo dietro a lui che si posava sulla sua spalla. La sua mente non riusciva a pensare nulla di coerente. Da lì a qualche secondo, l’altro gli avrebbe affondato la lama del pugnale nella schiena e lui sarebbe finito nello Scamandro senza lasciare traccia. Fu sorpreso dal fatalismo con cui stava affrontando la cosa. Invece, improvvisamente, udì, una voce conosciuta che disse con tono apparentemente molto calmo: “Ma bene! E’ così che affrontate la cosa?”. Si voltò di scatto verso il nuovo venuto e così fecero gli altri presenti, sorpresi non meno di lui. Sulla porta da cui era entrata la sacerdotessa, ora c’era Crino, con le braccia conserte ed una espressione severa. “Che fai qui? – le domandò Teano con voce aspra. “Che fate voi, piuttosto – rispose la ragazza con aria battagliera – Che avete intenzione di fare a questo povero ragazzo?”.”Non sono affarituoi. – rispose l’altra non meno decisa. “Sparisci e dimentica ciò che hai visto!”.”Nemmeno per sogno! So cosa state combinando. So come lo avete coinvoltoin questa storia, fin dall’accordo, con il capitano Thais – rispose Crino – Questo ragazzo è l’unica vera vittima di tutta questa sporca faccenda e io, non intendo fartelo ammazzare per la tua ansia di vendetta”. “Per l’ultima volta, vattene! – ripetè la sacerdotessa – Dimentica tutto. Poi, se vorrai, parleremo”. Ilario, capì che la sua vita dipendeva, per assurdo, proprio da quella strana ragazza che, pure non aveva all’inizio mostrato alcuna simpatia per lui e l’aveva osteggiato nel suo lavoro fin dal primo giorno. Come poteva una semplice aspirante sacerdotessa sperare di poterla averla vinta su quella donna così potente e determinata. “Io non dimentico nulla! – rispose invece irremovibile Crino – Io non dimentico mio padre, quello vero! Non dimentico di essere stata portata qui, a forza, e costretta a dedicarmi al culto di Atena, contro la mia volontà, per il bene della famiglia. Non dimentico di averti sentito mentre ti accordavi con il capitano greco. Quindi, se ora uccidi il ragazzo, dovrai uccidere pure me, perché sono stufa di assoggettarmi ancora alle tue manovre e ai tuoi sotterfugi. Sono stata chiara, madre?”.
 
                              
                                                                     

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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***


    Seconda parte

                                                                                          Cap VI^

Questa affermazione colpì il ragazzo come un tuono. “Madre?”. La figlia di Teano! Ora capiva molte cose. Ma comunque, adesso cosa sarebbe accaduto?  La sua vita dipendeva dall’esito dello scontro fra quelle due donne. Era evidente, però, che la sacerdotessa, colta alla sprovvista da quella situazione, per la prima volta, da quando il ragazzo l’aveva vista, sembrava incerta, colpita, vulnerabile, mentre l’altra si mostrava decisa, spavalda, quasi. Evidentemente contava sul fatto che la madre, comunque conosciuta per una persona che non si fermava davanti a nulla, non avrebbe potuto far uccidere la sua stessa figlia. “Cosa vuoi, allora ? – chiese alla figlia con voce dura. “Voglio la vita del ragazzo, di cui potrò disporre a mio piacimento. Voglio che non ti intrometta più nella mia vita e quindi, naturalmente, voglio essere lasciata in pace per fare le mie scelte”. La madre valutò per un po’ la richiesta della figlia. Poi chiese:”Supponiamo che acconsenta, chi mi dice che non rivelerete quello che sapete?”. “Non ne abbiamo la minima intenzione – rispose sicura Crino – Noi non cerchiamo guai e, parlare, non ci converrebbe di certo. Ti dovrai fidare. Lascia in pace noi e noi lasceremo in pace te”. Poi, per non dare alla madre il tempo di cercare una diversa soluzione, avanzò verso il ragazzo e scostò vigorosamente la mano di Tassos che incerto e confuso stringeva ancora la spalla della sua vittima. Prese Ilario per un braccio e, con lui, si diresse verso l’uscita. “Vieni – gli disse in tono di chi non voleva perdere tempo – Qui non abbiamo più nulla da fare”. Ebbe, però, come un ripensamento e, giratasi verso la madre, sempre tenendo bel stretto il suo ostaggio, disse in tono molto serio:”Se proprio non devi fidarti di qualcuno, io ti consiglierei di liberarti di quel pagliaccio, di quel miserabile - e indicò Tassos che, preso di petto di sorpresa, divenne di mille colori – L’hai coinvolto in tutte le tue manovre e gli hai dato pure credito e mano libera in tuo nome. Ora però che ha visto questa scena e l’epilogo di questa storia, pensi davvero che riuscirà a non dirlo a qualcuno? E sai come corrono le voci qui a Troia. E se si sentirà in pericolo, ti venderà come niente fosse, al migliore offerente”. Detto questo, la ragazza uscì, ferma e decisa, trascinandosi letteralmente dietro Ilario, ancora confuso per la rapida e incredibile successione degli eventi. Nella stanza era  calato un silenzio profondo. Da una parte l’anziana sacerdotessa, ancora furente e turbata, in particolare dalle ultime parole che gli aveva rivolto la figlia, fissava con espressione torva Tassos, valutando che la ragazza poteva avere ragione. Dall’altra, lo schiavo, che, avendo capito di essere all’improvviso in serio pericolo, si gettò in ginocchio, proclamando la sua assoluta fedeltà dimostrata in tanti anni e lo fece con tale passione, che Teano si convinse della effettiva pericolosità di continuare a servirsi di quell’uomo. Usciti in fretta dalla struttura, i due ragazzi si allontanarono a passo deciso. Crino felice di aver avuto la sua riscossa. Ilario ancora confuso e molto incerto sul suo futuro. “E ora, che devo fare io? – chiese alla sua salvatrice – Quello che è accaduto significa che sono di tua proprietà?”. Crino lo guardò con una espressione strana, quasi incerta, poi rispose:”Si potrebbe anche dire di si, in un certo qual modo – vedendo l’espressione dell’altro, si affrettò ad aggiungere – No, stai tranquillo, non mi devi niente. Ho semplicemente colto l’occasione per liberarmi dalla mia condizione. E questo è successo grazie a te. Quindi, alla fine, direi che siamo pari”.”Allora, adesso, cosa conti di fare? E cosa dirà tuo padre?”. “Antenore non è mio padre. Mio padre si chiamava Amico, era un re ed è morto per dimostrare solo quanto era forte e valoroso, lasciando una vedova e due figli piccoli – rispose la ragazza con atteggiamento serio. Poi, come ritrovando una certa serenità, aggiunse – Non ho intenzione di effettuare nessun cambiamento serio. Per ora, almeno, resterò sacerdotessa perché è un ruolo che offre i suoi vantaggi. Ma sarò più libera. Basta con le stoffe e con i ricami. Non li posso vedere e il mio lavoro era pessimo. Quanto a te, credo che potresti riprendere il tuo lavoro alla filanda, in attesa di trovare il modo di andartene da qui, mentre io deciderò se ho dei piani per te o no”.”Credo comunque sia difficile che io riesca ad andarmene in tempi brevi. I Greci controllano il porto e la rotta per la mia isola. Dovrò attendere finchè la stagione non obblighi gli assedianti a desistere dalla loro impresa e, a quel punto, sarà troppo tardi per prendere il mare. Sarò bloccato qui fino alla prossima primavera. Così vicino alla mia isola e così lontano - concluse con tristezza. Quella notte il ragazzo non riuscì a prendere sonno. Il suo destino era quanto mai incerto e sentiva molto la mancanza di Asha al quale si era inaspettatamente affezionato, malgrado le cose che aveva scoperto sul suo conto. Provava anche una forte nostalgia per la sua casa. Ora tutto il fascino di quella città, che all’inizio l’aveva letteralmente ammaliato, conquistato, era in buona parte svanito. Aveva con sè parecchio danaro ma la vita a Troia costava cara per uno straniero e, se non avesse potuto riprendere il suo lavoro, non sarebbe durato molto in quel luogo. Ora che il pericolo di Teano sembrava, almeno al momento, scongiurato, Ilario si chiedeva se il rimedio non fosse peggiore del male. Lo preoccupavano le ultime parole che gli aveva rivolto Crino, a proposito dei piani che poteva avere per lui. Il ragazzo in verità si sentiva molto attratto da lei ma la sua posizione lo intimoriva ed era convinto che, capricciosa e volubile come gli era apparsa, lei avrebbe benissimo potuto ‘giocare’  per poi abbandonarlo al suo destino, non appena si fosse stancata della situazione. Si era appena addormentato che i due schiavi incaricati di portargli la colazione bussarono alla porta. Decise di alzarsi ma non se la sentì di recarsi subito al suo lavoro. Decise, invece, di fare un giro per le vie della città ma al di fuori della cittadella. I soldati di guardia lo fecero tranquillamente passare e nessuno lo seguì così lui si sentì libero di andare dove voleva. Percorse vie che non conosceva, dove trovò botteghe e osterie piene di vita, come se nulla fosse accaduto. Fu nel pomeriggio, mentre pensava di tornare ai suoi alloggi, che si accorse che stava capitando qualcosa. Si sentì passare la voce che i Greci stessero assalendo la città e quanti poterono, Ilario compreso, corsero verso le mura, per capire cosa stava succedendo. Effettivamente la porta Scea era stata chiusa  ma non si era udito nessun allarme. Il dilemma fu presto chiarito. Gli invasori si erano spinti effettivamente ben sotto le mura della città, ma si trattava solo di una coppia di bighe, sulle quali però viaggiavano i più importanti comandanti nemici a seguito di Agamennone in persona, che costeggiavano le difese osservandole attentamente, per vedere di individuare qualche punto più vulnerabile sul quale concentrare l’attacco ma, apparentemente, non ne trovarono. Per tutto il tempo del giro, i Troiani che avevano avuto modo di raggiungere la sommità delle mura, insultarono e sbeffeggiarono apertamente Agamennone e i suoi comandanti. Con quelle difese invalicabili non avevano certo paura. I magazzini della città erano ripieni di tutto il necessario e la riserva d’acqua, era assicurata addirittura da un fiume. Inoltre i regolari commerci che si svolgevano tramite la porta Dardanica consentivano il continuo afflusso di risorse. Il giorno seguente Ilario riprese il suo lavoro alla filanda, favorevolmente accolto da tutti i ragazzi e le ragazze che si mostrarono felici di rivederlo, ma lui non provava più l’entusiasmo iniziale. Quasi ogni sera, però, incontrava Crino, davanti alla solita fontana. Si stavano conoscendo meglio. In realtà, con il tempo che passava, sapevano bene cosa desideravano tutti e due ma erano ambedue spaventati da ciò che avrebbero dovuto affrontare se il loro rapporto, sempre più stretto, fosse divenuto di dominio pubblico. Il ragazzo non aveva più visto il re che, di certo, in quel momento, aveva altre preoccupazioni. Teano non si era fatta più viva, il che dimostrava che, al momento, dato il suo ruolo in città, anche lei aveva altre priorità. Ilario che non si fidava di lei, stava sempre all’erta, temendo qualche brutta sorpresa. Eleno, di quando in quando, lo andava a trovare, a sentire lui, per parlare con qualcuno leale e degno di fiducia e gli raccontava dei fatti della corte, chiedendo invece i suoi commenti da ‘esterno’. Gli raccontava che al momento i Greci non avevano più intrapreso azioni palesemente ostili e come stessero approfittando di questo periodo di calma, per rinforza a rendere più sicuro il loro accampamento mentre , di certo, intanto studiavano qualche piano di attacco strategicamente valido. Priamo, al momento, era costretto a stare a guardare, pur protetto dalle possenti mura della città perché gli uomini promessi dai suoi alleati, e si parlava di circa 250.000 uomini, non sarebbero però stati disponibili prima della prossima primavera, quando ormai tutto sarebbe stato risolto dalla partenza degli assedianti, all’inizio del rigidissimo, tremendo inverno. Ilario intanto cercava un alloggio al di fuori della cittadella per essere più libero ma senza successo, perché i prezzi delle case erano andati alle stelle, a causa dell’ingente numero di soldati che difendevano la città. Essi, di norma, erano accampati all’esterno ma, al momento, naturalmente, a causa della sopraggiunta situazione, avevano dovuto trovare alloggio entro le mura. Il ragazzo comunque fedele alla sua natura, aveva iniziato a sperimentare nuove tecniche di tessitura e tintura con i filati particolari che aveva trovato nei magazzini e dei quali non era ancora pratico, a volte da solo, per non dover condividere i risultati, a volte, più spesso, con alcuni dei suoi allievi migliori. Con alcuni aveva stretto un particolare legame, anche se doveva sempre guardarsi da alcune iniziative, piuttosto insidiose, da parte di alcune delle ragazze che avevano piacere a provocarlo per metterlo in imbarazzo o magari, per sincero interesse personale. Fra queste c’erano Artemia e Dione, ambedue bellissime e molto abili. Ilario però non aveva mai raccolto le varie provocazioni, sia perché per le due ragazze, non provava altro che sincera amicizia, sia per la presenza incombente delle reverende madri. Non doveva poi dimenticarsi che quelle erano le figlie di Priamo , del re, e lui, solo un semplice artigiano greco e, certe cose, a Troia non sarebbero state tollerate. E poi, c’era il fatto che lui si sentiva sempre più legato a Crino e, pochi giorni dopo, ebbe la dimostrazione che anche lei provava dei sentimenti piuttosto intensi per lui. Infatti una mattina, Dione, non si presentò al lavoro e, alla sera, lui venne a sapere che, a causa sua, aveva avuto un violento scambio con Crino e la principessa non ne era affatto uscita bene. E pensare che quando la incontrava, la sera, lei sembrava così calma, così dolce.  Aveva appena ricominciato ad adattarsi alla nuova situazione, quando, durante una cena consumata all’osteria dove si recava abitualmente per non dovere consumare i pasti da solo nel suo alloggio, venne avvicinato da Trofim il quale, sapendo del desiderio del ragazzo di tornarsene a casa,  gli comunicò che un gruppo di abitanti, originario della Misia, aveva organizzato un viaggio per tornare nella loro patria. La meta finale era la città di Lampsaco. Ma da lì, si poteva raggiungere facilmente il mare, imbarcandosi per raggiungere casa sua, con una delle ultime navi in partenza per la Grecia prima che il traffico fosse interrotto per la stagione invernale.    Questa notizia, che in un altro momento sarebbe giunta più che desiderata, aveva in realtà messo Ilario in grande difficoltà. Il suo rapporto con Crino diventava sempre più stretto e profondo e, inoltre, durante l’ultima udienza con il re, questo gli aveva detto che era così soddisfatto del suo lavoro, da proporgli di estendere il suo impegno  fino al termine dell’estate successiva, con un ingente aumento del suo premio. Trofim gli disse che era tutto già organizzato.  La partenza sarebbe avvenuta da lì ad una settimana, con l’incontro fissato alla porta Dardanica, prima dell’ultimo cambio della guardia per la notte. Non l’avrebbero atteso a lungo e, se non si fosse presentato, l’occasione sarebbe stata persa. Era una tentazione molto forte. Avrebbe potuto tornare a casa sua. Avrebbe portato con sé il segreto appreso anche se aveva perduto ciò che gli aveva consegnato Teano. Si sarebbe liberato della figura incombente di quella donna della quale si fidava molto poco. Però, se fosse fuggito come un ladro, di certo Crino non l’avrebbe accettato molto facilmente e, probabilmente, non avrebbe potuto recuperare il rapporto con facilità perché Priamo, pur dovendo affrontare questioni molto serie in quel momento, magari non avrebbe preso bene la sua fuga e, di certo, lui in città non sarebbe stato più gradito. Passò dei giorni difficili ma, alla fine, giunto alla sera della sua ‘fuga’, aveva deciso. Il suo bagaglio, ridotto al minimo era pronto nella camera da letto ed ora lui stava terminando con scarsissimo entusiasmo la cena nel suo alloggio. Aveva ormai finito di mangiare e stava controllando di aver predisposto tutto per la partenza e rivalutando per l’ennesima volta la sua decisione finale sulla quale aveva decisamente pesato la profezia di Cassandra, nella quale il ragazzo, a differenza di tanti altri aveva piena fiducia. Poi, all’improvviso la porta si aprì ed entrò veloce una figura coperta da un ampio mantello bianco. Il ragazzo, che ormai riconosceva quella sagoma e quel modo di muoversi, si allarmò non poco. Non si era sbagliato. Davanti a lui c’era Teano in persona, sola. La donna si era richiusa in fretta l’uscio alle spalle, come se non volesse dare nell’occhio più del necessario. Poi, con aria decisa, dopo aver dato uno sguardo in giro, si avanzò verso la tavola e si sedette davanti al ragazzo che, aspettandosi di tutto, era rimasto immobile, senza proferire nemmeno un suono. Guardandola bene da vicino, però, Ilario notò che quella non era la donna con cui aveva sempre avuto a che fare. Questa era tranquilla, un po’ triste forte ma comunque sempre sicura di se stessa e determinata. “Non mi offri da bere? – chiese con voce naturale. Il ragazzo, impacciato versò alla donna del vino che poi allungò con un po’ d’acqua mentre lei lo guardava con aria inespressiva. Prese il bicchiere e bevve un sorso. Poi guardando Ilario dritto negli occhi gli chiese:”Pensi ancora che io abbia rinunciato ad eliminarti per paura di mia figlia? – poi, senza dare tempo all’altro di articolare una qualsiasi risposta, continuò – Beh, non è così. Da quando ti ha conosciuto ho visto in lei un qualcosa, qualcosa che non avevo mai visto prima”. Bevve un altro sorso di vino poi, quasi parlando più con se stessa che con l’altro, riprese :”La sua vita non è stata facile. Giovanissima principessa, ha perso il padre, più legato alle sue imprese e al suo malato senso dell’onore che alla sua famiglia. Quando, per questo, si è fatto stupidamente uccidere, abbiamo dovuto abbandonare la nostra casa, la nostra terra. Giunta qui, io, grazie a mia sorella Ecuba, sono riuscita a ricostruire e mettere al sicuro la nostra vita ma lei si è trovata sola, isolata, confusa. Presa nei miei impegni, l’ho trascurata; avevo troppo da fare per sistemare al meglio le cose della mia famiglia. Sono diventata la grande sacerdotessa di Atena, ho sposato Antenore, il consigliere anziano del re. Ora lei ha tutto quello che le serve ma io l’ho perduta. Crino è convinta che di lei non mi importi nulla. Non è così. Io la amo molto e se non lo dimostro è solo perché, nella mia posizione, non posso mostrare lati deboli e cedimenti perché altri ambiscono al mio posto e attendono solo una mossa falsa. Ti rendi conto, quindi, quanto io mi sia esposta con te”. Poi abbassò la testa come a cercare le parole più giuste per portare avanti il discorso mentre il ragazzo si chiedeva sempre più curioso, dove voleva andare a parare la donna con quella visita. Poi Teano riprese:”So che mia figlia, anche se lei non lo ammetterebbe mai, si è innamorata di te. La conosco. Questo ha avuto su di lei un effetto incredibile. Si è addolcita, si è calmata, è cambiata, in bene. Io non so proprio cosa ci abbia trovato in te ma va bene così. Purchè lei sia felice, io posso accettare tutto. Ora però, viene il problema principale. Tu che intenzioni hai verso di lei? Anche perché, stai partendo, vero? O meglio, stai scappando?”. Ilario, diventato rosso come un peperone capì che era stato scoperto. Come aveva potuto pensare di organizzare qualcosa, senza che quella donna diabolica lo venisse a sapere. “Si, va bene. Sto scappando, allora? – rispose il ragazzo di getto, avendo capito che non aveva più nulla da perdere – Potresti darmi torto? Certo, che sono innamorato di Crino. Quasi dal primo momento che l’ho vista. Ma voi avete intossicato questo amore. Prima, tua figlia mi salva la vita e, allora, il mio cos’è, amore o riconoscenza? Poi, tu – e indicò Teano – mi dici che hai scoperto il mio tentativo di fuga e  se ci provo e deludo tua figlia, magari mi fai sistemare da Tassos. Una bella situazione, non c’è che dire!”.”Non hai capito niente – rispose la donna con grande calma – mia figlia ti ama davvero. Di questo puoi essere certo. Io, da parte mia, ho dato la mia parola e non farò nulla contro di te quale che sia la tua decisione, se andare o restare. Tra l’altro Tassos, diciamo così, non è più al mio servizio. Ho riflettuto a lungo sulle parole che mi avete detto e ho capito che avevate ragione. Ora il punto è proprio questo. Tu dici di amare Crino. Pensi di esserne degno? Perché, se resterai, dimostrerai di amarla davvero. Riuscirai in ogni caso a tornare a casa ma, magari, solo l’anno prossimo, chissà. Se invece partirai, darai un grande dolore a mia figlia che, comunque, imparerà una dura lezione sugli uomini e io avrò la certezza che sul tuo conto non mi ero sbagliata. Ora, a te la scelta”. Detto questo, la donna si alzò e, ricoprendosi con il mantello, uscì dall’alloggio, richiudendosi la porta alle spalle. Ilario restò ancora seduto, diversi minuti , per capire bene le parole che aveva appena sentito. Ora era davvero confuso. Le conclusioni che l’avevano fatto decidere a partire ora vacillavano sempre di più. Alla fine, si alzò dalla tavola e andando in camera da letto, recuperò il suo mantello e la sua bisaccia, tornando poi nella sala. Cosa doveva fare. Provò a pensare ad un abbraccio di Crino e poi ad un suo bacio e all’dea di separarsene, di perderla. Aveva avuto ragione Asha, a suo tempo, quando aveva detto a Stoyan, suo padre, che di certo lui aveva conosciuto parecchie ragazze sull’isola. Ma questa era diversa e non solo perché era della città di Troia. Questa aveva una forza, un’intensità, un temperamento e nello stesso tempo una dolcezza ed una tenerezza che non aveva mai visto prima. Poteva sembrare brusca, ostile, perfino pericolosa ma, con la scuola che aveva avuto nella sua famiglia, si poteva ben capire il perché. Il suo attuale lavoro gli piaceva molto. Non era da tutti avere un re che apprezza il tuo operato e che te lo dice, anche. L’ambiente in cui si muoveva era eccitante, stimolante, niente era così sulla sua isola. Eppure casa sua gli mancava da morire. Sua madre, la sua sorellina, il suo laboratorio. La mano gli andò immediatamente alla catenina che Agata gli aveva regalato alla sua partenza, come se questo potesse fargliela sentire più vicina. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Che doveva, che voleva, veramente fare? Da questa decisione, sarebbe forse dipesa l’intera sua vita futura. La mattina seguente, dopo una abbondante colazione, Ilario si accingeva ad entrare nel suo laboratorio. Alla fine, aveva riportato tutto il bagaglio nella sua camera da letto ed era andato semplicemente a dormire. Era soddisfatto della sua scelta. Si sentiva bene. Ciò che era legato a quella sua avventura, poteva anche giustificare il ritardo di un anno. Si trovò stranamente a pensare cos’avrebbe detto Stoyan sapendo che, pur in possesso del segreto di Priamo, lui aveva preferito aspettare un anno per tornare a casa. Andava tenuto conto che, in ogni caso, egli non disponeva più del ‘materiale che gli aveva consegnato Teano e quindi pur sapendo come ottenere il filato, sarebbe stato complicato procedere. Concluse che suo padre non era lì e, tutto considerato, lui aveva il pieno diritto di decidere per la sua vita. Mentre stava per entrare nella sala, d’improvviso, si sentì strattonare da qualcuno che, con grande energia l’aveva afferrato per un braccio e l’aveva tirato verso una parete fuori dalla vista degli altri. Preso alla sprovvista, il ragazzo aveva subìto quell’improvvisa aggressione ma, quando vide chi l’aveva effettuata, rimase fermo in attesa degli eventi. Una Crino furiosa, ora l’aveva afferrato per il davanti della tunica con aria molto determinata e gli chiese:”So che ieri sera mia madre è venuta da te. Cosa voleva? Ti ha minacciato di nuovo? Dimmelo!”. Ora che Ilario aveva capito la situazione, riuscì a sorridere. La ragazza non ce l’aveva con lui. “Nessuna minaccia, ti assicuro. Lei voleva solo essere sicura dei miei sentimenti per te”.”Sentimenti? – chiese l’altra, quasi stupita – Quali sentimenti?”.”Come, quali sentimenti – ribattè il ragazzo leggermente sorpreso dalla reazione dell’altra – Io ti amo! Ah, bene. Adesso te l’ho detto. Mi hai colpito fin da quando ci siamo conosciuti e poi, pian piano, mi sono accorto di essermi innamorato. Non avevo mai detto niente perché, vista la situazione, non mi sembrava opportuno ma ora l’ho ammesso. Ecco”. La ragazza lo guardò con un’aria strana, indecifrabile. “Come si è espressa mia madre di preciso?”. Ilario pensò bene a cosa rispondere e alla fine le disse:”Tua madre si preoccupa per te perché, alla fine, seppure a modo suo, ti vuole bene. Sa che anche tu provi qualcosa per me e voleva assicurarsi che io, con il mio comportamento, non ti facessi soffrire”.”Questo ti ha detto? Davvero? Mia madre che si comporta come un essere umano!  – Poi, come seguendo un ragionamento, chiese ancora – Se c’è una cosa che mia madre non sa fare, è mentire. Dimmi, ti sembrava sincera?”.”Si, era sincera”. “Sai questo cosa vuol dire – gli chiese Crino guardandolo negli occhi con un’improvvisa aria di contentezza – Significa che non ci ostacolerà e che… siamo liberi!”. E, senza aggiungere altro, lo strinse in un forte abbraccio, baciandolo con trasporto e passione e il ragazzo non potè fare altro che rispondere con la stessa intensità. Non gli sembrava vero, non aspettava altro. Solo quello, era valso la decisione di restare. In quel momento non c’era nient’altro per loro. La città, i Greci, le stoffe, la guerra, i parenti.. nulla. Solo loro. Erano talmente assorbiti nelle loro effusioni rimandate per tanto, troppo tempo da non avvertire ciò che accadeva attorno a loro, fino ad essere richiamati bruscamente alla realtà dalle forti grida di una donna furiosa, proprio accanto a loro. Sciogliendosi dall’abbraccio, notarono subito con sorpresa  il gruppo delle ragazze dirette alla sala che ridacchiando, ammiccando, li prendevano in giro ma ciò che maggiormente li colpì, fu la presenza di una reverenda madre a meno di un metro da loro che, con un espressione terribile ed il suo bastone sollevato, chiese  con voce estremamente  alterata:”Che fate? Che state facendo?”. Ilario, impacciato e arrossito era rimasto immobile, non sapendo cosa fare, cosa dire. Fu Crino che ridendo apertamente rispose:”Quello che ci pare!”. E prendendo il ragazzo per il polso lo portò via con sé, di corsa, lontano da quel posto. Corsero finchè non furono in mezzo ai magazzini, dove non c’era nessuno. Erano sudati per la corsa, felici, spensierati, raggianti, sollevati per quanto era successo. Raggiunto un posto che ritennero sufficientemente isolato, ripresero esattamente lì dove erano stati interrotti solo qualche minuto prima.Teano mantenne la sua parola e, con mezzi sui quali era meglio non indagare, trovò per il ragazzo una sistemazione, appena fuori dalle mura della cittadella, che lui non ricordava di avere mai notato prima. Si trattava di una elegante costruzione a due piani, con 10 stanze in tutto, quattro al piano inferiore e sei a quello superiore. Il piano terra aveva un grandioso ingresso, che Ilario immaginò subito fosse possibile trasformare in un efficiente laboratorio-negozio, usando un’altra stanza adiacente come magazzino. Gli ricordava in qualche modo casa sua. Crino la trovò subito di suo gusto ed approvò il progetto del ragazzo, di usare il piano inferiore per scopi commerciali. Eleno, dapprima piuttosto freddo nei confronti della ragazza, frequentandola, cambiò idea e atteggiamento verso di lei, notando come fosse molto cambiata. Si era trasformata in una ragazza disponibile, che apprezzava il riso e la compagnia, seppure a volte, affiorava un certo atteggiamento di riserbo e di cautela, velato di tristezza, di certo dovuto a tanti anni di malumore e grigiore, che le facevano sempre temere di poter perdere tutto da un momento all’altro. Lei ed il giovane principe , mentre Ilario era al lavoro, avevano approfittato per arredargli la casa. Il ragazzo avrebbe preferito avere un po’ di controllo circa le scelte effettuate, ma doveva troppo a tutti e due per privarli di quel lavoro che avevano preso così a cuore e comunque, alla fine, dovette convenire che le scelte effettuate erano state eccellenti, arredando gli ambienti con stile elegante ma senza esagerazioni. Di certo, lui non avrebbe saputo far di meglio. All’inizio sarebbe andato ad abitare lì da solo, in attesa di ufficializzare il rapporto con la sua ragazza. Malgrado la resistenza di Ilario, Eleno pretese però, di  inaugurare la nuova casa con una festa, come era costume, a suo dire , nella città di Troia. Quando il ragazzo vide la lista degli invitati che il principe aveva stilato, capì che sarebbe stato un fiasco colossale. Non ci sarebbe andato nessuno e questo, da una parte lo confortava, in quanto non aveva idea di come avrebbe dovuto comportarsi durante l’evento. Eleno insistette col dirgli che lui non capiva nulla delle cose della corte. Sarebbe bastata la voce che la festa era organizzata da lui e che, quasi certamente, sarebbero intervenuti Teano con il marito, per fare la magia.  La sera della festa, Ilario, sempre convinto che non sarebbe intervenuto nessuno, era molto combattuto fra la soddisfazione di chiudere semplicemente e subito la cosa e il dispiacere per la delusione che di certo avrebbero avuto Eleno e Crino ma sarebbe stato comunque, il riconoscimento del fatto che lui era solo un emerito sconosciuto. Eleno che aveva previsto molti ospiti, aveva fatto preparare un banchetto principesco al piano inferiore, attingendo, per sua stessa ammissione, alle cucine della corte, assicurando il padrone di casa, che avrebbe preferito pagare lui, che nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. Cominciarono ad arrivare gli invitati. Erano le ragazze del laboratorio con le loro famiglie, notabili con le rispettive mogli, che avevano conosciuto Ilario per i suoi servigi, amici di Eleno, conoscenti di Teano e di Antenore. Molti nemmeno li conosceva. Con soddisfazione, notò che il principe e Crino avevano assunto il ruolo di anfitrioni mentre lui si limitava a presentarsi e si accorse che quasi tutti gli invitati erano molto presi dal banchetto e intenti a  parlare, fra di loro, di quello che potevano essere i pettegolezzi più attuali della città.  Poi notò che, dal locale adibito a cucina, qualcuno tentava di attirare la sua attenzione e, quando si avvicinò, vide con grande piacere Trofim assieme al fratello, che erano passati per salutarlo e fargli gli auguri per la nuova casa. Malgrado le insistenze del ragazzo, non vollero entrare nella sala per non metterlo in imbarazzo con la loro presenza e furono irremovibili. Si scambiarono comunque un forte abbraccio. Poi, nella sala scese improvviso il silenzio. Erano entrati Teano e Antenore. La sacerdotessa, dopo essersi guardata intorno, come per identificare tutti i presenti, molti dei quali chinarono lo sguardo, si avvicinò al ragazzo e con il suo solito fare sprezzante, gli disse:”Bene, greco. Ti stai sistemando bene, a quanto vedo. Stai mirando in alto, in tutti i sensi. Ma stai molto attento perché io ti tengo d’occhio!”. Giunse subito Crino che si intromise:”Grazie madre per essere venuta, è sempre un piacere! – poi prendendo Ilario per un braccio gli fece fare un passo avanti e lo condusse davanti ad un uomo anziano ma vigoroso, che lo osservò con uno sguardo profondo ma non ostile – questo è mio padre, Antenore – non credo che tu lo conosca”. L’uomo era di altezza normale, piuttosto magro ma emanava una forte energia che si poteva letteralmente percepire. Aveva dei lunghi capelli, bianchissimi, forse tinti, come la sua fluente barba. Indossava una lunga tunica bianca fermata in vita da una cintura di pelle marrone un manto color crema, drappeggiato su un braccio. Portava al collo, quale simbolo della sua carica, una pesante catena d’oro alla quale era appeso un medaglione . Su di esso, come sulla fibbia della cintura, c’era inciso il simbolo della civetta.”Vi saluto e vi ringrazio per esservi disturbato a venire nella mia modesta casa – riuscì a dire il ragazzo, con un profondo inchino,  sperando di non apparire  banale o quel sempliciotto che era convinto di essere – Io vi ho veduto più volte durante le udienze del re, nella vostra veste di consigliere”. L’uomo sembrò riflettere un attimo e poi, con atteggiamento estremamente gentile, rispose:”In realtà, ti avevo già veduto anche io nelle medesime circostanze ed ero curioso di conoscerti meglio, perché sembra che tu sia capace di fare cose prodigiose. Mi sono subito reso conto che sei un giovanotto di valore, anche se hai molto da imparare. Capirai che, a questo punto, dovremo parlare con maggiore calma in un ambiente tranquillo. Ti manderò a chiamare”. Poi si voltò verso la moglie e, assieme a lei, si unì alle conversazioni di alcuni gruppi di ospiti, seppure per pochi minuti. Poi, tenendosi sottobraccio, lasciarono la casa. Crino, raggiante, raggiunse il ragazzo e abbracciandolo, gli chiese se era contento perché era andato tutto bene.”Tua madre, mi ha minacciato, tanto per cambiare, e a tuo padre sono riuscito solo a dire quattro parole banali. Penserà certamente che tu abbia preso sotto la tua protezione un cretino”.”Mio padre sa bene che non se un cretino – rispose lei leggermente contrariata – altrimenti non sarebbe mai venuto qui. Pensi che non abbia preso informazioni sul tuo conto? Quanto a mia madre, sostiene solo la sua parte, come ha fatto dall’inizio. Quindi, ripeto. Tutto bene! Ora dobbiamo pensare al tuo futuro”.”Al ‘mio’ futuro? Pensavo che si parlasse del nostro – rispose incerto Ilario. “Ma certo, il nostro, - rispose ridendo, lei – Il mio futuro è legato al tuo. Non sai che i mariti qui a Troia, provvedono a tutto e che le mogli pensano solo a farsi belle?”. Ilario non sapeva mai con certezza, quando la ragazza lo prendeva in giro e sperò che fosse questo il caso. A volte si sentiva preso in trappola. Temeva che Crino si divertisse a giocare con lui ma poi, quando lei l’abbracciava e lo stringeva a sé, questi dubbi gli passavano. Sperava di non sbagliarsi. Sistemato il laboratorio, Ilario si tròvò a lavorare su due fronti. Al mattino il suo impegno era con Priamo ma al pomeriggio si poteva dedicare alla clientela che, conosciuto lui e le sue originali creazioni, cresceva sempre di più. Aveva dovuto assumere due persone che lo aiutassero ed erano fra i migliori allievi della filanda, ambedue, figli di dignitari della corte. Quando le principesse avevano saputo che lui cercava aiuto, si erano offerte in massa, specie Artemia  e Dione ma lui aveva dovuto rifiutare. Come poteva pensare di avere al suo servizio le figlie di Priamo? Se il re l’avesse saputo, e l’avrebbe saputo, visto il clima della corte, per lui la strada per lo Scamandro sarebbe stata assicurata e velocissima. Come abitante di Troia, Ilario aveva accesso praticamente immediato, a tutti quei materiali che suo padre doveva invece ricercare attraverso la navi che commerciavano con l’Asia Minore e che continuavano ad affluire continuamente attraverso i traffici più attivi che mai, grazie alla porta Dardanica.  Il tutto, mentre i Greci, che non avevano più mostrato attività di tipo militare, continuavano a rinforzare il loro campo. Sembrava una vera perdita di tempo perché ora che l’inverno li avrebbe obbligati a partire, per non rimanere isolati e bloccati in condizioni climatiche proibitive, i Troiani avrebbero provveduto immediatamente a distruggere tutto, cosicchè, se fossero voluti tornare, avrebbero dovuto ricominciare tutto da capo ma stavolta avrebbero trovato sulla spiaggia, ad attenderli almeno 250.000 soldati. La stagione invernale incombente, procurò una grossa delusione ai Troiani in quanto i Greci restarono ad affrontare l’inverno. Totalmente indisturbati, continuavano a rinforzare il loro campo ed avevano addirittura edificato costruzioni in muratura, anche se il grosso dell’esercito, avrebbe dovuto rifugiarsi nelle tende per affrontare il gelo ed il maltempo. Ma alla fine, gli assediati pensarono che andava bene anche così. Al giungere della primavera si sarebbero trovati ad affrontare un esercito fortemente provato e demoralizzato, mentre i loro uomini sarebbero stati pronti, freschi e aiutati dalla migliaia di soldati alleati promessi dai regni vicini. Ormai per tradizione l’inizio dell’inverno veniva fatto coincidere con l’11^ giorno di ottobre. In quella data si sospendeva la navigazione verso la Grecia ma veniva anche festeggiata la famiglia ed i nuovi nati nell’ultimo anno, che sarebbero ufficialmente entrati a farne parte. Ilario conosceva quella usanza perché anche in Grecia veniva celebrata con il nome di ‘Apaturia’. In quell’occasione Priamo decise di dare una grande festa a palazzo, alla quale erano stati invitati i più importanti rappresentanti della società troiana e le loro famiglie. Tramite l’interessamento di Eleno e Crino, anche il ragazzo, ricevette un invito. Dapprima non lo gradì ma poi,  Crino lo convinse che quella poteva essere una splendida occasione per farsi conoscere meglio, almeno dalle persone che contavano. Decise di giocare il tutto per tutto. Quanto avrebbe voluto avere accanto Asha per consultasi con qualcuno. Ma ormai era solo e doveva cavarsela. Si fece portare, tramite le conoscenze della ragazza, un discreto taglio di seta. Il fatto di conoscerne ormai il segreto, non gli faceva apprezzare di meno quel tessuto, anzi ammirava maggiormente l’ingegno delle persone che riuscivano ad ottenere quel prodigio. Fece vedere ai suoi collaboratori come sfilare il tessuto, come aveva imparato a farlo nella sua isola e, intanto, in gran segreto, come al solito, preparò la sua tinta. Non sapeva per quanto tempo gli sarebbero bastati gli ingredienti  per produrla ma valutò che sarebbe riuscito a partire prima che essi finissero. In fin dei conti, si trattava di resistere fino alla primavera dell’anno successivo. All’inizio, non aveva intenzione si svelare a nessuno il suo progetto ma poi si rese conto di aver puntato troppo in alto perché, se come tessitore, almeno lì in città, non aveva rivali, come sarto non valeva un granchè e, quindi, non era sicuro di poter ottenere il suo scopo. Alla fine, si decise a condividere la sua idea con Crino la quale, dopo aver ascoltato il suo piano, valutate le varie possibilità, gli propose delle soluzioni inaspettate. Infatti Ilario scoprì che, se la ragazza, come tessitrice non aveva particolari abilità , invece nel campo della sartoria, era veramente capace e anche nel disegno dei modelli degli abiti. Lei disse che era tutta una scuola derivata dal voler dare un tono gentile e femminile ai vari vestiti che le erano stati imposti per anni, nella sua veste di aspirante sacerdotessa. Alla fine il ragazzo, ottenuto il filato, realizzò una stoffa fantastica e Crino portò felicemente a termine la sua idea. La sua parte, in realtà fu una sorpresa anche per  il ragazzo che, pur conoscendo i progetti della ragazza per sommi capi, si rese conto che le sue idee  erano veramente ambiziose, una sera in cui terminato il suo lavoro, entrando nel locale adibito a sartoria, si trovò davanti Elena che, assistita dalla moglie, si stava provando un abito. La donna, pur essendo piuttosto svestita, si limitò a sorridere e a raccomandargli di non dire nulla a nessuno e poi riprese a parlare con Crino. Ilario ripresosi dalla sorpresa, si limitò ad un cenno di diniego , a significare che non aveva visto nulla e si ritirò più in fretta possibile. In realtà, aveva visto, eccome, ed era ancora piuttosto turbato quando Crino, con uno strano sorriso lo raggiunse poco dopo. “Tutto bene? – chiese la ragazza – Sembra che ti sia andato qualcosa per traverso”.”Ma che ci faceva Elena, mezza nuda,  nel nostro laboratorio? Non mi risulta che ci abbia commissionato alcunché – rispose il ragazzo cercando di riassumere un comportamento controllato e normale. “Stai tranquillo, so bene che effetto fa quella donna su voi uomini, specie senza vestiti. Non sono gelosa, quindi, calmati. Ho semplicemente avuto un’idea e, conoscendola, ho trovato il modo di proporgliela. Le è piaciuta ed il gioco è fatto”.”Che gioco ?”. Crino non volle rivelargli nulla. Due giorni dopo, però ricevette la visita a sorpresa di Elena, accompagnata da Dione, la quale fece delle richieste precise per una modifica circa la tessitura della seta su cui Ilario stava lavorando. Parlando con lei ed ascoltandola, il ragazzo si rese conto che quella donna era molto intelligente, competente in vari campi ed aveva un’istruzione di ottimo livello. Tutto questo la rese diversa ad i suoi occhi ed egli trovò molto più facile rapportarsi con lei. Suo fratello non l’avrebbe mai creduto quando glielo avrebbe raccontato. La festa della famiglia era stata organizzata nella sala del trono, dalla quale erano state rimosse tutte le tende interne, allo scopo di ottenere un salone aperto, in grado di contenere tutti gli ospiti convenuti. Erano ovviamente tutti membri di importanti famiglie, molti intervenuti con i nuovi nati, per avere l’onore che il rituale dell’accettazione dei loro figli, fosse effettuato dal re in persona, con l’ausilio dei sommi sacerdoti di Atena e di Apollo. C’era un’ottima atmosfera e tutti apparivano allegri e spensierati. Il re, al centro dell’attenzione, affiancato da Ecuba, era raggiante e dispensava sorrisi a tutti i presenti. La cerimonia fu breve. Priamo chiamava per nome i nuovi nati che, a quel punto, venivano innalzati verso il cielo dai padri o da chi ne faceva le veci e mostrati ai presenti. I sacerdoti effettuarono i previsti sacrifici e gli oracoli dettero solo segnali positivi. A quel punto, un aedo iniziò a narrare velocemente la storia delle più importanti famiglie della città, naturalmente dando però risalto al fatto che  il clima di prosperità e fortuna erano in realtà dovute solo alla grande abilità e capacità di Priamo. E poi, finalmente, cosa che molti dei presenti attendevano, mentre dei musici suonavano con discrezione delle arie locali, si dette inizio al banchetto che, come tutte le altre volte, era ricchissimo e gli ospiti, seppure nobili e altolocati, non si fecero scrupoli di approfittarne per quanto possibile. Nessuno, in quel momento, voleva pensare agli assedianti né ai caduti durante l’assalto alla spiaggia. L’atmosfera era estremamente allegra. Ilario, seguendo le indicazioni di Eleno, si sedette in disparte, limitandosi ad ascoltare i discorsi e le battute degli altri invitati. Era sicuro che la sua presenza fosse a malapena tollerata per l’amicizia che lo legava al giovane principe ma era deciso a dare meno nell’occhio possibile. Notò che Teano era scomparsa, probabilmente per ciò che essa aveva nel suo animo. Poi osservò il trono con il re e la regina. Attorno a loro, Paride, Polite, il giovane Troilo, Deifobo e Artemia, la quale, scorgendolo, gli inviò un gesto di saluto, mettendolo  in grave imbarazzo. Infatti la cosa non era sfuggita a Deifobo che, avendolo riconosciuto, espresse senza tanti giri di parole il suo disappunto per la presenza del ragazzo. Fu in quel momento che nella sala scese improvviso il silenzio. Tutti guardavano nelle medesima direzione. Ilario, dovette alzarsi i piedi per capire cosa stava accadendo e a quel punto, rimase anche lui senza parole. Aveva fatto il suo ingresso nella sala, Elena, più bella che mai, grazie anche all’abito che indossava. Esso infatti, piuttosto aderente, fasciava quel corpo perfetto ma sulla sinistra, dalla vita in giù, si apriva uno spacco che lasciva scoperta tutta la gamba. Era piuttosto accollato sul davanti, mentre presentava una profonda scollatura sul lato posteriore. Il tessuto era di seta, luminoso ed il suo colore, procedendo  a sfumature oblique, presentava tutte le tonalità, dal rosso più scuro, in alto, a toni più sfumati e delicati verso il basso, tutto guarnito con complicati ricami in oro. Le maniche, corte e larghe, arrivavano al gomito. Una cosa che non si era mai vista. Ora capiva cosa stesse combinando la ragazza con la principessa e fu orgoglioso per l’abilità mostrata da Crino. Consapevole dell’effetto che aveva prodotto, Elena, osservando i presenti con un’aria quasi di sfida, iniziò ad avanzare verso il trono con movenze particolarmente leggiadre ed eleganti. Salutò Priamo che come al solito, la volle abbracciare, mentre in sala la gente aveva ripreso a parlare ma, naturalmente, per commentare ciò che era appena accaduto. Ilario vide che il re domandava qualcosa alla nuova arrivata, la quale sorridendo indicò proprio nella sua direzione. Fu uno shock per lui vedere il re che lo osservava con sguardo serio, imponendogli subito dopo con un gesto perentorio di avvicinarsi a lui. Estremamente agitato, senza possibilità di scelta, il ragazzo obbedì. Quando giunse alla base del trono, si inchinò e rimase in attesa di quella che era la reazione di Priamo. E infatti questi subito disse in tono severo:”E dunque tu crei una cosa simile ed invece di offrirla a me, la offri ad Elena?” Ilario, quasi paralizzato dall’agitazione, non sapeva cosa rispondere quando venne in suo aiuto Crino, la quale con grande rispetto disse:”Maestà, come potete ritenere che Ilario possa non aver pensato a voi? E’ stata anzi la sua prima preoccupazione, solo che non sapeva come agire per essere discreto e rispettoso”. “Ossia? – chiese il re incuriosito. Crino fece un gesto a due schiavi che avanzarono chini, recando un ingombrante involto sulle braccia. Ilario per primo, osservava la scena stupito, non sapendo cosa aspettarsi. Era vero che la stoffa era stata creata da lui ma poi, l’aveva consegnata a Crino che non gli aveva voluto far sapere nulla. A quel punto la ragazza disse ad Ilario:”Fai vedere a sua maestà cosa hai fatto per lui”. Ilario, sperando di non combinare guai, si avanzò verso i due schiavi e con grande attenzione, aprì l’involto. Ne venne fuori un mantello bellissimo, incredibile. Tutto in seta rossa e ricamato in oro e argento con inserimento di diverse pietre preziose. I ragazzo riconobbe nel disegno le variazioni che Elena gli aveva chiesto di apportare alla trama della stoffa. Quindi era anche lei coinvolta in quel gioco. Priamo rimase senza parole. Si alzò e volle provare subito il manto, come era successo tanto tempo prima, stavolta, però aiutato da Elena e Paride. Ne era contentissimo, così come Elena. Però Priamo chiese con grande serietà al ragazzo:”Dove hai preso questa seta?”.”L’ho acquistata qui a Troia, da un mercante, a caro prezzo. Con un procedimento che mio padre ha messo a punto sulla nostra isola, l’ho sfilata e dopo, ho potuto lavorala così come vedete. Se si potesse trovare un modo per ottenere la seta ad un prezzo ragionevole, questo tessuto potrebbe essere facilmente commercializzato con grande guadagno per la città – Ilario aveva recitato pari pari il discorsetto che Crino gli aveva fatto imparare a memoria, sapendo cosa avrebbe fatto presa sul re”. Priamo rimase un attimo pensoso poi, disse al ragazzo che lo avrebbe mandato presto a chiamare. Ilario, comunque, confuso, ricevette, davanti a tutti, i complimenti ed i ringraziamenti del re il quale, però, si dimenticò in fretta di lui per vantarsi e pavoneggiarsi nel mantello appena ricevuto. Ilario, Crino ed Eleno si allontanarono in fretta dalla festa. Il loro scopo era raggiunto e non avevano più niente da fare lì. Già il giorno successivo, in tutta la città, negli ambienti che contavano non si parlava altro che delle creazioni di Ilario e di Crino. “Ascoltami –  gli disse la ragazza  mentre erano in laboratorio – se ce la giochiamo bene, nel giro di un anno saremo ricchi e, quando tuo padre saprà di cosa sei stato capace, sarà orgoglioso di te”.”Sembra troppo bello – rispose lui – Il problema è che quando si parla di lavoro , non mi tiro indietro ma la parte commerciale non ho la più pallida idea di come gestirla”. “Di quello non devi preoccuparti. Tu pensa solo a produrre nuove idee e nuove lavorazioni. Per la sartoria ci penserò io, con l’aiuto di due principesse, Nereide e Polissena, che collaboreranno direttamente con me e tu non dovrai avere nessun timore che qualcuno pensi che tu possa comandare  su di loro. Le conosco da un pezzo, sono brave e felicissime di lasciare la filanda di Priamo,  dove si sentono letteralmente prigioniere, come succedeva a me. Tu non hai idea di cosa significa subire il controllo delle Reverende Madri”. Ilario era stupito, veramente. Quella ragazza aveva già progettato tutto, e non vedeva l’ora di cominciare. Era sicuro di conoscerla bene? Perché questo lato della sua personalità non l’aveva mai scoperto. Sapeva bene come sarebbe andato a finire il loro rapporto ma ora si chiedeva se avrebbe veramente potuto amare questa nuova versione della ragazza che si era mostrata. Aveva sempre in mente l’immagine della trappola. La ragazza osservò l’espressione di Ilario e capì. Allora gli fece un fantastico, enorme sorriso e, dopo averlo abbracciato strettamente, lo coinvolse in un bacio estremamente appassionato. Ilario, sentì svanire tutti i suoi dubbi. Se proprio era solamente una trappola, era veramente una bella trappola. Gli affari, per il laboratorio, presero in fretta una buona strada. La ottima qualità del prodotto e la strategia di Crino avevano dato i suoi frutti. Inoltre la ragazza, prendendo praticamente il controllo dell’attività, aveva provveduto a tutti gli accordi, compresi quelli con il re, per far sviluppare al meglio gli affari. A Ilario toccava però trovare sempre nuove idee per realizzare prodotti originali. Se aveva capito bene, a lui andava anche una parte del guadagno che il re otteneva dal commercio dei prodotti che derivavano dal suo lavoro, presso la filanda reale. Anche se Priamo non l’aveva più chiamato, si rese conto anche di non avere più problemi con la seta che, magicamente, gli veniva consegnata sotto forma di semplice filato direttamente alla filanda del re. Lui sapeva bene che non avrebbe dovuto fare domande circa la sua provenienza, fingendo di ignorare come stavano le cose.  Il punto era che, in tutta questa intensa attività, Ilario non aveva ancora visto un soldo e quindi espresse i suoi dubbi alla sua ‘socia’, la quale rispose con una bella risata. “Ma tu pensi ai soldi come monete? – chiese lei – Monete da mettere via, magari ben nascoste?”. “Mio padre ha sempre fatto così – rispose lui sconcertato. “Tuo padre pensa in piccolo. Pensa alla famiglia, alla tranquillità della vostra piccola isola. Qui le cose vanno in modo diverso. Anzitutto, come collaboratore del re, godi di credito praticamente illimitato presso tutte le botteghe della città. Certamente, ne devi rendere conto ma, se non esagererai, puoi stare tranquillo. Ti spiegherò poi come sfruttare questa opportunità”.”Ma io di questo non ne sapevo niente, - osservò il ragazzo sorpreso – nessuno mi ha mai detto nulla”.”E non ti sei mai chiesto perché delle persone continuano a lavorare nella tua nuova casa senza che tu te ne occupi? Chi le paga, secondo te? E le spese della casa? Mai stai tranquillo, perché sei più che benestante. In questo momento hai un carico d’oro che sta viaggiando verso la Licia, da scambiarsi con argento e che durante il tragitto di ritorno , raddoppierà il suo valore”.”Io non ho niente. Cos’è questa storia? E’ più grande di me, mi spaventa!”. Crino si rese conto che il ragazzo non era pronto per tutto quello e, in un impeto di tenerezza lo abbracciò stretto e lo rassicurò. La sera stessa invitò a cena Eleno, che , dopo aver fatto molto onore alla tavola e aver parlato di varie amenità e pettegolezzi, con la sua aria di semplicità e naturalezza, spiegò a Ilario come andavano le cose in città. “Troia vive e prospera sul commercio – iniziò – di continuo, senza sosta, a differenza di voi Greci che, a causa del clima, d’inverno dovete limitare le vostre attività, a parte quei pochi che, nella stagione fredda, decidono di trattenersi qui, ad esempio, per andare a concludere affari nelle regioni interne. Gli scambi con gli altri paesi, sono continui e ti assicuro che tu non puoi avere idea della vastità della rete commerciale che si è sviluppata in questo territorio. Questo fa sì che ci siano richieste continue di materiali, manufatti, arredi, oggetti d’arte e quant’altro. Si tratta solo di trovare gli acquirenti giusti. E se disporrai di un buon agente di commercio, che serve a far incontrare gli acquirenti con i venditori, lui non venderà la merce ma la scambierà con quello che più potrà produrre guadagno perchè, naturalmente, maggiore sarà la sua percentuale. In una situazione del genere, sarebbe folle tenere fermo il danaro. Come ti ha detto Crino, un carico d’oro, di tua proprietà,  sta viaggiando verso la Licia, dove sarà scambiato con l’argento secondo l’idea iniziale ma, se il tuo agente dovesse scovare un affare più redditizio, rubini, perle, allora si muoverà in quella direzione. Dipende dal mercato. Quello che conta è che, alla fine, tu ci guadagni in ogni caso”. Dopo tutto questo discorso, il principe bevve volentieri una bella coppa di vino. Il ragazzo disse di aver capito e raccontò che quando era nascosto nel mattatoio, nei pressi della porta Dardanica, era rimasto effettivamente colpito dall’intensissimo traffico di carri e carovane in entrata e uscita dalla città, persino nel corso della notte. “C’è anche un’altra possibilità – aggiunse Eleno – Per il danaro spicciolo, quello per le piccole spese o, comunque, per disporre di contanti, se non esageri, puoi sfruttare il tuo credito verso le botteghe, acquistando delle merci che poi potrai rivendere a prezzi convenienti. – Notando lo sguardo sorpreso di Ilario, con un sorriso, continuò – Sorpreso? Sta tranquillo è una pratica molto diffusa. Anche molti dei miei fratelli la usano. La vita a Troia è molto costosa. L’importante, però, insisto, è non esagerare”. Passarono alcuni minuti in silenzio, per dare il tempo al ragazzo di valutare appieno quello che aveva sentito. Però Eleno ritenne di aggiungere ancora qualcosa. Con un’espressione molto seria, disse ad Ilario:”Nella tua attività, non fare credito a nessuno. Mai! Se i tuoi clienti non onorano il primo ordine, non servirli più. Magari dì loro che questo è una direttiva di Priamo. La gente non sa quali siano veramente i tuoi accordi con lui e nessuno insisterà. Credimi, certi clienti è meglio perderli che trovarli e qui, a corte, di quelli ce sono diversi e, comunque, sapendo che sei nuovo nel commercio, tenteranno di tastarti il polso. Quindi, se vuoi il mio consiglio, fai trattare queste cose a Crino, che ha una dote innata per quel tipo di attività. Hai questa fortuna con lei e tu, quindi, sarai libero di concentrarti sul tuo lavoro. Per tutti gli dei, diventerai ricchissimo!”. Risero tutti allegramente ma Ilario percepì comunque una piccola crepa in quel discorso. Lui, infatti non voleva diventare ricchissimo, lui voleva tornare a casa. Inoltre un altro pensiero lo tormentava. Cosa sarebbe successo con Crino? Poteva lui aspettarsi qualche sviluppo ufficiale nel loro rapporto o lei sarebbe stata sempre considerata al di là della sua portata? Anche la ragazza sembrava esitare circa il modo di procedere per ufficializzare il suo rapporto con il suo socio. Sapeva di avere buone carte in mano ma doveva giocarle bene. Teano non era un’ingenua e odiava essere sopraffatta ed era proprio quello che era accaduto in quell’occasione. Poi, però, il destino fece precipitare la situazione. Verso la fine dell’inverno, si sparse la voce che nel campo greco fosse scoppiata la peste. Una prima reazione di soddisfazione dei Troiani si trasformò in allarme quando , circa quindici giorni dopo, la malattia iniziò a manifestarsi anche nella periferia della città. Crino approfittò per forzare la mano ai suoi genitori, insistendo perché il ragazzo fosse ospitato in casa loro per portarlo al sicuro, all’interno della cittadella. Inoltre disse chiaro e tondo che i due si amavano e che si sarebbero comunque sposati, con o senza l’approvazione della famiglia. Praticamente, uno scandalo. Inutile dire che la ebbe vinta. Quando Ilario, all’oscuro di tutto, seppe cosa l’aspettava, si sentì come se gli fosse passato sopra una carro carico di pietre. Doveva affrontare Teano e Antenore, insieme, a cui la ragazza aveva comunicato di volerlo sposare. Alla fine, senza via di uscita, si fece coraggio. Con il cuore in gola, si presentò alla casa di Antenore e fu ricevuto  nella sala principale. La ragazza lo accompagnava tenendolo sotto il braccio mentre lui procedeva, veramente preoccupato, quasi trascinando i piedi, quasi fosse un condannato. Crino lo guardava sorridendo, assicurandolo che aveva sistemato tutto lei e che quindi stesse tranquillo.  Ilario si rese conto che ormai quella ragazza lo controllava totalmente, in tutto e per tutto. Per ora andava tutto bene ma cosa sarebbe successo se un giorno, anche per un banale motivo, avessero litigato? Preferiva non pensarci. I due padroni di casa lo attendevano in fondo alla sala, seduti su due pesanti sedioni realizzati in legno dorato, con intarsi e disegni. La loro espressione era indecifrabile. Quando i due ragazzi furono a circa una quindicina di metri dai padroni di casa, Crino lo lasciò, gli dette un bacio su una guancia, gli rammentò che era tutto sistemato, gli fece gli auguri e lo lasciò solo, uscendo dalla sala. I due continuarono ad osservarlo con sguardo freddo e distaccato, quindi il ragazzo decise che era il momento di dire qualcosa. “Io, - iniziò..”. Ma subito Teano sollevò un braccio e, con il dito alzato gli fece cenno di tacere. “Già prima che tu arrivassi, sapevo attraverso un oracolo, che tu avresti portato grandi sconvolgimenti all’interno della nostra famiglia. Per questo ti ho accolto malamente e ho cercato in tutti i modi di farti desistere dalla tua missione. Poi, quando ti ho visto, ho capito subito che eri solo stato coinvolto in un gioco più grande di te. E’ stato difficile accettarlo perché il tuo sedicente schiavo, era veramente un’anima nera, un malvagio, anche se ravveduto, a quel che avevo saputo. Sempre che una persona del genere si possa ravvedere. – Si voltò verso il marito che però rimase impassibile . Quindi continuò – Sappiamo perché sei qui. Un semplice, rozzo, isolano greco che chiede la mano di mia figlia. Crino è la figlia di un re, Amico, re dei Berbrici. Un re.. – abbassò un attimo lo sguardo come a ricordare qualcosa di triste e lontano – un sovrano che rischia tutto il trono, la famiglia, il regno solo per farsi bello in una rissa e si fa ammazzare come l’ultimo dei miserabili. Avevo tre figli e sono dovuta fuggire per salvare la loro vita. Senza nulla, senza risorse. Mia sorella Ecuba mi ha dato ricovero qui a Troia e mio marito, questo uomo speciale, mi ha ridato una famiglia ed il rispetto…. Uomini..”. Ilario ascoltava quel discorso dal tono così inatteso, chiedendosi dove volesse andare a parare quella donna. Mentre Antenore continuava a tacere Teano riprese il discorso:”Mia figlia ha molto sofferto ed io, costretta a lottare con le unghie e con i denti, per salvare il salvabile, sono stata dura con tutti, specie con lei, per via del suo carattere. Il fratello maggiore, Mimante, si è integrato in fretta nell’esercito ma Crino ha una posizione molto delicata. Non è una nobile ma non è nemmeno del popolo. Una condizione difficile in una città come questa. Ribelle fino in fondo, piuttosto che accettare compromessi, ha deciso di dedicarsi al tempio, sorte assolutamente inadatta a lei. Alla fine avrebbe ceduto, accettando di sposare magari un ricco bottegaio trafficone e volgare. Poi sei arrivato tu”. La donna a questo punto si alzò e lentamente si accostò al ragazzo sempre più incerto per la sorte che lo attendeva per la sua apparente sfrontatezza. Teano portò il proprio volto a pochi centimetri da quello di Ilario che a questo punto si spaventò davvero. Per fortuna che Crino gli aveva assicurato che sarebbe andato tutto bene. “Ascoltami bene – sussurrò la donna facendo in modo che il marito non potesse sentire – Per quello che sai su di me e per quello che ho fatto, sei per me la persona più pericolosa qui in città ed io avrei tutto l’interesse a farti sparire ma, in qualche modo so che non mi tradirai. Per la mia vendetta, dovrò attendere. – Poi si allontanò e, con voce più alta , riprese – mia figlia si è innamorata di te ed io questo lo devo accettare. Ma tu, sei innamorato di lei? Chi mi assicura che non la farai soffrire?”. A quel punto Ilario trovò il coraggio di parlare. “Io sono veramente innamorato di Crino ma non osavo confessarlo per la mia condizione e, tutt’ora, non so come potrebbe essere vista questa storia, specie a corte”.”Oh – obiettò la donna in tono quasi canzonatorio – Tu pensi che in un ambiente come quello della corte, non sia già trapelato qualcosa di voi due? Con le principesse che frequentano il vostro laboratorio! Ma stai tranquillo, finchè fornirai a Priamo ciò che desidera, avrai la sua benedizione. Il re – e qui si girò a guardare il marito in modo molto eloquente – è molto generoso con la roba degli altri e disposto a chiudere un occhio quando gli conviene – E qui Antenore strinse i braccioli del sedione con maggiore forza, come se fosse stato toccato un punto per lui molto dolente – Quindi - concluse Teano – la vuoi? Allora prenditela e siate felici. Ma sappi che io continuo a tenerti d’occhio. Ed ora, per i dettagli, ti lascio con mio marito”. Detto questo, senza dare tempo al ragazzo di replicare si voltò e, veloce, uscì dalla stanza. Ilario, dall’espressione dell’anziano non si aspettava nulla di buono, il consigliere del re! Che non sembrava affatto contento della situazione. Ma appena la moglie uscì dalla stanza, l’uomo cambiò totalmente espressione, mostrando un inatteso atteggiamento amichevole. Si alzò in piedi e si avvicinò al ragazzo, mettendogli una mano sulla spalla. “Ilario – gli disse con un largo sorriso – sei una sorpresa inaspettata. No ho mai visto mia moglie cedere in questo modo. Quindi, che posso dire io? D’altronde Crino non è figlia mia, anche se io le voglio bene come se lo fosse. Naturalmente ho preso informazioni su di te e, quello che mi ha maggiormente colpito, è che nessuno ha potuto dire nulla di cattivo. Incredibile! Quindi, ti dico, benvenuto in famiglia. Hai ufficialmente il nostro consenso anche perché, sotto tutti i punti di vista, l’unione è socialmente opportuna. Ora, va e raggiungi la tua bella che ha ascoltato tutto dietro quella tenda, sperando che non me ne accorgessi. Per i dettagli del matrimonio, dai retta a me. Lascia che se ne occupino le donne perché sono le più esperte e, anche perché, alla fine, si fa sempre quello che dicono loro”. Detto questo, anche lui lasciò la stanza. Il resto avvenne tutto in fretta. Evidentemente Crino aveva cominciato a muoversi per tempo. Apparentemente la notizia del fidanzamento sembrò non cogliere nessuno di sorpresa, anche perché nella corte, certe voci già circolavano da un po’, grazie a qualcuno molto abile in queste cose. Il re, grazie ai contatti con Antenore, prese la cosa con allegria, e volle dare la sua benedizione ai due ragazzi. Ricevette la coppia durante una giornata di udienza e ridendo disse ad Ilario che i Troiani gli dovevano essere grati due volte. La prima per il lavoro che stava svolgendo per la comunità e la seconda per essersi preso la ragazza più scorbutica della città e, perciò, gli faceva i suoi migliori auguri. Il ragazzo sentì la mano di Crino che stringeva nella sua, farsi gelida e rigida e temette una reazione inopportuna ma la ragazza invece mantenne il controllo mostrando un sorriso tirato che conservò fino al momento del congedo. Anche Ecuba aveva espresso il suo consenso mentre , invece, qualcuno, alle spalle della coppia reale, ebbe qualcosa da ridire, come ad esempio Deifobo che parlò di approfittatore e parassita greco. Anche Elena si fece avanti congratulandosi con la coppia, con la quale ormai aveva buoni rapporti mentre Paride rimaneva indifferente, quasi che la cosa non lo interessasse affatto. Crino ringraziò e si sbrigò a portare via il suo fidanzato, sia per le parole offensive percepite, sia per un pizzico di gelosia a causa del bellissimo sorriso di Elena. Chi rimase molto male fu Dione la quale, molto bella e molto dolce, fino all’ultimo, sperava di poter strappare Ilario a Crino ma, in realtà, senza alcuna speranza perché lei era comunque una principessa reale. Comunque, dopo il fidanzamento ufficiale, la ragazza smise per sempre di frequentare il laboratorio della filanda. Il ragazzo era anche preoccupato per come la sua famiglia avrebbe reagito a quello stato di cose. Però lui non aveva alcun modo per contattarli così come non era mai riuscito ad avere loro notizie. Era comunque la sua famiglia che l’aveva messo in quella situazione e, quindi, alla fine, avrebbero dovuto accettare le cose come stavano. Ciò che maggiormente contava, era che lui e la sua fidanzata, si amavano profondamente. Per conoscere la sua condizione finanziaria, in particolare per le parole di Deifobo che ancora gli bruciavano, chiese a Crino che gli spiegasse come stavano le cose. La ragazza non si fece pregare e, con documenti e ricevute, mostrò come, grazie particolarmente agli investimenti effettuati, aveva guadagnato somme ingenti ed in più beneficiava dell’appannaggio reale. In altre parole, grazie al suo lavoro e con solo un piccolo aiuto, era diventato ricco, nel giro di sette, otto mesi. Queste erano le opportunità che quella città, offriva a coloro che la sapevano ‘servire’. Le nozze si tennero a gennaio in un giorno di plenilunio, per ottenere il massimo favore degli dei, secondo la tradizione. Poiché mancavano i genitori dello sposo, che in una cerimonia di quel genere ricoprivano un ruolo di grande importanza,  Eleno si offrì volontario per rappresentarli. Il rito fui celebrato nella casa di Antenore mentre Teano, in qualità di grande sacerdotessa , officiò il rito iniziale dedicato a Zeus e ad Era, quindi procedette al sacrificio in onore di Artemide e di Ilizia, protettrice delle partorienti. Seguì un fastoso e lauto pranzo. Tutti gli invitati  appartenevano ad una cerchia di amici piuttosto stretta. Crino era stata molto determinata nella selezione e Ilario non aveva avuto nulla da ridire. Anche i genitori di lei, conoscendola , non avevano insistito. Alla fine, dopo che tutti ebbero augurato agli sposi una vita felice e prospera,  si formò il tradizionale corteo che accompagnò con canti e musica la coppia alla casa coniugale. Crino aveva fatto arredare il piano superiore del laboratorio per l’occasione, trasformandolo in un elegantissimo alloggio, completo di tutto, compresa l’acqua corrente. Mentre tutti gli altri restavano in strada a cantare, le persone più vicine alla coppia salirono in casa e lì, Eleno celebrò il rituale del ‘fuoco sacro’ che era stato acceso nel salone. Poi, finalmente, gli sposi vennero lasciati soli. La mattina seguente, il ragazzo, svegliandosi, si trovò tra le braccia Crino che ancora dormiva con un’espressione serena che non gli aveva mai visto. Era bellissima, più del solito. Non era stato un sogno, allora. Era tutto vero. Un ragazzo di sedici anni arriva a Troia da un’isoletta sperduta. Rischia la vita, viene quasi ucciso, si innamora della ragazza più bella della città ed ora è sposato con la figlia della grande sacerdotessa di Atena e del consigliere del re. Ha un ottimo lavoro e tanto danaro. Sembrava una favola. Una di quelle troppo belle per essere vere. E infatti c’era un lato oscuro. Il suo compagno era stato ucciso. I Greci gli avevano impedito di tornare dalla sua famiglia e non sapeva quando questo sarebbe potuto accadere, visto che non  erano partiti e occupavano tutt’ora il porto. Teano sembrava essersi arresa ma restava una donna pericolosa e doveva stare in guardia. In quella la ragazza si svegliò e, stirandosi, gli fece un profondo sorriso. Appariva raggiante. Si abbracciarono di nuovo e di nuovo l’amore ebbe la meglio. Si svegliarono appena in tempo per prepararsi e raggiungere la casa dei genitori di lei dove erano già attesi per il banchetto previsto per la consegna dei doni di nozze. Furono tutti graditi e nella maggioranza, per espressa volontà degli sposi riguardavano l’arredamento della loro nuova casa. Il re aveva fatto pervenire la usuale coppia di collane d’oro con il pendaglio raffigurante una civetta. Non era tanto il regalo in se ad essere importante, seppure di discreto valore, ma  esso indicava che la coppia era gradita al sovrano e questo a Troia era molto importante perché, chi lo portava, godeva di notevoli vantaggi anche semplicemente nella vita di tutti i giorni. Il banchetto si protrasse piacevolmente fino a notte fonda. Il padrone di casa si dimostrò un ottimo anfitrione ed Eleno non fu da meno. Solo Teano stava un poco sule sue ma al momento dei saluti, approfittando della confusione, afferrò Ilario per una spalla e lo trascinò senza complimenti dietro un tendaggio al riparo dalla vista dei presenti. Avvicinò il viso a quello del ragazzo e fissandolo con il suo sguardo di fuoco che egli ben ricordava, gli sussurrò all’orecchio, con tono aspro e perentorio:”Sbrigati a darmi un nipote! Hai capito?”. Ilario che, all’inizio,  si era veramente spaventato sapendo che quella donna era capace di tutto, non potè far altro che annuire vigorosamente per far capire che aveva inteso il messaggio. Teano lo fissò ancora per qualche istante poi, così come lo aveva afferrato, lo lasciò andare e scomparve. La moglie lo trovò ancora così, appoggiato alla parete che cercava ancora di riprendersi dallo stato di apprensione che aveva provato ma alle sue domande il ragazzo rispose che si stava riprendendo dall’aver forse bevuto troppo. Si chiedeva in realtà se la suocera fosse così brusca e diretta con tutti o se non fosse capace anche di qualche gesto gentile. Crino lo osservò con uno sguardo dubbioso ma, comunque, non fece ulteriori domande. Nella nuova casa, la vita scorreva piuttosto tranquilla. Ilario, diviso fra la filanda ed il laboratorio e Crino, rivelata la sua abilità nella funzione di sarta, curava anche la parte commerciale dell’attività, con grande abilità, consigliata di quando in quando anche dal patrigno. Il laboratorio era diventato meta di personaggi illustri, in cerca del capo di abbigliamento speciale, dell’arredo particolare e tutti, nelle sapienti mani di Crino, accettavano di pagare il giusto nei tempio previsti. Seguendo il consiglio di Eleno, avevano eliminato dalla loro clientela tutti coloro che non avevano onorato i loro debiti. La cosa si era naturalmente saputa in giro e tutti coloro che volevano mantenere a corte un certo tono, pagavano puntualmente. Fra le clienti di Ilario aveva continuato a frequentare l’attività Elena, che veniva sempre accompagnata dalla principessa Elidia, una delle pochissime figlie di Priamo che le erano diventate amiche. Ad Elena piaceva molto indossare abiti drappeggiati e in questo chiedeva sempre di essere aiutata e consigliata dal ragazzo in quanto, a seconda del tessuto, erano possibili diverse variazioni. Ilario, all’inizio molto in imbarazzo per l’atteggiamento estremamente spregiudicato della principessa, alla fine, si era abituato e agiva con distacco ma sempre con grande competenza. Crino, naturalmente, nutriva una sana gelosia nei confronti di Elena, malgrado il marito non gli avesse mai dato motivo di dubitare di lui. I rapporti con la famiglia di Antenore erano ottimi, tanto che la coppia era spesso invitata a cena e in tale occasione Teano cercava sempre di sapere con insistenza se ci fossero novità. Ricevendo risposta negativa, mostrava tutta la sua delusione e guardava il genero in tralice, come se fosse tutta colpa sua. In casa, il ragazzo aveva occasione di incontrare spesso anche i figli di Antenore e aveva stretto con loro un buon rapporto. Non aveva invece mai conosciuto né incontrato Mimante, figlio maggiore di Teano poiché questi, essendo divenuto amico inseparabile di Paride, ritenuto responsabile da Teano della morte del piccolo Anteo, era stato praticamente cacciato di casa dalla madre.

                                                                                  Cap VII^

All’inizio di aprile, nel campo greco si cominciò a notare un’attività insolita. La convinzione dei Troiani era che i Greci, dopo aver sopportato un inverno rigidissimo sotto le tende, considerata anche l’impossibilità di violare le mura della città,  avessero deciso di tornarsene a casa con la coda fra le gambe. Ma una sera, verso la metà del mese,  Antenore giunse a casa sua tardi, mentre la famiglia riunita stava già cenando. Non era la prima volta che accadeva perché, visto il suo incarico, era frequente che il re lo trattenesse per qualcosa di importante. L’uomo anziano si sedette a tavola senza una parola con una espressione grave sul volto poi si versò da bere e, lentamente, svuotò il bicchiere. Gli altri lo osservavano tutti in silenzio perché era chiaro che qualcosa lo turbava.  Alla fine, l’uomo disse con tono grave:”I Greci non se ne vanno. Hanno intenzione di restare”.”Come lo sai? – chiese Teano – Ne sei certo?”.”Purtroppo si.  Le notizie sono giunte questa sera a Priamo e sono confermate da tutte le nostre spie al campo greco”.”Abbiamo delle spie nel campo greco? – chiese ingenuamente Ilario. “Certo – rispose pazientemente Antenore – e anche parecchie. Ma anche I Greci hanno molte spie qui a Troia. Chi credi che abbia portato il contagio qui in città?”.”Ma sappiamo chi sono? – insistette il ragazzo. “Alcuni si, ma purtroppo non tutti”.”Ma cosa restano a fare se la loro campagna, vista la situazione, è senza speranza ? – chiese Teano. “Purtroppo – rispose il marito – ci sono degli elementi che hanno un gran peso sulle loro decisioni. Il primo è che Agamennone, per convincere i re alleati che lo accompagnano, si è esposto molto e, se ora rinunciasse, perderebbe la faccia e la stima di tutti, con gravi conseguenze. Ma purtroppo c’è ben altro – aggiunse Antenore – Ed è qualcosa che i Greci non hanno piacere che si sappia. E’ un fatto gravissimo, amaro e assolutamente indecoroso, a mio avviso”.”E di che si tratta, quindi? – chiese la moglie stupita. Antenore rifiutò il piatto che intanto uno degli schiavi gli aveva portato in tavola, ma bevve un altro bicchiere di vino e poi riprese con tono grave:”Era importante che la flotta greca si riunisse in segreto per sorprenderci ed infatti così è avvenuto. Per ottenere questo, era stata radunata di nascosto nel golfo della penisola Eubea, in una terra chiamata Aulide. Al momento della partenza, però, il vento cadde e poi iniziò a soffiare in modo costante verso la terra ferma. Prima, piano, ma poi sempre più impetuoso, tanto da impedire alle navi di salpare. Non era mai successa una cosa del genere ed era chiaro, ormai, che c’era di mezzo l’operato degli dei. A quel punto Agamennone ha convocato Calcante, che si era messo al suo servizio”.”Calcante! Quell’uomo infido, quel traditore! – intervenne Teano. “Calcante era uno dei sacerdoti veggenti di Apollo, assieme a mia madre e ad Eleno qui a Troia – spiegò Crino al marito - ed ora si è messo al servizio dei nostri nemici”.”Sono sicura che è qui, al campo greco che consiglia Agamennone contro di noi! – aggiunse Teano con rabbia”. “Il punto è – riprese Antenore – che l’indovino rivelò che Agamennone, senza pensare alla conseguenze, aveva ucciso, durante una battuta di caccia, la cerva sacra della dea Artemide e se ne era anche vantato. Ora la dea, ritenendosi gravemente offesa, pretendeva una pesante riparazione, altrimenti avrebbe impedito per sempre alla flotta di salpare. E la riparazione era terribile. Il re greco avrebbe dovuto sacrificare alla dea ciò a cui teneva di più, ossia sua figlia Ifigenia. Naturalmente Agamennone, inorridito per la richiesta, rifiutò. A quel punto, le cose iniziarono a peggiorare, con pesanti mareggiate, che mettevano a rischio le navi perfino in porto. La flotta minacciò di ribellarsi, mettendosi agli ordini di Palamede, re di Eubea.  Agamennone non ebbe scelta. Si fece raggiungere dalla figlia, ingannandola con la scusa che Achille, totalmente inconsapevole del piano, la voleva sposare, e poi, quando lei giunse, la fece uccidere, sacrificandola alla dea”.”Ma è terribile! – esclamò Crino – come si può uccidere una figlia in questo modo?”.”La bramosia del potere, l’ambizione, un malinteso senso dell‘onore – rispose Antenore – Ora capite perché non può rinunciare all’impresa. Sarebbe come ammettere di aver ucciso la figlia per nulla. Inoltre ora deve difendersi sia dall’odio della moglie Clitennestra sia dallo sdegno di Achille, il cui nome era stato usato per tessere l’inganno”.”Che storia terribile – commentò Ilario molto colpito. Lui, era molto sorpreso, pensando che da persona semplice e giovane ora, per un capriccio del destino era seduto alla tavola di alcuni personaggi fra i più influenti della città a sentir parlare di queste figure che, per lui, fino a qualche tempo prima aveva ritenuto quasi mitiche. E loro lo ascoltavano quando parlava e rispondevano alle sue domande. Verso la metà di giugno, I Greci iniziarono a rimettere in acqua alcune navi che per l’inverno erano state tirate tutte in secca. Nel giro di pochi giorni metà dell’esercito greco aveva lasciato la spiaggia. Vi fu una grande festa in città. I Greci avevano capito che non avrebbero mai potuto vincere ed avevano cominciato ad abbandonare il loro re. Quando il ragazzo, dopo pochi giorni, incontrò Eleno, questi gli disse che purtroppo i vaticini non avevano dato l’esito sperato. Qualcosa non andava. Inoltre il giovane principe raccontò anche che Enea aveva cercato in tutti i modi di farsi affidare il comando dell’esercito per attaccare i Greci che, così ridotti di numero, sarebbero stati di certo facilmente sconfitti.  Priamo, però, sentito anche il parere negativo di Ettore, rifiutò, sostenendo che tanto la situazione si stava risolvendo da sola e che, quindi, non avrebbe avuto senso far morire altri Troiani in una battaglia inutile. Enea, furioso aveva abbandonato la reggia con tutto il suo seguito, dopo aver detto al re che l’alleanza con i Dardani era finita. Ilario ora, più che mai, stava pensando di poter tornare finalmente a casa. Mentre disponeva per i preparativi, venne convocato presso l’ufficio di un  funzionario di basso livello che si occupava di controlli sulle tasse che dovevano pagare i commercianti della città. Il ragazzo si recò presso l’interessato, sicuro che ci fosse stato un errore perché, nella sua particolare condizione era stato esentato dal pagamento di ogni tassa e gabella. Il funzionario, di nome Assim, ascoltò le sue ragioni con pazienza ma alla fine del discorso, rispose:”So benissimo che tu sei esente dalle tasse. Non è per quello che ti ho mandato a chiamare – Si alzò dalla sua sedia e si affacciò alla porta, per assicurarsi che nessuno fosse nelle vicinanze e potesse ascoltare. Poi, dopo una breve pausa, come per raccogliere le idee, riprese – Tu sei qui perché, da fonte sicura, so che hai carpito uno dei segreti commerciali più protetti dalla città, tramando con un’alta personalità che ha tradito la sua patria”. Detto questo, rimase semplicemente a fissarlo, in attesa di una sua reazione. Ilario che non si aspettava assolutamente una cosa del genere, si sentì gelare il sangue nelle vene. Era perduto e forse Teano con lui. Non gli restava che negare. Ma appena tentò di farlo, mostrando grande indignazione per l’accusa ricevuta, l’altro gli disse sereno ma deciso: “Inutile negare. Ho le prove di quanto dico e posso dimostrarlo. Per un reato simile, per te, è morte sicura . Per l’altra persona, certamente prigionia e forse morte, anche per lei. I vostri averi confiscati e le famiglie esiliate o messe in schiavitù”. Un baratro si aprì sotto le gambe di Ilario che terrorizzato, non sapeva come reagire. Fu l’altro a proseguire il discorso con toni molto rassicuranti. “Ma stai tranquillo. Io sono una persona ragionevole. Se ti denunciassi, per un fatto di questa rilevanza, qualcun altro si prenderebbe il merito della scoperta, come succede sempre, ed io? Che ci guadagnerei? Quindi, vediamo di guadagnarci tutti e due. Tu, continui la tua vita felice ed agiata con la tua mogliettina ed il tuo fantastico lavoro ed io, tutti i mesi, mi vedrò recapitare una entrata extra che mi garantirà un tenore di vita più agiato, tutto qui”.”E a quanto ammonterebbe questa entrata extra? – chiese il ragazzo che si stava riprendendo dallo shock e stava riflettendo sulle varie possibilità per uscire al meglio da quella vicenda. “Oh, niente di che – rispose l’altro mettendosi a sedere davanti a lui, in modo da poter parlare a bassa voce – Una cifra ragionevole, tale che potrai detrarla dal bilancio della tua attività, senza che nessuno se ne accorga. Io non ti voglio strangolare, voglio solo vivere meglio”.”E che mi dice che non mi tradirai lo stesso o che la cifra non salirà nel tempo?”.”Vedi, - rispose Assim – io conto che questa storia rimanga più riservata possibile, anche perché, so bene che, se l’altra persona coinvolta in questa faccenda sapesse di me, io scomparirei in un batter d’occhio, così come è accaduto più volte ad altri in passato, anche se questo dovesse significare la vostra rovina perché ti assicuro che, naturalmente, mi sono tutelato in tal senso. Se mi accadesse qualcosa infatti, qualcuno è incaricato di consegnare a chi di dovere, le prove che dimostrano la vostra colpevolezza”. A quel punto, l’uomo descrisse a Ilario tutta la procedura per il pagamento di quella che egli descrisse come una ragionevole tassa sui notevoli guadagni del ragazzo il quale non potè che accettare, almeno per il momento, incerto se avesse fatto un buon affare o no. Purtroppo, però, prima di congedarlo, Assim gli assestò il colpo peggiore. “Naturalmente, non dovrai lasciare la città. Se lo farai, o anche tenterai di farlo, ti denuncerò immediatamente, con le conseguenze che sai. Qualcuno, a te molto vicino, ti sorveglia continuamente ed io sarò avvertito immediatamente. Inoltre, finchè sarai qui, il segreto che hai carpito, sarà al sicuro e nessuno avrà problemi. E ora vai e, mi raccomando, puntuale con il primo pagamento!”. Ilario si ritrovò per strada, incerto, chiedendosi se se l’era cavata oppure no. Per ora la cosa si sarebbe risolta con una cifra ragionevole ma per sempre. E poi ci sarebbe stata la questione di non poter abbandonare la città e, per sempre, anche questo. Era una condizione terribile e poi come l’avrebbe giustificata con gli altri che sapevano del suo desiderio di tornare a casa, almeno per una visita ai suoi cari? E avrebbe dovuto parlare con Crino per confessarle come stavano le cose? Era una bella serie di problemi. Comunque, per ora, il ragazzo decise di tenere tutto per sè. Se le cose fossero andate come prospettato da Assim, lui le avrebbe potute gestire. La  soluzione almeno ad uno dei suoi problemi, venne fuori inaspettatamente e all’improvviso. All’inizio di luglio, infatti, Crino gli disse che la famiglia sarebbe cresciuta. Il ragazzo prese la notizia con felicità ed entusiasmo, anche se con qualche dubbio. Sarebbe stato lui, che ancora si sentiva un ragazzino, capace di fare il padre? Quando Teano seppe della notizia fu naturalmente felicissima e da quel momento iniziò a frequentare la casa degli sposi con una certa assiduità, come se volesse controllare l’andamento delle cose. Naturalmente, la figlia cercò di farle notare che quella presenza poteva risultare ingombrante ma non ci fu nulla da fare. Ilario sfruttò l’occasione per dire che, con la moglie incinta, non se la sentiva di mettersi in viaggio, non sapendo per quanto tempo sarebbe stato via e la cosa risultò plausibile. All’inizio di agosto, dei mercanti che provenivano dalla Licia, portarono in città cattive notizie. I Greci che avevano lasciato la spiaggia davanti a Troia, non avevano abbandonato la battaglia ma avevano semplicemente cambiato strategia. Risalendo con le loro navi per l’Ellesponto,   avevano raggiunto i paesi degli alleati di Priamo e avevano cominciato a minacciare e conquistare alcune delle loro città costiere. Il contingente era guidato da Achille ed aveva stabilito la sua base a terra nella città di Asso, nella terra di Zelea dopo averla conquistata. Questo, per Troia, cambiava le cose in modo significativo perché voleva dire che, gli alleati di Priamo, avrebbero dovuto pensare a difendere i loro territori e, pertanto, gli aiuti promessi, non sarebbero stati inviati. Si venne anche a sapere che il corpo di spedizione, riforniva il campo greco davanti alla città, di cibarie, bottino e schiavi provenienti dalle città conquistate. E dopo un po’ di tempo i Greci, dalle loro nuove posizioni lungo l’Ellesponto, iniziarono anche ad intascare  i diritti sul passaggio dei commercianti che prima andavano invece alla città di Troia. Ciò iniziò a intaccare, seppure in modo non determinante, i guadagni della città che, comunque, ancora prosperava grazie ad  un florido commercio con l’entroterra. Quando nacque il figlio di Ilario, un bel maschietto, non ci furono dubbi sul nome che avrebbe avuto. Fu Teano a deciderlo, senza accettare discussioni. Pertanto fu chiamato Anteo, come il bambino perduto dalla sacerdotessa. Il ragazzo, in realtà, avrebbe voluto avere voce in capitolo ma, sia la moglie che il buon senso, lo fecero desistere. Teano, fin da subito, si dimostrò una nonna presente e premurosa, anche eccessivamente, dando a vedere, talvolta, addirittura che la coppia dei genitori era di troppo. Anche Antenore notò il cambiamento nella moglie, riprendendola per il suo comportamento quasi morboso nei confronti del nipote, con l’effetto che la donna limitò, ma solo parzialmente, le sue attenzioni nei confronti del bambino. Anche se il tempo trascorreva abbastanza serenamente, senza che ci fossero grandi cambiamenti, era innegabile che la presenza dei Greci aveva una pesante influenza sull’umore dei cittadini. Era come se gli invasori attendessero un minimo errore da parte dei Troiani per piombare loro addosso. Il campo si era trasformato quasi in una cittadella con parecchie case di pietra e la residenza di Agamennone, aveva le sembianze di un vero palazzo. Ettore partì più volte in missione per ricordare agli alleati gli impegni presi nei confronti di Priamo ma questi risultavano troppo spaventati per privarsi anche di un solo soldato e, inoltre, temevano la vendetta di Achille che per il momento si era limitato solo alla conquista delle città poste sulla costa. Ora, come conseguenza di ciò, i Greci potevano importare liberamente quasi tutto quello di cui avevano bisogno e riscuotere tutte le tasse al posto dei Troiani. Le cose proseguirono così per altri sei lunghi anni. La città era comunque sopravvissuta grazie ai suoi ricchi e continui commerci ma aveva perduto il suo iniziale splendore. Il mercato era sempre ben fornito ma le merci non erano più di prima qualità. Il danaro cominciava a circolare in minore quantità. Il laboratorio di Ilario guadagnava meno rispetto ai tempi degli inizi. Invece andava sempre bene l’attività presso la filanda, i cui prodotti, di qualità  eccellente, venivano sempre più richiesti dai mercati stranieri. Priamo era stato così contento del suo lavoro che gli aveva aumentato sensibilmente il compenso che sua moglie Crino, con sapienti investimenti, faceva fruttare al meglio. Ilario però era sempre più inquieto. Aveva una bella moglie innamorata, un bambino sveglio e sano che ormai aveva quasi sette anni, i suoi suoceri erano molto gentili con lui e perfino Teano sembrava cambiata, quasi completamente assorbita dalle cure per il nipote. La faccenda di Assim lo turbava profondamente. Finora era andato tutto bene ma, se a quell’uomo fosse capitato qualcosa, la faccenda sarebbe venuta alla luce. Non poteva stare tranquillo. In tutto quel periodo non era riuscito a sapere nulla della sua famiglia. A volte aveva difficoltà perfino a ricordare i loro visi e l’unico legame che conservava con la sua isola, era la catenina che la madre gli aveva regalato prima che partisse. Passava a volte del tempo assorto nei ricordi, stringendo in mano quell’oggetto diventato per lui preziosissimo, al punto che non se ne separava mai. Inoltre, alla fine, aveva dovuto confessare alla moglie la faccenda del ricatto. La ragazza infatti non capiva perché il marito avesse rinunciato così all’improvviso al desiderio di tornare a casa, seppure per poco tempo, e inoltre aveva notato qualcosa nei conti che non tornava e iniziò a sospettare che ci fosse di mezzo un’altra donna. Messo alle strette, Ilario aveva dovuto raccontare alla moglie tutta la faccenda del ricatto e delle condizioni. Crino da una parte tirò un sospiro di sollievo ma subito dopo si rese conto che la situazione era seria. Concordò con il marito che, visto come stavano le cose, gli era convenuto accettare e gli consigliò di lasciare tutto come stava, in attesa che lei cercasse di scoprire come si era potuta realizzare quella situazione, ossia quale potesse essere stata la fonte delle informazioni. Non approdò a nulla. L’unica soluzione che le venne in mente, non era possibile e quindi non la considerò. Alla fine la gente della città sembrò abituarsi alla presenza dei Greci sulla spiaggia. Ettore, preso ormai atto che nessuno degli alleati, malgrado le loro promesse, avrebbe aiutato la città, non se la sentiva di rischiare i suoi uomini in battaglia e Priamo era perfettamente d’accordo con lui. Alla fine, i Greci avrebbero capito che la loro missione non aveva speranza. La città non poteva essere conquistata. A parte la robustezza delle mura, i Troiani basavano la loro sicurezza su un altro importante elemento. Nel tempio di Atena, infatti, al centro della cittadella, era conservata una statua lignea delle dea, chiamata Palladio e affidata alla custodia dei sacerdoti del tempio. Un’antica profezia diceva che finchè il Palladio fosse stato conservato all’interno delle mura, nessuno avrebbe mai potuto conquistare la città. Era per questo che il tempio era sempre sorvegliato da un nutrito contingente di soldati scelti con maggior cura, perfino di quelli che proteggevano il  palazzo reale. Ilario ormai era diventato un ricco e stimato rappresentante della società Troiana. Era ben introdotto in molti ambienti che contavano e, grazie ai suoi contatti, era riuscito a fare accettare il figlio alla scuola riservata ai membri della corte. D’altronde il piccolo Anteo imparava bene e in fretta. Purtroppo, apparentemente, era più attratto dall’uso delle armi che dallo studio. La nonna, ricordando che aveva perduto il figlio proprio a causa di un incidente provocato da un’arma giocattolo, non voleva nemmeno sentirne parlare e faceva di tutto per distogliere l’attenzione del nipote da quell’attività. Nel corso degli anni, Ilario aveva a lungo rimuginato sulla faccenda di Assim perché non riusciva a capire chi lo avesse voluto tradire ma senza rovinare né lui, né la suocera. Alla fine, un dubbio si fece strada nella sua mente e così, invece di versare la cifra pattuita allo schiavo che passava puntualmente a ritirarla, decise di fare lui stesso la consegna nell’ufficio del funzionario. In realtà, era andato, deciso a farsi dire la verità. E alla fine era riuscito ad essere molto convincente, pur senza usare eccessivamente la violenza. Assim parlò con una certa facilità. Quello che Ilario seppe, da una parte lo risollevò notevolmente ma, al tempo stesso, gli procurò una rabbia profonda. Intimò al funzionario di tacere su quell’episodio e gli disse che tutto doveva restare come era. Lui avrebbe continuato a pagare puntualmente. Quando uscì dall’ufficio, aveva deciso che non avrebbe informato la moglie di quanto aveva scoperto, almeno per il momento, finchè non avesse ritenuto opportuno farlo. Ilario intanto non aveva  dimenticato i vecchi amici, Trofim ed il fratello e si recava spesso alla fattoria fuori delle mura, alla porta Dardanica per poter chiacchierare in libertà e per conoscere le novità della città dal punto di vista della gente comune. Pochi giorni dopo la sua scoperta, si recò di nuovo in visita dai suoi amici ma questa volta chiese loro se per caso ci fosse una possibilità di lasciare Troia, imbarcandosi in un porto più o meno vicino. Trofim disse che non era così facile. Finchè si trattava di muoversi verso l’interno del paese, non c’erano grossi problemi ma se si voleva andare verso ovest le cose si complicavano perché tutti i trasporti in quella direzione erano ormai praticamente in mano ai Greci. La delusione di Ilario fu forte ma fu inaspettatamente distolto dal suo malumore perché, all’improvviso, si sentirono squillare le trombe con le quali le vedette in cima alle mura, segnalavano le situazioni di pericolo. Evidentemente, all’improvviso, i Greci stavano per attaccare. Immediatamente, senza perdere tempo, tutti quelli che erano alla fattoria, afferrato in fretta e furia lo stretto necessario, corsero a rifugiarsi all’interno delle mura mentre la porta Dardanica veniva chiusa, minacciando di lasciare fuori chi non si fosse sbrigato. Il ragazzo con i suoi amici, fu uno degli ultimi a mettersi in salvo, dopodiché, assieme a loro, salì in fretta in cima alle mura per vedere in cosa consisteva la minaccia. Forse il nemico aveva pensato che attaccando da questo lato della città piuttosto che di fronte, avrebbe colto la città di sorpresa. Dalla sommità delle mura si vedeva che un grosso distaccamento di armati si stava avvicinando alla città ma non aveva l’atteggiamento di un gruppo che si accinge a dare l’assalto ad un obiettivo. Anche le insegne, che si scorgevano a mala pena, non erano di certo quelle dei Greci. Che fossero finalmente gli aiuti promessi dagli alleati? Se fosse stato così, per gli assedianti sarebbe stata la fine. Quando però quel gruppo fu vicino, si scoprì che, purtroppo, esso era tutto quello che restava dell’esercito dei Dardani, comandato da Enea. La porta venne riaperta e i nuovi venuti, all’incirca 20.000 uomini, furono fatti entrare in città. Enea ed i suoi comandanti erano stati subito convocati a palazzo reale per spiegare il motivo del loro arrivo. In città erano tutti sorpresi e curiosi e si intrecciavano mille ipotesi. I nuovi arrivati, in attesa di eventuali ordini, erano stati acquartierati in una zona isolata della città, accanto alla porta da cui erano entrati e, per il momento, non sembravano molto disposti a parlare con i cittadini. Quella sera, quando Antenore tornò a casa, recava tristi notizie. Infatti, dopo che per tanti anni Achille aveva lasciato in pace il regno della Dardania, alla fine , aveva cambiato idea e aveva deciso di attaccarlo, iniziando dalla capitale, Lirnesso. I Dardani, però, in qualche modo, erano venuti a conoscenza del piano dei Greci e, alla fine, avevano preso una grave decisione. L’esercito che non avrebbe potuto in ogni caso competere con i nemici, si sarebbe dovuto salvare per rinforzare quello di Troia e sconfiggere i Greci una volta per tutte, mentre i cittadini di Lirnesso, che sarebbero comunque morti, avevano scelto di restare a difendere la città per dare il tempo ai soldati di mettersi in salvo. Infatti, poco dopo, giunse la notizia che i Greci, scoperto l’inganno, avevano sterminato i cittadini, salvo rarissime eccezioni. Priamo aveva accettato di buon grado i rinforzi condotti da Enea ma non aveva dimenticato che il principe, anni prima, aveva lasciato la città in malo modo e mancandogli di rispetto. Fu una vera sorpresa per Ilario, recandosi a cena a casa dei suoceri qualche giorno dopo, trovarsi davanti il principe Enea con la moglie Creusa ed il figlioletto Ascanio. Il motivo di quella visita era che Creusa era la nipote di Teano. Ilario ricordava un Enea piuttosto superbo, determinato ma permaloso e facile all’ira. Questo che aveva davanti, era cambiato, in meglio. Probabilmente le vicissitudini che aveva affrontato in quegli anni, lo avevano fatto diventare più maturo. Ora appariva più riflessivo, più tollerante, ma comunque, sempre  dinamico e pieno di progetti. Appariva, però, nel suo animo, una tristezza profonda che era forse legata al destino dei suoi concittadini che si erano sacrificati e conservava , nel profondo, un sordo rancore nei confronti di Priamo che, a suo tempo e a suo giudizio, non aveva voluto affrontare i Greci quando avrebbe potuto sconfiggerli. L’arrivo di Enea e dei suoi uomini non cambiò molto gli equilibri della guerra. Era vero che in tutti quegli anni l’esercito di Agamennone si era piuttosto assottigliato, ma egli aveva sempre accanto i principali alleati e soprattutto il gruppo dei Mirmidoni che, esaurito l’incarico nell’entroterra, era ritornato alla spiaggia. Ora che però l’esercito greco era radunato davanti alla città di Troia, era il momento per radunare finalmente gli eserciti degli alleati e, tutti insieme, dare una lezione agli assedianti. Ilario seppe dalla moglie che fra i superstiti della città di Lirnesso c’era un sacerdote di Apollo, di nome Criso. Questi nell’abbandonare la città, aveva dovuto lasciare indietro la figlia Criseide. Ora aveva saputo che la ragazza era ancora viva ma era stata presa come schiava da Achille, assieme alla cugina Briseide, il cui padre Briseo aveva deciso di rimanere in città, venendo ucciso.  Criso, non si dava per vinto e, alla fine, decise di recarsi direttamente al campo greco per offrire una fortissima somma di danaro per la liberazione della figlia. Putroppo per lui, ascoltate le sue ragioni, Agamennone in persona, lo fece cacciare in malo modo, diffidandolo dal ripresentarsi al suo cospetto. Criso non si dette per vinto e, visto che non poteva raggiungere il suo scopo nel modo che riteneva il più conveniente, decise di seguire un’altra strada. Andò a trovare Teano nella sua casa mentre la famiglia al completo era a cena e, pur rendendosi conto di essere inopportuno, la pregò di aiutarlo nel suo piano. La donna, compresa la sua situazione, lo accolse invece gentilmente e ascoltò la sua richiesta. Considerato che anche Criseide era una sacerdotessa di Apollo, il padre aveva pensato che si potesse chiedere al dio di fare pressione su Agamennone. Teano accettò subito l’idea e anzi propose di coinvolgere anche Eleno, che stava diventando un sacerdote sempre più esperto. Eleno, saputo del progetto, con la prospettiva di recare danno ai Greci, fu entusiasta dell’idea. E  così,  con una cerimonia solenne fu chiesto ad Apollo che trovasse il modo di convincere i Greci a restituire la ragazza al padre. Ilario, che aveva seguito tutta la faccenda, in realtà non era molto fiducioso nell’esito dell’iniziativa, in quanto, dal punto di vista della religione, non era molto devoto agli dei ma dovette ricredesi quando, dopo alcuni giorni, giunse la notizia di una improvvisa, tremenda pestilenza che aveva colpito il campo greco. A riprova di quanto riportato dalle spie, si cominciarono a vedere le colonne di fumo dei roghi su cui venivano bruciati i cadaveri delle vittime. A quel punto Criso rinnovò le sue richieste. Agamennone, sentito anche il parere del suo indovino Calcante e pressato dai suoi alleati, alla fine, pur contro la sua volontà, dovette restituire Criseide al padre il quale potè constatare che la ragazza era stata trattata piuttosto bene e nessuno le aveva mancato di rispetto. A quel punto, così come era iniziata, la pestilenza terminò. Qualche sera dopo, Criso e la figlia, furono a cena a casa di Teano perché l’uomo voleva ringraziare la sacerdotessa per il suo aiuto ma anche perché doveva rivelare ad Antenore una notizia molto importante. Per l’occasione vennero invitati anche Eleno che aveva partecipato alla cerimonia ed anche Ilario e la moglie in quanto Teano voleva vedere il nipote ogni volta che poteva. Quella sera, però, per ordine di Antenore, il bambino era stato affidato ad una schiava di fiducia, visto l’argomento che si sarebbe trattato. Infatti Criso aveva anticipato qualcosa al padrone di casa, qualcosa di estremamente importante che dopo, assieme ad Eleno, avrebbe trovato il modo di valutare ed eventualmente di utilizzare. Alla fine della cena, infatti, che era andata avanti con discorsi stentati e falsamente frivoli, Criso disse alla figlia di riferire quello che aveva raccontato a lui. La ragazza iniziò  descrivendo come erano andati i fatti, fino alla sua liberazione. Al termine della battaglia di Lirnesso, i Greci avevano risparmiato alcuni cittadini fra cui, per intervento dello stesso Achille, le due ragazze Criseide e Briseide che egli intendeva tenere per sé. Al ritorno al campo dei Greci, invece Agamennone, viste le fanciulle, ne aveva pretesa almeno una e Achille, pur ritenendola una gravissima ingiustizia,  fu costretto a cedergli Criseide. Ora, che per forza maggiore, Agamennone l’aveva dovuta restituire, come indennizzo aveva preteso che Achille gli consegnasse la sua preda, ovvero Briseide, facendo valere la sua posizione di re e di capo dei Greci. Achille, alla fine, aveva dovuto cedere di nuovo ma, visti i gravi dissapori, anche precedenti, consegnata la ragazza, aveva giurato che non avrebbe più combattuto per quell’uomo di cui non aveva più nessuna stima e aggiunse  che, di lì a poco, avrebbe addirittura abbandonato il campo greco. Quelle parole colpirono molto i presenti perché tutti si resero conto  di cosa volesse dire quel fatto. E c’era di più. Agamennone, visto che Palamede, uno dei suoi consiglieri, si era apertamente schierato dalla parte del mirmidone, aveva voluto vendicarsi di lui e, accusandolo ingiustamente di tradimento, l’aveva fatto uccidere, privandosi, di fatto, di un abile  stratega e prendendo lui stesso il controllo degli uomini di Creta che, naturalmente, non avevano per nulla preso bene la cosa e serpeggiava vento di rivolta. Criso concluse che aveva voluto parlare di quelle questioni con Antenore, prima che divenissero di dominio pubblico, perché questi potesse informarne Priamo nel giusto modo. Se infatti quelle notizie fossero arrivate in possesso di Antimaco, l’altro consigliere, questi avrebbe subito incitato il re alla battaglia, con il rischio di perdere moltissimi uomini. Era pur vero che però qualcosa andava fatto. L’economia della città, sotto la pressione degli assedianti, aveva iniziato a languire ed i primi coloni greci erano arrivati per stabilirsi nei territori occupati da Achille. Occorreva, quindi,agire in qualche modo. Anche Teano convenne che la situazione non poteva andare avanti ancora a lungo e questa poteva essere un’occasione da non perdere. Antenore disse allora che avrebbe chiesto alle sue spie di confermare la situazione nel campo greco e naturalmente, in seguito alle loro conferme, avrebbe agito nel modo migliore. Quando ricevette la convalida di quanto saputo da Criso, informò immediatamente il re della nuova situazione e la decisione, presa forse un po’ troppo frettolosamente e con molti dubbi da parte di Ettore, fu di attaccare il campo greco senza indugio. La mattina della battaglia, gran parte della popolazione della città, cercò di salire in cima alle mura per seguire gli eventi. In fin dei conti, visto come era formato l’esercito troiano, si può dire che ogni famiglia aveva uno o più membri sul campo di battaglia. L’esercito troiano, guidato da Ettore, uscì dalle mura della città e avanzò fino a mezza strada dal campo greco. Al centro, le truppe migliori comandate da Ettore. Il fianco sinistro era comandato da Enea, assieme ai suoi uomini ed il destro da Serpedonte, re della Licia, con le sue truppe. Deifobo affiancava Ettore. Quando l’esercito finì di disporsi, seguì un silenzio surreale. Dal campo greco non c’era stata la minima risposta. Dall’alto delle mura, i cittadini, compreso Priamo, assistevano con trepidazione a quella strana scena. E poi, di colpo, si scatenò l’inferno. I Greci che in silenzio si erano preparati e posizionati, attaccarono. Lo scontro fu violentissimo ed i rumori della battaglia si percepivano perfettamente sin dentro la città. La lotta proseguì ferocissima, senza che nessuno riuscisse a prevalere sull’altro ma comunque nello scontro non c’era stata effettivamente nessuna traccia dei Mirmidoni né di Achille. Nel primo pomeriggio, fu concordata una tregua, per sgombrare il campo dai corpi dei caduti e dai feriti gravi e, per quanto possibile, rifocillare le truppe estremamente provate dallo scontro. Ma alla fine, il combattimento riprese senza che però nessuna parte riuscisse a prevalere sull’altra. Al giungere delle ombre della sera, il suono del corno segnalò la fine dei combattimenti. Le truppe rimasero lì dov’erano, sia per essere già pronte alla battaglia il mattino seguente, sia per non perdere le posizioni conquistate. Lo scontro era costato ai Troiani almeno 8000 morti ed in città c’era una gran tristezza perché quasi ogni famiglia aveva perduto qualcuno. C’era però anche la certezza che i Greci stessero per cedere e questo dava ai cittadini la forza di andare avanti per affrontare con speranza il giorno seguente. Al mattino infatti, molta gente già si accalcava in cima alle mura nella speranza di vedere finalmente i Greci in rotta. La battaglia riprese violentissima e andò avanti tutto il giorno, con perdite ingentissime. Ma poi, verso sera, i Greci iniziarono a cedere e si salvarono dall’annientamento solo perché riuscirono a ritirarsi all’interno del loro campo fortificato. I Troiani restarono sulle loro posizioni mentre dalla città affluivano rinforzi e materiali per consentire il giorno seguente di dare l’assalto finale al campo greco. In città, a parte la tristezza per l’alto numero di caduti, c’era un’atmosfera di grande ottimismo. I Greci se ne sarebbero dovuti andare con la coda fra le gambe e Troia ne sarebbe uscita finalmente più forte di prima. Priamo aveva assistito a tutte le fasi della battaglia dalla sua postazione, in cima alle porte Scee assieme ai suoi fratelli Lampo, Clizio e Cetrone. Quella sera Antenore, nel corso della cena, appariva piuttosto triste e taciturno. Ilario, ormai ospite quasi fisso nella casa dei suoceri, lo interrogò in merito ed il vecchio consigliere rispose che, se da una parte la sorte sembrava volgere in favore dei Troiani, era pur vero che nella battaglia le perdite erano state elevatissime ed era praticamente sparita un’intera generazione con pesanti conseguenze sul futuro della città. E non era ancora finita, perché i Greci avrebbero venduta cara la pelle. Teano invece appariva fredda e distaccata . Nel corso della battaglia erano caduti alcuni dei figli del re e lei sapeva che ora, anche lui, avrebbe sofferto come era successo a lei. La mattina seguente Ilario, assieme a tanti altri, era in cima alle mura di buon’ora. Non voleva perdersi l’evento della sconfitta dell’esercito greco. All’improvviso si videro delle volute di fumo nero sollevarsi dal campo nemico. In seguito si seppe che nel corso della notte, mentre le truppe di Troia si riposavano, alcuni soldati della città erano strisciati fin sotto la palizzata del campo nemico e all’alba, secondo un preciso piano, le avevano dato fuoco, danneggiandola pesantemente. Gli arcieri troiani, disposti sapientemente facevano strage dei difensori. Alla fine i Troiani sfondarono le difese e penetrarono nel campo greco iniziando perfino a incendiare alcune delle navi. Dall’alto delle mura i cittadini incitavano i loro uomini a distruggere i nemici, a ucciderli tutti. Le cose andarono avanti mentre i Greci perdevano sempre più terreno finchè, all’improvviso, con grande sorpresa, si udì il corno da guerra dei Mirmidoni e questi comparvero, guidati dal loro condottiero, Achille. Dalla città si vide chiaramente che questo fatto, stava influendo sul corso del combattimento. I Troiani, quasi spaventati, iniziarono a retrocedere ma poi, le sorti cambiarono di nuovo e ripresero a guadagnare terreno. Purtroppo, quando suonò il corno che indicava la fine delle ostilità per il sopraggiungere della sera, i Greci ancora resistevano saldamente sulle loro posizioni ed i Troiani furono costretti a lasciare il campo nemico accampandosi a breve distanza dalla città per riposare e ricevere assistenza. Intanto Ettore rientrò in città per informare il re circa l’esito della battaglia. Ilario ritornò a casa con la testa piena di pensieri. Se i Greci fossero finalmente stati sconfitti,  avrebbe potuto realmente pensare di tornarsene a casa. Certo, ci sarebbe stata  da risolvere la questione di Assim e poi non avrebbe più avuto impedimenti. Verso la fine del settimo anno di guerra, la produzione della seta si era interrotta perché le carovane dall’est avevano smesso di arrivare e, per quel tessuto, ormai la città doveva fornirsi come tutti gli altri. Dieci anni, erano passati da quando era partito. Ora era un uomo maturo, aveva una bella moglie ed un figlio di 9 anni ed era piuttosto benestante specialmente perché, anche se il suo lavoro negli ultimi tempi era andato sempre più a rilento, grazie all’abilità di Crino, gli affari andavano piuttosto bene. Non aveva nulla da fare quella sera. A prescindere dall’esercito di appartenenza, aveva visto morire tanta gente e quello non era uno spettacolo che poteva lasciare indifferente chiunque fosse dotato di un minimo di umanità. Sentiva le persone, per la strada, che parlavano di un numero elevatissimo di caduti. Si stimava che fossero morti almeno 15.000 soldati per ogni fazione. Spaventoso. Si fermò in un’osteria e si fece portare un boccale di vino. Rimase così, seduto, cercando di non pensare a nulla che non fosse positivo. Nel tempo si era fatto molti amici in città ma ora parecchi di loro non c’erano più. Nei prossimi giorni si sarebbero sentiti risuonare in tutta la città i canti collegati con i riti funebri. Quella non era la sua città ma, ormai, ne aveva quasi completamente assorbito gli usi, i costumi, la mentalità. E improvvisamente si rese conto che del ragazzo di 16 anni che era arrivato entusiasta e pieno di curiosità, non c’era rimasto più nulla. La sensazione gli procurò un brivido profondo e gli fece provare un intenso desiderio di essere con la sua famiglia. Lasciando la taverna, si rese conto che la sua passeggiata senza meta, lo aveva portato vicino alla casa di Eleno che ormai non vedeva da un pezzo, così, pensò di fargli visita. Lo accolse uno dei suoi schiavi che, riconosciutolo, lo fece accomodare senza annunciarlo. Eleno era seduto su una panca del giardino interno con lo sguardo fisso nel vuoto, come perduto in qualche pensiero lontano ma, appena percepì la presenza di qualcuno, si riscosse e, riconosciuto il suo ospite, lo salutò cordialmente e gli fece segno di sedere accanto a lui poi, tornò a fissare la superficie dell’acqua. Ilario, che aveva imparato a conoscerlo, capì che qualcosa lo turbava profondamente ma decise che fosse l’altro a iniziare a parlare. E infatti Eleno, dopo un po’, quasi rivolgendosi più a se stesso che al ragazzo, disse con tono contrariato:”E’ che non capisco. Non capisco…. – Poi si rese conto che se il suo interlocutore doveva comprendere il suo dubbio, doveva spiegarsi meglio . Per cui, rivolto al suo ospite, riprese – Vengo da palazzo, dove Ettore ha messo al corrente circa gli eventi relativi alla battaglia. Siamo riusciti a penetrare nel campo greco, abbiamo addirittura incendiato un bel numero di navi. Lo stesso Agamennone è rimasto ferito, assieme a Ulisse e Aiace Oileo. Poi, all’improvviso, hanno attaccato i Mirmidoni e noi, per la sorpresa, abbiamo perduto lo slancio. Ma poi Ettore ha capito che sotto l’armatura di Achille, si nascondeva Patroclo, un suo amico, e lo ha ucciso prendendosi per di più le sue armi. Insomma una vittoria totale. Certo, anche noi abbiamo avuto dei caduti, compresi alcuni dei miei fratelli, come Iso, Assione, Cebrione e Cromo, che io sappia. Priamo si è dispiaciuto, certo, e mia madre l’ha presa malissimo ed è distrutta dal dolore. Ad ora sono sette i suoi figli caduti in battaglia. Ora, però, quello che conta è che con i Greci praticamente sconfitti, Ettore,  si appresta a infliggergli, domani, il colpo di grazia, per ricacciarli in mare. Eppure…”.”Eppure cosa? – chiese impaziente il ragazzo che fino a quel momento era rimasto ad ascoltare in silenzio. “Eppure qualcosa non torna - rispose il principe – il responso degli dei indica che sta per accadere qualcosa di terribile e che dobbiamo prepararci al peggio. Cassandra sembra quasi impazzita. Si è ritirata nel tempio di Apollo e non vuole vedere nessuno. Nemmeno me”.”E a palazzo come hanno preso questi segnali ?”.”Non li vogliono nemmeno considerare. Anche se il responso è stato chiesto più volte e sempre con lo stesso esito. Un disastro. Ettore, di solito così attento e prudente, ha sentito l’odore della vittoria e Priamo vuole vendetta. Tuo suocero consiglia disperatamente prudenza ma quell’altro, Antimaco, soffia sulla brace, per convincere il re a procedere con l’attacco”. Ilario osservava il suo interlocutore mentre parlava. Anche lui era cambiato parecchio in quei dieci anni. Da ragazzo allegro e spensierato, ora si era trasformato in un uomo, con impegni e serie responsabilità. Non si era sposato perché le sue ‘storie’ duravano sempre poco e anche perché, volendo egli fare carriera, non voleva impegnarsi, almeno per il momento. Il ragazzo sentiva che naturalmente anche lui era cambiato, come tutti d’altronde. Alcuni erano partiti, altri erano morti ed ora la città era più che altro piena di soldati che si erano fatti una famiglia, unendosi a tutte le vedove che la guerra aveva prodotto. Ma la ricchezza, almeno quella che aveva visto al suo arrivo, quella non c’era più. Non si percepiva più l’entusiasmo, la voglia di fare, di migliorare. La gente era stanca. Era stanca della continua presenza degli aggressori, della loro continua minaccia. Alla fine, i due amici si salutarono e Ilario tornò a casa sua. La sera, a cena, a casa dei suoceri, l’atmosfera non era delle migliori. Antenore era molto silenzioso e rispondeva alle domande pressanti della moglie a monosillabi. Ilario che conosceva i fatti, apprezzava la prudenza e la reticenza del suocero nel riportare gli eventi. Teano invece sembrava solo interessata al fatto che Priamo avesse perduto altri figli in battaglia.  Sembrava non considerare che, essendo quasi tutti figli della sorella, Ecuba, essi erano quindi suoi nipoti. Incredibile che dopo tanti anni ancora covasse tanto odio. Quella notte c’era un clima strano in città. Il giorno seguente l’esercito troiano avrebbe dato finalmente il colpo di grazia all’esercito degli assedianti e inoltre, al calar della sera, era arrivato in città un contingente composto da 25.000 soldati ittiti che avrebbero dato man forte ai Troiani. Il mattino seguente, fin dalle prime luci dell’alba i cittadini di Troia si erano assiepati in cima alle mura per assistere finalmente alla disfatta dell’esercito greco. Finalmente quella guerra stava per finire. La città sarebbe tornata presto all’antico splendore e i Greci avrebbero pagato cara la loro tracotanza. L’esercito troiano si era disposto davanti al campo greco in formazione simile a quella dei giorni precedenti. Ettore al centro dello schieramento, con le sue truppe migliori, Enea alla sua destra e, alla sinistra, gli Ittiti, comandati dal loro capo Mennone. Al segnale, l’attacco iniziò ma quello che i Troiani videro dall’alto delle mura, non era esattamente ciò che si erano aspettati. Infatti, all’improvviso, dalla sinistra dello schieramento greco apparve un’onda nera che lentamente si fece spazio sul campo di battaglia, spargendo morte e distruzione fra le truppe troiane. I Mirmidoni, guidati da Achille, erano tornati sul campo di battaglia, furiosi, terribili, spietati e micidiali. Immediatamente il panico si sparse fra i soldati della città e Ettore, capita al volo la situazione, per evitare la distruzione del suo esercito, ordinò la ritirata lasciando dietro di sé 300 uomini coraggiosi, che si sacrificarono per consentire agli altri di mettersi al riparo. Le conseguenze di quella disfatta furono comunque pesanti. La delusione e l’amarezza in città erano tangibili e tutti si chiedevano com’era potuto accadere. Quella sera, Antenore spiegò alla sua famiglia quello che le  spie nel campo greco gli avevano fatto sapere. Quando Achille aveva scoperto che il suo amico Patroclo era morto in sua vece, si era disperato, era diventato furioso e, appena Agamennone lo venne a sapere, decise di restituirgli Briseide, chiedendogli di tornare a combattere al suo fianco per vendicarsi dei Troiani. Ad Achille di Agamennone non importava nulla, anzi. Ma voleva la sua vendetta e così era tornato in campo, feroce e spietato come non mai, seguito dai suoi uomini. La mattina seguente Ilario era nel laboratorio assieme al piccolo Anteo. Il bambino gli era molto affezionato e stava con lui appena poteva e, con l’occasione imparava le prime basi del mestiere che il padre gli insegnava, giocando. L’uomo provò un brivido ripensando a quando era lui ad imparare dalle lezioni di Stoyan . Ebbe un moto di nostalgia molto intenso e abbracciò strettamente il bambino. Si chiedeva quale sarebbe stato il suo futuro e quando avrebbe potuto conoscere il resto della famiglia. In quella, si accorse che nella strada stava accadendo qualcosa. Sentiva vociare e vide la gente che, apparentemente, si dirigeva verso le mura, di fretta. Entrò nel laboratorio Crino con un’aria molto preoccupata e, senza perdere tempo, disse che Ettore aveva deciso di sfidare Achille a duello ed ora i due erano già in campo, davanti alle porte Scee della città. Affidato il bambino alla moglie, Ilario si precipitò in strada per cercare di raggiungere le mura ma le vie erano talmente affollate, che a stento si riusciva a passare e dovette rinunciare, limitandosi a cercare di capire, assieme agli altri quale fosse l’esito dello scontro.  Dalle persone che erano riuscite a salire in cima ai bastioni, infatti, giungevano delle grida ora di incitamento, ora di paura, segno che il duello era già cominciato. Dalla reazione della gente, sembra che lo scontro procedesse in modo equilibrato. Il tempo passava senza che nessuno dei due duellanti riuscisse ad avere ragione dell’altro. Doveva essere un duello epico fra i due eroi più forti degli eserciti contrapposti. Poi, all’improvviso, un grido dalla folla. Un grido di dolore, di angoscia, di pena, di sofferenza, seguito da un profondo silenzio. Tutto taceva ma subito si udì un grido di donna. Un grido bestiale, disperato, disumano che non si arrestava e che faceva gelare il sangue nelle vene. “E’ morto! – si sentiva gridare – Ettore è morto!”. E ancora si avvertivano le urla terribili di quella donna. Ilario confuso, turbato e smarrito, sentì solo l’impulso di togliersi di lì, da quella gente pazza e isterica. Spingendo, urtando, si fece strada fino ad un vicolo tranquillo, lontano da quella bolgia e si lasciò andare a sedere a terra, come se le forze lo avessero abbandonato. Sentiva ancora le urla, percepiva il dolore, la disperazione poi , improvvisamente provò una grande pena per sé. Per la sua vita, costretta in quel posto, per il distacco dalla sua famiglia, di cui non aveva saputo più nulla. Sua madre doveva aver vissuto le pene dell’inferno per non averlo visto più tornare, la sua sorellina che ormai doveva essere una donna fatta, magari sposata. Restò così a lungo, seduto a terra, con la schiena poggiata ad una parete e la testa fra le mani. Nella mente gli si affollavano le immagini del suo passato, belle, brutte, tristi, inquietanti, allegre, senza un ordine preciso e iniziò a piangere, dapprima sommessamente poi sempre in modo più intenso e disperato. Dopo un tempo indefinito, riprese coscienza di sé e della situazione presente. Si sentiva meglio, più leggero, più lucido. La sua mano destra stringeva inconsapevolmente la catenina che gli aveva dato la madre, che portava sempre con sé e che spesso lui toccava quando si sentiva particolarmente giù. Evidentemente quel terribile evento era servito a sbloccare finalmente la sua angoscia, il suo dolore che, in qualche modo, aveva sempre sepolto in fondo al suo animo. Là, in quel luogo solitario, le lacrime erano scorse senza limiti, come un fiume che lava via antichi pesi, antichi fardelli dal fondo del cuore. Ed ora se ne era liberato e si sentiva bene. Si rialzò e raggiunse di nuovo la strada per poter tornare a casa. Le persone erano ancora tutte per la via. Sembravano confuse, sconsolate, tristi, alcune disperate, come se non sapessero cosa fare, dove andare. Il colpo per tutti era stato tremendo. Avevano perduto il loro eroe. Forse l’ultimo ed il più importante che la città avesse avuto. E con lui il sogno di battere i Greci. La gente diceva con rabbia e orrore che Achille si era portato via il corpo di Ettore, trascinandolo con il suo carro mancando così di rispetto al corpo del caduto, con lo scopo di vendicarsi perfino sulle sue spoglie per aver ucciso Patroclo. Quando Ilario rientrò in casa, lo accolse Crino che lo abbracciò e rimase stretta a lui, come a cercare certezza e consolazione. Lui le carezzò teneramente il viso. Erano brutti momenti quelli e tutti si sentivano coinvolti. Quell’aura di morte, di violenza, di vendetta , di sangue sembrava impregnare ogni cosa. In 10 anni quella condizione si era infiltrata lentamente nell’animo di tutti  e anche se, apparentemente, la gente aveva imparato a conviverci, non era così semplice. Sembrava perduta la speranza, la gioia, l’iniziativa, l’entusiasmo e le persone vivevano così, alla giornata e la cosa peggiore era che nessuno sembrava farci caso. Poi Ilario scostò gentilmente la moglie e gli chiese dove fosse Anteo. “E’ nella sua stanza che dorme. Assieme a lui c’è mia madre”.”Tua madre? – chiese lui meravigliato – e che vuole, ora?”. Aprì lentamente la porta della camera del bambino che dormiva sereno nel suo lettino. Accanto a lui, seduta, c’era la nonna. Assorta, in silenzio, con lo sguardo perduto nel vuoto, di quando in quando sfiorava i capelli del nipotino, stando attenta a non svegliarlo. Quando il genero entrò nella camera lei sollevò un attimo lo sguardo ma poi tornò al suo atteggiamento. L’uomo la osservò per un po’ ma poi, a voce bassissima le disse: “Lasciami fare un’ipotesi. Priamo ed Ecuba hanno perduto i loro figli migliori, per ultimo Ettore. La gente, per strada, dice che il re ha avuto un malore e che la regina è impazzita. Le grida che si udivano dalla cima delle mura erano le sue, e ancora grida. Ma ora, questo, non ti dà nessuna soddisfazione. La vendetta non ti ripaga per il tuo Anteo. E’ così?”.”Per essere giovane sei perspicace – rispose la donna, alzandosi, e uscendo dalla camera, seguita dal genero – Non era infatti quello che volevo veramente. Lo sapevo che questo non sarebbe servito a nulla – Poi, con un tono appassionato che l’uomo non aveva sentito mai – Io odio questa città! Io me ne voglio andare! Quando rimasi vedova, Ecuba, mia sorella, mi offrì ospitalità. Io dovevo pensare alla famiglia e accettai. Mi proposero l’incarico di sacerdotessa ed io accettai. Poi conobbi Antenore. Era un buon uomo e acconsentii a sposarlo. Abbiamo avuto dei figli. Ma quando il piccolo Anteo è morto, per colpa di Paride, e nessuno ha fatto nulla, è caduto tutto. Io mi ero illusa di essermi rifatta una vita per poi scoprire che invece ero finita in una gabbia. Una bella gabbia, ma niente di più. E sono diventata cattiva, avida, meschina. Poi sei arrivato tu, con quel tuo sinistro complice. Dovevi essere lo strumento della mia vendetta ma quando mi sei comparso davanti, ho percepito qualcosa in te che mi ha fatto paura. Sentivo che avresti avuto un forte impatto sulla mia vita. E non mi sbagliavo. Sei riuscito, tu, che eri un semplice ragazzo, a cambiare la natura della mia figliola selvaggia. A quel punto ho capito. Non dovevo aver paura di te. Erano gli dei che ti avevano mandato per aiutare la mia famiglia”.”Certo, – rispose in tono alquanto risentito il genero, che l’aveva ascoltata fino a quel momento – per questo mi hai tenuto qui, incatenato in questa città, impedendomi di rivedere la mia famiglia. Alla fine ho scoperto il tuo inganno. Alla fine Assim, il tuo complice, ha parlato e mi ha confermato che dietro al ricatto c’eri tu. Cosa dovrei farti? E malgrado tutto, non ho odio nei tuoi confronti e per questo non ho informato Crino della cosa. Però ora tu hai la sfacciataggine di dirmi che questa città ti soffoca. Che bel coraggio!”.”Sei sicuro che ti abbia fatto un dispetto? - gli disse la donna seria, guardandolo dritto negli occhi – eri uno stupido ragazzo. Ora sei un uomo, un padre di famiglia con uno splendido bambino ed una moglie innamorata. Se tu fossi partito, non saresti più tornato, lo so. Ora invece, puoi tornare a casa tua, realizzato, ricco abbastanza da poterti mettere perfino in società con tuo padre o di prenderti un’isola, come ha fatto lui, e farne il tuo piccolo regno”.”Chi te lo dice che non sarei tornato? Con quale diritto hai fatto questa scelta al posto mio? Hai mai pensato al dolore che devono aver provato i miei genitori nel non vedermi più tornare e senza sapere cosa mi fosse accaduto?”.”Hai ragione – ammise la donna – Ti chiedo perdono. Io i sentimenti purtroppo non so più nemmeno cosa siano. Ma ora che c’è il piccolo Anteo, forse, per me, c’è ancora una speranza”. E detto questo, la donna se ne andò, lasciando l’uomo senza parole per le scuse della suocera. Dopo qualche giorno la gente raccontava che Priamo era tornato dal campo dei Greci con il corpo di Ettore. Fu una grande sorpresa, specialmente per il fatto che nessuno sapeva che ci fosse andato, per il semplice motivo che si era recato da solo ed in segreto.  Achille aveva avuto pietà di lui e gli aveva restituito il corpo del figlio. Questa cosa portò al re un grande credito ed un grande onore ma lui diceva di essere solo un padre che aveva rischiato la vita volentieri per uno dei suoi figli. Vennero istituiti dieci giorni di lutto, durante i quali rendere omaggio ai caduti, da ambo le parti, e in cui ogni ostilità con i Greci sarebbe stata sospesa. La città era calma, anche troppo. Era come se non riuscisse a reagire a quanto accaduto. Ilario, praticamente libero dal lavoro, aveva iniziato a frequentare più assiduamente la locanda vicino a casa sua. L’attività era infatti praticamente ferma e le persone, che lavoravano per lui al laboratorio, erano più che capaci di cavarsela da sole. Quella sera, fra gli avventori si faceva un gran parlare dell’azione eroica del re che si era recato da solo al campo greco. Certo, un gesto disperato, di un padre disperato. Ma ora? Chi avrebbe preso il posto di Ettore, chi sarebbe stato capace di guidare alla vittoria l’esercito di una città demoralizzata, con un re stanco ed una regina impazzita? Deifobo, nemmeno a parlarne. Il coraggio l’avrebbe avuto ma, secondo la gente, non aveva il temperamento del capo, l’abilità militare necessaria, e la fermezza per affrontare le situazioni importanti. Veniva escluso dalle possibilità anche Enea perché il re non gli aveva perdonato di aver abbandonato la città e di essere tornato solo perché non aveva altra scelta. Ilario decise di tornarsene a casa,  pensando intensamente a quanto aveva sentito e fu per questo che non fece alcun caso al carro che gli si era affiancato ma poi, all’improvviso, si sentì afferrare violentemente da dietro. Qualcosa gli tappò la bocca per impedirgli di gridare. Gli fu messo un sacco sulla testa, mentre gli venivano legate le mani e le braccia dietro la schiena. Fu sollevato di peso e gettato nel carro. Disteso sul pavimento del mezzo, sentì distintamente qualcosa di puntuto che gli veniva premuto contro la gola, forse un pugnale, ed una voce gli intimò di non fare un fiato, pena la morte. Il prigioniero obbedì perchè sapeva che i suoi rapitori non scherzavano. Ma cosa stava accadendo? Era forse un’iniziativa di sua suocera per toglierlo di mezzo per impossessarsi del bambino? Ma poi, ritrovata la calma, si rese conto che l’uomo che gli aveva parlato, non era un Troiano, era un Greco. Quindi cosa stava accadendo e cosa volevano da lui? Il tragitto fu abbastanza breve. Sentì che  erano  entrati in un luogo chiuso, una stalla o  forse un magazzino. Fu sollevato e qualcuno lo calò dalla sponda del carro. Sdraiato al suolo, fu liberato dal sacco che gli copriva la testa e dal bavaglio che gli tappava la bocca. Nella penombra, vide attorno a lui quattro persone in piedi coperte da un mantello con un cappuccio che copriva loro il viso. Aveva ancora le mani legate e non poteva muoversi. Avrebbe potuto gridare ma quei quattro ci avrebbero messo un attimo ad ucciderlo, per cui capì che poteva solo aspettare. Uno degli uomini si inginocchiò accanto a lui. Gli puntò un coltello alla gola e togliendosi il cappuccio gli chiese con tono quasi furioso:”Mi riconosci, signorino?”. Ilario subì un vero e proprio shock. Davanti a lui, a pochi centimetri dal suo volto, apparve il viso di un uomo di circa quarant’anni che lo osserva con un’espressione terribile, non solo per la rabbia ma anche perché la metà sinistra del suo viso  era letteralmente devastata da una tremenda cicatrice che la solcava dal mento alla fronte comprendendo anche l’occhio che sembrava essere stato strappato via dal colpo che aveva provocato quella devastazione. “Mi riconosci, dì”. Ripetè l’uomo con la stessa rabbia, aumentando la pressione della lama sul collo del prigioniero. Questi, passato un primo momento di sgomento, all’improvviso ricollegò i fatti, malgrado il tempo trascorso e allora sentì dentro di sé montare una furia tremenda che gli fece dimenticare di avere un coltello alla gola ed esclamò:”Tu sei quel miserabile che ha ucciso il mio amico, che ci ha derubato di tutto e che ha causato il mio esilio in questa città! Che gli dei ti maledicano!”. “Taci ! – gli intimò l’altro e sollevò il coltello come per vibrargli un colpo mortale . “Basta così, Egan! - Intervenne uno dei presenti che fino a quel momento era rimasto indietro. Si fece avanti e, con uno strattone, allontanò l’uomo che aveva minacciato il prigioniero. Afferrò l’uomo immobilizzato per le spalle e lo sollevò nella posizione seduta, poggiandogli la schiena ad una delle ruote del carro, apparentemente senza nessuno sforzo. Poi si tolse il cappuccio e chiese a sua volta:”Sai chi sono?”. Ilario l’aveva veduto una sola volta e da lontano ma quel viso con la barba ed i capelli rossi, non si poteva dimenticare. “Tu sei Ulisse, il re di Itaca! Ma che..”.”Silenzio! – intimò l’altro con tono serio deciso – Non abbiamo tempo da perdere e ci stiamo giocando la vita. – Sicuro di avere l’attenzione dell’altro, continuò – ci serve che tu ci metta in contatto con tua suocera, Teano, perché sappiamo che ha intenzione di abbandonare la città e noi siamo disposti ad offrirle un passaggio, per lei, la sua famiglia e naturalmente anche la tua”. Ilario era molto stupito. Di certo il greco era stato informato da qualcuno, di questo desiderio della suocera, di certo qualcuno molto vicino a lei. Le spie erano anche nella sua casa, la casa di Antenore. “Ma cosa volete in cambio da lei?”. “ascolta – rispose Ulisse con tono più calmo – Troia ha ricevuto un colpo tremendo. I suoi eroi sono tutti morti, il re e la regina sono distrutti dal dolore. La città sta morendo. Anche se non la conquistiamo noi nell’immediato, Troia ha i giorni contati. Noi vogliamo assestare alla città un ultimo colpo, per far crollare la speranza dei cittadini ed ottenere magari anche una resa”. “E come ? – chiese l’altro – peggio di così…”.”No, noi vogliamo far avverare una antica profezia, che parla della caduta della città. – Il greco si sedette accanto a lui e riprese – All’interno del tempio di Atena, al vertice della cittadella è conservata una statua lignea della dea che viene chiamata ‘Palladio’”.Ilario aveva capito a cosa si riferiva Ulisse e, conoscendo la leggenda, forse aveva anche capito cosa si aspettassero i Greci da sua suocera.”La profezia – continuò il greco – dice che finchè la statua sarà conservata al suo posto, all’interno del tempio, la città non potrà essere conquistata in nessun modo. Bene, noi abbiamo intenzione di rubarla e di portarla nel nostro campo. Rappresenterà l’ennesimo colpo al morale dei Troiani e ci darà una mano decisiva per la nostra vittoria finale”.”Ma Teano cosa c’entra in tutta questa storia? – chiese il prigioniero. “Come hai visto, purchè in piccolo numero, possiamo arrivare dappertutto in città e possiamo perfino arrivare al tempio. Ma la statua è ben sorvegliata, con una organizzazione che , al minimo sospetto di furto, fa convergere sul posto, in pochissimo tempo, un numero considerevole di soldati”.”E Teano è responsabile del sistema di sicurezza. E’ così?”.”Esatto. Noi vogliamo che, nel tempio, nessuno si accorga di noi, né del furto, almeno finchè non saremo al di fuori della cittadella”.”E poi? Ammesso che Teano accetti?”.”E poi, è chiaro che non potreste più rimanere a Troia. Si sospetterebbe immediatamente di tua suocera. La sera stessa della nostra incursione, la vostra famiglia, con tutto quello che potrete portare con voi, senza dare troppo nell’occhio, sarà condotta in luogo sicuro da una carro che verrà a prendervi a casa e, da lì, provvederemo noi stessi a imbarcarvi per la destinazione che sceglierete”.”Sembra troppo bello – disse con un tono dubbioso Ilario. Poi accennando ad Egan che a causa della sua menomazione lo osservava di traverso ma con un aria veramente truce – Ma non è che una volta saliti sul carro con tutti i nostri averi, troveremo questo maledetto tagliagole con i suoi amici che ci uccideranno per derubarci ?” Ulisse fece un secco gesto con la mano nei confronti di Egan che già stava estraendo la sua spada per vendicare l’insulto subito. Poi rispose:”Hai ragione di dubitare ma il nostro amico ha imparato la lezione e, comunque, non sarà lui ad occuparsi di voi. Hai la mia parola che nulla di brutto vi accadrà e sarò sempre io a garantirvi un imbarco sicuro. Ora, però, porta il mio messaggio a Teano e poi, fra tre giorni torna qui con la risposta. Ti avvicinerà qualcuno che si farà riconoscere perché avrà un anello come il mio – e gli mostrò un massiccio anello d’oro con una pietra azzurra con delle scaglie d’oro, un lapislazzulo di grande bellezza - Qui siamo nel magazzino di Egan , l’oste, sai dov’è?”.”Lo so bene – rispose l’altro – Ma l’avevo già capito. Ho riconosciuto la puzza di questo posto. In questi anni ci sono passato davanti centinaia di volte e non ci sono mai entrato, ricordando la mia esperienza di tanti anni fa. Non mi meraviglia che quel sudicio individuo abbia accettato di essere una vostra spia”.”Hai ragione – convenne Ulisse – E’ proprio un sudicio individuo ma ci è stato utile. A volte per raggiungere i propri scopi si deve accettare qualche compromesso ma credo che, comunque, faccia il doppio gioco. Naturalmente, di questa storia non sa nulla ma, in ogni caso, alla fine, sarà il caso di dare anche a lui il benservito. Ah, naturalmente, questa cosa non è mai accaduta e comunque, se ne parlerai con la persona sbagliata, lo sapremo immediatamente e tu e la tua famiglia farete un viaggio senza ritorno nello Scamandro”. Ilario fu liberato e rimesso direttamente in strada. Il tempo di massaggiarsi un po’ i polsi indolenziti e poi, quando riguardò nel magazzino attraverso la porta rimasta aperta, non vide più nessuno. Tornando verso casa, cercò di mettere a punto un piano per affrontare l’argomento con sua suocera poiché non sapeva come avrebbe reagito. Alla fine decise che avrebbe dovuto parlare con Crino che negli anni, oltre che una moglie innamorata e devota, si era sempre dimostrata una donna energica, in grado di gestire efficacemente sua madre. Lei convenne che una simile occasione andava vagliata con grande accortezza perché, se poteva rappresentare la loro salvezza, avrebbe anche potuto essere la rovina, se fossero stati scoperti. Della città non le importava nulla. Anche lei, come la madre, non era Troiana. Era preoccupata piuttosto per lui, per il piccolo Anteo e infine per il patrigno, nella sua difficile posizione di consigliere del re che però ultimamente l’aveva quasi isolato, fidandosi più delle parole di Antimaco, che parlava di vittoria, riscossa, gloria, seppure, poi, si era visto con quali risultati. Antenore era molto amareggiato e aveva più volte ammasso di essere tentato di lasciare il suo incarico, seppure prestigioso. Alla fine, la coppia, scelto il momento più opportuno, affrontò Teano che, ascoltato il messaggio, non battè ciglio dicendo che per lei andava benissimo. Avrebbe dovuto solo convincere il marito ma, visti gli ultimi eventi, sarebbe stato un compito alla sua portata. La difficoltà consisteva nel fatto che avrebbe dovuto mettere a punto un piano perfetto, senza potersi fidare di nessuno. Chiunque avesse avuto il minimo sospetto, da un semplice schiavo ad una Reverenda Madre, l’avrebbe immediatamente denunciata. Chiese quindi solo un po’ di tempo per studiare una giusta strategia. Puntualmente, Ilario trasmise il messaggio e rimase in attesa degli eventi. Poi le cose presero a precipitare in fretta. Antenore tornava a casa la sera sempre più cupo. A cena, forse aiutato da un po’ più di vino del solito, raccontava di come le cose, a corte, non andassero nel migliore dei modi. Priamo aveva nominato capo dell’esercito Troilo, uno dei suoi figli più giovani, il quale però aveva cercato in tutti i modi di sottrarsi a quell’incarico ma il re non aveva inteso ragioni. Questa decisione aveva contrariato particolarmente sia Deifobo che Enea. Anche Mennone, capo dei mercenari ittiti, agitava le acque, convinto di poter fare la differenza con i suoi formidabili soldati perfettamente addestrati e non da meno dei Mirmidoni in battaglia. Ilario non capiva se Teano stesse lavorando ad un suo piano, relativo alla proposta dei Greci. Nemmeno Crino l’aveva capito ma comunque intanto, sfruttando la sua solita abilità, stava riscuotendo tutti i loro crediti e rientrando dei vari investimenti in corso. Al momento di andare via non sarebbero certo partiti da poveri. Dopo alcune sere, al termine di una cena in casa propria, Ilario ricevette una visita inattesa di Eleno. Appariva estremamente turbato, per non dire furioso. Il padrone di casa gli fornì subito un bicchiere di vino che l’altro mandò giù senza perdere tempo. Poi si riempì di nuovo il bicchiere. Era chiaro che era accaduto qualcosa a corte, qualcosa che aveva colpito fortemente il principe. Crino, con la scusa di dover mettere a dormire il bambino lasciò soli i due uomini. Eleno avrebbe parlato più facilmente ed il marito le avrebbe comunque raccontato tutto. “Per fortuna che ci sei tu! – esordì Eleno – Ho bisogno di sfogarmi con qualcuno che sia capace di ascoltarmi e che sia discreto. E con chi lo posso fare? – chiese più a sé stesso che al suo interlocutore – Con un Greco. Ti rendi conto?”. Ilario capì che l’altro non voleva di certo offenderlo e, pertanto, si limitò ad annuire, invitandolo a proseguire. “Hanno messo in dubbio la mia abilità di indovino! Capisci? Pur di portare avanti i loro interessi, hanno affermato che sono ancora solo un ragazzo e che non sono capace di interpretare i segnali ed i simboli dei vaticini. Io!”.”Ma chi sono, loro? – chiese l’altro che cercava di capire cosa fosse veramente accaduto. Eleno finì di bere il suo secondo bicchiere di vino che poi appoggiò sul tavolo, dando segno di essermi sufficientemente calmato. “Scusa per come mi sono presentato a casa tua – riprese il principe – e mi devo anche scusare con tua moglie. Il fatto di essere un principe non mi autorizza a comportarmi come un selvaggio e spero che tuo figlio non si sia spaventato – poi, senza attendere una replica da parte del suo ospite, proseguì – ‘Loro’ sono quelli che ora pretendono di comandare. Gli sciacalli che, una volta morti i veri eroi, ora vogliono la loro parte di gloria e fama che, in realtà, hanno guadagnato quelli che non ci sono più. Deifobo vuole il comando dell’esercito, senza capire niente di strategia e tattica. Enea vorrebbe comandare lui, ma Priamo non si fida. Mennone vuole combattere, sicuro di sconfiggere i Greci. Troilo, spaventato per l’incarico impostogli dal padre, ha chiesto almeno un vaticinio circa l’esito di una battaglia con i Greci in questo momento. E hanno chiamato me”. Si interrupe e sembrò che stesse per infuriarsi di nuovo , ripensando a cosa doveva essere accaduto ma poi si limitò a vuotare di nuovo il suo bicchiere, poi, continuò:”Sollecitato dai richiedenti, ho effettuato ben quattro vaticini, Quattro! E tutti e quattro hanno confermato che attaccare il nemico in questo momento avrebbe solo un esito nefasto. Mi hanno fatto ripetere le procedure per quattro volte, perché, a loro, quel responso non andava bene. Pretendevano che io affermassi che la vittoria ci avrebbe arriso, che avremmo distrutto il campo greco. Ma gli dei non hanno comunicato affatto questo. Anzi, dagli esiti risulta che non dobbiamo, almeno per il momento, prendere iniziative. E così sono stato tacciato di incompetenza. Hanno detto che io avevo paura!”. “E il re? – chiese a quel punto Ilario”.”Il re… Il re ormai non è più lui e aspetta solo di sentire parole di rivincita, vittoria. Ascolta solo il suo consigliere Antimaco che gli dice ciò che vuole sentire e tuo suocero, Antenore, praticamente non conta più nulla e anzi, più di uno, davanti alle sue parole di pace, gli ha dato del traditore”.”Bene! – pensò Ilario – Questo potrebbe facilitare il compito di Teano – E allora, adesso cosa hai intenzione di fare?”.”Intanto a palazzo non ci torno più. Non vado a farmi insultare. Poi, guarda – aggiunse osservando l’altro dritto negli occhi – sono così arrabbiato che, se non temessi di lasciare Cassandra da sola, me ne andrei. Andrei sul monte Ida a raggiungere Esaco, il mio fratellastro e sua madre Arisbe che è stata la prima moglie di Priamo. E’ anche lui un indovino e ci potremmo confrontare ma, soprattutto, troverei un po’ di pace che qui, a Troia, non trovo più in nulla ormai – Ciò detto si alzò e si congedò aggiungendo – Scusa ma questo confronto mi serviva proprio. Ora sono più tranquillo”. Mentre il principe si allontanava, l’altro pensò che in realtà lui non aveva quasi aperto bocca. Certo, la posizione di Eleno a palazzo doveva essersi fatta pesante. Vedere messe in dubbio le proprie azioni solo perché non in linea con i desideri di chi comandava o pretendeva di farlo, doveva essere estremamente sgradevole. E la cosa peggiore era che Lacoonte, l’altro indovino esperto che era stato presente a tutti i vaticini e aveva veduto con i suoi occhi ciò che aveva visto Eleno, non lo aveva sostenuto. “Qui non si vuole più nemmeno ascoltare il consiglio degli dei – disse amareggiata Crino, che naturalmente aveva ascoltato tutto, entrando nella stanza e abbracciando il marito. Questi le diede un bacio sulla guancia e disse:”Che situazione complicata. Gli eroi di Troia sono quasi tutti morti. Le mura però sono invalicabili. Agamennone è rimasto con meno della metà dei suoi uomini, rischiamo di andare avanti per altri dieci anni”. Qualche giorno dopo, qualcuno disse a Ilario che Troia stava per sferrare un attacco a sorpresa al campo greco. Egli rimase di sasso. Che razza di attacco a sorpresa poteva essere, se in città ne parlavano tutti apertamente. Le spie di Ulisse dovevano averlo scoperto immediatamente. Quella sera, a cena a casa dei suoceri, espresse i suoi dubbi ad Antenore. Questi, che praticamente non aveva toccato cibo, ammise che purtroppo l’attacco ci sarebbe stato veramente, a breve. “Ma sarà un suicidio – commentò Crino – le spie greche avranno già informato Agamennone e l’esercito nemico ci tenderà certamente una trappola”.”Lo so – rispose amareggiato e rassegnato Antenore – Ho insistito, ho pregato, ma il re non mi ascolta più. Enea e Mennone vogliono combattere. Sono sicuri di vincere e vogliono la loro parte di gloria. A palazzo non sono nemmeno più gradito per il mio atteggiamento. Mi sembra di essere uno straniero nella mia stessa città”. Ilario fissò Teano che abbassò gli occhi. Forse era proprio ciò che la donna stava aspettando per completare il suo piano e per convincere il marito ad abbandonare la città al suo destino. Poi, accadde tutto insieme. In breve tempo, la situazione si sviluppò in modo tale da influire pesantemente sulla condizione e sull’atteggiamento dei due schieramenti. Come aveva confermato Antenore, a distanza di pochi giorni, prima dell’alba, un forte contingente dell’esercito troiano uscì dalle mura e si divise subito in tre schieramenti. Quello centrale comandato da un incerto e indeciso Troilo, che era stato praticamente costretto nel suo ruolo, malgrado la sua giovane età. Appena la voce si sparse in città, chi potè si sbrigò ad accorrere per salire in cima alle mura, per seguire l’esito della battaglia. Ilario si costrinse a rimanere più indifferente possibile a quello che sarebbe accaduto e decise che sarebbe rimasto ad occuparsi degli ultimi ordini all’interno del suo laboratorio. Quella non era la sua città, non era la sua guerra e soprattutto lui era soltanto una vittima. Poi, poco dopo l’alba giunse dall’alto delle mura un forte clamore. Questo significava che, sia che la sorpresa fosse riuscita o meno, la battaglia era stata ingaggiata. Continuò per tutta la mattina ma poi, nel pomeriggio, il cielo si coprì di nuvole e subito dopo iniziò a piovere in modo molto intenso. All’inizio questo non sembrò influire sulla battaglia ma poi ci fu un crescendo di fulmini e la pioggia si trasformò in una tempesta che non consentiva una visuale superiore ai 10, 15 metri. La gente in cima alle mura pensò solo a mettersi al riparo e defluendo il più in fretta che potè. Solo la mattina seguente il tempo migliorò. Smise di piovere ed il sole si affacciò timidamente fra le nuvole. La città appariva stranamente silenziosa. Per le strade giravano poche persone e tutte si muovevano con passo celere, come se avessero intenzione di sbrigare i loro impegni in fretta per poter tornare a casa il più  presto possibile. Ilario, uscito sulla porta di casa, non vide nessun volto conosciuto e non se la sentì di chiedere informazioni ad estranei, quasi che avesse paura di ascoltare gli eventi. Non aveva una buona sensazione. Il comportamento della gente non si confaceva certo con quello di un popolo vittorioso. Rientrò in casa e si recò nel suo laboratorio, divenuto ormai per lui, una sorta di rifugio. A pranzo, Crino gli disse che in città girava voce che Paride avesse ucciso con una freccia Achille ma che a sua volta, colpito più volte da un arciere greco, fosse morto anche lui. La violenza della tempesta era stata tale, che nessuno aveva veduto distintamente cosa era accaduto nelle fasi finali dello scontro. Quella sera Antenore, nel corso della cena, non toccò cibo e non disse una parola. Teano non aveva un umore migliore. Lui rimase tutto il tempo a fissare il boccale di vino sulla tavola, davanti a lui, senza però mai toccarlo. Vistolo così turbato, nessuno ebbe il coraggio di rivolgergli la parola né tantomeno fargli delle domande. Alla fine, l’uomo si alzò ed uscì dalla stanza, seguito subito dalla moglie. A quel punto Crino disse al marito che a causa dello scontro, voluto a forza dal palazzo,  e contro il consiglio di Antenore, questi aveva perduto in battaglia tre dei suoi figli. Il maggiore, Elicaone e poi Acamante e Eurimaco. Si diceva che Achille fosse stato veramente ucciso ma che prima avesse fatto in tempo ad uccidere Troilo. Perfino i superstiti dello scontro, a causa dell’intensità della pioggia non conoscevano l’esatto andamento delle cose. Il mattino seguente la città riprese la sua vita normale, per quanto possibile. Quasi che i cittadini non volessero parlare delle guerra, esausti ed esasperati dai lutti, dalle perdite, dal quasi totale blocco degli affari e del commercio. Nemmeno alla taverna che Ilario frequentava egli potè sapere nulla. I pochi avventori parlavano a voce bassa e di argomenti banali. Perciò alla fine egli decise di tornarsene a casa, per passare un po’ di tempo con suo figlio che cresceva a vista d’occhio. Purtroppo il ragazzino, con grande dispiacere per il padre, sembrava più attratto dalle armi che dalla tessitura. Ma d’altro canto, da un bambino nato e cresciuto in un clima di guerra continua, la cosa si poteva comprendere. Due sere dopo, a cena, si presentò Eleno. Fuori della casa, ad attenderlo, erano rimasti due schiavi, con cavalli e bagaglio leggero e tutti erano vestiti con abiti da viaggio. Ilario lo invitò ad unirsi a loro ma il principe accettò solo un bicchiere di vino. Teano che era andata in visita, si offrì di mettere a letto il bambino e, così, Crino decise di rimanere, perché capiva che quella visita era motivata da qualcosa di grave e importante. Eleno non ebbe nulla da obiettare ed anzi, rivolto alla coppia, iniziò a parlare con atteggiamento molto serio e determinato:”Sono venuto a salutarvi, quali  miei ultimi ed unici amici. Ormai qui in città, gli altri mi hanno voltato le spalle o mi hanno comunque deluso. E’ strano che siate tutti e due degli stranieri ma questo la dice lunga sull’indole dei miei concittadini. Ho deciso di andarmene. Lascio Troia”.”Ma cosa dici!- esclamò Ilario incredulo – E dove andrai?”.”Come ti avevo già detto, vado sul monte Ida, a raggiungere la casa del mio fratellastro Esaco, dove sono sempre stato il benvenuto. Assieme a lui, che come sai è un potente indovino, saprò cosa il destino ha in serbo per questa città apparentemente abbandonata dagli dei”.”Ed è per questo che vai via? – chiese Crino che con il suo sottile intuito aveva capito che dietro alla decisione del principe ci doveva essere qualche altra motivazione. “No, c’è altro. – per un attimo Eleno sembrò combattuto se andarsene subito o raccontare ciò che gli gravava sull’animo. Decise di sfogarsi scegliendo quindi la seconda opzione. Si sedette e si versò un altro bicchiere di vino – Per spiegarvelo però, devo raccontarvi cosa è accaduto negli ultimi due giorni. Naturalmente, per alcune delle cose che vi dirò, mi affido alla vostra discrezione. – bevve un sorso di vino e riprese – Quando l’esercito è uscito dalle mura della città, condotto dallo spaventato Troilo, dal coraggioso Enea e dal fanatico Mennone, a capo dei suoi mercenari ittiti, era già condannato perché, come anche i ragazzini troiani sapevano, i Greci erano stati avvisati della nostre ‘sorpresa’e ci aspettavano. Alla battaglia hanno partecipato anche Paride, che vista la sua abilità con l’arco, si era unito agli arcieri e Deifobo che però era rimasto prudentemente indietro. Fin dall’inizio è stato un massacro. Achille, con i suoi Mirmidoni, ha iniziato a fare strage di tutti i nemici che si è trovato davanti. I danni erano limitati dalle truppe di Enea e dagli Ittiti che combattevano in modo magistrale. E’ stato naturalmente Troilo ad avere la peggio. Alla fine Achille l’ha individuato e subito l’ha affrontato. Alcuni soldati presenti all’episodio, hanno raccontato che Enea era a breve distanza e l’avrebbe potuto aiutare ma non ha potuto o, peggio, non ha voluto e mio fratello non ha avuto scampo”.”Non riesco a credere questo – disse Ilario – Ho conosciuto Enea e non mi sembra il tipo da fare una cosa simile”.”Come tessitore sarai il numero uno – rispose tristemente Eleno – ma come giudice di uomini, hai molto da imparare. Comunque  - riprese il racconto cambiando tono –  subito dopo, Achille, individuato Mennone è corso a sfidarlo e, dopo un breve combattimento, con un violento colpo di spada lo ha decapitato. A quel punto, le cose, per il nostro esercito hanno cominciato a mettersi veramente male.  Enea, per tentare di salvare il salvabile, ha organizzato la ritirata ma i Greci, tentando di dare un colpo definitivo alle nostre difese, hanno inseguito i nostri soldati fin sotto le mura. Questo è stato uno sbaglio madornale perché sono arrivati a tiro dei nostri micidiali arcieri. Questi hanno iniziato a bersagliare pesantemente le truppe nemiche provocando una vera strage. Paride, ha visto a portata di tiro Achille e immediatamente, con un lancio incredibile, l’ha centrato e l’ha ucciso. Purtroppo, quando è corso giù dalle mura per cercare di recuperare le armi del caduto, è stato bersagliato a sua volta dagli arcieri avversari. Ferito gravemente è stato portato di corsa a palazzo”.”Ma allora è vivo – disse Ilario – ed ha ucciso Achille. Ed ora?”.”Ed ora, nulla. Purtroppo a causa della gravità delle ferite i medici non sono riusciti ad intervenire, temendo di peggiorare la situazione e incorrendo nelle ire di Priamo. Elena, disperava piangeva e li pregava perché facessero qualcosa ma quelli avevano troppa paura. Alla fine, ieri sera, Paride è spirato e qui, la situazione è precipitata”.”Che significa, precipitata?”. Eleno riprese con grande amarezza nella voce:”Quando Elena si è resa conto di essere rimasta sola e senza protezione, si è subito recata dal re, chiedendo di poter essere accolta come sacerdotessa di Atena, per potersi dedicare al culto di Cibele, la grande madre, che aveva un tempio sul monte Ida. Priamo, ormai scosso e confuso da tutti questi eventi drammatici, stava per acconsentire, quando è giunto Deifobo che ha reclamato Elena per sé. La donna, terrorizzata, si è raccomandata al re perché le risparmiasse quella umiliazione e quella che per lei avrebbe rappresentato solo una violenza inaccettabile. A quel punto, mi sono fatto avanti io ed ho reclamato Elena per me, sia per salvarla dal destino di appartenere ad uomo come Deifobo, sia perché, non mi vergogno ad ammetterlo, ne sono stato sempre innamorato – Tacque, quasi sorpreso di aver ammesso quella cosa. “E il re? – chiese Crino che, come donna, si sentiva solidale con Elena. “Il re? – Priamo, alla fine, fra i due pretendenti , ha valutato che quello che avrebbe potuto fare ancora qualcosa per la città, era mio fratello. E l’ha concessa a lui. – un breve silenzio, condiviso da tutti – Io, - riprese – il ragazzino, l’indovino senza più reputazione, anche se i fatti mi hanno dato pienamente ragione – disse quasi con rabbia -  sono stato messo in seconda linea, invitato addirittura ad andarmene, a togliere il disturbo, ed io, lo tolgo il disturbo!”. Eleno si accalorava proseguendo nel suo racconto, quasi stesse rivivendo gli eventi di cui narrava. – Me ne vado. Non sopporto più l’atmosfera del palazzo, della mia stessa città, vi rendete conto?”. Poi, apparentemente rivolto a nessuno, aggiunse – Vieni fuori, lo so che sei lì ed hai sentito tutto!”. Quando Teano, che aveva messo a letto il bambino e che aveva preferito restare nascosta, vistasi scoperta, si affacciò alla porta, il principe le chiese a bruciapelo:”Ti rendi conto che, se tu avessi confermato le mie previsioni, tutto questo non sarebbe accaduto. Perciò è anche colpa tua quello che è successo. Io non so perché ha agito così. Tu non avevi paura come gli altri. – poi vedendo che la donna aveva preferito mantenere gli occhi bassi, diversamente da quello che era il suo carattere, continuò – Mah, alla fine farai i conti con la tua coscienza. Ormai non c’è più nulla da fare e forse non c’era nulla da fare dall’inizio e aveva ragione mia sorella”. Ilario aveva ascoltato con attenzione e coinvolgimento il racconto di Eleno ma ora aveva una domanda importante da fare al principe. “Ma secondo te – gli chiese quindi – Troia ha un futuro?”. Eleno, che sfogandosi, sembrava aver ritrovato una certa calma, rispose deciso ai presenti, guardandoli negli occhi:”No. La città è perduta. Con un re esausto e provato come Priamo, una regina che ha completamente perduto il senno, un esercito completamente sfiduciato e privo di comandanti capaci, con il commercio ridotto al minimo. Troia è finita. Anche se i Greci non riusciranno a prenderla, la città ha il tempo contato”. Detto questo, si alzò e salutò Ilario con un abbraccio. Prese commiato da Crino e uscì senza degnare Teano di uno sguardo.

                                                                                          Cap VIII^

“Allora? – chiese il genero a Teano – Che hai deciso? Hai sentito Eleno, no? La città ha comunque i giorni contati”.”Stai tranquillo – rispose la donna leggermente risentita per il tono dell’altro – so cosa devo fare”.”Non ho dubbi – rispose Ilario – ma ti ricordo che l’autunno si avvicina e non resta molto tempo per imbarcarsi. Quindi, qualsiasi cosa tu abbia deciso, fai in fretta o sarà tutto inutile”.”Non mi dire che finalmente sei diventato un uomo – lo canzonò Teano – Stai tranquillo. Te l’ho detto, so cosa fare!”.”E cioè? – incalzò il genero. “Basta così – disse brusca la sacerdotessa, riacquistando l’atteggiamento severo che assumeva quando non accettava confronti né tantomeno discussioni. – Meno ne sapete e meglio sarà. Voi tenetevi pronti ed, in modo molto discreto, preparatevi a partire e, soprattutto, fate in modo che il bambino non abbia sentore di nulla. Purtroppo i bambini tendono a parlare troppo”.”Come farai con tuo marito? – volle sapere Ilario – E poi i contatti li devo tenere io”.”Mio marito à affar mio, anche se devo ammettere che gli ultimi eventi mi hanno spianato la strada con lui. Per i contatti, ora che mi hai detto chi è l’intermediario, ci penserò direttamente io. E questo è quanto!”.Ciò detto, si alzò e, riacquistato il suo atteggiamento rigido e controllato, se ne andò. I due giovani rimasero in silenzio, sicuri che la donna avrebbe organizzato le cose nel modo più opportuno. Ormai Ilario aveva cessato praticamente di lavorare. In quel momento gli affari ristagnavano ed il danaro aveva quasi smesso di circolare e, probabilmente, facendosi condizionare dall’atmosfera che lo circondava, anche lui aveva perso l’entusiasmo per il suo lavoro e sentiva di non avere più il desiderio né la capacità di pensare a cose nuove. Non avendo problemi di danaro, preferiva trascorrere più tempo possibile in famiglia, dedicando molto tempo al figlioletto che ne era molto felice. Gli sarebbe piaciuto molto potergli dire che presto avrebbe potuto conoscere gli altri suoi nonni ma, giustamente, non poteva fidarsi. Sarebbe comunque stata una bella sorpresa, da ambo le parti. Nel pomeriggio, poi, spesso passava alla solita taverna vicina a casa, più che altro per ascoltare le chiacchiere della gente. Fu lì che sentì dire che la guerra forse avrebbe potuto avere una svolta perché Agamennone aveva perduto un altro dei suoi validi generali. Uno di quei pochi ancora vivi, Aiace Telamonio, si era tolto la vita. Le voci dicevano che avesse agito per rabbia e disperazione, dopo che Agamennone aveva preferito consegnare le armi di Achille a Ulisse, piuttosto che a lui. Inoltre si diceva che Nestore, uno dei più validi consiglieri del re Greco, devastato dalla morte di suo figlio Antiloco, avvenuta nel corso dell’ultima battaglia, avesse deciso di lasciare il campo per andarsi a consolare a casa. Mentre tornava a casa, ragionando su quanto aveva saputo, fu afferrato violentemente per un braccio e, con un violento strattone venne attirato all’interno di un magazzino, lontano dalla vista della gente. Un uomo, molto robusto e determinato, coperto da un lungo mantello e con un cappuccio che gli nascondeva il viso, lo teneva inchiodato al muro, tenendolo saldamente per la gola e minacciandolo contemporaneamente con un lungo pugnale. Un altro uomo molto simile all’aggressore, era rimasto sulla porta, per controllare che nessuno si accorgesse di quanto stava accadendo. Appena l’uomo incappucciato aprì bocca, Ilario capì subito che era un Greco. “Sappiamo che hai parlato con tua suocera, ma ora dille che non c’è più tempo. Ci serve il piano per procedere, subito, hai capito”Il tono del Greco faceva intendere che non scherzava affatto. “Mi dispiace – rispose Ilario che aveva riacquistato un minimo di controllo – ma mia suocera ha detto che ha pensato già a tutto lei e che, però, vuole trattare lei stessa con voi e per informarvi circa la procedura. A me non ha voluto dire nulla. Quindi dovete parlare direttamente con lei”.”Va bene, allora è quello che faremo. Augurati che quello che ci hai detto sia vero, altrimenti pagherete tu e la tua famiglia”. Il Greco sospinse violentemente a terra il suo prigioniero e poi, veloce come era apparso, scomparve assieme al suo compagno. L’uomo si rialzò e uscì di nuovo in strada. Si stava riprendendo e, apparentemente, nessuno si era accorto di ciò che era accaduto. Vista la gravità della situazione, Ilario ritenne di andare a parlare immediatamente con sua suocera. Giunto al tempio, rimase sorpreso dal ridotto numero di soldati a guardia. Nessuno dei sacerdoti era presente. Strano, almeno per Cassandra in quanto, dopo la partenza di Eleno si era trasferita in modo permanente nel tempio. Solo un giovane aspirante era presente, con l’importante incarico di sorvegliare il fuoco sacro alla dea, posto davanti al Palladio. Assurdo. Quello era un incarico di prestigio riservato esclusivamente ai sacerdoti anziani. Va bene la situazione di tristezza e confusione che aleggiava in città, ma l’importante struttura sembrava abbandonata a sé stessa. A meno che Teano non avesse già cominciato ad attuare la sua strategia. A quel punto, corse a casa dei suoceri. Fu fatto entrare immediatamente e la suocera lo condusse in una saletta riservata dove non li avrebbe ascoltati nessuno. Ilario, entrando,  aveva visto di sfuggita Antenore. Era seduto, in silenzio, nel giardino, con lo sguardo perso nel nulla. Aveva ricevuto forse troppi colpi. Praticamente cacciato dal palazzo, aveva perduto nell’ultima battaglia 3 figli. In tutto, quella guerra, gliene aveva portati via cinque. Era ormai distaccato praticamente da tutto. Teano avrebbe ormai facilmente potuto convincerlo a fargli fare ciò che voleva. Ilario informò la suocera di quanto gli era accaduto e lei gli rispose che non solo aveva accettato la proposta ma che aveva iniziato già ad applicare il suo piano. Entrare in città è facile, l’hai sperimentato a tue spese. Aver gioco dei soldati che presidiano il tempio in numero molto ridotto, non sarebbe stato difficile. Il pericolo maggiore sarebbe stato rappresentato dai sacerdoti che, al primo segnale avrebbero fatto scattare un allarme che avrebbe richiamato un forte contingente di soldati alloggiati a breve distanza e normalmente preposti alla sorveglianza della reggia”.”Che hai fatto con loro – chiese curioso il genero  che poco prima non ne aveva visto nessuno. “Ho dato a Cassandra l’impegno di assistere Ecuba, a palazzo. Fra pazzi ci intende e, quindi, era la scelta giusta. Ho inviato Lacoonte nella vicina città di Arta, a due giorni di viaggio ad est, a prelevare il nuovo abito per la statua della dea. La cerimonia, per il cambio dell’abito,come sai bene, avviene ogni anno all’inizio dell’autunno, ossia fra pochi giorni. Per tradizione, da tempo immemorabile, sono gli artigiani di quella città che hanno questo pregiato incarico. Le reverende madri sono completamente assorbite dai riti funebri per i caduti dell’ultima battaglia e, pertanto, sono alloggiate per comodità in una struttura vicino alle mura esterne della città”.”Ma Lacoonte non ha sospettato nulla – chiese Ilario – Perché questo compito, di solito è svolto da un gruppo di reverende madri”.”Lacoonte ha due figli piccoli, Antifate e Timbrio che sono la luce dei suoi occhi. E’ bastato prospettargli che la dea avrebbe preso come un affronto il suo rifiuto di portare a termine l’incarico e che, magari, avrebbe potuto vendicarsi contro qualcuno che gli era caro. Per cui, senza fare più obiezioni è partito stamattina. Per concludere, Eleno, come ben sappiamo, se ne è andato di sua spontanea volontà”. “Quindi, se ho ben capito, pochi soldati si troveranno all’improvviso a combattere contro un nutrito e agguerrito gruppo di Greci che, naturalmente, li uccideranno tutti e uccideranno quel povero ragazzo che hai lasciato a sorvegliare il fuoco sacro e al quale, è chiaro, avrai pensato bene di non dire come dare l’allarme. Povero disgraziato – disse Ilario con tono piuttosto aspro – Ti avevo giudicata bene fin dall’inizio. Non ti fermi davanti a nulla”.”Sto cercando di salvare la mia famiglia !  – rispose la donna – O almeno quello che ne rimane. Mio marito, prima che questa città lo distrugga definitivamente, i miei figli ancora vivi, mio nipote e pure te, se non lo hai considerato. Perciò non ti permettere più di darmi lezioni oppure, sul tuo conto, potrei avere ripensamenti”.”Ma allora è una cosa che avverrà presto. Dovremo prepararci!”. Stasera stessa, i Greci conosceranno il piano. Noi dovremo partire mentre l’azione sarà in corso. Non posso rischiare di farmi trovare qui , dopo,  perché si capirà immediatamente che dietro a tutto ciò c’ero io. Perciò dillo anche a tua moglie. Stare pronti perché, da domani stesso, potremo doverci muovere in fretta”. Ilario, sapendo che con la suocera non si scherzava, si sbrigò a tornare a casa per avvisare la moglie che però, apparentemente era già al corrente di tutto. Mentre Crino finiva di occuparsi delle cose della casa, lui si recò al laboratorio per recuperare l’essenziale che voleva portare via. Era difficile e doloroso fare una cernita. Avrebbe portato via naturalmente tutti i suoi attrezzi, realizzati nell’arco di quei dieci anni, per ottenere risultati sempre più soddisfacenti e sofisticati. Li mise in una sacca che lasciò, per il momento, sotto il banco da lavoro. Raccolse tutto il metallo prezioso e le pietre che  usava per abbellire i suoi lavori e li mise in un’altra sacca ma poi, pensò che quelli sarebbero stati meglio insieme al denaro e ai preziosi che Crino aveva messo in un’altra bisaccia e che avrebbero consentito loro una vita più che agiata, una volta che fossero arrivati dove avrebbero deciso di stabilirsi dopo la fuga. Perciò si sbrigò a portarle quanto raccolto e vide che la donna aveva preparato già tutto quello che riteneva indispensabile. Un cambio d’abito, poca biancheria essenziale e poche altre cose necessarie nell’immediato. Erano costretti a lasciare tutto il resto. Crino, che fino a quel momento si era trattenuta, all’improvviso, iniziò a piangere e abbracciò stretto il marito. Era tristissima e sembrava disperata. Il marito cercò di farle coraggio, dicendole:”Su, consolati, il nostro sacrificio ci ripagherà più che sufficientemente per ciò che dobbiamo lasciarci dietro. Andiamo verso una nuova vita, gente nuova, nuove possibilità. Lasciamoci dietro questa città che sta morendo”. “Hai ragione rispose la ragazza, cercando di non piangere – Ma è per la nostra casa. Dieci anni di ricordi, di sogni, le cose comprate insieme, i nostri mobili”.”Nulla che non si possa ricomprare o ricostruire. Grazie al mio lavoro ed alla tua abilità negli affari, siamo ricchi. Te lo ricordi?. Sarà un nuovo inizio. Ricostruiremo la nostra casa dove meglio ci parrà e questa volta sarà per sempre”.”Speriamo – rispose Crino con voce stanca – Speriamo di trovare un posto dove vivere in pace e crescere nostro figlio, in qualche luogo lontano dalla guerra, dalla violenza”. Dopo cena,  Teano fece sapere loro che la partenza era prevista per la sera successiva. Quella sarebbe stata quindi l’ultima notte trascorsa in quella casa. Naturalmente non riuscirono a chiudere occhio e la trascorsero abbracciati, cercando di consolarsi a vicenda e scambiandosi ricordi. La mattina seguente, Ilario dovette comunque aprire il laboratorio per non dare nell’occhio. A pranzo, non mangiarono quasi nulla. Anche il piccolo Anteo, che pure non sapeva nulla, era stato in qualche modo contagiato dall’atmosfera di tensione che aleggiava attorno a lui e, contrariamente al solito, appariva estremamente silenzioso. Quella notte, appena fosse tramontata la luna, tutto avrebbe avuto inizio. Per quanto riguardava loro, un carro coperto sarebbe passato davanti alle loro case ed essi sarebbero dovuti salire in fretta con il  bagaglio. Il carro sarebbe stato guidato da due Greci ed un altro sarebbe stato con loro nel cassone per la loro sicurezza. Giunti alla porta Dardanica, delle guardie opportunamente istruite, li avrebbero fatti passare senza creare problemi. Dopo una frugalissima cena, Ilario e la moglie si misero ad attendere l’arrivo del carro, seduti appena dietro l’uscio di casa, mano nella mano, per farsi forza a vicenda. Il piccolo Anteo giovava accanto a loro con dei pupazzetti di legno che il padre gli aveva intagliato. Poi, nel silenzio, un suono di zoccoli risuonò per la strada. Ilario si affacciò alla porta proprio mentre il carro si fermava accanto a lui. Era uno di quelli grandi, usato normalmente per il trasporto della verdura e della frutta. Il ragazzo notò che però, diversamente dal solito, era trainato da cavalli, sei in tutto, piuttosto che dai soliti buoi. Probabilmente si voleva essere sicuri che, alla bisogna, si potesse procedere velocemente. A cassetta due uomini con mantello e cappuccio sulla testa. Una sola lanterna dal lato del guidatore, faceva a malapena intravedere i conducenti. Il cassone aveva una copertura rialzata, riparata con un pesante telone perché non si vedesse cosa trasportava. L’uomo accanto al conducente balzò a terra e, dopo aver abbassato la ribalta posteriore del carro,  andò ad aiutare i nuovi passeggeri a salire e, per velocizzare le operazioni, si caricò in spalla parte del carico. Facendo questo, il suo mantello si aprì per un attimo ed Ilario notò, con una certa apprensione, che quello era un soldato greco armato di tutto punto. Questo voleva dire che i suoi compagni, in quel momento erano già in città e, forse, in quello stesso istante, stavano rubando la statua. Se quello era vero, sarebbe potuto scattare l’allarme da un momento all’altro, qualcosa sarebbe potuto andare storto e loro sarebbero stati catturati ed avrebbero pagato per il loro tradimento. Fu Crino che, notato il momento di difficoltà del marito, gli strinse forte il braccio e gli disse con voce tagliente:”Smetti di avere paura, andrà tutto bene. Fra una mezz’ora saremo già tutti lontani da qui e poi Anteo ti sta guardando, quindi stai tranquillo”. Ilario, colpito dalle parole della moglie che ebbero l’effetto di una doccia fredda, si calmò e dopo aver caricato sul carro il piccolo Anteo e dopo aver aiutato la moglie a salire, si issò a sua volta. Per una attimo aveva rivisto la Crino che aveva conosciuto al suo arrivo in città, forte, cinica, sprezzante. Quella parte di lei, quindi era sempre là. Ed ora, dopo il suo smarrimento, cosa avrebbe pensato di lui? Lo avrebbe stimato ancora , soprattutto, l’avrebbe amato ancora? All’interno, alla luce di una piccola lanterna ad olio, vide alcune persone sedute sulle panche ai lati del cassone. Quelle in fondo erano Teano ed Antenore. Questi sembrava una statua di sale, pallido, assente, di certo combattuto fra la sua rabbia per essere stato cacciato dal palazzo e l’enormità di quel fatto, di cui si era reso complice. Aveva speso per la sua città tutta la sua vita ed aveva dato la vita di 5 dei suoi figli. Alla fine, aveva ceduto anche lui. Accanto a Teano, sedeva la sua schiava personale, Diane, che l’aveva seguita, fin da quando la sua padrona si era rifugiata a Troia. Completavano il gruppo due giovani, Glauco e Archelogo, due dei figli più giovani della coppia. Il carro si mosse e riprese  il suo viaggio discreto verso le mura della città. Ilario, dal suo posto, accanto all’apertura posteriore del telone, osservava le vie della città che non avrebbe più rivisto. La gente che silenziosa si muoveva accanto alle pareti delle case. Fra poco avrebbero raggiunto la porta Dardanica e poi, da lì, finalmente,via verso la libertà. Sarebbe tornato a casa, avrebbe rivisto la sua famiglia. Avrebbe mostrato al padre i suoi progressi ed i suoi nuovi attrezzi. “I  miei attrezzi! – esclamò il ragazzo – sono rimasti al laboratorio! – poi, rivolto al conducente – Ferma! Ferma!”.”Che succede? – domandò uno dei due a cassetta con voce rabbiosa – Che avete? Non abbiamo tempo per nulla. Dobbiamo muoverci”. “Ma io debbo tornare al mio laboratorio! Ci vorranno dieci minuti. “Il nostro capo è stato chiaro – disse il Greco con tono che non ammetteva repliche – Nessuna sosta, per nessun motivo, o non è garantita la vostra incolumità. Non possiamo controllare la porta della città per tanto tempo”. “E va bene – disse Ilario dopo aver riflettuto un momento – Scendo e vado a piedi. Per il ritorno, passando per i vicoli del mercato, sarò alla porta Dardanica prima di voi”. Fece per scendere ma Crino lo trattenne per un braccio. “Ilario, non fare sciocchezze! Non andare. Siamo così vicini alla salvezza, alla libertà!”.”Stai tranquilla – rispose lui – ci rivedremo prestissimo”.”Lascialo andare – disse Teano con voce tagliente – Se preferisce i suoi dannati attrezzi alla sua famiglia, è affar suo. Tanto – aggiunse – non è mai stato uno di noi!”.”Vecchia strega – disse il ragazzo fra i denti – fino all’ultimo!”. Dette un bacio veloce sulla guancia ad Anteo ed alla moglie e, rapido, scostato il telone, si lasciò scivolare al suolo. Il conducente gli ripetè: “Ricordati, niente soste. Se non sei alla porta quando arriviamo noi, resti qui”. Ilario guardò per un attimo il carro allontanarsi. Non procedeva veloce per non dare nell’occhio. Il laboratorio era ancora vicino, lui sapeva di preciso dove cercare,  conosceva i vicoli del mercato come le sue tasche ed il carro, per arrivare alla porta doveva compiere un ampio giro che richiedeva tempo. Non c’era problema, ce l’avrebbe fatta con ampio margine. In pochi minuti fu al laboratorio ma qui, lo aspettava una sorpresa. La porta che lui aveva lasciato ben chiusa, ora era accostata. “Cos’è questa storia – si chiese – dei ladri, forse. Ma proprio stasera!”. Cautamente entrò e subito avvertì dei rumori provenienti dal piccolo magazzino. La debole luce di una lampada, illuminava la scena. Qualcuno, coperto da un mantello, stava frugando nelle casse e sugli scaffali e già aveva preso della merce, accumulandola accanto a sé. Ilario riconobbe le pezze dei tessuti pregiati. Una piccola fortuna che aveva dovuto scegliere di abbandonare. Prima di rendersi conto di cosa stava facendo, esclamò:”Pezzo di farabutto! Chi sei? Che stai facendo?”. L’altro, indubbiamente sorpreso, immediatamente si immobilizzò. Poi, lentamente, prese a girarsi ma con il cappuccio sempre abbassato in modo da rimanere irriconoscibile.  Quando però, alla luce della lampada, l’intruso riconobbe colui che l’aveva sorpreso, con voce allegra, esclamò:”Non posso crederci! Gli dei hanno esaudito le mie preghiere. Tu! L’origine di tutti i miei guai. Il buzzurro! Ora, proprio davanti a me!”. Ilario non aveva riconosciuto la voce ma ricordava colui che l’aveva sempre indicato con quell’appellativo ed ora era lì, davanti a lui. Di certo, una persona pericolosa. “Tassos! – esclamò – Ma come sei qui? Sapevo che eri fuggito con un bel po’ del denaro dei miei suoceri. Sei sempre stato un ladro e  un farabutto. Mia suocera ti ha fatto cercare dappertutto  mai senza nessun risultato ed alla fine eravamo convinti che fossi morto”.”Fuggito? – rispose l’altro con atteggiamento molto alterato – Dopo che tu hai messo in dubbio la mia fedeltà e la mia lealtà verso Teano, quella strega ha effettivamente concluso che sapevo troppo ed ha prudentemente dato ordine di farmi sparire con discrezione nello Scamandro. Per fortuna, sono stato avvisato in tempo e mi sono potuto salvare”.”Certo, ma non prima di aver rubato una discreta quantità di monete d’oro, da quel ladro che sei”.”Io non sono un ladro! – disse l’altro che si stava veramente infuriando – Sono un alto dignitario di corte che un re, vigliacco e disonesto, ha dato in ostaggio a Priamo a garanzia di un pegno che poi non ha rispettato. Io sono finito all’asta degli schiavi! Capisci?”.”Magari il tuo re, conoscendoti bene, ha solo voluto semplicemente liberarsi di te – rispose sarcastico il ragazzo. “Taci! – ribattè l’altro sempre più arrabbiato – Tu non sai cosa ho dovuto fare per sopravvivere in questi anni. Alla fine, ho dovuto accettare di lavorare perfino per i Greci, come spia, vestito da straccione e vagando nella città esterna, per non farmi notare. Così ho saputo del vostro imbroglio ed ora sono qui, per prendere tutto quello che posso dalle vostre case a titolo di risarcimento”.”E non hai perso tempo, carogna – gli rispose disgustato il ragazzo. “Cero che no – rispose l’altro – quando si saprà quello che avete fatto, qui brulicherà di soldati e allora saranno loro a prendersi tutto”.”Dovrei prenderti a calci e strozzarti – rispose Ilario – ma non mi ci voglio nemmeno sporcare le mani con te. Tanto, per il male che hai fatto, gli dei ti puniranno comunque”. Seppure furioso sapendo che il frutto del suo lavoro stava finendo nelle mani di quel mascalzone, era consapevole di avere cose ben più importanti da fare. Perciò, si girò e prese la sacca dei suoi attrezzi da sotto il bancone, dove l’aveva lasciata il giorno prima e fece per andarsene ma prima si girò un’ultima volta verso Tassos e, con grande amarezza gli disse:”L’avevo detto appena ti ho visto che eri un poco di buono, altro che un dignitario. Una vecchia baldracca al massimo. Vado via, invece di fartela pagare, solo perché io, a differenza tua, ho una vita davanti. Che tutti i soldi che ruberai ti vadano per traverso, ladro miserabile”. Poi si voltò e si diresse verso l’uscita del negozio con l’unico pensiero di raggiungere la sua famiglia. Tassos, a sentire le parole dell’altro, era rimasto letteralmente immobilizzato dalla rabbia, quasi avesse ricevuto un tremendo schiaffo ma, subito dopo, quando Ilario si voltò, estrasse il suo pugnale e con un balzo inaspettato, glie lo immerse nella schiena fino all’impugnatura. “Tu non te ne vai, buzzurro. Tu non hai nessuna vita davanti, perché me la prendo io – gli soffiò l’ex schiavo nell’orecchio mentre l’altro, immobilizzato dal dolore era ancora in piedi – Sarai tu a finire nello Scamandro e nessuno saprà mai che fine hai fatto”. Poi estrasse il pugnale e lasciò che il ragazzo si accasciasse lentamente a terra, mentre perdeva una grande quantità di sangue e, come se niente fosse, tornò a fare la cernita della refurtiva da portarsi via, sapendo di non avere molto tempo a disposizione per compiere tutto quello che aveva stabilito di fare quella notte. Ilario era rimasto sul momento privo di fiato per il dolore lancinante che aveva provato ed ora, riverso al suolo, stava realizzando quello che accadeva. Stava morendo. L’enormità della cosa lo travolse e lo privò di ogni energia. Crino, Anteo, la sua famiglia. Non avrebbe veduto più nessuno. Stava lasciandosi andare, mentre una pozza di sangue si allargava sotto di lui. Poi, ebbe un pensiero, un’intuizione. Con le poche forze che gli restavano, si girò faticosamente su un fianco, si strappò dal collo la catenina che la madre gli aveva regalato e che aveva sempre portato con sè per tutti quegli anni. Sollevò la catenina verso l’alto, stendendo il braccio per quanto poteva e guardando il cielo, cominciò ad implorare:”Riportami a casa! – e di nuovo – Riportami a casa! – e ancora, con voce sempre più debole…..

Ora, improvvisamente la visuale cambiò. L’osservatore vedeva Ilario dall’alto. Il ragazzo lo guardava a sua volta, tendendogli il piccolo monile e ripetendo la sua accorata richiesta. Poi la scena si allontanò. Tutto rimpicciolì. Il ferito, la casa, la città, poi, più nulla…

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Capitolo 3
*** Parte terza e conclusione ***


                                                                           Parte III – Conclusione 

                                                                                        Cap IX^

Emanuele riprese conoscenza mentre, molte persone attorno a lui, dopo averlo girato in posizione supina, cercavano di capire cosa gli fosse successo. Un uomo, inginocchiato accanto , gli aveva sollevato la testa e, notando sulla fronte il segno di una seria contusione con del sangue, chiese un po’ d’acqua ai presenti. Subito una ragazza gli si accostò per farlo bere dalla sua borraccia, mentre una signora di mezz’età gli si avvicinò e, rapida, gli passò sotto le narici un tamponcino, imbevuto di sali ammoniacali, che gli fece l’effetto di una bastonata. L’uomo, dopo aver allontanato con gesto deciso la mano della donna, gli chiese:”Come state? Mi sentite? – e avendo notato che aveva gli occhi aperti, di nuovo gli chiese – Mi capite?”. Il ragazzo non capiva dov’era. Ora era giorno. Doveva essere rimasto sul pavimento per tutta la notte. Ma perché non era morto, si chiedeva. Qualcuno doveva averlo trascinato all’aperto. Cosa era successo a Crino ed al piccolo Anteo? A quell’ora, se i Greci erano stati di parola, dovevano essere già lontani ed in salvo, grazie agli Dei, perché di li a poco sarebbero arrivati soldati di Priamo. La vista gli tornò a fuoco ma ciò non lo rassicurò affatto. Attorno a lui era tutto distrutto, in rovina. E poi, come era vestita quella gente e lui era Ilario…. Emanuele. Chi era? La mente non resse  a quel fiume di domande ed il ragazzo di nuovo piombò in uno stato di incoscienza. Quando rinvenne, riprese i sensi lentamente. Non riusciva ad aprire gli occhi. La testa gli martellava in un modo terribile. Sentiva anche un forte dolore dove Tassos l’aveva colpito a tradimento. Ma se era ancora vivo, allora qualcuno doveva averlo curato.  Forse addirittura Crino che era tornata indietro a cercarlo. Ma allora erano in pericolo! Dovevano scappare! Aprì gli occhi. Seppure in penombra, riconobbe una stanza d’ospedale. Un tubicino, attaccato ad una flebo, gli iniettava del liquido nell’incavo del braccio destro. L’ambiente, tutto bianco, dava l’idea di una assoluta pulizia. Nella stanza c’era un altro letto che però’ in quel momento non era occupato. Emanuele, molto confuso, continuò a guardarsi attorno. Sul soffitto c’erano delle luci al neon che però in quel momento erano spente. Sul suo comodino erano stati posti una bottiglia d’acqua ancora chiusa, un pacchetto di fazzoletti ed un bicchiere di plastica. Le veneziane alla finestra erano posizionate per far entrare un po’ di luce ma non permettevano di vedere l’esterno. Riconosceva quegli oggetti. Era caduto, ora ricordava. No! Era stato pugnalato alla schiena e ricordava distintamente la sensazione della morte. Tutto quell’ambiente, le cose attorno a lui, gli erano familiari ma, al contempo, stridevano con ciò che lui era in quel momento. E iniziò ad urlare. Quasi immediatamente si aprì la porta della stanza ed entrò una infermiera anziana e corpulenta che si preparava a tenere fermo il paziente ma si accorse che il ragazzo non dava in escandescenze e si limitava ad urlare, con lo sguardo fisso verso il soffitto, ma le sue grida erano terribili e si sentivano per quasi tutto il piano. Chiamò allora il dottore che giunse, anche lui di corsa, malgrado l’età avanzata, con una siringa già pronta in mano. Velocemente e con grande esperienza iniettò il liquido nel braccio del paziente che quasi immediatamente piombò in un sonno profondo. “Povero ragazzo – disse l’infermiera ricomponendosi – Non sembra pericoloso ma quando ha queste crisi, dà l’idea di soffrire in modo terribile”.”Non sono le sue ferite – osservò il dottore – C’è qualcosa nella sua mente. Un trauma terribile, magari vissuto nel suo passato che ha trovato la strada per tornare in superficie, dopo essere stato sopito per tanto tempo. Chissà. Solo il tempo, temo, lo potrà aiutare”. Il giorno seguente il ragazzo si svegliò sereno. Sapeva esattamente dove si trovava. Ricordava il suo nome ed il motivo della sua presenza in quel luogo. Aveva sognato tutto, non c’erano dubbi. Il lungo e intenso impegno dello studio della sua materia, certamente l’avevano condizionato e avevano contribuito a scatenare quella strana reazione. C’era però il problema del profondo amore che provava nei confronti di Crino, che gli mancava terribilmente, come gli mancavano gli abbracci del piccolo Anteo a cui aveva augurato la buonanotte con un bacio sulla fronte solo pochi giorni prima. Iniziò a provare un’emozione intensa, un vero magone che lo faceva stare davvero male e che gli scatenò una crisi di pianto per il profondo senso di perdita che stava provando. Doveva uscirne. Prima, però, doveva uscire da lì e magari tornare in Italia dove avrebbe chiesto aiuto al suo dottore che lo seguiva e lo conosceva da molti anni e che, certamente, avrebbe trovato una soluzione. Temeva che se qualcuno all’interno del’ospedale, avesse intuito i suoi problemi, avrebbe potuto richiedere un accertamento e trattenerlo all’interno della struttura.  Cercò quindi di apparire più tranquillo possibile per cui, dopo un paio di giorni, fu messo in dimissione. Il dottore che lo aveva seguito, però, espletate tutte le pratiche, gli consigliò, confidenzialmente, di cercare qualcuno che lo potesse aiutare in modo efficace perché era evidente che, dal punto di vista fisico era tutto in ordine, non così era per il lato emotivo. Il ragazzo ringraziò per il consiglio e fu accompagnato da un infermiere in un ufficio dove gli vennero riconsegnati gli effetti personali che un agente, piuttosto scrupoloso, aveva provveduto a mettere al sicuro al momento del ricovero. Indossò i suoi abiti, un pantalone ed una maglietta , notando un piccolo strappo sul ginocchio destro del pantalone e alcune gocce di sangue sulla maglietta. Poi, l’agente gli consegnò un’altra busta, in cui erano stati custoditi gli oggetti di valore e che Emanuele svuotò sul tavolo per avere una visione d’insieme. Apparentemente c’e tutto. Il suo orologio, l’ anello con la corniola, il portafoglio con il denaro e… la catenina che gli aveva regalato sua madre al momento di lasciare l’isola. No!La catenina di Ilario, non la sua. Fu preso da uno strano senso, fra la disperazione ed il panico. Quell’incubo non aveva fine e lui non riusciva ad uscirne. Ricominciava tutto daccapo. Si portò le mani alle tempie e, chiusi gli occhi, cercò di superare quella tensione terribile che gli faceva sentire la mente stretta in una morsa. Fu richiamato alla realtà dal fatto che l’agente, vistolo in difficoltà, lo aveva preso per un braccio temendo che potesse venir meno e gli chiese come stesse. “Io sto bene riuscì a dire Emanuele – ma questa catenina ? – chiese indicando l’oggetto sul piano del tavolo. “Quella l’avevate al collo quando siete stato portato qui. La chiusura è rotta, è vero ma vi assicuro che non sono stato io. Magari, quando vi hanno rialzato lì, alle rovine. Ci tenete molto? ”.”Si – rispose esitante il ragazzo – E’ il ricordo di qualcuno che….. che non c’è più”. Lasciò l’ospedale e rifiutò il taxi. Voleva camminare, anche se non si sentiva molto in forma. I giorni terribili passati a letto. La confusione nella testa ed ora, quella benedetta catenina. Quanto sarebbe durata quella storia e come sarebbe andata a finire? Lui, Emanuele, lo studente, con a sua vita tranquilla e normale e poi, insieme Ilario con tutte le sue esperienze di vita e quel finale drammatico. Ma chi era lui adesso? Arrivato al suo albergo, si sedette al tavolo del bar ed ordinò un caffè. Si fece portare anche una penna e dei fogli per scrivere ed iniziò a prendere appunti circa gli interrogativi principali che quella storia gli poneva. Aveva prima pensato ad un sogno, per quanto reale, intenso, ma ora… quella catenina . E poi ricordava i suoni, la lingua troiana parlata correntemente che lui, in passato,  aveva letto ma non aveva mai sentito. Ricordava il sapore dei cibi e poi, arrivò all’improvviso il ricordo della formula segreta del colore rosso di Asha. Era un sogno anche quello? Pensò che non aveva assistito alla fase finale della guerra ma, forse, quello poteva essere un bene. Visto come erano andate le cose, se fosse rimasto, sarebbe stato quasi certamente ucciso lo stesso e, magari, avrebbe visto uccidere la sua famiglia. Ebbe un profondo brivido. La sua famiglia. Ma che si sapeva di loro? Ce l’avevano fatta a fuggire? La storia che conosceva, riportava che Teano ed il marito  erano realmente fuggiti e si erano rifugiati, in un primo momento, in un territorio chiamato, all’epoca,  Enetica, corrispondente al sud dell’Albania. Dopo un paio d’anni, però, furono raggiunti da Enea, seguito da diversi superstiti della città di Troia, che li convinse ad unirsi a loro, raggiungendo il nord dell’Italia dove, secondo lo storico romano Servio Mario Onorato, decisero di fermarsi e fondarono la città di Antenorea che assunse in seguito il nome di Padova. Di Crino invece non si sapeva nulla. In realtà, lui non aveva mai dato peso alla cosa, ritenendolo un personaggio più che marginale ma ora, evidentemente, diventava un caso personale. Forse dopo la fuga, la ragazza aveva pensato di far conoscere il bambino ai nonni. Possibile. E se se sua madre avesse conosciuto il piccolo Anteo, avrebbe potuto convincere Crino a restare con loro, tanto non avrebbe avuto altri posti dove andare. Lì avrebbe trovato quanto di più simile ad una famiglia potesse avere. Provò una forte strana sensazione. Quelle due donne non appartenevano alla sua vita ma visualizzare la scena del loro incontro lo fece sentire molto coinvolto. Quella notte , per dormire qualche ora, dovette prendere una dose di calmante doppia rispetto a quella che gli era stata prescritta in ospedale. Non funzionò granchè e la mattina si sentiva un vero straccio. Comunque alle 8.30 era davanti alle porte del sito archeologico di Troia. Come appariva incredibile quella grande città, solo pochi giorni prima imponente e maestosa, ridotta ora ad un misero mucchio di rovine. Riusciva ad orientarsi ma era molto difficile riconoscere i posti dove aveva  trascorso dieci anni. Anche ammesso che quello che aveva vissuto fosse stato vero e non un parto della sua mente in seguito al trauma, egli sapeva che sulla città di Priamo , erano stato costruiti almeno altri quattro insediamenti. Alcuni punti erano individuabili. La zona del tempio, parte delle mura, la zona della porta Dardanica, resti della filanda che però erano stati indicati come ruderi di magazzini. Ogni angolo, ogni luogo gli rimandava un ricordo, una voce, un’emozione. Mentre tentava disperatamente di tenere testa a quella tempesta  di sensazioni,  Emanuele/Ilario, andò dove poteva vedere bene il mare. Gli apparve l’accampamento dei Greci, pieno di vita e attività, con le navi tirate in secca sulla spiaggia. Il fossato con la palizzata, il campo dei Mirmidoni, con Achille. Rivide la battaglia, con migliaia di soldati che combattevano all’ultimo sangue, ognuno per la propria fazione. Udiva le grida, il frastuono, sentiva gli odori, provando un coinvolgimento estremo e terribile e poi, fu silenzio. Tutto era scomparso. Gli eroi erano morti, la città distrutta e lui, era lì, con il fiato corto e gli occhi ancora sbarrati, a fissare il mare. Si lasciò andare a sedere su un masso che era stato parte delle mura accanto alle porte Scee. Ora che avrebbe dovuto fare? Non riusciva a concentrarsi, non capiva. Quella cosa non poteva essere accaduta solo per farlo stare male. Poi, quasi senza accorgersi, la sua mano destra andò al taschino della camicia e ne trasse la catenina. Stette ad osservarla a lungo. Quella doveva essere la chiave. Ma, intanto, perché ce l’aveva lui? Poi gli tornò in mente ciò che stava facendo Ilario appena prima di morire. Si era strappato dal collo il piccolo monile e sollevandolo al cielo, chiedeva di essere riportato a casa. Cosa intendeva? E se…? Gli venne un’idea che si fece sempre più assillante e che , con il passare del tempo, si convinse essere la giusta soluzione. Stranamente in quel frangente, Ilario taceva. Emanuele prese alla fine la sua decisione. Non aveva nulla da perdere, in fondo, e magari avrebbe trovato altre risposte. Quella notte dormì di nuovo assai poco ma non volle prendere calmanti perché l’indomani, per portare a buon fine il suo piano, avrebbe dovuto essere più sveglio che mai. La mattina seguente, si fece portare da un taxi al vicino porticciolo di Yenicoy Limani , come gli era stato consigliato in albergo. Era una piccola installazione, senza pretese, frequentata da alcuni diportisti ma la maggior parte delle imbarcazioni erano pescherecci del luogo. Le barche erano di diverse dimensioni e in diverse condizioni. Passeggiando lungo il molo, con aria apparentemente distratta, in realtà Emanuele si fece un’idea della situazione dei natanti, valutando quelli che potevano fare al caso suo. Decise di usare una strategia che gli era stata utile in altre occasioni simili. Attaccò discorso, come per caso, con una vecchio pescatore che, seduto su una cassa, intento a riparare una rete, in realtà non l’aveva perduto d’occhio da quando era sceso dal taxi. Parlando un greco estremamente stentato e dicendosi straniero, chiese all’uomo se era possibile affittare una barca. Quello, ostentando una grande sicurezza e competenza, gli indicò due barche in discrete condizioni. Erano di amici suoi che, solo perché lo mandava lui, gli avrebbero fatto un prezzo speciale, ossia 500 euro al giorno, vitto e bevande escluse. Il ragazzo, non battè ciglio e ringraziò per le informazioni. Accomiatandosi, fece scivolare nelle mani dell’uomo un biglietto da 10 euro. Quello lo guardò leggermente deluso ma poi pensò al premio che gli avrebbe corrisposto il capitano della barca eventualmente affittata dallo straniero. Emanuele percorse di nuovo il molo, evitando le barche che gli erano state consigliate. Erano di certo ‘trappole per turisti’ ed una di loro non appariva nemmeno in buone condizioni. Fu invece attratto da un piccolo peschereccio attraccato quasi in fondo alla banchina. Un robusto uomo di mezz’età, che indossava soltanto un paio di stinti pantaloncini, stava lavando il ponte con delle secchiate d’acqua ed uno spazzolone. La barca, che aveva lo scafo verniciato in blu ed il ponte in colore celeste, appariva piuttosto ‘vissuta’ ma era pulita e ordinata. Il suo nome, Mastika, aveva colpito il ragazzo. Il padrone della barca doveva essere un estimatore di quel particolare liquore. Senza perdere tempo e senza sotterfugi, il ragazzo si rivolse all’uomo e gli chiese se era disposto a condurlo in un posto che avrebbe richiesto due giorni di navigazione fra andata e ritorno. Il marinaio dapprima non rispose ma poi, vedendo che l’altro era rimasto fermo ad attendere, chiese se il lavoro era onesto e pulito. Alle assicurazioni di Emanuele, l’uomo, dopo averlo valutato a lungo, decise di accettare ma gli chiese la cifra totale di 500 euro, cibo e bevande comprese,  di cui 100 euro in anticipo per il carburante.  L’altro accettò immediatamente e gli diede l’anticipo richiesto. L’appuntamento era per la mattina seguente alle ore sette, in quello stesso luogo. Sapeva che avrebbe potuto contrattare di più ma sentiva di aver fatto una buona scelta. La mattina seguente alle sette precise, trovò la barca ad attenderlo, pronta alla partenza. Il marinaio, che disse di chiamarsi Evan, appena il passeggero fu a bordo, partì. Disse, comunque, di aver chiesto troppo poco e che, con quel viaggio, ci avrebbe rimesso. Emanuele gli fece notare che avrebbe potuto trovare un passaggio anche ad un prezzo minore. Il marinaio concordò ma aggiunse che magari sarebbero colati a picco dopo poche miglia o che, giunti a metà del viaggio, gli avrebbero tagliato la gola per derubarlo, facendolo poi sparire. “E chi mi dice che non lo farai anche tu? Non è strano che tu non mi abbia nemmeno chiesto dove siamo diretti?”.”Già, sembra strano ma, io lo so dove siamo diretti. Mentre tu andavi via, ieri, ti sei fermato al chiosco del porto, per comprare una cartina delle isole ed hai fatto un sacco di domande sull’isola di Lemno. Dopo nemmeno un quarto d’ora, l’addetto, in cambio di un buon bicchiere, è venuto a dirmelo. Funziona così, qui. Ma cosa ci vai a fare laggiù? Tratti qualche  affare?”.”No, - ammise il ragazzo – sono solo uno studente e con scarsi mezzi, per di più. Per cui non farti venire strane idee”. La barca guidata con mano esperta, si era fatta strada fra le varie imbarcazioni ancorate e, ala fine, si diresse decisamente verso il largo. Il tempo era buono, il cielo sereno, il vento moderato ed il mare calmo. Via via che la costa si allontanava, riemergevano strani ma pressanti ricordi. Il suo arrivo con Asha a fianco, con un ben diverso panorama, il braccio del principe Polite sulle sue spalle. Ecco che tornava prepotente Ilario. Il ragazzo ebbe un nodo di commozione che lo colpì violentemente al petto e dovette appoggiarsi alla  murata per sostenersi. Poi, però, ebbe un moto di rabbia e inquietudine. Quelli non erano i suoi ricordi! Ma erano così reali… Fortunatamente lo chiamò Evan, chiedendogli di badare al timone, mentre lui sistemava le canne da pesca. “Queste sono le vettovagli comprese nel prezzo? – chiese scherzosamente il ragazzo. “Stai tranquillo – disse l’altro apparentemente risentito – ho per te delle fantastiche scatolette da turista. Io preferisco il pesce fresco e, non so se l’hai notato, quando mi hai ingaggiato,  io sono un pescatore e quindi, se appena ne ho l’occasione,  pesco!”. Il ragazzo non rispose perché in quel momento stavano costeggiando l’isola di Tenedo, sul lato settentrionale e si vedeva un porticciolo e diverse abitazioni concentrate però sul lato est . Per il resto, l’isola appariva quasi deserta, almeno vista dal mare. Evan gli confermò che lì vivevano circa 2000 persone, quasi tutte però  nel capoluogo chiamato Boozcada, in lingua turca. Dietro quell’isola si era rifugiata l’intera flotta Greca, mentre Ulisse consegnava la sua ambasceria farsa per ingannare i Troiani. Mentre ancora il ragazzo pensava a quell’evento, vedendo la terra ferma allontanarsi, Evan lo richiamò alla realtà, chiedendogli dove voleva essere condotto, con esattezza a Lemno. Di certo, essendo uno studente, sarebbe stato molto interessato alla località di Polichni, sulla costa orientale. A quel punto Emanuele prese dal suo zaino la cartina che aveva comprato e, dopo averla aperta,  mostrò al marinaio il punto esatto dove voleva andare, ossia all’interno di un golfo vicino al capoluogo di Mudros. “Ma non c’è niente là, forse solo i resti di qualche vecchio insediamento ma di nessuna importanza”.”Appunto, è proprio quello che cerco – rispose il ragazzo cercando di mantenere la calma. Era della sua casa che stava parlando…. No! Era la casa di Ilario, accidenti, non la sua!”. Fu distratto per fortuna, dalla domanda dell’altro che gli chiese con aria furba:”Non è che sei un cacciatore di tesori?”. Per un attimo ricordò al ragazzo il capitano Thais con il quale aveva perfino una certa somiglianza. “No, no, - si sbrigò a rispondere – devo solo fare dei rilevamenti geografici. Vedrai, faremo in fretta”. O almeno, sperava, perché nemmeno lui sapeva cosa aspettarsi e, ancor meno, sapeva perché stesse realmente facendo quella cosa. L’altro sembrò accontentarsi della risposta e  tornò alle sue mansioni. Dopo circa tre ore di navigazione, fermò il motore della barca e calò le lenze con le esche che aveva preparato in precedenza. Al ragazzo, che temeva un brutto scherzo, disse in tono rassicurante che con i motori fermi i pesci avrebbero abboccato più facilmente e loro avrebbero avuto ciò di cui avevano bisogno, nel giro di mezz’ora. Inoltre fece osservare che comunque la corrente li spingeva nella direzione giusta e lui, inoltre, non voleva arrivare all’isola di notte perché, nel posto particolare dove erano diretti, c’erano dei passaggi piuttosto critici che andavano affrontati con la luce del sole. Il ragazzo ricordava bene la preoccupazione del principe Polite quando erano partiti per l’inizio della sua avventura. La sua? Per fortuna la sua mente venne nuovamente distolta dal fatto che Evan aveva effettivamente preso qualcosa all’amo e poi fu solo una questione di tempo. Come il marinaio aveva pronosticato, nel giro di mezz’ora, avevano preso 12 pesci fra merluzzi, orate e branzini. Intanto Evan aveva preparato una piccola griglia a poppa e, dopo aver riavviato il motore, procedendo a bassa velocità, si mise subito a pulire i pesci e ne mise 4 a cuocere mentre dispose gli altri in una piccola ghiacciaia presente nella timoneria. Il pescatore condì i pesci con un misto di erbe che aveva tirato fuori dalla sua sacca e si sentiva un profumo incredibile. Poco dopo servì al ragazzo due pesci su un piatto di alluminio smaltato ed una birra fresca. Erano stati aggiunti al pasto dei pomodori secchi sott’olio e delle fette di pane di segale. Era tutto buonissimo. Altro che scatolette! Alla fine del pasto, Evan tirò fuori da un armadietto della timoneria una bottiglia ancora mezza piena di Mastika di cui doveva essere un buon estimatore, visto il nome che aveva dato alla sua barca. Il ragazzo rifiutò ma l’altro se ne versò una generosissima dose. Quando il passeggero gli fece notare l’inopportunità di quella bevuta, l’altro gli rispose che non ci sarebbe stato nessun problema perché sarebbe stato proprio lui a condurre la barca. Lo condusse in timoneria e gli indicò alcuni strumenti da tenere d’occhio. Regolò il motore accelerandolo giusto un po’ e poi gli mostrò la rotta da seguire. La corrente li avrebbe spostati leggermente a sud ma davanti il mare era tutto sgombro quindi niente preoccupazioni. Detto questo si andò a sdraiare a prua, si coprì il viso con il cappello e nel giro di secondi, dormiva profondamente. Il ragazzo, dapprima profondamente agitato per la responsabilità che gli era piovuta addosso, pian piano si tranquillizzò. Il motore aveva un ritmo regolare e rassicurante, il mare era calmo e tenere la rotta si rivelò più facile del previsto. Verso sera, finalmente Elvis si svegliò e, dopo essersi stiracchiato e sciacquato il viso, raggiunse il ragazzo nella timoneria. Guardò gli strumenti, il cielo ed assentì. “Ma dove siamo esattamente – chiese Emanuele, che per seguire la rotta si era servito unicamente della bussola, non essendoci in vista nessun altro punto di riferimento. “E va bene – rispose il marinaio quasi controvoglia. Ed aprì le ante di uno scomparto sopra al timone, accanto all’apparato radio. Comparvero due monitor che, quando furono accesi, indicarono con esattezza la loro posizione ed altre indicazioni relative alla navigazione. “E questi? – chiese sorpreso il ragazzo. “Mica penserai che io viva nell’età della pietra – rispose l’altro – Per sapere dove sono i pesci devi avere almeno un piccolo sonar che ti aiuti. Il GPS ci dà comunque a 25 miglia dal nostro obiettivo. Bravo, ha tenuto la rotta come un perfetto lupo di mare. Siamo proprio dove dovremmo essere”. Poi, dopo aver controllato lo stato della barca, si mise di nuovo a cucinare e, dopo la cena, disse al suo passeggero di andare a dormire che alla barca quella notte avrebbe badato lui. Il ragazzo, effettivamente piuttosto stanco, si distese su un materassino che l’altro gli aveva fornito e si coprì con una coperta. Non potè fare a meno di pensare per un attimo alla notte passata accanto ad Asha sul ponte della nave di Polite, vicino al timoniere. Poi, però, di colpo si addormentò. All’alba, coi raggi del sole, si svegliò constatando, con un certo piacere, che, nel corso della notte, nessuno gli aveva tagliato la gola e che il portafogli era ancora intatto al suo posto. Sollevandosi a sedere, scorse, con grande emozione che il loro obiettivo era in vista e che era anche molto vicino. Il cuore sembrava scoppiargli in petto. Per quanto tempo aveva sognato quel momento. Per dieci anni! Poi Emanuele si riprese e riacquistò il controllo. La vicinanza dell’isola gli rendeva difficile conservare la sua identità. I sentimenti di quell’altro, diventavano sempre più forti e la cosa più strana era che lui lo poteva capire perfettamente. Smise di lottare e decise di seguire la situazione via via che si svolgeva. Elvis , che intanto era entrato nel piccolo golfo che sulla sua cartina era indicato con il nome di Baia di Mudros, procedeva con la massima attenzione perché il fondale, vicino alla riva destra, era piuttosto insidioso. Il ragazzo ricordava che quella era proprio la rotta che seguivano le navi che commerciavano con l’isola. Poi, improvvisamente, gli scattò qualcosa nella mente. “E’ là! – gridò indicando un punto preciso della costa dove era una piccola rientranza – E’ là! Proprio là! Accosta, presto!”. Il pontile non c’era più, naturalmente, ma quello era il punto preciso dove attraccavano le navi che commerciavano con Stoyan. Il ragazzo non stava più nella pelle. Là vicino c’era la sua casa, o quella di Ilario ma, per qualche strana magia, nulla aveva più un senso reale. Il marinaio osservava in silenzio quel ragazzo estremamente e inspiegabilmente eccitato me non fece commenti, nemmeno quando lo vide gettarsi nell’acqua ed arrancare per poi arrampicarsi sugli scogli della riva. Poi, con una certa sorpresa, lo vide cadere in ginocchio e restare là a guardarsi intorno, quasi rapito e ammaliato da quello che vedeva, ma il punto era che per quanto guardasse, lui, invece non vedeva nulla di particolare. Delle rocce, degli arbusti, alberi. Poi il suo passeggero, quasi avesse ritrovato un po’ di serenità, si rialzò e si diresse verso l’interno. Ilario era diretto a casa sua. Camminò sicuro, su un tragitto ben conosciuto finchè non raggiunse delle rovine che attestavano un antico insediamento. “Qui c’era l’ingresso – iniziò a dire, come se parlasse con qualcuno, muovendosi con sicurezza – qui il cortile e lì, le cucine. Laggiù, il fabbricato per la tintura, la stanza dove lavoravo…”. Poi Emanuele ritrovò il suo equilibrio e le immagini lasciarono il passo alla realtà. Non c’era nulla, lì. Forse qualche rovina, ma nient’altro. Nemmeno lui sapeva cosa si era aspettato. Ma ora cosa doveva fare? Dentro di sé sentiva sempre di più che, venire in quel luogo, era stata la cosa giusta. Però non succedeva nulla. Dopo quell’esplosione di emozioni che lo aveva colpito, non sentiva più nulla, non sapeva cosa doveva fare. Cos’aveva detto Ilario? “Portami a casa! Riportami a casa!”. Bene, la casa era indubbiamente quella. Ma cosa stava facendo intanto il ragazzo, appena prima di morire? Aveva alzato il braccio verso il cielo e in mano aveva la catenina. Dopo aver riflettuto, Emanuele ebbe un’intuizione. Prese dalla sua tasca il piccolo monile. Attorno c’era un silenzio innaturale. Il ragazzo distese il braccio con la catenina, come aveva fatto Ilario ma non accadde nulla. Passarono alcuni minuti e alla fine decise che non poteva rimanere lì in eterno. Rimaneva una sola cosa da fare. Raggiunse quello che sembrava essere il centro della casa e, scelto il posto adatto, si inginocchiò e iniziò a scavare una piccola buca. Il terreno era piuttosto duro e dovette aiutarsi con una pietra piatta per raggiungere la profondità di una ventina di centimetri. Prese la catenina e ce la lasciò cadere dentro. Esitò per qualche secondo perché quello straordinario manufatto era l’unica testimonianza della pazza, assurda avventura che aveva vissuto e lui stava per abbandonarlo su quell’isola. Poi, senza più dubbi, la ricoprì di terra. Sentiva che era giusto così. Si rialzò, dette un ultimo sguardo in giro con un certo senso di delusione. Ma in fondo, cosa si era aspettato? Proprio mentre stava per girarsi e tornare verso la barca, fu investito da una potente raffica di un vento gelido che gli irrigidì tutte le membra e lo costrinse a chiudere gli occhi. Il suo corpo era completamente bloccato e provava dolore in ogni suo punto. Nella sua mente si formarono delle immagini confuse ma molto intense, luminosissime. Vide l’immagine di Troia, bella splendida, seguita da una serie di volti e personaggi, alcuni conosciuti, altri no. Vide Crino, il piccolo Anteo, Priamo, Ettore, Asha, Stoyan, Maia e tanti altri in una sorta di girandola che sembrò mandargli il cervello in fiamme e provocandogli una grande sofferenza. Quando sentì che stava per cedere, la pressione di colpo diminuì e percepì una strana sensazione. Era come se qualcosa defluisse, attraverso di lui, verso il terreno, liberandolo da quella tremenda situazione. Quando tutto ebbe termine, si sentì esausto, svuotato. Si premette le mani sulle tempie, cercando di riacquistare un minimo di controllo sulla situazione. Elvis, ancorata e ormeggiata la barca in sicurezza,  aveva deciso di seguire il ragazzo perché non era riuscito proprio a capire che intenzioni potesse avere. Non era il solito turista e non sembrava davvero un cacciatore di tesori quindi, con grande discrezione, nascondendosi dietro cespugli e rocce, gli tenne dietro, a prudente distanza, cercando di capire cosa stava cercando il suo passeggero. Lo vide addentrarsi nell’isola per circa 300 metri, con il passo deciso di chi sapeva con certezza dove andare. Di quando in quando, si fermava per toccare una roccia o la corteccia di un albero con atteggiamento assorto, poi ripartiva. Giunse alla fine in un luogo dove, a malapena si scorgevano delle rovine. Lo vide guardarsi attorno, come qualcuno che volesse riconoscere dei punti precisi e quindi chinarsi quasi a cercare, al suolo, dei segni o dei riferimenti. Il ragazzo, giunto circa al centro dell’antico insediamento, rimase fermo, guardandosi attentamente intorno come se fosse in attesa di qualche risposta dall’ambiente circostante. Dopo qualche minuto, lo vide prendere qualcosa dalla tasca, qualcosa di molto piccolo e notò che aveva allungato un braccio in avanti, come se lo tendesse a qualcuno. Il marinaio non capiva, ma cominciava a sentire una certa inquietudine. Cosa stava accadendo? Dopo alcuni minuti, il suo passeggero si inginocchiò al suolo e sembrò che stesse scavando una piccola buca. Poi notò che vi stava seppellendo l’oggetto che aveva portato e alla fine si rialzò in piedi. Qualche istante dopo, il luogo venne spazzato improvvisamente da un impetuoso vento gelido. Il ragazzo si irrigidì, con le braccia spalancate e la testa rovesciata all’indietro. Il terreno iniziò a tremare e un alone luminoso circondò tutta la zona nelle immediate vicinanze dell’altro. A quel punto Elvis, che pure ne aveva viste tante, si spaventò a morte e decise di aver visto abbastanza. Rimaneva comunque un marinaio, con tutte le sue superstizioni e le sue paure. Tornò rapidamente alla sua barca. Se il suo passeggero aveva veramente risvegliato qualcosa, se la sarebbe dovuta cavare da solo. Lui l’avrebbe comunque aspettato ma a distanza di sicurezza. Emanuele sentì che si stava riprendendo. Si strofinò le tempie e riuscì ad aprire gli occhi. La scena che si trovò davanti, era sconcertante, stupefacente, sbalorditiva ma contemporaneamente né inattesa né spaventosa. Davanti a lui, poste a semicerchio, erano comparse delle figure diafane, quasi inconsistenti, ma perfettamente riconoscibili. Al centro, Stoyan, con accanto la moglie Agata. Alla loro destra, vicini, Ector e Maia. Dietro a loro, si distinguevano le figure di alcuni schiavi che lavoravano nella filanda e nella conceria e con i quali si ricordava di aver lavorato diverse volte e con i quali, spesso, condivideva il pasto. All’estrema destra, leggermente discosto, riconobbe la figura di Thais che, diversamente dagli altri, che lo guardavano serenamente in viso, aveva lo sguardo rivolto a terra, come ad esprimere un certo disagio. Sulla sinistra, invece, a fianco dei suoi genitori, c’era Asha, con un braccio attorno alle spalle della moglie Frida. Il ragazzo rimase totalmente travolto da quella vista e provò un moto di commozione che gli squassò il petto e gli empì gli occhi di lacrime. L’emozione più profonda la ricevette però, dalla vista di Crino e del piccolo Anteo che erano apparsi accanto a Frida. Emanuele provava una gioia immensa nel vedere quelle figure che per lui avevano significato tanto e non si faceva domande sulla stranezza di quella situazione in cui si trovava così profondamente coinvolto, seppure senza capire. Poi, improvvisamente, nel punto in cuoi lui aveva sotterrato la catenina, che ora si trovava a circa 2 metri da lui, si materializzò la figura di Ilario. Questi, senza perdere un istante, si precipitò ad abbracciare Crino ed il suo bambino. Quindi, dopo avere guardato rapidamente verso Emanuele, andò ad abbracciare i suoi genitori che risposero con grande calore e lo stesso fece con i fratelli e salutò gli altri con un gioioso cenno della mano. Si pose davanti ad Asha e gli strinse forte la mano. I due stettero ad osservarsi a lungo, come due persone che si dovessero dire tante cose. Alla fine, tornò verso la moglie ed il figlioletto, li prese per mano e con loro si pose davanti ad Emanuele che aveva osservato la scena profondamente commosso ed in religioso silenzio, testimone di evento straordinario, fuori della realtà. Quando il terzetto giunse a circa 2 metri di distanza, si fermò. Emanuele guardò meglio l’altro in viso e fu sorpreso dal fatto che erano praticamente due gocce d’acqua. Ilario, con un largo sorriso disse semplicemente: “Grazie!”. E lo stesso fecero gli altri due, dopodiché il gruppetto si voltò e tornò ad unirsi agli altri. Quelli, tutti insieme, gli rivolsero un leggero inchino e poi, semplicemente, scomparvero. Il tutto era durato forse cinque minuti. Il ragazzo si sentiva esausto ma nello stesso tempo molto più leggero. La storia era sempre nella sua mente ma non in modo così coinvolgente come prima. Anche i sentimenti che provava nei confronti degli altri protagonisti della vicenda erano molto attenuati e lui pensava a loro solamente come persone con cui aveva condiviso un viaggio, un’avventura, e a cui aveva semplicemente voluto bene. Non aveva più nulla da fare lì. Ora lo sapeva. Tornò alla barca e trovò il marinaio che, seduto su uno scoglio, fumava nervosamente la pipa. Aveva veduto qualcosa? Emanuele decise di non parlare dell’accaduto e anche l’altro, dopo avergli rivolto una strana occhiata, si limitò a chiedere:”Allora, abbiamo finito qui?”. “Si – rispose l’altro – Abbiamo finito e possiamo tornare”. Detto questo, salì sulla barca senza aggiungere altro, seguito subito da Elvis. Il marinaio preparò la barca per il ritorno ed, appena possibile ripartì. Avrebbe dato chissà cosa per sapere cosa era accaduto sull’isola ma nello stesso tempo era terrorizzato dalle risposte che avrebbe potuto avere, quindi si astenne dal porre domande. Il ragazzo, in silenzio, si era seduto a prua e si limitava ad osservare le onde che scorrevano lungo i fianchi dell’imbarcazione. Nemmeno uno sguardo, verso l’isola che si stava lasciando alle spalle. Elvis percepiva, comunque, che il suo passeggero era cambiato. Appariva stanco ma sembrava qualcuno che si era tolto dalle spalle un gran peso. Ora il suo viso era disteso, sereno. In realtà Emanuele pensava all’importante ruolo, totalmente involontario,  che gli era toccato in quella fantastica storia. Doveva capire se gli era stato accordato un grande privilegio o se gli era stato  assegnato solo un grave e pesante incarico. Via via che passava il tempo si convinceva sempre di più che era maggiormente valida la prima ipotesi. Le sue conoscenze, le sue esperienze, le sue emozioni irripetibili e senza prezzo. Ora si, che avrebbe potuto scrivere la sua relazione ma doveva stare attento a non esagerare con i particolari perché non avrebbe saputo spiegare come ne era venuto a conoscenza. Come avrebbe potuto spiegare, infatti, di essere uno dei pochissimi esperti al mondo a saper parlare una fluente lingua troiana, cosa che nemmeno il suo professore era in grado di fare? E c’era di peggio! Come avrebbe potuto spiegare le sue competenze in qualità di ‘Zoographoi’ che erano ancora lì, tutte nella sua testa, assieme al segreto del colore rosso, ammesso che ai tempi attuali potesse avere ancora un valore? Non vedeva l’ora di mettersi al lavoro. Infatti non avrebbe dovuto descrivere dei fatti appresi in seguito a profondi studi o affannose ricerche. Avrebbe dovuto semplicemente scrivere della sua vita.

                                                                                           Fine

                                                                                                                                     A Patrizia

 

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