A Promise di M a k o (/viewuser.php?uid=1152781)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 1 *** Prima parte ***
A Promise (pt.1)
N.d.A. in fondo alla pagina.
Buona lettura!
A PROMISE
(Prima parte)
1
You only saw the dark side of me
Bring me back to my
reality
I have lost my belief
A
Ryoken era bastato un solo attimo per comprendere che quel ragazzo
intento a fissarlo con sguardo terrorizzato fosse diverso da tutti gli
altri, proprio come lo era lui. Gli era bastato davvero poco e forse
anche per quel ragazzo era stato così: aveva spalancato gli
occhi, mettendo ancora più in risalto quelle bellissime
iridi verde chiaro, e nel giro di poco dei brividi affamati si erano
impossessati di ogni muscolo del suo corpo, prendendone il controllo
completo.
Si era alzato in piedi barcollando e, tentando di proferire delle
parole che si frantumavano in gola e uscivano spezzate e
incomprensibili dalla sua bocca
(“mi dispiace, non volevo, spero di non averti privato di
così tanto tempo”)
gli aveva dato le spalle e se ne era poi andato via di corsa, stando
comunque bene attento a non urtare o anche solo sfiorare qualcuno.
Ryoken era rimasto senza fiato. In quel tiepido primo pomeriggio di
metà marzo, per la prima volta in tutta la vita non si era
sentito solo. E, sempre per la prima volta, si era anche sentito
compreso nonostante, paradossalmente, il ragazzo col quale si era
scontrato per sbaglio non avesse capito nulla di lui, tanto la paura
che aveva provato aveva preso il sopravvento — e come dargli
torto? Con un potere del genere, chiunque sarebbe fuggito via.
Quello che ignorava, però, era che Ryoken, a differenza del
resto del mondo, non aveva motivo alcuno di mandarlo via; anzi, con
ogni probabilità erano destinati a questo: a incontrarsi e
diventare l'uno il sostegno dell'altro e viceversa.
Sapeva già dove avrebbe potuto trovarlo: la divisa
scolastica blu che indossava indicava la sua appartenenza alla scuola
superiore di Den City e Ryoken ne conosceva l'ubicazione.
Ora non gli restava che attendere che il calendario si alleggerisse di
un altro giorno.
(E
il tempo scorreva inesorabile).
2
Yusaku
si barricò in casa con uno scatto veloce della chiave nella
serratura della porta. Poggiò la schiena contro quella
superficie liscia e dura e poi si accasciò a terra, con lo
zaino malamente adagiato tra le sue braccia, oggetto fortunato
poiché non era vittima della sua maledizione.
Rendendosi conto di ciò, in un moto di rabbia
(no, era disperazione)
feroce che doveva assolutamente sfogare, Yusaku lo scagliò
con mala grazia lontano da lui, soffocando a stento un grido che aveva
tutta l'aria di essere una supplica.
Si coprì il volto con le mani e iniziò a piangere
sommessamente, con il cuore che ancora batteva celere nella cassa
toracica e ogni muscolo del corpo scosso da tremori beffardi e
annichilenti.
Quanto tempo gli aveva tolto? Due settimane? Un mese?
Si era scontrato con quel ragazzo e subito dopo, essendo caduto a
terra, il contatto fisico si era immediatamente annullato, quindi
forse, nel migliore dei casi, gli aveva sottratto solo qualche
giorno… ma era comunque troppo.
Era sempre
troppo se anche il semplice sfiorare qualcuno significava privarlo di
un frammento di vita.
Quel ragazzo non lo conosceva, quindi non poteva saperlo, ma aveva
comunque intuito che qualcosa non andava, perché i suoi
occhi azzurri
(così chiari, limpidi e belli)
si erano spalancati in un moto di sorpresa, lo stesso sguardo col quale
chiunque tendeva a osservarlo prima che il disgusto si impadronisse dei
lineamenti del volto.
Yusaku non aveva avuto modo di osservare quel cambiamento sul viso del
ragazzo, ma era certo che fosse andata esattamente così. Se
solo il professor Zaizen non si fosse trattenuto più del
solito con la sua lezione, tutto questo non sarebbe mai capitato:
Yusaku sarebbe uscito in orario da scuola e non avrebbe avuto a che
fare con la ressa del primo pomeriggio, un vero e proprio coacervo
infernale che tendeva sempre a evitare con tutte le proprie forze e,
così facendo, non avrebbe avuto la vita di un'altra persona
sulla coscienza e avrebbe fatto ritorno a casa in tutta
tranquillità.
E ora, invece, si ritrovava a rimuginare su quanto accaduto e a
incolparsi di ogni cosa.
Lasciò che le lacrime gli rigassero il volto per minuti che
parvero ore e chiuse istintivamente gli occhi nella tetra speranza di
essere inghiottito una volta per tutte dall'oscurità.
3
Yusaku
pareva essere l'unico umano vittima di quella inspiegabile maledizione:
nel corso degli anni non erano emersi altri casi analoghi al suo e non
ne erano mai stati registrati prima della sua nascita. Yusaku era unico
al mondo, ma la sua unicità se la sarebbe volentieri
strappata di dosso se in cambio avesse ottenuto
l'opportunità di condurre una vita normale e tranquilla.
L'isolamento sociale lo stava distruggendo sempre più, senza
contare che gli sguardi duri come pietre da parte dei suoi compagni di
scuola gli provocavano un dolore lancinante al petto, come se una
creatura malvagia si divertisse a gettare ogni volta del sale sulle sue
ferite ancora aperte.
Yusaku non sapeva più cosa fare; era completamente solo,
perso e privo di qualsiasi punto di riferimento. Per lui era
già un miracolo aver compiuto sedici anni ed esserci ancora…
perché, in fondo, cos'altro avrebbe potuto fare nel corso
della sua tormentata esistenza se non arrancare e cercare quantomeno di
sopravvivere?
Quella notte, come era solito fare quasi sempre, si
addormentò abbracciando un cuscino, tentando di immaginare
cosa si provasse a sprofondare tra le braccia di un essere umano. Un
gesto che, purtroppo, sapeva nessuno al mondo gli avrebbe mai riservato.
4
Doveva
essere uno scherzo. Per forza, non poteva essere altrimenti; era
sicuramente in preda alle allucinazioni, non vi era altra spiegazione.
In quella nuova giornata di metà marzo, tiepida come la
precedente e forse anche leggermente più calda
(o
forse era solo il suo cuore a essersi un poco agitato)
Yusaku incontrò ancora una volta il ragazzo dagli occhi
azzurri.
Indossava una maglietta chiara a maniche corte e sopra una giacca
grigia, dei pantaloni anch'essi grigi e delle scarpe bianche. Il
ritratto dell'eleganza.
Ma la cosa più incredibile fu che non lo incontrò
per caso e in un luogo qualsiasi come potevano essere la piazza della
città o il centro commerciale ristrutturato da poco,
bensì all'uscita della scuola, quella che varcava sempre da
solo e che mai, neanche per sbaglio, l'aveva visto in compagnia di
qualcuno. A rendere il tutto ancora più straordinario fu il
fatto che quel ragazzo stesse aspettando proprio lui, difatti quando i
loro sguardi si incrociarono, alzò una mano in segno di
saluto e cominciò ad avanzare nella sua direzione.
Si udirono dei mormorii concitati intorno a loro, come una decina di
picchi che battevano con insistenza il becco contro la dura corteccia
di un albero, e Yusaku per primo ne avrebbe preso parte se non fosse
stato il diretto interessato di quell'evento fuori dal comune.
Dopotutto, era la prima volta che qualcuno si approcciava a lui con
così tanta naturalezza, come se non ci fosse proprio niente
di sbagliato nel fare ciò.
Forse quel ragazzo voleva chiedergli spiegazioni circa quanto accaduto
il giorno prima, o magari l'aveva già capito e voleva solo
urlargli contro di stargli alla larga, come già avevano
fatto diverse persone nel corso degli anni una volta aver realizzato la
portata della maledizione che gravava sulle sue fragili spalle.
Yusaku era ormai pronto e abituato a tutto, difatti chiuse gli occhi,
seguendo il suo più atavico istinto, pronto alla sfuriata.
Nei suoi riguardi non esistevano mezze misure: o la gente lo ignorava
al punto tale da fargli dubitare di esistere o gli urlava contro le
peggio cattiverie che lo portavano ad abbracciare il
desiderio di volatilizzarsi nel nulla e sparire una volta per tutte.
Per questo, quando ogni sua più funesta previsione non si
realizzò, non poté fare a meno di riaprire gli
occhi di scatto, sgranandoli quasi volesse portarli oltre il limite
consentito. Quel ragazzo... l'aveva
davvero invitato a pranzare con lui?
Il brusio che li circondava si fece ancora più insistente e
fu solo quando Yusaku cominciò a guardarsi intorno spaesato
che la folla prese a diradarsi via via sempre più, come se
chiunque avesse sbloccato un nuovo tipo di terrore dentro di
sé, ovvero quello di essere maledetto solo perché
il proprio sguardo incontrava il suo. Tutti tranne quel ragazzo, a
quanto pareva, il quale non si era mosso di un millimetro e anzi, era
in trepidante attesa di ricevere una risposta positiva da parte sua.
Yusaku deglutì una, due, tre volte prima di prendere parola.
«Scusa...» disse quasi in un sussurro.
«Credo di non aver capito. Potresti ripetere?»
Non ci stava facendo una bella figura, assolutamente no. Ma con ogni
probabilità aveva capito male e...
«Volevo chiederti se ti andava
di pranzare con me» ripeté il ragazzo, e un
sorriso candido gli incurvò le labbra sottili, rendendolo
ancora più attraente di quanto già non fosse.
Yusaku avvertì il terreno sparire sotto la suola delle
scarpe e l'aria tardò ad arrivargli ai polmoni.
«Io...» balbettò, abbassando lo sguardo.
“Hai idea di
cosa mi hai appena chiesto?”, avrebbe voluto
dirgli, o peggio, urlargli in faccia, prima di allontanarsi da
lì senza dargli l'opportunità di replicare.
Questo però era ciò che la parte razionale gli
stava suggerendo con impeto, una esuberanza sfiancante che stava
iniziando a infastidirlo non poco. La parte irrazionale della sua
essenza, invece, era un lago piatto e tranquillo, una voce morbida che
lo invitava ad accettare quella strana richiesta.
(Non
ti farà del male).
(E tu come fai a saperlo?)
(Lo so e basta).
«Ehm... sicuro di non aver
sbagliato persona?» tentò un'ultima volta, ancora
frastornato e col cuore a mille.
Il sorriso del ragazzo si allargò.
«Sicurissimo» rispose.
Yusaku arrossì lievemente. «Allora…
allora va bene».
5
I have lost the will to fly
With broken wings I
can't even try
I have lost my belief
Il
tragitto verso la destinazione misteriosa fu avvolto da un manto di
mutismo strano e anche un po' agitato — questo solo da parte
di Yusaku, però.
Non sapeva dove quel ragazzo volesse portarlo, ma a un tratto si
ritrovò a sperare che non si trattasse di un ristorante o
luoghi simili, perché gli si era improvvisamente serrata la
bocca dello stomaco. Anche solo un sandwich o un onigiri acquistato al
konbini sarebbero andati bene…
Mentre proseguivano nella loro camminata, Yusaku non poté
fare a meno di domandarsi come mai quel ragazzo desiderasse tanto
pranzare con lui. Voleva forse bombardarlo di quesiti circa la sua
condizione? Doveva forse esporre un progetto alla classe — a
proposito, chissà quale scuola superiore frequentava, o
forse era già uno studente universitario? —,
oppure voleva proporgli di intimidire qualcuno col suo potere
— e magari pagarlo per questo?
Accantonò immediatamente l'ultima ipotesi: non gli sembrava
proprio il tipo da abbassarsi a compiere un gesto tanto meschino. Ma in
fondo, che cosa sapeva di lui? Ignorava perfino il suo nome.
Era talmente ingarbugliato nel ginepraio che erano diventati i suoi
pensieri che a stento riuscì a udire l'unica parola che il
giovane pronunciò, un “Attento”
deciso e, al contempo, velato da una nota di spensieratezza. Si accorse
appena in tempo della coppia di ragazze che camminava nella direzione
opposta alla loro ed era in procinto di scansarsi per evitare di
rovinare la giornata
(o la vita intera)
di un altro essere umano quando sì, si scansò, ma
non come avrebbe voluto.
Il ragazzo l'aveva attirato a sé, stringendogli il fianco
con garbo, e Yusaku per poco non urlò. Sordo ai gridolini
eccitati delle due ragazze che avevano assistito alla scena un attimo
prima di proseguire nella direzione opposta — e che stavano
frattanto aggiungendo commenti riguardo un tipo di galanteria che
credevano ormai estinto —, non poté fare altro se
non concentrarsi su ciò che il suo corpo stava percependo,
un subbuglio di emozioni indefinibili che si diramavano impazzite in
ogni dove.
Lo stava toccando. Quel ragazzo aveva deliberatamente
scelto di toccarlo, attirarlo a sé e persistere in quel
contatto fisico che si stava imbrattando sempre più di
panico e terrore.
La sentiva, era ormai in atto: la maledizione che gravava sulle sue
spalle si stava cibando con voracità della vita di quel
ragazzo, banchettando senza sosta e sbavando ovunque. Avvertiva il
tempo che gli stava sottraendo insinuarsi dentro di lui, nelle vene,
schizzando poi al cervello ed esplodendo in un concerto di fuochi
d'artificio vermigli.
«Lasciami andare»
sussurrò con voce spezzata e pregna di agitazione.
Tentò di divincolarsi e porre almeno qualche passo di
distanza tra loro, ma invano: la stretta di quel ragazzo si era
accentuata e ora le dita della mano affondavano con maggior decisione
nel suo fianco.
«No, non credo che ti
lascerò andare ora» disse con
tranquillità, senza alcuna inflessione particolare nel tono
di voce. Pareva infatti non provare il minimo terrore nei confronti di
ciò che stava succedendo e anzi, sembrava volerne sempre di
più.
Fu lì che Yusaku cadde in un abisso di panico senza fine:
possibile che quel ragazzo desiderasse morire e avesse trovato in lui
la soluzione più rapida e ottimale? Con ogni
probabilità non aveva il coraggio di suicidarsi e lo scontro
accidentale che avevano avuto il giorno prima gli aveva aperto le porte
a una nuova prospettiva alquanto allettante.
Doveva staccarsi immediatamente, ormai non c'era più tempo:
gli aveva già sottratto abbastanza, forse una decina d'anni,
e quel ragazzo gli stava soltanto stringendo un fianco; se avesse
approfondito il contatto fisico, presto Yusaku si sarebbe ritrovato
nell'orribile posizione di dover sorreggere un corpo inanimato ormai
privo di vita.
Ma una cosa del genere non avvenne mai. Anzi, accadde l'esatto opposto
poiché fu Yusaku a vedere una porta aprirsi dinanzi a
sé.
(Qualcosa
di assolutamente incredibile e inaspettato).
(Tremendo e meraviglioso al tempo stesso).
6
Quando,
disgraziatamente, il contatto fisico con qualcuno tendeva a
prolungarsi, Yusaku era in grado osservare per brevi attimi alcune
reminiscenze legate a quella che era stata la vita della persona
toccata fino a quel momento. Ricordava, per esempio, prima che una
maschera di disgusto ne tramutasse i lineamenti del volto, il primo
appuntamento che una giovane dai lunghi capelli corvini aveva avuto col
senpai del terzo anno delle superiori che tanto le piaceva, oppure,
andando un po' indietro, del suo primo giorno di scuola media, oppure
ancora, avanzando sempre più all'indietro, la prima volta
che da bambina era salita su una bicicletta senza le due ruotine di
sostegno — era caduta malamente sul duro asfalto,
sbucciandosi le ginocchia, e aveva iniziato a piangere a dirotto.
Di una anziana signora, che dopo aver realizzato quanto accaduto gli
aveva dato del demonio con asprezza, rammentava invece il giorno in cui
tenne per la prima volta in braccio il suo nipotino, poi quando
assistette al matrimonio del suo unico figlio, quando lo
accompagnò a scuola il primo giorno delle elementari e
quando lo allattò al seno per la prima volta, in ospedale,
quando era ancora una ragazza che forse era diventata madre troppo
presto.
Non sapeva come mai ma, a quanto pareva, era anche condannato ad
assistere a degli squarci di normalità che lui non avrebbe
mai assaporato oltre che privare le persone di preziosi secondi
(ore,
giorni, mesi, anni)
di vita al solo tocco.
Tutto questo l'aveva portato a rifuggire il contatto fisico allo stesso
modo in cui i ragni fuggono impauriti alla presenza del basilisco: non
poteva fare altro se non scappare dinanzi a quello che era diventato il
suo nemico per eccellenza, qualcosa che sapeva di non poter
sconfiggere, un duello perso in partenza sotto tutti i punti di vista.
Per questo, nel momento in cui iniziò ad affondare nella
vita di quel ragazzo, Yusaku non poté fare a meno di
sorprendersi di quanto stesse andando a ritroso, senza più
riuscire a fermarsi. Vide albe e tramonti in città situate
dall'altra parte del mondo — ma non era questa la cosa
strabiliante, bensì il fatto che si trattasse di una Londra
del 1970 o di una Parigi del 1950 o di una Stoccolma del 1890
— e un susseguirsi di persone sempre diverse che avevano in
comune solo la vecchiaia che diveniva via via giovinezza e il tempo
andava indietro, indietro, indietro e quel ragazzo però
rimaneva sempre uguale, uguale, uguale.
Yusaku assistette inerme a dolorosi addii che si tramutavano in buffi
primi incontri, a sguardi pregni di compassione, quella che nessuno gli
aveva mai riservato, e a lacrime versate in silenzio nel tentativo di
mantenere intatta una forza d'animo che vacillava e scricchiolava.
Iniziò a unire i tasselli di quell'intricato puzzle tra
loro, cercando di avvicinarsi sempre più alla triste
verità: possibile
che quel ragazzo fosse…?
Proprio nel momento in cui era in procinto di dare un nome a quel
concetto che tanto lo frastornava, il giovane spezzò il
contatto fisico tra loro, e Yusaku ripiombò bruscamente
nella realtà del presente. Impiegò qualche
istante a riprendersi e, nel momento in cui alzò lo sguardo
per incontrare gli occhi azzurri dello sconosciuto, per la prima volta
da quando aveva compreso di essere maledetto fu accolto da
un'espressione assolutamente tranquilla e cordiale, come se fino a
pochi istanti prima non fosse accaduto proprio nulla. Ancora
più incredibile fu il fatto che quel ragazzo pareva essergli
addirittura grato.
«Ti ringrazio» disse
infatti con un sorriso. «Ora va molto meglio».
E Yusaku, per la prima volta in tutta la vita, provò
qualcosa all'altezza del petto che non fossero dolore e rassegnazione;
qualcosa di impronunciabile al quale ancora non voleva dare una forma
per timore che svanisse nel nulla in un concerto di bolle di sapone.
7
«Prometti di non scappare mentre ti do le spalle?»
Yusaku si imbronciò appena, provando un vago senso di
imbarazzo che si riflesse sulle gote velatamente arrossate.
«Hai la mia parola»
borbottò, distogliendo lo sguardo.
«Ottimo, allora intanto puoi
prendere posto. Non ci metterò molto».
«D'accordo».
Si sedette a uno dei tavolini più distanti, in modo da
evitare di attirare l'attenzione — di certo non avrebbero
discusso di cose ordinarie come un film da vedere al cinema nel
week-end o quanto fossero belle le scarpe sportive in vendita nel nuovo
negozio che aveva recentemente aperto al centro commerciale —
e attese, con una punta di agitazione frammista a impazienza che gli
strisciava sottopelle.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e constatò
che generalmente a quell'ora — verso le due del pomeriggio
— fosse a casa già da un po', al riparo tra le sue
quattro mura, senza più correre il rischio di diventare un
pericolo per gli altri. E invece ora si trovava all'aperto, seduto a un
tavolino in attesa che un ragazzo del quale ignorava perfino il nome
arrivasse con il pranzo per entrambi.
(Roba da tutti i giorni, no?)
Si guardò intorno e si perse a osservare il
viavài di persone che volgevano in ogni direzione, il
chiacchiericcio insistente, profumi indistinti e al contempo invitanti
che giungevano da lontano e poi puntò irrimediabilmente lo
sguardo verso quel ragazzo che, in quel momento, stava attendendo con
pazienza che il vassoio si riempisse con tutto ciò che aveva
richiesto per poi prendere posto di fronte a lui.
Yusaku non era mai stato al Café Nagi, ma sapeva che quel
furgoncino dai colori caldi e chiari che si spostava per tutta la
città vendeva soprattutto hot dog e lui li mangiava
volentieri, quindi era anche felice di trovarsi
lì… ma come doveva interpretare quell'invito a
pranzo?
Era questo ciò che più lo impensieriva, e se da
una parte non vedeva l'ora di scoprirlo, dall'altra sperava che quel
ragazzo prendesse posto di fronte a lui il più tardi
possibile, in modo tale da concedergli un altro po' di tempo per
crogiolarsi nella fioca illusione che tutto sarebbe andato per il
meglio.
8
Sul
vassoio era accuratamente riposto il doppio di tutto: due confezioni di
cartone contenenti un hot dog a testa, due vaschette sempre di cartone
colme di patatine fritte, due lattine medie di soda e due taiyaki
riposti l'uno sopra l'altro nelle loro confezioni di plastica che
ricordavano vagamente la forma di un pesce. Era un pranzo semplice,
pregno di grassi e calorie, eppure era il più bello che
avesse mai visto e il più buono che avesse mai assaporato.
Fino a quel momento, Yusaku non aveva mai saputo cosa si provasse a
condividere parte del proprio tempo con qualcuno: era sempre stato un
muto spettatore delle vite altrui che, relegato a una distanza di
sicurezza, non poteva fare altro se non immaginare come sarebbe stata
la sua esistenza se non si fosse rivelato un pericolo per gli altri. E
fino a quell'istante non era mai riuscito a colmare il vuoto che
provava dentro di sé poiché le fantasie venivano
perennemente spazzate via da folate di vento che lo distruggevano ogni
giorno sempre più
(l'indifferenza
altrui nei suoi confronti, le occhiatacce, le parole che avevano lo
stesso effetto del morso di uno squalo)
e che gli ricordavano con morbosa insistenza che non c'era posto per
lui in un mondo in cui la vita bisognava toccarla con mano.
Sentì di aver ottenuto una piccola rivincita ed era
intenzionato più che mai a tenersela stretta.
«Come ti chiami?»
domandò, arrossendo subito dopo in quanto la sua voce si era
unita a quella del ragazzo che gli stava di fronte nel pronunciare la
stessa, identica frase.
«Prima tu» gli disse
questi con un sorriso candido, e Yusaku, mentre articolava il suo nome
quasi in un sussurro, si perse per qualche attimo nell'incurvatura di
quelle labbra sottili.
«E tu?» chiese poi,
come se si fosse appena ridestato da un bel sogno.
«Ryoken».
(E
in fondo, a essere onesto, quel nome suonava proprio come un bel sogno).
9
«Ciò che è successo prima…
cos'è stato?»
Aveva finalmente trovato il coraggio di porgli quella domanda, di
rendere concreta quella situazione e di uscire, anche se molto a
malincuore, dal bel sogno a occhi aperti che era stato l'intero pranzo.
Il sapore del cioccolato contenuto nel taiyaki permeava ancora sulla
sua lingua.
«Penso che tu l'abbia
già capito» rispose Ryoken con calma.
«Credo di
sì…» sussurrò Yusaku,
abbassando un poco lo sguardo. «Però è
davvero strano. Com'è possibile che…?»
«Sono secoli che me lo
domando e ancora non ho trovato una risposta».
Secoli. Era
assurdo pensare che Ryoken li avesse vissuti per davvero, ma
ciò che Yusaku aveva visto nel momento in cui si erano
toccati ne era una prova inconfutabile.
«Anche se»
proseguì Ryoken, allungando una mano nella sua direzione,
«forse oggi ho finalmente trovato un punto di
inizio».
Yusaku sussultò nel momento in cui la mano di Ryoken
sfiorò la sua e, d'istinto, la ritrasse velocemente. Ryoken
sorrise ancora una volta.
«Non aver paura,»
gli disse con un tono di voce che voleva essere rassicurante,
«lascia che si nutra. A differenza delle altre persone, a me
non fa del male».
«E se poi ne volesse sempre di
più?»
«E se invece dovesse saziarsi?»
Yusaku guardò Ryoken come se quest'ultimo avesse iniziato a
parlare in una lingua arcana e sconosciuta.
«In tutti questi anni non ha
mai dato segno di essere in grado di saziarsi» rispose con
una punta di disprezzo nel tono di voce.
«Questo perché hai
sempre fatto del tuo meglio per evitare il contatto fisico»
spiegò Ryoken. «Di conseguenza, più le
neghi il suo nutrimento, più lei diventa affamata. L'ho
percepito quando ci siamo toccati: pare davvero disperata. Per questo
non posso fare a meno di domandarmi: se provassi a darle ciò
che vuole… non credi che ti lascerebbe in pace?»
Yusaku non ci aveva mai pensato ma, a dirla tutta, se anche l'avesse
fatto, con ogni probabilità la parte pessimista della sua
persona avrebbe preso il sopravvento e non l'avrebbe considerata una
soluzione plausibile. Però
quelle parole le aveva pronunciate Ryoken. E dette da lui
non poterono che sortire un effetto distensivo sul suo intero corpo,
come se Yusaku le avesse attese una vita intera
(e
in realtà era proprio così).
Alla fine, sempre accompagnato da un pizzico di incertezza,
poggiò nuovamente la mano sul tavolo e Ryoken la
sfiorò un'altra volta ancora.
La sgradevole sensazione di star privando un altro essere umano di
giorni
(settimane,
mesi, anni)
importanti di vita persisteva ancora, ma Yusaku non si ritrasse,
decidendo invece di proseguire con quel contatto che si stava pian
piano aprendo un varco in quel coacervo informe di dolore, portando con
sé tanta benevolenza.
Lasciò che Ryoken gli carezzasse con garbo il dorso e che
poi gli voltasse la mano per cominciare a tracciare dei piccoli
sentieri sul palmo, come se si fosse improvvisato un chiromante alle
prime armi e avesse deciso di leggergli il futuro
(chissà
quale linea stava studiando silenziosamente in quel momento).
(Quella della saggezza? O forse era quella del destino?)
Non ebbe tempo per rifletterci su: più il contatto fisico
persisteva, più entrava nell'esistenza di Ryoken, come se si
trovasse al cinema e avesse scelto di vedere un film che mostrava tutto
ciò che il ragazzo aveva vissuto nel corso dei secoli. Si
sentì partecipe e coinvolto in qualcosa che non gli
apparteneva, assistette ancora una volta ad albe meravigliose e
tramonti mozzafiato in città che non aveva mai visitato e in
epoche in cui non era ancora nato. Provò il forte impulso di
rendere quella vita straordinaria la coperta con la quale si sarebbe
coricato a letto quella notte, come se in realtà non pesasse
tanto quanto mille macigni e fosse, invece, la sola cosa che gli
avrebbe permesso di andare avanti un altro giorno ancora.
Per la prima volta se ne fregò delle conseguenze che un
contatto fisico troppo prolungato con qualcuno portava con
sé e non badò alla maledizione che si ingozzava e
strozzava nella sua stessa ingordigia. Per la prima volta si
sentì così
bene che quando Ryoken pose fine a tutto ciò,
Yusaku provò qualcosa direttamente proporzionale a tutto
quel benessere che aveva accumulato: disperazione.
«Non… non credo che
sia ancora sazia» balbettò, cercando di non
lasciar trasparire l'imbarazzo che, beffardo, si era comunque
manifestato vistosamente sulle gote.
«Lo so»
concordò Ryoken, divertito. «Ma per il momento
credo sia meglio fermarci qui».
10
Ryoken
si era offerto di accompagnarlo a casa e Yusaku aveva accettato senza
farselo ripetere due volte. E fu proprio durante quella passeggiata,
mente erano intenti a parlare del più e del meno, che ci fu
un altro evento straordinario: un bambino delle elementari, con una
cartella tre volte più grande di lui issata sulle piccole
spalle, era intento a correre con fare goffo nella direzione opposta
alla loro e sarebbe rovinato malamente a terra se Yusaku non lo avesse
sorretto con prontezza.
Ryoken non disse nulla, lasciando a Yusaku il tempo di arrivarci da
solo. E quando ciò accadde, per poco non lasciò
andare il bambino quando ancora stava cercando di risollevarsi a dovere
— e in quel caso sì che sarebbe caduto a terra,
completamente affossato dal peso di quello zaino dall'aspetto di un
possente macigno nero come la pece.
Il cuore di Yusaku perse una decina di battiti, uno dietro l'altro.
Perché Ryoken non era intervenuto? Dopo tutto il bene che gli aveva
fatto era improvvisamente diventato sadico e aveva deciso di rovinargli
la giornata prendendo di mira quel bambino che non c'entrava nulla?
Pensava che fosse una cosa divertente da fare?
Yusaku era in procinto di dire qualcosa di molto cattivo quando il
bambino puntò lo sguardo su di lui e un dolce sorriso si
proiettò sul suo volto un poco arrossato.
«Ehm…
grazie!» esclamò, tornando ad assumere la
posizione eretta.
Ricominciò a sgambettare nella direzione opposta alla loro
e, subito dopo, Yusaku si voltò verso Ryoken.
Aprì bocca più e più volte, senza
però riuscire ad articolare alcun suono. Era esterrefatto.
Quando poi comprese che Ryoken sapeva
non sarebbe accaduto nulla con quel bambino — a quanto pareva
la sua vita aveva placato la maledizione, almeno per il momento
—, si vergognò talmente tanto di aver pensato male
di lui che iniziò a camminare con passo celere verso casa
senza prestare attenzione alla voce di Ryoken che lo chiamava con
insistenza.
Quando giunsero a destinazione — Ryoken era riuscito a
colmare la distanza che li separava in poche falcate nonostante Yusaku
camminasse spedito —, ci fu qualche attimo di esitazione da
parte di entrambi, come se nessuno dei due volesse compiere il primo
passo per porre fine a quell'incontro. Fu Ryoken a farsi avanti, anche
se a malincuore.
«Ti ringrazio per la
compagnia» disse, e non fece in tempo ad aggiungere altro
poiché Yusaku, colto da un impeto di coraggio che non
credeva di possedere, parlò a sua volta.
«Possiamo
rivederci?» chiese tutto d'un fiato, con le gote che avevano
improvvisamente preso fuoco.
Ryoken non poté fare a meno di sorridere. «Stavo
per chiedertelo io» ammise, e Yusaku arrossì
ancora di più. «Certo che possiamo rivederci.
Tutte le volte che vorrai».
E Yusaku, questa volta, riuscì a fermarsi in tempo,
perché qualcosa gli era esploso all'altezza del petto e se
non l'avesse domato avrebbe risposto con una sola parola dalla potenza
di mille soli: “Sempre”.
• Questa mini long (che
all'inizio doveva essere una One Shot) me la porto dietro ormai da un
anno.
Mi è venuta
in mente pensando a un prompt della Everybody
Needs A Hug Challenge
del mio forum, Siate
Curiosi Sempre,
anche se poi 1) come mio solito ho iniziato a scrivere troppo e quindi
essendo diventata una mini long è fuori gara e 2) il prompt
che avevo scelto è andato in una direzione e io in un'altra,
quindi diciamo che rimane poco e niente di quello che avevo in mente
all'inizio.
Ma va benissimo
così perché questa versione mi piace tantissimo e
spero possa piacere anche a voi.
• Non posso non citare A
Promise dei
Dead by April, perché se non fosse stato per questa
meravigliosa canzone, la storia sarebbe risultata incompleta, almeno
secondo me.
Tra l'altro, questa
canzone è la mia preferita in assoluto, del tipo che se mi
dovessero chiedere “qual è la tua canzone
preferita nella vita?” io direi proprio questa.
La amo con tutta me
stessa e non vedo l'ora di inserire il ritornello nella seconda parte
della storia.
• Cosa ne pensate delle
maledizioni che affliggono Ryoken e Yusaku?
All'apparenza sembra
solo Yusaku quello maledetto, ma anche Ryoken, costretto alla vita
eterna, non se la passa certo meglio.
Il loro incontro
è davvero frutto del caso, secondo voi?
Fatemi sapere, se vi
va.
• Dovrei aver detto tutto.
Vi ringrazio per
essere arrivati fino a qui.
M a
k o
|
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Capitolo 2 *** Seconda parte ***
A Promise (pt.2)
N.d.A. in fondo alla pagina.
Buona lettura!
A PROMISE
(Seconda parte)
11
Without
you I fail in every way
Picture a world for me where I can stay
Without you I break in every way
Imagine a place for us where you and I stay
Il modo in cui le dita delle
loro mani si intrecciavano era meraviglioso. Yusaku avrebbe potuto
guardarle per ore intere con gli occhi pregni di meraviglia e non se ne
sarebbe mai stancato.
«Ryoken» lo chiamò quasi in un sussurro
durante un tramonto vermiglio. Avevano trascorso un nuovo pomeriggio
insieme e questo aveva ricucito un altro po' i brandelli dell'anima di
Yusaku. «Che cosa provi quando ci tocchiamo?»
Ryoken
era l'unico in grado di offrirgli una risposta esaustiva in merito.
L'unico in grado di saziare
quel desiderio di sapere, di metterlo dinanzi la realtà dei
fatti senza tergiversare.
Il
ragazzo lo guardò negli occhi senza sciogliere la stretta
delle loro mani. Si prese qualche istante per sé e poi
replicò: «Avverto come uno strappo. Ma non
fa male» si affrettò ad aggiungere, notando
l'espressione addolorata di Yusaku. «Almeno non a me. Credo
che la tua maledizione spaventi così tanto gli altri
perché li priva di ciò che di più
prezioso hanno, qualcosa che per loro è limitato. Io non ho
di questi problemi, anzi… alcune volte mi sento così pesante
che ho come la sensazione di essere schiacciato da un macigno
immenso».
Seguirono
lunghi istanti di silenzio prima che Ryoken riprendesse il filo del
discorso: «Mi odi se ti dico che la tua maledizione a me fa
del bene? Per la prima volta in tutta la vita riesco a sentirmi capito
per davvero e… io lo so che hai sofferto, l'ho percepito fin
dal primo momento in cui ti ho visto. Non voglio assolutamente sminuire
il tuo dolore. Inoltre, più ti tocco, più entro
in empatia con la tua maledizione. Lei
non vorrebbe essere così. Lei… sta
cercando di realizzare quale sia la sua vera identità, il
suo posto nel mondo. E per farlo ha bisogno di nutrirsi. Vuole la mia
linfa vitale, la brama con tutta se stessa, ma la desidera in un modo
che non ha nulla di malvagio. Lei vuole solo essere compresa, lo stesso
che hai desiderato tu per sedici anni, lo stesso che ho desiderato io
per secoli interi».
La
stretta delle loro mani si era fatta indissolubile.
(Come
se fossero state progettate per quello).
E
mentre il sole chiudeva sempre più le palpebre infuocate su
quella fetta di mondo, Yusaku avvertì ancora una volta
quella sensazione che aveva provato il giorno del loro primo
appuntamento, quando Ryoken si era offerto di accompagnarlo a casa: il
desiderio irrefrenabile e viscerale di non allontanarsi mai
più da lui. Ryoken era l'altra
metà che Yusaku aveva sempre cercato, una
persona in grado stargli accanto senza farlo sentire sbagliato o
inadatto alla vita.
(Ryoken era un concetto
impronunciabile, un'incurvatura romantica delle labbra, un lontano
effluvio di fiori di campo trasportato dal vento).
«Io non ti odio. Non potrei mai odiarti. Sei la prima persona
che mi fa sentire al
posto giusto… non so perché io e te
siamo così, ma forse un giorno troveremo le risposte a ogni
nostra domanda. Fino a quel momento…»
Fino a quel momento vorrei
restare con te, avrebbe voluto dirgli. E anche dopo. Voglio aiutarti a
condividere il peso di questo infinito che sento sempre più
mio. Perché non voglio più saperti solo e non
voglio più che questa solitudine corroda anche me. Siamo due
numeri primi che si sono finalmente trovati in mezzo alla
vastità dell'universo, e se ci siamo incontrati deve esserci
un motivo, me lo sento.
Ma
non riuscì a pronunciare parola alcuna poiché
Ryoken sciolse la stretta delle loro mani e si sporse verso di lui,
avvolgendolo nel calore del suo corpo. Lo stava abbracciando. Lo stava
abbracciando su un prato primaverile, durante un tramonto dalle
sfumature del dolce sapore di un nuovo inizio
(una nuova vita)
e
con un'intensità tale da farlo sentire una cosa sola con la
completezza assoluta.
Se
le loro mani erano state progettate su misura per stringersi tra loro,
i loro petti erano stati fabbricati per aderire perfettamente. C'era
qualcosa di unico e irripetibile in quell'abbraccio, una conquista
importante, un sogno che diventava realtà dopo innumerevoli
sofferenze.
(C'era tutto ciò che non erano mai stati prima e che ora
potevano essere).
Così
era questo, un abbraccio. Era diventare un tutt'uno con il cuore di
un'altra persona, era fondersi in una cosa sola, nuova e meravigliosa.
Tutte
le gelide notti che Yusaku aveva trascorso nella solitudine
più totale, stringendo a sé un cuscino inanimato
nel disperato tentativo di immaginare cosa si provasse a essere
abbracciati, furono spazzate via con garbo e compassione, sostituite da
un calore intenso all'altezza del cuore.
Mentre
si lasciavano andare sempre più a quel contatto intimo e
incantevole, Yusaku chiuse gli occhi colmi di lacrime cristalline e
salate e sognò per brevi istanti una bellissima ragazza dai
lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri, limpidi e trasparenti che
sorrideva con genuina felicità. Non sapeva chi fosse, ma la
comprendeva appieno.
(Era felice anche lui).
12
Fu
naturale, per loro, dormire insieme quella notte. A casa di Ryoken, in
riva al mare, cullati dal dolce suono delle onde, stretti l'uno
all'altro in quel legame divenuto oramai indissolubile.
Avevano
un disperato bisogno di rimanere attaccati
e di sentire i loro cuori battere all'unisono. Avevano bisogno di non
sentirsi più soli. E avevano bisogno di sentirsi al sicuro,
di rifugiarsi nella certezza che insieme avrebbero superato ogni
avversità.
(Quella notte, per la prima volta dopo tanto tempo, una giovane donna
dimenticata poté finalmente riunire le due metà
strappate del suo cuore in un'unica essenza traboccante d'amore).
13
“Per me il tempo
scorre in maniera differente. Come un placido corso d'acqua che non ha
fretta di sfociare nel mare”. Ryoken glielo
aveva confidato in una notte colma di stelle lontane e bellissime e
Yusaku non trovò difficile credere a quell'affermazione
— l'aveva avvertito lui stesso con un semplice tocco e,
ancora di più, ogniqualvolta osservava quella vita infinita
svolgersi a ritroso dinanzi i propri occhi meravigliati.
Perché, a una manifestazione simile, non vi avrebbe mai
fatto davvero l'abitudine, ne era più che certo.
Perdersi
in lunghi abbracci era diventata parte integrante della loro
quotidianità, come se vivessero solo per quello, per stare
insieme il più possibile e non staccarsi mai.
(E, in fondo, era proprio così).
(Un tempo infinito messo a disposizione per due piccoli esseri umani
come loro).
Yusaku
aveva iniziato a comprendere le parole di Ryoken nel giro di poche
settimane: anche per lui il tempo aveva iniziato a scorrere in maniera
diversa, come se una sbiadita patina di irrealtà gli si
fosse adagiata sulle iridi chiare. Una patina che distorceva in maniera
quasi impercettibile il susseguirsi infinito e monotono dei secondi, ma
Yusaku era comunque in grado di coglierne ogni sfumatura dissimile dal normale.
Ryoken
percepiva questa distorsione in maniera ancora più marcata e
Yusaku spesso si domandava come dovesse apparire il mondo ai suoi
occhi. Come dovesse apparire lui
ai suoi occhi.
Ryoken
lo guardava in un modo che lo faceva sentire strano e desiderato al
tempo stesso. Forse era questo che si provava quando si era importanti
per qualcuno. Yusaku non aveva mai avuto certezze in merito
poiché nessuno l'aveva mai fatto sentire così e cielo, era quanto di
più bello potesse esistere sulla faccia del pianeta.
Non
vi avrebbe mai rinunciato. Per nulla al mondo. Ora che aveva assaporato
la vera felicità, avrebbe fatto di tutto per tenersela
stretta.
14
«Ohi, Fujiki!»
La
voce di Shima Naoki gli giunse alle orecchie come un'esplosione che
fece tremare i timpani per secondi interminabili. Yusaku si
fermò, voltandosi lentamente nella sua direzione. Si era
già allontanato a sufficienza dall'edificio scolastico e,
per tale motivo, intuì che il ragazzo l'avesse seguito per
un po'.
«Ti serve qualcosa?» domandò con il tono
di voce più anonimo che possedeva. Nulla contro Shima Naoki,
aveva solo una gran voglia di tornare a casa.
(Di tornare da Ryoken).
«Senti un po', ma perché fino a qualche mese fa
nessuno ti rivolgeva la parola?» gli chiese questi, una volta
raggiunto. Aveva il fiato corto, segno che stare al suo passo gli era
difficile. Ottimo, avrebbe potuto seminarlo in fretta nel caso fosse
diventato troppo insistente.
Yusaku
si limitò a fare spallucce e un piccolo sorriso
affiorò sulle sue labbra. «Nulla di che, giravano
solo strane voci sul mio conto» disse, prima di riprendere a
camminare.
Nel
corso dei mesi, la percezione nei suoi confronti era decisamente
mutata. Dapprima in maniera quasi impercettibile — proprio
come la patina che gli si era adagiata sulle iridi e che distorceva lo
scorrere del tempo alla sua vista —, fino a diventare sempre
più evidente.
Tutto
iniziò neanche due settimane addietro, quando un suo
compagno di classe gli diede una pacca sulla spalla per congratularsi
con lui dell'eccellente voto che aveva preso nel test di matematica.
Yusaku strabuzzò gli occhi al punto tale che se da quel
momento in poi tutti quanti avessero iniziato a chiamarlo
“pesce palla” non se la sarebbe nemmeno presa. Dopo
lunghi attimi di incertezza, si era limitato a ringraziarlo
frettolosamente e uscire dalla classe per chiudersi in bagno e
telefonare a Ryoken.
«Te ne sei accorto?» gli chiese questi dopo che
Yusaku ebbe raccontato per filo e per segno quanto accaduto.
«Credo che la tua maledizione stia iniziando pian piano a
saziarsi. Di conseguenza, appare molto meno minacciosa agli occhi degli
altri, o quantomeno a ciò che percepiscono quando ti sono
vicini».
Quelle
parole gli si insinuarono nelle vene, trasportando nuova linfa vitale
al cuore.
«Questo… questo non lo avevo
preventivato» ammise con un filo di voce e il labbro
inferiore che tremava appena.
«D'ora in avanti allora fallo. Presta attenzione a cosa e
soprattutto a chi ti circonda, sono convinto che ti basterà
poco per cogliere tutte le differenze rispetto a prima. Non
è meraviglioso, Yusaku? Ora potrai goderti la vita come un
normale ragazzo delle superiori!»
Yusaku
non credeva di essere mai stato normale e di certo non avrebbe iniziato
in quel momento. La normalità dei suoi coetanei non gli era
mai appartenuta ma forse, da quel giorno in poi, avrebbe potuto provare
a capire di che cosa si trattasse.
«Senti, Ryoken…» pronunciò il
suo nome piano, proprio mentre suonava la campanella che annunciava la
fine dell'intervallo, «… come fanno a non
ricordare nulla? A inizio anno scolastico mi stavano tutti alla larga e
mi guardavano come se fossi il demonio sceso in Terra, ma
ora… ora sono più gentili, ma sembra che abbiano
completamente rimosso tutto ciò che c'è stato
prima».
Ryoken
non rispose subito e quell'attesa lo portò ad agitarsi un
poco. Quando finalmente lo fece, Yusaku si sentì di nuovo
ancorato al pavimento del bagno: «Forse anche loro avevano una patina sugli
occhi che impediva di vederti per ciò che sei realmente.
Apparivi come un individuo distorto e pericoloso, ma forse nemmeno se
ne rendevano conto. Anche se questo non cancella tutto il dolore che
hai provato per quasi diciassette anni…»
Yusaku
fece un profondo respiro prima di domandare: «E tu, Ryoken?
Tu come mi hai visto in tutto questo tempo?»
Questa
volta, Ryoken impiegò molto meno tempo a rispondere. E, nel
farlo, Yusaku immaginò che stesse sorridendo nello stesso
modo in cui, mesi addietro, l'aveva invitato a pranzo per la prima
volta.
«Bellissimo,
Yusaku. Mi sei apparso bellissimo fin dal primo momento che ti ho
incontrato».
Mentre
ripensava a quel frammento di vita, a come si fosse sentito nell'udire
quelle parole
(il cuore che batteva
celere, le gote ridotte a un ammasso di carne bruciata, le gambe molli)
e
al fatto che lui e Ryoken non avevano più ripreso in mano
quella discussione senza un apparente motivo, Yusaku non si accorse,
almeno in un primo momento, che Shima Naoki stesse continuando a
seguirlo quasi arrancando al suo fianco.
«Sì, ma è davvero strano, Fujiki!
Nessuno sa nulla di te, tipo dove abiti o quali sono le tue
passioni… sei un vero mistero!»
Yusaku
si fermò una seconda volta e fissò per mezzo
istante il ragazzo che stava riprendendo fiato. «Abito nella
villa in riva al mare e mi piacciono i videogiochi» rispose
semplicemente, nella speranza che così facendo avesse
soddisfatto la curiosità del suo interlocutore.
Shima
Naoki parve riscuotersi da un lungo torpore. «Eh?! La villa
in riva al mare?! Ma è enorme! Quanti siete in
famiglia?!»
Yusaku
non ascoltò il resto — gli aveva chiesto se fosse
ricco o qualcosa di simile — e riprese a camminare con la
mente indirizzata a un'unica domanda e a un'unica persona: quanti siete in famiglia?
Lui
e Ryoken cos'erano
in realtà? Avevano un rapporto del tutto diverso rispetto a
quello che instauravano i ragazzi della loro età: vivevano
insieme — era stato naturale, per Yusaku, trasferirsi nella
villa in riva al mare quando Ryoken glielo aveva chiesto — e
dormivano abbracciati tutte le notti.
Ma
nessuno avrebbe mai potuto immaginare che il loro stile di vita fosse
dettato da un'esigenza primordiale che li voleva insieme in un modo
impossibile da descrivere.
Yusaku
doveva percorrere ogni giorno un tragitto molto più lungo
sia per andare a scuola che per tornare a casa, ma questo non gli
pesava affatto. Anzi, così facendo aveva modo di guardarsi
intorno e di osservare la città sotto innumerevoli sfumature
che non aveva mai colto.
(Poteva sentirsi al
sicuro a camminare tra la gente, senza più provare il
terrore atavico di fare del male a qualcuno semplicemente sfiorandolo).
Più
si avvicinava alla villa, più il dolce suono delle onde del mare
gli cullava i timpani, rilassando il suo intero corpo. E quando
giungeva a casa
e si chiudeva la porta alle spalle, ecco che l'invitante profumo del
pranzo gli solleticava le narici; la consapevolezza che ad accoglierlo
ci fosse qualcuno e che non avrebbe mai più trascorso le sue
tristi giornate nella solitudine assoluta era la conquista
più bella che avesse mai ottenuto.
Alcune
volte Ryoken lo aspettava fuori da scuola per andare a desinare da
qualche parte in città oppure portava con sé
dei bento
da aprire una volta giunti al parco cittadino. Erano le sorprese che
Yusaku più apprezzava poiché gli riempivano il
cuore di una felicità tremante. Ed era tutto merito di
Ryoken.
Ryoken
che lo faceva sentire bellissimo per davvero.
15
Yusaku
si rese conto di aver seminato Shima Naoki quando mancava ormai poco
per raggiungere casa. Fece spallucce e si ripromise di sforzarsi di
scambiare qualche altra chiacchiera con lui l'indomani a scuola per
farsi perdonare.
Ora
i suoi pensieri erano tutti dedicati a Ryoken, al desiderio di
riabbracciarlo e di raccontargli come fosse andata la giornata
— e sapere come fosse andata la sua.
Ryoken
nel corso dei secoli aveva frequentato l'università una
cinquantina di volte e, se all'inizio lo aveva fatto per restare al
passo coi tempi e ricevere un'istruzione adeguata, a lungo andare il
tutto si era tramutato in una disperata ricerca di risposte circa la
sua condizione
(maledizione).
Risposte
che, nel presente, non aveva ancora trovato.
Così
ora Ryoken trascorreva le sue giornate a prendere libri in prestito
dalla biblioteca o ad acquistarli in libreria e leggere, leggere a non
finire, leggere fino a imparare a memoria paragrafi interi. Aveva
frequentato l'università troppe volte per rendersi conto che
lì non avrebbe mai trovato ciò che cercava e
anche Yusaku aveva ormai capito che nell'ordinarietà del
programma scolastico della scuola superiore che frequentava non avrebbe
mai trovato nulla di utile e interessante riguardo loro.
Ryoken
però non si arrendeva, era sicuro che qualcosa, un giorno,
sarebbe sicuramente emerso in mezzo a quel coacervo di pagine stampate
con l'inchiostro scuro. In fondo doveva pur impiegare le sue giornate
in qualcosa, no? E visto tutto l'impegno che ci metteva, Yusaku si
stava impegnando a sua volta nel mantenere un rendimento scolastico
lodevole e socializzare un po' di più coi compagni di classe.
(Ma Ryoken rimaneva
sempre il suo preferito).
L'immensa
villa nella quale vivevano si era presto tramutata in una biblioteca
che racchiudeva al suo interno storie antiche e pericolose, altre dolci
come un bel sogno e altre ancora amare come una medicina non zuccherata.
Era
un bel posto, forse davvero troppo grande per due sole persone, ma
comunque accogliente e luminoso. Ed era casa loro, lo era a tutti gli
effetti.
Anche
se, a essere sincero fin nel profondo, Yusaku sentiva che mancava
qualcosa. Come se, nonostante tutto, quello non fosse il posto giusto
per loro. Non sapeva spiegarsi come o perché, ma alcune
volte immaginava di vivere tra la neve, lontano da tutto e da tutti, al
riparo dal bollente sole estivo e dalla sabbia che ustionava la pelle.
Fece
spallucce un'altra volta ancora, relegando quell'idea al semplice
pensiero che fosse ormai estate inoltrata, le vacanze di agosto non
erano ancora arrivate e lui mal sopportava il caldo. Erano, dunque,
solo i pensieri di un adolescente come tanti che non vedeva l'ora di
trovare ristoro durante la stagione più afosa dell'anno.
16
Solitamente,
quando rientrava in casa, Yusaku era accolto non solo dagli invitanti
profumi delle pietanze cucinate per il pranzo, ma anche dal sorriso di
Ryoken, dal suo “Bentornato”
e da un lungo abbraccio. Quel giorno fu diverso perché non
accadde nulla di tutto ciò che aveva ormai iniziato a
comporre la loro quotidianità.
Ma,
nonostante tutto, fu meraviglioso lo stesso. Forse anche più
bello. Anzi, lo fu sicuramente.
Ryoken
era seduto sul divano, lo sguardo fisso su due pagine che, dalla
distanza in cui si trovava, Yusaku non riuscì a
identificare. Lo spesso volume poggiato sulle sue cosce era aperto
circa a metà, segno che avesse trascorso l'intera mattinata
a leggerlo — aveva iniziato la sera addietro, leggendo
però solo le prime pagine.
«Ryoken…» Yusaku lo chiamò
piano, quasi avesse il timore di spaventarlo. E in effetti era proprio
così, dato che il ragazzo pareva completamente assorbito da
ciò che aveva letto in quelle pagine che sapevano di
lontano, di terre mai viste prima ed epoche sconosciute perfino a lui
che per settecento anni aveva camminato per le strade dell'intero
pianeta.
A
sentire il suo nome, Ryoken si ridestò con un lieve sobbalzo
da tutti i suoi pensieri. «Yusaku…»
sussurrò piano a sua volta dopo aver alzato lo sguardo su di
lui. Poi si riscosse del tutto e, dopo aver poggiato il volume sul
tavolino in vetro, si alzò in piedi e gli andò
incontro.
Non
gli chiese scusa per non aver ancora preparato il pranzo, né
per non averlo accolto come suo solito. Non fece niente di tutto
ciò. Gli strinse forte le mani e lo guardò in un
modo che Yusaku non avrebbe mai dimenticato: era come se Ryoken fosse
entrato in contatto con ciò che si nascondeva al centro
dell'universo, la fonte di energia massima e suprema.
Come
se una nuova vita — o un nuovo modo di viverla e
interpretarla — si fosse fatto spazio nei suoi pensieri. Era
come se, nelle sue iridi azzurre, si fosse materializzato il segreto
più importante fra tutti. Il loro.
«Ho trovato la
risposta che abbiamo a lungo cercato».
17
Tanto tempo fa, nelle fredde
Terre del Nord, viveva un piccolo villaggio di contadini da
più di cinque generazioni. Erano persone umili e perbene
che, nonostante la rigidità della loro terra, erano sempre
grate per ciò che offriva loro.
Non vivevano nella miseria
assoluta, ma erano comunque costrette a compiere tanti sacrifici per
garantire un pasto caldo la sera ai loro figli prima di andare a
dormire.
Il Sole, ammirato e
impietosito al tempo stesso dalla loro tenacia, decise di aiutarli
offrendo un dono dal valore inestimabile: trasformò uno dei
suoi più caldi raggi in una giovane donna che
chiamò Synnöve e le disse che, da quel momento in
poi, avrebbe portato gioia e prosperità al villaggio grazie
al potere custodito nella sua mano destra, il quale dava tutto senza
chiedere nulla in cambio; al contempo, però, quell'immenso
potere era controbilanciato da ciò che risiedeva nella sua
mano sinistra, ovvero la possibilità di togliere tutto senza
pietà alcuna. Stava a lei decidere come e quando usare
entrambi i suoi poteri.
Così
Synnöve giunse al villaggio e fu accolta con benevolenza e
devozione. Era figlia del Sole e, proprio per questo, brillava di luce
propria; i lunghi capelli parevano fili dorati che se intrecciati tra
loro creavano meraviglie mai viste prima e gli occhi erano simili a due
pezzi di cielo ritagliati su misura per lei. Sorrideva sempre,
Synnöve, perché questo sapeva fare, portava gioia e
serenità ovunque volgesse lo sguardo e scaldava il cuore di
chiunque incontrasse sul proprio cammino.
Il figlio del capo villaggio
si innamorò perdutamente di lei e la corteggiò
per settimane intere prima che Synnöve accettasse di sposarlo.
Nel mentre, però, qualcosa di sinistro aveva iniziato a
insinuarsi nel villaggio e ad aleggiare mortifero tra le abitazioni.
Qualcosa di oscuro e spaventoso, in grado di frantumare l'animo umano e
rimodellarlo in un'essenza torbida e mefitica.
Più
Synnöve usava i poteri custoditi nella sua mano destra,
più si rendeva conto che qualcosa non andava. Dapprima non
vi aveva fatto caso: i contadini, meravigliati dalla
prosperità che ella aveva portato al villaggio, l'avevano
ringraziata e venerata con una devozione nello sguardo in grado di
scaldare il Sole stesso; ma nel giro di poco tutto ciò che
Synnöve aveva fatto e continuava a fare per loro non bastava
più: i campi da coltivare erano troppo piccoli e andavano
ampliati, la neve da sciogliere era sempre di più, le
infrastrutture necessitavano di piani più alti, sempre
più alti, fino a toccare il cielo, e i gioielli in oro e
argento puro da vendere o indossare per rimirarsi dinanzi lo specchio
per ore intere non erano mai abbastanza.
Nessuno si fermava
più ad ammirare i fiori sbocciati tra la neve, quegli stessi
fiori colorati che avevano suscitato così tanta meraviglia
il primo giorno che erano emersi con graziosa timidezza; ora chiunque
li calpestava senza curarsi minimamente del loro dolore e dei loro
singulti spezzati, perfino i bambini si stavano inabissando sempre
più nella spirale eterna dell'ingordigia e dell'avarizia.
Il villaggio brillava
più del Sole per tutto l'oro e l'argento che
Synnöve aveva donato ai suoi abitanti, ma dentro era vuoto,
era una terra arida di sentimenti genuini e spensieratezza. I contadini
pensavano solo ad arricchirsi e vivere in un lusso che non avevano mai
assaporato e che non sapevano come gestire.
E allora Synnöve
comprese che il suo dono non era più visto come un miracolo,
bensì come una fonte di potere assoluto. Tutti quanti
avevano perso la luce negli occhi, sostituita da un lampo di pura
malignità.
La giovane donna
compì dunque una scelta che avrebbe cambiato per sempre la
sua sorte: usò il potere sigillato nella sua mano sinistra
per riportare tutto quanto al suo stadio iniziale e mentre compiva la
sua magia rivide la vita di ogni abitante del villaggio svolgersi a
ritroso dinanzi a lei. Pian piano, lentamente e con molta grazia, i tratti del viso
di ognuno mutarono in quelli dolci e gentili dell'umiltà e
ritornarono a ciò che erano un tempo, quando la neve rendeva
difficile coltivare i campi ma nessuno si lamentava mai e chiunque era
grato al pallido Sole di offrire parte del suo immenso calore anche
lì, in quella terra così lontana e aspra alla
vita.
Fu lì che
Synnöve comprese di aver sbagliato, di aver offerto troppo in
così poco tempo e di aver corrotto senza volerlo la mente e
i desideri di quelle persone tanto semplici. Voleva porre rimedio agli
errori commessi e, per farlo, doveva rimanere ferma nelle sue
posizioni: non si lasciò abbindolare dalle suppliche dei
contadini, dai pianti delle donne e dalle grida dei bambini e non si
scompose minimamente nel momento in cui tutta la loro disperazione si
tramutò in una lunga sequela di minacce e bestemmie e
ruggiti infuriati.
Sapeva che a parlare non erano
le loro vere essenze, ma la corruzione che le aveva contaminate. In
quel villaggio ritornato al suo stadio iniziale, coi piccoli campi
coperti da un manto di soffice neve e le case vuote di beni di lusso ma
piene di vita, Synnöve spiegò che non avrebbe usato
i poteri della sua mano destra per un anno intero, in modo tale che
ogni abitante potesse riscoprire se stesso attraverso il sacrificio del
duro lavoro. Chinò il capo e domandò il loro
perdono per averli resi talmente schiavi delle ricchezze materiali da
dimenticare quali fossero i veri valori della vita.
Quella stessa sera,
Synnöve annunciò che se ne sarebbe andata e che
avrebbe vegliato su di loro fino al suo ritorno l'anno successivo, ma
il figlio del capo villaggio insistette affinché la giovane
donna rimanesse fino al mattino successivo, in modo tale non solo di
riposare, ma anche di partire guidata dalla luce del Sole.
Synnöve
accettò, intenerita dalla sua gentilezza, e gli promise che
l'anno successivo, quando tutto si fosse risolto, l'avrebbe sposato. Ma
il figlio del capo villaggio non era più intenzionato a
sposarla, non dopo l'affronto che aveva recato alla sua famiglia
privandola di tutti i tesori che avevano accumulato grazie al suo
potere e che ora non avevano più a causa di quello che lui
riteneva un puerile capriccio.
Egli era l'uomo più
avido e meschino delle lontane Terre del Nord ma, a differenza di tanti
altri, era sempre stato bravo a celare questo oscuro tratto della sua
persona sotto strati e strati e strati di finta bontà e
compassione. Aveva sempre odiato la miseria nella quale viveva lui,
solo e soltanto lui, perché per gli abitanti del suo villaggio
non provava nulla se non un profondo ribrezzo.
Così decise che
quella notte, mentre Synnöve dormiva, le avrebbe amputato la
mano sinistra e l'avrebbe bruciata, in modo tale che la giovane non
avrebbe mai più potuto sottrargli le sue ricchezze ma solo
donargliele, come una moglie devota doveva fare. L'avrebbe costretta a
sposarlo quella stessa notte, all'oscuro di tutto il villaggio, perfino
di suo padre. E una volta divenuto più ricco e importante di
lui, avrebbe comandato su tutti quanti come unico e vero signore di
quelle terre bianche e grigie.
Così la notte
giunse, amara e inesorabile, e le lunghe ombre avvolsero le strade
deserte e i campi ricoperti di neve. Synnöve faticava ad
addormentarsi, non riusciva a provare un solo briciolo di
serenità e l'inquietudine le serpeggiava sottopelle
facendola svegliare di soprassalto al minimo rumore.
Per questo, quando la luna fu
alta e piena nel cielo e la porta della sua camera si aprì,
lei spalancò gli occhi di scatto, colta da un terrore gelido
e pungente, un terrore che le serrò la gola con dita
scheletriche e avvizzite. Era un raggio di Sole, Synnöve, ma
tutto il suo calore venne meno nel momento in cui, voltandosi e alzando
il busto, vide l'uomo che amava armato di un coltello affilato avanzare
verso di lei con fulmini e saette di follia pura che esplodevano nei
suoi occhi.
Tutto le fu subito chiaro:
comprese che non avrebbe mai potuto cambiare il cuore ormai troppo
corrotto di quelle povere creature confinate nelle gelide Terre del
Nord. E il dolore che provò nel realizzare una
verità di questo tipo fu così grande, immenso e
atroce che la uccise.
Synnöve, il dono del
Sole, morì di crepacuore ancor prima che il suo promesso
sposo ebbe il tempo di affondare il coltello nel suo braccio sinistro.
Il suo cuore si strappò a metà e si dissolse nel
nulla, ma non prima di aver preso in custodia i poteri racchiusi nelle
sue mani: nella parte destra vi confinò la
prosperità e la ricchezza e in quella sinistra il ritorno al
punto di origine.
Le mani della giovane
divennero così due mani comuni, prive di qualsiasi
unicità. E ancor prima che il figlio del capo villaggio
potesse rendersi conto di ciò che era capitato, una potente
bufera di neve si abbatté su quelle terre dimenticate dal
Sole, seppellendole ed estinguendole per sempre.
Il cuore spaccato a
metà di Synnöve vagò in lungo e in largo
per tutto il mondo alla ricerca di qualcuno che lo potesse proteggere.
Ma le due metà si erano perse e allontanate, senza
più ritrovarsi, rendendo così instabili i poteri
che custodivano al loro interno ed elevandoli a qualcosa che, se preso
singolarmente, risultava terrificante e minaccioso: la vita eterna
nella parte destra e l'annientamento della linfa vitale in quella
sinistra.
Fino a quando due anime
gemelle condannate alla solitudine perpetua non avranno modo di
incontrarsi e completarsi a vicenda, il cuore strappato di
Synnöve continuerà a soffrire, trasportato dal
vento della disperazione.
Solo due vere anime gemelle
saranno in grado di spezzare la maledizione e, così facendo,
Synnöve potrà finalmente riposare in pace.
• Dead
by April — A Promise || Siate
Curiosi Sempre
• Ditemi se il ritornello della
canzone non urla DATASTORMSHIPPING a ogni parola.
Questa canzone parla
davvero di loro, non c'è altra spiegazione.
E vorrei dire che
questa storia è nata proprio con l'intento di creare una
leggenda al suo interno (quella di Synnöve), ma mentirei se lo
dicessi, perché questa mini long vive per tutt'altro motivo
che scoprirete nel prossimo capitolo, che sarà anche
l'ultimo — rido perché inizialmente questa storia
doveva essere una One Shot.
Più che
altro, desideravo concluderla oggi perché è il 20
marzo ed è il compleanno di Yusaku, sempre secondo i miei
personalissimi Headcanon e quindi non è nulla di ufficiale,
ma almeno oggi ho pubblicato il cuore di questa storia, quindi va
benissimo anche così.
• Spero con tutta me stessa di
avervi offerto delle risposte esaustive circa le maledizioni di Ryoken
e Yusaku e che tutto fili liscio e senza alcun intoppo.
Una mega confezione di
biscotti in regalo a tutti coloro che, nelle recensioni al primo
capitolo, hanno intuito che si trattasse di una questione di
“anime gemelle”, perché è
proprio così: solo due vere anime gemelle possono spezzare
la maledizione di Synnöve e questo destino è
capitato proprio a Ryoken e Yusaku perché
sono sadica e mi piace sguazzare nell'Angst trascinando questi due
poveri disgraziati con me, in sostanza.
• La leggenda è
ambientata in Svezia. So che nello scritto non l'ho mai specificato, ma
in ogni caso sì, le fredde Terre del Nord in questa mini
long sono proprio la Svezia — omaggio ai Dead by April che
sono svedesi e non solo, fosse per me mi trasferirei a
Göteborg tipo SUBITO, ma dettagli.
Amo la Svezia pur non essendoci mai stata e spero un giorno di poterla
visitare.
• Synnöve significa dono del sole ed
è la variante svedese di Synnøve (nome
norvegese); ovviamente ai tempi di questa leggenda (qualcosa come uno o
due millenni fa) il nome Synnöve ancora non esisteva, dato che
deriva dall'antico nome anglosassone Sunngifu e poi, nel
Medioevo, da Sunnifa.
Mi sono presa la
libertà di chiamare la donna della leggenda Synnöve
solo per rimarcare il fatto che la leggenda è svedese, tutto
qui.
• Non vedo l'ora di farvi
scoprire cosa succederà nel terzo (e ultimo) capitolo.
Avete qualche teoria a
riguardo? Fatemi sapere, se vi va.
Io intanto vi
ringrazio per essere arrivati fino a qui.
M a
k o
|
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Capitolo 3 *** Terza parte ***
A Promise (pt.3)
N.d.A. in fondo alla pagina.
Buona lettura!
A
PROMISE
(Terza parte)
18
“Fino a quando due
anime gemelle condannate alla solitudine perpetua non avranno modo di
incontrarsi e completarsi a vicenda, il cuore strappato di
Synnöve continuerà a soffrire, trasportato dal
vento della disperazione.
Solo due vere anime
gemelle saranno in grado di spezzare la maledizione e, così
facendo, Synnöve potrà finalmente riposare in
pace”.
Yusaku aveva letto e riletto quelle ultime frasi così tante
volte che gli si erano impresse nell'anima, sottopelle. La leggenda di
Synnöve giaceva sempiterna su quelle pagine carezzate dallo
scorrere inesorabile del tempo, parole nero pece che pulsavano di vita,
dolore e un altro sentimento al quale Yusaku aveva imparato a dare una
forma nel corso del tempo da quando Ryoken si era fatto spazio nella
sua esistenza, raccogliendola da terra con mani calde e gentili e
trasformando le sue giornate vuote e solitarie in momenti degni di
essere vissuti.
Ma quella non era solo la leggenda di Synnöve: era qualcosa di
molto più grande e immenso, un frammento di storia che aveva
viaggiato nel corso dei secoli alla disperata ricerca del proprio posto
nel mondo. Aveva sorpassato un'infinità di epoche e si era
perso tra miliardi di persone differenti prima di trovare Ryoken e poi,
settecento anni dopo, trovare anche Yusaku.
E fu lì, proprio in quel momento che Yusaku si rese conto
fin nel profondo che ciò che aveva appena letto non fosse
un'antica leggenda, bensì la realtà di un mondo
lontano e sconosciuto che aveva lottato fino allo stremo per poterlo
raggiungere.
Quella era una storia che, da qualche parte del pianeta, era capitata
per davvero. Si era avverato tutto ciò che aveva letto in
quelle pagine scolorite e in quel presente tanto distante stava ancora
proseguendo nel suo estenuante cammino. Perché non era
finita. Non ancora, almeno.
Si stava avviando lentamente verso la sua conclusione. Ma se il sole
fosse esploso in quel momento, loro se ne sarebbero accorti solo otto
minuti dopo, poiché la sua luce impiega quel lasso di tempo
per raggiungere la Terra.
(E i loro personali otto minuti prima del vero finale erano ancora
tutti da vivere).
Yusaku chiuse il voluminoso tomo e lo poggiò sul tavolino.
Si voltò verso Ryoken il quale, seduto sul divano accanto a
lui, attendeva trepidante la sua risposta in merito.
«Cosa ne pensi?» gli
chiese infatti a mezza voce, con una nota di titubanza che gli fece
tremare le corde vocali.
Yusaku non replicò nell'immediato. Aveva quasi il terrore di
spezzare in due quel momento, proprio come il cuore di Synnöve
era stato strappato in due parti uguali prima di dissolversi nel nulla
e vagare per secoli interi prima di trovare due anime gemelle in grado
di completarsi a vicenda.
Avvertì i battiti cardiaci farsi più concitati e
le punte delle dita iniziarono a formicolare. Yusaku non si era mai
sentito così strano in vita propria, nemmeno quando aveva
realizzato che il modo in cui Ryoken lo guardava sempre fosse pregno di
desiderio e quel sentimento incondizionato e impronunciabile.
(Qualcosa che ricambiava con ogni fibra del suo essere).
Il solo fatto di avere così tanto bisogno l'uno dell'altro
al punto tale da dormire abbracciati ogni notte era una prova evidente
e concreta di quanto il loro legame fosse diverso rispetto a tutti gli
altri, la stella più luminosa di una costellazione infinita.
E ora, mentre si voltava verso Ryoken e lo guardava dritto negli occhi,
Yusaku provò l'atavico desiderio di diventare una cosa sola
con lui. La sua anima, ancor prima della sua carne, fremeva per questo.
Si avvicinò a Ryoken lentamente, le labbra un poco schiuse e
gli occhi che brillavano di una luce soffice e carezzevole. Quando i
loro respiri trovarono un punto d'incontro caldo e compatto, Yusaku
comprese che da quel momento in poi niente sarebbe più stato
come prima; che ogni nuovo abbraccio, ogni nuovo contatto fisico e ogni
nuovo intreccio di dita sarebbe stato più intenso,
amplificato, incandescente come il nucleo di una stella in procinto di
collassare su se stesso.
Ryoken ricambiò il suo sguardo e gli prese il volto tra le
mani, lasciandogli intendere che desiderasse la stessa cosa. E questa
volta, anziché nutrirsi di quella vita eterna che tanto
l'appagava, la maledizione — o ciò che ne rimaneva
— sospirò di sollievo.
E quando le loro labbra si incontrarono per la prima volta, qualcosa, da qualche altra parte in un
altro universo, si accese per un piccolo istante in un
mondo ormai sull'orlo del declino eterno. Una rassegnazione dolce come
il miele che profumava come la notte dei tempi.
19
Si
erano toccati, sfiorati e carezzati un'infinità di volte. Si
erano abbracciati e stretti forte l'uno all'altro per notti
interminabili, allacciati in un legame che li voleva uniti nell'anima,
due cuori che in realtà erano le due metà
complementari dello stesso spirito.
E ora, mentre si scambiavano il loro primo bacio d'amore, compresero
entrambi il vero significato della storia di Synnöve. Per
secoli interi il suo cuore strappato a metà aveva a lungo
cercato qualcuno che potesse infondergli nuovamente speranza e
scaldarlo col proprio calore, e se aveva scelto loro due doveva davvero
esserci un motivo. Forse settecento anni addietro Ryoken non avrebbe
mai amato per davvero e forse, nell'età contemporanea,
Yusaku sarebbe sempre rimasto solo. In un modo o nell'altro, erano
destinati a incontrarsi e incastrarsi
tra loro al punto tale che c'era voluta un'antica leggenda nordica per
far sì che ciò accadesse.
E ora che tutto ciò si stava realizzando, ora che le loro
labbra erano unite in un dolce sospiro d'amore e ora che le loro mani
vagavano sulla pelle accaldata, si sentirono più completi
che mai. Perfetti e insostituibili, armonia allo stato puro.
Mentre Ryoken lo spogliava e coi polpastrelli percorreva i sentieri del
suo corpo, Yusaku provò una profonda pace interiore in grado
di renderlo un tutt'uno con il centro dell'universo; non aveva mai
provato sensazioni simili né aveva mai creduto che un giorno
le avrebbe sperimentate con qualcuno, e fu proprio per questo che la
sua felicità si amplificò al punto tale da
toccare le stelle: perché ogni suo timore era stato
scacciato via dalla sua testa e tutto ciò che rimaneva era
il dolce suono della neve che si poggiava sui tetti delle case.
(Quindi era questo ciò che significava essere importante per
qualcuno, essere il suo tutto, la sua ancora di salvezza).
Lui e Ryoken si erano salvati a vicenda, avevano colmato le loro
perenni solitudini con lunghi abbracci e notti a perdersi in fiumi di
parole e racconti sussurrati sotto le candide lenzuola; erano stati
l'uno il sostegno dell'altro, la Stella Polare che non smetteva mai di
indicare la giusta direzione da prendere.
E allora Yusaku capì, mentre diventava una cosa sola con
Ryoken, che tutta la sofferenza che avevano provato aveva avuto un
senso. Un senso dolceamaro che permeava ancora sulla lingua, ma che
prima o poi si sarebbe dissolto nel nulla.
Mentre facevano l'amore e si guardavano negli occhi riscoprendosi
un'altra volta ancora, entrambi si resero conto che le loro anime erano
fatte per perdersi altrove, lontane da tutto ciò che
concerneva la caoticità del mondo contemporaneo.
Tra la neve sarebbe andato tutto bene.
(Tra
la neve sarebbe stato tutto più bello).
20
La
sottile patina che distorceva lo scorrere del tempo gli si era adagiata
sugli occhi più di settecento anni addietro. Ryoken ai tempi
aveva diciotto anni e sempre diciotto anni aveva quando suo padre era
invecchiato al punto tale da non riconoscerlo più, quando la
sua prima infatuazione aveva perso la luce nelle iridi grigie come la
nebbia e quando tutti gli abitanti del villaggio nel quale viveva si
erano armati di coltelli e torce rudimentali per dargli la caccia
poiché considerato un demonio che si nutriva della vita di
tutti coloro che gli stavano accanto.
Aveva capito fin troppo bene che c'era qualcosa che non andava, di
essere diverso rispetto a tutti gli altri abitanti del villaggio; a
lungo andare, però, gli era bastato ancora meno per rendersi
conto di essere diverso dal resto del mondo intero.
Vagava in un limbo eterno nel quale la sua vita era perennemente
spaccata a metà; era circondato da persone che avevano un
rapporto diverso col tempo, ne temevano lo scorrere inesorabile delle
lancette e lo pregavano di essere clemente nei confronti dei loro
corpi, delle loro menti, delle loro ossa.
Ryoken temeva il tempo per un altro motivo: perché erano alla
pari. Il tempo scorreva e Ryoken scorreva con lui, alla
stessa velocità, una scheggia di luce che attraversava
l'universo e al contempo una chiocciola che vagava con placida calma
lungo un sentiero di campagna.
Il tempo era diverso per ogni essere umano presente sul pianeta, ma per
lui era una certezza inconfutabile, l'oggettività assoluta,
un fidato compagno che gravava sulle sue spalle doloranti. Le sue lame
affilate non lo scalfivano minimamente e questo era il dolore
più atroce che avesse mai provato: lui era una costante in
mezzo a tante varianti, un punto fisso, un disco rotto.
Il tempo scorreva placido senza alcuna alterazione: un secondo dopo
l'altro, senza mai accelerare o frenare bruscamente.
(E lui assisteva inerme).
Era vittima di qualcosa che non sapeva spiegarsi. Aveva compreso di
essere diverso, ma gli sfuggiva il perché.
Perché proprio lui? Quali peccati aveva commesso per
meritare una simile condanna?
Perché non poteva che trattarsi di questo, della condanna
più crudele fra tutte: godere di una giovinezza sempiterna e
inscalfibile mentre il tempo divorava la vita altrui senza lasciare
scampo.
Aveva amato e voluto bene e stimato e ammirato persone che poi si erano
spente davanti ai suoi occhi mentre lui rimaneva sempre uguale e quella
patina, quella
maledetta patina le distorceva in un modo talmente atroce
da mozzargli il respiro. Più gli anni passavano e
più Ryoken percepiva l'alienazione dal mondo intero farsi
sempre più pesante e opprimente.
(La condanna della vita eterna gravava sulle sue spalle sempre
più doloranti. Era una pesantezza indescrivibile, un macigno
che lo schiacciava sempre più giorno dopo giorno).
Aveva viaggiato per tutto il mondo, l'aveva esplorato in lungo e in
largo, ma mai nessun luogo lo aveva fatto sentire davvero a casa. E
più le lancette ticchettavano inesorabili, più
Ryoken si rendeva conto, con un'amarezza senza fine, che non avrebbe
mai avuto una vita normale. Nessuno comprendeva appieno cosa
significasse vivere — e vivere e vivere e vivere —
con l'eterna costante di rimanere uguale
in mezzo a persone destinate a mutare
nel corso degli anni; Ryoken durante i secoli era maturato, aveva
sviluppato una adattabilità necessaria per poter
sopravvivere agli svariati spostamenti che doveva compiere ogni cinque
o sei anni e aveva studiato all'università tutto
ciò che poteva apprendere per rimanere al passo coi tempi e
trovare una risposta, anche solo vaga, a ciò che lo
affliggeva. Solo che, come c'era da aspettarsi, ogni suo sforzo era
risultato vano, un ammasso di polvere trasportato via dal gelido vento
invernale.
Poi però
aveva incontrato Yusaku. In un giorno come tanti, dove il
susseguirsi dei secondi, dei minuti e delle ore era lo stesso di sempre
(la
solita immagine riflessa allo specchio, il solito sguardo spento, la
solita maschera di finta disinvoltura da sfoggiare davanti a dei
perfetti estranei)
e Ryoken dopo decenni aveva deciso di tornare in Giappone, la sua terra
natia, spinto soprattutto dalla curiosità di vedere di
persona quanto fosse mutata nel corso della sua assenza che per altro.
L'incontro con Yusaku fu del tutto casuale, eppure gli bastò
un solo attimo per rendersi conto di aver trovato il suo incredibile
punto d'inizio: per la prima volta, la sottile patina che gli copriva
gli occhi non distorceva la figura di quel giovane ragazzo che si
trovava di fronte a lui e Ryoken ebbe modo di vederlo per
ciò che era realmente.
(Bellissimo. Quel ragazzo era bellissimo e fragile e spaventato. E
proprio per questo gli apparve come una creatura meravigliosa).
Yusaku era destinato a entrare nella sua vita allo stesso modo in cui
Ryoken era destinato a farsi spazio nella sua; lui che, dopo secoli in
cui era sopravvissuto a tutti i suoi affetti, aveva tentato in ogni
modo possibile e immaginabile di non legarsi più a
nessuno poiché non si era mai abituato al dolore della
perdita.
Dopo tanta sofferenza e solitudine, aveva finalmente trovato qualcuno
non solo in grado di comprenderlo fino in fondo, ma anche di alleviare
il fardello che gravava sulla sua intera essenza. Il senso di
pesantezza che gli opprimeva il petto andava scemando sempre
più ogniqualvolta stringeva Yusaku a sé e mai in
vita propria aveva provato un benessere simile. Yusaku era la cura di ogni suo
male.
Per questo, a lungo andare, Ryoken si rese conto di ciò che
effettivamente il loro legame comportava: più rimanevano
l'uno accanto all'altro, più Yusaku diventava come lui e
maturava dentro di sé una concezione del tempo sempre
più lontana e diversa rispetto a tutto il resto del mondo.
Non voleva essere la sua condanna. Anche se questo significava doversi
allontanare dalla cosa
(persona)
più bella che la vita gli avesse mai donato.
21
Il
mare profumava di incanto e meraviglia e la rena era fresca sotto i
polpastrelli. Un migliaio
(o forse un miliardo)
di stelle vegliavano su di loro, incastonate nel cielo in un senso
logico che a loro ancora sfuggiva.
Avevano cenato in riva al mare, quella sera. Un grande telo colorato e
sottile ricopriva una minuscola porzione di spiaggia tutta per loro e
il cestino da pic-nic era ormai mezzo vuoto. Avevano speso i minuti
così, sotto lo sguardo vigile del firmamento illuminato.
«Yusaku». Ryoken lo
chiamò piano, in un sussurro che si perse tra le stelle
riflesse sull'acqua cristallina del mare. Temeva di rovinare la serata
dando una forma ai tarli che gli divoravano la mente.
Yusaku voltò il capo nella sua direzione e sorrise
candidamente. «Sì?» domandò,
e in quello sguardo Ryoken vi intravide così tanta innocenza
da sentirsi quasi stordito.
Deglutì e proseguì: «Non voglio girarci
intorno, quindi te lo chiedo direttamente» disse, avvicinando
una mano alla sua. La sfiorò e il solo tocco con la pelle di
Yusaku gli fece raggiungere vette altissime, come se fosse diventato un
tutt'uno con le punte innevate delle montagne. «Non vorresti
vivere un'esistenza normale?»
Yusaku sembrò pensarci su un attimo, poi rispose:
«Dipende da cosa intendi per “esistenza
normale”».
«Quella che vivono tutti gli
altri».
«Perché, la nostra
non lo è? Non è un'esistenza normale quella che
viviamo insieme tutti i giorni?»
Ryoken sussultò e ritrasse un poco la mano. Toccare Yusaku
significava renderlo sempre più simile a lui e non voleva
trasformare la loro vita insieme in una condanna per la persona che
amava.
«Lo sarebbe se il tempo
scorresse in maniera differente anche per noi»
sussurrò. Aveva la gola riarsa e lo stomaco chiuso per la
paura. «Ma non è così e penso che ormai
te ne sia reso conto anche tu: stai diventando come me, Yusaku, e non
voglio condannarti a—»
Subito dopo, il mondo si capovolse e per un attimo Ryoken ebbe la
sensazione che le stelle stessero per cascargli addosso. Erano vicine,
sempre più vicine, pietre preziose di grandezze indefinite,
salvo poi realizzare che fossero gli occhi di
Yusaku.
Yusaku che gli si era letteralmente buttato addosso e ora lo sovrastava
come la creatura meravigliosa che era.
(E Ryoken temeva di averlo rovinato per sempre).
«Se stare con te significa
vivere una condanna, allora sì, condannami per il resto dei miei
giorni».
Il cuore di Ryoken perse un battito. Quello stesso cuore che avrebbe
dovuto smettere di pompare il sangue circa settecento anni addietro.
Quello stesso cuore che si era illuso di conoscere a fondo ogni
sentimento mai provato dall'essere umano, ma si sbagliava: prima di
conoscere Yusaku, Ryoken non si era mai innamorato per davvero. La sua
unica priorità, ora, era il ragazzo dai stupendi occhi verdi
steso su di lui.
«Io voglio che tu sia
felice» parlò piano, sostenendo il suo sguardo.
«Non voglio farti patire ciò che ho subìto io per
settecento anni. Forse siamo ancora in tempo per…»
«Per che cosa, Ryoken? Per
vivere lontani l'uno dall'altro? È davvero questo ciò che
vuoi?»
«No». Lo disse
subito, senza pensarci due volte. Lo disse subito, senza riuscire a
frenare la lingua, perché in fondo era la verità:
tutto ciò che desiderava era poter vivere accanto a Yusaku,
l'unico in grado di farlo sentire in pace col mondo. E si
sentì egoista nel dare una forma a quel pensiero,
perché così facendo non lo proteggeva affatto.
«Io voglio vivere con te,
Yusaku. Ma non voglio nemmeno che tu soffra come ho sofferto io. Per
secoli interi ho vissuto nascondendomi dal resto del mondo, spostandomi
di città in città quando capivo che non c'era
più posto per me, quando la gente iniziava a insospettirsi
sulla mia vera identità. Non ho mai avuto una vera casa o
delle amicizie stabili e… non voglio che tu patisca tutto
questo per causa mia. Io lo so che siamo legati, lo sento fin nel
profondo, ma è davvero giusto che tu subisca il mio stesso
destino? Sei davvero disposto ad accettare tutto questo pur di restare
con me?»
Yusaku annuì, avvicinando le labbra alle sue. «Tu
mi hai salvato dalla solitudine. Ora è giunto il momento che
io faccia altrettanto. E se per farlo dovrò vivere altri
settecento anni senza invecchiare mai, lo accetto. Se questo significa
restare con te e alleviare il vuoto che hai dentro, lo farò.
Non sei più solo, Ryoken. Ora potremo essere soli insieme e trovare
il nostro posto nel mondo, un giorno».
(Tra la neve, amore mio. Dove tutto è più bello e
profuma di un nuovo inizio).
«Cosa ne pensi?»
Ryoken gli rispose con un bacio. In quella notte d'estate, tra sospiri
trasportati dalle onde e il chiaro di luna che impreziosiva il cielo,
Ryoken giurò a se stesso che mai più avrebbe
anche solo pensato di rinunciare a Yusaku, la sua vera anima gemella.
Si sentì finalmente liberato da tutto quel peso che aveva
gravato su ogni cellula del suo corpo per secoli interi. Era libero, e
Yusaku con lui.
Erano liberi insieme.
«Ti
ho mai detto che sei bellissimo?»
22
«Ryoken».
Yusaku lo chiamò durante la notte, conscio che non stesse
dormendo. E infatti era così, aveva trascorso ore intere a
fissare il soffitto senza riuscire a chiudere occhio, complici la
calura estiva e gli innumerevoli pensieri che ancora vorticavano nella
sua testa.
Nulla che avesse a che vedere col separarsi da Yusaku, però.
Erano pensieri più belli, un desiderio che aveva iniziato a
maturare dentro di lui da quando la storia di Synnöve aveva
dato un senso alla sua esistenza.
Alcune volte Ryoken si domandava se non fosse stato un caso che quel
voluminoso libro contenente le leggende dimenticate dal mondo fosse
finito proprio tra le sue mani. Riflettendoci bene, quante
possibilità vi erano che un volume simile, del quale non si
sapeva nulla — l'autore e l'anno di pubblicazione erano
ignoti — fosse capitato proprio tra le sue mani e, guarda caso,
proprio dopo aver conosciuto Yusaku?
Ryoken non poteva fare a meno di pensare che fosse stata la stessa
Synnöve a fare in modo che quel libro giungesse a lui. Perfino
la ragazza che lavorava in biblioteca era rimasta sorpresa quando aveva
cercato quel tomo per registrare la prenotazione di Ryoken: non
risultava nell'elenco dei libri ed era come se da un giorno all'altro
fosse apparso tra gli scaffali circondato da uno spesso alone di
mistero, la stessa patina che distorceva lo scorrere del tempo che
Ryoken conosceva fin troppo bene e che, oramai, anche Yusaku aveva
imparato a fare sua.
«Sì,
Yusaku?» rispose, senza smettere di fissare il soffitto,
conscio che anche Yusaku stesse facendo altrettanto.
«Dove vorresti essere,
ora?»
«Tra la neve. E tu?»
«Anche io».
Ryoken sorrise. «Un giorno ti ci porterò, Yusaku.
Te lo prometto».
Non lo vide, ma immaginò che anche Yusaku avesse sorriso.
«Non vedo l'ora. Anche se… ho come la sensazione
di dover ancora fare qualcosa, qui. Ma non so quanto tempo mi ci
vorrà».
«Che intendi dire?»
«Che nonostante desideri
ardentemente andarmene da qui, mi sento… ancorato. Come se
ci fosse qualcosa di
irrisolto che devo portare a termine».
Ryoken gli sfiorò la mano con la propria e riuscì
a percepire tutta la sua ansia al semplice tocco. «Non ti
preoccupare. Abbiamo tutto il tempo del mondo dalla nostra parte.
Quando ti sentirai pronto, ce ne andremo. Ma fino ad allora, non farti
pressioni di alcun tipo, d'accordo?»
Yusaku ricambiò quel piccolo gesto e sfiorò la
mano di Ryoken a sua volta.
«D'accordo. E
grazie… per tutto».
23
La
svolta avvenne durante un giorno afoso di metà agosto. La
calura delle ore pomeridiane era sfiancante e Yusaku si era recato al
konbini più vicino per fare rifornimento di cibi e bevande
fresche.
Aveva perso alla morra cinese contro Ryoken e per tutto il tragitto che
lo separava dal konbini non aveva fatto altro che borbottare
infastidito circa la cocente — in tutti i sensi —
sconfitta e la penitenza da soddisfare. In compenso, però,
ebbe modo di scoprire una verità sensazionale che gli
avrebbe permesso di comprendere quali fossero i grandi irrisolti nella sua
vita.
Non tutte le partite
perse a morra cinese venivano per nuocere.
Era ancora intento a meditare la rivincita contro Ryoken quando si
accorse che una ragazza che camminava poco più avanti di lui
aveva perso il portafogli lungo il marciapiede. Yusaku compì
i pochi passi che lo separavano dall'oggetto, si chinò e lo
raccolse.
«Scusa» la
chiamò poi, avanzando verso di lei. La giovane si
voltò e, quando la osservò in volto, Yusaku la
riconobbe subito: era la ragazza dai capelli corvini che aveva
accidentalmente sfiorato tempo addietro, quando ancora Ryoken non era
entrato nella sua vita e la maledizione implorava di essere saziata in
una nenia senza fine.
Yusaku ricordava di aver scavato un poco nella sua vita e di aver
indirettamente assistito al suo primo appuntamento col senpai del terzo
anno di superiori che tanto le piaceva più altri avvenimenti
legati alla sua infanzia. Lei era una
di loro: una di quelle persone che avevano nutrito, senza
volerlo, la sua maledizione, perdendo così attimi preziosi
di esistenza da vivere.
Forse fu proprio per questo che, in un primo momento che
durò una frazione di secondo, Yusaku fu quasi tentato di
ritrarre la mano e passare erroneamente per un borseggiatore. Poi
però rammentò che ora le cose erano diverse,
erano cambiate e che tutto questo lo doveva a Ryoken.
(A
Ryoken che lo faceva sentire parte di un mondo più
accogliente e gentile).
«Ti è caduto
questo» disse con voce un poco arrochita mentre le porgeva il
portafogli.
Lei lo guardò per qualche istante e poi sorrise, allungando
la mano verso l'oggetto che aveva smarrito. Nel fare ciò, le
loro dita si sfiorarono inavvertitamente e fu in quel momento, proprio
in quell'istante che Yusaku avvertì qualcosa staccarsi
dentro di sé e dissolversi nel nulla, qualcosa che faceva
parte di lui ma che in realtà non gli apparteneva.
Quando guardò la giovane negli occhi e li vide riempirsi di
immensa gioia e gratitudine, comprese tutto: le aveva appena restituito
la vita che le aveva tolto quando l'aveva toccata la prima volta.
Ciò che accadde dopo fu talmente caotico che riunire i pezzi
in un secondo momento risultò difficile, sì, ma
anche tanto soddisfacente. Dimenticò il perché
fosse uscito di casa e tornò alla villa in riva al mare di
corsa, con la fronte imperlata di sudore e il respiro corto.
«Già di
ritorno?» gli domandò Ryoken quando lo vide
entrare in salotto, alzando lo sguardo su di lui dalle pagine che stava
leggendo — ricette di pietanze che non prevedessero l'uso del
forno o dei fornelli, vista la calura di quelle giornate.
Yusaku ignorò la sua domanda e parlò tutto d'un
fiato: «Ho capito cosa devo fare!»
esclamò, colto da un'euforia che non credeva nemmeno di
possedere.
«Devo ritrovare le persone che
ho toccato prima di incontrarti e restituire loro ciò che ho
preso… credi che ce la farò?»
Ryoken si alzò dal divano e gli prese il volto tra le mani.
«Ne sono più che convinto» disse con un
sorriso.
Yusaku ricambiò il sorriso e i suoi occhi si riempirono di
una speranza indescrivibile. «Quando avrò
restituito ciò che devo, potremo andare a casa».
E Ryoken non avrebbe mai pensato che un giorno sarebbe arrivato quel
momento anche per lui ma, a quanto pareva, il miracolo si stava
compiendo per davvero. Gli sfiorò le labbra con le proprie e
si crogiolò in tutto quell'incanto.
«Non vedo l'ora,
Yusaku».
24
Yusaku
si diplomò due anni e mezzo dopo, quando ancora non ne aveva
compiuti diciassette. Il tempo per lui aveva iniziato a scorrere in
maniera differente qualche mese prima il suo diciassettesimo compleanno
e, di conseguenza, solo la sua mente era andata avanti, mentre il suo
corpo era rimasto lo stesso.
Non che avesse suscitato sospetti di alcun tipo, in fondo aveva la
fortuna di essere un ragazzo abbastanza alto e dal fisico slanciato,
motivo per il quale in molti non avevano fatto caso alla staticità
della sua persona.
Ryoken aveva assistito alla cerimonia del diploma ed era orgoglioso di
lui. Gli aveva donato un voluminoso mazzo di fiori rosa per festeggiare
quel bellissimo traguardo e il modo in cui Yusaku l'aveva preso tra le
mani e l'aveva guardato con amore aveva reso Ryoken la persona
più felice del pianeta.
In quei due anni e mezzo, Yusaku era riuscito a ritrovare quasi tutte
le persone che erano entrate in contatto con lui quando la maledizione
era ancora fuori controllo, restituendo loro quei preziosi frammenti di
vita che aveva sottratto senza volerlo. Mancava solo una persona, solo
un ultimo tassello prima di completare il puzzle e poter finalmente
tornare a casa.
Erano intenti a camminare mano nella mano lungo il marciapiede quando
Yusaku si fermò di colpo. Il traffico di Den City non
accennava a fermarsi e c'era una signora, a pochi metri di distanza da
loro, che attendeva paziente che il semaforo diventasse verde.
«Aspetta qui» disse,
mentre scioglieva la stretta e gli porgeva il mazzo di fiori rosa.
«Credo… credo di averla trovata».
(L'ultima persona. L'ultimo tassello del puzzle).
Ryoken non rispose, troppo sconvolto interiormente per attaccare le
parole tra loro e formare una frase di senso compiuto. Stava accadendo.
Stava accadendo per
davvero.
Mancava ormai così poco alla coronazione del loro sogno che
stentava a crederci.
Gli occhi pizzicarono e lui comprese che fosse tutto reale. Era felice.
E, ancor prima che per se stesso, era felice per Yusaku.
«Mi
scusi, signora, posso aiutarla ad attraversare la strada?»
25
Era
finita. La sua lunga ricerca era finita e ora si sentiva più
libero che mai.
Dopo aver aiutato l'anziana signora ad attraversare la strada
— la stessa che un tempo gli aveva dato del demonio e che era
diventata madre troppo giovane —, Yusaku tornò da
Ryoken e lo abbracciò forte.
Fu lì che Ryoken si riscosse dal coacervo che erano i suoi
pensieri e ricambiò l'abbraccio, perdendosi nel profumo dei
suoi capelli.
«Ora possiamo andare, Ryoken.
Possiamo andare a casa».
Gli occhi pizzicarono un'altra volta ancora. E per la prima volta in
tutta la loro vita, entrambi piansero di gioia.
26
Non
sapevano in quale punto della Svezia si trovassero esattamente, ma
sentivano che quello non poteva che essere il posto giusto per loro. La
piccola baita nella quale avevano deciso di vivere era isolata dal
resto del villaggio che si trovava a valle ed era tutto ciò
che avessero mai desiderato: un punto nel mondo solo per loro da poter
chiamare casa,
lontano da tutto e da tutti, tra la neve fredda e il cielo intarsiato
di stelle luminose.
Il camino quella sera era acceso e le coperte calde e i cuscini erano
sparsi lungo il grande tappeto, creando un mosaico accogliente e colorato
intorno ai loro corpi. Yusaku gemeva al suo tocco e sospirava a ogni
suo bacio. Era eccitato tanto quanto lui e l'erezione che svettava tra
le sue gambe necessitava di attenzioni. Attenzioni che Ryoken non
esitò a dargli infondendogli piacere con l'ausilio della
bocca.
Quanto era bello fare l'amore lì, in mezzo alla neve, in un
luogo che apparteneva solo a loro. Quanto era bello abbracciarsi forte
e diventare una cosa sola, uniti dal sentimento più forte e
puro del mondo.
Quando entrò dentro di lui, affondando nelle sue pareti
calde, Ryoken si sentì più vivo che mai.
Iniziò a muoversi piano, con la dovuta calma, assaporando
quel momento idilliaco fino in fondo. Si perse nelle iridi verdi di
Yusaku velate dal desiderio e in quel gioco di luci dovuto allo
scoppiettare del fuoco nel camino.
(Meraviglioso.
Era tutto meraviglioso).
Poi accadde. Una piccola scossa gli pizzicò il cervello e
lui si ritrovò ad assistere inerme a qualcosa che, in un
primo momento, lo sconvolse: vide se stesso inginocchiato a terra, il
corpo martoriato da segni, tagli e bruciature dovute a un conflitto
apocalittico, mentre teneva tra le braccia un ragazzo che di umano non
aveva quasi più nulla — ma i suoi occhi verdi
velati dalle lacrime sì, erano un segno di
umanità inconfutabile.
Yusaku. Quel ragazzo era Yusaku, il suo amore, la sua anima gemella.
E poi sentì la sua stessa voce pronunciare parole che gli si
impressero sottopelle come un marchio incancellabile: «Ora è
tutto finito e appena ce ne andremo da qui troverò un modo
per farti tornare umano. E potremo finalmente vivere per davvero, io e
te, lontani da qui. Immagina una baita in montagna, tra la neve, col
camino in salotto acceso, mentre tu ed io facciamo l'amore davanti al
fuoco. Pensa a quanto saremo felici quando ci lasceremo finalmente alle
spalle questo inferno. Riesci a immaginarlo?»
Tra le sue braccia, distrutto da una guerra che non aveva voluto,
Yusaku sospirò, senza riuscire a smettere di piangere. «Sì…
riesco a immaginarlo. E non vedo l'ora di vivere tutto questo con te,
amore mio».
Li vide baciarsi poco prima che dal cielo piovessero migliaia e
migliaia di bombe. Poco prima che il mondo smettesse di esistere. Poco
prima che tornasse alla sua
realtà.
«Che succede?» gli
domandò Yusaku preoccupato, poggiando una mano sulla sua
gota. Le dita si bagnarono di lacrime e Ryoken trattenne a stento un
singulto.
«Niente, è solo
che… credo di essere finalmente riuscito a mantenere una
promessa che ti ho fatto tanto tempo fa… da qualche altra
parte, in un altro universo…»
Sussultò, rendendosi conto in quel momento che l'altro Yusaku
fosse un androide — cosa aveva dovuto patire per ridursi in
quello stato?
E il se stesso che lo teneva tra le braccia lo amava perdutamente, non
c'era altra spiegazione.
(Forse il loro amore era una costante in ogni universo possibile).
Yusaku sorrise, un'incurvatura dolce delle labbra che Ryoken non
avrebbe mai dimenticato. Non vi era alcuna traccia di scherno nel suo
sguardo e questo lo rincuorò tantissimo, perché
ciò che aveva visto era vero e nessuno gli avrebbe mai fatto
cambiare idea a riguardo.
«Allora ti ringrazio per
averla mantenuta».
Ripresero a fare l'amore e mai come in quegli attimi essere una cosa
sola fu tutto ciò al quale poterono aggrapparsi per andare
avanti insieme. Ed erano solo all'inizio.
27
Nel
corso dei secoli, tante leggende erano nate per raccontare alle nuove
generazioni chi fossero i due ragazzi che vivevano nella piccola baita
tra le montagne. Alcune narravano che fossero due spiriti che vagavano
tra le terre innevate in attesa di dissolversi e diventare un tutt'uno
con la natura, altre ancora che fossero due entità benigne
che apparivano dinanzi le persone pure di cuore.
In ogni caso, erano sempre descritti come due figure a tratti eteree
fortemente connesse al soprannaturale. Nessuno poneva domande quando
scendevano a valle per fare degli acquisti, nessuno li additava se
raccoglievano da terra un guanto caduto e lo riconsegnavano
silenziosamente al legittimo proprietario.
Nessuno diceva o faceva niente poiché non aveva nulla da
dire o fare se non rimanere incantato dinanzi quei piccoli gesti o nel
modo in cui le dita delle loro mani fossero state fabbricate per
intrecciarsi tra loro alla perfezione. Alcune volte gli abitanti del
villaggio avevano anche l'impressione che i due ragazzi fossero
accompagnati da una giovane donna dai lunghi capelli biondi, bellissima
e molto più eterea di loro. Quando però
osservavano le impronte impresse sulla neve, di quelle della ragazza
non vi era mai traccia.
Erano tutti lontani, lontanissimi dalla realtà dei fatti ed
era meglio così. Nessuno doveva sapere che le due
metà strappate del cuore di Synnöve si stavano pian
piano ricucendo tra loro, ristabilendo così l'equilibrio tra
i due poteri contenuti in esse. Nessuno doveva sapere che Ryoken e
Yusaku fossero legati per
l'eternità e dall'eternità,
in attesa di invecchiare insieme dopo aver adempiuto al loro compito.
(Quello era tutto ciò che era loro rimasto, un segreto
coperto da un soffice manto di neve immacolata).
Un giorno il tempo avrebbe iniziato a scorrere normalmente anche per
loro. Fino a quel momento, avrebbero continuato a vivere nella loro
piccola casa tra le montagne, protetti dal silenzio della neve.
Fino all'ultimo istante trascorso insieme.
Picture a world for us
A promise to set me free
Imagine a place for us
A promise will set me
free
•
… ho davvero scritto una mini long di tre capitoli solo per
fixare una vecchia One Shot Android!AU del 2021 in cui Ryoken e Yusaku
muoiono durante una guerra contro delle creature aliene ma riescono
quantomeno a confessarsi i loro sentimenti reciproci prima di essere
bombardati?
SÌ, L'HO FATTO PER DAVVERO.
Innanzitutto: trovate la One Shot in questione QUI,
anche se vi SCONSIGLIO candidamente di leggerla perché se
ripenso a come scrivevo nel 2021 mi sale lo skif, ma ovviamente siete
liberi di fare come più preferite.
•
La Android!AU è una storia che mi è rimasta sul
groppo per tantissimo tempo e questa mini long è nata
davvero per dare un senso alla morte dei Ryoken e Yusaku di
quell'universo: il Ryoken di A
Promise (ora comprendete anche il significato del titolo e
della canzone, vero?) ha un flash in cui vede la sua variante stringere
tra le braccia la variante
di Yusaku e promettergli esattamente ciò che loro riescono a
realizzare in questa mini long: vivere tra la neve, in una baita in
montagna, solo loro e il forte sentimento che li unisce.
Ora, ero molto tentata di farli invecchiare insieme, nel senso che una
volta arrivati in Svezia si rendevano conto che il tempo aveva
finalmente iniziato a scorrere in maniera normale anche per loro, ma ho
optato per rendere immortali entrambi perché non
è ancora arrivato quel
momento, diciamo che questa storia non è
propriamente conclusa e se voglio citare Doctor Strange, il Multiverso è un
concetto di cui sappiamo spaventosamente poco.
Mi fermo qui perché altrimenti rischio di spoilerare troppo.
•
Come sempre ringrazio i Dead by April che con A
Promise mi hanno ispirata a livelli stratosferici e cito
anche il mio forum, Siate
Curiosi Sempre, se volete dare un'occhiata alle
attività attualmente in corso — questa storia
partecipa all'iniziativa annuale Fissa
un obiettivo (e superalo).
Continuo l'angolino spam dicendovi che voglio provare a scrivere tante
altre mini long su Ryoken e Yusaku e proprio per questo ho aperto un
serie in cui per ora ne fanno parte questa e Ipernova,
altra mini long a cui tengo molto e che ho scritto in occasione della
Year of the OTP.
Se poi volete dare un'occhiata alle altre storie scritte per la YOTP,
le trovate in questa Raccolta: I can
live because of this love.
Ci tenevo a citare la Raccolta e la mini long perché
attualmente sono i due progetti a cui tengo di più, oltre
ovviamente ad A Promise
— tutti e tre progetti CONCLUSI e io sono qui a domandarmi
come sia riuscita a compiere una simile impresa, dato che solitamente
sono la queen dei progetti lasciati in sospeso.
•
Spero che quest'ultimo capitolo sia stato la degna conclusione di
questa storia.
Avrei voluto aggiornare prima, ma alla fine ho scritto troppo come mio
solito e quindi sono stata costretta a rimandare — spero,
dunque, che ne sia valsa l'attesa.
Vi ringrazio di cuore per essere arrivati fino a qui.
Alla prossima!
M a k o
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