Il coraggio di saltare nel vuoto di Celeste98 (/viewuser.php?uid=511457)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Le signorine Brief ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Saturyn, vita nel web ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Le prime impressioni sono spesso sbagliate ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Secondo parere ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Una madre capisce cosa un figlio non dice ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Pessime idee e confessioni ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Odio socializzare! ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Come i gamberi: due passi in avanti e uno indietro ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Ti porto al mare ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Le bugie hanno una data di scadenza ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: Ciò che è veramente importante ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: Semplicemente Papà ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: Torta di fragole e Chardonnay ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14: Ogni momento è un’occasione per dare una svolta ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15: Risultato stupefacente! ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16: Felici e contenti ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1: Le signorine Brief ***
Capitolo 1: Le signorine Brief
Camminava di malavoglia per le strade di Los Angeles, la voglia di andare a scuola era decisamente inferiore al solito che già di per sé era sempre alquanto scarsa. Quella mattina Hazel avrebbe volentieri disertato all’obbligo della scuola e lo avrebbe fatto se Videl quella mattina non avesse deciso di farsi accompagnare da lei per recarsi insieme a scuola.
“E quindi mi sono iscritta al corso avanzato di scienze, dove la professoressa Stone mi ha messo in coppia con Neal, poverino era rosso come un peperone. La sua timidezza a volte mi fa davvero tenerezza, ma credo sia il miglior partner di laboratorio che si possa avere, è tra i primi della scuola” Videl Prince, la più giovane dei fratelli Prince, era tra i tre quella che più somigliava a sua madre nell’aspetto: minuta ma ben proporzionata, pelle diafana e perfetta, occhi cerulei e lunghi capelli neri. Il suo problema era invece il carattere, essendo l’unica figlia femmina tanto suo padre quanto il fratello maggiore l’avevano viziata accontentandola in ogni capriccio, questo l’aveva resa un’adolescente sì intelligente e ambiziosa, ma anche arrogante e snob.
“Per me gli piaci” esordì Hazel soffiando una boccata di fumo della sigaretta che teneva tra le dita. “Non ha mai avuto problemi a parlare con me, mentre con te quasi balbetta. O è perché metti in soggezione, il ché è anche vero, oppure gli piaci”
“Mh, spero nella prima opzione. Non sono interessata ad avviare alcuna relazione extrascolastica. Ho degli obiettivi da raggiungere” Hazel scollò le spalle, del resto non era un suo problema, e dopo aver spento il mozzicone lo gettò nella pattumiera più vicina.
Hazel Brief era più alta della sua età, dimostrando un po’ più dei suoi sedici anni, complice anche il suo abbigliamento abbastanza largo e comodo che era solita indossare o il trucco pesante nonostante non fossero neanche le otto del mattino.
“Oggi hai un test di storia giusto?” Videl, al contrario, era perfetta e graziosa con la sua minigonna di jeans, le parigine sopra i collant che culminavano negli stivali grigi con il tacco e il montgomery color vinaccia identico meno che nel colore a quello che aveva regalato ad Hazel, perché, anche se vivevano a Los Angeles e non avrebbero mai visto la neve in città, diciassette gradi erano sempre diciassette gradi.
“Così pare, collezionerò l’ennesima insufficienza”
“Se non ti fossi ricordata di dirmelo appena ieri, avrei potuto aiutarti a studiare” ecco che si ripresentava il solito atteggiamento saccente, ovviamente accompagnato alla sua postura perfetta e la camminata in punta di piedi.
“Vid, sei mia amica perché ci conosciamo fuori da scuola, se avessi voluto che mi facessi da tutor te lo avrei chiesto”
“Tsk e l’arrogante sarei io? Contenta tu, vedremo quanto ne sarà contenta Bulma quando verrà a ritirare la pagella” la risposta di Hazel fu l’ennesimo sbuffo con cui riuscì, con sua grande soddisfazione, a chiudere la conversazione. Lei e Videl si conoscevano da circa un anno e più il tempo passava e più la minore era convinta che in condizioni normali non avrebbero mai potuto frequentarsi. Erano troppo diverse quelle due ragazze: Videl era una cheerleader, seguiva le competizioni sportive scolastiche, era in numerosi club e prendeva lei stessa parte a numerose competizioni per il prestigio dell’istituto che frequentava; Hazel non faceva nulla di tutto ciò e anche a scuola ci andava di malavoglia. Non ricordava neanche più l’ultima volta in cui le piaceva andare a scuola, sarà stato quando frequentava le elementari e la vita aveva per lei ancora tutti i colori dell’arcobaleno.
Non aveva molti amici tra i suoi coetanei, decisamente diversa era la situazione sul piano informatico e i forum dei videogiochi online. Avremmo potuto dire che le ore passate al computer a giocare ai videogiochi fossero il motivo per cui Hazel non andava bene a scuola ma sarebbe una bugia bella e buona. La verità era così semplice che è banale: Hazel odiava la scuola, odiava stare in mezzo alla gente e lo dimostrava con la sua media affetta da insufficienza cronica.
La campanella che segnava l’inizio delle lezioni fu accolta da Hazel con la stessa vitalità di chi attende l’iniezione letale e per lei non ci fu alcuna grazia dell’ultimo minuto, così, trascinando i piedi, attraversò l’ingresso e si diresse in classe.
Quella mattina aveva timbrato il cartellino molto più presto de previsto, non vedeva l’ora di cominciare a lavorare al nuovo caso che le era stato assegnato: quando alcuni clienti domandarono di indagare sulle morti alquanto sospette dei parenti residenti in una casa di cura che stava ormai per chiudere, la detective privata Rosicheena Prince era faticosamente riuscita a reperire le cartelle cliniche ormai cestiniate dei pazienti così, dopo un intero fine settimana passato a digitalizzare ogni appunto cartaceo, Bulma stava finalmente per avviare il programma di ricerca multipla incrociata da lei stesso ideato. Si trattava della prova del nove, l’esperimento finale sul programma che le avrebbe messo le carte in mano per ottenere il brevetto, dire che fosse nervosa era un eufemismo. Naturalmente anche il vero lavoro era importante e l’altra parte di lei, quella che doveva pagare le bollette ne era entusiasta. Non appena la schermata del monitor mostrò lo scorrimento delle pagine corrispondente all’inizio della ricerca, Bulma estrasse dalla tracolla il proprio portatile personale, lasciato acceso da quella mattina, su cui cominciò a battere componendo codici.
Di base lei era una programmatrice informatica specializzata in videogiochi, la sua vera passione. Un leggero bussare la distrasse dal suo lavoro, dopo aver ricevuto il consenso a entrare una testa bionda si affacciò dall’uscio.
“Ehilà B, disturbo?”
“Ciao Allison. Affatto entra pure” la donna bionda fece il suo ingresso lasciando la porta aperta, doveva essere abbastanza di fretta perché rimase in piedi limitandosi ad appoggiare le mani sullo schienale di una delle sedie imbottite.
“Stai facendo la ricerca sul caso alba autunnale?”
“Sì, ho avviato il programma e sembra andare abbastanza bene. Vedi, ci sono già un po’ di documenti nell’elenco che riportano la firma del dottor Thorne” disse soddisfatta voltando il monitor per farle vedere i risultati.
“Wow, avremmo impiegato settimane facendo quelle ricerche a mano. Ottimo lavoro Bulma” Allison Brent aveva lunghi capelli biondo cenere e gli occhi grigio-verdi, la sua bellezza era eguagliata solo da Rosicheena Prince, che invece aveva gli occhi azzurri e i capelli neri. Guardandole nessuno avrebbe mai indovinato la loro età e questo, naturalmente, era motivo di orgoglio per entrambe.
Rosy ed Allison si conobbero in aereo, avevano diciannove anni e avrebbero frequentato insieme una prestigiosa accademia in Europa per studiare lingue antiche. Da allora non si separarono mai più diventando, tra alti e bassi, l’una la spalla dell’altra e, soprattutto, vivendo le stesse esperienze a poco tempo di distanza. La bionda tra le due fu, purtroppo, più sfortunata. Erano entrambe in Svizzera quando Allison s’innamorò di quello che definì l’uomo della sua vita e che decise di sposare appena tornata negli Stati Uniti, lei e Stain rimasero sposati per soli tre anni, finché lui non perì in un incidente stradale. Allison soffrì molto per questa perdita e se riuscì a riprendersi dalla depressione e dopo rifarsi una vita fu solo grazie alla presenza di Rosicheena e la sua famiglia. Con il secondo compagno, Tarik Brent, ebbe un figlio, Tapion, che, poiché arrivò quando entrambi erano già abbastanza avanti con l’età, era il loro più grande tesoro ed orgoglio.
“Comunque volevi dirmi qualcosa?”
“Cosa?” Allison parve pensarci un secondo prima che la sua espressione mutò da sorpresa a imbarazzata “Oh è vero, che sciocca. Sì, volevo chiederti un consiglio. Tra qualche giorno è il compleanno di Tapion e io e Tarik stavamo pesando di regalargli un nuovo portatile ma proprio non so neanche da cosa cominciare la mia ricerca”
“Oh, ma certo. Se ti va ne parliamo oggi pomeriggio”
A Bulma piaceva pensare che se anche non fosse stato per lavoro avrebbe comunque trovato il modo di conoscere quelle due donne straordinarie che erano le sue datrici di lavoro. Dio, se ripensa al giorno in cui le conobbe le veniva ancora da ridere al pensiero di quanto era imbarazzata e ansiosa.
“Dunque parlo con la signorina Blumarine Brief, è esatto?”
“Sì, ma la prego mi chiami Bulma. Detesto il mio nome completo, sembra tanto l’etichetta di un profumo o il nome d’arte di una spogliarellista” la donna inarcò un sopracciglio e, sbiancando, Bulma si affrettò a mettere le mani avanti
“Non che io abbia qualcosa contro le spogliarelliste. Anzi penso che sia una scelta coraggiosa oltre che costretta, cioè non è che da bambina qualcuna abbia mai detto di voler fare la spogliarellista da grande e... Forse è meglio che taccia adesso” non ci volle molto perché il rossore si diffondesse sulle gote della turchina, genuina reazione che fece sorridere teneramente la signora Prince.
“Scusi, sono solo un po’ nervosa. È da un po’ che non svolgo un colloquio e proprio non so che mi prende”
“Non serve agitarsi signorina Brief, anzi Bulma. Ti va se ci diamo del tu? Non è un interrogatorio, diciamo più una chiacchierata. Che ne dici?”
“Per me va benissimo signora Prince”
“Allora facciamo che mi chiami Rosicheena. In secondo luogo, la mia socia mi ha appena scritto che è al bar qui di sotto, cosa posso offrirti per colazione? Io sto morendo di fame” Rosicheena avviò la telefonata verso la sua collega e con un’innata eleganza si portò il telefono all’orecchio.
“Oh solo un caffè è sufficiente”
“Mh... Allison prendi nota: un caffè, due cappuccini e paste varie. Usa pure la mia carta e per te prendi quello che preferisci” chiuso la conversazione si rivolse di nuovo a Bulma con un tono di chi si conosce da sempre.
“Io proprio non lo sopporto il caffè americano, ho vissuto per anni all’estero e anche se ormai sono vent’anni che mi sono stabilita qui non mi ci sono ancora riabituata. Di un po’ non sembra di bere acqua sporca?”
“Ehm no, non credo”
“Mh” Rosicheena poggiò la guancia sul palmo della mano e osservò tristemente l’interlocutrice “Dovrò farti provare il caffè espresso come si fa in Europa, un altro mondo. Comunque” con la velocità di un battito di ciglia, la signora Prince si ricompose tornando seria dedicando a Bulma tutta la sua completa attenzione
“Vorrei approfittare di questi minuti fino all’arrivo di Allison per spiegarti in cosa consiste il lavoro. Vedi Bulma, io e Allison siamo amiche da diversi anni, ci siano conosciute per puro caso sul volo diretto a Washington, entrambe con un visto per fidanzati. Sono ormai dieci anni che abbiamo avviato questa attività e non potremmo esserne più orgogliose, ora però il lavoro comincia a diversificarsi e per quanto possiamo capirne di tecnologia, abbiamo bisogno di qualcuno che ci sia un aiuto più consistente e reale. Mi segui fin qui?”
“Sì signora... ehm volevo dire Rosicheena, l’ho pronunciato bene?”
“Oh non preoccuparti di questo, puoi chiamarmi anche Ross o Rosy se preferisci... Sul tuo curriculum è riportata una laurea in computer grafica, è giusto?”
“Sì, con abilitazione all’insegnamento dell’informatica e un master in progettazione di videogiochi. Anche se è irrilevante ai fini del colloquio”
“Progettazione di videogiochi? E l’hai mai fatto?”
“Sì, ho partecipato ad alcuni progetti durante l’università e da qualche anno ho ideato e messo sul mercato alcuni giochi per cellulare, solo dei passatempo mentre approfondisco le conoscenze di realtà virtuale che tanto affascina anche mia nipote. Oh mi scusi, non voglio annoiarla con questi discorsi”
“Non mi annoia affatto, anzi sono curiosa. Mio figlio minore gioca spesso al computer ma non mi sono mai interessata all’argomento”
“Beh, in realtà tutto ciò che riguarda la realtà virtuale, o realtà aumentata nel gergo dell’ambiente. Ovviamente le competenze per la programmazione di videogiochi sono ben diverse da quello che richiedete per questo posto il lavoro, conoscenze che per chi ne sa abbastanza di computer sono quasi elementari, azioni abitudinarie”
“Bene, è quello che avevo bisogno di sentire” esclamò Rosicheena, gli occhi cerulei accesi di un’emozione che Bulma non riuscì a definire.
“Come prego?”
“Buongiorno a tutte carissime” lo spalancarsi della porta dell’ufficio alle sue spalle fece sobbalzare Bulma che immediatamente si voltò. Ad entrare fu una splendida donna dai capelli rosso rame e gli occhi chiari anche se meno freddi di quelli di Rosicheena, come la sua collega era dotata di quella particolare bellezza tipica dell’est Europa.
“Ho portato la colazione”
“Allison, mi hai salvata! Ho assoluto bisogno del mio cappuccino e un muffin. Bulma serviti pure e non fare complimenti, qui c’è il caffè come avevi chiesto ma nel frattempo vorrei comunque spiegarti le mansioni della posizione che andrai a ricoprire. Come ti stavo accennando, non ci serve qualcuno che si limiti a rispondere al telefono e prendere appuntamenti”
“Giusto, una segretaria l’abbiamo già” Allison prese parola accomodandosi sulla scrivania della sua collega con un tono confidenziale, prima che Rosy riprendesse il discorso.
“Ci serve qualcuno per il quale la tecnologia non ha segreti, credi di poter essere tu questa persona?” Bulma rimase rifletté in silenzio per alcuni secondi, dopodiché alzò lo sguardo per osservare le due donne
“Sì, penso di poter essere io senza alcun problema”
Nel giro di un anno da quel famoso colloquio, Bulma aveva cominciato a lavorare a pieno ritmo per l’AR Investigation e da allora la sua vita era cambiata significativamente. Tanto Rosicheena quanto Allison erano delle autentiche professioniste nel loro lavoro sebbene ancora oggi, dopo tanti anni dall’avvio della loro attività, avevano a che fare con molti uomini che si spacciavano per clienti solo per allungare gli occhi e non solo. Un esempio di quest’ultimo caso fu quando la mano del signor Clark scivolò sulla coscia di Allison sotto la scrivania e poco dopo si trovò con due falangi rotte, ovviamente non si permise a sporgere denuncia, altrimenti sarebbe stato difficile spiegare alla signora Clark come fosse successo.
Oltre alle due titolari e ovviamente la nuova esperta informatica, c’erano altri due dipendenti nello studio investigativo: la segretaria Kate e il detective Vegeta Prince, il figlio maggiore di Rosicheena. Ecco, Bulma già sapeva che Rosicheena avesse dei figli, gliene aveva parlato lei stessa, ma, dato il giovane aspetto della donna, aveva ipotizzato potessero essere dei ragazzini. Sì, alla faccia dei ragazzini, rimase sconvolta quando si trovò per la prima volta Vegeta davanti.
“Mamma fammi un favore, la prossima volta che si presenta la solita vecchia che vuole pedinato il marito fedifrago, avvisami in anticipo così faccio i bagagli e me ne vado in vacanza” il Prince annunciò la sua presenza sbattendo la porta d’ingresso con la solita energia e furia che lo contraddistingueva. Rosicheena, che quel giorno indossava un particolare completo gessato con il gilet anziché la giacca, si limitò ad affacciarsi dalla porta del proprio ufficio con fare abbastanza scocciato.
“Vegeta caro, sei stato tu a sceglierti il caso che più preferivi perché, e cito testualmente, c’erano troppi movimenti insoliti nei suoi estratti conti, era palese che si trattasse di squillo di lusso” il giovane sbuffò guardando altrove
“E se proprio non riesci ad evitare di chiamarmi mamma a lavoro, almeno non lo urlare con quel tono lagnoso, sarei potuta essere con qualche cliente”
“E sentiamo come dovrei chiamarti?” Rosy sembrò pensarci su
“Ti farò sapere, per il momento sua maestà mi sembra perfetto” sia Bulma che Allison scoppiarono a ridere senza neppure provare a nascondere l’aver ascoltato la loro conversazione, visti i caratteri turbolenti di madre e figlio ormai era diventato un appuntamento sentirli discutere, come fosse una serie tv appassionante.
In totale i fratelli Prince erano tre e Vegeta era il primogenito. Aveva trentadue anni, aveva frequentato l’accademia di polizia e lavorava con sua madre da quando l’attività aveva preso vita, per nulla pentito di aver abbandonato l’uniforme. Inoltre non faceva turni di notte, meno alcuni pedinamenti, e i turni erano comodi abbastanza da permettergli di coltivare degli hobby, per chi ovviamente considera un hobby passare interi pomeriggi in palestra.
Gli altri figli di Rosy erano Tarble e Videl. Il mezzano era laureato in lingue, lavorava come interprete presso l’ufficio immigrazioni ed è spericolato per due, secondo suo padre aveva ereditato in concentrazione maggiore anche la follia e l’adrenalina che Vegeta aveva in quantità minime. Videl, la piccola di casa, è la figlia femmina tanto desiderata da suo padre e per questo schifosamente viziata da tutti gli uomini della sua famiglia, al contrario sua madre fu l’unica a resistere a quegli occhi chiari identici ai suoi.
“Ti lascio lavorare B. Se la vista non m’inganna stai facendo un nuovo progetto, io invece credo andrò a stressare Rosy” tempo neanche un paio di minuti che la voce di Rosicheena risuonò per tutto l’ufficio
“Allison ma tu non hai mai lavoro da fare?!”
Seconda ora, test di storia. Aveva trascorso buona parte del tempo osservando quella lista di trenta domande a risposta multipla senza sprecarsi più di tanto a cercare di ragionarci sopra, tanto non aveva ascoltato neanche una parola del lungo monologo della professoressa Del Toro quando aveva spiegato l’argomento. Fosse stata matematica, informatica o anche fisica non si sarebbe posta il problema, ma le materie umanistiche non erano proprio il suo forte. E va bene, anche questa volta avrebbe adottato la sua infallibile tecnica – che in realtà aveva fallito più e più volte – dell’ambarabà ciccì coccò, affidando la sua risposta al caso.
Paurosamente annoiata aveva perso molto tempo a scarabocchiare sul banco e i lati del foglio stampato, al che era così esasperata che decise di leggere davvero un paio per quelle domande.
Quando si scatenò la guerra d’indipendenza americana?
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Fra il 1776 e il 1783
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Fra il 1776 e il 1787
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Fra il 1779 e il 1782
Mh, questa me la tengo per dopo
Per quale motivo alcuni coloni americani, guidati da Samuel Adams, salirono a bordo di navi britanniche e gettarono in mare i carichi di tè?
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Per protestare contro la tassazione elevata
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Come semplice atto di vandalismo
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Per protestare contro l'imposizione da parte della Corona britannica di una tassa sull'importazione del tè
Chi impose una tassa di bollo sui documenti legali, licenze, contratti, etc, nel Marzo 1765 per far contribuire alle spese dell'impero anche i coloni??
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Gli Stati Uniti d'America
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Il Parlamento inglese
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Il Parlamento americano
Ok, lasciamo stare e rispondiamo a caso. Che poi che cazzo me ne frega del tè scaricato in mare? A Greta Thunberg non piace questo elemento. Oppure ci passa sopra perché il tè era materiale organico?
Con l’ennesimo sbuffo decise di lasciare le ultime risposte in bianco per poi spostare lo sguardo sui suoi compagni di classe. Ventidue ragazzi con cui non aveva nulla in comune se non l’obbligo di trascorrere in quell’edificio buona parte della loro giornata. La professoressa, seduta dietro la cattedra, osservava la classe operosa. Alcuni studenti avevano già finito di rispondere e ora stavano solo ricontrollando le risposte date, altri impreparati inviavano occhiate disperate ai compagni alla ricerca di aiuti che non sarebbero arrivati, per poi ovviamente abbassare lo sguardo, imbarazzati, quando invece incontravano la sua espressione.
Abbracciò con uno sguardo tutta la classe finché il suo sguardo non si posò su Hazel Brief, seduta come sempre in ultima fila. Se ne stava con lo sguardo perso nel vuoto, appoggiata allo schienale della sedia e con il cappuccio della felpa rossa tirato su. Lei era il classico esempio di studentessa intelligente che non si applica. Sapeva quanto andasse bene in matematica e fisica, ma era consapevole anche che neppure quelle erano materie che studiava per davvero, era semplicemente portata quanto svogliata. Era difficile per la donna credere che quella ragazzina fosse imparentata con il prodigio che ai tempi delle superiori era Bulma Brief.
“D’accordo ragazzi, tempo scaduto. Scrivete il vostro nome e consegnate il test”
Il resto delle ore scolastiche trascorse come al solito, lentamente e sempre con una noia mortale. Alla fine delle lezioni Hazel si rintanò con il proprio portatile al solito internet cafè a metà strada tra la scuola e casa, con accanto il solito frappé alla nocciola che era solita ordinare, spesso accompagnato da una crêpe.
“Quindi non ci sono proprio possibilità che il test sia andato bene?”
“Non so Maya, ne dubito”
“Vuoi davvero continuare così?”
“Sì, ormai manca poco”
“Non mi riferivo a quello che stai facendo” mormorò Maya con un sospiro stanco, Hazel ghignò. Conobbe Maya al suo primo anno di liceo, in quello stesso internet cafè di proprietà di suo padre e in cui lei stessa lavorava.
“Spiegami di nuovo perché fai qui le tue ricerche”
“Per il frappé... E perché così non possono rintracciare il mio indirizzo IP”
“Cazzo Hazel! Quindi è illegale?!”
“No Maya, non è illegale. Semplicemente nel web il detto fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio vale il doppio. Non sai mai che genere di squinternati puoi trovare su internet. E in ogni caso uso sempre un VPN”
Per Hazel il primo pomeriggio era l’orario migliore per rimanere al locale della sua amica, in quella fascia oraria i clienti erano pochi e poco esigenti, studenti che si fermano a bere qualcosa prima di tornare a casa o impiegati che fanno scorta di caffè per i colleghi e, in poche parole, Maya poteva farle compagnia senza dover correre tra i tavoli.
“Stai tranquilla” esordì Hazel spostando lo sguardo dal monito del PC per incontrare gli occhi color ambra della sua amica e sorriderle in modo rassicurante “Non farei mai nulla che ti possa mettere in pericolo”
“Ti credo sulla parola. Ora vado di là, credo siano arrivati dei clienti” Hazel notò con la vista periferica la sua amica allontanarsi, distinguendone solo appena la chioma verde intrecciata sulla sommità del capo e la divisa che indossava. Come già era stato chiarito, Hazel non andava molto d’accordo con i suoi coetanei, diciamo pure che i pochi che frequentava erano persone che conosceva anche fuori dall’ambito scolastico, tutte quelle altre persone che poteva considerare alla stregua di amici – perché anche quello era un termine che usava con molta attenzione – le aveva conosciute nei modi più disparati e Maya ne era solo un esempio. Si erano conosciute una mattina in cui Hazel era uscita prima da scuola e, poiché a casa non c’era nessuno a quell’ora del mattino, decise di rifugiarsi in quel locale, dove vide un paio di film online mentre faceva i compiti. Maya camminando tra un tavolo e l’altro si affacciò spesso e volentieri alla sua spalla, aiutandola a chiarire alcuni concetti su cui aveva dei dubbi. Andò avanti così per un paio di giorni prima che si presentassero come si deve e la loro divenne un’abitudine che oggi, tre anni dopo, piace a entrambe mantenere. Purtroppo, a differenza di allora, Hazel non fa più i compiti, preferendo di gran lunga trascorrere i suoi pomeriggi davanti allo schermo del suo computer a fare chissà che, Maya notò che aveva sempre qualcosa da scrivere, oh se si fosse impegnata nello studio quanto in tutto ciò che riguardava l’avere un computer tra le mani sarebbe stata la prima della classe.
“Stai lavorando a qualche nuovo videogioco?” dopo aver servito gli altri clienti Maya andò ad accomodarsi di nuovo di fronte alla sua amica
“Solo di realtà aumentata, realtà virtuale per gli estranei all’ambiente. Tutto il resto è solo un passatempo”
“Realtà virtuale, forte. Mi fai provare? Com’è che funziona, finisci in un mondo immaginario?”
“Non proprio, il tuo corpo resta qui. Ma indossando gli occhiali, se muovi la testa vedi un nuovo mondo. In realtà zia e gli altri ci stanno ancora lavorando. È difficile disabituarsi all’abitudine di muovere l’intero corpo, il loro progetto invece prevede che il giocatore possa utilizzare il gioco solo tramite impulsi cerebrali. Più facile a dirsi che a farsi al momento” nel sentirla parlare di queste cose che per lei rappresentavano pura fantascienza, gli occhi di Maya brillavano. Andavano d’accordo quelle due, sebbene le cose in comune non sarebbero potute essere più scarse, a partire proprio dall’abbigliamento: se avesse potuto, Maya avrebbe indossato con orgoglio tutti colori dell’arcobaleno insieme.
“Ci vieni con me al Comicon?”
“Dipende, da cosa hai intenzione di farmi mascherare questa volta?” gli occhi di Maya brillarono nuovamente, questa volta quasi di luce propria, per quella che era la sua più grande passione: creare costumi per cosplay. Aveva anche un proprio blog in cui pubblicizzava le sue creazioni con foto di accompagnamento agli articoli e agli eventi. Lavorare al bar di suo padre era una sorta di copertura che sicuramente avrebbe funzionato meglio se non fosse per la sua indomabile chioma che era una sorta di marchio che la rendeva riconoscibile per tutti i suoi followers.
“Tokyo Ghoul. Touka e Rize, ci stai? Ti faccio anche scegliere il personaggio”
“Si può fare” sorrise riponendo il portatile nella borsa “Ci vediamo domani” e si congedò lasciandole un bacio sulla guancia.
“Vedi di studiare anche un po’ Hazel, non vorrei che mi mollassi al comicon perché ti sei fatta mettere in punizione”
“Non ti prometto nulla. Dai un bacio a tuo padre da parte mia” detto ciò si avviò fuori per raggiungere la fermata dell’autobus ignorando il dito medio dell’amica. Armata di cuffie si era collegata alla prima stazione radio che trasmetteva qualcosa di decente, in quel momento un brano dei backstreet boys di cui non sapeva il titolo che, in ogni caso, fu interrotta da una telefonata.
“Ciao nonna”
“Ciao vita mia. Come va? La scuola?” Hazel girò gli occhi al cielo, adorava sua nonna Bonnie, era una sorta di seconda madre per lei anche se a volte – molto spesso – avrebbe fatto volentieri a meno del suo essere iper-apprensiva.
“Beh non sono ancora stata sospesa, un gran passo avanti vero?”
“Hazel, amore, puoi quantomeno fingere di provare interesse per il tuo rendimento scolastico?”
“E poi dove sarebbe la parte divertente?” si trattenne a stento dal ridacchiare quando sua nonna sbuffò sonoramente, conoscendola aveva anche voltato gli occhi al cielo.
“Avevi bisogno di qualcosa nonna?”
“Beh invero sì fiorellino. Sto organizzando una cena con alcuni amici che vorrei tanto presentare a Bulma, più o meno hanno la sua stessa età”
“Pessima idea nonna, zia B odia le feste a meno che non sia lei a organizzarle” decisamente era così, basta pensare a come reagì quando lei e sua madre organizzarono una festa di halloween, gli strilli di Bulma si sentirono per tutto il vicinato. Col senno di poi forse era solo perché l’allora abbastanza piccola e molto dispettosa nipotina Hazel aveva deciso di fare i coriandoli con i numerosi poster appesi nella camera della giovane zia “E ancor di più odia i tuoi tentativi di accasarla” tralasciando il fatto che avrebbe personalmente fatto il terzo grado a ogni possibile spasimante perché col cazzo che le avrebbe permesso di rovinarsi la vita accanto a un altro Yamko.
“Se ne farà una ragione, tu assicurati solo di portarla qui sabato prossimo, al resto penserò io. Scrivimi in settimana fiorellino, ciao” riattaccò prima che sua nipote potesse rispondere, come sua abitudine quando sapeva che le sue idee non sarebbero piaciute. Trattenendosi dall’imprecare come uno scaricatore di porto, si trovò mentalmente a maledire il giorno in cui sua nonna scoprì l’esistenza di il diario di ‘Bridget Jones’. No, cara nonna, non sarai tu a trovare l’uomo perfetto per tua figlia e se anche a lei andasse a genio – povera illusa, non accadrà mai – dovrà superare il mio interrogatorio.
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 1
Squillino le trombe e trombino le squillo! Gente: sono tornata! Tralasciando che a questa frase mi aspetto come ovvia risposta la voce fuori campo che dice qualcosa tipo e chi se ne frega!, ma credo sia soprattutto per via della scarsissima fiducia in me stessa – della serie che alla domanda “quanta autostima hai?” Risponderei: “cos’è? Si mangia?”
Comunque, ignorando i miei deliri sconclusionati, direi di partire con la spiegazione di questo primo capitolo, o meglio dire questo nuovo esperimento.
Andiamo per ordine, quindi dal fatto che l’intro dica molto più del primo capitolo di ciò che sarà questa storia. L’idea del personaggio di Hazel è nato vedendo una fanart di una saiyan con l’aspetto di un’adolescente, guardando poi altre serie anime ho scelto a chi farla somigliare. L’aspetto con cui la immagino, o meglio quello che più le si avvicina, è Yuri Honjo, di Higt-Rise Invasion, le differenze in sé sono poche: gli occhi neri anziché castani e meno prosperosa, sul carattere ovviamente si elaborerà nel corso della storia.
In alternativa abbiamo queste adorabili immagini che ho creato con l'intelligenza artificiale
In secondo luogo, si ritorna a trattare dei VegeBul, anche se solo qualche accenno, e di un altro personaggio che ho parecchio rivalutato, grazie alle fanart e le fanfiction, naturalmente sto parlando di Radish – guarda caso l’unico personaggio assente in questo primo capitolo.
Mi piacerebbe in questa storia approfondire anche i retroscena di altri personaggi che mi stanno molto a cuore come Rosicheena e suo marito, che in questa storia così come in molte delle future che sto elaborando, si chiamerà Veldock, nome trovato per la prima volta in una fanfiction e “confermato” da un sito non ufficiale.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2: Saturyn, vita nel web ***
Capitolo 2: Saturyn, vita nel web
“MAAAAA! MAMMA!” una bambina di appena un anno se ne stava arpionata ai pantaloni di una donna che era troppo impegnata al telefono per prestarle attenzione.
“Sì, eccomi. Vi contatto riguardo un ordine appena ricevuto in negozio e credo ci sia stato un errore. Ho ricontrollato l’ordine e l’ho confrontata con la bolla ricevuta, ho fatto richiesta di quindici magliette sportive per una squadra femminile del liceo, invece mi avete inviato t-shirt da bambino. Ora capisco un’incomprensione, ma... Per sua informazione il calcio è uno sport anche femminile e sia dia il caso che la squadra in questione è la più forte del campionato studentesco!”
“MAMMA!!” con fare esasperato, la donna dai capelli biondi camminava per il piccolo ufficio trascinandosi dietro la bambina abbracciata stretta alla sua gamba.
“Amore ti prego vai a giocare con i tuoi pupazzi, adesso mamma non può stare con te” disse con un tono più basso allontanando il telefono e schiacciandolo sulla maglia per attutire il suono. Ma la bimba non sembrava importare molto del momentaneo impedimento della giovane genitrice, si limitò infatti a fissare la donna con quei suoi penetranti occhi neri e il labbro tremolante che anticipa un pianto disperato. Quel gesto rappresentava per sua madre l’inizio di una vera e propria roulette russa: avrebbe pianto, avrebbe solo strillato come un’ossessa o avrebbe desistito preferendo dedicare a qualcuno dei suoi giocattoli tutta la sua distruttiva attenzione?
“Non ci pensi neanche a riattaccare, sono ancora in linea! E comunque richiamerei finché non sarò accontentata. Anzi già che ci siamo mi faccia parlare con un responsabile perché è evidente che lei non sembra intenzionato a conversare civilmen- Pronto? Ma che cazzo!”
“Tesoro quante volte ti ho detto di moderare il linguaggio davanti alla bambina?” decisamente Bonnie aveva scelto il momento peggiore per entrare nell’ufficio sul retro del negozio, ma sua figlia non lo notò neanche per quanto era concentrata a fulminare con lo sguardo l’apparecchio telefonico
“Mi ha riattaccato il telefono in faccia... Come ha osato quell’inetto buono a nulla riattaccarmi il telefono in faccia?”
“MAMMA” la piccola non si era messa a piangere ma il suo tono sicuramente non preannunciava nulla di buono, se fosse stata abbastanza grande da riuscire a dimostrare qualche emozione in più sicuramente tutti avrebbero capito che fosse arrabbiata, la donna lo comprese a proprie spese quando, una volta presa in braccio sua figlia, si trovò con la testa piegata e una manciata di capelli biondi stretta nella manina paffuta della piccola dittatrice.
“Ahia ahia. Hazel basta! Quante volte ti ho detto che non devi tirarmi i capelli? Con tutto il tempo che hanno impiegato a crescere poi” esordì ammonendola con uno sguardo “E quando hai la febbre diventi ancora più intrattabile, mi chiedo davvero da chi tu possa aver preso”
“Ce lo domandiamo tutti, amore mio” esclamò la terza persona lì presente, la cui presenza fu notata dalla mezzana solo in quel momento “E ancora stiamo aspettando una risposta” Kida sbuffò spostando una ciocca di capelli chiari dal suo ciuffo con un soffio, non mancando di indietreggiare immediatamente col capo per evitare che la sua pestifera figlioletta l’afferrasse per tirarla con forza.
“Aspetta e spera, mamma. Credo sia uno di quei segreti che mi porterò nella tomba. Come la mia ipotesi sul finale di Beautiful” Bonnie Brief incrociò le braccia al petto, ma durò poco
“Già che sei qui, potresti occuparti per un po’ di Hazel mentre lavoro? È difficile combinare qualcosa con lei che mi si aggrappa ai pantaloni e mi chiama tutto il tempo” con un gesto fluido le mise in braccio la bambina.
“O magari potresti lasciar perdere il lavoro per un po’ e trascorrere del tempo con tua figlia?”
“Smettila mamma!” sbottò la più giovane “Lo dici come se trascorressi tutto il giorno ignorando Hazel e non è così. Avevamo concordato che avrei potuto lavorare a condizione che mi occupassi del vostro negozio, dove tu o papà avreste potuto tenermi d’occhio e intervenire per qualsiasi necessità. Vuoi togliermi anche questa possibilità di essere normale?”
L’insistente ticchettio di dita che battevano sui tasti era l’unico suono che si percepiva nell’appartamento. Hazel nella propria camera da letto aveva la musica a palla nelle auricolari, alcuni libri sparpagliati sul letto da una piazza e mezza a crearle una sorta di alibi, anche se chiunque avrebbe capito che stava facendo tutt’altro che studiare. A catturare la sua attenzione questa volta era uno di quei tanti giochi di sparatutto, non essenzialmente il suo genere poiché preferiva gli escape, ma era un modo come un altro per trascorrere il tempo con il suo team virtuale. A questo fine una finestra di chat era aperta sul lato in basso a sinistra del desktop, un secondo spazio che invece appariva e scompariva a intermittenza era quello di un’altra chat, questa volta privata, con Lanclan. Si erano conosciuti online qualche anno prima, durante i primi approcci di Hazel alle piattaforme di giochi, e di comune accordo avevano scelto di non incontrarsi mai di persona. L’uno dell’altro non sapevano nulla di troppo personale e allo stesso tempo erano confidenti, parlavano di qualsiasi cosa gli passasse per la testa alla sola condizione di non dire i propri nomi, quelli di persone a loro care né indirizzi.
“Che palle Lanclan” mormorò tra se e se
- La prossima volta il gioco lo scelgo io -
- Come no Saturyn, e magari mi incastri in qualche fantasy senza uscita -
Ridacchiò al messaggio dell’amico che lo conosceva fin troppo bene, purtroppo la svista costò cara al suo personaggio e le parole GAME OVER in rosso svettarono sullo schermo, rimasero aperte solo le schermate delle chat.
- Poco male, tanto non mi piaceva e, in teoria, dovrei anche studiare -
- Sì certo Saturyn, quasi ci credevo - Tarble – anche se il nome con cui si era registrato al gioco era Elkan –, quasi avrebbe strangolato quel piccoletto, anche se poi con i suoi trent’anni era più vicino di età a Bulma era comunque di qualche centimetro di basso di Hazel. Viaggiando di continuo Tarble non poteva dedicare al gioco lo stesso tempo del resto della squadra, ma non mancava mai ai tornei organizzati. Inoltre era un tipo giovanile e alla mano, motivo per cui quasi nessuno conoscendolo online riusciva a indovinare la sua età.
Stava sbuffando quando sentì un lieve bussare alla porta della sua camera, poco dopo una sorridente testa turchina si sporse dalla superficie levigata
“Ehi meraviglia”
“Ehi zia B, non ti ho sentita arrivare” la donna fece il suo ingresso nella stanza dando un’occhiata veloce ai libri aperti sul letto, notando immediatamente che oltre a essere appartenenti a diverse materie, sembravano anche aperti a pagine a casaccio.
“Sei impegnata?”
“Direi di no, ti serviva qualcosa?”
“Non esattamente. Mi chiedevo solo se ti andasse di andare al cinema” con pochi gesti Hazel chiuse tutti i libri lasciando aperto solo il portatile
“Volentieri”
- Fessi, per oggi ho chiuso. Ci sentiamo domani -
Il disordine dovuto ai libri in camera di Hazel non era poi molto diverso da quello che Bulma aveva messo su nel salone, ovunque c’erano sparpagliati fogli stampati, con codici di programmazione, informazioni sui casi che seguiva in ufficio, una moltitudine di sacchetti di patatine vuoti probabilmente abbandonati lì da settimane, due portatili con schermate differenti e anche il televisore acceso con il joystick collegato e sul pavimento un piatto con dei carciofi che aveva tolto dalla pizza, non le erano mai piaciuti. In poche parole, il salone era al momento decisamente poco vivibile, motivo per cui armata di santa pazienza, la turchina si apprestò a mettere in ordine tutte le scartoffie con cui negli ultimi due giorni aveva tappezzato il piccolo soggiorno. Era intenta a recuperare delle pagine quando Hazel fece il suo ingresso esclamando “Sono pronta”, nel notare i jeans strappati e la maglietta nera con il teschio Bulma storse un po’ la bocca, ma non si azzardò a commentare. Ricordando la sua abitudine al liceo di indossare capi alquanto particolari sarebbe stata davvero l’ultima persona a poter giudicare l’abbigliamento della minore.
Durante il tragitto chiacchierarono del più e del meno come erano solite fare, finché Hazel non si ricordò di una cosa di cui, forse, era il caso di mettere al corrente la zia.
“Nonna vuole organizzarti un appuntamento durante una cena tra amici” la sorpresa fu tale da spingere la turchina da bloccarsi in mezzo alla strada facendo inciampare l’uomo che camminava proprio dietro di lei. Borbottando delle scuse incomprensibili, coperte dalle imprecazioni del malcapitato che fecero ridacchiare sul serio la ragazzina, riprese a camminare per la sua strada ad occhi sgranati e senza neanche notare se Hazel la stesse seguendo o no, neanche quando ricominciò a parlare.
“Non ci posso credere! Quante volte ancora devo dirle di non impicciarsi nella mia vita?”
“Dammi il tuo via libera e lo faccio lo faccio scappare a gambe levate... Sia mai che ci ricapiti tra capo e collo un altro caso umano” Bulma storse la bocca al pensiero del suo ex e si affrettò a cambiare argomento prima che ricordi infelici tornassero a galla.
“Oddio, spero che non sia necessario”
Yamko rappresentava dieci anni di errori, di rimpianti e autostima sotto i piedi da cui era fortunatamente uscita, anche se con molte ferite nell’orgoglio e metaforici cerotti a nasconde il tutto.
“No mamma, tranquilla. Hazel non mi da per niente fastidio. Anzi quel piccolo genio è di vitale importanza per il perseguimento delle mie ricerche... Davvero mamma! Sì, va tutto bene e comunque lo vedrai da te quando verremo a cena da te nel finesettimana” Hazel al suo fianco le fece una linguaccia sentendo quella mezza conversazione telefonica, intanto continuava a smanettare al portatile della zia sbrigando cose che forse solo esperti informatici avrebbero potuto sapere e interpretare.
Casa della zia B non era molto grande, giusto due camere da letto, due bagni e il salotto openspace con un angolo cottura. Ovviamente, da quando mise per la prima volta piede in quella casa Hazel si impadronì della camera per gli ospiti, il cui unico difetto era quell’inguardabile rosa pesca delle pareti che, si era ripromessa, avrebbe coperto con dozzine di foto e poster. Nonostante fossero ormai due settimane che aveva portato la sua valigia dalla zia, non c’era ancora stata occasione di sistemare i suoi effetti personali o di rendere la camera propria in tutti gli effetti.
Bulma Brief era un’insegnante di informatica al liceo, lavoro che considerava e continuava a tenersi solo per finanziare i suoi studi della realtà aumentata. La sua vera passione era sempre stata l’informatica e questo l’aveva portata al college a diventare programmatrice di videogiochi. Hazel già dai dieci anni di vita era la sua cavia preferita per la sua chiara intenzione di seguire le orme della zia.
“Mamma ti chiamo in serata, magari ci organizziamo per una cena insieme... Sì, sì mamma. Ora chiudo. Prima che cominci a stressarti con altre cose da poco conto... Ciao ciao ciao ciao. A noi due scimmietta” esordì una volta riattaccata la chiamata cambiando repentinamente tono
“Sai zia, sono un po’ cresciuta per continuare a essere chiamata con il ridicolo nomignolo con cui mi chiamavi da piccola” Bulma agitò la mano per sottolineare il proprio disinteresse per la faccenda
“Che ne pensi del mio business plan per il videogioco?”
“Ho dato solo una lettura veloce, come sai non mi intendo molto di tutto ciò che non riguarda l’informatica, quindi potrei darti il mio parere solo su quello che capisco” rispose Hazel recuperando il documento e sfogliandolo davanti alla turchina “Le idee sono buone, molto buone zia e penso che-”
“Ancora a parlare di queste computer? Sia mai che parliate d’altro una volta tanto” con queste parole Yamko fece il suo ingresso nel salone, dove le due donne si erano sistemate ad analizzare il business plan e gli appunti sul progetto.
“Potremmo, ma per te quello che ci diciamo sarebbe lo stesso perché non capiresti comunque” Hazel non sopportava Yamko e ci teneva a sottolinearlo ogni volta che se lo trovava davanti, e non solo. Per lei è stata un’antipatia a pelle senza possibilità che cambiasse idea in qualsiasi maniera e, riflettendoci, Yamko non provava neanche a fare amicizia con lei.
“Ha parlato la cervellona”
“Andiamo ragazzi, Hazel non è neanche arrivata che già avete motivi per litigare?”
“In effetti sì, almeno da ciò che dice il test sul mio quoziente intellettivo. Ma, ripeto, non so quanto tu possa capire” ovviamente nessuno dei due fece caso a ciò che disse e, sfortunatamente, questa non era una novità: era impossibile per Hazel e Yamko rimanere nella stessa stanza senza litigare.
Era in ritardo, come accadeva almeno una volta a settimana, il giovedì se proprio si voleva essere precisi. Ogni mercoledì c’erano le riunioni con i suoi collaboratori con cui lavorava alla programmazione di videogiochi e questo la portava a lavorare fino a tardi. Avrebbe potuto prendere il giovedì come giorno libero dal lavoro, ma si trattava già di un part-time e non le andava di approfittare troppo della gentilezza di Allison e Rosy.
Come ogni mattina, Bulma ed Hazel erano uscite insieme da casa ma, essendo dirette in zone totalmente diverse della città, la minore dovette prendere i mezzi pubblici per raggiungere la scuola. Era una cosa che dispiaceva parecchio alla turchina, ma Hazel era scesa velocemente a patti con questa condizione, tutto sarebbe stato meglio che vivere ancora nella periferia di Pasadena. Ciò su cui la zia B era intransigente era che venisse avvisata appena arrivata a scuola.
Con un sospiro, Bulma si lasciò cadere sulla poltrona dietro la scrivania, esausta già alle otto del mattino a causa delle ore piccole trascorse a programmare. Ma il tempo è denaro che non poteva permettersi di far perdere al suo capo, così avviò il proprio computer ed iniziò a spulciare la lista delle indagini che seguivano in ufficio e che, di conseguenza, avrebbe dovuto approfondire sul piano informatico. Dovette battere le palpebre per l’incredulità quando trovò barrate con una linea le prime cinque voci della sua lista e alla sesta affiancata da un appunto a penna: estrema priorità!!! La stanchezza scomparve, immediatamente soppiantata dalla rabbia che solo una persona in quell’ufficio, o più in generale al mondo, era in grado di creare.
“VEGETA! Come ti sei permesso a mettere mano sulla mia roba?!” contrariamente alla formalità che dovrebbe caratterizzare un ambiente lavorativo, tutti gli occupanti degli uffici dell’agenzia investigativa sapevano che da quelle parti le urla erano di casa. Vegeta Prince lavorava sul loro stesso piano, nell’ufficio notarile di suo nonno, ma non disdegnava di tanto in tanto dare una mano a sua madre, ancor di più perché era un lavoro che, più del proprio, gli permetteva di stare fuori da un ufficio. Non che Vegeta Prince fosse un tipo tutto casa e ufficio, l’appuntamento fisso in palestra era sei giorni a settimana e per il settimo giorno si limitava ad allungare la corsa mattutina da una a due ore, ma questo non era che un allenamento per quella che era una delle sue più grandi passioni: gli sport estremi. Vegeta è uno stacanovista, ma ha l’abitudine di prendere qualche giorno al mese di ferie per svolgere quelle attività da far rizzare i capelli in testa – magari era proprio l’adrenalina a conferirgli quella forma a fiamma che gli regalava qualche centimetro d’altezza in più. Bulma sapeva che ad ogni viaggio, anche solo se andava a qualche passo da casa, mandava a sua madre una cartolina del luogo correlata di una foto dell’attività che stava svolgendo, Rosicheena le aveva mostrato le foto della nuotata con gli squali, il parapendio a Rio de Janeiro, ma anche il volo in mongolfiera in Cappadocia e il safari in Tanzania.
“Non ho idea di ciò di cui stai parlando” esordì il diretto interessato affacciandosi alla porta aperta con una faccia da schiaffi. Se un’occhiata avesse potuto uccidere come con un fulmine, probabilmente dell’uomo non sarebbe rimasto che un mucchietto di cenere. Ma, sfortunatamente per lei e fortunatamente per lui, Blumarine Brief non era dotata di quel potere che in un videogioco l’avrebbe fatta scalare le classifiche.
“E chi avrebbe scarabocchiato la mia lista per mettere il tuo caso in cima?”
“Magari sei sonnambula” certo di aver avuto l’ultima parola, Vegeta si allontanò per la sua strada con la vana illusione che la conversazione sarebbe finita lì.
“Ma neanche per sogno! E sonnambula o no, ho una memoria fotografica e la tua ricerca è bel lontana dalla cima della lista!” non che credesse davvero di averla spuntata, non in quell’ufficio in cui lavoravano fin troppe donne agguerrite.
“Se hai finito di perdere tempo, non ho tutta la vita per aspettare quei prospetti” Bulma gonfiò le guance per non rispondere.
“Ripeto, dovrai aspettare. Sono l’unica qui a fare il lavoro digitale per otto persone in un orario part-time, se hai problemi a riguardo collega quei due neuroni che se ne vanno a zonzo e impara a usare un computer”
Si preannunciava una nuova lite, di quelle che caratterizzavano ogni loro conversazione. A rifletterci, era ironico che un tipo riservato e solitamente silenzioso come Vegeta tendesse a urlare tanto facilmente nelle discussioni con Bulma. Fortunatamente questa volta la guerra verbale fu risparmiata alle orecchie delle altre colleghe.
“Ehi Bulma, hai messo la suoneria al telefono stamattina?” esordì Allison con il cordless dell’ufficio in mano. Bulma la osservò confusa ma non fece neanche in tempo a prendere il proprio telefono perché la detective continuò a parlare “è la scuola di Hazel, forse è il caso che tu senta che hanno da dire” la turchina impallidì e subito aggirò la scrivania per prendere il telefono.
“Sì?”
“Buongiorno, parlo con la signorina Bulma Brief? La tutrice di Hazel Brief?”
“Sì, sono io”
“Ed è a conoscenza dei motivi per cui Hazel non si è presentata a scuola neanche oggi?” se possibile, Bulma sbiancò ancora di più e sgranò gli occhi.
“Oh no...Un’altra volta!”
Hazel non era della generazione facebook, era stata iscritta per un po’ ma è durata tipo per qualche giorno, giusto il tempo di prendere a odio tutte le notifiche degli inviti ai giochi. Instagram era decisamente meglio su questo aspetto, poteva limitarsi a pubblicare le foto che le piacevano anche senza che avessero un senso e, soprattutto, non c’era la nonna che commentava con frasi del tipo fiorellino della nonna perché non hai messo il vestito a giallo che ti ho regalato?, tesoro mio esistono altri ombretti oltre al nero, ma non era questo il punto. Quando aveva messo la parola fine al proprio profilo era sicura che non avrebbe mai più avuto occasioni di ritornare su quel sito e invece eccola qui, a battere sulla tastiera del portatile come se non ci fosse un domani, cercando di non perdere la pazienza con tutti quei messaggi autoprodotti. Sperava solo che tutto questo ne valesse la pena...
Avrebbe fatto volentieri a meno di quelle ridicole ghirlande che nonna Bonnie appendeva in ogni angolo della casa, una dozzina di gnomi vestiti di rosso con la barba bianca avevano soppiantato tutti i normali fermaporta indispensabili quando in casa un gatto che si lagnava come sotto tortura ogni volta che qualcuno osava chiudersi in bagno senza di lui, e – Dio! – quanto era inquietante il Babbo Natale canterino messo in fondo alle scale! Nonna Bonnie era ai fornelli dalle sette di mattina per preparare ogni singola portata della cena della vigilia e il pranzo di Natale. Bulma e Hazel li avevano raggiunti a Pasadena il giorno prima, ma non era una sorpresa che si fosse trovata a lavorare anche quella mattina, l’accordo stipulato con sua madre era di liberarsi per il pomeriggio.
La cucina durante le feste era dominio assoluto della nonna che poteva diventare anche alquanto violenta quando si trattava di invasioni del suo territorio, una volta Hazel e il nonno Henry avevano rubato delle polpette e la nonna li aveva inseguiti intorno al tavolo con il cucchiaio di legno in mano sbraitando cose come “vi rovinate l’appetito!”, memore di questa esperienza Hazel aveva preso l’abitudine di riempire la valigia di vari snack che le avrebbero permesso di sopravvivere nei giorni clou della festa senza dover entrare di nascosto alla ricerca di qualcosa da sgranocchiare. Poi c’era la moltitudine di tradizioni: la cartolina d’auguri con la foto di famiglia, tutti con indosso i più improponibili maglioni; le ghirlande di popcorn che puntualmente finivano mangiati e quindi si dimostrava necessaria un’alta padella; i menù differenti per ogni giorno comprendenti una tale varietà da obbligare i più deboli di stomaco a usufruire dei più svariati digestivi; e poi c’era lui...
“Hazel? Fiorellino potresti andare a prendere le decorazioni di natale che sono in soffitta? Nonno Henry verrà ad aiutarti” con un sospiro esageratamente teatrale Hazel si accinse ad avviarsi verso la soffitta, ci mancava solo che facesse salire il nonno on il rischio che si rompesse qualcosa nello scendere quella ripida scala con lo scatolone tra le mani. Al contrario del resto della casa organizzata quasi a livello cromatico, nella soffitta regnava il disordine più assoluto, almeno secondo gli schemi di nonna Bonnie. Gli scatoloni delle decorazioni erano organizzati in base alle festività, quindi c’era il mucchio di Natale, quello di capodanno – che cambiava ogni anno e quindi era puntualmente riciclato per i compleanni –, il mucchio di San Valentino e quello di San Patrizio anche se nessuno in famiglia era irlandese e infine quello di Halloween. Gli altri innumerevoli scatoloni contenevano poi roba accumulata da quando Kida e Bulma erano ancora bambine.
“Decorazioni natalizie. Decorazioni natalizie. Dove sono andate a finire questa volta?”
“Tesorina ti serve aiuto?”
“No grazie nonno, credo di aver trovato la scatola giusta. Aspettami di sotto così te la passo” detto fatto la scatola arrivò al piano inferiore ed Hazel era pronta a scendere a sua volta quando qualcosa attirò la sua attenzione.
“Inizia a scendere nonno, arrivo subito” per un’ulteriore sicurezza attese alcuni secondi prima di scoprire lo scatolone che aveva notato in penombra, sul cui fianco era scritto KIDA. Al suo interno erano contenuti oggetti di varia natura, alcuni libri mezzi scollati, una scatola rosa che probabilmente poteva essere un portagioie, poster e fotografie. Per stare più comoda decise di portare la scatola più al centro della soffitta e si sedette per terra incurante della polvere che si sarebbe trasferita sui suoi vestiti scuri. Per prima cosa aprì la scatola rosa, come aveva ipotizzato si trattava di un portagioie contenente bigiotteria da ragazzina. Sfogliò alcuni libri ridacchiando mentre accarezzava il nome di sua madre scritto agli angoli del lato interno della copertina accanto a quello di qualche ragazzo che non aveva mai sentito nominare. Una fotografia di Kida e Bulma era racchiusa in una cornice di pasta le ritraeva ancora bambine con indosso costumi di halloween che Hazel riconobbe perché li indossò anche lei, si trattava infatti di Poison Ivy e la principessa Leila. La mise da parte con l’intento di chiedere alla nonna il permesso di prenderla e passò all’oggetto successivo, un peluche a forma di procione che era stato il suo pupazzo preferito nei suoi primi anni di vita, ricordò che frequentava le elementari quando decise che era troppo cresciuta per dormire ancora con Zicky, come aveva deciso di chiamarlo. Sorridendo decise che anche il procione sarebbe tornato a casa con lei e, chissà, magari dopo un bel lavaggio in lavatrice sarebbe potuto tornare a stare anche sul letto.
C’era poi un enorme mucchio di fotografie risalenti a momenti diversi della vita di Kida, molte con Bulma, alcune con il pancione o con Hazel in braccio e altre che la ragazzina non aveva mai visto prima d’ora. Su queste si concentrò maggiormente. In una foto scattata dall’alto, Kida era in acqua e indossava la muta da sub con la maschera sopra la fronte, sorrideva così tanto che gli occhi erano totalmente strizzati. In un’altra aveva uno di quei classici cappelli da pescatore dei film e una canna da pesca in mano, seguita da una in cui aveva in mano un pesce ancora appeso all’amo; un’altra con un koala in braccio; l’alba sull’oceano immortalata dal tetto dell’hotel. Notò in ogni foto i capelli corti di Kida, colpa ovviamente della chemioterapia, che per camuffare in qualche maniera aveva tagliato sfumando ai lati in una pettinatura tipicamente maschile ma alla moda. Infine le capitò tra le mani quello che sembrava un biglietto d’auguri, il foglio era piegato a metà con il logo di una qualche azienda o ufficio che però non riconosceva, all’interno vi era incollata una foto di gruppo. Non era di certo della migliore qualità e Hazel dovette stringere gli occhi e fare luce con il cellulare per poter scorgere sua madre che quasi scompariva con indosso quegli enormi occhiali da sole dalla montatura rosa, una bandana rossa e, soprattutto, accanto a un uomo alto quasi il doppio di lei e che era in tutto il suo opposto: un ammasso di muscoli e capelli neri, occhiali da sole scuri da guardia del colpo e serio come la morte.
“Hazel! Fiorellino sei ancora di sopra?” la voce di Bonnie la ridestò dai suoi pensieri, facendola agire prima ancora di rifletterci abbastanza. Velocemente infilò il biglietto con la fotografia nella tasca posteriore dei jeans, nascondendo la parte sporgente con la maxi felpa, dopodiché ripose tutto il resto degli oggetti nella scatola.
“Coraggio tesorina mia. Ti abbiamo aspettato per mettere la stella in cima all’albero” fece appena in tempo a rimettere a posto la scatola prima che la nonna fece il suo ingresso nella soffitta
“Oh ma guarda, che cosa abbiamo qui?” Hazel si sentì ghiacciare e immediatamente si mise alla ricerca di una scusa decente da propinarle non appena la nonna avrebbe fatto domande
“Hai ritrovato Zicky” la ragazzina non si rese neanche conto di aver trattenuto il fiato finché non si trovò a tirare un sospiro di sollievo che l’anziana non notò “Vuoi che te lo metta in lavatrice così lo puoi portare a casa?”
“Mi piacerebbe nonna, grazie”
Aveva rimandato le ricerche su quel logo a quando sarebbe tornata a casa, lontano dalla nonna impicciona. La prima parte in sé è stata quella più difficile, ossia identificare quel nome nascosto nel logo che era di per sé illeggibile – chi diavolo scriverebbe in bianco su un logo giallo? – e una volta identificato aveva impiegato tempo un battito di ciglia per capire che l’agenzia di viaggi che aveva capito essere aveva cambiato nome. C’erano volute ore di chiamate a centralini e innumerevoli mail per recuperare quanto richiesto. L’unico a sapere tutto ciò era naturalmente Lanclan, senza il cui aiuto probabilmente non avrebbe cavato ragno dal buco. Era stato lui un giorno in cui era alquanto esausta a proporle il piano che erano facilmente riusciti ad attuare: Hazel aveva spiegato all’addetta del call-center di star organizzando l’anniversario dei suoi genitori e di voler recuperare una vecchia foto andata persa nel trasloco, ritraente i suddetti genitori quando si conobbero in un viaggio in Australia. Non credeva che avrebbe funzionato e c’è mancato poco che non saltasse sul letto dall’euforia quando l’impiegata si propose di inviarle per mail il link della pagina Facebook su cui già da vent’anni pubblicano le foto di tutti i loro viaggi.
Ed ecco quindi com’era finita al tempo presente a litigare con la piattaforma nel tentativo di sbloccare il proprio profilo di cui aveva dimenticato sono solo la password ma anche l’indirizzo mail utilizzato.
FATTO! Quasi non ci credeva, c’era riuscita. La pagina centrale del suo profilo della piattaforma apparve davanti ai suoi occhi, traboccante di notifiche e con decisamente più pubblicità di quella che ricordava. Sbuffò sonoramente, non le interessava un fico secco di visualizzare le notifiche, aprì invece la casella di posta elettronica e cliccò sul link che le aprì la pagina dell’agenzia di viaggi il passo dell’alfiere, ora rinominata dream trips. Le avevano accennato di aver pubblicato le foto di tutti i loro viaggi, ma non hanno diviso le immagini in album prima di un paio d’anni fa. Armata di una pazienza che non credeva di avere, Hazel cominciò a scorrere a ritroso tutte le foto pubblicate, soffermandosi su quelle che avevano per sfondo foto che potevano sembrare dell’Australia, non facile se erano scattate nel deserto che sembrava l’Egitto o nell’oceano facendolo sembrare il Sud Africa. L’unica nota positiva erano le date, perciò non fu difficile scorrere tutte le foto fino ad arrivare all’anno di suo interesse.
- Sei ancora viva Sat? - quasi si era dimenticata di Lanclan ancora in linea
- Sono viva Lanclan, non ho alcuna intenzione di lasciarti i miei item di Dark Souls 2 -
- Frena frena frena. Dai possiamo trattare? Da morta non ti serviranno più -
- Quando sarò morta il mio profilo morirà con m- -
“TROVATO!” esclamò ad alta voce, dimenticandosi del messaggio che stava scrivendo nel momento in cui, con la coda dell’occhio, scorse la foto.
“HAZEL TUTTO BENE?” merda! Si era quasi dimenticata della zia che lavorava al computer in soggiorno.
“TUTTO OK ZIA! STAVO SOLO CERCANDO... UN CALZINO”
- Ora sei morta? -
- No! Ho trovato la fotografia -
- È fantastico Saturyn! -
Scaricò velocemente la fotografia, giusto per poter usare la ricerca inversa delle immagini come ultima scialuppa, dopodiché cercò tra i tag nella descrizione dell’immagine, come temeva erano davvero pochi. Tanto per cominciare poteva escludere le donne, rimanevano sette nomi, sempre a patto che l’uomo che stava cercando fosse realmente tra questi, purtroppo non aveva certezze a riguardo. Cliccò sul primo nome, Brock Darril...
NOTE AUTRICE - CAPITOLO 2
Dunque, nota numero due che ho dimenticato di aggiungere già nel primo capitolo. Ho cercato di adattare i nomi alla realtà per renderli un po’ più credibili, come nel caso di Bonnie che nell’originale è Bunny, o Bikini nella versione giapponese.
La storia parte un po’ a singhiozzo e, ovviamente, momentaneamente noiosa. Prevedo presto l’aggiunta di flashback e un salto temporale (chi mi conosce sono sicura stia pensando di già?).
Bulma è la collaboratrice informatica di uno studio di detective privati, e qui incontriamo ufficialmente anche Vegeta che, in questa storia, ha scelto la propria carriera scegliendo la via facile, nel prossimo capitolo approfondirò un po’ di più il suo personaggio anche senza sbilanciarmi troppo da subito.
Hazel è molto intelligente, preferisce i videogiochi allo studio (come darle torto) ma non essendo io molto pratica dell’argomento dovrò affidarmi ai luoghi comuni e alle mie impressioni delle volte in cui guardo il mio ragazzo giocare al computer.
Hazel comunque, è anche una ragazzina cocciuta che quando si mette in testa qualcosa stai pur certa che la farà, qualunque siano le conseguenze. Questa è una di quelle imprese che molto probabilmente la metteranno nei guai e il punto di partenza da cui comincia effettivamente la storia.
Mi scuso per eventuali errori di battitura ma non ho avuto il tempo di rileggere il capitolo.
Dal prossimo ho deciso di scegliere un giorno della settimana in cui pubblicare, forse il giovedì.
A presto
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Capitolo 3 *** Capitolo 3: Le prime impressioni sono spesso sbagliate ***
Capitolo 3: Le prime impressioni sono spesso sbagliate
“Hazel per quanto hai ancora intenzione di tirare per le lunghe questa storia? Sarò anche tua amica, ma sono prima di tutto tua zia. Non sono nella posizione di pretendere che tu vada sempre a scuola, ma vorrei che quantomeno mi avvisassi in anticipo anziché farmi chiamare dalla segreteria perché neanche sta volta sei presente” la ragazzina girò gli occhi al soffitto continuando a battere sulla tastiera del portatile, Bulma se ne stava invece sulla soglia della stanza decisamente sul piede di guerra.
“Va bene, ho capito. Scusa per essermi assentata da scuola senza avvisarti. Meglio ora?” disse con il tono petulante di chi non vedeva l’ora di chiudere la conversazione. Bulma si strinse il ponte del naso per evitare di rispondere in una maniera che avrebbe solo fatto peggiorare la situazione, era lei l’adulta tra le due.
“No che non va meglio, Hazel. Io ti voglio bene, ma a tutto c’è un limite. Davvero, non vorrei trovarmi costretta a riportarti a Pasadena dai nonni” Hazel sollevò lo sguardo dallo schermo incenerendo la zia con gli occhi. Durò solo un paio di secondi, perché ritornò presto a guardare lo schermo con la solita espressione indifferente.
“Fa come meglio credi” su quelle parole, Bulma lasciò il campo di battaglia insicura sulla propria vittoria o eventuale sconfitta nello scontro verbale. Purtroppo, neanche quei violenti scambi di opinioni erano una novità tra le due, entrambe molto testarde e dal carattere dominante. Bulma si trovava spesso a pensare in queste occasioni a quanto poco Hazel avesse ereditato dal carattere calmo e pragmatico di sua madre.
Stava per fare una cazzata. A ogni metro percorso verso la sua meta si ripeteva questa frase, seguita dalle motivazioni che la spingevano a continuare. I contro erano numericamente più dei pro, sarebbe finita nei guai seriamente se fosse stata scoperta e il rischio che ciò accadesse era molto alto, ma ciononostante continuava ad andare avanti, non senza una buona dose di sudori freddi e fifa. Si era da sempre definita una persona con sangue freddo: non aveva mai battuto ciglio ai denti da latte che cadevano, non le interessava quando presentava le insufficienze per le quali spesso e volentieri doveva recuperare uno o due corsi e chattava con sconosciuti da quando aveva scoperto l’esistenza dei social network. Questa impresa era molto oltre queste malefatte e ne era consapevole.
Il portone principale era come sempre aperto a quell’ora del mattino e c’era anche il solito via vai dei visitatori degli studi e uffici del palazzo. Arrivata al quarto piano, la porta che le interessava era socchiusa, ma si annunciò comunque bussando prima di entrare.
“Buongiorno a tutti” esordì con tono gioviale.
“Hazel, tesoro. È da tanto che non ti fai vedere da queste parti” Allison fu la prima a raggiungerla abbracciandola calorosamente, seguita a ruota dalla sua collega.
“Oh Hazel. Come stai cara? Ti sei messa di nuovo nei guai con la scuola eh?” Hazel sorrise imbarazzata alla domanda di Rosicheena, dal primo giorno in cui la vide la ragazzina fu certa che fosse una strabiliante detective perché era impossibile mentire davanti a quegli occhi azzurri.
“Cose che capitano. Mi annoio da morire a scuola”
“Come darti torto”
“Ally! Non incoraggiarla” i battibecchi erano di casa negli uffici di Rosy e Allison perché per quanto migliori amiche da una vita quelle due erano l’una l’opposto dell’altra.
“Dicevamo, come mai da questa parte della città?” ci siamo, comincia la recita.
“A scuola hanno invitato il club di matematica a partecipare alle olimpiadi, ma il WiFi a casa ha deciso di dare le dimissioni. Vi dispiace che mi collego qui? Ci vorranno solo un paio di minuti”
“Ma certo tesoro, fa pure” rispose Allison sorridendo da un orecchio all’altro “Anche Tapion una volta ha partecipato alle olimpiadi di matematica, ne era così entusiasta. È un peccato che se ne sia andato nel panico alle semifinali, ma sono sicura che tu gestisca lo stress molto meglio”
“Staremo a vedere” replicò con una sollevata di spalle. Poco dopo, con il benestare delle due donne, si sistemò nell’ufficio della zia, avendo l’accortezza di lasciare la porta aperta. Era un’adolescente con una discreta conoscenza dei computer e una grande dimestichezza nell’avere segreti. Collegò quindi il proprio portatile al caricabatterie, orientati verso le finestre illuminate della luce del sole su cui lo schermo non poteva riflettere, dopodiché accese anche il computer fisso dell’ufficio. Ok, adesso arrivava la parte relativamente facile, accedere al sistema su cui faceva affidamento nell’ufficio e cercare un paio di nomi. Gli schedari di criminali sessuali erano aperti al pubblico e facilmente consultabili, tirò quindi un sospiro di sollievo quando il sistema escluse immediatamente quel database, d’altro canto dovette allacciarsi a un altro schedario a cui era un po’ meno legale accedere. Scrisse velocemente le informazioni reperite e in tre minuti fu pronta a chiudere spegnere i computer senza lasciare traccia del suo passaggio, una cosa che zia Bulma le aveva insegnato appena dimostrò il primo interesse per l’informatica. Sicuramente se avesse saputo l’uso che stava facendo dei suoi insegnamenti, la zia B non ne sarebbe stata felice.
“No Sean così proprio non ci siamo, il nuovo algoritmo deve essere testato prima di continuare ad avanzare nel progetto. Se dovesse esserci un errore ce lo porteremmo dietro fino a lavoro ultimato”
“Ti preoccupi troppo Bulma. Non hai mai sbagliato una programmazione neanche quando smanettavi con i computer sgangherati del liceo. Cosa ti fa credere di aver sbagliato adesso?”
“Per quanto geniale non sono infallibile. Testa quell’affare Sean altrimenti rimarremo a un punto morto per tanto tempo. Al contrario tuo, non ho intenzione di continuare il mio lavoro part-time superati i trent’anni”
Bulma detestava stare al telefono, per questo era solita, quando costretta a comunicare, a tenere il vivavoce o le auricolari. Da quando la tecnologia era avanzata tanto da consentire alle persone di fare altre cose mentre si parlava al telefono, aveva ringraziato l’evoluzione quasi ogni mattina, ora si limitava a ogni volta in cui poteva tenersi impegnata in altre attività mentre parlava al telefono. Inoltre c’era da aggiungere che fosse una donna, quindi multitasting per natura e ciò le permetteva di portare all’esasperazione il concetto di fare più cose contemporaneamente. Eccola lì, infatti, quella sera a preparare la cena – o almeno a provarci – smanettare al computer e parlare con il collega e amico Sean, il quale probabilmente se ne stava seduto sul divano con le auricolari e qualche confezione di cibo da asporto. Così la trovò Hazel aprendo la porta di casa.
“Sean. Sean. Sean.” Disse la turchina ripetendo a macchinetta il nome dell’amico per attirarne l’attenzione mentre lui blaterava su qualcosa che aveva smesso di ascoltare.
“Ti richiamo” e senza dargli il tempo di ribattere riattaccò la telefonata.
“Ehi com’è andata? Sei riuscita a iscriverti?”
“Mh-mh” replicò la più giovane scuotendo la testa, impossibilitata a rispondere a causa del succo di frutta che stava bevendo “era a numero chiuso e non ho fatto in tempo a rispondere” beh, pensò, non era una totale bugia, le iscrizioni infatti si erano chiuse quella stessa mattina e, semplicemente, Hazel non era intenzionata a partecipare.
“Oh che peccato!”
“Sei riuscita a capire cos’avesse il modem?” non che lo avesse manomesso in modo irreparabile, contava solo che Bulma avrebbe avuto bisogno di almeno un’ora per capirlo, e quindi darle il tempo di convincerla e poi correre al suo ufficio.
“Oh sì e appena ti dirò non ci crederai”
“Spara” Bulma smise di tagliare le carote e si voltò verso la nipote con gli occhi sgranati.
“La chiocciola del nastro adesivo, quella pesante da ufficio a forma di omino seduto”
“Ho presente, vai avanti”
“Sì beh, è caduto dalla scrivania, probabilmente spinto da qualche altra cianfrusaglia. Cadendo è finito sul cavo del modem che ti dicevo da sempre di voler fissare al muro e anziché tirarsi giù tutto quell’affare, e magari ce ne saremmo accorte prima, si è sfilato solo il cavo. Ti rendi conto?!” per l’impegno che mise nel recitare quella scena, Hazel penserà per anni di meritare l’oscar. Sarà stato il modo in cui la zia espose i fatti o il fatto stesso di essere riuscita a scamparsela, ma la mora si trovò a ridacchiare.
“In effetti sembra assurdo zia. Ma forse hai ragione, avremmo dovuto fissare quel filo al muro” la turchina si stampò in faccia un’espressione imbronciata.
“E immagino che questa volta mi toccherà andare dal ferramenta a prendere qualcosa di diverso dal nastro isolante. Giusto?”
Erano ormai venti minuti che se ne stava su quel pianerottolo indecisa se palesare o meno la sua presenza. Aveva ricontrollato piano, numero civico ed edificio almeno quattro volte, il nome dell’inquilino dell’appartamento 15b, invece, almeno dodici. Non c’erano errori, mancava solo il coraggio di continuare questa impresa. I palmi delle mani erano sudate, dovette più volte asciugarli sui jeans, e tremava vistosamente da testa a piedi.
“Adesso basta, o la va o la spacca” in un impeto di coraggio lasciò lo scomodo gradino su cui era seduta e si avvicinò alla porta blindata in finto legno, prima di fermarsi e ridacchiare nervosamente grattandosi la tempia con un dito “nel peggiore dei casi avrai fatto una figura di merda con uno sconosciuto” una volta stiracchiati i muscoli, più che altro per perdere ulteriore tempo che per reale bisogno, suonò il campanello e... NON SUCCESSE NIENTE! Scosse il capo per un attimo e suonò un’altra volta, poi un’altra e un’altra ancora.
“No ma dico scherziamo? Sono le undici del mattino! Quanto può essere pesante il sonno di un uomo?!” con le braccia incrociate al petto, il ponte del naso stretto tra indice e pollice, si accorse dopo qualche secondo di star battendo anche un piede a terra in una posa che gli ricordava molto quando sua faceva arrabbiare sua madre per non aver rimesso apposto la sua stanza.
“Un ultimo tentativo, se non ricevo nessuna risposta me ne vado e non voglio più sapere nulla di questa storia” fece un respiro profondo per raccogliere tutto il coraggio di cui ancora era in possesso e poggiò il dito sull’interruttore del campanello. Uno, due... sei, sette secondi senza nessuna interruzione quando finalmente le parve di sentire un rumore oltre la soglia. Dopo un paio di secondi in cui sentì armeggiare con la serratura, tempo in cui ebbe l’accortezza di indietreggiare di qualche passo, e quando finalmente la porta fu aperta si trovò davanti l’uomo più alto che avesse mai visto, e molto probabilmente uno tra i più incazzati.
“Hai finito di rompere i coglioni?!”
“Bonjour finesse, non c’è che dire” lo sconosciuto inarcò il sopracciglio di fronte a quella ragazzina che doveva apparirgli parecchio strana e se avesse visto la scena dall’esterno probabilmente anche lui sarebbe stato parecchio strano. Hazel l’avrebbe definito un agglomerato di muscoli, talmente tanti capelli neri da impedirle di vedere dietro le sue spalle e la faccia incazzata, tanto incazzata.
“Comunque” con fare sarcasticamente professionale, Hazel estrasse un biglietto dalla tasca dei jeans su cui aveva scarabocchiato le informazioni sul suo interlocutore, non perché avesse bisogno di leggerle di nuovo, ormai le sapeva a memoria.
“Lei è Radish Son?”
“Dipende da chi cazzo lo sta cercando” per nulla intimidita Hazel incrociò i suoi occhi altrettanto neri e inarcò un sopracciglio “Sì, sono io”
“Beh, se lei è chi dice di essere allora posso presentarmi. Mi chiamo Hazel Brief e, con molte buone probabilità, credo di essere sua figlia” se la mandibola non era caduta dallo shock c’era decisamente mancato poco.
“Ehm... Cosa?”
“Wow che eloquenza, decisamente non l’ho ereditata da lei” rimasero alcuni secondi in silenzio, lui forse tentando di elaborare il concetto e lei, annoiata, che si dondolava sui piedi. “Ehm... Posso entrare o vogliamo conversare gli sul pianerottolo?”
“Sì. No...” Radish sbuffò rendendosi conto solo in quel momento di trovarsi sulla soglia di casa davanti a una ragazzina e con indosso null’altro che un paio di vecchi pantaloni di tuta.
“Ok entra”
“La ringrazio Signor Son” se Hazel credeva di essere una persona disordinata dovette ricredersi quando vide quell’appartamento: era una discarica. Il divano era disseminato di vestiti sporchi, cartoni della pizza e chissà quale altro piatto da asporto – ehi è l’involucro di un preservativo quello?? – e lattine di birra e bevande gassate.
“Ehm ok, non mi aspettavo ospiti e la colf non passa questa settimana”
“Non la invidio quando dovrà passare allora” l’uomo sbuffò per poi guardarsi i piedi nudi.
“Senti, c’è una tavola calda da queste parti. Vado a cambiarmi e ci andremo, tu resta qui”
“E chi si muove”
“Meno sarcasmo mocciosa, non sono abbastanza ubriaco per tollerarti senza offenderti. E smettila di chiamarmi signor Son che non riesco a prenderti sul serio”
Per cambiarsi, come solito per il genere maschile, Radish non impiegò molto, solo tre minuti. Nulla in confronto ai più di venti che impiegò per rendere accettabile quel tappeto di orso bruno che aveva al posto dei capelli. Altri dieci minuti se ne andarono invece nel tragitto per raggiungere il già citato locale. La tavola calda ‘Sapori di casa’ era un concentrato di profumi di ogni genere, Hazel riusciva a riconoscere torta di mele della nonna, lasagne e caffè.
“Di solito mi siedo al bancone, ma forse non è il caso oggi. Ci mettiamo al tavolo all’angolo?” sembrava quasi che Radish parlasse da solo, aveva lo sguardo perso nel vuoto e forse sembrava anche un po’ fatto, ma non lo conosceva abbastanza da saper dire se fosse solo lo shock per la notizia o anche l’effetto di qualche sostanza stupefacente.
“Cazzo Radish! E dire che col lavoro che fai dovresti saperlo che le minorenni non le devi calcolarle” a parlare era stato un uomo dietro il bancone, sembrava più basso di Radish, aveva i capelli neri legati alla ben e meglio in un disordinato chignon, gli occhi scuri e la faccia di chi ha proprio voglia di litigare.
“Tappati quella fogna Turles”
“Mammaaa Radish mi ha detto di-”
“Turles per l’amor del cielo, sei grande e grosso non devo essere io a difenderti da tuo fratello” la terza voce, questa volta femminile, veniva dalla finestra che affacciava sulla cucina.
“No, no, assolutamente no. Niente tavolo all’angolo” come se non avesse neppure sentito il resto del discorso, e senza mai sfiorarla neanche per sbaglio, Radish la condusse a un tavolo in mezzo a tanti altri occupati da clienti e fece un cenno a qualcuno alle spalle di Hazel.
“Quindi, uhm... Hai detto di chiamarti Hazel, giusto?” la ragazzina ebbe solo il tempo di annuire prima che una donna di mezza età si avvicinasse al loro tavolo, era una signora minuta, sorridente nonostante le rughe di espressione che le segnavano il viso e i capelli neri striati di bianco e grigio.
“Cosa vi porto ragazzi?”
“Che prendi? Un succo di frutta?” Hazel inarcò il sopracciglio come aveva fatto innumerevoli volte nel giro dell’ultima mezz’ora.
“Un succo di frutta? Quanti anni credi che abbia? Sei?” cambiando totalmente tono ed espressione si voltò verso la cameriera “per me un caffè e, mh... Una fetta di quella torta ai tre cioccolati che vedo lì in vetrina, per favore”
“Ottima scelta. E tu cosa prendi tesoro?”
“Mh? Solo un caffè, corretto con qualcosa di molto forte mamma”
“Certo, credici che ti correggerò il caffè con qualche superalcolico. Le ordinazioni arrivano tra poco” non appena la donna, il cui cartellino riportava il nome Gine, si allontanò tra i due commensali calò un silenzio imbarazzato: Radish quasi non batteva le palpebre con lo sguardo fisso sul piano del tavolo, Hazel invece si guardava attorno curiosa.
“Così lei è tua madre?”
“Mh-mh”
“Sembra simpatica”
“Tsk non farti ingannare, è abbastanza cazzuta da tenere a bada marito e tre figli maschi particolarmente teste calde”
“E questo spiega la mia natura di attaccabrighe, credo che mamma a un certo punto ci abbia davvero perso la pazienza a mettermi in riga”
“A tal proposito” con uno scatto l’uomo si risollevò ergendosi anche da seduto in tutta la sua altezza – sul serio avrebbero potuto essere quasi due metri da in piedi – prima di chinarsi leggermente in avanti e inchiodare sul posto la giovane.
“Hai detto di essere mia figlia”
“Ti correggo, ho detto che con molte buone probabilità credo di essere tua figlia, ma effettivamente non mi sbaglio mai” la conversazione fu interrotta dall’arrivo di Gine, lasciandoli sul dubbio in relazione a quanto potesse aver ascoltato.
“Ecco le vostre ordinazioni: torta ai tre cioccolati e due caffè, di cui uno molto forte. Chiamatemi se vi serve altro”
“Grazie signora Gine, la torta sembra davvero deliziosa”
“Oh cara chiamami solo Gine, sei così carina” e lasciandole un sorriso tornò alle sue mansioni.
“Dicevamo, hai detto che credi” riprese virgolettando sull’ultima parola e pronunciandola quasi in un ringhio “di essere mia figlia. Ma qui qualcosa non torna perché io, ragazzina, non ho figli” certo della mossa vincente appena messa in atto, Radish si riaccomodò addosso allo schienale sorseggiando il suo caffè.
“Wow, mi stai dicendo di avere una memoria così formidabile da ricordare ogni preservativo bucato o coito interrotto?” e inevitabilmente il caffè gli andò di traverso, cosa che in realtà non preoccupò molto la sua suddetta potenziale figlia.
“Ok ricominciamo. Ho sedici anni, sono nata a Santa Monica, qui in California, il 7 marzo” spiegò sorseggiando il proprio caffè
“Quindi dovresti essere stata concepita più o meno a giugno, beh mi spiace deluderti ma in quel periodo ero abbastanza impossibilitato a riprodurmi. A mai più rivederci” Hazel scosse la testa.
“Ripeto che memoria, ma sfortunatamente è inesatto. Sono nata di trentadue settimane, circa a metà dell’ottavo mese, per questo trascorsi del tempo in incubatrice”
“Perciò sei stata concepita a luglio” dopo un attimo di smarrimento Radish si irrigidì e la mano che reggeva la tazza di caffè tremò un po’.
“Un mese è parecchio tempo e non sono mai stato uno stinco di santo. Dovrai darmi qualche indizio in più dopo quasi diciassette anni la memoria può fare cilecca”
“Detto dallo stesso uomo che fino a cinque minuti fa mi ha detto con assoluta certezza che non potevo essere sua figlia? Chissà perché non stento a crederlo” Radish si strofinò gli occhi con una mano
“Ti prego smettila di ripeterlo” ignorandolo Hazel infilò una mano nella borsa cercando alla cieca qualcosa, ne estrasse un pezzo di carta che a una seconda occhiata Radish identificò come una fotografia. Stranamente prima di porgergliela Hazel la osservò per un secondo sorridendo un poco.
“Mia madre si chiama Kida, ho pensato che fosse meglio portare una foto di quando era più simile all’età che doveva avere quando vi siete conosciuti”
La fotografia, che era parecchio rovinata, ritraeva una donna sorridente che abbracciava da dietro una bambina, Hazel, di circa cinque anni; aveva gli occhi grigi, era pallida e dal cappello di lana rosa che indossava si riuscivano a scorgere delle ciocche biondo cenere, totalmente l’opposto di sua figlia che invece aveva occhi e capelli neri. Lasciando un’occhiata alla ragazza seduta di fronte a lui, ora concentrata sulla sua fetta di torta, Radish notò che all’infuori della forma del viso non avevano nulla in comune ma non c’erano dubbi che Hazel fosse la stessa bambina della foto, solo l’espressione non era per nulla simile perché la Hazel davanti a lui era molto seria e cupa.
“I-io” non seppe dire quanto tempo trascorse prima di provare a parlare, ma la ragazza lo interruppe immediatamente
“Senti, io non voglio nulla da te” sollevò lo sguardo di scatto e trovò Hazel nella stessa posizione che aveva lui appena entrati nella tavola calda, gli occhi vuoti fissi sul tavolo rovinato del locale, si martoriava le dita con fare nervoso.
“So che il mio arrivo poteva essere frainteso, ma non era assolutamente mia intenzione. Semplicemente sto attraversando una fase un po’ così, per tutta la vita mi sono chiesta che aspetto avesse mio padre e se gli somigliassi almeno un po’, adesso so quello che volevo sapere. Non voglio fare parte della tua vita, so che sarebbe troppo da chiedere e mi sta bene così” gli sorrise, ma non come faceva la bambina nella foto, questo era un mezzo sorriso rassegnato che gli chiuse lo stomaco in una morsa.
“Ora devo proprio scappare, zia B crede che sia a scuola e se anche mi inventassi di essere tornata a piedi devo comunque rientrare in un orario decente. Puoi tenere la foto, verrò a riprenderla tra qualche giorno, magari ti viene in mente qualcosa nel frattempo. Oh e cercherò di non sfondarti il campanello questa volta”
“Potresti lasciarmi il tuo numero così magari non rischierò di incazzarmi troppo quando ti attaccherai al citofono”
“Oh no, altrimenti sembrerà davvero un adescamento” si ritrovarono entrambi a ridacchiare poi, dopo aver lasciato sul tavolo una banconota da 10$, Hazel si affrettò a indossare la giacca di pelle
“Riprenditi i tuoi soldi ragazzina, offro io”
“No grazie, preferisco non avere debiti con nessuno, sia materiali che morali. Buona giornata Radish” la schiena di Hazel che si allontanava fu l’ultima cosa che Radish vide prima di concentrare di nuovo tutta la sua attenzione sulla fotografia che stringeva in mano. Kida, non aveva mai saputo il suo cognome e credeva di aver quasi dimenticato quel sorriso.
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 3
PICCOLA BREVE SPIEGAZIONE: il titolo della storia (a cui ho pensato forse più del dovuto) è una semi-citazione presa dal film "Famiglia all'improvviso - Istruzioni non incluse", che dato l'argomento mi sembrava la più azzeccata. La citazione per intero fa "Quando ho incontrato Gloria ho trovato il coraggio di saltare nel vuoto" e la pronuncia Omar Sy nel ruolo di Samuel.
Fatta questa piccola precisazione, torniamo al capitolo.
Ecco arrivare sulla scena il secondo protagonista principale di questa storia: Radish Son. Ho già detto di voler rivalutare questo personaggio e ci proverò davvero in questa storia, non sorprendetevi troppo quindi di vedere più scene che hanno lui ed Hazel per protagonisti piuttosto che Bulma e Vegeta.
Seguendo il consiglio dato dal titolo del capitolo stesso, non fermiamoci alle prime impressioni. Probabilmente io avrei reagito anche peggio di Radish, non tanto per la notizia shock quanto per l’essere svegliato con il trillo incessante del campanello. Per un uomo brontolone e permaloso come vedremo essere Radish Son, credo sia già tanto se non le ha chiuso la porta in faccia dopo aver staccato il campanello.
Anche per il suo personaggio ho cercato di creare un’immagine un po’ più umanizzata, spero di aver reso abbastanza l’idea del ragazzaccio che avevo in mente.
E, per farvi entrare al meglio nella fantasia, ecco la foto di Hazel e Kida.
Comunque, mi sembra sprecato dover scegliere accuratamente le immagini da allegare al capitolo, ma allo stesso tempo non voglio ingombrare tutto lo schermo. Quindi credo che comincerò a pubblicare le immagini estratte dal capitolo sul mio profilo Instagrm. Nel caso voleste darci uno sguardo si chiama @the.reader.of.wordls
Per il momento ho creato un profilo twitter (che ora si chiama X) su cui ho cominciato a pubblicare queste immagini. Poi chissà, magari prenderò il vizio di usarlo
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Capitolo 4 *** Capitolo 4: Secondo parere ***
Capitolo 4: Secondo parere
Aveva saltato l’ennesima giornata scolastica, anche se non si poteva dire che l’avesse esattamente saltata. Quella mattina aveva oltrepassato il cancello d’ingresso, aveva riposto un paio di libri nel suo armadietto, dopodiché aveva levato le tende attraverso le scale antincendio, infine scavalcò i cancelli decisamente mal messi sul retro dell’edificio. Mattinata all’insegna della noi, ma sicuramente meglio delle due ore di storia e filosofia che l’attendevano con la professoressa Del Toro, innanzitutto era stata in libreria a recuperare la sua copia preordinata di un romanzo appena uscito dopodiché era corsa nella fumetteria di fiducia, si avvicinava il compleanno di Maya e sapeva che l’amica aveva messo gli occhi su una action figure del suo anime preferito di cui Hazel ricordava a stento il nome. Comunque fatte le sue compere si ritrovò a gironzolare per i quartieri più disparati pur di stare lontana dalle zone frequentate normalmente della zia, sapeva si trovasse fuori città ma prevenire era sempre meglio che curare e Hazel non aveva intenzione di sorbirsi una sfuriata della cara zia Bulma.
Camminando immersa nei suoi pensieri si trovò a riflettere sul trovare il tempo per incontrare di nuovo Radish, anche solo per recuperare la fotografia di Kida che gli aveva lasciato.
Dopo il loro primo incontro Hazel aveva ci aveva pensato molto, ciò l’aveva portata ad approfondire le sue ricerche che prima erano state decisamente più generiche e vaghe. Tutto ciò che era stato scritto su Radish lei lo aveva trovato e letto, più e più volte in realtà. Conosceva tutto ciò che online esisteva su di lui, per esempio sapeva che era una promessa del basket e aveva ottenuto una borsa di studio sportiva, sapeva che aveva lasciato gli studi al terzo anno di college e con l’eredità lasciatagli dal nonno aveva aperto il suo primo night club in stile industriale che già in poche serate aveva fatto molto parlare di sé. L’investimento fruttò molto e nel giro di pochi anni aprì un secondo locale dall’altra parte della città, investendo anche in molte attività. A pensarci adesso, avrebbe dovuto essere molto più restio a fidarsi di lei quando si presentò alla porta di casa, poteva essere una stronza qualsiasi con cattive intenzioni, gli andava bene il fatto che, ricco o meno, ad Hazel non fregava letteralmente nulla, ma si rendeva conto che dal loro punto di vista la cosa doveva puzzare parecchio.
Le piaceva osservare i turisti che visitavano la città, facevano foto a tutto ciò che ritenevano degno di nota, seguendo per lo più itinerari che davano la possibilità di incontrare Vip o altri che ripercorrevano il glorioso passato della città, con i suoi quartieri importanti e, in particolare, Hollywood, che era sempre una tappa importante.
Il suo vagabondare con le cuffie nelle orecchie e gli occhiali da sole indosso la portò fino a Sunset Strip che insieme a West Hollywood era il cuore della movida di LA. Non c’era mai stata, non frequentando discoteche non ne aveva mai avuto occasione, ma aveva un ottimo senso dell’orientamento che indubbiamente non aveva ereditato da sua madre, capace di perdersi anche tra le corsie del supermercato.
Aveva il suo fascino, con le strade incorniciate su entrambi i lati da file di palme e i palazzi tappezzati di insegne luminose e cartelloni pubblicitari.
“Ragazzi ricordatevi di spuntare le voci dalla lista quando portate le merci in magazzino, non commettiamo gli errori della scorsa settimana. Nel caso lo aveste dimenticato abbiamo ordinato tanta di quella vodka da far concorrenza all’intera Russia. Che non si ripeta mai più” nel sentire quella voce, così stranamente familiare nonostante l’avesse ascoltata una volta sola, Hazel percepì una sorta di scossa elettrica attraversarle la spina dorsale. Radish Son era dall’altra parte della strada, in un vicolo tra due palazzi, intento a scaricare scatole all’apparenza pesanti da un furgone. Da ciò che era riuscita a sentire si trattava di uno scarico merci, cosa del tutto plausibile in una normale mattina di un normale giovedì. Solo allora spostò lo sguardo sui palazzi ai lati del vicolo, notando immediatamente l’insegna del Corydoras sulla sinistra, rammentando immediatamente cosa aveva letto su quel locale.
- Già dopo solo alcune settimane dall’apertura, il Corydoras è già diventato tra i più gettonati delle notti brave a LA. Abbiamo quindi ottenuto un’intervista all’orgoglioso proprietario, a cui abbiamo posto alcune delle domande inviate proprio da voi lettori.
Partendo da qualcosa di leggero, giusto per rompere il ghiaccio con l’adone che si è trovata davanti, la vostra affezionata autrice ha chiesto qualche informazione sul nome del locale.
Non è mai una cosa facile scegliere il nome per un locale, soprattutto quando si tratta di movida. Deve essere accattivante e attirare immediatamente l’attenzione dei suoi avventori, i colori sgargianti delle insegne non possono fare tutto. Corydoras è il nome di un pesce d’acqua dolce diffuso in Sudamerica, ma non commettete l’errore di credere che sia un appassionato di pesci per questo. Credo di aver letto qualcosa a riguardo mentre ero in sala d’attesa in uno studio dentistico e appena vista la foto ho pensato “è un nome troppo figo per un pesce brutto come i debiti”. Che i fan del pesce non me ne vogliano, ma credo di essere riuscito a ridare un po’ di dignità a quel nome -
Effettivamente, non sembrava esattamente il prototipo ideale di acquariofilo, ma, del resto, non è che andassero in giro con un’etichetta addosso che li identificava come tali. Quando lesse quella frase sulla rivista di gossip Hazel si sentì quasi in imbarazzo e il suo unico – ma veramente l’unico pensiero – fu qualcosa tipo fortuna che sei carino, perché l’intelletto credo di averlo preso da mamma.
Beh, avrebbe comunque dovuto rivederlo, tanto vale togliersi in dente. Con le mani in tasca e lievemente a disagio, si fece coraggio per attraversare la strada e raggiungere il vicolo, pur preferendo non avvicinarsi troppo.
“Ma guarda un po’ chi si rivede” sorpresa, la ragazzina si sfilò le auricolari “Hazel, se non ricordo male”
“Ricorda bene, signor Son”
“Signor Son?! Boss tuo padre è nascosto qui intorno e me lo sono perso?” a parlare era stata una donna dai capelli biondi con le punte rosa legati in piccole treccine, le braccia che reggevano una scatola di cartone interamente coperte di tatuaggi.
“E dire che le avevo già detto che odio essere chiamato così... Dì un po’ ragazzina, non dovresti essere a scuola in questo momento?” Radish scese dal retro del furgone con due cassette di frutta una sopra l’altra.
“Beh tecnicamente sono a scuola, almeno è ciò che dice il registro elettronico” due dei ragazzi lì accanto a Radish si trovarono ad inarcare un sopracciglio.
“Nel senso che hai una spalla che dice ai prof che sei in bagno oppure hai la password del professore?”
“No, certo che no. Ho quella dell’account di segreteria e quella del vicepreside” un fischio acuto partì dalla donna che ora se ne stava a guardarla ad occhi sgranati dalla porta sul retro del locale.
“Già mi piaci spilungona. Hazel giusto? Io sono Diamond e, sì, prima che me lo chiedi, i miei genitori non avevano molta fantasia in fatto di nomi” iniziò stringendole calorosamente la mano “Sono la commercialista di quell’idiota che, a quanto pare, conosci già. Le altre scimmie ammaestrate invece sono Lincoln, Dennis e Nico, ma loro non sono importanti”
“Scendi dal piedistallo Rock, neanche tu sei importante” esclamò Radish intromettendosi nel discorso per poi spingere via la donna “Sul serio, a sedici anni non c’è qualcosa tipo l’obbligo di frequenza? Finisce che ti metti nei guai soprattutto se ti beccano da queste parti”
“Non è che ci siano sorvegliati come in carcere e le segretarie tendono ad avere sempre la stessa password per il registro elettronico, che potrebbe essere il nome completo della scuola, i professori invece provano ad essere più fantasiosi optando talvolta per il titolo del principale libro di testo del corso che insegnano”
“E mi sfugge il perché tu sia da queste parti”
“Ci sono solo capitata. Poi mi è sembrato di scorgere una figura conosciuta e sono passata per un saluto. Non preoccuparti, mi levo subito di torno” rispose passando a un tono più informale ma restando comunque a distanza.
“Ma quale levarti di torno” esclamò invece la donna spuntando da dietro Radish solo per dargli una pacca sulla schiena che lui, concentrato ad osservare Hazel, non accusò per nulla – e probabilmente non avrebbe accusato a priori data la montagna di muscoli che era in confronto al fisico più minuto di Diamond.
“Ti va di entrare? Oggi si muore di caldo e abbiamo bibite ghiacciate dentro”
“Non daremo alcolici a una minorenne!” sbottò Radish uscendo dallo stato di trance in cui era caduto e sgranando gli occhi. In risposta Diamond gli rivolse un’espressione arcigna.
“Ma sei coglione? Abbiamo anche altro oltre che gli alcolici al bar” poi scosse la testa e si rivolse di nuovo alla più giovane “Vieni dentro Hazel, ho una valanga di cose da chiederti” e si avviò all’interno del locale passando dalla porta sul retro, Hazel rimase ferma sul posto per ancora qualche attimo osservando Radish quasi in attesa che le dicesse di sparire. Sperò di non aver dato a vedere quanto rimase sorpresa quando lui le indicò di entrare con un cenno e le tenne persino la porta aperta per farla passare davanti a sé. non aveva idea di che aspetto avesse l’interno di una discoteca di sera, ma già alla luce del giorno era uno spettacolo di colori accesi e accattivanti. La maggior parte della sua attenzione fu però catturata dall’acquario/bancone del bar e gli altri acquari cilindrici che circondavano la pista da ballo dividendola dall’area di divanetti.
“Belli vero? O almeno credo siano belli a vedersi, ma sinceramente non sono tipo da acquari” esordì Diamond camminando all’indietro verso il bar per poter parlare con Hazel guardandola in faccia.
“Ho avuto un acquario con una tartaruga d’acqua da adolescente e l’ho odiata soprattutto quando c’era da pulire. Ti assicuro che pagherei di tasca mia gli addetti alle pulizie che si occupano dei pesci pur di non doverlo fare personalmente. E tu hai animali?” già da quel primo incontro Hazel non faticò a identificare Diamond come una botta di vita che sparava entusiasmo da tutti i pori.
“No, non ho animali. Ma mio nonno ha un gatto”
“Adoro i gatti!” approfittando delle chiacchiere Diamond osservò Hazel, che era esattamente come Radish l’aveva descritta dall’abbigliamento un po’ da teenager punk al piercing ad anello al naso. Ironico, si trovò a pensare, perché Radish tendeva a ricordare solo i nomi o le facce delle persone, tutte e due era chiedere troppo.
Per tutto il tempo Radish rimase dietro di loro e anche lui osservò a distanza Hazel interagire timidamente con la sua stravagante amica. Il suo abbigliamento era un tripudio di nero oversize con qua e là borchie e strappi ad arte tenuti chiusi da spille da balia, probabilmente di moda tra i giovani di oggi ma che non le rendeva affatto giustizia. Oltre questo, però, notò delle altre cose: come spostasse nervosamente il peso da un piede all’altro nelle vans azzurre o che non riusciva a tenere le mani ferme, per esempio stava giocando così tanto con le unghie finte che era certo sarebbe finita col staccarne qualcuna. Era a disagio, uno stato d’animo che Radish si rendeva conto di aver provato veramente poche volte nella sua vita prima di averla incontrata alcuni giorni prima.
“Cosa ti posso offrire Hazel? Una cola o preferisci un succo di frutta? E non dire che non vuoi nulla o di non disturbarmi perché altrimenti scelgo io e qui in fondo al frigo ho una dr Pepper così vecchia che ti basta sapere che avrebbe preso la patente l’anno scorso”
“Una cola va bene, grazie” rispose Hazel ridacchiando, Radish aguzzò la vista immagazzinando immediatamente quell’immagine che vedeva per la prima volta.
“E tu capo? Ti sacrifichi con la famosa dr Pepper?” Radish replicò istantaneamente con un’espressione disgustata.
“Dammi una soda con ghiaccio Rock. Poi butta quello schifo”
“Buttarla? Neanche per sogno. Ormai fa parte della famiglia. Andrà in pensione insieme a noi” in qualche modo l’idiozia della donna servì a sciogliere il ghiaccio tra i due e Radish trovò il coraggio di accomodarsi accanto ad Hazel al bancone del bar, gongolando tra sé e sé quando per esserci riuscito senza far trasparire quanto fosse nervoso.
“Vorrei poterti dire che di solito non è così, ma mentirei spudoratamente. Può diventare molto peggio”
“Ti credo sulla parola. Vi conoscete da molto?”
“Mh” esordì Diamond con fare pensoso “Quanti anni hai, Hazel?”
“Sedici. Quasi diciassette”
“Beh noi ci siamo conosciuti circa vent’anni fa. Ma non ti dirò altro o potresti ricavarne la mia età e io odio ricordare la mia età”
“È una ruga quella Rock?” senza degnare l’uomo di una vera risposta l’uomo, Diamond si limitò a mostrargli il dito medio bevendo la sua bibita facendo scappare una risata anche ad Hazel che provò subito a nasconderla con un finto colpo di tosse.
“Allora, Hazel, parlaci un po’ di te” esordì poi Diamond riportando sulla ragazzina tutta la sua attenzione. Anche se tutta la sicurezza trovata fino a quel momento scomparve istantaneamente, Hazel fu grata della presenza di Diamond. Se fossero stati soli lei e Radish non sarebbero andati oltre il vicolo dello scarico merci. Persa, Hazel si limitò a scuotere le spalle guardandosi attorno.
“Beh sappiamo che sei a scuola senza essere a scuola e io odio cercare di capire una persona da come appare”
“Giusto. Beh... Non sono una persona molto socievole, le mie amicizie sono per lo più digitali”
“Bello. Una sorta di amici a distanza, li hai mai incontrati di persona?”
“Alcuni, con altri invece sappiamo quasi tutto l’uno degli altri e allo stesso tempo senza conoscere niente di troppo personale. So che non si dovrebbe mai rendere pubblici online dei dati personali”
“Intelligente e coscienziosa. Sicura di essere un’adolescente vera?”
“Sarebbe a scuola anziché in una discoteca chiusa al pubblico a chiacchierare con degli sconosciuti se non fosse un’adolescente” replicò Radish osservando la reazione di Hazel con la coda dell’occhio.
“Sciupafeste” il mormorio di Diamond fu più che udibile, dopodiché si rivolse di nuovo ad Hazel “Facciamo che la prossima volta che ci vediamo lui non è invitato”
Hazel andò via circa mezzora di chiacchiere dopo, alludendo a un appuntamento fisso con un’amica dall’altra parte della città. Radish e Diamond rimasero con gli altri dipendenti per organizzare l’apertura per la serata. Non parlarono molto dal momento in cui si trovarono da soli al bar, se non di dettagli organizzativi. Si conoscevano bene, da più di tempo di quanto riuscissero a ricordare, Diamond era l’unica fino a quel momento a riportare Radish di buon umore anche quando tutto andava da schifo e la cosa era reciproca, perché da anni Radish era l’unica persona su cui Diamond avrebbe potuto contare in qualsiasi momento.
Alle diciannove era tutto pronto per l’apertura due ore dopo e i due amici si erano sistemati nell’ufficio di Radish, lui semisdraiato sulla sua poltrona reclinata al massimo e lei a gambe incrociate sulla scrivania sgombra.
“Tipetta in gamba Hazel” Radish spostò lo sguardo verso di lei “ti somiglia” quindi lui sospirò pesantemente.
“Temevo lo dicessi...Quindi pensi sia vero? C’è qualche possibilità che sia... insomma...”
“Che sia tua figlia?” Diamond poggiò le mani sulla scrivania dietro la sua schiena e sollevò lo sguardo al soffitto.
“Non so... La contea di LA ha oltre quattro milioni di abitanti, quanta probabilità ci sono? Trentanove milioni in tutta la California... Eppure lei ti somiglia” spostò lo sguardo su Radish intento come lei a contemplare il soffitto “Mi hai mostrato la fotografia che ti ha dato, somiglia a te più di quanto somigli a sua madre: avete gli stessi capelli e occhi, è molto alta, ma queste sono prove circostanziali. L’ho osservata e ha il tuo stesso broncio, lo stesso modo di sollevare il sopracciglio. Abbastanza da instaurare un ragionevole dubbio. Non me la sento di escludere a priori la possibilità che sia tua figlia”
“Parli come un avvocato”
“Ma mi domando cosa ne pensi tu” continuò ignorandolo “Pensi che voglia fregarti in qualche maniera?”
“No, non credo. È una cosa che ha messo in chiaro quasi immediatamente quando ci siamo incontrati la prima volta. Ha detto di voler sapere se somigliasse un po’ a suo padre e che comunque non vuole debiti con nessuno. Non so se posso essere abbastanza obiettivo per inquadrarla e per questo ci tenevo ad avere un tuo parere esterno” Diamond ci pensò su qualche secondo guardando Radish senza vederlo davvero.
“Passate del tempo insieme, anche solo a chiacchierare come oggi. Conoscila, magari ne vale la pena, figlia o meno”
Chiusa la porta del suo studio lanciò per abitudine un’occhiata dall’altra parte del pianerottolo, non sorpreso di trovarlo chiuso nel loro giorno libero. Lui stesso quella mattina avrebbe evitato di presentarsi fin lì per un paio di appuntamenti, ma era un altro dei lati positivi del suo lavoro: poteva presentarsi lì solo per gli appuntamenti e tenersi libero per tutto il resto del tempo. Il notaio era un lavoro redditizio e, per sua immensa fortuna, ben pochi ne erano a conoscenza. L’altra grande fortuna è stata che suo nonno avesse uno studio ben avviato che poi passò a lui, unico della famiglia che si fece convincere a seguire quelle orme. Il vecchio Prince c’era andato vicino con sua nuora, Rosicheena, che spesso lo aveva aiutato in ufficio, ma la sua vocazione erano le indagini sul campo. La scelta era perciò ricaduta su Vegeta, il maggiore dei suoi nipoti e decisamente il più serio dei tre. Vegeta aveva mantenuto quelle caratteristiche della sua infanzia: la serietà, l’efficienza la tipica faccia tosta che era stata molto utile durante gli anni da avvocato. Grazie al cielo, quei giorni erano finiti. Il molto tempo libero gli garantiva delle libertà che molti non potevano permettersi: arrivare ad avere fin quattro giorni liberi a settimana, allenarsi spesso e volentieri, viaggiare per l’America e praticare quegli sport estremi capace di far drizzare i capelli di molte persone, ma soprattutto poteva affiancare l’ufficio di sua madre nelle indagini da detective privato. Non lo faceva per il guadagno, faceva ben attenzione a non accettare mai i soldi che sua madre continuava a propinargli, né la curiosità di impicciarsi negli affari di qualcun altro. No, a motivarlo era qualcosa di diverso: voleva vedere fin dove poteva spingersi e risolvere l’enigma nel minor tempo possibile. Poi qualcosa è cambiato e nell’ufficio è arrivata la nuova collaboratrice informatica, una persona così brava da sapere tutto e di più sul suo conto già quando si incontrarono per la prima volta.
Dal suo punto di vista Bulma Brief era una sorta di mistero: come faceva una donna di così bell’aspetto ad essere un fantasma? Non letteralmente, ovviamente, era stata lei stessa si era definita un fantasma del web, era in grado di entrare in qualsiasi sistema e non lasciare traccia, seppur cercasse di evitare quelli governativi.
Durante il tragitto giù per tre piani di scale, come da seconda abitudine, si mise a leggere i messaggi ricevuti. Tra i quali otto da suo fratello Tarble e uno da Videl. Per questioni di priorità lesse primo quello della sorellina.
< Sono fuori con i miei amici, mi passi a prendere tu a mezzanotte? Altrimenti papà rompe > voltò gli occhi al cielo e rispose con un sintetico emoji del pollice in su, poi fu la volta del malloppo di messaggi.
< Ehi Vegigy!!!!
Come va il lavoro?????
Domani torno in città per qualche giorno
Mi vieni a prendere in aeroporto?
Ti giuro che non te ne pentirai
Ti ho portato un regalino
Veeeegeeetaaaaa????
Lavori o mi ignori? O entrambe le cose? È così schifosamente da te >
Questa volta non ci fu solo una girata d’occhi, ma si trovò a sbuffare come una locomotiva. Tarble era sempre così petulante e non era per nulla dotato del dono della sintesi che portava il marchio dei Prince. Stava per ignorare i messaggi e rispondergli dopo qualche ora, ma qualcun altro non era del suo avviso perché questo cominciò a squillare con il nome di suo padre al centro dello schermo.
“Fammi indovinare. Tarble dice che lo sto ignorando e ha chiesto a te di ordinarmi di fargli da autista privato domani”
“Non ti si può nascondere niente eh?” Senior ridacchiò dall’altra parte della comunicazione “Comunque quasi. Si è offerta tua madre che vuole parlargli di qualcosa a quattr’occhi”
“Non è mai un buon segno quando quei due si coalizzano”
“E lo dici a me?” Senior ridacchiò di nuovo, questa volta strappando un mezzo sorriso anche a suo figlio.
“Mi hai chiamato per dirmi solo questo? O vuoi sapere anche se Videl mi ha davvero chiesto di passare a prenderla?”
“Ti ha scombussolato i piani?”
Ovvio! Certo che mi ha scombussolato i piani, ma non lo ammetterei mai!
“Non importa. Sempre meglio che scarrozzare Tarble a destra e a manca quando torna in città”
“Certo che sei bravo a farmi pentire di averti fatto studiare legge! Devo imparare a farti dire le cose da tua madre, a lei sembri dare retta” Vegeta strinse i denti, ma evitò di rispondere. Del resto, mai mostrare i propri punti deboli e Rosicheena per lui non era solo un punto debole, sua madre era il suo tallone d’Achille.
“C’è altro? Perché dovrei farmi una doccia prima di uscire”
“Tua madre ha organizzato un pranzo di famiglia questo sabato, credo ci saranno anche Allison e la sua famiglia. Come logico ci aspettiamo che tu partecipi” lo sbuffo gli uscì automatico dalle labbra, ma suo padre decise di non sentirlo, come sempre. Erano anni che almeno una volta al mese avevano quelle conversazioni e tutti ci avevano fatto l’abitudine al suo atteggiamento da cavernicolo. Fortunatamente, le cene con Allison erano più sopportabili delle solite cene di famiglia.
“D’accordo papà. A sabato” a conversazione chiusa quasi ridacchiò immaginando ciò che sua madre, che, era sicuro come la morte, era sicuramente lì affianco, avrebbe commentato, il campo era ristretto a due opzioni: “mai un come stai o un ti voglio bene” e “sia mai che voi due riusciate una volta tanto ad avere una conversazione da persone anziché da robot”, riusciva addirittura a sentire la voce di Rosicheena come se ce l’avesse accanto. Ricordava bene, verso i dodici anni, l’imbarazzo che gli provocava l’esuberanza affettiva di sua madre, si ritrovava sempre ad arrossire fin alla radice dei capelli quando la donna insisteva per salutarlo con un bacio sulla guancia, ma la cosa andò migliorando verso i sedici anni. Certo, era sempre abbastanza imbarazzante ricevere un bacio dalla mamma, ma si era creato una reputazione abbastanza solida tra i banchi di scuola perché nessuno si azzardasse a fare commenti sul gesto o su quanto fosse sexy la signora Prince.
Tra una cosa e l’altra si era fatta l’ora di andare a prendere Videl e in men che non si dica si trovò imbottigliato nel traffico di uno numerosi quartieri di movida di LA. Questo non gli impedì quindi di continuare a pensare al più e al meno: nella settimana entrante avrebbe avuto un appuntamento con il signor Deanton per l’ennesimo aggiornamento sul proprio testamento, un uomo di mezza età ricco di famiglia con la paranoia che l’attuale moglie voglia fargli la pelle per avere i soldi dell’assicurazione sulla vita. A detta di Vegeta il tale guardava troppi programmi di true crime, che per carità guardava anche lui a tempo perso, che unito alla sua natura ipocondriaca faceva più danni che utili. Aveva quindi chiesto a Vegeta di indagare sulla donna e su come spendesse i suoi soldi, l’indagine più noiosa a cui Vegeta avesse mai preso parte. Indagine che si sarebbe potuto evitare se avesse dato retta al reportage consegnatogli da Bulma.
Finalmente arrivato nei pressi di un pub ecco che si trovò l’oggetto dei suoi pensieri che chiacchierava con Videl. Nonostante gli occhiali da lettura e le felpe oversize, Vegeta era consapevole del bell’aspetto di Bulma Brief, ma ne ebbe una conferma solo ora che gli apparve davanti agli occhi con un tubino rosso che le calzava a pennello e i vaporosi capelli turchini che sfidavano la forza di gravità acconciati in fitti ricci afro.
“È arrivato il mio passaggio. Grazie della compagnia Bulma” esordì Videl alzandosi imitata immediatamente dalla maggiore che adocchiò immediatamente l’auto sportiva di Vegeta, una Aston Martin db11 nera che rappresentava più uno sfizio che una reale necessità, uno sfizio costoso e appariscente che con il suo lavoro poteva permettersi abbondantemente. Era un peccano in realtà per fare la vita di città, ma in compenso nessuno si azzardava ad avvicinarcisi.
“Figurati se ti avrei lasciata qui da sola ad aspettare che ti venissero a prendere, Videl. Passa un buon fine settimana” e dopo un cenno con la mano cui Vegeta non si preoccupò di rispondere, Bulma si diresse all’interno dove l’aspettavano le sue amiche.
“Non dirmi che esci con gente più grande ora” esordì arruffandole i capelli corti non appena si fu allacciata la cintura in auto. Non nessun altro si sarebbe mai preso una tale libertà, ma ha sempre avuto un occhio di riguardo per la sua sorella che Rosy gli ha chiesto alla nascita di proteggere. Per quanto avesse un rapporto decente con Tarble, non aveva ai suoi occhi lo stesso valore di sua sorella, d’altro canto era più che convinto che l’abnorme differenza d’età che intercorreva tra lui e Videl fosse il motivo per cui non si immaginava nelle vesti di padre. Vegeta aveva diciannove anni quando nacque sua sorella e fu la prima persona della famiglia a vederla dal momento che, per un qualche scherzo del destino, si trovò ad accompagnare sua madre in ospedale mentre Veldock era bloccato nel traffico dell’ora di punta. Per farla breve, aveva cambiato abbastanza pannolini alla sua sorellina da essere sicuro come la morte di non volerlo fare mai più per nessun altro per il resto della vita e questo è quanto.
“Magari uscissi con lei, Bulma mi piace” rispose aprendo l’anta del parasole per pettinarsi i capelli con le dita “È un genio dell’informatica ed è anche una splendida donna. Hazel ha preso tanto da lei, ma per quanto ci provi ad insegnarmi a programmare da un orecchio entra e dall’altro esce. Peccato che non si impegni così anche nello studio” Videl era una ragazza schiva, ma diventava una gran chiacchierona con le persone con cui è in confidenza, soprattutto suo fratello. Anche in questo caso la conversazione, per quanto più che altro unilaterale, spaziò tra più discorsi e Vegeta non avrebbe saputo spiegare con certezza come fossero passati dal parlare di Bulma ad Hazel. Non la conosceva poi così bene, l’aveva vista in un paio di occasioni ma Videl la considerava una delle sue più care amiche e Vegeta si fidava abbastanza del giudizio di sua sorella.
“Non va bene a scuola?”
“Potrebbe andare decisamente meglio anche con un minimo di sforzo, ma la verità è che non credo non le importi della propria istruzione” poi sospirò “in realtà sta attraversando un periodo no e sono un po’ preoccupata per lei”
“E Brief non dice niente?”
“Hazel è brava ad omettere le cose, soprattutto con sua zia. Mi ha promesso che non fa niente di stupido o pericoloso, quindi per favore acqua in bocca con Bulma” come detto poc’anzi, Vegeta non conosceva bene Hazel, ma da quel poco che aveva potuto vederla insieme a Bulma le due erano molto affiatate. In ogni caso sorvolò sull’argomento, certo di potersi fidare del buon senso di sua sorella.
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 4
Non sono mai stata a Los Angeles, o in America, o in generale fuori dall’Europa. Ma mi piace essere il più accurata possibile nelle mie storie, quindi oltre a fare ricerche sulla città ci ho anche fatto un giretto virtuale tramite google maps e ho messo in campo tutta la mia conoscenza in fatto di serie tv. Considerando che la maggior parte di quelle ambientate a LA che ho visto sono polizieschi, spero di non infilarci in mezzo anche un qualche caso giallo da risolvere soprattutto perché non è per niente il mio genere da scrivere!
Il nome del locale, non sono una fan dei pesci (né come animali domestici né da mangiare perché preferisco i crostacei), ma il fatto che il nome fosse troppo figo è stato il mio primo pensiero.
NUOVO PERSONAGGIO → Diamond “Rock” Carter, il cui cognome credo verrà fuori solo tra un paio di capitoli. Non perché sia importante il suo cognome, semplicemente persino io tendo a chiamarla più con il soprannome. Non escludo che, come Hazel, potrei riciclare il personaggio anche per altre storie in futuro. Giusto ai fini della trama, così è come più o meno mi immagino Diamond, giusto con qualche tatuaggio addosso.
Inoltre conosciamo un altro piccolo spicchio di Vegeta e del suo rapporto con la sorellina. |
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Capitolo 5 *** Capitolo 5: Una madre capisce cosa un figlio non dice ***
Capitolo 5: Una madre capisce cosa un figlio non dice
I raggi del sole che puntavano dritti sul suo viso furono la sveglia che decisamente non avrebbe voluto avere quella mattina, o qualsiasi mattina in generale ma, ci avrebbe messo la mano sul fuoco, in particolare dopo una sbronza come quella della notte. Quando riuscì ad adattarsi alla luce e a guardarsi attorno avrebbe preferito affondare la faccia nel cuscino e dormire fino al giorno dopo, ma aveva un mal di testa lancinante e il coglione, chiunque fosse, che continuava a bussare alla porta della sua stanza non aiutava a ridurre la voglia di compiere un omicidio a caso. Ovviamente scherzava perché non aveva proprio lo sbattimento per occultare un cadavere, far sparire le prove e procurarsi un alibi con quel lancinante mal di testa da post-sbornia. Quindi, armato di coraggio e quel briciolo di pazienza di cui era ancora in possesso, attraversò la stanza devastata senza far caso a tutti i fiori che stava pestando e si avviò ad aprire la porta, pronto a sbraitare contro chiunque. Dovette rimangiarsi gli insulti e probabilmente le bestemmie quando invece di un qualche cameriere o inserviente si trovò davanti la piccola figura di sua madre.
“Oh tesoro mio” mormorò guardandolo con gli occhi lucidi, Radish si scostò tornando dentro e ignorando lei e la compassione che leggeva nel suo sguardo.
“Risparmiami la pietà, non mi serve e non ne ho bisogno” esordì con la voce impastata a causa della bocca secca dirigendosi verso l’angolo bar della suite dove si trovava la postazione per la prima colazione, con una macchinetta e le cialde per caffè, cioccolate e varie tisane e il minifrigo con succhi di frutta e bevande di vario genere. Ma a Radish non interessavano quelle cose, al contrario puntò dritto la bottiglia di champagne nel secchiello di ghiaccio ormai sciolto da diverse ore. Sì, la suite luna di miele era dotata di tutti i comfort extra che pubblicizzava, ma ai suoi occhi non valeva più di una bettola qualsiasi dei peggiori quartieri di LA anziché in uno degli hotel più esclusivi della città.
Mandando giù direttamente dalla bottiglia un sorso di champagne caldo, Radish diede un’occhiata alla stanza per la prima volta da quando vi era entrato la sera precedente con più alcool che sangue in corpo. Effettivamente era strano che non avesse solo voglia di vomitare l’anima dopo quanto aveva mischiato ieri, e doveva aver esagerato davvero se non ricordava più niente dopo la bottiglia di tequila ordinata subito dopo il whisky di cui ricordava l’etichetta, era una bottiglia di bourbon whisky del Kentucky, dopodiché buio quasi totale. – Oh no, parlato troppo presto, ecco che arrivano i conati.
“Eh no, non ricomincerai come ieri. Questa volta non te lo permetto” se fosse stato un po’ più pronto di riflessi, o anche solo meno concentrato a non vomitare sul tappeto, probabilmente avrebbe facilmente impedito a sua madre di toglierli la bottiglia, la sovrastava abbondantemente in altezza e sarebbe bastato sollevare il braccio e allontanarla dalla sua portata. Ma il Radish del post-sbornia tende ad essere distratto e scoordinato – contrariamente al Radish ubriaco che tende ad assumere la personalità del supereroe dell’ultimo film che ha visto, che sia Superman, Batman o Spiderman.
“Non avevo ancora finito con quella” riuscì a replicare più per avere qualcosa da dire che perché fosse veramente il suo pensiero, chissà perché quello champagne da duecento dollari a bottiglia sapeva di piscio e forse iniziava a ricordare di un momento in cui suo fratello Turles gli aveva fatto compagnia nel bere qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
“Ti ho lasciato disperarti e crogiolarti nel tuo dolore ieri, ma non ho intenzione di fingere di non vederti oggi mentre ti mandi il fegato in vacanza per colpa di una stronza” oh-oh, quanto doveva essere arrabbiata Gine Son per dire le parolacce?
“Mh però sono io il coglione che ha perso tre anni della sua vita dietro quella stronza” bastò aver incrociato per un solo istante gli occhi di sua madre perché Radish spostasse di nuovo lo sguardo stringendo convulsamente i pugni.
“Smettila di guardarmi così”
“Così come?”
“Non lo so. Dimmi solo che me l’avevi detto e vattene così posso tornare a fare quello che stavo facendo”
“Tipo che? Bere e sfasciare la stanza” Radish alzò le spalle e scosse lievemente la testa – grave errore, fanculo che capogiri!!!!
“Non ho sfasciato la stanza. Solo quelle stupide decorazioni del matrimonio” effettivamente... La suite luna di miele li attendeva per la notte precedente allestita di tutto punto ma solo Radish ne oltrepassò la soglia portando con sé una bottiglia di qualcosa. Perché Drasilla se n’era andata dopo il brunch lasciandogli un messaggio in segreteria con cui si scusava affermando di non essere pronta al matrimonio e che, comunque, nell’immaginarsi fra cinque o dieci anni non si vedeva accanto a Radish. L’uomo riascoltò il messaggio per un totale di otto volte, sia con altri ascoltatori che da solo, dopodiché, mantenendo una parvenza di calma che lasciò i suoi famigliari sconcertati, andò a parlare con il direttore dell’hotel con cui scesero a un accordo: convertire la cena nuziale in una breve vacanza di un giorno per lui e la sua famiglia, pagando comunque il prezzo degli ingredienti ordinati per la serata. Il direttore fu molto comprensivo con lui e chiuse un occhio persino sul suo comportamento successivo. Ma nel vedere la stanza disseminata di petali di rose rosse, i bicchieri di vetro per un eventuale brindisi privato ridotti a schegge di vetro e il completo Armani di seta probabilmente rovinato irrimediabilmente dopo un bagno di mezzanotte in piscina e con diverse tracce di quella che ipotizzava essere la torta nuziale, non si sentiva meglio. Il suo stomaco scelse proprio quel momento di auto compatimento per dargli il colpo di grazia: dopo l’ennesimo conato trattenuto alcool e bile che erano ancora nel suo stomaco risalirono l’esofago e si ritrovò a correre verso il bagno per non vomitare sul tappeto beige. Gine fu velocemente al suo fianco e gli scostò i capelli da viso.
“Butta fuori tutto, tesoro mio. Dopo vedremo il da farsi” se chiunque avesse chiesto in futuro se stesse piangendo, Radish avrebbe risposto di no, che le lacrime fossero causate dallo sforzo dei conati e per il bruciore alla gola provocato dagli acidi gastrici. Con un tacito accordo, quella disastrosa mattinata sarebbe rimasta solo tra loro due.
Era da tanto tempo che Radish non pensava più a Drasilla e all’essere stato mollato all’altare, diciamo che dopo qualche anno aveva imparato a conviverci e quando i giornalisti più nostalgici continuavano a domandare come avesse vissuto la rottura lui si nascondeva dietro qualche battuta meschina, perché la stampa era come il web: non si dovrebbe mai rendere pubblici propri fatti personali. Sapeva che Drasilla avesse ottenuto molta fama dopo il matrimonio mancato, ricevette molte attenzioni dalla stampa e l’aveva sfruttata per far continuare a parlare di sé. Forse le era sempre importato solo questo, diventare famosa nel modo più facile e veloce possibile e nel mentre si era fatta anche lo scapolo d’oro di LA, praticamente aveva vinto la lotteria. Qualcun altro, tra cui numerosi fan club di Radish, avrebbe aggiunto che avesse buttato la vincita nel cesso e tirato lo sciacquone, ma lui aveva imparato ad essere felice di ciò. Con il senno di poi non avrebbe amato essere la macchina sforna soldi di qualche approfittatrice. Questo lo portò alla seconda più importante decisione della sua vita: la vasectomia che si regalò in occasione del suo trentesimo compleanno. Aveva già un nipote, Gohan, ma non era così sprovveduto da credere che al posto di suo fratello avrebbe potuto fidarsi realmente della donna in attesa. Quindi aveva preso la decisione abbastanza a cuor leggero, sicuro di non riuscire a immaginarsi nelle vesti di padre. In secondo luogo c’era poi la parte divertente nello spiattellare in faccia alle dirette interessate – che negli anni non erano mancate – che fosse impossibile che l’eventuale pargolo fosse suo perché, oltre al fatto che usasse sempre il preservativo che era solito annodare prima di buttare, aveva fatto la vasectomia. Tutt’altra storia era stata però trovarsi davanti una ragazzina molto somigliante a lui che dichiarava di essergli figlia. Accidenti! Probabilmente avrebbe impiegato settimane ad assorbire il colpo, a patto che non avesse bisogno di tornare in terapia. E a tal proposito, gli era capitato in quelle settimane di aprire il contatto del suo terapista, il PRO era che non gli avrebbe fatto male un terzo parere e il CONTRO che nessun parere sarebbe stato migliore di quello della sua migliore amica che conosceva da oltre metà della sua vita. E quindi richiudeva la pagina sul cellulare, talvolta con il desiderio di sbattere la testa da qualche parte. Era un circolo vizioso di pensieri che non portava ad altro che la sua indecisione sul provare o meno a conoscere la sua presunta/probabile figlia Hazel. Teneva però in considerazione il grande passo avanti nel riuscire ora a considerarla tale almeno nei suoi pensieri.
“Sai, mi domandavo” esordì Gine fingendo di pulire la metà del tavolo su cui Radish non aveva sparpagliato i suoi documenti, conosceva abbastanza bene sua madre da sapere che se avesse davvero avuto intenzione di pulire avrebbe sollevato carte, computer e anche figlio per poi rimetterli dove li aveva trovati in un ordine tutto suo che non combaciava neanche per il cazzo con quello dell’uomo. D’altro canto, nascosto dietro lo schermo del proprio portatile, anche Radish fingeva di lavorare, sfogliando bilanci già visti e rivisti da Diamond solo per avere una qualche scusa per non stare chiuso in casa solo con i suoi pensieri, che poi era comunque pensieroso ma in un luogo pubblico non poteva sbattere la testa contro il muro.
“Cosa?” chiese dandole corda, che solitamente non avrebbe mai fatto ma aveva bisogno di distrarsi. Gine gli si sedette di fronte con gli occhi che le brillavano
“Chi era quella giovane così carina con cui sei venuto qualche settimana fa?” Radish inspirò profondamente, ecco perché non dava mai corda a sua madre: non avrebbe perso occasione per impicciarsi nei fatti suoi.
“Nessuno. Una potenziale stagista” inventò sul momento per poi pentirsene un attimo dopo.
“Una potenziale stagista a cui hai proposto di ordinare un succo di frutta? E da quando accetti stagisti? Per quanto ne so assumete studenti universitari, ma si occupa Diamond delle assunzioni” in perfetto stile interrogatorio, Gine era comodamente seduta con le braccia incrociate al petto e un sopracciglio inarcato.
“L’ho incontrata per caso uscendo di casa. E può fare lo stage in ufficio con Diamond. Non hai del lavoro da far anche tu, mamma?” la donna sbuffò dal naso
“Non credere neanche per un momento di aver vinto questo round” vinto, perso o pareggiato che fosse, la donna si alzò e tornò verso il centro del locale appena un attimo prima che la porta si aprisse con il suo classico scampanellio.
“Buongiorno a tutti” Radish sollevò di nuovo lo sguardo dal computer riconoscendo la voce, ma sua madre precedette qualsiasi altra risposta
“Gohan tesoro. Com’è andata la scuola?” chiese salutando il nipote con un bacio sulla guancia.
“Tutto bene nonna. Me lo chiedi tutti i giorni”
“Beh perché mi interessa tutti i giorni. Mi pare ovvio” Radish salutò con un cenno suo nipote che si sedette al bancone per fare merenda insieme alla nonna, più per farle compagnia che per reale bisogno e Radish li osservò interagire da lontano. A sentire Hazel, doveva essere di poco più piccola di Gohan, ma lui frequentava un anno prima perché era una sorta di genio che si era portato avanti con lo studio. Non sapeva però se frequentavano la stessa scuola, le probabilità che si conoscessero erano scarse ma Radish aveva imparato la lezione sulle coincidenze e non si azzardava a fare ipotesi. Ciò che sapeva con certezza è che suo nipote non sarebbe mai stato capace di entrare nel sistema informatico della scuola per segnarsi presente anche quando, probabilmente, non aveva neppure oltrepassato il cancello d’ingresso.
“Radish ti va una fetta di torta insieme al tuo malumore?” l’uomo rivolse gli occhi al cielo, ma rivolse un cenno affermativo, poco dopo gli arrivò una fetta di torta di mele. Per alleggerire il lavoro di Gine in cucina, da ormai molti anni a rifornire la tavola calda di dolci erano Goku e Laura, la sua socia e co-genitore di Gohan insieme a lui, che replicavano le stesse ricette di famiglia per i dolci che vendevano nella loro pasticceria dall’altra parte della strada. Goku infatti aveva investito parte dell’eredità lasciatagli dal nonno per aprirsi un’attività, anche se meno rischiosa di Radish e per questo più approvata dai genitori. Ciò di cui gli si doveva dare atto era che quei dolci fossero dannatamente buoni e quasi non si notava la differenza rispetto a quando li preparava Gine.
Ciò di cui Radish non aveva la minima idea era come avesse speso la sua parte Turles, altro suo fratello e gemello di Goku. Per un periodo ha ipotizzato che li avesse messi da parte, per poi pensare che li avesse spesi in stronzate o che la mamma gli impedisse ancora di toccarli e che l’avrebbe fatto finché non lo avesse considerato abbastanza maturo. Dal momento che Turles evitava il discorso nessuno aveva mai saputo la verità.
Le risate di Gohan e Gine attirarono la sua attenzione, stavano mangiando anche loro una fetta di torta e avevano davanti le tazze di cioccolata calda e alcuni quaderni del ragazzo. La prima volta Hazel aveva preso una torta ai tre cioccolati che disse di aver adocchiato appena entrati, le piaceva il cioccolato o c’era qualche altra torta che le piaceva di più? Era allergica a qualcosa? Gohan doveva sempre fare attenzione alle arachidi, motivo per cui aveva sempre dietro degli antistaminici, per lo stesso motivo anche tutti i membri della famiglia li avevano sempre con loro. Avrebbe dovuto portare dei farmaci di sicurezza anche per Hazel? A questo pensiero scosse furiosamente la testa. Devo essere impazzito!
“Quanto la fai tragica. Sei una degli studenti con la media più alta della scuola, la tua insegnante preferita vi assegna un lavoro di gruppo e ti affiancano un altro degli studenti con la media più alta, per il quale, in aggiunta, sei cotta da anni. Non vedo dove sia il problema”
“Non sono cotta di Gohan” borbottò Videl lasciandosi cadere sul divano con le braccia incrociate e il broncio. Hazel rimase appoggiata alla cornice della porta e la borsa ancora in spalla quando le donne che lavoravano nell’ufficio le raggiunsero.
“Cosa le è successo?”
“Crisi esistenziale. Deve trascorrere del tempo con la sua cotta storica nonché nemesi, anche se lui non sa di esserlo. E questa cosa la sconvolge ancora più del trovare un argomento su cui svolgere la loro ricerca” la ragazzina si voltò verso Rosicheena con un’espressione tragicomica “Com’è dura la vita da adolescente” dal divano dove Videl aveva messo radici arrivò un mezzo ringhio attutito dal cuscino in cui la giovane, sdraiata a pancia in giù, aveva affondato il viso.
“Non sono cotta e non è la mia nemesi”
“Continua a battere su questa parte da quando mi ha raccontato la storia all’uscita di scuola” riaggiustandosi la borsa in spalla si diresse verso la porta
“Beh, io vado a casa. La mia parte l’ho fatta portandola qui, ora è tutta vostra. In più è tutto il giorno che nonna prova a chiamarmi ed è strano che lo faccia mentre sono a scuola. Ci si vede, a più tardi zia B” detto ciò salutò velocemente con la mano e lasciò l’ufficio dirigendosi direttamente all’ascensore perché con cavolo che avrebbe preso le scale, anche se in discesa.
“Dunque” esordì Allison, che nel farsi gli affari altrui era sempre molto brava, accovacciandosi di fronte alla sua figlioccia “Gohan Son, eh? Il tuo arcinemico per la pelle dall’asilo, ero sicura che ci fosse qualcosa sotto”
“Non ho una cotta per Gohan!”
“Mia sorella non ha una cotta proprio per nessuno. Semmai è il mondo maschile ad essere ai suoi piedi per essere solo schiacciato come scarafaggi” esclamò una voce scocciata accompagnata dalla porta d’ingresso che veniva chiusa. Beh l’arrivo di suo fratello maggiore fu più una scossa elettrica per Videl che riprese vita uscendo dal cuscino in cui era sprofondata e si lanciò addosso all’uomo.
“Finalmente qualcuno che è dalla mia parte! Dov’eri quando Hazel ha cominciato a sfottere dal momento in cui ha saputo questa novità?!”
“Non è che sia la fine del mondo avere una cotta al liceo” esclamò una seconda persona entrata nell’ufficio come se fosse di casa “E comunque potevi anche evitar di chiudermi la porta in faccia Vegigy”
“Taby tu da che parte stai?” Tarble parve rifletterci, poi scrollò le spalle
“Ti adoro Videl, ma a volte ho l’impressione che la mia sorellina abbia in realtà ottant’anni anche diciotto... Tesoro, non c’è niente di male nel vivere la tua età” poi andò a sedersi tra le donne che si erano sistemate tra il divano e le poltrone “Sei circondata da splendide ragazze che fingono di lavorare qui dentro e non hai imparato niente?” tempo di un battito di ciglia e il giovane fu vittima di scappellotti e pizzicotti accompagnati da esclamazioni indignate che lo fecero ridacchiare.
“Ehi!”
“Chi è che finge di lavorare?”
“Piccolo antipatico che non sei altro”
Protetta dal braccio di Vegeta sulle sue spalle, Videl rise sonoramente alle disavventure del secondo fratello. Da quando aveva cominciato a lavorare come broker di borsa, ma soprattutto da quando viveva quasi stabilmente San Francisco tornava di rado a casa, ironicamente infatti si faceva vivo più spesso quando si spostava ogni due mesi che ora che vivevano a sei ore d’auto. Aveva un rapporto diverso con i due fratelli e da brava Prince aveva sempre detto apertamente che il suo preferito fosse Vegeta, ma Tarble era non un pianeta bensì una galassia a parte. Tarble Prince era quel tipo di persona capace di illuminare la stanza solo con la propria presenza, e non per via della camicia brillantinata che sicuramente indossa. Era la sua intera persona ad essere brillante ed era impossibile per chiunque restare seri con lui presente, beh chiunque tranne per Vegeta. Come detto, Vegeta era il suo fratello preferito ma il loro era un rapporto quasi padre-figlia piuttosto che fratello e sorella. Videl pensava che forse era proprio per questo motivo che la sua amicizia con Hazel era tanto forte, forse inconsciamente trovava un parallelismo tra la sua vita e quella della sua amica. Ahimè, impressione non sarebbe mai potuta essere più sbagliata, almeno per questa parte. Anche Hazel vedeva dei parallelismi, ma più nel fatto che i suoi genitori avessero avuto Videl in tarda età ed Hazel invece era stata cresciuta principalmente dai suoi nonni.
“Spara. Qual è il problema?” a riportarla alla realtà fu la voce di Vegeta che si rivolgeva a lei, ignorando totalmente le chiacchiere delle altre donne con Tarble.
“La professoressa di dibattito ha assegnato delle ricerche a scelta da fare a coppie che ha formato lei stessa in base alla nostra media, serve a prepararci alla gara che si terrà il mese prossimo e serve a formare la squadra della scuola. Sai per scegliere i relatori, i ricercatori e i cronometristi, la professoressa Graham ha sempre adottato questo metodo nelle classi superiori” iniziò a spiegare, Vegeta annuì senza interromperla. Far parte della squadra di dibattito era una delle cose che avevano fatto tutti e tre i fratelli Prince, lui era stato ricercatore mentre Tarble relatore, seguendo le orme del padre che aveva svolto quell’attività extracurricolare con orgoglio vincendo numerose gare anche contro scuole di altri stati confederati.
“E io sono finita in squadra con Gohan” mormorò per non farsi sentire dalle donne, Rosy nel frattempo si era allontanata verso l’angolo cucina.
“Ed è un tipo mh... poco raccomandabile? Posso parlare con la professoressa e farti cambiare compagno” Videl ridacchiò certa che suo fratello parlasse sul serio, e non solo perché lui e il senso dell’umorismo erano due linee parallele che non si sarebbero mai incontrate.
“No, è un bravo ragazzo. Credo di non averlo sentito parlare solo un paio di volte fuori dalle competizioni o per rispondere alle domande degli insegnanti” Vegeta inarcò un sopracciglio e Videl incrociò le braccia al petto.
“Quindi qual è il problema?”
“Nessuno. Sono sicura che Gohan saprà fare la sua parte di lavoro e sicuramente avremo il punteggio più alto. Punto.” rispose scrollando le spalle.
“Come dici tu” borbottò per poi voltare capo verso il salotto che in quel momento tutto sembrava meno che la sala d’attesa di un ufficio di detective privati.
“Brief sono pronte le ricerche del caso Cooler?”
“No. Sai, hai dimenticato di chiedere per favore” rispose con fare saccente scendendo dalla poltrona per tornare nel suo ufficio. Vegeta digrignò i denti, ma le andò dietro con passo di carica.
“Quei due finiranno a letto insieme” disse Tarble “Chi ci scommette dei soldi?”
“Neanche per idea. È una scommessa vinta a priori” replicò Allison seduta accanto a lui. Vegeta, che aveva sentito i commenti, rivolse a entrambi uno sguardo agghiacciante e il dito medio, dopodiché si chiuse alle spalle la porta dell’ufficio di Bulma.
“Era necessario chiudere?” chiese la turchina sedendosi a gambe incrociate sulla sedia imbottita della scrivania.
“Sì perché odio quando cominciano a schiamazzare. Le ricerche del caso?” Bulma sbuffò girando gli occhi al soffitto e batté velocemente le dita sulla tastiera del computer alternando lo sguardo sui due schermi sulla scrivania.
“Vediamo un po’, movimenti bancari sostanziosi e viaggi ingiustificati. Chi ha fatto aprire l’indagine?”
“La cognata di Cooler, la sorella di sua moglie” rispose Vegeta andando a posizionarsi alle spalle della turchina che inevitabilmente si trovò ad ispirare il profumo del suo dopobarba “Non l’ha detto, ma è evidente che avessero una relazione clandestina cui lui mise fine”
“E ora lei vuole lasciarlo con le pezze al culo, tipico” Vegeta storse la bocca per la volgarità, ma si astenne dal commentare, lunatica com’era la Brief sarebbe stata benissimo capace di interrompere le ricerche per puro capriccio e lui non sarebbe tornato nel suo ufficio dall’altra parte del corridoio a mani vuote.
“Sono più che sicura che evada il fisco, magari con il lavoro in nero, ma del resto niente di troppo strano a una prima indagine preliminare. Ora sono libera, passa tra un’oretta e lasciami fare la mia magia” Vegeta scrollò le spalle e andò a sedersi sulla sedia dall’altra parte della scrivania.
“Sul serio? Non hai niente di meglio da fare che controllarmi?”
“Niente appuntamenti fino a venerdì. Vedila così: prima ti sbrighi prima levo le tende” Bulma sbuffò sonoramente, ma presto indossò di nuovo gli occhiali da vista dalla montatura rosa e tornò a lavoro.
“Non c’è nessun fascicolo Cooler nel database dell’agenzia” esordì dopo un po’ sollevando lo sguardo, anche se con le lenti ravvicinate che le ingigantivano gli occhi non vedeva nulla più in là del suo naso “non mi stari facendo fare qualcosa di illegale, spero”
“È illegale solo se ti scoprono”
“VEGETA!”
“No, niente di illegale”
“Qualche informazione in più non guasterebbe allora” l’uomo sbuffò dal naso.
“Smetti di perdere tempo”
“Sai al contrario degli uomini, le donne sono geneticamente programmate per svolgere due o più attività contemporaneamente. In questo momento, per esempio, sto lavorando, chiacchierando e sopportando la tua spocchia” Vegeta le lanciò un’occhiataccia cui Bulma rispose con un sorriso dispettoso che sua nipote avrebbe definito da gatto che si è mangiato il canarino riuscendo a farla franca dando la colpa al cane.
“Oppure posso fermarmi e chiederti come va la vita, è da un bel po’ che io e te non parliamo dei fatti nostri come migliori amiche a un pigiama party”
“Il suocero di Cooler è un magnate dell’edilizia giapponese, inutile dire che le figlie e i generi lavorano per lui tentando di arruffianarsi le attenzioni nella speranza di una fetta più grossa dell’attività in eredità una volta che il vecchio avrà tirato le cuoia perché come ogni ricco che si è fatto da sé ha intenzione di lavorare fino alla fine dei suoi giorni” snocciolò Vegeta facendo un breve riassunto delle inutili chiacchiere che era stato costretto ad ascoltare dalla signora che gli aveva affidato l’incarico.
“Il vecchio, Yammer, ha recentemente avuto un principio di infarto e ha deciso di contattarmi per fare testamento, e sua figlia minore, che di per sé è in grado di fare due più due ma non calcolare a mente la radice quadrata di nove, vuole far fuori il cognato nonché ex amante. Ha seguito suo padre fin qui ed è entrata in ufficio con tanto di impermeabile e occhiali da sole ispirandosi a un qualche film di spionaggio di terz’ordine e dopo diverse chiacchiere mi ha incaricato di indagare sul cognato. Ed ecco tutto” nel frattempo Bulma lo stava osservando con tanto d’occhi e pronta a scoppiare a ridere immaginando la scena.
“Meglio di una telenovela. Ci mancava solo che provasse a passarti una mazzetta tirata fuori dalla scollatura” Vegeta non rispose ma le guance gli si arrossarono leggermente assumendo una sfumatura che non sfuggì alla turchina.
“Oddio ti ha passato la mazzetta presa dalla scollatura!” quella fu la goccia che fece traboccare il vaso e Bulma scoppiò a ridere rumorosamente con tanto di lacrime agli occhi e dolore agli addominali.
“Era un assegno in bianco, non una mazzetta” il borbottio di Vegeta non fece che scatenare altre risate e la curiosità degli altri fuori dall’ufficio.
“Stai fallendo miseramente nella tua capacità di multitasking” esordì con il tono più minaccioso che riuscisse a trovare, dopo anni ancora incapace di capire che servisse a poco contro Bulma Brief dal momento che l’unica cosa di cui aveva paura erano i ragni. Una volta ricompostasi la turchina tornò a battere i tasti del proprio computer, ma un paio di secondi dopo si fermò battendosi la guancia con fare pensoso.
“No, qualcosa non mi quadra. Cosa non mi stai dicendo?” ci volle qualche secondo perché Vegeta si rendesse conto che la turchina non stava parlando con lui, bensì tra sé e sé o, in alternativa, con lo schermo del proprio computer.
“Ti invio per mail i dati preliminari” esordì ricominciando a scrivere “ma credo ci vorrà almeno domani per il resto e non escludo che potrei tenerlo più tempo per leggere a dovere i reperti” e da quel momento sarebbe anche potuto cascare il mondo e Bulma non se ne sarebbe accorta. Infatti Vegeta non lasciò subito la stanza e osservò la turchina armeggiare con due computer e le cuffie nelle orecchie, nel silenzio dell’ufficio anche dalla porta riusciva a sentire l’eco della musica tanto era alto il volume. Aveva visto di persona la versione elegante e posata di Blumarine Brief, ma era tutt’altra storia vederla quando era così immersa nel suo ambiente: seduta scomodamente con le gambe incrociate a scrivere codici su codici, poco importava se stava hackerando chissà quale sistema informatico con la stessa tranquillità di chi fa acquisti online. Magari non per gli stessi motivi, ma era una cosa ovvia che fosse comunque uno spettacolo.
Senza che lei vi fece caso Vegeta lasciò la stanza chiudendosi la porta alle spalle, ma non fa in tempo a lasciare l’ufficio senza imbattersi in sua madre.
“Progressi con il lavoro?”
“Meno di quelli che avrei voluto” risponde storcendo la bocca.
“Come se ti fossi mai pentito dell’averle dato più tempo. Non credo di aver mai avuto un collaboratore informativo che raggiungesse il suo livello. Trovi?”
“Se lo dici tu” la donna non replicò così Vegeta si avviò verso l’uscita armeggiando con il cellulare.
“Moccioso quando hai intenzione di ripartire?”
“Mammaaaa Vegeta mi chiama moccioso” Rosicheena rivolse gli occhi al soffitto imitata da subito da suo figlio maggiore.
“E per questo che non facciamo tanto spesso le riunioni di famiglia” borbottò tra sé e sé per poi rivolgersi prima a uno e poi all’altro “Vegeta non insultare tuo fratello. Tarble rispondi alla domanda”
“Non ho fretta di tornare. Riusciamo a fare qualcosa insieme?”
“Oh sì, sto organizzando un pranzo in giardino. E già che ci sono vado a dirlo a Bulma. Non scannatevi ragazzi” i due si scambiarono un’occhiata, non era esattamente ciò che avevano in mente, di certo l’idea una festa in giardino con la mamma non era la stessa cosa di andare a correre un circuito le motocross. Ma entrambi si astennero accuratamente dal correggerla.
“Non siamo bambini mamma” replicò Tarble con tono lamentoso facendo inarcare un sopracciglio a sua madre.
“A volte ho i miei dubbi”
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 5
Innanzitutto BUON ANNO NUOVO A TUTTI
Siamo ancora concetti abbastanza insignificanti, dipende ovviamente dai punti di vista. Diciamo che stiamo conoscendo i protagonisti e alcuni dei loro retroscena.
Purtroppo la vita di Radish non è sempre stata rose e fiori, ma lui è un tipo tosto e ha sempre provato a rialzarsi con tutte le sue forze. Questo è forse l’evento che più lo segnato e che ha segnato il punto di partenza della stessa esistenza di Hazel. Questa scena è una di quelle venute da sé, stavo cercando un'idea da inserire per arricchire un po' il capitolo vuoto e sono finita per scrivere una delle mie parti preferite...
Vediamo anche un altro scorcio della famiglia Prince e del rapporto tra Bulma e Vegeta che sto cercando di costruire un po’ alla volta. Mi sembra giusto allegare un’immagine che potrebbe rappresentare il legame tra Vegeta e sua sorella Videl.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6: Pessime idee e confessioni ***
Capitolo 6: Pessime idee e confessioni
Hazel camminava sul marciapiede con le mani in tasca e strisciando un po’ i piedi, una parte di lei pentita di ciò che stava facendo. Dall’incontro causale al Corydoras, aveva incontrato Radish un’altra volta alla tavola calda della signora Gine, quantomeno per recuperare la propria fotografia e invece, nonostante le proprie reticenze, aveva dovuto cedere al salvare i rispettivi numeri telefonici.
“Giusto perché tu lo sappia. Quest’idea non mi piace”
“Cercheremo di non guardare il lato raccapricciante della cosa. Dobbiamo conoscerci e non possiamo andare avanti con te che mi stalkerizzi e speri di incontrarmi fuori da uno dei miei locali”
“Così sembra inquietante. Lo è?”
“Non particolarmente. Ho conosciuto donne che sono andate ben oltre questo. Ma non è questo il punto” esclamò gesticolando con una mano come se stesse cancellando qualcosa da una lavagna invisibile.
“Mettiamo il caso che tu sia veramente mia...” si guardò intorno con discrezione per assicurarsi che nessuno li stesse ad ascoltare, inconsapevole forse che questo atteggiamento attiri ancora di più l’attenzione, dopodiché continuò bisbigliando “figlia” facendo roteare gli occhi di Hazel al soffitto.
“Dobbiamo pur conoscerci, scoprire cosa abbiamo in comune, sempre se ci sia qualcosa in comune”
“Non credo che le abitudini siano cose che si possono trasmettere con il DNA”
“E poi, sempre ipotizzando che il preconcetto sia vero, dovremmo costruirci dei ricordi insieme. A conti fatti io lo devo a te e tu lo devi a me. No?”
E, dopo aver trascorso un paio d’ore passate a chiacchierare avevano concordato di non messaggiare se non per motivi di vitale importanza – e per qualche ragione i meme rientravano in questa categoria –, telefonate vietate tranne in casi di catastrofe naturale e nelle uscite niente in pubblico e i vicoli bui severamente vietate pena la tortura mediatica.
A due settimane da quell’incontro la regola sui messaggi era andata a farsi fottere e avevano chattato per ore chiacchierando di tutte le stronzate che gli fossero passate per la testa. Poi la sera precedente, prima di sparire nel mondo del lavoro dato dalla serata, le aveva chiesto di raggiungerlo per trascorrere un po’ di tempo insieme.
“Ehi, grazie per essere venuta” esordì Radish andandole incontro davanti al locale, questa volta la tavola calda che era decisamente più accessibile delle sue discoteche con i mezzi pubblici.
“Ciao” rispose Hazel salutando con la mano, ma Radish non ci fece molto caso perché troppo impegnato a storcere il naso davanti alla felpa che indossava la giovane. La ragazzina non si scomodò ad abbassare lo sguardo perché era la stessa reazione di sua nonna alla vista della sua felpa supercorta sopra la canottiera nera con le mani di scheletro in strass a coppa sul seno. Quindi incrociò le braccia al petto e con un sopracciglio inarcato si mise in attesa di ciò che avrebbe detto.
“No, non c’è tempo per commentare il tuo dubbio gusto in fatto di abbigliamento. Andiamo che siamo di fretta” e facendola girare su se stessa la prese per le spalle per spingerla verso un’auto sportiva nero opaco parcheggiata lì davanti.
“Ma non ho neanche salutato neanche la signora Gine”
“Oh non chiamarla signora, le verranno le paranoie. Comunque ora è a fare la spesa, passeremo per i saluti una volta sbrigate le faccende” dopo averla fatta salire in macchina Radish si affrettò a fare il giro e salire a sua volta, osservandola mentre scettica allacciava la cintura di sicurezza.
“Non c’erano regole sul viaggiare in macchina insieme?”
“Non ricordo. Devo mettere la sicura agli sportelli?” in risposta Hazel gli rivolse un’occhiataccia.
“Forse avrai qualche altro figlio sconosciuto al mondo in età da passeggino, ma io ho sedici anni” l’uomo non rispose bensì fece rombare il motore dell’auto sportiva, gasandosi per il ruggito.
“Io invece devo reggermi alla maniglia di appiglio?”
“Che esagerata, non hai appena detto di avere sedici anni? E comunque io guido bene, all’esame mi hanno bocciato solo due volte” e come ovvia conseguenza delle sue parole si immise in strada dando da subito gas facendo sfuggire un urlo alla sua passeggera che se non fosse stato per la cintura di sicurezza sarebbe probabilmente scivolata sul sedile di pelle. Il viaggio sarebbe dovuto essere breve, anzi avrebbero potuto percorrere quei pochi chilometri a piedi, ma Radish ci teneva molto a portarla in auto, certo che non le fosse mai capitato di fare un giro su una Bugatti Voiture Noir. Dopo i primi minuti di panico Hazel riuscì a rilassarsi e godersi il breve viaggio, se avesse notato che Radish fosse consapevolmente passato più volte dalle stesse strade non lo diede a vedere.
“Siamo arrivati. In realtà siamo un po’ distanti, non credo fosse il caso di parcheggiare davanti al negozio”
“Si certo, hai fatto bene” appena scesa dall’auto Hazel trafficò un po’ con lo zaino fino a prendere la confezione degli occhiali da sole a recuperare la sigaretta che vi aveva riposto all’interno, quindi la fermò tra le labbra e l’accese.
“Fammi un favore Hazel” la giovane spostò lo sguardo a lato senza tuttavia girare il capo, troppo impegnata ad accendere la sigaretta per notare anche l’espressione che avrebbe potuto dire giusto un po’ scocciata de maggiore. In vero non era di certo questo il motivo per cui non lo stava guardando, chiunque conoscesse Hazel almeno un po’, infatti, sapeva che non aveva bisogno di avere i suoi occhi scuri addosso per sapere che lei gli stesse comunque prestando attenzione. Tuttavia fece lo sforzo di girare anche il capo quando una grossa mano apparve nel suo campo visivo, le sottrasse la sigaretta dalle labbra e la sbriciolò immediatamente sotto la suola della scarpa prima che lei avesse il tempo di replicare.
“Se proprio vuoi suicidarti” riprese Radish ignorando la sua espressione sconvolta “fallo in una volta sola, possibilmente rapido e indolore. Per quanto orribile, forse potrei scendere a patti più con questa eventualità che col guardare mentre ti uccidi lentamente una sigaretta dopo l’altra” uno sbuffo le gonfiò le guance e spostò una ciocca di capelli che se ne stava per fatti suoi sulla sua fronte. Passandosi una mano tra i capelli rivolse un’ultima occhiata indecifrabile ai suoi piedi dove la leggera brezza stava portando via i residui del delitto appena compiuto. Accidenti! Era l’unica sigaretta che avevo portato
“Non dirmi che vuoi diventare il genere di padre che fa le ramanzine, già me ne sento fin troppe per i motivi più assurdi”
“Potrei diventarlo se ti comporterai ancora come una mocciosa strafottente” sebbene le parole gli si fossero già piazzate sulla punta della lingua, fortunatamente Radish resistette all’impulso di risponderle per le rime preferendo, invece, agire di furbizia.
“Che poi vorrei proprio sapere chi è il delinquente che vende delle cazzo di sigarette a una minorenne”
“Tre parole: scorta di zia. Non ci fa molto caso quando ne prendo una ogni tanto da un pacchetto iniziato” evitò di domandarsi il perché glielo stesse dicendo, forse perché non avrebbe potuto fare la spia neanche volendo dal momento che non conosceva nessuno della sua famiglia, oppure perché fumare in realtà non era mai diventato un vero vizio. Non aspirava neanche di polmoni!, si limitava a gonfiare un po’ le guance e poi espellere il fumo nocivo.
Radish si strofinò gli occhi con le dita trattenendo uno sbuffo.
“Detto questo, che non si ripeta più e magari manterrò il segreto su questa tua fase di ribellione” Hazel sbuffò ancora come una locomotiva. Non c’era dubbio che Radish se ne fosse accorto, ma decise di ignorarla.
“Eccoci arrivati”
“Ti prego dimmi che non stai pensando quello che io credo che tu stia pensando”
“Non lo so. Penso che dipenda da ciò che tu pensi io stia pensando quando pensi che io stia pensando a qualcosa” la minore strinse gli occhi guardando male il genitore che, con un braccio a circondarle le spalle, le faceva strada nel fornitissimo negozio. A sedici anni Hazel si vantava di non essere mai entrata in un qualsiasi store di attrezzature sportive, questo fino a quando non decise di seguire Radish quando le promise una bellissima sorpresa.
Spinta da suo padre Hazel si diresse al reparto riportante a caratteri cubitali la parola CAMPEGGIO.
“Attività all’aria aperta e vita spartana? No grazie, preferisco la mia TV e il portatile collegato a una linea wifi funzionante”
Che persona profondamente infelice e noiosa, vedremo di porvi rimedio. Come la prendiamo la tenda? Arancione o blu? Scordati il rosa perché mi fa venire l’orticaria”
“Odio il rosa e l’arancione mi mette angoscia così come l’idea di dormire all’aperto”
“E blu sia. Come lo vuoi invece il sacco a pelo?”
“Radish eddai! Perché vuoi obbligarmi a fare una cosa del genere?”
“Perché sei pallida come gli elfi del signore degli anelli, ti trucchi come una emo nerd a furia di stare davanti al computer ti troverai a indossare occhiali a fondo di bottiglia prima dei trent’anni” solo allora Hazel notò la presenza di una commessa che li seguiva con in mano una tavoletta per documenti su cui appuntava qualcosa quando Radish gliela indicava. Essendo un personaggio pubblico Radish era abituato ad attirare l’attenzione della gente ovunque andasse, ma per l’occasione aveva prenotato l’intero negozio affinché restasse chiuso al pubblico per il tempo che loro due sarebbero rimasti all’interno e Diamond, che aveva proposto l’attività, aveva provveduto a inviare e ricevere gli accordi di riservatezza firmati dal personale.
“Ora reparto abbigliamento, non vorrai andare in campeggio con quei jeans strappati... Per quanto ne so potresti anche avere un pigiama con le borchie e non ci tengo a vederlo”
“Ok” esclamò la giovane sfilandosi della presa di Radish “Non sono una emo nerd e non ho un pigiama con le borchie, anche se questo non è un tuo problema. Che poi come si può dormire con un pigiama con le borchie?” Radish si strinse nelle braccia osservando la ragazzina con un’espressione scocciata.
“E io che ne so? Voi adolescenti siete tutti strani” le rispose con disarmante nonchalance quasi fosse assolutamente normale per lui che gli adolescenti fossero creature incomprensibili
“In secondo luogo” continuò ricomponendo faticosamente la sua espressione arrabbiata “io non ci vengo in campeggio quindi risparmia a entrambi questa tortura. Che diavolo! A nessun uomo piace lo shopping e invece tu mi trascini qui?!” Radish che per natura non era una persona paziente in casi normali non avrebbe esitato a levare le tende, peggio sarebbe sparito dalla circolazione finché la tipa di turno non avrebbe desistito, ma questo non era un caso normale. Agli occhi di Radish c’era qualcosa di innegabilmente spassoso nel modo in cui Hazel inorridiva di fronte a proposte per lei folli come potevano essere lo shopping e lo stare all’aria aperta.
“Ma non rompere. Non morirai per aver trascorso un weekend in campeggio al lago. E poi me lo devi”
“Oh no, non tirare di nuovo fuori quella storia”
“Come possiamo conoscerci meglio se non passiamo mai del tempo padre-figlia?” Hazel si trovò a stringere il ponte del naso tra le dita come innumerevoli volte aveva visto fare a Bulma o Bonnie quando era lei a fare proposte stupide, come l’insistenza di volere le patatine fritte a colazione. Ora che, con largo anticipo e a ruoli invertiti, si trovava nella medesima situazione era sempre più convinta che le due congiunte meritino un qualche premio per aver sopportato tutti i suoi capricci. “Ti rendi conto che fino a due settimane fa neanche volevi pronunciare la parola figlia? E ora indossi una maglietta con Dart Fener che dice io sono tuo padre! Lasciatelo dire Radish, tu sei sconclusionato” l’uomo abbassò lo sguardo sulla t-shirt come se vi facesse caso solo in quel momento, ma non gliela diede vinta.
“Sconclusionato o no, oggi faremo shopping per il weekend in campeggio. Ce l’hai un costume? Anzi no, ne prendiamo uno nuovo possibilmente intero, ben accollato e coprente”
“Costume da bagno? A gennaio? Sei sicuro di sentirti bene?” Radish nel frattempo si aggirava tra gli scaffali come se non la sentisse neppure
“Che taglia porti? Una S?”
“Radish mi stai ascoltando?”
“Forse una M data l’altezza. Quindi escludendo il rosa e l’arancione perché li odiamo, il bianco perché sei troppo pallida e il nero perché fa troppo Mercoledì Addams, prova questo viola” espose lasciandole in mano il costume citato, seguito poi da un secondo argentato, uno sulle sfumature di verde e uno blu, tutti rigorosamente a girocollo – cioè!, Hazel neanche credeva esistessero costumi da bagno così accollati.
“Ci sono delle terme accanto all’area del campeggio, ciò non significa che ti lascerò andare in giro mezza nuda. E purtroppo immergerti nell’acqua bollente con indosso una muta da sub potrebbe essere considerata maltrattamento di minore” lo disse con un tono esasperato alquanto familiare, in effetti era lo stesso utilizzato da lei quando era soggetta a qualche ingiustizia come la cancellazione di una qualche serie TV che le piaceva.
“No, sul serio! Non l’avrei mai detto”
“Meno sarcasmo e fila a provare i costumi” anche se sbuffando decise di accontentarlo e, perché no, anche togliersi qualche curiosità.
“Fingiamo per un momento che potresti convincermi” iniziò mentre provava il costume argentato, certa che Radish fosse dall’altra parte della tenda del camerino “Perché il campeggio?” la risposta di Radish fu anticipata dal suono di alcune grucce che venivano spostate sull’appendiabiti.
“Mio padre è sempre stato uno stacanovista e tanto io quanto i miei fratelli trascorrevamo molto tempo alla tavola calda con mia madre. Così non appena papà aveva qualche giorno libero ci portava in campeggio perché, oltre al lunapark, era tra le uniche cose che riuscivano a stancarci a sufficienza, e noi eravamo tre terremoti non una sola mocciosa imbronciata come te” Hazel si trovò a sorridere teneramente “Diciamo che quelli del campeggio sono i ricordi di famiglia migliori che ho e mi andava ecco... Mi andava di condividerlo con te” finì parecchio imbarazzato, probabilmente se Hazel fosse stata davanti a lui in quel momento non avrebbe detto nulla di tutto ciò. Nonostante tutto era felice di quelle confidenze, era sua figlia – e che cavolo! – e doveva pur farle capire in qualche maniera di essersi affezionato a lei. Tra i due calò il silenzio che dopo solo un paio di minuti fu interrotto da Radish che si schiarì la voce
“Allora come va il costume?” Hazel uscì con indosso il body blu con le bande a intreccio semi trasparenti sul davanti, un’altra fascia simile sul punto vita.
“Mi piace questo. Quello viola è troppo sgambato mentre l’argento mi fa sembrare una palla da discoteca” Radish strinse per un attimo i denti, ma lasciò subito perdere, aveva scelto lui quel costume e non avrebbe potuto rimangiarsi la parola. Il primo che avrebbe provato a metterle gli occhi addosso sarebbe tornato a casa guercio.
“Dici che è troppo?” chiese la ragazza non riuscendo a decifrare lo sguardo del maggiore
“Certo che no, ti sta bene” era arrossito e spostò immediatamente lo sguardo per evitare che Hazel lo notasse, speranza vana perché la ragazzina stava già sghignazzando.
“Sì beh... comunque ora rivestiti che non abbiamo finito”
“Ancora?”
“Ma tu sei sempre così lamentosa? Muoviti forza” sbuffando come una locomotiva, Hazel si affrettò a fare quanto detto e seguì Radish.
“Posso farti una domanda?” esordì l’uomo a un certo punto continuando a spostare capi d’abbigliamento sugli stand come se stesse scartabellando dei documenti.
“Fa pure. Non garantisco che risponderò”
“Come fai a soffiarti il naso con quel piercing da toro?” chiese con un sopracciglio inarcato, Hazel gli rivolse un’occhiata con la medesima espressione.
“In che senso?”
“Quando hai il raffreddore. Come accidenti di soffi il naso con quel coso lì attaccato? Cioè, si riempirebbe di moccio che poi si solidificherebbe e-”
“Oddio che schifo Radish!” inorridì e rabbrividendo dal disgusto tornò a scartabellare capi d’abbigliamento. Radish dal canto suo scosse le spalle e cambiò di nuovo argomento.
“Mi dispiace che non potremo fare trekking ma non mi va di stancarti troppo in questi tre giorni, sicuramente riusciremo a rifarci in un’altra occasione”
“Io. Non. Faccio. Trekking. Mettitelo in testa una buona volta” ogni parola era un ringhio malcelato “E poi non voglio neanche andare in campeggio. Non l’ho mai fatto e non credo di conoscerti abbastanza bene da farmi convincere a venire con te in mezzo ai boschi”
“Malfidata. Non ho mica detto che partiamo domani... In effetti dovremo organizzarci con calma su quando andare, devo assicurarmi che non ci siano serate private ai locali ed è meglio se tu non abbia compiti in classe nei giorni immediatamente successivi” poi si bloccò spalancando gli occhi e inarcò addirittura le sopracciglia, come se avesse avuto un’illuminazione o si fosse ricordato di qualcosa di molto importante. Si voltò quindi verso la commessa che quasi sobbalzò quando si sentì rivolgere la parola.
“Abbigliamento sportivo?”
“Co-corsia 3, sulla sinistra” con un cenno di ringraziamento, di nuovo Radish afferrò il braccio di Hazel e corse nella direzione indicata, con la commessa armata di carrello e tavolozza per gli appunti.
“Pantaloni elasticizzati, magliette, scarpe da ginnastica, per il reggiseno è meglio che te la veda tu, ma niente ganci o cerniere”
“Credo di essermi persa” esordì Hazel osservando una maglia molto larga giallo canarino con espressione scettica, al che Radish si voltò nella sua direzione e le rivolse un sorriso birichino.
“Ho una sorpresa per te”
Le piaceva disegnare, anche se sicuramente non era poi così brava. Una normale bambina con un normale scarso talento nel disegno, eppure sua madre era sempre pronta ad elogiarla e attaccare al frigorifero l’opera d’arte della settimana. La nonna Bonnie invece non si ricordava sempre di farlo, seppur glielo promettesse.
“E come sta andando la scuola?” chiese Kida colorando con un pastello rosso la maglietta di uno dei personaggi del disegno.
“Ci fanno scrivere le lettere. Sto imparando a scrivere i nostri nomi” rispose la piccola Hazel prendendo un quaderno dallo zaino che aveva voluto portare con sé a tutti i costi. Una volta aperto mostrò con orgoglio le lettere da insicure sempre più definite che portavano i loro nomi in maiuscolo: HAZEL E MAMMA. Perché Hazel aveva solo cinque anni e, si sa, per lei mamma era il nome di sua madre anche se le altre strane persone della sua famiglia la chiamavano Kida.
“Ma che brava. E le lettere in corsivo maiuscolo, io ormai non ricordo più come si fanno. Me le insegni?” chiese la donna sporgendo il labbro inferiore in fuori e sfoggiando un bel paio di occhi da cucciola che fecero ridacchiare sua figlia.
“Mh va bene” in risposta Kida si lanciò su di lei e le stampò una sfilza di baci sulle guance e il collo, godendosi la risata della sua bambina.
“Basta mamma”
“No. Voglio mangiarti di baci” Hazel scuoteva la testa per nascondere il collo, ma si muoveva sempre con accortezza. Agli occhi di Kida sembrava sempre così ingiusto che sua figlia dovesse fare attenzione a cose si muoveva per paura di fare male a sua madre.
“Quando torni a casa mamma?” chiese dopo essere riuscita a fermare le risate e prendere fiato.
“Non lo so amore. I dottori vogliono farmi delle analisi e poi hanno paura che possa farmi male alle ossa a casa” Hazel storse la bocca in un’espressione pensierosa.
“Mh-mh perché hai le ossa di una vecchietta di ottant’anni e non sei capace di stare ferma. Come me” aveva dovuto trovare un modo per spiegare a sua figlia perché la mamma non potesse più giocare a fare la lotta sul tappeto con lei e Hazel era stata molto comprensiva. Già da allora aveva cominciato a chiedere alla mamma di giocare con lei con le bambole e i trasformers, comodamente sedute sul letto, anziché mettere i pattini e andare in giro per il loro appartamento, anzi aveva smesso lei stessa di fare queste attività rischiose giustificando la decisione dicendo che se lei fosse stata buona sua madre non sarebbe stata costretta ad alzarsi dal letto e preoccuparsi che si facesse male.
“Ma se torni a casa ci penserò io a farti stare tranquilla” esordì continuando a colorare “posso smettere di andare a scuola e farti compagnia. Ti vado a prendere ciò che ti serve così che non devi alzarti dal letto” Kida dovette faticare a non far vedere gli occhi carichi di lacrime e le servirono alcuni secondi per ricomporsi prima di parlare e assicurarsi che la voce non le tremasse.
“Amore mio, non farei il tuo bene in questo caso” si fermò a riprendere fiato e quando si sentì abbastanza sicura voltò il capo verso la bambina “Vedi piccola, è tutta una questione di doveri. Il tuo dovere è andare a scuola e imparare tante cose nuove e importanti che ti serviranno nella vita. Il mio dovere è pensare a ciò che è meglio per te e starmene buona e guarire” un lieve bussare interruppe la loro conversazione e l’intruso non attese una risposta prima di entrare nella stanza.
“Come stanno le mie ragazze preferite?”
“Ciao Doc” risposero insieme le due salutando il nuovo arrivato con le mani. Il dottor Kennet Mats sorrise avvicinandosi tenendo una cartelletta in mano e l’altro braccio dietro la schiena. L’uomo di circa quarant’anni era alto e ben piazzato, con spalle ampie ma non eccessivamente allenate e un fisico asciutto, portava i folti capelli castani pettinati all’indietro.
“Cosa state facendo?”
“Coloriamo i compiti di Hazel. Vuoi darci una mano?”
“Se sono compiti non dovrebbe farli da sola?” chiese l’uomo inarcando un sopracciglio. Hazel ignorò la domanda, troppo impegnata a sporgersi per vedere ciò che nascondeva dietro la schiena, Kida invece scrollò le spalle.
“E allora? Vuoi fare la spia? Non ti crederebbe nessuno perché sto andando fuori da tutti i margini” replicò facendogli la linguaccia. Solo allora notò il comportamento della bambina e decise di darle corda.
“Ma cosa nascondi lì dietro?”
“Non so che stai parlando” Kida sorrise birichina
“Corri a vedere Hazel” la piccola non se lo fece ripetere due volte e si lanciò dal letto addosso al dottore che la prese al volo appoggiandosela al fianco con l’altro braccio, come aveva fatto centinaia di volte da quando la conosceva. Bloccata in braccio, Hazel rise sbracciandosi e sporgendosi per guardare oltre le spalle ampie dell’uomo.
“Chiudi gli occhi” la piccola eseguì e subito dopo Kennet tirò fuori un mazzo di margherite bianche e mimosa che nascondeva, avvicinandole al viso di Hazel. Sentendosi solleticare dai petali e attirata dal buon profumo la bambina aprì gli occhi ridacchiando.
“Sono bellissimi doc” esclamò Kida quando l’uomo glieli porse, senza lasciare la presa su Hazel che era ancora in braccio a lui “Qual è l’occasione?”
“Non deve esserci per forza un’occasione per regalare dei fiori alle mie ragazze preferite. Li ho visti mentre venivo a lavoro e ho pensato che vi sarebbero piaciuti. Ci ho azzeccato?” chiese voltandosi verso Hazel sull’ultima parte. La bambina non era un tipo timido, proprio per niente in realtà, e rispose annuendo con decisione mentre le labbra erano aperte in un enorme sorriso.
Una delle regole che più Bulma aveva ignorato da quando cinque anni prima aveva cominciato a lavorare per Rosicheena ed Allison era di non portare il lavoro a casa con sé, avendo già fin troppo a cui pensare con la programmazione di videogiochi. Eppure questa volta non aveva resistito, la storia da telenovela che Vegeta le aveva solo accennato aveva attirato la sua curiosità da scimmia e non riusciva a smettere di leggere, più scopriva più voleva sapere cos’altro c’era da sapere. In pratica l’aveva presa più di qualsiasi serie tv avesse visto nell’ultimo periodo. Aveva identificato la maggior parte dei personaggi della questione:
- Yammer, il magnate dell’edilizia giapponese, era il capofamiglia, un uomo che aveva costruito la sua ricchezza e vi era attaccato con le unghie e con i denti.
- Aveva due figlie, Misa e Sissi, la prima sposata con il Billion Cooler (che evidentemente i suoi genitori odiavano per averlo chiamato Billion e motivo per cui lui era solito farsi chiamare solo Cooler), ma la sorella Sissi era stata la sua amante.
- Il conto bancario di Cooler presentava strani movimenti che dimostravano oltre una più che evidente evasione fiscale, anche una certa dipendenza dal gioco d’azzardo.
Ma Cooler non era l’unico ad avere dei segreti, anche Sissi non era di certo una santa e Bulma era sempre più presa da tutti questi gossip. In tutto questo Misa non si era accorta di niente e continuava a vivere nel suo mondo personale fatto di Instagram e TikTok. Per qualche ragione, Bulma era però convinta che ci fosse altro sotto, o forse voleva illudersi che la donna non fosse davvero così stupida come sembrava. Poi ricordava di essere amica di Marion e, con un sospiro sconsolato, tornava a leggere gli scabrosi segreti di Cooler e Sissi. Per carità, voleva bene alla sua amica, ma a volte ancora si domandava cosa avessero in comune da aver mantenuto i contatti fino a quel momento. Erano un bel gruppo di amiche, comunque, e non avrebbe rinunciato a nessuna di loro per niente al mondo.
A interrompere la lettura fu il cellulare che cominciò a squillare diffondendo le note di Eye of tiger.
“Non indovinerai mai che cosa ho scoperto!” rispose con sicurezza riconoscendo il mittente proprio dalla suoneria personalizzata. Non che Vegeta fosse solito telefonarla, anzi se non fosse stato per la memoria di ferro non avrebbe neanche capito che fosse il suo telefono a squillare.
“Diciamo che è anche il motivo per cui ho chiamato. Qualcosa mi diceva che altrimenti non ti saresti fatta viva”
“Ci siamo visti ieri, non sono il tipo che richiama subito” replicò ironizzando “Ma mi sento onorata nel ricevere una tua telefonata, dal momento che mi sembri il tipo che non chiama affatto. Comunque” continuò interrompendo sul nascere qualsiasi frecciatina Vegeta fosse sul punto di dire “Confermo che sia davvero una telenovela e c’è gente che tifa per una o l’altra coppia. È talmente folle che non riesco a smettere di leggere”
“Riassumi. Il grosso delle informazioni sicuramente saranno nel fascicolo che stai certamente compilando”
“Dimmi un po’, quanto paghi la tua segretaria per sopportare la tua spocchia? Perché sicuramente non è abbastanza. Maaaaa stavo dicendo” lanciò un’occhiata ai suoi appunti confusionari divisi per punti salienti sottolineati tre volte per sicurezza “Sissi è gelosa di Misa che sembra essere tanto bella quanto scema e suppongo che sia per questo che sia andata a letto con suo cognato. Che poi ne fosse valsa la pena almeno! Qualsiasi cosa Misa faccia, Sissi la imita illudendosi di farlo meglio. Lui ha dei trascorsi da truffatore, ma essenzialmente ora campa con il conto bancario di sua moglie. E già qui a mio parere avrebbe dovuto accontentarsi di aver fatto jackpot con lei e invece l’ha riempita da corna, ai livelli di Justin Bieber con Selena Gomez per intenderci”
“Dovrei sapere di chi stai parlando?”
“A volte credo davvero che tu viva su un altro pianeta”
“Donna vai al punto!”
“E tu impara il mio nome, scimmione. Oppure le ricerche finirai col fartele da solo” non le serviva vederlo di persona per essere certa che stesse girando gli occhi al cielo sbuffando come una locomotiva, d’altro canto lei si sporse per prendere una sigaretta dal pacchetto e accenderla.
“Prima che mi dimentichi, o finga di dimenticarmi, mia madre ha organizzato un pranzo in giardino molto informale per domani. Mi ha chiesto di ricordarti di non mancare né tu né Hazel, altrimenti verrà a prenderti personalmente o peggio chiederà a me di venire a prendervi e trascinarvi a casa loro” Bulma batté ritmicamente la punta della penna sul foglio di appunti.
“In effetti avevo dimenticato di dirlo ad Hazel e devo aspettare che rientri per parlargliene. Non credo ne sarà dispiaciuta, adora Rosy e va molto d’accordo con Videl e Tarble... Immagino e spero non ci siano problemi e ci vedremo domani” anche perché Hazel era uscita quella mattina e sebbene fosse quasi l’ora di pranzo non era ancora tornata. Tra i due cadde il silenzio e per un momento a Bulma parve che Vegeta stesse per dire qualcosa, salvo ripensarci forse un paio di volte.
“Come vanno le cose con Hazel? Videl mi ha accennato a qualche problema con le frequenze a scuola” Bulma si bloccò sul posto e osservò per un attimo il telefono con il vivavoce appoggiato sul tavolo accanto a sé con un sopracciglio inarcato dietro gli occhiali con la spessa montatura.
“Non saprei... La scuola non mi ha più chiamata da diverse settimane e lei sembra più tranquilla. È che spesso non so come rapportarmi con lei. Vorrei essere sua amica, ma non farei il suo bene, e dall’altra parte non mi sento di rivestire il ruolo di figura materna” era la prima volta che Bulma si lasciava andare esponendo ad alta voce le sue preoccupazioni e impressioni. Certo, ovviamente parlava alle sue amiche delle difficoltà di abitare insieme a sua nipote adolescente, ma solo una di loro aveva un figlio maschio e un ex compagno che le dava una mano con lui.
“Sinceramente non mi sono mai veramente posta il problema dell’esempio che potessi fornirle e mi rendo conto solo ora che non sarò mai veramente all’altezza del ruolo che mi sono imposta... Oddio, mi dispiace. Sicuramente a te non interessano le mie paranoie ed è un paradosso che ne stia parlando con te”
“Tanto per cominciare, se non mi fosse interessato non ti avrei chiesto e sai che è vero. In secondo luogo, ho ben presente la sensazione” replicò aggiungendo la seconda parte tra i denti, quasi gli fosse uscita di forza contro la sua volontà.
“Che intendi dire?” ovviamente Bulma non riuscì a nascondere la propria proverbiale curiosità, ma appena pronunciata la domanda si morse la lingua. Vegeta non rispose e conoscendolo Bulma non si sarebbe sorpresa molto se da un momento all’altro avesse chiuso la telefonata senza neanche inventare una scusa credibile. Ma evidentemente era la giornata delle sorprese, perché Vegeta riprese a parlare.
“Videl ha diciannove anni meno di me e c’ero io al posto di mio padre ad aspettare che mia madre uscisse dalla sala parto. Non è esattamente quello che ti aspetti di fare a quell’età” iniziò con tono vago, la turchina evitò accuratamente di interromperlo.
“Ovviamente con lei ho sempre avuto un rapporto diverso che con Tarble, inevitabilmente cercherò sempre di proteggerla, mi sono sempre visto più come suo padre che suo fratello. Non pensare a qualche complesso di Edipo, mia madre non c’entra niente in questo discorso”
“Non ho pensato a niente del genere”
“Saresti l’unica” fu un sussurro così basso da confondersi con il sospiro che lo seguì, per Bulma fu naturale immaginare che anche Vegeta faticasse a dire ad alta voce questi suoi pensieri.
“Il punto è che... è difficile trovarsi a fare da genitore senza esserlo davvero e non tutti lo capiscono” la turchina sospirò grattandosi la nuca.
“Non sei così male quando non mi metti fretta sul mio lavoro”
“Tsk dillo in giro e negherò fino alla morte” Bulma rise a quella minaccia
“Beh grazie per la bella chiacchierata. Dovremmo farlo più sp-” bip. Le aveva riattaccato la chiamata in faccia.
“Che stronzo”
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 6
Chi come me prenota una sessione di shopping con Radish? Questa è una delle prime scene che ho scritto e che poi ho modificato in qualche occasione per adattare meglio i personaggi al momento in cui inserire il pezzo. Non che sia una scena poi troppo importante, ma serve a creare un rapporto padre-figlia tra i due.
Segue un flashback di Hazel su sua madre, uno dei pochi perché sono alla ricerca di ricordi significativi da raccontare.
L’indagine di Bulma e Vegeta doveva essere una bazzecola e invece mi ci sto appassionando tanto che diventerà una sorta di sottotrama della storia. Io nella stessa condizione di Bulma mentre scrivo queste parti: con il portatile sulle ginocchia a domandarmi che altro succederà, rimpiangendo di non avere i popcorn a portata di mano.
Mi rendo conto che in questa seconda parte del capitolo Vegeta risulti molto OOC. Diciamo che mi voglio avvalere della giustificazione che sia più facile parlare al telefono di argomenti così delicati, in cui l’interlocutore non può vederti di persona e ci si può permettere di omettere qualcosa con più libertà. In secondo luogo, dato il rapporto con sua sorella, Vegeta sarà l’unica persona che potrà aiutare Bulma a vedere determinate situazioni da un punto di vista diverso. |
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Capitolo 7 *** Capitolo 7: Odio socializzare! ***
Capitolo 7: Odio socializzare!
I pranzi organizzati da Rosicheena erano una di quelle cose che entravano nella storia, se non per le pietanze servite – che comunque erano degne di un ristorante stellato – anche perché non era un evento a casa Prince degno di nota se non scoppiava una lite/rissa tra i due fratelli che trovavano sempre un motivo per dirsene di ogni tipo, o darsene di santa ragione. Beh, più o meno era ciò che avvenne alla festa per il 4 luglio dell’anno precedente. Questa volta, complice il fatto che il pranzo non fosse stato organizzato per una qualche ricorrenza speciale, Rosicheena era certa di riuscire a tenere a bada i suoi figli, anche a suon di ciabattate se si fosse rivelato necessario.
Bulma ed Hazel, quindi, non erano nuove a villa Prince e avevano un’idea generale di come sarebbe andata la giornata. Ciononostante niente impediva a Bulma di farsi prendere dall’ansia alla sola idea. Dopo aver rivoltato due volte il suo armadio, Bulma aveva scelto di indossare una tuta in denim con dei bottoni bianchi sul corpetto a camicia sbracciata. Hazel era rimasta fedele al personaggio con i jeans con più strappi che stoffa e una maglietta bianca dallo scollo asimmetrico che lasciava una spalla scoperta e l’enorme stampa di un bacio lasciato con il rossetto rosso. Un po’ lontano dal suo solito stile, poiché in una situazione normale avrebbe preferito un top con più tagli e toppe retate, ma quella gliel’aveva regalata Videl al compleanno dell’anno prima.
In quanto ospiti, Bulma ed Hazel avevano deciso di portare un paio di torte – perché era risaputo che i Prince avessero metabolismo veloce e non avrebbero accusato gli effetti di un pezzo di torta di troppo – che Hazel aveva ritirato in pasticceria proprio quella mattina, cogliendo l’attimo per uscire di casa mentre la zia era in crisi e passare a fare colazione da Maya.
“Spero che tu abbia una buona ragione per essere sparita per tutto questo tempo ragazzina” borbottò Maya da dietro il bancone con tanto di mani sui fianchi e occhiataccia da mamma preoccupata cui Hazel rispose con un sorriso di scuse e gli occhi da cucciolo.
“Lo so, sono imperdonabile e trascorrerò il resto della mia vita a implorare il tuo perdono. Ma intanto posso prendere un cappuccino e un muffin?” Maya alzò gli occhi al cielo, poteva provarci ma alla fine dei conti non era in grado di tenere il muso alla sua amica.
“D’accordo. Ma mi aspetto un resoconto dettagliato di ciò che è successo” Hazel sorrise a piena bocca.
“Puoi prenderti una pausa? Giuro che sarò breve” la ragazza si guardò attorno considerando l’affluenza nel café dopodiché si voltò verso suo padre con lei dietro il bancone.
“Fa pure” la precedette Elias, per poi rivolgersi verso Hazel “Ci sei mancata, sai? E anche il ticchettio dei tasti del tuo inseparabile computer” Hazel sorrise nella sua direzione, ma non fece in tempo a replicare perché Maya la trascinò con sé verso un tavolo portando nell’altra mano il vassoio con due tazze e il muffin, come fece a non farle cadere rimase un mistero per la più giovane che ancora considerava la sua amica alla stregua di un’equilibrista.
“Dunque, raccontami tutto” disse Maya bevendo un sorso della sua bevanda che sembrava latte e qualcosa che lo colorava di arancione zucca.
“Che bevi?”
“Qualcosa di rilassante, perché il mio occhio interiore, o l’istinto nella tua lingua, mi dice che quello che hai da dirmi non mi piacerà affatto” Hazel annuì, prese un sorso del suo cappuccino e sganciò la bomba.
“Ho conosciuto mio padre” e ci mancò davvero poco che la bevanda che Maya stava mandando giù non le uscisse dagli occhi, poi partì l’attacco di tosse.
“Puoi ripetere, per favore? Credo di aver capito male” esordì con la voce rauca quando riuscì a riprendere fiato.
“No, hai capito bene. Ho conosciuto mio padre” replicò Hazel sorridente.
“Cazzo... Vorrei poter dire qualcosa di diverso e magari congratularmi, ma... Cazzo!” borbottò la maggiore prima di scuotere la testa, rinunciare alla colazione e sporgersi entusiasta verso Hazel “E dimmi, come si chiama? Che tipo è?”
“È un tipo famoso, del genere personaggio pubblico, quindi non credo di poterti dire il suo nome, non voglio che inizino a girare chiacchiere dopo essere stati così attenti in queste settimane” rispose la mora storcendo la bocca “Ma posso dirti che gli somiglio molto fisicamente. È alto, forse un metro e novanta e anche più. E ha i capelli lunghi e neri, esageratamente lunghi” Maya annuì memorizzando le informazioni.
“Ok, che altro? Com’è caratterialmente? Perché ci hai parlato, no?”
“Sì, ci ho parlato. È... Brontolone e forse un po’ lunatico. Mi ha chiesto di smettere di fumare, anzi imposto, odia il mio piercing al naso e come mi vesto”
“Non ha torto”
“Irrilevante”
“Invece sì. Ma non divagare in queste quisquilie”
“Sai adoro quando fai tutta la formale” disse Hazel poggiando il mento sulle dita incrociate e rivolgendo all’amica uno sguardo sognante.
“Spiritosa. Ma intanto ho capito qualcosa anche da questo tuo atteggiamento”
“E sarebbe” Maya si appoggiò comodamente allo schienale della sedia e riprese a sorseggiare la sua bevanda con lentezza per aumentare la suspense.
“Ti piace. E non puoi negarlo” Hazel si irrigidì e sgranò gli occhi, indecisa se mentire o ignorarla. Poi invece optò per la sincerità
“È un uomo in gamba che sa ciò che vuole dalla vita e ha fatto di tutto per ottenerlo. Per questo non voglio che si sappia in giro, ho paura di danneggiarlo anche con la mia sola esistenza”
La chiacchierata con la sua amica servì molto ad Hazel che tornò a casa pronta ad affrontare la giornata che l’aspettava.
Villa Prince si trovava in un quartiere residenziale di quelli in cui lei abitazioni hanno il garage due posti e un ampio giardino, lo scuolabus per la scuola elementare e le medie si fermava all’inizio della strada non arrivando mai in fondo perché comunque alla fermata c’erano sempre i genitori o le tate a ritirare i bambini. Videl aveva preso la patente appena compiuti i sedici anni, ma guidare non le piaceva più di tanto, soprattutto nelle ore di punta, in secondo luogo quando era Vegeta ad accompagnarla avevano sempre qualche argomento di cui chiacchierare.
“Sai che c’è? Potremmo organizzare qualcosa per le vacanze di primavera. Andiamo a un concerto” esordì Videl seduta sul divanetto da esterno con Hazel durante l’aperitivo. Tutti gli ospiti erano sparpagliati per il giardino dove si stava tenendo proprio l’aperitivo e dove probabilmente avrebbero consumato anche il caffè e qualche liquore.
“Cos’hai in mente?”
“Una cosa semplice. Magari la festa in spiaggia che stanno organizzando alcuni compagni di scuola, almeno conosciamo la maggior parte delle facce di chi parteciperà”
“Forse è ancora presto per decidere. Ma prenderò in considerazione la cosa” prima che Videl potesse aggiungere qualcosa dopo aver sbuffato, Tarble la precedette buttandosi di peso sul divano accanto ad Hazel.
“Accetta. Inizia a organizzare Vi” poi girandosi verso Hazel “non vorrai davvero passare le vacanze di primavera davanti a un computer?! Perché ti assicuro che a costo di pagare io la vacanza a tutta la squadra, nessuno si connetterà in quei giorni” fu il turno di Hazel di sbuffare e Tarble le arruffò i capelli. Era particolare il loro rapporto: diciamo che era facile prendere a cuore Tarble quando si presentava con quel sorriso da sballo e il suo bell’aspetto che faceva girare più di una testa, ma era anche un tipo camaleontico che poteva adattarsi ed essere a suo agio tanto a un raduno di nerd indossando un costume gonfiabile da dinosauro quanto a una serata di gala in completo elegante. Lui ed Hazel si conobbero un giorno nell’ufficio investigativo, era il periodo in cui Hazel si era appena trasferita a casa di Bulma e la donna non se la sentiva di lasciarla chiusa in casa. La ragazzina stava giocando a un videogioco online sul proprio portatile, Tarble le apparve alle spalle sporgendosi dallo schienale dal divano esclamando
“Conosco anch’io questo gioco! Accidenti se sei brava”
Dopo un pomeriggio a parlare di giochi erano diventati ufficialmente amici e pochi giorni dopo avevano anche creato la loro squadra online cui negli anni successivi si aggiunsero altre poche persone, poche ma buone a detta loro. Che altro si poteva aggiungere su Tarble Prince? Beh, che tralasciando il DNA e un certo tatuaggio, non aveva assolutamente nulla in comune con suo fratello Vegeta, il che era ironico che si considerava la loro straordinaria somiglianza. A tal riguardo, la prima volta che Hazel li vide insieme Videl le diede un consiglio: “Quello che vedrai con i calzini arancioni, lo smalto verde neon, i colpi di sole azzurri o un qualsiasi altro segno particolare che si noti, sicuramente non è Vegeta”.
“Comunque siamo ancora a febbraio, c’è tempo prima delle vacanze di primavera”
Poco distante Bulma chiacchierava tranquilla con Rosicheena aggiornandola in modo informale sul caso che stava seguendo con Vegeta, il quale invece era intento a bisticciare con suo padre come ormai era da abitudine a ogni pranzo dai Prince. Non avevano più parlato dalla telefonata della sera prima, non solo del caso bensì non avevano parlato affatto. Il ché è abbastanza un paradosso dato che le due Brief erano ospiti a casa Prince quel giorno.
“Dove se ne andrà questa volta Vegeta per le sue vacanze non vacanze?”
“Questa volta si è superato nel farmi morire di crepacuore” esclamò Rosicheena bevendo un sorso di prosecco “Slackline... Camminata su una corda tra due pali... Sul Grand Canyon” concluse mandando giù il bicchiere tutto d’un fiato. Bulma e Allison sgranarono gli occhi.
“Te lo sta facendo scontare caro e amaro quel caffè bevuto in gravidanza” rise Allison, risposta Rosicheena si batté una mano in fronte. Anche Vegeta negli anni le aveva dato parecchie gatte da pelare, il più proprio in relazione ai viaggi e alla sua dipendenza dall’adrenalina che continuava a negare.
Bulma rise scuotendo la testa. Solitamente si considerava capace di capire le persone che aveva davanti al primo sguardo, per qualche ragione questo non accadeva con Vegeta. Come poteva l’uomo cinico e disinteressato che aveva davanti essere la stessa persona che giorni prima l’aveva telefonata chiedendole come andasse con Hazel? La stessa persona che si era aperto con lei raccontando vicende che lo videro nel ruolo di genitore di sua sorella minore.
Chissà se avrebbe mai trovato la soluzione dell’enigma che rappresentava quell’uomo, forse no.
Un brutto presentimento iniziò a ronzarle in testa quando quella mattina cercò su google maps le indicazioni per arrivare all’indirizzo inviatole da Radish, un altro campanello d’allarme arrivò quando scesa dal bus scorse l’uomo dai capelli ridicolmente lunghi aspettarla davanti a un edificio con un’insegna a suo dire poco raccomandabile e fu quasi sul punto di scappare quando notò appoggiato alla spalla del suddetto uomo un borsone blu che aveva comprato quando l’aveva trascinata con se da Decathlon. Prese davvero in considerazione la fuga e negli anni a venire non lo avrebbe mai negato, ma in quell’occasione l’istinto di sopravvivenza ebbe la meglio: Radish infatti l’aveva riconosciuta e, nonostante quanto fossero distanziati, Hazel con jeans e anfibi non sarebbe mai riuscita a scappare più velocemente di un uomo allenato e in abiti comodi. Gli si avvicinò con fare circospetto come avrebbe fatto una bestia selvatica davanti a un pasto così invitante da risultare palesemente una trappola.
“Allora ce l’hai fatta ad arrivare!”
“Sì” replicò rimanendo a distanza e infilando le mani in tasca “E mi auguro di essere arrivata fin qui per una deliziosa colazione da Krispy Kreme che vedo essere a un paio di palazzi da qui per un’abbondante colazione a base di donuts con cioccolato e cocco che, per la cronaca, sono i miei preferiti” Radish seguì con lo sguardo la direzione che Hazel gli indicò col capo senza però prestarvi molta interesse, conosceva abbastanza bene il quartiere da sapere cosa trovare in ogni centimetro quadrato di strada.
“Forse dopo, prima abbiamo un altro importantissimo impegno” la ragazzina inarcò il sopracciglio e fu il turno di Radish di indicare il palazzo accanto con un cenno del capo, realizzando il più grande timore di Hazel. Nonostante quanto avesse provato ad ignorarla, alla fine si trovò a guardare quella gigantesca insegna con su scritto Saiyan Cage Gym in nero su sfondo giallo – un abbinamento sbagliato che non le ricordava per niente l’ape Maya.
“NO. Scordatelo” esordì immediatamente scuotendo il capo con più energia di quella che era necessaria “Io in palestra non ci vado. Sono allergica”
“E sentiamo a cosa saresti allergica?”
“Che ne so! Al sudore, o allo sforzo fisico. Una mia prozia è allergica alla luce del sole, le si fa tutta la pelle a chiazze pruriginose. Non me la sento di escludere a priori che potrei avere una reazione simile”
“Andiamo non brontolare” disse spingendola verso l’ingresso con una mano sulla schiena ”ti prometto che non te ne pentirai” poi però parve ripensarci “Beh non te ne pentirai a lungo andare” Hazel assottigliò gli occhi. Il gigantesco stanzone era zeppo di strumenti e attrezzatura equidistanti gli uni dagli altri dando alla stanza un aspetto ordinato, i pesi tutti di colori diversi occupavano uno scaffale alto poco più di un metro e posti così vicini all’ingresso davano un aspetto quasi accattivante. Salvo poi ricordarsi nel peggiore dei modi di trovarsi invece in una palestra.
“Cos’ho fatto di male nella mia vita per essere finita qui oggi?”
“Potrei risponderti che tanto per cominciare non avresti dovuto hackerare il registro scolastico, ma in realtà al momento non mi interessa e sono sicuro che venire qui un paio di giorni a settimana non potrà che farti bene” Hazel sbuffò come una locomotiva e per l’ennesima volta si chiese per quale ragione fosse ancora lì ad ascoltare i deliri dell’uomo.
“Il proprietario della palestra si chiama Toma, è il migliore amico di mio padre da circa tutta la vita. in realtà è un fisioterapista ma è sempre stato un tipo alquanto fissato con lo sport e sia io che papà e i miei fratelli abbiamo sempre frequentato questo posto. Di là ci sono gli spogliatoi delle donne e la porta dopo quelli degli uomini” Radish alternava i racconti sulla propria esperienza a spiegazioni su dove trovare le diverse aree della palestra, Hazel, che era sicura non avrebbe mai messo piede in un posto del genere, osservava tutto con le sopracciglia inarcate, fortunatamente essendo mattina presto non c’era molta gente e in parole povere l’aria non puzzava ancora di sudore. Le pareti erano tappezzate di foto e poster, ma c’erano anche lavagne a parete con elencati una serie di nomi che, nella sua ignoranza in materia, Hazel ipotizzò essere i nomi degli esercizi da svolgere.
“Ora vai a cambiarti, dovrebbe esserci tutto nel borsone. Ti aspetto qui quando avrai fatto” ed effettivamente era davvero così, nel borsone c’erano tutti i capi che avevano scelto l’ultima volta, tutti profumati di bucato appena fatto e già con le etichette tagliate, persino le scarpe da ginnastica erano state poste all’interno di un sacchetto, un’accortezza che, ancora, ipotizzò fosse più della governante che di quell’omaccione parecchio disordinato e confusionario. Quando uscì dallo spogliatoio stentava a riconoscersi, ma almeno la maglietta era abbastanza larga e lunga da non farla sentire a disagio – grazie al cielo Radish era stato abbastanza geloso e irremovibile sull’argomento. La seconda accortezza di cui fu grata al maggiore fu l’omissione di commenti di alcun genere per quanto riguardava il proprio disagio. Al contrario, appena la vide andargli incontro con l’asciugamano e la borraccia che le aveva fatto trovare nel borsone, le porse un biglietto plastificato.
“Questo è per te. È un abbonamento ospite associato al mio, io sono qui tutti i giorni ma non sono così pazzo da chiederti di fare altrettanto. Vieni ogni volta che vuoi e non farti problemi sui costi, è un mio regalo. Ah c’è anche la spa al piano di sopra e la piscina al piano interrato” d’un tratto si fece imbarazzato, era persino arrossito un po’ mentre si grattava la nuca in un gesto automatico.
“Non ti obbligo a fare nulla che tu non voglia, davvero. Mi farebbe solo molto piacere se venissi ogni tanto, anche solo per sfogarti tirando pugni a un sacco da boxe. E se non ti va di stare da sola avvisami, un messaggio e ti raggiungo” con uno slancio di coraggio che non credeva di possedere, Hazel decise di levarlo dall’imbarazzo e prendere in mano le redini della conversazione.
“Dunque, da cosa devo iniziare? Sii paziente, non sono mai stata un tipo sportivo” a quel punto Radish sorrise da un orecchio all’altro, felice come una pasqua.
“Stretching e dieci minuti di riscaldamento sul tapis roulant. E non preoccuparti, ti aiuterò per tutto il tempo”
Un’ora e mezza più tardi, dopo due “circuiti” – come li aveva chiamati Radish – con tapis roulant, addominali, pesi e squat, Hazel era tornata della sua originaria opinione che la palestra non fosse il posto adatto a lei.
“Mi sento morire”
“Se andata alla grande per essere il tuo primo giorno”
“Non prendermi per il culo! Io andavo a cinque all’ora e tu a duecento. Praticamente eravamo un Maggiolino contro una Ferrari”
“Lamborghini”
“Cosa?”
“Preferisco la Lamborghini alla Ferrari”
“Oh grazie tante, ora so cosa regalarti per il compleanno” ironizzò con il broncio, ma Radish ignorò la frecciatina
“In secondo luogo, non eravamo uno contro l'altro bensì è un modo per trascorrere del tempo insieme e conoscerci meglio. Questa è stata la prima volta che mettevi piede in una palestra e sono fiero di te perché non hai mollato alla prima difficoltà, quindi sì sei andata alla grande” Hazel s’imbronciò nonostante il complimento.
“Avevi detto che sarebbe stato soft”
“Infatti ci sono andato leggero, ho solo preferito farti fare il genere di allenamenti che faccio io anziché mollarti con il gruppo delle signore che fanno zumba” quando la ragazzina si accasciò su uno scomodo divanetto, scelto così scomodo appositamente per invitare i clienti a sostarvi il minor tempo possibile, a Radish venne immediatamente il modo di farsi perdonare.
“Ehi, sbaglio o avevi accennato di volere i donuts al cioccolato e cocco per colazione?” un timido sorriso si fece largo sul viso stanco e congestionato dalla fatica della giovane e Radish seppe di aver appena segnato un punto “Vai a farti una doccia veloce così non prendi freddo quando usciamo e andiamo a fare colazione”
“Radish viviamo a Los Angeles, qui non fa mai veramente freddo. Non in questo periodo almeno”
“Giusto, allora vai a farti una doccia così eviteremo di puzzare come carcasse nel locale”
“Adesso ha più senso” borbottò tra sé e sé trascinandosi fino agli spogliatoi. Dietro di lei, Radish stava per fare lo stesso quando fu bloccato da una voce alle sue spalle.
“Molto carina la nuova amica, forse un po’ giovane” Radish si irrigidì alle parole di Brock che apparve al suo fianco battendogli una mano sulla spalla “Ma sicuramente ne vale la pena in altri ambiti, no?” con uno scatto fulmineo, e sopprimendo la nausea, Radish si voltò afferrandolo per la maglietta.
“Ti conviene chiudere quella fogna che hai al posto della bocca prima che ti faccia ingoiare tutti i denti” e l’avrebbe fatto, poteva giurarci che l’avrebbe fatto. Come si era permesso quella mezza sega di guardare Hazel? Di dire ciò che aveva detto o anche solo pensarlo?! E lui le aveva anche detto di passare ogni volta che voleva? Ma neanche per il cazzo! A costo di mettere radici in quella fottuta palestra, nessuno di quei lumaconi si sarebbe avvicinato a lei, quanto è vero che si chiamava Radish Son.
“Basta così voi due. Brock smetti di battere la fiacca e torna ad allenarti. Radish, tu vieni con me nel mio ufficio” dopo un ultima occhiata al collega – che tra le altre cose è anche un buttafuori in uno dei suoi locali – Radish seguì Toma, senza il cui intervento sicuramente sarebbe finito alle mani con quell’idiota che evidentemente non riflette abbastanza prima di dare aria alla bocca.
“Che cosa ti è saltato in mente Radish?!”
“Di che stai parlando?”
“Radish, non ho mai commentato le tue brutte abitudini o le tue frequentazioni, ma ti conosco da quando sei nato, sono il tuo padrino e ti voglio bene come se fossi figlio mio, mi permetto perciò di essere diretto nel chiederti di mettere fine a questa cosa immediatamente” Radish sbuffò stravaccandosi sulla sedia di fronte alla scrivania.
“Toma non farla tanto lunga per una stronzata. Sono anni che ho quel più uno nell’abbonamento, mi è sembrata una buona idea darlo a lei”
“Radish è minorenne! Hai idea dei guai in cui stai andando a cacciarti?!” sbottò alzando la voce, a quel punto Radish si irrigidì non per lo shock quanto per la rabbia, possibile che avesse persino Toma una così bassa considerazione di lui?
“Ma sei del tutto impazzito Toma?! L’unico motivo per cui non ti prendo a pugni è per il rispetto che nutro nei tuoi confronti e l’amicizia ventennale che ti lega a mio padre, ma ti giuro che a un’altra insinuazione come questa accantonerò tutto e ti rifaccio i connotati!” sbottò con gli occhi fiammeggianti e le mani strette a pugni.
“Non sono impazzito e non me la faccio con le ragazzine. Hazel è una persona a cui tengo che semplicemente ha bisogno di cambiare qualcosa nella sua vita e se posso aiutarla lo farò molto volentieri. Perciò vedi di mettere tu in riga quegli stronzi o lo farò io alla mia maniera. Buona giornata” lasciò l’ufficio sbattendo la porta dal nervoso prima che l’amico potesse dirgli alcunché e corse subito agli spogliatoi, aveva poco tempo per prepararsi se voleva evitare che toccasse ad Hazel aspettarlo in mezzo a quel branco di arrapati. Il solo pensiero bastò a fargli venire voglia di prendere a pugni la parete del box doccia. Dopo un paio di minuti che arrivò nella hall, Hazel lo raggiunse strisciando i piedi e con un’espressione imbronciata. Inevitabilmente si ritrovò a sorridere.
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 7
Sono del parere che le persone pigre siano quelle più ingegnose, per esperienza posso dire che se trovare il modo di complicarmi meno la vita fosse uno sport io ne sarei la campionessa mondiale. Ovviamente non mi immedesimo per nulla in Hazel (o in qualsiasi altro personaggio della storia effettivamente) ma non potevo non mettere le mie impressioni personali su quello che rappresenta per me un girone infernale sotto copertura: LA PALESTRA!!!!!
Al pranzo dai Prince vediamo dei primi cambiamenti in Hazel che però non vengono notati dalla zia fin troppo immersa nel lavoro. Mi sento quindi di spezzare una lancia in suo favore: non ho figli, ma quando passo del tempo con mio nipote di certo non ho le stesse accortezze che avrebbe sua madre, oppure ne ho di diverse. Bulma è una donna in carriera con una mente brillante, che ha pochi amici ma buoni e tante conoscenze ma non le piace il cambiamento, vuole un bene dell’anima a sua nipote, ma preferirebbe essere semplicemente sua amica anziché la sua tutrice.
Ho deciso di cambiare il giorno della pubblicazione a mercoledì per questioni di praticità. Nel frattempo un'altra bella notizia: ho deciso di pubblicare questa stessa storia anche su wattpad, seppur sostituendo i nomi dei protagonisti. Diciamo che l'intenzione è di approfondirla e farla diventare una storia di romance con trama originale. Wattpad in realtà non mi fa impazzire come piattaforma di lettura, più che altro per la sezione di scrittura in cui non ho tutte le libertà di efp.
Vi aspetto su twitter per le illustrazioni del capitolo, così non vi sconvolgo la schermata nel caso stiate leggendo dal telefono ;) |
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Capitolo 8 *** Capitolo 8: Come i gamberi: due passi in avanti e uno indietro ***
Capitolo 8: Come i gamberi: due passi in avanti e uno indietro
“PERCHÉ CONTINUI A PRENDERMI IN GIRO?!”
In uno scatto di rabbia, Bulma scaraventò contro l’armadio la prima cosa che le capitò sotto mano, fortunatamente questa volta si trattava solo di un astuccio a rotolo con la stampa di unicorni. Si trovò quindi a camminare per la stanza con sguardo truce rivolto al computer che si era salvato solo in extremis dalla sua ira. La schermata mostrava ancora una notifica di errore nel sistema. Con un sospiro esausto spostò quindi lo sguardo sull’altro schermo attivo qualche metro più in là, sotto carica sul suo letto. Fai il lavoro che ami e non lavorerai neanche un giorno, forse per Blumarine Brief significava fare la vita della disoccupata. L’ennesimo test di prova del progetto era fallito miseramente, sempre in uno stesso punto e nonostante le notti passate in bianco a studiare i dati non riusciva a trovare il bug. Aveva grandi ambizioni quando concluse gli studi universitari laureandosi in informatica avanzata con largo anticipo rispetto ai suoi colleghi, il suo motto era chi ben inizia è a metà dell’opera e lei non voleva perdere un solo minuto più del necessario. Al suo esame di laurea aveva presentato un intero sistema che aveva creato da sé programmando di notte e seguendo le lezioni extra curriculari durante il giorno. La migliore del suo anno e di almeno gli altri cinque a venire, era considerata la prossima mente straordinaria di cui sarebbe sentito parlare del mondo dell’informatica. Possibile che quella nuova stella si fosse già estinta in una supernova? Nella vita c’era un tempo per sognare e un tempo per le certezze. Magari era arrivato il momento di riporre i propri sogni nel cassetto e gettare la chiave. Massaggiandosi il collo nel tentativo di allentare la tensione si spostò quindi a questo secondo dispositivo che continuava a processare informazioni, di una materia che non aveva niente a che fare con la programmazione di videogiochi. Aveva ancora un lavoro e non era il caso di perderlo per delle fantasie irrealizzabili.
Il profilo condiviso di Cooler era aperto in una seconda finestra, ricco di informazioni ordinate e molto fitte. Era una maniaca del controllo, quindi le informazioni erano sempre aggiornate e organizzate in base all’argomento e talvolta suddivise anche per colore. Persino Vegeta non aveva mai avuto niente da ridire sul suo metodo, tranne forse sul suo eccessivo utilizzo delle sfumature di rosa – forse perché comunque era una di quelle lamentele che Bulma aveva catalogato come insignificante e non aveva alcuna intenzione di adattarsi alle condizioni di chiunque altro. Nonostante fosse profilo condiviso, Vegeta non vi metteva mai mano, anzi quando si aggiornavano a vicenda preferiva addirittura avere un riassunto del fascicolo.
Tornando al lavoro, la sua prima intuizione che vedeva il caso come una soap opera si stava rivelando più che esatto. Per dire, era sicura che se avesse portato i suoi appunti alla ABC avrebbero creato la prossima serie che avrebbe incollato i telespettatori alla TV per i prossimi dieci anni, e non escludeva che avrebbe potuto essere tra questi.
“Stai andando a meraviglia Hazel, ora muovi i fianchi e sali con le mani lungo il torace fino al collo. Devi essere sensuale, anzi meglio, devi essere provocante” come se fosse stato evocato da quelle parole magiche, Radish irruppe nella stanza brandendo documenti contro Jade come fossero un’arma.
“Ehi modera i termini. Provocante un corno! Mia figlia non ha niente di provocante!” le ballerine impegnate nelle prove ridacchiarono nel sentire il loro datore di lavoro con quel tono.
“Wow grazie Radish, proprio l’iniezione di autostima di cui un’adolescente ha bisogno”
“Non ti serve salire su quel coso per avere autostima, sei già perfetta così come sei” nonostante il suo fosse stato solo un borbottio tutte le ragazze lo sentirono ed Hazel arrossì fino alla punta delle orecchie.
“Ora se hai finito di perdere tempo, scendi da lì prima di farti male e vieni a darmi una mano con dei conti. Sia mai che possa sembrare che tu stia studiando di tua volontà, eh?” sbuffò, ma comunque fece quanto chiesto. Rispetto ai primi incontri avevano preso molta più confidenza l’uno con l’altra, ora riuscivano a fare anche delle battute o chiacchierare davanti ad altre persone senza sentirsi a disagio per i loro sguardi, almeno per quanto riguardava lo staff dei locali, gli avventori della tavola calda e quelli della palestra. Ecco, questa aveva veramente rivestito un grande ruolo nel loro avvicinamento, Hazel scherzava infatti dicendo che anziché il patto con lo sputo loro avevano fatto quello con il sudore, il che non necessariamente faceva meno schifo. Da quel primo giorno in cui avrebbe preferito morire che rimettere piede in quel personale girone dell’inferno dantesco, Hazel si sentiva molto più sicura di sé, non che prima non le piacesse il suo aspetto però. Per esempio da allora aveva cominciato a ridurre le giornate in cui si nascondeva in enormi felpe oversize e tutto il nero che la faceva somigliare a Mercoledì Addams aveva ceduto il posto ad altri colori. Con Radish sempre presente che la seguiva in ogni esercizio, nessuno si era mai sognato di pronunciare alcun commento su di lei e avere le spalle coperte la faceva sentire sicura anche nell’indossare quei capi d’abbigliamento aderenti e aerodinamici che non avrebbe mai scelto prima di quel momento. Quel giorno, per esempio, in vista del pomeriggio che avrebbe trascorso al locale aveva indossato dei leggings grigi e una canottiera larga tipo quelle da basket con un top a fascia sotto l’enorme scollatura che c’era sul petto e sotto le braccia.
“Credevo che ti mettessi nel tuo ufficio per sbrigare queste cartacce, andiamo su?”
“No, non staremo chiusi insieme in una stanza ad alimentare pettegolezzi. Consanguinei o meno, tu resti minorenne e nessuno qui crede veramente alla storia che tu sia mia figlia”
“E io credevo di essere io ad occuparmi del calcoli” esordì Diamond spuntando quasi dal nulla, almeno dal punto di vista di Radish perché Hazel sapeva fosse andata in bagno poco prima.
“Rock un paio di chili di fatti tuoi non ti ingrosseranno i fianchi” la donna replicò con un dito medio che Rad ignorò con una scrollata di spalle.
“In effetti” replicò Hazel come se non fossero mai stati interrotti “E veramente non capisco questo tuo voler continuare a vederci in giro. Cioè, per te è controproducente” illudendosi di essere stato abbastanza discreto, Radish rimase di sasso il giorno in cui Jade, la capo ballerina del Refinery era lo aveva affrontato di petto chiedendogli di come stesse sua figlia Hazel e dopo un iniziale orribile quarto d’ora di terrore che la voce potesse raggiungere la stampa aveva indetto una sorta di riunione di emergenza dello staff. Sorprendono di brutto tutti i dipendenti avevano notato qualche cambiamento anche senza aver necessariamente incontrato Hazel di persona. Semplicemente era capitato che il boss si mettesse a sorridere guardando il telefono o che la sua presenza ai locali il pomeriggio si era fatta meno assillante.
“Andiamo boss! Ormai ci conosciamo da dodici anni” aveva esordito proprio Jade seduta a gambe accavallate all’angolo della scrivania “praticamente siamo una famiglia, no? Mi sento di parlare a nome di tutti dicendo che seppur tu sia palesemente un puttaniere di certo non oseresti neanche guardare una ragazzina”
“E per quanto si possa provare a non ascoltarvi non è che le tue conversazioni con Diamond siano sempre a porte chiuse” era intervenuto Lincoln con un sorriso da canaglia “Sembra una ragazzina sveglia e di certo non saremo noi a metterla nei guai”
E da quel momento Hazel aveva cominciato a frequentare il locale, tranquillizzata da Radish di essere in una botte di ferro con lo staff.
“Meno chiacchiere e più calcoli. Se non ricordo male mi hai detto di essere brava in matematica”
“Prima puoi togliermi una curiosità?”
“Spara”
“Perché la chiami Rock?”
“Diamond, Ambra o Ruby che sia, resta sempre una roccia. E poi a lei non da fastidio”
“Invece sì!” esordì la voce della donna da dentro l’ufficio del titolare in cui si era rintanata per controllare l’inventario.
“Irrilevante” urlò di rimando “Con quanto ti pago posso chiamarti anche Olaf per quanto mi riguarda”
“E questa da dove ti è uscita” questa volta Diamond si affacciò sull’uscio, se proprio non avrebbe ricevuto una risposta almeno lo avrebbe visto in faccia. Radish, infatti, l’avrebbe ignorata, lasciandola logorare nel dubbio, ma Hazel non era dello stesso avviso, del resto perché avrebbe dovuto lasciar correre l’occasione di sputtanare il maggiore
“Ieri mi ha portato a vedere Frozen” l’uomo arrossì allo scroscio di risate che seguirono, ma ci volle poco per riportare l’ordine.
Seduti a un tavolo del bar, rimasero per almeno un’ora a rivedere documenti e ricevute di acquisti, prendendosi a mali parole, talvolta insultandosi e scatenando le risate dei dipendenti che continuavano a stargli intorno.
“Ma sei ritardato? Il software che stai usando è obsoleto e ti rallenta tutto il sistema” l’espressione letteralmente scoglionata di Radish fu ignorata da Hazel, che si segnò invece mentalmente di farglielo pesare in separata sede.
“Quindi, dal momento che ti ho visto decine di volte spendere soldi in minchiate, ti consiglio di investire in un nuovo software e poi ti insegno a usarlo”
“Non so quale sia l’opinione che hai di me, ma ti assicuro che non sono un vecchio rincoglionito a cui devi insegnare a collegare il wifi”
“Grazie al cielo, altrimenti avremmo avuto un serio problema. Non sono una persona così paziente” un nuovo sbuffo di Radish chiuse la conversazione, dopodiché, seguendo lo sguardo del maggiore, anche Hazel volse lo sguardo al bar dove due ragazzi ripetevano la preparazione di alcuni cocktail più complessi.
“Perché il bar è la parte meglio organizzata e studiata del locale? Neanche la cucina sul retro e così bel strutturata”
“Mi piace stare dietro il bancone durante le serate, mi ricorda gli anni in cui facevo io stesso da barman ed è il motivo principale per cui ho aperto il mio primo locale. I primi mesi non mi muovevo da lì dietro anche per tutta la notte, certo c’era lo scherzo con i clienti, il flirtare con le ragazze, ma ho sempre rispettato le regole che imponevo anche ai miei dipendenti. Dopo il primo anno di vita del Refinery era ancora un mistero chi ne fosse il proprietario” intanto fece un cenno a Colin che si mise immediatamente all’opera per eseguire il tacito ordine.
“Servono davvero tutti quei bicchieri diversi?”
“Farò finta di non averti sentito perché hai solo sedici anni e non hai avuto il tempo di maturare l’esperienza in materia. Ogni cocktail, liquore o amaro richiede il proprio bicchiere perfetto. Di certo non puoi servire un mojito in un bicchiere coupè”
“E io fingerò di capire di cosa tu stia parlando” ridacchiò Hazel senza però infierire in nessun modo. Poteva fare la quasi professionista quando si trattava di computer e videogiochi, ma quell’ambiente, il mondo dei cocktail e dei liquori, apparteneva a Radish.
“Ehi ma hai tolto l’anello al naso!” esclamò l’uomo con l’espressione di chi aveva appena avuto un’epifania ed Hazel, che ancora faticava a star dietro a questi suoi improvvisi cambi di umore e argomento, lo guardò inarcando un sopracciglio. Praticamente a furia di ripetere il movimento decide in volte nel tempo che trascorrevano insieme sentiva di star allenando il muscolo sopraccigliare destro molto più di quello sinistro – perché il sopracciglio destro significa shock e incredulità mentre il sinistro è quello di sfida o da super cattivo, ovvio no?
“Alla buon’ora Sherlock”
“Mi sembrava avessi un aspetto più da essere umano oggi, ma attribuivo la cosa alla maglietta viola melanzana” continuò ignorando la frecciatina.
“Ti svelo un segreto Radish” esordì Hazel recuperando il piercing da una tasca della borsa, dopodiché lo aprì rivelando il trucco che sapevano solo i suoi amici.
“È finto” mormorò Radish osservando l’oggetto aprirsi e chiudersi di scatto “funziona con le calamite” Hazel sorrise da un orecchio all’altro.
“Non sopporto gli aghi. Figurati se mi fare mai bucare la faccia”
“E hai continuato a usarlo pur sapendo che lo odiassi e per di più senza dirmi che fosse finto?!”
“Che posso farci? Mi sento in pace con la coscienza quando un dispetto riesce a infastidire la vittima designata” replicò con ironia scrollando le spalle.
Colin, che Hazel ricordava essere stato assunto da poco, servì in quel momento il bicchiere a forma di cono capovolto contenente quello che, se la memoria non l’ingannava, era un martini.
“Ecco a te boss” Radish ringraziò con un secondo cenno
“Come te la cavi, Colin?”
“Ho ancora molto da imparare boss, ma Vic è un bravo insegnante. Devo fare ancora un po’ di pratica nei cocktail più complessi”
“Esatto. Il segreto per acquisire abilità in ogni campo è la ripetizione” Colin sorrise all’incoraggiamento del capo
“Con alcune ovvie eccezioni. Il suicidio per esempio” la risposta fu così spontanea per Hazel che i due giovani scoppiarono a ridere non appena si guardarono in faccia.
“Posso portarvi qualcos’altro?” chiese una volta calmate le risa, Radish guardò di sfuggita Hazel che era tornata a prestare attenzione alle carte
“No, per il momento siamo a posto. Ritorna a studiare ora” una volta soli i due rimasero per un attimo a guardare il bicchiere appena portato.
“Promemoria per il futuro, nocciolina” esclamò Radish con un sorriso alzandosi e cambiando repentinamente argomento, per poi spingerla con un braccio sulle spalle verso il bancone del bar “il vero dry martini si serve con gin e vermut miscelati col ghiaccio e poi filtrati, bicchiere ghiacciato e servito rigorosamente senza ghiaccio” nel mentre prese il materiale dal congelatore e iniziò a miscelare le bevande alcoliche con movimenti ipnotici.
“Dopodiché si strizza la scorza di limone sul cocktail” Hazel sorrise osservandone i movimenti senza fare domande, ancor di più perché poteva interrompere i conti per osservare qualcosa di davvero interessante. Radish le aveva raccontato che non era ancora maggiorenne quando cominciò a lavorare come barman, il titolare decise di dargli fiducia a patto che non bevesse alcolici durante le ore lavorative e, sorprendentemente, Radish mantenne la parola. Imparò tutte le ricette e a ventuno anni sapeva preparare i cocktail migliori di Los Angeles senza averne mai provato neanche uno e quando aprì il suo primo locale lavorò per molti mesi dietro il bancone del bar. La sua era una vera passione e si vedeva in ogni gesto.
“Ma nel martini non ci va l’oliva?” chiese dopo aver osservato i due bicchieri identici. Con un ghigno Radish ne estrasse una scodella dal minifrigo.
“Dipende dai gusti. Se invece ci metti una cipollina in agrodolce diventa un Gibson, un cocktail un po’ fuori moda ma ancora una pietra miliare dei miscelati” Hazel sorrise spostando leggermente i bicchieri per scattare delle foto, ma quando provò a portarsi un bicchiere alle labbra incontrò la ferma opposizione dell’uomo.
“Non pensarci nemmeno, non nel mio bar o in mia presenza finché non avrai ventuno anni”
“E ti pareva” con il solito ghigno in faccia, Radish accese lo stereo a volume basse
“Gira di qua, se proprio vuoi imparare qualcosa ti insegno a preparare un daiquiri” Hazel non se lo fece ripetere due volte ma ci tenne comunque a precisare una cosa
“Come faccio a imparare a preparare cocktail alcolici se neanche me li fai bere?”
“Esattamente come ho fatto io: prendi appunti”
La musica riprodotta a tutto volume dalle casse a incasso nel muso scandivano il tempo del suo allenamento, capiva quando il volume era al punto giusto quando sentiva i bassi vibrare nello stomaco e in automatico le labbra si increspavano in un ghigno divertito. Era esilarante quando alle superiori viveva ancora con i genitori e la sveglia mattutina per tutti alle sette era questa musica house – che per i coniugi Prince non era neanche da considerarsi vera musica – sparata a un volume così indecente da far tremare le pareti. La sua di sveglia invece suonava mezz’ora prima perché niente gli faceva iniziare bene la giornata come andare a correre. Per anni Tarble ha commentato che se non fosse per la somiglianza esagerata tra Vegeta e loro padre, si sarebbe ipotizzato che non fossero padre e figlio: come faceva un malato di palestra a essere anche solo lontanamente imparentato con un pantofolaio quale era Veldock Prince? A salvare il secondogenito ma un – meritato – pestaggio interveniva sempre Rosicheena, non perché fosse il figlio preferito, quanto più per calmare gli animi. Era infatti sua madre l’atleta della famiglia, ma al contrario di Vegeta che sfoggiava con orgoglio un fisico palestrato, lei era conosciuta nell’ambiente dell’atletica leggera, vincendo anche numerosi premi nel corso degli anni al college. Cosa ci avesse visto in suo marito non ne aveva la più pallida idea, anche se facevano la loro figura nelle foto del matrimonio. Una coppia da red carpet direbbero alcuni, altri più maligni invece sostenevano che la bella signora Prince si fosse fatta conquistare dal portafogli del marito sempre in viaggio.
Vegeta scacciò questi pensieri scuotendo la testa. Di certo non voleva andare a pensare cosa avesse spinto i suoi genitori a frequentarsi e mettere su famiglia insieme.
Sbuffando come una locomotiva, Vegeta lasciò cadere il bilanciere usato fino a quel momento, inutilmente dal momento che aveva perso il conto delle ripetizioni diverse volte. Scocciato, spense quindi la musica dal telecomando e uscì dalla palestra, se neanche l’allenamento riusciva a farlo smettere di pensare per qualche ora, in tal caso non valeva la pena continuare per quel giorno. Tanto più se tanto gli sembrava di non star concludendo niente.
Sebbene il cellulare si collegasse automaticamente al sofisticato sistema di altoparlanti che aveva in ogni stanza, Vegeta per ovvi motivi non portava mai il cellulare con sé in palestra. Era quindi consapevole che dopo l’allenamento avrebbe trovato delle notifiche, certi non si aspettava quindici chiamate fallite da parte di BB, che aveva da poco rinominato dopo anni in cui era stata PC ufficio. Non lo faceva per bullismo, almeno non totalmente, quanto più per il bruttissimo vizio di Tarble di rinominare tutti i contratti in rubrica dopo essere riuscito non si sa come a sbloccare il dispositivo.
Prima che avesse il tempo di ripensarci ed eventualmente pentirsene – cosa che sarebbe sicuramente successa – Vegeta fece partire una chiamata e la sua interlocutrice rispose al secondo squillo.
“Alla buon’ora!” esordì Bulma Brief con la sua classica voce qualche ottava più acuta del normale “Dovresti davvero cominciare a portare il cellulare in palestra con te. Potrebbe accaderti qualsiasi cosa e saresti impossibilitato a chiamare aiuto. I rischi non sono minori rispetto al rimanere bloccati in una sauna. E non tutti avrebbero il pensiero di chiamare tua madre o il portiere del tuo palazzo. Ti rendi conto che con la vita che fai se morissi da un giorno all’altro” Vegeta frenò l’istinto di abbassare tre dita della mano libera facendo le scaramantiche corna “potrebbero volerci giorni per trovare il tuo corpo?! La maggior parte della gente che frequenti è a lavoro qui e il più delle volte sappiamo che sei partito solo dopo giorni!” mentre Bulma parlava a macchinetta senza fermarsi neppure per prendere fiato, Vegeta non aveva pronunciato neanche una sillaba, ma il fatto che non avesse ancora allontanato il cellulare dall’orecchio lasciandola parlare da sola era già un grande passo avanti verso il resto del genere umano, contrariamente ai due indietro che faceva di solito. E sebbene la tentazione di farla parlare a vanvera ancora per un po’ senza dire nulla, facendole quindi ipotizzare che potesse davvero essersi sentito male, Vegeta intervenne finalmente nel discorso interrompendo lo sproloquio della turchina.
“Se mi hai tartassato di telefonate solo per dirmi questo, ti avviso che il tuo contatto sta per finire nella lista nera”
“Fallo. Voglio vedere poi come ti procurerai le informazioni per il caso che potrei accidentalmente trasferire nel cestino” poteva quasi immaginarla mentre seduta davanti al proprio computer – perché Bulma Brief era sempre alle prese con un computer – incrociava le braccia al petto con tatto di sopracciglio inarcato, quasi come se il suo interlocutore fosse di fronte a lei e non dall’altra parte di un dispositivo. Stringendo i denti, dovette accettare la sconfitta di quel match in cui la turchina aveva decisamente più armi di lui.
“Vai al punto donna!”
“Potremmo dover passare al lavoro sul campo. Come te la cavi con gli appostamenti in auto?”
“Non rimarrò chiuso per ore con te in un’auto o chissà dove durante un appostamento. Cosa non ti è chiaro del concetto io lavoro da solo?”
“E io lavoro dietro uno schermo, ma si dia il caso che, a meno che tu non sia diventato magicamente capace di clonare un cellulare a distanza, allora hai bisogno di me. Inoltre, contrariamente a ciò che potresti andare a pensare, non mi piace doverti minacciare ogni volta per renderti un po’ più collaborativo”
“Cosa c’è di più su quel tale che non puoi scoprire dal tuo mondo immaginario tra le quattro mura dell’ufficio? E sii breve”
Bulma sospirò dall’altra parte dell’apparecchio.
“Conversazioni criptate. Non posso accedervi dall’esterno. È palese che la cliente sia l’amante di Cooler e ora che il padre è intenzionato ad andare in pensione, la signorina voglia eliminare sorella e cognato dall’equazione”
“Quando avresti deciso di fare questo appostamento?”
“Cooler sarà in centro, nel palazzo in cui vivono lui e sua moglie, per mezzogiorno”
“Pensi che il diversivo sarà sufficiente?” chiese Bulma incrociando le gambe sotto il sedere pur rimanendo seduta sul sedile posteriore dell’auto .
“Vorrei ben vedere. Non credo che un damerino come lui sia in grado di cambiare una ruota a terra in tempi di record. Inoltre il disturbatore di frequenze gli impedirà di comunicare con l’esterno fino a che non avremo finito”
“Sì, ma neanche noi potremmo comunicare per almeno i dieci minuti che mi servono” nel giro di pochi secondi Bulma fece scendere di nuovo le gambe e poggiò la schiena contro il sedile.
“Hai contrato di avere tutto l’occorrente pronto all’uso? Non avremo molto tempo”
“Stai tranquillo. Ho software pronto e il dispositivo di clonazione collegato. Dovrebbe essere abbastanza semplice” rispose cambiando posizione per l’ennesima volta muovendosi sul sedile come se fosse seduta su gusci di uova “forse l’unica cosa a cui bisognerà fare maggiore attenzione sarà il non farci scoprire”
“Riesci a stare ferma per almeno cinque minuti?”
“No non posso. Questo è il mio primo appostamento in auto e sono eccitata”
“E doveva capitare proprio a me questa tua prima volta?” Vegeta si strofinò gli occhi con i palmi delle mani “Che mi serva da lezione per aver accontentato i tuoi capricci” poi spostò di nuovo lo sguardo fuori dal finestrino e in un attimo tornò in posizione retta.
“Sta arrivando”
Immediatamente, abbandonando l’aria ansiosa di poco prima, Bulma accese il dispositivo ed entrò in modalità operativa. Lo schermo proiettava una tenue luce bluastra sul suo viso che, con un po’ di fortuna, non sarebbe stata notata dall’esterno e le lenti degli occhiali riflettevano codici che scorrevano a grande velocità. Le dita battevano freneticamente sulla tastiera.
“Tienimi aggiornato su ogni passo. Non possiamo permetterci errori”
“Come vuoi. Sono riuscita a entrare nel dispositivo e sto avviando la scansione dei dati per accedere alle informazioni sensibili... Ma non gliel’ha detto nessuno che i porno dovrebbe vederli almeno in modalità incognito?”
“Concentrati” la riproverò Vegeta tra i denti.
“Smettila di farmi la paternale. Abbiamo lavorato abbastanza insieme che dovresti aver capito che sono affidabile. Sono una dei migliori nel mio campo, detective. E poi io non vengo a dirti come fare il tuo lavoro, solo qualche consiglio sulla socializzazione”
“Cazzo!” imprecare non era decisamente una cosa da Vegeta così Bulma sollevò lo sguardo dal computer a ciò che accadeva all’esterno. Un uomo si era avvicinato a Cooler e ora entrambi gesticolavano con i cellulari in mano alla ricerca disperata di un punto in cui prendesse la linea. Poco lontano, il custode del parcheggio sotterraneo si era avvicinato a sua volta per poi tornare alla gabbiola della sicurezza con il cellulare, non funzionante, in mano.
“Non abbiamo dieci minuti. Puoi accelerare?”
“Non a questa distanza” replicò Bulma mordendosi l’unghia del pollice “Aspetta qui. Ho un’idea” posò quindi il computer sul sedile e prima che Vegeta potesse fare alcunché, scese dall’auto passando poco dopo davanti al finestrino armeggiando con la borsa, aveva indossato un cappello a tesa larga che le metteva in ombra mezza faccia.
“Maledizione donna!” sbottò tra i denti trattenendosi dal battere un pugno contro lo sterzo.
Bulma si diresse quindi verso gli ascensori col passo svelto della gente in ritardo, praticamente quasi immersa per metà nella propria enorme borsa, più grande di quanto fosse normalmente necessario. Vegeta, che nel mentre aveva distolto lo sguardo imprecando mentalmente in tutte le lingue che conosceva, si trovò a dover riportare l’attenzione su ciò che stava accadendo quando sentì l’inconfondibile rumore di qualcosa che cadeva.
“Oh no! Accidenti!” sbottò Bulma china a raccogliere il contenuto della sua borsa “Sono terribilmente dispiaciuta” continuò rivolta a Cooler chino con lei ad aiutarla. Il pavimento era cosparso da una serie di cianfrusaglie che da quella distanza Vegeta non riusciva a vedere, a dire il vero a stento riconosceva la stessa collega. Ciononostante non si impedì di ributtarsi contro lo schienale scuotendo il capo. Ecco un altro del motivi per cui era meglio lavorare da solo.
“Non si preoccupi, cose che capitano” replicò tra i denti l’uomo, impegnato com’era a raccattare i documenti che aveva tenuto in mano fino allo scontro con la donna, non la notò mentre appoggiava un secondo dispositivo sul proprio telefono caduto insieme a tutto il resto.
“Certo. Ma sempre e comunque quando sono in ritardo. È già tanto se non mi si sia anche rotto un tacco, con la sfiga che mi ritrovo. Ecco” disse Bulma porgendogli un cellulare “credo che questo sia suo” così dicendo gli porse il telefono per poi aggiungere, sorridendo imbarazzata “spero non si sia rotto nulla. Ora devo proprio andare. Mi scuri ancora” e veloce come era arrivata si allontanò di nuovo dirigendosi di nuovo verso gli ascensori. Vegeta imprecò di nuovo mentalmente, disattivando il disturbatore di frequenze nel caso in cui la donna avesse deciso di contattarlo. Avrebbero dovuto trovare un altro modo di entrare in possesso di quelle informazioni, dal momento che l’appostamento era miseramente fallito. Mentre questi pensieri affollavano la mente, Bulma, che evidentemente aveva fatto non si sa quale giro per tornare indietro – sperava – non vista, aprì lo sportello e si accomodò sul sedile passeggero.
“Faresti meglio a partire, prima che qualcuno ci noti per davvero. Non è stata proprio una grande idea venire qui con la tua auto”
“Si può sapere che ti passa per la testa? Sei stata troppo avventata a rischiare tanto. Potrebbe sospettare qualcosa” sbottò invece lui, ma Bulma lo mise velocemente a tacere con la mano.
“Tsk nessuno si ricorda mai di una donna che fa da tappezzeria. E, fidati, non potrà mai ricordarsi di me o distinguersi da qualsiasi altra” sporgendosi verso i sedili posteriori recuperò il proprio portatile lasciato acceso.
“Ma vuoi stare un po’ più attenta?!” sbottò Vegeta quando la spalla della donna gli spinse il braccio che reggeva il volante. Bulma lo ignorò, sedendosi nuovamente con il computer sulle gambe.
“Sto cancellando tutte le tracce del nostro accesso. Non ci saranno prove che siamo stati qui” così dicendo richiuse il portatile
“Sempre un piacere lavorare con te, ma qualcuno ti ha mai detto che sei una vera rottura di coglioni a volte? Non trattarmi come se fossi una ragazzina. Eppure dovresti sapere di poter contare su di me! Abbiamo lavorato insieme abbastanza allungo perché dovresti sapere che sono affidabile”
“Dietro un computer. E sempre e soltanto in ufficio. E avrei preferito sapere prima che non avevi mai fatto un appostamento in auto”
Sfrecciando per le strade secondarie e meno trafficate della città, non ci volle molto per arrivare fin sotto l’ufficio, non che fossero molto lontani dal centro.
“Sai che c’è? Tu non riesci ad ammettere che per una volta non sei tu ad avere il controllo della situazione o di dover, addirittura, avere bisogno di qualcun altro” sbottò la turchina uscendo dall’auto in tutta fretta con la borsa in spalla “Vuoi fare da solo? Bene, io ho chiuso qui. D’ora in poi arrangiati!” e così dicendo sbatté con forza la portiera pur sapendo che questo non avrebbe fatto altro che farlo arrabbiare di più. Si sentì il rumore di un altro sportello, seppur una botta più leggera della prima, e con qualche falcata Vegeta le si pose davanti
“Dove credi di andare. Non ho ancora finito con te”
“Ma io ho finito con te e tanto basta” Bulma tentò di aggirarlo ma lui si spostò di rimando.
“Levati” ordinò tra i denti sfoggiando l’espressione più infuriata che le si fosse mai vista in faccia. Per Vegeta doveva sembrare pericolosa quanto un gattino che soffiava a un cane rabbioso.
“Obbligami”
“Vegeta non sono in vena di scherzare. E per essere una persona che non tollera la mia compagnia sei alquanto sconclusionato nel continuare imperterrito a ronzarmi int-” Vegeta girò gli occhi al cielo per un secondo e un attimo dopo si sporse in avanti interrompendo quel fiume di parole con le sue stesse labbra. Il loro bacio, improvviso e casto, non durò che pochi secondi durante i quali, per la sorpresa, Bulma rimase immobile. Quando si separarono un sorrisino bastardo la faceva da padrone sul viso di Vegeta.
“Allora esiste un modo per farti tacere per qualche secondo” replicò a un soffio dal viso di lei.
“Pe-perché l’hai fatto?”
“Perché lo volevi tu quanto lo volevo io. Ma puoi sempre provare a convincermi che sbaglio. Sono curioso di sapere che cosa dirai” per un attimo Bulma rimase bloccata sul posto, ma questa volta si riprese in fretta e, cogliendolo di sorpresa, fu lei questa volta a sporgersi facendo scontrare le loro labbra. Vegeta non dovette farsi pregare e nel tempo di un battito di ciglia, la fece poggiare con la schiena alla parete dell’atrio.
“Sia mai che ti lasci avere l’ultima parola, Prince” seguì un altro bacio violento cui Vegeta mise fine mordendo il labbro inferiore di Bulma strappandole un gemito.
“Mettiamo in chiaro un paio di cose, Brief. Sono attratto da te, per assurdo ammetterlo. Niente relazioni. Se ci stai, possiamo divertirci entrambi. Altrimenti tutto come prima e nulla è cambiato. Che ne dici?”
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 8
Mi sono resa conto man mano che scrivevo la storia che non sto parlando molto di Vegeta e Bulma quanto avrei voluto, motivo per cui durante la stesura di questo capitolo ho deciso di fare un passo indietro (come dice anche il titolo). Ho deciso di incentrare la storia sul rapporto padre-figlia tra Radish ed Hazel portando la storia tra Vegeta e Bulma solo come accenni. Valuterò man mano se scrivere qualche capitolo dedicato solo a loro o raccontare l loro relazione in una lunga one-shot oppure lasciare perdere. Ciò non toglie che in questo capitolo ho deciso comunque di lasciare loro un bel po’ di spazio. Nel dubbio per il momento sfoggiamo una fanart
Tornando al capitolo, Bulma si trova un po’ in crisi e questo potrebbe portare in futuro a scelte drastiche, come effettivamente ci aspetta da una persona impulsiva come lei. Hazel invece cerca di conoscere meglio Radish, il quale si trova a parlare con la gente che lo circonda della sua nuova condizione. La ricetta del cocktail, che non è neanche l'unica presente nella storia, l'ho presa un po' da un film e un po' da instagram, non sono una patita dei cocktail quindi per me è un campo sconosciuto!
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Capitolo 9 *** Capitolo 9: Ti porto al mare ***
Capitolo 9: Ti porto al mare
Dopo aver attraversato mezza città in auto i due si trovarono poco distanti dal molo, in particolare Turles aveva deciso di portarlo davanti a un edificio con una grane insegna in fucsia che riportava AR Investigation.
“Ok Turles, che ci facciamo qui?” chiese Goku incrociando le braccia al petto, questa volta suo fratello aveva decisamente più di una cosa da spiegargli.
“Non è evidente?” sbuffò indicando con il capo la grande insegna colorata “Voglio chiedere a un investigatore privato, chiunque sia quella Hansel non me la conta giusta”
“Si chiama Hazel, in primis. In secondo luogo non è una cosa che ti riguarda”
“Su questo puoi metterci la mano sul fuoco. A me non sarebbe successo, poco ma sicuro. Quindi vieni con me oppure no?” Goku sollevò lo sguardo su quel volto così simile al proprio senza vederlo per davvero, la sua mente proiettata a neanche una mezzora prima e alla conversazione a cui assistette.
Se ne stavano seduti a un tavolo della tavola calda, in un angolo i piatti sporchi che tempo prima contenevano della crostata, ognuno col proprio portatile e pagine ricche di scarabocchi che avrebbero dovuto essere appunti parecchio confusionari. Guardandoli dall’esterno, osservando le loro espressioni, le iridi nere da cui traspariva solo fastidio e quegli appunti disordinati, chiunque avrebbe detto che fossero padre e figlia, chiunque tranne Turles che, per niente convinto di quella che lui definiva una messinscena, lavorava limitandosi ad ignorarli.
“Basta così, non ne posso più di studiare” esclamò Hazel chiudendo i suoi appunti nel portatile e riponendolo nella sua borsa, stiracchiandosi dopo almeno mezz’ora passata nella stessa posizione trovò Radish altrettanto intento a mettere via la sua roba.
“Perfetto. Hai impegni per il pomeriggio?”
“No, non mi sembra. Perché?”
“Ora sì, andiamo al cinema. Puoi lasciare il computer nella mia auto, ti accompagno a casa dopo” Hazel lo guardò ad occhi sgranati
“Stai scherzando? È pomeriggio, ci sono solo film per bambini a quest’ora!”
“E chi se ne frega? Si dia il caso, invece, che tu sia in debito con me di ben sedici anni di film improponibili, capricci insensati e levatacce. Quindi muovi il culo e andiamo al cinema” Gine dietro il bancone si batté con forza una mano in fronte, al contrario Hazel scoppiò a ridere, rise così di gusto che addirittura reclinò il capo all’indietro, attirando l’attenzione degli altri pochi avventori del locale.
“Sai, la maggior parte degli uomini pagherebbero per avere la possibilità di conoscere i figli solo quando hanno ormai smesso di dare problemi”
“Sì, certo. Sai che la fase peggiore è proprio l’adolescenza? Guarda te, hai smesso solo ora di portare quell’aggeggio al naso. A tal proposito, non ho ancora avuto l’occasione di dirti quanto stai effettivamente meglio così” cercando di mascherare il rossore per il complimento – e soprattutto non dare a vedere quanto ci teneva che lui avesse notato quel cambiamento, anche se si trattava di una sciocchezza come l’aver tolto il piercing al naso – Hazel continuò imperterrita con il suo discorso.
“E poi, ho smesso di togliere il sonno a mamma a due anni”
“Sì sì, tutto quello che vuoi. Ma non mi hai ancora detto se ti va di andare al cinema oppure no” rimasero per un paio di secondi immobili, occhi negli occhi, finché Hazel non distese le labbra in un sorriso sghembo
“Voglio le rotelle di liquirizia. E il cartone lo scelgo io”
“Affare fatto”
Nel riemergere dal suo ricordo, Goku si ritrovò a sorridere scuotendo la testa. Di fronte a lui Turles era in attesa di una sua risposta
“Lascia stare Tori, la cosa non ci riguarda. E finché Radish sarà felice e trarrà beneficio da questa cosa a me andrà bene. Nostro fratello non è un idiota, per quanto tu lo possa pensare, non si farebbe fregare così da una ragazzina qualsiasi”
“Fammi ben capire. Tu non vuoi fare nulla? Che cazzo, ma non hai imparato nulla dalla vita? Matrimonio riparatore, un figlio a diciotto anni, un divorzio faticosamente ottenuto solo un paio d’anni fa e ancora vuoi fidarti delle persone?”
“Che vuoi farci? Mi piace pensare positivo” fin dall’infanzia Radish definiva i suoi fratelli il teppista e il fesso, nel vedere Turles fare gestacci immaginando di strozzare Goku, che invece non si era accorto di niente, potevano veramente definirsi tali.
“Eccomi. Ho fatto più in fretta che ho potuto. C’è voluto un po’ a capire che Hazel non era in casa, peccato che nel mentre avessi già avuto un’intera conversazione da sola credendo che lei fosse in camera sua” Bulma era entrata in ufficio in quel giorno di chiusura con le chiavi di cui tutti i dipendenti erano dotati e come era sua abitudine aveva preso a parlare ad alta voce senza neanche la certezza che Vegeta fosse davvero lì o nell’ufficio accanto “mi ha lasciato un post-it sul frigo dicendo che sarebbe stata fuori con un’amica tutto il giorno”. Dovette arrivare nel suo ufficio prima di rendersi conto, per la seconda volta, di star parlando da sola.
“Ti pareva” borbottò scuotendo la testa. Ma non ebbe il tempo neanche di pensare perché sentì la porta dell’ufficio chiudersi a chiave e, prima che potesse girarsi, un petto muscoloso si poggiò alla sua schiena.
“Credevo volessi parlare di lavoro”
“Forse. Ma più tardi”
“Che ne pensi della spiaggia?”
“Non vado in spiaggia” rispose Hazel gustando il proprio caffellatte al caramello, tornando da scuola e dirigendosi direttamente al Phoenix dove Radish la attendeva ne aveva ordinati un paio portandone uno espresso anche all’uomo.
“Non sei mai andata in palestra, non vai in spiaggia. Si può sapere come passi il tempo?”
“Principalmente videogiochi, ma mi piacciono i romanzi gialli. Avrò letto quasi tutto il repertorio di Glenn Cooper negli anni. Oh e mi piacciono le escape room, l’anno scorso sono andata a visitare una in centro insieme alla mia crew, sai quei tipi nerd con cui chatto”
“Oh e ci sei andata di persona o in video chat?” quantomeno non commentò il fatto che fosse già strano che conoscesse di persona i suoi cosiddetti amici su cui, tra l’altro, sentiva di non aver ancora indagato abbastanza.
“Spiritoso. Le escape room sono più divertenti dal vivo, non sai mai cosa potrebbe essere un indizio, al contrario di quelle online in cui spesso e volentieri il cursore cambia forma” spiegò continuando a scrivere appunti per la sua relazione di biologia.
“Mh hai da fare questo sabato?” Hazel non si scompose per il repentino cambio di discorso di Radish, neanche sollevò lo sguardo sull’uomo che, le bastava sapere, si trovava dietro il bancone.
“No” avrebbe potuto cominciare a studiare per il test di scienze, ma dal momento che non lo avrebbe fatto comunque non era proprio una bugia.
“Allora vieni qui con uno zaino o anche il borsone della palestra. Facciamo alle sette?”
Non sapeva neanche perché avesse acconsentito a questa follia, ma del resto aveva già fatto molte follie nelle settimane trascorse da quando aveva conosciuto Radish. Andava in palestra due o tre volte a settimana, che cazzo! Ironico per una persona che falsificava certificati medici per non fare l’ora di ginnastica. Quindi era stranamente alquanto tranquilla nel percorrere la strada verso il punto d’incontro con una borsa a tracolla in spalla.
“Vestiti comoda, oh e porta un cambio d’abiti. Scarpe da ginnastica e ciabatte di gomma se le hai, altrimenti ci penso io. Oh e non dimenticare il costume da bagno, potrebbe tornare utile”
Aveva delle infradito, un lascito di quando provò ad andare in piscina insieme a zia B, prima che la donna si facesse venire le paranoie sui germi. Fortunatamente i piedi avevano smesso di crescerle già a quattordici anni e ne era felice, ora almeno erano adatti alla sua altezza anziché farla sembrare un clown con le scarpe troppo grandi. Aveva invidiato Bulma per il suo trentasette e mezzo, piedini da principessa in confronto al suo quarantuno, ma vedendo la stazza di Radish non si sorprendeva più di tanto ora per le barche che indossava al posto delle scarpe.
Dunque, indossava le scarpe di tela scovate nel fondo del suo armadio e fortunatamente abbastanza comode da non farsi maciullare i piedi, dei leggings neri con una maximaglia sbracciata, ma c’erano alcune questioni su cui erano scesi a compromessi. Uscire di casa prima delle sette di mattina con Bulma ancora in casa? Impossibile, quindi era riuscita a stirare l’orario dell’appuntamento fino a quasi le otto, dicendo alla zia che sarebbe stata in giro con Maya e altri amici. Fortunatamente Bulma quando era sotto consegna di progetti non prestava molta attenzione a ciò che le accadeva intorno e se l’era cavata con un post-it sul frigorifero. Era triste, effettivamente, passare inosservata in quella maniera agli occhi dei propri parenti, ma sempre meglio questo che la pressante onnipresente nonna Bonnie. Fortunatamente è riuscita a raggiungere il Phoenix con un viaggio su un solo bus.
Il Phoenix avrebbe aperto tra pochi giorni e già aveva visto numerosi volantini sparsi per tutta la città che ne pubblicizzavano l’inaugurazione. Tutti e tre i locali di Radish erano diversi l’uno dall’altro: il Refinery, il primo locale, aveva mantenuto l’aspetto da fabbrica in disuso con qualche ammodernamento nel corso degli anni e decorazioni steampunk che Hazel adorava; il Corydoras si rifaceva all’habitat del pesce tropicale di cui portava il nome, un tripudio di verde, arancione, giallo e rosa, con luci colorate e murales su ogni parete a creare l’atmosfera da jungle disco; infine c’era il Phoenix più sobrio ed elegante con i pavimenti neri glitterati, le pareti anch’esse nere su cui spiccavano i murales a forma di fiamme rosse e arancioni, inoltre trattandosi di un edificio di nuova costruzione, Radish aveva voluto un soffitto alto e in vetro con le strutture portanti di ferro in vista, in modo che fossero le stesse luci della città a fare da soffitto al suo locale. Ma essendo tutto questo ancora un segreto, enormi pannelli di compensato circondavano l’edificio e solo gli autorizzati potevano superare la porta d’ingresso sorvegliata da vigilanti.
Le strade quel sabato mattina alle sette e quarantacinque erano insolitamente vuote, una vista a cui Hazel non era abituata ma che doveva essere abbastanza normale nei quartieri di movida, non le erano sfuggite infatti alcune persone con il trucco sbavato e i vestiti della vergogna che fermavano un taxi di passaggio per rincasare. L’auto di Radish, una decappottabile verde bottiglia metallizzato, era parcheggiata esattamente di fronte l’ingresso del Phoenix, dove la lasciava sempre e che sicuramente sarebbe stato il suo posto auto esclusivo. Chissà se ci avrebbe fatto scrivere il proprio nome con la vernice spray...
Senza ulteriori indugi, decise di entrare a sua volta, salutando la guardia del turno di mattina che aveva già timbrato il cartellino
“Buongiorno Ben”
“Buongiorno Hazel. Mattiniera oggi?”
“Colpa del tuo capo. Lo trovo dentro?”
“Certo, va pure” le novità e migliorie nel locale si notavano a prima occhiata, per esempio rispetto all’ultima volta era stato inserito il palchetto per il dj incorniciato da una struttura di metallo che doveva ancora essere decorata.
“No no non va bene. Questo rosso è troppo freddo”
“È rosso Rock, non può essere un colore freddo per principio”
“Oh ma che ne sai tu, non distingueresti le tonalità di rosso esistenti neanche se ci sbattessi il muso. Non è la tonalità per cui abbiamo pagato. Ho chiesto un rosso primavera brillante, non uno tendente all’autunno profondo” riconoscendo le voci di Radish e Diamond le seguì e girò l’angolo in tempo per vedere la donna spiattellare quello che sembrava un catalogo di colori all’operaio che doveva eseguire il lavoro.
“M-mi dispiace signora. Ho portato solo il colore che mi è stato detto. S-so che ci sono stati dei problemi con il macchinario che miscela i colori”
“Non credete di prendermi per fessa e ora chiamo immediatamente il responsabile, non me frega niente che è sabato mattina e sarà lui stesso a risolvere il problema a costo di dipingere personalmente la parete con un pennello da smalto” così dicendo Diamond diede le spalle ai due uomini e si allontanò con passo di marcia.
“Ciao Hazel” esclamò però quando l’ebbe raggiunta “scusa se non ti saluto come si deve, ma devo ricordare a qualche imbroglione con chi ha a che fare”
“Buon lavoro Rocky” a quel punto anche Radish aveva notato la presenza di Hazel e, facendole cenno con una mano, si rivolse un’ultima volta al pover’uomo che non aveva smesso di balbettare delle scuse.
“Senta, io ora devo scappare. Per qualsiasi cosa chieda o riferisca direttamente alla signorina Banks, sarà sicuramente più trattabile dopo aver sparso un altro po’ di terrore indiscriminato e rimarrà qui tutto il giorno per sovrintendere ai lavori. Per quanto riguarda il colore, partendo da una base scura e fredda come il nero serve un colore acceso e appariscente per ottenere l’effetto infuocato che noi vogliamo e per il quale paghiamo, ma non mi sembrava il caso di girare il dito nella piaga. In ogni caso, se ne occuperà la mia partner. Buona giornata”
Beh, c’era andato davvero molto leggero rispetto a quello che avrebbe potuto fare e dire, ma del resto Radish e Diamond avevano sempre avuto quell’atteggiamento da poliziotto buono e cattivo alternandosi all’occorrenza. Quando si trattava di terrorizzare la gente, Radish cedeva volentieri il posto all’amica che non solo aveva talento nell’incutere timore, ma le veniva anche alquanto naturale.
“Ehi Hazzy, sono già le otto?” in quei giorni lo aveva visto spesso e volentieri vestito in modo casual, ma quel giorno aveva un abbigliamento diverso dal solito. I jeans erano stati sostituiti da un paio di bermuda blu, una canottiera nera con sopra una camicia dalla stampa hawaiana con grandi fiori blu su sfondo azzurro, sulla fronte un paio di occhiali da sole neri che non aveva notato immediatamente tra i suoi capelli.
“Quasi, sono appena arrivata”
“Perfetto allora non perdiamo tempo”
Dopo quell’ora di viaggio su strade relativamente sgombre che permettevano di accelerare oltre il limite di 50 obbligatorio nei centri abitati, Hazel scoprì che le piaceva la guida veloce, decisamente non paragonabile con la guida ansiosa di sua zia il cui tragitto più lungo fatto era fino a Pasadena e ritorno, oppure quella lenta da lumaca dei suoi nonni. Radish aveva una guida sportiva, un modo gentile per dire che gli piaceva correre, ciononostante era molto attento a ciò che gli accadeva intorno, fuori e dentro l’auto. Le aveva dato libera sulla scelta della musica e alla fine avevano trovato un compromesso su una stazione che trasmetteva i Nirvana, trovandosi anche a cantare a squarciagola i ritornelli di alcuni brani particolarmente conosciuti.
Man mano il paesaggio cambiò, furono velocemente fuori LA ma ci volle circa un’ora per arrivare a destinazione.
“Eccoci qua” esclamò Radish parcheggiando l’auto talmente vicino alle gradinate che se avesse avanzato ancora un po’ si sarebbero trovati direttamente sulla spiaggia. Hazel ammirò con tanto d’occhi e la bocca aperta il luogo incantevole in cui l’aveva portata.
“Wow. Mi hai davvero portato in spiaggia?”
“Non una spiaggia qualsiasi, siamo a Laguna Beach. Il posto migliore per fare le immersioni, snorkeling e, soprattutto, surf. Su scendi” Hazel non riusciva a crederci e Radish si compiacque di quella espressione estasiata. Radish si era preparato a dovere per questa gita: aveva portato una borsa frigo con il pranzo fatto rigorosamente preparare da sua madre, i teli da spiaggia, berretti da baseball ed era nuovamente passato al negozio di articoli sportivi dove aveva comprato una muta da sub con la cerniera davanti che Hazel avrebbe potuto indossare tranquillamente sopra il costume. La spiaggia doveva essere pubblica, oppure lo era in quel periodo dell’anno, e in cima a una scalinata c’era un chiosco che affittava anche tavole da surf e l’attrezzatura per le attività turistiche, principalmente roba per turisti perché ogni abitante di LA che si rispetti solitamente portava la propria.
“Avrei voluto portare la mia tavola” esordì Radish quando raggiunsero, carichi come asini, il punto sulla spiaggia in cui avrebbero posizionato la loro roba “ma è da un po’ che non la uso e avrei dovuto trattarla prima di metterla di nuovo in acqua. E purtroppo temo che quando la ritroverò in soffitta andrà bene solo per essere buttata”
“Fai spesso surf?”
“Non quanto vorrei. Da quando ho imparato l’ho fatto per ogni estate, poi una volta al college andavo in spiaggia ogni volta che avevo bisogno di staccare la spina. Negli ultimi anni è diventato un po’ più difficile mettere da parte il lavoro per uno svago che mi avrebbe tolto almeno mezza giornata, a meno che non avessi voluto andare in spiaggia direttamente a LA, cosa non facile quando la tua faccia e sulle riviste” immediatamente si tolse scarpe, camicia e maglia e, prima di riporli nel proprio zaino, porse ad Hazel un flacone giallo.
“Crema solare, ho preso la protezione più alta. Vada che hai la muta da sub, ma non copre tutto. E metti il berretto da baseball quando sei al sole” Hazel ridacchiò accettando il flacone e applicando un’abbondante dose di prodotto sul viso pallido.
“Hai fatto una lista delle cose da dire e di cui assicurarti? Comunque apprezzo che la muta non sia accollata come il costume intero che mi hai preso l’ultima volta”
“Spiritosa, ha la scollatura regolabile con la cerniera” legò quindi i capelli mostruosamente lunghi con un elastico “Sai nuotare?”
“Sì. Ho provato ad andare in piscina con mia zia per un po’, poi ha incominciato ad andare in paranoia per i germi. Comunque sono andata abbastanza da imparare a nuotare” Radish annuì e le porse un elastico perché legasse a sua volta i capelli, anziché una coda Hazel si fece una treccia veloce. Osservando l’uomo con la coda dell’occhio Hazel ebbe la conferma di quanto fosse in forma, cosa che già immaginava date le magliette aderenti che portava in palestra. A sua volta però era fiera delle proprie forme tonificate con l’allenamento, non le era mai interessato realmente il proprio fisico ma sicuramente qualche mese prima non sarebbe riuscita a sfilarsi la maglietta senza vergognarsi, motivo in più per non essere andata in spiaggia se non per starci completamente vestita.
“E vuoi surfare oggi?”
“Meglio. Lo insegnerò anche a te” Hazel sgranò gli occhi, questa volta per il terrore, ma a nulla valsero i suoi tentativi di dissuadere l’uomo.
“E se cado? Sono alta e se aggiungiamo a questo circa un metro di onda che mi dà lo slancio e poi si ritira, e se prendo un angolazione sbagliata potrei sbattere la testa. Ok, magari non romperò il cranio ma potrei perde i sensi. O potrei perdere sangue dal naso e questo attirerebbe gli squali”. Niente spinse Radish a compassione, ma ammirò la sua fantasia nell’immaginare scenari drastici.
Per quanto la California fosse caratterizzata dal clima tropicale, l’acqua dell’oceano era fredda, soprattutto di mattina, motivo per cui i surfisti erano soliti indossare mute da sub. Radish doveva fare eccezione su questo perché entrò in acqua con i soli bermuda blu. La tavola che aveva scelto, come ci tenne a spiegare per darle più sicurezza, era una longboard lunga due metri e mezzo e progettata per garantire stabilità, scelta appositamente per la sua lunghezza in modo che li avrebbe tranquillamente retti entrambi a bordo.
“Quindi posso stare semplicemente lì seduta mentre tu fai tutto il lavoro? Come fanno in Lilo e Stitch?” Radish girò gli occhi al cielo, prima di quel pomeriggio a causa sua non aveva mai visto il cartone animato che Hazel gli rivelò essere tra i suoi preferiti, non a caso aveva recitato con il labiale quasi tutte le battute.
“Lilo è una bambina alta al più mezzo metro e un biscotto. Ma, se ti fa tranquillizzare e se serve a scioglierti, sì possiamo farlo” questo le strappò un sorriso felice e annuendo recuperò la propria sport camera come nuova, intenzionata a non perdersi neanche un momento della sua prima esperienza. Rimase tutto il tempo seduta sui polpacci, accovacciata per non sbilanciarsi e cadere mentre Radish, in piedi dietro di lei, muoveva la tavola con abilità distribuendo il peso da una parte e dall’altra. Fu la cosa più bella che avesse mai fatto fino a quel momento, seppure entro la fine della giornata divenne solo la seconda.
“Va a posare quell’affare ora, non voglio che rischi di perderla ora che facciamo sul serio” Hazel non se lo fece ripetere due volte e corse a riva – o forse sarebbe più accurato dire che arrancò leggiadra come una foca – e anziché lasciare la videocamera sul telo la posizionò in modo che continuasse a riprenderli. Erano nell’acqua alta e questo significava che ci si doveva issare per riuscire a salire sulla tavola, ma fortunatamente per Hazel era una giornata tranquilla con sporadiche onde degne di essere cavalcate, sicuramente una giornata fiacca e noiosa per gli esperti come Radish, ma l’uomo non ebbe mai da lamentarsi. Nei momenti morti sedevano uno di fronte all’altro con le gambe penzoloni ai lati della tavola e chiacchieravano. Radish le aveva spiegato la teoria dietro ogni movimento e come riconoscere un’onda, ma le aveva anche raccontato di tutti i suoi tentativi falliti.
“Ci siamo Hazzy, quella è l’onda giusta. La vedi?” esordì alzandosi in piedi e porgendo la mano alla ragazzina per aiutarla a fare altrettanto senza sbilanciarsi. L’onda in questione era un’ombra più scura delle altre che riusciva quasi a vederne il moto ondoso.
“Adesso la prendiamo” esordì Radish stendendosi a pancia in giù sulla tavola “resta seduta lì finché non te lo dirò io, dopodiché alzati e avvolgi le braccia intorno al mio collo” con un paio di forti bracciate, Radish li mise in posizione con l’onda dopodiché si alzò in piedi dandosi la spinta con le braccia, Hazel non fu così rapida ma l’uomo sembrava non avere fretta. Hazel era alta per la sua età eppure dovette alzarsi sulle punte per riuscire ad afferrarsi le mani l’una con l’altra davanti alla gola di Radish. Poi, d’un tratto le mancò la solidità della tavola sotto i piedi. Tenendola per le braccia Radish la spinse oltre la tavola per farle fare un mezzo giro intorno a sé e nel tempo di un battito di ciglia se la mise davanti. Lo scroscio dell’acqua si confondeva con il battito del suo cuore nelle orecchie di Hazel e dovette affidarsi solo ai gesti, imitando Radish si piegò sulle ginocchia e aprì le braccia lungo la lunghezza della tavola per mantenere l’equilibrio. I raggi del sole riflettevano sull’acqua e contro la luce forte del giorno si potevano vedere le piccole gocce nell’aria trasportate dal vento, ovunque era tutto meravigliosamente azzurro.
Per tutto il tempo l’uomo la tenne saldamente con una mano in vita e ogni volta che voltava lo sguardo nella sua direzione Hazel vedeva un enorme sorriso, specchio del proprio, che gli illuminava il viso. Non seppe dire quanto durò, ma così come li aveva trasportati, l’onda li superò quando Radish spinse la tavola fuori dal moto. A quel punto le gambe tremanti cedettero sotto il suo peso e si trovò di nuovo seduta sulla tavola obbligando Radish a barcollare un po’ per non cadere in mare, anche se in quel momento con il cuore che batteva ancora a mille e l’adrenalina alle stelle non ci fece caso.
“È stata la cosa più bella che abbia mai fatto in vita mia” esordì con un tono abbastanza basso che si sentì appena sopra il rumore delle onde, di fatto Hazel non fu certa che l’uomo l’avesse sentita finché non sollevò lo sguardo su di lui ora seduto al suo fianco.
“Possiamo rifarlo?”
“Onde permettendo, tutte le volte che vuoi nocciolina” rispose arruffandole i capelli bagnati sulla sommità del capo. Questa volta Hazel non ebbe da ridire.
“Ehi ehi ehi. Ferma un po’” Hazel tornò nella cucina da cui era appena uscita tamponandosi i capelli bagnati con un telo. Era stata una fortuna che Bulma non fosse in casa quando Hazel rientrò dopo la mezza giornata fuori con Radish, aveva avuto il tempo di farsi una doccia, lavare anche la muta e il costume da bagno. Come suo solito dopo la doccia si era poi trovata a girovagare per casa senza una meta con pantaloncini e un top corto che lei definiva da battaglia perché lo aveva da anni e, per quanto si fosse striminzito sul suo fisico che stava cambiando, non era intenzionata a liberarsene.
“Che c’è zia?” Bulma riattaccato la chiamata, motivo per cui Hazel non l’aveva disturbata appena rientrata in casa.
“Stai davvero bene. Non che prima stessi male, ma mi sembri più... tonica” Hazel inarcò le sopracciglia. E lo credo bene! In palestra è un gioco al massacro.
“Mah... Ultimamente cammino di più, sai per compensare le tante ore che resto seduta a scuola o davanti al computer” Bulma annuì distrattamente senza smettere di squadrarla, una cosa a cui Hazel era abbastanza abituata per cui riuscì a nascondere il disagio di quel particolare momento. Sua zia non aveva mai praticato sport, lei era una di quelle fortunate persone ad avere un metabolismo veloce, e non avrebbe neanche potuto praticare nulla per più di qualche giorno, non con i suoi ritmi tutti sregolati. Quindi, sua zia non avrebbe capito che stava mentendo solo osservando quei piccoli cambiamenti nel suo aspetto, VERO???????
“Mh hai ragione. Che palle! Dovrei decidermi anch’io a fare un po’ più movimento, sto ingrassando a furia di spostarmi da una sedia all’altra” borbottò la turchina svuotando la busta della spesa sul tavolo, per abitudine Hazel cominciò ad aiutarla.
“Mi sembri sempre uguale. Ma se proprio vuoi partire da qualcosa che ne dici di ridurre il consumo di queste merendine iper caloriche e zuccherate?” chiese mostrandole una confezione formato famiglia di muffin tutti i gusti ricoperti di zuccherini – solo sua zia avrebbe avuto il coraggio di mangiare un muffin al bacon e mirtilli
“Quelli mi servono per le notti bianche passate a programmare. Praticamente sono un brunch completo”
“E dovresti smettere di fumare. Altrimenti non riusciresti a percorrere neanche cinque metri senza l’affanno”
“Sai, ci ho ripensato. Tienimi fuori dalla tua nuova vita salutare. A me piace essere felice e ovviamente voglio che lo sia anche tu. E se quindi fare sport ti rende felice continua pure a fare quello che stai facendo” Hazel rise, ma evitò di rispondere. Non era mai stata il tipo di persona sportiva che si gasa quando riesce a finire le ripetizioni nel tempo limite o di quelli fissati che si pesano ogni mattina e decisamente non la rendeva felice avere i muscoli a pezzi i due giorni successivi a qualche cambiamento nel suo percorso di allenamento. In realtà le piaceva il proprio corpo e di certo non se ne vergognava nonostante indossasse spesso abiti oversize. Quindi, indubbiamente, non era lo stile di vita salutare a renderla felice, quanto piuttosto vedere Radish sorriderle orgoglioso e darle il cinque.
“Oh quasi dimenticavo” immersa com’era nei suoi pensieri, Hazel sobbalzò portandosi una mano al petto per lo spavento quando Bulma le si rivolse un’ottava sopra il normalmente consentito.
“Fatti bella stasera che usciamo con le ragazze” Hazel inarcò un sopracciglio.
“E devo venirci anche io?” non che non volesse trascorrere del tempo con sua zia, ma una giornata al mare aveva le ossa così a pezzi che avrebbe solo voluto buttarsi a letto e dormire fino al giorno dopo.
“Certo che vieni anche tu. È una serata tra sole donne, vengono anche Allison, Rosicheena e Videl e se ti va puoi chiedere alla tua amica Maya di unirsi a noi”
“Non saprei zia, mi sento un po’ stanca” replicò versandosi un bicchiere d’acqua per prendere tempo.
“Oh ma andiamo! Ultimamente mi rendo conto di star lavorando troppo, praticamente non parliamo più neanche a cena perché sono sempre incollata al computer”
“Zia B nessuno te ne sta facendo una colpa. È normale mettere la carriera al primo posto e io stono comunque abbastanza autosufficiente”
“È l’occasione giusta per trascorrere un po’ di tempo con la tua ancora giovane ma molto esaurita zia. Marion ha proposto di andare tutte a ballare al Refinery” il sorso d’acqua le andò inevitabilmente di traverso e si trovò presto in preda ai colpi di tosse.
“Il Refinery?” riuscì a gracchiare con un filo di fiato, ma dovette schiarirsi la voce per riuscire a mettere qualche parola comprensibile una di seguito all’altra.
“Un motivo in più per declinare l’invito. Che ci vengo a fare io in una discoteca?”
“Beh potresti sfoggiare il bel fisichetto che hai messo su e provare a divertirti come le ragazze della tua età. Ci sono! Ti faccio provare un cocktail e poi ci scateniamo in pista da ballo”
“Sono minorenne zia B”
“E fin troppo bacchettona. Alla tua età io avevo già scolato due o tre birre, ma effettivamente non sono il migliore degli esempi da seguire” mormorò la maggiore poggiandosi teatralmente con il mento sulle mani “Andiamooooo! Fallo per me. Non mi va di uscire e lasciarti un’altra volta sola a casa. Domani è domenica, dormiremo fino a tardi e rimarremo tutta la giornata in pigiama a guardare reality show”
“Questa sì che è una proposta allettante... Che il pre che non mi convince, zia” il sorrisino che si era fatto strada sul viso di Bulma fu soppiantato da un broncio palese e infantile, con tanto di occhi da cucciolo e labbro tremolante.
“E poi non saprei che mettermi” battaglia persa in partenza, perché ovviamente Bulma aveva già deciso per tutte e due e, probabilmente, aveva ben chiaro in mente come acconciare la nipote.
Alla sola vista della fila di persone in attesa per entrare al Refinery, Hazel si pentì per la terza volta di essersi fatta trascinare fin lì. La prima volta era stata quando Bulma aveva tirato fuori da dietro la porta della sua camera una busta contenente un top bianco che si allacciava dietro il collo e lasciava l’ombelico scoperto e una sorta di minigonna nera con sopra una gonna di tulle, anch’esso nero ma tempestato di brillantini, che invece arrivava fino alle caviglie. In qualche modo riuscì a scappare dalla gonna optando per un paio di pantaloni aderenti in finta pelle e dei sandali brillanti senza tacco che invece non era riuscita a declinare. La seconda volta invece era stato quando Bulma – ovviamente c’entrava ancora lei – aveva deciso di truccarla per la serata, fortunatamente Bulma non era il tipo di persona che metteva chili di prodotti e con solo eye-liner e mascara avevano completato l’opera. Sicuramente si vedeva abbastanza carina, ma si sentiva un pesce fuor d’acqua, diciamo che a suo parere chiunque altra sarebbe stata meglio di lei in quei panni.
“Ricordami perché mi sono fatta convincere” mormorò Hazel più a sé stessa che alla zia che camminava davanti a lei insieme a Maya. L’amica fortunatamente aveva le retto il gioco sulla loro giornata in spiaggia a patto che Hazel le raccontasse tutto e si era unita volentieri al gruppo, anche solo per mettere Hazel un po’ in imbarazzo.
“Perché non puoi continuare a stare chiusa in camera davanti a un computer. In secondo luogo perché mi sembra di essere la matrigna di Cenerentola a uscire con le mie amiche mentre tu resti chiusa in casa. Hai bisogno di svagarti e se ci sono anche io sono tranquilla persino a farti andare in discoteca. Oh ecco Allison e Rosicheena” nonostante la differenza d’età, le due si erano integrate molto bene nel gruppo di amiche e Hazel era certa che attirassero l’attenzione con il loro aspetto sobrio e curato anche più di quelle sgallettate il cui abbigliamento lasciava sempre meno all’immaginazione. Bulma non era di quelle che andavano in giro mezze nude, le piaceva sentirsi bella senza per forza essere circondata da morti di figa. Era quindi stata sempre molto oggettiva nel dire che le sue datrici di lavoro fossero su un altro livello, Marion con il suo due pezzi glitterato giallo attirava sì gli sguardi ma solo quelli, la differenza è che a lei stava bene così.
“Siete arrivate finalmente” esclamò con la sua voce squillante, così acuta che i cani impazzivano in sua presenza e non era ben chiaro a nessuno se la facesse apposta oppure no.
“Scusate il ritardo, abbiamo parcheggiato praticamente dall’altra parte del mondo” esordì Bulma rispondendo ai baci sulle guance da parte delle sue amiche.
“Hazel sei uno schianto!” disse Lunch salutando la più giovane del gruppo, i capelli biondi che la distinguevano da sua sorella gemella che invece erano nero-blu lasciati sciolti e tenuti indietro da una fascia per capelli rossa. Hazel andava abbastanza d’accordo con le due, per quanto fosse assurdo date tutte le loro differenze caratteriali, e la bionda in particolare la apprezzava per la sua personalità esplosiva. Sapeva che Lunch era arruolata nell’esercito, motivo per cui trascorreva molto tempo oltreoceano, Laura invece lavorava in una pasticceria di cui era co-proprietaria. La prima stravagante e agguerrita, la seconda dolce e timida, gli opposti in ogni senso della parola.
Riuscirono a entrare dopo altri dieci minuti d’attesa, impiegando quel tempo in chiacchiere prima di essere assordate dalla musica esageratamente alta. Come volevasi dimostrare quel sabato sera non faceva eccezione a qualsiasi altro sabato sera nei locali di movida, in particolar modo per quelli locali di cui Radish Son era il proprietario. Ma questo Hazel lo sapeva perché ne aveva parlato con lui. Sperava a tal proposito che non avesse scelto di trascorrere la serata al Refinery anche Radish, che solitamente per il locale in cui trascorrere il sabato sera era una scelta fatta totalmente a caso.
“Smettila di pensare!” esclamò Maya colpendo Hazel con una gomitata, a causa della musica era costretta ad alzare la voce a ridosso dell’orecchio dell’amica per farsi sentire
“Sei tesa come una corda di violino. Se non ti sciogli un po’ finirai per farti notare e non in positivo” si scostò quindi con un sorriso “Andiamo. Prendi il meglio della serata fuori dalla tua confort zone e divertiti”
Non era stata spesso al Refinery che, trovandosi nella zona universitaria, era leggermente fuori dal suo campo di azione. Era molto più facile trascorrere del tempo con Radish al Corydoras o al Phoenix, di cui persino il nome era ancora un segreto per il resto del mondo. I giornali e numerosi post sui social parlavano dell’imminente apertura del terzo locale. Non avevano ancora aperto, anzi non avevano neanche una data per l’inaugurazione, ma le prevendite erano andate a ruba assicurando il pienone per almeno i primi due mesi dall’apertura.
“Gran bel posto... Ci pensi che quando è stato aperto né tu né io eravamo ancora nate?” chiese Maya guardando la sala alla ricerca di un posto per sedersi.
“Ha il suo fascino. Anche se non credo di essere il tipo di persona che frequenta questi posti” centinaia di persone vestite per la maggior parte in modo appariscente affollavano l’ambiente riempiendolo di colori fosforescenti su cui rimbalzavano le luci laser del locale. Proprio non riusciva immaginarsi in quel contesto, ma magari con qualcosa di diverso...
“Che ne pensi dei locali a tema nerd?”
“Che se ne facessi veramente parte non li definiresti così”
“Vabbé non fare la puntigliosa” replicò Radish mettendo il broncio “Quali caratteristiche dovrebbe avere un locale per attrarre quella parte di consumatori? Va meglio così?”
Hazel si appoggiò allo schienale portando una mano al mento con fare pensieroso.
“Non saprei . Frequento più gli internet café che le discoteche... Forse avere caratteristiche multifandom. Dovrebbe avvicinarsi più a una fiera del fumetto per i cosplay che una discoteca vera e propria” sbloccò il proprio cellulare cominciando a fare ricerche su pinterest.
“Che strano. Credo che non esista niente del genere” poi, veloce come un razzo, si buttò sul divanetto su cui era seduto Radish “però guarda” esclamò scorrendo una carrellata di immagini così velocemente che l’uomo a stento riuscì a capire cosa stesse guardando “potresti avere un locale neutro e addobbarlo ogni settimana con un tema diverso che sia anche un dress. Meglio ancora, ogni mese. Per esempio ottobre è facile: tema halloween. Potresti creare un calendario a parte solo per questo locale. Ecco guarda, questo è Nightmare Before Christmas. Per alcuni di noi è una sorta di bibbia pagana quanto il signore degli anelli o Harry Potter”
“Metti caso che decida di mettere in cantiere questo progetto. Mi darai qualche consiglio? Me ne intendo di locali, ma il mondo dei fandom mi è del tutto inesplorato”
“Ci si può lavorare”
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 9
Quanto vorrei imparare anche io a fare surf, sfortunatamente non credo che le onde di qui siano paragonabili a quelle dell’oceano e, ancor più sfortunatamente, ho una paura blu degli squali. Quindi neanche quel gran figo di Radish con i bermuda riuscirebbe a convincermi!
Hazel è meno restia di me e quindi ha potuto fare questa splendida esperienza. L’intera scena madre del capitolo è stata ispirata da un video che ho visto su instagram tempo fa, in cui un uomo faceva surf con un bambino che immagino fosse sul figlio. Mi sembrava un bel ricordo da creare per i miei due protagonisti.
In generale, credo che questo sia tra i miei capitoli preferiti della storia.
Le scene del breve diagolo tra Bulma e Vegeta e anche il seguito sull'uscita tra amiche non mi convincono molto in realtà. Il primo citato solo veramente decisa a cancellarla, ma qualsiasi commento è ben accetto.
Alla settimana prossima |
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Capitolo 10 *** Capitolo 10: Le bugie hanno una data di scadenza ***
Capitolo 10: Le bugie hanno una data di scadenza
“Questo non me l’aspettavo” esordì carezzandole la coscia destra, Bulma sorrise ad occhi chiusi per poi voltarsi verso di lui poggiandosi su un gomito.
“Sì può avere tatuaggi ed essere nerd, Prince. Il mondo non è solo bianco o nero”
“Mai detto. Ma mi aspettavo, che so, uno di quei tatuaggi piccoli e tipicamente femminili. Perché questa scelta?”
Si trattava del tatuaggio di una giarrettiera di pizzo intorno alla coscia destra. L’idea iniziale era di aggiungervi un’arma, come una pistola o un pugnale, ma alla fine decise di lasciare solo una striscia di pizzo più dettagliato possibile.
“Mia sorella Kida, per via della sua malattia, è sempre stata la priorità della mia famiglia. Non fraintendermi, siamo sempre state molto legate e non le ho mai rinfacciato nulla, ma decisi che se lei era costretta a stare sotto una campana di vetro allora io avrei vissuto a trecentosessanta gradi per tutte e due. Così un giorno sono tornata a casa con mezza testa rasata a ghirigori floreali, il sopracciglio attraversato da una finta cicatrice che erano soliti portare i ragazzi,e il tatuaggio sulla coscia, ben visibile dai jeans a cui avevo tagliato una gamba. I miei inorridirono, ma Kida aveva gli occhi che brillavano” Vegeta non aveva mai smesso di carezzare la gamba nuda con gesti pigri.
“Poi sono arrivati gli altri tatuaggi e orecchini e non escludo che possano arrivarne altri in futuro” con gesti altrettanto pigri anche Bulma aveva cominciato a sfiorare con la punta delle dita attraversando il disegno tribale che Vegeta portava sul tricipite.
“Una volta Rosy mi ha mostrato una foto in cui eri in costume da bagno e questo tatuaggio era decisamente visibile, ma non avevo notato tutti questi dettagli”
“Ci sono le iniziali della mia famiglia. Mi sembrava una buona idea dimostrare in qualche modo tengo a loro” analizzando i ghirigori Bulma riuscì a trovare tutte le lettere: due V, una R e una T.
“È ovvio che ci tieni, chi potrebbe avere dubbi” oltre questo però Vegeta aveva altri due tatuaggi: uno squalo manta maori sul fianco e sull’avambraccio la piccola frase “one of three” in carattere courier.
“E questi altri? C’è una storia dietro?” Vegeta trattenne un ghigno sollevandosi su un gomito per esserle di fronte.
“Il manta l’ho fatto durante il primo viaggio in Polinesia, più un capriccio che altro. Poi tornato a casa Videl ha fatto ricerche sulla simbologia maori e mi ha riferito che per le popolazioni polinesiane, hawaiane e per i maori la manta simboleggia il mistero, la magia e l’oscurità” Bulma inarcò le sopracciglia brontolando qualcosa che somigliava a un “Ovviamente”.
“Questo invece lo abbiamo fatto tutti insieme” continuò indicando la scritta “ovviamente ognuno con il proprio numero. Ironicamente era Tarble a frignare come un bambino, immagino che tu sappia della sua fobia per gli aghi”
“Oh sì. Talvolta Hazel per dispetto gli domanda ancora se le farà compagnia tenendole la mano quando sarà il suo turno di fare il primo tatuaggio” tra i due calò un silenzio rilassato che fu Vegeta a interrompere
“Come va con tua nipote? Mi sembra più... tranquilla ultimamente”
“Hai ragione. Sembra andare tutto molto bene in questo momento. sono ben tre settimane che non ricevo telefonate dalla scuola. E la mattina sembra andare a scuola più volentieri rispetto al solito”
“Dunque, Hazel, parliamo di cose serie” Hazel l’osservò di sottecchi aspettandosi una domanda a trabocchetto che sarebbe stata nel perfetto stile di Radish “Ormai ci conosciamo da mesi, eppure ho appena realizzato che sei un’adolescente”
“Però, che occhio!” borbottò continuando a scrivere sul suo cruciverba, ma Radish continuò il suo discorso fingendo di non averla sentita
“eppure non mi hai detto se frequenti qualcuno” Hazel arrossì, se possibile, fino alla radice dei capelli.
“I-io non so... Ma come ti viene in mente?” dopo alcuni attimi di smarrimento sgranò gli occhi e si stampò in faccia un’espressione oltraggiata “e poi non sono affari tuoi” Radish sogghignò segnandosi mentalmente la vittoria in questa battaglia.
“Andiamo... Guarda che è normale, io avrò perso il conto di tutte le ragazze a cui sono andato dietro al liceo, sono pur sempre esperienze e ti assicuro che la maggior parte delle volte poi non ci ricorda neanche che faccia abbiano i compagni di liceo” si bloccò un attimo con espressione curiosa “anche se effettivamente ricordo di una certa Mary Sue o Mary Lue, aveva un davanzale niente male”
“Non c’è nessuno!” esclamò prima che il maggiore continuasse con i suoi aneddoti passati “e non ci sarà ancora per molto tempo” finì tirandogli un pugno sul bicipite che accusò più lei sulle nocche che lui sul braccio. L’uomo neanche provò a ignorare quando Hazel scosse la mano per alleviare il dolore.
“Parlando di cose ancora più serie” esordì la giovane cambiando radicalmente argomento “Come lo capisco se qualcuno è abbastanza grande per servirgli alcolici? Nella calca delle serate piene non c’è il tempo per chiedere i documenti e controllarli”
“Domanda intelligente che richiede una risposta semplice: ci pensano i buttafuori” vedendo la confusione sul viso di Hazel l’uomo continuò il discorso “È una strategia che abbiamo messo in pratica dalla primissima serata e fin’ora ne sono molto soddisfatto” iniziò estraendo due timbri dal cassetto della scrivania
“Tutti i miei locali sono bar ma anche discoteche e quindi all’ingresso viene timbrata una mano, i buttafuori controllano i documenti e usano uno o l’altro timbro: quello a forma di bicchiere da martini per chi può bere alcolici e l’altro per i minorenni, che a seconda del locale è un pesce tropicale, un ingranaggio o una palma. Le luci UV fanno il resto rendendo ben visibile il logo” Hazel sgranò gli occhi osservando i timbri che Radish, molto soddisfatto della propria idea, le aveva messo davanti.
“Ingegnoso”
“E questo non è niente, ho trovato una soluzione anche per i documenti falsi. Di patenti false ne girano sempre e quando non siamo convinti di una di queste semplicemente faccio controllare il codice fiscale, nessun moccioso pensa mai a falsificare quello” poi con fare paternalistico e un po’ ironico la indicò con un dito “Non azzardarti a provarci, su queste cose sono un segugio e me ne accorgerei a una sola occhiata e sono un tipo influente, troverei il modo di impedirti l’accesso in qualsiasi locale di LA e dintorni”
“Ho capito, ho capito. Niente alcol fino ai vent’un anni”
“Brava ragazza. Ora muovi il culo e vieni al bancone bar. Nuova lezione, il ghiaccio” armata di un sorriso a trentadue denti e un blocco per appunti, Hazel osservò Radish muoversi dietro il bancone su cui adagiò un paio di bicchieri bassi con ghiaccio.
“Non hai idea di quanto mi urti sentire fammelo con poco ghiaccio. Pensi che si allunghi di meno il cocktail? Stronzate” Radish pose un bicchiere vuoto sul bancone e ne prese in mano un altro insieme anche a un cucchiaio.
“Con poco ghiaccio in realtà si scioglie prima” disse versando nel bicchiere vuoto l’acqua del ghiaccio sciolto, subito dopo prese il secondo bicchiere più pieno e versò anche questo dimostrando come si fosse formata una quantità decisamente minore di acqua.
“Con la giusta quantità abbiamo una giusta diluizione” attese un momento che Hazel spostasse di nuovo lo sguardo su di lui, dopodiché accantonò il materiale appena usato e prese da sotto il banco un nuovo bicchiere e uno shaker in cui miscelò velocemente un cocktail.
“Il cubotto si usa per quei cocktail già diluiti per mantenere la freschezza” prese quindi il cubo di ghiaccio appena nominato e lo adagiò con le pinze in un bicchiere per poi versarci il drink preparato. Di nuovo, appena ricevuto un cenno da Hazel, accantonò il bicchiere e ne prese un altro ancora.
“Il ghiaccio tritato si usa invece per i cocktail caraibici che di solito sono molto carichi di sapore in modo da alleggerire la parte alcolica e ampliare quella aromatica” era un po’ una tortura per Hazel vedere preparare e a sua volta imparare le ricette dei cocktail senza avere il permesso di assaggiarne neanche un sorso a causa della giovane età, ma era una delle cose su cui l’uomo era stato più intransigente.
“Ovviamente esistono alcune eccezioni. Per esempio: come si prepara un mojito? Non rispondere, è una domanda retorica” la interruppe in partenza con un gesto stizzito della mano. Intorno a loro i barman e i camerieri stavano formando un pubblico curioso di vedere il grande capo in veste di insegnante.
“Cominciamo spremendo il lime, attenzione va spremuto non schiacciato per evitare l’amaro degli oli essenziali della buccia e anche perché quasi nessuno lava i lime prima di metterlo nel bicchiere” con movimenti fluidi dati dall’abitudine mise il lime nello spremi agrumi spiegando ogni passaggio e dando ad Hazel e gli altri il tempo di annotare quanto stava dicendo. Poi prese due bottiglie e il misurino da cocktail
“Zucchero di canna liquido, usare quello in grani sarebbe come mangiare gli spaghetti alle vongole con la sabbia. Rum bianco, perché quello scuro è troppo dolce per un cocktail in cui c’è già lo zucchero” e aggiunse al bicchiere la stessa quantità dei due liquidi
“Ghiaccio intero perché con quello tritato si annacqua. Foglie di menta, si schiaccia solo il gambo perché lì ci sono tutti i profumi della menta e lo si mette dentro il drink insieme alle foglie strappate” l’intero rametto di menta fu immerso nel bicchiere intorno al giaccio “Poi un po’ di soda, come fanno a Cuba, e la cannuccia”
“E tu sei mai stato a Cuba?”
“Una toccata e fuga, ma potremmo organizzarci e andare insieme e ti va” nel mentre spostò il drink appena preparato lungo il bancone senza spostare lo sguardo dalla ragazza ma, prima che potesse arrossire per la proposta, si affrettò a cambiare discorso.
“I segreti del Gin Tonic. Prendi appunti perché qui è molta teoria”
Com’era ormai diventata una loro abitudine, dopo l’allenamento in palestra erano andati a mangiare qualcosa insieme, dopo quella prima volta in cui avevano scelto un locale nelle vicinanze quelle successive avevano optato per la tavola calda di Gine o qualcosa presa a portar via e consumato nell’ufficio del Refinery, Corydoras o Pheanix, come in questa occasione. E come di consueto, fattesi quasi le cinque Hazel decise che era ora di andare, gambe di gelatina permettendo. Bastarono infatti i primi passi sul marciapiede per farla pentire di aver strafatto con l’allenamento ben sapendo di dover tornare a piedi.
“Dai salta in macchina. Ti accompagno io” esordì Radish raggiungendola a una velocità tale che Hazel pensò fosse uscito direttamente dai suoi pensieri.
“Non serve, tranquillo. Posso prendere la metro”
“Non mi va che prendi la metro dopo quando ti sei massacrata oggi” replicò Radish storcendo la bocca. Hazel si grattò la nuca, molto tentata di accettare la proposta ma altrettanto insicura se fosse o meno una buona idea.
“E poi sei già stata in auto con me, non è la fine del mondo”
“D’accordo” cedette alla fine “ma solo perché sento davvero tremarmi le gambe questa volta. Ricordami di non fare mai più una cazzata come quella di oggi” Radish sorrise e dopo essere saliti in auto mise in modo per partire. Per tutto il viaggio, questa volta guidando in maniera un po’ meno spericolata, lo trascorsero cantando, anzi stonando a squarciagola le canzoni dei Queen con cui Radish stava costruendo una cultura musicale in sua figlia perché, parole sue, non poteva condividere il suo patrimonio genetico e avere pessimi gusti musicali.
“Abito qui vicino. Posso scendere qui così non sei costretto a fare inversione” esordì Hazel abbassando il volume quando arrivarono nella via in cui si trovava l’appartamento.
“Non dire idiozie. Non mi cambiano niente altri dieci metri” replicò Radish guardandola di sottecchi, Hazel dal canto suo si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, in evidente disagio.
“Tutto ok Hazzy?”
“Mh? Sì sì, tutto bene” tirò quindi un respiro profondo e recitò mentalmente una preghiera. Zia B doveva essere a lavoro a quell’ora ed era solita più fare ritardo che essere in anticipo. Di certo le cose non sarebbero cambiate quella prima volta in cui Radish l’accompagnava a casa. Giusto?
Il quartiere in cui abitavano Hazel e Bulma era un quartiere residenziale a reddito medio non troppo diverso da quello in cui abitava Radish, sebbene con la sua fama e i fondi potrebbe permettersi molto di più senza sforare più di tanto il budget.
“La zona sembra carina” Hazel scrollò le spalle e scese dall’auto quando non era neanche del tutto ferma a lato della strada.
“Ehm io devo scappare, ci sentiamo”
“Piano scheggia, cos’è tutta questa fretta oggi?”
“Ma niente! Magari hai da fare e non voglio trattenerti” Radish incrociò le braccia e inclinò la testa in un’espressione curiosa e confusa, guardandola procedere all’indietro verso casa.
“Nessuna fretta... Anzi in realtà stavo pensando di fare un saluto. Kida è in casa?” Hazel impallidì e sigillò le labbra in una linea dritta non sapendo che cosa rispondere.
“Ma sei sicura che vada tutto bene? Sembri strana” Hazel scosse di nuovo le spalle senza commentare, non ce ne fu comunque il tempo. Un’utilitaria entrò nel parcheggio del condominio e poco dopo la proprietaria raggiunse i due.
“Si è perso signore?”
“Non si preoccupi, è tutto ok. Ho solo accompagnato Hazel” la turchina posò quindi lo sguardo sulla ragazzina.
“È vero Hazel?” Radish inarco un sopracciglio, confuso da quell’atteggiamento. D’accordo che solitamente era strano vedere una ragazzina di diciassette anni accanto a un uomo molto più grande di lei, ma almeno dal suo punto di vista non stavano facendo niente di male.
“Sì, zia. Mi ha solo accompagnata a casa, ma sta andando via”
“Oh quindi lei è la zia di Hazel” esclamò avvicinandosi, accantonando per un momento perché non le avesse detto che sua zia abitasse nel suo stesso palazzo.
“Mi domando chi lo stia chiedendo” ignaro di ciò che passasse nella testa della sua interlocutrice, Radish si avvicinò ad Hazel affiancandola di fronte alla zia.
“Radish Son, il padre di Hazel” rispose istintivamente porgendole la mano. In un primo momento Bulma sgranò gli occhi, poi scosse la testa ridendo istericamente.
“È uno scherzo. È sicuramente uno scherzo” mormorò tra sé e sé per poi sollevare lo sguardo sull’uomo più confuso che mai.
“Mi dispiace, ma credo sia stato mal’informato. Mi scuso anche per il disagio e il viaggio a vuoto che ha fatto, ma credo sia il caso che se ne vada”
“Non credo di capire” istintivamente Radish spostò lo sguardo su Hazel che aveva lentamente indietreggiato di nuovo verso di lui, il cui viso era una maschera di cera in cui solo dagli occhi trasparivano le emozioni di cui era preda.
“Senta. Io non ho la minima idea di chi lei sia e le assicuro che non ci fa una bella figura accanto a una ragazzina che potrebbe avere la metà dei suoi anni. Quindi le consiglio di risalire sulla sua auto e sparire da qui prima che chiami la polizia. E non posso neanche escludere che non lo farò comunque perché se è come immagino e lei ha frequentato mia nipote fin’ora devo ancora sapere che cosa è successo in tutto questo tempo” espose con tono tremante che a fatica nascondeva quanto fosse arrabbiata, per chi la conosceva si capiva anche dal tono formale che stava usando.
“Non prendertela con lui” sbottò Hazel recuperando la facoltà di parola “Sono stata io a cercarlo”
“Tu hai... Cosa?” ad Hazel parve quasi di poter vedere la mente di sua zia unire tutti i pezzi del puzzle, collegando tutte quei piccoli cambiamenti che aveva notato in lei con le misteriose fughe chissà dove. Fu la proverbiale goccia che fece traboccare il vaso e Bulma Brief, che era conosciuta per il suo essere molto emotiva, esplose.
“Hazel come hai potuto fare tutto questo alle mie spalle? Come hai potuto mentirmi così?! Tua madre si rivolterebbe nella tomba se sapesse che cosa ti ho permesso di fare. Cazzo! Forse dovrei ringraziare il cielo che sia morta perché non so come avrei dovuto affrontarla dopo tutto questo” urlò Bulma con le lacrime agli occhi e la voce rotta, più per la rabbia e la paura dei guai in cui sua nipote si sarebbe potuta cacciare che per la tristezza. Hazel si morse il labbro per trattenere le lacrime, Radish ancora accanto a lei invece si fece pallido come un lenzuolo.
“C-cosa?” sebbene fosse solo un sussurro Hazel lo sentì e si voltò quasi al rallentatore verso di lui, altrettanto bianca in faccia e con le dita strette con forza intorno alla cinghia dello zaino.
“Dio mio!” disse Bulma con tono quasi rassegnato “Credi che sia tuo padre e non gli hai neanche detto che tua madre ci ha lasciati da dieci anni?” Hazel aveva la gola chiusa in una morsa e cercava inutilmente di mandare gli il magone.
“I-io... Credo di dover an-dare... Adesso” Radish non seppe neanche dire dove trovò la forza di pronunciare queste parole. Gli occhi erano persi nel vuoto, cercava con tutte le sue forze di evitare lo sguardo di Hazel. Non poteva affrontarla ora e solo il cielo sapeva se e quando ne sarebbe stato capace. Perché non gli aveva detto la verità? Perché lui non aveva più chiesto di Kida?
Hazel lo vide indietreggiare fino all’ultimo sperò di vederlo sollevare lo sguardo, Radish invece diede loro le spalle e raggiunse la sua auto. Quando Kida morì, Hazel si sentì come se fosse morta anche lei insieme a sua madre, era come svuotata di ogni emozione, la vita perse tutti i suoi colori. Quando la sagoma di Radish scomparve nella sua auto la sensazione non fu molto diversa, Hazel sentì il proprio cuore sprofondare. Con movenze molto simili a quelle dell’uomo, anche lei si allontanò silenziosamente fino ad entrare nel condominio, persa in una bolla di incredulità che attutiva persino gli sproloqui di Bulma.
“HAZEL ASCOLTAMI QUANDO TI PARLO!” la giovane si voltò verso sua zia con gli occhi infiammati di furia ma Bulma, nelle sue stesse condizioni, non vi badò.
“Ti rendi conto di cosa hai fatto? Dei guai in cui ti saresti potuta cacciare?”
“Non ti riguarda” rispose tra i denti.
“Invece sì, perché tra noi due sono io l’adulta e tu sei una mia responsabilità” Hazel stava stringendo così tanto i pugni da sentire le unghie conficcarsi nei palmi, ma si morse a sangue la lingua per evitare di rispondere. Di fronte a quell’evidente rifiuto Bulma fece un respiro profondo per calmarsi, con scarsi risultati, e riprese a parlare
“Hazel, capisco come ti senti ma-”
“NO! Non puoi capire come mi sento. Mia madre è morta, mi ha lasciata da sola e tu hai appena mandato a puttane tutto ciò che sono riuscita a costruire con mio padre”
“MA QUELLO NON È TUO PADRE!” urlò Bulma ancora forte, ignorando le lacrime che le riempivano gli occhi “Kida era tua madre, ma prima di tutto mia sorella e mio mi fido di lei. Se non ha voluto dire nulla sull’identità di tuo padre sicuramente avrà avuto le sue ragioni e noi dobbiamo rispettarle”
“Tu non capisci e non capirai mai” Hazel raggiunse la propria camera a passo svelto, ignorando i richiami della zia, non voleva sentire più nulla. Sbatté la porta alle proprie spalle non mancando di girare la chiave un paio di volte. Un miscuglio indistinto di emozioni si abbatterono in lei con la forza di un uragano, la tristezza le aveva riempito gli occhi di lacrime, i singhiozzi mal trattenuti le impedivano di respirare, chiudendole i polmoni in una morsa d’acciaio. Si accovacciò su se stessa tremando dalla testa ai piedi, nelle orecchie solo il suono del proprio respiro altrettanto tremante e affaticato come se avesse corso una maratona. Nel tentativo di calmarsi almeno un po’, tirò il capo all’indietro, che grave errore. Il suo sguardo si posò sul murales alla parete a cui aveva attaccato decine di foto e disegni, a quel punto dalla massa di emozioni indistinte una sola prevalse su tutte le altre: la rabbia. Si alzò dirigendosi immediatamente verso quella parete afferrando una prima fotografia scattale da Kida a un concerto, aveva solo sei anni. La appallottolò con una sola mano e la gettò a terra, ebbe lo stesso destino un disegno in cui da bambina si era ritratta a cavallo a un dinosauro, e poi tutte le altre finché non rimase il solo murales a fiori. L’intero plico di disegni fatti a varie età volò in ogni angolo della stanza.
Ogni cosa che scaraventava a terra ne richiamava a sé altre, per un pelo il tablet finì sul tappeto in pelliccia sintetica, ma lo stesso non si poteva dire di un reggilibri di cristallo che finì in una pioggia di schegge quando impattò contro la parete. Infine arrivò alla fotografia incorniciata che teneva sul comodino, la preferita di sua madre scattata il giorno del primo compleanno di Hazel.
“Non ero pronta, mamma. Non ero pronta a stare senza di te! Perché sei andata via?!” vedere il viso sorridente di sua madre, quel viso che non avrebbe mai più visto e che le mancava da morire, fu la goccia che fece traboccare il vaso e le prime lacrime cominciarono a colarle sulle guance.
Nelle ultime settimane di vita di Kida anche Hazel trascorreva così tanto tempo in ospedale che quella stanza era il luogo in cui erano ambientati anche tutti i suoi disegni, nonostante avesse solo sei anni qualcosa le diceva che non era il caso di illudersi che avrebbe di nuovo visto l’esterno accanto a sua madre. Ironia della sorte fu proprio uno di questi disegni quello che, nella foga del lancio, era finito accanto a lei. Aveva disegnato sua madre nel letto di quell’asettica stanza dalle pareti rosa pallido, accanto a lei c’era una bambina e stavano leggendo un libro.
“Mi manchi mamma e mi dispiace... Mi dispiace perché quando stavo con lui la tua assenza faceva meno male” raggomitolata su se stessa in un angolo del letto, pianse finché non si addormentò ancora scossa dai singhiozzi.
Il giorno successivo fu Bulma stessa ad accompagnare Hazel a scuola approfittando del proprio giorno libero preso da lavoro, ma dalla sera prima non si erano scambiate neanche una parola. In quella guerra fredda a colpi di silenzio nessuna delle due aveva intenzione di cedere per prima. Aveva quindi raggiunto le sue amiche allo Starbucks dove si erano date appuntamento con lo stomaco sottosopra dal nervoso, nessuna voglia di stare in mezzo alla gente ma un bisogno quasi disperato di sfogarsi con qualcuno.
“Detesto litigare con Hazel, ma la situazione è diventata ingestibile”
“Bulma ti stai stressando troppo” esordì Marion mescolando il proprio mocaccino “Hazel è sempre stata complicata e ti ho detto tante volte che non era il caso di prenderti questa responsabilità. Certo, capisco che è la figlia di tua sorella, ma resta sempre e comunque una testa calda e-”
“Quello che Marion intendeva dire” fortunatamente Chichi riuscì a intromettersi nel discorso alla vista della furia cieca e omicida che si stava andando ad accendere negli occhi della turchina a ogni parola ascoltata “è che sicuramente non è facile fare da genitore ai figli di qualcun altro e nessuna di noi può fingere di capire cosa stai passando perché nessuna di noi si è mai trovata in una situazione anche solo lontanamente simile. Hai perso tua sorella e ti sei trovata a fare da madre a tua nipote quando non eri ancora pronta per farlo, ma non puoi e non devi darti la colpa per gli errori che ci sono stati e continueranno a esserci, Bulma. Sei un essere umano, non un supereroe” Bulma storse la bocca, era ovvio che non potessero capire né si aspettava che potessero entrare nella sua ottica.
“Non pensarci troppo” continuò “Per quanto complicata, Hazel è comunque un’adolescente. Ti terrà il muso per un po’, ma alla fine le passerà come una cotta passeggera e presto non ricorderà neanche più il nome di quell’uomo che si era convinta essere suo padre” Bulma distolse lo sguardo, tirando su col naso e per niente intenzionata a piangere.
“E tu ci credi davvero Chichi?” stranamente Laura aveva perso la sua solita espressione solare ed era così seria che stentarono a riconoscerla “Da ex bambina adottata posso dirti che non importa quanto la tua nuova famiglia dica di volerti bene, ti sentirai sempre come se ti manchi qualcosa. È questo ciò che succede se non riesci a mettere da sola un punto alla faccenda. Certo, io avevo Lunch, ho sempre avuto mia sorella con me, ma ciò non toglie che ci portiamo dietro le conseguenze di questa vita”
“Ok, adesso basta con questi piagnistei e statemi a sentire” come sempre, Marion non riusciva a non essere al centro dell’attenzione per più di tre minuti cronometrati.
“È il weekend, è una vita che non usciamo più tutte insieme quindi non voglio sentire ragioni. Domani andiamo al Phoenix, non voglio sentire scuse” Chichi sbuffò
“Io ho dei compiti da correggere”
“Non mi interessa, verrai con noi perché se anche solo una comincia a tirarsi indietro poi le altre seguono a ruota. Non obbligatemi a noleggiare una limousine, perché sapete che lo faccio”
Anche la giornata successiva trascorse velocemente senza che Bulma ed Hazel si incontrassero più dello stretto necessario, sebbene vivessero nella stessa casa, e la turchina non era certa se essere sollevata per ciò o preoccuparsi ulteriormente. Conosceva bene sua nipote, sapeva pressandola per far pace quando è nervosa avrebbe ottenuto l’effetto totalmente diverso. Così aveva comunicato i propri programmi affacciandosi alla porta della camera proponendole di chiedere a Videl o Maya di venire a farle compagnia. In un’occasione normale Hazel non avrebbe esitato a fare qualche battuta sull’organizzare una festa e persino un commento acido sul non aver più bisogno di una baby-sitter per Bulma sarebbe stato preferibile al lieve cenno col capo che ottenne in risposta. Ovviamente non avrebbe chiamato le sue amiche per restare chiuse in casa di venerdì sera e non essendo una persona cui piacesse socializzare non aveva motivo per uscire di nascosto, la turchina si chiuse quindi la porta alle spalle e raggiunse il gruppo.
Luci di vari colori illuminavano l’enorme sala adibita a discoteca in cui decine e decine di persone ballano strusciandosi gli uni sugli altri, ballerini professionisti invece erano disposti su palchi agli angoli della pista.
Dal lato opposto rispetto alla loro posizione c’erano i tavoli, mentre i privè erano al piano superiore, li si poteva vedere perché la terrazza si affacciava proprio sulla pista da ballo. L’intero edificio era gigantesco openspace in cui spiccava la particolarità del murales con la fenice dipinta dei colori del fuoco su sfondo nero e, ancor di più, il soffitto a volta di vetro.
Nel caos del finesettimana furono così fortunate da trovare un piccolo tavolo a cui appoggiarsi per consumare i primi drink della serata scambiando qualche parola e Marion non si fece scappare l’occasione per snocciolare qualche gossip.
“Sono stata all’inaugurazione la settimana scorsa e veramente non hanno badato a spese. Il proprietario è una mia vecchia conoscenza e sa il fatto suo quando si tratta di fare festa”
Chichi rivolse gli occhi al cielo, ben consapevole come le altre che vecchia conoscenza per Marion fosse una frase in codice che intendeva conoscenza di letto e, per quanto loro potessero voler bene alla loro amica, dubitava che l’uomo in questione – sicuramente molto conosciuto nel mondo della movida e delle riviste scandalistiche – potesse ricordarsi di una donna a caso con cui aveva fatto un po’ di ginnastica da camera. Comunque si astenne dal commentare, sia per non litigare con l’esuberante turchina già a inizio serata, che per non mettere a repentaglio l’autostima della suddetta.
“Propongo un brindisi” continuò quindi sollevando il proprio margarita “A una serata delle nostre senza figli tra i piedi e sceneggiate da film di quart’ordine. Cin-cin” per questa volta le ragazze si morsero la lingua per evitare i commenti e fecero tintinnare i bicchieri e diedero inizio alla serata. Bulma si fece trascinare in pista dalle sue amiche dove ballarono insieme e con l’aiuto dell’alcool riuscì finalmente a rilassarsi. Per un attimo le parve di vedere uno scorcio della vita da trentenne che sarebbe stata se le cose fossero andate diversamente, se avesse avuto ancora sua sorella e se Hazel avesse avuto una famiglia normale, ma non poté fermare il senso di colpa per questo pensiero egoistico.
“Oh eccolo lì. Lui è il proprietario! Scollature in vista” le donne, tutte già almeno al secondo o terzo giro, non se lo fecero ripetere due volte, ridacchiando tra di loro per le reazioni anche più esagerate da parte di altre esponenti del genere femminile molto più ubriache. Quando un uomo alto e dai capelli neri particolarmente lunghi entrò nel suo campo visivo, però, Bulma si sentì raggelare e l’effetto dell’alcool sparì immediatamente.
“Quello è il proprietario del locale?!” Marion le rispose senza neanche voltarsi nella sua direzione, troppo impegnata a cercare attenzioni.
“Sì, Radish Son. È diventato milionario con i suoi locali di movida, i più famosi della città sono suoi” Radish passò loro accanto senza degnare nessuno di una sola occhiata e si diresse verso il bar.
Da un paio di giorni a quella parte, per essere precisi dall’ultima volta che aveva visto Hazel, Radish si limitava ad andare avanti senza riflettere troppo su ciò che lo circondava, si comportava come un automa. Addirittura non rimaneva in casa un minuto più del necessario, preferendo di gran lunga il caos dei suoi locali sempre affollati di clienti o dipendenti, la solitudine lo obbligava a pensare e ora come ora proprio non ci riusciva.
“Boss che ti servo?” chiese Colin tutto sorridente sfoggiando il look impeccabile previsto dall’uniforme. Quasi non ricordava quando aveva cominciato a lavorare come barman.
“James Irish Whiskey. Tutta la bottiglia Colin” non visto dal maggiore, Colin si scambiò un’occhiata con Diamond che se ne stava seduta al bancone prima di eseguire il comando.
“Scelta interessante. Di solito non bevi durante queste serate, anzi di solito stai dietro il bancone a flirtare con le clienti”
“Non sono in vena Rock. Ho da fare in ufficio”
“Tipo cosa? Mi sembra di aver già fatto tutto io”
“Diamond non rompere, non sono in vena” e con la bottiglia in mano ripercorse la strada inversa verso il proprio ufficio, di nuovo ignorando quelle donne prive di pudore che gli si spalmarono addosso.
“Questa storia non mi piace Rock, non l’ho mai visto così” approfittando di un momento di relativa tranquillità in cui poteva lasciare il campo ai suoi colleghi, Lincoln si avvicinò alla bionda porgendole un nuovo bicchiere di Long Island.
“Perché non si è mai innamorato, Lincoln, non per d’avvero e mai prima d’ora. Che fosse sua figlia oppure no, Hazel gli ha dato un’altra prospettiva della sua vita e ora non può semplicemente fingere che non esista” Lincoln annuì sommessamente lasciando che la donna continuasse a parlare “A parte provare a farlo tornare sui suoi passi, noi non possiamo fare nulla. Sta a lui scegliere se dimenticare la faccenda o provare a darsi una possibilità per essere di nuovo felice” inevitabilmente il pensiero di Diamond andò anche ad Hazel, chiedendosi come se la stesse passando quella ragazzina intraprendente che aveva imparato conoscere e voler bene. E non riusciva a smettere di pensarci da quando Radish appena due giorni prima le aveva chiesto di raggiungerlo in ufficio e le aveva raccontato tutto.
“Non ci credo? Come hai potuto abbandonarla così? COME HAI POTUTO ESSERE COSÌ INSENSIBILE?!”
“Non ci ho pensato, non ho pensato a niente. Perché non mi ha detto di Kida?” chiese sollevando per la prima volta lo sguardo su Diamond che lo osservava a braccia incrociate dall’altro lato della scrivania. Dopo la notizia bomba non si era più seduta, troppo impegnata a fare avanti e indietro per l’ufficio “Ha avuto settimane per dirmi tutto, pensavo che ormai si fidasse abbastanza”
“Radish non è solo una questione di fiducia. Quella ragazzina ha perso sua madre da chissà quanto tempo ed è normale che fatichi a fidarsi degli altri. Cazzo, io ho trentotto eppure non so che farei se non vedessi o sentissi mia madre almeno una volta a settimana, lei invece non solo ha dovuto farne a meno ma ti ha anche visto fuggire a gambe levate dopo averlo scoperto. Non oso immaginare come si senta, povera piccola” se possibile Radish si sentì anche peggio e vederlo così, chinato sulle ginocchia con le mani nei capelli e la testa bassa a nascondere gli occhi lucidi di lacrime, fece davvero male alla donna che gli andò incontro e l’abbracciò. Non avevano bisogno di dirsi altro.
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 10
La battuta più famosa de "il corvo" è < Non può piovere per sempre >, nel nostro caso, al contrario, non poteva splendere ancora per molto il sole sui nostri protagonisti.
Doveva essere un capitolo di passaggio, ma avevo esaurito le idee quindi ecco qua che sgancio la bomba! Sono comunque una Drama Queen, non avrei mai potuto lasciare una storia senza metterci un po’ di shock!
I due più grandi segreti di Hazel sono venuti alla luce. Mi ha distrutto scrivere di Hazel da sola nella sua camera, ma è stato più complicato scrivere la scena precedente con lo scontro verbale. Ci ho dovuto lavorare un bel po’ per renderla credibile e non sono ancora convintissima del risultato.
Il prossimo capitolo è praticamente pronto, quindi non credo vi farò aspettare troppo.
Tecnicamente, avrei anche dovuto tagliare il capitolo a metà, quando Hazel è sola nella sua stanza, ma non avrei saputo come inserire il resto e mi sembrava un'idea carina far vedere anche la reazione di Radish alla scoperta... Buona idea? Pessima scelta? Starò a vedere...
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Capitolo 11 *** Capitolo 11: Ciò che è veramente importante ***
Capitolo 11: Ciò che è veramente importante
Alle quindici e dieci minuti, in tempo che le serviva per percorrere la strada da scuola a casa della zia, Hazel superò la soglia con la sua borsa in spalla e gli occhiali da sole ancora inforcati. Bulma era in salotto con Vegeta, che stranamente nell’ultima settimana era stato molto presente nell’appartamento. Ma Hazel quasi non vi badò, limitandosi a fare un cenno del capo senza e dirigersi direttamente in camera propria. Sicuramente tutti i dipendenti della AR Investigation e le amiche di Bulma sapessero della sua non tanto piccola bravata, ma non le importava neanche. Le sue amiche Maya e Videl, e persino Tarles, erano invece stati molto presenti con lei soprattutto nell’ultima settimana, ed erano state le uniche persone con cui fosse riuscita a sfogarsi esponendo il proprio punto di vista. Al contrario, non parlava con sua zia dal giorno in cui aveva scoperto il suo segreto. Questo, però , non significava che la minore delle Brief non fosse a conoscenza di ciò che sua zia pensasse e dicesse della situazione, del resto si erano sempre lamentate delle pareti fin troppo sottili di quello stabile. Aveva appena aperto la pagina con il proprio saggio di letteratura quando la turchina aprì la porta della sua camera.
“Sarò breve e andrò dritta al punto” esclamò Bulma smettendo di torcersi le mani. Hazel dietro lo schermo del proprio computer neanche provò a fermare l’automatico pensiero che le attraversò la mente: sarebbe la prima volta.
“Penso sia il caso che tu torni a Pasadena” le dita di Hazel smisero per un paio di secondi di battere sulla tastiera, ma fu una pausa talmente breve che la turchina quasi non se ne accorse, tanto più perché l’espressione della più giovane rimase impassibile.
“Non subito, ormai il secondo semestre è abbondantemente iniziato e con la tua media ti ritroveresti in difficoltà anche a metà anno accademico” continuò incurante se Hazel la stesse ascoltando o meno “Avviserò i nonni, andrai da loro per le vacanze estive e a settembre frequenterai il liceo a Pasadena... Mi pare evidente dagli ultimi eventi che non sono capace di prendermi cura di te e non farei il tuo bene lasciandoti restare qui con me. Ci ho provato, Hazel, ma evidentemente non sono la persona adatta” la guancia di Hazel ebbe uno spasmo quando strinse i denti, ma questa fu l’unica reazione che lasciò trasparire.
“Mi sembra che tu abbia già deciso” rispose sollevando finalmente lo sguardo sulla “Ed essendo tu l’adulta, non hai bisogno del mio permesso” continuò con un sopracciglio inarcato.
“Ci siamo capite” e certa di aver avuto l’ultima parola, Bulma lasciò la stanza tornando in salotto. Vegeta, che aveva sentito l’intera conversazione, l’aspettava seduto sul divano.
“Non commentare”
“La cosa non mi riguarda”
“È la cosa giusta da fare” continuò Bulma dopo un po’, parlando più a se stessa che a Vegeta “È per il suo bene”
“Ed è sempre per il suo bene che non vi rivolgete la parola?”
“Non commentare” ripeté con il broncio sedendosi sul divano a braccia incrociate.
Non andava spesso al Refinery e quando accadeva si limitava a un veloce giro di controllo prima di chiudersi nel suo ufficio ricavato nella mansarda. Si trattava di un locale avviato a dovere che da almeno vent’anni aveva avuto bisogno di pochissimi controlli, ciò non significava che non fosse comunque il suo preferito. Nonostante gli anni trascorsi, Refinery aveva mantenuto il suo carattere underground: pavimento consunto, grossi tubi dei condotti dell’aria a vista sul soffitto alto, luci stroboscopiche e puntatori laser che sfregiavano in ogni direzione, per non parlare dei bracciali e vernici luminescenti che non passavano mai di moda.
Non si è mai pentito per le scelte fatte riguardante il Refinery dal giorno in cui acquistò l’edificio, se non quella lite... Nella sua famiglia non c’era mai stata l’abitudine di parlare dei propri problemi, era più sintetizzabile in una semplice successione: il padre comanda → il figlio esegue. Facile e conciso, niente possibilità di replica. Ma a Radish i confini sono sempre andati stretti...
“Perché non puoi semplicemente credere in me invece di mettere in dubbio ogni mia scelta?”
“Io credo in te, ma non puoi aspettare di finire il master per aprire un night club? Cristo, Radish! Sai che è un’idea stupida”
“Non è stupida. È una scelta strategica e ben studiata, anche la zona è perfetta. Per te sarà solo un vecchio deposito, ma appena avrò smantellato e ristrutturato tutto sarà il locale notturno più popolare nel raggio di chilometri”
“Potrai inseguire i tuoi sogni o qualunque altra cosa più avanti. Per ora prendi il tuo master. Hai quasi finito idiota!” i toni si facevano sempre più alti, Bardack era già alla seconda sigaretta da quando avevano cominciato la conversazione e prima ne aveva già fumata un’altra.
“Questa scuola non fa altro che ostacolarmi. E con un atteggiamento del genere... lo fai anche tu” Radish si passò una mano tra i capelli per trattenere il nervoso, finché non decise di riprendere le chiavi della moto dalla mensola all’ingresso
“Se non puoi essere felice per me allora io non ho bisogno di te. Posso farcela da solo. Ci vediamo papà”
Era appena arrivato al deposito quando ricevette la telefonata da Diamond, alla quale propose di raggiungerlo direttamente lì. Il loro secondo incontro fu ancor più insolito del primo, ebbero infatti appena la decenza di presentarsi prima di iniziare a chiacchierare come vecchi amici.
“Quindi che succede Radish?” sommando il tempo trascorso insieme dal loro primo incontro non arrivavano neanche a un’ora di conoscenza, eppure il suo istinto – che di solito ci azzeccava parecchio – le diceva che non fosse nella natura di Radish aggirarsi per il piano avanti e indietro come un animale in gabbia.
“Pensavo fossi qui per parlare del lavoro che ti ho offerto” dal canto suo, l’omaccione si sentiva a suo agio con lei, come se la conoscesse da tutta la vita, abbastanza da parlare chiaramente di ciò che gli passava per la testa.
“Succede che ho appena litigato con mio padre perché finalmente ci ho visto chiaro, ma evidentemente io e lui vediamo le cose in modo diverso” disse recuperando una busta che aveva lasciato per terra accanto al casco della modo, da cui estrasse alcune bombolette di vernice spray. Quantomeno aveva smesso di farle venire il mal di testa a furia di camminare, ma Diamond si chiese se non fosse stato meglio che avesse continuato a farlo.
“Adesso che stai facendo?”
“Ho comprato questo deposito abbandonato perché ho un progetto in mente. Aprirò un night club, te ne ho accennato quel giorno in banca, quindi lascerò il college per inseguire i miei sogni” iniziò a scarabocchiare linee a caso su una parete, tenersi impegnato rendeva più facile parlare dei suoi problemi.
“E tuo padre non è esattamente entusiasta all’idea, da quel che ho capito”
“Papà non capisce. Pensa che il segreto del successo sia solo nei libri e nei voti. Io ho ambizioni troppo grandi e l’università mi blocca. Ho bisogno di libertà, di spazio... e questo deposito ne ha in abbondanza”
“Quindi non importa cosa dicono gli altri? Sei sicuro?”
“Beh ho svuotato il conto in banca, quindi devo esserne sicuro”
Quel giorno Diamond conobbe due cose in particolare di Radish che glielo fecero apprezzare particolarmente: era abbastanza cocciuto da portare a termine ciò su cui si imputava e sapeva disegnare i murales.
“Mi sembra una buona location e ha un sacco di potenziale. Ci possiamo lavorare, grande capo” Radish le fece quel suo sorriso storto capace di attirare le donne come le api con il miele, poi le lanciò una bomboletta spray
“Datti da fare donna! Questo posto aprirà tra pochi giorni”
Radish e Diamond inaugurarono il night club una settimana dopo essersi conosciuti, ovviamente non restaurarono nulla all’infuori dei bagni.
La serata dell’inaugurazione il locale era pieno di gente che beveva drink e chiacchierava circondati di scartoffie, pacchi e attrezzi, nonostante non avesse apportato quasi nessuna modifica al locale i clienti sembravano adorarlo.
In una sola notte Radish dimostrò di essere un genio del marketing.
Il Refinery si presentò come un locale underground e, nonostante negli anni lo avesse migliorato parecchio, tale rimase per quasi vent’anni mantenendo comunque un grande successo. Tutto quello che fecero per quel primo mese fu ottenere la licenza per gli alcolici e passare le norme antincendio.
“Aggiungi un pizzico di mistero e questo posto diventa una macchina da soldi” furono le parole con cui quella notte Radish descrisse l’attività a sua madre.
Aveva provveduto a far inserire i suoi genitori e i fratelli sulla lista degli ospiti d’onore affinché non facessero la fila, ma si sorprese comunque quando, dal piano superiore, li vide attraversare l’ingresso. Suo padre aveva la stessa faccia incazzata con cui lo aveva lasciato quasi due settimane prima, sua madre invece sembrava un po’ preoccupata per il posto in cui erano finiti, dei gemelli non si curò più di tanto. A causa della musica al piano di sopra e della distanza non riuscì a sentire cosa si stessero dicendo, ma conosceva Gine abbastanza bene da sapere che considerava il deposito una sorta di ritrovo per drogati, non che si fosse allontanata troppo dalla realtà rispetto a ciò che era quel posto prima che lo acquistasse.
Stavano per salire le scale quando decise di raggiungerli, notando immediatamente sua madre impallidire e lasciare la presa sul corrimano. Ebbene sì, anche la suddetta scala non era delle migliori e vibrando avvisava che qualcuno la stesse già percorrendo.
“Allora voglio la sincerità: che cosa ne pensate?” esordì pimpante come la mattina di Natale dopo aver abbracciato calorosamente sua madre. Per quanto sembrasse assurdo, non si vedevano da una settimana intera nonostante vivessero nella stessa casa. Si trattava di una scelta sofferta per Radish, ma utile al fine di concentrarsi sul lavoro anziché sulle liti con i suoi genitori.
“Beh... è un’esperienza unica” Radish scoppiò a ridere fin quasi alle lacrime
“Questo posto è terribile!” esclamò, confondendoli parecchio aggiungerei “Grazie per aver cercato di essere gentile, ma lo scopo è proprio quello. In questo momento i locali underground sono di gran moda, questo posto si vende da solo” Gine non sembrava convinta, ma vedere il sorriso sul viso di suo figlio le toglieva un peso dal cuore.
“Forza andiamo di sopra, lì c’è l’area VIP con il bar e la pista da ballo”
“Oh grazie al cielo c’è il vero night club di sopra”
Salite le scale fatiscenti si accedeva a una sala arredata in economia: c’erano alcune sedie, le decorazioni sembravano provenire da un negozio di seconda mano, alcuni con ancora il cartellino del prezzo scritto a mano. Il palco era l’unica cosa che sembrava nuova e già a una seconda occhiata si capiva che fosse noleggiato.
Il tutto era letteralmente tenuto insieme da nastro adesivo e preghiere, ma era fantastico!
“Al momento è ancora un disastro, ma sta già generando profitto. È stata una settimana difficile, eppure sento di star facendo quello che mi piace veramente” con un cenno della mano chiamò una cameriera che portò un vassoio di shottini.
“Questo è il primo giorno del resto della mia vita e sono felice che voi siate qui con me” disse a mo di brindisi e tutti buttarono giù il drink tutto d’un fiato.
“Come hai trovato tutto il personale?” chiese Turles guardandosi attorno, la pista da ballo era gremita di gente che ballava a ritmo di musica house, fortunatamente i bassi non erano così forti da far vibrare anche gli organi interni.
“Ho arruolato un gruppo di studenti. Birra, Tori?” prima ancora di una risposta gli porse la bottiglia che fu immediatamente accettata
“Almeno li paghi bene?” come sempre la mamma trovava il modo di comportarsi da mamma, poco importa di chi fossero i figli.
“Beh è lì che è finita buona parte del mio budget. Guadagnano più del salario minimo e hanno orari flessibili... Io stesso sono stato uno studente fino a... beh fino a una settimana fa, quindi so cosa vuol dire. Voglio aiutare questi ragazzi tanto quanto loro aiuteranno me a raggiungere i miei obiettivi”
“Sembra che tu abbia pianificato tutto da un sacco di tempo”
“Il locale da un po’, ma l’apertura in fretta e furia da una settimana. Il segreto è far sembrare il tutto credibile. Con la prima ondata di profitti dovrei guadagnare abbastanza per finanziare il resto della ristrutturazione”
“Beh la fila intorno all’isolato parla da sé” disse Turles indicando con la birra la gente intorno a loro “Direi che avrai i tuoi soldi nella prossima ora o due al massimo”
Come disse Radish, fu la prima serata del resto della sua vita, l’inizio di qualcosa di straordinario.
“Ah eccoti! Ti ho cercato ovunque” a distoglierlo dai suoi pensieri fu l’arrivo di Diamond, ma non sollevò lo sguardo dallo schermo del computer con cui stava fingendo di lavorare, almeno finché non notò che la donna non disse più un’altra parola per un bel po’ di tempo. Lei se ne stava a braccia incrociate sulla soglia della porta, un’espressione arcigna sul viso e tutta l’aria di chi era pronto a dare battaglia.
“Hai intenzione di dire qualcosa o vuoi solo stare lì a fare la bella statuina?”
“Oh io ho intenzione di fare qualcosa, a dir la verità sto già facendo qualcosa: aspetto che tu rinsavisca” Radish sbuffò scaraventando nel cassetto le pagine dei bilanci per poi alzarsi. Forse non era stata una buona idea andare al Refinery, Diamond trascorre lì la maggior parte del suo tempo.
“Io non devo rinsavire proprio da niente Rock e se la cosa non ti va a genio è un tuo problema. Non ti pago di certo per farti gli affari miei” chiunque conoscesse Diamond sapeva che non sarebbe bastato questo per chiudere un discorso e scappare dal campo, questa volta come in tutte le precedenti e future, non fece altro che buttare benzina sul fuoco.
“No, mi paghi per darti consigli e farti prendere le giuste decisioni” doveva accelerare il passo per stargli dietro su quei tacchi alti, per lei non era mai stato un problema e dopo tanti anni di allenamento a camminare velocemente dietro di lui avrebbe potuto competere a una maratona e vincere a mani basse.
“Per il lavoro, Diamond. La mia vita privata appartiene a me”
“E qui che ti sbagli. Se avessi voluto che la tua vita fosse un problema esclusivamente tuo non avresti dovuto coinvolgermi nelle tue scelte e soprattutto non avresti dovuto portare qui Hazel. Non avresti dovuto presentarmela, lasciare che io mi affezionassi a lei e, per l’amor del cielo, non avresti mai e ripeto mai dovuto escluderla dalla tua vita lasciando come suo unico recapito il numero di telefono sul tuo cellulare. È solo per l’amicizia ventennale che ci lega e quell’antico rispetto se non mi sono procurata quel numero con ogni mezzo. Ho accettato di essere paziente, ma me ne pento amaramente, perché mi stai deludendo profondamente Radish Son!” in vent’anni di conoscenza Rad e Rock avevano litigato solo undici volte e quella aveva la potenzialità per essere la dodicesima e peggiore litigata delle loro vite, se il telefono di Radish non avesse cominciato a suonare, diffondendo le note del Space Jam theme song, con il nome di Hazel come mittente.
“Ma che diavolo?!”
“Rispondi idiota. O ti giuro che lo faccio io” forse era l’espressione di Diamond o quella strana sensazione che gli chiuse lo stomaco, ma non se lo fece dire due volte.
“Hazel? Che succede? Dovresti essere a scuola”
“Ehm, chiedo scusa. Lei è Radish Son?” Radish aggrottò le sopracciglia
“Tu non sei Hazel. Perché mi stai chiamando dal suo numero?”
“Dritto al punto, mi sembra giusto. Beh è un po’ complicato... Mi chiamo Videl Prince, sono la migliore amica di Hazel e, decisamente, lei non sa che la sto chiamando e probabilmente mi ucciderebbe se lo sapesse”
“Ragazzina vai al punto perché mi sto innervosendo” intanto lui e Diamond avevano camminato fino al bancone del bar quando la donna gli si piazzò davanti mimando col il labiale metti il vivavoce. Radish la guardò male mimandole a sua volta un muto fatti i cazzi tuoi.
“Mi aveva detto che era scontroso con chi non conosce, non avrei dovuto farmi delle illusioni... Anche se probabilmente Hazel mi ucciderà appena saprà che cosa ho fatto, credo sia giusto che lei lo sappia. Padre biologico o meno, mi è sembrato che ci tenesse a lei, quindi è giusto che lo sappia” la giovane si bloccò con un sospiro che aumentò ancora di più l’ansia di Radish che non sapeva più cosa pensare, sapeva solo che il mal di stomaco si stava facendo sempre più forte.
“Hazel è in ospedale”
“CHE COSA?!” dopo l’ennesima occhiata fulminante da parte di Diamond si vide costretto a mettere il vivavoce poggiando il telefono sul bancone, con quanto le mani avevano cominciato a tremargli sarebbe potuto cadergli.
“È successo circa un’ora fa, aveva detto di avere un forte mal di pancia ma avevamo ipotizzato fosse solo per il ciclo imminente. Poi però è svenuta mentre andavamo in infermeria... Non mi hanno lasciato ad andare con lei in ambulanza e sua zia non mi risponde al telefono. Non mi va di dare io la notizia ai nonni e mi sembravi l’unica altra persona che avrei potuto contattare” seguì poi un singhiozzo mal trattenuto che funse da sveglia per Radish, un singolo suono ovattato che gli trapassò il cervello.
“In quale ospedale l’hanno portata?”
“Al Santa Monica. Posso aspettarla davanti all’ingresso se vuole, ma non sono sicura che la lasceranno vederla”
“Ci vediamo lì e chiamami per qualsiasi novità” stava già camminando verso l’uscita quando riattaccò senza neanche aspettare una risposta.
“Diamond non vengo stasera, pensi di riuscire a cavartela da sola?”
“Certo Rad, non devi neanche chiedere. Però fammi sapere, per favore”
Solitamente amava l’area universitaria di LA, ma mai come in quel momento odiò il traffico della città. Per quanto provasse a non pensarci la sua mente andava immediatamente al peggio. Perché era svenuta? Era qualcosa di grave? Gli avrebbero creduto sulla parola se si fosse presentato lì come suo padre? Il viaggio non fu troppo lungo, ma per Radish durò un’eternità. Aveva corso come un matto, bruciato qualche semaforo rosso e se gli fossero arrivate una o due multe non ne sarebbe stato sorpreso, era già tanto che nessuno lo avesse obbligato ad accostare.
Come già annunciato, una ragazzina con i capelli neri a caschetto faceva avanti e indietro davanti all’ingresso dell’ospedale, guardandosi attorno e controllando ripetutamente lo schermo del cellulare.
“Sei tu Videl, la ragazzina che mi ha telefonato prima?”
“Oh, deduco che quindi lei sia Radish Son, è identico a come appare online e sui giornali” non aveva ancora finito la frase quando Radish si avviò oltre l’ingresso.
“Dov’è Hazzy?” Videl inarcò un sopracciglio per il soprannome che sicuramente avrebbe rispolverato per prendere in giro la sua amica in tempi migliori
“Chirurgia, vogliono prepararla per un intervento d’urgenza, ma serve la firma di un tutore. Fortunatamente sono riuscita a contattare Bulma, dovrebbe arrivare a momenti” Radish annuì distrattamente mentre leggeva le indicazioni dei piani.
“Venga con me, forse gliela faranno vedere per qualche minuto” Radish odiava gli ospedali, gli faceva impressione vedere la gente che stava male ed era una cosa che si portava dietro dall’infanzia. Era stata la sua fortuna che Bardack fosse un medico, il più delle volte si era occupato lui di mettergli i punti alle ferite direttamente in casa e le uniche volte in cui si erano recati in ospedale fu quando si ruppe un polso e per un’appendicectomia.
Dopo qualche minuto di cammino riuscirono a raggiungere la stanza in cui era stata sistemata Hazel. La ragazzina se ne stava rannicchiata sul letto abbracciandosi le ginocchia, una flebo attaccata alla mano sinistra e il telefono nella destra.
“Hazel, indovina chi c’è” se la giovane fosse felice della sua improvvisata non lo diede a vedere, al contrario la sua espressione era tutt’altro che amichevole, ma Radish ipotizzò fosse per il dolore.
“Ehi Hazzy, che hai combinato ragazzina?” in un primo momento Hazel lo ignorò totalmente, voltandosi invece verso la sua amica
“Con te faccio i conti dopo” doveva essere una sorta di linguaggio in codice degli adolescenti di oggi, perché Videl le fece un sorriso birichino indietreggiando verso la porta.
“Beh, vi lascio da soli per un po’. Signor Son verrò a prenderla prima che arrivi Bulma, mi è parso di capire che siate un po’ ai ferri corti. A più tardi”
Rimasti soli, Hazel si rannicchiò di nuovo nella posizione di prima, senza neanche la forza per fingere di stare un po’ meglio. Quella vista fece stringere il cuore a Radish, annientando quel minimo di sollievo che era sbocciato già solo nel vederla di nuovo dopo due settimane di separazione. Sembrava così piccola e pallida in quel letto d’ospedale, aveva avuto questo aspetto anche quando da bambina aveva gli incubi?
“Che ci fai qui?”
“La tua amica mi ha chiamato dicendo che eri in ospedale e non riusciva a contattare nessun altro. Volevo vedere come stai” disse avanzando di un paio di passi, apparentemente non visto da Hazel che continuava a scorrere il dito sul suo telefono
“Una meraviglia, ora te ne puoi andare. Sembra essere qualcosa in cui sei bravo” se in futuro gli avessero chiesto secondo lui cosa si provasse ad essere attraversati da un fulmine avrebbe descritto esattamente la sensazione che gli diede sentire quelle parole pronunciate da lei, un’autentica scossa che lo bloccò sul posto a pochi passi dal letto
“Scusami” sussurrò per poi continuare dopo uno sbuffo “odio stare male e odio questo posto, ma non devo prendermela con te. Hai reagito come avrebbe fatto chiunque e va bene così, non volevo neanche tornare sull’argomento. Ma penso che dovresti davvero andare, zia B sarà qui a momenti e tu hai del lavoro da fare”
“Hazel”
“Sul serio. È solo un’appendicite, ne soffro fin da bambina ed era ovvio che prima o poi avrebbero operato per asportarla. Mi dispiace che Videl ti abbia fatto correre qui per una sciocchezza, se ti può far stare più tranquillo ti mando un messaggio quando esco dalla sala operatoria” Radish sospirò pesantemente non sapendo che altro fare. Hazel si era chiusa a riccio, non limitandosi solo a un muro di insicurezze tra di loro, aveva anche scavato il fossato pieno di alligatori. Radish non aveva altra scelta che cedere
“Me lo prometti?”
“Certo. Male che va, se mi fanno l’anestesia totale zia B avviserà comunque Videl per tranquillizzarla e lei lo dirà a te. Le invio il tuo numero, solo per oggi e poi lo cancellerà, tranquillo” Radish si grattò la nuca con fare nervoso, avrebbe voluto tranquillizzarla. Accidenti!, era lui l’adulto, doveva essere lì a stringerle la mano rassicurandola che sarebbe andato tutto bene, ma lei non glielo avrebbe mai permesso. Fin dal giorno in cui la conobbe, Hazel si è sempre comportata come una donna matura.
“Scusate se vi interrompo” esordì Videl affacciandosi dalla porta aperta “Bulma è di sotto in accettazione, ma dovrebbe arrivare a breve insieme al medico” continuò con tono contrito
“Giusto, dovresti andare Radish. Videl posso chiederti un ultimo favore? Ti ho inviato il numero di telefono, non so se mi addormenteranno totalmente con l’anestesia quindi potresti avvisare tu Radish appena Bulma ti dirà che sono uscita dalla sala operatoria?”
“Certo che posso, non c’è problema”
“Bene. E per favore cancella il numero subito dopo, è comunque un personaggio pubblico” ogni frase non faceva che urtargli ulteriormente il sistema nervoso, ma non ribatté. Semplicemente annuì e lasciò la stanza senza nient’altro da aggiungere per il momento, non con Hazel che stava male. Poco prima di voltare l’angolo riconobbe una chioma turchina che attraversava il corridoio quasi di corsa verso la camera che aveva appena lasciato, ma Radish non si allontanò molto, e come avrebbe potuto? Quando l’adrenalina scemò fece appena in tempo a sedersi su una scomoda sedia del corridoio, dove sarebbe rimasto per tutta la notte se necessario. Aveva tempo e, purtroppo, non sarebbe potuto andare di nuovo da Hazel, tanto valeva chiamare Diamond.
“Radish finalmente! Che cosa è successo?”
“Appendicite. Stavano aspettando la zia per il consenso all’intervento... Non credo che uscirò da qui tanto presto. Ce la fai da sola? Altrimenti chiudi per stasera e rimborsa le prevendite” a svariati chilometri di distanza, Diamond si lasciò cadere su una sedia al bar, tanto sconvolta quando Radish era distrutto.
“Nessun rimborso Rad. Posso occuparmi da sola del locale, qualsiasi locale in cui tu voglia mandarmi oggi”
“Grazie Rock, ti devo un favore”
“Neanche per idea. Chiamami quando vuoi, per qualsiasi ragione”
Non seppe dire quanto tempo fosse trascorso quando, affacciandosi sul corridoio dietro l’angolo vide Hazel, sdraiata sul letto, che tranquillizzava sua zia mentre la portavano verso gli ascensori.
Sedendosi nuovamente sulla sedia di plastica, si legò di capelli pronto ad affrontare la giornata più lunga della sua vita.
Dopo una notte trascorsa letteralmente insonne per l’ansia accumulata durante quel pomeriggio che avrebbe ricordato per il resto della vita, arrivò in ospedale molto prima dell’orario d’inizio delle visite, ma ebbe la decenza di aspettare nel corridoio in assoluto silenzio.
Bulma uscì dalla stanza verso le 7:20, sembrava esausta e andò subito via strisciando i piedi. Radish, che era lì da almeno mezz’ora, attese ancora un po’ di tempo prima di andare da Hazel, quantomeno aspettò che fossero le 8:00. Quando entrò nella stanza di Hazel la trovò nella stessa posizione del giorno prima, rannicchiata su un fianco e pallida come un cencio.
“Ehilà signorina. Come ti senti?” Hazel sgranò gli occhi appena lo vide
“Che ci fai qui?”
“Che domanda idiota, volevo sapere come stai. Dunque... Come stai?” apparentemente più rilassato e a suo agio rispetto al giorno prima, Radish si sistemò su una sedia prima di considerarla troppo scomoda, quindi alzarsi e accomodarsi sulla poltroncina verde vicino al letto.
“Uff... Come una persona che ha appena subito un’appendicectomia, suppongo”
“Una merda, rende l’idea” rispose Radish storcendo la bocca “Effetti collaterali dell’anestesia totale?”
“Nausea principalmente, ma anche mal di testa”
“Mh e la nottata?”
“In bianco, ovviamente. E con questo posso considerare conclusa a lista delle esperienze da fare in ospedale e anche la nostra conversazione. Ci vediamo Radish” così dicendo gli fece ciao con la mano sperando fosse sufficiente a farlo andare via
“Ti piacerebbe! Io non mi muovo da qui, mettiti l’anima in pace” Hazel sbuffò “Andiamo Hazzy, un tempo andavamo d’accordo, parlavamo. Cosa c’è che non va?”
“Non c’è niente che non va Radish. Semplicemente siamo due persone che si sono incontrate, vorrei dire per caso ma non è così perché sono stata io a cercarti, ma in vero non abbiamo niente in comune e non siamo costretti a interagire”
“Ed è qui che ti sbagli, ragazzina. Perché sarò anche un tipo che fugge, sarebbe da ipocriti negarlo, ma se torno di solito è per restare” vedere l’incertezza e il dubbio negli occhi scuri di Hazel gli procurò un nodo alla gola, Diamond glielo aveva detto ma non aveva mai pensato che le avrebbe fatto tanto male con la sua assenza.
“Comunque, modo originale di saltare la scuola. Dici che ne è valsa la pena?”
“Beh, ho saltato il test di spagnolo con una giustificazione dell’ospedale e una cicatrice a dimostrare che non mentivo. Praticamente ho una carta esci gratis di prigione a un qualsiasi malore” rispose ridacchiando.
“E il giro in ambulanza? Eri sveglia?” trascorsero la mattina alternando discorsi idioti come potevano essere i film visti o le partite che si erano ben guardati dal seguire, previsioni sui risultati dei compiti e resoconti sulle feste a tema dei locali di Radish.
“Com’è che questo non l’ho mai notato?” seguendo la direzione indicata da Radish anche Hazel spostò lo sguardo sul polso su cui spiccava un tatuaggio.
“Cerotti, braccialetti, maglie a maniche lunghe. Di tecniche per nascondere le cose ce ne sono”
“Cosa significa? Anche se ne ho una vaga idea” il tatuaggio era una cosa abbastanza semplice: le linee dell’elettrocardiogramma che formavano la lettera K per poi appiattirsi.
“Era un regalo di compleanno” disse preferendo cambiare argomento.
“Ma hai diciassette anni! E dubito che tua zia ti abbia accompagnato a fare un tatuaggio” la ragazza ridacchiò imbarazzata
“No, zia non me lo avrebbe mai permesso. È stato un mio amico a fissare l’appuntamento con il tatuatore, che non ha fatto domande. Poi ho sfoggiato la carta d’identità falsa” Radish la incenerì con un’occhiata “non fare quella faccia, non ci credo che tu non hai mai avuto un documento falso” questa volta l’uomo scosse il capo, preferendo non rispondere a quella accusa.
“Mamma è morta il giorno del mio compleanno” Radish si bloccò sul posto, se scoprire della morte di Kida era stato uno shock questo sicuramente non era da meno. La ragazza aveva lo sguardo fisso nel vuoto mentre carezzava delicatamente il tatuaggio
“Mi aveva promesso che ai miei diciassette anni ci saremmo fatte un tatuaggio insieme. Forse era solo una di quelle promesse per tenermi buona che sperava avrei dimenticato, avevo solo sei anni del resto... Nonno mi venne a prendere a scuola e dopo essere passati a prendere la torta di compleanno in pasticceria mi portò in ospedale. Non arrivai mai a entrare nella stanza di mamma, lei era già morta poco prima del nostro arrivo e magari se non avessi insistito tanto per quella cazzo di torta avrei rivisto mia madre un’ultima volta e il nonno avrebbe potuto dire addio a sua figlia” Radish sentiva le mani tremare e un brivido freddo gli attraversò la schiena, probabilmente se non fosse stato con Hazel avrebbe potuto perdere il controllo sulle lacrime o tirare un pugno contro la parete. Lui ancora adesso faceva affidamento su sua madre su diverse cose, salvo poi lamentarsi quando giudicava la sua condotta o il disordine che regnava sovrano in casa, Hazel invece a sei anni perse sua madre il giorno del proprio compleanno ed era lì a parlarne con lui, un mezzo sconosciuto come se discutessero del tempo. Aveva gli occhi lucidi ma neanche l’ombra di una lacrima, chissà però quanto doveva averci pianto negli anni.
“Scusa, non volevo intristirti”
“Hazzy, io devo dirti una cosa” Hazel rivolse una strana occhiata all’uomo che le sedeva accanto. Era quasi strano vedere un uomo grande e grosso come lui seduto ricurvo su quella scomoda poltroncina, secondo la ragazza sicuramente avrebbe preferito essere da tutt’altra parte che lì ma non si lamentò neppure una volta. Sembrava nervoso e continuava a torcersi le dita delle mani, alla ragazzina fece un così strano effetto che decise di intervenire nel discorso prima che lui riprendesse.
“Guarda che non sei costretto a restare qui”
“Come?” solo in quel momento Radish sollevò lo sguardo, smarrito, incontrando l’espressione indecifrabile di Hazel.
“Ho detto che non sei costretto a rimanere qui con me, ci sono zia e i nonni che si possono dare il cambio finché non sarò dimessa. E poi lo so come sei abituato ad organizzarti la giornata”
“Non credo di capire”
“Uffaaa!” sbuffò guardando il soffitto per trovare le parole ed evitare di arrabbiarsi inutilmente “Radish sei proprietario di tre dei locali di movida più in voga della città, uno dei quali è una nuova apertura. So che la mattina dormi fino a tardi perché passi quasi l’intera nottata al locale alternandoli durante la settimana e che il pomeriggio invece vai in tutti e tre a controllare il fatturato, le forniture e tutte quelle altre noiose scartoffie. Qui perdi solo tempo e non ti riposi abbastanza da andare a fare un turno di notte. Ti ringrazio per essere rimasto fino ad ora e ti chiedo scusa per averti fatto correre qui quando sono stata ricoverata, ma, davvero, non devi farlo per forza. Se vuoi andartene, puoi farlo e dimenticarti che sono qui. Io mi ricorderò di te. Io ricordo tutti quelli che se ne vanno” sebbene si fosse impegnata a non cambiare intonazione della voce, sul finire del discorso non riuscì più a reggere lo sguardo dell’uomo e, a dirla tutta, non voleva che lui le leggesse negli occhi quando in realtà desiderasse totalmente l’opposto di ciò che gli stava chiedendo. In qualche modo che non riusciva a spiegarsi, la presenza di Radish lì accanto la tranquillizzava, perché Hazel aveva paura degli ospedali. Odiava i colori pastello delle pareti, c’era sempre il disgustoso odore di camomilla, disinfettante e brodini, era terrorizzata dal sangue e stava facendo molta fatica a ignorare l’ago cannula infilata sul dorso della sua mano sinistra – che palle, perché lei era anche mancina. In qualche modo la presenza di Radish la distraeva da tutto questo anche senza che dicesse o facesse nulla, come quella mattina in cui le era bastato vederlo voltarsi imbarazzato mentre le medicavano la ferita al fianco.
“Il giorno in cui conobbi tua zia e seppi di Kida inviai la richiesta di un test del DNA” Hazel sgranò gli occhi.
“E come hai... Io non ho...”
“La spazzola rosa che hai dimenticato da me”
“Oh capisco. Mi toccherà scusarmi con zia Bulma per averle dato dell’incapace quando non l’ha trovata nella mia borsa”
“Non cambiare discorso per favore” Hazel sospirò volgendo gli occhi al cielo con un atteggiamento esasperato.
“Quindi sei mio padre oppure no?”
“Sì. Cioè no... Non lo so”
“Non capisco” Radish sospirò estraendo dalla tasca posteriore dei jeans una busta bianca tutta spiegazzata e ancora sigillata.
“L’ho ricevuta la mattina del tuo ricovero, ma non ho ancora avuto il coraggio di aprirla” guardando quel pezzo di carta che conteneva la risposta a tutte le loro domande, Hazel si sentì assalire da emozioni contrastanti. Se fosse stato positivo avrebbe dimostrato di avere ragione, ma avrebbe anche obbligato Radish a rivestire un ruolo per il quale forse non era pronto, del resto non avere nulla di certo sul loro stato aveva fino ad ora permesso loro di troncare il rapporto senza doversi giustificare. D’altro canto, se fosse stato negativo, avrebbe perso una persona a cui, a discapito del legame di sangue, aveva cominciato a volere bene.
“Beh che aspetti, via il dente via il dolore” nel dirlo però voltò il viso verso la finestra, era una bella giornata, forse troppo bella per sconvolgersi la vita. Radish dovette leggerle nel pensiero, perché con due dita sotto il mento la girò di nuovo nella sua direzione.
“Non ancora, io e te abbiamo ancora un discorso da fare. Perché io ci tengo a te Hazel e, indipendentemente da ciò che dirà questo pezzo di carta, non ti libererai di me così facilmente” Hazel non aveva la minima idea di quanto stesse effettivamente male fino a quando non incontrò gli occhi scuri di Radish
“Perché? Io ti rovinerò la vita! L’ha detto anche tuo fratello. E ha ragione, questo è davvero il peggio della sfiga” esordì scacciando malamente le prime lacrime, trattenute egregiamente addirittura mentre parlava di Kida, che ora erano sfuggite al suo controllo.
“Turles dice un sacco di stronzate e io sono abbastanza grande da poter prendere da solo le decisioni che riguardano la mia vita. E ciò di cui sono certo è che voglio che tu ne faccia parte, perché se anche quel pezzo di carta dirà che non sono tuo padre, tu resti la figlia di Kida, una persona che mi ha aiutato in un periodo orribile della mia vita e che non ho mai potuto ringraziare. Se anche tra noi non ci fosse un legame di sangue io non voglio perderti Hazel, perché se ascolto il mio cuore lui ti ha già riconosciuto come mia figlia” aveva parlato per la prima volta a cuore aperto dicendo tutto ciò che gli passava per la testa, addirittura aveva gli occhi lucidi. Hazel invece ormai piangeva a fiumi e Radish non esitò ad asciugarle le lacrime con i pollici. In quel momento ebbe l’ennesima conferma, non avrebbe mai potuto abbandonare quella ragazzina.
“Me lo prometti?” chiese tirando su col naso.
“Croce sul cuore”
“Allora leggi quel referto, qualunque sia la risposta io ti prendo in parola” volle credere davvero a ciò che Radish le aveva appena promesso, ci provò con tutta se stessa. Radish la strinse a sé con un braccio, delicatamente per non farle male, e dopo averle lasciato un bacio sulla tempia si risedette sulla poltrona per leggere i risultati. Per tutto il tempo che impiegò, Hazel si contorse le mani dall’ansia e la frustrazione di non riuscire a capire nulla dell’espressione del maggiore. Poi, quando ormai era sul punto di perdere la pazienza, Radish la guardò con un sorriso che andava da un orecchio all’altro e gli occhi lucidi e luminosi.
“Allora?”
“Direi che mi merito un abbraccio, quantomeno per essere il padre più figo del mondo” Hazel aveva delle regole per far funzionare il tutto: non piangeva, diceva solo bugie a fin di bene – quelle che lei chiamava bugie bianche –, dava sempre ascolto alla ragione. In un pomeriggio le aveva infrante tutte, quindi perché farsi scrupoli ora? Con uno scatto si lanciò letteralmente tra le braccia di suo padre che fortunatamente la prese al volo, l’altro lato della medaglia fu però la distanza tra il letto e la poltrona.
“Porca puttana che male! Mi si sono tirati tutti i punti”
“Ma che cazzo Hazel, andava bene anche una pacca sulla spalla! Tieniti a me che ti rimetto a letto” Hazel fece quanto detto aggrappandosi al collo taurino di Radish che la sollevò senza sforzo per farla di nuovo sdraiare sul letto.
“Certo che non abbiamo iniziato proprio con il piede giusto. Che dici se rimandiamo gli abbracci a quando sarò un po’ meno da rottamare?”
“Sì si può fare nocciolina” più che una pacca, quello che ricevette sulla spalla fu un pugno per quel soprannome che, come la ragazzina gli fece presente, faceva ancor più schifo di Hazzy.
Quando Bulma entrò nella stanza di sua nipote quasi un’ora dopo, Hazel dormiva rannicchiata sul fianco mentre Radish seduto abbastanza scomodamente sulla poltrona verde acido, si destreggiava con una sola mano tra il cellulare e il giornale che teneva sulle gambe, l’altra mano era impegnata a stringere quella più piccola e fragile della ragazzina.
“Sa-salve” esordì Bulma per palesare la propria presenza, rimanendo non poco sorpresa quando l’uomo, subito dopo aver notato il suo arrivo, controllò che Hazel non si fosse svegliata.
“Sei qui da molto?”
“Da appena hanno aperto l’orario di visite” Bulma annuì andando a posare la sua borsa sul tavolo, poi dedicò la sua attenzione a sua nipote che aveva continuato a dormire indisturbata. Questa era una novità, di solito Hazel aveva il sonno leggero.
“Si è addormentata da poco mentre aspettavamo il medico di turno, mi ha raccontato che stanotte non avete chiuso occhio” Radish parlò con tono stranamente pacato, di tanto in tanto accarezzava con il pollice il dorso della mano di Hazel, cercando di non toccare il cerotto che bloccava l’ago cannula.
“Mh? Oh, sì. Speravo infatti che riuscisse a dormire un po’ almeno adesso... Se vuole può andare ora, aspetterò io il giro di visite per-” Radish sollevò lo sguardo sulla donna, inchiodandola con la sola decisione che si leggeva in quelle iridi nere
“Con tutto il dovuto rispetto signorina Brief, il mio posto è accanto a mia figlia e io non ho intenzione di andare da nessun’altra parte” un sospiro stanco sfuggì dalle labbra di Bulma
“Ancora questa storia? Mia nipote ha sbagliato venendo a cercarla, non avrebbe dovuto farlo, ma lei deve smettere di illuderla di qualcosa che non potrà mai essere” affermò esasperata sperando di chiudere così la conversazione.
“Perché ne è così convinta si può sapere?” anche Radish però era sempre più nervoso e per quanto provasse a tenere un tono più basso proprio non gli riusciva di mantenere la calma.
“Perché mi rifiuto di credere che di tutte le persone che mia sorella possa aver incontrato dall’altra parte del mondo e con cui possa essere andata a letto, il padre di Hazel sia un uomo che vive nella nostra stessa città. Qualcuno che avrebbero potuto incontrare in qualsiasi momento senza neanche riconoscersi. È inverosimile”
“Beh temo dovrà farsene una ragione invece” sul palmo della mano sentì le dita di Hazel irrigidirsi, era sveglia “Ho fatto come mi ha consigliato, ho eseguito un test del DNA ed è positivo. Hazel è mia figlia e lei non può impedirmi di starle accanto”
“Non è possibile” fu come se il mondo le fosse caduto sulle spalle, si lasciò cadere sulla sedia senza neppure rendersi conto delle parole pronunciate tanto era lo shock. La sua mente impegnata ad elaborare ogni informazione avuta su Radish nell’ultima settimana sia da Hazel che dalle indagini svolte con Vegeta, era così concentrata che si accorse che sua nipote era ormai sveglia se ne stava seduta sul letto tenendo ancora per mano Radish.
“Visto zia, avevo ragione” nonostante le occhiaie sintomo delle poche ore di sonno, un dolce sorriso le illuminava il viso. Contrariamente al solito tono che aveva quando riusciva dimostrare di avere ragione, questa volta sembrava solo semplicemente felice, senza secondi fini.
“Dunque” esclamò Radish alzandosi dalla sedia e facendo schioccare rumorosamente la schiena – doveva essere rimasto lì seduto davvero molto tempo.
“Dal momento che sei sveglia direi che posso lasciarti con tua zia intanto che vado a cercare il medico” le scompigliò i capelli con naturalezza, come fosse una cosa fatta decine e decine di volte
“Mi porti un muffin?”
“Ho detto che vado a cercare il medico non in pasticceria. Comportati bene” per tutto il tempo della conversazione Bulma si limitò a spostare lo sguardo da uno all’altra, da padre a figlia, senza realmente ascoltare quello scambio di battute, ma limitandosi ad osservare i loro sorrisi e sguardi complici. Quando Radish lasciò la stanza chiudendosi la porta alle spalle, zia e nipote rimasero ancora un po’ in silenzio, rotto da Hazel dopo un sospiro
“Sei arrabbiata zia?”
“Arrabbiata?”
“Sì. Perché ho cercato mio padre e non averti detto che non stavo molto bene, per tutto insomma” arrabbiata? No, se avesse dovuto dire come si sentiva Bulma si sarebbe definita sconvolta. Troppe novità, troppe emozioni in una sola volta, troppe cose pronte a cambiare da un momento all’altro. Ma nel vedere l’espressione preoccupata sul viso di sua nipote non se la sentì di dire nulla di tutto ciò.
“Diciamo che... Mi hai colto di sorpresa” rispose sedendosi accanto a lei sul letto, dove la ragazza aveva già provveduto a farle spazio “Ma devi anche vedere la cosa dal mio punto di vista, credo di aver avuto un infarto quando ti ho vista scendere dall’auto di un uomo così tanto più grande di te” le due scoppiarono a ridere al ricordo, costatando però quando effettivamente non doveva essere stata una bella esperienza per la cara zia.
“Ma sono anche felice che ti abbia fatto tornare almeno un minimo com’eri prima. Non ne potevo più di quell’aspetto da emo con i capelli tinti e quell’odioso piercing al naso, quello sicuramente mi mancherà meno di tutto”
“Uffaaaaa... Perché non piaceva a nessuno il mio piercing!”
“E tu sei felice? Di aver trovato tuo padre intendo”
“No, non per quello. Sono felice che Radish sia veramente mio padre. Perché, anche se fino a questa mattina non ne abbiamo mai avuto la certezza, fin dalla seconda volta che ci siamo visti si è comportato come tale, il che era assurdo anche per me ripensando al nostro primo incontro. In quell’occasione non voleva neanche che nominassi la parola figlia e invece la volta successiva diceva che sarei dovuta passare sul suo cadavere prima di ammiccare a un ragazzo davanti a lui, e questo è solo uno dei tanti esempi” sorrisero ancora stendendosi sul letto l’una accanto all’altra.
“Tesoro devi sapere che ho telefonato i nonni stamattina” Hazel si irrigidì vistosamente “Era giusto che sapessero ciò che ti è successo, ma non sanno ancora nulla di Radish... Se vuoi posso occuparmene io”
“No zia. Sarebbe tutto più facile ma è giusto che sia io a farlo, questo pasticcio è opera mia del resto” non dissero niente per un po’ ma Bulma si torceva le mani quasi in preda all’ansia finché non cedette rompendo il silenzio.
“Hazel, mi dispiace tanto per come mi sono comportata con te. Mi sento colpevole. Non avrei dovuto dire quelle parole. Ho alzato un muro tra di noi e tu non ti sentivi abbastanza sicura da dirmi neanche che non ti sentissi bene” si fermò con la voce che tremava per tirare su col naso, ma non diede ad Hazel il tempo di interromperla “Cazzo. Non mi sono neanche accorta che c’era qualcosa che non va, Hazel! Se fossi stata più attenta non saresti finita in ospedale per un intervento d’urgenza”
“Non è colpa tua zia” disse Hazel con tono pacato, sporgendosi per prendere un pacchetto di fazzoletti dal comodino e porgerlo alla zia “Tu hai fatto solo ciò che credevi fosse giusto e, diciamocelo, io faccio abbastanza schifo a comunicare il mio stato d’animo”
Mentre zia e nipote si concedevano un momento tranquillo di confidenze, Radish camminava tra quei corridoi tutti uguali alla ricerca di qualcuno a cui chiedere informazioni sulle condizioni di Hazel. Aveva appena svoltato l’ennesimo angolo, sbuffando come una locomotiva, quando si imbatté in una persona che decisamente non si aspettava. Suo padre, Bardack Son, camminava tranquillo nella direzione opposta, la sua vista bloccò per un momento il più giovane.
“Papà che ci fai qui?”
“Potrei farti la stessa domanda. Qualsiasi cosa tu abbia combinato guarda che il pronto soccorso è al piano terra” Radish volse gli occhi al cielo
“No, io non ho combinato niente. Hazel è stata operata d’urgenza ieri per infiammazione all’appendice. Sto cercando il chirurgo per avere degli aggiornamenti sulle sue condizioni” Bardack scosse la testa mordendo l’interno della guancia.
“Radish questa storia non mi piace per niente. Ho evitato di aprire l’argomento fin’ora soprattutto su richiesta di tua madre, ma adesso è troppo. Dovresti smetterla di comportarti così e soprattutto lasciar perdere quella ragazzina o ti metterai solo nei guai” quello che doveva essere un consiglio paterno fu per Radish come una miccia accesa in una polveriera.
“Non ho nessuna intenzione di allontanarmi da lei, sono stanco di ripeterlo, e farai bene a fartene una ragione perché lei è mia figlia, che ti piaccia oppure no” nel frattempo aveva spiegato i fogli con il risultato del test e aveva lanciato contro il petto. Che lo capisse una buona volta, che lo capissero tutti: se qualcuno avesse provato ancora a tenerlo lontano da sua figlia si sarebbe pentito amaramente. Ogni parola che leggeva su quella pagina stampata era un pugno in pieno stomaco, sicuramente era un modo molto particolare di scoprire dell’esistenza di una nipote.
“Chi è il chirurgo che l’ha operata?”
“Frost, mi sembra”
“Mh, non il massimo ma per un intervento d’urgenza è sicuramente meglio di niente. Senti ora tu torna da lei, ti raggiungo con la dottoressa Davy e vediamo com’è messa” Radish annuì ripiegando i fogli, stupito da questo improvviso cambio di atteggiamento di suo padre. Già nell’esatto momento in cui aveva letto i risultati sapeva che suo padre sarebbe stato un osso duro da convincere e probabilmente stava ancora elaborando tutte le novità. Ma Bardack lo sorprese di nuovo
“L’hai già detto a tua madre?”
“No, ho aspettato che Hazel stesse un po’ meglio per scoprirlo insieme e ciò è stato appena un’ora fa” fu il turno di Bardack di annuire, elaborando l’informazione.
“Le dirò di venire il prima possibile, magari portando qualcosa di leggero per pranzo perché se tua figlia è una buona forchetta anche solo la metà di te sicuramente non mangerà nulla di ciò che le avranno portato”
“L’hai inquadrata bene pà” esclamò ridendo rumorosamente “quando sono uscito mi ha chiesto di portarle un muffin. A tal proposito, credi che possa accontentarla o deve evitare i dolci per un po’?” Bardack lo guardò come se gli fosse spuntata un’altra testa dal collo, stranamente Radish non ci fece caso, sembrava rilassato e lo era davvero. Se Radish avesse dovuto descrivere come si sentiva in quel momento avrebbe detto come quando le nubi si diradano e lasciano che il sole illumini il mondo di tutti i suoi colori, ovviamente non avrebbe pronunciato quelle parole ad alta voce neanche sotto tortura, per il momento.
“Facciamo così, chiama tua madre Radish, ma magari non dirle la novità per telefono”
Gine Son arrivò circa venti minuti dopo con una borsa frigo carica delle pietanze più disparate, nella stanza di Hazel, ad aspettarla c’erano Bardack e Radish, seduto scomodamente sul letto di sua figlia per lasciare la poltrona alla nuova arrivata.
“Ciao Hazel, ma che hai combinato piccolina? Probabilmente Radish me l’ha anche spiegato al telefono, ma stavo pensando a cosa portarti per pranzo quindi ho smesso di ascoltare” i due sul letto la osservarono con espressioni totalmente diverse: Hazel sorridendo imbarazzata, Radish, naturalmente, imbronciato.
“Mi dispiace che l’abbia fatta preoccupare” Hazel non era timida, eppure la voce le uscì così sottile che fu senza alcun problema sovrastata da quella cavernosa di Radish.
“Grazie mamma, come sempre hai molta considerazione di quello che dico. Spero che almeno mi starai a sentire ora” Hazel spostò immediatamente lo sguardo su di lui. Non avrà mica intenzione di dirglielo adesso?! Radish le sorrise con tutta la tranquillità di questo mondo e in qualche modo fece il suo effetto: Hazel si sentì calma, come se tutto stesse per andare nel verso giusto, forse per la prima volta nella sua vita.
“Ti ho già raccontato di come ho conosciuto Hazel, difficile dimenticare che mi ha quasi sfondato il campanello a furia di premerlo. Ti ho detto che era la figlia di una persona a me molto cara e ti ho raccontato che la conobbi in Australia, ti ho mostrato le foto di Kida, ma c’è sempre stato questo mistero, questo segreto che abbiamo preferito tenere... Ed ecco, ora non so come potresti reagire” Gine annuì con espressione imparziale, in attesa di sapere come suo figlio avrebbe continuato il suo discorso.
“Sai, tesoro mio, non credo di averti mai sentito fare un discorso così lungo neppure quando decidesti di lasciare il college... Beh, facciamo che ti do una mano. Che ne dici se mentre tu trovi altre parole per complicarti la vita, io nel frattempo abbraccio finalmente mia nipote?” concluse allargando le braccia in direzione della giovane. Radish ed Hazel si guardarono con la medesima espressione sconvolta e gli occhi sgranati.
“Come accidenti hai fatto?”
“Cioè io ho davvero provato ad elaborare un intero discorso e tu invece lo sapevi già! Com’è possibile?” in una frazione di secondo Radish si voltò verso suo padre “Gliel’hai detto tu vero?” continuò con espressione truce.
“Ma sei coglione?”
“Adesso basta” esclamò Gine interrompendoli “tanto per cominciare moderate i termini perché siete davanti a una signorina. Punto secondo, Bardack, indagherò più tardi sul fatto che a te l’abbia detto prima che a me, ma effettivamente siete sempre stati cu-ehm sedere e camicia, voi due” Hazel ridacchiò a quel tentativo di sua nonna di evitare altri termini poco adatti alla sua giovane età
“In terzo luogo, io ti ho messo al mondo Radish e questo significa che ti conosco meglio di chiunque altro. So che era un’impresa farti studiare, non perché non fossi intelligente, del resto la matematica era la tua materia preferita al liceo; so che sei fin troppo disordinato e con discutibili gusti tanto in musica quanto in donne. Ma so anche che quando prendi veramente a cuore una persona la tieni su un piedistallo, pur comunque continuando a vederne i difetti, e non ti fai problemi a dire tutto ciò che pensi o al massimo usare il sarcasmo per non ferire troppo... Tesoro, sono tutti tratti che ho visto anche in Hazel, così come ho visto in lei il tuo stesso rarissimo sorriso” la sua espressione dolcissima sciolse qualcosa nel petto di sua nipote, che davanti a quegli occhi neri si sentiva amata come con nonna Bonnie e, allo stesso tempo, con una gran voglia di piangere.
“Per non parlare poi di quanto vi somigliate fisicamente. Sinceramente mi chiedevo quando l’avresti capito anche tu Radish, perché è ovvio che lei lo sapesse già anche solo perché è stata in grado di trovarti e sopportarti per tutti questi mesi”
Radish si sedette quindi sul letto accanto ad Hazel, dove era stato fino a poco prima, e ignorando tutti i presenti si rivolse direttamente a lei.
“Potrei sbagliarmi, ma ho l’impressione che tu sia appena diventata ufficialmente la sua preferita”
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 11
Mea culpa, avevo dimenticato che fosse mercoledì. Quindi senza cincischiare andiamo dritti al punto.
Allora, per Radish non è stato facile scendere a patti con la realtà ed effettivamente dato quanto è stato difficile per lui, probabilmente non si sarebbe fatto vivo con Hazel tanto presto se non fosse successo qualcosa di sconvolgente. A quanto pare sono veramente padre e figlia! Che shock, scommetto che non se lo aspettava nessuno...
Abbiamo quindi da subito i chiarimenti con le persone che sono state in qualche modo coinvolte con gli incontri segreti di Hazel. Beh, non la sfoggiamo una fanart di Hazel?
A vostro parere, quale le si addice di più? |
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Capitolo 12 *** Capitolo 12: Semplicemente Papà ***
Capitolo 12: Semplicemente Papà
Non capitava spesso che Videl saltasse un giorno di scuola, impensabile per una studentessa del suo livello con uno dei curriculum accademici migliori della scuola che le avrebbe consentito l’ammissione a una qualche università migliore dello Stato. Ma trattandosi di Hazel, la sua migliore amica, poteva anche valere la pena di un’assenza da scuola. Ecco perché quella mattina, appena iniziato l’orario di visite, Hazel si vide correre incontro la più piccola di casa Prince con i suoi fratelli al seguito.
“Ma ti pare che dovevo finire in ospedale perché voi perfezionisti Prince disertaste dagli impegni? Non tu Tarble” esclamò prima che il mezzano potesse interromperla “so che sei sempre pronto ad accompagnarmi in qualche cazzata” Vegeta storse la bocca all’imprecazione, ma Hazel non se ne curò. Radish se ne stava in dispare osservando i due uomini appena conosciuti. Hazel gli aveva accennato dell’amicizia che la legava al più giovane dei due uomini, del fatto che facessero parte della stessa squadra per i giochi online e che fosse stato lui a mettere una buona parola con il tatuatore di fiducia per l’appuntamento di appena il mese prima. Il maggiore, invece, non era stato neppure nominato e la grande differenza d’età faceva storcere il naso a Radish che si domandava il perché della sua presenza.
“Anche mamma sarebbe voluta venire, ma sono piedi di lavoro oggi in ufficio, non so se Bulma te ne ha accennato”
“Più o meno. Mi ha telefonato stamattina per dirmi che non sarebbe potuta venire. Comunque... Che mi sono persa di scuola?”
“Ti interessa davvero quello che succede a scuola?” chiese Videl con tanto di sopracciglio inarcato.
“Certo che no. Ma ogni tanto piace anche a me il gossip. Magari puoi dirmi che novità ci sono su Gohan” Videl assottigliò gli occhi, ma non fu l’unica ad avere una reazione a quelle parole, infatti Vegeta girò gli occhi al cielo mentre Radish inarcò un sopracciglio. A nessuno dei due uomini sfuggì l’atteggiamento dell’altro.
“Che c’entra Gohan adesso?”
“Già è quello che vorrei sapere anche io”
“Mi associo”
“Chi è Gohan?” l’ingenua domanda di Tarble smorzò un poco l’atmosfera parecchio tesa nella stanza e sfortunatamente obbligò Videl a rispondere personalmente prima che Hazel potesse dire qualsiasi cosa a modo suo.
“Un mio compagno di scuola, frequentiamo insieme alcuni corsi avanzati. E comunque te ne ho già parlato, Tarble!”
“Probabile, ma non mi scomodo a memorizzare informazioni poco rilevanti come nomi e facce, al contrario dei dettagli e tu me ne stai dando troppo pochi per ricordare a dovere”
“Il suo arcinemico fin dall’asilo, periodo in cui cominciò sicuramente a nominarlo per un motivo o per un altro. Hanno frequentato ogni anno scolastico nella stessa classe da tutta la vita” intervenne Hazel schivando una manata da parte di Videl “ti ricorda qualcosa?”
“Ma certo, la cotta storica della mia sorellina. Che novità abbiamo su quel fronte?”
“Vi detesto quando fate comunella” borbottò Videl incrociando le braccia al petto, ma durò qualche secondo, giusto il tempo di trovare qualcosa da dire per ribaltare di nuovo la situazione a proprio vantaggio “E comunque ti pare che farei una confidenza alla mia migliore amica davanti a così tanta gente?”
Dall’angolo opposto della stanza, Vegeta non perdeva di vista l’altro uomo che interagiva con le due ragazze, totalmente indifferente alle sue occhiate inquisitorie. Appena Bulma gli aveva riferito quanto combinato da Hazel negli ultimi mesi aveva dovuto sopprimere l’istinto di urlare contro alla turchina per tutte le libertà che lasciava alla nipote. Una volta calmatosi, però, si era trovato ad ammettere almeno con sé stesso che Hazel era abile quasi quanto Bulma a scovare informazioni, in secondo luogo era una ragazzina che non aveva mai conosciuto suo padre e dopo la scomparsa anche della madre non c’era nessuno che potesse confermare o smentire le sue supposizioni, cercare quell’uomo per conto proprio era stata una decisione coerente con il profilo e farlo di nascosto rientrava nella personalità di Hazel. Ciò non toglie che Bulma aveva da subito fatto una ricerca approfondita su quello sconosciuto, che avrebbe potuto essere letteralmente chiunque, e le aveva condivise con Vegeta.
- Non dirmi che lasci davvero Hazel da sola con questo pagliaccio! Dopo quanto è successo? -
- È suo padre, Vegeta. Ho letto i risultati del test del DNA e ne abbiamo richiesto un altro anche a un laboratorio locale -
Trattenendo uno sbuffo di frustrazione, Vegeta ripose il cellulare in tasca e sollevò di nuovo lo sguardo sul gruppo.
“Questa è bella” esordì Radish osservando la scena divertito “Nocciolina ci pensi che in un modo o nell’altro saremmo comunque finiti ad incontrarci io e te?”
“Sai che il DNA non ti autorizza a chiamarmi con nomignoli imbarazzanti in pubblico, vero?”
“Al contrario, proprio il DNA mi autorizza a questo e molto altro. E non vedo l’ora” aggiunse sfregandosi le mani con fare cospiratorio.
“Tsk renditi ridicolo quanto vuoi, ormai mi ci sono fatta le ossa”
“Che vorresti dire?”
“Non c’è niente di più imbarazzante di tua nonna vestita da teenager che interagisce con i tuoi amici, credendosi addirittura simpatica e giovanile mente afferma quanto siano fichi e forti gli Abba” Radish sgranò gli occhi e soppresse a fatica il desiderio di confortarla con un abbraccio, le risate esageratamente divertite infatti ebbero la meglio facendogli ricevere un’occhiataccia da sua figlia.
“Dove staranno i tuoi nonni qui a LA?” chiese Radish osservando la nonna di Hazel, Barbie o forse Bunny, che battibeccava con Bulma mentre invece il nonno chiacchierava con i Son. Era stato impossibile far desistere la nonna Gine dal presentarsi nella stanza di ospedale di Hazel anche il giorno successivo e dopo l’arrivo in città anche dei nonni Brief si era vista necessaria un’intercessione dall’ex primario Bardack Son per non far cacciare tutti dall’ospedale. Dire che quel pomeriggio la stanza fosse sovraffollata era riduttivo, ma fortunatamente le dimissioni di Hazel era ormai prossima.
“A casa di zia, mi sembra ovvio... Non è neanche la prima volta che succede”
“Quindi?”
“Nonno e nonna stanno in camera di zia B e lei invece viene in stanza con me, ho il letto matrimoniale” Hazel si stava riprendendo bene, pur essendo trascorso ancora poco tempo se ne stava seduta a gambe incrociate sul letto, decisamente più a suo agio nel pigiama viola che con la camicia da sala operatoria.
“Tre adulti, di cui due anziani, e un’adolescente reduce da un intervento nello stesso piccolo appartamento di Central?” chiese Radish sgranando gli occhi, poi mise le mani avanti quasi a mettere in pausa il discorso “Ok stammi a sentire. Questa volta non puoi dividere il letto con tua zia, non so se si agiti nel sonno e neanche mi interessa, ma so per esperienza che è comunque una ferita e fa male. Che ne dici quindi se vieni a stare da me? Almeno per la convalescenza” Hazel sgranò gli occhi e sollevando lo sguardo Radish si rese conto che anche tutti gli altri li stavano guardando.
“Pensateci anche voi, è la soluzione migliore. Ho una stanza per gli ospiti e Hazel si può sistemare lì, c’è la tv satellitare e la fibra ottica” ignorò gli sguardi confusi dei due anziani “Sarò il coinquilino migliore del mondo. Mi prendo dei giorni di ferie perché tanto non devo dare conto a nessuno, così le faccio compagnia e sono disposto a prendere parte a qualsiasi maratona di serie tv o pessimi reality show che voglia vedere. Per le pulizie c’è la colf che viene due volte la settimana. E al primo malessere chiamo mio padre e verrà immediatamente a darle una controllata” nel silenzio tombale i presenti si scambiarono sguardi confusi finché non fu Gine a intervenire al fianco di suo figlio.
“Non ha tutti i torti” esordì rivolgendosi ai signori Brief con quegli occhioni scuri che a detta di Radish erano in grado di far cedere chiunque.
“E ovviamente potrete andare a trovarla tutte le volte che vorrete”
“Non so... Non vorrei che Hazel arrecasse qualche disturbo” provò Bonnie in imbarazzo.
“Assolutamente nessuno disturbo. È mia figlia, no? E mi deve una valanga di ricordi che non abbiamo ancora costruito”
“Oddio non ricominciare!”
“Invece ricomincio” e con questo botta e risposta i due si alienarono dal resto del gruppo per battibeccare tra di loro in una fitta conversazione di cui gli altri captarono solo alcune parole senza contesto come cartoni animati, calzini con le ventose, treccine e pigiama party.
“Per quanto possa sembrare un bambinone a volte” iniziò Gine prima di essere interrotta da suo marito.
“Molto più che a volte”
“Sa essere anche responsabile all’occorrenza. E se serve a farvi stare più tranquilli vi lascerò i miei contatti, io stessa o le chiavi di casa sua e posso accompagnarvi in qualsiasi momento”
“Oh beh, in tal caso non credo di avere nulla da obiettare” rispose Bonnie voltandosi verso Hazel “se Hazel ne ha voglia, credo possa trascorrere qualche giorno della convalescenza da Radish”
“Io non lo so” replicò Hazel fattasi intristita d’un tratto “Si era detto che dovessi tornare a Pasadena questo semestre” disse spostando lo sguardo su Bulma
“Che cosa?!”
“Con tutto quello che è successo me ne sono totalmente dimenticata”
“Pasadena?” chiese Radish schiarendosi la voce fortunatamente tornata al proprio tono normale, contrariamente all’ottava in più raggiunta con l’esclamazione di poco prima “Perché a Pasadena? E perché non ne sapevo niente?!”
“Avevo preso questa decisione dopo quanto successo a mia insaputa negli ultimi mesi” intervenne la turchina “forse Hazel ha troppe libertà con me, non posso farle da genitore come potrebbero invece fare i suoi nonni. Inoltre il suo rendimento scolastico è calato molto nell’ultimo periodo”
“Ma non puoi mandarla davvero a Pasadena. Non potremmo più vederci quanto facciamo adesso” replicò Radish con gli occhi sgranati rivolgendosi poi ai suoi genitori “non può mandarla via, vero?”
“Ecco io...” Gine non era in una condizione tanto diversa da quella di suo figlio, era visibilmente impallidita e inconsapevolmente si era fatta più vicina a Radish ed Hazel.
“Penso che sia una decisione che spetta ai suoi tutori, Radish” intervenne Bardack, ma anziché calmare suo figlio quelle parole ebbero l’effetto di gettare benzina sul fuoco.
“Ma io sono suo padre, anche io dovrei essere suo tutore” l’atmosfera un attimo prima tranquilla scomparve, sostituita dal gelo. Faceva uno strano effetto ai coniugi Son vedere Radish così serio, quasi arrabbiato, mentre osservava tutti i presenti nella stanza senza tuttavia allontanarsi neanche di un centimetro dal fianco di Hazel.
“Ho già perso fin troppo della vita di mia figlia e ora non voglio più essere escluso. Spero che potremmo trovare un accordo da soli, signori Brief, ma in caso contrario non esiterò a contattare il mio avvocato. Io sono il padre di Hazel e se lei lo desidera farò parte della sua vita. Che vi piaccia oppure no” in silenzio assordate che seguì fu interrotto dopo alcuni secondi da qualcuno che tirava su col naso. Gine Son aveva gli occhi traboccanti di lacrime che cercava di tamponare con un fazzoletto che stringeva tra le mani.
“Mamma? Che cos’hai?”
“Non credevo sarebbe mai arrivato il giorno in cui ti avrei visto diventare finalmente un uomo” rispose tra i singhiozzi “sei un uomo di successo Radish, un imprenditore che si è fatto da sé, e sono orgogliosa di tutto ciò che sei riuscito a fare. Eppure non potrei essere più orgogliosa di quanto lo sono in questo momento: hai messo il bene di qualcun altro al primo posto e sei disposto a lottare per questa persona che non è una qualsiasi bensì tua figlia. Questa è la differenza tra un uomo e un padre” Radish le sorrise stingendosi nelle spalle, con le guance arrossite per l’imbarazzo.
“Ho imparato dai migliori”
Hazel era rimasta appena una settimana a casa di Radish, una settimana in cui l’uomo aveva lasciato volentieri il lavoro ai suoi collaboratori. Diamon, incredula a questa notizia, era passata spesso e volentieri a trovarli. Certo, la convivenza non è mai facile e sicuramente coabitare per la prima volta con una figlia adolescente che conosci a stento non è stato privo di momenti imbarazzanti.
Gine ridusse gli occhi a due fessure fulminando il primogenito con un'occhiataccia
“Che c'è mà?”
“Potresti avere la decenza di vestirti? Forse non l'hai notato ma non vivi più da solo” abbassando lo sguardo Radish notò che aveva raggiunto gli altri a torso nudo e intento com'era a frizionarsi i capelli non aveva pensato di indossare una maglietta
“È grande e vaccinata, non credo che le dia fastidio”
“L'hai almeno chiesto a lei?”
“Non mi dà fastidio” confermò la ragazzina, ma prima che Radish potesse esordire con un eloquente e infantile “visto?” continuò dicendo
“E poi anche io dopo la doccia ho l'abitudine di stare solo in intimo finché i capelli non sono asciutti. Dovrà farci l'abitudine” con una velocità da corridore professionista Radish fuggì – letteralmente – in camera propria uscendone solo appena un paio di minuti imprecando contro i capelli ancora bagnati che erano rimasti impigliati nella maglia che aveva frettolosamente indossato.
Le nonne Bonnie e Gine – ancora non si era abituata a chiamarla così – erano state la loro salvezza dal punto di vista alimentare. Non che Radish non sapesse cucinare, diciamo che la sua era più una tecnica per la sopravvivenza, ma in compenso era un maestro a riciclare gli avanzi.
“Vediamo un po’, cosa abbiamo qui?”
“Non molto. Una porzione pasta al formaggio, dei sandwich da mangiare freddi, spiedini di frutta”
“Chi ha parlato di panini freddi. Guarda qua ragazzina, ti insegno a sopravvivere!”
Con il tono e l’espressione di chi la sapeva lunga, prese la scodella con la pasta e vi aggiunse altro formaggio poi, senza alcuna logica, versò il composto nella piastra per i waffles. Hazel accanto a lui aveva gli occhi così sgranati che sarebbero potuti cadere dalle orbite.
“Macaroni burger, nocciolina. Questo è comfort food allo stato puro!” Hazel non sapeva che dire, ma non ce ne fu bisogno, perché Radish riprese tranquillo.
“Ora, i sandwich, che non abbiamo alcuna intenzione di mangiare così. Quindi... Ci sono, facciamo dei cocktail”
“Come accidenti hai intenzione di preparare dei cocktail? In casa ci sono solo avanzi”
“Margarita di ananas con tequila e succo di lime fresco”
“Wow. E si può fare?” Hazel sorrise, gli occhi invece erano ancora sconvolti.
“E per me invece abbiamo un Bloody Mary martini. Ho messo i pomodori dei sandwich nel mixer con le spezie”
“Ripeto: wow!”
Ma, cosa più importante, Radish aveva approfondito la questione della pietosa media scolastica di Hazel e, data la minaccia del recupero estivo, si era ritrovato tra i libri di scuola. L’uomo infatti era tornato a studiare con lei per aiutarla a memorizzare gli argomenti scolastici e superare i test con dei voti sufficienti a non rovinarle l’estate.
Quella stessa mattina per l’appunto Radish aveva accompagnato Hazel personalmente a scuola, dove si erano poi incontrati con Bulma per un appuntamento con la consulente scolastica della scuola e mettere in chiaro la situazione si Hazel.
Radish non era nuovo ai colpi di testa, si poteva dire che fossero una sua peculiarità. Era ancora minorenne quando aveva assillato il suo primo datore di lavoro perché gli insegnasse a fare il barman e da allora era diventato uno dei migliori sulla piazza. Dall’oggi al domani aveva mollato gli studi per investire nel primo locale di movida. Aveva assunto una completa sconosciuta come consulente e commercialista che poi era diventata la sua socia e migliore amica. Dopo essere stato mollato a due passi dall’altare aveva scambiato le prenotazioni della luna di miele per un viaggio last minute in Australia. E si era dato una possibilità di conoscere Hazel pur sapendo tutti i rischi che questo comportava. Fino a quel momento non si era pentito di nessuna scelta, quindi non vedeva ragioni per cominciare adesso.
Già dal secondo giorno che Hazel trascorse a casa con lui quella settimana di convalescenza un’atra folle idea aveva cominciato a ronzargli per la testa. Tanto per cominciare, appena ricevuti i risultati anche del secondo test del DNA, ovviamente con lo stesso risultato del primo, aveva parlato con il proprio avvocato e avviato le pratiche per diventare anche lui tutore di Hazel, con il benestare della suddetta e dei Brief. In secondo luogo aveva cominciato a guardare il suo appartamento con occhi diversi. Casa sua poteva andare bene per uno scapolo, tutt’al più per una coppia ai primi anni di convivenza, non di certo per una famiglia. Quindi aveva cominciato a guardarsi intorno: gli serviva una casa più grande e se proprio doveva investire in una cosa del genere tanto valeva togliersi qualche sfizio. Nel giro di un paio di giorni aveva trovato la casa perfetta per lui ed Hazel e, prima che qualcuno provasse a fargli cambiare idea, aveva già coinvolto il Sergente Maggiore Nonna Gine per aiutarlo a organizzare il trasloco. Suo padre Bardack, purtroppo, non era dello stesso avviso.
“Cosa hai intenzione di fare?! Ti ricordo che sei un personaggio pubblico, figliolo, la gente parlerà appena inizierà a riconoscerti in giro insieme a una ragazzina. In realtà mi stupisce che siate riusciti a tenere la cosa nascosta così tanto tempo” Bardack era sempre più convinto che nessuno dei suoi figli avesse ereditato da lui il sale in zucca, tutti e tre troppo impulsivi come la madre era solito dire.
“Siamo stati attenti pa’. Anche allora sapevo cosa rischiavo e Hazel è sempre stata molto matura e previdente, persino sulle stronzate come sederci sullo stesso lato del tavolo, niente luoghi affollati ma neanche i vicoli”
“Radish che accidenti sono questi documenti sotto il divano? E perché hai dei documenti sotto il divano?!” Radish aveva la tendenza a girare gli occhi al cielo due volte più spesso del solito quando i suoi genitori – sua madre – andavano a trovarlo a casa. Quell’occasione, però, aveva ben poco a che fare con una visita di piacere, Bardack e Gine, infatti, si erano offerti – o meglio Gine aveva obbligato suo marito a sprecare il proprio giorno libero – di aiutare Radish a fare una cernita della roba che avrebbe portato nella nuova casa e quella che invece sarebbe rimasta nell’appartamento.
“Non so ma’. Che documento è?” solo nell’ultima settimana aveva avuto sotto mano così tante scartoffie da bastargli per un anno interno. Perché accidenti Diamond si era presa l’influenza?!
“Sembra un pre-ordine... Datato due anni fa e con disegni sconci sul retro. Ma quando ti deciderai a crescere Radish?” l’uomo cercò di nascondere le risate, con scarsi risultati, certo, ma non per questo avrebbe evitato di scagionarsi dall’accusa.
“E dai ma’, se è di due anni fa significa che è lì da almeno un anno e mezzo. Sono cresciuto da allora” bugia, ricordava quel foglio e ricordava bene si essersi messo a disegnare quelle figure mentre si annoiava durante una riunione telefonica con Diamond e alcuni dirigenti in cerca di investitori. Questo, ovviamente, sua madre non lo avrebbe mai dovuto sapere.
“Ti giuro che a volte non capisco come tu faccia a gestire il tuo lavoro con questo caos. Mi domando seriamente come abbia fatto a non perdere migliaia di dollari a diventare ciò che sei continuando a disegnare forme falliche sul retro dei documenti” borbottò invece Bardack il cui compito attuale era applicare etichette colorate sul mobilio per aiutare i traslocatori ad orientarsi. Lo schema era semplice: verde si porta via, giallo resta, rosso spazzatura ; il problema erano solo gli altri che continuavano a sostituire le etichette che incollava. In principio doveva trattarsi del compito più facile, Radish aveva già proposto a Goku di trasferirsi lì in modo da essere più vicino alla scuola di Gohan e avrebbe avuto più privacy per quando avrebbe voluto invitare la professoressa Del Toro – era inutile che negasse, quel volpone di Radish sapeva bene che si frequentavano, Hazel non aveva perso occasione di raccontare del sorriso sornione della professoressa.
“Beh è semplice papà: i soldi li tengo in banca e non sotto il materasso, ogni tanto investo in SpA e ho collaboratori eccezionali, e con collaboratori” disse virgolettando “intendo Diamond. Quella donna è un cazzo di genio, sono fortunato ad essermela accalappiata per primo” non fece caso all’espressione contrariata di Gine, troppo impegnato a ricordare quella giornata
Non aveva ancora lasciato il college, ma i presentava sempre meno di frequente alle lezioni, trascorrendo il suo tempo tra incontri con appaltatori, agenti immobiliari o, come quella mattina, in banca. Era certo di come avrebbe fatto fruttare l’eredità del nonno, ma non aveva mai fatto un investimento in vita sua quindi sarebbe stato meglio avere il parere di un esperto piuttosto che saltare nel vuoto. Seguendo le regole della decenza – o il senso della civiltà, come avrebbe detto sua madre – aveva fatto lo sforzo di indossare qualcosa di un po’ più elegante di jeans e t-shirt, la scelta era faticosamente ricaduta su dei pantaloni eleganti e una camicia, ma si tenne ben lontano dalla cravatta che comunque non avrebbe indossato neanche per tutto l’oro del mondo. Circondato da gente con completi eleganti e i segni di un principio di stempiatura, era felice della sua decisione di non svolgere mai lavoro d’ufficio – col tempo la sua idea non sarebbe cambiata.
“Non ci posso credere! Sono stata la migliore stagista che abbiate mai avuto e non potete negare perché ho lavorato anche al settore delle risorse umane. Persino lei è stato uno stagista mediocre, ma a quanto pare qui il nome che si porta ha più valore dei risultati!” solitamente Radish non era una persona curiosa, o meglio non lo era per le cose/persone che non gli interessavano, ciononostante fu difficile, se non impossibile, fingere di non sentire quelle urla. Probabilmente l’interno piano l’aveva sentita urlare.
“Signorina Carter qui non si tratta di nome o di risultati. Semplicemente non ha i requisiti che cerchiamo in questo momento in nuovi dipendenti” l’altra voce apparteneva a un uomo che faticava parecchio a mantenere la rabbia sotto controllo, secondo Radish aveva ben poco da infuriarsi perché era evidente che avesse torto.
“Certo, e scommetto che questi requisiti comprendono pelle immacolata e capelli normali, dico bene? Non si scomodi ad accompagnarmi alla porta, ci arrivo da sola” caso volle che Radish si trovasse a passare in quel corridoio proprio nel momento in cui la giovane donna bionda uscì da un ufficio sbattendo la porta alle sue spalle.
“Che diavolo hai da guardare? Mai assistito a un più che evidente caso di discriminazione per l’aspetto fisico?” Radish inclinò il capo osservandola con curiosità: era stravagante ma sembrava una forza della natura
“Brutta giornata?”
“Non lo sarebbe, se nel mondo ci fossero meno ignoranti raccomandati. Ma, sfortunatamente, viviamo in un mondo in cui una donna mulatta e per di più tatuata non può dire ad alta voce la propria opinione!”
“Mi piace la tua grinta, sembri qualcuno che sa cosa vuole e come ottenerlo” Diamond inarcò un sopracciglio, curiosa ma confusa su dove il suo interlocutore volesse andare a parare.
“Ho intenzione di aprire un locale, sfortunatamente sono già al secondo colloquio con questi damerini ingessati che sembrano non riuscire a capire la mia visione” nel frattempo si era sporto su una scrivania libera oltre lo scomparto di un box per prendere un post-it e una penna “Chiamami se pensi che ti possa interessare. Ma se sei in gamba come sembri credo proprio ci sentiremo presto” detto ciò le porse il foglietto arancione con un numero di telefono
“Mi è sfuggito il tuo nome”
“Magari ci presenteremo al prossimo colloquio, Carter, giusto?” probabilmente gli avrebbe risposto male anche solo per togliergli dalla faccia quell’espressione ridicolmente sicura di sé, ma la consulente bancaria che andò loro incontro
“Signor Son, non ho tutto il giorno per aspettarla. O altri appuntamenti dopo di lei”
Attese due giorni prima di cedere e comporre quel numero di telefono e quello stesso pomeriggio Radish le diede appuntamento in un magazzino in disuso. Il reso è storia epica fatta di sbronze epocali e riunioni la mattina dopo, e Diamond racconta ancora fieramente del giorno in cui lei e Radish snobbarono ma proposta della Chester Bank di curare i loro interessi, ancor di più aver ricevuto questi dirigenti della banca perché quel giorno la ragazza indossava con orgoglio quella che sembrava un completo da scuola militare con la canottiera che lasciava ben in mostra i tatuaggi di cui andava tanto orgogliosa.
“Radish mi stai ascoltando?” ritornato alla realtà, l’uomo notò sua madre proprio di fronte che lo guardava con preoccupazione
“Mh scusa ma’, pensavo ad altro”
“Qualcosa di serio? Sembravi preoccupato”
“Nah... E che quando mi metto a pensare a tutta la strada che ho fatto fin’ora quasi mi gira la testa. Il giorno in cui ho conosciuto Diamond ero andato in banca a chiedere un consigli su come muovermi, quando ne ho poi parlato con lei mi è scoppiata a ridere in faccia. È stata mia l’idea dello stile underground, ma lei sapeva come metterla in pratica” ascoltando il discorso di Radish i suoi genitori avevano interrotto le loro attività.
“Non lo diciamo spesso Rad, ma siamo orgogliosi di te. Hai costruito un impero dal niente e anche nel momento peggiore, quando Drasilla ti ha mollato a pochi giorni dal matrimonio, sei comunque riuscito a non farti buttare giù. Non conosco molte persone che sarebbero riusciti a cavarsela senza chiedere aiuto, inclusi i presenti” Radish sollevò un angolo delle labbra in un lieve sorriso alle parole di suo padre, ma subito dopo abbassò lo sguardo sui vestiti che aveva in mano.
“Ho contattato un notaio per riconoscere legalmente Hazel”
“Sul serio?”
“Perché accidenti non ce l’hai detto prima? Radish è una notizia meravigliosa” un paio di magliette furono piegate e messe in una scatola, al contrario dei pantaloncini vennero malamente lanciati nella cesta dei panni sporchi, ora doveva solo ricordarsi di fare il bucato in tempi decenti.
“Volevo avere già i documenti in mano, in realtà devo aspettare ancora qualche giorno ma è abbastanza ufficiale. Devo solo fissare un appuntamento e andare nello studio con Hazel, il test del DNA e un paio di testimoni, poi sarà una Son, se lo vorrà”
“Oh tesoro, perché non dovrebbe volerlo?”
“Beh sarebbe bello anche se volesse tenere anche il cognome di sua madre”
“Oh in tal caso metterà un trattino. Tesoro sono così felice per voi” Gine abbracciò calorosamente suo figlio che ricambiò un po’ imbarazzato
“E ho preso un appuntamento anche con quelli dell’assicurazione, voglio cambiare la mia polizza” continuò, preso dall’entusiasmo, smistando nuovamente i capi d’abbigliamento.
“Se dovesse accadermi qualcosa voi due, così come Goku e Turles, sareste tra i beneficiari, ma voglio lasciare una buona metà ad Hazel. Ha già perso sua madre, voglio che abbia le spalle coperte, che io ci sia o meno” il tonfo di qualcosa che cadeva attirò i loro sguardi verso la porta. Hazel era ancora sulla soglia, una mano sulla maniglia e la borsa di scuola riversa ai suoi piedi
“Assolutamente no, toglitelo dalla testa!”
“Hazel...”
“No, Hazel niente e non provare a farmi cambiare idea” esclamò attraversando la stanza a passo di marcia “Io non voglio niente di tutto questo. Non volevo che cambiassi i tuoi piani per colpa mia, non voglio obbligarti a trasferirti e, per l’amor di Dio, non voglio essere beneficiaria proprio di niente. Che cazzo! Non sarei mai entrata nella tua vita se avessi saputo che queste erano le tue intenzioni, papà! Io volevo solo conoscerti, sapere se ti somigliavo almeno un po’. Ora siamo amici e a me va più che bene e non voglio neanche pensare che possa accaderti qualcosa, figuriamoci guadagnarci da questo. No, è escluso e non torneremo più sul discorso. Non costringermi a sparire dalla tua vita perché ti assicuro che potrei farlo e non ci rivedremmo mai più” aveva parlato velocemente, quasi non prendeva neanche fiato tra una frase e l’altra. I nonni, da parte del salotto, a stento erano riusciti a seguire il senso del discordo, Radish, invece, era perso su una singola parola che gli fece distendere il viso in un sorriso ebete. Grazie al cielo, per un puro colpo di fortuna, captò le ultime parole che riuscirono a svegliarlo dalla trance, con uno scatto d’atleta scavalcò il tavolino da caffè momentaneamente spostato nel mezzo del corridoio e raggiunse sua figlia, afferrandole una mano mentre si allontanava verso la stanza degli ospiti.
“Ehi ehi, vacci piano”
“Cosa c’è ancora?” il suo sorriso non fu neanche lontanamente intaccato dal tono scocciato di Hazel che era già sul piede di guerra, pronta a far valere la propria opinione contro qualunque cosa suo padre avesse detto
“È la prima volta che mi chiami papà” beh, tutto tranne questo.
“Co-cosa?” si trovò a balbettare pallida e con gli occhi sgranati “No... No, non è vero. L’ho detto un sacco di volte”
“Affatto. Mi definisci tuo padre con gli altri, commenti con frasi come tale padre tale figlia o ho ripreso tutto da te, ma da quando ci conosciamo mi hai sempre chiamato per nome”
“Beh, che c’entra? Di tutto il mio discorso hai capito solo questo o stai provando a distrarmi?” sciolta la presa di Radish sulla sua mano, Hazel si chiuse a riccio incrociando le braccia al petto. Radish l’osservò dall’alto del suo metro e novantacinque inclinando il capo, rimasero in quella posizione per qualche secondo prima che, con fare paterno, le pose le mani sulle spalle percependo tutta la tensione della conversazione.
“Hazel, è proprio questo il punto: io sono tuo padre, non sono stato presente per la maggior parte della tua vita e ora voglio prendermi cura di te come avrei dovuto fare tanti anni fa, non perché sia il mio dovere o perché tu mi stai chiedendo qualcosa. Voglio farlo perché sei mia figlia, ti voglio bene e dal momento in cui ci siamo conosciuti sei diventata tipo la persona più importante della mia vita, potresti chiedermi qualsiasi cosa e sarei felice di accontentarti. Che cazzo! Chiedimi di portarti su Marte e prenoto i primi biglietti per il viaggio pionieristico, fa niente se per farlo dovremo farci ibernare per altri duecento anni” Hazel aveva gli occhi lucidi e, sebbene volesse con tutta se stessa guardare altrove, non riusciva a spostare lo guardo dal viso così sincero di suo padre, dietro di loro Gine faticò a trattenere i singhiozzi bisbigliando a suo marito “Quando è diventato un uomo? Non so cosa mi sono persa della sua vita, ma non cambiate nulla di tutto questo” ovviamente la sentirono anche gli altri due e Hazel rise sonoramente avvicinandosi a suo padre per farsi passare un braccio intorno alle spalle
“Mamma e che cavolo! Mi hai sempre detto che ti piacevo così com’ero” la battuta riuscì a stemperare l’ansia e, sentendo la ragazzina più tranquilla, riprese il discorso.
“Hazzy, in cinque mesi sei entrata nella mia vita fino a diventare letteralmente il centro del mio mondo già da prima che eseguissimo il test del DNA. Famiglia si è anche in due e noi lo siamo... E, dal momento che abbiamo constatato che sono tuo padre e tu sei ancora minorenne, posso farlo senza chiederti il permesso o addirittura obbligarti a fare qualcosa!” esordì esaltato per la scappatoia appena trovata.
“PAPÀ!”
“Adoro sentirtelo dire” in uno slancio d’affetto Radish le lasciò un bacio sulla tempia per poi tornare al divano a controllare la sua lista “Ora però vieni a renderti utile, il trasloco non si farà da solo”
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 12
Per chi si è preoccupato che la storia potesse essere interrotta, tranquillizzatevi: semplicemente sono dovuta partire e ho lasciato il computer a casa pensando di tornare in tempo per mercoledi.
Il titolo è arrivato da sé rileggendo il capitolo. Radish sta entrando con passo di carica nella classifica dei padri dell’anno e lo sta dimostrando non solo ad Hazel ma anche alle loro famiglie. La parte che preferisco è sul finire del capitolo, quando Hazel chiama per la prima volta Radish papà e spero di essere riuscita a rendere l’idea del patos del momento.
Ormai sta diventando una tradizione quindi eccovi la fanart che ho preparato appositamente per il capitolo
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Capitolo 13 *** Capitolo 13: Torta di fragole e Chardonnay ***
Capitolo 13: Torta di fragole e Chardonnay
Non si era mai definito un uomo ansioso, diciamo che lui era più il tipo di persona che metteva ansia agli altri anziché percepirla. Al liceo gli era capitato di provare ansia nei pre-partita, o quando doveva comunicare ai suoi genitori la decisione di lasciare il college per investire nei night club. Nulla poteva essere paragonato con l’ansia che stava provando in quel momento, forse solo la sensazione che alcuni suoi amici gli raccontarono di aver provato quando dovevano incontrare i futuri suoceri. Beh, stava per andare a pranzo dai nonni di Hazel, più o meno era la stessa cosa ma avrebbe anche potuto risparmiarsi l’ansia, nessuno avrebbe potuto giudicarlo per le porcate che fa o avrebbe fatto con la ragazza di turno. Che cazzo! Stava andando a conoscere la famiglia di sua figlia. In realtà li aveva già conosciuti, ovviamente, ma finché si trovavano in ospedale o nel uso appartamento giocava in casa, tutt’altra storia era andare personalmente nella città in cui loro vivevano, la stessa città alquanto bigotta in cui anche Hazel trascorse gli anni della sua infanzia.
Una volta parcheggiato davanti al palazzo inviò un messaggio ad Hazel e mentre l’aspettava cercò di calmarsi un po’. Aveva tempo in realtà, sarebbe stato un lungo viaggio da Los Angeles a Pasadena, tempo che, secondo sua madre, avrebbe dovuto trascorrere distraendosi in chiacchiere futili. Inutile dire che la sua intenzione è tutt’altra: ottenere quante più informazioni possibili per ingraziarsi la coppia di anziani. Ovviamente c’era un motivo per questo interesse che aveva ben poco a che vedere con la curiosità per la vita di periferia, poteva aver preso bene l’idea di essere padre di un’adolescente, poteva sopportare l’idea di lasciare il suo appartamento e trasferirsi altrove con lei, poteva tollerare la gelosia relativa alle attenzioni maschili che SUA FIGLIA attirava, ma non avrebbe mai preso in considerazione l’idea di abitare in una qualsiasi città che non fosse Los Angeles. Insieme a Hazel aveva già visitato alcuni appartamenti, ma, almeno per il momento, nulla sembrava abbastanza degno di nota da essere seriamente preso in considerazione in vista di un trasferimento nel breve periodo. Ma il punto è che voleva essere sicuro che i suddetti coniugi non si opponessero al loro progetto, in questo funesto caso gli sarebbe toccato far scendere in campo l’artiglieria pesante: chiedere a sua madre di intervenire!
Hazel apparve nel suo campo visivo chiudendosi il portone di casa alle spalle e individuò subito la macchina di suo padre, il tempo avrebbe fatto capire anche a lui quanto fosse una pessima idea aver scelto la decappottabile per quel lungo viaggio.
Tanto era preso dalle sue elucubrazioni, Radish non notò sua figlia che gli si sedette accanto sul sedile del passeggero dopo aver lanciato la borsa alle loro spalle, così come non notò neanche il suo saluto. Il battito del suo cuore martellava furioso persino nelle sue orecchie, così la minore si prese qualche secondo per osservarlo.
“No ma dai, fai sul serio?”
Di tutto ciò che Hazel aveva ipotizzato sarebbe potuto succedere, questo non era previsto. Conosceva la sua propensione per le magliette stupide, ricordava ancora quella indossata al pranzo con i Son: Radish disse di aver tenuto il meglio per la fine, sempre se di meglio si poteva parlare quando la maglia in questione riportava la frase ho una figlia bellissima, ma ho anche una pistola, una pala e un alibi. Quel giorno invece era diverso, aveva indossato jeans scuri con su una camicia più chiara arrotolata fin sui gomiti con addirittura un gilè sopra! Accidenti, era elegante!
“Che schianto! Vuoi conquistare l’appoggio di nonna Bonnie? Perché ti assicuro che le piacevi anche in t-shirt e camicia a quadri” seduto al posto di guidatore della sua porsche cayman grigio scuro, Radish sembrò ridestarsi dal suo quasi attacco di panico. Rivolse un’occhiataccia ad Hazel vestita stranamente in modo normale, perché in quei mesi trascorsi insieme era così abituato a vederla con un determinato look che ora, con indosso quel vestito, le era apparsa per un momento strana.
“Stai bene” esordì senza neanche pensarci, solo sorridendo. Hazel sorrise a sua volta, ma in modo molto più evidente e, inconsapevolmente, aiutò suo padre a calmarsi abbastanza da poter partire.
“Grazie, tua madre ha insistito tanto per regalarmelo. Non credevo che mi sarebbe piaciuto così tanto vedermelo addosso e sicuramente anche nonna Bonnie eviterà di storcere il naso questa volta” si trattava di una gonna a salopette e le bretelle con bordo a volant, grigio a quadri e con sotto una maglia bianca a collo alto.
“Tua nonna non ama il tuo modo di vestire?”
“Lo odia forse più di te... Però, strano a dirsi, sai che non mi manca tutto quel nero nel mio guardaroba? Anzi credo che ci siano un paio di capi che potrei veramente buttare via o renderli pigiami... Tipo il vestito viola che non ti piace” disse guardandolo di sottecchi facendolo sbuffare sonoramente.
“Quella roba è da zoccola! Fidati, se anche la dessi in beneficienza non lo prenderebbe nessuno”
“Ma non è vero! Andiamo era così carino”
“Per niente! Anzi ricordami che appena ci trasferiamo ce ne andiamo a fare shopping, così magari potrai continuare a tenere dei cambi d’abito dalle tue parenti, almeno per le volte in cui proprio non posso evitare di passare al locale” concentrato sulla strada e le indicazioni del navigatore per quelle stradine di periferia, non notò che Hazel, impegnata a giocare al cellulare, avesse in realtà registrato quest’ultima parte del dialogo per inviarlo come vocale alla zia, gesto apparentemente di poco conto che, però, sapeva avrebbe fatto la differenza con nonna Bonnie.
“Non dirmelo, vuoi prendere delle ridicole magliette abbinate?”
“Quelle sono già nel carrello di Amazon” risero entrambi e il resto del viaggio scorse piacevolmente e Radish non pose nessuna delle domande che fino a poco prima gli frullavano in testa, decisamente più interessato alle ultime novità di cui Hazel volesse renderlo partecipe. Alla fine arrivarono a casa Brief, che spiccava per le sue pareti esterne dipinte di un tenue rosa antico.
“Hai portato un dolce?” chiese notando solo in quel momento una confezione da pasticceria accanto alla sua borsa che aveva malamente lanciato sul sedile – grazie al cielo non aveva colpito la scatola!
“Sì e anche il vino”
“In tal caso penso che tu voglia conquistare zia B” l’uomo arrossì, se possibile, fino alla radice dei capelli
“Sei totalmente impazzita? E poi scusa non stava con puffo brontolone?” Hazel scoppiò a ridere fin quasi alle lacrime, rise così forte che persino la nonna, impicciona per natura, si affacciò dalla finestra del salotto per capire che stesse succedendo. Trovò la nipote piegata a reggersi la pancia, vestita in maniera impeccabile e perfettamente abbinata all’uomo che l’accompagnava e che in quel momento la guardava male per chissà quale ragione.
“Non hai idea di quanto questo nome sia azzeccato con lui, anche se perderesti ogni possibilità di diventargli amico se sapesse come l’hai chiamato. Coraggio, ora andiamo spilungone, conoscendola nonna sarà appostata alla finestra o davanti alla porta in attesa che bussiamo”
“Ma chi vuole essergli amico!” sebbene il pensiero gli balenò in mente, Radish si astenne a dovere da esporlo, limitandosi a scendere a sua volta dall’auto e recuperare la roba sui sedili posteriori.
Un brivido freddo lo colpì alla nuca, ecco che il panico tornava, ma Hazel fu più veloce. Forse non aveva notato il suo stato d’animo, probabilmente non aveva fatto caso al tremore della mano libera prima che la nascondesse nella tasca, ma quando sentì il braccio di sua figlia agganciarsi al proprio in qualche modo si sentì meglio. Si sentì pronto.
“Andiamo?”
“Assolutamente”
Fu la nonna Bonnie ad andargli incontro all’ingresso, ancora con il grembiule addosso.
“Prego Radish, fa come se fossi a casa tua” esclamò mettendolo da subito a suo agio usando il tu “Anzi, Hazel cara porta tuo padre a fare un giro della casa, così vai anche a chiamare il nonno. Credo sia ancora in garage intento a fare chissà che cosa”.
“Certo nonna. Metti tu questi in frigo?” e non appena Radish ebbe porto a Bonnie il dolce e il vino portato, Hazel lo trascinò da una mano in giro per la casa. Come quella dei suoi genitori, e contrariamente al proprio appartamento, casa Brief era una casa vissuta. I divani erano ancora in buono stato nonostante gli anni che dovevano sicuramente avere, sicuramente Bonnie aveva adottato la stessa tecnica di Gine scegliendo di coprirli durante gli anni dell’infanzia e adolescenza delle sue figlie, che comunque non credeva avessero sporcato e messo tutto a soqquadro quanto erano in grado di fare tre maschi. Le pareti erano costellate di decine di fotografie di famiglia e in soggiorno c’erano persino segnate le altezze di Kida, Bulma ed Hazel durante la crescita.
“Ho tenuto il meglio per la fine. Dovremmo farcela a vederne un paio dal momento che zia B non è ancora arrivata” esclamò Hazel prendendo tre enormi libri dalla grande libreria del soggiorno per poi sedersi a gambe incrociate sul pavimento e invitarlo a fare lo stesso.
“Andiamo, non sei così vecchio da non poterti sedere qui con me”
Hazel conosceva a memoria l’album delle sue foto d’infanzia, l’aveva sfogliato decine di volte, soprattutto dopo la morte di sua madre. Kida aveva dedicato tutta se stessa nel creare quell’album e aveva quindi cominciato incollando una foto di profilo per ogni mese in modo da far vedere la pancia crescere, a volte accompagnate anche da ecografie e frasi che raccontavano episodi importanti. La prima vera foto di Hazel era del giorno in cui nacque e fu scattata da sua nonna. Nonostante avesse solo un’ora di vita, si capì immediatamente che non avrebbe mai somigliato a sua madre. Gli appunti a lato la descrivevano come bimba una sana e forte, di 2,7 kg, lunga 50 centimetri e con due polmoni d’acciaio. Dalla foto invece erano evidenti i folti capelli neri lunghi sì e no due dita e gli occhi scuri, niente in comune con i capelli biondi di sua madre.
Nel guardare quella foto, però, ciò che veramente attirava ogni volta la sua attenzione per prima era sua madre, bellissima nonostante l’evidente stanchezza e i capelli corti e scompigliati, aveva una luce negli occhi che la rendeva una donna diversa da quella ritratta nelle altre foto antecedenti alla nascita di sua figlia. Quando sfogliavano insieme l’album Kida era solida dire di essere rinata anche lei insieme a sua figlia, diventando una persona nuova e totalmente diversa da ciò che era prima.
A ogni foto sfogliata su cui si soffermavano, Radish ascoltava gli aneddoti che Hazel gli raccontava, affamato di informazioni sull’infanzia di sua figlia. Quest’ultimo album era pieno solo per metà e all’ultima pagina utilizzata anziché delle foto c’era stata incollata una lista scritta a mano
“E questa?”
“Questa è la lista delle esperienze. Cose che io e mamma avremmo dovuto fare insieme per poi incollare una foto per ogni voce della lista” rispose Hazel carezzando la pagina non più del suo originario lilla brillante “Mamma diceva che le esperienze sono il più grande tesoro che si possa accumulare. Non che fossero cose chissà quanto avventurose da fare, la maggior parte sono solo viaggi, ma fare progetti per il futuro mi rallegrava sempre. Di certo a quell’età non avrei mai potuto capire che lei non ci sarebbe stata per sempre”. Lo sguardo di Radish s’incupì e non fu in grado di replicare in alcun modo. Spostò quindi lo sguardo sulla lista. La calligrafia doveva essere quella di Kida, come nelle didascalie sotto ciascuna foto, ma c’era anche l’impronta di Hazel che aveva fatto alcuni disegni ai bordi delle pagine. Visitare l’Italia, andare a DisneyWorld, vedere l’aurora boreale... e un altro paio di voci riguardanti esperienze che avrebbero esaltato qualsiasi bambino e con lo scopo di spingerne una in particolare a sognare e dimenticare che sua madre non sarebbe vissuta abbastanza per accompagnarla in queste avventure. Radish aveva la gola stretta dal magone e gli occhi lucidi, spostò quindi lo sguardo affinché Hazel non se ne accorgesse e incontrò invece l’espressione comprensiva di Bonnie che gli sorrideva.
“Qu-quindi” dovette ripetersi per schiarire la voce “sia che non sono mai stato a Disney World neppure io? Vuoi andarci con me?”
“Sei serio?” chiese Hazel ad occhi sgranati.
“Sono sempre serio quando si tratta di viaggi” lanciò una breve occhiata ai Brief e si affrettò aggiungere “Ci organizzeremo non appena non ci sarà più l’impegno della scuola, così non avremo neanche il problema jetleg. Ti va?”
“Sei un grande Son!” e seguì un sonoro batti cinque.
“Ragazzi, è pronto a tavola. Andate a lavarvi le mani. Ed, Hazel, metti via quegli album cara” disse Bonnie riportando l’ordine nel salotto.
“Quindi” esordì Radish mentre Bulma gli faceva strada, stranamente incapace di tollerare il troppo silenzio “quel tipo incazzato che è stato in ospedale a trovare Hazel insieme a Videl è il tuo compagno?”
“Il mio che?” a Bulma quasi cadde di mano il telefono su cui stava frettolosamente scrivendo dei messaggi “è solo un collega, nonché il figlio del mio capo in realtà. È il fratello maggiore di Videl, a proposito come conosci Videl? Non è esattamente il tipo da discoteca” se anche Radish, come tutte le persone che avevano a che fare con Bulma, rimase per un attimo perplesso da quel fiume di parole, non lo diede a vedere.
“Duqnue. Conosco Videl perché è stata lei a chiamarmi quando Hazel è stata ricoverata. In più ho scoperto solo dopo che è la quasi-ragazza barra nemesi di mio nipote Gohan, forse di nominata lo conosci anche tu” Bulma non dovette pensarci troppo per ricordare il nome che aveva tante volte sentito pronunciare da Hazel e Videl e Radish attese un cenno prima di continuare
“In secondo luogo, prima di diventare imprenditore e proprietario di locali di movida, ero un barman e in quanto tale sono abituato ad osservare le persone quasi quanto potete esserlo voi investigatori privati. E che vi piacete si vede lontano un miglio, anche se lui sembra essere un po’ più bravo a nasconderlo”
“N-no... no” ripeté schiarendosi la voce “io e Vegeta non stiamo insieme, siamo solo colleghi ogni tanto”
“Mh allora faresti bene a smettere di andarci a letto o mettere in chiaro i tuoi sentimenti”
“Ma come...?”
“Barman. Te l’ho detto. E sono anche un bravo ascoltatore. Il segreto e stare lì e anche quando vuoi andartene, non lo fai” e senza darle modo di replicare si diresse per primo verso la sala da pranzo “Tu vieni o vuoi stare ancora lì impalata?”
“Dovevi vedere com’era contenta, non vedeva l’ora di tornare a casa anche se poi in realtà ha trascorso tutto il tempo organizzando la prossima giornata che passerà con Radish. Si è messa in testa di trovare il film che lo farà piangere e ha addirittura stilato una lista” di punto in bianco scoppiò a ridere “Ecco, lui sembrava anche più felice di lei a questa prospettiva, non riusciva a smettere di sorridere, io non sapevo neanche che fosse in grado di farlo... E non hai idea di quanto fosse nervoso di fronte ai miei genitori, neppure avere già una figlia gli ha risparmiato l’ansia del conoscere i suoceri, anche se poi qui mia sorella non c’entra proprio nulla perché non sono mai stati effettivamente una coppia”
“Hai finito?” la interruppe secco. Bulma, che si stava ravvivando i capelli dopo aver tolto la fascia che indossava, si bloccò sul posto.
“Come?”
“Non mi interessa un fico secco di quell’idiota e tu invece continui a parlarne” Vegeta stava respirando velocemente e dato il suo abbigliamento, anzi non abbigliamento dato che indossava solo i pantaloncini da ginnastica, aveva interrotto l’allenamento quando Bulma aveva suonato al citofono.
“Sono felice che mia nipote abbia trovato suo padre, che lui le voglia bene, la protegga e la renda molto felice. Scusa se volevo condividere con te questa gioia” Radish le aveva detto di parlare con Vegeta e rivelargli i suoi sentimenti, decisamente una cosa più facile a dirsi che a farsi. Con le spalle curve, si rialzò dal divano e recuperò la sua borsa. Sebbene fosse girato di spalle, a Vegeta non sfuggì quel movimento.
“Che accidenti stai facendo adesso?”
“Vado a casa, non ho voglia stasera e le mie amiche mi aspettano per cena”
“Non abbiamo finito”
“Sì che abbiamo finito, Vegeta”
“Tu hai sempre qualcosa da dire, parli di continuo e ora vorresti dirmi che non hai nulla da dire?”
“Beh, non questa volta. Perché per te quello che c’è tra noi inizia e finisce in un letto, o in una doccia, su un divano, mentre io invece vorrei che esistesse anche fuori. Vorrei parlare con te delle mie paure, o di cosa mi rende felice e cosa mi preoccupa e non posso. Ma adesso devo pensare ad Hazel, a cui tengo come se fosse mia figlia, tutto il resto è irrilevante” Vegeta sbuffò scaraventando a terra l’asciugamano che aveva posato sulla spalla, Bulma gli diede le spalle pronta ad aprire la porta per uscire non solo dall’appartamento ma forse anche dalla vita dell’uomo di cui era innamorata.
“Io vorrei poterti parlare davvero, dirti che ti amo senza la paura di una tua fuga, ma non posso. E la parte peggiore è che tanto ti perderò comunque” il telefono sulla mensola iniziò a squillare e con un’occhiata Bulma vide lampeggiare le parole Rossa – 5^, sapeva dell’abitudine di Vegeta di salvare i contatti sul telefono delle conquiste e sentì la gola chiudersi in una morsa.
“Dovresti rispondere, magari è urgente” si chiuse la porta alle spalle, fortunatamente la vicina era appena scesa dall’ascensore che al piano e vi si barricò dentro, solo allora lasciò che le lacrime scendessero liberamente sulle sue guance. Per assicurarsi di non arrestare la corsa teneva costantemente premuto l’interruttore del piano terra, con la mano sinistra invece cercava di asciugare le lacrime.
“Ki? Tu ti sei mai innamorata?”
“In un certo senso, ma è complicato. Perché questa domanda B?” Bulma si torse le dita. Se ne stava seduta a gambe incrociate sul letto nella camera di sua sorella, Hazel dormiva beatamente circondata da cuscini per evitare che cadesse mentre Kida era seduta alla scrivania, stava incollando delle foto su un album.
“Come si capisce se sei veramente innamorata?” la maggiore lasciò perdere le fotografie e sollevò lo sguardo al soffitto con fare pensieroso.
“Nel senso: come capisci che sei innamorata e non è una cotta?”
“Non lo so. Penso che vada oltre il semplice sentire la mancanza e volere accanto una persona. Immagino che sei veramente innamorata di una persona, la accetti per com’è nonostante i difetti che può avere”
“Tipo che sono innamorata di una persona se sono disposta a passare sopra al fatto che, per esempio, mette si stende sul letto senza togliere le scarpe?” la bionda inorridì.
“Buon Dio! Non credo che si possa amare così tanto una persona!”
Scosse la testa cercando di ricomporsi una volta uscita dall’ascensore. C’era un limite a tutto e lei lo aveva appena superato. Questa era l’ultima volta che avrebbe pianto per un uomo che non la meritava.
Era arrivata, ultimo livello di quel dannato gioco che le aveva tolto così tante ore di sonno da averne perso il conto. Il suo personaggio, Saturyn, armata delle spade gemelle – due gladi di media lunghezza che aveva scelto dopo tante e tante prove svolte nei vari livelli – e l’armatura color verde acqua.
“Guerriero, hai oltrepassato il limite. Solo uno di noi due sopravvivrà a questo scontro e non sei tu”
"Staremo a vedere schifoso pagliaccio. Col cazzo che mi faccio minacciare da uno disegnato da qualcuno sotto oppiacei”
“A noi due”
E lo schermo si bloccò
“NO NO NO!” i comandi non rispondevano più, ma impiegò un attimo in più del previsto a capire che neanche Lord Drustel si stava muovendo. Con uno scatto fulmineo si tolse la visiera di realtà aumentata, impiegando qualche attimo a metter a fuoco Radish in piedi di fronte a lei con in mano un joystick e gli appunti di storia.
“Quale flotta sbaragliò quella inglese nel 1781, impedendo così ogni possibilità di collegamento via mare?”
“Cosa? Papà che cazzo stai dicendo?!”
“Ti aiuto a studiare. Quale flotta sbaragliò quella inglese nel 1781, impedendo così ogni possibilità di collegamento via mare? Americana, francese o spagnola?” Radish non batté ciglio davanti a tutta questa furia, limitandosi a leggere la domanda accuratamente scelta a caso nella lista di quelle inviategli dalla professoressa.
“Che cazzo ne so. Riabilitami il personaggio, ho impiegato un mese ad arrivare fin qui!” come una furia Hazel si alzò dal divano per cercare di raggiungere il telecomando con cui suo padre aveva il controllo sul malfunzionamento del gioco.
“Flotta americana, flotta francese o flotta spagnola? E ti conviene impegnarti, se non vuoi perdere un mese di progressi”
“Americana”
“Risposta sbagliata” Hazel vide come al rallenty quando Radish premette un tasto che lei non riuscì a vedere la partita annullarsi e due parole apparire su uno sfondo nero: GAME OVER. Cadde a terra sulle ginocchia, balbettando parole senza alcun senso logico.
“Adesso voglio che tu mi stia bene a sentire Hazel perché non amo ripetermi. Il solo fatto che tu sia mia figlia implica quasi obbligatoriamente che tu sia più interessata ai videogiochi che allo studio, ci sono già passato e il me stesso della tua età non potrebbe non darti ragione. Ma si dia il caso che oltre che un appassionato di videogiochi io sia anche tuo padre ed è mio dovere far sì che tu superi questo corso senza debiti” Hazel neanche lo guardava, troppo concentrata sullo schermo del televisore, questo finché Radish non estrasse un oggetto dalla tasca.
“Ai miei tempi si era soliti salvare i progressi fatti in un gioco su una memory ed è esattamente ciò che ho fatto in questo caso. Supera il test di domani e riprenderai il gioco esattamente da dove l’hai lasciato. Ci stai?” Hazel analizzò la situazione con occhio critico. Vero sì che ci aveva perso il sonno su quel videogioco, altrettanto vero era che Radish lo aveva perso con lei per invogliarla a studiare. Si erano preparati così per quel test finale: per passare al livello successivo il boss da sconfiggere era un capitolo di storia, il criterio minimo per vincere era rispondere bene a quindici domande su venti. Non aveva mai impiegato così tanto a finire un videogioco, ma in compenso aveva la preparazione necessaria per mettersi in pari con i programmi di studio dei corsi in cui era più carente e, sicuramente, non avrebbe mai ottenuto questo risultato da sola.
“La campagna di Russia di Napoleone fu: vittoriosa, fallimentare o un discreto successo?” si stavano misurando in un videogioco di lotta, la minuta Saturyn, agile e scaltra, contro il Darik, mutaforma dalle quattro braccia.
“Fallimentare, considerati la grandezza delle forze scese in campo e i risultati raggiunti. Un po’ come questa partita che stai giocando bestione” con una combinazione di tasti riuscì ad assestare un bel colpo al suo avversario
“Non cantare vittoria carina” lasciando momentaneamente il joystick Radish allungò una mano per bere un sorso dalla sua lattina di Cola, apparentemente semplice, se non fosse che erano sdraiati sul divano a testa in giù con le gambe sullo schienale
“Ti farei un applauso se non fosse che sto già anche lavorando d’intelletto per rispondere a quelle stupide domande”
“Ne hai ancora di cose da imparare ragazzina. Quali Stati americani avevano deciso di rompere con la Gran Bretagna”
“Tutti”
“Tranne lo Stato di New York” fu il turno di Saturyn di incassare qualche colpo in pieno stomaco che le abbassò il livello vitale
“Ultimo round. Da chi era capitanata la guardia nazionale francese, ossia la milizia volontaria a difesa dell’assemblea costituente?”
“La Fayette, che prese parte anche alla rivoluzione americana” X, triangolo, di nuovo X e la partita finì. The winner is... Saturyn
“Bella partita ragazzina”
“Magari sono abbastanza preparata per il test” esordì “Dai rimettimi il gioco, finisco e studio un altro po’” un sorriso inquietante e dall’aspetto quasi maligno si dipinse sul viso di Radish che le fece accapponare la pelle.
“Forse non sono stato abbastanza chiaro, carina” con quello stesso sorriso e la testa inclinata il colosso di muscoli e capelli si chinò sulla minore per essere alla sua altezza “io non sono tornato a studiare perché tu ti definissi abbastanza preparata, né ho la minima intenzione di farmi prendere per i fondelli da una mocciosetta che potrebbe essere mia figlia, e a conti fatti lo è davvero. Se tu non passi quel test tutti i salvataggi del gioco finiscono nel cesso. Ci siamo capiti?” si trovarono entrambi a impallidire, anche se per motivi diversi, Hazel perse la sua espressione spavalda e Radish non aveva più niente di inquietante e maligno.
“Cazzo, sembro a metà tra mia madre e mio padre quando frequentavo il liceo” mormorò con gli occhi sgranati, a guardarlo Hazel non avrebbe saputo dire se fosse più disgustato o angosciato.
“Quindi niente videogioco?”
“Vai a studiare Hazel. Io vado a deprimermi di là”
“D’accordo capo” disse aprendo il quaderno con tutte le mappe concettuali degli argomenti studiati “lavori stasera?”
“Devo passare un po’ al Phoenix , non mi va a genio come Will gestisce le cose. Deve mettersi in testa che il capo sono io e non può fare come più gli aggrada nel mio locale. Vuoi chiamare tua zia e chiederle di stare con te finché non torno?”
“Sai, sono abbastanza grande per poter stare da sola, anche zia è capitato che dovesse viaggiare per lavoro. Ma comunque credo che andrò lo stesso da lei questa volta, mi sembra che sia così triste nell’ultimo periodo”
“È successo qualcosa?”
“In teoria io non dovrei saperlo, ma credo che abbia rotto la sua non-relazione con Vegeta. Contrariamente al periodo prima del mio ricovero in cui erano praticamente sempre insieme, ora sembra sparito nel nulla, inoltre zia B ha ridotto drasticamente le ore che trascorre in ufficio. Ha detto di voler dare una svolta alla sua vita e dedicarsi anima e corpo al progetto che cui sta lavorando da anni... Inoltre anche Videl è preoccupata per suo fratello, dice di non aver mai visto Vegeta così nervoso come negli ultimi giorni”
“Perché il nano incazzato sa esprimere altre emozioni oltre lo scazzo?”
“Bella domanda, credo resterà un mistero” e una volta inforcata la matita tra i capelli sorrise a suo padre “mandami un messaggio quando arrivi al locale, non farmi stare in pensiero ok?” chiudendosi la porta di casa alle spalle l’unico un pensiero lo fece sorridere
Penso proprio che potrei abituarmi a questa novità
NOTE AUTRICE –CAPITOLO 13
Ammetto che, in realtà, non sapevo dove collocare questa parte di storia, l’avevo scritta parecchio tempo fa e sono stata giorni con il dubbio se modificarla o meno per paura di cambiare troppo in peggio.
Lo so, non faccio in tempo neanche a metterli insieme i miei amati VegeBul che già li faccio lasciare. Niente panico, si sistemerà tutto nel migliore dei modi, il che può significare tutto e niente se già andiamo a pensare alla frase finale delle fiabe disney più vecchie: e vissero tutti felici e contenti. Rivisitazione recente della frase che si legge invece sui social: e vissero tutti felici e contenti, ma nessuno ha mai detto insieme. Sono così crudele anche io????
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Capitolo 14 *** Capitolo 14: Ogni momento è un’occasione per dare una svolta ***
Capitolo 14: Ogni momento è un’occasione per dare una svolta
Quando i coniugi Brief avevano invitato Radish ed Hazel a pranzo per quel fine settimana non gli era sembrato che ci fosse nulla di strano. Era abbastanza normale in una famiglia pranzare insieme la domenica senza un altro motivo dietro, persino lui stesso aveva organizzato un mega pranzo di famiglia per inaugurare la nuova casa in cui si era trasferito con Hazel, la quale continuava comunque ad avere una propria camera a casa di Bulma e dai nonni.
Anche quella prima parte della domenica era andata bene, finché la crostata non rischiò di andargli di traverso quando Bonnie Brief sganciò la bomba.
“Hazel cara, c’è qualcosa che dovresti sapere”
“Che c’è nonna? Mi sto preoccupando”
“Oh non devi piccola” intervenne il nonno “Non è una cosa brutta, solo mh... anticipata, potremmo dire, sì”
“Vedi fiorellino, tua madre aveva immaginato che sarebbe arrivato il momento in cui avresti cominciato a fare domande su tuo padre e decise di prepararti lei stessa tutte le risposte. Certo, Kida non immaginava cosa saresti stata in grado di fare da sola senza coinvolgere noi e per questo che fece conservare il tutto in una cassetta di sicurezza cui avresti avuto accesso all’età di diciotto anni. O anticipatamente se fossimo stati noi a ritirarla per te” spiegò Bonnie cercando di mantenere il controllo della propria voce. Hazel, ad occhi sgranati, non sapeva su chi dei presenti posare lo sguardo per primo.
“Dove posso trovarle? Perché non me lo avete detto prima? E per questo che non avete battuto ciglio quando avete conosciuto Radish? Perché zia non me ne ha parlato quando ha scoperto di papà?!” pronunciò ogni domanda di seguito all’altra, incapace di dare loro un grado di importanza.
“La banca qui vicino, piccola. Il nonno dovette firmare l’ultimo modulo. Tua zia non sa nulla, non avrebbe potuto dirtelo”
“Credo” intervenne di nuovo il signor Brief “che Kida pensasse che ti saresti confidata con qualcuno di noi, ma sei sempre stata molto più intelligente degli altri”
L’inquadratura si muoveva a scatti finché l’improvvisata regista non riuscì a stabilizzarla su un ripiano che fosse abbastanza alla sua altezza, a quel punto la donna apparve sullo schermo sedendosi sul di letto della propria camera a Pasadena.
“Ciao Hazel”
“Mamma” nonostante la voce di Hazel fosse solo un sussurro, Radish la sentì forte e chiaro e agì d’istinto stringendole la mano.
“Va tutto bene?” la ragazza annuì soltanto senza spostare lo sguardo dal televisore e riempirsi gli occhi dell’immagine di sua madre.
“Resta qui con me” sussurrò e l’uomo le rispose con il medesimo tono
“Non vado da nessuna parte”
“Come stai piccola? Cioè, so che non sei più tanto piccola, dovresti avere ormai diciotto anni, ma per me sarai sempre la mia piccola” i capelli biondi erano tenuti indietro da una fascia viola, era pallida ma, agli occhi di sua figlia, era bellissima.
Kida sorrise imbarazzata alla videocamera grattandosi dietro la nuca, nel fare ciò l’occhio le cadde sulla fotografia che teneva sul comodino. La prese e la indicò all’obiettivo.
“Per me sarai sempre questa bellissima bambina che mi tirava i capelli con forza quando non le dedicavo tutta la mia attenzione” rise, poi alle sue orecchie giunse la risata argentina di sua figlia che giocava con la nonna
“Adesso hai quattro anni, ma quando riceverai questo messaggio ne avrai diciotto, un’età che mi è sembrava la più adatta per affrontare questo discorso. E soprattutto volevo lo sapessi da me e non da qualcun altro che non avrebbe capito quelle che erano le mie reali intenzioni” posò la cornice sul comodino e si recò alla scrivania per prendere una scatola che vi aveva riposto
“Molte volte mi hai domandato del tuo papà, odio dirti le bugie, ma non saprei come spiegarti ciò che è successo” la sua espressione s’incupì “I medici mi avevano dato per spacciata già cinque anni fa, anche l’ultimo ciclo di chemio è stato un buco nell’acqua e decisi di dire basta, non ne potevo più. Ero stanca di imbottirmi di quello schifo, di stare male, di vedere la mia famiglia soffrire... Volli essere egoista, ho fatto i bagagli e sono partita per un viaggio che volevo fare da praticamente tutta la vita. Agli affetti da cancro viene consigliato di tenere un diario della malattia, i film invece mi hanno insegnato che i malati terminali devono fare una lista delle cose da fare prima di morire. La mia prevedeva cose assurde e le ho fatte quasi tutte” rise ancora “ti prego non prendermi ad esempio, io ho la scusa del cancro e tu invece no” iniziò a cercare nella scatola e ne estrasse un diario
“Questo era il mio diario della malattia, che divenne un diario di bordo quando sono partita per l’Australia. Una terra selvaggia e pericolosa al pari del selvaggio west, ma più divertente, credo di aver fatto le esperienze più belle e folli della mia vita, tutto declassato nel momento in cui ti strinsi per la prima volta tra le braccia, ma sto divagando... Naturalmente troverai tutto scritto nel mio diario se deciderai di leggerlo, ma ci sono cose che volevo raccontarti personalmente” estrasse dalla scatola un piccolo plico di fotografie tenute insieme da un nastro.
“Conobbi tuo padre appena arrivata nell’hotel, il jetlag mi stava uccidendo ma ero così eccitata che non sarei riuscita a chiudere occhio. Eravamo un gruppo di almeno venti persone e per distinguerci da altri gruppi di turisti ci avevano dato un foulard rosso che io indossavo come bandana per via dei capelli troppo corti” disse indicando la suddetta stoffa rossa “e poi decisero che saremmo dovuti essere divisi in coppie. Eravamo in pochi a viaggiare da soli ma tra questi uno in particolare mi incuriosì: sebbene fosse arrivato fin lì sembrava totalmente disinteressato a tutto ciò che riguardava quella vacanza, niente attirava la sua attenzione. Aveva un’espressione perennemente arrabbiata, ma qualcosa mi diceva che dietro quegli occhi scuri si nascondesse una grande sofferenza” un’altra volta il suo sguardo si perse nei ricordi carezzando dolcemente quella foto di gruppo
“Non ha mai fatto domande sulla mia situazione, del perché fossi sempre molto debole o per i capelli corti, però aveva l’accortezza di reggermi quando perdevo l’equilibrio o mi sentivo svenire, sempre scherzandoci su. Tu gli somigli molto, per quel poco che ho potuto conoscerlo” prese quindi una delle foto che aveva nascosto nel diario.
“Ecco” iniziò voltando il pezzo di carta “questo è tuo padre, Hazel e il suo nome è Radish Son” la fotografia era stata scattata girando la fotocamera usa e getta e inquadrava Kida sorridente e bellissima nonostante i corti capelli biondi a spazzola accanto a un uomo alto e tutto muscoli che in confronto la faceva sembrare uno scricciolo, lunghi, anzi lunghissimi, capelli neri e gli occhi del medesimo colore accesi di divertimento, le labbra sottili stirate in un mezzo sorriso.
“Vedo molto di lui in te, piccola mia. Sorridi come lui e hai i suoi stessi colori, per non parlare poi del fatto che non riesci a stare ferma per più di qualche minuto e, tranne le volte in cui si addormentava, era impossibile tenerlo buono quando viaggiavamo verso le mete distanti” rigirò la foto verso di sé e sorrise con dolcezza.
“Non troverai altre foto con lui in giro, mi sono assicurata di farle sparire perché nessuno faccia domande” mostrò un altro paio di foto all’obiettivo, in una c’era Kida che rideva per via di un cucciolo di koala appeso al grosso bicipite di Radish, nella seconda l’uomo portava al guinzaglio un alligatore come se fosse un cane.
“Ecco, bimba mia, sei l’unica a vedere per la prima volta queste foto, neanche Bulma o i nonni ne sanno nulla. Vedi, i miei genitori divennero iperprotettivi quando scoprirono del cancro, volevano che vivessi sotto una campana di vetro, io invece sono scappata di casa alla ricerca di avventura e ne sono tornata con una gravidanza decisamente inaspettata... Oh piccola mia, ti ho amata dal primo momento in cui seppi della tua esistenza e credo che ringrazierò tuo padre per tutto il tempo che mi resta per il meraviglioso dono che mi ha fatto, anche se inconsapevolmente” al che abbassò il capo, improvvisamente triste
“Avrei voluto cercarlo quando seppi della gravidanza, e molte volte sono stata sul punto di farlo, ma cosa avrei mai potuto dirgli? Ciao, non so se ti ricordi di me, sono incinta ma non è detto che nostro figlio venga al mondo perché ho il cancro e potrei morire da un momento all’altro? Dio, è una frase così maledettamente da me, ma con che coraggio! Sapere di te, Hazel mi ha sconvolto la vita, ma credo che lui ne sarebbe stato devastato... Sono egoista, ma non volevo che sapesse di noi. Non ho voluto obbligarlo per pietà a stare accanto a una donna che neanche conosce e, magari, a prendersi cura di una bambina che probabilmente non si sentiva pronto ad avere. Vero è che un figlio è una responsabilità, altrettanto vero che queste cose si fanno in due, ma, per questa volta, ho scelto di prendermi da sola la responsabilità delle nostre azioni” calde e copiose lacrime le solcarono le guance e tentò di scacciarle rapidamente con le dita.
“Ti chiedo scusa per non averti dato la famiglia che meritavi, amore mio, però è giusto anche che io ti ringrazi. Perché tu e tuo padre siete stati gli unici a trattarmi come una donna e madre normale e non come qualcuno di fragile e debole che andasse solo protetto” di nuovo sentì le risate di sua figlia e si trovò nuovamente a sorridere, anche se tra le lacrime.
“Vorrei poterti dire con certezza che andrà tutto bene, vita mia. Vorrei non doverti lasciare da sola, ma quando ti viene diagnosticata una malattia terminale impari una lezione molto importante: nulla dura per sempre. Per questo ho voluto vivere ogni giorno senza rimpianti e vorrei che lo facessi anche tu” ridacchiò “beh, magari con qualche limite, tu avrai una lunga vita tesoro mio e dovrai riflettere un po’ più di me prima di prendere la valigia e dartela a gambe” questa volta rise sonoramente “ Sii coscienziosa, ma fa in modo da non avere il rimpianto di non aver fatto qualcosa. Vorrei che tu andassi al college, sei così intelligente... Oppure non andarci e impara come gira il mondo vivendolo ogni giorno”
Hazel aveva le lacrime agli occhi ma non si preoccupava di scacciarle, non stringeva più la mano di Radish che ora, invece, la teneva stretta tra le sue forti braccia.
“Hazel... Mi dispiace non poterti accompagnare nella tua vita, di non poterti aiutare ad affrontare gli ostacoli che ti troverai davanti, ma io sarò sempre con te, piccola mia, anche se tu non potrai vedermi. Sarò sempre la tua fan numero uno” videro Kida riporre le fotografie nella scatola insieme a tanti altri oggetti che riconobbe essere tutti contenuti nella cassetta di sicurezza.
“Ti amo più di tutto al mondo bimba mia. E se mai un giorno dovessi incontrare tuo padre, digli grazie da parte mia”
Ci volle un po’ perché Hazel riprendesse il controllo di sé e riuscisse a fermare le lacrime, non prima però di aver rivisto il video altre tre volte, per paura di essersi persa qualche passaggio del discorso o anche solo per risentire la voce dolce e rassicurante di sua madre. Smise di riavvolgere il nastro solo per paura che essendo una videocassetta avrebbe potuto danneggiarsi e perdere per sempre quel ricordo. Fu allora Radish a rassicurarla promettendole che lo avrebbe fatto convertire in DVD e ne avrebbe fatto tutte le copie che desiderava. Così, più calma, iniziò ad osservare il resto del materiale contenuto nella scatola. C’erano tante fotografie, Hazel infatti aveva ereditato da sua madre questa passione, Kida amava collezionare le foto perché quando la memoria cominciava a fare cilecca a causa della malattia e dei farmaci che prendeva guardare quelle immagini stampate riusciva a strapparle un sorriso anche se no sempre ricordava le circostanze in cui erano stante scattate. Dietro ogni foto infatti c’erano scritti degli appunti: la data del giorno, il luogo in cui si trovavano e i nomi delle persone ritratte in ordine di posizione per riuscire a identificarli, ciò che stavano facendo e qualche aneddoto relativo alla giornata.
Arrivò poi il turno di un quaderno, anzi no, era un’agenda di diciassette anni prima, l’anno in cui Kida rimase incinta. A dirla tutta non era neanche un’agenda ma una vera e propria smemoranda d’altri tempi, di quelle in ecopelle con la chiusura a calamita e piena zeppa di fogli che spuntavano da tutte le parti. Hazel iniziò a leggerla.
- 15 gennaio, il mese scorso ho iniziato un nuovo ciclo di chemio, gli ultimi esami non sono andati tanto bene e il dottor Mats non è molto sicuro d questo ennesimo tentativo. Quanto vorrei lasciar perdere, ma mamma non me lo permetterebbe mai. Se continuo a lottare lo faccio solo per la mia famiglia, ma sono molto stanca...
- 2 febbraio, Bulma si sta preparando per il suo primo appuntamento ed è così in ansia che ha provato due volte tutto il suo guardaroba. Fa così tanta tenerezza che potrei ridere davanti al suo panico, ma non mi sognerei mai di farlo. Ricordo che al mio primo appuntamento rivoltai la camera diversi giorni prima alla ricerca del vestito perfetto, quella sera era tutto esattamente come avrei voluto che fosse, indossavo una minigonna di jeans nuova. Ho chiesto a mamma se poteva accompagnarmi al parco e poi taaaaac mi mise una mano in fronte e scoprì che avevo la febbre. Primo appuntamento saltato!
- 20 febbraio ultimo giorno di chemio. Sono in ospedale in questo momento, indosso un cappello di lana blu che mi ha regalato Bulma per il compleanno. Più il tempo passa e più mi da fastidio dover tenere questo diario, odio non ricordare le cose
- 8 maggio. Gli esami sono andati male, non ho sconfitto il cancro. Non ho detto nulla alla mia famiglia, sono stanca di combattere. Voglio godermi ciò che resta della mia vita senza l’ombra della chemioterapia che mi distrugge su ogni aspetto.
- 15 maggio, ho prenotato un viaggio per l’Australia, la partenza è a luglio. Non so quanto mi resti effettivamente da vivere ma voglio godermi ogni singolo giorno. Non lascerò che la mia vita vada sprecata
- 3 luglio. Finalmente sono in Australia! Non ho detto nulla a mamma e papà neanche di questo viaggio, sono semplicemente andata via lasciando loro una lettera e i referti medici. Per prima cosa qui ci hanno invitato a dividerci in coppie così da avere sempre un compagno di viaggio su cui poter fare affidamento. Il mio compagno di team non è affatto male, esteticamente parlando è uno schianto, ma credo si porti dentro un grande dolore.
- 5 luglio, HO NUOTATO CON GLI SQUALI BALENA!!! Accidenti, credo di aver rischiato un accatto di panico, ma l’adrenalina ha subito soppiantato tutto il resto. È stato meraviglioso!
I messaggi si fecero man mano sempre più brevi, sostituiti però dai timbri e adesivi dei luoghi visitati (musei, parchi, discoteche).
- 11 luglio, mi sento viva. Neanche ricordo più l’ultima volta che mi sono sentita così. Mi sembra di essere una qualsiasi donna in vacanza e me ne voglio godere ogni aspetto.
- 20 luglio, fine della vacanza. Sono distrutta e credo che dormirò non appena messo piede sull’aereo. Per il momento sono in aeroporto con una voglia matta di milkshake al caramello e biscotti al cioccolato, ma nessuna intenzione di alzarmi dalla mia scomoda poltrona, qui c’è così tanta gente che non credo riuscirei a trovar il mio posto ancora libero al mio ritorno. Sarà per questo che la gente viaggia in coppia o gruppo? Per evitare di perdere in posto a sedere in sala d’attesa?
Infine un ultimo messaggio di solo due parole:
- 1 agosto, sono incinta.
“Dottore è davvero possibile? Secondo lei sono davvero incinta?”
“I test di gravidanza commerciali sono abbastanza efficaci Kida, inoltre tu hai detto di averne fatti tre in giorni differenti. Può starci che ci sia un falso positivo, ma tre? Comunque ti farò svolgere delle analisi e poi contatterò un mio collega ginecologo, o magari possiamo trovare insieme una dottoressa se ti senti più a tuo agio” rispose il dottor Mats scrivendo la ricetta per Kida, lei se ne stava seduta sulla sedia dall’altro lato della scrivania e si mangiava le unghie.
“Va bene il suo collega, se lei si fida mi fido anch’io... È solo così strano che stento a crederci” esordì cambiando tono e posizione poggiando le mani sulla scrivania “Lei mi conosce da anni, dottore. Nella mia cartella è scritto che a causa dei cicli di terapie sono anni che mi è scomparso il ciclo. È vero che non ho mai fatto uso di mezzi contraccettivi, anche solo per regolare le mestruazioni, ma in vacanza abbiamo usato il preservativo”
“È il mezzo contraccettivo più efficace, Kida, ma neanche quello è infallibile al cento per cento” Kida si ributtò sullo schienale della poltrona con una mano che andò in automatico a poggiarsi sulla sua pancia.
“Quante possibilità ci sono di portar avanti la gravidanza? Le terapie possono influire sulla sua salute? Rimanderò qualsiasi cura fin dopo il parto, lui è più importante” il dottor Mats la osservò con quei suoi occhi chiari contornati da alcune sottili rughe d’espressione e un lieve sorriso a increspargli le labbra. Doveva avere circa una decina d’anni più di Kida, i due si erano conosciuti quando lui era solo uno specializzando e lei una delle pazienti che più frequentavano il reparto di oncologia allora gestito dalla dottoressa McKenzie, ormai in pensione da diversi anni. In un primo momento provò pena per lei, così giovane e aveva trascorso tutta la vita in ospedale, ma era stata lei stessa a metterlo in riga dicendogli: “Non mi interessa la sua compassione, doc. Pensi a rimettermi in sesto perché io non ho alcuna intenzione di arrendermi, ho tante cose ancora da fare”. Da allora erano diventati amici e Kennett Mats superò il confine invalicabile tra medico e paziente, si innamorò di Kida.
“Doc, posso chiederti una cosa?”
“Certo” Kida prese un respiro profondo
“Non dire nulla ai miei genitori della gravidanza. Mi chiederebbero di abortire pur di non interrompere le cure, lo so perché sono ancora più assurdamente protettivi da quando sono tornata”
“Ti stai arrendendo Kida? Hai deciso di farla finita?”
“Assolutamente no, ora più che mai” rispose accarezzandosi il ventre ancora piatto. Il medico sorrise di nuovo.
“Sarai una brava madre Kida”
“Grazie doc”
Il dottor Mats era ancora di bell’aspetto nonostante il tempo trascorso dal loro ultimo incontro: i capelli castani erano striati di grigio, le rughe intorno agli occhi erano aumentate, ma aveva ancora lo stesso sorriso.
“Hazel! Bambina, sei cresciuta così tanto, sei una signorina ormai”
“Buona sera doc” esordì Hazel allungano la mano per salutarlo con una stretta di mano
“Oh andiamo, non vorrai davvero trattarmi come un estraneo” replicò tirandola verso di sé per un abbraccio “mi sei mancata, piccolina” mormorò al suo orecchio e Hazel ridacchiò. Poi qualcuno si schiarì la voce e i due sciolsero l’abbraccio, Hazel si voltò verso la porta dove era rimasto Radish con un sopracciglio inarcato.
“Figura di merda” borbottò la giovane grattandosi il lobo di un orecchio “Ehm sì. Comunque Radish lui è il dottor Kennet Mats, il medico di mamma. Doc, lui è mio padre Radish Son” a quelle parole il medico si irrigidì un poco, ma dandogli le spalle Hazel non lo notò al contrario di Radish che inarcò un sopracciglio.
“Capisco. È un piacer conoscerla signor Son” esordì porgendogli la mano per un saluto più formale “non avevo idea che Kida avesse riallacciato i rapporti con il padre biologico di Hazel”
“Infatti non l’ha fatto” replicò Hazel “l’ho trovato da sola” il dottor Mats annuì.
“Ho finito gli appuntamenti di oggi, prendo le mie cose e se per voi va bene andiamo a parlare da qualche altra parte” padre e figlia si scambiarono un’occhiata che conteneva un’intera conversazione dopodiché annuirono quasi in sincrono.
“Va benissimo. L’aspettiamo qui fuori”
Il dottor Mats li raggiunse poco dopo con il trench sull’avambraccio e la ventiquattrore in mano e si diressero al pub/tavola calda di cui il dottore era cliente abituale data la vicinanza al proprio studio.
“Grazie per averci incontrato con così poco preavviso dottor Mats” esordì Hazel, seduta tra i due uomini, ravvivandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Dottor Mats? Andiamo Hazel ti conosco da quando sei nata, mi hai sempre chiamato per nome o Doc” la giovane ridacchiò di nuovo.
“Lo so, sarà l’ansia” la conversazione fu interrotta da una cameriera che prese le loro ordinazioni e attesero il suo ritorno prima di riprendere il discorso.
“Quindi, come vi siete conosciuti. Hai detto che non è stata tua madre a riallacciare i rapporti”
“Ho trovato una vecchia foto che mamma non ha nascosto insieme a tutti gli altri reperti della famosa vacanza in Australia e con un po’ di ricerche sono riuscita a risalire a lui” rispose prima di prendere un sorso di cola “Non farmi la paternale per aver trascorso del tempo con degli sconosciuti. Inoltre lui ha richiesto un test del DNA ed è confermato che sia mio padre”
“Capisco” a parte i saluti iniziali delle presentazioni, Radish non aveva ancora detto una parola, limitandosi ad osservare i due interagire. Tralasciando l’imbarazzo iniziale, Hazel era tornata ad essere la ragazzina che Radish conosceva bene, si vedeva quindi dalle sue movenze che ci fosse un certo affetto tra i due.
“Non ti sei più fatto vivo dopo la morte di mamma” esordì Hazel di punto in bianco “Mi sembrava ci tenessi a lei. Ho dei ricordi di voi insieme, ricordo che una volta siamo anche andati al lunapark, prima che lei venisse ricoverata. Mi domandavo solo perché non ti fossi più fatto vivo”
“Avrei voluto, ma non so quanto sarebbe stato consono” Hazel storse la bocca.
“Eri innamorato di lei, ma lei ti ha detto di no. Diciamo le cose come stanno” all’uomo si curvarono le spalle.
“Ho semplicemente immaginato che sarebbe stato più facile per te andare avanti senza un fantasma del passato nella tua vita” a quelle parole l’espressione di Hazel si fece più cinica, ma solo Radish vi fece caso.
“Sì, scappare è sempre più facile che restare” i due uomini si irrigidirono e la cosa non sfuggì alla più giovane “scusate la schiettezza, ma è così e io non sono proprio il tipo che addolcisce la pillola” come era accaduto spesso dal giorno in cui conobbe la storia di Hazel, Radish si sentì stringere il cuore un’altra volta.
“Se vuoi andartene, puoi farlo e dimenticarti che sono qui. Io mi ricorderò di te. Io ricordo tutti quelli che se ne vanno”
Quelle parole pronunciate in ospedale insieme alla sfilza di foto che conservava gelosamente erano un pugno nello stomaco anche per l’uomo più freddo e distaccato. Forse non era neanche tanto un caso che Lilo e Stitch fosse il suo cartone animato preferito. Nel mucchio di foto ce n’erano alcune anche insieme al medico che era seduto davanti a loro, era ritratto insieme ad Hazel e Kida e tutti e tre insieme sembravano proprio una famiglia. Da una parte Radish in quel momento si trovò a ringraziare la codardia del dottor Mats, perché se fosse rimasto nella vita di Hazel forse lui non l’avrebbe mai conosciuta. Non riusciva a pentirsi di questo pensiero e si odiava per questo, perché significava inevitabilmente aver voluto che sua figlia soffrisse. Istintivamente allungò un braccio verso Hazel e lo avvolse intorno alle sue spalle per avvicinarla a sé, non per fare pesare a Kennet che lui poteva in quanto suo padre – anche se di certo non guastava –, quanto più per tranquillizzarla sulla sua presenza, non l’avrebbe mai più lasciata da sola. Era però una lezione che Hazel avrebbe imparato solo con il tempo e, fortunatamente, Radish non aveva fretta.
A svegliarla quella mattina fin troppo presto fu il rumore di clacson che, dal fragore, dovevano essere proprio sotto casa. Quando provò a chiudere gli occhi per rimettersi a dormire, lo scocciatore suonò di nuovo il clacson, questa volta accompagnato dagli schiamazzi dei vicini che dovevano aver avuto la sua stessa traumatica sveglia. Quasi rimpiangeva la sveglia assordante che aveva usato per tutto il tempo in cui aveva lavorato per Rosy ed Allison.
Certa che di dormire non se ne sarebbe parlato tanto presto, e anche un po’ curiosa di capire che stesse succedendo in strada, Bulma indossò una vestaglia leggera e si affacciò dalla finestra, assolutamente impreparata a ciò che le si presentò davanti. Un auto sportiva nera era parcheggiata in mezzo alla strada, il suo proprietario appoggiato allo sportello al lato del guidatore, teneva un braccio dentro l’auto dal finestrino per suonare il clacson, indifferente alle imprecazioni dei condomini e degli altri automobilisti imbottigliati a causa della sua egocentrica manovra. Solo Vegeta Prince era così strafottente da creare un ingorgo stradale solo perché poteva farlo.
Il buonsenso di cui, evidentemente, non era più dotata le avrebbe imposto di ritirarsi in casa, chiudere la finestra e magari sprangare anche la porta, invece rimase lì sul piccolo terrazzo con le braccia intrecciate al petto.
“In mezzo alla strada non è esattamente il posto migliore per parcheggiare una macchina costosa, qualcuno potrebbe perdere le staffe”
“Possiamo parlare?” Bulma non rispose immediatamente, incapace di pensare lucidamente a causa di tutte quelle grida e strombazzate di clacson.
“LEVATI DALLE PALLE!”
“DAGLIELA E NON FARE TROPPO LA PREZIOSA ALTRIMENTI QUESTO NON SI MUOVE PIÙ”
Bulma sbuffò di frustrazione, scompigliandosi i capelli a suo dire già troppo lunghi
“Sposta la macchina al mio posto di parcheggio, io scendo subito” rientrò in casa prima che lui potesse risponderle, incerta se per paura di ripensarci o perché certa che non l’avrebbe fatto. Impiegò qualche minuto a rendersi più presentabile, prima di rendersi conto che non avrebbe dovuto interessarsi di ciò che lui avrebbe pensato, optando infine per una salopette corta su una maglietta verde con la faccia di un alieno stampata – e da come le calzava lunga doveva essere di Hazel.
“Sii rapido Vegeta, ho tremila cose da fare e la giornata non è iniziata nel migliore dei modi” l’uomo l’aveva aspettata nel posto auto che gli aveva indicato, appoggiato con la schiena allo sportello
“Bene, allora sta zitta cinque minuti e lascia parlare me” si trattenne dallo sbuffare e attese prendendosi qualche secondo per osservarlo notando dei dettagli che da due piani sopra le era sfuggiti. Tanto per cominciare era spettinato, insolito per uno che trascorre almeno venti minuti a sistemare i capelli con il gel; cerchi scuri gli contornavano gli occhi e stava giocando nervosamente con le chiavi.
“Ieri ero al Mark’s diner a lavorare su un verbale quando un auto è entrata nel locale, adesso c’è un buco enorme nella vetrina e ci vorranno un paio di giorni per sistemare” Bulma si irrigidì, Rosicheena le aveva accennato all’incidente anche per chiederle se fosse in grado di recuperare del materiale da un computer ormai da rottamare.
“È un disastro e nella foga di sgomberare l’area ho perso molti documenti di un’indagine su cui lavoravo eppure non mi importa. Cioè sì, mi importa ma...” un sospiro sfuggì dalle sue labbra distese in un sorriso inespressivo “Anzi no, lo sai che ti dico? Non me ne importa. Anche quello stesso dannatissimo caso da telenovela cui stavamo lavorando ha perso d’interesse se non ci sono i tuoi continui commenti... È come se la mia stessa vita non fosse reale, capisci? Se non sei con me, se non ci sei, se non la condivido con te” le si avvicinò lentamente finché non arrivò a prenderle una mano, seguita subito dopo dall’altra quando Bulma non ritrasse la propria.
“Non so cosa aspettavo, di cosa avessi paura. Ma ora non temo più nulla e non voglio più aspettare. Sono qui, Bulma. Sono qui per te e dovrai farci l’abitudine perché ci resterò per molto molto tempo”
Un sospiro tremante sfuggì tra le labbra della turchina alla quale ci vollero alcuni secondi per trovare il coraggio di rispondere
“E se fossi io a non esserci questa volta?”
“Allora aspetterò. E questa volta sarà io mio turno di restare per tutti e due” Bulma annuì spostando lo sguardo per asciugarsi una lacrima solitaria.
“Potrebbe volerci del tempo, la fiducia non si recupera in uno schiocco di dita. E tu non sei mai stato un uomo paziente”
“Però sono sempre stato un uomo tenace. Mettimi alla prova”
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 14
Questa è una delle scene che ho scritto per prima. Prima ancora di sapere come fare interagire padre e figlia, sapevo che ci sarebbe stata questa scena. E dopo averla riscritta almeno quattro volte, correggendola più e più volte, finalmente ecco la versione finale. Il dottor Kennett Mats è stata solo un’aggiunta, ma è una comparsa di cui non sentiremo più parlare.
Però però però... Vegeta e Bulma hanno fatto pace!!! Dite che ha fatto abbastanza per farsi perdonare?
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Capitolo 15 *** Capitolo 15: Risultato stupefacente! ***
Capitolo 15: Risultato stupefacente!
Il giorno in cui uscirono le pagelle di fine anno Radish ed Hazel arrivarono a scuola alle otto in punto, nessuno dei due in tutta la sua vita non era mai arrivato a in classe in orario, figuriamoci in anticipo. Eppure eccoli lì a sfruttare tutta la loro altezza per sbirciare dall’altro lato del bancone che divideva il corridoio dalla segreteria, anche se poi i risultati furono scarsi e l’unica cosa che ottennero furono le occhiatacce delle arcigne dipendenti che mal tolleravano l’abbigliamento un po’ troppo casual di Radish. Dal canto suo gliene fregava poco, era arrivato in anticipo questo bastava, poco importa se per ottenere ciò aveva attraversato l’ingresso con la camicia aperta, i pantaloni della tuta e le infradito, praticamente metà del pigiama e l’altra metà dei vestiti che indossava la sera prima al locale. Hazel si era goduta le occhiate che il pubblico dedicò a suo padre, ridacchiando alle sue rispose scocciate.
“Ok, non ne posso più. Forza andiamo a fare colazione al bar qui davanti, tanto ci vuole almeno un’altra ora prima che pubblichino le bacheche. Almeno andiamo a romperci il cazzo con cornetto e cappuccino davanti”
“SIGNOR SON!” Radish si piegò in avanti con le mani sulle orecchie a sentire quella voce acuta e così dannatamente familiare che gli trapanò i timpani “Moderi il linguaggio! Le sembra appropriato comportarsi così davanti a una ragazzina?”
“Oh no! Tutto ma non questo. Via via via” ci mancò poco che Hazel non fosse letteralmente presa di peso da suo padre che la spinse fuori dall’edificio con ancora l’anziana professoressa che gli urlava dietro. Risero entrambi fino a trovarsi seduti fuori dal bar con l’affanno e le lacrime agli occhi, anche solo per le volte in cui nel breve tragitto l’uomo aveva rischiato di perdere le ciabatte o inciampare.
“Questa me la devi spiegare. Perché conosci la vicepreside Violet?”
“Oh il colonnello ha fatto carriera?” Radish rispose con una disarmante tranquillità che per un momento fece preoccupare Hazel, o la vicepreside Violet aveva insegnato in una scuola militare oppure qualcosa le sfuggiva.
“Quando studiavo qui insegnava francese, non ho mai seguito una sua lezione eppure credo che sapesse non solo il mio nome ma anche la mia intera storia dinastica. Perché ne sono convinto? Semplice: perché quando era la vittima preferita per i miei scherzi mi ha urlato dietro nomi di antenati che non sapevo di avere” la colazione al bar riuscì a rilassarli e distrarli abbastanza, ma quando le prime auto cominciarono ad arrivare e studenti ansiosi cominciarono a entrare nell’edificio, l’ansia cominciò a rifarsi viva.
“Ok, basta con il panico inutile. Abbiamo studiato come mai in tutti nostri anni di vita messi assieme. Sei stata grande nel recuperare storia e anche in spagnolo sei migliorata considerevolmente, almeno questo è quello che dice Lincoln perché io non conosco lo spagnolo. Ora entreremo in quella scuola e vedremo i risultati e se è andata bene festeggeremo e andremo in vacanza, se non è andata bene festeggeremo comunque e andremo in vacanza perché si vive una volta sola. Così avremo la botte piena e la moglie sobria” esordì l’uomo col tono di comando, pronunciando a suo dire il discorso motivazionale migliore della sua vita, ma evidentemente sua figlia non era dello stesso avviso.
“E la moglie ubriaca”
“Ma che ci fai con la moglie ubriaca? Andiamo”
“Botte piena e moglie ubriaca perché la moglie ubriaca è più gestibile”
“La moglie ubriaca ti picchia col mattarello”
“Confondi le barzellette con i proverbi. Si dice botte piena e moglie ubriaca”
“E tu confondi botte con botte. Botte perché lo picchia col mattarello” Hazel trattenne a stento la voglia di urlare dalla frustrazione, limitandosi a battere il palmo della mano in fronte.
“Si vede che sono un po’ sudato?”
“Certo che no! Quelle chiazze scure che hai sotto le ascelle lo nascondono egregiamente” Radish le lanciò un’occhiataccia, ma evitò di replicare con un insulto a causa degli altri genitori che cominciarono ad accalcarsi intorno a loro. Ironia della sorte, Radish non era stato così nervoso neanche al momento di vedere i propri voti finali. In quell’occasione era stata Gine quella nervosa che lo aveva trascinato con sé solo per sfruttare la sua formidabile altezza e leggere i risultati in bacheca da sopra le teste delle altre persone. Beh, non che Hazel stesse facendo diversamente ora, ma almeno c’era anche il proprio interesse a spronarlo.
“Che palle! Tu vedi qualcosa da lassù?”
“Magari. O non hanno ancora pubblicato nulla e quel foglio è l’estrazione dell’8, oppure i tuoi professori sono dei veri stronzi a usare un formato sette e mezzo”
Con un po’ di fatica e un numero di insulti pari solo agli spintoni dati e ricevuti, Hazel riuscì a farsi abbastanza spazio da strisciare tra le persone.
“Occhio a cosa tocchi lì in mezzo. Già siamo così stretti che quando usciremo da questa scuola mi troverò incinto” Hazel rise sonoramente sovrastando le risposte poco carine che ricevettero dalle altre persone che continuavano ad aumentare, appena uno levava le tende ne arrivavano altri sette.
I pochi minuti che Hazel trascorse in mezzo a quella folla furono tra i più lunghi che Radish avesse mai vissuto e quando finalmente scorse un braccio della ragazza non esitò a tirarla fuori da quella marasma che si faceva sempre più rumorosa.
“Allora?” Hazel, non rispose bensì gli mostrò lo schermo del proprio cellulare, aveva fotografato la bacheca. Radish impiegò qualche secondo a trovare il nome di sua figlia nelle sette righe che erano state inquadrate, poi seguì la riga fino al voto finale che rappresentava la media di tutti i corsi.
“Sei seria?”
“Come un infarto”
“B-! B- Hazel!” esclamò un attimo prima di prenderla in braccio stringendola forte “Cazzo nocciolina sono così orgoglioso di te! Sei stata bravissima”
“Signor Son! Moderi il linguaggio. È in una scuola, l’amor del cielo!” l’uomo emise un lamento esasperato mentre girava gli occhi al cielo. Quella donna non sarebbe cambiata mai.
“Nocciolina leviamo le tende prima che mi tornino i brufoli per il nervoso” e così dicendo spinse sua figlia fuori dall’edificio proprio mentre, invece, stavano facendo il loro ingresso Gohan e Videl con i rispettivi familiari.
“Ciao a tutti plebe, spero non ce ne vogliate se ci defiliamo. Ci vediamo alla tavola calda per la seconda colazione? Sì? Perfetto a dopo” disse tutto d’un fiato prima che suo fratello potesse aprire bocca perché era risaputo che Goku fosse capace da solo di tenere suo fratello bloccato lì davanti per un tempo a suo dire esagerato solo per decidere se vedersi in seguito alla tavola calda di famiglia. Decisamente meglio imporre la propria opinione e poi chi s’è visto s’è visto.
“Devo organizzarti una mega festa. Quale locale vuoi? Lo chiudo al pubblico per una serata solo tra di noi. Niente alcool ai minori, ovviamente, ma potrei chiudere un occhio solo per te e farti prepararti personalmente un cocktail leggero. Ti va?” chiese spostandosi al fianco della ragazza per continuare a camminare mentre la spingeva a fare altrettanto con un braccio avvolto intorno alle sue spalle.
“Papà?”
“Mi pare che il Corydoras ti piaccia particolarmente, no? Beh gli acquari hanno sempre il loro fascino ipnotico”
“Papà?”
“E poi, effettivamente, non è neanche nella zona universitaria quindi nessuno ne sentirà la mancanza per una sera”
“Papà!” erano arrivati alla macchina arrivando addirittura a sedersi ai loro posti e allacciare le cinture di sicurezza senza che Radish si accorgesse di niente. Tornando alla realtà, infatti, rivolse ad Hazel uno sguardo stralunato.
“Che c’è?”
“Non ho bisogno di tutto questo” replicò volgendo gli occhi al cielo.
“Davvero?”
“Davvero davvero”
“Beh ma devo pur farti un regalo. Uno di quelli che si rispetti e che passi alla storia”
Alla fine il regalo glielo fece eccome, ben oltre il viaggio a Disney World che le aveva promesso poco tempo prima. Quell’estate senza recuperi estivi Radish Son si superò portando sua figlia in un posto che aveva segnato l’inizio della sua stessa storia. L’Australia dal vivo si rivelò un posto ancor più spettacolare di quanto si vedesse in fotografia.
Ripercorsero insieme ogni tappa di quel primo e unico viaggio che aveva fatto conoscere Radish e Kida, e tante altre che furono aggiunte. Fu naturale per Hazel capire perché sua madre desiderasse tanto visitare quella terra selvaggia e mai come in quel momento, da quando Kida era morta, Hazel la sentì vicina.
Al ritorno a casa trovarono una loro routine oltre ovviamente al costruire nuovi ricordi insieme. Radish si era autonominato istruttore di Hazel e l’aveva aiutata a prendere la patente. Ovviamente non avrebbe avuto il permesso di guidare i suoi bolidi fino ai diciotto anni – perché era comunque suo padre e qualche limite doveva pur metterlo, e questo non aveva niente a che fare con il costo di quei gioiellini.
“Detesto quando sei lontana. Devi proprio andare a Pasadena?”
“I nonni festeggiano il loro cinquantesimo anniversario e nonna ha bisogno di aiuto per organizzare il tutto, concorderai che posso fare ben poco da qui”
“Sììì lo so” rispose strascinando le vocali “Però anche tu devi concordare che loro ci sono stati per tutta la tua infanzia e adolescenza, io devo recuperare”
“Papà sono vecchi, praticamente con un piede nella fossa e non resterò laggiù per sempre”
“Capirai, con tutto il pilates che fa tua nonna è capace di sopravvivere anche a me” nel vedere un uomo adulto e della sua stazza comportarsi come un bambino chiunque avrebbe faticato a restare serio ed Hazel, quantomeno dentro di sé non fu da meno, assicurandosi di nascondere con ogni mezzo il suo divertimento, questa volta, per esempio, mentre apriva il frigorifero per prendere una bibita di cui non aveva nessuna voglia.
“Sei un uomo in forma, in ottima salute e nei tuoi anni migliori” iniziò con il tono più serio che riuscì fortunatamente a trovare “Bevi moderatamente e non fumi. Fidati, nonna Bonnie non vivrà più di te” nel frattempo erano scesi in garage, Radish aveva insistito che, dal momento che non avrebbe potuto accompagnarla personalmente, quantomeno Hazel usasse una delle sue macchine per andare dai nonni in modo che avesse la libertà di muoversi autonomamente e – ci sperava davvero – tornare a casa ogni volta che potesse.
“Ti stai dimenticando la guida spericolata” borbottò a voce un po’ troppo alta, momentaneamente incapace di capire come le accuse all’arci-nemica nonna Bonnie gli si ritorcessero contro in discussioni che lui ed Hazel avevano già affrontato più e più volte.
“Potresti sempre provare a rallentare u-” un verso inorridito dell’uomo interruppe Hazel prima che potesse finire la frase, se lo aspettava, non era la prima volta che gli ricordava di non guidare come un pilota di formula 1, ma rivolse comunque gli occhi al cielo.
“Dopo questo dovresti veramente chiedere scusa a Zefira per aver proposto una cosa del genere in sua presenza”
“Papà!”
“Uffa Hazzy! Dimmi solo che tornerai appena avrai una giornata libera”
“Che fine ha fatto il playboy che appena scoperto della mia esistenza stava per prenotare una vasectomia in modo da non trovarsi altri figli tra i piedi?”
“Che c’entra, tu sei tu. E comunque non ho accettato di trasferirmi in una megavilla in culonia per starci da solo”
“Numero uno: abbiamo scelto la megavilla perché volevi il cinema privato, la palestra, le due piscine, un numero imbarazzante di camere e la taverna con bar all’angolo. Numero due: viviamo in un complesso residenziale a Beverly Hills, a due passi da West Hollywood dove hai ben due dei tuoi locali. Credimi, la culonia è ben diversa. Numero tre: non starò via per sempre, sono solo un paio di settimane di lavori forzati nell’organizzazione di una festa di anniversario alla quale dovrai partecipare anche tu. Passeranno prima che te ne renda conto. E poi potrai impegnare questo tempo con le ispezioni ai locali, so che avevi preso in considerazione l’idea di fare dei lavori. Dulcis in fundo: puoi darti alla pazza gioia con chi vuoi senza paura che vi interrompa sul più bello, assicurati solo di non lasciare schifezze in giro e disinfettare l’isola della cucina su cui ho la brutta abitudine di fare colazione come le persone normali” Radish fissò lo sguardo nel vuoto per alcuni secondi per poi esclamare senza alcun senso logico
“Dovremmo prendere un cane” Hazel inarcò un sopracciglio caricando il borsone in auto
“Non so papà, non credo noi siamo persone adatte agli animali domestici”
“Nah. È una tua impressione”
“Dici? Quattro pesci rossi sono morti in una settimana e li avevamo comprati uno alla volta per sostituire il precedente. Il pappagallo è volato via e sono sicura che il coniglio Shalby mi abbia guardato negli occhi prima di lanciarsi sotto quell’auto” Radish storse la bocca.
“Ma un cane è diverso”
“Già, è più impegnativo. E poi preferisco i gatti” prima che Radish potesse aprire un nuovo discorso sconclusionato, Hazel gli diede un bacio sulla guancia e salì in auto.
“Ti chiamo appena arrivo. Comportati bene” e partì alla volta di Pasadena. Col senno di poi forse non si sarebbe dovuta stupire più di tanto quando, tornata una settimana dopo, trovò a casa quello che definì un micro micio con gli occhi azzurri e un collarino verde neon al collo. Di comune accordo lo avevano chiamato Tequila in barba a tutti i cani cui era stato affibbiato il nome Whiskey.
Infine, con l’inizio dell’ultimo anno di liceo, arrivò anche un’altra prova che padre e figlia si trovarono ad affrontare.
Seduto su un divano del set ricostruito per lo show in diretta di cui si trovava ospite, Radish sembrava a suo agio davanti alla telecamera e non c’era da stupirsi dato il numero di volte in cui vi si era trovato davanti.
“Fin da quando i nomi dei miei locali hanno iniziato a girare nell’ambiente della movida, sono finito spesso sulle riviste, che fosse per qualche scandalo o per interviste. Mi piace chiacchierare con la stampa, ma sono bravo a sviare le domande e fare giri di parole, non parlo mai realmente di me con il pubblico e non è neanche una cosa così strana, mi piace anche avere la mia privacy” la giornalista annuì lanciando di tanto in tanto, occhiate al dietro le quinte.
“Oggi sto per fare un’eccezione, perché se proprio si deve parlare di me preferisco sia per mia iniziativa e non per qualche pettegolezzo mal riferito che mi dipinga come qualcuno che non sono” si fermò per tirare un respiro profondo e riprese a parlare “Meno di un anno fa sono diventato padre” il pubblico esplose in un tripudio di aaww e applausi di fronte al sorriso dell’uomo.
“Lei si chiama Hazel e ha diciassette anni e sebbene ci siamo conosciuti da poco ne abbiamo passare già di tutti i colori. È una signorina straordinariamente intelligente e somiglia tutta a me, ma dovrete credermi sulla parola perché se e quando vorrà farsi conoscere dal pubblico, sarà lei a deciderlo e vorrei davvero che la stampa rispettasse questa mia richiesta”
“Non posso garantire per tutta la stampa, ma per quanto riguarda Channel Five sono sicura di poterti promettere che non interferiremo, Radish. Però dicci qualcosa in più. Come vi siete trovati? E chi è la madre?”
“Beh è di dominio pubblico che sia stato tradito e mollato a qualche giorno dalle nozze. Durante un colpo di testa ho deciso di convertire i biglietti della luna di miele per un viaggio last minute, il primo in partenza. Depresso per depresso, potevo deprimermi anche in un qualche paradiso terrestre, giusto? E invece no, perché mi sono trovato accorpato a un gruppo di turisti che volevano andarsene a zonzo per l’unica zona in cui sono finiti tutti gli animali più incazzati del pianeta: l’Australia, la terra che sta provando in ogni modo a farti capire che vuole vederti morto” il pubblico scoppiò a ridere.
“Squali cattivi, un sacco di serpenti velenosi, polpi velenosissimi, meduse che meglio lasciar stare proprio, ragni come se piovesse, quelli letali, quelli grossi quanto una casa e che ti entrano in casa... E ovviamente io l’ho scoperto solo nel momento in cui ho letto il biglietto quando mi sono messo comodo sul sedile. Letteralmente dalla padella alla brace. Cioè, fino ad allora l’unico sport estremo che abbia mai fatto era il percorso a ostacoli da sbronzo dal divano fino al bagno sull’orribile moquette zebrata dell’appartamento della mia ex” disse con tono acceso e coinvolgente che tenne sempre su di sé l’attenzione del pubblico sia in studio che da casa, ma finita questa parte del discorso si accomodò in modo più ordinato sulla poltrona e riprese con tono pacato
“Inutile dire che appena sbarcato sono corso alla biglietteria per tornare a casa immediatamente, ma ormai avevo speso una piccola fortuna, tanto vale farlo lo stesso. Lì conobbi Kida, che era parte di quello stesso gruppo” gli occhi di Radish si intristirono in un’espressione malinconica, nel mentre cominciò a giocherellare con i due bracciali di corda che portava al polso sinistro. Erano i souvenir di quei due viaggi in Australia, il primo quello più consumato, regalatogli da Kida che ne indossava uno identico, il secondo invece era personalizzato e gemello di un altro che indossava Hazel.
“Era uno scricciolo di ragazza, con i capelli biondi portati a spazzola e spesso coperti da una bandana per via del sole cocente. Ed era una forza della natura. Sembrerebbe una follia, ma era stata lei a convincermi a provare tutte le esperienze proposte nell’itinerario e, sono sicuro, è stata lei a renderle così speciali e straordinarie... Trascorsi quei trenta giorni di vacanza perdemmo i contatti, non ci siamo più visti. Non le porto rancore per non avermi detto della gravidanza, non sapeva nulla di me e sicuramente avrà avuto le sue buone ragioni... Il punto è che... Non ho fatto parte della vita di Hazel fin dall’inizio, anzi fin’ora me ne sono perso una grande parte, ma non la più importante. Diventare padre ha sconvolto la mia intera concezione della vita, capovolgendo le mie priorità. Solo ora, infatti, credo di potermi veramente dire soddisfatto della mia vita e per questo devo ringraziare la mia Hazel”.
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 15
Sorpresaaaaaa. Questa settimana aggiorno con un giorno di anticipo perché mi dispiacerebbe troppo farvi aspettare troppi giorni, soprattutto ora che siamo agli sgoccioli. Ebbene sì: questo è il penultimo capitolo! E quindi è di passaggio ^_^ Ogni tanto un capitolo di passaggio ci sta, anche se siamo praticamente alla fine. In questo caso mi serviva il legante tra il capitolo precedente e quello finale, quindi eccovi qua una carrellata di eventi, citazioni, freddure e flashback, perché non sarei io senza i flashback (almeno in questo fandom).
Sul finale abbiamo un’intervista a Radish. L’idea iniziale era di mettere più scandali: magari l’uomo che veniva fotografato con Hazel e tutto ciò che ne consegue, ma avevo paura che invece sarebbero finiti con l’allontanarsi, dati i caratteri di merda che si ritrovano... Sia mai che riesca a far fare quello che voglio io a questi personaggi!
Non so ancora se definire questa fanart un piccolo spoiler di un ancor più piccolo frame del prossimo capitolo oppure una più che coerente illustrazione che descriva al meglio i protagonisti della storia.
Ho lasciato un po' di citazioni qua e là, tipo di "the big bang theory", "the lost city", "una mamma per amica" e addirittura citazioni del dottor capitano Barbascura X, magari non saranno gran che ma sul momento mi sembravano divertenti. |
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Capitolo 16 *** Capitolo 16: Felici e contenti ***
Capitolo 16: Felici e contenti
Il silenzio non era una delle caratteristiche di Villa Son nel centro residenziale di Beverly Hills. Diciamo che se la casa era silenziosa significava che i suoi due abitanti non erano presenti, chi per un motivo chi per un altro. Era sembrato strano da parte di alcuni studenti che Hazel preferisse fare tutti i giorni il tragitto in auto da casa al campus anziché alloggiarvi come tutti gli altri, ma alla giovane fortunatamente non era mai importata l’opinione altrui. Certo, la stessa vita da campus fa parte dell’esperienza universitaria, ma era qualcosa di cui Hazel si privò volentieri. Decisamente più allettante erano le comodità di casa, senza contare che con il lavoro di suo padre, se fosse andata a vivere al campus non solo lui si sarebbe trovato con la sola compagnia del gatto in una casa troppo grande per due persone, ma avrebbero anche dovuto far combaciare le loro agende e prendere un appuntamento per riuscire a vedersi. No, i due cocciutissimi Son non si sarebbero persi di vista dopo così poco tempo trascorsi insieme neanche per tutto l’oro del mondo.
Non erano ovviamente mancate le litigate, che famiglia sarebbe altrimenti? Ma nessuno dei due riusciva ad andare a dormire senza aver fatto pace, anche se questo significava aspettare le quattro di mattina che Radish staccasse da lavoro o le improvvisate di Hazel nei locali a cui aveva il libero accesso riservato.
A tre anni di distanza quella bellissima villa da copertina era diventata una casa vissuta. Tanto per cominciare le centinaia di sfumature di colori neutri che decoravano gli ambienti erano state sostituite da colori sgargianti che, talvolta, risultavano essere un pugno in un occhio e nessuno dei due sapeva dire a che cosa servisse effettivamente un’insegna neon a forma di pesce sulla parete del soggiorno. I quadri di paesaggi, invece, erano stati sostituiti con fotografie a pannelli che ritraevano la loro famiglia. Solo alcune foto erano incorniciate, poste su una mensola in una cornice doppia: nella prima era stata posta la storica foto di Hazel e Kida abbracciate, nella seconda invece un primo piano di Hazel con Radish scattata a tradimento da Videl nel periodo in cui si scoprì fossero realmente padre e figlia.
In secondo luogo ora, quando i nonni Brief venivano a Los Angeles per qualche giorno, restavano a dormire alla villa anziché stringersi in quattro nel piccolo appartamento di Bulma. O forse sarebbe stato meglio dire ex appartamento di Bulma. Contrariamente a ogni aspettativa di Tarble che dava a lei e Vegeta meno di un anno di relazione, i due sembravano essere diventati una coppia affiatata. Non lavoravano più insieme, Bulma infatti aveva ormai avviato la sua azienda di produzione di videogiochi e stava andando a gonfie vele! Inutile dire che Hazel era la prima a testarli e in una delle stanze di casa aveva sistemato la sua nuovissima console con i caschi per la realtà aumentata. Un vero sballo a detta sua. Vegeta, invece, aveva smesso di partire dall’oggi al domani in cerca di avventure da brivido e avevano trovato un compromesso: ora sceglievano insieme mete per le loro vacanze che andassero bene a entrambi. Chi li conosceva bene ancora non aveva superato lo shock.
“Papà spero che tu sia più presentabile rispetto a quando sono uscita dalla camera più di un’ora fa!” la soave voce di Hazel arrivò alle orecchie del maggiore prima che anche la sua figura attraversasse il corridoio diretta alla propria camera.
“Sono praticamente pronto Hazzy. Pensa per te che sei femmina e sei cerimoniosa per natura”
“Non vengo di là a litigare solo perché altrimenti dopo faremmo tardi, ma nulla mi impedisce di farlo dopo. Maledizione a zia B e a quando ha deciso di volere la cerimonia di mattina!” ebbene sì, il tanto agognato e atteso giorno perfetto era arrivato anche per Bulma Brief. Dopo sei mesi di preparativi tutto era pronto e perfetto per il giorno in cui lei e Vegeta avrebbero detto il tanto temuto lo voglio. Radish ricordava perfettamente il giorno in cui ricevette l’invito: erano a pranzo dai Son per trascorrere una domenica tutti insieme e c’erano anche i coniugi Brief, poi Bulma esaltata più che mai aveva distribuito gli inviti per il matrimonio che si sarebbe tenuto AD AGOSTO!, ricevendo da subito le prime lamentele di Hazel che era stata scelta dalla zia come damigella d’onore. Radish, comodamente sdraiato sulla poltrona, era scoppiato a ridere rendendo immediatamente partecipi gli altri dei suoi pensieri
“Ma chi te la fa fare?! Qui si parla di un’ora in abiti da cerimonia ad agosto. Buona fortuna” a quel punto Vegeta non si era fatto scappare l’occasione per rispondergli per le rime
“È ironico che tu abbia aperto l’argomento proprio adesso, perché sarai il mio testimone”
“TI SEI BEVUTO IL CERVELLO?! Quando ti invitato a un matrimonio e ti chiedono di fare da testimone è un tragedia nella tragedia. Peggio c’è solo quando ti chiedono di fare lo sposo! Ecco, adesso ho la prova tangibile che sposarsi deve essere uno di quei crimini della peggiore specie. Sul serio, non posso essere quello che ti fornisce l’alibi nel caso decidessi di squagliartela?”
Inutile dire che a nulla valsero i suoi tentativi di fargli cambiare idea, tanto più dopo che anche Hazel mise il suo carico affermando che è tradizione per che subito dopo gli sposi, anche damigella d’onore e testimone dello sposo facciano un ballo insieme.
Il suono di svariate paia di tacchi che si muovevano per la casa fece capire all’uomo che mancava poco perché anche le donne fossero pronte per andare e la prima a fare il suo ingresso fu proprio Hazel. Nonostante conoscesse già il suo abito da damigella, dopo un momento di smarrimento Radish fischiò di apprezzamento nella sua direzione, ricevendo in risposta il dito medio alzato.
“Farai concorrenza alla sposa così vestita Hazzy”
“Colpa di zia B che non mi ha lasciato scegliere una tuta, mi sarei sentita meno una bomboniera” l’abito in questione, contrariamente alle lamentele di chi lo indossava, era lungo e così morbido addosso che sembrava fasciarla come una seconda pelle dorata, cosparso di brillantini dalle spalle alla scollatura e poi sulla gonna attraversata da uno spacco che partiva da metà della coscia sinistra. A completare il tutto i lunghi capelli neri erano stati lasciati sulle spalle legati in una spessa treccia da cui sfuggivano ad arte alcune piccole ciocche.
“Sciocchezze, sei splendida”
“Continua a ripeterglielo Radish, magari a te darà retta” nel sentire quella voce femminile Hazel si lasciò cadere su una sedia vicino l’isola e volse gli occhi al cielo, un attimo prima che la nuova arrivata le lasciasse un bacio sulla guancia. La donna si sedette elegantemente accanto a lei continuando a scrivere insistentemente qualcosa sui suo telefono. Vestiva un abito su misura più sobrio di quello della mora, ma non per questo meno bello, era anche questo lungo fino ai piedi ma con un corpetto di pizzo bianco su una gonna di chiffon rosa cipria che unito ai capelli biondi, abbastanza corti da poter essere portati sciolti, la faceva sembrare una principessa.
“Oppure potreste evitare di coalizzarvi perché continuerò a sentirmi un pesce fuor d’acqua”
“Oh ma quello è risolvibile, tesoro” esclamò Diamond raggiungendoli a sua volta, completando l’appello degli abitanti attuali della casa tutti riuniti in cucina “c’è l’open bar”. Infine, com’era nel suo stile, Diamond aveva scelto un abito variopinto con la scollatura a cuore in cui si alternavano fasce di colore blu, verde chiaro e acquamarina, solo una stola quasi impalpabile aveva il compito di coprire le braccia tatuate durante la cerimonia, le piccole treccine ora dei colori dell’arcobaleno erano state tirate su in una sorta di coda di cavallo conferendole un aspetto sbarazzino che dava abbastanza nell’occhio, soprattutto sapendo che accanto a lei ci sarebbe stato Radish nel suo completo total blu senza cravatta.
“Ditelo che avete deciso di farmi litigare con qualcuno oggi, non negate perché è evidente che vi siete messe d’impegno”
“Ovvio. Altrimenti ci annoiamo” i commenti riuscirono per un momento a stemperare l’atmosfera, abbastanza da permettere ad Hazel di alzarsi dallo sgabello senza perdere l’equilibrio sui tacchi.
“Dunque gente. In quanto damigella io devo andare da zia B per le foto, mentre tu papà, che sei il testimone di Vegeta”
“Gradirei che smettessi di ricordarmelo” ovviamente Hazel neanche prestò attenzione a quell’interruzione, continuando il proprio discorso come se nulla fosse
“Devi essere da lui per un ultimo brindisi da uomo libero e assicurarti che arrivi incolume all’altare. Posso stare tranquilla o devo fare la spola dai lati opposti della città?” Radish, con il suo classico broncio infantile che aveva recuperato dal repertorio quando conobbe sua figlia, le rivolse un’espressione offesa.
“Malfidata”
“Certo che lo sono, dopo mesi di preparazioni al fianco di zia. Anzi ho appena deciso che strada facendo chiamerò Rosicheena e Videl giusto per stare tranquilla. Ora, prima di fare veramente tardi, vogliamo andare Lazy?” la bionda sorrise dolcemente alzandosi dal proprio posto, con la sua innata eleganza che fece sospirare teatralmente Diamond con tanto di sguardo sognante.
“Certo amore. Guidi tu o preferisci che ci pensi io?”
“Io. Ho bisogno di muovermi. Ci vediamo in chiesa, se tardate ve ne farò pentire” e, dopo aver entrambe lasciato un bacio sulla guancia degli altri due, uscirono dall’appartamento dirette al parcheggio sotterraneo.
“Ti ho già detto che sei bellissima?” Lazuli sorrise quando le dita di Hazel si intrecciarono nelle proprie e ricambiò immediatamente la stretta.
“E tu sei uno schianto, dovresti vestirti più spesso così”
“Nah, mi piaccio come sono. Altrimenti entreremmo in competizione”
Lazuli era una splendida giovane donna dai capelli biondi e glaciali occhi azzurri, di circa sei anni più grande di Hazel che, contro ogni aspettativa, si innamorò della mora a prima vista, inconsapevolmente ricambiata. Ciò avvenne a una festa universitaria nella casa di una confraternita a cui Hazel era stata trascinata dalla sua amica Videl. Di suo non era interessata a entrare in una confraternita o andare alle feste, ma anche Radish si era messo d’impegno nel dirle di non precludersi nessuna delle esperienze che gli anni del college avevano da offrirle. Seguendo il consiglio di suo padre aveva indossato la sua giacca di pelle e si era recata alla sede della Delta Kappa Alpha. Lazuli se ne stava per conto proprio a rigirarsi tra le mani un bicchiere mezzo pieno di birra ormai calda, guardando quasi con disgusto gli studenti più ubriachi che si cimentavano in imprese idiote. Iniziarono a parlare con un pretesto che col tempo dimenticarono entrambe, dopodiché Hazel preparò due dry martini come le aveva insegnato suo padre, affermando distrattamente che nelle vacanze di primavera avrebbe lavorato al Corydoras. Mai si sarebbe aspettata di trovarsi davanti la bionda conoscente proprio nella prima sera di lavoro, reclamando il famoso dry martini perfetto che la minore le aveva promesso.
Ridendo divertite erano arrivate all’auto di Radish scelta per l’occasione, una Ford Mustang 5.0 v8 GT argento. Alla fine l’uomo era riuscito a far appassionare anche Hazel ai motori e, anche se non faceva gli azzardi di suo padre alla guida, la giovane aveva imparato ad apprezzare la guida sportiva.
“Volevo assicurarmi che non mi avessi detto una balla, non hai idea di quante stupidate si inventi la gente per attirare l’attenzione” con il benestare di Radish e dei colleghi, Hazel aveva avuto il permesso di allontanarsi dal bar così le due munite dei propri cocktail si erano appartate ad un tavolo rotondo in un angolo del locale in cui era possibile chiacchierare senza sgolarsi.
“In realtà non mi sorprende che succeda” esordì sorseggiando il mojito analcolico che aveva preparato, avendo promesso a Radish di non bere alcolici durante le ore di lavoro “Sei bellissima, credo sia normale voler attirare la tua attenzione in ogni maniera possibile, anche se poi si rivela essere controproducente” un attimo dopo Lazuli si era sporta fino a poggiare le proprie labbra su quelle della più giovane ma, contrariamente a ogni aspettativa, Hazel non approfondì il bacio.
Il giorno dopo si occupò dello scarico merci insieme a Radish e alcuni degli altri colleghi, Lazuli, che se avesse conosciuto il suo indirizzo avrebbe chiarito il tutto già la notte prima, la raggiunse lì con tutta l’aria di chi aveva bevuto uno o due caffè di troppo quella mattina e un imbarazzo palpabile che nelle poche volte in cui avevano interagito Hazel non aveva mai notato nella bionda.
“Andrò dritta al punto. Riguardo ciò che è successo ieri sera, ecco... Ecco, sì, di solito sono più brava a capire i segnali ma evidentemente... Uff” con un sbuffo Lazuli interruppe la loro passeggiata e le si pose di fronte per affrontarla nonostante Hazel la sovrastasse in altezza di almeno una decina di centimetri.
“Anzi no, io sono sicura di aver interpretato bene i segnali che ho ricevuto, quindi adesso spiegami: perché ieri non hai ricambiato il mio bacio?” Hazel si trovò a sgranare gli occhi per un momento, prima di sospirare.
“Avevi bevuto Lazuli e non volevo dover affrontare il discorso da mattina dopo in cui giustifichi un errore dovuto all’alcol” un’espressione strafottente si dipinse sul viso di Lazuli.
“Mettiamo bene in chiaro una cosa, Hazel Brief: io odio essere respinta. Quindi ti do cinque secondi per rimediare al tuo errore di ieri, altrimenti mi toccherà prendere provvedimenti. Uno... Due” ogni parola del conto alla rovescia era un passo nella sua direzione, ma Hazel rimase ferma.
“Tre... Quattro” le dita pallide si strinsero intorno alla maglietta “cinque” dopodiché la tirò verso di sé, Hazel non oppose resistenza. Un attimo dopo le mani di Lazuli affondarono nei suoi capelli neri, le proprie si arpionarono ai fianchi della bionda e le loro labbra si incontrarono in un vero primo bacio appassionato, incuranti dei passanti che camminavano loro intorno.
“Beh parlaci un po’ di te, Lazuli. Sei anche tu di Los Angeles o dintorni?” Gine annuì vigorosamente alle domande di Bonnie prima di aggiungerne a sua volta
“E state insieme da tanto? Scusa la curiosità cara, ma è la prima volta che Hazel ci presenta qualcuno che frequenta e nessuno di noi si aspettava una ragazza. Non che abbiamo qualcosa in contrario, per carità” per nulla offesa dal commento, Hazel non si lasciò sfuggire l’occasione di dire la propria, non mancando di avvolgere il fianco della sua ragazza con un braccio
“Sul serio? Papà invece ha cominciato ad accennarmi alle ragazze dopo neanche una settimana che abbiamo confermato l’effettivo legame di sangue. Per un momento ho avuto il dubbio di aver scritto lesbica in fronte”
“Era impossibile non notarlo Hazzy” commentò anche Radish facendole un cenno con il bicchiere di Jack Daniel’s.
“Stiamo insieme da quasi un anno, signora Son” fortunatamente Lazuli decise di intervenire prima che padre e figlia arrivassero a lanciarsi qualcosa giusto per infastidirsi a vicenda.
“Sono di Santa Monica, sto frequentando un master in gestione d’impresa al Los Angeles City college e nel frattempo lavoro come fotografa, lavoro che mi ha portato a spostarmi molto negli ultimi mesi e per questo non c’è stato occasione di conoscerci prima. Che altro dire... Non parlo con mio padre da quando ho fatto coming out, la mia matrigna è una stronza interessata più al nostro conto in banca che ad altro e ho un fratello gemello che è anche il motivo per cui ho conosciuto Hazel, dal momento che mi ha trascinato a una festa universitaria con lo scopo di attirare l’attenzione dei lumaconi che giravano intorno alla ragazza che aveva puntato. Va bene come breve riassunto?”
“Quindi non stai con Hazel per i soldi?” al contrario dei presenti che reagirono con espressioni più o meno accigliate alle parole di Turles – Gine gli tirò persino uno scappellotto alla testa – Lazuli rimase impassibile.
“Semmai per un momento era possibile il contrario, signor Son, almeno secondo mio fratello. Vede alla maggiore età ho ricevuto una piccola fortuna da mia madre e un posto assicurato nell’azienda di cosmetici di cui è CEO, per non parlare del fatto che Hazel si sia presentata a me come Hazel Brief che lavorava saltuariamente al Corydoras, non come Hazel Son figlia di Radish Son il milionario che si è fatto da sé. Col senno di poi credo che questa incomprensione sia stata un collante tra di noi, perché neanche lei aveva la più pallida idea di chi io fossi” con uno scatto felino e l’espressione di chi non ammetteva repliche, Gine tirò un secondo scappellotto alla nuca del figlio
“Ecco, belle figure che ci fai fare ogni volta che apri bocca”
“Bene, direi che per oggi basti così. Sicuramente avremo modo di raccontare nuovamente il tutto con i dovuti approfondimenti non al prossimo pranzo di famiglia” detto ciò Hazel si alzò dal suo posto e porse una mano alla sua ragazza per aiutarla a fare altrettanto “Se la memoria non m’inganna, sono in debito di un ballo”
“Che memoria di ferro, signorina Son”
Hazel non è mai stata una cima nella danza, motivo per cui quando cominciò a frequentare Lazuli decise di iscriversi a un corso di ballo in cui trascinò Radish. Di tutte le attività padre-figlia fatte in quegli anni, nessuno dei due avrebbe mai ipotizzato che anche il ballo vi sarebbe potuto rientrare, o almeno non il ballo da sala. Comunque ne era valsa la pena se ora poteva orgogliosamente eseguire i passi di quel valzer senza sembrare ridicola.
“Hulalà! Sembra proprio che qualcuno si sia esercitato” ridacchiò Lazuli seguendo il ritmo che Hazel stava dettando.
“Ovviamente. Non vorrei mai fare sfigurar la mia ragazza” replicò Hazel sfoggiando un mezzo sorriso divertito specchio di quello di suo padre. Lazuli sorrise ancora, se possibile ancora più felice di prima ed Hazel di rifece gli occhi a quella vista.
Chiacchierarono del più e del meno tra una piroetta e una giravolta durante tutto il ballo, poi, quando la musica cambiò, una voce profonda richiamò la loro attenzione.
“Dite che mi è concesso un ballo con mia figlia?”
“Certamente” replicò la bionda cedendogli il posto ed Hazel si ritrovò ad allungare le braccia per intrecciare le dita dietro il collo di suo padre. La pelle chiara era segnata dalle tracce d’inchiostro dei nuovi tatuaggi che aveva aggiunto negli anni non solo sulle braccia ma un po’ ovunque su tutto il corpo. Per esempio aveva replicato il tatuaggio della giarrettiera di pizzo intorno alla coscia come quello di sua zia, invece sull’avambraccio ce n’era uno che aveva fatto insieme a Radish e lo avevano identico: due mani, una maschile e l’alta femminile, che si stringono il mignolo. Era la loro promessa e non gli interessava se gli altri non lo avrebbero capito.
“Quando sei diventata una donna?” Hazel ridacchiò imbarazzata, ma Radish continuò imperterrito “Sul serio, solo ieri eri una ragazzina con pessimo gusto nel vestire e oggi invece sembri una modella appena scesa dalla passerella” Hazel si prese del tempo per riflettere su quella domanda. A volte, soprattutto quando era con Lazuli, faticava a riconoscere in se stessa la bambina che troppo presto aveva dovuto rinunciare alla propria madre. Oppure ragazzina che era stata a sedici anni, quando si armò di tutto il coraggio che possedeva per suonare quel campanello e trovarsi per la prima volta faccia a faccia con suo padre, un uomo che fino ad allora non aveva mai neanche visto. In meno di un anno erano cambiate così tante cose che al solo pensarci le girava la testa, tanto lei quanto Radish avevano sconvolto non solo le loro abitudini ma anche le loro stesse vite pur di non rinunciare l’uno all’altra, pur di essere parte delle reciproche vite. Avevano lottato e insieme vinto quella battaglia ed era bello non guardare più le sue amiche con malinconia mentre parlavano dei propri padri. In cuor suo, Hazel si sentiva di aver stra-vinto alla lotteria, perché senza ombra di dubbio, nonostante i suoi innumerevoli difetti, il suo papà era il migliore.
Non aveva avuto nessuna paura un paio di anni prima a fare coming out con lui e fino ad oggi era stata infatti l’unica persona a sapere questo lato di lei.
“Sicuramente ti sentirai meglio ora che me l’hai detto perché deve essere stata dura tenere questo segreto così allungo. Ma, Hazzy, a me non interessa da chi sei attratta. Nocciolina, avresti potuto presentarmi un cacciavite e dirmi che fosse l’amore della tua vita e per me non sarebbe cambiato niente. Sei sempre tu, e da chi sei attratta non cambia questo o qualsiasi altro aspetto di te”
“Immagino che il tempo passa e ho semplicemente intrapreso il lungo percorso verso l’età adulta”
“E sono l’uomo più felice del mondo nell’essere al tuo fianco e accompagnarti”
NOTE AUTRICE – CAPITOLO 16
E ovviamente non può mancare un’ultima fanart. Avrei voluto crearne una di Hazel e Lazuli ma non mi piace il risultato, quindi eccovi Hazel con il suo vestito da cerimonia.
E ovviamente non vi priverei mai dell’immagine di Bulma, che purtroppo non sono riuscita a far spiccare in questa storia.
Ultima nota, per chi come me è cresciuto con il film di Peter Pan del 2003, ho scritto e pubblicato una FF sul mio secondo profilo, Sky_7, con il titolo “Chi scegliamo di essere”. Si tratta di una sorta di rivalsa per il mio personaggio preferito, tanto per cambiare un Villain, e un altro personaggio che sinceramente faticavo a tollerare. Se vi va dategli uno sguardo.
Alla prossima avventura!!
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