Emily Lewis - Hogwarts dopo la II Guerra Magica

di PrimPrime
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47 ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48 ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Emily Lewis - Hogwarts dopo la II Guerra Magica

Capitolo 1


1° settembre 2003
 
Emily camminava a passo spedito per la stazione di King’s Cross, spingendo un carrello sul quale aveva assicurato i suoi bagagli.

I suoi genitori, dietro di lei, l’accompagnavano guardandosi intorno con aria confusa.

Emily aveva undici anni e aveva ricevuto una lettera di ammissione a Hogwarts, per sua sorpresa. Non sapeva nulla della magia prima di quel giorno fatidico, quando un gufo e una lettera avevano cambiato del tutto la sua vita.

Fortunatamente in essa era stato scritto tutto ciò che avrebbe dovuto acquistare in preparazione al primo anno e come fare. Inoltre era specificato come raggiungere il binario 9¾, da dove sarebbe partito il treno diretto a scuola.

“Assurdo,” avevano pensato ad alta voce i suoi genitori, rigirandosi la lettera tra le mani, eppure essa parlava chiaro. Come se non bastasse, era stata recapitata loro in un modo decisamente magico, che toglieva ogni dubbio.

Quindi lei aveva fatto i dovuti acquisti, ritrovandosi immersa nell’atmosfera di un quartiere che di ordinario aveva ben poco. Tra questi acquisti c’erano anche una divisa e la sua bacchetta, a confermare che non fosse un sogno.

Eppure solo il primo settembre, mentre camminava svelta per la stazione, iniziò a sentire che quel sogno incredibile stava per prendere vita… ed era solo l’inizio!

Era quasi l’ora della partenza e i suoi genitori la seguivano spaesati, come se fosse lei a sapere dove andare, ma non era così. Nella lettera però c’era scritto cosa fare e lei aveva letto e riletto quei passaggi fino a impararli a memoria.

Raggiunto il binario 9 arrestò il passo e si guardò intorno. Doveva attraversare una parete, ma quale?

Con la coda dell’occhio vide una ragazzina di circa la sua età accompagnata da due adulti. Si voltò nella loro direzione, ignorando sua madre che iniziava a preoccuparsi perché rischiavano di fare tardi.

L’uomo che l’accompagnava indicò una parete, quindi la ragazzina bionda annuì e si avviò verso di essa, subito seguita dai due adulti che ora si tenevano per mano.

Emily strabuzzò gli occhi: erano spariti oltre il muro! Era quello il passaggio, ne era certa.

Riprese a camminare dicendo ai genitori di seguirla. Quando fu vicina prese un respiro profondo e affrettò il passo, riuscendo davvero ad attraversare la parete.

Ora loro tre si trovavano su un altro binario, affollato da ragazzi di ogni età e da genitori.

Sorpresa, lei si guardò intorno. Quelli sarebbero stati i suoi compagni? Non vedeva l’ora di scoprirlo!

Mentre suo padre caricava i bagagli, lei ascoltò le raccomandazioni di sua madre. Intorno a loro, tutti i ragazzini sembravano conoscere almeno qualcuno dei presenti. Tutti tranne lei, il che la fece sentire sola.

Stava per separarsi dai suoi genitori per andare a studiare in una scuola lontana, ma non aveva paura dell’ignoto. Era entusiasta a dirla tutta, ma aveva comunque qualche preoccupazione.

“Andrà tutto bene, tesoro,” le disse sua madre, comprendendo il suo stato d’animo.

Suo padre tornò da loro e le mise una mano sulla spalla sinistra per darle coraggio.

Li abbracciò per salutarli per bene e salì sul treno insieme agli ultimi passeggeri. Si fece strada tra i ragazzi allegri che avevano ritrovato i loro amici, sforzandosi di non ripensare a quanto si era sentita sola poco prima.

Sul suo cammino trovò diverse cabine, ma tutte sembravano occupate ed Emily si sentiva a disagio all’idea di unirsi a un gruppo di ragazzi che già si conoscevano. Avrebbe preferito viaggiare in solitaria, piuttosto, anche se per lei sarebbe stata una prima volta.

Era quasi giunta al fondo del treno quando notò una cabina praticamente vuota nella quale sedeva un ragazzino soltanto. Indossava la divisa scolastica e aveva tra le mani un libro.

Si guardò intorno, trovando conferma che quella era la sua opzione migliore. Sperando di non dare fastidio, fece scorrere la porta per entrare.

“Posso sedermi?” domandò timidamente.

Il ragazzino sconosciuto sollevò lo sguardo su di lei. Aveva gli occhi castani e i capelli neri, corti. Le fece segno di sì con la testa.

Mentre lei chiudeva la porta e si metteva comoda davanti a lui, intenzionata ad affacciarsi al finestrino chiuso della carrozza, lui continuò a studiarla con curiosità.

“Io mi chiamo Emily,” si presentò per prima, notando il suo sguardo su di sé. “Emily Lewis.”

Si portò una ciocca castana dietro l’orecchio sinistro e buttò un’altra occhiata fuori, ma non riuscì a vedere dove fossero i suoi genitori. In effetti, aveva camminato molto prima di trovare posto a sedere.

“Io sono Cecil Berrycloth,” rispose lui in tono calmo e amichevole.

Lei si arrese e gli rivolse di nuovo lo sguardo e un sorriso smagliante. “Piacere di conoscerti, Cecil!”

Era solo il primo ragazzo con cui parlava, ma sperava che sarebbe diventato anche il suo primo amico. Anzi, era fiduciosa a riguardo.

Tirò fuori la divisa dal piccolo bagaglio che aveva tenuto con sé domandandosi se fosse il caso di cercare il bagno per indossarla subito, così da essere già pronta.

“Sei del primo anno,” notò Cecil, dopo un veloce sguardo alla divisa. “Anche io,” aggiunse.

“Bene! Non conoscevo nessuno ed ero un po’ preoccupata,” confessò allegra.

“Nemmeno io,” rispose lui, posando il libro sul sedile accanto a sé.

“Allora anche tu hai appena scoperto di essere un mago?” chiese Emily.

Cecil strabuzzò gli occhi, sorpreso.

“No, l’ho sempre saputo,” rispose, come se fosse una cosa ovvia per lui. “Ehm, i miei genitori sono maghi.”

“Oh, come non detto. Io l’ho scoperto questa estate, quando ho ricevuto la lettera di ammissione,” spiegò, temendo di aver fatto una figuraccia.

Cecil l’ascoltò con curiosità, ma dopo che ebbe finito di parlare si fece pensieroso.

“Allora ci sono tante cose che devi sapere. Sarà tutto nuovo per te,” constatò.

“Esatto! Ho dato un’occhiata ai libri di testo ma non ci capisco molto da sola, perciò non vedo l’ora che inizino le lezioni.”

Inoltre non vedeva l’ora di mettersi alla prova, ma questo non lo disse.

Cecil rise, divertito dalla sua reazione entusiasta.

“Inizieranno domani, per ora possiamo rilassarci,” le disse. “Quando arriveremo sarà sera e ci aspetterà un banchetto, o almeno così ha detto mio padre.”

“Beh io non vedo l’ora. Mi chiedo come sia Hogwarts… Me lo chiedo da quando ho ricevuto la lettera, in realtà.”

Un fischio e un piccolo scossone annunciarono la partenza del treno, che lentamente iniziò a lasciare la stazione.

“Speriamo di finire nella stessa casa,” aggiunse Cecil.

Non guardò fuori dal finestrino come se per lui, lì fuori, non ci fosse nessuno.

“Casa?” domandò Emily, confusa.

“Sì. Quando arriveremo al castello ci smisteranno in base al nostro carattere.”

Emily aveva smesso di ascoltare alla parola castello, chiedendosi se si riferisse alla scuola e rimanendo affascinata dall’idea.

Ora che erano partiti decise che era il momento di indossare la divisa. Era presto, in realtà, perché il viaggio sarebbe stato lungo, ma immaginava che dopo avrebbe trovato più fila al bagno. Meglio togliersi subito il pensiero, insomma.

“Torno subito,” annunciò, alzandosi con la divisa in mano.

Cecil annuì e riprese a sfogliare il suo libro.

Emily aveva buttato lo sguardo sul titolo e non lo aveva riconosciuto. Non che fosse una grande amante della letteratura, ma aveva subito pensato che si trattasse di un libro scritto da maghi, quindi a lei precluso fino a quel momento.

Continuò a camminare verso il fondo del treno dove si immaginava ci fosse un bagno e infatti lo trovò. Ci mise un attimo a indossare la divisa e, con i suoi vestiti quotidiani in mano, tornò sui suoi passi fino alla cabina.

Trovò Cecil immerso nella lettura e decise di non disturbarlo. Piuttosto, prese dalla borsa il libro di incantesimi, l’unico testo scolastico che aveva deciso di portare con sé per il viaggio. Gli altri erano stati riposti accuratamente nel suo baule, ma non quello. No, perché voleva provare a leggerlo di nuovo.

Gli incantesimi erano qualcosa che la affascinava oltremodo, e poi si aspettava che fossero alla base della vitta di un mago. Insomma, non vedeva l’ora di impararne alcuni.

Quel testo parlava di formule e gesti da fare impugnando la bacchetta, inoltre li spiegava. Aveva provato a esercitarsi nei movimenti di alcuni, in attesa del primo giorno di scuola.

Come quei gesti avrebbero prodotto una magia, per lei rimaneva un affascinante mistero. Emily, però, aveva già deciso: intendeva diventare la numero uno in quella materia, non tanto per dimostrare qualcosa agli altri, quanto per una sua soddisfazione personale.

Comunque c’erano molte cose che non capiva di quel manuale, ma probabilmente l’indomani sarebbe stato diverso. Avrebbe iniziato davvero a praticare la magia, sotto la guida di un insegnante.

“Ti porti avanti con incantesimi?” le chiese Cecil dopo un po’, posando sulle ginocchia il romanzo che stava leggendo.

“Sì. Non posso farne a meno, sono entusiasta all’idea di imparare la magia,” confessò, tornando subito con lo sguardo sulle pagine. “Aspetta, tu hai detto di essere cresciuto in una famiglia di maghi! Sai già fare qualche incantesimo?” aggiunse, con gli occhi che le brillavano.

A Cecil venne da ridere di nuovo.

“Conosco la teoria, ma ai minorenni è proibito fare magie fuori da Hogwarts.”

“Cosa? Quindi niente magia fino a diciotto anni, se non a lezione?” chiese Emily, un po’ delusa.

“La maggiore età di un mago è a diciassette anni,” puntualizzò Cecil, sorpreso dalle sue parole. “E in realtà possiamo farle anche fuori dalle lezioni… credo. Ecco, ci spiegheranno tutto quando saremo arrivati.”

Emily annuì. Avrebbe voluto sapere di più subito, dato che lui era consapevole da sempre di essere un mago, ma evidentemente doveva aspettare.

“Qualcosa dal carrello?” domandò una signora, affacciandosi alla loro cabina la cui porta era rimasta semiaperta.

Spingeva un carrello pieno di confezioni colorate di snack. Emily non aveva mai visto quelle cose quindi decise di non trattenersi.

“Sì!” esclamò, saltando in piedi.

Raggiunse il carrello seguita da Cecil e osservò i dolciumi in un misto tra ammirazione e indecisione.

Alla fine l’indecisione ebbe la meglio, perciò si fece consigliare dal nuovo amico.

Un paio di minuti dopo erano tornati a sedere portando con loro un piccolo bottino. Tra i loro acquisti c’erano api frizzole, bonbon esplosivi, lumache gelatinose e tanto altro. Tutte cose che lei aveva sentito nominare quel giorno per la prima volta.

Emily aprì le varie confezioni scoprendone il contenuto e sorprendendosi per i gusti e le sensazioni procurate da ogni dolciume, il tutto sotto lo sguardo sorpreso e divertito di Cecil.

Trascorsero il viaggio a chiacchierare, mangiare e leggere, senza dimenticarsi di guardare fuori ogni tanto, per ammirare il paesaggio che stavano attraversando.

Era già buio quando l’Hogwarts Express arrivò a destinazione. Con il cuore in gola per l’emozione, Emily raccolse le sue cose e seguì Cecil all’esterno.

Scesero dal treno e si ritrovarono sul binario insieme a tutti gli altri studenti, molti dei quali li superarono per affrettarsi verso la scuola.

Due ragazzi particolarmente rumorosi spintonarono Cecil facendolo finire a terra insieme alla sua borsa, senza preoccuparsi minimamente di voltarsi a chiedere scusa.

“Ehi!” urlò Emily, alterata, facendo qualche passo nella loro direzione. “Vi sembra il modo di comportarsi? Lo avete fatto cadere!” continuò, per niente intimorita.

I due ragazzi avevano arrestato il passo e si erano voltati a guardarla mentre parlava. Lei non sapeva se fossero più grandi o del primo anno come loro, ma non le importava. Avevano spinto il suo amico e sembrava che lo avessero fatto apposta.

“Impara a farti i fatti tuoi, ragazzina!” esclamò uno dei due, al che l’altro si mise a ridere.

Si voltarono e proseguirono per la loro strada, come se niente fosse.

A denti stretti per il fastidio provato e che difficilmente si sarebbe tolta di dosso, Emily prese un respiro profondo e tornò indietro, intenzionata ad aiutare Cecil.

Un’altra ragazza si era fermata e gli stava porgendo il suo libro, finito fuori dalla borsa nella caduta.

“Tutto bene?” chiese Emily, volendo prima di tutto assicurarsi che non si fosse fatto niente.

“Sì, non preoccuparti,” rispose lui, imbarazzato.

Prese il romanzo dalle mani della ragazzina e lo rimise al suo posto nella borsa.

“Sei stata una forza!” commentò quest’ultima rivolgendosi a Emily.

Lei la guardò meglio e la riconobbe, l’aveva vista varcare il passaggio alla stazione di King’s Cross.

“Grazie. Non potevo restare in silenzio, con quello che hanno fatto.”

“Comunque sei stata molto coraggiosa. Ah, io mi chiamo Blue,” si presentò.

“Io sono Emily e lui è Cecil.”

“Primo anno!” chiamò qualcuno, dalla fine del binario.

Si voltarono nella sua direzione e si fecero avanti insieme al resto del gruppo. Emily vide che a chiamarli era stato un uomo altissimo, dai lunghi capelli e la folta barba castana.

Lui li condusse alle barche che li avrebbero portati a scuola. Lei salì insieme a Cecil e Blue, e ammirò il paesaggio rimanendo senza fiato. La scuola era davvero un castello, un meraviglioso castello che si affacciava sul lago che stavano attraversando.

“È come te l’aspettavi?” le sussurrò Cecil, notando la sua espressione.

La ragazza era estasiata.

“No, meglio,” rispose, senza staccare gli occhi dal panorama.

Quando scesero dalle barche si accorse di avere il cuore in gola. Doveva calmarsi, ma sarebbe stata una bella sfida. Seguirono quell’uomo altissimo fin dentro il castello, dove un altro mago li stava aspettando. Si trattava di un signore estremamente basso.

“Benvenuti a Hogwarts!” esordì con voce gentile. “Fra un attimo varcherete questa soglia e vi unirete ai vostri compagni più grandi, ma prima verrete smistati nelle vostre case. Sono Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. Qui a Hogwarts la vostra casa sarà la vostra famiglia: i trionfi che otterrete le faranno guadagnare punti e ogni violazione delle regole gliene farà perdere. A fine anno, alla casa con più punti verrà assegnata la Coppa delle Case!”

Detto questo, il portone alle sue spalle si spalancò permettendo loro di entrare nella sala grande. Qui, gli studenti erano seduti su 4 tavoli che occupavano la maggior parte dello spazio a disposizione. In fondo c’era poi il tavolo dei professori.

Avanzarono seguendo il docente che li aveva accolti, sotto gli sguardi attanti di insegnanti e compagni. Sopra di loro, il soffitto della sala era un cielo notturno solcato da tante candele volanti. Uno spettacolo incredibile per Emily, che non aveva mai visto niente di simile.

Tutti gli studenti del primo anno si posizionarono di fronte al tavolo dei professori. Davanti a loro, sorretto dal mago che li aveva accompagnati e che adesso si trovava in piedi su un supporto, c’era un vecchio cappello a punta.

Il professore li chiamò uno per uno e il cappello, una volta posato sulla testa degli studenti, stabilì in che casa fossero collocati.

Emily aveva i nervi a fior di pelle. Sperava di restare con i suoi amici, perché erano gli unici che conosceva e non voleva separarsi da loro. Ogni volta che qualcuno veniva smistato, la sua casa lo accoglieva con esultazioni e applausi. Lei, comunque, non riusciva a stare calma. Gli studenti in attesa diminuivano sempre di più, indicando che presto sarebbe stato il suo turno.

“Blue Sugar Cane,” chiamò il professore.

“Sugar?” bisbigliò qualcuno.

“Sugarcane?” sussurrò qualcun altro.

La ragazzina dai capelli biondi si alzò e andò a sedersi davanti a loro.

Anche Emily era rimasta sorpresa dal suo nome completo, ma era troppo agitata per soffermarsi a pensarci.

Un attimo dopo le venne posato il cappello parlante in testa e… “Tassorosso!” esordì quest’ultimo, scatenando la gioia della casa.

“Cecil Berrycloth,” chiamò poi, e il ragazzino dai capelli neri prese posto sotto al cappello.

“Grifondoro!”

Lui sorrise e si avviò verso i suoi compagni che lo attendevano a braccia aperte.

Ora Emily iniziava a preoccuparsi. I suoi due amici erano stati smistati in case diverse, delle quali lei conosceva solo i nomi. In cosa avrebbe dovuto sperare? Quale le sarebbe capitata con più probabilità? Non ne aveva idea, ma se avesse potuto scegliere sarebbe andata volentieri a Grifondoro, per non separarsi da Cecil.

“Emily Lewis,” la chiamò il professore, quindi si fece coraggio e si sedette.

Ci vollero alcuni secondi di attesa che per lei furono strazianti.

“Serpeverde!” esclamò poi il cappello, mandando in frantumi le sue speranze.

Si alzò e rivolse uno sguardo a Cecil, che la osservava tristemente dal tavolo dei Grifondoro. Fu uno sguardo brevissimo che gli altri non notarono nemmeno, perché subito si rivolse ai Serpeverde che applaudivano ed esultavano in attesa che lei li raggiungesse.

“Benvenuta a Serpeverde,” la accolse una ragazza più grande accanto alla quale prese posto. Di fronte a lei, invece, c’era un ragazzo del primo anno. Lo aveva visto di sfuggita, ma era certa che fosse uno di quelli che aveva spinto Cecil.

Cercò di non pensarci e rivolse la sua attenzione alla ragazza.

“Grazie,” le disse, sforzandosi di sorridere.

In qualche modo sarebbe andato tutto bene, ne era certa. Insomma, se era stata smistata a Serpeverde doveva esserci un motivo. Avrebbe indagato più tardi, lontano da occhi indiscreti.

Lo smistamento era ormai finito quindi la preside, Minerva McGranitt, si alzò per fare un discorso. Diede a tutti loro il benvenuto e fece le dovute raccomandazioni, tra le quali sottolineò che l’accesso alla foresta proibita era vietato.

Disse inoltre, per chi non lo sapeva ma anche per ricordarlo a chi già sapeva, che solo cinque anni prima era terminata una guerra che si era combattuta proprio tra le mura di Hogwarts. Era fondamentale ricordarlo per non commettere gli stessi errori del passato. Di conseguenza, nessuna discriminazione tra gli studenti sarebbe stata tollerata.

Emily non sapeva a cosa si riferisse, perciò fu grata di sentirne parlare subito. Per lei era impensabile che una guerra si fosse combattuta proprio lì, così di recente per di più. Doveva assolutamente saperne di più, perché esserne all’oscuro la faceva sentire in difetto.

A discorso finito, la preside annunciò l’inizio del banchetto e una grande quantità di gustose pietanze comparve sui tavoli davanti a loro. Emily si lucidò gli occhi con tutta quella bellezza e si riempì il piatto, riscoprendosi affamata. Non lo aveva notato prima per le troppe emozioni!

Dopo i primi bocconi, il ritmo serrato con cui avevano iniziato a mangiare si assestò e la ragazza al suo fianco si presentò ai nuovi arrivati. Anche altri fecero lo stesso, tra cui Emily e alcuni compagni del primo anno. Lei ebbe subito l’impressione che fossero altezzosi, era qualcosa nella loro voce a tradire il loro senso di superiorità.

Dopo essersi presentati dissero qualcosa delle loro famiglie, qualcosa che Emily capì a malapena. Avevano di che vantarsi, questo le fu chiaro.

“In famiglia, che io sappia, sono l’unica strega,” dichiarò, quando fu arrivato il suo turno.

In risposta ricevette un gelido silenzio che la fece sentire inadeguata.

Aveva detto qualcosa che non andava? O forse era l’unica, lì, nella sua situazione? Non lo sapeva, ma evitò di dire altro per tutta la durata del banchetto.

Dopo mangiato seguì il prefetto di Serpeverde giù nei sotterranei, dove si trovava il loro dormitorio. Il freddo e l’umidità di quel luogo le entrarono subito nelle ossa facendola rabbrividire.

Si fermarono davanti a una parete e il prefetto recitò la parola d’ordine, quindi si aprì il passaggio. Lo attraversarono ritrovandosi nella sala comune di Serpeverde, una stanza accogliente sui toni del verde e dell’argento, con un camino e una grande vetrata che si affacciava sulle profondità del lago nero.

Dopo un attimo a guardarsi intorno con stupore, Emily entrò nel corridoio delle ragazze e raggiunse la propria camera. L’avrebbe divisa con altre quattro compagne e le sue cose erano già lì, accanto a uno dei letti a baldacchino. Non resistette e si gettò su di esso, trovandolo molto comodo.

Poi si mise in ginocchio sul pavimento per aprire il baule e mettere in ordine tutto nel proprio armadio e nel comodino, riempiendo così il suo spazio personale.

Altre ragazze varcarono la porta mentre era intenta a frugare nel baule. Dovevano essere le sue compagne di stanza, che le rivolsero sguardi gelidi o disgustati. Una nemmeno la guardò, come se non esistesse.

Un pessimo inizio, pensò Emily.

La sua parlantina, data dall’entusiasmo per l’inizio della sua nuova avventura, si era completamente esaurita. Non era gradita lì, ma non ne sapeva il motivo. Quell’atmosfera le fece capire che la sua vita scolastica non sarebbe stata tutta rose e fiori come aveva immaginato.




Angolo di quella che scrive

Salve salve salve... Ecco a voi il primo capitolo della mia prima fanfiction su Harry Potter. Cosa ne pensate per il momento? Come trovate i personaggi? Spero che vi andrà di farmelo sapere.

In realtà la storia è già completa e la sto pubblicando di getto, dopo aver terminato la correzione, quindi cercherò di non farvi aspettare troppo tra un capitolo e l'altro.

I protagonisti sono nuovi personaggi, ma interagiscono con altri già conosciuti (che ho interpretato a modo mio, ma cercando il più possibile di mantenerli fedeli altrimenti non avrebbe avuto senso). Il tutto avviene in un tempo di pace, in una Hogwarts che non è pericolosa ma ha comunque i suoi problemi... e la protagonista dovrà farci i conti.

Spero che certe cose che vedrete in questa storia non mi facciano sembrare troppo presuntuosa (?) e vi assicuro che lo stile di scrittura migliora man mano.

Mi scuso se vi infastidisce la presenza di alcuni nomi presi dalla versione italiana e altri da quella inglese... Francamente, per me è stato naturale scriverli così e solo dopo ci ho fatto caso, quindi ho deciso di lasciarli. Però mi rendo conto che io stessa un po' di tempo fa, leggendo una storia con questa premessa, mi sarei innervosita almeno un pochino. Quindi scusate!

E poi, man mano che pubblicherò i capitoli, noterete che certe cose le ho proprio interpretate a modo mio, perché nell'opera originale non si vedono oppure non succedono. Abbiate un pochino di pazienza e capirete subito a cosa mi riferisco. Ho cercato con tutta me stessa di mantenere tutto quanto sensato e spero che lo sembrerà anche a voi, ma ovviamente sono aperta al dialogo.

A presto!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2



La sua prima notte a Hogwarts, Emily dormì come un sasso. Anche se all’inizio temeva che non sarebbe riuscita a chiudere occhio per l’emozione, presto tutta la stanchezza aveva preso il sopravvento.

L’indomani si svegliò prima delle compagne, quindi si affrettò a prepararsi e a vestirsi. Solo in quel momento notò che i colori della sua uniforme erano leggermente cambiati, infatti ora aveva una cravatta verde e argento che svettava sull’uniforme prevalentemente nera. Simboleggiava la sua appartenenza a quel dormitorio.

Ancora contrariata e confusa dalla scelta del cappello parlante, che l’aveva smistata nella casa dei ricchi spocchiosi con i genitori maghi, si decise a scendere per fare colazione.

Meno male che non dovevano esserci discriminazioni, pensò tra sé e sé mentre saliva le scale, ricordando il discorso di benvenuto della preside.

Varcato il portone della sala grande si accorse con piacere che gli altri studenti si erano seduti dove volevano. Forse la mattina erano liberi di fare come preferivano, accomodandosi a fare colazione con gli amici di altre case.

Rimase lì impalata a vagare con lo sguardo finché non individuò Cecil, seduto con un gruppetto di Grifondoro. Si incamminò verso di lui, inspirando profondamente per trovare il coraggio necessario a interrompere la loro chiacchierata. Aveva davvero bisogno di parlarci e, in generale, di vedere un volto amico.

“Buongiorno,” disse attirando la sua attenzione, quindi non perse tempo e si sedette nel posto libero accanto a lui.

“Buongiorno Emily,” la salutò Cecil, ignorando gli sguardi straniti dei compagni che a lei non passarono certo inosservati.

Ebbe l’impressione che nemmeno lì fosse benvoluta.

“Com’è andata la tua prima sera a Hogwarts?” le domandò, mentre lei si serviva la colazione.

Era stata disastrosa, ma era felice che tra lei e Cecil le cose non fossero cambiate, anche se erano stati messi in due case diverse.

“Speravo meglio, a dirla tutta. Questa storia dello smistamento mi ha confusa, non capisco perché io sia finita a Serpeverde,” confessò.

Stavano parlando con un tono di voce basso che gli altri difficilmente avrebbero sentito. Inoltre anche loro erano impegnati a conversare, perciò Emily si sentì libera di confidarsi con l’amico.

“La scelta del cappello parlante si basa sul carattere, anzi sulle qualità di ognuno,” spiegò Cecil.

“E quali sarebbero le qualità dei Serpeverde?” domandò allora Emily, quindi prese una cucchiaiata di porridge.

Cecil esitò un istante prima di rispondere, come se fosse in difficoltà.

“L’ambizione, per dirne una,” tagliò corto, tornando rivolto verso il proprio piatto.

Doveva riconoscerlo, Emily sapeva di essere ambiziosa.

“E invece i Grifondoro?” chiese ancora, non del tutto convinta.

“Noi Grifondoro siamo coraggiosi e leali,” rispose.

“Chissà perché, rispetto alla tua, la mia casa sembra quella dei cattivi,” si lasciò scappare, a sguardo basso. “Anzi, da quando hanno saputo che sono una nata babbana, i miei compagni di casa sembra che non vogliano avere a che fare con me, perciò ho più di un motivo per crederlo,” confessò.

La parola babbana non era nel suo vocabolario, ma l’aveva sentita dire da alcuni Serpeverde e ne aveva capito subito il significato, come quello di nata babbana, perché stavano parlando di lei.

Cecil posò il cucchiaio e le rivolse uno sguardo preoccupato.

“Ecco, immagino che tu non sappia molto della seconda guerra magica…”

“Perché, ce n’è stata anche una prima?” gli chiese, spiazzata.

“Appunto. Ehm, in poche parole c’era una forte discriminazione verso i maghi nati babbani e verso quelli con un genitore mago e uno babbano,” specificò. “L’intero mondo magico è stato sconvolto da Voldemort e dai suoi seguaci, che credevano nella superiorità dei maghi purosangue.”

“E fammi indovinare, questa credenza era condivisa dai ricchi Serpeverde…” aggiunse Emily, alzando gli occhi al cielo.

“Esatto. Molti dei suoi seguaci, se non tutti, erano Serpeverde. Anche se la preside ha detto che le discriminazioni non saranno tollerate, ci sono state per moltissimo tempo e hanno lasciato il segno,” aggiunse, a sguardo basso.

Era come se si sentisse in colpa a ritrovarsi dall’altra parte, a spiegare a una nata babbana cosa avevano fatto i purosangue come lui, per quanto lui non c’entrasse niente.

“Allora è proprio ingiusto che io sia finita nella loro stessa casa, visto che sono una di quelli che tanto odiano,” sospirò.

Cecil non ebbe il coraggio di commentare, ma era visibilmente dispiaciuto e lei se ne accorse.

“Parliamo di una cosa più bella, ti va? Hai ricevuto l’orario delle lezioni?” chiese lui, in difficoltà.

“Sì,” rispose Emily, prendendo la pergamena dalla borsa. “Ho due ore di incantesimi con i Tassorosso e poi due ore di pozioni.”

“Peccato che non saremo insieme a incantesimi,” commentò Cecil, riprendendo a mangiare con aria triste. “Però ci rivedremo a pozioni. Ho scoperto che l’insegnante che vedi seduto là è Lumacorno, quello di pozioni, ed è anche il capo casa di Serpeverde. Questo significa che, se avrai bisogno di qualcosa, potrai rivolgerti a lui.”

“Sembra un tipo simpatico, sono curiosa di vederlo a lezione e di imparare la mia prima pozione,” dichiarò, entusiasta, dopo averlo osservato brevemente. “Oh, e chi è il capo casa di Grifondoro?” chiese poi.

“Il professor Opal Fiery, è quello seduto là nell’angolo,” rispose, rivolgendo un altro fugace sguardo al tavolo dei professori. “Insegna babbanologia.”

“Babba…che?” domandò Emily, sorpresa.

“Una materia opzionale, non ce l’abbiamo al primo anno,” tagliò corto l’amico, senza però rispondere davvero alle sue domande, alle quali in effetti non aveva dato voce.

Presto arrivò il momento di separarsi, quindi Emily salì le scale seguendo il flusso di Serpeverde e Tassorosso. Una volta entrata nell’aula di incantesimi, illuminata dalla luce di una grande vetrata, cercò Blue con lo sguardo.

Non la trovò, quindi scelse uno dei lati della stanza dove erano disposti i banchi e si sedette da sola. Tirò un sospiro di sollievo quando la vide varcare la porta, notarla e raggiungerla con un sorriso stampato sul viso.

“Ehi Emily!” la salutò, accomodandosi di fianco a lei.

“Ciao Blue, tutto bene? Non ti ho vista a colazione,” le disse, felice di poter parlare con lei.

“Ho dormito troppo, infatti ho una fame che non ti dico,” confessò la bionda, ridacchiando con fare imbarazzato.

“Come ti trovi con gli altri Tassorosso?” le chiese Emily, mentre prendeva dalla sua borsa tutto l’occorrente per la lezione.

“Benissimo, sono tutti simpatici! Sai, speravo di essere una Tassorosso, dato che anche mio padre lo era,” raccontò.

Dopo aver parlato, salutò con la mano delle ragazze della sua casa che erano appena entrate nell’aula.

“Tua madre invece?” domandò Emily, curiosa.

Trovava affascinante che i suoi amici fossero maghi da generazioni, e che aspirassero a entrare nella stessa casa dei genitori. Era completamente diversa dalla sua situazione, ma forse in futuro avrebbe avuto dei figli che avrebbero frequentato Hogwarts con lo stesso desiderio.

“Lei è babbana. Quando ha saputo che papà era un mago si è presa un colpo! Me lo racconta spesso e ogni volta c’è da morire dal ridere.”

Ascoltando le sue parole, Emily pensò che forse l’amica poteva capirla almeno un po’.

“Nella tua casa come ti trovi? Qualcuno è stato cattivo con te?” domandò, al che Emily intuì che aveva già capito tutto.

“No, ma diciamo che non sono accoglienti quanto speravo,” rispose, abbassando il tono di voce. “Poi, quando ho detto che i miei genitori sono babbani…” sospirò. “Per me non è un problema, ma da come mi trattano pare che lo sia.”

“Ah, non pensarci. Hai me che ti tengo compagnia, non hai niente di cui preoccuparti!” esclamò, mettendole un braccio intorno alle spalle e stringendola a sé.

In quel momento il professor Flitwick entrò in aula e diede inizio alla lezione. Era lui che aveva tenuto il discorso di benvenuto ed Emily era felice di scoprire che si trattava dell’insegnante di incantesimi.

Quel giorno avrebbero imparato Lumos, quindi spiegò prima la teoria servendosi anche del libro di testo. Poi chiese agli studenti di prendere le loro bacchette per esercitarsi con il gesto.

L’incantesimo non era difficile da pronunciare, ma Emily non lo sottovalutò. Quando fu il momento della prova pratica le servirono diversi tentativi, ma alla fine fu soddisfatta di vedere una piccola luce emergere dalla punta della sua bacchetta.

Anzi, ne fu estasiata! Era riuscita a fare il suo primo incantesimo.

Anche Blue ce la fece, e con loro molti altri studenti. Il professore chiese di continuare a esercitarsi, perché alla prossima lezione avrebbe voluto vedere se ci erano riusciti tutti prima di continuare. Emily uscì dall’aula con il morale alle stelle, desiderosa di perfezionare Lumos e di continuare a studiare quella materia così affascinante.

Era il momento di andare a pozioni, quindi salutò l’amica e scese nei sotterranei in cerca dell’aula. Questa era un luogo affascinante pieno di calderoni e boccette dal misterioso contenuto.

Individuò Cecil seduto da solo e lo raggiunse, chiedendogli se potesse occupare il posto accanto a lui. Aveva fatto erbologia quella mattina, perciò gli chiese se potesse raccontarle qualcosa a riguardo.

Presto arrivò Lumacorno, che si presentò alla classe e diede inizio alla lezione. Quel giorno avrebbero imparato a realizzare la pozione curabolle, quindi ne mostrò una già pronta, contenuta in un calderone vicino alla cattedra.

Emily ne studiò con lo sguardo il colore, la consistenza e l’odore, affascinata. Dopo aver preso appunti sulla sua funzione e sulla preparazione, arrivò il momento della pratica. Insieme a Cecil, raccolse tutti gli ingredienti necessari e si mise al lavoro.

Una ragazza di Grifondoro seduta davanti a loro per poco non si bruciò i capelli sul fuoco del calderone, al che Emily fu contenta di averli corti. Le arrivavano poco più su delle spalle, perciò non avrebbe avuto problemi di quel tipo.

Alla fine della lezione Lumacorno passò tra i banchi a controllare la pozione di tutti. Fece i complimenti a lei e a Cecil, che ne avevano realizzata una di buona qualità. Uscirono dall’aula soddisfatti e si diressero alla sala grande per il pranzo.

Qui, Emily fu costretta a salutare l’amico e ad avviarsi verso il tavolo di Serpeverde. Sospirò e si incamminò, ma due ragazzi le passarono accanto spintonandola e rischiando di farla cadere a terra. Erano gli stessi che avevano preso di mira Cecil il giorno prima.

Strinse i denti, fingendo di non averli sentiti ridacchiare, e si incamminò con passo più svelto per andare a sedersi in fondo al tavolo, dove l’avrebbero notata meno persone possibili.

Dopo pranzo aveva del tempo libero, perciò andò in cerca della biblioteca portando con sé il necessario per ripassare le lezioni di quella mattina. Quando arrivò, però, decise come prima cosa di colmare le sue lacune sulla guerra che c’era appena stata.

Chiese alla bibliotecaria, madama Pince, dove potesse trovare ciò che stava cercando, quindi prese un primo libro dallo scaffale.

Cecil le aveva spiegato qualcosa, il che era bastato a farle capire l’atmosfera che si respirava soprattutto tra i Serpeverde, ma sapeva che non era tutto. Faceva parte di quel mondo anche lei adesso, perciò conoscere dei fatti così recenti sarebbe stato il minimo.

Non era una lettrice veloce, inoltre ciò che aveva tra le mani non era certo una lettura leggera. Dopo un po’ chiuse il tomo per tirare fuori i libri di testo e dedicarsi ad altro. Rilesse la teoria della pozione imparata quella mattina, dopodiché passò ai suoi appunti. Quando decise di dedicarsi a incantesimi, qualcuno posò con forza un libro sul suo tavolo facendola sobbalzare.

“Ecco dov’eri!” esclamò Blue, in piedi davanti a lei.

Subito madama Pince le intimò di fare silenzio, al che la ragazzina annuì con un’espressione di fintissimo dispiacere sul viso.

“Ti stavo cercando, speravo volessi esplorare il castello con me,” continuò, stavolta a bassa voce, mentre prendeva posto.

“Più tardi vengo molto volentieri, ma volevo ripassare prima delle lezioni del pomeriggio,” le rispose.

“Ripassare cosa?”

Emily sollevò il libro che aveva aperto mostrandole la copertina del testo di pozioni.

Blue sgranò gli occhi e spalancò la bocca.

“Vieni, andiamo a farlo da un’altra parte,” le propose tornando in piedi, sorridendo divertita.

Emily decise di fidarsi e seguire la sua nuova amica, ma prima tornò alla cattedra di madama Pince per prendere in prestito il libro di storia che aveva consultato.

Seguì Blue fino al cortile della torre dell’orologio dove altri ragazzi di tutte le case stavano trascorrendo il loro tempo libero. Qualcuno era seduto a terra a giocare a qualcosa e l’amica, notando la sua curiosità, le disse che le piccole sfere che stavano usando erano gobbiglie.

“Ti insegno a giocarci una volta, se ti va,” le propose, mettendosi a sedere su un muretto. “Ora però prendi questa,” aggiunse, mettendo una mano in tasca e tirando fuori un pacchetto contenente una tortina di zucca.

Emily accettò e Blue ne aprì una per sé, quindi fecero merenda.

“E così ti chiami Blue Sugar Cane,” disse, ricordando che si era stupita a sentire il suo nome completo la sera prima, durante lo smistamento.

“Sì, ma non ne vado fiera. Dimentica che il mio secondo nome è Sugar e che il mio nome sembra un inno alla canna da zucchero, ti prego,” la implorò teatralmente l’amica, congiungendo le mani in segno di preghiera e socchiudendo gli occhi con fare sofferente.

Emily rise. Quella ragazzina solare aveva il potere di metterla di buonumore in un attimo.

Tra le due, Blue fu la prima a prendere la bacchetta per esercitarsi.

“Lumos!” esclamò, mentre eseguiva il gesto con la mano.

Non successe niente, così la ragazza fece una smorfia confusa.

“Non capisco, in classe c’ero riuscita…” sbuffò.

Emily riprese in mano il libro e cercò la pagina dedicata a quell’incantesimo, quindi ripassarono velocemente la teoria. Dopo averlo fatto si esercitarono insieme finché non furono soddisfatte, cioè fino a quando non riuscirono a produrre un fascio di luce dalla bacchetta.

“Guarda, è molto più luminoso di stamattina!” esclamò Blue, felice.

Emily annuì, in ammirazione. Adesso credeva di ricordare perfettamente come eseguire l’incantesimo, ma era tardi per dedicarsi all’esplorazione del castello. Salutò l’amica e corse nei sotterranei, per tornare nella sua camera a lasciare i libri di testo e quello sulla seconda guerra magica. Veloce come era arrivata, tornò su per le scale perché presto sarebbe iniziata la sua prima lezione di volo.

Doveva ammetterlo, si era stupita quando aveva scoperto di dover imparare anche quello.

La lezione era con i Grifondoro. Arrivata al campo di allenamento, salutò Cecil con una mano ma non poté andare a parlargli perché la professoressa Bumb li divise subito in due schieramenti in base alla casa di appartenenza.

Consegnò una scopa a ognuno e spiegò tutto ciò che dovevano sapere sulla sua manutenzione. Dopo aver imparato come occuparsi del proprio manico di scopa, fu il momento di chiamarlo a sé, letteralmente.

Emily si posizionò accanto al suo, tese la mano ed esclamò: “su!”

Ci volle un po’, ma alla fine riuscì a farlo sollevare da terra e ad afferrarlo. Malgrado questo piccolo successo, tirò un sospiro di sollievo quando scoprì che non avrebbero davvero volato, non ancora almeno. L’idea la rendeva nervosa.

La lezione era finita, perciò rivolse uno sguardo a Cecil ma lo trovò insieme a dei compagni di casa, gli stessi di quella mattina. Stavano parlando animatamente e lui sembrava coinvolto dal discorso, anche se ascoltava in silenzio. Non le parve il caso di intromettersi, perciò andò da sola a riporre la scopa nel magazzino.

Stava per voltarsi e uscire quando sentì pronunciare un incantesimo e cadde in avanti, come se qualcuno le avesse fatto lo sgambetto. I Serpeverde che l’avevano spintonata erano alle sue spalle e stavano ridendo, uno dei due aveva la bacchetta puntata nella sua direzione.

“Eh no! Signori Baxter e Napier, sono costretta a togliere venti punti a Serpeverde per questo scherzo!” esclamò madama Bumb, che aveva visto tutto da fuori.

Come nominò i punti, i due ragazzini rivolsero uno sguardo carico d’astio a Emily quasi fosse colpa sua.

Dopo averle chiesto se stava bene, la professoressa li afferrò per la divisa e li portò via con sé, forse intenzionata a metterli in punizione.

Cecil entrò in fretta nel magazzino e le offrì una mano per aiutarla.

“Ti sei fatta male?” domandò, poi rivolse uno sguardo preoccupato ai compagni portati via dalla professoressa.

“No, niente di rotto,” rispose lei prendendo la sua mano per accettare l’aiuto.

Si fregò via la polvere dai vestiti e sbuffò. Era solo il suo primo giorno di scuola, eppure era già stanca di avere a che fare con quei due. Non intendeva fargliela pagare perché non voleva abbassarsi al loro livello, però non poteva far finta di niente. Peccato che conoscessero più incantesimi di lei.

“Vieni, ti porto a vedere una cosa,” le disse l’amico, al che Emily lo seguì senza fiatare.

Cecil si fermò davanti alla porta di un’aula nella quale lei non era mai entrata.

“Il mio amico Parker mi ha detto che in quest’aula si terrà un club dei duellanti e secondo me dovresti partecipare.”

“Duellanti? Quindi ci si allena a combattere con gli incantesimi?” domandò lei, incuriosita.

“A combattere, a difendersi, tutto. Le attività non sono ancora iniziate, ma se quei due ti hanno presa di mira secondo me ti conviene frequentarlo,” rispose.

“Sembra che ce l’abbiano anche con te, o forse persino con tutti. Ti iscriverai insieme a me?”

“No, io non sono tagliato per questa roba. Se li ignoro, prima o poi smetteranno. Tu invece adori gli incantesimi, hai gli occhi che brillano quando ne parli, perciò ho pensato che ti sarebbe interessato anche duellare,” si giustificò.

Emily annuì, ma non era del tutto convinta. Duellare sembrava davvero interessante oltre che utile, ma sperava di passare più tempo con gli amici piuttosto che da sola. Inoltre credeva davvero che potesse fare comodo anche a Cecil.

Sospirò e promise che ci avrebbe pensato su.

“Blue voleva esplorare la scuola, ti unisci a noi?” gli propose, cambiando discorso.

“Va bene, ma lei dov’è adesso?” domandò il ragazzo.

“Aveva difesa contro le arti oscure, ormai la lezione dovrebbe essere finita.”

Si avviarono per i corridoi fino a raggiungere l’aula di difesa e trovarono la porta ancora chiusa, così si sedettero accanto alla parete in attesa che la lezione finisse.

“Sai, si dice che il professore di difesa sia un ex auror,” commentò Cecil, osservando la porta come per potervi vedere attraverso.

Non ci volle molto perché essa si aprisse, segno che la lezione era terminata. I Corvonero e i Tassorosso affollarono il corridoio, ma fu facile individuare tra tutti la chioma bionda e disordinata di Blue.

Insieme, i tre amici esplorarono Hogwarts domandandosi quali misteri nascondessero quelle mura e quante avventure avessero ospitato.

Dopo cena Emily scese nella sua stanza e si dedicò alla lettura, ma presto dovette posare il libro e arrendersi alla stanchezza.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3



Quella mattina Emily si svegliò puntuale e scese dal letto per prepararsi in tutta fretta. A colazione prese posto da sola e iniziò a consumare un porridge con della frutta. Poco dopo Cecil entrò nella sala grande, ma non la notò perché era preso ad ascoltare le chiacchiere dei suoi amici Grifondoro.

A Emily dispiacque non poter fare colazione con lui, ma non avrebbe avuto senso alzarsi e raggiungerlo.

Nel giro di qualche minuto arrivò anche Blue. Quando la vide, la ragazza salutò i suoi amici Tassorosso e corse a sedersi con lei.

“Buongiorno!” esclamò, troppo concentrata a riempirsi il piatto di cibo per guardarla in faccia.

Emily ricambiò il saluto e le due presero a chiacchierare mentre facevano colazione.

La sua prima lezione quella mattina era storia della magia insieme ai Corvonero. Emily si sedette in aula accanto a una ragazza di Serpeverde dall’aria assonnata e prese appunti per tutto il tempo.

La sua compagna di banco, che gli altri avevano salutato chiamandola Desvara, non le rivolse né lo sguardo né una parola ed Emily non trovò alcun motivo valido per provare a interagirci.

Storia non era una materia pratica perciò la immaginava meno interessante, eppure si trattava di qualcosa a lei sconosciuto. Insomma, come era successo con le questioni riguardanti la guerra per cui aveva preso un libro in biblioteca, anche in quel caso voleva saperne di più.

Corse poi a lezione di difesa contro le arti oscure e prese posto da sola. In attesa che gli altri compagni arrivassero prese libro, penna e pergamena. Cecil arrivò insieme agli amici Grifondoro e si sedette accanto a lei.

Il professore di difesa entrò nell’aula sbattendo la porta, il che fece sobbalzare tutti i presenti. Si fermò davanti alla cattedra e li osservò uno ad uno con sguardo indagatore. Era un uomo alto e magro con i capelli brizzolati, e non era molto anziano se si consideravano gli altri docenti di Hogwarts.

Si presentò come Julius Brodie, ex auror, e fece l’appello squadrandoli con attenzione come per imprimersi i loro volti nella memoria. L’aria in aula si era subito fatta tesa.

Terminato l’appello fece vagare nuovamente lo sguardo in modo minaccioso su tutti quanti .

“Signorina Lewis, sa farmi il nome di tre creature oscure?”

Emily sobbalzò. All’improvviso aveva la gola secca, ora che gli sguardi di tutti erano puntati su di lei.

“No? Signor Napier, lei sa rispondere?”

Il compagno di casa rispose e il professore ne fu soddisfatto.

“Bene, per questa volta non toglierò punti a Serpeverde,” dichiarò, posizionandosi dietro alla cattedra. Si piegò in avanti e appoggiò le mani su di essa. “I vostri compagni più grandi forse vi avranno detto che tratto diversamente voi Serpeverde… La verità è che tengo d’occhio tutti, ma la vostra casa in particolare. Sono stato in guerra, per questo so di cosa sareste capaci se solo qualcuno vi portasse sulla strada sbagliata. Non c’è niente di personale, io stesso alla vostra età sono stato smistato in Serpeverde ed è anche per questo che sono certo di ciò che dico.”

Emily pensò che c’era eccome qualcosa di personale, e che la sua prima lezione di difesa fosse iniziata nel peggiore dei modi.

“Il programma del primo anno prevede solo argomenti teorici, ma io ritengo che la teoria debba essere una base per la pratica. Quindi studierete, ma farete anche incantesimi. Il mondo là fuori non è più in guerra, ma non sappiamo cosa ci riserverà il futuro. Qualsiasi cosa accadrà, dovrete essere pronti. Il mio compito è proprio questo, fare in modo che lo siate.”

Terminato il discorso si sedette e ordinò di aprire i libri. Emily scambiò un’occhiata preoccupata con Cecil ma non osò fiatare per paura di essere rimproverata.

Al termine della lezione, prima di lasciarli liberi, il professor Brodie annunciò che a partire dal giorno successivo avrebbe presieduto agli incontri del club dei duellanti. Emily sperava che non prendesse di mira i Serpeverde anche lì, perché ci aveva riflettuto e intendeva partecipare alle attività del club.

“Il professore fa paura,” commentò Cecil.

Stava mettendo in borsa le sue cose e l’insegnante era uscito per primo, per questo lui ne stava parlando liberamente.

“Già, ma non è con te che ce l’ha,” sottolineò Emily.

“Cecil, vieni a pranzo con noi?” li interruppe un ragazzino dalla carnagione scura che passava accanto al loro banco.

“Arrivo, intanto iniziate ad andare.”

Lui annuì e uscì dall’aula.

“Studiamo insieme dopo mangiato?” le chiese.

“Va bene, ho un po’ di tempo prima della lezione di erbologia,” rispose lei.

Usciti dall’aula, si stavano accordando per incontrarsi in biblioteca quando Napier e Baxter diedero una spallata a entrambi superandoli.

“Fatela finita, idioti!” esclamò Emily, incapace di trattenersi.

Strinse i pugni per la frustrazione mentre i due se ne andavano sghignazzando. Per poco Cecil non era caduto e sarebbe stata la seconda volta in tre giorni!

“Stai bene?” gli chiese.

“Sì,” rispose lui, massaggiandosi la spalla dolorante. “Ignorali, sono solo dei bambini.”

“Già, ma qualcuno dovrà pur insegnargli le buone maniere.”

Ripresero a camminare verso la sala grande e, una volta qui, si separarono per mangiare ognuno al proprio tavolo.

Vuotato il suo piatto, Emily si affrettò a tornare in camera per posare i libri che non le servivano e prendere quello di storia, che avrebbe riportato in biblioteca. Ormai aveva letto ciò che era successo solo cinque anni prima, rimanendo spiazzata dall’atrocità della guerra che si era conclusa tra le mura di Hogwarts, perciò poteva restituirlo e passare ad altro.

Lo consegnò a madama Pince e cercò un tavolo ben illuminato dove sedersi a studiare. Ne scelse uno posto davanti a una finestra che si affacciava sul paesaggio grigio di quella giornata. Aveva tenuto con sé il libro di difesa contro le arti oscure per portarsi avanti con lo studio, così da non fare altre figuracce.

Lei era cresciuta all’oscuro dell’esistenza della magia, come si poteva pretendere che sapesse già tutto? Era a scuola proprio per imparare.

Mentre se lo ripeteva, aprì il volume sulla lezione di quel giorno e la rilesse con attenzione, quindi passò alla successiva. Se non voleva fare scena muta con il professor Brodie, doveva giocare d’anticipo.

Cecil la raggiunse poco dopo e si dedicò allo studio di pozioni.

“Ah, quindi sei quel tipo di persona!” esclamò Blue, quando varcò la soglia e notò Emily. “Ciao Cecil!” aggiunse poi, accompagnando al saluto un gesto della mano.

“Ssh!” la zittì madama Pince, mandandole un’occhiataccia.

Blue le rivolse lo sguardo dispiaciuto più falso che sapeva fare e si sedette con gli amici.

“Quale tipo di persona?” le domandò Emily a bassa voce.

“Il tipo che trascorre sui libri ogni minuto libero,” rispose, giocherellando con le mani sul tavolo.

“Non è vero!” rispose Emily, spiazzata. “È solo che ho tante cose da recuperare, non so ancora niente,” si giustificò.

“Non ti manca niente Emily, fidati. Il più purosangue dei maghi del primo anno probabilmente è un completo idiota!” ribatté, centrando in pieno il bersaglio.

“Però il professore di difesa pretende molto dai Serpeverde,” intervenne Cecil con fare calmo, portando lo sguardo sulla pagina che l’amica stava studiando.

Emily capì che avevano ragione entrambi, ma c’era dell’altro. Lei aveva davvero voglia di imparare tutte quelle cose, e al più presto.

“Tu non hai qualcosa da studiare?” chiese a Blue.

“Mmh, no,” rispose, dopo un attimo di riflessione.

Blue si tolse gli occhiali dalla montatura viola e li posò sul tavolo, quindi si passò una mano tra i capelli biondi.

“Ma visto che ci tenete a stare qui, studierò comunque qualcosa,” si arrese.

Fu la prima a chiudere il libro, qualche minuto dopo, perché già esausta. Piuttosto, si mise a infastidire Cecil punzecchiandolo con la piuma della sua penna finché anche lui non decise che ne aveva avuto abbastanza.

Emily, invece, avrebbe studiato ancora un po’, ma ormai era quasi ora di andare a erbologia. Salutò Cecil e si incamminò con Blue verso la serra, dove conobbe la professoressa Sprout.

Una materia affascinante, erbologia. Emily scoprì che esistevano un’infinità di piante sconosciute ai babbani, e ognuna poteva essere impiegata in qualcosa di utile, per esempio nella preparazione di una pozione.

A fine lezione avrebbe voluto riposarsi un po’ prima di cena, ma l’amica la trascinò con sé nel cortile della torre dell’orologio per una partita a gobbiglie.

Emily non si divertì molto perché non conosceva il gioco e venne spruzzata molte volte. Blue stava cercando di insegnarle almeno le basi, ma scoppiava a ridere ogni volta che l’amica perdeva punti e una biglia le bagnava il viso di liquido puzzolente.

Dopo un po’ capì come giocare e iniziò a sentirsi competitiva.

“Per caso andrai al club dei duellanti domani?” chiese all’amica, tra un lancio e l’altro.

“Mmh, no. Non mi interessano i duelli, preferirei qualcosa di più divertente. Perché, tu ci andrai?” le domandò Blue, concentrata sulla partita.

“Pensavo di sì, potrebbe essere interessante. Sempre se il professor Brodie non decide di interrogarmi anche lì,” disse, lasciandosi scappare un sospiro.

“Pensa positivo, magari si concentrerà solo sui duelli.”

Lei annuì e sperò che avesse ragione, o almeno che il professore non la notasse.

Dopo cena Emily non poté rilassarsi perché aveva lezione di astronomia. Trovava assurdo non poter dedicare la serata al riposo, ma in effetti quella materia necessitava del buio.

Con i Serpeverde c’erano i Corvonero in questo caso e lei si sedette accanto a un ragazzo della loro casa. La materia si rivelò inaspettatamente affascinante e non fu affatto noiosa, malgrado lei fosse stanca.

Appena tornata in dormitorio fece giusto in tempo a lavarsi e si buttò a letto, sfinita.

 
I giorni successivi trascorsero sereni. Emily frequentò la sua prima lezione di trasfigurazione, stupendosi delle infinite possibilità di quella materia. Certo, si domandava come stessero gli animali una volta trasfigurati in oggetti, ma non osò domandarlo.

La loro insegnante per quella materia era Minerva McGranitt, ovvero la preside. Il suo ruolo bastava a farle ottenere tutta l’attenzione e il rispetto della classe.

Poi partecipò alle attività del club dei duellanti, ma solo come osservatrice. Prese appunti su quello che facevano gli altri, sui loro movimenti con la bacchetta e sugli incantesimi che pronunciavano.

Servendosi di quegli appunti si esercitò negli incantesimi da sola, dove nessuno poteva vederla. Non ci volle molto perché riuscisse a impararne alcuni che l’avrebbero protetta in caso di necessità, oppure che avrebbero fatto rimbalzare una fattura su chi l’aveva lanciata.

Doveva ancora testarli in una situazione di pericolo, ma poteva dirsi soddisfatta.

A incantesimi imparò molto altro, non finendo mai di stupirsi, e lo stesso poteva dire delle altre materie.

In quel periodo era iniziata la stagione del quidditch e i suoi amici non stavano più nella pelle. Lei non sapeva niente di quello sport, se non che si praticasse sulla scopa, ma guardò con loro qualche partita comunque.

Inutile dire che non riuscì a capire nulla di ciò che stava succedendo sul campo. Anzi, a malapena riusciva a seguire il gioco, essendoci così tante palle in azione. Inoltre vedere altri maghi volare le faceva pensare alle lezioni di volo…

Doveva ammetterlo, dopo una difficoltà iniziale stava andando bene in ogni materia, ma il volo per lei risultava ancora troppo difficile. Anzi, lo credeva pericoloso e, soprattutto, non si fidava della scopa.

Magari un giorno ne avrebbe avuta una tutta sua e sarebbe stato diverso, ma quel giorno era lontano anni luce.

In quanto al quidditch, i suoi amici lo seguivano da anni e ne erano entusiasti. Entrambi avevano anche provato a spiegarle come funzionasse, ma non riusciva a ricordare molto oltre ai ruoli dei giocatori.

E così aveva assistito a diverse partite semplicemente per il gusto di passare il tempo con loro facendo qualcosa di diverso dal solito. Qualche volta aveva tifato Grifondoro con Cecil, qualche altra Tassorosso con Blue. Non aveva mai fatto il tifo per Serpeverde perché non ne sentiva il bisogno.

Nelle partite che vedevano Tassorosso contro Grifondoro c’era stato un conflitto di interesse, perché avrebbe voluto sostenere le case di entrambi gli amici. Alla fine aveva scelto di stare con Blue in quelle occasioni, perché la ragazza si emozionava come non mai sugli spalti, coinvolgendola e facendola divertire. Cecil invece, pur godendosi la partita, rimaneva abbastanza pacato. Inoltre aveva i suoi amici con sé.

Non che Blue non li avesse, ma almeno i suoi non la guardavano male, inoltre lei non si faceva problemi a separarsi da loro per stare con Emily.

Per concludere il trimestre avrebbero avuto degli esami intermedi di ogni materia, così lei passò ancora più tempo in biblioteca a studiare.

Ogni tanto vedeva che Cecil era lì con il solito gruppo di Grifondoro, ma a volte preferiva salutarli e studiare con lei. Altre volte era Blue a raggiungerla, perché disperata per via di qualcosa che non riusciva a capire.

Emily provava a rispiegarle quelle cose, ma con lei ci voleva un approccio diverso. Ecco perché si nascondevano nelle aule vuote a esercitarsi con gli incantesimi, si intrufolavano nelle serre per riconoscere le diverse piante, oppure nell’aula di pozioni per un quiz sugli ingredienti.

A dirla tutta, Emily si divertiva a organizzare quelle lezioni per lei, sperimentando diversi metodi per trovare quello che facesse al caso suo. Le loro sessioni di studio segrete erano qualcosa di speciale che le univa.
Certo, dovevano stare attente a non farsi beccare.

Per concludere il trimestre a Hogwarts si sarebbe tenuto un ballo di Natale, ma agli studenti dei primi due anni non era permesso partecipare. Allora Blue ebbe un’idea: avrebbero trascorso quella serata tutti e tre insieme!

Il problema era capire dove farlo e come. Dopotutto, appartenevano a tre case diverse. Blue però aveva pensato anche a questo, infatti intendeva trovare la stanza delle necessità.

Suo padre le aveva raccontato che al settimo piano di Hogwarts c’era una stanza che compariva a chi ne aveva bisogno, contenente proprio ciò di cui aveva bisogno. Ecco che la ragazza, quindi, esplorò ogni corridoio facendo avanti e indietro senza sosta, desiderando un posto accogliente in cui passare il tempo con i suoi amici, senza il vincolo della casa di appartenenza.

Emily non finiva mai di stupirsi da quando era arrivata in quella scuola, ma le sembrava impossibile che una stanza del genere esistesse davvero. Cecil invece credeva che non l’avrebbe trovata mai e, in ogni caso, l’idea di stare in giro di notte, infrangendo le regole, lo preoccupava.

Quando però Blue annunciò che l’aveva trovata davvero, non ebbe niente da ridire!

La sera del ballo sgattaiolarono per i corridoi fino a un punto indicato loro dall’amica. Una volta qui, la ragazza fece avanti e indietro e una porta comparve sulla parete. Cecil ed Emily rimasero a bocca aperta!

Grazie a lei avrebbero passato davvero quella serata insieme, lontani da occhi indiscreti. Trascorsero qualche ora a chiacchierare, mangiare e divertirsi con gli incantesimi imparati, o con gli snack strambi che Blue aveva scovato.

Solo qualche ora, perché poi decisero che era il caso di andare a dormire ognuno nella propria stanza, per non trovarsi nei guai l’indomani.

Il giorno dopo l’Hogwarts Express li avrebbe riportati a casa per le vacanze di Natale. Fecero colazione e poi condivisero la cabina sul treno, continuando la chiacchierata del giorno prima.

“Mia madre ha un negozio di sartoria,” raccontò loro Blue, guardando fuori dal finestrino con aria sognante. “Sotto Natale realizza sempre degli abiti meravigliosi, sui toni del rosso e del verde. Poi chiude il negozio per le vacanze e passiamo qualche giorno a festeggiare con tutta la famiglia. Ci raggiunge persino mio fratello maggiore, che lavora in Francia.”

“Quando si riunisce tutta la famiglia, voi che siete maghi come vi comportate con i babbani?” le chiese Cecil, curioso.

“Di solito ci fingiamo babbani anche noi, ma per i miei nonni paterni non è facile. Ogni volta potrebbe essere quella buona in cui veniamo scoperti,” ridacchiò, divertita. “Emily, voi cosa farete?”

“È il mio primo Natale da strega in realtà, ma anche noi abbiamo deciso di non dirlo ai parenti. Lo sanno solo i miei genitori, quindi festeggeremo tutti insieme facendo finta di niente. Io e mia madre prepareremo il cenone, poi ci scambieremo i regali, mangeremo dolci,…” iniziò a raccontare con aria sognante, consapevole che quell’anno non sarebbero stati solo loro tre.

Il Natale era un periodo dell’anno che adorava. Inoltre subito dopo, a gennaio, veniva il suo compleanno.

“Funziona allo stesso modo anche nella mia famiglia,” aggiunse Cecil, senza dire altro.

Emily aveva notato che il ragazzo era di poche parole, a meno che lei non insistesse facendogli domande, o facendolo parlare di qualcosa in particolare. Anche con i suoi amici lo aveva visto sempre zitto, ma sembrava divertirsi molto comunque.

In men che non si dica arrivarono a King’s Cross e dovettero separarsi.

Emily si guardò intorno in cerca dei suoi genitori. Non fu difficile notarli perché sua madre aveva i capelli tinti di un color rosso fuoco che saltava subito all’occhio.

Corse da loro e li abbracciò. Dopo aver preso i bagagli, andarono alla macchina e tornarono a casa. Emily, già durante il viaggio, raccontò senza sosta quanto aveva adorato la scuola.

Parlò dei suoi amici, delle lezioni e del magnifico castello in cui avevano vissuto. Aveva raccontato loro molte cose tramite lettera, ma ora che li vedeva di persona le sembrò di avere molto altro da dire.

Arrivata a casa salutò Ralph, il suo gufo. Quando aveva saputo di poter portare un animale a scuola e aveva scoperto l’utilità dei gufi, aveva deciso di fare diversamente. Ne aveva comprato uno da tenere a casa, così che i suoi genitori riuscissero a mandarle le lettere con facilità.

Poi lei rispondeva con calma servendosi di un gufo della scuola, scelto nella guferia. Altre volte invece, quando voleva dare una risposta immediata, chiedeva a Ralph di restare tenendolo impegnato con del cibo mentre scriveva velocemente la sua lettera.

Emily doveva ammettere che i suoi genitori le erano mancati, e le vacanze insieme trascorsero serene.

Sua madre le raccontò cos’avevano fatto mentre lei non c’era, suo padre qualche episodio accaduto nella scuola dove insegnava, ed Emily spiegò qualcosa relativo alla magia, che per loro era ancora difficile da comprendere. Avrebbe voluto mostrargliela, ma sapeva di non poterla praticare fuori da scuola.

Poi arrivarono alcuni parenti dal Canada, così lei mise da parte quei racconti per trascorrere un Natale normale insieme alla sua famiglia.

Mentre era con loro dimenticò tutte le difficoltà che aveva dovuto affrontare, la solitudine, la fatica e la frustrazione. Dimenticò i ragazzi che avevano preso di mira lei e Cecil, e l’indifferenza dei suoi compagni di casa. Mise da parte tutto questo con naturalezza, ricordando solo le cose belle.

Il Natale passò, arrivò l’anno nuovo e con esso il momento di tornare a Hogwarts. Emily era già entusiasta, inoltre era rimasta in contatto con i suoi amici e non vedeva l’ora di riabbracciarli. Li conosceva da poco, ma voleva loro già molto bene.





Note di quella che scrive

Ed ecco il terzo capitolo! Spero vi sia piaciuto e vorrete farmelo sapere.

Già qui potete notare qualcosa di nuovo che ho inserito io, per esempio il ballo di Natale a cui partecipano gli studenti dal terzo anno in poi. Si tratta di un singolo evento che ritorna ogni anno, che ho pensato come occasione spensierata dato che gli studenti di Hogwarts vivono in tempo di pace. Insomma, ogni occasione è buona per festeggiare e per celebrare la vita. Si capisce cosa intendo? Spero di sì.

Poi abbiamo gli esami che chiudono i trimestri. Ecco, se viene menzionato qualcosa del genere nei libri non lo so perché non li ho ancora letti, però mi sembrava sensato tener traccia del rendimento degli studenti in questo modo. Ci saranno anche dei voti a fine anno per lo stesso motivo.
Okay che a un certo punto ci sono i G.U.F.O., ma mi sembrava troppo facile che non ci fossero altri esami fino ad allora, anche solo per tenere nota del rendimento di tutti, quindi senza pericolo di bocciatura. Non sapendo se esiste già qualcosa del genere nella saga, ho reinterpretato la cosa a modo mio. Voi sapete dirmi qualcosa a riguardo? E cosa ne pensate della mia soluzione?

Gobbiglie e il club dei duellanti: nei film non si vedono, tranne il club nel secondo film, però in Hogwarts Mistery ci sono e io ho deciso di inserirli così. Blue adora giocare a gobbiglie, mentre il club dei duellanti si rivelerà molto utile più avanti.

In quanto a ciò che succede nel capitolo, mi sono divertita a inserire un personaggio come il professor Brodie, che guarda con sospetto tutti i Serpeverde pur essendone uno lui stesso. Spero che l'idea vi piaccia! Ed Emily se la sta cavando bene a scuola per ora, malgrado tutto.

Avrete anche notato che alcune cose le racconto quasi superficialmente, oppure salto avanti, mentre su altro mi concentro di più. Il fatto è che nella storia vedremo crescere i protagonisti dal primo al settimo anno, perciò non posso saccontare tutto. Quindi ho deciso di fare così. Quello che mi interessa in questa fase è raccontare i primi passi di Emily a Hogwarts, tra novità, antipatie e soprattutto amicizie. Già, è una storia quasi slice of life che vuole essere una lettura calma, sebbene avremo anche dei colpi di scena e delle difficoltà.

Infine spero che la mia Emily non vi sembri un'Hermione dei poveri, perché giuro che l'intenzione non era quella! Certo, una delle cose che la caratterizza di più è la sua ambizione, che a Hogwarts si concretizza nello studio - anche grazie al professor Brodie che le fa domande su argomenti non ancora spiegati. E si sente un po' in difetto a causa del trattamento che riceve dai compagni di casa purosangue, ma siamo in un periodo storico diverso in cui possiamo aspettarci sviluppi diversi.
In futuro vedremo dove la porterà la sua ambizione.

Torno presto con il quarto capitolo!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4



Emily sapeva che il resto dell’anno sarebbe stato meraviglioso perché lo avrebbe trascorso con i suoi amici, e in effetti fu proprio così.

Dopo le vacanze di Natale, tornò alla vita di sempre alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.

Imparò molti altri incantesimi e pozioni, inoltre dovette sconfiggere la sua paura del volo su scopa, anche se non la superò del tutto. In quanto a trasfigurazione, per il momento avevano solo tramutato gli animali in oggetti, ma lei si domandava cos’altro si potesse fare. Ecco che in biblioteca trovò un libro che faceva al caso suo, pieno di istruzioni utili per trasfigurare degli oggetti in altri.

Sapeva che prima o poi avrebbero imparato anche quello a lezione, ma ormai aveva deciso di portarsi avanti. Fece lo stesso con erbologia, che non era tra le sue materie preferite ma la affascinava comunque. Ogni volta che a pozioni si nominava un ingrediente vegetale, decideva di indagare per conto proprio per scoprire cosa fosse e quali fossero i suoi benefici.

La sua curiosità insaziabile la portò a essere molto più avanti degli altri studenti nella maggior parte delle materie, tanto che alcune ragazze di Serpeverde cercarono di ingraziarsela solo perché facesse copiare loro i compiti.

Questo comunque non dissuase altri compagni di casa, una rara volta che si era accomodata nella sala comune a studiare da sola, dal raggiungerla per dirle che lì non era gradita.

Un giorno, mentre usciva in giardino in cerca di Cecil, sentì gli stessi ragazzi parlare a voce alta con qualcuno. Capì che erano insulti perciò tese l’orecchio e si sporse oltre una colonna per guardare.

Avevano preso da parte Cecil, buttato a terra le sue cose e lo stavano prendendo in giro. Uno di loro, che Emily riconobbe come William Baxter, lo teneva per il colletto della divisa.

Emily si sentì mancare per un attimo.

Cecil teneva gli occhi serrati e non rispondeva, ma era chiaramente in difficoltà. Erano in quattro contro uno e chissà cosa avevano intenzione di fargli.

D’istinto richiamò alla mente gli incantesimi che aveva visto usare durante i duelli, quelli di cui aveva preso appunti ma che non aveva mai testato. Insomma, quelli offensivi. Prese la bacchetta dalla tasca e la impugnò saldamente, malgrado all’improvviso avesse paura.

Si avvicinò a loro con passo veloce e pronunciò l’incantesimo della fattura sgambetto, ma non accadde niente. Aveva sbagliato a fare il gesto della mano, probabilmente, ma allora quale era quello giusto?

Intanto i ragazzi l’avevano sentita, infatti stavano ridendo di lei e del suo fallimento.

“Metti giù la bacchetta, tanto non ci riesci. Faresti meglio a tornare tra i babbani!” sentì dire da Napier.

“Sì, impara qual è il tuo posto!” gli fece eco un altro Serpeverde di cui lei non ricordava il nome.

Intanto anche Cecil l’aveva vista e teneva gli occhi incollati su di lei, spaventato.

Emily decise di riprovare e si fece forza, approfittando del fatto che la stavano sottovalutando. Puntò la bacchetta nella direzione di Napier, mosse la mano e pronunciò la fattura. Questa volta il ragazzo finì faccia a terra e lei non poté fare a meno di sorridere, sentendosi già vittoriosa.

Si affrettò a stenderne un altro, ma Baxter impugnò a sua volta la bacchetta e le fece provare la stessa umiliazione.

Ancora a terra, Emily sentì i due ragazzi rimasti in piedi che si avvicinavano, probabilmente con la bacchetta sguainata e pronti a farle del male.

“Expelliarmus!” udì poi, ed era la timida ma chiara voce di Cecil.

Ne scagliò un altro sul compagno rimasto, poi si affrettò a raccogliere la sua borsa e li aggirò per aiutare Emily.

Due Serpeverde si stavano rialzando, gli altri due stavano cercando la loro bacchetta.

Emily accettò l’aiuto di Cecil, cosciente del fatto che avessero pochissimo tempo per scappare via.

“Non così in fretta,” tuonò una voce che tutti loro conoscevano bene.

La ragazza alzò lo sguardo, consapevole che adesso era in grossi guai. Il professor Brodie, insegnante di difesa contro le arti oscure e nemico dei giovani Serpeverde, era comparso sulla soglia del castello.

Li squadrò tutti quanti, ora in piedi davanti a lui. Tre di loro erano sporchi di terra e foglie, ma soprattutto… cinque di loro erano Serpeverde.

“Signor Berrycloth, mi dica subito cos’è successo qui,” ordinò, rivolgendosi all’unico Grifondoro del gruppo.

Cecil deglutì e si prese un attimo prima di rispondere. Era chiaro che, in quella situazione, lui che era timido faticasse più del solito a trovare le parole.

“Se non me lo dice adesso sarò costretto a mandarvi tutti dalla preside,” puntualizzò il professore, spazientito.

“Loro lo stavano maltrattando, signore, così li ho colpiti alle spalle per permettergli di scappare,” intervenne Emily, parlando al posto suo. “Sono stata io ad attaccare per prima, la prego non punisca anche Cecil…”

“Silenzio, signorina Lewis. Non mi sembra di essermi rivolto a lei!” la rimproverò il professore, più alterato di prima. “Signor Berrycloth, è la verità?”

Cecil si limitò ad annuire, spaventato dal tono dell’uomo e dalle possibili conseguenze.

“Voi avete altro da aggiungere?” domandò al resto dei Serpeverde, osservandoli con sospetto.

“La sanguemarcio mente,” sussurrò Baxter, l’unico con la faccia tosta di rispondere al professore.

Aveva parlato con un tono flebile, eppure Julius Brodie l’aveva sentito forte e chiaro, infatti lo fulminò con lo sguardo.

“Quella parola, signor Baxter, se la deve dimenticare. Non ha ascoltato il discorso della preside, a inizio anno? Nessuna discriminazione sarà tollerata, soprattutto da parte dei Serpeverde,” aggiunse, arricchendo le parole di Minerva McGranitt con le sue battaglie personali. “40 punti in meno a Serpeverde per aver aggredito un compagno di un’altra casa. Altri 40 punti in meno per aver attaccato un compagno di casa e per aver duellato senza supervisione,” disse, rivolgendosi a Emily. “50 punti in meno per aver discriminato un compagno, signor Baxter, infatti lei viene subito dalla preside con me.”

Emily era sconvolta. Non riusciva a gioire perché quell’idiota stava per essere punito, perché quel casino era costato ben 130 punti alla sua casa.

“Infine, signor Berrycloth,” si rivolse a Cecil, mentre già aveva afferrato Baxter per la divisa al fine di portarlo via, “10 punti in meno a Grifondoro per non aver risposto alla domanda di un insegnante.”

Lui ed Emily rimasero impalati per un istante a osservare il professor Brodie che trascinava con sé il loro coetaneo. Un attimo dopo si riscossero, accorgendosi che gli altri Serpeverde erano ancora lì perciò era il caso di tornare in fretta nel castello.

“Non finisce qui!” urlò qualcuno mentre scappavano.

 
Quella sera stessa, Emily stava per rientrare in dormitorio quando venne intercettata da Gazza in corridoio. L’uomo, con il suo sguardo minaccioso che non preannunciava niente di buono, le ordinò di andare subito dalla preside perché la stava aspettando.

Emily non era mai stata mandata da lei e non poteva fare altro che arrendersi al suo destino. Sapeva benissimo che stava per ricevere una punizione a causa di ciò che aveva fatto quel pomeriggio.

Si incamminò per il corridoio e, davanti alla scalinata che conduceva all’ufficio della preside, trovò il professor Brodie che l’aspettava. Vederlo le fece capire che la situazione doveva essere anche peggio di come se l’era immaginata.

L’uomo non disse nulla, si limitò a rivolgerle il solito sguardo che faceva sentire male ogni studente. Si avviò per primo su per le scale e lei lo seguì, muta come un pesce.

L’ufficio della preside era grande e pieno di oggetti misteriosi. Emily si guardò intorno affascinata, dimenticandosi per un istante del motivo per cui era stata convocata. Poi vide la professoressa e la realtà la colpì duramente, come il suo viso aveva colpito il terreno poche ore prima.

Seguendo l’insegnante si avvicinò alla sua scrivania e rimase in piedi lì davanti, incapace di aprir bocca anche solo per dire buonasera.

“Si sieda, signorina Lewis. Non abbia paura, il professor Brodie mi ha detto cos’è successo questo pomeriggio.”

Alle sue parole, Emily si trattenne dal rivolgere uno sguardo sorpreso al professore di difesa. Si trattenne, perché se non lo avesse fatto lui probabilmente l’avrebbe uccisa.

“Il signor Berrycloth era in difficoltà e lei ha affrontato il signor Baxter e gli altri per aiutarlo, dico bene?”

Emily annuì, ancora incapace di aprir bocca talmente era tesa. Non potevano averla chiamata lì per farle i complimenti, sarebbe stato irrealistico.

“Per il suo coraggio nell’aiutare un amico in difficoltà, ho deciso di premiare Serpeverde con 20 punti,” continuò la McGranitt.

Emily sgranò gli occhi, incredula.

“Deve capire però, signorina Lewis, che duellare senza permesso sul territorio scolastico è proibito. Poteva risolvere la faccenda in un altro modo, per esempio chiamando un insegnante. Le è chiaro?”

“Sì, signora preside,” rispose lei, mortificata.

Sul momento non aveva ragionato. Anzi, agire in prima persona le era sembrato il modo più veloce ed efficace per risolvere le cose. Inoltre, ma non lo avrebbe ammesso, non se ne pentiva affatto.

“Bene. Inoltre mi è stato riferito che il signor Baxter... l’ha chiamata sanguemarcio. Sappia che ha ottenuto la giusta punizione per il suo linguaggio, quindi cerchi di non pensarci più.”

“Quella è solo una parola e io non la conoscevo fino a poco tempo fa. Per me non significa niente, signora,” confessò, perché la donna aveva assunto un’aria preoccupata.

“È vero, è solo una parola, ma ha fatto molto male in passato e noi non vogliamo che vengano ripetuti gli stessi errori di un tempo. Inoltre esprime un certo tipo di mentalità, quindi immagino che non fosse la prima volta che lei se l’è sentito dire. Se qualcuno lo farà di nuovo o la tratterà diversamente, d’ora in avanti lo riferisca a me o al suo capo casa, il professor Lumacorno,” si raccomandò, categorica.

Emily annuì e venne scortata fuori dal professor Brodie, stranamente senza aver ricevuto alcuna punizione. In fondo alle scale, l’uomo arrestò il cammino e si voltò nella sua direzione.

“Signorina Lewis, come ha detto la professoressa McGranitt a scuola non è consentito duellare senza permesso. L’ho vista, però, alle riunioni del club dei duellanti e so che è sempre rimasta in disparte. Se è riuscita ad apprendere qualcosa semplicemente guardando, le raccomando fortemente di provare in prima persona, sotto la mia supervisione. È quello che mi aspetto d’ora in poi, è chiaro?” insistette.

Emily annuì, incapace di rifiutare o di proferire altra parola.

Il professor Brodie l’aveva notata e voleva vederla in azione al club. Lei non voleva mettersi in gioco personalmente, voleva solo imparare guardando gli altri, ma ormai non aveva più scelta.

L’insegnante la salutò dicendo che si aspettava di vederla l’indomani e lei ricambiò il saluto, desiderosa di andarsene al più presto.
 

Il suo primo duello al club fu un disastro, anche perché il suo avversario era un ragazzo più grande. Inutile dire che si era soffermata a studiare i suoi movimenti con lo sguardo e per questo era finita schiantata contro la parete.

Fu solo il primo incontro di tanti, durante i quali migliorò le sue capacità. Imparò molte cose che non avrebbe mai appreso come semplice spettatrice, questo doveva ammetterlo. Inoltre notò l’ovvio, cioè che nessun altro del primo anno prendeva parte ai duelli.

Nello specifico, c’era un piccolo gruppo di ragazzi della sua età che assistevano, ma il professore non aveva mai permesso loro di partecipare. Probabilmente temeva che si facessero male, e per questo voleva che prima imparassero le basi guardando gli altri in azione.

In ogni caso, Emily iniziò ad apprezzare di più gli incontri del club. Se prima si trattava di occasioni per studiare la teoria, ora poteva mettersi alla prova in prima persona riuscendo ad accrescere le sue capacità in fretta.

Aveva potuto testare gli incantesimi difensivi che aveva appreso e scoprirne tanti altri, anche offensivi. Il tutto sarebbe stato argomento delle lezioni più avanzate di difesa, ma lei era già avanti perché era passata subito alla pratica.

 
Il resto dell’anno proseguì serenamente, con i soliti alti e bassi. Emily si ritrovò di nuovo nella condizione di dover aiutare Cecil, ma lo fece con la fattura del solletico, rictusempra, per limitare i danni. Inoltre ebbe l’occasione di proteggersi usando gli incantesimi difensivi che ormai padroneggiava.

In quanto alle lezioni, non smise mai di trovarle interessanti, a parte quella di volo che rimaneva un grosso scoglio da superare.

Inoltre non le mancava mai il tempo per fare i compiti, studiare e portarsi avanti. Si informò anche su altri argomenti che le interessavano, man mano che li sentiva nominare. Insomma, la biblioteca era diventato il suo posto preferito.

Con l’avvicinarsi degli esami di fine anno aiutò Cecil e Blue nello studio. Quest’ultima aveva la testa tra le nuvole più del solito, ma lei non se ne stupì molto.

All’esame finale del primo anno Emily prese tutti Eccezionale e Oltre ogni previsione. Per lei fu una grandissima soddisfazione, considerando che solo un anno prima non aveva idea che la magia esistesse davvero.

Era il momento delle vacanze estive e la sua famiglia le mancava, ma già non vedeva l’ora di tornare a Hogwarts, a imparare altro sulla magia e a passare il tempo con i suoi due migliori amici.



Note di quella che scrive

Immagino che non serva aggiungere che Serpeverde non ha vinto la coppa delle case xD

Comunque, capitolo breve in cui si conclude il primo anno di Emily a Hogwarts. Sì, su certe cose sono andata proprio spedita, ma spero che non vi dispiaccia troppo.

Un appunto: a trasfigurazione hanno studiato solo come trasfigurare gli animali in oggetti perché mi sono basata su quello che succede in Hogwarts Mistery. Stavolta ho fatto affidamento su quello, altre su alcune wiki (in certi casi dalla dubbia ufficialità, ma dettagli).

In questo capitolo scopriamo che Emily è diventata parte attiva durante gli incontri del club dei duellanti. Come vi anticipavo, partecipare a queste attività le sarà molto utile.

Inoltre si ritrova per la prima volta nell'ufficio della preside... perché Brodie ha parlato alla McGranitt di quello che è successo. Ecco, diciamo solo che non sarà l'ultima volta in cui finisce nel suo ufficio perché qualcuno avrà detto/ dovrà dire qualcosa alla McGranitt. Ma non vi anticipo altro!

Visto che il capitolo di oggi è stato breve, cercherò di farvi aspettare ancora meno per il quinto. Nel frattempo, se vi va, mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate.

A presto!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

 

1° settembre 2004

 
Era il momento di tornare a scuola ed Emily non stava più nella pelle. Non riuscendo ad aspettare, durante l’estate quando aveva comprato i libri di testo per il secondo anno, aveva preso qualche libro in più per poter approfondire altri argomenti.

Aveva anche già iniziato a studiare, incapace di trattenere la curiosità. Fare incantesimi, però, le era mancato come l’aria. Esercitarsi nei gesti senza pronunciare alcuna formula era così strano che si era sentita incompleta.

Sperava almeno di averli imparati davvero, ma solo a lezione ne avrebbe avuto la conferma.

Quel giorno stava camminando con i genitori per la stazione di King’s Cross, spingendo il carrello con i suoi bagagli. Arrivati al passaggio, lo varcarono insieme senza paura.

Si ritrovarono immersi nel solito caos che precede la partenza dell’Hogwarts Express, con genitori e ragazzi di ogni età. Emily notò alcuni piccoletti che probabilmente erano del primo anno, perché non li aveva mai visti prima.

Alcuni di loro sembravano così sperduti che si domandò se, come lei, per loro fosse tutto nuovo e sorprendente.

Si guardò intorno alla ricerca dei suoi amici, ma riconoscerli in quella folla sarebbe stata una bella impresa. Magari erano già saliti sul treno.

Suo padre caricò le valigie a bordo dopodiché lei poté salutarli, promettendo che avrebbe scritto spesso.

Sul treno si soffermò a guardare in ogni cabina nel tentativo di individuare gli amici. Sperava di non fare il viaggio da sola, o peggio in compagnia di qualcuno che non la sopportava.

“Emily!” si sentì chiamare e non fece in tempo a voltarsi che Blue l’abbracciò da dietro, stritolandola. “Mi sei mancata tantissimo,” aggiunse rivolgendole un sorriso smagliante.

La ragazza non era cambiata molto nel corso dell’estate, ma ora non portava più i suoi occhiali dalla montatura viola. Senza quelli, gli occhi chiari le risaltavano di più. Come Emily, era cresciuta di qualche centimetro.

I suoi capelli erano ancora la solita chioma bionda spettinata che lei era abituata a riconoscere tra mille. Quelli castani di Emily invece erano ordinati e più lunghi dell’anno precedente.

“Anche tu mi sei mancata!” le rispose, ricambiando l’abbraccio ora che ce l’aveva davanti. “Hai visto Cecil?”

“No, ero con degli amici della mia casa. Andiamo avanti, forse lo troviamo sul fondo del treno.”

Si rimisero in cammino studiando con lo sguardo ogni cabina che incontravano sulla loro strada. Dopo un po’ individuarono il ragazzo, stava posando la sua borsa su una cappelliera e accanto a lui c’era un altro compagno.

Emily lo riconobbe, i due erano spesso insieme. Il ragazzo in questione era impegnato a raccontargli qualcosa che doveva essere divertente, perché Cecil lo ascoltava con un sorriso genuino sulle labbra.

Dopo un attimo di esitazione, Emily fece scorrere la porta della cabina ed entrò insieme a Blue.

“Ciao!” salutarono in coro, felici di rivedere l’amico.

“Ciao ragazze!” disse loro Cecil.

Per sua fortuna aveva appena finito di riporre le sue cose, perché Blue lo travolse in un abbraccio spacca ossa. Poi fu il turno di Emily, che fu decisamente più delicata di lei. La sua stretta venne ricambiata timidamente dall’amico.

“Che bello essere di nuovo tutti insieme,” commentò Blue lanciando la propria borsa sul sedile alle sue spalle.

“Già! Lui è Parker, un mio amico e compagno di casa,” lo presentò Cecil. “Loro sono Blue ed Emily.”

“Ciao ragazze,” le salutò sorridendo.

“Resti con noi, Parker?” gli chiese Blue mentre si accomodava.

“No, adesso devo scappare. Gli altri mi stanno tenendo un posto,” aggiunse, rivolgendo lo sguardo a Cecil.

Probabilmente si riferiva al solito gruppetto di Grifondoro con cui Emily li aveva visti spesso.

“Ci vediamo a scuola,” li salutò, quindi uscì dalla cabina lasciando la porta aperta.

“Come sono andate le vacanze?” chiese loro Blue, allora tutti e tre iniziarono a raccontare.

Avevano a disposizione tutto il tempo del viaggio per aggiornarsi sugli ultimi eventi, ma avevano fretta perché non si vedevano da un po’.

Cecil non era cambiato affatto durante l’estate. I suoi capelli neri erano ancora corti e persino in altezza non sembrava cresciuto molto. Quando annunciò che andava a cambiarsi la divisa, Emily e Blue si ritrovarono di nuovo sole.

“Sai, non te l’ho mai detto ma ti ho visto in stazione l’anno scorso,” disse Emily, ricordando quell’avvenimento. “Hai varcato il passaggio per il binario 9¾ sotto il mio naso, è grazie a te se sono riuscita ad arrivare al treno in tempo.”

“Ah! Allora mi hai vista con i miei genitori, ma io non ti ho vista con i tuoi,” commentò Blue.

“In realtà ero troppo sorpresa per notare i tuoi genitori,” confessò, facendo ridere l’amica.

Quando Cecil tornò in cabina fu il suo turno e poi quello di Blue. Rimasta sola con Cecil, Emily prese la sua borsa e cercò una lettura per il viaggio. Era riuscita a farci stare un paio di volumi abbastanza sottili perché non fosse troppo piena e pesante. Alla fine ne scelse sulle erbe curative e i loro usi nelle pozioni, l’amico invece stava dedicando la sua attenzione a un romanzo.

“Sei appassionata di erbologia? Non lo sapevo,” dichiarò lui, sorpreso.

“In realtà questo libro unisce erbologia con pozioni ed è veramente interessante, ma posso dire che mi appassioni tutto ciò che facciamo a Hogwarts,” ammise Emily, su di giri.

“Allora per te sarà difficile scegliere le materie facoltative.”

“Avremo delle nuove materie?” chiese, curiosa.

“Non quest’anno, ma dovremo sceglierne due per il prossimo. O almeno questo è ciò che mi ha detto mio padre.”

Lei non disse altro, ma pensò che si sarebbe informata a fondo su tutte quante. Se davvero doveva sceglierne solo due, sarebbe stato importante farlo con cognizione di causa.

“Non è già passato il carrello con il cibo, vero?” domandò Blue, tornata da loro di corsa e rimasta ferma sulla porta. “Ho una voglia di api frizzole che non avete idea!”

Cecil ed Emily le fecero segno di no con la testa, divertiti dalla teatralità con cui aveva parlato.

“Meno male!” disse la bionda. Poté quindi tornare seduta e tirare un sospiro di sollievo. “Com’è che vi siete messi entrambi a leggere? È presto per studiare e non credevo che fossi anche tu nel club degli studiosi, Cecil!”

“È un romanzo,” si difese lui, mostrandole la copertina.

Blue assottigliò gli occhi come se non riuscisse a leggere il titolo. “Mmh, sembra un libro complicato,” commentò.

La conversazione riprese grazie alla sua indomabile parlantina, almeno finché non passò la signora col carrello e lei poté riempirsi le tasche – e la bocca – di dolci.

Quando arrivarono alla stazione di Hogsmeade ebbero l’impressione che il tempo del viaggio fosse volato.

Dopo cena Emily si ritirò nella propria camera. Non aveva fatto molto quel giorno, eppure era stanca per il viaggio. Comunque era ancora presto per dormire, perciò decise di provare a stare sveglia a leggere un po’. Prese il libro di difesa e lesse quello che probabilmente sarebbe stato l’argomento della prima lezione, affascinata.

Le sue compagne di stanza erano le stesse dell’anno precedente e due di loro entrarono proprio in quel momento.

“Ciao Lewis,” la salutarono in coro, quindi lei alzò lo sguardo dal libro e ricambiò il saluto.

Non erano sue amiche, ma verso la fine dell’anno precedente avevano ingoiato l’orgoglio e le avevano chiesto aiuto con lo studio di alcune materie. Doveva essere stato difficile per loro, visto come si erano impegnate a ignorarla fino a quel momento.

In ogni caso, a lei non dispiaceva aiutare gli altri. Anzi, ora credeva di avere due nemici in meno nella sua casa.

Loro erano Ana e Patricia, due amiche inseparabili che non facevano altro che parlare di vestiti e argomenti frivoli. La prima aveva i capelli biondi a caschetto, la seconda li aveva lunghi e ramati. Erano state entrambe prese di mira dal professore di difesa contro le arti oscure l’anno precedente, perciò avevano iniziato a parlare con Emily.

Ogni tanto con loro c’era un altro Serpeverde con il quale lei aveva scambiato solo qualche parola di circostanza.

Cercò di ignorare le loro chiacchiere e tornò a concentrarsi sul libro, appuntandosi mentalmente che doveva trovare un incantesimo che la isolasse dai rumori quando voleva studiare in pace.

Dopo un paio di capitoli chiuse il manuale e si sdraiò a letto, decidendo di arrendersi alla stanchezza e al sonno.

 
L’indomani mattina salì le scale e andò nella sala grande dove notò Blue che faceva colazione da sola, quindi la raggiunse. La sua amica stava mangiando della crostata mentre era incantata a guardare qualcosa, o forse qualcuno.

“Buongiorno,” la salutò Emily.

Blue si riscosse dai suoi pensieri e ricambiò il saluto, per poi concentrarsi sulla propria colazione. Prima di riempirsi il piatto, Emily cercò di capire chi stesse guardando. Sulla sua traiettoria visiva c’erano un gruppo di Tassorosso più grandi, del sesto anno forse.

“Va tutto bene?” le domandò, temendo che fosse successo qualcosa.

“Sì,” rispose brevemente l’amica, per poi riempirsi la bocca con un pezzo di torta.

Dov’era finita la sua solita parlantina? Emily se lo domandò, ma comunque Blue sembrava stare bene perciò non insistette.

Quando anche Cecil entrò nella sala grande, insieme al solito gruppo di Grifondoro, Emily e Blue lo salutarono con la mano e lui ricambiò, ma rimase con loro.

“I tuoi amici sono dispiaciuti perché non fai colazione con loro?” le chiese Emily.

Non ci aveva mai pensato fino a quel momento, ma l’anno prima aveva condiviso quel pasto quasi sempre con Blue, perché credeva di disturbare unendosi a Cecil quando non era solo. Delle volte, invece, Blue non si era proprio presentata lì perché aveva dormito fino a tardi, oppure erano riusciti a mangiare tutti e tre insieme, ma erano state occasioni davvero rare.

“Nah, sto con loro a pranzo e a cena,” rispose Blue, come se niente fosse. “E poi, dove sono adesso secondo te? A dormire, ecco dove sono! Invece io avevo un buon motivo per essere qui, così mi sono alzata.”

Emily notò che il suo sguardo si stava posando di nuovo sul gruppo di Tassorosso più grandi.

“Sì? E quale buon motivo?” le domandò, facendo finta di niente.

“Questa crostata di zucca, ovviamente!” esclamò, voltandosi nella sua direzione e mostrandole la fetta che aveva nel piatto. “Dovresti provarla anche tu, è divina!”

Chiacchierarono un po’ mentre mangiavano, poi si separarono per andare a lezione. Per iniziare bene l’anno scolastico, Emily aveva difesa contro le arti oscure insieme ai Corvonero. Ciò significava che sarebbe stata sola proprio nell’ora del professore che ce l’aveva con i Serpeverde.

Non che avesse preso di mira lei in particolare, anzi da quando l’aveva spinta a partecipare durante gli incontri del club sembrava che il suo atteggiamento nei suoi confronti fosse cambiato. Malgrado ciò, lei non riusciva a stare del tutto tranquilla durante le lezioni dell’insegnante. Ecco perché si era premurata di portarsi avanti subito con gli studi.

Alla fine della lezione, il professore si raccomandò che si presentasse al club dei duellanti anche quell’anno, per affinare ulteriormente le sue capacità. Anche questa volta lei sentì di non poter rifiutare.

L’ora successiva, mentre aspettava Lumacorno seduta accanto a Blue nell’aula di pozioni, le raccontò della sua breve conversazione con il docente di difesa.

“A detta degli studenti più grandi, è strano che Julius Brodie prenda in simpatia un Serpeverde. Deve aver notato che sei una strega molto capace,” commentò l’amica, sfogliando distrattamente il libro di pozioni.

“Simpatia mi sembra una parola grossa…” sottolineò Emily con un sospiro sofferente.

“Ah, a proposito del club dei duellanti! Lo scorso anno ti ho vista così contenta di partecipare agli incontri che ho pensato anche io di…”

“Iscriverti con me?” domandò Emily, interrompendola.

Sarebbe stato meraviglioso frequentare le attività con la sua amica!

“Ma no!” rispose lei, scoppiando a ridere. “A meno che tu non ti riferisca al club di gobbiglie, perché è quello che mi interessa.”

Emily fece una smorfia e scosse la testa. Ci avevano giocato insieme ogni tanto, ma non era certo il suo passatempo preferito.

“Non so cosa trovi di piacevole nel farti spruzzare di liquido puzzolente,” dichiarò, disgustata.

“Il bello è quando il tuo avversario perde punti e viene spruzzato, infatti,” puntualizzò Blue rivolgendole un sorriso furbo.

Il professore di pozioni entrò in aula decretando la fine della loro conversazione.

 
A pranzo, Ana e Patricia si sedettero accanto a lei e cercarono di coinvolgerla in una conversazione che aveva come argomento la cura dei capelli. Lo trovò strano, ma provò almeno ad ascoltarle e ad annuire ogni tanto.

Dopo mangiato raggiunse in fretta la biblioteca per approfondire ciò che avevano fatto a pozioni quella mattina. Inoltre il professor Lumacorno aveva assegnato loro un compito, quindi una volta terminata la sua lettura prese un rotolo di pergamena e iniziò a lavorarci.

Era particolarmente di buonumore perché da quell’anno non avrebbe avuto più lezioni di volo. Ciò significava, oltre a poter restare con i piedi per terra, più tempo per dedicarsi ad altro.

Nel pomeriggio aveva incantesimi con i Grifondoro perciò si affrettò a finire il compito, mise a posto il libro che aveva letto e andò in aula.

Quel giorno il professor Flitwick insegnò loro engorgio, l’incantesimo per far aumentare di dimensione gli oggetti. Emily non ci mise molto per riuscire a lanciarlo perché si era esercitata a farlo durante le vacanze.

Conosceva già anche reducio, ma non voleva mettersi in mostra con un incantesimo che il suo anno non aveva ancora studiato.

Alla fine della lezione il professore disse che presto avrebbe organizzato un gruppo di studio per aiutare gli studenti del primo anno in difficoltà, quindi chiese a lei e a qualche altro studente di prendervi parte.

Loro avevano ottenuto i voti migliori fino a quel momento, perciò era certo che sarebbero stati d’aiuto. Lei accettò, felice che il suo impegno fosse stato notato e di poter essere utile a qualcuno.

Inoltre in questo modo avrebbe guadagnato punti della casa, ma non le importava poi molto.

L’anno precedente, Serpeverde si era classificata ultima alla coppa delle case ma non era certo stata colpa sua. Se alcuni compagni di dormitorio non smettevano di bullizzare lei e altri studenti c’era poco da fare, anche cercando di ottenere punti in ogni modo possibile.

Niente sarebbe stato abbastanza da compensare le perdite causate da loro.

Cecil salutò i suoi amici e loro due si avviarono insieme verso il cortile. Sapevano che lì avrebbero trovato Blue intenta a giocare a gobbiglie o a fare uno spuntino pomeridiano.

“Ti dispiace se ci esercitiamo con engorgio? Forse sbaglio il movimento…” disse Cecil, giù di morale.

“Ingigantiremo tutti i fiori del giardino, se necessario,” rispose rivolgendogli un sorriso.

“La fai facile tu, ma io non sono riuscito a fare proprio niente a lezione oggi,” ribatté lui.

Emily stava per fargli coraggio quando, voltandosi nella sua direzione, si accorse che Baxter e Napier li stavano seguendo. Prese Cecil per un braccio e affrettò il passo, temendo il peggio.

“Che succede?” chiese l’amico, confuso.

“Dove credete di andare?” urlò Napier, quindi non servì che Emily gli rispondesse.

Svoltato l’angolo individuò una nicchia nel muro e ci si fiondò dentro portando Cecil con sé. Si coprì la bocca per attutire il suo respiro affannato dalla corsa e fece lo stesso all’amico.

I due Serpeverde attraversarono il corridoio senza vederli e scesero le scale continuando a gridare insulti, urlando che lei era solo una babbana e lui un incapace.

Quando le loro voci e i loro passi furono abbastanza lontani, Emily tolse la mano dal viso di entrambi e insieme tirarono un sospiro di sollievo. Ripresero fiato per bene, ora che erano salvi, ma quando lei alzò lo sguardo e si accorse di essere vicinissima al viso dell’amico, con il corpo praticamente premuto contro il suo, venne colta da un moto di imbarazzo e saltò fuori dalla nicchia.

Si affrettò a ripulire l’uniforme da della presunta polvere sperando che lui non l’avesse trovata strana, sebbene non capisse veramente perché si era sentita così.

“Andiamo via, prima che capiscano l’inganno,” propose, quindi ripresero a camminare svelti in direzione del cortile.

“Ti hanno chiamata babbana, dovresti riferirlo al professor Lumacorno,” sottolineò Cecil, dopo un attimo di silenzio riempito solo dal rumore dei loro passi.

“Non credo proprio che sia un insulto,” ribatté lei, nella speranza di evitare il discorso.

“Intendevano altro e lo sai. La McGranitt ti ha detto di parlare a lei o al professore quando capitano cose di questo tipo.”

“Sì ma non mi interessa. Quei due non possono farmi niente, sono più furba di loro e più brava con gli incantesimi. Le loro parole sono soltanto parole per me, non mi toccano,” insistette.

L’amico rivolse lo sguardo altrove. Non era convinto dalle sue argomentazioni, Emily glielo leggeva in faccia.

“Senti, tu al posto mio lo faresti? Andresti a fare la spia al tuo capo casa?” gli chiese, perché provasse a mettersi nei suoi panni.

Conosceva già la risposta, Cecil non lo avrebbe fatto. Era un ragazzo timido, che stava sulle sue e voleva rimanere alla larga dai guai. Era un ascoltatore, un vero amico, ma non certo una spia.

“Proverei a parlarne almeno con un prefetto di Grifondoro,” disse, evitando di rispondere alla domanda.

Emily sospirò. Al solo pensiero di parlarne con uno della sua casa, per esempio Vania McDowell che era il prefetto che aveva visto in giro più spesso, le veniva la nausea. Quella strega probabilmente le avrebbe riso in faccia, oppure avrebbe sminuito il problema prendendola in giro a sua volta.

Dopotutto, era presente quando alcuni compagni l’avevano cacciata via dalla sala comune, come se ne avessero il diritto. Per fortuna era al settimo anno adesso, perciò presto si sarebbe levata di torno.

In quanto agli altri prefetti di Serpeverde, non li conosceva affatto e non aveva idea di come avrebbero preso la cosa, ma non si aspettava niente di meno. Non poteva avere fiducia in loro come Cecil ne aveva nei Grifondoro.

“Ci penserò su,” gli disse, ma sapeva di non aver usato un tono convincente.

Ormai erano arrivati in cortile e di Blue non c’era neanche l’ombra, perciò cercarono qualcosa da usare per esercitarsi con engorgio. Andarono per gradi ripartendo dalla pronuncia, quindi raccolsero dei sassi su cui scagliare l’incantesimo.

Quando l’amica li raggiunse, su sua richiesta Cecil riuscì a ingigantire uno dei suoi snack preferiti.

Passarono il resto del tempo libero a divertirsi, senza più pensare allo studio. Emily si lasciò andare volentieri per questa volta, dato che in serata avrebbe avuto lezione di astronomia. Insomma, non potendo riposarsi a dovere dopo cena lo avrebbe fatto prima.

In occasione di quella lezione, che era con i Tassorosso, notò che Blue faticava a tenere gli occhi aperti. Capì perché l’anno prima si era disperata quando si era trattato di studiare astronomia, quasi come se non avesse mai frequentato la materia.




Note di quella che scrive

Avevo detto che avrei aggiornato prima del previsto e invece non l'ho fatto, scusate! Sono stata presa da vari impegni e la sera ero distrutta, sigh. Adesso però ci siamo, Emily e gli altri sono al secondo anno.

Secondo voi quali materie opzionali sceglierà lei per l'anno successivo? E perché Blue aveva la testa tra le nuvole a colazione?

Un appunto: in Hogwarts Mistery ci sono delle "lezioni di ripasso" di incantesimi durante le quali gli studenti partecipano di più e interagiscono tra di loro. Allora ho pensato, perché non prendere i migliori e metterli a disposizione dei compagni più piccoli, per aiutarli? Interpretandoli così, quei momenti del gioco mi sono sembrati molto utili e sensati, quindi è proprio questo che Flitwick ha proposto alla nostra Emily. Insomma, non so se effettivamente esiste qualcosa del genere nei libri di Harry Potter, ma adesso sapete da dove ho preso ispirazione.

N.b.: Emily parla di "fare la spia" e non vuole rivolgersi ai professori per denunciare ciò che sta subendo, ma io non sto suggerendo affatto di fare come lei. In questa storia non vi propongo una protagonista perfetta da prendere come esempio, anzi Emily farà diverse scelte sbagliate... anche se alcune, sul momento, potrebbero non sembrarlo.

Detto questo, lascio la parola a voi per commenti e pareri su tutto ciò che volete. A presto!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6

 


Le giornate successive a Hogwarts trascorsero serene.

Emily partecipò alle attività del club dei duellanti, fece progressi in tutte le materie e aiutò i ragazzini del primo anno durante le lezioni di ripasso di incantesimi. Ogni tanto si ritrovò a dover scappare da Napier e Baxter, oppure a difendersi da una loro fattura, ma non successe mai niente di grave.

Lei continuava a pensare di essere più furba e i fatti glielo confermavano, perciò non ci badava più di tanto. Certo, se li avesse visti aggredire Cecil come avevano fatto l’anno prima si sarebbe arrabbiata davvero.

Poi ci furono le selezioni di quidditch e iniziò la stagione delle partite, perciò molto spesso si ritrovò sugli spalti a fare il tifo con gli amici. Praticare quello sport non interessava né a Blue né a Cecil, ma l’amico di quest’ultimo, Parker, era stato preso in squadra come battitore, per questo lui seguiva ancora più volentieri le partite.

Qualche volta Emily si ritrovò a scegliere, come era già capitato, se fare il tifo per Grifondoro insieme a Cecil oppure per Tassorosso insieme a Blue. Quasi tutte le volte scelse di stare con lei, perché intromettersi quando l’amico era con altri compagni di casa la metteva ancora in soggezione.

Malgrado questo, avrebbe voluto passare molto più tempo con lui. Gli dispiaceva saperlo sempre con i suoi amici a colazione, perché significava vederlo solo a lezione o nei momenti liberi. Blue c’era sempre, o quasi perché spesso aveva la testa altrove, ma Emily sentiva di passare troppo poco tempo con Cecil.

Da diversi giorni si domandava se il ragazzo le piacesse, ma per lei era difficile darsi una risposta. Era la prima volta che le succedeva e non c’era nessun libro che potesse aiutarla a capire.

Non poteva nemmeno parlarne per lettera a sua madre, perché sarebbe stato troppo imbarazzante. Inoltre chiederlo a Blue, o peggio a una sua compagna di casa, era fuori discussione!

Aveva deciso di tenerlo segreto almeno finché non avesse capito di provare davvero qualcosa per lui.

Quel giorno, mentre ci rifletteva, stava fingendo di leggere un libro sugli incantesimi di cura. Era seduta in biblioteca insieme a Blue e Cecil, che stavano leggendo dei romanzi per non dover studiare ancora.

Anzi, Blue non stava leggendo, stava giocando con una ciocca di capelli mentre sfogliava svogliatamente il suo volume.

In una giornata soleggiata come quella avrebbero potuto sedersi sul prato in prossimità del lago nero, ma ormai era dicembre e iniziava a fare troppo freddo.

L’amica sospirò interrompendo il suo flusso di pensieri.

“Quanto sarebbe bello poter andare al ballo di Natale,” disse, per poi abbandonare le braccia e mezzo busto sul libro ancora aperto. “Andarci di nascosto, senza che nessuno si accorga di noi…”

Emily si sorprese di sentirglielo dire. Non credeva che alla sua amica interessasse quell’evento, che anche al secondo anno era inaccessibile per loro.

“Io ne faccio volentieri a meno,” commentò Cecil, senza alzare gli occhi dal libro.

Blue rivolse un sorriso furbo a Emily, che non capì quali fossero le sue intenzioni.

La sera del ballo, la ragazza la trascinò nella sala comune di Tassorosso come se niente fosse, e poi dentro la sua stanza. Emily pensò che non fosse poi tanto diversa dalla propria, a parte per i colori e la mancanza di freddo e umidità, ma non era quello il punto.

“Cosa ci faccio qui?” chiese, tesa.

Non era mai entrata nel dormitorio di un’altra casa e non era certa che fosse consentito.

“Non preoccuparti, gli altri invitano di continuo gente delle altre case,” la rassicurò Blue, che aveva intuito il suo stato d’animo. “Sei qui perché io e te stasera ci intrufoleremo al ballo di Natale!”

“Ma sei pazza?” le domandò Emily, senza parole.

“Geniale, vorrai dire! Ho architettato un piano perfetto, ora vedrai. Ah, ovviamente Cecil non sa nulla, non gli interessa il ballo e non è tipo da rischiare di finire nei guai. Ma io e te siamo fatte di una pasta diversa, dico bene?”

“Non ne sono tanto sicura…” ribatté la Serpeverde, preoccupata per la parte che riguardava i guai.

“Non pensare ai dettagli, piuttosto sta’ a vedere!” esclamò Blue.

Rivolse la bacchetta verso la sua uniforme e pronunciò un incantesimo che la trasfigurò in un vestito color azzurro. Era abbastanza carino da essere adatto al ballo, ma non troppo appariscente da farla notare.

“Che te ne pare? Me l’ha insegnato papà, dato che la mamma è una sarta e anche io ho una passione per queste cose. Forza, ora lo faccio a te,” annunciò, preparando la bacchetta.

“Aspetta, sei seria? Stiamo per imbucarci al ballo?”

L’amica annuì con gli occhi che le brillavano, su di giri.

“Non basterà un vestito, si capisce benissimo che siamo del secondo anno!” ribatté, contrariata.

“Ah no, alcuni ragazzi del terzo sembrano tanto dei bambini,” puntualizzò Blue, senza però riuscire a convincerla davvero. “E dai Emily, ti ho mai pregata di fare qualcosa?”

“Sì, di aiutarti a studiare pozioni. E incantesimi. E astronomia, e…”

“Va bene, va bene, ma si tratta di una cosa diversa! Dai, magari nessuno se ne accorgerà, finché non andiamo non lo sapremo mai. Se ci beccano mi prenderò io tutta la colpa,” insistette.

“Okay,” rispose Emily, arrendendosi.

Non sapeva perché per Blue fosse così importante, ma era sua amica perciò decise di darle corda. Anche se le avessero notate, avrebbe diviso volentieri una punizione con lei. Certo, sarebbe stata la sua primissima punizione, e poi per un motivo così stupido che la sola idea la infastidiva, ma poco importava.

Lasciò che trasfigurasse la sua uniforme in un abito rosa, non certo il suo genere ma non obiettò.

Una volta pronte, uscirono dal dormitorio come se niente fosse e scesero le scale fino alla sala grande, dove si teneva il ballo. Emily dovette prendere un respiro profondo prima di decidersi a entrare, sperando di non dare nell’occhio.

La sala era stata addobbata con decorazioni che ricordavano la neve e il ghiaccio, eppure risultava molto calda e accogliente. In fondo un gruppo stava suonando della musica, mentre un tavolo posto vicino a una parete era stato adibito a buffet.

Al centro, maghi e streghe ballavano indossando vestiti meravigliosi, dai colori sgargianti o impreziositi da dettagli luccicanti. Persino alcuni professori danzavano, cosa che sorprese molto Emily.

Pensava che Blue si sarebbe subito fiondata sul cibo, invece continuava a guardarsi intorno felice.

“Sono talmente emozionata che ho lo stomaco chiuso,” confessò poco dopo, riuscendo a malapena a stare ferma.

Esplorarono la sala ammirando gli abiti delle altre streghe e ridendo di quelli di alcuni maghi, il tutto cercando di non farsi notare dai professori.

“Sono loro il pericolo, perché nessun prefetto si metterebbe a fare la ronda rischiando di perdersi il ballo,” aveva dichiarato Blue, prima ancora di entrare nella sala.

Malgrado ciò, a un certo punto si irrigidì e parve diventare pallida.

“Credo di aver incrociato lo sguardo con un prefetto di Corvonero... Ora sta venendo qui,” disse con voce flebile, appena udibile al di sopra della musica.

Emily, allarmata ma pronta a reagire, l’afferrò per un braccio e la trascinò via con sé. Prima si mischiarono con la folla, poi si fecero strada fino al portone e scapparono su per le scale. Ancora convinte di essere inseguite, si infilarono nella prima aula vuota che trovarono.

Chiusero la porta e vi si accasciarono ai lati, a riprendere fiato.

Dopo un paio di secondi di silenzio ad ascoltare i rumori provenienti dal corridoio, capirono di essere salve e scoppiarono a ridere, divertite dall’epilogo che aveva avuto il brillante piano di Blue.

Decisero di rimanere lì ancora un po’ per non rischiare, quindi Emily utilizzò l’incantesimo revelio per ritrasformare i loro vestiti da festa in uniformi scolastiche.

“Grande! Questo non l’ha ancora insegnato la McGranitt,” commentò la bionda, sorpresa.

Silenziosamente, Emily passò qualche secondo a insegnarle il gesto da compiere con la bacchetta, così che riuscisse a farlo anche lei.

Chiacchierarono un po’ sottovoce, di nuovo del ballo e di quanto era stato emozionante parteciparvi di nascosto, anche se per poco. Si erano divertite moltissimo, in fin dei conti.

“Promettimi che questa sera rimarrà un segreto, che non lo dirai nemmeno a Cecil,” le chiese Blue, ora seduta sopra a un banco, con le gambe che oscillavano avanti e indietro.

“Certo! Nessuno deve sapere cosa abbiamo fatto,” acconsentì Emily, divertita all’idea che quella bravata rimanesse solo tra loro.

Non si era accorta che l’entusiasmo di Blue si era spento e che lei si era fatta pensierosa all’improvviso.

“Devo dirti una cosa. Non posso dirlo a nessun altro, ma se non ne parlo sento che impazzirò,” disse, a sguardo basso.

Strinse i pugni ed Emily ebbe l’impressione che stesse per piangere, perciò si preoccupò e non osò interromperla.

“Mi sono accorta che mi piace una persona. È di Tassorosso come me… Si chiama Julie Butler. Ho qualcosa che non va?” domandò, senza guardarla in faccia.

Stava piangendo davvero, perciò Emily si alzò dalla sedia per correre ad abbracciarla.

“No, non piangere! Perché dovresti avere qualcosa che non va?” le chiese, sentendo di avere il magone.

“Perché siamo entrambe ragazze! E poi lei è del sesto anno…” tirò su col naso, incapace di smettere di piangere.

“Non hai niente che non va, te lo assicuro,” insistette Emily, asciugandole il viso con la manica del suo maglione. “Julie deve essere una persona stupenda se ti ha fatto reagire in questo modo. Io però non credo di conoscerla e a questo punto sono curiosa, devi indicarmela la prossima volta!”

La bionda annuì, finalmente calma.

“Grazie Emily.”

“Grazie a te per avermene parlato.”

Blue finalmente sorrise di nuovo, anche se era visibilmente imbarazzata.

“Avevo paura che avresti reagito male, ma sei la mia migliore amica. Se non lo avessi detto a te, a chi altri?”

Emily la strinse di nuovo in un abbraccio, commossa. Il cuore le batteva a mille per l’emozione di quella confessione e per la possibilità di confidarsi a sua volta. Non sapeva ancora se Cecil le piaceva, ma quello era sicuramente il momento migliore per esternare ciò che provava e magari per chiederle anche un parere.

Alla fine, però, non ne ebbe il coraggio. Blue era la sua migliore amica, ma ebbe comunque troppa paura. Disse a se stessa che ci avrebbe riflettuto ancora per non fare niente di affrettato, poi ne avrebbe parlato con lei.

L’indomani presero l’Hogwarts Express per tornare a casa, dai loro genitori. Durante il viaggio, Blue era silenziosa ma di buon’umore, mentre Emily era pensierosa.

La confessione della sera prima aveva reso più profondo il loro legame d’amicizia, però le aveva anche dato tanto su cui riflettere.

Cecil non era lì ad accorgersi che qualcosa non andava perché stava viaggiando in un'altra cabina con i suoi amici Grifondoro.

Meglio così, pensò Emily, troppo confusa ed emotiva per vederlo in quel momento. In realtà si erano già salutati al castello, ma non era stato niente in confronto alla prospettiva di trascorrere con lui diverse ore, in quel piccolo spazio.

Al termine del viaggio salutò l’amica e raggiunse i suoi genitori. Raccontò loro le cose belle di quel trimestre, cercando di non dare l’impressione di avere altri pensieri per la testa.

A Natale festeggiò con loro, scartò i regali e mangiò a sazietà. Il giorno successivo un gufo picchiettò col becco sul vetro della finestra in cucina, segno che era arrivata una lettera per lei.

Stava facendo colazione quando notò l’animale, così gli diede un po’ di cibo e prese la busta tra le mani. Era da parte di Cecil, il che la rese all’improvviso impaziente di scoprire cosa ci fosse all’interno.

“Hai ricevuto della posta?” le chiese sua madre mettendo in tavola della spremuta.

“Sì, una lettera da un amico,” rispose.

Era troppo tardi per andare a leggerla in camera sua, avrebbe destato sospetti. Inoltre non aveva motivo di aprire la busta in segreto. Tornò a sedere e ne strappò un lato per tirare fuori la pergamena.

La lesse e sorrise. Cecil la invitava a passare una giornata a casa sua, l’indomani. Avrebbe potuto portare anche i suoi genitori e ci sarebbero stati Blue e Parker con i loro.

“Non abbiamo impegni domani, vero?” domandò a suo padre, speranzosa.

“No, perché?”

“Il mio amico Cecil ci ha invitati da lui per pranzo. Ci sarà anche Blue,” specificò, dato che li aveva nominati almeno un milione di volte.

“Ha invitato anche noi?” chiese sua madre, curiosa.

“Sì, ci saranno anche i loro genitori.”

Emily era felicissima di poter rivedere gli amici prima del ritorno a scuola. Dopo una breve conversazione sull’argomento, scrisse a Cecil che non sarebbero mancati e prese un’altra pergamena per mettersi in contatto anche con Blue.

La ragazza, avendo un padre mago e una madre babbana, poteva sicuramente aiutarla a raggiungere la casa di Cecil senza difficoltà. Bastò uno scambio di lettere per decidere che ci sarebbero andate insieme.

 
La famiglia di Blue aveva una macchina molto grande nella quale potevano stare tutti. Passò a prenderli, dato che non abitavano molto distanti.

Emily riabbracciò la sua amica, entusiasta e piena di vita come al solito, poi le due ragazze fecero le dovute presentazioni.

Spostandosi in auto ci sarebbe voluta mezz’ora per arrivare a destinazione. Durante il tragitto, la bionda le raccontò che ci si poteva muovere molto più in fretta con la metropolvere, ma sua madre non amava viaggiare in quel modo.

Emily si appuntò mentalmente di informarsi a riguardo, sapere come si facesse le sarebbe potuto tornare utile.

Cecil abitava in una modesta villetta circondata da un giardino in fiore. Era inverno, eppure un incantesimo di stasi preservava la vita delle piante anche sotto il sottile strato di neve che era caduta negli ultimi giorni.

Suonarono al campanello e un uomo aprì la porta.

Aveva i capelli neri e gli occhi castani, identici a quelli di Cecil. Doveva essere suo padre. L’uomo spostò lo sguardo sulle due ragazzine e sorrise.

“Blue ed Emily, vero? Entrate, mio figlio vi sta aspettando,” le invitò, spostandosi di lato per farle passare.

“Permesso,” disse Emily entrando in casa dopo l’amica.

Alle sue spalle, intanto, sentì che i genitori erano passati alle presentazioni. Sperò che andassero d’accordo, malgrado provenissero da ambienti completamente diversi.

“Cecil!” esclamò Blue notando il ragazzo e correndogli incontro.

“Ciao,” le salutò lui, sorridendo.

“Ciao Emily, ciao Blue,” disse loro Parker, sulla soglia di un’altra stanza con un biscotto natalizio in mano.

Le due ricambiarono il saluto e seguirono il padrone di casa nel salotto dove si sedettero a chiacchierare. Il primo tema della conversazione furono i regali ricevuti a Natale.

Nel frattempo anche i loro genitori li raggiunsero nella sala. Quando arrivò l’ora di pranzo, la mamma di Cecil servì in tavola una grande quantità di portate appetitose aiutandosi con la magia.

“Pensavo che aveste degli elfi domestici, come tutte le famiglie di maghi purosangue,” commentò sottovoce Blue, facendosi sentire giusto dagli amici.

“Sì, ma oggi gli abbiamo dato un giorno libero,” raccontò il ragazzo. Poi, con un briciolo di esitazione a malapena percepibile nella voce, continuò: “Mia madre... ci teneva a preparare tutto da sola.”  

Emily aveva visto gli elfi domestici solo a Hogwarts e ne aveva sentito parlare brevemente in alcune occasioni, ma non ne sapeva poi molto. Forse li avrebbero studiati a lezione più avanti, ma perché aspettare? Quel giorno le avrebbe fatto comodo un po’ di conoscenza in più a riguardo, per capire davvero di cosa stessero parlando, ma ormai era tardi. Decise che non si sarebbe fatta trovare impreparata di nuovo.

In ogni caso, il cibo che aveva preparato la signora Berrycloth era delizioso.

Durante il pasto fu felice di vedere che i loro genitori stavano tutti conversando amabilmente, chi più e chi meno.

Dopo il dolce, quando era il momento di alzarsi da tavola, Emily pensò di aiutare a sparecchiare, ma la padrona di casa lo fece in un attimo con la magia. L’aveva vista in azione praticamente solo a scuola, ma in effetti con essa si potevano fare moltissime cose nel quotidiano.

Gli incantesimi che stavano imparando erano davvero utili in preparazione alla loro vita dopo Hogwarts. Inoltre era affascinante vederli usare al di fuori dalle aule, da adulti che erano abituati a servirsene.

Un po’ di magia lontana dal territorio scolastico era uno spettacolo meraviglioso e in qualche modo confortante. Emily non vedeva l’ora di diventare maggiorenne.

I ragazzi tornarono in salotto, invece gli adulti rimasero a parlare in cucina.

Quando la loro conversazione virò sul tema del quidditch, Emily si estraniò dalla realtà senza farci caso. Si sentiva veramente bene lì, con i suoi amici a casa di Cecil. Eppure una parte di lei si agitava a ogni minimo gesto del ragazzo, per non parlare del fatto che aveva iniziato a osservarlo più di prima, di nascosto.

Forse le piaceva davvero, ma questo avrebbe cambiato tutto e perciò la preoccupava. Lui non le aveva mai dato l’impressione di considerarla più che una semplice amica.

Quei sentimenti confusi che stavano crescendo dentro di lei avrebbero potuto rovinare il loro rapporto.

Doveva riflettere bene per capire cosa provava davvero, ma in ogni caso non poteva rischiare di distruggere la loro amicizia. Cecil e Blue erano gli amici migliori che potesse desiderare e insieme formavano un’ottima squadra. Ciò che avevano andava protetto, di questo Emily era certa.

Parker ridacchiò e, sentendolo, lei tornò alla realtà. Il ragazzo stava osservando da lontano la partita di scacchi dei maghi a cui stavano giocando i loro padri. Nello specifico, lo divertivano le loro reazioni nel vedere, ogni volta, un pezzo che ne distruggeva un altro.

“I tuoi genitori sono babbani?” gli chiese, sorpresa.

“Sì. Come i tuoi, giusto?” domandò il ragazzo, spostando brevemente lo sguardo su di lei.

Emily si limitò ad annuire, poi tornò anche lei a spiare quello spettacolo insolito.

Lei stessa non aveva mai assistito a una partita di quel tipo, ne aveva solo sentito parlare, ma non era sicura che le interessasse approfondire. Magari giocarci si sarebbe rivelata un’esperienza sgradevole come con le gobbiglie... o magari no. Prese in considerazione l’idea, ma decise che quello non era il momento di informarsi a riguardo.

“Non mi stancherò mai di vederli stupirsi in questo modo davanti alla magia,” continuò il ragazzo dalla carnagione scura.

Emily doveva ammettere di essere d’accordo. Inaspettatamente lei e Parker avevano qualcosa in comune.

Inoltre ebbe la conferma che lui, a differenza degli altri Grifondoro amici di Cecil, non sembrava avere nulla contro di lei. Ormai sapeva che le loro due case erano in continua competizione, perciò non si stupiva che alcuni non la vedessero di buon occhio, anzi era il contrario a sorprenderla.

E poi c’era stata la guerra, con i Serpeverde quasi interamente schierati dalla parte del nemico, la fazione che aveva eretto un regime di terrore basato sulla discriminazione.

Alcuni dei suoi compagni di casa avevano i genitori ad Azkaban per questo, ma Emily non aveva nulla a che fare con loro.

Non poteva certo considerare Parker un suo amico, ma era bello poterci parlare senza certe preoccupazioni.

Presto, troppo presto, fu il momento di tornare ognuno alle proprie case. Emily si dispiacque di non aver potuto parlare di più con Cecil, non che avesse potuto. Erano rimasti tutti e quattro insieme, senza che si creasse mai l’occasione di restare da sola con lui.

Quando si accorse che ci stava rimuginando sopra pensò di essere diventata insopportabile.

Salutò i due ragazzi con un abbraccio e salì in macchina con Blue. Trascorsero l’intero viaggio di ritorno a chiacchierare dei soliti argomenti stupidi, ma anche di cosa avrebbero voluto fare una volta tornate a scuola.

Non mancava poi molto, presto sarebbero stati nuovamente tutti e tre insieme tra le mura di Hogwarts.




Note di quella che scrive

Ho corretto la prima parte di questo capitolo ieri sera al buio, con gli occhi che mi si chiudevano. Spero non ci siano troppi errori! Ci tenevo tanto a pubblicare presto, ma in questi giorni a casa mia mi sembra di non avere mai un buon momento. Periodo incasinato!

Detto ciò, vi aspettavate questo da Blue? La vediamo sempre allegra, ma anche lei ha le sue preoccupazioni.

Mi è capitato di trovare il tema dell'omosessualità in altre fanfiction ambientate nel mondo di Harry Potter: in alcune si trattava di un tema già accettato nel mondo magico, perché più aperto di quello babbano, e quindi normalissimo. In altre era qualcosa di inaccettabile o ancora ostacolato, quasi il loro mondo fosse arretrato su certe questioni.

Ecco, io ho scelto una via di mezzo, uno scenario ancora non apertissimo purtroppo (come il nostro, d'altronde). Una situazione in cui, indipendentemente dalla reazione che potrebbero avere gli altri, una ragazzina che si accorge di essere innamorata di un'altra ragazza rimane spiazzata perché non conosceva questo aspetto di sé, e inizia a farsi domande a riguardo. Questo è proprio ciò che accade a Blue, che all'improvviso si scopre interessata a una compagna più grande.
Se l'è tenuto dentro per un po', ma nel momento di raccontarlo a Emily è crollata sotto il peso delle sue preoccupazioni.

In quanto a Emily invece, forse questo sviluppo era prevedibile. Siamo solo all'inizio, però, e lei non è ancora certa di cosa prova né di cosa farà a riguardo. Tutto ciò che sa con certezza è che la sua amicizia con Cecil va salvaguardata!

Se ho altro da dire l'ho dimenticato, perciò lascio la parola a voi.
Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

 


Il ritorno a scuola dopo le vacanze di Natale per Emily fu un momento meraviglioso. Era nuovamente piena di entusiasmo, pronta a imparare il più possibile e a divertirsi con gli amici.

Inoltre era contenta di condividere la maggior parte delle lezioni con i Grifondoro, perché significava più tempo da passare con Cecil. Il ragazzo si sedeva sempre accanto a lei in queste occasioni, o le teneva un posto libero nel caso arrivasse in aula per primo, cosa che lei apprezzava molto.

Nello specifico frequentavano insieme incantesimi, storia della magia ed erbologia, ecco perché si ritrovarono molto spesso a studiare quelle materie senza Blue.

E poi Blue aveva altro a cui pensare, cioè Julie Butler. Un giorno durante una partita di quidditch l’aveva indicata a Emily, che finalmente aveva capito chi fosse. Si trattava di una bella ragazza di Tassorosso che sembrava quasi un’adulta. Aveva la carnagione scura, olivastra, e dei lunghi capelli chiari raccolti in una coda alta.

Non comprendeva come mai le piacesse tanto, ma d’altra parte non doveva capirlo per forza. Piuttosto, era gelosa della sicurezza con cui Blue riusciva a interpretare i propri sentimenti.

In quel periodo i soliti bulli provarono ad approcciare Emily, direttamente o alle spalle, per insultarla, spintonarla o lanciarle contro qualche fattura. Lei però non si lasciò mai intimorire né prendere di sorpresa da loro, anzi si sentiva superiore, troppo furba perché potessero davvero turbarla.

Per ogni evenienza, però, mantenne la guardia particolarmente alta quando si trovava in compagnia di Cecil, oppure si metteva a cercarlo quando sapeva che probabilmente era solo.

Il vero dramma dell’anno arrivò nel momento di scegliere quali materie facoltative frequentare l’anno successivo. La lista prevedeva antiche rune, aritmanzia, babbanologia, cura delle creature magiche e divinazione. Tutto molto interessante su carta, ma Emily poteva sceglierne due al massimo.

Trascorse alcuni giorni a documentarsi in biblioteca per prendere la decisione giusta, informandosi su ognuna di esse.

La sua prima scelta fu cura delle creature magiche. La incuriosiva a prescindere perché di quel campo non sapeva praticamente niente, ma non era tutto. Era anche l’unica materia della lista che interessava davvero a Cecil, per questo sapeva che l’avrebbero frequentata insieme.

Scartò divinazione perché le sembrò poco legata ai testi e più alla percezione, quindi temeva che non facesse per lei. Certo, la possibilità di prevedere il futuro aveva il suo fascino, ma le sembrava qualcosa di troppo astratto, almeno per i suoi gusti.

Aritmanzia aveva qualcosa di simile, ma si basava sui numeri. Emily li aveva odiati alla scuola babbana che aveva frequentato prima di ricevere la lettera di Hogwarts, era stata felice di liberarsene e non era certa di essere pronta per accoglierli di nuovo nella sua vita, nemmeno in un’ottica più magica e curiosa.

Babbanologia non la considerò nemmeno. Quando lesse che si trattava dello studio dei babbani, dei loro oggetti e le loro abitudini, chiuse immediatamente il libro che stava consultando e lo ripose sullo scaffale. Non capiva perché avrebbe dovuto studiarla, dato che sapeva già tutto il necessario.

Certo, la sola esistenza di quella materia aprì diversi interrogativi nella sua mente, ma si sforzò di non pensarci troppo perché aveva questioni più urgenti di cui occuparsi.

Alla fine scelse antiche rune. Trovava affascinante la possibilità di usarle per lanciare incantesimi che durassero moltissimo tempo, come il fatto che fossero state usate già nell’antichità. Doveva assolutamente saperne di più.

Quando comunicò agli amici la sua decisione, le dissero entrambi che erano certi avrebbe scelto quella materia. Invece loro avevano optato per cura delle creature magiche, come Emily si era aspettata. Per la seconda materia avrebbero intrapreso strade diverse, infatti Blue aveva scelto aritmanzia e Cecil divinazione.

Arrivò anche il momento della prima gita a Hogsmeade. Emily aveva intravisto il villaggio perché era lì che si fermava il treno per Hogwarts, ed era curiosa di vedere di più. Lei e i suoi amici avevano il consenso firmato dai genitori per partecipare perciò il giorno prima di andare ne stavano parlando, in un attimo di pausa in biblioteca.

“Io andrò con i miei amici Tassorosso,” annunciò Blue, con lo sguardo fisso sulla penna con cui stava giocherellando. “Dei compagni più grandi hanno promesso di farci da guida,” aggiunse, e rivolse a Emily un’occhiata che valeva più di mille parole.

Con “dei compagni più grandi” voleva dire che tra loro ci sarebbe stata anche Julie. In qualche modo era riuscita a organizzarsi per andare in giro con lei e altri compagni di casa ed Emily era felice per la sua amica, perciò le rivolse un sorriso.

“Allora saremo solo noi due,” dichiarò Cecil, riportandola bruscamente alla realtà.

Lei e Cecil da soli a Hogsmeade? Cercò di mantenersi calma controllando il suo respiro nella speranza di non arrossire, o almeno di non rendere palese il suo imbarazzo.

“Posso chiedervi di comprarmi delle cose a Mielandia?” domandò loro Blue. “Potrei farlo io, ma non voglio rischiare di fare brutta figura con i compagni più grandi…” specificò, a sguardo basso.

Emily fu felice che l’amica avesse spostato altrove il discorso e accettò volentieri di fare qualche spesa per conto suo. Allora Blue si mise a scrivere su un pezzetto di pergamena e in un attimo poté consegnarle la sua lunga lista dei dolciumi.

Nel guardarla a Emily venne da ridere, ma si trattenne. Era chiaro che non voleva che Julie sapesse quanto fosse golosa, ma non voleva nemmeno rinunciare alla sua dose di zuccheri quotidiana.

L’indomani erano tutti in fila nel cortile in attesa che Gazza finisse di controllare i permessi degli ultimi ritardatari. Il professor Brodie, che si trovava lì con lui, aveva già finito di fare a tutti le dovute raccomandazioni, insistendo soprattutto perché i Serpeverde non facessero niente di stupido.

Emily era in piedi accanto a Cecil, mentre di Blue non c’era neanche l’ombra. Doveva essersi già unita agli amici della sua casa.

La ragazza indossò i guanti che aveva lasciato nella tasca della giacca. La neve ormai si era sciolta, ma faceva ancora molto freddo.

“Strano che Blue non sia voluta restare con noi,” disse Cecil, riempiendo il silenzio.

“Lei ha tanti amici ed è con noi spesso. Magari le hanno detto che li stava trascurando,” ipotizzò Emily, nel tentativo di coprirla.

“Già, può darsi. Che freddo, non vedo l’ora di sedermi al caldo a bere una burrobirra.”

Emily non ne aveva mai assaggiata una, ma gli amici gliene avevano parlato spesso nei giorni precedenti. La locanda sarebbe stata una tappa obbligatoria, perché era troppo curiosa di provarla.

“Prima facciamo un tour del villaggio?” gli domandò, quasi lo stesse pregando. “È sempre stato qui ma solo adesso abbiamo la possibilità di visitarlo, sarebbe un peccato non farlo.”

“E va bene,” le concesse Cecil con un sorriso. “Hai ragione e anche io sono curioso di esplorarlo.”
Emily ricambiò il sorriso, felice.

“Ottimo. E poi abbiamo la lista della spesa di Blue,” aggiunse.

“Già. Speriamo di non finire i soldi solo per quella,” commentò lui, divertito.

Finalmente ebbero il permesso di andare, così si incamminarono tutti in fila. Una volta giunti a destinazione si divisero in tanti piccoli gruppi, ognuno diretto dove preferiva. Emily e Cecil iniziarono la loro esplorazione, consapevoli di avere tempo fino all’ora di cena.

“Pare che questo sia il primo villaggio nel regno unito a essere abitato solo da maghi,” disse la ragazza, che aveva letto qualcosa a riguardo in biblioteca. “Si respira un’atmosfera meravigliosa qui,” aggiunse, guardandosi intorno.

Certo, era pieno di studenti di Hogwarts che correvano di qua e di là, però Emily non ci faceva caso, troppo presa a guardarsi intorno. Per un attimo temette di aver parlato troppo, perché forse per l’amico visitare posti come quello era la normalità.

“Vero,” le diede ragione, sorprendendola. “Sai, fino a qualche anno fa si poteva venire qui solo dal terzo anno in poi, ma adesso le cose sono cambiate. Chissà perché.”

“Beh, meglio così. All’improvviso mi accorgo che avevo bisogno di uscire dal castello e respirare un’aria diversa,” ammise e sospirò.

“Non me l’aspettavo. Pensavo che l’odore di libri e inchiostro ti mancasse già,” commentò Cecil, prendendola in giro.

Lei gli rivolse un ampio sorriso e scosse la testa per poi portare lo sguardo altrove. Era bello essere in giro così, loro due da soli, senza pensieri.

“Mi piace passeggiare. Stando chiuso a scuola l’avevo quasi dimenticato,” continuò il ragazzo, con un’espressione rilassata. “Ecco, però mi piace ancora di più volare.”

“Lo so, io invece odio volare!” ribatté Emily, calcando il tono sulla parola “odio”, il che fece sorridere Cecil.

“Non te l’ho mai chiesto, ma… hai paura di volare?” le domandò timidamente, quasi temesse di offenderla.

“No, non ho paura…” rispose lei, abbassando lo sguardo sulla strada. “È che non riesco a sentirmi sicura sulla scopa, non mi sembra di averne il controllo…”

“Eppure l’anno scorso hai passato l’esame con un buon voto,” le fece notare lui, fermandosi per parlare guardandola in faccia.

Emily aveva ancora lo sguardo basso, ma ora lo alzò su di lui rivolgendogli un’espressione imbronciata.

“Sì, ma ho creduto di morire per tutto il tempo. Mi sono sforzata solo perché sarebbe stata la mia ultimissima volta sulla scopa, se fossi caduta e poi morta lo avrei fatto per un buon motivo,” dichiarò, ed era la pura verità.

Lui la guardò negli occhi per un istante senza dire niente, visibilmente sorpreso.

“Hai fatto cose molto più pericolose di rischiare di cadere da una scopa,” le fece notare, al che lei assunse un’aria pensierosa. “Non ti spaventa niente, è così?”

Glielo aveva domandato con un tono stupito che aveva fatto arrossire Emily, quindi lei riprese a camminare sperando che non lo notasse.

“Non è così. Le arachidi mi spaventano.”

Cecil strabuzzò gli occhi. “In che senso?” le chiese, spiazzato.

“Sono allergica, da piccola ho rischiato di morire per questo. Le arachidi mi terrorizzano!” era la verità, ma lo disse con un tono esagerato che fece ridere Cecil, perché pareva che stesse parlando di una creatura spaventosa. “Lo sai solo tu, non dirlo a nessuno mi raccomando. Conosco più di una persona che sarebbe felice di sapere come uccidermi,” continuò, ironicamente.

“Il tuo segreto è al sicuro con me!” rispose lui facendosi una croce sul cuore con l’indice della mano destra.

“Uff, non è giusto. Adesso tu conosci la mia debolezza ma io non conosco la tua,” gli fece notare Emily. “Cosa ti fa paura?”

Cecil abbassò lo sguardo e attese un paio di secondi prima di rispondere.

“Non è una vera e propria paura, forse… Ma non riesco a parlare davanti a un pubblico. La sola idea mi fa tremare le gambe, riesco a malapena a rispondere ai professori in classe…” ammise, senza guardarla in faccia.

Emily in effetti lo sospettava e questo le fece capire che lo aveva osservato molto. Cercando di non pensarci, gli mise la mano destra su una spalla e gli rivolse un sorriso sicuro.

“Prometto di non costringerti mai a parlare in pubblico se tu prometti che non mi offrirai mai delle arachidi,” disse e gli porse il mignolo.

Cecil sorrise alle sue parole, ma poi rivolse al suo dito uno sguardo confuso.

“Cosa ti aspetti che io faccia?”

“Oh, allora immagino che sia una cosa babbana…” commentò lei, imbarazzata. “Dovresti prendere il mio mignolo con il tuo, indica una promessa.”

Cecil lo fece davvero, malgrado lei stesse per ritirare la mano, non più convinta. Quel contatto durò qualche secondo di troppo, facendola arrossire di nuovo.

“Così può bastare!” esclamò, lasciandogli il dito e rimettendosi il guanto. “Adesso abbiamo un accordo,” continuò, per poi pensare di aver parlato troppo, anzi di aver fatto la figura della stupida.

“Bene,” rispose lui, nuovamente di buon’umore. “Siamo arrivati a Mielandia, che ne dici se facciamo subito spese?”

Lei accettò la sua proposta e lo seguì all’interno, ritrovandosi nel paradiso dello zucchero. Dopo essersi guardata intorno con sguardo sognante, tornò in sé e recuperò da una tasca la lista di Blue.

Sperò che l’amica non entrasse affatto in quel posto altrimenti, conoscendola, non si sarebbe trattenuta. Altro che fare bella figura, quello era il paese delle meraviglie per una persona come Blue. Persino l’aria sembrava in parte composta da zucchero.

Facendosi aiutare da Cecil, che conosceva i dolci del mondo magico meglio di lei, riuscì a trovare ad uno ad uno tutti gli snack richiesti dall’amica e presto poté metter via la lista. Infine presero qualcosa per loro, Emily una piuma di zucchero al lampone e Cecil dei dolci al cioccolato.

Uscirono dal negozio con un sacchetto colmo per ciascuno, parlando dell’espressione che secondo loro avrebbe fatto Blue una volta ricevuto il suo tanto agognato bottino.

Soddisfatti della passeggiata e degli acquisti, si incamminarono verso I Tre Manici di Scopa dove poterono sedersi a un tavolo appartato a riposare. I mobili in legno di quel posto contribuivano a creare un’atmosfera accogliente, insieme al camino poco distante grazie al quale poterono finalmente scaldarsi.

Ordinarono a madama Rosmerta due burrobirre e attesero. Nel frattempo si guardarono intorno, ammirando il locale in cui si trovavano per la prima volta.

Non erano gli unici studenti ai Tre Manici di Scopa, e anche fuori se ne vedevano alcuni che camminavano nel paesaggio freddo.

Parlarono brevemente di una cosa successa all’ultima lezione di incantesimi, poi arrivarono le loro ordinazioni. Emily assaggiò la sua scoprendo un sapore completamente nuovo e delizioso. Non era certo un’esperta delle bevande del mondo magico, ma poté dichiarare con sicurezza che quella era la sua preferita. Difficilmente sarebbe stata superata da qualcos’altro.

Si rilassarono nel locale sorseggiando la loro burrobirra, dopodiché arrivò il momento di tornare a scuola. Mentre erano in giro non avevano fatto incontri spiacevoli, potendo quindi chiacchierare indisturbati, però non avevano visto nemmeno Blue ed Emily sperava che fosse riuscita a divertirsi insieme a Julie.

Percorsero in silenzio la strada che li separava dal castello, in contemplazione del pomeriggio trascorso insieme. O almeno, per Emily era così.

“Ora capisco cosa è successo l’anno scorso, quando abbiamo imparato riddikulus a difesa contro le arti oscure,” disse improvvisamente Cecil, che evidentemente stava ripensando alle sue parole di prima. “Ricordo che il tuo molliccio si era trasformato in una signora che ti offriva una ciotola di frutta secca.”

“Già, e io l’ho fatta diventare una ciotola di fuochi d’artificio scoppiettanti. Era mia zia dal Canada, quella che non crede alle allergie e che mi ha fatta finire in ospedale.”

Cecil rimase sorpreso dal tono neutro con cui lo aveva raccontato, ma un istante dopo scoppiò a ridere coinvolgendo subito anche lei.

 
Il resto del secondo anno scolastico proseguì senza intoppi e senza grandi eventi. Emily imparò molte cose, ma non riuscendo a resistere alla curiosità si portò persino più avanti prendendo in prestito dalla biblioteca alcuni testi del terzo anno.

Con l’utilizzo di manichini o altri oggetti si allenò con degli incantesimi che non aveva ancora visto in azione e che nessuno le aveva insegnato. Coinvolgendo Blue perché l’aiutasse a non farsi scoprire, si intrufolò nelle serre di erbologia per cercare di riconoscere le piante di cui aveva letto le proprietà.

Non sempre però si dedicò allo studio, perché per il suo compleanno i genitori le avevano regalato un MP3 e lei lo aveva portato a scuola con sé. Trascorse quindi qualche serata a rilassarsi ascoltando la sua musica babbana preferita, sotto gli sguardi straniti delle compagne di stanza che non capivano cosa stesse facendo.

Come richiestole dal professor Flitwick, continuò ad aiutare i ragazzi del primo anno con il ripasso di incantesimi. Quando uno di loro riusciva finalmente a ottenere dei risultati, Emily gioiva come se fosse la prima volta che vedeva quella magia, ricordando quando per lei lo era stata davvero.

E poi arrivarono gli esami di fine anno, nei quali prese tutti Eccezionale. Soddisfatta di aver ottenuto il massimo dei voti, non prestò molta attenzione al discorso conclusivo della preside, non facendo caso nemmeno al fatto che, miracolosamente, questa volta Serpeverde non era arrivata ultima nella coppa delle case.

Quando tornò dai suoi genitori, l’indomani, aveva molte cose da raccontare loro, che furono fieri di lei.

Certo, non sapevano delle volte in cui aveva infranto le regole insieme a Blue, rischiando di farsi beccare; non sapevano che dei bulli l’avevano presa di mira sin dal primo anno; non sapevano nemmeno che rifletteva quotidianamente per capire se provava davvero dei sentimenti romantici per il suo amico Cecil.

Beh, lei non doveva per forza raccontare tutto.




Note di quella che scrive

Un altro anno è trascorso ed Emily non ha ancora capito cosa prova per Cecil. Beh, però abbiamo visto quali materie ha scelto per il terzo anno! Ve le aspettavate?
Ricordo che, in fase di stesura dei miei appunti, questa parte per me ha rappresentato una sorta di svolta quindi rileggerla mi fa sorridere, perché so cosa succederà dopo.

Qualche precisazione: la prima gita a Hogsmeade normalmente sarebbe al terzo anno, ma io ho deciso di anticipare le cose. Come "scusa" ho pensato al fatto che i protagonisti vivono in tempi più sicuri, in cui va bene che dei ragazzini girino da soli per la cittadina magica. Certo, per quanto riguarda i Serpeverde il professor Brodie non sarebbe d'accordo con me!

Riguardo al molliccio, so che nella storia originale non compare nelle lezioni del primo anno, ma è anche vero che Harry e i ragazzi della sua generazione non hanno avuto un insegnante decente di difesa, che ha affrontato il programma in modo continuativo. Da qualche parte ho letto che i mollicci erano materia del primo anno e ho deciso di fare così per la mia storia, semplicemente.

In quanto all'MP3 di Emily, in altre fanfiction ho sentito parlare di un blocco magico che impedisce alla tecnologia babbana di funzionare a Hogwarts, ma non so se sia qualcosa di canonico. Inoltre ho pensato che, finché sarebbe rimasta nelle camere da letto degli studenti (o nell'aula di babbanologia...), non avrebbe potuto fare niente di male. Voi cosa ne pensate?

Mentre pubblico sono alla mia terza rilettura generale, quindi mi scuso se tra un capitolo e l'altro trovate alcuni concetti che ritornano. Non so più se sono vere e proprie ripetizioni o solo cose che ormai so a memoria. Spero non dia troppo fastidio nella lettura!

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8

 

1° settembre 2005
 

Emily camminava da sola per la stazione di King’s Cross a Londra, spingendo il carrello con i suoi bagagli. Da sola, perché aveva pregato i suoi genitori di lasciarglielo fare, dato che ormai aveva tredici anni.

Attraversò con passo sicuro il varcò che celava il binario 9¾ e, una volta qui, prese un respiro profondo per farsi forza. Era tesa, più tesa che al primo anno.

Era ufficiale, le piaceva Cecil. Ci aveva impiegato un po’ per ammetterlo a se stessa, ma adesso non poteva più negarlo. Ne aveva persino parlato con Blue, ma solo tramite lettera. Di persona non sarebbe mai riuscita a rivelarglielo, o almeno questo credeva.

Ecco perché aveva messo tutto per iscritto e l’aveva comunicato all’amica via gufo, pregandola però di fare finta di niente.

In ogni caso, quella mattina Emily era irrequieta. Da una parte stava per rivedere Cecil dopo l’estate e il ragazzo le era mancato molto. Dall’altra stava anche per rivedere Blue, per la prima volta da quando le aveva rivelato ciò che provava per il loro amico comune, e questa cosa la spaventava moltissimo.

Temeva che Blue l’avrebbe trattata diversamente, o che avrebbe fatto qualcosa per far insospettire Cecil. Il solo pensiero le dava la nausea, ma cercò di farsi forza perché si fidava della sua amica. Se così non fosse stato, non le avrebbe detto niente sin dall’inizio.

Caricò i suoi bagagli e fece per salire sul treno quando notò proprio lei che chiacchierava con un gruppo di Tassorosso del loro anno.

Blue incrociò il suo sguardo e le rivolse un sorriso raggiante mentre la salutava con una mano, saltellando, ma non si mosse da lì.

Con la stessa mano le fece un segno che voleva dire “dopo”, mentre lo mimava con la bocca. Emily annuì anche se non sapeva cosa avesse in mente.

Si sentiva meglio ora che l’aveva vista? Forse, ma era ancora tesa.

Salì sull’Hogwarts Express e camminò in cerca di Cecil, o almeno di un posto libero. In una carrozza senza cabine notò Ana e Patricia che chiacchieravano con Nathan Brooke, un altro Serpeverde con cui le aveva viste spesso, e tutti e tre la salutarono. Non furono nemmeno gli unici coetanei della sua casa a rivolgerle un cenno di saluto, seppur più discreto, e lei non lo trovò poi così strano dato che qualcuno di loro aveva chiesto il suo aiuto con lo studio durante l’anno precedente.

Evidentemente avevano capito che era meglio averla come amica, anche se amicizia era una parola grossa. Non tutti, comunque, erano così intelligenti da averlo compreso.

Continuò a camminare per un po’ ma non trovò Cecil, quindi si sedette in una cabina vuota. Mise la borsa sul sedile accanto a lei e appoggiò il mento al palmo della mano sinistra, intenta a guardare fuori dal finestrino.

Il paesaggio offerto dal treno era la grigia parete della stazione, con qualche ragazzo o ragazza che camminava in una direzione o nell’altra, di tanto in tanto. Ormai quasi tutti dovevano essere saliti a bordo, perché la maggior parte del caos si era dissipato. Rimanevano in disparte soltanto i genitori, pronti a individuare i loro figli attraverso i finestrini.

Emily sospirò. Forse avrebbe fatto il viaggio da sola, quella volta. Per riempire il silenzio, si mise nelle orecchie le cuffiette del suo MP3 e scelse un libro tra i pochi che aveva nella borsa.

Lei era cambiata molto nel corso dell’estate diventando più femminile. Era cresciuta di qualche centimetro e anche i suoi capelli erano più lunghi, arrivandole poco sotto le spalle.

Un movimento nel suo campo visivo la distrasse, quindi alzò lo sguardo e si accorse che era arrivato Cecil. Raggiante, tolse le cuffiette dalle orecchie e posò il libro per poterlo salutare con un abbraccio che lui ricambiò.

Poco dopo il treno fece un piccolo scossone e partì alla volta di Hogwarts.

“Blue dov’è finita?” domandò Cecil dopo un po’ che chiacchieravano.

“Oh, l’ho vista prima con i suoi compagni di casa, immagino che la incontreremo direttamente a scuola,” rispose.

Il ragazzo annuì e abbassò lo sguardo sul suo romanzo.

Emily, anche lei con un libro aperto, fece solo finta di tornare a leggere. Piuttosto studiò il suo amico con lo sguardo, notando che aveva le ciglia lunghe. Anche lui era cambiato molto durante l’estate. Era cresciuto, ma i due rimanevano più o meno della stessa altezza.

Lei ebbe l’impressione che lui avesse le spalle più larghe, malgrado fosse rimasto magro come gli anni precedenti. E poi gli erano cresciuti i capelli, che ora gli arrivavano di poco sotto alla nuca. Erano lisci come quelli di Emily, ma di un nero pieno e stupendo.

Insomma, se aveva sempre pensato che fosse carino, ora lo trovava proprio bello.

La porta della cabina era aperta e ogni tanto qualcuno ci passava davanti attraversando il corridoio, ma erano pur sempre da soli in quello spazio quasi intimo, il che la metteva in agitazione. Cercando di non pensarci, tornò con lo sguardo sul libro di difesa contro le arti oscure. Sperava di riuscire a concentrarsi, altrimenti avrebbe solo sprecato tempo.

Cecil era un lettore veloce, rifletté lei in un momento di distrazione. Lo aveva visto spesso leggere romanzi nei momenti liberi, o per staccare la mente dopo lo studio pur rimanendo in biblioteca a farle compagnia.

Leggeva solo libri scritti da maghi, a quanto aveva notato, e pareva che gli piacessero molto. Lei invece si era appassionata alla lettura a partire dal suo primo anno a Hogwarts, e solo di manuali, saggi e altri testi informativi. Insomma, di qualcosa che l’avrebbe arricchita e che avrebbe fatto da carburante per la sua ambizione di dare – e ottenere - il massimo.

Si domandò se al ragazzo avrebbe fatto piacere scoprire qualche romanzo babbano, magari ricevendolo come regalo di Natale o di compleanno.

Accorgendosi di aver divagato di nuovo, Emily sbatté le palpebre più volte e tornò a dedicarsi al libro di difesa. Non sarebbe andata da nessuna parte, quell’anno, perdendosi in fantasie, lo sapeva benissimo.

Quando passò il carrello degli snack tirò un sospiro di sollievo, felice di avere un buon motivo per fare una pausa. Chiuse il volume e si alzò per acquistare una tortina di zucca e delle caramelle, mentre Cecil prendeva dei dolci al cioccolato e alcune cioccorane.

Non ne aveva parlato apertamente con lei, ma dall’anno precedente aveva iniziato a collezionarne le figurine. Quando scartò quelle che aveva appena acquistato sorrise con aria soddisfatta e ciò mise di buon’umore anche Emily.

Mentre mangiavano chiacchierarono di come avevano passato la loro estate, poi si separarono brevemente per andare a indossare la divisa.

“Cosa stai leggendo?” le chiese Cecil, dopo un po’ che erano tornati concentrati sui libri.

Emily alzò lo sguardo su di lui, sorpresa dal suo interessamento, e procedette subito a mostrargli la pagina del testo di difesa dedicata all’Obscurus.

L’amico corrugò la fronte.

“Sembra complicato. Almeno è roba del terzo anno?” le chiese.

“Sì,” rispose e sospirò impercettibilmente. “Mi porto avanti, così il professor Brodie non può trovarmi impreparata.”

“Pensavo che non ti avesse più fatto domande a bruciapelo dopo il primo anno,” sottolineò il ragazzo.

“È così, ma non voglio rischiare.”

Quella volta aveva lasciato il segno, era da allora che Emily aveva deciso di portarsi avanti con gli studi senza sosta. Non voleva più subire un’umiliazione simile in classe, né rischiare di non arrivare agli obiettivi scolastici che si era prefissata.

L’arrivo a Hogwarts, poco dopo, segnò il momento in cui si sarebbe separata da Cecil per il banchetto della cena. Lo sapeva, ma le dispiaceva lo stesso. Sperava almeno che riuscissero a incontrare Blue prima di entrare in sala grande.

Quando scesero dal treno lei aveva ancora il libro in mano. Persa nei suoi pensieri, non aveva ancora provveduto a rimetterlo in borsa. In lontananza sentì Hagrid chiamare i ragazzini del primo anno e sorrise ricordando quando era arrivata lì per la prima volta, insieme ai suoi nuovi amici appena conosciuti.

Era così intenta a fantasticare che andò a sbattere contro un ragazzo e ciò le fece cadere il manuale.

“Scusami!” esclamò lui, chinandosi a raccoglierlo.

“Scusami tu, ero distratta,” rispose.

Dopo aver ripreso il libro lo osservò per un istante. Si trattava di un bel ragazzo di Tassorosso che lei non aveva mai notato prima. Lui le rivolse un sorriso e le fece l’occhiolino prima di voltarsi e incamminarsi verso il castello, lasciandola lì impalata e senza parole.

“Bel colpo Lewis,” le disse Ana, raggiungendola alla sua sinistra.

“Già, quello era Joel del quarto anno,” aggiunse Patricia, ridacchiando.

Senza lasciarle il tempo di capire o di ribattere, le due ragazze la salutarono dicendo che si sarebbero riviste a cena.

“Emily, tutto okay?” le chiese Cecil.

In quel momento lei arrossì di colpo. Il suo amico era distante solo di qualche passo, quindi doveva aver assistito a tutta la scena.

“Sì! Certo!” si affrettò a rispondere, rivolgendogli brevemente lo sguardo ma pentendosene subito e spostandolo altrove.

Era troppo imbarazzata per guardarlo in faccia.

“Non ho capito cos’è appena successo,” ammise poi, dicendolo più a se stessa che a lui.

“Sembrerebbe che quel tipo volesse fare il carino con te,” commentò Cecil, stupito, guardando nella direzione in cui lui era sparito.

“No, non può essere,” ribatté Emily, prendendo la cosa alla leggera per sdrammatizzare. “O sì? Oh…” continuò abbassando lo sguardo, colta da un momento di consapevolezza.

Qualsiasi cosa fosse successa, non era certa di come la facesse sentire e non le piaceva che fosse successa con Cecil presente.

“Emily! Cecil!” esclamò Blue, uscendo da una carrozza in testa al treno e correndo verso di loro.

Li strinse contemporaneamente in un abbraccio spacca-ossa dei suoi.

“Che bello rivedersi dopo così tanto tempo,” continuò la bionda e loro le diedero ragione.

Il suo arrivo aveva spostato l’attenzione lontano da ciò che era appena accaduto ed Emily ne era molto felice.

Un attimo dopo alcuni Grifondoro salutarono Cecil e gli fecero segno di unirsi a loro. Erano i suoi soliti amici e tra loro c’era anche Parker, così le salutò e si incamminò verso il castello insieme a loro.

“Eri con Julie?” chiese Emily, curiosa di sapere perché l’amica avesse aspettato così tanto per farsi viva.

“No, ma che dici?” ribatté Blue, allegramente. “Ero con le mie compagne di stanza, poi che dal mio posto in treno avessi un’ottima visuale su Julie è un altro discorso.”

Le sue parole fecero sorridere Emily. Mentre parlavano si incamminarono a loro volta, per non fare tardi.

“Adesso però parliamo di te, basta fare finta di niente,” disse Blue, facendola preoccupare.

Voleva proprio evitare il discorso, ma in effetti si aspettava che l’amica non fosse dello stesso parere.

“Da quando ti sei accorta che ti piace e perché non me l’hai detto prima? Nella lettera hai specificato che questa cosa va avanti da un po’.”

“È dallo scorso anno che ci penso,” ammise a sguardo basso, sentendosi come se fosse stata beccata a rubare in un negozio di dolciumi. “Non capivo se fossero sentimenti veri, per questo ho aspettato.”

“Quindi hai già escluso che si tratti di una cotta passeggera? Interessante…” commentò Blue, con fare indagatore.

“E che ne so! Io non sono come te, non mi è chiaro assolutamente niente quando si parla di queste cose,” ribatté Emily, dopodiché sospirò.

“Già, per te sarebbe meglio se ci fosse un libro con le istruzioni, ma purtroppo non è così,” riconobbe Blue, centrando in pieno il bersaglio. “Ma non credere che io non abbia i miei problemi! Lei è al settimo anno, l’anno prossimo non la vedrò più…”

“Quindi intendi dichiararti prima che sia troppo tardi?” le chiese Emily, stupita.

“Assolutamente no, per lei sarò alla stregua di una ragazzina, non mi prenderebbe mai in considerazione,” sospirò. “Magari da adulte il destino ci farà incontrare di nuovo, e allora scatterà la scintilla,” continuò, con aria sognante, “ma per ora conto solo di passare più tempo possibile con lei, finché posso.”

Emily annuì e non osò commentare, capendo quello che intendeva.

“A proposito, sono stata brava a lasciarvi soli soletti durante il viaggio?” le domandò la bionda riservandole un sorriso furbo.

Lei strabuzzò gli occhi.

“Lo avevi fatto apposta? E io che credevo l’avessi fatto per stare con Julie!” esclamò, spiazzata.

“L’ho fatto per entrambi i motivi, in realtà. E dimmi, com’è andato il viaggio?” chiese, curiosa.

“Come al solito… Ma ti prego, non fare più niente di simile. Nemmeno io penso di dichiararmi, non finché non capirò di avere delle possibilità.”

Ormai erano arrivate fuori dalla sala grande, perciò dovettero separarsi.

Emily raggiunse il suo tavolo dove trovò posto accanto a Patricia. Di fronte alla rossa c’era Ana mentre lei aveva davanti Nathan, il loro amico con cui lei aveva scambiato sì e no due parole, se non si contava l’aiuto con un compito di trasfigurazione.

“Allora, cosa ne pensi di Joel?” le chiese la bionda non appena lei si fu seduta.

Emily ci mise un attimo per capire di chi stesse parlando, perché aveva già dimenticato il suo nome.

“Credo sia bello, ma non lo conosco. E non credo proprio che sia successo quello che pensate voi,” rispose.

“Come no, ti ha fatto l’occhiolino!” commentò Patricia, gesticolando emozionata.

Evidentemente il loro argomento preferito del momento erano i ragazzi, perché le due continuarono a parlare per un po’ di chi fossero i più belli secondo loro, sottolineando che quel Joel era sul podio.

“Fatela finita, tra poco mi sanguineranno le orecchie,” si lamentò Nathan.

Emily sorrise. Anche se non erano le persone ideali con cui passare il suo tempo, era felice di poter conversare serenamente con dei compagni di casa.

“I ragazzi della nostra età non capiscono proprio niente,” sottolineò Ana scuotendo la testa. “Bisogna puntare a quelli dal quarto anno in su,” aggiunse, spostando lo sguardo su di lei con un’espressione di finta innocenza.

“E brava la nostra Lewis!” le disse Patricia, con un sorriso divertito.

“Vi dico che non è come credete!” ribatté lei, ormai contagiata dal loro entusiasmo.

Vennero interrotte dalla McGranitt che si apprestava a fare il discorso di inizio anno, perciò si zittirono. La preside fece le solite raccomandazioni, ma quell’anno c’era una novità. Annunciò che la professoressa Sprout era andata in pensione, lasciando il posto a un giovane insegnante che si era diplomato da poco.

Lui aveva fatto l’auror per un breve periodo, poi era tornato a Hogwarts per seguire la sua vera passione, ovvero l’insegnamento di erbologia.

Lo presentò in questo modo, al che Emily si domandò come sarebbero state le lezioni con lui. La Sprout le era sempre piaciuta, perciò le dispiacque non averla più come insegnante.

In quanto al nuovo professore, forse aveva fatto un apprendistato con altre classi o qualcosa di simile perché le parve di averlo già visto aggirarsi per il castello, in compagnia della preside o della precedente insegnante di erbologia. Anche il suo nome le suonò in qualche modo familiare.

“Un altro Grifondoro tra i docenti… Sono una piaga,” commentò scherzosamente Nathan, al che le sue amiche gli diedero ragione.

Finalmente il banchetto ebbe inizio ed Emily si accorse di avere molta fame, perciò si riempì il piatto di prelibatezze.

Quella sera faticò a prendere sonno, ritrovandosi a pensare a tutto ciò che era successo. Un nuovo anno era cominciato e tante cose erano cambiate. Come sempre, non vedeva l’ora di mettersi a studiare e di vivere avventure lì a scuola, però adesso aveva nuove insicurezze e preoccupazioni.

In ogni caso, ce l’avrebbe messa tutta.




Note di quella che scrive

Avrei voluto aggiornare prima, ma in questi giorni sono nel bel mezzo dei festeggiamenti del mio compleanno e proprio non ce l'ho fatta. Per fortuna avevo già corretto questo capitolo, quindi ho potuto pubblicarlo adesso!

Avete capito chi è il nuovo professore di erbologia? Penso sia chiaro, ma in caso non lo fosse si capirà presto.

Emily intanto ha compreso e deciso di ammettere i suoi sentimenti, almeno a se stessa e a Blue, ma non se la sente ancora di parlarne con Cecil.

A questo punto lei frequenta il terzo anno e qui entriamo in una nuova fase della storia. Sta crescendo, è diventata più femminile e qualcuno intorno a lei se n'è già accorto. Insomma, vedremo cosa succederà.

Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate e cosa vi aspettate. Il capitolo era breve, quindi cercherò di aggiornare presto!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9

 

Malgrado tutte le preoccupazioni di Emily, il terzo anno iniziò bene come al solito. L’unica nota dolente era il fatto che non vedesse quasi mai Blue, se non alle lezioni che avevano in comune.

La ragazza aveva preso molto seriamente il fatto che dall’anno successivo non avrebbe più rivisto la sua cotta, perciò le si era avvicinata molto. La sua scusa era che le servivano delle ripetizioni di aritmanzia, materia in cui Julie Butler era molto ferrata.

Emily si domandò se Blue non l’avesse scelta apposta per quel motivo.

In ogni caso, era felice che almeno a cura delle creature magiche fossero tutti insieme. Per quel corso opzionale infatti non erano stati divisi in due gruppi, formando quindi un’unica classe molto grande.

Pareva che la materia insegnata da Hagrid fosse molto gettonata tra gli studenti di Hogwarts ed Emily non faticava a capirne il motivo. Era davvero meraviglioso poter stare nella natura a conoscere tutte quelle creature e a impararne le peculiarità.

Non ebbe alcuna difficoltà nello studio, se non con antiche rune. All’inizio per lei fu ostica, ma aveva solo bisogno di prenderci la mano.

Un giorno, dopo la lezione di erbologia, si fermò nei pressi della serra, su un muretto. Aveva appuntamento con Cecil ma di lui non c’era ancora traccia, perciò aprì il libro per rivedere alcuni passaggi appena fatti a lezione.

Il professor Paciock si era rivelato un ottimo insegnante, gentile con gli studenti e piacevole da ascoltare. Questo per lei era un bene, perché facilitava il suo apprendimento. Qualche volta, alla fine di una lezione, si era persino sentita libera di fermarsi a fargli alcune domande e lui aveva sempre risposto in modo cordiale ed esaustivo.

Stava finendo di appuntarsi delle cose su una pagina del libro quando qualcuno le si avvicinò, facendole ombra.

“Sei appassionata di erbologia?” si sentì chiedere, al che alzò lo sguardo.

Si ritrovò davanti un ragazzo alto che indossava la divisa di Corvonero. Ci mise un attimo per riconoscerlo, avevano scambiato due parole al club dei duellanti una volta ma non sapeva neanche come si chiamasse. Doveva essere del quarto anno, quinto al massimo.

“Potrei dire di sì,” rispose, confusa, posando la penna in mezzo alle pagine del libro.

“Vado forte a erbologia, se vuoi una volta posso aiutarti nello studio,” continuò lui sorridendole.

Emily pensò che imparare da uno del quarto – o del quinto – anno sarebbe stato grandioso, ma era certa che la sua proposta celasse un secondo fine.

“Ci penserò su, ehm…”

“Nick Flaming,” si presentò, finalmente, anche se Emily temette che presto si sarebbe dimenticata il suo nome. “Hai appena avuto lezione? Fammi vedere cosa avete studiato, magari posso aiutare,” insistette, rivolgendole un sorriso smagliante.

Lei stava iniziando a sentirsi in difficoltà. Non poteva muoversi perché Cecil le aveva dato appuntamento lì, e non sapeva come rifiutare gentilmente la proposta di Nick. Non capiva perché nell’ultimo periodo alcuni ragazzi avessero iniziato a notarla e ad attaccare bottone. Inoltre non sapeva come gestirli, perché non era certo abituata a un trattamento del genere.

Sospirò impercettibilmente. Durante i suoi primi due anni era stata guardata con sospetto dai Grifondoro e tenuta a distanza dai Serpeverde. I membri delle altre case, invece, sembravano non notarla affatto e a lei andava bene così. Cos’era cambiato?

Alcuni degli sconosciuti che la approcciavano erano del suo anno, altri addirittura più grandi. Qualche volta era stato proprio Cecil a tirarla fuori da quelle situazioni, forse notando che non era a suo agio, ma in molti casi aveva dovuto pensarci da sola. Di solito trovava una scusa per scappare via, ma come fare quel giorno?

“Emily, andiamo?” la chiamò Cecil, dal corridoio.

Era arrivato all’improvviso come se l’avesse evocato solo pensandolo. Non perse tempo e lo raggiunse, felice di avere un motivo per andarsene.

In quanto a lui, non lo aveva mai visto parlare con altre ragazze all’infuori di lei e Blue, cosa che la confortava.

“Ho perso il conto delle volte in cui ti ho trovata a disagio, a parlare con un ragazzo più grande. Cosa sta succedendo?” le chiese, divertito.

“Non chiederlo a me,” ribatté lei, tutt’altro che felice.

Camminarono in direzione della torre di astronomia, dove sapevano che sarebbero stati da soli. Nessuno ci andava così presto nel pomeriggio, neppure per studiare, perciò era diventato il loro posto segreto.

“Aspetta, guarda chi c’è là,” disse Emily, prendendolo per un braccio perché si fermasse.

Baxter e Napier si erano nascosti maldestramente in fondo a un corridoio, in un patetico tentativo di prenderli di sorpresa.

“Cambiamo strada,” suggerì, al che Cecil annuì e fece dietrofront.

Un altro lato positivo della torre di astronomia, oltre all’aria fresca, il meraviglioso paesaggio e il silenzio, era proprio il fatto che quei due non li avessero mai cercati lì. Evidentemente non avevano ancora capito dove si rifugiavano dopo le lezioni.

“Ho incrociato Blue mentre venivo da te,” disse il ragazzo, quando ormai erano giunti a destinazione e si erano seduti. “Le ho chiesto se ci stesse evitando e mi ha risposto che non ha molto tempo perché una compagna più grande la sta aiutando con aritmanzia.”

“Già, l’ha detto anche a me qualche giorno fa,” rispose lei.

In realtà Cecil era preoccupato da un po’ perché non si vedevano più di frequente come al solito. Emily all’inizio aveva finto di non saperne niente, per coprire l’amica, ma così lui aveva creduto che avessero litigato e non glielo volessero dire.

A lei non piaceva mentire a Cecil, ma lo faceva per un buon motivo. Aveva fatto una promessa a Blue e intendeva mantenerla a tutti i costi.

Anche a lei dispiaceva non poter parlare spesso con l’amica, ma non poteva farci niente. In ogni caso, Emily aveva altro per la testa in quel momento.

Il professor Lumacorno l’aveva invitata a unirsi al Lumaclub, una sorta di gruppo formato dagli studenti che eccellevano in alcuni campi, con i quali organizzava degli incontri privati.

Era stata felicissima di accettare perché significava che qualcuno aveva riconosciuto le sue capacità, il che non accadeva spesso quanto avrebbe voluto. Inoltre non si trattava di un mago qualunque, ma del suo professore di pozioni nonché capo casa di Serpeverde.

Il problema, però, era che il primo incontro dell’anno si sarebbe svolto l’indomani e non aveva ancora chiesto a Cecil di accompagnarla.

Quando aveva saputo di poter invitare qualcuno ad andare con lei, la sua scelta era stata ovvia. Trovare il coraggio di chiederglielo era stato più difficile, ma ormai non c’era più tempo.

“Senti Cecil, domani ho la prima cena del Lumaclub,” disse, cambiando discorso. “Ho saputo che è possibile portare un accompagnatore, così mi chiedevo se ti andrebbe di venirci con me,” andrò ditta al punto, tenendo lo sguardo basso.

Quando lo alzò su di lui, temendo il peggio, lo trovò con un’espressione sorpresa e allo stesso tempo dispiaciuta. Doveva aver pensato che non fosse un evento per lui, questo si disse, per via della sua paura di ritrovarsi al centro dell’attenzione.

La sua speranza di andare a quella cena – e alle successive – con lui si infranse ancora prima che il ragazzo potesse aprire bocca.

“Mi piacerebbe, ma domani sera devo scontare una punizione con il professor Flitwick.”

“Tu in punizione?” gli domandò Emily, sgranando gli occhi per la sorpresa. “Com’è successo?”

Cecil sospirò e scosse la testa.

“Parker mi ha passato un bigliettino sotto il naso di Flitwick e questa brillante idea gli è costata 10 punti e una punizione per entrambi.”

Emily immaginò la scena e dovette trattenere le risate. Solo dopo capì che non c’era niente da ridere, perché sarebbe andata alla cena del Lumaclub da sola. Il lato positivo era che Cecil non aveva escluso la possibilità di accompagnarla un’altra volta, o almeno questo gli fecero intuire le sue parole.

Fu così che, la sera successiva, attraversò i corridoi del castello fino a raggiungere la saletta dove si sarebbe tenuto il ritrovo. Questa era vicina all’alloggio di Lumacorno, in una zona della scuola dove lei non era mai stata.

Una volta qui si guardò intorno, incuriosita. La stanza era ampia ed era stata arredata in modo accogliente. Tanti studenti la popolavano e alcuni di loro sembrava fossero lì da soli proprio come lei, cosa che la rincuorò.

In un angolo notò Nathan e Ana, e dopo un breve momento di riflessione capì che, dei due, doveva essere lui che aveva ricevuto l’invito, dato che eccelleva in pozioni.

La ragazza invece aveva difficoltà un po’ in tutte le materie, infatti spesso chiedeva l’aiuto di Emily. In ogni caso, aveva parlato tanto di quanto fossero meglio i ragazzi più grandi, ma non sembrava affatto dispiaciuta di essere lì con lui, anzi.

Continuando a guardarsi intorno, notò che altri studenti erano vestiti da camerieri e stavano servendo bevande e tartine. Lo trovò profondamente ingiusto, perché così pareva che ci fosse una grande differenza tra i ragazzi meritevoli e quelli che non ce l’avevano fatta.

E tra quelli che ce l’avevano fatta riconobbe alcuni visi noti per la loro bravura nel quidditch, cosa che le fece capire che non erano stati invitati solo i più studiosi.

C’era poi Lumacorno che chiacchierava con alcuni di loro, ma non era l’unico adulto. A controllare che non ci fossero disordini c’erano il professor Brodie – il che mise in allarme Emily – e quello che doveva essere il professor Fiery di babbanologia.

Lei stava iniziando a sentirsi agitata e fuori posto, ma ormai non poteva scappare perché aveva incrociato lo sguardo con Lumacorno. Decise allora di raggiungere Ana e Nathan, interrompendo suo malgrado il loro momento da coppietta.

Nel corso della serata il professore di pozioni si premurò di rivolgere la parola a tutti, chiaramente intenzionato a conoscerli meglio. Quando chiedeva quali aspirazioni avessero per il futuro, quasi tutti avevano una risposta pronta, cosa che spiazzò Emily.

In un secondo momento capì che il professore non lo stava chiedendo a loro che erano del terzo anno, ma solo agli studenti più grandi.

C’era un altro tipo di domanda, però, che avrebbe messo in crisi Emily: quella sui genitori. Lumacorno, infatti, ogni tanto diceva di conoscere quelli di qualcuno, o chiedeva di cosa si occupassero quelli di qualcun altro.

Forse non era l’unica nata babbana del Lumaclub, ma quando fu il suo turno ebbe comunque paura a rispondere.

“Mia madre fa il chirurgo. Opera le persone malate per aiutarle a stare meglio,” specificò.

Sapeva che la medicina del mondo magico funzionava diversamente, per questo aveva cercato di spiegarlo in modo semplice, eppure sembrava che avesse parlato in una lingua sconosciuta.

“Invece mio padre è un insegnante,” aggiunse in tutta fretta, sperando che ciò bastasse a migliorare la sua posizione.

Non era niente in confronto alla situazione familiare dei suoi compagni, infatti i suoi genitori non erano auror, giocatori di quidditch famosi eccetera, però la sua risposta parve soddisfare almeno parzialmente l’interesse di Lumacorno. Forse perché lui e suo padre si occupavano della stessa cosa.

Certo, non aveva detto che suo papà insegnava lettere alle scuole medie, ma questo solo perché aveva temuto di confondere ancora di più i presenti.

Nel corso della serata mangiò poco o niente, sentendosi ancora tesa in quel contesto che non le era familiare. Scambiò qualche parola con i suoi amici Serpeverde, perché ormai sentiva di poterli considerare tali anche se il loro rapporto non era poi così stretto. Anzi, fu proprio felice di non essere completamente sola a quella cena.

Si era allontanata dagli altri per fare una pausa da tutta quella socialità forzata quando notò una faccia conosciuta tra i camerieri. Era William Baxter, il compagno di casa che non faceva altro che tormentarla dal primo anno. Lo stesso che l’aveva chiamata sanguemarcio davanti al professor Brodie.

Anche lui la notò, incrociando il suo sguardo proprio quando lei gli stava rivolgendo un sorriso raggiante.

Il suo umore era stato completamente capovolto da quella visione a dir poco terapeutica: un bullo in abito da cameriere, che serviva da bere a una festa alla quale lei era stata invitata per i suoi meriti scolastici.

In quel momento sovrascrisse il suo pensiero di poco prima, di quando aveva pensato che fosse ingiusto che alcuni studenti dovessero servirne altri. Anzi, le sembrò più che giusto che Baxter avesse quel ruolo. Se lo era meritato.

Lo raggiunse con il sorriso ancora sulle labbra, sentendosi pervadere da un sentimento di superiorità. Sotto lo sguardo duro del ragazzo prese una tartina dal suo vassoio, come se niente fosse.

“Sai, Baxter, mi hai migliorato la serata. Pare che tu abbia trovato il posto adatto a te… Questa è la giustizia che si compie, o forse dovrei dire che è il karma,” dichiarò, provando tutta la soddisfazione del mondo.

“Te la farò pagare per questo. Chi ti credi di essere?” ribatté lui, a denti stretti.

“Ah non lo so, dimmelo tu,” rispose, buttando un’altra occhiata all’abbigliamento del ragazzo.

Lei aveva indossato un vestito e delle scarpe carine e si era presentata alla cena a cui era stata invitata, lui invece era lì per servire. Non sentì il bisogno di aggiungere altro.

Seppur mantenendo la guardia alta, perché sapeva che di lui non ci si poteva fidare, Emily lo superò e tornò alla festa.

Da un altro vassoio prese un analcolico frizzante, ancora sorridendo per il discorso che aveva appena fatto a Baxter. Fu allora che qualcun altro le si avvicinò, un ragazzo più grande.

Emily non lo conosceva e non aveva idea di quale anno frequentasse, ma pensò che fosse minorenne perché riconobbe nella sua mano lo stesso drink che stava bevendo lei. Inoltre ebbe l’impressione di averlo già visto al club dei duellanti.

“Ti stai divertendo?” le chiese, rivolgendole un sorriso.

“Sì, è una bella serata,” rispose, dopo un attimo di esitazione durante il quale si guardò intorno. “Ci conosciamo già, per caso?”

Era pessima a ricordare i visi e i nomi di chi non le interessava, perciò andò dritta al punto.

“Sì, sei la principessina del club dei duellanti,” disse lui, senza presentarsi.

“La cosa?” domandò Emily, confusa.

“Quando eri al primo anno, tra i tuoi coetanei eri l’unica a cui Brodie permetteva di duellare, per questo ti chiamavamo tutti così,” spiegò, al che lei abbassò lo sguardo e arrossì.

Che soprannome stupido, pensò.

L’avevano presa in giro fino a quel momento anche al club e lei non se n’era mai resa conto, fu un duro colpo da incassare.

“Io mi chiamo Boderick Bound, comunque. E tu?”

Lei era talmente distratta dalle informazioni appena acquisite che il suo nome – per di più troppo complicato da ricordare – le entrò da un orecchio e le uscì dall’altro.

“Emily Lewis,” rispose, incrociando di nuovo il suo sguardo.

Mentre lui era ancora raggiante, il buon’umore di lei era sparito ormai.

“Non ti ricordi proprio di me, quindi,” disse il ragazzo, dopo un attimo di esitazione.

Emily assottigliò lo sguardo, confusa. Lo aveva vista al club, ma non lo riconduceva a nessun episodio in particolare.

“Il tuo primo duello è stato con me, ti ho schiantata subito perché eri troppo presa a guardare il movimento delle mie mani,” spiegò.

“Oh…” si lasciò scappare lei, che non aveva affatto dimenticato quell’episodio.

Aveva semplicemente rimosso la sua faccia, che in effetti forse non aveva nemmeno guardato in quel momento.

Boderick le si avvicinò fino ad arrivare con il viso accanto al suo orecchio.

“Io sono stanco di questa festa, che ne dici se ce ne andiamo via insieme? Sono molto bravo con le mani… Se ti interessano così tanto, posso dimostrarti di cosa sono capace…”

Emily avvampò. Le fu subito chiaro che non si stava riferendo a duelli o incantesimi, anzi le aveva fatto una proposta indecente. La prima della sua vita. Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi mentre allontanava di scatto il viso dal suo.

“I-io, forse non lo sai, ma ho tredici anni... Non sono troppo giovane per te?” gli chiese, ricordando quando Blue le aveva detto che lei per Julie probabilmente era poco più che una ragazzina.

“No, non direi,” rispose lui, guardando in direzione del suo seno.

Era ancora piccolo e forse non sarebbe più cresciuto per quanto ne sapeva, inoltre si era premurata di indossare un vestito abbastanza coprente e non scollato trattandosi di un evento scolastico, per non sentirsi a disagio. Evidentemente non era bastato.

“E cosa potremmo mai avere in comune io e te?” insistette, sperando che lasciasse perdere e andasse a importunare qualcun'altra.

“Siamo entrambi ottimi duellanti. E comunque non è importante, ci divertiremmo in ogni caso anche senza parlare.”

Emily non seppe come ribattere, infastidita. Lui era un ragazzo dall’aspetto piacevole e doveva esserne consapevole visto il suo atteggiamento, ma a lei piaceva qualcun altro. Inoltre il suo modo di approcciarla le faceva mancare l’aria, in senso negativo.

“Che ne dici, non vuoi andare via insieme a me?” insistette.

“Sì che voglio andarmene adesso, ma non con te,” ribatté, stanca.

“E dai, ci divertiremo,” continuò lui, allargando le braccia.

Sembrava avesse l’intenzione di afferrarla e lei si sentì minacciata, infatti arretrò istintivamente di un passo.

“Qualcosa non va, signor Bound?”

Quando il ragazzo si voltò in direzione della voce entrambi videro che il professor Fiery era comparso alle sue spalle.

“Ah, certo che no professore,” rispose lui, sfoggiando un sorriso innocente. “Stavo solo facendo conoscenza con Emily Lewis,” aggiunse, mettendo un braccio intorno alle sue spalle.

Lei si irrigidì e storse le labbra in un’espressione di disgusto.

“Mi aspetto un comportamento encomiabile dai Grifondoro, a questi eventi,” sottolineò il professore, rivolgendogli uno sguardo serio. “La lasci in pace o sarò costretto a toglierle dei punti della casa.”

Il ragazzo alzò le mani in segno di resa.

“Va bene, tanto non stavo facendo niente. Parleremo in un’altra occasione,” aggiunse, guardando di nuovo Emily.

“Su, signor Bound, non è meglio puntare a qualcuno della sua età?” sentì dire dal professore, mentre lo portava via.

Emily tirò un sospiro sollievo, felice che qualcuno l’avesse salvata. Decise che ne aveva avuto abbastanza per quella sera, perciò raggiunse la porta senza guardarsi indietro.

Era l’ennesima volta che un ragazzo ci provava con lei, anche se questo era stato molto più diretto e insistente degli altri.

In ogni caso, ciò le fece capire che si era fatta più carina nell’ultimo periodo. Doveva essere così, altrimenti perché lo facevano? Peccato che Cecil non se ne fosse accorto.

Sospirò dicendosi che magari non era il suo tipo, o peggio che gli piacesse già qualcun altro. Non che lei intendesse arrendersi. Aveva tenuto i suoi sentimenti segreti, ma non per soffocarli. Era certa che prima o poi avrebbe avuto l’occasione di farsi notare da lui, doveva solo mantenere un atteggiamento positivo.





Note di quella che scrive

Avevo deciso di correggere il capitolo per pubblicarlo domattina prima di andare al lavoro, ma non ricordavo che l'avevo già ricorretto nei giorni scorsi quindi eccolo qua!

Non voglio commentare il capitolo, lascio la parola a voi. Vi dico solo che qui ha fatto la sua comparsa un personaggio che creerà molti problemi alla protagonista, e dire così è riduttivo! Ho scritto questa parte pesando con cura le sue parole, e adesso che le rileggo me la rido... di una risata sadica da Serpeverde. Non ci posso fare niente, mi piace far soffrire un pochino i miei personaggi.

A presto!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO 10

 


I giorni passarono e si avvicinò sempre di più il momento del ballo di Natale.

Tutti erano in fibrillazione per l’evento imminente, persino gli studenti del suo anno a cui finalmente era permesso partecipare. Ogni tanto a Emily era capitato di notarne qualcuno che invitava una compagnia al ballo, altre volte invece quelle proposte avvenivano in modo più discreto.

Insomma, la maggior parte di loro si era già premurato di chiedere ad amiche o possibili fidanzate se volessero andarci insieme. Non tutti, però, pensavano a divertirsi in modo sano. In quei giorni, infatti, a Emily parve che i tentativi di infastidirla da parte di Napier e Baxter si fossero intensificati.

Forse la loro conversazione alla cena del Lumaclub aveva innervosito così tanto Baxter che intendeva veramente fargliela pagare. In ogni caso, Emily non ci badava. Per lei erano soltanto degli idioti.

Qualche volta a lezione, quando il professore era di spalle, le avevano tirato una cartaccia in testa, ma lei aveva finto di non farci caso. Altre volte invece l’avevano aspettata in fondo a un corridoio per aggredirla di sorpresa, ma lei non era così stupida da non notarli perciò cambiava strada in tempo.

In biblioteca poteva dirsi al sicuro, così come sulla torre di astronomia. Persino nella sala comune dei Serpeverde, se si trovava insieme ai suoi nuovi amici.

In un certo senso, aveva provocato Baxter ma non ne stava subendo le conseguenze.

In quanto alle aspettative per il ballo, Emily desiderava soltanto che Cecil non ci andasse con un’altra. Vederlo insieme a una ragazza che non fosse lei le avrebbe spezzato il cuore, ne era certa.

Un giorno, per togliersi di dosso l’irrequietezza, gli aveva domandato con chi sperava di andarci e lui, come se niente fosse, le aveva detto che non intendeva invitare nessuno. Non gli interessava ballare, ci sarebbe andato solo per divertirsi con loro che erano suoi amici.

Le sue parole tolsero a Emily un peso dal petto. Quella sera stessa riuscì a intercettare Blue dopo le lezioni, con l’intenzione di capire cosa volesse fare lei.

“Ovviamente non andrò con nessuno!” esclamò la ragazza facendo una smorfia di disgusto. “Anzi, volevo proprio proporti di andarci tutti insieme come amici. So che Julie ha accettato l’invito di un Corvonero e non reggerei allo shock se andassi al ballo da sola.”

“Perfetto, volevo proporti la stessa cosa,” rispose Emily, tirando un sospiro di sollievo.

Si accordarono per prepararsi insieme, la sera del ballo.

I giorni successivi Emily aveva rifiutato gli ultimi ragazzi che avevano sperato di accompagnarla, tra i quali c’era quel Joel del quarto anno che le aveva rivolto la parola il primo giorno.

 
Nel weekend che precedeva il ballo era prevista un’uscita a Hogsmeade, perciò Emily e Blue si accordarono per andare a fare compere insieme. Per la prima volta riuscirono a visitare la cittadina loro due da sole e come prima tappa passarono da Mielandia, quasi dimenticando che erano lì per comprare dei vestiti.

Tutto quello zucchero non riuscì a far perdere loro di vista quello che era il vero obiettivo dell’uscita, perciò dopo aver riempito due sacchetti di dolciumi – quasi tutti di Blue – si avviarono verso un negozio che faceva al caso loro.

Una volta dentro, Blue si innamorò di un abito viola che intendeva modificare una volta tornata in dormitorio. Emily invece ne scelse uno verde, che la convinse non tanto perché si trattava del colore della sua casa, quanto più perché era lo stesso dei suoi occhi.

Entrambe provarono i vestiti e furono molto felici del risultato, perciò pagarono e tornarono al castello, ma non prima di aver bevuto una burrobirra ai Tre Manici di Scopa.

Era ancora presto per la cena, perciò Blue la trascinò nella sua stanza dove le mostrò alcune cose che aveva portato da casa proprio per decorare il suo abito in quella occasione.

Emily doveva ammettere che non capiva fino in fondo il suo entusiasmo per i vestiti, ma era felice di poter finalmente passare del tempo con la sua migliore amica.

Quest’ultima impreziosì il proprio acquisto rendendolo la versione abito di un unicorno luccicante, lasciandola senza parole. Rispecchiava perfettamente il suo carattere solare ed esuberante, o almeno così pensò Emily.

Ci volle un po’, ma Blue riuscì a convincerla a permetterle di modificare anche il suo, quindi ci aggiunse del pizzo nero sullo scollo e sulla base. Si trattava di un dettaglio sobrio ed elegante, perciò il risultato la convinse.

Blue riuscì a fare tutto quello con la magia, mostrandole degli incantesimi che non aveva mai visto. Glieli aveva insegnati suo padre, che li aveva perfezionati per dare una mano al negozio di sartoria di sua madre.

Erano incantesimi che permettevano di cucire degli inserti su una stoffa, niente che a Emily interessasse davvero, ma insistette comunque perché glieli spiegasse, curiosa di vedere se riuscisse a padroneggiarli a sua volta.

 
Il sabato successivo era la sera del ballo, sera in cui Blue costrinse Emily a farla entrare nel dormitorio di Serpeverde perché potessero prepararsi nella sua stanza, questa volta. In un primo momento per lei fu strano far entrare la sua amica Tassorosso perché temeva che gli altri non avrebbero gradito, ma poi capì che tutti erano troppo impegnati per farci caso o per dirle qualcosa.

Fu così che, un attimo dopo, furono già vestite e pronte a truccarsi e ad acconciarsi i capelli. Emily non aveva mai provato a usare del make-up prima di quel giorno, perciò lasciò fare a Blue che le applicò una linea sottile di eyeliner e del mascara.

“Ecco fatto,” annunciò, soddisfatta. “Dovresti imparare a fare almeno questo, ti dona moltissimo.”

Lei si guardò allo specchio e si stupì della sua immagine. Quel po’ di trucco aveva incorniciato il suo sguardo, rendendola molto più carina. Sorrise all’amica, grata che l’avesse aiutata, e la pregò di insegnarle.

Per i capelli decisero di farsi entrambe una treccia, così da essere abbinate almeno in quello. Se la fecero a vicenda, chiacchierando serenamente. Intanto, nella stessa camera, Ana e Patricia si stavano aiutando con gli ultimi ritocchi, mentre le altre compagne di stanza erano già uscite.

Ana sarebbe andata al ballo con Nathan, così aveva sentito Emily. Era felice per loro perché sembravano una bella coppia, anche se non sapeva se lo fossero davvero.

“State benissimo!” disse, quando si accorse che lei e Patricia erano pronte.

Le due la ringraziarono, felici, e ricambiarono il complimento.

“Oh, lei è Blue, siamo amiche dal primo anno,” la presentò, accorgendosi che non c’era ancora stata l’occasione. “Loro sono Patricia e Ana.”

“Piacere!” esclamò Blue, raggiante.

Salirono nella sala grande insieme, chiacchierando del più e del meno. Erano tutte agitate per la serata, compresa Emily.

“Che meraviglia,” commentò Blue, ammirando la sala estasiata.

Era stata addobbata in modo simile all’anno precedente, con decorazioni che richiamavano la neve o dei classici colori natalizi. Tutto aveva un che di glaciale, ma allo stesso tempo luminoso e accogliente.

“Già. E soprattutto, è bello potersi rilassare senza dover fare attenzione ai prefetti,” sottolineò scherzosamente Emily.

“Ssh!” le fece Blue dandole una gomitata amichevole, scoppiando a ridere subito dopo.

Ammirarono gli abiti delle altre ragazze mentre si avviavano verso il buffet per riempirsi un piatto. Tutti i cibi preparati dagli elfi domestici delle cucine avevano un aspetto incredibile e un sapore che non tradiva le aspettative.

Emily si servì qualche tartina, ma nel farlo notò che l’amica non sembrava avere molto appetito.

“Mangia, penserai a lei più tardi,” le disse, sperando di aiutarla a rilassarsi.

Blue sospirò e annuì, convinta, quindi prese anche lei qualcosa da mangiare.

Non più a stomaco vuoto, le due si spostarono in una zona meno affollata della sala da dove poterono avere una visuale migliore sulla pista da ballo. Blue aveva già adocchiato Julie, che indossava un abito nero e ballava con il suo accompagnatore.

“È bellissima anche stasera,” commentò, ignorando la presenza del ragazzo.

Emily sorrise perché temeva che si sarebbe abbattuta ma non era successo. Dal canto suo, iniziava a domandarsi dove fosse finito Cecil. Non lo aveva ancora notato perché lì c’era troppa gente, o non c’era affatto?

Quando poco dopo lo vide tirò un impercettibile sospiro di sollievo. Era seduto in disparte insieme a Parker e i due stavano bevendo qualcosa mentre chiacchieravano. Li raggiunsero, e nel farlo Emily si sentì tesa come non mai. Si era fatta bella per quella serata e sperava tanto che lui lo notasse.

Non voleva per forza un complimento, le sarebbe bastato capirlo dal suo sguardo.

“Ciao!” li salutarono in coro, attirando la loro attenzione.

“Ehi ragazze,” ricambiò lui, mentre Parker sollevava la mano in un saluto silenzioso.

Cecil indossava un completo sobrio e semplice, forse un pochino troppo grande per il suo fisico, ma che gli stava comunque bene. Emily lo aveva visto in uniforme scolastica e nei suoi normali abiti da mago, quando era stata a casa sua l’anno precedente, ma vederlo così elegante le fece un effetto completamente diverso.

“State benissimo stasera,” disse Parker, al che Cecil annuì dando un’altra fugace occhiata ai loro abiti.

Emily sorrise con più sicurezza adesso che aveva assistito alla sua reazione, per quanto debole.

Si sedettero con loro a chiacchierare, entrambe non interessate al vero fulcro di quella festa, cioè danzare. Parker invece dopo un po’ si alzò per andare dal solito gruppo di Grifondoro, al quale si erano aggregate anche delle ragazze.

“Tu non vai con loro?” chiese Blue rivolgendosi a Cecil.

Il loro amico scosse la testa.

“Forse dopo,” disse semplicemente. “Volete qualcosa da bere? Io ho sete.”

“No grazie,” rispose Blue.

“Io sì, prendimi un po’ di punch per favore,” rispose invece Emily.

Il ragazzo annuì e si insinuò tra la folla per raggiungere il buffet. Lei indugiò con lo sguardo nel punto in cui era sparito, con la mente altrove.

Blue approfittò dell’assenza di Cecil per farsi più vicina e metterle un braccio intorno alle spalle. La strinse delicatamente a sé, con un sorriso furbo sul viso.

“Per me dovresti chiedergli di ballare,” dichiarò.

“Sei impazzita? Non ne avrei mai il coraggio, e comunque non so ballare,” ribatté Emily, agitata solo al pensiero.

“Sì che lo sai fare, la McGranitt ci ha fatto vedere come si fa,” puntualizzò Blue, alludendo a una breve ma sofferta lezione di qualche giorno prima.

“Beh, non voglio dargli strane impressioni, quindi non lo farò,” insistette Emily a sguardo basso.

“Sarebbe l’impressione giusta! Altrimenti come farà a capire che ti piace?”

“Non lo capirà, non deve capirlo. Se mi accorgerò di avere speranze sarò io a dirglielo, ma questo non è il caso. E poi ballare con lui sarebbe troppo imbarazzante, tanto che esploderei.”

A Blue venne da ridere, forse perché si era immaginata la scena. Le lasciò libere le spalle per tenersi la pancia nel tentativo di calmarsi.

“Permetti questo ballo?”

Emily alzò lo sguardo e vide Boderick che le offriva una mano. Lei guardò prima lui, poi la mano e infine di nuovo lui, spaesata.

“No, io non so ballare,” rispose, sollevando le sue per respingerlo gentilmente.

“Un motivo in più per accettare, potrei insegnarti,” disse lui sorridendo.

“Emily, lui chi è?” chiese Blue, sorpresa.

“Boderick Bound,” rispose, stupendosi del fatto che fosse riuscita a ricordare il suo nome completo. “Lei è la mia amica Blue. Siamo qui insieme per divertirci in amicizia, senza danzare,” puntualizzò.

“Mi piace quest’idea di divertirsi in amicizia. Posso unirmi a voi?” domandò, prendendole comunque una mano contro la sua volontà.

Cecil, tornato in quel momento con le bevande, si schiarì la gola attirando l’attenzione su di sé. Sembrava a disagio, ma questo non gli impedì di rivolgere al compagno più grande uno sguardo torvo che Emily non gli aveva mai visto.

“Emily, ti ho portato da bere,” annunciò, facendosi più vicino.

Boderick ricambiò lo sguardo mentre lasciava la mano della ragazza.

“Se siete in compagnia, allora io tolgo il disturbo,” dichiarò mentre girava i tacchi.

“Grazie,” disse Emily all’amico, prendendo il suo bicchiere.

In realtà lo stava ringraziando per tutto quanto, ma non lo specificò.

“Quello era Boderick borioso Bound, ogni giorno esce con una ragazza diversa. Meglio stargli alla larga,” la avvertì Cecil, rattristato.

“Già, lo avevo capito. È dalla cena del Lumaclub che mi sta addosso,” ammise, quindi bevve un sorso della sua bevanda.

Cecil le rivolse uno sguardo preoccupato ma non disse altro.

Blue spostò il discorso altrove e la chiacchierata tornò a farsi piacevole. Insieme commentarono quanto fosse strano vedere i professori tirati a lucido che danzavano tra loro e quanto fossero ridicoli i vestiti di alcuni compagni.

Il resto della serata fu più tranquillo del previsto e lo trascorsero insieme. Era da tanto che non passavano il tempo chiacchierando solo loro tre.
 

Quando tornò nella sua stanza, un paio d’ore dopo, Emily era sfinita. Non aveva ballato, ma aveva parlato un sacco con i suoi amici. Inoltre era stata travolta da diverse emozioni. Cecil aveva apprezzato il suo vestito, anche se non lo aveva detto a parole, e l’aveva aiutata ad allontanare quello scocciatore.

Non era successo molto altro, ma ne era soddisfatta. Sentì che era valsa la pena di impegnarsi per apparire carina.

L’indomani partirono per tornare a casa dove avrebbero passato le vacanze con la famiglia. Lei si sedette accanto a Cecil in una cabina tutta per loro, perché Blue era sparita di nuovo. Doveva essere con Julie, pensò Emily.

Non poteva biasimarla perché anche lei desiderava passare tutto il tempo possibile con Cecil. Inoltre Blue aveva ammesso che il suo era un amore impossibile per via della loro differenza d’età. Insomma, Emily trovava giusto che trascorresse dei bei momenti con Julie Butler, finché erano compagne di scuola. Li avrebbe ricordati con affetto come lei avrebbe ricordato quelli con Cecil, comunque fossero andate le cose.

Non che il suo fosse un amore impossibile, o almeno così sperava, ma sentiva che si trattava di momenti preziosi in ogni caso.

Durante il viaggio di ritorno si accordarono già per vedersi durante le vacanze, proprio come avevano fatto l’anno prima.

“Quella volta tuo padre aveva preso gusto con gli scacchi dei maghi, perciò vorrei sfidarlo,” dichiarò, sorprendendola.

“Ti piacciono gli scacchi dei maghi? Non lo sapevo.”

“Sì, il mio amico Sean mi ha insegnato qualche mossa e non vedo l’ora di usarla in una partita,” confessò.

Emily sorrise, felice di aver scoperto un altro dei suoi interessi che prima non conosceva.

“L’anno scorso tua madre aveva preparato un pranzo buonissimo, ci ho pensato per tutto il resto delle vacanze.”

“Addirittura?” ribatté lui, divertito.

Un attimo dopo però si incupì, quindi Emily si preoccupò e attese che dicesse qualcosa.

“Sai, in realtà Rosalyn non è mia madre. È la seconda moglie di papà e ormai la considero come una madre, ma la mia vera mamma è morta quando avevo circa sei anni...”

“Mi dispiace Cecil, non ne avevo idea,” rispose lei, affranta.

Il suo amico non gliene aveva mai parlato prima e lei non si era fatta domande a riguardo. Non sapeva cosa significasse perdere un genitore a quell’età. Anzi, anche solo pensare di perderne uno adesso che aveva tredici anni era incredibilmente doloroso.

“Non ti preoccupare. C’era una guerra e lei ha tentato di difendere degli altri maghi dai Mangiamorte… Ormai è passato,” chiuse il discorso rivolgendole un sorriso tirato.

“Grazie per avermene parlato,” gli disse lei, dopo un attimo di esitazione. “Se mai vorrai parlarne o sfogarti, io sarò disponibile.”

“Lo apprezzo,” rispose il ragazzo, sebbene con poco entusiasmo.

Dopo averlo detto aprì il libro che teneva sulle gambe, segno che non intendeva continuare il discorso.





Note di quella che scrive

Ed eccoci qui. Avrei voluto aggiornare nel weekend, ma sarò impegnatissima entrambi i giorni e già mi immagino distrutta la sera... quindi, per non farvi aspettare troppo, ho pubblicato adesso.

In questo spazio avrei voluto commentare due cose che riguardano questo capitolo, ma mi dilungherei inutilmente. Ho scritto e cancellato un po' di volte e alla fine ho deciso di lasciare la parola a voi. Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11

 


Le vacanze di Natale furono divertenti come previsto, soprattutto perché Emily andò a casa di Cecil come avevano stabilito. Quell’anno, però, ci andò con la metropolvere perché Blue le aveva mostrato come fare.

Per i genitori fu uno shock viaggiare mettendosi nel camino e facendosi avvolgere da quelle fiamme verdi, anche se lei aveva spiegato mille volte come avrebbero fatto e che non ci sarebbero stati rischi.

Alla villa dell’amico Emily trovò già Blue, Parker e i loro genitori. Passarono il tempo a chiacchierare in allegria, assaggiando le prelibatezze preparate da Rosalyn Berrycloth e giocando a vari giochi che Cecil aveva in casa.

Come si era prefissato, lui sfidò il padre di Emily agli scacchi dei maghi. L’uomo non li vedeva dall’anno precedente, ma era un appassionato di scacchi babbani perciò riuscì a non farsi battere.

In un attimo le vacanze terminarono e arrivò il momento di tornare a Hogwarts.

Emily trovò il castello proprio come lo aveva lasciato, quasi non fosse stata via per Natale e capodanno. Fu felice di rivedere gli amici Serpeverde e di ricominciare con la solita routine che prevedeva lezioni, studio, aiutare gli studenti più piccoli con incantesimi e passare il tempo con Cecil.

Non con Blue, perché lei era di nuovo con gli amici Tassorosso nella speranza di vedere Julie almeno da lontano.

Nota positiva del loro ritorno dalle vacanze era il fatto che Napier e Baxter sembravano essersi dati una calmata. Forse avevano ricevuto qualcosa di bello per Natale, aveva pensato Emily.

Non le importava un granché di quei due e i loro scherzi non le mancavano affatto. Se erano finalmente maturati, lei poteva solo esserne felice. La loro assenza nella sua quotidianità le permise di abbassare la guardia e rilassarsi, godendosi di più le giornate.

Un pomeriggio si era ritirata da sola sulla torre di astronomia ad ammirare il paesaggio. Aveva finito con le lezioni, invece Cecil aveva divinazione e Blue era sparita da qualche parte, come suo solito. Normalmente non andava lì da sola, ma quel posto le piaceva perciò aveva deciso di farci un salto prima che fosse l’ora di cena.

Quando fu soddisfatta della pace di quel luogo e dell’aria fresca respirata, scese le scale decisa ad andare nella sala comune di Serpeverde.

Era circa a metà scalinata quando una figura nascosta nell’ombra la afferrò e la spinse giù. Emily non fece in tempo a vedere chi fosse, ma nell’attimo che precedeva l’impatto si maledisse per aver abbassato la guardia.

Si risvegliò in infermeria, con un braccio e una gamba ingessati e un gran mal di testa.

Madama Chips le disse che dei Corvonero l’avevano trovata svenuta in fondo alle scale che portavano alla torre di astronomia e che aveva dovuto fare una bella caduta per ridursi in quello stato. Da allora aveva dormito per due giorni di fila.

Prese senza fare storie le pozioni che lei le diede, anche se avevano un sapore disgustoso. Piuttosto, ne approfittò per domandarle cosa fossero, intenzionata a informarsi a riguardo più tardi.

Quanto più tardi non le era dato saperlo, perché il mal di testa disturbava fortemente il suo pensiero e il braccio con cui scriveva era ingessato e dolorante. Scoprire che quell’incidente le avrebbe impedito di studiare per un po’ fu un brutto colpo.

Il tempo in infermeria non sembrava scorrere mai, ma per sua fortuna Blue e Cecil quel giorno passarono a trovarla appena finirono con le lezioni.

“Hai visto chi ti ha spinta?” le chiese Blue, dopo essersi assicurata che stesse bene.

L’amica non aveva pensato neanche per un secondo che poteva essere caduta da sola, Emily glielo leggeva in faccia.

Suo malgrado scosse la testa. Non aveva visto nessuno in particolare, però riusciva a pensare solo a un possibile colpevole. Rivolse lo sguardo a Cecil, trovandolo pensieroso.

“Sono certa che sia stato William Baxter. Alla cena del Lumaclub faceva da cameriere e io l’ho preso in giro, si è arrabbiato molto. So che non avrei dovuto farlo, ma è stato uno dei momenti più soddisfacenti di sempre,” ammise, sbuffando perché quel piccolo sfogo le si era ritorto contro.

“Non dovevi provocarlo!” la rimproverò il ragazzo, spiazzato.

In effetti, lei non aveva ancora raccontato agli amici di quell’episodio, preferendo tenerlo per sé, ecco perché li aveva sorpresi entrambi.

“Lo so,” rispose abbassando lo sguardo.

Ora si rendeva conto di aver fatto una cosa davvero stupida.

“Non tornare più lassù da sola,” si raccomandò Blue, al che Emily annuì.

Senza contare le lezioni, sarebbe andata sulla torre di astronomia solo con Cecil, come aveva sempre fatto. Non voleva certo offrire a Baxter una seconda possibilità per farle del male, ora che aveva scoperto il suo posto segreto.

 
Grazie alle pozioni miracolose dell’infermeria, Emily ci mise poco più di una settimana a tornare in sesto. Quando poté uscire da lì tirò un sospiro di sollievo e si affrettò a raggiungere la sua stanza per prendere i libri di testo.

Studiare le era mancato, che fosse a lezione o in biblioteca con gli amici. Per fortuna si era sempre portata avanti, quindi non era rimasta indietro davvero, ma si impose di recuperare il suo solito ritmo.

Un pomeriggio, dopo le lezioni, si ritirò nella sala comune di Serpeverde. Blue e Cecil avevano entrambi da fare, perciò aveva dato appuntamento a Patricia lì per un ripasso di pozioni. Avevano anche dei compiti e si erano accordate per farli in compagnia.

Qui, al suo stesso tavolo, trovò anche Nathan e Ana. Inaspettatamente i due non si erano messi insieme dopo il ballo di Natale, anzi sembrava che fossero solo amici. Comunque Emily li credeva una bella coppia, perciò si aspettava che facessero “il grande passo” da un momento all’altro.

Anche Ana aveva bisogno di una mano con pozioni, quindi Emily aiutò Patricia e a lei ci pensò Nathan. Studiarono rimanendo allo stesso tavolo e chiacchierando tra un argomento e l’altro.

“Senti Lewis, ho saputo che tra due settimane ci sarà un’altra cena del Lumaclub,” le disse Nathan, con fare disinteressato. “Potremmo andarci insieme se per te va bene.”

La sua proposta la spiazzò, così come il fatto che glielo avesse chiesto davanti ad Ana. La ragazza non sembrava turbata, ma magari stava solo facendo finta per salvare le apparenze.

Emily avrebbe accettato volentieri pur di non andare da sola come l’ultima volta, a farsi infastidire da qualcuno dei presenti, ma aveva altri piani.

“Pensavo di invitare Cecil, a dire il vero,” ammise.

“Intendi il tuo amico Grifondoro?” le chiese Patricia, curiosa, e lei annuì.

“Sì, quel tipo con i capelli lunghi che sembra una femmina,” commentò piccato Nathan.

“Ehi, non sono poi così lunghi e si capisce benissimo che è un ragazzo,” ribatté Emily, risentita.

“Scusa tanto,” si affrettò a dire lui, che però non sembrava dispiaciuto davvero. “Non so proprio cosa ci troviate nei Grifondoro, tu e gli altri che perdono tempo con loro.”

Emily strinse i pugni. Stava iniziando a offendersi, ma cercò di trattenersi perché credeva che il suo non fosse del vero odio, ma solo il suo modo pungente di scherzare.

In ogni caso, non erano stati i Grifondoro a ignorarla, a insultarla e a farla finire in infermeria dopo svariati tentativi di ferirla.

Emily era grata a Cecil per non averla mai abbandonata malgrado tutto, e per averla guidata nei suoi primi passi nel mondo magico.

Per lei il loro rapporto era molto importante e non avrebbe permesso a nessuno di infangarlo!

“Invece non c’è niente di male nel passare del tempo con i Grifondoro, ma nemmeno con i Tassorosso e con i Corvonero. Fino a prova contraria, siamo noi Serpeverde gli stronzi che discriminavano gli altri, e che in guerra stavano dalla parte sbagliata,” dichiarò stringendo i pugni, accorgendosi solo dopo delle parole che aveva usato.

Altro che trattenersi.

“Scusate, ho esagerato…” aggiunse, abbassando lo sguardo. “Io sono pure una nata babbana, quindi non posso capire…”

Dopo averlo detto si sentì terribilmente in difetto. Non solo era una Serpeverde, ma era anche una sanguemarcio, come le avevano ricordato più volte. Perché Cecil perdeva il suo tempo con lei? Se lo chiese e sentì gli occhi pizzicare.

Ana le mise una mano sulla schiena in un gesto di conforto al quale si unì subito anche Patricia.

“Stai dando troppa importanza a queste cose,” le disse quest’ultima.

“Già. E Brooke scherza, non prenderlo troppo sul serio,” aggiunse la bionda.

Il diretto interessato non commentò, ma sembrava che la reazione di Emily lo avesse spiazzato.

“Scusate davvero…” ripeté lei, ora più calma. “Sia chiaro, non ce l’ho con voi. Riprendiamo a studiare, vi va?”

“Certo che tu pensi solo a quello!” esclamò Ana divertita, spezzando la tensione che si era creata.

Un’oretta dopo le due ragazze erano stanche, perciò Emily si ritirò nella loro camera. Aveva preso in prestito dei libri dalla biblioteca e intendeva leggerne uno stando da sola. Inaspettatamente, però, le compagne di stanza la raggiunsero, forse ancora preoccupate per lei.

“Tu non sei contenta di essere una Serpeverde?” le chiese Patricia, con fare esitante e un’espressione dispiaciuta sul viso.

“Non molto, a dire il vero. Al primo anno nessuno della nostra casa mi parlava, alcuni mi trattavano male o sparlavano di me, e quelli delle altre case mi guardavano con diffidenza,” sospirò. “Avrei preferito essere smistata con i miei amici… ma immagino che il cappello parlante sapesse cosa stesse facendo.”

“Ti sei accorta che noi Serpeverde siamo meno degli altri? La differenza è minima, ma se ci pensi si nota proprio. È per via della guerra, ormai è passata ma ha lasciato il segno. Non tutti i ragazzi di famiglie purosangue, Serpeverde da generazioni, si sono iscritti a Hogwarts,” sottolineò Ana.

“Già, e poi penso che gli idioti ci siano in ogni casa. Noi siamo solo più diretti... e più subdoli se lo riteniamo necessario,” aggiunse Patricia, quasi a volersene vantare.

“Avete ragione ragazze. Scusate davvero per la mia reazione di prima, non so cosa mi sia preso.”

“Non ti preoccupare, basta che non lo dici a nessun altro. Noi tre siamo a posto, ma qualcuno della nostra casa ha i genitori ad Azkaban da quando la guerra è finita. Che vogliano seguire i loro passi o meno, è meglio che non sentano quello che pensi. E poi, dovremmo scusarci noi… al primo anno eravamo tra quelli che ti ignoravano,” ammise Ana.

Patricia annuì.

“Io però credo di aver capito perché ti sei arrabbiata prima. Si parlava del tuo amico Grifondoro, è un argomento taboo?” domandò la rossa accennando un sorriso.

Emily si sentì le guance calde. Era così palese che le piacesse?

“Ma no, cosa dici? Io sono protettiva con tutti i miei amici!” si difese, colta sul fatto.

“Ah sì?” insistette Patricia, divertita.

 
Come previsto da Nathan, qualche giorno dopo Emily ricevette l’invito alla successiva cena del Lumaclub. Si sarebbe tenuta la settimana successiva, perciò lei avrebbe avuto il tempo di comprare un altro vestito ad Hogsmeade. Non le interessava molto degli abiti e delle formalità, ma all’ultima cena si era sentita in difetto e non solo perché era da sola.

Tutti erano ben vestiti, venivano da famiglie interessanti e andavano dritti verso il loro obiettivo. Emily non sapeva ancora quale fosse il suo, ma avrebbe fatto almeno il minimo indispensabile per fare una bella figura. Inoltre quella volta avrebbe fatto di tutto per andarci con Cecil.

Lo invitò mentre erano seduti ai Tre Manici di Scopa a bere una burrobirra.

“Va bene,” accettò lui, rigirandosi tra le mani il suo boccale con fare agitato. “Cosa devo aspettarmi dalla serata?”

“Se sarà come la prima, un mucchio di studenti con ottimi voti o bravi nel quidditch, senza contare i loro accompagnatori. Un buffet, dei compagni vestiti da camerieri e Lumacorno che fa domande a tutti, per conoscerli meglio.”

Cecil non disse niente, ma sembrava ancora meno tranquillo.

“Non sarà come in classe, l’ho visto parlare singolarmente con noi studenti, oppure con piccoli gruppi,” precisò, sperando di riuscire a rassicurarlo.

Lui sbuffò e bevve un sorso della sua bevanda, poi annuì come per dirle che aveva capito.

“Sai, sono davvero felice che ci andremo insieme. La volta scorsa ero da sola e non è stato molto bello…” aggiunse, abbassando lo sguardo.

Non aveva dimenticato tutti i momenti spiacevoli di quella serata, anche se il meraviglioso istante in cui aveva visto William Baxter vestito da cameriere era ancora un ricordo memorabile.

“Prima di tornare a scuola devo comprare un vestito, ma non c’è bisogno che tu venga con me,” cambiò discorso.

“No, vengo anche io, tanto non ho altro da fare.”

Finirono di bere e si incamminarono verso il negozio di abbigliamento elegante che si trovava lì vicino. Una volta dentro, Emily si rese conto della situazione e si sentì in imbarazzo. Stava facendo shopping e Cecil era con lei.

Cercò di non pensarci, concentrandosi sulla scelta del suo abito.

Non ci capiva molto senza Blue a darle consigli, ma era convinta di volere qualcosa di semplice e presto lo trovò. Era un vestito nero che le arrivava di poco sotto alle ginocchia, con lo scollo a barca e anche le spalline. Poi trovò un golfino da abbinarci, apposta per non permettere che si ripetesse la brutta esperienza della volta precedente.

Avvisò Cecil che andava a cambiarsi e sparì oltre la parete che delimitava i camerini. Si tolse la divisa e indossò velocemente il suo abito, che le fasciava il corpo in modo morbido. Era elegante, ma sobrio. Il golfino che aveva scelto, invece, era sempre nero ma era tempestato di piccoli brillantini. Si chiudeva con un solo bottoncino sul davanti, in alto, coprendo perfettamente quel poco di petto che lo scollo lasciava intravedere.

Tirò un sospiro di sollievo, soddisfatta di aver trovato il vestito giusto al primo colpo. Non aveva pensato alle scarpe, ma sapeva di avere già un paio adatto.

“Emily, tutto okay lì dentro?”

Sobbalzò, era Cecil che la chiamava dal fondo del corridoio.

Lei scostò di poco la tendina per sporgersi a guardarlo.

“Sì, ho fatto. Scusa se ci ho messo un po’, adesso mi rimetto la divisa.”

“Posso vederlo?” le chiese Cecil dopo un attimo di esitazione. “Il vestito che hai scelto, intendo.”

“Ah, sì…” rispose Emily, accorgendosi che le tremava la voce.

Imbarazzata, uscì dal camerino e fece un giro su se stessa. Voleva essere un modo per sdrammatizzare, ma servì solo a farla sentire stupida.

“Bello, ti sta bene.”

Emily ebbe il coraggio di guardarlo in faccia e si accorse che stava accennando un sorriso. Lui l’avvisò che l’avrebbe aspettata vicino alla casa, così poté finalmente richiudersi nel camerino, lontano dalla sua vista.

Il cuore le batteva all’impazzata e la sua immagine allo specchio parlava chiaro su cosa provasse, infatti aveva le guance colorate da un timido rossore e gli occhi lucidi. Sperava solo che il suo amico non se ne fosse accorto.

Si sbrigò a cambiarsi e prese un respiro profondo prima di tornare da lui e andare a pagare.

 
La sera fatidica arrivò più in fretta del previsto ed Emily si ritrovò a prepararsi con il cuore in gola. Non riservò particolare attenzione ai capelli, che pettinò giusto perché fossero in ordine, ma si truccò in modo leggero con eyeliner e mascara come le aveva insegnato Blue.

Anche Ana si stava preparando, segno che alla fine Nathan aveva invitato lei. Dato che ormai era pronta, Emily salutò la compagna di stanza e uscì, diretta all’aula di pozioni fuori dalla quale si era data appuntamento con Cecil.

Trovò il ragazzo già lì che l’aspettava e gli si avvicinò con il cuore che le martellava nel petto. Non accennava proprio a calmarsi, quella sera. Era un po’ come se stessero andando a un appuntamento, ma sapeva che si trattava solo di una sua illusione.

Cecil aveva indossato un completo nero molto semplice ma elegante, forse lo stesso del ballo. In ogni caso, stava benissimo.

“Ciao,” lo salutò lei, senza osare avvicinarsi troppo.

Lui ricambiò il saluto sollevando una mano, mentre l’altra la teneva nella tasca dei pantaloni.

“Vieni, è da questa parte,” gli disse, facendogli strada.

La saletta dove si tenevano le cene del Lumaclub non era poi così distante, ma arrivarci fu una lenta e piacevole tortura. Emily era così felice di andarci con lui che avrebbe potuto piangere di gioia.

Quando arrivarono a destinazione lei iniziò a sentirsi tesa come la volta precedente.

“Ragazzi!” esclamò qualcuno, accogliendoli sulla porta.

Emily non poteva crederci, era Blue in abiti da cameriere! Indossava un completo maschile bianco ed elegante, come tutti gli altri studenti che servivano durante quell’evento.

“Blue!” la salutò, sorpresa.

“Ma tu che ci fai qui?” le chiese Cecil.

“Ehm, diciamo che avevo voglia di rendermi utile,” dichiarò con un sorriso che voleva nascondere il suo imbarazzo.

Proprio in quel momento accanto a loro passò Julie Butler, anche lei vestita da cameriere, e Blue la salutò con un cenno della mano come se niente fosse.

Rendersi utile, certo… pensò Emily.

“Ma come siete belli vestiti eleganti. Emily, sei uno schianto!” continuò la Tassorosso, cambiando discorso. “Cecil, a te manca un piccolissimo dettaglio, ma posso rimediare io.”

Prese da uno scaffale vicino un fazzoletto di stoffa pulito e, armandosi di bacchetta, pronunciò un incantesimo. La stoffa cambiò colore diventando nera e piena di piccoli brillantini. Emily pensò che fosse identica al golfino che lei aveva addosso quella sera.

Blue ripiegò in modo ordinato il fazzoletto e lo mise nel taschino della giacca di Cecil, che glielo lasciò fare osservandola sorpreso.

Adesso, grazie a lei, sembrava che avessero scelto di vestirsi così per essere abbinati! Emily, ancora più felice, pensò che adorava quella ragazza.

“Ora sì che ci siamo, siete davvero stupendi!” dichiarò, soddisfatta. “Adesso devo scappare, altrimenti Lumacorno si accorge che sono qui a perdere tempo! Voi divertitevi, mi raccomando,” disse e si dileguò oltre una porta prima ancora che potessero ringraziarla.

Emily e Cecil si scambiarono un’occhiata sorpresa e un sorriso imbarazzato prima di decidersi a raggiungere gli altri, l’uno al fianco dell’altra.

La sala era arredata come la volta precedente, in un modo accogliente che però non riusciva a mettere Emily del tutto a suo agio. Qua e là riconobbe gli stessi studenti di quella volta, con alcuni aveva pure scambiato due parole. Ora però era tutto diverso perché con lei c’era Cecil.

Lumacorno li notò e diede loro il benvenuto. Un attimo dopo, per non mischiarsi troppo alla folla, si ritirarono in disparte a prendere qualcosa da mangiare. A Emily era parso che Cecil fosse un po’ a disagio.

“Va tutto bene?” gli chiese, prendendo un bicchiere per lui e uno per sé.

“Sì, solo che è tutto così strano. Non sembra nemmeno di essere a Hogwarts, ma in giro ci sono i professori,” le disse.

“Vero, sembra strano anche a me. Questi eventi mi rendono sempre un po’ tesa… Oh, vieni con me che ti faccio vedere una cosa.”

Emily lo condusse fino a un camino sopra al quale erano state esposte diverse foto. Quell’angolo le era saltato all’occhio anche al primo incontro, ma lo aveva osservato solo brevemente e da lontano.  
Le cornici racchiudevano le immagini di ex studenti fotografati in gruppo, o ritagli di giornale che li riguardavano per via di qualche merito ottenuto dopo Hogwarts.

“Il professore ce ne ha parlato l’altra volta. Qui mette le foto degli studenti di cui va fiero, che facevano parte del Lumaclub.”

Cecil annuì con aria pensierosa.

“E tu ambisci a finire su questa mensola?”

Emily lo fulminò con lo sguardo, spiazzata, poi tornò a guardare le cornici.

“Non ci avevo nemmeno pensato in realtà…” confessò, rendendosene conto in quel momento.

Era quello che voleva? Se lo chiese, ma in verità non era certa di niente riguardo al suo futuro.

“Ehi Emily!”

Sentendosi chiamare, si voltò e vide Ana che la stava raggiungendo. Indossava un abito sui toni dell’argento e al suo fianco c’era Nathan.

“Ciao ragazzi,” li salutò, poi si accorse che non aveva ancora avuto l’occasione di fare le presentazioni. “Lui è il mio amico, Cecil Berrycloth,” disse quindi.

“Nathan Brooke,” si presentò il Serpeverde, brevemente.

“Io sono Ana Celery. Emily mi ha parlato tanto di te.”

La diretta interessata sgranò gli occhi, colta alla sprovvista, al che la sua amica scoppiò a ridere.

“Scherzo, scherzo! Non fare quella faccia,” si affrettò a dire, prendendola a braccetto per portarla via con sé.

Emily gettò un’occhiata confusa a Cecil che era rimasto indietro con Nathan.

“Cosa sta succedendo?” chiese ad Ana, che si fermò solo quando ebbero raggiunto il buffet.

“Niente. Volevo solo chiederti, secondo te, cosa ne pensa Nathan di me. Sono mesi che gli giro intorno, ma lui mi dà segnali contrastanti.”

“E ti serve saperlo in questo momento?” le chiese, preoccupata.

Quando si guardò indietro di nuovo notò che i due ragazzi erano stati avvicinati da Lumacorno e ci stavano parlando come se niente fosse. Emily sperò che Cecil non fosse troppo a disagio.

Tornò concentrata sulla sua amica che adesso si stava scolando un bicchiere di analcolico.

“Confesso che al ballo di Natale pensavo che foste una coppia ormai,” le disse, avvicinandosi di più al tavolo per prendere qualcosa a sua volta.

“Anche alla prima cena del Lumaclub sembravate molto in sintonia. Insomma, secondo me è solo questione di tempo.”

“Io non ne sono così sicura,” ribatté Ana con un sospiro. “Mi sono fatta bella per quel cretino, ma non ha battuto ciglio… E poi all’inizio aveva invitato te!”

“A me non interessa Nathan, se è questo che temi,” sottolineò, sollevando le mani in segno di resa. “Magari mi avrà vista a disagio la prima volta, quindi me l’ha proposto per gentilezza.”

Ana sollevò un sopracciglio.

“Per gentilezza? Non è proprio il tipo che fa qualcosa in modo disinteressato,” ribatté, poi si infilò una minuscola tartina in bocca.

“Allora lo ha fatto per farti ingelosire,” ipotizzò Emily.

“Mmh, sì, questo mi sembra più sensato. Quindi dici che ho qualche possibilità?”

“Decisamente. State molto bene insieme, davvero,” la rassicurò.

“Di cosa parlate, ragazze?”

Emily alzò lo sguardo per vedere il viso di Boderick Bound, troppo vicino al suo per i propri gusti. Inoltre aveva messo le sue mani viscide sulle spalle di entrambe. In quel momento fu felice di essersi coperta lo scollo con il golfino, anche se felice era una parola grossa.

Sì, perché aveva comunque addosso gli occhi a raggi x di Boderick, insistenti e fastidiosi quanto lui se non di più.

“Uhm, io devo scappare, il mio ragazzo è lì che mi sta aspettando,” si affrettò a dire Ana, riuscendo a sottrarsi al suo tocco per scappare via, abbandonandola lì.

Emily strinse i denti, messa ancora più a disagio dal comportamento dell’amica. Doveva tirarsi fuori da quella situazione da sola.

“Anche io sono qui con qualcuno, quindi dovrei…”

“Sei sempre di fretta quando mi vedi, Emily,” sottolineò lui con un sospiro. “Arriverà mai il momento di Boderick?” domandò con fare melodrammatico.

Lei strabuzzò gli occhi.

“Se vuoi proprio saperlo, no. Mi dispiace ma non sei il mio tipo,” si decise a dire, stanca di doverci avere a che fare.

E poi, perché un tipo come lui era stato invitato a unirsi al Lumaclub? Emily se lo chiese, trovando improbabile che eccellesse in qualche materia. Certo, se la cavava bene nei duelli, ma l’asticella di Lumacorno non poteva essere davvero così bassa.

Sentendo le sue parole, il ragazzo le tolse la mano dalle spalle ma non si allontanò.

“Cosa posso fare per farti cambiare idea sul mio conto?” insistette.

“Rinunciare. Davvero, è qualcosa che non mi aspetto ma che gradirei molto.”

Boderick ridacchiò.

“Mi conosci bene,” dichiarò.

Aveva allungato l’altra mano nella sua direzione quando Cecil comparve al suo fianco e le avvolse la vita con un braccio. Il gesto bastò a farlo allontanare di un passo e a dissuaderlo dal fare qualsiasi cosa.

“Cecil…” disse lei, sorpresa e sollevata ora che lui era intervenuto in suo aiuto.

“Non tornavi e quindi sono venuto a cercarti,” spiegò, con un tono dolce che la fece arrossire.

Boderick parve accorgersi dei loro abiti abbinati, perché passò lo sguardo da lei a lui e viceversa.

“Ho capito, non è la mia serata,” dichiarò, quindi si fece da parte.

Ancora stretta a Cecil, lo seguì in un punto più tranquillo della sala.

“Va tutto bene?” le chiese una volta che furono in disparte, togliendo il braccio dalla sua vita.

Emily sentì improvvisamente freddo al fianco e desiderò che tornasse a stringerla in quel modo, ma non lo disse e lui non si mosse.

“Sì, era solo quell’idiota ottuso di Boderick,” rispose e sbuffò.

“Anche al ballo ti ha infastidita… Non era la prima volta?” chiese, accigliato.

“No, e questa non sarà certo l’ultima. L’ho respinto almeno in cinque occasioni dopo la scorsa cena del Lumaclub,” rivelò.

Non glielo aveva detto prima perché non era qualcosa di cui voleva parlare con Cecil.

Il ragazzo annuì e si fece pensieroso all’improvviso. Fu solo un istante, però, perché Lumacorno li costrinse a socializzare raggiungendoli. Nel corso della serata risposero alle sue domande, ascoltarono i suoi consigli e chiacchierarono con altri studenti.

Purtroppo non ebbero più modo di parlare con Blue perché la ragazza correva di qua e di là indaffarata.

Inoltre non c’era Baxter a fare da cameriere. Anche se l’ultima volta che si erano visti non era stata delle migliori, perché Emily era convinta che fosse stato lui a spingerla dalle scale della torre di astronomia, se ne dispiacque. Rivederlo in quelle vesti sarebbe stata la ciliegina sulla torta della serata.





Note di quella che scrive

I capitoli mi sembrano sempre belli consistenti quando li scrivo o li correggo, ma una volta caricati qui li vedo più corti di quanto credessi... Per voi come sono?

Comunque approfitto di questo spazio per ringraziare chi ha messo la storia nelle seguite/preferite/ricordate, chi recensisce e anche chi legge silenziosamente. Grazie davvero! Vedo che ci siete e mi incoraggiate ad aggiornare senza far passare troppo tempo.

A presto!

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


CAPITOLO 12

 


“Lewis, per caso hai già fatto il compito di erbologia?”

Emily alzò lo sguardo dal libro e annuì, sospettosa.

Si trovava nella sala comune di Serpeverde a studiare, in un momento in cui Cecil e Blue erano a lezione. La ragazza che le aveva rivolto la parola, Genista Mason, se la faceva con il gruppo di studenti che una volta l’avevano cacciata da quella stessa sala dicendole che lì non era la benvenuta.

“Allora potresti farmici dare un’occhiata? Domani abbiamo lezione e oggi non ho proprio tempo di farli…” le disse con un tono melenso che non le aveva mai rivolto prima.

“Gira a largo, Mason. Lewis non fa copiare i compiti a nessuno, nemmeno ai suoi amici,” intervenne Ana, acida.

Genista le rivolse un’occhiataccia.

“Beh, magari al giusto prezzo…” insistette.

“No, non è nel mio stile. Però posso aiutarti a studiare.”

“Lascia perdere,” ribatté la compagna schioccando la lingua, mentre già se ne andava in direzione della porta.

“Non è nel mio stile?” ripeté Patricia, divertita, ed Emily le rivolse un sorriso appena accennato prima di tornare con lo sguardo sul libro.

“Incredibile, Anastasia Celery ha appena difeso qualcuno,” sottolineò Nathan in tono canzonatorio, attirando la loro attenzione su Ana.

“Ogni tanto anche a me va di essere buona, soprattutto se implica essere cattiva con Genista Mason,” rispose la ragazza, rigirandosi una ciocca di capelli biondi tra le dita.

“Beh, grazie per aver parlato in mio favore,” le disse Emily. “E comunque è il caso che vi abituiate a chiamarmi per nome, perché qualche volta non lo fate e per me è molto strano. Persino quei viscidi che ci provano con me lo fanno, quindi non vedo perché i miei amici non dovrebbero.”

“Ehi ehi, è troppo improvviso,” rispose Ana, fingendosi confusa.

A lei venne da ridere.

“Dico sul serio, non voglio più che mi chiamate per cognome. A me farebbe piacere sentirmi chiamare solo Emily.”

Lei li aveva sempre chiamati per nome perché lo trovava naturale, mentre loro qualche volta usavano ancora il suo cognome.

“A proposito di tutti quelli che vorrebbero uscire con te, com’è che non hai ancora il ragazzo?” le chiese Patricia.

“L’ho già detto, perché i ragazzi con cui ho avuto a che fare sono tutti viscidi. Senza offesa Nathan, non mi riferivo a te.”

“Figurati. Io me ne vado, i vostri discorsi al femminile mi fanno venire la nausea,” annunciò, quindi chiuse il libro di incantesimi e andò a sedersi su un divanetto, dove si trovavano alcuni suoi amici maschi.

“Ecco un tipo che non è affatto viscido,” dichiarò Patricia, abbassandosi sul naso gli occhiali da lettura.

Nella sala era appena entrato Ruphus Blackbell, del quarto anno.

“Guardate quanto è bello…” continuò la rossa, in adorazione.

“Ti piacciono i ragazzi più grandi?” le chiese Emily, sorpresa.

“A tutte piacciono, soprattutto se si tratta di ragazzi belli quanto lui,” continuò Patricia, che non gli aveva ancora staccato gli occhi di dosso.

“Quello che la qui presente Patricia Ward sta cercando di dire è che potresti puntare in alto,” intervenne Ana.

“Beh, ma io non sono interessata. Perché stiamo parlando di questo, non possiamo tornare a studiare incantesimi?” si lamentò Emily, a disagio.

“Se proprio ci tieni, facci rivedere come si fa quell’incantesimo di prima,” le chiese Patricia.

Emily annuì e lanciò depulso su un candelabro spento che avevano sul tavolo, il quale si ruppe in diversi pezzi. Dopo lanciò reparo e lo fece tornare alla sua forma originale.

“Forza, provate voi adesso. Se vi capitasse di duellare con qualcuno, con depulso potrete respingere il vostro avversario,” spiegò, per incoraggiarle.

 
Qualche giorno dopo Emily si stava affrettando a raggiungere l’aula del club dei duellanti quando, girando l’angolo, finì addosso e qualcuno e cadde per terra.

“Stai bene?” le chiese.

Per sua sorpresa si trattava proprio di Ruphus Blackbell, il ragazzo che piaceva alla sua amica Patricia. Le offrì una mano per aiutarla a rimettersi in piedi e lei l’accettò.

“Sì, scusami ero di fretta. Anzi sono di fretta. Ciao!” lo salutò e riprese a correre.

L’anno scolastico stava quasi per giungere al termine e niente era cambiato per Emily. Non vedeva quasi più Blue perché la ragazza cercava di stare sempre con Julie. Quando riuscivano a stare insieme, poi, aveva costantemente la testa altrove.

In quanto a Cecil, si vedevano spesso ma lui non le dava segnali positivi, perciò Emily non intendeva ancora rivelargli i suoi sentimenti. Se lo avesse fatto sarebbe stato un disastro, ne era certa. La loro amicizia sarebbe stata in pericolo perciò lei non avrebbe rischiato, non ancora.

In compenso di ragazzi che le rivolgevano la parola ce n’erano tanti. Qualcuno provava a invitarla a uscire o a passare del tempo insieme lì nel castello con una scusa, qualcun altro si limitava a farle l’occhiolino o a guardarla insistentemente. Erano soprattutto studenti più grandi, ma alcuni erano anche del suo anno.

Solo a pensarci si sentiva ribollire il sangue nelle vene per il fastidio. Quando arrivò al club, in ritardo malgrado la corsa, il professor Brodie le chiese se voleva duellare per prima. Lei accettò e salì sul palchetto, ancora con il respiro corto.

Come sfidante si propose quel viscido di Boderick Bound, perciò Emily sperò di riuscire a sfogare la sua frustrazione su di lui. Si avvicinarono per farsi un inchino al centro del palco, come volevano le regole.

“Che ne dici di una scommessa, Emily Lewis?” le sussurrò lui, in modo che gli altri non lo sentissero. “Se vinco io uscirai con me e farai tutto quello che ti chiedo per una sera.”

Solo a sentirlo, ad Emily vennero i brividi.

Piuttosto mi faccio espellere da Hogwarts, pensò.

“E se vinco io che fai, mi lascia in pace definitivamente?” ribatté, infastidita.

“Si può fare, perché no.”

“Non voglio scommettere,” puntualizzò, stringendo più saldamente la presa sulla bacchetta.

La posta in gioco era troppo alta.

“Cosa c’è, hai paura?”

Emily strinse i denti.

“Ti faccio vedere io chi dovrebbe avere paura,” ribatté, quindi tornò in posizione.

Il ragazzo aveva un sorriso furbo stampato sulla faccia e lei non vedeva l’ora di fargli cambiare espressione a suon di incantesimi.

Si concentrò e prestò la massima attenzione alla sua bacchetta e al suo viso, intenzionata a permettergli di iniziare per primo.

“Protego!” esclamò, appena in tempo per parare la fattura di Boderick.

Continuò a difendersi per i secondi successivi, aspettando il buon momento per contrattaccare. Quando finalmente lo trovò, si affrettò a lanciare un immobilus ma lui lo parò in tempo.

Allora provò con un’altra strategia. Finse di lanciare un riktusempra ma poi eseguì in fretta un altro gesto riuscendo a sorprendere il compagno e a schiantarlo contro la parete.

Tirò un sospiro di sollievo. A questo punto non si aspettava che il ragazzo rispettasse davvero ciò che avevano stabilito con la loro scommessa, ma ci sperava molto.

Terminate le attività del club si affrettò a raggiungere Cecil, che la aspettava in fondo alle scale della torre di astronomia. Il ragazzo la vide di cattivo umore, perciò insistette perché lei gli raccontasse cosa fosse successo.

Alla fine Emily dovette vuotare il sacco e, suo malgrado, gli raccontò della scommessa fatta con Boderick. L’aveva vinta perciò poteva dirsi tranquilla, ma il fastidio provocato dalle sue parole le era rimasto addosso.

Cecil sgranò gli occhi, sconvolto.

“Perché hai accettato una scommessa del genere?”

“Non volevo farlo, ma è stato più forte di me. Volevo togliergli quel sorrisetto dalla faccia,” ammise.

“Poteva vincere lui! Non ci tieni a te stessa?”

Emily si sentì ferita.

“Non avrei mai fatto ciò che voleva, mai. Piuttosto sarei andata a parlarne con la McGranitt, con Lumacorno o persino con un prefetto di Grifondoro!” esclamò, offesa. “E comunque sono più furba di lui, oggi gliel’ho dimostrato.”

“Non mi sembri tanto furba visto che sei stata al suo gioco,” insistette Cecil. “Pensavo che non volessi abbassarti al livello di chi ti infastidisce.”

“È vero, ma tu non puoi capire come mi sento! Forse sono stanca di tutti quelli che mi infastidiscono ogni giorno, di Baxter che mi spinge giù dalle scale e di Bound che mi guarda come se fossi un pezzo di carne!” sbottò, alzandosi in piedi per andarsene.

Aveva urlato contro Cecil e se ne era già pentita, ma era sull’orlo delle lacrime e non voleva farsi vedere così da lui.

Era vero ciò che aveva detto, cioè che lui non poteva capire. Al primo anno lo avevano preso di mira ed Emily era intervenuta per aiutarlo. Al secondo se la prendevano con lui solo se erano insieme, quasi a volerli punire entrambi in un colpo solo.

Adesso che erano al terzo, invece, Cecil poteva andarsene in giro tranquillo mentre lei doveva tenere la guardia alta per non finire male. Se non c’erano Baxter e Napier, allora c’erano Bound e tutti gli altri viscidi che non si davano per vinti. Per non parlare di quei Serpeverde che ancora la guardavano male per via delle sue origini, o di altri studenti che la disprezzavano non appena notavano i colori della sua divisa.

Lei era perfettamente capace di difendersi, eppure non poteva stare tranquilla. Nemmeno lì, in cima alla torre di astronomia insieme al suo amico, non si sentiva tranquilla a causa di chi l’aveva spinta giù dalle scale. Invece Cecil, che probabilmente non sapeva niente di duelli se non ciò che aveva sentito da lei, era fuori pericolo.

Era iniziato tutto per lui, perché Emily non voleva che gli facessero del male. Aveva persino paura che lo aggredissero quando lei non era presente, tanto che lo cercava con impegno quando sapeva che non aveva lezione.

Ed era felice così, le andava bene che lo avessero lasciato in pace perché era quello che Emily voleva davvero, ma per qualche motivo lei c’era ancora dentro fino al collo, attaccata su più fronti.

“Emily!” la chiamò lui, che la stava seguendo giù per le scale.

“Cosa vuoi adesso, devi farmi la ramanzina su qualcos’altro?” gli urlò, pentendosene subito.

“No, mi hai frainteso! Sono solo preoccupato per te.”

Emily si fermò, fece un respiro profondo per ricacciare indietro le lacrime e si voltò verso di lui. Probabilmente aveva gli occhi arrossati, ma non le importava.

“Farmi sentire una stupida non è il modo migliore per dimostrarlo,” puntualizzò, mettendosi a braccia conserte.

Stava per riprendere la sua discesa quando lui annullò la distanza che li separava abbracciandola. La strinse forte a sé e in quel momento Emily pensò davvero che sarebbe scoppiata a piangere per tutto il nervoso accumulato, ma si trattenne con tutte le sue forze.

“Non pensavo che stessi così male, che fosse tutto così pesante. Te lo sei tenuto dentro… Non farlo mai più, voglio che ti sfoghi con me da adesso in poi.”

Emily si aggrappò alle sue spalle e lo strinse a sua volta. Con il viso nell’incavo del suo collo respirò il suo profumo dolce, forse dello shampoo che usava.

“Va bene,” si lasciò scappare.

Sapeva che sarebbe stata dura raccontargli certe cose, perché non voleva farsi vedere debole proprio da lui. Però sapeva che lui aveva ragione, si era tenuta tutto dentro finché non era scoppiata.

Normalmente ne avrebbe parlato con Blue, ma la ragazza non era mai disponibile.

Sospirò, ancora stretta al suo amico. Sarebbe stato difficile, ma almeno ci avrebbe provato.

Gli ultimi mesi dell’anno trascorsero pieni di impegni come al solito, ma Emily si impose di assumere un atteggiamento diverso. Con chi ci provava, fece prevalere la sua parte Serpeverde rifiutandoli subito con dei “no” secchi. Niente più mezze misure.

Al club dei duellanti si diede da fare più del solito con l’intenzione di diventare forte davvero, perché gli obiettivi che aveva raggiunto non le bastavano. Decise anche che non avrebbe mai più provocato i suoi bulli, se si fosse presentata l’occasione. Comunque sperava che, vedendo quanto era furba e brava con gli incantesimi, la facessero finita una buona volta.

Anche se si sentiva una persona terribile a trattare freddamente chi cercava di avvicinarla, la sua quotidianità migliorò davvero.

Non dimenticò di dedicarsi anche allo studio delle diverse materie e continuò ad aiutare i più piccoli con incantesimi, come le aveva chiesto Flitwick. Il professore era molto felice di come si stesse impegnando in quell’attività, perciò le assegnava sempre dei meritatissimi punti.

Altri momenti felici furono quelli alle partite di quidditch. Per quanto ancora non ci capisse molto, era felice di passare del tempo con Cecil in un clima di entusiasmo che nessuno osava rompere con pensieri negativi.

Qualche volta in queste occasioni riusciva a vedere anche Blue, sempre presente sugli spalti perché Julie Butler era nella squadra di Tassorosso.

All’esame finale Emily prese tutti Eccezionale e al banchetto di fine anno si sorprese nello scoprire che Serpeverde aveva vinto la coppa delle case. In parte aveva contribuito anche lei con i suoi risultati scolastici e questo la riempì di orgoglio.

Sull’Hogwarts Express per il ritorno a casa, Emily notò Blue da sola in una cabina. La raggiunse e scoprì che era in lacrime, disperata perché non avrebbe più visto Julie. Non le aveva rivelato i suoi sentimenti ed era felice del tempo passato insieme, ma ormai sentiva che non importava più niente.

Julie Butler era sul loro stesso treno, eppure Blue l’aveva già salutata ed era scappata via, sapendo che quella era l’ultima volta che si vedevano. Emily la strinse a sé e la consolò ascoltando i suoi lamenti implacabili.

Quando Cecil le trovò si preoccupò trovando l’amica in quella condizione, ma Emily gli chiese se potesse andare con gli altri Grifondoro, perché Blue aveva un problema di cui si poteva parlare solo tra ragazze. Fu comprensivo e le lasciò sole.

Emily sapeva che forse non sarebbe riuscita a rivederlo in stazione, data la folla che ci sarebbe stata, ma decise che non importava. Blue aveva bisogno di lei.





Note di quella che scrive

Due cosine riguardo a questo capitolo...

A volte nomino questo o quel personaggio, ma fanno solo "da contorno" comparendo qui o lì, in certe situazioni. Fanno parte del contesto (?), quindi sì nomino tante persone ma non tutte servono davvero. Tranne quelle che serviranno e che effettivamente torneranno! Questo per dirvi di non aspettarvi necessariamente che tutti questi studenti che nomino tornino in futuro.

Il terzo anno è terminato, e sì lo so che sto correndo... ma i protagonisti stanno crescendo e più avanti potremo soffermarci su altre cose più interessanti.

Tra l'altro mi rendo conto che questo è un capitolo corto, e col senno di poi avrei potuto soffermarmi di più sulla parte finale insieme a Blue... ma ormai è andata così, per stavolta spero potrete perdonarmi!

Per il resto lascio la parola a voi.
A presto!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


CAPITOLO 13



 
1° settembre 2006
 

Emily, entusiasta come suo solito in quelle occasioni, stava per prendere l’Hogwarts Express che l’avrebbe riportata a scuola. Prima, però, avrebbe rivisto i suoi amici.

Si erano dati appuntamento vicino al passaggio per arrivare al binario 9¾, così da non doversi cercare sul treno come al solito, ed Emily era arrivata per prima.

Aveva tante cose di cui parlare con loro e non vedeva l’ora di rivederli.

L’ultima volta che erano state su quel treno insieme, Blue le aveva riversato addosso tutte le sue lacrime, sfogando il dolore provato nell’aver dovuto dire addio a Julie. Quando si erano separate avevano entrambe gli occhi rossi dal pianto, perciò sperava tanto che adesso l’amica stesse meglio.

Si erano parlate molto nel corso dell’estate, ma senza mai vedersi, solo via gufo. Sapeva che la ragazza aveva aiutato sua madre con il negozio di famiglia, così facendo era riuscita a distrarsi almeno un po’.

Emily invece le aveva raccontato diverse cose, perché in effetti doveva aggiornarla sugli eventi di un anno intero, o quasi. Probabilmente non le aveva detto tutto, doveva per forza aver dimenticato qualcosa, invece di altro aveva scritto poco apposta per non tediarla.

Inoltre era certa che avrebbero avuto molto più tempo da quel momento in poi.

In quanto a Cecil, aveva scritto anche a lui durante le vacanze ma di argomenti molto più frivoli. Le novità della loro vita quotidiana, per esempio.

L’ultima volta che l’aveva visto, Cecil si era preoccupato per Blue ma loro non gli avevano detto niente. Lui non l’aveva presa benissimo, pur capendo che di certe cose avevano bisogno di parlare tra donne. Si era sentito escluso, e come biasimarlo?

Lui ed Emily avevano parlato anche di questo tramite lettera e lei aveva colto l’occasione per scusarsi. Non aveva però detto altro sull’accaduto, specificando che spettava a Blue decidere se condividerlo con lui o meno. Alla fine il ragazzo aveva rinunciato.

A Emily dispiaceva tenergli tutto segreto. Al suo posto, non sapeva come si sarebbe sentita. Comunque non era una sua scelta, perciò era certa che mantenere la bocca chiusa fosse la cosa più giusta da fare.

Stava pensando a ciò che avrebbe voluto dire agli amici quando li vide dirigersi verso di lei, entrambi spingendo il carrello con le loro valigie.

“Emily!” esclamò Blue, lasciando il suo per correre a stritolarla in un abbraccio.

Il povero carrello si schiantò contro una colonna, ma nessuno di loro lo degnò di uno sguardo.

“Mi sei mancata tantissimo,” ammise la ragazza, rivolgendole un sorriso raggiante.

Emily lo ricambiò, felicissima di vederla. Sembrava che Blue fosse risorta dalle sue ceneri, proprio come una fenice.

“Anche tu mi sei mancata,” le disse.

“Vi siete dimenticate di me?” domandò Cecil, divertito.

Non aspettò che Blue mollasse la presa su Emily per andare ad abbracciarla ance lui, stringendole entrambe.

Si era fatto più alto durante l’estate. Emily lo notò e si sentì in imbarazzo ad averlo così vicino, però era un imbarazzo bello.

“Siete arrivati insieme?” domandò, curiosa.

“Ci siamo incontrati un attimo fa,” rispose l’amica mentre recuperava il suo carrello.

Attraversarono il passaggio uno alla volta e raggiunsero il binario. Giunti qui, si affrettarono a caricare i loro bagagli e a salire sul treno.

Mentre camminavano in direzione di una cabina libera videro tante facce nuove, ma anche tante che già conoscevano. Presto poterono prendere posto e mettersi comodi.

Emily sbirciò fuori dal finestrino, poi rivolse lo sguardo agli amici.

“Che bello, il tempo passa ma noi ci troviamo sempre qui, ogni anno,” dichiarò, ricordando con nostalgia tutte le volte in cui era successo.

“Non proprio, l’anno scorso Blue non era con noi,” puntualizzò Cecil rivolgendole un’occhiata che voleva incitarla a parlare.

“Già, ma ti prego lasciamo perdere l’argomento. So che vuoi sapere cos’è successo, ma se e quando me la sentirò te lo dirò,” dichiarò la diretta interessata, rivolgendogli un sorriso tirato e carico di imbarazzo.

“Va bene, non insisterò. Però non farci più preoccupare, credevo che tu ed Emily avevate litigato e non volevate dirmelo.”

“Ma quando mai, non è possibile che io litighi con Emily!” esclamò Blue, divertita. “O forse dovrei dire che Emily litighi con me. Sono troppo un tesoro, come si fa?”

La sua battuta trasmise anche a loro tutto il suo ritrovato entusiasmo. Sembrava proprio felice di tornare a Hogwarts, questa volta senza pensieri.

“Io ed Emily invece abbiamo litigato una volta,” rivelò Cecil, al che Blue le rivolse uno sguardo sconvolto.

Teatralmente sconvolto, era una delle sue solite reazioni esagerate e molto comiche.

“Non me lo ricordare…” ribatté Emily coprendosi il viso con le mani per l’imbarazzo.

Quello non lo aveva raccontato nelle lettere a Blue, aveva preferito non ripensarci e anche non farglielo sapere.

“Eravamo sulla torre di astronomia e lei mi stava raccontando di aver fatto una scommessa pericolosa con Boderick borioso Bound, al che io mi sono arrabbiato,” disse a Blue, ignorandola.

“Ma come una scommessa pericolosa? E chi l’ha vinta?” domandò la bionda, curiosa.

“Io, ovviamente! Altrimenti ora non sarei qui a raccontarlo!” esagerò Emily facendola ridere.

Passarono l’intero viaggio a recuperare il tempo perduto, tanto che sia Cecil che Emily dimenticarono di aver portato dei libri con loro. Blue invece non dimenticò il suo appetito, così quando passò la strega col carrello fece acquisti pazzi di dolciumi.

Tutto era tornato alla normalità, si disse Emily.

All’arrivo a Hogsmeade, prima di uscire dalla cabina per scendere dal treno, Blue si fermò in piedi bloccando il loro passaggio.

Stava dando le spalle a entrambi, che si scambiarono uno sguardo confuso. Quando la ragazza si voltò verso di loro aveva un sorriso tirato sul viso e non li guardava negli occhi.

“Vi chiedo scusa per come mi sono comportata l’anno scorso,” disse timidamente. “So di essere stata una pessima amica e di avervi fatti preoccupare. Non lo farò più, ve lo prometto. Anzi, se lo rifacessi vi prego di farmi tornare in me.”

Emily le sorrise e andò ad abbracciarla.

“Va tutto bene, non serve scusarsi.”

“Ehm, io veramente sono ancora all’oscuro di tutto,” sottolineò Cecil.

“Ssh, quello che ha detto Emily mi piace molto di più,” lo zittì scherzosamente Blue, tornata di buon’umore.

“Volevo solo dire che accetto le tue scuse,” continuò il ragazzo, sorridendo a sua volta.

“Ottimo allora! Andiamo adesso, prima che gli altri prendano i posti migliori a tavola.”

Non c’erano, in realtà, dei posti migliori o peggiori, perciò Emily immaginò che quella volesse essere una frase a effetto. In ogni caso, Blue si spostò dalla porta della cabina permettendo a Cecil di superarla per uscire per primo.

“Emily, tu ci sei sempre stata per me, malgrado io non ci fossi mai…” le sussurrò lei mentre percorrevano il corridoio, subito dietro all’amico. “Per me è stato molto importante, quindi ci tenevo a ringraziarti oltre che a scusarmi. Qualsiasi cosa succederà da adesso in poi, mi comporterò da vera amica e ci sarò per te, sempre. Perciò non esitare a fare affidamento su di me.”

“Grazie Blue,” rispose Emily, sorpresa dalle sue parole.

“Sono io che ti sto ringraziando! Dico sul serio, okay?” insistette in un tono fintamente offeso.

“Okay,” ripeté, divertita. “E non ti preoccupare, non ho mai dubitato della tua amicizia e non ho mai pensato male di te. Era un momento delicato... lo sapevo. Se me lo avessi permesso ti avrei supportata di più.”

“Anche per te era un periodo delicato,” sottolineò Blue. “Insomma, mi avevi appena detto… Mmh, quella cosa! Eppure io sono sparita, lasciandoti da sola.”

Dal modo in cui aveva rivolto lo sguardo a Cecil, che camminava davanti a loro, Emily aveva capito a cosa si stesse riferendo, cioè ai suoi sentimenti per l’amico. Scosse la testa per farle sapere che non c’era nessun problema. In effetti, aveva avuto tanto altro di cui preoccuparsi l’anno precedente.

Ormai erano scesi dal treno e si erano incamminati verso la scuola. Nel tragitto tornarono a chiacchierare tutti e tre insieme, almeno finché Parker non li vide e si aggregò al gruppetto, coinvolgendo Cecil in un discorso sul quidditch.

Ogni tanto, mentre loro parlavano, Emily osservava il suo amico con la coda dell’occhio. I suoi sentimenti per lui erano ancora lì, vividi come sempre, ma niente era cambiato. Quell’anno sperava di riuscire a trovare il coraggio necessario per affrontare l’argomento.

Ormai aveva quattordici anni, ne avrebbe compiuti quindici a inizio gennaio, e non era mai uscita con nessuno. Non sapeva come comportarsi e la sua “scusa” dell’aspettare che lui le desse segnali positivi non reggeva più. No, perché i suoi sentimenti non sparivano e Cecil sembrava considerarla solo un’amica.

Toccava a lei la prima mossa, altrimenti nulla sarebbe cambiato. Pur non sapendo come agire, aveva preso coscienza del bisogno di farlo.

Arrivata al castello dovette separarsi dagli amici per andare a sedersi al tavolo dei Serpeverde. Individuò qualche posto libero circa a metà sala, ma vicino avrebbe avuto William Baxter, il che le riportò alla mente le parole di Blue riguardo ai posti migliori.

Continuò a camminare e si accomodò più in fondo, dove il tavolo era libero per accogliere i nuovi studenti. Davanti a lei c’era una ragazza dalla carnagione scura che indossava la spilla di prefetto. Delle sue amiche neanche l’ombra, forse si erano attardate a scendere dal treno.

Comunque non si era seduta accanto a nessuno di ostile, perciò poteva dirsi soddisfatta.

Assistette con grande interesse allo smistamento dei ragazzini del primo anno, ricordando quando lei era stata al loro posto. Era stato un grande shock ritrovarsi separata dai suoi amici, ma alla fine il loro rapporto era rimasto saldo e di questo era infinitamente grata.

Inoltre notò che ciò che le aveva detto Ana l’anno prima era vero: i Serpeverde erano sempre in meno rispetto agli studenti di altre case, anche se forse quel divario si stava assottigliando con il passare degli anni.

Incontrò Ana e Patricia solo dopo il banchetto, quando si alzò per andare nel dormitorio. Le trovò sedute vicino a Nathan e ad altri suoi amici che lei non conosceva bene.

Per fortuna le sue compagne di stanza erano rimaste le stesse anche quell’anno, perciò Emily poté chiacchierare con le due amiche poco prima di andare a dormire.

“Nathan mi manda ancora segnali contrastanti,” confessò Ana, dato che entrambe ormai sapevano della sua cotta.

“Vi siete visti nel corso dell’estate?” le chiese Patricia.

“Sì, sai che i nostri genitori sono molto amici. Siamo stati invitati a passare una settimana alla villa in Provenza dei suoi, però lui si comporta sempre come qui. Un giorno mi tratta bene e l’altro fa il distaccato…”

“Sarà una tattica delle sue,” commentò la rossa, riflessiva.

“Emily, tu come fai?” le chiese Ana, spiazzandola.

“A fare cosa?” chiese.

“Non hai bisogno di richiedere attenzioni per ottenerle, quando passi tu si girano tutti. Sembri persino più carina dell’anno scorso… Come fai? Conosci qualche segreto di bellezza babbano?” insistette la bionda.

Patricia si mise a ridere per le sue parole, sebbene fosse seria, invece Emily arrossì e si ritrovò a non sapere come ribattere.

“Ma che dici? Io… non faccio proprio niente. Anzi, non vorrei nessuna delle attenzioni che ricevo,” puntualizzò.

Il commento della sua amica le sembrò esagerato. Piuttosto, l’unica persona che le interessava non l’aveva notata affatto.

Ana sospirò, sconsolata. A niente servì dirle che era bellissima e che probabilmente a Nathan piaceva già, visto che non perdeva occasione per punzecchiarla ma nemmeno per passare del tempo con lei. Poi Patricia spostò l’attenzione su di sé, raccontando che le sarebbe piaciuto uscire con questo o quel ragazzo, facendo una lista infinita di nomi che Emily dimenticò all’istante.

 
L’indomani la sua prima lezione fu storia della magia con i Corvonero, poi toccò a Incantesimi con i Tassorosso. Emily sperò tanto che Flitwick le chiedesse di nuovo di aiutare gli studenti più piccoli con il ripasso, altrimenti si sarebbe proposta lei perché era un’attività che la gratificava molto. In ogni caso, era solo il primo giorno di scuola perciò sapeva che era ancora troppo presto per pensarci.

Dopo la lezione Blue le confessò nuovamente il suo interesse per il club di gobbiglie, al quale si era già iscritta ai primi anni. Lo scorso anno, invece, non ci aveva nemmeno pensato, quindi adesso voleva recuperare il tempo perduto.

Emily continuava a non capire cosa ci trovasse il quel gioco, ma non le avrebbe negato una partitina ogni tanto. Comunque, mentre scendevano le scale insieme per raggiungere la sala grande, si accorse che forse era vero ciò che le aveva detto Ana la sera prima.

“Mi sento osservata…” confessò ad alta voce, sperando che l’amica le desse il suo parere. “È solo una mia impressione, vero?”

“Ah, credevo che non ci facessi caso,” le disse invece Blue, come se niente fosse.

“Quindi non me lo sto immaginando?” insistette, iniziando a sentirsi in soggezione.

“No, Emily. Guardiamo in faccia la realtà. Sei diventata molto carina dall’anno scorso, tanto che gli studenti più grandi rischiano di cadere dalle scale perché ti fissano.”

Notandolo solo in quel momento, Emily incrociò lo sguardo con un ragazzo che la stava davvero osservando mentre saliva le scale e per la sorpresa lui inciampò su un gradino.

“Immagino che non ti faccia piacere, so che ne hai rifiutati un po’ l’anno scorso,” continuò Blue.

“Già…”

“In più l’unico che ti piace sembra essere immune al tuo fascino.”

“Non me lo ricordare. E non dirlo così, è imbarazzante!” ribatté. “Cosa posso fare per riuscire a passare inosservata?”

“Ma tu non devi fare proprio niente,” dichiarò Blue, divertita. “Al massimo, se si fanno avanti li puoi scacciare come al solito.”

La sua amica aveva ragione. Sul finire dell’anno prima, Emily aveva iniziato a rifiutare categoricamente chi la approcciava con insistenza, e come risultato alcuni avevano smesso. Probabilmente non aveva di che preoccuparsi, ma i loro sguardi la infastidivano comunque.

Sperava che si fosse sparsa la voce su quanto fosse fredda e che questo bastasse a tenerli alla larga.

Era ora di pranzo ormai, perciò salutò l’amica e prese posto al suo tavolo. Poco dopo venne raggiunta da Ana, Patricia e Nathan che si sedettero accanto a lei. Fingendo di ascoltare il loro discorso, cercò Cecil con lo sguardo finché non lo trovò seduto con il solito gruppo di Grifondoro.

Emily voleva credere in se stessa e nella sua determinazione. Voleva che quello fosse l’anno decisivo, nel quale riuscire a parlare chiaramente, con lui, dei suoi sentimenti. Doveva solo capire come e quando.





Note di quella che scrive

Siamo al quarto anno ed Emily ha preso una decisione! Inoltre Blue è tornata e spero che anche voi ne siate felici.

Finora la storia è andata avanti quasi di corsa, soprattutto su certe cose, ma non siamo neanche a metà. Insomma, sono in arrivo cose più interessanti (o almeno spero che lo saranno anche per voi).

Vorrei dilungarmi ma è meglio che se non anticipo niente. Dato che sia questo sia lo scorso capitoli sono stati corti vorrei pubblicarne presto un altro, ma (probabilmente) aggiornerò sabato sera causa mancanza di tempo nei prossimi giorni...

Intanto se vi va fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo e/o della storia finora ♡

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Attenzione: potreste esservi persi il capitolo precedente, in cui ha avuto inizio il quarto anno dei protagonisti. Lo dico perché la storia non è rimasta quasi per niente nella pagina 1 della sezione di Harry Potter, perché spinta giù da altre aggiornate lo stesso giorno. Infatti anche le visite al capitolo sono state poche rispetto al solito.

Vi invito a controllare di averlo letto prima di passare a questo, così da non rischiare di perdervi niente.

Detto ciò, buona lettura!

 

CAPITOLO 14


 

I primi giorni del quarto anno trascorsero sereni. Nessuno infastidì Emily e persino Baxter e Napier la tennero alla larga, ma ormai lei aveva imparato la lezione perciò non abbassò comunque la guardia.

Un pomeriggio, dopo le lezioni, raggiunse Cecil in biblioteca dove si erano dati appuntamento. Lui aveva già preso posto al loro solito tavolo e stava guardando fuori dalla finestra con aria pensierosa.

“Ciao,” lo salutò Emily a bassa voce, attirando su di sé il suo sguardo.

Lui ricambiò il saluto, ma sembrava che avesse ancora la testa da un’altra parte.

“Hai detto che ti serviva un aiuto col compito di erbologia?” gli chiese, prendendo posto e recuperando il libro dalla borsa.

“Sì,” rispose Cecil, srotolando una pergamena.

Lui se la cavava abbastanza bene in ogni materia, salvo qualche argomento critico, ma erbologia era l’eccezione. In altre parole, il suo punto debole. Le diede il suo compito perché lo aiutasse a capire se era tutto corretto e quali parti sistemare.

Emily lo lesse con attenzione e segnò sulla pergamena i punti in cui avrebbe potuto aggiungere qualcosa. Sapeva esattamente cosa, in effetti, perché conosceva bene la pianta in questione. Il professor Paciock aveva assegnato al suo corso lo stesso compito, ma lei lo aveva completato già da un pezzo.

Quando alzò lo sguardo su Cecil per dirgli cosa ne pensava, lo trovò che accarezzava distrattamente la piuma della sua penna d’oca.

“Qualcosa non va?” gli chiese, preoccupata.

“In realtà non ti ho dato appuntamento solo per ebologia, c’è una cosa di cui vorrei parlarti. Ecco, ci stavo pensando già lo scorso anno, ma ho rimandato e me ne sono pentito per tutta l’estate…” confessò lui, senza guardarla negli occhi. “Adesso non voglio più scappare, devo iniziare a capirci qualcosa o impazzirò.”

Il cuore di Emily si mise a battere all’impazzata e lei sentì che le sue guance si facevano calde. Era arrossita, ma poco importava in quel momento. Ora aveva la testa annebbiata dall’agitazione e lo stomaco in subbuglio.

Non riuscì a trovare le parole per rispondergli, quindi lasciò all’amico il tempo perché continuasse il discorso da solo. I secondi si susseguirono lenti come non mai.

“Il fatto è che… io…”

Emily deglutì scoprendo di avere improvvisamente la gola secca. Sperò che si sbrigasse, altrimenti sarebbe impazzita per l’impazienza.

“Ho un disperato bisogno di capire cosa voglio fare dopo la scuola.”

Emily si lasciò andare contro lo schienale della sedia, improvvisamente stremata. La sua fantasia aveva corso velocemente, andando a parare ben lontana dalla realtà. Aveva creduto che Cecil volesse dichiararsi, perciò la delusione del momento le ricadde addosso insieme a tutta la tensione che aveva provato.

“Tutto bene?” le chiese lui, che adesso la guardava negli occhi.

“Oh, sì!” si affrettò a rispondere, cercando di dimenticarsene per tornare la se stessa di sempre. “Beh, siamo solo al quarto anno, c’è tempo!”

“Se continuerò a rimandare dicendomi che c’è tempo non troverò mai quello che cerco,” insistette l’amico, con un sospiro.

“Ma perché questo interesse improvviso?” gli domandò, confusa.

“In realtà è iniziato tutto a quelle stupide cene del Lumaclub. Tutti sembravano avere ben chiaro cosa volessero fare da adulti, persino il tuo amico Serpeverde, perciò ho iniziato a sentirmi sotto pressione,” confessò a sguardo basso.

In effetti anche Emily aveva provato le stesse cose, ma poi le aveva messe da parte per concentrarsi sul presente: lo studio e tenere alla larga i disturbatori. Persino i sentimenti per Cecil erano finiti in secondo piano per fare spazio alla sua determinazione a ottenere buoni risultati.

“Quindi vuoi iniziare a pensarci adesso?” gli chiese.

“Sì. Speravo che a te interessasse e che avremmo potuto rifletterci insieme.”

Emily annuì, pensierosa.

“So cosa intendi quindi sì, mi interessa. Al momento so solo di volermi impegnare per ottenere dei risultati soddisfacenti, ma non posso evitare di guardare al futuro. Da dove iniziamo?”

“Veramente io volevo chiederlo a te,” rispose Cecil, imbarazzato.

Lei ci pensò su, poi decise di rivolgersi a madama Pince per trovare dei libri sul tema. Lei e Cecil ne presero alcuni e si dedicarono alla lettura di quelli per tutto il pomeriggio, fino all’ora di cena. Nel mentre, però, pensarono ad alta voce ai loro passi successivi.

Cecil capì di voler tentare più strade possibili, perché magari così facendo avrebbe trovato qualcosa che lo appassionava al punto da diventare il suo lavoro ideale per il futuro. Dichiarò quindi che avrebbe partecipato ai provini per la quadra di quidditch quell’anno, sorprendendo Emily che proprio non se lo aspettava.

Ma dopotutto lui amava quello sport e se la cavava molto bene sulla scopa.

In quanto a lei, di impegni ne aveva abbastanza e intendeva fare affidamento solo sui suoi amati libri. Non aveva una vasta conoscenza delle professioni da mago, ma era certa di voler scartare tutte quelle che prevedevano esperienze adrenaliniche o rischiose.

I lavori babbani invece li scartò a prescindere, troppo immersa nel mondo magico per poter considerare una strada così distante dalla sua quotidianità.

Scese nella Sala Grande per la cena con la mente piena di informazioni, ma anche di confusione. Le era venuto il mal di testa a furia di pensarci.

Qualche giorno dopo stava seguendo una lezione di pozioni seduta accanto all’amico. Non aveva ancora fatto chiarezza su ciò che le interessasse davvero per il futuro, ma in aula cercava di tenere alla larga quei pensieri e si concentrava sul presente.

Lumacorno mostrò alla classe una pozione che aveva realizzato lui stesso e chiese loro di descriverla in base a ciò che vedevano e sentivano. Dopodiché li fece tornare tutti al posto per dare inizio alla parte teorica vera e propria.

Quella pozione necessitava di un tempo di preparazione di una settimana e sembrava abbastanza complicata. Quando, alla fine dell’ora, il professore disse di dividersi in coppie e prepararla per compito, lei sapeva già che l’avrebbe fatta con Cecil.

Sarebbe stata un’occasione in più per passare del tempo insieme, il che la rendeva felice e piena di aspettative.

La lezione ormai era finita, così prese le sue cose e si alzò dalla sedia trovando però Nathan a sbarrarle la strada.

“Lewis, facciamo insieme la pozione di compito?” le domandò con una nota categorica nella voce, e rivolgendosi a lei con il suo cognome anche se gli aveva espressamente chiesto di non farlo.

Emily si scontrò con il suo sguardo determinato, poi si voltò verso Cecil che stava assistendo alla scena accanto a lei e infine verso Ana, seduta poco distante che li osservava con gli occhi sbarrati.

“Perché?” chiese all’amico, confusa.

“Sei brava a pozioni, servono altri motivi?” ribatté sollevando un sopracciglio.

“Anche Ana è brava, puoi farla con lei,” sottolineò, dato che lui aveva seguito la lezione proprio accanto alla ragazza.

“Non è davvero brava, lei se la cava e basta. Hai sentito Lumacorno, questo compito influirà sul nostro voto finale e io voglio ottenere il massimo. Se lavoriamo insieme so che non avremo problemi,” insistette.

“Io veramente pensavo che l’avrei fatto con Cecil,” puntualizzò lei, rivolgendo uno sguardo fugace all’amico.

Lui se ne stava fermo accanto a lei, con aria confusa.

“Se vuoi farlo con lui io lo chiederò a Parker, non c’è nessun problema,” le disse, spiazzandola.

“No, io…”

“Davvero, non ti preoccupare,” continuò Cecil.

“Perfetto,” si intromise Nathan, sfoggiando un sorriso soddisfatto.

Emily gli rivolse uno sguardo carico di risentimento.

“Iniziamo oggi alle quattro di pomeriggio?” domandò il ragazzo, come se niente fosse.

“Ho il club dei duellanti alle quattro,” rispose a denti stretti, reprimendo un moto di rabbia.

Nathan sbuffò ed era chiaro che fosse infastidito. Alla fine si accordarono per le cinque e mezza, poi lui lasciò l’aula per primo.

“Tutto okay?” le chiese Cecil, dato che era rimasta impalata al suo posto.

“Certo...” rispose, con una nota sarcastica nella voce.

Era contrariata ma non voleva affrontare l’argomento. Intanto Ana la stava ancora guardando male, perciò lei salutò Cecil dicendogli di andare per primo.

“Io non volevo accettare, te lo assicuro,” si affrettò a dire all’amica, seduta a fingere di mettere a posto il materiale usato a lezione.

“Non mi interessa! Quello stronzo mi ha dato della scema…” strinse i denti e abbassò lo sguardo.

Era arrabbiata, ma aveva anche gli occhi lucidi. Nathan doveva averla ferita davvero questa volta.

“Adesso non voglio parlare con te!” esclamò, scattando in piedi per andarsene.

Patricia le rivolse uno sguardo di scuse prima di correre dietro all’amica, lasciando Emily in classe da sola.

Quel pomeriggio sfogò tutto il fastidio provato al club dei duellanti, contro un malcapitato Tassorosso del terzo anno, dopodiché tornò nell’aula di pozioni dove Nathan la stava già aspettando.

“Finalmente,” osò dirle, riaccendendo la miccia della rabbia che lei aveva spento a fatica.

“Te l’ho detto che avevo il club,” sbuffò. “Ma perché hai voluto a tutti i costi me?”

Mentre lo domandava si diresse allo scaffale con gli ingredienti. Nathan aveva preparato il calderone e aperto il libro, ma non aveva fatto altro. Lei voleva che il loro lavoro finisse presto, perciò riportò alla mente tutto ciò che sarebbe servito e si affrettò a prenderlo.

“Sapevi cosa prendere senza guardare il libro?” chiese, sorpreso. “Ora capisci perché ho voluto te, spero.”

“Non perché fossi io a fare avanti e indietro dallo scaffale al banco, spero,” commentò piccata, quindi sospirò. “Senti, scommetto che si tratta di un altro dei tuoi giochetti per far ingelosire Ana, ma hai coinvolto la persona sbagliata.”

“Ma che dici? Celery non c’entra! Il mio obiettivo è quello di eccellere in pozioni, nient’altro,” rispose, senza guardarla negli occhi.

“Certo…” disse Emily, per niente convinta, ma si arrese e sospirò.

Si dedicarono alla preparazione dei primi ingredienti e iniziarono a mescolarli nel calderone, quasi senza scambiare alcuna parola. Emily eseguì tutto meccanicamente, ben consapevole di cosa dovesse fare. Era la prima volta che preparava quella pozione, ma aveva studiato la teoria e si sentiva sicura di sé.

Mentre lavorava, i pensieri dei giorni precedenti trovarono di nuovo spazio nella sua mente.

“Senti Nathan, al Lumaclub l’anno scorso hai detto di voler diventare un grande pozionista. Come mai questa scelta?” si decise a domandare, pensierosa.

Come le aveva fatto notare Cecil, il suo amico frequentava il loro anno, ma a differenza loro aveva le idee ben chiare sul suo futuro.

“Perché questa domanda?” le chiese, gettandole un’occhiata fugace come se fosse sospettoso.

“Curiosità personale.”

“Okay…” sbuffò. “È dal primo anno che amo pozioni, al secondo sapevo già cosa volevo fare. Che si tratti di preparare pozioni curative per il San Mungo o di sperimentare per perfezionarne alcune o crearne di nuove, non importa. È questa la mia strada, io voglio vivere facendo il pozionista.”

Emily lo ascoltò con attenzione, stupita. Per lui era stato facile, aveva quella passione praticamente da sempre e per questo aveva già le idee chiare. Lei, invece, non era particolarmente appassionata a nessuna materia, non tanto da volerne fare una professione.

Sin da subito aveva adorato incantesimi, questo era vero, ma sapeva che il motivo del suo interesse risiedeva nelle sue origini babbane. Inoltre gli incantesimi servivano nella quotidianità, non credeva che ci fosse un vero e proprio lavoro basato su di essi in senso stretto. Ci rifletté e decise di informarsi ancora, perché evidentemente non aveva letto abbastanza.

Ormai il loro dovere per quel giorno era finito, perciò misero la pozione in stasi e si diedero appuntamento per il pomeriggio successivo.

 
Finalmente arrivò il giorno dei provini per la squadra di Grifondoro. Cecil si era allenato tanto per quel momento, insieme al suo amico Parker che era stato battitore nei due anni precedenti. Lui sperava di ricoprire lo stesso ruolo, quindi si era fatto dare tanti consigli.

Emily e Blue si sedettero sugli spalti, pronte a fare il tifo per lui. Prima però toccò ad altri studenti, il che fu estremamente noioso per la Serpeverde.

“Senti Blue, tu cosa pensi di fare da grande?” le domandò, approfittando di quel momento di tranquillità.

“Facile, voglio fare la sarta nel negozio di mamma. Sempre se intende lasciarlo a me, ovviamente!” aggiunse, rivolgendole un sorriso raggiante.

“Quindi i vestiti sono sempre stati la tua passione?” le chiese Emily, sorpresa.

“Esatto, fin da bambina. Mi ha insegnato a cucirli per le bambole e poi, crescendo, le ho dato una mano con qualche piccolo lavoretto. Nel frattempo mio padre mi ha insegnato tutti gli incantesimi possibili che possono avere a che fare con gli abiti e con il cucito.”

“Quindi non farai un lavoro da strega?”

“No, ma non mi pongo limiti,” rispose, facendo spallucce. “Sogno di gestire l’attività di famiglia, ma voglio che diventi un negozio frequentato anche dai maghi. Nella realizzazione dei vestiti non escludo l’utilizzo di un po’ di magia!”

Emily sorrise, il modo in cui Blue ne parlava le mise entusiasmo. La ragazza era per metà babbana e sembrava che il suo sogno fosse l’unione perfetta tra la sua natura magica e non. Le sembrò qualcosa di meraviglioso, tanto che sperò che riuscisse davvero nel suo intento.

“Tu invece? È questo che fai ultimamente quando non siamo insieme, cerchi qual è la tua aspirazione?” le domandò l’amica, curiosa.

“Sì, ma sono ancora in alto mare. Cecil invece ha deciso di tentare la strada del quidditch.”

“Ah, ecco perché quest’improvviso interesse per i provini,” ridacchiò. “Comunque non ti preoccupare, hai ancora tanto tempo per rifletterci.”

Emily annuì ma non continuò il discorso perché finalmente era arrivato il turno del loro amico. Fecero il tifo per lui e lo aspettarono fuori dagli spogliatoi alla fine dei provini. Era stato preso, quindi lo abbracciarono e gli fecero le loro congratulazioni. Per festeggiare Blue offrì a entrambi dei dolciumi che aveva con sé.

Anche se aveva tanti pensieri per la testa in quel periodo, Emily era felice di poter passare quei momenti spensierati con gli amici. Studiare le piaceva, certo, ma erano quelli i momenti che amava di più.




Note di quella che scrive

E rieccoci! Vi avevo promesso il capitolo già per ieri sera ma ero troppo stanca e non ce l'ho fatta, scusate.

In questo capitolo, in un certo senso, si apre un nuovo arco narrativo in cui vediamo Emily alla ricerca della sua aspirazione per il futuro. Spero che ciò che sceglierà riuscirà a sorprendervi, e che non me lo contesterete troppo per il modo in cui ho voluto "interpretarlo". Nel frattempo si accettano scommesse!

Cecil intanto sta provando la strada del quidditch ed è stato preso in squadra (insieme a Parker). Secondo voi sarà la sua scelta difinitiva o solo la prima presa in considerazione?

A presto ♡

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


CAPITOLO 15

 


La stagione del quidditch ebbe inizio e, dato che Cecil era stato preso in squadra, Emily e Blue non si persero nessuna delle partite di Grifondoro. Durante una di queste, la bionda rimase colpita dalla nuova cercatrice di Corvonero.

“Credo si chiami Cristelle Hunt, abbiamo scambiato due parole al primo anno,” commentò, intenta a osservarla. “Cavoli, quando si è fatta così carina?” aggiunse, emozionata.

“Ti piace?” domandò Emily, sorpresa dall’improvviso interesse della sua amica.

“Ssh!” le fece Blue, guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno le avesse sentite.

Alla fine ignorò la domanda, perciò Emily pensò che la sua fosse una reazione esagerata fatta apposta per evitare l’argomento.

In ogni caso Cecil se la cavava bene sul campo da gioco, quando non lo lasciavano tra le riserve. Non che Emily ne capisse di quidditch, ma ora che lui era in squadra se ne interessava molto di più, tanto che aveva finalmente iniziato a ricordare qualcosa a riguardo. Inoltre pensava che la divisa gli stesse benissimo.

L’unica nota dolente era il fatto che lui adesso era sempre impegnato con gli allenamenti. Anche lei aveva da fare, quindi trovare dei momenti per stare insieme al di fuori delle lezioni era diventato difficile.

In quanto a Blue, non ricominciò a sparire come l’anno precedente, il che era positivo. Si limitava a osservare Cristelle da lontano, oppure scambiava qualche parola con lei se l’occasione lo permetteva, il tutto senza isolarsi dagli amici.

In quei giorni Emily riuscì a trovare un momento per studiare insieme a Cecil, in biblioteca. Approfittando del tempo insieme, lui le raccontò che giocare a quidditch gli piaceva molto. Lei invece confessò di non aver ancora capito cosa le interessasse fare in futuro.

“Hai mai pensato di fare l’insegnante?” le chiese il ragazzo, all’improvviso. “Aiuti già i nostri compagni più piccoli con incantesimi e hai detto che è gratificante.”

“Hai proprio ragione,” disse lei dopo un attimo di esitazione, folgorata dalle sue parole.

La risposta alle sue domande era sempre stata sotto il suo naso, ma da sola non era riuscita a capirlo. Non le sembrava male la possibilità di diventare insegnante, anzi! Tra le varie opzioni vagliate e subito scartate, quella era l’unica che la entusiasmò davvero.

Insegnante di cosa, però? Se lo domandò e la scintilla di entusiasmo in lei si spense. Incantesimi le piaceva assolutamente e anche difesa contro le arti oscure non era male, ma pensarci superficialmente in quel modo non soddisfò affatto la sua ambizione.

Chiuse il libro di erbologia che aveva davanti e decise che doveva tornare alle origini così da esaminare ogni materia nello specifico, proiettandosi nel futuro in veste di professoressa. Senza dire altro a Cecil, si alzò dal tavolo e andò in cerca dei libri di testo del primo anno tenuti in una sezione apposita della biblioteca.

Dopo averli trovati cercò quelli del terzo, perché voleva prendere in considerazione anche le materie opzionali. Prese quelli di tutte senza escluderne nessuna, intenzionata a vagliare anche delle strade che prima non aveva nemmeno considerato.

Quando tornò al tavolo con la sua pila di manuali trovò Cecil che la osservava con uno sguardo curioso, ma anche felice. Doveva aver capito che il suo parere era stato illuminante.

Emily non aveva ancora preso una decisione definitiva riguardo al suo futuro, ma ora sapeva in che direzione muoversi.

 
Quella sera, prima di cena, tornò nella sua stanza portando quei volumi con sé. Non aveva avuto tempo di riflettere a fondo su ognuno, perciò aveva deciso di prenderli in prestito tutti quanti e continuare a pensarci prima di andare a dormire.

Ana, seduta sul suo letto a chiacchierare con Patricia, le rivolse uno sguardo sorpreso vedendola entrare nella camera carica di libri.

Tra loro adesso era tutto a posto, ma l’amica le aveva rivolto la parola a malapena per tutta la settimana in cui Emily aveva collaborato con Nathan. Non ce l’aveva con lei, come le aveva detto subito, ma non riusciva a sopportare quella situazione.

Una volta che il lavoro in coppia era terminato, Emily si era premurata di dirle che quella era stata una tattica del ragazzo per farla ingelosire. Inoltre aveva chiesto a Nathan di non coinvolgerla più se aveva quell’intenzione, perché era amica di entrambi e non voleva finire in mezzo a qualcosa che non la riguardava.

“Emily, che fai con tutti quei libri?” le chiese Patricia, alzandosi per prima e raggiungendola.

La ragazza appoggiò con un tonfo il suo carico sul comodino e le rivolse uno sguardo soddisfatto.

“Sai che avresti potuto farli levitare con un incantesimo, vero?” le fece notare Ana, interrompendo momentaneamente il suo buon’umore.

“Non ci avevo pensato. Beh, ho capito cosa voglio fare da adulta, terminati gli studi.”

“Incantesimi, aritmanzia, cura delle creature magiche… Tutti libri del primo anno,” notò la rossa, intenta a osservare quell’insolito bottino.

“Si direbbe che tu voglia insegnare,” aggiunse Ana, giungendo alla giusta conclusione. “Ma... non sai ancora cosa? Credo che tu stia seguendo un percorso contrario rispetto a quello di tutti. Prima si trova una passione, allora si studia per eccellere in quel campo, ma si capisce di non riuscire a lavorarci, oppure che il lavoro non ci piace, allora si fa un passo indietro scegliendo di insegnarlo ad altri.”

“Non essere così drammatica, sono convinta che qualcun altro sia partito dall’intenzione di insegnare,” le fece notare Emily, ferma sulle sue idee. “Sapete, quando aiuto i ragazzi dei primi anni con incantesimi sento di essere nel posto giusto, a fare la cosa giusta…” confessò, seria.

“Allora incantesimi sia!” esclamò Patricia, afferrando il libro del primo anno e aprendolo. “Lumos, Alohomora… Quanti ricordi!”

“Considerando la tua scarsa abilità con gli incantesimi, dovresti dire pochi ricordi,” sottolineò la bionda per prenderla in giro.

L’amica sollevò il libro come se volesse tirarglielo, ma alla fine rimase con la mano ferma a mezz’aria e trattenne una risata, divertita.

“E dai! È vero, ero un disastro all’inizio, ma adesso me la cavo abbastanza!” sottolineò, in tono allegro.

Emily non ribatté per spiegare nel dettaglio la sua idea, piuttosto ripose i volumi ordinatamente per leggerli più tardi, intanto che ascoltava i discorsi delle due compagne di stanza. Ci avrebbe riflettuto di nuovo da sola, quella sera stessa.

 
Qualche giorno dopo aveva riportato in biblioteca tutti i libri fatta eccezione per quello di una materia, della quale aveva preso in prestito anche i manuali degli altri anni. Aveva scelto qualcosa a cui non avrebbe mai pensato, ma che era grata di aver preso in considerazione, perché ciò le aveva aperto un mondo.

Passò molto tempo a cercare altri testi sul tema e a leggerli, tanto che i suoi amici per un paio di giornate la videro solo a lezione. Questo almeno finché Blue non la trovò nel posto più ovvio di tutti, ovvero seduta a un tavolo appartato della biblioteca di Hogwarts.

Emily aveva un libro aperto davanti a sé e lo stava leggendo con un’espressione corrucciata, talmente concentrata da non accorgersi dell’amica finché lei non si schiarì la
gola.

“Blue! Scusa, non ti avevo vista,” la salutò, poi si rese conto del suo sguardo perplesso.

“Non capisco, perché stai leggendo i libri di testo di babbanologia?” domandò, indicando quello aperto davanti a lei e gli altri chiusi e impilati sul tavolo.

Emily le rivolse un sorriso imbarazzato.

“Beh, te l’ho detto che sto pensando di diventare insegnante e così mi sono messa a vagliare tutte le materie possibili, finché…”

“Sì, ma è babbanologia!” esclamò la bionda in un tono indignato, guadagnandosi un’occhiataccia e un rimprovero da parte di Madama Pince.

Blue si voltò nella sua direzione per annuire con una fintissima espressione dispiaciuta sul viso, dopodiché si sedette e tornò rivolta verso Emily.

“Guarda, in questo capitolo viene spiegato il funzionamento di un motore, cosa di cui io non so proprio nulla,” continuò Emily, come per giustificarsi.

“Ma nemmeno i maghi lo sanno! Non hai sentito come parlano dei babbani? Quei libri saranno pieni di cavolate, imprecisioni e pregiudizi!” sbottò Blue, stavolta ignorando madama Pince.

“Esatto!” esclamò a sua volta Emily, sforzandosi più che poteva per non alzare la voce. “Vedono i babbani come degli stupidi, è ovvio che poi i nati babbani vengano considerati dei maghi di serie b! Allora non sarebbe meglio studiarli per come sono veramente, invece che interpretare le loro azioni da lontano, con un punto di vista assurdo? Non c’è niente da interpretare, basta guardarli davvero o parlarci!”

Blue sgranò gli occhi, visibilmente sorpresa.

“Perciò… tu vorresti cambiare la percezione dei babbani attraverso l’insegnamento?” le domandò, questa volta con un tono calmo.

“Più o meno. Se queste cose non si imparano a scuola, allora quando? E poi non ho un fine così nobile, ho solo pensato che si tratta di un contributo che posso dare… e che vorrei dare, davvero. Il mio vero fine era trovare qualcosa che mi piacerebbe insegnare e forse ce l’ho fatta, ma non voglio cantare vittoria subito,” confessò, dopodiché sbuffò.

Sembrava che l’amica avesse capito le sue intenzioni e ciò la rincuorava. Allo stesso tempo, però, si chiedeva perché nessun altro ci avesse pensato prima di lei.

“Abitudini quotidiane dei babbani… Cosa c’è da immaginare, giungendo a conclusioni fantasiose, quando basterebbe osservare o chiedere?” si domandò mentalmente, infastidita.

Inoltre i libri in uso erano vecchi almeno dieci anni, il che per lei era assurdo.

“E io che ti cercavo per parlare del ballo…” commentò Blue, a sguardo basso.

“Il ballo? Ah già, siamo a fine novembre…” rispose Emily, che se ne rendeva conto solo in quel momento.

In effetti la McGranitt non aveva ancora annunciato il solito ballo di Natale, ma tutti si aspettavano che ci sarebbe stato. Per loro che erano al quarto anno quello sarebbe stato il secondo ballo, in altre parole una rara occasione per farsi belle sperando di essere notate da chi interessava loro.

Era bastato nominare quell’evento per far viaggiare i pensieri di Emily in tutt’altra direzione, nello specifico a Cecil. Non gli aveva ancora rivelato ciò che provava, ma ci pensava praticamente ogni giorno. Inoltre adesso era nella squadra di quidditch e lei temeva che altre ragazze lo avrebbero notato… e che magari lui le avrebbe ricambiate.

Perdere così, senza nemmeno lottare, le avrebbe davvero spezzato il cuore. No, non poteva permetterlo.

“Che ne dici se questo weekend andiamo a Hogsmeade a scegliere un vestito?” domandò, sperando nell’aiuto dell’amica.

“Ora si che si ragiona!” esclamò Blue, sfoggiando un sorriso che trasmetteva tutta la sua felicità.

Un attimo dopo madama Pince le ordinò di lasciare la biblioteca così Emily, per solidarietà, prese in prestito i libri che le servivano e uscì con lei. Andarono a sedersi nel giardino della torre dell’orologio, dove non riuscì a studiare o a parlare di argomenti seri perché trascinata da quelli frivoli della sua amica.

 
Il weekend successivo, come previsto, Emily e Blue si recarono al solito negozietto di Hogsmeade. La preside non aveva ancora detto nulla riguardo al ballo, perciò le due poterono fare shopping tranquillamente, trovandosi nel negozio quasi vuoto e con tantissima scelta. Stavano giocando d’anticipo.

Certo, con tutte quelle possibilità Emily era ancora più in difficoltà, ma sapeva di poter contare sull’aiuto dell’amica. Lei fu la prima a scegliere, prendendo un abito color giallo canarino, lungo e ampio.

Ancor prima di provarlo le raccontò di come le sarebbe piaciuto renderlo originale aggiungendo della polvere brillante lilla sulla gonna. Un attimo dopo aver condiviso le sue idee era già sparita in camerino.

Emily continuò a vagare per il negozio da sola in cerca di qualcosa che la convincesse davvero. Prese in considerazione un paio di opzioni, ma poi cambiò idea. A un certo punto notò un abito azzurrino che aveva le spalline e scendeva morbido lungo i fianchi, con la gonna composta da una serie di veli che ricordavano dei petali.

Con quello in mano si avviò a sua volta verso i camerini, felice di aver visto il vestito in questione prima di chiunque altro.

Blue stava benissimo nel suo abito giallo, inoltre doveva essere molto contenta della sua scelta perché continuava a volteggiare e ad ammirarsi allo specchio. Anche Emily era soddisfatta di come le stesse il vestito azzurro.

Avrebbe voluto cercare un coprispalle da abbinarci, così da nascondere la scollatura a cuore, ma l’amica glielo vietò categoricamente.

Pagarono e si avviarono in fretta verso i Tre Manici di Scopa perché erano d’accordo con Cecil di incontrarsi lì a quell’ora. Lo trovarono che le aspettava già seduto a un tavolo.

Ordinarono una burrobirra per ognuno e intanto che la bevevano iniziarono a chiacchierare, aggiornandosi sugli ultimi eventi.

Cecil, troppo preso dal quidditch, non le aveva viste durante i giorni precedenti se non a lezione e, di sfuggita, durante i pasti. Raccontò com’erano andati gli allenamenti e del suo rapporto non sempre sereno con i compagni di squadra, ma anche degli attriti con qualcuno di altre squadre. Comunque si trattava solo di sana competizione, niente di cui preoccuparsi.

Blue invece parlò del club di gobbiglie e si lamentò dei compiti da consegnare il giorno successivo, evitando l’argomento Cristelle perché lui ancora non ne sapeva niente. Emily raccontò delle sue ultime prodezze al club dei duellanti e del fatto che forse aveva preso una decisione relativa al suo lavoro futuro.

Aveva deciso di aspettare a parlarne in modo dettagliato con l’amico finché non fosse stata davvero convinta. Dopotutto, babbanologia era stata una disciplina vista male in passato e tuttora veniva considerata poco.

Cecil era un mago purosangue ed Emily si domandava cosa avrebbe detto a riguardo... Anche se non era tra quelli che avevano pregiudizi verso i nati babbani, il che era già un segnale positivo. 

Comunque avrebbe aspettato il momento giusto per comunicargli il suo interesse nei confronti della materia, pur essendo quasi certa che lui non l’avrebbe giudicata. Prima doveva essere davvero certa della sua decisione, sulla quale si stava ancora informando ogni giorno.

Con lui evitò di menzionare anche il nuovo abito, ma il solo pensiero di averlo comprato la mandava in agitazione. Era seduta a un tavolo col ragazzo che le piaceva – e Blue – e presto ci sarebbe stato il ballo di Natale. Sperava che questa volta lui l’avrebbe invitata, almeno in amicizia. Ci sperava con tutta se stessa.





Note di quella che scrive

Ma ciao! Che ne pensate della decisione di Emily? E ve l'aspettavate?

Ho poco altro da dire su questo capitolo, se non che avrei voluto pubblicarlo prima ma non ce l'ho fatta. E adesso che l'ho riletto per l'ennesima volta sono felice di aver rimandato il momento, perché ho modificato quasi ogni frase man mano che lo controllavo, quindi ci ho messo un sacco...

Il prossimo aggiornamento probabilmente sarà sabato, e nell'attesa vi invito a lasciarmi un parere, anche breve, su quanto avete letto finora. Sapere cosa ne pensate per me è molto importante.
A questo proposito, grazie infinite alle persone che hanno lasciato una recensione ♡

A presto!

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


CAPITOLO 16

 


Nella sala comune di Serpeverde, Emily stava studiando con Ana, Patricia e Nathan. Quel pomeriggio Blue aveva da fare con dei compagni di Tassorosso, invece Cecil era impegnato con gli allenamenti.

Emily, non avendo né il club né le lezioni di recupero di incantesimi, aveva deciso di unirsi ai suoi amici per il loro ripasso di difesa contro le arti oscure. Il professor Brodie era stato molto severo con la loro casa in quel periodo, più del solito, perciò rimanere in pari con lo studio era d’obbligo per tutti.

Lei era ben preparata sia sulla parte pratica sia su quella teorica, ma credeva che una rilettura non le avrebbe fatto male. Anzi, magari sarebbe stata utile agli amici.

In lontananza, da un divanetto accanto al camino, Genista Mason la fissava con astio. Lei se n’era accorta, ma non ne capiva il motivo. Dato che la compagna si ostinava a rimanere in disparte anziché dirle in faccia quale fosse il problema, Emily aveva deciso di ignorarla. Aveva ben altro a cui pensare.

Ana, invece, si godeva quello spettacolo gongolando, incapace di concentrarsi sull’argomento che stava ripassando.

“Ah, non ce la faccio più,” esordì, divertita. “Avete visto quanto è incazzata la Mason? Questo si che è un bello spettacolo.”

Non aveva mai nascosto il suo odio per Genista Mason, nato da quando avevano litigato pesantemente al primo anno. Emily non aveva assistito a quell’episodio, ma ne aveva sentito parlare più di una volta. Pareva che prima le due fossero amiche.

“Ce l’ha con Emily? Ma perché?” domandò Patricia, che non l’aveva notata prima del suo commento.

“Dev’essere per quello che è successo ieri dopo pozioni,” ipotizzò Ana ridacchiando.

Emily ci pensò su. Dopo la lezione, lei era uscita dall’aula insieme a Cecil ed era stata approcciata da un tizio del loro anno, un Serpeverde, con cui non aveva mai parlato prima. Quel ragazzo aveva osato invitarla al ballo mentre era in compagnia Cecil, ed era stato così insistente che si era trovata costretta a minacciarlo puntandogli contro la bacchetta perché la lasciasse libera di proseguire per il corridoio. Per fortuna nessun professore o prefetto se n’era accorto.

Non gli avrebbe mai fatto del male, non in un corridoio gremito di studenti e con il rischio che Lumacorno la vedesse, ma aveva davvero perso la pazienza.

“Il ragazzo che hai rifiutato, Clark... qualcosa, piace alla Mason,” continuò la bionda, divertita. “E come biasimarla… è carino, ma è decisamente troppo per lei.”

Lo aveva detto davanti a Nathan ed Emily era certa che lo aveva fatto apposta, ma lui non batté ciglio.

“Perché lo hai rifiutato? Avreste fatto una bella figura insieme al ballo,” commentò Patricia, rigirandosi una ciocca di capelli rossi tra le dita.

“A me non interessa fare una bella figura,” sospirò, incerta se dire tutta la verità o meno. “Beh… in realtà quest’anno vorrei andarci con il ragazzo che mi piace, tutti gli altri li rifiuterò.”

“Finalmente l’hai ammesso!” esclamò Ana, felice.

Emily abbassò lo sguardo e fece un sorriso carico di imbarazzo.

“Voi invece con chi ci andrete?” chiese, per spostare l’attenzione lontano dalla sua rivelazione.

“Io sto aspettando che qualcuno di carino mi inviti, ma è ancora presto perciò sono tranquilla,” rispose la rossa, con nonchalance.

“Anche io,” disse Ana, facendo la finta tonta.

“A me invece tutto questo non interessa, possiamo riprendere a studiare?” domandò Nathan, con lo sguardo fisso sul libro.

“Che noia!” si lamentarono le due ragazze, facendo scuotere la testa a lui e ridere Emily.


In qualche modo la voce si sparse, perché nei giorni successivi chi la invitò – e venne rifiutato – poi dichiarò che immaginava quel responso, perché sapeva che lei stava aspettando qualcuno in particolare. Questo però non dissuase i ragazzi dal tentare, anzi sembrò incoraggiarli.

Un giorno, mentre correva al club dei duellanti, persino Baxter la fermò e ciò la sorprese davvero. Il suo bullo numero uno, quello che aveva persino osato chiamarla sanguemarcio davanti a un professore, la stava invitando al ballo di Natale.

Lei rimase in silenzio qualche secondo, spiazzata, domandandosi se fosse successo davvero.

“Allora?” chiese lui, infastidito.

“Senti Baxter, se è uno scherzo per prendermi in giro potevi risparmiartelo, perché non fa ridere.”

“Non è uno scherzo e mi stai facendo perdere fin troppo tempo.”

Emily avrebbe voluto rispondere che stava facendo tutto da solo, ma si trattenne.

“Perché io? È dal primo anno che mi tormenti, mi hai persino spinta giù dalle scale della torre di astronomia,” puntualizzò.

“Non puoi sapere se sono stato io,” sottolineò lui guardandosi intorno, senza però negarlo. “E quest’anno ho smesso di comportarmi così. Le persone cambiano.”

“Già,” disse Emily, sollevando un sopracciglio.

Tra di loro, chi era cambiato non era certo lui, ne era sicura.

Forse qualcuno lo ha sfidato a invitarmi,” ipotizzò, ma non diede voce a quel pensiero.

Dopotutto, non avrebbe mai creduto che a un certo punto fosse rinsavito dagli ideali razzisti della famiglia e avesse continuato a tormentarla solo per divertimento, o perché in realtà lei gli piaceva... E che poi, quell’anno, avesse smesso per un motivo che non fosse la noia, o la resa. Emily non ammetteva una possibilità del genere, anzi le sembrava da pazzi. Soprattutto la parte in cui lui non aveva più pregiudizi razziali.

Anziché urlargli addosso quanto era stato idiota, e che mai avrebbe accettato un suo invito, decise di essere diplomatica. Se avesse giocato bene le sue carte, si sarebbe levata di torno William Baxter per sempre. O almeno così sperava.

“Ti ringrazio per l’invito… e per il pensiero. Sono sorpresa, proprio non me lo aspettavo, però sto aspettando che me lo chieda qualcun altro. Scusami.”

Faticò particolarmente a pronunciare l’ultima parola, certa di non avere nessun motivo per cui scusarsi con lui.

“Sì, certo,” rispose, in un tono palesemente offeso.

Sollevò gli occhi al cielo e la superò senza dire altro, come se all’improvviso fosse lui quello di fretta. Emily prese un respiro profondo per calmarsi, perché resistere dall’umiliarlo di nuovo era stato difficile, e riprese a camminare in direzione dell’aula del club.

Mentre lo faceva si domandò se forse, sentendo le voci secondo le quali a lei piaceva qualcuno, si fosse domandato se quel qualcuno era lui. Scosse la testa e cacciò subito via quel pensiero, dicendosi che non c’era modo di scambiare le loro interazioni per interesse romantico. Nessuno sarebbe stato così cretino.

 
I giorni successivi furono un delirio per lei, tanto che aveva preso a rifugiarsi sulla torre di astronomia insieme a Blue perché anche la biblioteca era diventata un posto dove non avrebbe trovato pace. Lo stesso si poteva dire della sala comune di Serpeverde, se non si trovava lì insieme ai suoi amici.

Un tempo i compagni della sua casa l’avevano avvicinata solo per maltrattarla, adesso invece qualcuno sembrava aver cambiato idea sul suo conto.  Era un bene sotto un certo punto di vista, ma per lei era comunque assurdo.

E se i ragazzi l’avevano notata, lo stesso si poteva dire delle ragazze. Spesso si accorgeva di essere l’oggetto dei loro sguardi carichi di odio. Non era un bel momento ed Emily non vedeva l’ora che finisse, anche perché le cose non stavano andando come aveva sperato.

La voce del suo interesse per qualcuno si era ormai sparsa e le stava causando soltanto guai.

“Chiunque mi abbia parlato almeno una volta sta tornando alla carica, credendo di poter essere la persona che mi piace. Ma si può essere più egocentrici?” si disse Emily uno di quei giorni, scuotendo la testa.

In realtà il suo pensiero era stato esagerato, perché non aveva poi molti ragazzi alle calcagna. Anzi, la maggior parte di quelli che le chiedevano di parlare la invitavano timidamente, per poi accettare il suo rifiuto e sparire di nuovo dalla sua vita. Tutto ciò, però, stava iniziando a innervosirla.

Per Cecil purtroppo non sembrava essere cambiato niente ed era proprio questo il problema.

A colazione Emily era sempre con Blue e lo vedeva solo da lontano. Spesso lui aveva anche gli allenamenti, ma avevano avuto l’occasione di incontrarsi qualche volta e il ragazzo si era comportato come se niente fosse.

L’amica aveva indagato per lei scoprendo che non aveva chiesto a nessun altra di andare insieme al ballo, perciò non c’era il rischio che fosse già impegnato. Fu un pensiero in meno per Emily, che però era dispiaciuta comunque.

 
Una domenica riuscì ad andare con lui a Hogsmeade, da soli perché Blue avrebbe dovuto scontare una punizione con la professoressa di aritmanzia. Emily non sapeva se fosse vero o si trattasse di una scusa per lasciarli soli, ma in ogni caso decise che le avrebbe comprato dei dolci per ringraziarla.

Passeggiò con Cecil ascoltando i suoi racconti sul quidditch. Quando passarono nella strada dove si trovava Madama Piediburro, Emily esplorò con lo sguardo la vetrina della sala da tè. Sapeva che quella era la meta di molti appuntamenti e le sarebbe piaciuto tanto andarci con lui, ma non disse nulla. Non credeva che fosse il caso.

Fecero tappa a Mielandia dove comprarono qualcosa per loro e per Blue. Qui, Emily si appuntò mentalmente che a Cecil piaceva il cioccolato, perché quando c’erano dei dolci lo sceglieva sempre. Pensò che quell’informazione le sarebbe stata molto utile in futuro.

Infine andarono ai Tre Manici di Scopa, dove trovarono posto solo a un tavolo appartato, in un angolo. Di solito aveva visto delle coppiette sedute lì e il pensiero la mise in imbarazzo. Comunque, purtroppo per lei, sapeva benissimo che loro erano solo amici.

Ordinarono e presto Madama Rosmerta tornò con le loro burrobirre. Emily prese un sorso della bevanda che amava tanto, ma che in quel momento non bastò a consolarla. Ormai Natale era vicino, quindi se Cecil non intendeva approfittare di quel momento per invitarla probabilmente non lo avrebbe fatto mai.

Inoltre c’era una cosa di cui doveva parlargli prima delle vacanze, cioè del fatto che aveva definitivamente deciso cosa voleva fare dopo Hogwarts. Si convinse ad affrontare subito quell’argomento, per togliersi il pensiero.

“Senti… non te l’ho ancora detto, ma ho capito cosa voglio fare quando sarò adulta. Di sicuro non te lo aspetti e probabilmente non capirai la mia decisione fino in fondo, ma spero che non sarà qualcosa di troppo strano da accettare…” disse, per mettere le mani avanti.

“Di cosa si tratta? Non vuoi più insegnare?” chiese lui, confuso.

“No, anzi quello non lo metto in dubbio. È la materia il problema,” continuò, con lo sguardo basso sul suo boccale.

Solo dopo aver parlato si accorse di aver usato il termine sbagliato, perché non poteva definirla un problema. Per lei non lo era affatto e, più che altro, sperava che anche per lui non lo fosse.

Cecil non disse niente, lasciandole il tempo di trovare le parole giuste.

“Babbanologia. Mi sono informata ed è questo che vorrei insegnare,” ammise in modo coinciso, senza guardarlo negli occhi.

Dopo un momento di silenzio che sembrò infinito, e che preoccupò molto Emily, il suo amico si decise a risponderle.

“Ma… sei brava praticamente in tutto, perché scegliere proprio questo? Io non capisco...” dichiarò a voce bassa, in un tono che lei non riuscì a interpretare.

Lo guardò scoprendo che era lui ad avere lo sguardo basso adesso, inoltre aveva l’aria confusa.

“Sai di cosa si tratta? Io non sapevo come fosse finché non ho letto i libri di testo, rimanendo sconvolta.”

“Posso immaginarlo, infatti non capisco proprio,” insistette lui, rivolgendole uno sguardo smarrito.

Emily sospirò e si preparò a spiegargli il suo punto di vista.

“Beh, è proprio questo il punto. La McGranitt non vuole che si usino più certe parole discriminatorie, ma le idee che ne stanno alla base secondo me ci sono ancora. Insomma, i babbani sono considerati degli stupidi e molte cose che fanno sembrano incomprensibili per i maghi, ma basterebbe guardare in faccia la realtà per capirli.”

Cecil le rivolse uno sguardo sorpreso.

“Quindi tu vuoi cambiare le cose insegnando babbanologia... in un modo diverso?”

“Esattamente. O meglio, mi piacerebbe provare. Credo che potrei fare la differenza, e allo stesso tempo farei l’insegnante che è ciò che voglio per il mio futuro… Non so se mi sono spiegata.”

“Sì, credo di aver capito. Per esempio, io ho scelto di provare con il quidditch perché cercavo una nuova sfida, mentre questa è la tua sfida,” rispose.

In effetti Emily non ci aveva pensato in quei termini, ma si poteva interpretare anche così.

“Parlando d’altro, quello stupido di Baxter ha provato a invitarmi al ballo,” rivelò, decidendo che era arrivato il momento di portare la sua attenzione su quell’argomento.

“Cosa? E tu che gli hai risposto?” domandò Cecil sgranando gli occhi, chiaramente spiazzato dalla sua rivelazione.

“Di no, ovviamente. Però l’ho fatto in modo gentile... non ci tengo a finire di nuovo in infermeria,” aggiunse e scrollò le spalle. 

Il modo in cui lo aveva raccontato lo fece sorridere, ma ormai l’argomento era esaurito e lui non disse niente per portarlo avanti. Emily sentì di aver fallito e capì che ormai, probabilmente, era troppo tardi.

Considerò persino l’idea di chiedergli con chi intendesse andare al ballo e, se avesse detto con nessuno, proporgli di andare insieme in amicizia. Insomma, avrebbe fatto tutto lei al posto suo, ma si trattenne pensando che si sarebbe messa in ridicolo.

Inoltre lui avrebbe potuto persino rifiutare e l’idea le mozzava il respiro.

Finse di non aver appena pensato a quel terribile scenario e continuò a bere la sua burrobirra come se niente fosse.

 
Quella sera, dopo cena, raggiunse Blue al suo tavolo e le disse che l’aspettava in corridoio per parlare. Dopo qualche minuto la ragazza la raggiunse, trovandola appoggiata alla parete.

“Ti ho preso una cosa a Mielandia, ma l’ho portata in camera mia perché non riuscivo a trovarti,” la informò, con aria triste.

“Ah, grazie! La punizione è durata più del previsto… ma scommetto che non mi hai chiamata qui per dirmi solo questo.”

Emily scosse la testa e sospirò. Le due si avviarono insieme verso il dormitorio di Serpeverde, che trovarono deserto dato che la maggior parte degli studenti erano ancora a cena.

Nella sua camera, Emily prese il sacchetto per Blue ma prima di darglielo si sedette sul proprio letto facendole segno di raggiungerla.

“Sono stata tutto il pomeriggio con Cecil. Gli ho parlato di babbanologia e ho tirato fuori l’argomento ballo, ma lui ha fatto finta di niente… quindi ormai non mi inviterà,” le raccontò, tristemente.

“Non puoi saperlo, manca ancora una settimana!” esclamò Blue, in un tentativo di tirarle su il morale.

“No, ormai ne sono convinta,” insistette Emily, che si era rassegnata all’idea. “Ci andrò da sola.”

“Anche io ci andrò da sola, quindi andremo da sole insieme,” sottolineò l’amica prendendole una mano, e questo gesto riuscì a confortarla davvero anche se solo un pochino. “E vedrai, sarai così bella che lui sarà costretto ad aprire gli occhi!”

Emily sorrise, contagiata dall’atteggiamento dell’amica, ma non aveva del tutto messo da parte la sua delusione. Forse a Cecil lei non interessava proprio, questo si disse. Decise di cambiare discorso perché non voleva farsi venire il magone.

“Tieni, ti ho preso queste,” annunciò, passando a Blue il sacchetto colmo di dolciumi.

L’amica tirò fuori tutto emozionandosi per ogni singolo dolcetto e vedendola così Emily si rallegrò.

“Tu invece hai novità riguardo a Cristelle?” le chiese, sperando in una buona notizia almeno da parte sua.

“Niente di che, ma ho scoperto che abbiamo degli amici in comune, così ogni tanto ho modo di parlarle. Non vedo l’ora di vedere cosa indosserà al ballo,” ammise, allegra.





Note di quella che scrive

Ciao a tutti! In questo momento sono particolarmente stanca e ho corretto un sacco di parti durante l'ultima rilettura del capitolo... quindi spero che non ci abbiate trovato delle frasi sconnesse.

Emily ha deciso da un po' di volersi fare avanti con Cecil, ma non c'è ancora riuscita e il ballo sta arrivando... Lo so, forse sarete stufi di queste dinamiche tra di loro ma vi prometto che ci saranno degli sviluppi molto presto.

Inoltre i primi anni di scuola sono stati forse un po' ripetitivi, ma da questo in poi i ragazzi sono già più grandi e ci sono anche altre cose in ballo, quindi sarà sempre meglio.

Per tutto il resto lascio la parola a voi! Grazie per aver letto fino a qui e... alla prossima!

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


CAPITOLO 17

 


La sera del ballo arrivò più in fretta del previsto ed Emily si ritrovò con il cuore in gola, a prepararsi insieme a Blue. La ragazza l’aveva raggiunta nel dormitorio di Serpeverde, quindi si erano cambiate in bagno e adesso stavano finendo con gli ultimi ritocchi.

Blue, come annunciato settimane prima, aveva tempestato di glitter lilla la gonna del suo abito giallo, rendendolo un capo unico e decisamente originale. In quanto a quello di Emily, non le propose alcuna modifica trovandolo già perfetto così.

Malgrado ciò la ragazza era agitatissima. Rischiò di fare un casino mettendosi l’eyeliner e di inciampare nei tacchi quando si alzò dal suo posto alla specchiera. Inoltre il fatto di non poter coprire di più la scollatura a cuore la metteva a disagio per via di quella brutta esperienza con Boderick Bound.

“Devi osare, questa è la sera giusta!” le disse Blue mentre finiva di farsi le trecce. “E comunque stai benissimo, non hai niente di cui preoccuparti.”

Le dissero lo stesso anche Ana e Patricia, che si stavano preparando a loro volta. Alla fine la rossa era stata invitata da un ragazzo di Corvonero e la bionda, come Emily aveva previsto, da Nathan. Sperava che quello fosse l’anno buono per loro.

Soprattutto, però, sperava che fosse l’anno buono per lei e Cecil, anzi desiderava che quella serata fosse decisiva. Gli sarebbe piaciuta? Le avrebbe chiesto di ballare? Se lo domandò, cercando di non tenere le aspettative troppo alte ma nemmeno di abbattersi già in partenza.

Quando entrambe furono pronte, Blue prese la mano a Emily per darle coraggio e le rivolse uno sguardo carico di determinazione. Si lasciarono la mano e salirono le scale che conducevano al piano terra.

Una volta giunte alla sala grande ci trovarono già un sacco di gente e a Emily parve di soffocare, ma prese un respiro profondo e seguì l’amica.

Cecil era già arrivato, era in piedi insieme a Parker in un punto tranquillo della sala. Mentre si avvicinavano a loro, Emily si ritrovò con il cuore in gola e lo stomaco sottosopra.

Cecil era bellissimo nel suo completo elegante e lei era talmente in ansia che non riusciva a sentire la musica. Era in un mondo ovattato dove tutto quel caos non esisteva, mentre la confusione nella sua testa regnava sovrana.

I ragazzi videro Blue e la salutarono, ma Emily non capì cosa si dissero. Poi la notarono e rimasero entrambi a bocca aperta. Incapace di proferir parola, lei sentì di avere le guance in fiamme. Cecil la stava guardando, forse per la prima volta.

Lentamente tornò alla realtà rendendosi conto della situazione.

“Ciao,” li salutò rivolgendo loro un timido sorriso, ancora con il cuore in gola a causa dell’emozione.

Dopo un attimo di esitazione anche i ragazzi ricambiarono il saluto.

“Andiamo a prendere qualcosa da mangiare, Emily,” propose Blue.

Senza aspettare la sua risposta, la compagna la prese per un braccio trascinandola via con sé.

“Non credo di poter mangiare, ho lo stomaco sottosopra,” confessò, guardandosi intorno mentre si facevano strada tra la folla.

“Non pensarci, ti ho vista in difficoltà e volevo solo tirarti via da lì.”

Arrivate al buffet, Blue iniziò a riempirsi un piattino di cibo coloratissimo e dall’aspetto delizioso. Emily invece non aveva intenzione di mangiare perché il rischio di sentirsi male era troppo alto. Decise però di prendere qualcosa da bere, dato che aveva già la gola secca, quindi salutò l’amica dicendole che si sarebbero viste più tardi.

C’era troppa folla per pretendere di ritrovarsi dopo essersi separate, mentre il punto della sala dove si trovava Cecil sarebbe stato perfetto. Si scolò un bicchiere di punch analcolico senza nemmeno farci caso, poi lo riempì di nuovo e tornò sui suoi passi.

Trovò ancora più folla di prima sul suo cammino, quindi la aggirò e si ritrovò di lato ai ragazzi anziché davanti. Mentre si avvicinava loro non vista, ammirando ancora Cecil in abito da cerimonia, sentì di cosa stavano parlando e si bloccò.

“Si dice che tanti l’hanno invitata al ballo, ma li ha rifiutati perché stava aspettando la persona che le piace. È vero? Tu sai chi è?” chiese Parker.

“Non ne ho idea,” ammise Cecil, dopo averci riflettuto un attimo in silenzio. “Ma forse era solo una scusa perché non voleva venire con nessuno,” ipotizzò.

Emily strinse i denti. Pensava che la voce che si era sparsa avrebbe giocato a suo favore con lui, invece le aveva solo creato fastidi con tutti gli altri. Cecil non aveva fatto supposizioni a riguardo, forse non considerava minimamente l’ipotesi che il diretto interessato potesse essere lui.

Proprio in quel momento un ragazzo le si avvicinò per chiederle di ballare. Emily accettò, bevve tutto d’un fiato il contenuto del suo bicchiere e lo posò su un tavolino, quindi gli diede la mano. Dato che si era preparata con tanta cura, tanto valeva danzare almeno una volta.

Fece finta di niente, ma si sentiva ferita e offesa. Ogni tanto incontrò lo sguardo di Cecil mentre ballava, accorgendosi di averlo su di sé. A fine canzone considerò l’idea di tornare indietro, ma un altro sconosciuto la invitò e lei accettò.

Mentre volteggiava a ritmo di musica notò che anche Cristelle era in pista, insieme a un altro ragazzo che sembrava più grande di loro. Si domandò se Blue li avesse visti e come si sentisse a riguardo.

Ormai stanca e più calma, Emily si separò dal suo partner per tornare dagli amici. Trovò tutti e tre al posto di prima, ma adesso si erano seduti. Senza dire niente si avvicinò a Blue e fece lo stesso.

“Cosa ti è preso?” le chiese la bionda, confusa.

“Mi era venuta voglia di ballare,” mentì.

Non aveva intenzione di affrontare l’argomento, non lì e non in quel momento.

“L’ho vista,” disse poi, sapendo che l’amica avrebbe capito.

“Sì, anche io. Abbiamo parlato al buffet, ma poi se n’è andata con quel tipo,” rispose, accennando un sorriso che non sembrava affatto sincero.

“Ti va di ballare?” chiese Parker, quindi Blue alzò lo sguardo e sgranò gli occhi.

“Io?” domandò, incredula, e lui annuì. “Va bene!” rispose, ma non prima di aver rivolto a Emily un’occhiata carica di significato.

Prese la sua mano e si avviarono insieme sulla pista da ballo, lasciando Cecil ed Emily da soli. Lei rimase ferma al suo posto, come se niente fosse, a guardarli mentre si allontanavano. Il ragazzo invece le si fece più vicino, scorrendo sul divanetto.

“Che strano vederti ballare con quei tipi,” commentò, sorprendendola.

“Non dirlo a me,” rispose a bassa voce.

Non sapeva se l’aveva sentita o meno, ma non era questo il punto.

“Intendo che di solito tieni tutti alla larga,” puntualizzò lui.

“Già, me l’ha fatto notare anche Blue, ma stasera avevo voglia di ballare. Anzi, ne ho ancora.”

“Non sei stanca?”

Emily scosse la testa.

“Potrei fare volentieri un altro ballo,” rispose, sperando che lui la invitasse.

“Te la cavi bene, io invece sono impacciato,” ammise. “C’è qualcosa che non sai fare?”

“Certo! Per esempio, non so mangiare le arachidi senza che mi si gonfi la faccia,” scherzò, ma non riuscì a farlo in modo genuino.

In ogni caso bastò a farlo sorridere.

Chiacchierarono finché non finì la canzone, quindi Emily si disse che era arrivato il momento. Voleva almeno ballare con lui quella sera e, se lui non intendeva chiederglielo, avrebbe preso l’iniziativa.

“Ti va di ballare?” domandò, senza guardarlo in faccia.

“Ma te l’ho detto, io non sono molto bravo,” ribatté, dispiaciuto.

“Non importa. Ci mettiamo di lato, dove non ci guarderà nessuno,” insistette.

Aveva di nuovo il cuore a mille e iniziava a sentirsi disperata. Se lui non avesse accettato, se ne sarebbe andata per chiudersi a piangere dove nessuno l’avrebbe potuta vedere. Partì un’altra canzone, un lento questa volta, il che contribuì a metterla sotto pressione.

“È un lento, sarebbe imbarazzante,” sottolineò Cecil.

Emily annuì e abbassò lo sguardo.

Basta, ci aveva provato. Ora doveva solo calmarsi, trattenere le lacrime anche se gli occhi iniziavano a pizzicarle, salutarlo con una scusa e andarsene via discretamente. Prese un respiro profondo e si disse che poteva farcela, che non sarebbe scoppiata a piangere solo guardandolo in faccia.

“Anzi… facciamolo,” disse lui, guadagnandosi un’occhiata sorpresa da parte di Emily.

Le porse la mano perché lei ci appoggiasse la propria e insieme si unirono alle coppie che stavano già danzando. Lei si domandò se non fosse tutto un sogno, perché era troppo bello per essere vero. Forse era svenuta per lo shock di prima e si stava immaginando tutto.

Eppure il calore della mano di Cecil sul suo fianco era reale, troppo vivido perché si trattasse di una fantasia. La mano che teneva la sua, invece, era morbida e tiepida, per niente sudata… a differenza della sua, che per di più tremava! Se ne rese conto solo in quel momento e si sentì mortificata.

Iniziò a ballare con passi incerti, come se non lo avesse fatto per il resto della serata, ma dopo il difficile inizio continuò senza problemi, dato che sapeva bene come muoversi. Cecil le aveva detto di essere impacciato, ma non le pestò mai i piedi.

Era solo insicuro nei movimenti, infatti non conduceva un granché il ballo limitandosi piuttosto a seguire lei. O forse stava ripetendo uno dietro l’altro i passi per come li ricordava, senza pensare a molto altro, e infatti lei si accorse che stava contando sottovoce.

“Non sei poi così male,” commentò Emily, sorridendo.

Più che felice, però, era imbarazzata e agitata allo stesso tempo. E poi sì, era anche felice.

Cecil era più alto di lei e il suo viso era vicinissimo, come mai lo era stato prima. Emily pensò che si sarebbe sciolta tra le sue braccia, e sperò con tutta se stessa che lui non riuscisse ad accorgersi del suo cuore che batteva all’impazzata.

Chiacchierarono come se niente fosse, ma l’imbarazzo era palpabile dato che erano pur sempre due amici che stavano ballando un lento.

“Prima Parker mi ha detto che girava una voce su di te… secondo la quale ci sarebbe qualcuno che ti piace,” le disse all’improvviso, spiazzandola. “È vero?”

Emily evitò di guardarlo negli occhi mentre annuiva. Negare non l’avrebbe portata da nessuna parte, soprattutto perché finalmente era lui a toccare l’argomento.

“Speravo… che tra noi non ci fossero più segreti ormai. Ti ho detto che con me puoi parlare di tutto.”

Emily era incredula. Gli rivolse lo sguardo e lo trovò pensieroso, che evitava di guardarla in viso. Sentì il sangue salirle alla testa e la lucidità abbandonarla, mentre il cuore, se possibile, batteva più forte di prima.

“N-non potevo dirtelo perché sei tu,” ammise, trovando chissà come il coraggio.

Un attimo dopo si rese conto di ciò che aveva detto e si sentì avvampare. Arrestò il suo passo e lo stesso fece Cecil, che ora la guardava con un’aria sconvolta.

“Io? Ma... N-non ne avevo idea…” ammise, lasciandole la mano e il fianco con un gesto rapido, come se si fosse scottato.

“Lo avevo capito,” rispose Emily avvertendo un nodo alla gola, quindi se ne andò lasciandolo solo sulla pista da ballo.

Non ce l’aveva fatta, sapeva che se fosse rimasta lì sarebbe scoppiata in lacrime davanti a Cecil, che per di più stava per rifiutarla. Le era chiaro dal modo in cui l’aveva guardata.

Riuscì a resistere finché non fu fuori dal portone, quindi si appoggiò a una parete e sfogò tutte le sue lacrime cercando di non fare rumore, con il viso nascosto tra le mani. Sentiva ancora il tocco caldo del ragazzo sul suo fianco e ripensarci le faceva male.

Sobbalzò quando sentì le mani fredde di qualcuno accarezzarle i polsi per invitarla a scoprirsi il viso, ma vide che era solo Blue. La ragazza doveva averla notata mentre scappava via e l’aveva seguita per consolarla.

L’abbracciò e continuò a piangere sulla sua spalla, incapace di raccontarle cosa fosse successo e consapevole che non ce ne fosse bisogno, perché lei doveva averlo capito. Pianse finché non si sentì stanca e svuotata, poi si fece accompagnare da Blue alla parete che celava il passaggio per il suo dormitorio.

Si salutarono tristemente perché Emily voleva solo andare a dormire, quindi si buttò a letto dove pianse le sue ultime lacrime.

 
L’indomani si svegliò più tardi del solito e dedicò tutto il tempo necessario a lavarsi il viso, segnato dalle lacrime e dal trucco. Non scese a fare colazione perché non voleva rischiare di vedere Cecil, piuttosto preferì finire di preparare il suo baule.

Quando uscì dal dormitorio di Serpeverde fu felice di trovare Blue che l’aspettava nel corridoio. Si abbracciarono senza proferir parola e poi si avviarono insieme alla stazione per prendere il treno che le avrebbe riportate a casa.

Emily evitò di guardarsi intorno per paura di vedere l’amico. Si sedette in una carrozza con Blue, Ana e Patricia, che dovevano aver capito che qualcosa non andava ma non si azzardarono a domandarle cosa fosse successo.

Così riuscì a trascorrere il viaggio serenamente, ascoltando i loro discorsi frivoli. Blue, accanto a lei, era più silenziosa del solito, ma ogni tanto le prendeva la mano o si appoggiava alla sua spalla, facendole sentire che c’era.

Fu un viaggio estremamente lungo per Emily, che però, una volta a Londra, aveva un aspetto più normale e rilassato. Si sentiva meglio, anche se non era del tutto vero, ma voleva almeno provare a trasmettere un’apparenza di tranquillità ai suoi genitori.

Salutò Blue per andare da loro, ai quali si sforzò di raccontare qualche episodio particolarmente bello vissuto a scuola. Quell’anno non sarebbe andata a casa di Cecil per Natale, che lui intendesse invitarla o meno. No, perché sapeva che non ce l’avrebbe fatta.

Le serviva del tempo per se stessa, per riflettere ma soprattutto per calmarsi. Fu quindi molto sollevata quando i suoi genitori le dissero che sarebbero stati raggiunti da alcuni dei parenti dal Canada. Insomma, non avrebbe avuto molto tempo per pensare alla sua delusione d’amore.





Spazio di quella che scrive

La nostra Emily non è una ragazza che piange spesso, anzi le volte in cui la vedrete piangere in questa storia si conteranno sulle dita di una mano. Questa è la seconda volta, perché la prima aveva pianto con Blue quando l'amica ha fatto coming out. E poi ne sono successe tante, ma Emily non ha più versato una lacrima, almeno finora. E il motivo del suo pianto questa volta è Cecil...

Non aspettatevi tanti pianti a causa di Cecil. Presto piangerà perché sarà nervosa... e, in futuro, anche perché sarà sconvolta... o anche per Cecil, chissà! Perché non siamo neanche a metà e non potete fidarvi che io mi ricordi tutto tutto tutto xD

E rieccoci! Scusate la mia sparizione mistica per tutta la settimana, ma ho combattutto una terribile influenza - tra dolori ovunque, mal di testa, febbre e chi più ne ha più ne metta - e non è del tutto passata, ma finalmente ne vedo la fine. Spero che questo capitolo sia valsa l'attesa! Ci sono finalmente degli sviluppi, anche se so che non erano quelli in cui speravate.

Lascio a voi la parola. Per i prossimi aggiornamenti non vi farò aspettare troppo.
👋

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


CAPITOLO 18

 


Tornare a Hogwarts dopo Natale fu più difficile che mai, ma Emily sapeva che doveva farsi forza. Non sapeva ancora come comportarsi con Cecil, però era più calma all’idea di incontrarlo.

Ora lui conosceva i suoi sentimenti… e le aveva fatto capire di non averla mai vista in modo romantico, era questo che le faceva male. E poi Emily era scappata via senza aspettare una vera risposta, ma per lei si trattava solo di un dettaglio. Le era bastato guardare la sua faccia per capire tutto e sentire il suo cuore andare in frantumi.

Sul treno condivise la carrozza con Blue, felice di non aver visto Cecil in giro.

Quell’anno, per Natale, aveva ricevuto in regalo un cellulare e, dato che anche l’amica ne aveva uno, si erano messe d’accordo telefonicamente per stabilire il punto preciso in cui incontrarsi quella mattina.

Lei e Blue trascorsero il viaggio a chiacchierare di argomenti leggeri, facendo finta di niente, almeno finché la bionda non tirò fuori il discorso.

“Cecil è proprio un cretino per averti rifiutata,” disse rivolgendo uno sguardo serio fuori dal finestrino.

“Non mi ha davvero rifiutata... Mi ha solo fatto capire di non aver mai pensato a me in quel senso…” ammise, senza guardare in faccia l’amica.

“Ah, ma non cambia molto allora. Speriamo che durante le vacanze ci abbia riflettuto su.”

Continuarono a parlare fino all’arrivo a scuola, poi si separarono per sedersi ognuna al proprio tavolo. Mentre camminava in cerca di un posto, Emily si decise a guardarsi intorno e individuò Cecil con i suoi amici. Rivederlo fu come ricevere un colpo al cuore.

Fu felice che lui non l’avesse notata, o almeno che non la stesse fissando a sua volta. I suoi sentimenti per lui c’erano ancora e, per quanto avrebbe voluto scappare, sapeva che era il caso di parlarne. Certo, non in quel momento.

Si accomodò a un posto tranquillo e cercò di calmarsi, altrimenti non sarebbe riuscita a cenare.
 

L’indomani scese presto per colazione e dopo un po’ anche il ragazzo entrò nella sala grande. Era con il solito gruppo e la notò, perché i loro sguardi si incontrarono. Per un attimo le sembrò dispiaciuto, ma si voltò subito in un’altra direzione come se non l’avesse vista affatto.

La stava ignorando?

“Avete già parlato?” le chiese Blue, quando la raggiunse poco dopo.

“No, ci siamo solo guardati per un istante,” sospirò. “Non capisco, dovrei andare io da lui?” le chiese, giocherellando col cucchiaio nella ciotola del suo porridge.

“Mmh, in realtà credo che il prossimo passo spetti a Cecil. Tu gli hai detto cosa provi, ora dovrebbe dirti apertamente cosa ne pensa.”

Emily era d’accordo, non le sembrava il caso di andare a chiedergli di parlarne. Forse Cecil stava aspettando il momento giusto, o magari non sapeva ancora cosa dirle. Avrebbe rispettato i suoi tempi, questo si disse.

Dopo colazione andò a lezione di trasfigurazione insieme a Blue, poi si separarono. Emily aveva difesa contro le arti oscure con i Grifondoro, quindi lo avrebbe visto per forza. Quando arrivò in aula lo trovò già seduto vicino a Parker, cosa che la spiazzò.

Rimase impalata sulla porta per qualche secondo, poi notò Patricia che le faceva segno di raggiungerla a uno dei primi banchi. Superò Cecil e lui non si voltò verso di lei, facendole pensare che la stava ignorando davvero.

Sentendo il cuore stretto in una morsa serrata, Emily si sedette accanto all’amica che doveva aver intuito la situazione. Era felice di non dover seguire la lezione da sola o di fianco a uno sconosciuto, ma felice era una parola grossa. In quel momento poteva pensare a tutto fuorché a studiare.

Il professor Brodie doveva essersene accorto, perché la interpellò più volte con domande sul programma dell’anno precedente. Emily sapeva tutto ma ci mise un paio di secondi di troppo a trovare le risposte, presa alla sprovvista.

Intanto avvertì gli sguardi di tutti i compagni su di sé, immaginando che anche Cecil la stesse osservando, e si sentì umiliata. A fine lezione si prese del tempo per mettere via le sue cose così che gli altri potessero andarsene per primi, poi si avviò con passo pesante verso la sala grande. Era di pessimo umore.

“Cos’è successo con quel tuo amico Grifondoro?” le chiese Ana mentre pranzavano.

“Anche io vorrei saperlo, avete litigato la sera del ballo?” domandò Patricia.

Doveva immaginarselo, le sue amiche le avrebbero fatto il quarto grado e ne avevano tutto il diritto. Ormai era arrivato il momento di condividere con loro ciò che era successo. Emily posò la forchetta nel piatto e sospirò, prendendo coraggio.

“Al ballo gli ho detto che mi piace e devo averlo spiazzato, perché non mi ha risposto... quindi sono scappata via. Non parliamo da allora,” ammise tristemente, continuando a fissare il suo pranzo. “Per favore non ditelo a nessuno, mi sento già abbastanza umiliata così.”

Aveva parlato con un tono di voce basso, ma in qualche modo certe notizie riuscivano sempre a circolare.

“Senza offesa, ma Berrycloth è uno stupido se non ha capito che ti piace. Insomma, era ovvio anche per noi,” puntualizzò Ana.

Con sua sorpresa anche Nathan, seduto accanto alla bionda, annuì distrattamente per confermare.

“E poi dovrebbe essere grato di piacerti,” aggiunse Patricia, ed Emily lo prese come un tipico commento in stile Serpeverde, senza un significato particolare.

“No, forse… forse lui ha gusti diversi e non ha saputo come dirmelo,” ipotizzò lei, tornando a guardare il suo piatto.

All’improvviso non aveva più fame.

“Non pensarci, tra poco tornerà a parlarti. Siete amici e quegli stupidi dei Grifondoro mettono gli amici davanti a qualsiasi cosa,” commentò Nathan, con un tono di voce disinteressato.

Emily sperava che avesse ragione.

Li ringraziò e si sforzò di finire di mangiare. Avrebbe dato a Cecil il tempo necessario, come si era già detta, ma sapere che nel frattempo lui la stava ignorando le faceva male. Lei avrebbe dovuto trovare il modo di non pensarci, e di cose da fare in effetti ne aveva molte. Doveva solo riuscire a concentrarsi su quelle.

 
“Siete stati i miei primi amici qui a Hogwarts, non mi piace vedervi così,” le disse Blue, in attesa dell’inizio della lezione di incantesimi.

Erano passati alcuni giorni e Cecil non si era ancora deciso a parlarle. Non la stava ignorando del tutto, perché ogni tanto lo sorprendeva a guardarla con aria pensierosa o dispiaciuta. Se la notava voltata nella sua direzione, però, spostava subito lo sguardo altrove come se niente fosse.

Emily sospirò. Iniziava a essere stufa, ma aveva stabilito che non sarebbe andata a parlarci per prima perché aveva da fare. Non certo perché aveva paura di cosa le avrebbe detto. Comunque a lei era sempre più chiaro che la prossima mossa spettasse a Cecil, perché era lui che la stava ignorando e non viceversa.

“Lui ti ha detto qualcosa di me?” chiese all’amica.

Aveva fatto passare un po’ di tempo resistendo alla tentazione di domandarglielo, ma adesso non poteva più fare finta di niente.

“No, non ha voluto affrontare l’argomento,” sospirò Blue. “Intanto io gli ho detto di darsi una mossa, perché questa situazione non è piacevole per nessuno.”

Emily annuì e cercò di non pensarci, quindi si concentrò sulla lezione e su ciò che avrebbe fatto dopo.

Quel pomeriggio non aveva altri impegni, perciò aveva deciso di andare a parlare con il professor Fiery, l’insegnante di babbanologia. Voleva fargli delle domande sulla materia, dato che in futuro intendeva percorrere la sua stessa strada.

Dopo incantesimi salutò Blue, che aveva da fare con il club di gobbiglie, e si avviò a passo sicuro per il corridoio. Ci mise un po’ per trovare l’aula di babbanologia, visto che non ci era mai stata. Sulla porta però esitò, si chiese se avrebbe trovato davvero il professore all’interno o se fosse meglio cercarlo nel suo ufficio.

Certo, non aveva la minima idea di dove fosse il suo ufficio, a differenza dell’aula che in qualche modo aveva trovato lo stesso. Prese un respiro profondo dicendosi che doveva almeno tentare, perché era arrivata fin lì. Bussò sperando che il professore ci fosse e che non lo avrebbe disturbato.

“Avanti,” disse una voce.

Timidamente, Emily aprì la porta entrando per la prima volta nell’aula di babbanologia. Qui, le saltarono subito all’occhio le sedie per gli studenti, che non erano come quelle delle altre aule. Si trattava senza dubbio di sedie da giardino babbane, fatte di stoffa colorata che creava un motivo a scacchiera.

Vicino alla parete in fondo c’era, oltre alla lavagna, un lungo tavolo sul quale erano stati posizionati diversi dispositivi elettronici, tra i quali individuò un computer e un frullatore. In un angolo della stanza c’era persino una cabina telefonica rossa.

E poi c’era la cattedra del professore, dove Opal Fiery stava correggendo dei compiti o forse preparando una lezione.

Emily ci aveva avuto a che fare una volta soltanto, anche se non avevano parlato davvero. Era successo alla sua prima cena del Lumaclub, quando Bound l’aveva importunata e il professore era intervenuto per allontanarlo. Dopotutto, era il capocasa di Grifondoro.

Lui alzò lo sguardo dalla pergamena su cui stava lavorando e la studiò silenziosamente. Emily si trovò per un attimo a non sapere cosa dire, sopraffatta da quell’aula che sembrava non appartenere a Hogwarts, talmente era piena di oggetti babbani.

“Signorina Lewis, giusto? Non frequenta il mio corso…” notò, posando la piuma con cui stava scrivendo fino a un attimo prima. “È successo qualcosa con uno studente della mia casa?”

“No, professore,” rispose, tornando in sé. “In realtà vorrei parlare della materia che insegna,” ammise, avvicinandosi alla cattedra.

“Continui,” la invitò lui, sollevando un sopracciglio.

“Ultimamente ho riflettuto molto sul mio futuro e sono arrivata alla conclusione di voler insegnare babbanologia... quindi mi chiedevo come fosse stare dall’altra parte e quale percorso di studi avesse fatto.”

“E perché le interessa proprio babbanologia?” le domandò il professore, accarezzandosi il mento dove aveva una leggera barba chiara.

Per qualche motivo sembrava restio a parlarne, il che la lasciò perplessa.

“A dire il vero mi sono sorpresa di quello che c’è scritto nei libri di testo,” ammise, avvicinandosi al tavolo con gli oggetti elettronici per guardarli più da vicino. “Tra gli studenti i babbani sono considerati inferiori, mentre i libri ne parlano con un certo fascino, come se fossero delle creature misteriose e incomprensibili… ma io credo che possa esserci un altro modo per parlarne, un modo che si avvicini di più alla realtà. Dopotutto, noi maghi siamo in minoranza rispetto ai babbani, perciò credo che capirli sia fondamentale.”

Sospirò, sollevata perché era riuscita a esprimere apertamente il suo punto di vista. Rivolse di nuovo lo sguardo al professore e lo trovò che la osservava tenendo le sopracciglia aggrottate. Forse aveva detto qualcosa che non andava?

“Signorina Lewis, se è venuta a criticare le basi della mia materia o a prendermi in giro, la invito a lasciare l’aula. Non ho tempo da perdere, a differenza di ciò che potrebbe pensare,” disse, in un tono che non ammetteva repliche.

Emily sgranò gli occhi e indietreggiò di un passo, spiazzata.

“No, io… non intendevo…” boccheggiò, non sapendo come gestire la situazione.

“Signorina Lewis…!”

“Mi scusi!” rispose solo, quindi raggiunse in fretta la porta e uscì.

Andò a rifugiarsi in una nicchia del muro nel corridoio deserto, dove versò qualche lacrima a denti stretti. Si sentiva di nuovo umiliata, ma anche con i nervi a fior di pelle. Forse non si era spiegata bene, forse aveva usato un tono di voce sbagliato… ma non ne aveva idea! 

Continuò a pensarci, ripercorrendo nella sua mente il breve dialogo di poco prima finché non capì che era tutto inutile. Cercò quindi di calmarsi facendo dei respiri profondi. Non avrebbe certo cambiato idea sul suo futuro, ma non capiva perché il professore non l’avesse presa seriamente, o che cosa l’avesse fatto arrabbiare.

Era stanca di sentirsi in difetto, umiliata e allontanata. Era stanca di tutta quella situazione che non faceva altro che peggiorare, facendola sentire male.

“Le cose potrebbero andare peggio,” le disse qualcuno.

Era una voce maschile che non ricordava di aver mai sentito prima. Si asciugò il viso con la manica della divisa e uscì dalla nicchia, pronta a prendere a parole chiunque avesse osato disturbarla nella sua autocommiserazione.

Si ritrovò davanti un ragazzo dai capelli ricci e neri, con degli occhiali dalla montatura scura e un sorriso furbo stampato sul viso. Indossava i colori di Corvonero e, come immaginava, lei non lo conosceva affatto.

“Non so chi tu sia ma non mi interessa, lasciami in pace!” esclamò, infastidita.

“Sono Matt Crowley e tu sei Emily Lewis,” dichiarò, come se niente fosse. “Babbanologia, eh? Nessuno se lo sarebbe aspettato, nemmeno il professore.”

“Ma che ne sai tu?” ribatté sentendo la rabbia crescere.

Aveva appena smesso di piangere e quello sconosciuto la provocava. E poi, conosceva la situazione? Come faceva?

“So solo quello che ho sentito, ma è abbastanza per capire. Sono un abile legilimens e posso insegnarti a diventare come me.”

“Cioè?” gli domandò, mentre il fastidio lasciava spazio alla confusione.

“Faccio quello che i babbani chiamerebbero lettura del pensiero, ma posso vedere anche i ricordi. La legilimanzia non è una disciplina che insegnano a Hogwarts e so che tu ami imparare. Allora, sei interessata?”

Emily rimase in silenzio, senza parole. Certo che le interessava, se si trattava di imparare una cosa nuova. Qualcosa che non avrebbe mai imparato a scuola, per di più. Però non era proprio il momento, inoltre quel tipo non la convinceva. Probabilmente glielo stava proponendo con un secondo fine, o almeno questa fu la sua prima impressione a riguardo.

Come se l’avesse capito, lui sorrise in modo furbo.

“Non ti piacerebbe sapere cosa pensano gli altri di te? Sicuramente c’è qualcuno del quale vorresti leggere il pensiero.”

Cecil,” pensò subito, poi scosse la testa e sperò che lui non se ne fosse accorto.

“Meglio di no, ne abuserei e potrei creare situazioni spiacevoli,” dichiarò, superandolo con passo sicuro.

Era seria, le sarebbe piaciuto ma credeva che avrebbe portato solo a nuovi problemi.

“Allora non vorresti imparare l’occlumanzia per evitare che altri ti leggano nella mente? Ti accorgeresti se qualcuno ci prova e lo chiuderesti fuori. Che ne dici?” insistette, seguendola.

Ecco, quello forse le interessava di più. Fino a quel momento non aveva avuto idea che esistesse qualcosa come la legilimanzia e l’occlumanzia, persino nel mondo magico.

“Ci penserò su,” gli rispose in tono di sufficienza, non ancora calma del tutto dopo ciò che era successo in aula.

Lo avrebbe fatto davvero, ma non voleva dargli soddisfazioni subito e, soprattutto, aveva altro a cui pensare. Lui le sorrise e la salutò con una mano mentre Emily lo superava e se ne andava per il corridoio.

 
A cena, quella sera stessa, vide Matt Crowley parlare con Batilda Rain, di Serpeverde, sulla porta della sala grande.

“Ehi, conoscete quel tipo?” chiese alle amiche, mentre mangiavano.

Ana e Patricia seguirono il suo sguardo.

“È Crowley, del quinto anno. Lui e la Rain sono prefetti, a parte questo non so altro,” rispose la prima.

Emily annuì. Se era un prefetto, non doveva essere un tipo pericoloso. Dopotutto, erano loro a far rispettare le regole a Hogwarts.

Probabilmente le aveva fatto quella proposta per provarci con lei, ma era stato molto originale. Gli altri l’aiutavano a raccogliere dei libri dopo averglieli fatti cadere, la salutavano distrattamente per i corridoi o la invitavano a uscire apertamente. Alcuni erano fin troppo insistenti, tanto che lei non sopportava quel tipo di approccio.

Matt Crowley, proponendosi di insegnarle qualcosa di nuovo, aveva di certo fatto una scelta più azzeccata ed era riuscito ad attirare la sua attenzione. Lui non le interessava, ovviamente, ma imparare qualcosa di nuovo sì.

“Ehi Emily!” la salutò Blue, avvicinandosi al suo tavolo. “Com’è andata quella cosa?”

La ragazza ci mise un attimo a capire a cosa si riferisse, ma poi si ricordò di averle detto che sarebbe andata dal professore di babbanologia.

“Un disastro,” ammise con un sospiro. “Dopo ti racconto.”

“Cosa cosa?” chiese Patricia, curiosa.

“Niente, una cosa tra noi,” rispose Emily, sorridendo per mascherare l’imbarazzo.

“Ah, adesso hai dei segreti,” la prese in giro Ana.

Non ne aveva ancora parlato con loro perché non sapeva come avrebbero preso il suo interesse per la materia. In ogni caso, prima o poi avrebbe detto tutto anche a loro, perché erano sue amiche.






Spazio di quella che scrive

Vi avevo promesso un'Emily che piange dal nervoso ed eccola qua! Diciamolo, è un "periodo no" per vari motivi e tutto insieme è stato troppo da sopportare.

E intanto ha fatto la sua comparsa Matt Crowley, prefetto di Corvonero che ha un anno più di Emily. Vorrei dirvi cosa ne penso di lui, ma cercherò di resistere per qualche capitolo!

Fiery invece lo conoscevamo già, perché è comparso per la prima volta nel capitolo con Boderik Bound al Lumaclub. Con l'evento di oggi, e i prossimi che vedrete presto, si entra davvero nel vivo della questione "babbanologia". E anche qui vorrei dirvi di più, ma mi impongo il silenzio.

Inoltre sospetto che vi interessi soprattutto del mutismo di Cecil xD

Grazie infinite per tutte le recensioni! Se anche questa volta vorrete condividere con me il vostro parere, sarò molto contenta di leggerlo ^-^

A presto!

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


CAPITOLO 19

 


Dopo cena, Emily e Blue si sedettero sulla gradinata fuori dalla sala grande a parlare. Avevano finito in fretta, quindi la maggior parte degli studenti stavano ancora mangiando e loro potevano stare lì tranquille.

“Non so cosa ho detto di male ma devo averlo offeso,” sottolineò Emily, al termine del racconto sul suo incontro con il professor Fiery.

“Assurdo,” commentò Blue, abbassando lo sguardo con fare pensieroso. “Gli hai detto esattamente questo? No perché a me sei sembrata molto chiara e convincente.”

“Più o meno, il succo del discorso comunque era quello,” sospirò. “Non so Blue, forse non ho capito la vera essenza di babbanologia. Visto che non sono riuscita a parlarne con lui, mi piacerebbe trovare qualcun altro disposto ad ascoltarmi e a darmi consigli.”

“La preside, magari?” propose l’amica, gettando distrattamente lo sguardo all’interno della sala.

Non che da lì si riuscisse a vedere qualcuno.

“Forse. Non mi vengono in mente altre opzioni, sinceramente. Prima però voglio rifletterci da sola… e anche se non avessi davvero capito il senso della materia, io resto della mia idea,” ammise.

“Sei determinata, è un buon segno. Credo che tu abbia davvero trovato la tua strada,” le disse Blue, facendola sorridere.

“E tu la tua. Sei fantastica con tutti gli incantesimi che hanno a che fare con gli abiti o con le cuciture, e poi si vede che è qualcosa che ami.”

“Già, ma io questo lo so da sempre,” puntualizzò la bionda, ridacchiando. “Per te invece è tutto nuovo e ci hai riflettuto molto. E hai solo quindici anni! Non conosco nessuno di tanto serio, alla nostra età.”

“Se lo dici così mi fai sembrare noiosa,” ribatté Emily, divertita.

“Non intendevo questo e lo sai!”

Chiacchierarono per qualche altro minuto, dopodiché si separarono per andare ognuna nel proprio dormitorio.

Una volta nella sala comune di Serpeverde, Emily vide una scacchiera e questo le fece pensare a Cecil. Aveva avuto altro per la testa per tutta la sera, ma ora che era da sola, prima di andare a dormire, non poteva non pensare a lui.

Il suo amico le mancava terribilmente ed era proprio lì, nello stesso edificio, solo che lei non poteva parlarci. O meglio, sentiva di non poterlo fare, perché era lui che la stava tenendo alla larga.

Sospirò. Iniziava a pentirsi di essersi dichiarata, perché le sembrava di aver distrutto la loro amicizia.

 
Emily passò la settimana successiva a destreggiarsi tra lezioni, studio, ripetizioni di incantesimi ai più piccoli e club dei duellanti. Trascorse i momenti liberi con Blue oppure con i suoi amici Serpeverde.

Blue seguiva sempre le partite di quidditch giusto per poter vedere Cristelle, con la quale si fermava spesso a chiacchierare. Le due ormai erano diventate amiche ed Emily aveva saputo che si stavano organizzando per uscire insieme a Hogsmeade. In amicizia, ovviamente.

Cecil invece, quando non si allenava, era sempre insieme a Parker. Emily cercava di non pensare troppo a lui perché farlo la metteva di cattivo umore, oltre a farla sentire male. Presto avrebbe raggiunto il limite e sarebbe andata ad affrontarlo di persona, che fosse pronto o meno.

Nel weekend aveva talmente tanto bisogno di distrarsi che accettò un’uscita propostale da Matt Crowley, così si ritrovò ai Tre Manici di Scopa, seduta a un tavolo con lui. Il tavolo appartato preferito dalle coppiette, per di più.

Si stava guardando intorno stizzita in attesa che Madama Rosmerta tornasse con le loro burrobirre, quando notò che il ragazzo non smetteva di fissarla. Si schiarì la gola per fargli capire che doveva finirla, e in risposta lui ridacchiò.

“Stavo solo pensando che ci saremmo divertiti di più da Madama Piediburro,” dichiarò.

“Oh, non credo proprio,” ribatté lei.

Lì ci sarebbe andata con Cecil, prima o poi, o almeno era ciò che sperava. Con Matt non aveva quel tipo di rapporto e non lo voleva nemmeno.

“Pensavo fossimo qui per parlare di occlumanzia. Allora, come hai imparato e perché insisti a volermela insegnare?”

“Io ti avevo proposto la legilimanzia in realtà, vista la tua situazione attuale,” ribatté lui rivolgendole un sorrisetto compiaciuto.

“Senti, solo perché hai spiato nella mia mente non significa che ne sai qualcosa. E te l’ho detto, se avessi un potere del genere potrei abusarne e non sarebbe positivo per nessuno. Non voglio diventare come te.”

Lui ridacchiò, divertito.

“Anche tu non sai niente di me. Ho ascoltato i tuoi pensieri, è vero, ma non lo faccio certo con tutti,” puntualizzò.

Nemmeno Emily lo avrebbe fatto con tutti, ma non avrebbe resistito alla tentazione di leggere il pensiero di Cecil. Preferiva rispettare la sua privacy, almeno in quel momento così delicato. In tutti i momenti in realtà, ma in quello avrebbe davvero abusato della legilimanzia e voleva evitare di farlo.

Finalmente arrivarono le loro burrobirre così la ragazza poté berne un sorso. Aveva la gola secca. Non ci aveva pensato la prima volta perché era sconvolta dopo la conversazione con il professor Fiery, ma aveva davanti un legilimens. Questo la metteva in soggezione, perché si sentiva sempre come se le stesse guardando dentro.

“Ho creato un bisogno?”

“Come, scusa?” domandò lei, confusa, posando il suo boccale sul tavolo.

“Sai come si fa, si crea un bisogno e poi si offre la soluzione,” rispose, divertito.

“Dannazione, sai il fatto tuo,” commentò Emily, scuotendo la testa.

Sì che avrebbe voluto chiuderlo fuori dalla sua mente con l’occlumanzia, se solo avesse saputo come.

“Per rispondere alle tue domande,” continuò lui, con fare soddisfatto, “mio padre è un legilimens e mi ha insegnato tutto ciò che sa. Ovviamente è anche un ottimo occlumante e io ho voluto imparare entrambe le discipline, che sono due facce della stessa medaglia.”

“Questo spiega perché sai qualcosa che non viene insegnato a Hogwarts. In quanto a me, perché vuoi insegnarmi?”

“Oltre al fatto che voglio passare del tempo con te?” sottolineò. “So che l’hai capito.”

“Quindi sai anche che non mi interessi. Allora?”

“Sei intelligente e sveglia. Da quanto ho sentito, hai colto ogni buona occasione per imparare di tutto e questo mi ha fatto capire che avresti dato il giusto peso alla mia proposta. E poi stai già pensando al tuo futuro, il che è ammirevole!”

Bevve un sorso della sua burrobirra mentre Emily lo osservava in silenzio, ponderando le sue parole.

“Adesso inizia a interessarti l’occlumanzia, ma come insegnante la legilimanzia sarebbe la tua migliore amica, ci scommetterei il mio gufo,” continuò Matt, sicuro di sé.

“Ammetto che ciò che dici sembra sensato, ma non ho ancora deciso che accetterò la tua offerta,” puntualizzò, quindi sollevò il boccale per bere.

In quel momento la porta del locale si aprì e ciò che vide le fece quasi andare di traverso la bevanda. Era entrato Cecil insieme ai suoi amici. Emily posò di nuovo il bicchiere, chinò il capo e si nascose il viso usando una mano.

Pensava che avrebbe avuto gli allenamenti, invece era lì. E in effetti quella era una tappa fissa quando si andava a Hogsmeade, perciò lei capì che avrebbe dovuto prevedere quello scenario. Sperava solo che non l’avesse vista! 

Voleva sotterrarsi.

“Ti prego, dimmi che conosci un incantesimo per farmi diventare invisibile,” chiese.

“In effetti sì, ma torneresti visibile al tuo primo movimento,” rispose Matt, al che lei pensò che fosse un incantesimo inutile. “Meglio fare finta di niente e uscire,” propose quindi, alzandosi per primo.

Il suo movimento doveva aver attirato l’attenzione del gruppo di Grifondoro, perché Emily avrebbe giurato che Cecil l’avesse vista ormai. Non ne aveva conferma perché non voleva voltarsi a guardarlo, ma ne era certa. Ingoiò il rospo e si alzò a sua volta, seguendo il ragazzo fuori dai Tre Manici di Scopa.

Di nuovo fuori, esposta al freddo invernale, la ragazza sentì il viso andarle a fuoco per l’imbarazzo. Se davvero l’aveva vista insieme a Matt Crowley, cosa aveva pensato?

“Ah, se solo ci fosse un modo per ascoltare i pensieri delle persone…” commentò sarcasticamente il Corvonero, guadagnandosi un’occhiataccia.

Per lei la loro uscita poteva concludersi lì, perciò si avviò verso il castello con lui al seguito. Ne aveva avuto abbastanza. 

Durante il tragitto, bastò qualche altra chiacchiera su legilimanzia e occlumanzia per convincerla ad accettare di farsi insegnare almeno la seconda. Si sarebbero incontrati già la sera successiva, in tutta segretezza.

“Mi raccomando, non farti scoprire dai prefetti,” si raccomandò Matt, quando furono arrivati ai cancelli di Hogwarts.

“Ma… tu sei un prefetto,” gli fece notare Emily, confusa.

Lui sorrise e sollevò le spalle come se fosse un dettaglio di poco conto.

 
La prima lezione di occlumanzia fu un’esperienza del tutto nuova per lei.

In un’aula vuota, Matt Crowley provò a entrarle nella mente per guardare nei suoi ricordi. In quel momento lei li vide insieme a lui, quasi li stesse rivivendo. Inoltre provò tutte le emozioni di allora.

Si sentì messa a nudo e fu decisamente imbarazzante.

Aveva passato il pomeriggio a informarsi sulla disciplina, ma vivere quell’esperienza in prima persona fu tutta un’altra cosa. Il ragazzo le spiegò come fare per ergere una barriera con cui chiuderlo fuori, cosa che lei non riuscì a fare.

Quando si salutarono, si sentiva stanchissima e aveva il mal di testa per lo sforzo mentale. Inoltre non era certa di voler continuare, perché ciò che lui aveva visto – e che avrebbe potuto vedere in seguito – la imbarazzava.

Gli disse che doveva riflettere per capire se voleva davvero imparare l’occlumanzia o meno, perché aveva tanto altro a cui pensare. Non era davvero una bugia.

 
Una nuova settimana ebbe inizio ed Emily si disse che sarebbe andata meglio delle precedenti. Fece colazione con Blue raccontandole il suo insolito weekend, poi l’amica la aggiornò su tutte le novità legate a Cristelle.

L’argomento Cecil non venne nemmeno sfiorato, ma entrambe gli rivolsero uno sguardo di sfuggita quando lo videro entrare nella sala grande.

Emily cercò di allontanare i pensieri tristi. Aveva altro a cui dedicarsi, prima di tutto babbanologia. Dopo attente riflessioni – e dopo aver chiesto in giro per trovare l’ufficio del professore – aveva deciso di provare a chiarire con lui il suo punto di vista. Se non fosse servito, avrebbe chiesto consigli altrove.

Non sapendo come parlargli questa volta, aveva preparato una lettera da lasciargli. Dopo la prima ora sarebbe corsa a infilarla sotto la sua porta, questo era il piano.

Nella lettera si scusava nuovamente per averlo offeso, specificando che le sue intenzioni erano sincere. Era determinata a sapere di più sulla materia e a ricevere consigli sul suo percorso di studi futuro, per questo aveva deciso di rivolgersi a lui, non certo per prenderlo in giro.

Inoltre dedicò alcuni paragrafi ad ampliare il suo pensiero a riguardo, acquisito dopo aver letto molti dei testi di babbanologia presenti in biblioteca e dopo un’attenta riflessione. Se anche così lui l’avrebbe fraintesa, sarebbe andata davvero dalla McGranitt per chiedere consiglio a lei.

Al termine della prima lezione del mattino corse quindi a fare il suo dovere, con il cuore in gola. Sperava che nessuno la cogliesse sul fatto e che quella fosse davvero la mossa giusta.

Non riuscì a calmarsi del tutto per il resto della giornata, consapevole che prima o poi Opal Fiery avrebbe letto le sue righe. Nel pomeriggio Blue tentò di distrarla con una partita a gobbiglie, ma lei era un fascio di nervi. Nemmeno venire spruzzata dal solito liquido disgustoso servì a qualcosa.

All’ora di cena stava per varcare la soglia della sala grande con i suoi amici Serpeverde quando notò il professore che aspettava lì fuori, a braccia incrociate. Le si gelò il sangue nelle vene.

“Signorina Lewis, potrebbe venire con me?” le chiese l’uomo, facendola sobbalzare.

Ne era sicura, le avrebbe dato una punizione, tolto dei punti oppure l’avrebbe portata direttamente dalla preside. Certo, in quel caso sperava almeno che lei volesse ascoltare le sue ragioni.

“Oh-oh, Emily è nei guai,” commentò scherzosamente Ana mentre lei, con aria triste, lo seguiva in corridoio.

Inaspettatamente la condusse fin nel suo ufficio, dove le fece segno di sedersi e le versò una tazza di tè.

Confusa da quel trattamento che forse era solo la calma prima della tempesta, Emily notò a malapena che in quella stanza c’erano, qua e là, dei piccoli oggetti babbani a fare da soprammobili. Per il resto, era proprio come si immaginava l’ufficio di un qualsiasi professore di Hogwarts.

“Ho ricevuto la sua lettera,” disse, prendendola in mano mentre si sedeva alla cattedra di fronte a lei.

Emily deglutì scoprendo di avere la gola secca.

“Se ciò che ha scritto è sincero e io credo che lo sia, l’ho fraintesa e le devo le mie scuse,” continuò, in tono calmo.

Emily strabuzzò gli occhi. Non credeva alle sue orecchie, avrebbe voluto chiedergli di ripetersi, per sicurezza, ma era un professore perciò si trattenne.

“È insolito trovare uno studente della sua età tanto interessato a babbanologia. Cosa c’è, temeva che mi sarei arrabbiato di nuovo?”

Emily portò le mani alla sua tazza di tè e, confortata dal piacevole calore della bevanda, annuì.

“Credevo che mi avrebbe messa in punizione, sì,” ammise, a sguardo basso.

Fiery trattenne una risata.

“Mi dispiace per la volta scorsa, non vado fiero del modo in cui ho reagito. Come dicevo, non mi aspettavo tanta sincerità e determinazione nel suo interesse per questa materia. Non me lo aspetto da nessuno, in verità… Per questo mi domando perché le interessi proprio babbanologia.”

Emily alzò lo sguardo. Il professore la osservava curioso, in attesa che lei rispondesse.

Opal Fiery era il più giovane nel corpo insegnanti, se non si contava il professor Paciock che era arrivato da poco. Aveva i capelli color castano chiaro, una leggera barba e degli occhi azzurri, o verdi forse. Emily non lo sapeva, la stanza era in penombra e lei non li aveva mai guardati davvero.

Alto e slanciato, dimostrava forse una trentina d’anni. Gli studenti lo prendevano sempre alla leggera per via della sua età e della sua materia, ma era pur sempre il capocasa di Grifondoro… e con lei aveva saputo essere molto severo.

Chi era davvero il professor Fiery? Emily se lo domandò, accorgendosi che non ne aveva idea. Dopotutto, non frequentava nemmeno le sue lezioni.

“Ho solo pensato che fosse importante promuovere un cambiamento e di voler contribuire ad attuarlo,” gli rispose. “Possiamo proibire l’utilizzo di certe parole che etichettano i nati babbani, ma così facendo non si cambia davvero il pensiero delle persone. Un miglioramento in questo senso deve partire assolutamente dalla scuola. Inoltre credo che il nostro mondo e quello dei babbani non debbano essere separati da una linea netta, per noi maghi almeno, e per questo è importante conoscere davvero loro, che sono in maggioranza.”

“Parole ambiziose le sue, signorina Lewis. Ho riflettuto sul contenuto della sua lettera e condivido il suo punto di vista, però ho qualcosa da ridire. Da quanto ho intuito, vorrebbe eliminare l’alone di mistero e di fascino che abbiamo sempre conferito ai babbani per sostituirlo con dei fatti concreti, ma non crede che così facendo la materia perderà la sua attrattiva?” domandò lui, accarezzandosi il mento con fare pensieroso.

“In realtà pensò che diventerà più interessante proprio perché sarà strettamente legata alla verità, ma chiaramente è solo il mio punto di vista,” rispose abbassando lo sguardo.

“Deve considerare che si tratta di una materia opzionale, perciò il rischio sarebbe quello di perdere tutti gli iscritti.”

Ecco, a questo Emily non aveva pensato affatto.

“Ha ragione, ma perché una materia come babbanologia dovrebbe essere opzionale?” gli chiese, anziché controbattere. “Scommetto che ci sono intere famiglie di maghi che non sanno niente dei babbani e che li guardano dall’alto in basso, ma intanto ascoltano musica sui grammofoni, inventati proprio da loro. E in questo modo noi maghi ci isoliamo dal resto del mondo, in una realtà ristretta che non può conciliarsi con quella dei babbani, solo perché crediamo che sia giusto così.”

Il professore la osservò in silenzio, sorpreso.

“Babbanologia obbligatoria? Non l’avevo mai pensata in questi termini ma, se si rivoluzionasse il programma di studio… e se il Ministero e la preside approvassero un tale cambiamento… potrebbe avere senso.”

Emily rilassò le spalle accorgendosi solo in quel momento di quanto fosse tesa. Sollevò la sua tazza di tè e ne bevve un sorso sperando che l’aiutasse a calmarsi. Mentre lo faceva, notò che Fiery stava cercando qualcosa in un cassetto.

“Sa dirmi cos’è questa?” le domandò poi, mettendole davanti un astuccio aperto.

Emily posò la tazza nel piattino e osservò meglio l’oggetto contenuto al suo interno.

“È una penna stilografica,” dichiarò, senza alcun dubbio.

“Se è così, perché non scrive?” chiese ancora lui.

La ragazza gli rivolse uno sguardo confuso, ma non fece domande e tornò concentrata sulla penna. La prese in mano e svitò il pennino con un gesto sicuro, dato che l’aveva visto fare un milione di volte a suo padre. Amava quelle penne perciò ne avevano la casa piena, come di boccette per l’inchiostro nero e rosso, con cui lui correggeva i compiti dei suoi studenti.

La cannuccia di quella del professor Fiery, però, era vuota.

“Provi a intingere la punta nell’inchiostro e a ruotare questa parte per risucchiarlo all’interno,” gli suggerì, guadagnandosi uno sguardo sorpreso.

L’uomo ci provò subito e nel frattempo lei finì di bere il suo tè.

“Che ne diresti di assistermi durante la prossima lezione?” le chiese, dopo aver verificato che scrivesse davvero.

Per fortuna Emily aveva già vuotato la sua tazzina, altrimenti la bevanda le sarebbe andata di traverso. Le stava chiedendo di partecipare a una lezione, il che era molto più di ciò che sperava!

“Ovviamente prima chiederò il consenso della preside. Nel frattempo lei, signorina Lewis, dovrà avere quello del suo capocasa. La lezione sarà domani pomeriggio, con Grifondoro e Corvonero del sesto anno.”

Le comunicò tutti i dettagli, dopodiché la lasciò libera di andare a cena. Emily lo ringraziò per l’opportunità e si avviò verso la sala grande con le gambe che le tremavano per l’emozione. Eppure avrebbe voluto correre, saltare e persino volare, tanto era felice.

 
Quella notte ci mise molto a prendere sonno, al punto che non credeva sarebbe riuscita a chiudere occhio. Non era solo emozionata per la conversazione avuta con il professor Fiery e per la sua proposta di assisterlo durante una lezione l’indomani.

Era anche agitata perché avrebbe dovuto parlarne con Lumacorno e ottenere il suo benestare. Non aveva detto a nessuno, all’infuori di Blue e Cecil, del suo interesse per babbanologia, e dover affrontare di punto in bianco il professore di pozioni la preoccupava parecchio.

In qualche modo si addormentò, stupendosene l’indomani nel momento del risveglio.

Per una volta le sarebbe piaciuto indugiare a letto, ma si costrinse ad alzarsi e a prepararsi in tutta fretta. In questo modo fu tra i primi ad arrivare in sala grande, dove fu felice di vedere il professore seduto al tavolo dello staff a fare colazione.

Lei fece un respiro profondo, intenzionata a parlargli prima dell’inizio delle lezioni, e prese posto al tavolo di Serpeverde. Mangiò un po’ di porridge con della frutta, sempre tenendo d’occhio l’insegnante. Non aveva affatto fame, con tutte quelle cose per la testa.

Quando lo vide alzarsi e dirigersi verso il portone principale, abbandonò la sua ciotola mezza piena e lo seguì.

“Professor Lumacorno!” lo chiamò, quando entrambi furono nel corridoio.

L’uomo si fermò e si voltò per rivolgerle uno sguardo sorpreso.

“Ah, signorina Lewis. Cosa posso fare per lei?”

“Avrei bisogno di parlarle un attimo, signore,” disse, già con il cuore in gola non per la corsa ma per l’agitazione.

Quel poco che aveva mangiato le stava rimbalzando nello stomaco, facendola pentire di aver fatto colazione.

“È una questione urgente? Ho una lezione tra poco meno di un’ora.”

Emily annuì.

Il professore accettò di ascoltarla e le disse di seguirla nel suo ufficio. Esso si trovava in una zona del castello che lei ormai conosceva bene, perché era comunicante con la saletta in cui si tenevano le cene del Lumaclub.

Emily prese posto su una poltroncina davanti al professore, seduto alla scrivania. Era arrivato il momento di dirgli tutto, ma non sapeva bene da dove iniziare e si sentiva sempre più agitata.

Lumacorno non era qualcuno di temibile, anzi lei non l’aveva mai percepito così, ma era ambizioso e “collezionava” studenti di successo. In questo senso un po’ sì che la metteva in soggezione, ora che stava per chiedergli qualcosa di attinente al suo futuro.

“Professor Lumacorno, gli incontri del suo club mi hanno fatto capire che dovevo trovare la mia vocazione e dopo un’attenta riflessione ce l’ho fatta,” si decise a dire.

Gli occhi del mago si illuminarono di curiosità.

“E mi dica, cosa ha capito?”

“Che voglio fare l’insegnante di babbanologia,” dichiarò con sicurezza.

Ecco, una parte del suo dovere era fatta.

La curiosità negli occhi dell’uomo si spense e la sua espressione vivace cambiò in una delusa.

“Babbanologia? Io non capisco, signorina Lewis. Potrebbe puntare a qualcosa di molto più grande. Per esempio, ha mai pensato di fare carriera come pozionista? È una tra i miei migliori studenti e ha davvero talento…”

“La ringrazio professore, ma io voglio insegnare,” insistette, abbassando lo sguardo sulle proprie mani.

Per la tensione le aveva giunte e teneva le dita intrecciate in una morsa serrata. Lumacorno, invece, era seduto comodo sulla poltrona, quasi dovesse riprendere le energie dopo una batosta appena subita.

“Ed è certa che le interessi proprio babbanologia, tra tutte le scelte possibili?”

“Sì, signore. Ci ho riflettuto a lungo e ho i miei motivi,” dichiarò, dopodiché prese un respiro profondo per farsi nuovamente coraggio. “Ieri ho parlato con il professor Fiery delle mie idee riguardo alla materia e lui mi ha proposto di assisterlo durante una lezione oggi pomeriggio, ma ho bisogno del suo permesso.”

Lumacorno abbassò lo sguardo su alcune pergamene che aveva sulla scrivania, ma sembrò che non le stesse guardando davvero. Piuttosto, stava riflettendo.

“Certo che ha il mio permesso, signorina Lewis. Se vuole assistere il professor Fiery, chi sono io per fermare la sua ambizione? Però mi prometta che terrà in considerazione anche le altre materie, quando arriverà davvero il momento di scegliere cosa insegnare. Siamo intesi?”

Emily acconsentì e lo ringraziò, quindi si salutarono e lei uscì dal suo ufficio. Ancora una volta si sentì vincitrice, perché era riuscita ad avere il suo consenso. Quella sensazione di euforia era così bella che ci avrebbe volentieri fatto l’abitudine.

Quella mattina non aveva lezioni insieme a Blue, quindi riuscì a raccontarle tutto solo dopo pranzo. L’amica era al settimo cielo per lei!

Restarono insieme a studiare per un po’, dopodiché raggiunse l’ufficio del professor Fiery perché ormai mancava un’ora alla lezione.





Spazio di quella che scrive

E il capitolo di oggi finisce qui... ma è più lungo dei precedenti, e spero che non sia stato noioso!

Inoltre spero di aver reso bene, almeno un pochino, il personaggio di Lumacorno.

In quanto a Fiery, invece, avrei tante cose da dire ma mi tratterrò per un po', lasciando la parola a voi. Spero che vorrete farmi sapere cosa ne pensate, ne sono davvero curiosa.

Questo capitolo segna una vera svolta sia per quanto riguarda Emily e babbanologia, sia per ciò che accadrà in questa parte di storia. Vorrei dire altro, ma è meglio se mi zittisco.

Alla prossima!

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


CAPITOLO 20




 
Arrivata nell’ufficio del professor Fiery, Emily venne invitata a sedersi davanti a lui, come la sera prima.

“Ho avuto il benestare della professoressa McGranitt,” dichiarò l’insegnante, con il sorriso sulle labbra.

“Io l’ho avuto dal professor Lumacorno,” rispose Emily, felicissima.

“Bene, allora possiamo iniziare. Questo sarà l’argomento della lezione,” le passò un libro e le indicò la pagina.

Opal Fiery le mostrò gli appunti che aveva preparato per il suo discorso, chiedendole dove poteva dare un contributo. Emily arricchì di dettagli le spiegazioni relative ad alcuni oggetti e al loro utilizzo, al che lui le chiese di occuparsene personalmente a lezione.

Un’ora dopo lei si trovava in piedi con lui, accanto alla cattedra. Si era preparata un discorso mentale e lo aveva ripetuto più e più volte nella sua testa, ma adesso stava iniziando a diventare tutto più reale. Presto dalla porta aperta sarebbero entrati i primi studenti, ovvero Grifondoro e Corvonero del sesto anno.

Lei era solo del quarto, eppure avrebbe assistito il professore. Sperava di esserne davvero in grado.

Fiery la chiamò alla cattedra per farle rivedere un passaggio, forse perché si era accorto di quanto fosse tesa.

Quando l’aula iniziò a riempirsi, Emily dovette concentrarsi sul suo respiro per tenere a bada l’agitazione. Era ora di farlo davvero, inoltre tra gli studenti c’erano alcune facce conosciute, ragazzi che la guardarono confusi e che lei ignorò. Tra questi c’era anche Boderick Bound, che lei sperava di non vedere per un bel po’.

Opal Fiery chiuse la porta con un incantesimo e introdusse l’argomento. Malgrado la sua ansia iniziale, Emily si concentrò e cercò di apparire naturale. Non aveva certo problemi a parlare in pubblico, ma era la prima volta che faceva una cosa del genere.

Il professore la presentò e disse che lei avrebbe fatto da assistente per quella lezione, il che suscitò tanti mormorii sorpresi e increduli da parte degli studenti.

Qualcuno la osservava come se non l’avesse mai vista prima, ignorando del tutto il monologo dell’insegnante. Qualcun altro invece ridacchiò o sussurrò delle parole poco carine che lei riuscì a carpire lo stesso.

In particolare, sentì un’insinuazione sul fatto che si vedeva che fosse una nata babbana.

Emily non si scompose perché aveva riflettuto a lungo anche su questo. Conosceva bene i babbani proprio per via delle sue origini, ma allo stesso tempo c’erano cose che ancora non sapeva, soprattutto perché negli ultimi anni era cresciuta come una strega, a Hogwarts. Questo la rendeva una via di mezzo tra i due mondi. Avrebbe dovuto compiere ricerche continue per non sorvolare sulle sue lacune, se davvero intendeva insegnare la materia in futuro. L’idea non la dissuadeva di certo.

Più volte nel corso della lezione Fiery la interpellò perché ampliasse certi argomenti, dato che il libro non lo faceva e anche lui li conosceva giusto superficialmente. O almeno, questo aveva intuito lei parlandoci nel corso dell’ora precedente.

Le sue parole sembrarono incuriosire e stupire gli studenti, ma qualcuno che dormiva o che si faceva i fatti suoi c’era comunque.

Niente di grave, è sempre così, pensò.

Alla fine, quando vide tutti che lasciavano l’aula, poté rilassare le spalle e tirare un sospiro di sollievo. Era fatta.

“Allora, come le è sembrato insegnare babbanologia?” le domandò il professore, alzandosi dalla cattedra per raggiungerla al tavolo con tutti gli oggetti.

“Stancante ma anche soddisfacente. Temevo che avrei fatto un disastro,” ammise, portando una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio sinistro.

“È normale, è stata la prima volta. Comunque se l’è cavata egregiamente,” le sorrise.

Non lo stava dicendo solo per essere gentile, questo pensò Emily, perché anche i suoi occhi stavano sorridendo. Doveva essere rimasto davvero contento, il che la riempì di entusiasmo. Ce l’aveva fatta sul serio! Adesso si sentiva più vicina al suo sogno e non vedeva l’ora di realizzarlo.

“Che ne direbbe di aiutarmi ancora, qualche volta? Il suo contributo è stato prezioso,” le disse. “Ovviamente ogni lezione le varrà dei punti per la sua casa.”

“Volentieri,” rispose, cercando di non sembrare troppo emozionata.

Non lo faceva per i punti, ma perché credeva che si trattasse di un’esperienza importante, che le sarebbe servita davvero.

Il professore le promise di parlarle anche del suo percorso di studi, perché le fosse utile, ma non subito perché non aveva tempo. Emily lo ringraziò ancora e lo salutò. Tornò nel dormitorio di Serpeverde per farsi una doccia, per lavare via tutta la tensione accumulata.

Quando uscì si sentiva rinata. Per asciugare i capelli usò un incantesimo utilissimo che aveva scoperto per caso in un vecchio libro della biblioteca, dopodiché decise di vestirsi in modo comodo.

Di solito preferiva restare in uniforme, perché tra lezioni, studio e altre attività non aveva mai un attimo per tornare in camera a cambiarsi. Quel giorno però, come qualche altra volta, fece diversamente. Indossò un maglione scuro, comodo e caldo, e dei jeans semplici.

Entrò nella sala comune domandandosi cosa stesse facendo Blue in quel momento, perché avrebbe voluto raccontarle tutto subito, ma non uscì in corridoio perché individuò le sue amiche sedute su un divanetto accanto al camino e decise di raggiungerle.

A loro non aveva ancora detto niente delle sue aspirazioni per il futuro, ma se non si sbrigava sarebbero circolate delle voci, o forse Lumacorno avrebbe detto qualcosa a una delle sue cene, perciò doveva giocare d’anticipo. Si disse che quello era il momento buono.

“Ragazze, posso parlarvi di una cosa?” domandò, sedendosi accanto a loro.

“Ehi Emily! Certo,” le disse Patricia e Ana annuì, invitandola con un gesto a sedersi accanto a lei.

“Ho capito cosa voglio fare di lavoro, quando sarà adulta. Sono mesi che ci rifletto, in realtà.”

“Quindi è per questo che sei sempre pensierosa… Decidere di insegnare non ti è bastato, ma hai continuato a rifletterci... Sentiamo, di cosa si tratta?” le chiese la bionda.

“Sì voglio insegnare, di questo ero già certa. Però ora so di voler insegnare babbanologia,” ammise, decidendo che fosse meglio evitare giri di parole.

Le due ragazze risero, attirando per un attimo l’attenzione di altri Serpeverde. Il loro divertimento, però, si spense quando notarono l’espressione seria di Emily.

“Aspetta, dici sul serio?” chiese Patricia, sgranando gli occhi.

“Sì. So che può sembrare assurdo, ma ho le mie ragioni.”

“E quali sarebbero?” le domandò Ana, assottigliando lo sguardo.

Emily ci pensò su. Voleva spiegarsi in poche parole, in un modo che corrispondesse alla realtà, ma che allo stesso tempo fosse comprensibile e condivisibile anche da loro. Inoltre non voleva entrare troppo nel dettaglio.

“Babbanologia è una delle materie considerate meno importanti o interessanti, eppure secondo me ha molto più potenziale di quanto si crede. Basterebbe farlo emergere.”

“Insomma, hai un obiettivo ambizioso che riguarda babbanologia,” commentò Ana, sorpresa. “Questo è molto da te.”

“Grazie… credo.”

“Sarebbe figo se insegnassi proprio qui, a Hogwarts,” disse Patricia, che si guardava intorno già persa a fantasticare.

“In effetti sì, sarebbe meraviglioso!”

Continuarono a parlarne per un po’, dopodiché arrivò il momento di andare a cena. Nella sala grande, Emily notò Cecil insieme ai suoi amici e venne colta da un momento di malinconia. Tutto era iniziato con lui che l’aveva spronata a farsi domande sul suo futuro… e ora avrebbe voluto parlarne proprio con lui, raccontargli cos’era successo quel giorno… ma non poteva.

 
Quel weekend c’era la partita di quidditch Grifondoro contro Corvonero ed Emily si era seduta sugli spalti di questi ultimi insieme a Blue. Pur facendo compagnia all’amica, teneva gli occhi incollati a Cecil e tifava segretamente per la sua squadra.

Alla fine vinse proprio Grifondoro. Blue era dispiaciuta per Cristelle, ma felice per il loro amico. Dopo la partita le due ragazze fecero un giro a Hogsmeade dove acquistarono un sacco di dolci e si fermarono a prendere una burrobirra.

“Adesso staranno festeggiando,” disse la bionda, quindi prese un sorso della sua bevanda.

Emily annuì.

“Senti Blue… faresti una cosa per me?”

“Certo! Di cosa si tratta?”

Emily mise la mano nel suo sacchetto e recuperò una scatola di dolci al cioccolato, quindi l’appoggiò sul tavolo.

“Appena lo vedi potresti darglieli? So di essere patetica, ma voglio che li abbia come regalo per la vittoria della sua squadra. Non devi dirgli per forza che sono da parte mia.”

Blue sospirò e li prese, ma nel farlo le accarezzò la mano per darle conforto.

“Devo dirtelo… Anche a Cecil manchi, ma non sa come affrontarti. È solo questo.”

A Emily venne il magone, quindi evitò di guardarla in faccia sperando che non si accorgesse del suo stato d’animo. Ormai aveva capito di non piacere a Cecil, non nello stesso modo in cui lui piaceva a lei, altrimenti non l’avrebbe evitata per così tanto tempo. Le parole di Blue ne furono la conferma.

Malgrado tutto teneva a lui, considerava preziosa la loro amicizia e sperava che le cose potessero tornare come prima. Però non aveva smesso di provare qualcosa per lui.

 
Qualche giorno dopo incontrò Matt Crowley per i corridoi. Emily doveva ammettere che non aveva pensato affatto a lui in quei giorni, talmente era stata occupata. Il ragazzo le propose un’altra lezione di occlumanzia e lei accettò.

La sera dopo, quindi, si accomodarono in un’aula vuota. Lui provò a entrarle nella mente e lei provò a tenerlo fuori. Dopo qualche tentativo maldestro ci riuscì, ma il muro che aveva eretto era talmente debole che lui fu in grado di distruggerlo comunque.

Fu estremamente stancante, però lei non si perse d’animo. Continuarono con l’allenamento, almeno finché non avvertirono dei passi farsi sempre più vicini.

“Nox!” sussurrò il ragazzo, facendo piombare la stanza nell’oscurità.

Un istante dopo la porta si spalancò e il cuore di Emily, già agitato da quei passi, le saltò in gola. Era Batilda Rain che faceva la ronda notturna in quanto prefetto. Li vide subito grazie alla luce della sua bacchetta e, riconoscendo Matt, sgranò gli occhi.

“Crowley! Che ci fai qui di notte con una studentessa del quarto anno?” domandò, arrabbiata.

“Non è come sembra,” dichiarò lui, sollevando entrambe le mani in segno di resa.

“Ah sì? Dieci punti in meno a entrambe le vostre case, a te per aver organizzato questa cosa e a te per averlo seguito!”

Dopo averlo detto, puntò la bacchetta nuovamente su Emily accecandola.

“Lewis, dico bene? Vieni, ti riaccompagno al dormitorio.”

Emily non aveva mai parlato prima con Batilda Rain, e in quel momento era molto agitata all’idea di subire ulteriori conseguenze per aver infranto le regole. Inoltre doveva riconoscere che la voce della ragazza era decisamente autoritaria, il che contribuiva a renderla spaventosa... almeno in quella situazione, nel buio in cui piombava Hogwarts di notte e con Emily consapevole di essere colpevole.

“E io? Nessuno mi riaccompagna?” si lamentò Matt.

“No, tu vai per conto tuo! E spero per te che non incontrerai un altro prefetto sulla strada, o ti verranno tolti altri punti. Le regole valgono per tutti!”

Lui sbuffò, ma in realtà sembrava divertito.

“Dannazione, sei persino un prefetto. Che esempio dai ai più giovani?” continuò Batilda Rain.

“Nessuno, basta che non mi scoprano,” rispose lui con leggerezza, ma le due ragazze stavano già uscendo dall’aula.

“Non ti ha fatto niente, vero? È un cretino ma di solito è innocuo,” le disse Batilda, camminando a passo svelto per allontanarsi da lì.

“No, anzi mi stava insegnando a praticare l’occlumanzia,” spiegò Emily, un po’ imbarazzata da quella situazione.

Non sapeva se le loro lezioni fossero un segreto, dopotutto lui non lo aveva mai specificato, però le sembrava un’ottima cosa da dire per scagionarsi e magari per discolpare anche lui.

Batilda le rivolse uno sguardo sorpreso.

“Allora sai di cosa è capace! Meno male, temevo che vi foste davvero chiusi lì dentro a fare qualcos’altro.”

“Assolutamente no,” ci tenne a dire Emily. “Mi stava solo insegnando, non mi interessa altro.”

Il prefetto di Serpeverde si voltò di nuovo verso di lei con un’espressione pensierosa.

“Tu sei quella studentessa che sta aiutando con le lezioni di babbanologia, non è così? Quella che si è distinta nei duelli, brava in tutto ciò che fa?” le chiese, spiazzandola.

“Salazar, adesso dicono così le voci su di me?”

“Lo fanno, e di solito le voci di corridoio hanno un fondo di verità. C’è gente che non ti sopporta là fuori perché crede che tu ti sia elevata di un gradino sopra agli studenti più grandi di te, mentre altri ti ammirano o peggio, ti invidiano.”

“E tu cosa ne pensi?” si ritrovò a chiedere Emily mentre si grattava distrattamente la nuca, non sapendo dove volesse andare a parare.

“Penso che se hai deciso di sopportare quell’impiccione di Crowley per poter imparare qualcosa da lui devi avere fegato. Inoltre penso che l’anno prossimo si libererà un posto da prefetto di Serpeverde, e che non sarebbe male darlo a una studentessa brillante come te.”

Emily si ritrovò senza parole per un instante.

“Ne sono onorata, davvero, ma… temo che mi distrarrebbe dallo studio,” ammise, abbassando progressivamente il tono della voce.

Le sarebbe piaciuto, ma riusciva a destreggiarsi a malapena tra tutti gli impegni che aveva già.

“Tu pensaci su, okay? Nel frattempo ti tengo d’occhio,” dichiarò.

Ormai erano arrivate al passaggio per il loro dormitorio, quindi si salutarono ed Emily lo varcò. Quella serata era andata decisamente oltre le sue aspettative.






Note di quella che scrive

E voi vi aspettavate questo sviluppo? Certo, non è davvero successo qualcosa, però Batilda Rain le ha fatto una proposta...

Comunque, bentrovati!

A questo punto della storia vorrei fare una piccola precisazione sulle amiche Serpeverde di Emily, perché non sono riuscita a inserire questa cosa finora.
Ana è una purosangue, come avrete immaginato, ma Patricia no: lei è una mezzosangue! Allora perché evitava Emily, al primo anno? Perché lo facevano gli altri, e non le interessava schierarsi. Inoltre Emily riusciva subito (o quasi) negli incantesimi e in tutto il resto, mentre lei doveva faticare molto, e per questo la invidiava un pochino. Poi anche Patricia è riuscita a migliorare (anche perché a un certo punto lei e Ana hanno chiesto aiuto a Emily con lo studio, mettendo da parte i pregiudizi, ed è così che è cambiato il loro rapporto). Infatti, in uno degli scorsi capitoli ho detto che lei si siede in prima fila alle lezioni di difesa contro le arti oscure. Le lezioni di Brodie!

Vorrei dirvi cosa ne penso di Matt ma aspetto ancora un pochino, nel frattempo mi sono "sfogata" parlandovi di Patricia xD Sono dettagli che non servono alla fine, perché nella storia non compaiono, ma esistono quindi mi faceva piacere condividerli con voi.

Ora, il capitolo parla di tutt'altro. Come cose più succose abbiamo forse la lezione di babbanologia e la rivelazione di Blue riguardo a Cecil. Io ho parlato decisamente troppo in questo spazio, perciò lascio la parola a voi!

A presto!

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


CAPITOLO 21

 


Una domenica Blue era andata a Hogsmeade con Cristelle mentre Emily era rimasta da sola a Hogwarts, a studiare. Era arrivato marzo e lei non vedeva l’ora che fosse primavera inoltrata, perché non ne poteva più di quel freddo.

Coperta dal suo maglione pesante, si ritirò in biblioteca dove non c’era quasi nessuno. Ci passò alcune ore, dedicando l’intero pomeriggio a trasfigurazione e a difesa contro le arti oscure. Quando decise che ne aveva avuto abbastanza mise i libri nella borsa e uscì.

Nel corridoio deserto incrociò Napier e Baxter che le rivolsero un’occhiataccia. Capì subito che avevano in mente qualcosa, infatti prima che potesse reagire la raggiunsero con passo veloce e la spinsero al muro.

“Ho sentito che adesso aiuti il professore di babbanologia,” disse Napier. “Evidentemente lui non è capace di fare il suo lavoro, se ha dovuto chiedere aiuto!”

“Ma poi proprio a te! Sarà perché sei una sanguemarcio?” infierì Baxter. “Chi ti credi di essere, eh? Hai quindici anni e insegni a quelli del sesto!”

“Deve proprio essere impazzita,” aggiunse Napier ridacchiando.

Emily provò a spingerli via, ma si erano fatti più massicci crescendo perciò non ci riuscì, allora ricorse alla sua bacchetta. Stava per minacciarli perché la lasciassero in pace quando William Baxter le afferrò il polso, direzionando la bacchetta verso il soffitto.

“Hai osato guardarmi dall’alto in basso troppe volte,” dichiarò lui, guardandola con rancore. “Volevo lasciar correre, ma adesso basta. Te ne farò pentire.”

“Io non mi faccio dire da te cosa devo o non devo fare!” esclamò Emily, arrabbiata.

Lui e il suo compagno erano vicini, troppo vicini, e le tenevano ferme entrambe le braccia. Forse avrebbe potuto dare un calcio a uno dei due sperando che mollasse la presa, ma che fare poi con l’altro?

Emily era in una posizione di svantaggio, ma non intendeva certo cedere. Non poteva farsi strada spingendo né minacciarli di usare qualche incantesimo su di loro, ma forse ne conosceva uno che li avrebbe distratti anche se scagliato al soffitto. Oppure avrebbe potuto ricorrere davvero ai calci, come ultima spiaggia. Magari un po’ di violenza sarebbe bastata almeno per permetterle di liberarsi.

Doveva pensare in fretta.

“Ah sì? E cosa vuoi fare, sentiamo,” la provocò il ragazzo, scatenando le risate di Napier.

“Chiudete la bocca voi due!” esclamò qualcuno dalle loro spalle.

Si voltarono ed Emily, alzando lo sguardo dai suoi aguzzini, vide Cecil che accorreva in suo soccorso dal corridoio. Sgranò gli occhi perché non ci poteva credere!

Il ragazzo pronunciò un incantesimo che lei non aveva mai sentito prima e le labbra dei due Serpeverde vennero chiuse da un filo magico.

La lasciarono libera e si agitarono nel tentativo di fare qualcosa, ma non potevano fare incantesimi senza parlare perciò scapparono via mugugnando in modo incomprensibile.

“Me l’ha insegnato Blue, l’effetto svanirà da solo tra circa un minuto,” spiegò Cecil, mentre lei li guardava con la sorpresa stampata sul viso. “Tu stai bene?”

Il suo sguardo era fermo su Emily che appena se ne accorse sentì il proprio battito accelerare. Non la guardava così da più di due mesi, inoltre non le parlava da tutto quel tempo. Ritrovarselo davanti all’improvviso la agitò più che essere messa alle strette da quell’idiota di Baxter.

“Sì, grazie…” rispose abbassando lo sguardo per l’imbarazzo.

Non era più abituata ad avere a che fare con Cecil, inoltre era la prima volta che lui le rivolgeva la parola da quando gli aveva dichiarato i suoi sentimenti.

“Bene... Andiamocene da qui adesso, quei due torneranno normali prima di poter raggiungere l’infermeria e vorranno subito farcela pagare,” sottolineò facendo cenno di seguirlo.

Con lui che faceva strada, Emily si mosse a passo svelto fino alla torre di astronomia mentre tanti pensieri le affollavano la mente. Finalmente avevano ripreso a parlarsi, quindi cosa doveva dirgli? C’erano così tante cose che avrebbe voluto chiedergli e raccontargli che non sapeva da dove cominciare.

Alla fine rimasero in silenzio entrambi finché non furono arrivati a destinazione.

Era quasi ora di cena ormai e gli studenti in gita a Hogsmeade stavano tutti rientrando al castello. Dalla torre, Emily e Cecil avevano un’ottima visuale sul tramonto che tingeva di arancione i terreni circostanti. Faceva ancora più freddo là sopra, ma lei non ci fece molto caso.

“Scusami… per come mi sono comportato in questo periodo. Sono davvero mortificato,” le disse il ragazzo rompendo il silenzio che si era creato, tenendo lo sguardo puntato tristemente sul panorama.

Anche se non la stava guardando in faccia, Emily vedeva che era in imbarazzo. Lei annuì.

“Non ti preoccupare,” gli rispose.

In realtà ci aveva sofferto molto arrivando a pensare che sarebbe andata a parlarci infrangendo personalmente il suo silenzio, ma questo non lo disse. Alla fine era riuscita a resistere e lui aveva avuto tutto il tempo necessario. Fin troppo tempo, per i suoi gusti, ma ora si parlavano di nuovo ed era questo ciò che contava per lei.

“Ho tante cose da raccontarti,” continuò lui facendo un sorriso timido, dopo un altro breve silenzio.

Stavano parlando, ma lui stava ignorando la sua dichiarazione. Emily inspirò a fondo in modo impercettibile per impedirsi di pensarci più del dovuto. Dopotutto, aveva già capito quale fosse la risposta di Cecil.

“Tipo la tua ultima partita? L’ho vista e avrei voluto congratularmi,” disse nel tentativo di fare finta di niente a sua volta, ma il tono di voce le uscì più mogio di quanto avrebbe voluto.

“Già... A proposito, quei dolci erano da parte tua? Blue non ha detto niente ma io l’ho capito subito.”

Emily sorrise e cercò di respingere a fondo dentro di sé l’imbarazzo che stava provando.

“Lo ammetto, sono colpevole,” gli rispose con un sorriso timido.

Non era andato tutto come aveva sperato, ma aveva avuto indietro il suo migliore amico e per questo era estremamente felice.

Chiacchierarono per tutto il tempo che li separava dal momento della cena, rimanendo appoggiati al corrimano della torre. Emily ascoltò con piacere i suoi racconti e si riscoprì più volte persa a fissarlo. Era da tanto che non stavano così vicini.

Inoltre Cecil parlò molto, fatto decisamente insolito per lui. Solo con i suoi amici stretti parlava liberamente, ma non l’aveva mai visto loquace come quella sera. E lei era così persa ad ascoltarlo, felice di scoprire cosa avesse fatto in quel lungo periodo di lontananza, che di suo non raccontò niente.

Non pensò nemmeno per un istante ai suoi progressi riguardo a babbanologia, nello studio o alle lezioni segrete con Matt Crowley. Nemmeno per un attimo pensò di raccontarlo, talmente era concentrata ad ascoltarlo con piacere e sincero interesse. Lui, che per una volta era disposto a parlare così tanto, e dopo così tanto tempo.

Quando scesero in sala grande, accorgendosi che ormai era tardi, gli altri studenti avevano già iniziato a cenare. Si salutarono all’ingresso e per lei fu quasi doloroso, ma non disse niente perché sapeva che avrebbero parlato di nuovo, perché tutto era tornato a posto. Non poteva pretendere di più e non lo avrebbe fatto.

Più leggera e serena del solito, andò in cerca di Ana e Patricia per sedersi a tavola con loro e mangiare. Prima di trovarle, però, notò Blue che la salutava con la mano da un posto non troppo distante. La ragazza era raggiante, era chiaro che l’avesse vista arrivare insieme a Cecil.

 
Qualche giorno dopo erano tutti e tre in biblioteca a studiare astronomia. Tutto era tornato come prima, con il trio che trascorreva insieme ogni momento disponibile. A volte erano solo lei e Cecil, anche se tra loro si creava sempre un certo imbarazzo che entrambi facevano finta di non notare.

Cecil comunque era molto impegnato con il quidditch e Blue incontrava spesso Cristelle, infatti sarebbe andata con lei a Hogsmeade anche il weekend successivo. Emily si destreggiava come sempre tra i suoi tanti impegni, per esempio più tardi sarebbe andata dal professore di babbanologia per assisterlo durante un’altra lezione, stavolta del quinto anno.

Gli aveva chiesto se fosse possibile aiutarlo solo con gli alunni del terzo, quindi quelli più piccoli di lei, ma il professore si era opposto. Secondo lui non era giusto che gli studenti del terzo imparassero cose che non erano state in programma per quelli più grandi.

Emily aveva delle obiezioni al suo parere, ma non si era sentita nella posizione di insistere troppo a riguardo. Inoltre da una parte capiva il suo punto di vista, ma condivideva anche quello di chi la guardava male perché gli faceva da assistente anche se più piccola dei suoi studenti.

Dopo un primo, vano, tentativo non si era più opposta alla sua decisione e probabilmente era anche per questo che le persone che la volevano sfidare al club dei duellanti non facevano che aumentare.

A questo proposito, lei aveva osservato attentamente i duelli dei ragazzi del sesto anno e si era accorta che alcuni di loro scagliavano incantesimi non verbali. Affascinata dalla sua nuova scoperta, aveva preso in prestito un libro a riguardo nella speranza di riuscire a praticarli lei stessa.

Aveva letto che per farlo erano necessarie una maggiore abilità e concentrazione del solito, ma ciò non la scoraggiava. Intendeva testarli in qualche duello per rendere del tutto imprevedibili le sue mosse per l’avversario.

Per imparare più in fretta le sarebbe piaciuto chiedere consiglio al professor Brodie, ma probabilmente lui si sarebbe insospettito e le avrebbe chiesto per cosa le servissero, quindi aveva subito scartato l’idea.

“Uff, non ne posso più!” sbuffò Blue allungando le braccia sopra al libro di astronomia. “Non vedo l’ora di essere al settimo anno per non studiare più questa roba.”

“A proposito del settimo anno, ho sentito che Harry Potter in persona verrà qui a tenere delle lezioni speciali di difesa contro le arti oscure,” raccontò Cecil.

Harry Potter. Emily si domandò dove avesse sentito prima quel nome. Impiegò solo un istante per ricordare di averlo letto in tutti i testi che riguardavano la seconda guerra magica, inoltre le sue foto occupavano un posto d’onore sulla mensola di Lumacorno. Era il salvatore del mondo magico, ovviamente!

“Che figo! E noi potremo assistere a queste lezioni?” domandò Blue, sorpresa, guadagnandosi un’occhiataccia da Madama Pince.

“Temo di no, sono solo per le classi del settimo. Chissà se tornerà anche quando sarà il nostro turno.”

“Già, sarebbe bello,” commentò Emily con aria sognante.

Imparare degli incantesimi offensivi e difensivi direttamente dal salvatore del mondo magico le sembrava un’opportunità meravigliosa. Al momento però aveva altro a cui pensare. Nello specifico, ricordarsi della sua foto sulla mensola di Lumacorno le aveva riportato alla mente le cene del club.

Ce ne sarebbe stata una la settimana successiva.

Emily aveva considerato l’idea di invitare Cecil, ma si sentiva in imbarazzo solo al pensiero. Non sarebbe più stato come le volte precedenti, ne era certa. Eppure non poteva andarci da sola, perché non sarebbe stata a suo agio. Non con soggetti come Bound nella stessa stanza.

Nathan era già d’accordo per andarci con Ana, perciò le restava una sola opzione: Matt Crowley. Sperava che il ragazzo sarebbe stato collaborativo. In quel momento si trovava anche lui in biblioteca, seduto a un tavolo poco distante insieme a Batilda Rain.

Emily si voltò a guardarlo nella speranza che si sentisse osservato e si girasse verso di lei. Per sua fortuna non ci volle molto. Era certa che le stesse leggendo nel pensiero, perciò gli chiese mentalmente se volesse accompagnarla alla cena del Lumaclub della settimana successiva.

Matt sorrise ma non annuì né le fece altri cenni. Piuttosto, si mise a scrivere qualcosa su una pergamena. In quel momento Blue le diede una gomitata facendola tornare concentrata su di loro.

“Cos’era quello?” le chiese con un tono di voce basso che attirò comunque lo sguardo di Cecil.

“Quello cosa? Niente,” rispose lei, ma capì che non era stata affatto credibile.

Un aeroplanino di carta planò davanti a Emily e lei si affrettò ad afferrarlo prima dell’amica, capendo che glielo aveva mandato proprio Matt.

Si voltò istintivamente a guardarlo e lo trovò a ridere in silenzio mentre Batilda gli colpiva una spalla con un’agenda come a rimproverarlo. Fu lei a voltarsi nella sua direzione per rivolgerle uno sguardo dispiaciuto, quasi a scusarsi al posto dell’altro prefetto.

Emily le rivolse un sorriso timido. Lei e Batilda non avevano più parlato, dopo quella volta nei corridoi di Hogwarts, ma la compagna non le sembrava tanto male.

Sistemò il foglio per vedere cosa ci fosse scritto.

Come sarebbe bello se ci fosse un incantesimo per scoprire la mia risposta.”

“Che cretino,” commentò Emily sottovoce, attirando un’altra occhiata curiosa degli amici. “Adesso devo andare, il professor Fiery mi aspetta.

“Ci vediamo più tardi,” la salutò Cecil, mentre Blue le faceva un cenno con la mano.

Mentre camminava a passo svelto verso l’ufficio dell’insegnante, le parole del suo amico le rimbombavano nella testa. Si domandò cosa intendesse, dato che non erano d’accordo di vedersi dopo… se non si contava il vedersi di sfuggita nella sala grande per la cena.

Ancora confusa, bussò e varcò la soglia con quei pensieri che le affollavano la mente.

“Salve signorina Lewis,” l’accolse il professore quando lei entrò nella stanza. “Va tutto bene?”

“Salve, sì tutto bene. E lei?” domandò, posando la borsa su una poltroncina libera.

In quei giorni Emily aveva parlato spesso con Opal Fiery, prima e dopo le loro lezioni condivise, e adesso si sentiva più rilassata di prima in sua compagnia. Inoltre anche il professore sembrava darle più confidenza.

Quel giorno le espose il programma che avrebbero seguito, che le aveva già accennato in precedenza, e lei gli mostrò gli appunti su cui si era preparata per fare i suoi interventi. Fatta qualche modifica e controllato che il risultato finale andasse bene, presero tutto il materiale e si spostarono nell’aula adiacente all’ufficio.

A lezione sarebbero stati presenti Tassorosso e Grifondoro del quinto anno.

Emily faceva da assistente al professore solo con due classi, una del sesto e una del quinto. In base ai loro appunti e alla loro lezione insieme, il professore si organizzava per tenere da solo, allo stesso modo, la lezione per le altre due classi di quegli anni.

L’argomento principale per il quinto era l’elettricità, quindi Fiery aveva chiesto a Emily di parlare degli oggetti presenti in aula e di spiegarne il funzionamento nel dettaglio. Lei però ne aveva proposto un altro, quindi aveva portato con sé il suo mp3. Pensava che fosse molto più interessante per dei ragazzi che avevano circa la sua età, rispetto a un vecchio computer.

La lezione fu un vero successo. Gli studenti uscirono dall’aula e lei rimase con il professore per aiutarlo a fare ordine.

Mentre lui finiva di fare delle aggiunte ai suoi appunti, lei prese il cancellino e ripulì manualmente la lavagna. Purtroppo non era abbastanza alta per arrivare alla parte superiore, quindi si sfregò via il gesso dalle mani e prese la bacchetta per rimediare con l’incantesimo di levitazione.

“Sei davvero brillante come dicono, signorina Lewis,” disse all’improvviso il professore, prendendola alla sprovvista.

“Come, scusi? Oh, è perché ho usato un incantesimo?” domandò, confusa. “E davvero c’è qualcuno che dice questo di me?”

“Minerva McGranitt, per fare un nome. Da quando ha dato il suo permesso per le nostre lezioni, tiene d’occhio i tuoi risultati per assicurarsi che il rendimento non cali.”

Emily si sentì improvvisamente in imbarazzo perché non ne aveva la minima idea. Però doveva ammettere che avesse senso, non doveva trascurare gli studi in favore di quell’attività extra ed era normale che la preside volesse controllare la situazione.

“È interessante che tu abbia usato proprio l’incantesimo di levitazione per riuscire a pulire una lavagna, non tutti ci avrebbero pensato,” dichiarò lui, alzandosi per prendere il gesso e sporcarla nuovamente. “Evidentemente non conosci ancora tergeo, ma possiamo rimediare subito. È utile per ripulire praticamente ogni cosa.”

Eseguì l’incantesimo e poi la esortò a fare lo stesso, notando con piacere che c’era riuscita al primo tentativo. Il giovane professore le sorrise e ripose la bacchetta nella tasca del mantello.

“Vorresti unirti a me per un tè?” le propose, aprendo la porta che dall’aula portava al suo ufficio.

“Con piacere. Aspetti, mi sta dando del tu…” sottolineò la ragazza, che se n’era accorta solo in quel momento.

“Scusami, non ci avevo fatto caso. È quello che farei con una collega,” rispose lui, rivolgendole un sorriso imbarazzato e scuotendo la testa.

Emily si sentì lusingata perché l’aveva paragonata a una sua collega, una vera collega. Per lei quello era semplicemente un onore.

“Non deve scusarsi, anzi a me non dà fastidio,” gli disse, seguendolo nell’altra stanza.

Passarono qualche minuto a organizzare la lezione successiva mentre prendevano il tè, dopodiché Emily lo salutò perché voleva andare a posare i suoi libri in dormitorio prima di cena. Appena si fu chiusa la porta dell’ufficio alle spalle, si sorprese di vedere Cecil che l’aspettava fuori dall’aula stando appoggiato a una parete.

“Ehi, che ci fai qui?” gli chiese, felice di vederlo.

“Ti aspettavo per parlare un po’ con te,” rispose lui andandole in contro.

Non aveva l’aria rilassata e spensierata del solito, per qualche motivo che lei ignorava.

“Devo preoccuparmi?”

“No, certo che no. Hai altro da fare adesso?”

“Devo solo passare un attimo dalla mia stanza per alleggerirmi la borsa. Mi accompagni?”

Cecil annuì.

“Prima c’era anche quel ragazzo di Corvonero... ma non uscivi e così se n’è andato,” le disse ed Emily capì subito che si stava riferendo a Matt. “Chi è? Ti sta infastidendo?”

“No, a volte fa lo scemo ma è un tipo a posto. È Crowley, è lui che mi stava dando lezioni di occlumazia. Inoltre è un prefetto,” aggiunse, trovando che fosse un’informazione fondamentale sul suo conto.

“Prefetto? Proprio lui?” le chiese Cecil, incredulo.

Probabilmente non aveva notato la spilla appuntata sulla sua divisa, perciò Emily fu felice di averlo specificato.

“Già. Anche io ero sorpresa all’inizio, ma non so come si comporta quando effettivamente fa il prefetto, perciò voglio dargli il beneficio del dubbio.”

“È un tuo amico quindi, non devo preoccuparmi?”

“Non devi,” gli assicurò. “Però ti ringrazio per il pensiero.”

Cecil sapeva bene che molti l’avevano presa di mira sin dall’inizio della sua carriera scolastica a Hogwarts e lei apprezzava davvero che si preoccupasse di chi le girava intorno. Non faceva così per gelosia, Emily ne era certa, quindi cercava di non illudersi a riguardo.

In quanto a Matt, le loro lezioni si erano interrotte qualche giorno prima, quando lei aveva capito di avere davvero troppo da fare. Inoltre per lui era l’anno dei G.U.F.O., perciò si era raccomandata che pensasse a studiare a sua volta.

In questo modo si erano visti di meno, ma ormai Emily lo considerava un amico. Che lo volesse o meno, il ragazzo conosceva una parte di lei che non aveva condiviso con molti altri. E anche lui le aveva raccontato qualcosa di personale, anche se pareva che l’avesse fatto solo per vantarsi.

Faceva il cretino, ma lei ora sapeva di poter fare affidamento su di lui.

Chissà cosa voleva dirle, aspettandola fuori dall’aula di babbanologia. Forse voleva rispondere in modo serio al suo invito di poco prima, pensò.

“Non sei venuto fin qui solo per chiedermi di Matt Crowley, giusto?” chiese a Cecil, iniziando ad agitarsi.

“No, infatti… Stavo pensando che ultimamente non racconti molto di te. Va tutto bene?”

Emily ponderò le sue parole per un istante prima di rispondere.

“Sì va tutto alla grande, credo. A parte qualcuno che sparla di me, ma non è niente di nuovo. E qualcun altro che si ostina a sfidarmi continuamente al club dei duellanti, riuscendo a vincere alcune volte, ma sono solo duelli.”

“Quindi le lezioni in cui aiuti il professor Fiery vanno bene? Non ne parli molto.”

“Solo perché ho tante cose per la testa, ma sono soddisfatta di come stanno andando,” rispose rivolgendogli un sorriso.

Sì, per una volta le sembrava che stesse andando tutto bene, fin troppo forse.

“Lui è gentile, ascolta i miei consigli e me ne dà tanti. Mi ha anche parlato del suo percorso di studi e di cosa potrei fare io, quindi ho qualche certezza in più su come dovrò muovermi in futuro, anche se lui a differenza mia non pensava di insegnare fin dall’inizio. Certo, devo ammettere che è strano fare lezione per degli studenti più grandi di me, ma immagino che prima o poi ci farò l’abitudine...”

Continuarono a chiacchierare finché non furono arrivati al passaggio che conduceva al dormitorio di Serpeverde, e qui si salutarono. Emily andò a posare i libri nella sua stanza, felice di aver parlato ancora con Cecil prima che quella giornata finisse.

Non si era pentita, però, di aver invitato Matt alla cena del Lumaclub.

Con Cecil aveva sempre visto quelle serate come se fossero l’occasione per una specie di appuntamento e forse adesso anche lui lo aveva capito, o lo avrebbe fatto presto. Non voleva che si creasse altro imbarazzo, lo stesso imbarazzo che aveva reso più rari e freddi gli abbracci con cui, un tempo, si erano salutati spesso.

Con Matt invece sarebbe stato diverso, perché lei non lo vedeva affatto allo stesso modo. Sperava solo che avrebbe accettato di accompagnarla.





Note di quella che scrive

Habemus capitolo spensierato! Ma secondo voi Matt accetterà di accompagnarla? E soprattutto, Emily ha fatto bene a invitare lui?

Oh, come vorrei commentare qualcos altro che succede qui, ma è meglio se mi trattengo! Aspetto le vostre recensioni per sapere cosa ne pensate, e ne approfitto per ringraziarvi ancora per tutti i pareri e anche per le letture silenziose. Spero che fin qui la storia vi stia piacendo.

N.b. Ho nominato Harry perché ho letto che dopo la guerra è tornato davvero a Hogwarts per dare delle lezioni, ma è solo un dettaglio di contesto che non servirà davvero nella storia. Spero di non aver infranto qualche speranza dicendolo, ma mi sembrava il caso di mettere le mani avanti.

A presto!

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Attenzione: lo scorso capitolo è sparito quasi subito dalla prima pagina dedicata al fandom, infatti ha ricevuto meno letture del solito. Prima di passare a questo, vi invito a dare un'occhiata al precedente per verificare di averlo letto altrimenti vi mancheranno dei pezzi. Proprio lì si evolve una certa situazione, inoltre avviene un cambiamento nel rapporto tra Emily e un altro personaggio. Insomma, è fondamentale per capire questo capitolo e ciò che succederà in seguito.

Detto questo, buona lettura!
 

CAPITOLO 22

 


Emily fu felice, il giorno dopo, di sapere da Matt che intendeva accompagnarla alla cena del Lumaclub… ma lo avrebbe fatto a un prezzo. Il suo prezzo era un pomeriggio a Hogsmeade nel quale lui avrebbe avuto potere decisionale sul tempo da trascorrere insieme.

Lei aveva accettato, sottintendendo che sperava non facesse strani scherzi, altrimenti se ne sarebbe andata subito.

Fu così che quella domenica si ritrovò insieme a lui da Madama Piediburro, dove solo le coppiette osavano andare. Si trattava di una piccola sala da tè molto accogliente, adornata da fiocchi e merletti. Era il posto in cui avrebbe tanto voluto andare con Cecil, prima o poi.

Matt, portandocela per la prima volta, aveva un po’ infranto il suo sogno.

Ordinarono e venne portato loro del tè insieme a tanti piccoli pasticcini dolci e salati, posizionati su un’alzata. Malgrado avesse davanti tutta quella meravigliosa delizia, Emily stava insultando il ragazzo con il pensiero per la scelta infelice di andare lì insieme.

“Non provi nemmeno ad alzare una barriera occlumantica? Eppure iniziavi a esserne in grado,” disse lui, mettendo una zolletta di zucchero nella sua tazza.

“Non serve, devi sentire quello che penso,” sottolineò lei prima di fare lo stesso.

Il tè era buono così come il cibo, ma Emily associava quel posto al suo appuntamento ideale con Cecil e non poteva fare a meno di dispiacersi, perché era lì ma non con lui. Sperava che nessuno dei compagni, passando davanti alla vetrina, la vedesse, e che i presenti si dimenticassero di lei.

Ma soprattutto sperò che i suoi amici non venissero a saperlo, altrimenti si sarebbe sotterrata per l’imbarazzo. Per sua fortuna quel posto si trovava su una strada secondaria, pensò.

“Non fai che pensare a quel ragazzo, ma non capisco cos’abbia lui che mi manca,” dichiarò Matt, improvvisamente serio.

“Beh, non ti manca niente, ma lui è lui e tu sei tu.”

Il Corvonero sbuffò.

“Mi dai del cretino, ma questa è proprio una risposta sciocca,” le fece notare.

“Oh, come posso dirlo allora… Tu sei un tipo interessante, sei buffo e devo ammettere che sei anche bello, soprattutto quando ti togli gli occhiali, ma lui ha una bellezza diversa che mi fa impazzire…”

Matt inarcò un sopracciglio, palesemente pentito di aver tirato fuori l’argomento.

“E poi mi piace sin dal secondo anno, o forse persino dal primo. È stato il mio primo amico a Hogwarts e mi è stato vicino anche se le nostre case sono rivali, anche se lui è un mago purosangue e io sono una nata babbana. Non mi ha mai guardata dall’alto in basso, anzi mi ha difesa più volte da chi lo faceva. Si preoccupa per me e io so che con lui posso parlare praticamente di qualsiasi cosa. Con me si è confidato riguardo a cose che non ha detto a nessuno… e mi parla molto, mentre con gli altri resta quasi sempre in silenzio.”

Stava dicendo tutto liberamente, senza trattenersi dall’esporre i suoi pensieri man mano che rifletteva, perché sapeva che il ragazzo le avrebbe letto la mente e con lui voleva essere sincera e trasparente su quell’argomento. Alla fine del suo monologo, il Corvonero teneva lo sguardo basso sulla propria tazza e aveva tutta l’aria di essere giù di morale.

“Matt, io sono davvero felice che tu sia mio amico,” gli disse, appoggiando con esitazione una mano sulla sua, che era a riposo sul tavolo. “Se ti piaccio davvero ti ringrazio e ti porgo le mie scuse. Spero… che resteremo comunque amici.”

Era la verità. All’inizio lo aveva trovato invadente e il fatto di non riuscire a comprenderlo davvero l’aveva messa sull’attenti, ma col passare dei giorni aveva iniziato ad apprezzare il loro tempo insieme.

Dopo un istante a contemplare il contatto tra le loro mani, il ragazzo sollevò lo sguardo sul suo viso e le rivolse un sorriso tirato. Un muto assenso, così lo interpretò Emily, quindi ricambiò e spostò la mano dalla sua per prendere un sorso di tè.

“E comunque puoi dire quello che vuoi ma il nostro finto appuntamento di oggi continua,” sottolineò lui, un attimo dopo.

“Finto appuntamento? Quindi è di questo che si tratta?”

“Sì, qualcosa in contrario? Chi sei tu per impedire a un ragazzo di sognare un po’?” domandò, ironico.

“Ora che abbiamo chiarito tutto, non ho niente in contrario,” rispose lei, decidendo di stare al gioco.

Sapeva come ci si sentiva a venire rifiutati, anche se nel suo caso non era stato propriamente così.

Chiacchierarono ancora mentre finivano tè e pasticcini, quindi lui le svelò che era già stato lì una volta con la sua ragazza del terzo anno.

“E chi era questa ragazza? Qualcuno che conosco?” indagò Emily, curiosa.

Matt sorrise e scosse la testa, divertito.

“Ecco, dovevo aspettarmi questa domanda,” sbuffò. “Era la Rain.”

“Cosa? Voi due siete stati insieme?” domandò, incredula, perché dal poco che aveva visto del loro rapporto non l’avrebbe mai detto.

“Sì, per dodici bellissimi giorni. Il tempo che le è servito per capire che si era sbagliata riguardo ai suoi sentimenti.”

“Oh, mi dispiace…” disse e abbassò lo sguardo, vagamente imbarazzata per avergli fatto rievocare quelli che dovevano essere dei ricordi dolorosi, malgrado lui stesse facendo finta di niente.

“Non dispiacerti, è il passato. Poi sono uscito con altre ragazze molto meno interessate a mettere in mezzo i sentimenti,” raccontò.

“Questo preferivo non saperlo,” sottolineò Emily.

Lui le rivolse un sorriso furbo che la lasciò con il dubbio. Ciò che le aveva detto era vero o si trattava solo di una frase fatta per dare un tono scherzoso al racconto?

Terminata la loro insolita merenda uscirono dal locale e, sempre su richiesta di Matt, andarono al negozio di abbigliamento in cui Emily era solita acquistare i vestiti per gli eventi scolastici. Entrarci le riportò alla mente la volta in cui c’era stata insieme a Cecil, giusto qualche mese prima.

“Oggi non fai che pensare a quello là. Perché non mi tiri su il morale scegliendo un abito abbinato con il mio?”

“Stai scherzando?” domandò, sorpresa.

“No, così faremo un figurone a quella cena.”

Emily sollevò un sopracciglio, poco convinta. Anzi trovava l’idea superflua e imbarazzante.

“E come sarebbe il tuo abito?” gli chiese.

“Non lo so, scegliamo adesso anche quello.”

Dopo un po’ di insistenza da parte sua, Emily si fece convincere ed ebbe inizio lo shopping più sofferto di sempre. Restarono lì dentro almeno per un’ora che a lei sembrò infinita, durante la quale fu davvero difficile trovare due capi abbinati che piacessero a entrambi.

Alla fine fu lei ad arrendersi, cedendo all’ennesima proposta ridicola di Matt: un abito blu con la vita fasciata da una cintura grigia pitonata. Aveva la gonna a campana e lo scollo semplice, a fascia.

Per lui invece c’erano giacca e cravatta dello stesso blu, con inserti grigi pitonati dove la giacca rimaneva aperta per svelare una camicia completamente nera. Secondo il ragazzo quei vestiti erano la perfetta rappresentazione dell’unione tra loro due, secondo lei invece erano dei capi di cattivo gusto che stavano malissimo a entrambi.

Qualche sera dopo dovette indossare di nuovo quell’abito per andare alla cena del Lumaclub e si pentì amaramente della sua scelta. Ana e Patricia cercarono di rassicurarla dicendole che stava bene, ma lei si sentiva troppo scoperta e vistosa.

Inoltre guardava con invidia il meraviglioso abito color bianco perla di Ana, che a lei stava bene sul serio. Le dava un aspetto etereo, quasi fosse una bellissima e fragile fata.

Insomma, quella era la prima e l’ultima volta che chiedeva un favore a Matt Crowley.

Lei, Nathan e la bionda uscirono insieme dal dormitorio di Serpeverde e si trovarono davanti il Corvonero che l’aspettava per accompagnarla. Dopo aver rivolto un’occhiata a lui e poi a Emily, i due amici trattennero a stento le risate. La cosa sembrò divertire Matt, che sorrise con noncuranza e andò in contro al gruppo.

“Ragazzi, lui è Matt Crowley,” disse Emily, sforzandosi di fare finta di niente, per poi presentare anche loro.

Si incamminarono insieme fino alla saletta in cui si sarebbe tenuta la cena, dove vennero accolti da un allegro professor Lumacorno. Scambiarono qualche parola con lui, dopodiché l’uomo si allontanò perché aveva altri invitati a cui dedicarsi.

Emily si guardò intorno e non poté non notare la chioma bionda della sua amica Blue, lì nelle vesti di cameriera come l’anno precedente. Stava per nascondersi dietro al suo accompagnatore ma lei la vide e li raggiunse tenendo in mano un vassoio con delle bevande.

“Emily! E tu devi essere Matt! Ciao, io sono Blue,” li salutò con il suo solito entusiasmo. “Ma come caspita vi siete vestiti?”

Il ragazzo si mise a ridere.

“Io sono qui che mi vergogno come una ladra e lui lo trova divertente,” sottolineò Emily, imbarazzata.

Però doveva ammettere di non sentirsi più male come prima, forse perché ormai erano lì e non era successo poi nulla di grave. Inoltre il suo accompagnatore era di buon umore, il che era contagioso.

Vergognarsi come una ladra non l’avevo mai sentito,” commentò lui, divertito.

“Come mai sei qui, Blue?” chiese Emily, immaginando che questa volta ci fosse anche Cristelle.

“Per guadagnare qualche punto per Tassorosso. No, scherzi a parte, faccio compagnia a Cecil.”

La scintilla di buon umore di Emily si spense all’improvviso. Se lui era lì significava che presto l’avrebbe vista non solo con indosso quell’abito assurdo, ma anche in compagnia di Matt. La mente le si svuotò mentre batticuore e agitazione prendevano il sopravvento.

“È stato un piacere Blue, parleremo più tardi,” disse il Corvonero, prendendo Emily gentilmente per un fianco per condurla su un altro lato della sala.

Quel contatto, seppur indesiderato, bastò a farla tornare alla realtà.

“Niente panico, non stai facendo nulla di male. Anzi, approfittiamone per farlo ingelosire un po’.”

“Non mi sembra una buona idea,” commentò lei, ma Matt non tolse comunque il braccio dalla sua vita. “Almeno promettimi che non gli leggerai nel pensiero. Non voglio sapere niente, non voglio farmi illusioni.”

“Come preferisci. Però non ti lascio, ho guardato nella mente di qualcuno di questi gentiluomini e devo dire che sono felice di non essere nato femmina, ma allo stesso tempo sento il bisogno di scusarmi a nome di tutto il genere maschile.”

Ecco perché non volevo venire qui da sola,” pensò Emily.

Come se non bastasse notò Boderick Bound che parlava con altri due studenti, non molto lontano dalla loro posizione. Come promesso non l’aveva più infastidita dopo il loro ultimo duello, ma vederlo la disturbava comunque.

Il suo sguardo poi venne catturato da qualcun altro, un ragazzo in divisa da cameriere che arrivava da una porta laterale. Aveva i capelli pettinati in modo ordinato, teneva un vassoio sulla mano destra e stava inaspettatamente bene vestito così, tanto che lei non riuscì a staccargli gli occhi di dosso.

E quando anche lui la vide, anziché sentirsi una traditrice o volersi nascondere, Emily non poté fare a meno di rivolgergli istintivamente il suo miglior sorriso.

Cecil rispose accennandone uno a sua volta, poi abbassò di poco lo sguardo e sembrò notare che loro due erano vestiti abbinati, o forse che il Corvonero teneva una mano appoggiata sul suo fianco. Questo fece piombare Emily di nuovo nella dura realtà.

In ogni caso, lui da lì non si mosse.

La ragazza si guardò intorno per confermare che Lumacorno non fosse nei paraggi e decise di avvicinarsi all’amico, che non sembrava indaffarato. Matt rimase al suo fianco seguendola senza dire o chiedere niente, probabilmente perché le aveva letto nel pensiero.

“Ehi Cecil, come mai sei qui?” gli domandò, curiosa.

Il ragazzo esitò per un istante prima di rispondere, spostando lo sguardo su Matt e poi riportandolo su di lei.

“Per ottenere un po’ di punti per la mia casa. Siamo ultimi, così uno dei prefetti si è raccomandato di guadagnarli in ogni modo possibile,” spiegò, tagliando corto.

“Oh, capisco. Comunque, lui è Matt,” disse, decidendosi finalmente a presentarli. “Matt, lui è il mio migliore amico, Cecil.”

“Certo, lo so. Piacere di conoscerti Cecil. Se volete scusarmi un momento, io andrei a prendere qualcosa da mangiare. Non si partecipa tutti i giorni a un evento come questo,” sottolineò, prima di spostare la mano dal suo fianco e dirigersi verso il buffet.

Emily lo guardò per un attimo mentre andava via, sorpresa. Che avesse voluto lasciarli soli? Se era questo il caso, gliene era grata. Tornò quindi a guardare il suo amico, notando che aveva una postura rigida e non sembrava molto a suo agio.

“Pensavo… che le occasioni come questa non facessero per te. Come sta andando la serata finora?” gli chiese.

“Nessuno fa caso a me o mi rivolge la parola, perciò va tutto bene,” rispose il ragazzo, per poi sospirare impercettibilmente. “Ma fammi capire, adesso esci con quello lì?”

Emily sgranò gli occhi.

“No, assolutamente no,” rispose, scuotendo la testa per dare più enfasi alle sue parole.

“Però siete vestiti abbinati e giurerei che a lui piaci,” continuò Cecil, gettando un’occhiata di sfuggita al suo fianco dove fino a poco prima c’era la mano di Matt.

“Me l’ha fatto capire, ma io l’ho rifiutato e gli ho chiesto di rimanere amici. E questi abiti sono un suo capriccio con cui ho deciso di scendere a patti perché gli dovevo un favore,” precisò.

Cecil annuì.

Emily aveva risposto pacatamente, anche se la sua insinuazione l’aveva fatta stare male. Certo, dato come si erano vestiti non poteva biasimarlo per averla pensata in quel modo... Eppure Emily si stava trattenendo per non dirgli che lui, proprio lui, non aveva nessun diritto di insistere su quell’argomento.

Non lo disse perché il solo pensarlo la faceva sentire una cattiva persona, e perché non voleva litigare con lui per niente al mondo.

“Comunque quel tipo non mi convince.”

Emily sospirò.

Che Cecil si fosse offeso perché non aveva invitato lui a quella cena? Era l’unica possibilità che le veniva in mente, e lei non poteva fare a meno di sentirsi in colpa per questo. Si era messa in una situazione difficile, ma lo sarebbe stata in ogni caso.

“Non volevo venire qui da sola, lo sai, e questa volta ho invitato lui. Non c’è nient’altro,” si sentì in dovere di sottolineare, a sguardo basso.

“Sì, l’ho capito,” rispose Cecil, guardandosi intorno con aria annoiata.

Non sapendo più cosa dire Emily seguì il suo sguardo e notò l’insegnante di babbanologia che le faceva un cenno.

“Scusami, mi chiama il professor Fiery.”

Salutò Cecil e raggiunse l’uomo, anche lui vestito bene per l’evento anche se si trovava lì solo per controllare gli studenti.

Nello specifico, indossava un’elegante veste da mago di un viola scuro, decisamente più colorata delle solite che gli vedeva a lezione. Inoltre Emily si accorse che si era messo il solito profumo di lavanda che gli sentiva addosso anche a lezione o nel suo ufficio, quando si ritrovavano a una distanza ravvicinata.

“Buonasera signorina Lewis.”

“Buonasera professore. Voleva parlarmi?” gli chiese, curiosa.

Era felice che il professore le avesse dato l’occasione di salutare Cecil, perché la loro conversazione era stata spiacevole e in sua compagnia, quella sera, rischiava di innervosirsi ancora di più. Le era praticamente già passata ormai, ma il ragazzo l’aveva infastidita particolarmente volendo mettere bocca sul suo rapporto con Matt... dopo il modo in cui lui stesso l’aveva trattata, non troppo tempo prima.

“Sì, in effetti,” rispose l’insegnante. “Ho intenzione di scrivere un nuovo manuale di babbanologia per il terzo anno e vorrei proporti di collaborare con me. Ovviamente verresti citata all’interno del volume, oltre a ricevere dei punti per il lavoro extra.”

Emily schiuse le labbra e il suo sguardo si illuminò per la sorpresa e per la gioia.

Non poteva crederci, avrebbe aiutato il professor Fiery a scrivere un libro! Sicuramente sarebbe stato un passo importante per la sua carriera, inoltre significava che qualcosa sarebbe cambiato davvero, e per di più così presto.

“Accetto con immenso piacere,” gli disse, non riuscendo a trattenere un sorriso sincero.

“Ottimo, ci contavo. Allora sarai molto impegnata d’ora in avanti, signorina Lewis. Di giorno ci sono le lezioni, ma dopo cena ci dedicheremo al manuale. Ti darò dettagli più precisi appena mi sarò organizzato.”

Lei annuì, non vedeva l’ora di iniziare.

“Ora ti lascio al tuo ragazzo,” aggiunse poi, notando Matt che si avvicinava con due piattini in mano.

“Oh, lui non è…” provò a correggerlo, ma il professore se ne stava già andando.

“Non è cosa?” le chiese il Corvonero, porgendole uno dei piatti.

“Niente. E grazie.”

“Stavi pensando che tutti ci hanno presi per una coppia,” sottolineò lui, divertito.

“So cosa stavo pensando,” puntualizzò lei, fulminandolo con lo sguardo.





Note di quella che scrive

Sigh, aggiornare nel weekend è sempre un rischio e non ho ancora capito qual è il momento giusto per pubblicare così che il mio aggiornamento non sparisca sotto a tutti quelli degli altri. Ma veniamo a noi.

Adesso lo dico: Matt Crowley a me piace tantissimo. Forse è addirittura il mio personaggio preferito di questa storia.

In questo capitolo lo conosciamo un po' di più perché finalmente si apre con Emily... però c'è dell'altro, qualcosa che lei non riesce a capire del tutto e che gli lascia attorno un alone di mistero.

A un certo punto lo conosceremo ancora meglio, perché avevo alcuni progetti su di lui che poi sono riuscita a concretizzare e in questo capitolo, in effetti, ci sono degli indizi a riguardo. Ma sono dettagli piccolissimi che forse noto solo io che già so.

Spero che questo personaggio non vi dispiaccia perché ci sono particolarmente affezionata.

Comunque, non dimentichiamoci di Cecil. In questo capitolo anche lui non poteva mancare... Eh già. Ma io non dico niente!

Il prossimo aggiornamento dovrei farlo nel weekend, ma a questo punto non ne sono tanto convinta. Comunque, tornerò presto perché la storia è già tutta scritta e non voglio far aspettare nessuno. Io stessa non vedo l'ora che possiate leggere certe parti, hehe.

Alla prossima!

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


CAPITOLO 23

 


Malgrado la loro scomoda conversazione alla cena del Lumaclub, Cecil non sembrò arrabbiato nei giorni successivi. Anzi, era come se avesse dimenticato tutto. Forse si era reso conto anche lui del perché Emily non l’avesse invitato, cioè che non voleva creare imbarazzo a nessuno dei due.

I giorni seguenti trascorsero sereni e senza novità particolari per Emily, che si destreggiava tra i soliti impegni. Questo almeno fino a quando non iniziò ad aiutare il professor Fiery con il materiale per il suo libro. Si incontrarono per la prima volta un giovedì sera alle 21 per organizzare il lavoro e rimasero nel suo ufficio fino alle 23.

L’argomento delle lezioni del terzo anno erano le basi di babbanologia, che riguardavano la vita quotidiana dei babbani. Se Emily conosceva già molto bene certe cose, per altre si sarebbe dovuta informare meglio, quindi decise che ne avrebbe parlato presto con suo padre. Inoltre avrebbe fatto qualche ricerca personalmente.

Rimandò la questione alle vacanze pasquali e si concentrò su ciò che poteva fare in quel momento.

Il professore le diede un permesso per spostarsi per i corridoi a quell’ora tarda, giusto perché potesse andare dal suo ufficio al dormitorio. Ogni volta che un prefetto la fermava, lei gli mostrava la pergamena firmata da Fiery e veniva lasciata libera di proseguire.

Questo però non frenava Matt Crowley dall’interrogarla quasi fosse un poliziotto babbano con un sospettato, quando era di turno e la trovava in giro di sera. Per lui era divertente, ma lei aveva sempre troppo sonno per farsi contagiare dal suo stato d’animo in quelle occasioni.

Quando invece a trovarla in corridoio era Gazza, temeva sempre che la pergamena con il permesso non bastasse a convincerlo. Il vecchio custode guardava quel documento con sospetto ogni volta, ma per sua fortuna non aveva mai trovato un buon motivo per fermarla e assegnarle un’ingiusta punizione.

Certo che Emily, forte del suo permesso, si aggirava tranquillamente per i corridoi intenzionata solo a raggiungere la sua stanza per andare a dormire.

Una volta, però, venne fermata dal professor Brodie e allora sì che ebbe paura delle conseguenze. Alla fine, fortunatamente, anche lui non trovò nessun motivo per dubitare che stesse tornando dall’ufficio di Opal Fiery.

Tra fine marzo e inizio aprile Emily aveva accumulato una grande quantità di aneddoti relativi alle sue “uscite notturne”, perché ormai lavorava con Fiery tre sere alla settimana. Inoltre aveva accumulato anche molto sonno arretrato, ma per quello cercava di resistere fino al weekend durante il quale andava a dormire prima e si svegliava leggermente più tardi del solito.

In qualche modo stava riuscendo a tener fede a tutti i suoi impegni e ne andava fiera.

Finalmente arrivarono le vacanze di Pasqua ed Emily si riscoprì molto stanca e grata di poter tornare a casa, anche se per poco. Trascorse il viaggio in treno a chiacchierare con i suoi migliori amici, e un po’ anche a dormire.

Una volta arrivata a casa decise che era giunto il momento di parlare delle sue ambizioni per il futuro con i suoi genitori.

“Nell’ultima lettera ci hai detto di avere una novità,” disse sua madre, mentre portava la cena in tavola.

Emily aveva appena finito di apparecchiare, quindi si sedette accanto a suo padre, anche lui in attesa di sentirla parlare.

“Sì, adesso vi dico tutto,” dichiarò.

Si domandava se l’avrebbero capita e appoggiata davvero, ma per saperlo doveva almeno tentare.

“Quest’anno, insieme al mio amico Cecil, ho riflettuto molto su cosa potrei fare in futuro, dopo Hogwarts... e ho capito che mi piacerebbe insegnare.”

“Splendido!” esclamò suo padre, che faceva il professore di lettere alle scuole medie. “E sai già nello specifico cosa vorresti insegnare? Una materia da maghi, scommetto.”

“Esatto, ma è una disciplina decisamente singolare,” rispose, facendo una pausa per riflettere sulle sue parole successive e attirando così la loro curiosità. “Si chiama babbanologia. In poche parole è lo studio delle abitudini delle persone non magiche, ma anche di tante cose specifiche come il funzionamento degli apparecchi elettrici.”

I suoi genitori si scambiarono uno sguardo confuso.

“E per te è qualcosa di abbastanza stimolante?” le chiese sua madre, che la conosceva bene.

“Assolutamente.”

“Ma… tu frequenti questo corso? Non ce ne avevi mai parlato prima. O forse è qualcosa di indirizzato solo ai maghi che hanno poteri da generazioni?” domandò suo padre, perplesso.

“No e no. In realtà è aperto a tutti, e i ragazzi figli di babbani lo frequentano, credo, per il modo magico con cui tutto viene spiegato. Perché anche una cosa che per noi è quotidiana diventa affascinante, se vista dagli occhi di un mago. Solo che, secondo me, questo la allontana troppo dalla realtà. Ne ho parlato con il professore e lui ha capito il mio punto di vista, tanto che mi ha permesso di assisterlo durante alcune lezioni.”

I genitori le rivolsero uno sguardo sorpreso perché non ne sapevano niente, ma non la interruppero.

“Io penso che anche per chi come me è nato babbano sia più interessante studiare la realtà delle cose, perché per la maggior parte dell’anno viviamo come maghi e streghe a Hogwarts, lontani dalla società non magica in cui siamo nati. In questo modo qualcosa lo perdiamo di vista per forza, e così finiamo per non capirlo più, o per non conoscere davvero tutto, con il rischio di sentirci disorientati in seguito.”

“Aspetta, io non riesco più a seguirti,” confessò sua madre, sedendosi a sua volta ora che aveva finito di mettere tutto in tavola.

“Il punto è che secondo me è necessario rivoluzionare l’insegnamento di questa materia e il professore appoggia la mia idea. Infatti sta riscrivendo un libro di testo e mi ha chiesto un contributo… Forse vi sembrerà assurdo, ma io sento di voler fare davvero questo nella vita,” disse e abbassò lo sguardo, sperando che avessero capito quanto ne fosse convinta ed entusiasta.

“Io credo di aver capito e sono fiero di te, Emily,” intervenne suo padre, al che sua madre annuì.

“Grazie,” rispose lei, felice. “A proposito, papà, ho fatto una copia del libro di testo che è stato usato finora e vorrei che mi aiutassi a capire meglio certe cose che non so, così potrò farle presente per la scrittura del nuovo libro.”

Lui accettò volentieri e la conversazione continuò su quell’argomento, dato che ormai Emily aveva aperto il discorso e sentiva di avere tantissime altre cose da raccontare a riguardo.

Quando tornò a Hogwarts era di nuovo piena di vita, oltre che di libri babbani acquistati apposta per approfondire tutti i temi utili.

L’anno scolastico proseguì sereno anche se molto frenetico per Emily. Continuò ad aiutare il professor Fiery con le lezioni e con il manuale, mentre si documentava per essere preparata su tutto. Aiutò i più piccoli con incantesimi e partecipò ai ritrovi del club dei duellanti, pur preferendo assistere e basta perché aveva altro per la testa e ancora un po’ di sonno arretrato.

Trovò il tempo anche per aiutare gli amici con lo studio, che per lei era un momento rilassato e piacevole da condividere con loro. Andò agli altri incontri del Lumaclub, pochi per sua fortuna, ma lo fece sempre restando in compagnia di Nathan e Ana, per non creare altre situazioni spiacevoli.

Il professor Lumacorno, che ormai sapeva del suo interesse per babbanologia, le aveva chiesto qualcosa a riguardo già alla cena precedente. Lei non era entrata davvero nel dettaglio per non rivelare pubblicamente le sue vere intenzioni, ma la voce della sua scelta per il futuro si era ormai sparsa per tutto il castello.

Al termine dell’anno scolastico Emily ottenne il massimo dei risultati in tutte la materie, perché lo studio per lei era comunque rimasto al primo posto. In quanto al manuale che stava scrivendo con Fiery, gli aveva fornito tutto il materiale necessario perciò era quasi pronto.

Ci avevano lavorato in due, senza sosta, e mancavano solo i ritocchi finali di cui lui si sarebbe occupato da solo nel corso dell’estate. Poi non restava che mandarne una copia al Ministero e alla preside perché venisse approvato e introdotto a scuola a partire dall’anno successivo.

Emily era fiduciosa, anche se non sapeva come funzionava il Ministero della magia e come avrebbe potuto essere considerato il loro lavoro.

Certo, c’erano andati cauti con le migliorie, che comunque erano il vero succo del manuale, ma a questo aveva pensato il professore. Lei le portava alla sua attenzione e scriveva alcune parti, lui poi le rimaneggiava dove necessario. Si erano dimostrati una bella squadra ed Emily era fiera di ciò che avevano fatto.

Ciliegina sulla torta, quell’anno Serpeverde vinse la coppa delle case. Emily ne fu sorpresa perché non aveva mai dato peso ai punti, ma in effetti ne aveva guadagnati molti lei stessa, con tutte le attività extra a cui aveva preso parte. L’idea di aver contribuito almeno in parte alla vittoria della sua casa la riempì di soddisfazione.

La coppa di quidditch, invece, era stata vinta da Grifondoro, perciò lei fece le sue congratulazioni a Cecil. Blue era un po’ dispiaciuta per Cristelle, con la quale era diventata molto amica ormai, ma fece lo stesso.

Sull’Hogwarts Express per il ritorno a casa, malgrado tutto, Cecil rivelò loro di non aver ancora capito quale fosse la sua strada. Aveva tentato con il quidditch, che come sport gli piaceva, ma non era abbastanza. Non era scattato quel qualcosa di decisivo, non ancora almeno.

Le due amiche lo incoraggiarono perché l’anno successivo sarebbe stato solo il quinto, quindi aveva ancora tanto tempo per capire cosa volesse fare in futuro.

In tutto ciò a Emily lui piaceva ancora. Malgrado ormai il loro rapporto fosse tornato come quello di un tempo, perché anche l’imbarazzo che entrambi avevano provato sembrava sparito, lei non riusciva a toglierselo davvero dalla testa.

Sperava tanto che lui potesse cambiare idea sul suo conto, col tempo. Il pensiero di trovare qualcun altro che le piacesse proprio non le sembrava un’opzione accettabile, ma doveva ammettere di non avere idea di cosa sarebbe successo l’anno successivo.

Magari sarebbe cambiato tutto, anche se in quel momento non lo trovava possibile.
 

Nel corso delle vacanze i tre amici si incontrarono per passare del tempo insieme fuori da Hogwarts. Tutto ebbe inizio da una lettera di Cecil in cui le chiedeva cosa facessero i babbani in estate.

Emily gli aveva fatto un elenco di attività comuni, ma poi le era venuta un’idea migliore: invitare entrambi gli amici da lei per passare una giornata estiva da babbani! Cecil e Blue avevano subito accettato, perciò il giorno successivo l’avevano raggiunta a casa sua tramite metropolvere.

Da lì uscirono diretti al centro di Londra con un solo obiettivo, quello di divertirsi senza fare niente che avesse a che fare con il mondo magico.

Era primo pomeriggio e faceva caldo, così tutti e tre si erano vestiti in modo leggero. Insomma, si trovavano fuori da Hogwarts indossando abiti che non avrebbero mai messo a scuola e questo scenario aveva già qualcosa di unico.

Emily fece strada fino a un centro commerciale pieno di negozi carini, dove era andata spesso insieme ai suoi genitori.

La loro prima tappa fu un posticino che vendeva videogiochi, dando la possibilità ai clienti di provare uno degli ultimi usciti. Per lei e Blue non era niente di nuovo, anche se non ci erano abituate perché vivevano tra i babbani solo durante le vacanze.

Per Cecil, invece, fu una sorpresa incredibile. Le due ragazze cercarono di spiegargli il funzionamento base dei videogiochi senza farsi sentire dal gestore dell’attività, che si trovava alla cassa poco distante. Dopo lui volle provare, quindi prese posto davanti al televisore, afferrò il joystick e iniziò a premere i tasti a casaccio finché non capì, più o meno, il senso di ciò che stava facendo.

“Lo abbiamo portato sulla cattiva strada?” chiese Blue, osservando il loro amico che si era fatto assorbire completamente dal gioco, con un’espressione di stupore stampata sulla faccia.

A Emily venne da ridere.

A malincuore lasciarono il negozio perché tutto ciò che vendeva era troppo costoso per loro, ma era stato comunque grandioso passarci quella mezz'oretta. Andarono quindi in un outlet che vendeva snack dolci e salati, e qui si ritrovarono circondati da prelibatezze a basso costo.

Blue prese un cesto e lo riempì di ogni snack che attirava la sua attenzione. Li conosceva già, così aveva detto loro, ma a casa non poteva mangiarne quanti avrebbe voluto. Per questo si strafogava quando erano a Hogwarts.

“Mi mancano i dolci del mondo magico, sapete?” sussurrò a un certo punto, tra l’esplorazione di uno scaffale e l’altro. “Sono buoni anche questi, ma quelli hanno qualcosa di…”

“Di magico?” intervenne Emily.

“Esatto!” rispose l’amica, divertita.

Cecil invece sembrava in estasi, circondato da tutte quelle prelibatezze dall’incarto coloratissimo che non aveva mai visto prima. Blue era fuori gioco, troppo presa dalla sua caccia alla delizia, quindi Emily rimase con lui e gli consigliò i suoi snack preferiti e quelli che credeva gli sarebbero piaciuti. Alla fine il ragazzo prese delle patatine e alcuni dolci al cioccolato.

Uscirono dal negozio felici e assaggiarono subito i loro acquisti.

“A queste potrei farci l’abitudine,” commentò Cecil, con la mano destra nel suo sacchetto di patatine. “È assurdo che nel mondo magico non ci siano, un vero peccato!”

“Già,” concordò Emily, che le apprezzava molto a sua volta.

Dopo quella breve ma intensa merenda si spostarono in un grande negozio di vestiti. Girarono per ogni reparto stupendosi di quanto la moda babbana e quella dei maghi fossero diverse. Infine provarono qualcosa, esibendosi in outfit ridicoli e in altri decisamente più carini.

Poi Emily propose di andare al cinema, dato che ce n’era uno proprio in quel centro commerciale. Mentre camminavano per arrivarci, passando per una scala mobile per scendere al piano inferiore, cercarono di spiegare a uno stupito Cecil che cosa fosse.

Comprarono i biglietti, i popcorn e le bibite, dopodiché presero posto in sala. Avevano scelto una commedia e si erano seduti circa al centro della sala, con Cecil nel mezzo. Poco dopo ebbe inizio la proiezione dei trailer e delle pubblicità che il ragazzo osservò come se fossero lo spettacolo migliore di sempre.

Ogni tanto si lasciò andare a un commento stupito o a una domanda retorica su come fosse possibile tutto quello. Poi il film ebbe inizio, coinvolgendo tutti quanti nella visione.

Tutti tranne Emily, in realtà, che non poteva fare a meno di pensare di essere al cinema seduta accanto a Cecil. Certo, lei sapeva che tra loro non sarebbe successo niente, ma si concedeva di sognare un po’. Ogni tanto si voltava nella sua direzione per guardare il suo viso nella penombra della sala, trovandolo sorpreso, concentrato e... bellissimo.

Per lei quello era uno spettacolo migliore del film, che comunque si rivelò molto divertente. Quando le luci si riaccesero per i titoli di coda, il ragazzo aveva ancora le labbra schiuse per la sorpresa.

Malgrado avessero mangiato i popcorn avevano fame tutti e tre, perciò si avviarono verso il posto dove avrebbero cenato. Nel tragitto Cecil le tempestò di domande sugli attori, su alcune cose che avevano detto e sul funzionamento dei film, e loro provarono a rispondere nel modo più comprensibile ed esaustivo possibile.

Andarono a mangiare in un fast-food, altro posto che il ragazzo non aveva mai sperimentato.

Dopo un attento studio del menù, scelse un panino che le sue amiche consigliavano caldamente, quindi andarono insieme alla cassa a ordinare. Con i loro vassoi colmi di panini, bibite e soprattutto patatine, occuparono un tavolo coloratissimo, come i divanetti su cui si sedettero.

Per Cecil fu amore al primo morso, inoltre le patatine – e la possibilità di inzupparle nelle diverse salse disponibili – furono, a detta sua, una delle scoperte migliori di sempre.

Continuarono a chiacchierare del film mentre mangiavano, dopodiché sparecchiarono e tornarono nella calda strada estiva, diretti verso la casa di Emily.

“Grazie per oggi, è stato bellissimo,” disse Blue abbracciandoli forte entrambi, prima di entrare nel camino e usare la polvere volante.

“Grazie davvero,” aggiunse Cecil, ora che lui ed Emily erano rimasti soli. “Non dimenticherò mai questa giornata. Ci vediamo a settembre.”

“Sì, ci vediamo presto,” rispose lei, abbracciandolo.

Anche il ragazzo partì, lasciandola a guardare il camino vuoto per qualche istante. Emily tornò in sé solo quando sentì sua madre che si schiariva la voce.

“Mamma! Non stavi origliando, spero…” esclamò, sorpresa.

“No, ma ero qui in cucina e ho sentito per caso qualcosa,” rispose la donna, fingendo innocenza. “Quel ragazzo ti piace, non è così?”

Per un attimo lei pensò di mentire, ma poi si chiese perché avrebbe dovuto farlo. Sapeva di poter parlare di tutto con sua madre.

“Sì, ma gliel’ho detto e lui non prova la stessa cosa, quindi siamo solo amici,” rivelò.

“Mi dispiace tanto tesoro,” le disse sua mamma, avvicinandosi per stringerla in un abbraccio.

“Non fa niente, sono felice che siamo ancora amici,” sottolineò, anche se il loro rapporto non la soddisfaceva del tutto.

Ma sapeva di non poterci fare niente.

Trascorse il resto dell’estate a studiare per non dimenticare gli argomenti già affrontati, ma anche per portarsi avanti con quelli del nuovo anno scolastico. Era già stata a Diagon Alley a prendere tutto l’occorrente quindi niente le impediva di dedicarsi ai libri nuovi.

Passò del tempo con i suoi genitori facendo dei viaggi di qualche giorno o uscendo a cena con loro, ma anche semplicemente stando insieme a casa. Qualche volta vide le sue vecchie amicizie di quando andava a scuola in zona da piccola, tra le quali c’erano i figli di alcuni vicini, ma si dedicò più che altro ai suoi obiettivi legati allo studio.

In particolare intendeva specializzarsi in fretta negli incantesimi non verbali, che fino a quel momento non le erano mai riusciti. Anziché esercitarsi sul gesto del polso e sulla pronuncia, come le estati precedenti, si concentrò e ripeté la formula nella sua testa.

Non le era consentito fare magia fuori da Hogwarts perché era minorenne, perciò non aveva la bacchetta con sé. Fingeva di tenerla in mano e muoveva il polso nel modo corretto mentre mentalmente pronunciava “alohomora”.

Davanti a sé, sul tavolino del salotto, aveva posizionato un lucchetto chiuso. Manteneva la massima concentrazione, provando e riprovando come se davvero potesse succedere qualcosa, pur senza bacchetta.

Emily era certa che non fosse possibile, ma aveva ideato quel metodo di allenamento proprio perché lo sembrasse ed era fiduciosa.

Solo a settembre, una volta tornata a scuola, avrebbe scoperto se tutto quell’allenamento aveva dato o meno i suoi frutti. Nel frattempo lei studiava e ripeteva quell’esercizio senza mai arrendersi, determinata.

Trascorse così un’estate serena e produttiva, ma senza mai dimenticarsi di scrivere lettere agli amici.






Note di quella che scrive

Quasi una settimana dall'ultimo capitolo pubblicato... scusate! Alla fine ho rinunciato ad aggiornare nel weekend, e avrei voluto farlo ieri ma mi sono completamente dimenticata! Comunque i giorni di pubblicazione d'ora in poi potrebbero diventare fissi: lunedì (o martedì) e giovedì (o venerdì). E vediamo se così "funziona".

Questo capitolo è stato estremamente di passaggio, lo so, ma mi serviva per chiudere l'anno e passare al successivo... nel quale potrebbe davvero cambiare tutto. O iniziare a farlo. In che senso, però, è ancora tutto da vedere...

Spero che le parti in cui Emily spiega le sue intenzioni riguardo a babbanologia non siano troppo noiose. Mi rendo conto che è un discorso che torna, ma è necessario e ogni volta lei dice qualcosa di leggermente diverso, a seconda della persona con cui sta parlando.

E niente, c'è poco da dire su questo capitolo ma lascio la parola a voi. A presto!

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


CAPITOLO 24




1° settembre 2007
 

Emily arrivò presto alla stazione di King’s Cross perché era d’accordo con gli amici per fare colazione in una caffetteria babbana. Si guardò intorno per un po’ e capì che era arrivata per prima, quindi rimase pazientemente in attesa.

Non dovette aspettare neanche un minuto che arrivò anche Cecil. Gli andò in contro e lo abbracciò, felice di rivederlo dopo tanto tempo. I due si erano scritti molte lettere, ma non si erano più incontrati dopo quella volta in cui avevano trascorso un pomeriggio insieme a Londra.

“Che bello essere di nuovo qui,” disse lui, sciogliendo l’abbraccio.

“Qui alla stazione?” domandò Emily, confusa.

“Sì, perché è qui che tutto ha inizio. Ma Blue dov’è finita? Dovevamo incontrarci almeno dieci minuti fa.”

“Eccomi!” esclamò la ragazza sorprendendoli alle spalle per stringerli in uno dei suoi soliti abbracci spacca ossa. “Ragazzi, mi siete mancati moltissimo!”

Loro ricambiarono la stretta e il saluto, ma quando vennero lasciati liberi poterono notare che l’amica adesso aveva una ciocca di capelli viola. Una soltanto, sulla sinistra del viso proprio accanto alla frangia.

“Cos’è questa novità?” commentò Emily, sorpresa ma felice di quel cambiamento.

Dopotutto le stava molto bene, nessuno avrebbe potuto negarlo.

“Ti piace, vero?” chiese Blue, sfoggiando un sorriso soddisfatto.

“L’hai fatta con un incantesimo?” le domandò Cecil, stupito.

“No, con una tinta babbana. Si spalma il colore sui capelli bagnati così lo assorbono.”

“Sorprendente,” rispose lui, continuando a osservarla con curiosità.

“Già. Ma adesso andiamo, ho una fame pazzesca.”

Si fecero strada fino alla caffetteria della stazione dove ordinarono cappuccino e brioche per tutti. Cecil, che non aveva dimestichezza con i locali e i cibi babbani, lasciò fare a loro. Consumarono la colazione chiacchierando dell’estate appena trascorsa e ricordando con gioia i momenti salienti dell’anno precedente.

“È stato un anno grandioso,” disse Emily con aria sognante. “Non vedo l’ora di imparare tante cose nuove.”

Il suo commento fece ridere gli amici che ormai avevano imparato a conoscerla e dovevano aspettarselo.

In realtà il quarto anno aveva avuto i suoi alti e bassi, ma adesso lei ripensava con nostalgia solo a ciò che era stato positivo, sperando in tante soddisfazioni anche per il quinto anno che stava per iniziare.

“Io quest’anno voglio dichiararmi alla persona che mi piace,” affermò Blue, sorprendendo entrambi.

“Ma è meraviglioso!” esclamò Emily, che aveva fatto il tifo per lei sin dall’inizio.

“Ti piace qualcuno?” chiese Cecil, sorpreso.

Blue non gli aveva mai raccontato niente in proposito, ma evidentemente le cose sarebbero cambiate da quel momento in poi.

“Sì e sono stanca di nasconderlo. I babbani dicono che quando una donna sente il bisogno di cambiare, la prima cosa che cambia sono i capelli. Io mi sono fatta questa ciocca viola che simboleggia il mio bisogno di esprimermi e di mettere in moto gli eventi. Se non faccio niente, non succederà mai niente.”

“Sei inaspettatamente profonda,” commentò in modo scherzoso Emily, per poi bere l’ultimo sorso del suo cappuccino.

“Ma come, ne dubitavi? Traditrice!” ribatté ironica Blue, poi rivolse uno sguardo a Cecil e il suo entusiasmo lentamente si spense. “Lo so, non ti ho detto niente finora ma non me la sentivo... Adesso però cambia tutto, ti chiedo solo un altro po’ di pazienza.”

Il ragazzo annuì e le rivolse un sorriso.

“Quando vuoi,” disse, ed era chiaro che anche lui fosse felice per lei, malgrado lo avessero lasciato all’oscuro.

Ormai era quasi ora di partire, perciò pagarono e si affrettarono a raggiungere il binario 9¾. Caricarono le valige e salirono sul treno, dove cercarono una cabina libera.

A un certo punto della loro avanzata Blue si sporse a osservare insistentemente alcuni sedili poco distanti. Emily seguì il suo sguardo e notò Cristelle seduta con delle ragazze che dovevano essere sue amiche.

La Tassorosso si fermò e rivolse a Emily uno sguardo che valeva più di mille parole.

“Il cuore chiama, Blue Cane risponde. Vado, ci vediamo a scuola,” annunciò con enfasi, quindi cambio direzione per andare da lei.

Divertiti dalle sue parole, Emily e Cecil ripresero a camminare.

“Quindi tu lo sapevi già?” le chiese il ragazzo, che adesso stava facendo strada procedendo per primo per il corridoio.

“Sì, me ne ha parlato qualche volta,” ammise, intenzionata a non dire altro a riguardo perché non spettava a lei.

“Capisco che sia un argomento di cui è più facile parlare tra di voi, ma così mi lasciate sempre fuori.”

Cecil si fermò di colpo e le rivolse uno sguardo mortificato, come se si fosse accorto di ciò che aveva detto solo quando ormai era troppo tardi.

“Ecco, non volevo dire che…” provò a giustificarsi, ma si interruppe e non riuscì più a guardarla in faccia.

Emily non aveva ben chiaro cosa volesse dirle, ma capì che il suo pensiero doveva essere andato alla dichiarazione che lei gli aveva fatto l’anno precedente.

“Ho capito, non ci pensare,” intervenne Emily, al che lui annuì.

Pareva che per Cecil quella dichiarazione fosse ancora un argomento taboo. Aveva reagito come se non fosse il caso di parlarne, anche se lei lo avrebbe fatto volentieri. Ovvio che la cosa le faceva ancora male, però.

“Ragazzi!”

Guardarono meglio attraverso la porta della cabina che avevano appena superato e notarono Parker seduto all’interno da solo.

“Ciao,” lo salutarono entrambi, rivolgendogli un sorriso ancora carico dell’imbarazzo di poco prima.

Lui comunque non sembrò notarlo.

“Vi aspettavo. So che fate sempre il viaggio insieme e speravo di potermi unire a voi.”

“Certo,” gli disse Cecil, prendendo posto accanto a lui.

Emily si sedette di fronte a loro e cercò subito il libro di incantesimi nella borsa, da leggere in caso avessero fatto discorsi che non la riguardavano. Il quidditch, per esempio, di cui Parker iniziò a parlare praticamente subito.

Lei riuscì a sentire che stavano discutendo delle selezioni e del fatto che entrambi erano interessati a sostenerle, poi si estraniò completamente per dedicarsi allo studio. Aveva già iniziato a leggere il manuale durante le vacanze, ma alcuni punti non le erano chiarissimi e le mancavano ancora molti capitoli.

Inoltre sul treno per Hogwarts i minorenni potevano fare incantesimi, perciò si disse che sarebbe stata una buona idea testare subito i suoi progressi. Lesse per un po’, dopodiché cercò qualcosa nella sua borsa con cui esercitarsi.

Trovò il portamonete in cui teneva i soldi babbani e lo mise sul sedile accanto a sé. Prese la bacchetta, eseguì il corretto movimento e, concentrandosi, pronunciò nella mente la formula dell’incantesimo levitante. Con sua somma soddisfazione il borsellino di stoffa si sollevò in aria, iniziando a fluttuare davanti a lei. Ce l’aveva fatta!

“Quello era un incantesimo non verbale?” esclamò Parker.

Emily si voltò e si accorse che entrambi la stavano osservando con stupore. Imbarazzata dallo sguardo di Cecil fisso su di sé, interruppe la concentrazione e il portamonete ricadde sul sedile emettendo un tintinnio ovattato.

“Sì… È la prima volta che ci riesco,” rivelò.

“Ma è fantastico! Bisogna festeggiare,” disse Cecil.

“Già, quelli li insegnano al sesto anno! Ehi, come hai fatto?” chiese il suo amico, curioso.

“Mi sono allenata per tutta l’estate a mantenere la concentrazione. Senza la bacchetta in mano, fingevo di fare incantesimi pronunciandoli nella mia mente.”

Sotto richiesta di Parker, Emily provò con engorgio e reducio, poi lui insistette perché gli spiegasse meglio il procedimento.

La ragazza riaprì la borsa per mettere a posto il portamonete e, in una tasca rimasta aperta, notò una scatolina che non ricordava. Guardò meglio e quando capì cosa fosse si sentì avvampare.

Dire a sua madre della sua cotta per Cecil, col senno di poi, si era rivelato un grande errore. Prima della fine dell’estate le aveva fatto il discorso e, a quanto pareva, aveva anche messo le mani nella sua borsa, spinta dalla sua convinzione secondo la quale nessun incantesimo l’avrebbe protetta dalle malattie veneree.

Ora che sapeva di avere con sé una scatola di preservativi, Emily desiderava con tutta se stessa conoscere un incantesimo che facesse sparire nel nulla gli oggetti, o che li rendesse invisibili, ma purtroppo non era così.

“Emily, tutto bene?” le chiese Cecil, facendola sobbalzare.

Lei evitò di alzare lo sguardo perché, se già era rossa, guardandolo negli occhi lo sarebbe diventata ancora di più. Si limitò ad annuire mentre chiudeva in tutta fretta la cerniera della tasca. Non conosceva un modo per far sparire quella scatola, ma per sigillare la cerniera sì. Per non dare nell’occhio ci avrebbe pensato una volta arrivata nella sua stanza.

Cercò di calmarsi e quando ci riuscì decise che era il momento di indossare la divisa, quindi salutò i ragazzi per andare in cerca del bagno. Sulla strada per arrivarci notò Matt Crowley seduto insieme a Batilda Rain e a un altro prefetto di Tassorosso.

Anche lui la notò, quindi si alzò in piedi per raggiungerla e salutarla. Emily lo abbracciò d’istinto, felice di rivedere il suo amico, e lui dopo un attimo di esitazione ricambiò la stretta.

“Wow, il nostro primo abbraccio! A cosa devo l’onore?” domandò scherzosamente.

“È un modo per dire bentornato, o qualcosa di simile,” rispose, colta alla sprovvista, perché l’aveva fatto senza un vero motivo.

Lui le sorrise, felice, e fece per dirle qualcosa ma vennero raggiunti dalla Rain.

“Lewis! Sicura che non ti sarebbe piaciuto fare il prefetto? Qualche ripensamento?” insistette posizionandosi accanto a Matt. “Per quest’anno ormai la McGranitt ha deciso, ma ogni tanto beviamo un tè insieme e lei prende molto seriamente la mia opinione su certi argomenti.”

“Grazie per l’interessamento, ma la mia risposta è ancora no. Sono contenta così e temo che avrò molto da fare anche quest’anno,” ammise.

“Non lo teme, lei adora essere impegnata,” commentò il ragazzo, rivolgendo lo sguardo alla sua coetanea Serpeverde.

“Beh, rimango dell’idea che sia uno spreco di potenziale. L’anno prossimo, magari? Promettimi che ci penserai e ricorda che posso mettere una buona parola per te,” disse Batilda.

“Lo farò,” rispose lei rivolgendole un sorriso sincero.

Sarebbe stato un onore, così pensava, ma se avesse avuto gli stessi impegni dell’anno precedente sarebbe stato impossibile gestire tutto. Non voleva rinunciare a nulla né strafare e sapeva che quella era la scelta più giusta.

Batilda la salutò e tornò a sedersi con l’altro prefetto lasciandola con Matt in corridoio.

“Oh, non te l’ho ancora detto ma se tutto va bene questo sarà il mio ultimo anno a Hogwarts,” dichiarò fieramente il ragazzo. “Quindi ti conviene approfittare della mia offerta di insegnarti occlumanzia e legilimanzia, finché puoi.”

“Come, non sosterrai i M.A.G.O.?” gli chiese Emily, incredula.

“No, i G.U.F.O. mi bastano anche se i miei genitori non sono d’accordo. L’anno prossimo sarò finalmente maggiorenne e quindi anche libero,” dichiarò e lei lo sentì emettere un flebile sospiro di sollievo. “Voglio fare il giornalista e stavo pensando di scrivere a Rita Skeeter per implorarla di prendermi come assistente. Sono un legilimens, spero che questo giochi a mio favore quando accetterà di darmi almeno una possibilità. Allora, per le lezioni cosa ne dici?” cambiò argomento all’improvviso, dopo averla travolta con quella serie di notizie che l’avevano frastornata.

“Ho scoperto che insegnano qualcosa a riguardo al settimo anno... quindi declino la tua gentile offerta, però mi mancherai l’anno prossimo,” rispose brevemente lei, decidendo che avrebbe trovato un altro momento per fargli domande sulle sue aspirazioni con calma. “Sarà un peccato salutarci così presto,” ammise poi, dispiaciuta.

“Già, ma possiamo sempre rimanere amici.”

Emily gli sorrise, d’accordo con lui.

“Sono sicura che diventerai presto un famigerato giornalista, però spero che se mai dovrai scrivere un articolo su di me ci andrai piano.”

“Non posso assicurarti niente, ma ci penserò su,” rispose lui, scherzosamente. “Tu piuttosto, promettimi che avrò l’esclusiva su ogni scoop che ti riguarda!”

Lei trattenne una risata e scosse la testa, convinta che non sarebbe servito perché non si aspettava affatto di finire sulle pagine di un giornale, malgrado ci avesse appena scherzato su.

Si salutarono con la promessa di rivedersi presto a scuola ed Emily andò finalmente a cambiarsi i vestiti.

Mentre tornava alla sua cabina ripensò alle parole di Blue e alla sua volontà di dichiararsi. Sperava che all’amica sarebbe andata bene, ma soprattutto sperava che quell’anno segnasse un cambiamento per lei e Cecil.

Dopotutto continuava a pensare a lui.

C’erano altri ragazzi a cui piaceva, ma lei non voleva prendere in considerazione nessuno. Inoltre a suo parere era diventata più carina dopo l’estate e sperava che anche il suo amico lo notasse... Anche se aveva molti dubbi a riguardo, visti i loro trascorsi.

Sospirò prima di riaprire la porta della loro cabina, trovando gli amici che l’aspettavano e che subito le chiesero che fine avesse fatto.

Un altro anno a Hogwarts stava per iniziare ed Emily voleva essere fiduciosa, lo voleva davvero.





Note di quella che scrive

Sono particolarmente stanca stasera, quindi spero che non abbiate trovato qualche frase strana o sconnessa...

Capitolo completamente dedicato al viaggio in treno, ma avevo un po' di cosine da raccontare.

So che alcuni di voi non apprezzeranno il fatto che Emily vada ancora dietro a Cecil, ma la vera domanda è: lui avrà cambiato almeno un po' la sua considerazione di lei, anche se fa finta di niente, oppure no? (E perché fa ancora finta di niente, dannazione!?)
Comunque, sentitevi liberi di sfogarvi con una recensione polemica su di lui!

Il nuovo anno sta per iniziare e Blue si presenta in stazione con un atteggiamento diverso. Sembra intenzionata a dichiararsi a Cristelle, oltre che a raccontare a Cecil ciò che gli aveva tenuto nascosto. Come andranno le cose?
Comunque Blue ha molto più coraggio di Emily, che si sta trascinando dietro questi sentimenti per anni senza fare davvero qualcosa... almeno finora...

E questo sarà l'ultimo anno di Matt (anche se lui non sparirà completamente da questa storia, ve lo garantisco). So che per alcuni sarà stato un bel colpo... Lo è stato anche per me, quando ho deciso che lui doveva terminare prima gli studi... ma purtroppo, per ciò che deve succedere dopo, mi serve che Matt non sia a scuola... E vorrei davvero dirvi di più, ma non posso.
Si accettano scommesse su ciò che accadrà!

Buon weekend!

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


CAPITOLO 25

 


“Non vedo l’ora di andare a un appuntamento,” dichiarò Patricia con aria sognante.

Era solo il terzo giorno a Hogwarts e le tre Serpeverde stavano facendo una pausa tra un impegno e l’altro, nella stanza che condividevano.

“Quel Gregory Lee che ho conosciuto a divinazione è proprio carino…” continuò la ragazza, rigirandosi una ciocca di capelli mossi tra le dita.

“Ma è un Tassorosso!” esclamò Ana, con finta indignazione.

“Già, ma non importa in questo caso. E poi c’è Ruphus Blackbell, che popola i miei sogni…” continuò Patricia, estasiata. “Beata te Ana che stai già con Brooke.”

“Davvero? Tu e Nathan state insieme finalmente?” chiese Emily, sorpresa.

“Sì, siamo diventati una coppia. I nostri genitori sono molto amici, quindi ci siamo visti qualche volta quest’estate… e lui me l’ha chiesto,” svelò la bionda, sfoggiando un sorriso soddisfatto.

“Congratulazioni!”

Emily era felice per Ana, e anche per Patricia che stava considerando più opzioni, ma non poteva fare a meno di invidiarle un pochino. Anche lei voleva un ragazzo. Sognava di uscirci insieme a Hogsmeade, ma anche di condividere tanti momenti lì a Hogwarts, loro due da soli. L’unico problema era che il ragazzo che desiderava era Cecil, che non le aveva dato alcun segnale positivo fino a quel momento.

Si lasciò scappare un sospiro.

“Anche a me piacerebbe tanto andare a un appuntamento…” confessò, lasciandosi ricadere di schiena sul proprio letto.

“Pensi ancora a Berrycloth?” le chiese la rossa e lei annuì senza guardarla in faccia.

Ormai con le sue amiche ne parlava apertamente, tanto anche il diretto interessato era a conoscenza dei suoi sentimenti.

“Secondo voi ho qualche speranza?” domandò, sperando che magari avessero notato qualcosa che a lei era sfuggito.

“Direi di no solo se lui avesse gravi problemi di vista,” rispose Ana storcendo il naso.

“Dai, non scherzare!” ribatté Emily, che aveva sollevato la testa per guardarla.

“Emily, deve essere proprio lui?” le chiese Patricia, attirando la sua attenzione. “C’è chi farebbe la fila per uscire con te, ma tu non hai dato una possibilità nessuno!”

“Perché riesco a pensare solo a lui,” ammise rimettendosi seduta. “Un po’ come Ana con Nathan, immagino.”

“Confermo,” disse la ragazza, quindi sospirò con espressione sognante. “Ci conosciamo da quando eravamo piccoli e credo che lui mi sia sempre piaciuto. Però Emily, nel tuo caso, potresti puntare molto più in alto. Lui non vale le tue attenzioni.”

“Scommetto che dici così solo perché è un Grifondoro,” sottolineò, evitando di prenderla sul serio.

“Sì e no. È che proprio non capisco cosa hai trovato in lui di bello, o di interessante,” insistette la bionda.

Emily le rivolse un’occhiata confusa e, dato che Patricia non aggiunse altro, osservò anche lei. All’improvviso i toni del discorso si erano fatti seri.

“Se a voi Cecil non piace, tanto meglio,” affermò dopo un attimo di esitazione, anche se sentir parlare di lui in quei termini la feriva.

Non si sarebbe messa a spiegare perché le piaceva così tanto. Non lo avrebbe fatto perché sentiva che, in quel momento, sarebbero state parole sprecate.

“Non offenderti Emily, volevo solo dire che mi dispiace vederti soffrire così per lui,” disse Ana, ritrattando le sue parole di poco prima.

“Anche a me,” intervenne Patricia. “Che ne diresti di un appuntamento doppio con me, Gregory Lee e un suo amico? Gli chiedo se conosce qualcuno di carino…”

“Grazie ma non sono minimamente interessata,” la interruppe.

“Allora con Berrycloth, me e quell’altro Grifondoro amico vostro. Non so come si chiama ma non è male,” insistette la rossa.

Emily le rivolse uno sguardo sorpreso.

“Intendi Parker McMorrow? Ti piace Parker?”

“Beh, l’ho notato a una partita e mi è rimasto impresso,” rispose Patricia rivolgendole un sorriso furbo.

“Secondo me a quel McMorrow piace Emily,” intervenne Ana scuotendo la testa.

“Ma che dici?” esclamò la diretta interessata, certa che non fosse vero. “A volte quando parlo con voi sembra che io piaccia a tutti, oppure che vogliate spingermi tra le braccia di chiunque,” le fece notare.

“Non è così,” ribatté la bionda brevemente, in un modo che non la convinse affatto. “E quel tuo amico Corvonero invece? Eravate così buffi con i vostri abiti coordinati, quella volta alla cena del Lumaclub. Pat, avresti dovuto vederli!”

Le due amiche si misero a ridere.

“Non aspiro a essere buffa,” sottolineò Emily, che comunque era divertita dalla sua scelta di parole.

Il discorso assunse un tono più leggero, riuscendo a risollevarle il morale.

 
Più tardi quel giorno si incamminò da sola verso la biblioteca con l’intenzione di prendere in prestito dei testi per approfondire alcuni temi di difesa contro le arti oscure.

In corridoio incrociò il professor Fiery, che già da lontano la salutò sollevando una mano.

“Buongiorno professore,” gli disse, rivolgendogli un sorriso.

Per Emily era sempre un piacere vederlo perché l’anno precedente avevano condiviso molto. Con la stesura del nuovo manuale di babbanologia erano riusciti a fare tanto in pochissimo tempo, e il risultato finale era qualcosa di meraviglioso.

Emily aveva acquistato il libro appena pubblicato, ansiosa di averlo tra le mani e di leggerlo. Aveva collaborato alla sua realizzazione e ciò la riempiva di orgoglio. Inoltre, come promesso, il suo nome figurava nel volume, anche se non in copertina.

Era ancora una studentessa eppure era riuscita a contribuire così tanto all’insegnamento della materia, il che la entusiasmava molto.

Ciliegina sulla torta, il Ministero lo aveva approvato come testo per gli allievi del terzo anno e lo stesso aveva fatto la preside, quindi era ufficiale: ciò che avevano scritto era oggetto di studio a Hogwarts!

“Buongiorno signorina Lewis,” la salutò Opal Fiery ricambiando il sorriso. “Speravo di incontrare proprio te. Avresti un momento?”

“Oh, certo. Stavo solo andando in biblioteca.”

“Allora ti accompagno,” si offrì il professore, quindi si rimisero in cammino l’uno accanto all’altra. “Mi chiedevo se volessi farmi ancora da assistente. Ho pensato molto alle tue parole di qualche tempo fa, quando mi hai detto del tuo disagio a insegnare agli studenti più grandi di te, e ho capito cosa intendevi... Perciò questa volta vorrei chiederti di contribuire alle lezioni del terzo anno, dopotutto il libro di studio dedicato lo abbiamo scritto insieme.”

Il sorriso di Emily si fece più ampio.

“Sarebbe un vero piacere,” rispose, felice di accettare la sua proposta.

Sperava proprio che lui le offrisse lo stesso ruolo dell’anno precedente, con il quale aveva avuto degli alti e bassi ma che aveva apprezzato tanto. Ci si era dedicata anima e corpo e non vedeva l’ora di riprendere, perché quando lo assisteva durante le lezioni sentiva che quello era il posto giusto per lei.

Inoltre l’idea di insegnare personalmente ciò che avevano scritto nel manuale aveva un che di entusiasmante.

“Splendido. Le lezioni del terzo anno sono di venerdì, quindi potremmo lavorare alla prima già domani sera se per te va bene. Ti propongo le sere perché so che hai molti impegni durante il giorno, inoltre si sono rivelate estremamente produttive,” disse, alludendo a quando erano rimasti nel suo ufficio fino a tardi per scrivere il manuale.

“Sarebbe perfetto. Grazie per l’opportunità, per me è molto importante,” ammise, abbassando lo sguardo per cercare di contenere la sua gioia.

Intanto erano arrivati a destinazione perciò si fermarono in corridoio.

“Anche per me, le lezioni di babbanologia non sarebbero le stesse senza il tuo contributo. Andiamo adesso, cercavi qualche libro in particolare?”

“Una lettura sui demoni,” rispose, seguendo l’insegnante all’interno della biblioteca.

“Li avete già trattati?” domandò lui, sorpreso, abbassando il tono di voce per adattarsi all’ambiente.

“No, ma mi piace portarmi avanti,” rivelò lei.

“Dovevo immaginarlo. Vieni, scommetto che avremo più fortuna cercando prima di tutto nel reparto proibito.”

Sorpresa, Emily affrettò il passo per stargli dietro.

Stava forse dicendo che, grazie alla sua presenza, avrebbe potuto accedere a quel reparto? Era incredula, ma quando ci arrivarono iniziò a pensare a tutto ciò a cui stava per avere accesso grazie al professore.

Cercarono insieme per diversi minuti durante i quali per lei fu difficile non farsi distrarre dai titoli di altri libri che sembravano davvero affascinanti. Infine trovarono un volume che pareva facesse al caso suo.

Opal Fiery, più alto di lei, si allungò per estrarlo dallo scaffale senza affidarsi alla magia e glielo consegnò perché potesse prenderlo in prestito.

Madama Pince, vedendoli insieme, non fece domande. Emily era al settimo cielo, uscì dalla biblioteca tenendo quel libro stretto al petto e camminò sentendosi leggera, come se stesse volando.

Si dedicò alla lettura in solitaria fino all’ora di cena, dopodiché si affrettò a raggiungere la sala grande per mangiare.

 
La prima uscita a Hogsmeade fu un paio di settimane più tardi ed Emily ne approfittò per stare con gli amici. Con lei quindi c’erano Cecil, Blue e anche Parker. Ormai aveva iniziato a considerarlo parte del gruppo, anche se non erano ancora entrati davvero in confidenza.

Più volte aveva pensato alle parole di Ana riguardo al ragazzo, ma non credeva proprio di piacergli in senso romantico. Inoltre lui sapeva che a lei interessava Cecil, ne era certa perché li aveva sentiti parlare al ballo dell’anno precedente. Poi Emily si era dichiarata ed era scappata via, perciò Parker doveva saperlo.

A parte questo, i due ragazzi parlavano spesso di quidditch ma, almeno quando erano tutti insieme, per la maggior parte del tempo le risparmiavano certi discorsi. Non che a Blue dispiacessero, era solo lei che non ci capiva niente.

In quanto a Blue, riusciva a destreggiarsi senza problemi tra loro e Cristelle. Certo, ciò significava che non stavano insieme in tutte le occasioni, ma lei non li stava nemmeno ignorando dimenticandosi della loro amicizia per correre dietro alla compagna.

Emily ne era felice, non voleva perdere di nuovo la sua migliore amica.

In quei giorni aveva avuto un po’ di tempo per lei e per Cecil, ma soprattutto aveva studiato, si era esercitata al club dei duellanti e aveva aiutato il professor Fiery. Stare con lui solo una sera a settimana non era affatto stancante, perciò il sonno non le mancava. Inoltre lavorare di sera le permetteva di fare tutto il resto nel pomeriggio.

L’unica attività che mancava all’appello erano le ripetizioni di incantesimi agli studenti più piccoli, ma solo perché l’anno era appena iniziato. Sperava tanto che Flitwick si rivolgesse di nuovo a lei, a tempo debito.

Per il momento, quando non stava con loro, con Matt o con le sue amiche Serpeverde, si allenava con gli incantesimi non verbali che le venivano sempre meglio. Non si sentiva ancora pronta per mettersi in mostra usandoli al club dei duellanti, ma ce la stava mettendo tutta per perfezionare la sua tecnica.

Blue bevve un sorso di burrobirra e sospirò rumorosamente attirando l’attenzione di tutto il loro tavolo. Si erano seduti in un posticino tranquillo in fondo al locale ed era ancora primo pomeriggio, perciò non c’erano molti avventori e nessuno era abbastanza vicino da poter ascoltare i loro discorsi.

“Ragazzi, quanto è dura stare accanto alla persona che ti piace quando lei non ti nota nemmeno…” disse, con aria sconsolata.

Emily tenne lo sguardo basso sul suo boccale per non rischiare di incontrare lo sguardo di Cecil. Sapeva che Blue non stava parlando di lei, ma si sentì comunque chiamata in causa e pensò che forse anche l’amico aveva fatto quel collegamento.

“Blue, ti piace qualcuno?” chiese Parker, in tono sorpreso.

La ragazza gli rivolse uno sguardo da cucciolo bastonato e annuì.

“A proposito, si può sapere chi è? Magari possiamo darti una mano,” propose Cecil, rivolgendo lo sguardo a Parker che concordò con un cenno del capo.

“Hunt, di Corvonero,” ammise Blue, tenendo basso il tono di voce.

I due ragazzi sembrarono riflettere per un istante, poi si scambiarono un’occhiata confusa e infine tornarono voltati verso di lei.

Blue era tesa, forse altri non se ne sarebbero accorti ma Emily la conosceva bene. Le prese la mano da sotto il tavolo sperando di esserle almeno un po’ di conforto.

Non doveva essere stato facile, per lei, ammettere i suoi sentimenti, considerando il suo stato d’animo quando le aveva raccontato di Julie al secondo anno.

“Cristelle Hunt, la cercatrice di Corvonero?” chiese Parker, come se volesse andarci cauto.

Era chiaro che Cecil avesse pensato alla stessa cosa, dato che stava lasciando parlare lui senza obiettare.

Blue annuì di nuovo ed Emily sentì la stretta sulla sua mano farsi più salda. Entrambi i ragazzi sgranarono gli occhi, sorpresi, e per un istante non riuscirono a dire nulla.

“Io non avevo capito niente… Scusami,” disse Cecil, prendendo la parola per primo.

“E di che ti scusi?” domandò Blue rivolgendogli un sorriso imbarazzato. “Sono stata discreta, volevo che non si capisse.”

“No comunque è grandioso, ogni tanto io e te potremmo parlare di ragazze!” esclamò Parker.

Ne sembrava felice come se non avesse nessun altro con cui farlo, ma in realtà gli amici maschi non gli mancavano.

“Ah, per me va bene. Basta che non ci piace la stessa persona,” sottolineò lei, osservandolo con finto sospetto.

“No, figurati. Se Corvonero ha rischiato di soffiarci la coppa lo scorso anno è proprio a causa sua, e questo non me la rende esattamente la persona più simpatica della scuola!”

Ci scherzarono su per un po’, dopodiché Emily sentì che Blue le stava lasciando la mano per appoggiarle entrambe sul tavolo, coinvolta nel discorso. Lei era felice che fosse andato tutto bene e che non dovesse più nascondersi, almeno con loro.

Certo, Emily aveva fiducia nei suoi amici, soprattutto in Cecil che conosceva da tanto tempo, ma aveva anche capito che quell’argomento per Blue era causa di insicurezza. Non intervenne nel loro discorso, ma li ascoltò con piacere.

Blue sembrava rinata, il suo sguardo risplendeva di nuovo entusiasmo.

“Cambiando argomento, stavo pensando di iscrivermi al coro,” dichiarò la bionda, rigirandosi tra le dita la sua ciocca viola.

Quella stessa ciocca che aveva scatenato scompiglio tra gli insegnanti, che non si aspettavano che uno studente si fosse fatto una tinta babbana. Più volte le avevano chiesto di far tornare il colore come prima, a lei però non interessava la loro opinione né le minacce di metterla in punizione.

“E il club di gobbiglie?” chiese Emily, sorpresa.

L’amica non le aveva mai parlato di una sua passione per il canto, perciò quella notizia arrivò del tutto inaspettata.

“Quelle non mi interessano più,” ammise, storcendo la bocca. “Va bene una partita ogni tanto, ma il club… No, ormai mi sono venute a noia. Vi iscrivete al coro con me?”

Lo domandò con uno sguardo speranzoso e gli occhi che luccicavano.

Emily si disse che fosse proprio un peccato che a scuola non ci fosse un club di teatro o qualcosa di simile, perché la vedeva benissimo come attrice, magari in uno spettacolo di carattere comico.

“Con gli allenamenti di quidditch, dove lo trovo il tempo?” sottolineò Parker.

“E dai, le selezioni non ci sono ancora state. Non puoi dare per scontato che ti prenderanno in squadra,” lo provocò Blue, guadagnandosi un’occhiataccia da parte sua.

“Io non riuscirei a starci dietro, con tutte le altre cose che faccio,” disse Emily.

Non aveva mai preso in considerazione il canto, però fare qualcosa con la sua amica non le sarebbe dispiaciuto. Qualcosa che non fosse giocare a gobbiglie, si intende... Solo che proprio non ne aveva il tempo.

“Mmh, la signorina Lewis è troppo impegnata perché aiuta il professor Fiery a lezione. E poi è l’asso del club dei duellanti! Dev’essere dura,” la prese in giro Blue, facendola sorridere.

Sapeva che l’amica non era seria, voleva solamente mantenere il discorso su toni frivoli, e magari non iscriversi al coro da sola.

“E tu, Cecil?”

Il ragazzo, rimasto in silenzio fino a quel momento, sembrò tornare in sé.

“No, io… Sono stonato,” tagliò corto.

Blue insistette un po’, ma non servì a niente.

Emily immaginò che non fosse vero, che avesse rifiutato per via della sua paura di trovarsi al centro dell’attenzione… però in effetti non lo aveva mai sentito cantare.

Purtroppo per lei tornarono a parlare di quidditch, ma questa volta il discorso virò su ciò che quello sport significava per loro. Emily ne fu grata.

Ascoltandoli scoprì che Parker intendeva continuare anche in futuro, perché quella era la sua passione. Forse un giorno sarebbe diventato un grande battitore, questo sognava.

“Io mi diverto a giocare ma non credo di voler fare il battitore per tutta la vita,” confessò invece Cecil, a sguardo basso. “Ci penso da un po’, ma non ho ancora capito cos’è che voglio fare davvero...”

Alzò lo sguardo e lo rivolse brevemente a Emily, forse proprio perché era con lei che era iniziata la sua ricerca. La ricerca di entrambi, in realtà, per trovare la loro aspirazione per il futuro.

“Siamo solo al quinto anno, c’è tempo e hai ancora tante possibilità da considerare,” gli disse lei, sperando che bastasse a rassicurarlo.

“A proposito, quest’anno abbiamo i G.U.F.O.!” esclamò Blue, mettendosi le mani nei capelli.

“Non è un po’ presto per parlarne?” domandò Parker, che all’improvviso sembrava preoccupato a sua volta.

“Non è mai troppo presto,” rispose Emily, che invece ostentava sicurezza.

In realtà anche lei era in pensiero all’idea degli esami, ma era anche fiduciosa. Propose di aiutarli a studiare, man mano che incontravano un argomento difficile. Sapeva che il punto debole di Blue era astronomia, ma la ragazza aveva dichiarato di non volerla studiare per sempre, quindi Emily si chiese se non avesse intenzione di fallire l’esame apposta.

In quanto a Cecil, studiava con costanza ma aveva sempre fatto fatica con erbologia. Lei andava forte in tutte le materie perciò lo avrebbe aiutato, anzi sperava di farlo presto e magari quando sarebbero stati da soli. Non potevano uscire insieme, ma almeno potevano fare quello.

Parker confessò loro di essere indietro con molte materie, perciò tutti e quattro si accordarono per ripassare insieme di frequente.

Era iniziato il loro quinto anno a Hogwarts e, con gli esami in vista, non era il caso di rilassarsi troppo.





Note di quella che scrive

Blue ha fatto coming out con gli amici! Vi aspettavate questa reazione da parte loro?

Qui vediamo anche un momento in compagnia del professor Fiery e alcune chiacchiere con le amiche di Serpeverde. Le ragazze si guardano intorno e sperano ancora di più in qualche sviluppo romantico, ora che sono al quinto anno...

Il capitolo sembra quasi di passaggio, ma ormai avrete capito che il genere principale di questa storia è lo slice of life e l'idea è che si basi sulla quotidianità, nella quale vediamo mooolto lentamente degli sviluppi di vario tipo.

E a proposito di sviluppi: da qualche capitolo ormai sto buttando qua e là degli "indizi" su qualcosa, qualcosa che porterà a un evento inaspettato che accadrà... molto presto. Quindi, occhi aperti.

Ci si vede giovedì o venerdì con il prossimo capitolo!

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


CAPITOLO 26

 


Qualche giorno dopo, Emily stava facendo colazione con Matt Crowley in sala grande. Era scesa presto e lo aveva trovato lì da solo a sfogliare l’ultima copia della Gazzetta del Profeta, perciò si era accomodata di fronte a lui.

“Ora che ci penso, non ti ho mai chiesto come sono andati i tuoi G.U.F.O.,” disse, dopo averlo salutato.

Gli esami erano uno dei suoi pensieri fissi in quel periodo, perciò lei stessa si meravigliava di non aver pensato di rivolgersi a lui per avere qualche informazione a riguardo. Dopotutto, Matt aveva un anno più di lei.

“Già. Mostri sempre poco interesse nei miei confronti e questo mi ferisce!” esclamò il ragazzo, in tono ironico. “Comunque sono andati bene. Unica nota dolente, ho preso accettabile in pozioni e astronomia, e i professori hanno deciso che non era abbastanza. Non che quelle materie mi manchino, sia chiaro.”

“Sarebbe un sogno per me!” esclamò Blue, comparsa di fianco a loro nel mezzo del discorso. “Buongiorno ragazzi, posso sedermi?”

“Certo,” le disse Matt, così lei prese posto accanto a Emily.

“Quindi tu quest’anno non hai astronomia? Che meraviglia, è proprio ciò a cui aspiro,” continuò la ragazza, prendendo della torta.

“Già. Meglio così, ho più tempo libero,” rispose facendo spallucce.

“Per uscire con le ragazze?” chiese Emily, sollevando un sopracciglio.

Matt le rivolse un sorriso tirato mentre abbassava lo sguardo sulla sua copia del giornale.

“Esatto. Qui qualcuno mi capisce.”

“Sembri un esperto in materia,” osservò Blue, rivolgendogli uno sguardo sorpreso.

Emily non avrebbe detto lo stesso, ma forse aveva notato dei segnali che alla sua amica erano sfuggiti... oppure, semplicemente, lo conosceva meglio di lei. Non era la prima volta che, secondo lei, Matt le mentiva in fatto di relazioni.

O magari quelle non erano davvero bugie, perché Emily non ne era affatto certa. Più che altro sembrava farci ironia o voler evitare l’argomento, e lei non si era mai sentita nella posizione di indagare. Dopotutto, era lei che aveva rifiutato i suoi sentimenti non troppo tempo prima.

“E dimmi, come si fa a dichiararsi alla persona che ti piace?” domandò Blue, mentre si serviva una fetta di torta di zucca.

Matt la osservò per un paio di secondi prima di rispondere.

“È necessario dichiararsi?” chiese poi, rivolgendo lo sguardo a Emily. Che volesse evitare la domanda o spostare l’attenzione dell’amica su di lei, non le fu chiaro. “Io preferisco far capire il mio interesse in un altro modo... Con Emily ha funzionato.”

Lei lo fulminò con lo sguardo.

Evidentemente voleva ricordarle ciò che era successo tra di loro, perciò Emily decise di restare al gioco.

“Se intendi che volevi ottenere un rifiuto... Sì, ha funzionato,” sottolineò, concentrandosi sul suo porridge.

“Questo a me non l’avevi detto,” intervenne Blue, al che lei scosse la testa perché non le sembrava il caso di parlarne, non con lui presente.

“Quello che intendevo è che puoi far capire di essere interessata anche senza dichiararti. Ehi!” alzò la voce per attirare l’attenzione di Batilda Rain e salutarla con la mano.

La ragazza, appena entrata in sala grande insieme a delle amiche, ricambiò il saluto da lontano.

“Hai visto, Blue? Prendi appunti,” disse Emily, per prenderlo in giro.

“Non scherzare, io non vado dietro alla Rain,” ribatté il ragazzo.

Lei lo sentì a malapena perché aveva notato Cecil che prendeva posto al tavolo dei Grifondoro. Era con i suoi amici, come ogni mattina, e non l’aveva nemmeno vista.

“Emily, spiega tu alla tua amica come ci si dichiara,” la invitò Matt, che si era accorto di tutto.

“Io… non mi sono davvero dichiarata,” rispose lei, spostando l’attenzione dall’amico al suo piatto. “Lui mi ha chiesto chi fosse a piacermi e io ho risposto…”

“Quindi è così che è andata…” commentò Blue, con aria seria.

Non ne avevano mai parlato davvero, Emily aveva sorvolato sui dettagli ed era felice che l’amica l’avesse capita e non avesse insistito. Matt però, malgrado fosse in grado di leggere nel pensiero, non aveva tutto quel tatto.

“Non offenderti ma devo dirlo, il tuo amico è proprio lento,” commentò Matt, poi notò dei suoi compagni di Corvonero e sollevò la mano per ricambiare il loro saluto.

Emily non si offese, anzi capì cosa intendeva. Era sempre intorno a Cecil, eppure altri avevano intuito il suo interesse prima di lui… al quale aveva dovuto farlo presente personalmente. Poi lui aveva iniziato a evitare l’argomento, lasciandola col dubbio che ci stesse ancora pensando o che il suo fosse un rifiuto implicito.

Sospirò.

Era passato quasi un anno da quando aveva saputo dei suoi sentimenti e, se non si contava il periodo in cui l’aveva ignorata, tra loro non era cambiato niente. Lei desiderava tanto uscire con lui, andare agli appuntamenti come facevano le sue amiche Ana e Patricia, trascorrendo a pieno i loro giorni da adolescenti.

Insomma, aveva quindici anni e non aveva ancora dato il suo primo bacio. Forse avevano ragione le sue amiche, forse avrebbe fatto meglio a prendere in considerazione qualcun altro… anche se non voleva nemmeno pensarci.

“Oh cara Emily, se vuoi considerare altre opzioni ricordati che c’è anche il sottoscritto,” disse Matt in un tono che sembrava più una presa in giro che un invito, appoggiando una mano sulla sua, posata pigramente su una tazza di tè caldo.

Lei gli rivolse uno sguardo confuso e capì subito che stava scherzando.

“Ragazzi, un po’ di contegno. Non mi piacciono certi spettacoli mentre mangio,” intervenne Blue, per poi dare un morso alla sua torta.

“Non stiamo mica facendo sesso,” ridacchiò lui.

Emily, al solo sentirlo nominare, si imbarazzò ma non si mosse.

“Meglio che levi quella mano prima che la Rain ci veda… altrimenti potrebbe fraintendere,” gli fece notare, decidendo di prenderlo in giro a sua volta. 

“Oh, faresti meglio a preoccuparti per te piuttosto che della Rain.”

A quelle parole Emily si voltò alla sua destra e scoprì che Cecil la stava guardando. Spostò la mano di scatto rischiando di versare il suo tè e abbasso lo sguardo, più imbarazzata di prima.

Faceva solo figuracce e quella proprio non ci voleva.

“Allora, adesso sì che sarebbe utile saper praticare la legilimanzia,” sottolineò Matt, tornando concentrato sul suo piatto.

“Direi proprio di no. Scusatemi, devo passare in biblioteca prima delle lezioni,” dichiarò, quindi si alzò lasciando a metà il suo porridge e camminò a sguardo basso finché non fu in corridoio.

Venti minuti dopo si trovava nell’aula di pozioni. Aveva preso posto e stava aspettando Cecil, nella speranza che volesse sedersi accanto a lei come al solito. Se l’avesse ignorata sarebbe stato davvero un brutto colpo.

Doveva assolutamente risolvere il malinteso di quella mattina.

Il ragazzo fu uno degli ultimi ad arrivare, appena prima di Lumacorno, perciò le rivolse un’occhiata strana ma non ebbe modo dirle niente quando si sedette con lei.

Emily fece fatica a prestare attenzione alle parole del professore perché aveva tutt’altro per la testa.

“Possiamo parlare un attimo?” gli chiese, a fine lezione.

Cecil aveva messo via tutte le sue cose per andarsene in fretta, perciò lei aveva sentito il bisogno di fermarlo.

“Ho erbologia adesso e non posso proprio fare tardi,” rispose lui, senza voltarsi a guardarla.

Emily allora infilò tutte le sue cose in borsa alla rinfusa per poterlo seguire. Aveva un po’ di tempo prima della sua lezione di trasfigurazione e, anche se avesse fatto ritardo, in quel momento non le importava.

“Mi era sembrato che volessi dirmi qualcosa prima,” insistette, sperando che fosse lui a introdurre il discorso.

“Se è per il compito di pozioni, a me va bene farlo insieme,” le disse, camminando a passo svelto per il corridoio.

“Non è per quello, ma per stamattina a colazione. Matt stava scherzando e per me è solo un amico,” puntualizzò, facendo fatica a stargli dietro.

“Non devi giustificarti con me,” le rispose freddamente Cecil, spiazzandola.

Emily si fermò di colpo. Aveva frainteso e aveva fatto l’ennesima figuraccia? Forse lui non la stava ignorando, non era arrabbiato con lei.

“Studiamo insieme dopo?” gli chiese alzando la voce, visto che Cecil ormai era in fondo al corridoio.

Le serviva quella conferma, ne aveva bisogno per sapere che lui non l’avrebbe ignorata.

Il ragazzo si fermò per voltarsi un attimo ad annuire e lei poté giurare di avergli visto fare un’espressione diversa, non arrabbiata ma dispiaciuta. Però magari se l’era solo immaginata.

Sovrappensiero, corse alla lezione di trasfigurazione che avrebbe avuto insieme ai Corvonero. Era presto quando arrivò, infatti gli studenti dell’ora precedente stavano ancora uscendo dall’aula. Tra loro notò Matt Crowley e decise che dovevano parlare.

“Ehi Emily, qualcosa non va?” gli chiese il ragazzo, accorgendosi del suo sguardo serio su di sé.

“Sì. Non so perché ti comporti sempre in quel modo, se lo fai per aiutarmi o per prendermi in giro, ma non funziona. Peggiora solo la mia situazione.”

Lui capì che si stava riferendo alla loro conversazione di quella mattina, perché si fece pensieroso e annuì.

“Parliamo un po’, più tardi? Non so, magari posso aiutarti a portarti avanti con qualche materia,” propose lui, forse in un tentativo di scusarsi per il suo comportamento.

Lei scosse la testa.

“Ho molto da fare e non sono dell’umore,” ammise, non più arrabbiata ma decisamente giù di morale.

Si salutarono e lei entrò nell’aula, dove prese posto per prima. Aveva ancora la testa tra le nuvole, quindi pigramente tirò fuori dalla borsa tutto l’occorrente per seguire la lezione.

Per qualche motivo le cose non andavano mai come sperava.

La professoressa McGranitt era lì che metteva in ordine, usando la magia, degli oggetti usati dalla classe precedente. Emily si alzò dal banco e si propose di aiutarla, per distrarsi un po’. Seguì le indicazioni della donna e in poco tempo ebbero finito.

“Grazie signorina Lewis. Cinque punti a Serpeverde per il suo aiuto disinteressato,” disse la preside, rivolgendole un sorriso sincero. “So che è sempre molto impegnata con le attività extrascolastiche, eppure la sua media non è mai calata. A volte mi domando se non abbia una giratempo nascosta da qualche parte.”

Emily, sorpresa dalle sue parole, pensò che le sarebbe tanto piaciuto averne una, ma purtroppo non era così. Aveva letto qualcosa a riguardo in un vecchio libro trovato in biblioteca e credeva si trattasse di oggetti estremamente affascinanti, oltre che utili.

“Con lei che si impegna in così tante attività, Serpeverde dà sempre il filo da torcere a tutti nella coppa delle case,” continuò la donna.

“La ringrazio, ma sto solo assecondando i miei desideri… niente di più. E in realtà a livello personale riesco a combinare ben poco,” ammise, abbassando lo sguardo.

“Non si lasci abbattere, vedrà che c’è un tempo per tutto. Ripongo molta fiducia in lei, signorina Lewis, ma ricordi che se avrà mai bisogno di qualcosa potrà rivolgersi a me. Non deve esagerare mettendo a rischio la sua salute.”

Emily annuì, grata per la sua offerta. Dato che erano sole, ne approfittò per fare delle domande alla professoressa su un argomento che trovava affascinante, e che a lezione non avevano ancora affrontato. Poi tornò al suo posto perché i compagni stavano iniziando ad arrivare.  

 
Nel pomeriggio vide Cecil come da programma e fu felice che non avesse un atteggiamento diverso dal solito. Era tornato quello di sempre, anzi aveva molte domande da farle sulla lezione di erbologia che aveva avuto quella mattina.

“Da quando abbiamo preso l’abitudine di studiare insieme, faccio molta meno fatica con erbologia,” ammise mentre finiva di appuntarsi qualcosa accanto a un paragrafo del libro. “Oggi per esempio il professore ha fatto delle domande sulla pinguicula per vedere chi aveva studiato, e sono riuscito a non fare scena muta,” raccontò.

“Bene, sono felice di esserti stata utile,” rispose Emily, fiera dei suoi progressi.

Ripresero a studiare, ma ogni tanto lei alzava lo sguardo su di lui, non vista. Osservava il suo viso mentre era concentrato a leggere il libro, ammirando le sue lunghe ciglia e le sue labbra sottili. Quando poi le faceva delle domande, cercava di non rimanere incantata a guardare i suoi bellissimi occhi castani.

Andava tutto bene tra loro, come al solito, ma lei sentiva il bisogno di fare qualcosa, di dimostrargli che ci teneva ancora a lui… non solo come amico, ma anche in senso romantico. Solo che quello, mentre studiavano in biblioteca con altri ragazzi intorno, non era il momento adatto.

 
L’indomani Emily aveva lezione di erbologia con i Corvonero. Arrivò alla serra con qualche minuto di anticipo, sperando di trovare il professor Paciock. Intendeva chiedergli consiglio per delle letture con cui approfondire la conoscenza di alcune piante carnivore che avevano studiato.

Quando entrò, però, lo trovò impegnato a parlare con un altro studente che lei non conosceva. Rimase sulla porta per un istante domandandosi se fosse il caso di tornare più tardi, ma i due la notarono.

“Signorina Lewis, aveva bisogno di qualcosa?” chiese il professore in tono gentile.

“Sì, volevo chiederle un consiglio su un libro… ma posso aspettare.”

Il giovane insegnante guardò prima lei e poi l’altro studente, come se gli fosse venuto in mente qualcosa all’improvviso.

“Non sarà necessario, ma prima venga qui, voglio presentarle il signor Solomon Sharpridge.”

Incuriosita, Emily si avvicinò a loro che si trovavano dall’altra parte della serra. Il ragazzo in questione, che doveva essere del secondo o del terzo anno, era un Tassorosso dai capelli rasati cortissimi, castani forse. Lei si domandò se non avesse freddo alla testa in quel periodo dell’anno.

“Lei è Emily Lewis, una dei miei studenti migliori del quinto anno,” disse il professore, rivolgendosi a Sharpridge. “Signorina Lewis, ho ragione di credere che lei stia aiutando il signor Berrycloth con lo studio di erbologia.”

Sentendolo nominare lei si irrigidì, ma cercò di non darlo a vedere.

“È esatto,” rispose, domandandosi cosa avesse da ridire a riguardo.

“Ottimo. Magari potrebbe dare una mano anche al signor Sharpridge con gli argomenti del terzo anno.”

Emily rivolse un altro sguardo al ragazzino che la osservava con sospetto, quasi non si fidasse di lei. Si domandò come avrebbe fatto a trovare il tempo per tutto, ma l’idea non le dispiaceva.

“Sì, volentieri. Aiutare gli altri è un ottimo modo per ripassare,” dichiarò, al che il Tassorosso alzò gli occhi al cielo.

“Benissimo. Dato che abbiamo risolto il problema, mi dica pure di cosa aveva bisogno.”

Emily nominò le piante che avrebbe voluto approfondire e il professor Paciock le chiese un paio di minuti per stilarle una lista di libri che avrebbe potuto consultare. Mentre lo faceva, lei rivolse nuovamente lo sguardo al ragazzo che era rimasto lì.

Era più basso di lei e sembrava ingenuo, innocente, al che si domandò se anche lei avesse quell’aria al terzo anno. In realtà si poneva domande simili ogni volta che aveva a che fare con gli studenti più piccoli.

Quando lei era al loro posto, pensava che i compagni più grandi fossero dei maghi esperti e inarrivabili. Adesso aveva lei quel ruolo, anche se frequentava solo il quinto anno e non si sentiva affatto all’altezza delle aspettative della se stessa più piccola.

In ogni caso, quel ragazzino non sembrava in soggezione in quel momento, anzi pareva annoiato.

“Magari dovremmo decidere subito quando tenere il ripasso di erbologia. Hai preferenze?” gli chiese.

“No, un giorno vale l’altro,” rispose lui scrollando le spalle.

Emily tirò un impercettibile sospiro di sollievo. Lei avrebbe dovuto incastrare quel nuovo impegno con tutto il resto e sarebbe stata un’impresa ardua.

Il giovedì sera incontrava il professor Fiery per le lezioni di babbanologia, che tenevano insieme il pomeriggio successivo. Il resto della settimana aveva il club dei duellanti come impegno predominante, se non si contavano tutte le volte in cui aiutava gli amici con lo studio. Quelli con loro non erano mai appuntamenti fissi e non posticipabili, ma li stabilivano in base agli impegni di tutti e quattro, il che a volte si rivelava complicato.

Flitwick non le aveva ancora proposto di aiutare gli studenti più piccoli e lei sperava di poterlo fare anche quell’anno, perché adorava incantesimi. La soddisfazione che provava quando loro riuscivano nella pratica era qualcosa di impagabile.

Avrebbe voluto tenere del tempo libero per quello, ma probabilmente era ancora presto per pensarci, quindi capì quale giorno le sarebbe stato più comodo e lo comunicò al ragazzo.

 
Quando aveva raccontato agli amici del suo nuovo impegno, loro si erano stupiti perché fino a quel momento le era stato proposto di fare ripetizioni solo di incantesimi. In effetti, però, lei eccelleva anche nelle altre materie.

“Come farai a stare dietro a tutto?” le aveva chiesto Blue, quella volta.

In effetti anche Emily se lo era domandato, ma non le sembrava di avere poi così tanto da fare. L’anno scolastico era solo agli inizi e, per quanto si stesse preparando per i G.U.F.O., aveva tempo.

Nei giorni successivi lesse tutti i libri che le aveva consigliato il professor Paciock, aiutò Opal Fiery con le lezioni del terzo anno e partecipò agli incontri del club dei duellanti. Riuscì anche a studiare e a vedere i suoi amici, soprattutto per aiutarli con qualche materia. Il weekend, poi, poté andare a Hogsmeade con loro.

Non ebbe nemmeno un momento per pensare seriamente a come comportarsi con Cecil, per il fatto di volergli dimostrare nuovamente i suoi sentimenti, e questo le dispiacque.

Quando arrivò il giorno del suo primo ripasso con Solomon Sharpridge, lei si presentò in biblioteca all’orario prestabilito e prese posto. Lui arrivò in ritardo di qualche minuto e tirò fuori i suoi libri sbuffando.

Un ottimo inizio, pensò Emily, che non sapeva cosa aspettarsi da lui.

Si fece prestare il manuale del terzo anno per vedere il programma e riportare alla mente tutto ciò che le sarebbe servito. Andarono in ordine, con l’intenzione di ripassare le prime lezioni che il professore aveva già fatto.

Malgrado Emily cercasse di essere chiara e di non spiegare in modo noioso, aveva notato che Solomon stava prendendo appunti svogliatamente. Forse sarebbe stato più efficace il metodo Blue.

“Che ne dici di fare qualcosa di più pratico?” gli domandò, attirando la sua attenzione.

“Cosa intendi?” chiese il ragazzo.

“Lo vedrai. Vieni con me.”

Si alzò e mise in borsa le sue cose, quindi lui fece lo stesso e la seguì fino a una delle serre. Una volta qui, il più giovane iniziò a sembrare agitato.

“Non c’è nessuno a quest’ora, non preoccuparti,” tentò di rassicurarlo, quindi entrò per prima passando attraverso una delle finestre laterali lasciate aperte.

Il metodo Blue era quello che si era inventata al primo anno per ripassare con gli amici, che si era rivelato estremamente efficace soprattutto con Blue. Da allora aveva iniziato a tenere d’occhio gli orari delle lezioni della materia per essere sempre pronta, all’evenienza, a entrare di nascosto nelle serre quando sapeva che erano vuote.

Gli tese una mano per aiutarlo a raggiungerla all’interno e lui la afferrò, anche se dal suo viso si capiva che era ancora incerto. Malgrado questo, entrò nella serra con lei.

Una volta dentro la ragazza volle mettere alla prova le sue conoscenze base di erbologia. Gli chiese di riconoscere e nominare più piante possibili, senza però toccare niente perché alcune di quelle presenti potevano essere pericolose.

Appurato che Solomon aveva delle lacune anche con il programma degli anni precedenti, lo aiutò con alcune piante dandogli dei consigli per ricordarne i nomi e le proprietà. Erano tutti trucchi che aveva elaborato per aiutare Blue, che davanti ai libri spesso non riusciva a concentrarsi, ma che poi aveva riproposto anche a Cecil senza il bisogno di portarlo nella serra.

Insomma, si trattava di materiale testato del quale lei era sicurissima.

Dopo quel ripasso, Solomon fu in grado di nominare molte più piante di prima ed Emily poté notare una scintilla di soddisfazione nel suo sguardo. Uscirono dalla serra qualche minuto dopo, perché ormai avevano finito ed era quasi ora di cena.

“Signorina Lewis,” si sentì chiamare mentre aiutava il ragazzo a uscire dalla finestra, al che avvertì il proprio sangue gelarsi nelle vene.

Era stata colta sul fatto, ma forse aveva ancora una speranza. Aveva riconosciuto la voce del professor Fiery e quando si voltò poté notare che era solo.

“Professore, buonasera,” rispose rivolgendogli un sorriso imbarazzato.

“Cosa ci facevi nella serra con uno studente del terzo anno?” domandò andando dritto al punto, dandole del tu malgrado non fossero soli.

“Lo stavo aiutando con lo studio di erbologia,” rispose, abbassando lo sguardo sul libro del terzo anno che avevano momentaneamente appoggiato a terra. “So che può sembrare strano e in effetti non abbiamo il permesso del professor Paciock, ma l’abbiamo fatto per una buona causa e giuro che non abbiamo toccato niente.”

Opal Fiery seguì il suo sguardo e indugiò a sua volta sul manuale, poi tornò a osservare loro due.

“Lo capisco e per questa volta non dirò niente al collega, ma sono costretto a togliervi dieci punti a testa,” sottolineò lui, categorico.

“Non potrebbe toglierli soltanto a me? È stata una mia idea, Sharpridge non voleva nemmeno ma ho insistito e mi ha accontentata.”

Ancora una volta, Fiery guardò prima lei e poi il ragazzo.

“Allora sappiamo entrambi quanto possa essere persuasiva la signorina Lewis… E sia, chiuderò un occhio, ma dovrai farti perdonare.”

“Grazie infinite, non lo dimenticherò!”

“Nemmeno io, quindi vedi di non farti beccare mai più a sgattaiolare in una serra. E lo stesso vale per lei, signor Sharpridge.”

Ancora intimorito dalla presenza del professore, il ragazzo annuì rimanendo in silenzio.

L’insegnante si incamminò per primo verso la sala grande, lasciandoli liberi di tirare un sospiro di sollievo.

“C’è mancato poco. Per fortuna ci ha visti lui e non Brodie…” commentò Emily, che ancora non ci credeva di essersela cavata con così poco.

“Adesso ho capito dove ti avevo già vista, sei quella che aiuta Fiery con le lezioni,” dichiarò il ragazzino, sorprendendola.

“Sì, ma non ricordo di averti visto in aula,” sottolineò lei, confusa.

“Già, è una mia compagna che frequenta babbanologia, non io. Pensavo che fossi una tipa noiosa, invece sei forte.”

“Grazie,” rispose, stupita.

“Grazie a te… per oggi. Spieghi molto meglio di Paciock. Posso chiamarti Emily?” domandò, senza un briciolo di timidezza nella voce.

“Certo, se io posso chiamarti Solomon. Se avrai bisogno di un’altra mano, chiedi pure.

Lui annuì e poi si separarono diretti ognuno al proprio dormitorio, per lasciare i libri in camera prima della cena.

Emily pensò che forse si era fatta un nuovo amico.





Note di quella che scrive

Oggi aggiornamento al volo in tarda mattinata perché poi devo scappare al lavoro. Su questo capitolo vorrei dire tanto, ma come sempre è meglio se evito e lascio parlare voi.

Dico solo che qui fa la sua prima comparsa Solomon Sharpridge, che sarà utile per un certo sviluppo più avanti... L'ho caratterizzato in un modo semplice ma che per me era molto chiaro, e che forse nella lettura si capirà solo marginalmente. In ogni caso, per il momento come vi sembra?

Sono curiosa di sapere cosa ne pensate di quello che succede qui... perciò mi raccomando, non siate timidi!

A presto!

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


CAPITOLO 27

 


Erano passati alcuni giorni da quando aveva dato ripetizioni a Solomon Sharpridge ed Emily si trovava insieme a Matt nel giardino della torre dell’orologio. Aveva trovato un po’ di tempo per chiacchierare con lui tra un impegno e l’altro, anche se persino il ragazzo sembrava avere il suo bel da fare.

A parte i compiti da prefetto, passava molto tempo con Batilda Rain, per la quale secondo Emily lui provava ancora qualcosa. Inoltre aveva già scritto diverse lettere a Rita Skeeter sperando di colpirla positivamente, così che lo accettasse come suo assistente.

Raccontò a Emily che durante il suo primo anno a Hogwarts aveva iniziato a scrivere per un giornale scolastico di sua invenzione, in collaborazione con Batilda che aveva una passione per la fotografia. Il giornalino però circolava solo tra i loro amici, perché nessuno dei professori li aveva autorizzati a svolgere quell’attività ufficialmente.

Da quel momento si era accorto di avere un interesse per il giornalismo, anche se il tutto era partito per gioco. Purtroppo per lui Batilda aveva iniziato a concentrarsi su altro, mettendo da parte la fotografia, quindi il loro progetto era terminato presto.

Emily lo ascoltò con interesse finché non vide Cecil passare per il corridoio, poi la sua attenzione venne catturata totalmente da lui. Salutò quindi Matt per raggiungerlo, domandandosi dove stesse andando.

“Ehi Cecil!” lo salutò.

“Ciao Emily. Che strano vederti libera,” commentò lui, sorridendole.

“Eh già. Hai da fare?”

“Sì, mi aspettano agli allenamenti di quidditch. Vuoi venire ad assistere?”

La ragazza scosse la testa. Per quanto le piacesse vedere Cecil in uniforme, preferiva impiegare meglio il suo tempo. Comunque era contenta che avesse passato le selezioni per la squadra anche quell’anno.

“Ti rubo solo un attimo, poi scappo a studiare,” dichiarò, quindi si rimise in cammino per prima, per parlargli mentre andavano verso il campo.

Emily prese un respiro profondo per farsi coraggio. Aveva deciso di affrontarlo di petto, anche se a modo suo, e quello era il momento migliore in cui potesse sperare.

“Domenica c’è l’uscita a Hogsmeade e mi chiedevo se volessi andarci con me. Cioè, Blue ha da fare con Cristelle, quindi pensavo che sarebbe carino andare solo noi due… come abbiamo fatto in passato, qualche volta…”

Glielo chiese con voce incerta, tenendo lo sguardo basso sul pavimento e sentendo quello di Cecil su di sé. Lui ci mise un po’ a rispondere, il che la fece sentire una stupida. Tutta la sua sicurezza, quando si trattava di lui, svaniva nel nulla.

“Ehm, questa domenica… è meglio di no. Sono già d’accordo per fare una cosa con Parker, quindi… magari un’altra volta?” chiese, grattandosi la nuca con fare imbarazzato.

Emily annuì cercando con tutte le sue forze di non sembrare troppo dispiaciuta.

Si salutarono e lei tornò sui suoi passi, trattenendo le lacrime di tristezza ma anche di nervosismo per come era andata la loro conversazione.

Il suo non era affatto l’invito per un’uscita in amicizia e lui doveva averlo intuito, perciò aveva reagito in quel modo. Probabilmente non voleva uscire da solo con lei perché non sembrasse un appuntamento neanche per sbaglio.

In qualche modo riuscì a trattenere le lacrime e a sfogare il nervoso esercitandosi con alcuni incantesimi. Quando arrivò quella domenica, però, non ce la fece più. Rimasta sola al castello, incapace di starsene ferma in camera, nella sala comune di Serpeverde o in biblioteca, si aggirò per i corridoi con aria sconsolata.

Sotto il braccio teneva un libro di difesa contro le arti oscure e all’apparenza stava cercando un posto tranquillo dove studiare, ma la sua mente continuava a portarla altrove.

Quando, a furia di rimuginare e di domandarsi cosa avesse di sbagliato, iniziò a piangere davvero, si trovò una nicchia solitaria dove sfogarsi e, soprattutto, costringersi a smettere per poter tornare indietro senza che nessuno la vedesse in quello stato.

O almeno questo era il suo piano. Il castello era quasi deserto, perciò non le sembrava poi impossibile riuscire a calmarsi senza farsi notare.

Stava pensando di andare nel bagno più vicino a sciacquarsi la faccia nella speranza che fosse d’aiuto, quando sentì una mano poggiarsi delicatamente sulla sua spalla destra.

Sobbalzò, colta di sorpresa perché non aveva udito nessuno avvicinarsi.

Strinse il suo libro al petto e si voltò, pronta per essere umiliata nel caso si trattasse di qualcuno che non la sopportava, o nel caso fosse Cecil stesso.

Quando vide che si trattava del professor Fiery non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo che le uscì pesante per via del magone.

Abbassò lo sguardo, consapevole di avere gli occhi rossi. Poteva andarle peggio, ma si era comunque fatta vedere in quello stato da un insegnante, il che non era proprio l’ideale.

“Cos’è successo?” le chiese lui, con un tono di voce carico di preoccupazione.

Emily scosse la testa. Non era in grado di parlare in quel momento perché la voce le sarebbe uscita a fatica, tremante, e questo lei non lo voleva assolutamente. Rimase con lo sguardo basso, con il libro stretto a sé, e sperò che lui la rimandasse nel suo dormitorio.

“Vieni con me,” disse invece, prendendole delicatamente un braccio e conducendola con lui per il corridoio.

Non sapendo cosa volesse fare e dove volesse portarla, lei tenne la testa ancora più bassa per paura di incontrare qualcun altro sul loro cammino.

Il professore la teneva vicina a sé con fare protettivo e procedeva con passo veloce, come se gli fosse chiaro che lei non voleva essere vista da nessuno.

Arrivati davanti al suo ufficio lui aprì la porta per farla entrare per prima. La invitò a sedersi e le servì un tè con qualche dolcetto, posando il tutto sulla scrivania davanti a loro. Lui si sedette accanto a lei, su una delle due poltroncine per gli ospiti, senza mettere la solita distanza tra loro.

Emily teneva i denti stretti in un tentativo di costringersi a calmarsi, e ce l’aveva quasi fatta, ma quando vide quei dolci al cioccolato non ce la fece più. Riprese a versare caldi lacrimoni, incapace di trattenersi ora che aveva iniziato.

Non era una ragazza che piangeva spesso, ma ogni volta che succedeva riversava fuori di sé la tristezza per ogni cosa, grande o piccola che fosse, dando il via a un circolo vizioso di pensieri negativi difficile da interrompere.

Quella volta sentiva che si trattava di una cosa grossa, perché Cecil le piaceva da anni eppure non riusciva a fare progressi né a toglierselo dalla testa. Eppure, adesso che si trovava con il professore di babbanologia, quel dramma che aveva creato una tempesta dentro di lei le sembrava una stupidaggine da ragazzina.

Una stupidaggine che la condizionava moltissimo.

Ignorò i dolci e si sforzò di bere un sorso di tè, sperando che la bevanda calda le fosse di conforto. Scese a fatica per via del nodo che sentiva alla gola, ma in qualche modo fu d’aiuto.

“Adesso vuoi dirmi cos’è successo?” domandò Opal Fiery in tono calmo.

Emily si decise a rivolgergli lo sguardo, scoprendo che la stava ancora osservando con aria preoccupata.

“Non è successo niente,” si costrinse a dire, ed era proprio quello il motivo del suo malessere.

“Non ci credo, altrimenti non staresti così. Qualcuno ti ha fatto del male?”

Lei scosse la testa.

“È una cosa stupida… Adesso giuro che mi calmo e… e passa tutto…” disse più a sé stessa che a lui, tenendo lo sguardo basso.

“Emily… Sei una ragazza forte, ma devi imparare a fare affidamento sui professori quando ne hai bisogno. Qualsiasi cosa sia successa, parlarne ti farà sentire meglio,” insistette, accarezzandole una spalla per farle sentire il suo sostegno.

“Ma è davvero una cosa stupida,” sospirò.

Dallo sguardo di Fiery capì che non gli importava e che non l’avrebbe giudicata, ma lei si sentì comunque in difficoltà.

“È… per un ragazzo,” ammise, sentendo di aver appena confermato la sua stupidità.

E in quel momento si rese conto per l’ennesima volta che, quando si piange, tutti i problemi sembrano insormontabili, ma basta parlarne per riuscire a interpretarli in modo diverso.

Stava sicuramente facendo una pessima figura ad ammetterlo davanti al professore, ma lui aveva ragione. Dirlo l’aveva davvero fatta sentire meglio, come se un nodo che avvertiva nel petto di fosse sciolto.

“Ti ha ferita?” chiese lui tenendo basso il tono di voce, quasi ci fosse la possibilità che qualcun altro li sentisse.

Aveva adattato il suo tono a quello di Emily, che parlava ancora a fatica a causa del magone.

“No, non proprio… Lui mi piace da alcuni anni, ma quando gliel’ho detto non mi ha risposto. Anche adesso, se provo a proporgli di fare qualcosa insieme, rifiuta con una scusa e non mi fa mai capire cosa pensa davvero,” raccontò, decidendo di non entrare nei dettagli più di così.

Il professore l’ascoltò in silenzio, senza spostare lo sguardo dal suo viso nuovamente percorso dalle lacrime. Si avvicinò e ne asciugò una con il tocco gentile della sua mano, sorprendendola.

“Gli amori adolescenziali sembrano sempre importanti e possono portare a tante preoccupazioni. A volte scopriamo che sono solo passeggeri… altre invece no,” mentre lo diceva le diede un fazzoletto di stoffa. “Sono sorpreso, devo ammettere che pensavo ti divertissi con i ragazzi come la maggior parte delle studentesse della tua età. Invece ti poni un obiettivo e continui a impegnarti per raggiungerlo.”

Emily sollevò un sopracciglio domandandosi se fosse serio o la stesse prendendo in giro.

“Davvero non se l’aspettava?” chiese, trovandolo strano.

Non credeva di dare quell’impressione e non si era mai posta il problema di come apparisse agli altri, non sotto quel punto di vista.

“Avrei dovuto,” rispose lui, accennando un sorriso. “Dopotutto sei la mia studentessa migliore.”

Lei abbassò lo sguardo soppesando le sue parole.

“Ma io… non sono nemmeno iscritta al suo corso,” gli fece notare.

“Già. Questo ti fa capire quanto sia grave la situazione,” dichiarò in tono più allegro.

Emily sorrise, divertita dalla sua affermazione che voleva sicuramente essere una battuta.

Anche se parlare con lui l’aveva fatta sentire una stupida, adesso si sentiva molto meglio.

“Grazie per avermi ascoltata, professore.”

“Opal. L’hai detto tu Emily, non sei una mia studentessa,” puntualizzò.

Lei annuì ma non ebbe il coraggio di dire nient’altro, sorpresa dalle sue parole e dalla sua richiesta di chiamarlo per nome.

Lui cambiò argomento, forse per alleggerire l’atmosfera. Le chiese perché avesse con sé il libro di difesa contro le arti oscure e se le servisse una mano con la materia. Poi le rivelò che non era stata una delle sue preferite, nei suoi anni da studente.

Finirono di bere il tè dopodiché Emily lo ringraziò di nuovo e uscì dal suo ufficio. Non aveva più il morale sotto le scarpe né sentiva il bisogno di piangere. Anzi, ora si sentiva più motivata di prima.

Andò a sciacquarsi il viso e poi si diresse in biblioteca, intenzionata a studiare per il resto del tempo che precedeva l’ora di cena.

 
Quella sera non cercò Cecil con lo sguardo in sala grande. Non aveva molta voglia di vederlo perché non sapeva come comportarsi con lui, soprattutto dopo il suo rifiuto alla proposta di andare a Hogsmeade insieme. Si erano visti facendo finta di niente i giorni prima, ma quello sarebbe dovuto essere il giorno della loro uscita e per questo a lei era pesato così tanto.

L’indomani, a colazione, si sedette insieme a Blue per parlarne con lei. Non avevano avuto molte occasioni per farlo perché spesso stavano tutti insieme oppure lei era con Cristelle. Il momento buono per le confidenze era solo la colazione, ma fino a quel giorno si era trattenuta perché non ne aveva sentito un forte bisogno.

“Secondo te come devo fare con Cecil?” si decise a chiederle, dato che intorno a loro non c’era nessuno che potesse sentire.

“Davvero ti accontenti di un mio consiglio? Io non sono molto esperta in queste cose, lo sai,” sottolineò Blue, mettendosi nel piatto una fetta di torta.

“Ho provato a parlarne con Ana e Patricia, ma loro mi hanno suggerito di lasciarlo perdere… Invece, quando sono con Matt, credo che lui cerchi di farlo ingelosire per aiutarmi, ma sta avendo l’effetto opposto. Cecil sembra infastidito ma non affronta l’argomento e io temo sempre che voglia tenermi a distanza subito dopo.”

“Mmh, capisco… Lui è il tipo che, se lo affronti di petto, viene preso dal panico e si blocca. Lo ha già dimostrato, no?”

Emily annuì.

“Ma non si può neanche aspettare che faccia qualcosa lui, perché sembra che stia facendo finta di niente.”

Ancora una volta lei annuì.

“Forse dovresti provare a creare l’atmosfera giusta. Nei momenti quotidiani, intendo,” propose Blue, tutta concentrata ad ammirare la sua colazione di cui prese una prima forchettata.

“Sembra più facile a dirsi che a farsi…”

“Lo è, ma potrebbe essere una buona strategia. Anche io sto provando a fare così, ma è più complicato perché nel mio caso siamo entrambe ragazze… e non so se lei mi considererebbe mai in senso romantico,” confessò.

“Ci rifletterò su,” rispose Emily, pensierosa.

Le sarebbe tanto piaciuto trovare un libro sull’argomento in biblioteca, ma sapeva che non era possibile. Avrebbe dovuto fare affidamento solo sulle sue forze.

Alzò lo sguardo dalla sua ciotola di porridge e si guardò intorno, notando che Cecil non c’era ma i suoi amici sì. Lo trovò strano.

“Che fine ha fatto Cecil?” chiese a Blue, sperando che ne sapesse qualcosa.

La ragazza distolse l’attenzione dalla torta e seguì il suo sguardo.

“Non ne ho idea. Ieri l’ho visto in giro con Parker e sembrava stare bene.”

Emily considerò la possibilità di chiedere ai suoi amici dove fosse, ma la scartò subito. Se avesse trovato Parker da solo forse lo avrebbe fatto, ma con tutto il gruppo… no. Ricordava come l’avevano guardata, le rare volte che si era avvicinata per parlare con Cecil.

“Non ho più fame, vado a fare due passi. Ci vediamo dopo a lezione,” dichiarò e si mise in cammino.

Aveva solo una vaga idea di dove fosse il punto di accesso per il dormitorio di Grifondoro, quindi salì le scale guardandosi intorno ma dell’amico non c’era neanche l’ombra. Era ancora presto per andare a lezione e lei aveva già tutto l’occorrente nella borsa, quindi decise di uscire a prendere un po’ d’aria.

Lo avrebbe rivisto presto in aula perciò portò il pensiero altrove, ovvero al suggerimento di Blue. Creare l’atmosfera giusta… Emily non aveva idea di come si facesse. Forse avrebbe fatto bene a evitarlo per un po’, al di fuori dalle lezioni, giusto il tempo di preparare una strategia.

Ci stava pensando su stando seduta su un muretto quando sentì delle voci. Andò nella direzione da cui provenivano e vide un gruppetto di studenti che litigavano. Li guardò meglio e si accorse che c’era anche Cecil e che uno studente più grande sembrava avercela con lui.

Emily sentì il sangue ribollirle nelle vene. Senza pensare, si armò di bacchetta e uscì dal suo nascondiglio per correre in suo aiuto.

“Ehi!” esclamò per attirare l’attenzione su di sé.

Ottenne il risultato sperato perché tutti si voltarono e lei poté guardarli in faccia. Le sembravano familiari ma non sapeva chi fossero, però vide che erano tutti Grifondoro.

Cecil la fulminò con lo sguardo, forse perché era sorpreso di vederla.

“Che sta succedendo qui?”

“Niente che debba interessare a una Serpeverde,” la incalzò uno di loro.

Gli altri due rimasero in silenzio e le rivolsero sguardi sospettosi o infastiditi.

Lei strinse più saldamente la presa sulla bacchetta, ma non la puntò ancora su nessuno. Doveva prima capire cosa volessero da Cecil.

“Insisto.”

“Ehi, cosa vorresti fare con quella bacchetta? Non è un giocattolo,” la prese in giro un altro studente più grande, quello che sembrava il capogruppo.

“Aspetta, lei è nel club dei duellanti!” esclamò un altro, che sembrava l’avesse appena riconosciuta.

“E cosa importa? Sarà del quinto anno, noi siamo più grandi e siamo in tre. Gira a largo!” aggiunse, rivolgendosi a lei.

“Sul serio Jacob, forse è meglio affrontare la questione un’altra volta,” insistette l’altro ragazzo, abbassando la voce.

Emily lo sentì comunque e assottigliò lo sguardo.

“Come vi pare,” sbuffò il capogruppo, facendo segno a Cecil di andarsene.

Con uno sguardo serio in viso, il suo amico fu libero di raggiungerla e lei si sentì subito sollevata. Quando fecero per andarsene, però, sentì qualcuno pronunciare un incantesimo.

Emily si voltò appena in tempo per vedere l’incantesimo mancare il bersaglio e abbattersi sulle foglie secche vicino ai piedi di Cecil, segno che era lui l’obiettivo. Non era andato a segno, ma lei aveva riconosciuto la formula della fattura sgambetto.

Ancora con la bacchetta in mano, la puntò prima sul capogruppo e poi sugli altri tre, fregandosene delle regole della scuola e schiantandoli con un incantesimo non verbale.

Si aggrappò al braccio di Cecil, che era rimasto lì impalato, e insieme scapparono dentro al castello prima che quei tre potessero rimettersi in piedi.

Con il fiatone, Emily e Cecil si nascosero in bella vista in un corridoio pieno di studenti, dove nessuno avrebbe potuto far loro del male.

“Cosa ti è saltato in mente!” esclamò il ragazzo, spiazzandola.

“A me?”

“Sì, a te! Volevano solo parlare, sono miei compagni di quidditch!”

“Ma quello non era parlare, ti urlavano contro e ti hanno spintonato! Tu eri chiaramente in difficoltà,” sottolineò.

“Solo perché non sapevo cosa dire! E solo Jacob Wright faceva così, perché è una cazzo di testa calda, ma non mi aveva mai trattato in quel modo prima. Secondo lui rallento la squadra e ne voleva parlare, ecco tutto. Non mi avrebbero fatto niente e tu non dovevi immischiarti!”

“Salazar! Cecil, ti hanno lanciato una fattura sgambetto, dovevo fare finta di niente?” puntualizzò, arrabbiata.

“Non avresti dovuto essere lì e basta!” esclamò lui, arrabbiato a sua volta.

Emily strinse i denti e lo guardo negli occhi, incredula. Aveva il cuore che batteva a mille e la mano destra ancora stretta sulla bacchetta.

“Bene. Me lo ricorderò,” disse e gli diede le spalle per andarsene via.

Non ci poteva credere.





Note di quella che scrive

Lo so, adesso odierete Cecil ancora di più... Ahia...

E no, "l'evento inaspettato" che vi avevo preannunciato non era questo litigio. Per quella cosa ci si rivede nel prossimo capitolo... Eh sì... Consideratevi avvisati.

Ma adesso mi zittisco. Il prossimo aggiornamento sarà giovedì o venerdì, nel frattempo mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate del capitolo, della storia finora o magari cosa vi aspettate dai prossimissimi sviluppi!

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


CAPITOLO 28

 


I giorni successivi alla loro lite fu Emily a evitare Cecil, perché era ancora arrabbiata con lui. Non credeva che quei Grifondoro fossero ragazzi gentili dalle buone intenzioni, altrimenti non lo avrebbero portato in disparte per urlargli contro, eppure lui se l’era presa con lei. Non riusciva proprio a concepirlo.

Si sedette insieme a Patricia durante ogni lezione che avevano in comune e non gli rivolse nemmeno uno sguardo. Dopo lezione si impegnava in tutto il resto per non rischiare mai di incontrarlo per caso.

Per fortuna quella settimana doveva iniziare ad aiutare con il ripasso di incantesimi, perciò aveva altro a cui pensare.

Il giovedì sera raggiunse il professor Fiery nel suo ufficio per preparare la lezione del giorno successivo e riuscì a mascherare bene il suo stato d’animo. Anche il giorno dopo, mentre lo assisteva, si mantenne concentrata per non lasciare spazio a nessun pensiero molesto.

Non era felice, però. Era tornata giù di morale ed era ancora arrabbiata, perché da Cecil aspettava delle scuse che non erano ancora arrivate.

A fine lezione rimase in aula a sistemare il materiale che avevano usato, come faceva ogni volta. Poi si diresse alla lavagna per ripulirla trattenendo un sospiro. I pensieri negativi erano tornati.

Si ostinava a fare certe cose a mano, senza usare la magia, per questo quando appoggiò il cancellino con più forza del normale si ritrovò coperta da una spolverata sottile di gesso bianco. Rimase immobile per un secondo rendendosi conto di aver fatto una cosa molto stupida.

Opal Fiery, seduto alla cattedra poco distante, si mise a ridere dello stato pietoso in cui si era ridotta.

Emily sorrise amaramente perché quella situazione era davvero buffa. Se fosse stata con Blue o con Matt avrebbe tirato loro il cancellino per sporcarli, ma era con un professore quindi lo riappoggiò al suo posto.

“Aspetta, ti aiuto,” si offrì lui, posando la penna e cercando di trattenere le risate.

La raggiunse davanti alla lavagna e, usando le mani, sbatté via il gesso dalle sue spalle. Poi le accarezzò il viso con un fazzoletto di stoffa nel tentativo di ripulirlo.

Emily sentiva di avere quella polvere anche nei capelli, perciò pensò di aver bisogno di farsi una doccia il prima possibile.

“È bello vederti sorridere di nuovo, eri giù di morale da ieri sera,” sottolineò lui.

Emily credeva di averlo nascosto bene, ma evidentemente non era così.

Il professore si trovava più vicino al suo viso che mai e le stava strofinando delicatamente il ponte del naso, mentre il suo profumo di lavanda la inebriava. Ogni tanto alzava lo sguardo per incontrare il suo, come se volesse dire qualcosa, ma poi tornava concentrato su ciò che stava facendo.

Spostò il fazzoletto vicino alle sue labbra e con esso anche lo sguardo.

Emily stava per ritrarsi perché secondo lei non c’era bisogno di spingersi a tanto, ma lui le prese delicatamente il mento e la inchiodò lì con lo sguardo.

Uno sguardo indecifrabile, che lei non era certa di voler capire.

Un istante dopo le labbra del professore erano premute sulle sue in un contatto caldo, bagnato e dal sapore di gesso. Labbra esperte che la guidavano in qualcosa che non aveva mai fatto prima, dalle quali si lasciò travolgere perché spiazzata. La sua mente era assente e il cuore le martellava nel petto in un moto di agitazione che diventava sempre più forte, frastornandola ma facendola anche tornare lentamente in sé.

Sgranò gli occhi e mise le mani sul suo petto perché si allontanasse.

Il professore le rivolse uno sguardo confuso, quasi si fosse accorto solo in quel momento di cosa avesse fatto.

“Io… Mi dispiace, Emily, non volevo sorprenderti così. Non so cosa mi sia preso…” confessò, imbarazzato.

Lei era la più imbarazzata tra i due e infatti si sentiva le guance in fiamme. Aveva ancora le labbra socchiuse e il respiro affannato.

Quando lui fece un passo indietro per mettere distanza tra loro, Emily gli diede le spalle e scappò via senza pensarci due volte.

Corse nel bagno più vicino a lavarsi la faccia ancora sporca di gesso e soprattutto la bocca, sconvolta.

Il suo profumo di lavanda, la barba corta e ispida che le graffiava il mento e le sue labbra morbide… Era successo davvero, ma solo adesso che era troppo tardi quei dettagli si facevano nitidi nella sua mente.

Non sapeva perché lo avesse fatto, non sapeva se in qualche modo lei gli aveva fatto credere di essere interessata a lui, ma adesso si sentiva malissimo. Era successo ed era un vero disastro.

Non le venne da piangere perché era spiazzata al punto da non avere nessuna lacrima da versare.

Ripercorse quel momento nella sua mente domandandosi come fosse stato possibile, e ci rifletté così tanto che le venne il mal di testa. Il suo cuore stava ancora correndo, senza darle alcun segno di volersi calmare.

Avrebbe voluto parlarne, sfogarsi con qualcuno per tentare di capire perché fosse successo, ma era convinta che non fosse possibile. No, perché era stato un professore a baciarla.

Aveva ancora il gesso tra i capelli ma ormai non le importava più. Li sistemò un po’ con le mani, distrattamente, dopodiché prese coraggio e uscì dal bagno per andare nel suo dormitorio a farsi una doccia.

Voleva lavarsi via quello che era appena successo.

Non si presentò a tavola per cena perché non se la sentiva di farsi vedere da nessuno in quel momento. Inoltre aveva lo stomaco sottosopra, perciò pensò che non fosse saggio mangiare.

Andò a letto presto, ma prima di riuscire ad addormentarsi rimuginò a lungo su ciò che era accaduto.

 
L’indomani Emily si svegliò distrutta, come se non avesse dormito affatto. Aveva una gran fame, perciò si preparò in tutta fretta e salì in sala grande. Prima di entrare esaminò con lo sguardo il tavolo dei professori per assicurarsi che Fiery non fosse presente.

Solo dopo averlo fatto poté tirare un sospiro di sollievo e andare a sedersi. Si servì del porridge con un po’ di frutta e persino una fetta di torta che addentò subito, poi bevve un sorso di tè caldo e si sentì rinascere.

Va tutto bene, si disse, in un tentativo di calmarsi.

Il professore si era scusato, perciò non sarebbe successo più nulla di simile. Certo, sarebbe stato strano restare da sola con lui per preparare le lezioni successive, e il solo pensiero le annodava lo stomaco.

Emily si costrinse a non pensarci, dicendosi che magari sarebbe stato meglio tirarsi indietro dal ruolo di assistente, ma aveva ancora qualche giorno per riflettere sul da farsi. Sì, forse l’avrebbe fatto davvero. Dopotutto, ormai il danno c’era stato e tra loro si sarebbe creato dell’imbarazzo.

Sospirò e iniziò a mangiare il suo porridge.

Era ancora presto perciò nella sala grande c’erano pochi studenti. Ogni tanto Emily gettava uno sguardo al portone d’ingresso sperando di non veder arrivare Cecil.

Anche se non aveva colpe per quello che era successo, o almeno lei sentiva di non averne, non sarebbe riuscita a guardarlo in faccia. Non dopo che qualcun altro aveva rubato il suo primo bacio.

Il pensiero la fece sospirare di nuovo, perché voleva che quel bacio fosse per una persona importante.

Dopo un po’ arrivò Blue ed Emily fu felice di vedere una faccia amica. La salutò con una mano e la Tassorosso la raggiunse subito.

“Buongiorno! Non ti ho vista a cena ieri e mi sono preoccupata, ma sembrerebbe che ora tu stia bene,” disse la bionda alludendo alla sua colazione abbondante.

Si sedette al suo fianco e si servì della torta.

“Sì… diciamo di sì,” rispose Emily abbassando lo sguardo.

“È successo qualcosa? Parlamene, non tenerti tutto dentro,” la spronò, quindi diede un morso al dolce. “Se è per Cecil, è assurdo che non ti abbia ancora parlato dopo quella volta!”

“No, non si tratta di lui,” ammise rendendosi conto di aver momentaneamente dimenticato il loro litigio.

L’amica le rivolse uno sguardo preoccupato perciò Emily decise di aprirsi con lei, evitando però di darle alcuni dettagli troppo sconvenienti. Sentiva che non fosse il caso di sbilanciarsi troppo.

“Ieri… ero con una persona e all’improvviso mi ha baciata,” confessò, tenendo lo sguardo basso.

Come se niente fosse, riprese a mangiare. Non le andava molto di parlarne, si accorse, quindi finse indifferenza anche se aveva di nuovo lo stomaco chiuso.  

“Cosa?” esclamò Blue, reagendo a scoppio ritardato. “E quello era il tuo primo bacio?”

Emily annuì senza guardarla in faccia, dispiaciuta.

“Perché sei così calma? Dovresti arrabbiarti di più.”

“Non sono calma. È solo che… Non lo so, ancora non ci credo. Quel bacio era importante per me e all’improvviso… puff. E questo ha rovinato tutto… Insomma, sono delusa e triste.”

“E chi è stato, Crowley?” chiese Blue, guardandosi intorno con aria nervosa.

“No, Matt non c’entra. Non ti posso dire chi è stato, non voglio che si sappia,” disse rivolgendole uno sguardo supplichevole.

“Okay, non insisterò allora... Ma com’è stato?”

Emily la fulminò con lo sguardo, ma visto che l’amica sembrava davvero curiosa decise di pensarci su.

“Non lo so, per un attimo non ho capito niente e sono rimasta lì impalata a lasciargli fare quello che voleva,” ammise, sentendosi una stupida. “Ma credo che sia stato morbido… e umido. Non bello come immaginavo sarebbe stato.”

Mentre lo diceva, storse le labbra e si grattò il mento avvertendo del fastidio nel punto in cui aveva sentito la sua barba graffiarla. No, non era stato affatto bello.

“Immagino che con la persona giusta sarebbe stato diverso,” aggiunse, per rassicurare se stessa ma anche l’amica che annuì in risposta.

Le disse che non voleva parlarne più e riprese a mangiare, intenzionata a terminare la sua colazione per andarsene in fretta.

Quando vide Matt entrare nella sala si accorse di un ostacolo che non aveva considerato: lui era un legilimens. Emily non voleva che nessuno sapesse, quindi si concentrò per erigere le sue barriere occlumantiche.

Non erano niente di che perché non si era esercitata molto, ma sperava che bastassero per dissuaderlo dal farsi gli affari suoi. Per togliersi ogni preoccupazione salutò Blue e si alzò con l’intenzione di andarsene, tanto ormai aveva praticamente finito di mangiare.

 
“Non vi sembra che quelle Grifondoro ce l’abbiano con noi?” chiese Patricia, mentre pranzavano.

La mattinata era filata liscia, malgrado i tanti pensieri di Emily, e adesso lei si trovava seduta con il suo gruppo di amici Serpeverde a mangiare.

“In realtà ci guardano male da qualche giorno. Chissà cosa gli abbiamo fatto, a parte essere Serpeverde,” sottolineò Ana con un’alzata di spalle, dopo aver rivolto loro uno sguardo di sfuggita.

Emily si voltò per capire a chi si riferissero e notò due ragazze Grifondoro che guardavano nella loro direzione. Dovevano essere del sesto anno e non sembravano avere buone intenzioni. In ogni caso lei non credeva di averle mai viste prima, quindi tornò concentrata sul suo pasto.

La giornata era iniziata male, ma era andata migliorando. Emily aveva cercato di non pensare a ciò che era successo, anche se sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare il problema.

Fu tra i primi a finire di pranzare quindi corse nella sua stanza per prendere i libri necessari per le lezioni del pomeriggio. Avrebbe avuto storia della magia con i Grifondoro, quindi con Cecil, ma si fece coraggio. Quando arrivò il momento raggiunse l’aula e si sedette accanto a Patricia.

A fine lezione mise in borsa le sue cose e uscì, decisa a studiare un po’ prima di recarsi al club dei duellanti. Nel corridoio appena fuori dall’aula, però, qualcuno la colse alla sprovvista afferrandola per i capelli e trascinandola contro un muro.

“Questo è per il mio ragazzo!” esclamò una voce femminile.

Emily batté la testa e finì a terra emettendo un gemito sommesso, ma si sforzò di rimettersi in piedi per capire cosa stesse succedendo.

Davanti a sé aveva due Grifondoro arrabbiate con la bacchetta alla mano.

Gli studenti nel corridoio si erano portati a distanza, qualcuno se ne stava andando in tutta fretta mentre qualcun altro era rimasto fermo a guardare, incuriosito dalla scena.

“E questo è per il mio!” gridò un’altra, agitando una bacchetta.

Emily, che aveva prontamente preso in mano la sua, stava per farsi scudo con la magia quando qualcuno si mise davanti a lei e fece lo stesso, parando l’incantesimo offensivo. Era Cecil.

“Che sta succedendo qui?” esclamò una voce familiare.

Il professor Fiery si fece largo tra gli studenti e vide i due schieramenti. Il suo sguardo indugiò per un attimo su Emily, che si premeva con la mano sinistra un punto della testa particolarmente dolorante, e lei abbassò il viso.

“Voi due venite con me dalla preside, così ci spiegate cosa stavate facendo,” disse con un tono categorico, quindi prese per le spalle entrambe le studentesse più grandi e le fece voltare, perché l’ufficio della McGranitt era nella direzione opposta.

Prima di andare, però, lui si fermò davanti a loro due.

Cecil si era girato a vedere se Emily stesse bene e l’aveva avvolta tra le sue braccia con fare protettivo, dando le spalle al resto della scena. Era un gesto che lei avrebbe gradito molto, ma non in quel momento.

“Signor Berrycloth, le affido la signorina Lewis,” disse il professore con una nota di freddezza nella voce, quindi si decise finalmente ad andare, intimando agli altri studenti di fare lo stesso.

Emily espirò profondamente ora che era rimasta da sola con il suo amico, ma non riuscì comunque a sentirsi rilassata. Aveva fatto due più due e capito che quelle non erano altri che le ragazze dei tizi a cui aveva dato una lezione qualche giorno prima, ovvero i compagni di squadra di Cecil.

Si spinse via dalle sue braccia, infastidita.

“Non hai visto che era solo una conversazione amichevole? Non dovevi intrometterti!” sbottò, parafrasando le parole assurde che lui le aveva rivolto quella volta.

Cecil sgranò gli occhi e le fu chiaro che non sapesse come rispondere.

“Scusa, non avrei dovuto reagire in quel modo,” ammise lui, dopo un attimo di esitazione.

Emily si accovacciò sentendo tutta la tensione di prima abbandonarla. Si mise le mani sulla testa, che le faceva male in più punti, mentre i capelli le ricadevano in avanti a nasconderle il viso.

“Io… ti ho visto lì con loro e mi sono spaventata,” confessò, sentendosi in difetto ora che lui si era scusato. “Ho ripensato a quella volta, quando eravamo al primo anno, e ho sentito che dovevo aiutarti. Forse ho reagito troppo male, ma è stato più forte di me…”

Cecil si inginocchiò davanti a lei, le scostò i capelli da metà del viso e le rivolse un’espressione dispiaciuta.

“Tu perché hai fatto finta di niente in questi giorni?” chiese Emily, dandogli una leggera spinta.

“Perché tu mi stavi ignorando.”

“Io ti stavo ignorando perché tu eri arrabbiato con me,” puntualizzò. “Beh, ora sai cosa si prova.”

Cecil aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo, al che lei si pentì di aver parlato senza pensare. Era in un campo minato e aveva appena pestato una mina.

“Okay, ci siamo comportati male entrambi,” sottolineò lui, sorprendendola. “Adesso ti fai accompagnare in infermeria?”

Emily annuì e accettò il suo aiuto per rialzarsi.

Il ragazzo le raccolse la borsa, che le era caduta senza che lei se ne rendesse conto, e prendendola sottobraccio la condusse da Madama Chips che le fece un controllo e le curò il mal di testa.

Gli ultimi giorni erano stati assurdi, ma Emily credeva che tutto si fosse concluso per il meglio… anche se alcuni problemi dovevano ancora essere affrontati.
 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


CAPITOLO 29

 


Come aveva già fatto una volta in passato, Emily scrisse una lettera al professor Fiery e gliela consegnò infilandola sotto la porta del suo ufficio. Aveva aspettato fino all’ultimo momento domandandosi cosa fare ma alla fine era giunta a una conclusione: non lo avrebbe più assistito durante le lezioni.

No, perché la sola idea di rivederlo dopo ciò che era successo la metteva a disagio. Non voleva un rapporto sconveniente con un professore, di qualsiasi natura esso fosse. Aveva già troppe cose per la testa e quello proprio non ci voleva.

Senza contare che si era trattato del suo primo bacio e lei non riusciva a passarci sopra.  

Era giovedì mattina e sapeva che Fiery non era in ufficio perché lo aveva visto in sala grande. Lui era appena arrivato quando lei, prontamente, aveva lasciato il suo posto per correre lì a mettere in atto il suo piano.

Ormai era fatta, ma non si sentiva ancora tranquilla.

Per occupare il tempo – e la sua mente – in attesa della prima lezione di quel giorno, si recò in biblioteca a restituire un libro e a prenderne in prestito un altro. L’argomento che voleva approfondire questa volta riguardava pozioni, perciò aveva chiesto consiglio a Lumacorno riguardo ai volumi sui quali informarsi.

A questo proposito, quel sabato ci sarebbe stata una cena del Lumaclub e lei aveva deciso di non partecipare, sia per non dover vedere Fiery che probabilmente sarebbe stato presente, sia perché non se la sentiva proprio.

Con Cecil era tornato tutto a posto ormai, ma sentiva che, se si fosse presentata con lui o meno, avrebbe comunque passato una pessima serata.

 
Un paio di giorni dopo loro due si erano dati appuntamento per studiare pozioni.

Per compito dovevano scrivere una pergamena sugli effetti dell’ultima pozione trattata in classe. C’era ancora tempo prima di doverla consegnare ed Emily aveva già terminato il suo lavoro, quindi stava aiutando Cecil correggendo ciò che aveva fatto.

“Adesso devo andare, il professor Flitwick mi aspetta per la sessione di ripasso di incantesimi,” annunciò lei, riconsegnandogli a malincuore la pergamena.

Le sarebbe piaciuto passare altro tempo con l’amico, dato che lì in biblioteca si stava così bene, da soli a occuparsi di pozioni... così le venne un’idea.

“Ti andrebbe di venire con me?” gli propose, speranzosa.

“Intendi ad aiutare i nostri compagni più piccoli? Non credo di esserci portato,” rispose lui tristemente, abbassando lo sguardo sul suo libro.

“Non puoi saperlo finché non provi. L’hai detto anche tu che stai valutando tante opzioni per il tuo futuro.”

Lui le rivolse lo sguardo e parve pensarci davvero per un attimo, ma non disse niente.

“Te la cavi molto bene con incantesimi e sono sicura che l’aiuto di tutti sia prezioso,” insistette.

“Non lo so, non sono a mio agio al centro dell’attenzione.”

“Non lo sarai, te lo prometto. Ognuno si affianca a un compagno e lo aiuta con gli incantesimi che gli danno problemi, né più né meno,” gli spiegò, sperando che bastasse a convincerlo.

Il ragazzo sospirò.

“Quando ti metti in testa una cosa nessuno può farti cambiare idea,” sottolineò mettendo via le sue cose. “Va bene, mi arrendo.”

Emily sorrise. Aveva ragione, era difficile riuscire a farle cambiare idea, ma era certa che Cecil avrebbe apprezzato quell’attività. Inoltre così sarebbero rimasti insieme per un altro po’ di tempo.

Raggiunsero l’aula dove trovarono Flitwick intento a parlare con alcuni studenti più piccoli. Tra loro riconobbe Solomon Sharpridge del terzo anno, che se ne stava a braccia conserte con un’espressione contrariata.

“Signorina Lewis entri pure, stavamo per cominciare. E vedo che ha portato il signor Berrycloth,” disse il professore.

“Sì, spero non sia un problema.”

“Affatto, chiunque voglia aiutare è il benvenuto. Prendete posto con gli altri.”

Si accomodarono l’uno accanto all’altra e ascoltarono il professore che rispiegava in modo sintetico alcuni argomenti. Quando a un certo punto chiese chi volesse fare una dimostrazione, Emily notò Cecil che abbassava lo sguardo e si stringeva nelle spalle.

Alzò la mano per evitare che l’insegnante scegliesse da solo, col rischio che chiamasse proprio lui.

Seguendo le indicazioni di Flitwick raggiunse il centro dell’aula e scagliò l’incantesimo su un manichino da allenamento.

“Molto bene, signorina Lewis,” si complimentò, “cinque punti a Serpeverde.” 

Chiese a tutti di esercitarsi da soli, sempre sotto la sua supervisione. Era il momento di sedersi accanto a uno studente più piccolo per aiutarlo, così Emily si guardò intorno e fece segno a Cecil di seguirla.

“Ciao Solomon!” salutò il ragazzo di Tassorosso, che era rimasto seduto davanti al suo libro di testo. “Sei qui per aiutare o per essere aiutato?”

“Per essere aiutato, mio malgrado,” sospirò.

“Allora ti presento il mio amico Cecil Berrycloth,” disse. “Cecil, lui è Solomon Sharpridge, gli ho fatto ripetizioni di erbologia.”

“Ciao, piacere di conoscerti,” lo salutò il Grifondoro, mentre il più piccolo ricambiava con un cenno del capo.

“Mi aiuti tu con questa roba?” gli chiese, indicando la pagina su cui aveva aperto il libro. “Di solito me la cavo con gli incantesimi, è solo questo qui il problema,” precisò con aria risentita.

“Certo,” rispose il più grande.

Prima di sedersi accanto a lui rivolse a Emily uno sguardo riconoscente.

Lei si accomodò a un posto di distanza, vicino a una ragazzina di Corvonero.

 
Emily e Cecil uscirono dall’aula poco più di un’ora dopo, stanchi ma soddisfatti.

“Grazie, è stata davvero una buona idea,” ammise l’amico mentre camminavano per il corridoio.

“Hai visto? Allora, pensi che potrebbe piacerti fare il professore di incantesimi, in futuro?”

“Non credo proprio,” commentò lui, scuotendo la testa.

“Oh no, non dirmi che hai capito che ti piacerebbe insegnare volo!” esclamò lei, ironica.

“Nemmeno questo, no,” rispose, divertito. “Non penso di esserci tagliato, ma è stata una bella esperienza. Ah, sembra che il professore ti cerchi.”

Emily seguì il suo sguardo e vide Opal Fiery che li osservava da lontano. Le fece un cenno con la mano ma rimase lì, fermo dov’era.

Oh Salazar, e adesso che succede? pensò lei, che non aveva idea di cosa aspettarsi.

“Scusa Cecil, sarà meglio… se ci vediamo più tardi.”

Era chiaro che volesse parlarle, quindi non poteva fare finta di niente. Non poteva nemmeno chiedere a Cecil di restare, perché sicuramente sarebbe stata una conversazione privata in merito a ciò che era successo. Purtroppo avrebbe dovuto affrontare quella tempesta da sola.

Lui annuì e proseguì per il corridoio lasciandola con il professore, Emily allora prese coraggio e gli si avvicinò.

Per lei era difficile guardarlo in faccia dopo ciò che aveva fatto, perciò abbassò lo sguardo, ma per il poco che l’aveva osservato aveva intuito che fosse dispiaciuto. Glielo aveva letto nello sguardo.

Come biasimarlo, anche lei se ne dispiaceva perché quel gesto sgradito aveva rovinato tutto.

“Emily… Ehm, signorina Lewis, ho letto la tua lettera,” disse.

Lei annuì. Era ovvio che l’avesse fatto, gliela aveva lasciata due giorni prima e aveva saltato i loro soliti incontri quella settimana.

“Sono qui per chiederti di tornare a farmi da assistente, le lezioni non sono lo stesso senza di te…”

Emily sgranò gli occhi, spiazzata.

Stava ignorando il problema? Cosa avrebbe dovuto fare lei adesso? Stava per ribattere che non intendeva cambiare idea ma lui la interruppe.

“Aspetta, lasciami finire,” sospirò. “Io ho fatto una cosa estremamente stupida quel giorno, lo so, e ti chiedo scusa. Il fatto è che, anche se hai quasi sedici anni, sembri già una donna. Abbiamo un bel rapporto e così mi sono lasciato trasportare, diciamo che non ho capito più niente.”

Lei si fece indietro di un passo, incredula.

“Professore, io non volevo che succedesse una cosa del genere,” sottolineò. “Lei sa che mi piace qualcun altro…”

“Qualcuno che ti fa soffrire, sì.”

Spiazzata, Emily non seppe come ribattere per qualche secondo.

Perché aveva preso così a cuore la questione? Cosa voleva da lei? Emily se lo chiese, sentendosi estremamente confusa. 

Le aveva detto che sembrava già una donna, ma non era certo lui quello che se ne sarebbe dovuto accorgere. Sentirselo dire così non le faceva per niente piacere, e nemmeno sentirsi dire che la persona che le piaceva non la ricambiava.

“Non avrei dovuto dirglielo… e non ne parlerò mai più con lei,” puntualizzò, per quanto considerasse già ovvia la seconda parte.

Opal Fiery sospirò.

“Io non farò più niente che possa infastidirti, mai più,” le disse. “Mi sono distratto per un attimo ma ora sono serio, devi credermi. Le nostre lezioni sono molto più importanti di qualsiasi altra cosa. Insieme stiamo già mettendo in atto il cambiamento che sognavi.”

“Lo penso anche io, ma sono a disagio all’idea di riprendere, sinceramente,” ammise, continuando a guardarlo per studiare le sue intenzioni.

“Almeno prometti di pensarci su. Posso scendere a compromessi su qualsiasi cosa e ti garantisco che non farò più niente di stupido,” insistette.

Era davvero dispiaciuto, lo capiva dai suoi occhi. Emily sospirò e, malgrado sapesse che niente sarebbe tornato davvero come prima, annuì.

“Ci penserò ed entro giovedì prossimo avrà la mia risposta. Però… se accetto, non mi va più bene preparare le lezioni dopo cena. Preferisco riposare la sera, per riuscire ad alzarmi presto al mattino.”

Si trattava solo di una scusa, in realtà. Un conto era trascorrere qualche ora insieme, un altro era restare da sola con lui nel suo ufficio fino a tardi. Le era andato bene in passato perché non ci vedeva niente di male, ma non era più così ormai.

“Certo, faremo quando preferisci. Aspetto una tua risposta allora… e buon pomeriggio.”

Fu lui ad andarsene per primo, risparmiandole l’imbarazzo di voltarsi e sentirsi seguita dal suo sguardo.

Emily, che adesso si trovava nel corridoio deserto, sospirò e rilassò le spalle.

Dopo un attimo che impiegò per elaborare ciò che era successo, si avviò verso il dormitorio di Serpeverde. Le sarebbe piaciuto stare un po’ all’aperto per prendere una boccata d’aria, ma il tempo sempre più freddo non lo permetteva.

Una volta giunta a destinazione, scelse un divanetto libero accanto al camino e ci si sedette.

Prese un libro a caso dalla borsa, lo aprì e ci puntò lo sguardo, ma non lo lesse. Doveva riflettere, pensare a tutto ciò che era accaduto e capire quale sarebbe stata la scelta più saggia.

Il professore aveva superato il limite con lei, ma le era sembrato davvero pentito. Fare lezione insieme le piaceva e, ne era certa, le sarebbe stato utile in futuro. Sospirò. Rimase in quello stato per circa una mezz’ora prima di capire che non avrebbe risolto niente, o almeno non così.

Aveva ancora tempo per riflettere, quindi ripose i libri nella sua stanza e scese per cena. Era in anticipo, ma sperò di trovare i suoi amici Nathan, Ana e Patricia, e potersi distrarre un po’ ascoltando i loro discorsi. Dopotutto non li aveva visti in dormitorio.

Salì le scale e giunse nel corridoio che portava alla sala grande, ma qui vide una delle poche persone che stava cercando di evitare. Matt Crowley, che stava parlando con due Corvonero più piccoli.

Gli diede le spalle e tirò dritto, sperando che non l’avesse notata.

“Emily!” si sentì chiamare.

Lei si concentrò per riuscire a erigere delle barriere occlumantiche e arrestò il passo. Non poteva evitarlo per sempre.

“Ultimamente scappi sempre quando mi vedi,” le fece notare lui, che ormai l’aveva raggiunta. “E sembra che tu abbia finalmente imparato a praticare l’occlumanzia. La domanda è… perché adesso?” chiese, con fare sospettoso.

“Mi sto solo esercitando. E non ti stavo evitando, sarà stata una tua impressione,” mentì.

“Certo, certo… Allora, mi dici che succede o butto giù le tue patetiche difese e lo scopro da solo?”

Emily sgranò gli occhi.

“Lascia perdere Matt, non voglio parlarne! Potresti lasciarmi un po’ di privacy, per una volta?” sbottò.

Lui rimase spiazzato per un istante, schiuse le labbra e parve a corto di cose da dire.

“Scusa, guarda che scherzavo. Non pensavo fosse qualcosa di serio…” ammise, dispiaciuto.

“Non è serio, è una cosa a cui devo pensare da sola, sapendola solo io,” sottolineò aggrottando la fronte, ora più calma.

“Beh, da come ne parli sembra proprio seria. Riguarda il ballo, forse? Qualcuno ti ha già invitata, hai accettato e hai paura che si sappia in giro?”

Emily sollevò un sopracciglio. Si chiese se lui avesse cambiato argomento apposta, per non infastidirla.

“No… Anzi, sei tu il primo che mi ci fa pensare.”

“Ma come? Eppure non manca molto,” sottolineò lui.

“Già. A proposito, ci andrai con la Rain?” gli chiese lei, per provocarlo.

Non aveva ancora dimenticato il motivo del suo malumore, ma voleva provare a metterlo da parte e a parlare con Matt come al solito.  

“L’idea era quella, se lei non rifiuta come ogni volta. Cioè, non gliel’ho chiesto ogni anno, ma lei è sempre così impegnata…”

Emily sorrise. Si era tradito, che lo avesse fatto apposta o meno.

Ne parlarono ancora un po’, quindi lui le propose di acquistare i loro vestiti insieme e lei rifiutò categoricamente. Non avrebbe mai più comprato degli abiti insieme a Matt, lo aveva promesso a se stessa.

Diversi studenti passarono accanto a loro per andare a tavola e a un certo punto l’attenzione di Emily venne attirata da una chioma bionda che aveva una solitaria ciocca viola. Era Blue.

Salutò l’amico e si diresse da lei, accorgendosi di avere un gran bisogno di parlarle. Okay mettere da parte i pensieri per distrarsi, ci aveva provato, ma doveva confidarsi con la sua migliore amica e ne aveva bisogno subito.

Solo quando si avvicinò abbastanza da farsi notare anche da lei si accorse che era in compagnia di una bella moretta dai capelli lunghi, la carnagione scura e gli occhi castani. Si trovava per la prima volta faccia a faccia con Cristelle Hunt.

“Emily, qualcosa non va?” le chiese Blue, facendola tornare alla realtà.

“No, io… volevo parlarti un attimo, ma non è niente di urgente,” dichiarò, spostandosi di lato per lasciarle passare.

Erano da sole, non in gruppo, perciò non doveva essere un buon momento per disturbarle. Certo, stavano per andare a cena quindi presto si sarebbero separate comunque, ma se fosse stata al posto dell’amica avrebbe voluto passare tutto il tempo possibile con la persona che le piaceva.

Non sarebbe stata lei a privarla di quelli che, forse, sarebbero stati gli ultimi momenti insieme di quella giornata.

“Non ti credo,” insistette Blue, aggrottando le sopracciglia.

“No, dico davvero. Parliamo dopo cena, magari?”

“Certo. Ci vediamo dopo allora,” rispose, ma sembrava ancora preoccupata quando riprese a camminare al fianco di Cristelle.

Emily rimase lì impalata per qualche secondo a guardare gli altri studenti che entravano nella sala grande. Si disse che era meglio così, poteva aspettare. Si trattava solo di una piccola attesa. Certo, avrebbe voluto togliersi il pensiero, ma la conversazione era stata rimandata di poco.

Sospirò. Se fosse stata la ragazza di Cecil, in quel momento sarebbe stata con lui e gli avrebbe potuto parlare liberamente di ciò che era accaduto. Invece si trovava con un grosso segreto che aveva confidato – parzialmente – solo a Blue, mentre lei e Cecil erano solo amici. Trovava quella situazione davvero scomoda.

Si decise a entrare e cercare posto al tavolo dei Serpeverde. Lo trovò, come sempre, accanto alle sue amiche. Grazie a loro riuscì a mangiare concentrandosi su discorsi frivoli, poté quindi fare finta che andasse tutto bene.

A fine pasto, però, non ce la faceva più a stare lì tra tutti quegli studenti chiassosi, quando il rumore più forte era la confusa tempesta nella sua testa. Diede una fugace occhiata al tavolo dei professori e vide Fiery che cenava chiacchierando con la collega di aritmanzia.

Non la stava guardando, evidentemente non pensava più a lei e a ciò che era successo. Per lui, che era un adulto, quella doveva essere una piccolezza. Per Emily invece era qualcosa di enorme, ma si disse che era solo colpa sua se la pensava così; che fra qualche anno, guardandosi indietro, l’avrebbe vista in modo completamente diverso.

Forse non se ne sarebbe ricordata nemmeno.

Salutò gli amici e uscì dalla sala grande per prima, andando a sedersi sui gradini che conducevano al piano superiore. Avrebbe aspettato Blue lì, dove avevano chiacchierato già qualche altra volta di sera.

Quando finalmente la ragazza la raggiunse, Emily era stanca di pensarci e ripensarci da sola, e di avvertire la soffocante stretta al petto che l’aveva angosciata per tutto il tempo della cena.

Di buono c’era che aveva praticamente già deciso cosa fare, non le restava che sfogarsi e sentire il parere dell’amica.

“Eccomi! Su, sputa il rospo,” disse, raggiungendola e prendendo posto accanto a lei.

Emily sospirò.

“È una stupidaggine… ma ho davvero bisogno di parlarne con te,” iniziò.

“Se stai così in pensiero non è una stupidaggine,” sottolineò Blue, ancora in attesa di sapere cosa avesse.

“Beh… Ricordi quando ti ho detto che una persona mi ha baciata?”

“Certo che sì, è stato la settimana scorsa! Cos’ha fatto adesso?” chiese, sgranando gli occhi con aria preoccupata.

“Niente, anzi si è scusato. Dice che non devo preoccuparmi se sono con lui, perché non accadrà più,” raccontò, a sguardo basso.

“E tu vuoi frequentarlo ancora?”

“Diciamo di sì. Stare con lui potrebbe essermi molto utile.”

Utile?” Blue sollevò un sopracciglio. “È qualcuno a cui hai chiesto aiuto con il programma dell’anno prossimo? Ah, non sarà quel Bound che ti infastidiva gli anni scorsi?”

“No, lui si è levato di torno da un po’,” rispose e sospirò. “Preferisco non dirtelo, Blue.”

“Okay, okay. Ricapitolando, ti ha baciata ma ora si è scusato. Cos’è che ti ha detto?”

“Ha detto che sembro più grande,” svelò subito, sentendosi una stupida.

Era forse ciò che le era rimasto impresso di più, perché l’aveva infastidita davvero tanto. Forse era per questo che i ragazzi le avevano chiesto di uscire sin da quando aveva iniziato il terzo anno. Cecil però non aveva mai pensato niente del genere...

“Poi ha detto qualcosa del tipo che si è lasciato trasportare e che non si distrarrà più,” continuò.

“Distrarsi? Ma che razza di scuse sono? Ah, io i ragazzi non li capisco proprio!” esclamò Blue, confusa. “E poi non capisco come abbia fatto a lasciarsi… trasportare! Cioè, tu con i maschi non sei poi così gentile, non più almeno, se non si contano i tuoi amici.”

“Io sono molto gentile,” ribatté Emily, calcando il tono sulla parola molto.

“No, non lo sei. Sei fredda e minacciosa persino, sei così dall’anno scorso tipo, quando non la piantavano di provarci con te,” sottolineò la bionda.

“Oh, ho capito a cosa ti riferisci… Ma questa persona non ci aveva provato con me. Se non ho motivo di tenere alla larga qualcuno, ti assicuro che sono gentile.”

“Se lo dici tu, cara la mia amica Serpeverde… Comunque, cercavi un consiglio su cosa fare?”

“Sì. Penso che non lo eviterò più… perché il tempo che passiamo insieme mi torna utile davvero. È pentito e non lo rifarà, dovrebbe bastarmi,” sospirò. “Ma tu, al mio posto, cosa faresti?”

Blue sgranò gli occhi.

“Se un ragazzo mi baciasse, dici? Cercherei un libro sugli incantesimi pulitori e li scaglierei uno per uno sulle mie labbra! Poi chiederei a te di fare lo stesso, perché sei molto più brava di me con gli incantesimi.”

Emily le sorrise, divertita dalla sua reazione esagerata.

“A parte questo, mmh… Non so se le sue scuse mi basterebbero per perdonarlo,” fece oscillare la testa da sinistra a destra, come se stesse soppesando le sue opzioni. “Se è un amico lo rivedrei ancora, ma starei in guardia.”

Emily annuì.

“Proprio quello che intendo fare io. Bene, allora non ho preso una decisione così stupida…” si disse, abbassando lo sguardo.

“Ehi, se Cecil non si dà una mossa, chissà, potresti anche iniziare ad apprezzare questo tuo amico. Magari uscirai con lui qualche volta e il vostro rapporto cambierà completamente.”

“Scherzi?” chiese Emily, sgranando gli occhi. “Assolutamente no!”

Blue si mise a ridere.

“Scherzo, scherzo! Lo so che stravedi per Cecil e io faccio ancora il tifo per te!”

“Grazie, anche se la vedo male,” sospirò. “Il tempo passa, ma non cambia niente. Mi hai detto di creare l’atmosfera giusta, ma finora non ci sono riuscita…”

“Non disperare, tra poco c’è il ballo. A proposito, questa domenica andiamo a fare acquisti?”

Emily annuì tristemente.

“Volentieri, ma non ho molta fiducia nel ballo, non più. Finora si è sempre rivelato un momento sfortunato… del tipo che potrò essere felice se dopo lui non inizierà a ignorarmi.”

Blue le diede una leggera gomitata e lei alzò lo sguardo, appena in tempo per vedere Cecil che usciva dalla sala grande insieme ai suoi amici. Era come se lo avesse chiamato con il pensiero, o a furia di nominarlo.

Parker le salutò con la mano e loro ricambiarono. Cecil invece si separò dagli amici dicendo che si sarebbero visti dopo, in dormitorio, e rimase lì.

“Ciao ragazze... Qualcosa non va?” chiese avvicinandosi.

Doveva aver capito che erano pensierose, forse ce lo avevano stampato in faccia. In effetti Emily non riusciva ancora a sorridere, non dopo le sue riflessioni degli ultimi minuti.

“Sì, mi stavo solo lamentando della mia sfortuna in amore,” disse Blue, per coprirla. “Se tu o qualcuno dei tuoi amici avete dei consigli per me, sono sempre disponibile ad ascoltarli.”

Cecil indugiò un istante prima di rispondere ed Emily, che aveva abbassando lo sguardo, ebbe l’impressione di essere osservata.

“Proverò a chiedere a loro e ti farò sapere.”

“Grazie,” rispose Blue rivolgendogli un sorriso.

“Emily, è andato tutto bene prima con il professore? Cosa voleva?” le chiese lui.

Lei avvertì nuovamente quella stretta soffocante al petto. Doveva trovare una scusa e in fretta, sia perché non poteva parlarne con lui, sia perché si era appena confidata con Blue e lei non doveva assolutamente capire di chi si trattasse.

Alzò lo sguardo su di lui e schiuse le labbra per rispondere, ma venne interrotta.

“Quale professore?” domandò l’amica.

“Fiery,” ammise, senza guardarli in faccia. “Voleva solo dirmi che non potremo più incontrarci la sera per preparare le lezioni, quindi devo vedere quando sono libera e dirglielo,” mentì.

“Che peccato, i prefetti che si divertivano a fermarti per i corridoi ogni volta saranno molto tristi d’ora in poi,” commentò Blue, alludendo a Matt.

“Già. Scusate ma adesso vado, ho molto sonno stasera.”

La salutarono e lei raggiunse le scale per scendere nei sotterranei, lasciandoli soli.

Il suo dormitorio non si trovava ai piani superiori come i loro e lei lo aveva sempre considerato un peccato, ora però giocava a suo favore. Non le piaceva mentire ai suoi amici e, se si fosse tradita, avrebbe svelato un segreto troppo grosso.

Meglio andarsene prima di rischiare che capissero qualcosa.




Note di quella che scrive

Scusate il ritardo... gli ultimi due giorni sono stati molto impegnativi, e quando mi sono ricordata di dover pubblicare il capitolo ormai era sera tardi, e ho preferito riposarmi.
Comunque, eccoci qui.

Su questo capitolo voglio dire solo due cose:

1. Blue non ha ben capito tutto il discorso di Emily, il fatto che il tempo con quella persona le torni "utile" per esempio, e infatti scherza sul fatto che magari l'amica possa lasciar perdere Cecil e uscire con lui. Ma se sapesse la verità, cosa direbbe? Intanto Emily, riflettendo in attesa di parlarne con lei, aveva già preso la decisione di riprendere con le lezioni di babbanologia.

2. In quanto a Fiery, ogni volta che compare peso in modo particolare le sue parole, e questo da sempre. La sua prima vera apparizione è stata nel capitolo della prima cena del Lumaclub, quando Emily conosce Boderik Bound e Fiery interviene... dicendogli che dovrebbe scegliersi una ragazza della sua età. Ebbene sì, è successo davvero.

Lascio a voi ulteriori commenti, perché volendo ci sarebbe anche troppo da dire. Il prossimo aggiornamento probabilmente sarà venerdì sera ♡

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


CAPITOLO 30

 


Emily trascorse i giorni successivi a impegnarsi in tante attività, come al solito. Sfogò il fastidio che le era rimasto addosso al club dei duellanti e di domenica andò a Hogsmeade con Blue per cercare un abito per il ballo.

Alla fine ne scelse uno color argento, corto ma non in modo esagerato. Era semplice ma carino e aveva lo scollo dritto, a fascia, il che la faceva sentire stranamente a suo agio.

Blue invece optò per qualcosa di più sobrio rispetto al suo solito, un abito che scendeva morbido e non era troppo vistoso… se non fosse stato rosso. Il colore preferito di Cristelle, a detta sua.

Soddisfatte, andarono a bere una burrobirra e poi tornarono al castello.

 
Mercoledì Emily prese coraggio e lasciò un’altra lettera sotto la porta dell’ufficio di Fiery. Aveva deciso di accettare la sua proposta, perché assisterlo durante le lezioni le piaceva moltissimo. Inoltre gli propose un orario diverso per prepararle, sempre il giovedì ma nel pomeriggio, dopo il suo incontro del club dei duellanti.

Dirglielo di persona sarebbe stato troppo, per lei che si sentiva ancora un po’ a disagio.

Aveva capito che si trattava di una sciocchezza... Solo lei continuava a pensarci perché quello era stato il suo primo bacio e avrebbe voluto darlo a qualcun altro. Insomma, cercò di prendere in mano la situazione mettendo da parte i suoi pensieri, che considerava da ragazzina.

L’indomani lo incontrò per caso in corridoio, mentre cambiava aula per andare alla lezione successiva. Anziché scappare o fare finta di niente gli andò incontro. Dopotutto, prima o poi sarebbe dovuto succedere.

“Professore, buongiorno... Ha visto la mia lettera?” chiese, facendosi forza.

“Sì e per me non ci sono problemi. Ci vediamo più tardi,” le disse e andò via per primo.

Sembrava indaffarato e anche Emily aveva delle cose da fare, perciò proseguì per la sua strada.

Quel pomeriggio lo raggiunse nel suo ufficio e, dopo un momento di imbarazzo iniziale, Emily riuscì a rilassarsi. Sembrava davvero che non fosse successo niente tra loro, inoltre il professore stava mantenendo le giuste distanze sia fisicamente sia a parole. 

Parlarono solo della lezione e lei ne fu felice.

Come le aveva consigliato Blue, sarebbe rimasta comunque in guardia, ma si sentiva già meglio. Quella per lei fu la conferma che aveva rimuginato tanto per niente, ma non cancellò comunque il disagio che adesso provava a stare da sola con lui, e il sollievo di quando finalmente poteva uscire dall’aula - o dal suo studio - per tornare nei corridoi affollati di Hogwarts.

 
I freddi giorni di dicembre si susseguivano e il ballo di Natale si faceva sempre più vicino.

Emily e Blue erano tranquille perché avevano già il loro abito, a differenza della maggior parte delle studentesse che approfittavano di ogni uscita a Hogsmeade per prendere d’assalto i negozi di abbigliamento della cittadina.

Quello che mancava loro, però, era qualcuno che le accompagnasse.

Si trovavano nella sala comune di Tassorosso a studiare trasfigurazione quando Blue la implorò di fare una pausa e tirò fuori quell’argomento.

“Sai, l’altro giorno ho chiesto a Cristelle se volesse andare al ballo con me… e lei mi ha riso in faccia. Ha pensato che fosse uno scherzo,” sospirò. “Io per chiederglielo ho usato tutto il coraggio di una vita intera…”

“Mi dispiace,” rispose Emily che non sapeva davvero come commentare l’accaduto, quindi le accarezzò una spalla per darle conforto.

“Mi domando con chi ci andrà. Dato che è nella squadra di quidditch, è molto popolare…”

Emily avvertì un nodo alla gola. Anche Cecil era nella squadra della sua casa e l’idea che fosse diventato popolare la preoccupava molto. Non aveva mai sentito delle ragazze parlare di lui né sapeva di altre sue amiche femmine che potessero avere dei secondi fini, ma chissà.

Sperava tanto di non vederlo al ballo in compagnia di qualcun altro.

“Tu chiederai a Cecil di accompagnarti?” le chiese Blue, facendola tornare alla realtà.

“No, ho paura che se faccio qualcos’altro scapperà all’estero,” sospirò. “Temo che andrò da sola, come gli scorsi anni…”

“Vuoi dire che ci andremo insieme come gli scorsi anni,” sottolineò Blue.

“Già, è vero. Dai, riprendiamo a studiare adesso.”

L’amica protestò, ma Emily non volle sentir ragioni.

 
Con l’avvicinarsi del ballo di Natale, sempre più ragazzi chiesero a Emily di andarci insieme. Lei rifiutò tutti senza esitazione, dicendo che stava aspettando la persona che le piaceva. Era vero in teoria, ma questa volta era soprattutto una scusa perché era certa che lui non avrebbe fatto quel passo.

Qualcuno provò a invitare Blue, ma anche lei rifiutò.

Quell’anno sembrava diverso dagli altri. Sembrava che nessuno volesse andare da solo al ballo, non gli studenti del loro anno e di quelli successivi almeno. Forse, crescendo, avevano iniziato tutti a interessarsi alle questioni di cuore.

Un pomeriggio lei e Blue stavano studiando cura delle creature magiche insieme a Cecil e Parker. Si erano seduti a un tavolo appartato in biblioteca, abbastanza lontano dalla cattedra di Madama Pince da concedere loro di chiacchierare un po’, a bassa voce.

“Oh Godrick, il ballo è il prossimo weekend e io non ho nessuno con cui andarci,” disse Parker all’improvviso, posando la sua penna nel calamaio. “A questa età sembra quasi una vergogna andare da soli, non credete?”

I tre amici gli rivolsero uno sguardo confuso. Aveva tirato fuori l’argomento dal nulla, in un modo che a Emily era sembrato innaturale.

“Ragazze, voi con chi ci andrete?” continuò.

“Da sole,” rispose Blue prontamente, parlando per entrambe.

“E non trovate che sia un vero peccato?”

“Mmh, se solo Cristelle non avesse pensato che la stessi prendendo in giro quando l’ho invitata, ti avrei risposto diversamente, ma è così e basta,” insistette, scarabocchiando distrattamente in un angolo della sua pergamena.

“E tu Emily?”

Lei trattenne l’impulso di rivolgere lo sguardo a Cecil, concentrandosi invece su Parker che le aveva posto la domanda.

“Ormai è andata così. Io e Blue ci andremo da sole insieme.”

Parker si voltò di nuovo verso la bionda.

“Oh, quindi se ti invitassi mi rifiuteresti?”

Blue strabuzzò gli occhi.

“Scherzi? Tu sei un maschio, tra noi non potrebbe mai funzionare!” esclamò, con una nota di indignazione nella voce.

“Ssh!” la zittì Madama Pince dalla sua cattedra.

Per abitudine, anche se la bibliotecaria non poteva vederla perché c’erano degli scaffali tra loro, Blue si voltò con una delle sue fintissime espressioni dispiaciute stampata sul viso.

“Attenta, Blue. Scommetto che Madama Pince non vede l’ora di toglierti un bel po’ di punti, visto che ti sopporta da più di quattro anni ormai,” sottolineò Emily, sottovoce.

“Che faccia pure. Tassorosso è ultima nella coppa delle case, quest’anno i primini sono dei pazzi furiosi,” sospirò. “Dicevamo? Ah sì! Mi spiace Parker ma non mi sembra una buona idea.”

“Guarda che io intendevo in amicizia... Siamo un maschio e una femmina, ma siamo anche amici. Ci sarebbe qualcosa di male nell’andare al ballo insieme?”

Blue sembrò rifletterci su. Emily, invece, abbassò lo sguardo sul suo libro. Quella conversazione le era sembrata finta sin dall’inizio e adesso ne aveva appena avuta la conferma.

Che Blue fosse d’accordo o meno non lo sapeva, ma Parker aveva di certo in mente qualcosa. Forse era il suo modo per spronarla o per dare a Cecil l’occasione di farsi avanti... 

Lui però se ne stava zitto ad ascoltarli come se niente fosse.

“Penso che si possa fare, se a Emily non dispiace,” disse la bionda.

“Figurati,” rispose lei con un’alzata di spalle.

Tanto ci andremo comunque tutti e quattro insieme, pensò.

Per quanto fosse grata a Parker per il suo tentativo, Cecil non le chiese niente e lei non se ne sorprese affatto.

Per fortuna Emily non aveva tempo per essere triste, e aveva modo di sfogare le sue emozioni represse al club dei duellanti, divertendosi a mandare al tappeto qualcuno servendosi degli incantesimi non verbali. Ora che aveva imparato a padroneggiare quella tecnica ci aveva preso gusto.

Insomma, in un modo o nell’altro avrebbe superato anche quel momento.

 
La sera del ballo arrivò in un baleno.

Emily si preparò insieme ad Ana e Patricia, perché le amiche Tassorosso di Blue l’avevano reclamata. Il suo talento per l’abbellimento degli abiti non era più un segreto ormai.

Emily non ebbe niente da ridire, consapevole che si sarebbero viste più tardi.

Si truccò insieme alle sue compagne di stanza, intente a prendere in giro il vestito di Genista Mason mentre si preparavano. Per fortuna la poveretta non condivideva più la camera con loro, quindi non poteva sentirle.

Raggiunsero la sala grande in gruppo, dopodiché Ana le salutò per ballare con Nathan. Patricia invece rimase con Emily perché non aveva ancora individuato il suo accompagnatore.

“È pazzesco che tu sia venuta da sola,” le disse, mentre si guardava intorno. “Eppure sei molto richiesta, sai?”

Non da chi interessa a me, pensò a malincuore, ma non disse niente.

Anche Patricia la salutò per andare dal suo cavaliere, quindi Emily cercò un posto tranquillo dove sedersi in attesa di vedere i suoi amici. Non dovette aspettare molto perché presto vide Cecil farsi largo tra la folla per raggiungerla.

“Ciao,” le disse, sedendosi accanto a lei. “Bel vestito… Ti sta molto bene.”

“Anche a te. Cioè, anche il tuo ti sta bene,” rispose, imbarazzata.

Un complimento da lui proprio non se l’aspettava.

Si guardò intorno per stemperare l’imbarazzo e il successivo momento di silenzio. In quell’istante vide Matt che ballava con Batilda Rain e quell’immagine la fece sorridere.

Beato lui, pensò.

“Ecco Parker e Blue,” le fece notare Cecil.

I due amici sbucarono tra la folla e li raggiunsero.

“Ragazzi, finalmente vi abbiamo trovati!” esclamò la bionda. “Sapete, questo qui ha voluto fare il cavaliere ed è venuto a prendermi fuori dal dormitorio,” raccontò con fare sorpreso.

“Che ci posso fare, sono un gentiluomo,” si giustificò lui, grattandosi la nuca.

“Sì, certo… Ma permettimi di fare io la parte del cavaliere adesso: vado a prenderti da bere! Cecil, vieni con me?”

L’amico annuì e insieme i due si dileguarono in direzione del buffet.

Parker, spiazzato, rivolse lo sguardo a Emily.

“A quanto pare adesso sono io la dama. Ti sembro forse una dama?”

Lei fece spallucce.

“A me no, ma a Blue… chissà.”

Il ragazzo sospirò e si mise a sedere tenendo un posto di distanza tra loro.

“Tu sei venuta con Cecil alla fine?” le chiese.

“No, ci siamo incontrati poco fa,” rispose. “Se il tuo era un modo per spingerlo a invitarmi ti ringrazio, ma sapevo che non avrebbe funzionato.”

“Questo sì che è un vero peccato, avevo creato l’occasione perfetta,” commentò, scuotendo la testa.

“Già, hai proprio un futuro da attore,” sottolineò lei, ironica. “Aspetta… ma perché l’hai fatto? Sai qualcosa che io non so?”

“No, a cosa ti riferisci?” domandò in un tono che di vero non aveva nulla.

Emily sollevò un sopracciglio, per niente convinta.

“Io ho la bocca cucita,” insistette lui, tranquillo. “Dico solo che vi vedo bene, sareste una bella coppia.”

“Beh, ti ringrazio. Rieccoli che tornano,” disse Emily, notando gli amici con in mano dei bicchieri anche per loro.

Blue ne diede uno a Parker e Cecil a lei, che gli sfiorò le dita per prenderlo. Quel contatto bastò a scaldarle il petto e a far accelerare per un attimo il battito del suo cuore.

Era una causa persa, ne era consapevole ormai, ma non poteva farci niente.

“Grazie,” gli disse, abbassando lo sguardo.

La bionda si sedette vicino al suo accompagnatore, lasciando all’amico il posto accanto a Emily. Dopo un attimo di esitazione si accomodò anche lui.

La Serpeverde fece finta di niente e bevve un sorso della sua bevanda.

“Non ti va di ballare questa volta?” le chiese lui, al che lei strinse un po’ più forte il proprio bicchiere per la sorpresa.

“Mi stai invitando?” gli domandò, rivolgendogli lo sguardo.

“N-no… Volevo dire che l’anno scorso ti ho vista farlo con dei ragazzi,” si giustificò, senza guardarla in faccia.

“Ah, quello… No, non sono per niente in vena di ballare con gente che non conosco, o che non mi piace. Preferisco stare qui a chiacchierare.”

Blue iniziò a commentare gli abiti di tutti, argomento che divenne il principale della serata. Aveva una frase divertente per ogni vestito che vedeva, e in qualche modo i suoi commenti non risultavano mai davvero cattivi, erano solo buffi. Sottolineava l’assurdità di certi capi, o quanto i loro colori li facessero sembrare qualcos’altro.

Continuò per un bel po’, spalleggiata da Parker che presto si era fatto coinvolgere dalle sue battute, poi però vide Cristelle che ballava con un ragazzo e si zittì.

Era lo stesso dell’anno precedente, anche Emily lo aveva riconosciuto.

“Balliamo, non puoi criticare gli abiti degli altri senza sfoggiare il tuo,” sottolineò Parker, alzandosi e prendendole la mano.

Dovette insistere un po’, ma alla fine riuscì a trascinarla in pista.

Emily e Cecil si ritrovarono di nuovo da soli, in una sala piena di coppiette danzanti. Tra loro si creò subito un silenzio imbarazzante e lei sentì che non ce la poteva fare. Pensò di essere sopravvissuta a quelle serate solo grazie a Blue che l’aveva sempre distratta con qualcosa di divertente.

Ora che lei non era al suo fianco sentiva addosso tutta la pressione che stava cercando di ignorare da tempo, e in quel momento più che mai. Capì che la sua serenità di quella sera era solo una facciata, che si stava torturando e stava perdendo tempo. Desiderò di andarsene…

Eppure Cecil, la persona che le piaceva, era accanto a lei.

Perché non era mai successo nulla? Perché lui aveva ignorato la questione? Continuò a pensarci per un paio di minuti, poi si sforzò di smetterla oppure avrebbe pianto. Doveva parlarne con il ragazzo e subito, perché avevano rimandato fin troppo quella conversazione e sentiva di non poter più continuare così.

“Cecil, io ho bisogno di parlare con te. Ti prego di starmi a sentire,” disse, voltandosi verso di lui.

Aveva già paura per come avrebbe reagito e per cosa le avrebbe risposto.

Lui assunse un’aria molto preoccupata ma annuì.

“L’anno scorso io ti ho detto che mi piaci…” abbassò lo sguardo sulle sue mani, trovando molto difficile dirlo, “e per me non è cambiato niente, mi piaci ancora… ma devo sapere cosa ne pensi tu. Se non ti piaccio… r-rifiutami, così posso provare a dimenticarti.”

Il magone le aveva quasi chiuso la gola, ma riuscì a terminare la frase come voleva, senza piangere.

“No, Emily, io non…” si interruppe e sospirò, tenendo lo sguardo basso. “L’anno scorso, quando me lo hai detto, io non sapevo come comportarmi con te… Non avevo ancora pensato alla possibilità di uscire con qualcuno e non credevo di piacerti proprio io.”

Mentre lo ascoltava lei aveva il cuore in gola. Finalmente ce l’aveva fatta, finalmente stavano affrontando l’argomento.

“Non è vero che non mi piaci,” ammise, sorprendendola e facendola arrossire. “Però non ci avevo mai pensato finché non me l’hai detto tu. Non… non avevo proprio considerato l’idea fino a poco tempo fa,” continuò, torturandosi le mani con fare impacciato.

“Ma… quando ho provato a chiederti di uscire hai rifiutato! Avresti potuto almeno darmi una possibilità!” esclamò lei, che si era aspettata un rifiuto secco.

“Perché mi hai preso alla sprovvista! Ho capito che volevi un appuntamento e io non ho idea... di cosa si faccia a un appuntamento...”

“Perché, io ce l’ho?” gli fece notare.

Lui arricciò la bocca in una smorfia di imbarazzo e, cautamente, le prese una mano.

“Non volevo farti stare male… però non volevo neanche…” si zittì di nuovo e strinse gli occhi, come se dovesse dire qualcosa di faticoso. “Ecco… Ho pensato che, se fossimo usciti insieme, saremmo stati sotto gli occhi di tutti… Tu ti fai sempre notare, anche se so che non lo fai apposta.”

Emily strabuzzò gli occhi, spiazzata.

“Hai rifiutato per non trovarti al centro dell’attenzione? Cecil, sei un cretino!” esclamò, dandogli una piccola spinta sulla spalla con la mano libera.

Poi notò nuovamente che la sua altra mano era unita a quella di lui, calda e leggermente sudata, e trattenne a stento un sorriso.

Aveva il cuore che le martellava forte nel petto e la testa in confusione totale, tanto che si chiese se non si stesse immaginando tutto.

L’unica cosa che percepiva con chiarezza era proprio quella mano, che teneva la sua tremando quasi impercettibilmente.  

“Scusa. Sì, sono un cretino…” ammise abbassando lo sguardo con aria colpevole.

“Ma sei felice almeno, ora che mi hai detto quello che pensi davvero? O era meglio fare ancora finta di niente?” chiese lei, preoccupata.

“No, sono felice che abbiamo chiarito,” confessò con un flebile sospiro di sollievo, e a Emily parve che gli tremassero le spalle.

Accorciò le distanze e lo abbracciò istintivamente, in un modo caldo e affettuoso che con lui non usava da molto tempo. Nel farlo si sorprese perché le parve di sentire il suo cuore battere all’impazzata, ma forse se l’era immaginato ed era solo il proprio.

E Cecil, rimasto rigido per un istante, ricambiò la stretta subito dopo.

“Stai dicendo che adesso possiamo uscire insieme?”

“Aspetta Emily, per favore,” le chiese lui, allontanandosi di qualche centimetro. “Non posso dirti di sì perché mi sento ancora molto confuso. Tu per me sei un’amica importante… la mia migliore amica. Non voglio che cambi nulla finché non sono davvero sicuro, o rovinerò tutto.”

Lei annuì e sentì la tensione lasciarle libere le spalle. Allo stesso tempo la mano di lui lasciò andare la sua.

“Quindi intendevi che non ti piace nessun’altra… e che ho qualche speranza?” domandò, tanto per esserne sicura.

“Esatto,” rispose, abbassando di nuovo lo sguardo per nasconderle il suo imbarazzo.

“Beh, questo mi basta,” dichiarò, sollevata.

Tutti i suoi dubbi e i suoi pensieri negativi degli ultimi anni si erano dissipati come per magia. Erano bastate poche parole di lui e in un attimo era tutto finito.

“Adesso basta però,” sentì dire a Blue, che stava tornando da loro insieme a Parker, “o la mia reputazione ne risentirà! Voglio ballare con una bella ragazza… Emily! Vieni?”

“Perché io?” le chiese, riuscendo finalmente a sorridere in modo genuino, per la prima volta quella sera.

“Dai, sei la mia migliore amica!” insistette la bionda, porgendole la mano.

Emily rivolse uno sguardo a Cecil come per salutarlo, poi prese la mano della ragazza e andò a ballare con lei.

“Il povero Parker si sarà offeso,” le disse, mentre cercava di capire dove mettere le mani.

Alla fine con una prese quella di Blue e posò l’altra a lato del suo collo, mentre l’amica faceva lo stesso sul suo fianco.

“Nah, lo sa che sto solo scherzando e che i ragazzi non mi piacciono. Starà bene. Guarda, è là che chiacchiera con Cecil.”

Emily rivolse loro lo sguardo per un secondo e sorrise.

“Qualcosa è cambiato, sei molto più felice adesso. Di cosa parlavate?” chiese Blue, curiosa.

“Beh… mi ha detto che ho qualche possibilità,” rivelò, spostando lo sguardo sulle loro mani.

Poco prima stava toccando quella di Cecil, che non l’aveva affatto rifiutata… anzi. Ancora non le sembrava vero. Aveva lo stomaco in subbuglio e le pareva di camminare sulle nuvole. Per fortuna era brava a ballare, altrimenti avrebbe rischiato di pestare i piedi a Blue per quanto fosse distratta.

E in verità si sentiva in grado di fare qualsiasi cosa quella sera.

“Ma è fantastico!” esclamò l’amica, sorridendo raggiante. “Emily, sei la prova vivente che a non perdere la determinazione si ottiene ciò che si vuole.”

“Non esagerare adesso,” ridacchiò. “Non sempre funziona, anzi a volte è un bene capire quando si deve rinunciare. Io però non volevo capirlo.”

“E meno male,” sottolineò Blue, sorridendo. “Ho deciso, seguirò il tuo esempio.”

“In che senso?”

“Mmh, poco fa ero giù di morale per Cristelle, anche se facevo finta di niente,” ammise. “Quel tipo è lo stesso con cui ballava l’anno scorso e temo che le piaccia… però mi hai fatto capire che non posso arrendermi senza lottare. Se non le parlo in modo chiaro non succederà mai niente.”

“Quindi hai deciso di dichiararti?” le chiese Emily, felice.

“Già. Ci pensavo da un po’, lo sai, ma ero sul punto di rinunciare,” abbassò lo sguardo e ridacchiò.

“No, non rinunciare. È come hai detto tu, devi almeno provare,” la incoraggiò. “Magari è vero che a lei piace quel tipo, ma magari hai una speranza anche tu… Solo che non ha capito che le interessi, quindi non ti vede ancora in quel modo.”

“Hai ragione. Sai, è più difficile per… quelli come me. Non capisco con quali ragazze potrei avere una possibilità e con quali no,” sospirò.

“Non dire quelli come me, e non buttarti giù!” ribatté Emily, aggrottando la fronte.

“Era solo per dire! Comunque non mi arrenderò così,” dichiarò, determinata. “Le dirò quello che provo e vedremo come andrà.”

Emily sorrise, felice di vederla di buon umore.

Non conosceva bene Cristelle, anzi aveva avuto a che fare con lei solo una volta e non si erano nemmeno parlate. Non sapeva se a lei potesse piacere Blue, ma appoggiava l’amica e sperava che le andasse bene.

Quando la canzone terminò lasciarono la pista da ballo per andare dagli amici. Prima però fecero tappa al buffet per prendere qualcosa da mangiare, perché il buon umore era arrivato insieme all’appetito.

Blue si riempì un piattino invece Emily si trattenne per paura di stare male dopo, se si fosse agitata nuovamente.

Trovarono Cecil e Parker dove li avevano lasciati, seduti a parlare. Emily si accomodò accanto a Cecil, Blue vicino al suo cavaliere. Offrì ai due ragazzi i dolci che aveva preso, in uno slancio di gioiosa generosità.

Quel piattino era stato riempito all’inverosimile, tanto che il suo contenuto formava una piccola torre scomposta dal dubbio equilibrio. Rimuovendo il pasticcino sbagliato sarebbe potuta crollare rovinosamente.

Emily trattenne le risate mentre guardava lei e gli amici attingere da quell’insolito monumento alla golosità, riuscendo per miracolo a non far cadere niente.

Trascorse il resto della serata a chiacchierare con loro, come se nulla fosse… ma con una ritrovata felicità, molto più genuina.

La sala stava iniziando a svuotarsi quando decisero di andare anche loro, ormai stanchi.

“Blue, posso accompagnarti fino al tuo dormitorio?” le propose Parker.

“Certo, se non hai in mente di fare scherzi. Di’ la verità, vuoi scoprire l’ubicazione del dormitorio di Tassorosso?” chiese lei, con fare ironicamente sospettoso.

“Mi hai beccato! Buonanotte ragazzi.”

“Notte,” si dissero, e la prima coppia si avviò su per le scale.

Lei e Cecil rimasero fermi per un istante fuori dalla sala grande, a guardarli andare via.

“Io… devo andare di qua,” disse Emily, come se non fosse già ovvio.

Il ragazzo annuì.

“Ti accompagno.”

Lei schiuse le labbra, sorpresa, ma non ebbe niente da ridire. Camminarono l’uno a fianco all’altra scendendo le scale che portavano nei sotterranei, poi procedettero lungo il corridoio. Non incontrarono nessuno sulla loro strada.

“Ti ringrazio per stasera, mi sono divertita molto,” gli disse Emily.

“Ma io non ho fatto niente, non abbiamo nemmeno ballato,” puntualizzò lui, aggrottando di poco le sopracciglia.

Lei scosse la testa.

“Non mi serve ballare per essere felice, né essere al centro dell’attenzione. Stasera abbiamo parlato come non succedeva da tanto tempo e ne sono molto contenta.”

Cecil annuì e abbassò lo sguardo.

“Cercherò di essere meno appariscente in futuro, anche se non so ancora come,” continuò Emily, guardandosi intorno per mitigare l’imbarazzo. “Però non capisco, perché giocare a quidditch va bene, ma uscire con me no?”

Il ragazzo arrestò il passo e le rivolse uno sguardo allarmato.

“Non ho un ruolo così fondamentale nella squadra.”

“Siete una squadra, ogni ruolo è fondamentale,” ribatté lei, seppur in tono calmo.

Non era arrabbiata e non voleva fargli colpe, voleva solo capire.

“Non è quello che intendevo. Non potrei mai fare il portiere o il cercatore, avrei troppa pressione addosso. Invece così, mentre sono sul campo, cerco di restare concentrato sul gioco e posso permettermi di non pensare a tutto il resto.”

“E uscendo con me sentiresti della pressione addosso?” gli chiese, confusa.

“No... ma molti vorrebbero essere al mio posto. Finiremmo per diventare l’oggetto di tante chiacchiere…”

Emily pensò che lui non fosse cambiato affatto da quel punto di vista e sorrise amaramente.

“Prima o poi troverebbero qualcosa di più interessante e la smetterebbero,” sottolineò. “E poi, magari scoprirai che ti piace uscire con me e ciò che diranno gli altri non conterà più… chissà,” aggiunse, con leggerezza.

Lui sembro pensarci su, ma non ribatté.

“Siamo arrivati,” dichiarò Emily a malincuore, fermandosi di fronte al passaggio segreto. “Ora sai dov’è l’accesso al dormitorio di Serpeverde. Se era questo il tuo piano ce l’hai fatta,” scherzò, ricordando le parole di Blue di poco prima.

Cecil sorrise.

“Anche io sono stato bene questa sera,” le rivelò, dopo un attimo di esitazione. “Con te sono a mio agio, qualsiasi cosa pensino gli altri.”

Felice di sentirglielo dire, Emily si avvicinò per salutarlo con un abbraccio. Gli mise le braccia intorno al collo ma poi si fermò, persa nei suoi occhi castani. Non avrebbe voluto separarsi da lui subito, ma non poteva essere altrimenti.

Se fossero stati della stessa casa, forse sarebbe stato diverso. Forse avrebbero parlato ancora un po’ nella loro sala comune, senza destare il sospetto di nessuno… e invece no, dovevano salutarsi lì.

Il ragazzo ricambiò il suo sguardo con la stessa intensità, il che imbarazzò Emily ma le fece anche provare un piacevole brivido lungo la schiena.

Indecisa se abbracciarlo davvero o allontanarsi, abbassò lo sguardo e incontrò le sue labbra. Sembravano morbide e all’improvviso lei voleva scoprirlo.

Forse lui voleva lo stesso, perché la stava ancora guardando senza proferir parola. 

Così Emily gli si avvicinò di più e posò le labbra sulle sue. Fu un contatto tanto agognato che le fece girare la testa dall’emozione, mentre il cuore le batteva come non mai.

Non sapeva quanto tempo fosse passato quando Cecil l’allontanò da sé spingendola delicatamente per i fianchi.

Le rivolse lo sguardo smarrito di chi non se l’aspettava né l’aveva voluto e questo la spiazzò, mozzandole il fiato.

Subito lei ritrasse le mani e se le portò al viso, mortificata.

“Cecil, io…” cercò di dire, scoprendo di avere un nodo alla gola.

Lui rifuggì il suo sguardo e scosse la testa. Indietreggiò di qualche passo, chiaramente confuso, poi le diede le spalle e se ne andò quasi correndo per la strada che avevano percorso insieme, che portava alle scale.

Emily rimase lì, sconvolta. Appoggiò la schiena al muro gelido che la separava dalla sua sala comune e si mise le mani nei capelli.

Forse aveva rovinato tutto.





Note di quella che scrive

Capitolo bello lungo stavola! E scusate se ho aggiornato di sera tardi, ma non avevo tempo...

A questo punto credo di potermi sbilanciare un po' su Cecil, visto che ci ha finalmente detto come stanno le cose per lui.
Mentre Emily pensa all'amore già da anni, lui col pensiero ci è arrivato molto dopo e ha ancora delle cose su cui riflettere. In questo Emily sta correndo o almeno lo vorrebbe, e lo dimostra anche a fine capitolo, mentre lui procede molto lento. Ognuno ha i suoi tempi. E quando i tempi saranno giunti, capirà che vorrà stare con Emily? E lei sarà ancora lì ad aspettarlo?

Ora vorrei dire un'altra cosa, perché sì.
Se posso, nelle mie storie inserisco sempre qualche elemento LGBTQ+ e stavolta non sto parlando solo del personaggio di Blue. Ci sono almeno altri 3 personaggi che si possono riconoscere nella comunità LGBTQ+, e se per qualcuno a un certo punto sarà chiaro per qualcun altro forse no. Perciò se nella lettura prossimamente noterete qualcosa, mi farebbe molto piacere saperlo. Io quando posso voglio raccontare anche di queste cose e sono fiera di farlo. Insomma, non lo faccio con leggerezza anche se così potrebbe sembrare.

Su uno di questi 3 personaggi, poi, sto cercando di scrivere un capitolo extra che lo faccia capire meglio... e spero di riuscirci, perché vorrei tanto che possiate leggerlo, ma è particolarmente complicato. L'ho infilato in una situazione che implica che io mi informi molto, prima di procedere.

Okay, basta anticipazioni. Alla prossima!

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


CAPITOLO 31

 


La notte dopo il ballo fu molto lunga per Emily. Andò a dormire appena tornata in camera, ancora sconvolta ma incapace di piangere per il mix di emozioni che si accavallavano nella sua mente, e continuò a rimuginare su ciò che aveva fatto.

Aveva baciato Cecil e per lei era stato bellissimo, ma l’aveva spaventato e lui era scappato via. In altre parole l’aveva preso alla sprovvista e costretto, proprio come era capitato a lei con il professor Fiery.

Il pensiero la faceva sentire tremendamente in colpa.

L’indomani sarebbero partiti per trascorrere il Natale con le loro famiglie e il rischio che Cecil iniziasse a ignorarla di nuovo era molto alto. Lei sentiva di non poter sopportare quel trattamento un’altra volta.

A un certo punto, a furia di tormentarsi, si addormentò per lo sfinimento.

Quando aprì gli occhi era già mattina e il suo primo pensiero fu che lo avrebbe rivisto a colazione. Forse, perché lui di solito mangiava con gli amici, ma lei doveva trovare un modo per intercettarlo e parlargli. Doveva scusarsi e fargli capire che non sarebbe successo più, che lo rispettava e avrebbe rispettato anche i suoi tempi. Ma come?

Si preparò in tutta fretta perché era più tardi del suo solito e quando arrivò in sala grande le crollò il mondo addosso. Cecil era già lì, seduto con Parker e gli altri tre Grifondoro.

Lei strinse i pugni e si incamminò verso il suo tavolo, sentendo che se non gli avesse parlato subito sarebbe stato troppo tardi. Dentro di sé avvertiva sia l’incertezza per quella decisione, sia un fuoco che la spingeva a metterla in pratica.

Lui la notò subito e si voltò verso di lei. Le rivolse uno sguardo preoccupato, ma non parlò né provò ad allontanarsi.

“Cecil…” gli disse, rimanendo in piedi accanto a lui. “Scusami per ieri sera. So che non avrei dovuto e sono davvero pentita… Non farò più di testa mia,” continuò, incurante degli sguardi degli altri Grifondoro.

Il suo amico sembrò a disagio, perché posò il cucchiaio e spostò lo sguardo sulle sue mani. Schiuse le labbra per dire qualcosa… quelle labbra che lei aveva conosciuto la sera precedente, senza il suo consenso… ed Emily capì che doveva aggiungere altro, prima che lui dicesse qualsiasi cosa che la bloccasse.

“Ti prego, perdonami… ma non dimenticarlo.”

Sorpreso, il ragazzo si voltò di nuovo verso di lei.

Emily si fece coraggio prendendo un respiro profondo.

“Tu mi piaci dal secondo anno, ma non ho mai avuto il coraggio di dirtelo… Sei stato il mio primo amico qui e ci sei sempre stato per me. Non mi hai mai guardata dall’alto in basso e mi hai aiutata quando ne avevo più bisogno. Sai delle cose di me che non ho detto a nessuno…”

Avrebbe voluto aggiungere che era colpa sua se le piaceva così tanto, quindi doveva prendersi le sue responsabilità, ma si trattenne.

“Quello che voglio dire è che… tu mi piaci davvero. Mi piaci come non mi è mai piaciuto nessun altro e come forse non mi piacerà mai nessun altro. Quindi non dimenticarlo,” ripeté e indietreggiò di qualche passo. “E non ignorarmi,” aggiunse guardandolo dritto negli occhi, un attimo prima di girare i tacchi e andarsene in tutta fretta dalla sala grande.

Aveva parlato con una determinazione tirata fuori da chissà dove, sorprendendo anche lei stessa. E Cecil era rimasto lì, ad ascoltarla in silenzio e ad arrossire lentamente sotto il suo sguardo attento e quello sorpreso dei compagni di casa.

Emily non avrebbe dimenticato tanto presto quell’immagine, ne era certa.

Andò a sedersi su un muretto nel cortile della torre dell’orologio, malgrado facesse freddo. Infilò le mani nelle tasche della divisa e si strinse nelle spalle. Quella mattina avrebbe saltato la colazione pur di non dover tornare nella sala grande.

Un conto era tirare fuori il coraggio di parlare, un altro fare dietrofront e affrontare le conseguenze delle sue azioni. Aveva fatto ciò che reputava giusto, temendo che altrimenti sarebbe stato troppo tardi, sperava solo di non pentirsene più avanti.

All’improvviso notò qualcuno che passava nel portico quindi alzò lo sguardo avvertendo una stretta al petto.

Si rilassò subito perché era solo Blue, inoltre teneva un sacchetto in mano. L’amica la raggiunse con passo veloce e glielo diede. Confusa, Emily ci guardò dentro e vide una grossa fetta di crostata di zucca.

“Grazie…”

“Figurati, non hai fatto colazione,” sottolineò. “Non so cosa sia successo, ma ti ho vista scappare via e Cecil era tutto rosso quando sono uscita.”

Emily abbassò lo sguardo e si sentì arrossire a sua volta. Si rendeva conto delle implicazioni del suo gesto solo adesso che era troppo tardi. Per distrarsi prese la torta e ci diede un morso.

“Non gli avrai mica dichiarato il tuo amore davanti ai suoi compagni?” chiese Blue, che non sembrava voler lasciar perdere.

“Amore… Non esageriamo. Ho solo cercato di fargli capire quanto mi piace,” affermò come se niente fosse, mentre infilava la mano libera in una tasca laterale del mantello, nel tentativo di scaldarla.

La bionda strabuzzò gli occhi.

“E perché l’hai fatto, così all’improvviso?”

Emily sospirò.

“Ieri sera io… Ecco… L’ho baciato e a quanto pare lui non voleva,” ammise, senza guardarla in faccia. “Quindi ho sentito il bisogno di scusarmi appena possibile e di ricordargli che mi piace davvero. Gli ho anche chiesto di non ignorarmi.” 

“Wow, questo sì che non me l’aspettavo,” disse Blue, sedendosi accanto a lei sul muretto. “Allora sei stata davvero coraggiosa. Se proverà a evitarti comunque, gliene dirò quattro. Adesso però sarà meglio se torniamo dentro, fa davvero freddo qui.”

“Già,” concordò, quindi ripose nel sacchetto il resto della sua torta.

Era agitata all’idea di rientrare nel castello, ma seguì comunque l’amica a testa bassa fino alla sala comune di Tassorosso dove poterono parlare un altro po’, al caldo. Quel momento di pace durò poco, perché presto fu ora di raggiungere l’Hogwarts Express.

“Non cerchiamo Cecil, troviamoci una cabina solo per noi,” chiese a Blue, preoccupata di come avrebbe potuto reagire l’amico se si fossero rivisti così presto.

Non voleva che lui la ignorasse, eppure era la prima a scappare a nascondersi. Sapeva di essere un controsenso vivente, ma non era ancora pronta per affrontarlo dopo ciò che aveva fatto. Temeva che lui si sarebbe comportato in modo diverso rispetto al solito… e come biasimarlo?

“Va bene, facciamo così allora: vai con le tue amiche di Serpeverde, io vi raggiungo appena posso. Ho visto Cecil qui dietro, poco distante da noi.”

Emily sgranò gli occhi per la sorpresa e annuì. Sapendo che l’avrebbe rivista presto, si separò dalla ragazza per farsi strada tra la folla. Ana e Patricia dovevano essere già sul treno, perché non le aveva viste quando era tornata in stanza a prendere le ultime cose.

Le trovò poco dopo, che chiacchieravano spensierate mentre cercavano un posto libero. Nathan non era con loro, doveva aver deciso di fare il viaggio con i suoi amici maschi.

Emily le raggiunse senza esitare e propose loro di condividere una cabina, al che non ebbero niente da ridire.

“Va tutto bene Emily?” le chiese Patricia, prendendo posto accanto a lei.

“Sì…” rispose e sospirò. “Ho solo detto a Cecil quanto mi piace e adesso ho paura di rivederlo,” ammise.

“Cosa? Ma… non era già successo tempo fa?” domandò Ana, con aria sorpresa.

“No, l’altra volta glielo avevo fatto capire. Stamattina invece gliel’ho proprio detto,” spiegò, ma le sembrò subito qualcosa di più stupido di quanto non fosse veramente.

“Una vera e propria dichiarazione, insomma. Complimenti, spero che farà breccia nel suo cuore,” commentò la rossa, sognante.

“Lo spero anche io…” dichiarò con aria abbattuta, abbassando lo sguardo.

La porta della cabina si aprì ed Emily sobbalzò, ma era soltanto Blue.

“L’hai visto? Che gli hai detto?” chiese, impaziente.

“Di farsi il viaggio con i suoi amici, perché a te ci avrei pensato io,” rispose, mettendosi a sedere accanto ad Ana.

“E l’hai visto strano?”

“Se per strano intendi irrequieto, sì. Continuava a guardarsi intorno come se ti stesse cercando,” rivelò, sorprendendola.

“No, sicuramente voleva assicurarsi che non fossi lì con te.”

“Trattandosi di Berrycloth, è probabile,” intervenne Patricia. “Quel ragazzo è chiaramente un erbivoro, mentre tu sei una carnivora. Quando torneremo a Hogwarts assicurati di azzannare la tua preda senza pietà. E non lasciarla andare!”

Emily le sorrise ma non commentò, pensando che forse aveva già azzannato la sua preda la sera prima. Ana invece sembrò molto divertita dalle sue parole.

“Visto che siamo in tema,” disse Blue, rivolgendo lo sguardo alle due compagne di stanza di Emily. “Quale sarebbe la vostra dichiarazione ideale?”

Tutte e tre le rivolsero uno sguardo sorpreso.

“Ah, diciamo che sto facendo un sondaggio! Il tema sono le dichiarazioni, la più bella dichiarazione d’amore che potreste mai ricevere e gli errori da non commettere mai durante una dichiarazione,” si giustificò, nascondendo il vero motivo della sua curiosità.

La conversazione si fece più leggera, con Emily che ascoltava le assurde risposte delle compagne. A quanto pareva non avevano preso sul serio l’argomento.

Dal canto suo, avrebbe voluto risponderle di non dichiararsi mai davanti agli amici dell’altra persona, soprattutto nel caso fosse una persona timida. Aveva fatto qualcosa di stupido e di avventato perché aveva sentito di non potersi trattenere, ma ora vedeva quel gesto per ciò che era stato davvero.

Si disse che una volta a casa forse gli avrebbe scritto una lettera per scusarsi di nuovo, ma le sarebbe servito molto coraggio per farlo e ne era consapevole.

Il viaggio proseguì in leggerezza, anche se Emily avvertiva una pesantezza dentro di sé. Persa a guardare fuori dal finestrino, ripensava alle labbra di Cecil premute sulle sue, a quanto era stato bello e intenso quel momento che ancora le faceva correre il cuore e saltare lo stomaco; a quando lo aveva visto arrossire, pensando che lo avrebbe ammirato ancora e ancora.

D’altra parte temeva di aver fatto un disastro, sia baciandolo sia dichiarandosi di nuovo quella mattina. Possibile che i suoi ormoni da adolescente l’avessero fatta muovere senza che la sua mente razionale intervenisse? Forse sì, ma dare la colpa agli ormoni non la faceva certo sentire meglio.

Ana e Patricia si erano tanto vantate dei loro ragazzi e degli appuntamenti avuti, e lei avrebbe tanto voluto poter vivere qualcosa di simile, ma non aveva agito per invidia nei loro confronti.

Teneva davvero a Cecil ed era impaziente, ma se questo significava rovinare il loro rapporto… beh, non se lo sarebbe mai perdonato. Piuttosto preferiva rimanere sua amica a vita, anche se al solo pensiero sentiva il suo cuore stringersi in una morsa dolorosa.

 
Le vacanze trascorsero lente e noiose, con lei che faceva di tutto per non far notare il suo malumore ai genitori. In realtà era felice di essere a casa e di trascorrere il Natale con loro, ma non poteva fare a meno di pensare a Cecil.

Gli scrisse davvero quella lettera di scuse, che venne più lunga del previsto, ed ebbe paura quando la legò alla zampina del suo gufo, ma sapeva che era la cosa giusta da fare.

Uno di quei giorni Blue la invitò a passare del tempo a casa sua, così conobbe i suoi genitori.

L’amica le fece visitare il negozio della madre, ancora aperto per i clienti che cercavano un abito per festeggiare il Capodanno. Era un posto così colorato e colmo di dedizione che Emily non fece fatica a capire perché lei lo amasse tanto. Inoltre le lesse quel sentimento nello sguardo, mentre le parlava approfonditamente di ogni strumento, stoffa e cartamodello che incontravano durante il tour.

Poi andarono insieme al cinema a vedere La Bussola d’Oro e, ancora piene di popcorn, cenarono con un frullato e alcuni dolci in una caffetteria della zona, chiacchierando spensierate.

Un altro giorno fu Emily a invitarla da lei, per seguire una maratona televisiva dei film di Natale con Tim Allen. Passarono un pomeriggio piacevole a chiacchierare e a mangiare snack sul divano. 

Il 2 gennaio, giorno del suo compleanno, Emily preferì restare con la sua famiglia. Ricevette dei regali via gufo da Ana, Patricia, Matt, e persino da Nathan e Parker, mentre per quello dei suoi due migliori amici dovette aspettare fino a sera.

Si era appena preparata una cioccolata calda quando notò il gufo grigio di Blue che picchiettava con il becco sulla finestra e subito andò ad aprirgli.

Parrot, così si chiamava il povero animale, era riconoscibile tra migliaia perché la ragazza gli aveva tinto alcune piume di viola e di blu, il che gli dava un aspetto variopinto e bellissimo, per quanto artificiale.

Aveva con sé un pacchettino con sopra scritto “per Emily, da Cecil e Blue,” il che la fece fremere di impazienza. Al pacchetto era legata anche una piccola busta firmata solo dal suo amico.

Prese il tutto e diede da mangiare al gufo, sentendosi già arrossire. Perché quelle erano buone notizie, vero? Non poteva pensare altrimenti, a meno che l’amico non avesse deciso di darle il colpo di grazia proprio nel giorno del suo compleanno. 

Aprì per prima la lettera, impaziente di scoprire cosa ci fosse scritto. Era la risposta di Cecil alla sua, che si era fatta attendere ma alla fine era arrivata.

Il ragazzo le augurava un buon sedicesimo compleanno e le diceva di non preoccuparsi, perché tra loro era tutto a posto. Aveva riflettuto molto su ciò che era successo gli ultimi giorni a Hogwarts e si diceva sorpreso e imbarazzato, ma non ce l’aveva con lei.

Emily tirò un sospiro di sollievo e appoggiò la lettera al tavolo con mano tremante per l’emozione, ma non prima di averla riletta due volte per assicurarsi di aver capito bene.

Poi scartò il pacchettino trovando al suo interno un bracciale di stoffa morbida formato da due cordoncini, uno argento e uno verde che si intrecciavano. Un biglietto all’interno della scatolina, scritto nella grafia tondeggiante di Blue, dichiarava che era un bracciale dell’amicizia e che Lei e Cecil lo avevano preso uguale, rispettivamente argento-giallo e argento-rosso.

Lo trovò bellissimo, così come l’idea di avere qualcosa di uguale che simboleggiasse il loro rapporto. Lo indossò subito, sorridendo felice, e riportò lo sguardo sulla lettera.

Si domandò se dietro quella svolta inattesa non ci fosse lo zampino di Blue e le fu grata, perché le era stata tanto vicina in quel periodo.

 
Quando arrivò il momento di tornare a King’s Cross per ripartire verso Hogwarts, Emily poté farlo con il sorriso sulle labbra.

Rivedere Cecil in stazione fu un po’ imbarazzante, ma di un imbarazzo bello. Inoltre con loro c’era Blue, pronta a divertirli con le sue battute.

Fecero il viaggio insieme, solo loro tre come ai vecchi tempi.

 
Il primo trimestre era terminato e i G.U.F.O. erano sempre più vicini, perciò Emily si impegnò come non mai per riuscire a portare avanti i suoi studi e anche tutto il resto. Aiutare gli amici le permetteva di ripassare e partecipare agli incontri del club dei duellanti era l’occasione di mettere in pratica ciò che aveva imparato.

Era talmente di buonumore che, durante la prima uscita a Hogsmeade, comprò un cesto di dolciumi e lo fece arrivare nello spogliatoio della squadra di quidditch di Grifondoro, con un biglietto di scuse non firmato per non mettere nuovamente in imbarazzo Cecil, che però avrebbe sicuramente riconosciuto la sua grafia.

Non aveva perdonato i suoi compagni per ciò che gli avevano fatto quel giorno, ma riconosceva di aver agito d’impulso. Adesso sperava che il clima tra i membri della squadra non fosse teso, non a causa sua almeno.

Inoltre decise che presto avrebbe riprovato a chiedere a Cecil di uscire insieme, senza impegno e questa volta senza fare niente di avventato. Tutto andava bene tra loro e l’amico le aveva detto che lei aveva delle possibilità, ma di essere ancora confuso, perciò ci sarebbe andata piano… ma non avrebbe fatto finta di niente.

Aspettando che facesse lui il primo passo aveva sprecato fin troppo tempo, arrivando alla conclusione che forse non sarebbe successo mai niente. Spettava quindi a lei, senza abbattersi per eventuali rifiuti e senza essere troppo avventata.

Comunque era contenta e fiduciosa, perché passavano già molto tempo insieme a studiare.

In quel clima di gioia e impegno c’era però un’ombra che incombeva su Emily, una sensazione sgradevole che talvolta la faceva sentire tesa per i corridoi, in sala grande e… in presenza del professor Fiery.

Lui non aveva fatto più niente per indispettirla, ma ogni tanto lei si trovava a pensare a ciò che era successo e alle parole di scuse che le aveva rivolto.

Non avrebbe voluto ripensarci perché non le faceva piacere, ma se ne ricordava ogni volta che lo vedeva, consapevole di dover restare in guardia perché niente del genere capitasse mai più.

Si era detta che era stata una sciocchezza, che ne era rimasta tanto turbata perché era una ragazzina inesperta, suo malgrado, però non ne era più tanto convinta. Cercava di non darlo a vedere, ma stare con lui le creava del disagio che nascondeva agli altri e a se stessa tenendosi impegnata.

Non si sentiva più rilassata quando era da sola con Fiery per preparare le lezioni, o quando gli studenti se ne andavano e loro rimanevano nell’aula a riordinare. Non si sentiva più libera di parlargli di tutti i suoi pensieri riguardo alla materia, perciò ne teneva la maggior parte per sé.

Quando, l’anno precedente, si erano visti per scrivere insieme il nuovo libro di testo, lei aveva preso tanti appunti che poi aveva scartato. Erano validi, ne era certa, ma forse erano troppo progressisti per essere accettati subito.

In quel periodo Emily li riprese in mano, organizzandoli e aggiungendoci informazioni.

Nei momenti in cui era da sola e gli argomenti da studiare diventavano meno, prendeva in prestito il manuale di babbanologia del quarto anno per rileggerlo di nuovo, appuntando su una pergamena tutto ciò che già sapeva e che nel libro non era contemplato, o che era trattato in un’ottica arretrata.

Il cambiamento che aveva in mente doveva attuarlo da sola. L’intervento del professor Fiery non era previsto sin dall’inizio, eppure grazie a lui si erano già mossi in quella direzione. Ora che tutto era diventato diverso tra loro, però, Emily sapeva di non poter più contare su di lui per quello. Anzi, non voleva più contarci.

Il materiale che stava scrivendo sarebbe stato la base per dei manuali futuri, scritti da lei senza l’appoggio del professore. Avrebbe rivisto anche il testo del terzo anno, quello realizzato con lui, perché di appunti scartati ne aveva una marea.

Inoltre aveva moltissimo tempo per lavorarci, perché non contava certo di farlo in quanto studentessa di Hogwarts. Si sarebbe informata e avrebbe studiato ancora nel corso degli anni, rileggendo il materiale per aggiungere delle parti o per correggerle.

Il suo lavoro non poteva fermarsi perché il professor Fiery aveva oltrepassato il limite, né doveva avvalersi del suo aiuto in eterno.

Quindi Emily partecipava attivamente alle lezioni, dando il suo parere su questo o su quello quando interpellata, ma non intendeva consegnare a lui i frutti del suo impegno perché ne attingesse senza fatica alcuna. Piuttosto avrebbe aspettato che quei frutti fossero maturi, per creare qualcosa di nuovo di cui avrebbe avuto il pieno merito.  

In quanto al loro rapporto, ormai non c’era più un momento nel quale si rilassava davvero in presenza del professore, anzi avvertiva una certa tensione che la rendeva rigida e che a volte, dopo che lasciava l’aula, si traduceva in mal di testa.

Ciò che era successo restava nel passato, ma lei non poteva dimenticarlo né fidarsi ancora.




Note di quella che scrive

Io spero che Emily non sia diventata un personaggio fastidioso, con la sua insistenza nei confronti di Cecil. Voi cosa pensate del suo comportamento?

Quando lei torna a Hogwarts dopo Natale, ho voluto mettere in chiaro i suoi pensieri riguardo a Fiery. Queste parti riflessive sono noiose nella lettura? Io sono una che rimugina molto, e forse per questo tendo a inserire delle parti simili...

In ogni caso, il punto qui è che Fiery non ha fatto nient'altro di strano, ma Emily sente comunque quest'inquietudine che cresce in lei. L'ho raccontato in un paragrafo di carattere introspettivo proprio perché sono riflessioni di Emily che lei si tiene dentro, e che con il tempo crescono e si evolvono. Spero di aver reso l'idea e che non sia stato troppo noioso.

Dato che ultimamente si è parlato molto di violenza sulle donne, mi sento di fare una precisazione. Emily ha subito una molestia e ha deciso di far finta di niente, di non denunciare Fiery agli altri professori e, anzi, di continuare a collaborare con lui. Sottolineo che io, anche se scrivo queste cose, non appoggio sempre il suo comportamento e non ve la presento assolutamente come esempio da seguire. Semplicemente, lei ha fatto questa scelta.
Quando c'è di mezzo Fiery, se ci fate caso, Emily prende sempre le decisioni da sola. Se vuole parlarne con Cecil sente che non può farlo, evita Matt perché non scopra niente, se invece cerca un consiglio da parte di Blue lei non è libera e così finisce per riflettere e decidere da sola. La conseguenza è l'inquietudine che prova adesso.

Come sempre ho parlato troppo. Alla prossima!

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Salve! Mi scuso per l'attesa, ma sono stati giorni incasinati... quindi per farmi perdonare anticipo leggermente la pubblicazione a questa sera, anche perché domani sarei stata di nuovo impegnata...

Detto ciò, buona lettura!


 

CAPITOLO 32

 


Febbraio era arrivato in un baleno ed Emily si ritrovò a rifletterci in un momento di noia, guardando fuori da una finestra della biblioteca. Mancava ancora tanto agli esami di fine anno, eppure aveva l’impressione che il tempo le stesse scivolando tra le dita.

Forse il motivo era che aveva troppe cose da fare, anche se di solito credeva di godersi le giornate a pieno. Dopotutto non aveva niente di cui lamentarsi, perché ciò che studiava le piaceva e aveva sempre modo di stare con gli amici, divertirsi con loro e rilassarsi.

Si decise a rimettere a posto il libro di pozioni che aveva consultato per fare l’ultimo compito assegnato da Lumacorno e uscì dalla biblioteca. Con sé, a occupare molto spazio nella borsa, aveva il quaderno nel quale teneva gli appunti per i suoi studi futuri di babbanologia.

Ogni tanto consultava un testo o scriveva a suo padre perché le cercasse un libro specifico nelle librerie babbane, che poi l’uomo le spediva via gufo. Così lei scriveva tutto ciò che poteva essere utile e lo inseriva nel quaderno, pieno zeppo di fogli aggiunti tra una pagina e l’altra.

Andò a posarlo nella sua stanza perché era quasi ora di cena e non aveva senso portare con sé tutto quel carico.

Sospirò. Negli ultimi giorni Blue era stata sfuggente, non con lei ma in generale. Anzi, con lei passava più tempo che mai, ma sembrava giù di corda. Spesso la beccava persa con la testa tra le nuvole e anche i suoi pasti parevano aver perso la solita attrattiva.

Sapeva dove trovarla in quel momento perché la ragazza aveva lezione di aritmanzia. Dopo aver alleggerito la sua borsa in dormitorio, camminò in tutta fretta per i corridoi fino a raggiungere l’aula. Si appostò lì fuori in attesa che la lezione finisse, intenzionata a parlare con l’amica.

Non dovette aspettare molto e Blue sembrò felice di vederla, perché le sorrise e la salutò energicamente con una mano.

“Com’è andata la lezione?” le chiese, mentre si avviavano insieme verso il dormitorio di Tassorosso.

“Bene. È sempre interessante, anche se l’argomento di oggi era un po’ complicato,” le disse stancamente, per poi sospirare.

Parlando del più e del meno raggiunsero la stanza della ragazza, dove lei buttò alla rinfusa sulla scrivania i libri che aveva con sé.

“È presto per andare a cena… Mi hai cercata per un motivo in particolare?” le chiese Blue, che forse stava iniziando a unire i puntini e a trovare sospetto il suo silenzio.

In quei giorni aveva provato a chiederle se andasse tutto bene, ma lei aveva sempre detto di sì ed eluso la vera domanda. Adesso Emily sarebbe andata dritta al punto, perché voleva sapere cosa stava succedendo.

“Sì... Il fatto è che sei strana ultimamente e vorrei che ti aprissi con me. Siamo amiche, lo sai che io ci sono sempre per te.”

Blue sospirò e abbassò lo sguardo.

Poche volte Emily l’aveva vista così abbattuta, il che la fece preoccupare. Era certa che c’entrasse Cristelle, perché Blue non passava più molto tempo con lei, anzi sembrava che la stesse evitando.

La bionda si sedette sul letto facendo segno a Emily accomodarsi a sua volta.

“Mmh, sai quando dicevo di volermi dichiarare?” le chiese cautamente.

Emily annuì.

“L’ho fatto,” ammise, dopo un attimo di esitazione. “Ma non voglio parlarne.”

“Ti farebbe sentire meglio,” insistette, dispiaciuta perché aveva già intuito come fossero andate le cose. “Io… ci sto male a vederti così, non mi sembri più tu.”

Blue le rivolse uno sguardo severo nel quale si poteva leggere tutto il suo dolore.

“Anche tu sei cambiata tanto quest’anno, ma io non ho insistito per sapere i dettagli,” puntualizzò.

“A cosa ti riferisci?” le chiese Emily, confusa. “E comunque, puoi anche non parlarmene ma vorrei che stessi bene, e credo che farlo potrebbe esserti d’aiuto.”

La bionda sospirò e scosse la testa.

“Okay… so che hai ragione e farò uno sforzo... ma solo se parli per prima tu.”

Emily le rivolse di nuovo uno sguardo corrucciato, non avendo capito a cosa si riferisse.

“Ti vedo che sei irrequieta, o tesa, e che ti guardi intorno spesso mentre siamo nei corridoi. Non so chi stai cercando di evitare ma anche a te farebbe bene parlarne, e io potrei aiutarti. È quello del bacio, non è così? È ora di dirmi chi è.”

Emily strabuzzò gli occhi. Non credeva che il suo malessere fosse così palese, quasi fosse diventata paranoica. Perché non lo era davvero, giusto? Se lo chiese, ma non diede voce al suo dubbio.

“Non… non credo di potertelo dire, è una cosa più grande di me,” ribatté, a disagio.

“Allora anche io non ti dirò niente. Continueremo a stare male in silenzio tutte e due,” dichiarò Blue, incrociando le braccia al petto.

“E va bene,” sospirò Emily, dopo un lungo attimo di esitazione.

Sapeva che l’amica aveva buone intenzioni e sicuramente parlarne le avrebbe tolto un peso dal petto.

Il fatto che fosse stato un adulto, un professore per di più, l’aveva sempre frenata dal raccontarlo ad anima viva, perché sentiva che la questione era seria e non riguardava solo lei. Ecco, solo il fatto di aver pensato che fosse qualcosa di serio le fece capire che aveva davvero bisogno del conforto e dell’appoggio della sua migliore amica.

“È da tanto che vorrei dirtelo in realtà,” ammise, abbassando lo sguardo sulle sue gambe. “Io ti dico chi è stato, ma devi promettermi che non lo dirai mai a nessuno.”

Blue le mise una mano sulla spalla sinistra e quando Emily incrociò il suo sguardo annuì. Le lesse sincerità negli occhi, oltre che preoccupazione, ma anche se non l’avesse vista così avrebbe saputo di potersi fidare. Si trattava di Blue.

“È stato uno studente più grande? Per questo sei così agitata?” si sentì chiedere, forse perché ci stava mettendo qualche secondo a rispondere.

Scosse la testa e sospirò, trovando quella verità inaspettatamente molto difficile da rivelare.

“È stato Opal Fiery.”

Blue ci mise alcuni istanti per collegare quel nome a un volto, intanto Emily la vide confusa e un momento dopo spiazzata.

“Il professore di babbanologia? Merlino santissimo, e com’è successo?” domandò, con la voce più acuta del solito e un’espressione preoccupata stampata sul viso.

Emily evitò il suo sguardo e si morse il labbro inferiore, improvvisamente a disagio solo a ripensarci.

“Dopo una lezione, stavo pulendo la lavagna e mi sono sporcata la faccia con la polvere di gesso. Lui si è avvicinato per aiutarmi… e prima che potessi accorgermene mi stava baciando.”

Ecco, l’aveva detto, e solo per questo adesso desiderava lavarsi la bocca… e magari anche la faccia… e farsi una doccia molto molto calda.

Sospirò di nuovo. Quell’evento le aveva lasciato addosso un fastidio e un disagio che non riusciva a scrollare via del tutto.

Blue la osservò in silenzio per un paio di secondi, poi le prese una mano e la strinse dolcemente con la sua.

“È per questo che adesso preparate le lezioni al pomeriggio, anziché di sera…” disse, non come una domanda ma come se stesse pensando a voce alta. “Non capisco, perché non gli hai detto che non volevi più vederlo e basta?”

“L’ho fatto, ma lui mi ha chiesto di ripensarci. Alla fine si è scusato, e assisterlo durante le lezioni mi sarà utile,” si giustificò, in un tono stanco.

“Sì ma mi sembra comunque assurdo. Pensavo si trattasse di un ragazzo troppo impulsivo, invece parliamo di un uomo adulto… E ti vedo che non sei più serena come un tempo. Nemmeno quando Baxter e Napier ce l’avevano con te ti comportavi così,” insistette Blue.

“Ecco… All’inizio credevo di esserci rimasta male solo io, proprio perché lui è un adulto, quindi restavo in guardia, come mi hai detto tu, ma pensavo che fosse una sciocchezza… Però non riesco a non ripensarci e a non sentirmi a disagio. È stato tutto così improvviso e senza senso…” sospirò. “Lui non ha più fatto niente di strano, ma è come se avessi preso coscienza del pericolo. Che stupida a parlarne così, scusami…”

“Non devi scusarti Emily, è comprensibilissimo!” sbottò Blue, stringendo più forte la presa sulla sua mano. “Lui è un adulto e tu una sua studentessa, è abbastanza maturo da capire cosa si può fare e cosa no, e non avrebbe dovuto! Mi ripeti cosa ti ha detto quando si è scusato? L’hai visto pentito davvero?”

Emily scosse la testa, stanca di parlarne, ma Blue non sembrava intenzionata a lasciar cadere l’argomento.

“Era dispiaciuto, sì. Ha detto… che non farà più niente, o qualcosa del genere.”

Aveva detto anche che la vedeva come una donna, e che l’aveva baciata in un momento di distrazione, ma Emily decise di non ripetere quelle parole. Non lo fece perché spesso le sentiva rimbombare nella sua testa e ogni volta le sembravano sempre più inappropriate.

Ai tempi le aveva trovate dolorose perché, se quello voleva essere un complimento, detto da lui non lo era; non quando stava aspettando che qualcun altro si accorgesse di lei. Ora le sembravano solo fuori luogo.

“Adesso tocca a te,” le ricordò, al che l’amica si ritrasse e tolse la mano dalla sua.

Si era voltata a guardare una parete spoglia della stanza ed Emily la sentì prendere fiato come se volesse darsi coraggio.

“Non… non c’è molto da dire in realtà,” iniziò, e lei la vide torturarsi le mani senza nemmeno farci caso. “Dopo il ballo di Natale ho messo in chiaro con le mie amiche che mi piacciono le ragazze… Sai, perché mi hanno vista ballare con te ed erano curiose a riguardo. E io l’ho detto con lei presente, ma ha fatto finta di niente.”

Blue si zittì ed Emily capì che si trattava solo di metà della storia, quindi lasciò che parlasse prendendosi tutto il tempo che le serviva.  

“La settimana scorsa siamo andate a Hogsmeade, eravamo da sole su una panchina di una stradina tranquilla… e le ho detto tutto. È rimasta zitta per un po’, poi mi ha detto che frequenta un tipo da più di un anno. Il ragazzo del ballo, scommetto,” sospirò. “Ha anche detto che le ragazze non le piacciono e non mi vedrà mai in quel modo. Mai, ci ha tenuto a insistere su questo!”

Emily l’abbracciò da dietro, permettendole di appoggiare la testa sulla sua spalla destra.

“Mi dispiace tanto Blue… Non meriti questo…”

“Puoi ben dirlo,” rispose l’amica, ma senza la solita energia nella voce. “Io… credo che le starò lontana ancora per un po’, perché voglio riuscire ad andare oltre.”

“Sono sicura che ci riuscirai presto,” sottolineò Emily, sperando di darle conforto. “Che tu sappia, non ci sono altre ragazze lesbiche o bisessuali a Hogwarts?”

“Mmh, difficile a dirsi. Ho scovato qualche coppia in questi anni, ma notarle quando non sono impegnate è più complicato. Mi stai suggerendo di fare chiodo scaccia chiodo?” domandò, voltandosi appena per mostrarle il suo sorriso furbo.

“Non la metterei proprio in questi termini. Pensavo solo che sarebbe più facile puntare a un bersaglio più sicuro, se possibile,” si spiegò.

“Capisco, come quando tu al club dei duellanti affronti gli studenti di seconda.”

“Ma… non mi capita mai di affrontare quelli del secondo anno!” sbottò trattenendo una risata, capendo che il suo commento era esagerato apposta per alleggerire i toni del discorso.

“Certo, certo. A proposito, ho sentito come ti chiamano quelli del giro,” continuò la bionda, divertita anche lei.

“Già, la principessa dei duelli o qualcosa del genere,” la interruppe Emily alzando gli occhi al cielo.

Aveva sentito quel soprannome ridicolo solo una volta e l’aveva subito cancellato dalla sua mente.

“Ma che, quello era ai primi anni. Ora sei la bambolina dal cuore di ghiaccio del club dei duellanti,” le svelò Blue, scoppiando a ridere da sola.

Emily storse la bocca per l’orrore e sperò che se lo fosse inventato sul momento, ma subito dopo iniziò a ridere perché contagiata dall’amica.

“Di male in peggio,” commentò poi.

Ormai era ora di scendere per cena, perciò le due ragazze tornarono in corridoio e si avviarono verso la sala grande, sempre chiacchierando di argomenti stupidi.

Emily doveva riconoscerlo, nessuno come Blue sapeva farla divertire, persino nei momenti più drammatici. Lei era proprio unica ed era grata che fosse sua amica.

Quando si separarono per andare ognuna al proprio tavolo, Emily poteva dirsi leggera e senza pensieri. Sperava che anche per Blue fosse lo stesso, o che almeno si sentisse un po’ meglio ora che si era confidata con lei.

 
Qualche giorno dopo, Emily stava passando una delle sue rare ore libere in compagnia di Matt. Non lo ignorava più ormai, ma quando era con lui teneva faticosamente alte le barriere occlumantiche per ogni evenienza. Non che lui non fosse in grado di abbatterle, se solo avesse voluto. Dopotutto, le loro lezioni insieme erano state davvero poche.

In ogni caso, l’idea di non averlo più attorno l’anno successivo la intristiva, perciò sapeva di dover passare del tempo con lui finché poteva. Certo, sarebbero rimasti comunque amici, ma lontani e impegnati a fare cose completamente diverse.

“Cosa farai nel caso non riuscissi a ricevere una risposta dalla Skeeter?” gli domandò all’improvviso, incuriosita dai suoi piani futuri.

“Beh, potrei propormi direttamente alla Gazzetta del Profeta. Se non posso farle da assistente, cercherò di darmi da fare come suo rivale,” dichiarò il ragazzo, apparentemente sicuro di sé.

“Idea interessante. Se mai dovesse capitarmi qualcosa di particolare, sappi già che tu avrai l’esclusiva,” gli promise lei scherzosamente.

“Perfetto, allora non vedo l’ora che il mondo magico ti conosca come la grande Emily Lewis!” le diede corda, rivolgendole un sorriso a mezza bocca.

Moderarono i toni per non attirare lo sguardo indispettito di Madama Pince. Si erano visti in biblioteca appositamente per studiare, non per chiacchierare.

Nello specifico, Emily gli aveva chiesto qualche dritta riguardo ai G.U.F.O. che lui aveva affrontato l’anno precedente. Lei non poteva permettersi errori se voleva mantenere immacolata la sua media, e lo voleva con tutte le sue forze.

Inoltre scoprire, l’anno successivo, di non aver preso un voto abbastanza alto da permetterle l’accesso a qualche materia le avrebbe spezzato il cuore.

Tornò concentrata sul suo obiettivo e chiese a Matt quali argomenti erano usciti per erbologia, segnandoseli su una pergamena. Era consapevole che quell’anno sarebbe potuto essere tutto diverso, ma passare in rassegna ogni disciplina in quel modo aveva un che di rassicurante per lei.

Alla fine dell’ora poteva dirsi più tranquilla, anche se non del tutto sicura delle sue capacità. C’era però un’altra questione, oltre ai G.U.F.O., che la preoccupava diventando sempre più impellente: il suo percorso futuro dopo Hogwarts.

Se era vero che aveva capito di voler insegnare babbanologia, era anche vero che il professor Fiery non le aveva dato consigli chiari su come muoversi dopo la scuola, perché lui era arrivato a ottenere quella cattedra per vie traverse.

Era stato un impiegato del Ministero ai tempi della Seconda Guerra Magica, poi la cattedra di babbanologia si era liberata e la McGranitt, sapendo che aveva apprezzato molto la materia da studente, gliel’aveva proposta.

Non era certo quello il percorso che Emily immaginava per sé.

Per questo, e perché sentiva di non potersi affidare più al professore, aveva chiesto un incontro con la preside, sperando che lei potesse fugare i suoi dubbi e indirizzarla al meglio. Dopotutto, a chi avrebbe dovuto chiedere se non a lei?

I giorni successivi trascorsero intensi come al solito e finalmente arrivò il momento di parlarle. Emily si avviò con passo incerto verso l’accesso al suo ufficio, rendendosi conto di non conoscere la parola d’ordine.

Come se l’avesse percepita, però, l’accesso si schiuse ruotando su se stesso e facendo così comparire la scala a chiocciola. Emily non attese ulteriormente e si fece avanti per posizionarsi su uno dei primi gradini. Una volta arrivata a destinazione, prese un respiro profondo e bussò.

La voce gentile della McGranitt la invitò a entrare e così fece, ritrovandosi nel suo affascinante ufficio. Emily si guardò intorno per un istante e sentì riaffiorare i ricordi di quando, al primo anno, si era messa nei guai ed era stata portata lì dal professor Brodie.

Con i ricordi le tornarono alla mente anche il disagio e la preoccupazione di quella volta, quando parlare con l’anziana professoressa l’aveva messa in soggezione, ma ora era cambiato tutto.

Si trovava lì di sua spontanea volontà e per un motivo ben preciso.

Le avrebbe potuto chiedere di parlare prima o dopo una lezione di trasfigurazione, ma temeva che così non avrebbe avuto il giusto tempo e la giusta attenzione.

“Buongiorno professoressa McGranitt,” le disse, avvicinandosi e sedendosi su una delle poltroncine che la preside le aveva indicato.

“Buongiorno a lei, signorina Lewis,” la salutò di rimando l’anziana donna, seduta dietro alla sua scrivania. “Per quale motivo mi ha chiesto questo incontro?”

“Si tratta del mio percorso di studi futuro. Vorrei accertarmi di cosa fare dopo il settimo anno e speravo che lei potesse aiutarmi a fare chiarezza,” spiegò, andando subito al punto.

La preside doveva essere molto impegnata ed Emily era grata che avesse trovato un po’ di tempo per lei.

“Sa già che sono a conoscenza del suo interesse per l’insegnamento, di babbanologia nello specifico. Stiamo parlando ancora di questo?” domandò la donna, aprendo un cassetto.

“Sì signora,” rispose Emily, sporgendosi in avanti curiosa.

La McGranitt appoggiò sulla scrivania gli opuscoli di diverse università, tutte babbane, e le raccomandò di studiare scienze della formazione per abilitarsi all’insegnamento.

Emily si stupì di poter accedere alle scuole babbane dopo Hogwarts e le fece qualche altra domanda in merito, accettando con gioia tutti gli opuscoli con l’intenzione di consultarli meglio dopo.

“A questo punto però devo chiederglielo, perché proprio babbanologia? Potrebbe aspirare alla cattedra di qualsiasi altra disciplina, oltre che ad altri lavori. Sono certa che il professor Lumacorno, suo capo casa, le avrà detto la stessa cosa,” sottolineò la donna, scrutandola attentamente.

Emily la guardò negli occhi e capì che con lei poteva essere sincera. Poteva dirle della sua ambizione, sperando solo che non la fraintendesse per poi cacciarla a calci dal suo ufficio.

“Vede, professoressa, io ho scoperto tardi cosa fosse babbanologia e sono rimasta molto sorpresa dal contenuto dei libri di testo… Tutto è iniziato così. Ho pensato che in un periodo in cui ancora, purtroppo, c’è chi vede una differenza tra i maghi purosangue e i nati babbani, il cambiamento deve partire dalla considerazione che abbiamo proprio dei babbani,” iniziò a raccontare.

La donna l’ascoltò in silenzio senza mostrare alcun segno di disapprovazione, perciò lei continuò.

“Inoltre noi maghi viviamo in piccole comunità, nascondendoci da loro, ma il mondo è grande e popolato per la maggior parte da babbani. Se abbiamo studiato la materia nei nostri anni qui a Hogwarts, non sappiamo comunque tutto il necessario ma solo qualcosa… E se invece abbiamo deciso di non studiarla, sarà impossibile capire dovremmo come comportarci in certe situazioni.”

Non lo avrebbe detto ad alta voce, ma pensava che fossero conoscenze essenziali: per quanto trovasse affascinanti rune antiche, difficilmente le sarebbero servite nella vita di tutti i giorni, a differenza delle nozioni di base del mondo babbano… sul quale, in un certo senso, si poggiava il mondo magico.

“Sta suggerendo forse un cambiamento radicale della materia, con l’implicazione che diventi obbligatoria? Per chi, per gli studenti che hanno entrambi i genitori maghi?” domandò la donna, corrugando la fronte.

“Per tutti, in realtà, per non fare differenze,” dichiarò.

Ricordava quanto fosse spaesato Cecil quando lei e Blue lo avevano guidato per i negozi di Londra. Però far studiare la materia solo ai purosangue non sarebbe bastato, e avrebbe aumentato quel divario che invece il mondo magico, dopo la guerra, stava cercando di annullare con fatica.

“Personalmente, in quanto nata babbana io so più cose sull’argomento rispetto a molti dei miei amici, ma la verità è che trascorro qui la maggior parte dell’anno, nel mondo magico. Così ci sono per forza delle cose che mi perdo,” ammise, sperando di aver fatto un discorso comprensibile.

La professoressa McGranitt annuì con fare pensieroso ed Emily esalò un impercettibile sospiro di sollievo.

“Capisco il suo punto di vista, signorina Lewis. Babbanologia è una materia giovane e per questo ha sicuramente del margine di miglioramento... soprattutto se la mettiamo in questi termini. Quello che propone però è molto ambizioso e dovrà essere sottoposto anche al giudizio del Ministero, a tempo debito,” le rispose.

“Me ne rendo conto.”

“Vuole proseguire con il suo obiettivo, sapendo che il Ministero della Magia potrebbe non approvare mai del tutto questo cambiamento?” le domandò, guardandola intensamente come per studiare le sue intenzioni.

“Sì professoressa. Non so se ne è al corrente, ma ho collaborato alla stesura del nuovo manuale per il terzo anno e… segretamente, starei preparando dell’altro materiale, ancora più preciso e completo,” ammise, sperando che la cosa rimanesse tra loro.

L’anziana donna sollevò le sopracciglia e schiuse le labbra.

“Non pensavo che fosse così lungimirante. Quindi è determinata e niente potrebbe farle cambiare idea,” disse, e non suonò come una domanda ma come un’affermazione.

“Esatto,” confermò Emily, accennando un sorriso appena visibile.

Era sollevata, sia perché la preside l’aveva capita, sia perché le aveva dato dei veri consigli sul suo percorso, motivo per cui le aveva chiesto udienza.

“E mi dica, come stanno procedendo le lezioni con il professor Fiery?” le chiese la McGranitt.

Emily sentì la sua tranquillità vacillare per un istante, ma si sforzò di mostrarsi calma perché ciò non trapelasse.

“Bene,” rispose desiderando di non dover aggiungere altro, ma pensò che sarebbe sembrato sospetto. “Il professore ascolta il mio parere e mi dà sempre dei consigli. Inoltre vuole che io partecipi spesso, quando facciamo lezione insieme. Per me è un’esperienza molto… gratificante e istruttiva.”

Non era del tutto falso perché all’inizio era stato così. In ogni caso, dirlo fu più difficile del previsto e sperò che la donna non se ne fosse accorta.

“Ottimo,” commentò, dandole l’impressione di voler chiudere lì il discorso, per sua fortuna. “Un’ultima cosa riguardo al suo percorso di studi, prima che se ne vada. Questo è l’anno dei G.U.F.O. e sarebbe un peccato, visti i suoi interessi futuri, non sostenere quello di babbanologia.”

Emily schiuse le labbra e sgranò gli occhi, spiazzata.

“Ma… io non sono iscritta, non sto frequentando le lezioni,” sottolineò, come se non fosse già ovvio.

“Ne sono consapevole, ma non sarà un problema. Può prendere fino a dieci G.U.F.O. e so che sta frequentando le lezioni di nove materie. Parlerò con Fiery e la farò aggiungere alla lista dei suoi studenti senza che debba presentarsi in classe… in via del tutto eccezionale. So che, oltre ad assisterlo, è impegnata in diverse attività con altri professori.”

Emily si morse il labbro inferiore, incerta. Non aveva considerato quella possibilità, né che fosse un bene ottenere un G.U.F.O. in babbanologia, e le sembrava troppo bello per essere vero.

“Su, signorina Lewis, non faccia complimenti. Scommetto che ha letto e riletto i manuali più volte, perciò non avrà problemi,” la incoraggiò la preside, allegra.

“Non è questo. Davvero vuole fare questa eccezione… per me?” domandò, esitante.

“Certamente. Sono in grado di riconoscere una studentessa brillante quando ne vedo una. Mi aspetto molto da lei, d’ora in avanti.”

Emily sentì il petto scaldarsi e colmarsi di orgoglio. Quella chiacchierata era andata molto meglio del previsto, e ora avvertiva una nuova spinta a impegnarsi. Non che ne avesse bisogno per andare avanti, ma quello era carburante per la sua ambizione.

“Oh, professoressa… Scusi se glielo chiedo, ma sarebbe possibile mantenere segreta questa conversazione, così che il professor Fiery non sappia che le ho chiesto dei consigli?” le domandò, prima di uscire dallo studio.

La donna strabuzzò gli occhi, sorpresa dalla sua richiesta.

“Certo, non ho motivo di riferirgli una conversazione privata. E dopotutto l’idea di farle sostenere i G.U.F.O. anche nella sua materia viene unicamente da me,” le accordò.

“La ringrazio molto,” disse appena prima di salutarla, davvero grata per il suo interessamento e per la sua comprensione.

Avrebbe continuato per la sua strada, impegnandosi per sé e per il suo obiettivo, ma anche per non deluderla. Era bello quando qualcuno credeva in lei e le dava così tanta fiducia, senza il bisogno di ricevere troppe spiegazioni e giustificazioni. Non l’avrebbe dimenticato.






Note di quella che scrive

Ed eccoci qua. Il prossimo aggiornamento sarà giovedì, ve lo dico subito. Questa volta non dovrei avere problemi a rispettare la tabella di marcia.

Detto questo... ho riletto il capitolo prima di pubblicarlo e non mi fa impazzire. Avrei potuto gestire molto meglio tutte e tre le conversazioni che ci compaiono... Quello che mi rassicura è che ogni cosa che vediamo qui prepara il terreno per altro. Man mano capirete!

Nel frattempo, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate.

Alla prossima!

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


CAPITOLO 33


 

Emily stava studiando erbologia insieme a Cecil quel giorno, seduta al solito tavolo appartato in biblioteca. Il suo amico faceva davvero fatica in quella materia, ma non intendeva darsi per vinto: con i G.U.F.O. che incombevano, non si sarebbe arreso senza lottare.

Tutto il contrario di Blue, che con astronomia aveva rinunciato da un pezzo… ma la ragazza non era lì in quel momento, perché aveva le prove del coro.

Non frequentavano erbologia insieme quell’anno, lei e Cecil, ma il professor Paciock aveva dato loro lo stesso compito a distanza di pochi giorni perciò avevano colto l’occasione per svolgerlo insieme. Consisteva nella scrittura di una relazione che approfondisse le applicazioni mediche di una pianta a scelta tra quelle già studiate nel primo trimestre.

I due avevano scelto erbe diverse, sia per non rischiare di consegnare un compito troppo simile, sia per approfittarne per ripassarle entrambe.

Emily stava scrivendo e ogni tanto consultava il suo libro, ma tra una frase e l’altra alzava lo sguardo su Cecil e lo osservava segretamente, sperando che non se ne accorgesse. Le piaceva il suo viso quando era concentrato e stare con lui in quel modo aveva un che di confortante.

Da quando non doveva più nascondere i suoi sentimenti né vergognarsene, poi, era molto più felice in sua compagnia… ed ultimamente stavano insieme spesso.

Se Cecil non aveva gli allenamenti di quidditch o le partite, era sempre con lei. Certo, lei aveva tanti altri impegni perciò forse era solo un caso che, quando era libera e sola, anche lui lo fosse.

Forse era un caso, oppure aveva deciso di trascurare momentaneamente i suoi amici per stare con lei.

Il solo pensiero la caricava di un’agitazione piacevole che inevitabilmente la faceva sorridere, ma cercava di trattenersi per paura che la prendesse per una stupida.

“Oh, quasi dimenticavo,” disse sottovoce, afferrando la borsa e iniziando a cercare all’interno.

Aveva qualcosa che sarebbe stato molto utile a Cecil e quello era il momento perfetto per darglielo. Quando trovò il quaderno e lo posò sul tavolo, si accorse che lui le stava rivolgendo uno sguardo curioso.

“Ho chiesto a Matt gli argomenti dei G.U.F.O. dell’anno precedente ed ecco quelli di erbologia,” dichiarò, aprendo il quaderno alla prima pagina dove se l’era segnati.

Le era parso che Cecil si fosse irrigidito sentendo il nome del suo amico, e infatti anziché avvicinarsi per leggere si ritrasse.

“Non ho bisogno dell’aiuto di Crowley,” affermò, tornando a guardare il suo libro.

Emily strabuzzò gli occhi, sorpresa.

“Allora accetta il mio,” insistette, sfogliando il quaderno perché lo vedesse, “ho preparato degli appunti per ogni argomento. Non è certo che ci chiederanno le stesse cose, ma studiando da qui possiamo fare prima e quindi avere più tempo per concentrarci sul resto.”

Cecil la guardò di sottecchi e poi, con un sospiro di resa, prese il quaderno dalle sue mani.

“Ma qui ci sono argomenti che non abbiamo ancora fatto a lezione,” notò, con una nota di stupore nella voce.

“Beh, io li ho già studiati. Volevo togliermi il pensiero,” rispose lei con un’alzata di spalle.

Lo lasciò a curiosare tra i suoi appunti, che ormai a lei non servivano più, e riprese in mano la penna per continuare la sua relazione.

“E comunque… ho chiesto aiuto a Matt per me, per sentirmi più sicura riguardo ai G.U.F.O., non sa che avrei condiviso queste informazioni con te,” si sentì in dovere di sottolineare, data la reazione strana del ragazzo.

“Okay, ma quel tipo non mi è mai piaciuto e continua a non piacermi,” commentò lui, senza alzare lo sguardo.

Emily corrugò la fronte per un attimo, poi scosse la testa decidendo di non pensarci. Matt era amico suo, non pretendeva che piacesse anche a Cecil. Anzi, nemmeno a lei era piaciuto all’inizio, quando non lo conosceva bene, perciò non poteva biasimarlo.

“Allora sarai felice di sapere che l’anno prossimo non si iscriverà a Hogwarts, vuole andare a lavorare per la Gazzetta del Profeta,” dichiarò distrattamente, mentre scriveva l’ultima frase del suo compito. “Fatto,” aggiunse poi, posando la penna.

Quando alzò lo sguardo trovò Cecil che la osservava e si sentì arrossire.

“Non capisco, ultimamente sei un po’ strana e quando ti vedo con lui non mi sembri molto a tuo agio, eppure ne parli così. È sempre stato palese che non volesse esserti solo amico.”

“Ma… lui sa benissimo di non piacermi in quel senso, anzi credo che in realtà gli piaccia la Rain,” lo informò, confusa. “Quando sono con lui mi concentro per tenere alte le barriere occlumantiche, perché non voglio più che legga i miei pensieri a suo piacimento. Non vuol dire che mi faccia sentire tesa o altro.”

Di cosa la stava accusando? Se lo domandò, ma non riuscì a darsi una risposta.

“Sicura che sia solo questo? Sai che puoi contare su di me, di qualsiasi cosa si tratti.”

Dopo un attimo di confusione qualcosa scattò nella mente di Emily trasmettendole un senso di angoscia. Aveva capito perché parlava così di Matt, e anche perché insisteva tanto.

“Blue te l’ha detto,” disse, e voleva che fosse una domanda ma le uscì in un tono diverso da quello che aveva previsto, oltre che tremante.

Tra tutti, non voleva che proprio Cecil lo sapesse. Sentì gli occhi pizzicare, ma li strinse per un attimo nel tentativo di riuscire a non piangere. Non voleva crollare così, perdipiù in pubblico, in biblioteca.

Lui non confermò né smentì, ma le rivolse uno sguardo dispiaciuto. Almeno pareva che non sapesse chi fosse stato a baciarla, ma solo che qualcuno lo avesse fatto, e questo se possibile la rassicurò.

“Credevo… che non ci fossero più segreti tra noi,” disse lui, e per Emily fu come ricevere uno schiaffo.

Non era la prima volta che le rinfacciava di non avergli detto qualcosa, e anche quella volta non aveva centrato il punto. Era disposta a dirgli tutto, ma nel limite del possibile, e il fatto che un professore l’avesse baciata senza il suo permesso non vi rientrava.

“Ma… questo è qualcosa di diverso!” ribatté, sforzandosi di tenere basso il tono della voce. “Non puoi chiedermi di dirti una cosa del genere. Io… è già tanto se l’ho detto a Blue!”

Si guardò intorno sperando di non aver attirato l’attenzione di nessuno e notò qualcosa che non le piacque per niente. Lontano da loro, parzialmente coperto da uno scaffale, c’era il professor Fiery che cercava un libro. Era di spalle, lei lo riconobbe dal suo inconfondibile mantello grigio.

Se li avesse visti o sentiti discutere così, probabilmente si sarebbe avvicinato. E poi cosa sarebbe successo? In quanto capo casa di Grifondoro, avrebbe parlato con Cecil per capire perché lei fosse sull’orlo delle lacrime? Oppure avrebbe aspettato il momento buono, cioè quando sarebbero stati soli nel suo ufficio, per tirare fuori un argomento delicato di cui lei non voleva più parlare?

Avrebbe capito che a lei piaceva Cecil e questo avrebbe portato a delle conseguenze?

Probabilmente stava esagerando, ma all’improvviso era agitata e incapace di pensare lucidamente. Aveva il fiato corto, il battito accelerato e continuava a guardarsi intorno per assicurarsi che Fiery non l’avesse ancora vista.

Una lacrima solitaria le solcò la guancia destra, sfuggendo ai suoi sforzi.

“Cecil… Andiamo a fare questo discorso in un altro posto, ti prego,” gli chiese, con voce tremante, e iniziò a mettere via le sue cose senza aspettare una risposta.

Con lo sguardo puntato sul materiale di erbologia, lo vide annuire con la coda dell’occhio e fare lo stesso.

Lei si asciugò la guancia e si incamminò per prima, facendo il giro largo per non rischiare di incrociare il professore. Nel frattempo si concentrò sul suo respiro nel tentativo di calmarsi.

Tra lei e Cecil era calato il silenzio, e rimasero zitti finché non furono arrivati in cima alla torre di astronomia. Quello era sempre stato il loro posto, dove stare insieme senza che nessuno lo sapesse, ma era anche il luogo in cui avevano litigato. Lo ricordò tristemente e decise che non voleva ripetere quell’esperienza.

Si fermò nel solito punto e prese un respiro profondo tenendo gli occhi chiusi, per respingere definitivamente tutta l’agitazione provata. Stava per riaprire gli occhi e sedersi quando si sentì stringere tra le braccia di Cecil.

Sussultò, non aspettandosi quel contatto improvviso.

Il suo abbraccio era così caldo e confortante che lei non poté fare a meno di abbandonarvisi e scoppiare a piangere silenziosamente, sentendosi una stupida. Si disse che stava facendo una scenata per niente, eppure non riusciva a trattenersi.

Rimasero così per qualche minuto, con lui che le accarezzava la schiena e lei che piangeva soffocando i singhiozzi, finché non si fu calmata.

“Scusami… sto bene adesso,” gli disse, allontanandosi da lui di qualche centimetro.

Lui non si ritrasse e la guardò negli occhi. Era dispiaciuto, lei glielo leggeva nello sguardo.

Si avvicinò con una mano e con gentilezza le asciugò le lacrime dal viso con il suo pollice, facendole chiudere gli occhi. Lo sentì passare con delicatezza sulle sue ciglia bagnate e avvertì uno strano brivido lungo la schiena.

“È colpa mia… Non volevo farti stare male. Ora capisco perché non volevi parlarmene,” dichiarò, senza allontanarsi da lei.

Le stava ancora tenendo il viso tra le mani, in un gesto che Emily non riusciva a spiegarsi e che le faceva sentire un calore nel petto.

“No… Non volevo dirtelo perché tu sei il ragazzo che mi piace, e non posso sopportare l’idea di sembrarti una debole che si lascia baciare dagli altri,” ammise a fatica, rimangiandosi il suo orgoglio.

“Ma tu non sei così, Emily. Sei la persona più forte che io conosca,” ribatté.

“Esagerato,” gli disse, alzando gli occhi al cielo.

“Non esagero invece. Al primo anno mi hai difeso dai bulli e hai continuato a farlo da allora. Non conosco nessuno come te… E quel bacio che ti hanno dato non cambia quello che penso.”

Emily abbassò lo sguardo. Era grata di sentirglielo dire, ma chissà perché ci stava male lo stesso.

“Io però volevo che il mio primo bacio… Ecco, che fosse per te…” ammise, senza guardarlo negli occhi.

Cecil non disse niente e lei ebbe l’impressione di averlo messo in una posizione difficile. Quando alzò lo sguardo, si accorse che le sue guance si erano imporporate e lo trovò adorabile. Inoltre era ancora così vicino…

“Chi… chi è stato?” le domandò con esitazione. “Blue non ha voluto dirmelo, dice di averti fatto una promessa.”

Emily sospirò tutta la sua tensione.

“Questo non te lo posso dire,” rispose.

Non si sentiva più sull’orlo delle lacrime, forse perché ormai le aveva versate tutte. Parlargli era stato inaspettatamente terapeutico, infatti si sentiva meglio, ed erano riusciti a non litigare.

“Perché? Chi stai proteggendo?”

“Non lo sto… proteggendo,” ripeté, a denti stretti. “Non te lo dirò, sarebbe troppo. Però non gli permetterò più di farmi niente, questo te lo assicuro,” dichiarò, determinata.

“Quindi non vuoi che ti aiuti… non so, a tenerlo lontano?”

Emily abbassò lo sguardo. Cecil che fronteggiava il professor Fiery per proteggere lei… No, non ce lo vedeva proprio. Inoltre lei aveva degli obblighi nei suoi confronti perché aveva accettato di fargli da assistente. Sospirò.

“Temo sia una cosa che spetti soltanto a me, ma… avevi ragione, è stato un bene parlartene.”

Cecil accennò un sorriso che lei non riuscì a ricambiare perché si sentiva stanca. Emotivamente, soprattutto.

Si aspettava che lui le avrebbe lasciato il viso da un momento all’altro, invece rimase così, a guardarla in un modo intenso che a lei non era familiare e che la spiazzò. Rimase immobile, rapita da quello sguardo.

Un attimo dopo lui si avvicinò di più, sebbene con esitazione, e lei capendo cosa stava per fare si sentì mancare il fiato.

Cecil posò le labbra sulle sue in un contatto breve e leggero che le fece battere il cuore all’impazzata. Si guardarono negli occhi, entrambi sorpresi, al che Emily si sentì avvampare e abbassò lo sguardo.

“P-perché l’hai fatto? Se è per pietà, non la voglio,” puntualizzò, non sapendo cosa pensare e non riuscendo a dire niente di meglio.

Era subito andata in confusione.

“Non… Non provo pietà per te,” sottolineò.

Lei alzò lo sguardo su di lui e vide che era arrossito e non la guardava in faccia.

“Allora… perché?” insistette, confusa.

“Non lo so,” ammise lui, decidendosi finalmente a ricambiare il suo sguardo.

Lei gli lesse negli occhi imbarazzo e incertezza.

L’aveva baciata e non sapeva perché. Era positivo? Emily pensò che lo fosse e non riuscì a trattenere un sorriso timido. La sua testa stava ancora girando a vuoto e il cuore non accennava a rallentare, mentre lei non riusciva a smettere di guardare il suo amico.

Quel ragazzo che per lei era bellissimo, e che la osservava con i suoi profondi occhi castani come se la vedesse per la prima volta.

Aveva le guance arrossate in un modo adorabile che le fece venire voglia di provocarlo più e più volte, così da poterlo vedere ancora così. Emily però si trattenne, perché non voleva esagerare e farlo scappare via. Quel momento tra loro aveva un qualcosa di meraviglioso e non voleva essere lei a spezzarlo.

Allungò lentamente la mano destra per passare il pollice sulle sue labbra, in un gesto istintivo e delicato che ne confermò la morbidezza.

“Allora possiamo… rifarlo?” gli domandò, sentendo che doveva almeno provare.

Lui si ritrasse lentamente, lasciando la presa sul viso di Emily.

“Non credo sia il caso,” rispose, spegnendo le sue speranze.

Lei si trattenne dall’avvicinarsi ancora, ma non si sentì comunque abbattuta. No, perché era appena successo qualcosa che reputava bellissimo.

Rimanendo ferma dov’era, si morse il labbro inferiore e continuò a osservare Cecil, notando che gli tremavano leggermente le spalle. Avrebbe voluto stringersi a lui e baciarlo comunque, soprattutto ora che lo vedeva così confuso.

Quel ragazzo aveva qualcosa di irresistibile, ma Emily sapeva di non dover cedere e non lo fece, cercando di portare la sua attenzione altrove. Era in grado di controllare i suoi istinti perché in gioco c’era qualcosa di più importante: la loro amicizia, la serenità che avevano costruito faticosamente e quel meraviglioso momento tra loro, che sperava durasse ancora a lungo.

Fu Cecil ad avvicinarsi e a baciarla di nuovo, sorprendendola davvero. Emily si aggrappò alle sue spalle e lo tenne vicino a sé, mentre seguiva i suoi movimenti impacciati. Erano inesperti entrambi, ma non importava. Questa volta il bacio durò di più, in un gioco di labbra che li lasciò entrambi senza fiato.

Si separarono per riprendere aria, giusto il tempo di guardarsi negli occhi con un misto di stupore e necessità, dopodiché udirono dei rumori che li fecero sobbalzare entrambi.

Un vociare sempre più vicino e dei passi.

Emily, senza pensare, lo prese per mano e lo portò più su, dove facevano lezione di astronomia. Un attimo dopo videro tre ragazzini entrare chiacchierando animatamente e andare ad affacciarsi alla balconata.

Fece segno a Cecil di fare silenzio e lentamente si mosse verso le scale, sempre trascinandolo con sé. Una volta qui iniziarono a scendere piano qualche gradino prima di tirare un sospiro di sollievo.

Si guardarono in faccia e trattennero entrambi una risata per lo spavento che si erano presi inutilmente.

Ripresero la loro lenta e silenziosa discesa. Giunti in fondo alla scalinata si fermarono e si resero conto di essere ancora per mano. Emily mollò la presa a malincuore, spostando altrove lo sguardo per l’imbarazzo.

Si erano appena baciati, era successo davvero… ed era stato Cecil a volerlo. Non poté fare a meno di ripensarci e di arrossire di nuovo.

Aveva dimenticato completamente il motivo per cui erano saliti sulla torre di astronomia e il suo pianto di poco prima. Nella testa aveva posto solo per Cecil e per il loro bacio, che sentiva ancora impresso sulle proprie labbra.

Significava forse che lei stava iniziando a piacergli? Se lo domandò e desiderò chiederglielo, ma non sapeva come fare.

Gli rivolse lo sguardo e lo trovò imbarazzato come prima, a osservarla di nascosto. Rivolse subito la sua attenzione altrove e lo stesso fece lei, di riflesso.

“Ehm, io adesso ho un impegno,” le disse, senza guardarla negli occhi.

Emily annuì. Le era chiaro che non volesse parlarne, non al momento almeno, ma a lei non sembrò comunque qualcosa di negativo.

“Allora ci vediamo in giro,” rispose, non sapendo come salutarlo.

Se ne andò per primo ed Emily rimase lì impalata, ancora incredula per ciò che era successo e indecisa su cosa fare adesso. Alla fine decise di tornare nel suo dormitorio, perché di certo non sarebbe riuscita a concentrarsi sullo studio.

Nella sala comune di Serpeverde trovò Ana, Nathan e Patricia che studiavano insieme ad altri due ragazzi. Per un istante pensò di unirsi a loro, ma capì subito che non sarebbe stata una buona idea e se ne andò nella sua stanza, dove si sdraiò subito a letto.

Prese dal comodino il suo MP3, mise le cuffie e si perse ad ascoltare musica per svariati minuti, ripercorrendo nella sua mente gli eventi di quel pomeriggio.

Prima di cena le amiche la raggiunsero in stanza e le chiesero se stesse bene. Emily rispose di sì senza dare spiegazioni, ma sapeva benissimo di avere la testa fra le nuvole e probabilmente dovevano averlo notato anche loro.

Era successo davvero. Certo, Cecil non le aveva dichiarato amore eterno, ma l’aveva baciata di sua iniziativa. Quello era sicuramente un segnale positivo, così si disse.




Note di quella che scrive

Scusate il ritardo a pubblicare! Credevo di avere tempo, invece ho dovuto lavorare più del previsto e nel tempo libero ho avuto altri impegni da incastrare. Spero che questo capitolo, tutto dedicato a Emily e Cecil, basti a farmi perdonare almeno un pochino.

Per Emily "non aver dato il suo primo bacio a Cecil" > "essere stata baciata da un professore con cui passa ancora del tempo da sola". Io come autrice sono esterna a tutto questo, non sto dicendo che sia la cosa più giusta da pensare.

Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo. Alla prossima!

P.s. purtroppo sarò incasinata ancora nel corso della settimana... quindi non prometto niente. Intanto ne approfitto per augurarvi di trascorrere serenamente questo periodo di festa ❤️

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


CAPITOLO 34

 


I giorni successivi Cecil non tirò fuori l’argomento ed Emily si sforzò di fare lo stesso, perché gli aveva promesso di dargli tempo. Ne avevano parlato dopo il ballo di Natale, in realtà, ma lei se lo ricordava bene e considerava quelle parole ancora valide.

Anzi, era proprio su quella sorta di accordo che si basava il loro rapporto, in bilico tra amicizia e qualcosa di più.

Lui si stava comportando normalmente, come se niente fosse, ed Emily non intendeva chiedergli niente di più.

Ogni tanto ripensava al loro bacio, a quanto era stato bello, e le bastava questo per emozionarsi. Quando le amiche parlavano dei loro progressi con i ragazzi, poi, sentiva di capire un po’ di più ciò che stavano dicendo.

In realtà lei non aveva fatto parola della cosa con nessuno, quasi temesse che parlandone avrebbe perso la sua magia, per così dire. Lo stava tenendo per sé, ma per una volta si trattava di un segreto bello.

Certo, quando erano tutti e tre insieme Blue li guardava con sospetto come se avesse già capito, e presto sarebbe riuscita a tirarle fuori la verità, Emily lo sapeva e non se ne faceva un problema. Aveva ben altro di cui preoccuparsi, ma niente che avrebbe potuto intaccare quel suo pensiero felice.

In quel periodo, con l’amica assistette ad alcuni allenamenti e alle partite di quidditch di Grifondoro, evitando però tutte le occasioni in cui sarebbe stata presente la squadra di Corvonero per non dover vedere Cristelle Hunt.

Blue aveva raccontato com’erano andate le cose anche a Cecil e Parker, e gli amici avevano dichiarato che non si sarebbero offesi non vedendole sugli spalti.

In quanto al fatto che Blue avesse detto a Cecil che qualcuno l’aveva baciata, Emily non gliene aveva fatta una colpa. No, innanzitutto perché non aveva detto chi era stato, mantenendo la loro promessa, ma soprattutto perché grazie a ciò ne avevano parlato e le cose tra loro erano migliorate improvvisamente.

Blue probabilmente l’aveva informato perché le stesse vicino e tenesse gli occhi aperti, o forse perché si rendesse conto che altri le giravano attorno, chissà. Insomma, Emily era certa che l’avesse fatto in buona fede, e in effetti la sua azione aveva avuto risvolti positivi. Molto positivi.

Poi ci fu una delle cene del Lumaclub e questa volta Emily invitò Cecil, che accettò di accompagnarla. Non andavano a quegli incontri insieme da un bel po’ di tempo e, di nuovo, lei vide la serata come una specie di appuntamento.

Un appuntamento in cui erano insieme a tanti altri ragazzi, con un professore che tirava le redini del discorso, ma pur sempre un appuntamento. Lei era decisa a chiedergliene uno vero e proprio, molto presto.

Tra impegni, studio e tempo con gli amici trascorse marzo e arrivò aprile.

Emily passava molto tempo con Cecil a studiare, ma non era successo niente. Ogni tanto si accorgeva che lui la stava osservando, altre volte invece era lei a guardarlo di nascosto. Nessuna novità tra loro, ma lei avvertiva un senso di complicità che sperava sentisse anche lui.

Il pensiero predominante purtroppo erano gli esami. Dopo una breve vacanza pasquale era iniziato il terzo trimestre, l’ultimo dell’anno scolastico, ed Emily iniziava a preoccuparsi che tutti i suoi impegni secondari potessero distrarla troppo. Per questo aveva preso una decisione sì sofferta, ma necessaria sotto più punti di vista.

Ci rifletté un’ultima volta mentre finiva di riordinare l’aula di babbanologia, quindi prese coraggio e si avvicinò al professore.

Fiery se ne stava seduto alla cattedra a modificare i suoi appunti relativi alla lezione, sottolineando delle parti e ampliandone altre. Quando Emily si fermò davanti a lui, sollevò lo sguardo.

“Professore, vorrei parlarle di una cosa se ha un attimo di tempo,” disse, cercando di sembrare rilassata come al solito.

“Certo,” rispose lui, posando la penna. “Si tratta dei G.U.F.O.? Minerva mi ha detto che ti ha proposto di svolgere anche quello di babbanologia e sono a tua disposizione per qualsiasi domanda o dubbio.”

“Non è questo, anche se era proprio dei G.U.F.O. che volevo parlarle.”

Il giovane professore le rivolse uno sguardo interrogativo che la spronò a continuare.

“Mi chiedevo se il mio aiuto le fosse davvero necessario in questi ultimi mesi dell’anno. Il fatto è che mi serve tutto il tempo possibile per studiare… e mentre svolgere altre attività è un modo per ripassare, assisterla durante le lezioni mi dà l’impressione di rimanere ferma,” ammise, sperando che capisse il suo punto di vista.

“Lo capisco… il programma del terzo anno ormai lo conoscerai a memoria,” commentò ed Emily gli diede conferma annuendo. “Preferiresti assistermi durante le lezioni del quarto o del quinto anno, magari?”

Lei strabuzzò gli occhi, spiazzata.

“In realtà starei studiando il programma da sola. E poi… conosco gli orari delle lezioni e temo proprio che non riuscirei a fare tutto,” obiettò, sentendosi in difficoltà davanti alla sua proposta.

Opal Fiery si grattò il mento in un gesto riflessivo che lei gli aveva visto compiere molte volte.

“Gli anni scorsi avevi una media impeccabile in ogni materia e so quanto ci tieni allo studio. La tua mi sembra una richiesta lecita… e io posso cavarmela da solo, come ho sempre fatto,” la rassicurò, rivolgendole un sorriso.

“Grazie professore,” rispose, sentendosi subito più leggera. “Ho finito qui, se non le serve altro io andrei.”

“Vai pure,” le accordò, riprendendo in mano la penna per tornare ai suoi appunti.

Emily si avviò con passo sicuro fuori dalla porta dell’aula, che chiuse alle sue spalle. Una volta fatto, strinse il pugno della mano destra e tirò il gomito verso di sé in un gesto di vittoria. Ce l’aveva fatta, aveva ottenuto ciò che voleva!

E in realtà era solo l’inizio. Perché sì, le piaceva aiutare con babbanologia e avrebbe voluto insegnare quella materia per tutta la vita, ma non accanto al professor Fiery. La sua intenzione era quella di rifiutare di assisterlo dall’anno successivo in poi, per non doverci più avere a che fare.

Solo il pensiero la fece sentire molto più rilassata, tanto che avrebbe voluto saltellare sul posto per la gioia.

“È successo qualcosa di bello?” le chiese Cecil, facendola sobbalzare.

Era comparso alle sue spalle chissà quando e si era avvicinato non visto.

“Cecil! Niente di che, ma da oggi avrò più tempo libero,” tagliò corto, non volendo affrontare lì quel discorso così delicato. “Non dovevamo trovarci in biblioteca?”

“Sì, ma Blue mi ha detto di vederci prima io e te perché sarebbe arrivata tardi, così sono venuto a prenderti,” le rispose.

“Oh, capisco. Allora iniziamo ad andare,” propose, quindi si incamminarono.

Raggiunta la biblioteca trovarono il loro solito tavolo già occupato. Dopotutto non era un buon orario per prendere i posti migliori, anzi mancava circa un’ora alla cena e gli altri studenti sembravano indaffarati a fare i compiti.

Emily e Cecil individuarono un posto più in vista, completamente libero, e decisero di mettersi lì.

Mentre apriva la sua borsa in cerca del materiale di difesa contro le arti oscure, lei notò Solomon Sharpridge a un tavolo poco distante e lo salutò con una mano.

Il Tassorosso ricambiò con poco entusiasmo, il che non era una novità conoscendolo.

Seduta accanto a lui c’era una ragazza che Emily aveva visto alle lezioni di babbanologia e che doveva avere la sua età.

“Allora, da che argomento iniziamo?” le chiese Cecil, richiamando la sua attenzione.

Emily aprì il libro a sua volta per dare uno sguardo veloce al programma. Non frequentavano insieme difesa contro le arti oscure, anzi lei aveva lezione insieme a Blue, ma a tutti e tre serviva un ripasso in vista degli esami.

Scelsero di andare con ordine, quindi Emily prese il quaderno dove teneva tutti i suoi appunti. Accanto a ogni paragrafo scritto a lezione aveva poi aggiunto altre informazioni trovate sui libri che aveva letto per approfondire, o apprese al club dei duellanti.

In ogni caso, tutti e tre se la cavavano bene con quella materia, sia con la teoria sia con la pratica, perciò non era la loro preoccupazione principale.

“Eccomi, scusate!” esclamò Blue appoggiando con un tonfo il suo materiale sul tavolo e guadagnandosi un rimprovero da parte di Madama Pince.

Non avevano ancora iniziato, perciò era arrivata al momento giusto. Comunque, ripassare in silenzio era molto noioso per Blue, che presto appoggiò il viso al suo libro con fare sconsolato.

Serviva un piano alternativo ed Emily si mise subito a pensarci, ignorando lo sguardo insistente dell’amica di Solomon.

“Forse c’è un posto migliore dove possiamo studiare,” dichiarò, alzandosi in piedi e mettendo via il materiale.

I suoi amici si scambiarono uno sguardo incuriosito e la imitarono.

Fecero appena in tempo ad alzarsi che Solomon Sharpridge si parò davanti a loro, il libro di difesa stretto al petto e la ragazza dai capelli neri dietro di lui.

“Scusate, abbiamo visto che stavate studiando difesa contro le arti oscure a ci chiedevamo se poteste aiutarci con una cosa che non capiamo,” disse il ragazzo, rivolgendo lo sguardo a Emily.

Lei guardò gli amici in cerca di una conferma prima di tornare voltata verso di lui, ma non fece in tempo a rispondere che Madama Pince li zittì di nuovo.

Emily indicò ai due di seguirla e così si incamminarono tutti insieme fuori dalla biblioteca, diretti all’aula del club dei duellanti.

“Sicura che possiamo stare qui?” chiese Cecil, guardandosi intorno con stupore.

“Non stiamo facendo niente di male,” intervenne Blue saltellando fino al palco posto al centro della sala, dove si svolgevano i duelli.

“Blue ha ragione. E poi, se il professor Brodie ci scoprisse darebbe la colpa a me, perché sono l’unica Serpeverde qui,” puntualizzò Emily, usando il palco come tavolo dove appoggiare il suo libro.

Alle sue spalle, ancora davanti alla porta ormai chiusa, sentì Solomon sussurrare le parole “mi devi un favore,” alla sua amica.

“Facciamo le presentazioni, che ne dite?” propose, incuriosita dal loro comportamento sospetto.

“Io sono Solomon Sharpridge, del terzo anno, e lei è Hanna Arsen,” dichiarò lui, voltandosi appena verso la compagna Grifondoro.

“P-piacere,” aggiunse lei, rivolgendo un fugace sguardo timido a tutti.

Anche loro si presentarono e a Emily non sfuggì il lieve rossore sulle guance di Hanna. Forse aveva difficoltà a rapportarsi con gli altri, o forse solo con gli studenti più grandi, pensò.

“Noi dobbiamo ripassare per i G.U.F.O., di cosa avevate bisogno?” chiese a Solomon, che subito le mostrò il suo libro di testo.

Visto l’argomento che non capivano, Emily annuì e chiese loro di aspettare un momento. Prese una pergamena bianca dalla sua borsa e buttò giù degli appunti.

Aveva avuto qualche difficoltà anche lei con alcune parti di quel capitolo, perciò aveva cercato approfondimenti altrove.

Ricordava ancora molto bene quelle cose e pensò che semplificarle per loro fosse la scelta migliore. Mentre scriveva, si accorse che gli amici erano andati da loro per provare ad aiutarli con lo stesso argomento, spiegandolo a voce per come se lo ricordavano.

Emily consegnò loro la pergamena qualche minuto dopo e i due ragazzi del terzo anno sgranarono gli occhi, colpiti.

“Ma queste informazioni non ci sono nel libro di testo!” esclamò Solomon, indicando un paragrafo in particolare.

“No infatti, le ho trovate in un vecchio manuale in biblioteca. Così sarà molto più semplice studiare, vedrete.”

Un sorriso increspò per un istante la solita espressione apatica del ragazzo, ma poi si fece pensieroso.

“Ci sarebbero anche degli incantesimi con cui io ho difficoltà, sempre di difesa contro le arti oscure,” dichiarò, cedendo il foglio ad Hanna e facendo un passo avanti.

“Va bene, prendiamo dei manichini allora,” suggerì Emily, facendogli segno di seguirla.

Insieme spostarono due dei manichini per l’allenamento in uno spazio libero della sala, quindi ci si posizionarono di fronte, a debita distanza.

Avrebbero potuto duellare, ma non le era sembrata una grande idea. Non aveva mai visto Solomon al club quindi non conosceva le sue capacità. Inoltre se qualcuno si fosse fatto male durante quella loro attività segreta sarebbero stati guai per tutti.

Emily prese nota mentalmente degli incantesimi con cui Solomon aveva difficoltà, quindi gli mostrò il corretto gesto del polso e gli chiese di provare ad eseguirli, per valutare la sua pronuncia.

Mentre si allenavano, notò con la coda dell’occhio che Hanna era rimasta con i suoi amici e stava leggendo la pergamena riassuntiva con loro. Le stava dando le spalle, perciò non aveva idea del suo stato d’animo, ma stava continuando comunque a insospettirsi.

Sospirò e si avvicinò a Solomon per prendergli il polso e muoverlo gentilmente nel modo giusto, dato che sembrava non averlo capito bene.

“Ecco, prova adesso,” lo spronò, e il ragazzo riuscì finalmente a eseguire l’incantesimo nel modo corretto.

Dopo avergli fatto i complimenti, Emily tornò con il pensiero a quello che stavano facendo gli altri amici.

“Sei un po’ strano oggi, mi stai nascondendo qualcosa per caso?” domandò a Solomon, che rimase impassibile e fece spallucce.

“Non mi conosci abbastanza per definirmi strano,” puntualizzò, per poi lanciare un incantesimo offensivo al manichino che aveva davanti.

“Dico sul serio… Ti prego, dimmi che ad Hanna non piace Cecil,” gli chiese, quindi lanciò loro un’altra occhiata preoccupata.

“Quello là? Ma no,” ribatté Solomon, alzando leggermente il tono di voce. “Perché, è il tuo ragazzo forse?”

Emily spostò il peso da un piede all’altro, titubante. Avrebbe voluto dire di sì, ma purtroppo non sarebbe stata la verità.

“No,” disse solo, fingendo che la cosa non le desse fastidio.

“Okay…” commentò il Tassorosso, sollevando un sopracciglio. “Adesso concentriamoci su questo però.”

Emily scosse la testa e gli fece vedere il movimento corretto per lanciare un altro incantesimo.

“Non ti facevo così interessato a studiare, Solomon. Con erbologia non lo eri.”

“Quella è una materia tanto complicata quanto inutile, pensavo fossi abbastanza intelligente da capirlo,” commentò aspramente, strappando un sorriso alla ragazza.

Si concentrarono sull’allenamento tornando silenziosi per una manciata di secondi, poi Solomon sospirò.

“A dire la verità… mi interessa solo cura delle creature magiche. Tutto il resto è una noiosa parentesi, niente di più... Però gli incantesimi sono necessari, quindi eccomi qui,” ammise, aggrottando le sopracciglia e tenendo lo sguardo basso.

“Per qui intendi a chiedermi aiuto? Beh, mi sembra un motivo di tutto rispetto. Torniamo dagli altri, ormai abbiamo finito,” dichiarò, convinta delle capacità che aveva dimostrato.

L’atmosfera in quel gruppo era leggermente cambiata, perché ora la timida Hanna sorrideva con aria più rilassata ascoltando le parole di Cecil e Blue.

“Vi diamo fastidio se restiamo a studiare qui, per conto nostro?” chiese Solomon.

“No, l’aula è grande, però quando usciamo noi uscite anche voi. Ti sto insegnando a infrangere le regole?” gli chiese scherzosamente, ricordando l’altra volta alla serra.

Il ragazzo scosse la testa e accennò un sorriso. Una breve scintilla nel suo sguardo le fece capire che anche lui doveva aver ripensato a quell’episodio.

“Non c’è pericolo, ero già propenso a farlo. Hanna, restiamo a studiare qui?”

La sua compagna, notando che erano tornati da loro, abbassò lo sguardo e annuì.

Alla fine tutti usarono il palco come tavolo per appoggiare libri e pergamene, ma i due gruppi di studio si posizionarono abbastanza lontani da non disturbarsi a vicenda.

Finalmente Emily e i suoi amici poterono dedicarsi al ripasso degli argomenti del loro anno.

Andando con ordine, ripeterono a turno gli argomenti soffermandosi sui più complicati e su quelli che, secondo Matt Crowley, probabilmente sarebbero stati oggetto dei G.U.F.O.

Si fermarono solo quando sentirono l’orologio scoccare le otto, perché si accorsero di essere in ritardo per la cena. Presero in fretta i loro libri e, dopo aver controllato che niente nell’aula fosse fuori posto, la lasciarono per andare di corsa nella sala grande.

“Dov’eri finita?” le chiese Ana, quando Emily si sedette di fronte a lei.

Era trafelata dalla corsa, perciò riprese fiato prima di risponderle.

“Stavo studiando e ho perso la cognizione del tempo,” ammise, iniziando a riempirsi il piatto.

“Dovevamo immaginarlo,” commentò Patricia, divertita, strappando un sorriso sia ad Ana sia a Nathan.

Emily si mise a mangiare pensando che non fosse il caso di raccontare agli amici dove aveva studiato. Era meglio che restasse un segreto tra loro.

 
Qualche giorno dopo vide Solomon da solo mentre camminava verso il giardino, dove si era data appuntamento con Cecil. Le giornate erano abbastanza calde da permettere delle piacevoli passeggiate, perciò avevano deciso di approfittarne.

Solomon stava tornando dalla lezione di cura delle creature magiche, infatti Emily riconobbe il libro che aveva con sé. Gli fece un saluto con la mano e il ragazzo si fermò.

“Ciao,” le disse, quando lei l’ebbe raggiunto.

“Hai appena avuto lezione?” gli chiese indicando il manuale e lui annuì.

Parlarono del più e del meno, dopodiché Emily si decise ad arrivare al punto. La volta in cui avevano studiato insieme difesa le era rimasta impressa e quella era l’occasione buona per cercare di capirci di più.

“La tua amica Hanna non era a lezione con te?”

Solomon sollevò un sopracciglio.

“La Arsen non è propriamente mia amica, frequentiamo insieme difesa contro le arti oscure,” puntualizzò, spiazzando Emily.

“Allora… perché eravate insieme quel giorno?”

“Per studiare?” sottolineò, come se stesse dicendo l’ovvio.

“Questo l’ho capito, ma c’è qualcosa che non mi torna,” ammise Emily, incrociando le braccia al petto.

“Diciamo che quel giorno, in biblioteca, ha scoperto che io e te ci conosciamo e mi ha chiesto di fare da intermediario,” rivelò lui, alzando le spalle come se fosse qualcosa che non gli interessava affatto.

“Con me?” insistette Emily, corrugando la fronte.

La ragazza non aveva nemmeno provato a parlarle, perciò lei proprio non capiva cosa volesse dire.

“No, voleva fare amicizia con voi in generale. Anzi tu la intimorisci… Non solo sei una studentessa più grande, ma sei anche l’aiutante del professore di babbanologia. Sei praticamente un insegnante.”

A quel commento Emily non poté fare a meno di sorridere, lusingata, poi tornò in sé e si rese conto che quella conversazione non stava andando da nessuna parte. Che Hanna volesse davvero avvicinarsi a Cecil?

“Con chi voleva fare amicizia allora?”

“Okay, hai vinto. Con la biondina spensierata che ti porti sempre dietro. Adesso devo andare, mi aspettano in sala comune.”

La salutò con un cenno della mano e proseguì per la sua strada, lasciandola sorpresa e senza parole. Hanna Arsen voleva diventare amica di Blue? O forse non era all’amicizia che puntava?

Emily accennò un sorriso mentre ci pensava, incuriosita da tutta quella faccenda. Riprese a camminare a sua volta dicendosi che avrebbe fatto finta di non sapere niente a riguardo, in attesa di vedere qualche sviluppo.

Tornò alla realtà solo quando notò Cecil in fondo al corridoio.

“Emily! Non arrivavi e così sono venuto a cercarti,” le disse, raggiungendola.

“Scusami, ho incontrato Solomon e abbiamo scambiato quattro chiacchiere,” tagliò corto, decidendo che non serviva entrare nei dettagli.

Era felice di poter stare un po’ in compagnia di Cecil, a passeggiare vicino al lago nero. Avrebbe voluto prenderlo sottobraccio mentre si dirigevano alla loro meta, ma si trattenne.

Il solo stare con lui a parlare di cose futili bastava a renderla felice.




Un salutino da quella che scrive

Buonsalve! Spero che stiate passando bene questo periodo di festa. Forse non avrò tempo per aggiornare una seconda volta questa settimana, perciò nel dubbio vi faccio già tanti auguri di buon anno!
 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


CAPITOLO 35

 


Ce l’aveva fatta, Emily si trovava a un appuntamento con Cecil! Quando gliel’aveva proposto si era aspettata un rifiuto, invece il ragazzo aveva accettato. Quindi quel weekend avevano deciso di andare a Hogsmeade insieme.

In realtà non era davvero un appuntamento, perché Emily l’aveva definita come un’uscita solo tra loro due, ma sapeva che la differenza c’era solo a parole e che anche lui doveva averlo capito.

Come prima cosa scelsero di prendere una burrobirra ai Tre Manici di Scopa, decidendo di rilassarsi e fare con comodo.  

Emily sognava da sempre di andare con lui da Madama Piediburro, a bere un tè e a mangiare dolcetti in un ambiente che sembrava pensato apposta per gli innamorati, ma le era parso eccessivo da proporre per quell’occasione. Non voleva spaventare Cecil, ora che era riuscita finalmente a convincerlo a uscire.

Ormai maggio era alle porte e con esso anche i G.U.F.O., anche per quello si era aspettata un rifiuto da parte del ragazzo.

Il pensiero dello studio era opprimente per entrambi, soprattutto adesso che gli esami erano vicini. Eppure lui aveva accettato e quell’appuntamento era diventato un’opportunità per fare una pausa totale dal ripasso sfrenato di quei giorni.

Tra un sorso di burrobirra e l’altro, e tra un discorso e l’altro, Emily fece di tutto per non sorridere come un’ebete. Era felice, davvero felice che lui le avesse dato un’occasione. Inoltre non si sentiva in ansia all’idea di dover fare a tutti costi colpo su di lui, perché era convinta che l’amico ormai la conoscesse.

Aveva deciso di prendere quell’uscita come una benedizione e di godersela a pieno. Certo, da sola con lui si sentiva comunque un po’ tesa, e il fatto che si fossero seduti al tavolo preferito delle coppiette non era d’aiuto.

Emily cercò di tenere lontani i pensieri inutili e si concentrò sul discorso dell’amico, intento a raccontarle gli eventi relativi agli ultimi allenamenti di quidditch.

“Davvero non pensi di continuare a giocare, dopo Hogwarts?” gli domandò a bruciapelo, cedendo alla curiosità.

Cecil strabuzzò gli occhi, sorpreso dalla sua domanda improvvisa.

“No, non credo faccia per me. È uno sport molto impegnativo già così e non oso immaginare come sia a livello professionale,” rispose, grattandosi la nuca con fare imbarazzato.

“Ma tu non sei il tipo che si arrende quando le cose si fanno difficili,” gli fece notare, volendo andare in fondo alla questione.

Dopo un attimo di esitazione, Cecil annuì.

“In realtà mi sento sotto pressione al pensiero di dovermi far notare per essere preso in una squadra… e poi giocare davanti a un grande pubblico, avere dei fan… No, non voglio un lavoro di questo tipo,” ammise e sospirò. “Forse, se fosse davvero il mio sogno, potrei sopportarlo, ma non mi appassiona più come all’inizio.”

Emily annuì e bevve un sorso di burrobirra.

“Ammetto che non ti ci vedo come giocatore professionista di quidditch. Non perché tu non sia bravo, anzi per quel poco che ci capisco mi è sembrato che te la cavassi bene in campo,” puntualizzò. “Però… Non so, ti immagino a fare un lavoro più tranquillo.”

E soprattutto non immaginava se stessa alle partite, e a dover scendere a patti col fatto che lui avesse delle fan... ma lo avrebbe sostenuto comunque al massimo delle sue capacità, se quella fosse stata la sua decisione.

Ascoltando la sua ultima affermazione Cecil sollevò un sopracciglio.

“Per esempio?”

“Per esempio… lo studioso di piante e radici,” buttò lì, senza pensarci troppo.

Lui trattenne una risata, consapevole che stesse scherzando.

“Sai benissimo che non me la cavo con erbologia, anzi non mi piace nemmeno,” sottolineò, come se lei lo avesse dimenticato, e la sua reazione fece sorridere anche lei. 

“Già, ma sei molto bravo in tante altre cose. Potresti fare bene qualsiasi lavoro.”

Cecil scosse la testa, poco convinto.

“Quella semmai sei tu. Io non sono minimamente al tuo livello.”

“Ma non è questo il punto, non dobbiamo essere uguali,” sottolineò Emily, perplessa. “Anzi… a volte mi domando se io non stia chiedendo troppo a me stessa. Le mie amiche vanno a ogni festa di cui scoprono l’esistenza, oppure si iscrivono ai club scolastici per puro divertimento,” raccontò, riferendosi prima alle due Serpeverde e poi a Blue. “Io invece faccio ciò che può portarmi a imparare qualcosa di nuovo.”

“Perché ami studiare! Ricordo ancora il primo anno, quando eri curiosa perché non conoscevi nulla e chiedevi le cose a me. Adesso invece sono io che ti chiedo aiuto,” le disse, rivolgendole un sorriso tirato.

Emily si perse per un istante a guardarlo, poi si riscosse e sentì di essere arrossita.

“Quindi non pensi che io sia noiosa?” gli chiese.

Non era una delle sue più grandi preoccupazioni, ma ogni tanto ci pensava. Succedeva soprattutto quando Ana e Patricia le facevano notare che pensava solo allo studio.
Cecil scosse la testa.

“Non sarei qui con te se lo fossi,” rispose, quindi terminò il suo boccale di burrobirra.

“Forse… forse siamo noiosi entrambi, per questo non ce ne accorgiamo,” ipotizzò lei in tono calmo, con lo sguardo basso sul suo bicchiere quasi vuoto.

“Chissà, può essere,” concordò lui ed Emily gli sorrise teneramente.

Un paio di minuti dopo erano di nuovo fuori, a passeggiare per le stradine di Hogsmeade.

Qua e là potevano notare, oltre agli abitanti del villaggio, tanti studenti di Hogwarts. Alcuni erano molto piccoli e magari quello era il primo anno in cui avevano la libertà di lasciare il castello per recarsi lì. Quel pensiero riportò alla mente di Emily tanti ricordi, quindi li rievocarono insieme passeggiando.

Giunti fuori da Mielandia, a lei venne un’idea.

“Che ne dici se io comprassi qualcosa per te e tu qualcosa per me? Poi ci ritroviamo qui fuori,” propose, sperando che all’amico piacesse la sua idea.

“Va bene, facciamolo.”

Felice, entrò per prima nel negozio seguita da Cecil. Subito si separarono ed Emily cercò i dolci al cioccolato che lui comprava sempre, convinta che li avrebbe graditi. Ormai conosceva i suoi gusti.

Conosceva anche quelli di Blue in realtà, ma la ragazza era un caso a parte: amava le api frizzole e non faceva che ripeterlo, inoltre si rimpinzava di ogni dolce alla zucca che trovava, ma non avrebbe mai rifiutato uno snack, di qualunque si trattasse.

Cecil invece era molto più riservato anche quando si trattava di cose frivole come quella, ma Emily l’aveva osservato bene.

Stava per andare a pagare quando lo vide alla cassa, perciò ingannò l’attesa spulciando i nuovi arrivi disposti su uno scaffale vicino. Quando lui uscì dalla porta pagò anche lei e lo raggiunse fuori.

“Come facevi a sapere che mi piacciono? Era proprio quello di cui avevo voglia...” sottolineò il ragazzo, dopo aver aperto il sacchetto che gli aveva dato.

Era sorpreso ma anche felice, infatti le rivolse un sorriso ampio che non gli aveva visto fare molto spesso.

“È stato facile scoprirlo, sono una buona osservatrice,” rispose in tono scherzoso.

Aprì anche lei il suo sacchetto e ci trovò una piuma al lampone, uno dei suoi dolci preferiti.

“Grazie!” esclamò, prendendola in mano con l’intenzione di scartarla subito.

Cercarono una panchina e si sedettero per mangiare i loro snack in tranquillità.

“Sai, questo mi fa venire in mente una cosa successa un po’ di tempo fa,” esordì Cecil, dopo un attimo di silenzio riempito solo dal rumore dei dolci che venivano scartati.

Emily gli rivolse lo sguardo, curiosa. Attese che andasse avanti senza spronarlo a parlare, anzi mise in bocca un pezzetto della sua caramella per iniziare ad assaporarla.

“Un giorno avevo gli allenamenti di quidditch e nello spogliatoio della squadra è comparso un cesto pieno di dolci con un biglietto di scuse,” disse, sorprendendola perché aveva quasi dimenticato quell’episodio.

Anzi credeva che ormai lui non ne avrebbe fatto parola.

“Dopo varie ipotesi da parte di tutti, il capitano ha decretato che doveva essere uno scherzo dei Corvonero o dei Serpeverde, quindi potevano essere dolci avvelenati o dagli effetti strani,” raccontò, facendola sorridere.

“E com’è finita?” gli chiese, curiosa di saperne di più.

Cecil esitò per un istante.

“Ho detto che era opera tua… Avevo riconosciuto la tua grafia sul biglietto.”

Emily strabuzzò gli occhi.

“Credevo che ti avrebbe imbarazzato farlo sapere… Per questo non l’ho firmato,” sottolineò, confusa.

“Lo avevo immaginato, ma non potevo permettere che tutti quei dolci andassero sprecati. E poi, ho capito che l’hai fatto per rendermi le cose più facili, e perché non provassero a vendicarsi ancora su entrambi,” aggiunse.

Emily sorrise e abbassò lo sguardo. Sapeva quanto lui odiasse trovarsi al centro dell’attenzione e non pensava che sarebbe intervenuto così per lei, mettendosi in una situazione scomoda.

“Grazie…” gli disse, senza alzare lo sguardo su di lui. “Ma poi ti hanno più dato fastidio?”

Non aveva osato chiederglielo dopo la figura che aveva fatto quella volta, però durante gli ultimi allenamenti lo aveva visto sereno e questo l’aveva rassicurata, anche se non del tutto.

Il ragazzo scosse la testa.

“Avranno capito che ho amici potenti,” scherzò.

Emily continuò a gustarsi il dolce, felice che le avesse raccontato quell’episodio. Si guardò attorno sentendosi davvero in pace con se stessa e spensierata, come se le preoccupazioni della vita fossero tutte lontane.

Quando tornò rivolta verso Cecil e si rese conto che le stava guardando le labbra, allora istintivamente si voltò e smise di leccare la caramella, imbarazzata.

“Ehm… facciamo due passi?” le propose e lei accettò silenziosamente con un cenno del capo.

Probabilmente aveva le guance rosse, ma si accorse che lo stesso valeva per Cecil.

Spostarono il discorso sull’argomento studio, che raffreddò gli animi, e camminarono senza meta per le stradine di Hogsmeade. Quando Emily si accorse che erano di fronte a Madama Piediburro sbirciò all’interno attraverso la vetrina e Cecil arrestò il passo.

“Credevo che oggi volessi venire qui,” le disse, sorprendendola.

“Come facevi a saperlo?”

“Ogni volta che ci siamo passati per caso hai guardato questo posto con curiosità,” rispose, facendola sentire di nuovo imbarazzata.

“Beh… Prima o poi vorrei venirci con te, ma per oggi mi era sembrato un po’ troppo,” ammise, spostando il peso da un piede all’altro.

Per stemperare l’imbarazzo osservò di nuovo la vetrina e solo allora notò Matt seduto a uno dei tavoli in fondo. Sorpresa, aguzzò la vista e non ci mise molto per riconoscere la persona che era con lui.

“Guarda, dentro ci sono Matt e Batilda Rain!” esclamò, trattenendosi dall’indicarli. “Che bello, sono felice per lui.”

Cecil sbuffò.

“Parli di questa sala da tè come se andarci fosse una specie di traguardo importante…”

Emily si sentì in imbarazzo nuovamente. In un certo senso lo era, ma solo per lei, e ora che se ne rendeva conto se ne vergognò.

“Non volevo dire questo… Pensavo solo che magari è riuscito ad avere finalmente un appuntamento con la persona che gli piace.”

Tornò rivolta verso Cecil e lo trovò con lo sguardo basso e le mani in tasca, un’espressione dispiaciuta sul viso. Si rese conto di ciò che aveva detto e del fatto che, in realtà, avesse appena descritto la propria situazione. Questo la lasciò senza parole per un istante che le sembrò infinito.

“Ecco… Davvero voi due siete solo amici? Cioè, non è stato lui a baciarti quella volta?” le domandò Cecil, facendola tornare di colpo al presente.

Anzi al passato, un passato ancora troppo recente e che non avrebbe voluto rievocare.

“Non è stato lui, non farebbe mai una cosa simile,” dichiarò con decisione, sperando che le credesse. “Lui è un legilimens, sa che non avrei voluto… e saprebbe anche che quella cosa mi ha disgustata. Non voglio parlarne più, per favore,” gli chiese, cercando di non lasciare spazio ai pensieri tristi.

“Scusa Emily, non ne parlerò più allora,” le rispose rivolgendole uno sguardo dispiaciuto. “Voglio solo sapere che stai bene.”

Lei annuì e accennò un sorriso.

“Tu hai… sovrascritto quel momento, e per me conta solo questo,” ammise.

Tornò a guardare Matt per un attimo, poi riprese a camminare per prima seguita da Cecil, in quella stradina dove non c’era praticamente nessuno.

“Al quarto anno, quando ho conosciuto Matt, lui mi ha proposto delle lezioni di legilimanzia per scoprire cosa pensassi tu,” decise di rivelargli, per riempire il silenzio. “Ma a me non sembrava giusto e non ho mai accettato.”

Si voltò verso di lui e lo trovò con le guance arrossate, che le rivolgeva uno sguardo sorpreso.

“Ogni tanto però mi chiedo se non ho sprecato un’occasione,” continuò. “Se tu non avresti preferito avere accanto una persona che sapesse sempre cosa fare e cosa non fare, quando non insistere, come non metterti in imbarazzo…”

Cecil le afferrò un polso e lei si fermò, rivolgendo a lui tutta la sua attenzione.

“No, io non voglio stare con qualcuno che mi legge nella mente per vedere cosa voglio. In certi casi tu lo capisci già, senza bisogno di questi trucchetti... Altre volte invece mi sorprendi, ma non è per forza una cosa negativa.”

Nuovamente imbarazzata dalle sue parole e dalla sicurezza con cui gliele aveva rivolte, Emily portò alla bocca la piuma di zucchero e ci posò la lingua, come se assaporarla potesse calmarla e tenerle impegnata la mente. Quell’azione ebbe l’effetto contrario, perché Cecil puntò ancora una volta lo sguardo sulle sue labbra.

Si avvicinò di qualche centimetro, la presa sul suo polso ancora salda ma gentile.

“Io… forse sono un po’ lento, non capisco se è da prima che cerchi di provocarmi… Ma sono un ragazzo anche io,” puntualizzò, facendola avvampare.

Un attimo dopo si avvicinò di più, in modo lento ed esitante. Diede una leccata alla caramella, proprio dal lato opposto rispetto a dove si trovava la lingua di Emily.

Vedendolo avvicinarsi così tanto al suo viso e avvertendo la leggera spinta applicata da quel breve contatto, lei si sentì percorrere da un brivido.

E poi Cecil si allontanò di poco, con lo sguardo di nuovo basso e il viso più rosso che mai. Forse si era reso conto solo in quel momento di ciò che aveva detto e fatto.

Emily continuava a guardarlo come incantata, la caramella ancora appoggiata sulla bocca e gli occhi che le bruciavano per l’emozione. L’impulso si fare qualcosa la travolse, quella volta come in passato, e non riuscì a zittirlo. Non riuscì a ritrarsi per lasciare a Cecil il suo spazio e il suo tempo, o per vedere come avrebbe reagito dopo.

No, seguì ancora una volta il suo istinto e agì.

Spostò la piuma di zucchero e annullò la distanza per dargli un bacio, trovandolo inaspettatamente pronto a ricambiare. Con gli occhi chiusi, assaporò quel bacio al gusto di lampone e cioccolato.

Poi mosse la lingua per sfiorare le sue labbra e lui le schiuse permettendole di approfondire il contatto. Era la prima volta che dava un bacio di quel tipo e non aveva idea di cosa stesse facendo, ma non stava seguendo la ragione bensì l’istinto.

Aveva il braccio destro teso verso il basso, con il rischio che la caramella le scivolasse di mano, mentre il polso del sinistro era ancora stretto nella presa gentile di Cecil.

L’altra sua mano la sentiva calda e confortante sulla propria schiena, in un contatto che forse voleva assicurarsi che non scappasse, ma che non la teneva premuta contro il suo corpo. Anzi, tra di loro c’erano alcuni centimetri di distanza.

Fu lui a interrompere il bacio un attimo dopo, lasciandola con entrambe le mani e rivolgendole uno sguardo incerto ma anche intenso che la fece sciogliere.

Emily aveva la testa più confusa che mai e il cuore che le martellava nel petto.

Cecil si passò una mano tra i capelli rivolgendo lo sguardo altrove, pensieroso, ma tornò subito a guardare lei.

“Emily... Scusa se faccio così, anche se non ti ho ancora dato una vera risposta,” disse, facendola tornare alla realtà.

Era vero, stavano uscendo in amicizia e lui non le aveva detto se la ricambiava o meno, ma quel bacio doveva pur significare qualcosa, o almeno questo pensò Emily.

“Non so cosa mi prende quando sono con te… Sono veramente confuso…” ammise, nascondendo metà del viso dietro al palmo di una mano.

“Anche io sono confusa, e felice, e mi preoccupo per ogni minima cosa… È perché mi piaci,” ammise, facendolo avvampare e sentendosi arrossire a sua volta.

Ripresero a camminare in silenzio, tenendo qualche centimetro di distanza tra loro, e rimandarono il discorso a un secondo momento. Emily si sentiva sopraffatta dalle emozioni e immaginava che anche per Cecil fosse lo stesso, perciò non osò mettergli fretta. In un certo senso, credeva di aver avuto la sua risposta.

Ignorarono l’imbarazzo passando ad altri argomenti, ma li portarono avanti in modo tiepido e distratto. Ormai il pomeriggio era quasi finito perciò si avviarono verso Hogwarts, dove presto sarebbe stata servita la cena.

 
Maggio trascorse troppo velocemente ed Emily lo passò soprattutto sui libri, sempre più in ansia per i G.U.F.O. imminenti.

L’ultimo giorno di scuola salutò Matt Crowley con un grande abbraccio, dispiaciuta perché non lo avrebbe più rivisto tra quelle mura, e gli augurò buona fortuna per tutto… E poi fu il momento di affrontare davvero gli esami.

Quando, finito l’ultimo, uscì dalla sala grande, si sentiva stremata. Aveva dato il meglio di sé, ma temeva comunque di aver fatto qualche errore stupido, e aveva alcune incertezze sulle risposte date.

Festeggiò con Blue e Cecil sfogando tutta la tensione di quei giorni, come se la consapevolezza che l’indomani avrebbero visto i risultati non fosse affatto opprimente.

Alla fine Emily poté tirare un sospiro di sollievo, perché aveva preso ben 10 G.U.F.O. e quasi tutti con il massimo dei voti. L’eccezione fu antiche rune, nella quale se la cavò con un oltre ogni previsione. Insomma, non poteva essere del tutto soddisfatta di sé stessa ma si sentiva comunque compiaciuta, oltre che bisognosa di riposare un po’.

In quanto ai suoi amici, Blue fallì in astronomia ed Emily sospettava che non ci avesse minimamente provato. Cecil invece ottenne i G.U.F.O. in ogni materia che aveva frequentato, anche in erbologia sebbene per il rotto della cuffia.

Tutti e tre soddisfatti, presero i loro bagagli e raggiunsero il treno per tornare a casa. Durante il viaggio parlarono di argomenti frivoli, tra i quali le loro aspettative per l’estate e tutte le cose belle successe nel corso di quell’anno scolastico.

Quando, arrivati alla stazione di King’s Cross, dovettero separarsi, Blue strinse in un abbraccio prima Cecil e poi Emily. Dopo fu il suo turno di abbracciare l’amico, e quel contatto con lui le trasmise molto di più. Era come se non volesse salutarlo… e si domandò se anche per lui fosse lo stesso.

Purtroppo, però, dovettero separarsi per tornare ognuno dalla propria famiglia. E così terminò il loro quinto anno a Hogwarts.


 

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


CAPITOLO 36

 


1° settembre 2008

Come l’anno precedente, Emily raggiunse il binario insieme ai suoi amici dopo aver consumato una piacevole colazione in caffetteria, raccontandosi l’un l’altro com’erano andate le vacanze.

Purtroppo non erano riusciti a vedersi nel corso dei mesi estivi perché lei era andata in viaggio con i suoi genitori, invece Blue aveva iniziato ad aiutare seriamente sua madre in negozio. Cecil era stato con la sua famiglia e aveva fatto le compere per la scuola insieme a Parker e agli altri amici della loro casa.

Emily era felice di essere di nuovo con loro ed era entusiasta per l’inizio della scuola. Erano al sesto anno e lei aveva sedici anni, ma a gennaio sarebbero stati diciassette. Insomma, per il mondo magico presto sarebbe stata maggiorenne!

Lei non era davvero interessata alle cose riservate agli adulti come gli alcolici, però si sentiva più matura di prima e pronta per il cambiamento, anche se simbolico. Inoltre avrebbe potuto finalmente fare incantesimi fuori da scuola e non si trattava certo di una novità da poco.

E poi sperava che quello fosse l’anno della svolta, perché Cecil le aveva dato segnali positivi… anzi, molto positivi.

Nel corso delle vacanze si erano tenuti in contatto tramite lettera, ma nessuno dei due aveva accennato ai baci che c’erano stati ed Emily non gli aveva scritto quanto lui le era mancato. Malgrado ciò, era certa che tre mesi di lontananza non avessero cancellato tutto.

Quell’ultimo bacio a Hogsmeade era stato così travolgente che ogni tanto ci ripensava e le sembrava di sentirlo ancora sulle labbra... ma non aveva idea se per lui fosse lo stesso.

Salirono sul treno e presero posto su una carrozza libera, che occuparono da soli per tutto il corso del viaggio.

“Apri frizzole, finalmente!” esclamò Blue, tornando al suo posto dopo aver fatto acquisti dal carrello.

Anche Emily e Cecil scartarono i loro snack e iniziarono a mangiare, allegri.

A lei erano mancati moltissimo i dolci del mondo magico e ogni volta, quando li compravano sul treno, se ne rendeva conto più che mai. Nel mondo babbano non esisteva niente di simile. Certo, c’erano anche cose che i babbani avevano e i maghi no, e questo secondo lei era un vero peccato.

“Questo sarà un anno meraviglioso, me lo sento,” continuò la bionda, mentre ammirava il suo bottino. “Soprattutto perché non dovrò più frequentare astronomia,” aggiunse sfoggiando un sorriso soddisfatto.

Emily lo ricambiò, divertita.

“Non ho mai visto nessuno così felice di aver fallito un esame.”

“Già, nemmeno io,” dichiarò Cecil ridacchiando. “A parte astronomia, c’è qualche altra materia che non frequenterai?”

Blue scosse la testa.

“No, purtroppo. Avrei fatto volentieri a meno di erbologia e storia, ma purtroppo i voti che ho preso bastano ad accedere alle lezioni. Sarà per l’anno prossimo!”

“Come ti capisco, almeno riguardo a erbologia…” commentò Cecil, avvilito.

“Ragazzi, non so proprio come faccia a non piacervi,” intervenne Emily, che in realtà ci pensava da un po’. “Non avete notato come si colleghi con cura delle creature magiche e pozioni? Io questo lo trovo affascinante.”

“Invece per me è noiosa e troppo complicata,” le rispose Blue, accavallando le gambe. “Non intendo fare la medimaga, né la pozionista, né altro che abbia anche solo lontanamente a che fare con erbologia, per fortuna, quindi mi va bene così. Tu invece?” chiese a Cecil.

“Io… non ho ancora un’idea precisa riguardo al mio futuro, ma di certo non sono abbastanza bravo in pozioni da pensare di poter continuare in quel campo. Inoltre fare il pozionista per tutta la vita non è un’idea che mi entusiasma.”

“Già, sono gli incantesimi quelli che ti piacciono davvero,” commentò Emily, accennando un sorriso.

“Non posso darti torto.”

“Quanto sarebbe bello se in futuro entrambi lavorerete a Hogwarts! Cecil, tu come professore di incantesimi s’intende. Ah, e ovviamente verrete a comprare vestiti fatti su misura nel mio negozio,” disse Blue, con sguardo sognante.

Il ragazzo ridacchiò e anche Emily sorrise.

Quello scenario, doveva ammetterlo, non le dispiaceva per niente. Lo vedeva bene come insegnante e la prospettiva di lavorare nella stessa scuola sembrava un sogno. Hogwarts, poi! Un futuro del genere avrebbe superato ogni sua aspettativa.

“Non credo di essere tagliato per l’insegnamento,” ribatté, rivolgendo alla bionda un sorriso amaro. “A proposito del futuro, ho deciso che questo sarà il mio ultimo anno nella squadra di quidditch.”

Emily era certa che l’avesse detto per cambiare argomento. Ricordava ancora quando lui aveva deciso di informarsi sul mondo del lavoro, al quarto anno. Aveva iniziato a farsi domande e a cercare il suo scopo nella vita, ma ancora non lo aveva trovato.

No, lei non avrebbe infierito insistendo perché ne parlasse. Dopotutto, era certa che ci stesse riflettendo e che presto avrebbe capito quale fosse la sua strada, quella più giusta per lui. Di possibilità da considerare ne aveva ancora tante, e lo stesso si poteva dire del tempo a sua disposizione.

“Sempre se ti prendono in squadra,” commentò beffarda Blue, che si guadagnò un’occhiataccia da parte dell’amico.

“Quindi non hai cambiato idea. È perché pensi di concentrarti solo sullo studio l’anno prossimo?” indagò Emily, curiosa.

“Sì e no. Sicuramente mi servirà più tempo libero, in vista dei M.A.G.O., ma non è questo. Mi diverto a giocare, ma ormai è solo un passatempo, lo sai,” rispose, poi rivolse lo sguardo alla bionda. “Sosterrò i provini, ma se non mi prendono non mi importerà poi molto.”

Emily sapeva già che il quidditch non era la sua strada, perché ne avevano parlato in passato, ma sentirglielo dire adesso le fece capire che aveva preso davvero le distanze dallo sport, almeno a livello mentale. Prima ne parlava con più entusiasmo, ora come se fosse soltanto un’attività extrascolastica.

“Vado a cambiarmi,” annunciò lei, dopo aver finito almeno la metà degli snack che aveva acquistato.

Uscì dalla cabina e si incamminò verso il bagno più vicino portando con sé la divisa, che subito indossò. Prima di andare si guardò un attimo allo specchio. L’aveva già provata a casa ma vedersi così, sul treno per Hogwarts, le dava un’impressione totalmente diversa.

Forse aveva smesso di crescere in altezza, o almeno così sembrava. In quanto alla divisa, però, lei adesso la riempiva in un modo diverso. Non era ancora il momento di cambiarla e forse non lo sarebbe mai stato, ma Emily aveva notato che le andava più giusta sul seno.

Si sistemò la gonna per assicurarsi che non fosse troppo corta e uscì dal bagno per tornare dai suoi amici. Incontrò Cecil poco più avanti, in corridoio. Anche lui aveva con sé l’uniforme scolastica, segno che stava andando a cambiarsi.

Accennò un sorriso che lei ricambiò, ma quando le passò accanto ebbe l’impressione che fosse imbarazzato.

Nella cabina trovò Blue già pronta e le rivolse un’espressione stupita.

“Ti sei cambiata qui?” domandò, pensando che avesse fatto davvero in fretta.

La ragazza le rivolse un sorriso furbo e scosse la testa.

“Ero già pronta, ho solo trasfigurato i miei vestiti,” rivelò con aria soddisfatta.

“Devi assolutamente insegnarmelo,” le disse subito Emily, colpita.

Quando si trattava di vestiti, Blue conosceva ogni incantesimo o almeno così sembrava. Lei invece non si interessava più di tanto di abbigliamento, ma se c’era di mezzo l’uniforme scolastica allora sì, pensò che probabilmente le sarebbe stato utile.

“Volentieri, con tutto quello che mi hai insegnato tu in questi anni,” ridacchiò. “Un giorno vieni in dormitorio da me così ti spiego come si fa.”

Il resto del viaggio non fu poi tanto lungo e presto arrivarono a Hogwarts, dove si riunirono con gli altri compagni delle rispettive case. Dal tavolo di Serpeverde, seduta con Patricia, Nathan e Ana, Emily assistette allo smistamento e ascoltò il discorso della McGranitt.

La donna annunciò che quell’anno avrebbe lasciato la cattedra di trasfigurazione per dedicarsi unicamente al suo ruolo di preside. Al suo posto, nel corpo insegnanti era stata accolta la giovane signora Yvonne Valence Rain, ex alunna di origini francesi.

Uno studente seduto poco distante da Emily disse che era la moglie del fratello maggiore di Batilda, il famoso auror Lenard Rain. Lei capì a chi si riferisse perché l’aveva visto comparire sulle pagine della Gazzetta del Profeta, e lo aveva notato proprio perché il suo nome era lo stesso della compagna.

Non che lei fosse un’appassionata lettrice del Profeta, ma spesso lo aveva visto tra le mani di Matt o appoggiato accanto al suo piatto quando facevano colazione insieme.

Ripensare a Matt Crowley le fece provare un moto di malinconia. Erano rimasti in contatto, ma era strano pensare che lui non era più a Hogwarts.

Tante pietanze deliziose comparvero sulla tavola dando inizio al banchetto e ricordandole quanto fosse affamata.

“Ehi, ho saputo di una festa questa sera,” sussurrò Patricia, mentre si riempiva il piatto.

“La prima sera dell’anno scolastico?” le domandò Nathan, sorpreso.

“Già, nella sala comune di Corvonero. Pare che qualcuno abbia corrotto i prefetti della loro casa, perciò abbiamo il via libera,” spiegò la rossa, concentrata sulla sua cena.

“Io passo. Preferisco riposarmi un po’,” dichiarò Ana.

Né a Emily né a Patricia passò inosservata l’occhiata che la bionda aveva rivolto a Nathan. I due si frequentavano da un anno ormai e le amiche sapevano dei loro progressi, perché lei le teneva aggiornate a riguardo.

Era discreta in realtà, più di Patricia almeno, però aveva sempre lasciato intendere molto.

Altro che riposare, probabilmente avrebbe passato la serata con lui.

“E tu?” le chiese la rossa, facendo finta di niente.

“Sai che non amo queste cose,” disse, senza bisogno di pensarci.

“Eddai Emily, è un’occasione da non perdere. Sono tutti disorganizzati perché è la prima sera, nessuno si aspetta una festa. Dobbiamo solo stare attenti a Gazza e ai capiscuola,” insistette.

“Appunto! Non so come fai a pensare che riusciremo a sgattaiolare fuori dal dormitorio senza che la Rain se ne accorga,” ribatté Emily, alludendo al fatto che aveva notato la spilla da caposcuola appuntata sul petto della loro compagna Serpeverde.

“Ma non saremo in tanti, te lo assicuro, ed è per questo che andrà tutto bene. È un’informazione segretissima, solo per quelli del sesto e del settimo anno! E, beh, tutti i Corvonero, ma non è rilevante.”

Emily sospirò e abbassò lo sguardo. Sapeva che l’amica era in cerca del suo prossimo fidanzato dopo che si era lasciata con l’ultimo, prima dell’inizio delle vacanze estive, ma lei non trovava nessun motivo per accompagnarla.

“Quindi anche gli studenti del sesto anno delle altre case lo sanno?” chiese Ana, al che Emily alzò lo sguardo su di lei.

Se c’era la possibilità che anche Cecil fosse presente, allora sì che era interessata.

Subito si accorse che la bionda stava facendo un’espressione furba, chiaro segno che avesse parlato per sostenere Patricia, ma non le importò. Se era vero ciò che stavano dicendo, allora la serata forse poteva rivelarsi piacevole.

“Va bene, vengo,” si arrese, sperando di non pentirsene in seguito. “Ma se non c’è chi dico io, me ne vado!”

“Chi dico io…” le fece il verso Nathan, scuotendo la testa.

Emily avrebbe voluto dargli un amichevole spintone, ma il ragazzo era seduto troppo lontano da lei, perciò si limitò a fulminarlo con lo sguardo.

Dopo cena, svuotò il baule servendosi della magia e indossò qualcosa di comodo ma carino: dei leggins neri e un maglioncino abbastanza caldo.

Patricia invece aveva scelto qualcosa di più vistoso, ovvero un top scollato accompagnato da una gonna corta, il che le fece sorgere dei dubbi sul tipo di festa a cui stavano per prendere parte.

Non trovarono nessuno nella loro sala comune, quasi come se tutti si fossero messi d’accordo per essere altrove, perciò uscirono non viste. Nei sotterranei vuoti i loro passi risuonavano leggeri ed Emily stava già iniziando a pentirsi della sua scelta.

Perché proprio i Corvonero avrebbero ospitato quella festa, riservata solo ai ragazzi del sesto e del settimo anno? Emily pensò che forse era tutto uno scherzo per farla finire nei guai, talmente era forte la sua preoccupazione all’idea di farsi beccare.

Passare davanti alla sala grande per raggiungere le scale fu molto rischioso, ma necessario, quindi le due ragazze aumentarono il passo.

“Spero di incontrare qualcuno di carino alla festa,” sussurrò la rossa, mentre salivano i primi gradini. “Ho già in mente un paio di persone in realtà, ma mi tengo aperta a tutte le possibilità. Sai, in estate ho conosciuto un ragazzo babbano, un tipo un po’ scemo ma baciava bene, e mi serve un degno sostituto,” ridacchiò.

“Pensavo che i babbani non ti interessassero,” commentò Emily, guardandosi intorno con fare circospetto, perché l’amica le aveva parlato sempre solo di ragazzi conosciuti a Hogwarts.
Patricia fece spallucce e arricciò le labbra in una smorfia.

“Ma quando mai, non mi faccio di questi problemi. Mio padre è babbano, te lo avevo detto? Comunque, capita che inviti a casa degli amici e a volte questi amici hanno dei figli... Non so se mi spiego.”

Emily rimase sorpresa dalle sue parole, perché credeva che l’amica fosse una purosangue come Ana. Non ne aveva mai parlato in effetti, forse perché lei non voleva essere guardata diversamente come era capitato ad altri, almeno ai primi anni. In Serpeverde, dopotutto, le streghe come loro due erano in minoranza.

“Eccoci, siamo arrivate,” dichiarò Patricia.

Emily tirò un sospiro di sollievo, felice di non aver incontrato nessuno lungo il cammino.

Per entrare nel dormitorio di Corvonero era necessario rispondere a un indovinello e, con suo sommo stupore, Patricia lo fece senza alcuna esitazione. Subito dopo ridacchiò, divertita.

“Uno dei tuoi tanti ragazzi ti ha rivelato la risposta?” le chiese Emily, mentre il passaggio si schiudeva davanti a loro.

La rossa annuì.

“Un ex, sì. Gli ho promesso di passare un po’ di tempo con lui stasera,” spiegò, rigirandosi una ciocca di capelli tra le dita.

Emily si chiese se quella non fosse in realtà una festa per pochi, cioè per chi avesse amici tra i Corvonero. Mentre si aggirava, seguendo Patricia, per la loro sala comune, si accorse che lei non ne aveva. Non lì almeno, perché Matt non frequentava più Hogwarts.

Si guardò intorno in ammirazione, trovandosi in un ambiente totalmente diverso dalla sua sala comune. Quella di Corvonero era situata in una torre, era molto grande e, viste le vetrate, di giorno doveva essere ben illuminata. Quella di Serpeverde invece era abbastanza tetra per i suoi gusti, oltre che fredda, ma col tempo aveva imparato ad apprezzarla.

Senza rendersene conto aveva perso di vista Patricia e un paio di ragazzi approfittarono del fatto che fosse sola per cercare di attaccare bottone, ma lei li liquidò con una scusa. Trovò l’amica qualche minuto dopo, accanto a un tavolo sul quale erano state posizionate delle bevande. A colpo d’occhio notò che alcune dovevano essere alcoliche.

Come temeva, quella festa non sembrava proprio fare al caso suo.

Inoltre, malgrado fossero presenti ragazzi appartenenti a tutte le case, non vedeva né Blue né Cecil. Sospirò tutto il suo sconforto e attese qualche minuto nella speranza che arrivassero più tardi, ma niente.

Quando avvisò Patricia che se ne stava per andare dovette combattere con le rimostranze della ragazza, che però l’aveva ignorata per quasi tutto il tempo per chiacchierare con l’uno o con l’altro compagno.

Emily lasciò la sala comune di Corvonero pensando di aver fatto uno sforzo per niente, perché aveva attraversato mezzo castello di nascosto senza un valido motivo. Era ovvio, pensandoci a mente fredda, che Cecil non si sarebbe presentato a un evento del genere.

Inoltre iniziava a essere stanca, perciò sobbalzò quando si ritrovò una bacchetta puntata contro, ad accecarla improvvisamente.

In quell’attimo di confusione sperò che non si trattasse della Rain, altrimenti sarebbe stato molto difficile giustificarsi.

Sbatté le palpebre più volte e quando riuscì a mettere a fuoco la persona che aveva davanti trasalì. Si trattava del professore di difesa contro le arti oscure.

Lui l’aveva chiaramente riconosciuta, malgrado non indossasse i colori di Serpeverde, perché la stava fissando con uno sguardo minaccioso; lo stesso di quando, a lezione, si rivolgeva agli studenti della sua casa… ma, in qualche modo, ancora più intimidatorio.

“Signorina Lewis, cosa ci fa fuori dal letto a quest’ora della notte?” domandò in un tono di voce che le diede i brividi.

“Professore… Ecco… Non riuscivo a prendere sonno e così sono uscita per fare due passi,” rispose, sentendosi immediatamente stupida.

“Vestita così?” chiese poi l’uomo, osservandola meglio.

“È il mio pigiama, signore,” buttò lì, senza pensarci. “Sa com’è nei sotterranei, fa freddo…” aggiunse, stringendosi nel maglione.

Brodie sospirò rumorosamente.

“Signorina Lewis, non so cosa stia tramando ma finisce qui. Non ha più dato problemi dopo il suo primo anno, ma evidentemente ha deciso che questo fosse il momento buono per tornare a infrangere le regole,” dichiarò, dopodiché l’afferrò per un braccio e si incamminò verso i sotterranei trascinandola con sé.

“Sarò costretto a comunicarlo alla preside, domattina,” continuò, “e a togliere 30 punti a Serpeverde, perché l’ho trovata in giro dopo il coprifuoco!”

“Mi scusi professore, non accadrà più,” dichiarò a sguardo basso, con un atteggiamento arrendevole.

Ormai avevano raggiunto l’accesso al dormitorio quindi lui le lasciò bruscamente il braccio.

“Lo spero, signorina Lewis. Sappia che la tengo d’occhio,” sottolineò, rivolgendole un altro sguardo di fuoco. “E non è tutto. Quando ci vedremo per la prima lezione dell’anno, mi aspetto di trovare sulla mia scrivania una pergamena di riflessione sulla stupidaggine che ha fatto questa sera. Non mi costringa a metterla in punizione...” aggiunse, in un tono che le fece venire nuovamente i brividi.

Emily annuì, mortificata, e varcò il passaggio per il dormitorio. Attese un attimo nella sala comune prima di andare nella sua stanza, ancora incredula e scossa da ciò che era appena successo.

 
L’indomani Ana, che per una volta era già sveglia di prima mattina, le rise in faccia ascoltando il racconto di ciò che era accaduto. Patricia invece dormiva e sarebbe rimasta fuori gioco ancora per un po’, a giudicare dal fatto che era vestita come la sera precedente e aveva il trucco sbavato sul viso. Doveva essere tornata molto tardi.

Emily scese a fare colazione per prima, per evitare di sentire ogni possibile commento sarcastico sull’accaduto. L’anno scolastico era iniziato nel peggiore dei modi.





Note di quella che scrive

Capitolo un po' di passaggio e un po' stupido per più motivi, ma volevo che Emily per una volta cogliesse l'occasione di comportarsi in modo irresponsabile xD E non è rimasta impunita! Ma in un certo senso le è anche andata bene.

In quanto ai discorsi sul percorso di studi dei protagonisti, a inizio capitolo, ci tengo a dire che ho letto qua e là come funziona dopo i G.U.F.O., ma alla fine l'ho interpretato un po' a modo mio, quindi mi scuso nel caso ci sia qualcosa che non ha senso.

Alla prossima!

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


CAPITOLO 37

 


“Signorina Lewis, avresti un momento?” le chiese il professor Fiery.

Era giovedì della prima settimana di scuola ed Emily si trovava da sola a fare colazione, in attesa che arrivasse Blue. Non si aspettava, però, che l’avrebbe raggiunta il professore di babbanologia.

“Certo,” gli rispose, facendo per alzarsi.

“Può aspettare, finisci pure di far colazione con calma. Riusciresti a passare nel mio ufficio prima dell’inizio delle lezioni? Parleremo lì.”

Emily annuì e lo saluto.

Aveva già intuito ciò di cui voleva parlarle, o almeno così credeva. Sperava che l’aiutasse con le lezioni, come aveva fatto gli anni precedenti… solo che lei non voleva più farlo, perché si era sentita a disagio in sua presenza sin da quando lui l’aveva baciata.

Non era più riuscita a rilassarsi del tutto con lui, mantenendosi in allerta ma cercando di non darlo a vedere. Anche per lui non dovevano essere stati bei momenti, perché ogni tanto Emily aveva avuto l’impressione che fosse distratto, forse imbarazzato… probabilmente dalle sue azioni passate.

Insomma, lei non vedeva alcun motivo per cui dovessero continuare con la loro collaborazione.

Certo, assisterlo con le lezioni di babbanologia era stato istruttivo e gratificante, ma Emily credeva che l’esperienza fatta in passato le bastasse, almeno per il momento. Ora voleva solo dedicarsi allo studio e ai suoi amici. E a Cecil, soprattutto.

“Buongiorno!” la salutò Blue poco dopo, sedendosi accanto a lei.

La ragazza si riempì subito il piatto di dolci e il bicchiere di succo di zucca. Mentre mangiavano, chiacchierarono dei compiti e delle lezioni di quella giornata.

Emily fu la prima ad alzarsi da tavola, per andare dal professor Fiery come gli aveva promesso. Qualche minuto dopo lei si trovava fuori dalla porta del suo ufficio, decisa a rifiutare di assisterlo a partire da quell’anno. Prese un respiro profondo e bussò, quindi aspettò che lui la invitasse a entrare.

“Ah, signorina Lewis, siediti pure,” le disse quando vide che era lei, senza alzarsi dalla scrivania.

Il giovane professore si era già messo al lavoro sulle lezioni, o forse stava correggendo dei compiti, perché era intento a scrivere qualcosa su una pergamena. Era solo la prima settimana di scuola, ma fare quel lavoro doveva essere molto più impegnativo di quanto sembrasse da fuori.

“Aveva bisogno di parlarmi, professore?” gli chiese, accomodandosi davanti a lui.

“Sì e forse avrai già capito il motivo. Mi piacerebbe che mi assistessi anche quest’anno, però con le lezioni del quarto anno. Sono certo che la nostra collaborazione sarà utile per migliorare l’approccio alla materia, e magari farà da base per un nuovo libro di testo. Allora, cosa ne pensi?” le domandò, posando la piuma e rivolgendole un sorriso.

Emily rimase in silenzio per una manciata di secondi, in cerca del coraggio per rispondergli come avrebbe voluto.

“Mi dispiace ma devo rifiutare,” disse e il suo sorriso si spense. “Finora mi ha fatto molto piacere aiutarla e darle il mio parere, anzi sono grata che mi abbia dato questa opportunità, però… sento di dovermi concentrare di più sullo studio… e sul momento presente. Questo è il mio sesto anno, non sarò una studentessa ancora per molto e voglio fare tesoro del mio tempo qui.”

Lui riprese in mano la penna e la usò per tamburellare in un angolo della pergamena, in un gesto che forse voleva riempire il silenzio. Aveva assunto un’aria pensierosa, oltre che dispiaciuta, ed Emily sperava che non avrebbe insistito.

“Hai ragione, adesso devi pensare a studiare. Farai un apprendistato vero e proprio quando sarà il momento, immagino, ma spero che vorrai ancora collaborare ad alcune lezioni, di tanto in tanto. E se avrai delle idee per me, ricorda che sono sempre disponibile per ascoltarle,” dichiarò, rivolgendole un sorriso accennato.

“Grazie, professore. Ora devo andare, oppure farò tardi a lezione di difesa contro le arti oscure.”

Si alzò e uscì dall’aula sentendosi vittoriosa. Era riuscita a fargli capire il suo pensiero e adesso aveva una cosa in meno di cui preoccuparsi. Soddisfatta, si avviò a passo veloce verso l’aula della sua prima lezione di quel giorno.

Frequentava difesa contro le arti oscure insieme ai Grifondoro, perciò quando entrò non si stupì di vedere Cecil già seduto che l’aspettava.

“Buongiorno,” le disse, mentre lei si accomodava e prendeva il materiale dalla borsa.

Ricambiò il saluto rivolgendogli un ampio sorriso. Era pronta ad affrontare quella giornata scolastica, ma anche l’intero anno scolastico, con nuovo entusiasmo. Inoltre era sempre felice di passare del tempo con Cecil.

“Mi sembri particolarmente contenta, è successo qualcosa di bello?” le chiese.

“Niente di che, sono solo ansiosa di imparare,” rispose, perché la verità sarebbe stata più difficile da dire.

Quando, poco dopo, il professor Brodie fece il suo ingresso in classe, gran parte del suo entusiasmo evaporò. Il primo giorno lui l’aveva beccata nei corridoi di notte e da allora le rivolgeva delle occhiate glaciali, e di tanto in tanto la spiazzava con delle domande a sorpresa.

Certo, Emily non si faceva trovare impreparata, anzi si aspettava quel trattamento come ogni compagno Serpeverde, ma sapeva che nel suo caso se l’era cercata. L’insegnante era suscettibile alle infrazioni delle regole da parte dei membri della sua casa.

A fine lezione, quando poté uscire dall’aula, la ragazza tirò un sospiro di sollievo. L’aria era pesante lì dentro, quell’anno più del solito.

Suo malgrado dovette salutare Cecil per correre a lezione di pozioni, dove poco dopo venne raggiunta da Blue. La bionda si sedette al suo fianco e iniziò a chiacchierare del più e del meno.

“Sai, prima volevo dirti una cosa ma sei scappata via e ho perso la mia occasione,” dichiarò, riferendosi a quando Emily era uscita dalla sala grande per andare a parlare con Fiery.

Smise di preparare il materiale e si voltò verso l’amica, curiosa.

“Ti ricordi di Hanna Arsen? L’abbiamo conosciuta verso la fine dell’anno scorso, quando ha studiato con noi e Sharpridge,” iniziò la ragazza, rigirandosi una ciocca di capelli biondi e viola tra le dita. “Ieri abbiamo parlato un po’ e mi ha chiesto di uscire.”

Emily sgranò gli occhi e schiuse le labbra, sorpresa.

“Ma è meraviglioso!” esclamò, felice. “Aspetta, ma tu cosa ne pensi di lei? E cosa le hai risposto?” domandò, rendendosi conto che l’amica non le aveva mai parlato di quella ragazza.

“Non è davvero il mio tipo e ha due anni in meno di noi… però sai, per qualche motivo ho deciso di darle una possibilità,” svelò, abbassando lo sguardo con fare imbarazzato. “Dopotutto, è carina… E una ragazza timida fa venire voglia di proteggerla, no? Quindi le ho proposto di iniziare a frequentarci come amiche, poi si vedrà.”

Emily annuì, ugualmente felice per lei. Sapeva quanto Blue desiderasse avere una ragazza ed era felice che qualcuna si fosse fatta avanti, anche perché fino a quel momento le cose non le erano andate molto bene.

In quanto al discorso sulla timidezza, per la prima volta in vita sua si dispiacque di non essere timida, perché in quel caso forse Cecil avrebbe sentito il desiderio di proteggerla. In realtà tra loro il più timido era lui.

“Spero che inizierà a piacerti, così andrete a tanti appuntamenti,” le augurò, rivolgendole un sorriso sincero.

“Grazie! Però non ti garantisco niente. Cioè, sono felice di piacere a qualcuno, davvero, ma la sua dichiarazione è stata del tutto inaspettata,” continuò a raccontare, lisciandosi i capelli e rivolgendo lo sguardo altrove.

L’arrivo di Lumacorno mise fine a quella conversazione e diede inizio alla lezione. Il professore mostrò loro tre calderoni e chiese chi volesse provare a riconoscere le pozioni che contenevano. Emily le osservò con curiosità e, dopo un attimo di esitazione, alzò la mano per indovinare le prime.

Probabilmente la terza era amortentia, lo pensò anche se non l’aveva mai vista, e stava per alzare la mano ma Blue sorprese tutti alzandola per prima. In effetti si trattava di quella pozione e la ragazza fu in grado di elencarne brevemente le proprietà, guadagnando 10 punti per Tassorosso.

“Non mi aspettavo che la conoscessi già,” le sussurrò Emily, colpita.

Blue ridacchiò.

“Ti ricordi il secondo anno, quando avevo una cotta per Julie Butler? È allora che mi sono informata sull’amortentia,” rivelò sottovoce, sorprendendola ancora di più.

Quella pozione non era uno scherzo, perciò lei pensò che l’amica dovesse essere davvero innamorata persa a quei tempi.

Lumacorno invitò tutti ad avvicinarsi per sentirne l’odore. L’amortentia era un filtro d’amore molto potente e per questo illegale. Per ognuno aveva un profumo diverso, quello della persona amata.

Emily si fece più vicina al calderone, mentre pensava che il professore l’aveva preparata per quella lezione malgrado fosse illegale. Quando fu abbastanza vicina poté sentirne il profumo, quindi inspirò più volte per cercare di riconoscerlo a pieno.

Cioccolato, pergamena e lucido per manici di scopa.

Si sentì arrossire perché associava quegli odori a Cecil, senza dubbio alcuno. Il primo per la sua passione per i cioccolatini, il secondo per il suo impegno nello studio, anche delle materie che non amava; infine il terzo perché adorava volare sulla sua scopa.

Presto ci sarebbero state le selezioni per la squadra di quidditch e lei sperava tanto che le passasse. Non aveva più un vero interesse per quel gioco, ma sarebbe stato l’ultimo anno che provava a essere preso perciò lei gli augurava il meglio, così che potesse viverlo a pieno.

Aveva iniziato a fantasticare senza farci caso quando si accorse dello sguardo insistente di Blue su di lei.

“Hai riconosciuto il profumo di Cecil, non è così?” le chiese, ridacchiando, il che la fece arrossire ancora di più.

“E tu? Hai sentito quello della Arsen?” sussurrò Emily in risposta.

“Non lo so, non la conosco ancora così bene,” sottolineò Blue, mettendo il broncio. “Io ci sento gelsomino, legno per manici di scopa e… c’è qualcos’altro, ma non capisco bene. Uva, forse?”

“Forse passando più tempo con lei lo sentirai di nuovo e lo riconoscerai con chiarezza.”

Blue le rivolse un’occhiata sorpresa ed Emily si accorse che anche lei era arrossita, ma solo un pochino.

Tornarono ognuno ai propri posti perché Lumacorno aveva assegnato una pozione da preparare in coppia, perciò si diedero da fare senza perdere tempo in chiacchiere.

 
“Secondo te quale profumo sente Cecil nell’amortentia?” domandò a Blue, mentre si dirigevano senza fretta verso la sala grande.

“Mmh, chissà. Se gli piaci davvero, come io credo che sia, avrà sentito l’odore d’inchiostro dei libri, questo è sicuro,” rispose l’amica, riflettendoci su.

“Io… spero che sia come dici tu,” ribatté Emily con un sospiro.

Anche lei aveva iniziato a pensare di piacergli e questo la metteva di buon’umore, ma era pur sempre in attesa di una conferma. Voleva iniziare a uscire insieme a lui, a costruirsi tanti bei ricordi di quel periodo. Inoltre voleva baciarlo… abbracciarlo…

Scosse la testa obbligandosi a tornare alla realtà. Le sue amiche Serpeverde non facevano che parlare delle loro esperienze con i ragazzi ormai e anche lei si era fatta delle aspettative, ma almeno in compagnia di Blue sapeva di poter pensare ad altro, perché la ragazza non faceva mai discorsi di quel tipo.

Durante il pranzo osservò segretamente Cecil restandosene con la testa tra le nuvole. Era tutta colpa dell’amortentia, si disse.

Quel pomeriggio, mentre si affrettava al suo prossimo impegno, lo vide andare verso il campo di quidditch insieme a Parker e a qualche altro ragazzo di Grifondoro.

La sera lo vide di nuovo perché avevano lezione di astronomia. Consapevole che dopo non avrebbero potuto parlare, perché a quell’ora sarebbe stato imperativo tornare ognuno nei propri dormitori, Emily fu felice che fosse arrivato presto, prima dell’insegnante.

“Ti stai impegnando molto negli allenamenti di quidditch ultimamente,” disse.

“L’hai notato?” chiese Cecil, rivolgendole uno sguardo sorpreso. “Ecco… è per le selezioni, saranno a ottobre e manca poco ormai. E poi è una buona scusa per volare.”

Emily annuì.

“Lo so… e non capisco perché ti piaccia tanto,” scherzò.

Era vero che lei odiava quella disciplina, ma rispettava la passione dell’amico. Anzi, un po’ la capiva anche, ma questo non bastava a farle superare la sua avversione. Era più forte di lei.

Cecil le rivolse un sorriso imbarazzato.

“Ehm, Emily… Dopo le selezioni ci sarà la prima uscita a Hogsmeade e mi chiedevo se ti andasse di passare il pomeriggio con me. Ecco, per parlare…” disse, tenendo lo sguardo basso sul suo libro di astronomia.

Lei si sentì arrossire.

Parlare? Che si trattasse della sua risposta tanto attesa? Pensò che fosse così e il suo cuore accelerò il battito. Da una parte non vedeva l’ora, ma dall’altra temeva quel confronto che avrebbe potuto cambiare tutto… non necessariamente in meglio.

“C-Certo che mi va,” rispose, dovendo farsi coraggio.

Cecil era l’unica persona al mondo in grado di renderla timida e impacciata.

“Bene…” disse lui, e fu appena udibile sul chiacchiericcio della classe.

Emily si sforzò di non sorridere come un’ebete. Per tenersi impegnata, aprì il quaderno e scrisse la data della lezione in cima alla prima pagina bianca.

Era felicissima. Magari aveva frainteso e pensò anche a questa eventualità, ma Cecil le aveva comunque chiesto di uscire!

Avrebbe voluto parlargli di più, raccontare quali profumi aveva sentito avvicinandosi al calderone di amortentia, ma improvvisamente aveva la gola secca, la mente affollata di parole e il cuore che batteva troppo in fretta perché potesse scegliere quelle giuste.

Rimase quindi in silenzio e Cecil fece lo stesso, il che creò un piacevole imbarazzo tra di loro.

Emily non riuscì a concentrarsi davvero sulla lezione. No, perché continuò a pensare a quando sarebbero usciti. Certo, prima doveva finire settembre e iniziare ottobre; prima Cecil doveva partecipare alle selezioni per la squadra di quidditch, però non mancava poi molto tempo.

Si sarebbe vestita carina con l’aiuto di Blue e si sarebbe preparata anche a un rifiuto, per non rischiare di rimanerci troppo male, almeno in apparenza. In realtà però era fiduciosa.

Più passava il tempo con Cecil e più le sembrava che lui iniziasse a ricambiarla. Aveva risposto ai suoi baci, ma forse lo aveva fatto sulla scia del momento, perciò lei non l’aveva considerata una prova schiacciante.

Era quell’imbarazzo palpabile a darle conferme, insieme al leggero rossore sulle guance dell’amico. Forse era riuscita finalmente a farsi notare. Forse presto non sarebbe stato solamente un amico per lei.

Avrebbe voluto fare i salti di gioia solo per averlo pensato… ma erano a lezione, perciò si trattenne.

Anche se mancavano ancora diversi giorni all’uscita a Hogsmeade, quella notte non riuscì a chiudere occhio.





Note di quella che scrive

Ehilà! Non aggiornavo da due settimane, ma è stato un periodo molto molto pieno. Scusate l'assenza!

L'episodio dell'amortentia lo trovo così carino che ho dovuto inserirlo anche io. E in generale, questo era un capitolo molto rilassato che però getta le basi per altre cose. Spero che vi sia piaciuto.

Alla prossima!

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


ATTENZIONE: questo capitolo contiene delle scene forti che potrebbero turbare alcuni lettori.
 

CAPITOLO 38

 


La nuova professoressa di trasfigurazione, Yvonne Valence Rain, si rivelò un’insegnante capace e piacevole da ascoltare. A lezione, seduta accanto a Cecil, Emily prendeva appunti senza sosta, interessata.

L’argomento era metamorfomagus e differenza con animagus. Ogni tanto la giovane donna faceva domande agli studenti per farli partecipare, a detta sua per conoscerli meglio.

In ogni caso, si trattava di domande che servivano anche a capire chi stesse davvero ascoltando e chi no.

In un momento di calma, mentre uno studente rispondeva all’ennesima domanda, Emily si guardò intorno notando come tutti i ragazzi sembravano concentrati ad ammirare la professoressa.

Era una bella donna che dimostrava circa trent’anni, con una voce gentile e il tipico accento francese. Era stata un’alunna di Hogwarts, così aveva detto loro, ma era cresciuta in Francia ed era tornata lì per terminare gli studi.

Cecil, al suo fianco, venne colto di sorpresa da una delle domande della professoressa. Che fosse per timidezza o perché era davvero distratto, Emily non lo sapeva, ma il ragazzo non riuscì a rispondere. Alzò la mano lei per toglierlo da quella situazione spiacevole.

Lo aveva visto con la testa tra le nuvole per tutta la mattina ed era certa del motivo. Quel pomeriggio, infatti, ci sarebbero state le selezioni di quidditch.

Anche se diceva che quello sport non era la sua vera passione, era chiaro che ci tenesse.

La Valence Rain chiese a lei di rispondere ed Emily lo fece senza problemi, avendo già memorizzato le informazioni sull’argomento. Non solo aveva ascoltato e preso appunti, ma si era anche portata avanti con lo studio nei giorni prima, come da sua abitudine.

“Va tutto bene?” chiese a Cecil, a fine lezione.

“Sì…” rispose lui senza alzare lo sguardo, mentre metteva in borsa il libro di testo.

“È per le selezioni di quidditch, vero?” gli domandò, seguendolo fuori dall’aula.

“Mi hai beccato,” ammise, rivolgendole un sorriso tirato. “Spero di passare… ma mi sento già sotto pressione.”

Emily gli mise una mano sulla spalla per dargli forza e gli sorrise.

“Sono sicura che andrà bene. Io verrò a fare il tifo per te e dopo potremo festeggiare tutti insieme.”

Cecil annuì. Le sue guance si erano imporporate leggermente, forse per il tocco di Emily che subito, rendendosene conto, tolse la mano imbarazzata.

“Ehi piccioncini, se non andiamo in sala grande finirà tutto,” li prese in giro Parker, che li superò ridacchiando.

Entrambi avvamparono e rivolsero lo sguardo altrove, quindi si decisero ad affrettare il passo per andare a pranzo.

 
Le selezioni di quidditch per la squadra di Grifondoro sarebbero iniziate a breve, ma Emily si trattenne nella sala grande ancora un po’ perché Patricia e un suo amico di Corvonero le avevano chiesto aiuto con un argomento di pozioni.

C’era ancora tempo e lei aveva studiato bene quel capitolo, perciò rimase seduta con loro a uno dei tavoli, prendendo in prestito il libro del ragazzo.

Non erano gli unici studenti rimasti nella sala grande, infatti qualcun altro era seduto a studiare. Lei e i suoi amici avevano sempre preferito altri posti, più appartati o silenziosi, ma doveva ammettere che stare lì non era poi tanto male.

Nessuno era pronto a zittirli se alzavano un attimo la voce, per esempio.

Non fece caso all’ora e quando finì di aiutarli pensò che doveva essere molto tardi, quindi prese la borsa e corse fuori dalla sala. Quando girò l’angolo finì addosso a qualcuno e sarebbe caduta a terra se lui non l’avesse prontamente presa per le spalle.

“Emily! Tutto bene?”

Alzò lo sguardo e si accorse che si trattava del professor Fiery. Lui le stava rivolgendo uno sguardo preoccupato e le teneva ancora le mani sulle spalle, come a volerla sostenere.

“Sì, mi scusi,” rispose, dispiaciuta di essergli andata addosso.

“Ottimo. Stavo cercando giusto te, vorrei mostrarti qualcosa.”

Emily, combattuta, si morse il labbro inferiore.

“In realtà stavo andando a vedere le selezioni di quidditch per la squadra di Grifondoro. A lei non interessano?”

“Non molto, ma confido che il capitano farà le scelte giuste. Non pensavo che seguissi il quidditch, la squadra di Grifondoro poi… Ah, scommetto che c’entra il ragazzo che ti piace.”

Emily si sentì arrossire e rivolse lo sguardo altrove, colta sul fatto. Il professore le accarezzò una ciocca di capelli, ma lo fece per un breve istante, tanto breve che lei si domandò se non l’avesse solo immaginato.

“Non voglio rubarti molto tempo, faremo presto,” le garantì, al che lei decise di arrendersi e annuì.

Probabilmente sarebbe arrivata a selezioni terminate o quasi. Mentre seguiva il professore fino all’aula di babbanologia, ci pensò su e sospirò. Aveva detto a Cecil che avrebbe fatto il tifo per lui, invece era ancora bloccata nel castello.

“Ho sorpreso degli studenti del quarto anno a disturbare le lezioni servendosi di oggetti babbani, perciò li ho confiscati e mi chiedevo se potessi aiutarmi a determinarne la funzione. Chissà, dal loro scherzo potrei ricavare qualche argomento interessante per una lezione,” dichiarò, aprendo la porta per lei.

Prese una delle sedie e la mise in prossimità della cattedra, accanto alla sua, quindi indicò a Emily di accomodarsi e raccolse una scatola da uno degli scaffali.

Malgrado avesse altro per la testa, Emily guardò nella scatola e si impose di concentrarsi, così avrebbero finito in fretta. Si ritrovò a osservare una grande quantità di oggetti colorati che conosceva bene.

“Questa è una trombetta,” disse, prendendo in mano l’oggetto in carta e plastica. “Soffiandoci dentro, questa parte si allunga e fa rumore. Si usa durante le feste. Anche questo, è un cappellino da festa.”

Si domandò se quei ragazzi fossero andati a una festa babbana, dato che si erano procurati quelle cose.

“Questo è un cubo di Rubik. È una sorta di enigma da risolvere, facendo ruotare le sue parti si deve arrivare ad avere ogni lato di un solo colore,” spiegò, dando una veloce dimostrazione di come si usasse.

“Affascinante,” commentò sottovoce il professore.

Nella scatola c’erano un sacco di cose, perciò passò oltre. Nominò qualche altro oggetto e il suo utilizzo, mentre il professore annuiva e si appuntava il tutto su una pergamena.

“Un gioco per cani,” disse, schiacciando un pollo di gomma che emise un fischio. “Questo invece è sicuramente per gatti,” continuò, prendendo in mano un piccolo topino di stoffa.

Fece per rimetterlo a posto quando si accorse che sul fondo della scatola c’era quello che sembrava essere un singolo preservativo ancora chiuso nella sua confezione. Si sentì tremendamente in imbarazzo e sperò che il professore non se ne accorgesse, quindi ci riappoggiò sopra il gioco e scelse un altro oggetto, ignorandolo con tutte le sue forze.

Chiunque avesse portato quegli oggetti a scuola, l’aveva messa in una posizione davvero scomoda.

“Una paperella di gomma? Questa… si usa quando si fa il bagno. Galleggia e tiene compagnia, ma non serve a molto in realtà…”

“Qualcuno ha pensato che fosse divertente tirarla in testa ai compagni,” commentò il professore, prendendogliela dalle mani.

Emily trattenne una risata amara. Pensò che quei ragazzi fossero degli stupidi e che lei, al quarto anno, era molto più matura di così.

“E questo? Ne avevano tanti e ci facevano dei palloncini, ma ho trovato strano che fossero incartati singolarmente.”

Emily alzò lo sguardo ed ebbe conferma del suo timore, cioè che il professor Fiery teneva tra due dita la causa del suo disagio. Un disagio che la colpì di nuovo con prepotenza, insediandosi alla base della sua nuca.

Si sentì arrossire e, consapevole di non poter ignorare la questione, prese un respiro profondo per darsi coraggio.

“No, è… È un contraccettivo babbano…” spiegò brevemente, senza guardarlo in faccia.

Con la coda dell’occhio vide il pacchettino che gli scivolava dalle dita e finiva di nuovo nella scatola.

“Ah. Mi domando… come abbiano fatto a procurarselo,” commentò, prendendo la scatola dalle gambe di Emily e posandola sulla cattedra.

Lei avrebbe voluto dire che non era poi così difficile, ma si trattenne perché erano rimasti anche troppo sull’argomento, per i suoi gusti. Il pensiero le corse alla sua borsa, appesa allo schienale della sedia, nella quale aveva sigillato la tasca contenente il suo pacchetto personale. Lo aveva completamente dimenticato fino a quel momento.

“Adesso è meglio che vada…” disse, imbarazzata.

“Aspetta,” le chiese lui, allungando una mano per posarla di nuovo sulla sua spalla destra. “Io speravo che volessi dare un’occhiata ai miei appunti per alcune lezioni. Il tuo aiuto ha cambiato tutto e mi è davvero mancato in queste settimane, ma… mi rendo conto che è colpa mia, se ti sei allontanata.”

Emily strabuzzò gli occhi, sorpresa. Aveva fatto di tutto per non farglielo capire, ma evidentemente aveva fallito. Stava per replicare che non aveva tempo in quel momento, ma il professore continuò.

“Eravamo un’ottima squadra… Non ti piacerebbe se tornasse tutto come prima, o anche meglio di prima?”

Ancora una volta la sua mano si spostò per accarezzarle una ciocca di capelli e questa volta Emily tenne sott’occhio quel gesto così improvviso, poi tornò a guardarlo negli occhi.

“Che vuole dire?”
Vedendolo più vicino, fece per ritrarsi ma lo schienale della sedia glielo impedì.

“Voglio dire che a te piace qualcun altro, ma non state insieme, allora potresti prendere in considerazione anche me,” rispose, accarezzandole una guancia.

Emily sgranò gli occhi.

“No… Non è proprio il caso,” provò ad alzarsi, ma entrambe le mani del professore sulle sue spalle glielo impedirono.

Il suo profumo di lavanda le invase prepotentemente le narici, nauseandola.

“Io posso farti delle cose che quel ragazzo non può nemmeno immaginare,” sussurrò al suo orecchio, facendole provare un brivido spiacevole lungo la schiena.

Sentì il naso di Fiery che tracciava la linea del suo collo, sostituito poi dalla sua lingua. Emily trasalì.

“La smetta…” disse, con la voce ridotta quasi a un sussurro e un nodo a stringerle gola.

Lui non l’ascoltò e si avventò sulle sue labbra facendole emettere un urlo strozzato. Tentò di spingerlo via puntando le mani sul suo petto, ma non riuscì a smuoverlo di un millimetro.

Quella che sentiva sulle sue spalle era la presa forte di un uomo, qualcosa che non aveva mai sperimentato prima e che la terrorizzò.

Provò a sfuggirgli scivolando sulla sedia, ma lui mise un ginocchio tra le sue gambe e si spinse contro di lei bruscamente facendole male.

Mentre la sua lingua si insinuava nella bocca di Emily, lei sentì una mano lasciarle la spalla per spostarsi sul suo seno e palparlo. Con il cuore in gola e la poca lucidità che le rimaneva, cercò la sua bacchetta nella tasca ma il professore le prese la mano impedendoglielo.

“Mi lasci!” urlò quando lui si allontanò per un istante, ma subito tornò a baciarla come se non l’avesse sentita.

Emily aveva iniziato a piangere senza rendersene conto e nella sua testa pregava che qualcuno la salvasse. La porta non era chiusa a chiave, perciò forse aveva qualche speranza.

Mentre sentiva la bocca del professore premuta sulla sua, una mano sul suo seno e il ginocchio che spingeva contro il suo inguine, invocò mentalmente l’aiuto dei suoi amici, degli altri professori, di chiunque.

Stava ancora provando a spingerlo con la mano libera e a fargli lasciare l’altra, ma non riusciva a fare niente se non a piangere.

Quando sentì una mano infilarsi sotto la sua gonna lo spinse più forte ma non ottenne risultati e si sentì morire. Per un istante che parve lunghissimo la sua mente si svuotò e lei rimase lì, tremante e incapace di reagire.

Si riscosse realizzando che le cose stavano precipitando e che nessuno l’avrebbe salvata. Gli morse le labbra con tutta la forza che aveva e sollevò con fatica una gamba per tentare di dargli un calcio.

Non bastò a spingerlo via ma la sua sedia traballò e lei cadde all’indietro, battendo la testa sul pavimento dell’aula. Strinse gli occhi per il dolore e lo spavento, ma subito li riaprì conscia del pericolo.

Da terra, vide il professore osservarla con lo sguardo sconvolto e la bocca sanguinante.

Prese la bacchetta e gliela puntò contro, perché intendeva andarsene da lì senza che osasse farle altro. La mano le tremava, ma non lo avrebbe perso di vista né avrebbe abbassato la bacchetta finché non fosse arrivata alla porta.

Con sua sorpresa, anche lui si armò di bacchetta.

“Obli…”

Prima che potesse finire di pronunciare la formula, Emily gli scagliò addosso uno schiantesimo quasi senza pensare, spingendolo con forza contro un mobile dall’altra parte dell’aula.

Si alzò in piedi barcollando e corse alla porta rischiando di cadere perché le tremavano le gambe, ma riuscì ad aggrapparsi alla maniglia e a raggiungere il corridoio per chiudersela alle spalle.

Sconvolta e con il fiato corto, riprese la sua corsa per scappare a testa bassa, senza guardare in faccia nessuno, percorrendo a fatica le scale che l’avrebbero portata al piano terra. Da lì intendeva scendere nei sotterranei e nascondersi nella sua stanza. Non riusciva a pensare ad altro, anzi non stava pensando affatto.

Non fece in tempo a raggiungere la seconda rampa di scale che sbatté addosso a qualcuno e cadde sul sedere, facendosi male di nuovo.

“No, basta!” esclamò, tenendo gli occhi chiusi e portando le braccia al petto per proteggersi.

Non ce l’aveva fatta, non era scappata abbastanza velocemente.

Le orecchie le fischiavano e nella sua mente continuavano a ripetersi gli scenari peggiori, tanto che le sembrava di impazzire.

“Emily!” esclamò qualcuno scuotendola per le spalle.

Lei emise un urlo strozzato, ma quando aprì gli occhi vide che era Blue. Si era chinata davanti a lei e la osservava con un’espressione sconvolta che non le aveva mai visto prima. Dietro l’amica, Hanna Arsen se ne stava in piedi in silenzio con un’espressione simile.

Non c’era nessun altro.

Emily scoppiò a piangere e si strinse forte a Blue. Avrebbe voluto urlare il suo nome, pregarla di portarla al sicuro, ma non riuscì a fare altro.

“Hanna, chiama la McGranitt,” le sentì dire e si scostò da lei, allarmata.

“Perché? No!” esclamò, ma la ragazza più piccola stava già correndo in direzione del suo ufficio.

“Sì invece! È stato lui, non è così? Devi dirlo alla preside!” ribatté ed Emily si accorse che anche l’amica era sull’orlo delle lacrime.

Malgrado ciò aveva uno sguardo determinato e le teneva saldamente le mani, riuscendo a trasmetterle sicurezza.

“A-aiutami ad alzarmi,” le chiese solo, dopo qualche secondo di silenzio.

Non aveva più le forze perché lo slancio di adrenalina si era esaurito. Anche a livello mentale era esausta, quindi si affidò a lei e al suo giudizio. Con un braccio di Blue che l’avvolgeva per sorreggerla, raggiunse lentamente l’ufficio della preside.

Anche senza parola d’ordine, il passaggio si aprì e le scale si mossero, segno che lei le stava aspettando.

Pochi istanti dopo erano entrambe sedute sulle poltroncine davanti alla sua scrivania. La professoressa, preoccupata, ascoltò Blue mentre Emily era troppo stanca e sconvolta per capire cosa stesse dicendo.

“Signorina Lewis, cos’è successo?” chiese la McGranitt, con la preoccupazione tipica di una madre.

Emily alzò lo sguardo su di lei e si rese conto di non aver mai smesso di piangere. Inoltre stava ancora tenendo in mano la bacchetta, stretta in una morsa dettata dalla paura.

“È stato… il professor F-Fiery…” ammise, con poca voce e la gola che faceva male. “Lui mi ha… Ha tentato di…”

Si strinse nel mantello e chiuse gli occhi, sentendo nuove lacrime che le scorrevano sulle guance. Cercò di prendere un respiro profondo, ma stava tremando così tanto che anche il respirò le tremò.

“Mi ha baciato con la forza e mi ha… t-toccata… Non… Io gli ho detto di smettere, ma non mi ascoltava… Per scappare sono caduta e poi…”

Sgranò gli occhi e la voce le morì in gola per un istante.

“Ha… ha provato a oblivarmi, ha pronunciato metà dell’incantesimo… allora l’ho attaccato…” continuò, iniziando a tremare più forte.

E se quella non era stata la prima volta? Se l’aveva già fatto e poi era riuscito a oblivarla? Emily se lo domandò. Il cuore le martellava nel petto, il respiro si era fatto corto e veloce e la testa le girava a vuoto.

Sentì l’amica chiamarla più volte e prenderle le mani, vide che anche lei stava piangendo. Si strinse a lei e nascose il viso sui suoi vestiti, ascoltando la sua voce che la spronava a respirare con calma e le sue mani che le accarezzavano i capelli in modo confortante.

Dopo alcuni minuti che le sembrarono interminabili, si allontanò da Blue per rivolgere uno sguardo timoroso alla preside.

Sembrava sconvolta quanto loro, ma anche arrabbiata. Probabilmente stava ponderando sul da farsi e la prospettiva di ciò che sarebbe successo dopo spaventò di nuovo Emily, che richiamò a sé le poche forze che le erano rimaste per costringersi a parlare ancora.

La pregò di non dirlo a nessun altro e di non metterla nella condizione di doverlo raccontare nuovamente. Lo fece tra le lacrime, con la voce resa ancora più flebile dal magone e dalla stanchezza.

L’anziana strega inizialmente si oppose alle sue richieste e cercò di farla ragionare, ma Emily insistette e alla fine la preside dovette darsi per vinta. Solo allora la Serpeverde si abbandonò sullo schienale della poltrona, sfinita.

La professoressa McGranitt dichiarò che avrebbe pensato lei al collega e la convinse ad andare in infermeria, anche se Emily non avrebbe voluto.

Non intendeva dare alcuna spiegazione sul suo stato e non voleva farsi visitare, ma sapeva anche che un esame le avrebbe fatto capire se quella era la prima volta che succedeva o meno.

La McGranitt l’accompagnò e si occupò di parlare con Madama Chips, che chiese a Blue di uscire e la visitò. A parte qualche livido non trovò nulla, anche la botta alla testa non aveva provocato danni e il sangue che le sporcava le labbra non era il suo.

Emily si sentiva un po’ più sollevata, ma era ancora scossa. Bevve la pozione che le aveva dato la medimaga senza nemmeno chiederle cosa fosse e si rivestì.

Blue e la preside tornarono da lei per sentire come stava, e lei chiese di poter tornare nella propria stanza. Cercava di non darlo a vedere ma era terrorizzata all’idea di passare la notte lì.

“Non lo dica ai miei genitori, la prego,” chiese poi, quando la donna le diede il permesso di tornare nel suo dormitorio.

“Signorina Lewis, non posso fare finta di niente. Loro devono essere informati.”

“No! La prego, lo farò io alla prima occasione. Potrebbero togliermi da scuola se lo sapessero,” insistette, sentendosi di nuovo a pezzi.

“E va bene,” le concesse, con un sospiro carico di tristezza.

Si raccomandò di parlarne con loro al più presto e la lasciò libera di andare.

Tenendo la mano di Blue, si avviò in silenzio e a sguardo basso verso il dormitorio di Serpeverde. Era distrutta e si sentiva uno schifo. Si faceva schifo.

Sentiva ancora le sue mani su di sé e temeva che quella sensazione non l’avrebbe abbandonata mai.

“Siamo arrivate,” le fece notare Blue.

Chissà da quanto tempo erano ferme davanti al passaggio, Emily non se n’era accorta. Pronunciò la parola d’ordine ed entrò insieme all’amica.

Nella sua stanza trovò Ana e Patricia che chiacchieravano e quando le due incontrarono il suo sguardo capì che le avrebbero fatto delle domande. Quella consapevolezza le tolse il fiato.

Per fortuna quell’anno condivideva la camera solo con loro, altrimenti sarebbe stato tutto ancora più difficile.

“Emily, cosa ti è successo?” chiese Ana, mentre Patricia si portava le mani davanti alla bocca.

Lei scosse la testa per indicare che non era successo niente, ma le labbra le tremarono e sentì che gli occhi minacciavano di riempirsi nuovamente di lacrime.

“Datele tempo,” si raccomandò Blue, accompagnandola fino al suo letto. “Ha bisogno di tranquillità e di riposare… Emily, ti dispiace se resto un po’ qui?”

Devi restare qui,” le rispose, facendole spazio nel suo letto. “Salazar! Ho lasciato là la mia borsa!” esclamò di nuovo spaventata, rendendosene conto solo in quel momento.

“Non pensare alla borsa adesso, te la recupero io più tardi,” le assicurò Blue mentre si sdraiava con lei avendo la premura di non starle troppo vicina, ma continuando a tenerle la mano.

Sotto gli occhi preoccupati delle due Serpeverde che dividevano la stanza con lei, Emily annuì, sospirò e decise che avrebbe chiuso gli occhi per un po’… perché si sentiva davvero prosciugata.

 

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


CAPITOLO 39



 
Emily in qualche modo riuscì a prendere sonno e a dormire fino al mattino successivo, ma per lei fu una notte travagliata e piena di incubi. Quando si svegliò era ancora scossa, ma essere sveglia significava niente più brutti sogni.

Si mise a sedere e, guardandosi intorno, notò che le amiche stavano finendo di prepararsi per le lezioni.

Sospirò. Non se la sentiva di lasciare la sua stanza e non voleva vedere nessuno. Decise che non sarebbe uscita né per fare colazione né per andare a lezione, per non sentire gli sguardi degli altri su di sé. In particolare non voleva vedere Cecil, perché temeva di non riuscire a guardarlo negli occhi.

“Buongiorno Emily, come ti senti?” le chiese Patricia avvicinandosi cautamente.

Qualcosa nella sua espressione le fece sospettare che Blue avesse spiegato loro la situazione e questo la fece sentire molto a disagio. Si tirò su le coperte perché la coprissero fino al collo.

“Non molto bene…” ammise, a sguardo basso.

“Ti abbiamo sentito agitarti nel sonno. Vuoi che chieda a Madama Chips una pozione che ti aiuti a dormire?” domandò Ana raggiungendola a sua volta.

“No… passerà,” disse semplicemente, anche se temeva che non sarebbe stato così.

Si era presa uno spavento tremendo ma era riuscita a reagire e a scappare prima che fosse troppo tardi. Insomma, anche se si sentiva uno straccio pensava che le sarebbe potuta andare molto peggio. Lo pensava... e questo la faceva sentire ancora più male.

“Oggi non scendo a colazione… e non vengo nemmeno a lezione.”

Le due si scambiarono un’occhiata preoccupata. Non era da lei, se ne rendeva conto da sola, ma avrebbe fatto un’eccezione. Sentiva di averne tutto il diritto, anzi in quel momento non le importava cosa potesse o non potesse fare.

Tornò sdraiata dando loro le spalle e così facendo notò la sua borsa sul comodino. Doveva avergliela riportata Blue.

Sospirò. Se non fosse stato per lei forse si sarebbe chiusa in se stessa, non avrebbe detto nulla alla preside e poi… Poi cosa? Non riusciva nemmeno a immaginarlo, ma era certa che sarebbe stato molto peggio.

In realtà si sentiva uno schifo per averlo detto, perché quello era un segreto decisamente imbarazzante che la faceva stare male. Avrebbe voluto dimenticarsene e basta, ma non poteva. Se lo sentiva cucito addosso e lo vedeva negli sguardi addolorati degli altri.

Inoltre i suoi incubi l’avevano tormentata con le immagini di ciò che era successo e tanto altro. Aveva sognato persino il professore che le diceva che era tutta colpa sua, perché era stata lei a provocarlo, e per un attimo le parve che fosse davvero così. Fu solo un attimo, però.

Quando le amiche l’avrebbero lasciata da sola, per prima cosa si sarebbe fatta un bagno nella speranza di togliersi di dosso quella viscida e scomoda sensazione.

“Possiamo fare qualcosa per te?” le chiese Patricia, con voce gentile.

“No… Anzi, una cosa ci sarebbe. Non fate entrare qui nessun ragazzo.”

“Va bene. Riposati.”

Emily annuì impercettibilmente, le sentì uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle. Inspirò profondamente per farsi forza, percependo che le serviva molto coraggio anche solo per togliersi di dosso le coperte, alzarsi e andare a lavarsi nel bagno della loro camera.

 
Era ora di pranzo quando il rumore della porta la svegliò di soprassalto, interrompendo il suo ennesimo incubo. Si voltò, bacchetta alla mano, ma si rilassò subito dopo notando che si trattava solo di Blue.

La ragazza teneva in mano un grosso sacchetto e le stava rivolgendo un sorriso gentile.

“Buongiorno Emily, ti ho portato il pranzo,” annunciò, ostentando un’allegria che però non toccava i soliti livelli.

Senza fiatare lei si mise seduta e le fece segno di raggiungerla a letto, quindi Blue le si accomodò accanto e tirò fuori il contenuto del suo sacchetto.

“Mangiamo insieme, okay?” aggiunse, passandole una forchetta e prendendone un’altra per sé.

“Grazie… Chi ti ha fatta entrare?”

“Le tue amiche Celery e Ward,” rispose, iniziando a mangiare per prima.

Emily annuì e prese in mano un piatto.

“Scusa se ti ho fatta preoccupare…”

“Non mi hai fatta preoccupare! Cioè, hai solo saltato erbologia e difesa contro le arti oscure, tutto nella norma. Ah, ti ho portato gli appunti miei e di Cecil,” disse, prendendoli subito dalla borsa e mettendoli sul suo comodino.

“A proposito, a loro hai detto qualcosa? Ad Ana, Patricia e… a Cecil?” domandò a sguardo basso, sentendo lo stomaco che si chiudeva.

Quando tornò a guardare Blue, la trovò che giocherellava con il suo cibo con aria colpevole.

“Mmh… Qualcosa, sì…” ammise, senza smettere di fissare il piatto.

“E cosa?” insistette Emily, preoccupata.

Finalmente Blue si decise a guardarla in faccia, forse perché la sua domanda era suonata carica d’ansia.

“Ho detto a tutti e tre la stessa cosa… cioè che qualcuno ti ha fatto del male, ma che la preside lo sa e lo caccerà da Hogwarts.”

Emily annuì, grata. Non aveva detto nello specifico cos’era successo né chi era stato, e questo per lei era molto importante.

“Aspetta, vuoi dire che lui è ancora qui?” domandò sentendosi rabbrividire.

“Sì,” rispose Blue con un sospiro. “La McGranitt mi ha detto di riferirti che lo ha licenziato, ma starà al castello finché non trova un sostituto per babbanologia, quindi la cosa non è ancora ufficiale.”

Emily si sentì mancare il respiro.

“E quanto tempo ci vorrà?” chiese, ma era più una lamentela che una vera domanda.

Non voleva uscire dal dormitorio e rischiare di ritrovarselo davanti, quello sì che sarebbe stato un incubo.

“Non ne ho idea, ma non molto credo. La preside era arrabbiata e anche preoccupata per te, è chiaro che non vede l’ora di liberarsene. Cerchiamo solo di avere fiducia in lei. Nel frattempo, quando esci dimmelo così vengo con te oppure chiedilo a qualcun altro.”

“No, io da qui non esco,” affermò, decisa. “Non me la sento, non voglio vedere nessuno né rischiare di vedere lui,” continuò, agitata.

Blue le tolse il piatto di mano e la strinse in un abbraccio. Emily, inizialmente spaventata, si ripeté mentalmente che era la sua migliore amica e ricambiò la stretta, appoggiando il viso sulla sua spalla e inspirando il suo dolce profumo.

“Va tutto bene, puoi rimanere qui quanto vuoi e sono certa che nessuno avrà da ridire. Quello là non lo rivedrai mai più, te lo prometto.”

Annuì sulla sua spalla e inspirò ancora per calmarsi, quindi Blue la lasciò libera e le rivolse un sorriso.

“Sai, questo cibo viene dal tavolo di Tassorosso,” dichiarò poi, restituendole il piatto. “Dicono che al nostro tavolo venga servito il più buono, perciò ci tenevo a portartelo. È un’occasione più unica che rara, quindi goditelo,” scherzò.

“Grazie. In effetti è molto buono,” rispose Emily, sforzandosi di mangiare ancora un po’.

 
“Cecil… come l’ha presa?” si obbligò a chiederle dopo il pasto, perché il pensiero non le dava pace.

“In un modo molto poco da Cecil: ha dato di matto. Voleva che gli dicessi chi ti aveva fatto cosa, ma non lo farò. E poi voleva venire qui con me, ma Celery e Ward gli hanno detto che non poteva entrare e si è arrabbiato con loro.”

Emily abbassò lo sguardo e fece un sorriso amaro.

Si era arrabbiato per lei… e un po’ ce lo vedeva, in effetti, dato che avevano litigato una volta. Però arrabbiarsi per lei era una cosa diversa, che non riusciva a immaginare. Invece era in grado di immaginarlo deluso per quella storia, purtroppo.

“Non me la sento di incontrarlo dopo ciò che è successo… Ho paura di come mi guarderà, di quello che penserà…” sospirò.

“Ma tu non l’hai mica tradito! Sei la vittima qui e Cecil non te ne farà nessuna colpa,” sottolineò Blue.

Lei scosse la testa.

“Non voglio che mi veda nemmeno come una vittima,” disse, ma c’era dell’altro.

Si sentiva sporca e, per questo, le sembrava di aver fatto un torto a Cecil.

Blue rimase lì a rassicurarla per un po’, e tentò di tirarle su il morale con qualche battuta delle sue.

“Adesso devo andare, ho cura delle creature magiche. Non vado perché mi piace, ma per prendere gli appunti per te, sia chiaro! Quindi mi devi un bel po’ di dolci!”

Emily accennò un sorriso e la salutò.

Era di nuovo sola, di nuovo in balìa dei pensieri negativi.

 
Trascorse i giorni successivi nella quasi totale apatia, rimanendo a letto il più possibile. A colazione e a pranzo veniva raggiunta da Blue, invece la cena gliela portavano le sue compagne di stanza.

Le amiche provavano a tirarle su il morale e lei dava loro corda, ma non riuscivano davvero nell’intento. Quando era sola, invece, ascoltava musica per cercare di non pensare.

Riusciva solo a rimuginare su cose negative, a domandarsi come avrebbe fatto a dirlo ai genitori, o a guardare in faccia Cecil.

In quanto ai suoi genitori, aveva scritto loro una lettera qualche giorno prima ma in essa aveva finto che andasse tutto bene. Non era ancora il momento e, forse, avrebbe preferito farlo di persona, anche se sarebbe stato ancora più difficile.

In quanto a Cecil, non si sentiva degna della sua attenzione. L’idea che un altro uomo l’avesse toccata e che lei non fosse riuscita a impedirlo era qualcosa che la tormentava senza darle via d’uscita.

Di notte poi sognava tutto di nuovo, come se fosse intrappolata in un circolo vizioso senza fine.

Era stanca, stanca di tutto. Non ci mise molto a capire che una via d’uscita c’era e si trattava di tornare a lezione. Sarebbe stato difficile, certo, ma doveva ricominciare a vivere.

Ricopiare gli appunti dei suoi amici e leggere gli argomenti persi dai libri di testo non le bastava, né riusciva a distrarla davvero. Ormai le era chiaro che se non fosse uscita da quella stanza non sarebbe cambiato niente.

Quel mattino, quando disse ad Ana e a Patricia che sarebbe andata a colazione con loro, le due ragazze sgranarono gli occhi. Non riuscivano a crederci.

Emily si lavò e si vestì notando di essere dimagrita un po’ e di avere le occhiaie. Prese la borsa, l’occorrente per le lezioni del mattino e si incammino con le amiche.

Nella sala comune c’erano dei ragazzi che chiacchieravano e lei si sentì mancare il fiato. Tenne lo sguardo incollato al pavimento mentre camminava, con loro ai lati come a farle da scudo.

“Eccovi, andiamo a colazione? Ah, Lewis…”

Riconobbe che a parlare era stato Nathan, ma si sentì male e non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo su di lui.

Ana si allontanò da lei di qualche passo per raggiungerlo.

“Vai con gli altri oggi e gira a largo, okay? Parliamo più tardi,” gli disse.

Emily non sentì il ragazzo rispondere, si limitò a seguire le due compagne fuori dal dormitorio. Nei corridoi si sforzò di alzare il viso per guardarsi intorno. Nessuno sembrava interessato a lei e fu un sollievo, ma non era niente in confronto alla paura di incontrare Fiery per caso.

Raggiunta la sala grande, osservò con timore il tavolo dei professori e quando poté confermare che lui non c’era tirò un sospiro di sollievo. Seguì le amiche al solito posto e iniziò a mangiare con loro, anche se aveva poco appetito.

“Emily!” esclamò Blue, che l’aveva raggiunta. “Che bello rivederti qui,” continuò, accomodandosi accanto a lei.

“È bello anche per me,” rispose quasi a bassa voce, accennando un sorriso che non era davvero genuino.

Poi con lo sguardo esaminò di nuovo il tavolo dei professori per assicurarsi che non fosse arrivato Fiery.

“Lui non c’è, non è più sceso in sala grande,” le sussurrò Blue, che doveva aver notato la sua preoccupazione. “La McGranitt mi ha assicurato che esce dalle sue stanze solo per fare lezione.”

Emily annuì e strinse i pugni.

Ciò che le aveva fatto… lo sentiva ancora sulla pelle. L’idea che forse lo avesse già fatto ad altre in passato, e che ancora insegnasse, le faceva venire il voltastomaco. Posò il cucchiaio nel suo piatto e sospirò.

Sempre più persone stavano entrando nella sala grande ma nessuno sembrava fare caso a lei. Tutti erano impegnati con altre questioni e ciò la rincuorava, almeno in parte. Quando però vide Cecil insieme al suo gruppo di amici Grifondoro provò l’impulso di nascondersi dietro a Blue.

Sapeva di aver fallito nel suo intento, perché poco dopo sentì dei passi veloci farsi sempre più vicini.

“Emily…”

Sobbalzò. La voce di Cecil era gentile e cauta, eppure lei non la sentiva da giorni e aveva temuto tanto quel momento. Le servì molto coraggio per alzare lo sguardo su di lui e vederlo dispiaciuto le fece male.

“Ehi Berrycloth, qui stiamo avendo un momento per sole ragazze,” gli disse acidamente Ana, guardandolo in cagnesco.

Cecil esitò per un secondo guardando prima tutte loro, poi di nuovo Emily e infine la bionda Serpeverde.

“Certo, scusate…”

“No… Puoi restare,” lo richiamò Emily, guadagnandosi le loro occhiate sorprese.

Cecil si schiarì la voce e si sedette accanto a Blue, gesto che colpì molto Emily. Sì, perché in tutti quegli anni lui non si era mai unito a lei al tavolo dei Serpeverde, né a quello di Tassorosso quando lei e l’amica si trovavano lì.

“Mi sei mancata in questi giorni,” disse solo, visibilmente imbarazzato perché le altre tre lo stavano fissando.

Dopo aver parlato, come se niente fosse, si servì la colazione.

Emily non ebbe il coraggio di replicare ma anche lui le era mancato molto.

La prima lezione della mattina era trasfigurazione con i Grifondoro. Prendendo coraggio, Emily chiese a Cecil di accompagnarla quindi si incamminarono verso l’aula insieme, con Ana e Patricia davanti ad aprire la strada.

All’inizio tra loro calò il silenzio. Cecil probabilmente non sapeva cosa dire, Emily invece aveva un’infinità di cose per la testa, troppe per riuscire a metterle a parole. Camminò a sguardo basso assicurandosi solo di rimanere al suo fianco, e trascorse un minuto buono a cercare di fare ordine tra i pensieri.

“Mi dispiace di averti fatto preoccupare… Blue mi ha detto che ti sei arrabbiato con Ana e Patricia, perché non ti hanno fatto entrare nel dormitorio, ma glielo avevo chiesto io…”

“Non mi devi delle scuse e non sei tu ad avere colpe,” sottolineò lui, con una nota di sicurezza nella voce.

Emily annuì.

“Anche tu… mi sei mancato… ma avevo paura di vederti,” ammise, a fatica.

“E perché mai?” chiese, rivolgendole uno sguardo preoccupato.

“Perché adesso mi sento una stupida… un’ingenua, una debole…” rispose, sentendo gli occhi farsi umidi.

Si sentiva anche sporca, ma questo non lo disse.

“Non lo sei! E se devo essere io a ricordartelo, lo farò ogni volta che servirà!”

“Non credo che basterebbe ricordarmelo…” sospirò.

Lo vide avvicinarsi di più e si spostò d’istinto, spaventata, rivolgendogli uno sguardo allarmato. Forse voleva abbracciarla? Lei non lo sapeva, aveva solo percepito il pericolo.

“Scusa, non avvicinarti più di così,” lo pregò, dispiaciuta.

Erano arrivati all’aula ormai, ma una volta qui Emily indugiò.

“Lo capisco se vuoi sederti con le tue amiche,” disse lui, vedendola ferma sulla porta.

“No… Invece vorrei sedermi con te.”

Prendendo coraggio, lo seguì fino al solito posto e si accomodò. Durante la lezione riuscì inaspettatamente a concentrarsi, anche se i pensieri negativi non erano spariti del tutto. Inoltre notò che Cecil stava ben attento a non avvicinarsi troppo, nemmeno per sbaglio muovendo il braccio destro mentre prendeva appunti.

La professoressa Valence Rain non commentò la sua assenza degli ultimi giorni, cosa che le diede la spiacevole sensazione che la preside avesse informato il corpo insegnanti. Malgrado questo non si sentì osservata in modo diverso, né da lei né dagli altri compagni.

A fine lezione mise via il libro, gli appunti e sospirò. Era stato particolarmente difficile stare lì, tanto che avrebbe voluto una pausa.

“Emily, verresti con me in un posto?” le chiese Cecil, alzandosi per primo.

“Ho antiche rune adesso…” rispose, preoccupata.

“Ma non è triste andarci da sola?”

“Veramente anche io frequento antiche rune,” puntualizzò Ana, appena comparsa al suo fianco.

Cecil si vergognò di ciò che aveva detto ma non aggiunse altro. Si limitò a offrire la mano a Emily. Lei esitò per una manciata di secondi, sentendosi soffocare al solo pensiero di toccarlo. Alla fine scosse la testa per fargli capire che non poteva, ma si alzò comunque.

Uscirono insieme dall’aula, mentre Ana esclamava che le doveva un favore perché le avrebbe prestato i suoi appunti.

Fu molto strano passeggiare per i corridoi di Hogwarts con Cecil, diretta verso una meta ignota, anziché recarsi a lezione. Strano, ma bello.

Lui si teneva distante, ma lei lo sentiva comunque vicino.

Camminarono fino alle scale che conducevano alla torre di astronomia, poi il ragazzo si fermò e le rivolse uno sguardo carico di insicurezza.

“Se è un posto troppo isolato e ti senti a disagio, andiamo da un’altra parte,” le propose, ma Emily scosse la testa.

Era davvero un posto isolato, ma non temeva che succedesse qualcosa di brutto perché non era sola, sarebbe stata con lui.

“Per me va bene, ma… perché andiamo sulla torre di astronomia? E tu non avevi divinazione a quest’ora?”

“Non mi importa di divinazione,” rispose e sospirò. “Vorrei parlarti di una cosa e spero che tu voglia ascoltarmi… quindi ho pensato a un posto dove non ci disturberà nessuno.”

Sorpresa e curiosa, Emily annuì e lo seguì su per le scale.





Note di quella che scrive

Aggiornamento notturno, capitolo breve, ma stavolta va così. Spero di aver reso bene lo stato d'animo di Emily, ma temo di aver fallito miseramente...
E a proposito, se secondo voi la storia dovrebbe avere un rating rosso a causa di ciò che avete letto nello scorso capitolo, fatemelo sapere. Accetto suggerimenti.

Adesso siamo in una terza fase della storia, che inizia proprio con "il dopo" e che ci accompagnerà fino alla fine.

Quando ho pubblicato il primo capitolo di questa storia, ormai avevo già terminato di scriverla ma stavo ancora lavorando a degli extra. Stasera ho finalmente finito di scriverne uno che mi stava facendo penare, ed era l'unico che mi mancava. Insomma, ero felice e così ho deciso di postare subito questo capitolo.

Spero che il precedente non vi abbia sconvolti troppo, e che rimarrete comunque per scoprire cosa succederà da adesso in poi.

Alla prossima!

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 ***


CAPITOLO 40

 


In cima alla torre di astronomia tirava un’aria fresca ma piacevole. Emily, seduta per terra, era distante di qualche passo rispetto a Cecil, che si era accomodato davanti a lei.

“Ecco… so che non è un buon momento, ma voglio che tu lo sappia,” iniziò il ragazzo, abbassando il capo con aria imbarazzata.

C’era una strana atmosfera tra loro quel giorno, non solo perché non si vedevano da un po’ di tempo, o perché Emily non si sentiva a suo agio dopo ciò che le era successo. C’era dell’altro, qualcosa che impediva a Cecil di guardarla in faccia per troppo tempo, di incrociare il suo sguardo, e che riempiva l’aria di aspettativa e fermento.

“Avrei dovuto proteggerti e mi sento in colpa per non aver capito niente… perché tengo molto a te… Quindi d’ora in poi voglio starti vicino e proteggerti davvero.”

Emily sgranò gli occhi e il cuore le perse un battito. Cecil le voleva ancora bene! Peccato che ora lei si sentiva diversa. Temeva di non meritare le sue attenzioni.

“Dici davvero? Non… non ti faccio schifo adesso?” gli chiese, sentendosi sul punto di piangere.

“No! Perché dovresti?” esclamò, sgranando gli occhi con aria preoccupata.

“Perché un altro ha…” rispose, ma non riuscì a terminare la frase.

E rivolgendogli uno sguardo ebbe la conferma che lui sapesse... che avesse capito, almeno in parte, ciò che le era accaduto. E per un attimo sentì il cuore stretto in una morsa soffocante.

“Per me non è cambiato niente, tu sei sempre tu!” le disse Cecil.

Lei accennò un sorriso e si sentì estremamente sollevata, anche se non tutto il peso aveva lasciato il suo petto.

“Io… sono felice che tra noi sia tutto a posto. Però… scusami se ti tengo lontano, mi servirà un po’ di tempo. Non… non credo di poter sopportare del contatto fisico, adesso…” lo vide annuire con fare comprensivo, quindi continuò. “E tu non sentirti in colpa, ero io che dovevo stare più attenta… e mi sono protetta da sola, anche se non come avrei voluto.”

“A proposito… se ne senti il bisogno, puoi parlarne con me. Non per forza adesso, ma…”

“Cecil, ti ho già detto che di certe cose non riesco a parlarti proprio perché tu mi piaci...”

“Lo so, ma io voglio diventare il tipo di persona a cui potrai confidare qualsiasi cosa, anche la più difficile,” ribatté, tenendo lo sguardo basso. “E anche io ti dirò tutto. Non ci saranno più segreti tra noi.”

Emily annuì, sorpresa ma anche preoccupata.

“Sei già quel tipo di persona, Cecil… Sono io che faccio fatica,” ammise.

“Non ti sforzare. Quando e se vorrai, sarò qui per te.”

“No, voglio provare,” disse con voce tremante e sospirò.

Sarebbe stato difficile raccontare anche il minimo particolare, e sarebbe stato anche umiliante, ma una parte di lei credeva anche che forse le avrebbe fatto bene. Forse... le sarebbe stato utile per riprendersi, per togliersi di dosso quella sensazione spiacevole.

“Se non te la senti, fai finta che io non ti abbia detto niente.”

Emily avrebbe voluto rispondere che non poteva, perché ogni cosa che lui diceva le rimaneva ben impressa nella mente, ma non commentò. Si limitò a scuotere la testa.

“Posso provare a dirti cos’è successo, ma… ti sembrerò una stupida.”

“Impossibile,” rispose, rivolgendole uno sguardo intenso e sincero.

Calò il silenzio, un silenzio pesante perché Emily era combattuta. Avrebbe voluto essere tra le sue braccia in quel momento, confidarsi con lui mentre si teneva aggrappata al suo petto, o ci appoggiava la sua schiena… In questo modo non lo avrebbe guardato in viso, ma avrebbe sentito il suo calore confortante infonderle fiducia.

Malgrado questo suo desiderio, sentiva di non potersi avvicinare più di così… Non ancora. Non avrebbe voluto aver paura di Cecil, ma l’idea di trovarsi di nuovo tanto vicino a un individuo di sesso maschile la spaventava.

Cercò di non pensarci, altrimenti sarebbe scoppiata a piangere da sola, il che l’avrebbe fatta sentire ancora più stupida. Ogni tanto le capitava di piangere, ma era un evento raro… eppure in quei giorni era stata un fiume in piena. Non si sentiva più se stessa.

Puntò lo sguardo sulle sue mani, che teneva appoggiate sulle ginocchia, prese un respiro profondo e decise di provare davvero.

“Io… l’ho seguito in un’aula vuota perché aveva bisogno di una cosa. In quel momento avrei dovuto essere sugli spalti di quidditch per guardare le selezioni, perciò speravo che fosse una cosa veloce,” iniziò a raccontare, percependo il magone farsi più forte, come a volerle togliere la forza di parlare prima che fosse troppo tardi. “All’improvviso si è messo a dire che gli piacevo e che avrei dovuto prenderlo in considerazione…”

Chiuse gli occhi e strinse i denti. Si lasciò scappare un sospiro sofferto tra le labbra tremanti. Solo a ripensarci si sentiva nauseata, e la consapevolezza che quell’uomo viscido fosse ancora lì, nel castello di Hogwarts, le fece ribollire il sangue nelle vene.

“Ha iniziato a… baciarmi il collo…” si zittì di nuovo, perché stava per piangere davvero.

Se fosse stata vicina a Cecil si sarebbe buttata tra le sue braccia per farlo in silenzio, confortata dalla sua stretta gentile. Purtroppo però erano lontani circa un metro l’uno dall’altra e il suo corpo era come pietrificato sul posto… ma era la sua mente a renderla incapace di avvicinarsi a lui.

Riuscì a muoversi solo per portare le ginocchia al petto e stringere le braccia intorno alle gambe, in un gesto di protezione che non la fece sentire affatto meglio. Non avrebbe detto altro di ciò che le aveva fatto perché non si stava sentendo più leggera, anzi sembrava che si stesse infliggendo una tortura.

“Ho provato a spingerlo via ma era così forte…” aggiunse con voce tremante, per poi decidere che il discorso era chiuso definitivamente.

Era troppo doloroso.

Le parve che Cecil stesse tremando, quindi alzò timidamente lo sguardo su di lui. Lo vide che stringeva i pugni, aveva le spalle rigide e gli occhi lucidi, puntati sul pavimento. Sembrava persino sbiancato.

“Mi dispiace… che tu abbia dovuto sopportare tutto questo,” le disse, con un tono di voce basso e forzato, come se avesse fatto fatica a trovare la forza per parlare.

“Non pensi che sono stata una stupida? Una debole?”

“Assolutamente no! Io, al tuo posto, forse sarei stato bloccato dalla paura…”

“Anche io lo ero,” ammise, abbassando nuovamente lo sguardo sulle proprie ginocchia. “Ma non potevo permettergli di fare quello che voleva. Sono riuscita a sfuggirgli buttandomi a terra, e credo volesse oblivarmi ma prima che potesse farlo l’ho schiantato.”

Lo aveva detto in fretta, senza pensare, ma quando vide Cecil sgranare gli occhi si accorse di aver parlato troppo. Lo aveva spiazzato e di colpo tutto il malessere che stava cercando di soffocare le fu di nuovo addosso. Ma fu solo un istante, perché poi lui scosse la testa e assunse un’espressione più rilassata, anche se non del tutto genuina. Stava cercando di non dare a vedere quanto fosse turbato?

“Una mossa degna del prodigio del club dei duellanti,” commentò, e il fatto che cercasse di scherzare per portare i suoi pensieri altrove la fece sorridere.

“Nessuno mi chiama così…”

“Io lo faccio,” insistette. “È stato un vero bastardo... Anzi, chiamarlo così è riduttivo. Vorrei cruciarlo!”

Emily schiuse le labbra, sorpresa. Cecil sembrava arrabbiato e aveva gli occhi arrossati. Ancora una volta desiderò di andare da lui ad abbracciarlo, ma non sentiva di farcela ad avvicinarsi più di così in quel momento.

“Grazie… ma non serve. A me basta che mi stia alla larga.”

Cecil le rivolse un sorriso tirato.

“Ti proteggerò io d’ora in poi,” dichiarò.  

“Non ho dubbi,” rispose lei, sincera.

Quella volta si era ritrovata da sola, a dover pensare a se stessa, e doveva ringraziare la sua prontezza e il duro allenamento nei duelli se le cose erano andate così. In passato, però, Cecil era arrivato in suo soccorso più volte. Lei aveva fiducia in lui quanta ne aveva nelle proprie capacità, se non di più.

“Adesso potremmo andare in biblioteca?” gli propose, perché quello spazio isolato iniziava a starle stretto. “So che stiamo saltando entrambi una lezione, ma… in questi giorni sono rimasta indietro con tutto e vorrei prendere in prestito alcuni libri...”

“Certo, andiamo,” rispose lui, alzandosi.

Emily fece segno a Cecil di scendere per primo e, mentre percorrevano le scale, lo osservò silenziosamente trovando rassicurante la sua presenza. Era stato doloroso raccontargli quei dettagli, ma in un certo senso si sentiva davvero più leggera. Aveva anche potuto spazzare via parte delle sue insicurezze, perché ora sapeva che lui non la vedeva diversamente a causa di ciò che aveva subito.

Arrivati in fondo alle scale imboccarono il corridoio che li avrebbe condotti alla biblioteca, questa volta camminando l’uno accanto all’altra. Erano ancora in silenzio e ogni tanto incrociavano dei compagni più piccoli o più grandi intenti a chiacchierare mentre andavano da qualche parte.

Intorno a loro era come se non fosse successo niente, eppure il mondo interiore di Emily era in subbuglio, anzi era stato proprio stravolto.

Ogni tanto spostava lo sguardo su Cecil per studiarlo di nascosto, e così facendo si ritrovò a guardare anche la sua mano destra.

“Cecil, possiamo…” si zittì e si morse il labbro inferiore sentendosi una stupida.

“Che cosa?” chiese lui, voltandosi nella sua direzione.

“Beh… Mi piacerebbe provare a prenderti per mano adesso, se a te non dà fastidio. So che non stiamo insieme o altro, però…” si zittì di nuovo e sospirò sentendosi tremare.

Forse lui non la vedeva come una debole ma lei si percepiva proprio così, perché non riusciva a comunicargli nemmeno una cosa tanto semplice, né sapeva se ce l’avrebbe fatta davvero, anche se lo voleva.

“Per me va bene,” rispose dolcemente Cecil, sorprendendola.

Guardandolo bene Emily si accorse che sembrava in imbarazzo, eppure lei non si era nemmeno avvicinata.

Annuì e si fece coraggio, quindi tese la mano e sfiorò quella dell’amico, ferma in attesa che fosse lei a fare la prima mossa. Sussultò e la ritrasse subito, ma si riscosse e, tentando di nuovo, gliela afferrò con decisione.

Dovette armarsi di molto autocontrollo per non lasciargliela andare all’istante. Aveva puntato lo sguardo davanti a sé nella speranza di mantenersi concentrata su ciò che stava facendo e non sulle sue paure.

Si ripeté che quella era la mano calda e rassicurante di Cecil; non era certo una delle mani che l’aveva stretta con forza per non farla scappare, per poi toccarla dappertutto contro la sua volontà.

Uno spiacevole brivido le percorse la spina dorsale. Si sentiva molto a disagio a causa dei pensieri che stava facendo, che smontavano i suoi tentativi di essere razionale, ma almeno adesso non sentiva più l’impulso di lasciare la presa.

Lo fece solo quando furono ormai arrivati in biblioteca, perché capì che non era il caso di entrare lì così… anche perché Cecil non sembrava molto tranquillo.

Si erano già baciati qualche volta, ma lui non era ancora abituato al contatto con lei. Probabilmente quelle volte aveva agito d’istinto, senza rendersene conto. Emily abbassò lo sguardo e si chiese se fosse un bene o un male, ma alla fine si disse che non doveva per forza trovare subito la risposta a ogni sua domanda.

Aveva altro di cui preoccuparsi al momento.

 
Era passato un mese da quel fatidico giorno che aveva distrutto la sicurezza e l’autostima di Emily, un mese durante il quale era uscita dalla sua camera solo in compagnia delle amiche o di Cecil. Lui le era stato particolarmente vicino, anche se solo in senso figurato, dimostrando che la sua intenzione di proteggerla era autentica.

Non avevano più parlato dell’accaduto, né avevano provato a cancellare la distanza fisica tra loro, e a lei questo andava bene.

Non aveva paura di Cecil, anzi sapeva di potergli affidare la sua vita. L’idea di buttarsi tra le sue braccia però, malgrado in parte le piacesse, la terrorizzava anche. Lo stesso poteva dire dell’eventualità di trovarselo addosso all’improvviso, perciò stava sempre in allerta, ma in fondo sapeva che lui non era il tipo.

Il problema erano gli altri ragazzi, che non le stavano mai troppo vicini, però chissà. Lei sentiva di non potersi fidare di nessuno mentre si spostava da un’aula all’altra, o nei corridoi particolarmente affollati, per questo faceva di tutto per stare alla larga dalle folle di studenti in movimento.

Persino i suoi amici la spaventavano, ma in loro presenza Emily si irrigidiva solamente, fingendo che andasse tutto bene. Le era successo con Parker, con Nathan e persino con Solomon Sharpridge, che l’aveva avvicinata per chiederle se stesse bene, con la scusa che era Hanna Arsen quella preoccupata.

In ogni caso, era chiaro che non sapessero perché fosse così turbata. Gli unici a saperlo, a parte Blue, erano Cecil, Patricia e Ana. Forse anche Hanna, dato lo stato in cui l’aveva vista quel giorno. Comunque, loro conoscevano quegli eventi solo superficialmente.

Che i professori sapessero o meno, quello era un mistero che la turbava abbastanza. Nessuno aveva fatto storie per le sue assenze, né per saperne il motivo né per sovraccaricarla di lavoro come punizione. Nessuno, nemmeno il professor Brodie, il che non la convinceva affatto.

Emily era giunta alla conclusione che la McGranitt l’avesse giustificata con il corpo insegnanti, ma sperava che non avesse detto loro cosa le era successo davvero.

Quel giorno si trovava in sala grande insieme a Cecil e Blue. Si erano seduti a uno dei tavoli a studiare insieme, come era capitato spesso anche in passato. Circa un’ora dopo avrebbero avuto lezione di cura delle creature magiche, ma c’era tempo perciò non se ne preoccuparono.

Il vociare degli altri studenti distrasse Emily dal libro di trasfigurazione, così alzò lo sguardo e notò che alcuni dei presenti stavano uscendo dalla sala. Fuori, in corridoio, si vedevano tanti altri ragazzi che camminavano a passo svelto verso il portone di ingresso.

“Cosa starà succedendo?” domandò, più a se stessa che agli amici.

Quella massa di gente non le faceva venire nessuna voglia di alzarsi e andare a vedere di persona, ma era comunque curiosa. Insomma, se così tanti studenti si erano mossi doveva significare pur qualcosa.

“Mmm, ho sentito che oggi se ne sarebbe andato il professore di babbanologia,” rispose Blue, rivolgendole uno sguardo preoccupato.

Emily tremò impercettibilmente sentendolo nominare. Si irrigidì, ma poi capì che, se tutti stavano uscendo, significava che lui si trovava già nel giardino del castello. Insomma, non l’avrebbe visto neanche per sbaglio, mentre passava in corridoio.

Tirò un sospiro di sollievo appena udibile e si impose di tornare concentrata sul suo libro, anche se sembrava impossibile in quel momento.

“Cecil, tu non vai con gli altri a salutare il tuo capo casa?” gli chiese Blue, giocherellando con la sua piuma per mascherare il suo disagio, che per Emily era comunque visibile.

No,” rispose Cecil in un tono categorico, senza nemmeno alzare lo sguardo.

Fu Emily ad alzarlo su di lui, terrorizzata. Cecil sapeva tutto, non aveva idea di come fosse possibile ma era così! 

Rivolse lo sguardo a Blue e la trovò con gli occhi sgranati e la bocca schiusa, la penna che le era scappata di mano macchiando di inchiostro il libro.

Forse a causa del loro silenzio improvviso, Cecil alzò il capo ritrovandosi trafitto dai loro sguardi.

“C-Come l’hai capito?” gli domandò Emily, trovando le parole a fatica.

Non era più il caso di farne mistero, dato che era chiaro che lui lo sapesse. Però doveva capire come fosse possibile, perché non voleva che nessun altro lo scoprisse o che la voce si spargesse per tutta la scuola.

Cecil sospirò e chiuse il suo libro.

“Dopo le selezioni della squadra di quidditch, la McGranitt si è presentata nel mio dormitorio insieme al professor Paciock. Ha detto che lui sarebbe stato il nuovo capo casa da quel momento in avanti, perché Fiery avrebbe presto lasciato la cattedra per motivi personali… Quindi di rivolgerci al professore di erbologia, o ai prefetti, per qualsiasi necessità, non più a lui. Il giorno dopo tu non sei scesa a colazione e le tue amiche non mi hanno fatto entrare a vedere come stavi. Blue mi ha detto… che qualcuno ti aveva fatto del male, e per me è stato subito ovvio il colpevole, anche se all’inizio non volevo crederci.”

Emily storse le labbra in un’espressione disgustata e tenne lo sguardo incollato al legno del tavolo mentre lo ascoltava. Non solo l’aveva capito da sé, ma lo aveva fatto fin dall’inizio. Per questo non aveva insistito per sapere chi fosse.

“Emily? Non volevo prenderti in giro o altro, solo non mi sembrava il caso di dirtelo,” continuò Cecil, richiamando la sua attenzione. “Non volevo farti soffrire ancora di più…”

Le era sembrato arrabbiato mentre spiegava tutta la storia, mentre ora era solo dispiaciuto. Annuì, comprendendo le sue ragioni. Alla fine aveva solo voluto proteggerla da una sofferenza inutile e lei non aveva motivo di avercela con lui.

Il fatto che lui sapesse la turbava, però non sembrava cambiare la situazione, né la considerazione che il ragazzo aveva di lei.

 
La sera stessa, appena prima della cena, la preside tenne un breve discorso. Forse il giorno prima non l’aveva fatto per avvisare della dipartita di Fiery, sia perché lui non si presentava più in sala grande, sia perché probabilmente non voleva attirare su di lui l’attenzione di tutti.

Ora che se n’era andato, comunicò la cosa come per assicurarsi che lo sapessero anche gli studenti più distratti. Nominò ufficialmente Neville Paciock come capo casa di Grifondoro e presentò il nuovo insegnante di babbanologia, anche se avrebbe ricoperto quel ruolo solo temporaneamente.

Si trattava di Arthur Weasley, che Emily conosceva superficialmente perché aveva sentito parlare di lui – e della sua famiglia – nei testi relativi alla seconda guerra magica.

La McGranitt disse che era stato direttore dell’Ufficio per l'Uso Improprio dei Manufatti dei Babbani, mentre ora dirigeva l’Ufficio Intercettazioni e Confisca di Incantesimi Difensivi e Oggetti Protettivi Contraffatti. Si era preso una piccola pausa dal Ministero per occupare la cattedra di babbanologia, rimasta scoperta con così poco preavviso.

A Emily tutti quei paroloni entrarono da un orecchio e uscirono dall’altro, però le rimase impresso il fatto che esistesse un dipartimento del Ministero dedicato all’uso improprio degli oggetti babbani. Si disse che le era necessario informarsi a riguardo.

In quanto al nuovo insegnante – temporaneo – di babbanologia, era un uomo di quasi sessant’anni dai capelli di un color arancione acceso e dall’aria amichevole.

Una parte di lei, quella ancora interessata alla materia, avrebbe voluto fargli delle domande. Un’altra però era rimasta recentemente scottata e malediceva il giorno in cui aveva dato confidenza a Fiery, e quella ebbe la meglio. Si disse che, malgrado la sua curiosità, non si sarebbe mai avvicinata al professor Weasley senza che fosse davvero necessario.

Il discorso della preside fu breve e diede il via al solito banchetto delizioso. Emily si sentiva più leggera ora che era certa che quell’uomo viscido non era più nel castello, e che era stato finalmente rimpiazzato, quindi mangiò serenamente.

La sua amica Patricia, accanto a lei, iniziò a chiacchierare di argomenti frivoli e anche quello la rassicurò, perché in sua compagnia sembrava che la normalità di sempre non si fosse mai incrinata. Ana e Nathan, davanti a lei, battibeccavano come al solito dandole la stessa impressione.

E pensare che al primo anno si era trovata male nella sua casa perché tutti le erano sembrati freddi e presuntuosi. Era felice di aver fatto amicizia almeno con loro tre, alla fine, e doveva dire che l’atmosfera generale del dormitorio era presto diventata meno soffocante.

Era davvero felice di quei momenti di serena normalità, tanto che sperava sarebbero diventati sempre più presenti fino a far svanire del tutto le sue preoccupazioni.




Note di quella che scrive

ALLORA, so che la scelta di inserire Arthur per quel ruolo è un po' forzata, e che per lui è sicuramente doloroso tornare al castello, ma volevo far comparire una faccia amica. E soprattutto, volevo fosse chiaro che non tutti sono interessati o disposti ad accettare la cattedra di babbanologia. Per questo Fiery resta a scuola UN MESE (maledettoooo) prima che possano effettivamente liberarsi di lui. Comunque, ditemi cosa ne pensate!

So che i toni della storia sono cambiati, ma vi garantisco che è solo una fase. Spero non sia troppo pesante per voi...

Alla prossima!

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Capitolo 41
*** Capitolo 41 ***


CAPITOLO 41

 


Emily, seduta sul letto di Blue, stava mangiando una tortina di zucca offertale dall’amica. Era un pomeriggio tranquillo senza impegni perciò la loro idea era quella di studiare, ma con Blue non si poteva mai sapere come sarebbero andate davvero le cose.

Quando, all’ennesimo rimprovero di Madama Pince, avevano lasciato la biblioteca per andare nel dormitorio di Tassorosso, Emily aveva capito che non sarebbe finita bene.

Presto la bionda le aveva mostrato la sua scorta segreta di dolci e aveva iniziato a chiacchierare e a fare battute, portando il suo pensiero ovunque fuorché sui compiti.

In quel momento Cecil si stava allenando con la squadra di quidditch e sarebbero anche potute andare ad assistere, ma lei non ne aveva molta voglia.

In primis perché ancora non riusciva a capire cosa ci fosse di bello in quello sport. In secondo luogo, perché nell’ultimo periodo era già stata molto spesso in compagnia del ragazzo. Non che ci fosse la possibilità che il tempo trascorso insieme fosse troppo, ma le mancavano le chiacchiere tra lei e Blue.

“Sai, adesso io e Hanna stiamo uscendo davvero… Non più come amiche, ma proprio come coppia,” le svelò la bionda, con lo sguardo basso di chi ha qualcosa da nascondere.

“Congratulazioni! A meno che non ci sia qualcosa di male in questo,” aggiunse Emily, che aveva notato lo sguardo sfuggente dell’amica.

Blue sospirò prima di riprendere parola.

“Sto bene con lei, ma… non credo di essere innamorata. Insomma, mi aspetto che innamorarsi sia qualcosa di diverso.”

Emily annuì. Ogni tanto le aveva viste insieme e le erano sembrate semplicemente buone amiche, ma non sapeva come si comportavano nel privato quindi non poteva giudicare. In ogni caso, Blue non parlava molto di Hanna Arsen.

“Secondo te sto facendo qualcosa di male?”

“Certo che no! Perché me lo chiedi?”

“Perché a lei piaccio un casino, lo so da come mi guarda, mentre io…” sospirò. “Mmh, temo di star assecondando i suoi sentimenti e basta.”

Emily strabuzzò gli occhi, confusa.

“Ma hai appena detto che ti trovi bene con lei,” le fece notare.

“Già. Ride alle mie battute, mi regala sempre i miei snack preferiti ed è sorprendentemente brava con aritmanzia, tanto che è lei a darmi consigli per lo studio… e va al quarto anno! Ma ci pensi?” sorrise rendendo chiaro quanto fosse fiera di questa sua dote. “Però… So di non essere innamorata, ecco tutto.”

“Secondo me, se lei ti piace davvero, non stai facendo niente di male. Magari per l’amore ci vuole solo un po’ più di tempo,” ipotizzò Emily, pensierosa.

“Ecco! Sono contenta che la pensi come me, mi fai sentire meno una brutta persona,” sbuffò e iniziò a dondolare avanti e indietro le gambe. “Magari il mese prossimo sarò già pazza di lei… o magari no, chi lo sa? Intanto però sono contenta di poter uscire con qualcuno… E non qualcuno a caso, è pure tanto carina…”

Emily sorrise vedendola imbarazzata e pensò che forse era davvero questione di tempo. Poi però le tornò alla mente la sua situazione e si rabbuiò.

“Tutto bene? All’improvviso sembri triste…” disse Blue, offrendole una caramella che lei accettò silenziosamente. “Si tratta di Cecil?”

“Sì e no. Vedi, lui non mi ha ancora detto se prova qualcosa per me… Cioè, ha detto che tiene a me e che vuole proteggermi, e io lo apprezzo molto. Anzi, al momento non pretendo altro, davvero. Però…” si fermò e sospirò. “Mi sento davvero fragile, come se non fossi più la me stessa di prima. Lui sta sempre con me e mi fa sentire al sicuro, ma io non sono così. Me ne andavo in giro tranquilla anche dopo che Baxter mi ha fatto quell’agguato facendomi finire in infermeria! Invece adesso non sono più autonoma. Se non si tratta di Cecil, al quale tra l’altro non riesco proprio ad avvicinarmi, sono con te o con le altre…”

Blue sembrò soppesare le sue parole per qualche secondo prima di decidersi a risponderle, ancora intenta a dondolare le gambe sotto al letto.

“Io ti consiglio di darti tempo e di provare poco alla volta a fare le cose da sola. Ah, per iniziare potresti andare in giro con qualcuno che non è lì per proteggerti, come gradino intermedio del processo. Magari Hanna, oppure Parker,” le suggerì.

Al solo pensiero di passeggiare per Hogwarts con un ragazzo che non conosceva tutta la storia, e che quindi avrebbe potuto sfiorarla anche solo per sbaglio, si sentì raggelare.

“Non credo che Parker sia una buona idea,” disse subito, prima che l’amica potesse continuare. “Però mi hai dato un ottimo suggerimento, proverò a chiederlo ad Hanna se per te non è un problema.”

“Figurati! Anzi, devo vederla più tardi quindi potresti venire con noi, così parliamo un po’,” propose, sfoggiando un sorriso smagliante.

“E rovinare il vostro appuntamento? Non potrei mai!” ribatté Emily, ricambiando il sorriso.

Purtroppo quell’anno niente stava andando come sperato, ma Blue le aveva dato un consiglio prezioso. Dopotutto, per non doversene andare in giro da sola e per non rischiare del contatto fisico non richiesto, stava rinunciando alle sue solite attività.

Non si era più resa disponibile per aiutare degli studenti a studiare, né per supportare i più piccoli durante il ripasso di incantesimi. Inoltre non stava partecipando agli incontri del club dei duellanti.

Inaspettatamente quell’impegno le mancava molto. Doveva ammetterlo, all’inizio non si era unita al club per sua volontà, ma farne parte l’aveva salvata. Era solo grazie a tutti quei duelli che aveva sviluppato la prontezza necessaria a scagliare incantesimi anche nelle situazioni più disperate.

Sospirò e cercò di non pensarci, sperando di riuscire a trovare una soluzione a tutte le sue paure. Sapeva che ce ne sarebbe voluto di tempo e ciò la rendeva frustrata e insicura, peggiorando le cose.

 
Qualche giorno dopo, la McGranitt la invitò nel suo ufficio a prendere un tè. Emily accettò di buon grado, anche se il suo invito la sorprese molto. Si chiese perché la preside volesse vederla.

Servendosi della magia, la donna le versò un tè dal profumo intenso al quale lei aggiunse del latte e una zolletta di zucchero. Accettò anche un biscotto.

Emily si sentiva tesa perché non aveva idea del motivo della sua presenza lì. Quando però la professoressa le mostrò una lista di libri utili per prepararsi all’insegnamento, lei rilassò le spalle e sentì gran parte della tensione abbandonarla.

Ascoltò tutti i suoi consigli e accettò con piacere la lista, curiosa di leggere quei testi. Ne erano successe di cose, ma lei non aveva certo messo da parte il suo desiderio di diventare insegnante.

In ogni caso, ammirava molto la professoressa McGranitt. Al primo anno ne aveva avuto paura, trattandosi della preside, ma presto aveva iniziato a capirla un po’ di più. Sapeva essere severa se necessario, ma anche gentile e protettiva come una madre. Inoltre era una Grifondoro, ma non faceva distinzioni tra gli studenti.

Emily sapeva che attribuire ai membri delle case delle caratteristiche fisse e aspettarsi che tutti fossero così era limitante e non corrispondeva certo alla realtà. Ne era una prova Cecil, Grifondoro ma timido e silenzioso. Poi c’erano altri che rispecchiavano le caratteristiche della loro casa di appartenenza, come Matt Crowley, Corvonero sicuro di sé e delle sue capacità che se ne vantava in ogni buona occasione.

La professoressa McGranitt però sembrava al di sopra di quelle distinzioni e di qualsiasi possibile pregiudizio. Era in grado di aiutare in modo disinteressato qualsiasi studente, persino lei che era una Serpeverde dalla vita incasinata. Non glielo avrebbe mai detto probabilmente, ma le era davvero grata per come la stava trattando, oltre che per tutto il resto.

Presero il tè chiacchierando piacevolmente sul tema dell’insegnamento, senza toccare nemmeno per sbaglio babbanologia o ciò che era successo con il precedente professore.

Inoltre una domanda rimase nell’aria, senza mai essere pronunciata, ma Emily capì dal suo sguardo che la donna avrebbe voluto aprire il discorso.

Aveva già parlato con i suoi genitori di tutto ciò che era successo?

La risposta era no, perché Emily non ne avrebbe avuto il coraggio. Non per lettera, almeno. Temeva che, sapendola lontana e ancora in quella scuola, avrebbero dato di matto.

Intendeva parlarne con loro di persona, durante le vacanze di Natale, il che la preoccupava non poco. Come si faceva a guardare in faccia i propri genitori e a dire che era stata molestata, da un professore perdipiù?

Emily ogni tanto se lo domandava, poi ci pensava e ripensava così a lungo che la sua testa avrebbe potuto produrre del fumo per il surriscaldamento.

In ogni caso, aveva deciso così e così avrebbe fatto.

Quando lasciò l’ufficio della preside fu felice che lei non le avesse chiesto niente a riguardo. Le serviva altro tempo e tanto coraggio, ma non avrebbe rimandato per sempre, suo malgrado.

 
Il ballo di Natale era ormai alle porte e tanti studenti si erano già assicurati un accompagnatore. Man mano che il giorno si faceva più vicino, l’intero castello sembrava pervaso dall’entusiasmo di tutti.

Emily, dal canto suo, aveva molto altro per la testa. Ballo di Natale significava anche dover partire per tornare a casa, ad affrontare la dura realtà.

Quando però Cecil, in uno dei loro pomeriggi di studio, le chiese di andare all’evento con lei, rimase del tutto spiazzata. Era la prima volta che la invitava e lei non ci sperava davvero più.

“Sul serio vuoi andarci con me?” gli chiese, invece di accettare subito. “Io… lo sai, non sono ancora tanto sicura di voler stare dove c’è folla, né di essere pronta anche solo per ballare…”

Lo aveva ammesso a sguardo basso, seriamente dispiaciuta. Dal suo punto di vista, Cecil avrebbe potuto avere tante altre ragazze eppure aveva scelto lei, che sarebbe stata solamente un peso.

“Certo che voglio andarci con te. Gli altri anni non ti ho mai invitata, eppure siamo finiti per andarci insieme comunque e non è stato tanto male,” sottolineò, evitando il vero problema.

“Beh, dimentichi la volta in cui ti ho baciato senza che tu lo volessi…” ribatté Emily, ancora dispiaciuta al ricordo di come lui aveva reagito.

Lo vide arrossire e rivolgere lo sguardo altrove, ma subito dopo si schiarì la gola.

“Ne è passato di tempo… Non me ne ricordavo nemmeno più,” disse, ma il suo tono di voce incerto faceva intendere tutt’altro.

“Forse sarebbe meglio se ci andassi con qualcun altro,” continuò Emily, anche se si sentiva male solo al pensiero.

“E con chi? Ci sei solo tu per me! Cioè… Non voglio andare con una persona a caso, è con te che sto bene davvero,” si corresse, grattandosi la nuca con fare imbarazzato. “Ma se non vuoi, non insisterò più.”

“In realtà voglio e anche tanto! Sono felice che tu mi abbia invitata,” ammise, rivolgendogli uno sorriso tirato. “Però ci sono molte altre cose che vorrei fare e che adesso mi sembrano impossibili… e spaventose. Cose come andare al club dei duellanti e allenarmi facendo finta che niente sia mai successo, ma anche sedermi vicino a te o abbracciarti,” sospirò.

“Quindi hai paura che al ballo ti sentirai a disagio?” le domandò cautamente.

“Già. Vorrei stare alla larga dalla folla e per questo farei affidamento su di te… ma non riesco ancora a toccarti come prima.”

Dopo averlo detto, si sentì arrossire per la sua scelta di parole e si accorse che anche Cecil doveva aver pensato alla stessa cosa, perché anche a lui si erano imporporate le guance.

“Magari potremmo… ecco… allenarci, prima del ballo. Non per forza a ballare… o ad abbracciarci… Un po’ come quella volta in cui ci siamo presi per mano, ecco.”

Emily annuì, anche se era incerta. Non sapeva cosa avesse in mente nello specifico e si fidava di lui, ma si era irrigidita comunque sentendo la sua proposta.

“Possiamo provare,” disse, tornando con lo sguardo basso sul libro di erbologia.

Forse, un passo alla volta e senza mai perdere la speranza, entro il ballo di Natale le cose sarebbero andate già meglio. Ci pensò su e capì che ci sperava veramente, perciò si sarebbe impegnata per provare a cambiare davvero.

 
Qualche giorno dopo, di ritorno dalla lezione di cura delle creature magiche, lei e Cecil decisero di rimanere fuori per fare una passeggiata nei pressi del lago nero. Era dicembre e faceva decisamente freddo, ma si erano coperti bene e, in ogni caso, non sarebbero rimasti lì poi molto.

In quanto ad altri impegni, non ne avevano entrambi. Era ancora strano per Emily avere così tanto tempo a disposizione, anche se spesso lo riempiva con lo studio e la lettura. Per questo motivo sentiva che stava lentamente diventando la persona noiosa che un tempo temeva di essere.

“Ti andrebbe… ecco… di provare a prendermi per mano?” le propose Cecil, dopo un attimo di esitazione.

Emily si sentì arrossire, consapevole di volerlo davvero. Ma ci sarebbe riuscita? Lì intorno non c’era nessuno e la mano che Cecil le stava porgendo era coperta da un guanto, perciò annuì e decise di tentare, anche se non l’avevano più fatto dopo quella prima volta, sul finire di ottobre.

Entrambe le loro mani erano guantate in realtà, la stoffa creava quindi uno strato protettivo che, in un certo senso, li separava.

Emily si scoprì inaspettatamente tranquilla, a guardare l’intreccio formato dalle loro mani come se si trattasse di uno spettacolo raro. Era anche un po’ tesa, sì, ma c’era stato comunque un miglioramento.

“Va tutto bene?” le domandò Cecil, attirando il suo sguardo su di sé.

Lui aveva le guance arrossate, che fosse per il freddo o per il loro contatto lei non lo sapeva. I suoi occhi castani erano puntati in quelli verdi di Emily, come a cercare di carpire il suo vero stato d’animo.

Lei annuì di nuovo, persa a osservarlo. Lo avrebbe tenuto per mano per sempre, se possibile. Anzi, in quel momento avrebbe tanto voluto stringersi a lui, sperando che lo strato formato dai loro cappotti pesanti fosse abbastanza perché il contatto tra i loro corpi non la spaventasse.

Voleva provare, ma non osava avvicinarsi di più.

Fu lui a farlo, allungando la mano libera verso il suo viso. Emily, colta alla sprovvista, si ritrasse sgranando gli occhi.

Cecil rimase immobile per un paio di secondi, come a rendersi conto di ciò che aveva fatto.

“Scusa, stavi piangendo e così io…” disse, ma si interruppe a metà frase.

Emily si asciugò il viso con il dorso della mano libera. Non se n’era accorta.

Malgrado lui l’avesse spaventata avvicinandosi all’improvviso, lei continuò a tenerlo per mano, anzi trovò che quel contatto fosse rassicurante. Voleva di più, molto di più, ma non sapeva se era davvero pronta per altro. Però, forse, se lui avesse ridotto le distanze in modo lento e cauto, lei non avrebbe reagito così.

“Scusami tu, mi hai sorpresa e ho agito senza pensare…” gli rispose, a sguardo basso. “In realtà vorrei che provassi ad abbracciarmi…”

Vide Cecil prendere un respiro profondo, forse per mantenersi calmo, e lei stava facendo esattamente lo stesso.

“Non credo sia una buona idea,” commentò lui, in tono dispiaciuto.

“Non vuoi?” gli chiese allora Emily, tristemente.

“Sì che voglio. Allora…” disse, ma si zittì a metà frase.

Si avvicinò di un passo, stavolta lentamente e con il suo permesso. Con il braccio libero l’avvolse mentre l’altra mano rimase ferma dov’era, unita alla sua.

Non la strinse a sé, anzi fu molto delicato, ma trovandosi appoggiata a lui Emily emise un gemito strozzato. Quando si accorse che lui stava per allontanarsi, forse perché temeva di aver esagerato, si aggrappò al suo cappotto con la mano libera per impedirglielo.

Inalò il suo profumo per alcuni secondi, cercando di regolarizzare il respiro e di tenere a mente che si trattava di Cecil. La mano del ragazzo, appoggiata sulla sua schiena, era ferma ma gentile e lui non le stava facendo niente di male, né voleva fargliene.

Malgrado si sentisse ancora rigida, tirò un sospiro di sollievo e prese quel contatto come una piccola vittoria.

“Mi sei mancato tanto,” ammise, in un sussurro reso faticoso dal magone.

“Sono sempre stato qui, e ci sarò sempre… Perché tu mi piaci, Emily.”

Lei allontanò il viso dalla sua spalla per guardarlo in faccia, sorpresa. Ritrovarsi improvvisamente così vicina a lui per un attimo la spaventò, ma si impose di non ritrarsi e di mantenersi lucida.

“Dici davvero? Anche se… qualcun altro ha…” ribatté, ma le parole le morirono in gola.

“Te l’ho detto, per me non è cambiato niente,” rispose il ragazzo, con gli occhi resi lucidi dall’emozione.

“Anche se… mi ci vorrà un po’ di tempo, per tutto?” insistette, incredula.

“Io ti ho fatto aspettare anni, cosa ti fa credere che abbia fretta?” sottolineò, facendola sorridere.

Emily era senza parole. Aveva atteso tanto, ma la conferma definitiva era arrivata. Anche Cecil provava lo stesso per lei!

Avrebbe voluto stringersi più forte a lui e magari anche baciarlo, ma per quel giorno il suo povero cuore aveva avuto abbastanza emozioni. Anzi, per lo sforzo di abituarsi al suo abbraccio doveva aver sudato molto, perché si sentiva bagnata e perciò aveva ancora più freddo.

Cecil spostò la mano dalla sua schiena e, lentamente, le asciugò le nuove lacrime che le stavano bagnando il viso. Lei glielo lasciò fare, rabbrividendo appena per quel contatto così gentile ma allo stesso tempo così intimo.

“Torniamo dentro?” propose, con la voce che le tremava per l’emozione.

Lui annuì e, tenendola ancora per mano, la condusse per la strada che portava al castello.

Stare così non le creava più nessun disagio, anzi era davvero rassicurante sentire la propria mano avvolta dalla sua, leggermente più grande e decisamente protettiva. Non avrebbe voluto che la lasciasse mai.

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Capitolo 42
*** Capitolo 42 ***


CAPITOLO 42

 


La sera del ballo arrivò prima del previsto ed Emily si ritrovò nella sua camera a prepararsi insieme a Blue. L’amica le aveva regalato un abito ed era quello che avrebbe indossato per l’evento, anche se il rosso come colore le era sembrato eccessivo.

Il vestito in questione era morbido, lungo e per niente scollato, ma era anche tanto carino. Insomma, Blue aveva capito precisamente cosa desiderava quando si era proposta per sceglierle l’abito, dato che a Emily non andava di girare per negozi o a Hogsmeade in generale.

Colore a parte, si intende.

Probabilmente lo aveva scelto perché era il colore di Grifondoro e questo fece arrossire Emily, che lo provò e dovette ammettere che non era poi tanto male.

In quanto a Blue, aveva scelto un abito stranamente sobrio per i suoi gusti, ma aveva dichiarato che era abbinato a quello di Hanna Arsen.

In poco tempo furono pronte entrambe e, con il cuore già in subbuglio, uscirono dal dormitorio di Serpeverde.

Blue aveva detto ad Hanna che sarebbe andata a prenderla, Emily invece trovò Cecil lì fuori che l’aspettava. Il ragazzo rimase a bocca aperta vedendola e studiò il suo vestito con uno sguardo insistente che la fece sentire piacevolmente in imbarazzo.

La bionda le fece l’occhiolino, diede a Cecil un fazzoletto da taschino dello stesso colore del suo abito e si avviò verso il dormitorio di Grifondoro, lasciandoli soli.

Cecil si schiarì la gola.

“Vogliamo andare?” le chiese.

“Sì,” rispose timidamente Emily, porgendogli la mano.

Lui gliela prese e insieme salirono le scale per raggiungere la sala grande.

Ormai tenerlo per mano non era più un problema, ma la faceva sentire comunque tesa. Forse era così perché lui le piaceva, pensò.

La serata era già iniziata e molte persone affollavano la sala grande, il che mandò in agitazione Emily. Avrebbe voluto arretrare anziché raggiungere l’ingresso, ma si trattenne. Cercò di non darlo a vedere e si concentrò sulla mano di Cecil, consapevole che lui non l’avrebbe lasciata sola. Era lì per proteggerla e per sostenerla.

Su un lato della sala trovarono Parker insieme a una Grifondoro che lei non conosceva. Andarono da loro e presto vennero raggiunti da Blue, in compagnia di Hanna.

Come suggerito dall’amica, Emily e Hanna avevano passeggiato un po’ per il castello insieme. Era stato strano all’inizio perché il loro unico argomento di conversazione era Blue, ma era stato utile perché si riabituasse a girare per Hogwarts senza avere gli amici al seguito.

Non era ancora pronta a riprendere con tutti i suoi impegni né si sentiva davvero tranquilla, ma adesso era in grado di spostarsi da un’aula all’altra senza avere per forza un accompagnatore con sé. Si prendeva il suo tempo ed evitava di passare tra la folla, ma era un compromesso accettabile.

In quanto a Blue, il suo abito era degli stessi colori di quello di Hanna, ma si trattava di due modelli diversi. Stavano bene entrambe ed era chiaro che si fossero vestite abbinate. Anche la ragazza di Parker, che si era appena presentata come Lexi Lee, era molto carina nel suo vestito rosa confetto.

Tra la folla Emily intravide Ana che ballava con Nathan e Patricia insieme al suo nuovo ragazzo. C’era anche Solomon, se ne stava in disparte in compagnia di altri ragazzi.

La Serpeverde si sentì sfiorare il braccio e, voltandosi di scatto, si accorse che era solo Blue. La ragazza, felice, prese a braccetto lei da una parte e Hanna dall’altra.

“Vado a prendere da bere, tu vuoi qualcosa?” le chiese Cecil.

Emily annuì. Doveva aver scelto quel momento proprio perché sapeva di lasciarla in buone mani.

“Parker, tu non vai? Resti qui, circondato da quattro belle ragazze?” gli domandò scherzosamente Blue.

“Io vedo solo tre belle ragazze… e te,” la provocò lui, guadagnandosi un’occhiata di fintissima offesa da parte della diretta interessata.

Lui cedette e lasciò Lexi con loro per unirsi a Cecil al tavolo con il buffet.

“Allora Lexi, raccontaci di te,” le chiese Blue. “Tu e Parker state insieme?”

La ragazza, dai capelli mossi color castano scuro, avvampò.

“N-No, siamo solo amici!”

Guardandola bene Emily capì che l’aveva già vista, faceva parte della squadra di quidditch. Doveva avere un anno meno di loro, probabilmente.

Blue ghignò, consapevole di averla smascherata. Continuò a farle domande su cosa ne pensasse di Parker, imbarazzandola sempre di più.

Quando i due ragazzi tornarono, lui intuì la situazione e le rivolse uno sguardo serio, al che Blue scrollò le spalle.

Cecil porse a Emily un bicchiere di punch e lei sciolse la presa sul braccio dell’amica per accettarlo. Un attimo dopo, le due coppie andarono sulla pista da ballo lasciandoli soli.

“Allora, come ti sembra la serata?”

Emily sospirò piano.

“Sono un po’ tesa, ma credevo che sarebbe andata peggio,” ammise.

“Almeno non dobbiamo ballare,” commentò Cecil, bevendo un sorso dal proprio bicchiere.

“Odi così tanto ballare?” gli chiese lei, curiosa.

Ricordava che era stato molto restio una volta, quando lei lo aveva invitato, ma forse il problema principale era stare al centro dell’attenzione.

“No… Non quanto tu odi volare, almeno.”

Lei gli sorrise.

“Tutti hanno qualcosa che non vogliono fare, o che li spaventa. Per me è il volo,” si giustificò.

“Pensavo che fossero le noccioline,” ribatté Cecil, fingendosi sorpreso.

“Te lo sei ricordato?” ridacchiò. “Sì, ma anche l’idea di avere un problema con la scopa e precipitare non mi sembra molto allettante.”

Cecil annuì guardandosi intorno, evitando di replicare.

“Tu invece non sopporti ballare davanti a tutti?” insistette.

“No… Sono altre le cose che mi preoccupano davvero, ma non mi lascerò bloccare,” rispose rivolgendole uno sguardo che lei non riuscì a interpretare. “Ballare con… una ragazza così bella... attirerebbe un po’ troppa attenzione per i miei gusti, ma se tu volessi davvero farlo per me andrebbe bene.”

Emily sentì di avere le guance in fiamme. Era la prima volta che le diceva che era bella e, ne era certa, non se lo sarebbe dimenticato mai. Abbassò lo sguardo e con la mano libera cercò la sua.

Non se la sentiva di ballare e non ne aveva nemmeno voglia, ma era felice di essere lì con lui.

“C’è qualcosa che ti preoccupa?” le chiese Cecil, dopo qualche istante di silenzio. “È da un po’ di giorni che ti vedo strana… Pensavo fosse per il ballo, ma ora non ne sono più tanto convinto.”

Emily gli rivolse lo sguardo, sorpresa che se ne fosse accorto.

“Sì… è perché domani si ritorna a Londra. Rivedrò i miei genitori e dovrò parlare con loro di… molte cose,” tagliò corto e sospirò.

Lui le accarezzò la mano con la sua.

“Andrà tutto bene, lo sai?”

Lei annuì ma non riuscì a dimostrarsi convinta.

“Penso solo che sarà difficile… E che mi mancherai molto,” ammise, sempre senza guardarlo in faccia.

“Anche tu mi mancherai.”

Blue e Hanna tornarono da loro, interrompendo quel momento di condivisione.

“Ehi, hai reso triste la mia migliore amica?” si intromise la prima, con un finto tono accusatorio.

Emily non poté fare a meno di sorridere, malgrado la preoccupazione non fosse scomparsa completamente.

Andarono a sedersi tutti e quattro su un divanetto semicircolare posto su uno dei lati della stanza e continuarono a chiacchierare lì. Ogni tanto Blue si alzava per andare a prendere un piatto e tornava indietro con dolci per tutti.

Circa un’ora dopo Emily decise che era stanca e ne aveva avuto abbastanza. Era stata una bellissima serata, era rimasta con i suoi amici e aveva mangiato delle cose buone, ma non riusciva a godersi a pieno quell’atmosfera festosa.

Cecil si offrì di accompagnarla fino all’ingresso del suo dormitorio e lei accettò di buon grado, sollevata sapendo di non doversi aggirare per i sotterranei a quell’ora da sola, quindi si incamminarono insieme.

“Grazie… per avermi invitata, intendo. Mi sono divertita,” disse, riempiendo il silenzio che si era creato.

“Meno male. Temevo che avresti preferito restare da sola in camera questa sera, a studiare.”

“Lo credevo anche io, ma invece ho preferito così,” ammise, rivolgendogli un sorriso.

Se fosse rimasta da sola avrebbe finito per lasciarsi andare ai pensieri negativi, altro che stare tranquilla a concentrarsi sullo studio.

“Sono solo preoccupata per domani, ma vorrei che questa serata non finisse mai,” aggiunse, quando ormai erano arrivati al passaggio.

Cecil sollevò la sua mano e ci posò un bacio facendola rabbrividire.

“Se hai bisogno di qualsiasi cosa, scrivimi. Prometti che lo farai?” le chiese, rivolgendole uno sguardo intenso.

“Sì, e ti scriverò anche com’è andata,” rispose e sospirò.

Cedette al desiderio di avvicinarsi di più per essere abbracciata. Si aggrappò con le mani alle spalle di Cecil mentre lui l’avvolgeva tra le sue braccia. La stringeva a malapena, come se fosse fragile, e purtroppo lei temeva di esserlo davvero.  

“Va tutto bene?” le domandò, forse perché quel contatto si stava prolungando a lungo.

“Sì… Ho solo bisogno di ricaricarmi un po’, prima di domani…”

“Ma ci vedremo sul treno, faremo tutto il viaggio insieme,” le ricordò, accarezzandole la schiena coperta dal vestito rosso.

“Lo so, ma…” si zittì e sospirò, perché non era abbastanza. “Potresti stringermi di più?”

Cecil non rispose, si limitò a fare come gli aveva chiesto ed Emily emise un gemito strozzato per la sorpresa. Non le stava facendo male né la stringeva troppo forte, anzi finalmente la stava abbracciando davvero.

Cercò di rimanere calma inalando il suo profumo inconfondibile. Fece scivolare le mani fino a incrociare le braccia dietro al suo collo per farsi più vicina. Le parve di sentire il suo cuore battere veloce, talmente si erano avvicinati dopo così tanto tempo.

“Cecil…” sospirò vicino al suo orecchio e lo sentì tremare.

Lui spostò le mani sfiorando una parte scoperta della sua schiena e questo fece rabbrividire anche lei. Un attimo dopo abbassò il viso per guardarla ed Emily si perse nei suoi occhi profondi.

Fu lei ad avvicinarsi ulteriormente per cercare le sue labbra, sulle quali lasciò un bacio appena sfiorato. Cecil, quasi avesse ricevuto il via libera, ricambiò dandogliene uno a sua volta, in un incontro di labbra più intenso.

Emily allungò la lingua e incontrò la punta della sua, potendone assaporare il gusto dolce tra un bacio e l’altro.

Lui mise fine a quel contatto sciogliendo l’abbraccio per primo. Era arrossito e aveva rivolto lo sguardo altrove, evidentemente troppo imbarazzato per guardarla.

“Ehm, si sta facendo tardi… Se restiamo qui, presto arriverà qualcuno.”

Emily annuì, in imbarazzo a sua volta. Se fosse stata un’altra lei, in un altro momento, probabilmente gli avrebbe proposto di entrare. Chissà, forse lui avrebbe accettato… o forse no.

Poco importava, perché le circostanze non era più ottimali. Se da una parte avrebbe voluto invitarlo nella sua stanza, dall’altra l’idea la lasciava senza fiato in senso negativo. Le serviva tempo e doveva fare un po’ di lavoro su se stessa.

“Allora… buonanotte,” si limitò a dirgli, per poi aprire il passaggio.

“Buonanotte,” rispose lui, che rimase ad aspettare che entrasse.

 
L’indomani fecero colazione separati, Emily con i suoi amici Serpeverde e Cecil con il solito gruppetto di ragazzi Grifondoro, ma ogni tanto lei alzava lo sguardo dal cibo per cercarlo. Un paio di volte lo sorprese a osservarla e gli rivolse un sorriso timido.

Sul treno presero posto nella stessa cabina, dallo stesso lato. Cecil si era seduto abbastanza distante per non rischiare di toccarla per sbaglio. In ogni caso era la prima volta che, sull’Hogwarts Express, si sedevano vicini e non l’uno davanti all’altra.

Presto vennero raggiunti da Blue, in compagnia di Hanna, e da Parker che invece era solo.

“Ehi, dove hai lasciato la tua dolce metà?” lo provocò Blue, facendogli segno di sedersi accanto a lei.

Parker assottigliò lo sguardo e si accomodò di fianco a Cecil.

“Prima di tutto non stiamo insieme, e poi tu ieri l’hai spaventata, quindi forse non staremo mai insieme,” sottolineò.

“Ma come, sembrava così presa da te,” continuò la bionda.

In suo supporto, Hanna annuì.

“Allora l’avete solo messa in imbarazzo e non vuole vedere voi,” ipotizzò il Grifondoro, rivolgendosi sempre a Blue.

Continuarono a battibeccare per un po’, divertendo Cecil e Hanna. Emily invece dopo un po’ smise di ascoltarli. Con lo sguardo puntato fuori dal finestrino, si faceva più tesa man mano che il tempo passava.

“Tutto bene Emily?” le domandò Parker, quando le altre due ragazze si erano alzate per fare acquisti dal carrello.

“Sì… è solo che… quando saremo tornati a casa, dovrò parlare con i miei genitori di una cosa importante,” rispose senza guardarlo negli occhi.

“Ehi, le hai chiesto di sposarti?” chiese all’improvviso a Cecil, facendo sobbalzare lui e arrossire entrambi.

Blue, appena tornata nella cabina, scoppiò a ridere.

“Lascia stare,” gli intimò Cecil.

“Piuttosto, ho preso del dolci per tutti,” annunciò la bionda, mostrando loro il suo bottino.

Ripresero a chiacchierare del più e del meno mentre scartavano i loro snack.

Emily non era l’unica silenziosa della loro cabina, infatti anche Hanna sembrava tesa. Era una ragazza molto timida, o forse era solo un po’ a disagio perché loro erano tutti più grandi di lei, ed era in confidenza solo con Blue.

Iniziarono a parlare delle loro famiglie, coinvolgendo nel discorso anche la più giovane. Lei raccontò che i suoi genitori erano maghi, Grifondoro da generazioni, e che aveva un fratello minore ancora troppo piccolo per frequentare Hogwarts.

Quel viaggio sarebbe stato quasi una tortura per Emily, se non fosse stato per i suoi amici che provavano a distrarla, ma arrivarono a Londra così presto che lei non avrebbe voluto crederci. Salutò tutti, ma quando fu il momento di separarsi anche da Cecil lui scosse la testa, la prese per mano e le fece capire che l’avrebbe accompagnata.

“Farai aspettare i tuoi genitori,” gli fece notare lei, sorpresa.

“Vengo con te solo per un pezzo, per toglierci da questa folla. Mio padre non mi aspetta mai sul binario quindi non si accorgerà di nulla.”

Emily annuì e continuò a camminare al suo fianco senza dire altro, facendosi strada tra gli studenti che riabbracciavano le rispettive famiglie. Varcarono insieme il passaggio e si ritrovarono in un punto meno affollato della stazione.

I genitori di Emily la stavano aspettando accanto a una delle uscite e lei li individuò subito.

“Allora ci vediamo dopo le vacanze,” le disse il ragazzo, rivolgendole un sorriso velato di tristezza.

“Sì. E grazie,” rispose Emily.

Prima di lasciargli la mano gliela strinse di più per un istante, poi si salutarono davvero.

Anche i suoi genitori l’avevano notata, infatti quando si voltò di nuovo nella loro direzione vide che le stavano andando incontro.

“Ciao tesoro!” la salutò suo padre, prendendo i bagagli per lei.

Sua madre invece l’abbracciò.

“Era Cecil quello?” le chiese poi. “È cresciuto molto dall’ultima volta che l’ho visto.”

Emily sorrise e annuì.

“Mi siete mancati molto.”

Nel tragitto in macchina verso casa li riempì di domande su ciò che avevano fatto nei mesi precedenti, così da far parlare solo loro. Una volta arrivati, poi, prese i bagagli insistendo nel dire che voleva disfarli subito. In realtà iniziava a essere nel panico, perché non poteva più rimandare il discorso.

La McGranitt le aveva dato una lettera da consegnare ai genitori perciò la cercò nella sua borsa, prese un respiro profondo e scese al piano di sotto.

Trovò suo padre seduto sul divano e sua madre in cucina che preparava il tè.

“Ci penso io, tu vai a sederti con papà,” le disse, togliendole di mano le tazzine per posarle su un vassoio insieme al resto.

Sorpresa ma felice, la donna non ribatté. Circa un minuto dopo, Emily posò il tutto sul tavolino basso del salotto. Sul vassoio aveva messo anche la lettera, che subito attirò la loro attenzione.

“E questa cos’è?” chiese suo padre, prendendola in mano.

Avevano entrambi l’aria preoccupata. In effetti la busta era sospetta e lei si era comportata in modo strano per tutto il tempo.

“Aspetta ad aprirla, papà. Prima… ho una cosa da dirvi,” annunciò, mettendosi a sedere rigidamente tra di loro. “Quella lettera è da parte della preside… Non so cosa ci abbia scritto di preciso, ma posso immaginarlo a grandi linee e prima voglio che lo sentiate da me.”

“Ti sei messa nei guai?” chiese sua madre, appoggiando una mano sulla sua spalla destra.

“No mamma, sono la solita studentessa modello di sempre e non intendo cambiare,” rispose, facendosi i complimenti da sola.

In realtà spesso aveva fatto cose che non erano proprio permesse dal regolamento della scuola, ma non era mai stata scoperta e punita, perciò non serviva che lo sapessero.

“Mi è successa una cosa… a ottobre, e non ho avuto il coraggio di dirvelo per lettera. Dovevo farlo di persona… quindi eccoci qui…” iniziò, a sguardo basso.

Loro non proferirono parola. Erano chiaramente preoccupati e l’aria nella stanza si era fatta tesa. Emily non sapeva quali fossero le parole giuste per comunicare una cosa del genere. Sicuramente sarebbe stata male, ma come fare per non far stare troppo male loro? Sospirò.

“Sapete già che facevo da assistente a un professore, per imparare di più sulla materia e sull’insegnamento in generale… Beh, è stato cacciato da Hogwarts perché… Ecco… M-mi ha molestata.”

Calò il silenzio per un istante, poi sua madre singhiozzò e la strinse in un abbraccio. Lei stessa stava per piangere, ma cercò di farsi vedere forte per non peggiorare la situazione.

Suo padre, che sembrava essersi pietrificato, si riscosse e scattò in piedi, arrabbiato. Chiese cosa le avesse fatto ed Emily rimase sul vago per non farli stare male ma anche perché non voleva ripensarci. Le cose erano più gravi di come le aveva appena definite e descritte.

Alla fine piangere fu inevitabile, mentre cercava di calmare entrambi.

Quando suo padre riuscì a tornare seduto perché meno arrabbiato di prima, lesse la lettera e poi la passò anche alla moglie, che stava ancora abbracciando Emily nel tentativo di rassicurarla e, probabilmente, di rassicurare se stessa.

Anche Emily volle leggerla per scoprire cosa ci avesse scritto la preside.

Dopo un resoconto edulcorato delle vicende descritte dal suo punto di vista, si era scusata per non essersi accorta di niente prima che fosse troppo tardi e per non averli avvisati subito, perché Emily aveva insistito per farlo di persona.

Inoltre elencava i provvedimenti presi e sottolineava lo stato d’animo di Emily in tutto il periodo. La sua assenza iniziale dalle lezioni, ma anche come sembrava essersi ripresa dallo shock, anche grazie al supporto degli amici.

Insomma, l’aveva tenuta d’occhio bene e adesso i suoi genitori sapevano tutto davvero.

Erano sconvolti. Fecero una lunga chiacchierata su come stesse, mettendo da parte la rabbia. Alla fine la convinsero a vedere uno psicologo durante le vacanze, così che potesse affrontare quell’avvenimento nel modo giusto.

Ce l’aveva fatta, era stata dura ma adesso sapevano. Era felice di aver aspettato di essere con loro per dirgli tutto e ora, per quanto la sofferenza non si fosse dissipata, sentiva di avere un peso in meno sulle spalle.





Spazio di quella che scrive

L'ultima parte di capitolo non mi convince del tutto... ma era un momento necessario ed è andato così.

Ora, due cosine veloci:

1. Ho corretto il capitolo stanca morta, perché è sera e oggi mi sono svegliata molto presto... quindi scusate se ci sono errori o se alcune parti non sono scorrevoli! Purtroppo temo di non aver notato tutto. Ovviamente sentitevi liberi di segnalarmi tutto quanto, è sempre utile!

2. Hanna Arsen è una Grifondoro atipica, come Cecil, e se con lui era voluto... sinceramente, mi domando perché ho scelto questa casa anche per lei. Da quando ho iniziato a scrivere la storia è passato un anno, senza contare la fase di programmazione e scrittura appunti, e questa cosa proprio non la ricordo! A un certo punto della scrittura mi sono domandata se non avrei fatto meglio a rendere lei Tassorosso e Solomon Grifondoro (case invertite, quindi), ma ormai è andata così. E mi serviva che lui presentasse Hanna a Blue, non che loro si conoscessero già. Spero che almeno per lui diventeranno chiari alcuni suoi aspetti da Tassorosso più avanti, ma se penso allo scenario in cui lo conosceremo più a fondo... Non so, il suo lato Tassorosso potrebbe non comprendersi mai!

Aspetto il vostro parere su tutto quanto, come sempre. Se vi va di lasciare una recensione, la leggerò con molto piacere! So che la storia procede lentamente, perciò intanto vi ringrazio per essere arrivati fino a qui... Spero di avere ancora il vostro interesse.
Alla prossima!

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Capitolo 43
*** Capitolo 43 ***


CAPITOLO 43

 


Finalmente era arrivato il momento di tornare a scuola dopo le vacanze di Natale.

Emily aveva passato le settimane precedenti insieme ai suoi genitori e per lei era stato come un ritorno alle origini. Inoltre, come concordato con loro, era andata da uno psicologo che l’aveva aiutata a elaborare ciò che era successo.

Aveva trovato strano, all’inizio, condividere le sue preoccupazioni con uno sconosciuto, ma ora sentiva che era stato davvero d’aiuto.

Nel corso delle vacanze non aveva visto i suoi amici, ma aveva telefonato spesso a Blue e scritto molte lettere a Cecil, per tenerlo aggiornato. Anche lui le aveva scritto costantemente, quindi i loro gufi erano stati davvero impegnati in quei giorni.

Adesso era pronta a tornare a scuola, più leggera e positiva. Inoltre era determinata a parlare con Cecil per chiedergli, di persona, se per caso adesso stessero insieme. Il fatto era che lui la ricambiava, glielo aveva detto, ma la loro conversazione quella volta si era fermata lì. Insomma, Emily cercava una certezza in più.

Una volta tornata a Hogwarts, alla prima occasione buona decise di parlargliene.

Erano andati a studiare erbologia in biblioteca, solo loro due, perciò avevano scelto un tavolo appartato e avevano tirato fuori i libri. Emily però non riusciva a togliersi quel pensiero dalla testa e voleva avere conferme subito.

“Senti, Cecil… Scusa se tiro fuori il discorso dal nulla, o se ti sembrerà una domanda strana…” iniziò, imbarazzandosi subito.

Lui spostò lo sguardo dal libro a lei, curioso.

“Beh, mi hai detto che ti piaccio, quindi… Noi adesso stiamo insieme?”

Cecil arrossì lentamente ma sempre di più. Posò la penna con mano tremante e le rivolse uno sguardo carico di imbarazzo.

“Ecco… Non ne abbiamo ancora parlato, in effetti…”

Emily rimase in silenzio lasciandogli tempo, in attesa che continuasse.

“Vorresti essere la mia ragazza?” le chiese, dopo un attimo di esitazione.

Lei sorrise e sospirò, sollevata.

“Sì!” rispose, accorgendosi troppo tardi di aver alzato la voce.

Madama Pince la zittì e lei si morse le labbra, dispiaciuta, ma poi tornò concentrata su Cecil come se niente fosse accaduto.

“Certo che sì,” ripeté, questa volta mantenendo basso il tono di voce.

“Bene,” le disse lui, sorridendo.

Ciò che c’era tra loro era finalmente ufficiale.

 
I giorni a Hogwarts trascorsero sereni, tra studio e tempo passato con gli amici. Un pomeriggio Emily venne invitata nell’ufficio della McGranitt per un tè e, come sempre, accettò.

In quell’occasione, su richiesta della donna, le confermò di aver parlato con i suoi genitori e le raccontò i progressi che c’erano stati.

Non era molto in confidenza con la preside, ma sentiva di doverle almeno questo. Insomma, c’era stata per lei in quel periodo tanto doloroso. Inoltre Emily riconosceva che, se fosse stata al suo posto, si sarebbe preoccupata allo stesso modo, ecco perché le raccontò che aveva visto uno psicologo babbano.

“Ho anche approfittato del tempo libero per leggere alcuni dei libri che mi aveva consigliato,” aggiunse, sperando di riuscire a spostare il discorso altrove.

“Ottimo! È bello vedere quanto si stia impegnando per raggiungere il suo obiettivo. A questo proposito, oggi volevo parlarle di una cosa.”

Emily bevve un sorso di tè mentre l’ascoltava, curiosa. I consigli della professoressa McGranitt si erano sempre rivelati preziosi, perciò era tutt’orecchi.

“So che potrebbe suonarle strano o metterla a disagio, ma voglio che ci pensi: desidera insegnare babbanologia in futuro, ma non ha mai seguito davvero una lezione.”

La giovane strabuzzò gli occhi, incredula, dopodiché abbassò lo sguardo sulla sua tazza.

Non poteva darle torto, aveva partecipato a quelle lezioni solo come assistente e non aveva mai frequentato un anno completo. Non era mai stata dall’altra parte, quella degli studenti. Si domandò se ciò avrebbe influito sul suo curriculum, o se fosse semplicemente qualcosa da considerare per il suo punto di vista riguardo alla materia.

“In effetti l’idea di seguire le lezioni, adesso, mi mette un po’ a disagio… se è questo che mi sta proponendo,” ammise, sempre senza guardarla in faccia.

“Me ne rendo conto, signorina Lewis, ma deve capire che le circostanze sono cambiate,” insistette la donna, con voce gentile e rassicurante. “Immagino che sarà doloroso tornare in quell’aula, ma il professore che ci troverà sarà una persona diversa.”

Emily, alla sola idea di rimettere piede lì dentro, si sentì rabbrividire. Fu proprio questo a farle capire che, suo malgrado, avrebbe dovuto affrontare la cosa prima o poi, ed era meglio non rimandare troppo.

In quanto al professor Weasley, aveva letto qualcosa sulla sua famiglia in merito alla guerra ma ciò non bastava a rassicurarla. Anche Fiery sembrava una brava persona, visto da fuori. Persino quando erano entrati un po’ in confidenza le era sembrato così, e invece…

“Posso pensarci su?” domandò, decidendosi a incontrare lo sguardo della preside.

Lesse nei suoi occhi l’intenzione genuina di aiutarla e sapeva che glielo stava proponendo per il suo bene, ma faceva male comunque… Sarebbe stato difficile comunque.

Uscì dal suo ufficio qualche minuto dopo, stanca e con la mente affollata di pensieri.

Era passato tempo da ciò che le era successo, aveva anche fatto una breve terapia, ma ogni tanto le tornava addosso tutto quello che aveva causato di negativo.

Si domandava se non fosse sporca, perché era stata toccata dalle mani di quell’uomo. Si domandava se non fosse colpa sua, almeno in parte, che magari involontariamente lo aveva incoraggiato.

Lo psicologo l’aveva rassicurata e anche Cecil, ma faceva ancora degli incubi che non erano d’aiuto.

Quell’aula, come le aveva fatto capire la McGranitt, era un altro mostro da affrontare per riuscire a superare il suo trauma, che inaspettatamente era ancora troppo fresco per essere messo da parte.

Non a caso le era capitato più volte di sognarla come un labirinto oscuro, nel quale riusciva a liberarsi dalla presa di Fiery per poi essere inseguita, braccata senza sosta, mentre cercava una porta d’uscita che in realtà non esisteva.

Nel tornare al dormitorio fece il giro lungo e passò davanti all’aula in questione. La porta era chiusa e da dentro si sentiva la voce del signor Weasley, anche se non era chiaro cosa stesse dicendo.

In effetti, una parte di lei sperava di parlarci e di scoprire altro sulla materia. Se non si faceva forza e affrontava la sua paura, però, non sarebbe cambiato niente.

Ne discusse con Blue l’indomani a colazione e l’amica le disse di pensarci bene, perché anche a lei quello sembrava un passo importante, ma di non sentirsi costretta.

Si era anche offerta di accompagnarla a lezione, ma lei non aveva sostenuto i G.U.F.O. in babbanologia perciò non avrebbe potuto seguire la materia, quindi Emily rifiutò.

Si informò anche sull’orario delle lezioni del sesto anno, così da capire quanto tempo aveva per rifletterci.

Alla fine prese una decisione e si presentò lì diversi minuti prima dell’inizio della lezione successiva, per affrontare la sua paura in solitudine. Mise una mano sulla porta e, sperando di trovare l’aula vuota, entrò.

Tirò un sospiro di sollievo perché non c’era ancora nessuno, e soprattutto perché il professore non si vedeva da nessuna parte. Malgrado ciò, le bastò mettere piede all’interno per sentirsi subito oppressa dai ricordi dolorosi.

Tutto era ancora disposto come quel giorno, perciò rivide la scena nella sua testa. Mancava giusto la sedia accanto a quella del professore, dove Fiery l’aveva fatta accomodare per averla vicina. Per aggredirla, probabilmente, se le sue molestie erano qualcosa di premeditato.

E mentre Cecil sosteneva – e superava – le selezioni per la squadra di quidditch, lei non era sugli spalti a fare il tifo, ma bloccata lì a cercare una via di fuga dalla presa salda di quell’uomo che un tempo aveva considerato un punto di riferimento.

Si avvicinò lentamente alla cattedra e la osservò per un tempo che le parve infinito, ma difatti trascorsero solo alcuni secondi. Poi passò in rassegna ogni angolo dell’aula, dato che si sentiva un po’ meglio e intendeva assicurarsi che nient’altro le portasse alla mente dei ricordi negativi.

Tirò un sospiro di sollievo e si abbandonò sulla sedia più vicina, non proprio soddisfatta ma più tranquilla. Fu in quel momento che Arthur Weasley fece la sua entrata dalla porta laterale, facendola sobbalzare. Evidentemente doveva mancare poco all’inizio della lezione.

Emily si ricompose perché sì, si era spaventata, ma non voleva apparire a disagio. Il professore le rivolse uno sguardo sorpreso e appoggiò le pergamene che aveva con sé sulla cattedra.

“Salve. Non l’avevo mai vista alle mie lezioni, signorina…”

“Lewis, signore,” rispose lei, sedendosi più composta perché il banco le facesse, in un certo senso, da scudo.

“Lewis, certo. La preside mi ha detto che probabilmente si sarebbe unita alla classe.”

La loro conversazione si concluse lì, perché i primi studenti iniziarono a raggiungere l’aula e a prendere posto. Emily tirò un impercettibile sospiro di sollievo. Era salva, era andato tutto bene. Ora doveva solamente sopravvivere alla lezione.

Una nota positiva in tutto quel disagio era il fatto che Fiery non l’avesse mai costretta ad aiutarlo con le lezioni del suo anno, quindi non aveva mai dovuto insegnare agli studenti che avevano la sua stessa età.

Malgrado ciò, era risaputo ormai che lei gli aveva fatto da assistente per diverso tempo, e questo fu la causa degli sguardi straniti che ricevette da alcuni compagni. Probabilmente si stavano domandando che cosa ci facesse lì. Pensò che doveva essere quello il caso e cercò di calmarsi, di zittire i pensieri inopportuni, e si preparò all’inizio della spiegazione.

Tirò fuori dalla borsa il quaderno e il libro, preso in prestito in biblioteca per l’occasione, intenzionata a concentrarsi e a prendere appunti. Chissà, magari avrebbe scoperto delle cose su babbanologia che ancora non conosceva.

La lezione si attenne solo parzialmente al libro, perché il professor Weasley fece partecipare gli studenti coinvolgendoli nel discorso e chiedendo se avessero delle domande. Molte di esse furono sulla sua precedente occupazione, all’Ufficio per l'Uso Improprio dei Manufatti dei Babbani.

Era un argomento che incuriosiva molto Emily, perciò prese nota di tutto. Non aveva considerato la possibilità di incantare gli oggetti babbani per renderli qualcosa di diverso, e doveva riconoscere che si trattava di un argomento molto affascinante.

Al termine della lezione si affrettò a mettere tutto in borsa e a uscire, mischiandosi con gli altri studenti. Presentarsi lì era stato inaspettatamente interessante, oltre che utile nel suo percorso per superare il trauma.

 
La settimana dopo decise che avrebbe frequentato di nuovo la lezione del professore. Dopotutto, non aveva più tanti impegni a cui tenere fede e la materia le interessava davvero.

Questa volta si presentò in aula all’orario giusto, insieme agli altri studenti, e prese posto nel primo banco libero che vide. Conosceva già il programma del sesto anno perché aveva studiato tutto da sola in passato, ma era sempre piacevole da ascoltare, soprattutto perché ognuno poteva spiegarlo in un modo diverso.

Ecco che, proprio per questo, l’esperienza si rivelò molto istruttiva, come previsto dalla professoressa McGranitt.

Al termine della lezione mise via il materiale con calma in attesa che la maggior parte dei compagni fossero usciti dall’aula, quindi si alzò.

“Signorina Lewis, potrebbe venire qui un momento?” le domandò il professore.

Lei prese un respiro profondo per non mostrarsi agitata e lo raggiunse alla cattedra, restando comunque a debita distanza. Notò che l’uomo aveva tra le mani il nuovo libro del terzo anno, quello scritto da Fiery.

“Ho notato il suo nome citato nei contributi esterni a fine volume,” disse, indicandolo. “Quindi immagino che si interessi molto di babbanologia, è così?”

Emily strinse la presa sulla tracolla della sua borsa.

“Sì… Ho aiutato il professore precedente a raccogliere informazioni per ampliare gli argomenti del terzo anno,” rispose, abbassando lo sguardo sul manuale.

“E gli argomenti in cui è stato indicato il suo contributo sono tutti molto pratici e puntuali, probabilmente non era mai stato insegnato niente di simile sui babbani. L’ha fatto perché è interessata a insegnare questa materia, in futuro?”

Emily accennò un sorriso perché il suo impegno era appena stato riconosciuto, anche se Fiery aveva fatto suoi molti degli spunti e delle informazioni che in realtà gli aveva fornito lei. Insomma, ciò che riportava il suo nome non era davvero tutto.

A quel tempo le era sembrato un piccolo prezzo da pagare, anche perché credeva che fosse già una gran cosa ritrovare il suo nome in un manuale per la scuola. Per orgoglio avrebbe preferito diversamente, ma sapeva già che un giorno avrebbe proposto all’editore un libro aggiornato, di gran lunga superiore e totalmente frutto delle sue ricerche.

“Sì, vorrei diventare professoressa di babbanologia,” dichiarò, sicura di sé. “Oh, ma al momento voglio concentrarmi solo sullo studio, dato che questo è il mio penultimo anno a Hogwarts,” aggiunse, temendo che lui le proponesse una collaborazione di qualche tipo.

Parlarono un altro po’ senza che Emily entrasse davvero nel merito delle sue idee, perché non voleva condividerle con troppe persone. Già quando lo aveva fatto con Fiery probabilmente aveva sbagliato, anche se ciò le aveva dato accesso alla posizione di sua assistente. Insomma, col senno di poi era stato un errore su tutta la linea.

Il progresso che aveva in mente per quella materia sarebbe stato qualcosa da attuare da sola e a tempo debito, perciò aveva stabilito con se stessa di non parlarne a fondo con chi non ne era già a conoscenza.

Senza contare Fiery, nel mondo magico ne aveva parlato solo la professoressa McGranitt, Matt Crowley che in realtà aveva carpito tutto dai suoi pensieri senza permesso, Blue e Cecil. Gli altri suoi amici, soprattutto i Serpeverde, brancolavano nel buio a riguardo, non riuscendo proprio a capire cosa avesse in mente. Invece a Lumacorno aveva detto solo qualcosa, pur temendo che l’argomento uscisse troppe volte nelle riunioni del club, ma anche lui non sapeva davvero tutto e in quelle occasioni preferiva concentrare la sua attenzione su altri studenti.

Un paio di minuti dopo fu libera di lasciare l’aula, quindi uscì e tirò un sospiro di sollievo. Era proprio come aveva detto la preside, il professor Weasley non era come Fiery. Emily ne fu grata, ma certo non avrebbe rischiato di commettere gli stessi errori né con lui né con nessun altro.

 
Gli ultimi giorni di gennaio trascorsero sereni e febbraio arrivò in un attimo. Emily studiò molto come di suo solito, ma passò anche tanto tempo in compagnia di Cecil.

Quel giorno si trovava proprio con lui in cima alla torre di astronomia. Era un pomeriggio tranquillo in cui entrambi non avevano da fare, perciò avevano deciso di studiare insieme. Blue, invece, era impegnata con le prove del coro e dopo sarebbe stata un po’ con Hanna, quindi erano soli.

Il piano era quello di aiutarsi con i compiti di trasfigurazione e di difesa, ma anche rivedere gli ultimi argomenti di erbologia con cui Cecil era in difficoltà.

“Com’è avere come capo casa il professore della materia che odi di più?” gli domandò lei, mentre preparava uno schema che gli fosse utile per studiare.

“Ecco, ora che me lo fai notare, è un po’ strano,” rispose Cecil, intento a terminare la sua relazione di trasfigurazione. “Ma non fa favoritismi… O almeno, io non ho avuto motivo di averci a che fare fuori dalle serre.”

Emily annuì senza guardarlo in faccia, consapevole che anche lui era concentrato sulla sua pergamena.

“Lumacorno invece com’è?”

La domanda arrivò del tutto inattesa ed Emily dovette pensarci su. Dopotutto, non aveva mai avuto un capo casa diverso da lui, perciò non si era mai posta interrogativi a riguardo.

“Sai anche tu com’è Lumacorno. È gentile e vuole che i suoi studenti puntino in alto. Non pretende che facciano come dice lui, ma… che siano Serpeverde o meno, sembra molto contento quando ha motivo di aggiungere qualcuno alla sua mensola dei trofei,” rispose, riportando alla mente i discorsi che faceva agli incontri del suo club.

“Immagina se il capo della tua casa fosse Brodie,” aggiunse Cecil, ridacchiando.

“Salazar, sarebbe un incubo!” esclamò Emily, smettendo di scrivere per guardarlo in faccia. “Credo che se potesse ci rinchiuderebbe tutti nella sala comune e butterebbe la chiave.”

Cecil annuì senza più commentare, divertito. Posò anche lui la penna perché, a quanto pareva, aveva finito la sua relazione.

“Sai, all’inizio dell’anno mi ha beccata per i corridoi di notte e si è arrabbiato un casino,” continuò Emily, essendosi resa conto che non gli aveva mai raccontato di quell’episodio.

“E che ci facevi in giro di notte?” le chiese il ragazzo, sorpreso.

“Bella domanda. Era la sera del nostro arrivo e Patricia mi ha convinta ad andare a una festa con lei, però mi annoiavo e così sono tornata indietro da sola. Quando il professor Brodie mi ha vista, gli ho detto una scusa qualsiasi che adesso non ricordo nemmeno… Ero stanca morta, non capivo niente! E devo essere sembrata molto stupida, perché lui mi ha trascinata fino al mio dormitorio,” raccontò.

“Ecco perché ti guardava male a lezione, all’inizio dell’anno,” commentò Cecil, divertito.

“Già, ero tornata nel suo mirino! Per fortuna poi ha lasciato perdere e adesso è come se lo avesse dimenticato… ma chissà, qualcosa mi dice che un giorno farò un altro errore e lui mi rinfaccerà anche tutti quelli passati,” disse e scosse la testa.

Non era un argomento piacevole, ma averlo raccontato scherzosamente a Cecil gli aveva dato una connotazione diversa.

“Tu hai il potere di metterti continuamente nei guai.”

Dopo averlo detto, Cecil mise via la pergamena insieme a quella già pronta di difesa contro le arti oscure.

“Non è vero… è successo poche volte,” ribatté Emily, abbassando lo sguardo imbarazzata.

“Perché le altre non sei stata beccata. Io quando sono finito nei casini ero sempre con te, non credo sia una coincidenza.”

Lei incrociò le braccia al petto fingendosi offesa, con lo schema per Cecil stretto nella sua mano sinistra.

“Allora, se credi che io sia una cattiva influenza, non avrai bisogno degli appunti che ti ho preparato,” sottolineò, inarcando un sopracciglio.

“No, quelli mi servono davvero!” obiettò lui, sporgendosi in avanti per prenderli.

Emily cercò di impedirglielo sollevando il braccio e poi spostandolo di lato, tra una risata e l’altra di entrambi. Cecil riuscì a prevedere il suo movimento successivo intercettando la mano con il foglio, ma nel farlo si sporse troppo e finirono entrambi sdraiati sul pavimento.

Ora che il ragazzo era sopra di lei, Emily si sentì avvampare e si lasciò scappare la pergamena di mano. Anche Cecil arrossì, ma rimase immobile a osservarla per un lungo istante.

“Ti ho fatto male? Hai battuto la testa?” le chiese, in un tono calmo che nascondeva della preoccupazione.

“No, sto bene…” rispose lei, senza smettere di guardarlo negli occhi.

Era capitato che Cecil si comportasse in modo audace, ma il più delle volte aveva dei momenti di timidezza in cui si ammutoliva e diventava tutto rosso. Quando succedeva, lei lo trovava adorabile… e irresistibile.

Sentì la mano di lui scivolare nella sua, quasi le avesse letto nel pensiero. Al contempo avvicinò il viso e le diede un bacio sulla guancia facendola rabbrividire. Si guardarono negli occhi per un attimo, poi lui posò un altro bacio sulle sue labbra.

Emily portò la mano libera sulla sua nuca perché non si allontanasse e ricambiò il bacio. Se ci fosse stato qualcun altro sulla torre di astronomia, avrebbe sentito gli schiocchi delle loro labbra che si cercavano senza sosta.

Cecil sfiorò le sue con la lingua e lei le schiuse per permettergli di entrare.

Continuarono a baciarsi per un tempo indefinito e, quando lui si allontanò di poco per posare le labbra sul suo collo, Emily riprese fiato e si accorse di avere la testa leggera.

Avvertì un brivido quando la mano destra di lui si insinuò sotto la camicia della divisa per fermarsi sul suo fianco scoperto.

Cecil portò le labbra nell’incavo del suo collo, baciò un lembo di pelle e iniziò a succhiarlo. Emily, aggrappata al suo maglione per tenerlo vicino a sé, gemette per quelle sensazioni meravigliose che prima le erano sconosciute.

Lui tornò a concentrarsi sulle sue labbra e lei si aggrappò alle sue spalle, assecondandolo in quel momento che voleva non finisse mai. Il cuore le batteva così forte che temeva sarebbe impazzita e nella sua testa c’era spazio solo per il ragazzo.

A un certo punto Cecil si premette di più contro il suo corpo, la nuca di Emily toccò il pavimento e lei si sentì pervadere da una sensazione fredda e soffocante. Quella di essere in trappola. La mano libera del ragazzo le accarezzò un fianco scendendo fin sulla sua gamba e lei si irrigidì.

Nella mente le presero forma le orribili immagini delle molestie subite, impossibili da scacciare.

Mise le braccia contro il suo petto per allontanarlo, terrorizzata all’improvviso.

Cecil smise di baciarla e la guardò, confuso. Sgranò gli occhi mentre la consapevolezza gli attraversava lo sguardo. Si spostò subito da sopra di lei, lasciandola a riprendere fiato sconvolta.

“E-Emily…” si sentì chiamare, ma non si voltò a guardarlo.

Piuttosto si coprì il viso con le mani accorgendosi così che stava piangendo. Un istante dopo lui le toccò i polsi facendola sobbalzare. Li accarezzò con gentilezza arrivando al dorso delle sue mani, facendogliele spostare ma senza forzarla.

“Scusami…” sussurrò lei, con la voce rotta dal magone.

Cecil sembrava spaventato o forse mortificato, lei non lo capì perché era molto confusa.

“No, scusami tu,” le disse, continuando a tenerle le mani senza però avvicinarsi troppo. “Non volevo spaventarti… Non so cosa mi è preso, sono stato precipitoso…”

Emily gli fece segno di no con la testa, un po’ più calma di prima ma ancora scossa.

“So che tu non volevi farmi del male,” rispose, mettendosi a sedere.

Prese un respiro profondo. Si era spaventata e aveva spaventato anche Cecil… Lei non voleva affatto questo.




Note di quella che scrive

Capitolo che finisce gettando un'ombra di tristezza, ma quella che ha bisogno di tempo adesso è Emily... giustamente.
Detto ciò, cosa ne pensate?
I protagonisti sono al penultimo anno, quindi ci stiamo avvicinando alla fine del nostro viaggio. Lentamente, però, perché ci sono ancora un po' di cose che devono succedere.
Alla prossima settimana!

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Capitolo 44
*** Capitolo 44 ***


CAPITOLO 44

 


Il giorno successivo Emily si trovava nella stanza di Blue perché aveva bisogno di confidarsi con un’amica. La bionda stava mangiando una tortina di zucca e le aveva offerto dei dolci, ma lei li aveva rifiutati perché era troppo tesa.

“Hai novità sulla tua storia con Hanna?” le chiese, senza guardarla in faccia.

Con la coda dell’occhio vide Blue inclinare leggermente la testa su un lato, come se fosse confusa.

“Quando prendi così alla larga un discorso capisco che è serio. Insomma, è chiaro che tu non sia qui per sapere di me e la mia ragazza,” obiettò, ancora con la bocca piena.

“È vero, ma far parlare prima te potrebbe aiutarmi a trovare il coraggio.”

Blue annuì e sospirò piano.

“Niente di nuovo… Stiamo bene insieme, o almeno io credo che sia così. Studiamo insieme, ci divertiamo e qualche volta usciamo a Hogsmeade oppure ci troviamo per passare il tempo qui a scuola,” le raccontò, con poco entusiasmo.

Forse era preoccupata per Emily, o forse c’era qualcos’altro che non le aveva detto.

“Okay… Tocca a me adesso, immagino,” iniziò lei, con lo sguardo puntato sulle ginocchia. “Sai… Io e Cecil l’abbiamo quasi fatto ieri.”

“Cosa?!” esclamò Blue, sputacchiando briciole di torta ovunque.

“Hai capito bene. O magari non stavamo per farlo, ma almeno per andare oltre il bacio…” specificò, decidendosi a rivolgerle uno sguardo imbarazzato.

“E dimmi, dove vanno due persone appartenenti a due case diverse quando vogliono un po’ di intimità? Ah già, nella stanza delle necessità ovviamente!” continuò, dandosi la risposta da sola.

“No in realtà… Aspetta, io sono sempre entrata nel tuo dormitorio e tu nel mio! Cioè, forse un Grifondoro nella sala comune di Serpeverde si farebbe notare un po’ di più, ma…”

“Sì Emily, ma un conto è se si ha un motivo per accedere alle stanze, che poi condividiamo con altre persone, un altro è se non c’è! Ci sono troppi problemi: i compagni impiccioni per esempio, e poi i prefetti per dirne un altro!” sottolineò, contandoli con le dita man mano.

“Blue, perché ho l’impressione che tu abbia immaginato più volte questo scenario nella tua testa?” le domandò Emily, spiazzata dal suo ragionamento.

L’amica si ammutolì per un istante, poi scoppiò in una risata finta e carica di imbarazzo.

“Mi hai beccata, eh?” sospirò. “Ma Hanna è più piccola di me, e finché non so di esserne innamorata io non… Mmh, eppure continuo a pensarci!” rivelò, mettendosi le mani tra i capelli.

“Anche a me capita di pensarci, e da diverso tempo ormai,” rivelò Emily, schiacciando con l’indice le pieghe che si erano formate nella sua gonna. “Però ieri, quando si è creata l’atmosfera giusta, mi è preso il panico…”

“È perché non ti senti ancora pronta, o…” lasciò in sospeso la frase, ora più calma ma anche visibilmente preoccupata.

Emily annuì e sospirò.

“Mi è tornato in mente quello che mi è stato fatto e mi sono spaventata. A volte mi sento una stupida, so che c’è chi ha passato qualcosa di peggiore eppure mi faccio bloccare da così poco!”

“Non sei stupida Emily, non dirlo mai più! Sei forse la persona più intelligente che io conosca,” ribatté Blue, stringendola in un abbraccio.

Lei ricambiò la stretta, anche se debolmente.

“Ti ringrazio, ma sono due cose diverse. Ieri ero con Cecil e sapevo che non voleva farmi del male… Anzi, probabilmente non voleva nemmeno andare fino in fondo, si stava solo lasciando trasportare… e anche io. Però mi sono spaventata,” continuò, accarezzando alcune ciocche dei capelli dell’amica che aveva a portata di mano.

Blue si ritrasse lentamente e le rivolse un sorriso dolce e rassicurante.

“Ti serve solo del tempo. E magari anche concordare con Cecil di… Sì, di andare per gradi, con la massima pazienza, potrebbe essere d’aiuto,” le suggerì.

Emily abbassò lo sguardo. Riconosceva che il suo consiglio poteva essere utile, ma era la prima a non avere pazienza. Era da un bel po’ che pensava a Cecil in senso romantico e con la mente era andata ben oltre, anche se questo la metteva così in imbarazzo che non lo avrebbe mai detto nemmeno alla sua migliore amica. Ora che lo aveva tutto per sé avrebbe potuto fare tante cose con lui, e invece…

“Sbaglio o questa è la faccia di qualcuno che non vuole aspettare?” domandò Blue, facendole sollevare il mento per osservarla con fare inquisitorio.

Emily arrossì.

“Mi sento una contraddizione vivente, non c’è bisogno che sia tu a dirmelo,” puntualizzò, stringendo gli occhi.

“Non volevo dire questo,” ribatté la bionda dandole una pacca sulla spalla sinistra. “Non è colpa tua quindi non stressarti troppo. Supererai le tue paure un passettino alla volta, okay?”

Rassicurata dal suo tono gentile, lei annuì.

“Ah, oggi sono generosa e ho un altro consiglio gratis per te!” annunciò Blue, più allegra. “Comprati dell’intimo carino.”

“Scherzi?” le domandò Emily, imbarazzata.

“No, dico sul serio. Indossarlo ti farà sentire più sicura di te e forse ti sentirai più serena al pensiero di farglielo vedere.”

Emily si sentì arrossire progressivamente e non seppe come ribattere.

In ogni caso, il weekend successivo ci sarebbe stata un’uscita a Hogsmeade e lei pregò le sue amiche Ana e Patricia di accompagnarla a fare spese. Non facevano che parlare di ragazzi dal terzo anno e non si erano mai risparmiate con i dettagli, perciò se c’era qualcuno in grado di consigliarle cosa acquistare quelle erano loro.

 
“Sai, in cinque anni che ci conosciamo questa è la prima volta che decidiamo di venire a Hogsmeade insieme,” le fece notare Ana, con fare sospettoso.

“Già. Lo ammetto, ho bisogno del vostro aiuto,” disse, camminando di fianco a loro per la strada che da Hogwarts portava alla cittadina.

“Adesso sono curiosa,” commentò Patricia, che sembrava felice di essere uscita con le due amiche.

“Beh… Mi chiedevo se sapeste dove poter acquistare… dell’intimo carino,” ammise, evitando i loro sguardi sorpresi. “E vorrei anche un vostro parere per sceglierlo…”

“E brava la nostra Emily!” esclamò Ana, dandole una pacca sulla schiena. “Finalmente anche tu stai per diventare adulta!”

Patricia non disse niente ma annuì con l’atteggiamento di chi la sapeva lunga.

“Ehi, fino a prova contraria io sono già maggiorenne e voi no!” sottolineò Emily, imbarazzata.

“Ma quello non conta,” intervenne prontamente la rossa, ridacchiando.

“E comunque hai chiesto alle persone giuste, io e Pat abbiamo trovato un posticino niente male per le compere di questo tipo,” aggiunse Ana.

Emily non commentò, ma tirò un impercettibile sospiro di sollievo.

Si fece condurre da loro fino a un negozio di abbigliamento situato su una stradina secondaria. Ciò che vendeva era normale, fin troppo considerando che Emily a Hogsmeade aveva acquistato sempre e solo vestiti eleganti per i balli o per le cene del Lumaclub.

In uno scaffale sul fondo però, nascosto da occhi indiscreti, c’era un folto assortimento di completini intimi, per alcuni dei quali le bastò uno sguardo per imbarazzarsi.

“Prova questo, questo e… oh, anche questo!” esclamò Patricia, selezionandone un po’ e prendendoli dallo scaffale.

“Ora che conosci questo posto potresti venire con il tuo ragazzo e far scegliere a lui l’intimo con cui gli piacerebbe vederti. A Nathan questo giochino fa impazzire,” raccontò la bionda, prendendone alcuni a sua volta.

“Preferivo non saperlo… Aspettate, non volete vedermi con addosso questa roba, vero?”

“Certo che sì!” esclamarono in coro, quasi si fossero messe d’accordo.

“Altrimenti come faremmo a consigliarti?” aggiunse Patricia, passandole il primo carico di slip e reggiseni.

Emily li prese passivamente e si lasciò spingere in uno dei camerini. Non aveva nemmeno visto cosa avevano scelto, ma era già convinta che quello sarebbe stato il giorno più imbarazzante della sua vita.

 
Un’ora e mezza dopo se ne stava seduta con le due amiche ai Tre Manici di Scopa, distrutta, umiliata dai loro commenti – anche se fatti per il suo bene – e con una borsa colma dei suoi acquisti.

L’avevano obbligata a scegliere, prima di tutto, un completino per ogni giorno della settimana, così da essere sempre pronta, a detta loro. Poi però si erano fatte prendere la mano e avevano insistito che ne comprasse altri, quindi lei aveva scelto i meno peggio e aveva dichiarato chiuso il loro pomeriggio di shopping.

Sperava che non le servissero altri soldi nell’immediato futuro, altrimenti si sarebbe pentita ulteriormente di quella giornata di acquisti sfrenati.

Sospirò e bevve un sorso di burrobirra.

Altro che sentirmi più sicura di me… credo che per un po’ non riuscirò a guardare Cecil in faccia, pensò, sconsolata.

Ana e Patricia per qualche motivo sembravano ancora più piene di vita, quasi avessero appena bevuto una pozione rinvigorente.

“Che ne dici Emily, andiamo a cercare un vestito carino per il vostro prossimo appuntamento?” propose Patricia, dopo aver bevuto l’ultimo sorso della sua bevanda.

Lei scosse la testa con decisione.

“Quelli che ho già andranno benissimo,” disse.

In verità non vedeva l’ora di tornare a Hogwarts, a mettere la testa tra i libri per ricaricarsi.

Dovettero trascinarla fuori dal locale con la forza, perché lei non voleva più saperne di shopping e aveva già speso troppi soldi per i suoi gusti.

 
L’indomani Emily era di nuovo insieme a Cecil, stavano uscendo dall’aula di difesa contro le arti oscure a lezione appena terminata.

Era passato qualche giorno ormai da quella volta sulla torre di astronomia, eppure entrambi erano a disagio. Facevano finta di niente, ma il loro imbarazzo era palpabile.

“Emily... verresti con me in giardino? C’è ancora tempo prima dell’ora di cena e vorrei parlarti di una cosa,” le disse, senza guardarla in faccia.

“Va bene,” rispose lei, che già temeva il peggio.

Pensò che si fosse stancato di lei ed ebbe davvero paura di ascoltarlo ma lo seguì comunque, continuando a tormentarsi mentalmente.

Arrestò il passo solo quando si accorse che lo aveva fatto anche lui e vide che l’aveva portata vicino a dove si tenevano le lezioni di volo.

Stava per chiedergli se volesse insegnarle a volare, per sdrammatizzare, ma lui parlò per primo.

“Duelleresti con me?”

Emily strabuzzò gli occhi.

“E perché?” gli chiese, sorpresa.

“Ecco… Stavo pensando che mi piacerebbe diventare un auror,” ammise lui, abbassando lo sguardo per l’imbarazzo.

“Ma è grandioso!” esclamò Emily, felice che avesse trovato una nuova aspirazione.

“Grazie, ma non sono minimamente all’altezza,” continuò lui, armandosi di bacchetta. “Mi insegneresti a duellare?”

“Perché proprio io? Ci sono tanti studenti molto più bravi di me,” sottolineò, mentre prendeva la bacchetta a sua volta anche se era ancora indecisa sul da farsi.

“Perché tu sei la mia ragazza e sei anche un’ottima insegnante,” ribatté lui, convinto.

Emily si sentì arrossire un pochino, ma annuì.

“Okay... ma sappi che mi sarà difficile fare sul serio con te,” precisò.

“Provaci almeno. Non mi faccio male tanto facilmente e, nel caso, scommetto che sapresti anche curarmi.”

“Anche questo è vero, o almeno potrei tentare. Allora, tieni pronto un incantesimo difensivo e pensa a quelli offensivi. Quando ci sei, possiamo iniziare.”

“Ci sono,” rispose dopo un attimo di riflessione.

Si trovavano già a debita distanza, perciò Emily si preparò a lanciare un flipendo, convinta che avrebbe capito la sua mossa. Cecil lo parò, come previsto.

Poi attese che fosse lui ad attaccare e lanciò un incantesimo di protezione senza alcuna fatica, riuscendo a difendersi.

La terza volta non si mosse per fargli capire che stava aspettando lui, ma quando Cecil iniziò a muovere il polso lei lo schiantò con un incantesimo non verbale.

“Avevi detto che non avresti fatto sul serio,” sottolineò Cecil, accettando la mano che lei gli stava porgendo per aiutarlo ad alzarsi.

“Già, ma tu mi hai chiesto di provarci,” ribatté.

In realtà non avrebbe voluto rischiare di fargli male, ma si era lasciata inaspettatamente prendere la mano. Forse era successo perché non duellava da molto tempo.

“Che ne dici se adesso ti insegno gli incantesimi non verbali? Vedrai, sono molto utili.”

“Ho visto,” rispose lui, alludendo al fatto che lei lo avesse appena preso alla sprovvista usandone uno.

“E poi mi piacerebbe tornare al club dei duellanti con te. Ti farebbe molto bene allenarti lì,” continuò, sperando che accettasse.

Sapeva che lui non sopportava di stare al centro dell’attenzione, ma glielo aveva proposto comunque perché trovava che fosse un’opportunità da non lasciarsi scappare.

Inaspettatamente, Cecil annuì per indicarle che avrebbe seguito il suo suggerimento.

“Sicuro?” si ritrovò a chiedergli, preoccupata perché non lo vedeva molto convinto.

“Sì… So che sarebbe utile. E poi, è da qualche mese che non vai al club e scommetto che ti manca. Verrò volentieri.”

Emily gli sorrise e strinse un po’ di più la mano di Cecil, che ancora era intrecciata con la sua.

“È deciso allora. Oh, e ti aiuterò a studiare tutte le materie se serve, perché per diventare auror bisogna avere ottimi voti ai M.A.G.O.!”

“Ma gli esami sono l’anno prossimo,” sottolineò lui, divertito dal suo entusiasmo improvviso.

“Già, ma è meglio iniziare a prepararci al più presto,” ribatté.

Era felice perché ciò significava passare ancora più tempo insieme a Cecil. Inoltre aveva notato che l’imbarazzo tra di loro si era già dissipato.





Spazio di quella che scrive

Scusate, non ho aggiornato settimana scorsa ma sono stati giorni di fuoco, e non è ancora finita purtroppo... Comunque cercherò di non farvi aspettare troppo, anche perché i capitoli vanno giusto riletti e sistemati un attimo, ma sono tutti pronti.

Questo era abbastanza rilassato e persino breve, ma spero non vi sia dispiaciuto. Che ne pensate di ciò che avete letto e dei nuovi risvolti? Se vi va di dirmelo, sarei molto felice di leggervi.

Alla prossima!

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Capitolo 45
*** Capitolo 45 ***


CAPITOLO 45

 


I mesi successivi trascorsero all’insegna dello studio e dei duelli, il che avvicinò ancora di più Emily e Cecil. Qualche volta con loro, se si trattava di studiare, c’era anche Blue, ma per la maggior parte del tempo erano da soli.

Tra loro non c’erano stati altri sviluppi, ma Emily non ci dava più tanto peso. Stavano insieme adesso, lei era felice e anche lui lo sembrava, perciò non aveva di che preoccuparsi, né aveva motivo per affrettare le cose.

Quindi la maggior parte del tempo lo passavano insieme, tranne quando lui aveva gli allenamenti di quidditch. Era in quei momenti che Emily si dedicava agli altri suoi amici o a qualche lettura diversa dal solito.

In quanto a babbanologia, aveva smesso di seguire le lezioni e la McGranitt ne era a conoscenza. Aveva bisogno di più tempo per studiare e la preside non aveva avuto da ridire. Inoltre l’esperienza fatta in aula era stata breve ma anche istruttiva, perciò secondo Emily l’obiettivo era stato raggiunto.

Un giorno lei e Cecil stavano rientrando da una passeggiata quando videro la caposcuola Batilda Rain correre come una furia per il corridoio che dava sul giardino. Al suo seguito c’erano Melita Desvara, prefetto di Serpeverde del loro anno, e un altro prefetto Tassorosso.

Emily affrettò il passo per raggiungerli e chiedere alla Rain se fosse successo qualcosa.

“Sono scappati i mollicci del professor Brodie!” esclamò la ragazza, con il fiatone. “Qualche stronzetto li ha liberati e adesso stanno spaventando gli studenti nel castello!”

“Uno lo abbiamo trovato, ma il secondo è ancora nascosto da qualche parte,” intervenne Melita, anche lei senza fiato ma apparentemente molto più calma della compagna.

Era una sua coetanea eppure Emily non ci aveva mai parlato prima. Aveva i capelli color castano chiaro, mossi e lunghi fino alle spalle, e la sua espressione era costantemente apatica, con gli occhi socchiusi e il viso rilassato, come se avesse sempre sonno. Il suo tono di voce flemmatico sembrava confermare questa ipotesi.

Era prefetto solo da quell’anno e a lezione non si era mai distinta particolarmente, da quanto ricordava.

“Non c’è tempo da perdere, andiamo!” la sollecitò Batilda, mentre l’altro compagno già si apprestava a perlustrare un’aula vicina.

“Aiutiamo anche noi. Vero, Cecil?” gli chiese Emily.

“Certo,” rispose lui.

“Allora iniziate dal primo piano, noi pensiamo ai sotterranei,” ordinò la Rain, per poi riprendere la sua corsa.

Emily si avviò velocemente verso le scale con Cecil al seguito.

Il castello era grande e il molliccio probabilmente non sarebbe rimasto fermo in un punto, in attesa che arrivassero dei ragazzi da spaventare. Mentre saliva di fretta i gradini sperò che non fossero gli unici a cercarlo, altrimenti avrebbero rischiato di metterci molto tempo.

“Secondo te chi è stato a liberarli?” le domandò Cecil, al suo fianco.

“Non lo so, forse degli studenti più piccoli stavano curiosando nell’aula li hanno fatti scappare senza volerlo,” ipotizzò.

“Io invece scommetto che è opera di qualcuno che voleva fare uno scherzo, magari dei ragazzi del settimo anno,” disse lui.

Ormai erano arrivati al piano e avevano entrambi la bacchetta in mano, pronti ad affrontare la creatura. Si divisero per esplorare lei le aule di destra e lui quelle di sinistra. Non trovarono niente in quel corridoio perciò proseguirono con il giro fino all’ultima aula rimasta.

“Qui non c’è,” confermò Emily, avviandosi in fretta alle scale per il secondo piano.

“Forse era nei sotterranei e lo hanno già trovato gli altri,” ipotizzò Cecil, seguendola comunque.

L’urlo di una studentessa li fece sobbalzare entrambi.

“O forse no,” si corresse il ragazzo, riprendendo a correre più velocemente di prima.

Trovarono la ragazzina in questione rannicchiata in un angolo del corridoio, che si copriva il viso e tremava dalla paura. Probabilmente era del primo anno, perché era piccola e loro non la conoscevano.

“Va tutto bene, era solo un molliccio,” la rassicurò Cecil, anche se lei non osava guardarli in faccia.

“Dove l’hai visto?” le chiese Emily, al che la studentessa prese coraggio e indicò con mano tremante una delle aule in fondo al corridoio.

Dal fondo delle scale si iniziavano a sentire delle voci, forse erano la Rain e gli altri prefetti perché Cecil li chiamò. Emily non fece caso a loro né alle sue parole perché stava già correndo verso l’aula ben consapevole che, probabilmente, il molliccio questa volta non avrebbe preso le sembianze di sua zia.

Entrò senza esitazione lasciando la porta aperta dietro di sé. Ciò che vide le fece gelare il sangue nelle vene, superando ogni sua aspettativa.

Dietro la cattedra di quell’aula vuota era seduto il professor Fiery, tanto realistico da sembrare vero.

“Signorina Lewis,” disse, alzandosi per raggiungerla lentamente.

Lei indietreggiò e aumentò la presa sulla bacchetta. Lo aveva già affrontato una volta in una situazione ben peggiore, perciò era decisa a non farsi sopraffare. Malgrado questo, era terrorizzata e le tremavano le spalle.

“Sei tornata per riprendere da dove ci siamo interrotti? Perché lo sai che è colpa tua, mi hai provocato per guadagnarti il mio favore… e alla fine sei riuscita a farmi perdere il lavoro,” continuò la creatura, rivolgendole un sorriso che si faceva via via più inquietante.

“Non è così,” ribatté corrugando la fronte, disgustata.

Eppure sentirglielo dire la fece stare male, perché la battaglia con i suoi pensieri, per prendere atto del fatto di non avere colpe, era ancora in corso.

Il finto Fiery scattò nella sua direzione ed Emily si preparò a schiantarlo, ma esitò ricordando a se stessa che non era davvero lui. Si riscosse appena in tempo, ripetendosi mentalmente che era solo un molliccio malgrado il suo aspetto così reale.

“Riddikulus!” esclamò, e il molliccio prese le sembianze di un ragazzino in lacrime a cui i vestiti da mago andavano larghi.

“Stai bene?” le chiese Cecil, facendola sobbalzare.

Era comparso alle sue spalle chissà quando, perché lei era così concentrata ad affrontare la sua paura che non lo aveva sentito.

Anziché rispondere, gli rivolse uno sguardo smarrito e si gettò tra le sue braccia. Non voleva piangere né ne sentiva il bisogno, ma voleva essere rassicurata dalla stretta gentile del suo ragazzo nonché migliore amico.

Tutta la tensione che aveva avvertito si sciolse in un attimo.

Gli altri prefetti li trovarono così e non li disturbarono, occupandosi piuttosto di catturare il molliccio ormai reso inoffensivo.

“Ottimo lavoro,” disse loro la Rain, prima di uscire dall’aula insieme agli altri due.

“Sediamoci un attimo, ti va?” propose Cecil ed Emily annuì.

La accompagnò fino alla sedia più vicina che spostò per lei, quindi la ragazza si accomodò e lui le si inginocchiò di fronte, rimanendole vicino e prendendole le mani.

“Ti senti meglio adesso?”

“Sì…” rispose e sospirò, voltandosi di lato per guardare la cattedra. “Era identico a lui, è stato davvero come vederlo di nuovo.”

“Era solo un molliccio e adesso non c’è più, siamo soli,” sottolineò gentilmente, riportando l’attenzione di Emily su di sé.

Lei smise di tenere passivamente le mani nelle sue e gliele strinse, rincuorata dalle sue parole.

“Non volevo che succedesse, potevo pensarci io,” continuò Cecil dispiaciuto, abbassando lo sguardo.

“Ero io a volerlo,” ribatté lei, liberando le mani dalla sua presa per portarle sulle sue guance e fargli alzare il viso.

Lui spostò le sue sulle ginocchia di Emily in un gesto involontario, perché nella sua espressione non c’era traccia di altro oltre che dispiacere. Anche lei ci fece caso a malapena, concentrata su altri pensieri.

“Sapevo con cosa avrei avuto a che fare… e volevo affrontarlo, anche se avevo paura. È andata bene, no? Anche se è stato più spaventoso del previsto,” ridacchiò nervosamente.

Cecil si sporse in avanti per darle un bacio sulle labbra.

“Sai che ciò che ha detto non è vero, giusto?”

“Beh… Non ne sono tanto sicura…” ammise, abbassando lo sguardo e accorgendosi finalmente delle mani di lui sulle sue gambe.

Le bastò guardarle perché anche lui le notasse e le spostasse subito, quasi si fosse scottato.

“No, non… Non mi davi fastidio,” disse Emily, sentendo che stava arrossendo.

Gli fece segno di porgerle le mani e, quando lui lo fece, fu lei a fargliele appoggiare di nuovo sulle proprie ginocchia. Erano poco più grandi delle sue e calde, di un calore che si espandeva lungo le sue cosce riuscendo in qualche modo a rassicurarla.

“Vedi? Va benissimo così, non succede niente,” insistette, con una punta di incertezza nella voce data non dalla paura, ma dall’imbarazzo.

Cecil era leggermente arrossito a sua volta. La guardò negli occhi come per cercare di capire il suo stato d’animo, ma non si mosse da quella posizione.

“Quello che volevo dire… prima che cercassi di sedurmi… è che tu non hai colpe. È stato lui ad aggredire una sua studentessa, perdipiù minorenne. Te lo ripeterò all’infinito se necessario.”

Emily lo ascoltò e iniziò a crederci un po’ di più, ma le sue parole l’avevano fatta anche arrossire maggiormente. Okay, stava provando a rassicurarla riguardo a ciò che era successo, ma aveva anche detto che lei aveva tentato di sedurlo e quella non era certo la sua intenzione!

“Non volevo… sedurti…” sottolineò, evitando il suo sguardo.

Cecil si avvicinò di nuovo per darle un altro bacio, cogliendola di sorpresa.

“Allora hai un talento naturale, perché ogni tuo gesto sembra pensato per farmi impazzire… Ma io stavo cercando di fare un discorso serio…”

Emily si morse il labbro inferiore, combattuta.

“Ti ho ascoltato e so che hai ragione, ma ogni tanto mi sembra di dimenticarlo… e inizio a pensare che sia tutta colpa mia.”

“Ma non è così. Ha messo le mani su una sua studentessa e magari non era nemmeno la prima volta. Per quanto ne sappiamo, tu sei solo quella che è riuscita a salvarsi e a farlo mandare via,” disse lui.

Emily rabbrividì. Aveva immaginato anche lei quello scenario e il solo pensarci le dava i brividi ogni volta.

“Restiamo qui ancora un po’? Siamo soli e dubito che qualcuno verrà a disturbarci,” propose, sperando di portare il discorso altrove.

“Ehm, in realtà tra poco ho lezione di divinazione,” rispose il ragazzo, abbassando lo sguardo di nuovo facendolo finire inevitabilmente sulle sue gambe.

“Uff, non capisco il fascino di divinazione. Potresti saltarla e restare qui…” insistette, piegandosi in avanti per dargli un bacio all’angolo della bocca.

Lui le rivolse uno sguardo sorpreso, segno che non si aspettava quel gesto.

“Ma… l’hai detto anche tu che mi servono dei voti alti ai M.A.G.O. per riuscire a diventare auror…”

Emily scosse la testa, contrariata. Cecil stava usando le sue parole contro di lei!

“Scommetto che divinazione non conterà molto,” dichiarò, quindi si appoggiò meglio allo schienale della sedia perché aveva capito di doversi arrendere.

In ogni caso, Cecil non rispose e tenne lo sguardo basso sulle sue mani, con aria combattuta.

“Dopo quella volta sulla torre di astronomia non hai più provato a fare niente,” continuò lei, senza pronunciare parole precise ma certa che lui avrebbe capito comunque. “Ma è passato del tempo e io non mi sento più come prima…”

Cecil le rivolse uno sguardo confuso e non ribatté.

“Non sei stato tu a spaventarmi quella volta, mi era solo tornato in mente quello che mi ha fatto lui e non ho capito più niente,” sospirò. “Ma, come dicevo, è passato altro tempo adesso. Ne ho anche parlato con Blue… Lei mi ha suggerito di muoverci un passo per volta.”

Il ragazzo arrossì e boccheggio, forse in cerca delle parole da rivolgerle, quindi lei si rese conto di ciò che aveva detto e si imbarazzò a sua volta.

“Un po’ come quando non riuscivo ad andare in giro da sola!” riprese parola, per paura di cosa potesse dirle. “Ho passeggiato per il castello con Hanna Arsen qualche volta e adesso non ho più problemi…”

“Ho capito, Emily,” la interruppe lui, facendosi serio ma con le guance ancora arrossate. “Avevo solamente paura di spaventarti, ma tu mi piaci ancora tantissimo… se è questo che ti preoccupa.”

Lei si morse il labbro inferiore, imbarazzata. In realtà era anche desiderosa di fare il passo successivo, ma questo non riuscì a dirlo.

“E poi… come avrai immaginato, io non ho avuto altre esperienze prima di te e non so bene… cosa devo fare…” ammise Cecil senza guardarla negli occhi, abbassando di più il tono di voce sul finire della frase.

“Per me è lo stesso. Penso solo che potremmo… seguire i nostri istinti. E poi mi piacerebbe che tu…” serrò le labbra per un momento e spostò lo sguardo altrove. “Vorrei che tu riscrivessi tutto ciò che mi ha fatto… Fiery.”

Il ragazzo le accarezzò il viso, attirando la sua attenzione su di sé.

“Questo voglio farlo anche io,” disse e a lei apparve determinato. “Cioè… non solo questo…” aggiunse poi, tornando a imbarazzarsi da solo.

Emily gli sorrise, divertita dalla sua reazione. Si piegò su di lui per dargli un bacio che subito divenne più intenso, quasi come se entrambi stessero aspettando quel momento. Poi lui vi mise fine per concentrarsi sul suo collo, dove lasciò una scia di baci.

Lei si aggrappò alla sua schiena e tentò di riprendere fiato, concentrandosi sulle sensazioni che le provocavano le sue labbra. Sussultò quando si accorse che le stava leccando il collo e quel contatto inaspettato la riempì di brividi.

Si slacciò due bottoni della camicia per dargli maggiore libertà, e quando lui si allontanò di qualche centimetro per controllare cosa stesse facendo lo vide avvampare.

Senza farci caso aveva esagerato e adesso parte del suo reggiseno si vedeva attraverso la stoffa. Si trattava di un modello color nude ricoperto di pizzo, uno tra i più sobri che le sue amiche le avevano fatto acquistare. Arrossì anche lei e non ebbe da ridire quando Cecil le fece spostare le mani dai bottoni per richiudere lui stesso la sua camicia, con mani tremanti.

“I-io… ho davvero lezione di divinazione tra poco,” insistette, come se volesse scappare via. “Credo sia meglio fermarci, non abbiamo nemmeno usato un incantesimo per chiudere la porta...”

Quella consapevolezza la colpì duramente, mettendola davanti alla possibilità che qualcuno li scoprisse.
Non sarebbe stato divertente.

“Ti riaccompagno al tuo dormitorio e vado in aula. Ma, prima… Aspetta un attimo qui, torno subito,” le chiese.

Lei annuì e, rimanendo seduta sulla sedia, lo guardò andare via. Sospirò e si decise ad alzarsi, ripercorrendo nella propria mente ciò che era appena successo.

Su una delle pareti c’era un quadro raffigurante della frutta e lei lo trasfigurò in uno specchio per controllare di essere presentabile. Quando ebbe fatto, lo fece tornare come prima. Andò anche a rimettere la sedia a posto e si sedette sulla cattedra.

Cecil fu di ritorno in un paio di minuti così lo raggiunse e uscì dall’aula con lui. Il ragazzo le offrì la mano sinistra e lei l’accettò, accorgendosi che era più fresca di prima. Camminarono in silenzio fino alla parete che celava il dormitorio di Serpeverde, con un po’ di imbarazzo che aleggiava tra loro.

Una volta arrivati, il ragazzo la salutò con un bacio.

“Ci vediamo dopo,” le disse.

“A dopo,” rispose lei, quindi aprì il passaggio e lo varcò.

 
Emily trascorse il resto del pomeriggio a studiare da sola nella sala comune, anche se le fu molto difficile concentrarsi. Andò avanti così per un po’, almeno finché il professor Brodie non entrò nel dormitorio come una furia, apparentemente in cerca di qualcuno.

Quando lo vide tornare dall’ala dei ragazzi trascinando con sé Napier da una parte e Baxter dall’altra, capì che dovevano essere loro i responsabili dello scherzo del molliccio.

Fece finta di non notarli, ma in realtà osservò molto bene la scena da dietro il suo libro di pozioni.

Aveva pensato che quei due fossero maturati ormai, dato che non le creavano più problemi, ma evidentemente non era così. Magari avevano solo cambiato obiettivo, impegnandosi a fare scherzi di cattivo gusto come quello o prendendo di mira degli studenti più indifesi di lei.

A ripensarci, non le sembrò affatto strano trattandosi di loro.

 
L’anno continuò senza spiacevoli eventi, tra studio e qualche appuntamento tranquillo a Hogsmeade. Si sarebbe concluso con l’ultima partita di quidditch, Grifondoro contro Corvonero.

Emily e Blue presero posto sugli spalti e fecero il tifo per la squadra rosso-oro, esultando come non mai quando vinse la partita aggiudicandosi anche la coppa di quidditch. Ai festeggiamenti sul campo seguì una festa nella loro sala comune e Cecil le invitò.

Era la prima volta che Emily metteva piede nel suo dormitorio, perciò era emozionata e curiosa. Per entrarci, seguirono il ragazzo oltre un quadro che celava la sala comune, un ambiente accogliente nel quale prevaleva il colore rosso.

I compagni più grandi avevano preso cibo e bevande dalle cucine, perciò Blue si avventò subito su quel buffet che per lei era sempre irresistibile. Hanna andò con lei, divertita dalla sua reazione ogni volta che vedeva dei dolci.

Emily e Cecil invece scelsero di accomodarsi su un divanetto in disparte, dove lei si accoccolò contro di lui. Chiacchierarono della partita e di tutte le cose belle e divertenti successe quell’anno, mentre assistevano al casino prodotto dagli altri Grifondoro e dagli invitati.

“Ti mancherà giocare a quidditch con loro?” gli chiese Emily, con una mano appoggiata sul suo petto.

Prima di rispondere, Cecil prese ad accarezzarle una spalla.

“Forse… ma credo di essere soddisfatto così,” disse e le rivolse un sorriso che le fece capire che era vero.

I giorni successivi si chiuse davvero l’anno scolastico ed Emily poté essere felice dei suoi voti in ogni materia. In quanto alla coppa delle case, invece, Serpeverde si classificò terzo per un soffio, probabilmente a causa delle malefatte di Napier e Baxter.

Erano successe tante cose e i rapporti tra loro si erano evoluti, ma lei e i suoi amici erano contenti di ciò che era stato e impazienti di tornare a casa. Emily un po’ meno, perché le dispiaceva separarsi da Cecil, ma non poteva farci niente.

Si tennero per mano durante quasi tutto il viaggio in treno, che fecero in una cabina insieme a Blue, Hanna, Parker e Lexi Lee. Una volta giunti a destinazione si separarono tutti a malincuore, promettendosi di divertirsi molto anche l’anno successivo, rimanendo uniti come sempre se non di più.

E così Emily riabbracciò i suoi genitori, con tanti episodi divertenti da condividere con loro… e tanti altri decisamente più privati, che avrebbe tenuto per sé.






Spazio di quella che scrive

Alloooooooora, da dove comincio? xD

Spero vi piaccia l'evoluzione che ha avuto il rapporto tra Emily e Cecil. Ormai lei, a furia di impegnarsi per farsi notare, riesce ad attirare la sua attenzione anche senza farci caso e su di lui, che in questo senso è maturato da poco, è super efficace! Ma tra i due è sempre Emily quella che vorrebbe "correre", mentre Cecil non sa bene cosa deve fare. Tenerino 🥹 BASTA, ora mi zittisco ma mi sono divertita un sacco a rileggere quella parte e personalmente ne sono soddisfatta! xD

Se vogliamo, è stato un momento vagamente piccante ma state sicuri che non si andrà mai troppo oltre in questa storia. Non sarà l'ultimo momento del genere, no, ma rimarremo in descrizioni da rating arancione. E poi, man mano, mi direte se ho fatto delle scelte ottimali e godibili oppure pessime.

Aggiungo infine che Melita Desvara sembra uscita dal nulla, ma una volta Emily si era seduta accanto a lei a lezione, al primo anno, non avendo ancora amici tra i Serpeverde.

La parola a voi! Alla prossima!

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Capitolo 46
*** Capitolo 46 ***


CAPITOLO 46

 


1° settembre 2009

 
Emily arrivò alla stazione di King’s Cross con un po’ di anticipo, impaziente di rivedere gli amici. Purtroppo erano stati lontani per tutta l’estate perché lei era andata in vacanza con i suoi genitori e per loro era stato lo stesso. In compenso si erano tenuti in contatto.

Una volta, poi, Blue si era trovata libera un giorno in cui anche lei lo era, così avevano salutato le rispettive famiglie per trascorrere un pomeriggio insieme in piscina.

Con Cecil invece non c’erano state occasioni, perciò non vedeva l’ora di riabbracciarlo.

Quello sarebbe stato il loro ultimo anno a Hogwarts e lei sentiva già incombere la preoccupazione per i M.A.G.O., anche se era presto per pensarci. Inoltre molte cose sarebbero state diverse, perché qualche giorno prima aveva ricevuto una lettera dalla scuola contenente la spilla di prefetto.

Emily non aveva mai desiderato davvero di ricoprire quel ruolo, credendo che i suoi impegni fossero già troppi, ma era anche vero che l’anno precedente si erano ridotti drasticamente. Insomma, era entusiasta di avere questa nuova responsabilità e sperava di esserne all’altezza.

Certo, probabilmente avrebbe avuto davvero meno tempo per studiare e per stare con gli amici e con Cecil, ma per il momento cercava di non pensarci.

Inoltre credeva che dietro alla sua nomina ci fosse lo zampino della Rain, che aveva insistito tanto con lei chiedendole se avesse mai desiderato diventare prefetto. Prima di diplomarsi, chissà, magari aveva messo una buona parola su di lei con la preside.

Scacciò quel pensiero quando vide Cecil e Parker che varcavano il portone della stazione, notandola a loro volta. Li salutò agitando una mano e loro ricambiarono mentre si facevano più vicini.

Emily, impaziente di riabbracciare il suo ragazzo, non riuscì ad aspettare e gli corse incontro a metà strada, per buttarsi tra le sue braccia accoglienti e pronte per lei. Lui la strinse come non mai, facendole capire senza usare le parole quanto gli fosse mancata.

Poi lei sollevò il viso e lo guardò sentendo il bisogno di confermare che fosse davvero lì. Lui si avvicinò di più per darle un bacio ed Emily, in quel momento, capì che il ragazzo gli era mancato come l’aria.

“Ehm ehm…”

Parker si era appena schiarito la gola ricordando a entrambi di essere lì. Malgrado questo, non sembrava infastidito bensì divertito.

“Ciao!” lo salutò Emily, sciogliendo l’abbraccio con Cecil.

“Ciao anche a te. Non vi vedete da tutta l’estate, ho indovinato?”

In risposta entrambi arrossirono abbassando lo sguardo.

“Ragazzi!” esclamò qualcuno alle loro spalle.

Un attimo dopo vennero travolti da un abbraccio spaccaossa di Blue, che li strinse prima tutti insieme, poi uno ad uno come se avesse energie da vendere. Probabilmente era davvero così.

“Mi siete mancati tantissimo! Ho voglia di tornare a scuola solo per vedere voi, pensate che roba,” continuò, ridacchiando. “Ah, non avete visto Hanna per caso?”

“No, qui ci siamo solo noi,” le disse Cecil.

“Allora avviamoci, è quasi ora quindi sarà già al binario,” propose la bionda, mettendo un braccio sopra le spalle di Emily e incamminandosi per prima con lei.

Una volta raggiunto il treno, caricarono i loro bagagli e salirono a bordo. Blue mollò la presa su Emily per chiacchierare con Parker, quindi lasciò andare avanti lei e Cecil.

Il ragazzo le prese la mano. Sorpresa, Emily si voltò a guardarlo e lo vide sfuggente, quindi ebbe l’impressione che avesse qualcosa da dirle ma non sapesse come fare. Non poteva biasimarlo, perché anche lei aveva così tante cose da raccontargli che non sapeva da dove iniziare.

“Gli altri anni ci siamo incontrati prima e abbiamo fatto una tipica colazione babbana al bar,” stava raccontando Blue, due passi dietro di loro.

“Senza di me? Ma non è giusto!” esclamò indignato Parker, poi batté due pacche sulla spalla di Cecil per richiamare la sua attenzione. “Ohi, di ritorno dalle vacanze di Natale lo rifate e vengo anche io!”

“Per me va bene,” gli rispose Cecil.

Trovarono Hanna Arsen già seduta in una cabina da sola. Quando li vide, fece loro un cenno con la mano.

“Hanna!” esclamò Blue, superandoli per entrare per prima e andare da lei.

Emily si sorprese nel vedere che non la stava stritolando, ma si era limitata a darle un bacio. Entrò nella cabina dopo di lei seguita dagli altri due.

Dopo aver salutato la ragazza, Emily e Cecil si sedettero l’uno accanto all’altra. Parker invece rimase impalato sulla porta, come se avesse appena visto un fantasma.

“Quindi io sarei l’unico single nella cabina delle coppiette? No, non mi sembra il caso,” commentò, parlando più con se stesso che con loro. “Vado a cercare gli altri,” annunciò, e loro non riuscirono a fargli cambiare idea.

“Allora siamo solo noi quattro,” constatò Blue, accomodandosi accanto alla sua ragazza. “Peccato che lui e Lexi non si siano messi insieme, stavano così bene… Ah, Hanna! Come sono andate le vacanze?”

Le due iniziarono a chiacchierare come se loro non ci fossero, e quella scenetta tenera fece sorridere Emily. Si voltò verso Cecil e lo trovò ancora pensieroso, perciò decise che avrebbe parlato per prima.

“Ho una cosa da mostrarti,” gli disse mentre iniziava a frugare nella borsa.

Un attimo dopo vi estrasse la sua spilla da prefetto, che gli mostrò sfoggiando un sorriso. Lo sguardo di Cecil si illuminò.

“Sei un prefetto?” le chiese, entusiasta.

Lei annuì.

Cecil mise una mano nella tasca dei jeans per prendere qualcosa. Anche lui aveva una spilla, Emily la guardò meglio e…

“Sei caposcuola!” esclamò, incredula. “Ma è meraviglioso!”

“Non ne sono tanto sicuro, mi domando se non l’abbiano mandata alla persona sbagliata,” rispose lui, facendo un sorriso tirato.

“Non dire così! Sei all’altezza dell’incarico, ne sono certa,” gli disse Emily, che credeva davvero in lui.

Inoltre per uno studente che voleva diventare auror non era affatto male ricoprire il ruolo di caposcuola, o almeno lei la vedeva così.

“Speriamo… Comunque credo che Batilda Rain abbia detto qualcosa sul mio conto, altrimenti non me lo spiego,” disse il ragazzo.

“Oh, io quando ho ricevuto la spilla ho pensato la stessa cosa,” ammise lei.

“Fantastico, i miei due migliori amici sono un caposcuola e un prefetto,” commentò Blue, sfoggiando un sorriso furbo. “Allora immagino di poter girare per i corridoi di notte indisturbata!”

“Assolutamente no!” risposero in coro loro due, quasi si fossero messi d’accordo.

“Ma come? Ecco, l’ho sempre pensato che siete troppo seri!” si lamentò la bionda, mettendo il broncio per fingersi offesa.

Il treno partì e Cecil fu il primo a uscire dalla cabina per mettersi la divisa, dicendo che era suo compito raggiungere l’altro caposcuola. Emily si domandò chi fosse, ma sapeva che lo avrebbero scoperto presto.

Quando si voltò verso Blue, perché la ragazza era stranamente silenziosa, la trovò di nuovo con quell’espressione furba stampata sul viso.

“Quindi sei prefetto, eh? Quest’anno avrai una stanza tutta tua, l’accesso al bagno dei prefetti e il dovere di pattugliare i corridoi di notte… Che peccato…” disse.

Il tono di voce che aveva usato lasciava intendere molto e fece arrossire entrambe le sue compagne di viaggio. Emily la fulminò con lo sguardo e si portò le mani sulle guance. Non ribatté perché era in imbarazzo, ma in effetti non poteva negare di averci pensato anche lei.

 
Cecil tornò da loro quando il viaggio era quasi giunto al termine, trovandole che chiacchieravano e mangiavano dolci. Avevano fatto molti acquisti dal carrello, pensando anche a lui.

Si sedette accanto a Emily e come prima cosa le diede una tabella con i suoi orari per il pattugliamento notturno e un foglio con altre indicazioni. Lei la guardò subito e scoprì che sarebbe stata impegnata il venerdì sera, insieme ad altri tre prefetti del settimo anno. Purtroppo non con Cecil.

La divisione era stata fatta proprio in base all’anno, lasciando fuori i due caposcuola ai quali spettava la ronda della domenica sera.

“Dovrò accompagnare io i primini di Grifondoro al dormitorio e spiegare loro tutto ciò che devono sapere,” annunciò Cecil, portandosi una mano alla fronte.

Sembrava già devastato all’idea di dover socializzare forzatamente con degli sconosciuti, per quanto molto più piccoli di lui.

“Tieni, ricaricati,” gli disse Blue, passandogli una caramella che lui accettò.

Giunti a destinazione si incamminarono verso le carrozze e ne presero una insieme a Solomon Sharpridge e a un ragazzo di Corvonero, probabilmente del quinto anno perché sia lui che Hanna lo conoscevano.

Fuori dalla sala grande arrivò il momento di separarsi e allora Emily si trattenne un attimo lì con Cecil.

“Ehi, andrà tutto bene,” gli disse, aggrappandosi alla manica della sua divisa. “Credi in te stesso e non fallirai. Domani devi raccontarmi tutto, intesi?”

Lui annuì, ma aveva ancora l’espressione di un condannato a morte. Lei si alzò sulle punte e gli diede un bacio sulla guancia sinistra, riscuotendolo dai suoi pensieri.

“Il resto te lo do un’altra volta,” sussurrò vicino al suo orecchio, poi gli sorrise e si incamminò verso il tavolo di Serpeverde.

Trovò gli amici seduti più o meno nel solito punto di sempre, non troppo vicini all’entrata né al tavolo degli insegnanti, e si mise subito a chiacchierare con loro. Intanto si guardò intorno riconoscendo i compagni che non vedeva da mesi.

Fu così che si accorse che Melita Desvara aveva sul petto la spilla di caposcuola. Vedendola capì che fosse ovvio: era stata prefetto l’anno prima e all’improvviso l’onore spettava a Emily? Certo, perché lei era diventata caposcuola liberando un posto! 

Dopotutto, i capiscuola erano sempre un maschio e una femmina del settimo anno.

I primini fecero il loro ingresso nella sala grande, vennero accolti da un discorso del vicepreside Flitwick e dalla canzone del cappello parlante, poi lo smistamento ebbe inizio.

Emily seguì con attenzione tutta la cerimonia, consapevole che quella per lei sarebbe stata l’ultima volta.

Poi la preside fece il discorso di inizio anno, dedicò tempo alle solite raccomandazioni e presentò un nuovo membro del corpo insegnanti, unica faccia nuova al loro tavolo. Si chiamava Henry Thorn ed era un uomo anziano e dall’aspetto austero, nonché nuovo professore di babbanologia.

A Emily non ispirava nessuna simpatia, forse perché non sorrise affatto quando la McGranitt lo presentò, o forse per lo sguardo assottigliato e freddo con cui esaminò tutti i presenti nella sala grande. Insomma, era ben contenta di non dover frequentare il suo corso.

Alla fine del banchetto lei e un altro prefetto di Serpeverde chiamarono i nuovi studenti per accompagnarli al dormitorio.

Al termine dei suoi doveri, Emily si diresse in quella che sarebbe stata la sua nuova stanza. Era una singola con un letto comodo e un po’ più grande del solito, probabilmente a una piazza e mezza.

La stanza non era troppo grande dato che non la condivideva con nessuno, ma non era nemmeno piccola, tutto sommato. Oltre al letto c’erano una scrivania, l’armadio e la porta per raggiungere il bagno.

Era il momento di disfare i bagagli, perciò usò la magia per fare prima e decorò la sua stanza con poster e qualche foto per renderla più allegra. Una volta fatto, raggiunse Ana e Patricia nella loro camera, che condividevano con un’altra compagna.

“Che ci fai qui, già stanca della tua stanza?” le chiese Patricia, facendole segno di sedersi sul letto accanto a lei.

“Mi sentivo un po’ sola,” ammise Emily.

“Ah, se vuoi possiamo fare a cambio,” le propose scherzosamente Ana. “Io e Nathan sapremmo come fare buon uso di quella camera singola...”

Emily si imbarazzò, ma sotto sotto anche lei sapeva come farne buon uso. Solo che la sua situazione era diversa, perché lei e Cecil appartenevano a due case differenti.

Rimase a chiacchierare con loro per un po’, ma la stanchezza si fece presto sentire così tornò nella sua stanza. Prima di andare a dormire rifletté su tutte le cose che erano cambiate dall’anno precedente.

In primis, lei era cambiata. Aveva affrontato un momento di fragilità che si portava ancora dentro, ma che adesso sentiva finalmente superato. Da una parte grazie al sostegno dei suoi amici, di Cecil e alla sua ferma intenzione di tornare a stare meglio. Dall’altra, perché anche durante l’estate si era rivolta allo psicologo per riuscire a spazzare via le ultime insicurezze.

Insomma, non era più la stessa di prima ma ora stava bene davvero. Si sentiva di nuovo forte, sicura di sé e pronta ad affrontare tutte le sfide che la vita aveva in serbo per lei. Con il suo ruolo di prefetto, quell’anno, intendeva innanzitutto dimostrarlo a se stessa.

Inoltre anche Cecil era cambiato. Aveva preso una decisione riguardo al suo futuro ed era maturato, per quanto fosse ancora insicuro su certe cose. La sua timidezza di un tempo sembrava aver lasciato spazio gradualmente a un carattere silenzioso e riflessivo, anche se soffriva ancora a stare al centro dell’attenzione, ma almeno con lei e con gli amici stretti parlava senza farsi problemi.

E poi c’era Blue, che pareva molto più coinvolta nella sua relazione con Hanna Arsen. Emily intendeva farsi raccontare i dettagli alla prima occasione buona.

A parte questo, l’amica era sempre la solita ragazza spensierata e divertente, che pensava a mangiare e a impegnarsi in attività ricreative piuttosto che nello studio. Ogni volta le dava consigli preziosi e si era dimostrata anche molto affidabile, perciò era ovvio che fosse maturata negli anni, malgrado spesso si comportasse appositamente come una buffona.

Emily era felice di iniziare un nuovo anno scolastico, l’ultimo, in un clima sereno e circondata dai suoi amici. L’unico pensiero che disturbava quel quadretto confortante erano i M.A.G.O., ovvero gli esami di fine anno che avrebbero segnato la fine di quel percorso.

 
“Ah, a me non preoccupano per niente,” dichiarò Blue.

Erano a colazione ed Emily aveva appena tirato fuori l’argomento esami, quindi la sua amica aveva ribattuto così.

“I miei hanno confermato che un giorno il negozio di famiglia sarà mio, perciò sono tranquilla. Certo, si aspettano comunque degli ottimi risultati, altrimenti chissà come reagirebbero,” continuò, per poi dare un morso alla sua fetta di torta di zucca. “Ma anche io me li aspetto quindi studierò quanto basta, o avrei lasciato la scuola prima evitandomi di doverli sostenere.” 

Emily l’ascoltò attentamente e annuì, malgrado fosse sorpresa dalla serenità della ragazza.

“Io invece voglio provare a ottenere il massimo dei voti per una mia soddisfazione personale,” dichiarò, aggiungendo della frutta al suo porridge.

“Già, ci avrei scommesso, e scommetto anche che ce la farai. Ah, ecco qualcun altro che prende molto seriamente i suoi doveri,” aggiunse, spostando lo sguardo altrove.

Emily si voltò e vide che Cecil stava per raggiungerle.

“Buongiorno,” disse loro, poi si sedette e notò di essere al centro dell’attenzione. “Parlavate di me, per caso?”

“Sì, in verità. O meglio, parlavamo dei M.A.G.O.,” lo aggiornò Blue.

Cecil sospirò mentre prendeva una fetta di torta.

“Pessimo argomento. Se voglio davvero diventare auror, devo prendere almeno oltre ogni previsione in cinque M.A.G.O.”

“Non avrai problemi, fidati,” lo rassicurò Blue, per poi bere un sorso di succo. “Hai sempre studiato, e c’è Emily che ti aiuta.”

Cecil guardò l’amica e poi si voltò verso di lei.

“Sì, ti aiuterò io ogni volta che vorrai, se è questo che ti stai chiedendo,” intervenne la diretta interessata, non avendo capito cosa stesse pensando.

“No, in realtà pensavo che sono molto fortunato.”

Emily arrossì leggermente e abbassò lo sguardo sul suo piatto. Non riuscì a non sorridere a causa della sua affermazione.




Spazio di quella che scrive

Ebbene sì, ha inizio il nuovo anno scolastico e questa volta è l'ultimo! Sarà anche più breve del solito, perché mi sembrava inutile soffermarmi in certe altre cose, anche se le avevo programmate. Va beh! Avremo comunque altro da vedere "dopo la fine".

La questione "prefetti e capiscuola" l'ho gestita a modo mio. Non ho letto i libri e ho trovato poche informazioni a riguardo online... Spero non ci sia qualcosa che è sembrato troppo strano nella lettura. Ma vi aspettavate questi ruoli per loro?

Mi scuso per il ritardo ad aggiornare. Lo faccio oggi che è domenica, perché non ce l'ho fatta per tutta la settimana e domani sarebbe stato lo stesso, sigh. Periodaccio. Ma non sparisco, la storia è tutta già scritta e non manca molto alla fine!

A presto!

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Capitolo 47
*** Capitolo 47 ***


CAPITOLO 47

 


Diversi giorni erano passati dall’inizio della scuola ed Emily aveva già fatto le sue prime ronde notturne. Con lei c’erano tre prefetti del suo anno, ragazzi con cui non aveva mai parlato anche se li aveva visti a lezione. Si incontravano al piano terra, quindi decidevano come dividersi la scuola e procedevano con il giro.

Non era poi tanto male aggirarsi per Hogwarts di notte, con la bacchetta alla mano e stando pronti a intervenire in caso di bisogno, o a togliere punti agli studenti trovati nei corridoi senza permesso.

Certo, era stancante fare le ore piccole e il giorno successivo, a lezione, ne risentiva sempre, ma niente le avrebbe impedito di stare attenta e prendere appunti.

Una mattina, mentre faceva colazione con Blue e Cecil come ormai era diventata un’abitudine, decise di proporre al ragazzo un appuntamento di studio. Settembre sarebbe presto terminato e con esso avrebbero salutato anche le ultime giornate tiepide, perciò voleva approfittarne per stare un po’ all’aria aperta.

“Che ne dici di un picnic al lago nero, oggi pomeriggio? Prendiamo qualcosa dalle cucine e ci mettiamo a studiare sul prato,” lo invitò, speranzosa.

Tra studio e doveri vari, lei e Cecil non avevano avuto molto tempo ultimamente. Certo, spesso studiavano insieme in biblioteca, ma non era la stessa cosa rispetto a uscire… E la sua proposta di quel giorno voleva essere una giusta via di mezzo tra le due cose.

“Oggi non posso, ho una riunione con la preside e Desvara. Però, se non va per le lunghe, possiamo vederci in biblioteca subito dopo,” le disse il ragazzo, seduto accanto a lei.

“Va bene,” rispose Emily, abbassando lo sguardo sul suo porridge.

Era rimasta delusa e non poteva negarlo, ma non lo avrebbe detto ad alta voce. Le sembrava di essere stata estromessa da una parte della vita del ragazzo, anche se era normale che non facessero tutto insieme. Era sempre stato così e le cose sarebbero continuate in quel modo anche in futuro.

Quel giorno, per darsi la carica che le mancava, aggiunse più gocce di cioccolato del solito al suo piatto.

 
Nel pomeriggio, al termine dei suoi impegni, si avviò verso la biblioteca. Era presto per incontrare Cecil in realtà, ma non per leggere qualche libro interessante. Con i compiti era in pari, perciò esplorò gli scaffali finché non trovò un vecchio volume di babbanologia che non aveva ancora consultato.

Tornò sui suoi passi per trovare un posto libero e notò Solomon Sharpridge che studiava da solo.

“Posso sedermi?” gli chiese.

Lui sollevò il viso rivolgendole uno sguardo sorpreso, perché evidentemente non l’aveva sentita arrivare. Annuì e lei si accomodò.

“Non capisco come fa a piacerti quella roba,” commentò il ragazzo qualche minuto dopo, distogliendola dalla sua lettura.

“Ognuno ha i suoi gusti,” ribatté Emily, sbirciando ciò che stava leggendo lui.

Dalla copertina, pareva fosse un libro sugli aracnidi. Non aggiunse altro, decidendo che le sue parole di poco prima fossero abbastanza.

“Alla fine tu e Hanna Arsen siete diventati amici, anche se all’inizio negavi che lo foste,” gli disse poi, perché era curiosa da un po’ di tempo a riguardo.

“Già… Ma non lo eravamo davvero, quindi non ho mentito,” dichiarò lui, inserendo un segnalibro tra le pagine e chiudendo il volume. “Abbiamo iniziato a conoscerci meglio solo l’anno scorso.”

Emily annuì e tamburellò con le dita in un angolo della pagina che stava leggendo. Non era molto in vena di studiare in quel momento, forse perché non sapeva se Cecil l’avrebbe raggiunta davvero e quando. Piuttosto avrebbe preferito chiacchierare con Solomon un altro po’.

“Senti, se la storia di Hanna con la Cane finisse male, noi due resteremo comunque amici?”

La sua domanda la spiazzò.

“Ma certo che sì. Perché, ne dubiti?” gli chiese di rimando, sorpresa.

“No, volevo solo assicurarmene,” ribatté Solomon scuotendo la testa, come se volesse lasciar cadere l’argomento.

“E dimmi, credi che si lasceranno? A me sembrano felici… e Blue è una brava ragazza, sono sicura che stia trattando bene Hanna. Aspetta, non sarà che lei ti piace?”

“Frena!” le chiese Solomon, senza alzare la voce per non attirare l’ira di Madama Pince. “A me piacciono solo le creature magiche,” puntualizzò, mostrandole l’acromantula sulla copertina del libro e indicandola con la sua piuma.

Emily la osservò solo per un secondo, sforzandosi di non apparire disgustata. Capiva il suo amore per gli animali fantastici, ma non fino a quel punto.

“Anzi, mi piacciono anche quelle non magiche, salvo alcune eccezioni,” continuò il ragazzo, riappoggiando il libro e la penna. “Insomma, il punto è che non provo interesse per le persone. Anche per quanto riguarda gli amici, sto bene con i pochi che ho. Per questo mi dispiacerebbe perderne qualcuno.”

“Un po’ lo immaginavo, l’ho sempre saputo che eri un tipo solitario,” commentò Emily, chiudendo il libro a sua volta. “Comunque, io non sono molto in confidenza con Hanna e se Blue dovesse lasciarla, o viceversa, a me non cambierebbe poi molto. Auguro a entrambe la felicità e scelgo di tenermi stretti tutti quanti i miei amici.”

Continuarono a chiacchierare della loro idea di amicizia per un po’, quindi Solomon le chiese con quanti studenti fosse in confidenza e come facesse a gestire i rapporti con tutti, senza sentire mai il bisogno di stare da sola.

Emily in realtà apprezzava anche il tempo trascorso in solitudine, che fosse ad ascoltare musica o in compagnia di un buon libro, ma era da un po’ che cercava di stare più spesso con le persone a lei care.

Smisero di parlare quando Cecil varcò la porta della biblioteca, attirando subito l’attenzione di Emily che aveva una buona visuale sul corridoio.

“È arrivato il tuo ragazzo, io tolgo il disturbo,” dichiarò Solomon con il suo solito atteggiamento disinteressato, mettendo via le sue cose e facendo per andarsene.

“Ma no, non sentirti obbligato,” gli disse Emily, dispiaciuta.

Non lo voleva certo cacciare via.

“Non mi ci sento, voglio solo stare un po’ per i fatti miei,” insistette il ragazzo.

Rivolse a Cecil un cenno di saluto e lo superò per uscire dalla sala.

“Studiavi con Sharpridge?” le chiese lui, mettendosi a sedere.

“No, in realtà stavamo chiacchierando,” ammise. “Com’è andata la riunione?”

“Non è stata niente di che, la preside voleva essere aggiornata su come vanno le cose con alcuni studenti e farci le solite raccomandazioni. Allora, ho portato erbologia, storia e devo finire una relazione di pozioni, tu invece?” le domandò, spostando il discorso sullo studio.

“Ho qui il libro di trasfigurazione, difesa e anch’io quello di erbologia,” rispose, prendendolo per primo.

L’aveva portato perché era certa che a Cecil servisse una mano con la materia.

“Non riusciremo a fare tutto oggi, perciò è meglio decidere subito,” propose lei.

Scelsero di dedicarsi a erbologia e di ripassare difesa contro le arti oscure.

Iniziarono a studiare condividendo gli appunti, ma Emily ogni tanto si ritrovava a viaggiare con il pensiero.

In uno di quei momenti, osservò di nascosto il viso di Cecil intento a studiare e pensò al picnic di quel pomeriggio che era sfumato, anche se non per sua volontà.

“Qualcosa non va?” le chiese lui, prendendole la mano con cui stava tenendo una pagina del libro. “Sei bloccata in questa posizione da almeno un minuto,” le fece notare, guardandola negli occhi per provare a capire cosa stesse pensando.

Emily scosse la testa e si lasciò scappare dalle dita la pagina.

“Sono solo un po’ stanca… E mi piacerebbe avere più tempo per stare con te, ecco tutto. Vado a cercare un libro per approfondire l’argomento.”

Dopo averlo detto, sottrasse la sua mano destra dalla presa gentile di Cecil e si alzò per dirigersi al reparto di erbologia. Doveva tornare in sé, altrimenti non sarebbe riuscita a combinare niente quel pomeriggio.

Notò un ragazzo che la osservava insistentemente dal fondo del corridoio, ma decise di non farci caso e sbrigarsi per tornare al suo tavolo. Quando individuò un volume che faceva al caso suo si apprestò ad appellarlo con la magia perché era troppo in alto, ma quel ragazzo allungò una mano e lo prese per lei.

“Cercavi questo?” le domandò, avvicinandosi un po’ troppo per i suoi gusti.

Emily si trovava con le spalle al muro, anzi con la schiena molto vicina a uno scaffale, e quel ragazzo sconosciuto davanti.

In realtà non era del tutto un estraneo, perché lei essendo al settimo anno conosceva tutti almeno di vista, ma gli studenti erano troppi per tenerne a mente i visi e soprattutto i nomi. O almeno, per lei era così.

Comunque quel tipo non frequentava nessuna lezione con lei, quindi doveva essere del quinto o del sesto anno.

“Sì… Ma potevo farcela da sola,” puntualizzò, allungando una mano per prenderlo.

Lui glielo passò senza fare scherzi e rivolgendole un sorriso che probabilmente avrebbe affascinato molte ragazze. Non lei, però.

“Ehm ehm.”

Si voltò e scoprì che Cecil li aveva raggiunti e stava osservando quella scena con un sopracciglio inarcato. Si fece più vicino per mettersi in mezzo tra i due, anche se l’altro studente lo superava di una manciata di centimetri.

“Torniamo a studiare, Emily,” le disse, con un’espressione che non nascondeva abbastanza bene il suo fastidio.

“Andiamo,” concordò lei, avviandosi con lui per il corridoio da cui erano arrivati.

“Potevo pensarci io,” gli fece notare una volta che furono tornati seduti. “So difendermi da sola…”

“Lo so, ma non posso fare a meno di preoccuparmi,” ribatté lui, con lo sguardo basso sul suo libro. “E quando l’ho visto così vicino a te non ho capito più niente.”

“Eri geloso?” gli domandò, sorpresa.

Cecil incontrò il suo sguardo.

“Forse… E anche se fosse?”

“Mi fa piacere,” ammise lei. “Temevo che non ti interessasse molto cosa facessi e con chi.”

“Scherzi? Non è assolutamente vero,” disse e sospirò. “Dicevi che vorresti passare più tempo insieme, ma per me è lo stesso.”

Emily strabuzzò gli occhi e non seppe come ribattere. Era un po’ giù in quel periodo e credeva di essere stata tagliata fuori da molti momenti che avrebbe potuto condividere con Cecil, ma non aveva pensato minimamente a come stesse vivendo lui la cosa.

“Scusami, non credevo di essere così egocentrica…”

Il ragazzo scosse la testa.

“Se qualcosa ti preoccupa, parlamene,” le chiese, rivolgendole uno sguardo serio.

Emily si morse il labbro inferiore, combattuta. Avevano avuto quella conversazione almeno un milione di volte, però lei continuava a tenersi tutto dentro.

“Ti piace fare il caposcuola?” gli chiese, dato che non ne avevano mai parlato davvero.

“Sì e no… È un onore e ne vado fiero, ma comporta tanti impegni noiosi o dei quali farei volentieri a meno.”

“E Melita Desvara che tipo è?” gli domandò, dato che non conosceva la ragazza malgrado fosse una Serpeverde come lei.

“Non lo so, non abbiamo mai parlato se non per dividerci il lavoro. Ho notato che sembra sempre sul punto di addormentarsi, invece poi si scopre che era attenta a tutto,” raccontò, quindi riaprì il libro di erbologia.

Emily annuì. Era felice che stessero parlando dei suoi compiti da caposcuola, anziché ignorare l’argomento. Ora riconosceva che avrebbe potuto fargli quelle domande prima, invece di intristirsi perché entrambi avevano da fare.

“A te è successo qualcosa di particolare da quando sei prefetto?” le chiese Cecil, sollevando di nuovo lo sguardo su di lei.

“Niente di che, a dire il vero. Ah, una notte ho interrotto degli studenti del quarto anno che si stavano baciando in un’aula.”

Ne parlarono ancora per un po’, poi tornarono concentrati sullo studio dato che avevano molto altro da fare.

 
Di venerdì sera Emily aveva la ronda notturna, perciò indossò il mantello e uscì dal dormitorio di Serpeverde. I corridoi di Hogwarts erano freddi e bui di notte, ancora più del solito quando si trattava dei sotterranei.

La sua bacchetta non illuminava molto, perciò stava attenta a ogni minimo rumore nel tentativo di accorgersi se ci fosse qualcuno.

Quella sera, prima di cena, si era già accordata con gli altri prefetti sul giro da fare, che forse sarebbe rimasto fisso dato che era lo stesso delle settimane precedenti.

A Emily spettavano i sotterranei e il piano terra, perciò esplorò ogni aula e controllò ogni nicchia. Una volta fuori dalle cucine, fu tentata di entrare a prepararsi una bevanda calda ma si trattenne. Stava per salire le scale quando udì un rumore provenire da un corridoio che aveva già controllato.

Strinse la presa sulla bacchetta. Probabilmente qualche studente del suo dormitorio era uscito dopo di lei, pensando così di riuscire a evitarla. Sospirò e si domandò se i membri delle altre case facessero le stesse stupidaggini.

Mise fine all’incantesimo con cui si stava facendo luce e si avvicinò con passo felpato al punto in cui aveva sentito quel rumore. Una volta qui, certa di non essere sola, lanciò nuovamente lumos.

Eppure tutto taceva e non si vedeva anima viva.

“Finite incantatem!” esclamò.

Davanti a lei comparvero William Baxter e Samuel Napier.

“Non ci posso credere… Anzi, ci credo benissimo! Che ci fate fuori dal dormitorio a quest’ora? Avete un permesso?” domandò, infastidita dalla loro presenza.

Sicuramente erano in giro ad architettare degli scherzi di cattivo gusto o a infrangere altre regole.

“Non ci serve un permesso, non c’è mai servito,” ribatté Baxter, guardandola in cagnesco.

“Ah sì?”

Emily sollevò un sopracciglio e accennò un sorriso furbo.

“Sai Baxter, quando ti ho visto fare il cameriere al Lumaclub ho pensato che fosse una serata grandiosa, ma anche questa non è da meno perché posso togliervi punti e segnalarvi entrambi alla preside… e al professor Brodie.”

“Quand’è che avresti fatto il cameriere?” gli chiese Napier in tono di scherno.

“E sta’ zitto tu!” esclamò l’altro dandogli uno spintone, poi tornò voltato verso di lei. “Non so chi ti credi di essere, ma hai proprio dei gusti strani. Se questi per te sono bei momenti, devi avere una vita molto triste.”

“Trovo gioia nelle piccole cose,” ribatté Emily, facendo spallucce. “Cinquanta punti in meno a testa perché vi trovate in corridoio dopo il coprifuoco.”

“Cazzo, cinquanta punti! Guarda che siamo Serpeverde proprio come te!” le fece notare Napier, stringendo i pugni.

“Già, ma io sono un prefetto e voi siete due che si divertono a maltrattare il prossimo,” puntualizzò lei, come se avesse detto una cosa da niente.

“Dici bene, noi siamo in due mentre tu sei da sola,” intervenne Baxter armandosi di bacchetta. “Tu ti diverti a toglierci punti, ma noi conosciamo altri modi per divertirci.”

Emily avvertì uno spiacevole brivido correrle lungo la schiena. Che alludesse a farle semplicemente male o altro, lei non lo sapeva, ma in seguito agli anni di soprusi non aveva certo paura di loro. Non adesso che aveva affrontato studenti più grandi e più forti in duello.

I due sollevarono le bacchette ma lei fu più veloce e li pietrificò con un incantesimo non verbale. La posizione in cui erano rimasti bloccati faceva capire chiaramente che stessero per attaccarla, perciò lei era sicura che non avrebbe avuto problemi a lasciarli così in infermeria.

“Altri cinquanta punti in meno per aver ingaggiato un duello senza permesso, perdipiù con un prefetto. E intendo a testa. Stavo giusto per andare verso l’infermeria, verrete con me fino a lì,” annunciò, facendoli levitare dietro di sé.

Li adagiò su due letti e avvisò Madama Chips, quindi tornò in corridoio per riprendere il suo giro.

Non poteva dire che fosse stata una notte adrenalinica, ma di certo sarebbe stata un argomento divertente per le conversazioni dell’indomani con i suoi amici.





Note di quella che scrive

Mi scuso per essere sparita ancora ma in queste ultime settimane è successo di tutto! E forse lo avevo già detto, ma la situazione non era a questo livello...
Comunque, capitolo leggero e breve... di passaggio, mi viene da dire, ma in realtà siamo in una fase della storia più rilassata delle precedenti.

La conversazione di Emily con Solomon Sharpridge è un po' un'occasione sprecata, perché non gli ho fatto dire quanto avrei voluto, ma non era il momento. Sicuramente getta le basi per altro che riguarda lui, ma ci torneremo più avanti.

Alla prossima!

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Capitolo 48
*** Capitolo 48 ***


CAPITOLO 48

 

Il ballo di Natale era ormai alle porte e anche quell’anno, come il precedente, Cecil la invitò ad andarci con lui. Ovviamente Emily accettò senza farselo ripetere due volte.

“In realtà la McGranitt si aspetta un po’ di sorveglianza da parte dei capiscuola e dei prefetti,” puntualizzò, prendendola per mano. “Però saremo tutti nella sala grande, quindi credo che potremo prendercela comoda.”

Emily annuì, d’accordo con lui. Una piccola pausa dai suoi doveri di prefetto, e anche dallo studio, credeva di meritarsela. Più che altro sentiva di averne bisogno, di voler tornare a essere una semplice studentessa di Hogwarts almeno per una sera.

Inoltre lei e Cecil stavano insieme perciò la situazione era diversa rispetto agli anni precedenti, e quello sarebbe stato il loro ultimo ballo a scuola.

Continuarono a parlarne mentre passeggiavano per il castello, ma poco dopo dovettero separarsi perché lei aveva lezione di rune antiche.

Quel weekend andò a Hogsmeade con Blue e si fece aiutare a scegliere l’abito per la serata. Ne acquistò uno color verde scuro, molto elegante e in grado di valorizzare il suo fisico senza però esporre troppa pelle.

Blue invece ne scelse uno viola, della stessa tonalità della sua ciocca di capelli tinta.

“Lo riempirò di glitter e stelline,” dichiarò, dopo averlo acquistato.

E molto presto arrivò la sera del ballo.

Emily e Blue si prepararono insieme nella stanza della prima, impiegandoci tutto il tempo necessario dato che quella sarebbe stata l’ultima volta. Come annunciato in precedenza, l’amica decorò il suo vestito e poi chiese a lei se le servisse una mano con qualcosa, ma rifiutò.

Si sentiva già bene così, nel suo abito nuovo, senza bisogno di abbellirlo ulteriormente. Sperava che anche a Cecil piacesse.

Qualche minuto dopo uscirono dal dormitorio di Serpeverde, trovando Cecil lì fuori che aspettava Emily. I due si sorrisero e si studiarono con una lunga occhiata reciproca, tanto che Blue dovette schiarirsi la voce per essere notata.

“Io vado a prendere Hanna, ci vediamo dopo,” annunciò, quindi fece un occhiolino all’amica e si avviò per prima verso le scale.

Cecil le porse una mano.

“Vogliamo andare?”

Lei annuì gliela prese. Si incamminarono senza fretta per il corridoio praticamente deserto dei sotterranei.

“Ci pensi che è l’ultima volta che partecipiamo a un ballo qui a Hogwarts?”

“Già, sembra strano ma questo è l’anno delle ultime volte,” rispose lui, accennando un sorriso tirato. “l’anno prossimo a quest’ora staremo facendo chissà cos’altro.”

“Tu avrai il corso per diventare auror e io starò studiando per poter insegnare,” sottolineò lei, convinta a riguardo.

“Sì, se ai M.A.G.O. andrà tutto bene…”

“Sarà così,” insistette, sicura delle loro capacità.

Erano arrivati alle scale ormai, quindi le salirono per dirigersi al piano terra.

“Stai molto bene vestita così,” le disse Cecil, posando di nuovo lo sguardo su di lei.

Emily sorrise, sorpresa dal suo complimento.

“Grazie… Anche tu, sei sempre bellissimo vestito elegante.”

Lo vide arrossire e sentì aumentare leggermente la stretta sulla sua mano.

Erano arrivati fuori dalla sala grande quando Emily notò che alcuni prefetti stavano parlando tra loro, mentre tutti gli altri studenti ballavano, mangiavano o si divertivano. Non sembrava ci fosse niente da fare, stavano solo chiacchierando, ma lei si ritrovò stranamente a non voler varcare quella soglia.

Non era convinta di volerlo, almeno. Non con la prospettiva di fare un giro tranquillo per il castello, senza avere altre persone intorno e consapevoli che non ci sarebbe stata nessuna sorveglianza.

“Qualcosa non va?” le chiese Cecil, fermandosi a pochi passi dalla porta.

“No, ma… E se non andassimo? Tu non ami questi eventi e stasera persino io non me la sento.”

“Dici sul serio?” domandò lui, guardandola negli occhi. “Finalmente hai iniziato a non sopportare più i balli anche tu,” scherzò.

Lei scosse la testa e accennò un sorriso.

“Non è questo. All’improvviso non mi importa un granché, mi basta che restiamo insieme.”

Lui annuì, questa volta con un’espressione seria.

“Anche a me non importa. Anzi, se c’è anche solo la minima possibilità che qualcuno ci chieda di fare da sorveglianza anche stasera, tanto vale non farci vedere,” aggiunse, indicando con un cenno del capo Melita Desvara che si aggirava da sola nella sala grande, in cerca di chissà chi.

“Allora andiamo, conosco un bel posto,” dichiarò Emily, tirandolo verso le scale.

Nessuno si sarebbe insospettito vedendoli salire. Dopotutto, anche altri studenti facevano su e giù per andare a incontrare amici o accompagnatori di altre case, per poi raggiungere la sala grande insieme. Loro però sarebbero andati da tutt’altra parte.

Certo, Blue e Parker si sarebbero chiesti che fine avessero fatto, ma per una volta non importava.

“La torre di astronomia?” le chiese Cecil, quando arrivarono alla rampa di scale che conduceva in quello che, per diverso tempo, era stato il loro posto segreto per studiare.

“Già. Preferivi la stanza delle necessità? Non ricordo come ha fatto Blue a trovarla, quella volta al primo anno, quindi ti dovrai accontentare.”

Lui le rivolse un sorriso divertito e iniziò a salire per primo, subito seguito da lei.

La torre di astronomia era bellissima a quell’ora della sera. Anche quando facevano lezione, Emily rimaneva sempre affascinata dalla vista sul cielo che si poteva ammirare da lì. Certo, faceva anche un po’ freddino essendo dicembre, ma almeno non aveva la schiena scoperta.

Si affacciarono alla balconata per guardare le stelle.

“Sai, al ballo del terzo anno tu mi piacevi già,” gli rivelò dopo un po’, con lo sguardo rivolto al cielo.

“Non ne avevo idea. Se non me lo avessi detto tu, ho paura che non me ne sarei mai accorto… Immagino che a un certo punto mi saresti piaciuta comunque, ma non avrei capito di essere ricambiato,” ammise, senza guardarla in faccia.

Emily si accarezzò il dorso di una mano con l’altra, tenendo i gomiti appoggiati alla ringhiera.

“Allora sono felice di avertelo detto.”

“Anche io,” disse lui, rivolgendole lo sguardo per un istante e sorridendole con fare imbarazzato. “Anche se poi ti ho evitata… e non ci sono stati solo bei momenti…”

“Non importa,” intervenne lei, perché ormai non ricordava più quegli eventi con tristezza.

Facevano parte della loro storia insieme e alla fine li avevano condotti lì, a quel preciso momento.

“No, importa e voglio scusarmi. Non avevo idea di come comportarmi con te e ho messo a rischio la nostra amicizia.”

Emily lo lasciò parlare e capì che era davvero dispiaciuto. Gli si avvicinò di più e gli prese la mano di nuovo, trovandola calda come la ricordava.

“La verità è che sono sempre stato un po’ lento con certe cose,” continuò, con lo sguardo fisso sul cielo. “Pensavo che prima o poi mi sarei messo con qualcuno, ma trovavo strano che i nostri coetanei ci stessero già pensando. Io ero interessato a tutto fuorché alle relazioni romantiche, mi sembravano qualcosa di troppo lontano da me.”

Lei trattenne una risata.

“Io ero tra quelli strani che ci pensavano. Anzi, forse mi sei sempre piaciuto, sin dal primo anno, ma all’inizio non lo capivo.”

Quando tornò a guardarlo, si accorse che lui stava facendo lo stesso.

“Perché proprio io, tra tutti? Non… non ha molto senso, per me. Tanti altri ragazzi avrebbero voluto uscire con te in passato e adesso è ancora così,” le chiese, con una nota di insicurezza malcelata nella voce.

Emily scosse la testa.

“Non so com’è iniziata, forse perché ci siamo sempre guardati le spalle a vicenda. Poi mi sono accorta che mi sentivo in imbarazzo se stavamo troppo vicini, e ho notato quanto fossi bello,” ammise, rivolgendogli un sorriso carico di imbarazzo.

“Stai un po’ esagerando... non sono bello...”

“Non scherzare!” esclamò e gli prese il viso tra le mani. “Dov’è che non lo saresti?” continuò e lo vide arrossire.

Gli lasciò il viso e si allontanò di un passo.

“Scusami, ho un po’ esagerato,” ridacchiò, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro per stemperare la figuraccia appena fatta.

“No… Va bene…” disse lui, puntando lo sguardo sulle proprie mani appoggiate alla ringhiera. “Se lo pensi davvero, è ovvio che ne sono felice. Sì, insomma, anche io penso che tu sia bellissima.”

Emily si sentì il viso in fiamme, quindi si voltò leggermente verso sinistra nella speranza che lui non ci facesse caso.

“E poi sei intelligente, forte e coraggiosa…” continuò.

“Non lo sono,” lo interruppe lei, convinta. “Cioè, mi impegno nello studio ma potrebbe farlo chiunque. Sono il coraggio e la forza a mancarmi. E si è visto…”

“Che cosa intendi?” le chiese Cecil, rivolgendole uno sguardo confuso.

“Beh… Mi sarebbe piaciuto essere davvero forte, per non ritrovarmi in certe situazioni,” rispose, inclinando la testa da un lato nello sforzo di trovare le parole giuste.

Comunque non ce l’aveva fatta, ma confidava che Cecil capisse che si stava riferendo alle molestie subite. Le aveva sempre definite così quando aveva dovuto parlarne, ma sapeva che si trattava di una tentata violenza sessuale. Solo con lo psicologo babbano si era trovata nella condizione di doverlo ammettere, soprattutto a se stessa.

Il suo ragazzo doveva averlo capito, perché sgranò gli occhi.

“No, non dire così! Se non fossi stata forte, le cose non sarebbero andate allo stesso modo,” le fece notare, e non era la primissima volta che qualcuno glielo diceva ma, per qualche motivo, le suonò più convincente che mai. “Per me hai dimostrato grande forza, e anche moltissimo coraggio. E in tante altre occasioni lo hai dimostrato, in realtà.”

Mentre le parlava, si era avvicinato a aveva posato le mani sulle sue spalle. Adesso gliele accarezzava con gentilezza, trasmettendole sicurezza e affetto. Bastava così poco, a lui, per farla sentire bene.

“Sei la persona più coraggiosa e determinata che conosco,” continuò, facendola sorridere.

Secondo Emily il suo non era affatto coraggio, bensì istinto di sopravvivenza. Altre volte invece era stata l’ambizione a spingerla ad agire, più che il vero e proprio coraggio. Comunque, detto da un Grifondoro, lo sentì come un gran bel complimento.

“Grazie… Adesso mi sento meglio,” lo rassicurò, piegando il braccio per posare la mano destra sulla sua.

Cecil vi spostò lo sguardo e sobbalzò.

“Scusa se ti ho sorpresa toccandoti all’improvviso,” disse, spostando solo la mano sinistra perché l’altra si trovava sotto la sua.

“Non mi hai sorpresa né infastidita,” sottolineò Emily, accarezzandola con le dita. “Anzi, a questo punto io credo… spero… che tu sia libero di fare quello che vuoi. Cioè, voglio dire…” si zittì incapace di continuare quel discorso, imbarazzata.

Quando alzò di nuovo lo sguardo su di lui si accorse che era arrossito.

“Sono un po’ sfacciata, forse questo non te lo aspettavi,” dichiarò e si morse il labbro inferiore, vergognandosi tremendamente.

“No, lo sapevo. Ecco… dici sempre quello che pensi.”

“Con te però faccio molta fatica, a volte…” ammise, incrociando ancora il suo sguardo e trovandolo imbarazzato a sua volta.

Lui scosse la testa.

“Anche io. Adesso capisco perché non riuscivi a parlarmi di tutto.”

Lei annuì ma non osò aggiungere altro, anche perché le sembrava di essersi scavata la fossa da sola.

Anche se si trovavano molto in alto, da lì era possibile sentire la musica proveniente dalla sala grande. Ora che erano improvvisamente in silenzio Emily ci fece caso e il suo pensiero vagò per un istante ai loro amici, che si trovavano al ballo.

Anche Cecil doveva essersene accorto, perché rivolse di nuovo lo sguardo al panorama. La sua espressione si fece distesa, ma non spostò comunque la mano dalla spalla sinistra di Emily, dove lei la stava accarezzando con gesti lenti, ripetitivi e gentili.

“Sai, al terzo anno abbiamo potuto partecipare al ballo di Natale per la prima volta, ma in realtà per me e Blue era la seconda,” rivelò, sentendo che era un buon momento per le confidenze.

“Cosa intendi?” le chiese lui, rivolgendole un’espressione incuriosita.

“L’anno prima ci eravamo andate di nascosto. È stato divertente, ma poi uno dei prefetti ci ha notate e siamo dovute scappare via, a nasconderci in un’aula vuota,” raccontò, trattenendo a stento le risate.

“Perché non ne sapevo niente?” chiese lui, divertito da quella rivelazione.

“Non lo so di preciso… forse perché non sembravi interessato al ballo, quindi Blue l’ha proposto solo a me. O forse doveva essere una serata tra ragazze,” scrollò le spalle, perché nemmeno se lo ricordava.

Ricordava però la promessa fatta a Blue, ma era passato tanto tempo e le cose erano cambiate, perciò non credeva di averle fatto un torto parlandone con Cecil.

“Quella sera, Blue mi ha confidato che le piaceva una ragazza. Julie… Butler, forse, ricordo solo che giocava a quidditch e ai tempi lei la nominava in continuazione. Penso fosse la prima volta che lo diceva a qualcuno,” raccontò e notò Cecil che l’ascoltava attentamente. “A me tu piacevi già, anche se non ne ero certa, e non ce l’ho fatta a parlargliene. Altro che coraggio,” ridacchiò, ma lui scosse la testa di nuovo.

Si avvicinò di un passo ottenendo la sua completa attenzione.

“Io ho paura di averti fatta soffrire molto in tutti questi anni…”

“Ma cosa dici? Non volevi farmi soffrire e comunque sono sopravvissuta!” sottolineò, perché davvero non le importava più e sapeva che lui non aveva colpe.

C’erano stati tanti alti e bassi tra loro, ma tutti quanti facevano parte dei loro trascorsi e le erano cari.

Cecil abbassò lo sguardo.

“Ricordo che un anno… il quarto, forse, quando tu mi hai detto che ti piacevo, Parker ha fatto di tutto per spingermi a ricucire il rapporto con te. Secondo lui mi piacevi già e non lo capivo,” ammise.

“E tu pensi che avesse ragione?” gli chiese Emily, sorpresa perché non sapeva niente di quella storia.

“Sinceramente?” le domandò con un sospiro e lei annuì. “Come ho detto, io non pensavo ancora alle relazioni e per me eri solo la mia migliore amica. Bellissima, sì… e quindi irraggiungibile. Non ti prendevo nemmeno in considerazione, per questo, ma in realtà… non ricordo di aver mai preso in considerazione nessun altra.”

Lei arrossì. Anche se non la ricambiava la trovava già bella a quei tempi, quando lei voleva che la notasse ma accumulava un fallimento dietro l’altro. Quando lei credeva di non piacergli, di non essere il suo tipo.

Si sporse in avanti e gli diede un bacio leggero sulle labbra.

“Avresti potuto avermi subito, se solo lo avessi deciso,” dichiarò, sentendosi arrossire subito dopo per la sua scelta di parole. “Però… immagino che non sarebbe stato lo stesso.”

“No, infatti,” concordò Cecil, avvicinandosi di nuovo per posare la mano sinistra sulla sua guancia e unire nuovamente le loro labbra.

Questa volta non fu un bacio di un istante, ma un contatto che durò molto di più, spingendoli a stringersi l’uno all’altra. Emily accolse la lingua di lui tra le sue labbra e portò una mano alla sua nuca, quindi gli accarezzò i capelli in un gesto possessivo e quasi disperato.

Lo aveva desiderato tanto in quei mesi, accumulando la frustrazione di non riuscire ad avvicinarsi abbastanza a lui. Adesso, però, le sembrava di aver superato le sue paure. Non era certa di essere pronta, ma non voleva più aspettare.

Mentre lo baciava stringendosi a lui, l’insicurezza che l’aveva attanagliata spesso svanì nel nulla, come se non ci fosse mai stata.

Sentì le mani di Cecil accarezzarle il corpo con un tocco gentile e a tratti incerto, ed ebbe la conferma che non c’era niente di sbagliato in ciò che stavano facendo. Non era un contatto deciso a senso unico, rude e violento, ma trasmetteva tutto l’affetto che provavano l’uno per l’altra.

Lui smise di baciarla per un istante e lei sospirò sulle sue labbra, impaziente.

Malgrado le mani di Cecil fossero gentili, la tenevano vicino a sé come se non volesse farla scappare, ma non così forte da impedirglielo davvero, se lo avesse voluto. Emily però non voleva scappare affatto.

In quel momento suonò il campanile e lei capì quanto fosse tardi. Comunque non abbastanza perché tutti gli altri studenti andassero a dormire, non quel giorno almeno.

“Andiamo… in un posto più comodo?” gli propose, sperando che lui non avesse obiezioni.

Cecil la guardò negli occhi per un istante quasi volesse studiare le sue intenzioni, dopodiché annuì.

Emily lo prese per mano e insieme scesero le scale. Ora che non erano più abbracciati, sentiva addosso il freddo della sera e desiderava cancellarlo di nuovo.

Lo condusse in silenzio fin giù nei sotterranei, fermandosi solo davanti al passaggio che nascondeva il dormitorio di Serpeverde.

Cecil non disse niente, fermo in attesa di una sua mossa. Lei gli si avvicinò di più e appoggiò entrambe le mani al suo petto.

“Ti va di entrare?” gli chiese, in cerca del suo consenso. “Io non ho più paura, non di te. Vorrei… concedermi completamente a te,” ammise, vergognandosene subito dopo.

Alzò lo sguardo su di lui e lo trovò imbarazzato, ancora in silenzio e incerto, forse. Gli lesse qualcosa negli occhi che non riuscì a capire davvero.

“A meno che tu non voglia,” aggiunse in fretta, facendosi indietro di un passo. “Non ti devi sforzare o sentirti obbligato, non ci corre dietro nessuno.”

“Lo so, è solo che… Ecco… Non voglio deluderti, ma non so bene come dovrei comportarmi. Io non ho mai… Non ho avuto altre esperienze, quindi…”

Arrossì progressivamente mentre parlava e non terminò la frase, piuttosto chiuse gli occhi e inspirò dal naso. Emily lo sentì e pensò che stesse cercando di calmarsi, o volesse trovare le parole giuste.

Gli si avvicinò di nuovo per dargli un bacio, al che lui riaprì gli occhi per puntarli nei suoi.

“E io, allora? Per me è lo stesso,” sottolineò, sperando di infondergli coraggio.

Quello era un discorso imbarazzante e farlo in corridoio non era d’aiuto, ma almeno non c’era nessun altro in giro.

“Possiamo provare a seguire l’istinto e, se non siamo del tutto convinti, ci fermiamo,” propose, facendo spallucce e tentando di sembrare disinvolta.

Lui sembrò più convinto, perché ora le stava rivolgendo uno sguardo diverso, più attento, come se avesse già deciso cosa fare. Annuì.

“Cosa… Cosa ti dice il tuo istinto?” provò a chiedergli Emily.

Anziché risponderle, lui annullò le distanze dandole un bacio carico di passione. Le loro lingue si cercarono con più ardore che mai, tanto che lei sentì le gambe deboli e il respiro che le mancava.

Quando misero fine a quel contatto per riprendere fiato, Emily ci impiegò qualche secondo a capire che si trovavano ancora in corridoio.

Si schiarì la voce e aprì il passaggio, quindi prese Cecil per mano e lo condusse con sé dentro il dormitorio di Serpeverde, trascinandolo fino alla porta della sua stanza.



Spazio di quella che scrive

*coff coff* ebbene sì, ormai non ho più un giorno di pubblicazione, ma ricompaio quando trovo il tempo. Scusate! Almeno questa settimana non è saltato l'appuntamento.

Beeeeene, prima che rimaniate in attesa del prossimo capitolo per scoprire cosa succederà nella stanza di Emily, vi dico subito che la scena si chiude così. That's it. Nel prossimo capitolo avremo direttamente la mattina successiva.

Non ho altre dichiarazioni, spero abbiate apprezzato questo capitolo tutto dedicato a loro due e come sempre aspetto vostri pareri. Alla prossima!

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Capitolo 49
*** Capitolo 49 ***


CAPITOLO 49

 


Era la mattina della partenza per tornare ognuno dalla propria famiglia a trascorrere il Natale, eppure Emily si svegliò con tutt’altro a riempirle i pensieri.

Aprì lentamente le tende usando la magia, facendo così entrare la fredda luce del lago nero nella sua camera. Si guardò intorno e notò il casino che avevano creato la sera prima, quando lei e Cecil si erano spogliati a vicenda in modo impacciato ma anche determinato.

Spostò lo sguardo sul suo ragazzo che dormiva ancora accanto a lei e solo in quel momento ebbe la conferma che non si era trattato di un sogno. La notte con lui che ricordava era reale, era successo tutto davvero.

Si portò entrambe le mani sulle guance, imbarazzata ma anche felice.

Quando lo aveva invitato a entrare nel dormitorio, si era fatta guidare dall’istinto ma temeva di aver fatto un passo troppo lungo. Ancora di più temeva la possibilità che lui a un certo punto cambiasse idea e se ne andasse, invece era rimasto e quella era stata la notte più bella della sua vita.

Continuò a guardarlo per un po’, ammirando i suoi capelli ribelli del mattino che gli ricadevano in avanti sulla fronte; le sue ciglia folte e lunghe, che aveva osservato tante volte ma mai da così vicino; infine le sue labbra morbide, che aveva baciato talmente tante volte da perderne il conto.

Tornò in sé quando sentì qualcuno bussare alla porta, quindi scese dal letto e infilò un accappatoio per correre ad aprire. Quando lo fece, si posizionò accuratamente in modo che, chiunque fosse, non si accorgesse di niente.

“Ehi bella addormentata, finalmente,” si lamentò Ana, che già indossava la divisa.

Lo stesso si poteva dire di Patricia, che le porse un sacchetto di carta.

“Sono brioche, perché non sei scesa a colazione.”

“È così tardi?” chiese Emily, sorpresa, afferrando il sacchetto per guardarci dentro.

Le avevano portato due cornetti, il che le fece subito sorgere un dubbio. Che avessero già capito tutto? Riservò loro uno sguardo indagatore.

“Non tardissimo, ma diciamo che è meglio se ti dai una mossa,” rispose la bionda.

Patricia tentò di sporgersi per guardare alle sue spalle ma lei glielo impedì mettendosi sulle punte. Entrambe le sue amiche, in risposta, le rivolsero un sorriso furbo.

“Qualcuno qui inizia ad apprezzare i privilegi dell’avere una stanza singola,” sottolineò la rossa, in tono divertito. “E dicci, lui chi è?”

“Patricia! Scusate ma non ho tempo adesso, se è davvero tardi come dite allora devo prepararmi anch’io,” sviò la domanda, chiudendo a forza la porta malgrado loro tentassero di impedirglielo.

Una volta fatto tirò un sospiro di sollievo e si voltò, per poi fermarsi subito. Cecil era sveglio, si era messo seduto e le rivolgeva uno sguardo carico di curiosità.

“Oh, buongiorno,” gli disse, improvvisamente imbarazzata di nuovo. “Le mie amiche ci hanno portato la colazione,” aggiunse, protendendo in avanti la mano che teneva il sacchetto.

“Sì, ho sentito,” rispose lui, accarezzandosi i capelli in un gesto che sembrava voler nascondere il suo disagio.

Emily per un attimo temette che si fosse pentito di ciò che avevano fatto, ma Cecil le fece segno di sedersi accanto a lui, così tirò un impercettibile sospiro di sollievo e lo raggiunse.

Il fatto che fosse seminudo e così vicino improvvisamente non le causava più tutto l’imbarazzo di prima, anzi si sentiva serena con lui.

“Pare che sia un po’ tardi,” sottolineò, ma non obiettò quando lui la circondò con un braccio in un gesto carico di tenerezza che le fece dimenticare per un attimo la fretta di quella mattina.

Prese per primo una brioche e lei fece lo stesso, anche se al momento non aveva molta fame. Anzi, trovarsi così vicina a lui fece sorgere tutto un altro tipo di pensieri, ma tentò di non badarci.

“Dovremmo vestirci adesso, e poi abbiamo le valige da preparare,” sottolineò, dopo aver mangiato metà del suo cornetto.

Posò la parte restante nel sacchetto e si alzò dal letto per prima con l’intenzione di togliere l’accappatoio, ma si fermò tenendolo chiuso con le mani. Sentiva lo sguardo insistente di Cecil sulla sua schiena, perciò si voltò a guardarlo.

Si morse il labbro inferiore, imbarazzata ma anche combattuta sul da farsi.

“Dovremmo davvero, davvero prepararci adesso,” insistette, perché saperlo lì a osservarla era una distrazione troppo grande.

Aveva davvero paura di fare tardi, anche se potendo sarebbe rimasta con Cecil ancora un po’.

Lui la osservò in silenzio per un altro paio di secondi, tanto che Emily per un attimo pensò che stesse cercando una scusa con cui ribattere, ma alla fine annuì.

“È meglio se vado allora, o rischieremo di perdere il treno,” concordò abbassando lo sguardo con fare imbarazzato, dopodiché si alzò per raccogliere le sue cose.

Con un incantesimo trasfigurò i suoi abiti eleganti nella solita divisa di Hogwarts e si vestì, mentre lei faceva di tutto per non fissarlo, e per impedirsi di annullare la distanza che li separava.

Prima di andarsene le diede un bacio.

“Ci vediamo sul treno?” chiese.

Emily passò una mano tra i suoi capelli per sistemarglieli e annuì, rivolgendogli un sorriso.

“A tra poco,” rispose e lo guardò finché non fu sparito oltre la porta.

 
Dopo una doccia veloce, si vestì in fretta e furia, controllò di aver messo tutto nel baule e uscì dalla stanza. In mano teneva il resto della sua brioche, che intendeva mangiare mentre camminava.

C’erano ancora persone nel dormitorio, il che le confermò che non era poi tardi quanto aveva temuto. Allo stesso tempo, però, si domandò quanti avessero visto Cecil uscire da lì, e se lui si fosse sentito a disagio o si fosse addirittura pentito. Sperò vivamente che non fosse così.

“Emily!” la chiamarono in coro Ana e Patricia, raggiungendola.

Si erano appostate su un divanetto della sala comune in attesa di vederla, o almeno le diedero questa impressione.

“Allora, cosa ci racconti?” le chiese la rossa prendendola sottobraccio, mentre Ana faceva lo stesso dall’altro lato.

“No comment,” rispose, ma subito la bionda la strattonò con impazienza.

“Lo abbiamo visto uscire dalla tua stanza, non hai scuse,” sottolineò.

Varcarono la soglia del dormitorio insieme, mentre lei tentava di dissuaderle dall’insistere.

“Dai, non vi siete nemmeno fatti vivi al ballo. Credevi che non ce ne saremmo accorte?” intervenne Patricia, divertita.

“E va bene, magari avete capito già tutto… Ma proprio per questo non credo di avere niente da dirvi,” puntualizzò lei, determinata.

Ana ridacchiò, forse perché erano riuscite a farglielo ammettere.

“Comunque sia, congratulazioni per aver perso la verginità. Finalmente sei una di noi,” aggiunse.

“Finiscila!” esclamò Emily in imbarazzo, scuotendo la testa.

Non lo avrebbe ammesso, ma le reazioni delle sue amiche, che lei reputava esagerate, la stavano divertendo.

Nel momento di salire sul treno si salutarono con un abbraccio, perché forse non si sarebbero riviste dopo. Emily andò in cerca di Cecil e lo trovò in una carrozza con Parker e Blue. Il compagno di casa era seduto vicino a lui e la bionda, lì di fronte, gli stava facendo il terzo grado.

Quando anche lei entrò nella cabina, la notarono subito e si zittirono. Parker si spostò e Cecil le fece segno di sedersi accanto a lui, cosa che fece senza esitazione.

“Allora…” iniziò Blue, con fare inquisitorio.

“Non anche tu, ti prego!” la fermò subito Emily, sollevando le mani in segno di resa. “Piuttosto, Hanna dov’è?”

“Con le sue amiche,” rispose la bionda, continuando a osservarla con lo sguardo assottigliato.

Malgrado il suo tono serio, però, aveva anche un leggero sorriso a incresparle le labbra.

“Stavamo giusto chiedendo a Cecil perché non siete venuti al ballo ieri.”

“Siamo rimasti a parlare sulla torre di astronomia,” le rispose con nonchalance, sollevando le spalle.

Blue e Parker si scambiarono un’occhiata carica di complicità.

“Possiamo terminare qui l’interrogatorio? Per favore,” intervenne il diretto interessato, chiaramente in imbarazzo.

Dopo il suo appello alla loro clemenza, il discorso si spostò su tutt’altro. Nello specifico, sulla serata che avevano passato i due amici, dato che loro non si erano presentati in sala grande e quindi non sapevano niente.

Per tutto il viaggio Emily si accorse che Cecil le stava più vicino. Solitamente c’era sempre un po’ di distanza tra loro, almeno a livello fisico, invece in quel momento le parve sparita.

Non erano comunque appoggiati l’uno all’altra, non con gli amici presenti e pronti a cogliere ogni segnale per fare altre domande… però erano davvero vicini, malgrado tutto lo spazio a loro disposizione.

Dopo un po’ Cecil le prese anche la mano, per poi tenerla nella sua per tutto il tempo rimasto.

Fu triste separarsi una volta giunti a Londra, ma lui le sussurrò all’orecchio la promessa di rivedersi prima del ritorno a scuola, e così si salutarono.

 
Per quelle vacanze di Natale i suoi genitori avevano preparato una sorpresa incredibile per lei: l’arrivo dei loro parenti dal Canada.

No, in realtà non era niente di incredibile, se non perché li avrebbero ospitati a casa loro per qualche giorno. Inoltre si trattava di parenti che non vedeva da quando era piccola, perché erano stati sempre impegnati altrove in quegli anni.

Erano la sorella gemella di sua madre, il marito e il loro figlio, Oliver, ovvero il cugino di Emily che aveva due anni in meno di lei. La zia che non credeva nelle allergie era rimasta nel freddo nord con il resto della famiglia materna, per sua fortuna.

Suo cugino era un ragazzo carino che chiacchierava molto. Per questo, anche se non si vedevano da quando erano piccoli, andarono subito d’accordo.

Inoltre, dato che le loro madri erano gemelle, per un attimo lei pensò che loro due erano un po’ come fratelli, ma scacciò subito quel pensiero trovandolo stupido.

In alcuni giorni la famigliola canadese insistette per visitare Londra in autonomia, parlando del fascino della scoperta o qualcosa del genere, mentre in altri rimasero a casa o uscirono con loro. Trascorsero insieme anche il Natale, dividendosi tra cucina, addobbi e altre attività tipiche.

Emily nel frattempo scrisse a Cecil ogni giorno, stando ben attenta che i suoi parenti non la vedessero affidare le lettere al gufo perché gliele portasse.

Ricevette anche una lettera da Matt Crowley che le suggeriva di disdire il suo abbonamento alla Gazzetta del Profeta, perché lui si era ufficialmente arreso all’impossibilità di lavorare per loro.

Si erano tenuti in contatto sin da quando aveva lasciato Hogwarts e così lui le aveva raccontato di tutte le porte che gli erano state sbattute in faccia.

Piuttosto che continuare a leggere quella rivista, le consigliava di passare al Cavillo dove molto presto, a detta sua, avrebbe trovato alcuni articoli scritti da lui. La notizia la fece sentire molto felice per il suo amico, quindi gli scrisse per congratularsi.

Un mattino il gufo di Cecil picchiettò alla finestra della cucina. Emily mise da parte la sua tazza di tè per aprirgli, prendere il messaggio e dargli del cibo. Impaziente, lesse subito la sua lettera.

Quando fu arrivata in fondo, alzò il viso accorgendosi che il cugino era comparso sulla porta e le stava rivolgendo uno sguardo curioso.

“Era un gufo quello?” le chiese.

“Quale? No, nessun gufo,” ribatté Emily, fingendosi confusa.

Il ragazzo sollevò un sopracciglio e fece per andarsene, stranamente silenzioso rispetto al solito. Fu allora che qualcosa gli cadde da una tasca dei pantaloni, una specie di carta che per lei aveva un che di familiare.

“Oliver aspetta, ti è caduto qualcosa,” disse e si affrettò a raccoglierla per lui.

Quella che si ritrovò tra le mani era una figurina delle cioccorane, nello specifico quella di Ignatia Wildsmith.

Un attimo dopo lui gliela strappò dalle mani, allarmato.

“Ma… Come fai ad avere una figurina delle cioccorane?” gli chiese, anche se una parte di lei si era già data una risposta.

Il ragazzo strabuzzò gli occhi.

“Sai cosa sono? Allora… anche tu…?”

Emily annuì, ancora incredula.

“Siamo entrambi maghi? Salazar, credevo di essere l’unica in famiglia!”

“Sala-che?” chiese Oliver, stranito.

“Niente, una cosa della mia scuola,” ribatté, decidendo che era tutto troppo improvviso per mettersi a spiegargli il significato della sua esclamazione.

“Quindi c’è una scuola di magia anche in Inghilterra?” le domandò, e sul suo viso si allargò un sorriso.

Iniziarono a chiacchierare delle loro scuole e di quanto fossero diverse. Quando i loro genitori, che erano usciti a fare delle compere, tornarono a casa, li trovarono ancora coinvolti nel discorso. Raccontarono tutto anche a loro, felici di riuscire a capirsi a vicenda e di non dover più nascondere niente.

Per un istante Emily rischiò di dimenticarsi che Cecil le aveva chiesto se poteva andare da lei nel pomeriggio, ma fu solo una svista momentanea. Gli scrisse la sua risposta e attese con trepidazione il suo arrivo, continuando a chiacchierare con il cugino.

Dopo la prima volta che l’avevano usato per spostarsi, il camino di casa loro non era più collegato alla metropolvere. Prima di tutto perché non era capitato praticamente mai di servirsene così, in secondo luogo perché ai suoi genitori l’idea non piaceva molto.

Adesso che era maggiorenne e aveva la licenza, poi, poteva smaterializzarsi nei pressi dei posti dove doveva andare e per i suoi amici era lo stesso, perciò al momento non aveva problemi a riguardo.

Quando suonarono al campanello lei capì che doveva trattarsi di Cecil, quindi uscì dal salotto dove stava parlando con gli zii per andare alla porta. Vide che Oliver l’aveva aperta per primo e Cecil gli stava rivolgendo uno sguardo confuso.

“Cecil!” lo chiamò, andandogli incontro.

Era felice di rivederlo, finalmente, perciò lo abbracciò senza esitazione. Si trattenne però dal baciarlo, visto che non erano soli.

“Ehi, Emily!” la salutò, stringendola tra le sue braccia. “Non sapevo che avessi un fratello minore,” aggiunse sollevando un sopracciglio, alludendo a quanto loro due si somigliassero.

“Oh, no lui è mio cugino Oliver, viene dal Canada. Oliver, ti presento Cecil, il mio ragazzo.”

“Piacere,” disse il più piccolo, per poi spostare lo sguardo su Emily. “Anche lui…?”

“Sì, siamo maghi tutti e tre,” confermò e si rivolse a Cecil. “Ce ne siamo accorti questa mattina, pensa che coincidenza incredibile,” continuò, spostandosi per invitarlo a entrare.

“Non è tanto incredibile perché siete imparentati, significa che un vostro antenato comune era un mago,” sottolineò Cecil.

Fecero per andare in salotto dagli altri ma trovarono il padre di Emily a sbarrare loro la strada.

“Buongiorno signor Lewis,” lo salutò l’ospite.

“Buongiorno Cecil. Potrei aver sentito male, ma mi è parso di capire che sei il ragazzo di mia figlia.”

Sorpresa dal fatto che lui li avesse sentiti, Emily guardò il Grifondoro e le parve che fosse sbiancato.

“Sì… è così,” gli confermò, con voce incerta.

Inaspettatamente l’espressione di suo padre si distese e gli rivolse un sorriso.

Si fece da parte, quindi poterono andare in salotto e lì proseguirono con le presentazioni, ma Emily era rimasta perplessa dalla reazione del genitore.

Più tardi, quando si allontanò un attimo per prendere degli snack in cucina, si accorse che i due uomini più importanti della sua vita stavano parlando da soli, in disparte, mentre giocavano a scacchi.

Cecil non sembrava a disagio, perciò si disse che non stava succedendo niente di male. Anche se era curiosa, si trattenne dall’avvicinarsi per origliare.

Purtroppo il momento di separarsi arrivò presto, quindi Emily lo accompagnò alla porta.

“Ti ho visto parlare con mio padre prima. Ti ha detto qualcosa di strano?” gli chiese, sperando di non pentirsi di non essere intervenuta.

“No, mi ha solo fatto alcune raccomandazioni. Ha detto di non farti soffrire, che mi crede un bravo ragazzo e non vuole che io deluda le sue aspettative.”

Emily annuì, sollevata.

“E poi... mi ha chiesto se so cos’è successo al sesto anno, e se ti ho aiutata in quel periodo…”

Lei accennò un sorriso.

“Mi hai aiutata più di quanto sia il caso di fargli sapere,” sottolineò, alzandosi sulle punte per dargli un bacio.

Rimasero lì per un paio di minuti, a baciarsi e stringersi lontano da sguardi indiscreti.

“Sei libera la sera del tuo compleanno?” le chiese poi. “Vorrei che venissi a cena a casa mia, se ti va.”

Lei annuì, felice del suo invito.

 
I giorni successivi trascorsero lenti perché Oliver e i suoi genitori ripartirono per il Canada ed Emily si ritrovò con molto più tempo libero. Ne approfittò per intrattenersi in lunghe telefonate con Blue, durante le quali le due si aggiornarono su come stessero procedendo le vacanze.

Inoltre trovò il tempo per studiare, soprattutto per non mettersi a contare le ore che mancavano al suo compleanno.

Poi arrivò il giorno e lei si preparò per andare a casa di Cecil. Si vestì in modo carino ma soprattutto caldo, con un maglioncino che arrivava quasi fino alle ginocchia fasciandole i fianchi e un paio di leggins abbastanza pesanti.

Dopo aver salutato i suoi genitori con la promessa di non fare tardi, si smaterializzò fuori da casa sua e bussò. Con sua sorpresa scoprì che sarebbero stati soli a cena, perché i genitori del suo ragazzo erano andati a fare un viaggio di un paio di giorni e sarebbero stati via fino all’indomani.

Insomma, Cecil aveva organizzato il tutto perché avessero del tempo da passare da soli e la cosa la imbarazzò ma la rese anche molto felice.

Dopo mangiato le diede il suo regalo, una catenina con un ciondolo a forma di “E” che a lei piacque tantissimo. La mise subito, e durante l’ora successiva fu una delle poche cose che tenne addosso.

Quella serata con Cecil fu l’evento più bello delle sue vacanze, che presto terminarono segnando il momento di tornare a Hogwarts.






Spazio di quella che scrive

Ebbene, abbiamo la conferma che Matt non lavorerà per Rita Skeeter, come sognava all'inizio! Penso che molti di voi ne saranno felici xD

Questo era un capitolo leggero e che mi piace definire "simpatico". Quando l'ho scritto, era da poco uscito Hogwarts Legacy e anche per me che non ci ho giocato l'inventrice della polvere volante era diventata un meme, quindi sono felice di essere riuscita a citarla nella storia, facendola comparire sulla figurina di Oliver xD

In ogni caso, siamo agli sgoccioli. Molto presto la storia giungerà alla fine e poi pubblicherò qualche extra (alcuni corti e altri sostanziosi) per raccontare qualcosa in più, soprattutto su alcuni personaggi rimasti in disparte. Non vedo l'ora che possiate leggerli!

Lascio a voi la parola. Alla prossima!

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