Il senso della vita

di suni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mille chilometri ***
Capitolo 2: *** II. Buio ***



Capitolo 1
*** Mille chilometri ***


Ok, bene. Questa… cosa avrà teoricamente quattro capitoli, collegati effettivamente due a due. Oggi, per aver cassato il SasuNaru Day (mea culpa, maxima culpa) mi punisco postando i primi due.

Deprimentissimi, chiaramente.

Abbiate pazienza.

suni

 

 

 

 

 

I. Mille chilometri

 

 

Le ultime cose che vede sono l’espressione sbigottita del volto di Sasuke, sporco di uno schizzo di sangue – chissà se suo o di qualcun altro – contrapposta a quella malevola e vittoriosa di Uchiha Madara davanti al mostro che si risveglia, e l’alone come fuoco che si forma intorno al proprio corpo, sgorgando direttamente da dentro di lui; brucia ed è doloroso persino più delle ferite profonde che si è procurato combattendo. Poi la sua mente va in totale blackout.

Quando ritorna in sé non c’è un singolo punto del suo fisico che non gli faccia male da urlare, ha la vista appannata dalla debolezza per la perdita di sangue e dalla sofferenza e sente qualcosa di freddo sfiorargli la spalla con un suono di stoffa che si lacera, ma non si ferma. Davanti a lui c’è il leader dell’Akatsuki e tutto quel che Naruto fa, con un grido di collera e ferocia, è approntare la sua versione più avanzata del rasengan per finire il malconcio avversario. Quando Madara cade è come se scendesse un silenzio innaturale, assordante. Gli sembra di trovarsi in un altro posto, tanto l’ambiente è irriconoscibile: una distesa devastata di macerie e terra divelta, rami d’alberi scagliati tra le pareti frantumate, polvere e detriti. L’estremità a sud di Konoha sembra essere stata distrutta dal passaggio di un ciclone.

Ma Naruto sa che non è stato un ciclone.

È stato lui.

È stato Kyuubi.

Casca sulle ginocchia con un gemito di dolore, sentendo le forze abbandonarlo completamente, ed è allora che intravede il fagotto: sembra un mucchio di stracci buttati in un angolo, tra una porta scardinata e una buca nel terreno dissestato. Ma quel che i suoi occhi riconoscono, chiaro ed evidente come se fosse enorme, è il simbolo disegnato su uno di quei pezzi di stoffa lercia e sporca di sangue: la ben nota effige bianca e rossa, stemma del clan Uchiha.

Geme istintivamente, incespicando in avanti sulle ginocchia che strisciano tra le pietre spaccate. Quelli non sono stracci, quello è Sasuke.

“Sas’ke,” soffia stremato, trascinandosi avanti con uno sforzo che prosciuga il poco che resta delle sue energie. “Sas’ke,” ripete, con la voce che trema.

Fa forza sui gomiti per tirare il proprio corpo in avanti. Ad avvicinarsi lo vede meglio, localizza la sua testa seminascosta da un pezzo d’intonaco. Ha gli occhi chiusi e un filo di sangue gli scivola dal lato della bocca. Sul suo fianco è aperto uno squarcio da cui ne sgorga altro, copioso, imbevendogli la camicia e allargandosi a terra.

Sembra addormentato.

“Sas’ke,” ripete ancora Naruto, senza più riuscire a vederlo attraverso la nebbia che gli offusca la vista. Allunga una mano fino ad afferrare debolmente il suo avambraccio, senza nemmeno riuscire a muoverlo, e nel farlo cade in avanti, accasciato per terra. Si accorge solo dopo qualche attimo di stare singhiozzando così forte che la gola gli fa male ad ogni singulto, scosso da un pianto irrefrenabile.

“Dei, no,” geme tra le lacrime, sbattendo la fronte in terra. “No! No! No! No!” ripete stravolto.

Non c’è altro che il silenzio e il suo pianto che diventa un urlo bestiale, disperato, mentre tira un pugno al suolo e poi un altro. Con voce impastata e arrochita lancia alti lamenti confusi, incomprensibili a lui stesso, con in mente un solo pensiero agghiacciante e insopportabile. È morto, l’ha ucciso lui. Dopo anni passati a cercare di salvarlo, dopo infinite rinunce e fatiche sovrumane, dopo aver sognato di ritrovarlo così tante volte da aver perso il conto, l’ha ucciso. E’ finita, è finita davvero. E grida, vomitando dolore e impotenza senza potersi trattenere, senza riuscire nemmeno a respirare.

“L’ho uccis…no!” singhiozza ancora. “No, dei, ridate…melo indiet…! Sas’ke,” lo chiama, vinto. “Qualcun…mi ammazzi…dei…”

Non si accorge di nulla. Non si rende conto dell’arrivo silenzioso e tempestivo – ma non abbastanza – di Kakashi, barcollante sulle gambe malferme e con un braccio inerte abbandonato lungo il fianco in un’angolazione innaturale, dei suoi occhi che si sgranano e si inumidiscono di lacrime d’amarezza e dei suoi passi che si avvicinano. Lo sente soltanto quando gli poggia la mano sulla spalla.

“Naruto,” lo chiama il sensei, piano.

Lui si divincola rabbiosamente, senza smettere di piangere.

“Ti porto in ospedale, sei ferito gravemente,” mormora il ninja copia, bonario e desolato, cercando di afferrarlo per sollevarlo con l’arto sano.

Lasc…” ringhia lui sottraendosi alla presa con uno sorta di spasmo. La sua mano è ancora stretta intorno al braccio immobile del genio. “Lasciami…q-qui!”

Kakashi non risponde, cerca soltanto di staccare la sua mano dal corpo di Sasuke con la propria, invano.

“Naruto…”

“Lasciami!” ruggisce il ragazzo, furioso, scattando come un animale ferito. “Lasciami o ammazzo anche te! Lasciami!”

Kakashi prova allora a tirare via direttamente il polso dell’ex allievo, serrando penosamente le labbra nel toccare dopo tanto tempo quel caro corpo perduto, che una volontà cieca e incrollabile ha trascinato avanti fino all’estremo.

“Cos…” mormora, raggelato dalla sorpresa, e spinge via Naruto bruscamente. Rimane immobile, ascoltando nel timore di aver preso un abbaglio. Ma sotto le sue dita chiuse febbrilmente sul polso di Sasuke c’è una seconda, debole pulsazione.

Tenace oltre ogni immaginazione, come sempre, l’erede degli Uchiha si dibatte per vivere, ancora. E Kakashi dimentica il braccio spezzato, le altre ferite e la testa che pulsa di fitte violente per il troppo uso dello sharingan.

“Un medic-ninja! Shizune! Ino! Sakura!” sbraita, nominando a caso tutti i medici che gli vengono in mente come un ossesso, mentre si china a cercare un alito di fiato e di vita in un quel corpo martoriato. “Un medico, maledizione!”

Naruto non sta più badando a lui, ha gli occhi chiusi, la testa abbandonata in avanti e singhiozzi muti, rapidi a ostruirgli il fiato in gola.

“Non voglio…medico.”

“Sensei!”

È Sakura, seguita da qualcun altro. Le voci intorno a lui si fanno confuse, irriconoscibili e sempre più flebili, accavallandosi l’una all’altra. Naruto sente qualcuno afferrarlo e sollevarlo con decisione da terra.

“No!” cerca di urlare di nuovo, ma senza emettere più di un sussurro, quando la sua mano perde definitivamente la presa su Sasuke. Qualcuno esclama qualcosa, si sente adagiare su una superficie più morbida e avverte il pizzicore di una puntura sul braccio. Poi è buio di nuovo.

Non sa quanto tempo dopo, la luce del giorno gli fa bruciare gli occhi non appena socchiude le palpebre, strizzandole subito con un gemito. Le riapre lentamente, con cautela, riconoscendo poco a poco il familiare ambiente di una stanza d’ospedale. Piega la testa di lato con un gemito e una smorfia, le lacrime tornano ad affacciarsi dall’azzurro dei suoi occhi nel ricordare, immediatamente, la conclusione della grande battaglia per la salvezza di Konoha.

“Naruto, come ti senti?”

I capelli dorati di Ino, il suo volto colorato di premura.

Lui non risponde, stringe solo i denti scuotendo piano la testa. Non ha parole per esprimere lo strazio.

“Naruto, Sas’ke-kun è vivo,” annuncia la ragazza posando la mano sulla sua spalla.

La frase impiega qualche secondo a raggiungere il suo cervello e soprattutto a palesare il proprio senso compiuto. Allora il jinchuuriki sgrana gli occhi, sollevando la testa con uno scatto.

“Cosa?” gracchia incredulo.

Ino annuisce, sorridendo.

“E’ incosciente e ancora in grave pericolo, ma per il momento è vivo,” spiega seria.

Naruto rimane immobile, le labbra semiaperte e lo sguardo fisso. Non reagisce per qualche istante, mentre un fiotto di calore lo pervade da capo a piedi e l’ossigeno sembra ricominciare finalmente a farsi largo nei suoi polmoni, oltre la morsa di angoscia e disperazione che li opprimeva. Emette un lungo respiro, quasi uno sfiato di liberazione, e sorride.

Poi ride piano, nonostante gli faccia male dappertutto. Ride.

 

 

Non può ancora alzarsi, ma può stare seduto e ricevere visite, dopo quattro giorni d’immobilità e cure intensive. Oggi una fila di persone si sono susseguite accanto al suo letto, per omaggiare l’eroe che ha salvato il villaggio dalla distruzione.

Poi Sakura ha buttato fuori tutti, informandoli severamente che Naruto è ancora debole ed ha bisogno di riposo. Lui ha tentato di protestare ma l’amica si è fatta minacciosa, terrorizzando una buona percentuale dei presenti con la prospettiva dei suoi temibili cazzotti.

In pochi istanti nei dintorni della sua stanza non c’è stato più nessuno.

“Sakura,” brontola lui, lagnoso. “Potevo continuare a…”

“Non adesso,” fa lei, senza badare alle sue lamentele. Naruto s’imbroncia, prima di notare il suo sorriso ansioso e felice insieme, il nervosismo con cui tormenta le mani guantate.

“Che?”

“Mettiti sulla sedia, ti porto di là,” intima lei, agguantando dall’armadio una coperta. Il jinchuuriki si afferra alle maniglie di sicurezza, sollevandosi con un certo sforzo per spostarsi sulla sedia a rotelle che la compagna di team porta accanto al suo letto. Poi Sakura lo copre premurosamente, prima di spingerlo verso la porta e nel corridoio dell’ospedale.

“Devo vedere qualche altro dottore?” chiede Naruto contrito.

La sente ridacchiare sopra la propria testa e poi le ruote virano, puntando verso la porta di un’altra camera, a lato della quale fa la guardia un inspiegabile chunin, cui Sakura fa un cenno di rassicurazione con la mano prima che lui si faccia da parte per farli passare. Naruto ha un tuffo al cuore un infinitesimo prima di sorpassare la soglia, quindi lo vede.

Sasuke è adagiato mollemente tra le lenzuola, in un tripudio di graffi, stecche e fasciature. Ha gli occhi chiusi, ancora, ma il suo petto va a su e giù seguendo il ritmo del respiro. Lui lo guarda sorridendo con un sollievo che gli sembra farlo levitare a mezzo metro da terra, facendo per voltarsi per l’amica e manifestarle il suo sfrenato entusiasmo. È vivo, urla una voce euforica nella sua testa, vivo, vivo, vivo. Ma la giovane lo anticipa, togliendogli il fiato un’altra volta.

“C’è qualcuno per te, Sas’ke-kun,” annuncia, con tono morbido e calmo.

Naruto sussulta, tornando a guardarlo. Vorrebbe gridare quando le palpebre del genio si sollevano lentamente e le sue iridi nere compaiono altre la barriera delle ciglia. Poi Sasuke aggrotta faticosamente la fronte, con espressione vacua.

“E’ Naruto, vedi?” cinguetta ancora Sakura, avvicinando ulteriormente la sedia.

“Certo che sono io!” farfuglia lui, con la voce che trema. Sasuke lo guarda ancora attentamente per qualche secondo, poi distende la fronte e accenna una conferma con un lieve movimento del capo, indifferente. I suoi occhi non sono mai stati così vuoti e senza vitalità, così freddi e lontani, ma sono aperti. Almeno questo.

Naruto deglutisce a fatica, senza riuscire più a parlare. Lo guarda soltanto, riacquistando familiarità con quel che si vede dei suoi lineamenti tra le fasciature. La fronte alta, le labbra sottili, il suo irritante naso all’aria e la cascata leggera dei capelli neri. Sasuke. È bellissimo vederlo da vicino senza armi e jutsu scagliati dall’uno all’altro.

“Sas’ke,” mormora Naruto commosso.

Il genio prende un lungo respiro, socchiudendo gli occhi.

“E’ normale che tu abbia sonno anche se ti sei appena svegliato,” lo informa Sakura, premurosa e rassicurante. “Sei in uno stato di estrema debolezza. Quando avrai recuperato le forze anche gli occhi andranno meglio, è una condizione temporanea.”

Sasuke annuisce senza quasi badarle mentre Naruto continua a fissarlo, trascurando le parole dell’amica. Sogghigna, senza sapere come spiegare la gioia, come dire di quell’esplosione di benessere che lo attraversa. Si attacca alle maniglie per avvicinarsi ancora di più a quel letto, fino a trovarsi all’altezza della testa di Sasuke, accanto a lui.

“Eccoci qui,” mormora impacciato. “Insieme.”

Sasuke, le palpebre quasi del tutto calate sugli occhi, non ha nessuna reazione e non cambia espressione, restando apatico e imperscrutabile. Però, serrando definitivamente gli occhi, fa scivolare la testa sul cuscino verso il jinchuuriki. La sposta di un nulla, due centimetri appena, ma a Naruto sembra che abbia appena coperto una distanza di mille chilometri che si frapponeva tra loro due, sentendosela scivolare via di dosso come sabbia che cade a terra. Ridacchia scioccamente, appoggiando una mano sul materasso poco lontano dalla guancia del compagno di squadra.

“Ciao, Sas’ke,” sussurra elettrizzato.

Il genio si è già riaddormentato, spossato. Naruto si volta verso Sakura, trovando specchiata nei suoi occhi verdi la sua stessa gioia primordiale.

“Rimango qui per un po’,” annuncia risoluto. “Credo di poter ritornare in camera da solo.”

Lei annuisce, avviandosi alla porta. Poi si morde le labbra, stringendosi le braccia intorno alle spalle come se avesse freddo.

“Naruto…andrà tutto bene, vero?” mormora inquieta.

Lui china lo sguardo, ritrovando la realtà in quella domanda. Sasuke è un nukekin, un traditore e un nemico di Konoha, e di certo sul suo capo pende la minaccia di qualche condanna.

“Perché non dovrebbe?” risponde però, caparbio.

Sakura sospira.

“Naruto…la pena prevista in questi casi…” S’interrompe, stringendo le labbra tanto da farle sbiancare.

Lui deglutisce a fatica, senza fiato. La pena capitale, naturalmente, la condanna a morte. Scuote fermamente la testa, incupendosi, ma poi torna a sorridere con sicurezza. Dopo tutto quel che è successo non permetterà certo a delle maledette questioni legali di influire.

“Andrà tutto bene,” esclama di slancio. Adesso che Sasuke è qui non può essere altrimenti.

Lei annuisce, scrolla le spalle e lo lascia solo. Il jinchuuriki torna a osservare l’amico come se non potesse guardare altro. Lo ascolta respirare, affascinato del lievissimo movimento delle sue narici per quell’aria che entra e esce dai suoi polmoni ricordando, ancora, che è magnificamente vivo.

Non si può smettere di sorridere, davanti a uno spettacolo così.

È Sasuke, è a Konoha.

E' tutto quel di cui c'era bisogno.

 

 

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Capitolo 2
*** II. Buio ***


E puntualmente ieri mi sono dimenticata di mettere la seconda scena. Tipico.

 

II. Buio

 

 

Quando si sveglia lo fa di soprassalto, con un sospiro affannoso a compensare il senso di soffocamento lasciatogli dal sogno appena interrotto. Si guarda intorno febbrilmente ma i contorni delle cose sono sfuggenti, le forme irriconoscibili, la luce arriva alle sue pupille strapazzate in così misera quantità che tutto rimane grigio e ombroso. In quell’ottenebramento l’immagine appena rivista nel sonno – il volto di Itachi agonizzante, il suo dito sporco di sangue proteso a pochi centimetri dagli occhi di lui – sembra acquisire ancor più concretezza, diventando reale confronto a tutto il resto, che sembra invece, quello sì, fumoso come un sogno.

Sasuke tende faticosamente una mano quasi alla cieca, sbattendola contro una superficie solida. Qualcosa fa rumore, c’è un colpo secco in basso e un fruscio di rotolamento. Muove il capo cercando di guardarsi intorno, disorientato. Riconosce la sagoma rettangolare di una finestra da cui entra la luce, quella più alta e scura della porta della stanza. Pian piano, mentre si sveglia completamente, riesce a intuire altre cose: il fondo del letto, oltre la protuberanza che deve essere formata dalle punte dei suoi piedi, la superficie del tavolino da camera contro cui ha sbattuto, sul quale doveva esserci qualcosa che è caduto, un’ombra alta e sottile che dapprima non riconosce precisamente e che solo dopo aver percorso con la mano il filo che esce dal suo braccio arrampicandosi verso l’alto gli si conferma essere una flebo.

Appoggia indietro la testa sul cuscino, emettendo un lungo respiro. Automaticamente il suo cervello rimette insieme le fila degli ultimi eventi di cui ha coscienza: lo scontro tra l’Akatsuki e Konoha, la battaglia che ha visto soccombere gli aggressori sotto i colpi di un Naruto che lui non aveva mai visto, un Naruto dalla forza portentosa e dall’abilità incredibile, che lo ha steso con un potere sconosciuto mai visto prima – e che pure gli è sembrato familiare, in qualche modo - poi il confronto con Madara e il risveglio di Kyuubi, il demone volpe. L’esplosione della forza furiosa del bijuu a nove code, che controllare gli è valso una fatica mai sostenuta in vita sua, contrastando anche i tentativi del capostipite del clan per far evolvere la situazione a suo vantaggio in un ultimo tentativo di ribaltare il risultato.

Mentre Naruto tornava in sé Madara ne ha approfittato per tentare un ultimo colpo e sopraffarlo ed è stato allora che Sasuke ha commesso l’errore finale, gettandosi su di lui nonostante non avesse più l’energia nemmeno per camminare, svuotato del suo chakra come una spugna strizzata. Ha sentito la lama che gli si piantava nel fianco con un colpo secco e un attimo dopo – o così gli è sembrato, anche se in realtà sono stati quattro giorni – era steso su quel letto, con accanto Sakura che singhiozzava biascicando chissà cosa.

“Sas’ke-kun, sei sveglio!”

È proprio la voce della sua ex compagna di team a invadere i suoi timpani di sorpresa, facendolo quasi sussultare. Intravede la figura esile di Sakura e il rosa dei suoi capelli in rapido avvicinamento, poi sente la sua mano fresca sulla fronte.

“La febbre è scesa. Come ti senti?”

Sasuke tace indecifrabile, pensando che quella sia veramente la domanda più stupida che lei avrebbe potuto fargli. Ha addosso chili di bende, si è spezzato parecchie ossa, un chunin fa la guarda davanti alla sua porta come se potesse prendere e andarsene – strisciando, perché di certo non può camminare: ma forse a Konoha sono convinti che Orochimaru lo abbia abituato anche a quello – per massacrare i concittadini. È un nukenin, ha ucciso suo fratello, Naruto lo ha ampiamente superato e per concludere in bellezza non riesce nemmeno a capire se quella che lei ha in mano è una penna o un coltello. Probabilmente nessuno dei due, dal momento che non vede quasi nulla.

“Ti prendo la temperatura,” continua pazientemente la ragazza, materna.

Infatti. È un termometro, maledizione.

“Sto bene,” mormora sostenuto, con distacco.

“Oh, riesci anche a parlare,” commenta Sakura, allegra. “Tra qualche giorno sarai in piedi, vedrai. È una buona notizia, no?” continua incoraggiante, cercando evidentemente di stimolare una reazione positiva.

“Certo, sarebbe imbarazzante dovermi decapitare sdraiato,” replica Sasuke glaciale, senza interesse.

La mano con cui lei sta tenendo il termometro trema violentemente, accedendogli in petto un truce senso di soddisfazione. Ma dura solo un istante, prima che l’apatia lo riprenda.

N-non sarai affatto decapitato, Sas’ke-kun,” ribatte Sakura con lo stesso tremito anche nella voce, nervosa. Lui riesce a sentire il suo terrore per quell’idea anche senza bisogno di vederla in faccia. È curioso come Sakura sembri preda del panico quando a lui invece non importa assolutamente nulla della prospettiva di finire i suoi giorni entro qualche settimana al più tardi.

È più l’idea di vivere ad angosciarlo. Il pensiero che possano decidere di concedergli la grazia gli fa provare una sensazione di oppressione simile al senso di annegamento. L’ipotesi agghiacciante di dover affrontare anni di vita a tu per tu con il senso di colpa e il fallimento, quando Itachi è stato costretto a morire, pare molto peggiore di quella di seguirlo entro breve.

Non si prende il disturbo di ribattere ulteriormente, non ha niente da dire. Lascia che Sakura finisca di visitarlo in silenzio, scuotendo semplicemente la testa quando lei gli chiede se abbia bisogno di qualcosa. La ragazza sembra esitare, ma la sua scontrosità e il suo evidente desiderio di essere lasciato in pace finiscono per spingerla ad andarsene, riluttante e nuovamente sconfitta. Ma tanto c’è abituata, dopotutto.

Quando rimane finalmente solo Sasuke richiude gli occhi, affaticato. Itachi lo fissa di nuovo, martoriato e morente, affiorando dal buio delle sue palpebre abbassate. Li riapre di scatto ma suo fratello rimane lì, quasi costringendolo a guardare in faccia la realtà. È finita, la sua grande vendetta è giunta a termine ma lui rimane un perdente. Dopo anni di lotta e rinunce i risultati che ha ottenuto sono un fratello morto d’amore per mano sua, una squadra mandata al macello – almeno Suigetsu sarà ancora vivo? – una lunga sequela di menzogne e manipolazioni a suo danno, un’adolescenza buttata via, un odio sproporzionato per il suo villaggio natale e una cecità parziale.

Una vita da dimenticare.

L’eredità del clan Uchiha, adesso Sasuke lo sa, è fatta di sangue e tormento.

 

 

C’è qualcosa di profondamente confortante nel silenzio quasi assoluta della sua stanza di degente. Le voci e i movimenti provenienti dall’esterno sono suoni attutiti che lo raggiungono a malapena, permettendogli di riuscire quasi a fingere che non esista nulla, nemmeno lui. Può dimenticarsi di se stesso e dell’avvenire che lo aspetta, indipendentemente da quale esso sia, e far finta che l’universo sia semplicemente la vacuità sfuocata di quella stanza bianca. Se si concentra abbastanza intensamente riesce a non pensare a nulla anche per più di trenta secondi consecutivi, sebbene sospetti che i calmanti e gli antidolorifici generosamente somministrati da Sakura abbiano comunque la loro parte in quel benefico torpore.

L’unica cosa che lo opprime ancora, che lo sprofonda in una sensazione di gelido panico, è l’impossibilità di vedere. Più si impegna più tutto si fa confuso, l’unica cosa che vede meglio se si sforza di mettere a fuoco è l’intensità ormai quasi tangibile delle fitte di dolore alla testa. Quel mondo senza aspetto è terrificante. Può riuscire a immaginare cosa debba essere cercare di muoversi, di camminare senza poter vedere dove stia andando e cosa abbia intorno, d’interagire con oggetti e persone che non può individuare, e si sente mancare il respiro al pensiero che forse Sakura ha mentito, forse la sua vista non tornerà limpida quando si sarà ripreso ma rimarrà così, completamente annebbiata. Sembra un incubo peggiore di qualunque altra cosa gli sia mai capitata.

Anche suo fratello viveva così, guardando le cose attraverso un filtro di tenebra ottundente? È in quello stato che ha affrontato il combattimento mortale che gli ha strappato la vita?

Domande senza risposta, destinate a rimanere insolute.

“Sas’ke.”

Riconosce la voce senza bisogno di voltare la testa. Ricorda soltanto sentendola che non è la prima volta, oggi. Quando si era appena svegliato dal coma Naruto è stato lì per un momento, ha detto qualcosa, a meno che non se lo sia sognato. Forse il ricordo vago della sua sagoma e delle sue parole è un altro parto della sua mente destabilizzata.

Non risponde, continuando a guardare il vuoto senza ragione per qualche altro istante, prima di risolversi a voltarsi. È costretto ad abbassare lo sguardo di parecchio prima di poter trovare il suo corpo, incastrato in una sedia a rotelle su cui spicca in modo sconcertante il suo pigiama di un vistoso arancione. Fa risalire gli occhi sbattendo in quelli di Naruto, anch’essi straordinariamente visibili nel loro azzurro caldo e acceso, e infine nel biondo splendente dei suoi capelli scarruffati. Naruto è una macchia di colori brillanti che le sue pupille registrano meglio di tutto il resto. È abbastanza sorprendente, ma quando lo pensa si rende conto da solo che in realtà non lo è affatto: Naruto è sempre stato una cosa a parte rispetto al resto del mondo. Non c’è ragione per cui in questa circostanza dovrebbe essere diverso.

Non che questo abbia la benché minima importanza, ora.

“Cosa c’è nella flebo?”

Sasuke sbuffa automaticamente, con un’irritazione che nasconde la sorpresa. Non “come stai?”, “ti senti meglio?” o “ti sei ripreso?” ma “cosa c’è nella flebo?”. Come se si fossero parlati l’ultima volta dieci minuti fa e non ci fosse nulla di più generico o pressante di cui parlare né qualche tipo di soggezione a distanziarli.

“Cosa vuoi che ne sappia, idiota? Non sono un medico,” risponde d’istinto, epigrafico. Quella non è la sua voce, e accorgersene fa anche male. Quella è la voce di un ragazzino che una volta era lui, prima. Ma non gli appartiene e non gl’interessa più.

Naruto ride. Dalla sua risata traspare un po’ di più il nervosismo, ma non abbastanza da rendere esattamente quale sia la situazione.

“A me avevano messo dei sedativi,” ciarla, giulivo.

“E mi sa che non te n’hanno messi abbastanza,” risponde lui, asciutto e indifferente.

“E’ sempre un piacere parlare con te, teme,” brontola Naruto risentito.

Teme. A sentirlo dire così, dopo tanto tempo, uno potrebbe anche pensare che niente di quello che è accaduto sia reale e tornare indietro, nel team Kakashi. Uno potrebbe convincersi che tutto quanto sia stato una specie di strano incubo sanguinoso e che il mondo vero sia quello di Naruto, quello in cui tutto andrà bene e lui diventerà Hokage, e che invece non esiste. Lui è sempre stato un elemento di distrazione dalla realtà, una specie di folletto capace di trasportare i pensieri in una dimensione in cui ci sono odori, profumi e colori migliori e una luce soffusa, morbida. Poi una notte come un’altra ci si trova a scoprire che non è vero nulla e che la realtà è quella in cui si vive e si muore per niente, per un imbroglio o una bizza di qualcuno che ride, nel buio.

Naruto. Una vita fa.

“Cosa vuoi?” domanda Sasuke.

“Mi stavo annoiando, in camera mia,” annuncia il jinchuuriki, allegro. “Così ho pensato di venire a darti il tormento, visto che ultimamente tendevi ad evitarmi. Ma,” ridacchia perfidamente, vittorioso, “adesso sei bloccato a letto, perciò a meno che tu abbia imparato anche a levitare a mezz’aria e prendere il volo, in quella tua tana sotterranea, non puoi svignartela.”

Sembra estremamente soddisfatto, il cretino.

Sasuke non risponde nemmeno. Non ha voglia di avere Naruto intorno e ricordarsi che una volta era quasi felice, prima di decidere di lasciarsi tutto alle spalle e seguire una strada oscura e faticosa. Non ha voglia di vedersi sbattere in faccia il confronto penoso tra il genio e il perdente, tra il miglior studente dell’accademia e quello più scarso, tra i suoi fallimenti e le vittorie di Naruto. Non ha voglia di pensare che fra pochi giorni lui probabilmente morirà e Naruto invece ha davanti una strada che è quasi in discesa. Con quel paragone sotto gli occhi la sua condizione gli risulta ancor più misera e umiliante.

“M’hai fatto spaventare l’altro giorno, Sas’ke,” fa il jinchuuriki con la sua sfolgorante schiettezza.

“Patetico,” ribatte lui, col preciso, spontaneo intento di ferirlo.

Il successivo silenzio gli conferma il raggiungimento di quell’obiettivo meschino.

“Forse sì,” commenta Naruto con tono meno vivace. “Ma lo sai, non m’è mai importato molto di cosa ne pensassi tu dei miei obiettivi e delle mie motivazioni.”

“Sei ridicolo, Naruto,” risponde Sasuke, tagliente e aggressivo. “Tu cerchi il la mia approvazione e il mio sguardo da quando eravamo bambini. Beh, adesso ne dovrai fare a meno in ogni caso, no?” aggiunge, caustico.

C’è un nuovo, breve silenzio.

“In che senso?” chiede poi Naruto, disorientato. Evidentemente ha deciso di non offendersi perché non aveva capito del tutto la provocazione. Sasuke sbuffa, infastidito da quella lentezza.

“Se non ci vedo non ti posso guardare, mi sembra evidente,” sbotta secco.

Ancora silenzio.

“Non…ci vedi?”

Nella sua voce c’è stupore, inquietudine a anche ansia. Soprattutto quella, per la precisione. Sasuke realizza che Naruto non è ancora stato informato del suo problema alla vista, o più verosimilmente non ha capito il discorso. Qualunque esso fosse. Sbuffa, mostrandosi noncurante.

“Vedo il tuo pigiama e il giallo dei capelli,” smozzica. Non aggiunge e gli occhi perché gli sembra una cosa stupida e stucchevole, sono relativamente piccoli ed è strano che li veda tanto bene, ma è solo perché hanno quel colore così vivido e particolare e non vuole dargli la soddisfazione di saperlo.

“Ma…allora quello che ha detto prima Sakura…” bofonchia il jinchuuriki allarmato. “Però presto andrà meglio, no?” continua speranzoso.

“Non ne ho idea, né vedo come possa averla lei,” risponde lui atono, ignorando il senso di vertigine per quella fosca consapevolezza.

Naruto non parla oltre, deglutendo rumorosamente. È spaesato, non serve vederlo per saperlo.

“Non vorrai dirmi che credevi di poter svegliare quella cosa senza che qualcuno ci andasse di mezzo, vero?” domanda allora il genio, sprezzante.

È un colpo preciso e ben mirato, lanciato con tutta la crudeltà che resta a Sasuke. Gioisce del fiato di Naruto che si spezza per la sorpresa, della percezione definita del suo sbigottito dolore nel realizzare di avergli danneggiato la vista.

“Co…cosa?” esala Naruto. Agghiacciato, palesemente.

“Vattene. Hai già fatto abbastanza.”

Un tono affilato come una lama, che fa cadere le parole una ad una quasi fossero macigni. Tutto quello che gli resta, imprigionato in quel letto d’ospedale, è la forza del suo dignitoso e tracotante orgoglio. Non vi rinuncerà facilmente.

“Io…io non…”

Sasuke volta la testa con contegno altero, smettendo di considerare l’altro. È stanco e non gli interessa, davvero. Non sa nemmeno perché abbia sprecato tempo a parlare, forse perché era tanto tempo che non succedeva. Naruto rimane immobile per qualche secondo, poi il cigolio delle ruote e il loro ronzio in allontanamento segnalano la sua partenza. Quando si volta di nuovo, Sasuke ritrova la stanza deserta.

La soddisfazione se ne va in un’ondata, com’è arrivata, lasciando una solitudine ancor più marcata dietro di sé. L’erede dello sharingan se la lascia cadere addosso con la certezza cupa e rassicurante che sia quello che gli spetta, prendendo quasi a respirare meglio.

Solo. Come sempre.

 

 

 

 

 

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Grazie mille a Capitatapercaso, ryanforever, karolalpha e Pudentilla Mc Moany per i gentili commenti. Sono lusingata dalle cose che avete detto. Non ho molte altre parole e non saprei cosa aggiungere senza rendermi ridicola, quindi mi limito a un gra sorriso commosso. E a una rassicurazione per chi l’ha chiesto: Hail to the Thief esiste ancora, sto solo aspettando di potervi stupire con…straordinari effetti speciali. Top secret, ovviamente.

A presto!

suni

 

 

 

 

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