La Luce al tramonto

di MaxT
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come in una favola ***
Capitolo 2: *** Il ruolo del principe ***
Capitolo 3: *** Tre mesi, tre anni ***
Capitolo 4: *** Il giardino di Phobos ***
Capitolo 5: *** La villa sul promontorio ***
Capitolo 6: *** Il miraggio del trionfo ***
Capitolo 7: *** Presagio di sangue ***
Capitolo 8: *** L'esilio del saggio ***
Capitolo 9: *** Doppio inganno ***
Capitolo 10: *** Rivolta ***
Capitolo 11: *** Inchiesta ***
Capitolo 12: *** Solo ventiquattr'ore ***
Capitolo 13: *** Le Guardiane di Kandrakar ***
Capitolo 14: *** Dimenticato in un altro mondo ***
Capitolo 15: *** Salto nel passato ***
Capitolo 16: *** Il sigillo della sfida ***
Capitolo 17: *** La Settima Luce ***
Capitolo 18: *** Il sangue non mente ***
Capitolo 19: *** Fuga nel tempo ***
Capitolo 20: *** Lettera a Elyon ***
Capitolo 21: *** Meridian addio ***
Capitolo 22: *** Oltre la muraglia ***
Capitolo 23: *** La primavera che verrà ***



Capitolo 1
*** Come in una favola ***


1-come in una favola  
 
 
La Luce al tramonto  è un prequel della saga di W.I.T.C.H., il noto fumetto della Disney. 
Ho cercato di sfruttare e cucire al meglio i pochi indizi sul passato dati da questa pubblicazione per ricostruire una trama coerente con essa. 
La Luce di cui si parla è la madre di Elyon: la regina Adariel, sesta Luce di Meridian, sta spegnendosi lentamente con la consapevolezza che il suo mondo sta scivolando verso l’inverno della tirannia, ma cerca caparbiamente di dargli una speranza di rinascita. 
Gli avvenimenti narrati nel seguito precedono di sedici anni terrestri (undici anni del Metamondo) l’inizio della storia raccontata a partire dal n.1 del fumetto. 
Questa fiction proietta i lettori nella Meridian dell’anno 1984, prima della nascita delle note streghette, e nei difficili rapporti con la congrega di Kandrakar per il passaggio sulla Terra.
Ho cercato di ricostruire una mentalità pragmatica ma credibile per una città in cui magia e percezioni extrasensoriali giocano un ruolo importante, governata da una monarchia sulla base di poteri paranormali trasmissibili solo per via matrilineare; inoltre mi sono divertito non poco ad immaginare le loro impressioni sul nostro mondo.

Ho ripreso nomi di persone e luoghi dalla pubblicazione Disney senza scopo di lucro né l’intenzione di infrangere il loro copyright.
Tra i protagonisti, troverete personaggi che nel fumetto figurano solo come comprimari, antagonisti o comparse, tra i quali : 
• il principe Phobos, di cui ho cercato di descrivere la regressione da personaggio quasi positivo fino al ruolo finale di antagonista tirannico;
• Cedric, comandante dei Servizi Segreti di Meridian, del quale ho cercato di ricostruire il passato; 
• Adariel (è un nome da me inventato, nel fumetto non viene mai rivelato), la sesta Luce di Meridian, tormentata dalle sue stesse profezie, che sta spegnendosi lentamente;
• Galgheita, la sua guaritrice di fiducia, scelta per fuggire sulla Terra con Elyon;
• Miriadel, agente segreto, scelta per essere la madre adottiva di Elyon sulla Terra;
• Alborn, comandante della Guardia di Palazzo, scelto per essere il padre adottivo;
• Elyon, predestinata Settima Luce di Meridian, qui nei panni di un fagottino piagnucolante;
• Jonatludr, destinato a diventare Jonathan Ludmoore, il malvagio mago antagonista nella quinta serie di Witch;
• Eliasdal, pittore di corte, quell’Elias Van Dahl che si ritroverà prigioniero del quadro in Witch n.5;
• Vathek, ufficiale dell’esercito diventato un fedele seguace di Cedric;
• Frost, il feroce ufficiale che cavalca un rinoceronte;
• Daltar, il giardiniere, e la sua famiglia;
• Yan Lin, l’ultima guardiana rimasta fedele a Kandrakar, con i suoi ricordi della rinnegata Nerissa e del vecchio gruppo;
• L’Oracolo, Endarno, Luba e altri personaggi della Congrega di Kandrakar;
• Caleb, quando era ancora il primo Mormorante;
• Dean Collins, il futuro professore di Elyon e delle W.I.T.C.H., ancora laureando ad Heatherfield, che fa da spalla ad Adariel nel primo capitolo per presentare la storia. 

Ed è con lui che vi lascio, augurandovi buona lettura. 
Un grazie di cuore a Silen, ad Atlantis Lux, a Melisanna e a Rowena per la rilettura ed i loro consigli.
                                          MaxT
 


 

Cap.1

Come in una favola




La sua sciarpa scozzese sventola al freddo vento di febbraio. Trattenendo con la mano il bavero del cappotto, il giovane Dean costeggia la palazzina di mattoni, fermandosi davanti alla piccola libreria.
Socchiudendo gli occhi per proteggerli dalle folate, li alza verso l’insegna dipinta di verde: ‘Ye Olde Bookshop’.
Osserva la vetrina, contornata da infissi di legno in stile novecento, ed i volumi perlopiù antiquati ed ingialliti che vi sono esposti.
‘Qui potrebbe esserci qualche cosa di utile per la mia tesi’, pensa, sfregandosi il mento prominente e il labbro ancora glabro.
Spinge la porta per entrare. “Buongiorno”, si annuncia sorridendo con cortesia. Finalmente un po’ di tepore, assieme ad un vago aroma di stufetta a kerosene.
All’interno, vicino alla cassa, c’è un giovanotto alto e magro, dai lunghi capelli biondi tirati e raccolti in una coda. I suoi occhi di ghiaccio lo squadrano da sopra gli occhialini da presbite. “Buongiorno. In cosa posso servirla?”.
Dean si avvicina, facendo scricchiolare il pavimento di legno sotto i suoi passi. “Vorrei sapere se avete qualche vecchio documento sul passato di Heatherfield. Libri, giornali, stampe… qualunque cosa che possa risultare utile per una tesi di laurea su questa città”.
“Dipende da cosa lei considera utile”, risponde il libraio con freddezza, cercando di focalizzare i ricordi. “Comunque, provi sulla seconda scansia in alto”. Indica con un cenno del capo le file di scaffali stipati di pubblicazioni datate.
“Grazie”. Voltandosi, Dean scorge un tavolino di legno scuro con due sedie alte; una giovane donna dai capelli castani raccolti sulla nuca siede davanti ad una piccola pila di riviste e di fascicoli fotocopiati. Per un attimo, quando i  loro sguardi si incrociano, lei trasale, come se lo avesse riconosciuto. Poi abbassa gli occhi, riprendendo a scorrere una rivista.
Dean si porta dietro alla scansia. Mentre si alza in punta dei piedi per scorrere i titoli di alcune pubblicazioni, continua a ripensare a quello sguardo. Aveva già incontrato quella ragazza, o ha semplicemente fatto colpo? Non gli capita poi così spesso…
Attraverso gli interstizi tra i ripiani, sbircia la donna e il libraio che si avvicina al tavolino.
“Avete trovato qualcosa di utile?” le chiede l’uomo con tono quasi deferente.
Lei scuote la testa. “Finora no, mio buon Cedric”. La voce è stanca, delusa, e lascia trasparire un indefinibile accento straniero. Un’altra caratteristica curiosa sono le due sottili trecce ritorte, lunghe e come appuntite, che le scendono ai lati del viso.
Il libraio alza gli occhi sospettosi, incrociando quelli di Dean attraverso l’interstizio. Vergognoso, lo studente abbassa lo sguardo, immergendosi nella lettura dei titoli sulle costole.

Dopo un po’di ricerche disordinate, conclude che questa libreria è una miniera di curiosità e libri fuori circolazione, ma al momento non ha ancora trovato niente su Heatherfield che non si trovi anche nell’archivio comunale.
Esaminati i libri del ripiano, si porta sull’altro lato dello scaffale e cerca di dedicarsi ai volumi, ma sempre più spesso lo sguardo gli scivola verso quella donna dal lungo vestito verde scuro. Non ci mette molto ad accorgersi che anche lei, a momenti, lo sbircia, poi lo guarda apertamente, per nulla intimidita.
Mentre Dean cerca di nascondersi dietro un volume aperto, sente la voce della signorina: “Buon giorno”.
Alza gli occhi, stupito. Lei lo sta guardando. Sì, ha salutato proprio lui.
“Buongiorno” risponde un po’ emozionato, “Ci conosciamo?”.
Lei fa un gesto vago. “Ho avuto un’impressione di già visto, guardandola”.
“Forse all’Ateneo?”. Le porge la mano, sfoggiando il suo sorriso migliore. “Mi chiamo Dean Collins. Sono uno studente di storia moderna, qui all’Università di Heatherfield. Vuoi chiamarmi Dean?”.
Lei annuisce. “Certo, Dean. Comunque io sono passata diverse volte da quelle parti, ma mai alla facoltà di Storia”.
Lui la osserva, sforzandosi di non fissarla con troppa insistenza. La ragazza ha uno sguardo dolce e cortese, che però è velato di stanchezza o forse di tristezza, come la sua voce.
“Io mi chiamo Adariel. Adariel Escanor”. Fa un gesto grazioso verso la seconda sedia. “Se vuoi accomodarti…”.
Il viso del libraio ha un guizzo inatteso. Continua a riordinare dei volumi sul banco, ma la tensione traspare dai muscoli del collo.
“Bel nome. Molto insolito”. Dean si siede, sbirciando i titoli di alcune pubblicazioni sparse sul tavolo:   ‘Journal of cell biology, nov.1983’.  ‘Catabolismo cellulare e danni ossidativi’.
“Anche tu sei una laureanda? In… in medicina? Biologia?”.
“Non proprio” risponde lei, “Sto facendo una mia ricerca sui meccanismi dell’invecchiamento, con l’aiuto di Cedric”.  Gli mostra alcune delle testate che sta leggendo. “Ma a tutt’oggi…”, sbircia la data da una copertina, “… febbraio 1984, la scienza terrestre non è arrivata abbastanza avanti. Ci sono teorie sull’esaurimento dei telomeri dei cromosomi del nucleo cellulare, sul cumularsi di errori di replicazione del DNA, sui danni ossidativi ai mitocondri dovuti ai radicali liberi… ma sono solo teorie. Fondamentalmente, per la scienza attuale, non è neppure chiaro se l’invecchiamento è predeterminato dai geni, come una bomba a orologeria nascosta nelle cellule, o è invece un accumularsi di danni evitabili”.
Lui annuisce cortesemente, cercando di nascondere il suo disorientamento: l’argomento è uno tra quelli che lo vedono meno ferrato. “Questa tua ricerca è per una tesi di laurea?”, chiede.
Adariel nicchia. “Ho passato da molto l’età in cui la gente si laurea”, sospira.
Dean sa che, quando le donne si lamentano della loro età, si aspettano sempre che un uomo le contraddica per rassicurarle. “Non si direbbe”.
L’altra gli sorride enigmatica. “Quanti anni mi daresti?”.
Domanda delicatissima. Invecchiare una donna anche di un solo anno può avere conseguenze fatali per qualunque tentativo di approccio. “Credo… sui venti…cinque?”.
“Sali, Sali” risponde lei, “E di un bel po’”.
“Ventotto…”, la vede nicchiare, “…trenta?”.
“Quasi” risponde lei con un sorrisino indefinibile, “Adesso ti basta aggiungere uno zero”.
Lui aggrotta le sopracciglia: “Non credo di aver afferrato bene”. Butta un’occhiata verso il libraio, che sta ricontando gli stessi libri di prima con movimenti secchi e un’espressione che lascia quasi trasparire collera. Che sia geloso?
“Quasi trecento” risponde lei increspando un angolo della bocca in un sorrisino amaro. “E per di più, nel luogo da cui vengo, un anno dura più che sulla Terra, circa diciotto mesi. Quindi, fai pure conto che siano quattrocentocinquanta anni”.
“Ben portati” risponde incerto Dean. Non gli sembra gran che divertente come scherzo, ma tanto vale starci. “Allora saprai raccontarmi qualcosa della nascita di Heatherfield”.
Lei si stringe nelle spalle. “Touchè. Sono passata di qui troppo occasionalmente, e il mio principale interesse non era la città”.
“E cos’era?”.
“Libri, soprattutto. Ma questa volta non mi aiutano più”. Sul suo viso torna a dipingersi un’espressione infelice.
Dean non sa come interpretare questa strana alternanza di facezie e tristezza. Forse questa ragazza ha bisogno di qualche aiuto qualificato. Nel frattempo, la cosa migliore sembra stare allo scherzo.
“Immagino che cerchi qualche elisir di eterna giovinezza”.
Lei lo guarda quasi sorpresa. “In un certo senso è vero… Dean. Ma l’aspetto è facile da controllare, perché si può visualizzare. Anche i sintomi delle malattie, bene o male, si riescono a controllare, perché uno ha un’idea chiara del benessere che si desidera”. Si accalora. “Perfino un tumore si può tenere sotto controllo con la visualizzazione, se si ha una conoscenza anatomica che permette di distinguere tra come sono i tessuti del corpo, e come dovrebbero essere”. Sempre più convinta, continua: “Il limite è la capacità di visualizzare”.
D’improvviso, l’espressione ritorna triste. “E, al momento attuale, io non ho né le conoscenze scientifiche, né i modelli visivi che mi consentirebbero di operare cambiamenti all’interno delle cellule del corpo, sui veri meccanismi dell’invecchiamento”.
“Modelli visivi? Cosa intendi?”.
“Intendo modi di immaginare. Supponiamo anche che io possa diventare esperta in biologia molecolare, e concettualizzare le reazioni che voglio. Ora, come faccio ad rappresentarmi una molecola? Spesso, nelle riviste, gli atomi sono disegnati come palline colorate, ma in realtà non sono affatto così. Ho già provato: questa visualizzazione è inefficace a catalizzare alcuna reazione chimica”.
Mentre la ragazza parla, Dean deve sforzarsi sempre più per mantenere un’espressione cortese: non solo le cose che lei dice sono evidentemente senza senso, ma, quel che è peggio, si intuisce che lei è ben convinta di ciò che racconta.
“Davvero?” chiede esitante.
Lei lo studia un attimo. “Dean, tu mi credi una pazza furiosa!”.
“Ma no!” protesta lui senza convinzione. “E’ solo che… che sono un po’ sorpreso, ecco!”. Cerca di cambiare argomento: “Il tuo accento non è di qui, vero? Posso sapere da dove vieni?”.
Un luccichio divertito si intravede negli occhi stanchi. “Io vengo da una città chiamata Meridian, in un luogo che alcuni definirebbero Metamondo”.
Dean la guarda interdetto. ‘E’ matta?’ si chiede. Butta un’occhiata di sfuggita sul giovane libraio: l’uomo sfoglia impassibile un registro, ma la sua finta indifferenza è sempre tradita dalla tensione dei muscoli del collo.
Il fischio sommesso del vento e i rumori del traffico filtrano attraverso i vecchi infissi.
Le risponde dopo una lunga pausa di silenzio imbarazzato. “…Davvero?”.
Lei lo osserva a lungo con una espressione vagamente divertita.  “No, naturalmente. E’ solo il soggetto di un racconto che sto scrivendo”.
“Ah, un racconto!”. Dean si rilassa: forse la signorina non è del tutto fuori dal mondo, ma solo un po’ eccentrica. “A me piacciono i racconti”.
Gli fa uno dei suoi sorrisi indefinibili. “La mia protagonista è una regina, potente e amata, discendente di una stirpe di maghe dai poteri psichici quasi divini. E’ chiamata la ‘Luce di Meridian’ ”.
“So che questo genere comincia ad andare di moda”, concede lui, “Potresti anche avere successo”.
Adariel continua: “Lei può prolungare la sua vita e la sua giovinezza modificando sé stessa, ma c’è un limite: non può realizzare ciò che non riesce ad immaginare. Alla fine, gli interventi che lei o i suoi guaritori possono effettuare risultano solo lenitivi. Dapprima durano anni, poi mesi, poi giorni, poi solo poche ore, perché dentro tutte le cellule del suo corpo si è rotto qualcosa che lei non capisce, e sente la morte che le alita sul collo. Ma, prima di lei, è suo marito a cedere, e lei fa di tutto per prolungargli la vita”. Il velo di tristezza torna, pesante, sul suo viso. “Mi dispiace, Dean Collins. Mi ha fatto piacere parlare con te, ma mi trovi in un momento infelice. Ho ancora un paio di articoli da scorrere, ma ormai sono quasi rassegnata”. Lo fissa intensamente negli occhi. “Ora devi andare, Dean. Tanto, in questa libreria non c’è niente di utile per la tua tesi di laurea”.
Lui rimane un attimo catturato, poi ripete: “Ora devo andare, Adariel. Tanto, in questa libreria non c’è niente di utile per la mia tesi di laurea”. Si alza dalla sedia. “Ci rivedremo?”.
Lei scuote il viso. “Mi piacerebbe, ma temo di no. Ho la sensazione che questa sarà l’ultima volta che verrò ad Heatherfield”.
“Peccato”.
Lei conviene. “Non sai quanto mi dispiaccia. Io ho amato molto questo luogo”.
“Ah… un’ultima cosa. Come finirà la tua storia?”.
Lei esita un attimo. “Non è ancora scritta. Credo che la regina dovrà rassegnarsi: non si può fermare l’inverno, ma si può sempre seminare per la primavera”. Lo congeda con un cenno della mano. “Addio, Dean Collins”.

Lo studente, riluttante, si dirige verso la porta, salutando con un gelido “Buon giorno” l’antipatico libraio.
Esce, pensieroso, sulla strada sferzata dal vento invernale, e si abbottona il cappotto svolazzante. Quella ragazza era stranissima, come se vivesse in una favola. Non è riuscito a capire quando parlasse sul serio, e quando scherzasse.
Quando il sole basso lo illumina, vede il suo riflesso in una vetrina. Perché le donne non lo prendono più sul serio? Forse dovrebbe lasciarsi crescere i baffi...

Dentro al negozio, il libraio si avvicina alla donna, che scorre rapidamente gli ultimi due articoli e richiude i fascicoli, scuotendo rassegnata la testa. Poi lo guarda come se lo radiografasse.
Lui sceglie di parlarle chiaro: comunque indori il suo rimprovero, sa che l’altra può sempre leggere ciò che sta pensando davvero.
“Altezza, noi abbiamo sempre fatto di tutto per mantenere segrete le nostre attività sulla Terra. Perché siete stata così esplicita con quello studente?”.
Lei scuote il viso. “Non preoccuparti, Cedric. Non ha creduto una sola parola su Meridian. Ha solo pensato che io viva nella fantasia”.
“Per adesso non ci ha creduto. Ma cosa succederebbe se notasse ancora qualcosa di strano, di inspiegabile? Ora avrebbe le chiavi per interpretarlo!”.
Lei annuisce, riluttante. “Però, quando lo ho visto, ho avuto una di quelle mie sensazioni, una premonizione. Prima o poi quel ragazzo avrà a che fare con una persona che mi sarà molto cara”.
“Altezza, con tutto il rispetto, sono sempre dell’idea che dovremmo rintracciarlo e cancellargli il ricordo di questo colloquio”.
Abbassa il viso, rassegnata. “Temo che tu abbia ragione, Cedric”.
“Allora, provvedo?”.
Lei annuisce, rattristata, mentre riordina i fascicoli sul tavolo e richiude il notes ancora intonso. “Sai… è difficile rallegrarsi che qualcuno mi dimentichi, sapendo che tra un po’ di tempo non ci sarò più”.
“Ma Altezza!” esclama Cedric sorpreso, “Voi siete la sesta Luce di Meridian! Tutta la città vi adorerà per sempre, quando sarete salita a prendere il vostro posto tra gli Dei. Che bisogno avete di essere ricordata per poche settimane da un misero terrestre che non sa neanche leggere i pensieri?”.
Lei si stringe nelle spalle. “Mi piacciono questi incontri occasionali con loro: sono i soli che mi trattano spontaneamente come una loro pari”.
Il libraio storce il viso. “Questi terrestri sono troppo limitati perfino nel capire la loro stessa inferiorità”. Si accorge che la sua battuta non è piaciuta alla regina. “E poi, a Vostra Altezza piace stupire”, conclude più indulgente.
Lei annuisce. “Proprio così. Parlare con quel Dean sarebbe stato divertente, se il momento non fosse così tragico. Cedric, lo avevo capito da tempo, ma non volevo rassegnarmi: la scienza della Terra non può aiutarci a salvare Adleric”. Guarda l’orologio sul muro. “Oh, quanto tempo ho sprecato! Dovrei essere con lui, ora!”.
“Andate pure, Luce. Penserò io a tutto”. Le apre la porta del seminterrato. “Da questa parte, lontano da occhi indiscreti”.
“Grazie”. Scende le scale verso la penombra dello scantinato, le cui finestrelle sono coperte da pesanti tendaggi, ed apre il palmo della mano, in cui compare un medaglione romboidale di metallo smaltato.
Capta il pensiero di Cedric: è rammaricato che la Luce di Meridian, la più grande maga del metamondo, sia così indebolita da dover usare il sigillo anche per un semplice teletrasporto. Gli sorride: “Caro amico, non esiste giornata senza tramonto”.
Mentre solleva il sigillo tra indice e pollice, la sua figura tremola brevemente, avvolta da un baluginio, per poi dissolversi nel nulla.
 

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Capitolo 2
*** Il ruolo del principe ***


2- il ruolo del principe  
 
Eccoci alla seconda puntata!
Ringrazio tre amiche per la  rilettura, i consigli e le recensioni:
Cara Silen, sì, la Luce ha visto la luce, ma, poverina, era già al tramonto! Vedi che come battute scrause ci so fare anch'io? A parte questo, sono felicissimo di aver potuto contare sul tuo aiuto e sul tuo continuo incoraggiamento fin quasi dalla nascita dell'opera, e prendo molto sul serio la tua promessa. 
Spero tanto che il racconto possa risultare interessante per chi ha apprezzato il fumetto anche se narra avvenimenti accaduti prima della nascita delle protagoniste.
Cara Rowena, ti devo ringraziare anche perchè ho buttato giù il soggetto dettagliato di questa storia subito dopo aver avuto uno scambio epistolare con te a proposito di Orube e di Kandrakar, circa un anno fa; ho sempre apprezzato la tua conoscenza approfondita del fandom, che mi ha ispirato più volte. Invero la mia primissima idea di Adariel e del suo background è nata quattro anni fa con 'Lettera a Elyon', scritta di getto assieme ai primissimi abbozzi di Profezie, e rimasta per anni nel cassetto; così la ho adattata e inserita nei capitoli finali della presente fiction. 
Disegnare Dean Collins senza baffi? Quasi quasi... però adattando photoshoppescamente qualche disegno Disney. Una galleria dei personaggi non ci starebbe male, però il lavoro sui disegni mi sta già provocando ritardi a Profezie, non riesco a sostenere graficamente entrambe le fiction. 
Cara Atlantis Lux, sono felicissimo di poterti annoverare tra le lettrici (chissè se c'è anche qualche lettore, a parte me stesso?) e rilettrici della Luce. Mi fa piacere che ti sia piaciuta Adariel, personaggio che a mio modo di vedere ricorda molto la Elyon di Profezie, sostituendo però certi atteggiamenti da ragazzina immatura con altri da persona senza età. Il modo diverso in cui il tempo passa per un personaggio in grado di prolungare la sua vita impone delle riflessioni sul suo modo di rapportarsi con  persone che vede invecchiare, morire ed essere, per quanto è possibile, rimpiazzate da altre. Tu, come autrice, ti sei trovata a affrontare tematiche simili in Eden imperfetto, un'opera che spero di veder terminata presto.

Buona lettura
MaxT

Cap.2

Il ruolo del principe


“Forse è un errore di noi Escanor, ritenerci indispensabili al mondo. Il sole tramonta sempre per risorgere su un nuovo giorno, anche senza di noi”.
                         Il Principe Consorte, Adleric Escanor
 

Meridian, palazzo reale, sala del trono.

Attraverso le grandi vetrate, la luce del pomeriggio riverbera sulle volte azzurrine e sugli arabeschi dorati del salone.
Le due guardie dalla pelle salvia ai lati del portone a sesto acuto socchiudono gli occhi e drizzano le orecchie appuntite, distinguendo un vago baluginio sull’ampia pedana del trono. La loro sovrana sta per apparire.
Appena materializzatasi, Adariel risponde con un cenno e un sorriso fuggevole al saluto marziale dei due soldati. Pensierosa, si fa sparire nel palmo il sigillo di teletrasporto, che le ricorda crudelmente quanto i suoi poteri si siano ridotti negli ultimi anni. Quindi, con un secondo alone opalescente, i suoi abiti terrestri mutano in qualcosa di più adatto al suo rango reale.
Attorno al suo capo è apparsa dal niente anche la Corona di Luce: argentea, dalle linee sobrie, con una grande ametista ovale sul frontale. Non è solo un simbolo esteriore della sua regalità; dai tempi del mitico capostipite Escanor, questo gioiello ha conferito alle regine di Meridian quel di più di poteri parapsichici che le hanno distinte dalle altre principesse della loro stirpe divina, impedendo che l’energia creata dal loro stesso metabolismo si disperdesse quando non utilizzata per operare prodigi. Purtroppo, ora Adariel ne ha ben poca da conservare: in pieno declino, dipende per sopravvivere dalla magia che la sua città può donarle.
Peggio ancora, ora lei è l’ultima donna a fregiarsi di quel cognome.
Riflette tristemente: con che parole potrà riferire al suo sposo Adleric che neppure questo tentativo ha avuto successo?
Pensierosa, si porta all’ampia finestratura a sinistra; obbedendo alla sua volontà, due alti battenti vetrati scorrono sulle loro guide, lasciando esposto un balcone dagli ornamenti barocchi.
Si appoggia alla balaustra. Centotrenta metri sotto, ai piedi della scarpata, si stende Meridian, la sua capitale, incassata in un ampio vallone alle pendici di un altopiano boscoso. Il sole pomeridiano illumina i tetti d’ardesia e le viette contorte e inerpicate. In distanza, la città digrada verso una pianura verde che si perde in una leggera foschia all’orizzonte.

“Vostra Altezza!”. La voce allarmata del comandante della Guardia di Palazzo la richiama.
L’ufficiale dalla pelle verde salvia viene verso di lei attraverso i sottili colonnati della grande sala.
Adariel si volta inquieta, vedendolo mentre saluta percuotendosi il petto. “Comandante Alborn…”, gli risponde in meridiano.
“Altezza, mentre eravate via, il principe consorte Adleric ha avuto un malore”.
“Cosa?” grida d’angoscia lei, portandosi le mani al viso.
“Avevo appena mandato il capitano Miriadel a cercarvi a Heatherfield, credevamo…”.
La regina non lo ascolta più. Estratto nuovamente il sigillo per il teletrasporto, svanisce in un tremolio.

Un attimo dopo riappare nella loro sontuosa camera da letto nella torre nordest del palazzo.
Lidrienel, la sua ancella dalla pelle azzurrina, si arresta sorpresa solo un attimo prima di venirle addosso. “Altezza!”.
Accanto al letto, chino, c’è un essere che all’apparenza non ha niente d’umano: il grosso corpo, a striature verdi e terracotta, termina con una tozza coda che esce dalla veste e che lo fa sembrare un dinosauro obeso dal muso piatto. E’ Galgheita, la guaritrice di fiducia.
Lo sguardo di Adariel non si sofferma su di lei: cerca subito il suo sposo, e lo vede disteso sul letto. “Adleric, come stai?”. Si precipita accanto a lui prendendogli una mano tra le sue. Rabbrividisce sentendo quanto è fredda e umida, quasi appiccicosa. “Adleric, rispondimi, ti prego!”.
L’uomo, disteso sul lettone, apre gli occhi a fatica, mostrando le iridi del colore delle nuvole. Il volto, lungo e liscio, sembra quello di un giovane malato di vecchiaia. “Adariel… temo che sia arrivato il momento”.
Lei gli stringe le mani, il viso distorto dal dolore. “Amore, non dire così… Galgheita, fa qualcosa!”.
In risposta a quell’ordine disperato, la guaritrice allunga la sua grossa mano e la appoggia delicatamente sulla fronte del principe consorte, scostando le lunghe ciocche di capelli biondo cenere. Ma non cambia niente.
“Galgheita ha già fatto tanto” risponde lui bisbigliando, quasi inudibile. “Ora l’unica cosa sensata è rassegnarsi, gattina mia. Niente vive per sempre. La nostra magia ha ritardato questo momento, ma sapevamo che sarebbe arrivato. Ho vissuto duecentosessantatre anni; non è neanche lecito chiedere di più”.
Adariel stringe le palpebre, piangendo. “Ho fallito, Adleric. Non ho trovato niente di ciò che speravo”.
Lui annuisce debolmente. “Non incolparti. Guardiamo in faccia la realtà: siamo fragili, esauriti. Non siamo in grado di dare più niente al nostro popolo. Se anche fosse possibile allungare quest’agonia, ciò costerebbe alla città un’enorme quantità d’energia. Non possiamo più chiedere tanto”. Volge il viso verso la finestra. “E’ giusto rassegnarsi: non c’è giorno senza tramonto”.
“Taci, Adleric! Non parlare così” singhiozza la regina, riconoscendo una frase sua. “Il nostro compito qui non è finito!”. Gli stringe al petto le mani sempre più gelide, come cercando di scaldarle.
Lui continua: “Ho un solo, enorme rimpianto: nessuna, tra le nostre figlie, è sopravvissuta. Le unioni tra consanguinei ci hanno portato a questo… cugina mia. Non siamo riusciti a dare una nuova regina a Meridian. Ma forse è un errore di noi Escanor, ritenerci indispensabili al mondo. Il sole tramonta sempre per risorgere su un nuovo giorno, anche senza di noi”.
Adariel comincia a singhiozzare. “Non parlare così, ti prego! Mi sento così in colpa! So che avrei dovuto continuare a tentare, e poi ancora a tentare… ma non ho più avuto il coraggio, dopo averne viste morire cinque nella culla!”.
“Gattina mia… non piangere. Pensa a quanto è stata eccezionale… la nostra vita… io mi ricordo i momenti migliori…”.
Lei tira su di naso, accettando un fazzoletto che le porge l’ancella. “Adleric… per una cosa sono stata tanto fortunata. Il nostro è stato un matrimonio dinastico, una scelta obbligata. Avrebbe potuto essere una prigione, e invece sono stata tanto felice di te.  Dopo duecentoquaranta anni assieme, ora ti amo ancora più del primo giorno”. Si distende sul letto accanto a lui, senza mollargli le mani. “Ti ricordi al matrimonio, che bagno di folla? Li sentivo. Li sentivo tutti, i loro pensieri, i loro cuori, la loro gioia! Questa città ci ha amato… è stato il premio per la nostra dedizione, per…”.
Si interrompe. Non sente più la debole stretta delle sue mani. “Adleric? ADLERIC!?!”.
Le basta un’occhiata per vedere la vita che lascia il corpo. Per un attimo ha la sensazione che, eretta sopra di lui, un’eterea figura umana la guardi, s’inginocchi per sfiorarle il viso, e poi si dissolva per sempre.
“Adleric…”. Lo sguardo della regina resta fisso nel vuoto, dove ha visto sparire lo spirito.
Galgheita ritira la mano dalla fronte dell’uomo e si raccoglie come in preghiera, mentre l’ancella Lidrienel si copre il viso con le mani, sconvolta, e scoppia a singhiozzare.
Sulla porta, immobile e pallido come una statua, c’è il comandante Alborn. Da quanto tempo è lì?
Adariel resta accovacciata sul grande letto, appoggiandosi ad un braccio, come incredula.
Galgheita, intuendo la sua debolezza, le si avvicina, imponendole le mani sulla testa.
Un leggero alone luminoso percorre lentamente il corpo della regina, dal capo ai piedi.
Dopo qualche secondo, ripreso il colore, esala: “Addio, Adleric”.
Per contro Galgheita, senza più forze, si appoggia al letto. I suoi piccoli occhi dall’iride rosso scuro sembrano lottare per restare aperti. “Altezza… scusate, devo proprio andare a bagnarmi nell’acqua magica”.
Alborn si fa avanti e le offre un braccio. “Appoggiatevi a me, Maestra. Vi faccio accompagnare alla fonte”.  Detto questo, la conduce fuori della stanza.

Un leggero baluginio appare al centro della camera, accompagnato da una tenue nota bassa, e prende forma il principe Phobos. Alto quasi due metri, bello e maestoso con i suoi lunghi capelli biondi e la barbetta scolpita e colorata con cura, Phobos assomiglia molto a suo padre Adleric; come lui, dimostra un’età apparente sui venticinque anni grazie al controllo che esercita sul suo fisico, ma in realtà il giovane ne ha una cinquantina.
Si avvicina al letto. Non servono spiegazioni. “Padre…”. Tace a lungo, assorto e compunto. A differenza di sua madre, dentro di sé era già preparato da tempo a quest’epilogo.
Poi nota Adariel, affranta sul letto, e le si avvicina. “Madre, devi essere forte. Alzati!”. Le prende una mano, traendola piano a sé.
La regina si rimette in piedi, come inebetita, e si stringe al petto del figlio. “Oh, Phobos...”.
Il principe le passa un braccio attorno alle spalle, condividendo il momento di commozione, e scandisce solenne il suo addio: “Padre, sei stato un Re giusto e onorato. Il popolo del Metamondo ti ricorderà per i secoli a venire, e si chinerà al tuo nome e alla tua discendenza. Ti prometto che ricalcherò le tue orme gloriose, e perpetuerò la nostra dinastia”.
Mentre tre ancelle entrano, si genuflettono davanti al corpo e cominciano a prepararlo per i riti funebri, le parole di Phobos si fanno strada lentamente nella mente annebbiata di Adariel. ‘Re glorioso… si chineranno… ricalcherò le tue orme…’. E’ impossibile non capire le sue intenzioni. Non dovrebbe neanche sorprendersi, le immaginava già, ma annunciarle proprio in quel momento…
Si sforza di articolare: “Figlio mio… devo dirti una cosa importante. Non esporti con dichiarazioni pubbliche sulla successione, prima di averne discusso assieme”.
Per un attimo, Phobos aggrotta lo sguardo. “Parliamone adesso, allora”, risponde con tono calmo, ma non serve leggere il pensiero per percepirne la tensione.
“Non ora, caro. Non qui. Tuo padre ci ha appena lasciato, e…”.
“E quindi è necessario annunciare qualcosa alla città al più presto”. Le fa un sorriso teso, mostrandole tutti i denti, mentre il braccio che le tiene attorno alle spalle s’irrigidisce come un giogo.
I due svaniscono dalla vista addolorata dei presenti.

Un istante dopo, attorno a loro prende forma il salone: sono sulla pedana, proprio davanti al Trono di Luce. Un’occhiata dell’uomo è sufficiente: le due guardie escono, chiudendosi dietro i grandi battenti dagli eleganti arabeschi di bronzo dorato.
Adariel si copre il viso sconvolto con una mano. “Figlio, ti prego! Non discutiamone proprio ora!”.
“Invece sì!” comanda lui, sovrastandola di tutta la testa e il collo. “Dimmi ciò che devi dirmi, o taci per sempre!”.
Adariel lo osserva e capisce: dietro lo sguardo imperioso che lui le punta addosso non c’è solo l’impazienza; Phobos ha deliberatamente deciso di affrontarla in questo momento di debolezza. Anche lei dovrà chiamare a sé tutta la sua volontà, perché la questione è troppo importante.
“Figlio mio amato… sai che non vorrei mai deluderti, ma devo ricordarti la legge: la successione al trono avviene solo per via femminile. Tuo padre non si è mai definito Re, ma Principe Consorte”.
Lui si rabbuia. “Mio padre ha coperto incarichi importantissimi, e negli ultimi decenni, col declino della sua salute, li ha passati tutti a me. E anche tu hai fatto così”.
Lei prende fiato, torcendosi le mani. “Te ne rendo merito, Phobos. Se non ci fossi stato tu, non so come avremmo fatto. Però il posto più importante di tuo padre era accanto a me, nella mia vita e nel mio letto. Non è questo che vuoi, vero?”.
Con un lampo di sdegno negli occhi, lui fa un passo indietro. “No di certo!”. Poi la sua voce torna rammaricata, di circostanza: “Ma, purtroppo, la sfortuna si è accanita sul vostro talamo. Mi dispiace di dovertelo ricordare: di tutte le mie sorelle che hai messo al mondo, non una ha superato l’anno d’età”.
Lei abbassa lo sguardo, ancora più addolorata: “Infatti, non hai bisogno di ricordarmelo. Ci penso sempre”.
“Perciò…” continua lui con un’espressione che tenta di sembrare rammaricata, “… ora la cosa più sensata è riunire il consiglio e far approvare una legge che autorizzi la successione per via maschile”.
Lei scuote il viso. “Lo sai che i poteri parapsichici degli Escanor vengono ereditati solo per via materna, assieme ai mitocondri delle ovocellule. Anche se tu fossi re, non potresti trasmettere queste capacità ai tuoi figli”.
Lui annuisce, grave. “Madre, risolverò il problema. Dovresti ben sapere quanto sono forti i miei poteri magici”. Poi, con intenzione: “E, se questo è il metro per valutare chi deve governare, posso aggiungere che oggi sono molto più forti dei tuoi, nonostante la Corona di Luce”.
Adariel porta la mano al gioiello sul capo, risentita: in duecentosessanta anni di regno nessuno ha mai osato neanche solo pensare una cosa del genere! Cerca di esprimere più decisione: “Ma, ripeto, i tuoi poteri innati non sono trasmissibili! Tu potrai anche essere un ottimo re, eccellere nella magia, vivere e governare altri duecento anni, ma i tuoi figli non sarebbero come te. Come conseguenza, per mantenere il potere dovrebbero affidarsi alla forza delle armi, ma non è con il ferro e col sangue che si tiene unito un mondo intero”.
Phobos scrolla le spalle possenti. “Conosco anch’io la storia. I re antichi hanno governato così, sia sul Metamondo sia sulla Terra”.
La regina lampeggia con gli occhi come se avesse sentito una bestemmia. “Quei re antichi hanno fatto pagare il loro potere con la morte di milioni di persone. Militari e civili. Amici e nemici!”. Si stringe nelle braccia. “E, nonostante ciò, non sono neppure riusciti ad unificare questo mondo, né l’altro, ma solo a spartirseli tra loro”. Torna a guardarlo, sicura. “Noi Escanor siamo una novità nell’evoluzione. Con i nostri poteri magici, abbiamo unificato il Metamondo. Abbiamo abolito le guerre, la corruzione, gli abusi”.
“Ma certo” risponde Phobos, rinnovando lo sforzo per essere conciliante. “Io stesso faccio parte di questa dinastia. Ne ho il sangue e le capacità, e intendo seguire gli stessi metodi”. Fa una pausa. “E, soprattutto, sono l’unico rimasto”. Termina allargando le braccia: “E allora, di che cosa stiamo discutendo?”.
Adariel prende fiato. E’ il momento di giocare il tutto per tutto. “Phobos, tu avrai una sorella tra otto mesi”.
Lui resta pietrificato. Per un attimo perde tutta la sua baldanza. “Ma… Ma..”. Poi il suo viso si distorce in una smorfia di rabbia. “Ma cosa dici? Mio padre era infermo da tempo! Non posso credere che abbia concepito alcun figlio!”.
Lei s’inalbera. “Mi stai dando della bugiarda, o dell’infedele?”.
“Non l’ho detto!”, si schermisce lui, ancora più sorpreso da questa reazione inusuale. “Né pensato”.
“E allora sappi: mia figlia avrà sangue Escanor al cento per cento, e poteri uguali ai miei!”.
“Ma tu stessa hai un piede nella tomba!” sbotta esasperato.
“Invece vivrò abbastanza da mettere al mondo la nuova Luce di Meridian!”.
Phobos la studia, riprendendo il controllo. Inutile litigare ora, probabilmente questa bambina morirà nella culla come tutte quelle che l’hanno preceduta. “E io?” chiede, indicandosi.
“Tu sarai il suo sposo, il suo principe consorte. E’ l’unico modo per continuare la dinastia ed evitare il caos”.
Lui la fissa minaccioso, trattenendo l’ira, e scandisce le parole: “Madre, io ho cinquant’anni, di cui trenta di esperienza di governo. Ora il futuro che mi prospetti è di dover sposare una sorella non ancora nata, esserle subordinato fino alla fine dei miei giorni e unirmi a lei per mettere al mondo figli che, per la maggior parte, moriranno nella culla!”.
Lei lo guarda con sfida. “Tranne qualche dettaglio, è stato il destino di tuo padre. Non volevi prendere il suo posto?”. Mentre si sforza di tenere su lo sguardo, le lacrime riprendono a rigarle il viso.
Per un attimo, gli occhi di Phobos diventano due fessure, poi si rilassa. Di cosa si preoccupa? Probabilmente la bambina non vivrà più delle altre, e la stessa Adariel potrebbe morire prima di darla alla luce. Rammarico e sollievo si mescolano inestricabili per questo pensiero.  “Va bene, madre. Se tutto andrà come dici, farò il mio dovere verso Meridian, come vuoi tu”. Prende fiato. “Ma ad una condizione. Voglio che tu faccia approvare dal consiglio una legge che legittimi la successione per via maschile, anche se subordinata. Così, se la bambina dovesse morire…”.
Lei scuote il capo. “Phobos, risparmiati quest’illusione. Molti anni fa il Dio del Fato mi ha ispirato una profezia: la settima Luce di Meridian si chiamerà Elyon”.
Lui aggrotta lo sguardo, scettico. “Mi sa che il tuo Dio del Fato perdeva colpi. Elyon è morta in culla, quarantasei anni fa”. Poi storce il viso, afferrando: “Madre, vuoi dare a questa figlia il nome di un’altra già morta?”.
Gli occhi della regina lampeggiano. “Questa Elyon vivrà, e prenderà il mio posto dopo che…”. S’interrompe, come spaventata dalle parole sulla punta della sua lingua.
Phobos nota l’esitazione. Cosa stava per dire? Prova a leggerle il pensiero, ma la mente di lei si è serrata come le sue labbra.
Phobos insiste, usando con sempre più forza il suo potere telepatico. Per un attimo la mente di Adariel gli resiste. Per lui, però, è arrivato il momento di chiarire chi è il più forte. I suoi occhi diventano due fessure per lo sforzo, poi di colpo la resistenza di lei cade.
Dopo un attimo, Phobos resta senza fiato. “Tu… madre…”. Poi si ribella: “No! E’ falso! Io non sarò così! Credere infallibili le tue stesse profezie è una prigione che ti sei costruita da sola! Le tue serve sono più libere di te!”. Parte a grandi passi verso la porta chiusa, poi si volta indietro con un’ultima occhiata carica di risentimento. “Il futuro ce lo costruiamo con le nostre azioni”.

La regina si accascia sul trono, senza forze, vedendo il principe che sparisce attraversando come uno spettro la porta chiusa. Comincia a piangere sommessamente. “Adleric… Phobos… Galgheita! Galgheita, ti prego, dove sei?”.
Le guardie, che stavano riaprendo i battenti, li richiudono con imbarazzo sentendo i singhiozzi della Luce di Meridian.
Pochi secondi dopo, la sagoma inumana ma rassicurante di Galgheita emerge da un baluginio. “Mia regina…”. Si avvicina, prendendole una mano tra le sue. “Cosa vi è successo?”.
Adariel scuote il capo, senza smettere di piangere.
Non serve parlare: la guaritrice, al contatto delle mani, percepisce i ricordi vividissimi e le emozioni brucianti della discussione appena avvenuta. “Oh, Deì… Mia regina…. Non è giusto! Costretta a parlare così in un momento simile!”.
“Sono sola, ora!” singhiozza Adariel appoggiando il viso alla spalla di Galgheita. “Phobos mi odierà per sempre!”.
La guaritrice dirige la sua poca energia verso la Luce di Meridian attraverso il contatto.
Dopo un po’, smettendo di piangere, la regina esala: “Se potessi farne a meno, di queste profezie, o se potessi ignorarle… Fin da bambina, mi hanno legato le mani”.
Galgheita annuisce. E’ esausta, ma non può ritirarsi in un momento simile.
Dopo un attimo di silenzio, si accorge che i pensieri della regina stanno vagando nel passato.
“Altezza…”.
“Sì?”.
“Posso sapere qual è la profezia che Phobos vi ha letto nella mente, e lo ha così sconvolto?”.
Adariel si morde le labbra, poi si guarda attorno. Sono sole. “Galgheita, il Dio del Fato mi rivelò che Phobos diventerà un tiranno, crudele e odiatissimo. Che tenterà di uccidere sua sorella. E che morirà tra dodici anni, solo e braccato”.
L’altra si copre la bocca. “No!”.
La regina si alza, cammina lentamente verso la vetrata ancora aperta, e si sporge malinconica sul balcone. Con il sole del tramonto alle spalle, l’ombra che le grandi torri del palazzo proiettano sulla città sottostante assomiglia ad una gran mano scura protesa sull’abitato. Quell’ombra è uguale ogni sera da duecentocinquanta anni in qua, ma oggi le sembra un sinistro presagio.
Con un brivido, esala: “E quel futuro incomincia ora”.
 

Meridian, giardino interno del palazzo reale

Nel folto del giardino interno, nascosto ad occhi indiscreti da alberi enormi e rampicanti foltissimi, Phobos si è ritirato a riflettere, seduto sulla riva di un’incantevole polla d’acqua.
Questo ambiente è sempre riuscito a rilassarlo anche nei momenti peggiori, vincendo ogni amarezza.
Pian piano, anche questa volta i battiti del suo cuore cessano la loro corsa, ed il suo respiro torna alla lentezza usuale.
Sente vagamente che quello sarebbe il momento di pensare a suo padre, appena morto. Di vegliarlo, di stargli vicino, di riempirsene gli occhi, finché il suo corpo resterà accessibile, prima di essere reso incorruttibile da una bara di cristallo e teletrasportato in una cripta lontana dalla quale nessuno è mai tornato, in una finzione di vita eterna.
Invece, è a sua madre che pensa. Perché si illude ancora? Anche questa figlia che sta aspettando, questa Elyon, non vivrà. Forse riuscirà a vedere la luce del giorno, forse riuscirà a distinguere il viso stanco della mamma e a gioire del suo sguardo amorevole, ma anche lei, infine, seguirà il triste destino di quelle che la hanno preceduta nella culla.
Nonostante la sua amarezza, Phobos non può fare a meno di ammirare il coraggio disperato di sua madre nel riprovarci, ora, con la morte che le alita sul collo.
Più ancora di questa neonata condannata in partenza, l’ostacolo davanti a lui è l’opposizione della regina. Non che gli impedirebbe di raggiungere il potere: una volta rimasto solo, non esisterebbe alternativa a lui come governante. Invece, sarebbe il suo prestigio ad esserne compromesso. Dovrebbe imporre lui stesso una modifica a suo favore della legge di successione, un atto contro le consuetudini che lo metterà certo in cattiva luce, se fatto senza l’appoggio dichiarato della Luce di Meridian.
Per tutti questi anni è stato un amministratore attento, preparato, autorevole. Di fatto, ha svolto molto di più lui le funzioni di re che i suoi genitori. Eppure non è bastato.
Ci vorrà qualcosa di più, dovrà giocare delle nuove carte per convincere il Consiglio dei Veglianti a supportarlo spontaneamente, e magari perché anche la madre riconosca senza recriminazioni la sua autorità.
Uno dei motivi per cui il trono è precluso ai maschi di stirpe reale è che i loro poteri magici sono inferiori a quelli delle femmine. Ebbene, la magia non è solo questione di cromosomi e di poteri psichici innati. E’ una disciplina complessa che può essere appresa e sviluppata, fatta anche dell’utilizzo di energie della natura, di rituali arcani che mettono in comunicazione la mente con altri mondi spirituali, di scienze perdute da millenni e forse conservate in qualche antico libro. Magari nella loro stessa biblioteca, unica al mondo, proibita a chiunque altro.
Forse è il momento che certe conoscenze tornino alla luce. Forse è il momento che l’energia sia incanalata in pochi grandiosi progetti, anziché essere dispersa in mille rivoletti per curare acciacchi meschini.
Il tempo per dimostrare l’ascesa delle sue capacità verso le vette più alte è poco, si conterà in mesi più che in anni. Questa strada richiederà molto studio, molto sacrificio, e l’investimento di una grande quantità di risorse.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Tre mesi, tre anni ***


3- tre mesi, tre anni  
 
Ad personam:
Cara Silen, grazie per la tua bellissima recensione. Hai puntualizzato esattamente diversi aspetti importanti della caratterizzazione dei personaggi, comprese le corresponsabilità della regina nell'aver creato la situazione dalla quale ora dovrà portare fuori le sua città. Come puoi immaginare, tutta la storia sarà permeata dall'ambivalenza tra madre e figlio dovuta non solo alla profezia, ma anche ad un segreto di Adariel che verrà rivelato ai lettori in questo capitolo. E' una tensione che, inutile nasconderlo, sfocerà in un epilogo drammatico nei capitoli finali.
Cara Melisanna, sono sempre contento di sentirti. Il personaggio di Phobos non è stato facile da trattare: la sua trasformazione da quasi buono all'inizio fino ad antagonista nel finale è in parte causata dalla stessa profezia, anche se lui non mancherà di metterci del suo. Comunque passeranno dodici anni meridiani tra questa storia e l'esordio di W.I.T.C.H., anni in cui il principe si estranierà sempre più dalla città che governa. Il Phobos del fumetto colpisce soprattutto per la sua lucidità e assenza di scrupoli: è così convinto del suo diritto che non si dà neppure la pena di giustificarsi davanti a sè stesso. Mi è piaciuto molto, come personaggio. Non come governante, naturalmente. 
Cara Solitaire, condivido pienamente la tua avversione per i villain stereotipati, anche se semplificano la scelta per chi tenere a lettori e spettatori, e fanno scomparire ogni scrupolo o compassione quando sono battuti. Purtroppo personaggi così non sono affatto credibili. 
Qualunque antagonista reale è certamente convinto di essere nel giusto, di vendicarsi di un torto, di combattere una minaccia eccetera. Magari il suo punto di vista è distorto, però nessuno si considera il cattivo.
Il Phobos del cartone animato, purtroppo, è davvero un villain ghignante; anche le trasformazioni magiche che impone a tutto il palazzo sono ridicole, chi vorrebbe mai abitare in quell'obbrobrio o circondarsi di esseri orribili? Purtroppo il cartone animato, nonostante gli indubbi meriti sulla trama, ha gettato alle ortiche le bellissime caratterizzazioni del fumetto per proporre personaggi molto stereotipati e un effetto comico ad ogni costo.
Molto bella la frase finale della tua recensione: 'Comunque, una cosa è certa. Un suo obiettivo lo raggiungerà. Resterà davvero nella storia del suo mondo ^__^'
Mi viene in mente che Elyon, appena lo avrà sconfitto nel fumetto, gli dirà: 'Per tutto il male che hai fatto, ora Meridian chiede una sola cosa: dimenticarti'. Naturalmente dubito che ci riusciranno davvero.
Cara Atlantislux, grazie mille per la tua bella recensione. Sono felice che le immagini dell'arrivo a palazzo siano state così efficaci anche per chi non ha mai letto il fumetto. Come dal racconto che ho messo in bocca a Elyon in Profezie n.6, la dinastia Escanor ha pacificato e unificato un mondo che possiede in sè i germi della sua distruzione a causa della disomogeneità dei suoi abitanti. Quindi anche Adariel si sente una missionaria, al di là di questioni di tradizione o potere personale. Si tratta di un mondo in cui, in milleduecento dei loro anni, si sono succedute sei regine, con una concentrazione di poteri da far impallidire i vari imperi storici. Per contro è un mondo dove, almeno nelle città, non esistono abusi, corruzione, criminalità, fame e epidemie. 

Dedico qualche parola al personaggio di Galgheita che, pur essendo totalmente privo di appeal fisico, è moralmente ed intellettualmente uno dei più notevoli in questa storia. Nel fumetto, pur dimostrando poteri parapsichici impressionanti, lei viene definita la nutrice di Elyon, un ruolo che trovo assai riduttivo; in questo racconto, pur avendo temporaneamente fatto la nutrice, lei è soprattutto la più prestigiosa guaritrice di Meridian e la confidente di Adariel.

Vorrei aggiungere anche un commento sul fatto che, in La Luce al tramonto, la Elyon che conosciamo sia stata la seconda figlia di Adariel con questo nome. Nel fumetto, attorno al n.44 o 45, Phobos ricorda di un episodio in cui lui aveva quattro o cinque anni quando Elyon era in fasce. Siccome, dal n.3, sappiamo che Elyon era ancora neonata quando la portarono sulla Terra dopo la morte dei genitori, ne seguirebbe che Phobos aveva cinque anni quando è diventato tiranno del metamondo, una conclusione che trovo difficilmente accettabile. Perciò, per far collimare le cose, ho attribuito quell'episodio ad una precedente neonata morta più di quaranta anni prima.

Questo capitolo è ambientato tre mesi dopo il precedente, ed è preparatorio per la graduale accelerazione dei ritmi che si avrà nei successivi.

Buona lettura
MaxT


 

Cap.3

Tre mesi, tre anni





“In questo assurdo gioco d’orgoglio, chi muoverà per primo avrà perso”
                                                                                        Principe Phobos Escanor
 

Meridian, appartamento della Regina, quinto mese dell’anno

Sono tre mesi che Adleric ha raggiunto gli antenati, e un vento freddo e fastidioso sfiora il viso e le mani della regina, sul balcone della sua anticamera. Adariel scruta in direzione della città, verso destra, cercando di distinguere qualcosa nel confuso mormorio di pensieri lontani.
Nella torre accanto, le grandi vetrate mobili della sala del trono le sembrano tristi e vuote. Ora dovrebbe essere lì, a ricevere dignitari e diramare i suoi comandi, ma il tempo che vi trascorre la sfinisce sempre più.
Ripensa, come altre mille volte, a quel giorno sciagurato di tre anni prima. Accadde ad un pranzo ufficiale con alcuni nobili, nella saletta quattro piani sotto il suo appartamento: Phobos stava intrattenendo gli ospiti, parlando con competenza di questioni macroeconomiche. Lei e Adleric ascoltavano orgogliosi il loro unico figlio; in quei momenti riuscivano quasi a dimenticare l’ombra sul futuro gettata dalla mancanza di una erede al trono.
D’improvviso, aprendo un tovagliolo, Adariel vi scorse scritte delle frasi, vergate con quella che quasi pareva la sua calligrafia: ‘Phobos usurperà il Trono di Luce. Diventerà un tiranno crudele e odiatissimo. Cercherà di uccidere sua sorella. Morirà solo e braccato tra quindici anni’.
Quelle frasi la colpirono come pugni: rimase a lungo a rileggerle, inorridita e incredula.
Quando alzò gli occhi, si accorse che i presenti non parlavano più: la stavano osservando in silenzio, stupiti. Non sapeva se ad interromperli fossero stati i suoi pensieri urlati, in tumulto, o il suo viso fatto di pietra.
Quando Adleric e Phobos le chiesero cosa era successo, lei riguardò il tovagliolo: ora era perfettamente pulito. Sforzandosi di mascherare il turbamento, chiuse la sua mente,  li rassicurò, fece perfino del suo meglio per scherzare e far dimenticare quel momento. Era sicura che nessuno era riuscito a leggere quelle parole di piombo.
Cercò di sembrare ancora quella di prima, ma un velo scuro era sceso sul suo modo di vedere il futuro.
Avrebbe voluto convincersi di essere stata ingannata dai sensi, dalla stanchezza. Purtroppo, invece, conosceva benissimo quella sensazione, come di già visto, che aveva accompagnato la visione: era la precognizione delle Regine, dono e maledizione del Dio del Fato. Queste profezie si avveravano alla lettera, sia che le ignorasse, sia che tentasse di contrastarle. All’inizio, da bambina, non ci voleva credere, ma poi dovette arrendersi all’evidenza e ammetterlo, come sua madre prima di lei: quelle previsioni non volute erano infallibili.
In alcuni casi, era stato possibile giocare sull’ambiguità di una profezia per interpretarla e farla avverare nel modo meno dannoso possibile, ma le parole apparse sul tovagliolo erano una condanna senza appello.
A tre anni da quell’episodio, Adariel avverte un’enorme amarezza per il Fato. Lei non ha mai smesso di amare il suo unico, meraviglioso figlio. Quale misteriosa congiura del destino gli ha lanciato questa crudele maledizione?
Si sente svuotata. Lo evita da tre mesi, da quando ha osato estorcerle dalla mente la memoria della profezia. Per Phobos non sarebbe poi così difficile capire cosa lei ha in mente per Elyon. Con una fitta di dolore, pensa che la miglior garanzia per la vita della piccola è la convinzione di suo fratello che lei non avrà bisogno di aiuto per morire nella culla.
Scuote il capo: tutto questo richiede una forza che forse non la sosterrà fin alla fine. E se buttasse la spugna? E se tornasse da suo figlio, gli confessasse la sua bugia, ritornando a guardarlo negli occhi, e gli promettesse di appoggiare la sua successione al trono? Potrebbe riabbracciarlo, tornare a sentire il suo affetto, e vivere un po’ più serena quelli che, ormai lo sente, saranno i suoi ultimi mesi…
E poi, cosa succederebbe al suo mondo? Da dove verrebbe la Elyon della profezia, la settima Luce di Meridian? Se le profezie sono infallibili, da qualche parte dovrebbe arrivare lo stesso. E’ così sicura che il futuro avrà tanto bisogno del suo sangue?
Si riscuote: non deve cedere. Non basteranno un nome ed un titolo a trasformare una ragazzetta qualsiasi in una sovrana in grado di garantire pace e stabilità nel Metamondo; la linea di successione femminile non può essere interrotta. Deve farsi forza: non può fermare l’inverno, ma può seminare per la primavera.

L’ancella si avvicina: “Altezza, è arrivata Maestra Galgheita per le cure”.
“Grazie, Lidrienel”. Adariel rientra nella sua splendida anticamera, passandosi la mano sul ventre che ha cominciato ad arrotondarsi. Per essere più credibile, porta addosso una cintura di amuleti benedetti, ma sa che non le serviranno realmente.
La guaritrice, con il suo grosso corpo non umano traboccante di dolcezza, la sta già aspettando vicino al letto. “Altezza…”.
La regina abbozza un sorriso. “Galgheita… voi siete il momento migliore delle mie giornate”. Si distende sul lettone, affondando nel copriletto di raso, e chiude gli occhi. Sente il benefico contatto delle mani sulla fronte, e un’onda di energia le lenisce la sensazione di peso del suo corpo. Si sta così bene, in questi momenti… quasi si dimentica che quello è il solo, sottile filo che tiene legata alla vita una vecchia giovinetta di trecento anni. Sente le sue mani che, piano, si spostano lungo il corpo, il cuore, il grembo arrotondato…
Il grembo!?! Apre gli occhi di soprassalto. “Lì no!”.
“Scusate” dice Galgheita perplessa. “Ho pensato che vi avrebbe aiutata a portare avanti questa gravidanza”.
“Mi va benissimo il contatto solo sulla testa, come al solito. Sei stata splendida”.
L’altra scuote il testone. “Sto facendo del mio meglio, Altezza, ma neanche io sono al massimo della forma”.
“No? Come mai?”.
“Mi dispiace angustiarvi con questo argomento così prosaico, ma le razioni di acqua magica sono state diradate anche per i guaritori. Ciò che danno ogni cinquanta giorni non mi permette di continuare un lavoro così impegnativo”.
“Cinquanta giorni?” chiede perplessa la regina. “Ogni quaranta, vorrai dire”.
“Ogni cinquanta, Luce di Meridian. Per ordine di Phobos, da due mesi a questa parte”.
“Cosa?”. Si tira su, appoggiandosi sui gomiti. “Non ne sapevo niente!”.
“Purtroppo la mia scorta è finita, e l’amministratore non mi ha neppure consegnato tutta quella in più che era stata pattuita per le vostre cure”.
Scuote il viso, disorientata. “Assurdo! Come si giustifica ciò?”.
La guaritrice prende fiato: sa che ciò che sta per dire farà molto male alla sua regina. “Il principe Phobos ha affermato davanti al Consiglio dei Veglianti che molta acqua viene assorbita dalle cure alla Vostra persona. L’ho sentito con le mie orecchie proprio ieri”.
Per un attimo Adariel resta incredula. “Phobos… come può farmi questo?”. Balza in piedi, dirigendosi verso una fontanella sul muro. Gira una levetta, ed un sottile filo di liquido dalla debole fosforescenza verde cola dal rubinetto, riversandosi in un piccolo recipiente di vetro. Dopo qualche istante, il filino si spezzetta in gocce che cadono sempre più diradate, fino a fermarsi del tutto.
Le rivolge un’occhiata eloquente. “Vorrei che la gente venisse a vedere questo!”.
Galgheita resta sconcertata. “Altezza… tutto qui? Si sta forse esaurendo la fonte millenaria?”.
Lei scuote il viso. “No. Phobos mi ha mandato a dire che ci sarebbe stata scarsità di acqua magica per qualche giorno, perché deve concludere degli esperimenti”. Si morde le labbra. “Ma non mi aveva detto di averla sottratta a tutta Meridian, e men che meno di aver dato la causa a me”. Guarda con indignazione in direzione della città. “Ecco perché percepisco tutto questo scontento! E’ nell’aria, lo senti?”.
Galgheita annuisce compunta.
La regina cambia tono, cercando di mettere a tacere l’amarezza che le cresce dentro. “Quanta acqua ti manca?”.
“Solo per poter proseguire queste cure nell’immediato, almeno un litro”.
Adariel annuisce. “Ho qualche scorta”. Va verso un armadio laccato di azzurro e verde, accenna un gesto a mezz’aria, poi ci ripensa e preferisce aprirlo girando la chiave, come fanno i comuni mortali. Inutile affaticarsi con la telecinesi, in queste circostanze.
All’interno, Galgheita scorge decine di bottiglie, la cui fosforescenza verdina riverbera sul viso e i vestiti della regina.
Indovinando i suoi pensieri, Adariel chiarisce: “Sono circa cinquanta litri, accumulati negli ultimi tre mesi. Ben poca cosa rispetto a ciò che Phobos ha tolto alla città”. Riguarda con rammarico la fontanella. “E a me”, conclude amaramente, porgendo una bottiglia chiusa alla sua guaritrice.
Lei accenna un inchino di ringraziamento, poi riflette un attimo, valutando la luminescenza verde prima che l’armadio venga richiuso. “Altezza, quella scorta dovrebbe essere più che sufficiente a farvi vivere fino a quando avete previsto la nascita della vostra erede”.
C’è un’intenzione strana in queste parole, ma Adariel, tornando a sedersi sul letto, non la nota. “Dovremo risparmiarla. Voglio arrivare alla nascita con almeno venti litri”.
Galgheita la guarda con sempre più insistenza. “Altezza, posso essere esplicita?”.
L’altra annuisce, a disagio: “Certamente… Parla pure”.
“Voi non siete incinta”.
Un lampo di panico attraversa gli occhi della regina, che non risponde.
“Posso chiedervi cosa farete, quando sarà il momento?”, insiste la guaritrice.
Dopo un lungo silenzio, Adariel proferisce lentamente: “Galgheita, io mi fiderei ciecamente di voi. Però, ciò che sapete potrebbe esservi letto nel pensiero da altri… da Phobos”. Si alza in piedi. “Ora dovrò cancellarvi la memoria di questo fatto”, si rammarica.
“Non preoccupatevi, Altezza. Sono capace di dimenticare da sola, a volontà. Ho con me il filtro di Leryn”. Si fa apparire una fialetta gialla nella grossa mano.
La regina annuisce e accetta di buon grado la proposta: non è affatto sicura di essere ancora in grado di cancellare con le sue sole forze psichiche le memorie di una telepate potente come Galgheita. Si accosta, e le bisbiglia: “Allora ti posso dire questo: quando la bambina nascerà, avrà il mio sangue al cento per cento”.
Galgheita annuisce. “Non serve altra spiegazione, Altezza. Ho capito”.

Poco dopo, appena congedata la guaritrice, Adariel riflette, in ansia. Il suo segreto è fragile: come l’ha capito lei, potrebbe capirlo anche Phobos. Arriva fin sul terrazzo della camera che dà sul giardino interno. Le grandi vetrate si aprono, permettendole di sporgersi e guardare sotto, mentre il vento le fa turbinare i lembi della veste. Le cime di alberi immensi si protendono fin poco sotto il balcone; le loro chiome folte nascondono la vista del suolo, sessanta metri sotto. Probabilmente ora lui è laggiù, celato dalla vegetazione.
 

Meridian, giardino interno del palazzo reale

Un altro giorno sta finendo, a Meridian. Il cielo, tra le fronde del giardino, si tinge di azzurri sempre più scuri.
Dopo una giornata intensa di riunioni, di udienze, di ispezioni, il principe Phobos è tornato a sedersi sul pendio erboso del suo angolo preferito, tra i fiorellini gialli di konnestras.
Al suolo, una debole folata di vento fa oscillare i cespugli e i rampicanti, incollandogli i capelli sul viso; più in alto, le chiome degli alberi sono scosse con energia dalle raffiche.
Da quando sua madre si è indebolita, il cielo di Meridian è molto meno controllato. Per gli abitanti, questo è un cattivo presagio: pensano che il tempo sulla città rifletta lo stato d’animo della loro regina. In parte è vero.
Per Phobos, uno dei primi passi per accreditarsi come re sarà imparare a controllare nuvole e vento con la sola forza di volontà, e non ha dubbi che ci riuscirà.
Queste pause serali nel giardino lo ristorano per la seconda parte delle sue lunghe giornate: lo studio di magie sempre più potenti.
Si abbassa con il viso sull’erba, dove il vento non riesce a disperdere il profumo inebriante dei fiorellini gialli.
Sta accumulando scorte ingenti della preziosa acqua magica per i prossimi, strabilianti esperimenti.
Sa che così ha destato mugugni fastidiosi in città e a palazzo: la gente comune è troppo limitata per rendersi conto di quali sono le vere priorità per il suo mondo. E la prima di tutte è assicurare la successione a lui stesso, l’unico in grado di sostenere il peso dell’incarico, senza che ombre ingiustificate offuschino il suo prestigio.
Sua madre non lo sta affatto facilitando, pensa con rimpianto. Anzi, lo evita sdegnosa.
Sta rinunciando sempre più al suo ruolo di Regina e rinchiudendosi in quel lussuoso appartamento che, da sola, ha eletto a suo rifugio, quasi a sua prigione, con la scusa della salute e della gravidanza. E’ un pretesto, è evidente: anche se negli ultimi tempi l’uso del sistema di teletrasporto interno è stato precluso alla servitù per risparmiare energia, lei vi avrebbe comunque libero accesso, e potrebbe spostarsi senza fatica alcuna.
Quando lui ha fatto togliere l’erogazione di acqua magica anche all’appartamento reale, giorni prima, voleva sondare gli atteggiamenti di lei. Si aspettava di vedere se si sarebbe imposta di autorità per fargli ripristinare il rifornimento, oppure se glielo avrebbe richiesto come un favore.
Invece, niente di tutto questo. Solo un silenzio sdegnoso.
Sua madre lo teme così tanto solo per via della sua sinistra profezia? O forse, perché lui l’ha offesa e umiliata oltre ogni possibilità di perdono quando ha violato i suoi pensieri?
Qualche sera prima è rimasto a lungo sulle scale, incerto se salire quell’unica rampa che separa i loro appartamenti per fare un gesto distensivo; poi, per l’ennesima volta, ha deciso di lasciare che sia lei a fare il primo passo, se lo vorrà.
Ha la sensazione che, in questo assurdo gioco d’orgoglio, chi muoverà per primo avrà perso; che chi prenderà l’iniziativa di un riavvicinamento si dovrà chinare alla volontà dell’altro, riconoscendolo come più forte e accettandone le condizioni.
Testarda! E’ lei che ha di più da perdere a continuare così!
Phobos non può cedere: è lui il più forte. Meriterebbe di sedere sul trono fin da adesso, anche se non si sente di farlo per rispetto alla madre e alle consuetudini.
Anche se sarà una vittoria amara, sarà comunque lui il vincitore: basterà aspettare. Deve avere pazienza, tatto, e alla fine il trono sarà occupato dall’unico che può farlo.

E se questa nuova principessa non morisse? Se non solo vedesse la luce, ma sfuggisse inaspettatamente al destino delle altre, e crescesse forte e potente? Sarebbe obbligato a chinarsi ad una sorella di cinquant’anni più giovane, che per tutta la sua fanciullezza inerme dipenderebbe da lui come da una madre ed un padre assieme, per poi sottometterlo una volta cresciuta? Dovrebbe sposarla in un matrimonio dinastico, senza scelte, mettendo al mondo una torma di figli, sperando che qualcuno di loro sopravviva ai difetti metabolici dovuti ad una consanguineità spinta al suo estremo limite? Dovrebbe amarli uno per uno, come li hanno amati i suoi genitori, per poi condividere il dolore quasi ineluttabile delle loro morti, fino a non avere più lacrime da piangere?
Quello dovrebbe essere il suo dovere. Letteralmente, prenderebbe il posto di suo padre, ma in condizioni ancora peggiori.
Eppure, anche se dovesse chinarsi a questo destino amaro, lui sa che non potrebbe mai amare questa sposa sorella, fosse anche bella, saggia, spiritosa.
Tutto il suo amore se l’è portato via un’altra donna, molti anni prima. Alta, regale, ambiziosa, importante. La messaggera di un altro mondo.
Quando la vide, sentì che avrebbe potuto desiderare solo lei.
Quando incontrò i suoi occhi, capì che anche lei stava provando le stesse cose, che erano fatti l’uno per l’altra.
La prima volta la invitò a restare, ma lei era in missione con le sue compagne, e dovette declinare l’invito. Poi cominciò a tornare da sola, preceduta da un lampo abbagliante e accompagnata dal bagliore rosato del suo talismano. Con una sfrontatezza affascinante, gli disse che era tornata per lui, per conoscerlo meglio.
Si incontrarono più e più volte, sia a Meridian che sulla Terra. Lui  vedeva nei suoi occhi lo stesso suo amore e la stessa sua ambizione. Parlarono a lungo della loro vita, dei loro progetti, e si confermavano sempre più di essere fatti l’uno per l’altra. Lui, unico erede del Trono di Luce e lei, la Custode del Cuore, si scambiarono, assieme ai loro sogni, anche molte conoscenze di magia, crescendo nella potenza e nella perizia. Anche i loro progetti crebbero, grandiosi: due tra i più grandi poteri dell’universo si sarebbero uniti per creare una nuova era di gloria.
Un giorno le fece preparare un’accoglienza degna di una principessa, e la invitò a cenare assieme ai suoi regali genitori per presentargliela come la sua donna. Suo padre ne fu incantato. Sua madre la studiò con attenzione, facendole mille domande sul suo ruolo, sulle sue aspettative, sui suoi poteri, e facendosi mostrare perfino il suo talismano, uno degli oggetti più importanti dell’universo conosciuto: il Cuore di Kandrakar.
Dopo quella cena sua madre lo ammonì: non aveva niente in contrario che quella straniera carismatica fosse la sua amante, ma non era adatta a diventare Regina di Meridian perché i suoi poteri magici non erano trasmissibili ereditariamente, a differenza di quelli di ogni donna Escanor; in secondo luogo, il suo modo di vedere il suo ruolo era troppo egocentrico, privo del pragmatismo e della sensibilità verso il popolo che ogni regnante del loro mondo aveva sempre coltivato.
Phobos, indispettito, obiettò che non esisteva alcun’altra erede per quel trono, ma sua madre si impuntò: quella donna non era adatta, e lui avrebbe dovuto fare il suo dovere come lei, da Regina, stava ancora cercando di fare il proprio.
Lui fu sferzante, ricordandole che erano quindici anni che non restava più incinta, tanto che la fece piangere, ma Adariel non cambiò il suo atteggiamento irragionevole.
Tuttavia, non fu sua madre il vero ostacolo a questo amore: la sua Nerissa gli venne portata via, non molto tempo dopo, da ben altra volontà.
Phobos stringe i pugni all’amarezza di questo ricordo che non ha mai potuto allontanare.

Dopo di Lei, nessun’altra donna gli è più interessata, se non per togliersi qualche breve voglia.
Non quelle di Meridian, nobildonne o ancelle che fossero, che con i loro visi non del tutto umani e i colori tutti diversi gli risultavano sgradevoli, ed alle quali non ha mai permesso di salirgli al disopra dell’altezza dei lombi; non le terrestri, le volte che è andato in quel mondo alla rabbiosa ricerca di qualche svago. Sì, ce ne sono di molto belle, un piacere per gli occhi e per i sensi. Il loro aspetto può essere regale, può sembrare quasi di avere tra le braccia una Escanor. Però sono noiose: non esiste un solo argomento di cui potrebbe parlare con loro. Non sono capaci di leggere un pensiero che non sia espresso. Sono senza difese: a lui bastava un’occhiata delle sue per farsele cadere ai piedi, prive di ogni volontà, con gli occhi vuoti e la voce atona, incuranti di mariti, fidanzati o voti di castità. Ed infine, le terrestri sono effimere: la loro bellezza decade in vecchiaia nel volgere di pochi anni.
Insomma, al di fuori di Lei, sono tutte donne da usare e gettare via.

Da dietro la vegetazione si sentono delle voci scherzose che si avvicinano: un giovane valletto ed una sguattera di cucina attraversano allegramente la cortina di rampicanti, tenendosi per mano e parlottando. Quando vedono il Principe, restano un attimo interdetti.
Lui tributa loro un’occhiata di fuoco, ed i due capiscono immediatamente di essere capitati dove non sono graditi. Chinandosi e balbettando confusamente qualche scusa, si ritirano al di là dei rami, sparendo alla vista, anche se i fruscii dei loro passi ed i loro mormorii fastidiosi si sentono ancora per un po’ a guastare il silenzio.
Ora che Phobos lo nota, le presenze estranee nel giardino non sono così poche, anche se quasi tutte nella parte esterna al perimetro delle cinque ali basse del castello, il cosiddetto anello pentagonale, che congiungono le cinque torri più alte.
Trattiene un moto di disgusto: questo è il giardino in cui il Principe deve ritemprarsi dalle fatiche del governo, deve meditare sul futuro, deve provare alcune delle sue grandi magie. Soprattutto, questo è il giardino in cui ha amato Lei per la prima volta. Dovrebbe essere riservato alla Casa Reale, non essere svilito come cortiletto per gli schiamazzi della servitù.
 

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Capitolo 4
*** Il giardino di Phobos ***


4- Il giardino di Phobos  
 
Ad personam:
Cara Atlantis Lux,  cara Silen, vi ringrazio di cuore per le vostre belle recensioni e per il costante incoraggiamento che mi date. 
Un ringraziamento a Rowena e, di nuovo, a Silen, per avere riletto questo capitolo.
Come scrivete giustamente, questa fiction sarà permeata dal conflitto di sentimenti e motivazioni tra madre e figlio, ciascuno dei quali ha le sue ragioni, le sue speranze e le sue paure. 
Si potrebbe costruire delle teorie sul fatto che certe profezie contribuiscano alla loro stessa realizzazione, ed infatti in tutto il racconto serpeggerà il dubbio di cosa sarebbe successo se quella profezia non fosse mai stata formulata.

La passata relazione tra Phobos e Nerissa non è nel canon del fumetto W.I.T.C.H., che non ne accenna affatto, mentre nell' anime i due si trovano in posizioni antagonistiche; comunque l'anime, pur avendo i suoi meriti dal punto di vista della trama, è troppo diverso dal fumetto per poter essere considerato nello stesso canon.
Ho inserito nel mio racconto questa relazione non per uno sviscerato amore del pairing, ma perchè entrambi i personaggi devono essere partiti, all'inizio della loro storia, come positivi (un principe e la Guardiana del Cuore!), per poi trasformarsi in feroci villain; una trasformazione simile non è facile da spiegare, e quindi ho ipotizzato che il rancore per essere stati contrastati nella loro relazione avesse contribuito al cambiamento. D'altronde, non sarebbe stata una semplice relazione sentimentale, ma avrebbe avuto effetti sugli equilibri di potere di tutto il loro universo.

Ed ora dedico due parole ai personaggi introdotti nel presente capitolo: il giardiniere Daltar e la sua famiglia. Sul fumetto viene accennata la loro storia: quando Phobos ordinò a Daltar di creare una immensa siepe di letali rose nere per proteggere il suo giardino dagli intrusi, il giardiniere tergiversò; per punirlo, Phobos trasformò sua moglie e sua figlia nei prototipi di tali fiori. Con gli anni, la siepe crebbe a dismisura: tutti i cittadini che tentavano di superarla, per entrare a palazzo e supplicare il principe, si pungevano nel tentativo trasformandosi a loro volta in rose nere. 
L'episodio non è descritto in questo racconto, in quanto ho supposto che fosse ben successivo alla fuga dei genitori adottivi con Elyon.
I nomi di Liliel, Antelior e Akhtrab sono di mia fantasia.

Nel finale ritroverete un paragrafo molto simile a Luci nel giardino, che forse ricorderete; quel racconto era un'anteprima ottenuta concentrando nei brevi minuti di un bagno magico una decisione che, in questa storia, è maturata nell'arco di molti mesi.
 

Buona lettura
MaxT

Cap.4
Il giardino di Phobos


                                              …
 And there were gardens bright with sinuous rills,
Where blossomed many an incense-bearing tree ;
And here were forests ancient as the hills,
Enfolding sunny spots of greenery.
… 
A savage place ! As holy and enchanted
As e'er beneath a waning moon was haunted
By woman wailing for her demon-lover !
And from this chasm, with ceaseless turmoil seething,
As if this earth in fast thick pants were breathing,
A mighty fountain momently was forced. 

                                 Da Kubla Khan di Coleridge

 

Meridian, giardino del palazzo, sesto mese dell’anno

Nel giardino lussureggiante la luce del sole arriva attutita da una volta di fronde alta e lontana, mentre cortine di rampicanti coprono la vista delle cinque torri che si levano tutt’attorno.
Daltar, il giovane giardiniere, sorride soddisfatto: ha appena completato un innesto. Ora una splendida corolla di mophysis dai grandi petali screziati di rosso e di giallo fa capolino sul maestoso tronco ritorto di un dolybrium.
Riposto il bisturi, Daltar passa delicatamente le sue dita verdine sul punto dell’innesto, e le tiene come per infondere la sua vitalità nei tessuti uniti contro natura. Sa che il prezzo di tanta bellezza è alto: le piante soffrono per la violenza dei tagli, per le unioni innaturali, per la miscela di linfe estranee. Lo consola l’idea che, passato quel momento, anche loro godranno dell’ammirazione di occhi umani, e ne beneficeranno per crescere nella loro nuova vita da chimere.
Da parte sua, Daltar insegue un sogno: un giorno riuscirà a plasmare le piante senza la violenza dei tagli, e creerà nuove forme di bellezza finora solo immaginate agendo con la sua volontà sullo sviluppo fin dal seme.
Purtroppo, da qualche settimana il giardino vede solo due presenze umane: lui stesso, e il principe Phobos.

D’improvviso avverte una sensazione sempre più forte: qualcuno lo sta cercando.  Si guarda attorno.
Esce dal folto della macchia, mentre una cortina di rampicanti rossi si dischiude da sola davanti a lui.
Al di là, una guardia in uniforme verdazzurra lo sta cercando, senza però osar alzare la voce a rompere la pace di quello che ormai più di qualcuno chiama ‘Il giardino di Phobos’.
“Akhtrab. Cerchi me?”.
“Ehilà, Daltar. Sempre perso tra gli alberi!”, risponde il soldato con il fiato di chi ha corso. “La Luce di Meridian vuole parlarti”. Si guarda attorno. “Ha detto che puoi portare con te anche tua figlia”.
“Liliel? E’ a casa”.
“Ti accompagno a prenderla”.
I due uomini si incamminano lungo un sentiero. Dopo pochi passi, usciti dal folto, appare l’ala sud del cosiddetto anello pentagonale, l’insieme di costruzioni basse e lineari che collega tra di loro le cinque torri principali del palazzo.
Mentre attraversano un sottopassaggio che conduce al giardino esterno, esteso su tutta la rupe su cui il palazzo affonda le sue fondamenta, il soldato chiede: “Non porti più la tua figlioletta al lavoro con te?”.
Daltar scuote il viso. “Anche volendo, non potrei. Gli ultimi ordini del principe Phobos sono stati tassativi: il giardino è riservato alla famiglia reale”. Con amarezza, conclude: “Io stesso posso entrarvi solo per motivi di servizio, e mai dopo il tramonto”.
Emersi all’esterno, Akhtrab si guarda attorno. Tra le fronde degli alberi si riescono a cogliere degli scorci della campagna circostante e, in distanza, la grande costruzione tronco-cronica del Palazzo dei Veglianti. Da tempi immemori, il giardino è sempre stato accessibile anche al personale e ai visitatori, con poche limitazioni di luogo e orario; ora, invece, le Guardie di Palazzo sono costrette a far rispettare malvolentieri un divieto che colpisce anche loro stessi.

Costeggiando il muro esterno verso la Torre Sud, si giunge in pochi passi ad una casa di legno e pietra in stile contadino, che si appoggia alle pareti lisce di granito saldato del palazzo.
Davanti alla casa c’è uno spiazzo, immerso nel bosco lussureggiante. Salta all’occhio una donna giovane che, come Daltar, ha la pelle verdina e una mascherina rossa come dipinta attorno agli occhi.
I capelli biondi e lunghi attirano subito lo sguardo del soldato. “Buongiorno Antelior!” le dice con il suo sorriso migliore, guardandola come se fosse affascinato dall’atto quotidiano di mettere ad asciugare il bucato.
“Cercavi mia figlia, o mia moglie?” gli chiede il giardiniere alzando un sopracciglio. Ammicca verso una bambina che dondola con aria annoiata su un’altalena.
La piccola, sorpresa, spalanca gli occhi cerchiati di rosso. “Davvero cerchi me?”.
“Sì, piccola” risponde Akhtrab, “La Luce di Meridian mi ha mandato a chiamare tuo padre, e sarebbe felice di vedere anche te”.
La bimba scende dall’altalena. “Ma perché non ci lascia più andare in giardino? Lo vuole tutto per sé?”.
Il soldato, imbarazzato, le risponde: “E’ un ordine del principe Phobos”. Poi, con un gesto, la invita: “Andiamo?”, e si incammina verso la stessa strada che hanno fatto per arrivare lì.
“Dove vai?” lo richiama Daltar senza seguirlo, “Non dovremmo passare per i corridoi interni del palazzo?”.
Akhtrab si volta, senza fermarsi. “Siete stati chiamati dalla Regina, quindi è un motivo di servizio”. Fa l’occhiolino alla bambina. “Vieni a farti due passi in giardino!”.

Mentre attraversano nuovamente il sottopassaggio, Daltar dice, tenendo la figliola per mano: “Sono parecchie settimane che non vedo più la Regina in giardino. Solo il Principe Phobos”.
Il soldato annuisce. “Lei esce poco dalla sua camera. Tra la gravidanza e la vecchiaia, le mancano le forze”.  Emerso alla luce del giardino interno, annusa l’aria dai mille profumi. “Sei un uomo fortunato, Daltar, a lavorare in questo paradiso”. Si dirige verso un sentiero sulla sinistra.
Il giardiniere lo riprende: “Akhtrab, non è quella la via più breve”.
“Io dico di sì. E tu, Liliel?” chiede, ammiccando alla bambina con aria complice.

Seguendo sentieri contorti e meravigliosi, i tre raggiungono infine la breve scalinata di accesso della torre nordest, il cui granito candido brilla anche nell’ombra degli alberi altissimi. Akhtrab fa strada con un ultimo sguardo di rimpianto verso il giardino che, teme, gli sarà precluso fino alla prossima occasione.
Appena mette i piedi nell’atrio della torre nota, con una fitta di preoccupazione, che i tre soldati di guardia sono impegnati a parlare con il comandante Alborn.
L’ufficiale si volta verso di lui. “Akhtrab…”.
Il soldato scatta sull’attenti con colpevole deferenza. “Comandante…”.
“Sbaglio, o hai approfittato del tuo incarico per gironzolare venti minuti per il giardino?”.
“Comandante… ho dovuto cercare…”.
“Risparmiati le giustificazioni, soldato. Qui a palazzo servono poco. Lo sai che abbiamo dovuto sbattere in guardina un valletto ed una inserviente che avevano ignorato il divieto, e si sono imbattuti proprio nel Principe Phobos?”.
Akhtrab tace, impressionato da tanta sfortuna.
“E che, per ordine del Principe, le guardie che li hanno lasciati passare sono ancora in cella, a far loro compagnia?”.
Il soldato si stringe nelle spalle, contrito. “Non volevo…”.
“E alla fine, lo sai che stai facendo aspettare la Luce di Meridian?”. Il comandante lascia passare qualche secondo di silenzio pesante. Poi: “Per questa volta passi, Akhtrab. Che non si ripeta!”.
Il soldato, umiliato, si congeda con un inchino, poi inizia a salire lo scalone circolare tenendo gli occhi bassi.
Daltar lo segue imbarazzato, accennando un inchino all’ufficiale e tenendo per mano sua figlia.

Dopo due rampe di scale di granito lucido, il giardiniere tenta di rompere il silenzio: “Perché non prendiamo la piastra di teletrasporto?” propone indicando un disco bianco, presente sul pavimento ad ogni piano.
Il soldato scuote il viso. “Non si può più”. Osserva di sottecchi l’espressione stupita del giardiniere, e spiega: “Purtroppo le cure della Regina assorbono parecchia energia magica”.
“Andiamo piano” ansima la bambina dopo sei rampe di scale, tirando la mano del suo papà. Si guarda in giro mentre riprende fiato: è la prima volta che sale ai piani superiori della torre nordest. Osserva le porte ben rifinite, laccate di diversi toni di verde, azzurro ed oro. Come il giardino, anche l’interno del palazzo non è affatto ripetitivo: non ci sono due piani che siano uguali, come non ci sono due porte o due finestre che lo siano. Come tutto e tutti in questa città, anche l’interno dello splendido palazzo è un monumento alla disomogeneità. “Papà, chi abita qui?”, chiede.
“Questi sarebbero gli appartamenti degli ospiti e della famiglia reale. Però ora sono abitati solo due piani: il penultimo, dal Principe Phobos, e l’ultimo, dalla Regina”.
La bambina stringe di più la mano del padre, intuendo vagamente un passato lontano in cui da quelle porte uscivano uomini e donne dalla nobile pelle rosata, sempre nel fiore degli anni, vestiti con eleganza, circondati da aure di potere magico che li facevano assomigliare agli Dei. Mentre ora… “Papà, questo posto è triste!”.
“Shhh”.

L’ancella Lidrienel apre la porta, accogliendo il giardiniere con un largo sorriso. “Ben arrivato, Daltar”. Ha sempre avuto un debole per quel giovanotto dalla fronte alta e dalla elegante mascherina rossa sugli occhi.
Lui spinge avanti la bambina, e risponde, cortese e un po’ distaccato: “Grazie. Scusate se vi ho fatto aspettare”. Non vuole darle illusioni: la sua Antelior è una bellezza troppo rara per sentire il bisogno di avventure.
Nell’anticamera, la regina li attende seduta su un divano, in un comodo vestito da camera dalla sontuosa stoffa rossa e gialla che fa risaltare ancora di più il suo pallore. I suoi occhi gentili hanno un lieve bagliore di gioia quando vede la bambina. “Ciaoo, tesoro! Vieni qui!”.
La bimba si fa avanti timidamente. “Regina, come mai non vieni più in giardino?”.
“Vorrei tanto, ma esco poco da qui” risponde lei sorridendo, poi si passa la mano sul ventre arrotondato. “La prossima Luce di Meridian ha già cominciato a darmi i suoi ordini”.
“Allora non sarà il principe Phobos a comandare?” chiede la bimba con un aperto tono di speranza.
“Per un po’, credo di sì” risponde Adariel, “Ma poi, quando la mia Elyon crescerà, diventerà una regina proprio come me”.
“Non vedo l’ora!” esclama entusiasta Liliel, “Il principe Phobos è proprio cattivo!”.
“Come?” allibisce la Luce.
“Perché non lascia più che… ahi!”. La bambina guarda con sorpresa inorridita la mano di suo padre, stretta come una morsa su una sua spalla.
“Liliel, basta così! Taci!”. Daltar la sposta in disparte. “Altezza, scusatela, è piccola!”.
Lei scoppia a piangere a dirotto. “Cattivo! Cattivo!”.
Il giardiniere fa per spingerla via, ma la Regina lo ferma. “Daltar, ti prego, voglio parlarle!”. Chiama a sé con un gesto la bimba piangente. “Tesoro, con me puoi parlare liberamente. Cosa stavi per dire?”.
Liliel tira su di naso, continuando a singhiozzare. “Il principe Phobos è cattivo! Non lascia più che la gente venga in giardino. Noi dobbiamo passare tutta la giornata davanti a casa ad annoiarci, o ci farà chiudere in prigione come gli altri!”.
Adariel, sconvolta, stringe la bambina a sé, bagnando il prezioso vestito con le sue lacrime amare. “Povero tesoro!”. Poi alza gli occhi verso Daltar. “Ma è vero?”.
Lui si stringe nelle spalle, imbarazzato. “Altezza… sì. Per ordine del Principe Phobos, il giardino è riservato alla famiglia reale e chiuso a tutti gli altri, salvo che per sevizio. Ma... non sta a noi criticarlo”.
Lei scuote il viso. “Lo scopro solo adesso”.
La bimba la guarda speranzosa. “Non puoi dire al Principe Phobos di lasciar entrare la gente nel giardino? Sei ancora tu la Luce di Meridian?”.
Adariel cerca di soffocare l’amarezza: debole e malata, è anche esclusa dalle decisioni, e la sua telepatia si è indebolita ad un livello senza precedenti. “Tesoro, io presto non ci sarò più. Non so davvero se ho ancora il potere di oppormi. Ma, se anche ci riuscissi, le cose tornerebbero come ora entro pochi mesi”. Le alza il viso, guardandola negli occhi. “Ascoltami, non chiamare cattivo il tuo papà. Lui si preoccupa per te”. La stringe, facendola guardare verso il giardino. “Sta per arrivare un brutto periodo, come un vento forte forte, che durerà molti anni. Quando il vento è molto forte, cosa può succedere agli alberi grandi e rigidi?”.
La bimba la guarda interrogativa e tace, cercando di indovinare la risposta.
“Potrebbero spezzarsi”, riprende la Regina. “Perdere dei rami, schiantarsi, essere sradicati”.
La bambina la fissa incredula: nella sua breve esperienza di questo mondo, nessun vento era mai riuscito a fare più che sollevare le foglie secche.
Adariel continua: “Lo sai, invece, cosa fanno le canne? Piegano la testa, anche fino a terra, se serve. Sanno che il vento è più forte di loro. Ma quando sarà finito, loro potranno tornare ad alzare la loro testa, libere e soprattutto… vive”.
Liliel continua a tacere, senza capire dove il discorso della regina voglia arrivare.
“Tesoro, fidati del tuo papà. Lui può capire, e un giorno capirai anche tu”. Poi sorride, passando ad un tono leggero. “Sai che bel panorama si vede dalla mia terrazza? Adesso Lidrienel ti farà vedere”.
La bimba annuisce, mentre l’ancella le sorride incoraggiante, facendole un cenno d’invito verso il balcone.

Adariel e Daltar restano a quattr’occhi.
“Altezza, chiedo perdono…”.
“Non importa, caro Daltar. La bambina ha le sue ragioni. Non parliamone più”.
“Come volete. Posso fare qualcosa per servirvi?”.
“Si, grazie. Ti prego di portarmi qualche bella pianta per il mio balcone. Anche a me mancano molto i momenti di svago nel giardino”.
“Certamente, Altezza. Avete delle preferenze?”.
“Mi fiderò della tua scelta”. Con un’aria esageratamente casuale, la regina allunga la mano verso una scatoletta di latta smaltata a motivi floreali. “Ah… a proposito… già che vai giù, ehm, potresti riempirmi questa di polline di konnestras?”.
Il giardiniere cerca di non mostrare il suo stupore. “Ai vostri ordini, Altezza. Ma… per la vostra gravidanza…”.
Lei lo previene: “Non preoccuparti, Daltar, so bene cosa aspettarmi da quel polline. In fondo ho quasi trecento anni”. Con un sorriso di circostanza, aggiunge: “Ah, non è opportuno che tu lo dica in giro… soprattutto al Principe Phobos. Tienilo solo per te”.
Lui si china. “Sia fatta la vostra volontà, Altezza”.

Poco dopo, accompagnando sua figlia a casa lungo i corridoi dell’anello pentagonale, Daltar riflette, turbato. Il polline che la regina ha richiesto ha proprietà psicoattive: in piccolissime quantità ha un effetto vagamente rasserenante del quale è difficile fare a meno, una volta provato. In quantità maggiori diventa una droga che propizia grandi poteri magici, ma annebbia la lucidità, e potrebbe dare una spinta verso la strada della follia.
In altri tempi, avrebbe pensato che la Regina intendesse preparare scorte di qualche farmaco. Ora, invece, lei è indebolita in tutti i sensi; non è assurdo pensare che possa usare il polline come una via di fuga dalla realtà. Questo potrebbe abbreviarle la vita e, peggio, nuocere alla creatura che porta in grembo.

Soprappensiero, escono dalla torre sud fin nel giardino, recandosi a casa per la via più breve.
La bella Antelior li attende in cortile, e nota che la sua bambina ha uno sguardo turbato.
“Va tutto bene? Cosa voleva la Regina?”.
Liliel risponde, grave: “Ha detto che arriverà una tempesta che romperà tutti gli alberi del giardino”.
 

Meridian, palazzo reale, quella notte

Notte. Solo poche guardie sonnacchiose pattugliano i corridoi semibui del palazzo, illuminati fiocamente dalle lanterne a olio e dal chiarore che penetra dalle finestre.
Ogni notte, da due secoli, migliaia di corolle luminescenti brillano nel giardino interno, rivaleggiando con le stelle e le due lune che ornano il cielo del Metamondo.
Chi entra in questa oasi proibita può sentire sulla pelle una vibrazione, come il canto di diecimila fiori, come l’inno di alberi immensi che si levano a nascondere il cielo e rimpiazzarlo con i tenui bagliori dei loro germogli.
Mille profumi fanno a gara per tingere di sé l’aria.
Inoltrandosi verso il centro di quel paradiso di perfezione, oltre le folte cortine di rampicanti rossi e verdi, al canto silenzioso si sovrappone il sommesso scroscio di una cascatella che sgorga da una bassa rupe ammantata di muschio.

Il Principe Phobos, alto e solenne nella sua lunga veste turchese, si avvicina lentamente alla pozza nel cuore del giardino. Osserva la sua superficie riflettere, tremolante, il firmamento di corolle sovrastanti.
Viene sempre qui, ogni sera. La bellezza di questo giardino e delle energie misteriose che vi aleggiano è sempre riuscita ad avere la meglio su ogni sua stanchezza, su ogni sua amarezza.
Anche stasera il miracolo si ripeterà, anche stasera gli renderà le energie messe a dura prova dalla giornata di riunioni ufficiali e decisioni politiche, in vista della sua parte più importante: la notte, destinata alla crescita della sua magia, che lo aiuterà a rifulgere come primo Re della sua dinastia.
Respira a fondo il profumo inebriante dei fiori di konnestras, e resta immobile a lungo, con gli occhi persi nei lucori sempre diversi di quel luogo magico.
Alcune corolle si sono affievolite, mentre altre cominciano lentamente a rilucere di colori nuovi, aggiungendosi alla silenziosa sinfonia visiva, musicata solo dal suono sommesso e ipnotico dell’acqua.
Ad un suo gesto, la cascatella comincia dall’alto ad illuminarsi di una fosforescenza verdina che raggiunge la pozza e vi si diffonde con mille lentissimi vortici fluttuanti, finché il luccichio dell’acqua, interrotto solo dalla sagoma delle ninfee, sovrasta tutti i riflessi.
Con pochi gesti misurati, Phobos si slaccia i suoi paramenti principeschi, lasciandoli cadere sull’erba soffice della riva.
Lentissimo, passo dopo passo, s’inoltra nella pozza, immergendosi fino alla vita.
Quando si lascia andare all’indietro, la sua sagoma spicca come un’ombra che galleggia sull’acqua luminosa, poi le ninfee si stringono attorno a lui.
Chiude gli occhi, e sente l’energia di quella sorgente entrargli dentro attraverso la pelle, risalire le sue vene fino a pervadergli corpo e mente, lenendo ogni debolezza.
Ora il dolcissimo profumo di quei fiori sommerge ogni amarezza. Quei discreti bagliori floreali illuminano le sue visioni. La sua rinnovata decisione delinea il suo futuro.
Madre, io non credo alla tua sinistra profezia. Io non mi rassegnerò a ciò che tu credi inevitabile. Costruirò il mio avvenire con la mia volontà.
Riapre gli occhi, sicuro di sé. L’energia di quel bagno gli brucia nelle vene. Ora è pronto a fare un nuovo passo sulla via del potere.
Si rimette in piedi ed esce lentamente  dalla pozza, facendosi largo tra le ninfee e raccogliendo nelle mani a coppa un po’ di quell’acqua prodigiosa.
Torna sulla riva muscosa, solenne nella sua nudità, con una luce d’esaltazione negli occhi.
Si avvicina ad una splendida pianta con un unico fiore candido e grandi foglie affusolate, screziate di verde scuro. Apre le mani, lasciandovi cadere gocce fosforescenti, e pronuncia parole arcane e inudibili.
Lentamente, la pianta sembra mutare: tratti umani si disegnano sul suo gambo; le foglie paiono dividersi in dita, strozzarsi in polsi, piegarsi in gomiti; due occhi immobili sembrano ricambiare lo sguardo orgoglioso del loro creatore.
Le sue dita sfiorano la corolla candida.
Lentamente come erano apparsi, questi tratti svaniscono, sfumandosi nella bellezza sobria delle foglie.
Un sorriso di trionfo biancheggia sul viso di Phobos: la sua magia ha appena fatto un nuovo progresso. Presto riuscirà a dominare la natura, a dare forma ad esseri di una perfezione mai vista prima.
Presto sarà anche lui un Dio.
 

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Capitolo 5
*** La villa sul promontorio ***


5-la villa sul promontorio  
 
Ad personam:

Carissime Silen, Melisanna, Atlantislux: vi ringrazio di cuore per la vostra attenzione e i vostri bellissimi commenti. Anche questa volta risponderò collettivamente.
Io adoro caratterizzare i personaggi secondari; in questo caso per me c'era la molla emotiva della loro tragica storia, solo accennata nel fumetto, e che meriterebbe un racconto a sé. Mi è piaciuta poi l'idea dell'ingenuità della piccola Liliel che la porta ad interpretare in modo letterale la metafora della regina.
Al bellissimo giardino di Phobos il fumetto dedica diversi disegni, però non chiarisce dove sia collocato, visto che rappresenta il palazzo come un grappolo di sei o sette torri sbucanti da un'erta rupe rocciosa. Addirittura un fanwriter lo ha interpretato come alloggiato in un locale sotterraneo, però questo creerebbe qualche problema di fotosintesi alle piante. Niente che non si risolva con qualche escamotage  magico... 
Nel mio racconto, l'anello pentagonale di ali basse che collega le cinque torri più grandi racchiude la parte più significativa e privata del giardino, ma questo deve estendersi anche all'esterno visto che in Witch n.8- Le rose nere di Meridian- Will si trova a contatto con la siepe senza essersi resa conto di essersi avvicinata tanto al palazzo.

Se la funzione del precedente capitolo nella trama era quella di rappresentare il lento deterioramento della situazione, il presente capitolo invece introduce due personaggi importanti: Miriadel, che sarà la madre adottiva di Elyon, e Jonatludr.
Nel fumetto, Miriadel appare, in versione metamondese, come una donna dalla pelle verdina e dai capelli blu-verdastri raccolti in treccine; alla fine della prima serie afferma di essere un capitano dell'esercito. Però, siccome non ce la vedo a roteare uno spadone, mi sembra più plausibile che non avesse detto tutto: io la vedo, piuttosto, come un capitano dei servizi segreti che ha già esperienza di vita sulla Terra.
Come madre adottiva di Elyon, il fumetto ce la mostra con il volto di una donna relativamente giovane dai capelli rosso carota, Eleanor Portrait; però questo non è il nome né l'aspetto che le ho attribuito in questo racconto, dove presta servizio alla libreria come Eleanor Brown; se avesse mantenuto tale identità dopo la fuga finale, però, avrebbe reso più facile rintracciarla agli uomini di Phobos.
Jonatludr, il bistrattato maghetto, è colui che nella quinta serie di Witch diventerà il villain di turno come Jonathan Ludmoore, l'antico alchimista che agisce dall'interno di un libro magico di cui è rimasto prigioniero. Non ho resistito alla tentazione di dare un passato anche a questo personaggio iniziando una sottotrama importante, che mi ha anche aiutato a movimentare i lunghi mesi della gravidanza simulata della regina  Adariel. 
Naturalmente la storia abbozzata dal fumetto non avrebbe senso se Phobos e Jonathan Ludmoore non avessero avuto la possibilità di viaggiare nel tempo, anche se non viene mai detto; ed ecco qui la mia versione come e perché questo tipo di magia è stata sviluppata.
Il personaggio di Lord Luksas invece non sarà approfondito, ora che è irreperibile: accompagnerà un po' il lavoro del suo pupillo e successore Cedric come una nemesi, senza però mostrarsi in prima persona. Per i suoi attributi questo personaggio potrebbe meritare una saga a sé ma, visto che non esiste nel fumetto originale, non so quanti avrebbero voglia di seguire una fanfiction di fanfiction.

Buona lettura
MaxT

Cap.5
La villa sul promontorio

 “Che senso ha la cosiddetta ‘scienza terrestre’ in un mondo che ne è la negazione?”.

 Principe Phobos Escanor


Promontorio a est di Heatherfield

La grande villa sulla scogliera emerge tra l’alta vegetazione di un parco incolto. Le sue due torrette appuntite richiamano, in piccolo, un edificio ancora più imponente di un altro mondo.
Tutt’attorno, il paesaggio presenta contrasti aspri ed emozionanti: sulla sinistra, giù dalla scarpata, lo sciabordio delle onde ricorda che il mare si estende dalla scogliera sottostante, fuori vista, fino all’orizzonte, che da qui sembra ancora più lontano.
Sulla destra, i boschi digradano in distanza in un paesaggio carsico, fino a trasformarsi in indistinti profili azzurrognoli su cui a malapena si distinguono ciminiere lontane e sottili colonne di fumo.

E’ un posto indubbiamente interessante per una pittrice di paesaggi, come quella signorina dai capelli neri e lisci che, dopo avere arrancato in bicicletta sulla stradina in salita, ora ferma la sua cavalcatura al margine della sterrata.
Scarica con prudenza il cavalletto telescopico e la valigetta di legno pericolosamente in bilico sul portapacchi, e li mette in piedi in una finzione di intenzione artistica.
I suoi pensieri, però, non si sono mai staccati dalla villa.
Non c’è dubbio, pensa Miriadel tra sé, villa Ludmoore è proprio questa. Ora le serve solo una scusa per dare un’occhiata al proprietario.
Dispiega il cavalletto, installandovi un cartone telato sul quale traccia un abbozzo a matita: un’inquadratura suggestiva che cattura la villa assieme allo strapiombo e all’orizzonte color turchese. Bene, per le apparenze può bastare.
Apre la valigetta dei colori, stappa un flacone e lo lascia cadere a terra con un gesto che vuole sembrare maldestro. Mentre l’acqua che conteneva si svuota in una piccola pozzanghera, Miriadel finge un gesto di disappunto a beneficio di eventuali osservatori, ma è soddisfatta: ora ha una scusa per suonare alla villa.
Un grande cancello di ferro battuto le sbarra la strada. Aprirlo non sarebbe un problema, ma non si tradirà nel farlo? Ma no, può sempre fingere di averlo trovato solo accostato…
Basta un pensiero, e l’antico chiavistello si apre con un rumore rugginoso.
Lei avanza lentamente nel sentiero del parco, imprimendosi in mente ogni dettaglio.
Può essere pericoloso? Nessuno dei suoi compagni sa dove lei si trova ora. Coraggio, Miriadel, hai affrontato ben altri pericoli, sul Metamondo.
Esita davanti alla maestosa porta di quercia, poi scuote il batacchio di una campanella di ottone. Troppo piano. Fatti animo...
Ripete il richiamo altre tre volte, con sempre più insistenza.
Al quarto tentativo, qualcuno apre la porta. Dallo spiraglio, una lama di luce illumina il viso infastidito di un giovane vestito con una giacca elegante, ma spiegazzata, ed un ciuffo lungo sparato su con un gel.
E’ proprio lui!. La giovane donna cerca di mascherare il suo pensiero con un sorriso ingenuo: “Mi scusi, signore… posso avere un po’ d’acqua, per piacere?”. Gli fa vedere il flacone svuotato. “Sa, sono venuta sul promontorio per dipingere, e mi sono accorta di esserne senza”.
L’uomo la guarda bene da capo a piedi con soste intermedie, poi un sorriso spavaldo cancella l’espressione infastidita. “Ma certo! Entri pure, signorina”.
Lei lo segue attraverso l’atrio dal raffinato gusto ottocentesco, ricco di finiture in legni pregiati e marmo, ma coperto da una patina di polvere che denota un lungo abbandono.
Lui deve avere intuito questi pensieri: “Sa, abito qui da poco tempo… non ho ancora trovato una donna per le pulizie”.
“E’ difficile, al giorno d’oggi”, lo assolve Miriadel con questa banalità, “E’ una casa molto bella, uno splendido soggetto per un quadro”.
Passando vicino ad una porta semiaperta, lei si ferma a guardare una grande sala, altissima, dalle pareti coperte da librerie colme di volumi fino ad altezze impossibili. Al centro della stanza, su un tavolone, libri antichi ed ingialliti fanno da contorno a quella che sembra una grossa agenda dalla preziosa rilegatura rigida.
Lui torna indietro, richiudendo la porta. “Qui è in disordine. Sto lavorando. La cucina è da questa parte”.
“Mi scusi”. Lo segue fino in cucina, attrezzata con stufe a legna e a carbonella; un cestino stipato di involucri di cibi pronti e scatolette di latta le fa capire qualcosa sulle abitudini culinarie dell’uomo. “Non mi sono neanche presentata. Mi chiamo Eleanor Brown”.
Lui si volta a squadrarla, compiaciuto, mentre le riempie il flacone da un rubinetto di ottone scurito dal tempo. Il suo sguardo insiste un po’ troppo a lungo. “E io sono John Ludmoore. Lei si interessa di architettura?”.
“Un po’ ”.
“Vuole visitare la casa? Quelle parti che non sono troppo in disordine?”.
Lei fa una faccia estasiata. “Ci terrei moltissimo!”. Forse è imprudente, ma al bisogno sa come difendersi.
“Venga pure”. Lui si incammina lungo il corridoio, verso un salotto rivestito da insoliti cimeli: animali impagliati; stampe di edifici misteriosi con annotazioni scritte in una lingua a lei sconosciuta; quadri astratti coperti da sorprendenti patine scure che li fanno retrodatare di secoli.
“Sono tornato nella villa in cui visse un mio avo, il grande alchimista Jonathan Ludmoore”.  Si ferma davanti ad un grande ritratto che domina dall’alto il salotto.
Miriadel, alias Eleanor Brown, osserva il personaggio dipinto: un bell’uomo dalla postura spavalda e lo sguardo arrogante. “Le assomiglia molto, John. Anzi, sembra proprio lei con vent’anni di più”.
“Me lo dicono tutti”, annuisce compiaciuto il giovane.
“Di cosa si occupava?” chiede lei facendo l’ingenua, “Di trasformare il piombo in oro?”.
La risata di John la smentisce. “Si interessava di tante cose: dei poteri della natura, dello spazio, del tempo, della mente, ma non di questa baggianata da Uncle Scrooge”.
“Affascinante” commenta lei, realmente interessata.
“Jonathan visse qui circa vent’anni, poi scomparve in circostanze ammantate di leggenda” dice lui con enfasi, “Ma non la annoierò raccontandogliele”.
“Nessuna noia! Mi interessa moltissimo!”.
Lui la osserva compiaciuto: sente di avere fatto colpo. “Andiamo a vedere i piani superiori”.
Miriadel aggrotta le sopracciglia: la situazione rischia di complicarsi. “Restiamo qui, c’è tanto da vedere. Cosa diceva di quelle leggende?”.
John la guarda con ancora più insistenza. Per un attimo, lei ha l’impressione che le sue pupille diventino luminose.
“Andiamo su, ho detto!”.
Miriadel ne è certa: sta cercando di ipnotizzarla, ma è maldestro, ed il suo potere non è gran ché. Potrebbe soggiogare un sempliciotto o un terrestre, non una agente di elite dei servizi segreti di Meridian.
Lei distoglie lo sguardo. “Ho lasciato la bicicletta ed il cavalletto incustoditi!!!” esclama come se se ne fosse ricordata in quel momento, “Le chiedo scusa”, poi si dirige verso l’ingresso.
Lui resta perplesso un attimo: credeva di avere già in pugno quella terrestre sprovveduta, invece ora non può fare altro che accompagnarla alla porta. “Se vuole, può portare tutto nel parco… non le piacerebbe dipingere la facciata della villa?”.
“Un’altra volta, grazie. Ho già abbozzato un disegno”.
Facendola uscire dalla casa, gli viene un dubbio: “Ma come ha fatto a superare il cancello?”.
“Era solo accostato” risponde lei, con un ultimo sorriso di circostanza. “La ringrazio moltissimo, ma devo dipingere prima che cambi la luce. Forse tornerò a trovarla”.

Uscita dalla villa, Miriadel si dirige con passo studiatamente calmo verso le sue cose oltre la cancellata. E’ ancora tutto come lo ha lasciato, ovviamente: su questo promontorio non passa molta gente.
Mentre inizia a dipingere frettolosamente con le tempere, tanto per mantenere la sua finzione, i pensieri che le turbinano davvero in mente sono ben altri.
Lo ha riconosciuto subito: John Ludmoore in realtà è Jonatludr di Meridian, un giovane mago tutt’altro che raccomandabile. Gli mancano le sue striature verdastre sulla pelle e le orecchie a punta, ma per molti abitanti del suo mondo il controllo del loro aspetto è una abilità di base.
Nato dai trastulli del principe Findric, morto ormai da tredici anni, con una avvenente ancella dalla pelle verdina, Jonatludr avrebbe voluto essere considerato un membro della famiglia reale, ma non ne ha le caratteristiche innate: né l’aspetto, né i poteri.
Anziché accontentarsi di un buon posto a palazzo come guardia o funzionario, come capita spesso in questi casi, lui si mise in testa di accrescere i suoi poteri con pratiche spiritistiche pericolose e vietate. Fu indagato, ammonito, condannato; il principe Phobos fu incaricato dalla Regina di cancellargli tutti i ricordi e le conoscenze inquietanti.
La stessa Miriadel prese parte alle indagini: fu uno dei suoi primi casi.
Fino ad oggi, ha creduto che il giovane avesse lasciato la capitale in cerca di riscatto in qualche altra città del Metamondo; ed invece, eccolo qui sulla Terra, sotto la sottile protezione di una falsa identità.
Non la ha riconosciuta, ne è sicura, né ha tentato di leggerle il pensiero. Però, forse si è insospettito quando non è riuscito ad ipnotizzarla.
Forse lei avrebbe dovuto concedersi per sapere di più dei suoi segreti, ma poi chi avrebbe sentito suo marito Alborn? E’ così geloso… questa sua possessività è una vera palla al piede per lei, stella nascente dei servizi segreti di Meridian.
Quel che è certo è che Jonatludr non è diventato una brava persona: tentare di sedurre una donna con l’ipnosi è un atto meschino.
Ma cosa fa costui sulla Terra? E poi, se Jonatludr è l’attuale John Ludmoore, chi era il Jonathan Ludmoore che occupò la casa centosessanta anni prima? La somiglianza del quadro e l’assonanza dei nomi sono un semplice caso, o c’è una spiegazione che lei non riesce neppure ad immaginare?
Ripensa al ritaglio dell’Heatherfield Daily che ha attirato la sua attenzione su quella villa: riportava voci di centosessant’anni prima relative all’apparizione di demoni verdi e misteriosi effetti pirotecnici. Tutte queste voci possono richiamare abitanti e magie di Meridian, deformate dalla fantasia di qualche terrestre ignorante.
Miriadel ripone le sue attrezzature ed il suo abbozzo di quadro, ancora fresco di tempera, nel raccoglitore: tanto stava venendo una schifezza. Ha ben altro da fare, ora.
Inforca la bicicletta sovraccarica, scendendo con prudenza la stradina sconnessa che porta alla provinciale per la città.
 

Heatherfield, davanti alla libreria “Ye Olde Bookshop”.

Arrivando sudata ed impolverata davanti al Ye Olde Bookshop, ha la sorpresa di trovare il negozio già aperto: Cedric deve essere arrivato prima del tempo.
Infatti, appena varcata la soglia, lo vede dietro il banco.
“Ehilà, Eleanor. Dove sei stata?”.
“Ho novità, Cedric”. Si guarda attorno: non c’è nessun altro all’interno. “Possiamo parlare liberamente?”.
“Sì”.
“Ho incontrato Jonatludr, è il nuovo inquilino di villa Ludmoore”. Gli sventola il ritaglio sotto gli occhiali. “Si fa chiamare John Ludmoore, ed è identico all’alchimista di centosessant’anni fa”.
Cedric tace, mentre afferra il foglietto dalle mani concitate di questa versione terrestre di Miriadel e lo mette a fuoco attraverso i suoi finti occhialini da presbite.
Lei continua: “E cosa mi dici delle leggende? Diavoli verdi, luci…”.
Lui finisce di leggere, lasciandola per un minuto in sospeso. “Lo riferirò al Principe Phobos”, conclude.
Miriadel resta stupita. “Direttamente a Phobos? Non a Lord Luksas?”.
Cedric risponde, impassibile: “Stavo per dirtelo: anch’io ho una novità. Il comandante, Lord Luksas, è stato destituito ieri”.
Lei è sempre più incredula. “Sostituito… Ma perché?”.
“Non lo so. Per decisione di Phobos, immagino”. Dopo una pausa, continua: “Ora sono io il capo dei servizi segreti”.
Dopo un attimo di sbalordimento, lei si sforza di riprendere un’espressione intelligente e annuisce, grave. “Ora sei il mio comandante, allora. Resterai a fare il libraio qui a Heatherfield?”.
Lui fa spallucce. “Dipende. Dovrò supervisionare anche altri settori”.
“Capisco” fa lei di malumore. Qualche anno di carriera in più, e anche lei avrebbe potuto aspirare a quell’incarico.
“Seconda novità, Miriadel: lascia perdere questo Jonatludr, per ora. Dobbiamo rintracciare un pesce molto più grosso, fuggito sulla Terra con tutta la famiglia”.
Lei aggrotta le sopracciglia. “E sarebbe?”.
“L’ex comandante, Lord Luksas”.
 

Meridian, torre Nord, laboratorio del palazzo

Anche questa sera, dopo essersi ritemprato a lungo nella pace surreale del giardino, il principe Phobos si materializza direttamente nel suo laboratorio all’ultimo piano della torre Nord.  Il grande stanzone circolare è immerso nella penombra, rotta dalla bioluminescenza delle chiome dei suoi alberi e dal riverbero di una luna al primo quarto.
In risposta ad un suo comando inespresso, i tendoni pesanti si chiudono, poi la luce brillante di alcuni faretti inonda lo stanzone un po’ disordinato. Due grandi tavoli mostrano alambicchi e fornelli che non stonerebbero in un laboratorio di alchimia. Alle pareti, otto grandi specchi deformanti rimandano immagini grottesche. Vicino alla porta del vano scale, al centro del locale, c’è una specie di salottino spartano con un divanetto, un tavolino e due poltrone. Nelle vetrinette, teste di bronzo e di legno, monili e ciondoli fanno compagnia a libri e a flaconi etichettati con gli antichi caratteri di Meridian o con quelli, ancora più arcani, della Terra.
Phobos si siede dietro un’enorme scrivania, aprendo un volume antico e pesante dalla copertina istoriata.
Un pensiero si insinua tra le sue riflessioni: ‘Principe Phobos, sono Jonatludr. Ho bisogno di vedervi’.
Phobos si acciglia: avrebbe altri programmi per questa sera. Ma se ha affidato un incarico delicatissimo e segreto proprio a lui è perché sa che è il predestinato per riuscirvi, nonostante la sua indisciplina ed i suoi limiti. Certo, gli dà fastidio la spacconeria di questo giovanotto  che cerca di prendersi confidenze come se fosse un parente. Forse i suoi genitori sopporterebbero ciò: sua madre Adariel tratta perfino la servitù con la cortesia che andrebbe riservata a personaggi ben più potenti, tant’è vero che molti nobili e dignitari in visita si risentono, dentro di sé, quando se ne rendono conto.
La voce dentro la testa ribadisce: ‘Principe Phobos, ho…’.
‘Ho capito, Jonatludr. Raggiungimi nel locale dell’altra volta’.

Quando percepisce la presenza dell’altro dietro la porta, il principe abbozza un gesto, e il battente si apre da solo.
Al di là, c’è il giovane Jonatludr, ancora con la nocca alzata per bussare, e l’espressione spavalda già stampata sul viso sotto l’assurdo ciuffo impomatato.
“Principe Phobos”, esordisce con fare troppo confidenziale.
Lui torce il viso: quel giovinastro non ha neanche più le sue naturali striature verdi sul viso; a palazzo, questo aspetto equivale a presentarsi come membro della famiglia reale. Perfino un personaggio importante come Cedric  ha il buon gusto di sovrapporre una mascherina rossa al suo viso troppo terrestre, e l’intelligenza di capirlo da solo.
Lo accoglie gelidamente: “Jonatludr, non serve che ti travesti davanti a me”,
Il giovane capisce l’antifona: in un istante, la sua pelle torna screziata di verde, le sue orecchie si allungano e la sua spavalderia si ridimensiona. “I miei rispetti, principe Phobos”.
“Sei sicuro che non ti abbiano visto?” chiede sospettoso l’altro.
“Nessuno, Altezza. Ho i miei trucchi”. Sfoggia, con un sorriso, un pendaglio romboidale di metallo smaltato.
Phobos si acciglia ancora di più: questo sbruffoncello gli sta vantando come suo trucco il sigillo di teletrasporto che lui stesso gli ha affidato!  “Vieni a riferirmi un successo o un problema?”.
“Tutti e due, altezza”. Osa sorridere ancora. “Cominciando dal successo…”.
“Prima il problema!”, lo interrompe Phobos.
“Come volete”, risponde l’altro, mentre la sua finzione di agio è messa a dura prova. “Quest’oggi, a villa Ludmoore, ha bussato una giovane dall’aspetto terrestre. Però, quando ho cercato di soggiogarla per… proteggere il segreto, non ci sono riuscito”.
Phobos sorride sarcastico: “Macchè segreto, volevi scopartela! Non osare mentire davanti a me!”.
Il mago china le spalle, contrito. “Sì, altezza. Credo anche che abbia aperto un cancello senza avere la chiave. Ora mi chiedevo: non può essere una di quelle… Guardiane della Muraglia?”.
Phobos si acciglia: un interessamento delle Guardiane di Kandrakar sarebbe quanto mai inopportuno. “Era una asiatica?”.
Il mago esita prima di chiedere: “Cosa vuol dire?”.
“Capelli neri, occhi neri sottili e obliqui, non infossati; orecchie tonde e grandi, zigomi larghi e tondi, pelle chiara e un po’ giallastra”.
“No”.
“Allora non era Yan Lin” conclude Phobos sollevato. “E’ la loro ultima guardiana ancora attiva, ne sono certo”.
“Si è presentata come Eleanor Brown, era…”.
“Allora è dei nostri”, lo interrompe con un ghigno sarcastico: la donna che questo fesso ha tentato di plagiare è la moglie del comandante della guardia di palazzo, un tipo notoriamente geloso. “I nostri servizi segreti non ti daranno fastidio, ma sai cosa vuol dire, se ti hanno riconosciuto?”, chiede con voce stranamente mielata.
“Cosa, Altezza?”.
“Che la tua copertura fa schifo! L’aspetto ed il nome con cui ti presenti sono troppo simili a quelli veri, e praticamente identici a quelli del tuo cosiddetto avo!”.
“Sono…”.
“Chiunque può ricollegarli: ieri sono stato io, oggi una dei nostri, domani una guardiana o un giornalista”.
A Jonatludr tremano le mani. “Vedrò di prendere ulteriori precauzioni, Altezza” dice con un tono in cui si mescolano umiliazione e risentimento.
Phobos lo guarda a lungo, con disappunto. Se non sapesse che lui è predestinato a riuscire, non gli avrebbe affidato neanche i tarocchi. “E adesso, sentiamo del successo”.
Le spalle di Jonatludr si raddrizzano un po’. “Ebbene, Altezza, ho fatto il primo esperimento di viaggio nel tempo”.
Ecco ciò che voleva sentire. “Davvero con successo?”.
“Credo di sì… ma devo completare una verifica. Ho posto un bicchiere tra quattro specchi affacciati, ho nebulizzato l’acqua magica, poi, mentre visualizzavo la soffitta della casa di dieci anni fa…”.
“Vieni al sodo! Con che risultati?”.
“Il bicchiere è scomparso… ma, per ora, non lo ho ancora ritrovato, per quanto abbia cercato in tutta la soffitta”.
“Splendido!”, ironizza Phobos, “Hai risolto il problema di come far sparire i bicchieri sporchi!”.
L’altro prende fiato. “Non credo di aver fallito. Magari il bicchiere è arrivato, ma il precedente inquilino lo ha spostato o rotto negli ultimi dieci anni”.
Phobos sbuffa: per essere predestinato al successo, Jonatludr è proprio goffo. “Questo tuo esperimento è pensato male. Tu devi inviare l’oggetto indietro di cinque minuti soltanto, nella stessa stanza in cui ti trovi. Saprai se hai avuto successo ancora prima di farlo davvero”.
Il mago esita. “Altezza, la Vostra idea è molto razionale. L’avevo considerata anch’io, ma una cosa mi ha trattenuto: sulla Terra, documentandomi, ho trovato un racconto di un certo Fredric Brown con descritto un esperimento di questo genere…”.
“Ecco, lo vedi? Non avresti neanche dovuto sforzare la fantasia!”.
“Ma il racconto finiva male”, riprende Jonatludr. “Lo scienziato vide prima apparire l’oggetto, ma poi, al momento di rispedirlo indietro nel tempo, volle provare a non farlo, per sua curiosità”.
“E cosa successe?”.
“L’oggetto rimase, ma tutto il resto dell’universo sparì”, conclude con un’espressione preoccupata.
Phobos valuta a lungo questa possibilità, in silenzio, e infine risponde: “Non preoccuparti, Jonatludr, è solo un racconto. E poi, nessuno ti obbliga a agire come quello stolto personaggio. Fai l’esperimento come si deve, e torna a riferirmi qualcosa di certo!”.
“Sarà fatto, altezza!”. Il mago si alza in piedi e si produce in un inchino ossequioso, spargendo odore di gel dal suo ciuffo eccentrico. Poi, prima di girarsi, riprende coraggio: “Se posso, Altezza: quale sarà l’utilità di questa magia a cui attribuite tanta importanza? Volete tornare nel passato per cambiare il presente a vostro vantaggio?”.
Phobos scuote il viso. “Non ti hanno insegnato, a scuola, che la linea temporale è unica? Ogni cosa fatta tornando nel passato deve armonizzarsi con il presente. Per esempio: quella villa Ludmoore di centosessanta  anni non apparirà certo nel momento in cui tu partirai per il tuo viaggio nel tempo”.
L’altro annuisce, dubbioso. “E così, quella storiella paradossale per cui un viaggiatore del tempo può uccidere suo nonno da bambino e-allora-chi-mai-lo-ha-messo-al-mondo?”
Phobos scrolla le sue spalle: “Quello è solo un esperimento ideale: se ci provasse, non riuscirebbe ad ucciderlo, o scoprirebbe che non è il suo vero nonno, o che ha già avuto figli”. Continua, voltandosi verso una scansia su cui fanno  mostra di sé anche libri di fisica in inglese e in tedesco: “Un esperimento ideale è solo una fantasia impossibile: come il minuscolo diavoletto di Maxwell che apre la porta solo alle molecole che vanno in una direzione, o come il disgraziato gatto di Schrodinger, che non sa neanche lui se è vivo o morto finché gli sperimentatori non lo guardano per far collassare la sua funzione d'onda”.
Il mago annuisce, sforzandosi nuovamente di darsi un tono. “Conoscete anche la fisica terrestre, Altezza! Il secondo principio della termodinamica, la meccanica quantistica…”.
Phobos annuisce, come amareggiato. “Trent’ anni fa, mia madre me la fece studiare fino a farmela odiare”. Scuote il viso, disgustato. “E’ una visione ottusa, ristretta. Le leggi di Newton sono buone poco più che a descrivere la caduta delle mele dagli alberi”. Fa un ampio gesto verso la finestra, e il tendone si spalanca, mostrando le altre torri del palazzo stagliate con le finestre variamente illuminate contro il cielo ormai buio. Attraverso le vetrate della torre Est, che ricorda una piccola cattedrale tenuta su un’enorme mano, si può intravedere lo stesso Trono di Luce, ormai vuoto. “Che senso ha la cosiddetta ‘scienza terrestre’ in un mondo che ne è la negazione?”.
 

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Capitolo 6
*** Il miraggio del trionfo ***


6- Il miraggio del trionfo  
 
Ad personam:

Cara Solitaire, grazie per la tua interessante recensione al capitolo 4.  E' vero che Adariel ha pesantissime responsabilità nella situazione che si è venuta a creare: in primo luogo di non aver fatto tutto il possibile, a partire da duecentoerotti anni prima, per mettere al mondo un'erede, anzi meglio, un plotone di eredi. 
Adariel, nonostante la sua notevole cultura, è una persona molto emotiva, un po' come Elyon. E comunque, la frittata ormai l'ha fatta, ora sta cercando di rimediare prima di passare nel paradiso degli dèi dove l'attende una comoda poltrona imbottita già riservatale dall'inizio dei tempi. 
I motivi per cui non vuole Phobos sul trono sono due: il fatto che sia maschio, cosa già nota da cinquanta lunghi anni meridiani, e la profezia, nota invece da soli tre anni.
Il ruolo che Adariel vedeva per Phobos, ai tempi di Nerissa, era quello di principe ereditario, sposo di una regina Escanor che poi non è arrivata.
Cara Silen, grazie per il tuo costante incoraggiamento. Qualche volta non resisto alla tentazione di far vedere le cose da una prospettiva un po' diversa dalla nostra, o di riportare i giudizi dei meridiani sulla Terra e i suoi abitanti.
Jonatludr è un personaggio per alcuni aspetti notevole, per altri aspetti patetico, per altri ancora dannatamente antipatico. Saprete qualcosa di più su di lui nel seguito. Potrebbe meritare una storia a sè, ma sarebbe tutta da scrivere, e, dato che non molti lo troveranno simpatico, non sarebbe certo candidata a diventare un bestseller.
Cara Atlantis Lux, grazie per la tua attenzione. Sì, Phobos ha il suo stile, però si sta avvicinando il momento in cui il suo desiderio di essere ammirato  gli si rivolterà contro, complice un po' di sfortuna e la coda di paglia proprio verso il già citato magucolo. E, passo dopo passo, questo desiderio si trasformerà proprio nel suo opposto. Mi è piaciuto molto potergli attribuire queste citazioni della fisica terrestre, mi giravano in testa già da un bel pezzo finchè mi è capitato il personaggio e l'occasione giusta per metterle sulla pagina.
Miriadel è uno dei personaggi che preferisco: per poter svolgere il ruolo che il destino le assegnerà ci vogliono capacitè di adattamento e faccia tosta. Il pragmatismo è una caratteristica che ho immaginato far parte della mentalità dei meridiani, con poche eccezioni tra le quali cito Alborn, molto attaccato a questioni di forma oltrechè alla sua avventurosa mogliettina.

Un nuovo personaggio che viene introdotto in questo capitolo è Eliasdal: si tratta di Elias Van Dahl, il pittore di corte che, nel quinto numero del fumetto, è stato imprigionato per ordine di Phobos nel quadro dipinto da lui stesso.
Niente nel fumetto diceva che Jonatludr ed Eliasdal fossero fratelli o che questi fossero i loro nomi originali, ma i due personaggi presentavano un certo numero di punti comuni: erano entrambi  meridiani di aspetto terrestre, entrambi avevano viaggiato nel tempo, ed  entrambi erano stati degni per motivi diversi delle attenzioni di Phobos o dei suoi servizi segreti. Così, credo di essere riuscito a combinare i due personaggi ed il tema dei viaggi nel tempo in una sottotrama coerente, che dà il suo piccolo contributo al precipitare della situazione a Meridian.
La Torre dei Veglianti e' apparsa in un vecchio numero speciale di W.I.T.C.H.: Elyon, una vita da regina. E' sufficientemente lontana dal palazzo reale perchè Elyon abbia bisogno di andarci in carrozza, ed è dotata di un avveniristico ascensore telecinetico racchiuso in un tubo trasparente. Anche un episodio di Profezie di prossima pubblicazione è ambientato in quel luogo.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 6

Il miraggio del trionfo


“State per assistere ad un evento storico. Mai, prima d’oggi, la magia del nostro mondo ha realizzato un viaggio nel tempo”.

         Principe Phobos Escanor


Meridian, palazzo reale, ottavo mese dell’anno

Dal terrazzo della sua anticamera,  la Luce di Meridian guarda, una volta di più, verso il centro della città sottostante. È una giornata quasi serena, velata di foschia, e l’orizzonte lontano si perde in ombre azzurrine.
Frammenti di pensieri cupi e indistinti continuano a giungerle da quei tetti così famigliari. Sapeva che quest’ombra avrebbe avuto inizio, ma sperava che avrebbe risparmiato almeno i suoi ultimi mesi di vita.

La voce di Lidrienel, l’ancella, interrompe quei momenti di stasi: “Altezza, è arrivato Eliasdal”.
La debole luce di un sorriso torna sul viso di Adariel. Il pittore di corte è un ritrattista sopraffino, capace di catturare non solo la somiglianza fisica, ma anche la personalità e lo stato d’animo del suo soggetto, e di trasferire un personaggio sulla tela con un’espressività tale da far sembrare di potergli leggere il pensiero.
E’ un uomo buono, leale. Lei sa giudicare le persone, meglio di chiunque altro avrebbe detto una volta, e si è sempre sentita a suo agio a posare davanti al suo sguardo.
Tutt’altra cosa di suo fratello minore Jonatludr, sempre inquieto e alla ricerca di riconoscimenti impossibili.
Adariel gli va incontro: “Elias…”.
Il pittore entra nell’anticamera con un inchino cortese. E’ alto e magro, con un viso lungo e stretto sottolineato da un pizzetto scuro. La sua pelle, rosata con striature verdine, denuncia la sua neanche lontana parentela con la famiglia reale. “Altezza…”.
“Ben arrivato, Elias. Siediti pure”, dice, indicandogli il divano di broccato verde e oro.
“Grazie, Luce”, risponde accomodandosi compostamente.
“Allora: questo sarà probabilmente il mio ultimo ritratto, e lo vorrei dedicare a Elyon”. Per chiarire, si porta con tenerezza la mano al grosso ventre. “Voglio che sia fatto sul terrazzo, con uno scorcio della città come sfondo”.
Per un momento, gli occhi di Eliasdal sembrano inumidirsi in un momento di commozione, ma poi annuisce. “Va bene, altezza”, risponde con una voce che tradisce  un’emozione intensa.
“Vorrei che fosse così”. Fa vedere con le mani la grandezza di un comune foglio da disegno.
Il pittore è sorpreso. “Così piccolo?”.
“Sì, dovrà essere facile da trasportare. Anzi, dovrà poter essere arrotolato senza danni”. Gli fa un sorriso triste. “Conosco bene la tua abilità da miniaturista”.
“Come volete, Altezza. Ridurrò al minimo lo strato di colore”. Non sta a lui capire i motivi di questa insolita richiesta. “Quando volete, possiamo iniziare lo schizzo”, dice, aprendo la borsa che ha portato con sé.

Poco dopo, la regina sta posando appoggiata alla balaustra, con una mano alzata in segno di saluto e un sorriso non del tutto sereno. Sullo sfondo, uno spesso strato di nuvole scure appesantisce l’orizzonte.
Eliasdal, seduto con un grosso blocco da disegno sulle ginocchia, sta traguardandola con il pollice, a braccio teso, per prendere le proporzioni, e comincia a tracciare le prime linee.
Adariel obietta: “Attento, il raccordo della spalla è troppo alto”.
“Altezza, è solo il primo abbozzo. Abbiate fiducia in me!”, risponde lui, cercando di dissimulare un po’ di nervosismo. Se c’è un aspetto negativo nel ritrarre la Regina, è che anche lei è una abile disegnatrice e, pur vedendo solo il verso del blocco, riesce a percepire le linee tracciate come se fosse alle sue spalle, quindi non manca mai di dire la sua.
“Va bene, va bene” fa lei, poi tace un po’ imbronciata.
Dopo un po’ la modella, irrequieta, ricomincia a parlare. “Elias, cosa mi racconti di tua madre Odridel?”.
“Lei sta bene”, risponde lui quasi senza pensarci. “Si è sposata, ed è contenta del suo nuovo marito Luduvik”.
“Nuovo?” fa Adariel stupita, “Ma non sono già sposati da otto anni?”.
Il pittore risponde distrattamente: “Ah, sì, che sciocco. Per me quello è sempre il nuovo marito”, e continua a tracciare lo schizzo.
Dopo un po’ la regina torna a chiedere: “E tuo fratello Jonatludr?”.
Con la medesima indifferenza, lui risponde: “Non lo vedo da un mesetto. E’ sempre così misterioso…”.
Adariel percepisce la continuazione del suo pensiero: ‘Ci ha detto di essere in missione segreta sulla Terra per conto del principe Phobos, quindi voi dovreste saperne più di me’.
Lei storce il viso: si vergogna ad ammettere che non ha idea di come suo figlio abbia gestito il regno negli ultimi mesi. Però, affidarsi a uno come Jonatludr…
“Altezza, vi prego, fate sempre la stessa espressione di prima”.

D’improvviso, Adariel si irrigidisce: ha percepito una voce maschile ben conosciuta arrivare dall’atrio.
Subito dopo Lidrienel le viene incontro con gli occhi spalancati dall’emozione. “Altezza, c’è il principe Phobos in persona per voi!”.
Un attimo dopo il principe, solenne ed altissimo, entra nell’anticamera. “I miei omaggi, madre”. Il suo tono compassato fa trasparire sentimenti contrastanti; chiunque fosse sufficientemente sensibile potrebbe sentire il battito accelerato del suo cuore.
Le emozioni della regina sono ancora più evidenti: sembra indecisa se fuggire o correre ad abbracciarlo. Lei non è mai stata brava a controllare la sua mimica. Si tiene ad un cassettone, rigida e contratta come un animale in trappola. “Phobos… è tanto tempo…”.
Imbarazzato, lui chiede: “Come sta andando la tua gravidanza?”.
Lei cerca di sorridere, senza guardarlo negli occhi, mentre la fronte le si imperla. “Hai visto che pancione?”.
Lui annuisce, poi si schiarisce la gola. “Madre, questo pomeriggio io eseguirò, davanti al Consiglio dei Veglianti, la dimostrazione di una nuova magia mai sperimentata da altri”.
“Di che si tratta?” chiede impacciata lei, e tenta di scherzare: “Non farai mica sparire il Consiglio?”. Si pente subito di averlo detto.
“Sarà una sorpresa”. Sorride, imbarazzato. “Sarai orgogliosa di me”.
Lei abbassa lo sguardo. “Sono sempre stata orgogliosa di te, da quando sei nato”.
Sarebbe una bella risposta, pensa Phobos, se solo fosse data con lo sguardo alto. Cerca qualcosa da aggiungere, senza trovarlo. “Beh… allora, a questo pomeriggio?”.
“Puoi contarci”, risponde lei con un sorriso largo e forzato, ben diverso da quelli che gli faceva prima di quel giorno maledetto.

Appena Phobos ha lasciato la stanza, ad Adariel sembra che le si sciolgano le gambe: trovarsi così, inaspettatamente, faccia a faccia con lui… Mille ricordi la assalgono, ed i più belli sono quelli che le fanno più male. Il rimpianto si fa insopportabile. Eppure, in quei momenti, la più forte sensazione che ha provato era stata la paura che lui le leggesse il pensiero, e capisse che questa gravidanza è solo una simulazione.
Eliasdal ritorna nell’anticamera, ancora con il blocco in mano. “Altezza, volete continuare?”.
“Sì…sì”. Adariel si riporta sul balcone, nella stessa posizione di prima. Dietro di lei il cielo prende a trasformarsi rapidamente: nuvole scure si inseguono minacciose, alternandosi a sprazzi di sole abbagliante, e folate di venti caldi e freddi le muovono capelli e vestiti.
Dopo un po’, Eliasdal scuote il viso con malcelato disappunto. “Altezza, non so se è il caso di continuare, per oggi. Vi muovete troppo, e cambiate espressione ogni momento”.

Dopo il congedo del pittore, Adariel è ancora più agitata. Ora deve prendere una decisione per il pomeriggio. Il rischio che Phobos o altri in consiglio le leggano il pensiero è troppo alto.
Ha deciso: utilizzerà la soluzione di Leryn, un filtro che altererà la sua stessa memoria, facendole credere per un po’ che questa gravidanza sia reale. Non più a lungo di qualche giorno, però, o potrebbe mancarle la lucidità per portare a termine il suo piano.
Nel frattempo, potrà approfittare di questa finestra di oblio per incontrare altri personaggi, e rendersi conto di come stanno andando avanti le cose al di fuori del suo appartamento.
 

Meridian, torre nord del palazzo reale, laboratorio di Phobos.

La giornata sembra essersi rimessa un po’ al bello, pensa Phobos osservando il cielo pomeridiano dalla finestratura del laboratorio. Buon segno: forse il suo successo di oggi riuscirà a compiacere sua madre. A dire il vero, si aspettava di più per quel suo gesto distensivo; invece lei sembrava come spaventata, come se pensasse che fosse giunto per lanciare qualche maleficio sulla creatura che le cresce in grembo.
Due chilometri verso sudest, sulle distese morbide e verdi dell’altopiano che sovrasta Meridian, si intravede un grosso edificio a forma di tronco di cono, fatto con candido granito saldato, proprio come il palazzo reale. E’ lì che si terrà la sua dimostrazione. E’ la torre del Consiglio dei Veglianti, il governo della città di Meridian e della sua regione.
Il controllo su tutte le altre contee del Metamondo viene esercitato, invece, attraverso una piramide di ispettori. Fino a tre giorni prima, questi facevano capo a Lord Thetras, riconosciuto come il più potente telepate e chiaroveggente tra loro, ma ormai dipendono direttamente dallo stesso Phobos, dopo che si è liberato di quel sapientone fastidioso inviandolo in missione oltreoceano.

L’ora si sta avvicinando. Lui dà un’ultima occhiata alla sua attrezzatura in buon ordine sul tavolo: i quattro grandi specchi contrapposti, il conversore psicoenergetico, le matrici lenticolari e tutto il resto. C’è anche un bel bicchiere di cristallo Svarovsky, dai riflessi sfavillanti e dalle simmetrie aliene. Sarà questo prezioso oggetto a trapassare la barriera del tempo nella sua dimostrazione; dopodichè toccherà ad una persona scelta a caso tra il pubblico, ed infine a lui stesso.
Questa prova sarà molto più impressionante del teletrasporto o della materializzazione, considerate tra le magie di punta della loro civiltà. Sua madre, in prima fila,  vedrà il suo successo sul tempo, la sua sfida al principio di causalità, e chi sa che non muti le sue credenze sul futuro e sull’attendibilità delle sue sinistre profezie.
Basta un gesto di Phobos e, mossa da una potente telecinesi, l’attrezzatura si libra e trasla in un grande baule laccato con scintillanti rifiniture in oro ed il suo monogramma lucente di brillanti. Con un baluginio, il contenitore scompare, come risucchiato dal palmo della sua mano.
Questo si chiama fare le cose con stile, si compiace.

D’improvviso, Jonatludr si materializza nel laboratorio, senza alcun preavviso se non un vago scintillio. Sul suo viso c’è un’espressione più spavalda e soddisfatta che mai.
Phobos si acciglia. Viene a prendersi meriti, questo qui?
“Jonatludr, non permetterti mai più di entrare senza annunciarti”, lo gela, “Ora sto uscendo, non ho tempo”.
Il sorriso dell’altro è messo a dura prova. “L-lo so, Altezza. Voglio solo assistere alla dimostrazione. In fondo, è lavoro mio”.
Phobos non è abituato a queste risposte da un subordinato. “Ti ho detto chiaramente che i nostri rapporti non devono essere noti, per ora. Solo dopo che ti avrò ufficialmente riabilitato”.
L’altro tira fuori un sorriso mellifluo: “Non temete: mi mescolerò al pubblico senza farmi riconoscere. I miei trucchi superano perfino quelli dei servizi segreti”.
Già, pensa Phobos, come quella volta che hai tentato di scoparti Miriadel. Meglio non dire niente, decide, per evitarsi il fastidio di una risposta.
 

Meridian, Torre dei Veglianti

Poco dopo, Phobos si materializza nella grande sala semicircolare del consiglio, al centro del grande tavolo a ferro di cavallo dei Veglianti. Tutti i consiglieri seduti attorno interrompono le loro conversazioni, alzandosi in piedi in segno di rispetto. Attorno, al di fuori di un piccolo colonnato semicircolare, i posti del pubblico sono gremiti da più di centocinquanta persone, molte in piedi.
Sua madre, rimasta seduta, lo guarda sorridendo: sembra molto più rilassata che la mattina.
Lui ne è certo: oggi è una grande giornata.
“Luce di Meridian, rispettati Veglianti, state per assistere ad un evento storico. Mai, prima d’oggi, la magia del nostro mondo ha realizzato un viaggio nel tempo”.
Si gode lo stupore dei presenti: sua madre lo guarda con occhi spalancati di meraviglia, i saggi pendono dalle sue labbra, il popolino ha iniziato un mormorio sommesso ma eccitato.
Con un gesto elegante, Phobos fa apparire il sontuoso baule in mezzo alla stanza, vicino ad un tavolino rotondo che aveva fatto portare in anticipo assieme ad un barile di acqua magica dalla lucentezza verdina.
Seguendo la sua volontà, il baule si apre, e tutti gli elementi dell’attrezzatura prendono posto sul tavolo, assemblandosi da soli. L’eccitazione della folla cresce a questa disinvolta dimostrazione di potere.
Nelle mani di Phobos appare lo splendido bicchiere di cristallo lucente, mentre spiega sicuro: “Per cominciare, tra cinque minuti d’orologio io metterò questa coppa tra i due specchi affacciati e, con la mia volontà, la spedirò indietro nel tempo di cinque minuti esatti, sul tavolo davanti a Vostra Altezza, dove apparirà … ora”.
Tutti gli sguardi si fissano sul tavolo davanti alla regina. A lungo. Troppo a lungo.  Dopo tre minuti, non è ancora comparso niente.
Phobos si sente lentamente sprofondare, a mano a mano che le lancette del grande orologio da muro avanzano e il silenzio si trasforma in un mormorio perplesso.
“Cinque minuti sono passati”, dice una voce anonima dal pubblico. “Che aspetta?”.
“Controlliamo” dice Phobos madido di sudore freddo, cercando di trattenere l’agitazione: “Se non è ancora arrivato, non ha senso spedirlo”.
Una voce dentro alla testa gli bisbiglia: ‘Controlla l’allineamento degli specchi’.
Si avvicina ad osservarli: è vero, non sono affacciati esattamente. L’infinito tunnel di cornici  visualizzato tende nettamente a destra.
Lo corregge con cura, lasciando le impronte delle dita sudate sulle cornici. Forse…
Sente il mormorio della gente cambiare tono. Voltandosi verso sua madre, vede finalmente il calice apparire davanti a lei.
“Bene, ora finalmente le cose vanno come avrebbero dovuto fin dall’inizio. Ancora quattro minuti e quarantacinque secondi, e poi questo calice farà un viaggio nel tempo per riapparire dove è già apparso”.
Qualche faccia perplessa tra il pubblico gli fa sospettare che non abbiano capito l’eccezionalità dell’avvenimento: forse quegli stupidi si aspettavano che apparisse un dinosauro?
Solleva il calice per… d’improvviso, questo gli scivola dalla mano sudata.
Lo schianto del vetro sul pavimento mette a tacere ogni mormorio.
Solo un uomo tra il pubblico sbarra gli occhi per il terrore: “Nooo!”.
Phobos resta gelato davanti ai frammenti ai suoi piedi. Gli torna in mente la storia che aveva così preoccupato Jonatludr: se al momento giusto l’oggetto non fosse stato inviato, tutto l’universo avrebbe potuto sparire. No! Non può finire così!
“Presto, cercate un altro bicchiere uguale” grida con il panico nella voce l’uomo tra la folla, ma Phobos sa che a Meridian non esiste un duplicato di quel manufatto terrestre.
Immerso nella sua disperazione, non si cura subito quando una voce lo chiama: “Phobos!”. Quando si volta, vede Adariel che gli porge il calice appena apparso davanti a lei.
Phobos lo prende con mille precauzioni, sentendosi stupido, e lo porta tra i quattro specchi. Poi ripensa alla procedura mentale… com’era? O DEI, COM’ERA?!?
La lancetta si avvicina pericolosamente al momento…
La procedura risuona ripetuta, insistente, dentro la sua testa, come se qualcuno gliela stesse trasmettendo. Jonatludr!
L’oggetto sparisce dallo spazio tra gli specchi proprio mentre la lancetta marca lo scadere dei cinque minuti. Il conversore psicoenergetico vaporizza litri e litri di acqua magica dal barile sotto il tavolino.
Phobos si sente sollevato. Anche il mormorio tra la folla non è più teso come prima. Chissà se qualcuno ha capito le sue difficoltà. Cerca di riassumere un’espressione sicura, e inizia: “Quello che avete visto…”.
“Ma cosa succede ora?” fa la regina sorpresa: il bicchiere è riapparso davanti a lei.
Phobos resta incredulo: questo non era voluto. Ora non può fare a meno di ripetere tutto. “Luce di Meridian, questo significa che, prima di cinque minuti, avrò deciso di fare una seconda verifica”, spiega con un tono che vorrebbe sembrare disinvolto. Poi percepisce delle perplessità nel pubblico: non tutti quegli zotici hanno capito che differenza c’è tra il teletrasportare un bicchiere da un tavolo ad un altro e il fargli attraversare la barriera del tempo, diretto nel passato. Ci vuole qualcosa di più incisivo, decide. “Una volta constatato il funzionamento affidabile dell’apparecchiatura, eseguiremo l’esperimento su un essere umano”.
Un coro di sommesse esclamazioni di sorpresa accoglie le sue ultime parole.
Il momento si avvicina; Phobos afferra nuovamente il bicchiere, e lo riporta tra gli specchi, ripetendo la sequenza.
Scomparso nuovamente l’oggetto, lui comincia a spiegare: “ La prossima volta toccherà ad un essere umano. C’è qualche volontario…”.
Viene interrotto dalla regina: “Ancora?”, chiede sorpresa, mentre il calice riappare davanti a lei per la terza volta.

Dopo quattro ripetizioni, il pubblico sta mormorando per l’impazienza, comprendendo che il principe ha perso il controllo dell’esperimento. L’esasperazione di Phobos si sta tramutando in panico: ormai è quella macchina maledetta che comanda, e lui non ha alcun modo di far cessare questa catena di ripetizioni senza fine.
La quinta volta, ciò che appare davanti alla regina non è più uno splendido calice, ma solo un mucchietto di frammenti scintillanti.
“Speriamo che sia la fine”, commenta lei con un sorriso che a Phobos sembra intriso di ironia.
Lui mugola disperato: questo esperimento lo sta abbondantemente ridicolizzando, e non vede modo per uscirne. Percepisce anche ironia e battutine sottovoce. Non ne può più di questa ottusa leggerezza. “Basta! Voi non capite! Se qualcosa va male, il mondo cesserà di esistere!”.
Cala un silenzio ghiacciato attorno a lui. Non avrebbe dovuto dirlo… Si avvicina al tavolone, dove i frammenti lo aspettano, per raccoglierli con le mani.

“No, non quelli!”, dice una voce tra il pubblico. Jonatludr, ora in prima fila, indica i frammenti del bicchiere originale ancora a terra. “Raccogliete quelli, Altezza”.
Phobos lo guarda, confuso. Tra la gente, si comincia a mormorare stupiti il nome di Jonatludr.
Il giovane scavalca la balaustra. “Non feritevi le mani, Altezza. Ci penso io”. Raccoglie i frammenti più grossi e li pone tra gli specchi. Quando l’orologio segna il momento giusto, esegue le operazioni mentali.
I frammenti svaniscono baluginando, mentre il conversore, con un sibilo, dà fondo agli ultimi litri di acqua magica del barile.
Subito dopo Jonatludr disallinea gli specchi, spegnendo così l’attrezzatura. “Ora scommetto che è finita, Altezza”.
Phobos è rimasto impietrito ed umiliato, mentre il chiacchiericcio di fondo assume un tono più sollevato.

La regina chiama: “Jonatludr, proprio oggi mi stavo chiedendo cosa avessi fatto negli ultimi mesi”.
Lui si porta,  soddisfatto, davanti al tavolo, e fa un perfetto inchino. “Altezza, ho svolto delle ricerche”.
“E cos’è questa storia che il mondo cesserà di esistere?” chiede con un sorrisino ironico.
Phobos, con la faccia deformata dall’ira, spintona via Jonatludr, e si piazza davanti alla regina.
“Perchè mi hai fatto questo, madre?”.
“… Questo… io?”, resta allibita Adariel, “… Ma che dici?”.
Phobos continua, con la voce carica di risentimento. “Ora capisco quel sorrisino sicuro, non certo uguale a quello di stamattina. Hai deciso di sabotare la mia dimostrazione! Di farmi fare la figura del cretino! Prima la macchina che non partiva, poi il bicchiere, poi la prova che si ripete da sola… Credi che non riconosca la tua influenza?”.
“Ma… Stai delirando?”. Lo guarda con gli occhi già arrossati. “Io non ho fatto niente!”.
La luce del giorno che entra dalle finestre si adombra di tonalità violacee.
“Davvero?”. Gli occhi di Phobos si riducono a due fessure. “Ora vedremo!”.
Le ha già forzato la mente una volta per leggerle il pensiero, ora può rifarlo ogni volta che vuole. Anche adesso.
Dopo un attimo, il viso del principe si fa confuso: ormai ha capito che non è stata lei a sabotarlo.
Si guarda attorno: non si sente fiatare. Tutti i consiglieri ed il pubblico sono rimasti a bocca aperta, ascoltando la sua invettiva, e molti hanno capito ciò che le ha fatto contro la sua volontà.
A peggiorare le cose lei, dopo un lungo silenzio impietrito, prende a piangere e singhiozzare. “Non è vero! Non è vero! Non ti ho mai sabotato!”.
A sottolineare il suo pianto, il suono di uno scroscio batte sui vetri delle finestre, mentre nuvole come arrabbiate offuscano il cielo, coprendo con un colore plumbeo le screziature cremisi sovrastanti.
Un nuovo mormorio inorridito corre tra gli astanti.
Jonatludr si fa avanti: “Principe Phobos, l’esperimento è sostanzialmente riuscito. La macchina del tempo ha funzionato perfettamente. Dovremo solo rivedere i criteri di utilizzo. Se…”.
Lo sguardo d’odio di Phobos gli fa morire le parole in gola.
“TU!”.
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Presagio di sangue ***


7-Presagio di sangue  
 
Ad personam:

Care Atlantis Lux, Melisanna, Silen: grazie per le vostre graditissime recensioni ed i vostri continui incoraggiamenti. Beh, Phobos non è ancora un personaggio del tutto negativo, ma anche nel passato non sempre si è creato attorno un alone di simpatia. Questa volta saprete cosa ne pensa una sua ex-ancella. 
E' verissimo che la comunicazione tra Adariel e suo figlio si è praticamente interrotta, ma purtroppo non si tratta solo di un semplice problema di incomprensione: Adariel ha due motivi che ritiene validissimi per non volerlo vedere sul trono, e la speranza di Phobos di farle cambiare idea dimostrandosi un mago potente era destinata a fallire a priori anche se avesse fatto una splendida figura. Invece non solo ha sfigurato, ma per questi esperimenti puramente accademici sta drenando ingenti risorse alla città, creando malcontento anche in chi, e sono i più, non ha mai sentito la sinistra profezia che la Regina si è ben guardata dal divulgare. E comunque le maggiori delusioni per il principe sono ancora là da venire.

Questo capitolo è ambientato poche ore dopo la disgraziata dimostrazione di Phobos. Dopo Eliasdal, Jonatludr e Galgheita, faremo la conoscenza di Odridel, madre dei due, e Frordal, sorella di Galgheita e prestigiosa indovina di professione. Entrambi sono personaggi che non appaiono nel fumetto W.I.T.C.H., ma Frordal e il suo chiosco da indovina hanno già fatto la loro comparsa in Profezie. 
Vedremo anche qualche scena ambientata nell'umido e cadente quartiere di Trasclovkir, arrampicato sulla scarpata a nord del centro città, ben più curato. Chi conosce il fumetto potrebbe identificarlo con il luogo ripido e cupo, popolato di esseri rettiliformi, in cui si ritrovano le W.I.T.C.H. nel n.3, dopo che si è frantumato l'illusorio scenario che riproduceva le vie di Heatherfield. Per chi segue Profezie, è il luogo dove Pao e Vera si recheranno nella prossima puntata.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 7

Presagio di sangue

“E’ solo il Dio del Fato ad avere in mano i fili delle vite di tutti noi”

          Maestra Galgheita

Meridian, casa di Eliasdal

Dalla finestra aperta dell’abbaino, la prospettiva del palazzo reale che sovrasta Meridian dall’alto della rupe è stupenda. La luce plumbea di questa serata piovosa, però, non rende piena giustizia all’inquadratura.
Eliasdal si mette d’impegno: anche se non è il momento migliore per colorare il suo quadro, può sempre sfruttarlo per tracciare qualche particolare.
Mentre continua a disegnare sul suo blocco, sente dei passi salire sulla scala di legno. “Ehilà, mamma”, saluta senza staccare gli occhi dal foglio.
Odridel arriva nell’abbaino e resta a lungo silenziosa a guardare i numerosi quadri che lo riempiono. E’ una donna sulla cinquantina, dalla corporatura statuaria e dalla pelle verdina come le striature sul viso del figlio.
“Non mi stancherei mai di guardarti dipingere, Elias”.
Lui sorride distrattamente, senza smettere di disegnare. “Grazie, mà. Io non mi stancherei mai di farlo”.
Uno scampanellio quasi rabbioso li interrompe.
“C’è qualcuno all’ingresso”, dice Odridel dirigendosi verso le scale.
Elias ripone il suo blocco. “E credo di sapere chi è”.

In attesa fuori dalla porta c’è Jonatludr, con un viso sconvolto come se avesse pianto. I vestiti ed i capelli sgocciolano fradici di pioggia, che forse si è mescolata alle sue lacrime.
“Figlio mio!”. Odridel lo stringe a sé, incurante di bagnarsi le vesti. “Vieni dentro. Cosa ti hanno fatto?”.
“Quel maledetto…”.
“Phobos! Lo sapevo” intuisce lei, con uno sguardo amaro verso il palazzo seminascosto dai tetti.
Elias gli offre una sedia al tavolone dell’atrio, poi va a prendere un grosso asciugamano da una cassapanca. “Asciugati pure, ora accendo il caminetto. Ah… prima c’ero anch’io alla Torre dei Veglianti, tra il pubblico. Non ti avevo notato finché non ti sei fatto avanti”.
“…Maledetto…”, ringhia il fratello senza alzare lo sguardo.
“Te l’ha fatta pagare, vero?”.
Il giovane si accascia sul tavolo, coprendosi con le mani il viso risentito. “Maledetto ipocrita…  Mi sfrutta per prendersi i meriti delle mie ricerche, ma è come se si vergognasse di me”. Scuote il capo, recriminando: “E pensare che ho consegnato nelle sue mani un lavoro unico, strabiliante, che è solo mio!”. Batte il pugno sul tavolo, facendo oscillare il succo verde in  una caraffa che sua madre gli ha appoggiato vicino.
Eliasdal annuisce. “Pare che oggi l’abbia capito più di qualcuno, se ti può consolare”.
L’altro non lo ascolta. “Se penso a quello che mi ha detto, dopo… Mi ha dato la colpa della sua figuraccia! A me, dopo che gli avevo risolto un pasticcio in cui si era cacciato da solo!”.
“Non solo a te. Hai ben sentito che se l’ è presa perfino con la Regina!”, ribatte l’altro. “Ha scandalizzato tutti. Anche se nessuno lo criticherà apertamente, penso che la sua immagine sarà compromessa per decenni”. Scuote piano il viso, poi chiede: “Cos’era quella storia che il mondo potrebbe smettere di esistere?”.
L’altro continua imperterrito: “Ma perché si vergogna di me? Mio padre… nostro padre Findric era fratello della regina, o no? Quindi siamo cugini! Perché gli Escanor non ci riconoscono come parenti? Solo perché nostra madre è una del popolo?”.
Eliasdal storce il viso: lui gode di ottimi rapporti a corte, e non solo per la sua abilità di pittore. Preferisce tacere, e guarda sua madre, che sembra aver ricevuto un pugno nello stomaco.

Odridel risponde con tutta la calma e la dignità di cui è capace: “Per vostro padre, il principe Findric, io non sarei mai stata una moglie come lo era stata la principessa Naridlor, che gli Dèi l’abbiano in gloria. Nonostante questo, lui non mi ha mai rinnegata, né ha rinnegato voi. Ci ha amati fino al giorno della sua morte, riconoscendovi di fronte a tutti. Pretendere di diventare un principino, però, mi sembra eccessivo”.
Jonatludr sembra averla ascoltata con poca attenzione. Si sfiora il viso con disgusto, come se volesse prendersi a schiaffi. “Se non fosse per queste strisce verdi e queste orecchie a punta, somiglierei a lui!”.
Elias storce il viso. “Ci sono tanti modi di somigliare a Phobos, fratello mio, anche senza la pelle rosata”.
L’altro non coglie l’ironia, raccolto nei suoi risentimenti.
Un pesante silenzio cala nella stanza. Un’ultima goccia d’acqua lascia i capelli di Jonatludr, unendosi alla piccola pozzanghera attorno ai suoi piedi.

Dopo un po’, Eliasdal cerca di portare l’attenzione del fratello, monopolizzata dal proprio ego, in qualunque altra direzione.
“Jonat, mi piacerebbe capire qualcosa su come funziona un viaggio nel tempo”.
L’altro alza gli occhi dai suoi pensieri, sorpreso. “Davvero?”. Senza attendere risposta, incomincia: “Concettualmente, il viaggio nel tempo è uguale al teletrasporto. Il tempo è la quarta dimensione della realtà, assieme alle tre dimensioni spaziali. Ora, permettimi di ricordarti alcuni principi base. Esiste una corrispondenza, sia pure non biunivoca, tra la rappresentazione mentale dello spazio e lo spazio oggettivo, dovuta al rapporto di causalità detto ‘conoscenza’. Questa corrispondenza può essere invertita: anziché essere la rappresentazione una copia imperfetta dello spazio oggettivo, questo può essere influenzato dalla sua rappresentazione nella mente di una persona. Ci vuole molta forza psichica e una buona tecnica di visualizzazione, ma una simile inversione è la base di molte magie. Mi segui?”.
Elias annuisce. “La rappresentazione influenza la realtà”.
Il mago riprende: “Un’azione mentale può modificare la topologia e la geometria dello spazio, incurvandolo e creando una tensione tra due punti. Mi segui?”.
“Sì” risponde dubbioso l’altro, creandosi immagini pittoresche di spazi distorti che potrebbero pur sempre dare l’ispirazione  per quadri surreali.
“Creando questa tensione, si carica lo spazio così incurvato con un’energia potenziale, un po’ come un arco. Quando si arriva all’ultimo passaggio della sequenza mentale, questa energia si scarica sulla persona teletrasportata, che subisce una forza distribuita uniformemente in tutta la sua materia che le imprime una accelerazione inimmaginabile verso il punto di minima energia potenziale, la destinazione”.
“Uh”, annuisce incerto Elias, immaginandosi caricato a mò di freccia su un enorme arco.
“La persona così lanciata può attraversare ostacoli materiali. Infatti la materia è costituita quasi interamente di vuoto, e l’impenetrabilità dei corpi è causata da interazioni elettromagnetiche a distanza tra gli atomi. Se la velocità è adeguata, queste interazioni non hanno tempo di stabilirsi”.
Elias annuisce senza convinzione. Che la materia sia costituita di vuoto gli sembra l’idea di gran lunga più balzana tra quelle mai sentite.
“Ebbene, se la dimensione temporale è analoga a quella spaziale, anche i viaggi nel tempo lo sono. La difficoltà è che il fattore di conversione tra spazio e tempo è la velocità della luce, trecentomila chilometri al secondo, un’enormità. Perciò un viaggio nel tempo di un minuto corrisponde ad un teletrasporto di, vediamo… trecentomila per sessanta… diciotto milioni di chilometri”.
“Impressionante”, commenta il fratello maggiore puntellandosi il mento. Quanto sarà diciotto milioni di chilometri?
L’altro si alza in piedi, eccitato. “Vieni a casa mia. Voglio farti vedere il primo prototipo della macchina! Così ti toglierai ogni dubbio di chi sia questa invenzione!”.
“Ummm. Sì, vengo” risponde Eliasdal, ancora intontito dalla fatica di seguire quelle spiegazioni astruse. Si era ben capito chi fosse il vero inventore anche solo guardando la dimostrazione, ma, più che altro, a lui interessa vedere la casa di Jonat per farsi un’idea di dove e come viva, almeno finché è a Meridian. Prima di oggi, il fratello ha sempre risposto in modo evasivo alle domande su questo argomento.
Mentre prende due mantelle cerate, si rivolge a Odridel, che si è già isolata dal discorso da molto: “Mà, io vado con Jonat. Forse farò tardi per cena”.
“Va bene, Elias”, risponde lei, strappata ai suoi pensieri. “Jonat, perché non torni a cena qui anche tu, stasera?”.
Ma il giovane mago non risponde; mentre escono dalla casa è intento a parlare al fratello: “Il consumo di energia magica per caricare di tensione spaziotemporale una tale distanza è enorme, e gli specchi contrapposti servono per  contenere e moltiplicare questa energia, riciclandola in un numero enorme di riflessioni ripetute”.
 “Uhu”, risponde l’altro, mentre una palpebra comincia a tremolargli in un insolito tic nervoso.

Dopo che i figli sono usciti, Odridel riprende a guardare fuori dalla finestra, senza più bisogno di bandire dal viso la sua amarezza. Guarda il palazzo, seminascosto dai tetti e dalla pioggia battente. Ricorda come lo vide trent’anni prima, bianco e luminoso sulla rupe, quando si avviò per il suo primo giorno di lavoro, dopo una selezione in cui fu scelta tra ventisei candidate. I criteri di bellezza, a Meridian, sono tanto vari quanto lo è l’aspetto dei suoi abitanti, ma lei fu notata subito per la sua prestanza e perché, quando le sondarono la mente, il suo carattere piacque subito a tutti i regali.
Era al settimo cielo quando fu assegnata al servizio del principe Findric. Era un uomo gradevolissimo e sensibile, capace di percepire ogni suo pensiero e  stato d’animo.
Nonostante i suoi centosettant’anni, aveva l’aspetto di un giovane e, una volta fatto l’occhio alla pelle rosata, molto piacente. La sua età era rivelata dalla sua pacata dolcezza, e dalle cure di cui la Regina, guaritrice suprema e sua sorella, non era mai avara.
Era rimasto da poco vedovo, e le ancelle facevano di tutto per consolare e compiacere il loro signore in ogni modo. In poco tempo fu chiaro che lei era diventata la sua preferita, non senza un po’ d’invidia da parte delle altre due.
Un anno dopo, quando lei rimase incinta di Eliasdal, Lui riconobbe apertamente la paternità ed il suo legame con lei. Era orgoglioso dei figli che lei gli diede, anche perché i suoi eredi legittimi erano tutti morti in culla.
Quando Lui salì in Paradiso, Elias aveva quindici anni ed un carattere già formato, ma Jonat era solo un ragazzino. Crescendo, si cercò un nuovo modello, e da chi fu affascinato? Dall’energico, egocentrico, odioso principe Phobos. Lo stesso al cui servizio lei venne riassegnata.
Ad essere onesti, Phobos non è sempre stato così: fino a pochi anni prima, il principe non sembrava diverso dai suoi famigliari. Poi cambiò, dopo una qualche delusione, a partire dal suo rapporto con le donne.
Si dà per scontato che un’ancella sia ben disposta a compiacere il suo signore, ma Phobos non dava loro nessuna delle soddisfazioni che era legittimo aspettarsi in contraccambio: non le guardava, non le desiderava, non aspettava un qualche loro incoraggiamento: ordinava e basta. E mentre loro erano chine, lui pensava ad un’altra, sempre la stessa donna, forse sepolta da anni.
Nessuna di loro sarebbe stata obbligata a compiacerlo in questo, ma era tale la soggezione che lui metteva che nessuna osò mai rifiutarsi.
Lei vide più di una giovane arrivare con grandi speranze, fare di tutto per farsi notare dal principe, per poi, dopo i primi approcci, piangere per la delusione e l’umiliazione, e implorare l’assegnazione a qualunque altro reale.
Purtroppo, a parte Phobos restavano solo i suoi genitori, che avevano già le loro affezionate ed invidiatissime ancelle, per cui l’alternativa era dimettersi oppure chiedere il passaggio a ruoli meno prestigiosi e meno pagati, come le addette alle pulizie.
Tenne duro per due anni, sperando in un cambiamento. Cercò di abituarsi a quel ruolo frustrante, ma alla fine si rese conto che la sua umiliazione si rifletteva sui figli; Eliasdal, in particolare, aveva ben capito come stavano andando le cose. Davanti alle ombre del suo viso preferì cambiare lavoro.
Divenne banconiera alla mensa delle guardie di palazzo, finalmente a contatto con uomini normali, anche se a trentasette anni d’età questo comportava un addio ad ogni possibilità futura di rientrare tra le ancelle.  Non ci volle molto perché decidesse di corrispondere all’interesse che uno di loro aveva mostrato per lei: Luduvik, un sergente della guardia di palazzo rimasto vedovo e senza figli, era un caro uomo, e la sua vicinanza riusciva a renderla quasi felice.
Jonatludr, ancora un ragazzino, le rimproverò rabbiosamente di essere caduta molto in basso: secondo lui, non avrebbe mai dovuto accontentarsi di qualcosa di meno del principe Phobos. La loro convivenza nell’alloggio a palazzo divenne impossibile, e più di una volta il ragazzo scappò, per poi esserle riportato dalle guardie. Per evitare il peggio, Odridel dovette rinunciare a convivere con Luduvik, e anche i loro incontri dovettero essere furtivi, quasi colpevoli.
Tre anni dopo, lei ereditò la casa dei genitori in centro città, e offrì ai figli di andare ad abitarvi da soli. Eliasdal accettò subito, mentre Jonatludr no; quando fu chiaro che lei avrebbe comunque chiamato a vivere Luduvik nel suo alloggio, tuttavia, il figlio se ne andò esasperato. Dopo aver vagato due giorni sotto la pioggia, si decise a presentarsi nella casa che gli era stata offerta, e per un po’ visse con il fratello maggiore.
Quel periodo quasi sereno durò altri tre anni, poi fu interrotto, in una giornata amara, dall’arresto di Jonatludr sotto l’accusa di spiritismo, una forma di magia pericolosa e vietata.
Lei non riusciva a perdonarsi di averlo trascurato per pensare alla sua vita, anche se Elias la assolveva: non avrebbe potuto accorgersi di nulla, perché suo fratello aveva sempre nascosto accuratamente questi interessi insani.
Dopo che la stessa Luce di Meridian incaricò Phobos di cancellargli le memorie proibite, il ragazzo divenne ancora più sfuggente, rendendosi irreperibile a lungo e raccontando trionfante, durante le sue brevi ed imprevedibili visite a casa, di luoghi esotici e onori che forse esistevano solo nella sua fantasia.
Lo capisce solo oggi: forse Phobos, quella volta, decise che l’ambizione e la curiosità del ragazzo potessero essere sfruttate per qualche suo oscuro scopo.
Non può più negarlo: questo suo figliolo è ormai avviato su una strada sinistra.
Magia e segretezza. Ammirazione per Phobos, e risentimento. Ambizione e frustrazione. Gli occhi di Jonatludr guardano lontano, anche oltre la barriera del tempo, ma non vede le persone che gli stanno proprio accanto…

Proprio in quel momento, guardando dalla finestra vede passare una figura tozza, inconfondibile anche se avvolta in un tabarro, con in mano un prisma luminoso che ne illumina la strada e le fattezze. E’ maestra Galgheita.
Passando davanti, la guaritrice si volge verso la finestra e la vede, facendole un cenno di saluto. Si arresta un attimo sotto la pioggia ormai tenue, come incerta se fermarsi a parlare.
Odridel prende l’iniziativa: sola e amareggiata, sarebbe ben felice di condividere qualche pensiero. Apre la porta. “Maestra Galgheita, non avete paura a girare da sola con questo buio?”.
“Buonasera, Odridel. Pensi davvero che qualche malintenzionato possa mettere gli occhi su di me?”. Allarga le braccia, come per evidenziare la sua sagoma sgraziata. “Sono le belle donne come te che potrebbero destare desideri in chi vaga nella sera, non certo io”.
L’altra sorride al complimento. “Comunque scherzavo: da parte mia, non ho alcuna paura a tornare a palazzo ogni sera”.
Galgheita ne conviene: “Tra telepati e agenti invisibili, le strade di Meridian sono abbastanza sicure anche di notte. Più che altro, il rischio è ruzzolare giù da qualche scalino”. Poi aggrotta gli occhietti: “Oggi ero al Palazzo dei Veglianti, ed ho visto tuo figlio Jonatludr. Mi ha impressionata…”. Si interrompe, guardandosi in giro: anche se non si vede nessun altro, forse non è prudente parlarne così apertamente.
“Volete entrare a ripararvi?” la invita Odridel, sperando di trovare una spalla.
Galgheita esita, poi nicchia. Questo non è il momento più sicuro per riprendere un discorso che porterebbe inevitabilmente a criticare il Principe.  “Non adesso. Magari ripasserò una di queste sere. Salutami Luduvik e i tuoi figli”.

Congedatasi cortesemente da Odridel, la guaritrice continua  la sua strada verso casa sotto la pioggia ormai diradata. L’oscurità è rotta dalla luce azzurrina del suo prisma e da quella aranciata da qualche finestra, moltiplicate dai riflessi sul selciato bagnato. Rivoletti d’acqua piovana discendono stradine e scalinate per poi sparire verso percorsi sotterranei. Pochi passanti frettolosi le tributano rispettosi cenni di saluto.
Mano a mano che supera il centro diretta a Meridian bassa, le case si fanno più scalcinate, le strade più disconnesse e più sporche. Quando attraversa il ponticello di pietra sopra il Clovkir, il rumore di cascatelle sulla sinistra lascia indovinare il letto del fiumiciattolo in piena che scende dal pendio roccioso incombente, sul quale le ultime case si arrampicano, sovrapponendosi come funghi. Mentre continua il suo cammino, la luce della sua lampada fluorescente danza sulle stradine che si inerpicano in strette gradinate, dalle quali scendono ancora rivoletti fangosi. Perfino nelle giornate di sole, l’umidità è il peggior difetto del quartiere di Trasclovkir.
Non è sempre stato così. Quando lei era bambina, il quartiere non era particolarmente malsano. Poi, a partire da ventidue anni fa, il terreno si inumidì, gli intonaci delle abitazioni al piano terra cominciarono a scrostarsi, i muri di sasso a fiorire di muschi, i soffitti a striarsi di venature di muffa scura, le coperte a parere pesanti e fredde al tatto.
Forse si erano aperte fenditure lungo il corso del Clovkir, e una parte della sua acqua aveva deviato verso misteriose vie sotterranee. Nessuno fu capace di risolvere il problema; la maggior parte dei benestanti, e non erano molti, si limitò a trasferirsi in zone migliori della città. Lei e sua sorella Frordal, invece, sono rimaste. La loro casa di famiglia è ancora decorosa: la sua posizione al primo piano limita l’umidità dal terreno, e non manca il denaro per la manutenzione. E poi, loro hanno molto in comune con gli altri abitanti di Trasclovkir.
E’ arrivata. Sale le scale esterne in pietra, sfiorando con una mano le pareti di sasso bagnate. Si rallegra nel vedere, attraverso la finestra, la luce aranciata del fuoco baluginare sul soffitto.

Apre la porta.  Il caminetto è acceso, ma non c’è nessuna cena a cuocere su quelle fiamme sprecate. “Ehilà, Fro. Non hai preparato…”.
Appena la vede, il sorriso di saluto le si spegne.
Chinata sul tavolone, con la fronte appoggiata sulle mani in un gesto di sconforto,  Frordal la ricambia con un’occhiata sconvolta.
“Fro! Cosa ti è successo?”. Appesa in fretta al chiodo la mantella bagnata, le va incontro a grandi passi. Si siede di fronte alla sorella, prendendole le grandi mani verdi a quattro dita, cercando di infonderle un po’ di serenità. “Raccontami tutto”.
Il faccione piatto e intelligente dell’altra resta finalmente visibile, mostrando i segni del pianto. “E’ cominciato stamattina, in Piazza Due Lune”.
Galgheita annuisce. Nella tarda mattinata era passata a cercare la sorella al suo chioschetto di indovina, senza trovarla.
L’altra continua con voce incrinata: “Sono arrivata presto al mercato. Ho notato subito il selciato imbrattato con sangue, tanto sangue. La gente lo calpestava con sorprendente indifferenza. Ho chiesto a un passante cosa fosse successo in quel luogo. Lui è caduto dalle nuvole. Allora ho capito: ero io l’unica a vederlo”.
Galgheita annuisce grave: il prestigio di Frordal come indovina è secondo solo a pochissimi altri nomi illustri. “E’ un presagio sinistro”, conviene.
“Ero turbata, mi chiedevo se restare lì a lavorare. Poi ho guardato l’orologio della torre. E il suo datario indicava il quinto giorno dell’ottavo mese!”.
“Ma mancano ancora tre settimane!”
“Certo! E, ancora una volta, io ero l’unica a vedere ciò”.
Galgheita annuisce pensierosa. Una visione così sembra proprio un messaggio del Dio del Fato a una delle sue predilette.
“Ero troppo turbata, e sono tornata a casa a riflettere. Alla fine, ho deciso che ne avrei parlato alla Regina o al Principe Phobos. Volevo suggerire di tentare uno scongiuro: per esempio, si sarebbe potuto versare in piazza, nel giorno indicato, del sangue di animali da macello”.
“Mi sembra una buona idea. Ma poi?”.
“Nel pomeriggio sono venuta alla dimostrazione alla Torre dei Veglianti, sperando di poter parlare con uno dei due”.
Galgheita annuisce senza interromperla. Ricorda di averla intravista tra il pubblico all’inizio, ma poi è sparita.
“Quando ho guardato Phobos, non credevo più ai miei occhi: le sue mani e la veste erano imbrattare di sangue!”.
Galgheita scuote il capo lentamente. “Nessun altro ha visto niente del genere!”.
“Lo so bene!”, si dispera Frordal, affondando di nuovo il viso tra le mani. “Ero così sconvolta che sono venuta via quasi subito”.
Dopo un lungo silenzio, torna ad alzare lo sguardo: “Galghi, puoi riferire tu queste cose alla Regina? Tu la vedi due volte al giorno…”.
Anche Galgheita appoggia scoraggiata il faccione sui palmi. “Fror, se tu fossi rimasta, avresti assistito a una altra cosa sconvolgente, ma questa la hanno ben vista e sentita tutti i presenti. Phobos prima ha accusato la regina, poi le ha forzato i pensieri contro la sua volontà, senza che lei potesse far altro che piangere”.
“No!”.
“E’ così, Fror. La Luce di Meridian si sta spegnendo”. Osserva la fiamma nel focolare che si esaurisce lentamente. “Non è più in grado di imporsi su suo figlio, semmai è il contrario. Non ha neppure senso angustiarla in anticipo con questo presagio”. Scuote il viso. “L’unica cosa che possiamo fare è mettere in guardia le persone a cui teniamo, che non passino di lì in quel giorno fatidico. Forse loro spargeranno la voce, ma in ogni caso quel sangue sul selciato  dovrà pur essere versato da qualcuno”.
Frordal sospira. “Così, ci prenderemo la responsabilità di scegliere chi vivrà e chi morirà”.
Galgheita le riprende le mani, guardandola intensamente negli occhi. “No, Fror. Non pensare di avere questo potere. Possiamo solo scegliere, forse, chi non far morire quel giorno in quel luogo, Per il resto, è solo il Dio del Fato ad avere in mano i fili delle vite di tutti noi”.
Nel focolare, le ultime lingue di fiamma guizzano sempre più debolmente e si esauriscono, lasciando solo la luce rossiccia delle braci a separare le due sorelle dal buio.
 

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Capitolo 8
*** L'esilio del saggio ***


8- L'esilio del saggio  
 
Ad personam:

Cara Atlantis Lux, grazie per avere recensito Presagio di sangue.  In Profezie, Frordal e Galgheita compariranno ancora nella narrazione della nuova tirannia che sta scendendo sulla città. 
Jonatludr, con il suo carattere disadattato e le sue capacità fuori dal comune, sarebbe un personaggio dannatamente interessante; ricostruire in dettaglio il suo passato ed il suo futuro, fino alla situazione di prigioniero del Libro degli Elementi in cui lo si ritrova nella quinta serie di W.I.T.C.H., sarebbe una sfida formidabile per me. Purtroppo, temo che non ci siano folle oceaniche che spasimano di saperne di più su questo personaggio. 

Questo capitolo è ambientato il giorno successivo alla disgraziata dimostrazione di Phobos e al sinistro presagio di Frordal. Qui faremo la conoscenza di Lord Thetras, il saggio a cui si riferisce il titolo: un dignitario di altissimo rango in cui Adariel ripone tutta la sua fiducia . Questo personaggio, brevemente citato anche in Profezie come deposto capo del Consiglio dei Veglianti, è apparso brevemente nel numero speciale di W.I.T.C.H.: Elyon, ritorno da regina. Non aspettatevi un Adone: è un omino verdastro con le orecchie a punta e un barbone che nel fumetto è bianco, ma che in questa storia, ambientata dodici anni prima, immagino essere ancora color grigio ferro.
Invece la città di Akhghanor, l'Oceano Tetidico e il conte Arubek sono effimere creature tutte mie.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 8

L’esilio del saggio


 


“Altezza, io ho dedicato la vita a garantirvi la sincerità dei vostri sottoposti. Io amo la verità, la giustizia, il dovere. Ma, che gli Dei mi perdonino, non sono un eroe”

Lord Thetras


Meridian, appartamento della regina, il giorno dopo

“Come, trasferito oltreoceano?!?” grida incredula la Regina. “Lord Thetras? Il supervisore supremo dei prefetti?!?”.
“E’ così, Altezza” risponde imbarazzato il comandante Alborn, sull’attenti nell’anticamera. “Già da ieri mattina”.
“Ma è assurdo! Io non ne sapevo niente!”. E’ stupita, disorientata, indignata: Lord Thetras è, o era, il suo collaboratore di rango più alto, quello in cui ripone più fiducia nel valutare la situazione di tutto il Metamondo. “Fatelo tornare, comandante! Lo voglio qui subito! Immediatamente!”.
“Agli ordini”, risponde Alborn irrigidito; dopo un saluto impeccabile, esce dall’appartamento per poi svanire alla vista sulla piastra di teletrasporto del pianerottolo.
Adariel riprende il fiato, cercando di riguadagnare il suo contegno davanti agli occhi costernati dell’ancella. Qualunque sia la ragione di tutto ciò, deve prepararsi per accogliere il suo fidato consigliere come merita.
 

Porto di Akhghanor

Dopo una notte di pioggia, il sole limpido del mattino risplende sui moli di Akhghanor.
Uomini nerboruti dalla pelle azzurrina lavorano per scaricare due mercantili, mentre il vento tenta di agitare le vele ammainate e porta folate cariche di goccioline salate fin alla via. Tre pescherecci dalla vela quadrata e dipinta con sagome di animali stanno uscendo in mare, sfidando le onde ancora più alte del normale.
Mentre cammina lungo la strada del porto, Lord Thetras guarda con rassegnato interesse  tutte quelle attività a lui così poco famigliari, e quel bell’orizzonte blu carico rigato di bianco.
Può darsi che mi troverò bene anche qui, pensa accarezzandosi la lunga barba grigia con le mani verdastre. In fondo, non tutti i mali vengono per nuocere.
Imbocca l’ ampio viale principale che sale verso il palazzo del Conte di Akhghanor, osservando la gente affaccendata. Una delle occupazioni più ricorrenti sembra essere il portare merci su e giù per la via, con gerle di vimini appese alla schiena, oppure con barelle dalle lunghe aste appoggiate alle spalle di due portatori. Su queste strade in pendio, carretti e ruote sembrano non godere di alcuna popolarità.
A differenza di Meridian, la gente di questa città sembra più omogenea come fattezze e colorito, e tutta caratterizzata da una precoce calvizie, comprese le donne.
Ecco una ragione per sentirmi a mio agio, pensa passandosi una mano sulla fronte lucida, così ampia da sfumare impercettibilmente nella nuca prima di incontrare, molto indietro, una cornice di capelli sbiaditi.
Anche gli edifici sono diversi da quelli di Meridian: hanno un aspetto più ordinato, con finestre allineate tutte uguali e facciate lineari intonacate di bianco e azzurro, continuamente ritoccate per contrastare l’erosione dell’aria salmastra.
Qui sembra non valere l’estetica del ‘diverso è bello’ dalle evidenti connotazioni ideologiche che vige nella capitale.
Lungo le vie trasversali, dove si tengono dei mercatini, sente il suono di una lingua diversa, ma il suo potere telepatico è in grado di superare ogni barriera linguistica, e si immerge brevemente nelle contrattazioni dei commercianti e delle massaie. In fondo, nonostante qualche differenza esteriore, i pensieri e le attività della gente si assomigliano in ogni luogo che ha conosciuto.

Alla fine, la via è dominata dalla facciata del palazzo del Conte, dall’ingresso ornato da vistosi e variopinti motivi geometrici e sorvegliato da guardie dalla divisa cremisi e dorata.
Un bello scorcio, deve ammettere Thetras, anche se non impressionante quanto l’altissimo palazzo di Meridian.
Guarda a lungo quella facciata rifinita con cura, immersa nella nitida luce del mattino, e comincia a pensare che forse ora troverà il tempo di dipingere paesaggi.
In fondo, si ripete per l’ennesima volta, questo nuovo incarico potrebbe anche rivelarsi soddisfacente…
Non è il caso di bussare alla porta come un qualunque postulante: lui è pur sempre il prefetto di Meridian, e il rappresentante della Corona deve fare un ingresso degno del suo rango.
Apre la mano, materializzando un sigillo romboidale di metallo smaltato. Non è solo una credenziale: è la chiave di tutte le porte.
Tra lo stupore dei passanti, il forestiero dalla barba grigia scompare in un tremolio.

Un attimo dopo, attorno a lui prende forma l’atrio del palazzo: ampio e luminoso, con le pareti ornate da affreschi marinareschi e contornate da bronzee statue di creature marine.
Da dietro le sue spalle, una voce baritonale lo saluta nella lingua di Meridian colorata da un forte accento locale: “Ben venuto, Lord Thetras. La vostra puntualità spacca il minuto”.
Voltandosi, si trova davanti al Conte: un uomo alto, dalla pelle azzurrina e dall’ampia testa accuratamente calva, contornata da corte treccine ritorte. Qualche passo dietro di lui, due guardie dall’uniforme lustra ed un valletto fanno tappezzeria.
“Caro Conte Arubek…”, saluta, facendosi sparire il sigillo nel palmo.
L’uomo si fa avanti nella sua elegante divisa cremisi, stringendogli la mano. “Ben tornato nella mia dimora”.
“Grazie, Conte. Ho girato un po’ per la vostra bella città, stamattina. Nelle occasioni precedenti, mi ero sempre teletrasferito direttamente qui a palazzo”.
“E ora sarete di casa qui. Ci vedremo spesso, d’ora in poi, come con il vostro predecessore”.

Da una porta entra una donna alta, elegantemente vestita in un giallo che fa risaltare la pelle azzurrina e la pelata lucente. “Ben venuto, Lord Thetras”, proferisce in un buon meridiano.
“Bentrovata, Contessa”. Si china eseguendo un galante baciamano.
“Grazie. Come vi siete trovato con la casa e la servitù che vi abbiamo messo a disposizione?”.
“Molto bene, grazie. La vista è molto bella. Ah, mia moglie Katrinor mi raggiungerà entro pochi giorni”.
“Resterete a pranzo con noi, vero?”, lo invita il Conte, “Mangeremo tra un’ora e mezzo”.
“Un’ora e mezzo…”, ripete incerto Thetras, che ha fatto colazione poco prima, “Sapete, sono ancora disorientato per il cambiamento di fuso orario”.
“Ho già fatto preparare un pranzo con le specialità di pesce più rinomate”, insiste la signora, “Credo che non si trovi molto pesce fresco a Meridian”.
“Ha ragione. Accetto volentieri”, risponde sorridendo, poi materializza in mano una cartellina diplomatica. “Prima vorrei togliermi un pensiero: ho una richiesta da parte del Principe Phobos”.
Il Conte si acciglia: sa che Phobos non chiede, ma comanda. “Andiamo a parlarne nel mio studio”.

Poco dopo, i due uomini sono seduti ad un grande tavolo di marmo dalle screziature rossicce.
Thetras estrae un fascicolo scritto e vergato dal Principe, e lo porge al padrone di casa, stringendosi nelle spalle come per dissociarsi.
Il Conte inforca un paio di occhialini e scorre il documento, tornando più volte sulle righe già lette, mentre la sorpresa si disegna sul suo viso. Alla fine riassume: “Inviare tre legioni di trecento soldati a Meridian? Ma perché?”.
Thetras risponde, evasivo: “Il Principe Phobos avrà i suoi motivi, ma non me li ha spiegati”.
Il Conte lo osserva a lungo.
Thetras, a disagio, percepisce perfettamente gli interrogativi pensati dall’altro.
Perché è Phobos ad ordinare una cosa così importante, e non la Regina?
Chi comanda oggi a Meridian?
Perché Lord Thetras è stato trasferito qui, ad occupare il posto di uno che era un suo subordinato?
“Conte, so che meritereste risposte chiare per i vostri dubbi. Tenterò di soddisfarvi per quanto posso: la Regina è indebolita, e sta aspettando una nuova erede; di fatto, il Principe Phobos sta prendendo il suo posto… ed anche il mio. Ha deciso di avocare a sé il ruolo di supervisore supremo dei prefetti, ed io sono venuto qui a servire Meridian nell'incarico che Lui ha ritenuto il più adatto”. Distoglie lo sguardo: essere più esplicito significherebbe venire meno al suo ruolo di prefetto.
L’altro annuisce, grave. “Scusate la franchezza: sbaglio, o il Principe Phobos sta rafforzando le sue posizioni in vista di… come dire… di contrasti per la successione al trono?”.
Thetras sospira. “Purtroppo non so rispondervi: tra i miei poteri, non c’è quello della precognizione”.  Sa che è solo una mezza verità. Di recente la sua chiaroveggenza gli aveva echeggiato una profezia non sua: ‘Phobos diventerà un tiranno, crudele e odiatissimo. Morirà solo e braccato’.
Queste frasi lapidarie hanno segnato la fine della sua carriera non appena Phobos, guardandolo negli occhi, aveva capito che ne era a conoscenza. Ed ora eccolo lì, con l’intero Oceano Tetidico tra sé e la capitale.
Il Conte annuisce, pensoso. “Non mancherò di esaudire il comando del Principe. Però… dovrei far trasferire oltreoceano anche tutte le famiglie dei soldati? A Meridian esiste cibo e alloggio per tutta questa gente?”.
“I soldati per ora dovranno accamparsi in periferia. Le famiglie… E’ proprio necessario? Non potreste mandare giovani non sposati?”.
“Perdonate la franchezza, Prefetto: non credo che novecento giovani di qui avrebbero buone prospettive di trovare una compagnia nella capitale. La gente, lì, è troppo… varia, per i loro gusti”.
Thetras annuisce amaramente. “Capisco. L’ho sospettato subito, girando per le strade di qui. Il popolo di questa città ha un aspetto piuttosto omogeneo”.
“Ci sono anche sobborghi abitati da gente di aspetto diverso: verdi e curvi, o tozzi e dalla pelle marrone. Ma questo lo sapevate già, vero?”.
“Sì, il mio predecessore me l’aveva raccontato. A dire il vero, a Meridian c’è sempre stata un po’ di preoccupazione per questo. Abbiamo sempre considerato la gente dell’intero Metamondo come un unico popolo, anche se molto variegato. Il nostro peggiore incubo è che possa suddividersi in etnie, e che queste possano entrare in contrasto tra loro. Che questo possa aprire la strada ad un’era di divisioni e di guerre”.
“Me ne rendo conto”, annuisce il Conte scartabellando nervosamente il fascicolo. “D’altra parte, non potete impedire alle persone di scegliersi amici e coniugi con cui circondarsi. Il simile cerca il simile”.
“E’ un diritto” conviene Thetras, e tace pensieroso. Come sanno tutti e due, l’esempio più estremo di questo adagio sono proprio gli Escanor, che si sono sempre sposati in famiglia. Inoltre, anche il personale e le guardie di palazzo ricalcano un aspetto fisico che non è troppo diverso dal loro, colore della pelle a parte.
Però il merito è sempre riconosciuto: lui stesso non sarà bello, agli occhi della Regina, ma ciò non gli ha impedito di diventare Coordinatore Supremo dei Prefetti per via dei suoi meriti intellettuali e parapsichici; insomma, è ben più importante di un aitante ufficiale della guardia o di una cortigiana seducente.
Per decenni è stato lui stesso a consigliare la Regina sulla nomina dei Conti, non necessariamente ereditaria, sulla base delle sue percezioni su di loro e delle informazioni raccolte nelle loro stesse città guardando negli occhi i passanti. Anche il Conte Arubek ha dovuto la sua investitura al giudizio di Thetras, dodici anni prima.
E ora… Va beh, non si può sempre salire, pensa con amarezza.

Il Conte rompe il silenzio: “Posso farvi un’altra domanda franca, Lord Thetras?”.
“Certo. Però non vi posso promettere una risposta a parole, visto il mio ruolo”.
“Anche i silenzi possono essere una risposta. Ebbene: a parte i rimpianti per il vostro incarico precedente, non vi sentite sollevato di esservi allontanato dalla capitale, in questo momento?”.
Il prefetto non risponde, facendo finta di non capire la domanda.
Arubek  chiarisce: “Ora che… che il  clima sta iniziando a peggiorare, intendo”.
Thetras può rispondere solo con un sospiro. Un oceano non è bastato per fermare le voci.

D’improvviso, sbarra gli occhi mentre un pensiero risuona forte nella sua testa: ‘Lord Thetras, siete convocato con urgenza al cospetto della Luce di Meridian, a palazzo. Vi è stata messa a disposizione una linea prioritaria di teletrasporto. Vogliate confermarci la disponibilità a partire’.
‘Sono pronto’, conferma preoccupato allo sconosciuto telepate.
Anche il Conte, accanto a lui, ha percepito la comunicazione. “Allora, temo di avere parlato troppo presto. Buona fortuna, Lord Thetras”.
 

Meridian, palazzo reale

Seimila chilometri passano in pochi secondi. Le tappe intermedie si sono succedute davanti ai suoi occhi come una serie di immagini troppo rapide per lasciare più di un’impressione: atri di palazzi lussuosi, ponti di navi mercantili, austere caserme su isole sperdute o su altipiani nevosi.
L’ultima immagine si stabilizza; è il pianerottolo davanti all’appartamento della Luce di Meridian.
Dalla porta aperta, l’ancella Lidrienel gli sorride: “Ben arrivato, Lord Thetras. Sua Altezza vi attende”.

All’interno dell’anticamera, la Regina Adariel lo accoglie cordiale, alzandosi un po’ a fatica dal divano. “Grazie di essere venuto, carissimo Lord Thetras”.
Lui si avvicina, premuroso: “Dovere, Altezza. Non fate sforzi, vi prego. Come va la vostra gravidanza?”.
Lei sorride intenerita. “Bel pancione, vero?”.
Thetras annuisce con cortesia, sedendosi sulla poltrona. Per qualche motivo, quel ventre gonfio sotto il vestito da puerpera non gli desta quell’emozione che ogni nuova vita gli ha sempre suscitato prima d’ora. “E Voi, Altezza? Non vi abbiamo visto spesso, negli ultimi mesi”.
“Vero”, ammette lei con rammarico, “Vi sto abituando all’idea di fare a meno di me”. Poi si rabbuia un istante.
Thetras percepisce le parole non pronunciate: ‘Ma forse qualcuno si sta abituando fin troppo rapidamente’. Non serve sforzarsi per capire a chi sta pensando.
“Vostra Altezza era già al corrente del mio… cambio di incarico?”.
“No!”, sbotta lei, “L’ho saputo un’ora fa, quando ho chiesto di voi. Volevo i vostri lumi per fare il punto della situazione”.
“Sono onorato, Altezza!”.
“Vi prego, siate sincero. Ogni volta che guardo verso la città dal balcone vengo investita da pensieri scontenti e frustrati, ma nessuno mi dice niente. Qual è la situazione, in realtà?”.
Thetras si chiede se sia davvero il caso di crucciarla con un’analisi obiettiva, visto quanto i poteri di lei sembrano essersi ridotti.
“Altezza, c’è inquietudine per la vostra sorte, e per l’erede che portate in grembo. Manca molto la vostra opera di guaritrice, e rimpiangono tutta l’attenzione che avete sempre dedicato a chiunque la richiedesse”. Poi preferisce dire l’asciutta e completa verità. “Ma non c’è solo questo”. Prende fiato, cercando le parole. “Di recente ci sono dei motivi di scontento. Per esempio, il ridursi delle distribuzioni di acqua magica, diradate ad una ogni cinquanta giorni. Questo crea difficoltà soprattutto a maghi e guaritori, ed a tutti quelli che hanno bisogno del loro aiuto”.
“E magari è stato detto loro che è colpa delle mie cure, vero?”.
“Proprio così, Altezza”.
“E ci hanno creduto?”.
“Qualcuno sì, qualcuno no.  Non è facile ingannare la gente di Meridian: telepatia, chiaroveggenza e soprattutto intelligenza non sono poi così rari”.
La regina si rabbuia. “In realtà, sono a corto anch’io di questa risorsa”. Si morde il labbro. “Sapeste quanto male mi fa che qualcuno possa darne la colpa a me!”.
“Non sono molti, Altezza, né i più consapevoli. E poi, è di pubblico dominio che, da mesi, solo il principe Phobos utilizza il giardino. Da allora la vegetazione è diventata assai più luminescente, e gli alberi sono cresciuti a velocità innaturale. Di notte gli spazi tra le torri si vedono rilucere a grande distanza. Così, molti ritengono che parte dell’acqua magica sia usata per irrigare il giardino”.
“Non lo avrei mai permesso!”, si cruccia lei mordendosi il labbro. E’ più umiliante lasciar credere che lei ha una parte in questo spreco, o far capire che la sua influenza si riduce di giorno in giorno?
Guardando Lord Thetras, percepisce che esita a continuare. “Vi prego, non nascondetemi nulla!”.
Il dignitario annuisce cupamente, e riprende: “Altezza, c’è ancora di peggio. In città si stanno formando delle correnti di opinione, quasi delle fazioni. La tensione tra Voi ed il Principe Phobos è ormai di pubblico dominio. Molti Vi sono favorevoli, ed attribuiscono la responsabilità di certe cose a Phobos”. Prende fiato. “Altri, invece, credono che la scarsità di energia magica sia davvero causa Vostra e delle Vostre cure, e si augura… come dire… che Voi raggiungiate presto le Regine che Vi hanno preceduta”.
Per Adariel è una stilettata. “Ero preparata a questo”, mente con un groppo alla gola.
“Poi c’è una terza fazione, ostile ad entrambi”. Vedendo la smorfia sorpresa della Regina, Thetras si affretta ad aggiungere: “Certo, vi riconoscono la Vostra passata dedizione, il Vostro amore per la gente… però Vi rimproverano di non… come dite… dopo constatato che nessuna delle figlie che avete avuto con il defunto Principe Consorte è vissuta… insomma, di non aver scelto un chiunque altro come padre”. Prosegue, ignorando il viso ferito della Regina. “Naturalmente, quelli che dicono così sono convinti che anche la Vostra prossima figlia, come dire…”.
“Morirà”, completa Adariel con un sibilo.
“In altre parole, Vi rimproverano di averli consegnati nelle mani di Phobos”.
“Consegnati!?!”. Per un attimo i suoi occhi brillano di indignazione, poi si abbassano. “Purtroppo è vero”. Resta a lungo silenziosa, poi chiede: “Quindi esiste già un risentimento diffuso verso di lui. E’ a causa dell’acqua magica?”.
“Non solo. Corre voce di una Vostra profezia, Altezza. Una profezia sinistra…”.
Lei trasale. “Come fanno a saperlo?”. Che ne abbia parlato in giro Galgheita, si chiede?
Allora è vera, ne conclude lui. Allarga le mani: “Meridian è Meridian, Altezza. La telepatia e la chiaroveggenza non sono rare. Però, per ora sono queste solo voci tra le tante”.
“E dovranno restare così il più a lungo possibile”, auspica decisa la Regina, “Divulgare questa profezia può solo anticipare il suo stesso inizio”.
Thetras annuisce. “Immagino che il mio collega dei servizi segreti, Lord Luksas, facesse non poca fatica per mantenere la riservatezza su certe operazioni”.
Lei annuisce. “Infatti, quasi nessuno conosceva il suo ruolo… o almeno lo spero. Sarà il prossimo con cui parlerò”.
Una nuova ombra passa sul viso di Thetras. “Dunque non sapete neppure questo?”.
“Cosa dovrei sapere?”, si allarma lei.
“Il comandante Luksas è fuggito già un mese fa”.
E’ l’ennesima mazzata per lei. “Fug…gito? Perché? Dove?”.
Thetras si stringe nelle spalle. “Non posso saperlo. Mentirei, se dicessi di essere stato in confidenza con lui. Il mio incarico è fare chiarezza, il suo era custodire segreti… sempre nell’interesse del Regno, beninteso”.
“E non mi hanno…”. Scuote il viso: può dare la colpa solo al suo essersi isolata da sola. “Avete qualche ipotesi su come sia andata?”.
“Se dovessi tirare ad indovinare, penserei che sia caduto in disgrazia presso il Principe Phobos, un po’ come è successo a me. Ma Luksas sapeva troppi segreti, ed ha temuto per sé. Al suo posto sarei fuggito sulla Terra: lì non troverà nessun telepate che possa smascherare la sua copertura, qualunque essa sia”.
Adariel tamburella nervosamente le dita su un bracciolo. “E chi ha preso il suo posto?”.
“Lord Cedric”.
Lei ha un guizzo di sollievo. “Cedric? Lo conosco bene, è un amico. Ma da quand’è che è Lord?”.
“Da quando ha avuto questo incarico”.
Adariel ci riflette, adombrandosi di nuovo: se Cedric ha la completa fiducia di Phobos, probabilmente lei non può più concedergli la sua. “Thetras, ho bisogno di voi. Se dovessi convocare Cedric… Lord Cedric a rapporto, vorreste essere presente anche voi?”. Vedendo l’espressione dell’ispettore farsi imbarazzata, si affretta ad aggiungere: “Giusto per aiutarmi a valutare quanto mi posso ancora fidare di lui…”. Abbassa lo sguardo, rammaricata. “Lo avete già capito: i miei poteri ormai sono poca cosa”.
Thetras esita a lungo. “Altezza, io ho dedicato la vita a garantirvi la sincerità dei vostri sottoposti. Io amo la verità, la giustizia, il dovere. Ma, che gli Dei mi perdonino, non sono un eroe. Sono già stato allontanato da Phobos. Se dovessi sfidarlo leggendo il pensiero al suo uomo di fiducia, poi non ci sarebbe oceano in mezzo che possa salvarmi da una sua vendetta”. Abbassa il viso contrito. “Vi prego di perdonarmi, se potete”.
Adariel abbassa il viso a sua volta. “Perdonatemi voi. Non ho pensato subito al pericolo a cui vi avrei esposto”.
Dopo un po’, la Regina torna a rompere il silenzio. “Avrei tante cose da chiedervi, e non me ne viene in mente neanche una...”. Alza gli occhi. “Speravo di avere la vostra compagnia per pranzo, ma, se la vostra intuizione è giusta, è meglio che torniate subito ad Akhghanor”.
“Grazie, Altezza”, risponde sollevato il prefetto.
Lei scorre con gli occhi i quadri appesi alla parete. Un suo ritratto, dalla cornice, ricambia il suo sguardo con un sorriso sereno che non le appartiene più. “Permettetemi di lasciarvi un ricordo. Lidrienel, dove sei?”.
L’ancella fa capolino da una stanzetta tappezzata di romanzetti rosa. “Altezza…”.
“Vuoi tirare giù quel ritratto e consegnarlo a Lord Thetras, per piacere?”.
“Subitissimo!”; la ragazza esegue immediatamente l’ordine, porgendo il dono all’ospite. “Prego!”.
L’uomo lo afferra, esitante. “Maestà, sono commosso...”.
“Anche io, Lord Thetras. La vostra saggezza è stata un riferimento per me. Mi mancherete tanto”.
“Allora è un addio?”.
“Temo di sì. Riguardatevi, amico mio. Tra molti anni, Meridian tornerà ad avere bisogno di voi”.

Dopo il congedo da Lord Thetras, Adariel si ritira turbata in camera a riflettere, augurandosi che Lidrienel resti incollata al suo nuovo romanzetto ancora per un po’.
La città attorno a lei sta cambiando, ma lei se ne è allontanata, chiusa nel suo appartamento come al di fuori dello spazio e del tempo. Quasi si meraviglia di quella sua scelta: eppure, non è che stia così male da non poter uscire di lì. Però, solo il giorno prima lei ha vergato un appunto sul suo quadernetto, nel quale si raccomanda di non prendere decisioni prima di aver svolto un elenco di incontri. Ma che cosa sta nascondendo a sé stessa?
Ciò che la ha più ferita è stata la rivelazione del rimprovero di aver consegnato Meridian a Phobos. Perché è vero.
Anche senza la sciagurata profezia della tirannide di tre anni prima, era stato ovvio da sempre che un principe maschio non potesse essere un erede accettabile per il Trono di Luce.

Già quarant’ anni prima, alla morte prematura della sua prima Elyon, suo marito Adleric le aveva fatto capire, prima con allusioni vaghe e discrete, poi sempre più a chiare lettere, come lei avrebbe potuto evitare quella maledizione, dovuta a troppe unioni tra consanguinei: dei figli concepiti con un uomo terrestre avrebbero avuto, agli occhi dei Meridiani, lo stesso aspetto degli Escanor. Anche se qualcuno avesse intuito la verità, si sarebbe ben guardato dal divulgarlo. E poi, lo stesso capostipite Escanor era terrestre, o no?
In verità, le figlie di una donna di stirpe reale con un terrestre avrebbero avuto poteri dimezzati, ma pur sempre trasmissibili agli eredi. Molto meglio, comunque, che un maschio.
Lei si rassegnò alle parole di Adleric: era il suo dovere di Regina.
Alla prova dei fatti, però, lo fece in modo così poco convinto da andare incontro ad una serie di fallimenti umilianti.
Prima si sforzò di conoscere qualche terrestre, fingendosi la nuova commessa della libreria Ye Olde Bookshop, ma si rese presto conto che questo avrebbe richiesto troppo tempo: il giro di clienti di quel negozio, già retrò negli anni ’40, era troppo scarso.
Allora tentò un’altra strategia: facendosi forza, cominciò a frequentare i locali in cui si ritrovavano i marinai dell’ U.S. Navy in libera uscita: l’ideale per una relazione rapida e non impegnativa. Le sembrò che il successo stesse per arriderle al secondo tentativo, quando attirò l’attenzione di un bel giovanotto, alto e biondo nella sua divisa da marinaio, che poteva ricordare l’aspetto fisico di Adleric. Quella era la prima volta che trovò desiderabile un terrestre. Quando cominciarono a parlare, però, presto il discorso cadde sulla sua vita in marina, e lui raccontò orgogliosamente che nell’ultima missione di scorta ad un convoglio nell’Atlantico, il suo cacciatorpediniere aveva affondato un U-boot tedesco, prima danneggiandolo a cannonate, e poi speronandolo. L’orrore di tutti quegli uomini morti in una bara di acciaio la raggelò; lui, notando il suo turbamento, continuò a insistere che erano solo ‘nazi’, guadagnandosi sempre più il suo disgusto; alla fine il bel marinaio si offese, recriminando che non si disprezza così chi mette in pericolo la sua vita per la patria, insinuando ad alta voce davanti a tutti che lei, con quell’accento insolito, potesse essere un agente nazista o comunista.
Riavutasi da questo scontro traumatico grazie agli incoraggiamenti di suo marito, Adariel fece altri tentativi, ed una volta arrivò davvero fino alla camera da letto di un uomo. Poi questo tipo disse qualcosa su sua moglie in vacanza che non avrebbe mai dovuto saperlo, e lei non poté fare a meno di paragonare quell’uomo mediocre al suo Adleric. Al momento di svestirsi, si bloccò e cominciò a singhiozzare, senza dire più una parola. Alle insistenze dell’uomo, si vergognò tanto che sparì, senza neppure un tentativo di celare il teletrasporto.
Tutte le volte, nell’intimità del loro appartamento, Adleric la stringeva e la consolava, ripetendo che lei avrebbe dovuto riprovarci per il bene di Meridian.
Le ricordava che anche lui si prendeva delle libertà, andando a cercare rapporti galanti con belle ragazze terrestri, e quindi neanche lei avrebbe dovuto sentirsi in colpa: dare una erede a Meridian era il suo sacrosanto dovere.
Adariel, a parole, gli dava ragione. Non era certo incline ad un sentimento mediocre come la gelosia: è tipico di chi non si sente all’altezza del suo compagno, e lei, la Luce di Meridian, era l’unica adatta ad Adleric. Non che le donne terrestri non potessero essere anche più belle, spiritose, gradevoli di lei. Non dubitava che potessero dare grandi soddisfazioni, sul momento. Ma più grande la soddisfazione, più amara la sua fine: la loro giovinezza si bruciava in un pugno dei loro brevi anni, e non avrebbero potuto instaurare un legame duraturo con Adleric, il cui aspetto era rimasto immutato da più di duecento anni meridiani a quella parte. Inoltre, lui non avrebbe mai potuto rivelare loro chi fosse realmente, e da dove venisse. Per un uomo sensibile come Adleric, affezionarsi ad una terrestre era, più che altro, un modo per farsi del male.
E così, più di una volta Adariel aveva dovuto consolare, come una mamma comprensiva, suo marito che piangeva per aver dovuto lasciare un’altra donna.
 

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Capitolo 9
*** Doppio inganno ***


9-doppio inganno  
 
Ad personam:
Cara Silen, cara Atlantis Lux, vi ringrazio moltissimo per il vostro incoraggiamento, sul quale conto sempre.  
Attraverso la lucidità del personaggio di Lord Thetras sono stati raccontati molti aspetti importanti sia per descrivere la normale situazione del metamondo, sia la sua degenerazione nel corso dei mesi passati dall'inizio di questa storia. 
Come abbiamo visto in W.I.T.C.H. e anche in Profezie, Lord Luksas sopravviverà a Phobos sia fisicamente che politicamente, ma è un'eccezione; la norma, a Meridian, è che ciascuna regina sepellisca diverse generazioni di uomini politici grazie alla sua longevità.
Adariel è una persona emotiva, lo vedremo anche questa volta; purtroppo, spesso le sue buone intenzioni hanno un rovescio della medaglia per altri personaggi.
Rispondo anche ad un'obiezione di Solitaire fattami per lettera privata: sia Adariel che Phobos attribuiscono la maggior potenza magica delle donne Escanor rispetto ai maschi della stessa stirpe alla presenza di due cromosomi X; evidentemente ignorano che, nello sviluppo dei feti femminili, uno a caso dei due cromosomi  X viene inattivato per non avere un'espressione raddoppiata di certi geni. Abbiate pazienza con loro: non sono biologi professionisti, e le loro interpretazioni sono date a posteriori per tentare di spiegare, attraverso la scienza terrestre, una situazione che a Meridian è nota empiricamente da millenni.
Il personaggio che viene introdotto alla grande in questa puntata è Lord Cedric, che finora avevamo incontrato solo di sfuggita nella libreria di Heatherfield. E' il primo antagonista delle W.I.T.C.H. nel fumetto, dove lo vediamo alternarsi tra la accattivante forma umana e quella di un gigantesco uomo-serpente, che assume nei combattimenti. Attraverso i ricordi di maestra Galgheita, cercherò di spiegare il mio punto di vista sull'inizio della sua storia.
Nel frattempo il quinto giorno dell'ottavo mese, previsto dalla sciagurata visione di Frordal, si sta inesorabilmente avvicinando.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 9

Doppio inganno


L’esserino innocente fu affidato alla pietà di un orfanotrofio in un paese vicino e, anni dopo, avrebbe fatto parlare nuovamente di sé.

Maestra Galgheita


Meridian, appartamento della regina, il giorno dopo

Un timido sprazzo di sole da sud-est si fa strada tra i nembi e rischiara il cielo della capitale.
‘Buon segno’, pensa Lidrienel mentre aiuta la Luce di Meridian ad indossare un bel vestito di broccato per ricevere l’ospite. Dopo la serata passata a rimuginare pensieri amari, la sua Regina sembra essersi alzata di umore un po’ migliore. “Lord Cedric è un gran bell’uomo, non è vero, Altezza?”.
Adariel sorride indulgente, osservando come cade il vestito sul suo grembo ingrossato. “Quello che conosci non è il suo vero aspetto, Lidri. Le ragioni per cui mi è caro sono altre, e spero tanto di potergli lasciare ancora la mia fiducia”.
L’ancella alza un sopracciglio, perplessa, mentre si china ad abbottonare il vestito: di solito, alterare il proprio aspetto fino a rendersi irriconoscibile è severamente vietato. “Sono ragioni che si possono raccontare?”, chiede curiosa.
Adariel si guarda allo specchio. “Per me non sarebbe un segreto, ma forse per lui sì. Anzi, credo che lui stesso non sappia tutto del suo passato”.
Il viso di Lidrienel si tinge sempre più di curiosità. “Oh, Altezza, raccontatemi, vi prego! Sarò discreta come lo siete stata voi”.
‘Come promessa, non promette bene’, considera Adariel prima di aggiungere: “Cedric, per me, è un simbolo di come una vittima di pregiudizi ingiusti possa riscattarsi e dimostrare quello che vale realmente”. Si volta verso la porta della sua camera. “Vero, Maestra Galgheita?”.

Da dentro la camera, Galgheita le risponde: “E’ vero, maestà”, mentre rigenera le sue forze immergendo mani e polsi in una bacinella di acqua magica. Lei ricorda bene l’inizio di quella storia tragica, anche se preferisce non darlo in pasto alla curiosità di Lidrienel. E’ un discorso difficile e penoso: non un segreto, ma un qualcosa di sepolto di cui non parla volentieri.

Lei ricorda bene Sofros, un potente mago dalle molteplici abilità che abitava nel quartiere di Trasclovkir, non lontano da casa sua, fino a ventotto anni fa.
Nella grande eterogeneità di aspetti che gli abitanti di Meridian possono sfoggiare, lui era un caso estremo: con le zampe corte e la coda lunga, il suo aspetto richiamava più che mai un rettile.
Lei lo sa bene, nascere così riserva delle frustrazioni in un mondo dove la maggior parte degli abitanti non ha la coda, o ne ha solo un abbozzo che non impedisce di nasconderla sotto i vestiti né di camminare eretti.
Da questo punto di vista, deve ammettere, la gente di Meridian è molto tollerante con i diversi tra i diversi, ma resta il fatto che, anche se nessuno ti rimprovera, è considerato comunque come un qualcosa di negativo. Si nota leggendo negli sguardi, nei toni della voce più ancora che nei pensieri, o in quelle porte della vita che non ti vengono mai aperte.
Un giorno, Sofros si mise in viaggio. Sapeva di un villaggio lontano in cui si raccoglievano persone come lui. Forse voleva trasferirsi lì alla ricerca di una moglie o di amicizie, anche rinunciando alle razioni di acqua magica della capitale.
Strada facendo, però, passò per un altro villaggio, che invece era abitato solo da dei senza coda, e chiese di alloggiare in una locanda per quella notte. Ciò che accadde fa vergogna anche solo a pensarci: i locandieri lo scacciarono come un essere immondo, e nessuno nel paese gli offrì il minimo dell’aiuto che qualunque viandante si può aspettare, ma piuttosto lo derisero e lo insultarono.
La vendetta di Sofros fu di una perfidia incredibile: il giorno dopo si ripresentò alla locanda trasformato in un bellissimo uomo senza coda grazie ai suoi poteri, e cominciò a corteggiare la figlia dei locandieri, una ragazza che, la sera prima, si era distinta per la sua crudeltà nello scacciarlo e ingiuriarlo. La sedusse, e poi la lasciò dopo averla ingravidata.
La crudeltà di questa vendetta fu pienamente evidente solo undici mesi dopo, quando ne nacque un esserino ancora più deforme del padre: era quasi umano fino al tronco, ma al disotto era privo di gambe, ed il suo corpo finiva allungato in una coda come da serpente. Il povero piccolo fu subito rifiutato dalla famiglia, e tenuto solo per essere esibito come prova dal locandiere quando costui andò a chiedere giustizia nella capitale.
Poiché non era mai stato denunciato un fatto così grave, la Luce di Meridian incaricò Lord Luksas, allora già direttore dei Servizi Segreti, di fare chiarezza sul caso.
In breve Sofros fu individuato e catturato, nonostante i suoi tenaci tentativi di sfuggire usando anche magie sofisticate. A Lord Luksas non servì un interrogatorio, gli bastò un’occhiata per essere certo di ogni dettaglio della vicenda: l'accusato era colpevole di uso perfido di pratiche magiche, un delitto più grave anche dell’omicidio. Infatti nel Metamondo, per quanto violento possa essere un crimine, un semplice bruto può essere rieducato o almeno controllato forzando la sua mente con la suggestione post-ipnotica, Per i criminali con forti poteri mentali, invece, questa possibilità non esiste, o comunque non dà affidamento. Perciò, un mago può essere solo buono o cattivo e, per la sicurezza di tutti, i maghi cattivi non devono esistere.
La regina stessa avvallò la immediata condanna a morte, e volle venire sul luogo ad officiare di persona il rito che avrebbe cancellato lo spirito di Sofros e ogni maledizione che lui avesse potuto lanciare prima dell’esecuzione.
Ma le colpe non erano solo del mago. Le responsabilità degli abitanti dell’intero villaggio nel deridere e rifiutare un viandante a causa del suo aspetto sgradito erano pesanti: razzismo e incitamento all’odio. Un comportamento vietatissimo, un delitto che minava alla base la disomogenea società del Metamondo.
Con una durezza che sorprese molti, la Regina condannò i locandieri e la puerpera che aveva rifiutato il figlio alla deportazione in qualche lontana cava di pietra, a servire il rancio ai forzati. All’inizio, in preda allo sdegno, voleva infliggere una punizione esemplare all’intero villaggio, a pubblico monito per chiunque osasse deridere qualcuno per il suo aspetto, ma poi Lord Luksas la convinse che sarebbe stato meglio lasciar dimenticare quell’orribile avvenimento per non turbare ulteriormente gli animi.
La Luce di Meridian, allora, dispose che tutti gli altri abitanti fossero rieducati con l’ipnosi, e poi suggestionati a lasciar il luogo natio disperdendosi in paesi lontani in una parvenza di libera scelta, perseguitati dal rimorso.
Il nome stesso del villaggio maledetto fu cambiato e, al giorno d’oggi, forse nessuno dei suoi abitanti attuali sa di che eventi vergognosi fu teatro.
L’esserino innocente fu affidato alla pietà di un orfanotrofio in un paese vicino e, anni dopo, avrebbe fatto parlare nuovamente di sé.
 

Mezz’ora dopo

“Maestà, sono onorato della vostra convocazione”. Quando l’uomo si china rispettosamente, due lunghissime ciocche di capelli biondi gli pendono sui lati del viso.
“Cedric, ci tenevo a vederti” gli sorride la regina, alzandosi a fatica dal divano. “Ma fammi un piacere: fatti sparire dal viso questa mascherina rossa, così formale… Siamo tra amici, vero?”.
Lui le sorride, mentre la sua pelle attorno agli occhi perde la netta tonalità vermiglia che rende palese la sua estraneità alla famiglia reale.  “Grazie per la vostra considerazione. La vostra confidenza mi onora”.
Lei gli sorride. “Se noi reali non dovessimo avere amici, staremmo peggio del più umile dei nostri servi”. Tornando a sedersi, aggiunge: “A proposito… ho saputo della tua promozione. Complimenti… Capo dei servizi segreti! E il titolo di Lord!”.
“Vi sarei grato che continuaste a chiamarmi semplicemente Cedric, Altezza”.
“Ma certo!”.
“E la vostra gravidanza?”, chiede doverosamente.
“Ecco qui” risponde orgogliosa indicando il pancione. “Aspetto di sentire calcetti sullo stomaco da una settimana all’altra”. Poi, quasi scherzosa: “Mi stavo chiedendo come passaste il tempo ad Heatherfield senza di me”.
“E’ Miriadel che tiene aperta la vecchia libreria. Continua a raccogliere pubblicazioni scientifiche sugli argomenti di vostro interesse. Volete che ve le faccia portare?”.
“Magari, anche se ormai serviranno a poco… Sarò felice di salutarla, anche se mi sono così abituata al suo aspetto terrestre che non sono sicura di riconoscerla al naturale”. Poi, più seria: “Ma cos’è successo a Lord Luksas?”.
Cedric fa un’espressione sinceramente dubbiosa. “E’ scomparso da un giorno all’altro, fuggito. Non ho idea dei motivi, ma il principe Phobos mi ha ordinato di rintracciarlo e riportarlo indietro, ovunque sia”.
Adariel scuote il viso, incredula. “Non ne sapevo niente”.
“Vostro figlio, il Principe Phobos, ha certamente le risposte alle vostre domande”.
“Purtroppo c’è stata qualche incomprensione”, spiega lei adombrandosi. “Ma torniamo a Lord Luksas. Considerate così importante riportarlo qui?”
“Sì. Temiamo che possa mettersi a capo di qualche insurrezione”.
La regna sembra aver ricevuto uno schiaffo. “Insurrezioni? Qui a Meridian?”.
“Non possiamo escluderlo. Comunque noi lo impediremo, potete fidarvi di me!”. Lo dice guardandola negli occhi, come per infonderle fiducia. “Però, se questa situazione dovesse protrarsi…”.
“Quale situazione?”, chiede impressionata Adariel.
Cedric sceglie accuratamente le parole. “Voi sapete che il principe Phobos gode di stime e simpatie sia tra la popolazione, sia a corte”.
Lei annuisce, accigliandosi. Il movimento ritmico di un piede sottolinea il suo nervosismo.
Lui continua: “Però si sta diffondendo la voce che Voi gli siate ostile”.
IO gli sarei ostile?”, si indigna Adariel. “Ha dato alle mie cure la colpa di aver prosciugato un terzo dell’acqua magica di Meridian! Mi ha letto il pensiero contro la mia volontà! Mi ha accusata ingiustamente di avergli sabotato una dimostrazione, e non si è ancora scusato! Sostituisce i funzionari più importanti senza dirmi nulla! E sarei io, quella ostile?”.
Cedric mette le mani avanti. “Altezza, non sto criticando le vostre ragioni. Però le vostre parole sono una conferma di quanto ho detto”. Poi, di nuovo confidenziale: “Capisco benissimo che questo stato di cose vi faccia soffrire molto”.
Adariel si rabbuia ancora di più, deglutisce a fatica, poi annuisce piano.
Anche lui annuisce, comprensivo, e guarda intensamente negli occhi la regina, sporgendosi in avanti dalla sua poltrona. “Non vorreste cercare un modo di uscire da questa situazione di stallo?”.
“Uscire…” ripete Adariel, senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi.
Cedric si fa avanti sempre più. “Non vorreste passare questi ultimi mesi circondata dall’affetto del vostro popolo e di vostro figlio?”.
Anche lei si sporge lentamente in avanti, come incantata. Le sue palpebre non battono più. “…L’affetto di mio figlio…”.
“Vostro figlio vi ama sempre. Ma voi dovete affidarvi ai consigli di un amico per non rovinare tutto questo”.
“…Un amico…”.
“Vi basta poco. La serenità è vicina a voi. La serenità è a portata di mano”. Porge lentamente la mano verso di lei.
“…A portata di mano…”, ripete con voce vuota, allungando la mano lentamente verso quella di Cedric.

Il momento magico viene interrotto da Lidrienel, che entra allegramente con un vassoio di bibite: “Altezza, Lord Cedric, ecco qualcosa di buono per voi!”.
Lui si tira indietro, scoccandole un’occhiata minacciosa.
Adariel resta un attimo con la mano per aria, poi risponde lentamente: “Non serve, grazie…”.
Lidrienel insiste, con un largo sorriso nervoso: “Come no! Un ospite di riguardo come… oops”.
Il vassoio che tiene in mano si sbilancia, rovesciando una caraffa di succo di frutta direttamente sulle nobili ginocchia di Lord Cedric. Lo schianto dei vetri a terra  è come una sferzata, sottolineata da una zaffata di profumo di melopee.
“Stai attenta, im…” impreca l’uomo, poi riprende fulmineamente il controllo ed il sorriso impeccabile. “Fa niente, può succedere”.
“Lidrienel, che disastro” sbotta la regina, già più in sé, osservando gli schizzi verdi sulla vestaglia ed i cocci di vetro sul pavimento lucido. “Cedric, sono desolata!”.
“Fa niente” risponde lui, mettendosi in piedi sgocciolante. Scocca un’occhiata di fuoco verso Lidrienel. “Signorina, non ha niente da fare, di là?”. Poi ad un suo gesto, la sua lunga divisa azzurra viene avvolta da lievi baluginii, ed in un istante torna asciutta e pulita. “Vorrei fare lo stesso per la vostra vestaglia…”, sussurra chinandosi verso Adariel ancora seduta, avvicinando le dita al lembo della sua veste. “Permettetemi…”.
“Non si preoccupi, Lord Cedric” squittisce l’ancella mettendosi di mezzo con uno straccio umido. “Io ho fatto il disastro, e io rimedierò”. Guarda le macchie. “Altezza, qui è meglio cambiare la veste… attenta ai cocci!”.
Ormai la magia si è spezzata. “Cedric, ti chiedo scusa… vogliamo riprendere il discorso un’altra volta?”.
Lui annuisce con rammarico. “Come desiderate, Altezza”.

Appena la porta si è richiusa dietro l’ospite, Adariel si rivolge alla sua ancella: “Cosa ti succede? Non ti ho mai vista così strana… sei sempre stata molto più discreta!”.
“Era necessario, Altezza”, si giustifica stringendosi nelle spalle.
Dalla porta della camera da letto entra la guaritrice Galgheita. “Non sgridate Lidrienel, Altezza. Le ho detto io di interrompervi in qualunque modo”.
“Proprio così”, conferma l’ancella con un inchino, “Stava cercando di sedurvi”.
“Sedurmi?”, chiede Adariel incredula, “Ma no…”.
“Molto peggio”, aggiunge Galgheita, “Stava cercando di ipnotizzarvi… anzi, ci stava riuscendo perfettamente”.
“Come…”. Adariel resta incredula. “Ipno...tizzarmi? Cedric?”.
“E ci era riuscito!”, rincalza Lidrienel, spalancando due occhioni fissi e persi. “Cose da pena di morte!”. Passandosi un dito sul collo, mima un pittoresco sgozzamento con tanto di lingua fuori.
Adariel si copre il viso. “Cedric cercava di ipnotizzarmi… Che delusione! Che delusione!”.
“E’ così, altezza”. La grossa coda di Galgheita si torce per l’imbarazzo. “Avete fatto assolutamente bene a chiedermi di restare in disparte per valutare se potevate ancora fidarvi di lui. Purtroppo la risposta è decisamente no”.
“Ipnotizzare la regina!”, ripete incredula lei. “Inconcepibile!”. Si butta a sedere su una poltrona. “Sono finita! Una regina dovrebbe essere tale proprio perché i suoi poteri mentali sono superiori a chiunque altro, ma… prima Phobos mi legge il pensiero, e ora questo…”.  Scuote il viso, triste. Se non fosse per le continue cure di Galgheita, il suo fisico esaurito troverebbe la pace in pochi giorni. Si guarda il ventre prominente. Dovrà resistere ancora tre mesi, per sua figlia e per il futuro della sua città.
“Cosa pensate che volesse?”, chiede Lidrienel. “Non credo che vi abbia ipnotizzata solo per sedurvi”.
“No di certo”, risponde la regina, sprofondando nello schienale. “Sarà stato incaricato da Phobos di convincermi. Vuole il mio appoggio pubblico per la successione al trono”. Scuote il viso. “Eppure le sue parole mi sembravano così ragionevoli… ma sono io che mi sono intestardita su Phobos? Forse…”.
“Non è il momento di prendere decisioni, Altezza” la ammonisce Galgheita, “Io non conosco tutti i vostri progetti, ma in questo momento voi li conoscete meno di me”. Allunga la mano verso un quaderno con la copertina a fiori sigillato da una serratura, appoggiato su un cassettone.  Il quadernetto si libra lentamente, poi trasla verso la sua mano. Lo porge alla regina, dicendole: “Altezza, dovete superare questo momento. Vi farà bene rileggere le istruzioni vergate di vostro stesso pugno”.  Poi aggiunge: “Però vi suggerirei di inventare qualche procedura più sicura. Allo stato attuale, credo che siate riuscita a nascondere qual’è il vostro segreto, ma non di averne uno”.
Annuendo svogliatamente, Adariel appone il polpastrello dell’indice sopra la gemma della chiusura, poi apre il quaderno. Tra le pagine, un sottile blocchetto di fogli graffati è in attesa.
Lo rilegge, depressa.
Pagina uno: non mostrare questo a persone non di strettissima fiducia. Non prendere nessuna decisione importante prima di avere letto pag.6. Non andare a pag.6 prima di avere fatto quanto indicato nelle pagine precedenti.
Pagina due: andare alla prova di Phobos … fatto.
Pagina tre: parlare con Thetras… fatto.
Pagina quattro: parlare con Luksas… ormai è impossibile.
Pagina cinque: parlare con Cedric… fatto.
Con curiosità impaziente, volta pagina.
Pagina sei: assicurati di essere da sola quando passi a pagina sette.
 

Meridian, laboratorio di Phobos

Seduto alla sua scrivania, il Principe Phobos sta valutando il rapporto che gli viene reso dal capo dei suoi servizi segreti.
Cedric, ritto in piedi con il giusto grado di deferenza e viso impeccabilmente pigmentato da una maschera rossa, racconta: “Altezza, ho constatato quanto si siano indeboliti i poteri della Regina.  Ero quasi riuscito ad ipnotizzarla, poi è entrata l’ancella…”.
“Quasi fatta non significa fatta, Cedric”. Scuote il viso, ironico: “Una regina salvata da un’ancella…”.
“Sono quasi certo che lo abbia fatto apposta”.
“Questo significa che già sospettava di te. Se hai perso il momento buono, la prossima volta potrebbe essere molto più prevenuta”, riflette di malumore. “Possibile che tu non sia riuscito a mandare via quella sgualdrinella verde con un solo pensiero?”. Verde… forse era azzurrina, ma fa lo stesso.
Cedric si morde il labbro. “Ero davanti alla Regina… avrebbe potuto accorgersene. Purtroppo, in presenza di più persone è molto difficile fare un lavoro pulito anche con l’ipnosi a distanza”.
Phobos deve convenirne. Resterebbe sempre la possibilità di usare lo sguardo del comando, la forma più potente di ipnosi, ma sarebbe ancora più rischioso, perché il luccichio delle pupille sarebbe una  prova su cui nessun testimone può avere dubbi. E se anche solo si sospettasse ciò, lo scandalo sarebbe enorme; di fatto, sarebbe un colpo di stato. Phobos non ne uscirebbe senza macchia neanche se sconfessasse Cedric e lo facesse impiccare.
“Hai avuto l’impressione che mia madre nascondesse qualcosa?”.
L’altro annuisce. “Altezza, all’inizio, appena arrivato, ho captato un pensiero relativo ad un quaderno. Credo che vi abbia scritto qualche suo segreto”.
“Interessante. Vedi di scoprirlo. Con la dovuta discrezione, beninteso”. Mentre sta per congedarlo, gli viene un’altra domanda: “Secondo te, mia madre potrebbe avere incontrato qualcuno sulla Terra a vostra insaputa, uno o due mesi prima della morte di mio padre?”.
Cedric cerca di scacciare lo stupore dal suo sguardo. “Un terrestre… un uomo, intendete?”.
“Chiunque”, risponde gelido Phobos. “Allora, è possibile?”.
Cedric fa i conti. Un mese o due… corrisponde al dicembre del 1983 o il gennaio 1984, secondo il calendario terrestre. “Quando c’ero io con lei, non è mai uscita da sola dal negozio. Però una volta ha attaccato bottone con un cliente, un giovane, come se lo avesse riconosciuto. Posso chiedere a Miriadel… Ma comunque, la Regina avrebbe potuto teletrasferirsi sulla Terra in un luogo diverso dalla libreria, o mentre noi non eravamo presenti”.
Phobos annuisce con un grugnito di disappunto. “Va bene, puoi andare”.

Mentre l’altro svanisce, il principe, di malumore, deve ammettere di essere stato sciocco: poteva darsi la stessa risposta da solo. Ora, non può sperare che Cedric non abbia capito i sottintesi imbarazzanti della domanda.
Si alza e va alla finestra, guardando fuori verso il giardino senza vederlo veramente.
Una gravidanza iniziata quando suo padre era gravemente malato. Viaggi frequenti sulla Terra, dove l’aspetto degli abitanti ricalca quello della sua dinastia. Un segreto che spinge sua madre a ritirarsi nell’appartamento per mesi, con la scusa della malattia, eppure una settimana prima non ha avuto difficoltà ad arrivare alla Torre dei Veglianti. La sicurezza che questa figlia vivrà, nonostante la morte in culla di tutte le precedenti.
Il quadro è coerente: forse l’erede che sua madre sta aspettando è stata concepita con un terrestre.
Ma perché vergognarsene tanto? Nessuno avrebbe potuto darle torto. Forse lo stesso Adleric, suo padre, le aveva proposto questa soluzione: per lui, il bene della dinastia e del metamondo veniva molto, molto prima delle meschine questioni di gelosia. Probabilmente lei potrebbe avergli dato ragione a parole, ma poi, alla prova dei fatti, si sarebbe fatta centomila scrupoli, e infine si sarebbe decisa solo quando si rese conto che i suoi giorni erano ormai contati, tenendo la cosa nascosta anche a lui per la vergogna.
Sciocca e sentimentale, pensa con rabbia: lo ha lasciato crescere per decenni con l’illusione di essere destinato a diventare Re, e poi, all’ultimo, lo ha disilluso in modo crudele.
Scuote il viso. E’ inutile rimuginare, meglio pensare lucidamente: se questa ipotesi fosse giusta, che conseguenze ci sarebbero?
In primo luogo, probabilmente la bimba vivrebbe, non essendo minata dalla consanguineità dei genitori.
Poi non sarebbe sua sorella, ma solo sua sorellastra. Anche sposandola, forse potrebbe evitare le morti a catena che hanno funestato i talami della sua stirpe.
Ragionando con la mentalità da genetista di sua madre, questa bambina avrebbe i mitocondri speciali degli Escanor, e potrebbe trasmetterli alla discendenza. Inoltre uno dei due cromosomi X sarebbe della famiglia reale.  Insomma, i poteri innati sarebbero paragonabili a quelli dello stesso Phobos, ma lui sarebbe avvantaggiato dalla sua conoscenza di magia e dall’esperienza di governo,  e potrebbe tenerle in qualche modo in soggezione la ragazza, risultando di fatto il Re di Meridian.
A questo punto, se riuscisse a far cambiare la legge di successione, potrebbe anche diventare il primo Re di diritto della città. Potrebbe anche dare il suo nome all’intera dinastia, come pretese il leggendario eroe Escanor prima di lui…
E lei, la regina-sorellastra, come la prenderebbe? Davvero resterebbe sottomessa per tutta la sua lunga vita, anche portando la  Corona di Luce che amplifica i poteri magici?
Non sarebbe meglio per lui tentare di forzare la mano al consiglio finché lei è piccola, e farsi incoronare? No, è troppo rischioso: la Corona di Luce ha una volontà propria, e amplifica solo i poteri delle Regine legittime. Se con lui non dovesse funzionare, sarebbe una palese dimostrazione di una sua indegnità.
Esiste una soluzione: nascondere la vera Corona di Luce, sostituendola con una copia inerte: anche indossandola, questa… come l’aveva chiamata… ah, sì, questa Elyon  non sarebbe mai in grado di dominarlo, ma potrebbe comunque trasmettere i poteri innati ai loro discendenti.
Supponendo che uno su due sia femmina, che una femmina su due abbia entrambi i cromosomi X della famiglia reale, ne segue che un quarto della loro prole avrebbe gli stessi poteri delle Regine del passato, e potrebbe ripristinare a pieno la loro divina Dinastia.
Il sorriso soddisfatto che aveva cominciato a dipingersi sul suo viso viene cancellato da un’ombra di preoccupazione: una figlia così potrebbe sviluppare poteri superiori ai suoi a soli quindici o venti anni di età; potrebbe scoprire che la vera Corona di Luce è stata nascosta, trovarla e rivendicare subito di essere incoronata regina, ripristinando la vecchia legge di successione.
Deposto dalla sua stessa figlia! No, non deve finire in un modo così umiliante!
 

Meridian, camera della regina

Rimasta sola in camera, Adariel volta pagina con apprensione, e legge l’ultimo foglietto spillato:
Pag.sette: assumi SLA dopo aver distrutto questo appunto.

Mentre il biglietto le svanisce tra le mani in un filo di fumo, lei riflette: SLA sta per Soluzione di Leryn visualizzando il colore Azzurro. E’ la procedura per ricordare qualcosa di dimenticato per mezzo dello stesso filtro, ma usato visualizzando il colore giallo.
Si passa una mano sul ventre, preoccupata: non è che tutti questi intrugli noceranno alla sua piccola Elyon, che ancora fluttua serena nel primo paradiso che ciascun essere umano conosce?
Apre l’armadietto dei farmaci accanto al cassettone, poi solleva un’ampolla ancora mezza piena di un liquido paglierino, osservandola controluce con apprensione.
Questo è il lucchetto e, al tempo stesso, la chiave del suo segreto.
Tra l‘altro, provocherà una immediata sonnolenza: dovrà prima prendere un eccitante, se non vuole essere trovata da Lidrienel addormentata e col bicchiere ancora in mano.
Non konnestras, piuttosto caffeina; non può rischiare di perdere la lucidità con un allucinogeno proprio in questi frangenti.
Apre una bustina di una polvere quasi nera con delle esotiche scritte in inglese, e ne annusa l’aroma amaro e penetrante. Forse stanotte avrà difficoltà a prendere sonno.
Nel bicchiere d’acqua tiepida del rubinetto la pozione terrestre si scioglie male, dando un pantano grumoso e poco invitante. Va beh, non deve offrirlo ad un ospite, pensa prima di sorseggiarlo storcendo il viso.
Dopo qualche minuto percepisce l’accelerazione dei battiti del suo cuore, ed una nuova impazienza la spinge. Riempie a metà il bicchiere con la soluzione di Leryn, trattenendosi un attimo ad osservare i grumetti neri galleggiare nel liquido giallo, poi beve. Subito dopo, si sforza di visualizzare intensamente tutte le tonalità del celeste: il ciano, il turchese, l’oltremare, il cobalto…

La rivelazione la colpisce come una bastonata: lei non è davvero incinta. Il suo ventre non contiene alcuna nuova vita.
Gli occhi le si riempiono di lacrime: è stato bello cullarsi nella dolce idea di una gravidanza. La piccola Elyon non verrà dal suo grembo.
La sua strada è ancora in salita: al momento decisivo, dovrà raccogliere tutte le sue forze per la nuova Luce.
 

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Capitolo 10
*** Rivolta ***


10-rivolta  
 
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie per la tua bella recensione. Cedric è uno degli antagonisti più notevoli in WITCH, e per il fumetto far morire lui è stato un modo di tagliarsi i ponti alle spalle per poi diventare qualcosa di diverso da com'era nato.  In questa fase non è ancora un personaggio negativo, al di là del servilismo che chiunque voglia avere successo con Phobos è obbligato a sfoggiare.
Ringrazio anche Silen che, a suo tempo, aveva riletto questo episodio per consigliarmi. 

Ecco, il giorno della profezia di Frordal è arrivato, e come potete immaginare non è un bel giorno. Alcuni storici di Meridian fanno risalire l'inizio della tirannia a questo episodio, altri più prudenti preferiscono rifarsi all'episodio finale di questo racconto.
Qui si intravedono entrare in scena, da lontano,  due personaggi che appaiono anche nel fumetto, e credo che qualcuno saprà già dare loro un nome. Nella prossima puntata ne saprete di più su di loro, e anche sul lontano passato di Lord Cedric.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 10

Rivolta


Meridian, palazzo reale

'Più cose scopro della Terra, più mi sembra strana', pensa Eleanor Brown, materializzandosi nel suo alloggio a palazzo.
Depone la cartella di riviste terrestri. Il sigillo di metallo smaltato svanisce nel suo palmo, poi, con un gesto delle mani si materializza una grossa borsa: una scorta di alcune medicine terrestri che non hanno equivalenti a Meridian. Da quando l’acqua magica scarseggia, i medici della sua città richiedono sempre più spesso questi farmaci chimici.
Lei ha provato, per curiosità, a leggere un paio di foglietti di istruzioni, ma fin dalle prime righe le hanno fatto drizzare i capelli: tra avvertenze, controindicazioni, effetti collaterali e interazioni, questi prodotti sembrano più minacciosi dei mali che curano.
E poi, cavolo, non si potrebbe farla semplice? Andare con un po’ di lingotti d’oro e portarsi via una vagonata di quello che serve?
No, la guarderebbero come un’aliena. Invece le richiederebbero codici fiscali, ragioni sociali, documenti, coordinate bancarie, conti correnti… tutte cose che non ha ancora imparato a gestire, così le tocca ogni volta cambiare faccia e fare il giro delle sedici farmacie della città presentando false ricette mediche, comprando con denaro falso tre scatole qua, due là… Insomma, la Terra è proprio pazzesca, pensa, mentre la borsa di medicine torna a svanire nel suo palmo.
Con un baluginio, Miriadel riprende il suo vero aspetto.
Si guarda allo specchio, soddisfatta: la liscia pelle grigioverde, i capelli a treccine verde azzurro scuro, le affusolate orecchie a punta, le pieghette sopra il suo bel nasino all’insù… sì, è proprio affascinante.
E poi, non è il caso di meravigliare i passanti uscendo dall’alloggio a palazzo con tratti insoliti o esotici. Si ricorda bene di quella volta che suo marito Alborn la vide con l’aspetto terrestre: rimase così turbato che poi, per mesi, volle tenere la luce accesa tutte le volte che facevano all’amore assieme.
Caro Alborn! Se non avesse utilizzato tutta la sua influenza di comandante della guardia per averla lì, forse l'avrebbero costretta a trovarsi un alloggio ad Heatherfield e rientrare a palazzo solo nei fine settimana: i frequenti cambiamenti di aspetto fisico e i teletrasferimenti hanno un costo energetico che, in questo periodo di scarsità, sta pesando molto.
Fuori dalla finestra, verso nord, si vedono solo le riposanti distese dell’altopiano e le montagne che muovono l’orizzonte, azzurre di lontananza. È ancora pieno giorno, mentre ad Heatherfield stavano già scendendo le prime ombre di una soleggiata sera di agosto.
Prende con sé la cartella delle riviste: Sua Altezza sarà certo contenta di aggiornarsi su quelle forme di magia che i terrestri chiamano pomposamente ‘scienza’.

Appena uscita dall’alloggio, Miriadel percepisce subito una tensione nell’aria.
Due guardie, insolitamente dotate di elmi e scudi, percorrono a lunghi passi il corridoio senza degnarla di un’occhiata; si sente un lontano vocio concitato, forse dall’ingresso principale nella torre est.
Segue, inquieta, quei soldati e quel vocio, superando la torre nordest e gli appartamenti reali dove era diretta.
Giungendo nel grande atrio, vede molte guardie schierate, perlopiù in un insolito assetto da battaglia.
Accanto al portone aperto, suo marito sta gridando ordini, e un drappello si dirige fuori, uscendo alla luce e svoltando a destra per scendere dalla grande rampa di scale esterna.
“Alborn!”.
“Miriadel! Grazie agli Dèi, sei arrivata. Forse ci puoi aiutare”.
“Ma cosa sta succedendo?”.
“Dei disordini in città. La Guardia di Palazzo ha avuto ordine di presidiare l’edificio”.
La accompagna sul grande scalone esterno che curva elegantemente a destra, offrendo una vista stupenda dell’abitato sottostante. “Ho fatto disporre parte degli uomini sulla strada che sale dalla città, e parte appena fuori dalla recinzione del giardino”.
Miriadel osserva le guardie schierate; alcune si rigirano nervosamente tra le mani caschetti e scudi come se li vedessero per la prima volta.
Ai piedi della rupe, in città, l’ampio Piazzale Sottocastello  è presidiato da soldati tarchiati, dalla pelle marrone e con divise azzurre che non riconosce. “Chi sono quelli?”.
“Un’unità arrivata di recente da Mitlar. In città ci sono truppe richiamate da fuori, e anche unità antibrigantaggio”.
Miriadel aggrotta lo sguardo: in passato, ha svolto alcune missioni segrete in appoggio a truppe del genere, e non avrebbe mai scelto proprio loro per un’operazione di ordine pubblico in città. “Perché non hai mandato le nostre guardie in centro, piuttosto, e non hai tenuto quelli lì attorno al palazzo?”.
“Ordini del Principe Phobos”. Indica verso l’alto.
Seguendo il suo sguardo, Miriadel vede solo i riflessi sulle vetrate chiuse della sala del trono, ma le è impossibile capire se vi sia qualcuno dietro a osservare. Poi torna a guardare in basso. “Com’è la situazione in città?”. Dall’alto, la via principale le sembra vuota fino alla centralissima Piazza Due Lune, gremita di gente.
“Non lo so. Non sono riuscito a contattare Cedric, né i comandanti di quelle unità, e non posso lasciare questa posizione. Non potresti andare a dare un’occhiata e riferirmi per via telepatica?
Lei esita: anche se conosce tante tecniche, i suoi poteri personali non sono gran che, quando non c’è vicino qualcuno molto speciale, come Cedric, a farle da master.
Prova a pensare a lui… invano. Dopo qualche secondo, si rassegna a non avere risposta.
“Va bene, caro. Farò quel che potrò”.
“Con prudenza, Miri, ti prego”.
“Con prudenza”, promette lei incrociando le dita e facendosi svanire in mano la borsa di riviste. Al suo posto, appare nuovamente il sigillo di teletrasporto.

Un istante le basta per percorrere i centoventi metri che la separano dal piazzale sottostante, fin alle spalle dei soldati.
Li osserva: sono un gruppo abbastanza omogeneo, tarchiati, dalla pelle marrone e quasi scagliosa; brandiscono lunghe alabarde che, nei vicoli stretti, potrebbero essere non poco d’impaccio.
Decide di passare senza farsi notare: la sua appartenenza ai servizi segreti non è di dominio pubblico.
Non può rendersi veramente invisibile, ma è capace di influenzare le menti degli astanti per passare del tutto inosservata. Peccato che questo suo modesto potere si esaurisca  nel raggio di una ventina di passi… buffo, potrà essere individuata più facilmente da lontano che da vicino.

Si inoltra sulla via centrale, quasi deserta. Tutti i negozi hanno chiuso i battenti; dalle finestre dei piani superiori, facce preoccupate sbirciano da sottili spiragli o nascoste dalle tende.
In fondo alla via, però, la centralissima piazza Due Lune appare gremita. Ovviamente niente bancarelle, oggi.
Avvicinandosi, capisce che è una specie di comizio: alzandosi in punta dei piedi, intravede un palco improvvisato. L’oratore  del momento è un uomo gobbo e anziano che lamenta i prezzi dei guaritori, saliti alle stelle.
Subito dopo, un altro lamenta che, dopo le udienze pubbliche settimanali della regina, sono state sospese anche quelle del principe Phobos.
Miriadel cerca un buon posto di osservazione: purtroppo rendersi invisibili in una folla serve perlopiù a farsi spintonare e pestare i piedi, e collezionare un po’ di scuse distratte o stupite quando ti notano comunque. La breve scalinata di una casa signorile fa al caso suo, basta influenzare un paio di astanti per farsi lasciare libero il gradino più alto.
Arriva a far emergere la testa dalla folla in tempo per sentire: “Ma cosa vuoi raccontarle, alla regina? Che si decida a crepare? Sono proprio le sue cure a prosciugare le distribuzioni di acqua magica!”.
Miriadel si acciglia: quel tipo pagherà caro ciò che ha detto. Anche se lei lo volesse ignorare, il suo occhio allenato ha già riconosciuto diversi agenti segreti infiltrati tra la folla ad osservare i facinorosi. Niente di più probabile che anche Cedric sia qui.
Altri intervengono, parlando tutti assieme. Qualche voce spicca sulle altre: “E’ Phobos ad usare l’acqua per irrigare il giardino. Alzate gli occhi dopo il tramonto e lo vedrete brillare da far impallidire il firmamento”.  “Ci va anche la regina”. “No, solo Phobos”.  “La regina non si vede più da mesi”. “C’era pure, quando Phobos ha fatto quella figuraccia”.
Un uomo vestito elegantemente, con una barba ben curata, si fa avanti. Lei lo riconosce: è un ricco mercante di stoffe. Con voce calma e conciliante, scandisce: “Cittadini, propongo di nominare una delegazione per chiedere udienza alla Luce di Meridian”.
Un altro ribatte: “Meglio a Phobos. Ormai la regina non conta più niente”.
Con sollievo, Miriadel constata che la situazione è ancora controllabile: basterà influenzare la mente di qualche facinoroso e la manifestazione prenderà senza dubbio una strada non pericolosa.
Meglio non farsi notare, però: i metodi ipnotici agiscono solo su poche persone per volta, e se qualcuno si accorgesse di questo suo gioco, lei si troverebbe in grosse difficoltà.

Il sollievo dura poco: dalla strada centrale che sale da Meridian bassa si vede arrivare un nutrito drappello di soldati dalla pelle marrone, tozzi e massicci, con elmi metallici e lunghe alabarde sollevate. In testa al gruppo marcia un ufficiale dalla pelle azzurrognola e dalla corporatura enorme, più di sette piedi di altezza per tre di larghezza. Il grosso mento tondeggiante è ornato, sul solo lato sinistro, da un assurdo pizzo biancastro ritorto, con poche ciocche di capelli asimmetriche che contornano il cranio calvo.
Ma è ciò che sta alle spalle del drappello che la impressiona di più: un Sarvak addestrato, un bestione verde e squamoso a metà tra un dinosauro e una tigre: utilissimo per stanare i briganti dai boschi, ma difficilissimo da controllare in un ambiente affollato.
Da un’altra via si vede arrivare… ma quello, coperto da un mascherone di cuoio e dipinto di verde scuro, è un rinoceronte da guerra! E’ cavalcato da un ufficiale dalla pelle azzurrina, i cui lunghi capelli biondi e lisci fanno contrasto alla corporatura massiccia e ai lineamenti rozzi che sembrano scolpiti nella pietra.
Al suo seguito, un reparto molto eterogeneo, vestito con divise mimetiche verdi e marroni, brandisce machetes che sarebbero molto più adatti alla guerra nella giungla che a una operazione di ordine pubblico.
Alla vista di quei militari, un’ondata di paura percorre gli astanti. Miriadel vede parecchie persone rientrare nelle case; altri dapprima bussano, poi battono con forza alle porte di case non loro, che non sempre vengono aperte.
L’uomo dalla barba ben curata scende dal palco  e si fa largo faticosamente tra la folla, cercando di sembrare autorevole. Studia un attimo i militari schierati, poi sceglie di andare incontro al gigante azzurrognolo. “Signor ufficiale, questa manifestazione è pacifica e rispettosa, e le armi sono fuori luogo. Stavamo per nominare una delegazione per chiedere udienza a Sua Altezza la Luce di Meridian”.
Per un attimo la tensione sembra allentarsi, poi dei mormorii corrono tra la gente.
Un altro uomo fende la folla e si accosta al primo. “No, a Sua Altezza il Principe Phobos”.
Alle sue spalle, protette dall’anonimato, alcune voci si alzano:
“A quel ladro?”  “Abbasso Phobos”.  “Vogliamo la regina”. “Quella mummia? Che si decida a crepare, una buona volta”.
L’uomo elegante si volta scandalizzato: “Ma che dite?”.
Il gigantesco ufficiale si fa avanti, spingendolo in disparte, ed avanza fino all’ultimo che ha mormorato. “Prova a ripeterlo!”, lo minaccia sovrastandolo.
L’omino esita, intimorito, ma nella folla diverse voci anonime mormorano “Quel ladro”. “Quella mummia”.
L’ufficiale si gira, cercando di dare un volto a quelle voci. “Ripetetelo, vigliacchi!”, grida brandendo i pugni possenti.
Dalle sue spalle si leva un coro anonimo di insulti. Quando un piccolo sasso lo colpisce da dietro, lui si volta con un ringhio di rabbia, sguainando uno spadone che, in mezzo a quella calca, non potrebbe neppure manovrare.
Lungo la via, i suoi soldati prendono ad avanzare lentamente, puntando le alabarde ad altezza d’uomo.
Nell’altra via, l’ufficiale biondo  grida un incitamento dal suono selvaggio, poi  avanza con il suo rinoceronte fendendo la folla e roteando per aria un’enorme spada.
Grida di panico si levano da molti, mentre i suoi uomini avanzano brandendo i machetes, ma alcuni dei manifestanti restano fermi guardando con sfida i soldati. In pochi secondi, si passa agli spintoni. Poi, quando un uomo solleva con incredulità una mano insanguinata, gridando di dolore, scoppia il caos, e mille grida si soprappongono: paura, rabbia, orrore.
Ma è un altro il grido che copre tutti gli altri: con lo stridio di una immensa aquila, il sarvak carica, aprendosi la strada verso il suo padrone la cui testa azzurra spicca ancora tra la folla. Prima si fa largo tra i soldati colti di sorpresa, poi tra la folla, spintonando e travolgendo. Dopo pochi passi, quando sente l’odore del sangue, sembra impazzire. Viene proprio verso Miriadel, creandosi attorno il vuoto con potenti sferzate di coda, e spargendo sangue con gli artigli.
Non è il momento di perdere la calma. Miriadel si fa apparire in mano il sigillo. Inizia la procedura mentale. 'Com’era? Sì…  Niente! Perché non funziona più questo coso di merda? Stupido fondo di lattina, portami via di qui!'
Le fauci del sarvak sono ad un braccio da lei, e sente l’alito caldo e fetido del mostro. La sua pupilla da coccodrillo la guarda dall’occhio giallo. La può percepire? Giurerebbe di sì…
Improvvisamente, quando Miriadel aveva già cominciato a rivedere la sua vita che le passava davanti agli occhi, un tremolio inghiotte la scena orribile.
Subito dopo, la sua prospettiva è cambiata. 'Tetti di ardesia? Dov’ è la belva? Sono già morta?'
L’appoggio le manca sotto i piedi, e annaspa senza sapere cosa…
Una mano la afferra, consentendole di ritrovare l’equilibrio. “Attenta, Miriadel”.
“Chi…”. Guarda sorpresa il suo salvatore. “Cedric!”.
La guarda cupo. “Proprio io”. E’ in piedi sulla falda del tetto, aggrappato ad un camino. “Abbiamo già perso Bolkotz e Gruplerd in quella bolgia. Hai rischiato di essere la terza dell’elenco”.
Miriadel si afferra al camino e guarda incredula sotto di sé: nella piazza ai suoi piedi il massacro sta continuando. Il sarvak ha raggiunto il suo signore, lasciandosi dietro una scia di corpi a terra in posizioni innaturali. L’ufficiale sul rinoceronte rotea lo spadone insanguinato. Macchie rosso scuro si intravedono sul selciato, mentre la gente cerca di fuggire dalle vie laterali. Qualcuno dei manifestanti ha raccolto una spada, sfidando i commandos in uno scontro dall’esito scontato.
“Cedric, è orribile! Fai fermare questo massacro insensato!”.
Lui risponde imperturbabile: “Non posso. Non sono qui per comandare”.
“Ma chi ha ordinato questa…”.
La interrompe con un gesto. “Ora io sono gli occhi e le orecchie del Principe Phobos”.
Miriadel si zittisce: avrebbe voluto urlare chi era quel deficiente che ha fatto intervenire quegli esaltati e quella belva scatenata a far precipitare le cose, ma certo non è il caso di dirlo in diretta a Phobos.
“Ma lui non può far finire….”.
“Lui sa già ciò che succede. Se vorrà intervenire, non sarà perché glielo abbiamo chiesto né io, né tu”.
Miriadel annuisce amareggiata. Guarda la gente che cerca rifugio nelle stradine e i soldati che li inseguono. Deve fare qualcosa.
Cedric le prende tra le dita il ciondolo che lei tiene ancora in mano. “Perché vai in giro con il sigillo scarico, Miriadel? Questa leggerezza stava per costarti cara”. Attraverso i suoi polpastrelli, una debole luminescenza avvolge l’oggetto. “Ecco, così funzionerà ancora per un po’ ”.
Lei annuisce. “Vado giù”.
“Non puoi fare niente”.
“Posso provarci”.

Un attimo dopo, è di nuovo in piazzale Sottocastello, alle spalle dei posti di blocco.
I soldati hanno incominciato ad avanzare lentamente verso il centro, intrappolando gente che cercava la salvezza nella fuga.
Miriadel insegue i militari e afferra per le spalle un sottufficiale. “Li fermi! Lasci uscire la gente da questo inferno!”.
L’uomo si volta stupito. “Non sono questi, gli ordini che ho ricevuto”.
“Io ho visto cosa succede laggiù! Un sarvak impazzito e un criminale su un rinoceronte stanno massacrando la gente. Volete anche voi la vostra parte?”.
Il sottufficiale scambia sguardi dubbiosi con i soldati. “E lei chi è?”.
“Servizi segreti”, risponde sventolando il sigillo.
Poco convinto, l’uomo ordina: “Fermiamoci qui”.

Dopo aver convinto altri gruppi di soldati a non serrare la morsa, Miriadel si trasferisce nuovamente nell’atrio del palazzo.
“Pazzi assassini!” sbotta.
Alborn, dalla scalinata esterna, si gira e viene verso di lei con occhi spalancati dall'apprensione. “Mi hai fatto paura. Ho perso il contatto quasi subito”.
Parlando tra i denti, Miriadel gli racconta: “E’ stato orribile. Quando sono arrivata, la situazione era ancora controllabile. Poi sono arrivati degli idioti con spadoni, rinoceronti e sarvak, e hanno fatto un massacro. E Phobos non ha fatto niente per fermarli!”.

Dal corridoio della torre nordest si sente gridare: “Phobos! Dove sei, Phobos?”. E’ la voce della Regina.
Pochi istanti dopo, lei arriva trafelata nell’atrio, correndo pesantemente. “Dov’è Phobos?”, grida fuori di sé.
Alla sommità dello scalone, il principe appare solenne da un alone luminescente. “Stai tranquilla, madre. Non c’è pericolo”.
“Tranquilla? Pericolo? Non c’è mai stato pericolo, qui. E’ in città che sta succedendo un disastro, un massacro senza precedenti!”.
Senza scomporsi, lui risponde: “Senza precedenti sono gli insulti che quella feccia ha rivolto contro la nostra dinastia”.
Lei freme di sdegno. Urla, con voce strozzata: “Insulti? Quella è la mia gente, la tua gente! E tu hai permesso questo per poche parole stolte?”. Poi, portandosi i pugni alla fronte:  “Che tu sia maledetto, Phobos! Che questo sangue ricada su di te e te soltanto, e ti accompagni per sempre!”.
Mentre la regina scoppia a singhiozzare e si accascia a terra, il grande atrio resta congelato in un silenzio inorridito.
Phobos, incapace di rispondere, scruta tutti gli occhi dei presenti alla ricerca di un’assoluzione, ma vi trova solo rammarico e imbarazzo.
I singhiozzi di sua madre echeggiano fino a smorzarsi lentamente come un fuoco che si spegne, lasciando nuovamente sentire lontane grida e lamenti dalle strade della città ferita.
 

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Capitolo 11
*** Inchiesta ***


11-inchiesta  
 
Ad personam:
Cara Melisanna, che piacere sentirti! Grazie mille per il link al concorso sullo steampunk, sto pensando cosa potrei portare.
Cara Lux, in questa puntata sapremo qualcosa di più sui retroscena della brutale repressione, e su come Phobos inizia a considerare i suoi cittadini. Probabilmente il pugno di ferro non faceva parte dei suoi propositi iniziali, ma le cose stanno gradualmente peggiorando. 
Le avventure terrestri di Miriadel e le sue opinioni su quanto vi trova sono una delle parti cui sono più affezionato.
Cara Silen, grazie mille per le recensioni al capitolo 9 e 10, e grazie per averli a suo tempo riletti (sarà un anno fa? O quasi?). Interessante l'origine di Cedric, vero? Mi sono scervellato un po' per costruire una storia coerente attorno a un personaggio che spicca per la sua diversità perfino tra l'eterogenea popolazione del metamondo. Questa volta c'è la continuazione.  Miriadel e Alborn... due personaggi dal ruolo straordinario, che però costituiscono la coppia più normale di tutta la storia.
Cara Blackmiranda, che bello, una nuova lettrice di questa storia! Sono felicissimo che tu l'abbia letta con tanta passione, e spero che resti all'altezza delle tue aspettative fin alla fine. Sì, i primi tempi di WITCH sono stati davvero memorabili.
Cara Sol, ti ringrazio moltissimo per i tuoi commenti ai capitoli precedenti. Sono sempre interessato a sapere cosa si pensa della storia e dei suoi personaggi, anche se non condividi i valori etici che ho attibuito ai meridiani. Comunque ti invito a non giudicare frettolosamente i familiari di Jonatludr, nel seguito si vedrà quanto tengano a lui e quanto ciò costerà loro. 
Non sottovalutare ciò che ha fatto Phobos alla regina: imponendosi su di lei, l'ha delegittimata di fronte ai cittadini, mostrando quanto i suoi poteri mentali si fossero indeboliti, e questo può aver contribuito al disastro di Rivolta, in cui qualcuno ha osato chiamarla 'mummia'.
Sì, l'esperimento di Jonatludr è scientificamente riuscito, e in futuro i suoi perfezionamenti gli assicureranno una fama... passata.

Due parole su questo capitolo. In primo luogo vedremo da vicino due personaggi che qualcuno avrà riconosciuto nella puntata precedente: il grosso Vathek, fedele collaboratore di Cedric per i prossimi undici anni, e che poi nel fumetto lo abbandonerà per schierarsi con la resistenza a Phobos, e Frost il cacciatore, il potente cavaliere del rinoceronte, che invece resterà fedele a Phobos fin oltre la sua caduta, cercando di vendicarsi delle WITCH a Heatherfield. Per entrambi, ho immaginato un passato di ufficiali nell'esercito regolare di Meridian.
Poi vedremo il completamento del passato di Cedric, che però è lo stessissimo brano che appare anche su Alla fine del millennio. 
Il colonnello Tracon non è mai citato nel fumetto, però ha un piccolo ruolo anche in Profezie. Notate che in tredici anni meridiani non ha ricevuto neanche una stelletta in più.
Infine si scoprirà in che modo l'opinione della gente può influenzare, nel bene e nel male, i regnanti di Meridian, e perchè Phobos senta il bisogno di ritirarsi nel giardino e crearsi attorno una corte di Mormoranti.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 11

Inchiesta



Meridian, palazzo reale, sala delle riunioni

“Si accomodi lì, capitano Vathek”.
Il gigante azzurrognolo si siede a disagio sulla poltroncina a destra, troppo stretta per la sua mole. Gocce di sudore freddo gli scorrono sul viso mentre osserva, uno per uno, i membri della commissione. Sente i loro occhi penetranti, e non riesce ad affrontare a lungo quegli sguardi.
Il primo, un uomo tarchiato dalla pelle color terra, è il colonnello Tracon, il suo comandante di battaglione. Gli ha già detto che lo trasferirà ad altro incarico, ma cercherà di evitargli di peggio.
Al suo fianco c’è il comandante della guardia di palazzo, slanciato e dalla pelle verde. Il colonnello… Alborn, gli pare. Il suo sguardo non sembra troppo interessato a lui, come se aspettasse qualcun altro.
Il terzo è un giovanotto biondo, calmo e autorevole, il cui viso rosato è interrotto da una banda rossa sugli occhi, quasi una mascherina. Un Escanor, possibile? Ma chi?
Il quarto è un anziano alto e magro, dalla pelle verde e le spalle curve da studioso, ma con uno sguardo di rabbia mal trattenuta che, per fortuna, dirige rapidamente verso la porta. Deve essere Lord Senes, capo del Consiglio dei Veglianti di Meridian.

Infine entra il suo coimputato: Frost il cacciatore, il cavaliere del rinoceronte. Il viso duro, il passo deciso, lo sguardo diretto e aggrottato: tutto in lui comunica sfida.
Si pone in piedi davanti alla commissione, dritto e fiero.
“Sedetevi lì, capitano Frost”, invita il misterioso giovanotto biondo. “Per chi non mi conoscesse, io sono Lord Cedric. Allora, sapete già tutti che nei disordini di ieri si sono contati trentatre morti…”.

Mentre l’altro parla, i pensieri di Vathek  si perdono in quei momenti orribili. Questa notte, le immagini del disastro non lo hanno lasciato un attimo, assieme ai suoi rimorsi: come ha potuto lasciare incustodito Drakkar, il suo sarvak, per andare a questionare con quei vigliacchi?
Restò stupito ed incredulo quando vide Frost spingere il suo rinoceronte tra la folla: cosa stava succedendo?
Il vero terrore scoppiò con lo stridio aquilino di Drakkar, che partì verso di lui senza controllo, aprendosi la strada con la forza brutale delle sue tre tonnellate, dei suoi denti, dei suoi artigli lunghi come pugnali, incurante del suo comando disperato: “No, Drakkar, fermo!”.
Quando il bestione giunse davanti ai cacciatori, non li considerò dei semplici ostacoli; nelle loro divise mimetiche vide cenci di banditi, e nelle loro spade sguainate vide una minaccia.
In qualche lunghissimo istante, Vathek osservò le fauci dell’animale chiudersi sul torace di uno di loro, sollevarlo agonizzante scrollandolo a morte, poi scagliarlo via per avventarsi, in rapida successione, su altri tre di quegli sciagurati, mentre la folla gridava in preda al panico e fuggiva calpestandosi.
Restò incredulo a guardare mentre il sarvak, mordendo e spintonando chi capitava, gli arrivava vicino e si avvolgeva attorno a lui a proteggerlo col suo corpo, come una madre protegge i suoi cuccioli.
Incapace di fare alcunché, Vathek si rese conto del sangue che gli macchiava i vestiti: era dell’animale, ed usciva copioso da numerose ferite da taglio; i suoi stridii, da fortissimi, si facevano man mano più deboli.
Lui restò incredulo, accarezzando e chiamando il suo fedele Drakkar finché la luce della vita si spense lentamente nei suoi occhi gialli.

La voce dell’anziano Senes vibra di indignazione, richiamando la sua attenzione al presente: “Questo disastro ha dei colpevoli. Le testimonianze sono chiarissime: questo assassino - indica Frost - e i suoi tagliagole hanno ucciso con piena intenzione decine di cittadini, molti dei quali assolutamente pacifici”.
Il poderoso Frost si alza, ricambiando con il suo sguardo d’odio quello del suo fragile ma deciso interlocutore. “A chi dici assassino e tagliagole, vecchio? Ieri ho perso sette uomini, e non tutti sono stati sbranati dal sarvak di quell’imbecille”, ringhia alludendo a Vathek con un gesto sprezzante. “Non parlereste così se vi trovaste in viaggio in qualche luogo dimenticato dagli Dèi: boschi o valichi di montagna in cui imperversano i briganti”. Scuote il viso sdegnato. “Certo, forse non avete mai sentito di briganti in queste vostre città civili, dove sensitivi e poliziotti invisibili sorvegliano ogni pensiero e ogni azione. Ma gli uomini non diventano buoni solo perché sono sorvegliati. La feccia che non trova spazio qui se lo cerca lontano dai vostri mille occhi e dalle vostre mille orecchie, nei boschi e sulle montagne, e vive di rapina”. Riprende fiato, mentre nessuno osa interrompere. “Decine di villaggi ci devono la loro sicurezza. Villaggi troppo poco importanti per meritare la visita di un grande mago. Troppo poveri perché valga la spesa di mandarci una centuria. Gli abitanti di questi villaggi non ci chiamano certo assassini e tagliagole”.
Cedric interviene con calma: “ Capitano Frost, non sono in questione i vostri meriti sul campo”.
Il cavaliere allunga un braccio possente verso la sua destra in un ulteriore gesto di disprezzo. “E allora perché sono qui a sedere fianco a fianco con quest’imbecille?”.
Imbecille, si ripete il gigante umiliato, perdendosi di nuovo…

Quando Drakkar chiuse gli occhi per l’ultima volta, Vathek tentò di riscuotersi: decine e decine di feriti agonizzavano attorno a lui, mentre gli ultimi scontri proseguivano in una via laterale, dove i cacciatori stavano inseguendo la folla che cercava di fuggire. Come ha potuto succedere questo?
Coperto di sangue non suo, andò incontro al suo drappello, rimasto all’imbocco della via dove lo aveva lasciato. Decine di civili, terrorizzati dalla furia dei cacciatori, cercavano scampo presso questi soldati, giurando a gran voce che non erano stati loro  a levare le spade, e accettavano senza proteste di distendersi a terra a faccia in giù, restando immobili sul selciato lurido.
Cercò di riprendere un atteggiamento consono al suo ruolo di capitano, e tentò con voce incerta di dare ordini, che i suoi soldati ignorarono con fastidio.
Si rese conto lentamente che sei di loro non erano lì; cercandoli, ne vide due distesi a terra o appoggiati al muro in un vicolo vicino, e solo quando vide avvicinarsi dei barellieri lungo la strada in salita realizzò che i suoi uomini erano stati investiti dall’ultima carica di Drakkar, e ora ne davano la colpa a lui.

Si riscuote dai suoi pensieri mentre quell’Alborn chiede al suo comandante: “Ho qualche domanda, Tracon: quali ordini avevi dato al capitano Vathek? Lo avevi autorizzato tu a portare un sarvak in centro città? E poi, il ruolo di comandante del drappello e quello di controllore di un animale del genere sono compatibili?”.
Il comandante di legione risponde con imbarazzo: “Gli ordini a Vathek… beh, qualcosa tipo ‘restate lì vicino e state pronti a intervenire in caso di bisogno’. Immaginavo che lì ci sarebbe stato qualche ufficiale della guardia cittadina a controllare la folla, ma a quanto pare non c’era nessuno”.
Senes interviene: “Ci era stato ordinato di ritirare le guardie cittadine, senza spiegazioni”.
Alborn annuisce. “Noi eravamo a difesa del palazzo”. Si volta verso Cedric: sa benissimo che lui era in prima fila ad osservare, ma forse non è prudente dirlo a tutti in questo momento.
Questo, infatti, riporta l’attenzione su Tracon: “E per quanto riguarda il sarvak?”.
L’altro si stringe nelle spalle, a disagio. “Nelle operazioni in campagna non ci aveva mai dato problemi, e ho pensato che sarebbe stato un deterrente fortissimo… indubbiamente, il fatto che il capitano lo abbia lasciato solo per questionare con la folla è stato un grave errore”.
“E’ stato imperdonabile”, ammette Vathek. “Io sono un rozzo campagnolo, non so muovermi in città. Ma quando ho sentito quegli insulti così volgari verso la dinastia, verso la Regina e il Principe Phobos… mi dispiace, non ci ho visto più. Prima di allora, non ho mai sentito parole meno che rispettose per la Luce di Meridian. Sì, ho anche sguainato la spada, ma non la avrei mai…”.
“Grosso imbecille!”, lo interrompe Frost guardandolo con odio. “Noi abbiamo cercato di tirarti fuori dai guai, e la tua belva ha fatto a pezzi quattro dei nostri. E tu, a piagnucolare sul corpo di quel mostro… Se non li avessi tenuti, gli altri ti avrebbero fatto pagare con la tua inutile vita!”.
Senes si schiarisce la voce. “Capitano Frost, come diceva che vi chiamano, in quei villaggi sperduti?”.
“Tu!!! Vecchio…”.
“Signori, basta!”, interrompe con decisione Cedric. “Capitano Vathek, capitano Frost, ci siamo già fatti un’idea chiara delle vostre posizioni. Voi due potete ritirarvi”.
“Sissignore”. Frost si alza deciso, ed esce marziale dalla stanza.
Più lentamente, anche Vathek saluta percuotendosi il petto in una moscia parodia di saluto militare, per poi andarsene a spalle curve.

Quando è uscito dalla riunione, il gigantesco ufficiale azzurrino è l’ombra di sé stesso. Forse dovrebbe dimettersi, tornare nella fattoria dei suoi a fare il contadino…
L’uomo dal viso crudele e dai lunghi capelli biondi si volta verso di lui per un’ultima occhiata rancorosa: “Io tornerò tra i miei cacciatori e le mie foreste, lontano da questa città ipocrita che si autodefinisce civile. Ma tu sei finito, incapace! Spero che non ti facciano più alzare il culo da dietro una scrivania… capitano Vathek”, finisce con disprezzo.
Dopo che ha sceso lo scalone, i suoi passi irati risuonano ancora per qualche secondo, chiusi da un sonoro ‘…fanculo’ forse diretto alle sentinelle dell’ingresso.

Avvilito, il gigante azzurrino si incammina giù per il grande scalone, quando si sente richiamare dall’alto. “Capitano Vathek?”.
Il giovanotto biondo dal fare autorevole gli sta sorridendo.
“Lord … Cedric? ”.
“Vorrei parlarti, mentre scendiamo le scale”. Lo raggiunge senza fretta. “Il tuo comandante mi ha detto che sarai trasferito. Sai già dove sarai assegnato?”.
“No, signore”.
“Credo che faccia male a rimuoverti: sbagliando si impara, e tu ora sei l’unico che non ripeterebbe più questo errore”.
“Grazie, signore, ma temo di aver perso ogni fiducia dei miei uomini, e per un ufficiale questo è tutto”.
Cedric annuisce comprensivo. “Ieri ti ho osservato dall’alto di un tetto. Nonostante tutto, una cosa mi è piaciuta molto: il coraggio con cui hai difeso il buon nome della dinastia. Anche il principe Phobos lo ha notato”.
“Davvero?” chiede incredulo.
“Per questo, noi crediamo che tu possa diventare un uomo di fiducia per nuovi incarichi”.
“Fiducia…” ripete il gigante, trasognato, “Darei tutto me stesso per essere all’altezza”.
“Proprio ciò che cercavo” risponde soddisfatto Cedric mentre arrivano nel grande atrio. “Da questa parte” dice indicando la scalinata, più modesta, che porta verso il piano seminterrato.
“Dove stiamo andando?” chiede Vathek incerto. Il palazzo reale è del tutto nuovo per lui.
“Nel mio ufficio” risponde dirigendosi verso una porticina che, al tocco del suo dito, si apre da sola. Al di là, una ripida scala a chiocciola si inerpica verso l’alto.
“Dev’essere un ufficio… ben nascosto”, bofonchia il gigante dubbioso, stringendosi per passare nel vano tutt’altro che spazioso.
“Sì e no. Ci siamo passati davanti: è esattamente sotto la sala delle riunioni, due piani sotto la sala del trono”.
“Ma allora perché…”.
“Per non dare nell’occhio” risponde Cedric arrivando finalmente a un’altra porticina metallica in cima. “Il nostro lavoro si svolge nell’ombra. Io sono il comandante dei Servizi Segreti della Luce”.
“Oh!”.
La porticina di ferro si spalanca da sola, rivelando un breve corridoio disadorno su cui si aprono quattro altre porte, sempre metalliche.
Cedric dischiude una di queste toccandola con un dito, e lo precede dentro la stanza, sedendosi ad una grande scrivania avvolgente. “Accomodati lì, Vathek”.
“Grazie, Lord”. Si siede su una poltroncina, guardandosi attorno. La stanza è tappezzata di armadi chiusi metallici; una bacheca blindata espone, in buon ordine, decine di grossi cristalli tutti uguali che sembrano pendenti da lampadario, e quella che sembra una collezione di strani strumenti con impugnature di legno e canne di metallo nero. “Che cosa sono?”.
“I cristalli sono gemme di memoria. Quelli sotto sono cimeli della Terra che appartenevano al mio predecessore. Mi sono installato qui da poco, e non ho ancora cambiato niente”.
Il gigante annuisce. “Volete sapere qualcosa di più su di me, lord Cedric?”.
Lui scuote il viso. “Non serve. Conosco già la tua storia”.
“Come?” chiede incerto.
“Te lo spiegherò quando verrà il momento giusto” risponde con un sorrisino enigmatico. “Tanto per curiosità, hai già sentito parlare di me prima d’ora?”.
L’altro ci pensa un attimo. “Ho già sentito il nome Cedric da un commilitone, ma non riferito a voi. Mi è stato descritto come un grande uomo-serpente dai poteri spaventosi”.
“Sono sempre io” rivela compiaciuto, “E’ una delle mie possibili forme, forse quella che mi è più cara”.
Il gigante resta sbalordito. “Ma… questo che avete non è il vostro vero aspetto?!?”.
“Anche questa è una delle mie forme”.
La rivelazione è accolta con un silenzio stupefatto.
“Sorpreso? Se lavorerai per me, non ti dovrai meravigliare più di niente”.
“Ma… scusate l’ardire… Lord Cedric è il vostro vero nome?”.
“E’ quello che uso sempre”, risponde con indifferenza. Poi, con un’ombra; “Molto tempo fa mi chiamavano con un altro nome, ma ora non lo ricordo più”.
Dopo un attimo di silenzio apre un cassetto, estraendone carta, penna a pennini e un calamaio. “Tornando all’accampamento per raccogliere le tue cose, consegna questa al colonnello Tracon. Accertati che sia solo con te quando la legge, e poi che la bruci immediatamente”. Scrive velocemente e con precisione anche mentre parla. “Non raccontare a nessuno ciò che ci siamo detti: limitati a lamentarti che sei diventato il galoppino di un burocrate di palazzo, con tono abbastanza annoiato da scoraggiare ogni domanda”. Dopo una passata con un tampone assorbente, ripiega la lettera, la inserisce in un’anonima busta grigietta e la porge a Vathek. “Và, e dà l’ultimo addio alla tua vecchia vita”.

Appena la porticina metallica si è richiusa alle spalle del gigante e Cedric pensa di essere rimasto solo in ufficio, una voce femminile accanto a lui lo sorprende. “Ma quello era il grosso idiota di ieri!”.
Accanto a lui, non vista prima, c’è una donna con le braccia conserte.
“Ehi, Miriadel! Non t’avevo notata neanch’io! Stai diventando sempre più brava”.
“Grazie. Ma perché hai assoldato quel bestione? E’ vero che abbiamo perso due uomini ieri, ma erano di tutt’altra pasta”.
Cedric prende tempo prima di rispondere. “Miriadel, i tempi stanno cambiando, lo sai anche tu. Una volta il principale requisito degli agenti era l’attitudine ai poteri. Dopo le defezioni che abbiamo subito, questi passano in secondo piano, dietro alla lealtà”. Indica verso la porta da cui Vathek è uscito. “Mezz’ora fa quell’uomo aveva distrutto la sua carriera e perso ogni fiducia in sé.  Io gli ho dato una nuova fiducia e un nuovo scopo. E’ sufficiente per essere certi della sua obbedienza”.

Poco dopo, nuovamente solo, Cedric trova finalmente il tempo per perdersi nei suoi pensieri. Le domande di Vathek gli hanno smosso ricordi lontani, confusi, sepolti.
Non ricorda il suo nome originale: lo ha voluto dimenticare. Apparteneva ad un esserino minuto dal torso di bambino e dal bacino di serpente, un disgraziato rifiutato dalla sua stessa madre, considerato un mostriciattolo anche in un mondo dove la parola ‘umanità’ è intesa in modo così estensivo da aver quasi perso ogni significato.
Ricorda vagamente che, per tutta la sua infanzia, si trascinò sulla coda e sulle mani, leggendo il mal celato disprezzo anche nel sorriso forzato della brutta donna dal cuore d’oro che gestiva l’orfanotrofio. Sa vagamente che gli davano appellativi umilianti, ma non ricorda più quali fossero, come non ricorda più quali scherzi crudeli gli abbiano amareggiato i giorni e le notti.
Una notte, qualcosa cambiò. Dopo l’ennesima crudeltà, strillò ad un compagno di andarsene all’inferno, con tutta la convinzione e il rancore accumulato in quei pochi anni. Ricorda ancora, ed è il suo primo ricordo chiaro, di quando lo sguardo di costui si fece vuoto ed uscì lentamente, come in trance, dalla camerata. Non gli è chiaro cosa successe poi, ma quel bambino scomparve dalla sua vita per sempre.
I compagni presero a temerlo: gli scherzi si fecero rari, ma sempre più crudeli e assolutamente anonimi; in qualche modo, però, lui riusciva a dare un volto e un nome ad ogni azione, e altri degli aguzzini scomparvero.
L’alone di paura che si era creato attorno a lui era tale che, una notte, i suoi compagni cercarono di soffocarlo nel sonno. Ricorda che si svegliò con un cuscino premuto con forza sul viso, e mani che bloccavano le sue esili braccia e la coda. Quando la fame d’aria si fece insopportabile, sentì il fuoco nei polmoni e nel petto. In quegli istanti disperati fece appello alla sua volontà, e qualcosa accadde. Il suo corpo crebbe in pochi secondi, ma non ebbe neppure bisogno della sua nuova forza per liberarsi: mentre attorno a sé vide vesti vuote afflosciarsi a terra, i pochi che non gli avevano messo le mani addosso si ritraevano terrorizzati. Anche loro avrebbero pagato, se la donna dell’orfanotrofio non fosse accorsa a implorarlo.
Era incredulo di essersi liberato delle stimmate dell’impotenza, anche se non da quelle della mostruosità. Il suo corpo, cresciuto in pochi istanti, era grande, forte, a suo modo perfino bello. Era come avrebbe voluto essere ogni volta che qualcuno di quei due gambe lo umiliava!
Prima dell’alba di quella notte di riscatto, un uomo si materializzò nell’orfanotrofio in un tenue alone di luce. Il suo sguardo autorevole non mostrò nessuna paura, nessuna esitazione. Si presentò come Lord Luksas, un fiduciario della Regina venuto dalla lontana capitale. Parlò per ore con lui delle sue paure e dei suoi rancori. Poi gli disse che gli era data la possibilità di rifarsi una nuova vita, cancellando il suo orribile passato, se avesse voluto mettere le sue capacità al servizio della Luce di Meridian e accettare la sua guida.
Accettò subito, entusiasta di questi insperati riconoscimenti.
Il quel momento, Lord Luksas gli diede il nome di Cedric, facendogli dimenticare quello vecchio, e sfumando i suoi ricordi precedenti con un pietoso velo di oblio.
Passò giorni e giorni con lui in un luogo sotterraneo e segreto, alternandosi con altri istruttori per educarlo al controllo delle passioni e all’etica del Servizio.
Cedric non volle mai abbandonare del tutto il suo nuovo aspetto, per quanto spaventoso fosse; era quello che lo aveva salvato, che lo aveva riscattato da una vita che non valeva la pena di vivere.
Provò dapprima, senza convinzione, a trasformarsi in un banale ragazzo verde con la coda; questo aspetto non lo entusiasmava, anche perché era ordinario come quelli dei suoi compagni di orfanotrofio.
Oltretutto, abituato a strisciare e trascinarsi sulle mani, era completamente privo delle concatenazioni motorie per restare in piedi o per camminare, così che per mesi dovette aiutarsi con stampelle, come un invalido.
La svolta avvenne quando Lord Luksas lo fece assistere ad una cerimonia pubblica nella capitale, e lui vide da vicino la famiglia reale. Erano nobili, distinti… bellissimi! Ecco un aspetto che avrebbe sfoggiato con soddisfazione!
Cambiare ispirandosi a loro fu facile, dopodichè raddoppiò i suoi sforzi per camminare e curare il portamento, e alla fine fu coronato dal successo.
Passò più di un anno prima che Lord Luksas lo ritenesse pronto per essere presentato ai reali.
Ricorda il sorriso caldo di Adariel, la Luce di Meridian, che si appassionò subito alla sua storia. Più freddo fu il principe Phobos, che obiettò subito quanto fosse sconveniente che qualcuno estraneo alla dinastia assumesse un aspetto fasullo simile al loro. Dopo qualche discussione, la banda rossa sugli occhi fu considerata un compromesso accettabile.
Però Cedric non smise mai di amare, al disopra di tutte le altre forme che il suo lavoro di agente segreto lo costrinse ad alternare, quella che segnò il giorno del suo riscatto.

 
Meridian, palazzo reale, sala delle riunioni

Ancora seduti al tavolone, il comandante Alborn e il colonnello Tracon abbassano gli occhi, imbarazzati: hanno ben capito perché Cedric glissasse il discorso ogni volta che si avvicinava al punto di chi aveva dato l’ordine di ritirare le guardie cittadine dall’abitato.
Anche se il loro rimbombo si è esaurito, le ultime parole scandite da Lord Senes prima di lasciare la sala pesano ancora nell’aria.
Le proteste del Capo del Consiglio dei Veglianti per questa decisione erano assolutamente fondate, ma ha osato troppo: è ovvio che l’ordine è partito da Phobos, e ogni tentativo di rimarcare la cosa è una critica al principe.
E’ probabile che, nei prossimi giorni, al Consiglio dei Veglianti verrà imposto un nuovo capo.

Alborn rompe il silenzio per primo: “Andiamo via anche noi?”.
L’altro si stiracchia in modo molto poco militaresco: “Ancora qualche minuto, vecchio mio. Io sono abituato a caserme e accampamenti, e non ho spesso l’occasione di sedere su poltrone così comode”.
Decisamente informale, pensa Alborn, un po’ indisposto nel sentirsi chiamare ‘vecchio mio’ da un parigrado di vent’anni più anziano. “Permettimi una domanda, Tracon. La situazione nelle campagne è davvero così tragica come l’ha descritta Frost?”.
Il rustico colonnello riflette un attimo, prima di rispondere. “Dipende dalla zona. Fuori dalle città il brigantaggio è una realtà da sempre, ma una volta eravamo affiancati  da più maghi di oggi, e di più alto livello. In un’occasione, all’inizio della mia carriera, vidi all’opera lo stesso Principe Phobos”.
“Davvero?” chiede incuriosito Alborn, “Raccontami!”.
L’anziano ufficiale sembra spremere un po’ le meningi, poi inizia: “Era alle pendici del monte Jalfus. Lì, i primi allarmi di brigantaggio risalivano a tre mesi prima, poi si erano intensificati gradualmente fino a diventare intollerabili. Noi avevamo circondato il monte, e avevamo preparato una tenda per l’arrivo di un personaggio illustre. Ad un certo punto, si materializzò lui. Lo ricordo, anche nell’aspetto, più giovane di adesso. Ci fece qualche domanda e poi si ritirò nella tenda, lasciandoci l’istruzione di non disturbarlo. Meno di un’ora dopo, i briganti cominciarono ad uscire dal bosco, uno per uno, come privi di volontà. Noi ci limitammo  a metter loro i ceppi, e portarli ai lavori forzati in una cava di pietra”.
Alborn annuisce, impressionato. “E poi?”.
“Fu l’unica volta che vidi in azione un personaggio di tale livello. In seguito, i maghi inviati ad aiutarci usavano metodi diversi: alcuni controllavano mentalmente sciami di vespe, altri lupi o sarvak. Questi snidavano i briganti, ma poi catturarli era affare nostro, armi alla mano. E poi, pian piano questi maghi si sono fatti più difficili da trovare, tanto che in diversi casi ci siamo dovuti arrangiare, rastrellando i boschi da noi e talvolta subendo perdite”.
Alborn storce il viso. “Come mai, sempre meno maghi? Eppure, a parte la famiglia Escanor che rischia l’estinzione, in città ci sono maghi per tutti i gusti”.
Il colonnello sbotta, gesticolando: “In città, hai detto bene. Ho visto la pubblicità di guaritori, indovini, ispettori, telepati, giudici, psicoterapeuti, esperti in teletrasporto o trasmissione dei pensieri, e ho pensato: ma perché non prendono anche uno solo di questi signori, anche il più scarso, non gli fanno studiare le magie che servono a noi, e non lo mandano in permanenza presso la nostra legione?”. Lascia cadere le braccia. “Non so quale sia il prestigio di cui godono a Meridian le guardie di palazzo, ma nel caso delle truppe da campagna non sembra molto maggiore di quello degli accalappiacani”.
Alborn resta imbarazzato per questo sfogo: da parte sua, non ha mai sentito questa mancanza di considerazione sociale. Forse dipende dal fatto che le guerre, e con loro il concetto di patria, sono spariti da milleduecento anni?
Il colonnello continua, amaro: “E poi ci hanno chiamati qui a Meridian, in un’operazione di ordine pubblico. All’inizio non capivo se c’era qualche spaventosa emergenza, o se ci avevano in qualche modo rivalutati. Quasi lo speravo. E poi… va beh, è stato un bel disastro, e noi abbiamo fatto la nostra parte in questo”. Si stringe nelle spalle. “Io immaginavo che avremmo dovuto supportare le guardie cittadine, invece… E’ chiaro a tutti: noi eravamo impreparati per questo compito”.

Un po’imbarazzato, Alborn preferisce tornare sul discorso originale. “E cosa mi racconti di Frost? E’ davvero indispensabile come dice?”.
Tracon si stringe nelle grosse spalle. “Tante volte il costo di muovere un centinaio di soldati regolari e qualche bestione in zone impervie supera il valore dei danni che i razziatori possono fare. Così, in questi luoghi vengono inviati Frost e il suo gruppo, grazie alla loro abilità nel muoversi inosservati, di notte. Sono indipendenti dal supporto logistico di una grande unità militare e, a quanto pare, molto efficaci”. Con una smorfia ambigua, prosegue “Nessuno è andato mai a indagare sui loro metodi, ma scommetto che non sono migliori di quelli dei briganti che sono chiamati a combattere, per quanto lui si sia detto un salvatore della povera gente”. Scuote piano il viso. “Mi sono meravigliato moltissimo di trovare anche lui in città. Era il meno adatto per questo lavoro, e si è visto”. Si alza,  stiracchiandosi rumorosamente. “Andiamo a berci qualcosa di forte, Alborn. Questi ultimi due giorni sono stati davvero da dimenticare”.
 

Meridian, palazzo reale, sala del trono

Non è ancora mezzogiorno, ma già il principe Phobos trova insopportabile restare nella sala del trono, sia pur solo, sia pur a porte chiuse, anche se questa è il simbolo della regalità che lui desidera al disopra di tutto.
Da qui ha seguito, con le sue percezioni extrasensoriali, tutta la riunione che si è svolta al piano di sotto, e anche i suoi strascichi. Ora che è finita, non è più necessario rimanere.

Purtroppo, questa splendida sala che sovrasta la città è troppo esposta ai brontolii mentali della feccia, che tra ieri e oggi lo hanno assediato. Già da tempo gli pesano i mille pensieri inespressi, servili e meschini, dei suoi interlocutori di ogni giorno, pensieri che la sua mente superiore non può far a meno di percepire.
Però, quest’oggi novantamila mugugni si sono fusi in un unico brontolio rancoroso, opprimente e onnipervasivo come non mai.
Lo disapprovano, lo sente. Tutti pensano che la colpa di ciò che è successo sia sua, ma non osano dirlo apertamente per vigliaccheria. Ma come restare indifferente a quelle ingiurie inaudite? Lui, un ladro? Sua madre, una mummia? No, anche solo ascoltare quegli insulti senza reagire è un crimine, e quasi nessuno, in quella masnada, ne aveva preso le distanze. Perché mai lui avrebbe dovuto fermare le mani che si sono mosse a vendicarlo? Perché avrebbe dovuto impedire che, alla meschinità senza precedenti di quelle parole, facesse seguito una reazione altrettanto senza precedenti nella città?
Eppure sono ben in pochi a vederla così. Uno è Frost, quel coraggioso cavaliere, braccio della sua giustizia. Merita una decorazione. Ma chi altro? Perfino i suoi ufficiali pensano che abbia fatto male a ritirare la guardia cittadina per lasciare l’esercito al suo posto. Ma che senso avrebbe avuto far sorvegliare dei cani da degli altri cani? Da gente che avrebbe chiuso entrambi gli occhi pur di non colpire parenti, amici e amici di amici?
Sua madre stessa non poteva essere più esplicita, nella sua penosa scenata. Va bene che ormai è vecchissima e quasi pazza, ma non si sarebbe mai aspettato quella sconfessione umiliante dopo che lui aveva fatto difendere anche il suo onore.
Potrebbe allontanare da sé almeno una parte di quelli che alimentano tutto questa cappa di rancore. Basterebbe far sgomberare una parte di Meridian alta, la zona attorno a piazzale Sottocastello, dai suoi abitanti attuali per alloggiarci i militari delle unità venute da fuori. Non aveva mugugnato, quel colonnello Tracon, su quanto poco si sentissero considerati? Questo potrebbe essere un modo per ingraziarseli, alloggiandoli nella zona migliore della città.
Naturalmente questo sarebbe solo un palliativo per creare un cuscinetto di pensieri fedeli e soddisfatti contro il mugugno insopportabile della plebe.
Però in fondo, anche se portano le insegne degli Escanor e seguono i suoi ordini, anche i militari non sono veramente diversi dalla feccia che popola questa città imperfetta, un’accozzaglia di esseri così eterogenei che non sembrano neanche umani.
Ma per il momento, con Adariel in vita, preferisce non fare niente di tutto ciò. Lo ha sconfessato, lo ha maledetto, ma in fondo è sempre sua madre. E non durerà ancora a lungo.

Phobos si alza dal trono: non c’è motivo di restare ancora così esposto a quel ribollire di pensieri rancorosi quando ha a disposizione un luogo molto più privato, l’unico che senta veramente suo.
 

Con un luccichio accompagnato da un rimbombo profondo, Phobos si teletrasporta nel folto del giardino.
Qui il greve mugugno è molto più lontano dalla sua mente.
Si guarda attorno: nessuno. Il giardiniere è impegnato da tutt’altra parte. Dovrà vietargli l’ingresso a quest’angolo di paradiso durante tutto il giorno, non solo dopo il tramonto.
Ora è davvero solo con i suoi fiori profumati, gli alberi maestosi, i rampicanti fluenti e il meraviglioso mormorio della cascatella.

A volte sogna di ripulire la città da quella masnada schifosa che la abita, per sostituirla con esseri nobili. Esseri leggiadri e discreti, belli come le piante che ha tutt’intorno. Esseri che non nascondano i loro veri pensieri dietro parole false e vigliacche. Esseri per cui pensare e parlare sia la stessa cosa: un sussurro, un mormorio.
 

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Capitolo 12
*** Solo ventiquattr'ore ***


12-solo ventiquattr'ore  
 
Ad personam:
Cara Silen, grazie per il tuo costante appoggio. Certo, i pensieri di Phobos stanno gradualmente orientandosi in senso sempre più egoistico; la figuraccia fatta all'esperimento gli ha dato una spinta in più in questo senso. Come viene detto spesso, qualche volta le profezie si avverano  nonostante ciò che si fa per contrastarle, ma il caso più inquietante è quando si avverano proprio per ciò che si fa per contrastarle.
Sono contento che ti piaccia il flashback di Cedric, che fa il paio con i ricordi di Galgheita di due capitoli fa.
Cara Atlantis Lux, con gli ultimi avvenimenti, Cedric ha assolutamente bisogno di reclutare personale fedele, anche se Vathek appare abbastanza inadatto allo scopo. Del resto, a questo punto non si trattava di costruire la condotta più efficace, ma di spiegare razionalmente come mai, nel fumetto, Lord Cedric si faccia accompagnare sulla Terra da un personaggio così difficile da far passare inosservato. Oggi vedremo appunto come Vathek se la caverà in una delle sue prime missioni in incognito sulla Terra.

Qualche parola su questo capitolo: è passato circa un mese dagli avvenimenti del cap.11, e quasi nove mesi dall'inizio della storia; sulla Terra è l'inizio di ottobre del 1984. 
Nella prima scena si vedranno, oltre a Cedric e Vathek, anche Toxhorr e Vatris, due agenti dei servizi di Meridian che qui appaiono in forma terrestre. La scena iniziale è stata usata come base per un mio fumetto di cinque pagine che trovate sul forum, praticamente un esperimento anche se fatto senza l'ausilio di Jonatludr.
Però i personaggi più importanti di cui vedremo l'ingresso in scena sono quelli di Kandrakar,  congrega finalizzata a limitare le interazioni tra mondi diversi, potenzialmente catastrofiche, e che ha sede in una fantasmagorica fortezza 'al centro esatto dell'infinito' : 
l'Oracolo è il suo misterioso e carismatico capo; nel fumetto è spiegato che il suo nome originale era Himerish, un ex guerriero e istruttore di arti marziali, e veniva da un mondo chiamato Basiliade che ricorda una via di mezzo tra la antica Sparta e il Giappone dei Samurai;
Yan Lin, l'ultima Guardiana ancora operativa del suo Gruppo e nonna della futura guardiana Hay Lin, è rimasta l'unica custode del potente amuleto detto Cuore di Kandrakar, che in seguito affiderà a Will Vandom prima di simulare la propria morte e venire accolta definitivamente tra i saggi della congrega;
Tibor, un uomo anziano e barbuto, resterà un personaggio marginale, come pure gli altri saggi, spesso dalle fattezze non umane.
Questa puntata è importante dal punto di vista del collegamento con gli avvenimenti descritti nel fumetto, di sedici anni terrestri successivi, in quanto prelude all'attivazione della Muraglia, una barriera controllata da Kandrakar per impedire il passaggio tra il Metamondo e la Terra.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 12

Solo ventiquattr’ore

Heatherfield, U.S.A.

La notte di inizio ottobre è calata su Heatherfield. In una strada quasi deserta illuminata dalla luce aranciata dei lampioni, quattro uomini intabarrati camminano veloci verso un’unica meta.
In testa al gruppo c’è Lord Cedric, assorto nel collegamento mentale con una zanzara che, prima tra i milioni di quelle che hanno disperso sulla città, ha trovato il suo obiettivo: un transfuga da Meridian. Il sangue non mente.
Arrivato all’imboccatura di un vicolo, Cedric si ferma senza sporgersi a guardare, e fa cenni rapidi ai suoi uomini.
Toxhorr e Vatris, in un ineccepibile quanto anonimo look terrestre, cominciano a disporre, a distanze regolari, dei talismani mimetizzati da tappi a corona tutt’attorno ai due isolati che delimitano il vicolo. Questi sono dei nodi di infrabarriera, opportunamente tensionati in configurazione deviante. Se il ricercato cercherà di fuggire teletrasportandosi, quando tenterà di attraversare il perimetro delimitato dai nodi, questi scaricheranno lo spazio dall’energia di teletrasporto, riconfigurandola in modo che l’incauto fuggiasco riapparirà in una cella insonorizzata allestita in un appartamento, rafforzata dalle barriere più sofisticate che la magia di Meridian abbia potuto creare.
Accanto a Cedric, ora, è rimasto Vathek, la cui mole minacciosa è solo grossolanamente celata da un impermeabile dal bavero alzato e da un cappello a falde larghe. Per motivi suoi, il gigante ha una vera fobia per il cambiare aspetto, per cui si devono accontentare di un incantesimo che sopprime la curiosità dei passanti per la sua stazza fuori dal comune e la sua pelle azzurrina.
Nell’attesa, Cedic gli mormora piano: “Appena Toxhorr e Vatris ci segnaleranno di essere dall’altra parte del vicolo, ci muoveremo anche noi”. Gli porge uno dei tappi a corona. “Appoggia questo sul lato sinistro della strada, proprio sotto il muro. Io farò lo stesso a destra. Così, se il traditore cercherà di sfuggirci teletrasportandosi attraverso i muri, lo prenderemo lo stesso”.
Vathek si china per bisbigliare all’orecchio del suo capo. “Ma così ci vedrà”, obietta.
“Prima ci renderemo invisibili, è ovvio”, chiarisce Cedric un po' infastidito, “Anzi, se non hai altre domande, iniziamo”. Senza attendere la risposta, inizia la sequenza mentale per l’invisibilità. Questo tipo di mascheramento è una pulsazione teleipnotica adirezionale periodica, che inibisce agli altri la presa di coscienza dell’immagine di chi la genera. L’impressione che dà non è quella di veder sparire chi la usa, ma piuttosto quella di averlo perso di vista.
Infatti, un attimo dopo si accorge di avere perso Vathek. Gli trasmette col pensiero: ‘Ora dammi il tuo segnale di posizione’.
Un attimo dopo, il gigante gli bussa sulla testa, rivelandosi esattamente nella posizione di prima.
‘Un segnale telepatico, magari’, gli trasmette Cedric seccato.
‘Ma magari quell’altro lo intercetta’, si difende lui.

Ricevuta la conferma telepatica che Toxhorr e Vatris sono giunti all’altro lato del vicolo, Cedric e Vathek avanzano, deponendo i loro nodi sul selciato.
Fatto qualche passo, lo vedono: un uomo di mezz’età, con vestiti terrestri assurdamente eleganti e retrò, sta seduto a terra intirizzito tra due cassonetti di rifiuti. Si sta guardando attorno timoroso, stringendosi nel bavero e tremando. Poi trasale d’improvviso, guardando in alto come se ci fosse un interlocutore in piedi che si è rivelato solo a lui; infine, allarmato, si alza e scruta attorno a sé, senza vederli.
Strano, pensa Cedric. Solo lui può vedere Toxhorr e Vatris all’altro lato del vicolo. Qui sembra esserci un sesto incomodo, invisibile come loro. E se fosse…

Ad un certo punto, il rumore di un’auto in avvicinamento rompe il silenzio. Si volta in tempo per vedere un taxi giallo svoltare nel vicolo: il guidatore non li ha scorti, e sono in un punto stretto! Cedric si appiattisce contro il muro, stringendo i denti.
“Per le lune di Gaahn!”, sfugge in meridiano a Vathek, e torna nuovamente visibile. In quel momento, il taxi inchioda a pochi centimetri da lui che, alla luce di quei fari, sembra molto più bianco che blu.
Il tassista abbassa il finestrino per un energico vai-in-quel-posto, ma Cedric non ha più tempo per uno squallido terrestre: anche se Vathek si è rivelato, lui è ancora invisibile e forse può…
Con una vampata abbagliante, il cassonetto più vicino esplode, facendolo cadere a terra e disperdendo frammenti di spazzatura fiammeggiante che disturbano la visuale con una pioggia di lapilli. Attraverso, intravede un secondo bagliore indistinto, poi uno scoppio all’altra estremità del vicolo rimbomba nella notte.
Un attimo dopo, quando Cedric è di nuovo in piedi e pronto a combattere, nel vicolo ci sono solo i suoi uomini e il tassista. Né il transfuga, né il suo misterioso interlocutore dalle mani di fiamma. Strilli e voci si sentono da dentro le finestre o dalle strade vicine.

“Lord Cedric”, lo chiama Vatris venendogli incontro, “Sono scomparsi!”.
“Erano in due!”, fa eco Toxhorr. “Ho visto l’altro solo quando ha sparato quel raggio dalle mani verso il cassonetto!”.
“Non vi ha colpiti”, constata Cedric, “Perché non l’avete fermato?”.
Toxhorr gli indica un angolo della via da cui sono arrivati, dove un pezzo di muro è screpolato e annerito. “Ha colpito con precisione il nodo che avevo appena deposto lì, come se sapesse dov’era, eppure non credo che ci avesse visti”.
“Poi sono svaniti tutti e due, quello seduto e quello che ha sparato”.
Cedric storce il viso. “Deve essersi teletrasportato dentro un edificio su questo lato della via. Ma quale?”.
Vathek chiede, attonito: “Lord Cedric, ma chi era quello?”.
Il suo capo risponde amareggiato: “Probabilmente era quel traditore di Lord Luksas. Forse ha intercettato il segnale della zanzara, e ha raggiunto il disgraziato un attimo prima di noi”.
“Allora eravamo vicini a fare un colpo doppio!”, esclama Vatris.
“Sarà…”, risponde Toxhorr scettico, guardando i resti ancora fiammeggianti del cassonetto,“Ma se è così, è inutile illudersi che possa cadere nella rete a nodi. Quello è un trucco che ci ha insegnato lui stesso”.
Cedric annuisce di malumore, poi si volta verso il tassista.  L’uomo, che aveva abbassato il cristallo per imprecare contro il gigante comparso dal niente, ora è rimasto completamente interdetto dalla battaglia e da questi figuri loschi che parlano in una lingua sconosciuta. Tremola mentre balbetta: “Ma… cosa…”.
Cedric gli si pone di fronte, guardandolo intensamente. ‘Dimentica!’.
Gli occhi del tassista si fanno vacui, e ogni sua domanda muore ancora prima di essere espressa.
Rivolto ai suoi agenti, Cedric comanda: “Domattina verremo a recuperare i nodi. Ora andiamo via, presto!”.
L’ululato sempre più forte di una sirena bitonale accompagna la rapida ritirata del gruppo.
 

Heatherfield, U.S.A., ristorante Silver Dragon, la sera dopo

“Mamma, questo è per il tavolo dodici, e questo per il tre”. Dalla porta della cucina, il giovanotto dai tratti asiatici le porge due vassoi fumanti di bolliti e di fritti.
“Subito, Chen”, risponde l’anziana signora dai lunghi capelli ingrigiti; poi, con agilità insospettata, fa uno slalom tra i tavolini troppo accalcati del ristorante e recapita velocemente le vivande, accompagnandole con soavi sorrisi e inchini rispettosi ai clienti.
Tornando rapida verso la cucina, si ferma sorpresa: una sensazione ben nota, un formicolio intermittente al palmo destro, si presenta nel peggior momento possibile della sua giornata.
“Chen, devo allontanarmi” dice con un sorrisino di scusa al figlio costernato, “Ti mando giù la tua Joan”.
“Proprio in questo momento, mamma? Siamo…”.
“Cose da donne, caro”, risponde dirigendosi verso le scale. In questi casi dà sempre la stessa risposta: non vuole dire niente, ma riesce a scoraggiare ogni domanda di suo figlio.

Un minuto dopo, nella sua camera, l’anziana Yan Lin si accerta che nessuno la stia osservando: chiude porte e saracinesche, poi volge il palmo verso l’alto.
Un talismano si materializza circonfuso da un bagliore rosato, fluttuando pochi centimetri sopra la sua mano. E’ una sfera di ametista incastonata in un supporto  argenteo: il Cuore di Kandrakar, questo il nome del talismano, ha avuto origine in tempi remotissimi in cui nessuno aveva mai pensato a munirlo di un tasto di occupato.

Un’ondata di energia la investe, mentre quarant’anni di età si dissolvono in un miracolo al quale si è ormai abituata: ora il suo viso è giovane, incorniciato da capelli cortissimi neri come l’inchiostro. Solo le orecchie a sventola… beh, quelle restano sempre lì.
La sua pacifica vestaglia lascia il posto ad un variopinto completo da karateka verde e viola, mentre lunghe calze a righe verdine e azzurre si intravedono al disotto dei pantaloni al ginocchio.
Dietro la schiena, delle spigolose alette iridescenti attraversano il vestito, completando con un tratto non umano il suo aspetto, nuovo e antico al tempo stesso.
Ora è il momento del salto dimensionale. La sua volontà sinergizza con il potere del talismano; in un lampo abbagliante, la camera si smaterializza attorno a lei.
 

Fortezza di Kandrakar

Un istante dopo, l’ambiente che vede è completamente mutato.
Ora è al centro di una sala ad anfiteatro pervasa da un’abbacinante luminosità biancazzurra, dalle cui finestre senza vetri entrano sbuffi di nuvole candide. Questa è la fortezza di Kandrakar: le hanno spiegato che questo luogo è al centro esatto dell’infinito, qualunque cosa ciò voglia dire.
Mentre Yan Lin fa sparire lo sfavillante monile nel palmo, la luce rosata del Cuore si riflette, estinguendosi, su grandi colonne e su pareti dagli affreschi a toni azzurrini.
Davanti a lei ci sono due uomini, gli stessi di ogni altra volta. Il più alto è l’Oracolo: calvo e senza età, emana un carisma quasi divino. Accanto a lui c’è Tibor: un saggio dalla barba fluente e dai lunghi capelli lisci, chiaramente subalterno.
Tutt’attorno, seduti sui gradoni, una ventina di esseri indossano identiche tuniche biancazzurre, ma sfoggiano tratti alieni e disomogenei che ne testimoniano la provenienza da luoghi diversissimi.
Questo è il consiglio della Congrega che si fa carico di mantenere l’equilibrio tra i mondi.
C’è stato un tempo in cui Yan Lin si considerava una maga guerriera, un altro in cui preferiva vedersi come una sacerdotessa. Forse non è né l’una, né l’altra cosa. E’ una Guardiana, l’ultima di un gruppo di cinque sgretolatosi da ormai più di vent’anni.

Quando parla l’Oracolo, ogni brusio tace: “Yan Lin, un’antica nuvola torna ad oscurare i nostri orizzonti. Tu sai già che sempre più profughi del Metamondo stanno attraversando il varco naturale con la Terra, teletrasferendosi lì, confondendosi con i terrestri e facendo perdere le loro tracce. Come se ciò non bastasse, i servizi segreti di Meridian li ricercano sfruttando magie del tutto estranee al tuo mondo”.
Tibor aggiunge: “Ora non si tratta più di sopportare solo una regina curiosa che viene a cercare libri, o principi in incognito alla ricerca di avventure galanti con le terrestri”.
Yan Lin scuote piano il viso. “La situazione è così precipitata in poche settimane?”.
L’Oracolo fa un grave cenno di assenso. “Si parla di insetti spia, invisibilità ipnotica, sondaggio delle memorie e loro soli sanno cos’altro. Poco fa, abbiamo osservato perfino un combattimento con fasci ionizzati per le vie della città”.
“Il mio mondo non è preparato a questo”, ammette Yan Lin, resistendo all’impulso di grattarsi una puntura sul polso. “E l’accordo con la regina?”.
“Adariel è al suo tramonto. Viste le premesse, è probabile che suo figlio Phobos non rispetterà il patto che avevamo con lei”.
Yan Lin annuisce. Come unica guardiana del passaggio rimasta, conosce bene i termini di quell’accordo: il permesso di passaggio per la regina e pochi suoi collaboratori, in cambio della promessa di ridurre quasi a zero l’uso dei loro poteri finché sono lì. Phobos sa che i terrestri sono impreparati alla magia: se lui dovesse vedere nella Terra una fonte di risorse da sfruttare o un terreno di conquista, le loro deboli menti sarebbero facile preda dei metodi di controllo suoi e dei suoi agenti. “E quindi ?” chiede lei, sempre più inquieta.
“Abbiamo deciso di riattivare la Muraglia” scandisce l’Oracolo. Per un attimo, lo sguardo tradisce un’emozione, poi torna impenetrabile come sempre.
Yan Lin  si sforza di non mostrare tutto il suo turbamento. La muraglia! La barriera che impedisce ogni collegamento tra due mondi attraverso lo spazio e le altre dimensioni! Era da tempi lontani, a parte la breve parentesi ai tempi di Nerissa, che quest’antichissima barriera magica non veniva più attivata. “Ma, Oracolo… questo significa tagliare una preziosa via di fuga a gente che vorrebbe solo sfuggire a una nuova tirannia”.
“Lo so, Yan Lin, e me ne dispiace. Però il compito della nostra congrega è di garantire l’equilibrio tra i mondi, non di offrire rifugio a folle di profughi, né di rovesciare i regimi politici locali, per quanto opprimenti possano essere”.
La guardiana annuisce piano, triste. Per un attimo, ricordi troppo dolorosi la sfiorano.
L’oracolo riprende, lapidario: “Ti affido un messaggio per la sede operativa dei loro servizi segreti ad Heatherfield: tutti quelli che non rientreranno a Meridian entro ventiquattr’ore da adesso, poi non potranno più farlo”.
 

Heatherfield, scantinato della libreria Ye Olde Bookshop

La ragazza, seduta nel traballante lettino pieghevole, alza gli occhi dal televisore verso l’orologio a parete: sono le sette e mezzo di sera, l’ora di andare.
Si alza dal suo scomodo giaciglio, guardando con disappunto il suo alloggio improvvisato nel seminterrato: alla fine, come temeva, la disponibilità di energia è scesa ancora, costringendo gli agenti a risparmiare sia sui teletrasporti che sui cambiamenti di aspetto. Così anche lei, Miriadel, è costretta a passare tutte le notti ad Heatherfield nei panni alieni della commessa Eleanor Brown, ritornando alla sua vera vita e al suo Alborn solo quando in questo luogo è il fine settimana. Dovrebbero trasferirsi in un appartamento: ormai questo negozio non è più adatto al loro nuovo ruolo.

Stringendosi nella giacca a vento grigia e fucsia, percorre le vie della città nella sera, diretta verso il fiume che attraversa Heatherfield sboccando proprio al centro della baia.
Ottobre è già iniziato, e le serate hanno smesso di essere calde e invitanti.
Attraversa vie deserte e malfamate rendendosi invisibile a spacciatori e disperati che vi si ritrovano per dividere la loro solitudine, e si inoltra in un prato malamente recintato, la cui sterpaglia nasconde ogni genere di detriti.

Non si abituerà mai alla facilità con cui i terrestri buttano via la loro roba: ogni volta che passa vicino a un cassonetto, le piange il cuore a vedervi gettati tanti bottiglioni di plastica ancora come nuovi, e resiste a fatica all’impulso di recuperarli a decine per donarli ad amici e parenti. Se non lo ha mai fatto, è solo perché non è saggio pubblicizzare la propria appartenenza ai servizi segreti. E’ pur vero che, in un luogo pieno di telepati come Meridian, questo non è più un segreto da tempo.

Questa sera la luna le è amica, e illumina dall’alto i suoi passi sul terreno infido. La bella sagoma luminosa della città, sull’altra riva del fiume, la accompagna nel suo compito ingrato senza aiutarla molto: le luci di finestre e lampioni lontani mettono in evidenza solo cespugli e ostacoli alti che  non costituirebbero comunque una minaccia per le sue caviglie. La settimana prima, con il buio della luna nuova, si prese una distorsione che per poco non la fece gridare di dolore, e la sua caviglia ci mise messo ben trenta secondi a guarire.
Al riparo da ogni occhio indiscreto, Eleanor estrae dalla borsetta un flacone di repellente per insetti, spruzzandosi copiosamente la pelle e i vestiti. I ronzii nel buio sono già tanti e fastidiosi, ma ancora niente se paragonato a quello che ci sarà tra poco.
Estrae dalla borsa un barattolo di plastica e, tenendolo sollevato e ben discosto da sé, ne svita il coperchio. Immediatamente, un rumore fatto di mille ronzii sovrasta i suoni lontani del traffico.
Lei lo appoggia sul relitto di un vecchio frigorifero abbandonato, trattenendo il fiato; con gli occhi socchiusi, fa qualche passo indietro per allontanarsi dal turbinio.
In pochi istanti orde di zanzare, molte più di quelle che avrebbero potuto trovar posto in un normale barattolo da dieci centilitri, saturano l’aria. Guardando contro le luci dei condomini lontani, si vede il brulichio nell’aria di milioni di piccoli, molesti punti neri.

Non le piace ciò che sta facendo, e non si riferisce né al fastidioso ronzio, né alle serate e le notti trascorse in uno squallido seminterrato con la sola compagnia dei libri e della televisione, che almeno le ha permesso di migliorare la sua conoscenza della Terra. Quello che odia è lo scopo di questa operazione: le zanzare sono programmate per riconoscere il sangue degli abitanti del metamondo anche se hanno assunto un aspetto terrestre. Se una qualunque di quei milioni di piccoli vampiri dovesse pungere un meridiano, invierebbe un segnale mentale che lei o Cedric potrebbero percepire, assieme alle immagini a pixel esagonali trasmesse dai suoi occhi composti e alla sua posizione. E se loro due fossero assenti, il messaggio sarebbe comunque registrato dalla memoria di… come si chiama, Lincoln… insomma, di quel busto che la guarda tutti i giorni da una mensola della libreria.
Sorride amaramente nel buio. Quel Lincoln era ricordato per la sua lotta alla schiavitù; è ironico che il suo busto contribuisca a rintracciare gente in fuga dalla propria patria oppressa da un tiranno. Perché ormai Meridian è così.
Perché Lord Luksas è fuggito? Era caduto in disgrazia presso il principe Phobos, o aveva immaginato ciò che, di lì a pochi mesi, i suoi servizi segreti sarebbero stati costretti a fare?
Il giorno prima Cedric, quasi percependo i suoi dubbi, le ha detto che quei fuggiaschi non sono poveracci qualsiasi, ma gente comunque abbastanza potente da trasferirsi da un mondo all’altro con la sua volontà, spesso senza neanche disporre dei contatissimi sigilli di teletrasporto. Gente così potente potrebbe avvicinare qualche leader politico del posto, per esempio il presidente Reagan, e suggestionarlo, rivelandogli che un mondo lontano, dal potenziale minerario ancora largamente inesplorato, langue sotto una tirannia.  E soprattutto, potrebbero rivelargli che questo mondo può essere raggiunto con aerei ed elicotteri, una volta conosciuti l’ubicazione e l’allineamento del portale naturale. Questo fluttua sopra l’Atlantico a cinquanta miglia al largo di Heatherfield, simile a una nuvola o, visto da dentro, a un lungo tunnel nella nebbia.
Lei, turbata, gli ha chiesto se davvero il principe Phobos tema questo, e Cedric le ha risposto con un’altra domanda: ‘Ti senti di escluderlo?’.

E’ passata mezz’ora. Immobile nel prato buio, Eleanor comincia a sentire l’umidità. Cerca il barattolo a tentoni, socchiudendo gli occhi mentre quelle bestiole schifose le ronzano ancora intorno, come incerte se quella pelle rosata e odorante di citronella possa rientrare tra i loro obiettivi.
Richiuso e fatto sparire il barattolo nella borsa, ritorna sui suoi passi con prudenza, allontanandosi dal ronzio opprimente.
Se ne torna verso il suo alloggio, allungando il percorso per evitare i vicoli squallidi e percorrere, piuttosto, una bella via piena di negozi.
Vedere la varietà di oggetti offerta dalle vetrine di questa città è affascinante. Si intrattiene un attimo davanti ad un negozio di ferramenta, osservando le sue mille offerte, da lucidissime pentole in inox  alle seghe e ai cacciavite, più centomila cose che non riconosce, ma che farebbero certo impazzire il suo Alborn. Se fosse qui con lei, si faticherebbe molto a staccarlo da questo negozio.
Un’altra vetrina è piena di vestiti. Dovendo restare a lungo sulla Terra, lei ha bisogno di qualche abito nuovo, ma le offerte dei negozi di Heatherfield non la convincono: metà dei vestiti femminili sarebbero impresentabili agli occhi dei meridiani.
Ginocchia, spalle, ombelichi scoperti… ciò fa contrasto con la bigotteria ipocrita di cui i terrestri si ammantano in tante occasioni.. E’ chiaro che è gente incapace di capire qualunque pensiero non espresso.

Di vetrina in vetrina, Miriadel arriva lentamente fino al Ye Olde Bookshop.
Mentre sta rimuginando paragoni tra i programmi televisivi e le suggestioni postipnotiche, si accorge che un chiarore traspare dalla porta vetrata della libreria.
Che sia Cedric? Così fuori orario?
Studia la situazione attraverso la vetrina. All’interno, un’anziana signora dai capelli lunghi e lisci sta seduta a un tavolino, sfogliando un libro e scoccando occhiate impazienti all’esterno.
L’ha vista! Si è alzata in piedi, continuando a guardare verso di lei.
Eleanor teme di sapere chi è. Ahi, grane in vista.
Apre la porta, ancora chiusa a chiave. “Signora, la libreria è chiusa, e da un bel pezzo. Come ha fatto a entrare?”.
L’altra le fa un leggero inchino un po’ cerimonioso. “Signorina, possiamo parlarci subito chiaramente, anziché prenderci in giro?”.
“Prego?”.
L’anziana signora fa un gesto verso la vetrina, che immediatamente si appanna. Poi, in un turbinio di luci, si trasforma nella giovane e decisa Guardiana dalle alette iridescenti e dal costume sgargiante. Poi  tende un braccio, facendo galleggiare sopra il palmo un oggetto che emette una intensa luce rosata.
“Però… niente musichetta?”, scherza Eleanor per mascherare la sua impressione. Questa deve essere l’ultima delle guardiane di Kandahar… di Kandrakar di cui le hanno parlato. Ma perché queste grane non arrivano quando c’è anche Cedric?
“Signorina, il mio nome è Yan Lin. Non faccia finta di non avere capito chi sono. Io so già che lei è un agente del servizio segreto di Meridian”.
“Non si aspetterà che glielo confermi, vero?”.
“Non serve. Sono qui per portarvi un messaggio da parte della Congrega di Kandrakar: tra ventiquattr’ore -sbircia l’orologio alla parete- anzi, tra ventidue ore e un quarto, verrà riattivata la Muraglia, che impedirà ogni passaggio tra il Metamondo e la Terra. Perciò, se ci tiene a tornare alla sua Meridian, lo faccia subito, e riferisca il messaggio ai suoi superiori perché richiamino immediatamente tutti i suoi colleghi dalla Terra”.
A Eleanor l’idea di tornare nella sua città non dispiace troppo. Ma... cosa ne dirà Cedric? E… e il principe Phobos?
“Aspetti, forse ne può discutere…”.
“Inutile discutere tra noi, signorina. Io sono un’esecutrice, come credo che sia lei. Ma, se vuole un mio parere personale, glielo darò. Sarei ben felice che, oltre ai vostri agenti, riportaste via anche tutte le dannate zanzare con cui avete infestato la città”.
 
 

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Capitolo 13
*** Le Guardiane di Kandrakar ***


13-Le Guardiane di Kandrakar  
 
Ad personam:
Cara Melisanna, grazie per la tua recensione. Yan Lin è sempre stata un bel personaggio, penso che la stessa Disney si sia pentita di averla relegata nella fortezza, limitando le sue possibilità di interazione con le protagoniste. Sono contento che il gergo magichese di Cedric ti sia sembrato convincente. Spero di vedere finita la tua bella 'Terra magica'.
Cara Silen, grazie per il tuo continuo sostegno. Sì, anche a me fa sorridere quella scena. Scusiamo il povero Vathek per la sua goffaggine, è solo un novizio nei servizi segreti. E poi, non credo che vorranno più affidargli nessun animale più grosso di un chihuaua, d'ora in poi.  Anche a me piace Miriadel, e trovo interessante cercare di immaginare uno scorcio urbano del nostro mondo visto con i suoi occhi e i suoi metri di giudizio.

E ora, ecco una presentazione di questo capitolo, che si svolge subito dopo il precedente. Mancano poche ore alla chiusura della millenaria Muraglia fra i mondi. Sapremo qualcosa di più sul passato di Kandrakar e soprattutto sulla generazione di guardiane che si chiude con Yan Lin. Ho ricostruito questa versione dei fatti che portarono allo sgretolamento del vecchio gruppo, di cui facevano parte anche Kadma, Halinor, Cassidy e soprattutto Nerissa
Su quest'ultima ho portato due versioni, una molto parziale di Phobos e un'altra, più obiettiva, di Yan Lin, testimone oculare di quanto accaduto. 
La mia ipotesi sul fatto che in questo gruppo coesistessero guardiane di età diverse tenta di spiegare perchè nei disegni del fumetto, che ho supposto ambientato sedici anni terrestri dopo questa fiction, Yan Lin appaia avere un'ottantina di anni, e Kadma molti meno. 
La storia della maledizione di Endarno a Nerissa per una sua ultima ribellione (che, in barba a ciò che pensa Phobos, dev'essere stata molto più di un semplice insulto, visto che la Guardiana rinnegata fece in tempo a crearsi una sorta di scettro magico) cerca di spiegare perchè l'aspetto orribile con cui Nerissa esce dal suo sarcofago nel n.16 non assomigli affatto a una versione semplicemente invecchiata della "giovane". E a chi attribuire il dubbio merito di questo sortilegio, se non al potente guardiano della Torre delle Nebbie?

Buona lettura
MaxT

Capitolo 13

Le guardiane di Kandrakar


“Non fate torto alle vostre stesse profezie, Regina. Non le avete sempre dette infallibili? Avete previsto che Elyon sarà la settima Luce di Meridian. Ci resta solo da vedere in che modo ciò si avvererà”.

L'Oracolo di Kandrakar


Meridian, sala del trono

“Idiota!”, tuona Phobos dall’alto del trono al direttore dei suoi servizi segreti, “Ti sei mosso come un sarvak in una bottega di cristalli, finché hai risvegliato quella sonnecchiante congrega di ebeti di Kandrakar dal loro beato letargo fra le nuvole!”.
Cedric, ai piedi della pedana, tenta di mantenere un atteggiamento ossequiosamente dignitoso, ma l’ira di Phobos è qualcosa che si percepisce fino nei visceri. “Altezza, abbiamo seguito i vostri ordini. Ma non si può fare la frittata senza rompere le uova… E poi, in fondo questo impedisce ai transfughi di continuare a uscire o rientrare incontrollati. E quindi…”.
Phobos lo fissa con gli occhi ridotti a due fessure. “Tu non hai idea di cosa c’è in gioco!”.

Dopo aver congedato Cedric, il principe si morde il labbro, serrando i pugni in un gesto di rabbia impotente. Odia sentirsi così limitato, costretto. Odia chinarsi a un’autorità arbitraria che si intromette nel suo diritto di catturare i suoi cittadini che gli si sono ribellati.
In un posto come Meridian è ben difficile mantenere un segreto: la notizia della sua umiliazione filtrerà di sicuro tra i cittadini. Freme pensando che qualcuno possa compiacersi di questa.
Ma quel che, nel lungo temine, peserà di più sarà il non poter accedere alla tecnologia e alla scienza terrestri. Quelle conoscenze che sua madre ha cercato inutilmente a Heatherfield, nel tentativo di prolungare la vita di Adleric,  potrebbero rendersi disponibili nei prossimi decenni. Potrebbero permettere di impiegare i suoi poteri autotaumaturgici a livello subcellulare con tale efficacia da raggiungere una quasi immortalità. Ciò allontanerebbe anche, forse all’infinito, il bisogno di mettere al mondo un successore, e così il suo Regno sarebbe senza fine, il vertice dell’evoluzione del Metamondo e della Dinastia.
E tutto questo dovrebbe saltare perché Kandrakar vuole limitare le interazioni tra i mondi, che ci sono state per milioni di anni prima che la congrega apparisse!?! Senza interazioni, nulla nel Metamondo di oggi, e forse neanche sulla Terra, assomiglierebbe a com’è!

E’la seconda volta che Kandrakar lo umilia: il primo affronto, che gli brucia mai sopito da decenni, è stato ciò che fecero alla sua Nerissa.  Questa era una donna eccezionale: nei pochi mesi del loro legame, lei e Phobos si erano confrontati su ogni aspetto della loro visione del mondo, restando sempre più sorpresi della loro convergenza. Si erano scambiati ogni genere di conoscenza magica, crescendo assieme in esperienza e potere; lei lo aveva erudito sugli Elementi, mentre lui le aveva insegnato molto della magia di Meridian, mettendola in grado di operare con grande efficacia anche con i suoi soli poteri di base.
Ma l’Oracolo mise la parola fine a quell’idillio dal quale sarebbe potuto nascere il nuovo ordine dei mondi; preoccupato che Nerissa diventasse sempre più autonoma da lui, le impose di riconsegnargli il Cuore di Kandrakar.
Lei rifiutò, naturalmente: il legame tra la guardiana e il suo Cuore non poteva essere rotto dall’esterno. Allora quell’uomo, con un rituale stregonesco, convinse lo spirito che animava quell’amuleto a ricusarla. In un confronto drammatico, il Cuore di Kandrakar lasciò le mani di Nerissa per librarsi verso l’Oracolo, che lo ghermì.
Lei fu destituita da Guardiana, ma ormai, grazie a ciò che aveva appreso da Phobos, era divenuta assai potente anche senza quel monile.
Nerissa cercò di convincere quell’altra guardiana che aveva ricevuto il talismano a renderglielo. La cosa degenerò, le due donne lottarono, lei colpì forse troppo forte, non seppe mai spiegare come. Alla fine, quell’altra non si rialzò mai più dal suolo.
Nerissa rimase impietrita: era andata molto al di là delle sue intenzioni.
Non oppose resistenza quando, pochi istanti dopo, le altre guardiane apparvero e la trassero fino alla fortezza di Kandrakar.
Fu condannata a essere sepolta per sempre in un sarcofago di pietra stregata che l’avrebbe mantenuta in una vita peggiore della morte, perso in un deserto di ghiaccio chiamato Groenlandia.
A questa sentenza incredibile lei protestò, gridò, maledisse l’Oracolo e tutta la congrega. Venne trascinata via in catene, sedata con gli incantesimi più potenti.
Insultò anche Endarno, il sommo custode della Torre delle Nebbie, il carcere di Kandrakar. Lui, per spregio, le lanciò una maledizione che distrusse la sua superba bellezza, trasformandola in un mostro così repellente che avrebbe creato disgusto anche in quelli che trascinano la loro esistenza a Meridian bassa, ben al di fuori del palazzo.
Poco prima che lei fosse rinchiusa per sempre nel suo sarcofago, Phobos arrivò sulla Terra ignaro di tutto, e captò con la mente il suo disperato messaggio di addio, pieno di rabbia e di dolore, un momento prima che il coperchio si richiudesse per sempre su di lei.
La cercò disperatamente per soccorrerla, ma fu sconfitto dapprima dall’immensità della Groenlandia, e poi dall’Oracolo di Kandrakar: fattolo scacciare senza ritegno fin a Meridian, quello stregone attivò la Muraglia, una barriera magica che interrompe il portale naturale che collega il Metamondo con la Terra.
Dopo mille tentativi falliti, dovette desistere; per volontà di sua madre, dovette perfino giurare di rinunciare a quella ricerca, e solo allora il passaggio per la Terra fu di nuovo aperto.
E’ questa la gente a cui, ora, gli tocca chinare la testa per la seconda volta.
 

Meridian, appartamento della regina

E’ dal giorno del massacro di piazza Due Lune che la regina è chiusa in se stessa, impermeabile anche ai tentativi di Lidrienel di coinvolgerla in qualche conversazione, di allietarle la giornata con fiori e piccoli pensieri che vanno al di là dei doveri di un’ancella.
Il ronzio di scontento che percepiva affacciandosi sul balcone ora è diventato una cappa di rancore e  paura densi come piombo fuso.
Seduta sul divano, ripensa sempre a quel giorno. Non riesce a credere di avere maledetto suo figlio davanti a tutti: come madre, come regina, non avrebbe mai dovuto neanche pensare parole simili, ma ormai è troppo tardi per ritirarle.
Però le immagini dirette a Phobos, che anche lei ha captato dagli occhi di Cedric, continuano ancora ad amareggiare i suoi giorni e tormentare le sue notti.
Inaspettatamente suona il campanello.
“Chi sarà? Lidrienel…”.
“Subito, Altezza”, risponde lei pronta dalla sua stanzetta, riponendo l’ennesimo romanzetto rosa.
Un attimo dopo l’ancella ritorna, seguita a ruota dal comandante Alborn.
Questo saluta percuotendosi il petto. “Scusate, Altezza. C’è una notizia grave. Ho saputo ora che Kandrakar sta per attivare la muraglia”.
 

Heatherfield, Ye Olde Bookshop

Il gigante azzurrino col soprabito sformato dà un’ultima occhiata al misterioso contenuto della sua valigetta aperta sul tavolo dello scantinato, poi la richiude. “Ho preso tutta l’attrezzatura, lord Cedric. Volete che aspetti anche Toxhorr e Vatris, o parto subito?”.
“Aspettiamoli, Vathek, così…”. Si interrompe, notando uno scintillio in un angolo dello scantinato. “Eccoli, stanno …”.
Si zittisce, stupito: le figure che si materializzano sono Eleanor Brown, con la sua giacca a vento grigia e fucsia, e… nientemeno che la Regina, bardata con un impermeabile teso sul pancione e un cappello alla Humphrey Bogart ispirato a qualche giallo fuori moda.
“Altezza!”, salutano i due agenti con un inchino, “Che sorpresa”.
Cedric butta un’occhiata di disappunto a Eleanor, poi previene un rimprovero: “Altezza, sarei passato da voi tra poco, ma evidentemente il capitano Miriadel mi ha preceduto”.
“Ciao, Cedric. Voglio trattare con Kandrakar. Raggiungerò la guardiana a casa sua, con Eleanor”. Fa per imboccare la scala che sale verso il negozio, “Buon giorno a tutti…”, poi nota che attraverso le finestre del seminterrato si vede solo il buio, e l’orologio alla parete segna l’una passata. “Ma è notte fonda, qui?”.
Lui annuisce. “Temo di sì, Altezza. La guardiana non sarà entusiasta della visita”.
 

Heatherfield, davanti al Silver Dragon

Mentre le luci del taxi si allontanano, Adariel si stringe nell’impermeabile. Fa freddo, è umido. Tutt’altro clima rispetto a quello a cui è abituata.
“Questa è la casa, Altezza”, dice Eleanor davanti al piccolo edificio nel cui muro si aprono due finestre circolari, come grossi oblò di una nave.
“Lo so” risponde guardando in alto l’insegna ‘The Silver Dragon’, attorno alla quale si avvolge un lungo animaletto sottile e argentato. E’ ovvio che questa gente non ha mai visto un vero drago. “Ci sono già stata, anni fa”.
“Avete confidenza con la guardiana?”.
Adariel si stringe nelle spalle, facendosi salire il bavero fino agli occhi. “Diciamo che è una persona con la quale si deve cercare di andare d’accordo, e credo che anche lei pensi ciò di me”.
Eleanor guarda verso l’alto. “Tutte le luci delle finestre sono spente. E’ l’una e mezza”.
“Peggio per lei”, risponde sprezzante la regina. “E’ troppo urgente, e poi non si dà un ultimatum del genere alle otto di sera”.
L’altra non fiata, chiedendosi se questo faccia parte del modo per andare d’accordo.
La serratura dell’ingresso scatta da sola.
Entrano. All’interno il locale è deserto, illuminato solo dalla luce dei lampioni che filtra attraverso le due grandi finestre.
Adariel fa strada, camminando con prudenza fra le gambe all’aria delle sedie rovesciate sui tavoli.
Nella vicina cucina, il gocciolio di un rubinetto batte il tempo su una pila di piatti in ammollo.
‘Di qua, per le scale’, trasmette mentalmente la regina. Le due salgono pian piano cercando di non provocare scricchiolii, indugiando indecise davanti ad alcune porte chiuse.
‘Ora siamo invisibili. Entro io’, comunica Miriadel.
Con prudenza infinita fa aprire la porta, lentamente, come se fosse un refolo di vento. Si fa avanti, guardandosi attorno. Un letto di bambù  a una piazza, disfatto ma vuoto.  Entrano entrambe. Qualcosa suggerisce che è proprio la camera di Yan Lin, ma lei non si vede.
“E adesso?” bisbiglia la regina, rinunciando all’invisibilità.
D’improvviso alle loro spalle risuona una voce decisa e giovanile dall’inconfondibile accento cinese: “Posso sapere cosa fate in camera mia, signore?”.

Nell’intimità del loro talamo, Chen e Joan stanno assaporando la parte migliore della loro vita da sposini, quando un doppio strillo li fa sussultare nel letto.
“Cos’era? Chen, cos’era?”.
“Non so”, risponde lui alzandosi veloce e infilando una vestaglia, mentre lei si copre col lenzuolo. “Vado a vedere”.
Un attimo dopo è alla porta della camera di Yan Lin. “Mamma, cosa succede?”, chiede in cinese.  Per un attimo ha la sensazione di un parlottare concitato oltre il battente chiuso, poi di un bagliore attraverso le fessure; infine la voce rassicurante di sua madre gli risponde: “E’ tutto a posto. Solo un brutto sogno”.
Lui apre la porta, trovando l’anziana tranquillamente distesa sul letto sotto le coperte; nella stanza non c’è nessun altro. “E quelle voci?”.
“Forse ho parlato nel sonno”, risponde lei girandosi su un fianco.
Chen sbircia dietro la porta e il cassettone. “Ma perché mi rispondi in inglese?”.
“Perché… perché fa parte del sogno”.
Lui scuote il viso e si ritira. Qualche volta sua madre, nonostante i suoi sessantacinque anni, ha le stesse stranezze di una bambina.
 

Kandrakar

“Ben arrivata, regina”, esordisce l’uomo senza età seduto a gambe incrociate al centro della sala, mentre levita a un palmo dal pavimento, “Aspettavo la vostra visita”.
“Non per niente si chiama Oracolo”, sussurra la guardiana ammiccando ad Adariel.
Questa si sfila il suo cappello a tesa, un po’ incerta. “Oracolo, sono qui per chiedervi rispettosamente di ritirare la vostra minaccia di riattivare la muraglia”.
Lui resta imperturbabile. “Non è una minaccia. E’ una decisione già presa”. Dopo una breve pausa, rimarca: “Avete ancora diciassette ore e dodici minuti”.
Lei storce il viso a quella precisazione. “Signore, quali sono le vostre condizioni per ritornare sulla vostra decisione?”.
“Due cose che non potete garantirmi, regina: l’interruzione delle fughe, e l’interruzione delle ricerche. Però mi pare che abbiate perso da tempo il controllo della situazione”.
“Ma non è colpa mia!”.
“Non intendevo rimproverarvi. Però potrebbe essere interessante rimeditare sulla vostra affermazione”.
“Cosa vuol dire?” chiede lei sulla difensiva.
L’Oracolo le sorride imperturbabile. “Mi ricordo che una volta una delle mie guardiane, Cassidy, mi fece una domanda: ‘perché la Luce di Meridian ha scelto il nome di Phobos per suo figlio?’  Vi giro la domanda, regina: se Cassidy fosse ancora qui, viva, cosa le risponderebbe?”.
Lei, inquieta, resiste alla tentazione di ribattere ‘fatti gli affari tuoi’; perché questo richiamo a Phobos e a una guardiana uccisa dalla sua amante? Cosa vogliono farle capire? Tanto vale rispondere sinceramente. “Leggendo un libro terrestre di astronomia, fui colpita dai nomi dei satelliti di Marte: Phobos e Deimos. Pensai di sceglierli per i miei futuri figli maschi. Solo molto tempo dopo seppi il significato di queste parole in greco antico: Paura e Terrore”. Lo guarda. “E con questo?”.
“Un’altra domanda, regina. Voi avete spesso affermato di godere del dono della profezia. Secondo quanto dite, il Dio del Fato ha scelto voi per manifestarsi attraverso presagi di ogni tipo”.
“Lui ha scelto me, ma non sono stata io a scegliere lui. Dove volete arrivare, Oracolo?”.
L’uomo resta impassibile, ma non risponde.
E’ Yan Lin a farlo per lui: “Forse intende che voi avevate già previsto da tempo la tirannia di Phobos, ma non avete fatto niente per impedirla”.
“Ma i primi presagi chiari sono stati di soli tre anni fa” risponde animatamente Adariel, “Troppo tardi per impedire che vada al potere. E, soprattutto, che senso ha andare contro una profezia che viene dal Dio del Fato? Il futuro è già scritto, proprio come il passato!”.
L’Oracolo annuisce. “Conosco e rispetto il vostro punto di vista sulla predestinazione”.
“E allora, mi state rimproverando qualcosa? Non ha senso fermare l’inverno. Io ho preferito seminare per la primavera”. Tenta di scorgere una qualunque emozione nel viso di lui, poi prosegue decisa: “Mia figlia Elyon riporterà la giustizia a Meridian appena sarà abbastanza grande da saper usare i suoi poteri innati”.
Un’ombra di rimprovero sfiora l’espressione di lui: “Non serve fingere, regina. Io posso vederlo: non c’è alcuna figlia nel vostro grembo. Perché portate avanti questa finzione?”.
Dietro di lei, Yan Lin rimane a bocca aperta per la sorpresa.
Mordendosi il labbro, Adariel replica caparbia: “La Settima Luce di Meridian esisterà, anche se non uscirà dal mio grembo, e realizzerà ciò che il Dio del Fato ha previsto per lei”. Poi, con tono dimesso: “Purtroppo, nel suo mondo non potrà essere al sicuro. La profezia vuole che si rifugi sulla Terra anche lei, ma la barriera sarebbe un ostacolo formidabile”. Finisce con una voce quasi supplice: “Anche se voi riattivate la muraglia, non potreste lasciar passare almeno lei e i suoi genitori adottivi, quando sarà il momento?”.
Lui resta a lungo silenzioso, lasciando la questione in sospeso. Quando risponde, il suo tono non tradisce emozioni. “Purtroppo la presenza sulla Terra di una bimba aliena dai poteri così forti sarebbe un terribile fattore di squilibrio. Se questa ipotetica figlia dovesse sviluppare i suoi poteri lì, potrebbe facilmente prendere l’intero pianeta in suo potere, magari influenzandone i leader politici in modo occulto”.
“Questo potrebbe solo che giovare alla Terra” risponde lei accigliata, “Mia figlia sarà come me: odierà le guerre e le ingiustizie, e le farà cessare immediatamente”.
“Come sul Metamondo, guarda caso”. Dopo una breve pausa, lui riprende: “Se dovesse avere figli sulla Terra, questa ipotetica Elyon potrebbe creare una dinastia potentissima e trasformare tutto quel mondo in una nuova Meridian”.
Adariel si morde il labbro più forte: con la sua risposta impulsiva ha dato un argomento in più all’Oracolo. Ma probabilmente non fa differenza: ha la sensazione che lui sia ormai irremovibile nella sua decisione.
L’uomo continua: “Regina, io non voglio criticare il vostro modo di intendere pace e giustizia. Da parte mia, credo che ogni popolo, nel lungo termine, abbia il governo che merita. Semplicemente, il compito della nostra congrega non è portare giustizia, libertà, pace, amore, fede, progresso, gloria, democrazia o una qualunque delle cose che a turno, nei secoli, sono state considerate buone. Il nostro compito è mantenere l’equilibrio tra i mondi, limitando certe interazioni, e dovete convenire che con voi negli ultimi trecento anni siamo stati molto tolleranti, come riconoscimento per le vostre buone intenzioni. Ora però è sotto gli occhi di tutti che la situazione vi è sfuggita di mano”.
Adariel riesce a malapena a trattenere le lacrime. “Siete senza cuore, Oracolo! Allora, non vi importa niente cosa sarà di Meridian? E…  di Elyon?”.
L’uomo risponde, impassibile: “Non fate torto alle vostre stesse profezie, Regina. Non le avete sempre dette infallibili? Avete previsto che Elyon sarà la settima Luce di Meridian. Ci resta solo da vedere in che modo ciò si avvererà”.
 

Heatherfield, camera di Yan Lin, un’ora dopo

Nella camera silenziosa, una lama di luce del lampione fende l’oscurità filtrando attraverso le tende, e disegna bande aranciate sul soffitto e sulla parete.
L’anziana Yan Lin, seduta sulla sua poltroncina di vimini, attende l’alba ancora troppo lontana. Non se la sente di tornare tra le sue coltri dopo che quella Alienor o come si chiama ci ha dormito dentro, sia pure con il suo aspetto. Chi sa che germi potrebbero portare questi meridiani dal loro mondo medievale?
Non è solo questo che le toglie il sonno. Di tutte le cose accadute questa notte, sono state alcune frasi dell’Oracolo a riaprire un vaso di Pandora di ricordi dolorosi e mai abbastanza lontani.
Cassidy. La sua compagna Cassidy. Alla Regina quel nome ha ricordato solo uno spiacevole fatto di cronaca, ma per Yan Lin è stato diverso.
Ha pensato a Nerissa, evocata anche senza farne il nome.

Nerissa, la sua amica. Nerissa, la Guardiana del Cuore. La maga. La ribelle. L’assassina.
Nel 1936, in tempi in cui nubi di odio si addensavano sul mondo, lei e Nerissa furono reclutate assieme ad altre tre quindicenni, un gruppo multietnico di Heatherfield.  Dopo aver resistito unito per tutta la seconda guerra mondiale, questo gruppo si sfasciò tra le più odiose recriminazioni pochi giorni dopo la sua fine, e solo loro due rimasero fedeli all’impegno verso Kandrakar.
Si ricorda del loro primo incontro con le tre nuove guardiane scelte dall’Oracolo per colmare il vuoto: Kadma, Halinor… e Cassidy. Tre quindicenni, proprio come lei e Nerissa nove anni prima.
La differenza d’età non si vedeva quando erano tutte trasformate in guardiane, con i loro splendidi costumi, i corpi sempre nel fiore degli anni e le mani rutilanti degli immensi poteri degli Elementi; era stridente, però, quando le cinque ragazze erano al naturale, e soprattutto coinvolgeva atteggiamenti e interessi tipici di diverse fasi della vita; non fu mai più possibile ricreare l’unione che avevano vissuto all’inizio.
Nerissa rimase la Guardiana del Cuore di Kandrakar, la leader. Amareggiata dalla fine del gruppo originale, cominciò lentamente a sviluppare concezioni tutte sue sulle finalità della congrega.
In diverse occasioni, Yan Lin notò che l’altra sapeva usare anche magie che non appartenevano al suo ruolo di Guardiana; quando gliene chiese ragione, questa rispose semplicemente che le venivano spontanee.
Anni dopo, il vecchio Oracolo lasciò la carica, e al suo posto fu nominato Himerish, che sta ancora coprendo questo ruolo con onore. Nerissa, contrariata, chiese in consiglio per che ragione fosse stato scelto un uomo il cui maggior merito era l’abilità nelle arti marziali arcaiche, piuttosto che un potente mago. Anzi, disse ‘una potente maga’, poi si corresse. Le risposero che Himerish era stato eletto per la profonda stima che destava in chiunque lo conoscesse. Tranne che in lei, a quanto pare, perché non mancò mai di mettere in discussione i suoi ordini. Infatti Nerissa si considerava la più adatta a quella carica.
Nel 1959 tutte loro furono inviate a Meridian, a portare un’ambasciata alla regina Adariel, abituata a scorrazzare per la Terra. Capitava talvolta che questa, assieme a libri e riviste, riportasse nel suo mondo anche cose un po’ più strane, come ossido di deuterio e di trizio in bottigliette di acqua minerale, per gli esperimenti di cui si dilettava. Peggio ancora, era piuttosto negligente nel nascondere ai terrestri i suoi poteri, come se si divertisse a stupirli. Era necessario un richiamo energico.
Quando Nerissa vide il bel principe Phobos, e lui vide la Guardiana del Cuore, questa si sciolse in sorrisoni e sorrisini, e il necessario monito alla regina fu duro quanto un bigné, spiazzando anche le altre che non osarono contraddire la loro leader.
Nel periodo successivo, Nerissa si teletrasferì a Meridian molte volte da sola.
Quando le rimproverarono di sfruttare i poteri di Kandrakar per scopi personali, lei dimostrò che in realtà stava sfruttando magie sue proprie. Ed era vero: per esempio, si teletrasportava sparendo in un baluginio come i meridiani, e non in un lampo come le altre guardiane.
Ma si temeva che la sua magia fosse andata molto al di là di questo: in diverse occasioni aveva dimostrato poteri teleipnotici assolutamente proibiti dai codici di Kandrakar, ma tipicamente usati a Meridian dagli Escanor.
Tutto il resto avvenne nel giro di poche ore. L’Oracolo, persa ogni fiducia in lei, le chiese di restituire il Cuore. Lei rifiutò rinfacciandogli, fuori dai denti, che i mondi erano pieni di violenza e ingiustizie, e chi aveva il potere di fermarle ne aveva anche l’obbligo, sconfessando il principio di non intervento che aveva ispirato la congrega fin dalla sua nascita, trentamila anni prima. Continuò buttando in faccia all’Oracolo che era indegno del suo potere, che le guardiane erano degradate al ruolo di doganieri e che i saggi erano un’accolita di buffoni arteriosclerotici preoccupati solo di conservare il loro seggio celeste e la loro eterna senilità. Dichiarò orgogliosamente che voleva unire i due poteri più forti dell’Universo, quello di Kandrakar e quello di Meridian, per iniziare una nuova era di giustizia, stabilità e pace.
L’Oracolo la guardò imperturbabile, e le rispose che i secoli avevano visto migliaia di guerre e tirannie iniziare con parole simili a queste.
Ventiquattro anni non sono bastati ad attenuare in Yan Lin l’orrore e il rimpianto per i terribili avvenimenti che seguirono: anche se ricorda ogni parola che fu detta, ogni gesto, ogni sguardo, il dolore di richiamarli in dettaglio le è insopportabile. La sottrazione del Cuore di Kandrakar all’incredula guardiana, la sua consegna alla giovane Cassidy e poi, poche ore dopo, il trovare questa contorcersi negli ultimi spasmi dell’agonia, con accanto Nerissa in stato confusionale i cui palmi delle mani ancora emettevano fili di fumo…

Yan Lin scuote il viso, tentando di cacciare questo ricordo troppo crudele. Si morde le labbra, con le lacrime agli occhi. La punizione di Nerissa fu terribile, ma necessaria. Non fu segregata a vita solo per ciò che aveva fatto, ma soprattutto per quello che avrebbe ancora potuto fare.
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Dimenticato in un altro mondo ***


14-Dimenticato in un altro mondo  
 
Ad personam:
Cara Melisanna, grazie della tua rapidissima recensione. Hai perfettamente ragione a dire che Adariel ricorda Elyon come potrebbe essere per i prossimi due-trecento anni. Anni di Meridian, naturalmente. Sono contento che ti piaccia la mia interpretazione dell'Oracolo, che ho cercato di mantenere fedele a quello del fumetto nei suoi momenti migliori. Spero sempre di poter leggere il finale di Terra magica.
Cara Silen, grazie delle tue recensioni, sulle quali so di poter contare, e per l'aiuto datomi a suo tempo nel rileggere le bozze di tutta questa storia. Per Phobos, poverino, c'è un'altra sberla in vista, e ancora una volta sarà Cedric a fare da testimone e da sfogo. Miriadel e Yan Lin sono tra i miei personaggi preferiti, tra quelli che rivedrei più volentieri in ipotetici futuri lavori, anche se Miriadel, sia nel fumetto che nel cartone, rimane un personaggio molto marginale. Yan Lin invece segue una sorte diversa nel fumetto e nel cartone; in quest'ultimo, infatti, resta al suo ristorante, viva a tutti gli effetti, dando luogo a diverse sottotrame simpatiche. 
Cara Atlantislux, ti ringrazio per seguire costantemente questa fiction.   Per quanto riguarda Nerissa, immagino che la pena di morte non fosse contemplata da Kandrakar. Il fumetto racconta che fu sigillata in un sarcofago, non è chiaro se viva o più probabilmente in animazione sospesa, visto che le persone vive devono mangiare, bere e fare anche i loro bisognini. L'incantesimo che la sigillava fu scioccamente formulato in modo da rompersi qualora si fosse verificato un evento ritenuto impossibile, che puntualmente si realizzò in WITCH n.14. A questo punto non è chiaro perchè non l'avessero tenuta nella Torre delle Nebbie. La spiegazione che potrei immaginare è che in origine, dopo il processo, fosse stata destinata lì, da dove però ha tentato di evadere. Potrebbe avere realizzato un talismano materializzando una copia semi-inerte del cuore di Kandrakar  (infatti sempre nel fumetto si vede che il fantasma della guardiana da lei uccisa, Cassidy, è in grado di materializzare un cuore di scorta e lo cede a Will che ne è stata privata), e l'ha montata su uno scettro potenziato con un po' di magie imparate a Meridian (infatti tale scettro appare tra le sue mani, nel fumetto). 
Poi potrebbe aver cercato di evadere seducendo qualcuno dei sacerdoti-guardiani finchè Endarno, il capo custode della prigione, non l'ha affrontata e sconfitta, trasformandola in una orribile mummia vivente e spezzando la sua copia del Cuore (che infatti, nei disegni del fumetto appare crepata). 
La inusuale crudeltà di tale punizione potrebbe appunto essere spiegata, oltrechè con il tentativo di evasione di Nerissa dalla prima prigione, col fatto che la sua bellezza avesse avuto un ruolo importante in tale tentativo.

Ed ora qualche parola su questo capitolo. Ciò che vi appare di nuovo non è un personaggio, ma piuttosto il primo accenno a un talismano: il Sigillo di Phobos, che nel fumetto le W.I.T.C.H. hanno ritrovato nello scantinato di casa Portrait, racchiuso in un libro-cofanetto sigillato da un incantesimo. Dopo un drammatico tentativo di forzare lo scrigno, il sigillo venne infine inglobato nel Cuore di Kandrakar. 
Qualcuno si sorprende che sia stata Adariel l'ispiratrice di questo oggetto, descritto come così sinistro? Tenete conto che poi è servito per far fuggire i genitori adottivi con Elyon sulla Terra.
Invece con questa puntata daremo l'addio al geniale ed egocentrico Jonatludr, che andrà incontro al suo destino nel passato, ma sarà comunque il protagonista ancora per oggi.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 14

Dimenticato in un altro mondo

Chi controlla il passato, controlla il futuro.
Jonathan Ludmoore


Le grandi finestrature laterali lasciano entrare nella sala del trono la luce grigiastra di un’altra giornata cupa. Dopo quei disordini in piazza, il tempo su Meridian non si è mai ristabilito: nuvole e pioggia, sempre.
A Phobos, ogni giorno così ricorda ciò che più vorrebbe seppellire nell’oblio, la maledizione di sua madre. Da quel giorno orribile non si sono più incontrati, ma lui non ha potuto smettere di pensare al biasimo feroce che ha intuito nei suoi occhi.
Il breve sprazzo di sole che è apparso stamattina gli ha acceso una speranza: forse sta per cambiare qualcosa.

Davanti alla pedana del trono, al centro dello snello colonnato, un baluginio prelude all’apparizione a porte chiuse del comandante dei servizi segreti.
“Vostra Altezza”, saluta il nuovo arrivato con una genuflessione che fa allargare sul pavimento l’ampia veste azzurrina.
“Allora, Cedric; mi hai anticipato che sei latore di un messaggio di mia madre”, lo sollecita il principe.
“Un messaggio e un dono”. Tende la mano, e sul palmo appare un ciondolo: incastonata in un supporto argenteo, una sfera di ametista spande  bagliori violacei ben visibili nella penombra della sala.
Phobos rimane sbalordito riconoscendo l’oggetto: “Il Cuore di Kandrakar!”. Ricordi lontani ma indelebili si riaffacciano con prepotenza.
“Solo una copia, Altezza”, specifica con rammarico il comandante dei Servizi Segreti. “La Regina ha detto di averla materializzata una sera di sedici anni fa, dopo una cena cui Voi avevate invitato una Guardiana…Nerissa?”.
“Nerissa!”. Phobos tende una mano, e l’oggetto percorre a mezz’aria i sei metri che li separano, come tirato da un filo invisibile fino al suo palmo.
“La Regina poté sfiorare l’originale, e tanto le bastò per riprodurre questa copia. Purtroppo non le fu possibile replicare anche lo spirito che lo animava”.
“Quello della ninfa Xin Jing”, completa Phobos un po’ deluso, scrutando i misteriosi riflessi dell’oggetto. “Senza lo spirito, questo è solo un bel souvenir”.
“La Regina ritiene che questo pendente conservi dentro di sé l’impronta della magia di Kandrakar. Che sia possibile ottenerne un talismano in grado di vincere la muraglia”.
“Come?”, chiede Phobos incredulo; poi, pentito del suo stupore da sciocco mortale, torna a farsi autoritario e ieratico. “Riferiscimi esattamente ciò che mia madre ti ha detto!”.
“Sua Altezza ritiene che la Muraglia agisca sul portale naturale come un macigno fa su un ruscello: se gettato nel suo letto, lo spezza in rivoli che si cercano la loro strada verso valle. Ha detto che questi rivoli… che questi passaggi potrebbero essere controllati e addirittura spostati in luoghi nascosti e percorribili a piedi”.
Phobos socchiude gli occhi, valutando le implicazioni di queste parole: questi passaggi sarebbero molto più pratici dello stesso portale naturale, che fluttua a grande altezza e costringe a spendere preziose energie per teletrasportarsi. “Continua!”.
“La Regina dice che nella biblioteca proibita, nel quarto scaffale, ci sono due libri, “Poteri di Kandrakar” e “Tolo… topologia del portale…”.
“Topologia del portale naturale”, lo corregge il principe.
“Sì, Altezza. Mettendo assieme le informazioni di questi libri, Voi sarete in grado di controllare i passaggi”.
“Molto bene!” , annuisce Phobos soddisfatto, “E poi?”.
“La realizzazione del nuovo sigillo comporterà il sacrificio di questa copia che vi ha fatto avere; perciò sarà possibile realizzarne solo uno”.
Phobos annuisce ancora. Sperava di tenere questo oggetto come ricordo della sua Nerissa, ma ora si presentano prospettive del tutto nuove. L’accordo con Kandrakar è rotto, e ora esiste la possibilità di ricercare anche lei, qualora sia ancora viva.
Sorride soddisfatto, poi un’altra speranza lo rende titubante. “Cedric… come ti è sembrata mia madre? Voglio dire…”. Cerca con imbarazzo le parole migliori per formulare una delicata domanda personale a un subordinato.
“Invero, Altezza, la Regina non ha affidato direttamente a me l’oggetto e il suo messaggio. Mi sono stati passati dal capitano Miriadel”.
Phobos si acciglia. “Hai perso la sua fiducia, incapace!”. Scuote il viso. “A quanto pare, mi ha dato un motivo per andare a ringraziarla di persona”.
Cedric deglutisce per l’imbarazzo. “Ancora una cosa, Altezza. La Regina ha detto che non vuole essere ringraziata. Per lei… - si fa piccolo- … per lei non è cambiato nulla rispetto a quanto vi ha detto di persona...”.
Phobos torce il viso, volgendolo verso le finestre. E’ umiliante che lei abbia affidato un messaggio del genere a un subordinato di un subordinato. Come il tempo plumbeo, anche il volere di sua madre non è cambiato; neanche il guizzo di sole che ha visto stamattina era per lui.
Cedric riprende: “L’Oracolo di Kandrakar ha ignorato le sue suppliche. Lei vuole solo che Voi dimostriate loro che questo affronto gli si è ritorto contro. Non ha più la forza di farlo di persona”.
“Un affronto alla Regina è un affronto a tutta la dinastia”, conviene Phobos amareggiato.
Chiude gli occhi, riflettendo. Quei due volumi in biblioteca sono grandi e criptici, andranno settimane solo per leggerli. Ecco un altro lavoro per Jonatludr, quel maghetto da strapazzo.
D’improvviso, una fitta di dubbio gli attraversa i pensieri. “Cedric, quando hai richiamato i nostri agenti dalla Terra, hai avvisato anche Jonatludr, vero?”.
E’ ricambiato con uno sguardo incerto. “Chi, Altezza?”.
“Jonatludr!”. Vedendo l’incomprensione sempre più netta sul viso dell’altro, aggiunge: “Quello che ti avevo ordinato di dimen…”. Si ferma, afferrando che si è già risposto da solo: Cedric ha preso il suo ordine alla lettera.
 

Heatherfield, villa Ludmoore

Seduto alla sua grande scrivania di mogano John Ludmoore, alias Jonatludr, chiude il suo quaderno di appunti e sbuffa, scacciando con una mano una zanzara molesta. Nelle ultime settimane si sono moltiplicate… sarà la stagione.
Dovrebbe essere contento: il viaggio nel tempo, da complicato gioco da tavolo per stupire, è stato perfezionato abbastanza da poter essere messo in atto a volontà con un’attrezzatura che sta in una tasca, ed è solo merito suo. Se il mondo fosse giusto, ciò sarebbe abbastanza per farlo passare alla storia, ma Phobos ha sempre accolto i suoi grandi successi come se fossero banali e dovuti; non lo ha mai trattato né da cugino, né da genio della magia come meriterebbe. Inoltre lo costringe al segreto per prendersene i meriti: la gente di Meridian conosce il nome di Jonatludr solo per quella vecchia storia dello spiritismo, e ne diffida.
Chi si potrebbe meravigliare se ora lui preferisse restare incollato alla poltrona di quel rifugio grandioso e solitario che è villa Ludmoore, piuttosto che schizzare su per l’impazienza di fare il suo rapporto al principe?
Malvolentieri, fa sparire il quaderno nel suo palmo pronunciando una formula rituale, e quando riapre il pugno al suo posto c’è il sigillo di teletrasporto.
Si guarda in un grande specchio a parete, godendosi gli ultimi istanti in cui può restare come vorrebbe essere sempre, poi si passa l’altra mano sul viso, e il suo aspetto torna quello che i suoi pari devono mantenere nel palazzo di Meridian, con le odiate striature verdine e le orecchie a punta che lo differenziano dalla stirpe a cui sogna di appartenere.
Sbuffa di nuovo. Togliamoci questo pensiero…
Inizia la sequenza mentale, poi vede il grande studio dalle pareti ricoperte di libri svanire in un debole tremolio.

Cos’è questa luce azzurrina? Dov’è il palazzo? Il pavimento? I suoi piedi annaspano nel vuoto. Si sente senza peso. Inizia a ruotare senza controllo. Realizza di essere sopra il mare. Sta precipitando verso la superficie bluastra da un’altezza che non riesce a definire. Un grido terrorizzato, il suo, copre ogni altro rumore di quella scena irreale. Un vento sempre più forte lo investe dal basso, mentre la velocità di caduta si fa vertiginosa. Le onde si avvicinano. Veloci. Sempre più veloci. Stringe convulsamente il sigillo, finché il suo cervello paralizzato riesce a riprodurre la sequenza. Meridian. Meridian. Meridian.
Il mare svanisce dai suoi occhi per un istante; lui si ritrova davanti ad una nuvola che sembra un tunnel nella nebbia, ma senza alcun appoggio, e sta riprendendo a cadere. Attorno a lui, nell’azzurro, gabbiani in volo e lontane scie di jet. Di nuovo, sotto di lui,  il mare si sta avvicinando rapidamente. E’ paralizzato, incapace di pensare. Le pieghe dei vestiti riprendono a turbinare convulsamente. La superficie è vicina. Le sagome dei pesci traspaiono attraverso l’acqua. Ultimo tentativo, o addio. Villa Ludmoore. Villa Ludmoore. Un tremolio…
Un attimo dopo, tutto si scurisce, poi il grido, l’ impatto, il cozzo della fronte e del naso, e un’esplosione di puntini di luce che solcano il buio.

Dopo un tempo lunghissimo, Jonatludr si rende conto di essere ancora vivo: è nel suo studio a villa Ludmoore, disteso scomposto e dolorante sul pavimento. Tutto il suo corpo è agitato da un tremito irrefrenabile. Sente il sapore forte del suo sangue, che gli cola dal naso senza che lui riesca a fare niente per fermarlo, mentre la stanza gli gira tutt’attorno.

Jonatludr non sa quanto tempo è passato. Forse molto. I raggi del sole hanno il colore del tramonto.
Si rialza, incerto, tenendosi a un immenso scaffale. L’orologio alla scrivania segna… le sei e cinquanta? Possibile che in ottobre il sole tramonti così tardi?
Poi capisce: i raggi vengono dalla direzione del mare, da est. Questo non è il tramonto, ma l’alba.
Barcollando, si porta verso il bagno.
La prima occhiata allo specchio è un altro trauma: le occhiaie sono gonfie e peste; strisce scure di sangue rappreso gli solcano la faccia e gli incollano le labbra, nascondendogli le striature verdi.  Il naso gli fa male, è storto. Rotto. Le orecchie sono appuntite, come si conviene solo a Meridian.
Non è pensabile di chiamare soccorso ad Heatherfield. L’unica speranza è riprendere la lucidità di controllare il suo aspetto.

Dopo mezza mattinata di tentativi infruttuosi, l’ultimo lo premia: con un luccichio, il suo corpo si trasforma in John Ludmoore, la sua controparte terrestre, e tutte le tracce delle lesioni spariscono.
Si sente subito meglio, ma è ancora confuso: perché il suo teletrasporto si è concluso così, all’ingresso del portale naturale  sull’Atlantico, anziché a Meridian? Che il suo sigillo si sia guastato?
Si chiede a chi potrebbe chiedere aiuto. Forse… forse a Miriadel? Era passata di lì a spiarlo qualche mese prima, travestita da terrestre. Con che nome si era presentata? Eleanor… Brown? Certo, Brown, proprio come lo scrittore di Esperimento, quel racconto inquietante sul viaggio nel tempo.
Non ama certo quella ragazza: sa che ha avuto un ruolo nella sua condanna per spiritismo, anni prima. Però non ha altre scelte: non conosce altri meridiani ad Heatherfield.
Lei aveva detto che lavorava in una libreria. Ma quale?
 

Heatherfield, davanti al Ye Olde Bookshop, quattro giorni dopo

Ye Olde Bookshop, recita la targa di lamiera smaltata.
John Ludmoore controlla sul foglio che ha in mano: è la diciassettesima libreria della lista tratta dall’elenco telefonico. In nessuna delle precedenti ha trovato alcuna traccia di una commessa chiamata Eleanor Brown.
Sulla porta di questo negozio spicca un cartello: “Chiuso per inventario”, ma all’interno non si intravede alcun movimento. Vale la pena di approfondire.
John pronuncia tra i denti una formula magica, e sente lo scatto della serratura. Entra con tutta la disinvoltura che può.
All’interno non c’è alcun segno di vita, se si eccettua un ragno al lavoro sulla sua tela.
Gira attorno al bancone, dove alcuni libri sono impilati, e  vede diversi cassetti ancora aperti e svuotati, come se qualcuno se ne fosse andato in fretta.
Apre una porta sul retro, dove una scalinata lo porta fino ad un seminterrato in cui è allestito un alloggio di fortuna con un lettino pieghevole e uno di quei cosi, un televisore, che ai terrestri sembrano piacere tanto. Lui deve ancora scoprire cosa ci trovino nel passare ore a guardare uno schermo.
Torna su.  La sua intuizione gli grida che quello era il posto giusto, ma che gli occupanti se ne sono andati senza aspettarlo. Del resto, perché avrebbero dovuto aspettare lui?
Il motivo di questa partenza gli resta misterioso, ma significa comunque che dovrà cavarsela da solo.

Seduto dietro il bancone, si sforza di dominare la preoccupazione e ragionare lucidamente.
Si fa apparire in mano il sigillo di teletrasporto e lo osserva con attenzione. In questi giorni lo ha riprovato più volte, e sembra funzionare bene, almeno sulla Terra. Però non ha più osato ripetere il disastroso tentativo di teletrasportarsi a Meridian.
La comprensione lo trafigge come una spada: la Muraglia di Kandrakar! Tutti gli altri se ne sono andati in tempo, e lui…  Dimenticato! Ignorato!
Si affloscia sulla sedia, avvilito e scomposto. Maledetto Phobos! Maledetti loro! Dimenticare lui, che gli ha aperto le porte del tempo…
Già, il tempo! Il sistema per viaggiare nel tempo è collaudato e funzionante! Basterà tornare indietro di qualche giorno, prima dell’attivazione della Muraglia.  Anzi, sicuramente Phobos non lo ha fatto avvisare perché lui a Meridian è già tornato, e adesso forse il principe lo sta elogiando perché questo metodo gli consente di continuare i viaggi sulla Terra aggirando nel tempo l’ostacolo posto da Kandrakar sullo spazio.
E’ vero che il consumo di acqua magica è altissimo, ma ne ha ancora una buona scorta.

Appena si è rilassato, tutta la stanchezza di quattro giorni di camminate alla ricerca delle librerie, di spiegazioni e malintesi con questi terrestri gli piomba addosso, appesantendogli le braccia e le gambe.
Decide di concedersi un po’ di riposo in quel luogo, poi si teletrasporterà a villa Ludmoore.
Si guarda attorno. Scaffali e scaffali di libri. Alcuni sono vecchi e ingialliti come quelli della sua preziosa biblioteca, altri quasi nuovi. Chissà se a quella serpe di Miriadel piace leggere.
Ma di cosa scriveranno tanto, questi terrestri? A parte la magia, quanti altri argomenti ci sono sui quali valga la pena di sprecare carta?
Per curiosità, allunga la mano verso alcuni libri appoggiati sul bancone.
1984, di tale George Orwell. E’ l’anno in corso, sulla Terra. Sarà un libro di profezie?
Ne sfoglia alcune pagine, poi lo richiude stizzito. Che vittimismo: come fa il protagonista a sentirsi controllato, se non gli possono neanche leggere il pensiero?
Storia di Heatherfield, di Nicholas Cleverstone. Questo è uguale al libro che aveva con sé Phobos quando gli ha proposto di trasferirsi ad Heatherfield.
Proposto… in realtà una proposta del Principe del Metamondo assomiglia molto ad un ordine.
Ci rimugina: forse dovrebbe continuare le sue ricerche da solo per accrescere il proprio prestigio e la propria potenza, e poi tornare indietro nel tempo per costringere Phobos a considerarlo come un suo pari. Non è male, come idea! Gli brillano gli occhi: forse i suoi poteri magici, dopo una lunga preparazione, potrebbero superare perfino quelli del Principe. In questo caso, perché restargli sottomesso?

La sua attenzione torna sul libro: si ricorda che questo dedica diverse righe e un paio di foto a villa Ludmoore, ed è su queste pagine che Phobos o qualche suo tirapiedi hanno trovato il ritratto dell’alchimista, riprodotto in formato unghia, e hanno notato la sorprendente somiglianza di nome, aspetto e interessi tra l’antico Jonathan Ludmoore e Jonatludr.
Infatti, un fascicoletto di fogli piegati tiene il segno sulla pagina che ne parla.
Lo scorre con disappunto: dedicano più spazio alla casa che a lui. In poche righe lo definiscono un misterioso alchimista scomparso in circostanze ammantate di leggenda.
E’ poco, si rammarica: gli sarebbe piaciuto lasciare un segno più netto nella storia.
L’occhio gli cade sui fogli ripiegati che tiene ancora in mano. Sono fotocopie di qualche altro libro, zeppe di annotazioni in meridiano dalla calligrafia femminile. Di Miriadel, probabilmente.
Legge distrattamente le prime righe: sono proprio su di lui. E’ un resoconto molto più dettagliato, preso da una rivista di misteri.
Poteri degli elementi… demoni dalla pelle verastra… un libro su cui annotava le magie che diventa senziente… le Pietre degli Elementi…
Ma è il finale che lo sconvolge: secondo questa leggenda, Jonathan Ludmoore sarebbe stato risucchiato nello stesso Libro degli Elementi, sfuggito al suo controllo.
John rilegge più e più volte, incredulo e inorridito, il resoconto della sua scomparsa.
Il suo sguardo si perde nella stanza. E’ a questo disastro che è predestinato?
Soppesa le possibilità: non farebbe meglio a sfuggire a questa sconfitta, rinunciando ad andare nel passato per impersonare Jonathan Ludmoore? Eppure, ciò che è scritto è già avvenuto, non può essere cambiato in nessun modo. Ma il passato ha davvero bisogno che sia lui a impersonarlo, perché questo personaggio affascinante esista… sia esistito davvero? E se fugge, non rinuncia a quella che considerava l’assicurazione della sua futura gloria?
Poi razionalizza: se questo epilogo sinistro fosse davvero avvenuto, come potrebbe essere conosciuto da chi ha sparso la voce? Quello che è scritto è solo ciò che si racconta, non è necessariamente vero.
La protezione migliore, per Jonathan Ludmoore, sarà proprio mettere in giro lui stesso quelle voci che, raccolte da qualche credulone, saranno… sono poi state immortalate sulla carta stampata.
Non c’è da preoccuparsi, dunque: questo epilogo è solo una storiella che lui stesso ha raccontato… o racconterà, inventata proprio per scongiurare la sua stessa realizzazione.

Nel suo sollievo, John alza gli occhi e nota, nella luce aranciata del tardo pomeriggio, una donna anziana che, dal lato opposto della strada, osserva con insolita attenzione il negozio. E’ piccola di statura, con il viso contornato da capelli grigi lunghi e lisci, una carnagione chiara e un po’ giallina… ciò gli ricorda qualcosa.
La parola ‘asiatica’ emerge sgomitando tra i suoi pensieri.
Ma certo! E’ la descrizione dell’ultima Guardiana di Kandrakar! Dev’essere lei, la vecchia megera che lo sta spiando! Chissà se ha anche individuato la sua abitazione?
Sforzandosi di restare lucido, riprende il libro e le fotocopie che parlano di lui, poi scende nello scantinato, chiudendosi la porta alle spalle. Quella strega non deve vederlo mentre estrae il sigillo e si trasporta alla sua villa sul promontorio.
In quest’epoca, l’aria si sta facendo decisamente pesante. Dovrà completare in fretta i preparativi per il viaggio nel tempo, e abituarsi al suo nuovo nome: non più John, ma Jonathan Ludmoore.
 

Villa Ludmoore, tre ore dopo

John dà un’ultima occhiata al suo sontuoso studio, i cui scaffali colmi di libri si protendono fino al soffitto. Ha fatto più presto possibile, ed è riuscito a completare i preparativi in meno di due ore: ha inserito nella borsa poche decine dei suoi libri di magia ridotti alle dimensioni di zollette, confidando che nella sua nuova e gloriosa vita nel passato non avrà difficoltà a comprare tutti gli altri volumi che sta per lasciarsi indietro, e forse perfino a leggerli. Ha caricato anche un minimo di vestiti, cibo, attrezzature e amuleti, e ovviamente tutta l’acqua magica rimasta. Infine ha convertito in oro, ben accetto in ogni epoca, tutta la sua ingente riserva di dollari. Sì, ha dovuto vincere con l’ipnosi le fisime degli orafi a cui si è rivolto, che strillavano che quel denaro era falso. E se anche fosse?
Emozionato, conclude la sua lista mentale delle cose da portare. C’è tutto, ne è sicuro.
L’attrezzatura per il viaggio nel tempo ora gli sta nelle quattro tasche del vestito e lo seguirà nel passato, anziché restare nell’epoca d’origine. Sorride d’orgoglio ai progressi fatti: solo pochi mesi prima, gli era stato necessario usare quattro grandi specchi solo per spostare di qualche minuto un banalissimo bicchiere.
Bene, è il momento. Addio, 1984. Alea jacta est.

John, ora Jonathan Ludmoore, riapre gli occhi in una tersa alba di centottanta anni fa, su un pendio coperto da erba alta e incolta, circondato da boschi folti.
Attorno a sé non vede traccia di presenza umana, ma è certo che il luogo è lo stesso dove sorgeva, e tornerà a sorgere, la sua maestosa dimora.
Giunto  sulla sommità del promontorio, osserva il sole che nasce a est. Dalla parte opposta, nella baia, si scorge una modesta cittadina portuale sull’estuario di un fiume nella stessa posizione in cui prima aveva osservato Heatherfield stendersi per chilometri lungo la costa e arrampicarsi fino alle pendici dei colli prospicienti.
“Sìììì!!!” grida a pieni polmoni, sovrastando il frangersi delle onde quaranta metri più in basso e gli strilli dei gabbiani.
Phobos, un giorno mi rivedrai, ma non più nei panni di un umile sottoposto. Chi controlla il passato, controlla il futuro!
 

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Capitolo 15
*** Salto nel passato ***


15-salto nel passato  
 
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie per la recensione. Mi chiedi se Jonatludr tornerà mai alla corte di Phobos: sinceramente non lo so. In Witch n.61, all'interno del libro si vede una breve scena buttata lì in cui Phobos parla con Jonathan Ludmoore (non più giovane) incaricandolo di trovare un modo per forzare la muraglia, quindi un breve ritorno potrebbe starci, in un futuro-passato che non viene coperto dalla Luce. Il destino riserverà a Jonathan Ludmoore proprio ciò che la leggenda tramanda, a dispetto della sua fiducia nel suo trucco per prevenire ciò. Tant'è vero che nella quinta serie di Witch siamo quasi sempre davanti a un libro parlante o a un occhio volante; le immagini del mago sono poche, perlopiù nel n.62.
Cara Melisanna, sono sempre contento di sentirti. I riferimenti a 1984 sono numerosi anche perchè per me è una fonte d'ispirazione. Per una felice coincidenza, la tempistica di questa serie mi ha consentito di ambientare La Luce al tramonto proprio nel 1984. Dopo l'inizio volutamente lento per coprire il periodo della gravidanza della regina, ora i ritmi della storia sono destinati a diventare sempre più veloci.
Cara Silen, sono contento di poter sempre contare sul tuo appoggio. In effetti, il personaggio disadattato e strumentalizzato di Jonatludr piace anche a me, non dal come persona ma piuttosto per le sue potenzialità di essere inserto in una trama interessante, e mi dispiace che esca di scena. Però, come vedremo in questo capitolo, volergli bene è una cosa che può costare molto cara. Faccio notare che, tra i suoi pensieri quando si è reso conto di essere stato abbandonato, non ce n'è stato uno per la madre e il fratello, che invece...

Ed ora qualche parola su questo capitolo, che è ambientato circa un giorno dopo la fine del precedente, ma a Meridian, dove qualcuno sta ancora pensando a Jonatludr. Abbiamo già incontrato Eliasdal, che questa volta ritroviamo nel suo studio in soffitta, e sua madre Odridel; faremo la conoscenza anche di suo marito, il sergente Luduvik della guardia di palazzo, personaggio che resterà comunque marginale.
Per dare il giusto peso ad alcune frasi di Eliasdal, vale la pena ricordare che, nel bellissimo WITCH n.5, lui appare imprigionato per l'eternità in un suo stesso quadro per ordine di Phobos. 
Per capire meglio alcune scene, ricordo che la rotta del teletrasporto da Meridian a Heatherfield è in tre parti: da Meridian fino al'ingresso del portale naturale, che fluttua nel cielo del metamondo; attraverso il portale, che sbocca sull'Atlantico; e da qui a Heatherfield, che ho supposto sulla costa est degli USA (nel fumetto la sua collocazione è volutamente lasciata in vago, ma questa è la più compatibile con quanto ci mostra).
Faccio anche notare che la scena finale è la ripetizione esatta di un'altra che appare a metà capitolo.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 15

Salto nel passato
 
 

                                      Ti renderai conto da solo di cos’è l’unicità della linea temporale.

Lord Cedric

 

Meridian, soffitta-laboratorio di Eliasdal

Quando la luce che entra dal grande abbaino della sua soffitta comincia a declinare, Eliasdal deve rassegnarsi a riporre i pennelli.
Seduto sullo sgabello, guarda con rammarico la tela sul cavalletto: anche questo ritratto di Phobos non riesce a cogliere la somiglianza.
In piedi dietro di lui, Odridel osserva: “Elias, non capisco perché tu ti accanisca a dipingere un quadro che nessuno ti ha commissionato”.
Lui sospira. “Abbi pazienza, mà. E’ da un bel po’ di tempo che il principe Phobos non si fa vedere in pubblico, e vorrei fissare i miei ricordi prima che si sfumino troppo”.
Lei scuote il viso, rabbuiata: “Invece, se c’è una persona che vorrei dimenticare, è proprio lui”. Osserva un attimo il volto altero che li guarda dal quadro. “L’attaccatura del naso non va così stretta”.
Eliasdal riguarda il suo lavoro e annuisce. “Sai, mà, neanch’io penso a Phobos volentieri. Dipingerlo è un modo di esorcizzare la paura che mi fa. Mi sembra in qualche modo di delimitarlo, di controllarlo. Come se lo potessi racchiudere in un quadro”.
“A me, invece, sembra che ora sia lui a controllarci da tutti i lati”, scherza la madre, indicando gli altri tre ritratti mal riusciti dai quali Phobos li guarda arrogante. “Non azzardarti ad appenderne qualcuno giù in casa, d’accordo?”.

Dal piano di sotto si sente lo scatto della serratura, e il cigolio di una porta che si apre.
“Tuo marito deve essere tornato, mà”.
Lei si dirige verso le scale. “Non pretendo che tu lo consideri tuo padre, ma vorrei almeno che lo chiamassi per nome”.
“Va bene, mà. Luduvik deve essere…”.
La voce dal basso la richiama. “Odridel! Sei qui?”.
“Eccomi”.

Quando raggiungono Luduvik nel soggiorno, ancora vestito con l’uniforme grigia e verde di sergente della guardia di palazzo, notano subito la sua espressione preoccupata.
“Odridel, Eliasdal, oggi ho saputo una cosa grave”, esordisce, “Kandrakar ha bloccato tutti i trasferimenti da e per la Terra”.
“Cosa?” chiedono a una sola voce.
“Avevano dato un giorno di preavviso per ritirare tutti gli agenti, ma ora è scaduto. Che voi sappiate, Jonatludr è ancora lì?”.
La pelle verdina di Odridel sbianca. “N…no… non so”.
“Noi non lo vediamo da due settimane” aggiunge Eliasdal, “Andrò a cercarlo nel suo appartamento in centro”.
Luduvik scuote il viso. “Sono già passato di lì, e non c’era. Ho già fatto chiedere a Lord Cedric. Loro non lo hanno richiamato”.
“Lo… lo hanno dimenticato lì?”. Odridel si accascia su una sedia. “Mio figlio… tagliato fuori dal suo mondo!”. Scuote il viso, si copre gli occhi già lucidi, e scandisce con voce quasi di pianto: “Lo sapevo che quella era una cattiva strada! Una madre le sente, certe cose!”.
Ponendole le mani sulle spalle, Luduvik cerca di tranquillizzarla: “Secondo Cedric, non è in pericolo: la guardiana di Kandrakar non ha mai minacciato i nostri agenti”.
Lei sospira: “Almeno questo! Ma Jonat è uno… insomma, si è messo tante volte nei guai da solo. E se succedesse anche con Kandrakar, o con la polizia terrestre?”.
Eliasdal conviene: “Quella volta dello spiritismo è stata la più grossa, ma non l’unica”.
Lei insiste: “Mio figlio è un genio della magia, ma avrebbe bisogno di una guida di buon senso. Magari una donna…”.
Eliasdal riflette ad alta voce: “E se lo raggiungessimo? Mi ha spiegato molto in dettaglio i principi del viaggio nel tempo, e credo che il primo prototipo della sua attrezzatura sia ancora nella sua camera. Abbiamo pure le chiavi di casa sua”.
Luduvik si stupisce: “Credevo che Jonatludr fosse tenuto al segreto su queste cose”.
Il pittore risponde: “Mio fratello era orgogliosissimo della sua invenzione, ma Phobos gli ha proibito di attribuirsi meriti. In qualche modo lui si è sfogato con me in privato, parlandomene per ore”.
“Davvero potremo raggiungerlo?” chiede speranzosa Odridel.
“Credo di sì, tornando indietro nel tempo di… di quanti giorni, Luduvik? Quando è stata attivata la Muraglia?”.
“Almeno tre giorni fa”.
Lei incalza: “Quindi, se torniamo indietro di una settimana, possiamo teletrasportarci sulla Terra, avvertirlo e tornare indietro con lui!”.
“Forse sì. Però servirebbe il sigillo di teletrasporto già programmato per la Terra”. Eliasdal riflette un attimo. “Luduvik, sapresti procurarmelo?”.
Il sergente si trincera dietro le braccia conserte, mordendosi il labbro.
“Ti prego, Luduvik”, lo supplica lei.
Lui, combattuto, si stropiccia nervosamente i galloni gialli su una manica. “Se mi dovessero scoprire, rischierei molto grosso”.
“Se non lo fai per Jonatludr, fallo per me!”, insiste Odridel, questa volta con un tono quasi da ultimatum. “Ti prego”, addolcisce alla fine.
Lui annuisce riluttante. “Ci proverò” esala dubbioso.
 

Meridian, appartamento di Jonatludr, mezz’ora dopo

Eliasdal e Odridel si guardano attorno: polvere e sporcizia regnano sovrane nel piccolo soggiorno abbandonato, assieme al tipico disordine di un giovane solitario i cui interessi sono molto lontani dalla quotidianità. Sulle mensole restano pile di libri ingialliti, appunti  sgualciti e oggetti talvolta indefinibili, ma perlopiù rotti.
Odridel scuote il viso con disapprovazione. “Avrebbe bisogno di una donna, non di tanti libri”.
Lui osserva gli ampi vuoti rimasti sulle mensole. “Si è portato via il meglio che aveva, ma sono sicuro che il primo prototipo della sua attrezzatura è al piano di sopra, in camera sua”.

Salendo le scale, si trovano in un’altra stanzetta semibuia dal soffocante odore di chiuso.
“Un po’ d’aria”, sbuffa Odridel aprendo la finestra cigolante.
La luce della sera mostra una stanza da letto completamente sfatta, nella quale i ragni hanno già iniziato a rivendicare i loro piccoli territori negli angoli.
Anche qui, appunti e quaderni sono stati sommariamente impilati sugli scaffali.
Da sotto le pagine ingiallite si nota un fascicolo dai fogli lucidi e colorati, dal quale ammiccano alcune chiazze di un insolito rosato.
Eliasdal lo sfila, con un presentimento.
E’ una rivista terrestre.
“Eccole, le donne”, esala lui col fiato mozzato davanti a una rivista per soli uomini.
A Meridian si parla di sesso piuttosto liberamente, ma mostrare in pubblico un corpo anche solo un po’ scoperto è un’altra questione.
A rinforzare lo shock, agli occhi di ogni meridiano l’aspetto di queste scostumate aliene ricorda fin troppo quello della Regina.
Lei gliela prende e sfoglia qualche pagina con una smorfia di disgusto, poi la ripone nella polvere. “Lui avrebbe voluto essere così…”, dice triste, alludendo alla vivace pelle rosata delle modelle, ben diversa da quella della donna che lo ha messo al mondo.
Eliasdal cerca di scacciare la scioccante visione di seni e glutei rosati, poi si guarda attorno.
In un angolo della camera sono accostati quattro grandi specchi, uno dei quali incrinato. In un altro angolo, a contendere il posto ai vestiti sporchi, c’è un conversore psicoenergetico simile a quello che ha visto mesi prima, durante la sfortunata dimostrazione di Phobos.
“Dovrò riguardarmi un po’ queste cose”, ammette perplesso.
Lei indica ancora la rivista. “Io vado giù a bruciarla, e comincio a ripulire questa tana. Se trovi altre di queste oscenità, portamele in cucina. Ci mancherebbe solo che Jonat vada nei guai una volta di più”.

Poco dopo, rimasto solo davanti a ciò che è riuscito a mettere assieme, Eliasdal riflette. L’attrezzatura sembra quasi completa, e ciò che manca si può procurare facilmente.
Un discorso a parte è l’acqua magica: durante la prova alla Torre dei Veglianti, aveva notato che il conversore consumava litri della preziosa risorsa ad ogni tentativo. Come procurarsene tanta? La sua scorta personale coprirebbe forse un quarto del fabbisogno. Dovrà comprarne altra, dando fondo ai risparmi e vendendo qualche oggetto prezioso di casa.
Poi inizia a riflettere sulle problematiche delle quali Jonatludr gli ha disquisito a ruota libera.
Lui intende tornare indietro nel tempo di una settimana; facendo così, corre il rischio di incontrare sé stesso? E’ sicurissimo di non aver mai fatto alcun incontro del genere. Ciò significa che il suo salto indietro è destinato a fallire, o che sarà ben attento a evitare i luoghi dove è stato?
Si riguarda attorno: lo stesso locale in cui si trova ora non mostra segni di un suo passaggio la settimana prima. Come va interpretato ciò?

Scende le scale fino in soggiorno, dove le fiammelle arancioni hanno già cominciato a guizzare nel caminetto, cancellando le pericolose oscenità di quella pubblicazione patinata.
Odridel, indaffarata a spazzare con una scopa, gli chiede: “Ne hai trovate altre?”.
“No, mà”. Esita un attimo, poi cerca di darsi un tono deciso: “Vorrei chiarire una cosa: è meglio che vada a cercare Jonat da solo”.
Lei si scurisce in volto. “Non se ne parla, Elias. Se pensi che sia pericoloso, piuttosto vado io”.
“No, mà. Tu non sai usare né la macchina, né il sigillo di teletrasporto che serve per tornare indietro”.
“Posso imparare”.
“Serve almeno un po’ di potere per l’interfaccia di guida del sigillo, e tu ne sei quasi priva”.
Lei torce il viso. “Temi che potremmo non tornare indietro?”.
“E’ un rischio”, deve ammettere lui.
Riprende caparbia: “Se è così, Jonat avrà bisogno di me, più ancora che di te”.
“E come potresti confonderti con i terrestri, tu?”. A dimostrazione di quanto dice, senza un gesto Eliasdal si fa sparire dal viso le striature verdine, restando con un credibile aspetto terrestre. “E so anche un po’ di inglese”, le dice stentatamente in una lingua che lei non conosce, ma che scopre di comprendere comunque. “Me l’ha insegnato papà con un trasferimento di memoria”.
Odridel si morde il labbro: “Sono sicura che riuscirai ad aiutarmi nella trasformazione”.
Eliasdal deve annuire. “Non è impossibile. Anzi, per come si stanno evolvendo le cose a Meridian, potrebbe quasi essere meglio non tornare affatto”.
Lei lo guarda incredula e scuote il viso. “E Luduvik? Lui non fuggirebbe mai, ne sono certa. E non restituirgli il sigillo significa abbandonarlo nei guai”.  Prende fiato, poi decide: “Elias, noi partiremo con l’idea di tornare, e vedremo cosa il destino ha in serbo per noi”.
 

Meridian, uscita del palazzo reale, il pomeriggio seguente

Scendendo il curvo scalone di uscita del palazzo reale, Eliasdal non ha mai mancato l’occasione per scrutare con occhi d’artista la città sottostante da quel posto d’osservazione privilegiato.
Oggi, però, ha ben altro in testa. Offrendo in cambio molti quadri della sua collezione e vari oggetti di valore, è riuscito a ottenere da amici e conoscenti un bel po’ di fialette di acqua magica dai bagliori verdini. Ormai ne ha raccolti più di due litri: basteranno.
Certo, è una ricchezza che verrà spazzata via in un soffio, ma il suo dovere di fratello e soprattutto di figlio lo esige.
Dopo la scalinata, si dirige verso la strada che, scendendo verso il centro città, segna il calcare della scarpata come una cicatrice a forma di Z.
Camminando immerso nei suoi pensieri, è arrivato quasi fino al primo tornante, quando gli sembra che qualcuno lo stia chiamando da lontano. Si volta un attimo, ma non vede nessuno di particolare tra i viandanti lungo la strada.
Sarà per un’altra volta, pensa; ora ha da fare qualcosa di fin troppo importante.

Quando arriva nella casa di suo fratello, sua madre è già lì. “Ne ho approfittato per fare ancora un po’ di pulizie”, spiega lei, indicando con orgoglio il soggiorno e la cucina ben ordinati.
“Brava” conviene distrattamente lui, “Hai il sigillo?”.
“Eccolo”. Gli mostra la placchetta romboidale legata a un laccio di cuoio. “E’ proprio del tipo usato per la Terra”. Sulla superficie smaltata spiccano due tondi azzurri, collegati da una freccia a doppia punta.

Quando sono pronti, in piedi tra quattro grandi specchi, il sole è già calato, e la candela sul cassettone illumina la stanza con la sua luce rossiccia e tremolante. Nella bacinella vicino al conversore psicoenergetico, il chiarore verdolino dell’acqua magica spicca nella penombra.
I due hanno ormai modificato il loro aspetto originale quanto basta per essere scambiati per terrestri. Lui distoglie lo sguardo dalla madre,  cercando di scacciare il ricordo delle oscene fotografie della rivista. “Buona fortuna, mà”.
“La fortuna aiuta gli audaci”, risponde lei.
Lui inizia la sequenza mentale. Quando riesce a ripeterla in modo abbastanza veloce, gli specchi cominciano a scintillare, poi ha la sensazione che vengano come incontro a loro, per inglobarli.

Di colpo la luce aranciata di un pomeriggio lontano li avvolge, abbagliante. I loro piedi annaspano nel vuoto. Cadono. Sempre più veloci. Verso una foresta. Il sole li guarda indifferente. Sua madre grida e gli tende una mano, ma lui non riesce ad afferrarla. Il terreno. Gli alberi. Sua madre. Il sole. Il sigillo, ancora tra le sue dita. Terra. Terra. Terra. Poi tutto svanisce in un tremolio.

Pochi istanti dopo lui è a terra. Salvo. Incredulo. Inorridito. A pochi metri da lui, Odridel è immobile con gli occhi aperti, sbarrati. Attorno alla sua testa, una chiazza di sangue e di liquido limpido si allarga, tingendo di rosso l’erba.
“Mamma!!!”.
Attorno a loro, nell’ombra del bosco, ci sono altri corpi immobili, e un pesante fetore di morte.

Dal tremolio emerge la camera di Odridel. La luce del tardo pomeriggio entra ancora dalle finestre aperte.
Eliasdal depone il corpo della madre, ormai senza vita, sul letto. Da un’ampia ferita, celata dai capelli, continua ancora ad uscire un po’ di sangue e di liquor, che imbrattano il copriletto immacolato.
Si siede accanto a lei, guardandola, cercando di reggere lo sguardo dei suoi occhi fissi, perché sa che è l’ultima volta che li vedrà.
E’ lei, eppure non è lei. Spera quasi che quel viso dal colore estraneo, quelle orecchie arrotondate, quel naso liscio appartengano a un’aliena sconosciuta. Ma sa che non è così.
Le immagini si sciolgono, mentre inizia a singhiozzare senza più freni.

Non sa da quanto tempo qualcuno sta bussando alla porta, prima con discrezione, poi con più insistenza. Sente richiami che non gli dicono niente. Prima che lui possa diventarne del tutto consapevole, sente la serratura scattare, e alcune voci dal piano di sotto.
Poi vede ombre muoversi sul pavimento. Quando alza il viso, alcune persone, guidate da una donna, entrano timidamente nella stanza. Le vede tra le lacrime mentre si avvicinano inorridite, guardano, capiscono.
Quando la donna parla, lui riconosce la voce della signora Vertel, la loro vicina di casa sensitiva.
“Mi dispiace tanto, Elias. Povera Odridel… Da casa mia, abbiamo sentito subito la… sentito un  qualcosa”.
Lui la guarda perso, senza riuscire a metterla a fuoco.
“Lasciati aiutare, Elias” dice la donna, avvicinandogli la mano alla fronte. Subito la vista si schiarisce, e la nebbia della mente lascia il posto a uno sprazzo di lucidità rassegnata.
“Signora Vertel…”.
“Elias, non puoi restare così”. Con una carezza della donna, l’aspetto di Eliasdal torna a colorarsi di striature verdi.
La signora guarda il corpo sul letto. “Oh Dei, ormai è troppo tardi per salvarla, ma la povera Odridel non deve essere vista in queste condizioni”. La donna si concentra, e pone le mani sul corpo straziato. Con un debole scintillio, questo riprende le forme e i colori usuali, le ossa si riallineano, le ferite si rimarginano.
“Purtroppo è… ci ha lasciati. Non posso fare di più”, si rammarica la signora.
Eliasdal annuisce piano, mentre sempre più persone, richiamate dalle voci o da un qualcosa di misterioso che solo alcuni possono percepire, si avvicendano per portare il loro ultimo saluto a Odridel.

Poco dopo, in mezzo alla stanza, un luccichio preannuncia un’apparizione, facendo ritirare la piccola folla di vicini e passanti.
Quando Lord Cedric prende forma, vestito della lunga tunica azzurrina con le insegne reali sul petto, la maggior parte dei presenti inizia a uscire discretamente dalla camera.
Il dignitario si guarda attorno con riprovazione, poi i suoi occhi di ghiaccio si puntano severi sull’uomo col viso arrossato dal pianto. “Eliasdal, la vostra imprudenza è stata gravissima! Se non sapessi che eravate andati a cercare Jonatludr, direi quasi che la morte è la giusta punizione per chi rifiuta il mondo cui appartiene!”.
I pochi rimasti trasalgono a queste dure parole, ma non osano protestare, ed escono tutti dalla stanza.
“Se volete mettermi a morte, Lord Cedric, sono qui”, risponde Eliasdal svuotato.
“Non fraintendermi. Però, se vi foste rivolti a me prima di tentare questa sciocchezza, vi avrei detto che il Principe Phobos presto ci renderà in grado di tornare sulla Terra di nuovo. Questa donna è morta per niente”.
“E’ morta perché amava suo figlio”.
Per un attimo, lo sguardo di Cedric lampeggia come per un affronto. Poi torna a farsi calmo. “Dammi il sigillo che hai in tasca”, gli intima asciutto.
Eliasdal glielo porge senza una parola.
Cedric se lo fa sparire nel palmo, poi si guarda attorno. “Vedo che Luduvik non è ancora arrivato. Digli pure che, quando riprenderà servizio, dovrà rispondere di aver sottratto un sigillo per scopi personali. Anche dando per scontato che lo avrebbe restituito, il minimo che può aspettarsi è di essere degradato”.
Eliasdal annuisce in silenzio.
La figura di Cedric, senza attendere risposta, sparisce in un baluginio.
 

Meridian, ingresso del palazzo reale, mezz’ora più tardi

Salendo gli ultimi scalini della lunga rampa, Eliasdal cammina perso, come se un brutto sogno cercasse di risucchiarlo a ogni passo.
Sua madre è appena morta; lui dovrebbe esserle accanto a piangere davanti al suo corpo, ma c’è un’altra cosa urgente: deve cercare di usare tutta la sua influenza presso la Regina, sua zia, per mitigare le conseguenze a Luduvik. Quel pover’uomo ha messo a rischio la sua carriera e forse la sua libertà per amore della moglie, e ora gli resta poco o niente di tutto ciò che aveva.
Adariel è una persona sensibile ed empatica, e dopo avergli dato ascolto sarà certo clemente.

Le due guardie al portone lo lasciano passare senza domande: sanno già qualcosa?
Eliasdal entra nell’ufficietto alla base dello scalone interno.
Il caporale lo accoglie gioviale. “Ehi, Elias. Ma hai una brutta cera quest’oggi!”.
“Ti prego, Gotridek”, risponde con un sussurro, “Devo parlare al più presto con la Regina, mia zia”.
All’occhiata interrogativa dell’altro, aggiunge: “Odridel è morta. Non chiedermi altro, ti prego”.
L’altro resta annichilito. “… E Luduvik? Glielo hanno già detto?”.
Il pittore risponde con un altro sussurro: “Non so”.

Si sentono un paio di voci discutere fuori dalla porticina, poi un soldato entra. “Eliasdal è ancora qui? Allora chi è quello che abbiamo viso uscire poco fa?”.
“Cosa?”. “Cosa?”.
Una seconda guardia fa capolino nell’ufficio. “Visto che avevo ragione?”.
“Ma insomma, cosa succede?”, chiede il caporale alzandosi in piedi.
“Un altro Eliasdal è uscito dal palazzo poco fa, appena dopo l’ingresso di questo”, risponde la prima guardia. “Dev’essere ancora in vista”.
“Folgori di Imdahl!”, tuona il caporale, “Raggiungetelo e portatelo qui, bisogna fare chiarezza!”. Chiude un attimo gli occhi, concentrandosi. “Il comandante Alborn sarà qui tra poco. Tu intanto resta seduto” intima a Eliasdal.
Nel frattempo, quanto detto dalla guardia fa lentamente breccia attraverso l’apatia del pittore. “Che giorno è oggi? Che ora è?’”.
L’altro lo guarda sospettoso. “Non lo sai?”.
Eliasdal si guarda in giro, agitandosi. “E’ oggi! Mezz’ora prima del tramonto!”. Balza in piedi come allucinato. “Quell’uomo… sono io! Sto andando a casa proprio adesso!”.
“Ma… sei impazzito? Resta seduto!”.
Ignorando l’intimazione, Eliasdal corre disperatamente fuori dall’ufficietto. “Fermatelo! Richiamatelo indietro! Siamo ancora in tempo!”.
I due soldati lo guardano straniti, poi, mentre sta uscendo sullo scalone, lo afferrano per le braccia. “Fermo!”.
Dalla sommità dello scalone esterno, Eliasdal riesce a vedere due soldati che stanno correndo giù per la scalinata; più in distanza, un uomo uguale a lui sta per imboccare la strada in discesa verso il centro della città.
“Fermatelo! Fermate lui!”, grida ancora Eliasdal.
“Cosa succede qui?”, tuona la voce autorevole del comandante Alborn.
Eliasdal lo prende per il bavero, indicando verso la discesa. “Fermatelo! Quello là! Sta andando a far morire mia madre!”. Vedendo gli sguardi persi che lo ricambiano, insiste: “Siamo ancora in tempo! Partirà dopo il tramonto!”.
Uno dei soldati tenta di spiegare: “Comandante, ci sono due Eliasdal. Uno è questo, un altro è laggiù”.
“E un attimo fa questo ha detto che Odridel è già morta”, aggiunge il caporale.
“Voi non capite!” grida esasperato Eliasdal, “Quello laggiù sono io stesso due ore fa! Quella maledetta macchina del tempo ci ha fatti tornare indietro di sole due ore! Ora sto… lui sta andando a partire con Odridel in quel disgraziato viaggio in cui è morta!”.
Un silenzio stupefatto accoglie le sue parole.

D’improvviso, accanto a loro compare Lord Cedric. I soldati si ritraggono un po’, come intimoriti.
“Richiamatelo” dice Eliasdal supplichevole rivolto al nuovo arrivato, “Richiamatelo in qualche modo, per favore!”.
Cedric resta impassibile. “Il passato non si può cambiare, Eliasdal. Tu stesso hai assistito alla morte di Odridel. Il suo corpo ora giace sul letto, attorniato dai vicini. Ciò significa che né tu, né altri riuscirete a richiamare quel te stesso”.
Il pittore guarda con odio questo essere indifferente. Che razza di uomo è? “Lasciatemi! Lasciatemi provare, almeno!” , grida con rabbia.
“E sia. Prova pure!” risponde Cedric, “Ti renderai conto da solo di cos’è l’unicità della linea temporale”. Rivolto alle guardie: “Lasciatelo!”.
“Lasciatelo andare!”, ripete Alborn incerto.
Appena liberato, Eliasdal parte in avanti, scendendo la lunga scalinata di corsa, schivando un portalettere allibito. Correndo, ce la può…
D’improvviso, il piede scivola sugli scalini, e cade battendo il fianco. Una fitta alla caviglia gli toglie il fiato.
A fatica si rimette in piedi, sorreggendosi alla balaustra. Riprova a camminare, ma il primo passo gli costa un’altra stilettata alla caviglia destra. Una distorsione, proprio adesso…
“Eliasdal!” grida a perdifiato, “Eliasdal! Richiamate quell’uomo! Richiamate Eliasdal!”.
Mentre cerca di scendere la scala zoppicando, vede i due soldati tornare indietro.
“Inseguitelo! Non è lontano! Vi prego…”.
I due, continuando ad avvicinarsi, gli fanno gesti di scusa, stringendosi nelle spalle. “Mi dispiace”. “Gli ordini sono ordini”.
Con una smorfia di delusione, Eliasdal continua a camminare come può, arriva alla base dello scalone, poi si trascina verso la strada in discesa. Ci sono diverse persone sulla via per la città.
“Fermate quell’uomo! Fermate Eliasdal! Richiamatelo!”.
Alcuni dei passanti ripetono, con poca convinzione: “Richiamatelo”, “Eliasdal”, “Eliasdal… ma come…”.
Trascinando il piede, dopo un interminabile centinaio di metri sta per raggiungere l’inizio della discesa, ma una fitta più forte lo paralizza, facendolo cadere a terra. Il piede destro gli pulsa sempre più forte.
“Eliaaasdaaaal!!!”.

Scendendo soprappensiero, Eliasdal è arrivato fin quasi al primo tornante, quando gli sembra di sentirsi chiamare per nome da lontano.
Si volta un attimo, ma non vede nessuno di particolare tra i viandanti lungo la strada.
Sarà per un’altra volta, pensa. Ora ha da fare qualcosa di fin troppo importante.
 

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Capitolo 16
*** Il sigillo della sfida ***


16-il sigillo della sfida  
 
Ad personam:
Cara Melisanna, grazie della graditissima recensione. Come influirà sulla trama... diciamo che la storia di Jonatludr ed Eliasdal non inciderà molto su quella di Adariel, ma viceversa quella di Adariel e Phobos influirà pesantemente sulla loro. Così riuscirò a spiegare gli antecedenti di questi due personaggi meridiani, che hanno avuto il loro momento di gloria nel fumetto.
Cara Silen, grazie per la recensione, che forse consolerà un po' lo sfortunato protagonista di quel capitolo. Da parte mia, sono contentissimo perchè so di poterci contare. Per viaggiare nel tempo, però, non bastano l'acqua magica e gli specchi, ma servono anche alcuni poteri innati, un conversore psicoenergetico, la sequenza di operazioni mentali per attivare le magie e soprattutto tanta, tanta fantasia. Poi mi chiedevi come ottenere acqua magica senza pagare il dazio all'avido mercante. La soluzione più semplice sarebbe trasferirsi a Meridian, ottenerne la cittadinanza e questo ti darebbe diritto a una razione periodica, ma possibilmente non farlo nel periodo di Phobos o della 'perfida Elyon' in cui le distribuzioni sono ridotte o sospese.  Come vedi, è semplice!

Ed ora qualche parola su questo capitolo, ambientato il giorno dopo la morte di Odridel.  Phobos è stato in grado di creare in breve tempo il sigillo che permetterà di forzare la muraglia. Sul fumetto WITCH, questo talismano appare brevemente tra la fine del n.2, quando viene rintracciato nascosto in un libro nello scantinato della casa di Elyon, e il n.3 in cui, dopo alcune peripezie, finisce inglobato nel Cuore di Kandrakar.
Faremo la conoscenza di Endarno, il custode della prigione di Kandrakar, detta la Torre delle Nebbie. Imponente e marziale, questo personaggio è apparso nella quarta serie di WITCH, in cui riuscì a far esiliare il precedente oracolo e a prendere il suo posto, ma le eroine alla fine lo sconfissero dopo aver capito che era in qualche modo controllato mentalmente da Phobos, apparentemente prigioniero a Kandrakar. Sia in La Luce al Tramonto che in Profezie, ho fatto di questo personaggio un contraltare all'Oracolo, del quale è molto più aggressivo e autoritario.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 16

Il sigillo della sfida

Una goccia di pioggia non muore quando torna al mare.
        Maestra Galgheita
Meridian, periferia sud-est

Il  mesto corteo avanza verso la sua meta, la cui recinzione si vede già dopo le ultime case. Molti portano una lanterna accesa in mano all’altezza del viso, come prescritto da un rituale millenario.
Il cielo, plumbeo da quasi un mese, sembra promettere solo pioggia, ma finora si è trattenuto, come per rispetto alla donna che giace avvolta nel sudario.

Eliasdal, entrando nel cimitero alla testa del corteo, alza gli occhi dal sentiero e vede schierato un drappello di guardie con le divise migliori, anche loro con lanterne accese tenute all’altezza dei visi commossi.
“I tuoi compagni non ti hanno dimenticato”, bisbiglia a Luduvik accanto a lui.
Un discreto tremolio sfarfalla davanti alle guardie, e da esso prendono forma la Regina, dal semplice abito bianco teso sul ventre, la guaritrice Galgheita e il comandante Alborn, tutti con la loro piccola lanterna già accesa.
Sorprese, molte persone del seguito accennano a un inchino a questa presenza inaspettata.
Anche la regina si inchina goffamente verso il feretro, ostacolata dal pancione.
In alto, il manto di nubi scure si apre brevemente, e uno sprazzo di sole abbagliante illumina il cimitero.

Più tardi, la mesta cerimonia sta ormai finendo. Molte persone hanno scandito qualche frase commossa per commemorare Odridel, prima di deporre le candele delle loro lanterne in un unico braciere, dove le mille fiammelle si sono fuse in una.
‘La vita è un sogno dal quale ci si risveglia morendo’, ha detto la Regina, ma la frase che ha colpito di più Eliasdal è stata quella di Galgheita: ‘Una goccia di pioggia non muore quando torna al mare’. Rimuginando queste parole, non riesce a staccare gli occhi dal braciere acceso mentre amici e conoscenti si stanno disperdendo alla chetichella.
La Regina si avvicina a Luduvik ed Eliasdal, li prende entrambi per mano, e parla sottovoce: “Sto facendo quello che posso per la faccenda del sigillo. Per ora non vi succederà niente di grave, ma sapete già che i miei giorni sono contati”.
“Grazie, Altezza”. “Gli Dei ve ne rendano merito”.
“Ancora una cosa” aggiunge lei con un’esitazione, “So che in queste circostanze non si usa, ma ho due doni per voi.  Non so quante altre occasioni avrò per vedervi, perciò…”.
A un suo cenno si fa avanti Galgheita, che tende le sue braccione. Tra i palmi delle sue grandi mani a quattro dita appare, in un tremolio, un dipinto: un ritratto di Odridel quindici anni prima, attorniata dai suoi figli.
Un po’ a sorpresa, Adariel lo porge a Luduvik, dicendo: “E’ per te”; poi, quasi scusandosi: “Elias, per te ho un’altra cosa”.
Di nuovo, dalle mani tese di Galgheita si sprigiona un tremolio che prende la consistenza di un grosso libro illustrato dalle esotiche scritte in caratteri terrestri.
‘Pittori olandesi del ‘600’, legge a fatica Eliasdal prendendolo tra le mani. E’ un regalo preziosissimo, ammette, ma in questo momento invidia quello che è toccato a Luduvik.
“E’ un libro terrestre con splendide illustrazioni”, spiega lei, ben sapendo cosa sta pensando l’altro, “Ma ciò che è veramente importante, Elias, è che vi troverai una rivelazione sul tuo futuro”.
 

Meridian, casa di Eliasdal

E’ ormai sera. Congedati gli ultimi parenti, Eliasdal si affloscia su una sedia della cucina. Ha posto il quadro sul cassettone, dritto, e lo guarda con rimpianto alla luce del candeliere. Osserva il suo viso nel ritratto: l’espressione seria contrasta con i suoi dodici anni. Accanto a lui c’è il piccolo Jonatludr sulle ginocchia della mamma, quando era un bimbetto felice. Oggi non c’era, ai funerali. E’ ancora sulla Terra, o si è schiantato come sua madre nel tentativo di tornare a casa?
Si costringe a non pensarci, e apre il volume appoggiato sul tavolo.
E’ splendido. Non esistono stampe di quel livello, a Meridian. Lo sfoglia, osservando solo le illustrazioni e ignorando i testi: non è ispirato per una lunga traduzione dall’inglese di una lista di illustri nomi da un altro mondo.
A un certo punto, quasi non crede ai suoi occhi. Avvicina il libro al candeliere per esserne più certo, ma non si è sbagliato: il volto ritratto con i pennelli in mano è uguale al suo, ma senza le striature verdi. ‘Autoritratto di Elias Van Dahl’, legge.
Elias Van Dahl… Eliasdal!!! Ecco cosa voleva fargli vedere la Regina!
Legge avidamente il testo: giovinezza avvolta nel mistero… un grande successo ad Amsterdam tra il 1620 ed il 1629… dopodichè ritornò nell’oscurità da cui era emerso.
Volta la pagina. Ci sono quattro immagini di suoi quadri, e uno assomiglia moltissimo a quello che lo guarda dal cassettone, solo in versione terrestre!  Un altro, il suo ultimo lavoro, rappresenta un paese festante con una cattedrale sullo sfondo, e s’intitola ‘L’ultima lacrima’. E’ custodito al museo di Heatherfield, USA. Non è la stessa città dov’era andato Jonatludr?
Eliasdal resta immobile a fissare il niente, mentre riflette: ora gli è chiaro che anche lui, come suo fratello, è predestinato a viaggiare nel tempo e a farsi una nuova vita in quell’altro mondo.
 

Meridian, palazzo reale, sala del trono

Una volta di più, il capo dei servizi segreti prende forma da un baluginio al cospetto del suo signore, e lo riverisce con una genuflessione. “Vostra altezza…”.
“Ah, Cedric”, risponde con insolita giovialità il principe Phobos dall’alto del trono, “Stavo per farti convocare, ma mi hai preceduto. Hai novità?”.
“Vi aggiorno sui funerali di quella Odridel: contro tutte le aspettative, la Regina vi ha preso parte”.
Phobos aggrotta lo sguardo: da mesi sua madre fa sapere che sta troppo male per uscire dal suo appartamento, ma ha pur trovato la forza di fare una piazzata vergognosa correndo giù per dodici piani di scale, e ora per il funerale di una stupida serva…
Ripensa malvolentieri a Odridel: lui ha fatto malissimo, a suo tempo, a essere così pietoso da accontentarsi di un’ancella già usata e strausata da suo zio Findric. Quando arrivò da lui si comportava in modo apparentemente impeccabile, ma sempre con un’irritante aria da gran dama, nonostante il suo status servile, i suoi trentaquattro anni e le sue due gravidanze, per non dire della pelle verde ramarro. E peggio di tutto, nei suoi pensieri lo paragonava sempre sfavorevolmente a suo zio Findric. Questa alterigia interiore era fuori luogo in una serva che avrebbe dovuto compiacerlo in ogni modo. Perciò, alla fine la spedì a servire in mensa alle guardie, come meritava.

La voce di Cedric richiama la sua attenzione: “Ho provveduto a far sequestrare quell’attrezzatura per il viaggio nel tempo e tutta la documentazione trovata in quella casa”.
Phobos grugnisce, poco interessato. Eliasdal e Luduvik meriterebbero una grave punizione, ma sono andati a piangere dal cuore di burro della Regina, e ora lei li protegge. Ma per poco ancora, pensa, mentre sentimenti contrastanti attraversano rapidi la sua mente. Scuote il viso, scacciandoli.
“Cedric, ti ho mandato a chiamare per un motivo molto più importante”. Leva una mano tesa; sopra il palmo levita un pezzo di metallo smaltato con il distintivo della loro dinastia: due mondi compenetrati in un abbraccio, racchiusi tra due punte di freccia verso l’alto e il basso.
“Guarda questo sigillo. L’ho realizzato secondo le indicazioni di mia madre e dei libri, e ora è pronto per il collaudo”.
Il direttore dei servizi segreti sgrana gli occhi. “E’ quello che ci aprirà di nuovo la strada per la Terra?”.
“Proprio così! L’arroganza di Kandrakar sta per avere la risposta che merita!”.
 

Meridian, sotterranei

Mezz’ora dopo, Cedric sta guidando il principe Phobos lungo un corridoio sotterraneo fuori mano scavato nel cuore della rupe.
Arrivato al termine, indica la parete in cui il corridoio muore. “Altezza, questo posto mi sembra l’ideale”.
Phobos annuisce, cercando di nascondere quanto si sia disabituato alle lunghe camminate. “Bene, Cedric. Adesso ammira…”. Solleva il sigillo, usandolo come per traguardare la fine della galleria. Poi chiude gli occhi, visualizzando la destinazione.
Un alone luminoso ondeggiante si genera sulla parete; al di là appare, come in trasparenza, una stanza che Cedric riconosce come il seminterrato del Ye Olde Bookshop. “Formidabile, Altezza!”.
Il principe, trionfante, percorre il passaggio, che perde la sua luminosità, diventando simile ad un varco dai bordi iridescenti aperto in una comune parete. “Visto, Cedric? Basta un passo, ed eccomi sulla Terra!”.
“Eccezionale. Principe… E’ eccezionale!”.
“Lo so. Perché ti meravigli?”. Si guarda attorno: il disordine della stanza, frettolosamente adattata ad alloggio, gli fa storcere il naso. “Miriadel viveva qui?” chiede senza curarsi di nascondere il disprezzo.
“Sì, altezza. Ma ora non dipendiamo più dai capricci della congrega di Kandrakar”, gongola Cedric seguendolo nella stanza. Poi, come preoccupato, sale le scale, apre la porta e sbircia nel negozio. Nessuno.
Richiude la porta a chiave. “Dovremo prendere precauzioni. Qualunque terrestre che entri nello scantinato potrebbe violare il varco e raggiungere il centro di Meridian”.
“A questo pensaci tu”, risponde un po’ infastidito il principe. “Fai installare un allarme ad aura psichica, o quello che ritieni meglio. Da parte mia, preparerò un incantesimo di chiusura al più presto”. Riflette tra sé: è meglio qualcosa che simuli l’aspetto e la consistenza di un muro, da far apparire e sparire sfiorando qualche punto sensibile, o piuttosto collocare due piastre di teletrasporto nascoste, che colleghino tra loro locali nei due mondi separati da una semplice parete inamovibile?
La voce di Cedric lo richiama: “Altezza, come pensate che reagirà la guardiana Yan Lin?”.
Phobos storce il viso al fastidioso pensiero. “Certamente proverà a chiudere i varchi con il suo Cuore di Kandrakar. Però noi possiamo sempre riaprirli con questo sigillo”, dice sollevando con orgoglio la sua creazione.
Cedric annuisce. “Se lei può chiudere i varchi, allora sarà meglio crearne qualcuno di più per le emergenze, ben nascosto”.
“Per esempio, dove?”.
L’altro riflette un attimo. “Un secondo varco potrebbe essere collegato a un altro stanzino sotterraneo accessibile con una botola, poi in qualche posto ben nascosto vicino a casa di quel Jonatludr, poi…”.
Phobos, un po’ annoiato, esce dallo scantinato, tornando nel metamondo con un solo passo. “Sarai tu stesso, Cedric, a usare questo sigillo per aprire i portali dove serviranno, dopo che avrò trovato un buon sistema per mimetizzarli”.
L’altro ricambia tanta fiducia con un inchino: “Sarà un onore, Altezza”.
“Stai in guardia”, continua Phobos voltandogli le spalle: “Quel sigillo è unico. Non è sostituibile. Ti è severamente vietato metterlo a rischio portandolo sulla Terra”.
“Più che giusto, Altezza”.
“Ti è vietato affidarlo a qualunque subordinato. Solo tu lo dovrai prendere, usare  e riporre al sicuro secondo le modalità che ti indicherò”.
“Non dubitate”.
Prima di svanire, Phobos volta indietro il viso per un’ultima occhiata eloquente: “Ricorda, quel sigillo non è sostituibile, ma tu sì. Se tradirai la mia fiducia in qualunque modo, ne risponderai con la tua vita”.
Dopo che il principe è svanito, Cedric gli tributa un ultimo inchino ossequioso: “Certo… sommo stronzo!”.
 

Heatherfield, all’esterno del Ye Olde Bookshop, tre giorni dopo

Una giovane asiatica dai cortissimi capelli corvini affonda il viso nel bavero dell’impermeabile per proteggersi dalle zanzare, riapparse a frotte in città. Sulla sua schiena, due lievi sporgenze lasciano intuire due alette compresse sotto la stoffa cerata.
Contrariata e sorpresa, Yan Lin deve constatare che, dopo tre settimane di chiusura, il Ye Olde Bookshop ha riaperto i battenti, nonostante la Muraglia tra i mondi.
Yan Lin attraversa la strada ed entra nel negozio, decisa a fare chiarezza. Lo squillare di un campanello sottolinea il suo ingresso.
All’interno, dietro il bancone, c’è sempre la solita ragazza dai capelli neri, Eleanor o Miriadel che dir si voglia. Una rapida occhiata di disappunto passa sul viso della commessa, che poi torna a sorridere professionale. “Buongiorno. In cosa posso servirla?”.
“Spiegandomi perché siete ancora qui” esordisce la guardiana. “Perché non avete seguito il mio avvertimento di tornare tutti a Meridian?”.
L’altra fa finta di non capire. “Le interessa la sezione fantasy? Sul secondo scaffale…”.
“Non mi prenda ancora in giro, signorina. Era lei che accompagnava la regina Adariel, tre settimane fa”. Si apre l’impermeabile, mettendo in mostra il costume viola e turchese da Guardiana.
“Niente spettacolino di luci, quest’oggi?”, chiede serafica Eleanor.
“Lo spettacolo lo vedrà se tenterà di ostacolarmi! Ora io mi piazzerò qui, e non me ne andrò finché non avrò capito se vivete qui, o vi teletrasportate, o cos’altro!”.
La commessa le si fa incontro, combattiva: “Questo negozio non è casa sua!”.
Anche Yan Lin si serra i pugni sui fianchi. “Mi meraviglio di sentirlo dire da una che mi è capitata in camera alle due di notte! E che si è pure addormentata nel mio letto!”.
“Che faccia tosta! Senza di me, suo figlio avrebbe trovato la stanza vuota!”.
“Senza di lei e la sua Regina, mio figlio avrebbe trovato solo me che dormivo beata!”. Si trincera dietro le braccia conserte: questa commessa è l’unica persona al mondo in grado di provocarla in questo modo. “Basta discussioni, signorina!”.  A un suo gesto, una forte corrente d’aria agita dapprima i capelli e gli abiti, poi comincia a far sventolare pagine e copertine dei libri in vetrina; infine, a un ulteriore suo gesto, il turbine si concentra sulla porta del seminterrato, aprendola di colpo.
La guardiana sussulta per la sorpresa quando vede, oltre la porta spalancata, il libraio dai capelli lunghi assieme a un enorme omone dalla pelle azzurrina avvolto in un impermeabile sformato.

Cedric esordisce con nonchalance, aggiustandosi gli occhialini: “Vathek, ti presento Yan Lin, l’ultima guardiana di Kandrakar”.
“Piacere…” dice il gigante, come incerto se porgere la manona.
Dopo un attimo di esitazione, Yan Lin riprende l’iniziativa: parte decisa verso lo scantinato, e passa scostando i due uomini sorpresi.
Scesi pochi scalini, si trova davanti al portale: un grosso squarcio dagli orli iridescenti nel muro di mattoni, che lascia intravedere un sotterraneo illuminato da una fosforescenza verdolina.
“Proprio come pensavo!”.  Nelle sue mani guizza il bagliore rosato del Cuore di Kandrakar. Prima che gli altri la possano fermare, un lampo dal ciondolo fa collassate il portale, e la parete torna integra.
Yan Lin si volta, trionfante, ma solo ora teme di avere fatto un’enorme sciocchezza: tra lei e l’uscita oltre le scale ci sono i due uomini, con i visi deformati in smorfie di rabbia.
“Devo spezzarle il collo, Lord Cedric?”, chiede cupo il gigante.
Dopo un lungo, lunghissimo silenzio impietrito in cui la guardiana sente il sudore freddo rigarle la schiena, il libraio risponde, ricomponendosi: “No, Vathek, bisogna avere pazienza con le vecchiette, anche se con l’età sono diventate acide”. Si scosta e la invita a uscire con un inchino sarcastico.
“Vecchietta?”, chiede Vathek perplesso. La donna in costume gli sembra sì acida, ma non certo anziana.
Yan Lin, offesa ma anche sollevata, si decide a risalire le scale, scostando il gigante incerto.
Una volta in negozio, ormai ben vicina alla porta d’ingresso, si volta indietro: “E ora vi consiglio di trovarvi un buon albergo, perché dovrete restare nel nostro mondo per un bel po’!”. Tributa un’ultima occhiata storta anche a Vathek: “Forse lui si troverebbe meglio in uno zoo”.
Detto questo, la guardiana si richiude l’impermeabile, celando alla vista il costume, e fa per uscire in strada; poi cambia idea, e sparisce in un lampo abbagliante.
Il silenzio stupito è rotto dalla voce incerta di Vathek: “Cos’è uno zoo?”.

Dopo un po’ anche Eleanor ritrova la parola: “Cedric, mi aspettavo che l’avreste catturata e le avreste tolto quel gingillo luminoso. L’avevate chiusa, questa era l’occasione buona”.
Lui scuote il viso in segno di diniego. “Non era prudente. In realtà, sappiamo davvero poco dei suoi poteri. E poi, finché si limita a chiudere varchi che possiamo riaprire, per noi è solo una scocciatrice, niente più”.
Indica con lo sguardo una botola sul pavimento, nascosta sotto un tappeto. “Per stavolta possiamo tornare col passaggio di riserva, poi ne aprirò anche degli altri”.
“I suoi poteri…”, riprende Eleanor con un’occhiata ad alcuni libri caduti scompostamente dalla vetrina, “Ho visto che può creare un vento fortissimo, che può trasformarsi e rendersi invisibile”.
Cedric annuisce. “Aggiungici che è resistente allo sguardo del comando. Ho provato ad ipnotizzarla, poco fa, senza risultato”.
“Poi può teletrasportarsi” aggiunge Eleanor, “Ma avete visto che lampi? Non può sperare di passare inosservata!”.
Cedric scuote il capo. “Quello non era un semplice teletrasporto, ma un salto dimensionale. Una cosa che noi non sappiamo fare”.
“E che differenza c’è?”, chiede il gigante perplesso, aggiustandosi sul testone il cappello alla Bogart che il vento gli aveva strappato via.
“Il teletrasporto segue una traiettoria attraverso due luoghi connessi nello spazio, cioè nello stesso mondo o in mondi connessi da portali aperti. Il salto dimensionale, invece, è al di fuori dello spazio, e può collegare anche mondi non connessi”.
“Come la Terra e Kandrakar” completa Eleanor.
“Già. Scommetto che ora la guardiana è andata a riferire proprio lì”.
 

Kandrakar

Quando i riflessi del lampo bianco si sono estinti, Yan Lin si guarda attorno: la grande sala del consiglio è deserta e silenziosa.  Candidi sbuffi di nuvole fanno capolino dagli spazi tra le colonne. Forse è arrivata nel cuore di quella che a Kandrakar prende il posto della notte.
Mentre si sfila l’impermeabile e ridistende le alette doloranti, il fruscio dei suoi vestiti è l’unica increspatura nel silenzio.
Poi percepisce qualcosa, con un senso che non sa definire. Guidata da questo, imbocca un corridoio laterale, fiancheggiato da un colonnato dritto che dà su un mare di nuvole candide che, viste dall’alto, danno quasi la sensazione di una superficie solida e soffice.
Si ferma un attimo a guardarle, cercando di far rallentare i battiti del suo cuore. Una vecchietta acida… devo spezzarle il collo… e poi, il ghigno sarcastico di quella commessa! Quest’oggi i meridiani sono riusciti a provocarla in un modo che credeva impossibile alla sua età.
Quando la tachicardia si è attenuata, riprende a percorrere il corridoio fino a un passaggio aperto sulla destra.

In questa stanza, l’Oracolo sta sedendo a mezz’aria nella posizione del loto, dandole le spalle e guardando intento le nuvole attraverso un finestrone circolare.
“Ben arrivata, Yan Lin”. Il saggio si abbassa lentamente fino a terra, senza voltarsi, poi si rimette in piedi e finalmente si gira verso di lei, imperturbabile.
“Scusate se sono venuta senza preannunciarmi, signore”.
“Non dormivo, Yan Lin. Non dormo mai. Stavo solo cercando presagi nel cielo mentre ti aspettavo”. Per un attimo, un’ombra passa sul suo viso e scompare. “Abbiamo percepito le violazioni della Muraglia”.
“Ma come ci possono essere riusciti?”.
“Dovremo assolutamente capirlo. Per l’intanto ti ho preparato uno strumento, benché imperfetto”. Tra di loro, a mezz’aria, si forma un luccichio da cui emerge un grosso foglio arrotolato.
La guardiana lo prende prudentemente in mano e lo srotola. “E’ una mappa di Heatherfield!”.
“Non una mappa qualunque”, risponde lui, imperturbabile come sempre. “Vi ho impresso un isomorfismo con il bacile di uno dei nostri saggi che sta sorvegliando la muraglia giorno e notte.  Non appena percepisce una violazione in atto, su questa mappa lampeggia la posizione del varco, e tu ti recherai immediatamente sul posto per chiuderlo”.

Una voce decisa risuona alle spalle di Yan Lin: “Richiuderlo e basta?”
Nella stanza entra un uomo alto e fiero, il cui viso severo è solcato da tre cicatrici come di un graffio di tigre che attraversano il sopracciglio e la palpebra sinistri. Imponenti trecce di capelli grigi, raccolti all’indietro, fanno il paio con baffoni e sopracciglia pendenti, e un pizzo severo gli adorna il mento squadrato.  “E’ inutile richiudere i varchi dopo che loro sono passati, se è vero che li possono riaprire a piacimento”.
L’Oracolo sorride imperturbabile al nuovo arrivato: “E tu cosa proponi, Endarno, amico mio?”.
La risposta è decisa: “Dobbiamo catturare tutti quegli agenti e farli parlare, solo così riusciremo a far rispettare il blocco che abbiamo imposto. Ti assicuro che la nostra Torre delle Nebbie è in grado di contrastare tutte le loro stregonerie”.
L’Oracolo solleva impercettibilmente un sopracciglio nel sentir nominare il carcere di Kandrakar, di cui Endarno è il sommo custode.
“Catturare…”, ripete preoccupata Yan Lin. “Signore, sapete bene che da ventiquattro anni sono l’unica guardiana”. Si trattiene dall’aggiungere: ‘Dovevate pensarci bene, prima di licenziare le altre due sopravvissute’, ma i due uomini la capiscono lo stesso.
“Se hai paura, guardiana…”, fa per rispondere duro il nuovo arrivato.
“Vi è facile dirlo, signore!”, riprende lei, più polemica di come avrebbe voluto sembrare, “Eppure, sapete bene che quelli lì si teletrasportano con una facilità impressionante. Non ho modo di catturarne qualcuno senza fargli del male. Se succedesse questo, gli altri potrebbero vendicarsi sulla mia…”.
L’Oracolo la interrompe con un gesto. “Dobbiamo valutare meglio la situazione prima di intraprendere azioni che possono farla peggiorare. Per noi è meglio prendere tempo, molto tempo. Ormai la catena di cause ed effetti che porterà alla prossima generazione di guardiane è già stata messa in moto”.
 

Heatherfield, ristorante Silver Dragon, poco dopo

“Mamma, dove sei sparita? Sei mancata da casa per più di un’ora”. Il giovane Chen, con un grembiule legato ai fianchi, le viene incontro all’ingresso del ristorante di famiglia.
“Cose da donne, figlio mio”, risponde l’anziana Yan Lin, rientrando a casa con un impermeabile fuori misura gettato sul braccio.
Lui resta un attimo perplesso, poi alza le mani rassegnato. “Va bene, mamma. Però ora siamo indietro con le stoviglie. Puoi venire?”.
“Certo”. L’anziana appende l’indumento, e si dirige pensierosa in cucina.

La bella Joan, la sua giovane nuora, le sorride da dietro due pile di piatti.
Yan Lin la ricambia, cercando di non far trasparire le sue preoccupazioni. A una certa età si vorrebbe la sicurezza che tutto ciò che si ha costruito nella vita non venga spazzato via da uno scherzo del destino o da un nemico alieno.  Perché, dopo due decenni di tranquillità, una minaccia del genere doveva scoppiare proprio nell’autunno della sua esistenza?
 

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Capitolo 17
*** La Settima Luce ***


17- la Settima Luce  
 
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie mille per la graditissima recensione. Il carattere di Phobos è visibilmente peggiorato. Indubbiamente ci ha messo parecchio di suo, ma anche il modo in cui sua madre lo evita, e il mugugno di scontento della gente che capta telepaticamente, contribuiscono a questa spiacevole involuzione.
Endarno è un uomo severo e aggressivo, anche se la parola crudele è un po' esagerata;  con i poteri che la fortezza mette a disposizione dei suoi adepti, non è necessario avere le pinze roventi per estorcere informazioni a un ospite.
Per quanto riguarda Yan Lin, ho difficoltà a spiegare perchè tra la data della ribellione di Nerissa, attorno al 1960, e l'inizio della storia del fumetto, attorno al 2000, Kandrakar abbia tenuto in servizio una sola guardiana. Forse l'Oracolo non aveva previsto grosse emergenze in questo lasso di tempo, oppure  la precedente esperienza di un gruppo di età eterogenea era stata troppo negativa.
Cara Solitaire, grazie per la tua interessantissima recensione. Per quanto riguarda la storia e le finalità di Kandrakar nella mia versione della saga, le ho descritte in uno dei capitoli finali di Profezie, ma ci vorrà più di un anno per arrivarci.
Nei primi sei numeri del fumetto WITCH, Cedric risulta un personaggio interessantissimo, capace e carismatico. Purtroppo, dal settimo numero in poi lo hanno di colpo degradato a viscido e poco capace. 
Il Phobos del fumetto è molto più lucido e convinto del suo ruolo di cattivo di quello del presente racconto, che si carica gradualmente di risentimento e frustrazioni ma che si ricorda ancora vagamente del modo di governare che è sempre stato caratteristico della sua famiglia, e anche per questo cerca di scaricare le colpe sugli altri, mentre nel fumetto questo è un vizio che ha superato.
Per quanto riguarda la scienza terrestre, Phobos la disprezza perchè non riconosce la realtà della magia e dei poteri psichici; tuttavia, da essa ha un'attesa in particolare: che i progressi nella medicina e biologia molecolare possano fornirgli spunti per migliorare i suoi poteri autotaumaturgici e prolungare la sua vita fin a diventare quasi immortale. 
Sono contento che ti sia piaciuto il mio modo di condurre il viaggio nel tempo. La convinzione di conoscere il futuro influenza moltissimi personaggi, e qualche volta fa parte della catena causale che porta all'avverarsi di tale conoscenza. Comunque, se Eliasdal fosse stato fermato, sarebbe stato ben problematico spiegare chi era quell'Eliasdal che cercava di fermarlo. 
Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura delle bozze di questa storia.

Da  alcune domande e obiezioni poste, temo di non essere stato chiarissimo sull'intricata dinamica degli avvenimenti del capitolo 15
Dunque, bisogna sapere che il teletrasporto tra Meridian e Heatherfield è costituito da tre tratte successive, memorizzate nel sigillo di teletrasporto: una è tra Meridian e il portale, che fluttua a qualche centinaio di chilometri di distanza sul continente; la seconda è all'interno del portale, che sbocca sull'Atlantico; la terza è da qui a Heatherfield, sulla costa est degli USA. 
Siccome la Muraglia attivata dall'Oracolo ferma solo il passaggio nel portale, chi tenta il teletrasporto si ferma a mezz'aria e cade, com'è successo anche a Jonatludr nel capitolo 14. Se non si è abbastanza svelti a teletrasportarsi altrove ci si schianta a terra, ed è quello che è successo a Odridel, che nella caduta ha perso il contatto fisico con Eliasdal che aveva con sè il sigillo; perciò lui solo ha potuto teletrasportarsi al suolo attutendo la caduta. 
I morti sul terreno erano altri sfortunati viaggiatori in grado di teletrasportarsi, forse di Meridian, forse di altri luoghi del Metamondo, che fuggivano sulla Terra o vi andavano per questioni loro, e non sono stati lesti a parare la caduta.
Per quanto riguarda il viaggio nel tempo, un particolare essenziale è che i due sono partiti per il loro sfortunato viaggio dalla casa di Jonatludr, e poi sono tornati in quella di Eliasdal e Odridel. Quindi, per due ore è coesistita una Odridel morta con una viva, ma non nello stesso luogo, perchè lei era andata due ore prima a fare le pulizie in casa di Jonatludr da cui è poi partita.

Qualche parola sul presente capitolo, che è relativamente breve ma rappresenta uno spartiacque nella storia. Preparate gli auguri, non perchè è capodanno, ma perchè finalmente nasce la settima Luce di Meridian, Elyon, e nasce in quel modo tutto suo che poi diventerà famigliare in Profezie con Vera, le Nemesis e poi con un altro personaggio nuovo e vecchio al tempo stesso. 
Qualcuno potrebbe avere perplessità contando gli anni, perchè tra la sera di Halloween del 1984 e quella del 2000 passano sedici anni terrestri (circa undici anni di Meridian), anzichè i quattordici che il fumetto attribuisce a Elyon. Il perchè è spiegato sia nel seguito della Luce, sia in Profezie, non ricordo se nel capitolo 4 o 5.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 17

La settima Luce



"La settima Luce di Meridian non morirà nella culla. La sua vitalità sfiderà i secoli. Il suo potere perpetuerà quello delle regine del passato. Il suo amore tornerà a illuminare questo mondo dopo undici anni di tenebre e tirannia. Sarà lei a far avverare le migliori profezie del Dio del Fato.”
Adariel, sesta Luce di Meridian



La grande mattina delle due profezie è arrivata: dopo una notte agitata da sogni, la regina apre gli occhi alla luce del giorno e guarda con emozione e ansia i due calendari, metamondese e terrestre, sul comò.
Oggi è il suo trecentesimo compleanno, a Meridian. Forse verrà fatto qualche mesto festeggiamento. Spera proprio che Phobos non scelga proprio questa mattina per venire a farle gli auguri.
Il calendario terrestre invece indica il 31 ottobre 1984, e in questo momento su Heatherfield stanno calando le prime ombre della notte.
E’ buffo che una sua stessa profezia indichi la nascita della Settima Luce di Meridian nella cupa notte di Halloween, oltrechè nel giorno del suo compleanno.

Si alza in piedi, appesantita dal pancione. “Lidri”, chiama ad alta voce, “Oggi è la grande giornata. Presto, prepara un bagno con l’acqua magica!”.
La sua ancella Lidrienel, sorridente, entra nella camera portando dei sontuosi asciugamani ricamati a foglie dorate. “Grandioso, Luce. Avete già le contrazioni?”.
La regina resta un attimo spiazzata. Contrazioni… ah, già. “Sì, incominciano”, risponde mentre serra platealmente i denti cercando di essere convincente. Avrebbe dovuto ripassarsi la parte: sono passati quarant’anni da quando ha provato l’ultima volta a mettere al mondo una figlia nel modo tradizionale, che poi per lei è diventato sinonimo di fallimento e lutto.
Si toglie completamente la leggera vestaglia e la biancheria, e si guarda un attimo allo specchio, con mille rimpianti. Il suo aspetto non è cambiato da quella volta: sempre un bel viso giovane, dei seni sodi da primipara, il pancione che più grosso non si può…
Solo apparenza, pensa con tristezza. Ora di futuro lei non ne ha quasi più. Quello che si gioca ora è il futuro della sua città e della sua dinastia. E’ molto agitata: avrà solo una possibilità. Le sue poche forze e la sua scarsa riserva di acqua magica le concederanno solamente un tentativo.
Nel bagnetto accanto, Lidrienel ha già iniziato a riempire la stretta vasca smaltata a motivi floreali, sagomata sul corpo della regina per non sprecare la preziosa acqua magica.  “Ventitrè… ventiquattro… Altezza, avete ventiquattro litri in armadio, più tre gocce e mezzo dal rubinetto. Devo versarli tutti?”.
“No, risparmiane quattro litri. Se necessario, allunga un po’ con acqua calda”.

Poco dopo, Adariel si distende nella vasca sagomata. Il bagno tiepido e la sua luminosità verdina la avvolgono, lasciandole sporgere solo il viso. L’energia del bagno le penetra attraverso la pelle, si irradia lungo le vene e i nervi fino al centro del capo, pervadendole tutto il corpo, scacciando i dolorini e i malesseri che sente ormai ogni mattina prima della seduta con la sua guaritrice. Ora si sente di nuovo forte, una sensazione che le mancava da molto.
Si porta una mano davanti al viso: vede la tenue fosforescenza dell’acqua persistere brevemente sulla pelle mentre il prezioso liquido cola giù.
Chiude gli occhi, concentrando le sue energie nelle mani. Quando torna a guardarle, i suoi palmi hanno una tenue luminosità verdina. E’ lì che servirà il suo potere, non in questo ventre fasullo e ormai quasi inutile.
“Altezza, è arrivata Galgheita”, cinguetta allegra ed eccitata Lidrienel dalla porta.

Qualche minuto dopo Adariel, ancora avvolta in un accappatoio vagamente rilucente di verde,  va incontro alla sua guaritrice. Indossa la Corona di Luce, sfolgorante come non la si vedeva da anni, sopra i capelli ancora bagnati e aderenti al capo come per preservare su di sé uno sprazzo in più di quell’energia benefica. “Cara Galgheita, oggi è il grande giorno!”. Poi, rivolta alla sua ancella: “Lidri, per piacere, travasa l’acqua della vasca in quel barilotto”. Indica una botticella di legno accanto ad un marchingegno coperto da una preziosa tovaglia; dalla sagoma che si intravede, Galgheita indovina che si tratta di un conversore psicoenergetico.
Nella stanza la guaritrice nota anche quattro grandi specchi orientabili a tutto corpo; ieri pomeriggio ce n’era solo uno, avrebbe giurato.
Poco dopo, Lidrienel esce dal bagnetto sbuffando per il peso di una bacinella piena del prezioso liquido luminescente, e chiede: “Allora, Luce, avete avuto altre contrazioni?”.
“Eh? Ahi, sì, eccone una”, fa con uno spasmo decisamente poco convincente. “Lidri, appena hai finito, potresti uscire, per piacere?”.
“Come?”, chiede lei stupita, “Luce, io sono una brava ostetrica. Con queste mani, ho aiutato mia sorella a partorire tre volte, e…”.
Galgheita le appoggia la sua grossa manona sulla spalla. “Resta, Lidrienel. La tua esperienza ci sarà utile”.
“Ma…”, fa spiazzata la regina.
“Grazie. Altezza, non ve ne pentirete”, risponde sorridendo la sua ancella. Poi il suo largo sorriso è incrinato da un lieve spasmo. “Scusatemi due minuti…”, ed esce a passi veloci dalla stanza.

“Bisognino!”, ridacchia Galgheita, “Sbaglio, Altezza, o non volete farla assistere alla nascita?”.
“Sei… sei grande!”. La Luce di Meridian getta la maschera: “Galghi, solo tu e io siamo a conoscenza di quanto sta per avvenire”.
La guaritrice annuisce e nota, senza troppa sorpresa, che il ventre della regina è rapidamente tornato piatto. “Vi sentire pronta, Altezza?”.
“Quasi…”. Adariel estrae dal cassetto una scatolina piena di una polverina gialla di cui versa qualche spizzico su un fazzoletto. L’odore inebriante del polline di konnestras si spande nell’aria.
Nota lo sguardo di disapprovazione di Galgheita, e si sente in dovere di giustificarsi: “Il mio potere è arrugginito, questo gli darà nuovo vigore”.
“Darà anche una brutta botta alla vostra salute” le fa osservare l’altra.
“Non posso risparmiarmi proprio ora, costi quello che costi”, le risponde la regina, e aspira a pieno dal fazzoletto.
Dopo alcune inalazioni, mentre depone il fazzoletto il suo sguardo è cambiato: non è più dolce e malinconico, ma vi brilla una nuova esaltazione. “Presto, Galgheita, abbiamo poco tempo!”. Volge il viso verso la finestra, e guarda: nuvole drammatiche e turbolente si stanno addensando sopra la città.
“Quelle nubi… siete voi che…”, chiede turbata la guaritrice.
“Serviranno per mascherare il bagliore e i suoni!”. A un gesto, le due ampie vetrate si aprono, lasciano passare una folata di vento fresco che spazza il dolce profumo del polline.
I quattro grandi specchi si orientano da soli per riflettere l’immagine della regina sul centro del lettone, dove un grande e morbido asciugamano è stato disteso. Tuoni secchi  seguono i primi lampi, ed echeggiano sulle torri vicine.
Gli occhi le brillano sempre più di esaltazione. “Galgheita, la settima Luce di Meridian non morirà nella culla! Non lotterà contro malattie e difetti metabolici! Sarà sana e forte come lo sono stata io! La sua vitalità sfiderà i secoli! Il suo potere perpetuerà quello delle regine del passato! Il suo amore tornerà a illuminare questo mondo dopo undici anni di tenebre e tirannia! Sarà lei a far avverare le migliori profezie del Dio del Fato!!!”.
Galgheita resta senza parole mentre la regina va a grandi passi al cassettone e apre un cofanetto, quindi estrae quello che sembra un grosso cristallo lavorato, lo guarda controluce e poi glielo lo porge con un sorriso trionfale.
La guaritrice lo prende con delicatezza e imita il gesto di guardarlo contro la finestra.  All’improvviso, marcata dal bagliore di un lampo, le appare dentro l’immagine tridimensionale di una neonata.
Sussulta. “Cos’è?”.
“E’ una gemma di memoria incisa una mattina di trecento anni fa”, risponde la regina riprendendo l’oggetto con riverenza. “Quella che vedi sono io appena nata. In questa scansione c’è ogni dettaglio di ogni cellula, anche a livelli che non potremo mai immaginare né capire”. Sorride con gli occhi persi nel cristallo. “Lei sarà la salvezza e la guida per Meridian. Sarà come me. Sarà solo diversa per qualche dettaglio esteriore”. Si volta come sospettosa verso Galgheita. “Ricorda, devi restare l’unica a conoscere questo segreto! Per tutto il mondo, questa bambina sarà la figlia di Adleric!”.
Galgheita annuisce. “Contateci, Altezza. Ma…”.
Un tuono da fuori copre le sue parole, mentre la regina si volta di nuovo verso il letto. “E’ ora: questo momento non durerà a lungo!”.
Torna in posizione tra gli specchi, che correggono da soli il loro allineamento, poi tende le braccia verso il letto. Il conversore psicoenergetico inizia a ronzare; un rumore di risucchio e una luminosità verdolina rimarcano il suo divorare litri e litri di acqua magica dal barilotto.
La corrente d’aria si fa sempre più forte, mentre gli specchi vibrano leggermente, riflettendo i luccichii delle sue mani e dei suoi occhi. Sul letto si forma un alone luminoso, che persiste per qualche secondo, senza crescere.
D’improvviso tutto si interrompe, e la regina abbassa le braccia. “Non basta ancora!” grida quasi in preda al panico. Poi va decisa verso il suo armadio, apre una delle bottiglie di luminosa acqua verde e ne tracanna diverse sorsate. Un lampo e un tuono dall’esterno sottolineano drammaticamente il suo gesto.
“Altezza, per ingestione è tossica!”, le ricorda scandalizzata la guaritrice.
L’altra si asciuga il viso con la manica, e le scocca un’occhiata decisa. “Te l’ho detto, non posso risparmiarmi proprio ora!”. Riposta la bottiglia, la Regina riprende il fazzoletto, aspirando voluttuosa altra profumata polvere gialla. Ora gli occhi le brillano di luce propria. “Sì! Ora sento che ce la farò!”. Riprende la posizione tra gli specchi, tendendo le mani. Obbedendo alla sua volontà, il conversore riprende a consumare la sua preziosa risorsa. Nuovamente il vento si fa sempre più forte, un vento che entra attraverso le finestre senza mai uscirne. Gli specchi vibrano e lampeggiano sempre più forte, mentre il tremolio luminoso sopra il letto si evolve in tanti piccoli bagliori come lucciole che si fondono assieme. Il vento ruggisce. Un lampo dentro la stanza, un tuono assordante…

Un attimo dopo, tutto è finito. Le finestre si richiudono da sole, e il temporale si esaurisce rapidamente. Il silenzio irreale nella camera viene interrotto solo dal primo pianto di una bambina, appoggiata al centro dell’asciugamano sul lettone.
La regina le sorride, andandole incontro con le lacrime agli occhi. “La mia piccola Elyon!”. La guarda: minuta, perfetta, con la testolina ancora pelata e gli occhi grigio chiaro come quelli di Adleric. Anche la bambina le ricambia il sorriso, e poi comincia a frignottare.

“Scusatemi, Altezza…”, dice la fedele ancella, rientrando a passi lunghi.
La regina è già sotto le coperte, con in braccio il suo fagottino che fa versetti incantevoli. “E’ andato tutto a meraviglia”, la rassicura con un sorriso felice ma ormai stanco.
“E’ già nata!?! Ma che bella… posso vederla bene?”.
“Guarda pure, Lidri… ma non facciamole prendere freddo”, risponde Adariel stringendola ancora di più a sé, come gelosa. Si è appena ricordata che la piccola non ha il cordone ombelicale.
“E’ meravigliosa!”, cinguetta l’ancella. “Gia pulita e asciutta… maestra Galgheita è stata velocissima! Se avesse una borsa, direi quasi che ve l’ha portata dentro già pronta”, scherza, finendo con un risolino.
“Perché?”, chiede la guaritrice sulla difensiva, “Non avevo nessuna borsa”.
Lidrienel resta sorpresa di essere stata presa così sul serio. “Perché pare già grande. Non sembra nata cinque minuti fa, ma di un mese o due. Anche gli occhioni…già grigio chiaro? Di solito i bambini nascono tutti con gli occhi blu scuro, e poi prendono dopo il colore definitivo”.
“Questa è una bambina molto speciale, nata da una mamma molto speciale”, risponde evasiva Adariel, e nasconde il suo imbarazzo cercando di sembrare persa negli occhi della figliola. “Piccolina bella…. Elyon… sorridi alla mamma”.
La bimba risponde nuovamente al sorriso, facendo gongolare la sua regale mammina.
Lidrienel commenta, allegra ma sospettosa: “Sorride già, che tesoro… di solito lo fanno solo a qualche mese d’età”.
“Lidri, mi stai facendo venire il mal di testa”, risponde con malcelato malumore la regina. Getta un’occhiata verso la gemma di memoria, ancora appoggiata sul cassettone. Non ci aveva pensato, ma evidentemente la scansione fu fatta diverso tempo dopo la sua nascita. Il momento di esaltazione è decisamente passato, e comincia a sentirsi debole e dolente.
“Scusate, Altezza. A proposito, avete già espulso la placenta?”.
“Non ancora, Lidri. Lasciami un po’ di tempo”, sbuffa la regina cercando di sorriderle senza guardarla negli occhi.
Adariel scambia un’occhiata con Galgheita, che capisce al volo. “Faccio un salto in cucina a far preparare biberon e latte”, dice la guaritrice. “Un momento…”, ed esce dalla stanza.

Dopo qualche minuto di coccole alla piccola, di altre domande sottilmente indiscrete e di risposte di circostanza sempre più indisposte, Galgheita ritorna. “Il latte sarà pronto a minuti. Altezza, siete pronta per la placenta?”. Accompagna la domanda con un cenno impercettibile di intesa.
“Si, sta per uscire. Lidri…”.
“Eccomi, Altezza. Questa volta non vi…”. Fa un leggera smorfia, come per una fitta. “Vi chiedo scusa, potete aspettarmi ancora un minuto?”. Senza attendere risposta, si dirige a passi rapidi verso la porta con un’espressione di sforzo.

“Altro bisognino impellente…”, ridacchia Galgheita, poi un fagotto le appare in mano. “Osservate questo”. Le mostra ciò che ha nascosto avvolto nei canovacci.
La regina storce il viso per il disgusto: “Sembra un polpettone sanguinolento più qualche frattaglia”.
L’altra sorride: “Esattamente ciò che è. Ma dà l’idea di una placenta”. Si stringe nelle spallone: “Era l’unica cosa simile che ho trovato in cucina”. Comincia a sporcare qualche asciugamano. “Ancora un po’ di messa in scena…”.
In quel momento, la bimba decide che è giunto il momento di mettere in disparte gli adorabili vagiti, e comincia a piangere sonoramente.
“Elyon… cos’hai, piccola mia?”.
Lidrienel rientra: “Ecco, quando piangono così è perché hanno fame”, sentenzia. “Anche quelli di mia sorella…”.
“Brava Lidri, è il tuo turno. Vai a prendere il latte di motlon in cucina, per piacere”, le comanda la Regina.
“E controlla che abbia bollito almeno cinque minuti”, aggiunge Galgheita.
“Lo so, lo so!”, sbotta frustrata. Per lei che non può teletrasportarsi, sono dodici piani di discesa, che al ritorno assomiglieranno molto a dodici piani in salita.
Prima di uscire, l’attenzione dell’ancella è attirata dal fagotto appoggiato per terra. “Avete già espulso la placenta? Avete controllato che sia uscita tutta?”. Prima che le rispondano, apre l’involto e storce il viso. “Sembra un polpettone sanguinolento con qualche frattaglia!”. Lo prende in mano con un po’ di ribrezzo: “Vado a smaltirla”.
“Lasciala!”, ordina Galgheita allarmata, “E’ che… che da una placenta si possono estrarre dei farmaci rarissimi”.
Con un altro strillo a pieni polmoni, la neonata rivendica nuovamente la sua prima pappa.
“Si, amore… Lidri, ti decidi?”, la sollecita la Regina.

Dopo che l’ancella si è allontanata bofonchiando qualcos’altro su tutti i bimbi che ha visto nascere, il viso della regina si fa sempre più sofferente, mentre gocce di sudore freddo le imperlano la fronte.
“Galghi, sto male. Allo stomaco. Fai qualcosa, ti prego…”.
La guaritrice le pone le mani sul ventre, scostando delicatamente la piccola che reclama il suo cibo sempre più tirannicamente. “E’ l’acqua magica, Altezza. Ve l’avevo detto che era tossica…”.
Dopo qualche minuto il dolore si attenua, e il respiro si fa meno affannoso. “Va meglio, grazie”.
Galgheita accosta il viso all’orecchio della Regina, per farsi capire nonostante gli strilli della piccola Elyon, coccolata tra le braccia della madre esausta.
“Altezza, non sarebbe meglio mettere Lidrienel a conoscenza di questo segreto? E’ chiaro che ha già dei sospetti”.
L’altra scuote il viso. “No. E’ troppo importante”.
“Sono sicura che potete fidarvi di lei”.
“Anche io”, ammette, “Ma qualcuno potrebbe facilmente leggerle il pensiero. Per queste cose, Lidri è del tutto indifesa”.
L’altra annuisce corrucciata. “Altezza, il fatto che questa piccola sia stata creata per magia le impedirebbe di succedervi sul trono?”.
L’altra scuote il viso. “No. Per legge, gli esseri creati in questo modo sono parificati a quelli concepiti secondo natura. Per ribadirlo, tre anni fa ho fatto approvare una legge che stabilisce esplicitamente che possono anche succedere al trono, se hanno tutti i requisiti”.
Galgheita non lo sapeva; a quanto pare, a suo tempo questa delibera non è stata ampiamente pubblicizzata. “E vostro figlio Phobos, che ne ha detto?”.
“Phobos… All’epoca non lo sapeva, l’ho fatto in sua assenza”, ammette un po’ colpevolmente, “E spero che non lo abbia già scoperto”.
“Perché?”.
“Perché esiste un diffuso pregiudizio contro gli esseri creati artificialmente, un po’ come per i figli illegittimi. Phobos potrebbe usarlo a suo vantaggio per cambiare la legge dopo la mia morte”. Coccola ancora la bimba, cercando di tranquillizzarla, ma è solo con un lieve tocco della mano di Galgheita che la neonata si assopisce brevemente e tace.
“Grazie, Galghi”, dice Adariel rilassandosi un po’. “Ma, soprattutto, è meglio che mio figlio resti convinto che questa piccola morirà nella culla come gli altri”, dice mentre gli occhi stanchi le si arrossano, e par di vederle un luccichio sotto l’iride.
Torna a guardare verso la porta. “E poi, tornando a Lidri, lei è destinata a restare a Meridian. Il non conoscere questo segreto la proteggerà almeno un po’ dalla vendetta di Phobos”.
“E io, Altezza?”.
La regina esita prima di rispondere. “Galghi, per te il destino ha in serbo qualcosa di completamente diverso”.
 

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Capitolo 18
*** Il sangue non mente ***


18-Il sangue non mente  
 
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie per la graditissima recensione. La tua domanda sul perchè Adariel abbia aspettato l'ultimo momento per mettere in forno un'erede è di puro buon senso. Purtroppo, a suo tempo Adariel ha avuto una fortissima resistenza emotiva a fare le tre cose possibili: ritentare di avere un figlio con Adleric (lutto quasi assicurato), averlo con un uomo qualsiasi (resistenze psicologiche a tradire Adleric, più perplessità sui minori poteri dei figli) o realizzare un clone (che poteva urtare la sensibilità della sua gente). Probabilmente sia Adariel che Adleric si erano rassegnati a passare la corona a Phobos, ma tre anni prima la regina ha avuto una sinistra premonizione su di lui di cui non aveva mai parlato a nessuno prima della morte del marito; ciò ha reso urgente trovare un'alternativa, che a quel punto non ha più potuto essere ortodossa.
Cara Solitaire, grazie per i tuoi commenti. Invero nello scrivere questo capitolo ho dovuto vincere una grossa preoccupazione: se a Meridian esiste un pregiudizio contro le persone che non nascono dalla pancia di mamma loro, ma dalle sue mani, non è che questo pregiudizio esista anche tra lettori e lettrici della mia variante della saga? Vabbè, ormai l'ho scritta, se qualcuno prepara i pomodori ora è arrivato il momento di lanciarli.
Nei primi capitoli di Profezie scrivevo che Elyon era caduta in crisi dopo aver letto una lettera postuma di sua mamma (continuiamo a chiamarla così), ma in quella long-fiction il suo contenuto non viene mai rivelato. Sarà invece spiegato tra qualche capitolo nella Luce, ma fin d'ora si può immaginare di cosa si tratterà.
Per me, Galgheita è uno dei personaggi più positivi della saga, almeno dal punto di vista caratteriale. Anche il fatto che abbia mantenuto la sua disponibilità ad aiutare, nonostante il fatto che il suo aspetto sia strano e difficile da portare perfino a Meridian, va a suo indiscutibile merito.
Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura delle bozze di questa storia.

Qualche parola su questo capitolo, che è ambientato immediatamente dopo il precedente. Qui sapremo finalmente le reazioni di Phobos a questa nascita, il modo in cui continua la schermaglia tra i servizi segreti meridiani e la Guardiana di Kandrakar, e la sincera verità su quello che pensano di tutto ciò due personaggi che saranno tra i protagonisti del gran finale di questa storia.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 18

Il sangue non mente


 

“Dopo che la Luce si sarà unita agli Dei, si potrebbe arrivare a una resa dei conti. Allora forse pregherò di essere lasciata nella mia piccola tana sulla Terra, ma non escludo che potrei, invece, essere tra gli incaricati di tutto questo”
Miriadel


Seduto sul trono, Phobos lancia lunghe occhiate inquiete fuori dalle ampie finestrature. I suoi pensieri non riescono a focalizzarsi sul consigliere Zarion che gli sta parlando ai piedi della sua pedana,  ma si perdono dietro a quel temporale così improvviso che ha increspato il grigio uniforme degli ultimi giorni. Gli è chiaro che questo strano tempo deve avere a che fare con sua madre. Ma in che modo?
Considerando la data, potrebbe essere giunto per lei il momento del parto. Forse quelle nuvole l'accompagnano nel momento dello sforzo e del dolore, o sono il suo pianto di delusione per una piccola nata già morta? O ancora, sono un monito del Dio del Fato per ricordare alla Luce di Meridian che il destino di quella creatura è già segnato, accompagnando con un presagio sinistro i suoi primi vagiti?

Il consigliere si schiarisce la voce: “Mi sto spiegando chiaramente, Altezza?”.
“Sì, certo, continua!”.
Il principe ascolta ancora per un po’ le questioni dell’altro, poi torna a guardare dalla vetrata. Il temporale è finito; le nuvole si stanno diradando, e mostrano qualche sprazzo di sereno.
Si volta a guardare dalla vetrata posteriore verso la torre nordest, dove si trovano gli appartamenti reali. Per un attimo, un breve raggio di sole ne illumina la sommità e il balcone.
“Altezza…”, lo sollecita con prudenza il consigliere.
Riprendendo l’attenzione, Phobos lo squadra. “Cosa vuoi?”.
“La vostra risposta, Altezza?”.
Il principe cerca di fare mente locale: di cosa stava parlando questo ministrucolo? Ah, sì, i soldati… “No, consigliere. Non possiamo lasciar partire quella legione. I militari servono qui in città per garantire l’ordine”.
Vede un’ombra di perplessità e imbarazzo attraversare il viso verdastro di Zarion, che si sforza di restare compito.
“Come volete, Altezza. Ma… posso sapere la vostra risposta per il quartiere di Trasclovkir?”.
Phobos si acciglia: quando se ne è parlato? Senza chiedere niente, legge i pensieri del consigliere. Ah, sì, questo qui sta chiedendo acqua magica per marcare le falde che scendono in città dall’altopiano, per farle poi individuare da un rabdomante.
“No, non se ne parla! Tutta l’acqua magica è impegnata per scopi prioritari. Quel quartiere è umido da molti anni, perché dovrebbe essere così urgente risanarlo proprio adesso?”. Si alza e indica la torre nordest, ben visibile attraverso la finestratura dietro il trono. “Avete dimenticato tutti gli sforzi che stiamo facendo per curare la nostra Regina?”.
“Ma ne basterebbe…”.
“Non se ne parla, ho detto! Se non c’è altro…”.
Zarion annuisce, cercando di non manifestare la sua delusione. “Come volete, Altezza”, poi fa un rapido inchino, gira sui tacchi e se ne va a testa bassa.
Mentre l’omino esce, Phobos gli volta le spalle con disprezzo: anche quando questi consiglieri annuiscono e si inchinano, il loro servilismo non riesce a nascondere la stizza e la presunzione nel restare convinti d’essere nel giusto.

I battenti non si sono ancora chiusi che un soldato entra a passo veloce fino al centro della sala e saluta percuotendosi il petto. “Altezza, porto un messaggio”.
Phobos lo guarda con un’occhiata gelida e penetrante. Con chi crede di avere a che fare, con un sergente? Che mandino un messaggero adeguato al mio rango, e non si sognino di entrare senza essere annunciati!
Sentendo questo pensiero sibilato, il soldato resta interdetto un attimo, poi s’inchina ed esce senza più proferire parola.

Poco dopo, uno scampanio annuncia un nuovo visitatore.
Ad un cenno della mano di Phobos, i battenti si aprono da soli e Alborn, il comandante della Guardia di Palazzo, entra con grandi inchini.
“Scusate per prima, Altezza…”.
“Dunque?”, taglia breve il principe.
“Vi informo che è nata Sua Altezza la Principessa Elyon”.
Phobos annuisce: lo aveva immaginato vedendo la torre illuminata dal sole. Sono mesi che pensa a questo momento con apprensione. “Quando?”.
“Un’ora fa”.
Già un’ora… “Tu l’hai già vista la bimba, comandante?”.
“Sì, Altezza”.
Phobos si acciglia: un membro della famiglia reale nasce nella torre accanto alla sua, e lui viene a saperlo solo dopo guardie e servitori!
Congedato il comandante con un gesto, resta combattuto per qualche minuto a osservare la torre nordest. Dietro quel balcone, sua madre che non vede da mesi ha messo al mondo una bimba che dice essere sua sorella. Proprio davanti al finestrone da cui lui sta guardando. Un piano al disopra della sua camera da letto.  Gli sembra che lui e sua madre, separati da pochi metri di distanza, vivano in mondi diversi.
E’ arrivato il momento che ha aspettato con ansia da mesi. Ora, da bravo figlio e bravo Principe, dovrà andare a incontrarla, informarsi, congratularsi, perfino sembrare contento. Ma come lo accoglierà lei? Si sarà addolcita? Avrà dimenticato la sua maledizione, il suo risentimento? Tornerà a guardarlo con l’amore di una volta, che ormai gli sembra più un sogno che un ricordo?
Si scuote. Basta sentimentalismi, c’è una cosa importante sulla quale il suo diritto di sapere è stato troppo a lungo ignorato: se questa bimba, che secondo sua madre dovrebbe diventare la sua sposa, sia davvero figlia di suo padre Adleric.
Per la risposta, dovrà affidarsi a qualcosa che non mente.
 

Meridian, anticamera della regina

“Pannolinoooo!”, chiama la voce di Galgheita dall’interno della camera.
“Arrivo”, risponde Lidrienel, afferrandone uno dalla pila di panni puliti e ben ripiegati che riempiono il divano in attesa di trovare una sistemazione migliore.
Mentre si volta, però, scorge nella stanza un luccichio sempre più forte, accompagnato da un suono inquietante e bellissimo, quasi come un canto di sirene senza alcuna parola.
Fa in tempo a tirarsi in disparte, mentre la figura imponente e ieratica del principe Phobos appare nella stanza.

Ignorando l’ancella inginocchiata, il principe si dipinge un sorriso sul viso e varca la soglia della camera.
Al di là, Galgheita resta congelata a metà del suo gesto di sventolare uno straccetto bagnato di pipì, e un sollecito le muore in gola. “Principe Phobos!”.
Lui, imbarazzato, si tira indietro, cercando di mostrarsi imperturbabile e non arrossire. “Prego, fate pure”. Avrebbe potuto perfino arrivare in qualche momento ancora più imbarazzante…

Un minuto dopo rifà il suo ingresso, con tutta la buona volontà di renderlo più solenne della prima volta. “Madre, sono venuto a portare il benvenuto a mia sorella”.
Adariel gli rende un sorriso stanco dal letto, alzandosi a fatica: “Grazie, figlio mio. Guarda la piccola Elyon, che meraviglia!”.
“E’ davvero bella”, risponde lui per farla contenta. In verità i pochi neonati che ha visto, con la loro testolona sproporzionata, le loro gambette rattrappite e i loro versetti fastidiosi, non gli hanno mai destato emozioni positive. L’unica cosa che gli piace è la pelle rosata e liscia. Ma quello che importa di più, per lui, è che i neonati non gli fanno pensare alla vita, ma alla morte. Di quelli che ha visto nei suoi cinquant’anni di vita, non uno ha raggiunto la fanciullezza, se si escludono i due bastardini dello zio Findric.
La piccola sgrana tanto d’occhi verso di lui, poi gli sorride.
Senza pensarci, anche il principe ricambia il sorriso: sono molti mesi che negli occhi degli altri legge solo timore, o al più sorrisi falsi, di circostanza.
“Gli piaci”, esala la mamma con un velo di soddisfazione sul viso indebolito.
Phobos annuisce, a disagio. “Come sta?”.
“Finora bene”.
“E tu?”. Le nota, attorno al naso, qualche alone giallo come il polline di konnestras.
Chiude gli occhi. “Sono distrutta. Phobos, mi resta davvero poco da vivere”.
Lui sa che è vero, qualunque negazione sarebbe solo una menzogna pietosa e inutile. “Sei riuscita nel tuo scopo”, preferisce considerare.
“Non ancora. Se voi due riusciste a mettere al mondo una nuova generazione di regnanti, potrei dirmi soddisfatta”.
“Sante parole, madre”.
Segue un attimo di silenzio, sottolineato solo dal ronzio di qualche zanzara. Per un attimo, tutt’e due pensano angosciosamente a qualcosa da dire per colmarlo.
E’ lei la prima: “Come va con il governo della città?”.
“Bene”, risponde lui, “Nessuna difficoltà: la legge regna in tutta la capitale”. Fa un cenno verso la finestra. “Più che altro si lamentano dell’umidità, ma la maga del tempo sei tu”.
Lei annuisce con una smorfia colpevole. “E fuori città?”.
“Oggi mi hanno chiesto di mandare soldati in alcune zone di campagna. C’è brigantaggio”.
Adariel fa ancora una smorfia. “Trent’anni fa riuscivamo a tenere un controllo molto migliore”.
“Trent’anni fa potevo permettermi di lasciare la città per dargli la caccia, madre”.
Ancora un momento di silenzio, finché un borbottio della bimba li interrompe.
“Beh, mamma, forse è meglio che ti lasci con la piccola Elyon”.
Gli sorride. “Grazie di essere venuto, figlio mio”.
“Di niente. Se ti serve qualcosa, sai che ti puoi fidare di me”, le dice uscendo dalla porta.

Appena in anticamera, fuori vista, Phobos solleva la mano sinistra. Due zanzare, obbedienti, si posano sul suo dorso.
 

Meridian, torre nord, laboratorio di Phobos

Per arrivare al laboratorio all’ultimo piano della torre nord, più piccola e isolata delle altre, a Phobos è bastata solo l’intenzione.
Una volta materializzatosi qui, si volta verso una delle finestre e guarda, dal basso, il balcone della camera della madre, dove lui stesso era fino a un istante prima.
Solleva di nuovo la mano sinistra; le due zanzare, obbedendo a un comando solo pensato, si levano in volo e vanno a posarsi su un piccolo specchio circolare appoggiato a faccia in su sulla grande scrivania, illuminato da una luce bianca radente che viene dalla sua stessa cornice.
Phobos si siede, e pone al centro del piano un grosso volume dalla copertina bronzata con alcuni caratteri meridiani placcati in oro antico. In questo luogo pochi libri sono normali, ma questo è un po’ più speciale degli altri.
Aperta la chiusura con un solo tocco, lo sfoglia con religiosa delicatezza, fermandosi a una pagina in cui un grosso riquadro circolare è circondato da alcuni cerchietti e simboli arcani. Appoggia quattro gemme sfavillanti sugli angoli del foglio, poi da un vasetto sparge sul riquadro, con un morbido pennello, della sottilissima limatura di ferro.
La polvere scura si dispone rapidamente a formare un disegno simile a coppie di irregolari bastoncini attaccati.
Ruota leggermente alcune delle gemme, poi torna a passare il pennello a pieno sul riquadro. Il disegno muta, tracciando sempre contorni di coppie di bastoncelli, commentate da minuscole didascalie collegate con sottili linee di riferimento.
Dopo più e più tentativi, il disegno riappare ancora mutato, mostrando finalmente due bastoncelli affiancati e uniti al centro a formare una sagoma cruciforme.
Sono questi, pensa Phobos. I cromosomi X della bambina, presenti in una goccia del suo sangue succhiato dalla zanzara. Su un lato del disegno la polvere ha delineato delle ulteriori didascalie.
Phobos legge attentamente quelle parole criptiche, traducendole con fatica nel linguaggio comune: a quanto pare, tutti e due i cromosomi X sono tipici degli Escanor.
Dunque la piccola Elyon è proprio figlia di suo padre Adleric.
Ora che ha avuto la risposta certa che ha agognato per molti mesi, Phobos non sa se esserne sollevato o deluso. La piccola è quasi certamente destinata a morire da sola in breve tempo, come tutte le altre precedenti. Il destino ha scelto per lui, risparmiandogli la difficile decisione se sposare una sorellastra bastarda ma vitale, proseguendo la dinastia a prezzo del timore di essere spodestato dalle sue stesse figlie, oppure darle una mano a seguire quelle che l’hanno preceduta.
Spera comunque che la piccola sopravvivrà per un po’alla madre: lei ha già sofferto tanto e non merita di veder morire, con quest’ultima figlia, tutte le sue speranze per il futuro.
 

Meridian, giardino di Phobos, la sera

La sera sta scendendo a liberare Phobos da un’altra giornata silenziosamente amara, fatta di incontri forzati e ossequi fasulli.
Nel chiarore del giardino ormai tutto suo, si siede sul pendio punteggiato da fiorellini gialli. Il loro profumo paradisiaco lo avvolge a pieno. Si volta prono, aspirando a pieno quel profumo dalle corolle, incurante delle macchie gialle di polline sulla veste e sul viso.
Mentre il sollievo floreale gli allevia l’amarezza, ora sente che non ha più bisogno dell’approvazione di quella gentaglia.  Ora è il momento di portare a compimento la sua prima creazione, mentre il sacro fuoco della magia gli scorre nuovamente nelle vene.
Si alza in piedi con un sorriso esaltato ed entra, senza curarsi delle vesti, nella polla d’acqua che già si sta illuminando di verde per lui. Si lascia immergere, e ora più che mai la luce avvolge tutti i suoi pensieri, aprendo gli occhi della sua mente sulla grandezza del futuro che costruirà.

Dopo un tempo che nessuno può quantificare, si rimette in piedi ed esce deciso dalla polla, avvolto da un alone luminescente, grondando luce liquida sul terreno dai suoi indumenti appesantiti. Davanti a lui, ora, c’è una splendida pianta dal fiore bianco.
Sovrastandola, Phobos vi impone le mani sempre più luminose.
Come altre volte, la pianta prende piano a trasformarsi. Nuovamente le foglie si piegano in arti e gomiti, il gambo si allarga in un torace affusolato, fattezze umane si disegnano sotto la corolla, ed i petali si sfaldano in filamenti setosi.
Poi sembra che la trasformazione stenti a proseguire.
Phobos insiste, stringe i denti per lo sforzo, inizia a ripetere parole arcane con rabbia, più volte, sempre più forte, mentre la luminosità della sua aura vacilla e si colora di toni mai visti.
Sotto il suo sguardo volitivo, questa volta i tratti umanoidi riprendono a evolvere, finché la creatura viene finalmente plasmata secondo la sua volontà.
 

Meridian, appartamento di Alborn e Miriadel, quella sera

Il comandante Alborn si richiude alle spalle la porta d’ingresso del suo piccolo appartamento nell’ala nord del palazzo.
Appesa al chiodo la grossa fascia dagli orli gialli che gli stringeva la vita, viene poi il turno della giacca verdazzurra dalle pesanti spalline che evidenziano il suo grado di colonnello.
Si siede su una poltrona, poi guarda il calendario meridiano appeso alla parete, su cui spiccano delle annotazioni a matita contornate di fiorellini. In quel posto dal nome impronunciabile sulla Terra, dove la sua Miriadel passa quasi tutto il tempo, dovrebbe essere iniziato il fine settimana. Lei dovrebbe essere di ritorno tra poco.
Speravano che, con i nuovi varchi, lei avrebbe potuto tornare a casa ogni sera, ma non è stato proprio così.

La porta d’ingresso si apre, lasciando vedere una figura coperta da un mantello lungo fino ai piedi. “Eccomi!”. E’ la sua voce.
Lui fa per venirle incontro. “Sono qui, cara. Finalmente!”.
“Un momento…”. Lei apre il lungo mantello e lo appende stancamente a un gancio alla parete, rivelandosi vestita con una blusa terrestre troppo aderente, e dei pantaloni di un ruvido e sbiaditissimo tessuto blu.
“Abiti terrestri?”, chiede lui con una vaga smorfia di disgusto, “Una volta tornavi a casa già vestita decentemente”.
Lei annuisce, poi, con tono piatto, risponde: “Una volta avevamo l’energia per trasformarci ogni giorno con tutti gli abiti addosso, ora non più”.
Lui continua a guardarli con diffidenza. “Non è che portino microbi strani?”.
“A quintali”, risponde lei sfilandosi la blusa e appendendola con un gesto stanco, poi è il turno dei pantaloni.
Alborn osserva con interesse ed emozione, sperando che la moglie continui ciò che ha iniziato; ma lei lo delude, infilando subito una vestaglia lunga fino ai piedi.
Lo guarda svogliata, leggendogli i pensieri. “Non ora, caro. Ho mal di testa”.
Lui si immusonisce. “Dopo una settimana…”.
“Non è una scusa. Solo, lascia che mi riprenda”. Gli si siede accanto su un’altra poltrona. “E’ che questo periodo mi uccide”.
“Tanto lavoro?”.
“Peggio. Quella terribile Guardiana di Kandracoso mi tiene il fiato sul collo. Capita in negozio più volte al giorno”. Appoggia la testa alla spalliera, perdendo lo sguardo verso il soffitto. “Qualche volta entra dalla porta. Qualche altra volta si materializza in negozio, con gran sorpresa dei clienti, tanto poi tocca a me far loro dimenticare tutto. E chissà quante volte apparirà direttamente nello scantinato senza neppure dirmi cucù!”. Si volta verso di lui sdegnata: “Ma ti rendi conto? Si è accampata tutta una mattina in quel seminterrato, portandosi perfino il lavoro all’uncinetto!”.
Lui ridacchia quasi divertito all’idea. “Ma cosa vuole?”.
“Vuole trovare il portale aperto. Se ci riesce, lo può sigillare con il suo lampeggiante gingillo rosa, e noi non riusciamo più riaprirlo finché non torna Cedric con il sigillo di Phobos”. Sbuffa di disappunto. “E poi quel coso, ogni volta che Cedric lo usa, si mangia tanta di quell'energia che poi a noi agenti ne resta pochissima per ritrasformarci e tornare a casa senza essere guardati come alieni. E’ per questo che noi due ci possiamo incontrare solo il fine settimana”.
Lui annuisce comprensivo. “Ma adesso avete aperto anche altri passaggi oltre a quello in negozio, vero?”.
“Certo, ma la sai l’ultima trovata geniale di Cedric? Avevamo notato che spesso la guardiana arriva poco dopo che un portale è stato attivato, anche se non sappiamo come se ne accorga a distanza.  Lui ha cronometrato questi interventi, studiato le sue abitudini quotidiane, fatto un po’ di statistiche, e poi mi ha dato una tabella di orari in cui aprire il portale del negozio, l’unico che lei conosceva già, e richiuderlo dopo tot secondi; intanto che la guardiana viene per tentare di sigillarlo, altri agenti ne aprono un altro in altri luoghi, passano e lo richiudono subito mentre lei è impegnata a stressare me”.
Lui annuisce compunto, cercando di nascondere che gli viene da ridere. “E lei ci casca?”.
“Non sempre: ha colto in flagrante e sigillato anche un altro portale, ma adesso scegliamo meglio i posti in cui aprirli. Un palazzo con molti appartamenti è l’ideale: qualunque sia il mezzo di localizzazione che usa, non è abbastanza preciso da scoprire in quale appartamento si trovi il portale nel breve tempo in cui è aperto. Poi, però, bisogna che non si facciano sorprendere mentre escono sul pianerottolo, e lei può rendersi invisibile. Ma possiamo farlo anche noi”.
Lui ci riflette, accigliandosi. “Però questo tuo ruolo da esca mi sembra molto limitativo. Non sei una degli agenti migliori? La prima a essere promossa capitano a ventisei anni? Perché non chiedi qualcosa di più impegnativo?”.
Lei si stringe nelle spalle. “Non siamo in tanti a poter interpretare una commessa terrestre senza destare sospetti”. Resta un attimo pensierosa, come incerta se continuare, poi si decide: “Sai, Alborn… abbiamo perso ogni contatto con un agente in missione. Conoscevi Vatris?”.
Lui annuisce, impressionato: “Cosa è successo?”.
“So solo che si era teletrasportato alla ricerca di un meridiano individuato da una delle nostre zanzare. Non abbiamo idea se abbia dovuto lottare, se sia stato ucciso da un’automobile…”.
“Automobile?”, ripete lui allarmato, “Non sapevo che ci fossero animali feroci nel posto dove lavori!”.
Lei sorride stancamente tra sè. “Non è proprio così: sono macchine che corrono, e lì le strade ne sono piene. Se uno si teletrasporta in un posto sconosciuto e riappare al centro di una strada, le automobili lo stirano”.
“Lo… stirano?”, fa lui inorridito.
Vedendolo così turbato, Miriadel si sente in dovere di rassicurarlo: “Per evitarlo, quando dobbiamo andare in un luogo lontano per la prima volta, prima ci trasformiamo in uccelli, poi ci teletrasportiamo a mezz’aria e osserviamo bene dove atterrare”. Gli strizza l’occhio. “E’ sicurissimo”.
Lui annuisce, un po’ tranquillizzato. “E di questo Vatris… tu cosa preferiresti pensare?”.
Lei ci riflette un attimo. “Che sia vivo e stia bene, anche se ciò volesse dire che ha disertato”.
“Insomma, non ti piace quello che state facendo, vero?”.
Lei si guarda attorno sospettosa, poi scuote il viso adombrata. “E tu?”.
Lui intreccia le dita. “Vogliamo parlarci chiaro?”, dice a bassa voce, “Il principe Phobos è sempre più arrogante e lontano. Inquietudine e scontento si stanno diffondendo a ogni livello, anche tra le guardie. Quando la Regina sarà morta, la situazione potrebbe precipitare”. Raccoglie le idee. “Molti sperano che la neonata principessa Elyon possa salvare la situazione, e girano voci insistenti di una profezia. Ma cosa impedirà alla piccola di morire… in un modo o nell’altro?”. Si guarda di nuovo attorno, come spaventato da ciò che ha appena proferito.
Lei capisce subito quello sguardo. “Caro, attento a quello che dici. Anzi, stai attento anche a quello che pensi. E’ probabile che i servizi segreti stiano cercando di individuare gli elementi potenzialmente ostili al principe Phobos nel palazzo. Dopo che la Luce si sarà unita agli Dei, si potrebbe arrivare a una resa dei conti”. Guarda fuori dalla finestra, angosciata. “Allora forse pregherò di essere lasciata nella mia piccola tana sulla Terra, ma non escludo che potrei, invece, essere tra gli incaricati di tutto questo”.
Per un lungo istante, un silenzio pesante cade sul piccolo soggiorno.
Miriadel si riscuote, poi si alza per chiudere le tende e va a sedersi sulle ginocchia del marito. “Hai ragione tu, caro: potremmo avere davvero poco tempo”. Gli ammicca, abbandonando il capo sulla sua spalla. “Sarà meglio impiegarlo nel modo migliore”.

In un angolo della stanza una presenza invisibile si prepara a svanire, lasciandoli soli nella loro intimità.
La regina aveva ragione, pensa tra sé: Miriadel e Alborn sono le persone adatte per il suo ultimo incarico.
 
 
 
 
 

 
 
 

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Capitolo 19
*** Fuga nel tempo ***


19-Fuga nel tempo  
 
Ad personam:
Cara Melisanna, che piacere sentirti! Sei stata rapidissima! Le tue deduzioni sono giuste, ci avviciniamo al momento conclusivo. Nella scala del tempo del racconto mancano ancora alcune settimane.
Vero che è simpatica Yan Lin? E' uno dei miei personaggi preferiti, anche se dal punto di vista dei meridiani è gradevole quanto Cerbero. Spero proprio di leggere presto la conclusione del tuo Terra Magica.
Cara Atlantis  Lux, grazie della bella recensione, sono felice di poter sempre contare su di te. Anche a me Phobos fa un po' pena. Quel po' di sentimenti umani che ancora può nutrire sparirà completamente dopo che avrà preso le ultime batoste. Non per mio sadismo, naturalmente: questa storia deve spiegare l'involuzione di questo personaggio nello spietato villain che ci è presentato dal fumetto anni dopo questi eventi.
Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura delle bozze di questa storia.

Qualche parola su questo capitolo, che è ambientato un mese e mezzo dopo il precedente, e si sviluppa in un arco di circa quarantott'ore. Sulla Terra, siamo a metà del dicembre 1984. Ormai mancano pochissimi giorni alla conclusione di La Luce al tramonto.
Per quanto riguarda Eliasdal e Luduvik, invece, questa sarà la loro ultima apparizione. Il nostro pittore verrà ritrovato prigioniero nel suo stesso quadro, dopo un'attesa di quasi quattrocento anni, in W.I.T.C.H. n.5, un bellissimo episodio del fumetto del quale qui ho ricostruito gli antefatti.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 19

Fuga nel tempo

Per quei nove anni rubati alla punizione, la sua prigionia sarà molto più lunga della vita di qualunque uomo”

Il Principe Phobos


Meridian, casa di Eliasdal

Nella casa deserta, attraverso le finestre chiuse filtrano i rumori della giornata: il chiacchierio di alcuni passanti, lo scalpiccio ritmato degli zoccoli di un asinello, un rumore lontano di ruote cerchiate di ferro sul selciato irregolare.
Nella cucina, un sottile strato di polvere offusca la lucentezza del rame delle pentole. Negli angoli, piccole ragnatele hanno cominciato a espandersi timidamente alla conquista dell’ambiente.

Al centro della stanza, da un baluginio prendono consistenza due sagome: quella elegante di Lord Cedric, e quella massiccia di un gigante dalla pelle azzurrina.
“Eccoci, Vathek”, dice il primo, guardandosi attorno. “Ci tenevo a dare un’altra occhiata all'abitazione di Eliasdal”.

Anche l’altro osserva il locale. “In effetti, Signore, non è una brutta casa”. Passa la mano su una mensola, e osserva gli aloni di polvere rimasti sui suoi polpastrelli. “Però ormai si nota la mancanza di una donna”.

Cedric si dirige verso le scale. “Non sono qui per controllare le pulizie. Vorrei ridare un’occhiata ad alcune cose che avevo notato di sfuggita”.

Salito fino nella mansarda, Cedric si guarda ancora attorno. Decine di quadri, finiti o incompiuti, sono schierati lungo i muri, o sui cavalletti, o accostati come libri in qualche angolo in un maldestro tentativo d'ordine. Il colore rossiccio di alcune sculture di terracotta punteggia il locale. “Il tipico studio di un artista”, sogghigna.

Vathek sale a sua volta, dopo essersi accertato prudentemente che la scala di legno regga il suo peso. Lo fa sempre per abitudine, dopo aver avuto altre brutte sorprese in passato. Subito, il suo sguardo cade su due ritratti ancora sui cavalletti, e poi su un busto di terracotta sostenuto da uno sgabello. “Ma quello non è il Principe Phobos?”.

“Sì” conferma Cedric, “In questa soffitta ho contato un busto e sette ritratti del Principe, né autorizzati, e men che meno commissionati da lui”. Li confronta tra loro. “Non sono molto somiglianti. Deve averlo ritratto a memoria. Ma perché?”.

“Forse lo ammira?” suggerisce il gigante.

“Non credo” risponde pensieroso l’altro, “E non ha mai avuto confidenza, neanche una volta quando il principe era molto più accessibile di ora”.

“E’ per questo che somigliano poco”, aggiunge il gigante, poi s’illumina come per un colpo di genio. “Forse per lui è una sfida: vuole riuscire a farne almeno uno somigliante”.

Cedric lo squadra con sufficienza e ironizza: “Non ti sapevo così psicologo, Vathek”.

Il gigante si acciglia, incerto se il suo superiore l' abbia inteso come un complimento o come un insulto, anche perché non sa cosa vuol dire esattamente quella parola. Sforzandosi di non pensarci, si porta davanti a un bel quadro del palazzo reale, lo osserva, poi si inchina per guardare fuori dalla finestra verso il maestoso edificio che sovrasta la rupe. “Eppure questo è perf…”.

“Attento!”.

L’avvertimento arriva troppo tardi: nel chinarsi, l’omone ha urtato il busto di Phobos, che si sbilancia e cade rumorosamente sul pavimento, frantumandosi in grossi pezzi di coccio.

Alzandosi di colpo, cozza con la testa su una capriata di legno. “Mer…”.
“Vathek, bestione!”, sbotta a mezza voce Cedric. “Non so perché ti ho portato…”.

“Sono desolato… perdonatemi”, borbotta tenendosi la testa quasi calva.
Guardando il disastro ai suoi piedi, Cedric sbotta: “Ci vorrà altro che perdonarti… dobbiamo giustificare questo danno!”. Guarda fuori dalla finestra, e un sorriso astuto gli illumina il viso. Un grosso gatto leporino cammina disinvolto, con ineccepibile equilibrio, sulla falda di un tetto vicino. “Ecco il nostro colpevole” dice, e i suoi occhi brillano.

Il gatto si immobilizza un attimo, poi cambia direzione come in trance e con pochi lenti passaggi da equilibrista arriva fino alla finestra.

“Entra”, ordina Cedric all’animale aprendogli i battenti, “E resta qui fino all’arrivo di Eliasdal!”.

Il micione prende a vagare, lento e con sguardo assente, nella mansarda.

“Whow! Geniale!”, esclama Vathek ammirato.

“Bene”, si compiace lord Cedric, “Ora dobbiamo cercare qualunque cosa sospetta”, dice, osservando da vicino il retro dei ritratti del principe alla ricerca di scritte arcane.

“Cosa cerchiamo, Signore?”, chiede il gigante.

“Qualunque cosa sospetta, l'ho detto. Lettere. Scritti. Formule magiche. Amuleti. Elementi di un’altra macchina del tempo. In fondo, Eliasdal è fratello di un condannato per spiritismo”.

Una luce di comprensione si accende negli occhi dell’omone. “Voi… voi pensate che tutti questi ritratti possano servire per gettare il malocchio sul Principe?”.

“Forse. O forse glieli ha commissionati qualcuno per irriderlo. Come quelle orribili caricature tracciate sui muri della città prima di quegli scontri di piazza”.

“Criminali irrispettosi!”, sbotta l’omone stringendo i pugni possenti con una smorfia indefinibile.

“Da quella volta, ogni ritratto non autorizzato di Phobos è vietato”, continua Lord Cedric.

“Ma allora, ciò che abbiamo già trovato non basterebbe ad arrestarlo? Poi lo faremmo parlare come ben sappiamo…”.

Cedric si stringe nelle spalle. “Anche il tentativo di fuga sarebbe bastato per incarcerarlo. Purtroppo Eliasdal è un protetto della Regina. Per ora limitiamoci a sorvegliarlo, ma una volta morta lei, che gli Dei l’abbiano in gloria, il nostro pittore smetterà di essere trattato con troppi riguardi”.


Mezz’ora dopo, il silenzio della casa deserta viene rotto dallo scatto del chiavistello, seguito da un cigolio, mentre il battente della porta si apre e la luce del sole inonda l’interno.
Eliasdal entra e appoggia sul tavolo il sacchetto di iuta che portava con sé. In poche mosse estrae dai battenti della credenza un piatto ancora mezzo pieno di briciole, un coltello e una bottiglia di succo di melopea, e prende da una mensola un bicchiere di ceramica mal lavato.
Sedutosi a tavola, il pittore inizia il suo pranzo frugale, quando la coda dell’occhio gli va in cima alla scala: da lì, due occhi gialli e luminosi da gatto leporino lo stanno fissando.

“E tu cosa fai qui?”.
Vistosi scoperto, il gatto scappa colpevolmente verso i piani superiori.
Eliasdal sale le scale in tempo per vedere la coda impellicciata sparire nella botola della soffitta.

Salita anche la seconda scala, Eliasdal scorge subito i frammenti del busto di terracotta sul pavimento. “Bestiaccia!”, dice fra sé. “Va beh che era mal riuscita, quella scultura…”.
Va a controllare il dipinto del palazzo, constatando con sollievo che è intatto. Anche gli altri quadri non presentano alcun danneggiamento.

Nota una finestra semiaperta. ‘Strano… sto diventando sempre più distratto’, ne conclude.

Si avvicina al gatto leporino, mormorando “Micio, micione…” con voce suadente.

Ancora una volta, come incantato, l’animale gli viene vicino, lasciandosi afferrare senza proteste per la collottola. Lo riconosce: è Miev, il gattone della signora Vertel. L’anziana sensitiva ha fatto mille favori alla sua famiglia, per cui ora gli sembra doveroso renderglielo senza chiedere alcun risarcimento.

Poco dopo, Eliasdal si avvicina alla coloratissima casa della sua vicina. Il battente della porta è completamente dipinto a fiori dai colori vivaci, ai quali ogni anno viene aggiunto un nuovo mazzo o rametto. Da lui, naturalmente: questo lavoretto non rende bene come eseguire ritratti su commissione, ma è un ringraziamento adeguato per la gentilezza della sensitiva. Questa, con la sua forte telepatia, si presta anche a trasmettere messaggi a persone distanti e fornisce risposte in tempo reale ai suoi clienti e amici privi di tale potere.

Il pittore non fa in tempo a bussare, che già il battente fiorito si apre. “Entra, entra, Elias”, dice la voce della signora da dentro.
La casa, linda e ordinata, è ornata di piccoli quadretti di fiori e animaletti in ogni spazio disponibile sulle pareti.

“Signora, le ho riportato il suo micione. Era entrato in casa mia”.

“Perdonalo”, risponde lei gentile. “E’ strano, non lo faceva da molto tempo. Eppure sono stata sempre così chiara con lui… vero, Miev?”.

“Mieeev”, conferma il gatto leporino.
“Vuoi restare a pranzo, Elias? Così mi faccio perdonare un po’ per la tua scultura...”.

“No, grazie”, declina lui accennando a voltarsi. “Ho già messo in tavola”.

Poco dopo il pittore sta finendo il suo parco pranzo, pensieroso. Anche se quel busto di Phobos non era ben riuscito, l’incidente gli è sembrato un presagio. Ma di cosa?
Un bussare alla porta, sommesso ma impaziente, lo distoglie dai suoi pensieri, e va ad aprire.

“Signora Vertel?” fa, sorpreso, davanti alla donna visibilmente agitata.

“Posso entrare?”.

“Certo…”, dice scostandosi. “Solo, scusi il disordine”.

Appena richiusa la porta, la signora lo fronteggia. “Elias, ho avuto delle visioni accarezzando Miev. Lui non è entrato da solo, ma è stato costretto dalla volontà di quello stesso uomo che è comparso qui quando è morta la povera Odridel”.

Il pittore sbarra gli occhi. “Vuol dire… Lord Cedric?”.

“Zitto!”, intima lei coprendosi la bocca con le mani, “Non pensare mai il nome di chi non vorresti incontrare”. Dopo un attimo di silenzio confuso, riprende: “Era qui questa mattina, in casa tua, assieme a un gigante dalla pelle azzurrina. Quando il gatto è entrato, il busto era già rotto a terra”.

Lui annuisce, senza riuscire a proferire verbo.

Lei riprende: “Quel che è peggio, Elias, è che hanno detto che, appena la regina sarà morta, verranno a prenderti per farti pagare tutto assieme, il tuo tentativo di fuga e i ritratti di Phobos. Non sapevi che ora sono proibiti?”.

Lui storce il viso, stupito e confuso. “Proibito… un ritratto? Da quando?”.

La signora non risponde, ma continua: “Sento che la morte della Luce di Meridian è ormai questione di giorni. Scappa, Elias. Scappa finché puoi. Ormai qui sei segnato. E, ne sono certa, è segnato anche il tuo patrigno Luduvik!”. Poi si guarda in giro, come se temesse di veder Cedric materializzarsi dal nulla. “Io non ti ho detto niente. Io non sono mai stata qui, oggi”. Si volta verso la porta. “Buona fortuna, Elias. Addio”. Poi esce furtiva.

Lui guarda dalla finestra mentre la sua vicina rientra rapidamente nella sua casa e sparisce alla vista.


Meridian, quella sera

L’ora del tramonto è passata, e le vie della città si stanno lentamente spopolando, illuminate solo dal chiarore di una delle due lune e da quella poca luce che filtra dalle finestre delle case.
Luduvik, intabarrato in un pastrano che nasconde la divisa, cammina con prudenza lungo la tortuosa vietta che scende da piazzale Sottocastello fino a una casa che per molti anni si era abituato a considerare sua.

Cercando di scacciare i rimpianti, bussa alla porta.

Subito si apre uno spiraglio. “Entra, presto”, ordina piano la voce grave di Eliasdal.

All’interno, chiusa la porta, Luduvik abbassa il cappuccio. “Perché mi hai cercato con tanta urgenza, Elias?”, chiede gelido. Dopo la morte di Odridel, i loro rapporti si sono molto raffreddati: anche se l’ex sergente non l'ha mai rimproverato apertamente, considera Eliasdal in qualche modo responsabile della morte di sua moglie e della fine della sua carriera.
Il pittore gli fa cenno di sedere al tavolo, dove due bicchieri sembrano attenderli facendo compagnia a una bottiglia di succo di melopea.

Appena seduti, Eliasdal inizia: “Luduvik, ho saputo che intendono arrestaci non appena la Regina sarà morta. E che questo succederà entro pochi giorni”.

L’altro si acciglia, ma non sembra sorpreso. “Da chi lo hai saputo?”.

“Non posso dirtelo”, taglia corto, “Ma per me è meglio fuggire subito. Oggi o domani, se possibile”.

Luduvik annuisce piano, con lo sguardo perso in un angolo buio. “Hai già un piano?”, gli chiede dopo un interminabile momento di silenzio.

“Sì. E mi servi tu”.

L’altro nicchia. “Sappi che non ho più accesso ai sigilli di teletrasporto. Sono un soldato semplice, ormai”.

“Non ai sigilli. Alla macchina del tempo sequestrata”.

L’uomo si acciglia. “Vuoi dire, a quel cavolo di trappola che ha ucciso Odridel?”.

“Sì, quella”.

Storce il viso. “Hai deciso di suicidarti?”.

“Ho deciso di provare a vivere libero. E ho un gran buon motivo per pensare che ci riuscirò”.

Sempre col viso deformato da una smorfia di scetticismo, l’altro chiede: “E sarebbe?”.

“Non posso dirtelo, ma me l’ha dato la Regina stessa”.
Luduvik si morde il labbro: se c’entra una profezia della Luce di Meridian, è una cosa seria.

Eliasdal prosegue: “Voglio trasferirmi sulla Terra in un’epoca remota, in cui non esisteva Phobos, e se lo vorrai potrai venire con me”.

L’altro storce nuovamente il viso. “La Terra… Ma ti pare che io possa passare per terrestre?”.

“Se puoi procurarmi dell’acqua magica, ti aiuterò io a cambiare, e anche a vivere lì. Io so già che ci riuscirò e avrò successo”.

Luduvik aspetta molto a rispondere, la mano immobile sul bicchiere. Infine dice in fretta: “Domani notte”, poi butta giù un gran sorso di bevanda, come per ingoiare una pillola. “Domani notte avrò il turno di sorveglianza a quel cavolo di torre Nord. Tu entrerai nel palazzo nel pomeriggio con qualche scusa, e io ti nasconderò in uno stanzino. Di notte, stordirò l’altra guardia, verrò a prenderti e apriremo la porta di un magazzino al sesto piano della torre Nord. Lì è tenuta quella macchina maledetta, assieme a tanti oggetti sequestrati a maghi illegali. L’energia la potremo ottenere dalle tubazioni che irrigano il giardino: di notte, molta dell’acqua magica della città è deviata verso il paradiso in terra del Sommo Stronzo”.

Eliasdal annuisce con interesse, indifferente al linguaggio da caserma che non gli aveva mai sentito usare finché era viva Odridel. “Questo si chiama parlare!”.

Meridian, palazzo reale, la notte dopo

Le ore passano interminabili quando si è chiusi a chiave in una stanza buia, e il senso del tempo deve appigliarsi al proprio respiro lento o al rumore occasionale di passi nel corridoio.
Dopo decine di falsi allarmi e false speranze, l’ultimo scalpiccio è finalmente quello buono. Con uno scatto della serratura, la porta si apre, e il primo raggio di luce che ne entra sembra quasi un fioco lampo.

Il viso di Luduvik appare nella fessura. Senza una parola, gli infila nella stanza degli indumenti e un paio di stivali: una divisa da guardia. Eliasdal capisce che deve indossarla, e lo fa più rapidamente che può, mentre l’altro entra per aiutarlo con gli alamari e la fascia alla vita. I pantaloni gli sono corti, ma gli stivaloni in cui infilarli nascondono bene la cosa.

Come ultimo cambiamento, Luduvik gli porge un vasetto di fondotinta verde, ma Eliasdal è in grado di controllare da solo il colore della sua pelle.

Quando escono con circospezione dallo sgabuzzino, l’ex sergente si incammina silenzioso verso la torre Nord, e Eliasdal lo segue, sussultando a ogni svolta e a ogni rumore. Di tanto in tanto, Luduvik si ferma a fare un gesto convenzionale a qualche invisibile sistema di sorveglianza.
Dopo un itinerario contorto fatto di frequenti deviazioni e cambiamenti di piano, i due arrivano finalmente alla base della torre Nord senza aver incontrato alcuno. Salgono le scale ricurve fino al sesto piano, dove Luduvik apre con una chiave una robusta porta.

All’interno dello stanzone che si avvolge attorno al vano scale come un anello, illuminati da una fioca luce fluorescente verdolina, si rivelano scaffali stipati da ogni genere di talismani, statuette, specchi deformanti, libri e altro, ciascuno corredato di una schedina che, immagina Eliasdal, farà riferimento alle circostanze del sequestro.
Appena fatti pochi passi, la vedono. La macchina del tempo è lì, in ottime condizioni.

Dopo un rapido e silenzioso esame, Eliasdal annuisce soddisfatto, e Luduvik raccoglie da uno scaffale un barilotto e alcuni attrezzi da idraulico.

Accostata la porta, tornano a scendere per le scale. Ora non solo i passi, ma anche i respiri risuonano nel silenzio.

Arrivati a un corridoio sotterraneo nell’ala nordovest, si accostano a una porticina metallica. Luduvik fa alcuni gesti misteriosi davanti a un bassorilievo di una testa di pipistrello, poi apre il locale con una chiave. All’interno, tubi di piombo e valvole di bronzo si dipartono da un unico collettore.

Luduvik inizia a smontare da un tubo uno strumento il cui quadrante mostra una intensa fosforescenza verdina e, poco dopo, un fiotto di acqua dalla tenue luminosità comincia a fluire nel barilotto.

Poco dopo, i due ritornano verso la torre Nord con il prezioso e pesante bottino, dopo aver cercato di cancellare tutte le tracce del loro passaggio. Di nuovo, passi felpati e respiri risuonano nei locali fin troppo silenziosi.
Giunti faticosamente in cima alle scale, entrano nuovamente nel magazzino. Finora tutto è andato bene, sorprendentemente bene.

Eliasdal inizia rapidamente a disporre gli specchi e a collegarli, mentre Luduvik accosta il barilotto al conversore psicoenergetico, inserendo nel prezioso liquido il tubo di pescaggio, e aspirando con la bocca da un tubicino per innescare il sifone inverso.

Poco dopo, i due uomini si scambiano silenziosi cenni di assenso: la macchina del tempo è pronta.
Eliasdal immerge brevemente i polsi nell’acqua fosforescente, sentendosi ricaricare da una sensazione di potere e successo imminente. Gli basta volerlo, e in un attimo il colore della sua pelle muta nel tipico rosato dei terrestri. Poi appoggia il palmo sulla fronte di Luduvik, che viene percorsa da aloni e, più lentamente, anche il suo aspetto muta, diventando credibilmente simile a quello di un tipico abitante dell’altro mondo.

Con un ultimo, silenzioso cenno di assenso, Eliasdal si porta al centro dei quattro specchi, allineandoli con cura e facendo cenno a Luduvik di accostarsi a lui.

D’improvviso, voci lontane cominciano a risuonare nel vano scale, attutite dalla porta accostata. Sono più voci, sempre più agitate, sempre più vicine. Certo li hanno scoperti, ma troppo tardi.
Eliasdal inizia a ripetere la sequenza mentale, dapprima in modo lento, poi sempre più velocemente.

Le voci si avvicinano, si fanno riconoscibili, Una, che tuona ordini, sembra quella del comandante Alborn.

“Aspetta, vado a chiudere la porta a chiave” dice Luduvik, muovendo due passi in direzione dell’ingresso. Proprio in quel momento, gli specchi iniziano scintillare, il rumore del conversore psicoenergetico aumenta, e dai suoi interstizi il discreto luccichio dell’acqua si trasforma in un lampo.

Quando riapre gli occhi, Eliasdal si trova davanti a un incantevole paesaggio di una campagna verde e piatta, disseminata di cascine sparse e di mulini a vento, che sembra uscita dai quadri del suo bel libro patinato sui pittori olandesi.
“Luduvik, ce l’abbiamo fatta!”, grida con gioia in meridiano. “Siamo sulla Terra. Siamo in Olanda, nel loro anno 1620! Capisci? Ce l’abbiamo fatta!”. Si guarda attorno. “Luduvik? Luduvik, dove sei?”.

Quando realizza di essere solo, la sua gioia si vela di amarezza. Solo lui è libero. Il suo patrigno non è riuscito, e pagherà le conseguenze per tutti e due.


Meridian, giardino di Phobos, alcune ore dopo

Lord Cedric si addentra da solo nel giardino proibito, dopo aver lasciato le guardie e il fido Vathek alla porta della torre est. Sotto il braccio porta un volume illustrato: il reperto migliore delle loro indagini sulla fuga di Eliasdal.
Con sua grande sorpresa, un umanoide dall’aspetto alieno ed elegante gli viene incontro. Ha uno sguardo immobile ma penetrante, più simile a quello di un gatto che di un essere umano. Il disagio di Cedric è aumentato dalla nudità che l’essere, dalla lucida pelle verde ammantata da lunghissimi capelli marroni, porta con la più completa disinvoltura.

Com'è apparso, l’essere si ritira con grazia verso il folto del giardino senza emettere un solo fruscio, confondendosi con i colori delle piante come se lui stesso facesse parte di quel luogo vietato.

Mentre Cedric lo segue con lo sguardo, in un qualche luogo tra le sue orecchie risuona un pensiero imperioso: ‘Vieni avanti fino alla polla, Cedric’.

Avanza in mezzo alla vegetazione, guardandosi intorno. Dell’essere non vede più alcuna traccia.

Arrivato al laghetto, non trova nessuno ad aspettarlo. “Altezza…”.
“Alza gli occhi, Cedric”, risuona la voce del principe. Phobos è in piedi, immobile, alla sommità della rupe, vicino alla sorgente della cascatella.

“Altezza! Perdonatemi se vi ho cercato in questo luogo privato. Posso chiedervi chi era quell’essere che mi è venuto incontro?”.

“Era un mormorante” risponde semplicemente Phobos dall’alto, come se questo spiegasse tutto. “Che novità hai sul traditore Eliasdal?”, chiede con il tono annoiato di chi non si aspetta svolte decisive.

Ma sbaglia.

Cedric cerca di mantenersi compunto e irreprensibile, nascondendo sia il disagio creato da quel luogo, sia l’eccitazione per la sua scoperta. “Altezza, abbiamo trovato un reperto importantissimo che il traditore ha imprudentemente lasciato a casa. Con questo, sappiamo dove e soprattutto quando cercarlo”. Prende in mano il grosso libro illustrato, e glielo apre.

“Cos’è?”. A un gesto di Phobos, il libro scompare dalle mani dell’altro per riapparire tra le sue.

“Un libro terrestre? Come se l’è procurato?”.

“Gliel’ha donato la Regina ai funerali di Odridel”.

Phobos si scurisce in viso: che parte ha sua madre in questa cosa? Poi mette a fuoco l’autoritratto in testa alla pagina. “Ma questo… è lui!”.

“Esatto, Altezza. Con il nome di Elias Van Dahl. Sono convinto che si è trasferito nella Amsterdam del 1620 per impersonare questo pittore”.

Phobos annuisce, scorrendo il testo. “Qui c’è scritto che le sue tracce si perdono nel 1629”.

“Appunto. Altezza, se ritenete che valga l’alto costo energetico per il viaggio nel tempo, preparerò con ogni cura una missione per catturarlo nel 1629 e portarlo a Meridian”.

Il viso di Phobos resta impenetrabile.

Cedric insiste: “Altezza, se non saremo noi a catturarlo nel 1629, potrebbe sparire in altri modi. Magari potrebbe tornare a Meridian, a piede libero, secoli prima della vostra stessa nascita, e…”.

Phobos lo interrompe con disappunto: “Cedric, non è in discussione che voi dobbiate prendere quel traditore a ogni costo. Ma mi fa rabbia dovergli regalare nove anni d'impunità, sia pure brevi annetti terrestri”. Riflette un attimo. “Prepara dunque la sua cattura per il 1629. Ma questo significherà che la sua punizione sarà esemplare. Per quei nove anni rubati, la sua prigionia sarà molto più lunga della vita di qualunque uomo”.



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Capitolo 20
*** Lettera a Elyon ***


20-Lettera a Elyon  
 
Ad personam:

Cara Atlantis Lux, grazie di avere commentato anche questo capitolo.
La disponibilità di una macchina del tempo avrebbe consentito a Cedric arrestare Eliasdal perfino prima del suo arrivo in Olanda. Perciò ci voleva una giustificazione per il tempo che gli è stato concesso e la successiva lunghissima punizione. Questa giustificazione è stata la storia di Van Dahl narrata sul libro d'arte come già avvenuta, unita alla credenza nell'unicità della linea temporale.

Cara Solitaire, grazie per la tua graditissima doppia recensione. A me, in particolare, è piaciuto descrivere l'azione di Cedric e Vathek nella casa di questo pericolosissimo intellettuale. Nel mio racconto, Caleb è proprio il primo mormorante, quello nella posizione migliore per poter fare un paragone tra prima e durante il potere assoluto di Phobos.

Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura delle bozze di questa storia.

Qualche parola su questo capitolo, che è ambientato uno o due giorni dopo il precedente. La parte iniziale è un nodo fondamentale nella trama: Miriadel e Alborn vengono incaricati di portare Elyon in salvo sulla Terra. Dopo questo capitolo, le cose si evolveranno a ritmo sempre più serrato.
Invece la parte da cui il capitolo prende il nome, la fondamentale e malinconica lettera postuma che Adariel sta preparando per Elyon, è stata in realtà  una delle primissime cose che ho scritto di Profezie, circa cinque anni fa.
Rispetto alla bozza originale sono cambiate moltissime cose, ma tutte le mie storie su Meridian sono partite da queste due paginette. Non l'ho mai pubblicata in quella fiction, ma vi ho fatto accennare Caleb nel cap.4, quando raccontava alle WITCH di una lettera postuma di Adariel che aveva a lungo turbato la sua giovane regina. Beh, eccola qui, quella lettera famosa. Per una povera ragazzina, i motivi per essere sconvolta ci sono tutti.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 20

Lettera a Elyon



Meridian, camera della regina




Cara Elyon, figlia mia,

sono la tua mamma Adariel, sesta Luce di Meridian.

Ho affidato alla fedele Galgheita l’incarico di consegnarti questo mio messaggio alla data del tuo dodicesimo compleanno di Meridian; so che, abituata allo





Al primo pianto di Elyon, Adariel ripone sullo scrittoio da letto la lettera appena iniziata e le sorride. “Buon risveglio, piccola Luce mia”.

Lidrienel entra in camera, con gli occhi resi piccolissimi dal sonno e un biberon in mano. “Buongiorno Altezza” dice come un automa, andando a sedersi accanto alla culla e porgendo alla piccola la sua pappa, che lei prende a succhiare avidamente. L'odore dolce e umido del latte aleggia accanto al grande letto ornato di modanature ritorte e dorate dai motivi barocchi.

L’ancella resta a sostenere il biberon con la testa a ciondoloni, poi pian piano il suo sguardo torpido si focalizza sullo scrittoio ancora sul grembo della regina. Osserva la cartellina di pelle e il calamaio ancora aperto, con la penna d’oca pericolosamente in bilico. “Scrivete di notte, Altezza?”.

Adariel annuisce stancamente mentre infila alcuni fogli ripiegati, vergati con una scrittura ormai un po’ tremula, in una busta intestata in caratteri dorati. “Sì, Lidri. Ora o mai più”.

L’altra resta a lungo in silenzio, mentre il latte va giù lentamente nel biberon. Per un attimo, le si intravede un vago luccichio sotto le iridi. “Allora... è per oggi?”.

“Forse”, sospira richiudendo il calamaio.



Meridian, appartamento di Alborn e Miriadel


Alborn, già in piedi nella penombra, guarda sua moglie che dorme ancora, con i capelli raccolti in treccine sparse sul cuscino. Un debole raggio di luce che filtra dalle tende dipinge su di essi un riflesso verde metallico.

Lui si abbottona i lucidi bottoni della casacca: spera che oggi la sua Miriadel possa avere la giornata libera, visto che il negozio di Heatherfield è chiuso per il fine settimana terrestre, ma lui, comandante della guardia di palazzo, deve essere pronto e disponibile in ogni orario.

Ha appena finito di pensarlo, che un tenue bussare all’uscio risuona nel silenzio della prima mattina.

Va nel soggiorno, abbottonandosi i polsini. “Chi è?”, chiede sottovoce.

Per tutta risposta, qualcuno torna a bussare.

Lui apre subito… ma non c’è nessuno! Esce per guardarsi attorno: è uno scherzo?

Rientra scuotendo il viso con disappunto. Queste spiritosaggini di mattina presto… ma come hanno…

“Ah!”, trasale. Davanti a lui, nel soggiorno, c’è l’inconfondibile sagoma di Maestra Galgheita.

“Mi scusi, Comandante” inizia lei a bassa voce, “Ma ho voluto essere sicura che foste soli”.

“Sicura che fossimo soli...” ripete lui, cercando di dare un senso a quella situazione.

Dalla porta della camera, Miriadel si sporge stringendosi in una vestaglia. “Caro, chi… Galgheita! E’ successo qualcosa?”.

“Non ancora. Ma la Regina vi vuole parlare con urgenza”.



Meridian, camera della regina


Pochi minuti dopo, i due vengono introdotti alla presenza della regina, che salutano battendosi il petto.

Lei ricambia con un sorriso grave. “Comandante Alborn… capitano Miriadel… grazie per essere venuti, e scusate per l’ora”.

“Dovere”, rispondono all’unisono.

“Sedetevi, prego”. Fa un cenno verso delle sedie a lato del lettone, sul lato opposto alla culla di Elyon. Galgheita è lì, già seduta. “Lidri, vuoi portare del tè caldo ai nostri ospiti?”.

“Subito”, risponde l’ancella sorridendo. Esce e rientra quasi immediatamente con tre boccali fumanti, e consegna le bevande con un largo sorriso. “Detto fatto!”

Appena ha finito, la regina le dice: “Grazie, Lidri. Ora, per piacere, puoi uscire e chiudere bene la porta?”.

“Ma…”. L’ancella resta interdetta: per lei, è insolito e deludente che la regina non abbia piena fiducia.

“Ti prego!”, insiste Sua Altezza dal letto.

“Come volete”. L’ancella esce dalla camera, sorpresa e un po’ risentita, chiudendosi la porta alle spalle.

La regina aspetta qualche attimo prima di parlare, poi, a bassa voce, chiama: “Lidri?”.

Immediatamente la porta si apre, e lei rientra con un largo sorriso premuroso. “Sì, Altezza?”.

“Per piacere, smetti di origliare”.

“Er… come volete, Altezza”. Si ritira imbarazzata e di malumore.

Richiusa la porta, la Regina, sdraiata sul letto, cerca le parole per iniziare.

Il comandante Alborn la precede: “Altezza, mi avete chiamato per parlare dell’arresto di Luduvik?”.

Lei lo guarda stupita. “Luduvik è stato arrestato? Perché?”.

“Ha tentato di fuggire con la macchina del tempo, dopo avere stordito un suo commilitone e rubato una dozzina di litri di acqua magica. Eliasdal è riuscito a svanire, ma lui no”.

La regina riflette un attimo, impressionata, poi scuote il viso. “Non potrei più fare niente per lui, neanche volendolo. Se tutto andrà bene, io domani sarò già morta”.

“Sarà morta?” “Andrà bene?” domandano i due, doppiamente stupiti.

Lei annuisce grave. “Comandante Alborn, capitano Miriadel, vi ho fatto chiamare per affidarvi una missione della massima importanza, che svolgerete assieme a Maestra Galgheita”. Le dedica uno sguardo grato. “Lei ha la mia più completa fiducia. Di recente vi ha osservati, e mi ha confermato che siete le persone giuste”.

“E’ un onore, Altezza”, risponde compito il comandante.

Miriadel annuisce, a disagio: il non accorgersi di essere stata spiata ha scosso la sua sicurezza di agente segreto d’elite.

Adariel riprende: “Voi avete già capito che Meridian sta velocemente sprofondando nella tirannia, vero?”.

I due annuiscono.

Galgheita resta impassibile: nulla di quanto la regina sta per dire sarà una sorpresa, per lei.

Adariel continua: “Avevo avuto i primi presagi quasi quattro anni fa”. Scandisce: “Phobos usurperà il trono di Luce. Diventerà un tiranno crudele e odiatissimo. Cercherà di uccidere sua sorella, e morirà solo e braccato”. Osserva i loro visi impressionati. “A queste parole se ne sono aggiunte altre. La sua tirannia durerà undici anni, dopodiché Elyon sarà incoronata come Settima Luce di Meridian. Dopo un ulteriore anno, Phobos morirà suicida”.

Miriadel chiede timidamente: “Altezza, se sapevate questo da tanto tempo, perché non avete fatto qualcosa per impedirlo?”.

Lei la ricambia con uno sguardo meravigliato, e spiega, come cosa ovvia: “Quello che il Dio del Fato rivela alla sua eletta – indica sé stessa - è ineluttabile come l’inverno. Voi fareste qualcosa per fermare l’inverno?”.

Miriadel, un po’ vergognosa, accenna un no con il capo.

Lei riprende: “E’ più saggio seminare per la primavera, no?”. Indica Elyon. “Lei è la mia semina per la primavera, la mia freccia lanciata verso il futuro. Lei è la predestinata a riportare la Luce nel nostro mondo”.

Li guarda, studiandone le reazioni.

Miriadel abbozza una domanda. “E noi…”.

“Il futuro ha bisogno di qualcuno che lo realizzi. Sarete voi. Voi tre partirete con Elyon per la Terra, tenendola al sicuro da Phobos. Vi confonderete con i terrestri, facendo perdere le vostre tracce. E infine la riporterete nella sua patria tra undici anni, quando avrà già cominciato a sviluppare i suoi poteri”.

I due coniugi si scambiano un’occhiata, poi guardano il faccione di Galgheita, dolce ma scarsamente umano anche per gli elastici criteri di Meridian.

Miriadel si morde un labbro, e chiede: “Altezza, quando dovremo fare tutto ciò?”.

“Se possibile questa notte”. Tace un attimo, cercando di indovinare i loro pensieri non espressi. “Mi dispiace, ciò che vi sto prospettando è di lasciare il vostro mondo, i vostri amici e famigliari. Non tentate neppure di salutarli: se sapessero cosa state per fare e non vi denunciassero, nessuno potrebbe salvarli dalla vendetta di Phobos”. Un altro breve silenzio, un’occhiata stanca ma penetrante. “Non vi posso obbligare, non avrebbe senso. Tuttavia so per certo che non mi deluderete”.

“Come fate ad esserne così sicura?”, chiede Miriadel.

“Perché la profezia si realizzerà di certo, e io non ho più tempo né modo di cercare altri volontari. In conclusione, i genitori adottivi della mia piccola non potete essere che voi”.

“Ai vostri comandi, Altezza. La nostra obbedienza è fuori questione”, risponde deciso Alborn, pur non avendo capito del tutto questo ragionamento.

Anche Miriadel annuisce. “E’ paradossale… passerò da cacciatrice a preda. Beh, almeno so cosa aspettarmi dai metodi dei miei ex compagni”.

“Ottima cosa” interviene Galgheita con voce pacata, “Anch'io ho bisogno di farmi un’idea chiara di queste minacce, oltreché degli usi dell’altro mondo. Altezza, sono pronta per sostenere gli scambi di memorie”.

“Lo faremo questa notte” risponde la regina. “Io e Miriadel conosciamo la lingua e gli usi della Terra. Il comandante Alborn conosce il palazzo e i sistemi di sorveglianza”.

“Perché non subito?” chiede lui.

La regina lascia un attimo in sospeso il discorso; coccola per un attimo la piccola Elyon ancora addormentata, carezzandole il visino con un dito, poi risponde cupa: “Perché questo sarà un grosso sforzo per me. Sarà meglio rimandarlo a quando sarà pronto tutto il resto”.

Alborn annuisce. “Avete un piano, Altezza?”.

“Solo in parte. Per il resto, conto sull’esperienza e l’inventiva della nostra migliore agente” risponde sorridendo a Miriadel.

“Grazie, Altezza” s'inchina questa, poi riflette brevemente: “Dunque, per muoversi bene sulla Terra bisognerà assumere un aspetto terrestre. Io lo posso fare da sola… ma mi servirà un po’ di energia”.

“Ti aiuterò io” risponde Galgheita, “E aiuterò anche Alborn. Ho un discreto potere, e un po’ di riserve di energia messe in disparte”. Fa vedere una fiaschetta dalla forma curvilinea e di un insolito colore rosa, che Miriadel riconosce come un flacone terrestre di shampoo. “Qui dentro ho concentrato il potere di sei litri d'acqua magica”.

Miriadel annuisce, riprendendo l’espressione assorta. “Dovremo trasformarci solo dopo arrivati sulla terra, così non rischiamo che il nuovo aspetto venga visto da qualche sensore installato nei sotterranei”.

“Potremmo renderci invisibili” suggerisce Galgheita, “Altrimenti nessun travestimento farà passare inosservata la bambina”.

“La bambina, giusto” riprende Miriadel, “Però molti di quei sensori non si lasciano ingannare dall’invisibilità ipnotica. Ma forse potremo evitarli, se riuscirò a trovare qualche informazione sulla loro posizione andando in ufficio”.

“In bocca a Cedric?” si preoccupa Alborn, “Non sarebbe meglio stargli lontani?”.

Lei si stringe nelle spalle. “Dovrò andarci comunque per prelevare denaro e documenti in bianco”.

Lui lascia trasparire una smorfia preoccupata prima di annuire rassegnato. “Passeremo qui per prendere la bambina e fare lo scambio di memorie, e poi scapperemo. Io sarò in divisa per non destare sospetti”, guarda le donne, “Voi due potrete mettervi un mantello nero, come quelli che usano gli agenti per muoversi quando hanno già assunto l’aspetto terrestre. Hanno sempre il viso nascosto”.

Tutti gli occhi si posano sulla grossa coda verde e marroncina di Galgheita. “Questa qui non la nasconderemo così facilmente” constata, “Dovrò assumere l’aspetto terrestre fin da prima”.

Miriadel si morde il labbro, preoccupata. “C’è un’incognita: la Guardiana di Kandrakar sigilla i passaggi quando riesce a trovarli aperti. Ora, non credo che saremo così sfortunati da arrivare e trovare sigillato un portale che due giorni fa era aperto, ma potrebbe anche succedere”.

“Ma ce ne sono tanti, vero?” chiede lui.

“Però partono da punti diversi nel sotterraneo”.

“Perché? Non è scomodo?”

“Sì, ma Cedric ha voluto così per evitare che, se quella Yan Cin o come si chiama dovesse trovarne uno aperto e sporgersi dentro, vedesse anche gli altri e potesse sigillarli tutti assieme”.

“Yan Lin” puntualizza la Regina. “Non provocatela, non potete escludere di aver bisogno della sua benevolenza”.

Miriadel accoglie l’idea con una smorfia di antipatia. “Ma l’Oracolo non vi aveva detto che non voleva assolutamente la principessa Elyon sulla Terra?”.

A questo pensiero, la Luce di Meridian si adombra brevemente, poi riprende: “Dovrete avere con voi il sigillo di Phobos. Vi faciliterà la fuga e, in futuro, anche il ritorno. Inoltre ostacolerà la ricerca agli altri, soprattutto se la Guardiana dovesse venire a sapere, da una…” cerca le parole, “… da una soffiata anonima, dove sono tutti gli altri portali e come si aprono”.

“Già” fa Miriadel, “Senza la magia di quell’oggetto non riuscirebbero ad aprirne altri. Ma non sarà facile procurarcelo”.

“Invece sì!” sorride la Regina. “Quel sigillo è stato fatto sfruttando una copia del Cuore di Kandrakar che io stessa ho dato a Phobos. Ma è stato un dono interessato: ho gettato un incantesimo su quell’oggetto. Quando lo chiamerò, stanotte, il cosiddetto Sigillo di Phobos verrà a me”.

Galgheita commenta a mezza voce: “Spero che il principe Phobos non abbia fatto lo stesso”.

Per un attimo, un silenzio preoccupato cala nella stanza, interrotto solo dai versetti di Elyon che si sta svegliando.

“Dormi, Luce mia”. La Regina si allunga verso di lei e le passa le dita sugli occhi, e la bimba si riaddormenta beata.

Le sorride intenerita, poi rivolge un secondo sorriso rassicurante agli altri. “Partiamo dal presupposto che il Dio del Fato mi ha già rivelato che Elyon vivrà sulla Terra; ebbene, non ci arriverà certo con i propri piedi. Statele vicini, e con lei arriverete in salvo anche voi”.

Galgheita annuisce imperturbabile. “Appena messo piede sulla Terra, ci teletrasporteremo in un posto lontano e irrintracciabile”.

Alborn si muove inquieto sulla sedia. “Ma… le automobili?”.

“Automobili… Cosa sono?” chiede la guaritrice, notando l’insolita paura del comandante. “Delle bestie feroci?”.

“Sono delle cose che corrono sulle strade e stirano la gente” risponde apprensivo lui.

“Stirano?” si meraviglia Galgheita.

La regina li tranquillizza: “Nei miei ricordi troverete risposta a tante domande. Compreso il mio ricordo di molti posti dove teletrasportarsi senza dover temere il traffico”.

“Traffico…” ripete Alborn senza capire.

La regina torna a dare una lunga occhiata affettuosa alla piccola, poi continua: “Sulla Terra gli anni durano solo dodici mesi, non diciotto. Elyon crescerà più lentamente delle bambine terrestri, e dovrete inventare qualche trucco perché non si noti troppo. Cambiare città ogni qualche anno, cambiare la data di nascita sui documenti, farle ripetere qualche anno a scuola”. Scocca un’altra lunga occhiata affettuosa alla bimba. “Il prossimo appuntamento di Elyon con il destino di Meridian avverrà, secondo il calendario terrestre, alla fine del millennio, appena dopo il suo compleanno. Quindi, poco dopo il 31 ottobre del loro anno 2000. Non so esattamente cosa succederà, ma tenetevi pronti: nel volgere di tre mesi lei sarà finalmente incoronata Settima Luce di Meridian”.

In risposta a questa frase, o forse all’emozione con cui è stata pronunciata, la piccola Elyon si sveglia, muove le labbra mimando una poppata, poi apre gli occhioni grigi sul sorriso estasiato della sua mamma.

“Tesoro mio…” gorgheggia questa, commossa.

In risposta, la bimba comincia un frignottìo di appetito, che in pochi secondi cresce fino ad un disperato strillo di fame.

Il bussare alla porta di Lidrienel fatica a farsi sentire tra quegli urli a pieni polmoni. “Altezza, devo portare il latte?”, grida da oltre il battente. Senza attendere risposta, entra con il biberon tiepido in mano. “Avevate risposto di sì, vero?”.

La regina deve far buon viso, mentre l’ancella solerte pone fine alle proteste della bimba, prendendola tra le sue braccia per nutrirla.

“Alborn, Miriadel, per ora vi saluto. Grazie di essere venuti”.

Mentre si alzano con le rituali formule di saluto, la regina trasmette loro un pensiero: ‘Sarà per questa notte. Venite qui all’una, senza salutare nessuno, e portate con voi tutto ciò che vi servirà nell’altro mondo’.

Dopo un po’ di cibo e coccole, la piccola torna ad acquietarsi; Lidrienel sorride soddisfatta nel riporla nella sua culla, poi, dopo un cenno di consenso della regina, torna al suo romanzetto rosa.

Adariel resta a lungo ad osservare, commossa, quei lineamenti minuti e sereni della bimba, del tutto inconsapevole di ciò che sta per coinvolgerla, fulcro inconsapevole del conflitto sul futuro di un intero mondo.

Poi, distogliendo lo sguardo con rammarico, riapre la busta e il calamaio, e riprende la lettera da dove l’ha interrotta.




Cara Elyon, figlia mia,

sono la tua mamma Adariel, sesta Luce di Meridian.

Ho affidato alla fedele Galgheita l’incarico di consegnarti questo mio messaggio alla data del tuo dodicesimo compleanno di Meridian; so che, abituata allo scorrere del tempo sulla Terra, tu ti attribuirai un’età differente.

So fin da ora che, quando leggerai questa, avrai già riportato la giustizia e la speranza nel nostro mondo. Qualche volta, la precognizione è un dono dolce.

Altre volte, invece, è amaro come il veleno: so anche che Phobos sarà già morto suicida, odiato e braccato. Tuo fratello. Mio figlio.

L'ho ingannato per mesi, eppure non ho mai smesso di amarlo, né di pensare a quello che lui avrebbe potuto diventare se il Dio del Fato non avesse fatto le sue scelte diverse e crudeli fin dall’inizio dei tempi.

Avrei così tante cose da raccontarti, ma il mio tempo ormai è agli sgoccioli.

Da dove posso cominciare? Da lontano. Dall'ideale che ha mosso tutta la nostra dinastia, al quale spero che anche tu vorrai dedicare la tua esistenza.

Abituata a vivere tra l'omogenea popolazione della Terra, ti sarai meravigliata scoprendo quanto sia varia, per fattezze e colori, la gente di questo nostro mondo. Forse all’inizio ti avranno fatto orrore o paura. Sarebbe comprensibile, ma sbagliato. Per quanto vario sia l’aspetto, la gente si assomiglia nel cuore: gli stessi bisogni, gli stessi sentimenti, la stessa carne sono ricombinati in infiniti modi, tutti diversi e tutti simili.

Dovrai ricordare sempre che la gente di questo mondo è un unico popolo. Non dovrai permettere che odio e divisione si insinuino tra di loro. Che inizino a chiamarsi con nomi diversi a seconda delle fattezze del viso, del corpo, del colore della pelle o della lingua che parlano. Che si dividano il territorio a seconda del loro aspetto. La divisione in diversi popoli aprirebbe la strada, nel breve giro di centinaia d'anni, alla divisione prima in razze, poi in specie.

Qualunque biologo ti confermerà che due specie diverse non possono convivere nella stessa nicchia ecologica: una delle due dovrebbe sparire. Che questo succeda nel sangue e nel fuoco di una guerra, o tra i reticolati di un campo di concentramento o nella lenta inedia di un insuccesso nel procurarsi le risorse vitali, il risultato sarebbe lo stesso.

La divisione apre la strada all’odio, l’odio alla guerra, e la guerra allo sterminio.

Il compito millenario della nostra dinastia è impedire al nostro popolo d'incamminarsi verso questo baratro. Solo noi abbiamo il potere per farlo senza ricorrere, a nostra volta, alla guerra e al terrore.

Mentre ti scrivo, tutto questo è in pericolo. Me ne sento responsabile: forse se molti anni fa avessi osato fare ulteriori tentativi di mettere al mondo un’erede, alla fine avrei avuto successo, e Phobos non sarebbe cresciuto per decenni nell’illusione di diventare Re di Meridian.

Sarebbe stato il primo e l’ultimo: come la Corona di Luce, così anche i poteri magici innati che ci hanno permesso di tenere unito questo mondo sono trasmissibili solo per via matrilineare.

Per qualche anno mi ero colpevolmente rassegnata a questo, ma poi la profezia del Dio del Fato mi ha riscosso.

Eppure, perfino la tirannia non sarebbe stata il peggiore dei mali. La fine della nostra dinastia, dopo di lui, sarebbe stata la soglia dell'abisso: la fine dell'unità del nostro mondo.




Adariel rilegge quanto ha scritto: sono tutte cose d'importanza fondamentale. Però la sua piccola, tra dodici anni, si aspetterà senz'altro di leggere qualcosa di più personale di un testamento politico, sia pur di una missione millenaria . Intinge nuovamente la penna nel calamaio, e prosegue.




So che farai molte domande su di me.

Ti avranno già detto che ho vissuto trecento anni. Come li ho vissuti?

Ogni volta che una di noi nasce e percorre il sentiero naturale della sua fanciullezza, vede la regina sua madre e gli altri famigliari conservare per tutta la vita l’aspetto che avevano nel fiore degli anni, e vivere assai più a lungo dei comuni mortali.

Ciò è il risultato di una serie di interventi volontari su sé stessi, operati con potenti magie.

Questo metodo, però, ha dei limiti: in qualche parte delle cellule, ancora per me misteriosa, la loro età è scritta in modo indelebile.

Di recente, per superare questi limiti, ho cercato di ampliare gli orizzonti delle mie conoscenze rivolgendomi alla scienza terrestre. Già oggi, nell'anno terrestre 1984, ho trovato delineata una strada promettente nelle ricerche sui mitocondri, i telomeri dei cromosomi e altre strutture correlate con l'invecchiamento, e forse anche con l'ereditarietà dei poteri psichici.

Purtroppo, però, questo sentiero non è ancora andato abbastanza avanti da portarmi dove avrei voluto, e non ho potuto spingermi negli anni molto più avanti delle nostre antenate.

Quando una regina combatte la sua battaglia contro la vecchiaia, l’usura del tempo si ripresenta nel volgere dapprima di anni, poi di mesi, di giorni, infine di poche ore.

Alla fine lei diventa incapace di rigenerarsi con la sola volontà, e deve dipendere da una potente guaritrice; in queste condizioni, non ha più abbastanza energia da dedicare al suo mondo, e vive i suoi ultimi mesi solo come simbolo, come promessa di una nuova Luce che brillerà al suo posto.

Quando è esausta, decide di cessare questa lotta.

Ho conosciuto tante persone, nella mia lunga vita; li ho visti invecchiare e sparire in modo che all’inizio mi sembrava lentissimo, poi sempre più rapido mano a mano che allungavo la mia esistenza rispetto a quella di un normale essere umano. Eppure non ho mai perso la capacità di affezionarmi e anche di soffrire per loro, e di questo rendo grazie agli Dèi.

All'inizio, avere il potere di prolungare la mia vita, vedendo quella degli altri scivolare via, mi sembrava una condanna. Nello stesso modo, avrei avuto il potere di prolungare anche vita e giovinezza di qualcun altro; ma con che animo avrei potuto decidere di fare ciò per alcuni, e non per altri?

Ero turbata, confusa. Così decisi ingenuamente che non lo avrei fatto per nessuno, neanche per me stessa.

Confidai il mio proposito a mia madre mentre, già sul letto di morte, raccoglieva le sue poche forze per mettermi in mano la sua Corona di Luce.

Lei mi sorrise, mi accarezzò, e mi disse che ‘mai’ è un tempo troppo lungo per una promessa. Quel giorno stesso si unì agli Dei.

La mia risoluzione, infatti, svanì pochi anni dopo, con le prime rughe.

Che male c’è ad appianare una ruga, mi dissi? E così, di grinza in grinza, di acciacco in acciacco, col passare dei decenni mi resi conto che non avrei più potuto fare a meno di questi interventi senza che il mio metabolismo ormai squilibrato mi restituisse, tutte assieme, le sofferenze che avevo evitato.

Ora io sembro ancora giovane, ma sono una ragazza vecchissima che sente la nera signora alitarle sul collo. Non passa giorno senza che debba chiedere a Galgheita di usare la sua magia per rubare ancora un po’ di vita alla mia morte.

A trecento anni, lasciarmi andare rifiutando altre rigenerazioni non mi porterebbe via più di un giorno, ma io preferirò spegnermi nel momento da me scelto fermando il mio cuore con un ultimo atto di volontà, tenendo la mia mano stretta in quella della fedele Galgheita.




Adariel appoggia la penna, osservando la piccola che dorme felice accanto al suo lettone. Dovrà farle sapere la verità fin in fondo? Non si vive più felici nell'ignoranza, tante volte? Ascolta in suo respiro regolare e dolcissimo; come sarà, quando avrà letto tali parole?

Dopo una lunga esitazione, decide: un giorno lontano, la nuova Luce di Meridian potrebbe ritrovarsi nella sua stessa situazione, e dovrà prendere decisioni cruciali con piena consapevolezza.




Mia adorata Elyon, so quante volte il destino, o le scelte d'altri, ti hanno costretta a stravolgere la tua vita e la fragile idea che ti eri fatta di te stessa. Posso immaginare quanto ti sia pesato, e ho esitato a lungo con la penna in mano, davanti a questo foglio, prima di decidermi a sconvolgere ancora le tue sicurezze. Ma è giusto che tu sappia fin in fondo chi sei realmente.

Ho fatto l’unica cosa che potevo ancora fare: ho simulato una gravidanza.

In realtà, ho passato tutti questi mesi pensandoti, progettandoti nel più piccolo dettaglio, e nascondendomi da Phobos per evitare di tradirmi. Ti ho creata sul modello di me stessa, ma per non farti proprio uguale ti ho attribuito alcuni tratti del mio sposo Adleric, mio cugino, ufficialmente tuo padre.

Dopo questa lunga attesa, il momento della tua creazione è stato durissimo. Ho messo in gioco tutta me stessa, ciò che restava della mia salute e del mio potere.

Ma alla fine di questo miracolo c’eri tu che vagivi tra le mie braccia.

Ora sai.

Non dispiacertene, ti prego. Non pensare neanche un attimo di essere un inganno fatto d'ombra e d'aria.

Tu sei al tempo stesso mia figlia e me stessa, rilanciata nel futuro per completare ciò che in vita non ho avuto la forza di fare. Tu sei il futuro di un intero mondo.

Con tutto l’amore che posso

La tua mamma Adariel


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Capitolo 21
*** Meridian addio ***


21-Meridian addio  
 
 
Ad personam:

Cara Atlantis Lux, grazie della recensione, sempre graditissima.

Eh sì, lo so, una lettera del genere può decisamente stroncare una povera ragazzina; spero che non faccia lo stesso effetto anche sui lettori.
Del resto, i suoi contenuti erano troppo importanti, per avere un'idea di come viene gestita la vita di queste ipotetiche regine, per lasciare che Adariel se li portasse nella tomba; avrei sentito di aver lasciato un grosso vuoto nella mia ricostruzione. 
E' un po' come le spiegazioni di Caleb e Miriadel a Elyon nel terzo capitolo di Profezie, che forse molte lettrici hanno sentito come un appesantimento nella contrastata storia d'amore della reginetta; nella mia ottica, erano la parte più importante del capitolo per spiegare il ruolo della Luce di Meridian. 

Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura delle bozze di questa storia.

Qualche parola su questo capitolo, decisamente di svolta, che è ambientato nella notte che ha fatto seguito agli avvenimenti del capitolo precedente, e nella mattina successiva. 
Per descrivere il momento cruciale del passaggio, ho cercato di amalgamare in un racconto coerente le immagini apparse alla mente di Hay Lin in W.I.T.C.H. n.4, quando si è recata in casa della professoressa Rudolf ; nel n.5, il racconto che Elyon fa della versione datale da Cedric della fuga; e nel n.3, la traumatica reazione del sigillo di Phobos al tentativo  delle WITCH di forzarlo.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 21

Meridian addio


 
 
 
 
Meridian, scalone della torre nordest

Notte fonda. L’interminabile scalone curvo della torre nordest è rischiarato dalla bioluminescenza del giardino, che traspare attraverso le finestre smerigliate al punto da rendere superflua qualunque altra illuminazione.
Passi felpati vengono ingigantiti dal silenzio della notte.
Salendo lentamente le scale, Alborn e Miriadel arrivano fino al pianerottolo dell’appartamento di Phobos, dove, ai lati dell’ingresso sfarzoso, due guardie stanno sonnecchiando su altrettanti divanetti.
Alborn aggrotta gli occhi: come comandante della Guardia, questo gli è inaccettabile.
Miriadel, a suo fianco, gli fa capire con un tocco che è meglio non svegliarli, e lo tira per una manica. Manca ancora solo un piano all’appartamento della Luce di Meridian.
In quel momento uno dei due soldati apre un occhio, sussulta, e subito balza in piedi scrollando velocemente il collega.
Scattando sull’attenti, i due salutano percuotendosi il petto.
Alborn non può resistere e li rimprovera con un bisbiglio: “E’ così che si fa la guardia? E proprio davanti all’appartamento del principe Phobos?”.
“No, signore, scusate”.
“E se lui vi avesse scoperti così?”.
I due si guardano spauriti: essere sorpresi così dal loro comandante e da sua moglie, notoriamente agente dei Servizi Segreti, fa temere nubi e pioggia sul loro lavoro.
“Il Principe non usa questa porta da mesi” cerca di discolparsi uno dei due, “E neanche la piastra di teletrasporto sul pianerottolo”.
“Crediamo che si materializzi direttamente nell’appartamento”  lo sostiene l’altro. “Non sappiamo nemmeno se in questo momento sia dentro”.
Alborn fa cenno di tenere bassa la voce: non è il caso di svegliare Lui proprio adesso. “Ne parleremo domani”, bisbiglia, poi riprende a salire le scale.
Percepisce una domanda non espressa di Miriadel: ‘Dove sarà Phobos adesso?’.
‘Credo nel giardino, o nel laboratorio della torre Nord. Poco fa la luce lì era accesa. Purtroppo non c’è modo di sbirciare senza correre rischi. E poi, se si teletrasporta all’interno, neanche le mie guardie o i sistemi d'allarme possono segnalarlo’.

Al piano di sopra non ci sono soldati. La monumentale porta dell’appartamento della Luce di Meridian si apre prima che possano bussare, e dall’interno la silenziosa Galgheita fa cenno di entrare.
Richiusa con cura la porta alle loro spalle, bisbiglia: “Non pensate mai a chi non volete incontrare!”, e indica i tendoni serrati. Loro capiscono subito perché: queste grandi porte-finestre sono ben visibili dalla torre Nord.
Facendo loro strada verso la camera, passano vicino a Lidrienel, profondamente addormentata su un divano. Galgheita risponde alla loro domanda non espressa: “Le ho fatto un incantesimo, in modo che nessuno possa poi accusarla di essere stata nostra complice”.
Nella camera, la regina seduta a letto sembra un po’ più in forze di come l’hanno lasciata la mattina precedente, e indossa la magica Corona. Un debole lucore verde sui polsi e sul collo, e soprattutto un bagliore vagamente esaltato degli occhi, lasciano intuire che cosa abbia assunto per prepararsi a questo momento.
Sta chiudendo un prezioso cofanetto smaltato con l’insegna della dinastia Escanor; dentro, prima che il coperchio cali e si sigilli con uno scatto, fanno in tempo ad intravedere una busta sigillata e un sacchetto di tessuto rosso.
“Galgheita” dice la Regina porgendole solennemente il cofanetto, “Questo lo dovrai consegnare a Elyon alla data del suo dodicesimo compleanno di Meridian”.
“Sarà fatto, Altezza”. Altrettanto solennemente, la guaritrice lo prende tra le mani, poi lo fa svanire in un palmo.
“Sedetevi, amici”, invita la regina con un gesto misurato, “Ora evocherò a me il cosiddetto sigillo di Phobos”. Prende sulle sue ginocchia un vassoio d'argento e serra le palpebre, assorta, proferendo una silenziosa evocazione.
Sul fondo lucido del vassoio, il riflesso del suo viso viene rimpiazzato dall’immagine realistica di una sfera di ametista luccicante incastonata in un telaietto di argento. Il ciondolo nell’immagine luccica sempre più, illuminando con riflessi rosati il viso assorto della regina.
Con un suono sordo e un lampo, qualcosa si materializza e tintinna sul vassoio.
Quando lei riapre gli occhi, delusione e disappunto le si dipingono sul viso: davanti a lei è comparso solo il telaietto di argento ritorto, nient’altro.
“Sarebbe quello il sigillo di Phobos?”, chiede Alborn disorientato.
“No, dovrebbe essere romboidale e più grande” gli risponde Miriadel.
Adariel scuote il viso, sconcertata. “Non è possibile! Il mio sortilegio di ritorno non si è trasferito sul sigillo!”. Si morde il labbro. “Cos’ho sbagliato?”.
Un pesante silenzio cala a lungo sulla camera, sottolineato dai ticchettii del complicato orologio a quadrante.
Galgheita riflette: “Ora dobbiamo decidere se partire senza il sigillo, o cercare di recuperarlo a tutti i costi”.
La regina scuote il viso. “Senza quello, sarebbe difficile tornare a Meridian. Anzi, anche se Phobos non riuscisse a individuarvi, gli basterebbe richiudere tutti i varchi per essere certo che Elyon non possa rientrare dalla Terra”.
Altro silenzio teso. Il ticchettio torna brevemente padrone del campo, finché la Regina lo zittisce con un gesto di stizza.
Dopo aver riflettuto a lungo, Miriadel parla: “Credo di riuscire a scoprire dove Cedric ripone il sigillo, però non so quanto tempo ci vorrà”.
“Ne abbiamo pochissimo”, esala la Regina. “Finito l’effetto del konnestras, starò peggio di prima”.
Galgheita valuta: “Penso di riuscire a tenervi in vita ancora per qualche giorno, però a prezzo di una parte della nostra scorta di acqua magica”.
Adariel si tormenta le mani e guarda la sua piccola, profondamente addormentata nella culla dal potere della guaritrice. “Non c’è alternativa. Allora, facciamo adesso il trasferimento delle memorie. Alla fine sarete tutti in grado di adattarvi alla vita sulla Terra, e conoscerete altri dettagli delle profezie. Dovrete scrupolosamente fare in modo che si avverino tutti” conclude sfilandosi la Corona di Luce dal capo. “Pronti?”.
“Sono pronta”, conferma Galgheita; si alza dalla sedia e prende posto sul letto, chinandosi per accostare la fronte a quella della Regina. Dopo, solo un lungo silenzio in cui si possono contare i battiti di cinque cuori.
 

Heatherfield, Ye Olde Bookshop, la mattina dopo

Appena arrivata nello scantinato della libreria che funge da base operativa sulla Terra, Miriadel, ancora con l’aspetto meridiano, si volta a guardare il portale dai bordi iridescenti. Non lo chiuderà subito, questa volta: vuole dare tempo alla solita rompiscatole di svegliarsi con comodo e…

In un lampo abbagliante, la rompiscatole è qui. Yan Lin, nel suo costume turchese e violetto, si pianta davanti al portale, già con in mano il solito gingillo luminoso.
“Sta attenta!” la accoglie Miriadel con la consueta simpatia. “Anche questa volta per poco non mi hai pestato un piede”.
L’altra la sbircia con noncuranza, resta un attimo sorpresa nel vederla con la pelle color uovo d’anatra e i capelli blu petrolio, poi riprende l’ormai usuale alterigia. “E dove dovrei apparire? In questo buco c’è a malapena lo spazio per stare in piedi, tra brande e altre mercanzie”. Poi torna a darle le spalle, sbattendole sul viso le alette diafane.
Con un lampo del Cuore di Kandrakar il portale collassa, lasciando al suo posto solo la parete di blocchi non intonacati. Poi, senza un saluto, la Guardiana svanisce in un altro lampo bianco.
‘Avere bisogno di questa qui…’, pensa Eleanor con un sospiro di fastidio, ‘Comunque ha fatto proprio ciò che volevo’.
Stamattina non aprirà il negozio; sposta un tappeto che rivela una botola, la apre e si spinge giù in un altro stanzino sotterraneo, dove è nascosto un secondo portale d’emergenza.
Sfiorando nel modo giusto una macchia d'umido, un anello iridescente si espande sulla parete, rivelandole una galleria con una scala in discesa.
Ha appena fatto in tempo a varcarlo che un lampo alle sue spalle proietta la sua ombra sui gradini.
Si volta: la guardiana è di nuovo lì, nello stanzino. Il bagliore del solito gingillo le illumina un sorriso di trionfo. Un attimo dopo anche questo portale collassa, sigillandosi.
Miriadel si stupisce: come mai Yan Lin si è fatta così vispa?  Errore suo, conclude: avrebbe dovuto usare la telecinesi per rimettere a posto il tappeto, e aspettare un po’ per lasciar calmare le acque. Ma in fondo è meglio così, pensa mentre scende la stretta scala alla luce di una vaga fosforescenza verdolina: ora potrà fare più urgenza a Cedric  per fargli prendere il Sigillo di Phobos.
 

Meridian, ufficio di Cedric

“Due portali in due minuti!?!”. Cedric, seduto alla scrivania, alza un sopracciglio, il massimo che si concede per manifestare sorpresa davanti a una subordinata. “Ti sei fatta giocare alla grande, Miriadel!”.
Lei cerca di discolparsi: “Deve avermi teso una trappola.  Ha studiato i miei orari”.
“E tu cambiali”, le risponde contrariato, poi riflette: “Forse quei portali sono ormai bruciati. Bisognerebbe cambiare: per la guardiana, quelli in un condominio di appartamenti tutti uguali sono assai più difficili da individuare”.
Lei spalanca gli occhi incredula. “Vuoi abbandonare la vecchia libreria? Dopo tanti anni?”.
Lui resta un attimo indeciso. “Forse dovremmo. Verrò a riaprire la via ancora per stavolta, ma tu affitta un altro posto adatto entro questa settimana”.
Si alza in piedi, precedendola nel corridoio fino alla porticina metallica. “Vado a prendere il sigillo. Aspettami nel sotterraneo davanti al portale da riaprire”.
Inizia a scendere la ripida scaletta a chiocciola, mentre lei, al seguito, gli chiede: “Niente più teletrasporto neanche per te?”.
Lui si stringe nelle spalle, facendo ben attenzione ai gradini. “Solo quando serve davvero. Siamo a corto di energia, il sigillo di Phobos ne divora una quantità impressionante”.

Raggiunta la base delle scale, nel seminterrato della torre est, i due si salutano con un cenno distratto, ma Miriadel, anziché dirigersi nel luogo convenuto, attiva l’incantesimo dell’invisibilità ipnotica: un’influenza mentale che cancella da chiunque la veda la consapevolezza della sua presenza.  Camminando velocemente, si porta ad un passo da Cedric: il trucco funziona meglio da vicino. Se qualcuno troppo lontano per esserne influenzato la vedesse, gli sembrerebbe che lei accompagni il suo capo.
L’uomo sembra dirigersi a passi veloci verso la torre nordest, come diretto all’appartamento di Phobos, ma poi devia per il corridoio diretto alla torre Nord, salutando con un cenno due guardie che ne piantonano l’ingresso.
Ecco la scalinata interna che si avvolge. Cedric è alto, la sua falcata divora due gradini per volta. Sforzandosi per mantenere il passo, Eleanor suda e gli ansima dietro, non udita grazie al suo trucco mentale. Per fortuna la torre nord è alta solo un centinaio di braccia…
Trafelata, riesce a non farsi distanziare, e lo raggiunge su un pianerottolo davanti ad una porta con la scritta ‘biblioteca’. Questa non è la cosiddetta ‘biblioteca proibita’, ma è pur sempre chiusa da una grossa serratura la cui chiave si materializza in mano a Cedric. Il grosso battente si apre senza un cigolio, e lui si dirige verso una grossa credenza dalle ante vetrate. Con un’altra chiave apre anche questo mobile, sui cui ripiani interni si allineano decine di volumi dalle preziose rilegature. Dai titoli sulle costole sembrano tutti lavori storici o letterari, non di magia. Allunga deciso la mano verso un volume dalla copertina grigio-bluastra che spicca solo per il suo anonimato, e lo estrae. Chiude gli occhi un attimo, come concentrato, poi solleva la copertina. Il libro aperto non evidenzia pagine scritte, ma solo una retrocopertina con una scritta sinistra: ‘Temete il principe del metamondo e inginocchiatevi davanti alla sua ombra. Questo è il sigillo di Phobos’. Nell’altra pagina, in una nicchia sagomata, c’è proprio il talismano che lei ha già visto in azione.
 

Meridian, sotterraneo

Dopo qualche minuto, un passo veloce ed elastico comincia a risuonare nella galleria illuminata dalla fosforescenza verdina.
Miriadel lo sta già attendendo nel luogo convenuto.  Per non insospettirlo, ha dovuto precederlo teletrasportandosi, usando una parte della sua preziosa energia.
“Ehilà, Cedric”.
“Eccomi”. L’uomo si avvicina, facendosi apparire in mano il grosso sigillo. Lo solleva, contro la parete in fondo al corridoio, e per una volta in più si forma una iridescenza trasparente sulla parete, che immediatamente dopo riprende il suo aspetto normale. “Bene, adesso il portale è stato ricreato, ma l’ho chiuso. Non aprirlo subito, è probabile che quella strega sia pronta a intervenire”.
Miriadel annuisce. “Ora vai a riaprire anche quello di riserva?”.
 

Meridian, torre Nord, mezz’ora dopo

Protetta nuovamente dal manto dell’invisibilità ipnotica, Miriadel osserva Cedric discendere lo scalone a chiocciola e sparire nel corridoio alla base della torre.
Bene, ora è sola davanti alla porta della biblioteca.
Esita. Sarebbe ancora in tempo a rimandare, a tirarsi indietro, a rimettere a posto inosservata i documenti e il denaro che ha sottratto in ufficio.
Scaccia questo pensiero: ciò che devono fare è molto più importante delle loro vite.
‘Siete pronti?’ trasmette lei con il pensiero.
‘Pronta’ risponde la voce mentale di Galgheita.
‘Pronto’ fa eco quella di Alborn.
Eleanor inizia. Una serratura chiusa non è un ostacolo per i suoi trucchi telecinetici: le basta un pensiero perché uno scatto le apra la strada.
All’interno del locale, tra le scansie coperte di libri, anche la modesta serratura del credenzone non le fa perdere più di due secondi.
Afferra il libro anonimo, estraendolo. Prova ad aprirlo, ma la copertina resiste, anche se nessuna chiusura è visibile. Non ci voleva!
Se lo fa sparire nel palmo, sperando che non serva davvero.
Mentre si volta per uscire, un pensiero agghiacciante le giunge da Alborn: ‘Attenta! Hai fatto scattare un allarme! Stanno arrivando le guardie alla torre Nord’.
Eleanor corre al parapetto. Guardando giù nel vano scale, comincia a sentire passi pesanti e voci concitate. Cos’ha sbagliato? Aveva osservato tutti i gesti, tutti i pensieri di Cedric… almeno così ha creduto. Non ci sono scelte: deve nuovamente teletrasportarsi, altrimenti è in trappola.

Un istante dopo, attorno a lei riappare l’anticamera della Regina. Vede Lidrienel ancora profondamente addormentata sul divano.
Un rumore alle spalle la fa voltare: Galgheita sta aprendo la porta d’ingresso ad Alborn.
Appena richiusa, lui sussurra: “Miri, le guardie sono andate alla torre nord. Dobbiamo scappare subito, o dovrò seguirle per non destare sospetti”.
Dalla stanza di là, si sente l’ormai debole richiamo della regina. “Galgheita…”.
Le vanno incontro.
“Altezza, abbiamo i secondi contati”, le dice il comandante.
“Lo so” risponde lei, tenendo con rimpianto tra le braccia la piccola Elyon addormentata. “Addio, piccola luce mia”.
Miriadel gliela prende in braccio. “Piccola Elyon…”.
“Buona fortuna, amici”. Poi, alla guaritrice: “Ti prego, Galgheita, dammi la mano. Basterà un attimo”.
“Addio, Altezza”, le risponde lei, prendendole la mano. Ha capito che cosa la Regina le sta veramente chiedendo.
Mentre gli altri tacciono, la Luce di Meridian chiude gli occhi e sbianca rapidamente, afflosciandosi nel letto.
Galgheita continua a tenerla ancora un attimo; solo lei può vedere una sagoma vagamente umana ergersi sopra il corpo ormai inerte, affiancarsi a un’altra e sparire in alto.
Per un attimo tutti restano immobili, persi per l’enormità di quanto è appena successo: dopo trecento anni, la Sesta Luce di Meridian ha reso la vita davanti ai loro occhi, nel momento in cui lei stessa lo ha voluto. Ora davvero non c’è altri che Phobos.
Alborn decide di interrompere questo momento di commozione che sta rubando secondi preziosi. “Andiamo!”.
A passo veloce, escono dall’appartamento reale, scendendo le scale.

Dopo qualche piano, sentono passi pesanti venire loro incontro.
All’ultima svolta, li vedono: sono i due piantoni della torre, che li guadano stupiti. “Comandante…”.
Alborn riassume il suo cipiglio marziale. “La Luce di Meridian ci ha appena lasciati. Sto scortando Maestra Galgheita e la Principessa Elyon in un luogo tranquillo. Voi presidiate il suo appartamento; l’ancella si è sentita male, soccorretela. Io andrò subito ad avvertire il principe Phobos”.
I due soldati restano raggelati, mentre il pallore si diffonde sulle loro pelli verdoline. “Si, signore”.

Alborn in testa, il gruppo continua a scendere l’interminabile teoria di gradini della torre Nordest, fino al seminterrato. Nel lungo corridoio trovano più persone che li guardano stupiti. Quando ripetono “La Regina è appena morta”, su tutti i visi il dolore sostituisce ogni stupore o sospetto, troncando altre domande.
Pochi minuti dopo, è Miriadel a essere passata in testa: percorre affannosamente le gallerie del sotterraneo, sudando con la piccola Elyon addormentata tra le braccia.
“Ecco, il portale più vicino dovrebbe essere qui in fondo…”.
Alla fine di una scalinata, il sotterraneo è chiuso da una parete, e vicino si intravedono alcune panche e appendiabiti con gli informi pastrani scuri in cui gli agenti sono soliti paludarsi quando non vogliono essere riconosciuti.
Passa a Galgheita il fardello della bimba addormentata, e si avvicina alla parete. Questo portale si aprirà su un appartamento uguale a tutti i centoventi nel suo condominio.
Appena ha sfiorato il punto sensibile sul muro, la parete si squarcia in un alone iridescente, ed appare l’interno di un anonimo appartamento terrestre.
Il sollievo dura poco: prima che possano passare,Yan Lin appare in un lampo bianco, e gli rivolge lo stesso sorriso trionfale che le ha già visto poco prima.
“Aspetta!” grida istintivamente Miriadel, “Ti prego, non…”.
Inutile. Davanti ai suoi occhi, il Cuore di Kandrakar emette un lampo rosato che illumina a giorno il sotterraneo, poi il portale collassa in un punto iridescente che infine sparisce del tutto, lasciando la parere scura e intatta al suo posto.
“Noo!”. In quel momento, Miriadel rimpiange di non aver mai seguito il consiglio della regina, di cercare di andare d’accordo con la Guardiana di Kandrakar.
“Presto, il sigillo” le grida Alborn. “Tiralo fuori!”.
“Ecco..”. Dalle mani di Miriadel appare il grosso e anonimo volume. “Ma non si apre!”, grida lei cercando inutilmente di forzarlo.
Poi cerca di calmarsi, di concentrarsi  per ricordare cosa ha pensato Cedric quando lo ha aperto, quella stessa mattina.

Un suono di passi pesanti e voci concitate la interrompe: proviene dalla galleria alle loro spalle. Voltandosi, vede apparire da dietro una curva un drappello di guardie, guidate da un essere alto più di tre metri: un poderoso uomo-serpente dalla pelle verde e giallina, gli occhi crudeli mascherati da una banda rossa, Dalla sua veste elegante, lunga fino a terra, sporgono due grosse braccia muscolose e, per dietro, una coda lunga parecchi metri.
“Fermi, traditori!” grida l’essere con una voce cavernosa e inumana.
“Cedric!” lo riconosce Miriadel. Ormai sono a poche decine di metri.
“Non perdiamo tempo”. Galgheita tocca delicatamente il libro con uno dei suoi ditoni inumani, e, nella meraviglia generale, questo si apre.
Alborn afferra il sigillo, stringendo i denti per resistere all’inaspettata sensazione di calore emanata.
Un attimo dopo, lingue simili a fuoco nero si sprigionano dall’oggetto, schiacciandosi sulle pareti e i pavimenti e diventando simili a catrame nero che imprigiona e risucchia i corpi. Il sigillo vibra come per sollevarsi, ma Alborn lo trattiene in mano.
La galleria è invasa da grida e strilli, e dal pianto a squarciagola della neonata.
Le guardie, terrorizzate, si voltano per darsi alla fuga, ma la poderosa voce del nuovo Cedric le richiama: “Non scappate, imbecilli! Non c’è da aver paura! E’ solo un’allucinazione indotta dall’antifurto”.
Questo messaggio giunge anche alle orecchie di Miriadel; in un momento di lucidità, afferra il sigillo dalle mani di Alborn, e ripete le operazioni mentali che ricorda fatte da Cedric.
In un attimo, il portale si riapre baluginando, e mostra nuovamente l’ appartamento terrestre. La guardiana, ancora lì, si volta stupita verso di loro, ed inorridisce alla vista delle minacciose lingue di fiamma nere.
“Passiamo lo stesso!” grida Alborn e trascina le donne e la bimba nell’appartamento oltre il varco.
“Ehi, voi!”, li richiama Yan Lin incerta, “Dove…”.
“Prendeteli!”. L’enorme serpentone si muove deciso verso il varco, spalleggiato da soldati incerti, ma già con le spade sguainate.
La Guardiana non ha scelta: fa apparire il Cuore di Kandrakar, e con un lampo torna a sigillare il portale. Dal suo ultimo baluginio si sente provenire un urlo gutturale e lontano: “Noo! Maledetta!”.
La parete ora è intatta, e le inquietanti lingue nere sono svanite. Yan Lin si volta a cercare i fuggiaschi verso l’angolo da cui ha appena sentito un “Statemi vicini” in meridiano, ma lì non c’è più niente, solo un vago tremolio dell’aria che subito svanisce.
 
 
 
 

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Capitolo 22
*** Oltre la muraglia ***


22- Oltre la muraglia  
 
 
Ad personam:
 
Cara Atlantis Lux, grazie della tua recensione, ti sono grato per la fedeltà con cui stai seguendo questa storia. 
In effetti la morte di Adariel, dopo tutti questi mesi e capitoli, è stata di una brevità sconcertante. Ma in quel momento ogni minuto era prezioso, e ho preferito non rompere il ritmo della storia con una sviolinata più lunga. In questo capitolo rivedremo per un attimo ancora la regina in una delle sue apparizioni post-mortem descritte anche nel fumetto. Sinceramente, mi dispiaceva troppo chiudere con questo personaggio nel modo frettoloso cui mi avevano costretto gli avvenimenti incalzanti del capitolo precedente.

Cara Solitaire, sono felice di leggere la tua recensione. Sì, lo so, la storia è triste. Termina con la morte della protagonista, con il figlio sempre più risentito, tirannico e lontano dalla sua gente... e la svolta finale per Phobos deve ancora arrivare. Non mi è stato possibile fare sconti: si sapeva già che si sarebbe dovuto arrivare a ciò per preparare il terreno a WITCH n.1. La mia finalità era di spiegare come si è arrivati alla situazione da cui il fumetto prende le mosse. 
Come i metamondesi vedono i cloni... un po' è stato spiegato su Profezie, non ricordo se nel capitolo 46 o 47. Li vedono un po' come degli schiavi creati su misura per uno scopo spesso egoistico da chi ne ha il potere; hanno pressoché smesso di farli da quando la legge, per limitare questi abusi, ha imposto di parificarli a un parente e inserirli nell'asse ereditario, condividendo le proprietà, la casa eccetera. Bella fregatura per chi voleva un domestico o magari un sosia che si prendesse solo le scocciature, no?


Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura delle bozze di questa storia.

Qualche parola su questo capitolo, in cui la storia si sta avviando verso la conclusione, ma manca ancora un importante episodio  che riserverò alla puntata finale, che avrà per involontario e riluttante protagonista il principe Phobos.
In questo stesso capitolo, Miriadel, Alborn e Galgheita assumeranno per la prima volta le identità terrestri che abbiamo conosciuto nel fumetto.
Le scene a Kandrakar e Heatherfield incentrate sull'Oracolo e su Yan Lin fungeranno un po' da spiegazione nell'atteggiamento della congrega che ritroveremo anche nel fumetto; l'allieva cui Luba accenna è chiaramente Orube.

Buona lettura
MaxT

 

Cap.22

Oltre la muraglia


 
 
“Anche se il futuro fosse già scritto, la nostra libertà consiste nell’agire come se non lo fosse”.
L'Oracolo di Kandrakar

 
 

Los Angeles, hotel Vera Cruz

La signora Barton si guarda nell’elegante specchio del bagno mentre finisce di rifarsi il trucco. Suo marito Jacob aveva ragione: l’Hotel Vera Cruz è stato un'ottima scelta per il loro breve soggiorno a Los Angeles.
Butta l’occhio all’orologio: è già tardi. Si rivolge al figlio, nella camera: “Harry, hai finito di vestirti? Papà ci starà già aspettando nell’atrio”.
“Da un bel pezzo, mamma” risponde il bambino con voce annoiata, “Sei tu che fai tardi. Se fosse per…”. La frase si interrompe all’improvviso, coperta dallo strillo inatteso di un neonato e da qualche frase concitata e incomprensibile.
“Mamma!?!”, la voce allarmata di suo figlio cerca di sovrastare il trambusto, “Qui c’è…”, ma nuovamente si interrompe a metà.
“Harry?!?”. La donna, preoccupata, lascia il trucco a metà e si precipita nella camera.
Qui si trova davanti a un incredibile quartetto: un uomo e una donna coi visi alieni dai colori impossibili, e un grosso essere assurdo e intabarrato dalla lunga coda che tiene in mano un fagotto dal quale provengono gli strilli acuti. Il suo Harry non muove un muscolo, fissato in un’espressione di stupore come una statua di cera.
“Ma chi…”. La donna non fa in tempo a finire: con un gesto della giovane dalla pelle grigiastra, il mondo per lei si congela come in un fermo immagine.

“Vogliate scusarci” dice Miriadel rivolta, in un buon inglese, ai legittimi occupanti della camera, “Toglieremo il disturbo tra un po’”.
“Formidabile!”, si meraviglia Alborn davanti ai due terrestri congelati, “Non mi avevi mai mostrato i tuoi trucchi da agente segreto”.
“Proprio perché era segreto” spiega lei, ma la sua risposta è nuovamente sovrastata dagli strilli della piccola Elyon.
Galgheita le sussurra qualche parolina incomprensibile sottovoce, e la neonata si acquieta nuovamente. Poi la guaritrice si guarda attorno, perplessa. “Miriadel, ma perché hai scelto proprio questo posto per il teletrasporto?”.
“E’ il primo che mi è venuto in mente intanto che la guardiana ci voltava le spalle. La Luce di Meridian, gloria a Lei,  aveva alloggiato proprio in questa stanza una dozzina d'anni fa”. Guarda dalla finestra verso nordest. “Qui siamo a tremila chilometri da Heatherfield”. Nel mentre, ripone il sigillo di Phobos dentro il libro-custodia, poi se lo fa sparire in mano.
“Ma siamo rintracciabili?” si preoccupa Alborn.
“Forse si. Abbiamo i minuti contati”. Chiude gli occhi, e aloni luminosi percorrono il suo corpo, lasciandolo completamente mutato: ora non è neppure più quello già noto della commessa della libreria, ma appare come una giovane dai capelli color rosso carota e dal viso affusolato.  “Vi presento Eleanor… Eleanor Reed, signora Portrait. Ti piace il cognome Portrait, maritino mio?”.
Alborn tenta di farsi sparire un’espressione disgustata dal suo viso che rivela troppo esplicitamente cosa pensa del cambiamento di aspetto della sua Miriadel. “Uno vale l’altro, basta fare presto”.
“Giusto. Allora tu sarai Thomas Portrait. Ricordati il tuo nuovo nome”. Lo squadra. “Hai preferenze per l’aspetto?”.
Alborn chiude gli occhi per un attimo come se un balcone gli stesse per cadere addosso, poi risponde stoico: “Fai tu”.
Alle sue spalle, Galgheita ha già appoggiato il suo fagotto sul letto, poi si concentra. Altri aloni luminosi insistono a lungo sul suo corpo, soprattutto sulla lunga coda, e dopo un po’, al posto della guaritrice rettiliforme si trova una signora di mezza età, tarchiata e occhialuta, dai lineamenti delicati persi nella faccia paffuta.
Miriadel storce la bocca in un’espressione di riprovazione. “Non era meglio una donna giovane e bella? Non era che costasse di più”.
Quella che era Galgheita scuote il capo: “Ma vi pare che io possa desiderare qualche incontro galante con un terrestre?”. Si guarda nell’ampia anta a specchio dell’armadio. “La signora Margareth Rudolph farà una vita molto ritirata”.
Eleanor insiste convinta: “Guarda che la bellezza apre molte porte”.
Alborn la guarda con un’espressione dubbiosa. “Sarà…”, bofonchia, poi si riscuote. “Io però non sono in grado di cambiare il mio aspetto da solo”.
La signora Rudolph gli appoggia, benedicente, una mano sulla fronte; ora anche lui viene percorso da un alone luminoso, e il suo aspetto muta. L’immagine che lo specchio gli rimanda è quella di un giovane terrestre sui trent’anni dalle braccia muscolose, i lineamenti forti e i capelli castani.
“Passabile”, fa la signora Portrait alzando un sopracciglio.

Il telefono sul comò squilla. “Dev’essere la portineria” commenta Eleanor allarmata, “Abbiamo i secondi contati. Cerchiamo una camera vuota per organizzarci con più calma”.
“E loro?” obietta Thomas, indicando la donna e il bambino grottescamente immobilizzati a metà di un gesto.
“Non preoccuparti, si riprenderanno subito, e non ricorderanno niente” gli risponde dirigendosi verso la porta, “Vi raccomando: parlate il meno possibile, e solo in lingua terrestre. Siamo Eleanor e Thomas Portrait, e Margareth Rudolph, cominciamo ad abituarci all’idea”.
“Ed Elyon Portrait” aggiunge in inglese la donna attempata, raccogliendo la bimba dal letto e porgendola a Eleanor. “Adesso siete papà e mamma, cominciate ad abituarvi anche a quest'idea”.
 

Meridian, sala del trono

Questa mattina, seduto sul trono che ormai non si fa più scrupolo di occupare apertamente, il principe Phobos non riesce a concentrarsi su ciò che questo ramarro di un consigliere gli sta blaterando. Sta succedendo qualcosa, lo sente. Ondate di paura, di rabbia, nel perimetro dello stesso palazzo. Decisamente inquietante. Meglio chiamare subito Alborn o Cedric, per…
D’improvviso, accanto al consigliere compare la figura della regina, con un viso triste e dolcissimo soffuso da un pallore innaturale.
“Madre?!?” esclama incredulo Phobos, balzando in piedi.
“Altezza?” fa eco il consigliere, interrompendosi e guardandosi in giro sconcertato. E’ chiaro che non la vede, anche se gli è così vicina da poterlo toccare.
La regina, con sforzo, alza gli occhi da terra. “Phobos, figlio mio. Sono venuta a renderti un ultimo saluto, ma continuerò per sempre a pensarti e a guardarti dal Paradiso degli Dei”. Esita un attimo, cercando le parole. “Figlio, il destino è stato crudele con noi: ha costretto te al ruolo di tiranno, e me a quello di ingannatrice. Lo so che non è tutta colpa tua. Io ti ho già perdonato. Perdonami anche tu, se puoi”. Con un ultimo sorriso tristissimo, l’immagine scompare, lasciando il principe senza parole.
Dopo un breve silenzio, Phobos balbetta: “Madre… Ingannatrice? Cosa vuoi dire? MADRE!”.
Il consigliere lo guarda esterrefatto. “Altezza… cosa succede?”.
Tornando presente a sé stesso, il principe lo guarda severo: “Non devo spiegazioni a voi, consigliere Zercom!”. Vuole capire immediatamente cosa sta accadendo, e troverà la prima, scontata risposta davanti al letto di sua madre.
Con un rombo basso che fa tremare i visceri, Phobos sparisce in un tremolio dalla sala del trono.

Un attimo dopo, preannunciato dallo stesso rumore, il principe appare nell’anticamera della Regina. Accanto, nella stanza, ci sono due soldati e un paio d'ancelle.  Anche se si inchinano rispettosamente davanti a lui, il timore provocato dal suo arrivo improvviso non riesce a cancellare il dolore dai loro occhi.
D’improvviso, la voce mostruosa di Cedric gli urla nella testa: ‘Altezza, una catastrofe! La Regina è morta. I traditori Alborn, Miriadel e Galgheita hanno rapito la principessa Elyon, rubato il Vostro sigillo e sono fuggiti sulla Terra. La Guardiana di Kandrakar li ha lasciati passare, ma ha sbarrato il passaggio a noi’.
“No!” grida Phobos sempre più pallido, comprendendo il significato delle ultime parole di Adariel.
Senza aspettare che gli facciano strada, attraversa come un fantasma il corpo di guardie e ancelle, entrando nella camera.

Attorno al letto ci sono altre donne, che si scostano spaventate al suo ingresso, e il dottor Tarnos con la sua inutile, patetica borsa di farmaci. Accanto al corpo, Lidrienel sta piangendo e tenendo tra le sue mani quelle inerti e pallidissime della Regina.
“Madre, perché mi hai fatto questo?!?”, grida lui dai piedi del letto, tra lo sbigottimento degli astanti.
Poi si avvicina, scostando Lidrienel con uno spintone. Prende il corpo della Regina per le spalle, e lo scuote. “Perché hai fatto questo a me, il tuo unico figlio… dicevi di amarmi, di essere orgogliosa di me… e ora mi hai tradito!  Da quando? Da quando hai cominciato a tramare contro di me, a trasformare i tuoi ultimi mesi in un unico, terribile raggiro? Da quando è morto mio Padre, o ancora prima?”.
Prende fiato, stringendo i denti. Si accorge di avere gli occhi pieni di lacrime, ed è in mezzo a persone che lo guardano esterrefatte. “Via!” urla fuori di sé, “Via di qui, avvoltoi!”.
Le donne fuggono in silenzio, spaventate, verso l’uscita.

Dopo un attimo tutti, anche i soldati, hanno lasciato l’appartamento reale.
Torna a guardare sua madre, pallida e inerte. Il suo capo è ricaduto di lato, e il chignon si è sciolto, lasciando i lunghi capelli castani sciolti sul cuscino.
Con una smorfia di risentimento, Phobos si decide: il corpo di Adariel dovrà rimediare almeno qualcosa del danno che lei gli ha fatto in vita. Sente la magia scorrere forte nel suo corpo. Sfila con un gesto brusco la corona di luce dal capo della madre, poi le appoggia i polpastrelli sulla fronte, e vi pompa la sua energia vitale. Per un attimo, percepisce qualcosa da quanto resta della memoria di Adariel: una miriade di frammenti di ricordi sconnessi, dapprima forti, poi, con il passare dei minuti, sempre più tenui a mano a mano che il corpo della Luce di Meridian sprofonda nella morte, facendo degenerare le sinapsi del suo cervello.

Phobos resta così finché riesce a ricevere qualche ombra di risposta, poi, pensieroso, leva le mani.
Si guarda attorno: nessuno è più entrato nella camera. Meglio così: adesso che si è calmato, si vergognerebbe di far sapere a chiunque che ha violato l’intimità dei ricordi di sua madre appena morta.
Scaccia il pensiero: è lei che lo ha tradito, o no? Lui avrebbe dovuto farlo prima, quando la regina era ancora in vita. Invece è stato troppo rispettoso, ma non commetterà mai più questo errore.
Se sua madre non meritava questo scrupolo, chi altro potrà mai meritarlo?
 

Kandrakar

La sala del consiglio è gremita. Le nuvole che si affacciano dalle bifore senza vetri sembrano cariche di elettricità. Saggi i cui tratti tradiscono la provenienza da mondi diversissimi, ma vestiti con abiti color acqua tutti uguali, siedono solennemente a gambe incrociate sui gradoni ad anfiteatro.
Al centro della sala, l’Oracolo, in piedi, riceve la rammaricata Yan Lin.
“Mi dispiace, Signore”, esordisce mesta la guardiana dal costume vivace. “Non sono riuscita ad impedire il passaggio di quei fuggiaschi come mi avevate ordinato”.
Lui annuisce, imperturbabile. “Yan Lin, ho osservato tutto mentre succedeva. Non hai niente da rimproverarti”.
Dai gradoni, l’imponente figura di Endarno si alza in piedi. “Guardiana, non sarà che ti sarai fatta muovere a pietà dalla neonata che quei fuggiaschi avevano con sé? Ti rendi conto degli squilibri che quell’esserino può portare sulla Terra?”.
Un sommesso vocio corre tra gli astanti, mentre la guardiana china il capo.
E’ l’Oracolo a prenderne le difese: “Yan Lin, nessuno può rimproverarti se per prima cosa hai preferito chiudere  il varco da cui stavano giungendo gli inseguitori”. Poi, rivolto verso l’uditorio: “La verità, che Yan Lin ci ha già troppe volte fatto presente, è che questo compito è improbo per una guardiana sola, anche se lei non ha mai deluso la nostra fiducia”. Poi, dopo una pausa a effetto: “Vi annuncio che gli Elementi dell’Universo mi hanno parlato: Aria, Acqua, Terra e Fuoco rivendicano le loro nuove Guardiane. Hanno già individuato le anime che si incarneranno, e la catena causale della loro futura nascita è già in moto”.
Il saggio Tibor, dalla fluente barba bianca, prende la parola: “Cosa ci potete dire di queste nuove Guardiane, Oracolo?”.
“Niente, amico mio. La volontà degli Elementi non è ancora stata così esplicita con me”.
Dai gradoni si alza in piedi una donna alta, dai tratti felini e dai lunghi capelli argentei. “Non saranno ancora ragazze terrestri?”.
Yan Lin, immaginando il seguito, si trincera dietro le braccia conserte e le scocca un’occhiata di rispettoso disappunto.
L’Oracolo  risponde cortese: “Non lo so proprio, Luba. Ma se fosse?”.
“La vecchia generazione di guardiane terrestri ha già dato pessima prova… a parte Yan Lin, naturalmente”, concede la donna con nonchalance, “Perché non scegliere ragazze di un altro mondo, magari  Basiliade, educate all’onore e alla disciplina? Conosco già degli ottimi soggetti, una in particolare: sono ancora bambine, ma potrebbero essere pronte molto prima di ragazze terrestri che forse non sono state ancora concepite”.
“Sono d’accordo”, interviene Endarno. Anche lui, come Luba, è di Basiliade, e sa bene cosa significhi la disciplina.
L’Oracolo risponde impassibile: “Non dubito delle tue favorite, Luba. Semplicemente sta agli Elementi deciderlo, non a me. E neanche a te”.
Mentre lei torna a sedere scontenta, Endarno è rimasto in piedi. “La prossima cosa da fare è rintracciare quei fuggiaschi!”.
L’Oracolo sospira. “Purtroppo si sono teletrasportati in una destinazione ignota, e avranno certo cambiato aspetto. Non abbiamo modo di rintracciarli, a meno che non siano loro stessi ad avvicinarci”.
Endarno sbotta sarcastico: “E perché dovrebbero?”.
“Perché prima o poi dovranno tornare indietro, e tutti i portali conosciuti sono nella zona di Heatherfield”.
“Ma con quell’oggetto che hanno con sé, sono in grado di crearne altri”.
L’Oracolo annuisce senza dimostrare alcun turbamento. “E’ verissimo. Faremo bene a escogitare qualche modo per controllarli”. Poi, dopo una lunga occhiata al lento movimento delle nuvole visibili attraverso un colonnato, continua: “Tuttavia, è chiaro che userebbero quei portali solo per tornarsene nel loro mondo, ed è proprio questo che vogliamo. In fondo, la defunta regina aveva profetizzato che la sua erede crescerà sulla Terra per poi tornare a Meridian ed esservi incoronata tra undici dei loro anni”. Dopo una pausa, aggiunge: “Piuttosto, la nostra priorità dovrà essere l’impedire che gli agenti di Meridian continuino ad arrivare liberamente sulla Terra, o vi porteranno una guerra segreta anche peggiore di quella che vi hanno condotto finora. In altre parole: Yan Lin, tu continuerai a svolgere lo stesso compito nel quale ti sei fatta onore fino a ora”.
La guardiana accenna un inchino di ringraziamento per quel riconoscimento. Un mormorio sorge tra le gradinate, ma nessuno interviene più.
L’Oracolo allarga benedicente le braccia: “Amici, per oggi è tutto. Tornate alle vostre occupazioni, l’assemblea è finita”.
Endarno, tra i primi ad andarsene, scambia una lunga occhiata indefinibile con lui.

Lentamente le gradonate si svuotano, finché nella sala silenziosa restano solo l’Oracolo e la guardiana.
“Yan Lin, parla pure. Cosa volevi dirmi?”.
Lei, che è rimasta in piedi a disagio durante tutto il dibattimento, gli si accosta rispettosamente, e chiede a bassa voce: “Signore, voi dunque attribuite valore alle profezie della regina Adariel?”.
Lui risponde grave: “Io non ho la sua stessa religiosa convinzione nella loro infallibilità, ma devo ammettere di non conoscere un solo caso in cui non si siano realizzate alla lettera. Semmai, a volte è successo che si siano avverate in un modo diverso da quello che ci si aspettava. Le parole possono essere ingannevoli, a volte, anche se letteralmente vere”.
“Capisco”, annuisce lei con il viso che sembra dire tutt’altro. “Ma quello di cui non riesco a capacitarmi è: perché dobbiamo agire, se è già tutto predestinato? Per esempio, perché abbiamo cercato di impedire il loro passaggio, se era già scritto che sarebbero arrivati sulla Terra? Perché cercarli, se è già scritto che resteranno qui molti anni?”.
Il viso dell’Oracolo non lascia trasparire nessun imbarazzo, ma è il prolungarsi dell’attesa che lascia intuire quanto la domanda sia difficile. Alla fine risponde: “Yan Lin, noi professiamo principi formulati in tempi immemorabili. Abbiamo accettato liberamente di seguirli e di farli rispettare, e ora questo è un dovere per noi. Non è importante solo il risultato: è diverso se un qualcosa si realizza per quello che noi abbiamo fatto, o  si realizza nonostante quello che abbiamo fatto. Anche se il futuro fosse già scritto, la nostra libertà consiste nell’agire come se non lo fosse”.
Yan Lin annuisce. “Non sono certa di capire, ma mi adeguerò”. Poi, ad un cenno di congedo dell’Oracolo, l’immagine di quel luogo solenne viene inghiottita da un lampo abbagliante.
 

Heatherfield, camera di Yan Lin

Quando Yan Lin torna a vedere chiaramente, si trova ormai nel suo mondo quotidiano. Prima di uscire dalla camera, controlla l’aspetto: la sua effimera giovinezza da Guardiana è finita anche questa volta.
Scendendo le scale di casa fino al ristorante al piano terra, trova suo figlio Chen che le viene incontro.
“Dove sei stata, mamma? Ti stavamo chiamando…”.
“Cose da donne, Chen. Ma perché mi cercavi?”.
“A basso ci sono molte stoviglie da lavare, e Joan è in difficoltà. Puoi aiutarla?”.
“Subito!”.

Poco dopo entra nella cucina, dove la giovane nuora sta fronteggiando delle pile di piatti sporchi di ogni foggia che le arrivano al mento.
“Eccomi, Joan. Non sei più sola”.
“Grazie. Fino ad adesso, mi ha aiutata un po’ Chen”.
“E’ un bravo marito, vero?” chiede orgogliosa Yan Lin, infilando un paio di guanti di gomma.
“Certo”, annuisce la giovane riponendo l’ennesima zuppiera bagnata. “Ci stavamo divertendo a cercare dei nomi per i futuri figli”.
Le sorride. “Allora posso contare di diventare nonna prima di lasciare questo mondo, vero?”.
“Sì, certo. Senti: se fosse un maschietto, che ne penseresti di Zedong?”.
“Decisamente impegnativo” sbotta lei cercando di farsi sparire una smorfia di disappunto. “Ci sono alternative?”.
“Sì…” fa lei, un po’ delusa dalla mancanza di approvazione. “E per una femminuccia, cosa ne dici di Hay Lin?”.
“Hay Lin…” ripete riflettendoci, “Lin Hay Lin… Sì, è assonante”. Mentre lava i piatti con efficienza, pensa tra sé e sé … Hay Lin… questo nome le dice qualcosa che non riesce a definire meglio. “Se si chiama Lin come me, certo mi assomiglierà in qualcosa”.
“Lo spero proprio” risponde Joan sorridendo. “L’unica cosa che non vorrei è il tuo modo di sparire misteriosamente per le tue ‘cose da donne’ ”.
 

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Capitolo 23
*** La primavera che verrà ***


 

Cara Atlantis Lux, grazie per la tua bella recensione, sulla quale conto sempre.
Per quanto riguarda la tua domanda sulle trasformazioni fisiche: posso ipotizzare che i pezzi che avanzano vadano smaterializzati e finiscano in una specie di credito di massa.
Invece è più problematico trasformarsi in qualcosa di più grande. In uno dei capitoli precedenti si racconta che, la prima volta che Cedric si è trasformato in serpentone, i bambini che lo stavano soffocando sono spariti, inglobati nel suo corpo.

Cara Solitaire, grazie per la tua graditissima recensione. Cosa farà la gente, e cosa penserà, sono due cose diverse. Eppure a Meridian pensare è come fare. Per cui ti rimando ai festeggiamenti di questa ultima puntata per sentire il coro di acclamazioni al principe.
La risposta alla domanda sui portali sarà in parte nelle istruzioni che Phobos darà a Cedric nel presente capitolo, e in parte in 'Alla fine del millenio', una mia one-shot già pubblicata che spiega i retroscena dell'inizio della saga del fumetto e la collega a La Luce al tramonto.


Qualche parola su questo capitolo, che è l'ultimo della storia. Sono emozionato, sto per appuntare la parola fine a un lavoro che ho iniziato a scrivere tre anni fa, che è stato importante per me per mille aspetti, e non so neppure cosa dire.

Il titolo 'la primavera che verrà' riprende un aforisma più volte pronunciato dalla Regina: 'E' impossibile fermare l'inverno, ma si può seminare per la primavera'.

Infatti quest'ultimo episodio metterà le radici per spiegare diversi aspetti della storia del fumetto, che culminerà con la fine del lungo inverno della tirannia di Phobos.

I retroscena dell'inizio del fumetto, qui solo abbozzati, sono spiegati più in dettaglio in Alla fine del millennio .

Finisco con un ringraziamento dal più profondo del cuore a tutti coloro che hanno seguito questa storia fino alla conclusione.

Capitolo 23

 

La primavera che verrà

 

La stirpe degli uomini è come la stirpe delle foglie: una generazione fiorisce, un’altra muore.

Omero

 

Meridian, atrio della torre est, quella sera stessa

 

L’atrio alla base della torre est è mestamente illuminato da una sola fila di fiaccole, che spargono i loro bagliori rossicci sui visi tristi dei presenti. Solo la teca di cristallo con il corpo della Regina, splendida nel pallore della morte, è illuminata dalla luce bianca di un proiettore. Al centro del locale, cinquanta metri al disotto della sala del trono da cui ha regnato su un intero mondo per duecentosessanta anni, la sesta Luce di Meridian riceve l’ultimo saluto dai dignitari che l'hanno servita.

Tutto attorno all’esterno del sottile colonnato, dietro al picchetto della Guardia d’Onore, c’è la servitù, primo preannuncio del popolo della città che verrà a rendere l’ultimo saluto alla Regina. Nonostante l’ora tarda, una fila interminabile di cittadini si snoda già lungo la rampa di accesso, nello spiazzo esterno e su tutta la strada che da piazzale Sottocastello porta fin alla rupe del palazzo.

Sono fiduciosi che, mentre la Sua anima li guarda dal Paradiso degli Dei, la bara di cristallo, rafforzata dai più potenti incantesimi, preserverà incorruttibile il Suo corpo. Al termine dei sei giorni di esposizione, questo verrà teletrasportato nell'antica cripta di famiglia scavata nella viva roccia del Monte Escanor, che svetta maestoso e lontano sull’orizzonte a nord di Meridian.

 

Dopo un lungo silenzio pensieroso, Phobos distoglie gli occhi dal viso della madre e accenna solenne a salire lo scalone.

A questo segno, decine di persone lo seguono: consiglieri, dignitari e vassalli da tutto il metamondo, teletrasportatisi in fretta nella capitale non appena ricevuta la notizia della scomparsa di Lei.

Dopo il primo passo simbolico, Phobos svanisce alla volta della sala del trono: fare a piedi dodici rampe di scale non si addice certo al suo rango.

 

Poco dopo, in piedi accanto al Trono di Luce, Phobos attende con pazienza che i nobili, i consiglieri e i vassalli prendano posto davanti a lui. In prima fila Cedric, nuovamente in forma umana, evita il suo sguardo dopo il suo fallimento della mattinata.

“Nobili vassalli, saggi consiglieri, fidati dignitari, questo è un momento di grave crisi”, esordisce Phobos con voce ferma. “La nostra amata Regina, morendo, ha lasciato un’erede designata al trono: la Principessa Elyon, mia sorella, nata da poco più di un mese. Ma il tradimento più vile ha colpito la mia famiglia: con mia madre appena spirata, Elyon, la settima Luce di Meridian, è stata rapita da tre traditori, tre persone in cui la Regina aveva riposto tutta la sua fiducia”.

Esclamazioni soffocate di sorpresa, e una ridda di interrogativi solo pensati, provengono dagli astanti; evidentemente non tutti lo sapevano già.

Dopo una pausa a effetto, prosegue: “Questi traditori hanno portato con sé la Principessa sulla Terra, con l’aiuto dell’infame congrega di Kandrakar”.

Si ferma un attimo a studiare le reazioni. Tutti i visi, pur turbati, sono composti e silenziosi, ma c’è qualcosa di come distonico nei pensieri che sta percependo da loro.

“Ebbene, io prometto che farò di tutto per riportare qui mia sorella, e io stesso la incoronerò come settima Luce di Meridian”.

Si interrompe. Le sue parole sembrano piaciute ad alcuni, ma c’è altro. Rapidamente, sui visi compunti prendono forma pensieri anonimi, sempre più numerosi, soprattutto dal gruppo dei consiglieri di Meridian: ‘Invece scommetto che non gli dispiace’. ‘A chi vuole darla da bere?’.

Soffocando lo sdegno che sente nascergli dentro, continua: “Con la morte nel cuore, accetto l’incarico temporaneo di Reggente in vece della legittima Regina. Non chiamatemi Re, quel titolo non mi spetta. Chiamatemi semplicemente Principe dei Principi”.

Mentre la sala resta silenziosa, il coro di pensieri si fa assordante: ‘Principe dei Principi!’. “Semplicemente!’. ‘E’ più o meno di Re?’. ‘La nostra Principessa non tornerà più’. ‘E’ stato lui a farla rapire. Ne aveva tutto l’interesse’. ‘La Regina lo ha evitato per gli ultimi nove mesi’. ‘Allora le cose non cambieranno più?’. ‘Tratta come dei vermi anche i consiglieri più prestigiosi’. ‘Ha le mani sporche del sangue dei cittadini’. ‘A chi la vuole raccontare?’. ‘I suoi figli non avranno i poteri, e governeranno con la forza delle armi’. ‘Forse quei tre la hanno solo portata in salvo’. ‘Abbiamo già avuto un assaggio di che pasta è fatto’. ‘Le profezie della Regina non hanno mai mentito’.

I nobili provenienti da tutto il resto del metamondo si guardano in giro discretamente, cercando di nascondere stupore e imbarazzo, mentre i pensieri di protesta esplodono, venendo non solo dalla sala, ma anche dalle scale, dalla base della torre, e più confusi, come un lontano rimbombo, dallo spiazzo alla base al palazzo, poi dalla salita, e in meno di un minuto si sono estesi a tutta la città. ‘Il tiranno….’, ‘… sangue…’, ‘… l’acqua magica di tutti…’, ‘…Elyon…’, ‘…ha fatto uccidere mio marito…’, ‘…tiranno…’, ‘…tiranno…’, ‘…tiranno…’.

La sala resta immersa nel silenzio più irreale mentre i muti, rimbombanti pensieri di sfiducia e protesta la pervadono, senza trasparire dai visi compunti e imperturbabili. Qualcuno si guarda attorno, qualcuno abbassa gli occhi, tutti mantenendo sul volto la finzione dell’ossequio. In prima fila, anche Cedric, che all’inizio si è guardato in giro, resta immobile e irrigidito in quella parodia di solennità.

Phobos avrebbe voluto proseguire parlando della legge di successione, ma questo chiasso di pensieri lo confonde, lo scoraggia, infine lo sdegna. E’ intollerabile, nessun Escanor ha mai dovuto subire un tale oltraggio! Controlla a fatica la sua collera, chiudendo prima del tempo la riunione. “Signori è tutto. Ora andate, e fate il vostro dovere!”.

Cercando di mascherare ira e disagio, il Principe dei Principi svanisce in un tremolio accompagnato da un suono greve, come di un continente che sprofonda.

 

 

Meridian, ingresso del Giardino di Phobos

 

Pochi minuti dopo, Cedric cerca di ottenere udienza da Phobos. È alla porta che dalla torre est dà sul giardino interno, al piano sotto della sala dove, nell’ultima ora, più di duemila cittadini hanno rinunciato al sonno serale per vegliare il corpo della loro Regina.

I soldati lo hanno lasciato superare la porta senza problemi, ma dopo pochi passi un nuovo ostacolo si interpone tra lui e il Principe: un mormorante. L’essere gli sbarra la strada inclinando un’arma dalla foggia misteriosa che può essere mille cose, tranne che una semplice lancia.

Il disagio di Cedric è acuito dal non riuscire a leggere i pensieri di questo alieno, che tuttavia, lo ha già constatato in diverse occasioni, riesce a trasmettergli le sue parole senza neppure aprire la bocca.

“Ho bisogno di parlare con il Principe con urgenza”, esordisce il direttore dei servizi segreti. “Sua Altezza ha ragione di essere sdegnato per il mio insuccesso: tra tutti i portali, non ho potuto indovinare al primo tentativo quale avrebbero scelto; ho esaurito le mie energie magiche perché mi sono teletrasportato con le guardie in quelli sbagliati, e poi ci siamo ridotti a inseguirli a piedi”. Pur disorientato davanti allo sguardo ermetico e alla mancanza di reazioni del mormorante, si fa forza e riprende: “Colpa mia, non lo nego. Ma ora è un momento cruciale e bisogna essere realistici: ho bisogno di istruzioni su come condurre la ricerca della Principessa”.

Aspetta qui, Lord Cedric. Riferirò la tua richiesta al Principe dei Principi’. Pensato questo, l’essere si dirige con grazia verso il folto del giardino senza emettere un fruscio.

 

Phobos è seduto sul pendio erboso, mentre l’incredulità ha definitivamente lasciato il posto all’amarezza. Gli abitanti di questa città sono feccia, falsi e ipocriti. Sanno solo sputargli il loro odio anonimo, senza neppure mostrargli il loro vero viso mentre fingono ossequio. E tutto questo proprio mentre erano presenti i vassalli di ogni contea. Non si sono resi conto di che figura orrenda hanno fatto fare al loro Principe, alla loro capitale, davanti ai rappresentanti di tutto il Metamondo?

Dovrà cambiare qualcosa, in questa città. E come, se cambierà! Mai più si ripeterà un simile oltraggio! Intanto, non vorrà mai più avere a che fare direttamente con quegli esseri meschini.

 

Il mormorante si avvicina al pendio, facendosi notare da Phobos.

Per lui, il Principe riesce ancora ad abbozzare un sorriso tirato. Caleb, la sua prima creatura. Un essere nobile, derivato dal fiore di una pianta maestosa, mai corrotto dalla meschinità di quella che nel suo mondo osa dirsi umanità.

“Cosa c’è, Caleb?”.

Mio principe, Lord Cedric si è presentato ancora per avere udienza’.

Phobos si adombra. Il direttore dei servizi segreti gli è ormai diventato sgradito, sia perché ha fallito in un compito importantissimo, sia perché ha assistito alla sua umiliazione pubblica senza battere ciglio; anzi, per quanto ne sa, alcuni di quei pensieri avrebbero potuti essere suoi. “Non è il momento, ora. Ti ha spiegato cosa vuole?”.

Sì, mio Principe. Ha bisogno di istruzioni per cercare la principessa Elyon’.

Phobos annuisce lentamente, con fastidio. “Allora, digli che il mio volere è che deve fermare tutte le operazioni sulla Terra: quell’idiota dovrebbe ben sapere che i portali rimasti sono molto preziosi, dopo che si è fatto rubare il mio sigillo. Senza di quello non possiamo riaprirne altri, perciò non dobbiamo rischiare in nessun modo che quelli esistenti possano essere chiusi per sempre dalla strega di Kandrakar”.

Capisco. E’ tutto?’.

“Aggiungi che Cedric dovrebbe concentrarsi sui nemici interni, e lui sa già a cosa mi riferisco, se non è del tutto idiota. Che scruti i pensieri di tutti, a partire da consiglieri e funzionari. Che individui rapidamente chiunque mi è ostile, e faccia pulizia a cominciare dai massimi livelli”.

Lo farò, Mio Principe’.

“E poi, Caleb: scruta i pensieri di Cedric, e riferiscimi se posso ancora avere qualche fiducia in lui”.

Lo farò, mio principe. Ma, perdonate, per cosa conserverete i portali inutilizzati?’.

Phobos si stupisce della domanda: non aveva previsto che la sua prima creatura potesse sviluppare certe curiosità quasi umane. Ma per un attimo, il suo senso di solitudine ha la meglio. Risponde con una domanda prudente: “Caleb, secondo te leggere i pensieri di un morto è lecito?”.

Non vedo perché no, mio Principe’.

Per un attimo Phobos sospira sollevato, poi scaccia quel pensiero sciocco: Caleb è una sua creatura, non è certo a lui che deve rispondere del suo operato. Riprende, ieratico: “Io ho letto i ricordi di mia madre. Ho visto parte del futuro che lei ha preconizzato. Mia sorella Elyon sarà incoronata Regina tra circa undici anni”.

Questo significa che voi non diventerete mai Re di Meridian?’.

Phobos resta sorpreso che il mormorante abbia indovinato la sua aspirazione suprema. “Le profezie della Luce di Meridian sono infallibili, però non specificano cosa le succederà dopo incoronata: potrebbe anche morire subito. Ed è questo che io le riserverò, non certo un matrimonio dinastico”. Sorride, compiaciuto della sua astuzia.

Allora, non intendete proseguire la dinastia?’.

Il Principe scuote il viso. “No. Sarò il primo re Escanor, e al tempo stesso l’ultimo. Che il mio regno duri per sempre, come spero, o solo pochi secoli, io non misurerò la mia grandezza con quella di alcun successore”. Una briciola di follia brilla nel suo sguardo quando conclude: “Se ci sarà un dopo, il caos che vi sorgerà sarà la più perfetta cornice per la gloria del Mio Regno”.

 

Per un minuto, i pensieri della creatura tacciono, mentre riflette sull’enormità della decisione rivelatagli. Poi riprende: ‘ Quindi entro undici anni la principessa Elyon tornerà a Meridian. Ma perché non cercarla adesso?’.

“Dipende da altri frammenti di profezie”, spiega il principe, “So che la sua finta famiglia si chiamerà Portrait, che farà le scuole medie allo Sheffield Institute di Heatherfield, e avrà due compagne di classe che si chiameranno Cornelia e Will. Questo è destinato ad accadere alla fine di quello che sulla Terra è il secondo millennio. Mancano appunto undici anni. Cercarla ora è semplicemente inutile, è un fallimento annunciato”.

L’essere annuisce, senza lasciar trasparire emozioni sul suo viso perfetto. ‘Queste compagne di classe avranno qualcosa di speciale?’.

Phobos annuisce. “Forse sì. Un altro frammento di profezia prevede i nomi delle Guardiane della prossima generazione, e tra queste ci sono anche una Cornelia e una Will, assieme a una Irma, una Taranee e una Hay Lin. Non sono nomi comuni neanche sulla Terra”.

Intendete cercare e far sopprimere queste ragazze prima che prendano le consegne?’.

“Vedremo. Prima è necessario che la profezia si realizzi, altrimenti rischiamo di colpire delle semplici omonime. L’ideale sarebbe catturarle subito dopo, quando saranno ancora inesperte, così forse otterremo anche il Cuore di Kandrakar”.

Capisco. E quindi, come agirete con la Principessa?’.

“Farò calmare le acque per una decina di anni, poi farò controllare lo Sheffield Institute. Per una fortuna insperata, uno dei nostri portali si apre proprio nella palestra di quella scuola. Quando si saranno realizzate tutte le condizioni profetizzate, farò arrestare i traditori e portare qui la piccola Elyon. Le spiegherò chi è lei veramente, e che quei traditori che credeva i suoi genitori la hanno rapita e ingannata, ma non le darò modo di sospettare che le cose stiano in modo leggermente diverso. Poi le offrirò il trono, da bravo fratello, e la sua breve storia finirà in gloria”.

L’essere annuisce, senza lasciar trasparire emozioni. ‘Ora comprendo perché non volete arrischiare i portali prima del tempo, mio Principe. Avete già pensato anche come risolvere a vostro favore anche l’altra profezia della Regina?’.

“Cosa intendi? Quale profezia?”, si adombra Phobos.

Quella che prevede la vostra morte un anno dopo questi eventi’.

Squadra la sua creatura con occhi ostili. “E tu come la sai?”.

Ve l’ho letta nel pensiero, mio Principe. Non dovevo?’.

Phobos impallidisce, come per un insulto. Si alza in piedi, dominando la creatura con la sua statura imponente, e la guarda gelidamente. “Questo non avverrà, Caleb. Devo ancora trovare il modo di aggirare questa profezia, ma ci riuscirò, non dubitarne! Io non sono vincolato dal fato, come il resto del mondo. Io mi costruirò il mio futuro attraverso la mia volontà. Io sono un Dio, non dimenticarlo mai!”.

Non intendevo sminuirvi, mio Signore. Perdonatemi’.

Phobos continua: “In ogni caso, io sono fatto per dominare. Non sopporto limitazioni, che siano profezie infallibili, o una sorellina da sposare controvoglia, o un popolo a cui rispondere delle mie decisioni. Se dovrò morire per questo, morirò, senza abbarbicarmi penosamente alla vita come hanno fatto mio padre e mia madre”.

Appena scandita questa frase, Phobos sente un brivido lungo la schiena, come se avesse bestemmiato, poi si sforza di riprendere la sua calma principesca. “Puoi andare, ora. Riferisci a Cedric solo quello che deve fare ora, niente di più. Anzi, scordati tutto il resto che ti ho detto”.

 

Mentre Caleb si allontana impassibile e silenzioso, diretto verso l’ingresso dove Cedric attende risposta da molto, il Principe torna a sedersi sul pendio soffice, distendendosi sull’erba tra le gialle corolle dei fiori profumati. Per la prima volta, una sua creatura è riuscita a indisporlo con le sue domande, anche se certo senza intenzione di provocarlo. Però ora si vergogna di quello che gli è sfuggito sui suoi genitori. E tutto per colpa dell'inattesa curiosità di Caleb. I prossimi mormoranti dovranno essere molto più discreti.

Mentre il dolce profumo lo avvolge, i suoi pensieri corrono alla sua seconda creatura. “Neobia, dove sei?”.

Qui, mio principe’, risponde un pensiero etereo e dolcissimo. Da un bellissimo albero fiorito emerge una sagoma leggiadra, dai tratti femminili e dai sottili occhi dal taglio perfetto. Avvolta nella sua lunghissima e lucente chioma color lilla, la creatura si avvicina silenziosa con movimenti fluidi e lenti. La sua pelle verde, liscia e quasi lucida, ha la bellezza delle foglie e dei fiori, e lo stesso odore. Distendendosi a fianco di Phobos, gli trasmette pensieri di serenità. ‘Neobia è con Voi, mio Principe. Dimenticate il resto. Qui ci siamo Voi, Neobia, e la magia del Vostro giardino’.

 

Mentre cortine di rampicanti si chiudono attorno al principe Phobos e alla sua magnifica creatura, il mormorante Caleb ha finito di riferire a Lord Cedric le poche, perentorie istruzioni che gli spettano, e torna nel folto del giardino, fondendosi con il tronco di un albero secolare.

Impresso sulla corteccia come un vago bassorilievo, Caleb comincia a riflettere silenziosamente sulle parole del principe, sui suoi pensieri inespressi, sul suo stesso esistere.

Nel giardino di Phobos, il seme del dubbio comincia a mettere le sue prime radici.

 

 

Los Angeles, hotel Vera Cruz

 

Le ombre della sera stanno calando su questa città, facendola accendere di mille luci proprie e incredibili .

Guardando il cielo sempre più scuro dalla finestra della loro nuova stanza d’albergo, Thomas scruta in basso, lungo le vie sottostanti punteggiate da mille luci natalizie e percorse dalle tanto temute automobili, aspettando di vedere se davvero stireranno qualcuno. E’ uno spettacolo bellissimo e carico di minaccia. Chiunque, di quelle persone che percorrono veloci i larghi marciapiedi, senza salutarsi e forse senza neanche guardarsi, potrebbe essere un nemico trasformato.

 

“Thomas, è inutile che fai la vedetta alla finestra” lo richiama Eleanor, “Tanto, se arriveranno, non li vedrai neppure finché non sarà troppo tardi. Rilassati, o desterai solo sospetti. Piuttosto, controlla se ci sono zanzare in camera. Quelle sì, possono tradirci”.

Dopo un’attenta occhiata a pareti e soffitti, lui torna a voltarsi verso la donna, guardandola con imbarazzo e cercando di convincersi che è sempre la sua Miriadel. E’ seduta sul letto con il seno scoperto e la bambina beata tra le braccia. La sera prima è bastato un tocco di Galgheita sotto le sue orecchie, accompagnato da una frase sibillina su cose misteriose chiamate ipofisi e prolattina, per fare cambiare qualcosa in lei, e ora la piccola Elyon sta poppando felice con grande impegno, mentre Eleanor le sussurra incerta delle paroline dolci in questo linguaggio per niente familiare.

Lui si siede accanto, sempre osservandole. Si sta pian piano abituando al nuovo aspetto di sua moglie, e forse un giorno riuscirà a trovarla di nuovo bellissima.

Lei gli sorride, e si appoggia sulla sua spalla. Si stanno lentamente rendendo conto, dopo l’eccitazione della fuga, che quasi tutto è cambiato nella loro vita. Ora non sono più il capitano Miriadel e il comandante Alborn, e dovranno bandire quei nomi dai loro pensieri per molti anni.

E quello tra le braccia non è un prezioso fagottino da addormentare con qualche magia, come hanno dovuto fare più volte in questa giornata concitata.

Da ora, e finché non sarà in grado di sopportare la verità, la piccola Elyon è loro figlia. Li chiamerà mamma e papà, li abbraccerà, li guarderà fiduciosa con gli occhioni grigi spalancati, come già li guarda ora che succhia beata dal seno. Vivranno assieme la mattina della sua vita, finché la giovane principessa sarà pronta per liberare il suo vero mondo dalla tirannia e riconquistare il ruolo che le spetta come Luce di Meridian.

Dopo quel momento di speranza, di lotta e di trionfo, forse un rimpianto velerà le loro giornate quando ripenseranno ancora agli anni felici e ingannevoli della sua infanzia.

 

 

FINE 

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