See No Evil di TooSixy (/viewuser.php?uid=52688)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Broken ***
Capitolo 2: *** II. Vision Thing ***
Capitolo 3: *** III. Reflections ***
Capitolo 4: *** IV. With the Daughters of Sin ***
Capitolo 5: *** V. Soul Hunter: Corpses and Tea ***
Capitolo 6: *** VI. Transgression ***
Capitolo 7: *** VII. Cry of the Owl ***
Capitolo 8: *** VIII. White Snow and Black Flowers ***
Capitolo 9: *** IX. Punishment ***
Capitolo 10: *** X. Killer Master ***
Capitolo 11: *** XI. Not Your Average Guardian Angel ***
Capitolo 12: *** XII. Two Words Before Departure ***
Capitolo 13: *** XIII. Savage Saviour ***
Capitolo 14: *** XIV. Frozen ***
Capitolo 15: *** XV // 01. Still Alive ***
Capitolo 16: *** XVI // O2. Enduring Survivor ***
Capitolo 17: *** XVII // 03. Rebirth ***
Capitolo 18: *** XVIII. Awaking ***
Capitolo 19: *** XIX. Nephilim ***
Capitolo 1 *** I. Broken ***
seenoevilmodel
Doveva piantarla di tormentarsi.
Per una volta doveva accettare la realtà così com'era, in
tutta la sua crudezza, e ingoiare l'amaro boccone senza protestare;
dopotutto, il suo compito era tacere e obbedire, come qualunque altra
Fracciòn. Tacere e obbedire. E soffocare il folle istinto di
fuggire, di urlare, di spaccare tutto.
Indar non aveva voluto portare Rayen con sé. Era una missione
semplice, aveva detto, un banale giro di ricognizione per assicurarsi
che i confini della vicina cittadella di Las Lloras fossero ancora ben
fortificati. Nulla di cui preoccuparsi, insomma; in fondo era il decimo
Espada, non il primo Hollow raccolto lungo la via.
E poi, tre giorni dopo, Ggio Vega era venuto a cercare Rayen e le aveva
comunicato la notizia. Era stato stranamente comprensivo con lei, aveva
persino provato a consolarla, ma i suoi goffi tentativi di conforto non
erano serviti a niente: in un attimo il mondo della ragazza Arrancar si
era miseramente sgretolato.
I. Broken
You left me broken
Torn up inside
And the sky has darkened
Like I'm buried alive...
This scar won't stop to bleed
But I can't make a sound
Try to say what I feel
But nothing comes out.
How did it come to this? - Lunatica
“È stato necessario indire una riunione nel minor lasso di
tempo possibile” esordì Aizen, sedendosi al suo solito
posto all'estremità della lunga tavola argentea della sala e
intrecciando le mani di fronte a sé. Il suo volto era granitico,
e solo un minaccioso scintillio nelle iridi scure tradiva una certa
irritazione. “Sono certo che mi perdonerete se vi ho distolto
dalle vostre attività, signori, ma è mio dovere
informarvi che il decimo Espada, Indar Oroitz, è stato
barbaramente assassinato presso il borgo di Las Lloras. In sua vece, a
questa riunione parteciperà la sua unica Fracciòn, Rayen
Fie Oneiron.”
Diverse paia di occhi si appuntarono sulla nuova arrivata, una giovane
Arrancar irrigidita dalla tensione. Era slanciata e appena più
alta della media, e aveva un viso pallido e serio, incorniciato da una
selvaggia criniera di capelli tra il rosso e il castano. Sedeva
immobile, a braccia conserte, l'indecifrabile sguardo nocciola fisso su
Aizen come se questi fosse stato l'unica fonte di luce in mezzo alle
più cupe tenebre.
“Com'è accaduto, Aizen-sama?” chiese a bassa voce la
terza Espada, Tia Harribel, riportando l'attenzione sul suo superiore.
“Chiunque sia il suo omicida, deve vantare una forza notevole...
dopotutto, Oroitz-san non era certo un avversario facile da
sopraffare.”
A risponderle fu Szayel: “Io e la mia Fracciòn ne stiamo
ancora esaminando il corpo, ma possiamo già dedurre che ad
attaccarlo sia stato un altro Hollow. Questo solleva tre domande
fondamentali... chi è stato, in che modo e, soprattutto, per
quale motivo.”
“Come fate ad essere sicuri che non si sia trattato di uno
Shinigami?” fece Nnoitra Jilga in tono burbero.
“Scommetto che alcuni di quegli sporchi bastardi sanno attivare
un Garganta, pensate a quell'Urahara...”
“A cosa serve essere un genio se il tuo acume non viene mai
riconosciuto?” sbuffò Szayel. “Per il codice
psichico lasciato impresso tra i resti di Indar, ovviamente: il marchio
non presenta alcuna traccia di reiatsu di Shinigami. Il che lascia
aperta solo la prospettiva che sia stato un Hollow.”
“Non hai scoperto altro?”
Szayel assunse un'espressione contrita, come se il suo orgoglio di
scienziato venisse offeso dalla scarsità di informazioni
afferrate. “Purtroppo no.”
Un silenzio carico di inquietudine calò nella stanza.
“Dobbiamo stanarlo!” ringhiò Grimmjow, alzandosi in
piedi e abbattendo un pugno sul tavolo. “Farlo fuori sarà
un'idiozia, dopotutto siamo nove Espada e tre Shinigami di alto
livello, senza contare i Nùmeros. Potrà anche aver avuto
gioco facile con quell'incapace di Oroitz, ma...”
“Indar-san non era un incapace.” Le parole sfuggirono a
Rayen prima che lei potesse controllarsi, e benché non fossero
niente più che un sussurro echeggiarono nella sala in maniera
stupefacentemente nitida.
Grimmjow inarcò un sopracciglio con evidente irritazione. “Nessuno ha chiesto il tuo parere, donna.”
La ragazza Hollow sollevò testardamente il mento. Sarebbe stato
più saggio mordersi la lingua e tenere il becco chiuso, ma non
poteva sopportare che la memoria di Indar venisse oltraggiata. Per lei,
Indar era stato molto più di un semplice maestro da adorare e
riverire.
“Io sono qui come sostituta decima Espada e in quanto tale ho i vostri stessi diritti.”
“Tu sei solo l'ex indovina di un mentecatto troppo debole per non
tirare le cuoia al primo Hollow di passaggio” ribatté
Grimmjow con aperto disprezzo.
“Silenzio!” Al secco comando di Aizen entrambi si
azzittirono. “Non abbiamo tempo da perdere in sciocche liti del
genere. Dobbiamo ponderare con cura la situazione prima di prendere una
decisione definitiva e, nel frattempo, voglio che ogni Nùmero
disponibile sia messo a sorveglianza del cerchio esterno di Las Noches.
Soprattutto pretendo che venga controllata la zona di Las Lloras.”
I presenti assentirono.
“Per quanto riguarda il seggio del decimo Espada... Fie Oneiron,
malgrado la tua non indifferente utilità temo di non poterti
affidare un simile compito. Il decimo Espada sarà Yammy
Rialgo.”
Rayen annuì con aria impassibile, tuttavia non poté
soffocare una certa pungente delusione. Una minima parte di lei aveva
sperato che Aizen le affidasse il titolo di decimo Espada, ma solo ora
si rendeva conto di quanto fosse stata ingenua: era naturale che a Las
Noches ci fosse qualcuno più degno di lei di averlo.
“Tuttavia vanti poteri interessanti, Fie Oneiron” aggiunse
Aizen in tono cortese, rivolgendole un accenno di sorriso.
“Sarebbe un peccato sprecare un'Arrancar come te, per cui vorrei
chiedere a questi gentiluomini e a questa signora se tra di loro
c'è qualcuno disposto ad accoglierti come sua
Fracciòn.”
Per la seconda volta, un pesante silenzio avvolse la stanza. A infrangerlo stavolta fu Nnoitra.
“Sì, io” disse con un sorriso ambiguo. “Non mi dispiacerebbe, dopotutto.”
Oh cazzo. Rayen si sentì gelare. Non ci aveva fatto caso, prima,
assorta com'era su Aizen, Grimmjow e i foschi pensieri su Indar, ma non
ci voleva un telepate a indovinare i progetti che Nnoitra aveva in
serbo per lei. Non riuscì a dissimulare la sua incertezza e il
suo sgomento. I suoi occhi dilatati s'incontrarono brevemente con
quelli famelici dell'Espada, e il sorriso di Nnoitra si allargò.
La ragazza deglutì e fissò la superficie argentea del
tavolo.
Vi prego, qualunque cosa ma non questo.
Rayen indirizzò la sua silenziosa preghiera ad ogni
divinità nota e sconosciuta, e anche a qualcuna improvvisata per
l'occasione. Qualunque cosa, ma proprio qualunque cosa, però vi supplico risparmiatemi da Nnoitra...
“Un momento, Aizen-sama” intervenne una voce a lei
spaventosamente nota. “Nnoitra non è certo l'individuo
più adatto a proteggere un elemento come Fie Oneiron, anzi,
conoscendolo, la spremerà come un agrume. E allora come potrete
utilizzare il suo potere, se di lei non sarà rimasto altro che
un guscio secco e vuoto?”
Rayen si girò verso Grimmjow, stupefatta. Cosa diavolo stava cercando di fare?
“Voi avete bisogno di qualcuno che la tenga d'occhio senza
annientarla, né moralmente né fisicamente.” Il
sesto Espada gettò un'occhiata esplicita a Nnoitra.
“Credete davvero che uno come lui potrebbe astenersi dal
farlo?”
“Chiudi il becco, Jaegerjacquez” sputò Nnoitra.
“Mi sono già pronunciato, vattene a cercare un'altra in
qualche vialone di Las Noches.”
Però l'interesse di Aizen era stato ormai destato. “Taci, Nnoitra. Grimmjow, continua pure.”
L'espressione soddisfatta di Grimmjow si velò di falsa
umiltà. “Per quanto mi infastidisca dirlo, devo ammettere
che potrebbe essere opportuno avere Fie Oneiron dalla nostra parte,
soprattutto ora che abbiamo a che fare con un Hollow insospettabilmente
forte. Sarebbe perciò meglio evitare di turbare le visioni della
ragazza con la presenza di maniaci troppo vogliosi, non credete?”
“Quindi vorresti che l'assegnassi a te.” Il tono di Aizen
era neutro, con una lieve nota di divertimento. “Capisco.”
“Se non ci fossi io, ci sarebbero comunque i miei Fracciòn
a proteggerla” confermò Grimmjow. “Cosa che invece
non potrebbe succedere con Nnoitra, visto che il suo unico
Fracciòn è quel biondino smidollato troppo vigliacco per
rispondergli a tono... probabilmente correrebbe a nascondersi dietro un
angolo se vedesse il suo padrone addosso a Fie...”
“Jaegerjacquez, tu...”
L'ennesima replica di Nnoitra fu frustrata da Aizen. “Molto bene,
Grimmjow, Fie Oneiron è tua. Sorvegliala con cura e assicurati
che non corra più rischi dello stretto necessario. Si teme
ciò che non si vede, ma gli occhi di questa giovane possono
realmente vedere molte cose.”
“La terrò sotto controllo” ribadì Grimmjow.
Rayen spostò lo sguardo da lui a Nnoitra ad Aizen, ancora un po' scossa, quindi li sollevò al cielo. Be', che dire? Avete un modo tutto vostro per risolvere la situazione, comunque vi ringrazio, dei!
Evitò con accuratezza lo sguardo furente di Nnoitra. Adesso
l'avrebbe detestata, come minimo, ma se non altro sarebbe stata al
sicuro. Quasi. Più o meno.
Davanti a lei, Grimmjow Jaegerjacquez abbozzò un sorriso compiaciuto.
Contesa tra la mantide e la pantera... proprio una gran botta di culo, non c'è che dire.
*******************
Prima fiction su Bleach, per cui vi prego di essere clementi :] questo
è un capitolo 'di apertura', spiegazioni più dettagliate
emergeranno più avanti.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** II. Vision Thing ***
seenoevilmodel
Aveva raccolto i più preziosi averi di Indar e li aveva spostati
nella propria stanza. Non aveva potuto prendere proprio tutto,
naturalmente – il vestiario, ad esempio, l'aveva lasciato dov'era
– perciò si era limitata a raccogliere gli oggetti a cui
Indar aveva tenuto di più: i suoi amati libri, i suoi appunti
personali, i diari che descrivevano ogni sua esperienza e persino
qualche antico codice. Aveva anche preso la sua selezione di rocce, il
suo orgoglioso assortimento di souvenir del Mondo Reale. Si trattava di
minerali che Rayen non aveva mai visto nell'Hueco Mundo, e più
li osservava più si chiedeva da dove accidenti fosse sorta
quella passione tanto strampalata. Cosa poteva esserci di tanto
interessante in una stupida pietra?
“Rayen, sapresti dirmi cos'è questo?”
“Ehm... un sasso?”
“No, sciocca, è un frammento di rubellite, un magnifico tipo di tormalina! Non è meraviglioso?”
“... Certo, Indar-san.”
“In
verità la bellezza dovrebbe essere rara, ma sembra che questo
minerale nel Mondo Reale sia piuttosto comune. Però in fondo
cosa importa? Non pensi anche tu che sia a dir poco affascinante? Non
sembra di tenere in mano un raggio di sole solidificato?”
Rayen ripensò all'entusiasmo di Indar, al suo perpetuo
positivismo, al modo in cui i suoi occhi scuri sembravano risplendere
come fiamme nere alla vista di un nuovo berillo, di un topazio o di una
condronite. Indar talvolta poteva apparire un poco infantile, ma era - era stato - un tipo sveglio ed energico, con una memoria fotografica e un'intelligenza acuta come la punta di un diamante.
Senza dimenticare il particolare che l'aveva reso decimo Espada: la furia.
Il suo spadone a due mani, per quanto grosso e pesante, le era sempre
sembrato leggero come una piuma nelle sue mani, mentre roteava
fulmineamente nell'aria e tracciava quasi con grazia i suoi
scintillanti archi di morte.
Se l'inferno fosse esistito, Indar avrebbe potuto esserne il guardiano.
II. Vision Thing
What do we need to make our world come alive?
What does it take to make us sing
While we're waiting for the next one to arrive?
One million points of light
One billion dollar vision thing.
Vision Thing - Sisters of Mercy
Un
salmone, con una corona infilata al collo e la coda avvinghiata attorno
ad una falce. Danza tra correnti invisibili, gli occhi vitrei fissi su
un nebuloso obiettivo, le pinne che ondeggiano ad ogni scatto del corpo
facendo sussultare l'affilata lama della falce; contro le lucide
squame, la corona risplende come un frammento di sole.
Il salmone, la corona e la falce. Il salmone, la corona e la falce.
Il salmone la corona la falce il salmone la corona la falce il salmone la corona...
Una forte esplosione
squassò l'aria, facendo trasalire Rayen. La ragazza Arrancar si
voltò di scatto verso l'ingresso dei suoi appartamenti, e
scoprì che la porta non c'era più: era stata
violentamente scardinata da un calcio ben assestato, e ora giaceva in
pezzi sul pavimento a parecchi metri di distanza.
“Ma che diavolo...”
mormorò tra i denti, prima di vedere una sagoma alta e possente
entrare dall'ingresso sfondato.
“Alla
buon'ora, Fie! Quando il superiore chiama, il Nùmero deve
scattare al suo comando come un cane ammaestrato.” Grimmjow
torreggiava sopra di lei, le mani in tasca, le sopracciglia inarcate in
un misto di sorpresa e scocciatura. “Be', che cazzo stai facendo distesa per terra? Alzati.”
Rayen si tirò lentamente su, la testa appesantita da un vago
malessere. Era sempre così, quando arrivavano i Focus: veloci e
improvvisi, le piombavano addosso quando meno se l'aspettava e la
colpivano con la forza di un manrovescio mentale. La maggior parte
delle volte, lei aveva appena il tempo di rendersi conto di quello che
stava succedendo che si ritrovava stesa per terra col cervello alla
deriva.
“Scusa” borbottò, spazzolandosi gli abiti e rimettendosi in piedi. “Ogni volta che appare un Focus, è come se venissi drogata.”
“Ogni volta
che appare cosa?” Le sopracciglia di Grimmjow s'incurvarono
ulteriormente, diventando assurdamente simili a fulmini azzurri.
“Un Focus” ripeté stancamente Rayen. “Sai,
uno sprazzo di futuro. Non sono così nitidi, però. Molte
volte sono un vero casino da interpretare.”
Questo sembrò accendere
in Grimmjow un palpito d'interesse. “Perciò hai appena
avuto una di quelle tue visioni, giusto? E cos'hai visto?”
“Oh,
nulla di particolare...” Era un Focus troppo confuso, e si
sarebbe sentita davvero stupida a raccontare una visione così
poco coerente a colui che adesso era il suo nuovo leader. Oltretutto,
le costava sempre un grosso sforzo descrivere i propri Focus, non solo
perché erano difficili da spiegare, ma anche e soprattutto
perché condividerli con qualcuno era come condividere un pezzo
della sua stessa anima. Le uniche persone ad aver effettivamente
ascoltato un Focus dalle sue labbra erano state Indar e Aizen, e se
fosse stato per lei, neppure Aizen avrebbe dovuto sentirlo. “Per
la cronaca, comunque, tu cosa ci fai qui? Credevo avessi un'adunanza,
una missione o qualche altro impegno da Espada.”
Grimmjow si strinse nelle
spalle. “Per il momento non c'è molto da fare. Ulquiorra e
Yammy hanno fatto un salto nel Mondo Reale, e dobbiamo aspettare il
loro resoconto prima di cominciare a stendere che un piano d'attacco.
Anche se scommetterei la mia Zanpakuto che Aizen ha già
progettato tutto.”
Il repentino cambio d'argomento tranquillizzò Rayen, ma il
sollievo durò poco: un attimo dopo, infatti, Grimmjow prese a
ficcanasare senza ritegno per i suoi appartamenti.
“Ehi,
che cavolo stai facendo?” protestò Rayen, parandoglisi
davanti e cercando di bloccarlo. “Questa è violazione
della privacy!”
L'Espada
la spinse di lato, apparentemente senza il più piccolo sforzo.
“Sono il tuo superiore, con me non devi avere segreti”
replicò serafico, prima di mettersi a scartabellare la sua
modesta biblioteca personale. La maggior parte dei suoi libri erano
stati parte del tesoro cartaceo di Indar: probabilmente il Manuale di ottica dei minerali alcalini non
sarebbe mai stato neppure sfogliato, ma Rayen non aveva cuore di
distruggerlo. Era un volume che Indar aveva apprezzato particolarmente.
Come la maggior
parte degli appartamenti delle Fracciònes, quello di Rayen non
era troppo sontuoso: una semplice camera squadrata alla quale era
annesso un piccolo bagno. L'ambiente principale era tagliato in altezza
da un soppalco di legno bianchissimo, su cui si trovavano un futon di
cotone grezzo e un vaso tondeggiante: dal vaso in questione
affiorava un grazioso acero tridente, con un tronco scuro come il
carbone e le foglie candide come la neve appena caduta. Nella parte
inferiore della stanza c'erano la biblioteca, la rastrelliera della sua
Zanpakuto e diversi mobili di mogano, incassati a forza contro le
pareti nivee. A coronare il tutto, una delicata spirale di lanterne in
stile Washi pendeva dal soffitto, avvolgendo l'appartamento in un
morbido chiarore ambrato.
“Un bel misto di orientale e occidentale, vedo.”
“Già, mi piace
fondere insieme stili diversi” tagliò corto Rayen,
seccata. “Ti spiacerebbe andartene, ora?”
Grimmjow le rivolse un
sogghigno, quindi si diresse verso una stretta porta bianca. “E
perché mai dovrei? … hmm, cosa c'è di qua?”
“È il bagno, stanne fuori!”
“Qual è il problema, hai un amante nascosto nella vasca?”
Rayen
attese impazientemente che finisse di sondare le stanze. La presenza di
Grimmjow la esasperava: possibile che fosse lui il suo nuovo Espada?
Be', meglio lui di Nnoitra, su questo non c'è dubbio.
Però
dentro di sé covava uno strano vuoto, un bruciante senso di
perdita. Certo, meglio lui di Nnoitra, ma almeno con se stessa doveva
essere sincera: il solo e unico Espada che desiderava avere al suo
fianco, in quel momento, era Indar Oroitz. Era stato un compagno di
viaggio e un prezioso alleato, e per diversi, lunghi anni era stato il
suo migliore amico. Era lui che voleva, e nessun altro.
Il pensiero che Indar non esisteva più la torturava.
“Fie.”
Rayen
nascose gelosamente ogni traccia di emozione e si voltò verso
Grimmjow. L'Espada aveva staccato la sua Zanpakuto dalla rastrelliera e
ora la stava esaminando con occhio critico. Era una katana lunga e
sottile, venata di contorti fregi spiraliformi che s'arricciolavano con
eleganza attorno all'elsa per poi risalire lungo la lama. Sul codolo
era inciso un minuscolo quadrifoglio nero, e l'impugnatura di magnolia
terminava in due sottili nastri blu zaffiro orlati di filigrana
d'argento.
Nel guardare la propria spada, Rayen provò una strana fitta. “Rimettila al suo posto” disse, più brusca di quanto non intendesse essere.
“Altrimenti?”
soffiò Grimmjow in tono di scherno. Tra le sue mani grandi e
callose, la Zanpakuto di Rayen non appariva più temibile di uno
stuzzicadenti. Infastidita, la ragazza si rese conto che, benché
non fosse bassa di statura, la sua fronte arrivava a malapena a
sfiorare il mento dell'Espada.
“Altrimenti...”
cercò in fretta una minaccia adeguata, ma prima di poterla
esprimere a parole Grimmjow la interruppe.
“Non
sprecare fiato, Fie, sai benissimo che non riusciresti a farmi un
graffio senza finire cremata viva. Dimmi, piuttosto... ho saputo che tu
e Oroitz siete stati insieme a lungo.”
“Una trentina di anni umani, più o meno.”
Grimmjow
rimise la Zanpakuto nel suo fodero. Per un attimo sembrò assorto
nei suoi pensieri, quasi meditabondo, poi sul suo volto balenò
la solita arroganza di sempre.
“Non
aspettarti da me lo stesso atteggiamento cavalleresco di Oroitz. Non
m'importa se la mia Fracciòn è un uomo o una donna, per
me siete tutti uguali, tutti asservite allo stesso scopo. Ora
appartieni a me, sei un semplice strumento nelle mie mani.”
“Indar non si è mai fatto problemi a riguardo” ribadì Rayen.
“Forse no, ma ti ha
abituato comunque troppo bene per i miei gusti.” Grimmjow
s'accigliò, guardando con severità la sua nuova
Fracciòn. “Io non ti tratterò coi guanti, e se
necessario non mi farò scrupoli a mandarti in un attacco
kamikaze. E tu mi obbedirai. Voglio che la cosa sia ben chiara.”
Rayen si morse il labbro a sangue e contò mentalmente fino a dieci. “Lo è, non preoccuparti.”
“Buon per te.”
Grimmjow scrollò le spalle e fece per uscire dalla stanza. A malincuore, Rayen si costrinse a richiamarlo. “Ehi?”
L'Espada si girò. “Che c'è?”
La
riluttanza artigliava la ragazza e le parole le rotolarono fuori dalla
bocca come pietre ruvide. “Grazie. Voglio dire, per aver impedito
a Nnoitra di prendermi. L'ho... apprezzato.”
Al di sotto della mascella
Hollow che gli bordeggiava la guancia, un mezzo sorriso
attraversò le labbra dell'Espada. “Mi devi un favore, Fie.
Dopotutto, scommetto che preferisci 'Grimmjow-sama' a 'Nnoitra-danna',
no?”
“Be'...”
“Non
avevo dubbi. Per ora guardati le spalle e lucidati bene il filo della
Zanpakuto: per quel che ne sappiamo, Aizen potrebbe inviare noi a Las
Lloras per quelle maledette investigazioni.”
Rayen aspettò che il
sesto Espada se ne andasse definitivamente, quindi si concesse un
sospiro di sollievo. Grimmjow la innervosiva, non poteva negarlo, e la
innervosiva ancora di più il fatto di essere in debito con lui:
per quello che ne sapeva, non era certo il tipo da mettersi così
in gioco senza essere sicuro di ricevere un degno tornaconto. Ma le
bastò pensare alla faccia cupa e lasciva di Nnoitra
perché la sua diffidenza si sciogliesse: se non altro, Grimmjow
le aveva impedito di toccare il fondo.
*******************
Inizio a
divertirmi! Non sarà il più eccelso capolavoro mai
scritto su Bleach, ma mi aiuta a svuotare la testa e a scaricare le
tensioni. Sì, credo proprio che continuerò ad assillarvi
con quest'assurda fiction :p
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** III. Reflections ***
seenoevilmodel
Un salmone, una corona e una falce.
Il Focus la ossessionava. Ci pensava di continuo, mentre lucidava la
spada, mentre se ne andava a zonzo per i candidi corridoi di Las Noches
e persino mentre cacciava. Il suo infallibile istinto di veggente le
sussurrava che non si trattava di una visione qualunque: questa non era
solo importante, era fondamentale.
Era la chiave a quella nuova minaccia, la scia che l'avrebbe condotta fino all'assassino di Indar.
Indar-san.
Bastava il pensiero dell'amico a procurarle una dolorosa fitta al
cuore. Se solo l'avesse avuto ancora al suo fianco... lui di certo
avrebbe trovato una soluzione. Intelligente com'era, le avrebbe
senz'altro decantato una delle sue leggendarie perle di saggezza e poi
l'avrebbe aiutata a decifrare quei tre simboli. Se ci pensava, la
ragazza Arrancar si sentiva sprofondare: non le era mai capitato un
Focus tanto contorto, né aveva mai desiderato tanto
disperatamente il supporto del decimo Espada.
III. Reflections
I've been feeling so uncertain
Since the day you left my life
Now I'm standing at che crossroads
No directions left to go.
Farewell my Love – Lunatica
L'eterno firmamento che risplendeva sull'Hueco Mundo sembrava
più vivido che mai, come una rete di perle e diamanti intessuta
contro un cielo di cupo onice. Rayen inspirò a fondo,
assaporando il delicato profumo del deserto e beandosi della sensazione
di libertà e di infinito che esso le trasmetteva. Quello che
riempiva i suoi polmoni era l'odore del silenzio e della notte perenne,
l'odore della morbida oscurità mai intaccata dai crudeli raggi
del sole, l'odore degli Hollow più deboli acquattati sotto la
sabbia e l'odore dei predatori alla loro perpetua ricerca.
C'era chi trovava nel deserto un rifugio, chi lo considerava un
territorio di caccia e chi si era ormai rassegnato a vederlo solo come
una tomba. Tra quelle dune bianche come le ossa esisteva solo una
legge: mangiare o essere mangiati.
C'era qualcosa di straordinariamente puro e onesto nella semplice legge della natura,
rifletté Rayen, scendendo da una duna e inoltrandosi verso le
grandi distese meridionali. Era una zona poco battuta, in cui
generalmente s'incontravano solo incaute lucertole Hollow... le cose
più viscide e ripugnanti che Rayen avesse mai avuto la sfortuna
di assaggiare.
Di solito, gli Hollow minori non si avvicinavano troppo a Las Noches, a
meno di non covare forti istinti suicidi: a nessuno piaceva l'idea di
incappare in un Arrancar affamato. Prima di imbattersi in Indar, anche
Rayen aveva sempre evitato rigorosamente la città, perfino prima
che Aizen ci mettesse le mani sopra e detronizzasse re Barragan.
Barragan!
Rayen si immobilizzò, attraversata da un'illuminazione. E
se il Focus fosse stato riferito al vecchio re? La corona era il
simbolo della regalità, dopotutto... e la falce avrebbe potuto
rimandare alla morte, sì.
Ma che diavolo c'entrava il salmone?
Attenzione, signore e signori, qualcuno sta progettando di uccidere re Barragan a pesci in faccia.
La ragazza sbuffò e andò a sedersi tra le radici di un
albero nero e scheletrico, l'unico visibile nel raggio di diverse
miglia. Non era particolarmente affamata, quella sera; anzi, a dirla
tutta non lo era per niente. Non aveva mai avuto meno voglia di andare
a caccia. A gambe incrociate, si premurò di tenere una mano
appoggiata all'elsa della sua Zanpakuto, ma era abbastanza sicura che
nessuno l'avrebbe disturbata.
Tanto per cambiare, la sua attenzione scivolò inevitabilmente
verso il Focus. Non capiva proprio come i vari pezzi potessero
incastrarti. Era così importante che il pesce fosse un salmone e
non ad esempio una trota? La corona poteva simboleggiare la
sovranità, il potere, ma forse si riferiva anche ad una banale
forma di autorevolezza. E la falce? Raffigurava davvero solo la morte?
O c'era sotto qualcos'altro?
Rayen rimpianse l'assenza di Indar. Di certo lui e i suoi neuroni
sempre in quinta avrebbero saputo ipotizzare almeno una risposta
plausibile... una risposta che non comprendesse pesci in faccia e
idiozie del genere. Ma non era solo la sua intelligenza a mancarle: era
tutto il resto, la sua gentilezza, il suo zelo, la sua sottile ironia.
La ragazza si abbracciò le ginocchia, amareggiata. La
tranquillità di Hueco Mundo era un balsamo per i suoi pensieri
aggrovigliati. Gli Arrancar potevano soffrire fisicamente, questo era
ovvio, ma potevano soffrire anche psicologicamente? In tutta
sincerità, non si era mai posta il problema: nel suo piccolo
universo personale non aveva mai subito ferite morali. Da Adjucha aveva
conosciuto solo prede da cercare e predatori che cercavano lei, e non
si era mai fatta scrupoli a strappare l'anima a qualche Hollow
inferiore per non retrocedere alla forma di Gillian. In fondo, che male
c'era ad accettarsi per come si era, ad essere un demone in un mondo di
demoni? Non era né migliore né peggiore di tutti gli
altri.
O almeno, così aveva creduto, fino a quando non aveva incontrato Indar.
Indar... senza dubbio il demone più civile che avesse mai
calcato il suolo sabbioso di Hueco Mundo. L'unico Arrancar - ad
eccezione forse solo di Tia Harribel - che si preoccupava per i suoi
subordinati e che si curava di uccidere le sue vittime in modo rapido e
indolore, affinché non patissero più dello stretto
necessario.
Un Arrancar tanto compassionevole quanto temibile.
Aveva addestrato Rayen personalmente, sfiancandola con pressanti
esercizi all'arma bianca e insegnandole ogni trucco e colpo segreto.
Più anziano e più esperto di lei, veterano di infiniti
scontri, era stato un maestro paziente ma inflessibile, il tipo di
persona che ti costringe a ripetere la stessa tecnica più e
più volte fino a quando non è sicuro che tu l'abbia
imparata alla perfezione. E benché Rayen fosse una discreta
combattente, non le passava nemmeno per l'anticamera del cervello di
paragonarsi a Indar: perché non poche volte aveva avuto l'onore
di guardarlo in battaglia. E non c'era stata una sola volta, mentre
ammirava la danza mortale del suo spadone, in cui non fosse stata
felice che fosse suo alleato.
Erano stati insieme a lungo, molto a lungo... e nel lento scandirsi dei
secondi, nel silenzioso scorrere dei giorni, tra lei e Indar si era
formato un legame, un legame saldo come una catena d'acciaio sotto
l'eterna notte di Hueco Mundo.
Un legame che ora si era spezzato.
Per la prima volta da quando
aveva saputo della morte di Indar, Rayen accantonò ogni egoismo,
ogni scrupolo e ogni ritegno e si concesse un breve pianto
liberatorio.
*******************
Niente da dire, piccolo excursus tra i pensieri di Rayen. Alla prossima!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** IV. With the Daughters of Sin ***
seenoevilmodel
Si era rifugiata tra i
suoi libri, i suoi preziosi libri, il suo piccolo santuario di carta.
Non erano molti, perché i testi sulla chiaroveggenza si potevano
davvero contare sulla punta delle dita, ma spesso le loro pagine
ingiallite si erano rivelate determinanti per la soluzione di qualche
Focus. Con l'integrazione degli appunti di Indar, Rayen aveva sperato
di riuscire a fare un piccolissimo passo avanti, tuttavia non aveva
scoperto granché: solo che la corona poteva significare anche
influenza o eredità, e che il salmone era un pesce dalle carni
gustose che poteva produrre migliaia di uova e che andava a morire
nello stesso posto in cui era nato.
Nessuno di questi significati sembrava particolarmente azzeccato, anzi,
più si sforzava di capirci qualcosa, più la visione si
faceva ingarbugliata. Non sarebbe stato facile comprendere cosa volesse
sussurrarle quello strano Focus.
Ma prima di rimetterci mano, Rayen doveva risolvere un nuovo problema un po' più pratico...
IV. With the Daughters of Sin
Follow me through the night
We are sisters of the light
We are daughters of sin
We are laughter in the wind
Follow me through the night
We are sisters of the light
We are wild, we are free
Through the darkness follow me!
Sisters of the Light – Xandria
“Rayen Fie Oneiron, esci immediatamente da lì!”
“No!”
“Subito!”
“Mi rifiuto!”
“Razza di idiota, guarda che ci siamo solo Apache, Sun Sun e io...”
“Mila Rose, come diavolo fai a muoverti con disinvoltura con
questa roba addosso? Io non riuscirei nemmeno a uscire dal mio
appartamento!”
“Questo perché io ho imparato a valorizzare il mio bellissimo corpo.”
Mila Rose afferrò la porta del camerino (un oggetto a suo dire
essenziale, che aveva voluto a tutti i costi infilare nella propria
stanza) e la spalancò con un gesto sorprendentemente energico,
facendo quasi fare un balzo indietro a Rayen. La ragazza dai capelli
ramati assunse un vivace colorito bordeaux: quando aveva chiesto un
cambio di vestiario si era aspettata qualcosa di sobrio e, be', un
minimo coprente... non uno
stringatissimo corpetto vedo-e-non-vedo e una gonna fatta di veli
impalpabili, ancora più trasparenti delle ali di una libellula.
“Stai benissimo!” cinguettò Mila Rose, trascinandola
a forza fuori dal camerino e mostrandola ad Apache e a Sun Sun con un
sorriso orgoglioso, come se fosse stata un'opera da lei appena
scolpita. “Ragazze, non trovate anche voi che sia assolutamente
deliziosa?”
Apache era chiaramente sbigottita, e persino Sun Sun, di solito
così distaccata, lasciava trapelare un evidente sconcerto. Per
un attimo entrambe si limitarono a fissarla senza dire niente, poi
Apache recuperò la sua leggendaria spigliatezza.
“Dannazione, Mila Rose, non hai proprio un briciolo di
decoro!” strepitò la ragazza dai capelli blu, guardando in
cagnesco la sua compagna bruna. “Insomma, siamo serie: Rayen
deve andare in missione, non in un bordello. Possibile che tu non abbia
niente di meno sconcio, in quel tuo armadio da sgualdrina?”
“Sei solo invidiosa perché non hai le mie splendide
forme” la rimbeccò Mila Rose, scrollando indietro le
superbe chiome color cioccolato e piantandosi le mani sui fianchi.
Apache stava per lanciarsi al contrattacco, ma Sun Sun la anticipò.
“Oh,
piantatela, voi due” sospirò alzando gli occhi al cielo,
quasi a chiedersi cosa avesse fatto di male per meritarsi due compagne
tanto idiote. Ignorando del tutto le altre, si rivolse poi a Rayen.
“Mi dispiace, ma sei troppo alta per la mia taglia e per
quella di Apache, e i gusti stilistici di Mila Rose sono effettivamente
più discutibili. Potresti forse provare qualcosa di
Harribel...”
“Harribel-sama è una grande Espada, ma in fatto di
abbigliamento non è molto più sobria di Mila Rose”
borbottò Apache. “Lascia stare, Rayen. Significa che oggi
io e queste due cretine andremo a cercarti qualcosa in giro per Las
Noches, mentre tu se hai a cuore la tua reputazione cercherai di farti
vedere in giro il meno possibile. Okay?”
“Okay.” Rayen
non se la sentiva proprio di andarsene a spasso coi succinti abitini di
Mila Rose, né con la sua divisa lacera e stracciata: l'ultimo
allenamento con la Glotoneria di Aaroniero era stato un'autentica
ecatombe vestiaria, e non le era rimasta una sola divisa di riserva che
non avesse bisogno di un bel lavoro d'ago. “Mi fareste un gran
favore” aggiunse, rientrando nel camerino e infilandosi di nuovo
i resti della sua divisa – se non altro, coprivano più
quelli dei pezzi scelti da Mila Rose. “Vi risarcirò,
promesso.”
“Certo che lo farai” affermò Apache,
squadrandola severamente mentre si rivestiva. “Altrimenti ti
acciufferemo e ti daremo in pasto ad Allon. E non sto scherzando.”
Rayen fece un mezzo sorriso. “Vi tagliereste le braccia solo per punirmi? Che gentili, lo apprezzo molto.”
“Questo e altro, per te.” Il tono solenne di Mila Rose si
fece di colpo imbronciato. “Ma ti castigherei personalmente anche
solo per la tua totale assenza di stile. Oggi sceglieremo qualcosa di
raffinato e al contempo di provocante...”
“Ti ripeto che non deve andare a un bordello!”
“Chiudi il becco, Apache, è ovvio che questa povera
ragazza muore dalla voglia di sedurre Jaegerjacquez e portarselo in
camera!”
Rayen per poco non si strangolò con la sua stessa casacca.
“Jaegerjacquez?!” Apache sgranò gli occhi. “Ma sei pazza, Rayen? Quel tizio è uno psicopatico? Da quand'è che hai una tresca con lui?”
“Che? Ma no, no, assolutamente no!” protestò Rayen con fervore. “Col cavolo che lo voglio, io...”
“A noi puoi confessarlo, Rayen!” trillò Mila
Rose, cingendole le spalle con un braccio e scoccandole un sorriso
con aria complice. “O forse preferisci Starrk? O
Ulquiorra...”
“Ulquiorra ha il suo fascino” commentò quietamente
Sun Sun con la sua voce calma e dolce. “Non mi dispiace affatto,
lo ammetto. Ha sempre quell'aria così tenebrosa, così
enigmatica...”
“State scherzando? Il migliore è Tesla”
interloquì Apache in tono appassionato. “Secondo me anche
Nnoitra se lo vuole fare! Ah, se fossi io al suo posto, con un biondino
del genere come mio subordinato... l'avrei già trasformato da un
pezzo nel mio gigolò personale!”
Mila Rose ridacchiò. “E io avrei fatto lo stesso con Ggio
Vega, se fossi stata Barragan! Ma l'avete guardato bene, il ragazzo?
Sembra così fine, così delicato, come un tenero micino,
ma quando sguaina gli artigli... RAWR!”
Ma stanno scherzando, queste?!
“Pazzesco” bofonchiò tra sé Rayen.
Davanti a lei, le tre Fracciònes di Tia Harribel cominciarono un
accanito dibattito su chi fosse l'Arrancar più sexy di Las
Noches.
“Aizen-sama...”
Aizen si appoggiò allo schienale del trono, le sopracciglia
aggrottate. Conosceva bene quella voce bassa e roca, e sapeva quanto
fosse raro che in essa risuonasse una minima nota di turbamento... e
stavolta, nella voce di Tousen c'era ben più che semplice
turbamento. Una sgradevole premonizione adombrò Aizen.
“Cosa ti angustia, mio fedele Tousen?” chiese, in tono impassibile.
Tousen esitò. Un'esitazione infinitesimale, ma sufficiente a confermare i tetri sospetti di Aizen.
“Parla, Tousen. Cos'hai scoperto?” insistette, pur mascherando abilmente ogni sfumatura di emozione.
“E' l'assassino di Oroitz” disse Tousen asciutto. “Ha
riscosso un'altra vittima, una Fracciòn di Barragan rispondente
al nome di Avirama Redder. A ritrovarne il corpo è stato un suo
compagno, Parduoc; i due erano in perlustrazione presso la Foresta dei
Menos.”
“Grantz ha già analizzato le cause del suo decesso?”
Tousen
assentì. “E' stato ucciso da un'offensiva frontale, gli
è stato trapassato il cranio da parte a parte. Grantz sostiene
che il codice psichico impresso sulla ferita sia lo stesso presente su
Oroitz.”
Aizen strinse
impercettibilmente le palpebre. Chiunque fosse il misterioso omicida,
cominciava a mettergli un po' troppo i bastoni fra le ruote. E nessuno
poteva mettere i bastoni fra le ruote ad Aizen Sousuke senza essere
travolto dalla sua furia.
“Ciò
fa supporre che l'assassino agisca in proprio, e non per conto di
qualche oscura rete...” Un rapidissimo lampo di frustrazione gli
attraversò il viso. “Uccidere
una Fracciòn e soprattutto un Espada non è cosa da poco.
Com'è possibile che un simile Hollow non sia mai stato
individuato prima, Tousen? Una reiatsu così intensa dev'essere molto difficile da occultare.”
Tousen non rispose. In
tutti quegli anni di servizio, Aizen non l'aveva mai visto così
impotente. Dentro di sé si ripromise di eliminare l'omicida, o
meglio ancora porlo sotto il suo giogo: l'esperienza gli aveva
insegnato che un potente nemico equivaleva ad un potente alleato,
bastava trovare il modo di schierarlo dalla propria parte.
Ed era esattamente quello che Aizen aveva intenzione di fare.
*******************
Questo capitolo è assolutamente demenziale, probabilmente prima
di abbozzarlo ho fatto una full immersion oppiacea. Comunque, se
dovessi scegliere una theme song per Apache, Mila Rose e Sun Sun,
quella sarebbe senza dubbio 'Sisters of the Light' di Xandria... la
trovo perfetta per quelle tre.
..:: Shakuma92: si, la mia versione di Bleach è un po', ehm,
'distorta', e Aizen si riferiva agli Espada come 'brothers and sisters'
(da notare il 'sisters'... o Harribel vale per due, o qualche signor
Espada nasconde un piccolo segreto sotto quella divisetta!). Ehe,
naturalmente Rayen non riesce a divertirsi se non si pone obiettivi
impossibili xD e zio Nnoitra tornerà presto in scena...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** V. Soul Hunter: Corpses and Tea ***
seenoevil3
Apache, Sun Sun e Mila Rose avevano da poco consegnato a Rayen i
capi di vestiario. Grazie al cielo - o più probabilmente
all'influenza di Apache - non vi era nulla di particolarmente esagerato
o succinto: un top a collo alto, una gonna a metà coscia con due
strisce di stoffa più lunghe pendenti dai lati, stivali neri da
Arrancar alti fino al ginocchio. Qualcuno, forse Sun Sun, le aveva
procurato anche una larga cintura borchiata da stringere in vita e un
paio di guanti, che da un'estremità le arrivavano a
metà avambraccio e dall'altra coprivano solo il mignolo e
l'anulare. Ogni singolo indumento, ovviamente, era di un luminoso
bianco perlaceo.
Rayen aveva appena finito di provare la nuova divisa quando qualcuno
bussò alla sua stanza. Era un messaggero Adjucha, un umanoide
gracile e deforme, col volto quasi completamente coperto da un elmo
osseo. Aveva una voce incerta e raspante, ma in qualche modo
riuscì a comunicarle che Grantz-sama l'attendeva nel suo
laboratorio.
Lì per lì, Rayen ne rimase sorpresa: Szayel Aporro Grantz
non aveva mai dato segno di sapere della sua esistenza. Si erano
scambiati qualche parola forse un decennio prima, quando un Hollow
velenoso aveva morso Rayen e lei s'era ritrovata pericolosamente vicina
all'intossicazione, ma a parte quello non avevano mai avuto altre
occasioni per conoscersi. Dopotutto, le dimensioni di Las Noches erano
notevoli e Grantz trascorreva la maggior parte del tempo infossato nel
suo laboratorio.
Cosa poteva dunque volere da lei Grantz? Doveva essere successo
qualcosa di serio... e Rayen nutriva l'infelice sospetto che quel
qualcosa fosse legato al Cacciatore d'Anime.
Il Cacciatore d'Anime: era
così che avevano ribattezzato il misterioso assassino che da
qualche tempo affliggeva Hueco Mundo. Arrivava, colpiva e spariva di
nuovo, veloce e tagliente come una raffica di vento. E come il vento
era elusivo, inafferrabile, al punto da spingere molti Hollow a
chiedersi se non si trattasse di qualche oscura congettura di Aizen,
magari mirata ad eliminare i migliori fra loro senza scatenare una
rivolta. In effetti, bisognava ammettere che non c'erano prove concrete
dell'esistenza del Cacciatore... ad eccezione, naturalmente, della sua
macabra collezione di vittime.
V. Soul Hunter: Corpses and Tea
End of passion play, crumbling away
I'm your source of self-destruction
Veins that pump with fear, sucking darkest clear
Leading on your deaths construction
Taste me you will see
More is all you need
Dedicated to
How I'm killing you...
Master of Puppets – Metallica
Quel giorno Grantz non era certo
un bello spettacolo: aveva la veste sporca e spiegazzata, gli occhi
cerchiati da spesse ombre scure e i capelli color confetto tutti
arruffati, come se una spettrale gallina avesse passato l'ultima
settimana a covargli sul cranio. Se Rayen avesse visto Grimmjow
conciato in quel modo non si sarebbe allarmata granché, ma tutti
a Las Noches conoscevano la cura maniacale che Grantz impiegava
nell'agghindarsi. Il turbamento crebbe dentro di lei, piantando le
radici velenose nella sua pancia. Cosa poteva essere accaduto di tanto
grave da destabilizzare persino l'impeccabile Grantz?
Alla comparsa della giovane, le
labbra sottili dello scienziato si tesero in quello che avrebbe voluto
essere un sorriso, ma che venne fuori come una specie di smorfia
distorta.
“Salve, Fie Oneiron, ti stavo aspettando. Entra.”
Lui si fece da parte per lasciarla
passare. Rayen mosse qualche passo guardingo nel suo laboratorio, ma
quasi subito si fermò, sconvolta. Sembrava che la stanza attorno
a lei fosse stata investita da un uragano: ovunque guardasse non si
vedevano altro che cumuli di libri, pagine strappate, matracci e vari
pezzi di vetreria. Angoli e pareti sparivano dietro scaffali su
scaffali strapieni di documenti, complessi impianti meccanici e
gli strampalati macchinari dall'aria poco raccomandabile. A completare
il quadretto, inquietanti sbuffi di gas uscivano qua e là dal
soffitto, increspandosi e attorcigliandosi su se stessi come eterei
serpenti di brina.
“Grantz-sama...?”
“Le ricerche sul Cacciatore
d'Anime hanno assorbito ogni stilla del mio tempo” la interruppe
a lui a mo' di giustificazione, guidandola faticosamente attraverso il
dedalo di vetro e carta. “Prego, da quella parte... attenta a non
danneggiare l'ebullioscopio, è delicato...”
Rayen non aveva idea di cosa fosse
un ebullioscopio, quindi si limitò ad evitare il contatto con
qualunque oggetto sconosciuto. In qualche modo, tra una contorsione e
l'altra, i due Hollow riuscirono a raggiungere un'ampia porta ovoidale.
Dietro di essa si apriva una stanza squadrata, più piccola ma
infinitamente più ordinata del laboratorio principale. Il
mobilio era essenziale: due sedie a schienale alto, un tavolo - su cui
facevano bella mostra di sé una serie di fiale, ampolle e
barattoli pieni di strane cose contorte, di natura indefinita - e al di
là di esso una grassa poltrona imbottita. Le pareti e il
pavimento erano di un candore abbacinante.
Grantz fece accomodare Rayen, che prese cautamente posto su una delle sedie.
“Non essere sgarbato,
Medazeppi, offri del tè alla nostra ospite” latrò
lo scienziato ad una sfortunata Fracciòn di passaggio, prima di
andare a sedersi davanti alla ragazza. “Tornando a noi,
gradirei porti un paio di domande, Fie Oneiron, a cui mi spero mi farai
la compiacenza di rispondere. Potrebbe rivelarsi proficuo per i miei
studi, e di riflesso anche per la protezione di Las Noches.”
Cosa posso sapere che voi non sappiate già? Rayen aggrottò la fronte, ma acconsentì. Non poteva fare altro.
“Innanzitutto, ritengo opportuno aggiornarti sulla situazione. Ti consiglierei
però di non farne parola ad alcuno, neppure a Jaegerjacquez o ad
altri Espada: ci penserà Aizen-sama ad informarli, alla riunione
di domani, senza bisogno di indesiderati portavoce.” Nonostante
il dolce color miele, lo sguardo dell'Ottava Espada rifletteva una
calma gelida, spietata. Il messaggio era chiaro: vedi di obbedire o ti
faccio esplodere gli organi interni uno ad uno.
“Ricevuto” disse Rayen con un filo di voce.
“Brava ragazza.”
Grantz distese le labbra in un lento, indecifrabile sorriso,
dopodiché si raddrizzò gli occhiali. “Come ormai
saprai, da qualche tempo a questa parte Las Noches è stata presa
di mira da una spregevole entità senza nome, conosciuta dal
volgo con lo pseudonimo di 'Cacciatore'. Tra le sue vittime attualmente
si contano l'Espada Oroitz, tre Nùmeros e venticinque Exequias.
Trentun Hollow massacrati, e senza un solo indizio concreto che ci
possa condurre al loro assassino.”
Il nervosismo divenne rapidamente
sgomento. Quindi la cosa che aveva ucciso Indar era ancora in giro.
Prima che potesse aprire la bocca per ribattere, comunque, la
Fracciòn di nome Medazeppi giunse trotterellando fino al tavolo
e vi posò sopra un vassoio, contenente una teiera e due tazze di
fattura pregiata. Una volta versato il tè nelle tazze, Medazeppi
scivolò via con la stessa silenziosa diligenza con cui era
arrivato.
Grantz cominciò a
sorseggiare lentamente la bevanda bollente. Rayen si costrinse a
inghiottire a sua volta due sorsi, più per non apparire scortese
che per altro. Quando si chinò verso la tazza, alle sue narici
giunse un sottile profumo dolciastro, stucchevole.
“Mi sono permesso di
esaminare i cadaveri” continuò poi Grantz, mellifluo.
“E ho notato un dettaglio piuttosto interessante, che si ripete
in ciascun caso, come la firma di un serial killer. Ogni singolo
cadavere riporta una ferita alla testa, un taglio che attraversa il
cranio dallo scalpo alla nuca.”
Rayen rabbrividì impercettibilmente.
“Si direbbe che il
Cacciatore abbia voluto perforarne il cervello, o comunque qualcosa
collocato all'interno del capo. Ho assegnato a questi corpi il nome di
'Traspasados', per differenziarli da quelli ordinari. Secondo la mia
diagnosi, il codice psichico presente nella ferita non appartiene
né a uno Shinigami, né a un Hollow. Sono però
certo che l'assassino sia uno solo, dal momento che il codice è
sempre lo stesso in ciascun cadavere. E quello è un particolare
unico che varia da individuo a individuo, come le impronte
digitali.”
Il codice psichico... ah, dev'essere quella roba di cui ha parlato durante la riunione.
Rayen si sforzò di mantenersi concentrata sul Cacciatore e sulle
informazioni raccolte. Aveva la netta sensazione che, se si fosse
abbandonata al pensiero di Indar, di lì a poco si sarebbe
rannicchiata a piangere come una bambina. Il problema era che
più Grantz parlava, più si delineava nella sua mente
l'immagine di Indar disteso a terra in un lago di sangue, con la pelle
del colore della cenere e un orrendo taglio slabbrato sulla fronte.
L'immagine s'intensificò in modo quasi intollerabile.
Vedendo l'espressione della
ragazza, lo scienziato non poté resistere a scoccarle una
sarcastica frecciatina. “Forse avrei dovuto essere più
delicato, Fie Oneiron, sembri un po' pallida.”
“Sto benissimo” sibilò Rayen, serrando le mani a pugno. “Perciò stavamo parlando di questi... Traspasados...”
“Oh, sì.”
Grantz batté due volte le mani. “Lumina, Verona, portate
immediatamente l'esperimento N2.”
Una ventina di secondi dopo, due
tarchiati Fracciònes fecero il loro ingresso trascinando
goffamente una barella. Su di essa era disteso il corpo senza vita di
un Arrancar robusto e muscoloso, con lunghi capelli scuri e una pelle
del colore del bronzo.
“Avirama Redder!” Rayen non poté impedirsi di sussultare. “La Fracciòn di Barragan.”
“Sì, proprio
lui.” Il cinismo di Grantz era sconcertante: la sua voce suonava
neutra, piatta, quasi annoiata, come se il corpo di Redder non fosse
stato altro che un banale soprammobile. “Ora osserva con
attenzione, ragazza: oltre alla fenditura alla fronte vedi forse altre
ferite, o un qualsivoglia segno di lotta?”
Rayen dovette ammettere che in
effetti non vi era nient'altro. Nulla, nel corpo di Redder, suggeriva
che tra lui e il suo omicida si fosse svolto un combattimento.
“Come puoi vedere, non ha
nemmeno tentato di rilasciare la sua Zanpakuto. I casi sono due: o non
ha avuto il tempo di farlo, o non ha ritenuto essenziale rilasciarla
fino a quando non è stato troppo tardi. Se la seconda ipotesi
fosse vera, vorrebbe dire che il nostro uomo è ben diverso da
come appare.” Un semplice cenno, e Lumina e Verona portarono via
la barella e il suo triste contenuto.
Grantz intrecciò le mani di
fronte a sé con un sorriso sgradevole sulle
labbra. “Ottimo, e adesso che sei aggiornata sui nostri
risultati più recenti...” - certo, come se Aizen ora si
mettesse a raccontare i suoi segreti ad una misera Fracciòn -
“... forse potresti aiutarmi a chiarire un paio di punti ancora
piuttosto foschi. Prima di tutto, quand'è stata l'ultima volta
che hai visto Oroitz?”
Mi hanno piazzata in cima alla lista dei sospettati? Il viso di Rayen s'indurì. “Tre giorni prima che venisse ucciso.”
“E ti è sembrato in qualche modo diverso?”
“No, affatto.”
Soppresse a fatica il ricordo dell'ultimo sorriso di Indar, la curva di una stella cadente nella penombra del suo appartamento. “Non c'è bisogno che tu venga con me, Ray, è solo un banale giro di ricognizione.”
Grantz si scostò
casualmente una ciocca rosata dalla fronte. “Aizen-sama mi ha
accennato alle tue curiose qualità... i 'Focus', se non erro. So
che è stato questo tuo dono a permetterci di debellare per tempo
una pericolosa aggregazione di Vasto Lorde prima che si fomentasse una
rivolta, ed è stato sempre grazie a un Focus che Aizen-sama ha
potuto prevedere l'arrivo dei ryoka.
Personalmente preferisco adottare metodi più scientifici, ma
persino io devo ammettere che queste visioni possono tornare
utili, in certe circostanze.” Scosse la testa e appoggià
il mento su una mano, osservando Rayen con espressione enigmatica.
“Dimmi, Fie Oneiron, hai ricevuto predizioni interessanti,
ultimamente? Informazioni che possano suggerirci una mossa futura, o se
non altro rivelarci dove colpirà la prossima volta il
Cacciatore?”
Rayen
detestava il modo in cui la fissava. Era il modo in cui un giocatore di
scacchi fissava un alfiere, domandandosi se sacrificarlo o no. La sua
libertà - se non fisica almeno mentale - era il suo tesoro
più prezioso e non aveva intenzione di farsi trattare come una
marionetta tra le mani degli Espada o di Aizen. In quel momento,
avrebbe voluto solo chiudersi la porta di quel laboratorio di
morte alle spalle e correre a perdersi nell'infinito grigiore senza
tempo del deserto.
Lo voleva, sì.
Ma non poteva. A tenerla
inchiodata a quel candido carcere c'era la speranza di poter in qualche
maniera migliorare le cose e (odiava ammetterlo) la paura di ritrovarsi
sola. Non si sentiva così schifosamente vulnerabile dai suoi
primi giorni come Adjucha. Se non altro, a Las Noches aveva Apache, Sun
Sun e Mila Rose, e anche Aaroniero, che era amico di Indar e che
infinite volte aveva combattuto al loro fianco. Entro un certo limite
apprezzava persino Grimmjow: dopotutto l'aveva salvata da Nnoitra,
almeno temporaneamente.
Senza contare il Cacciatore d'Anime. Il pensiero di diventare la prossima dei Traspasados la agghiacciava.
“Dunque?”
Rayen tornò sulla terra:
Szayel la stava ancora guardando a braccia conserte, con le
sopracciglia inarcate e una sottile ruga aleggiante tra le sopracciglia
rosa confetto. Be', se mai se ne fosse andata, lui non sarebbe stato
nella lista delle persone che le sarebbero mancate.
“I Focus non mi saltano
davanti al naso a mio piacimento” rispose, piano. “Non
posso anticiparli né controllarli, e anche quando arrivano non
sono sempre facili da decodificare. Forse Aizen-sama si sbaglia, a
nutrire aspettativa verso qualcosa di così instabile.”
“Capisco...” Grantz
tacque per alcuni istanti, poi aggiunse: “Ma non dubitare mai di
Aizen-sama, Fie Oneiron. Le sue ragioni non sono mai
immotivate.”
Lo so, si disse la ragazza stizzita, è proprio per questo che lo voglio il più lontano possibile da me.
Grantz
non le staccava lo sguardo da serpente di dosso. Lei intuì che
non gli importava assolutamente nulla dei Focus in sé, ma il
fatto di non riuscire a sostituirli né a trovare una spiegazione
logica lo uccideva. Era un onta, per il suo intelletto superiore, non
poter comprendere il potere di quella che ai suoi occhi era una
ragazzina un milione di volte più giovane, inesperta e ignorante
di lui.
Lei si agitò sulla sedia, a disagio. “Be', ci sono altre domande?”
Un sorriso lezioso parve
congelarsi sulle labbra dell'Espada, che finì il suo tè e
appoggiò la tazza sul bordo del tavolo. “Per il momento
sì.”
Rayen tirò un sospiro di
sollievo. S'aspettava che l'interrogatorio fosse molto più
lungo. Mentre si alzava in piedi, per un rapidissimo attimo le
sembrò che il tè nei fondi di porcellana si fosse
addensato, scurito, fino a diventare del rosso pieno e pastoso del
sangue, ma non appena batté le palpebre la bevanda tornò
della sua solita trasparenza verdognola. Quando fece per uscire dalla
stanza, tuttavia, Grantz la fermò.
“Naturalmente confido nel
fatto che, casomai dovessi avere nuove predizioni, me ne metterai
subito al corrente. E... Fie Oneiron?”
La Fracciòn si voltò rigidamene. “Sì, Grantz-sama?”
Il volto di Grantz s'era fatto
marmoreo. “Se la piega presa dagli eventi dovesse peggiorare, e
scoprissi che tu vi eri in qualche modo coinvolta... sappi che ti
userò come cavia per il mio più recente esperimento, la
droga sarcofaga. E non sarà affatto piacevole.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** VI. Transgression ***
Non
sapeva nemmeno lei perché fosse lì. Forza
dell'abitudine,
probabilmente: quando Indar tornava da una riunione, Rayen si recava
sempre da lui per carpire le ultime notizie e discutere dei piani
futuri. Non che lei progettasse di dividere grandi piani con
Grimmjow, sia chiaro; era solo curiosa di sapere come fosse andata la
missione di Ulquiorra e Yammy nel Mondo Reale e se davvero quello
Shinigami Delegato fosse speciale come raccontavano, e soprattutto
voleva scoprire cos'altro stesse programmando Aizen.
Aizen.
Bastava quel nome a farla impazzire.
Non
lo detestava per un motivo specifico, si limitava a disprezzarlo per
il rozzo modo in cui abusava del suo potere e per la
facilità con
cui disponeva delle loro esistenze.
Aizen,
colui che teneva le loro vite appese a fili di brama e terrore, colui
che li manovrava senza sforzo come il più abile dei
burattinai. E
cos'erano loro, se non marionette piegate alla sua volontà?
Che
genere di resistenza avrebbero potuto opporre, contro un individuo
simile?
Mostra
un briciolo di avversione, e quello è capace di annientarti
seduta
stante.
No,
per il momento Rayen avrebbe aspettato. L'unico suo asso nella manica
era la visione dei Focus, ma era un'energia così labile e
incerta...
decisamente troppo instabile per permetterle di diventare qualcosa di
più di una pedina nella partita giocata tra Hueco Mundo e
Soul
Society. Nelle sue attuali condizioni, uccidere Aizen andava ben al
di là della sua portata.
E
come se non bastasse, c'era il Necroforo di cui preoccuparsi. Rayen
non sapeva chi fosse, quando comparisse, come uccidesse le vittime o
perché lo facesse: sapeva solo che se non si fosse spicciata
a
decifrare quel dannato Focus la lista di omicidi si sarebbe allungata
ulteriormente.
E
ciò non rientrava tra i suoi desideri.
VI. Transgression
If
you feel
so empty
So
used up, so let down
If
you feel so angry
So
ripped off, so stepped on
You're
not the only one
Refusing
to
back down
You're
not the only one, so get up
Let's start
a riot, a riot.
Riot - Three Days Grace
“Grimmjow?”
Dopo
un'esitazione infinitesimale, Rayen si decise a bussare alla porta
del suo appartamento. Per un lungo attimo vi fu silenzio, poi la
porta si socchiuse e dallo spiraglio creato si intravvide il profilo
del sesto Espada. Un paio di inquietanti occhi azzurri si socchiuse.
“Grimmjow-sama”
scandì Grimmjow. “Dovresti mostrare più
rispetto al tuo Espada,
Fie.”
“Okay,
Grimmjow-sama.” Rayen si
assicurò di aggiungere nell'ultima
parola la giusta punta di sarcasmo. “Posso entrare?”
“E
se ti rispondessi che se t'azzardi a entrare ti incenerisco?”
“Era
una domanda retorica.”
Grimmjow
emise uno strano suono, a metà tra un grugnito e uno sbuffo.
“Entra,
di' quello che devi dire e togliti dai piedi. Non ho tempo da perdere
con te.”
A
quanto pareva, Grimmjow aveva già degli ospiti: i suoi
cinque
Fracciònes erano sparpagliati qua e là per la
stanza, chi
spaparanzato su un tozzo divano semisfondato, chi disteso sul
tappeto, chi appoggiato al muro. All'entrata di Rayen, Edrad Liones
s'affrettò a nascondere una rivista di dubbio gusto sotto
uno dei
cuscini del divano, ma non prima che la ragazza riuscisse a scorgere
di sfuggita un seno prosperoso.
Ne
fu insieme indignata e divertita.
“Rayen.”
Shawlong Kufang si staccò dalla parete e le rivolse un breve
cenno
di saluto col capo, con la tranquilla compostezza che gli era tipica.
“Non ci aspettavamo una tua visita.”
Rayen
increspò le labbra in un mezzo sorriso. “Ciao,
Shawlong. Sono
venuta solo per sentire com'è andata la riunione e cosa
racconta
Aizen, poi prometto che levo le tende.”
Un
lieve tonfo risuonò alle sue spalle: Grimmjow aveva richiuso
la
porta.
“Come
ho appena finito di dire, la riunione è stata proficua come
un pugno
in faccia” chiosò in tono seccato.
“Ulquiorra e Yammy sono
rientrati poco fa dal Mondo Reale, e naturalmente non sono neppure
riusciti a far fuori un bastardello e la sua patetica compagnia...
non che ci si possa aspettare molto da uno stronzo apatico come uno
zombie e da un grosso idiota senza un grammo di materia grigia. Mi
domando come faccia Aizen a fidarsi ancora di loro... deve proprio
avere gli occhi foderati di prosciutto.”
C'è
da chiedersi chi sia più orbo, tra lui e Tousen...
Ovviamente,
come tutti gli altri Nùmeros, Rayen teneva per sé
le critiche e le
battute su Aizen, consapevole del fatto che una singola nota di
ironia avrebbe potuto costarle un arto o direttamente la vita, e non
le garbava l'idea di essere mutilata o uccisa per via di un
banalissimo scherzo. L'unico che pareva prendersi un po' più
di
libertà era Grimmjow, ma persino lui faceva attenzione a non
andare
mai oltre i limiti, non con tutti i fanatici come Loly, Menoly o
Ulquiorra che infestavano Las Noches come larve di mosca, pronti a
correre a spifferare ai loro superiori di ogni minimo barlume di
scherno o ribellione.
“Il
Necroforo ci causa abbastanza problemi anche senza l'aggiunta di uno
scocciante gruppo di Shinigami” continuò il sesto
Espada a voce
più bassa. “Perciò, dato che il nostro
cosiddetto capo sembra non
avere intenzione di alzare un dito, ho deciso di risolvere la
faccenda una volta per tutte: ci recheremo nel Mondo Reale di persona
e faremo piazza pulita di chiunque possa rappresentare una minaccia
per i nostri piani. Eliminati i soggetti scomodi, potremo occuparci
anche del Necroforo.”
I
suoi Fracciònes annuirono, qualcuno con attenta
circospezione e
qualcun altro con feroce entusiasmo. Approvavano tutti, tutti ad
eccezione di Rayen.
“Sicuro
che sia una buona idea?” chiese a Grimmjow con una certa
diffidenza. “Se Aizen non ha inviato una seconda squadra,
forse ha
un valido motivo per non volere gli Shinigami morti. O magari ritiene
che quello Shinigami Delegato sia meno...”
Una
violenta scarica di reiatsu la trapassò di botto, mozzandole
il
fiato in gola. Fu un colpo rapido ma brutale, come lo scatto di una
frusta, tanto forte che la ragazza dovette appoggiarsi al muro per
non crollare penosamente a terra. All'improvviso si sentiva
più
fragile di un rametto di salice, le gambe molli come spaghetti da
ramen.
“Non
dire stronzate, Fie” sibilò Grimmjow irritato.
“Aizen vuole
chiaramente vedere morti i suoi nemici. Tuttavia
per qualche
ragione protegge Ulquiorra... non credo si farebbe avanti per Yammy,
ma sospetto che il suo rapporto col pipistrello zombie sia ben
diverso da quello che manifesta in pubblico.”
“Ed
è per questo che perdona tanto facilmente i suoi
errori?” chiese
D-Roy Linker.
Grimmjow
si strinse nelle spalle. “Possibile, non posso affermarlo per
certo. Comunque, il problema degli Shinigami va risolto: bisogna
sterminare i parassiti prima che crescano e si fortifichino. Cosa ci
assicura che tra qualche anno quella società di bastardi non
si sia
rafforzata, magari assumendo qualche altro potere?”
“È
ragionevole” assentì Shawlong. “La
rapidità e la cautela
saranno necessarie, se vogliamo debellare gli Shinigami e coloro che
parteggiano per la Soul Society.”
“Ma
sarebbe meglio se D-Roy e la ragazza rimanessero qui”
suggerì
Edrad con fare sibillino. “È conveniente avere
qualcuno a coprirci
le spalle qui a Las Noches.”
A
tale affermazione, ci mancò poco che D-Roy Linker non lo
strozzasse
sul posto.
“Non
ci pensare neanche, Liones, io vengo con voi! Quando mai mi
ricapiterà, di poter uccidere qualche anima
vivente?”
“Non
fare l'idiota, D-Roy, ci saresti solo di peso.”
“Tu
ci sei di peso ogni stramaledetto giorno, eppure sfortunatamente sei
ancora tra noi!”
Ancora
indolenzita dalla dolorosa scarica di reiatsu, Rayen si tirò
su e
gettò uno sguardo inceneritore a Grimmjow: il sesto Espada
studiava
i suoi Fracciònes con aria soddisfatta, le mani
immancabilmente
affondate nelle tasche degli hakama. L'improvvisa
voglia di
strappargli dalla faccia quella compiaciuta maschera di spavalderia
stuzzicò la ragazza.
“Verrò
anch'io” interloquì ad alta voce.
Il
battibecco tra D-Roy e Edrad si interruppe, e sei sguardi sospettosi
si posarono su di lei.
“Dovremo
stare attenti a non farci localizzare durante il passaggio verso il
Mondo Reale, ma più alto sarà il nostro numero,
più possibilità
avremo di uccidere gli Shinigami senza rimetterci a nostra volta la
pelle” insistette Rayen.
Non
avrebbe avuto troppi problemi ad assassinare altre anime, non dopo i
severi insegnamenti del deserto di Hueco Mundo, il miglior maestro
mai esistito per quanto riguardava la complessa materia della
sopravvivenza. Era nel deserto che imparavi a soffocare ogni
scintilla di compassione e a colpire a sangue freddo, e Rayen lo
sapeva bene, così come lo sapevano le altre cinque persone
presenti
in quella stanza.
'Persone'
forse è un eufemismo... in fondo siamo pur sempre demoni,
esseri che
hanno ammazzato migliaia e migliaia di Hollow pur di conservare un
minimo di individualità.
Un
pensiero che avrebbe forse nauseato un umano, ma l'umanità
di Rayen
era morta da un pezzo.
Davanti
a lei, Grimmjow fece mostra di riflettere. Non sorrideva
più, ma
sembrava che tutto sommato l'idea non lo infastidisse.
“D-Roy
e Fie verranno con noi, entrambi” concluse infine,
attirandosi la
sorpresa generale. “Adesso preparatevi, partiremo esattamente
fra
un'ora e mezza... e ricordatevi di nascondere con cura le vostre
reiatsu, perché carbonizzerò personalmente
chiunque si lasci
cogliere in flagrante.”
ﬓﬔﬕﬖﬗﬓﬔﬕﬖﬗ
Scusate la lentezza, ma studio,
prove e casini vari mi stanno letteralmente soffocando :( che
dire... spero vi piaccia! ^^ alla prossima, gente!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** VII. Cry of the Owl ***
Il
pensiero di incorrere nelle ire di Aizen non la stimolava
granché,
ma non poteva resistere alla tentazione che Grimmjow le aveva
lanciato: violare per un breve momento le salde regole dello
Shinigami, ignorare la sua autorità, agire di testa propria
senza
curarsi del suo giudizio. Era una libertà dal sapore
proibito,
un'occasione troppo esaltante per lasciarsela scappare, un sottile
piacere che non poteva negarsi.
Nel
suo piccolo, persino una marionetta era in grado di spezzare la
ferrea sorveglianza del burattinaio.
Senza
contare che finalmente avrebbe avuto la possibilità di
dimostrare ai
suoi nuovi compagni quale fosse la sua vera forza. Nessuno avrebbe
più dubitato di lei, ne era certa... non dopo che avesse
provato una
volta per tutte quanto potesse essere d'aiuto alla Fracciòn.
VII.
Cry of the Owl
When
they come, I'll be ready
I hear their voice inside
The stars in the heavens are moving
Soon they will align.
Fight
Until We Die - Manowar
Il
Garganta squarciò la limpidezza del cielo notturno,
sbocciando sopra
Karakura come un terrificante fiore nero. In perfetto silenzio, senza
turbare la quiete cristallina della città, i
Fracciònes di Grimmjow
ne emersero uno di seguito all'altro e si librarono verso il punto
prestabilito: il sesto Espada li attendeva, appollaiato sul candido
tetto di un condominio.
“Siete
tutti qui?”
Sì,
c'erano tutti. Tutti e sei.
Rayen
si sentiva la testa stranamente vuota, come se fosse stata alticcia.
Non era la prima volta che visitava il Mondo Reale, ma era trascorso
un bel pezzo dall'ultima volta e tutto sommato non le dispiaceva di
trovarsi lì: era sempre gradevole vedere colori diversi
dalla
perenne bicromia bianconera di Las Noches, e l'aria, per quanto
contaminata e pesante, era pregna dell'inequivocabile odore della
vita, una sottile fragranza che ti strisciava nei polmoni e ti donava
l'effimera impressione di essere vivo a tua volta. Nella sua mente si
affacciarono alcuni piacevoli ricordi: in
un paio di occasioni, lei e Indar Oroitz avevano osservato gli umani
dall'alto – più precisamente dalla Taipei 101 e
dalle Torri
Petronas – e si erano cimentati in un'ardimentosa serie di
scommesse su chi sarebbe finito alla Soul Society e chi all'Hueco
Mundo.
Un
colpetto all'anca da parte di Nakim la riportò sulla terra:
Grimmjow
aveva ascoltato il breve resoconto di Shawlong sulle forze spirituali
presenti, e aveva appena ordinato loro di attivare il Pesquisa.
Rayen s'affrettò ad abbassare le palpebre e a cospargere i
propri
nervi con una pennellata di reiatsu, e nessuno
– o almeno
così sperò – fece caso al lievissimo
ritardo con cui obbedì al
comando.
Sensibilizzata
dalla Pesquisa, la sua mente tese i suoi tentacoli
spirituali
e andò a sfiorare diverse fonti di reiatsu...
una, due, tre,
cinque, sette...
Così
tante...! Riaprì
gli occhi, sorpresa. Attorno a lei, la tensione e il disprezzo parevano
imbevere l'aria.
“Quell'idiota
di Ulquiorra...” borbottò Grimmjow a denti
stretti. “Non poteva
ucciderlo e basta, quel Delegato, anziché aspettare che
ricevesse
rinforzi dalla Soul Society?! Stronzo proprio fino al midollo, non
c'è che dire. D-Roy, Shawlong, Edrad, Illforte, Nakim,
Fie...
andate; non trattenetevi e non perdete tempo a identificare gli
obiettivi. Chiunque abbia un briciolo di reiatsu...
uccideteli,
tutti quanti!”
Le feroci acclamazioni di Edrad,
D-Roy e Illforte gli fecero eco, appoggiate dalla muta approvazione di
Shawlong. Nakim se ne stava un po' in disparte, con le braccia
pacatamente incrociate sul petto e un'espressione calma e serafica
dipinta sul volto. Per un attimo, guardandolo, Rayen si chiese
quali pensieri frullassero nella testa di quel taciturno
Fracciòn, e quali oscure motivazioni avessero costretto la
sua anima a restare intrappolata a Hueco Mundo.
*******************************
È
sempre più vicino...
Rayen
assottigliò cautamente gli occhi, sfrecciando attraverso la
volta
notturna come un pallido fulmine bianco. La fonte di reiatsu da
lei scelta si trovava da qualche parte nelle vicinanze, la percepiva
più nitida di secondo in secondo.
La
Fracciòn atterrò su un tetto, scivolò
in perfetto equilibrio lungo
le sue tegole rossastre e spiccò un nuovo salto verso
l'edificio
successivo.
“Cerchi
qualcuno, Arrancar?”
Rayen
si voltò di scatto, a mezz'aria, e in un attimo
inquadrò
l'obiettivo: lo Shinigami era lì, inginocchiato sul
comignolo
dell'edificio accanto, con un sorriso ironico dipinto sulle labbra e
una mano posata sull'impugnatura della sua Zanpakuto. Era un tipo
singolare, dallo stile strampalato: corti capelli di un'esuberante
tonalità verde acido scintillavano sotto il fioco chiarore
lunare,
un contorto tatuaggio a volute si incurvava sulla sua fronte
spaziosa, un vistoso orecchino dai motivi geometrici pendeva dal lobo
del suo orecchio sinistro e andava ad articolarsi lungo il collo fino
a posarglisi sulla spalla muscolosa.
Questo
tizio farebbe sembrare normale perfino Aaroniero...
L'unica
cosa di assolutamente ordinaria, in lui, era la rigida divisa nera da
Shinigami. E quel dettaglio bastava e avanzava.
“Seishuu Chin,
Ufficiale di Quinto Seggio della Nona Divisione del Gotei 13”
si presentò lo sconosciuto, abbozzando un inchino
sarcastico. “Con
chi ho il piacere di parlare?”
La
ragazza Hollow serrò la mascella, infastidita.
“Rayen
Fie Oneiron, Diciassettesimo Nùmero di Aizen-sama.”
“Il
Diciassettesimo Nùmero?” Il sorriso di Seishuu si
fuse in un
sogghigno. “Sei superstiziosa, Arrancar?”
Rayen
sfoderò senza fretta la sua katana. “Io
sì, da morire. E tu?”
*******************************
Avevano
iniziato scambiandosi affondi e colpi di taglio piuttosto mediocri,
l'uno senza rivelare all'altro nulla delle sue reali
capacità, ma
ora lo scontro cominciava a scaldarsi: il ritmo accelerava, shunpo
e sonido si velocizzavano e il clangore delle lame
risuonava
più rapido, più violento, più
stridente. Ogni volta che le due
Zanpakuto si incontravano, dai loro fili acuminati traboccavano
torrenti di scintille, sottili unghie nivee che graffiavano le
tenebre della notte.
Era
come una danza di morte: un lieve tocco di qui, un soffio di
là,
lame che si sfioravano, si afferravano e si liberavano per poi
incrociarsi di nuovo. Una danza sofisticata e letale: chi avrebbe
perso il ritmo per primo sarebbe morto.
Per
essere tanto muscoloso, Seishuu mostrava una
sorprendente attitudine per l'agilità: non era pronto o
veloce
quanto Rayen, ma neppure goffo o insicuro. Ogni colpo era preciso,
calcolato, sferrato con la giusta gradazione di energia; in tutta
probabilità lo Shinigami si stava trattenendo per non
palesare il
vero raggio d'azione della sua forza fisica, e questo in attesa del
momento giusto per far esplodere tutto il suo potenziale in un'unica
mossa. Va bene, il trucco ora stava nel costringerlo
a scoprirsi.
Rayen
lo sollecitò gradualmente, con cautela e pazienza. Il severo
addestramento di Indar stava dando i suoi frutti: la sua Zanpakuto
saettava con facilità di fronte a lei,
giocava con quella avversaria, incalzava lo Shinigami senza
mai concedergli di perforare la sua difesa d'acciaio. Lentamente, il
vigore di un sempre più impaziente Seishuu
cominciò a riscuotersi,
come una bestia selvaggia di malavoglia risvegliata dal proprio
sonno.
Di
lì a poco questi iniziò a martellare di colpi
Rayen,
obbligandola letteralmente a fare salti mortali per pararli o
evitarli. Un fendente particolarmente veloce la colse quasi di
sorpresa, e mentre poneva di piatto la Zanpakuto per bloccarlo,
l'Arrancar intravvide un sogghigno compiaciuto increspare le labbra
dell'altro.
“Non
capisco perché siate venuti qui in massa, ma avete firmato
la vostra
seconda condanna a morte” motteggiò Seishuu.
“È stato
ingenuo da parte vostra credere che un pugno di Hollow potesse
vincere uno squadrone di Shinigami scelti. Mi dispiace, Arrancar,
temo che non potrò neppure permetterti di andare a
seppellire i tuoi
spregevoli compagni... comunque ti prometto che sulla tua tomba
inciderò un bel 17.”
Rayen
non rispose: la sua tattica di costringerlo a svelarsi aveva
parzialmente
funzionato, ma la pressione sulla sua Zanpakuto stava aumentando in
maniera allarmante; se non avesse fatto qualcosa, e in fretta,
Seishuu l'avrebbe tranciata in due.
Mi
conviene Rilasciare? O è ancora troppo presto?
Strinse
i denti, cercando disperatamente di resistere alla pressione senza
eseguire un Rilascio. Le ossa e i muscoli delle sue braccia
sembravano gemere, ma nonostante i suoi sforzi la Zanpakuto di
Seishuu continuava ad avvicinarsi al suo corpo, centimetro dopo
centimetro.
Al
di là delle lame incrociate, il sogghigno dello Shinigami si
allargò. Doveva essere uno spasso, per lui, vedere una
volgare Arrancar così in difficoltà.
“Nel tuo patetico
mondo di mostri succhia-anime non hai mai affrontato niente del genere,
vero? E pensare che io non sono altro che un Quinto Seggio! E' un
peccato però doverti uccidere, sai, stavo quasi cominciando
a simpatizzare con te. Se non fossi un'Arrancar mi potresti andare a
genio... Ma evidentemente non è il tuo giorno
fortunato.” Una ruga sottile si scavò sulla sua
fronte, ponendo in rilievo il tatuaggio a volute. “Si dice
che il canto di
una civetta inviti la sventura e annunci una morte prossima, lo
sapevi? Ute, Fukuroumaru!”
Rayen
dilatò gli occhi mentre la lama della Zanpakuto si accendeva
di un
vivido bagliore cremisi e nell'aria si levava un canto lamentoso,
acuto,
lacerante - quasi
peggiore di Loly sotto la doccia. Approfittando del
momento di gongolante soddisfazione di Seishuu, la ragazza
disimpegnò rapidamente la propria arma e si portò
a distanza di
sicurezza, schivando per un soffio il morso di una scintillante
frusta infuocata.
Il
suo Shikai,
constatò con un'assurda punta di divertimento osservando la
Zanpakuto di Seishuu, che ora serpeggiava
attorno al suo padrone tracciando arabeschi di fiamma. Be',
non credo che un novellino come lui conosca il Bankai, ma suppongo di
non potermi più permettere troppe leggerezze.
Abbozzò
un sorriso feroce, quindi impugnò la sua Zanpakuto a due
mani e la sollevò di
fronte a sé. A mali estremi, estremi rimedi.
“Erabe,
Trèbol!”
ﬓﬔﬕﬖﬗﬓﬔﬕﬖﬗ
'Fukurou'
significa civetta, mentre 'ute' è l'imperativo del verbo
cantare.
'Erabe'
è l'imperativo del verbo scegliere, stabilire (???)
E
rieccoci qui col settimo capitolo... coi combattimenti specifico subito
che sono uno strazio, per cui questa non sarà la migliore
battaglia Shinigami VS Arrancar. Hmm, pensavo che il cap venisse
più breve; a questo punto temo che zio Nnoitra non
salterà fuori prima del nono o del decimo :( vi ringrazio,
comunque, sono commossa dal numero di visite... però una
recensione non mi spezzerebbe il cuore, sappiatelo.
..:: Shakuma92: ahah grazie ^^
mi dispiace di non aver potuto caratterizzare meglio Seishuu, ma come
si intuisce il suo ruolo è un po' quello di carne da
macello. Sì, e mandare Rayen allo sbaraglio contro Ichigo
non sembrava una buona idea neanche a me xD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** VIII. White Snow and Black Flowers ***
Rukia
abbassò Sode no Shirayuki e si girò, tornando sui
propri passi,
senza degnare di una seconda occhiata il punto in cui l'Arrancar da
lei ucciso si era appena disintegrato. Aveva avuto gioco facile, con
quel tipo, ma dubitava che anche il resto di quel disgustoso ammasso
di mostri noti come Arrancar fosse così debole.
Spero
solo che anche gli altri se la siano cavata bene...
Be',
se non altro non doveva temere per Ichigo: era convinta, anzi, era
certa, che Chappy gli
avesse fatto buona guardia. Era comunque una persona in meno di cui
preoccuparsi e...
Tch.
Rukia
si fermò, aggrottando la fronte. Era stata solo una frazione
di
secondo, ma le era sembrato di percepire da qualche parte nelle
vicinanze un'esplosione di reiatsu... e più precisamente
della
reiatsu di Ichigo. L'irrequieto
sguardo violetto della Shinigami scivolò bruscamente tra le
ombre
davanti a lei, e scorse il corpo del Kurosaki che si contorceva a
terra nella ferrea presa di Chappy, come un topo bloccato dagli
artigli di un gatto giocoso.
No,
non è la sua reiatsu,
concluse, sondando la forza spirituale dello sconosciuto con
più
attenzione. Eppure
simile in modo allarmante... Sarà meglio recuperare Ichigo e
andare
ad investigarci su. Potrebbe essere un nuovo trucco Hollow.
A
un paio di isolati di distanza, Grimmjow Jaegerjacquez si concesse un
sorriso. Aveva localizzato due reiatsu interessanti... le due reiatsu
che avevano condotto alla morte quell'idiota di D-Roy.
VIII.
White Snow and Black Flowers
I
tried to be like everyone, open my soul
But what I had to give
resulted loathing
Enchanted by the power, licked by the grace
One
beautiful black flower, the end of the human race.
Wolf
and Raven – Sonata Arctica
“Erabe,
Trèbol!”
Rayen
si sentì invadere da una familiare sensazione di sicurezza e
potere,
che le schiarì i pensieri e le infuse nuova fiducia: ci
voleva ben
altro che uno Shinigami dai gusti random per fermare la futura
assassina di Aizen. Sì, perché lei era
un'assassina,
non tanto perché aveva ucciso quanto perché non
provava il minimo
rimorso nell'uccidere. Ecco, era questa la vitale differenza tra
assassino e omicida.
E
lei si stava per macchiare di assassinio. Ancora.
Gustò
in silenzio la famelica disinvoltura con cui il suo lato Hollow
sopraffaceva la falsa maschera umana, e fu con piacere che
osservò
il proprio corpo mutare, gli arti allungarsi e assottigliarsi, come
steli. Ora una sottile corazza di placche nivee le fasciava il
torace, risalendo dalla vita al seno, e delicate increspature simili
a spuma argentea le affioravano dalle spalle e lungo le gambe, mentre
larghi ventagli dello stesso materiale si aprivano tra le folte
ciocche di capelli color bronzo. La maschera Hollow, prima limitata a
qualche sottile cresta attorno alle sopracciglia e alle tempie,
adesso le proteggeva l'intera parte superiore del viso, lasciando
scoperti solo gli aggressivi occhi nocciola.
Ma
la parte fondamentale del suo Rilascio erano le braccia: la mano
destra impugnava un tachi lievemente
ricurvo e dall'aria letale, mentre all'avambraccio sinistro era
allacciato uno scudo simile ad un tozzo quadrifoglio, sul quale erano
incisi quattro simboli diversi: un calice ricolmo, una leonessa
rampante, una graziosa bilancia e una serpentina sciarpa bianca. Un
simbolo per ogni foglia.
Rayen
tese lo scudo di fronte a sé, ammirando il riflesso argenteo
che la
luna proiettava su di esso. Al centro della sua superficie levigata
risplendeva una sottile freccia opalescente, che lo faceva sembrare
un enigmatico orologio ad una sola lancetta. Non lo si sarebbe mai
detto, ma quello scudo, apparentemente così piccolo e
inutile, era
il suo asso nella manica.
La
vera me... il mostro.
L'Arrancar
sorrise. Si era accettata per quello che era molto tempo addietro.
“Ti
piace, Shinigami?” urlò a Seishuu, la voce
vibrante di selvaggio
trionfo. “Voglio un giudizio sincero, mi raccomando!
Sennò mi
offendo!”
Sospeso
a mezz'aria sopra di lei, Seishuu la fissava come se fosse stata un
abominevole scherzo della natura – cosa che probabilmente dal
suo
punto di vista non era così distante dalla
realtà. A giudicare
dalle sopracciglia inarcate e dalla piega disgustata della bocca, la
trasformazione non doveva piacergli per niente.
Be',
a Rayen invece piaceva eccome: si sentiva attraversata da scariche di
adrenalina miste ad una pazzesca euforia, come se il Rilascio, oltre
alla sua vera forma, avesse liberato anche un'ondata di endorfine.
Era una bella sensazione, la quieta certezza di essere completa,
libera da qualunque inutile apparenza umana.
Con
fare casuale, l'Arrancar stiracchiò i muscoli delle gambe
del suo
nuovo corpo, quindi sollevò una mano e fece scorrere
l'indice sul
calice impresso nello scudo. Lo fece lentamente, assaporando ogni
cambiamento di espressione di Seishuu, godendo del vacuo
disorientamento dello Shinigami: il Rilascio aveva cancellato in lui
ogni traccia di spavalderia.
“Templanza.”
Un sussurro, e il calice
fu avvolto
da uno sfavillio azzurrognolo.
L'indice
di Rayen si spostò sulla leonessa: “Fuerza.”
Un secondo velo di luce cerulea accese il simbolo.
Sfiorò
la bilancia. “Justicia.”
Una terza scintilla balenò sullo scudo.
E
infine l'ultima incisione, la sciarpa. “Arcano
Sin
Nombre.”
Ora
che tutti i simboli erano attivati, sullo scudo si poteva scorgere un
vivido quadrato azzurrino, e la freccia al suo centro pareva brillare
di un riflesso incandescente.
“Las...”
Un
improvviso sibilo mordace giunse alle orecchie di Rayen, e la ragazza
fece guizzare prontamente la lama del suo tachi di
fronte a sé: attorno ad essa si serrò subito la
frusta cremisi di
Fukuroumaru. A quanto pareva, Seishuu non era intenzionato a
permetterle di terminare la messa in opera.
“Non
so che accidenti sia quella cosa, ma ti impedirò di
usarla” sputò
lo Shinigami, forzando per strapparle il tachi di
mano.
Decisione
saggia, ma un po' tardiva.
“Las
Moiras” scandì
Rayen. La
freccia al centro dello scudo prese a girare a folle
velocità, ma
pochi istanti dopo si bloccò, paralizzandosi di colpo,
indicando la
leonessa. La Fuerza.
La
ragazza sentì il proprio reiatsu coagularsi nel tachi
e
avvilupparlo come una fiamma azzurra, e udì il ringhio di
frustrazione di Seishuu mentre la lama infuocata scioglieva la presa
della sua frusta. Quando spazzò l'aria con la spada, essa
tracciò
dietro di sé
un'impalpabile scia di reiatsu color zaffiro.
Tra
i quattro, quello della Fuerza era
forse il suo effetto preferito: la capacità di infondere
viva
energia nella sua arma rubando la reiatsu dell'avversario.
Non
c'è niente di male, in fondo, a rubare ai ricchi per donare
ai
poveri. Increspò
le labbra in una smorfia soddisfatta, gli occhi chiari fissi in
quelli sbigottiti dello Shinigami. E
adesso, come direbbe Gin-san... bye bye!
Il
suo tachi ruggì,
un silenzioso ruggito che le riverberò attraverso le ossa
mentre
Rayen si slanciava in avanti, caricava il colpo, si cimentava in un
audace affondo...
E
lo mancava clamorosamente.
Che?!
L'Arrancar
aggrottò la fronte, confusa, e con orripilato sconcerto si
rese
conto che cielo e terra si stavano progressivamente scambiando di
posto e che di fronte a lei non c'era più solo un Seishuu,
ma
cinque, dieci, cento, mille...
Ti
prego, non adesso!,
supplicò disperata, senza sapere bene a quale
divinità fosse
rivolta quella preghiera.
Non
potresti farlo comparire a Las Noches, dopo che avrò
sistemato
questo pagliaccio? Ti prego, aspetta ancora un po', solo pochi
minuti...
Una
miriade di puntini rossi iniziò a inondarle la visuale, come
una
colata di sangue vivo; attraverso quel velo di nausea vermiglia,
Rayen intravvide lo stupore sul viso – sui visi
– dello Shinigami, subito seguito da un lampo di
compiacimento. Le
sue parole rimbombarono nella testa della Fracciòn come da
molto
lontano, sulle ali di un'eco dolorosa: “Oggi
decisamente non è la tua giornata fortunata, Arrancar...”
Il
taichi
le sfuggì dalle dita, cadde da qualche parte nel vuoto, ma
ora anche
lei stava precipitando nel nulla, nel nero, in quel nero abissale che
tutto inghiottiva, quel nero che stava divorando il mondo...
Rayen
cadde come una marionetta dai fili recisi, sprofondando nel Focus.
Fragole.
Fragole che spuntano in mezzo ad una radura innevata come rubini
viventi, e una pioggia di petali neri come piume di corvo. Petali e
fiocchi di neve, una danza bicolore come il cielo e la terra di Las
Noches, una fusione completa e perfetta che volteggia nell'etere
più
limpido in un vortice tenebroso e immacolato. Avorio ed ebano che si
sciolgono insieme, lampi bianchi e onde nere, latte e inchiostro
mescolati in un amalgama di squisito equilibrio. Solo un filo di
grigio sporca tale quieta bellezza... un ricciolo di fumo, fumo sulla
neve, fuoco nel cielo.
“Rayen.”
Gentili
folate di vento le accarezzavano il viso, delicate e impalpabili come
i petali e i fiocchi di neve della visione. Per un momento Rayen
rimase immobile, ancora assorta nella morbida oscurità del
Focus,
poi la fredda voce di poco prima la chiamò di nuovo,
risuonante di
una nota minacciosa: “Rayen Fie Oneiron, svegliati.”
Era
una voce maschile e stranamente familiare, ma in quel momento Rayen
era troppo stordita per poterla collegare a un volto. Lentamente,
lottando contro le palpebre pesanti come macigni, la ragazza
riuscì
ad aprire gli occhi... e quasi desiderò di averli chiusi per
sempre
con l'ultimo attacco di Seishuu.
Lo
sguardo che incrociò il suo era verde e glaciale, obliquo
come
quello di un gatto, due iridi simili a severi smeraldi incastonati in
un viso mortalmente pallido.
Un
aspro sapore metallico invase il palato di Rayen.
“U-Ulquiorra-sama!”
farfugliò, compiendo uno sforzo sovrumano per non sobbalzare
come un
coniglio spaventato. “Lo Shinigami...”
“L'ho
ucciso” replicò il quarto Espada impassibile.
Con
orrore crescente, la Fracciòn realizzò di essere
stretta a lui in
maniera quasi morbosa: sentiva un suo braccio sorreggerle la schiena,
e l'altro sostenerla sotto le ginocchia. Per la seconda volta in
cinque secondi, Rayen dovette imporsi un rigido autocontrollo per
evitare un imbarazzante sussulto: il tocco di quelle mani ghiacciate
non era diverso da quello che avrebbe potuto avere la Morte in
persona. Detestava sentirsi così fragile, così
schifosamente
vulnerabile – e che diamine, era un Nùmero, mica
una piagnucolosa
bambola di porcellana! - ma non riusciva a vincere la soggezione che
l'Espada gli incuteva.
Incapace
di tollerare oltre la sua espressione di sprezzante distacco, Rayen
abbassò lo sguardo... e con una punta di delusione
constatò che il
Rilascio si era ritirato dal suo corpo. Naturale: nel momento in cui
la tua reiatsu si affievoliva, anche il Rilascio si comportava allo
stesso modo.
“Non
ti ho mai vista rilasciata.”
Le
pupille di Rayen si dilatarono mentre un pungente rivolo di ricordi
cominciava finalmente a tornare a galla.
“Mi
devi un favore, Fie.”
Grimmjow.
Di
colpo Rayen scoprì di essere lucidissima, come se qualcuno
le avesse
schiaffato in faccia una secchiata d'acqua gelida. Grimmjow,
Shawlong, gli altri... che fine avevano fatto? Cosa accidenti era
successo? Come aveva fatto Ulquiorra a localizzarli così in
fretta?
Perché l'aveva protetta da Seishuu anziché
lasciarla
tranquillamente uccidere?
“Ulquiorra-sama...”
“Non
ti ho soccorsa per farti un favore” puntualizzò
subito lui,
fissandola con aperto disprezzo. “Ma non spetta a me
decretare la
tua punizione, e Aizen-sama avrebbe potuto non approvare il fatto che
avessi lasciato la sua preziosa chiaroveggente alla mercé di
uno
Shinigami. Sarà lui a decidere il tuo castigo per aver osato
misconoscere la sua autorità.” La spinse via di
colpo, come se il
contatto con una creatura tanto inferiore lo ripugnasse.
“Avrei
dovuto prevederlo, che Grimmjow avrebbe coinvolto te e il resto di
quella spazzatura che lui si ostina a chiamare 'Fracciòn' in
una
missione insensata e suicida... tipico di lui.”
Rayen
sdrucciolò a mezz'aria, vacillando come una pattinatrice
maldestra
prima di recuperare del tutto l'equilibrio. Lo sgomento le tagliava
il fiato nei polmoni: forse avrebbe dovuto riferirgli del Focus
appena visto, ma in quel momento il pensiero della visione passava
completamente in secondo piano. Si detestava, ma non poteva negare di
provare un certo timore per le atroci punizioni che Aizen avrebbe
potuto infliggere: magari l'atto di salvarla da parte di Ulquiorra
non era stato poi così caritatevole, magari comprendeva una
sua
piccola vendetta personale. Ma c'era dell'altro, a turbarla: 'Una
missione insensata e suicida...'
Temeva
già il peggio, e dovette inspirare a fondo prima di dare
voce alle
sue preoccupazioni.
“In
che senso, 'suicida'?”
Ulquiorra
si strinse nelle spalle. “Nel senso più stretto e
ovvio. Di
Grimmjow si è occupato Tousen, tutti gli altri sono stati
uccisi dal
Gotei 13.”
“Tutti?”
Come tutti?! Si era aspettata uno o due morti, questo sì, ma
tutti...! “No, non è
possibile...”
Il
quarto Espada stese con calma una mano dietro di sé, e un
Garganta
cominciò a dilaniare il cielo. “Evidentemente
sì, è possibile.
Andiamo.”
ﬓﬔﬕﬖﬗﬓﬔﬕﬖﬗ
Ok,
piccola licenza poetica: in realtà 'Trèbol'
significherebbe
trifoglio, ma 'Trèbol de Cuatro Hojas' (cioé
quadrifoglio) era
davvero troppo lungo :(
Nuovo
Focus - un po' più chiaro del primo, ammettiamolo -, nuovi
casini,
nuove minacce di morte... evvai. Be', spero che come capitolo vi sia
piaciuto.
..::
Mimi93: ehi, del Nnoitra Fan Club fanno parte anche Sixy_Chan
e
Me Medesima xD ahah zio Nnoitra non sarà tutta 'sta gran
bellezza,
ma è fantastico, è completamente fuori di testa e
poi adoravo il
suo rapporto con Nel :) è un peccato che abbia quasi
ammazzato
Grimmy, se no mi andrebbe a genio xD grazie per il supporto,
farò del mio meglio ^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** IX. Punishment ***
Ulquiorra
l'aveva lasciata nella sua stanza e se n'era andato, freddo e
sfuggente come un'ombra stampata sul ghiaccio. Dal poco che era
riuscita a cavare dalle sue labbra taciturne, Rayen aveva compreso
che per il momento Aizen si sarebbe limitato a un breve colloquio con
Grimmjow, e che la loro punizione sarebbe stata stabilita solo in
seguito.
Rayen
poteva ben immaginare come sarebbe stata punita: Grimmjow era un
Espada, un elemento ancora fruttuoso, ma lei era un semplice
Nùmero
ed era possibilissimo che Aizen decidesse di farla giustiziare sul
posto. Non era affatto sicura che l'interesse suscitato in lui dai
Focus fosse sufficiente a garantirle la sopravvivenza.
Chissà
cosa ne avrebbe pensato Indar di tutto questo... Si sarebbe
vergognato di lei? Sarebbe andato su tutte le furie?
No,
non credo.
Rayen ne era
convinta. Credo
che ne avrebbe riso. E anche se fosse stato al mio posto, sarebbe
morto ridendo.
IX.
Punishment
Mutilate his arm, mutilate her mind
Did
you ever let in what the world said?
Did we get this far just to
feel your hate?
Did we play to become only pawns in the game?
How
blind can you be, don't you see?
Bye
Bye Beautiful – Nightwish
Chiusa
nella sua stanza, Rayen ormai friggeva per l'agitazione. A Hueco
Mundo era impossibile calcolare con precisione il tempo, ma ormai
dovevano essere passate almeno due o tre ore da quando Ulquiorra
l'aveva riportata a Las Noches... che accidenti stava succedendo
fuori da quella camera? Cosa stava complottando Aizen?
Magari
non vuoi davvero saperlo,
le bisbigliò una maligna voce interiore. Avanti,
sotto sotto sei contenta che non si sia ancora fatto vivo nessuno...
sai bene che la prima persona che verrà a bussare alla tua
porta
potrebbe essere il tuo boia.
Era
una possibilità che non andava esclusa. Era vero che avevano
una
scusa da ruffiani coi fiocchi – 'l'irrefrenabile desiderio di
compiacere il venerabile Aizen-sama' – ma nessuno poteva
sapere con
certezza cosa frullasse nel cervello ambizioso e doppiogiochista
dello Shinigami, dell'uomo che li manipolava come un burattinaio.
Bentornata
ai tuoi amati lacci, patetica marionetta di Aizen.
Per
distrarsi, Rayen aveva provato a comporre qualche origami e a
riflettere sul nuovo Focus – come se quello del salmone
incoronato
non fosse stato un enigma sufficientemente arduo – e aveva
formulato la fragile ipotesi che il nero e il bianco simboleggiassero
l'equilibrio tra Shinigami ed Hollow... un equilibrio burrascoso,
proprio come i vortici che avevano scosso i petali e la neve. Era una
risposta accettabile, no?
Forse.
Oh,
perché diamine doveva essere tutto così
incasinato?! Perché
dovevano esserci così poche certezze? Perché
visioni senza senso
tormentavano proprio lei, tra tutti gli Arrancar di Las Noches?
Più
che un grande onore, il dono dei Focus era un grande onere.
Seduta
sul pavimento della sua stanza, Rayen strinse le gambe al petto e
appoggiò la fronte sulle ginocchia, trattenendo a stento un
sospiro.
Percepiva la presenza di Trèbol dall'altra parte della
camera, un
frammento della sua stessa anima diviso da lei fisicamente ma non
mentalmente; con amara ironia, pensò che fosse giusto che
un'Arrancar incapace di controllare i propri doni avesse una
Zanpakuto così imprevedibile. Contro Seishuu,
Trèbol aveva scelto
di attivare la Fuerza, ma come sempre si era trattato
di una decisione casuale, non
stabilita da Rayen.
Un
oscuro potere che va e che viene, una Zanpakuto che si fa
elegantemente i fatti suoi, e per completare il quadretto anche una
pena di morte sospesa sulla testa a mo' di ghigliottina.
Ma
bene.
Rayen
si rialzò svogliatamente in piedi, con una mezza intenzione
di
sfogliare qualche vecchio documento di Indar per ammazzare il tempo, ma
tutta la sua attenzione fu bruscamente attratta dal tonfo violento
che risuonò fuori dalla porta.
Tousen,
o Ulquiorra, o forse qualche Arrancar minore,
pensò subito, mentre una strana calma le congelava ogni
forma di
ragionevolezza. Sono
venuti a giustiziarmi.
Sentendosi
come una condannata che cammina verso il patibolo, Rayen si diresse
verso la porta e l'aprì con cautela... e quasi fece un balzo
indietro quando si ritrovò davanti ad una figura alta e
coperta di
sangue, vistosamente priva del braccio sinistro.
“Grimmjow?”
realizzò stupefatta, dopo un attimo di esitazione.
“Che diavolo ti
è successo?”
“Quel
bastardo di Tousen” ringhiò Grimmjow, premendosi
l'unica mano
rimasta contro il ruscello di sangue che gli inzuppava il fianco.
“Spicciati, Fie, fatti da parte... non sono sicuro che gli
Hollow
siano immuni alle infezioni.”
“Ma
non potresti semplicemente andare in infermeria? Io non ho idea di
come funzioni la reiatsu curativa!”
“E
chi ti ha detto di curarmi?! Togliti dai piedi e basta!”
Con
un rapido sonido, Grimmjow si arrampicò
sulla parte superiore
della sua soppalco-stanza e prese a strappare larghe strisce di
tessuto dal suo futon, schiacciandole goffamente
contro il
moncherino del braccio per bloccare l'emorragia. A giudicare dalle
labbra arricciate e dai denti stretti, doveva essere parecchio
doloroso.
Per
qualche motivo, l'immagine dell'Espada dal braccio mutilato le fece
palpitare nella mente una vaga sensazione di dejà vu. La
ragazza
scosse la testa, scacciandola bruscamente: non aveva tempo da perdere
con simili sciocchezze, ora.
Un
fluido scatto di sonido la portò al
fianco di Grimmjow;
ignorando le sue occhiatacce, la Fracciòn afferrò
alcune delle
fasce improvvisate e cominciò a bendargli goffamente il
moncherino
facendogliele scorrere attorno al torace. Il tessuto era lavato e
pulito, di questo era più che certa, ma sarebbe stato ancora
meglio
se avesse avuto a disposizione delle garze o delle bende
disinfettate, o cose del genere... perché diamine quella
testa di
legno dai capelli azzurri non poteva cercare aiuto in infermeria,
come tutte le persone normali?
Mistero
della natura... Rayen
alzò gli occhi al cielo, quindi prese ad esaminare la spalla
del
sesto Espada. Dunque,
per cicatrizzare una ferita si potrebbe usare anche una lama ben
arroventata, ma dubito che questo sia il caso... hmm, potrei provare
a ricucire il moncherino, ma sinceramente non so come si faccia, non
ho l'occorrente e non sono neppure sicura che con uno squarcio simile
sia possibile... quindi, cosa ci posso fare? Bendarlo e basta
sarà sufficiente?
Dio,
le sue conoscenze di medicina facevano davvero schifo. Ma avrebbe
avuto le mani legate anche se fosse stata più preparata: a
quanto pareva,
il punitore di Grimmjow si era assicurato di far sparire il braccio
mozzato.
“Non
pensavo che Aizen lo avrebbe permesso” mormorò,
guardando
preoccupata la rozza fasciatura già scurita dal sangue.
“Insomma, tu sei
un Espada, no? Il sesto, oltretutto, uno dei suoi pezzi grossi...
Perché ti ha fatto questo?”
“Perché
è il peggior stronzo mai capitato a Hueco Mundo”
sibilò Grimmjow,
pieno di rancore. “E comunque ti sbagli, Fie, io non sono
più il
sesto Espada.”
Sollevò
con un gesto secco i resti sbrindellati della giacca, e nella parte
inferiore della schiena, al posto del suo orgoglioso tatuaggio a 6,
Rayen vide una brutta abrasione cosparsa di goccioline di sangue
cremisi. Con una stretta allo stomaco, la ragazza notò che
attorno
ad essa biancheggiavano numerosi segni di unghiate.
“Te
l'hanno cancellato a mano... letteralmente.” Le si
affievolì la
voce, e distolse a fatica lo sguardo dall'escoriazione.
“È stato
Ulquiorra?”
“E
a te che importa?” Grimmjow emise uno sbuffo scocciato e
riabbassò
i lembi della giacca. “Vedi di evitare tante lagne per un
graffietto, va bene? La tua pietà è l'ultima cosa
di cui ho
bisogno, e poi se fossi in te mi preoccuperei della tua
punizione.”
Ah,
ecco. Nella frenesia del momento, Rayen se n'era quasi dimenticata.
“Lo
so” disse, inespressiva. “Mi uccideranno.”
“Ti
piacerebbe.”
Lei
inarcò un sopracciglio, sorpresa e confusa.
“Ti
piacerebbe” ripeté Grimmjow in tono duro.
“E invece Aizen ha
stabilito diversamente. Avanti, piccola idiota, spremiti le meningi e
fa' un minimo sforzo
d'immaginazione: io non sono più un Espada,
perciò non ho più
diritto né di portare il tatuaggio della Sexta né
di avere una
Fracciòn... e indovina un po' chi ti ha reclamato al mio
posto.”
La
vaga stretta dalle parti dello stomaco si trasformò in una
morsa
soffocante, come se un pitone la stesse stritolando dall'interno.
Rayen fissò Grimmjow, vide il risentimento bruciare nei suoi
occhi
di ghiaccio, e la verità le strisciò nel cervello
più viscida e
velenosa di qualunque vipera.
“Non
lui” articolò con voce strozzata. “Ti
prego, dimmi non Nnoitra
Jiruga!”
ﬓﬔﬕﬖﬗﬓﬔﬕﬖﬗ
Per
una buona volta sono stata piuttosto veloce :) spero che come capitolo
vi piaccia, anche se è un po' stringato. E' mia intenzione
sottolineare il fatto che Rayen non
è una guaritrice U.U per qualche assurdo motivo, la maggior
parte della gente sembra convinta che lo scopo di una donna in
battaglia sia solo quello di preparare cataplasmi e guarire ferite.
..::
Mimi93: grazie, mio 'miglior critico puntuale' xD farò
più attenzione, accolgo sempre con piacere i consigli :) e
nel prossimo cap, l'atteso ritorno di zio Nnoitra! Cercherò
di tratteggiarlo il meglio possibile, promesso ^^ pre-avviso,
potrebbero esserci scene maniache...
..::
Elos: danke, recensione apprezzatissima :D si, Rayen
è il mio OC, e più avanti si spiegherà
meglio il suo rapporto con Ichigo&co. Per quanto riguarda lo
scudo e la forma di Trèbol, mi sono ispirata ai tarocchi e
ai tradizionali simboli della fortuna :)
..::
Shakuma92: ed ecco il mio altro miglior critico puntuale ^^ grazie, i
tuoi commenti alla maestro Jedi sono come sempre un ottimo supporto.
Come scritto sopra, per Trèbol mi sono ispirata alla
simbologia sia delle carte sia classica... simbologia rigorosamente
adattata in scala Arrancar :) be', in questo capitolo ho un po'
chiarito la natura di Trèbol... è la zanpakuto
che 'sceglie' quale simbolo indicare, anche se in modo quasi casuale
(oltretutto, mi suonava bene la consonanza tra 'erabe' e
'Trèbol' xD). Sì, la morte di Nnoitra (come
quella degli altri Espada) è stata una gran delusione... :(
io tifavo per gli Arrancar xD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** X. Killer Master ***
Okay,
tutto sommato il capitolo è molto più soft di
quanto non avrebbe
avuto ragione di essere u.u
Come
successivo sesto Espada era stato scelto un tipo mingherlino ed
effeminato, un tale Luppi. Personalmente, Rayen avrebbe preferito
mille volte finire al servizio suo anziché a quello di
Nnoitra, ma
Aizen aveva preso la sua decisione e lei era tenuta a rispettarla.
Era
naturale... trasferirla nella Fracciòn di Luppi, di Harribel
o tra i
mille schiavetti di Barragan sarebbe stato un castigo troppo dolce.
Per
un attimo, Rayen aveva davvero desiderato di impugnare
Trèbol e di
ammazzarsi con la sua amata Zanpakuto, ma era ancora troppo
(vigliacca) legata alla sua esistenza per
abbandonare tutto in
un modo tanto brusco.
Oltretutto,
il suicidio era davvero un pessimo modo per andarsene.
Solitudine,
vecchiaia, sacrificio, nichilismo, disperazione, distruzione,
dedizione, follia, avidità e ira.
Dieci
raffinati modi per togliersi di mezzo.
Ci
sarebbe stato bene anche un undicesimo... la fatalità.
X.
Killer Master
I'll tell you now, you can't win this
You're way too slow
I'll you now, I'm gonna take this
Did you come here to watch me, watch me burn?
Burn - Three Days Grace
“A
cosa serve?”
Rayen
si sfiorò con circospezione il pulsante numero 5 che ora le
tatuava
il polso. Premendo le dita su di esso si aveva la sensazione di
percepire un lieve palpitare, come un falso battito cardiaco, ma il
velo di reiatsu che aleggiava attorno al numero era quello di
Nnoitra.
“Questo
è il Contacto”
spiegò Tesla, togliendosi il guanto
sinistro e mostrandole un 5 identico al suo. “È il
metodo più
rapido ed efficace di impartire ordini a distanza. Quando
Nnoitra-sama vorrà comandarci qualcosa, sentirai il Contacto
pulsare più forte, fin quasi a bruciare.”
“Come
una specie di ustione spirituale, quindi.”
“Suppongo
che la si potrebbe definire anche così. Comunque, quando
questo
accade tu tocca il numero, e riceverai gli ordini stabiliti da
Nnoitra-sama. Non è difficile.”
Rayen
assentì cupamente e lasciò ricadere il braccio.
Non le sarebbe
dispiaciuto avere un paio di guanti come quelli di Tesla,
considerò:
forse, se non avesse visto quell'odioso 5 zigzagarle sul polso tutto
il santo giorno, sarebbe stato più facile non pensare a
quale fosse
il suo attuale padrone.
Attuale,
ma non eterno.
Si aggrappò a quel pensiero con disperazione, come all'unico
scoglio
ancora saldo in un oceano nero e tempestoso. Era praticamente
impossibile che lei rimanesse incatenata a Nnoitra per tutta
l'eternità: prima o poi uno dei due sarebbe morto
– e
indovina chi sarà la prima, con la mia solita fortuna
–
oppure magari qualche imprevisto avrebbe sconvolto i piani di Aizen e
lui sarebbe stato costretto a trasferirla in un'altra
Fracciòn, o
persino al livello di Nùmero libero.
Gli
artigli di brama di Rayen si conficcarono in quella flebile speranza.
Apparentemente,
Nnoitra non voleva lei...
voleva il suo cadavere.
Aveva
deciso di organizzare una sessione di addestramento per
'testare' la sua nuova Fracciòn, ma più che
metterla alla prova
sembrava stesse cercando di metterla a morte: Rayen era stata
costretta a evitare almeno un paio di affondi mirati a ucciderla, e
quella maledetta falce quadrilama fischiava ogni volta più
vicina
alle sue carni.
Se
non avesse fatto attenzione, Nnoitra l'avrebbe affettata.
Il
freddo sibilo di un fendente assassino squarciò l'aria del
deserto
senza calore di Hueco Mundo. Rayen mise rapidamente la Zanpakuto di
piatto, e la falce del quinto Espada si abbatté appena sopra
di lei,
a un soffio dalla sua testa, con tanta violenza da spingerla
brutalmente all'indietro. I muscoli delle sue braccia urlarono
la loro agonia per il tremendo sforzo di trattenere la pesante lama
avversaria.
La
Fracciòn si morse il labbro. Il quinto Espada era forte,
dannatamente forte, molto
più di quanto lei non avesse mai sognato di essere.
“Stai
troppo sulla difensiva” la rimproverò Nnoitra col
più largo e
maligno dei sorrisi, disimpegnando l'arma con agghiacciante
facilità.
“Dovresti seguire di più l'esempio del tuo ex
Espada,
Jaguerjacquez... è vero che è un completo
fallimento, ma se non
altro in battaglia non si metteva a recitare la parte della
puttanella trepidante. I giocattoli troppo fragili non impiegano
molto a rompersi, Oneiron.”
Rayen
non rispose, ma si rabbuiò in volto. Nnoitra se la stava
spassando,
senza dubbio, però lei in quella situazione non vedeva nulla
di
divertente: non riusciva a capire cosa pretendesse l'Espada da lei,
né a calcolare quanto scherzasse e quanto fosse serio. Aveva
l'orribile presentimento che fosse serio su tutta la linea.
Nakim...
Per
qualche strano motivo, il pensiero del Fracciòn
spuntò nella sua
mente come un esile arbusto in un prato vuoto e polveroso. Lo
ricordava bene, Nakim: tozzo e robusto di fisico, con uno sguardo
flemmatico che assorbiva tutto e che non lasciava trapelare nulla.
L'aveva visto l'ultima volta nei cieli di Karakura, stagliato contro
la volta notturna insieme agli altri Fracciònes, prima che
quegli
sporchi Shinigami li trascinassero tutti nella morte.
Si
pentì di non avergli chiesto cosa stesse pensando quella
notte
stessa. Non c'era un vero motivo dietro tale rimpianto, ma le pareva
sbagliato che tutte le riflessioni di Nakim fossero andate perse a
causa di qualche oscura negligenza.
Oh,
ci penserai dopo a tessere i tuoi drammi mentali... Torna
sulla terra, Rayen!
La
giovane Arrancar si riscosse, giusto in tempo per evitare un possente
colpo di falce da parte di Nnoitra. Sentendo le quattro lame ricurve
ruggire accanto a sé, decise che era ora di piccolo azzardo:
allontanò il manico della falce con Trèbol,
quindi in uno scatto di
sonido sfrecciò sotto il naso di Nnoitra
e gli sferrò un
risoluto fendente verso il braccio armato.
La
lama di Trèbol rimbalzò innocua contro
l'impenetrabile hierro
dell'Espada.
Maledicendolo
mentalmente, Rayen riprese il controllo della Zanpakuto e fece per
portarsi di nuovo a distanza di sicurezza, ma una grande mano le
afferrò fulmineamente la testa, bloccandola.
“Ingenua...”
Rayen
sibilò di dolore mentre lunghe dita simili ad avide zampe di
ragno
le affondavano tra i capelli, stringendone a manciate. Con uno
strattone, Nnoitra la attirò a sé e la
rivoltò come un guanto,
quindi conficcò con decisione la falce a terra e
posò la mano
libera sulla spalla della Fracciòn, facendola poi scorrere
pigramente prima sul seno e poi lungo il fianco slanciato, fino a
fermarla sulle natiche. Una vampa di disgusto imporporò il
viso di
Rayen quando l'Espada si chinò ad appoggiarle la mascella
contro il
collo, titillandole la pelle con la lingua. Per quanto lieve, quel
contatto fu sufficiente a farla impazzire.
Seguendo
un impulso dettato dallo sdegno e dal ribrezzo, la ragazza
serrò
Trèbol e tentò di infilzare il torace del suo
aguzzino, ma la punta
della Zanpakuto non andò oltre il primo coriaceo strato di
pelle. Un
singolo puntino di sangue arrossò il petto dell'Espada
mentre un
sogghigno osceno ne deturpava la bocca.
“Siamo
cocciuti, vedo...” Una risatina. “Di sicuro
Jaguerjacquez non ha
mai capito un cazzo in fatto di donne, però puoi credermi se
ti dico
che non tutti gli Arrancar sono froci come lui!”
Fece
per strapparle la casacca bianca della divisa, ma per una buona volta
Rayen si mostrò più veloce di lui.
“Erabe,
Trèbol!”
Una
nube azzurrina offuscò l'aria, e Nnoitra liberò
di scatto Rayen dalla sua
presa. Il tachi della ragazza fendette il punto in
cui le sue dita si erano trovate fino a un decimo di secondo prima.
Gli
ho quasi amputato un paio di dita... se
anche lui Rilascia mi ammazza sul serio,
pensò lei, compiendo un balzo all'indietro per allontanarsi
da
Nnoitra, sentendosi bruciare il collo laddove l'Espada aveva lasciato
quella rozza caricatura di bacio. Il lieve peso del tachi
e dello
scudo-quadrifoglio era
un poco rassicurante, ma nulla avrebbe potuto davvero
tranquillizzarla in quella situazione: non con un maniaco omicida
pronto a violentarla e a massacrarla, e con la cieca certezza che
nessuno avrebbe mosso un dito per intervenire in suo favore. L'unico
Arrancar nelle vicinanze sembrava essere Tesla, appoggiato al candido
muro esterno di Las Noches con l'aria impassibile e un po' annoiata
di chi osserva una vecchia soap-opera trita e ritrita; no, non ci si
poteva certo aspettare sostegno dal fedele cagnolino di Nnoitra.
Tesla
non tradirebbe mai Nnoitra. Indar è morto. Grimmjow
è menomato, e
anche se fosse in piena forma dubito molto che verrebbe ad aiutarmi.
Apache, Mila Rose e Sun Sun non hanno speranza contro Nnoitra. Come
me.
Rayen
abbassò lo sguardo sulla lancetta argentea dello scudo.
Niente da
fare, in quel momento poteva fare affidamento solo su se stessa e
sulle proprie armi naturali. E cercare di resistere come poteva.
Oggi
muoio.
Fece
un sorriso amaro. Sorrideva sempre nei momenti peggiori, lo sapeva,
eppure non riusciva a trattenersi. Alla fine, la punizione scelta da
Aizen l'avrebbe davvero uccisa... ovviamente il gran capo galattico
non aveva trovato i Focus abbastanza allettanti da ritenerla utile a
Las Noches.
A
una ventina di metri dall'Arrancar, Nnoitra spazzò l'aria
con la
falce e l'appoggiò casualmente alla spalla, col viso
affilato
distorto da una vaga impronta di irritazione mista a compiacimento.
Oggi
muoio,
si ripeté cupamente Rayen, sfiorando in rapida successione i
simboli
impressi sullo scudo. “Templanza,
Fuerza, Justicia, Arcano Sin Nombre!”
Il solito quadrato di reiatsu avvampò attorno al
quadrifoglio,
facendolo risplendere come un fuoco ceruleo. “Las
Moiras.”
Nnoitra
non cercò d'interromperla, anzi, parve sinceramente
interessato al
funzionamento della sua Zanpakuto. Non aveva mai visto il suo
Rilascio, naturalmente: tutti i Nùmeros conoscevano a
menadito i
Rilasci degli Espada, ma di rado un Espada si degnava di apprendere
quello di qualche Nùmero.
Turbata,
Rayen distolse l'attenzione dai magnetici occhi viola scuro
dell'avversario e la concentrò sulla lancetta al centro
dello scudo:
pulsava in tutta la sua argentata sottigliezza, indicando la
bilancia. La Justicia.
Avrei
preferito un bell'Arcano Sin Nombre, ma mi dovrò
accontentare.
La
ragazza sollevò il tachi,
rivolgendolo verso Nnoitra come se avesse avuto intenzione di
impalarlo. La punta dell'arma si accese di un vago scintillio
statico.
Uccidilo,
uccidilo, uccidilo...
“Cero
de la Justicia”
articolò, e
un violento Cero blu zaffiro esplose di fronte a lei, alimentato dal
suo desiderio offensivo. Il raggio sfrecciò verso Nnoitra,
sfrigolando furiosamente, ma prima che lo investisse fu scontrato a
mezz'aria da un secondo Cero, stavolta ambrato.
Un'assordante
detonazione aggredì la calma piatta e monocorde del deserto.
Il
Cero di un Espada è forte quanto il Cero de la Justicia di
un
Fracciòn... Rayen
assimilò la nuova informazione in silenzio, schermandosi il
viso con una mano per proteggerlo dall'esplosione. O
almeno, forte abbastanza da contrastarlo del tutto.
Il
pensiero la fece rabbrividire: il Cero de la
Justicia
assorbiva
energia in base alla
sua disposizione emotiva, e lei era sicura di non aver mai generato
prima un Cero così potente; l'unica persona in grado di
suscitare in
lei più odio di Nnoitra era Aizen.
Se
Nnoitra riusciva a bloccare con un semplice Cero una delle sue
tecniche più forti, e senza neppure effettuare il Rilascio...
Le
viscere della ragazza si annodarono. Se una minima parte di lei aveva
mai sperato di resistere allo scontro, ora anche quella minima parte
si era miseramente spenta.
ﬓﬔﬕﬖﬗﬓﬔﬕﬖﬗ
Scusate l'esasperante lentezza
dell'aggiornamento, ma il periodo pre-natalizio è un
autentico trauma per lo studio -.-" oltretutto ho dovuto tagliare
questo capitolo perché stava venendo davvero troppo lungo...
ok, non è il mio pezzo migliore ma spero lo gradiate
comunque :)
..:: Elos: grazie mille ^.^ sono contenta che
la storia ti piaccia.
..:: Mimi93: puntuale come un orologio svizzero
xD un super arigatou per il sostegno... mi auguro di non aver deluso le
tue aspettative su zio Nnoitra - non ho voluto tratteggiarlo troppo
pesantemente, ho piuttosto il dubbio di averlo fatto con eccessiva
leggerezza. Vabbe', vedrò di recuperare!
..:: Exodus:
grazie, mio primo commentatore :) si, ammetto che per la struttura mi
sono ispirata un po' a Shunsui mescolandoci un po' di sana inventiva. A
rischio di suonare banale, spero che il proseguimento ti piaccia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** XI. Not Your Average Guardian Angel ***
Non
voleva scomparire.
Sapeva
cosa succedeva agli Arrancar abbattuti da uno Shinigami, ma non aveva
idea di cosa accadesse a coloro che morivano per mano di un altro
Arrancar. Una volta, scherzosamente, Indar le aveva detto che si
dissolvevano nel nulla, come creste di spuma in un oceano nero e
tempestoso, ma lei aveva sempre creduto che tali parole servissero solo
per incoraggiarla a migliorare, senza mai cedere.
Ora iniziava a pensare
che, dopotutto, Indar avesse avuto ragione.
XI. Not
Your Average Guardian Angel
Deep into
a dying day
I
took a step outside an innocent heart
Prepare
to hate me fall when I may
This
night will hurt you like never before
Old
loves they die hard
Old
lies they die harder.
Wish I had an angel -
Nightwish
Il sorriso da squalo
non accennava ad abbandonare le labbra di Nnoitra. Per quanto cercasse
di decifrarlo, Rayen non riusciva a comprendere fino a quanto
l’Espada si sarebbe spinto lontano; forse si sarebbe
accontentato di sfigurarla in modo irreversibile, come
Grimmjow… forse di lì a breve si sarebbe
ritrovata nei bassifondi di Las Lloras, a dare la caccia a qualche
ripugnante ratto Hollow perché il suo corpo deforme non le
avrebbe consentito di mirare a prede più robuste.
Basta, devo smetterla di
costruirmi tragedie mentali! Se non mi schiarisco le idee, qui finisce
veramente male.
Ma adesso i suoi
rimproveri vibravano di un’eco disperata: la rassegnazione
cominciava a strisciare dentro di lei come una vipera, un veleno che
corrodeva la sua risolutezza. La parte più debole e
fatalista di lei si stava arrendendo alla quasi certezza di essere
uccisa… e questo non era affatto un bene.
Lentamente, Rayen
abbassò Trèbol. L’arma palpitava
fiocamente: avrebbe impiegato ancora un po’ a ricaricarsi.
Per il momento la sua unica, sottile speranza consisteva
nell’attendere che ripristinasse la sua piena reiatsu, e poi
pregare che al prossimo attacco di Las Moiras la sua freccia nivea si
puntasse sull’Arcano Sin Nombre. Era una speranza piuttosto
esigua, ma ora come ora non aveva troppe alternative.
Doveva evitare Nnoitra
il più possibile, a tutti i costi. Non voleva morire, non lo
voleva affatto…
“Se tutti i
Fracciònes di Jaguerjacquez avevano un Rilascio merdoso come
il tuo, c’è poco da stupirsi che un branco di
Shinigami li abbia fatti fuori” la schernì
Nnoitra, notando la sua esitazione. “Sai, Oneiron, sono
tentato dall’ucciderti qui e subito… magari nella
tua prossima esistenza sarai meno scadente, che dici?”
Devo costringerlo a parlare,
decise Rayen sull’orlo del panico. Più blatera,
più tempo guadagno.
Attorno a loro,
un’improvvisa folata di vento sollevò veli di
sabbia argentea, facendo svolazzare i loro capelli. Le lunghe ciocche
nere di Nnoitra parevano ali di corvo, stagliate contro quel cielo
così vacuo.
“Non eri
presente all’assalto agli Shinigami, pertanto non sai chi
fossero i nostri avversari” improvvisò la ragazza
Arrancar. “Nessun Hollow può permettersi il lusso
di screditare i capitani o i luogotenenti del Gotei 13.”
“Nessuna
Fracciòn, vorrai dire. Su dieci Espada, mi pare che solo
quegli idioti del tuo ex e di Rialgo abbiano rischiato di farsi
uccidere… e loro non sono certo i più brillanti
modelli di forza di Las Noches.”
Sembrava proprio che
non riuscisse a pronunciare una frase senza mettere di mezzo Grimmjow e
tentare di diffamarlo. Tra i due non doveva certo correre buon
sangue… il che forse avrebbe in parte spiegato
perché Grimmjow avesse deciso di accettarla come sua
Fracciòn, in un luogo dove indulgenza e compassione non
esistevano.
S’illuminò.
Probabilmente Grimmjow non aveva voluto proteggere lei…
l’aveva fatto solo per il sottile piacere di scocciare
Nnoitra.
Stranamente,
benché una parte di lei ne fosse sempre stata consapevole,
tale constatazione la infastidì.
“Grimmjow
non ha corso il minimo rischio… ha massacrato il suo
avversario senza fatica, e se Tousen non gli avesse mutilato il
braccio, ora sarebbe ancora al suo posto di Espada.”
Con sua sorpresa,
Nnoitra scoppiò a ridere. “Non dire stronzate,
Oneiron, non è il caso. Scommetto che Jaguerjacquez non ti
ha raccontato di chi fosse in realtà il suo avversario,
vero? … Lo sapevo” infierì, vedendola
accigliarsi, “presumo che fosse troppo denigrante, per lui,
ammettere di essere sopravvissuto solo perché il suo
avversario era un Delegato, un semplice umano camuffato da Shinigami. E
vuoi saperne un’altra? Quell’emerito imbecille non
è nemmeno stato capace di finirlo a dovere. Prima ha mandato
allo sbaraglio la sua preziosissima Fracciòn, quindi
è corso dietro al primo sbarbatello di passaggio per poi
graziarlo dopo cinque minuti. Sei ancora così sicura che sia
ancora degno del titolo di Espada?”
“Cosa,
Grimmjow caritatevole?” Rayen ridacchiò, una
risata piuttosto forzata. “Impossibile, non ci
credo.”
“Faresti
bene a crederci, invece. Chi lo sa, è possibile che abbia
persino avuto un’avventura con questo Delegato…
scommetto che se l’è spassata a più non
posso, dopo aver mandato a morire i suoi cari
Fracciònes.”
Non era vero, non
poteva esserlo… avanti, forse non li avrebbe piazzati su un
altare e venerati in ginocchio, ma Grimmjow in un certo senso teneva
alla sua Fracciòn. Non era certo stato felice di vederla
perlopiù sgominata, e quando Tousen lo aveva mutilato era
venuto da lei, la sua unica superstite…
Per quanto riguarda il resto,
non me ne frega assolutamente niente, si disse Rayen,
benché l’idea di Grimmjow intento a pomiciare con
uno Shinigami non le fosse troppo gradita.
“Ancora non
mi credi?” motteggiò Nnoitra, divertito.
“Peggio per te. Quando sia tu che il gattino sarete
all’inferno, potrai interrogarlo quanto vorrai…
anche se la conversazione potrebbe lasciarti un poco delusa.”
Senza darle il tempo
di rispondere, l’Espada si lanciò contro di lei,
sollevando la falce con tutta l’intenzione di ghigliottinarla
su due piedi. Non aveva più voglia di perdere tempo con lei,
voleva semplicemente uccidere il giocattolo di Grimmjow e farla finita
così. Non le avrebbe più concesso di schivare un
solo fendente.
Era veloce. Preciso.
Schifosamente forte. Si sarebbe ritrovata all’altro mondo
prima ancora di percepire la bollente freddezza della lama che le
attraversava la carne.
Ti
prego, Trèbol, ti imploro…!
In preda al panico
più cieco, orribilmente cosciente del fatto che solo pochi
decimi di secondo la separavano dalla morte, Rayen alzò il
tachi ed emise un grido incoerente, un misto di confuse invocazioni Las Moiras
impastate al più puro, rabbioso terrore.
“E
dannazione, Las Moiras!!”
Una violenta ventata
la investì in pieno, tanto brutale da spostarla di peso.
Rayen si sentì strappare letteralmente dal suolo, e un
sibilo di disappunto le sfuggì dalla gola quando la sua
schiena urtò di botto contro l’arido terreno
sabbioso.
Un momento, fermi
tutti… era a terra. Vedeva il cielo illusorio e splendente
di Aizen inarcarsi sopra di sé. Sotto le dita che ancora
stringevano testardamente il tachi poteva sentire la soffice secchezza
della sabbia. Nessun dolore pungente le straziava la carne.
I casi erano due: o
Nnoitra era stato davvero così bravo da ucciderla senza che
se ne rendesse conto, o Rayen era ancora viva.
Dedusse che la
possibilità più vera fosse la seconda.
“Ma non ha
senso” borbottò tra sé, incredula,
meravigliandosi del suono della sua stessa voce. “Non ha
affatto senso. Perché…?”
Piantò la
spada a terra e la usò come puntello per tirarsi su. Le
superficiali ferite causate da Nnoitra le bruciavano, ma erano
sopportabili; quello che invece le fu quasi intollerabile fu
l’assurdità della scena che le si
presentò davanti agli occhi.
Per un lungo istante
rimase immobile, attonita, a fissarli con gli occhi sgranati: di fronte
a lei c’era Nnoitra, disteso a terra in un lago di sangue,
sussultante come una bestia ferita e con l’unico occhio fisso
sulle mura di Las Noches; e laggiù, sotto quei candidi
blocchi, nel punto in cui fino a pochi istanti prima si era trovato
Tesla…
“Il
Necroforo” ringhiò Nnoitra, mentre una sorda
collera incendiava ogni traccia di sarcasmo dal suo volto.
“Eccolo qui, il celeberrimo bastardo. Non dovrò
neppure andare a stanarlo fino a Las Lloras.”
Rayen scosse
lentamente il capo, senza quasi sentirlo. Il suo sguardo era inchiodato
sul Necroforo, come se potesse in qualche modo assorbire ogni suo
dettaglio, catturare la sua immagine, inciderla per sempre nella sua
mente.
Il cadavere di Tesla
rotolò a terra, i lindi abiti bianchi ora sudici di sangue e
polvere, le pupille dilatate sotto un’agghiacciante fessura
spalancata in mezzo alla fronte. Era diventato un Traspasado, come li
chiamava Szayel Aporro, una delle vittime del temuto Necroforo.
Ma la creatura che
incombeva su Tesla non aveva niente di realmente mostruoso o
terrificante: si trattava di un ragazzo alto e scheletrico,
più simile a un semplice morto di fame che a
chissà quale letale entità distruttiva, i cui
lunghi capelli ramati risplendevano come metallo fuso contro il pallore
mortale della pelle. Indossava solo degli hakama scuri, e il
torace nudo metteva particolarmente in risalto la sua magrezza
spettrale; dalla schiena, appena al di sotto delle scapole, si
allargavano due fiere ali perlacee, a prima vista troppo grandi per un
fisico così gracile. L’unica cosa di lui che
poteva incutere un minimo di inquietudine erano le braccia:
l’arto destro era normale, ma al posto del sinistro
c’era quella che sarebbe potuta passare per una brillante
protesi di infuocato
reiatsu blu zaffiro, plasmato secondo la dardeggiante
sagoma di un braccio concreto.
Il tachi sfuggì
dalla mano di Rayen, andando a sbattere a terra con un lieve clangore.
La giovane Arrancar non riusciva a staccare gli occhi
dall’apparizione.
“Tu…
sei tu il Necroforo?!” articolò, confusa.
Si era aspettata un
essere selvaggio e crudele, un perfetto sconosciuto dominato da un
istinto feroce, ma quell’angelo malinconico la prendeva
totalmente alla sprovvista. E non solo per il suo aspetto: a
sbigottirla era anche e soprattutto il fatto che c’era
qualcosa, nel suo viso e nel suo braccio di reiatsu, che le
bussava alla memoria come un visitatore notturno, chiamandola,
attirandola.
Scostando da
sé il cadavere di Tesla, nell’espressione del
Necroforo si leggeva solo un’infinita tristezza, come se
l’assassinio della Fracciòn gli fosse costato un
gran sacrificio. Dalla cosiddetta protesi colava ancora il suo sangue,
che ormai aveva formato una piccola macchia cremisi accanto ai suoi
piedi nudi.
Non
mi sei nuovo, no… oh, ti conosco, ma chi sei? Chi diavolo
sei?!
Rayen fissava
disperatamente il Necroforo, cercando di ricordare. Era importante, era
dannatamente importante! Possibile che quel tipo fosse in qualche modo
connesso anche con i suoi Focus? La domanda le urlava nel cervello,
infiammandole i neuroni. Era convinta di conoscerlo, ci avrebbe
scommesso la propria anima, ma chi accidenti poteva essere?
L’aveva forse incontrato durante i suoi viaggi con Indar?
“Stronzo
schifoso, ora che hai ucciso Tesla chi pulirà la mia camera
delle torture? Tu, magari? Trascinerai il tuo culo piumato fino a Las
Noches e userai le tue belle alucce come ramazza?!”
Rayen
rabbrividì. Il Necroforo era comparso
all’improvviso, ferendo Nnoitra e uccidendo Tesla nel giro di
pochi secondi, ma non la spaventava neppure la metà di
quanto lo facesse il quinto Espada: Nnoitra aveva una mano premuta
contro il fianco, laddove era stato colpito – dalla protesi
del Necroforo? Cos’altro poteva aver trapassato il suo hierro e ucciso
Tesla? – e le ondate di reiatsu
da lui emanate erano tanto massicce e aggressive che al
confronto la pressione spirituale di Rayen non pareva più
intensa di quella di una lucertola Hollow.
Il viso del Necroforo
s’incupì, un cipiglio che adombrò
ulteriormente la sua espressione tetra. A metà tra un
angelo, un serial killer e un invalido, era l’incarnazione
dell’amarezza. Se il suo atteggiamento fosse stato un poco
più freddo, avrebbe potuto essere il fratello pel di carota
di Ulquiorra.
L’angelo e il demone,
si disse Rayen, pensando a Murcièlago.
“Che
c’è, sei anche sordo, oltre che
bastardo?” lo derise Nnoitra, risollevandosi e levando la
falce. “Peggio per te, sono sicuro che Grantz sarà
contento di accogliere un grazioso canarino per le sue sperimentazioni.
Inore, Santa Teresa!”
L’attacco
finì prima ancora di iniziare.
Una seconda sferzata
di vento schiaffò la faccia di Rayen, e lei
s’affrettò a balzare all’indietro con un
rapido sonido, allontanandosi dal Necroforo. Ma quando i suoi stivali
ossei toccarono di nuovo terra, l’angelico omicida era
scomparso: davanti a lei non restavano altro che il cadavere di Tesla e
il corpo contratto e immobile di Nnoitra, entrambi distesi bocconi
contro la bianca sabbia di Hueco Mundo.
La
Resurrecciòn le scivolò cautamente via, e la
vecchia maschera umana tornò a coprire la sua vera
apparenza.
Era sola.
********************************
Allora.
Eccomi qua, dopo due
mesi di mutismo in cui mi è capitato di tutto e di
più, senza contare un virus abbastanza fastidioso che mi ha
costretto a resettare il computer e un mostruoso calo
d’ispirazione. Da questo cap in poi la struttura potrebbe
variare e me ne scuso -inchino-
Come capitolo ammetto
che non mi soddisfa granché. Prima che qualcuno si lamenti
che il Necroforo venga, prenda e se ne vada senza neppure sfiorare
Rayen, garantisco che è un fatto calcolato.
Ringrazio tutti i miei
fidati commentatori ^^
..:: Mimi93: mi
dispiace per l’uscita di scena di zio Nnoitra, ma era
necessaria xD però potrebbe non essere ancora morto del
tutto, chissà… Grazie, mia fidata critica.
..::
Elos: ahah danke spero che anche questo cap ti sia piaciuto.
..:: Shakuma92:
muahahah Rayen’s powerful!! (eh sì,
così powerful che passa non uno ma ben due capitoli
aspettandosi di crepare da un momento all’altro…)
a parte tutto, Rayen era stata pensata per essere un’Arrancar
piuttosto forte, non proprio una mezza cartuccia xD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** XII. Two Words Before Departure ***
- Non si era accorta di nulla,
seriamente. Era rimasta a fissare la scena con assoluto orrore fino a
quando una mano pesante non le era calata sulla spalla, riscuotendola
rudemente. Non aveva davvero realizzato chi fosse fino a quando non
aveva riconosciuto il lampo azzurro dei capelli di Grimmjow.
- Nella sua mente, accesa e vivida come
una fiamma, ardeva ancora l’immagine del Necroforo, di
quell’angelo magrissimo e dai capelli ramati che
l’aveva così tanto turbata. Sapeva chi era, ma il
suo ricordo era come una scivolosa anguilla ricoperta d’olio;
per quanto cercasse di afferrarlo, lui continuava a eludere la sua
presa.
- XII.
Two Words Before Departure
- Heaven
today is but a way
- To
a place I once called home.
- Heart
of a child, one final sigh
- As
another love goes cold.
- For
the heart I once had - Nightwish
- “Che significa,
‘penso di conoscerlo ma non so chi sia’?!”
- “Voglio dire, ricordo di
averlo già visto da qualche parte ma non ho idea di chi posa
essere. Sai, è stato uno di quei momenti di dejà
vu.”
- “Il che non giustifica il
motivo per cui non ti ha fatta fuori.”
- “Avresti voluto che mi
ammazzasse?!”
- Rayen e Grimmjow erano sul divano
semisfondato dell’ex Espada, lei tranquillamente seduta, lui
comodamente stravaccato. Benché a Hueco Mundo il concetto di
tempo fosse alquanto relativo, Rayen riteneva che potessero essere
passati al massimo un paio di giorni dall’incontro col
Necroforo, e a Las Noches le acque erano ancora piuttosto agitate:
ovunque non si parlava altro che dell’ultimo attacco
dell’assassino e della letale velocità con cui
aveva ucciso un altro Arrancar e condotto a un passo dalla morte
perfino il quinto Espada.
- A Hueco Mundo non si svolgevano
funerali. Non se n’era svolti per Neliel Tu Oderschvank,
né per Indar, né per i Traspasados né
per nessun altro. Non si sarebbe celebrato nulla neanche per Tesla,
naturalmente.
- Rilassandosi contro il soffice
schienale, Rayen pensò ad Apache, a quella volta che le
aveva confessato la sua segreta passione per Tesla. Non aveva mai visto
un Hollow piangere, e si domandò se Apache avrebbe pianto la
sua repentina scomparsa. Probabilmente no, il suo orgoglio non
gliel'avrebbe permesso.
- “Grimmjow” disse
all’improvviso.
- “Grimmjow-sama”
precisò lui.
- “Quello che è.
Perché gli Hollow non celebrano funerali?”
- “Non
saprei…” borbottò lui in tono
sarcastico. “Aspetta, forse perché siamo già
morti? E poi, chi vuoi che si prenda la briga di darti una degna
sepoltura? Nel caso non l’avessi notato, qui ogni singolo
individuo pensa solo a pararsi il culo e tirare avanti più a
lungo possibile.”
- “È abbastanza
triste.”
- “Non sei tu a dettare le
regole.”
- “Non è nemmeno
giusto che le detti Aizen… o il Necroforo.”
- Grimmjow si passò una mano
fra i capelli con un gesto irritato. Che l’argomento lo
infastidiva, glielo si leggeva in faccia. “Non recitarmi la
parte dell’ingenua pacifista, Fie. Ma hai visto
com’è il mondo qui fuori? Ti sembra un piccolo
paradiso tutto pace e amore?”
- Rayen scosse la testa. “Ma
potrebbe essere un posto migliore, se gli Arrancar riuscissero a
vincere il loro lato bestiale.”
- “Adesso parli come Tu
Oderschvank... Se fossi in te, eviterei di filosofeggiare troppo sul
nostro stile di vita e mi preoccuperei di più per quel
bastardo d’un becchino noto come Necroforo: mi suona come una
grandiosa stronzata il fatto che abbia quasi sventrato Nnoitra senza
torcere a te neppure un capello.”
- Rayen sospirò. Iniziava a
chiedersi perché avesse deciso di confidarsi proprio con
lui, con tutti i bravi Arrancar stipati in Las Noches. Forse per il
banale motivo che era stato lui il primo a trovarla dopo
l’assassinio di Tesla, il primo essere intelligente
– be’, più o meno – in grado
di poter ascoltare le sue farneticazioni.
- “Non so perché
non mi abbia uccisa, okay? Non riesco nemmeno a spiegarmi
perché abbia scelto di ammazzare proprio Tesla…
Vista la facilità con cui ha ferito Nnoitra, dubito che
stesse mirando semplicemente alla preda più debole. E non
capisco nemmeno come abbia fatto a coglierci così di
sorpresa: in fin dei conti almeno il signor Cucchiaio avrebbe dovuto
percepire la sua reiatsu, no?”
- Grimmjow tacque per qualche istante.
Pareva quasi pensieroso. Quasi.
- “Qualche tempo fa, prima
che tu e Oroitz arrivaste a Las Noches, l’Octava Espada era
un tale Zeruko Loinaz. In quanto a idiozia rivaleggiava con Nnoitra, ma
se la cavava abbastanza bene nell’attaccare mascherando la
reiatsu. Era come se la facesse implodere dentro di
sé… il suo corpo ne era carico, ma
l’energia non era percepibile. Il che lo rendeva un asso
nelle imboscate.” Distese l’unico braccio rimasto
lungo il bordo dello schienale, stiracchiandolo e saggiandone i muscoli
ancora pronti e funzionali. “Non si può uccidere
un Arrancar senza utilizzare almeno una stilla di reiatsu, è
un dato di fatto. Però è possibile che questo
innaturale becchino abbia usato un sistema simile, in qualche modo."
- Un sistema per sfruttare la reiatsu
senza essere percepiti?
- “Wow.” Rayen
scosse lentamente la testa, sorpresa… ed eccitata. Forse, ma
proprio forse, c’era la sottilissima possibilità
che fossero finalmente sulla via giusta. “E come faceva,
Loinaz?”
- “Che ne so? Lo faceva e
basta” sbottò Grimmjow. “Dubito che
potrai approfondire la cosa, comunque, dato che Grantz l’ha
sconfitto e imbottigliato un centinaio d’anni fa.”
- “In che senso,
‘imbottigliato’?”
- “Nel senso che
l’ultima volta che ho visto Loinaz, i suoi rimasugli stavano
galleggiando in una fiala da laboratorio.”
- La sorpresa di Rayen si
trasformò in disgusto. Non osava neppure immaginare a quanto
potesse essere orribile sentire il tocco di Szayel su di sé,
le sue avide mani che la prendevano, la mutavano, spezzavano la sua
anima fino a ridurla ad un misero mucchietto di materia
sperimentale…
- “Hai paura di
Grantz?” Grimmjow rispose alla sua smorfia sfoderando un
sorriso sghembo, derisorio. “Conosci la sua passione nel
collezionare nuove cavie, suppongo. Effettivamente non ti conviene
ronzargli troppo attorno, a meno che tu non desideri una morte lunga e
tormentosa.”
- Un risolino amaro. “No
grazie. C’è già un Espada ansioso di
uccidermi, e uno basta e avanza.”
- Si sollevò la manica,
rivelando il vibrante tatuaggio a forma di 5 impresso sul suo polso: il
Contacto
che la collegava a Nnoitra. La reiatsu del ‘signor
Cucchiaio’ continuava ad aleggiare sulla sua pelle come un
acre profumo.
- “Collegarsi ai propri
Fracciònes con un tatuaggio di reiatsu… che idea
balorda” sibilò Grimmjow, stringendo le dita
attorno al suo polso e osservando con attenzione quel contorto 5 nero.
“È un peccato che Nnoitra non sia morto, sarebbe
stato un attaccabrighe in meno a Las Noches. Se non altro, posso ancora
togliermi lo sfizio di ucciderlo personalmente.”
- “E ti lamenti anche?
Dovresti ringraziare il cielo che non è il tuo Espada”
protestò Rayen, ma non ritirò la mano: per
qualche motivo che non riusciva a comprendere a fondo, il burbero tocco
dell’ex Espada le trasmetteva un sottile piacere.
L’assenza del suo braccio sinistro non le pareva
più così vistosa, anzi, era del tutto
irrilevante.
- Un
braccio mutilato…come il Necroforo.
- Scartò il pensiero e
guardò Grimmjow: lui fissava il 5 sul suo polso come se
avesse potuto incenerire con lo sguardo colui che l’aveva
marchiata. Osservando il suo volto teso, Rayen non poté fare
a meno che seguire il profilo della guancia, la spietata mascella
Hollow, gli occhi blu zaffiro ribollenti di un selvaggio fascino.
Provò l’impulso di saltargli addosso e soffocare
contro di lui ogni turbamento e preoccupazione, ma probabilmente
avrebbe ottenuto solo di farsi polverizzare da un Cero.
- “Hmm, Grimmjow?”
Si schiarì la gola, incerta. Le parole di Nnoitra
continuavano ad assillarla, come piccoli aghi appuntiti che le
punzecchiavano il cervello. “Perché hai graziato
lo Shinigami Delegato, la notte in cui Shawlong e gli altri sono
morti?”
- Grimmojow arricciò le
labbra, senza staccare gli occhi dal Contacto.
“’Graziato’ è una parola
grossa, Fie. L’unico motivo per cui il marmocchio umano
è ancora in giro sulle sue gambe è
perché Tousen mi ha vivamente impedito di
ammazzarlo.”
- “Oh.” Un
imbarazzo sollievo invase Rayen, che tutto d’un tratto
trovò molto interessante una piccola ricucitura nella fodera
del divano. Non avrebbe mai voluto porgli quella domanda, ma essa le
sfuggì dalla lingua come dotata di volontà
propria: “Perciò non hai mai avuto una relazione
con lui, vero?”
- Stavolta, le pupille di Grimmjow si
dilatarono drasticamente, come se gli avesse appena dichiarato in
faccia di nutrire scostumate brame per Aaroniero. Quando si
appuntò su di lei, il suo sguardo traboccava rabbia, sdegno
e pura stupefazione.
- “Io una relazione
con uno Shinigami?!
Ma si può sapere che ti frulla nel cervello, Fie? Certo che
non ho avuto una relazione con quello psicopompo da quattro soldi! Se
anche ce l’avessi, comunque, non sarebbe affar tuo.”
- Ovvio, il fatto non la riguardava di
sicuro, però la certezza che non covasse desideri simili la
tranquillizzò. Tutta
colpa di Nnoitra, è stato lui a mettermi la pulce
nell’orecchio.
- “No, non intendevo dire
quello, è che… Aspetta, sta arrivando
qualcuno.”
- Rayen interruppe la sua goffa
giustificazione, e un attimo dopo si udì un lieve bussare
alla porta della stanza. Grimmjow sbuffò e lasciò
la mano della ragazza.
- “Che accidenti vuoi,
Loly?”
- Un’esile Arrancar fece
capolino dalla porta, scrollando all’indietro i lunghi codini
neri e sollevando orgogliosamente il mento, come se fosse stata
più che fiera dell’incarico affidatole.
- “Aizen-sama ha un messaggio
da riferire” annunciò altezzosa. “Ha
deciso di spedire un plotone di Arrancar nel Mondo Reale e vi invita a
prenderne parte.”
- Ci
invita o ci comanda?, pensò ombrosamente Rayen.
- “La Soul Society ha mandato
una squadra di Shinigami a pattugliare la città di
Karakura” proseguì Loly. “Il vostro
scopo sarà distrarli il più a lungo possibile, in
modo che si concentrino solo su di voi e tralascino tutto il resto. Nel
frattempo, Ulquiorra ne approfitterà per catturare
Inoue.”
- “Inoue?”
- “Un’umana dotata
di qualche granello di reiatsu, che a quanto pare Aizen giudica interessante”
chiosò Loly, grondando disprezzo da ogni sillaba. Era chiaro
che a lei invece non interessava per niente, ma gli ordini erano ordini
e nessuno poteva contestare Aizen-sama… il suo Aizen-sama.
- Ci
mancava solo la ragazzina aizenofila. Rayen
pensò che Grimmjow avrebbe rifiutato comunque, ma con sua
sorpresa lui accettò di gusto.
- “Il tuo prezioso
Aizenuccio-sama ti ha detto quando partiamo?”
- Un leggero rossore
infiammò la faccia di Loly, che s'irrigidì.
“Il prima possibile, Jaeguerjaquez. Vuole che vi incontriate
immediatamente nella Sala delle Udienze. Anche la Fracciòn
di Nnoitra, tanto lo stronzo bendato è ancora in
infermeria.”
- Lo stronzo bendato, il Signor
Cucchiaio… a quanto pareva, Nnoitra non godeva di grande
popolarità a Las Noches.
- Loly se ne andò con la
stessa alterigia con cui era arrivata, lasciando Rayen e Grimmjow di
nuovo soli. Lei si volse verso il suo ex Espada, preoccupata:
l’espressione sul suo volto tradiva un gioioso furore
omicida, l’espressione di un predatore che ha appena puntato
un bersaglio fragile e indifeso.
- “Grimmjow?”
chiese cautamente.
- “Il Delegato”
ringhiò lui di rimando, in un tono basso e pieno di rabbioso
compiacimento. “Questa è la volta buona che lo
ammazzo. Per certo.”
**********************************************
- Voilà,
dodicesimo
capitolo. Se tutto va come deve andare, il prossimo conterrà
una notevole rivelazione, ma se i vostri neuroni sono ancora tutti vivi
e vegeti possono tirare un po’ il fiato, perché
causa gita non potrò riaggiornare tra meno di una settimana.
Ah, e nel manga vero e proprio la scena di Loly che funge da
‘messaggera’ per Grimmjow non esiste, è
una mia piccola licenza poetica.
- Ancora,
ringrazio i commentatori,
nonché BON e Shakuma92 per avere inserito la storia tra i
preferiti, e Akisan, Asteria 95, Elos, Exodus e fujiima per averla
inserita tra le seguite ^^
- ..::
Elos: grazie :) se vuoi un
consiglio dai una spietata caccia soprattutto alla serie
dell’Hueco Mundo, è spettacolosa! A volte mi
piacerebbe essere una telepate, per poter dare un’occhiata
alla mente di Tite Kubo… ha una fantasia terrificante, basta
pensare a quanto sono ben delineati i caratteri dei personaggi minori.
- ..::
Exodus: yessss
l’Arcano Sin Nombre è la morte ^.^ il come si
ammazza qualcuno che teoricamente è già morto
è tutta un’altra questione. Grazie del consiglio,
cercherò di migliorarmi :) per quanto riguarda
l’originalità, a volte mi viene davvero da
chiedermi cosa trinco alla sera prima di mettermi a scrivere…
- ..::
Garconne: se come potere
super-figo-eccezionale si può intendere l’Arcano
Sin Nombre, sì. Scusatemi se non sono particolarmente
precisa nel descrivere gli effetti di Trèbol, il meccanismo
nella mia testa è perfettamente chiaro ma al contempo
è abbastanza difficile da mettere per iscritto. Thank you
:)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** XIII. Savage Saviour ***
Il
piano era semplice: un gruppetto di Arrancar si sarebbe recato a
Karakura e avrebbe funto da diversivo, mentre Ulquiorra avrebbe
approfittato della confusione generale per rapire Inoue Orihime. Aizen
non aveva rivelato nulla riguardo alle potenzialità
dell’umana, ma Rayen aveva lo spiacevole sospetto che le
avrebbero scoperte presto. Doveva esserci qualcosa sotto, se Aizen
inviava Ulquiorra anziché qualche Hollow di classe
inferiore.
Le
possibilità erano due: o Inoue era dotata di uno
straordinario potere distruttivo, o era comunque una pedina di notevole
valore. Ce ne voleva, per scomodare Ulquiorra Cifer.
XIII. Savage Saviour
There's a shadow that
dwells inside your head
Within mine as well
Turns our lives into a
living hell
Like a curse and a spell
I' ve been drifting away
from days of light
I' ve been swept away
far into the night
I guess I'll never ever
make it back
Absent Without Leave – Sirenia
Il
Garganta spalancò le sue nere fauci, dilaniando il vuoto
azzurro del cielo sopra Karakura. Non appena l’apertura si
dilatò, il gruppetto di Arrancar al suo interno fu investito
da varie ondate di reiatsu: a giudicare
dall’intensità del flusso, almeno una mezza
dozzina di Shinigami doveva essere stata inviata a pattugliare la
città.
“Bene,
bene” fu il truce e soddisfatto commento di Yammy, come
davanti a un ricco buffet, “ce n’è
abbastanza per tutti.”
Il
nero turbinava e gorgogliava attorno a Rayen come una cascata
d’inchiostro, ma lei notò comunque
l’espressione compiaciuta dipinta sul viso androgino di
Luppi. Era la sua prima missione come Sexta Espada, e di sicuro
l’idea lo stuzzicava; accanto a lui, il piccolo Wonderweiss
Margela osservava Grimmjow con aria di vacuo stupore, come se non
avesse mai prima un essere tanto interessante.
E
come dargli torto,
pensò Rayen con amaro umorismo, gettando una rapida occhiata
alla figura alta e atletica del suo ex Espada.
Grimmjow
stava scrutando il panorama sotto il Garganta con espressione assorta,
gli occhi chiari inespressivi quasi quanto quelli di Wonderweiss. Una
cinquantina di metri più in basso, uno sparuto gruppetto di
Shinigami fissava attentamente il Garganta, in attesa della prossima
mossa degli Arrancar.
“La
persona che sto cercando non è qui”
tagliò corto Grimmjow, un attimo prima di balzare fuori dal
portale con un rapido
sonido e
sparire dalla vista.
“Grimmjow,
dove diavolo vai?” lo chiamò inutilmente Rayen,
colta di sorpresa. Cosa
frulla nel cervello di quell’idiota?
D’istinto,
la giovane Arrancar si tuffò fuori dal Garganta e con una
spinta di sonido
si
sollevò in aria, nel terso cielo azzurro inarcato sulla
città. Fu gradevole lasciarsi alle spalle tutta
quell’oscurità claustrofobica, fu come strapparsi
dal viso un sacchetto di plastica nero. I polmoni di Rayen accolsero
con piacere i profumi della vita pulsanti nel vento.
“Fie
Oneiron, torna qui!” tuonò Yammy alle sue spalle,
ma la voce mielosa e insinuante di Luppi lo azzittì:
“No, Yammy, lascia pure che vada dietro a
Jaeguerjacquez… tanto nessuno dei due è un
Espada, sarebbero solo un fardello per noi.”
‘Ma
vai all’inferno, donnicciola.’ Rayen si morse la
lingua per non gridarglielo in faccia. Il piano di Aizen consisteva nel
distrarre gli Shinigami, non nel mettere Grimmjow nei guai…
e poi tre Arrancar di alto livello sarebbero di certo bastati come
diversivo. Anche se forse Wonderweiss non sarebbe stato di grande aiuto.
La
Fracciòn puntò lo sguardo di fronte a
sé, tra le rade nubi che maculavano il cielo. La reiatsu
di
Grimmjow ardeva da qualche parte nelle vicinanze, una fredda fiamma
celeste che le riscaldava la mente: non si era ancora allontanato
troppo, le era ancora facile seguire la sua scia.
Mentre
saettava a mezz’aria, però, non poté
fare a meno di chiedersi che accidenti gli fosse preso. Un momento
prima era lì, tranquillo – insolitamente
tranquillo, in effetti – e l’attimo dopo si era
volatilizzato, alle calcagna del prossimo bersaglio.
“Il
Delegato… questa è la volta buona che lo ammazzo.”
Rayen
rabbrividì: non invidiava affatto lo Shinigami Delegato,
chiunque egli fosse. Grimmjow sapeva essere un maestro
dell’uccisione, e non si sarebbe fatto scrupoli a toglierlo
di mezzo. Senza contare che…
“Okiro,
Benihime.”
Eh?
Rayen
estrasse Trèbol e la mise di piatto, parando per un soffio
un formidabile fendente al torace, tanto rapido quanto inaspettato. A
interrompere le sue riflessioni era stato un tizio alto e strampalato,
con un cappello a tesa larga calcato sui capelli biondi; a giudicare
dall’abbigliamento sarebbe stato più facile
prenderlo per un commerciante vecchio stile che per un dio della morte,
ma la possente Zanpakuto premuta contro Trèbol non lasciava
adito a dubbi.
“Ammetto
che non vi aspettavo così presto,” fece lo
sconosciuto, abbozzando un sorriso sornione al di là delle
lame incrociate. “Eppure Aizen sa bene che
l’Hogyoku non si risveglierà prima di
quest’inverno… c’è qualcosa
che non quadra, qui.”
Rayen
serrò la mascella e fece forza per allontanare da
sé la Zanpakuto. “E tu chi saresti, una specie
Shinigami in borghese?”
Il
sorriso dell’altro si allargò, assumendo
però una piega più amara. “Puoi
chiamarmi Urahara Kisuke. È un piacere rivederti,
Raiha.”
“Rayen”
lo corresse automaticamente lei, prima che gli impliciti significati di
quella parola le si schiaffassero in faccia in tutta la loro pienezza.
“Ehi, e tu come diavolo fai a sapere chi sono?”
Urahara
disimpegnò la Zanpakuto, allontanandosi da lei con uno
scatto di shunpo. Era
veloce, dannatamente veloce, al punto che faticava a stargli dietro
persino lei, che pure faceva dell’agilità la sua
carta vincente. Sotto la tesa del cappello, gli occhi grigioverdi dello
Shinigami le parevano pieni di sollievo e al contempo di tristezza, e
quando parlò la sua voce suonò monocorde:
“Ho fatto molti errori nella mia esistenza, Raiha, e il non
essere stato in grado di proteggerti in modo adeguato è uno
di quelli che mi grava di più. Non hai idea di quanto mi
dispiaccia… Speravo che la tua anima fosse già
stata purificata e che ora riposasse in pace nell’oltretomba,
ma vedo che mi sbagliavo.”
“Cosa
stai farneticando?” Rayen brandì Trèbol
con fare intimidatorio. “Hai preso un bel granchio,
perciò fammi il favore di risparmiarmi il melodramma... io
non so chi tu sia e non ti ho mai visto prima.”
“Non
in questa vita” concesse Urahara.
Rayen
scosse lentamente la testa, confusa e spazientita. “Tu sei
pazzo. Non ho mai fraternizzato con alcun Shinigami, e di sicuro non
con te!”
“Sulla
tua prima affermazione non posso contestare, ma la seconda è
innegabilmente falsa.” Urahara ammorbidì la presa
su Benihime, lo sguardo stranamente mite piantato sul viso di Rayen. Si
era trasformato da macchina da guerra in tranquillo pacifista nel giro
di pochi istanti, ma la cosa non la rasserenava affatto. “Non
ricordi proprio niente, Raiha? Né me, né Isshin,
né nessun altro, immagino... Il processo di trasformazione
in Hollow ti ha cancellato la memoria in modo così
drastico?”
Rayen
non sapeva cosa pensare. Era venuta fin lì per guardare le
spalle a Grimmjow, ed eccola a intavolare un’insensata
discussione con un dio della morte travestito da umano. Urahara doveva
essere ammattito, poco ma sicuro: un tempo lei sarà anche
stata umana, sì, ma fino a prova contraria gli umani non
potevano percepire gli Shinigami, o gli Hollow. Non avrebbe potuto
incontrarlo in nessun caso.
“So
che sei disorientata, e che mi ritieni un folle. È
comprensibile.” Urahara rinfoderò con calma la
Zanpakuto, ogni traccia di turbamento gli era sparita dal volto. Quando
si girò di nuovo a guardarla, sorrideva con fare quasi di
scusa. “Mi piacerebbe approfondire la questione, davvero, ma
temo che sia già arrivato il momento di separarci: il dovere
ci chiama entrambi, anche se per vie differenti. Dopotutto, alcuni miei
colleghi sono in pericolo, e tu hai un nipote da salvare… ma
prometto che un giorno o l’altro ti racconterò
tutto, Raiha.”
“Ma
che…” Prima ancora che Rayen potesse finire la
domanda, Urahara era già scomparso, fulmineo e leggero come
una raffica di vento. La sua prodigiosa reiatsu si
spostava talmente in fretta da essere quasi impossibile da individuare.
Aspetta
un minuto… vieni qui, provi a trafiggermi, mi snoccioli
quattro idiozie senza senso e infine mi dici che mio nipote sta per
essere fatto fuori?!
Che
tipo bislacco, Urahara. Una volta a Las Noches, si sarebbe informata su
di lui: una sagoma del genere non poteva non essere nota, almeno ai
vertici Arrancar.
“Un
nipote da salvare…” mormorò Rayen tra
sé. Aveva veramente un nipote, o era solo frutto del delirio
di Urahara? Dei del cielo, non ci capiva più niente. Urahara
dev’essere pazzo, seriamente… magari è
una specie di maniaco telepatico. O forse, più
semplicemente, ha studiato a lungo le identità dei primi
cinquanta Nùmeros per carpire le nostre tattiche,
o…
Un’improvvisa
esplosione di reiatsu davanti
a lei la fece riscuotere. In quella vampata percepì sia la reiatsu cupa e
rabbiosa di Grimmjow, sia quella fredda e violenta di uno Shinigami. La
sua attenzione si appuntò su quest’ultima: le era
familiare in maniera quasi allarmante.
Era
la sua. Deglutì. O meglio, era molto simile alla sua...
Oddio, possibile che quel maniaco dal sorriso sornione avesse detto il
vero?
La
detonazione s’intensificò, e un secondo pensiero
le rotolò nella testa: Di questo passo, si uccideranno a
vicenda.
Sibilando
un’imprecazione, la ragazza si librò in direzione
delle due reiatsu.
Erano
lì, una ventina di metri di fronte a lei: un ragazzo in nero
inginocchiato sull’asfalto di una strada secondaria, con il
dorso della mano trafitto da una spada saldamente piantata a terra;
sotto le ciocche di capelli arancioni, il viso era una maschera di
collera e di sgomento. Sopra di lui torreggiava Grimmjow, il braccio
inclinato all’indietro con aria trionfante, il palmo
illuminato da un Cero.
“Grimmjow,
no!” urlò Rayen, in preda al panico.
In
un supremo slancio di sonido
volò
attraverso l’ultimo tratto di strada che li separava, e si
scagliò contro Grimmjow con tanta veemenza da fargli perdere
l’equilibrio. Deviato dal suo obiettivo, il Cero
partì verso l’alto come un fuoco
d’artificio, mentre i due Arrancar capitombolavano a terra in
un groviglio di arti, ossa e invettive.
“Che
cazzo stai facendo, Fie?” ringhiò Grimmjow,
sorpreso e irritato. “Levati dai piedi!”
Distesa
contro il bacino dell’ex Espada, Rayen
s’affrettò a tirarsi su. Aveva il cuore in gola.
“Non
puoi ammazzarlo, Grimmjow” ansò, con la voce
affievolita dallo choc. “Non puoi, assolutamente…
tu… lui…” Si girò verso il
Delegato: sembrava stupito quanto Grimmjow, e la fissava con
l’aria curiosa e incredula di un bambino che vede pioversi
addosso la slitta di Babbo Natale. Sotto la divisa da Shinigami si
indovinava un fisico asciutto e muscoloso, ma la cosa che
più colpì Rayen furono i suoi occhi: occhi grandi
ed espressivi, dal taglio esotico, di una profonda sfumatura nocciola
che in parte sfumava nel castano, in parte nell’ambrato.
I
suoi stessi occhi, identici.
Questo
Delegato… è veramente imparentato con me?
Qualcosa
le si ruppe dentro, come una lama corrosa dalla ruggine.
Era
l’ira dell’istinto Hollow, che le imponeva di
uccidere qualunque Shinigami.
Qualcos’altro
le germogliò all’altezza dello sterno, un
inesprimibile senso di calore.
Per
un breve momento, osservando il ragazzo, fu felicissima di essere
riuscita a salvarlo. Era suo nipote, figlio di un suo figlio, sangue
del suo sangue.
“Come
si chiama?” chiese in tono vacuo.
“Che
cazzo di domanda è?” protestò Grimmjow,
rimettendosi a sua volta in piedi. “Per la cronaca, questo
è Kurosaki, ma perché non sei a combattere gli
altri Shinigami, stupida Fracciòn? Togliti di
mezzo!”
Fece
per spostarla di peso, ma lei fu irremovibile. Non si era mai
sentita così viva, così umana, né
così avvilita: dentro di lei, il folle desiderio di
proteggere Kurosaki si scontrava contro la severa consapevolezza che
questi era uno dei principali bersagli degli Hollow. Uno dei principali
bersagli di Grimmjow.
Ma
l'avrebbe comunque difeso, a qualunque costo. Perché la poca
umanità che le era rimasta era tutta concentrata su quel
ragazzo dagli occhi nocciola, e distruggerlo sarebbe stato come
distruggere una parte di se stessa.
“Non
posso permetterti di ucciderlo” insisté, in un
tono tanto calmo da meravigliare persino se stessa. “Mi
dispiace, ma proprio non posso.”
Si
pose davanti a Kurosaki, fronteggiando il suo ex Espada.
Forse
nei suoi sogni più fantasiosi aveva immaginato che Grimmjow
si fermasse, rilassasse i muscoli e le confessasse di non poter lottare
contro di lei, contro l’unica persona a cui tenesse davvero
in tutta Las Noches… ma tutto quello che ottenne fu una
leggera scrollata di spalle e un tranquillo “Come
vuoi”, prima che la mano del Vasto Lorde iniziasse a
risplendere di Cero.
Il
terrore la folgorò come una scarica elettrica. Che stava
facendo, lì? Grimmjow non si sarebbe mai fermato, non per
lei, non fino a quando non avesse annientato lo Shinigami. Doveva
andarsene, e in fretta!
Rayen
s'irrigidì, come una marionetta dai fili tesi, ma un attimo
dopo avvertì Kurosaki mugolare alle sue spalle, ancora
inchiodato all’asfalto, e l'incantesimo si ruppe. Anche se
lei avesse evitato il Cero, nulla avrebbe impedito a suo nipote di
finire abbrustolito come un pollo alla brace. Non poteva permetterlo.
Soffocando la paura, estrasse la spada e si preparò ad
affrontare l’altro Arrancar, superiore a lei di ben undici
gradi. Era un suicidio, lo sapeva: il Diciassettesimo Nùmero
contro l’ex Sexta Espada...
Ma
ormai hai fatto trenta, tanto vale fare trentuno.
“Erabe,
Trèbol!” Più in fretta di
quanto non avesse mai fatto in tutta la sua esistenza,
sfiorò i quattro simboli impressi sullo scudo, chiamandoli
per nome e accendendoli del familiare chiarore azzurrino. La paura
velocizzava i suoi movimenti, rendendoli frenetici.
“Las
Moiras.”
Ti
supplico Trèbol spicciati…!
Sudava
freddo: il calore sprigionato dal Cero andava rafforzandosi.
La
freccia sullo scudo cominciò a ruotare, disegnando un
cerchio argenteo. Se avesse indicato la Justicia, Rayen
avrebbe potuto rispondere al Cero con un altro Cero. Se invece la
scelta fosse caduta sulla Fuerza, avrebbe
cercato di assorbire in Trèbol la violenza
dell’impatto. Se poi Las
Moiras avesse
puntato sull’Arcano
Sin Nombre,
be’… in realtà, nemmeno lei sapeva cosa
sarebbe accaduto: la sua efficacia sarebbe rimasta inalterata, anche se
si trovava nel Mondo Reale anziché in Hueco Mundo?
Adesso
era una questione di nanosecondi prima che il Cero venisse rilasciato.
Angosciata,
Rayen gettò un’occhiata alla freccia… e
quasi tirò un sospiro di sollievo. Forse da qualche parte
c’era davvero un essere divino più influente degli
Hollow e degli Shinigami. Riflessa nelle sue iridi, la luce del Cero
danzava come un bagliore di morte.
Ma
sul suo avambraccio la freccia indicava il calice, la Templanza.
“Escudo
Templado…”
Il
Cero di Grimmjow esplose.
Ichigo
rimase immobile, stupefatto, ormai quasi insensibile al pulsante dolore
che gli trapassava le mani. La ragazza Arrancar che era saltata addosso
a Grimmjow adesso incombeva sopra di lui, alta e sottile come un
giunco, avvolta in una specie di leggera armatura argentea, con lo
scudo a forma di quadrifoglio teso di fronte a sé.
Tutto
attorno a loro era comparso uno scudo a forma di cupola, palpitante di
reiatsu zaffiro; il Cero di Grimmjow incendiava l’aria al di
là di esso, artigliandolo ferocemente con dita infuocate, ma
non riusciva a penetrare la sua parete vitrea. Era come essere sotto
una campana di diamante, tanto fragile all’apparenza quanto
tenace in resistenza.
E
questa chi è?! Ichigo
scosse la testa: ci avrebbe pensato dopo, quando le acque si fossero
calmate. Nessuno scudo poteva reggere per sempre, soprattutto sotto un
attacco di Grimmjow. Con rinnovata determinazione, il ragazzo
addentò l’elsa della spada ancora conficcata nel
dorso della sua mano e tentò di svellerla. La sofferenza fu
atroce, ma tentò di ingoiarla: se non si fosse liberato alla
svelta, sarebbero morti entrambi, lui e l’Arrancar dai
capelli ramati.
Una
pioggia di Cero intervallati a Bala stava tempestando la parete
cerulea, che ormai cominciava a incrinarsi. Ichigo
moltiplicò i suoi sforzi per strappare la spada. Doveva, doveva
farcela…
L’Escudo
Templado fu
attraversato da una crepa, un bianco lampo distruttivo. Ichigo
sentì la ragazza Arrancar gridare per la tensione.
La
spada scivolò via di qualche millimetro dalla mano. Non
ancora a sufficienza. Il ragazzo fortificò la presa tra i
denti e continuò a tirare, a tirare ancora, disperato...
“Ichigo!!”
La
cupola stava per infrangersi quando un’acuta voce femminile
gli giunse alle orecchie, e l’aria attorno allo Scudo parve
cristallizzarsi di colpo.
********************************
Adoro
il numero romano XIII, penso che sia il mio preferito in assoluto dopo
l’XV!! (ma chissenefrega!, ndRayen)
[Sixy
le sferra un calcio volante stile Chuck Norris] zitta, tu, se proprio
devi morire allora fallo in silenzio! u.u dunque, siamo alla fine del
capitolo XIII. Che ci crediate o no, è stato uno dei
più difficili da scrivere. Premetto che il breve incontro
con Urahara non mi convince per niente per come l’ho scritto,
ma è la versione più accettabile che sia riuscita
a sfornare. Spero abbiate comunque gradito il capitolo ☺
..::
Elos: grazie mille ^^ sono contenta che Rayen ti piaccia. Personalmente
sono abbastanza fiera di lei [Rayen torna arrancando, ancora stordita
dal calcio volante, e getta un’occhiata omicida a
quell’ipocrita della sua autrice; Sixy la ignora,
fischiettando con aria innocente]. Si, in effetti acquistare ogni
singolo numero a prezzo intero è davvero massacrante per il
portafogli… hai fatto una buona scelta ^^ kisu, alla prossima
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** XIV. Frozen ***
Era finita.
Certo,
non era quella la morte che aveva progettato. Se proprio non poteva
vivere per sempre, allora avrebbe voluto morire in uno scontro
autentico, sotto il vessillo di qualche nobile causa, una di quelle
solenni idiozie che la gente normalmente abbozza come scusa per andare
a morire. Sarebbe stata una buona morte.
E invece
avrebbe terminato la sua esistenza come un pollo alla brace, arrostita
viva dal Cero di un suo stesso alleato… l’alleato
che più ammirava e rispettava.
A volte,
la sfortuna poteva essere davvero ingiusta.
XIV.
Frozen
I
have you in my dreams at night
you
were holding my hands
then
I awake and you're not mine
now
it's time to rise
I
want to turn cold ice in my soul
got
to freeze this yearning inside.
Reverie
– Lacuna Coil
L’Escudo
Templado si sbriciolò, dissolvendosi poco a poco in una
pioggia di scintille azzurrine. Rayen, ormai psicologicamente pronta a
finire carbonizzata da un momento all’altro, fu sorpresa di
sentire un brivido di freddo: attorno a lei non c’erano
letali fiamme di reiatsu,
solo una manciata di fiocchi di neve, turbinanti a mezz’aria
come esili farfalle di carta. A qualche metro di distanza si ergeva una
statua di ghiaccio, la perfetta replica di Grimmjow congelato
nell’atto di sparare un Cero. Gli occhi attoniti
dell’Arrancar si appuntarono in quelli dell’ex
Espada, chiari come l’inverno e velati di brina.
“Grimmjow?”
lo chiamò, esitante.
Grimmjow
non si mosse.
Rayen
deglutì.
Non era
morto. Non poteva esserlo… non così, in modo
tanto repentino. Insomma, Grimmjow era Grimmjow, non un Gillian da
quattro soldi. Las Noches iniziava e finiva con lui.
Del tutto
dimentica di Kurosaki e del bizzarro miracolo che li aveva salvati,
Rayen s’accostò all’altro Arrancar.
Vacuamente, nel suo cervello balbettò l’idea di
assorbire la reiatsu
di ghiaccio tentando una Fuerza,
ma fu distolta da una voce bassa e gentile.
“Stai
bene, Ichigo?”
Una
Shinigami dai corti capelli corvini era comparsa accanto al ragazzo e
ora strattonava la spada di Grimmjow nel tentativo di estrarla da
terra. Per quanto si sforzasse, però, l’arma
sembrava non avere intenzione di svellersi, e ad ogni strattone sul
viso di Ichigo balenava un lampo di dolore.
Grazie al
Rilascio di Trèbol, Rayen avrebbe potuto strappare la spada
da terra senza nessuna difficoltà, ma sarebbe stato profano
per lei toccare la Zanpakuto di Grimmjow, la gelosa guardiana della sua
anima: dopotutto, se lei non si fosse messa in mezzo, lui non sarebbe
morto.
“Se
sono ancora vivo, è grazie a
quell’Arrancar” disse piano Ichigo alle sue spalle.
“Ma non capisco perché abbia voluto opporsi a un
Espada e rischiare la pelle per proteggermi.”
“Forse
ha disertato” suggerì la Shinigami.
No, non
aveva disertato. Aveva solo assassinato uno dei suoi pochi amici.
Svegliati, Rayen, gli amici non
si uccidono a vicenda! Ma non riusciva a pensare
all’episodio di pochi minuti prima, solo al giorno in cui
Grimmjow l’aveva strappata a Nnoitra, o a quello in cui aveva
discusso insieme a lei dei Focus, o a quello in cui era venuto a
cercarla dopo l’apparizione del Necroforo. Non c'era niente
di malvagio in tutto ciò.
“Ehm,
Hollow?”
Rayen si
voltò verso Ichigo, ancora scossa, ma si
rasserenò nell’incrociare lo sguardo nocciola del
giovane. Se non altro aveva fatto la scelta giusta: permettere
l’omicidio di Ichigo sarebbe stato come morire di nuovo.
Quella piccola certezza la tranquillizzò.
Dei del cielo, è
ancora un ragazzino… quanto potrà avere, sedici,
diciassette anni? Potrebbe passare per mio fratello. Un
risolino amaro le risalì lungo la gola, ma lei lo
soffocò. Probabilmente, Ichigo aveva sempre immaginato sua
nonna come una vecchietta delicata e rugosa, incurvata
dall’età e dalla stanchezza, non come un mostruoso
ibrido tra una ragazza, una pianta e un Hollow.
Rayen si
raddrizzò, quasi galleggiando sull’esile corpo
Rilasciato. “Rayen, mi chiamo Rayen.”
“Io
sono Kuchiki Rukia.” Le sopracciglia della Shinigami erano
inarcate, l’espressione attenta e confusa. Le sue iridi blu
cupo erano colme di sospetto, ma dopo averla studiata per un lungo
istante si limitò a scrollare le spalle e a rinnovare
l’assalto alla spada di Grimmjow. Evidentemente non la
giudicava un elemento pericoloso… e in effetti non lo era,
non con Trèbol fuori uso.
Rayen
posò la mano libera sul tachi: non aveva smesso un momento
di risucchiare particelle di reiatsu
dall’atmosfera, ma lo faceva goccia a goccia, con lentezza
esasperante.
“Dovremo
condurti con noi presso la Soul Society” disse Rukia senza
guardarla, tirando l’elsa della Zanpakuto di Grimmjow.
“Non temere, Yamamoto-sama troverà di certo
attenuanti per mitigare la tua causa… anche se credo non ci
siano casi precedenti, di Hollow che si ribellano ai propri Espada per
proteggere uno Shinigami.”
“La
Soul Society?” Forse sarebbe stata la cosa migliore. A Hueco
Mundo l’avrebbero di sicuro bollata come una traditrice e
uccisa.
“Non
ti accadrà niente” le garantì Ichigo,
sforzandosi di celare una smorfia di dolore.
“Potresti rimanere con noi, anziché tornare dagli
altri Arrancar. Ci saresti di grande aiuto.”
Rayen
tentennò, combattuta tra la seducente crudeltà
del suo vecchio mondo e le promesse sbandierate dalla Soul Society.
Erano parole campate in aria o l’avrebbero guidata a un
futuro concreto? E se gli Shinigami l’avessero usata e poi
gettata via, come un oggetto rotto? Voleva davvero correre il rischio?
Per
Ichigo forse sì, l’avrebbe fatto. In fondo, a
Hueco Mundo non le restava nulla.
La
maschera Hollow le copriva gran parte del viso, nascondendo la sua
espressione. Rayen sollevò la testa, sul punto di accettare
la proposta, ma la sua voce fu soffocata da una detonazione
cristallina, gelida e profonda come il rintocco di una campana di
ghiaccio.
La
ragazza sbarrò gli occhi, invasa da un misto di terrore e
sollievo. Impossibile…
Fu un
lampo.
Un’esplosione
di reiatsu,
una raffica di sonido.
Prima che lei potesse accennare un minimo movimento, un dolore cocente
le inondò i muscoli come una colata di metallo fuso, tanto
intenso da stordirla. Nella sua lotta contro il torpore, fu quasi
casualmente che si rese conto di non avere più i piedi
piantati a terra, ma di stare volando… volava senza ali,
sibilava nel vuoto…
Tunk.
Una
seconda coltellata di dolore le trafisse la schiena, costringendola a
mordersi il labbro per non urlare. Qualcosa l’aveva
agguantata e brutalmente sbattuta contro un muro; lo
realizzò subito prima che il suo corpo
s’afflosciasse e ricadesse a terra con un tonfo sgraziato.
Un fresco
profumo di erba tagliata di recente le invase le narici, insieme alla
leggera, inconfondibile reiatsu
che trapelava dai Bala.
Ma
solo gli Arrancar sanno usare i Bala… no?
Rayen
alzò stancamente il capo. Davanti a lei torreggiava
Grimmjow, in carne ed ossa, le vesti appena spruzzate di schegge di
ghiaccio, con una delle mani enormi serrate attorno alla testa della
Shinigami. Il volto di Ichigo era pieno d’orrore.
“Rukia!”
Li ucciderà,
si disse Rayen passivamente. Prima
lei, poi lui. Quello che ho fatto non è servito a niente.
Grimmjow
le aveva lanciato un Bala, e lei si era lasciata colpire in pieno come
una novellina. Un Cero l’avrebbe subito annientata, ma, per
quanto doloroso, un singolo Bala di rado era letale.
Distesa
bocconi in quel giardino curatissimo, Rayen abbassò le
palpebre. Il tachi le era sfuggito di mano, andando a perdersi
chissà dove; se anche avesse avuto la forza di rialzarsi,
non avrebbe potuto sostenere un altro scontro con Grimmjow.
Non è servito a niente,
si ripeté.
Prima
venne la tristezza, poi l’incoscienza.
La sua
mente precipitò.
La
casa da tè è fastosa, allegra e risuonante di
chiacchiere. In un angolo, Ulquiorra sta facendo aria ad Aizen con un
grosso ventaglio, mentre dall’altra parte Nnoitra si compiace
della sensuale presenza di Mila Rose e Cirucci Sanderwicci, entrambe
incipriate come geishe e strette in kimono dai toni autunnali.
Rayen
ha un kimono simile, sul marrone rossiccio, e dal suo viso pesantemente
imbellettato non trasuda la minima emozione. L’ospite che
deve intrattenere è seduto accanto a lei, ma non capisce chi
sia: a tratti le sembra di scorgere il volto di Grimmjow, a tratti
riconosce il lampo sanguigno dei capelli del Necroforo. Ma quando lo
scruta con più attenzione, vede anche i felini occhi scuri
di Indar Oroitz e un cappello da pescatore come quello di Urahara.
“Te
l’avevo detto di sbrigarti, Raiha” sospira
l’ospite mentre lei gli versa del tè.
“Io i miei compagni li ho salvati, ma tu non sei stata in
grado di difendere un solo Shinigami. Era così difficile il
tuo compito? Non si può dire però che tu non ci
abbia provato… hai perfino cercato di uccidermi per
riuscirci.” Ora vicino a lei c’è
Grimmjow, le palpebre ancora lambite dalla brina. “Sei una
tragedia, Fie. Kurosaki è morto perché tu mi hai
permesso di ucciderlo, ma io non volevo ammazzarlo, ho già
ammazzato Tesla e per qualche tempo sarebbe bastato… e
Isshin, come credi che la prenderà Isshin? Riscattare suo
figlio con un paio di tormaline non sarà abbastanza, e sono
stufo di dover rimediare ai tuoi errori… Questo
tè oltretutto non sa di niente, la tua anima è
più allettante, ma tu hai già venduto
l’anima, vero Fie? E nei tuoi famosi Focus, non vedi il
fiorire di una relazione con Harribel? Di Arrancar lesbiche ce ne sono,
a Las Noches, non so se conosci Cirucci ma lei ti fa il filo da
più di cinquant’anni…”
Cirucci
si stacca in quel momento dalla bocca bramosa di Nnoitra e
s’avvicina a loro ancheggiando voluttuosamente, con un
sorriso malizioso dipinto sulle labbra nere.
“Mi
vuoi, Raiha?” S’incurva sul tavolino da
tè, incurante dell’ospite col cappello da
pescatore, gli occhi pieni di sottintesi fissi su Rayen. Lei
indietreggia, ma l’ospite le afferra rapidamente un polso: i
suoi occhi ora sono quelli tristi e violacei del Necroforo.
“I
Focus sono importanti” mormora in un sussurro frettoloso.
“Ricordali tutti, non dimenticarli mai.”
“Mi
vuoi, Raiha?” Cirucci è sempre più
insistente. Adesso la prende per le spalle, le è
praticamente addosso…
“No,
non ti voglio!!” urlò Rayen, facendo per spingerla
via, ma le sue mani respinsero solo aria. Per fortuna era stato solo un
incubo… però che incubo!
Ma guarda te che razza di sogni
mi tocca sopportare, pensò irritata,
ravviandosi una ciocca che le era ricaduta in faccia. Perché non posso
sognare pazzi omicidi, psicopatici o Capitani del Gotei?
Perché mi devo sorbire stravaganze simili?
Cercando
di scollarsi dalla testa l’immagine di Cirucci che le si
pigiava addosso, Rayen si tirò su, ma al posto della propria
stanza vide solo una selva di sbarre. Facendo memoria locale, la
ragazza ricordò di aver partecipato al secondo attacco a
Karakura, e di essersi opposta a Grimmjow… esatto, lei si
era opposta e lui l’aveva messa K.O. con un Bala.
Il che
non spiegava il motivo per cui si trovava in una cella.
Al di
là delle sbarre non si vedeva nulla, solo una vitrea
oscurità. Rayen annusò l’aria: la
impregnavano diversi odori, un misto di asettico, stantio e gomma
bruciata. Gli stessi odori che imbevevano gli abiti di Szayel Aporro
Granz.
“Molto
bene, sei sveglia” disse una voce nel buio, e la sagoma dello
scienziato dai capelli rosati si materializzò davanti alla
cella. Sotto la montatura degli occhiali, gli occhi dorati brillavano
di compiacimento. “Presumo che tu sappia già per
quale ragione sei qui…”
Rayen
appoggiò i palmi alle sbarre, confusa. “Veramente
no.”
“No?
Non ne hai nemmeno la più pallida idea?” Szayel
Aporro aggrottò la fronte. “Permetta che te lo
spieghi, allora: Aizen-sama trova molto interessante il fatto che uno
degli Shinigami più influenti della Soul Society ti abbia
incontrato e sia passato oltre senza nuocerti minimamente. E il
Diciassettesimo Nùmero non merita di essere ignorato come il
più miserevole degli Hollow, non credi? Senza contare che,
dopo la tua conversazione con lui, di punto in bianco hai deciso di
schierarti contro gli Arrancar al fianco di uno Shinigami.”
“Come…”
“Come
ne sono a conoscenza? Aizen-sama ha occhi e orecchie ovunque, persino
nel Mondo Reale. Non potrai trarre un respiro senza che lui lo
sappia.” Szayel Aporro sorrise, un sorriso minacciosamente
calmo. “Dovresti essergli grata, ha deciso di chiudere un
occhio riguardo alla faccenda degli Shinigami… ma
naturalmente pretende qualcosa in cambio.”
Un
campanello d’allarme squillò nel cervello di
Rayen. “Ovvero?”
Il
raggelante sorriso dello scienziato si ampliò.
“Ovvero i tuoi ricordi. Chi eri prima di diventare Gillian?
Per quale altra motivazione uno Shinigami ti avrebbe risparmiata? Porti
sotto interrogatorio sarebbe la soluzione più semplice, ma
purtroppo ci sono informazioni che hai rimosso dalla memoria e che
potrò rintracciare solo nel tuo subconscio.”
“Quindi,
che hai intenzione di fare?” domandò Rayen,
circospetta.
“Ho
intenzione di mettere allo scoperto tali informazioni. È
ciò che Aizen-sama s’aspetta e
desidera.” Szayel Aporro batté le mani, e due
robusti servitori Arrancar sgusciarono fuori dalle tenebre, filtrando
tra le sbarre come ombre e inchiodando Rayen per le braccia. Lei
cercò istintivamente Trèbol, ma scoprì
con orrore che la spada non era più al suo posto: alla
cintura portava solo un fodero vuoto.
Szayel
Aporro frugò in tasca, ne estrasse una microscopica chiave e
aprì la cella con un gesto distratto, permettendo ai due
Fracciònes di uscire da essa trascinando la prigioniera.
“Non
sarà doloroso, Rayen-san” disse in tono
tranquillo, guardando con aria serafica mentre i tre venivano inglobati
nell’oscurità. “Non ti accorgerai di
nulla.”
Qualcosa
si strinse attorno a polsi di Rayen, come una catena viscida. Altre
funi dello stesso materiale le si avvolsero attorno alle caviglie, alla
vita, al collo, alla fronte, finché non si
ritrovò schiacciata contro il pavimento e legata come un
salame. I due servitori continuavano ad armeggiare attorno a lei, ma
lei non vedeva altro che buio, oltre al candido zampettare di gambe
innaturalmente lunghe.
“Ho
sempre ritenuto balzana l’idea di riportare a galla antichi
ricordi umani” sibilò la voce di Szayel Aporro
“ma stavolta potrebbe essere utile. Prego, Medazeppi, attiva
pure il rigeneratore mnemonico.”
Le funi
che la legavano parvero incendiarsi, prendere vita. Di colpo,
l’oscurità attorno a Rayen perse la sua
impenetrabilità: adesso cominciava a schiarirsi, a popolarsi
di volti, di voci…
Di
ricordi.
*********************************
Capitolo
potenzialmente folle. Scusate la lentezza, ma tra studio e fiumi di
parenti che entrano ed escono non sono riuscita a combinare
granché. Dunque, ecco il quattordicesimo
capitolo… il prossimo potrebbe risultare alquanto
impegnativo, dato che comprenderà un radicale cambiamento di
stile, ma cercherò di renderlo meno opprimente possibile.
..::
Elos: grazie :) ahah be’ in effetti non mi quadrava per nulla
l’idea di un Grimmjow segretamente coccolone che tra un
bell’omicidio e la sua Fracciòn preferiva la
Fracciòn… sono contenta che il capitolo ti sia
piaciuto, spero tu gradisca anche questo ^^
…::
Exodus: sì, diciamoci la verità…
quella parte ha fatto veramente schifo. Confesso che l’ho
postata perché mi stava facendo impazzire, ma avrei fatto
meglio a pazientare un po’ di più e curarla con
più attenzione. D’altro canto, inutile piangere
sul latte versato! ^^ recensione graditissima, le critiche costruttive
sono sempre ben accette, grazie.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** XV // 01. Still Alive ***
Era
come scivolare in un abisso senza fondo, una sensazione che la
paralizzava e inebriava al tempo stesso. Attorno a sé non
vedeva altro che oscurità, un'oscurità morbida e
rivelatrice che andava popolandosi di immagini... Rayen si vide, vide
se stessa, non il Diciassettesimo Nùmero di Aizen
bensì una giovane umana, la pensierosa ragazza mortale che
era stata prima che Hueco Mundo ne assorbisse l'anima.
Fu...
strano. Come guardare in uno specchio distorto.
Da una
parte c'era Rayen, un'Arrancar drogata dall'oscurità, che
precipitava quietamente nell'incoscienza.
Dall'altra
c'era Raiha, una semplice umana dall'aria sognatrice, seduta sul
pavimento di una soffitta impolverata.
XV //
01. Still Alive
The ticktock
of time allows me to see
An
authent to an echo
New
butterfly to a cocoon
The
swan to ugly duckling
The lake to an ocean.
Forever Moments, Nightwish
Piove.
Il
ticchettio della pioggia risuona al di sopra del tetto, un suono
ritmico, costante. Ascoltando con più attenzione, si possono
sentire i distanti sibili dei bombardieri, le strida lamentose delle
loro ali metalliche tra le nuvole. E' la seconda volta che gli aerei
americani sorvolano Karakura, ma per il momento non sembrano
intenzionati ad attaccare... forse perché ritengono che non
valga la pena di sprecare preziose munizioni contro un villaggio di
contadini. Uno dei vantaggi dell'umiltà.
Un
sospiro di sollievo mi accarezza i polmoni. Non lo nego, ho paura. La
mia vita è tutt'altro che meravigliosa o principesca, ma la
amo in ogni sua imperfezione: malgrado le vecchie tradizioni, dubito
che sarei mai capace di uccidermi. Non vedo nessun onore nel suicidio,
anzi, trovo che sia molto più onorevole continuare a vivere
e cercare di rimediare ai propri errori anziché andarsene
all'altro mondo e lasciarli irrisolti. Peccato che non siano in molti a
condividere il mio punto di vista.
Socchiudo
gli occhi. L'unica finestrella della soffitta è parzialmente
sbarrata, lascia filtrare solo un debole chiarore opaco. Una luce
sporca. Cucire in questa fastidiosa penombra può apparire
impossibile, eppure le mie dita volteggiano agevolmente sulla stoffa
ruvida, accompagnando l'argentea danza dell'ago. E' così che
trascorro gran parte delle mie giornate, ricucendo paracaduti militari.
E' un lavoro lento e faticoso, eppure ne sono contenta: molte mie
coetanee trascinano un'esistenza ben peggiore, intossicandosi in
qualche miniera o strisciando per le strade alla vana ricerca di
elemosine. Ritrovarsi nella spiacevole condizione di mendicante, oggi,
significa essere condannati a morire di fame, senza scampo.
Io e mio
fratello Shin ce la caviamo come possiamo, io cucendo per l'esercito e
lui occupandosi del nostro fazzoletto di terra gelata, che si ostina a
chiamare orto. Non è facile, ma ci spalleggiamo a vicenda e
in qualche modo riusciamo ad andare avanti: ogni tanto il mio lavoro
viene ricompensato con sardine e carne essiccata, mentre gli sforzi di
Shin ci beneficiano di riso e patate, in un paio di occasioni anche di
zucche. Questo quando il tempo e le stagioni ce lo permettono.
Il vago
rombo di un tuono echeggia in lontananza, spezzando il monotono
tamburellare della pioggia. Probabilmente anche stanotte ci
sarà un temporale coi fiocchi, magari uno di quelli brevi e
violenti tipici di marzo. Dovrebbe essere primavera, eppure fa freddo
come se fossimo nel cuore dell'inverno.
“Kurosaki-chan...”
Alzo gli
occhi: a chiamarmi è stato un vecchio, con il corpo
scheletrico stretto in cenci pietosi e un volto talmente rugoso da far
sembrare ad una ragnatela di carne. Un paio di ciuffi striati di bianco
risaltano contro il cranio, in aperto contrasto con gli occhi del
colore dell'inchiostro. Ci sono tuttavia un paio particolari che lo
differenziano da qualunque altro uomo: innanzitutto, l'assurda
trasparenza della sua pelle, e in secondo luogo il fatto che stia
fluttuando a mezz'aria.
“Buonasera,
Inoue-san” lo saluto educatamente. “Ci sono notizie
dal fronte?”
Lui
solleva cautamente la testa. Tra le rughe e le grinze spiccano varie
piccole cicatrici, visibili persino nell'eterea vaporosità
della morte.
“La
cerchia periferica di Osaka è stata bombardata di
nuovo” riferisce con voce stanca, sommessa. “E' il
quinto attacco, ormai. Tuttavia per il momento hanno risparmiato Kyoto,
e dobbiamo essere grati: è una splendida città,
ma così fragile... se decidessero di raderla al suolo, non
saremmo più in grado di ricostruirla...”
“Di
Tokyo non si sa niente?”
"Nessuna
novità."
Mi rendo
conto di starmi mordicchiando il labbro, e smetto immediatamente.
Dovrei cancellare Tokyo dalla memoria, lo so, ma mi è
impossibile: in fondo è pur sempre la mia città
natale, le immagini dei miei genitori sono tutte impresse
lì. Inoue-san deve intuire il mio lieve turbamento,
perché mi domanda con fare discorsivo: “E il
giovane Shin-san, è ancora al lavoro?”
“Oh...”
bofonchio. “Sì, certo.”
“Kaoru
pare piuttosto interessata a lui, benché non sia il migliore
dei partiti” sospira lo spirito. “Non voglio che
mia nipote si ritrovi sul lastrico così presto, è
ancora molto giovane e deve compiere le sue scelte con oculatezza. E un
simile matrimonio non le recherebbe il minimo profitto economico, poco
ma sicuro.”
La sua
osservazione mi offende un poco. È vero che io e Shin ora
risiediamo nella soffitta della sua vecchia casa, ma non c'è
alcuna ragione di marcarlo, è una realtà
già sufficientemente umiliante.
In tono
piccato, replico: “Già, la guerra ci ha impoveriti
tutti. Purtroppo, non sono molti a nascere fortunati e benestanti come
i baroni di Kyoto.”
Un
sorriso impalpabile gli sgualcisce il volto. “Naturalmente,
mia cara, naturalmente. Ma malgrado tutto, sarei orgoglioso di
accogliere nella mia famiglia due persone come te e tuo fratello,
Kurosaki-chan... le vostre condizioni non sono le più
prosperose, ma i vostri valori morali sono un tesoro di gran lunga
più prezioso.”
Che
valori morali? Tutto quello che abbiamo è mero istinto di
sopravvivenza. Ritengo più saggio non farglielo notare e
adotto un tono neutro, forse con un pizzico di ipocrisia.
“La
ringrazio, Inoue-san. Non so se Shin sia un candidato accettabile o
meno, ma Kaoru è una brava ragazza e sono sicura che se la
caverà.”
Detesto
la banalità, però lo spirito mi rivolge un cenno
d'approvazione, con un lampo di fierezza nello sguardo vitreo. Riprendo
a occuparmi del paracadute. La ruvidezza del tessuto mi punzecchia i
palmi mentre cucio insieme due brandelli particolarmente grossolani,
quasi squamosi al tatto. E' un bene parlare di argomenti come possibili
matrimoni, perché ti permette per qualche breve istante di
dimenticare la guerra. Se avessimo pensato sempre e solo all'agonia dei
nostri compatrioti, presto o tardi avremmo perso la ragione.
Inoue-san
si accoccola in un angolo e rimane a guardarmi a lungo, come
soppesandomi. Chissà, forse mi attribuisce una buona
reputazione solo per il fatto che posso vederlo, che posso smorzare la
sua solitudine. Ammetto che comunicare con gli spettri non rientra
nella normalità, ma questo, più che il
turbamento, acuisce la mia compassione: dev'essere orribile trascorrere
la propria esistenza incatenati al mondo dei vivi, senza poter
interagire con nessuno o quasi, senza potersi dirigere verso il luogo a
cui si è destinati. Cosa blocca gli spiriti sulla terra?
Vorrei chiederlo, però temo di incupire Inoue-san ancora di
più: e se non lo sapesse neppure lui?
Quando
Shin torna a casa, alcune ore dopo, ci ritrova così, lui
rannicchiato in un angolo, io seduta a cucire sul pavimento. I passi di
mio fratello sono molli e sciaguattanti, e quando appare nella soffitta
somiglia più a un Kappa
che a un ragazzo umano: i logori abiti di stoffa grezza
sono inzuppati d'acqua, che gocciola a terra formando piccole pozze
scure, e sottili perle di pioggia rilucono tra i suoi capelli,
appiccicati al viso come insolite alghe rossicce. Se le scosta
pacatamente dalla fronte con l'unica mano rimastagli, e rimane a
fissare per un lungo momento il punto in cui si trova Inoue-san; lo
percepisce, anche se non lo distingue ancora con nitidezza. Il vecchio
lo osserva con interesse.
“Oniichan.”
Mi alzo in piedi, e m'affretto a cercargli un cambio di vestiario.
“Ti verrà la febbre, insistendo a spremerti in
questo modo. Dovresti stare più attento.”
“Ho
dovuto” replica lui, battendo leggermente i denti mentre si
spoglia e si infila giacca e pantaloni, vecchi ma ancora in buone
condizioni. “Le patate stanno deperendo, il campo
è mezzo allagato. Se continua di questo passo, perderemo il
raccolto.”
Mi si
rizzano le radici dei capelli. Perdere il raccolto è un
lusso che proprio non possiamo permetterci.
“L'inverno
non può durare per sempre” dico debolmente.
“Domani ti aiuterò anch'io, sono certa che ci
sosterrà anche Kaoru e in qualche modo ce la faremo. Come
sempre.”
Lui
s'appunta una spilla sulla manica sinistra, tristemente vuota e
ripiegata su se stessa laddove avrebbe dovuto esserci un braccio.
Mentre la sistema lo sento borbottare tra sé e sé
'Come sempre'. L'accenno a Kaoru gli ha dipinto in viso un'espressione
indecifrabile.
E' tardi,
ormai. Alimentiamo la nostra piccola stufa bruciandoci dentro antiquate
riviste, quindi mettiamo in caldo la cena: due ciotole di nukapan, un amaro
intruglio a base di crusca e farina di frumento. Non è
granché, ma almeno è qualcosa. Mastichiamo
lentamente, senza parlare, solo vagamente consapevoli della taciturna
presenza di Inoue-san. Mentre deglutisco, osservo mio fratello: il suo
viso è smagrito e scavato dalle privazioni, la pelle
cinerea, gli zigomi infossati. Non ha più nulla del ragazzo
vivace ed esuberante che saltella nella mia memoria, è solo
la sua tetra caricatura. Ciononostante, gli voglio bene più
che a chiunque altro al mondo: ha solo due anni più di me,
eppure si è caricato sulle spalle il ruolo di mio guardiano
fin dalla morte di nostro padre, travolto da un crollo nella fabbrica
in cui lavorava. Allora ero una bambina e non ricordo chiaramente
l'episodio, tutto quello che rammento è il volto scuro di
Shin e il suo pianto silenzioso. Prima e unica volta che abbia mai
visto mio fratello piangere: se c'è qualcosa che di sicuro
non manca al mio cocciuto oniichan è l'orgoglio. Non ha
pianto neppure due anni fa, quando l'esplosione di una granata gli ha
strappato il braccio, ponendo fine alla sua breve carriera militare. Mi
angoscio ancora al pensiero della terribile ansia di quei giorni,
quando ancora non sapevo se sarebbe morto o o se l'amputazione lo
avesse salvato.
Grazie al
cielo, la vicenda non si è conclusa col suo funerale. Non so
se resisterei a lungo, senza Shin.
Ho
bisogno di lui, un disperato bisogno. Anche se questo naturalmente non
glielo confesserò mai.
“Raiha?”
Sbatto le
palpebre, guardando Shin con aria interrogativa.
“Sì?”
Lui apre
la bocca, esita e la richiude. “Non importa” taglia
corto, posando a terra la ciotola vuota e distendendosi sul suo
pagliericcio. “Ne riparleremo. Cerca di riposarti, domani
sarà una giornate intensa.”
“Certo,
oniichan.”
Un
appartamento di dimensioni modeste, grazioso nella sua
sobrietà.
Edifici
curvi e scuri avvolti in una calma quasi mistica.
Fuochi
d’artificio che tagliano il fosco cielo di Tokyo, divampando
in una nuvola di fiori di luce.
La
voce bassa e monocorde di un uomo, a breve seguita da
un’allegra risata infantile.
Un
bambino e una bambina che fissano meravigliati i fuochi
d’artificio, seduti sulle ginocchia di un uomo.
Hanabi…
Un urlo
acuto spezza il silenzio della notte.
Sussulto
bruscamente, col cuore a mille, gli occhi spalancati
nell'oscurità. Non si vede ancora il più sottile
raggio di sole, devono essere le tre o le quattro di mattina. A pochi
metri da me scorgo la sagoma di Shin, raggomitolata come un gatto,
tranquillamente assopita. Possibile che Shin non abbia udito niente? E
se quel grido fosse echeggiato solo nella mia testa?
Rilasso i
muscoli. Che sciocchezza... devo aver fatto un brutto sogno, ecco
tutto. Un incubo. Straordinariamente realistico, ma pur sempre un
incubo.
Sto per
riabbassare le palpebre quando l'urlo risuona di nuovo, stavolta
più vicino, e se possibile ancora più straziante.
E' la voce stridula di un ragazzino, inasprita da una nota di puro
terrore.
“Shin!
Shin svegliati!” Provo a scuotere mio fratello, ma lui
mugugna qualcosa e si gira dall'altra parte. Non posso contare su di
lui, il freddo e la fatica lo hanno sfiancato.
Cerco a
tentoni una mantella e me la getto sulle spalle, quindi scendo le scale
due a due. Inoue-san è scomparso, probabilmente in camera di
Kaoru a vegliare sul sonno della nipote. D'altro canto, un essere
incorporeo non potrebbe essermi d'aiuto contro un pericolo
materiale… ma che accidenti vado a pensare? Che pericolo
potrà mai esserci, a Karakura? Sicuramente si tratta di un
bambino che è incespicato e s’è
sbucciato un ginocchio. Nulla di più.
Esco
cautamente di casa, sgattaiolo in giardino. Ha smesso di piovere,
eccezion fatta per poche ostinate gocce che ancora stillano dal cielo
plumbeo. Adesso l'urlo si è sciolto in un pianto basso e
angoscioso, inframmezzato di singhiozzi; si direbbe che il bambino si
trovi appena oltre il muretto, da tanto suona vicino. Magari
è uno dei tanti orfani di guerra, o un piccolo mendicante
stroncato dalla fame. Mi sporgo verso l'esterno con la massima
circospezione: accasciato contro il muro c'è un esserino
minuscolo, sui sei o sette anni, più morto che vivo e con le
carni pallide come quelle di un affogato. E' scosso da pietosi singulti.
Per un
momento esito, dubbiosa, poi mi decido a farmi avanti. Attorno a me
è calato un silenzio irreale, ma sono troppo preoccupata per
il bambino per farci caso. Mi inginocchio accanto a lui.
“Stai
bene?” domando, con più gentilezza possibile.
Il
ragazzino fa cenno di no con la testa, senza smettere di piangere.
Ciuffi di capelli umidi gli nascondono il viso, vedo solo le lacrime
che gli scivolano lungo il mento per poi ricadere sul colletto
sdrucito. Le sue costole spiccano contro il torace magro. Sta
congelando, ci scommetterei. Stanotte potrebbe restare nella soffitta
con me e Shin, e se a Kaoru è avanzato un po' di nukapan potrebbe
nutrirsi di quello... meglio che niente.
“Forza,
vieni” lo incito, prendendolo per un polso e aiutandolo a
sollevarsi in piedi. “Almeno per questa notte dormirai con un
tetto sulla testa e...”
Non
riesco a finire la frase che qualcosa mi serra la gola: non una mano o
un laccio, ma qualcosa di spesso e viscido, come un grosso tentacolo.
Annaspante, lo artiglio, graffiandolo con tutte le mie forze, ma la sua
presa vischiosa non si allenta minimamente.
“Stupidi
umani... non c'è gusto nel predarvi, siete troppo facili da
ingannare” sibila una voce bassa e gutturale alle mie spalle,
con una nota di crudele divertimento. Un brivido mi attraversa la spina
dorsale: che razza di bestia può avere una simile voce?
Sgomenta,
piego appena il capo per vedere il mio aggressore, ma quello che si
presenta alla mia vista è troppo pazzesco per essere reale.
Il mio cuore manca un battito, trafitto da un'indicibile ripugnanza. La
cosa dietro di me è un nauseante ammasso di pelle smorta e
piaghe purulente, da cui cola una disgustosa sostanza grigiastra simile
a muco; una dozzina di lunghi tentacoli serpentini si dimena a
mezz'aria, rovesciandosi su se stessi, rivelando pezzi di carne marcia
e bianchiccia ad ogni contrazione. Uno di quei tentacoli è
stretto alla mia gola.
Il mostro
emette una risata strozzata. Non capisco se abbia gli occhi o dove si
trovi la bocca, ma quasi quasi preferisco non saperlo. Dev'essere alto
all'incirca due metri, forse anche di più...
com'è possibile che non l'abbia visto prima? E che fine ha
fatto il bambino?
La
stretta del tentacolo si rafforza, e io non riesco a trattenere un
lamento. Mi sembra di avere un anello di fuoco attorno al collo.
L'ossigeno comincia a mancarmi, vedo lampi rossi squarciare la notte.
Sto
morendo.
Così.
Adesso. In questo posto.
Un velo
di lacrime mi offusca gli occhi. Non voglio morire.
“Shin...”
bisbiglio rocamente, conficcando le unghie nella pelle dell'essere.
“...Sh-Shin...”
Un dolore
rovente mi trapassa la gola. Adesso non tocco più terra, i
piedi penzolano nel vuoto come quelli di un impiccato o come la coda di
un pesce preso all'amo. I polmoni mi scoppiano nel petto, il cuore
martella all’impazzata mentre spalanco la bocca alla
disperata ricerca di aria...
E di
colpo la trovo.
Ricado a
terra, crollando in ginocchio, incapace di bloccare il violento tremito
che mi scuote le gambe. L'aria fredda della notte è come un
pugnale per la mia gola scorticata, ma la aspiro avidamente, bramosa,
senza curarmi del bruciore inflitto. Mai pugnale fu più
gradito.
“Tutto
a posto?”
Sollevo
la testa. Sopra di me incombe qualcuno, un uomo avvolto in una strana
divisa color felce; è giovane, ha un viso affabile e sorride
cordialmente. Sotto il cappello da pescatore sporgono ciocche biondo
cenere, tra cui s'intravedono occhi di una bonaria tonalità
verde scuro. Mi tende una mano: io l'afferro e mi tiro su.
“Sì...
grazie” boccheggio a fatica, saggiando con cautela le corde
vocali. “Che... che diamine era quella cosa?”
“Un
Hollow, un'anima dannata” risponde il nuovo arrivato con
calma prontezza. “Di solito non si spingono fino a Karakura.
Suppongo sia stato attratto dalla tua reiatsu.”
“La
mia reiatsu?”
“Il
tuo potere spirituale, chiamalo come vuoi. Se non ne avessi avuto, non
saresti stata in grado di vederlo, né di sentirlo...
così come ora non saresti in grado di vedere e sentire
me.” Notando la mia confusione, aggiunge: “Non ti
capita mai di avvertire cose inconsuete, cose che nessun altro riesce a
percepire? Di avere premonizioni, o vedere spettri?”
Annuisco
lentamente, pensando a Inoue-san. E' la reiatsu a
permettermi di vedere i fantasmi? “Aspetta un momento, questo
significa che anche tu sei uno spettro? Ma sei tangibile... ti ho
toccato.”
“Sono
uno Shinigami, non uno spettro” precisa il biondo, ora
più serio. “Annientare Hollow e purificarne
l'anima è il mio incarico principale. Confido che non
parlerai a nessuno di quello che è accaduto stanotte... i
tuoi amici e familiari stanno trascorrendo tempi spiacevoli, non
è necessario aggravarli con preoccupazioni
inutili.”
“E
se un altro di questi Hollow tornasse a Karakura?” L'immagine
di Shin aggredito da un ripugnante mostro soprannaturale è
una ferita di gelo.
“In
tal caso, farà la stessa fine del nostro ospite.”
Fa un distratto cenno dietro di sé, dove giace il corpo
smembrato e fumante dell'Hollow, simile a un polpo putrefatto.
“Comunque io sono Urahara Kisuke, onorato di fare la tua
conoscenza.”
Urahara...
sarà il proprietario dell'emporio Urahara? Kaoru una volta
mi ha detto che è gestito da un matto, ma l’unica
cosa folle di quest’uomo è la velocità
con cui si trasforma da tranquillo bonaccione a fulmineo assassino.
Semmai è il mio equilibrio mentale quello a
rischio…
Ricapitolando:
sono stata quasi strangolata.
Da uno spirito maledetto.
Sono
stata salvata.
Da un dio della morte.
La mia
risata echeggia così forte da stupire persino me stessa, e i
miei muscoli facciali si tendono con sorpresa: è una risata
un po’ isterica, ma è pur sempre una risata, e
credo sia la prima da diversi mesi. Non sono mai stata più
confusa, eppure al contempo mi sento perfettamente in pace con me
stessa, come se tutta la paura, il dolore e la frustrazione accumulati
negli ultimi mesi scivolassero via insieme a quella risata.
Kisuke
inarca un sopracciglio, in paziente attesa.
“Kurosaki
Raiha” mi presento alla fine, senza fiato.
“Perdonami ma… insomma, è la prima
volta che incontro uno Shinigami. E anche un’anima dannata,
per la precisione… non sono mai stata più
convinta di essere pazza.”
“Un
errore comprensibile.”
È
assurdo credere all’esistenza degli Shinigami
così, senza la minima prova, ma cosa vi aspettate da una
visionaria che vede gli spiriti dei defunti e sfugge per miracolo
all’assalto di un Hollow?
È
notte fonda, il cielo è gonfio di nuvole. L'aria pungente
profuma di pioggia. Dovrei tornare di corsa in casa e rinchiudermi
nella soffitta, invece mi appoggio al muretto del giardino di Kaoru.
“Allora,
Kisuke-san... cosa sono, esattamente, gli Shinigami?”
*********************
Ahh
questo capitolo mi ha fatto impazzire >.< l’ho
cancellato e riscritto tipo cinque volte, e ogni stramaledettissima
volta cambiando il tempo e la persona. Alcuni punti non mi convincono,
ma ormai mi dà la nausea e se lo rileggo ancora do di matto,
perciò lo pubblico così
com’è e al diavolo se non è perfetto.
Nel prossimo vedrò di approfondire di più la
psicologia dei personaggi, in questo è decisamente mancata.
Rayen:
o.O ma…!
Six: e
non protestare sempre, tu! (agguanta Trèbol)
Rayen:
ehi, ridammi Trèbol, ladra!
Six:
guarda che è stato Szayel a fregartelo, io l’ho
semplicemente rubato a lui…
Rayen:
>.< è uguale! Rendimelo!
Six:
sì, col cavolo. Erabe, Trèbol! Las
Moiras… (la freccia argentea si punta contro
l’Arcano Sin Nombre e un bagliore azzurro avvolge lo
scudo…)
Si chiude
il sipario.
..::
Elos: grazie, crepi il lupo ^^ spero che anche questo capitolo ti sia
gradito, nonostante i casini vari che ci ho buttato in
mezzo… Per quanto riguarda il manga pazienta ancora un
po’, non puoi assolutamente perderti la saga di Hueco Mundo!
..::
Exodus: ed ecco qua il mio puntiglioso critico :) si il sogno doveva
creare quell’effetto, ironia e assurdità e
inquietudine fusi insieme… mi fa piacere sapere di avercela
fatta! ehe all’inizio le battaglie erano una disgrazia da
scrivere, adesso se non ce n’è qualcuna quasi mi
annoio… xD Rayen in quel frangente era stordita, ma una
volta finiti questi capitoli di flashback il punto sarà
chiarito. Grazie della recensione!
..::
Garconne: ahah sono contenta che ti piaccia! Grazie per la recensione :)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** XVI // O2. Enduring Survivor ***
Quello
psicopatico!
Turbata, Rayen
guardò e riguardò la scena come se fosse la
pellicola incantata di un vecchio film, senza riuscire a capacitarsi
della sua nuova scoperta. Urahara Kisuke… Possibile che
quello Shinigami fuori di testa una volta l’avesse salvata da
un Hollow? Cosa ne era stato di lui, che fine aveva fatto dopo quel
fugace incontro? E Shin… Shin, ora lo ricordava
distintamente, ora i frammenti di memoria da lei goffamente incollati
stavano cominciando ad assumere un certo senso. Ricordava il suo
affetto e la sua ammirazione per il fratello, sì, ma non
poteva sopprimere un lieve moto d’inquietudine:
perché al contempo il viso di Shin era illogicamente simile
ad un altro a lei ben noto.
Non
è possibile…
Shin, Kisuke,
Inoue-san… i suoi amici e conoscenti… i ricordi
di Raiha rifluivano dentro di lei, impetuosi, con la veemenza di un
torrente in piena. Il suo cervello lavorava febbrilmente, sforzandosi
di macinare il mastodontico fiume di informazioni che le impregnava i
pensieri, cercando di non lasciarsi sfuggire nemmeno il più
piccolo dettaglio…
XVI // O2.
Enduring Survivor
The
dead times awake
As
I've been called myself to yesterday
The
flower has fallen its petals
Out
of the petals a cradle I will.
Forever Moments,
Nightwish
Il chiarore
dell’aurora lambisce delicatamente i bordi della finestrella,
cogliendomi di sorpresa. Mi sembrano trascorsi secoli
dall’ultima volta che ho visto il sole, e il fatto di non
udire alcun sibilo o boato acuisce il mio sollievo: è ancora
presto per confermarla, ma comincio a nutrire la timida speranza che
l’esercito americano abbia deciso di ignorare del tutto
Karakura, magari ritenendola troppo piccola e disgraziata per
costituire un problema. E così, spesso anche i bruchi
riescono a resistere, pur nella loro goffa piccolezza, mentre le grandi
ed eleganti farfalle sono facili prede per gli uccelli.
Mi tiro su
lentamente, puntellandomi sui gomiti, però nonostante il
buonumore mi sento la testa pesante come il piombo: avrei voluto un
sonno placido e ristoratore, ma tutto quello che ho ottenuto
è stato un lungo susseguirsi di incubi assurdi e sogni
strampalati. Massaggiandomi le tempie, ripenso al bambino in lacrime,
alla famelica aggressione del mostro tentacolare, al fulmineo
intervento del dio della morte…
Cielo, la farina di
frumento del nukapan doveva essere avariata. Parecchio.
“Buongiorno,
Raiha…” mi saluta la voce assonnata e un
po’ rauca di Shin, ma prima ancora che io faccia in tempo a
rispondere essa assume un tono sorpreso, preoccupato: “Che
accidenti ti è successo al collo, neechan? Come ti sei
procurata quella brutta abrasione?”
Abrasione? Stupita
quanto lui, porto una mano alla gola, per poi scostarla con un
sussulto. Brucia.
Sgrano gli occhi. Di
colpo non avverto più alcun torpore, solo una fredda,
terribile lucidità.
Al posto della gola,
adesso ho come un collare di pelle escoriata. A quella rivelazione, un
brivido incandescente mi attraversa la spina dorsale, accompagnato dal
viscido ricordo di un grosso tentacolo bitorzoluto…
Non
è stato un sogno.
Quel semplice
pensiero è come un pugno nello stomaco. Sento su di me lo
sguardo di Shin, lo sguardo apprensivo e indagatore di una gru che nota
che il suo pulcino ha un’ala spezzata. Non oso ricambiarlo.
“Raiha.”
Lo pronuncia con insolita durezza. Continua con lo stesso tono lento,
severo e ben scandito: “Rispondimi,
cos’è successo?”
Rivolgo il viso alla
tremula luce del sole. Quell’impercettibile carezza cala su
di me, avvolgendomi tra le sue pallide ali, rassicurante ed eterea come
il sorriso benevolo di una dea.
Quando finisco di
raccontare, Shin è teso e immobile, inginocchiato sul
vecchio materasso srotolato. Una perfetta statua umana dal volto
inespressivo. L’unico palese segno di vita è la
gelida fiamma scura che lampeggia dietro le sue iridi.
“Perché
non mi hai svegliato?” chiede, monocorde.
Domanda ovvia, ma lo
stesso temuta. “Non pensavo fosse necessario” dico
con sincerità. “Credevo si trattasse semplicemente
di un orfano di guerra, uno di quei bambini spinti dalla disperazione
che a volte incappano a Karakura. Di certo non sarei uscita e
meno che mai da sola, se avessi saputo che era un mostro invasato
pronto a risucchiarmi l’anima.”
“Non sei
divertente.”
“Non era
una battuta.”
Shin emette uno
strano suono, qualcosa a metà tra uno sbuffo e un grugnito.
“E poi, non mi convince affatto quell’Urahara. Come
faceva a sapere della presenza di quell’Hora…
Horu…”
“Hollow”
lo correggo.
“Hollow,
d’accordo. Come faceva a saperlo? E mi sembra oltremodo
sospetto che sia apparso proprio nel momento del bisogno. Non solo:
sono anni che vedi i fantasmi, eppure non ti sei mai imbattuta in uno
spirito infernale o un dio della morte… almeno fino a
stanotte, quando casualmente li hai incontrati entrambi.”
“E per
fortuna, oneesan. Non sarei qui, se avessi incontrato solo
l’Hollow.”
Shin socchiude le
palpebre, forse con una punta d’esasperazione.
“Sarò diretto, Raiha. È possibile che
questo Urahara abbia programmato tutto fin dal principio, e che
l’aggressione da parte dell’Hollow non fosse che un
astuto stratagemma per accattivarsi la tua fiducia. Potrebbe essere a
conoscenza del tuo talento segreto… potrebbe essere un
meschino tentativo di strumentalizzarti, o peggio ancora di
approfittarsi di te.”
Cosa?
Rimango per un attimo
fissa, come stordita, refrattaria al ragionamento. In circostanze
diverse mi soffermerei a riflettere, ponderando con attenzione
l’opinione di Shin, ma adesso non ci riesco. Certo,
non sono più una bambina e so che esistono uomini malvagi
disposti a tutto pur di ottenere il loro scopo, ma non posso abbinare
la parola approfittatore
al volto sorridente di Urahara. Sarebbe come definire ripugnante un
limpido mare invernale, aureolato del riflesso argenteo di una rete di
stelle.
È una cosa
stupida e irrazionale. L’ho realizzato, eppure non cambia
nulla: non cambia la situazione, non cambiano le mie idee. Neppure la
sottile logica di Shin riesce a smuovermi. Non saprei dire come o in
virtù di cosa, ma ho l’inflessibile certezza che
Urahara-san sia un uomo buono. Me l’ha sussurrato il vago
profumo di cannella e spezie esotiche che impregnava i suoi vestiti.
Echeggiava nel canto mortale della sua spada mentre fendeva le carni
dell’Hollow.
“Se avesse
voluto approfittarsi di me, avrebbe potuto farlo
tranquillamente” replico piano, con cautela. “Era
piena notte e c’era pure la nebbia, nessuno
l’avrebbe visto. Era un’occasione perfetta. Se
avesse voluto la mia morte, gli sarebbe bastato aspettare qualche altro
secondo e l’Hollow mi avrebbe strangolato. E se avesse voluto
‘accattivarsi la mia fiducia’, come dici
tu…” Mi stringo nelle spalle. “A cosa
gli servirebbe, la fiducia di una contadina? Vedo gli spiriti, va bene,
ma per il resto rimango in tutto e per tutto una ragazzetta qualsiasi.
Non riesco nemmeno a difendermi dal primo sgorbio di
passaggio…”
Mi mordo il labbro.
È questa la cosa che mi brucia di più: la mia
fragilità. Pretendo di essere forte, sia fisicamente che
spiritualmente, ma forse continuo a ripetermelo solo per mascherare
quanto sono vulnerabile. A furia di mentire a se stessi, a volte si
finisce per credere realmente alle proprie bugie. Tuttavia non bisogna
dimenticare che la verità è una cacciatrice
paziente: puoi cercare di sfuggirle, puoi forse illuderti di
nasconderla adornandola di splendide falsità, ma alla fine
lei ti ricompare davanti e riapre le tue vecchie ferite con precisione
crudele, quasi sbeffeggiando l’ingenuità con cui
hai tentato di coprirle.
Perché mai
dovrei pensare di essere speciale? Se qualcuno mi ferisce, soffro come
chiunque altro. Se qualcuno mi accoltella, sanguino come chiunque
altro. Se qualcuno mi spezza il collo o la schiena, muoio
come chiunque altro.
Ho magari
l’assurda capacità di vedere gli spettri, ma a
cosa serve averla quando la guerra ha già trasformato il
Giappone in un Paese fantasma?
“Raiha.”
Nella voce di Shin c’è ora una nota più
dolce, sembra quasi aver intuito i miei pensieri. Lo scorgo muoversi
con la coda dell’occhio, e un attimo dopo avverto il suo
palmo posarsi gentilmente sulla mia guancia. “Non
m’interessa la tua Duplice Vista, tutto quello che desidero
è che tu sia al sicuro da qualunque pericolo, sia terreno
che ultraterreno. Cerca di comprendermi, se diffido di questo Urahara.
Forse hai ragione, forse il suo intervento di ieri notte è
stato solo una miracolosa coincidenza, ma concedimi almeno il beneficio
del dubbio. In fondo, sono tuo fratello.”
Non riesco a
trattenermi, e gli do a stento il tempo di terminare la frase prima di
slanciarmi in avanti e abbracciarlo con forza, quasi con disperazione,
aggrappandomi a lui come se fosse l’ancora della mia
salvezza. Lo sento trasalire appena, sorpreso dal mio impeto, ma dopo
un breve attimo di esitazione anche lui mi stringe a sé con
l’unico braccio rimastogli. Non posso vedere il suo sorriso,
però posso immaginarlo. Appoggio la fronte contro la sua
spalla e rafforzo la presa. È la mia certezza, Shin,
è l’ombra che segue ogni mio passo, è
la luce che mi guida nel buio. Il mio cuore trabocca di affetto, un
affetto troppo grande e sconfinato per essere espresso in semplici
parole.
Non so dire quanto a
lungo restiamo così, immobili, abbracciati. Sono solo
meravigliosamente consapevole della presenza viva e ardente di Shin,
della sua anima di fuoco e acciaio, dei sottili raggi di sole che
entrano dalla finestra, del pulviscolo dorato che vi danza attraverso.
E di una vaga
fragranza di spezie che mi aleggia ancora nelle narici.
Shin è
tornato al campo, e io sono di nuovo da sola. Ho ripreso il lavoro di
cucito del giorno prima, sforzandomi di continuarlo, ma oggi
l’ago non pare intenzionato a collaborare: impiego diversi
minuti a superare un passaggio appena più ostico,
rovino accidentalmente un punto che sono poi costretta a ricominciare
da capo, e soprattutto mi pungo, mi pungo troppo spesso.
All’ennesimo morsetto metallico sollevo l’indice,
facendo scintillare come minuscoli rubini le piccole perle di sangue
che lo orlano. Perché mi distraggo così?
L’incubo dell’Hollow è finito, adesso
devo tornare coi piedi per terra e affrontare una lotta ben peggiore,
quella con la miseria e la carestia. Devo sbrigarmi a completare il
lavoro…
Eppure la mia
capacità di concentrazione oggi è minima.
Lì per lì la cosa mi lascia perplessa, ma, mentre
mi trovo a rammendare un pezzo particolarmente ostico, il mio cervello
è attraversato da un’improvvisa illuminazione.
Nella mia mente fa capolino un ricordo, dapprima confuso, poi sempre
più nitido e concreto. Una leggerissima fitta alla mano mi
comunica che mi sono punta di nuovo, ma la ignoro totalmente: nella mia
testa rivedo il momento in cui Urahara-san – Kisuke
– mi ha stretto la mano per aiutarmi a sollevarmi. Un
contatto rapido, e tuttavia piacevole. La sua carne non era
né fredda né spettrale, anzi, sprigionava un
delicato tepore squisitamente umano.
Evoco
l’immagine di Kisuke, del suo sorriso sornione e dei suoi
felini occhi verde scuro, qua e là screziati di pagliuzze
grigie. Forse non vanta la bellezza sensuale e scolpita tanto agognata
da certe mie conoscenti, ma nel complesso è intrigante. E ha
una voce bellissima! A tratti gentile, a tratti ironica, con un timbro
virile e al tempo stesso melodioso. Sì, quell’uomo
è senza un dubbio un soggetto più unico che raro.
Non posso certo dire di conoscerlo bene, ma mi è sembrato
calmo e padrone di sé, una di quelle poche persone che
riescono ad apparire sicure e orgogliose senza sfociare
nell’arroganza. Da un certo punto di vista mi ricorda
Shin…
“Ahia!”
Dannato ago.
Il sogno si squarcia,
e la realtà torna ad assumere i suoi crudi confini. Ora,
però, le mie labbra sono come forzate in un sorriso
automatico: mi sento scioccamente, vacuamente felice, come se
galleggiassi in una bolla di sapone. Il resto del mondo appare vago,
distorto, e stranamente più luminoso.
Sto ancora fluttuando
in questo curioso stato di benessere quando, una decina di minuti
più tardi, viene a trovarmi Kaoru. Solo il lieve
scricchiolio della porta scorrevole annuncia il suo ingresso: per il
resto cammina a passi agili e silenziosi, leggeri come quelli di un
passero. È una ragazza semplice e molto graziosa,
appena più grande di me; la guerra l’ha smagrita e
ha trasformato il candore della sua pelle in una pallidezza malsana, ma
il suo viso è lo stesso ovale magnifico di sempre, e gli
occhi neri come eclissi gemelle non hanno perso nulla del loro scuro
splendore. Arriva fasciata in una veste verde muschio di modesta
fattura, stretta in vita da una cintura di stoffa color lino, e tiene i
capelli raccolti in una pratica treccia che le ricade fino a
metà schiena.
“Buongiorno,
Raiha” mi saluta, con voce quieta e musicale.
“Shin-san mi ha detto della tua abrasione, e ti ho portato un
po’ d’unguento.”
Sollevo la testa,
sorpresa. La famiglia Inoue gestisce una piccola erboristeria,
ultimamente trasformatasi in un vivaio di fortuna; è una
condizione invidiabile, perché Kaoru e sua madre patiscono
la fame sicuramente meno della maggior parte di Karakura, ma nemmeno
loro possono permettersi di regalare preziosi medicinali.
“Ti
ringrazio, Kaoru, però non saprei come
rimborsarti” dico con una vena d’imbarazzo.
“Non dire
sciocchezze, non mi devi nulla. Ti ricordo che Shin-san
l’anno scorso ci ha aiutato a riparare la
recinzione.”
Kaoru mi si siede
accanto. Ha in mano un piccolo involucro tondeggiante, di legno
smaltato. Ne sfila il coperchio, rivelando un unguento simile ad una
fanghiglia molto diluita, e comincia a spalmarmelo sul collo con
movimenti rapidi e delicati. Nonostante la tenerezza del suo tocco,
tuttavia, non posso non affondarmi le unghie nel palmo della mano: il
bruciore s’è acuito di colpo, dandomi la
sensazione che zanne incandescenti mi stiano dilaniando la gola.
Trattengo a fatica un gemito.
“Lo so, non
è affatto piacevole, ma presto il dolore si
attenuerà” mi rassicura Kaoru,
dopodichè inizia a chiacchierare del più e del
meno, tentando di sviare la mia attenzione. Mi aggiorna sugli alti e i
bassi di Karakura. Vengo a sapere che il tessitore Himuro è
stato rispedito indietro dal fronte con un piede amputato, e che la
moglie di Fujiwara ha appena dato alla luce il suo quarto figlio.
Infine, quasi timidamente, Kaoru accenna anche a Shin, commentando la
sua fulminea ripresa dopo l’asportazione del braccio.
“È
stato soprattutto merito tuo, Kaoru. Se non fosse stato per le tue
cure, ora Shin sarebbe già nel mondo degli
spiriti.”
Lei mi elargisce un
sorriso radioso, arrossendo di piacere. È incredibile, il
modo in cui cambia quando sorride: è come se i suoi
lineamenti, già aggraziati di loro, si
accendessero di una luce interiore, simile a quella emanata dalle
stelle. Mentre finisce di spalmarmi l’unguento, mi rendo
conto di quanto la invidii – per la sua flemma, per la sua
bellezza, per le attenzioni che strappa così facilmente a
Shin – e l’intensità di tale sentimento
mi sconcerta non poco. Non è da me essere gelosa,
soprattutto di Kaoru. Insomma, per me è come una seconda
sorella… A proposito, chissà perché
non mi domandato nulla sull’abrasione? Forse è
stato Shin stesso a chiederle di non indagare.
“Più
tardi devo recarmi dai Fujiwara” dice Kaoru, beatamente
ignara dei miei pensieri. “Sai, mi hanno chiesto di dare
un’occhiata al bambino e assicurarmi che sia in buona salute.
A quanto pare non è stato un parto proprio
facilissimo… il feto non era in posizione perfetta. Solo che
il dottore oggi è fuori città, e io sono la
persona di loro conoscenza che più s’avvicina ad
un’ostetrica.” Solleva la testa, guardandomi di
sottecchi. “Ti andrebbe di accompagnarmi? Almeno per un pezzo
di strada. Potresti approfittarne per comprare un po’ di
pesce, la nostra scorta sta finendo.”
Mi scosto una ciocca
dalla fronte, titubante. Shin non ha bisogno di me con
l’orto, in fin dei conti, e prendere una boccata
d’aria non mi può fare che bene… ma
posso arringarmi questo diritto?
Sì.
Mi delineo
mentalmente una mappa di Karakura. I Fujiwara abitano a ovest del
villaggio, presso la zona dei campi. Il pescivendolo è
situato più a est, verso il centro. E ad appena due viali di
distanza dal pescivendolo c’è l’emporio
Urahara.
“Sì,
molto volentieri” mi sento rispondere.
*************************************
Six: e si
riaggiornaaaa! Scusatemi se sono stata morta fino ad adesso…
Rayen: secondo me
speravano che avessi tirato le cuoia sul serio -.-
(* padellata in testa
a Rayen *)
Six: taci, essere
inutile u.u ti ricordo che sei nelle mie mani.
Rayen:
ç.ç nuuu…
Six: ebbene
sì.
Capitolo un
po’ smorto, ma necessario. In qualche modo, dovevo pur
introdurre il personaggio di Kaoru, e volevo anche approfondire il
rapporto tra lei, Shin e Raiha. Shin forse è un
po’ troppo sdolcinato? Ho tentato di rendere il tipico
fratello protettivo, però non so quanto mi sia riuscito.
Raiha qui è ancora un po’ superficialotta, ma
perdoniamola, dai… in questa tripletta di capitoli pre-Evil
ha tra i quattordici e i quindici anni, è più che
giustificabile un po’ di leggerezza emotiva.
Okay, adesso potete
pure cominciare ad offendermi per l’esasperante lentezza dei
miei aggiornamenti, e ammetto che un bradipo con la moviola sarebbe di
gran lunga più veloce di me. Avrei dovuto pubblicarlo per
maggio-giugno, ma la mia vita sentimentale ha scelto proprio quel
periodo per collassare e ho avuto un’orribile fase in cui
continuavo ad aprire Word, a fissare il foglio bianco e a dire a me
stessa “Embé, che vogliamo fare?” senza
riuscire a cavare un ragno da un buco. Spero che i prossimi cap saranno
più rapidi.
Un grazie speciale a
tutti i commentatori, che hanno continuato a recensire o a mettere tra
i preferiti la storia ^^ siete stati un fantastico supporto!
..:: Elos: buona
idea, apporterò questa piccola modifica! Sono contenta che
tu abbia gradito il capitolo. Mi spiace che non ci sia molta azione
^^”
..:: Garconne: Shin
è forse il mio personaggio preferito, e nella storia futura
avrà un ruolo fondamentale… o meglio,
l’ha già avuto, ma fino a questo momento
è stato, diciamo, “nascosto” xD
..:: sarunia:
eheh, grazie mille =) mi fa piacere che la storia ti piaccia!
..:: Exodus: grazie
boss, spero che tu abbia apprezzato anche questo =) per quanto riguarda
l’ambientazione, ho preso spunto da “Memorie di una
Geisha” (di Arthur Golden) e “Vento nero”
(di Clive Cussler), più varie informazioni spillate da
Internet frugando in un indefinibile numero di siti. Eh già,
la presenza di mr. Kurosaki nel Gotei mi mette un po’ i
bastoni tra le ruote, ma d’altro canto mi sono trovata a
scegliere tra due imprecisioni temporali non conciliabili tra loro, e
ho scelto il male minore.
Oh, stavo per dimenticare: questa è una immagine di Rayen,
partorita dalla mia mente malata tramite Phusion:
http://toosixy4thisworld.deviantart.com/art/Rayen-Fie-Oneiron-II-188809236
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** XVII // 03. Rebirth ***
L’aveva
sentito.
Era stato poco
più che una rapida pulsazione, ma l’aveva
sentito… O almeno, avrebbe giurato di sentirlo. Il battito
del proprio cuore le era parso così concreto,
così reale, che per un secondo le era parso di essere di
nuovo in vita. Ma in quella gelida sospensione, sprofondata in
un’impalpabile nebbia oscura, tutto le appariva diverso e
confuso… non sapeva più distinguere
l’alto dal basso, il vero dall’illusorio. Era solo
consapevole della propria coscienza, una fragile scintilla affogata in
un oceano di tenebra, pericolosamente vicina al baratro della pazzia. A
metà tra la veglia e il sonno, tra una vita morta e una
morte viva, aveva smesso di lottare per il presente e s’era
abbandonata del tutto al passato. Aveva permesso ai ricordi di
trascinarla in un altro tempo, in un’altra dimensione, in
un’esistenza lontana e splendente.
La sua esistenza.
XVII //
03. Rebirth
Now I
hear my mother from the deep
Sing
me a lullaby of eternal sleep
Wilt
blow wee plant that last to recall
As in silence we sing to reborn.
Forever Moments,
Nightwish
Il benefico sole di
mezzogiorno rifulge come una sfera d’oro, un prezioso
gioiello incastonato nel cielo di lapislazzuli. Non ho mai visto un
sole del genere, almeno non in pieno inverno, ma il suo raggiante
splendore mi sembra in qualche modo giusto. È giusta anche
la limpida trasparenza dell’aria. Adesso il sole è
fuori e dentro di me.
Ho rimpinguato la
nostra esile scorta di maguro1,
a cui il nostro pescivendolo di fiducia ha gentilmente aggiunto due
piccoli granchi. Per oggi, niente nukapan:
basta questo ad allietarmi la giornata. Suona sciocco, soprattutto se
paragonato alle gelide minacce che l’inverno porta ancora con
sé, ma il pensiero che almeno per un giorno il mio stomaco
ospiterà cibo vero non può che rallegrarmi. Il
sapore di cuoio del nukapan
è il sapore della miseria.
Kaoru è
ancora presso i Fujiwara. Non sa quando le permetteranno di ritirarsi,
perciò mi ha invitato a tornare a casa senza aspettarla. Ho
intenzione di farlo, certo, ma non senza una veloce deviazione.
Non è la
prima volta che il mio sguardo si posa sull’emporio Urahara,
però è la prima volta che lo vedo davvero. Non ha
un’aria particolarmente mistica: si presenta come un edificio
di legno su due piani, piuttosto ordinario, coronato da un tetto
spiovente di tegole maru-gawara.
Non lascia presagire nulla di bizzarro, nulla di intimidatorio.
Vicino
all’ingresso c’è un uomo alto e
muscoloso, sulla quarantina, intento a spazzare meticolosamente per
terra con una vecchia ramazza. Se al posto di quella impugnasse un
fucile scommetto che sarebbe un soldato temibile, ma per qualche oscura
ragione sento che è giusto così, che un individuo
del genere non ha alcun bisogno di arruolarsi. Attorno a lui pulsa
un’aura strana, profonda, l’aura di un esperto
veterano molto più vecchio dell’età che
dimostra. Non è una coincidenza il fatto che non sia a
combattere per il Giappone o per chicchessia, perché lui non appartiene a questo mondo.
Quella certezza
è uno schiaffo. E' la sua aura stessa a gridarlo.
Non appena muovo un
passo verso di lui, l’uomo solleva subito la testa e si volta
a guardarmi. Mi colpiscono la sua pelle scura, cotta dal sole, e il
vistoso paio di mustacchi che gli nasconde quasi del tutto la bocca.
Porta i capelli pressoché rasati, e sul gran naso aquilino
brillano sottili occhiali rettangolari. Il suo sguardo fisso mi mette a
disagio: ho la spiacevole sensazione che mi stia soppesando, quasi
valutando se posso rappresentare o no un eventuale pericolo…
ah, come se un omaccione del genere possa avere qualcosa da temere da
me, una ragazzetta pelle e ossa e neppure tanto alta.
Gli rivolgo una
rapida riverenza. Lui risponde con un saluto disinvolto. Mentre mi
avvicino, non posso fare a meno di notare le sue mani, grandi come
piatti di portata: se volesse, potrebbe prendermi per il collo e
sollevarmi da terra con la stessa facilità
dell’Hollow. Al semplice ricordo mi sfioro nervosamente la
gola, ma la cicatrice è ben nascosta dalle ruvide pieghe
della mia sciarpa.
Nel frattempo,
davanti a me, l’uomo ha raddrizzato le spalle e ora si sfrega
i palmi per liberarle dal pulviscolo. Osservandolo, non posso non
stringere impercettibilmente i pugni: maledizione, avrà
anche un'aria benigna ma in quanto a stazza è davvero un
colosso.
“Mi chiamo
Tsukabishi Tessai,” si presenta, con voce calma e profonda.
“Ti do il benvenuto all’emporio Urahara. E tu
saresti…?”
“Kurosaki
Raiha” rispondo con un filo di voce. Tossicchio, cercando di
darmi tono. “Ehm, Urahara-san è in casa?”
Tessai annuisce, ma
prima ancora che possa aprire bocca è interrotto da una voce
allegra e squillante:
“KUROSAKI-SAAAN!”
Ci giriamo entrambi:
Urahara Kisuke si sta letteralmente sbracciando dall’ingresso
dell’edificio, col viso acceso dall’entusiasmo e un
sorriso luminoso disegnato sulle labbra. Sotto l’inseparabile
cappello da pescatore, le ciocche bionde sussultano come morbide ali di
miele.
Io e Tsukabishi-san
ci scambiamo una rapida occhiata, ma mentre lui scuote la testa con
malcelata esasperazione, io sento i miei muscoli facciali tendersi
spontaneamente, come dotati di volontà propria. Sto
sorridendo, un sorriso talmente enorme da farmi prudere le guance.
“Entra,
Kurosaki-san!” m’invita Kisuke, abbozzando un lieve
inchino. “Permettimi di offrirti una tazza di tè.
Abbiamo da poco ricevuto una confezione di tè verde di
ottima qualità, distillato direttamente dalle camelie di
Honshu.”
Per un attimo rimango
immobile, come trattenuta da fili invisibili. Gli ammonimenti di Shin e
i tetri racconti di Kaoru sono un sussurro di ferro nella mia mente, ma
li scaccio con decisione e scelgo di entrare: ormai ho fatto trenta,
tanto vale fare trentuno. È chiaro che Kisuke non
è un uomo normale, ma è altrettanto chiaro che
non è neppure malvagio. In fondo, mi ha salvato la
vita… o almeno, questa mi sembra una buona scusa per
giustificare il mio disperato bisogno di fidarmi di lui.
L’interno
dell’emporio è piuttosto ampio. Non
sarà un palazzo, ma non c’è nemmeno
paragone con la stretta, soffocante soffitta che condivido con Shin. Le
stuoie che rivestono il pavimento sembrano essere fresche
d’acquisto e sulle pareti non s’intravede la
più microscopica ombra di muffa. Tuttavia a colpirmi non
sono tanto le ottime condizioni del posto, quanto piuttosto la grande
varietà di oggetti presenti: ovunque si posi, il mio sguardo
trova fasci di stoffe preziose, ceste di vimini finemente intrecciate,
ventagli di ogni colore e dimensione e antichi pezzi di vasellame
dall’aria costosa. In un angolo c’è una
statuetta alta e slanciata, intagliata nell’ebano, e accanto
ad essa una specie di asta cava e quasi trasparente, dalla quale si
snoda un lungo filamento – un narghilé, come
precisa Kisuke in seguito – entrambe provenienti dalle
distanti lande africane. Dall’altra parte del mondo, in
sostanza. Tutto è così nuovo e strampalato che
non posso fare a meno di guardare con tanto d’occhi.
“Urahara-san…
cosa sono questi, esattamente?”
“Oh, nulla
di che. Ho semplicemente avuto occasione di viaggiare a lungo e di
visitare i luoghi più disparati. Sono un commerciante,
dopotutto.” Si volta in parte, scoccandomi un mezzo sorriso
da sopra la spalla. “Vedili come una sorta di souvenirs.”
Mi guida verso un
tavolo basso e tondeggiante, dalle zampe leonine. Nemmeno questo mi
pare di foggia giapponese. Faccio scorrere lentamente
l’indice sul suo bordo, pensierosa, saggiandone la
consistenza bronzea.
“Sei stato
in Europa?” Un’istintiva repulsione mista ad una
punta di puro interesse. Gli occidentali sono nemici e devono essere
odiati, certo, ma ammetto che verso quelle terre straniere provo anche
una strana attrazione.
“In Spagna,
in Francia, in Italia e in Inghilterra” conferma lui, prima
di sedersi e farmi cenno di imitarlo. “Sono Paesi
affascinanti, benché attualmente piuttosto instabili. Ma ho
avuto la fortuna di poter ammirare la Spagna quindici anni fa, poco
prima dello scoppio della guerra civile, e ti assicuro che era un posto
meraviglioso, anche se già allora si poteva percepire il
sentore del disastro.”
Il suo tono si
è fatto secco, grave. Il sorriso, sebbene gli incurvi ancora
gli angoli della bocca, non raggiunge più i glaciali occhi
di felce e ardesia, ora appuntati nei miei. Mentre sostengo a fatica il
suo sguardo, sforzandomi di ignorarne l’intensità
e la bellezza, mi sorgono spontanee dozzine di domande: come ha fatto
Kisuke ad arrivare in Europa? Aveva forse un salvacondotto, un qualche
genere di licenza per oltrepassare i confini ed evitare le sanguinose
scaramuccie che ormai da troppo tempo sporcano il mondo? Oppure,
più semplicemente, è una conseguenza dei suoi
poteri di Shinigami?
“E
quello?” La mia attenzione è d’un tratto
attirata da un piccolo parallelepipedo nero e lucente, posato su un
ripiano accanto ad una specie di tozza caraffa. A occhio e croce, mi
sembra formato da tanti pezzi di carta rettangolari, allineati gli uni
sopra gli altri.
“È
un mazzo di carte… tarocchi, per la precisione. È
una pratica di origine cinese, ma queste carte le ho acquistate a
Barcellona.”
Mi permetto di
raccoglierle ed esaminarle. Riportano bizzarre figure coronate da
scritte che non comprendo, delineate in caratteri indecifrabili. Una di
quelle strampalate lingue europee. “A che cosa
servono?”
“Si dice
che attraverso di esse sia possibile prevedere il futuro.”
Urahara lo pronuncia in modo neutro, senza alcuna inflessione
particolare. “Può suonarti irrazionale, o
addirittura folle, ma ho ottime ragioni di credere che
irrazionalità e follia siano ormai divenute il tuo pane
quotidiano. Ti confesso che la chiaroveggenza mi ha sempre affascinato:
è uno dei talenti soprannaturali più rari e
complessi che si possa sperare d’incontrare, ed è
talmente ricco di sfaccettature che padroneggiarlo è una
vera impresa.”
Le morbide parole di
Kisuke mi rotolano con dolcezza nelle orecchie, e io le assorbo, avida.
“Hai mai
conosciuto di persona un chiaroveggente?”
“Una,
sì. Una Shinigami eccezionalmente capace e intraprendente.
Reila, se non erro… brava ragazza, molto sveglia.”
È
interrotto dall’improvviso arrivo di Tessai: l’uomo
porta un vassoio con una teiera fumante e due eleganti tazze laccate di
verde. Versa il tè in fretta e in silenzio,
dopodichè sparisce con la stessa rapidità con cui
è comparso.
Dopo, Kisuke mi
spiega il funzionamento dei tarocchi. Mi aiuta a decodificare i
caratteri e a interpretare ogni singolo simbolo, mostrandomi la maniera
giusta di posizionare le carte. Si lamenta però che per lui
l’ordine dei simboli non ha alcun senso logico.
“Non dubito
che la chiaroveggenza esista, ma di certo non fa per me”
borbotta in tono scherzosamente irritato, prima di rivolgermi un
adorabile sorriso un po’ obliquo.
Avverto un fastidioso
formicolio alle guance, ed è con imbarazzante chiarezza che
mi rendo conto di stare arrossendo come una bambina alla sua prima
cotta. Mordendomi l’interno della guancia, mi affretto ad
abbassare gli occhi, fissando la disposizione delle carte come se fosse
la cosa più interessante che abbia mai visto.
“Allora…”
dico piano, sforzandomi di apparire rilassata e tranquilla. Sollevo una
carta, poi un’altra e un’altra ancora, rivelando la
Forza, la Giustizia e la Temperanza. O, se proprio vogliamo
sottilizzare, Fuerza,
Justicia e Templanza.
L’ultima carta da me pescata è la più
tetra di tutte, una sciarpa simile ad una vipera bianca come la morte
quietamente ritorta su se stessa.
“L’Arcano Sin Nombre”
specifica Kisuke.
Mentre le fisso
– e noto che la carta della Justicia ha
un’orecchietta in alto a destra – nella mia mente
si fa improvvisamente largo un’idea, come un fresco zampillo
d’acqua sorgiva che irrori le aride asprezze della roccia.
Dapprima timidamente, poi quasi con prepotenza, vengo assalita da
un’immagine forte e limpidissima, che impregna ogni mio
pensiero. La mia bocca si muove di sua spontanea volontà, la
voce che ne prorompe è chiara e scandita, ma al tempo stesso
estranea, distante: la voce di una sconosciuta potente e terribile.
“Vendetta e giustizia, sorelle di
tenebra, dormiranno in letargo ancora per molti inverni, ma alla fine
si desteranno per celebrare la distruzione di colui che ha rubato la
tua vita e annientato la tua dignità. Una grande colpa
pretende una grande espiazione; i legami sciolti saranno risplasmati,
ed essi saranno le catene che spezzeranno la sua libertà. La
chiave risiederà nel fuoco e nel sangue, e
nell’anima e nel metallo, la chiave che schiuderà
le porte di una nuova era.”
Sbatto le palpebre.
L’immagine radiosa nella mia mente si spegne di colpo, come
la delicata fiamma di una candela a cui qualcuno abbia messo un
cappuccio.
Kisuke mi guarda a
bocca aperta. “Cos’hai detto?”
“Cos’ho
detto?” gli faccio eco, sbalordita quanto lui. “Non
lo so, cos’ho detto?”
“Hai appena
pronunciato una profezia!”
“Io?”
Intravedo casualmente
una piccola rifrazione, un guizzo di sole morente che filtra dalla
finestra. Cosa? Il sole sta già calando! Oh dei del cielo,
che ore sono? Shin sarà già tornato a casa?
Scatto in piedi, in modo più brusco di quanto non sia nelle
mie intenzioni.
“Devo
andare. Grazie per l’ospitalità,
Urahara-san.”
“Aspetta,
Raiha.”
Spalanco gli occhi.
È la prima volta che mi chiama così.
Kisuke si alza a sua
volta e mi appoggia gentilmente una mano sull’avambraccio.
Quel tocco, caldo e leggero, è come quello di una farfalla
di fuoco.
“È
chiaro che per essere un’umana possiedi una reiatsu fuori dal
comune, ma non avrei mai preso in considerazione l’idea che
tu fossi una chiaroveggente… fino a pochi minuti fa, almeno.
È ben lungi dai miei desideri metterti sotto pressione, ma
vorrei sapere cos’hai sentito, cos’hai
provato.”
Chiaroveggente…
sono davvero una chiaroveggente? O è solo un delirio
momentaneo? Non lo so, l’unica cosa di cui sono consapevole
è la nausea che mi attanaglia lo stomaco come un insetto
velenoso. Serro le palpebre. Vorrei fuggire da Kisuke, e al tempo
stesso abbracciarlo con tutte le mie forze. Ribrezzo e attrazione si
rincorrono. Vorrei Kisuke, ma solo Kisuke; mi piacerebbe poterlo
portare via con me in qualche dimensione lontana, ritagliarlo via da
questo mondo stregato. Avere una vita normale, una relazione normale,
magari anche dei bambini se sarà il caso, ma questo in una
Karakura tranquilla e ordinaria, alla larga da poteri soprannaturali,
dèi della morte e spiriti assetati di sangue. Certo, questo
se si dà per scontato che un uomo così
affascinante e carismatico possa nutrire un qualche interesse verso una
mocciosa come me.
Gli occhi mi
lacrimano come se avessi passato il pomeriggio a sbucciare cipolle. Il
viso cordiale di Urahara è una nube indistinta di fronte a
me.
“Raiha?”
mormora in tono incoraggiante.
Non so come spiegare
la fulminea claustrofobia che di colpo mi prende alla gola, ho solo
l’improvviso, disperato impulso di uscire da lì.
“Devo
andare!”
Faccio per voltarmi,
ma qualcosa – dita forti come l’acciaio –
mi trattengono per il braccio. Apro la bocca per protestare, e tuttavia
vengo subito ammutolita: Kisuke ha appoggiato le labbra contro le mie,
e il suo dolce respiro speziato mi riempie i polmoni come un vento
estivo. Avverto il suo indice sfiorarmi i capelli, arricciarne una
ciocca. Un brivido caldo mi scuote la spina dorsale. Rimango immobile,
terrorizzata dal pensiero di spezzare quel silenzioso incantesimo, e
solo dopo diversi lunghi secondi Kisuke scosta il viso da me.
“Resta
ancora un momento, Raiha. Per favore.”
La sua voce
è una fiamma di seta.
Mi risiedo lentamente.
********************************
Maguro:
tonno
A volte ritornano xD
Okay, non
è certo il capitolo migliore che abbia mai scritto, lo
ammetto – oltretutto, il romance non è proprio il
mio genere – ma qui abbiamo una bella scenetta tra Kisuke e
Raiha e il primo vero accenno di potere di quest’ultima. Dal
prossimo cap si riprende la storia di sempre, fine dei Forever Moments
=)
..:: Shirahime:
grazie principessa bianca, una recensione molto gradita ^^ Shin
è un gran figo, non vedo l’ora che torni alla
ribalta *.* (shh niente spoiler u.u, ndShin)
..:: Garconne: thank
you very very much ^^ ihih ogni tanto mi assento ma ormai mi sono
decisa, questa storia la voglio proprio portare fino alla
fine… spero che questo cap non ti abbia delusa!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** XVIII. Awaking ***
seenoevil
In principio fu solo una
scintilla… una scintilla che lentamente si propagò,
irradiando e bruciando il buio fino a trasformarlo in un inferno di
luce. Il nero cadeva a brandelli, come carne carbonizzata, dilaniato da
un bianco sempre più intenso e abbagliante, da cui scaturivano
migliaia di gelidi vortici luminosi che si contorcevano nelle tenebre
come dragoni incandescenti.
E insieme
all’oscurità si dissolveva anche lei: uno spettro diafano,
simile al riverbero di uno specchio distorto, il ricordo più
fragile e più follemente umano
che si fosse mai affacciato nella sua memoria. Sì, Raiha era
lì di fronte a lei, a una distanza talmente ravvicinata che
avrebbe potuto toccarla semplicemente tendendo la mano. Così
vicina, e al tempo stesso così lontana.
L’immagine della giovane
contadina dalle chiome ramate tremolò impercettibilmente, il
viso dai tratti ancora morbidi e infantili appariva e spariva a scatti.
Il suo sguardo era perso del vuoto, spento e offuscato da un velo di
tristezza, mentre sua pelle olivastra si scuriva di secondo in
secondo divorata da ombre sempre più pressanti.
Rayen la guardò, guardò se stessa. E fu come implodere, precipitare dentro di sé, scaraventata da una forza oscura in abissi senza nome.
XVIII. Awaking
And I'd walk through hell and high water.
Wash away with the tide.
I can lose a damn war all by myself,
if you were on the other side.
So, in the morning when the rooster crows,
pack your bags and get ready to go.
If you're walkin' through hell and high water, please don't do it alone.
Hell and High Water – Black Stone Cherry
“… Non me ne frega se
tutti gli altri ti considerano un genio, Aporro, per me sei e rimarrai
solo un’emerita testa di cazzo.”
“Fossi in te presterei
più attenzione al lessico, Jaeguerjacquez. Finché grufoli
con la tua plebaglia è un conto, ma ti consiglio calorosamente
di esprimerti con maggiore rispetto quando parli con me.”
“Azzardati a rifare una cosa del genere e so io dove ficcartelo, quel tuo rispetto!”
Le palpebre le sembravano pesanti
come il piombo, ma sebbene con una certa fatica Rayen riuscì ad
aprire gli occhi. Era distesa su una superficie dura e levigata, fredda
come una lastra di ghiaccio. Tutto attorno a sé palpitava una
specie di schermo ambrato, luminescente, che avvolgeva il suo corpo
come un guscio che avvolga un mollusco.
E questo che diavolo è?
Fu allora che la vide. Attraverso
la dorata trasparenza dello schermo, la sua esile figura tremolava
leggermente, come un riflesso sull’acqua. Era inginocchiata
accanto a lei, abbigliata con una lunga tunica bianca di foggia
Arrancar. Questa le copriva pudicamente ogni centimetro di pelle dal
collo in giù, come cercando di nascondere quel corpo aggraziato
e tentatore, le cui curve generose premevano contro la stoffa. Le
piccole mani affusolate della giovane parevano sostenere lo schermo,
come quelle di un burattinaio impegnato a sostenere le sue marionette,
i grandi occhi scuri ridotti a fessure per lo sforzo di alimentarlo.
La spina dorsale di Rayen fu scossa da un lungo brivido. “K-Kaoru…?”
La ragazza le rivolse una brevissima occhiata. Il suo sguardo era vitreo e malinconico, ma non privo di una certa dolcezza.
“No, Orihime” mormorò. “Mi chiamo Inoue Orihime.”
“Orihime…”
Osservandola meglio, Rayen
notò che il suo bel viso di porcellana era sì molto
simile a quello dell’amica, ma con zigomi meno pronunciati e
labbra un poco meno piene. Ma a saltare all’occhio erano senza
dubbio i capelli, non del nero lucente delle piume dei corvi,
bensì di un caldo castano ramato che ricordava una colata di
metallo fuso. Rayen ne rimase sorpresa: era un colore piuttosto
insolito, soprattutto tra i giapponesi, e lei l’aveva visto in
testa solo a se stessa, a Ichigo… e a Shin.
Oh.
Un timido presentimento fece
capolino in Rayen, presentimento che nel giro di pochi istanti si
tramutò in una stupefacente certezza. Prima che potesse dirla ad
alta voce, tuttavia, lo schermo attorno a lei s’infiammò
di un bagliore più intenso e una meravigliosa corrente di
energia benefica la attraversò da capo a piedi, riversandosi
come acqua calda sulle sue carni ghiacciate. La reiatsu
che fluiva da quello strano schermo era tiepida e delicata: faceva
pensare al calore del sole, ai campi indorati di spighe. Più che
vedere, Rayen percepiva che il
suo corpo stava cambiando, anzi, rinascendo: i lividi si schiarivano e
scomparivano, le cicatrici si richiudevano, e tutto ciò che
rimaneva era una pelle rosea e fresca come quella di un neonato,
perfettamente intatta. Persino la grossa bruciatura circolare
sull’addome, quella del Bala che Grimmjow le aveva sferrato
alcuni giorni prima, si dissolse poco a poco fino a svanire del tutto.
“Grazie” disse Rayen. L’unico segno che era rimasto addosso era il 5 nero tatuato sul suo polso, il Contacto di Nnoitra. Lo mostrò ad Orihime. “Questo non si può proprio rimuovere, vero?”
Orihime scosse la testa. “Mi dispiace, è stato tracciato con una reiatsu troppo forte per me.”
“Non importa”
replicò Rayen, nascondendo una punta di delusione.
“Suppongo che non sia così facile sfuggire
all’avvoltoio. Piuttosto, chi sei tu realmente? Non ho mai visto
un’umana con un potere simile.”
“Non so perché ho lo
Shun Shun Rikka, credo che sia un dono naturale.” Orihime
chinò il capo, a disagio. “Aizen-sama lo trova
interessante.”
Rayen s’accigliò.
L’umana parlava in tono inespressivo, quasi senza guardarla, con
i lineamenti aggraziati sgualciti dall’infelicità.
Conoscendo Aizen, sicuramente non l’aveva rapita a viva forza:
era più probabile che le avesse promesso qualcosa, o forse
avesse tentato di ricattarla. Ma a quale scopo? Rayen dubitava che
fosse solo per i suoi poteri curativi: Aizen non si sarebbe esposto in
quel modo per una semplice guaritrice. Doveva esserci
qualcos’altro, sotto, qualcosa di grosso.
E di colpo, ricordò: Aizen
aveva inviato Ulquiorra in persona a prelevarla. Glielo aveva detto
Loly Aivirrne quello che le pareva due secoli prima.
“Togliti di mezzo, donna!”
Una grande mano callosa
afferrò la spalla minuta di Orihime, allontanando rudemente la
ragazza dallo schermo. Lo scudo vacillò e si spense come la
fiamma di una candela. Rayen si sentì improvvisamente debole e
indifesa: cercò istintivamente Trèbol, per poi ricordarsi
che la Zanpakuto le era stata sottratta da Grantz. Era distesa a terra
e disarmata, niente più che uno scricciolo rispetto
all’enorme sagoma che torreggiava sopra di lei. Spalle larghe,
muscoli guizzanti, lineamenti da falco in cui brillavano occhi simili a
selvagge fiamme azzurre: nel riconoscerlo, lo stomaco di Rayen si
contrasse, mentre un misto di timore, sollievo, felicità e
vergogna le faceva ribollire il sangue.
“Ciao, Grimmjow” mormorò.
Grimmjow la fissò. “Fie” disse, asciutto. “Lo sai, vero, che sei nella merda fino al collo.”
“Sì, lo immaginavo.”
Dietro di lui apparve Grantz, con
un sorriso sgradevole stampato in volto. “Bene, bene, vedo che la
cavia è ancora viva e senziente, il che significa che nonostante
l’interferenza di questo primate” e lanciò
un’occhiataccia a Grimmjow “l’esperimento è
stato un successo. Aizen-sama potrà ritenersi più che
soddisfatto dei risultati. Suppongo che presto vorrà scambiare
due chiacchiere con te, Fie Oneiron.”
Rayen si rialzò lentamente
in piedi. Le girava un poco la testa, ma a parte quello era tutto sotto
controllo: ciò che invece non lo era affatto era la sua prossima
mossa. Le riusciva difficile credere che un tempo aveva amato quello
psicopatico di Urahara. Cosa ancor più sorprendente, era stata
amata a sua volta: un dato, questo, che avrebbe potuto destare
l’interesse di Aizen.
Se scopre della nostra vecchia relazione, è finita, pensò disperatamente Rayen. Potrebbe
decidere che sono la pedina perfetta e ordinarmi di ucciderlo. Dubito
che lui si lascerà semplicemente ammazzare senza opporre
resistenza, ma di sicuro nemmeno mi combatterebbe come farebbe con
qualsiasi altro Arrancar.
Non voleva uccidere Urahara. Anzi, avrebbe voluto che nessuno
lo uccidesse. Il rigeneratore mnemonico non aveva riportato a galla
solo un pugno di vecchi ricordi, ma anche tutto l’affetto e
l’ammirazione che un tempo aveva nutrito per lo Shinigami. La sua
memoria ebbe un fremito, e per un attimo fu illuminata da altri sprazzi
– immagini intime ed intense, così intense da far passare
la sua silenziosa infatuazione per Grimmjow come la stupida cotta di
un’adolescente alle prime armi. Rammentava di avere accolto
Urahara dentro di sé, e a tre anni dal loro primo incontro gli
aveva persino dato un figlio... una testolina nera come il carbone,
identica a quella del padre della ragazza. Una testolina ribattezzata
Isshin, in onore di suo fratello.
Nessuno ucciderà
Kisuke... Nessuno. Anche se appartiene ad una vita precedente, è
pur sempre il padre di mio figlio.
“Ridatemi Trèbol” disse Rayen, laconica, non senza una certa asprezza.
Grantz batté due volte le
mani, ed uno dei suoi zelanti servetti strisciò verso Rayen
porgendole ossequiosamente la Zanpakuto. La ragazza gliela
strappò di mano e la rinfoderò senza una parola.
Doveva inventarsi una storia plausibile, e doveva farlo adesso.
“Grimmjow, saresti
così cortese da riportare l’umana alle sue stanze? Temo
che Ulquiorra sia stato convocato da Aizen-sama, e non posso
permettermi di sprecare tempo prezioso per tenerla
d’occhio.”
La voce untuosa di Grantz le
giunse alle orecchie in un’eco vagamente distorta. Rayen
s'irrigidì: per un attimo, giusto un attimo, le era sembrato di
sentire un odore di fresco e di selvatico e…
Una sonora detonazione fece
tremare il laboratorio di Grantz, mentre il muro alle spalle di
Grimmjow esplodeva in una pioggia di schegge e calcinacci. Sbalordita,
Rayen fece un balzo all’indietro, evitando per un soffio di
essere colpita da un mattone, e si ritrovò accanto ad Orihime,
che si era rannicchiata a terra e ora si premeva le mani sul viso, i
grandi occhi sgranati che sbirciavano tra le dita semiaperte. Stavolta
non le parve una marionetta triste e malinconica, bensì un
qualsiasi essere vivente terrorizzato dall’idea di morire.
L’eco della detonazione si affievolì poco a poco, e anche
le dense nubi biancastre provocate dal crollo cominciarono a
dissiparsi. L’unico rumore che restò era il piagnucolio
incessante degli assistenti deformi di Grantz.
“Silenzio!” ordinò lo scienziato, con una nota di tensione.
Il piagnucolio tacque subito.
L’attenzione di tutti i
presenti si levò sulla figura appena comparsa tra i resti della
parete distrutta. Era molto alta, quasi quanto Grimmjow, e tanto magra
che le si potevano contare le costole. Un logoro paio di hakama
erano il suo unico capo di vestiario; per il resto, l’apparizione
era addobbata solo delle ali, immense e bellissime, spalancate verso
l’alto come mani piumate pronte a chiudersi attorno alla gola dei
nemici. I capelli dell’angelo, di un rosso impossibile,
svolazzavano per le correnti d’aria che lui stesso aveva creato.
Era il Necroforo, la creatura che
aveva seminato il panico a Las Noches, l’assassino del Decimo
Espada Indar Oroitz. Ma non era solo quello, ora Rayen lo vedeva: il
significato del suo primo Focus le appariva chiaro come il sole.
Una falce, un salmone, una corona.
Una falce, perché la
persona che rappresentava aveva portato sia salvezza che distruzione:
molte volte le sue lame di contadino avevano tagliato e raccolto il
frutto del suo stesso lavoro, e altrettante volte le sue lame di
guerriero avevano spezzato le vite di Arrancar come lei. Il freddo
omicida che aveva assassinato il suo maestro e l’energico
coltivatore che l'aveva nutrita erano fusi nella stessa persona,
insieme, innegabilmente.
Un salmone perché, per
quanto umile, quel pesce alla fine della sua vita tornava verso il
luogo natio, le acque in cui era venuto alla luce. I rischi che il
viaggio imponeva non lo preoccupavano: era pronto ad affrontare ogni
pericolo pur di raggiungere la sua prima casa.
E la tua vera casa non è formata da pareti… la tua vera casa è la persona per cui daresti la vita.
Le mancava solo la corona, ma
anche senza quella non faticò ad intuire chi si celava dietro
l’identità del Necroforo.
Rayen alzò il mento, incrociando gli occhi scuri e brucianti dell’angelo.
“Ciao, Shin” sussurrò.
Un fremito percorse gli angoli
della bocca dell’uomo alato, un qualcosa di molto simile ad un
sorriso. L’infinita malinconia che spirava dalla sua figura si
stemperò impercettibilmente.
“Ciao, Raiha.”
Non lo pronunciò ad alta voce: fu piuttosto come se un pensiero
con il sapore di Shin le si insinuasse gentilmente in testa. Rayen
ricacciò indietro le lacrime: vedere suo fratello in quelle
condizioni la tormentava, ma quelle non erano certo le circostanze
più adatte per mettersi a frignare.
“Come…” cominciò lei, ma lui subito la zittì: “Non
possiamo permetterci di sprecare un solo istante, sorella. Lui
sarà qui a momenti, e io non sono ancora in grado di contrastare
il potere dell’Hokyoku. Vieni con me, ti porterò dove
sarai al sicuro.”
Rayen rimase immobile, ma lo
sguardo di Shin era un vortice senza fondo, nere oscurità in cui
l’anima poteva affogare. Vacuamente, quasi involontariamente, il
corpo della ragazza Arrancar mosse un passo in avanti, ma prima che
potesse fare altro una stretta improvvisa la paralizzò.
“Razza di idiota, firmerai
la tua stessa condanna a morte” sibilò Grimmjow,
vicinissimo al suo orecchio. Le sue braccia – entrambe le
braccia, notò lei con una certa sorpresa, anche l’arto
mutilato da Tousen – le serravano la vita come serpenti
d’acciaio.
Un leggero lampo di fastidio lampeggiò nel volto di Shin. “Raiha-chan,
presumo che sia tuo amico e che sia mosso solo dalle migliori
intenzioni, ma se non si toglie di mezzo lo ucciderò. La tua
sopravvivenza è primaria, la sua no.”
“Non ci provare!”
protestò Rayen. “Tu non faresti mai una cosa del genere, e
lo sai! Lo Shin che conoscevo non avrebbe torto un capello a nessuno,
men che mai a sangue freddo e senza ragione.”
“Si può sapere che cazzo stai dicendo?” grugnì Grimmjow.
“Allora convincilo a lasciarti andare.”
Rayen prese un grosso respiro.
“Mi sta parlando. Dice che se andrò con lui vi
lascerà stare, ma se mi oppongo vi ucciderà tutti.”
Grantz serrò la mascella.
Un altro motivo di interesse per Aizen-sama, ma probabilmente Rayen non
sarebbe sopravvissuta abbastanza a lungo per essere interrogata.
“E dove ti vorrebbe portare?” replicò freddamente Grimmjow.
“Questo non lo so.” Rivolse a Shin uno sguardo interrogativo.
“Al sicuro”
tagliò corto lui. Tese lentamente una mano davanti a sé,
le dita lunghe e pallide simili alle zampe di un ragno. “Vieni, Raiha-chan. Non abbiamo molto tempo.”
“Lasciami, Grimmjow” disse Rayen a malincuore, ma la presa dell’Espada non fece che rafforzarsi.
“Raiha-chan, è l’ultimo avvertimento.”
Shin ripiegò le ali contro la schiena e s’accucciò,
pronto all’attacco. Con la sua incredibile velocità, gli
sarebbe bastato un decimo di secondo ad atterrare Grimmjow. Rayen si
stampò in testa l’immagine del Sesto Espada riverso a
terra, col cranio perforato, e, odiandosi profondamente per quanto
stava facendo, sguainò Trèbol e schizzò un leggero
graffio sull’avambraccio destro di Grimmjow.
Grimmjow allentò istintivamente la presa. Rayen non aspettava altro: scattò in avanti con un sonido
e raggiunse Shin, afferrando la sua mano. Un piccolo vortice apparve
alle spalle dell’angelo, trasparente, ma il pezzo di muro ancora
integro dietro di lui appariva distorto, come visto attraverso un
caleidoscopio. Doveva essere una sorta di Gargantua, ma al suo interno
non vi era alcuna traccia d’oscurità.
“Lo chiamiamo Derech” spiegò Shin. “Ovvero, ‘la Via’.”
“Fie!” esplose Grimmjow.
Rayen si girò. Orihime era
accoccolata nel suo angolo, spaventata, e vicino a lei c’era
Grantz, che stringeva i pugni con tanta forza da sembrare lì
lì per spezzarsi un dito da solo. Arti scomposti di due
assistenti dello scienziato si dimenavano debolmente sotto le macerie.
Davanti a tutti incombeva
Grimmjow: la fissava, furibondo, incurante delle goccioline di sangue
che gli solcavano l’avambraccio.
La tua collezione di ottimi motivi per farmi fuori si sta allargando, Grim, pensò amaramente Rayen.
“Non azzardarti ad
andartene!” ruggì l’Espada. “Te lo
impedirò, dovessi tagliare personalmente la gola a quel
maledetto bastardo!” Snudò la Zanpakuto. “Kishire…”
Uno strappo all’altezza
delle viscere trafisse Rayen. La ragazza si sentì catapultata
all’indietro da una forza irresistibile, e ben presto le figure
di Grimmjow e degli altri rimpicciolirono fino a sparire del tutto in
un turbine di luce bianchissima. Rayen perse ogni contatto con la
realtà: si ritrovò a galleggiare in quel candore senza
fine, aggrappata all’unica cosa ancora concreta, la mano ossuta
di Shin.
Poi, improvvisamente, il bianco si
dissolse. Non appena Rayen si sentì ricadere verso il basso, si
diede una spinta coi reni e ruotò su se stessa con una prontezza
tutta Arrancar, atterrando in piedi come un gatto. I suoi stivaletti
neri non emisero il più piccolo suono nel toccare un suolo
incredibilmente morbido, setoso.
“Benvenuta a Eden” l’accolse la voce silenziosa di Shin.
*********************************************
ATTENZIONE: AIZEN-SAMA NON VUOLE CHE QUESTA FICTION PROSEGUA.
Altrimenti non saprei proprio
spiegarmi perché batteria e caricabatteria del Mac decidano di
andarsene insieme al diavolo nell’arco di due ore l’una
dall’altra -.- Aizen, per punirti in questa fiction morirai.
* un kido supersonico di potenza allucinante si abbatte su Sixy e la scaraventa fuori scena *
* Rayen sgattaiola sul palco e s’impossessa del microfono *
Rayen: che dire? A volte
ritornano. E dopo ben diciassette capitoli e un anno e mezzo di attesa,
forse quella sciagurata della mia scrittrice è riuscita a
spiegare il significato del mio primo Focus. Ne vedremo delle belle :)
oltretutto, Sixy, in che diavolo di posto mi hai buttato?
Shin: un posto stupendo, garantisco io! *.*
Rayen: e tu da dove salti fuori?
Shin: da dietro le quinte, no?
* Sixy torna in scena con la testa bendata e un braccio appeso al collo, arrancando su una gruccia *
Sixy: questa me la paghi -.-
..:: Garconne: grazie mille, sono
felice che tu abbia gradito il capitolo ^^ sono indecisa se aggiungere
altri pezzi di flashback nei prossimi capitoli, ma è
improbabile, perché già aggiorno lentamente e non vorrei
che si perdesse il filo della storia. Credo che andrò quatta
quatta verso il finale xD
..:: Exodus: be’, mi fa
piacere che almeno in parte l’abbia apprezzato :) mi sto
sforzando di regolarmi e rendere al massimo il racconto, ma la strada
è ancora lunga!
Per quanto riguarda
Urahara… inizialmente al suo posto doveva esserci mr Zaraki, ma
poi sarebbe venuto un casino per il tempo e lo spazio – in altre
parole, mi era più facile giustificare la presenza di Urahara a
Karakura che non quella di Kenpachi. Oltretutto, Ura è anche
più vicino al progetto dell’Honkyoku.
La canzone Hell & High Water dei Black Stone Cherry mi sembra
perfetta per il legame tra Shin e Rayen. Se Shin dovesse avere una
theme song, per me sarebbe quella.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** XIX. Nephilim ***
seenoevilmodel
Rayen aveva ancora l'immagine di Grimmjow negli occhi, e dentro di
sé si malediva con furore. Era stato uno dei pochi a schierarsi
- più o meno - dalla sua parte, dopo l'assassinio di Indar, e
lei non gli aveva portato altro che delusione. Giurò a se stessa
che, se mai fosse tornata a Las Noches e se mai le fosse stato
consentito di riappropriarsi di un'esistenza normale, avrebbe dato
letteralmente l'anima per lui.
Sempre che lui non decidesse di farla finita una volta per tutte e trasformarla in un delizioso mucchietto di cenere.
XIX. Nephilim
When the loss seems too high and the Void grows inside
When a shroud veils my day and my way's gone astray
A falling star will dispel the night...
Goldeneyes - 4th Dimension
Eden era diversa da qualsiasi altra dimensione Rayen avesse mai visto.
Non era uno sterminato deserto di tenebra, come Hueco Mundo, né
ostentava i candidi palazzoni della Soul Society: quella che si
estendeva davanti a Rayen era un’immensa foresta, o meglio, un
intricato guazzabuglio di alberi di ogni forma e dimensione. Ve
n’erano alcuni alti e maestosi, altri rachitici e mingherlini,
altri ancora tozzi e possenti. Certi tronchi apparivano lisci e lucenti
come la seta più raffinata, mentre alcuni erano ricoperti da una
corteccia così ruvida e grinzosa da far prudere le mani solo a
guardarla. Ma la cosa più inquietante, almeno dal punto di vista
di Rayen, erano le ossa: di tanto in tanto, si potevano scorgere alberi
avviluppati da fitti reticoli ossei, intrecci bianchi come il gesso
contro le tinte scure del legno.
Rayen si guardava attorno, senza
capacitarsi di quello che vedeva. Non c’era uno solo, di quegli
strani alberi, che non emanasse almeno un palpito di reiatsu. “Shin, che razza di posto è questo? Cos’hanno questi alberi?”
Shin, al suo fianco, le
indirizzò un sorriso malinconico. “Te l’ho
già detto, questa è Eden. E quelli che tu definisci
‘alberi’ in realtà sono anime cristallizzate.”
All’occhiata interrogativa di Rayen, proseguì: “Non
ti sei mai chiesta cosa accade agli Shinigami, dopo la loro seconda
morte? Si crogiolano nell’illusione della propria
immortalità, convinti di poter vivere per sempre, ma alla fine,
chi prima chi dopo, tutti affluiscono qui.”
“E si trasformano in questi affari?”
Rayen appoggiò cautamente il
palmo su quello che sembrava un cedro dorato: s’era aspettata di
trovarlo fresco, ma sotto i polpastrelli percepiva un tepore
vorticante, come se sotto la corteccia fosse intrappolato un turbine
d’aria calda. Poi qualcosa la toccò: decine di piccoli
tentacoli invisibili s’attorcigliarono attorno alla sua mano,
spingendola più in profondità, verso il cuore del cedro
stesso. La ragazza Arrancar si ritrasse bruscamente.
“Se resti in contatto
più a lungo, ti attirano verso la loro coscienza”
chiosò Shin, guardando la scena senza fare una piega. “Non
preoccuparti, di solito non hanno intenzioni malevole. Molti sono
semplicemente curiosi, perché non comprendono la natura della
loro nuova esistenza: sanno solo che tu sei diversa da loro, tutto
qui.”
Rayen scrutò il cedro, impensierita. “Vuoi dire che non si rendono conto di cosa sono diventati?”
“Non da un punto di vista
esterno” puntualizzò Shin. “Per quello che li
riguarda, la loro esistenza è perfetta: conservano i ricordi del
loro passato, certamente, e volendo possono protendere le loro
coscienze verso quelle di altre anime, ma il loro desiderio supremo
è continuare meramente ad esistere, liberi da ogni affanno e
preoccupazione. Ora sono immersi in una pace senza fine, e persino le
anime più crudeli e impetuose non possono che essere ammansite
da questo stato di armonia. È l’eterno riposo,
Raiha.”
“E gli alberi con le ossa…”
“Anime di Hollow.”
Rayen rimase attonita. “Come
anime di Hollow? Pensavo che, una volta uccisi, gli Hollow rinascessero
nella Soul Society come qualunque altro spirito…”
“Effettivamente rinascono
nella Soul Society” disse Shin. “Ma solo nel caso in cui
vengano purificati dalla Zanpakuto di uno Shinigami. Nel caso invece
che ad ucciderli sia un altro Hollow, come ben sai, essi sono assorbiti
e finiscono per rafforzare l’Hollow che li ha distrutti.
Ma…” sollevò l’indice “nel caso sia la
Zanpakuto di un Nephilim a trapassarli, gli Hollow convergono qui, a
Eden, proprio come gli Shinigami.”
Rayen batté le palpebre, perplessa. “E che è un Nephilim?”
“Una persona come me.”
Shin spalancò le braccia, e le sue grandi ali setose si
allargarono accompagnando il movimento. “Non siamo molti, solo
un’anima ogni cinque o sei secoli viene scelta per diventare
Nephilim. Ciascuno di noi è stato selezionato personalmente
dalla corte del Re Spirito allo scopo di eliminare i Segnati, coloro
che potrebbero usurpare il suo trono.” Davanti alla faccia sempre
più confusa di Rayen, esibì un mezzo sorriso senza
allegria. “Permettimi di cominciare dall’inizio,
vuoi?”
Si sedette sul terreno erboso e fece
cenno a Rayen di fare altrettanto. Dopo un’esitazione
infinitesimale, lei obbedì.
“Devo ammettere che sono
rimasto piacevolmente sorpreso dal fatto che ti ricordi chi sono. La
maggioranza degli Arrancar cancella i ricordi della propria vita
umana… Comunque, non è di questo che volevo parlare.
Vedi, dopo la tua morte…”
La mia morte…
È lei… ma lei è me.
Sono io a correre, correre a perdifiato, correre fino a farmi dolere i muscoli delle gambe.
Il mio stesso battito cardiaco mi pulsa forsennato nelle orecchie.
Non c’è tempo, non c’è tempo!
“Rayen?”
Una spada di fuoco mi trapassa la pancia, o almeno, questa è la mia impressione.
Senza fiato, stringo i denti per non soccombere a quel bruciore infernale.
Non abbasso subito lo sguardo, ma quando finalmente trovo il coraggio di farlo impazzisco.
Un artiglio largo come un ceppo di legno mi ha infilzato da parte a parte.
Non mi accorgo
di stare piangendo finché non vedo le calde lacrime che cadono
copiose sul dorso appena inarcato dell’artiglio, mescolandosi al
mio sangue.
“Rayen!”
Rayen tornò in sé. “Sì, scusa, dimmi.”
Shin la guardò un po’
stranito, ma non commentò. “Come stavo dicendo, dopo la
tua scomparsa non sono stato più lo stesso. Pensavo di essere
sul punto di crollare da un giorno all’altro. Se non l’ho
fatto, è solo grazie a Kaoru e ai bambini: bastava la loro
presenza a conferirmi nuova forza. Se non fosse stato per loro, non
sono sicuro che avrei superato il colpo.” Forse imbarazzato per
aver esternato tanto la sua debolezza, indurì la voce. “Io
e Kaoru abbiamo allevato Isshin insieme a nostro figlio Kotaro, nella
speranza che i due crescessero come fratelli, ma fu una speranza
fallace: Isshin e Kotaro non potevano nemmeno vedersi, e a fatica
sopportavano di vivere e dormire sotto lo stesso tetto. Appena ne
ebbero l’occasione, andarono ognuno per la propria strada. Non si
parlano da almeno un paio di decadi.”
“E perché si odiano?”
“Per la loro eccessiva
diversità, suppongo.” Shin si massaggiò
distrattamente il mento col pollice, pensoso. “Isshin era un
inguaribile sognatore, con la testa costantemente tra le nuvole…
un bravo ragazzo, anche se un po’ troppo fantasioso. E indovina
un po’? Era convinto di poter comunicare con i fantasmi dei
defunti.”
Rayen non riuscì a trattenere
un sorriso amaro ma velato di tenerezza. Sarebbe stato splendido poter
condividere quei preziosi anni di vita con suo figlio… anni che
non sarebbero mai più tornati. Quanto tempo poteva essere
trascorso, in termini umani, dal suo ingresso ad Hueco Mundo? Almeno
una quarantina d’anni, se non di più.
“Kotaro invece era una persona
molto concreta, pragmatica, il tipo di persona che crede unicamente a
ciò che vede. Aveva un gran cervello e un ingegno invidiabile, e
c’era chi scommetteva sul suo futuro luminoso… Da parte
mia, è stata un’angoscia guardarlo scivolare poco a poco
nella grettezza senza poter far nulla per aiutarlo. La morte di Kaoru
è stata uno shock davvero terribile per lui.”
La ragazza sobbalzò,
stupefatta. Un soffocante senso di pesantezza le schiacciò la
gola, dandole la sensazione di aver ingoiato un pugno di sabbia.
“Kaoru… Kaoru è morta?”
“Sì, anni fa”
rispose tranquillamente Shin. Il suo tono non era affatto turbato,
anzi, sembrava che vi si fosse insinuata una nota di…
ammirazione? “Adesso è una magnifica Shinigami, e presto
diventerà una delle punte di diamante della Soul Society.
Veglierò su di lei fino a quando la sua anima non tornerà
a Eden: allora io e lei ci ricongiungeremo e ci godremo insieme la
nostra eternità.”
“Sotto forma di albero?”
“Pur nella loro essenza
vegetale, ci sono cose che le anime conservano sempre.” Shin
sorrise. “Ma questo te lo spiegherò in un’altra
occasione, quando tornerai qui per addormentarti del tuo ultimo riposo.
Mi rendo conto che può suonare macabro, ma ti garantisco che
è l’apice della felicità, l’appagamento
totale dei sensi e dello spirito.”
“A me suona più come un’eterna prigione” mormorò Rayen.
“Forse dovresti sperimentarlo
in prima persona” suggerì Shin, tirandosi su e tendendole
una mano. Lei l’accettò e si lasciò sollevare. Lo
sguardo del Nephilim si fece ombroso, rifiutandosi di incrociare quello
della sorella. “Mi dispiace di aver ucciso il decimo Espada, sono
venuto a sapere solo dopo che eravate amici. Ma cerca di comprendermi:
Oroitz era un Segnato, e il compito assegnatemi dal mio signore
è di difendere la corona dagli spiriti come lui.” Si
schiarì la voce. “Un tempo, il Re Spirito aveva un vice,
un potente braccio destro… si chiamava Reila.”
Reila… un lumicino s’accese nella memoria di Rayen.
“Hai mai conosciuto di persona un chiaroveggente?”
“Una,
sì. Una Shinigami eccezionalmente capace e intraprendente.
Reila, se non erro… brava ragazza, molto sveglia.”
La voce di Urahara risuonò straordinariamente nitida nella sua memoria, come se il biondo fosse stato accanto a lei.
“Una chiaroveggente” disse Rayen apatica.
“Esatto, una chiaroveggente e
una Shinigami di grande talento. Anche lei, come me, fu chiamata dal Re
Spirito e consacrò la sua esistenza alla protezione del sovrano.
A renderla formidabile non erano tanto le sue capacità di
guerriera, benché notevoli, quanto piuttosto l’eccezionale
dono di prevedere il futuro. E le sue predizioni erano
infallibili.”
Come quelle dei Focus. Forse un po’ meno intricate e un po’ più esplicite, però.
“Reila aveva previsto che un
giorno qualcuno avrebbe spodestato il Re Spirito per innalzare un
vessillo di sangue e costruire un regno di terrore e distruzione. Soul
Society e Hueco Mundo sarebbero stati fusi in un’unica, immensa
landa desolata, dove buoni e malvagi, senza distinzione, avrebbero
trascinato le loro esistenze in catene, senza alcuna speranza di fuga,
senza alcun appiglio per aggrapparsi alla vita.”
Realizzato di essere rimasta a bocca aperta, Rayen richiuse subito la mascella.
“Reila non sapeva precisamente
chi avrebbe ucciso e detronizzato il Re Spirito – forse quel
qualcuno non era neppure nato – ma intuiva chi potesse essere: e
questi, all’incirca un’anima ogni mille, sono i cosiddetti
Segnati. In genere si tratta di anime molto forti, ma solo il Re
Spirito in persona o uno dei suoi Nephilim potrebbe individuare il
Segno senza la minima possibilità di errore. Non guardarmi
così, Raiha: io offro loro una morte rapida e indolore, subito
seguita da un ristoro senza fine.”
Lei chinò il capo, cercando
di non assumere un’espressione accusatrice. Non poteva
giustificare le azioni di Shin, ma non poteva nemmeno criminalizzarlo:
aveva preso la decisione che riteneva più giusta e ora si stava
impegnando a mantenerla con onore.
“Avanti, sorellina.”
Shin le appoggiò l’indice sotto il mento e le alzò
delicatamente il viso. “Se non hai nulla in contrario, vorrei
mostrarti qualcosa. Sono sicuro che apprezzerai.”
L’albero davanti a cui Shin
l’aveva condotta era alto e dritto, coronato da sfavillanti
ventagli di calde foglie color rame. A prima vista si sarebbe detto un
sorbo, ma la sua corteccia liscia e scura ricordava l’ebano. Da
essa affioravano ossa sottili, che s’attorcigliavano verso
l’alto come candidi vortici. Avvicinandosi a quello strano sorbo,
Rayen notò che sotto il legno nero scintillavano venature di
cristallo: lampi di rubino, di zaffiro, di giada e di topazio
zigzagavano e ammiccavano come lo sguardo di una bestia divina.
La ragazza si volse verso Shin,
dubbiosa, ma lui le annuì fiduciosamente. Esitante, lei tese una
mano e sfiorò la corteccia del sorbo… e subito questa
cominciò a risucchiarla dentro di sé. Rayen
s’irrigidì, ma s’impose con fermezza di restare
immobile e lasciarsi attirare. Abbassò le palpebre, e nel buio
vide diramarsi una rete di reiatsu infuocata e brillante.
Un barlume cremisi le
accarezzò i polpastrelli, come chiedendole il permesso, quindi
s’insinuò sotto la sua pelle e attraversò il
braccio fino a raggiungerle la spalla, il collo e infine la testa. Una
coscienza esterna – ma non del tutto estranea –
lambì quella di lei.
… Rayen? Sei tu?
Quella voce sicura e vivace, appena adombrata da un’eco insonnolita…
Indar-san?!
Rayen riaprì gli occhi, e
scoprì di non trovarsi più davanti a quel bizzarro sorbo.
Si trovava in una sorta di biblioteca… una biblioteca vecchio
stile, squadrata e rettangolare, con le pareti completamente ricoperte
da scaffali su scaffali di libroni polverosi. Al centro della stanza
c’era un ampio tavolo di legno nero, identico a quello
dell’albero; sulla sua superficie ruvida era posata una lampada
ad olio, il cui delicato chiarore proiettava spettri d’ambra sul
viso sorpreso di Indar Oroitz.
“Indar-san!”
Abbandonando qualunque formalità, Rayen aggirò di corsa
il tavolo e gli si gettò tra le braccia. Indar si alzò in
piedi per intercettarla e la strinse vigorosamente a sé. Il
calore del suo corpo irrorò Rayen.
“Finalmente, Ray!” Indar
la scostò gentilmente da sé e sfoderò uno dei suoi
candidi sorrisi da lupo. Rayen era confusa, sorpresa, ed euforica. La
pelle tiepida di Indar non aveva nulla di falso o illusorio,
così come il caldo flusso di reiatsu ramata che scorreva
dirompente sotto di essa. L’ex decimo Espada si presentava
a primo impatto come un ragazzo sulla ventina dall’aria attiva e
intelligente, con una scarmigliata zazzera di capelli corvini e iridi
nere e brillanti come onici. Non indossava più la vecchia divisa
bianca propinata a Las Noches, bensì un paio di sobri pantaloni
scuri e una casacca sugli stessi toni. Ojo de Tigre, il suo enorme
spadone a due mani, giaceva dimenticato contro il muro a poca distanza
da lì.
“Cominciavo quasi a sentire la
tua mancanza” disse scherzosamente Indar. “Ma tutto sommato
la cosa non mi dispiaceva, perché sapevo che finché fossi
rimasta a Hueco Mundo avresti potuto prendere Aizen a pedate. Allora,
come stai?”
“Hmm, niente male. Sono giornate un po’ intense, diciamo, ma non mi lamento.”
Con un abbandono mai sperimentato
prima di allora, Rayen si gettò nel dettagliato racconto degli
ultimi avvenimenti. Le parole esplodevano dalla sua bocca l’una
dopo l’altra, come dotate di vita propria, e via via che parlava
il senso di oppressione dentro di lei si alleggeriva sensibilmente.
Aggiornò Indar sulla situazione a Hueco Mundo e gli descrisse le
proprie vicende in qualità di Nùmero prima di Grimmjow e
poi di Nnoitra. Gli disse delle apparizioni del Necroforo, degli
attacchi al Mondo Reale, del rapimento di Orihime, per poi concludere
il tutto con la scoperta del suo passato e dell’arrivo a Eden.
L’unico particolare che gli tacque fu la vera identità del
Necroforo: adesso che aveva ritrovato un briciolo del suo vecchio
mondo, non aveva fretta di complicare di nuovo le cose, che già
erano abbastanza intricate per conto loro.
A parte quello, confidarsi con Indar
le riuscì incredibilmente facile. Per intere decine di anni
avevano vissuto e combattuto fianco a fianco, sostenendosi e
guardandosi le spalle a vicenda, talvolta anche chiedendo consiglio
all’altro prima di compiere una decisione. Era stato Indar a
trovarla nel deserto, a prenderla sotto la sua ala protettiva, a
sceglierla come suo unico Nùmero una volta conquistato il titolo
di Espada. In barba a chi diceva che l’amicizia pura tra uomo e
donna non poteva esistere, il legame tra loro due era privo di
qualsivoglia attrazione o malizia. Quando terminò il racconto,
Rayen aveva la gola secca. Si sentiva infinitamente più leggera,
e al tempo stesso una velenosa angoscia le corrodeva i pensieri,
perché ora più che mai si rendeva conto in pieno di
quanto fosse titanica la montagna di guai che incombeva su di lei.
“Certo che siete una tragedia,
ragazzi, non posso lasciarvi soli due settimane che subito si scatena
un pandemonio” sbuffò Indar, ma sotto il tono giocoso
echeggiava una punta di serietà. “Ricapitolando: Aizen
è ancora al potere e ti vuole perché ritiene, e non a
torto, che tu sia in qualche modo collegata a quell’Urahara. Dopo
gli eventi di oggi, poi, probabilmente ti darà doppiamente la
caccia, in quanto ora sa che se ti prende e ti mette sotto tortura
potresti cantargli tutto quello che sai su Urahara e il
Necroforo.”
“Oh, questo sì che è rassicurante” fece Rayen sarcastica.
“Non voglio rassicurarti,
voglio cercare di salvarti la vita” ribatté Indar,
stavolta serissimo. “Non preoccuparti, Ray… o meglio,
sì, preoccupati, perché non preoccuparsi ora sarebbe da
folli, ma niente panico: anche se le circostanze sono un po’
delicate forse possiamo ancora trovare una scappatoia.”
“Vai, sono tutta orecchie.”
Indar cominciò a camminare
avanti e indietro nella stanza, come sempre quand’era assorto in
qualcosa. “Innanzitutto, poniamo che Aizen scopra quello che tu
adesso sai su Urahara… cosa pensi che farebbe?”
Rayen azzardò:
“Potrebbe costringermi a combattere contro di lui, contando sul
fatto che lui non mi torcerebbe mai un capello di sua spontanea
volontà…”
“Immagino che sia una buona
ipotesi, ma potrebbe anche usarti come esca e tendergli un agguato. O
meglio ancora, potrebbe prendere te ed Isshin come ostaggi e
minacciarvi nel caso Urahara non si consegni a lui solo e
disarmato.”
Rayen rabbrividì. A questo non ci aveva pensato.
“Prendendo in esame gli altri problemi” proseguì Indar imperterrito “bisogna tener conto di un altro microscopico
particolare: il fatto che, tra tutte le persone vive e non che
infestano le quattro dimensioni, tuo nipote Ichigo ha voluto scegliersi
come nemico mortale proprio Grimmjow, la testa calda per eccellenza, il
quale ovviamente non terrà conto dei limiti imposti da Aizen e
smuoverà mari, monti e mondi pur di mettergli le mani
addosso.”
“Non se posso impedirlo” rimarcò Rayen.
“Non se puoi impedirlo” approvò Indar. “E come faresti?”
“Entrambi, Grimmjow e Ichigo,
hanno un nemico comune, che è Aizen stesso” spiegò
lei. “Se riuscissi a indirizzare le loro attenzioni su di lei,
be’… sarebbe un gran bel risultato. Non posso sopportare
che si facciano del male a vicenda.”
Indar rise senza allegria. “Sei parecchio affezionata a tutti e due, vero?”
“Abbastanza” ammise Rayen.
“Il che non toglie che siano
una coppia di idioti straripanti di testosterone”
sentenziò Indar scuotendo la testa. “Convincili a
collaborare, Ray, potrebbero rivelarsi un aiuto prezioso. Da quanto mi
hai detto, il Necroforo ti ha portato sino a qui per proteggerti, visto
che lui è una sorta di guardiano delle anime…
Personalmente, credo che dovresti cercare di apprendere da lui i
segreti della spada – perché è chiaro che è
un combattente di tutto rispetto – e poi ti consiglierei di
cercare Ichigo, o Urahara. Ricordati che Urahara, Yamamoto e la Shihoin
sono gli Shinigami più temuti da Aizen, sempre che lui possa
realmente temere qualcuno. Se riuscissi a contattarli, ti farebbero
comodo anche un po’ di Arrancar: ci sarà pure un manipolo
di ribelli che rifiutano di sottostare al giogo di Aizen: hai bisogno
di tutto il supporto disponibile per affrontarlo.”
“Mi stai dicendo che devo fomentare una specie di rivolta?”
“Ray.” Indar le strinse
gentilmente le spalle, gli occhi neri fissi in quelli nocciola della
ragazza. “La posta è alta: non si tratta più di te
o di me, qui c’è in gioco l’intero Hueco Mundo e
forse chissà quanto altro. Secondo te, perché Aizen ha
voluto a tutti i costi controllare Hueco Mundo? Te lo dico io:
perché mira ad ottenere il dominio su tutte le dimensioni
esistenti, a diventare una specie di dio universale. Se attaccasse
direttamente la Soul Society col suo esercito di Arrancar, sfoltirebbe
facilmente le file sia degli uni che degli altri e indebolirebbe i capi
galattici di entrambe le fazioni, tutto in un colpo solo. A quel punto
sarebbe una sciocchezza togliere di mezzo gli ultimi oppositori, e ai
suoi piedi non avrebbe altro che schiavetti adoranti, burattini
fedelissimi pronti ad obbedire ad ogni suo ordine.” Si
passò una mano tra le irte ciocche corvine. “In altre
parole, o domati o uccisi: questo è il futuro che aspetta te,
Grimmjow e tutti coloro che non gli baceranno ossequiosamente i piedi.
E questo non sarà che il primo passo: dopo di voi
toccherà al Re Spirito, e forse anche a questo posto. Potrebbe
trasformarsi nella sua stanza delle torture preferita, dal momento che
non c’è una sola molecola di ossigeno e un essere umano
morirebbe prima ancora di mettere piede a terra.”
Rayen si morse l’interno della
guancia. “Okay, questo futuro fa schifo. Ma cosa posso fare per
cambiarlo? Non potrei fare nulla nemmeno se fossi la Primera
Espada…”
“Il che non toglie che tu
debba tornare a Hueco Mundo al massimo della tua forza. Forse potresti
chiedere al signor Nephilim di darti una mano, dato che evidentemente
gli vai a genio. Non si può negare che sia un vero maestro del
combattimento.” Le indirizzò un sorriso. “Senza
rancore, Ray. L’unico mio dispiacere è che non
potrò essere al tuo fianco quando spaccherai il culo ad
Aizen.”
“La fai facile, tu”
disse Rayen, sforzandosi di ricambiare il suo sorriso ma producendo
solo una smorfia. “Sei così sicuro che troverò il
modo di abbattere Aizen, se non ce l’ha fatta nessun altro prima
di me?”
“Nessun altro era un
profeta… Reila a parte, ma la sua è tutta un’altra
storia.” Indar le strinse un braccio. “La fonte del potere
supremo di Aizen è la Sfera della Distruzione: elimina quella, e
ti troverai davanti ad uno Shinigami potente, sì, ma
tutt’altro che invincibile.”
“Indar, mi stai chiedendo di
salvare quattro dimensioni da un essere che aspira a diventare un
dio!” si disperò Rayen, la voce per la prima volta resa
acuta dall'isterismo. “Posso forse evitare che Grimmjow e Ichigo
si scannino tra di loro, ma il mio potenziale finisce qui. Ho sempre
desiderato uccidere Aizen, ma non ho mai pensato che sarei riuscita a
farlo davvero! Mi farà fuori in un battito di ciglia!”
La presa sul suo braccio
s’intensificò. Un rivolo di fredda calma rabbonì le
sue paure. “Io mi fido di te. Da sola no, non ce la farai mai, ma
potresti essere la scintilla che appiccherà il fuoco al trono di
Aizen. Solo, non affrontarlo mai a viso aperto.”
“Indar…”
Rayen s’irrigidì. Il
volto dell’amico cominciava ad annebbiarsi, a confondersi, come
se lo stesse guardando attraverso la superficie dell’acqua. La
ragazza fu afferrata da una forza ultraterrena, che cominciò a
trascinarla delicatamente indietro, fuori dall’albero, verso il
mondo esterno.
La pressione delle dita di Indar sul suo braccio si rafforzò di nuovo, per un ultimo istante.
“Ci vediamo tra qualche
secolo, Ray. Preparati bene il discorso, perché vorrò
sapere per filo e per segno della caduta di Aizen!”
Prima che la coscienza di Indar si
allontanasse, Rayen fu attraversata da una folgore di reiatsu cremisi,
tanto densa da saturare ogni sua cellula, tanto forte da inondarle le
vene.
*******************
OMG che capitolo difficile da scrivere...
La nostra Fie è stata incaricata di spaccare il culo ad Aizen,
vedremo se ce la farà o no. Tra parentesi, i Nephilim non me li
sono inventati io, sono delle creature mitologiche citate nel Libro di
Enoch e rappresentano il frutto delle relazioni tra le donne umane e
gli angeli caduti.
..:: Grimmy: wow, ammiro il tuo coraggio *.* grazie mille per la
recensione! Da qualche parte quella digressione dovevo pur
cacciarla xD è stato un lavoraccio, però, il pezzo
più difficile di tutta la storia.
..:: SamHaunter: e già, anche Rayen è d'accordo sul fatto
che mr Grimmjow sia il personaggio più figo della saga xD spero
che il nuovo capitolo ti abbia soddisfatto. Grazie della recensione!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=420366
|