Niente è come appare - Raccolta

di ka_chan87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Noir 1: "Angel...?" ***
Capitolo 2: *** Noir 2: "Pernottamento al Memory Motel" ***
Capitolo 3: *** Noir 3: "Uno sguardo in più" ***
Capitolo 4: *** Noir 4: "Istinto Materno" ***



Capitolo 1
*** Noir 1: "Angel...?" ***


"Angel...?”

 

Eccomi qua. Ancora. L'ennesima seduta della settimana. Una volta ogni sette giorni lei viene qui, si siede sulla bella poltroncina in pelle, e parla. Parla, parla, parla. Lei, la bella Stacy Sullivan, sempre la prima tra le cheerleaders al liceo, sempre la prima ai concorsi di bellezza, sempre la reginetta del ballo, sempre la prima della classe, sempre la più desiderata tra i ragazzi. Soprattutto, sempre lei la compagna di colui che è stato il mio amore per almeno cinque anni. Strappatomi sotto gli occhi, per giunta! Senza alcun ritegno!

Ricordo ancora quella sera... il primo ballo di fine anno delle superiori, la canzone 'Angel' degli Aerosmith - “ Baby You're my angel Come and save me tonight...” - che riempie la sala da ballo e io, agghindata nel mio vestitino rosa confetto, che mi dirigo verso di lui, pronta a dichiararmi... ed eccola, quella gallina, che gli si appiccica addosso come una cozza e se lo bacia! Ma dico, con quale faccia? Era il mio angelo, non il suo! Inutile dire che non l'ho mai perdonata, lei che mi ha rovinato e reso l'adolescenza un inferno!

E ora? Ora, a distanza di almeno dieci anni, eccola qui, davanti a me, ancora talmente presa da se stessa che non mi ha nemmeno riconosciuta! Ma non importa... io so chi è e tanto basta.

La prima volta che l'ho vista varcare la mia porta non l'avevo riconosciuta, infondo sono passati parecchi anni... ma appena mi ha detto il suo nome, ecco che la faccia un po' sciupata e paffutella di adesso veniva immediatamente sostituita da quella liscia e perfetta che aveva ai tempi del liceo. Quante volte avrei voluto ribaltargliela, quella faccia!

Ma torniamo a noi. Eccola al nostro solito appuntamento settimanale, si affaccia alla porta, entra e saluta con quel sorrisetto così falsamente gentile... l'ho sempre odiato. Inutile dire che lo contraccambio puntualmente, da un anno a questa parte, con uno che farebbe venire il diabete anche a venti metri di distanza.

“Buongiorno, Stacy! Ormai pensavo non saresti più venuta!” le dico falsamente. Ogni santo venerdì, questa mi si presenta alle cinque meno un minuto, guai mai arrivare dopo! Ma questa volta sono le cinque e due minuti e non mi è parso vero di farglielo notare.

“Lo so che sono in ritardo, ma oggi il traffico è stato micidiale! Però non avrei di certo perso il nostro appuntamento per niente al mondo!” dice lei e sorride ancora. Ipocrita.

Modestamente, una volta completati gli studi, ho aperto un'attività tutta mia di un certo rispetto, che in molti apprezzano e si contendono il posto sulla mia agenda. Nel mio campo ho una certa fama.

“Prego, accomodati” le dico ed eccola che si siede, come dicevo, sulla bella poltroncina in pelle scura. Vi dirò, nonostante tutto, sono riuscita a farmela amica. Naturalmente, questo è quello che crede lei. È naturale che si confidi con me, visto il mio ruolo, ma credo che mi abbia preso come un punto di appoggio, quasi di riferimento. Evidentemente, le glorie conquistate sulle spalle degli altri da giovani non portano a molto. È da un anno che aspetto questo giorno. O meglio, è da quando andavo al liceo che aspetto questo momento, quello della vendetta.

Giocando sul fatto che la cara Stacy non mi ha mai riconosciuta – mi fa rabbia ma poco male, mi è utile per uno scopo superiore - , ho potuto conquistare la sua fiducia, assecondandola, consigliandola, appoggiandola... e quella è andata in brodo di giuggiole – dev'essere molto frustrata, la poverina, basta infinocchiarla con due paroline dolci che ormai si mette a piangere di gioia. Ed eccoci qua, le grandi amiche e confidenti, siamo anche uscite a cena qualche volta, sapete? Occasioni in più per me per farmi raccontare vita, morte e miracoli sulla vita della nostra star. Ce n'è per tutti i gusti, sapete? È arrivata addirittura a dire che al liceo non ha mai avuto vita facile e che si è sempre sentita inferiore a tutti, sbeffeggiata dalle ragazze e mortificata dai ragazzi... Ma per piacere! Insomma, dopo un anno, sono venuta a sapere tutto ciò che mi serviva e oggi è il giorno fatidico. Da un po' Stacy continuava a ripetermi di come è ormai in crisi il rapporto con suo marito e blablabla... non mi è parso vero! Mi sono messa a indagare molto discretamente – col mio lavoro si impara a farlo e si ottengono sempre i risultati sperati – e alla fine son venuta a conoscere il nome del coniuge in questione, dato che lei non me l'ha mai rivelato. Vi dirò: mi sarei aspettata quello del mio caro primo amore ma non si trattava di lui... peccato, direi.

“Sai, Stacy? Questo weekend ho avuto un appuntamento...” le dico in un momento in cui la vedo stranamente silenziosa, così colgo la palla al balzo, facendole magari credere che voglio distrarla con un po' dei fatti miei e con un tono abbastanza alto, attirando l'attenzione. Neanche a farlo apposta... la radio sta trasmettendo Angel degli Aerosmith! Questo è un segno del Karma!

“Assì? Ma è fantastico! E lui, com'è?”

“Oh, lui... lui è un gran bell'uomo, solo che...”

“Solo che?”.

“È sposato...”

“Ahi...”

“Già, ma mi ha detto che ormai il suo matrimonio è in crisi, che sua moglie lo mortifica in tutti i modi e che non condividono neanche più il letto... infatti, devo proprio dirtelo, quando siamo stati insieme sembrava una furia scatenata a digiuno da una vita!”

“Wow... ma, sei sicura? Cioè... non vorrei che ti stesse solo prendendo in giro e che poi ci stessi male”, 'Ah, stupida scema!' penso fra me e mi trattengo a stento dal rotolarmi dal ridere.

“Hai ragione... ma forse tu puoi aiutarmi. So che frequenta il tuo stesso club, per me lo conosci di sicuro”

“Molto probabile, siamo talmente pochi... Come si chiama?”

Robert Anderson, ti dice niente? Cara, che hai, sei impallidita tutto a un tratto!” 'Come godo, come godo!'

“Hai... hai detto...? Ma sei sicura?” balbetta lei, ormai sta per svenire!

“Certo, sai cosa mi ha detto anche? Che frequentava il liceo Gloucester, come me! E subito dopo mi è venuto in mente che sempre al Gloucester c'era una Stacy Sullivan! Capisci? Eravamo compagne di liceo, ti ricordi ora di me?” ed ecco il colpo di grazia. Ti ricordi, eh, maledetta Stacy? Ti ricordi di come mi hai reso la vita un inferno?!

“Ri... ricordo il Gloucester... e io, sì, mi chiamo Stacy Sullivan... ma frequentavo il Jordan, l'istituto femminile lì accanto”.

...

Il rumore del phon che cade, è capace di farmi mancare il fiato. O sono io che sono caduta?



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Capitolo 2
*** Noir 2: "Pernottamento al Memory Motel" ***


"Pernottamento al Memory Motel”

 

E' una soleggiata e calda giornata sulla lunga statale Texana. Robert canticchia felice nella sua vecchiotta utilitaria, la radio gracchiante da sottofondo, e il paesaggio brullo e secco al di fuori del finestrino abbassato è sempre lo stesso da quella che sembra una vita. Ma a Robert non importa. Sapere che in sua compagnia ci sono loro, le sue due dolci fanciulle, lo ripaga di quel monotono viaggio. Un sonoro sbadiglio gli fa voltare la testa e sorridere verso la bella donna che ha la fortuna di avere al suo fianco – in tutti i sensi: Caroline.

“Una giornata magnifica, vero cara?” le domanda con un sorrisone Rob, come lo chiama lei.

“Incantevole, caro” contraccambia la splendida Caroline, abbagliandolo col suo sorriso, splendente più del sole. Ah, com'è stato fortunato ad averla incontrata!

“E tu, piccola mia, cosa dici là dietro?” domanda poi Rob guardando nello specchietto retrovisore la ragazzina seduta scomposta sul sedile posteriore. Lei, la piccola, è Lucy, l'altro suo tesoro.

“Niente di che. Tutto regolare, direi” ribatte la ragazzina, senza troppo entusiasmo. Rob non pare farci caso. Ah, come sono fortunato!, pensa di nuovo.

“Ottimo, ottimo. Sapete, credo che questo viaggio farà bene a tutti noi, ne son sicuro!” esclama felice. Sul volto di Caroline passa un sorriso, Lucy inarca un sopracciglio. Seppur con espressioni diverse, entrambe pare che stiano pensando la stessa cosa: 'Oh, non abbiamo dubbi'.

Il sole prosegue con il suo movimento giornaliero e l'utilitaria non è ancora prossima alla meta quando ormai è il tramonto.

Caro... tra non molto sarà buio. Questa sera che ne dici di evitare la nottata in macchina? Io e Lucy siamo distrutte e anche tu hai bisogno di riposare come si deve” suggerisce la dolce Caroline, sfiorando, delicata, l'avambraccio dell'uomo.

“Mh, in effetti una doccia e un bel letto ci vorrebbero proprio. Purtroppo non conosco bene questa zona e non ci spererei troppo di imbatterci in un motel... se magari avessimo fatto la strada che avevo detto io...”

“Ti ho detto che questa è una scorciatoia, fidati! E per il motel non preoccuparti, Zio Frank mi ha detto una volta che non troppo lontano da qui ce n'è uno... eccolo, infatti!” esclama felice Caroline, indicando una struttura resa visibile solo dall'insegna al neon “Memory Motel” non del tutto funzionante.

“E bravo Zio Frank! Comunque, chissà perché l'anno chiamato così, come la canzone...” comincia Rob

“... dei Rolling Stones? - conclude per lui la signora al suo fianco – Perché pare che una volta, durante una tournee, il gruppo avesse pernottato qui e che questo sia il luogo in cui hanno creato appunto la canzone... Anche se ho i miei dubbi” conclude Caroline, ridacchiando.

“Bè, è comunque una bella storia” commenta Rob mentre ferma la macchina nei pressi dell'ingresso. Smontano in un baleno, stiracchiandosi le membra intorpidite dalle lunghe ore di viaggio. Rob prende dal baule i loro bagagli e si dirigono tutti e tre verso l'ingresso.

Un campanellino risuona quando aprono la porta, dando loro il benvenuto. Si dirigono verso la reception piuttosto spoglia, Caroline e Lucy si guardando intorno tra l'incuriosito e scettico, in attesa, Rob, come al solito, ha stampato in viso il suo sorriso che alle volte gli dà un'aria da ingenuo.

“C'è nessuno?” domanda a voce alta, dopo qualche minuto. Ma nessuno si presenta ad accoglierli.

“Strano” borbotta ma per nulla turbato. Anzi, apre il registro posto sul bancone dando un'occhiata alle firme. Dall'anno prima le visite non sono state un granché, nota, e peraltro solo di uomini.

“Allora?” chiede Lucy, un po' spazientita.

“Non si vede nessuno in giro, forse i proprietari sono andati a fare un po' di provviste. Direi comunque di sistemarci, quando arriveranno si accorgeranno di noi. Avete preferenze sul numero della camera?” scherza, il motel è completamente vuoto.

Prendendo una chiave a caso, si dirigono verso la stanza in cui avrebbero pernottato. Rob apre la porta, accende le luci e mentre Caroline e Lucy fanno a loro volta ingresso nel piccolo monolocale, lui appoggia le valigie in un angolo.

“Allora, mie splendide fanciulle... cosa vogliamo fare?” domanda con un ampio sorriso, guardandole come fossero due statue d'oro.

“Io un'idea ce l'avrei...” dice Caroline guardandolo maliziosa e lui sorride a sua volta, compiaciuto.

“Non vogliamo perdere tempo, eh?” dice soddisfatto ed emozionato mentre la donna lo spinge verso il letto matrimoniale, seguiti da Lucy sempre col suo sguardo un po' inespressivo.

“Anche tu, piccola mia?” domanda Rob mentre Caroline lo immobilizza sul materasso. Nonostante l'assenza di risposta dell'altra, il sorriso dell'uomo si amplifica.

“Ora sta zittino, caro... Adesso ci pensano le tue Caroline e Lucy a te...” gli sussurra la donna sopra di lui, prendendo in mano un cuscino e cominciando ad avvicinarglielo al volto. Lui ridacchia spaesato, non capendo le intenzioni di Caroline.

'Chissà queste prostitute Texane che trucchetti interessanti conoscono... Ah, come sono fortunato!', pensa Rob e mentre la pressione del cuscino sul suo volto si fa sempre più forte, il suo sorriso resta, seppur, per la prima volta nella vita, abbia una nota di tensione.

Nel frattempo, le casse a circuito del motel fanno riecheggiare nella stanza le dolci note di Memory Motel dei Rolling Stones:

' ... We spent a lonely night at the Memory Motel
It's on the ocean, I guess you know it well
It took a starry night
to steal my breath away ...'



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Capitolo 3
*** Noir 3: "Uno sguardo in più" ***


"Uno sguardo in più”

 

Eccolo, di nuovo. Con lo sguardo vitreo entra nella stanza, finge di guardarsi intorno alla ricerca di chissà che cosa, si siede e inevitabilmente finisce col puntare i suoi occhi terribili su di lui.

Di cose strane, in un manicomio, ce ne sono tante, si sa. Mark deve sopportarne a valanghe tutti i santi giorni pur di avere ciò che gli serve per tirare avanti.

Ma a tutto c'è anche un limite e lui l'ha raggiunto con Bob, pazzo come gli altri, se non di più.

Tutti i giorni arriva, entra nella sala comune dove Mark passa la maggior parte del suo tempo, tenendo compagnia ai ricoverati, si guarda intorno, va a sedersi in un angolo isolato e si mette a fissarlo, dal mattino quando arriva fino alla sera quando se ne va, canticchiando alcune strofe di One, degli U2 “ Have you come here for forgiveness? Have you come to raise the dead? Have you come here to play Jesus? To the lepers in your head...”.

All'inizio Mark non ci fa più di tanto caso, 'Sono pur sempre in una gabbia di matti...', pensa, ma dopo un po' e soprattutto da quando ha saputo che Bob ha fatto fuori tutta la famiglia a suon di coltellate, la situazione è diventata insopportabile.

Qualche volta è anche capitato che l'omicida gli avesse rivolto la parola, chiedendogli cose personali e raccontandogli per filo e per segno quello che gli aveva visto fare o che aveva pensato avesse fatto, o cantandogli quella maledetta canzone – Mark odia gli U2.

Tutto è diventato estremamente inquietante. Mark si è convinto che Bob voglia fare di lui una delle sue vittime e non può fare a meno di essere terrorizzato dal mettere piede dentro quella stanza, ora. Ogni giorno può essere quello buono.

Oggi Mark è estremamente teso. Ancora una volta è stato tormentato dagli incubi e ormai gli sembra di camminare con la morte al fianco ogni giorno. Ma, inevitabilmente, eccolo varcare la soglia della sala comune, cercare di distrarre e conversare con i malati e distribuire sorrisi a destra e manca. Finché Bob, avvolto dal camice bianco – che lo fa apparire, agli occhi di Mark, proprio come uno spirito della morte, per via della sua carnagione cadaverica, gli zigomi sporgenti, gl'occhi a palla infossati e una barba grigio-bianca enorme – fa il suo ingresso, quel giorno puntando gli occhi direttamente su di lui, in un'espressione indecifrabile e terribile.

Mark è immobilizzato da quello sguardo e fatica ad accorgersi della campanella che si mette a suonare, avvisando dell'ora del pranzo.

Intorno a lui tutti i pazienti si alzano, diregendosi alla mensa con uno strano passo trascinato e cadenzato da farli sembrare quasi un fiumiciattolo. Nella sala comune restano solo i due, gli sguardi ancora incollati tra loro.

Oggi, è troppo. Conscio di non poter più andare avanti con l'idea di Bob pronto a saltargli alla gola ogni giorno, senza quasi pensare Mark afferra un candelabro posto su una mensola lì vicino e si lancia come una furia su Bob, ancora intento a fissarlo con quei suoi occhi liquidi, terribili e immobili.

È un attimo. Il candelabro scende a colpire il viso di Bob con un facilità che a Mark sembra impossibile, come se in realtà lo stesse solo carezzando. Senza avvertire il minimo sforzo, Mark continua a colpirlo più e più volte, la testa riempita solo dalle note odiate,di One che Bob canticchiava sempre mentre lo fissava.

Si ferma. Davanti a lui del suo nemico non rimane un granché; il viso completamente squarciato è ormai irriconoscibile.

Sulle labbra di Mark comincia a delinearsi un sorriso. Ebbro di felicità, corre verso la mensa esultando come non mai, finalmente è libero dal suo demone!

“L'ho ucciso! L'ho ucciso! Non ci potrà fare più del male!” grida a squarciagola, girando su se stesso.

“Chi, chi hai ucciso Mark?” gli domanda preoccupato uno degli inservienti, prendendolo per le braccia.

“L'ho ucciso! L'ho ucciso!” continua a dire l'altro, senza badare nessuno “Vieni, vieni a vedere, ormai non può più farci del male!” e trascina con sé l'infermiere, portandolo nella sala comune.

“Ecco, lo vedi? Ormai non potrà più fissarci con quel suo sguardo demoniaco e progettare chissà quali morti per tutti noi! L'ho ucciso!” esulta di nuovo Mark, venendo afferrato dall'inserviente.

“Ok, ok, ho capito... però Mark lo sai che non si deve 'uccidere' con tanta leggerezza, vero?”

“Oh, sì, sì, è sbagliato, ma lui voleva farci del male! Voleva uccidermi, lo so!”

“Va bene, va bene... ehi, voi – l'infermiere ne chiama altri due prima occupati nella mensa – prendetevi cura di Mark... io penso a questo poveretto” dice l'uomo, guardando lo spettacolo che ha davanti. Sbuffa, scocciato. Sarebbe toccato a lui di certo spiegare dell'accaduto al direttore... e non sarebbe stato felice.

Come poteva dirgli che il suo quadro tanto prezioso raffigurante Sigmund Freud era andato completamente distrutto?

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Capitolo 4
*** Noir 4: "Istinto Materno" ***


"Istinto materno”

 

Captured effortlessly
Thats the way it was
Happened so naturally
I did not know it was love
The next thing I felt was
You holding me close
What was I gonna do?
I let myself go...”

L'ha fatto. L'ha addormentato. Lo guarda, quel piccolo e paffutello bimbo, stretto tra le sue braccia, come se lo stesse ancora cullando, il collo un po' troppo ciondolante rispetto al normale.

Un'innocente creaturina di appena qualche mese. Le guance di solito di quel rosso così vivido ha già l'impressione che stiano impallidendo, sotto i suoi occhi dall'espressione indefinibile.

Non perde la calma, la giovane Sally. Tiene in braccio la sua creatura senza vita, guardandosi intorno, la cucina, dove è accaduto tutto così velocemente, risplende nel sole del pieno giorno.

Sistema sulla spalla il corpicino del piccolo James, studiando l'ambiente che la circonda. Deve trovare un luogo dove nasconderlo, cosicché nessuno possa disturbarlo nel suo sonno.

L'ha fatto per lui, in fin dei conti. La sua dolce creatura non poteva sopportare la sua canzone preferita, che puntualmente ascoltava quasi ogni momento. Ma lui, il suo James, non la tollerava. Nonappena le prime note di “Ain't nobody” riempivano l'aria, lui iniziava a piangere come un disperato. E il mix del suo pianto disperato mescolato alle note della canzone erano la cosa peggiore che avesse mai sentito. Perciò, pochi istanti prima, quando per l'ennesima volta ha cercato di ascoltare la canzone, ha liberato il suo piccolo da quella maledizione, facendolo dormire in tutta tranquillità.

Ora, non resta che trovargli il luogo adatto per non arrecargli disturbo. Guarda oltre la finestra, Sally, fissando il giardino. Sotto il grande noce?, pensa. No, lo troverebbero subito e il sole lo infastidirebbe. Nel laghetto del parco? No, non ha il tempo per raggiungerlo e i pesci disturberebbero il sonno del piccolo.

Si guarda di nuovo intorno, Sally. Il suo viso pallido non è affatto segnato dal turbamento, gli occhi pieni di un vuoto immobile. Osserva la cucina come se questa le stesse parlando, suggerendole chissà quali risposte. Poi, arriva, il sussurro. Le iridi si spostano sul lavandino e da lì, al tritarifiuti.

Una volta lì, nessuno avrebbe più disturbato il suo James, in primis la canzone che odia tanto.

Con movimenti calmi, Sally si avvicina, il piccolo ancora tra le braccia che to tengono saldo ma allo stesso tempo delicate, per non disturbare il suo sonno. Lo sposta, avvicinandolo al tritarifiuti, che aziona subito. Un moto di disapprovazione passa tra i suoi occhi, spera che il terribile rumore del marchingegno non svegli il bimbo. Deve fare in fretta. Ecco allora che avvicina prima una gamba di James e sente il rumore amplificarsi. Preme con più forza cominciando a canticchiare le note della sua canzone a bassa voce, per non svegliare il piccolo. Ora anche l'altra gamba è vittima del tritarifiuti, così il tronco, il collo e così via. Il rumore si arresta. Il suo James ora sì che potrà riposare indisturbato. Sorride, per la prima volta, anche se sul suo viso comincia a scorrere qualche lacrima. Le mancherà il suo bimbo, ma è meglio così, l'ha fatto per lui, si dice.

Ora non resta che completare il tutto. Con un'inaspettato moto di rabbia, Sally comincia a buttare a terra alcune sedie, un piccolo tavolo e qualsiasi oggetto alla sua portata, creando un sacco di confusione. Lo stesso nel salotto e nell'ingresso.

Poi, come se niente fosse, esce di casa, riparandosi gl'occhi dal sole che la colpisce in pieno. Va a farsi un giretto per il quartiere, la rilassa e intanto che c'è, andrà a prendere qualche bel fiore dal giardino di uno dei vicini, che ne è sempre pieno.

Fa con calma, Sally, l'orologio è controllato a dovere e sa quand'è il suo momento. Infatti, con passo tranquillo, si riavvia verso casa. Nei pressi della stradina privata sorride leggermente nel vedere la macchina famigliare parcheggiata davanti la sua villetta.

In pochi istanti è già lì che suona il campanello. Ad aprirle arriva una donna più anziana di lei, ha lo sguardo teso e serio.

“Sally! Meno male, sei qui! Ma cos'è successo in casa, hai visto?” domanda con foga e spaventata la donna.

“Non lo so, cos'è successo?” chiede più nervosa dell'altra, Sally, entrando in casa. Rimane basita dal trovarla a soqquadro.

“Devono essere venuti dei ladri o qualche teppistello. I figli dei vicini sono così scalmanati... per fortuna non hanno rubato niente” osserva la donna, esaminando attentamente la situazione. “Bè? Immagino tu arrivi dalla tua passeggiatina quotidiana... E James, non ce l'hai con te?” le domanda stupita di vedere quei due non insieme.

“Non lo so mamma... io l'avevo lasciato a casa! Sicuramente sarà l'unica cosa che avranno portato via!” singhiozza sorpresa Sally, gl'occhi invasi dalle lacrime.

“Su, su, non fare così... vedrai che sistemeremo tutto... Chiederemo a papà di risolvere la cosa... Infondo si trattava solo di un bambolotto, te ne compra quanti ne vuoi, non preoccuparti! E ora ascoltiamoci la nostra canzone preferita mentre riordiniamo questo macello!”

“Certo mamma!”.

Captured effortlessly
Thats the way it was
Happened so naturally
I did not know it was love
The next thing I felt was
You holding me close
What was I gonna do?
I let myself go...”.

 

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