Gelida Luce di Ellie_x3 (/viewuser.php?uid=23287)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Nightmare ***
Capitolo 2: *** Mad Girl ***
Capitolo 3: *** 3. Ali d'angelo ***
Capitolo 4: *** 4. Sweet Night my love ***
Capitolo 1 *** 1. Nightmare ***
Gelida
Luce
Inu
Yasha –
Nightmare
A
volte sogno l’insonnia
Alle soglie della gloria trova
La
morte
Che gli tende le mani
Ora.
Torna a casa, ora.
Presto,
risponde lui. Presto.
Gelo.
Freddo,
dolore.
Freddo dolore sofferenza freddo, sangue, gelo nulla vuoto
incubo sogno dolore freddo, sangue, agonia sogno morte perdita freddo
sofferenza gelo, nulla dolore nulla sogno nulla, nulla, nulla –
sangue.
Lui,
lì.
Proprio in mezzo.
Incapace di dire se fosse passato solo
un secondo o una vita da quando aveva ripreso conoscenza e aveva
trovato ad accoglierlo una segreta, dure catene a mordergli i polsi e
quel buco nero al posto dello stomaco. Il dolore alle spalle, tese
verso l’alto, poteva essere un indizio utile a fargli capire quanto
tempo fosse passato.
Ma era da tanto che Inu Yasha si era abituato
al dolore fisico. Troppo. Ormai non ci badava neanche più.
Quindi,
eccolo.
Senza tempo. Senza qualcosa che lo aiutasse a cancellare
l’altro dolore.
Quello sordido, quello sporco. Quello
odioso.
Quello della morte altrui.
Non era nuovo a quelle
sensazioni di vuoto, di impotenza, di un peso nello stomaco che
sembrava lacerarlo. Eppure non si muore d'amore. Non si può morire
di disperazione.
O, almeno, lui non poteva.
Non era giusto. Non
era per lui.
Vendicatore che non era mai riuscito ad alzarsi per
poter portare a termine il suo incarico.
Soldato senza più
capitano. Bushi senza Shogun.
Qualcuno senza più dentro di sé la
fiammella della vita.
Cosa avrebbe detto a Kagome, lassù in
cielo, quando l'avrebbe rivista?
Mi
spiace. Non ti ho potuta salvare, o vendicare. Perché? Semplice:
sono stanco di una vita senza nessuna ragion d'essere.
Sarebbe
stato imbarazzante, ma sincero. E sapeva che lei avrebbe
capito.
Sperava solo di vederla presto purché tutto quel gelo,
quel male,avesse una fine.
Pregava come mai aveva fatto prima per
trovare la sua pace.
Ma ricordava, nonostante tutto, chi fosse il
suo nemico; chi l'avesse condotto lì. E anche cosa dovesse fare.
Non
ne aveva la forza. Non ne aveva la voglia.
Sentì
la porta cigolare leggermente, aprendosi e lasciando entrare un
timido, tiepido spiraglio di luce nera.
Che paradosso. Avrebbe
riso, se avesse mai potuto ricordare come si faceva.
Quella era
per lui oscurità palpabile, come un fumo che entra e uccide ogni
singola molecola d'aria. Però era luce, per quanto buia e tetra.
Da
fuori, dove sapeva non esserci luna in un cielo che affogava nel
nero.
In passato aveva odiato la sua forma umana. Ora la
benediceva, perché sarebbe morto presto, sebbene ignorasse il perché
fosse ancora vivo con un buco nello stomaco.
Non aveva più nessun
interesse nel vivere.
Persino quelle tenebre che nel loro tetro,
patetico brillare gli illuminavano il viso non avevano più
valore.
Nulla splendeva più.
-Ti sei svegliato, Inu
Yasha?-
Non reagì alla voce sottile di Kikyo,
leggera come una brezza tiepida nel silenzio pungente. Al mezzo
demone sembrò che quello stesso tono gli accarezzasse la guancia
gonfia, arrossata, sporca di terra e sangue, per poi scendere sulle
labbra spaccate.
La
sacerdotessa si richiuse l'uscio alle spalle, soffocando quella
piccola speranza che gli era nata nel cuore: scappare. Rivedere la
luna.
Ma in fondo cosa c'era là fuori?
Niente. Nessuno.
Non
c'era ragione per uscire. Tanto valeva morire lì.
Il mezzo demone
la sentii avvicinarsi, e solo quando gli fu abbastanza vicina alzò
gli occhi d'ametista, guardandola.
Kikyo...com'era
bella.
Viva.
Il
tocco delle dita di cera e terra della Miko era fresco, piacevole sui
lividi. Ma non gli dava altro che fastidio.
Non
toccarmi.
Non
guardarmi.
Pensa
a me come si pensa ad un pezzo di carne.
Morto.
Morto.
Morto.
-
Non sei morto, Inu Yasha. Non ancora.- Cosa gli stava dicendo? Lo
rassicurava che non era ancora morto.
Davvero? Eppure credeva di
esserci così vicino...
Si vedeva già come un cadavere, lì
incatenato, morto. Umano e totalmente indifeso.
Vedeva Kikyo e
vedeva Naraku. E rideva perché loro erano ancora intrappolati lì,
nel mondo, e non sapevano cosa voleva dire essere aria.
Parte
della vita stessa.
E sforzandosi ancora un poco già scorgeva
Kagome ad aspettarlo, con Sango e Miroku e Koga. Lei lo salutava con
la sua espressione più dolce. Gli diceva di avvicinarsi.
E lui
voleva andare da lei. Correre. Abbracciarla.
Invece Kikyo gli
diceva che era ancora maledettamente ancorato a questa terra crudele.
Lui non ci voleva più stare: accanto a Kagome, alla sua Kagome,
c'era sua madre. Sul viso era dipinto un meraviglioso sorriso.
Le
mancava. Voleva rivederla subito.
Il mezzo demone era come un
orologio rotto. Fermo da così tanto tempo che non ricordava nemmeno
più il rumore del ticchettio della lancetta del cuore.
Tic,
tac, tic, tac. Niente
suonava più dentro di lui.
Le ore, che scoccavano quando Kagome
gli sorrideva. Sparite.
I minuti, segnati dall'urlare di Sango e
dall'assurdo arrampicarsi sugli specchi di Miroku. Finiti.
I
secondi, quando combatteva con suo fratello. Esauriti.
I mesi, i
giorni, gli anni passati a cercare il nemico di sempre con
l'implacabile forza datagli dalla furia.
Non sarebbero mai più
tornati.
Game Over. Aveva perso.
- Non piangere.- lo pregò la
sacerdotessa dolcemente, accogliendo con l'indice l'unica lacrima che
era sfuggita al mezzo demone.
Inu Yasha si chiese con che diritto
la donna gli dicesse cosa fare. Lei, poi.
Traditrice. Umana.
Kikyo
era morta. L'aveva sempre pregato di accompagnarla nell'ultimo
viaggio.
Perché ora non voleva lasciarlo andare? Poteva anche
portarla con sé. Non gli importava.
Erano ben poche le cose che
avevano valore, per lui, lì rinchiuso.
Di certo le rassicurazioni
di Kikyo non erano fra queste.
Sentiva e non sentiva la voce
musicale della miko narrargli di cosa avrebbero potuto fare, lui, lei
e Naraku insieme. Avrebbero riunito la Shikon.
Sarebbero
diventati dei immortali.
In
fondo, cosa significa essere immortali? Ritardare di qualche
millennio la propria fine? Prolungare una sofferenza già abbastanza
pesante da sola?
Il sorriso di Kagome era immortale. Eppure già
iniziava a sfumare, nella sua memoria.
Il suo amore per lei lo
era. E anche quello sembrava perso nel dolore.
Dei. Demoni
completi. Invincibili.
Ascoltava le sue parole come si comprende
il significato del fruscio delle fronde degli alberi. Non ci si
presta mai abbastanza attenzione, altrimenti lo si potrebbe
cogliere.
Tuttavia l'hanyou non voleva, non poteva capire i
discorsi di Kikyo.
Una volta erano stati anche i suoi sogni. Ma
ora erano cenere.
Troppo difficile parlare di potenza, amore,
demoni e dei quando sei incatenato, umano e a pochi passi dalla tanto
agognata morte.
La aspettava come un dono, Inu Yasha. La voleva e
la bramava.
Poi di nuovo quelle parole. Quella timida, leggera ma
importante confessione che già una volta aveva sentito pronunciare
dalla sacerdotessa.
Riferita a Onigumo, il suo peggior nemico che probabilmente in quel
momento stava facendo i salti di gioia per essere riuscito a piegare
Kikyo al suo volere, quell'ammissione gli smbrò strana
- Io lo amo.-
Così candida e perfetta, per essere una frase impura.
Non
se la meritava quel...quel...Bastardo? No. Che aveva contro Naraku,
ormai?
Tanto Kagome non c'era più. Nemmeno sua madre.
E anche
Kikyo ormai gli sembrava priva di valore.
Non aveva nulla da
difendere.
Nessuno scopo. Si sentiva vuoto.
Periva lentamente
in una tempesta di sentimenti che provocavano nient'altro che oblio.
Sentimenti che venivano soppressi dall'apatia più totale.
Non
voleva sentire più nulla. Provare più nulla.
Come se stesse
affogando in un sogno senza fine e senza inizio, dal quale non poteva
uscire.
Se
questa è la vita, vi prego, uccidetemi.
I
Kami.
Oh, mai li aveva pregati. Cos'aveva da chiedere ad un cielo
muto e fermo? Non si fidava.
Ma ora le carte in tavola erano
scoperte. E lui non aveva niente.
Sentii la voce di Kikyo pregarlo
di comprendere, di tornare in sè. Che la morte non era nient'altro
che l'ennesima fuga: scappava da lei rifugiandosi in Kagome. E ora
scappava dal dolore rifugiandosi nella luce immacolata della morte.
Non era
da demoni. O da mezzi demoni. Nè da umani.
Piuttosto era da
sciocchi.
Inu
Yasha la guardò. Solo un secondo, in cui la sacerdotessa sentì che
il suo cuore di terra mancava un battito, per poi accelerare in una
corsa forsennata. Disperata.
Gli occhi del mezzo demone erano un
buco nero, profondo e senza una fine o un inizio. Alfa e Omega. A e
Z. Vita e morte.
Il mezzo demone vide tutti questi suoi sentimenti
riflessi nello sguardo della antica amata e se ne rallegrò
vagamente: era così complicato, il suo dolce e semplice nulla?
-Se
questo fosse un sogno.- iniziò, con la voce tremolante di chi non sa
bene cosa dire. O come formulare una preghiera. -Kikyo, ti prego.
Svegliami. Ho paura.-
L'ammise con così tanta facilità che gli
sembrò di averlo detto mille altre volte.
Lo ripeté, in un
rantolio stanco, come l'ultimo uggiolio di un cane abbandonato sotto
la pioggia.
Fradicio.
Stanco.
Solo.
Disilluso.
Così
si sentiva. Per la prima volta in vita sua, però, lo
ammetteva.
Forse perché non c'era nessuno per cui mostrarsi
forte? Nessuno che si affidava a lui?
A cui sorridere e dire
"Tranquilla, andrà tutto bene".
Era un uomo senza uno
scopo. Un fiore in una stanza buia che appassiva agonizzando,
ignorando il raggio di luce che gli era vicino.
Voleva la
salvezza. Voleva svegliarsi ora, oppure sapeva che non l'avrebbe
fatto mai più.
Improvvisamente tutto si fece più sfocato, un
disegno su cui qualcuno avesse rovesciato dell'acqua.
-Ho capito.-
il sussurro di Kikyo sembrava lontano. Troppo.
Forse fra poco
sarebbe davvero finita. Ogni cosa perdeva sostanza e forma.
Finché
la donna non divenne una macchia fatta di rosso, di bianco, nero e
rosa. La stanza girava. E lui con lei.
Non stava morendo, lo
sapeva.
Una parola, semplice, gelida, gli si insinuò nella mente
prepotente. Capì che era la risposta.
Incubo.
Si
svegliò di soprassalto, soffocando in gola un urlo spaventato e
espirando profondamente l'aria umida della notte. Gli sembrava di
aver corso cento miglia, ma il cielo era ancora un'infinita striscia
di seta nera puntellata di stelle.
La luna gli illuminava i tratti
semidemoniaci, e nessuno sembrava essersi svegliato. Poco male: non
avrebbero visto le goccioline di sudore che gli imperlavano il viso e
non si sarebbero mai accorti del terrore che traboccava dai suoi
occhi. Aveva le lacrime.
Era una vera fortuna che nessuno fosse
stato destato a causa del suo sobbalzo.
Guardò sotto di lui,
cercando di non perdere l'equilibrio: trasse un sospiro profondo,
calmandosi, quando vide Kagome raggomitolata in quel coso rosa...nel
"sacco a pelo", come l'aveva chiamato lei.
Sango accanto
a lei aveva una mano appoggiata sulla groppa morbida di una
gigantesca ed addormentata Kirara. Miroku, poco più in la, sembrava
immerso in un sogno piacevole.
Il mezzo demone alzò un
sopracciglio, già immaginandosi che tipo di sogno potesse essere e
sussurrando un "maiale" fra sé e sé.
Poteva esser vero
il suo incubo? Poteva perdere la sua voglia di vivere solo per degli
umani?
Ridursi all'ombra di se stesso solo per aver perso Kagome
era possibile?
Di certo era assolutamente assurdo che Kikyo si
innamorasse di Naraku. Sicuro.
In fondo era solo un parto della
sua mente malata, uno sciocco mescolarsi di mente e anima.
Senza
senso.
Capita,
quando si è agitati, si
disse.
Doveva calmarsi. In fondo Kagome era lì, sognava
tranquilla.
Ma a lui, almeno per quelle poche ore che mancavano
all'alba, il sonno era stato rubato.
Da un sogno su
Naraku.
Squallido.
Ma non gli passò nemmeno per la mente di
chiedersi "e se fosse vero?". Non voleva portarsi sfortuna
da solo. E forse sbagliava.
Perchè quello fu l'ultimo, spaventoso
sogno premonitore del mezzo demone, che dopo non ebbe più tempo per
bere, mangiare, dormire. Era iniziata la battaglia finale con
Naraku.
E prima che se ne potesse accorgere, scoprì che era stato
quel fugace momento fra sonno e veglia la vera chimera. Un frammento
di illusione.
Fantasia, fatalità o potenza demoniaca?
Non
avrebbe saputo spiegarlo. Però in poche ore realtà e fantasia,
sogno e realtà, nel suo mondo erano state capovolte come in una
strana giostra che non seguiva le sue regole.
...Non
sei ancora morto, Inu Yasha. Ma presto spererai di esserlo...
Notes:
Ohayoo,
Minna-san! *O*
Pronti a ricominciare la scuola? Io
assolutamente no [Q.Q].
Ma per, come dire?, festeggiare il
ritorno di compiti e interrogazioni e salutare l'estate con un pò di
sana, giusta, depressione ho deciso di buttarmi su una
raccolta di Shot sui sogni dei vari personaggi di Inu Yasha, il cui
titolo è lo stesso del terzo libro di Victoria Francès "Favole".
Questa prima shot è, per l'appunto, un incubo del nostro
mezzo-cane preferito. L'ho mandato un pò OOC, ma ho pensato ad un
Inu Yasha totalmente disperato, illudendomi che la perdita di Kagome
lo possa portare a questi livelli.
Non posso dare
anticipazioni in quanto non so ancora su cosa sarà la prossima, ma
non temete: stavolta porterò a termine il progetto U.U
Un
bacione, con la speranza che sia piaciuta almeno un pochino.
Elle.
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Capitolo 2 *** Mad Girl ***
Gelida Luce
Kagome Higurashi-
Mad girl
Dove sei, che canti la tua canzone per me?
Le mie orecchie non lo
percepiscono più, ma c’è l’eco di un battito di cuore instabile.
Persino la
mente sembra dormire.
La frenesia che mi rimane addosso non mi permette di
ricordare.
Quando guardo tra le ombre del vuoto sfocato, vedo i colori freddi
della realtà.
[The Gazette-Chizuru]
Occhi chiusi.
Kagome si era appena coricata-
finalmente nel suo bel lettino, finalmente con i confort dell'epoca
Heisei, finalmente dopo aver fatto uno straccio di bagno- nella sua
cameretta.
Una camera meravigliosa...per una bambina di sette anni.
Tuttavia non aveva ancora
trovato il tempo di rimodernarla, adattandola alla sua età
attuale. Poco male, magari si sarebbe fatta aiutare da Inu Yasha,
pensò soffocando uno sbadiglio.
Ora però aveva solo sonno e certe questioni non le interessavano.
Gli sembrava di non tornare da secoli. E invece era lì, a casa, sola con la sua stanchezza.
Aveva bisogno di dormire, possibilmente di fare tanti bei sogni.
Ma da quando i sogni seguono il nostro volere?
Storse le labbra, con gli occhi fermi sul foglio.
Bianco.
Vuoto.
Solo alcune frasi in nero, stampate al computer, campeggiavano su quella carta immacolata.
Kami-Sama, che roba è questa?- si chiese, schifata, scorrendo velocemente le varie domande.
Trigonometria.
Che funzione pratica aveva studiare trigonometria? E ancor più a cosa le serviva fare un compito?
L'aiutava a uccidere i demoni? No!
A trovare i frammenti della sfera dei quattro spiriti? Ovvio che no!
Sarebbe potuta andare avanti
per ore: purtroppo ne aveva solo una per riconsegnare quel foglio -per
il momento vuoto- risolto, ordinato e possibilmente corretto.
Quindi sospirò, facendosi forza. Insomma, aveva affrontato di peggio, no?
Poggiò la punta della
biro blu sulla carta, ritirandola immediatamente come se quell'unico
puntino d'inchiostro scuro fosse un errore tremendo.
“Così
uscirò pazza, e non va bene.” considerò esasperata,
passandosi una mano tra i capelli. Non poteva continuare così
per il resto dell'ora e consegnare in bianco.
Sembrava non riuscire ad alzare gli occhi, però: quel bianco la risucchiava. La ipnotizzava.
Nella sua mente frullavano un centinaio di formule che sapeva essere perfettamente inutili per il primo problema.
Il secondo nemmeno riusciva a capirlo.
Le domande di teoria, un disastro.
Non sapeva rispondere a nulla, nonostante avesse studiato tutta la sera precedete.
Dannazione a Inu Yasha che l'aveva deconcentrata con le sue entrate inutili.
Dannazione all'epoca sengoku che non le lasciava mai il tempo di studiare.
Dannazione a Naraku che comprometteva pure la sua media scolastica, oltre che tentare di uccidere lei e tutti i suoi amici.
Sarebbero dovuti sparire,
tutti quanti: almeno avrebbe potuto stare in pace, avere una vita
normale, studiare e uscire con le amiche. Poter stare con un ragazzo
senza avere come rivale una bellissima sacerdotessa non-morta.
Purtroppo per lei non era così.
Toc
Quasi nemmeno si accorse della
cosa che cadde sul suo banco: una minuscola pallina di carta che
planò davanti ai suoi occhi.
Un bigliettino.
Lo prese tra le mani, facendo
attenzione che il professore fosse voltato per non farsi scoprire, e lo
aprì piano. Curiosa.
Vi diede una scorsa, ma
sbattè le palpebre, credendo di aver letto male. Di sicuro
quell'assurda frase si doveva leggere in un altro modo.
Doveva per forza avere un altro significato, perché così com'era era assolutamente priva di qualsiasi senso.
“ Carina la maglia”. C'era scritto carina la maglia!
Chi era il benemerito idiota che durante un compito scriveva certe diavolerie, invece di pensare a risolvere il proprio test?
Kagome alzò le spalle,
esasperata, voltando un poco la testa per cercare di capire chi le
avesse giocato quello stupidissimo tiro.
E rimase lì. Come una
cretina, girata -ignorando bellamente il professore che, dal canto suo,
non faceva una piega- a fissare una persona seduta pochi banchi dietro
di lei.
Non era possibile.
Aveva i capelli lunghi e argentei. Ed era un ragazzo.
La fissava con due occhi d'ambra colata, divertiti.
E aveva un paio di odiose orecchiette triangolari in testa.
Ma non poteva, non doveva
essere Inu Yasha. Perché quel mezzo demone iper-geloso e rissoso
la aspettava scodinzolando dall'altra parte del pozzo!
E non portava la divisa scolastica. Inoltre non era certa che sapesse tenere in mano una penna senza spaccarla a metà.
Doveva esserci un errore. Forse se l'era sognato.
Chiuse gli occhi per qualche
istante, convinta che, una volta riaperti, si sarebbe ritrovata a
guardare un normalissimo ragazzo giapponese della sua classe.
Magari si era accorta solo adesso di lui e poteva assomigliare vagamente al mezzo demone
Invece no.
Riaprì piano prima un occhio, poi l'altro. Così lentamente che la luce della classe le fece male.
Quel che vedeva era esattamente uguale a prima.
Nessun dettaglio era cambiato: nemmeno l'espressione del giovane.
Inu Yasha era ancora
lì, che la fissava con quella luce maliziosa negli occhi ambrati
e un sorriso sghembo tutto rivolto a lei.
Sembrava invitarla ad
avvicinarsi. Quasi per provocarla si portò la penna alle labbra
con gesti lenti, misurati. Tutto ciò le dava, però,
un'idea di spudoratezza che mai avrebbe pensato di poter accostare a
quella persona.
Quel sorriso, quelle mani, quegli occhi le lanciavano un richiamo. Era inutile negarlo.
Così si alzò.
Voleva avvicinarsi.
Non sapeva nemmeno lei perché. Ed era pure nel bel mezzo di un test, per la miseria!
Andava contro ogni regola.
Si voltò, cercando il bigliettino che aveva lasciato sul banco. Sparito.
E, per inciso, era sparito tutto.
Magicamente, nello stesso istante in cui lei se ne era dimenticata foglio, banco, classe e professore erano spariti.
Eclissati.
La scena era cambiata attorno a lei e non se ne era nemmeno resa conto.
C'erano solo lei e il mezzo
demone, imprigionati nelle quattro mura spoglie di una scuola che
più che un liceo sembrava un manicomio. C'erano tavoli e qualche
fascicolo era appoggiato su di essi, forse dimenticato da un professore
di chimica.
Le sembravano più che altro cartelle cliniche scordate da uno psicologo distratto.
Ignorandole, comunque, si
avvicinò a Inu Yasha, che ancora non distoglieva lo sguardo da
lei. E accanto a lui, venuto da chissà dove c'era Miroku. Il
monaco.
Altra persona che doveva stare al di là del pozzo.
E, Dio, anche lui indossava abiti moderni!
Davvero, tutto ciò era troppo strano.
- Inu Yasha, che ci fai qui? Miroku?
Le costò tanto -troppo?- dire quelle parole. L'aveva sottoposta a uno sforzo immane.
Forse solo psicologico, o fisico, o tutte e due. Non riusciva a capirlo.
Il monaco alzò un sopracciglio, scambiandosi un'occhiata d'intesa con l'hanyou.
Sentiva la tensione impadronirsi di lei; Non capiva perché. Lo sentiva e basta.
Era sufficiente per farle perdere il controllo.
- Kagome.-
Fu tutto quello che disse
l'hanyou, con il tono esasperato di chi parla ai bambini capricciosi
che non vogliono saperne di imparare l'alfabeto. Odiava quando qualcuno
le parlava così, eppure...eppure ora le faceva solo una gran
pena.
Pena per se stessa?
Non solo.
Socchiuse le labbra, cercando
qualcosa di serio da dire. Voleva chiedere loro il perché di
quella situazione assurda, ma non ci riusciva.
Era la domanda sbagliata. O era quella giusta.
Sapeva che la risposta le avrebbe fatto paura, in ogni caso, qualsiasi cosa le avrebbero detto.
Non riusciva ad urlare. Però lo desiderava.
E ancora di più quando,
guardandosi le mani in un tic di riflesso che aveva fin da bambina,
vide di non avere più la divisa scolastica, ma una immacolata
tunica bianca che le arrivava fino ai piedi.
Non un vestito bianco.
Non un completo da angelo.
Uno di quei camici che aveva visto nei film horror per i malati mentali.
Soffocò un grido,
terrorizzata, e rivolse l'ennesimo sguardo ai due uomini che la
guardavano come se si aspettassero da lei chissà quale atto di
pazzia.
Ma qualcosa era cambiato. Non c'era più la curiosità negli occhi castano scuro della ragazza.
Lo stupore di prima era sparito.
Solo terrore. La muta richiesta d'aiuto rivolta a due amici che non dovevano essre lì e per fortuna c'erano.
Accanto a lei.
Sicura, Kagome, che sia una buona cosa?
Mosse un passo verso di loro, un altro e uno ancora dopo di quello. Le risultava tutto così strano.
L'inquietudine era come vento freddo che prima le aveva avvolto le mani, le braccia, il petto.
Temeva il momento in cui sarebbe arrivata alla testa. Al cervello.
Allora sapeva che sarebbe completamente impazzita.
Pazza.
Parola che gravava su di lei come un macigno, etichetta indelebile che leggeva riflessa negli occhi dei compagni.
Pazza.
Pazza.
Pazza.
Pazza!
Non lo era.
O sì?
Quel dubbio, velenoso, spaventoso, gelido come vento nordico le attraversò il corpo come una scarica elettrica.
La scosse come un fulmine.
Non lo era, no. L'avrebbe dimostrato: se non a quei due zucconi, almeno a qualcuno che l'avrebbe capita.
- Scusate ma...Sango?-
Le rotolò fuori dalle
labbra incontrollata, la domanda ingenua di chi cerca un sostegno su
cui poter riporre un minimo di fiducia.
E sapeva, credeva, sperava...no, era convinta che Sango le avrebbe creduto.
In ogni caso.
Lei era sua amica.
Gli occhi di Miroku sembrarono
spegnersi, soffocando la luce azzurra di vitalità ed energia in
spire di pesante rassegnazione.
- Kacchan, quante volte te lo dobbiamo dire? Questa tua “Sango” non esiste.-
Sbarrò gli occhi.
Impossibile: Sango era viva! Era stata sempre accanto a lei!
Non poteva essersi inventata una cosa del genere.
Non era mica scema! E neanche matta.
Già...matta...
Quand'è che una persona perde la ragione?
Qualcuno è pazzo quando si inventa le cose. Le immagina.
Scosse la testa, con tanta
violenza da senitre male al collo. Credeva sinceramente che se lo
sarebbe spezzato, e allora forse avrebbe finito di soffrire.
Lei non aveva inventato Sango, comunque.
Ne era sicura.
-Voi non capite.- ribatté, stringendo i pugni -E' chiaro che Sango esiste: esistete voi! Non può non esistere lei!
Rivolse un'occhiata supplichevole a Miroku, con il labbro inferiore che tremava piano: stava per piangere.
- Tu la amavi! Facevi la corte a tutte ma in fondo volevi lei, no?-
Lo vide scuotere le spalle con noncuranza, un sorriso compiacente stampato sul volto perfetto.
E la risposta dell'uomo fu fredda come neve.
- Non so di cosa tu stia parlando, Kacchan., Davvero, non ho mai conosciuto nessuna Sango. E neanche tu.-
Inchiodata, sentì il sangue che le si ghiacciava nelle vene.
Era davvero qualcosa che andava oltre la sua sopportazione. Cominciava ad urtarle seriamente i nervi.
- Kagome, amore, guardami: non
esiste nessuna Sango fra le tue conoscenze, né nessuna
cacciatrice di demoni. I demoni non esistono, e nessun pozzo può
portare nel sengoku.-
La voce di Inuyasha era
morbida, gentile. Se si sforzava poteva sentirla come una carezza sulla
pelle, sebbene coperta da quella vomitevole tunica bianca.
Ma quel tono dolce aveva un
retrogusto tanto amaro che Kagome odiò quella voce. Il disgusto
era tale che la ragazza ignorò anche l'epiteto che il mezzo
demone aveva usato.
E senza nemmeno accorgersene
si trovò ad odiare tutto l'uomo che le stava davanti e la
guardava con stampata una domanda ben precisa nella mente. E quella
domanda era: quand'è che è cambiata così?
Le dedicò un sorriso bellissimo.
- E' impossibile.- aggiunse con pazienza.
Rabbia.
- Non è vero!-
urlò lei, senza nemmeno accorgersi del tono di voce
spropositamene alto che aveva usato. Le era venuto naturale.
Iniziava ad agitarsi. E parecchio, anche.
Sentiva spasmi salirle alla gola e bloccarle il respiro.
Urlare: sì, voleva
urlare contro quei due uomini che non cercavano di capirla. Scommetteva
che nemmeno ci avevano provato, a entrare in quel maledettissimo pozzo!
Non la capivano.
Stupidi.
Stupidi.
Lei aveva ragione, sì, ne era convinta.
Erano loro a sbagliare. Non cercavano nemmeno di capirla.
Erano cattivi.
I matti
vogliono sempre avere ragione, e fanno i capricci. In fondo, non si
dice “ai pazzi bisogna sorridere e annuire”?
Ferma. Rimase ferma.
Le sembrò che il tempo le scorresse davanti, secondo dopo secondo, senza toccarla.
Era lì.
Pazza.
Come dicevano Inu Yasha e Miroku.
Sango non esisteva.
Il sengoku era un parto di una adolescente annoiata.
Tutta la sua vita era una bugia.
E l'aveva costruita lei. Lei si era messa in testa quell'orrido, grottesco teatrino.
Era colpa sua.
Non aveva scusanti: com'era possibile amare ancora una persona come lei?
Falsa innocentina, viziata,
egocentrica, che vedendo che l'interesse nei suoi confronti calava
aveva inventato tutto, facendo più male a se stessa che agli
altri?
Imperdonabile.
E come in un brutto sogno risentì la sua voce constatare, con naturalezza inquietante, quella che sembrava una vita fa
“Così uscirò pazza. E non va bene.”
Autor's note:
Ragaaaaaaaazzi Salve! XD me
è tornata con il secondo capitolo, che sarà l'ultimo
prima di partire per Stoccarda per una settimana!!! Speriamo di
sopravvivere sia al viaggio che alla verifica di matematica di domani
O.o Beh ma suvvia questo non c'entra!
Grazie mille per i commenti,
mi hanno fatto tutti molto piacere. Sarei felice di sapere anche come
vi sembra questo cappy: l'incubo stra-inquietante della nostra Kagomina
xD Avrà mangiato pesante? ò.ò
Ma passiamo ai ringraziamenti ù.ù
Chandrajak:
Salve Telekei! La ringrazio per il commentone, è stato preciso,
esauriente e molto soddisfacente! XD anche se penso di non meritarmi un
4,5, ma un 2! ù.ù Comunque, davvero, accie anche per il
betaggio di questo capitolo che, senza la tua idea, non sarebbe mai
nato.
Un bacione!
Fast:
Grazie mille per il commento! Sono felice che ti piaccia la ff e che tu
non abbia trovato Ooc Inu-chan. Spero che apprezzerai anche questo
capitolo. ^^
Dance of death:
OMG! Quando ho visto il tuo commento sono andata in crisi! Sono
lusingatissima che una scrittrice così brava apprezzi la mia
modesta ficcyna! *.* Davvero! Mi hai resa felicissima!
spero che commenterai anche questo, così mi dici se ti è piaciuto ^^ *me scodinzola felice*
Chocola92:
grazie mille, Chocola! Spero che ti piaccia anche questo capitolo e ti
confesso che sapere che ti piace come scrivo mi ha lusingata molto. Un
bacio e spero di sentire i tuoi pareri anche su questo ^^
Kirarachan: Ciao! Wow, che commento, mi hai fatta arrossire ^\^
Beh comunque Favole è Favole: un miracolo letterario-artistico u.u E poi i vampiri sono creature talmente belle xD
Anyway, mi fa davvero piacere che ti piaccia la fic, spero che anche questo capitolo ti piaccia :)
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Capitolo 3 *** 3. Ali d'angelo ***
Gelida Luce
Sango-Ali d'angelo
In the hanging garden
Casting halo's on the moon,
Gives my hands the
shapes of angels.
In the heat of the night, the animals scream.
In the
heat of the night, walking into a dream.
Fall fall fall fall into the
walls,
jump jump out of time.
Fall fall fall fall out of the sky,
Cover
my face as the animals cry.
Gocce.
Incenso.
Profumo
di pioggia e di erba tagliata di fresco.
Rugiada.
Guardarsi
attorno faceva male. Era un dolore lancinante che non le lasciava vie
di fuga, ma indispensabile.
Correvo
e correvo e correvo.
Sembravo
solo un'ombra nel buio della notte e sentivo che a momenti mi
sarebbero spuntate due grandi ali bianche sulla schiena.
Maestose
appendici rilucenti e morbide, come quelle dei libri che avevo
curiosamente sfogliato, simbolo dell'appartenenza ad alte gerarchie
soprannaturali.
Innalzate
ad una vita perfetta.
Ali
d'angelo, e anche se era stata Kagome a spiegarmi cosa fossero le
sentivo già mie.
Prima
non li conoscevo e ora mi pareva di non aver mai vissuto senza.
Sogni
un po' folli, forse, da ragazzina.
Dimenticavo
-erroneamente-
troppo spesso di non avere nemmeno vent'anni, schiacciata dal peso di
chi ha vissuto e visto e patito cose che altri non potrebbero mai
concepire.
Oh,
vita. Crudele, a volte patetica.
Ti
ho odiata e rinnegata, eppure eccomi qui ad aggrapparmi all'unico
scoglio che m'è offerto.
A
elemosinare qualche istante ancora su questa terra che ha solo
tranciato quel che avrei potuto essere.
La
donna che sarei potuta diventare.
La
madre che non vedrà mai nascere i suoi figli.
L'amante
che non sentirà il calore di nessun corpo.
Troppo,
troppo presto.
Sì,
lo so, è patetico. E' melanconico.
Ma,
scappando dalla morte nel buio più totale, i pensieri vengono
soffocati dall'adrenalina; il cervello lascia le briglie del corpo e
libera le gambe che vanno da sé, guidate dal naturale istinto di
sopravvivenza.
E
il mio cuore batte- cuore
d'angelo, selvaggio e incontrollabile.
Batte
al ritmo dei tamburi funerari che ancora aumentano il ritmo, fino a
capitolare in un urlo inascoltabile.
Così
è il cuore umano oppresso dalla paura.
Diventa
forte e debole, si eleva a cioè che prima era semplicemente mortale
e ora non lo è più. Mistico e libero, senza più la museruola della
razionalità; Il cuore anela vita, vuole vita, la desidera e la brama
e cerca di afferrarla come se avesse forma e corpo.
Non
è una sensazione nuova, ma solo ora non riesco a controllarlo.
In
battaglia è diverso.
Quando
mi trovo qualcuno davanti e lo guardo negli occhi e vi vedo la
morte...so di non potermi permettere errori. Sopravvivenza, semplice
e animalesca.
Un
po' primitiva.
Ora
è...è strano. Non riesco a controllarmi, a fermarmi, a pensare o ad
attaccare.
Non
sono io. E' l'angelo che spiega le ali per scappare dall'inferno, per
svegliarsi e tornare nella sua perfezione eterna.
Semplice
e schietta perfezione, senza dettagli.
Uno
schizzo all'acquerello di fianco ad un sumi-e
di Toyo, che nella sua apparente insignificanza risplende più di
ogni altro.
Ma
io so...so che questo Paradiso per me è lontano. Non lo raggiungo
mai e continuo a correre, ignorando gli impulsi del cervello.
“Fermati!”
“Così
morirai!”
“Smettila!”
Inutile.
Non
puoi chiedere a un corso d'acqua d'arrestare il suo corso e
invertirlo.
Non
si può domandare alla neve di non scendere.
Perché
quindi dovrei fermarmi io?
E
poi i passi si sono fatti più veloci. Non i miei, che bucano il
silenzio interferendo sgradevolmente nella natura, ma quelli di colui
che mi sta inseguendo, che corre e non accenna a rallentare.
Aumentano.
E
io so di non avere scampo.
Ancora
più forti, più insistenti e terribili.
Piango,
forse, o prego o chiedo alle ali di aprirsi e salvarmi.
Non
lo so.
Non
lo sento più- tutto
troppo sfocato mentre la luce dell'umanità si spegne rapidamente.
E
intanto che il rumore si fa sempre più assordante mi rendo conto di
non provare più nulla.
Tutto
è stato sommerso dalla pura paura, che ha sfondato gli argini della
calma e ha allagato ogni cosa.
Non
mi fermo ancora, però. Non sono mai stata una codarda.
Lo
scalpiccio si fa insistente, vicino e inarrestabile. I fruscii delle
foglie spostate e il buio che si fa sempre più denso.
Ed
è qui che i passi si arrestano.
Improvvisamente
il mondo si capovolge poi si ferma e ancora riprende a girare. La
tenebra diventa blu cobalto.
Sento
le mie gambe tremanti, deboli ma finalmente ferme.
Guardo
negli occhi la mia paura più grande, perdendomici e capendo quanto
sarebbe facile per me affogare, non trovare più il modo di risalire
in superficie.
Tiro
un sospiro, chiudo gli occhi ma non sparisce.
Io
annaspo, mentre lui è tranquillo e mi tiene tra le sue braccia
familiari
Immortale.
Bellissimo
e pacato.
Era
lui che mi inseguiva, anche se probabilmente l'ho sempre saputo.
Ancora
adesso, prego che quelle mie ali spuntino fuori e mi permettano di
volare via, per sempre lontano.
-Sango...-
Guardo
Miroku e vi vedo l'infinito, mentre sangue caldo mi cola lungo la
schiena.
Solo
lì si spezza la magia, la perfezione.
Crac
-in pezzi come un
cristallo prezioso.
E
tutto svanisce, mentre rimangono solo le urla.
-
Sango! Sango, svegliati!-
Qualcosa
mi svegliò. O meglio...qualcuno che, molto poco delicatamente, mi
stava scrollando.
Sentii
quello che probabilmente era il lenzuolo scivolarmi giù dalla
spalla, con una deliziosa sensazione morbida.
Ma
avevoo freddo e ancora paura.
Quasi
feci un salto, accorgendomi di Miroku lì a qualche centimetro da me.
Balzai
indietro ansimando pesantemente.
Non
per pudore.
Non
per vergogna.
Ma
per terrore.
Eppure, nonostante tutto quello
che avevo passato in quel maledetto incubo, mi tranquillizzai
sentendolo abbracciarmi e dirmi che andava tutto bene. Che era solo
un brutto sogno, e lui era lì e sarebbe sempre rimasto.
Decisi che aveva ragione, forse
sbagliando o forse no.
Ma nel momento in cui ricambiai
la stretta, dimenticai tutto -paura, disperazione, sfiducia- per
abbandonarmi alla più dolce compagnia che potessi sperare.
E rinnegai gli angeli,
ricacciando indietro le mie ali.
Per sempre.
***
*I
sumi-e sono le pitture giapponesi monocromatiche raffiguranti la
natura, usate soprattutto come decorazione per paraventi, ventagli e
rotoli, mentre Sesshou Toyo era uno dei maggiori esponenti del
periodo Muromachi. (← si vede che sto leggendo il Genji Monogatari? O.o”)
Elle's note:
Gooooooooood evening people! XD
Era tantissimo tempo che non aggiornavo Gelida luce, vero? Cavolo, da
prima di partire per Stoccarda! O.o Shame on me!
Scusate, ma tra la scuola, il viaggio (che è andato alla
grande poi ^^) e la malsana quanto improvvisa idea di Vanilla
coffee non ho davvero trovato il tempo di aggiornare!
Questa shot su Sango poi non mi sembra molto convincente ma...boh,
speriamo O.O
Ringrazio Chocola92 e Dance of death per aver commentato: siete dei
tesori *___*
Ora corro via e quindi non posso lasciare risposte lunghe ed
esaurienti (doppio shame on me X.x), però giuro che il
prossimo capitolo -che sarà tutto dedicato al nostro monaco
preferito!- risponderò per filo e per segno!!!
Un bacione
Elle *un po' in crisi*
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Capitolo 4 *** 4. Sweet Night my love ***
Gelida Luce
Capitolo finale- Miroku
Sweet Night my love
Miroku non aveva mai lasciato che i suoi timori prendessero il sopravvento- Nemmeno nei sogni.
Miroku voleva solo lasciare il suono del vento fuori dalla sua mente -difficilmente ci riusciva.
Miroku non era tipo da lasciarsi irretire da un'illusione- a meno che non fosse una bella donna.
Quella notte, però, la paura fu troppa.
Anche per lui.
Miroku vedeva un bambino,
tra le braccia di una madre meravigliosa: un bimbo appena nato che
piangeva e si dibatteva nel kimono troppo grande in cui era avvolto.
Lo guardava e si diceva
tutto fiero che era uguale a lui: stessi occhi, che aveva visto solo
per un istante prima che il piccolo cominciasse a piangere forte,
stesso ciuffo di capelli neri che -stando ai racconti di Mushin- aveva
avuto anche lui.
La pelle chiara e delicata e i lineamenti dolci, però, erano della donna che lo teneva in braccio.
Sembrava non stancarsi mai di baciarlo, accarezzarlo, riempirlo di vezzeggiativi e giocattoli.
Sango- non più ragazza ma donna, non più guerriera ma madre- non gli era mai sembrata così fragile.
Forse era un bene, aveva detto Kaede tutta contenta di vederla così serena.
E lui non si era mai
sentito così stupido: in una vita che sapeva di dover lasciare
troppo presto si era permesso di avere dei rimpianti.
Qualcosa da perdere.
Qualcuno per il quale la sua morte sarebbe stata sinonimo di disperazione, che avrebbe pianto per lui per anni.
Forse per sempre.
Per questo non riusciva a essere pienamente felice; e come poteva, poi, vedendo un puntino nero sul palmo del neonato?
Un minuscolo foro del vento che, presto o tardi, l'avrebbe costretto a vagare in cerca di Naraku per ucciderlo.
Che pena si disse il monaco sapere già che tuo figlio sarà un assassino.
Lo era anche lui, in fin dei conti: demoni, certo, ma erano pur sempre creature.
Imperniare la propria vita sulla vendetta, anche se era sinonimo di sopravvivenza, gli procurava una sensazione sgradevole.
Mentre lo pensava non si
accorgeva che gli anni passavano, il suo bambino era diventato un
ragazzo ma lui non se ne era reso conto.
In un soffio tutto era cambiato: luoghi, persone e cose. Lui e Sango, però, non sembravano invecchiati.
Altre cose che passavano davanti ai suoi occhi, pur senza essere viste davvero.
E il tempo ticchettava.
L'unica cosa che sentiva il monaco era l'incessante tic tac che lo sperava dalla morte.
Ma sembrava sentirlo solo lui: ogni volta che lo guardava Sango sorrideva, a volte un po' sovrappensiero.
-Miroku.- la sentì
dirgli, una sera, mentre uscivano dalla loro casa. Non aveva ricordo di
altre notti passate con lei, se non una vaga accozzaglia di sensazioni
che avrebbe dovuto provare. -C'è qualcosa che non va?-
Non se la sentì di
rispondere, anche perché gli sembrava di non poter parlare: le
labbra erano cucite: neanche il dolce e un po' preoccupato bacio della
compagna le sciolsero; e il cervello non ne voleva sapere di formulare
frasi sensate.
-Miroku, mi vuoi rispondere?- Insistette lei, tirandogli la manica del kimono.
Silenzio.
Avrebbe voluto dire qualcosa, stavolta: un semplice mi spiace, magari.
Perché era vero, gli dispiaceva molto di essere ancora lì a causare problemi e dolori a tutti.
Si riteneva un peso: tanto
sarebbe morto lasciando in eredità a suo figlio nient'altro che
una maledizione, che senso aveva vivere? E amare, poi.
Era stato tremendamente
egoistico, da parte sua, impuntarsi e volerlo a tutti i costi:e anche
se aveva l'amore di una donna stupenda e dolcissima non era stato
abbastanza.
No, aveva voluto anche un
figlio: doveva dirle di no. Dirle che sarebbe stato stupido dare alla
luce una creatura destinata a morire prematuramente.
Come lui.
Ma la sua bocca era sigillata e Sango aveva le lacrime agli occhi.
Non riuscì a reagire
nemmeno quando gli venne urlata contro tutta la sua inettitudine -come
padre, come marito, come uomo. Forse, sì, anche come monaco:
donnaiolo, arrogante, disonesto e poco serio-.
Non disse nulla alla donna che, guardandolo carica di rancore, lo rimproverava su tutta la sua vita.
Iniziava a pensare che
avesse ragione: era stato un padre assente -anche se non ricordava
particolari episodi di un passato che sembrava volato, sapeva che era
così-, un marito infedele e un amico incostante per tutti quelli
che avevano creduto in lui.
Li aveva delusi.
Sango era già
sparita dalla sua vista, come trasportata dal vento per magia, e non
c'era nulla per chilometri e chilometri davanti a lui: dietro le sue
spalle la casa sembrava più vecchia che mai, mentre davanti gli
alberi si erano spogliati delle loro chiome verdi in un istante.
Miroku sentiva che stava perdendo il controllo -del tempo, della sua vita e della sua mente. Di tutto, semplicemente.
Una voce conosciuta -simile alla sua- lo fece voltare di scatto.
-Papà, ti voglio parlare. Ti devo parlare-
Suo figlio era un ragazzo
dai lineamenti delicati della madre e in cui rivedeva i suoi stessi
occhi azzurri e i medesimi capelli neri raccolti in un codino.
Guardandolo si chiedeva come poteva essere nato qualcosa di tanto bello
da qualcuno come lui -disilluso, abbattuto, sconfitto e che viveva in
funzione della propria morte.
Annuì, incapace di pronunciare parola.
Forse era la sua punizione, pensò, per aver parlato troppo a sproposito.
Comunque fosse al monaco
faceva paura non poter parlare e spiegare. Significava tenersi tutto
dentro e stare in silenzio di fronte al mondo che girava e girava e
girava; senza la possibilità di fermarlo.
Minimamente.
Il ragazzo gli stava davanti, a qualche metro, con espressione corrucciata.
-Hai lasciato la mamma sola. Lei è morta per colpa tua, sai?- Lo accusò, greve.
Ancora una volta Miroku non
poteva né sapeva rispondere. Ma come, Sango era lì un
istante prima proprio accanto a lui. Non poteva essere morta.
E poi...lui che abbandonava lei? Non scherziamo.
- E zia Kagome è rimasta uccisa
perché non hai voluto aprire il tuo vortice. Per cosa, per
paura?- di nuovo, lo accusava e non capiva a cosa si riferisse.
Era proprio possibile che, per paura o per buonsenso, non avesse voluto salvare Kagome? E da cosa , poi?
Era assurdo.
Tutto quel discorso si stava rivelando privo di senso.
E le parole ancora gli
sfuggivano, si nascondevano e non volevano saperne di venir fuori.
Avrebbe voluto chiedere una spiegazione, ma con che voce?
Voleva scusarsi, ma con che parole?
E con che scuse?
Troppo, troppo. Era semplicemente tutto troppo veloce perché riuscisse a seguirlo con chiarezza.
Senza un buon motivo, senza
una ragione né una logica a quello che era sicuro fosse suo
figlio si sovrappose la figura di Kohaku, ancora ragazzino.
Forse perché non sapeva immaginarlo in altri modi.
- Miroku-sama, non
avete protetto mia sorella.- e sorrideva con un sorriso nostalgico mentre lo
diceva, un po' deluso ma con quell'espressione da "io lo sapevo".
Un istante dopo già
erano gli occhi di Inu Yasha che lo guardavano carichi di rancore,
traslucidi come quelli di uno spettro e vacui come quelli di una statua.
- Io mi ero fidato di te.-
e con quel suo solito tono rasposo, arrogante, era riuscito a fargli salire un nodo in gola.
Come se un batuffolo di cotone gli si fosse incastrato nella trachea e, raschiando, gli bloccasse la respirazione.
Ma InuYasha era già diventato Shippo che, con i lucciconi, gli rinfacciava un “noi ti volevamo bene”.
Anche lui ne voleva a loro, tanto.
Ne era convinto.
Perché allora non
poteva rispondere? Con un singhiozzo al trattenuto, che gli scosse le
spalle e produsse un brivido gelido, seguì silenzioso la parata
di amici e nemici che gli si presentavano davanti possedendo e
infestando il corpo del suo bambino.
I primi lo accusavano di
averli traditi ricordando le sue mille promesse infrante, i secondi
ridevano di lui e della stupidità di un monaco troppo
egocentrico per guardare agli altri con obiettività.
Sì, forse lo era.
Con tutte quelle frasi infamanti se ne convinse persino lui.
E per ultima vide Sango,
con i lunghi capelli castani fluttuanti in un vento inesistente e gli
occhi spenti, che gli sorrise amaramente.
-Sai, Miroku...-
cominciò. La sua voce era triste, delicata come una carezza, ma
al monaco ogni parola sembrava uno schiaffo in piena faccia
- Io ti amavo. Davvero, non
sto scherzando. Per questo ho sopportato le tue scappatelle, le tue
battutine, tutti i tuoi comportamenti inopportuni. Ma ho sempre
apprezzato il tuo coraggio...o almeno, quello apparente. Negli anni
passati ho notato, sai, che usavi spesso il vortice per salvare tutti
noi ed ero felice vedendoti così coraggioso. Mi dicevo: ecco,
guardalo com'è fiero e bello mentre cerca di salvarci a costo
della sua vita.- pausa, piccola e tragica pausa.
Come a teatro, Miroku si
trovò costretto a sospirare con Sango e a prendere fiato insieme
a lei, come un'immagine allo specchio.
Poi la ragazza
continuò, gli occhi fieramente puntati sull'uomo -Ma poi ho
capito: tu lo facevi perché, una volta arrivata la volta in cui
saresti davvero morto per me -o forse per noi-
eri convinto che saresti stato fermato. Che qualche altro sarebbe morto
per te in memoria delle tante volte che avevi rischiato. Così
è stato....qualcuno è morto e quello non eri tu.
Perché avevi paura e nessuno ti biasimava. E tu lo sapevi, oh,
lo sapevi di sicuro Miroku. Poi abbiamo avuto un figlio, di cui tu
conoscevi il destino. Ma ancora non hai fiatato e,
accondiscendente, hai fatto tutto in modo che nessuno ti potesse
far altro che compatire. Complimenti caro, davvero.”
Era stato un discorso...Miroku non l'avrebbe definito impietoso.
No, era stato crudele. Spietato. Stronzo.
Ma assolutamente vero: un ricalco perfetto di quell'evidenza che aveva sotterrato in notti insonni e giorni tormentati.
Dentro di sé però lo sapeva, e sapeva che Sango sapeva ma non parlava.
E il non poter parlare, se
non altro per un ultima scusa o un lamento o un'imprecazione verso
sé stesso, lo dilaniava: da dentro, come un coltello che gli
bruciava conficcato nello stomaco.
Guardò in basso,
incapace di sostenere lo sguardo vitreo e apatico della compagna -se
ancora poteva chiamarla così.
Il fruscio ormai familiare del vento che proveniva dalla sua mano si fece più forte.
Prima che se ne accorgesse divenne un tuono, e poi un boato e in un lampo di luce non sentì più niente.
Non vide più niente. Nulla, a parte luce ovunque potesse guardare.
Rimase galleggiante,
immobile, nel niente più totale per un istante, con l'ultima
parola che Sango non aveva avuto il coraggio di pronunciare:
bugiardo.
E ipocrita.
E stupido.
E avrebbe potuto andare
avanti così per altri secoli se, nel bianco della luce, non ne
avesse intravista una dorata più calda.
Ospitale.
Il sole di un nuovo giorno -dove le tenebre non sarebbero arrivate.
Miroku era uscito da quel sogno -finalmente.
Ne era rimasto sconvolto, però- quelle non erano né più ne meno che tutte le sue paure.
Non aveva la pretesa di nasconderle al proprio animo- anche se avrebbe voluto.
Ma, come accade a tutti,
una volta alzato e riaccolto nel calore del suo mondo, accolto e
circondato dall'immutato amore di Sango e dall'affetto dei suoi amici,
si dimenticò presto del suo non poter parlare e di tutto quello
che poteva aspettarlo dietro l'angolo.
Abbassò la guardia.
Forse fu questo il primo, vero, unico errore del Monaco Miroku.
Note:
Ebbene Ragazzi e con questa si chiude il ciclo!
Mi spiace finirlo
così però l'idea base era di basarlo sul gruppo di Inu
Yasha e, visto che Shippo non ha paura di niente a parte Inu Yasha
(xD), e che mi troverei in difficoltà a fare un sogno su Kirara
ho deciso di chiudere qui.
Magari un giorno farò Gelida Luce 2 la vendetta con i cattivoni xDxD Che ne dite, vi andrebbe? *parla a nessuno*
Comunque l'ho fatto anche perchè ho una mezza idea per una nuova long, quindi vorrei concentrarmi su quella e su Vanilla.
Per quanto riguarda il
sogno di Miroku mi sembra un pò il tipico clichè da
sogno: tutti mi odiano e io mi detesto da solo. Lineare, no?
Però ho pensato che
uno come il nostro Miroku -sempre così spavaldo- possa avere un
animo fragile e poco stabile...magari con una bassissima autostima,
come me *_*
Quindi ditemi cosa ne pensate *___* Visto che è l'ultima potete essere buoni, vero? ^(^_^)^
I ringraziamenti di dovere...
Dance of death: Carissima, io amo
le tue recensioni. Mi piace un sacco sapere quello che provi leggendo
questi capitoli e ti sei fatta capire perfettamente, tranquilla. Anzi
il capitolo su Sango l'ho scritto proprio mentre ero tristissima, non
sto neanche a tediarti sul perchè che è meglio. Comunque
non sei assolutamente pazza, anzi, trovo meraviglioso che tu abbia
percepito quella tristezza che era mia intenzione mettere "di sfondo".
Chocola92: Grazie Grazie Grazie *___* Eh sono un pò in ritardo, ma tu mi perdoni, vero? xD
Kiriri93:
O.O dei boni, cara, spero di non averti rovinato il sonno di bellezza!
E ora scodellati quest'ultimo capitolo e dimmi com'è xD ma
dormi, mi raccomando, che domani abbiamo latino O___O
Chandrajak:
Telekei! *_* Beh, che dire...sei stata illuminante xD Alcuni passaggi
erano un pò artificiosi, sì, però come hai notato
volevo distanziarla un pò dalle Odi che ho scritto (e che non
potrò mai pubblicare -.- maledetto blocco sulle opere della
Rice!).
Ora tu mi dirai che questo cappy è assolutamente scontato
e poggia su clichè orrendi. Vero, non posso che darti ragione.
Però...boh, a me piace ù.ù *ora griderai al
miracolo*
E con questo -ringraziando
tutte le anime pie che hanno messo Gelida Luce tra le preferite e le
seguite- mi ritiro nel mio angolino a fare gli origami.
Alla prossima xD
Elle
|
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