Non sono un angelo

di CaskaLangley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** .: 1- Tifa ***
Capitolo 2: *** .: 2- Aeris ***
Capitolo 3: *** .: 3- Cloud ***
Capitolo 4: *** .: 4 - Tifa ***
Capitolo 5: *** .: Aeris ***
Capitolo 6: *** :: 06 ***



Capitolo 1
*** .: 1- Tifa ***


I
Tifa

Act 1.1_Don't forget to keep that smile on your face

Tifa scrutava il cielo limpido già da un po’.

Un cielo limpido che sembrava farsi beffe del suo umore.

Insomma, avrebbe preferito una di quelle giornate grigie e piovose, quelle che strapiombano sempre in tutti i film nei momenti più tragici.

Ma, evidentemente, quello non era un momento tragico, e come tale non meritava neppure una goccia di pioggia.

La pioggia cade solo sulle eroine.

E il suo era un ruolo da comparsa, non da protagonista.

Comunque restava il fatto che lei non amava molto il sole.

Preferiva di gran lunga la luna.

Anzi, era decisamente un tipo da luna.

Bastava guardarla.

I capelli neri, gli occhi color rubino, la pelle chiara.

Tutto di lei sembrava cercare il buio in ogni angolo del giorno.

Non le piaceva la luce, la infastidiva

Reggeva pochissimo il caldo.

Due minuti al sole, e si sentiva svenire.

Va da se che Tifa Lockheart fosse una creatura notturna.

E poi il giorno è sempre troppo…vitale.

Non che lei non lo fosse.

Semplicemente durante il giorno si ha sempre troppa gente attorno. O almeno, lei ne aveva sempre in troppa. Tutti amici, per carità, persone alle quali mai e poi mai avrebbe rinunciato.

Ma aveva un così disperato bisogno di stare sola di tanto in tanto, che c’erano delle volte in cui avrebbe voluto urlare e farli sparire tutti.

Si, amava stare sola.

Non essere sola, questo mai.

Ma stare sola si.

Aveva un disperato bisogno della solitudine. Di tempo, di silenzio, di fare i conti con se stessa, di perdersi in un marasma di pensieri che non l’avrebbero mai portata da nessuna parte, ma sicuramente l’avrebbero fatta sentire un po’ meno…vuota.

Necessitava di un po’ di solitudine come si può necessitare solo d’aria.

Anzi, per lei la solitudine ERA aria.

Era l’unico momento in cui poteva essere certa di esistere, di non essersi ancora annullata completamente, di essere ancora *Tifa*.

Per questo amava stare sola.

A differenza di lei.

Lei, che era come il sole.

Potevi non amarla, potevi adorarla, ma non potevi farne a meno.

Lei.

Lei, che non poteva essere definita una semplice creatura solare, quanto più figlia della luce stessa.

Lei, che portava la vita ovunque andasse.

Lei, che brillava, si espandeva, riempiva qualunque spazio dove la si mettesse.

Lei, che ricercava ad ogni ora un contatto umano, qualsiasi contatto, purché fosse in grado di non lasciarla lì, a naufragare freddo e nel silenzio che si portava dentro e s’ostinava a nascondere.

Lei, che del silenzio aveva paura.

Lei, che se per più di un minuto di fila non ti sentiva parlare cominciava a preoccuparsi, lei che quando non le rivolgevi la parola per dieci ti chiedeva immediatamente se avesse fatto qualcosa di male.

"Tif, senti, ce l’hai con me? Se ho fatto qualcosa che ti ha fatta arrabbiare, ti prego, dimmelo…ok?"

Lei, che non poteva concepire come un essere umano desiderasse dar riposo alle orecchie e alle corde vocali di tanto in tanto, lei che ti chiedeva continue conferme di cosa fosse per te…

Come avesse avuto paura di non esser considerata più nulla da un momento all’altro…

‘Insomma…io sono la tua migliore amica…non è vero?’

 

"Si, è vero, Aeris…"

Sospirò, sorridendo appena.

Scostò una ciocca di capelli dal viso, benché l’aria immobile non gliel’avesse spostata.

 

Si, era la sua migliore amica.

Anche se ancora non capiva secondo quale malsana logica lo fosse diventata.

Insomma, sapeva che gli opposti si attraggono, ma non immaginava valesse anche in quell’ambito.

Non lo aveva immaginato fino a quando non l’aveva conosciuta.

Fino a quando non aveva cominciato ad adorarla.

 

Perché Aeris era così.

Adorabile, senza mezzi termini.

 

Piena di difetti, questo era innegabile.

Era testarda, per esempio. Troppo testarda.

A volte veniva voglia di aprirle quella cavolo di testolina castana per vedere che diavolo ci stesse frullando dentro, trovare quale accidente di ingranaggio bruciato ci fosse e farla ripartire nel verso corretto.

Mai conosciuta una che faceva discorsi più illogici dei suoi.

A volte tirava fuori di quelle cose che non stavano né in cielo né in terra, e la faceva imbestialire quando da quelli non si voleva scostare.

A volte sembrava eccessivamente frivola. Anche se in realtà non lo era affatto.

Altre si dimostrava decisamente poco acuta. E, beh, quello invece lo era.

Aveva capacità di ragionamento decisamente lente se confrontate a quelle dell’amica mora.

Questo era uno dei suoi più grandi difetti.

Ma era brillante, e sapeva guardare dentro alle persone.

Cosicché capisse sempre dove andare a colpire, finendo dunque per farsi amare incondizionatamente da chiunque.

 

In poche parole, Aeris Gainsborough riusciva dove Tifa Lockheart falliva.

Render pregi i propri difetti senza bisogno d’occultarli.

"Che giornata torrida, chissà se arriverò a sera…"

Eppure se ne restava lì, affacciata alla finestra, sotto al sole cocente.

Forse per continuare a guardare il cielo. Quel cielo limpido che le ricordava lei.

Forse, più semplicemente, per attender che piovesse.

E allora un acquazzone, e le nuvole grigie e arrabbiate, l’avrebbero riportata a lui.

‘Le nubi che stanno nel cielo’

Cloud e Aeris.

Niente da dire, facevano una coppia perfetta.

Persino i loro nomi, sembravano fatti apposta per incastrarsi.

Si legavano alla perfezione, come due note d’una melodia… "Cloud&Aeris".

Si…decisamente perfetti…

Scosse la testa, quando il trillare del campanello la chiamò a rapporto.

S’affacciò, e vide che sotto la propria finestra una Yuffie scalpitante che tamburellava nervosamente le dita contro ad un muro.

Si sporse di più, per constatare che anche Cid e Barrett erano già arrivati.

La salutarono animatamente, una sbracciando, l’altro picchiano i pugni e l’ultimo soffiando più fumo del solito.

"Tifa, hai intenzione di fare Quaresima?"

"Apri, che mi scappa da cagare!"

"Tiffy muoviti che qui fa un caldo che si muore, hai acceso l’aria condizionata, vero?"

Sorrise, facendo cenno d’attendere solo un attimo con la mano.

Rientrò nella stanza chiudendosi dietro le ante, permettendo così ad un po’ di fresco d’averla vinta sul calore asfissiante di quella giornata estiva.

Diede un veloce sguardo all’orologio sulla parete.

 

Pochi minuti, e anche loro sarebbero stati lì.

Scosse animatamente la testa, e affrontò il proprio viso riflesso nello specchio.

Un viso stanco, annoiato, frustrato, amareggiato.

Ma che doveva a tutti i costi far sorridere, perché così era…giusto.

Dipinse quindi un’espressione serena con gli occhi della mente, fino a quando quella non prese forma sul volto perfettamente truccato per nasconderne le imperfezioni.

Una, a dire la verità: due profondissime occhiaie, inequivocabile segno d’un'altra notte passata in bianco.

Si diede un paio di schiaffetti e fu pronta ad iniziare l’ennesima commedia.

"Coraggio Tifa."

Don't forget to keep that smile on your face

 

Act. 1.2_Don’t make other suffer for your personal hatred

Ancora…ancora…bla bla…baci baci…che palle.

"Certo, benissimo! Entrate!"

Che palle questi convenevoli.

Che palle tutto questo movimento.

Che palle tutto questo entusiasmo.

Che palle questo sorriso falso.

"Ah, no, Cid, giù le mani! Dai, l’ho fatta per i festeggiati, aspetta almeno che arrivino, cretino!"

"Come siamo fiscali…!"

"Sono spiacente, fino a che non arrivano questa viene via con me. Pena: la forca."

 

Che palle è stato anche fare questa torta.

E sì che cucinare mi piace.

Quello che mi piace un po’ meno è sbattermi due ore a tracciare roselline di zucchero –perché a lei piacciono le rose- e sapere che verranno spazzate via con non curanza.

Ma che cavolo pretendo?

Che in una giornata simile, qualcuno si fermi a guardare le roselline sulla torta?

 

"I pasticcini?"

"Non t’azzardare a toccarli."

"Cazzo, Tifa, sei odiosa!"

"Si, chi te l’ha suggerito?"

Certo, se non le facevo se ne sarebbero accorti tutti.

‘Tifa, perché non hai fatto le roselline sulla torta? A lei piacciono tanto!’

Però, visto che l’ho fatto, non merito lode di sorta.

Perché ‘è giusto farlo’, ‘è mio dovere farlo’.

"Ma se sono in ritardo noi possiamo anche mangiare…!"

"Yuffie, ti ci metti anche tu?"

Al diavolo.
Perché mi accanisco tanto su delle povere roselline di zucchero?

Loro non c’entrano niente.

Ma su qualcosa dovrò pur focalizzare un po’ di rabbia.

Poca poca, giusto una punta, giusto per non lasciarmi avvelenare e compromettere così l’intera mattinata di festa che ci aspetta.

Che li aspetta.

Se potessi farne a meno, è ovvio che lo farei.

 

"Dai Tiff, ho le palle piene e lo stomaco vuoto, fammi addentare qualcosa…!"

"Uffa, certo che sei insopportabile…! Dai, mangia un pasticcino, e che sia finita lì…"

"Ora si ragiona…"

"Posso mangiarlo anche io, quindi? Grazie Tiffy, sei un tesoro!!"

"Eeeh, già, lo so…!"

Se fosse per me sarei in camera mia con una pila di libri sul comò, a rotolarmi nell’autocommiserazione come un maiale nel fango, a naufragare nel pianto fino a ridurmi ad un patetico straccio lacrimoso che neppure ricorda perché frigna, a scrivere pagine e pagine di pensieri gonfi di malinconia che mi poterebbero alla deriva della depressione.

"Ehy, però lasciatemene uno!"

"Ah-ha, occhio ai fianchi!"

"Oh, lascia stare i miei fianchi, tu…!"

E invece sono qui, con un sorrisetto da deficiente stampato sulle labbra a scherzare con l’allegra compagnia.

Perfetto, faccio davvero schifo.

"Guarda che se ti allarghi troppo poi i ragazzi non ti vorranno più…!"

"Non ricordo di essere io quella che ha problemi coi ragazzi……"

"Ugh, punto tuo…"

 

Tutto questo fa schifo.

*DLIN DLON*

 

"Oh, eccoli i nostri fidanzatini! Vai ad aprire la porta, Yu!"

"No, non preoccupatevi, ci vado io!"

"Ecco, brava, sei la padrona di casa, fai tu gli onori, io intanto mangio."

Eppure devo continuare a far finta che le pareti per oggi brillino d’oro e la morte sia cosa bella da vivere.

"Cloud, Aeris, ben arrivati!"

L’importante è non rovinare la festa di chi ami.

Don’t make other suffer for your personal hatred

 

Act 1.3_ I guess that I was blind

Ma guarda, che quadretto.

Lei: bella come il sole, candida, leggiadra come una farfalla. Da che sono qui non ha ancora detto una parolaccia. Ammesso che ne abbia mai detta una. Le ho sentito solo una volta dire ‘cazzo’ e s’è vergognata da morire. Era pure arrossita. Peccato che pure così fosse veramente…bella.

Lui: beh…lui…lui, lui, lui…meglio non pronunciarsi…non ho molto da dire che non sia già stato detto su quel viso che sembra tracciato da un’artista, quei capelli che paiono d’oro tanto risplendono, quegli occhi blu così profondi e che ti potresti affogare dentro, e quel corpo che…Dio, che corpo…

Meglio non guardarlo.

Anneghiamo i pensieri nel thè…

"Tiff, hai perso le lenti a contatto?"

"Uh?"

"Sei lì che fissi la tazza da un’ora…"

Eccolo. Quanto lo odio quando fa così. Cazzo.

E’ sempre il primo a capire che c’è qualcosa che non va’.

Cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo.

Oltretutto ha bisbigliato. Dico, ha bisbigliato.

Nessuno l’ha sentito, Aeris è troppo impegnata a parlottare con Yuffie.

E’ pure discreto…porca miseria…

"Ma che mi fai, il check up?"

"Macché check up, c’hai una faccia da funerale che neppure quando t’è morto il gatto…"

"Io non ho mai avuto gatti, sono animali schifosi che considerano le persone del mobilio a sangue caldo."

"Almeno sarebbero meno impegnative del cagnaccio che m’ha rifilato…Comunque, Ti, è un modo di dire…"

E ora? Perché mi guarda così? Diavolo, no, smettila…

"Dai, qualcosa non va?"

Ok Tifa, è il momento in cui devi staccare gli occhi dai suoi.

Forza, fallo.

Al tre.

Uno…Due…oddio quanto è bello…

"Wah, Cloud, l’hai poi finito…"

Eccoli, attaccano a parlare di videogiochi.

Grazie Yuffie, ti devo un favore.

Però, Tifa, anche tu…non lo conosci da tanti anni quanti dovrebbero bastare ad aver imparato ad eludere il suo sguardo?

E invece ti fai infinocchiare tutte le volte…!

Ma anche lui, cavolo, cosa pretende?

Che ti metta a confidarti così, con la stanza piena di gente, e in un momento simile?

E per dirgli che cosa, poi?

‘Uh? Ah, no, ‘stò un po’ giù perché ti amo ma tu ti sei fidanzato con la mia migliore amica, ma niente di grave, ti piace la torta?’

…………

…………

Anche tu, però, non accorgertene così…ti credevo un tantino più sensibile…almeno abbastanza sensibile da non mettere il dito nella piaga…cacchio, ti odio, Cloud Strife!

 

E intanto le ore passano…passano…passano…piacevolmente, aggiungerebbe qualcuno.

Si, sarebbe pure abbastanza piacevole, tutto sommato, se quella gli tirasse fuori la lingua dalla gola ogni tanto.

Cristo, non lo vede che lui è pure in imbarazzo? Non lo vede nessuno?

Aeris, merda…!

"Ehy, Tiffy…sei sicura che vada tutto bene?"

"Ah…certo, ma che avete tutti? Si, va tutto benissimo!"

"No, dai, non è vero…"

"Uff…va bene, va bene…ho un po’ di mal di testa, contenta?"

"Ah! Ecco, lo sapevo io!! Hai letto ancora con su gli occhiali? Ma te lo devo ricordare io di toglierteli?, uffa!"

"Ahah…eddai, non farmi pure la predica, è che leggo spadellando, non posso mica toglierli e metterli tutte le volte…!"

"Guarda che non è una cosa così faticosa, sai?"

"Tu lo dici perché non sei mezza miope e mezza astigmatica!"

"Uffa, ma che c’entra, io lo dico per te!! E’ ovvio che se non ti togli gli occhiali poi ti fa male la testa! A leggere quei libri difficili, poi…!"

Cloud scoppia a ridere senza ritegno. Credo di aver capito perché.

Devo trattenermi per non seguirlo sguaiatamente…anche se da come mi guarda non aspetta nient’altro che lo faccia…

"Beh, Aeris, perdona l’impertinenza, ma i tuoi canoni di ‘difficili’ sono un pochino…mmmh…sfalsati…"

Rido. Non per convenzione, rido sul serio. Certo, non mi spancio, ma rido.

Cloud ha perfettamente ragione. Aeris considererebbe difficile anche "Un canto di natale". Conosco da un sacco di tempo quella ragazza, e non l’ho mai neppure vista fermarsi a leggere un manifesto, o le didascalie delle fotografie che guarda su quelle sue riviste da ragazze.

"Ma non è vero!!"

"Oh, si che lo è!!"

"Tifa, digli qualcosa…!!"

"Ehm…"

"…"

"…"

"Cos’è tutto ‘sto silenzio?"

"Beh, Aeris, come dire…ha ragione…"

"MA COME ‘HA RAGIONE’???"

"AHAHAH!!! Hai visto che ho ragione? Hai visto che ho ragione??"

"E bastaaa!!"

"D’altra parte sei talmente tonta che…"

"IO NON SONO TONTA!!"

Mi piace come ci guardano ora gli altri. L’atmosfera è tornata quella di un tempo.

Grazie, Cloud. O bene o male, sai sempre come aggiustare le cose.

E vorrei dirtelo, lo sai? Se solo non significasse rovinare la festa…

Vorrei dirtelo che a me andava bene anche prima, intendo, così.

Noi tre. Tanto uniti da sembrare scemi.

Non andava bene…?

Insomma, piaceva solo a me?

Poiché è per questo, Cloud…per non spezzare quello che noi tre avevamo, che io non te lo mai detto…non ti ho mai detto che ti amo, e ti ho sempre amato al punto da sentirmi cretina…

E sapevo che anche Aeris ti amava. Forse lo sapevo da prima che lo sapesse lei.

Ma credevo, speravo, che questo non avrebbe mai intaccato la nostra unione.

Speravo che avrei pianto sulla spalla di Aeris, o vice versa, il giorno in cui tu ti saresti trovato una fidanzata.

Ma, pensavo, sempre meglio che pugnalarci tra noi due.

Non è vero, Aeris?

Non l’ho mai messo in chiaro, lo so. Insomma, non abbiamo mai firmato nessun documento scritto.

Anche se una volta me lo hai fatto notare. E io ho riso.

Ma Dio, mi sembrava tutto così sciocco…

‘Intendo, Tiff, senza per me se devo dividerlo va benone, però devo dividerlo con te! Capisci quello che voglio dire? Insomma, io intero non lo voglio se può fare del male a te!’

E invece, eccovi qui, ora…

 

Siete una bella coppia …

Sarei stata la prima ad oppormi e battere i piedi se quello scemo si fosse messo con la prima troietta d’alto borgo che gli passava sotto casa, però, beh…

Per aver scelto un bel fiore, ha scelto un bel fiore…

Dovrei essere contenta, credo, per voi due.

Voglio dire, i miei due migliori amici, insieme. Forte.

Fin che si ride e si scherza, dopotutto, mi va anche bene.

Però…adesso, che vi baciate…

Io mi sento in qualche modo…lasciata indietro…

E’ normale, me ne rendo conto…tanto normale…

Dopotutto, non potevamo giocare a fare l’allegro triangolo per tutta la vita.

Bisogna crescere, giusto? E bisogna fare delle scelte.

Cloud ha fatto la sua, e non vedo cosa ci sia di male.

Non vedo PERCHE’ starci male.

Eppure, Aeris, che ci vuoi fare?

Questa sono io.

 

"Ah, Tiff, una cosa ho scordato di dirti!"

"Beh, spara!"

"Le roselline! Sono fantastiche, bellissime e dolcissime, grazie!"

Di nulla. Grazie a te. Per averle notate, intendo.

Aaah…sei così carina Aeris, ti voglio tanto di quel bene che è stupido…sarebbe così facile se potessi odiarti…cavolo, se sarebbe più facile…

Ma come posso odiarti dopo che mi hai pure domandato il permesso di metterti con lui? E in modo così candido, per giunta.

Anche se quella, ammetterai, è stata una bastardata. In buona fede, ma una bastardata.

Che t’aspettavi, che ti avrei sinceramente detto quello che pensavo?

Che ti avrei detto ‘No, cazzo, non puoi tenerlo tutto per te!!’.

Illusa…ma forse è meglio così…

C’è da svegliarsi da tutto, alla fine, e farsi le ossa a suon di scarpate nel culo come questa.

Si, ero incazzata…forse lo sono ancora…amareggiata, piuttosto. Delusa. Molto delusa.

Si, mi avete delusa.

Anche se non ne avete colpa, ma mi avete davvero delusa tantissimo.

Anche io, però, scema come al solito…quale povera cogliona, Tifa…la solita povera cogliona…

……………

……………

Davvero credevi che avresti potuto essere per sempre un trio?

La metà di un cuore, in fondo, non basterebbe a nessuno.

Meno che a te.

……………

……………

……………

Hai creduto troppo negli altri.

E ti sei fottuta.

 

But we were just a legend in my mind.

I guess that I was blind.

 

Act 1.4_ And you don't seem to understand

 

Che il cielo sia ringraziato.

Poi scoppi. Ma che sia ringraziato.

La serata è finita. E’ finita, finalmente.

E’ finita…

"Eddai, Cid, e che cazzo, non avevi detto di reggerlo bene l’alcol?!!"

"DaDDiO!!"

"Ma vai a cagare, va…"

"Aspetta, dammelo qua sto vecchio rimbambito…"

"RagaSShina, vedi di non *BLEARGH*"

"GHAAAAAA!!! TIFF, CHE SCHIFOOO!!"

"Barrett, per favore, trascinalo su in bagno, per lo meno!!"

"Se, se…figlio di puttana, non sei un po’ vecchio per vomitare ancora?! Tsk…"

Non so per quanto ancora avrei retto.

Sorridi Tifa.

Fa la brava, Tifa.

Dì solo cose carine, Tifa.

Fingi che non sia cambiato nulla, Tifa.

Ancora non credo di essere riuscita a fare tanto.

Trovare la forza di trattenere quella parte di me talmente irrazionale che sarebbe saltata in piedi e avrebbe urlato: ‘Perché mi avete fatto questo, perché?! Non ve ne frega proprio un cazzo di me, giusto?!, proprio un cazzo! Perché, perché ci credevo solo io?! Perché?!’

Sicuramente ho fatto bene a contenermi…non se se una sfuriata potrebbe comunque allentare la delusione…

…e cazzo, quanto…quanto mi hanno delusa…

 

"Allora, Tiff, beh…grazie di tutto!"

"Ehy, figurati, mica ho dovuto chiamare la banda, solo preparare due cosine e…beh, ora tirare su il vomito di Cid…"

"Senti, sicura che non vuoi una mano a riordinare?"

"Ma và, stai tranquilla!"

"Oh, ma non volevo farlo io, ti avrei lasciato giù Cloud!"

"EHY!!"

"Ahaha, no, tienitelo pure, ‘sto deficiente è più schizzinoso di Rossella O’Hara ed è del tutto incapace coi lavori di casa, lascia stare, mi impiccerebbe solo!"

"Ma andare affanculo tu proprio mai, eh?"

"Mai, ti perseguiterò fino alla morte."

"Brrrrr…"

Gli ultimi saluti…eccoli…se ne vanno…solo Cloud si ferma un secondo di più…mi fa un cenno con la mano e le sue labbra si muovono, senza produrre alcun suono

‘Domani parliamo’.

 

Vaffanculo, Cloud.

Cazzo.

Come diavolo riesci a farlo?

Cazzo.

Ti ho detto che va tutto bene, perché ancora…uff…o io sono una pessima attrice, o tu sei un fottuto bastardo troppo sensibile…o che mi conosce troppo bene, forse…

………

………

Vent’anni non sono certo pochi…

………

………

Ricordi, Cloud, le giornate passate nella stanza di uno o dell’altro, a parlare di tutto e niente, a smanettare coi videogame, a rincoglionirci con lo stereo a palla e a farci un sacco di seghe mentali sulla vita, sul mondo, sulla storia, sulla letteratura, sui rotocalchi, i telefilm?

Che razza di coppiata…! Asociali uguali, sempre ed inequivocabilmente, ma in modi diversi.

 

 

Tu solitario, strafottente, dannatamente tagliente, terribilmente sarcastico e altamente dissacrante.

Tutti ti odiavano a scuola.

Troppo ribelle, troppo spaccone, troppo scaltro, troppo menefreghista.

Il ragazzino dai capelli biondo grano che si è ossigenato a undici anni e fatto il primo buco all’orecchio a tredici. Ti dissero che eri un delinquente, che era irregolamentare.

Il giorno dopo sei venuto a scuola che avevi pure l’altro orecchio bucato.

Una vera testa di cazzo…

Però ti ho sempre invidiato tanto.

Con quel tuo fare da gatto randagio, mi piaceva da panico come te ne fregavi dei giudizi degli altri, come li guardavi e dicevi ‘Il mio corpo è mio, la mia vita è mia…e ci faccio quello che voglio’.

Con i possessivi sottolineati da quel corsivo vocale che metteva i brividi.

Riuscivi a far stare zitti tutti.

Dio, quanto ti ammiravo in quei momenti…!

Troppo stupida, io, troppo debole.

Troppo impegnata a dimostrarmi la migliore, troppo impegnata a attirarmi le attenzioni di tutti, troppo impegnata a cercare d’essere amata e accettata, troppo impegnata a far cara ogni più piccola lode…troppo impegnata a gridare ad un padre che non c’era ‘GUARDAMI, CRISTO, GUARDAMI! STO CRESCENDO, E’ DAVVERO COSI’ TERRIBILE?!’…e non facevo che mentire…

E mostrarmi sempre gentile.

E disponibile.

E attenta.

Ed educata.

E perfetta.

Il monumento all’ipocrisia.

Però andava bene anche così, perché a quel modo le cose non si complicavano mai fuori dal gestibile.

E le miei amiche che mi prendevano da parte, e mi dicevano ‘Dio, Tifa, insomma…è un gran figo, va bene…ma dovresti stargli lontana…quello non è…a posto…’.

Agli occhi degli altri, alla fine, non c’erano ragioni per le quali avremmo dovuto essere così amici.

Dopotutto, per loro, non avevamo nulla in comune.

Io ero educata e diligente, tu uno maleducato e irriverente.

Io ordinata e disponibile, tu disordinato e indisponente.

Io ‘Ma certo, va benissimo, mettiti pure qui!’, tu ‘Non toccarmi, vaffanculo’.

Maschere, maschere, quante maschere…!

Unica cosa che veniva ai più riconosciuta: eravamo entrambi intelligenti.

Ma intelligenti tanto, troppo.

Nel mio caso ero ‘giustificata’.

Tu invece ti facevi odiare ancora di più.

Però, anche se non te l’ho mai detto, io ti ringrazio d’avermi sempre saputa smascherare.

Alla fine, quando si finge così tanto, si finisce per sentirsi…vuoti, lo sai?

E’ come se…è come se non avessi più un’identità al di fuori di quella che ti appioppano gli altri…

Che schifo, vero?

E’ per questo che amo stare sola. Smettendo di fingere, ritrovo me stessa.

Basta poco. Una birra, la notte, un po’ di musica, un libro.

O te. Ed Aeris.

…una volta.

Ora, ormai…

Ma pazienza. Non è questo che importa. Anche se ciò non toglie che mi sento uno schifo.

Dopotutto, birra, notte, musica e libri non scappano…giusto?

Non scappano come scappano le persone.

Un foglio di carta non te lo mette nel culo appena ti volti, un foglio di carta non ti calpesta.

Non ti dirà mai ‘Guarda che stai scrivendo una stronzata’ mentre lo riempi di scarabocchi.

Forse è per questo che mi piace così tanto scrivere.

Perché posso dire, fare e pensare quello che IO VOGLIO senza attirarmi sguardi severi, d’incomprensione, di rimprovero, o stupore.

Tu sei, eri, un po’ come un foglio di carta, Cloud.

Non parlavi molto. Ma non credo incontrerò mai qualcuno che sappia ascoltare come te.

Anche se ogni tanto facevi finta di non badarmi, poi ti sei sempre smentito, piazzando quattro commenti in croce degni d’un filosofo.

…che stronzo, mi facevi spiegare per delle ore concetti che invece avevi già capito benissimo!

…………

…………

Sto parlando al passato.

Della nostra amicizia, intendo.

Chissà…chissà come andrà a finire…

Chissà se tra tutte le cose di cui abbiamo parlato in questi vent’anni, Cloud, avrei dovuto metterci anche queste…

Dirti che ti ammiro…e mi servi vicino…e ho bisogno di te…e che ti amo…

……………

……………

Ma Cristo, non era già pateticamente chiaro?

But you don't seem to understand…

 

Act 1.5_Every way I go I'm bound to lose

Non pensavo se ne sarebbe uscito con una cosa simile.

Sinceramente.

Forse faccio male a credere così poco nel prossimo.

A volte le persone possono sorprendere.

 

"…nel cesso, ecco dov’è andato…!!"

"…Dai, Ba…"

"No, Tifa, c’ho ragione, cazzo, c’ho ragione."

"Però non mi sembra il caso di…"

"Tifa, Dxo Cane!!"

"…"

"Finiscila…!"

 

Detesto quando mi guarda così.

Essendosi preso cura di me da quando ero una ragazzina, mi conosce piuttosto bene ormai.

Per lui sono un libro aperto, e questo mi irrita.

Mi irrita perché a differenza di quando mi confronto con Cloud o con Aeris, quel rapporto di parità viene a meno ed io al suo confronto mi sento così piccola, stupida ed insignificante che mi limito a mordermi il labbro inferiore e a tacere.

So che lo faccio arrabbiare quando mi contengo troppo.

Lo so benissimo.

 

"Certo che sei una bella cogliona…Cazzo continui anche a difenderli…?"

Getto uno sguardo su Yuffie e Cid addormentati sul divano.

Nonostante a guardarlo e sentirlo non si direbbe, quest’uomo è forse più discreto di quanto io stessa non avessi mai immaginato.

Ha aspettato che piombassero nel sonno per dirmi qualcosa.

Ed ora che sto faccia a faccia con lui, non ho alcuna via d’uscita.

 

"Beh, Barrett, che diavolo devo fare? Dimmelo, che diavolo devo fare…?"

"Nulla, certo. Continua a non fare nulla. Continua così, che sei una gran figa, brava…!"

"Barrett, Cristo…!"

"Ma cosa credi di fare, eh?! Che cosa credi di fare continuando a comportarti così?!"

"Allora dimmelo, COME dovrei comportarmi?! Andare da loro e dire ‘ok, ragazzi, sceneggiata finita: o vi lasciate o non vi parlo più’? Eh? Così va bene, andrebbe tutto a posto dici…?!"

"Sai benissimo a che cosa mi riferisco…!!"

"A che COSA?! Cloud ed Aeris hanno…"

"Tifa, cazzo. Qui non c’entrano niente né Cloud ne Aeris. Il punto della questione sei tu. E’ una cosa che riguarda te, te e soltanto te!"

 

Ecco, ancora una volta non so cosa dire e chino lo sguardo.

Conosco ormai a memoria i motivi disegnati sul tappeto che ho comprato giusto due giorni fa.

 

"Il fatto che non ci siano altre alternative che non rischierebbero di non rovinare ulteriormente la situazione, non significa che tu debba per forza far finta con tutti che ti vada ogni cosa per il meglio…!"

"…"

"Dove minchia credi di arrivare con ‘sto atteggiamento del cazzo? A diventare l’eroina di tutti? Beh, ti stai sbagliando di grosso. Perché tanto nessuno capisce quanto questo ti costa. Possibile che non te ne rendi conto…? Nessuno apprezza quello che fai per il semplice motivo che non sanno che lo fai…! E allora tanto vale, dannazione, tanto vale…!"

E’ raro che faccia sproloqui.

Ma quando parte, allora c’è da mettersi comodo e aspettare un paio d’ore almeno.

Però sembra che se le studi bene.

Forse quando ti osserva e sta zitto, sta semplicemente pensando a come sbatterti poi in faccia quel che ha notato...

 

…e detesto quando nota solo cose giuste, accidenti…

 

"…non capisco che cosa vuoi dire…"

 

Lo guardo.

 

"Barrett, io davvero non capisco cosa mi vuoi dire…"

 

Bugiarda.

In realtà ho già capito tutto perfettamente.

Ma preferisco aggrapparmi alla sua scarsa dimestichezza con le parole, fingere che si sia spiegato male.

Continuerò a farlo parlare della stessa cosa fino a domani mattina.

Ed allora tornerò alla mia vita di sempre.

Tanto potrei optare per qualunque soluzione al mondo, Barrett…ma non capisci che mi porterebbe comunque solo guai…?

Every way I go I'm bound to lose

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Capitolo 2
*** .: 2- Aeris ***


II
Aeris

 

Act 2.1_ We're one, but we're not the same

"…che?"
"Ma si, ti dico che gireranno un film insieme…!!"
"Ma figurati…"
"Siii…!! Guarda, è scritto qui…Hanno pure firmato il contratto…!"
"Ehy!!"
"Visto? Stupita, eh?"
"No, a stupirmi è il fatto che tu sappia leggere…!"


Ecco.
Ho sempre avuto una mira veramente pessima, ma la rivista in faccia sono riuscita a lanciargliela.

Oddio, non proprio in faccia. Diciamo che l'ho lisciata…beh, non volevo mica farle male…
O forse si…Boh, vabbè, comunque ho fatto una figura dignitosa.

Sempre meglio di quella volta in cui ho lanciato un cuscino dietro a Cloud -che aveva fatto qualcuna delle sue battute sceme sul colore dei miei vestiti che definisce 'diabetici'- ed ho beccato la miniatura in cristallo di un chocobo che stava sul pianoforte di Tifa.
Miniatura che ha preso il primo treno per il bidone della spazzatura.
Dio, quanto mi sono sentita in colpa…!



"Ti si sta migliorando la vista o sbaglio? Lo vedi che faccio bene a dirti di mangiar tante carote?"

Visto? Mi è migliorata davvero la mira!

"Bleah…"
"Sei troppo schizzinosa, Ae…"
"Non è che sono schizzinosa, Tiff, è solo che…hanno un saporaccio…e poi sono…sono…"
"…arancioni…?"
"Arancioni…!!"
"Oh mio Dio…!!"
"Già…!!"

Zucchero il thè. Uno overdose di zollette.
Mi piace il rumore che fanno quando ci cadono dentro… 'pluff'… 'pluff'…e poi non schizzare è un arte. Un arte nella quale io, modestamente, riesco proprio bene.
E mi piacciono anche le cose dolci.
Però ad ogni rettangolino Tifa mi guarda come se fosse sempre più scema.
Ma lei è anche quella che beve il caffè amaro e in compenso scarica nel suo piatto chili di sale, aceto, pepe, origano e tutto il resto.
Mi chiedo come facciano a piacerle le carote.

Ma forse non è poi così importante saperlo.


"Tiiiii…"
"Mh?"
"Facciamo qualcosa di bello, oggi?"
"Uh…? E che vuoi fare…?"
"Beh, te l'ho detto, qualcosa di bello…!! Intendo, noi due…sole…"
"Eeeeh?? Aeris, mi spiace deluderti ma io il sesso lesbo non lo voglio provare, tesoro…"

Scommetto che sono arrossita. Cacchio.
Mi odio quando faccio così, specialmente perché faccio il loro gioco.
E' da quando li conosco che Cloud e Tifa colgono ogni occasione per farmi diventare rossa facendomi passare per la provincialotta del gruppo.

Che poi vorrei far notare che io sono di Midgar, loro di Nibelheim.
Di conseguenza i provincialotti sarebbero loro, ecco.

"Ma io non intendevo mica quello…!!"
"Ma si, lo avevo capito…Beh, Che vuoi fare, scusa?"
"Eddai, non me lo dire così da scocciata…!!"
"Ti sembro scocciata?"
"Mi sembri scocciata."
"Allora cercherò di smettere di sembrarti scocciata…Sul serio, cosa vuoi fare?"
"Volevo andare al Gold e…"
"CHE??"

Oh, God.
Sapevo che mi avrebbe guardata con gli occhi a palla, ma qui si esagera.


"Al Gold…!!"
"Ma fattici portare da Cloud, scusa…!!"
"Ma lui -quando gliel'ho chiesto- ha avuto una reazione anche peggio della tua…!!"


Ossia è esploso in una risata assurda e mi ha detto 'vado al lavoro, se hai qualche gil ti ci puoi comprare un gelato alla panna o un ciuccio di zucchero, vedi tu. Ci vediamo più tardi' e mi ha lasciata lì come una fessa mentre travasavo una Peonia.


"Ma che ci vuoi fare al Gold Saucer alla tua età…??"
"Ehy, guarda che non ho ancora neppure compiuto i ventitré…!"
"Ventitré? Oh, sei quasi morta, insomma…"
"A ventitré anni…??"
"Si, hai già un piede nella fossa…"


Mi sporgo sul tavolo, e la osservo sogghignare più da vicino.
E' sempre trooooppo bella, ma quando tira fuori queste cose mi verrebbe voglia di spaccarle qualcosa in testa.

"Io la tua logica di vita non la capisco mica, sai? E poi tu hai solo due anni in meno di me, quindi vedi di non darti troppe arie…!!"
"Ma io non mi do affatto delle arie."
"Si, te le dai perché sei più giovane e sei convinta quindi di aver più tempo ancora da vivere rispetto a me!"
"Non mi darei mai delle arie per una cosa del genere, credimi."
"Si, invece…!"
"Ti dico di no. Fidati."
"E perché?"
"Semplicemente perché la prospettiva di vivere più a lungo non mi alletta un granché."

Ecco.
Prima mi dice una cosa simile, poi se ne sta lì a soffiarsi la frangetta come se nulla fosse.

Non lo capisce il male che mi fa?
E' come se volesse dirmi 'io sono così, ma tu non farci caso. Tanto non capiresti.'


"Tifa, ma che cavolo dici, stupida…"
"Mh?"
"…"
"…ahah…dai, Ae…! Lo dicevo così per dire, non fare quella faccia…!!"
"Ma vai al diavolo, e io che ti prendo anche sul serio…!!"
"Ahah, che sciocca che sei, sempre a preoccuparti per le scemenze…!"


Mentre lei seguita a ridacchiare accusandomi di essere eccessivamente apprensiva, io continuo a guardarla in un misto di impotenza e tristezza.

Oddio, non so che espressione stia facendo la mia faccia.
Ma come stato d'animo ci siamo, è sicuramente quello.

Impotenza e tristezza.

Forse anche un po' di amarezza.

Nonostante quello che mi ha appena detto, non mi sento tranquilla.

Quegli occhi dal colore impossibile restano rivolti altrove, come se cercassero di sfuggirmi, come se il piattino sotto alla sua tazza fosse decisamente più interessante della sua migliore amica.

Continuo a cercarli, sperando di incontrare una traccia qualunque.
Ma più li guardo da lontano, più mi rendo conto di non essere mai riuscita a capirli.




In questo Tifa somiglia un po' a Cloud.




Ogni tanto dicono qualcosa, qualcosina, che mi disarma.
Un po' perché non ci arrivo. Un po' perché forse non ero semplicemente attenta.

Ed allora i loro occhi si scostano dai miei, e vagano lontano, lontano, lontano…fino a quando non si incontrano.

Ed allora ho la certezza che LORO si siano capiti, che LORO sappiano tutto, che LORO dopo ne parleranno, appena io sarò tornata a casa.

E non so se mi facciano sentire più sciocca…più stupida, od esclusa.

Di solito, lì, getto la battuta a riguardo.
Qualcosa come 'si, se poi mi rendete partecipe sarebbe simpatico'.
Loro tornano a guardarmi, tornano a sorridermi, a darmi della sciocca.

Ci sono delle volte in cui penso che potrei odiarli.



Mi dicono che siamo un trio. E io mi sento l'altra.


We're one, but we're not the same

 

Act 2.2_ I realise


"Come, scusa?"

Sollevo la testa, e la frangia mi impedisce di poterlo guardare.
Devo decidermi a tagliarla, un giorno o l'altro, accidenti.
Di questo passo mi renderà cieca.

"Ti ho risposto. Ho detto che è perché conosco lei da vent'anni e te da neppure quattro."

La scosto. Mi da davvero fastidio non poterlo guardare in faccia, specialmente in queste occasioni.
Cloud Strife non riesce mai a darti una risposta soddisfacente senza esibire quel suo classico tono da 'non vedo problema', e se non posso guardarlo allora non capisco proprio cosa intende dire.

"Solo per questo? Sicuro?"
"Che altro dovrebbe essere?"

Ecco, finalmente lo vedo.

Niente.

Fatica sprecata, ha il solito bel viso, ma il vuoto totale disegnatoci sopra.
Sta pensando sul serio 'non vedo il problema'.

Possibile?

Intendo, che non veda il problema.


"Non lo so, è che ultimamente mi sembrate così in confidenza che…"

"Me lo hai già detto prima…Ae, cazzo, è ovvio che sembriamo in confidenza…!! Ci conosciamo da sempre, pensa che è stata lei a strapparmi il primo dentino…!!"

Constato tramite il riflesso sul vetro grigiastro che i miei occhi si sono fatti più tondi.
Quando se ne esce con queste cose, fanno sempre così.

"Sul serio?"
"Già."
"Racconta…!"
"Eh?"
"Dai…!"
"Preferisco non ricordarmelo…"
"Uffa, cosa ti…" non mi fa finire la frase che mi prende per un braccio e mi fa sedere su di un posto che si è appena liberato, immagino memore di quella volta che il treno ha inchiodato ed io ho battuto la testa contro al finestrino.

Mi piace questo posto.

Anche se è un po' macabro, fa un bel suono.
Molto più piacevole di quello della metro.

Però gli slums, al contrario, non mi piacciono per niente.
Io vivo in una bella casa e non dovrei lamentarmi, però mi piacerebbe trasferirmi con mia madre in un posto più adeguato, non appena avrò guadagnato abbastanza per depositare la caparra.
Vorrei farla vivere in un posto più sicuro di quello.


"Dicevi del dentino?"
"Ma niente, praticamente mi ha convinto a legarlo con un estremità di un filo, e l'altra alla maniglia. Era un filo corto, e già con la porta aperta riuscivo a sentirlo tirare da tanto era teso. Mi sono lamentato e alla fine lei ha fatto finta di slegarlo. Io stavo facendo altrettanto quando quella stronza ha improvvisamente chiuso con forza la porta e…"
"Dolorosissimo…!"
"Mi hai tolto le parole di bocca…"

Si picchietta simbolicamente la guancia con un dito, ed ora ha un espressione sofferente.
Poverino, chissà quanto deve averla maledetta, in quel momento…!

"L'hai poi presa a calci?"
"Tu ti fideresti a prendere a calci Tifa Lockheart?"
"…No, in effetti no."
"Ecco, ti sei risposta da sola…Però in compenso ho staccato la testa ad una delle sue bambole di porcellana…"
"Che crudeltà, lo sai benissimo che erano di sua madre…!!"
"No, in verità l'ho scoperto solo quando se ne è accorta, ha cominciato a piangere e non mi ha più guardato in faccia per un mese…"
"Ci mancherebbe…"
"Poi però le ho comprato una bambola di pezza per farmi perdonare…"
"Che sforzo…"
"Avevo otto anni, quanti soldi credi che potessi aver messo da parte?!"

Il treno ferma ancora, e questa volta è lui che - troppo impegnato a mantenere la sua posa da figo con le braccia incrociate sul petto- non si è tenuto ed ha rischiato di cadere.

"Comunque…" riprende, appoggiandosi più saldamente.

Ora si passa un dito sotto al naso piccolo e sottile che si ritrova.

E' una cosa che fa spesso quando è indeciso se parlare o meno, quindi presto particolare attenzione.


"Mh?"
" …in proposito alla tua domanda…Beh, ti dicevo che alla fine sembro più in confidenza con lei per gli anni che la conosco e basta…Tutto qui."

Annuisco poco convinta.
Mi sa che lui se ne è accorto, ma è strano da parte sua non dire nulla a riguardo.

"Beh?"

Ecco, infatti.

"Si, ho detto di si."
"Mah…"

Beh, anche lui, cosa pretende, che me la beva subito così?
Ma chi vuole prendere in giro?

Io so benissimo che lui ha sempre avuto una cotta siderale per Tifa, non c'è mai stato modo di sviarlo.

…O meglio…Non è proprio che lo so…però lo immagino.

Non è che ci sia qualcosa in particolare che me lo faccia pensare, comunque…non so, mi sembra abbastanza ovvio, l'ho sempre dato per scontato. Che a Cloud piaccia Tifa, intendo.
Il fatto è che gli amici d'infanzia crescendo tendono sempre a seguire ognuno la propria strada, mentre invece loro due -ventun'anni l'uno e venti l'altra- hanno scelto addirittura la stessa facoltà universitaria e si frequentano abitualmente ogni giorno.

Capite cosa intendo?

Ogni giorno da vent'anni…!!

Mi sembra la cosa più naturale del mondo che si finisca per innamorarsi, o comunque per prendersi una sbandata. Credo sia una cosa che non dipende tanto dalla volontà, quanto dalla logica.

…No?

Che poi, fra l'altro, è di dominio pubblico che da ragazzino Cloud sbarellasse per lei, ovviamente non ricambiato. E quindi, essendo io un nobil animo romantico, amo immaginare che lui continui ad amarla tutt'ora, ma che per paura di un rifiuto non si dichiari.

…Anche se in verità i fatti sembrano smentirmi di continuo.

Quei due parlano molto serenamente di quella vecchia storia e, anche se non mi hanno mai raccontato esattamente la faccenda nei dettagli, sembra proprio che sia un capitolo chiuso sul quale si divertono a scherzare. Più Cloud che Tifa, a dire la verità.

Questo mi fa pensare che a lui davvero faccia ridere l'idea di essere andato dietro - 'per un breve periodo di tempo!' tiene a precisare- a lei, mentre quella continua a non filarselo neanche per sbaglio.

Questo, c'è da dire, è sconcertante.

Come si fa a non filarsi Cloud Strife?

E'…E'…impensabile.

Ecco, si, impensabile.

Infatti io non riesco neanche a pensarlo…!!

Proprio non riesco ad entrare nella testa di una ragazza che ha avuto un milione di possibilità con lui e non solo non ne ha approfittato, ma neppure gli frigge dietro quando lo guarda.

Inconcepibile. Non c'è più religione, no no.


"Ae?"
"…Inconcepibile, si, si…"
"..Ae…"
"…uh?"
"Mi stai facendo fare una figura pessima, smettila di parlare da sola, ti guardano tutti…!"

Persa com'ero a rigirar quell'uovo al tegamino che è la mia fissa di intrecciare i rapporti al limite dell'innaturale, non mi ero neppure accorta che lui ha trovato posto libero accanto a me.

"Uh, scusa…!" dico, voltando di qua e di là la testa in modo da vedere quali famigerati passeggeri abbiano potuto ammirarmi nella sacra pratica del parlare da sola. A dire la verità, lo faccio spesso.
Non perché sono pazza, sia chiaro.
Cioè, non lo sono sicuramente fino a questo punto.
Soltanto che quando non c'è nessuno con me mi annoio, e allora parlo da sola.
O meglio, secondo gli altri parlo da sola, ma non è così. Io parlo sempre con qualcosa o con qualcuno.

Parlo coi fiori, che li fa anche crescere più belli, parlo coi vasi, parlo con le lenzuola del letto che sto facendo, parlo col fiocco che mi sto mettendo, parlo con l'aria e con gli uccellini, parlo con la terra dove sto piantando un bulbo, parlo con la pesca noce che sto mangiando.

La mamma dice che parlare è un gesto d'affetto, per questo parlo molto.
Perché ho tanto affetto da dare.

Cloud invece sostiene che sono petulante, e Tifa che ho le visioni.


"Ma questo non è vero. Voglio dire, solo perché una person…"
"Ae…!"

Alzo la testa, lui ha una mano sulla fronte.

"…L'ho fatto di nuovo…?" domando perplessa.
Lui si limita a sospirare scuotendo il capo.
Mi viene da ridere perché quando lo fa è davvero molto buffo, ma cerco di trattenermi per non farmi indirizzare una battutina del tipo 'i tuoi amici immaginari ti hanno raccontato una barzelletta?'. Si sono fissati tutti e due, sia lui che Tifa, con questa storia degli amici immaginari.
Accidenti.
Ho cercato di spiegar loro come stanno le cose, ma proprio non c'è verso di farlo entrare in quelle zucche! Quando io parlo…che ne so, con una mela, non lo faccio perché mi sembra che mi possa rispondere? Capite? Intendo, io so che la mela non mi risponde. E so anche che non mi ascolta.
Dai, lo sanno tutti che le mele non ti ascoltano.
I fiori si. Le mele no.

Ad un certo punto sento Cloud che mi prende la mano e mi strattona in piedi, rischiando di farmi cadere per terra a causa anche della brusca fermata che fa il treno.
Mi borbotta qualcosa su quanto sono sciocca e mi trascina giù come fossi una specie di zavorra.
Sinceramente, non è tanto questo che mi dà fastidio (anche se non mi dispiacerebbe se si rendesse conto che non lasciarmi guardare dove metto i piedi quando faccio le scale potrebbe essere potenzialmente pericoloso), quanto che se ne salti fuori a prendermi per mano.

Cavolo, non abbiamo cinque anni.
Dovrebbe pensarci un po' su prima di fare certe cose, non ha il minimo rispetto per l'imbarazzo altrui. Specialmente per il mio.
Una volta Tifa mi ha detto che lui non ha mai avuto così pochi problemi a toccare una ragazza come con me, neppure con le sue ex.
Secondo me lo fa perché mi considera la sorellina indifesa e un po' svampitella da proteggere, ma se dobbiamo dirla tutta io sono anche più grande di lui.
Dovrei reclamare il mio posto nell'universo dei ventiduenni, accidenti.
Forse dovrei smetterla di vestirmi di rosa.

Potrei cominciare col nero.

Si, nero e bianco.

Nero e bianco sembrano opposti, ma in realtà sembrano voler dire in definitiva la stessa cosa: niente vie di mezzo.
Si, potrei diventare così: una donna niente-vie-di-mezzo.

Un po' come Tifa che infatti, per la cronaca, è vestita quasi sempre di nero o di bianco.

Perfetto, una volta a casa darò una rimodernata al mio look, così la prossima volta che Cloud prova a prendersi di queste confidenze perché mi crede una bambina handicappata, potrò dargli un bel calcio nel sede…


"Ae, atte…" "AAAAAAAH!!"

Il cervello mi deve ancora raggiungere la realtà dei fatti, so solo che ho le mani ammollo da qualche parte, il sedere bagnato e il cuore che mi fa tum-tump alla grande. Forse ho pure il viso contratto con la bocca aperta.

Faccio finalmente il punto della questione: ho inciampato in un gradino e solo volata dentro ad una pozzanghera come una stupida pera cotta.

Cloud mi guarda, io lo guardo.
Mi sembra straordinario che non abbia ancora detto niente.
Se ne sta lì, immobile, senza fare nulla.


"…Beh?" domando, acida.

Lui smuove un po' la sua posa rigida.
Neppure due secondi, esplode in una risata tanto fragorosa da mandarmi quasi in bestia.
Non ci vado (in bestia, intendo) perché non voglio dare ulteriore spettacolo.
Mentre lui sghignazza come una iena mi guardo attorno imbarazzata e riconosco un paio di facce che già ho visto sul treno, quelle che hanno assistito al mio talk-show solitario.

Perfetto, io per un paio di mesi questa stazione non la guardo neppure col binocolo.

Cloud continua a ridere, tento di mantenermi calma e posata.

"Mi vuoi aiutare o pensi di menartela ancora un po'…" lo guardo bieca oltre la frangia "…deficiente?" aggiungo infine.

Lui si scusa e si china, invece che aiutarmi mi guarda in faccia e continua a ridere.
Mi verrebbe voglia di trascinarlo giù con me, peccato che ci rimetterei soltanto perché non sono forte abbastanza, lui ha i riflessi pronti e…oddio, questa è solo una pozzanghera. Profonda e fangosa da far schifo, ma pur sempre una pozzanghera. In due non ci stiamo…!

"Cloud---Strife…!!"
"All'appello, all'appello…" lo scemo continua a ridersela "Sei pazzesca, neppure finito di dirtelo e tu…OP!, dentro come una patata!! Dovrebbero farci uno spettacolo televisivo su di te, Ae, sei più unica che rara!!"

Che faccio, arrossisco?
Si, arrossisco.
Ma che scema, oltre più che mi sfotte alla grande devo pure notare quant'è carino.
E che cacchio…

"Ce la fai ad alzarti da sola o chiamo il carro-attrezzi?" mi domanda, contenendo visibilmente la ghignarola.
"Ce la faccio, ce la faccio…" sbotto, facendomi leva per tirarmi su. Che schifo, sono impantanata nella fanghiglia e appena punto le mani mi sprofondano come fossi nelle sabbie mobili.
Bleah.

Improvvisamente mi rendo conto di non potermi alzare.
Il mio vestito.
Chissà come sarà ridotto il mio vestito…!

"Allora?"

Lo guardo storta, non posso certo fargli credere che non riesco a mettermi in piedi da sola.
Mi faccio coraggio nonostante lo schifo e mi alzo.
Capirei se si mettesse a ridere di nuovo da un momento all'altro, lo farei anche io se non avessi pagato sessantasettemila gil questa gonna.

"Se stai cercando di non scoppiare a ridere, non preoccuparti, tanto testa vuota sei e testa vuota rimani…"
"Oh, così mi ferisci…" sorride "Non per dire, ma sei un vero disastro…"
"Grazie, e indovina un po' di chi è la colpa? Pim! Risposta esatta, di uno scemo che mi ha trascinata in giro senza farmi guardare dove mettevo i piedi!"
"Ma se tu non guardi MAI dove metti i piedi!"
"Questo non…oooh, lasciamo stare, adesso che faccio, devo andare a casa ridotta così?"

Lui annuisce facendo spallucce, io mi do un'occhiata commiserevole al vestito.

"Non posso." annuncio, guardandolo seriamente.
Lui alza ancora le spalle "Perché?"

Non capisce. E' ovvio che non capisce il mio dramma.

Sospiro.

"Sono sporca in faccia?"
"Non particolarmente."
"I capelli?"
"No. Cioè…non tutti."

Mi prenderei a schiaffi se non fosse che ho le mani impiastrate.
I miei capelli…!!
Li lavo sette volte a settimana con quattro shampoo diversi e passo un sacco di tempo a spazzolarli e legarli per tenerli a posto…!

Prendo il termine della treccia fra le mani, ed è tutta imbrattata fino quasi a metà.
Il mio vestito preferito è irrimediabilmente rovinato.
Sembro uscita da una betoniera di cioccolata sporca.

Cavolo. Mi viene da piangere.

"Ae? Non fare quella faccia, dai…"
"Quale faccia?"
"…" tira fuori lo specchietto che si porta sempre in tasca e fa si che io possa guardarmi il viso "Questa."

Mi fisso.
Sono tutta schizzata di fango, e guardando la mia espressione sconvolta lui ricomincia a ridere.

Stupido.
Stupido insensibile.

Perché deve piacermi uno come te?

"Smettila, brutto cretino…" la mia voce s'è già fatta biascicante.

Cacchio, sto frignando.

Prima cado in una pozzanghera e poi frigno. Come una mocciosa.

Sei solo una stupida, Aeris, se pensi davvero che vestendoti di nero potresti diventare come Tifa.

Per Cloud non sarai mai una donna, ma soltanto una ragazzina col fiocco rosa che parla con le mele.


Singhiozzo forte.

A questo punto non so davvero più per cosa sto piangendo.



"Mi dai davvero tanto da fare…" borbotta Cloud, mettendosi in ginocchio.


Sotto ai miei occhi, immagino resi enormi dai lacrimoni, mette le mani nella pozzanghera e si sporca la maglia in un coro di 'che schifo' tutt'altro che virili.

Mi prende a forza la mano.

"Ecco, così non fai la figura della scema da sola, adesso possiamo dileguarci da questo posto che mi stai facendo vergognare?"

Non rispondo, però lascio che mi trascini sbuffando.

Maledizione.

Purtroppo so benissimo come fa a piacermi una come te…


I realise

 

Act 2.3_ That's why I just...


"Tifa."
"Eh?"
"Hai chiesto quale può essere la soluzione, no? Ed io ti ho risposto: Tifa."

Mi fermo per un attimo.
Guardo il pavimento, poi finalmente i miei neuroni realizzano ed allora trasalgo.

"E' vero…!!" mi illumino "Tifa saprà sicuramente farlo venir fuori come nuovo…!!"

Cloud si allunga una sedia.

"Così ti eviti anche la sgridata di mamma…dai, levati quel coso che passo da lei a darglielo."

Mi blocco, pur cercando di non mostrare che il mio entusiasmo s'è già affievolito.
La verità è che mi faccio rabbia pure io quando mi sento così.

Così, come…infastidita.

Infastidita dal loro legame, infastidita dal semplice fatto che abitino a due metri l'uno dall'altra.

Non è colpa di nessuno, e comunque sapevo fin dall'inizio che era così.

Non dovrei assolutamente sentir dentro questo prurito, eppure non posso farne a meno.

Forse perché a volte penso che se non fosse per lei…


"Comunque, Ae, quello che cercavo di dirti…"
"Ah…!"
"Che c'è?"
"Guarda…!"
"Che?"
"Abbassa la voce! Guarda, che carino…!!"


Prendo un pezzo di pane dal sacchetto di carta sul tavolo, e spezzandolo mi avvicino cautamente al davanzale dove un uccellino sta piluccando il nulla.
Non so se Cloud ha afferrato, ma è meglio così perché altrimenti potrebbe giocarmi qualche brutto tiro e farlo volare via.

Allungo prima la mano, lentamente, dove giacciono tante piccole briciole ricavate all'occorrenza.

Sorrido, come per confortare il passerotto, che infatti muove le ali ma non scappa.


"Tranquillo, non voglio farti male…Vuoi mangiare?" lo guardo un attimo, in silenzio "Sei piccino…vivi con la tua mamma o sei solo? …Tieni…"

Con un movimento lento dissemino le briciole in una striscia ordinata lungo il davanzale.
Ho come l'impressione che l'uccellino mi guardi come per capire se può fidarsi.

"Mangia pure, se vuoi…" lo rassicuro "…Certo, non è un bel verme grasso e succoso, ma se hai fame è sempre meglio di niente, no?"

"Oddio, ma allora parli davvero con gli uccelli…!" commenta Cloud, sprezzante, disteso come un sacco di patate sulla sedia. Mi giro.

"Guarda che puoi dirmi quello che vuoi, ma intant…"
"Sta mangiando."
"Eh?"
"Il pennuto. Sta mangiando."

Mi giro di nuovo, e vedo che il passerotto finalmente si è messo a beccare di gusto le briciole.

Mi viene da ridere di gioia.

A volte ho come l'impressione che queste piccole cose, per gli altri totalmente assurde, possano farmi scoppiare il cuore da un momento all'altro.


"Visto?" proclamo soddisfatta, guardando però la bestiola "Mi ha ascoltata ed ha capito che poteva fidarsi! Vedi, non è una questione di cosa dici, ma di come lo dici. Io sono convinta che tutto quanto su questo mondo…gli oggetti, le piante, gli animali…tutto possa comprendere le tue intenzioni dal tono della voce."

E' improvviso.
L'uccellino vola via, sento le braccia di Cloud stringermi le spalle e tenermi vicina.


"Quindi se ti chiedo dolcemente di metterti con me…non volerai lontana?"


Mi sconvolgo io stessa della fermezza immediata con la quale rispondo.
Neppure se tacessi o pensassi per anni, troverei qualcosa di più vero da dire.



"E Tifa?"


That's why I just...

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Capitolo 3
*** .: 3- Cloud ***


III
Cloud

Act 3.1_you can never hope to grasp the source of our power

Ormai era la fine di ottobre, ma stavano vivendo giornate ancora calde, appena temprate dal vento che soffiava tiepido di tanto in tanto. Rocket Town rimasta mortalmente assolata per tutto il tempo che vi avevano trascorso, e se si guardava le spalle poteva distinguere la pelle leggermente più scura del petto. Era una conquista, se si pensava che quella dell’abbronzatura era una cosa che gli era sempre stata preclusa.

Insieme a Barret aveva prestato manovalanza a Cid per quasi una settimana, e Cloud poteva sentire dentro di se le conseguenze dello stretto contatto vissuto in quei giorni: per sciocchezze gli rotolavano bestemmie dalla bocca, non c’era nulla che non fosse maledetto o dannato e beveva a canna la birra.

Secondo loro, però, era una cosa genuina. Dicevano che gli faceva bene stare un po’ con degli uomini, perché tutto quel frequentare solo femmina lo stava facendo diventare sempre più checca.

Quindi, siccome doveva essere più uomo, quella sera avevano deciso per una cara vecchia mangiata e bevuta davanti alla televisione. Dopo neanche un’ora erano già ubriachi. Non tanto, ma il giusto per metter piede in quei discorsi a campo minato che altrimenti nessuno sfiorerebbe, se non col pensiero.

"E’ inutile che stiamo farci i pompini a vicenda, sono due belle ragazze con l’optional d’una testa interessante. Non passerà molto tempo prima che qualcuno allunghi la mano dal finestrino e se ne tiri dietro una, e te resterai come un pirla a farti le seghe per la storia dell’amicizia.
Amicizia un paio di palle, Cloud, fin quando tu avrai un pene e loro una fica ci sarà sempre quel rompimento di coglioni chiamato sesso in mezzo…E non dico che sia una cosa positiva, eh?, voglio dire, sarebbe bello e delizioso e tutto quanto appartenere al vostro mondo dove un maschio e due femmine saranno sempre amici e l’acqua di rose si scarica nel cesso al posto dell’acqua, sarebbe proprio forte, ma purtroppo stanno così le cose, Cloud, prima entri nell’ottica che un giorno qualche fottuta cosa rovinerà quest’altra cosa, meglio è."

Aveva parlato con la postura di un saggio, tono calmo, sigaretta in bocca e piedi -con scarponi- buttati sul tavolino in disordine.

"SHERA!!" gridò, rovinando quel minimo d’effetto che aveva creato "VIENI A TOGLIERE DI MEZZO QUESTO STRAMALEDETTISSIMO BORDELLO!"

La donna, come se non avesse aspettato altro che essere chiamata, con passo svelto si mise in ginocchio davanti al trio e cominciò e prese a gettare in un sacchetto gli avanzi, le bottiglie riverse e la cartaccia che colmava il tavolino.

"Togli almeno i tuoi schifosi piedi." disse Barret, rivolto a Cid, che lo coprì urlando "ABBASSA QUELLA TESTA CHE NON VEDO PIU’ UN DANNATO NIENTE!"

Shera si scusò e s’ingobbì il più possibile, continuando a lavorare.
Cloud restava sempre abbastanza perplesso davanti a queste cose, e non capiva se essere o no un vero uomo poteva convenirgli.
Si sporse, aiutando: "Se vuoi che lo uccida basta chiedere."

Shera gli sorrise con la dolcezza che solo le donne innamorate hanno, e gli disse di non preoccuparsi, che ci pensava volentieri lei a sistemare tutto quanto.

Cloud non ribatté mai allo sproloquio di Cid.
In cuor suo, però, dopo quel giorno non poté più star solo con una delle sue amiche del cuore senza pensare almeno per un istante, uno soltanto, che in quanto a uomo aveva la possibilità di fisica di fare l’amore con ciascuna di loro.

 

 

Alla fine erano andati a Wall Market, e c’è proprio da essere incredibilmente sprovveduti o incredibilmente temerari per andare in quel quartiere se hai due tette sotto al collo.

Ci aveva provato a dissuaderle, ma poi Aeris aveva detto il suo "Cosa c’è da temere? Ho la mia guardia del corpo." e Cloud non aveva trovato attenuanti.

Lo fregava sempre, con quella scusa, come un povero coglione.

"E Wall Market sia. Ma vedete di stare ai miei tempi, altrimenti giuro che vi vendo al primo che me lo chiede."

Un paio di volte era stato sul punto di farlo. Davvero. Alla dodicesima coppia di identici top neri messi uno accanto all’altro -si aspettavano che a colpo d’occhio lui notasse che la cucitura sotto la spalla destra di uno era inclinata di quattro gradi in più dell’altro- con la bgm ‘qual è meglio?’ stava per trascinarle alla Magione di Don Corneo e pregarlo di tenersele.

"Che poi, Ae, mi spieghi una cosa? Tu che ci fai qui? Intendo, Tifa è ok, conosciamo tutti il suo stile, ma tu che vuoi trovarci in ‘sti negozi da battona?"

Nello stesso momento Cloud fu bersaglio di una gomitata nei reni di Tifa, di un’occhiataccia della commessa e dello sguardo commiserevole di Aeris.

Fuori, l’odore di pesce cotto al vapore del ristorante coreano si mescolava a quello dell’aria sporca di Midgar ed al profumo francese della donna che stava passando loro accanto, al braccio d’un uomo di mezza età.

Cloud camminava qualche passo avanti alle amiche, perché una era lenta e l’altra stava a ritmo di quella lenta.
Si girava spesso per controllare che nessuno le infastidisse, anche se lo faceva di nascosto. Ma, a quanto pareva, lui era l’unico a preoccuparsi, perché invece le due parlottavano animatamente fra loro, ridendo e toccandosi vicendevolmente le braccia alle battute l’una dell’altra.

Che stupide, le femmine.

"Sapete cosa? Sono sempre stata incredibilmente curiosa di vedere l’interno dell’Honybee Inn." se ne uscì Aeris, confermando la teoria di cui sopra.

"Ma sai che anch’io mi chiedo spesso come sia?" la appoggia Tifa, svoltando ovviamente per l’Honeybee.

"Io ci sono stato."

"Davvero??" - "Quando?!"

Cloud fece spallucce: "Cid è tesserato come socio e ci ha portato me e Barret, tipo l’anno scorso."

"BARRET?"

"Stiamo parlando dello stesso Barret?"

"Il Barret che picchia i pugni sul petto urlando che sua figlia è l’unica donna della sua vita, proprio quello?"

"Quello. Ti, guarda che Barret è pur sempre un maschio. Non perché è vedovo significa che abbia appeso il martello al chiodo, scusa…"

"Martello?" chiede Aeris.

"Beh, ma che c’entra, è solo che non ce lo vedo, tutto qui."

"Cosa intendi per ‘martello’?" insiste l’altra.

"E’ che voi donne avete un’idea troppo romantica di tutto, date per scontato che se il Grande Amore muore dopo non ci debba mai più interessare al sesso, o alle altre donne in genere…"

"Io non sono d’accordo." disse Aeris, lasciando perdere la faccenda del martello "Io credo che nella vita ci si possa innamorare molte volte, e che questo non significhi stare tradendo il proprio amore perduto."

Cloud e Tifa si guardarono e tacquero, finché non fu lei a ricominciare: "Totale com’è?"

"Niente di che, più che altro è…buffo. Non ci sono prostitute, solo intrattenitrici."

"C’è differenza?"

"C’è un enorme differenza, Tifa, tesoro."

L’insegna rosa colorata dell’Honeybeen lampeggiava con forza quasi accecante, ma una lampadina guasta rovinava l’effetto. In un attimo l’attenzione degli uomini in attesa si focalizzò su di loro, poi chi correndo, chi camminando e strisciando si avvicinò.

Cloud si mise da parte. Aveva deciso che lasciarle un po’ in balia dei maniaci che caratterizzano Wall Market avrebbe fatto passare a quelle due sceme la voglia di gettarsi nella tana del lupo, anche se era lui ad accompagnarle.

Però, dopo aver fatto per poco finta di non conoscerla, si voltò e le vide tener a bada gli assalitori con molta maestria.

Aeris era un’ottima donna d’affari –devi esserlo per campare vendendo fiori- e stava mettendo all’asta un appuntamento partendo da un milione di gil. A lasciarla fare, rischiava pure di riuscirci. Lei era una di quelle persone per cui è stata coniata l’espressione "venderebbe frigoriferi al Polo Nord".

Tifa non era così sciolta e intraprendente, ma ripiegava sul languore, sul modo innaturale che ha l’aria di scivolarle addosso quando inarca un po’ la schiena.
appoggiata ad un cartellone pubblicitario, dondolava la testa facendo domande sull’interno del locale, congelando gli uomini alla giusta distanza da entrambe coi suoi occhi da gatta.

Cloud voleva continuare a far finta di nulla, ma un uomo sulla cinquantina gli prese il braccio e gli domandò se non volesse andare a fare un giro in magina con lui.
Disgustato, e vagamente terrorizzato, si fece largo fra la piccola folla di morti di figa creatasi attorno alle sue amiche; piazzandosi davanti a loro come una vera guarda del corpo sbracciò: "Ok, ok, adesso può bastare, aria."

Uno degli uomini, quello con l’aspetto più distinto e per questo più viscido, gli si avvicinò e gli chiese quanto voleva per fargli fare un giro con le sue ragazze.

Loro sentirono e risero, come se essere scambiate per delle puttane col loro giovane pappone fosse una cosa dannatamente divertente, proprio da raccontare agli amici.

"Guarda che non te lo consiglio, amico, queste mordono…"

"Per dirla tutta noi…" s’intromise Aeris, cingendo la vita del ragazzo con un braccio ed appoggiando la testa sulla sua spalla"…questo è lo stallone con cui siamo impegnate."

"Già." la seguì Tifa, cingendogli il collo e premendosi contro il suo fianco "E dà già fin troppo da fare, a tutte e due."

"Insomma non lavoriamo per lui. Siamo le sue donne." Concluse Aeris, ed insieme sorrisero all’avventore come una coppia di pin-up.

Reggendo la parte, lui fa il superiore: "Niente di che, le ho prese come usato da rottamare ma è sempre meglio di nulla…"

Le due ragazze annuirono in coro e l’uomo, capendo che non c’era aria, si allontanò.

Il trio, allacciato, venne scosso da Aeris, che scoppiò a ridere.

"Usato da rottamare?" incalzò Tifa.

"Sui chilometri di Aeris ho ancora qualche dubbio, ma per quanto riguarda te si può dire che il tuo serbatoio sia sfondato..."

In risposta Cloud si ritrovò le unghie di lei, smaltate di nero, nel collo. Era abituato a quelle cose, ma non poteva fare a meno di urlare tutte le volte: Tifa era più forte di una donna normale, e comunque anche essere colpito da un cuscino, alla lunga, provoca dolore.

"Scherzavo, su, su…" tentò di calmarla, dimenandosi il meno possibile per non travolgere Aeris, che intanto continuava a ridere "…nessuno mette in dubbio la tua castità, Vergine d’Acciaio."

"Dobbiamo parlare della tua, che è forzata dagli eventi e dal tuo taglio di capelli?"

"Lascia stare i miei capelli, ok? Puoi dire quello che vuoi su tutto, ma lascia stare i miei capelli."

"Cos’hanno che non va i suoi capelli?" chiese Aeris toccandoli con una mano, che Cloud allontanò infastidito "A me piacciono. Somiglia a un chocobo, è divertente."

"Allora se proprio ne dobbiamo discutere possiamo farlo tornando a casa? Di ‘questo posto ho la nausea, c’è una puzza di chiuso insopportabile, soprattutto tenendo conto che siamo all’aperto." senza lasciarle rispondere allargò le braccia per stringere la vita di entrambe. A loro volta, le due si agganciarono più forte e tutti e tre insieme tentarono di sincronizzare i movimenti, per riuscire a girarsi e andarsene.

Sullo sbocco del vicolo un uomo capitò loro davanti, e guardandolo dritto negli occhi Cloud affermò con decisione "Queste sono le mie ragazze".

Le sue ragazze risero per l’uscita cretina e cercarono di evitare il passante, ma ognuna tirava su un lato opposto, con Cloud che ripeteva "Non serve strapparmi, ce n’è per tutte e due!" a voce alta. Ma Wall Market era un posto troppo caotico perché qualcuno facesse caso alle loro bivaccate.

Era quello, il loro potere. Essere solo loro tre anche in mezzo a tanta gente.

E’ questo, pensò Cloud, che dovrò dire a Cid quando capiterà l’occasione.

Noi abbiamo un potere straordinario, e lo abbiamo solo se siamo noi tre.

you can never hope to grasp the source of our power

Act 3.2_ you never read the signs

Quando arrivo sul retro della casa di Tifa lei sta stendendo i panni.
Mi stupisco ancora, nonostante la conosca bene, di quanta attenzione rifletta il suo profilo mentre punta qualcosa con le mollette. Sembra esageratamente concentrata.
Proprio per questo penso sia giusto da parte mia farle prendere uno spavento.
Ci metto un po’ a decidere con quale suono esordire, poi scado nel classico ‘bhu!’ perché avevo paura che si accorgesse di me prima di averla fatta sobbalzare. Fortunatamente vado a segno, perché Tifa lancia un urletto e le cade il cestino delle mollette che teneva abbarbicato sui panni, in braccio.

Si gira e fa cedere le braccia lungo i fianchi torniti: "Il premio per il Coglione del Mese va ancora una volta a Cloud Strife, che si fa invece sfuggire un’altra volta quello dell’originalità."

Mi abbasso a rimettere nel cestino le mollette che le sono cadute, poi glielo rendo.

"Cerca di capire, eri così seria che non potevo resistere. Aeris?"

"Non so, non l’ho vista."

"Ha detto che sarebbe passata da te, e vista la sua fretta perenne pensavo fosse già arrivata."

"Beh, non c’è, ma se vuoi puoi tornare a casa e ti chiamo quando arriva."

Alzo le spalle: "No, resto ad aspettarla. Dopo usciamo insieme, quindi posso dedicare una decina di minuti a far risplendere la tua tetra esistenza con la mia abbagliante bellezza."

"Infatti mi sentivo un po’ accecata…Pensavo fosse per il sole in faccia, ma invece no, sei tu!"

"Chi, se no? Insomma, cosa può il sole contro la mia abbagliante bellezza di cui sopra?"

Tifa ruota gli occhi ma non mi contraddice. Il fatto è che lo sa che ho tutte le ragioni del mondo. Che sono bello è un dato inconfutabile, è matematico o scientifico, non soggettivo. Se non fossi sicuro di essere bello non mi comporterei certo come mi comporto, cercherei di essere una persona cordiale, gentile e disponibile con tutti, non un musone arrogante che si sente a suo agio solo nelle elite da lui selezionate.

"Senti, mentre mi abbagli vedi anche di darmi una mano."

"Devo proprio?"

"Ti è sembrato che lo stessi chiedendo? Vieni a darmi una mano, ho detto."

"Agli ordini…"

Mettendomi al suo fianco mi accorgo che effettivamente aveva il sole in faccia. Tifa mi infila il cestino delle mollette ad un braccio e mi dà i panni, poi mi spiega con fare autoritario che la devo semplicemente seguire.
Si, penso di poter essere all’altezza di un così delicato compito.

Adesso che è tornata assorta, osservo con attenzione i suoi movimenti.
E’ incredibile come per delle sciocchezze come questa sembri…non lo so, staccare i ponti dalla realtà, da tutto quello che la circonda, anche da me.
Il modo in cui chiude fuori tutto quanto all’improvviso, con tanta facilità, per dedicarsi unicamente a quello che sta facendo.
E’ una cosa che mi ha sempre fatto… ‘paura’ sarà il termine giusto o lo sto confondendo con quella cosa che provo in questo momento?

No, non è paura. Però confesso che è la prima parola che mi è venuta in mente, quindi vorrà dire qualcosa…

Il punto è che non so cosa fare, esattamente.

Sapevo fino a cinque secondi fa che volevo parlarle di quella faccenda dell’altra sera, di come mi era sembrata strana e di come fosse ovvio che qualcosa non andava e, se vedevo che avevo imbroccato bene il discorso, avrei anche azzardato la mia ipotesi sulle cause del suo malumore.

Ma adesso che ce l’ho qui, davanti, a neppure un metro di distanza…lei si chiude dentro.


Non voglio dare l’impressione di essermi preparato domande e risposte o di voler andare a parare da qualche, quindi potrei chiederle con leggerezza ‘come va?’, ma visto che le cose serie le domando sempre ostentando leggerezza, forse dovrei essere serio per non farle capire che glielo sto chiedendo seriamente.

Mh.

"Allora, come va?"

"Uh? Al solito, perché me lo chiedi?"

Ecco, poi quando il tuo interlocutore se ne esce con delle contro-domande così idiote ti fa passare anche tutta la voglia…

"Niente, così…" prende un altro vestito stropicciato dal mucchio che ho in braccio "L’altra sera mi sembravi un po’ sfasata."

Con indifferenza, si sposta la frangetta che le cade davanti ad un occhio e si stringe la coda di cavallo, prima di chiedere "L’altra sera quando?"

"L’altra sera, sai, con Barret e gli altri", mi spiego meglio "Il ritrovo in onore della nuova coppia…"

"Ah, si." sbatte con forza una gonna e la appende "Ero solo un po’ stanca."

"Non è vero, quando se stanca fai sempre la faccia di quella che non è stanca. E quella non era la tua faccia da ‘sono-stanca-non-sono-stanca’."

"Allora sentiamo un po’…" mi guarda come per sfidarmi, ma gentilmente "…Che faccia avevo?"

Io posso capire perfettamente il fascino e rispettoso timore che esercitano quei suoi occhi color rubino sulle persone, in particolare sugli uomini.
Un tempo ne andavo letteralmente pazzo, e ancora oggi non posso farmi guardare da lei per più di dieci secondi senza sentire qualcosa, finisco sempre per cedere.

Si può dire che me le sia cercate bene, le donne della mia vita. Hanno tutte dalla loro parte la conoscenza d’un subdolo modo per farmi crollare la guardia.

"Una faccia triste."

"Non so, non mi sembrava…" si fa assorta come lo era prima coi panni, mentre adesso la sua attenzione è tutta sulle mie parole, è come se le stesse analizzando, poi tira su la testa "Davvero, non so…deve essere che mi stanno venendo le mie cose. Scusa se ti ho fatto preoccupare."

"Niente." mi arrendo "E poi grazie per l’informazione sulle tue cose. Se volessi approfittarmi di te in questo momento, so che avrei un alto rischio di ingravidarti."

"A parte il fatto che lo sai che prendo la pillola…"

"E’ un invito implicito?"

"…sai non ti converrebbe troppo dar aria al pappagallino in questo momento, Strife, la tua ragazza deve arrivare fra poco."

"Che vuoi, se scattasse la scintilla…"

"Conciata così? Neanche a un marinaio che non vede una donna da sei mesi farei scattare la scintilla, credimi."

"Beh, parlavo per ipotesi."

"Però, sapendo quello che so, deduco che non sarebbe questione di molto…Quando, quindici secondi?"

"Per il momento faccio finta di non aver sentito, ma un giorno dovrai dirmi quali sono le tue fonti."

Sorride e torna al lavoro. Quando si alza sulle punte per raggiungere il filo, il top di jeans si solleva, scoprendo un altro po’ del suo ventre perfettamente piatto. Le natiche affiorano leggiadre dai pantaloncini strappati, che mettono in mostra cosce sfacciatamente sode. Tutto il suo corpo è scolpito da anni di esercizio, e se c’è una cosa di cui sono sicuro è che farebbe scattare la scintilla in chiunque e vestita in qualunque modo.

E se lo dico io, che ho passato tre quarti d’infanzia e tutta l’adolescenza a morirle dietro, è vero.

Tifa è una bella ragazza, e credo lo sappia. Non è proprio il caso che faccia l’ipocrita sostenendo il contrario, altrimenti mi viene proprio voglia di pestarle un piede.

"Senti un po’, come mai…?" mi chiede, quando proprio non mi aspettavo che avrebbe parlato.

"Come, scusa?"

"Tu ed Aeris. Così, all’improvviso. Come mai?"

Continua a non guardarmi negli occhi, ma potrei seguirne virtualmente le tracce, indovinare qual è nella ghiaia il sassolino che in questo momento sta fissando con attenzione, mentre continua il suo lavoro. E’ una cosa che risale a quando mi piaceva, ho studiato con dovizia per anni il metodo di traiettoria delle sue pupille. Certe cose non le dimentichi, sono come andare in bicicletta e tutto il resto.

"Mah, non so…Diciamo che è stata colpa di tre uccellini."

Eccola, adesso si che mi guarda. Abbassa le sopracciglia sottili e mi scruta, con aria fra l’interrogativo e il rassegnato alla mia stupidità.

"Non guardarmi così."

"Come?"

Mi porto sempre dietro uno specchio, cosa che, considerando il modo in cui tengo i capelli, non è poi così strana. E poi mi piace guardarmi. Tutto qui.
Comunque, niente, tiro fuori questo specchio dalla tasca e glielo volto contro in modo che le si rifletta la faccia.
E’ una cosa che le spiazza tutte le volte.

"Così."

Sospira: "Va bene, e come ti devo guardare?"

"Te la spiego la faccenda degli uccellini o no? Me l’hai chiesto tu, eh."

"Se, se, spiega, avanti."

"Dunque, un uccellino ha detto qualcosa che mi ha fatto riflettere, un altro uccellino mi ha sbattuto in faccia una certa verità diverso tempo indietro e il terzo uccellino ha creato l’atmosfera."

"Ne so come prima." dice, alzando un angolo nella bocca in una smorfia.

"Non guardarmi neanche così. Se proprio lo vuoi sapere il primo uccellino sei tu."

La sua espressione torna interrogativa. Vedi sopra per ulteriori descrizioni.

"Piantala di guardarmi in questi modi stupidi."

"Stupidi?!"

"Sarà stato…boh, due settimane fa?, ti ricordi che eravamo proprio qui…" indico i gradini di legno che conducono alla porta secondaria, poi mi siedo sul secondo "…e tu mi hai detto che io sono una di quelle persone che visita Wutai senza macchina fotografica, e quando torna si lamenta di non ricordare più niente?"

"E’ stato il mese scorso, e poi si, me lo ricordo, mi stavo riferendo a come vivi l’università, cosa c’entra Aeris? E poi, a proposito, ieri sei andato a lezione?"

Sulla faccenda delle lezioni fingo un’interferenza.

"E’ una cosa che mi ha fatto pensare. Tutto qui."

"E quello a cui hai pensato è che dovevi metterti con lei dal due al tre?"

"Ma no, ho pensato in generale e questa è una delle cose a cui sono giunto."

"Capisco. Comunque non devi certo giustificarti, è solo una curiosità, dato che non mi hai mai menzionato niente prima." arriccia il naso "Magari ti sembravo indispettita per questo. Il mio migliore amico vuole mettersi con la mia migliore amica e non si degna neppure di farmi uno spoiler…"

"E’ stata una cosa improvvisa, scusami. Se ci avessi riflettuto su per più di due minuti, sicuramente sarei subito venuto da te. Davvero."

L’ho infiocchettata un po’, ma non è una bugia. Sarei sicuramente corso da lei, se non altro perché a volte ho il sospetto che la mia testa sia un vecchio computer che può leggere solo i floppy disck molto grossi ed immagazzinare un certo numero di dati, e quando tutto lo spazio è pieno necessita di collegarsi ad un modello più moderno e riversarvi i dati.
Tifa è il mio modello moderno.

"Giura." mi chiede.

"Su quello che ho di più caro."

"Non è una gran cosa giurare sui tuoi capelli."

Fa il solito sorriso che fa alle sfrecciatine e torna al suo lavoro.
Anche questa è passata.
E’ esattamente quello che avrei voluto dire a Cid in quel momento: non c’è niente che possa dare al nostro rapporto un colpo forte abbastanza da farlo crollare, questo è il punto.
In questo mondo, almeno, non c’è.

"Cloud! Tiffy!"

Io mi volto e lei alza la testa, contemporaneamente.

Aeris ci corre incontro, e quando si dice che Aeris sta correndo s’intende che una persona normale sta camminando abbastanza velocemente. Avremmo tutto il tempo di andare a pranzo al Turale Paradise e aspettare fermi anche la cena, prima che lei arrivi.

Quando ci riesce, la prima cosa che fa è mettersi davanti di noi e allungare le braccia nelle nostre direzioni. Tifa le sorride e le prende la mano, e Aeris la stringe a sua volta, contenta.
Oddio, è sconvolgente quanto Aeris possa sorridere per ogni sciocchezza.

Adesso deve essere il mio turno, perché mi guarda come se stesse aspettando qualcosa. La guardo per cercare di capire, lei si acciglia con rimprovero e mi sbattocchia davanti la sua manina rosa. Gliela stringo e lei fa un cenno soddisfatto d’assenso.

"Che facevate di bello?"

"Un gioco con regole difficili" risponde Tifa "consiste nel prendere un vestito stropicciato dal mucchio bagnaticcio e -attenzione- senza far cadere né il vestito né un altro pezzo del mucchio in questione, appoggiarlo su questo filo in mezzo al niente e fermarlo agli angoli con delle strane pinzette colorate."

"Ci stavamo divertendo un casino." aggiungo io che, per la cronaca, ho metà del il suddetto mucchio ancora abbarbicato sul braccio destro e sta per cadermi tutto. Aeris lo capisce, così lascia andare la mia mano ma resta allacciata a quella di Tifa come una bambina dell’asilo fa con l’amichetta del cuore.

"Vuoi provare?"

"E se sbaglio?"

"Facciamo una partita a carte scoperte, per cominciare."

"Allora va bene!"

Come formichine laboriose, entrambe si mettono all’opera e sfoltiscono rapidamente il cespuglio di stoffa umida a cui, se devo dirla tutta, stavo cominciando ad affezionarmi. L’umidità ormai l’avevo assorbita tutta io.
Sto valutando se denunciare o meno Tifa ai sindacati, quando vedo che Aeris sta stendendo a mio avviso troppo precariamente una delle mie maglie a collo di lupetto. Una delle mie preferite, tra l’altro.

"Guarda che così cade."

Mi ignorano completamente. In effetti non ho gran voce in capitolo, i miei vestiti li lava tutti Tifa da diversi anni e di mio mi appendo giusto le mutande. E’ evidente che non ho diritto di lamentela.

"E’ stato davvero forte!" proclama Aeris vittoriosa, guardando fieramente il filo che si piega al peso del bucato "Chi ha vinto?"

"Beh, non lo so perché era a carte scoperte, ma se vuoi ti richiamo quando faccio girare la prossima lavatrice."

"Perfetto! E in attesa di ripetere quest’emozionante esperienza…" si mette le braccia dietro la schiena e comincia a dondolare la testa.

Io e Tifa ci scambiamo un occhiata di solidarietà. Vorremmo scappare ma non abbiamo scuse a portata di mano, e quindi ce ne stiamo ad aspettare la patata bollente -che, come tale, una volta sganciata cominceremo a passarci nervosamente l’un l’altro finché non scoppierà.

Il punto è che questa è la posa statica che Aeris assume quando vuole farci capire che sta per chiederci qualcosa, nella maggior parte dei casi qualcosa di assurdo.

"E’ una giornata così bella, ma anche così calda…sarebbe bello andare a farci un giretto, che ne so…magari al Gold Saucer, o giù di lì…"

"Ancora?!" - "Insiste, oh!"

"Dai, ragazzi, per favore…! Sono ERE che ve lo chiedo…! Per favore, per favore…"

"A maggior ragione!" rispondiamo all’unisono. Lei ci prende le mani e ci fa toccare il naso a vicenda. Oddio. Subito dopo, ricomincia.

"Uffa…"

Come una margherita quando il sole è troppo forte, Aeris affloscia il gambo e fa scivolare verso il basso i petali. Io cerco di essere stoico, ma non posso farci niente, muoio quando la vedo così. Ditemi pure che sono debole, o peggio ancora, che sembro l’eroe di uno shojo manga, ma è proprio più forte di me.

"Se non se ne può fare proprio a meno…" alzo la mano "…andiamo…"

Questo è il momento in cui Tifa sospira e dice che verrà anche lei.
Le cose fra noi funzionano così: Aeris chiede, io cedo per primo e Tifa, con la faccia da mammina scocciata ma apprensiva, si aggrega.
Il problema è che non sappiamo dirci di no. Quando uno di noi chiede qualcosa s’innesca una reazione a catena che mette gli altri due inevitabilmente d’accordo.
E lo sappiamo, eh?
Aeris ha gli occhi acquosi e la testa ciondolante, Tifa lo sguardo penetrante e si morde le labbra, io non faccio niente in particolare ma sono così bello che rifiutarmi qualcosa è impossibile.

Conoscendo la metodica della situazione, Aeris tira su il musino e raggiante esulta vittoria vittoria: "Si va al Gold Saucer! Si va al Gold Saucer!" gesticola "Andremo a vedere i chocobo correre!, e poi giocheremo con tutti i videogiochi che ci sono!, e faremo un giro tutti e tre assieme su Gondola Next! Ma ci faranno salire in tre? Oh, che importa, noi ci saliremo lo stesso e…"

"Veramente io non ho detto che vengo…"

Aeris si zittisce e io…io ci resto spiazzato.
Voglio dire, quanti paragrafi sono passati da quando ho detto che le cose vanno sempre allo stesso modo, uno? E’ troppo poco.
Cerco lo sguardo di Tifa, ma quando lo trovo non leggo nulla di particolare. E’ solo seria.

"Non posso, mi dispiace. Ho un sacco da studiare, due ore di lezione con uno nuovo, a mezza giornata sono al dojo e poi di turno al bar."

"Oh, Tiff…" piagnucola Aeris "…devi proprio fare tutte queste cose…?"

"Non posso prendere ferie per un giro al parco giochi, non credi?"

Non lo fa troppo chiaramente, ma io l’ho vista: Aeris ha arretrato di un passo e ha chinato un po’ il capo.

"Si, capisco. Hai ragione."

Io, però, continuo a guardare Tifa. E le guarda me, ma sembra proprio non afferrare che sta sbagliando tutto quanto.
Abbasso lo sguardo su Aeris. Io proprio non ce la faccio a non vederla al massimo della gioia, non riesco proprio a lasciare una sua richiesta incompiuta. Se me lo chiedesse, svuoterei il mare con un bicchiere per lei.

"Non puoi proprio? A che ora vai al dojo?"

"Sentite, se non avessi di mezzo questo ragazzino nuovo potrei trovare almeno un paio d’ore, ma proprio non ce la faccio." strizza gli occhi e giunge le mani come chi vuole farsi perdonare "Mi dispiace."

Dice che le dispiace.
Però…

"Allora…" dice Aeris, con un rinnovato sorriso sul volto "…possiamo andarci domani, o dopodomani. Eh, Tifa? Quando sarai libera?"

Tifa ride: "Guarda che non devo esserci per forza io, no? Perché non ne approfitti per una romantica uscita col tuo ragazzo?"

"Ma a me sarebbe piaciuto che ci fossi anche tu, Tifa…" spiega, rammaricata del suo stesso desiderio, e sorride "Andiamo un altro giorno. Ok?"

Adesso è Tifa a guardare me: "Mmmh, credo che Cloud comincerà a non sopportarmi se prendo l’abitudine di rimandare i vostri appuntamenti per venirvi dietro…Il che non sarebbe un peccato, visto che in quel caso non dovrei più lavare la sua roba." si avvicina ad Aeris e le accarezza la testa "Davvero, Ae, andateci voi due."

"Ma io non voglio andarci in due, voglio andarci in tre…"

"Prima di essere un trio, adesso, fai parte di una coppia…" appoggia la fronte contro la sua "Mh?"

Non dovrei esserne così sicuro, ma credo che stia dicendo una serie di cose terribili.

Sorride, accarezza, ironizza, però…quello che sta dicendo è terribile.

E’ la verità, certo. Logica e sacrosanta verità.

Eppure lo sento io, lo sente Aeris, ha appena detto qualcosa di terribile e non la posso perdonare.

"Dai, Ae…" chiudo la faccenda, mettendole un braccio attorno alle spalle "Andiamo noi. Che c’è, hai paura che ti butti in un fosso?"

Scuote vigorosamente la testa.

Non posso perdonare Tifa per aver detto si queste cose, non in presenza di Aeris.
E’ stato ingiusto e vigliacco da parte sua.
Devo ricordarmi di farglielo notare quanto prima.

E quando lo farò…tornerà tutto a posto. Si renderà conto che le sue giornate ‘no’ non devono ricadere su Aeris e…si, ecco, tornerà tutto come prima.

Perché non c’è niente che possa dare al nostro rapporto un colpo forte abbastanza da farlo crollare.

"Però se ti chiamo al cellulare perché questa bambolotta mi ha fatto fare qualche figuraccia, prendi il treno e la riporti tu a casa, ok?"

Tifa sorride "Ok."

Salutiamo, e ci avviamo alla stazione.
Il sole è ancora caldissimo e non soffia un solo alito di vento.

"Tiff è questi giorni è un po’ strana, non ti sembra?" mi chiede Aeris, guardando il cemento sotto i suoi piedi, mentre seduta sulla panchina muove ritmicamente le gambe. Indossa una lunga gonna azzurra, leggera come veli. Prima non l’avevo notata.

"bah, sarà in uno di quei cinque giorni del mese in cui non può neanche chiamarla per nome…Carina la gonna."

"Trovi?" e con le mani la allarga, mentre slancia in avanti le gambe "Si, è carina, vero?"

"Verissimo. E’ completamente nel tuo stile."

"Grazie mille." ci pensa su e fa una smorfia "Che sia nel mio stile è un complimento?"

"Uh…" mi schiarisco la voce "Dicevamo, si, Tifa è un po’ strana…"

"Insomma, ti piace o no la mia gonna?"

"Ma si, ho detto che mi piace, no? Chiedi conferma a…che ne so, alla panchina. Era sotto di me, potrebbe aver captato i miei pensieri. Sei tu quella che parla con le cose, no? Sfrutta quest’abilità!"

"Io non parlo con le cose, soltanto…" ci rinuncia "Ti odio, Cloud Strife. Parlarti è completamente inutile!"

Spinto da un’improvvisa ondata di tenerezza mi abbasso ed appoggio la testa sulle sue ginocchia.

All’inizio ride, pensando che stia facendo lo scemo, ma subito dopo smette e con le dita mi traccia segni leggeri su una guancia.

"Sei davvero impossibile…Cosa bisogna fare per poter parlare sul serio con te?"

Adesso che siamo soli, non mi sembra più così strano.

Io e Aeris siamo una coppia.

Detto così, non sembra più tanto terribile.

Non fa neanche più paura.

Mi sollevo appena e ci incontriamo a metà strada per darci un bacio. Con la naturalezza con cui si sovrappongono i sogni, diluisco parte del mio corpo in quello della mia bellissima ragazza.

You're headed for disaster
'cos you never read the signs

Act 3.3_too much love will kill you

Se conosco Tifa da abbastanza tempo da essermi completamente dimenticato della prima volta in cui l’ho vista, per spiegare invece come una come Aeris si sia invischiata con uno come me, devo tornare indietro al tempo in cui avevo un amico.

In quel periodo, il mio mondo era tutto quello che si manifestava attorno a Tifa. Niente più niente meno che quel che di visibile c’era attorno a lei.

La vedevo come la cosa meglio riuscita al cielo. Era mia madre apprensiva, la mia sorella maggiore rompipalle, il mio fratellino dispettoso, l’enigmatica ragazza alla quale andavo dietro e la dolce migliore amica tutto insieme. Avevo più terminazioni nervose che convergevano in lei che al mio cervello.

Mi abbagliava.

Ma Tifa non è come me, non lo è mai stata. Lei sa adattarsi, sa rapportarsi e capisce le persone. Quando il primo anno delle superiori finimmo in due classi differenti per me fu un colpo durissimo, un vero e proprio lutto, una crisi adolescenziale e sbando giovanile insieme, in piena regola. Praticamente passavo tutto il mio tempo a respingere qualunque possibile scambio interpersonale e a rodermi pensando a quello che lei poteva stare facendo, alla gente con cui poteva stare parlando…a quelli di cui avrebbe potuto innamorarsi.

L’idea di doverla spartire con qualcuno mi mandava fuori di testa e mi spingeva a compiere una cazzata dietro l’altra. Appena avevo due secondi per farlo, la pretendevo.
Ringhiavo addosso a chiunque la avvicinasse, la strappavo alle persone insieme alle quali stava, trovavo sempre un motivo per impedirle al pomeriggio di uscire coi suoi nuovi amici. Un ragazzo delle sua classe che mi aveva detto trovare simpatico e carino, "sai, credo che abbia un debole per me…", cominciò improvvisamente a sgattaiolare via fra balbettii e scuse stupide tutte le volte in cui la vedeva.
A tutto c’è una spiegazione: un giorno in cui le nostre classi s’incrociavano in palestra, gli dissi che se solo mi dava un’altra volta la sgradevole impressione di star guardando il sedere alla mia amica avrei provveduto a spaccargli le ossa.
La voce girò, credo fosse arrivata anche a Tifa, ma nessuno dei due disse mai niente a riguardo.
Siccome non mi mandò mai al diavolo, finii per renderla la creatura più sola dell’universo.

Ma cosa potevo farci? Non volevo che lei fosse in confidenza con qualcuno con cui non fossi altrettanto in confidenza io.

Detta alla cara, vecchia maniera, avevo una paura terribile di perderla.

Fu per questo motivo che conobbi il mio amico.

Lui si chiamava Zack e aveva due anni in più di me.

Era uno che si faceva notare perché era alto, aveva lunghi capelli neri ed era ritenuto piuttosto bello; inoltre riusciva bene in tutte le discipline sportive, e questo si sa che trasmette sempre una certa impressione di prestanza.

Insomma, un tipo popolare.

Narrava la leggenda che fosse stato a letto con una cinquantina di ragazze diverse, ed io cominciai a seguirlo con lo sguardo nei corridoi quando ebbi l’impressione che volesse fare di Tifa la cinquantunesima.

Non so da cosa lo avessi capito, ma li avevo visti parlare un paio di volte ed ero certo che fosse così, quindi cominciai ad infiltrarmi impunemente in tutte le loro conversazioni ed appena se ne presentava occasione lo contraddicevo e/o lo provocavo.

Andammo avanti così per un po’ fino a quando, un giorno in cui dovetti fermarmi a scuola per espiare un qualche stupido calcio sugli stinchi dato a qualcuno, incontrai Zack, che aveva partecipato ad una riunione dei rappresentanti di classe e mi stava aspettando.

Mi camminò dietro per un po’ prima che io mi decidessi a chiedergli cosa diavolo volesse, ed a quel punto lui mi disse, come se ci conoscessimo benone: "La tua amica, Tifa, mi piace. E’ una ragazza a posto, una di quelle di cui corri il rischio di innamorarti. E’ per questo che non l’ho ancora toccata."

"E allora?"

"Puoi stare tranquillo, insomma, non farti il sangue amaro, se vuoi che non mi allarghi troppo basta dirlo. Lei ti piace, no?"

Io non sono uno che racconta i cazzi propri a destra e a manca, ma neppure uno che nasconde le cose, e se mi fanno una domanda diretta io rispondo sinceramente.

Il che è un problema, perché se imparassi a mentire vivrei in modo molto migliore.

"Si. Mi piace."

Lui fece un largo sorriso, uno di quelli che se avessi cento denti li mostreresti tutti, e questo mi stupì perché pensavo che gli strafighi che piacciono a tutti dovessero avere un sorrisino standard alla Rhet Buttler.

"A me invece piacciono le donne. Ma siccome a me piacciono tutte e a te ne piace una, mi sembra brutto provarci proprio con quella che piace con te, anche perché te l’ho detto che è una a posto."

"E una cosa del genere dovrebbe farmi stare più tranquillo? Il fatto che piuttosto che scopartela ti ci metteresti insieme?" domandai, mantenendomi ostile nonostante fosse appurato che non ce n’era bisogno.

"Ehy, calmo, calmo, non è che ho detto che è punto per te o qualunque altra cosa, ho solo detto che tra noi non è ancora successo niente, e visto che sono ancora in tempo se mi dici che ti interessa faccio a meno di innamorarmi, tutto qui."

"Va bene. Allora fanne a meno."

"Perfetto!" disse, quasi gioendo.

"Quello che non capisco è cosa te ne freghi del mio permesso."

"Anche tu sei uno a posto. Mi piaci, non voglio mettermi contro di te, anzi, sai una cosa?, sarei contento se diventassimo amici!"

Di fronte ad un altro suo sorriso disarmante, io ne fece uno sbilenco dei miei: "Sè, può darsi."

L’assurdo della questione è che amici lo siamo diventati davvero.

Ad un certo punto, non saprei dire esattamente quando, la gente cominciò a considerarci un uno, un nucleo, come Cip e Ciop o Will e Grace.

Non avevo per lui la brama di possesso che avevo per Tifa, e questo rendeva il nostro rapporto più genuino e semplice da gestire.

Zack divenne la mia parte buona, la mia coscienza, il grillo parlante. Mi tratteneva dall’agire d’istinto, ma per me è finito a botte un milione di volte. Se ce n’era bisogno, mi spronava.
Nonostante fosse corteggiatissimo non era affatto borioso, anzi, sapeva mettere le persone mostruosamente a loro agio nel giro di pochi minuti, e forse era questo a renderlo popolare.. Non c’era nulla che tenesse per se, mi diceva senza problemi tutto quanto, era la persona più schietta che mai avessi conosciuto, ma soprattutto era brillante, buono.

Ecco. Buono.

Zack era davvero buono, lo era dentro, costituzionalmente.

La sua natura generosa e la sua spontaneità lo rendevano piacevole a tutti.

Inoltre, cosa affatto trascurabile, mi aveva promesso che avrebbe tenuto giù le mani da Tifa, e io gli credevo. Trovavo quasi consolante che ci fosse qualcuno a vegliare su di lei quando non c’ero io –anche se, in parte, questo mi rodeva.

Un anno dopo, quando passai miracolosamente in seconda, mi misi nei guai con i Turks.

Erano un gruppetto di figli di papà, cresciuti nella bambagia e convinti che tutto gli fosse permesso -cosa del tutto vera- conosciuti negli ambienti scolastici e non per la loro innata capacità di creare problemi agli altri.

Venivano da famiglie facoltose che stanziavano ogni anno diversi milioni a diverse scuole della regione, ed inoltre erano amici stretti o parenti di Rufus Shinra, il fighetto figlio del fondatore -nonché uno degli uomini più ricchi in circolazione. Per tutti questi motivi gli insegnanti erano i primi a chiudere entrambi gli occhi sulla loro condotta.

In generale si limitavano a comportarsi da spacconi, giravano vestiti tipo Le Iene e davano fastidio a chiunque capitasse loro a tiro, ma capitavano anche i casi in cui designavano una vittima e rimanevano fissati con quella finché non la esasperavano a morte.

Io divenni uno di quei casi dopo che Rude, il pelatone del gruppo, urtò Tifa davanti ai miei occhi e non le chiese scusa.

Mi rendo conto di non essere una persona troppo democratica, ma fra che non c’era Zack a trattenermi, fra che quella era stata proprio una pessima giornata perché una prof. m’aveva strigliato, alla prima volta che intimai ‘scusati’ e lui non rispose con uno ‘scusa’ gli piantai un cazzotto che gli fece cadere a terra gli occhiali da sole.

Fra parentesi, ero così un ragazzo bello e problematico che non capisco proprio perché nel fiore dei miei anni nessuna ragazza allegra e spensierata abbia provato a farmi tornare sulla retta via.

Comunque.

Ricordo benissimo il silenzio che piombò, proprio come nei manga.
Il mio fu considerato un affronto molto grave non tanto per il pungo, quanto per gli occhiali, perché Rude non se ne separava mai e narrava la leggenda che nemmeno sua madre lo avesse visto senza dai cinque anni in su.

La cosa non era risolvibile con una stretta di mano.

In particolare mi ero attirato le ire di Reno, il più giovane ed attivista del gruppo (nonché un pazzo che girava con uno di quegli affari che danno la scossa), che da quanto mi giunse all’orecchio era un po’ che aspettava la scusa buona per cominciare a scocciarmi.

All’inizio, lo ammetto, la cosa mi esaltava. Mi sentivo in Hanayori no Dango. Ma col tempo nessuna delle due parti allentò la presa, e dalle stronzatine psicologiche tipo fracassarmi il banco cominciarono a mettermi in pessima (in cattiva c’ero già) luce a scuola, principalmente facendomi passare per l’autore di atti vandalici vari. Venni anche sospeso perché, a quanto pare, ad un prof. arrivò la voce che io tenevo mille gil di hashish nello zaino, cosa che un’ispezione accertò in breve tempo. Non poterono provare che spacciavo, ma la cosa passò per vie legali per un po’ di tempo, e oltre a far prendere un collasso a mia zia -che a quel tempo era mia tutrice- mi fece perdere tre mesi di scuola, con l’ovvio risultato che -nonostante Tifa mi aiutasse a non restare indietro- la mia media si abbassò drasticamente.

Ma, siccome ero una testa di cazzo piuttosto dura, un giorno niente poco di meno che Tseng -il membro più anziano che spadroneggiava però alla sua università- mi chiamò a casa facendomi presente che o mi prostravo pubblicamente ammettendo di essere un povero coglione, o avrebbero cominciato a fare sul serio.

Se parlavi con me, fare sul serio poteva avere un solo significato: Tifa.

Come un perfetto coglione invece che lasciar perdere la stronzata dell’orgoglio e salvaguardare la persona più importante della mia vita, feci la cazzata: con l’intera scuola riunita in aula magna per non mi ricordo più cosa, quando Reno passò accanto alla mia sedia gli feci uno sgambetto secco e lui cadde straiato sul pavimento.

Fui soddisfatto, sul subito, era tanto umiliato da sentirmi quasi risarcito dei guai che mi avevano fatto passare.

Quel pomeriggio, andando alla stazione con Zack e Tifa, Rude, Reno ed un altro che non avevo mai visto, si fecero trovare proprio al nostro binario.

"Chi cazzo è quello?" chiesi a voce alta, perché ancora avevo la fottutissima voglia di fare lo spavaldo.

"Vincent Valentine." rispose sottovoce Zack "In pratica il diretto sottoposto di Tseng."

Era abbastanza ovvio che non fossero lì per offrirmi le patatine alla pizza, e in tutta mia ingenuità ero pronto a far rissa anche fino il giorno dopo, almeno fino a quando Zack spense ogni mio entusiasmo: "Se hanno detto che vogliono fare sul serio, allora è il caso che porti Tifa lontano da qui."

Capii subito cosa aveva in mente Zack, sapevo com’era fatto e chiunque ci sarebbe potuto arrivare: voleva affrontarli da solo.

Naturalmente sia io che Tifa fummo assolutamente contrari, io sostenevo che il problema era mio e doveva essere lui a portare via Tifa, mentre Tifa era incazzata nera perché diceva che eravamo due idioti, che non dovevamo fare gli stronzi e andarcene via tutti e tre.

Purtroppo, Zack con la sua fiducia ed il suo ottimismo, quel modo che aveva di farti sembrare che nulla valesse la pena di essere sul serio, era sempre riuscito a convincerci su tutto e quella volta non fece eccezione.

"Appunto perché non c’entro niente devo restare io. Se ti prendono fra le mani questi come minimo ti mandano in carrozzella, Cloud. Io non c’entro un cazzo, tutt’al più mi rompono un braccio. Questa è gente d’onore, anche se il loro onore ha i canoni sfasati. Mi prendo un po’ di botte, torno a casa e ti chiamo. Ok?"

Provai a farmi valere un’ultima volta, ma lui fece la più grossa bastardata che avrebbe potuto.

Mi tirò vicino a se per un braccio e mi disse seriamente: "Ci tieni ad essere il primo?"

Capii subito cosa intendeva.

Cazzo, lo capii subito.

Arrabbiato per avermi messo una pulce così fottutamente enorme nell’orecchio, mi divincolai in malo modo e dissi a Tifa che avremmo preso il treno insieme.

I Turks ci guardavano in silenzio, con quella loro fastidiosissima classe, aspettavano in tutta tranquillità che facessimo i nostri giochi come se in nessun caso saremmo stati un problema, come se tanto avessero comunque raggiunto infine il loro obbiettivo.

Prima di andarcene Zack tornò quello di sempre, e con un bel sorriso confessò: "Penso di essere innamorato, Cloud. Sai, la ragazza con cui sto ora? Ci sono rimasto proprio sotto. Quindi và tranquillo, che non mi faccio menomare da questi tre stronzi adesso che ho trovato una così."

Lo mandai a quel paese e trascinai Tifa a sedere, senza permetterle di dire altro che "Chiama, ok?"

"Vaffanculo" è stata l’ultima parola che Zack ha sentito da me.

E’ finito in mezzo al binario nel momento meno opportuno della giornata, quello in cui passava un diretto.

 

 

Il giorno del funerale, Tifa non faceva che piangere da due giorni consecutivi.

Fu tutto così…irreale. Mostruoso.

Non credo di averlo ancora ben capito.

Non ho ancora mai pianto per la morte di Zack e sto aspettando tutt’oggi di farlo.

Sto aspettando come sempre che i miei veri sentimenti si materializzino, che quello che sta sotto alla pelle e sta strisciando verso l’esterno arrivi a destinazione e compia il suo dovere; anche se continua a non succedere sono fiducioso.

Forse ce l’ho ancora con lui.

Ma quel giorno, un bel pomeriggio di Maggio, notai qualcuno, qualcuno in particolare fra tutta quella gente che non conoscevo.

C’era una ragazza, appena un po’ distante dai genitori di Zack, che guardava la bara venir calata sotto terra stringendo un grande mazzo di fiori.

I suoi occhi erano lucidi ma non stava piangendo, neppure si tratteneva dal farlo, soltanto guardava e sembrava dire quanto felice fosse di star soffrendo a quel modo per lui.

Apparentemente non aveva nulla di particolare.

Eppure fu come se mi avesse chiamato e non riuscii a staccare il mio sguardo da lei.

Quando venne l’ora di abbandonare Gongaga, e Tifa inghiottiva le lacrime cercando di non singhiozzare, quella ragazza ci avvicinò e gentilmente chiese: "Perdonami, ma devo proprio chiedertelo e non so se avrò mai più l’occasione di farlo, ecco…Tu sei Cloud? Cloud Strife?"

In quel momento vidi da vicino il suo viso, il suo bel viso pulito, rilassato, i suoi occhi verdi che sorridevano da sposa e non da vedova. Annuii.

"Immaginavo fossi tu, ma non so perché. E’come se mi avessi chiamato."

Era sconvolgente.
Perché quella ragazza sorrideva come se tutto fosse normale, come se fosse solo una bella giornata di maggio, eppure trasmetteva una tristezza talmente profonda che sentivo come se le budella mi venissero torte.

"Scusa, ma tu chi…"

"No, scusami tu, sono davvero una maleducata…Io mi chiamo Aeris. La ragazza di Zack." Mi porse la mano "Piacere di conoscerti, Cloud."

"A cosa stai pensando?"

"Uh?"

Aeris mi guarda con quei suoi grandi occhi da…non lo so, mi vengono in mente solo paragoni stupidi, e magari pure un po’ offensivi. Questo è seccante, perché ha dei bellissimi occhi, ma nonostante quella luce vivace e tutto il resto, quando spalanca quelle specie di fanali -oh, m’è scappato- circondati da quella frangia assurda, mi vengono in mente solo cose sceme. Non posso farci niente.

"Hai perso indegnamente, Cloud…" dice, quasi imbarazzata. Io mi rileggo un paio di volte il ‘Game Over’ e scendo dalla moto. Poi ci penso un attimo, le do un calcio e ci risalgo: "Sto schifo non rispondeva bene a destra."

"Stavi pensando a Zack?"

Lo ammetto: ancora mi stupisce.

E si che ci sono abituato a non poter inarcare un sopracciglio senza farle inavvertitamente sapere tutto quello che mi passa per la testa.

"Cosa te lo fa immaginare?"

"Facevi la faccia che fai quando ci pensi, vale a dire questa…" aggrotta ridicolmente la fronte e guarda il vuoto con gli occhi ridotte a due fessure. Mi dà proprio fastidio quando qualcuno rifà la mia faccia. Che, per inciso, non è così stupida.

Comunque nulla toglie il fatto che abbia ragione, e io sono troppo pigro per inventar balle.

"Si, pensavo a Zack."

"Questo gioco gli piaceva." dice indicando la moto su cui sono seduto. Come se non lo sapessi. Ci passavamo le giornate, io e lui, i nostri nomi sono rimasti in testa alla classifica qualcosa come un anno, prima che sti stronzi resettassero il copy-on.

Per la cronaca, si, lui era davanti a me. Ma una quarantina di punti, eh?, un cazzo, l’avrei superato come niente se questa moto schifa non mi facesse sempre fatica a flettere a destra, quando ci son sopra io.

Quello che mi scoccia è che a lui non potrò mai dimostrarlo.

"Mi faceva passare delle ore intere a guardarlo, finché io non mi scocciavo e andavo a giocare alla Mog House."

"Bel gioco da diabete del cazzo, che non ho ancora capito cosa si debba fare…"

"Zack mi diceva sempre…" continua, mettendosi le mani dietro alla schiena. Non so cosa sia, ma quando dice Zack mi diceva mi sento il cuore che si stritola. Non succede con nessun altro verbo, solo con diceva. "…che tu eri più bravo di lui, solo che eri incapace di mantenere la concentrazione, come un neonato, o un tossicodipendente."

"Zack aveva sempre una buona parola, eh?"

Adesso ride, ma non in quel suo solito amabile modo furbetto "Zack mi diceva spesso anche un’altra cosa."

"Che cosa?"

"Mmmmh…" sorride maliziosamente "…non so se posso dirtelo…"

Salto giù dalla moto e rivolgo istintivamente un’occhiataccia ai ragazzetti che dietro di me si stavano lamentando perché la tenevo occupata senza giocarci. Generalmente, e lo dico senza false modestie, alle mie occhiatacce la gente fa almeno un paio di passi indietro. E’ per questo che continuo a farle, altrimenti smetterei.

"Vai, tanto sarà qualcosa di bastardo e non vero. Diceva sempre cose bastarde e non vere per sminuirmi e sembrare più figo."

"Oh, si, come se Zack avesse avuto bisogno del tuo supporto per sembrare figo." incrocia le braccia dietro la schiena e comincia a camminare, divertita, verso gli Ufo Catch.

Io le vado dietro, assolutamente contrariato: " No che non ne aveva bisogno, ma lui non si accontentava mai, lo sai!"

Aeris appoggia entrambe le mani contro il vetro, che si appanna per il suo respiro. Tace per un attimo e vedo il suo riflesso sorridere appena, disegnato sui pupazzetti colorati.

"No, lui non si accontentava mai." si volta velocemente e torna radiosa "Ne prendi uno?"

"Lo sai che non sono capace, e poi mi scazza buttare GP per queste scemate…"

"Invece spenderli per un giochino che neppure ti riesce è intelligente."

"Mi riesce eccome, solo che quella maledetta moto non sterza a destra!"

"Me lo prendi un pupazzetto?" mi cinge la vita con le braccia "Per favore…"

Sospiro e la allontano, spingendola per una spalla: "Pupazzetto sia…"

Mi metto alla macchina e cerco di capire su cosa posso puntare. C’è un pinguino abbastanza esposto, ma è troppo grosso per affare afferrato. Poi ci sono un serpente con la coda di fuori e un chocobo che potrei provare a prendere per il cartellino. Inserisco i GP e la macchina gorgoglia qualche suono per avvisarmi che li ha presi.

"Senti una cosa…" comincia Aeris, proprio quando io dovrei mantenere la concentrazione "Davvero non lo sai se Tifa ha qualche problema?"

Mi distraggo e il rampichino scivola, per poi tornare miserevolmente indietro senza stringere niente.
Non può averla vinta così, quindi metto un altro GP.

"Ma no, cosa vuoi che abbia…"

"Però a me sembra di si…" mette un broncio triste. Io lascio andare il gancio, che prende la testa del chocobo ma è troppo molle per portarselo dietro.
Non posso certo lasciarlo lì, a questo punto, quindi ritento.

"Il fatto…" continua Aeris "…è che lei è sempre così oscura…"

"Oscura." ripeto io con scherno.

"Lei per me c’è sempre, capisce al volo appena qualcosa non va, è davvero incredibile!" unisce le mani, sinceramente ammirata. Poi si rabbuia di nuovo "Però è così brava a nascondere quello che le passa per la testa, che a volte mi chiedo se non ci sia qualcosa che possa fare per…non so come dire, ecco, per farle capire che se condividesse i suoi problemi con me, io farei l’impossibile pur di supportarla almeno un pochino. Sai, tirarla su di morale, o aiutarla, perché io per lei farei proprio di tutto…"

Proprio mentre stavo pensando a tutt’altro, vedo che il chocobo si alza in volo e viene verso di noi. Aeris esulta, battendo le mani e facendo un salto, poi subito si inginocchia per recuperare il peluche e me lo mostra a due centimetri dal naso.

"Non è carino?"

"E’ cucito male, come tutti gli stupidi pupazzetti di queste macchine. Non vale tre preziosissimi Gil."

Ma lei lo stringe ugualmente, come se fosse la cosa più bella del mondo.

Io la guardo e realizzo…che non ho mai ho dubitato un solo istante di amarla.

E’ in questo che risiede l’essenza e la forza di quello che provo per lei, nell’immediatezza, nell’istintività. Mi sono fidato a pelle di lei e non sono mai stato deluso neanche una volta, neanche per un solo momento.

Dopo tutti quegli anni passati a spadroneggiare su Tifa imponendole i miei sentimenti come dogmi, ma senza avere mai il coraggio di proporglieli e discuterne, pensavo che questo sarebbe sempre stato il mio destino: rendere complicate le cose semplici, tentare di possedere invece che provare a solo a chiedere.

Invece è chiedendo ad Aeris di mettersi con me, che ho fatto la cosa più giusta della mia vita.

Per una volta, non ho perso l’occasione.
Prima che il tempo, le distanze, il sesso, la crescita, la morte s’insinuassero fra noi, ho saputo legarmi seriamente ad una persona che amo.

A questo punto, riuscito in un’impresa tanto grandiosa, posso dire una cosa.

Gli errori commessi con Tifa, quelli fatti con Zack…Con Aeris non ce ne saranno.

La abbraccio, stringendola forte come lei stringe a sua volta il chocobo, e la sento ridacchiare contro il mio petto.

"Non devi preoccuparti, tesoro…" le dico a voce bassa "…il tuo potere è proprio quello di renderci la vita migliore senza che tu te ne accorga…"

Con un braccio mi tiene vicino, mentre sento il pupazzetto premere contro lo stomaco.

"Davvero…?"

"La mia vita è migliore da quando ti conosco." le bacio la testa "Non so se questo conti o ti possa consolare, ma è così..."

Lo vedi, Zack, vecchio bastardo, cosa si guadagna a voler fare i gradassi e a morire come martiri o eroi?

Tu sei lassù con la gloria e io quaggiù con la tua fidanzata.

Vent’anni…adesso sono io, quello più grande. Un anno in più, addirittura. E sai cosa farò per festeggiarti? Uno di questi giorni andrò a letto con la tua ragazza e mi godrò la vita che hai buttato via come un cretino…

…Dovrei sentirmi in colpa, pensare che sia colpa mia?

Col cazzo, Zack…la vita è bella abbastanza da non poterla spendere con simili stronzate, giusto? Eri proprio tu che me lo dicevi, quando mi arrabbiavo per qualcosa che non aveva senso.

Però, se ti può consolare…Una cosa, su Aeris, te la posso giurare.

Morirò, pur di non commettere errori con lei.

too much love will kill you
in the end

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Capitolo 4
*** .: 4 - Tifa ***


Act 4.1_ and I feeling the same way

Tifa camminava per le vie della Midgar alta; nonostante sapesse che le sarebbe capitato spesso di passarci, da quel giorno in poi, non poteva fare a meno di guardarsi attorno con l’attenzione certosina di un turista.

Davanti alla vetrina di un negozio di animali si fermò per controllare in quale stato versasse il suo chignon, faticosamente appuntato dietro la nuca, e nel contemplare con leggerezza il proprio viso la sua attenzione si posò inavvertitamente sui gattini che giocavano in una cesta. Sul subito la fecero sorridere, poi pensò a cosa si prova quando stai dall’altra parte di un vetro e la gente ti guarda e ti ammira, ma non ti accarezza mai, e si sentì molto triste.

Avrebbe voluto entrare e portarli via tutti, se solo avesse avuto dietro abbastanza denaro e non fosse stata attesa in un posto.

Che poi, si disse, adesso avresti proprio bisogno d’un cucciolo che ti tenga compagnia.

Perché no? Da piccola aveva avuto qualche gatto. Avrebbe potuto prenderne due, un maschio e una femmina, così le avrebbero fatto le fusa, sarebbero saliti sulle sue ginocchia per farsi coccolare, sarebbero diventati strettamente dipendenti da lei e l’avrebbero amata fino al giorno in cui non avessero deciso di mettersi insieme e girare per il mondo coda nella coda.

Quasi le venne da ridere al pensiero, quindi scosse la testa e riprese il suo cammino.

Doveva ammetterlo, non era ancora convinta d’aver accettato quel lavoro. Le sembrava di stare solo immaginando di essere lì, che quella che camminava non fosse davvero lei, ma la proiezione dell’immagine che aveva se stessa che si stava muovendo nel campo dell’ipotesi, dell’eventualità.

Quando si trovò davanti all’immensa villa, circondata da ettari di verde, le venne un po’ il panico. Gli uomini in divisa appostati all’entrata, proprio ai bordi della stradina che conduceva all’ingresso, non la aiutavano certo a rilassarsi.

Uno dei due smontò la posizione e le si avvicinò: "Signorina Lockheart?"

Tifa annuì.

"Ha un documento con sè?"

Cercò di non storcere il naso -anche se non si aspettava certo di suonare ad un citofono e sentirsi dire ‘Sali’.
Stava cercando nella borsetta la carta d’identità, quando sentì la ghiaia scricchiolare ripetutamente sotto i passi di qualcuno.

Tirò fuori il documento per porgerlo alle guardie attraverso le sbarre, ma qualcuno mise una mano davanti alla sua. Alzò gli occhi, prima bassi perché intimidita, e vide l’aguzzo profilo d’un giovane dai lunghi capelli neri.

"Non vi sembra di essere eccessivamente scortesi?" rimproverò i due uomini, aprendo il cancello con un telecomando. Tifa indietreggiò per far si che questo potesse farsi strada, poi entrò.

"Stavamo facendo il nostro lavoro, signore."

"Anche questa signorina lo sta facendo." si girò verso di lei "Non è così?"

Tifa annuì, ma fu questione di un istante perché incontrasse finalmente quegli occhi, quel volto, e capisse. Fece un passo indietro, per scappare via, ma il cancello si era ormai chiuso alle sue spalle, intrappolandola.

"Venga, le faccio strada."

Percorsero poco lontano l’uno dall’altra il vialetto, fino al portico, dove Tifa trovò modo di pensare, fra le varie cose, che aveva fatto male a mettersi i tacchi, camminare sulla ghiaia era troppo fastidioso.

Evidentemente il suo era un pensiero stupido, in un momento come quello, ma occupava buona parte della sua mente.

D’altro canto si sentiva ancora là, nel campo delle ipotesi.

Lei poteva anche non essere davvero lì, nell’abitazione di uno Shinra, a prendere soldi da uno Shinra per far entrare nella testa d’un adolescente borioso qualche nozione di algebra.

Lei poteva anche non essere davvero lì, a neppure un metro da Vincent Valentine.

Stava solo riempiendo il tempo solitario, lontana da Aeris, lontana da Cloud, immaginando che fosse così.

*

Quando entro, sento profumo di brioche appena sfornate.

Impazzisco per i croissant alla marmellata, ed è terribile che io stia pensando ‘oh, ne mangerei proprio una’ in un momento come questo.

E’ terribile, ma…

"Vorrà perdonare la scortesia dei nostri uomini."

"Stavano facendo il loro lavoro…" rispondo, cercando di comportarmi in modo tutto sommato cortese, nonostante abbia una spinta al ringhio.

"Faranno anche il loro lavoro, ma questo non li autorizza a mettere in dubbio la parola di una signora."

Mi guarda negli occhi. Diritta negli occhi, come poche persone hanno mai fatto.

Non Aeris. Forse nemmeno Cloud…

Già, Cloud…Cosa penserebbe, lui, se sapesse?

Se gliel’ho tenuto nascosto è stato perché posso immaginare cosa mi direbbe…di cosa mi accuserebbe…
Una parte di Cloud vive ancora in quella dimensione sfumata dei bambini. Non penso capirebbe che a volte, per del denaro in più, si può anche mandar giù un boccone amaro…

O forse si?

No…Non in un caso come questo…Non gli ho detto che avrei lavorato per uno Shinra perché si sarebbe completamente opposto, ma se ora addirittura gli dicessi che sto parlando con Vincent Valentine, lui…

Non potrei reggere il suo sguardo.

"Devo ammettere…" riprende la parola, facendomi segno di seguirlo "…che non avrei mai pensato avrebbe accettato questo lavoro…signorina Lockheart."

Quel che fin’ora non mi era ben chiaro, comincia a prendere forma.

In parte immaginavo che dovesse ricordarsi di me almeno di sfuggita, ma d’altro canto non avevo certo la pretesa di lasciare nelle persone un immagine così vivida dopo solo cinque secondi che mi hanno vista, specialmente in persone come quella che ho davanti.

Invece, è ovvio che sa chi sono.

E’ ovvio che sa che era un mio amico, quello che i Turks hanno ammazzato.
Chissà…forse è stato lui stesso a farlo…

"Neanche io avrei pensato di accettarlo."

"E perché lo ha fatto?"

"Molto brutalmente…soldi."

"Si" sorride "Chi lo ammette è la gente che poi lavora seriamente."

Oddio, è tutto così…assurdo.

Vincent Valentine mi ha appena sorriso e io non gli sputo in faccia.

Eppure dovrei avercela a morte con lui.

Eppure…eppure…Ho come l’impressione che il cuore mi si stia avviluppando su se stesso, da tanto poco che riesco a sentire…

‘E’ solo lavoro’, sento, ‘diventa adulta’.

Ma è questo che significa, diventare adulti?

Vendere i propri sentimenti per qualche soldo?

Beh…molti soldi.

Ma non fa differenza.

Io vorrei odiarla, questa persona.

Eppure mi è soltanto indifferente…

"Ha una domanda da farmi?"

"Come, scusi?"

"Non mi chiede perché abbiamo cercato lei e non qualche professore più qualificato?"

"Per lo stesso motivo per cui mi chiamano in molti, davo per scontato. Per far si che i ragazzini stiano attenti alla lezione."

Non è vero, me lo sono chiesta e richiesta. Ma non voglio dare l’impressione di essere agitata. Non voglio innescare una miccia che non so se potrei controllare, ma soprattutto che potrebbe spegnersi miseramente subito dopo.

Valentine ride: "Forse, in parte, anche per questo. Sono stato io, a premere affinché la chiamassero."

Mi fermo sulle scale, mentre lui è ora al secondo piano.

"Perché…?"

"Non rispondo mai alle domande dirette. Ognuno ha le proprie abitudini." sorride cortesemente, e quasi io gli do ragione.

"Non mi pare molto più educato che domandare i documenti di una ragazza."

"E’ una questione di garbo, signorina. Se…" torna indietro, scendendo un gradino. Mi guarda ancora negli occhi e così, senza un motivo apparente, s’inchina come immagineresti fare ad un vampiro che t’invita nella sua dimora "…le si fossero inchinati, e con gentilezza le avessero domandato ‘per cortesia, ci farebbe il favore di mostrare i documenti per un controllo rituale?’…" si alza, tenendo gli occhi sui miei "…non avrei avuto nulla in contrario."

"Nessuno farebbe mai una cosa simile."

"L’ho appena fatta io."

"A parte lei, allora."

"Ha comunque capito quello che intendevo dirle."

Annuisco. Il suo sguardo mi mette a disagio, così fingo di starmi sistemando dietro alle orecchie la ciocca di capelli troppo scalata per arrivare allo chignon.

"Lavorerete nello studio della biblioteca. Prego, da questa parte."

Lo seguo. La casa è così grande e silenziosa che sento i miei tacchi battere troppo forti, e mi odio per essere così rumorosa e sfacciata.

Valentine, al contrario, non produce suoni. Sembra scivolare sul parquet come uno spirito arcano.

"Il mio fratellastro tende ad essere sprezzante, nonché in qualche modo insopportabile, i primi cinque minuti, ma nel giro di altri cinque sarà troppo ammaliato per continuare. Ha un debole per le belle ragazze."

"Allora avevo ragione."

"Non è detto. Ha un debole per le belle ragazze, si, ma quale uomo non l’ha? La sua non è una gran intuizione, se mi permette di farglielo notare."

Non so come, mi scappa un cruccio offeso. Lui ne ride pacatamente e mi augura un buon lavoro, mentre il suo corpo silenzioso scivola via, lungo le scale.

Quando rincaso sono le sette di sera.

Mi sono fermata un’altra volta davanti al negozio di animali, e così ho perso la coincidenza del super-rapido e ho dovuto ripiegare su una linea ordinaria che mi ha portata indietro in un’ora in più.
Ho il tempo di farmi una doccia, mangiare, rilassarmi una corsa e prepararmi per prendere un altro treno ed andare al bar.

Lo so che è uno spreco e avrei anche potuto restare in città, per tanto così, ma d’altra parte in questi giorni faccio molte cose inutili e stupide per tenermi occupata la testa, compreso l’avanti e indietro fra Nibelheim e Midgar il doppio del necessario.

Entro in casa e la stanza buia, così come lo lasciata, m’accoglie con freddo entusiasmo.

A volte penso che questo è quello che farò per tutta la vita, tornerò dal lavoro che avrò e mi metterò a cucinare per me stessa come se nutrissi il desiderio di trattarmi da regina, nascondendo invece le mie reali intenzioni che sono il raffinarmi sempre di più nella pallida attesa di trovare un uomo che sia disposto a innamorarsi di una zitella che ha passato la trentina e metter su famiglia.

Non che stia aspettando così ardentemente un uomo, sia chiaro.

Però è triste che fra tutte le possibili visuali sul mio futuro questa sia la ricorrente.

Un’altra cosa triste?

Che tutto debba sempre e comunque ricondursi ad Aeris e Cloud.

Lo so che è patetico e sto giocando il ruolo della vittima, un ruolo che non dovrebbe toccarmi.

Ma quando pensavo al domandi, tanto in un futuro prossimo quanto anteriore, loro c’erano.

Non li progettavo, non li includevo apposta, ma c’erano.

E adesso questa possibilità mi è preclusa. E’ come se improvvisamente fossi stata costretta a rivedere tutta la mia vita, e io non so cosa cambiare per far quadrare ancora i conti. Non posso più usare i canoni di prima e sono senza niente.

Essere un trio è diverso dall’essere una coppia e un uno.
E se anche fra di loro non dovesse funzionare, se anche tornassero semplicemente amici come prima, non saremmo comunque più un trio, ma tre uni.

Qualunque via imboccherà il nostro rapporto, ci sarà qualcuno che si separerà da qualcun altro, inevitabilmente…

E’ assurdo che per una sciocchezza del genere mi debba sentire così.

Perché non è solo una questione di amore perduto, no, non è solo perché io amo Cloud che mi sembra tutto mi stia crollando addosso.

E’ piuttosto perché ho scoperto d’aver creduto per tutto questo tempo in qualcosa di così…fragile…

Cosa sarà del mio futuro se non perderò questa pessima abitudine?

Che fine farò, se per tutti i giorni ancora continuerò a convincermi della solidità della carta velina?

Scuoto la testa per scacciare i pensieri, e già che ci sono scaccio anche questi sandali che mi torturano.

Forse avrei davvero bisogno di qualcosa di cui prendermi cura, ma non un gatto, che è risaputamene opportunista, qualcosa che dipenda strettamente da me. Un cane, per esempio. O anche un pinguino. Qualunque cosa.

Salgo per darmi una sciacquata al viso, dovendomi comunque rifare il trucco per andare al lavoro.

In bagno mi tolgo i vestiti e cerco di non guardare la mia immagine nello specchio mentre accendo la luce in camera e cerco la prima t-shirt che sia disposta a saltarmi addosso.

Quando ne trovo una e la indosso decido di aprire le aprire le tapparelle per far entrare ancora un po’ d’aria prima di chiudere tutto e uscire, così appena mi affaccio vedo Cloud, appoggiato al davanzale della sua finestra che mangia patatine.

Cerco di far finta di nulla e rientrare, ma lui alza la testa e mi vede.

"Non vai al bar?"

"Ho scordato una cosa a casa e sono dovuta tornare."

Cloud mette la testa fuori del tutto, poi si arrampica sul davanzale della sua finestra e ci si siede sopra. Ha cominciato a farlo quando avevamo forse quindici anni, era il modo più comodo in cui potevamo parlarci quand’era troppo tardi per uscire senza che i suoi zii e mio padre se ne accorgessero. Purtroppo fra le nostre grondaie c’era troppo spazio perché potessimo sfruttarle a nostro favore.

A quel tempo sognavo spesso di avere capelli lunghissimi.
Se fossero stati lunghi abbastanza avrei potuto intrecciarli e lanciarli a mo di corda al mio principe, che si sarebbe arrampicato fin da me.

Le cose sono andate un po’ diversamente.
I capelli li ho fatti crescere, ma nel frattempo lui ha stretto un’altra treccia, e io ci metto delle ore a raccogliermi quest’inutile chioma che potrei effettivamente tagliare.

"Hai già mangiato?"

"Lo sto facendo adesso." mi mostra le patatine.

"Intendo una cena vera. Qualcosa in un piatto, con le posate e tutto il resto."

"Si, ho fatto anche quello. Non sapevo che saresti tornata, altrimenti ti avrei aspettato."

"Hai fatto bene a non farlo, credo che opterò per le patatine anch’io. Cos’hai mangiato?"

"Una cosa magica. Praticamente tu prendi questo sacchetto dal congelatore, lo casti in una padella e dopo un breve tempo di caricamento il contenuto diventa commestibile."

"Quella roba non ti fa bene, è piena di conservanti."

"A me piacciono i conservanti. Hanno un buon profumo. E poi non hai diritto di farmi la predica, hai appena detto che mangerai patatine."

"Se resto qui ancora un po’ non avrò il tempo neppure per quello."

"Magari vengo a trovarti al locale. Potrei vestirmi figo, spettinarmi un po’ e sembrare uno che passa di lì durante la sua notte di bivaccate. Così tu non ti sentiresti oppressa ma contemporaneamente saresti l’invidia delle tue colleghe perché quando ci sei tu c’è sempre quel bel ragazzo biondo, secondo me sta cercando di circuirti."

"La proposta è allettante, ma non ne vale la pena, sta pure a casa."

Cerco di salutare e chiudere le finestre, ma lui dice: "Tanto passo comunque a prenderti, no?"

"Non è necessario." mi sporgo di più, affinché gli entri bene in testa "Torno con Jessie, abbiamo lo stesso turno."

"Bene, addirittura in due, la felicità delle bande di stupratori."

"Lo sai che so difendermi."

"Non è una questione di forza. Stacchi sempre alla stessa ora, giusto?"

"Dovresti accompagnare a casa la tua ragazza, non me."

"Cosa che infatti faccio. Dì quello che vuoi, ma io vengo."

"Se vieni m’incazzo."

"Incazzata sei buffa, quindi per me va bene."

"Cloud! Ho detto di no!" alzo la voce.

"Ma cosa sono tutti sti problemi all’improvviso? L’ho sempre fatto, no?"

"E ti ho sempre detto che non è necessario!"

"Beh, tu dì quello che vuoi, ci vediamo al locale."

"Cloud!"

"Vorrò che sia tu a servirmi da bere, quindi preparati. E mangia qualcosa, che le patatine non bastano."

Scende dal davanzale e sparisce oltre la sua finestra.

Ho fatto entrare aria a sufficienza, quindi chiudo tutto e guardo l’orologio.

Non ho assolutamente tempo di mangiare, lo farò se avrò un momento di pausa al lavoro.

Mentre mi preparo mi viene mille volte la voglia di chiamare Cloud e dirgli di raggiungermi presto, perché saprò anche difendermi, ma solo se c’è lui mi sento protetta.

Ho voglia di affacciarmi di nuovo alla finestra, sciogliere i capelli per vedere se magicamente riescono ad arrivare alla sua.

Invece resto ferma, davanti allo specchio, a dipingermi addosso una Tifa diversa, una che non ha tutta questa paura del domani, una che non si sente così debole per dei motivi così stupidi.

Una Tifa che possa piacere almeno un po’ agli altri, visto che a stento sopporta se stessa.

And I'm feelin' the same way all over again

Feelin' the same way all over again

Act 4.2_ No matter how much I pretend

Il locale dove lavoro si chiama Seventh Heaven; è piuttosto famoso in zona e questo lo rende particolarmente trafficato sette giorni su sette. La fascia in cui si vede più gente è comunque quella dalle undici di sera alle tre del mattino, e oggi mi tocca di coprire dalle nove alla chiusura.

Tutti questi preamboli per lasciar fra le righe la natura del posto, ma mi sembra il caso di spiegare che qui la gente ci viene soprattutto per le ragazze. Non è esattamente un sexy-bar, siamo quasi tutte bariste e certamente non ci sono streap, ma quando è uscito "Le ragazze del Coyote Ugly" molti gestori hanno dovuto rivedere i propri schemi, ed ecco quello che ne è nato, nel nostro caso.

La musica è sempre altissima, le persone si spingono come una massa informe contro il bancone togliendoti il fiato ed in dodici ordinano puntualmente nello stesso identico momento, mentre altri sei cercano di rimorchiarti non capendo che fino a quando ci sarà qualcuno che avrà voglia di bere, difficilmente potrai andare a fare un giro con lui. Fa sempre un gran caldo, non importa a quanto sia accesa l’aria condizionata e quante volte venga aperta la porta d’ingresso, ogni secondo è buono perché una corra molto velocemente in bagno a lavarsi il sudore di dosso. Non abbiamo invece assolutamente tempo per controllare lo stato dei capelli, tranne in quei casi di fortunata calma, per questo quando finisco il mio turno mi sento come se il primo specchio che incontro mi facesse le boccacce, devo sempre scioglierli e legarli in una coda di cavallo perché la posa è ormai irrecuperabile.

Sono quasi le due quando ho un secondo per bere un bicchiere d’acqua.

Jessie mi grida "Cinque minuti e a casa!" nel momento in cui mi sguscia accanto. Mette a riempirsi due bicchieri di birra mentre prende tre bottiglie per il collo. Sto per risponderle quando mi dice "Porta un Martini all’angolo in fondo, un bel ragazzo chiede di te, credo che ti conosca."

Cloud è davvero un imbecille, penso, e vado a sbattere contro un’altra ragazza perché tutte e due ci siamo lanciate incoscientemente sullo stesso shaker.

"Non posso muovermi, aspetto la pausa."

"Anticipala di cinque minuti, ti copro io."

I riflessi dei suoi lunghi capelli rossi scintillano in maniera incredibile, e poi adoro come li porta, liberi e morbidi sulle spalle, anche se mi chiedo come faccia a non impazzire. Se non li punto in qualche modo io vado fuori di testa dopo dieci minuti, e non è certo una cosa della quale mi compiaccio.

"Jess, adesso devi andare a casa…"

"Appunto, Tifa, sono dieci minuti, a buon rendere."

Il buon rendere è una regola, fra noi. Ogni cosa è a buon rendere, specialmente quando riguarda il tempo. Ci prestiamo e scambiamo vuoti di dieci minuti come figurine rare, e con quelle con cui hai minore confidenza rifiutare significa prendertelo nel di dietro quando ti serve un favore.

"Va bene" verso velocemente un Martini e appoggio sul vassoio la roba di Jessie "Ci penso io, dove vanno questi?"

"Tutti al tre, grazie."

"A te, qualche volta ti offro qualcosa."

"Magari un cinema, o una gita allo zoo, quello che vuoi, non un giro per bar."

Passo fra le altre e sbrigo con assoluta rapidità il lavoro fin quando non resta solo il Martini. Rido, pensando a cosa cavolo sia preso a Cloud per fare il sostenuto ordinando un Martini, lui di solito prende tutta una serie di schifezze assortite.

Al tavolo all’angolo, però, non scorgo la sua inconfondibile testa biondo grano, piuttosto una lunga chioma corvina. Non ho tempo di decidere cosa fare che Vincent dice "Si, quello è mio."

Appoggio il bicchiere sul suo tavolo, un po’ frastornata.

Cosa ci fa qui?

"M- mi cercava?"

"Passavo di qui…" cominciò lui, calmo "…nel senso che ero nel soggiorno di casa mia, quando ho pensato che avrei potuto vedere dove lavora."

"Come faceva a sapere sto qui?"

Lui sorride al Martini e beve il primo sorso.

Che domanda assurda, chiedere a qualcuno della famiglia ShinRa come faccia a sapere tutto di noi poveri mortali. Non solo Midgar, mezzo continente è in mano a loro. Ci catalogano tutti come vecchie pratiche impolverate.

"Può sedersi. E’ in pausa, giusto?"

"Si, però…" mi mordo le labbra. Avrei voluto tenere la pausa per Cloud. Verrà sicuramente, visto che gli ho detto e ripetuto di non farlo.

"Non sarà forse quel tipo di persona che approfitta della gentilezza degli altri?"

"Uh?"

"Se adesso torna, che ne sarà del favore che le ha fatto la tua amica? Sarebbe poco cortese revocarlo, non crede?"

"Come fa a…" incontro il suo sguardo e mi fermo.

E’ inutile, lui non risponde mai alle domande. Sospiro e mi siedo sulla poltrona.

"So che ha poco tempo, quindi vado subito al dunque."

"La ringrazio, anche se non capisco cosa può essere così importante da non poter aspettare che venga da voi per la prossima lezione…"

"Ci sono scelte che si prendono in un momento, e due momenti dopo non se ne è più certi. Non volevo attendere questi due momenti dopo."

Sento il rumore di un bicchiere che si spacca. C’è un gran casino e chiunque altro non ci farebbe caso, ma la mia è una deformazione personale.

"Per la precisione, Tifa…la disturba se la chiamo per nome?"

Scuoto la testa. Non so se mi dia fastidio, ma per tenermi stretto il lavoro è meglio che gli dica di no.

"Era molto tempo che desideravo esprimerle il mio rammarico per…come la si può definire…l’infelice vicenda di quasi cinque anni fa."

Sul subito, lo ammetto, non afferro.

Poi mi maledico: Tifa, stupida capra egoista insensibile.

Non so cosa provare né come reagire.

E’ certamente vero che mi sento irritata, presa in giro.

Ma non so come reagire.

"E’ rammaricato di averlo ammazzato?" mi scappa dai denti.

"Non commettiamo errori, signorina, io non ho fatto nulla."

"Lei era lì." gli rispondo duramente.

"Ero lì per controllare che nessuno andasse troppo oltre."

"Non l’ha fatto sufficientemente bene, allora."

"E’ stato un tragico incidente, nessuno avrebbe ucciso nessuno. Erano ragazzi vivaci, ma non al punto da compromettere parte della loro vita per una sciocchezza simile."

"Sciocchezza." il mio corpo sta per alzarsi dalla poltrona "Vivaci."

"Il motivo della discussione, era una sciocchezza. Non certo il drammatico epilogo."

"Su questo sono d’accordo. Era una sciocchezza, anzi, è il caso di dire che era una stronzata. Ma Zack è comunque morto."

"E ne sono stato immensamente dispiaciuto. Ero al funerale."

"Questo cambia tutto."

"Perché questa reazione, questo modo di guardarmi? Dopotutto lei sapeva chi ero anche oggi, quando è venuta a casa mia."

"Non avevo motivo per—"

"Non crederò che lei sia una persona insensibile solo perché non nutre il desiderio di scorticarmi il petto, Tifa."

"Lo crederò io." dico più piano.

"Per quanto profonde siano, il tempo si adagia sulle ferite, filtra nel sangue e colma l’incisione del segno." fa una pausa per non far sembrare che si sia preparato il discorsetto "Non deve sentirsi una cattiva persona se odiare qualcuno che neppure conosce per vaghi motivi non rientra nelle sue solite occupazioni."

Vaghi motivi?

Li chiama ‘vaghi motivi’?

Lui era lì quando Zack è morto.

E lo sappiamo che non è stato nessuno…che nessuno aveva quell’intento.

Ma è successo e io…

Sono contenta attraversa la mia mente come un lampo.

Dio, non per la morte di Zack, ma perché l’ho sentito, per un attimo. Il dolore della perdita. Il ricordo.

Posso sentire ancora qualcosa.

E questo è…

"Quindi, nonostante tutto, ha infine risposto alla mia domanda…" sorrido vittoriosa.

"Quale domanda, di grazia?"

"Per quale ragione avete chiamato proprio me."

"Mi avete sentito per caso dire che mi stavo riferendo a questo? Non per essere scortese, ma lei è completamente fuori strada, Tifa."

"Allora si può sapere per quale ragione…" mi fermo e sospiro. Tanto sarebbe inutile.
"Temo che la mia pausa stia finendo." decreto, sbirciando il suo orologio da polso.

"Vada pure, non ho intenzione né di mettere nei guai lei, né di rubare altro prezioso tempo alla sua graziosa amica rossa. La ringrazi da parte mia."

"Sarà fatto…" mi alzo frettolosamente. Il modo di fare di questo ragazzo mi mette a disagio, anche se non riesco ancora a capire perfettamente il perché. Saranno i suoi modi. Sarà che non riesco a capire se sia serio o si stia prendendo gioco di me. Sarà che quei suoi occhietti neri che si nascondo dietro alla frangia mi fanno sentire scoperta, ma incapace di contrattaccare…

"Ah, signorina…"
Mi volto e lo guardo. Questo ‘signorina’ continuo mi suona assurdamente strano, ma non so se lo potrei definire fastidioso.

"Torna a casa sola?"

"E’ una domanda a cui la mamma mi ha insegnato a non rispondere."

"Sua madre deve essere una persona molto saggia."

Non perdo l’occasione di sentirlo scusare: "Non ne parli al presente, mia madre è morta."

"Questo la rende meno saggia?"

Non si è scusato. Ma gli sorrido e lui mi sorride.

Mentalmente chiamo il nome di Cloud e gli dico che gli starà bene se quando arriverà non avrò uno straccio di tempo da passare insieme a lui.

Ma quando torno al bancone continuo a guardarmi attorno, nella speranza che i suoi inconfondibili capelli biondi appaiano all’orizzonte.

*

Quando esco dal locale è più tardi del solito perché all’ultimo minuto ho dovuto coprire il ritardo di un’altra ragazza. Non è un problema. Il mio lavoro non mi dispiace; certo, non è quello che voglio fare per il resto della mia vita, ma mi piace.

Che poi, cosa parlo a fare io di ‘resto della vita’?
Non ho la minima idea di che cosa voglia fare, per il ‘resto della vita’.
E poi mi permetto di predicare tanto con Cloud – sono sempre stata così.

A volte penso, così, a mente lucida, che forse la cosa migliore per me sarebbe passare il resto del miei giorni al Sevent Heaven. Non ho poi così bisogno di grandi ambizioni, io, potrei essere perfettamente felice servendo ai tavoli e riempiendo boccali di birra fino all’ultimo respiro. Può anche darsi che sia questo quello che voglio fare, e che pensare ad andarmene sia solo un modo per convincermi che valgo qualcosa.
Come se il valore di una persona lo si stabilisse in base al lavoro che fa.
In fin dei conti, cosa mi manca qui?

Mi diverto. Parlo con la gente. Posso avere con una persona smarrita e mezza ubriaca alla quale servo da bere un rapporto più intimo di quanto non ne avessi coi miei ex. Ho delle ottime colleghe e fra loro ci sono grandi amiche. Lo stipendio è più che buono e gli orari non mi pesano.
E poi ci sono gli uomini.

Gli uomini…

Può darsi che sia sbagliato pensarla così, però…mi piacciono, gli uomini.

Si, ok, questo è ovvio, quello che intendo dire è…mi piacciono gli uomini che vengono al locale. Specialmente quelli che vengono al locale per vedere me.

Il modo in cui mi guardano…come mi offrono da bere, o i più volgari mi fanno proposte o provano a toccarmi, o altri semplicemente fanno la fila venti volte in una sera e quando arriva il loro turno mi dicono ‘ciao, bevo quello che vuoi tu’…

Mi fanno sentire…

………

…….desiderata…?

Non lo so…forse si.

Perché non mi importa se ovviamente nessuno nutre un interesse serio per me o se probabilmente con nessuno di loro troverei mai niente in comune nemmeno a cercarlo mille anni, quello che invece importa è il momento in cui il loro sguardo scivola su di me e poi cerca il mio, fugace, ma attento.

Loro mi guardano come se fossi carne bellissima.

Mi guardano come se volessero farmi godere come non ho mai goduto, almeno una volta o due.

Mi guardano come……come Cloud non mi guarderà mai.

Cloud, già…mi guardo intorno. Alla fine quell’idiota non è venuto davvero, e io ho anche dimenticato il ricambio nella fretta e devo farmela fino a casa in minigonna con questo freddo.

Sono stata una stupida.

Perché gli ho detto di non venire?

Perché, quando era chiaro che lo volevo?

…o forse no?

Oddio…lo volevo? Non lo so.

Non so più cosa voglia Tifa, se essere amata o essere sola.

So solo che se prima era tutto normale, sopportabile, adesso quando sono con Cloud e sento il suo corpo nelle vicinanze del mio è come…come se diventassi una persona terribile. Cattiva. E crudele. E inaffidabile.

E……innamorata, che posso farci?

Mentre cammino stringendomi il più possibile il cappotto attorno alle gambe, sento dei passi dietro di me. Mi giro di scatto e non ho neanche il tempo di aspettarmi qualcosa, un maniaco stupratore o l’uomo che vorrei qui adesso, che riconosco immediatamente la sagoma di Vincent Valentie.
Mi scopro a sospirare di sollievo.

"Sono dispiaciuto per averla spaventata. Tuttavia, sarebbe carino da parte sua se si degnasse di accorgersi delle persone che la stanno gentilmente aspettando."

Mi viene da ridere per il sollievo e mi metto una mano davanti alla bocca per nasconderlo, "Scusi, ero sopra pensiero e…", però non basta e così mi fermo a ridere un attimo, uno solo.

"Ho fatto qualcosa di divertente?"

"No, è mi sa che mi sono davvero spaventata." cerco di smettere, affondando nel collo morbido come peluche del cappotto.

"Lo credo bene, una signorina tanto carina e tanto poco vestita, che passeggia da sola a quest’ora di notte negli Slums…potrei credere che stia cercando in tutti i modi di essere aggredita."

"Chi lo sa, forse è così." ammicco, ben disposta.

"Se mi permettesse, la aggredirei io stesso di buon grado."

Mi scappa una specie di risata, mentre lo guardo come una scema: "Eh?"

"Era solo un’idea. Intanto, la accompagno."

Quando ricomincia a camminare, io mi allontano un po’. Ho perso tutta la distensione di poco fa e solo ora mi rendo conto che non c’è motivo per cui un tizio che conosco appena, e di cui ho tutto fuorché ricordi piacevoli, debba preoccuparsi per me.

"Se mi sta a quaranta metri indietro, però…" mi richiama, dopo un po’ "Tanto vale, non crede?"

Vergognandomi, aumento il passo e lo raggiungo.

"Non deve preoccuparsi, non ho intenzione di aggredire proprio nessuno senza consenso."

"Perché immagino che sia abituato ad aggredire le persone" dico, più acida di quanto non avrei voluto.

"Solo quelle che mi piacciono."

"E io le piaccio?", non so perché ho chiesto una cosa del genere.

"Una domanda diretta? Mossa poco furba. Con un po’ d’ingegno avrebbe ottenuto tranquillamente una risposta senza formulare alcuna domanda."

"Credevo fosse legittimo da parte mia. Devo sapere se sono in pericolo o no."

"Non lo è, a meno che non mi chieda di sentirsi tale."

"Non credo che capiterà…"

"No, ora no. Ora voglio solo permetterle di arrivare tutta intera a casa."

Siccome non voglio tirare troppo la corda rischiando che se ne vada, lascio perdere e recupero il passo fino a mettermi al suo fianco, a pochi centimetri da lui.
E’ a questo punto, però, che appena prima di svoltare l’angolo lo vedo, in fondo alla strada, inconfondibile com’è solo lui.

Cloud.

Quasi non strofino gli occhi per vederci meglio ed essere certa di non sbagliarmi, di non starlo soltanto sognando.

…no, è Cloud.

Lo sapevo, lo sapevo che sarebbe venuto.
E’ una stupida testa di cazzo, dopotutto, per forza che non mi avrebbe dato retta.
Per forza.
La solita, stupida carissima testa di cazzo…

Un certo punto, però, torno allo spazio che mi circonda, a questo momento.

Vincent mi chiede: "Fretta?"

Ho aumentato il passo senza rendermene conto.

Mi mordo le labbra, indecisa sul da farsi, e intanto indietreggio perché Cloud non mi veda se per sbaglio dovesse alzare gli occhi.

Vincent è stato molto gentile ad aspettarmi. Non posso certo dirgli ‘grazie e arrivederci’.

D’altra parte, se passassimo davanti a Cloud, lui…

…che cosa penserebbe se mi vedesse insieme a Vincent Valentine…?

"Le sue labbra sono già sufficientemente rosse, non ha bisogno di torturarle così."

Smetto di farlo perché secondo una strana logica mi sento in dovere di fare tutto quello che mi viene chiesto di fare dalla persona che sono in procinto di scaricare. La cosa mi ha sempre creato problemi con gli ex, visto e considerato che prima di lasciarli ci sono sempre andata a letto un’ultima volta per questo contorto senso del dovere.

"Il suo amico è arrivato. Contenta?"

"Io…"

"Vada tranquilla, ci vediamo lunedì."

Non sono poi così tranquilla. Mi rendo conto che andarmene davvero sarebbe un gesto abbastanza maleducato da dover camminare col capo chino tutte le volte che lo rivedrò per esigenze di lavoro. Non troppo, in vero, essendo che Vincent non abita effettivamente dagli Shinra, deve essere solo di passaggio per motivi che non conosco…
Vista così, sembra per un attimo meno terribile.
Lui indietreggia e io lo guardo.

"Se Strife dovesse accidentalmente voltarsi da questa parte e ci vedesse uscire insieme sarebbe spiacevole. Lo ricordo piuttosto" una breve pausa, studiata per calibrare meglio la conclusione "possessivo."

Sto per mordermi ancora le labbra ma mi trattengo perché sono appena stata rimproverata per questo.

"Ora lui è cambiato." dico, anche se so benissimo che Cloud s’incazzerebbe davvero da matti se mi vedesse con Vincent, anche se non per i motivi che lui immagina.

Una volta Cloud è stato davvero molto possessivo nei miei confronti.
La cosa mi faceva a tratti piacere e a tratti incazzare.

Adesso quel suo pretendermi solo per sé così sfacciato e prepotente mi manca da morire.

"Ha finalmente imparato a non crearsi più problemi di quanti non ne riesca a risolvere?"

"E’ solo…cambiato." scuoto la testa "Non è più così possessivo nei miei confronti."

"Meglio così. Non è mia intenzione arrecarle ulteriore disturbo, è già indirettamente successo una volta e le conseguenze non sono state piacevoli."

"No…"

Vincent fa un altro passo indietro e io capisco cosa mi vuole dire.

Per un attimo sono tentata di trattenerlo nel suo allontanarsi, di afferrare la sua gentilezza ed approfittarne come so, so, che dovrei fare.
Ma invece lo saluto con un cenno imbarazzato, e corro da Cloud col cuore che per un motivo o per l’altro mi fa male.

Singin' the same lines all over again

No matter how much I pretend

Act 4.3_I cant’ deny the way I feel inside

Quanto sarà caldo il respiro di Cloud?

Non riesco più a parlare di Cloud della mia vita. Di quello che faccio. Di quello che sento.
Quando ci provo, mi sembra di non stare nemmeno dicendo qualcosa.

Mi sono sempre detta che il mio interesse romantico nei suoi confronti non avrebbe compromesso quello che invece si era già consolidato tra noi, che non avrei mai mescolato le sensazioni d’amore con la sicurezza della nostra amicizia.

Questo andava bene finché lui non era di un’altra.

Mi rendo conto di essere stata una stupida, ma potete capirmi?, ho passato insieme a lui così tanto tempo che avevo cominciato a dare per scontato sarebbe stato così per sempre, io e lui, lui ed io…ed Aeris.

Capisco che la mia pretesa di dividere il cuore a metà fosse assurda, ma non potevo immaginare che i sentimenti s’intaccassero così l’uno con l’altro.

Ora ogni parola che rivolgo a Cloud e che non sia "mi piaci" diventa sterile.

Adesso sono parte di un’amicizia a metà e gravida d’un sentimento abortito.

Mi sento gonfia e stanca. Vorrei soltanto andare via.

"Lo sai fare il caffè, vero?" mi chiede per accertarsi che sia ancora viva, visto che sono in cucina da un po’.

Vado da lui, appoggio la caraffa sul tavolino con modi gravosi e lo guardo severamente.

"Siediti."

E’ sdraiato come uno che deve guardare una commedia in tv, lo scemo. Invece è qui per studiare.
Cloud dice di non riuscire a studiare se non ci sono io che gli sto a fianco, o faccio anche solo avanti e indietro per la stanza. E’ troppo abituato ad avermi attorno che rompo le palle, dice.

So che il suo intento è solo quello di essere servito e riverito, l’ho abituato troppo bene, ma ho buona fede abbastanza da credere che almeno in questo senso, gli anni lo abbiano legato a me.

"E allora?"

"Comincio, comincio…"

Si gira sulla pancia come un gatto pigro, poi torna sulla schiena.

"Mi fai almeno spazio?"

Cloud tira indietro le gambe e quando mi siedo le fa scivolare nuovamente in avanti, chiudendomele attorno alla vita come se volesse stritolarmi. Ma non mi stritola. La sua stretta è leggera, quasi gentile.

La semplicità dei suoi gesti mi sconvolge.

Tutte le volte che mi tocca, mi sconvolge.

E’ così naturale, per lui, toccarmi, così ovvio, così…fraterno.

…Fraterno.

E tu, Tifa?

Lo lasci fare perché respingerlo sarebbe innaturale almeno quanto ricambiarlo con trasporto, così pensi ad altro e ti tieni occupata per far finta che tutto sia normale.

Finta che quando ti guarda la tua pelle non frema.

Finta che quando i vostri corpi si premono il sangue non ti ribolla nello stomaco.

Finta che non provi questo desiderio di mettere alla prova i suoi battiti, di sentire la sua forza trascinarti avanti e indietro come se volesse arrivare ad infilzarti il cuore.

Voglio fare l’amore, Cloud.

Con te.

Non posso mentire a me stessa quando ti sto così vicino.

Se adesso tu mi trascinassi sopra di te, io ti bacerei. Ti morderei il collo con forza e ti toglierei questa maglia che cela allo sguardo i tuoi meravigliosi pettorali casellati, lisci.

Se tu mi dicessi che vuoi giusto essere sollazzato un po’, m’accuccerei in quello stesso istante fra le tue gambe e ti farei impazzire.

Se tu adesso mi dicessi che mi vuoi, io ti cavalcherei fino a farti morire.

Cloud…non c’è modo che tu mi dica qualcuna di queste cose?

"Oggi Aeris delirava a proposito di Zack."

Si, lo fa spesso. Lei non è come noi, non preferisce far finta di esserselo dimenticato.

Lei non ha niente di cui rimproverarsi.

"Si?"

"Ha detto che lui gli diceva spesso che io non so mantenere la concentrazione…"

"Come un tossicodipendente? Lo diceva anche a me."

"Si, ok…ma ha detto che le diceva anche un’altra cosa. Che cosa?"

"E come faccio a saperlo, scusa?"

"Il secondo te era sottointeso, stupida scema."

"Ah, stupida scema? Insulti composti, fifa da esame."

"Non ho nessunissima fifa da esame…"

"Dovresti averla, sei calato drasticamente quest’anno rispetto allo scorso!"

"Bla bla bla…guarda un po’? Me ne fotte così tanto che quasi quasi mi addormento."

"Vorrei sapere che cavolo ti ci sei iscritto a fare, all’università…"

"E’ perché c’eri tu, che domande stupide, stupida scema." mi dice, ed è poco serio come sempre, guarda con disinteresse i libri, ma perlomeno sfoglia le pagine giuste. E’ già qualcosa.

E’ questo quello che puoi dirmi, Cloud, lo so.

Frasi allusive e semplici, riverbero d’una vecchia intimità giocoso che abbiamo perso, anche se t’ostini a fingere che non sia così.

Va bene. Fingi, forse finché lo farai, ci crederemo almeno un po’.

Parlami di Aeris…puoi dirmelo che ti fa rabbia che parli di Zack.

Puoi dirmelo che lo amavi, e la ami, ma non sopporti il fatto si siano amati.

Zack era così perfetto ai tuoi occhi, così buono e grande…

Le persone troppo belle, dentro e fuori, è tanto splendido averle come amici quanto terribili averle come rivali, non è vero…?

Lo so…lo sento…lo provo. Ogni giorno, accanto ad Aeris…

Quando la guardo…

Quando le parlo…

Lei è l’eredità che Zack ti ha lasciato, non è vero?

Fosse anche solo per questo…se anche non fosse bellissima, e dolce, e solare come io non sono…se anche non fosse così stupenda che un po’ la amo anch’io…tu l’ameresti in ogni caso, non è vero, Cloud?

Lei è tutto quello che ti resta di Zack…

E potresti dirmi qualsiasi cosa, farmi qualsiasi cosa adesso, su questo divano…ma lo saprei sempre…

Non c’è modo per me di dimenticarlo un solo istante…

I cant’ deny the way I feel inside

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Capitolo 5
*** .: Aeris ***


V
Aeris

Act 5.1_ time is sometimes a cruel thing, but the present is made by that cruelty

Aeris si stiracchio pigramente, senza però la minima intenzione di alzarsi.

Dopo due settimane d’attesa i genitori di Zack avevano levato le tende per andar a trovare un’ignota zia morente di Mideel, e col cavolo che lei voleva perdersi un solo secondo di quella bella situazione di comodo.

Beh… "comodo" non era proprio il termine esatto, visto e considerato che avevano dormito in due in un lettino striminzito -più piccolo ancora di un singolo normale, era pronta a giurarci!- con quaranta gradi all’ombra.

Era sempre stata attratta dall’idea romantica della nanna insieme, ma non aveva calcolato che il corpo di un uomo fosse osì grosso! Tutte quelle braccia e quelle gambe! A metà notte avrebbe voluto spingerlo giù dal letto e farlo rotolare lungo e disteso sul pavimento, da tanto aveva bisogno di spazio. E poi continuava a tirarle i capelli!

Però non gli disse niente, era stata lei a rifiutare di occupare il letto dei suoi genitori e lamentandosi si sarebbe beccata una valanga cosmica d’insulti.

Ma che pretendeva, quello stupido? Neanche il letto matrimoniale non fosse una cosa super-personalissima. Con che cavolo di cuore insensibile ci si poteva infilare appena i legittimi occupanti voltavano le spalle, per poi saltarne fuori come se niente fosse appena ritornano?

"Aeeriiis…"

Lei provò a girarsi col miglior sorriso che le veniva, voleva proprio fornirgli una di quelle belle scenette dove lei è carinissima nonostante si sia appena svegliata e tutto il resto, ma i suoi propositi furono rovinati perché quel CRETINO si era sdraiato un’altra volta sui sui capelli, facendole un male pazzesco.

Emise un gridolino stridulo e cominciò ad agitare un braccio, lui chiese "che c’è?"

"Che c’è, che c’è! I capelliiiiii!"

"Oh, scusa." lui si spostò.

"Eh, scusa scusa…" se li tirò tutti vicini "Sei un assassino."

"Discutiamo dopo delle mie colpe, mi passi il cellulare?"

"E’ suonato?"

"Poco fa."

"Non l’ho sentito."

"Tu non senti mai niente, se una meteora ci si schiantasse addosso continueresti a dormire."

Aeris prese il cellulare sul comodino e glielo scaraventò addosso. "Thò. Cos’è, un’altra donna?"

"Ebbene si, mi hai scoperto."

"Eeeeeeh?"

"Che ci vuoi fare, la carne è debole…" smanettò un po’ col tastierino, lesse il messaggio e disse "E’ Cloud che mi chiede se gli ho fatto il compito."

"E gliel’hai fatto?"

"Si, ma non glielo dico, voglio che se la sudi un po’."

Aeris rise e si appoggiò alla spalla di Zack, poi arricciò il nasino con aria supponente.

"Cloud, Cloud, Cloud, sempre questo Cloud…non è che per caso sei innamorato di lui?"

"COSA?"

Zack scoppiò a ridere, alzandosi bruscamente e facendola così cadere con un tonfo sul materasso.

"Ma scusa!" pigolò, offesa "Sei sempre lì che parli di lui, e smettila di ridere!"

"Non m’innamorerei mai di Cloud, e gli Antichi salvino l’anima di chi lo farà!"

Lui tornò a sdraiarsi e Aeris si appoggiò sui gomiti.

"Che tipo è, questo Cloud?"

"E’ biondo, occhi blu, non molto alto…"

"Ma nooooo!" rise, picchiandolo "Di carattere!"

"Beh, non che ci sia molto da dire…è un po’ strano, direi."

"Strano? In che senso è strano?"

"E’ strano…" le pizzicò una spalla "…come te. Ma in modo diverso."

"Ahio" piagnucolò, passandosi una mano sulla zona torturata "Io non sono strana, e poi che vuol dire come te ma diverso, non ha senso, scemo!"

Zack rise: "Si, forse hai ragione."

"Allora? In che senso è strano?"

"Non so…se ne sta sempre sulle sue, però pretende l’attenzione di tutti…è un po’ contraddittorio. A volte si scalda per delle cazzate. E’ impulsivo, gli va subito il sangue alla testa. Si lancia in battaglie assurde senza cognizione di causa, che sia a parole o a botte, e per questo si crea un sacco di casini che potrebbe tranquillamente evitarsi…"

Aeris fece una smorfia: "In altre parole, è una specie di cane rabbioso."

Zack scoppiò a ridere: "Cane rabbioso! Questa gliela devo raccontare, sai Cloud? La mia ragazza neanche ti conosce eppure ha già capito che sei un cane rabbioso!"

"Nooo, non glielo dire, poi viene a picchiare anche meee…"

"No che non ti picchia…Non so se picchi o meno le donne, però non gli interessa che cosa dicono gli altri di lui. In verità, non gli interessa niente di niente, credo."

"Ma se hai detto che si scalda per tutto…"

"Te l’ho detto che è contraddittorio. Si salda per tutto, ma non gliene frega neppure niente di nessuno. Anche quando litiga, o quando si butta in una rissa…sembra sempre annoiato, disinteressato a tutto…"

Aeris fece una pernacchia con le labbra, poi si buttò sul cuscino: "A me sembra uno psicopatico, Zack, perché sei amico di uno così?"

"Mh, aspetta…" si girò verso di lei "…c’è una cosa, che a te piacerebbe."

"Ne dubito, sai?"

"E’ una cosa romantica. Sicura di non volerla sapere?"

L’interesse di Aeris si destò. Sì, era un’irrimediabile stupida infantile romantica, e allora? Ne andava dannatamente fiera. Era felice di emozionarsi, felice di commuoversi e lasciarsi andare a sogni sdolcinati. Era felice di sapere che la vita non le avesse fatto nulla di tanto terribile da renderla un essere cinico, né di avere un cuore tanto freddo da rifiutarsi di provare i sentimenti più ovvi solo per orgoglio.

"Dimmi, dimmi."

Zack le prese un braccio fra le mani, delicatamente, e cominciò a tastarlo come se ne stesse studiando la consistenza.

"Sono i suoi occhi…Gli occhi di Cloud, che sono sempre così distaccati e indifferenti, si accendono solo quando deve proteggere una persona…"

Aeris domandò a voce bassa ma sicura: "La sua ragazza?"

"Non stanno esattamente insieme. Per la verità, non so nemmeno se sia giusto dire che lei gli piace. Non è solo questo, è più come…se la considerasse roba sua. Forse peggio, forse la considera proprio se stesso."

"Oddio, allora è proprio uno psicopatico, te lo dicevo io!" nascose la faccia sotto il cuscino "Già non lo sopporto!"

Zack le accarezzò la schiena, seguendone dolcemente la curva come se accarezzasse un gatto. Lei si rilassò immediatamente.

"No, non dire così…sono sicuro che se lo conoscessi, Cloud ti piacerebbe moltissimo…"

"Come fai ad esserne sicuro?"

"Te l’ho detto, perché siete strani!"

Aeris si alzò, gli tolse il cuscino da sotto la testa e lo colpì in faccia. Lui si protesse con le mani e la lasciò fare finché non si fu stancata. A quel punto la abbracciò cautamente, come se temesse una rivolta, e la fece sdraiare accanto a sé.

Lei si lasciò condurre volentieri al suo rifugio preferito, contro la sua spalla, appoggiò entrambe le mani sul suo petto e si concentrò sul battito regolare e forte del suo cuore.

Era certa di poter parlare al suo cuore.

Quando taceva, e gli faceva delle domande mentalmente, era certa che il cuore di Zack le rispondesse. Lo sentiva vibrare, e aveva una voce tutta sua, carezzevole ma solenne, quella di un generale innamorato.

Sorrise al pensiero, e lo abbracciò stretto.

"Beh? Adesso che cosa c’è da ridacchiare?"

"C’è un motivo per non farlo?"

"Tu sei davvero strana…"

Questa volte non sapeva perché, la divertì sentirselo dire.

Forse era strana per davvero. Però, invece d’indispettirla, l’idea la rendeva fiera.

Non era sempre stato così, Zack non era il primo a giudicarla strana ed era spesso stato spiacevole, ma quando era lui a dirlo c’era una tenerezza così musicale nelle sue parole, che all’improvviso quello che aveva sempre recepito come un insulto le sembrava un complimento.

"Se a te piace così tanto…" borbottò "…allora questo Cloud lo voglio conoscere anch’io, ecco."

"Si, così poi mi lasci per lui…si sa che il tipo rude attira le ragazze…"

"Ma non fare lo scemo, te l’ho detto che per me è solo un idiota. A me piacciono i ragazzi gentili."

"Oh, quindi io sarei gentile?"

"Si-ssi."

"Se lo dici tu, sarà così."

"E’ così. Me l’ha detto il tuo cuore."

Zack la abbracciò e lei chiuse gli occhi.

Stava così comoda e tranquilla che quasi si sarebbe riaddormentata, ma poi sentì la voce del suo ragazzo vibrarle contro la guancia, raggiungerle le orecchie.

"Però se vuoi conoscere Cloud, devi anche conoscere Tifa. Conosceresti un’essere incompiuto, se ti presentassi uno solo dei due…"

Poi chiuse gli occhi.

Aeris li guardava spesso, quando loro non sapevano di essere osservati.

Li aveva guardati tanto e molto insistentemente, forse troppo, specialmente le prime volte in cui si erano incontrati, dopo il funerale di Zack.

Aveva guardato soprattutto il modo in cui Cloud guardava Tifa, come volgeva lo sguardo su di lei ad ogni movimento inaspettato -battere un cucchiaino contro il fondo d’una tazza vuota, aprirsi una caramella alla menta in più tempo di quello che riteneva necessario, se era soprappensiero per un attimo- e come quello sguardo fosse carico di pretese, ma anche pieno di promesse.
Lei era sempre nel suo campo visivo, notava solo quel che stava a pochi metri dal suo corpo, e forse solo per stare allerta e difenderla dai pericoli del mondo.

Sinceramente lo trovava ossessivo, e probabilmente per Tifa era lo stesso, ma accettava il suo attaccamento di buon grado, ironizzandoci ogni tanto, e forse per quello avevano l’affinità di una vecchia coppia ed insieme un generale distacco fisico di una molto acerba.

Aveva guardato anche il modo in cui Tifa guardava Cloud, però. Non lo fissava mai, nemmeno lo guardava direttamente se non quando parlavano, e parlavano moltissimo, come macchinette. Sembrava cercassero di colmare qualcosa con le parole, a volte. E sebbene non gli stesse mai appiccicata, sebbene fosse sempre interessata a qualcos’altro, se per più di un secondo lui si allontanava lei si mangiava le unghie e diventava nervosa mentre lo cercava. Ma quando Erano vicini, non gli prestava mai un’attenzione forte come quando non c’era.

Nel giro di un paio d’incontri, ad Aeris sembrava già di averli inquadrati proprio dal modo in cui si guardavano. Tifa aveva paura di perderlo, ma si guardava sempre attorno, una parte di lei era sempre proiettata altrove, verso spazi sempre diversi che potevano essere l’altro lato della strada o paesi sconosciuti. Cloud era un bambino capriccioso e perdutamente innamorato, che probabilmente non si rendeva bene conto di nessuna delle due cose e rifiutava in modo dissennato e categorico di staccare gli occhi da lei.

Aeris non riusciva a considerarla una cosa del tutto romantica, certamente non era dolce; le sembrava un legame strano, un solido intreccio fra la dipendenza di lui ed il senso di responsabilità di lei.

Eppure le sembrava così…profondo, e bello. Profondamente bello.

Ma stando con loro Aeris poteva sentire il peso del loro rapporto.

Stando con loro, Aeris poteva sentire il peso del rapporto che li legava.

Un episodio in particolare la colpì, una scenetta, una cosa minima.

Cloud si era appoggiato alla spalla di Tifa per prenderla in giro chiedendole qualcosa, e ad un certo punto aveva ruotato la testa e fatto aderire il naso al suo collo.

Aeris stava parlando al telefono, sua madre le chiedeva quando sarebbe rientrata, e come se fossero stati soli Cloud cominciò a muovere lentamente il viso contro al collo di Tifa, come un gattino.

Fu un gesto di un’appartenenza e d’una sensualità spiazzante, che mise entrambe le ragazze in imbarazzo e costrinse Tifa a cacciarlo via a sberle per sdrammatizzare.

In quell’occasione, Aeris aveva pensato che è terribile come qualcosa di tanto bello possa ferire così, anche se non sapeva perché.

"Oh? Tifa?"

Sentendo la voce di Cloud irrompere nella quiete creatasi, uscì anche lei dallo stato di imbambolamento e si rese conto di non aver capito metà del film.

Tifa stava leggendo sulla poltrona lì accanto, illuminata dalla luce di una lampada perché Cloud insisteva sempre a chiudere tutte le persiane quando guardava la tv. Aeris sapeva che il buio faceva venire a Tifa dei gran mal di testa, lo diceva spesso, ma questo non aveva mai impedito a Cloud di sbattersene altamente.

Quando lo vedeva così, Aeris pensava con le guance gonfie di nervosismo: "ma quali occhi che si accendono, questo qui è proprio un cretino e basta!"

"Tifaaaaa…"

"Che vuoi, sto leggendo, non vedi?"

"Cloud, lasciala stare, rompiscatole…" borbottò Aeris, tirandogli la maglia.

"Volevo assicurarmi che fosse viva, son tre ore che non sento girare una pagina. Uff, la mia croce è essere sempre così sensibile e attento, e voi nemmeno lo apprezzate…"

"Il libro non è pesante, ma se te lo sbatto ripetutamente sulla faccia dalla parte del dorso, magari almeno il naso riesco a spaccartelo." disse Tifa, e girò pagina facendo il più rumore possibile.

Cloud aveva prestato attenzione per tutto questo tempo alle pagine che Tifa girava.

Per una persona sbadata come Aeris, questo era addirittura inconcepibile.

Sospirò leggermente.

"Che c’è?"

"Uh?"

"Che sospiri, stai pensando a quanto mi ami?"

"Non vedo come qualcuno potrebbe pensare qualcosa di così assurdo." borbottò Tifa, poi chiuse il libro, "Vado a mettermi giù un po’, questa sera devo uscire e il buio mi ha fatto venire il mal di testa."

"Buon riposo!" disse Cloud, rumorosamente, alzando un braccio e salutandola come se volesse cacciarla.

Poi guardò lei, con un sorrisetto oltremodo inadeguato, visto che Tifa non se ne era ancora andata.

Aeris cercò di fare finta di niente, ma non riusciva quasi mai a fare finta in niente.

Tifa puntò le mani sui fianchi in un’espressione intransigente: "Niente porcate sul mio divano!"

"Avete visto che bel tempo c’era, ‘sta mattina? Un cielo così terso, un’atmosfera così pacifica…"

Tifa sbuffò con l’intento di farsi sentire ed Aeris ridacchiò.

Quando i passi dell’amica sfumarono al piano di sopra, subito lei si fece maliziosamente piccola piccola contro il braccio di Cloud.

Lui le sorrise, le baciò la fronte e tornò a guardare il film.

Erano ancora le prime volte, ancora i tempi del ‘dobbiamo ingranare’, ‘dobbiamo abituarci’, e di tutte quella altre giustificazioni che Aeris si dava e ridava ogni giorno di continuo.

Avrebbero ingranato, si sarebbero abituati. Deve essere così quando un’amicizia confermata negli anni viene ritrattata all’improvviso in un rapporto romantico.

Il cuore o il corpo s’ingoffiscono, e ci vuole un po’ di tempo prima che riprendano ad andare pari passo.

Aeris era felice, e non c’era motivo perché le cose non dovessero andare sempre meglio.

Con un sorrisino identico a quello di lui, che solo poco prima le era sembrato fuori luogo, fece scorrere un dito leggero sul suo braccio.

Aveva delle bellissime braccia, Cloud, scolpite nel rigore da palestra e forgiate nella violenza della strada. I pesi e le risse, le corse sul posto e i nasi rotti.

Zack le raccontava così spesso quelle cose, che spesso le sembrava di averlo sempre conosciuto.

Il suo Cloud.

Gli fece la formichina sul bicipite, passando delicata sul collo, fino al viso, per mettersi sulle ginocchia e baciarlo.

Lui fece una risatina, già se lo aspettava, le strinse i fianchi e scivolò quasi sdraiato, la testa sul bracciolo e lei tutta addosso.

Poi abbandonò con un sorriso la sua bocca, le accarezzò i capelli e le disse scherzando "Niente porcate sul divano di Tifa, no?"

Aeris chiuse gli occhi, il film ormai lo aveva perso.

Si concentrò sul battito del cuore di Cloud, cercando di capire che cosa le stesse dicendo.

Poteva guardare i suoi occhi, e comprendere il suo umore.

Poteva guardare le sue molteplici espressioni, ed anticipare le sue parole.

Ma il suo cuore…il suo cuore non lo riusciva a decifrare.

Ingraneremo, si disse dolcemente, ci abitueremo.

Un giorno sarà tutto così normale da farci quasi ridere.

Act 5.2_ If just one of your wishes could come true, what would you wish for?

Ultimamente Tifa è strana.

Non strana come lo è sempre, coi libroni, le battutine nichiliste, la matita infilata nei capelli e così via.

La sua voce, è strana. Il modo in cui guarda è strano. Le cose che dice sono strane. Persino il modo in cui cammina, fermandosi di tanto in tanto su un particolare insulso a riflettere su cose inimmaginabili, è strano. Tutte le cose che di lei si vedono all’esterno, sono strane.

Non posso parlarne con Cloud. Cloud è proprio uomo *dentro* e, per tanto, profondamente stupido.

Anche se…

Quando l’altro giorno al Gold Saucer mi ha detto la mia vita è migliore da quando ti conosco, mi sono sentita terribilmente triste. Non so perché. Avrei dovuto essere felice, credo.

E allora ho cominciato a farmi delle domande…domande su domande, e da allora sono sempre ad arrovellarmi, tutte le volte che mi vedo in uno specchio, o nella vetrina di un negozio, la mia faccia ha quell’espressione crucciata e un po’ depressa che hanno sempre quelle di Cloud e di Tifa, quando pensano che tu non li stia guardando.

Ma io li guardo sempre…non stacco mai i miei occhi da loro.

Se potessi chiedere a Dio una cosa, una sola cosa, chiederei che Cloud, Tifa ed io non smettessimo mai di stare insieme, e stare bene. Lo so che si tratterebbe di un desiderio puerile, e probabilmente anche un po’ stucchevole, ma mi basta pensare a noi tre perché tutto quello che c’è stato in passato, tutto quello che mi fa paura del futuro, assuma un significato ben preciso.

Quando stiamo insieme tutto ha un senso.

E quando stiamo insieme è tutto così a posto, in equilibrio perfetto nel nostro microcosmo sicuro, che persino il fatto che Zack non ci sia più assume una luce bianca, e dolce, perché lui se ne è andato, ma nemmeno nella morte mi ha lasciata sola.

Cloud e Tifa sono il regalo che Zack mi ha fatto.

Lui lo sapeva bene che razza di impiastro sono, e sapeva bene che non sarei sopravvissuta un mese senza qualcuno che mi tirasse la treccia per fermarmi dal cadere in un fosso.

Per questo, forse sono un po’ egoista a desiderare più di ogni altra cosa che loro stiano bene, e stiano con me, perché solo così mi salveranno dal cadere nei fossi.

D’altra parte, so anche che non posso pretendere di capirli pienamente, perché Cloud e Tifa non sono solamente amici, e sono qualcosa di molto più complesso di due amanti.

E’ come se si fossero divisi il compito di vivere in due.

Lui fa delle cose, lei ne fa delle altre, ma non fanno mai le stesse, perché sarebbe inutile, visto che tanto alla fine condividono tutto come se quelle cose le sentissero sulla pelle.

Il loro rapporto mi dà così da pensare, a volte…

Cloud in particolare, è sempre così distaccato e sciocco, ma diventa addirittura morboso, a volte, e capisco che cosa prova Tifa quando cerca di separarsene un po’, e forse è dovuta proprio a quello la sua voglia continua di solitudine; è semplicemente troppo abituata a dover guardare e respirare anche per Cloud.

Tuttavia, mi chiedo che cosa provi Cloud quando lo capisce, quando sente che lei si sta allontanando, e fa male pensare che per quanto io mi possa impegnare non c’è niente che possa fare, perché è Tifa l’unica persona al mondo che potrebbe capire a che cosa pensa da come sbatte gli occhi, o muove le dita, e fa altrettanto male pensare che forse questa cosa a lei pesi.

E poi…non lo so, le poche volte che se ne è parlato hanno insistito entrambi col dire il contrario, io ho provato a crederci, però…è possibile che se lo siano davvero lasciati alle spalle? Mi riferisco a quella situazione irrisolta tra loro, che in pratica mi è parso proprio di capire si siano piaciuti entrambi, e molto, solo in tempi diversi e per tanto inconciliabili…

…Cloud non si chiede mai come sarebbe stato fare l’amore con Tifa?

Se solo fosse qualcosa di chiuso, passato, pietra sopra, potrei mettermi il cuore in pace anch’io, e invece…

Rimuginare, rimuginare…in questi giorni non ho fatto nient’altro.

Act 5.3_ simple and clean is the way that you making me feel tonight

"Allora, ti ho portato a cena, non so se ti rendi conto che sono un figo."

Distolgo l’attenzione da una figurina attaccata ad un bidone della spazzatura, penso rappresentasse un gattino ma non ne sono sicura, e per farlo contento lo guardo: "L’ho notato, l’ho notato."

"Hai visto anche quanto ho pagato? Vuoi vedere?"

"Sei così fine, Cloud…"

"Così sai quanto devi ripagarmi in natura."

Cerco di fare la sdegnata per finta, ma in realtà sono sdegnata per davvero. Non per le stupidaggini che dice, sia chiaro, a quelle sono abituata e se devo essere sincera trovo che sfumino di un tono davvero sexy i suoi modi scostanti ed esageratamente solipsisti.

Quello che mi sdegna è che se davvero dovessi fare un conto tutte le volte di quanto gli devo in natura, arriverà un lontano giorno in cui dovremo stare a letto almeno sette o otto mesi, perché la verità è che Cloud ed io non l’abbiamo ancora fatto, da quando stiamo insieme.

E’ quasi un mese, ormai.

Ok, lo so che vista da fuori fa tanto oddio, che porca, dopo solo un mese!, ma che cavolo, abbiamo ventidue anni, non dodici, e ci conosciamo da un sacco di tempo, senza contare che bisognerebbe tenere conto che io l’ultima cosa viva tra le gambe l’ho avuta sei mesi fa, ed era un pony.

Mentre lui…boh, è sempre stato un po’ vago sulle sue occupazioni ormonali, devo dire. Quando io e Tifa parlavamo dei ragazzi con cui stavamo, sempre per un mese o massimo tre, lui ci chiedeva sempre perché spacciassimo per una relazione quella che era evidentemente solo una scusa per avere dei rapporti sessuali e passare qualche ora in compagnia di qualcuno che non fossimo noi.
Da questo punto di vista lui è sempre stato una persona sincera, ma è anche facile per lui essere sicuro su questo, insomma, è un maschio. Loro hanno l’immunità testicolare, possono fare un po’ quello che vogliono, noi invece abbiamo sempre di che rendere conto a qualcuno. Dire stiamo insieme è un modo come un altro per semplificare le cose, e sarà anche ipocrita, ma voglio dire, chissene, non posso mica preoccuparmi di tutto.

Comunque, da quando lo conosco, Cloud avrà avuto sì e no tre persone con cui ha detto di stare, ma non chiamava mai nessuna la mia ragazza.

Le sue ragazze eravamo noi, ecco che cosa diceva.

E’ così strano pensare che le cose siano rimaste le stesse, eppure si siano in qualche modo terribilmente complicate…io sono la sua ragazza, adesso, ma in un senso diverso da come lo ero prima. Però in verità non ho mai smesso di essere la sua ragazza nel senso in cui lo ero prima, e non ha smesso di esserlo Tifa, anche se in modo diversa da quello in cui io lo sono adesso.

Oh…sbuff.

Quando arriviamo a Nibelheim, mi sento un po’ più quieta.

Va bene, li capisco quando dicono che vivere qui o ti fa impazzire o ti fa impazzire, ma per me entrare in questa piccola osasi circondata dalle montagne è come andare in vacanza, e scoprire un posto che in realtà è la tua casa, anche se non lo sapevi. Ok, le oasi starebbero in mezzo al mare e non in mezzo alle montagne, comunque il succo è quello.

Il serbatoio dell’acqua, le case appiccicate l’una all’altra, gradazioni di grigi e marroni, e poi le stelle, che si vedono sempre in modo così meraviglioso…le stelle. Non sanno che fortuna, essere cresciuti potendole guardare come se fossero una cosa normale, insulsa, addirittura.

Stringo il braccio di Cloud un po’ meglio, un po’ più convinta, e va tutto molto meglio.

Quando passiamo davanti a casa di Tifa mi fermo, e cerco di capire dalle luci se sia in casa, ma le luci sono tutte spente e mi lamento: "Uffa, dici che sta già dormendo?"

"Ae, è mezzanotte, solo tu e tua madre siete già a dormire a quest’ora."

"Ma non mi puoi rispondere in modo normale senza maltrattarmi, ogni tanto?"

"Su, su…" mi accarezza la testa "Fai la brava, adesso ti do la pappa e ti gratto la pancina."

"Non sono un cane…" bofonchio, e mi trascina in casa sua senza essere brusco, ma con una fretta che mi mette un po’ di ansia addosso.

La cosa brutta di metterti con qualcuno che conosci da tanto tempo e di cui hai regolarmente frequentato la casa, è che non si sente più in dovere di fare bella figura, e allora ti fa trovare sempre degli spettacoli pessimi. Tipo il letto disfatto, i vestiti in giro, il joypad della Playstation buttato per terra e il televisore ancora su AV che fa un fastidiosissimo bzzzz.

Mi viene da ridere e sto per chiedergli come mai ci sia una rivista di fitness aperta sul davanzale, come se la finestra dovesse leggerla, ma lui mi bacia il collo e io ammutolisco.

Lo so che il silenzio è l’unica condizione in cui diventa dolce con me, o meglio, non dolce, più…un uomo. L’unica condizione in cui posso diventare una donna, per lui.

Quindi taccio, e mi lascio cullare dai suoi baci, viziare dalla sua lingua sulla pelle. Mi toglie la giacca, io mi giro, sorrido mentre lo bacio, e sento che sorride anche lui. Si sta così bene, adesso, che quando lo spingo sul letto ride, mi trascina sopra di se, io gli tolgo la maglia, e la visione del suo corpo mi getta sempre in uno stato contemplativo quasi religioso. Il fatto è che sembra bello in modo addirittura traumatico, a volte, e mi intimidisce un po’. Zack aveva un corpo più muscoloso del suo, ma aveva un fascino più rude, più grezzo, anche se questo non lo sminuiva affatto. Invece Cloud è semplicemente bellissimo, e forse questo gli ha salvato la vita molte volte, perché fastidioso e stronzo com’è chissà in quanti non lo hanno ucciso giusto per il suo faccino carino.

Cerco di non ridacchiare, a questo pensiero, e trattengo il respiro quando mi fa sdraiare sul letto e mi solleva la gonna. Le sue mani sono così calde, anche se non è esattamente il più delicato degli amanti. Infila la lingua con forza, tra le mie gambe, e sul subito mi fa un po’ male, ma resisto e dopo un attimo prende il ritmo. Allora mi perdo nel mio piccolo, personale delirio di sensazioni, tutte concentrate in un unico punto, mi espando e mi lascio andare, e l’unica cosa che penso è che sì, dopotutto vale la pena di pensare, ripensare e poi pensare ancora, perché anche se questo strano ragazzo coi capelli biondi mi dà da pensare, io lo adoro, questo strano ragazzo coi capelli biondi, e adoro le sue mani, la sua bocca, la sua lingua.

Quando vengo, si mette accanto a me e si pulisce la bocca con una mano, si appoggia contro lamia spalla. Io respiro lentamente, accarezzo il suo sesso mentre lo bacio e lo sento crescere, ma quando provo a slacciargli la cintura lui mi chiede se non ho sonno, visto che secondo i miei gloriosi standard dovrei già essere a letto da mezz’ora.

Sbuffo: "Guarda che non più grande di te, smettila di trattarmi come una bambina, sai?"

"Dunque ammetti di essere una pedofila."

"Non è vero per niente, siamo entrambi…"mi fermo, lo vedo che sogghigna per la mia stupidità, e colpendogli il naso con un dito dico: "Sciocco."

"Ma come faceva Zack a venire a letto con te, voglio dire, due anni fa eri ancora più piccola di adesso."

"Dai? Che scoperta eccezionale, Cloud Strife."

"Sì, ok, hai ragione. Però mi fa strano lo steso, due anni tuoi non sono gli anni di una persona normale, secondo me due anni fa eri grande così" e disegna uno spazio di due centimetri tra le dita.

"Non è vero, ero alta come adesso, uguale."

"No, eri piccola piccola. Anche adesso sei piccola piccola. Sei per caso un alieno?"

Lo so che vuole solamente essere carino, a modo suo, e lo è, ma adesso vorrei solo che la smettesse. Borbotto "Non sono piccola" e poi chiedo se ha una maglia da prestarmi, visto che la mia camicia da notte è da Tifa. Lui si alza dal letto e va a cercarmi qualcosa, mentre io rimango sul letto e penso che comunque vada una sua maglia sarà troppo larga, e mi farà sembrare ancora più piccola.

Dov’è che sbaglio?

C’è qualcosa che non va, in me?

Oppure è lui, c’è qualcosa che…uff. Tanto non posso capirlo ora, e non lo potrei capire nemmeno se mi arrovellassi tutta la notte.

Non ha lasciato che lo toccassi. Non succede sempre, ma succede molto spesso, e non capisco, perché non mi sembra che abbia dei problemi a…beh, funzionare.

Cloud mi butta la sua maglia addosso, io comincio a togliermi il vestito per indossarla, e lui semplicemente se ne va in bagno. Così, come se fossi parte del mobilio.

Mi sdraio sul letto, e poi in un moto di ostilità mi infilo sotto le coperte, sperando di addormentarmi prima del suo arrivo, ma non ci riesco. Continuo a pensare che vorrei tanto che Tifa fosse a casa, adesso.

Act 5.4_I see, I find, I make sure.

Tifa si affaccia alla finestra, e sembra quasi che ci metta un po’ a riconoscermi. Dopo un attimo che mi fissa dalla finestra, strizzando gli occhi, mi saluta e scompare per venire ad aprirmi.

Guardo l’orologio della Shinra Mansion, per essere sicura che da casa di Cloud a qui non ci sia il fuso orario, perché Tifa mi sembrava un po’ addormentata ed è insolito che lei dorma fino a quest’ora (inutile dire che Cloud, quando me ne sono andata, non aveva ancora aperto mezzo occhio). Però il fuso orario non c’è, anche qui sono le undici e mezza, e quando Tifa mi apre la porta cominciano a venirmi un po’ i sensi di colpa.

"Tiff, scusami, ti ho svegliata? Credevo fossi già su mi dispiace tanto!"

"No, figurati" si stropiccia gli occhi e sorride "Tanto mi dovevo svegliare, è che ieri ho fatto terribilmente tardi…"

Mi fa entrare e mi dice come sempre di non guardarmi attorno, perché è tutto un disastro. Non è davvero un disastro, però è sicuramente più disordinata del solito, le cose sembrano appoggiate in modo casuale, abbandonate lì nella fretta, e nel lavandino c’è addirittura una tazza sporca.

Ma invece di perdermi in queste piccolezze avrei fatto meglio a guardarla prima, finché era in tempo, perché mentre sale in fretta le scale vedo solo di sfuggita i lividi blu sulle sue gambe.

Lo so che dovrei essere discreta, ma è più forte di me, e anche se mi ha detto di aspettarla un attimo salgo e le chiedo che diavolo si sia fatta.

"Dove?"

"Alle gambe!"

Lei controlla e scrolla le spalle: "Boh, avrò battuto da qualche parte sul lavoro. Ho fatto gli straordinari ieri sera, sono stata al locale fino alle due. Ero talmente sconvolta che avrebbero anche potuto darmi una clavata in testa e non me ne sarei accorta…"

Sospiro: "Tiff, non lavorare così tanto, dai…"

"Beh, finché mi reggo in piedi…in fondo in questi giorni non sto nemmeno andando in università, per preparare l’esame."

"Tu pretendi troppo da te stessa, Tiff…"

Mi tira addosso il cuscino, e invece di prenderlo in faccia come una fessa riesco ad acchiapparlo al volo, una volta tanto.

"Esci o vuoi guardarmi mentre mi cambio?"

Rido, anche se non c’è proprio niente da ridere: "No no, che poi mi vengono i complessi!"

Scendo in cucina, e apro le ante per far entrare un po’ di luce. Mi guardo intorno, cercando di carpire qualche traccia, qualcosa che mi convinca in modo definitivo che ho ragione io, Tifa in questi giorni è proprio strana, e una volta trovata quella traccia andrei diritta a sventolarla sotto il naso di Cloud. Però mi rendo conto che è una pretesa stupida, allora mi siedo sul divano e la aspetto.

Facciamo colazione insieme, anche se ormai sarebbe ora di pranzo.

Io sto riflettendo su due importanti quesiti: se staccare la testa a questo povero biscotto-cagnolino, e se parlare a Tifa di quello che mi preoccupa. E questo vorrebbe dire parlarle circa per un paio di giorni almeno, visto che mi preoccupano un mucchio di cose.

Alla fine mordo la testa, mando giù e comincio: "Tiiif…"

"Oooh, ha inclinato la testa! Ha bisogno di qualcosa!" dice battendo le mani, e una manica della camicia le scende giù fino al gomito. E’ tutta blu e io tremo, ho voglia di piangere e non so perché. Lei si copre e mi chiede che cosa non va.

Mangio il resto del cagnolino e le spiego che le cose con Cloud non vanno.

"Non vanno bene?"

"No, no, vanno bene, solo…non vanno, ecco."

"Ae, credevo avessimo già discusso di questo fatto del parlare in codice…"

Gonfio le guance più che posso e borbotto: "Non vannoooo, Tiff, sforzati un pooo’…"

Lei continua a guardarmi come se stessi abbaiando ancora per un po’, ma dopo qualche momento beve un goccio del suo caffè amaro e proclama: "Ah! Ok, ci sono."

"Era anche ora, si vede che ti sei svegliata adesso…"

"E’ che tu sei troppo pudica, Ae, mica riesco a starti dietro…Allora, come mai le cose non vanno?"

"E che ne so, è impossibile smuoverle, ste benedette cose…"

"Tu non usi nomignoli graziosi per i genitali mentre lo state facendo, vero? Perché in quel caso lo posso capire, povero Cloud, nemmeno io…"

"Non uso nessun nomignolo."

In quei momenti, almeno, e solo perché non devo chiamare niente per nome ma lei mica lo sa.

"Allora? Dai, dimmi, altrimenti che consigli vuoi che ti dia?"

Tiro le gambe sopra la sedia e stringo le ginocchia al petto, mentre sgranocchio dubbiosa un altro cagnolino. Però mi fa sentire una cannibale dire che sgranocchio un cagnolino, quindi da adesso in poi li chiamerò biscotti e basta. Poveri cagnolini.

Tiracchio un po’ questa stupida frangia che mi ritrovo, mentre aspetto che come sempre Tifa sia più veloce di me a pensare e mi suggerisca da sola la risposta, invece lei rimane solo a guardarmi distrattamente, pensando a cose che non posso nemmeno immaginare.

"…non lascia che lo tocchi. Cioè, a volte, però è sempre…non lo so, non dico schifato, però…è come se non lo convincesse, capisci?"

"Ah-ha."

"E…non lo so, non capisco se sono io che sbaglio qualcosa, o se c’è qualcosa che non va…"

"Ne hai parlato con lui?"

"Sì, e con che faccia, me ne presti una?"

"Non hai mai avuto problemi a dirgli niente."

"Sì, ma adesso è diverso…"

Quando lo dico, è come se dentro di me qualcosa si sia schiuso.

…è diverso.

…Io non volevo che fosse diverso.

Dio, davvero, non…non era quello che volevo.

Tifa si alza, mette la sua tazzina nel lavandino e poi da lì, mi guarda incrociando le braccia.

"Dai, non ti preoccupare, il problema sarà proprio questo, che adesso è diverso. E’ un bel cambiamento, e forse si deve abituare tutto qui." poi guarda dall’altra parte e bofonchia "Anche se mi sembra veramente strano che quello non si butti a pesce nel primo buco che trova, evidentemente lo avevo valutato male…"

Io ridacchio: "Si può ancora valutare male una persona, dopo tutti questi anni?"

"Si può sempre. Non conosci mai una persona, in fondo. La deduci soltanto."

Sì gira, risvolta le maniche e lava la tazzina, poi la tazza che aveva lasciato lì.

Io me ne resto seduta, pensando a quello che ha detto, e credo che abbia ragione, tutto sommato, ma non mi piace troppo crederci. Preferisco pensare che col tempo, piano piano, io conoscerò Tifa e Cloud bene quanto si conoscono tra loro. E non voglio pensare che nemmeno loro si conoscano nella maniera più assoluta, perché sarebbe troppo triste.

Significherebbe definitivamente che gli esseri umani sono soli.

Non voglio più essere sola.

"Ci parlo io, con quel coglione."

"Waaah!" mi alzo di scatto e corro ad abbracciarla, anche se così facendo mi bagno con dell’acqua che le faccio schizzare "Grazie grazie grazie!"

"Non vuol dire che risolverò qualcosa, lo sai, vero? Se scavassi un tunnel in mezzo al mare, nella speranza di trovare le rovine del Tempio degli Antichi alla cieca, probabilmente farei qualcosa di meno assurdo che tentare di capire che cosa passi per la testa di Cloud Strife."

"Nyaaah, tu lo aggiusterai sicuramente!"

"Aggiustarlo? Non avevo mai pensato all’eventualità che fosse rotto, ma fila perfettamente…"

"Però non andare a dirglielo in modo strano!"

"Quale sarebbe un modo strano?"

"Boh, tipo che ti metti lì e dici ehy, Aeris mi ha detto che…"

"Quello non è un modo strano, è un modo diretto. Mi passi la tua tazza?"

Mi allungo più che posso per raggiungere il tavolo senza staccare almeno un braccio da lei, e una volta eseguito l’ordine torno a stringerla.

"E’ un modo strano sì, mi fa fare la figura della ninfomane."

"Ma non è vero…Sei troppo chiusa, Ae, secondo me il problema è questo, devi sbottonarti un po’."

"Io mi sbottono eccome, pensi che certe cose le faccio vestita?"

"Intendevo in senso figurato. Subito a quello vai a pensare, allora è vero che sei una ninfomane!"

Ed è qui che succede la tragedia.

Io le do un colpetto sulla schiena, piccolo piccolo, una cosetta minima, giuro, anche perché non sono esattamente famosa per la mia forza bruta…e lei grida.

Grida fortissimo, come un’animale ferito, caccia un grido così acuto che io mi spavento a morte, scatto all’indietro e grido anch’io, perché sono andata a sbattere contro un tavolo.

Non mi sono ancora resa bene conto di cos’è successo che Tifa si gira e mi grida furibonda: "AERIS, CAZZO!"

"Oddio, Tifa, scusami, scusami!" piagnucolo col fiatone "Tifa, scusa, scusa, volevo darti solo uno schiaffetto, non…"

"Va bene, va bene!" respira profondamente e si appoggia al tavolo. Vedo ancora i lividi blu sulle sue braccia, mentre è piegata li vedo anche dietro al collo, e il sangue mi si gela, fatico a parlare.

"Tifa, ma che cosa ti sei fatta…?" riesco a dire, ma in modo molto poco convincente.

"Non lo so, non lo sono…forse l’altro giorno al Dojo, stavo facendo un combattimento così, per allenamento, e sono caduta male…"

"Ma chi è stato? Ma che razza di imbecille!" mi avvicino, ma lentamente, perché ho ancora un po’ paura che gridi "Tiff, hai fatto qualcosa, ci hai messo una pomata, o…"

"No, non sapevo nemmeno di essere rimasta tutta bollata. Chi cazzo se lo aspettava…" respira profondamente "Stai tranquilla, non sono così delicata. Mi sono spaventata, tutto qui."

"A me sembrava che ti facesse male!"

"Sì, un po’, ma è stato più lo spavento. Davvero, tranquilla."

"Tranquilla, tranquilla!" le prendo una mano, facendo attenzione a non farle male, questa volta "Tiiiff…"

Lei sospira: "Ok, ok, ci metterò qualcosa, stai tranquilla. Sono arti marziali, non puoi mica pretendere di non farti mai male, no?"

Io annuisco. Lei mi dice che sono brava e mi accarezza la testa, come se fossi un cagnolino. Spero solamente che non mi mangi come ho fatto io con i biscotti.

Quando ci salutiamo, e mi promette un’altra volta di parlare con Cloud del mio (nostro, in realtà) problema, sento un gran freddo e so solamente che non vorrei andarmene da casa sua.

Però, non so se lo faccia consapevolmente, ma è come se fosse lei a spingermi fuori.

Alla fine, le cose sono cambiate così tanto

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Capitolo 6
*** :: 06 ***


VI Cloud

VI
Cloud

Act 6.1_listen closely because I'll keep screaming until you understand

Ok, sto cominciando a convincermi del fatto mi verranno serissimi problemi d’identità sessuale.

Va bene, passo tre quarti della mia giornata davanti allo specchio e già per alcuni questo sarebbe un chiaro sintomo della cosa, ma sulla faccenda ho un’ottima scusante: sono bellissimo. Chiunque si guarderebbe di continuo se fosse bello come me.
Ora, il mio reale problema sono le mie amicizie.

Le persone alle quali sono in assoluto più unito sono due donne, nella fattispecie una piccola bomboniera rosa e una ex-femme fatale il cui abbigliamento ricorda spesso quello di una sobria mistress bdsm.

Io con loro parlo di tutto o quasi, il problema è che spesso e volentieri quel tutto o quasi diventa Bruce Willis. O Nicole Kidman a cui gli occhiali donano. E a proposito di cose che donano, ma l’hai visto quant’è grazioso quel completino color porpora in vetrina da M’s? Secondo me ti starebbe una favola!

Adesso, io voglio tanto bene a quella ragazze, ma ogni tanto ho questa fame dirompente di virilità che mi porta qui, a ingurgitare birra insieme a Barrett e Cid, facendo una gara di rutti in old-fashoned way mentre in televisione Denzel Washington si butta da un grattacielo in fiamme con un mitra tra i denti.

Alla fine, quando ubriaco come un barbone Cid si addormenta con la faccia sul tavolino dove abbiamo appoggiato per tutta la sera gli stivali sporchi di fango e gli involucri del ristorante cinese, mi abbasso a chiedere aiuto a Barrett.

"Sai che cos’ha Tifa ultimamente?"

Lui grugnisce qualcosa e mi guarda come se si aspettasse che da un momento all’altro mi metta a suonare una trombetta e lanciare stelle filanti. Poi capisce che sono serio.

"Senti, bello, non farmi dire cose di cui mi potrei pentire."

"Palle, tu non ti penti mai d’un cazzo."

"Mi pento eccome, se mi ci fanno pentire, e Tifa è una che ti ci fa pentire."

"Quindi sai qualcosa?"

Barrett afferra una bottiglia di birra, ma la fa cadere sul pavimento quando si accorge che è vuota.

"Se so qualcosa io, tu la sai da due settimane prima, almeno. Non ho niente di nuovo da dirti."

"Ma non so, è Aeris che insiste con questa storia…" accavallo le gambe e mi metto una mano sotto il mento, in modo da sembrare un affascinante pensatore, poi mi rendo conto che sto buttando una posa fantastica per un negrone alto due metri e mezzo e torno a sedermi come un comune mortale "All’inizio non ci ho fatto troppo caso, poi ha cominciato a ripeterlo un po’ troppo spesso, e così…scoccia ammetterlo, ma di solito le capisce, le persone. Non vorrei essermi perso qualcosa io."

"Tu ti sei perso una buona metà della tua vita almeno, Cloud."

"Grazie. Io coglione che ti chiedo una cosa. Guarda che se ti consola io non è che sia qui perché mi fido immensamente nella tua capacità di leggere l’animo umano, sai? E’ solo perché se Tifa si confida con qualcuno che non siamo io ed Aeris, quel qualcuno sei tu."

"Grazie del pensiero, ma non so un bel cazzo di niente. E se anche lo sapessi non tradirei la fiducia di Tifa raccontandoti tutto, quindi mi dispiace, ma non hai spazzatura da cui mangiare, qui."

"Le tue metafore sono disgustose."

"Capirai quanto me ne fotte, piccolo lord."

Affondo la schiena e la testa nel divano scassato, che dopo un ora che ci stai seduto o ti ha risucchiato, o ti ha spaccato le ossa. Comincio a credere che sotto a questi cuscini ci sia un universo parallelo, o magari alternativo, dove io sono un eroe stragnocco con qualche arma cool che lotta con un passato tormentato, e mentre salva la terra ha anche l’imbarazzo della scelta sulla figa da farsi prima della fine della sua avventura.

"Ehy, Barrett…"

"Cosa?"

"…Aeris ha detto che aveva dei lividi."

E’ come un orso che si risveglia dal letargo.

"CHE CAZZO DI COSA?!"

"Che cazzo ne so, lo sto chiedendo a te!"

"Sei tu che abiti a cinque metri da casa sua, merda umana, che cosa cazzo fai invece di controllarla, porca merda?!"

"Non lo so, vivo?"

"Ma cos’è sta storia, lei cos’ha detto?"

"Non so, Aeris era tutta agitata, sai come si spiega lei…ho capito che l’ha vista, sembrava che qualcuno l’avesse picchiata."

"Che COSA?!"

"Pianta di chiedermi cose, ti ho detto che non ne so niente."

"E te ne stai qui calmo e tranquillo, figlio di puttana!"

"Non sono qui calmo e tranquillo, solo che Aeris mi ha trattenuto dal sfondare la porta e chiederle che cosa fosse successo!"

"Beh, non avresti dovuto lasciarti trattenere!"

"Sì, così se la prendeva con lei!"

"Ma chi cazzo se ne frega di chi se la prende con chi! Che cazzo ha detto ad Aeris, che cosa?"

"Che non se ne era nemmeno accorta, e che deve esserle uscito qualche livido dopo un combattimento al dojo, ma che cazzo, fa arti marziali, non box da strada."

"Fanculo, adesso la chiamo."

"Starà lavorando, e poi lo sai com’è fatta, se la aggredisci finisce che non ti dice più niente."

"Sei bello freddo, stronzo che non sei altro. Adesso che hai la ragazza hai messo la testa a posto?"

"…stai forse insinuando qualcosa che non colgo?"

"Vaffanculo."

"Guarda che io tengo a Tifa più che chiunque altro al mondo, pezzo di merda."

"Allora perché non ti sei messo direttamente con lei?"

Ci guardiamo per un attimo, ma siccome lui non è di sicuro un bel vedere mi giro dall’altra parte, come un bambino offeso.

Che cosa vuole capire Barrett di me? Che cosa vuole capire di noi?

La storia tra me e Tifa è stata strana, è vero, in un certo senso tormentata, ma è passata.

E’ qualcosa che è andato, e non può essere recuperato, ma questo non significa che non la ami.

La amo, esattamente quanto amo Aeris.

E no, non è la solita stronzata è paracula del le amo in modo diverso, è semplicemente così.

Chi è questo stronzo, questo elefante nero, questo corvo soprappeso, per venire a ridurre la faccenda ad una ridicola questione di chi si è messo con chi? Che cosa abbiamo, dodici anni?

Prendo una bottiglia di birra e bevo tanto che quasi mi strozzo.

Domani che Aeris non c’è sfoderò la porta e chiederò a Tifa cos’è successo, dovessi picchiarla per avere una risposta.

Act 6.2_I'm going to try not to go astray anymore

Inutile dire che l’idea di picchiarla era del tutto sfumata nel momento in cui Tifa gli aveva aperto la porta di sua iniziativa e lo aveva guardato come se fosse stato un molestatore di bambini, o qualcosa del genere.

"…che c’è?"

Tifa non rispose e rientrò in casa, ma non lo chiuse fuori, che era già qualcosa. Se era davvero incazzata di solito lo faceva, e poi saliva al piano di sopra per boicottare i suoi tentativi di arrampicarsi lungo la grondaia ed entrare dalla finestra. Sì, di solito chiudere le ante bastava, ma ricordava che una volta l’aveva fatta litigare col suo ragazzo, e quella volta lo aveva minacciato con una padellata d’olio bollente.

"Ehy, stronza, ti ho chiesto che cazzo hai!"

Tifa gli gridò dalla cucina: "Non ho niente di niente!"

Lui sbuffò e la raggiunse. La odiava quando faceva così, sembrava sua madre.

"Che ti ho fatto oggi?"

"Questa mattina ti aspettavo per studiare!"

"…che?"

"Vai al diavolo, Cloud, guarda, vai al diavolo! Se vuoi buttare nel cesso la tua vita, beh, fai un po’ quello che vuoi, ANZI!, ma cosa sto a preoccuparmi a fare, io? Se non interessa a te, a chi dovrebbe interessare?!"

Cloud si appoggiò al tavolo e rimase diligentemente ad ascoltarla mentre gli ripeteva più o meno le stesse cose di sempre: che non aveva aspirazioni, che non aveva iniziativa, che non portava mai niente a termine, che un giorno, quando l’essere un biondo aitante con gli occhi blu sarebbe passato in secondo piano perché sarebbe diventato vecchio, flaccido e pigro, avrebbe rimpianto la sua totale inattività, e si sarebbe ripetuto che Tifa aveva ragione fino alla morte.

Lui la lasciò finire, poi le disse con calma: "Sì, però non dovevamo vederci oggi."

Tifa esitò, prima di rispondere: "…tu sei scemo."

"No, sei scema tu. Oggi non è martedì?"

"E’ mercoledì."

"Dreeeen."

Tifa lo guardò per un po’, poi si mise una mano sulla fronte e sospirò.

Cloud scosse la testa: "Tu farai sfiorire la mia bellezza, Tifa."

"Ho bisogno di un caffè. Vuoi?"

"Voglio" poi le si avvicinò, le mise le mani sulle spalle e scuotendo la testa disse: "Tifa, Tifa, Tifa. Te l’avevo detto che la cannabis può sembrare uno sballo all’inizio, ma col tempo causa un sacco di danni al cervello."

Tifa si staccò bruscamente da lui e tolse il filtro dalla macchina del caffè: "Non guadagno abbastanza per pagarmi la cannabis."

"Davo per scontato che te la offrissero i tuoi amanti."

"Quali amanti?"

"I tuoi dieci milioni di amanti. La conosciamo tutti la tua reputazione…"

"Del tutto immotivata."

"Hai l’aspetto da troia, chi se ne frega con quanti uomini sei stata a letto?" poi si alzò di colpo perché la sentì urlare. Corse da lei, spaventato, e quando le arrivò accanto vide che si era schiacciata il dito sbattendo il filtro per buttare il caffè rimastovi.

Le prese la mano, senza pensarci, e si mise il dito in bocca.

Tifa si limitò a guardarlo con gli occhi a palla.

Lui rimase così per un po’, poi glielo tirò fuori, gli diede un bacino e le disse: "Ecco, come nuovo."

Tifa sembrava offesa: "Non è vero, fa ancora male."

"Allora ridammelo."

Tifa lo guardò diffidente e fece scorrere l’acqua. Cloud svuotò il filtro al posto suo, mise dell’altro caffè e lo agganciò alla macchina. Tifa si appoggiò contro il lavandino e rimase in silenzio.

"…ehy…?"

"Mh?"

"C’è qualcosa che non va?"

Tifa scosse la testa, ma non era da lei non fornire ulteriori spiegazioni.

Cloud insistette: "Mh?"

"Niente, ho detto."

"Mh, mh, mh?"

"Smettilaaa…"

"Mmmmh?"

"Sono solo un po’ sopra pensiero, ok?"

"Come mai?"

"Sai, Cloud, è un concetto difficile da spiegare a te, ma esiste una cosa chiamata vita, e in questa cosa ci sono delle altre cose chiamate doveri, e a volte queste cose ti danno da pensare."

"Sei caduta dalle scale, o qualcosa del genere?"

Tifa scosse leggermente la testa strizzando gli occhi: "Cosa? Cloud, contestualizza, quante volte te l’ho detto?"

"Aeris ha detto che eri piena di lividi" le disse bruscamente "Cosa ti sei fatta?"

Tifa accese la macchinetta del caffè e questa cominciò a fare rumore.

"Aeris esagera sempre."

"Fammi vedere."

"Come, scusa?"

Cloud era ormai entrato nella modalità non so che cosa cazzo sto facendo, ma comunque vada sarà un successo e Tifa avrebbe dovuto capirlo, ma sembrava comunque scossa. Questo lo fece impuntare ulteriormente.

"Voglio vedere, così lo decido io se Aeris esagera o no."

Tifa cercò di ignorarlo e spegnere la macchinetta, ma Cloud la bloccò contro al mobile.

"Muoviti, non fare la testarda con me."

"Che cosa vuoi esattamente, che mi spogli? Sei a corto di carne, Aeris è troppo impegnata ad inventarsi storie per soddisfarti?"

Cloud allentò per un attimo la presa e Tifa riuscì ad allungare un braccio per fermare la macchina.

"Ecco. Mi hai fatto versare il caffè" disse con troppo risentimento.

"Non me ne frega un cazzo del caffè."

"E di che cosa ti frega, Cloud Strife?" gli domandò a denti stretti.

Cloud non riusciva a comprendere le ragioni di tutto quell’astio e sperava che smettesse presto, perché si conosceva abbastanza bene da sapere che non sarebbe stato lui il primo a fermarsi, e doveva saperlo anche lei.

"Mi frega di te. Che cosa ti sei fatta?"

"Non mi sono fatta niente!" strillò guardando il soffitto, come chiedendo aiuto al Signore per non picchiarlo. Ma era Cloud quello che chiedeva aiuto per non stritolarla, aprire la sua maledetta testa dura e frugarti dentro.

"E te la prendi così per una cosa che non esiste, certo!"

"Me la prendo perché sei pazzo e perché devi scusarmi se non mi va di denudarmi davanti a te! Vai al diavolo, Cloud. Oggi sei fuori di testa."

"Sei tu che mi hai accolto sostenendo che fosse mercoledì."

"Tu non stai sostenendo niente di infondato, invece, assolutamente."

Cloud trattenne a stento il respiro e disse, cercando di restare calmo: "Se non mi fai vedere conto fino al tre e ti spoglio io, poi come va, va."

Tifa, assurdamente, arrossì e provò ad arretrare, ma naturalmente era già schiacciata contro al mobile.

"Cosa vuol dire come va, va?!"

Cloud non appose ulteriori specificazioni, afferrò la sua camicia e cominciò a sbottonarla. Tifa gli schiaffeggiò le mani, ma lui continuò. Quando capì che era assolutamente serio gridò: "Va bene, va bene, va bene!"

Cloud si allontanò e cominciò a guardarla come se lei le dovesse qualcosa. Tifa abbassò la testa e gli fece presente che se la fissava non rendeva le cose più distese.

"Capirai, ti ho già vista nuda."

"Mi hai visto semi nuda, ed è stato quasi dieci anni fa" borbottò, poi scosse la testa "Accidenti a te, Cloud, si fa prima a mettertelo nel culo che in testa…"

Cloud scrollò le spalle ed entrambi tacquero.

Poi, lentamente, Tifa si aprì la camicetta fin sotto al seno. La abbassò, scoprendosi le spalle.

Cloud trattenne un sospiro contemplativo davanti alle sue grazie e Tifa domandò, con gli occhi al soffitto: "Questo appaga la tua perversione? Vuoi fare qualche foto e spruzzarmi col luminol?"

Cloud rimase serio e disse, con la voce che, si accorse, gli tremava leggermente: "Fammi vedere la pancia."

Tifa sbuffò e lo fece contento.

Cloud chiuse e riaprì gli occhi qualche volta. Si accorse di aver ricominciato a respirare.

"Ok. C’erano da fare tutto quelle storie?"

Tifa si chiuse frettolosamente la camicia, mancando alcuni bottoni e appaiandone altri con l’asola sbagliata, e lo guardò imbarazzata, ma soprattutto con astio: "Adesso vattene prima che ti versi il caffè in testa. E non provare a salire dalla grondaia."

Cloud sospirò, scuotendo la testa: "Tifa, Tifa, capisco che il mio fascino abbia reso dal tuo punto di vista la situazione particolarmente erotica, ma tutta questa fretta di restare sola è così poco di classe…"

"Il caffè è ancora caldo, Cloud."

"Ho capito, ho capito. Per sta sera devo prendere qualcosa io o ci pensi tu?"

"Cloud."

"Ok, ti telefono dopo."

"Sta sera esco."

"Dove vai?"

Tifa prese un profondo respirò e disse, minacciosa: "CAFFE’."

Cloud alzò le braccia e se ne andò.

Camminò lentamente fino a casa, e solo quando si chiuse la porta alle spalle e si buttò sul letto si rese conto, non solo che probabilmente il caffè si sarebbe raffreddato a contatto con la sua testa, ma anche che lo aveva avuto duro da molto prima che lei si spogliasse.

Act 6.3_don’t look up, the the sky is falling

"Prima che tu lo venga a sapere in modo compromettente da terze vie, ho visto le tette di Tifa."

A differenza di quanto si sarebbe aspettato, l’unica reazione di Aeris fu aggrottare leggermente la sopracciglia.

"Aspetta. Suona molto peggio di quando l’ho pensata, davvero, aspetta che riformulo."

Aeris continuava a guardarlo confusa.

"Allora, detta in un altro modo io…ho visto le tette di Tifa, che cazzo, non posso dirla in tanti modi…"

"Cloud…" cominciò Aeris, con calma.

"Non chiedermi di rispiegartelo, ci sto pensando."

"Cloud, respira…" gli mise una mano sul cuore "Quante volte ti dobbiamo dire che devi contestualizzare…?"

"Oggi pomeriggio. A casa di Tifa. Faceva la testarda sulla storia dei lividi e allora l’ho fatta spogliare."

Aeris spalancò platealmente gli occhi, mentre Cloud continuò a guardarla con l’aria decisa ma sufficiente di chi è convinto di aver detto la cosa più ovvia del mondo.

"Non tutta, in effetti non sarebbe nemmeno corretto dire che le ho visto le tette, le ho visto piuttosto il reggiseno."

Aeris, all’improvviso, sembrò capire ogni cosa. Fece un saltello su posto e cominciò a sbattersi animatamente le mani contro alle cosce.

"Oh, CLOUD!!"

"Guarda che non è niente di che, e poi le tette di Tifa le avevo già viste, sai che mi cambia!"

Lei fece un gridolino e lo picchiò: "Oooh, non per quello, puoi guadare tutte le tette che vuoi per quel che mi riguarda!"

"Tu se una ragazza meravigliosa…"

"Ce l’ho con te perché sei andato a spifferare tutto a Tifa!!"

"Spifferare è un verbo che sottintende un atteggiamento furtivo e tatto, non è vero..?"

"Adesso sarà arrabbiata con me!" piagnucolò sconsolata. Cloud scosse la testa e le sistemò amorevolmente la frangia: "tranquilla, al momento ce l’ha così tanto con me, che prima di ricordarsi che ce l’ha anche con te passerà qualche giorno."

Quella era la frase con cui pretendeva di consolarla.

Aeris continuò a guardarlo con occhioni in bilico tra la collera e le lacrime, finché non si sedette sul letto e proclamò: "Ti odio."

"Tanto per cambiare."

"…ti ha almeno detto qualcosa…?"

"No. Chissà perché non era molto ben disposta."

Aeris fece un sospiro rassegnato, fissandolo.

"So solo…" riprese Cloud, nel tentativo di riscattarsi "che stasera ha un appuntamento, ma non mi ha detto altro. E’ anche venuta a dirmi di non seguirla, chissà poi come mai."

Aeris scrollò le spalle: "Uscirà con un ragazzo…"

E glielo aveva detto così, come se fosse una cosa normale!

Cloud fece una risata nervosa: "No, non credo proprio, andrà da qualche parte con qualche collega prima del lavoro."

Aeris rimaneva tranquilla, addirittura poco interessata: "Ma figurati, le vede comunque tutte le sere…se si vede con qualcuno meglio per lei, forse sono io che ho ingigantito la questione, magari si è davvero fatta male in palestra…"

"No, ferma, ferma" si piccò Cloud "Non è possibile che Tifa esca con un uomo, gli uomini di Tifa sono l’argomento fisso del giovedì, ce ne avrebbe parlato."

"Allora ce ne parlerà giovedì, no?"

La sua capacità di essere così chiara ed elementare, a volte, era odiosa. Doveva pensare un po’ più male delle persone; quanto inutile dispendio di fiducia!

"E se quell’uomo la picchia?"

"Vediamo come sta domani e se caso le parliamo" si corresse "O le parlo io, che è meglio."

Glielo aveva detto con un tono talmente accusatorio che Cloud mise il muso e si sedette sul letto accanto a lei. Ma cosa si permetteva di parlare, poi? Sarà stata anche più sensibile che lui, ma in quanto al prendere le cose alla larga non le avrebbero dato esattamente un master.

"Se qualcuno la tocca, io quel qualcuno lo ammazzo, non ci penso mezzo secondo."

Aeris sospirò: "Sì, Cloud, lo sappiamo bene che non ci pensi mezzo secondo …"

"Che vuoi dire, scusa?"

Aeris scosse la testa e si sedette sulle sue ginocchia.

"Piuttosto, tu come stai? Ti stai preparando per quell’esame?"

"Che esame?"

"Boh, un esame."

"Ma quale? Teoricamente ne avrei due, uno di psicologia dello sviluppo e uno di biochimica."

"Non so, uno dei due…"

Cloud rise: "Quanto sei ignorante, non ti ricordi il nome di una materia, per forza che non sei andata all’università!"

Aeris spalancò gli occhi, e ferita come non l’aveva mai vista si era alzata, aveva preso il cappotto ed era uscita. Cloud ci era rimasto di sasso. Non aveva mai fatto così, nella maniera più assoluta.

Spaventato, come lo spaventavano tutte le novità, si alzò e le corse dietro. Aeris, che vedeva di spalle, sembrava assolutamente decisa ad uscire da Nibelheim. La chiamò, ma lei non si girò. La chiamò ancora e questa volta lei gridò: "Vai al diavolo!"

Cloud aumentò il passo e la raggiunse. Fortunatamente, nemmeno se avesse avuto una bicicletta Aeris sarebbe stata più veloce di lui, e questo non perché lui fosse particolarmente atletico (anche se lo era), ma perché dopo un metro lei sarebbe caduta, o le si sarebbe impigliata la gonna nei raggi, o qualcosa del genere.

La afferrò per un braccio e lei si voltò, con gli occhi pieni di lacrime e rabbia.

Cloud rise: "Ae, dai, stavo scherzando!"

Lei, chissà perché, non rise affatto. Non si era ancora messa il cappotto e nonostante non facesse molto freddo si vedeva bene che aveva la pelle d’oca alle spalle. Cloud cercò di prenderle l’indumento e coprirla, ma lei glielo strappò malamente e gridò: "Tu sai benissimo perché non sono andata all’università!"

"Ma sì che lo so, infatti stavo solo…"

"Scusa se quell’anno il mio ragazzo era morto e non ero esattamente in grado di concentrarmi! Scusa se mie madre stava male e non avevamo soldi! Scusami davvero tanto, Cloud, scusami dal profondo del cuore!"

Aeris si placò, all’improvviso, e cominciò a piangere, strofinandosi gli occhi come una bambina.

Cloud ancora non capiva che cosa avesse fatto di male per scatenare quella specie di catastrofe, ma aveva imparato da tempo che con le donne seguire la logica è la cosa meno logica da fare, perché tanto in linea di massima una volta che si sono sfogate poi rinsaviscono.

E detta così poteva suonare brutta, ma era una cosa a cui Cloud pensava con molto affetto.

Ammirava molto questa caratteristica delle donne.

Il fatto che dicano sempre tutto, spesso anche troppo, ma che le cose davvero importanti, quelle piccole, e semplici, rimangano nascoste.

La abbracciò: "Scusami, piccola."

Aeris allora lo abbracciò a sua volta e cominciò a piangere più forte.

"Sono stufa che mi trattiate da stupida" singhiozzò "Sono stanca, stanchissima, di non essere abbastanza intelligente per stare voi!"

Cloud alzò gli occhi al cielo. Fortuna che lei non poteva vederlo. Le accarezzò la schiena e sospirò.

"Adesso sì che fai la stupida. Nessuno ha detto che non sei abbastanza intelligente…"

Aeris si separò da lui, offesa, e con la faccia rossa e gonfia per il pianto si lagnò: "Ma se me lo dite sempre!"

"Ma scherziamo, santo cielo…mettiti qualcosa addosso, che prendi freddo."

"Ti odio. Sei cattivo."

Cloud guardò il cielo e porse una mano. Poi tornò a guardare lei.

"Ae, tesoro, mi hai sputato addosso o comincia a piovere?"

"Ti sputerei volentieri addosso, se non fossi una signora."

Cloud cercò di prenderla per mano, ma lei sgattaiolò ancora via. Lui sbuffò.

"Aeris, dai, continua a tenermi il muso in casa, mi sono appena lavato i capelli, non ci tengo a fare il bis, e poi mi diventano mossi..."

"Questo è Zack che ti punisce dal cielo!"

Cloud sospirò, scuotendo la testa: "Non credo che Zack piscerebbe in testa a qualcuno per una cosa del genere…"

"Lui mi protegge dalla tua cattiveria."

Quel discorso stava andando decisamente oltre. Cloud la afferrò per il polso e questa volta lei non si ritrasse. Le prese il cappotto, glielo mise sulle spalle e le tirò anche su il cappuccio, in modo che non si bagnasse la testa.

"Ti ho chiesto scusa. Adesso dì a Zack di smetterla."

Aeris ci pensò un po’ sì, poi si strinse il cappuccio con entrambe le mani, e guardando in alto disse: "Ok, Zack, basta così, non far piovere, altrimenti si deve rilavare i capelli e sai che tragedie…"

Aspettarono un attimo in silenzio, ma le goccioline si fecero solo più fitte. Poi, il cielo cominciò a roboare in lontananza, dietro le montagne.

Cloud fece una smorfia: "Secondo me era qualcuno che puniva qualcun altro, tu l’hai fatto sentire svalutato e adesso ci becchiamo il temporale."

"Ti dico che è Zack."

"Ah, sì? E che prove hai?"

"Che lo so."

"Beh, se lo sai…"

Aeris allargò le braccia e chiuse gli occhi. Alzò il viso, e le goccioline cominciarono a cadere veloci sulla sua pelle rosea. Cloud rise e la asciugò con una mano.

"Dai, che comincio ad avere freddo."

"E’ colpa tua che hai solo maglie senza maniche, stupido."

"Non mi sono fatto i muscoli per nasconderli, non credi?"

Aeris abbassò il viso e piegò la testa di lato.

"Zack deve essere arrabbiato" constatò.

"Come mai?"

Lei scosse la testa: "Non lo so."

In qual momento, la porta della casa di Tifa si aprì e lei uscì.

Cloud la fissò com’era abituato a fare da una vita, ossia guardandola per mezzo secondo e registrando tuttavia ogni più piccolo particolare del suo abbigliamento.

Portava un abitino corto, nero e a balze, quasi sobrio, se non fosse stato per il tulle che sollevava in modo provocante la gonna e il corsetto di stoffa che le stringeva la vita, mettendo ancora più in mostra i seni bianchi che sbocciavano dalla scollatura. I consueti stivali coi tacchi a spillo da dominatrice sadomaso e il giubbottino di pelle completavano l’opera dando ancora una volta la piena idea della sua assoluta eleganza e finezza. Se non fosse bastato il fatto che nemmeno succhiando una salsiccia sarebbe potuta essere più esplicita, aveva anche i capelli sciolti, il che poteva significare una cosa soltanto: Aeris aveva maledettamente ragione, usciva con un uomo.

Tifa aveva un fottuto appuntamento del cazzo e non gli aveva detto niente.

Aeris, sempre tenendosi il cappuccio come se rischiasse di scappare, corse da lei, che stava aprendo l’ombrello.

"Tifa!" saltellò "Quanto sei bella, ti darei volentieri una botta anch’io!"

"Non capisco perché il modo migliore di fare un complimento a una donna è farle capire che sembra una puttana, ma se le dici esplicitamente che sembra una puttana si offende" borbottò Cloud.

Aeris non gli badò ed abbracciò spassionatamente Tifa, ma subito dopo temette di sciuparle il trucco o l’acconciatura, e si allontanò cautamente.

"Tifa Tifa Tifa scusami tantissimo se questo idiota ti ha dato fastidio per colpa delle mie fantasticherie!"

Tifa cominciava adesso a rendersi conto delle cose e chiese stupita: "Ma che ci fate qui fuori?"

"Prima è scappata, poi ha blaterato qualcosa sull’università, poi ha detto che Zack mi stava pisciando in testa per punizione e adesso Zack è arrabbiato. Il tutto in ordine cronologico" spiegò Cloud, avvicinandosi ad Aeris e cercando di ripararsi sotto il suo cappuccio, cosa chiaramente inutile, visto che ovviamente non ci entrava, così passò sotto l’ombrello di Tifa che continuava a guardarlo bieca.

"Non è che mi stavi facendo un’imboscata, vero?"

"Sei un’egocentrica. Non m’interessa seguirti, e poi sono affari propri come ci si guadagna il pane, per me puoi andare a prostituirti dove vuoi."

Aeris si mise in mezzo: "Esci con qualcuno, Tiff? Brava, brava, dalla via un po’, che sennò fa le ragnatele!"

Cloud era sconvolto dal giubilo con cui la sua candida ragazza poteva dire certe cose.

Tifa fece una smorfia: "Temo che non la darò via proprio a nessuno, se ritardo ancora un po’…"

"Ok, allora ci vediamo domani e mi racconti tutto, ok? E scusami ancora per oggi, davvero, non farò più parlare la mia bocca larga con questo stupido, promesso!"

Tifa le sorrise, ma continuò a non muoversi.

Cloud cercò di svegliarla: "Ti ha congedato, Tiff, hai il permesso di andartene."

"Voi che fate? Restate a prendere l’acqua?"

"Zack potrebbe arrabbiarsi se non subiamo la sua collera" disse Cloud, facendo spallucce. Aspettò, ma lei continuava a non muoversi.

Disse: "E’ meglio se rientrate, prenderete freddo."

"Prenderai freddo anche tu, se non ti affretti" insistette Cloud, sorridendo quasi sadicamente.

Tifa gli rivolse uno sguardo infuriato che non aveva bisogno di spiegazioni.

Cloud sospirò: "Andiamo, Aeris, non vuole farci vedere che in realtà è una groupie dei Sex Pistols e sta andando a un loro concerto. Lo vuoi il lucchetto che portavo nel mio periodo punk?"

"Vai al diavolo e torna a casa, che se ti ammali poi ti devo curare io" rispose Tifa nervosamente.

Cloud cinse la vita di Aeris con un fianco e la portò via, mentre lei continuava a girarsi e salutare Tifa, che li guardava andare via.

Quando furono di nuovo in casa, e Aeris disse con sollievo "oh, un po’ di calduccio!", Cloud guardò fuori dalla finestra.

Tifa non c’era più.

Aeris si buttò sul letto, prese un profondo respiro e si domandò: "Chissà come mai Zack era arrabbiato?"

Cloud appoggiò la testa contro il vetro e non rispose.

Act 6.4_ everybody knows I’m her man

Tifa non era tornata a casa, quella notte. Non che fosse rimasto sveglio apposta per controllare, ma aveva casualmente poco sonno, e così alle due e mezza, mentre Aeris dormiva, aveva attaccato la Playstation e aveva confermato la propria virilità giocando a Metal Gear Solid fino alle quattro e mezza, ora nella quale aveva - sempre casualmente - notato che non una sola luce a casa di Tifa si era ancora accesa.

Va bene, si rendeva conto che ad un osservatore esterno il suo sarebbe potuto sembrare un comportamento eccessivo, ma un osservatore esterno non poteva capire.

Cloud era collegato a Tifa da qualcosa di più di un mero filo rosso.

Tifa era la sua colonna, la testimonianza inequivocabile che tutto il mondo continuava ad andare avanti.

Se Tifa non si degnava di renderlo partecipe dei fatti suoi, se Tifa lo chiudeva fuori, Cloud era chiuso fuori da tutto.

Niente che non potesse condividere con Tifa aveva senso.

Aeris lo aveva capito, e non aveva mai fatto l’errore di ingelosirsi per questo. D’altra parte lei aveva avuto modo di vedere come funzionava il loro rapporto molto tempo prima di mettersi con lui, e se quel giorno gli aveva detto "sì" lo aveva fatto consapevole del fatto che Cloud sarebbe stato sì il suo uomo, ma sarebbe rimasto sempre anche l’uomo di Tifa.

Comunque alle sei del mattino, quando Aeris aprendo gli occhi lo aveva trovato ancora sveglio, aveva vinto le sue resistenze e lo aveva convinto ad andare a dormire.

All’una del pomeriggio Cloud era pronto e scattante davanti alla porta di Tifa, del tutto intenzionato a farsi raccontare ogni cosa. Tanto più che era giovedì, e il giovedì era il giorno del pettegolezzo, lo aveva confermato anche Aeris.

Bussò bruscamente, infastidito dal non poter usare semplicemente le chiavi perché altrimenti lei avrebbe blaterato qualcosa a proposito delle "emergenze". Che emergenze del cavolo ci dovevano essere, Nibelheim che andava a fuoco? Oh, andiamo!

Siccome dopo due secondi Tifa non era lì ad aprire, stabilì che si trattava di un’emergenza e uso le chiavi.

Le stanze erano buie, forse Tifa stava ancora dormendo.

Cloud guardò l’orologio a muro. Era strano che esistesse una forza tanto potente da costringere Tifa a dormire fin dopo mezzogiorno, anche se era domenica e magari non doveva fare niente (anche se era difficile che Tifa non dovesse fare niente, visto che si districava tra dodicimila lavori e settecento cinquanta altre occupazioni).

Salì le scale. La porta della camera da letto era chiusa. Si fece qualche falso scrupolo per pochi secondi, poi la aprì.

A differenza di quanto aveva temuto per qualche secondo, Tifa era a letto che dormiva placidamente.

Invece di andarsene e aspettare che si svegliasse, cosa che qualsiasi persona sana di mente avrebbe fatto, andò da lei, anche se a quel punto non sapeva bene perché.

Aveva i capelli in disordine, e il viso ancora truccato sembrava particolarmente luminoso e rilassato. Per dormire con quel sorrisino ebete, era chiaro che qualcuno se l’era scopata. Questa idea lo irritò e lo fece sentire in diritto di svegliarla. Visto che si era divertita a sufficienza, non vedeva proprio perché dovesse anche riposarsi, quella stronza.

"Tiiii?"

Nessun segno.

Cloud le dette un colpetto alla fronte, ma lei si limitò a fare un piccolo lamento.

Sbuffò: "Svegliati, zoccola!"

Niente. Se non funzionavano gli insulti, tanto valeva passare alle percosse.

Stava giusto per pizzicarle una spalla, quando lei spalancò gli occhi e strillò. Cloud indietreggiò spaventato. Lei si strinse nelle lenzuola: "Brutto deficiente, mi hai spaventata, cretino del cazzo!"

"Mi stavo preoccupando, pensavo fossi morta!"

"Cosa cazzo vuoi, Cloud, come sei entrato?"

"Con le mie chiavi."

Tifa sospirò: "Sono per le emergenze, Cloud, le emergenze!"

"Pensavo che il tuo uomo ti avesse stuprata fatta a pezzi e buttata in un fosso! Se non è un emergenza questa, che cosa lo è?!"

Tifa nascose la testa sotto il cuscino.

"Sono viva, Cloud, adesso vattene, ho sonno!"

"Vieni a pranzo con me e Aeris?"

"Che cosa non ti è chiaro di ho sonno?"

"Beh, tanto in realtà abbiamo già pranzato."

Tifa sospirò ancora, esasperata.

"Che vuoi, Cloud?"

"Perché il sesso ti rende così scorbutica? Fortuna che non te l’ho mai voluto dare, me lo avresti staccato a morsi!"

"Ero io che non te la volevo dare, cerca di essere realista."

"Ma non è vero, tu smaniavi per averne da me. Io ero quello che non volevo rovinare la nostra bellissima amicizia."

"La stai rovinando adesso, la nostra bellissima amicizia. E comunque non ho mai voluto niente da te, Cloud. Abbi pazienza, ma sei sicuramente uno di quegli uomini che scopano con loro stessi."

"Non hai idea di quanto mi piacerebbe, deve essere una figata, voglio dire, non sono solo bello, ma picchio anche come un fabbro."

Tifa rise e tirò fuori la testa dal cuscino.

"A me sono arrivate voci diverse, fabbro."

"False e tendenziose."

"Aeris non mente mai, non ne è nemmeno capace."

Cloud fece una smorfia: "Che dice Aeris di me?"

Tifa rise ancora: "lasciamo perdere, non sono sveglia abbastanza da sfruttare pienamente questa conversazione a mio favore."

"No, adesso ne parliamo. Levati, fammi spazio."

Tifa sbuffò e si spinse il più possibile contro al muro, sempre restando sotto le coperte. Cloud si sdraiò sul letto, sopra alle coperte, e allungò un braccio per stringerle le spalle. Lei si appoggiò contro il suo petto e lui cominciò: "Andiamo, Tifa cara, bellissima, racconta."

Tifa sbadigliò.

"Una melodiosa vocina ha sussurrato al mio orecchio che non hai ancora battuto chiodo."

"Un attimo" si impuntò lui "in che senso?"

"In che senso non si batte chiodo, Cloud? Non stiamo parlando davvero di bricolage."

"Io ho battuto chiodo. Cioè. Ho battuto una vite, via. Una puntina, ecco. Non l’ho proprio battuta, diciamo che l’ho spinta nel compensato, sai, come nelle bacheche all’università…"

Tifa sospirò: "Oh, Cloud, dà qualche soddisfazione a quella povera ragazza, visto che sotto tutti gli altri punti di vista sei un completo fallimento."

"Tu non puoi capire. Taci. Sei stupida."

"Io capisco eccome, mio piccolo, sciocco Cloud" gli strattonò le coperte da sotto la schiena, e lui rischiò di cadere dal letto. Poi lei si appoggiò sui gomiti e gli sorrise malignamente: "Hai paura del confronto con Zack."

Cloud le schiaffeggiò una spalla. Lei rise, cattiva: "Puoi picchiarmi quanto vuoi, tanto lo sappiamo tutti che è così."

Cloud, offeso, continuò a guardare il soffitto: "Non ho affatto paura del confronto con Zack, casomai è Zack che deve aver paura del confronto con me."

Tifa continuò, come se non lo avesse nemmeno ascoltato: "Non una sola ragazza che sia stata con Zack si è mai lamentata. in fondo che altro ci si poteva aspettare? Zack era perfetto in tutto quello che faceva, mica come te."

"Smettila…"

"L’unica cosa di cui mi rammarico è di non esserci stata a letto io, con Zack."

"Smettilaaaaa…"

"Povera Aeris, deve essere dura per lei. Dopo aver avuto un uomo così, abbassarsi a uno come te…"

"Critica pure, intanto il tuo uomo misterioso nessuno l’ha ancora visto, non sarà che è brutto come la morte?"

"Il mio uomo misterioso è tutt’altro che brutto, Cloud, e se proprio vuoi saperlo è molto più bello e affascinante di te."

Cloud la guardò e la indicò sfacciatamente: "Quindi finalmente ammetti che c’è un uomo."

Tifa si guardò intorno, trasognata: "Chissà."

"Hai appena detto che è più bello e affascinante di me, quindi o te ne sei inventata uno per il dolore di non potermi avere, o esiste e le tue percezioni sono alterate, perché nessuno è più bello e affascinante di me."

"Un sacco di gente è più bella e affascinante di te."

"Io non credo proprio."

"Il mio uomo misterioso sì."

"Ecco! L’uomo misterioso!"

Tifa gongolò scioccamente, per farlo arrabbiare: "E’ un gentiluomo, educato, romantico ed elegante."

"E’ un frocio."

"Può essere, ma mi scopa come se non lo fosse."

Cloud, punto sul vivo, la guardò malissimo: "Te lo stai inventando."

Tifa lo guardò negli occhi: "E’ così difficile credere che qualcuno voglia scoparmi, Cloud?"

"E’ difficile credere che qualcuno che vuole scoparti sia anche gentile con te, io ti infilerei duecento gil nel reggiseno e lo tirerei fuori."

"Oh, Cloud, sei così…lusingante. Un signore, davvero."

Cloud si girò su un fianco per guardarla meglio: "Ma ti fa venire?"

Tifa arrossì lievemente: "Sono problemi tuoi?"

"Sono un uomo, mi metto in competizione."

"Sì, mi fa venire."

"Ma scopandoti?"

"No, tenendo un comizio sulla nascita del socialismo."

"Lo sai che cosa intendo, stupida."

"Sì, scopandomi."

"Non ci credo."

"Non è che ci voglia un master, se per te è così impossibile far venire una donna il problema è tuo."

"Io non ho nessun problema a far venire una donna, sia ben chiaro."

"A quanto pare invece hai problemi anche a scopartela, una donna…"

"Aeris è una cosa diversa."

"Diversa da cosa? Diversa da quelle come me?"

Cloud la guardò negli occhi. L’aveva ferita.

L’aveva ferita e non sapeva nemmeno come.

Ma che avevano, quelle due pazze? Progettavano di spingerlo al suicidio, e che cazzo?

"E’ diversa e basta."

"Scendi dal mio letto, per favore. Ho sonno."

Cloud sbuffò e obbedì.

"Che palle, non posso più fare niente, secondo Aeris persino Zack ce l’ha con me, ma si può sapere che vi ho fatto?"

"Sei stupido dici sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato, tanto per cominciare."

"Sono solo una vittima della vostra isteria, stupide donne. Zack è arrabbiato con voi, secondo me, lui mi capisce benissimo, e mi compatisce."

"Che vai compatito, Cloud, è fuori dubbio."

"Vaffanculo."

"Cloud, c’è a casa la tua ragazza e tu che fai, stai qui con me? E’ chiaro che qualcosa non funziona nella tua testa."

Cloud non rispose e si sedette sul pavimento, appoggiando la schiena contro il letto.

Sospirò e rimase a lungo in silenzio. Poi disse, appoggiandosi alle ginocchia: "E’ solo troppo strano, va bene? E’ troppo strano…"

Tifa allungò una mano e gli accarezzò i capelli.

Finalmente, le cose andavano per il verso giusto.

Act 6.5_but sometimes you realize just how pitiful you are

Quando torno da casa di Tifa, Aeris è tornata dalla spesa.

Sì, mando la mia ragazza a farmi la spesa, ma ho un’attenuante: è lei ad insistere, e così la tengo occupata.

Ecco il problema: anche lei, come Tifa, è una che non dorme fino a tardi, solo che lei è davvero mattiniera. A volte mi esaurisco a tenerla a dormire qui, perché lei alle sette e mezza spaccate comincia a rigirarsi nel letto, e si rigira fino alle otto, quando si alza e comincia a fare di tutto. Pulisce, lava, stira, fa colazione, fa la doccia, si pettina i capelli, il tutto facendo il più miracoloso casino che l’umanità immagini. Poi ti guarda, se vede che ti muovi, e ti dice, sorridente: "Oh, Cloud! Dormi pure, non ti preoccupare per me!"

Così, se si offre di andare a fare la spesa, la scongiuro affinché vada nell’unico supermercato del pianeta che vende gli orsetti gommosi solo al gusto arancia, così riesco a dormire almeno fino alle dieci. Purtroppo, in realtà, mi dice quasi sempre di attaccarmi e tirare, per gli orsetti all’arancia, e allora mi compra quelli misti qui a Nibelheim. Ma vabbè.

Tornando a noi, Aeris sta sistemando quello che ha comprato nelle dispense.

Le mie dispense hanno cominciato ad avere un ordine da quando l’ho conosciuta.

Tifa non si è mai avventurata più di tanto nei miei spazi, a sua detta temeva di trovarci i topi, ma Aeris è stata più coraggiosa, e con molta calma e pazienza ha modellato quell’impasto informe e creato una vera cucina. Ho uno sportello per le merende, adesso. Uno per la pasta, il riso e la farina. In quello sopra al fornello ci sono l’olio, l’aceto, il sale e quelle robe lì. Ho anche un cassetto delle posate, pensate.

A volte mi sento come se la mia vita fosse destinata alle donne.

Sono nato da una donna, naturalmente. Una donna che mi ha lasciato molto presto.

Tifa ha dato una forma alla mia vita. Le ha dato un senso, una scintilla, me l’ha data in mano e mi ha detto "buona fortuna".

Poi è arrivata Aeris, ha guardato che razza di casino avevo fatto, si è messa il grembiulino, ha rimboccato le maniche e ha sistemato tutto.

Non c’è da stupirsi se sono un narcisista, se sono viziato.

Le donne ti viziano.

E’ come se avessi avuto tre mamme, con il piccolo particolare che due di loro le vedrei particolarmente bene in una scena porca lesbo, e che Dio mi salvi, una di quelle due non è la mia povera madre (pace all’anima sua).

Aeris mi sorride radiosa: "Buon giorno, Cloud! Hai dormito bene?"

Per quel poco che ho dormito…

"Abbastanza."

"Sei stato da Tifa? Allora, che dice? Non le hai dato fastidio, vero?"

"Io non le do mai fastidio, e poi noi abbiamo livelli molto personali di fastidio…"

Aeris ride e dice che sì, lo sa bene.

Io e Tifa negli anni l’abbiamo messa al corrente dei peggiori rompimenti di coglioni a cui ci siamo sottoposti. Io, modestamente, ho il primato, ma anche lei non scherza. Ci siamo fatti cose davvero assurde e insopportabili, da neurodelirio.

Prima di tutto le piccolezze: io che picchiavo i suoi ragazzi, lei che diceva in giro che mi tingevo i capelli, io che raccontavo che aveva la candida, lei che mi metteva le puntine nelle scarpe perché avevo detto al ragazzo che le piaceva che aveva la candida, io che le buttavo nel pozzo i reggiseni, lei che mi sotterrava sulle montagne le mutande.
Poi, i regimi d’insistenza vari. E qui si passa da io che le scrivo con la bomboletta di vernice rossa sulla fiancata della casa "dai, dimmelo" a lei che toglie ogni-singolo orsetto gommoso arancione dai pacchetti, si mangia quelli rossi, e mi lascia solo quelli verdi che fanno schifo. Una volta, quando seguivo la dieta per la palestra, mi ha svuotato le uova. Sì: mi ha svuotato le uova. Poi ha incollato i gusci e me le ha rimesse nel frigorifero. E’ una psicopatica!

Insomma, c’è un motivo epr cui Aeris non si è stupita quando le ho detto che ho denudato Tifa per farla parlare; probabilmente si è stupita perché non l’ho picchiata, o con molta più maturità, non ho impiccato le sue bambole.

"Comunque a quanto pare si vede con un uomo."

Aeris mi guarda con una faccia finto-stupita irritantissima e mi dice: "DAAAAI?!"

"Nel senso che si vede-si vede. Escono insieme da un po’, insomma."

"E si sa qualcosa di questo uomo misterioso?"

"Sì, che lo chiamiamo Uomo Misterioso, appunto. E che a quanto pare Christian Troy gli fa una sega."

"Chi è Christian Troy?"

"Nip/Tuk? Ti dice niente?"

Lei scuote la testa.

Io la biasimo: "Devi guardare più televisione, Aeris…"

"Comunque che vuol dire?"

"Che a sentire lei, se la scopa in modo tutt’altro che opinabile."

Aeris fa spallucce: "Beh, beata lei che ha qualcuno che se la scopa…"

Detto questo, ricomincia a sistemare la spesa. E non parliamo più.

Quando Aeris se ne va, io cercò di trovare l’onestà per chiedermi: "perché, Cloud?"

Si potrebbe credere che io le voglia bene, ma non sia sessualmente attratto da lei.

Sbagliato.

Si potrebbe credere che sia sessualmente attratto da lei, ma che lo sia di più da qualcun’altra.

Sbagliato (anche se non m’è mai andata giù non essere riuscito a dare una botta a Tifa, ma quella è acqua passata).

Si potrebbe credere che la veda come una persona troppo pura, troppo candida, troppo innocente, per avere il coraggio di deflorarla.

Sbagliato. Cioè, oddio, è anche vero che la vedo così, ma a parte il fatto che è stato ampiamente dimostrato che in realtà Aeris è più porca di me (sono state lei e Tifa a spiegarmi, con mio sommo raccapriccio, che cos’è il fisting), in realtà questa cosa mi intriga anche.

Si potrebbe credere che temo il confronto con Zack, come dice Tifa.

Forse questo è vero.

Forse è vero, ma non lo è completamente. Andiamo, sono un uomo, mi sento in competizione con chiunque. C’è un motivo per cui se fosse per noi, ci scoperemmo solo delle vergini. Una donna ti vede come un Dio, finché non si accorge che c’è di meglio.

La verità? L’ipotesi più probabile, la più imbarazzante, la più seccante?

…mi sento in imbarazzo, nei confronti di Zack.

Lo so, sono pazzo. Lo so che dovrei andare da uno psicologo perché non ho mai elaborato il lutto eccetera eccetera, ma mi sento in imbarazzo.

E mi sento in colpa.

Ho detto che non me ne fregava niente. L’ho detto e l’ho ripetuto mille volte, ma questo non l’ha reso vero.

Io mi sento in colpa, Zack.

Mi sento in colpa perché tu sei morto per una stronzata che io ho combinato, e adesso ho anche la poca grazia di farmi la tua ragazza.

Non è orribile?

Eppure so anche che non è solo per questo.

So che…non lo so. Non so proprio niente, in verità.

E’ solo…troppo strano.

Credo che ci vorrà del tempo, tutto qui. Spero non troppo, perché sto andando avanti a seghe e sta diventando frustrante, che cazzo, non ho più tredici anni, è deprimente. E poi non voglio certo che quelle due vipere mi parlino alle spalle ancora a lungo.

Io…che cazzo.

Non so.

Act 6.6_What should I think? What should I say?

Tifa è uscita ancora, sta notte.

Questa storia che non mi vuole nemmeno far intravedere il suo uomo sta diventando seccante. Io devo sapere con chi esce Tifa, altrimenti come faccio a fermarlo all’angolo di una strada buia e a minacciarlo?

Ok, forse non dovrei chiedermi perché non me lo vuole presentare.

Lei cerca di sdrammatizzare e dice che non è una cosa seria.

Io la vedo sempre più triste. Sempre più stanca.

Ho paura che le stia succedendo qualcosa e si stia chiudendo in se stessa. Ho paura che stia chiudendo fuori me e Aeris.

Mi preoccupo, quando ci chiude fuori. L’ultima volta è stato qualche anno fa, avevamo cominciato da poco l’università, lei non si faceva mai vedere, e quando mi sono rotto le palle e ho praticamente fatto irruzione in casa sua l’ho trovata che stava malissimo, l’ho portata all’ospedale e viene fuori che quella stronza aveva perso quindici chili. QUINDICI.

Devi saperti chiudere dentro davvero bene se il tuo vicino di casa, che è anche il tuo migliore amico e la persona che ha meglio osservato il tuo corpo in tutto il mondo, non si accorge che stai diventando uno scheletro davanti ai suoi occhi.

Quanto l’avrei picchiata. Non ho mai capito se avesse voluto dimostrare qualcosa, o che cosa. Tifa è fatta così. Tu credi che tutto vada bene, e poi da un giorno all’altro scopri che è andato tutto a rotoli, che lei ha dato fuori di testa e che ha fatto delle pazzie.

Potrei citarne a decine, di quelle pazzie.

Prima su tutte, quando si è tagliata le vene dopo la morte di sua madre.

Poi quando si è praticamente rapata a zero dopo la morte di suo padre (va bene, aveva il caschetto, ma è stato comunque un trauma).

Quando ha cominciato a tagliarsi come una scema al liceo.
Quando si era messa in testa che doveva mettersi con questo ciccione di cinquant’anni pedofilo che le faceva la corte, al grido di "ma è ricco!".
Quando ha cercato di affogarsi in un catino (la dinamica di questa cosa ancora non mi è chiara, so solo che l’ho trovata con la testa in un catino e quando l’ho tirata fuori era diventata blu).
Quando si era decisa a fare la riduzione del seno e portarlo a una prima (crimine contro l’umanità che sono fiero di aver sventato).
Quando voleva a tutti i costi avere un figlio, s’è fatta mettere incinta da questa testa di cazzo a cui ho poi prontamente spaccato la mascella, poi ha cambiato idea e ha abortito, e poi ha naturalmente pianto per settimane sulle mie ginocchia. Per non parlare del fatto che inizialmente voleva averlo da me, un figlio.
Si presente a casa mia, bella come il sole, nel periodo in cui a me ancora bastava vederla sbattere gli occhi per strapparmi la pelle e farne un tappeto sul quale potesse passare, mi mette le mani al collo e mi dice "Cloud, ti va dire fare sesso con me?" Così, dal nulla. Io ho sentito il coro degli angeli, ovviamente. Allora ci siamo messi sul letto, con lei che era meravigliosa e io che ero impacciato come non so che roba e mi muovevo come se stessi facendo il ballo del robot, poi mi sono caricato perché, insomma, l’ho già detto che era meravigliosa, e al momento decisivo, quando faccio per prendere i preservativi, lei mi sgancia questa bomba e mi dice "No, no, voglio restare incinta". Ora, non solo mi si è ammosciato all’istante, ma se poteva mi si ritirava anche e poi implodeva. L’ho insultata con la migliore delle mie performance isteriche, lei è uscita, incazzata come un picchio, ed è finita così per rivolgersi al pezzo di merda di cui sopra, che non si è fatto gli scrupoli che mi ero fatto io. Ovviamente. Io la amavo, lui no. Quando è venuta da me, in lacrime, a dirmi che aveva sbagliato tutto e che voleva abortire, io ricordo bene che ho pensato "per finire così, tanto valeva che lo avessi fatto io".

Impazzisce. Non so come altro dirlo. Forse non esiste un altro modo per dirlo. Impazzisce e basta. Dà i numeri, ma non numeri normali, da numeri da sei miliardi di cifre, dà numeri che probabilmente la mente umana non ha mai considerato, e poi puff. Si spegne e torna normale. E’ come se le si fulminasse la lampadina.

Non voglio che Tifa impazzisca di nuovo, anche se so che è una cosa inevitabile, come quelle catastrofi naturali che si devono ripetere ogni tot anni per mantenere in equilibrio il Pianeta.

Per tenersi in equilibrio, Tifa ogni tanto deve impazzire, ma questo non significa che io debba stare a guardare.

Così deciso che devo andare da lei, e che mi dovrà parlare di questo uomo misterioso. O di qualsiasi altra cosa mi debba parlare. La metterò con le spalle al muro, non c’è altro da fare, anche se mi odierà per settimane.

Busso alla sua porta e suono il campanello. Sono già pronto ad usare le famose chiavi di emergenza, quando la sento gridare "Cloud?!"

Io mi sposto e la vedo, affacciata appena appena dalla finestra che dà su quella della mia camera, da dove di solito parliamo.

"Così sembra."

"Cloud, vai via!"

Ecco, appunto. Chiaro sintomo che sta impazzendo.

Le faccio vedere le chiavi. Lei mi grida di aspettare, e nel giro di tre secondi è davanti a me, nascosta dietro alla porta.

"Cloud, che vuoi?!"

"Sono venuto a parlarti."

"Non puoi parlarmi in un altro momento?"

"No, ti devo parlare adesso."

"Cloud, parliamo dopo, adesso ti prego, vai via!"

Io apro di più la porta e la tiro per un braccio, in modo da poterla guardare. E lì, capisco.

Indossa una camicia da uomo.

Ha i capelli arruffati e riesco quasi a vedere il suo bellissimo seno arrossato e palpitante.

Lei si nasconde di nuovo dietro la porta.

"Sei con un uomo?" le chiedo.

"Certo che sono con un uomo!" bisbiglia arrabbiata.

"Beh, potevi anche dirmelo."

"E come dovevo dirtelo, idiota, dovevo appendere una cravatta sulla maniglia della porta?!"

"Non sarebbe una cattiva idea."

"Cloud, torna a casa, ok? Passo io quando se ne va."

"E quando pensa di andarsene?" dico bruscamente. E’ chiaro che a lei dà fastidio, perché mi guarda malissimo. Non me ne frega un cazzo.

Io sono il suo uomo.

Se io metto piede qui, qualsiasi altro uomo se ne deve andare.

Lei è mia.

Non me ne frega se un signor nessuno può scoparsela e metterle addosso la sua camicia, lei è mia.

"Beh, mandalo via" insisto.

"Non credo proprio."

"La scopatina ve la sarete fatta, no? Che ci sta a fare ancora?"

"Cloud, io voglio che lui resti. E voglio che tu te ne vada."

"Perché?"

"Perché cosa?"

"Perché preferisci lui a me."

Lei mi guarda con gli occhi spalancati. Poi li sbatte e diventano lucidi.

Oddio, adesso che ho detto?

"Non lo preferisco" dice con la voce bassa, disturbata.

"Allora perché mi mandi via?"

"…perché tu non sei il mio ragazzo…"

"Lui sì?"

"No. Ma potrebbe diventarlo. Tu no."

"Perché no?"

Lei sembra sempre più sconvolta. Non mi sembra di stare dicendo niente di strano. Perché, potenzialmente, non potrei essere il suo ragazzo, non sono forse alla sua altezza? Sta forse cercando di ripetermi, nel caso non lo avesse fatto abbastanza in questi anni, che non sono abbastanza per lei?

Prende il respiro e dice d’un fiato: "Perché sei già il ragazzo di Aeris."

"E questo è così importante? Chi è il ragazzo di chi è più importante di me?"

A questo punto lei comincia a spingermi. Proposito stupido, visto che se facessimo a botte vincerebbe lei, ma io sono comunque più forte. La fermo per i polsi e la guardo.

"Chi è quest’uomo che è più importante di me?"

"Non è nessuno, non c’è nessuno più importante di te, ma adesso vattene!"

"Se non c’è nessuno di più importante di me allora mandalo via!"

E qui mi prendo una sberla. Una sberla da donna, quelle che fanno un gran male e un gran casino.

Vorrei dargliene una anch’io, ma a parte il fatto che le romperei la faccia, lei scoppia a piangere.

Sì, scoppia a piangere.

Tifa che piange…non avrei mai creduto di vivere abbastanza per rivederlo, e d’un tratto mi fermo a pensare a che cosa possa aver scatenato questo dramma.

Che cos’è successo…?

Mentre ero distratto da me, dalla mia storia con Aeris, dai fatti miei, che cosa…che cosa è successo, alla mia Tifa…?

Dico il suo nome e cerco di accarezzarle la testa, ma lei mi schiaffeggia la mano e si ritrae.

Sono stufo che le mie donne si ritraggano da me.

Mi dice "Perché devi sempre fare così?"

"Così come?"

Lei comincia a gridare, tra le lacrime, e io continuo a muovermi appena perché non ne avevo idea.

Non avevo idea di tutto quanto.

"Tu devi sempre fare così, Cloud, sempre! Te ne vai, ti fai gli affari tuoi, e quando io trovo qualcuno tu torni e pretendi tutto! Tu pretendi tutto, Cloud! Pretendi tutto il tempo, tutto lo spazio, pretendi tutto da me! E io sono stanca di farmi trovare sempre pronta per te, sono stanca di questo comportamento, non ne posso più, sono esausta!"

Cerco di dire qualcosa, ma lei grida: "Io non ce la faccio più! Non ce la faccio più, cerca di capirlo, non ce la faccio più!"

"Cambierò" è la prima cosa che le dico. Una cosa senza senso. So che non succederà.

Lei è mia.

Non è di nessun altro.

"No, Cloud non cambierai! Sono anni che non cambi, sono anni che mi allontani da tutti, sono anni che mi costringi a stare da sola, e io non ce la faccio più! Lo capisci che non ce la faccio più?! Non sopporto più il tuo egoismo, non sopporto più il tuo egocentrismo, non sopporto più niente di te, Cloud, quindi TI PREGO, vai via!"

"Tu sei mia."

E lei piange. Piange e basta, con le mani che le nascondono il viso. Io tento di scostargliele, ma lei me lo impedisce.

"Sei mia" le ripeto.

So che vorrebbe dire tante cose. So che quando piange è perché ci sono troppe parole che non riesce a pronunciare.

Vorrei stringerla. Vorrei prometterle qualcosa, ma non c’è niente che le possa promettere.

Non so che cosa vorrebbe da me. Io le darei tutto, ma ci sono cose che non le posso promettere.

"Ma non sono mai l’unica" singhiozza infine, per poi appoggiarsi al muro e piangere, dandomi la schiena.

Non so che cosa fare. Vorrei solo abbracciarla, come ho sempre fatto, ma è come se quel tempo se ne fosse andato per sempre.

Perché non riesco più ad abbracciarti, Tifa?

Che cosa è successo?

Poi sento dei passi, sulle scale.

Lei si spaventa e fa per correre via, ma la fermo, ed è in quel momento che lo vedo.

Vedo Vincent Valentine.

Vedo l’uomo che ha ammazzato Zack e a questo punto è tutto chiaro.

E’ tutto fin troppo chiaro.

"Lasciala andare, cortesemente" mi dice.

Io la lascio andare. Non perché me l’ha ordinato lui, ma perché non riesco nemmeno più a toccarla.

Tifa continua a piangere e non provo più dispiacere per questo.

Quell’uomo si avvicina e lei si butta tra le sue braccia, come se io non ci fossi.

Come se niente di tutto quello che è successo ci fosse mai stato.

"…tu sei pazza…" le dico, e basta.

Non c’è più niente da dire.

Decifro una parola tra le lacrime, i singhiozzi e i sospiri, mi dice di andarmene.

Ma questa volta non ho bisogno che sia lei a dirmelo.

Butto le mie chiavi sul pavimento e chiudo la porta.

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