It's a strange world - This is my life.

di StillAnotherBrokenDream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un'insolito risveglio ***
Capitolo 2: *** Ti adoro, papà. ***
Capitolo 3: *** Un'altra possibilità ***



Capitolo 1
*** Un'insolito risveglio ***


Svegliati, adesso

N.d.A. : Fan Fiction nata per caso e del tutto inaspettatamente, dopo aver visto la puntata 4x6. Dopo il “Tu sei mia!” sono andata in paranoia e la mia testolina ha partorito o meglio sta partorendo questa storia. Dove andrà a parare? Chissà! Non è il massimo ma a me piace scriverla! Ciao a tutti XD!!!

 

 

 

Un’insolito risveglio.

 

 

 

Svegliati, adesso.

 

Non ce la faccio, non ci riesco. Sono bloccato, paralizzato, non riesco a muovere neanche un muscolo. Mi sembra di morire!

 

− Tesoro? Tesoro svegliati.- sussurrò posandogli una mano sulla spalla. Ma l’uomo non si mosse, continuando a tremare.

Lei lo guardò perplessa. − Amore, svegliati è tardi. − insistette la donna scuotendolo più forte.

Sembrava piombato in un sonno così profondo da renderlo sordo e insensibile a richiami di qualsiasi genere, tanto che sua moglie cominciò a temere che stesse male. Gli posò una mano sulla fronte e si accorse di quanto fosse imperlata di sudore.

− Buon Dio ma tu stai male. Benjamin, svegliati per favore! − implorò allarmata.

Finalmente l’uomo si svegliò con uno scatto così brusco da spaventare sua moglie, si mise seduto cercando di riprendere fiato.

Ansimava come se avesse corso per chissà quale distanza ed era scosso da tremiti profondi.

− Caro, ti senti bene? Non riuscivo a svegliarti, mi hai spaventata. − gli disse lei con premura, accarezzandogli il viso.

Suo marito si voltò a guardarla, e quando incontrò quegli occhi tanto amati rimase senza fiato.

− Juliet? − esclamò con sorpresa, non riuscendo a credere di trovarsi faccia a faccia con lei.

− Certo, ti aspettavi qualcun’altra per caso? − fece lei in tono indignato, ma poi le sue labbra si allargarono in un sorriso affettuoso.

− Stavi facendo un brutto sogno vero? Ti sei agitato tutta la notte e per questo ti ho lasciato dormire…− gli disse alzandosi dal letto, si diresse verso la grande finestra e aprì le tende in un colpo, caldi raggi di sole colpirono il letto al centro della stanza.

Benjamin osservava i movimenti di Juliet a bocca aperta, ancora incredulo e disorientato da ciò che stava vedendo.

− Mi stai ascoltando o stai ancora dormendo? − gli domandò lei guardandolo divertita.

Aveva quei meravigliosi capelli ondulati di quando l’aveva vista la prima volta. Quelle onde dorate che l’avevano incantato.

− Io… scusami sono ancora… un po’ assonnato. − si giustificò, riuscendo finalmente a pronunciare qualche parola.

− Sì, lo vedo. Come ti dicevo poco fa, parlando da sola, ti sei agitato per tutta la notte in preda a chissà quali incubi e solo quando mi sono alzata io hai smesso di trasalire e lamentarti. −  gli raccontò Juliet, intenta a mettere  via alcuni maglioni da uomo.

Dormiamo insieme?

Pensò di scusarsi ma era ancora troppa la sorpresa e le parole gli morirono in gola.

− Avanti bell’addormentato, alzati e vieni a fare colazione. Le ragazze sono già uscite e io sto per farlo. − annunciò lei.

L’uomo sorrise e la guardò uscire dalla stanza: era di una bellezza folgorante e se era un sogno non voleva svegliarsi mai più.

Già, un sogno. Pochi istanti e tutto sarebbe svanito nel nulla, ritrovandosi di nuovo dove era sempre stato.

Si guardò intorno, tutto gli era estraneo ma allo stesso tempo familiare, una strana sensazione come di un dejà-vu incerto.

Le pareti di un caldo color crema, le lenzuola candide del letto matrimoniale, l’armadio, i comodini: tutto, gli diceva la logica, era sconosciuto, eppure aveva la sensazione di averli già visti. Spostò lo sguardo sul cuscino accanto a se, era stropicciato e qualcosa di dorato disturbava il suo candore. Allungò la mano e riuscì a prendere quel filo d’oro: era un capello, un capello di Juliet, lei aveva dormito lì accanto a lui! In quel momento ebbe come una visione, un ricordo talmente nitido da sembrare lì davanti ai suoi occhi.

Era un matrimonio, il loro matrimonio: Juliet neanche ventenne in abito bianco e un bouquet di rose bianche e blu in mano, sorridente e bellissima, sottobraccio a….lui! Erano sposati, Juliet era sua moglie! Non poteva essere vero, Juliet lo detestava anzi no, lo odiava e voleva vederlo morto! La donna che poco prima gli aveva sorriso accarezzandogli il viso non aveva l’aria di odiarlo.

− Tutto questo non ha senso, dove sono capitato e perché tutto questo! − chiese esasperato a se stesso alzandosi dal letto.

Camminò per la stanza, esaminando tutti gli oggetti che lo circondavano comprese alcune foto incorniciate sulla cassettiera.

Sentì un tuffo al cuore talmente profondo da costringerlo ad appoggiarsi alla parete, quella che aveva tra le mani era una foto… di famiglia. Ritraeva Benjamin, Juliet e due ragazzine dai capelli scuri e gli occhi chiari. Tutti e quattro sorridenti e spensierati.

Alex!  la chiamò soffocando un urlo, la sua Alexandra era viva ed era lì in quella foto insieme a…

Sarah.... − sussurrò guardando l’altra ragazzina della foto: l’altra sua figlia.

Ricordava entrambe come sue figlie, cioè nate da lui e da sua moglie... oh era pazzesco, era impossibile, folle… ma bellissimo.

Assorto nella contemplazione di quel ritratto familiare, non si accorse dell’arrivo di Juliet.

− Se non fossero mie figlie ne sarei gelosa. − esordì sorridendo. Benjamin si voltò e ricambiò il sorriso con uno più grande.

− Gelosa delle nostre bambine? Non ne avresti motivo, vi amo tutte talmente tanto che non saprei quantificarlo! − confessò.

Era vero, maledettamente vero. Sentiva un amore così grande per le sue donne da metterlo in imbarazzo addirittura con se stesso.

− Lo so, e lo sanno anche loro. Sei il loro idolo! − gli disse con una risatina melodiosa. Lui non seppe cosa rispondere.

− Sei un bagno di sudore, tesoro. Se non ti cambi di prenderai un malanno. − lo avvertì posandogli una mano sul petto, esaminando la casacca del pigiama.

Benjamin abbassò lo sguardo su quella mano calda e amorevole, adornata dalla fede d’oro bianco e da un diamante di notevole dimensione: quindici anni di matrimonio, ricordò.

Era il regalo di Benjamin a sua moglie per il loro quindicesimo anniversario. Lei si era talmente commossa da mettersi a piangere, correndo in un’altra stanza per non farsi vedere.

Tanti ricordi cominciavano a farsi spazio nella sua mente, e quello che fino a pochi istanti prima gli era parso solo un’allucinazione o qualcosa del genere, cominciò a sembrargli reale e tangibile e… normale. Una vera vita, normale.

Hai… hai ragione cara. Vado a fare una doccia e arrivo subito. − assicurò l’uomo le prese la mano e gliela baciò con trasporto.

Juliet annuì e gli sorrise di nuovo, allontanandosi da lui e dirigendosi verso il letto.

Prese il cuscino sul quale aveva dormito suo marito e lo osservò. Si voltò verso Benjamin guardandolo preoccupata.

− Tesoro, hai perso sangue. Sul tuo cuscino ci sono macchie di sangue. − Juliet gli si avvicinò rapidamente.

− Santo cielo, hai perso sangue dal naso mentre dormivi. Ti senti bene caro? − gli chiese prendendogli il viso tra le mani.

Sangue dal naso… non è un buon segno – pensò Benjamin mentre Juliet lo guardava preoccupata.

− Sì… amore. Sto bene. Non so come sia potuto succedere.. mi dispiace per il cuscino… − si scusò.

− Oh, cosa vuoi che me ne importi di un cuscino! L’importante è che tu stia bene. Hai mal di testa? Vista annebbiata? −

Juliet è un medico anche in questa realtàricordò l’uomo.

− Niente di niente Juliet, davvero sto bene. Non so.. anzi a pensarci bene ieri al lavoro… un libro è caduto dallo scaffale e mi è praticamente arrivato in faccia. A parte il dolore del momento, non è successo niente. Forse è per questo che stanotte ho perso sangue… − una bugia un po’ contorta e inverosimile…. peccato che nei suoi ricordi c’era davvero questo episodio.

Anche a sua moglie sembrò un incidente strano.

− Un libro in faccia? E neanche un livido? – gli fece notare alzando un sopracciglio.

− Sì…. beh dai non era un mattone! E poi è colpa del naso… oserei dire che si tratta di un esemplare “importante”, difficile per un libro non centrarlo in pieno! − Juliet si mise a ridere.

Sei impossibile, davvero. Trovi sempre come buttarla sul comico. Comunque, se mi assicuri ti stare bene, ti credo. −

Sta’ tranquilla, sto benissimo. Ora.. ora vado a fare quella famosa doccia.. − le disse con un sorriso.

Lei annuì posandogli le mani sulle spalle. − Okay, vai tesoro. Ti aspetto di là. Sbrigati perché sto per uscire. −

Juliet lasciò la stanza, lasciando Benjamin da solo con un turbine di pensieri in testa: era un sogno o cosa?

Quella non doveva essere la sua vita, eppure lo era. Sempre più ricordi riaffioravano alla sua mente.

Ricordi di gioventù, di vita familiare, del lavoro e…..

− Sono un avvocato? Oh Dio… − esclamò ricordando quale fosse la sua professione. Poi si mise a ridere.

Un lavoro perfetto per… un doppiogiochista manipolatore! Era folle ma estremamente divertente. E ricordava una valanga di codici, norme, leggi e pratiche e fascicoli… era tutto nella sua testa: tutto reale.

Entrò nel bagno e riconobbe ogni suppellettile, sapeva dove cercare le sue cose e tutto gli era familiare.

Si guardò allo specchio e vide che effettivamente era lui, Benjamin Linus.

Era strano però, sul suo viso non c’erano tracce di sangue: sarà stata una goccia che sul cuscino si è sparsa, pensò.

Lasciò perdere la faccenda del sangue, si tolse il pigiama ed entrò nella doccia.

 

 

 

/-------------------/

 

 

Quando uscì dal bagno, si diresse verso l’armadio: sapeva benissimo dove fossero le sue cose.

L’aprì e scelse una camicia bianca, una giacca grigia e un paio di pantaloni dello stesso colore. Scelse una cravatta blu ma poi decise di farne a meno. A pensarci bene, non era mai stato un tipo da cravatta.

Si vestì e uscì dalla camera da letto, dirigendosi verso la cucina. Spaziosa, arredata con cura e accogliente. E familiare.

Benjamin sorrise. Era felice di trovare familiare anche quella stanza.

− Finalmente, ce ne hai messo di tempo. Stai diventando più vanitoso di una donna, sai? – lo canzonò Juliet.

− Scusami tesoro.. questa mattina sono proprio fuori fase. Non ho dormito bene. −

− Lo so. Succede di trascorrere una notte agitata, ti passerà vedrai. Adesso fa’ colazione. − lo invitò versando del caffé in una tazza.

Benjamin si sedette al tavolo guardando sua moglie: era davvero lì davanti a lui? Davvero Juliet Burke era sua moglie?

− Grazie, Juliet. − la ringraziò pronunciando il suo nome con dolcezza.

Lei lo guardò negli occhi e gli diede un bacio sulle labbra. − Di nulla. − gli rispose.

Benjamin ebbe l’impressione che il suo cuore si fosse fermato per un momento: un bacio di Juliet, per lui!

− Tu.. tu non fai colazione? − riuscì a dire Benjamin dopo alcuni secondi di confusione.

Lei scosse il capo. − L’ho fatta prima con le ragazze.. devo proprio scappare. Le mie pazienti arriveranno a momenti e io sono ancora qui… a prendermi cura del più grande dei miei figli! −

Benjamin sorrise divertito. − Sono tuo figlio maggiore? Non potrei avere mammina migliore! −

− Se ti sentisse Emily… − lo ammonì lei con un sorriso compiaciuto.

Benjamin rimase di ghiaccio: sua madre era viva?

Sì che lo era, e lo era anche suo padre. E tutti e tre avevano un rapporto…. meraviglioso.

Sua madre non era morta di parto. Suo padre era stato ed era ancora un buon padre. E non era morto.

Erano in età ma stavano benissimo.

− A proposito, una di queste sere dobbiamo invitare i tuoi a cena, e da un po’ che non ci riuniamo, che ne dici? −

− Sì, sarebbe un’ottima idea. − convenne  lui : voleva vedere sua madre.

− Okay, per me qualsiasi sera va bene purché lo sappia con qualche giorno d’anticipo. −

− Va bene. Telefonerò a … mia madre e vedrò quando possono venire… − gli faceva uno strano effetto dire che avrebbe telefonato a sua madre, quando dall’altra parte lei era morta dandolo alla luce. Dall’altra parte? Nel suo incubo, forse.

Tutta quella storia dell’isola… dello schianto… di tutto insomma, doveva essere stato un grosso, brutto e contorto incubo.

− Non mangi nulla, Benjamin? −

− Ehm.. non ho molta fame questa mattina. Prendo solo il caffé. −

− Sicuro di stare bene? Sei pallido. − si informò sua moglie.

− Sì, sto benissimo. Anzi… credo di non essere stato meglio prima d’ora. E poi fare un po’ di dieta non può che farmi bene. Sai che stamattina ho avuto l’impressione che la camicia mi stesse stretta? − Juliet si mise a ridere.

Smettila, voi uomini potete permettervi un po’ di pancetta. E tra l’altro personalmente trovo le maniglie dell’amore una cosa fantastica. È bello sentirti morbido quando ti abbraccio. –

Il chiaro riferimento sensuale lo mandò in tilt. Aprì la bocca per dire qualcosa ma non ci riuscì.

Si alzò dal tavolo imbarazzato.

Che hai tesoro? Mi sembri turbato…− lo provocò lei con voce suadente.

Devo … devo andare. − farfugliò lui facendo sorridere Juliet.

− Ho detto qualcosa di sbagliato? Ti ho messo in imbarazzo per caso? −

Benjamin le si avvicinò rapidamente e prendendola per la vita l’attirò a sé.

− No. Solo che dopo quell’allusione se resto altri due minuti non so cosa potrebbe succedere. −

Sembrava che in un attimo tutti i dubbi e il conseguente imbarazzo per quello strano risveglio si fossero dissolti come nebbia.

La strinse forte a sé e la baciò con una passione che sorprese entrambi. Nel cervello di Benjamin si materializzò un letto.

− B.. Benjamin.. non è il momento.. sono in ritardo…. − disse lei cercando di divincolarsi da suo marito.

− Chi se ne importa… il mondo non si fermerà se tardi di un’ora o due… − e la baciò di nuovo.

− No, ma… una mia paziente partorirà senza di me. Ho un cesareo tra meno di un’ora…−

Benjamin si arrese, sospirò e la lasciò andare.

− Cattiva. − la rimproverò.

− Non sono cattiva, è solo che non era il momento di abbandonarci alla passione. Anche se l’idea era allettante, ho un bambino da far nascere e di certo non aspetta i miei comodi… −

Benjamin annuì poco convinto. − Sì, capisco. Il dovere ti chiama. −

Juliet gli sorrise e gli accarezzò una guancia. − Saprò farmi perdonare…− gli promise.

Perfetto, benzina sul fuoco – pensò lui limitandosi a sorridere.

− Ora devo proprio andare, o quando arriverò il bambino è già al college. Buona giornata, amore. − e lo salutò con un altro bacio.

Anche a te, cara. −

Guardò Juliet indossare una giacca scura e prendere la borsa, si voltò verso di lui e lo salutò ancora una volta.

Quando fu uscita, Benjamin si ritrovò da solo a meditare.

Ma davvero aveva fatto allusioni sessuali con Juliet?

E soprattutto, davvero l’aveva ripetutamente baciata senza che lei lo schiaffeggiasse o peggio?

E ancora: aveva capito male o lei gli aveva davvero detto che si sarebbe fatta perdonare…. nel senso fisico del termine?

− Se continua così mi prenderò un colpo prima di stasera. − disse a se stesso, incredulo.

Qualsiasi cosa fosse tutta l’altra faccenda, adesso non c’era più. Forse era stato un incubo, o un’allucinazione: non lo sapeva e non gli interessava. Voleva viversi quel momento così bello senza pensare a quello. C’erano Juliet e Alex e Sarah, che ora ricordava perfettamente dal giorno del concepimento fino alla sera prima. Non gli importava più di nient’altro.

Si diresse al suo studio, aprì la porta e senza pensarci due volte raccolse esattamente tutte le carte e i documenti che gli servivano quel giorno. Li mise nella propria ventiquattr’ore e la richiuse. Uscì dallo studio, prese le chiavi della macchina e uscì.

Quella era la sua vita, la sua vera vita. Tutto il resto non esisteva. Non più.

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Capitolo 2
*** Ti adoro, papà. ***


Il traffico di Washington era infernale

Ti adoro, papà.

 

 

 

 

Il traffico di Washington era infernale. Benjamin impiegò almeno un'ora per arrivare al suo studio. Già, il suo studio, o meglio era un associato: ma il suo nome campeggiava a grandi lettere sulla porta. Era emozionato. Ricordava tutto ormai della sua vera vita, ma quell'incubo era stato così... realistico e odioso che ne era ancora scosso. Aveva paura di entrare nello studio e scoprire di essere ancora nella giungla. Ma si fece forza, tirò un profondo sospiro ed entrò.

− Buongiorno a tutti. − salutò con un sorriso.

− Buongiorno a lei, avvocato. − gli rispose la sua segretaria che gli sorrise ammiccante.

Era una bella quarantenne mora, ma a lui piacevano le bionde. E poi amava follemente la sua Juliet. Una bionda mozzafiato.

− Alla buon’ora, Benny! Non riuscivi a svegliarti stamane? − proruppe Mark, il suo socio e amico.

Non immagini quanto hai ragione, pensò Benjamin sorridendogli.

− Ti chiedo scusa, ma questa mattina non solo mi sono effettivamente svegliato tardi, ma ho trovato un traffico da paura. –

L’altro fece un sorriso strano. − Beh, visto la bella moglie che ti ritrovi… sfido io che la mattina non ce la fai ad alzarti. –

Benjamin lo fulminò con lo sguardo. − Mark… ti dispiacerebbe evitare di parlare così di mia moglie? Sai che non mi divertono un granché le battute da bar. –  L’altro sembrò sorpreso dalla sua reazione.

Scusami amico, non volevo certe offendere la tua signora. Siamo permalosetti oggi, eh? – e gli diede una pacca sulla schiena.

Vaffanculo, lo insultò mentalmente. − Già, può darsi. –

− Mi scusi avvocato, c’è il signor Tower che l’aspetta nel suo ufficio. Avevate appuntamento per le dieci. −

Benjamin guardò l’orologio, erano già le dieci e mezza. − Dannazione. − imprecò avviandosi verso il suo ufficio.

 

 

 

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− Signor Tower, mi perdoni. − esordì Benjamin entrando nel proprio ufficio.

Ad aspettarlo c’era Arnold Tower, un uomo di mezz’età magro e pallido, seduto su una poltrona intento a leggere un giornale.

− Non si preoccupi avvocato, l’importante è che ora lei sia arrivato. Deve assolutamente aiutarmi. − gli disse in tono grave.

− Se posso, certamente. Prego si accomodi qui. − disse indicandogli la sedia davanti alla propria scrivania.

È per quella stronza di mia moglie, ha chiesto il divorzio! − attaccò sedendosi. Benjamin lo fissò stupito.

− Capisco. È una situazione dolorosa, per cui io… −

Ma Tower lo fermò. − Dolorosa un corno! Non me ne frega niente che quella lì voglia andarsene. Voglio solo riuscire a non darle un centesimo! Capisce cosa voglio dire? −

Cominciamo proprio bene, pensò Benjamin scoraggiato.

− Non è così semplice, dovrebbe saperlo. Perché non comincia col dirmi perché sua moglie vuole il divorzio?

L’altro fece una smorfia. − Perché l’ho tradita. − disse con noncuranza.

− Ah. E non le sembra un buon motivo per chiedere il divorzio? − gli fece notare l’avvocato.

Il suo cliente lo guardò come se avesse detto un’oscenità. − Vuole scherzare? Lei sapeva benissimo che non sono un uomo votato alla monogamia, e mi ha sposato accettandolo pienamente. E ora viene a dirmi che sono un disgraziato? Pazzesco! −

Benjamin non sapeva se ridere o mandarlo al diavolo: e lui avrebbe dovuto curare gli interessi di un tale bastardo?

− Signor Tower, come suo …. avvocato, comincerei col consigliarle di moderare i toni e di evitare certi aggettivi. Poi, mi rincresce contraddirla, ma sua moglie potrebbe anche aver detto di accettare la sua indole infedele per poi sentirsene offesa. Non è una bella sensazione scoprire che la persona che si ama ha un amante. −

Come Juliet e Goodwin…. Basta! Era solo uno stupido sogno. Un incubo. Si rimproverò.

− Beh non mi interessa, io gliel’ho detto dal primo giorno che una relazione esclusiva mi stava stretta. E ora lei usa questa scusa del sentirsi oltraggiata per spillarmi quanti più soldi possibili! Lei deve aiutarmi a spuntarla, e non doverle dare nulla o al limite, a darle il meno possibile! Cosa farebbe lei al posto mio? − sputò tutto d’un fiato il fedifrago.

Benjamin sorrise. − Se mia moglie mi lasciasse? Mi sentirei morire, soprattutto se la colpa è totalmente mia, come nel suo caso. Non me ne fregherebbe nulla dei soldi, delle macchine o delle case. La supplicherei di perdonarmi, e di restare con me. −

Tower boccheggiò senza emettere suoni. − Sta scherzando, vero? − disse alla fine.

− Oh no Signor Tower, sono molto serio. Ascolti, in questo momento sto agendo contro gli interessi del mio studio, ma voglio farle una domanda da uomo a uomo: lei ha amato sua moglie? −

− Certo. −

E la ama ancora? −

L’altro gesticolò in aria. − E che c’entra? Tanto vuole divorziare! −

Benjamin annuì. − Sì, lo so. Ma risponda alla domanda: la ama?

− Sì, certo che la amo. Non l’avrei sposata altrimenti. Io ero contrario al matrimonio, alla monogamia, eccetera. Ma lei voleva il matrimonio e allora… l’ho accontentata. − raccontò l’uomo, cambiando espressione come se avesse finalmente realizzato qualcosa.

− Ecco perché sua moglie non accetta il suo essere libertino. Era convinta che l’amasse e si è sentita presa in giro. Solitamente quando si ama, non si tradisce. Forse questo è un concetto estraneo a lei, ma non a sua moglie. Quando l’ha sposata, lei probabilmente era convinta che sarebbe riuscita a farle cambiare idea riguardo la fedeltà. 

L’altro non rispose, aveva perso ogni esuberanza e ora anzi sembrava mortificato e imbarazzato.

− Ascolti. Anche se, come presumo, sua moglie ha già contatto il proprio legale, lasciamo in sospeso la sua pratica. Se lei si sente ancora legato in qualche modo a sua moglie e in fondo le piacerebbe restarle accanto… provi a ricucire lo strappo.

− Mi ha sfasciato la casa, non c’è proprio niente da ricucire. − affermò l’uomo.

− Lasci perdere la casa e tutto il resto, pensi a sua moglie. Le ripeto che io in questo momento mi sto dando la zappa sui piedi perché a quanto mi è sembrato di capire, lei è decisamente benestante e potrei guadagnarci molto. Ma mi urta i nervi vedere persone che per orgoglio o per paura, lasciano andare via il coniuge senza tentare di ristabilire un contatto. Provi a chiederle perdono, se non c’è niente da fare torni da me e le prometto che combatterò come una belva per farle vincere la causa. −

Va bene, ha vinto lei. − e si alzò dalla sedia.

− Io non ho vinto niente, anzi ho perso. Perché sono sicuro che lei e sua moglie metterete ordine nel vostro matrimonio e io non prenderò il becco di un quattrino. Mi creda, ho avuto altri casi simili al suo. − gli assicurò tendendogli la mani.

− Vedremo, ma aspetti mie notizie, perché io invece ho la sensazione che sarà solo fatica sprecata. −

Evviva l’ottimismo!

− Vorrà dire che sarò qui ad aspettarla a braccia aperte. −

 

 

 

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Arnold Tower uscì dal suo studio con un’espressione strana, e tutti gli altri capirono cos’era successo.

− Ecco fatto, ne ha convertito un altro. Questo ci farà fallire! − protestò qualcuno.

− Lui è fatto così, se può mettere a posto qualcosa, lo fa. È un cuore tenero. Per nostra fortuna la maggior parte delle volte, i clienti tornano più arrabbiati che mai! − disse Mark, scatenando l’ilarità generale.

Benjamin fece capolino dal suo studio. − Hai ragione Mark, è così che è successo con il tuo divorzio, se non ricordo male. −

L’uomo smise di ridere all’istante e si incurvò imbarazzato. − Mi fa fare sempre figure di merda… − bisbigliò all’uomo vicino a lui.

− Sì, ma tu spesso te le meriti tutte. −

− Già, me le leva proprio di bocca. − intervenne di nuovo Benjamin avvicinandosi ai due.

− Ma tu hai le orecchie alle sulla porta? − inveì Mark, indispettito.

Benjamin sorrise e gli posò una mano sulla spalla. − Avanti non te la prendere. Stavo solo scherzando! −

Invece non scherzava affatto, non gli piacevano le libertà che quell’uomo si prendeva con lui. Erano soci certo, ma non poteva permettersi di chiamare in causa la sua famiglia. Per nessuna ragione.

− Sì come no. Ma mi spieghi come diavolo fai a sapere sempre cosa dire facendoci sempre tutti fessi? Anche quello che è appena uscito dal tuo studio. Quando è arrivato sembrava volesse scatenare una guerra e invece è uscito sorridendo!−

Benjamin si strinse nelle spalle. − Non è colpa mia se so sempre cosa fare. − fu la sua risposta.

Lui aveva sempre un piano.

 

 

 

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La giornata passò rapidamente senza avvenimenti importanti. Poco prima di andarsene, prese il coraggio a due mani e telefonò a casa dei suoi genitori. Era stupido sentirsi in difficoltà, ma il suo cervello era ancora un po’ scosso dalla notte precedente.

− Pronto? − rispose una donna di una certa età. Benjamin la riconobbe subito.

− Mamma, sono Ben..jamin. − ricordò di detestare sentirsi chiamare “Ben”.

− Tesoro! Come stai? − gli chiese lei affettuosamente.

− Ehm.. benissimo mamma. Tu come stai? − non riusciva a credere di parlare veramente con sua madre. Era emozionato.

− Ringraziando il cielo, sto bene. È un piacere sentirti, caro! −

Benjamin si commosse. Emily non aveva idea di che piacere era per lui, sentire sua madre… per la prima volta.

No, era come se fosse la prima volta, dopo quella brutta esperienza. Doveva smetterla di pensare a quello stupido sogno.

Anche per me, mamma. Ehm… io e Juliet avevamo pensato di invitarvi a cena una di queste sera. Sempre se vi va.

Ma certo, grazie! Juliet è sempre un amore. Aspetta che chiedo a tuo padre quando possiamo venire. Non vorrei costringerlo a privarsi delle sue partire! Roger? Benny e Juliet ci invitano a cena, quando andiamo? Va bene, caro. − Benjamin ascoltò la conversazione sorridendo: era meraviglioso tutto ciò.

Benny caro, tuo padre dice che per lui va bene qualsiasi sera. E lo stesso vale per me. −

Che ne dici di giovedì? − propose lui.

− Per noi va benissimo! Non vediamo l’ora di rivedere voi e le nostre nipotine! −

E Benjamin non vedeva l’ora di rivedere lei. Anche se riguardo a suo padre aveva ancora qualche riserva.

Anche noi, mamma. Le ragazze impazziranno di gioia quando sapranno del vostro arrivo. − le disse.

− Piccole care! Oh, non dove assolutamente dimenticare di fare quei biscotti che piacciono tanto a Sarah!-

− Non preoccuparti mamma, non c’è bisogno che ti metta a cucinare. −

Ma è un piacere! Tanto lo so che alla fine sarai tu quello a mangiarne più di tutti. Hai sempre adorato quei biscotti! Ricordi? −

Certo, mamma. Come potrei… dimenticarlo? −

I biscotti di sua madre, quelli che gli faceva praticamente tutti i giorni, da bambino. Lo ricordava davvero.

− A presto mamma, e… salutami papà. − le chiese prima di riattaccare.

− A giovedì figliolo. Ti saluta papà dal salotto. −

− Ciao, mamma. − ed entrambi riattaccarono il telefono.

 

 

 

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Pochi minuti dopo aver terminato la telefonata, Benjamin raccolse le sue cose ed uscì, lasciando alle segretarie il compito di chiudere lo studio. Arrivato in strada, si accorse immediatamente che il traffico era addirittura più intenso della mattina.

Ma che bello! Un’altra ora tra smog e clacson! − sbottò entrando in macchina.

Aveva fretta di tornare a casa, nella sua bella e accogliente casa. E soprattutto, aveva fretta di tornare dalla sua famiglia.

Un trillo rapido e acuto gli segnalò che sul suo cellulare era appena arrivato un messaggio. Era di Alex.

 

Papà scusami, potresti venire a prendermi? Sono a casa di Mary Anne. Sua madre è dovuta uscire e non so come tornare a casa. Ti dispiace, papino?

 

Benjamin non riuscì a trattenere le lacrime. Pianse da solo in macchina, come un idiota, semplicemente leggendo un messaggio di sua figlia Alex. Le rispose con un altro messaggio, era stata proprio lei a insegnargli come fare.

 

Aspettami tesoro, papà arriva subito. Traffico permettendo.

 

Una manciata di secondi dopo, un altro messaggio da parte di Alex.

 

Ti adoro, papà.

 

Benjamin sorrise soddisfatto. − Ti adoro anche io, figlia mia. − e partì. Ricordava benissimo dove abitava Mary Anne.

 

 

 

 

N.d.A. : Spero che a voi cari lettori, sia piaciuto almeno un po’ leggere questo capitolo, come a me è piaciuto scriverlo XD

 

Un grazie speciale a PaleMagnolia per l’idea dell’avvocato divorzista, una figata XD!!

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Capitolo 3
*** Un'altra possibilità ***


Benjamin trascorse circa quaranta minuti imbottigliato nel traffico serale di Washington, prima di riuscire a raggiungere la c

 

Un’altra possibilità

 

 

 

Benjamin trascorse circa quaranta minuti imbottigliato nel traffico serale di Washington, prima di riuscire a raggiungere la casa di Mary Anne. Ma era contento, stava per rivedere la sua Alexandra dopo quell’orribile sogno, e ciò valeva senz’altro quaranta minuti di traffico. Valeva molto di più. Fermò l’auto e scese dalla macchina, entrò nel vialetto della famiglia Ross – i genitori di Mary Anne – e suonò al campanello. Un gattino sul davanzale miagolò in sua direzione.

− Ciao micetto. − lo salutò Benjamin con un sorriso.

Il gatto parve quasi capirlo, tanto che saltò giù e andò a strusciarsi alle sue gambe.

Anche i gatti mi amano, pensò divertito.

Finalmente la porta si aprì, mostrando una ragazzina con i capelli rossicci e gli occhiali.

− Buonasera signor Linus. − lo accolse la giovane.

− Ciao Mary Anne, come va? −

− Benissimo signore, prego entri. − e si spostò per farlo entrare.

Benjamin entrò e attese che la ragazza chiudesse la porta.

− Alex mi ha mandato un messaggio dicendomi che tua madre è dovuta uscire, spero nulla di grave. − domandò serio.

Mary Anne scosse il capo. − Oh no, nulla di che. Un’amica di mia madre non si sentiva bene ed è andata a vedere come sta. Mi ha già avvisato dicendomi che non è niente di grave. − rispose stringendosi nelle spalle.

Alex era in salotto e non appena intravide il padre in corridoio, buttò a terra il gamepad della playstation, con la quale entrambe le ragazze stavano giocando, e si precipitò ad abbracciarlo.

− Papà! − esclamò raggiante saltandogli addosso.

Benjamin l’accolse tra le braccia, piacevolmente sorpreso da tanto slancio.

− Ehi dolcezza, suppongo che io ti sia mancato. − commentò ricevendo un bacio sulla guancia dalla figlia.

− Sì! Scusami se ti ho fatto venire fin qui, ma non sapevo che la mamma di Mary uscisse a quest’ora. − si scusò la ragazza liberandolo dalla trappola del suo abbraccio.

Suo padre la guardò attentamente: era… Alex! Cioè, la sua Alexandra. Una bella ragazzina di sedici anni, dai capelli scuri e gli occhi chiari. Sì, era proprio lei, e stava benissimo. Che emozione vederla sana e salva.

Benjamin sorrise. − Non preoccuparti tesoro, anzi hai fatto bene ad avvisarmi. Andiamo? −

− Posso finire la partita? − gli domandò sua figlia indicando la Tv.

− Partita? Partita di cosa? − chiese lui di rimando, leggermente incuriosito.

− Tekken. – si intromise Mary Anne. Benjamin la guardò confuso.

− Un videogioco sulle arti marziali, papà. Gente che si picchia. − gli spiegò Alex.

− Io pensavo che le ragazze avessero gusti più… da ragazze. – dichiarò sorpreso.

Le giovani scoppiarono a ridere.

− Certo papino, ma non ci impedisce di amare anche l’azione. Vuoi vedere come si gioca? −

Voleva rifiutare e dirle che era ora di tornare a casa, invece rispose: − Perché no? Dieci minuti e andiamo, però. −

Le ragazze andarono a sedersi per terra, davanti alla Tv, mentre l’adulto si accomodò sul divano.

− Io sono la ragazza di destra, Mary è il tizio giamaicano. Guarda ora cosa ti combino! − annunciò Alexandra entusiasta.

Benjamin annuì e fissò i personaggi fermi sullo schermo. Una delle due ragazze premette qualcosa e le figure ripresero vita. Iniziarono una serie di salti, calci, pugni, strane mosse e il tizio giamaicano fece addirittura una specie di danza per poi colpire il personaggio femminile in piena faccia.

− Che cafone. − commentò Benjamin, suscitando le risate delle ragazze.

− Ora guarda che gli faccio io, però! − annunciò sua figlia.

Infatti pochi istanti dopo, la ragazza del videogioco stese il teppista a calci in faccia.

− Ho vinto di nuovo! − esultò Alex alzando le braccia al cielo.

− Però non è giusto! Voglio la rivincita! − gemette l’altra. Poi entrambe si voltarono a guardare Benjamin, con un sguardo supplichevole.

L’uomo si arrese immediatamente. − Ragazze, dieci minuti e basta. Altrimenti la mamma si arrabbierà con noi Alex….−

− Promesso! Un altro paio di calci al tizio e andiamo! −

− No, sono io che prenderò a calci la tua cinesina! − promise Mary Anne.

La partita iniziò e mentre le due giovani giocavano minacciando l’una il personaggio dell’altra, Benjamin osservava divertito sia loro che il videogioco. Doveva ammettere che era abbastanza interessante.

Il tempo trascorse e da dieci minuti si arrivò a più di mezz’ora. Benjamin guardò l’orologio e si accorse che erano quasi le otto.

− Oh Signore… Alex, andiamo. Questa sera tua madre mi sgriderà per davvero. −

Alex obbedì, lasciò andare il gamepad a malincuore e seguì il padre verso la porta.

Prese la propria giacca e la borsa della scuola e salutò la sua amica. – A domani Mary. −

− Ciao Alex, a domani. Arrivederci signor Linus. −

− Ciao Mary Anne, salutami i tuoi genitori. −

Ed uscirono dall’abitazione dei Ross.

Salirono in macchina e partirono, per fortuna il traffico era diminuito.

− Sei arrabbiato, papà? − gli domandò la ragazza dopo un po’.

− Arrabbiato? E perché mai dovrei esserlo, tesoro? − disse lui sinceramente stupito.

− Ti ho fatto perdere tempo con il videogioco…−

− Al contrario, era divertente. Anzi se non fosse stato così tardi, sarei rimasto a guardarvi giocare ancora. Però non lo dire a nessuno, non è molto da adulti quello che ti ho confessato. −

Alex sorrise divertita. − Giuro che non lo dirò ad anima viva! −

− Bene. Dimmi un po’, com’è andata oggi a scuola? − domandò alla figlia.

− Così, come tutti i giorni…− rispose evasiva.

− Che tradotto vuol dire? −

La ragazza sospirò. − Beh, ho avuto la verifica di matematica, oggi….−

− E…? −

Non è andato benissimo…− bisbigliò come a non voler farsi sentire dal padre.

− Alex, potresti parlare più forte? Il mio udito non è più quello di una volta…. − in realtà aveva capito, ma voleva farglielo ripetere per bene, ammettendo la piccola defiance.

− Ho preso una “D”, papà. Mi dispiace. − si scusò imbarazzata.

− Beh amore, non devi scusarti con me. Se non studi seriamente, il torto lo fai a te stessa, non a me. Comunque sia, pensavo peggio. Certo non è un bel voto, ma puoi recuperare, no? − le disse guardandola per un attimo.

− Quindi non sei arrabbiato? − domandò sorridendo.

Benjamin scosse il capo. − No, ma devi impegnarti di più la prossima volta. Errare è umano, e tutti meritano una seconda possibilità, non credi piccola? −

−Hai perfettamente ragione! − sentenziò la figlia.

Benjamin era così felice di vederla in perfetta salute, che le avrebbe perdonato praticamente tutto.

− Papà? −

− Sì? −

− Ti ho già detto che ti adoro, vero? −

L’uomo sorrise. − Sì, ma fa piacere sentirselo ripetere ogni tanto. −

− E tu mi adori? − gli chiese lei in tono scherzoso.

− Più della mia vita, tesoro. − rispose senza esitazione .

Alexandra annuì soddisfatta.

− Allora siamo pari. − ed accese la radio nell’auto di suo padre.

Benjamin tacque, godendosi quei momenti insieme a sua figlia.

Quella figlia che nel suo terribile incubo, aveva perduto.

Per colpa sua.

 

 

 

 

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