Heroides

di Aledileo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lady Isabel ***
Capitolo 2: *** Pandora ***
Capitolo 3: *** Ilda di Polaris ***
Capitolo 4: *** Fiore di Luna ***
Capitolo 5: *** Natassia ***
Capitolo 6: *** Patricia ***
Capitolo 7: *** Esmeralda - Applausi da lontano ***
Capitolo 8: *** Morgana ***
Capitolo 9: *** Flare ***



Capitolo 1
*** Lady Isabel ***


LADY ISABEL

LADY ISABEL

 

L’ULTIMA LETTERA

 

         Caro Pegasus, quando stringerai tra le mani questo foglio di carta, su cui scrivo adesso, a fatica e con il cuore in gola, il mondo in cui hai vissuto per anni non ci sarà più. Io non ci sarò più. E tutto ciò che resterà sarà una lettera di carta ingiallita, che forse non lenirà il tuo dolore, per la nostra separazione, ma spero possa servire per farti sentire meno solo, per ricordarti di me, ogni volta in cui le nubi del presente offuscheranno i tuoi ricordi, e per dirti grazie, per tutto quello che hai fatto per me e per gli uomini in questi anni. Mi sei stato accanto, fedele e sincero, come un cane segue il suo padrone, come un amico offre la spalla all’altro, compagni leali, ali della stessa aquila in volo verso l’infinito. Mi hai aiutato, sorreggendomi ogni volta in cui credevo di non riuscire più a volare, sostenendomi da lontano, incitandomi a non cedere, dandomi, anche solo con il tuo pensiero, un motivo per non arrendermi, per continuare a combattere, per continuare ad essere Atena, Dea degli uomini e della giustizia.

         È strano come soltanto adesso mi accorgo di non esserla mai stata fino in fondo. Di aver vissuto più come un essere umano che come una Divinità. Forse perché non l’ho chiesto io, al fato, di assurgere a tale rango, né ho chiesto che su di me ricadessero i destini di questo mondo, obbligata a veder combattere i Cavalieri che tanto ammiro e che tanto desidero proteggere. I Cavalieri che tanto amo. Perdonami, Pegasus, se ti farò soffrire. Perdonami se non sono forte abbastanza per affrontare un addio, ma ci sono cose per le quali neppure gli Dei sono preparati, cose che preferiamo fuggire, nascondendoci tra le piaghe del tempo, sperando che un ricordo possa unirci per sempre.

         So che verrai ad Atene! Forse per salutare Castalia, forse sperando di trovare Sirio o Andromeda, o forse per vedere me. Sì, sono certa che verrai! Non siamo mai stati separati così a lungo, fin da quando siete tornati dal vostro addestramento, e confesso che anche a me strania questa situazione, questa lontananza da Nuova Luxor, dalla città in cui sono cresciuta e diventata una giovane donna, una giovane Dea ancora alle prese con un’accettazione interiore che stenta ad arrivare. Avrei voluto tornare, Pegasus! Avrei voluto tornare a Luxor, distendermi sul morbido letto di Villa Thule, conversare col nonno nel ricostruito planetario o passeggiare lungo la spiaggia, lasciando che i delicati granelli di sabbia scivolassero tra le dita dei miei piedi, e magari tenerti per mano al mio fianco. Ma Mur non me lo ha permesso, né Libra, né Ioria, né Virgo. Indebolita dal freddo di Asgard, e dalla sopportazione delle piogge di Nettuno, i Cavalieri d’Oro hanno insistito affinché rimanessi qua, ad Atene, luogo da me stessa fondato millenni addietro, all’alba dei tempi, luogo in cui dovrei effettivamente sentirmi a casa. Sicura e protetta, circondata da una schiera di eroi valorosi e premurosi servitori, qua al Grande Tempio dovrei davvero stare bene, dovrei davvero essere felice. Eppure, a quanto pare, così non è. Né credo lo sarà più ormai. Poiché il tempo per essere felici è già trascorso, un battito d’ali di fronte alla tempesta della mia vita.

         Ricordi una delle nostre prime conversazioni? Sul destino, e su ciò che le stelle hanno riservato ad ognuno di noi. Un ruolo nel mondo. Un posto nel cosmo, in questo splendido e meraviglioso universo che ci attornia e di cui facciamo parte a nostra volta. Avete odiato mio nonno per molti anni, perché vi ha separato dalle persone care e obbligato ad andare lontano, a trascorrere anni di privazioni e tormenti, per conquistare un’armatura che forse non avevate ancora ben chiaro cosa rappresentasse. Ma era nel suo destino agire così. Avete odiato anche me, e ben lo comprendo, poiché avete visto nel mio viso soltanto l’incarnazione di un vuoto esistenziale, che non poteva colmare l’infanzia che vi era stata rubata, né il dolore che a causa mia avete dovuto sopportare. E forse, ne sono certa, conoscendo il vostro nobile cuore, avete odiato anche voi stessi, per non aver capito, per essere stati immaturi, come era vostro diritto essere, essendo soltanto dei bambini, per non aver compreso ciò che andava al di là dell’esteriore, il vero disegno insito in tutto questo. Atena e i suoi Cavalieri, uniti per sempre da un filo di speranza che ci legherà alle genti di questo mondo, che le farà sorridere, che le aiuterà ad alzare lo sguardo al cielo ogni volta in cui il dolore della vita sembrerà abbatterle a terra. Abbiamo combattuto per molto tempo, contro tutti i tiranni che hanno osato schiacciare le libere genti, per imporre i loro oscuro dominio, abbiamo combattuto a lungo, e lo abbiamo fatto insieme. Ma adesso, quel tempo è finito. Quel tempo deve finire.

         Ho dato ordini precisi, a Mur e a tutti gli altri Cavalieri riuniti al Grande Tempio, pregandoli di non farvi avvicinare, di tenervi lontani, di mandarvi via, di evitarvi una nuova guerra di cui persino io non riesco a vedere la fine. O forse, poiché la temo, spero in questo modo di lasciarvi fuori. È il mio modo, questo, per ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me, per le battaglie che avete combattuto, per liberarmi e per difendere la giustizia. Grazie, Pegasus, e addio. Non posso vedervi lottare ancora, non posso vedervi rischiare la vita un’altra volta, in una guerra che forse altro non sarà se non un massacro totale, un’immensa carneficina contro la grande ombra proveniente da est. Un’ombra che, più grande di Gemini o Nettuno, a niente mira se non all’instaurazione di un secondo inferno su questo nostro splendido pianeta.

         Combatterò Pegasus, e lo farò anche per te! Per ringraziarti per essere stato al mio fianco in questi anni di battaglie, e per avermi ricordato cosa significhi essere un mortale, e come tale soggetto al lento ma inesorabile trascorrere del tempo. Vorrei averne avuto di più, di tempo, da trascorrere con te, e con i Cavalieri tuoi amici, poiché quel poco che ci è stato concesso, privi di affanni e di pensieri di guerra, è stato bello, è stato davvero degno di essere vissuto. Combatterò anche per questo, per il tempo che ci verrà rubato quando la grande ombra calerà su tutti noi, privandoci della speranza di avere un futuro, della speranza di una luce alla fine del tunnel.

         Addio Pegasus, concludo così una lettera che nient’altro voleva essere se non il saluto di una Dea che non si è mai sentita tale. Di una Dea che forse si è sentita più un essere umano, innamorata degli amici e dei compagni con cui ha avuto l’onore di condividere una parte del suo cammino, innamorata di un nonno che l’aveva adottata per caso, sapendole donare l’amore per la vita e per le cose semplici, innamorata di un mondo terreno che avrebbe voluto conoscere di più. Non ho rimpianti per quello che ho fatto, poiché alla giustizia ho dato tutta la mia vita, fino al profondo del mio animo, e agli uomini ho donato il mio amore. Ma se davvero dovessi sceglierne uno, se davvero dovessi confessare ciò che veramente non sono mai stata in grado di provare, allora lo dirò. Essere donna. E amare, perdendo me stessa in un amore. Bello, impossibile, tragico, etereo, ironico, con tutte le sfumature che soltanto in questo splendido mondo umano si possono ritrovare. Addio Pegasus, e grazie, poiché tu, oltre ad essermi rimasto accanto e ad aver creduto in me, sei stato l’unico che sia riuscito a farmi sentire tale. In quei pochi momenti trascorsi insieme, tu ed io, mi è sembrato di ritrovare l’aroma di un’epoca infinita, il sapore di un tempo che credevo perduto e che invece è rimasto dentro di me. E così sarà per sempre.

 

 

© Aledileo

 

 

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Capitolo 2
*** Pandora ***


PANDORA

PANDORA

 

LE LACRIME CHE NON HO VERSATO MAI

 

Anni addietro, quando ero ancora una bambina, ricca di sogni e di belle speranze, lessi un libro nella biblioteca di mio padre, un libro di una scrittrice inglese del Diciannovesimo Secolo. “I grandi sentimenti talvolta assumono le apparenze dell'errore, e la grande fede, le apparenze dell'illusione” scrisse George Eliot. Ma io non le credetti. E la maledissi, gettando il libro nel fuoco ardente del caminetto e correndo via piangendo, fino a trovare rifugio tra le braccia di mia madre, che non perse tempo a consolarmi, come in molte altre volte in cui le avevo dato motivo per preoccuparsi per me. Mi sembrava impossibile che un sentimento, in cui un uomo riversava tutto se stesso, tutte le sue emozioni, tutta la sua esistenza, potesse essere un errore. Né poteva essere possibile, mi dissi quel giorno perso ormai tra la polvere del tempo, che una fede generasse un’illusione. Perché la fede alberga dentro di noi, stretta attorno al cuore, avvinghiata in un vincolo eterno che plasma la realtà circostante, la realtà in cui noi proiettiamo la nostra stessa fede. La realtà che forse è soltanto un’illusione. Una beata apparenza. La stessa illusione in cui ho vissuto per tredici lunghissimi anni. La stessa bastarda illusione che ha sterminato la mia famiglia, la mia vita e adesso ha ucciso me stessa.

 

Stanca, percorro questo oscuro tunnel, ove soltanto risuonano i miei passi, nel macerato silenzio della mia anima, lasciando indietro tutto ciò che ho creduto fosse santo, tutto ciò per cui ho creduto valesse la pena vivere, e morire. Tutto ciò per cui ho permesso che la mia vita fosse stravolta, che i miei amori fossero dimenticati, che la mia felicità venisse cancellata. Tutto ciò che, a ben guardare, non mi ha dato niente, se non un inferno nel cuore.

 

È strano, sorrido adesso, mentre ripenso a quanto fanaticamente ho servito il mio Signore per tutti questi anni. A quanto intensamente mi sono adoprata per lui, per aiutare colui che avevo contribuito a risvegliare, con le mie maledette mani. Sorrido, perché piangere è adesso impossibile. Persino le lacrime mi sono negate, poiché per anni ne ho fatto a meno. Per anni le ho represse, nascoste, celate nel mio cuore, persino di fronte al corpo straziato dei miei genitori, dei miei servitori, degli animali che popolavano il castello di Heinschtein. E forse è giusto che adesso, che realmente vorrei disporne, non mi siano concesse. Un privilegio riservato agli uomini, da cui mi sono esclusa anni fa, scegliendo le ombre. Forse Dio, l’unico vero creatore di questo mondo, colui dal quale tutti gli Dei discendono, in esso fondendosi e specchiandosi, ha deciso che questa fosse la mia pena, che questo fosse l’ultimo martirio che dovevo sopportare. L’ultimo di una lunga serie di male che mi sono autoinflitta, di una lunga serie di tenebra da cui non sono stata forte abbastanza per fuggire. Perché forse non l’ho voluto.

 

Cammino, in questo tunnel, lasciando le ultime luci della Giudecca dietro di me, lasciando i frammenti di un mondo destinato a scomparire per sempre, perché, chiunque vinca questa guerra, non potrà sorridere né sentirsi realmente vincitore. E dovrà confrontarsi con un’era che è ormai volta al tramonto. Un’era a cui ormai non appartengo più. L’illusione coltivata per anni, la speranza che il mondo, adesso sporco e triste, potesse trasformarsi in un paradiso meraviglioso, ove la paura della morte fosse bandita, è ormai distrutta. Poiché se Ades vincerà questa guerra, il pianeta diventerà un secondo inferno, dove agli uomini verranno continuamente inflitte pene crudeli, dove ripetutamente saranno obbligati a fronteggiare gli errori del loro passato, senza mai trovare pace, senza mai trovare quiete, senza mai giungere a disporre, anche solo per un momento, di quell’agognata felicità, di quell’abbraccio di infinito a cui l’umana stirpe dannatamente aspira.

 

Madre! Padre! Presto ci ritroveremo e forse allora, se troverò la forza per fissarvi negli occhi, rea dell’omicidio dei miei stessi cari, mi inginocchierò di fronte a voi, come un uomo china il capo davanti a Dio, e vi chiederò perdono, vi supplicherò di concedermi il vostro perdono. Poiché adesso non vi è altro che voglio. Adesso non vi è nient’altro che potrebbe salvarmi da me stessa. E accetterò, sì lo ammetto, accetterò i vostri insulti, i vostri rimproveri, i vostri calci sul mio viso sporco di sangue e di vergogna. Li sopporterò in silenzio, stoica, come in silenzio ho assistito al vostro massacro, come in silenzio ho acconsentito a spalancare le porte all’ombra sull’intera Terra. Possiate perdonarmi! Un giorno…

 

Prima di rivedervi, prima che i fedeli servitori di Ades mi uccidano per il mio tradimento, dimentichi dei favori e delle grazie che a loro ho concesso, vi è un ultimo uomo che vorrei vedere. Un ultimo uomo con cui vorrei parlare, anche solo per un attimo, poco il tempo che mi sarà concesso. L’uomo che mi ha ricordato cosa siano i sentimenti, i grandi sentimenti, e la fede, in un sogno di speranza, in un futuro splendente. L’uomo che sfidato un Dio, soltanto per salvare un fratello, e che, di fronte ai miei occhi indolenti e colpevoli, ha risvegliato in me i ricordi di un mondo composto da mille sfumature, di colori e di emozioni, un mondo così simile all’infanzia che mi è stata rubata.

 

Questo rosario, che stringo adesso in mano, e che vorrei fosse una corona di spine, per poter sentire nuovamente il dolore, per poter vedere il sangue sgorgare fuori dalle mie mani con il suo colore rosso scarlatto, è tutto ciò che sono riuscita a salvare. Tutto ciò che ho recuperato dai detriti e dalla polvere della Giudecca, sotto i quali avrei voluto essere sommersa. Ma credo che, se qualche minuto ancora mi è stato concesso, forse potrò fare qualcosa di buono, qualcosa di utile. Un ultimo gesto, minimo se paragonato al male di cui mi sono macchiata, illudendomi di essere nel giusto e non accettando di vivere nel torto. Ma è stato sciocco credere che un sogno, il sogno di un nuovo mondo, senza più sofferenza né morte, potesse avere inizio con una strage. La strage non soltanto della mia vita, ma di tutti i miei sentimenti.

 

Lo vedo, adesso, l’uomo che ho aiutato ad uscire dal Cocito, l’uomo che ha saputo risvegliare il ricordo della bambina che sono stati anni fa, nell’unico momento felice di cui la vita mi ha fatto dono. Lo vedo, e le parole mi escono di bocca naturalmente, come se fossimo amici di vecchia data. Sorrido, perché in fondo avrei voluto davvero che lo fossimo stati.

 

- Fermati Phoenix! Se segui Sirio e gli altri morirai! – E poi, abbandonandomi finalmente a me stessa, alla donna che non ho mai potuto essere. –Ti farò entrare all’Elisio! Ma tu dovrai vendicarmi! –E piango. Finalmente piango.

 

© ALEDILEO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Ilda di Polaris ***


ILDA

ILDA

 

IL GIORNO DEI MIEI RIMPIANTI

 

È bastato un giorno! Uno soltanto! Per cancellare dalla mia vita l’amore e la felicità! Ma non basterà una vita, per quanto lunga e apparentemente serena, per strapparmi dal volto quell’immagine di tristezza che su di esso si è stampata, che con esso ormai si è fusa, fino a diventare un unicum, fino a diventare parte di me, parte della donna che ha tradito Asgard. Perché è così che mi sento, Orion! È così che mi abbandono ogni notte, tra le lacrime dei miei rimpianti, incapace di accettare l’atroce sorte che a causa mia voi Cavalieri di Asgard avete dovuto fronteggiare! A causa mia e della mia debolezza! Se soltanto fossi stata più forte, se soltanto fossi stata capace di oppormi al nefasto potere dell’Anello del Nibelungo, se soltanto fossi stata in grado di sollevare il capo e fissare con orgoglio Nettuno, sbattendogli in faccia la sua ipocrisia e la sua volontà di asservirci, forse molte cose sarebbero potute andare diversamente, forse le bianche terre di Asgard non sarebbero state macchiate dal sangue dei suoi difensori, né le grida di uomini di pace avrebbero risuonato negli immacolati boschi della nostra terra. Forse tu, assieme ai tuoi cinque compagni, saresti ancora vivo!

 

         Forse Thor ancora caccerebbe libero nelle foreste ai margini del nostro regno, laddove le leggi promulgate dalla stirpe di Polaris ancora non arrivano. Forse Luxor continuerebbe a correre, in queste immacolate terre protette da Wotan Odino, assieme ai lupi suoi fratelli, sfidandoli nella corsa e cibandosi con loro di quelle sensazioni di intima naturalezza che loro soltanto erano capaci di dargli. E forse Artax sarebbe ancora qua, ad ascoltare mia sorella canticchiare nell’alba del primo sole di primavera, ad osservarla ridere, perdendosi nei suoi occhi, come hanno fatto per anni, fin da quando erano bambini. Fin da quando le loro vite si intrecciarono, come le nostre, Orion. Ali della stessa aquila in volo verso l’infinito.

 

         Forse Mime ancora suonerebbe dolci ma fatali melodie, tra le rovine della dimenticata città che borda i confini meridionali di Asgard, ove il musico dall’animo inquieto amava passeggiare, tra le memorie insepolte di Folken, suo padre e maestro, e le speranze di un mondo dove la musica regni sovrana. E forse Megrez, dal cuore roso dall’ambizione e dalla brama di gloria, avrebbe potuto placare i suoi sentimenti, trovando in voi, Cavalieri di Asgard al pari suo, dei fratelli o degli amici, e non soltanto dei servi da utilizzare per i suoi loschi scopi. Anche con lui ho fallito! Come con te, e con tutti gli altri! Ho fallito e non mi do pace, Orion, poiché non riesco ad accettare questo ingrato e beffardo destino! Questo fato perverso che uccide i fratelli e condanna gli eroi, lasciando che i colpevoli continuino a vivere impuniti al posto loro. Al posto di chi, come te, avrebbe meritato una lunga vita a difesa della sua terra, a cui sempre è stato fedele, a costo persino di volgere il pugno contro la Regina da cui era stato investito. Contro la Regina che, troppo debole per ribellarsi, non poteva far altro che assistere, attonita e disperata spettatrice, al massacro di tutti i suoi ideali, alla fine di tutto ciò che riteneva sacro. La sua Terra. I suoi affetti.

 

         Ho chiesto tante volte a Odino di prendere la mia vita, e di donarla a te, Orion, e ai Cavalieri tuoi compagni, caduti per colpa di uno sbaglio che non sono stata in grado di evitare! Glielo chiedo ogni volta in cui mi reco al pinnacolo di ghiaccio, per pregarlo e rendergli omaggio. Ma il Dio degli Asi non ha mai prestato ascolto alle mie parole, troppo indaffarato nella vera Asgard, troppo intento a organizzare gli eserciti dei suoi einherjar, preparandoli per la fine del mondo, per porre lo sguardo su di me, su una stupida e fragile donna, capace soltanto di lamentarsi per un destino ingrato. Ma se un giorno dovesse ascoltarmi, e confido che ciò accada, poiché in Odino ancora credo, voglio che sappia che può, anzi deve, prendere la mia vita! A patto che il mio sangue ed il mio cosmo servano per darla nuovamente a voi, a patto che possano farvi vedere nuovamente la luce della vostra bella Asgard.

 

         È così strano, Orion, così strano che ormai non ci faccio più caso, ma il velo che ci ha separato un tempo, tenendoci distanti fisicamente, adesso sembra scomparso. Quel velo di dignità, di fedeltà ai costumi e alle tradizioni, di rispetto da parte del primo dei Cavalieri verso la sua Regina, adesso sembra essersi dissolto, come neve al sole, lasciando soltanto un opaco strato di tristezza. E tanti, troppi, rimpianti. Col senno di poi, guardandomi indietro, adesso, vorrei cambiare tante cose, vorrei dirti frasi e pensieri che non ho mai potuto pronunciare, obbligata a celarli dentro il mio cuore, a tenerli nascosti al mondo, perché non ben si addicevano al mio ruolo di Sacerdotessa del culto di Odino, una donna che, prima di ogni altra cosa, doveva essere forte e decisa, salda nel terreno e nelle sue condizioni e soprattutto integerrima. Una donna che avrebbe dovuto mettere la difesa e la salvezza di Asgard al primo posto, nella lista delle sue priorità, lasciando che i sentimenti, soprattutto quelli personali, scivolassero via, per non precluderle in alcun modo lo svolgimento della sua funzione. Ma essi in realtà non mi hanno mai abbandonato, essi in realtà sono sempre stati parte di me. D’altronde, come si può chiedere ad una donna di non amare?

 

         Per anni ho sempre rimandato, per anni ho aspettato, per anni ho contenuto gli affanni del mio cuore, immaginando che fossimo entrambi ancora giovani, immaginando che fossimo soltanto due ragazzi, di appena vent’anni, e che molte lune ancora avremmo visto sorgere sul mare artico. Ma alla guerra, che così tanto presente è stata nella memoria e nella cultura della nostra gente, avevo cercato di non pensare e se lo avevo fatto ti avevo sempre visto vittorioso e trionfante. Ti avevo sempre immaginato immerso nel sangue del drago Fafnir, con la spada Gramr sollevata verso il cielo, imbevuta della luce delle stelle dell’Orsa. Tu, Orion, l’invincibile. L’invulnerabile. L’unico che abbia amato così tanto la sua Regina da dare la vita per lei.

 

         Vorrei avere avuto la possibilità di dirti quanto tenevo a te, e a tutti i Cavalieri tuoi compagni. Vorrei aver avuto la possibilità di dimostrarti che l’affetto che per te provavo, fin da quando entrasti nella mia vita e fin da quando le tue gesta vennero cantate lungo le terre del mare artico, era vero e sincero. E soprattutto non era soltanto l’affetto di una Regina per il primo tra i suoi Cavalieri, ma l’amore di una donna verso colui che avrebbe voluto fare Re, verso colui che sempre ha considerato il suo Re. Divisi dal destino, uniti dal ricordo, così Orion ti lascio adesso, sfiorando la fredda superficie di questa lapide, annaspando nell’amore che non ho potuto dichiararti, nella riconoscenza che non sono stata in grado di dimostrare, nelle parole che mai ho potuto dirti. Perché non ho avuto tempo, perché mi è stato proibito, perché il mondo che credevo perfetto e immortale è cambiato in pochi giorni, e della Asgard degli eroi speranzosi di un tempo, che confidavano nell’abbraccio protettivo di Odino e nella promessa di un raggio di sole, non è rimasto niente, soltanto un ricordo. E anch’esso ormai è già perso nel mio cuore.

 

© ALEDILEO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Fiore di Luna ***


Fiore di Luna – Una preghiera che giunge da lontano

Fiore di Luna – Una preghiera che giunge da lontano

(di Lamia)

Signore…perdonami se ancora una volta mi rivolgo a Te, ma Ti prego, presta ascolto alla mia umile preghiera…non è per me che richiedo il Tuo prezioso tempo, ma per Sirio. Ha bisogno di Te, non abbandonarlo nel momento del bisogno!

Credo che sia giunto ad Atene da più di tre ore, ormai, ed è dalla sua partenza dai Cinque Picchi che non ho più sue notizie. So che non può essere altrimenti, come potrebbe mettersi in contatto con me dal luogo in cui si trova ora? E so bene che è in missione, che sta compiendo il suo dovere, come sempre…ma come posso rimanere qui ad attendere gli eventi, senza nulla poter fare per aiutarlo? Che posso fare? Posso solo pregare, pregare per Sirio, perché riesca a vincere e tornare da me…

Oh Signore, Ti prego, riportalo da me sano e salvo! Aiutalo in questa impresa disperata! Quante volte ancora dovrò temere per lui, per la sua salute? Quante volte dovrò sapere la sua vita appesa ad un filo sottile e fragile? Quanta paura ho già avuto per lui, troppa…

Così impressa nella mia memoria è ancora la Guerra Galattica; poche settimane sono trascorse da allora, ma quello strazio è una ferita ancora aperta nel mio cuore…se fossi riuscita a convincere Sirio ad abbandonare lo scontro non avrebbe rischiato di morire…avrei dovuto insistere, come il Maestro voleva che facessi, mentre io ho soltanto riferito il messaggio e ho lasciato che fosse lui a decidere. Quanta determinazione ho visto nei suoi occhi, mentre mi diceva di non poter interrompere l’incontro, di dover portare a termine ciò che aveva cominciato! Ho visto il fuoco nel suo sguardo, forse un segno di quel cosmo di cui parlava sempre l’Anziano Maestro durante l’addestramento! Le parole mi hanno abbandonato, ero come pietrificata mentre fissavo il suo volto, incapace di reagire. Avrei voluto dire tante cose e cercare di fermarlo, ma con il terrore nel cuore sono rimasta a guardare mentre tornava a combattere...avrei voluto pregare per lui, ma non ci riuscivo, non riuscivo a pensare a niente, tale era la confusione che occupava la mia mente! Le voci delle persone attorno a me risuonavano indistinte al mio orecchio, mentre vedevo Pegasus colpirlo al petto…era il suo punto debole, io lo sapevo, e in quel momento proprio quel punto era scoperto, senza armatura, senza alcuna protezione! Oddio, l’aveva compreso anche il suo avversario!!! Per Sirio era la fine, io l’ho capito un attimo prima del colpo finale…è stato come se per qualche istante il tempo si fosse fermato, insieme al mio respiro, mentre lo vedevo cadere fuori dal ring, mentre chiudevo gli occhi e udivo il boato di voci degli spettatori riecheggiare nel Palazzo dei Tornei…

Il suo cuore si era fermato…il tatuaggio sulla schiena stava svanendo lentamente, come la sua vita…oh Signore, che dolore ho provato in quel momento! Non potevo credere che Sirio sarebbe morto così, davanti ai miei occhi! Qualcuno doveva salvarlo!!! Ma solo quel Cavaliere poteva farlo, con un altro dei suoi colpi. Mi sono gettata in lacrime su di lui per supplicarlo di intervenire, pur sapendo quanto folle fosse pretendere che nelle gravi condizioni in cui versava in quel momento si alzasse dalla barella che lo trasportava, ma la vita di Sirio era nelle sue mani! E Pegasus ha dato ascolto alle mie suppliche: ha riattivato il suo cuore e lo ha salvato! Per sempre gli sarò grata per il suo gesto…

Ma solo per breve tempo è durato il mio sollievo, purtroppo…non molto mi è stato spiegato su quanto accaduto in seguito, ma so che Sirio ha donato il suo sangue per ricambiare il favore ricevuto, per dare nuova vita all’armatura di Pegasus, affrontando il rischio di morire dissanguato. Io non volevo nemmeno che partisse per quell’impresa, ancora debole per il duello da poco terminato; avevo intuito che avrebbe corso dei pericoli, senza pensare a se stesso, e sapevo che se fosse morto non sarei nemmeno stata al suo fianco! Potevo soltanto attendere il suo ritorno, con la speranza che non gli capitasse nulla…

Ma quando è tornato da me era cieco. Aveva perso la vista durante un altro scontro. Che duro colpo è stato per Sirio! Sembrava un’altra persona, come se quel fuoco si fosse spento dentro di lui…come se la sua vita non avesse più alcun valore…come se non ci fosse più alcun motivo per cui combattere…mentre io mi sentivo quasi sollevata al pensiero che non avrebbe più dovuto correre rischi! Pensavo che finalmente il suo tempo sarebbe stato mio, mi sarei presa io cura di lui e nulla ci avrebbe più diviso! Nessun addestramento l’avrebbe più tenuto lontano da me, nessuna battaglia…Quanto crudele sono stata, Signore, come ho potuto essere così egoista? Come ho potuto pensare anche solo per un momento che Sirio avrebbe potuto accettare di rinunciare ad essere un Cavaliere di Atena? In cuor mio ringraziavo che fosse cieco, nonostante il dolore e la frustrazione che sapevo provasse dentro di sé…speravo che con il tempo la sua ferita interiore sarebbe guarita e che tutto si sarebbe sistemato…chiedo perdono per il mio egoismo, Signore!!! Ho pensato solo a me stessa, al mio desiderio di avere al mio fianco l’uomo che amo!

Ma il posto di Sirio non è qui ai Cinque Picchi, non è con me…è con i suoi compagni. L’anziano Maestro mi aveva avvertito che sarebbe accaduto: il destino di un Cavaliere è quello di servire Atena in difesa dell’Umanità intera, anche a costo della propria vita. Tutto il resto deve passare in secondo piano. E io mi devo fare da parte, lasciando che Sirio compia il suo dovere fino in fondo. So che così dev’essere…ma come può affrontare una nuova missione in quelle condizioni?!? Come può vincere il suo nemico se nemmeno lo può vedere?!? Mi ha detto di non preoccuparmi, ha promesso che tornerà da me…le sue parole non erano incerte, la sua voce era tranquilla e sicura…lo scontro con Demetrios gli ha reso quella determinazione che aveva perduto, ha riattivato quel fuoco che si era spento. Dragone è tornato! Ed è voluto partire alla volta del Grande Tempio. Ancora una volta avrei voluto tentare di fermarlo, ma sapevo che sarebbe stato inutile…e sono rimasta a guardarlo allontanarsi da me e partire per affrontare non so quale nemico…

Ed eccomi qui, Signore, in ginocchio di fronte a Te. Ti imploro di ascoltare la mia preghiera! Donerei la mia stessa vita se potesse servire a qualcosa…ma io non ho il potere di aiutare Sirio in quest’impresa, solo Tu lo puoi fare!!! Quindi Ti prego, resta al suo fianco in questo difficile momento, sostienilo in battaglia! Fa che vinca il nemico che sta affrontando in quest’istante e riesca a raggiungere l’obiettivo che si è prefissato! Non permettere che gli sia fatto del male! E Ti prego nuovamente, Signore: riportalo da me sano e salvo! Io sarò qui ad aspettare il suo ritorno…

 

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Capitolo 5
*** Natassia ***


Natassia – Prima dell’addio

Natassia – Prima dell’addio

(di Lamia)

Mio piccolo Hyoga,

forse ti apparirà assurdo che la tua mamma ti scriva una lettera, ma sento il bisogno di farlo…quando l’avrò terminata, la nasconderò tra le tue cose, nella tua borsa; la troverai quando già sarai giunto al termine di questo viaggio, e noi ci saremo salutati. Questa nave è salpata da poco più di un’ora e altre ore ancora ci attendono…è un viaggio che mi sembra interminabile, ma al tempo stesso troppo breve…se non avesse fine, non saremmo costretti a separarci! Ma purtroppo tutto ha una sua conclusione, e così sarà anche per questa traversata…

Ti guardo dormire, mentre seduta a questa scrivania lascio che la mia mano scriva i miei pensieri su questo foglio bianco…cerco di fissare nella memoria i tuoi lineamenti delicati, i tuoi capelli biondi, quell’espressione serena da bambino tra le braccia di Morfeo…il mio bambino…sei così piccolo…e sembri così indifeso…io sono tua madre: sarebbe mio compito proteggerti dai pericoli a cui questo mondo potrebbe esporti, spronarti di fronte alle difficoltà che potresti incontrare crescendo, consolarti di fronte a sofferenze e delusioni con cui potresti doverti confrontare, indicarti come affrontare la vita trasmettendoti ciò che le esperienze mi hanno insegnato…

Ma tutto questo non mi sarà concesso! Un uomo che tu nemmeno conosci ti vuole con sé. Dice di voler fare di te un Cavaliere. Le mie domande non hanno ricevuto risposta alcuna: che significa divenire Cavaliere? A che servirà? Perché proprio tu? Perché sei mio figlio, questo è il motivo. Perché ho conosciuto quell’uomo tempo addietro, quando nulla potevo immaginare di quanto sarebbe poi accaduto. E ora lui vuole togliermi la cosa più preziosa che ho…vuole allontanarmi da te…

Ma come si può separare una madre da suo figlio? Come le si può chiedere di rinunciare a vederlo crescere? Una richiesta crudele, priva di qualsiasi umanità…l’ho pregato di lasciarmi rimanere al tuo fianco durante l’addestramento che dovrai affrontare, l’ho implorato con tutte le mie forze, ma è stato tutto vano. Nemmeno le lacrime di una madre disperata hanno scalfito quel cuore arido…le stesse lacrime che scorrono ora sul mio viso, al pensiero di quello che ci attende.

Per quale motivo non posso restare con te? Mi farei da parte per lasciarti imparare ad essere un Cavaliere, ma almeno sarei sempre presente per te, pronta a darti il mio sostegno, il mio conforto, il mio affetto…ma no, quell’uomo crede che le cose andrebbero diversamente. Ritiene che interferirei con l’addestramento, che non ti permetterei di crescere e maturare! Come se una madre potesse essere d’intralcio per lo sviluppo di suo figlio!!! Come se potesse essere un peso!!!

Io ti ho cresciuto da sola, in una terra inospitale, con pochi mezzi a mia disposizione. Ma tu mai per me sei stato un peso, piccolo mio! Sei sempre stato un dono per me…un motivo per continuare a vivere…quando sei nato temevo in cuor mio che non sarei stata in grado di darti quello di cui avevi bisogno, che avrei commesso tanti errori…e forse è anche stato così…ma se ti guardo ora vedo un bravo bambino, educato, forte, coraggioso. Sei come avrei voluto che fossi! Non posso che essere orgogliosa di te, Hyoga, lo sono sempre stata…

E anche in questa situazione mi hai mostrato la tua maturità, ancora una volta. Ti ho parlato di quell’uomo, del suo folle progetto, di ciò che ti attende…so che soffri all’idea di doverti separare da me, io provo lo stesso dolore! Ma hai accettato il tuo destino senza obiettare, a testa alta, come un adulto. Il mio ometto…sei più maturo dei tuoi coetanei, sei dovuto crescere in fretta. Le avversità della vita portano a questo.

Avrei voluto offrirti una vita più serena e spensierata, evitarti qualsiasi sofferenza, tenerti lontano dalle difficoltà…ma non sono in grado di fare questo…spero che capirai che ho fatto quel che ho potuto, come madre…

Ti osservo ancora dormire…un pensiero mi attanaglia la mente da quando siamo partiti. E se tu mi dimenticassi? Così a lungo saremo lontani e così giovane tu sei…forse il mio ricordo si affievolirà con il passare del tempo, fino a divenire un’immagine sfuocata nella tua memoria…forse il mio ricordo sempre più di rado busserà alle porte della tua mente, fino a non venire più a trovarti…forse farò parte solamente del tuo passato, perché non potrò vivere nel tuo presente…

No, non voglio che ciò accada! Ti prego, piccolo mio, non lasciare sbiadire il ricordo che hai di me! Anche se sarò lontana, io sarò sempre accanto a te, sempre! Ti donerò la mia croce, in modo che tu possa portarmi con te…quando sarai in difficoltà, stringila nella tua mano, e io ti indicherò la via da seguire, anche se non sentirai la mia voce tu saprai cosa voglio dirti! E la croce ti proteggerà dove io non potrò giungere!

Ti scrivo questa lettera perché tu possa capire che non mi è stata data la possibilità di scegliere; io non ti abbandonerei mai, Hyoga! E vorrei che questo viaggio non avesse mai fine…ma le lancette dell’orologio scandiscono il tempo che passa, e non le si può arrestare…vorrei svegliarti, e trascorrere con te queste ultime ore che ci separano dal momento dell’addio…ma non lo farò! Preferisco rimanere qui in silenzio ad osservarti, ad ammirare la tua espressione serena e tranquilla mentre ti accarezzo i capelli…Riposa, bambino mio, la mamma è ancora qui!

Presto saremo a destinazione…so già che non verserai una lacrima nel salutarmi, perché sei forte, e io tenterò di fare lo stesso. So che riuscirai a superare il periodo dell’addestramento e che diverrai Cavaliere: non mi hai mai deluso e non lo farai neppure questa volta! E allora tornerai da me, tornerai a casa. Io sarò là ad attenderti, pronta ad abbracciarti. Tu sarai cresciuto, ma sarai sempre mio figlio! E ricorda che io sarò sempre tua madre, e sempre ti porterò nel mio cuore…ti voglio bene!

 

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Capitolo 6
*** Patricia ***


Patricia - Tutto in una parola

Patricia - Tutto in una parola

(di Lamia)

Ti guardo. Il tuo viso è ormai quello di un giovane uomo, ma tanto ancora ricorda quello del bambino che eri…gli stessi lineamenti, gli stessi capelli…provo ad accarezzarti la testa, come facevo allora. Puoi sentirmi, Seiya? Sono qui con te, mi senti? Tu non rispondi…il tuo sguardo è fisso, rivolto innanzi a te, come svuotato e spento…non puoi vedermi, non puoi sentirmi…fratello mio…come posso guardarti ridotto in questo stato?!?

Dov’è finita quella vitalità che mostravi sempre? Tutte quelle energie che sembravano non esaurirsi mai? E pensare che allora mi facevi impazzire, quando ti chiedevo di comportarti bene e di stare attento, di stare tranquillo, mentre tu, così vivace, correvi ovunque senza pensare ai pericoli a cui ti esponevi…in quei momenti avrei vissuto come un sollievo il vederti seduto, composto, in silenzio…ma ora…che impressione vederti come privo di vita! Sei qui, ma è come se non ci fossi…e io mi sento così inutile, perché non c’è nulla che io possa fare per te, ora.

Oh Seiya…come posso accettare l’idea di non esserti stata vicina per tutto questo tempo, mentre affrontavi delle difficoltà più grandi di te?!? Ero il tuo unico punto di riferimento, prima che ti portassero a Villa Toole, non hai mai avuto un padre e una madre che si prendessero cura di te…io ho cercato di sostituirmi a loro, di essere un sostegno per te; ho fatto il possibile…

Ma poi sono arrivati quegli uomini e ti hanno portato via…avrei fatto qualsiasi cosa per impedirglielo, non volevo assolutamente che ci separassero! Ma ero solo una ragazzina, cos’avrei potuto fare contro di loro?!? Ricordo il tuo viso spaventato, il tuo pianto disperato mentre ti obbligavano a prendere posto su quell’auto…

Ho trascorso giorni a versare lacrime silenziose, con lo sguardo rivolto verso la finestra, senza dormire o mangiare…pensavo a te, mi chiedevo dove fossi, cosa stessi facendo. Nessuno mi ha dato spiegazioni, mi è stato detto unicamente che avresti passato degli anni in Grecia per addestrarti. Addestrarti?!? Per cosa?!? Eri solo un bambino! Avresti dovuto trascorrere il tuo tempo giocando e studiando, come tutti gli altri…non riuscivo a capire cosa stesse accadendo…non potevo accettare di non rivederti più!

E’ proprio pensando a te che ho trovato la forza di reagire: tu non ti sei mai lasciato scoraggiare da niente e da nessuno, pur essendo così piccolo; era giunto il momento per me di fare altrettanto! Ho asciugato le ultime lacrime che ancora bagnavano il mio viso, mi sono alzata dal letto e ho preso quella decisione: partire per cercare mio fratello! Ho raccolto le poche cose necessarie per il viaggio, mi sono armata di coraggio e ho lasciato l’orfanotrofio alla volta della Grecia. Quanta paura provavo dentro di me! Ero sola, non avevo mai lasciato il Giappone prima di allora, e mi attendeva un così lungo viaggio, verso un Paese così lontano…ma ero assolutamente convinta di voler affrontare tutto ciò: io dovevo trovarti, Seiya! Dovevo accertarmi che stessi bene!

Ma probabilmente il mio è stato un errore, una mossa azzardata che mi ha portato ad allontanarmi da te, anziché a ritrovarti. Ho perso la memoria. Ancora oggi non ricordo bene come sia accaduto. Ma so che ho girovagato a lungo in preda alla confusione, smarrita, sola…delle persone che ho incontrato mi hanno chiesto il mio nome. Una domanda così semplice, così comune. A cui tante volte avevo risposto in passato. Eppure in quel momento io non lo sapevo dire. Non ricordavo il mio stesso nome.

Normalmente sembra soltanto una parola, una come un’altra. Pensiamo che chiamarci in un modo piuttosto che in un altro non faccia differenza. Dicono che una rosa avrebbe lo stesso profumo e sarebbe altrettanto bella se venisse chiamata con un altro nome. E così dovrebbe essere anche per gli esseri umani.

Ma non è così. L’ho scoperto solo nel momento in cui non sono stata in grado di dire come mi chiamo. Il nostro nome racchiude ciò che siamo e definisce chi siamo. Ci arrabbiamo se udiamo qualcuno storpiarlo o se ci rendiamo conto che una persona a cui teniamo non lo ricorda; è la prima informazione che diamo di noi a chi incontriamo per la prima volta; è una cosa che viene già pensata per noi ancor prima della nostra nascita, come se per i futuri genitori scegliere il nome per il futuro nascituro rendesse più reale e concreta la presenza di una nuova creatura; lo sostituiamo con un altro quando non vogliamo far conoscere la nostra identità a qualcuno, come se appunto il nostro nome potesse farci riconoscere anche da chi nulla sa di noi...

Puoi dimenticare fatti, luoghi e persone…ma se non ricordi il tuo nome, sai per certo che qualcosa non va, ed è come se perdessi una parte di te. E così è stato per me. Ho trascorso anni a chiedermi chi fossi, cosa ci facessi in Grecia, quale fosse il mio passato; ma non trovavo alcuna risposta alle mie domande. Fino a quando ho udito la tua voce, Seiya, dopo tanto tempo. Hai urlato il mio nome. Quella semplice parola che tanto a lungo avevo cercato di ricordare e che in un secondo ha riportato alla mia memoria tutto ciò che avevo scordato. Mi hai salvato, fratello mio, mi hai reso la mia identità. Se ora sono qui è grazie a te e ai tuoi coraggiosi compagni!

Ma io che posso fare per te? Cos’ho fatto per te finora? Per tutto questo tempo sono stata lontana, mentre tu divenivi Cavaliere, come quell’uomo voleva. Mentre affrontavi i tuoi nemici, rischiando più volte la vita per svolgere il tuo dovere. I tuoi amici mi hanno raccontato le tue gesta, le vostre imprese…e Castalia mi ha detto che tanto mi hai cercato, senza perdere mai la speranza di ritrovarmi. Ed ora sono qui. Ma nulla posso fare per te, Seiya, non ora che la tua mente è altrove.

Credo che lascerò la clinica, Castalia e Lady Isabel si prenderanno cura di te, come hanno sempre fatto. Io ho bisogno di fare chiarezza tra le mie idee confuse, devo rivedere questi luoghi da cui per troppo tempo sono stata lontana, ritrovare ciò che ero, per decidere chi voglio essere adesso. Ma non ti abbandonerò di nuovo, fratello mio, non temere, tornerò da te appena troverai la forza per svegliarti da questo torpore e pronunciare ancora una volta quella parola: "Patricia". Perché questo è il mio nome, e tu non l’hai mai dimenticato…

Ora riposa, Seiya, prenditi tutto il tempo che ti serve. Io ti aspetterò.

 

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Capitolo 7
*** Esmeralda - Applausi da lontano ***


ESMERALDA

ESMERALDA

 

APPLAUSI DA LONTANO

 

         Caro Phoenix, manca poco al termine del tuo periodo di addestramento, al giorno in cui riconquisterai la libertà, potendo finalmente andartene, potendo volare via da qui. Da questo inferno in terra. Da me.

         Ho seguito il tuo allenamento per tutti questi anni, cercando di non essere vista da mio padre, perché so, per certo, che si arrabbierebbe e mi punirebbe per averti distratto dalla tua missione, dallo scopo della tua presenza su quest’isola. Del resto, nessuno, che non abbia l’investitura come fine, o che non sia obbligato a restarvi, sceglierebbe mai di trascorrere la vita qua, in quest’arida terra. Una prigione, così penso che si possa definire, al pari della maschera che mio padre porta sul volto. Una prigione di disperati, di rinnegati, di gente senza ideali che mira soltanto all’ombra e al potere. Una prigione fisica che ne sottintende un’altra, più interiore, che ognuno di questi uomini si porta dentro, un senso di sbandamento, di vuoto, di disperazione che non riescono a vincere, logorati dalla tenebra e dalla brama di potere. Non credi che sia così? Forse tu no, ma, come hai imparato a conoscermi, sai bene che per me è così, che io cerco sempre di vedere il buono in ognuno di noi, convinta che nessuno sia completamente malvagio.

         E anche quest’isola, in fondo, non è poi così inospitale. Certo, quando ero piccola, dopo la morte di mia madre, uccisa da un gruppo di criminali giunti sulla Regina Nera per impossessarsi delle armature ivi custodite, ho creduto davvero di essere all’inferno, di essere morta e di aggirarmi per chissà quale landa di Ade, pullulante di spettri e cadaveri, laghi di lava e vapori pestilenziali. Ma poi mi sono fatta coraggio e ho scoperto una forza nascosta dentro di me. Una forza che non fa di me un Cavaliere tuo pari, ma che mi ha permesso di andare avanti in questi anni, senza mai perdere la speranza che le cose, pur brutte che siano, possano migliorare. La fede.

         A questa fede verso il futuro non sono mai venuta meno e mi ha sorretto nei momenti più bui, soprattutto dopo il cambiamento di mio padre. È stato proprio questo sentimento a spingermi ad apprezzare quel che di bello, pur poco che fosse, avevo intorno a me. Mio padre per primo, alcuni luoghi della Regina Nera, non così inospitali, come il campo di fiori che ti ho mostrato, e infine te, Phoenix. In te ripongo fiducia e speranza, in te credo e a te mi affido affinché il mio sogno di libertà trovi realizzazione, e so che non mi deluderai. Non puoi farlo, perché sei buono, perché il tuo animo è puro e nel tuo cuore risiede la fiamma della giustizia e dell’onestà che arde così intensamente da non poter essere mai spenta. Neppure da te stesso, ricordalo Phoenix.

         E perdona mio padre, ti prego. Quando sarai sulla nave che ti riporterà in Giappone, e leggerai queste mie pagine di diario, che ho raccolto in fretta su pezzi di carta ingiallita, e ripenserai all’addestramento, ti prego di non portargli rancore, sebbene tu ne abbia tutte le ragioni, per l’ostilità che ti ha dimostrato fin da quando sei arrivato, per il modo crudele in cui spesso ti ha trattato. Non dirmi di tacere, è tardi ormai, e non dirmi di andarmene, perché ho già visto. Di nascosto, ti ho osservato cadere a terra mille volte, colpito dai calci e dai pugni di un uomo che a fatica riesco ancora a riconoscere come genitore. E quei giorni in cui non ho potuto seguire il tuo addestramento, impegnata con la cura di questa baracca che tutto si può definire meno che casa, ne ho visto i risultati, nei lividi e nelle ferite che costellavano il tuo corpo. Ooh, Phoenix, quanto dolore hai sopportato in questi anni! Quanto odio mio padre ti ha instillato dentro, al punto che spesso mi sono chiesta se non riuscisse a vincere la tua bontà e la tua sete di giustizia! Sono una ragazza, Phoenix, perdonami se ho avuto questi dubbi, ma anche quando si sono presentati ho saputo sempre come rispondere loro. Con un secco no. Certa che la tua fede sia pari alla mia, avendola percepita più volte nel tuo cuore.

         Anche mio padre, un tempo, era un uomo buono come te e ha combattuto, per anni, contro briganti e criminali, che periodicamente giungevano sulla Regina Nera per indossare le armature oscure che la Dea Atena vi nascose molto tempo addietro. Ne sono venuti davvero tanti, Phoenix, credimi, e anche oggi credo che molti vi dimorino ancora, sull’altro lato dell’isola, dove mio padre da tempo non si reca, non adempiendo più alle sue mansioni di custode. E temo che qualcuno sia riuscito nel loro malefico intento. Perdonalo Phoenix, e non per le suppliche di una bambina, ma perché la verità, adesso celata da quell’orribile maschera che porta sul volto, è che mio padre era un uomo probo, scelto dal Grande Sacerdote in persona, più di vent’anni addietro. Per quanto ingrato compito gli fosse toccato, mio padre non se ne lamentò mai, trasferendosi in quest’isola e impegnandosi duramente in scontri continui. Da solo, come fu per sette anni, finché non conobbe mia madre, la schiava di un contadino. Maltrattata, sporca, posseduta spesso da quelle luride mani, quella donna viveva alla stregua di un animale, ma, ingenua come spesso solo noi donne possiamo essere, speranzosa sempre che il domani le avrebbe arriso. Come in effetti fu, quando mio padre la salvò, comprandola dal contadino e donandole la libertà.

         Furono felici insieme e continuarono ad esserlo anche dopo la mia imprevista nascita. Imprevista perché molto si chiesero se fosse il caso di far crescere una bambina in questa terra dimenticata dagli Dei. Ma mia madre, che non credeva alla casualità, era convinta che vi fosse uno scopo anche nella mia esistenza, e spesso sorrido pensando di non aver capito quale fosse. Poiché non mi pare di aver fatto niente di eclatante, se non trascorrere la giovinezza aiutando e curando prima mio padre e poi te, felice di poter essere utile, anche nel mio piccolo.

         Poi mia madre morì, e mio padre massacrò i criminali che la uccisero, uno ad uno, gettando i loro corpi nel lago di lava. Non me ne ha mai parlato, ma lo vidi con i miei occhi, avendolo seguito quella mattina. Da quel giorno iniziò ad avere incubi e brutte visioni, consapevole di essersi macchiato di un crimine nefando, per quanto gli eventi e la rudezza della vita sull’isola lo avessero necessitato. Fu allora che decise di recarsi in pellegrinaggio al Grande Tempio, per espiare le sue colpe e chiedere il perdono della Dea Atena. Ne fui felice, quando partì, speranzosa che potesse servirgli per ritrovare la sua tranquillità interiore, ma quando tornò capii subito che qualcosa era cambiato. Lui era cambiato. Non era più il generoso uomo che aveva riscattato mia madre, togliendola da una vita di solitudine e di stenti, né il premuroso padre che temeva per l’incolumità della sua unica figlia. Adesso era divorato dall’odio e dall’ombra, vittima di un potere immensamente più grande di lui.

         Mi sento in colpa, spesso, per non aver saputo fare niente per aiutarlo, per non averlo potuto guarire da questa maledizione. Le poche volte in cui ho trovato il coraggio di rivolgermi a lui, di spingerlo a parlare, ho ricevuto in cambio soltanto schiaffi e percosse, come ben immagini. Ma non lo odio per questo, e spero che neanche tu lo farai dopo che te ne sarai andato. Perché tu te ne andrai Phoenix, sei la fenice della speranza, l’uccello di fuoco, e presto spalancherai le tue ali per volare via, per raggiungere un mondo migliore di questo. Vorrei poter venire via con te, ma mio padre non mi lascerebbe mai andare, deciso a tenermi con sé, uniti nella stessa sofferenza, nello stesso destino di morte.

         Addio Phoenix, chiudo così, queste mie poche pagine in cui ho riversato me stessa, la ragazza che così tanto somiglia a tuo fratello e che ha cercato, nel suo piccolo, di rendere migliori i tuoi giorni sulla Regina Nera, come tu hai reso migliore la mia vita, da quando vi sei entrato. Ricordami Phoenix, quando sarai una fenice e volerai nel vento, perché io non ti lascerò mai solo e ti applaudirò da lontano.

 

© Aledileo

 

 

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Capitolo 8
*** Morgana ***


MORGANA

 

MORGANA

 

SORELLE LONTANE

 

         Ho tentato molte volte di scriverti una lettera, ma non ci sono mai riuscita. Non sono mai stata propensa alla scrittura né alle belle arti, preferendo le attività sportive e da svolgersi all’aria aperta, una dote che nostra madre non ha mai ammirato con letizia in me. Umpf, come biasimarla? Del resto sono stata causa della sua morte. La notizia del mio arresto e del mio esilio hanno contribuito a dare il colpo di grazia al suo cuore già provato dagli affanni. Povera donna, non ho mai saputo capire quanto dolore provasse per il mio destino, né ho potuto consolare te, che sei rimasta, comportandomi come una sorella maggiore avrebbe dovuto.

         Forse perché non mi sono mai sentita una sorella maggiore.

         E come avrei potuto? Ti ho odiato, all’inizio, quando mia madre mi rivelò di aspettare un nuovo figlio dall’uomo che aveva sposato dopo la morte del marito, un capitano di vascello, in un naufragio al largo dei Caraibi.

         Adoravo mio padre, adoravo la sua freschezza, il suo sapore di mare, e adoravo quando, da piccola, mi portava in visita alla nave che guidava, permettendomi di esplorarla da prua a poppa, di conoscere il suo mondo, di vederlo con i miei occhi di bambina. Nostra madre invece… beh, lei non era mai stata fiera di lui, lamentando spesso le mancanze che aveva nei suoi confronti, soprattutto il tempo che trascorreva lontano da lei, in mare aperto. Potevano passare mesi infatti prima che avessimo sue notizie, e altri ancora prima di rivederlo, mesi che nostra madre trascorreva pregando e logorandosi l’anima nella speranza che non accadesse niente di male all’uomo che a modo suo amava. È strano, solo adesso, dopo più di vent’anni, mi rendo conto che le sue parole erano sincere, per quanto all’epoca non gli avessi creduto.

         Alla notizie della scomparsa di mio padre, il capitano Pelagi, rimasi infatti scioccata di fronte alla reazione di nostra madre. Non gridò, non si disperò, non si gettò in lacrime ai piedi del portatore di tale ingrata notizia, ma gli voltò lo spalle, sospirando e accettando quel che aveva temuto per anni. Dopo neppure sette mesi era già sposata ad un altro uomo, un commerciante conosciuto al porto di Trapani, durante le sue passeggiate solinghe, quando si perdeva ad osservare l’orizzonte, sperando di imbattersi nella sagoma del vascello del marito sulla via di casa. Questo matrimonio non gliel’ho mai perdonato, e ancor’oggi non lo comprendo appieno. Non comprendo come una donna possa vendersi così, mettendo da parte con irrisoria facilità i sentimenti provati per un uomo mai capito, e cambiare vita nel giro di poco tempo.

-         Se tu lo avessi amato davvero, preferiresti restare da sola, con i tuoi ricordi, che non tradirlo tra le braccia di un altro! –Le dissi con rabbia quel giorno, l’ultima volta in cui la vidi.

Era il giorno della mia investitura a Sacerdotessa Guerriero, un ruolo che mio padre aveva fortemente insistito che assumessi. Perché mi voleva forte, mi voleva capace di vivere da sola, senza bisogno di uomini che decidessero per me. Mi voleva come nostra madre non era mai stata.

         Ed era anche il giorno del tuo quinto compleanno. Da lì a qualche anno avresti iniziato anche te l’addestramento, presso la Scuola delle Sacerdotesse di Atene, per divenire un Cavaliere. Eri molto più tenera e dolce di com’ero stata io alla tua età, ma forse eri anche più sola, poiché, a differenza mia, non hai avuto la possibilità di conoscere mio padre e il tuo fu solo l’ombra di quel che sarebbe dovuto essere.

         Perdonami se l’ho ucciso, Tisifone. Ma non me ne pento. Affatto.

         Meritava quel che ha avuto, per aver osato prendere il posto di un uomo che si era spaccato la schiena per i sette mari, rischiando ogni giorno la vita, per inviare soldi alla sua famiglia, e per averti lasciato da sola, cacciandoti di casa non appena ne aveva avuto l’opportunità, rinchiudendoti in un mondo di cui ben poco sapevi.

         Rimpiango solo di non averlo massacrato io stessa, ma per rispetto verso colei che mi aveva generato non volli sporcarmi le mani. Così lo lasciai fare a tre uomini conosciuti al porto di Atene, che si spacciavano per Cavalieri della Dea della Guerra Giusta, per quanto io credo che nessuno di loro abbia mai saputo cosa significhi esserlo davvero, un protettore della giustizia. Lo fecero in fretta, ma non lo fecero bene, venendo individuati da alcuni informatori del Grande Tempio e accusati di omicidio.

         Trascinati di fronte al Grande Sacerdote, un uomo anziano dal respiro affannoso, che la maschera d’oro non riusciva a celare, il Primo Ministro in persona, Arles, un tempo Cavaliere d’Argento dell’Altare, li accusò, per essersi macchiati di un simile delitto, infangando il buon nome dell’esercito di Atene. Belle parole, bella arringa, Primo Ministro! Pensai quel giorno, seduta sugli spalti dell’arena ad osservare quel pubblico processo, mentre la gente attorno a me esultava, invocando la morte per i tre colpevoli. La stessa che loro avevano comminato su mio ordine, a qualcuno che secondo me la meritava. Non potei esitare un attimo di più, alzandomi e facendomi largo tra la folla, mentre il mio cosmo si espandeva e riempiva l’arena del Grande Tempio, generando una tempesta improvvisa, di nubi nere e lampi accecanti.

         Non fu in realtà un vero temporale, ma una mossa che mi permise di avvicinare i tre uomini, nient’affatto sorpresi di vedermi. Espansero i loro cosmi, decisamente inferiori al mio, e distrussero le catene di energia che bloccavano i loro polsi e le loro gambe, sorridendo con un ghigno perverso che sulle prime mi intimorì. Ma poi, quando i soldati del Grande Tempio realizzarono che la tempesta era un’illusione e iniziarono a correrci incontro, compresi che il mio destino era segnato, e che avevo fatto la mia scelta.

-         Cobra incantatore! –Gridai, balzando sui soldati e squarciando i loro corpi con folgori incandescenti, mentre i tre uomini ne abbattevano altri.

Il Grande Sacerdote se ne era già andato, scordato dal Primo Ministro, e parte della folla si era dispersa. Soltanto un vecchio era rimasto a fissarmi, appoggiato ad un bastone, un vecchio guercio con un occhio di cristallo che pochi giorni fa mi ha scritto, revocando la condanna all’esilio che il Sacerdote ci rifilò quel giorno.

         Non che me ne sia fatta un problema all’epoca, di essere cacciata dal Santuario, desiderosa com’ero di girare il mondo per vedere gli stessi luoghi che aveva visto mio padre, per assaporare le stesse esperienze che lui aveva vissuto. E infatti, come prima meta del mio viaggio scelsi un’isola dei Caraibi sulle cui spiagge mio padre era stato ritrovato morto. Un’isola ove un tempo sorgeva un covo di pirati che sarebbe presto divenuta la mia nuova casa.

         I tre uomini decisero di restare con me, approfittando della posizione strategica per depredare molte navi che passavano dal Golfo del Messico e mettendo parecchie ricchezze da parte. Non avevano un nome o se anche lo avevano non lo ricordavano, così li chiamai in base alle corazze che avevano indosso, Medusa, Delfino e Serpente di Mare. Delfino era anche un bell’uomo, e l’unico che una volta abbia tentato di possedermi. Ma non ero interessata, né a lui né a nessun’altro, volevo solo essere libera. Come il mare, come mio padre. E all’inizio ero davvero convinta di esserlo.

         Col tempo poi, con il diminuire degli abbordaggi, con la continua minaccia di una spedizione punitiva da parte del Grande Tempio, e con la solitudine dell’isola, capii che non la libertà avevo ottenuto, ma una prigione. Una prigione persino più grande di quanto avessi creduto, e che io stessa avevo contribuito a costruire, con i miei gesti avventati e immaturi.

Per questo motivo ho accettato l’incarico che Gigars mi ha proposto, per ottenere la libertà che mi ero negata un tempo. Fai le tue mosse, Tisifone, fai le tue scelte, ma non venderti mai. Rimani fiera di quel che sei, della tua libertà di donna, e non permettere a nessuno di portartela via. Nemmeno a te stessa.

 

© Aledileo 2009

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Capitolo 9
*** Flare ***


FLARE

FLARE

 

LA VOLONTA’ DI ARTAX

 

         E m’inginocchio qui, di fronte alla croce di legno posta in tua memoria, fuori dalla caverna dove tanto ti sei allenato, da solo, dove tanto hai sacrificato per ottenere quel che volevi. Persino te stesso. Ma sei sempre stato così, testardo e irriverente, disperatamente fedele e attaccato ai tuoi ideali, al tuo senso dell’onore, al punto da metterlo prima dei sentimenti. Prima di noi.

         Ricordi, Artax, quando eravamo giovani? Quando giocavamo felici nei giardini della Reggia di Asgard, rincorrendoci tra gli alberi e tirandoci palle di neve? Quando guardavamo le stelle, durante le nostre Vetrnætr [i], per poi rotolarci sui pendii innevati con gli slittini da te costruiti? Eravamo felici, e convinti che avremmo potuto esserlo per sempre. Forse è stata colpa mia, forse nella guerra, e nella probabilità che tu dovessi davvero combattere, non ci ho creduto molto. O per lo meno ho sempre messo da parte, nella mia mente, quell’immagine, quella prospettiva che, se vi avessi prestato attenzione, mi avrebbe certo tolto il sonno. Ma avrei dovuto farlo. Aví[ii], avrei dovuto crederci di più. Credere di più in te, Cavaliere. Invece ti ho continuato a vedere come l’amico che sei sempre stato, il fratello che non ho mai avuto, il ragazzo con cui ho trascorso la fanciullezza e che mi ha regalato mille momenti felici.

         Ma adesso, di quei ricordi, e dei loro sorrisi, non resta niente. Soltanto l’amaro sapore di averti perduto. Cocciuto, hai perseverato a lottare, anche di fronte alle mie suppliche, anche di fronte all’evidenza, rivolgendomi persino i tuoi colpi contro! Contro la ragazza che avevi giurato di difendere, la ragazza per cui eri divenuto Cavaliere! E che, per una beffarda ironia, hai condannato a un eterno dolore, a una solitudine senza fine. Ma non credo, in fondo, che tu, da tale condanna, ne sia stato esente.

         L’ho letto, nei tuoi occhi di Cavaliere, in cui tanto mi ero specchiata per anni, trovandovi le stesse paure e la stessa ansia che percepivo nei miei. La stessa fragilità che ci ha portato alla rovina. Perché tu sapevi, oh come vorrei sbagliarmi Artax, che scatenando la tua tempesta di fuoco Cristal avrebbe reagito e uno di voi sarebbe morto. E forse, avendo imparato a conoscerlo nel corso dello scontro, non sei rimasto troppo sorpreso quando il Sacro Acquarius ti ha travolto, strappandoti alle lande in cui eri considerato unico e a me. Ma in fondo, anche se non è giusto pensarlo, credo che tu pensassi di avermi già perso. E lo paventai, quel giorno, quando mi ersi per proteggere Cristal dai tuoi attacchi.

         Mi dispiace, venire qua, sulla tua tomba, a parlarti di lui, dell’uomo che più di ogni altro odi al mondo, dell’uomo che ha riempito il tuo cuore di un immenso, ma certamente ben definito, rancore. Ma devo farlo, per cacciar via il tuo fantasma, che ogni notte si sdraia accanto a me e mi accusa di averti ucciso, di non averti voluto abbastanza bene da desiderare che tu vivessi. Perdonami, Artax, ma non è così. Ti ho voluto bene, ti ho amato, come si ama un amico, un fratello, un compagno con cui ho condiviso la vita. Come me stessa, di cui hai sempre fatto parte al punto che mai avrei potuto, prima dell’inizio della Guerra dell’Anello, anche soltanto immaginare di fare qualcosa senza di te, di vivere senza averti al mio fianco. Fosse solo per parlarti, per ascoltarti, per condividere qualcosa, come abbiamo fatto in passato.

         È questo che ci ha allontanato. Non Ilda, non la guerra, non Cristal. Ma la paura di crescere ed essere diversi, la sensazione che provasti quel giorno, quando ti esposi i miei sospetti su mia sorella e tu li rifiutasti. Mi rifiutasti. 

         Quanto dolore provai, nel vedere che persino te, il mio amico del cuore, l’unico di cui ero certa di potermi fidare, non mi credeva, non prestava ascolto alle mie parole. Quel gesto, quel rifiuto, ha distrutto tutto. Ha fatto crollare quel bel castello di favole dove una principessa e un guerriero hanno vissuto per anni, nella loro innocenza, nella beatitudine di un’adolescenza giunta a termine, incapaci di sopportare l’arrivo dell’inverno.

         Ma quell’ascolto che mi negasti mi fece crescere e mi spinse a prendere una decisione d’istinto, fuggendo assieme ad un Cavaliere sconosciuto, per incontrare una Dea che non avevo mai visto, e che non sapevo neppure se esistesse realmente. Avresti mai pensato che la giovane Flare, con i suoi mossi capelli e la sua buffa cuffietta, con i suoi modi garbati e i suoi sorrisi sinceri, sarebbe stata capace di una simile audacia? Forse, avessi avuto qualcuno capace di ascoltarmi, all’interno della fortezza, non avrei avuto bisogno di uscire, non credi? E sai, inoltre, perché Cristal? Perché fuggii con lui, sfidando le intemperie del clima e la collera di Ilda? Perché nei suoi occhi vidi quel che avevo visto nei tuoi per anni. La stessa onestà, la stessa purezza, lo stesso sguardo deciso. La tua volontà, di proteggermi e salvare me ed Asgard, in quel momento divenne la sua.

         Per questo mi ersi di fronte a lui, nella caverna di lava, non perché lo amassi più di quanto abbia mai amato te in questi anni, non perché valesse più di te. Ma perché era nel giusto, e tu lo sapevi, ma il tuo cuore, sopraffatto dall’ira e dal rancore per avermi persa, ottenebrò la tua ragione, spingendoti a cancellare i nostri ricordi, in nome di chissà quale onore. Ogni tanto penso che non ci siamo mai capiti davvero, che abbiamo sempre voluto cose diverse, per noi stessi e per l’altra persona, che abbiamo creduto, nel nostro cuore, di poter rimanere giovani per sempre, e continuare a vivere nel nostro castello di felicità. Eppure, adesso, tutto quel che mi rimane è un mucchio di neve da stringere in mano, di fronte alla croce di legno con il tuo nome scolpito. E venderei l’anima a Loki se con uno dei suoi inganni potesse farti tornare da me, potesse farti tornare a camminare nei giardini di Asgard, mentre i raggi del primo sole di primavera bagnano i campi di rugiada e ci ricordano che anche qua, in queste gelide terre, esiste amore.

         Forse un amore imperfetto, un amore tragico e incompreso. Un amore che va al di là del bene e del male e ci ricorda che non tutte le storie sono destinate al lieto fine, per quanto devotamente desiderato, e che non tutti i soli sono destinati a completare il loro ciclo vitale. Per qualcuno infatti il tramonto può giungere inaspettato. Una notte improvvisa a cui nessuno può opporsi. Forse, neppure gli Asi.

         Cristal mi ha insegnato che i greci hanno termini differenti per indicare i vari tipi di amore che si possono provare. Non sono molto convinta di questa classificazione, poiché credo che l’amore sia un sentimento così vasto e totalizzante che tentare di imbrigliarlo in una sola parola sia quanto mai riduttivo. Ciononostante credo che quel che ho provato per te, in questi anni, possa definirsi “Phileo”, un sentimento di affetto e di amicizia, da cui sempre ho avuto un ritorno. Un ritorno che mi ha reso felice. Come forse non ti ho reso mai.

         Sospiro e, alzandomi, scuoto la neve che si è depositata sul mio scialle, ben poca rispetto a quella che mi ha coperto il cuore dopo averti perduto, amico mio. Ilda mi ha chiesto varie volte se desiderassi spostare la croce in tuo onore, ma credo sia opportuno lasciarla qua, di fronte all’ingresso della caverna ove ti sei allenato per anni, ove sei entrato ragazzo e sei uscito uomo. A memoria imperitura della tua volontà.

         A presto Artax, non dubito che ci rivedremo. Quando il grande inverno scenderà su tutti noi e le cinquecentoquaranta porte del Valhalla si apriranno allora ci cingeremo in un ultimo abbraccio, prima del crepuscolo. Fino ad allora… addio, Bróðir[iii].

 

© Aledileo 2009

 



[i] Notti di inverno, solitamente a metà ottobre, ove si tenevano le Feste del Raccolto e della Pace.

 

[ii] Ahimè, in norreno.

 

[iii] Fratello, in norreno.

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