Capitolo
II
A
mountain of violent sins
Continuava a correre
all’impazzata nel bosco, sperando di aver preso la direzione giusta. Voleva
vederlo, pestarlo, urlargli contro e ancora colpirlo. Colpirlo così forte da
farlo svenire, così da portarlo in tutta tranquillità a casa sua, la sua
vera casa, non quella del covo della serpe malefica.
Strinse i pugni e
digrignò i denti come un animale.
Si guardava attorno
alla ricerca di un indizio, uno qualsiasi, ma il luogo era deserto, c’erano
solo alberi alti e maestosi, ma privi di chioma.
Mettevano i brividi.
Ignorando il senso di
inquietudine che si faceva sempre più vicino, continuava a muoversi a velocità
elevata, saltando di ramo in ramo per raggiungere la sua meta.
In qualche strana ed
assurda maniera, sapeva che quella non era la direzione giusta, che gli avrebbe
portato solo altro dolore, come ogni volta che si era incamminato alla sua
ricerca, ma non poteva fare altro che quello.
Gli era rimasto solo
quello.
Tremò leggermente per
il freddo, nonostante la corsa lo avrebbe dovuto scaldare.
Alle volte, gli pareva
di non capire più cosa stesse facendo. Perché si stava muovendo? Perché era in
quel luogo irreale? Chi o cosa stava cercando? Poi, come se nulla fosse,
tutto gli tornava alla mente ed i contorni che a quelle domande parevano
sbiadire, tornavano nitidi più che mai.
Riusciva a rivedere se
stesso da bambino, mentre giocava con il suo miglior amico, quello stesso amico
che pochi anni dopo lo avrebbe abbandonato.
Poteva riviveva il loro
fatidico scontro, quello più duro e doloroso della sua vita. Quello in cui
aveva fallito. Quello in cui Sasuke aveva davvero provato ad ucciderlo.
Eppure era tutto così
strano.
Nel bosco non si
muoveva una foglia, non vi erano rumori e di animali neanche la traccia.
Perché?
Eppure continuava a
correre, dimenticandosi presto delle domande, dei ricordi che si confondevano
tra loro, portandolo a vedere scene che gli risultavano sia estranee che
familiari.
Sasuke che giocava
assieme a lui con un trenino giocattolo sulla sabbia del parco giochi comunale;
Sasuke che aveva in mano uno shuriken e lo sfidava tacitamente a batterlo nel
lancio degli stessi.
Sasuke che gli
raccontava di come la sua mamma fosse brava in cucina e di suo fratello che era
un genio; Sasuke che non aveva più i genitori, uccisi dal loro stesso figlio e
che lui tanto ammirava.
Sasuke che…
Sasuke che scappava in
piena notte, costringendo l’intera Konoha a mobilitarsi per recuperarlo, prima
che fosse troppo tardi. Lui che prometteva a Sakura che lo avrebbe riportato
indietro, a costo di spezzargli tutte le ossa del corpo. Il loro combattimento
all’ultimo sangue; la fuoriuscita di Kyuubi dal suo corpo; il dolore al petto,
quando Sasuke lo aveva trapassato con il suo Chidori, puntando dritto al cuore.
Strinse i pugni, lasciando
che i ricordi che lo confondevano tornassero ad annebbiarsi.
Una luce si stagliava
alla fine del bosco, pronta a catturarlo in qualunque istante.
Si fermò meditabondo.
Non gli piaceva. Gli incuteva timore, anche se non ne capiva la ragione.
Un brivido gli percorse
la schiena, richiamandogli alla mente il dolore provato in precedenza.
Si morse le labbra a
sangue, costringendosi a non dare retta all’istinto, che gli suggeriva di non
andare in quella direzione.
Una goccia d’acqua
fredda gli sfiorò la tempia sinistra, acuendo il malessere interiore.
«Devo trovarlo!»
Si ripeteva, come se
quel gesto potesse far tacere quella vocina interiore che gli intimava di
lasciar perdere.
«Devo farlo
assolutamente!»
Sottolineava, come se
il ritrovamento dell’amico perduto fosse indispensabile quanto l’aria, ma
Sasuke non era quell’elemento prezioso per ogni essere umano.
Sasuke era fuoco
distruttore, che con le sue fiamme poteva solo spandere il caos, eppure non
riusciva a vederlo come tale, paragonandolo piuttosto al fuoco creatore, che
dopo la distruzione era in grado di generare un fiore.
Accelerò l’andatura,
respingendo con tutte le sue forze ogni sentimento contrastante; tentando
disperatamente di non sentire l’acqua che gli scendeva sul collo, mentre un
brivido gli trapassava la spina dorsale.
Che la fonte di tanto
malessere fosse proprio quella luce?
Non lo sapeva per
certo, nonostante le avvisaglie dell’animo, ma se entrarvi sarebbe servito a
trovare Sasuke, allora lo avrebbe fatto.
Chiuse forte gli occhi
inabissandosi in quel mare di luce che già una volta lo aveva quasi ucciso.
«Un tempo, – ricordò
nel sentire la prima avvisaglia di dolore – avevo detto che il destino non
era immutabile e che lo si poteva cambiare.»
Sgranò gli occhi, preda
al dolore che gli invadeva il corpo ed intravide un uomo su di sé.
Gli occhi rossi come il
sangue ed un ghigno crudele in volto.
«Un tempo, –
continuò mentre il corpo si irrigidiva contorcendosi – lo credevo
veramente.»
Chiuse gli occhi,
cedendo al dolore che stava distruggendo, ancora una volta, il suo mondo.
«Sasuke… esisti
veramente?»
Un vociare lontano
avrebbe potuto risvegliarlo, ma nulla pareva scalfirlo, nemmeno l’ago che si
infilava nel suo braccio, lasciando che un liquido chiaro si mescolasse al suo
sangue.
«Sasuke
Sasuke Sasuke Sasuke Sasuke Sasuke…»
Le sue labbra si
muovevano lentamente, sussurrando solo quel nome come una litania.
Iruka guardò le iridi
chiare di Naruto fissare un punto imprecisato della sala in cui si trovavano.
Parevano prive di vita, mentre la pupilla si faceva più piccola ad ogni secondo
che passava.
Una piccola scia di
saliva colò dalle sue labbra al mento; il respiro si fece più accelerato,
portando la cassa toracica ad alzarsi ed abbassarsi convulsamente.
Iruka vide gli occhi di
Naruto sgranarsi di colpo, mentre questi prendeva a boccheggiare in cerca
d’aria.
Strinse forte la
cartellina medica che teneva fra le mani, irrigidendosi come non credeva di
poter mai fare.
Sentiva i muscoli
rifiutarsi di rilassarsi, ma anzi, continuavano a contrarsi come in preda
all’epilessia.
Poteva tranquillamente
percepire i propri battiti cardiaci farsi prima lenti, poi più veloci,
rasentando l’avvisaglia di un infarto.
«…Lo state facendo di nuovo.»
Sussurrò.
Si sentiva impotente, mentre era costretto ad
osservare il suo superiore che staccava due piccoli elettrodi dalle tempie del
ragazzo.
Voleva vomitare dal disgusto di tale pratica, ma non
ne aveva neanche la forza. Riusciva a malapena a parlare, troppo preoccupato –
e shockato – per lo stato in cui verteva Naruto.
Il medico si voltò con grazia, lasciando che il suo
sottoposto osservasse il giovane legato alla sedia.
Si portò due dita al
mento, con fare meditabondo, mentre gli occhi di Iruka si fissavano in quelli
vuoti del loro paziente.
Sorrise mellifluo. Se
non avesse effettuato lui la cura, avrebbe stentato a capire su chi dei due era
stata praticata.
Infilò la mano destra
nel taschino del camice, estraendo due piccole pasticche, simili a confetti di
colori diverso.
Tornando a guardare Naruto, gli inserì lentamente il
pollice sinistro tra le labbra, socchiudendole con cura, approfittandosene per
andare ad accarezzargli la lingua voluttuosamente.
Si leccò lascivamente le labbra, inserendo con calma
i due confetti nella sua cavità orale.
Con la mano destra, prese un bicchiere d’acqua da un
comodino vicino, mentre afferrava con la sinistra i capelli dietro la nuca del
giovane, costringendolo a riversare il volto all’insù, pronto a ricevere il
liquido trasparente.
Iruka fissava la scena attonito.
Cosa stava facendo? Perché il suo modo d’agire
riusciva a pietrificarlo, riducendo il suo cervello ad una poltiglia di materia
mal funzionante?
Tremò, senza che ve ne fosse un motivo reale.
«Tremi? Eppure lo stiamo curando. Il Gabapentin è
per l’epilessia, mentre l’atomoxetina cloridrato è per il disturbo di
iperattività e per il deficit di attenzione, altrimenti noto con il nome
“ADHD”.»
Sussurrò il medico con tranquillità, come se quella
fosse la risposta ad ogni quesito di Iruka che, tuttavia, non rispose,
riuscendo solo a biascicare il suo nome.
«…Orochimaru…sama.»
Orochimaru sorrise sinistro.
Si spostò lentamente dietro la sedia su cui era
seduto – e ben legato – Naruto.
Gli occhi vitrei del ragazzo, si muovevano in varie
direzioni, mentre le pupille lentamente si dilatavano, come a tornare allo
stadio originario.
Con la mano libera, l’uomo prese ad accarezzargli il
collo, scendendo piano sulla maglietta bianca, più simile ad un camice data la
larghezza. Spostò con malagrazia il vestiario, facendolo scendere oltre la
spalla, fino a metà braccio, così da poter mostrare, sulla parte sinistra
dell’incavo, un tatuaggio.
Iruka osservò inorridito quel segno, che non aveva
mai visto sul corpo del ragazzo. Studiò con meticolosa attenzione i tre tomoe,
che andavano a formare un cerchio perfetto, se si seguivano i tratti.
Non sapeva perché Naruto aveva quel tatuaggio, ma
sapeva che non era nulla di positivo. Gli pareva di aver letto su qualche
libro, che alcune persone usano quel tipo di disegno per identificare i propri
seguaci, o cose simili.
Orochimaru parlò, spostando nel frattempo la mano,
lasciandola vagare sul petto magro del ragazzo, stuzzicando il piccolo
capezzolo bruno, semiscoperto dalla stoffa.
«Immagino tu non sappia cos’è, ma non ha importanza,
in fondo glielo ho fatto quando è arrivato qui. – Una lieve risatina si diffuse
nell’aria – Ricordo ancora la prima volta che lo vidi da vicino: era un tenero
bambino di otto anni. Gli assistenti sociali mi dissero che era un caso
disperato, che soffriva di epilessia e di ADHD, oltre a comportarsi come uno
psicotico, visto che parlava con persone inesistenti e diceva cose senza senso.
Lo avevano portato da una psichiatra, probabilmente troppo giovane ed
inesperta, dichiarando che il bambino soffriva di schizofrenia bipolare dissociata
e che questa causava delle allucinazioni. Che dottoressa incompetente. Era
ovvio che fossero i farmaci a procurargliele, ma non importa. In fondo, il
bambino era portato ad avere le allucinazioni già prima dei farmaci. Loro lo
hanno solo aiutato ad alimentare le sue visioni, rendendole più durature e
nitide.»
Iruka cadde a terra. Non era riuscito a resistere ai
tremori che gli scuotevano il corpo, concentrandosi in particolar modo sulle
gambe.
Le sentiva fredde e immobili, come se fossero fatte
di pietra. Era una sensazione orribile ed avrebbe voluto reagire, prendere a
pugni quel folle e farlo sbattere in carcere, ma non ci riusciva e arrabbiava
con se stesso per quella sua debolezza. Non era un vigliacco, non lo era mai
stato, perché allora non riusciva a muoversi? Perché l’unica reazione che
poteva avere era quella di tremare?
Guardò Orochimaru leccare lascivo una guancia di
Naruto e capì il motivo.
Era terrorizzato, non da lui come persona, da come
un essere umano potesse fare certe cose ad un suo simile.
Come si poteva giocare con la vita delle persone a
quel modo?
Come si poteva dormire in pace la notte?
Aveva paura ed era deluso di se stesso, perché
chissà a quante altre persone aveva fatto quelle stesse identiche cose.
Quante persone aveva lasciato marcire nella loro
“pazzia”, solo perché non si accorgeva che l’unico responsabile del loro stato
era proprio chi doveva curarli?
Quante persone erano morte sotto i suoi occhi,
perché si suicidavano? Credeva che fosse perché erano malati, con chi soffriva di
schizofrenia, chi di allucinazioni e chi di depressione avanzata, invece…
Una lacrima scivolò sulla sua guancia. La
frustrazione, il dolore, il risentimento verso se stessi, era talmente forte da
rischiare di farlo impazzire e non riusciva a reagire.
Ci provava, ma i sentimenti e la paura, erano
talmente forti da annullare qualsiasi comando che inviasse la cervello.
Orochimaru continuò a far vagare la mano sul corpo
magro sotto di sé, tastando con audacia il ventre piatto, scendendo poi
all’inguine sopito.
Dalle labbra di Naruto, che nel frattempo aveva
ripreso a respirare quasi normalmente, uscì un sussurro, come una preghiera.
«Sasuke…»
Ghignò, guardando alternativamente la bambola umana
ed il patetico uomo a terra.
«Iruka, sai chi è Sasuke?»
L’uomo in questione non rispose, ma Orochimaru
sapeva che lo stava ascoltando.
«Sasuke-kun era il mio allievo, diciamo che
gli facevo da insegnante privato. - Si leccò le labbra in un gesto ormai
abituale. - Certamente, ne abbiamo fatte di lezioni private. Ricordo che
quando era piccolo e ancora poteva giocare ai giardini pubblici, prestò uno suo
tanti giocattoli al nostro caro Naruto, che lo prese come suo – e presumo anche
unico – amico, a giudicare da quanto si avvinghiava a lui ogni giorno. Hanno
passato un anno a giocare e anche Sasuke-kun gli si era infine affezionato, pur
non lasciandolo intender chiaramente, ma questo non giovava i miei piani e
così, sfruttando una sua influenza, ho iniziato a somministrargli degli
psicofarmaci.»
Iruka rimase immobile, avvertendo un forte conato di
vomito che premeva per uscire.
«Era… solo… un bambino…»
Riuscì a biascicare, mentre lo stomaco si contraeva
sempre più forte, portandolo a piegarsi in avanti per rigettare la colazione.
Orochimaru rise cupo, continuando il suo racconto.
«Da allora, il nostro piccolo Naruto non l’ha più
visto e, per chissà quale strano meccanismo dell’animo umano, lo cerca
costantemente.» gli occhi brillarono di malizia e sadismo. «Non sapeva che
Sasuke-kun era proprio vicino a lui, solo qualche stanza più in là.»
La mano del medico si ritrasse dalle parti intime
inattive, avviandosi nuovamente verso il petto, prendendo tra le dita il
capezzolo sinistro.
I suoi occhi si assottigliarono, mentre il ghigno
perdeva forma, lasciando sul suo volto una piega dura ed amareggiata.
«Ti chiederai come sia stato possibile portarlo qui.
Al padre non serviva, gli bastava il primogenito e quando gli dissi che il
bambino era affetto da autismo, me lo consegnò in un piatto d’argento.
Ovviamente, per insabbiare il fatto che si trovasse qui e non in una struttura
specializzata, ho dovuto versare un’ingente somma di denaro a qualche politico
di mia conoscenza, cose comuni. Con Naruto e con la maggior parte dei miei
piccoli pazienti, non è neanche servita. Gli orfani contano meno di niente in
questo mondo.»
Pensò appagato ai giorni passati con Sasuke, eppure,
notò Iruka, ad un certo punto, dopo qualche attimo in cui regnava solo il
silenzio, vide i suoi occhi assottigliarsi, mentre il ghigno perdeva forma,
lasciando sul suo volto una piega dura ed amareggiata.
«Cos’è successo… poi? Dov’è Sasuke?»
Chiese in un moto di impressionante forza di
volontà.
«Sfortunatamente, - asserì con voce delusa ed
irritata. - Sasuke-kun non ha retto ai miei trattamenti ed in uno dei
rari momenti di lucidità, proprio mentre avevo cominciato i primi esperimenti
su Naruto, si tolse la vita. Riuscì a prendere, senza che me ne accorgessi sul
momento, il bisturi che portavo sempre nel taschino del camice e così, si
tagliò la gola.»
Strinse con rabbia il capezzolo, schiacciandolo tra
l’indice ed il pollice, riuscendo a far emettere al giovane un urlo di dolore.
Orochimaru ghignò, vedendo gli occhi azzurri
riempirsi di lacrime calde. Le leccò mentre scendevano sulle guance,
assaporandone il sapore salato eppure così dolce per il suo palato.
Gustò fino in fondo le grida di Naruto, riscoprendo
un’eccitazione che non provava da circa due anni, quando Sasuke si era
suicidato, proprio il giorno del suo quindicesimo compleanno.
Sospirò soddisfatto, smettendo momentaneamente le
sue attenzioni verso il ragazzo.
«Esatto Naruto, Sasuke-kun era proprio qui, vicino a
te e non lo sapevi. Se fosse vivo, avrebbe la tua età. Che peccato… ma
capiscimi Naruto, io amavo Sasuke-kun e non volevo assolutamente che
morisse ma, se ti può consolare, anche lui sussurrava il tuo nome nel sonno.»
Si spostò da dietro Naruto, lasciandolo gridare
ancora il suo dolore.
Elegantemente, prese da un comodino vicino una
siringa. La stappò con cura, mentre con l’altra mano cercava una piccola boccetta
nella credenza.
Trovandola, inserì il fine ago nel tappo di gomma,
aspirandone velocemente il contenuto.
Verificato che la siringa funzionava alla
perfezione, si diresse con un ghigno verso Iruka, che tentava in tutti i modi
di muoversi, senza riuscirvi.
Si inginocchiò vicino a lui, prendendogli poi il
braccio destro.
«Non riesci a muoverti.
Colpa dell’incenso paralizzante, suppongo. Io e Naruto ne siamo immuni ormai,
ma tu… Non agitarti, è solo un sedativo. Non è mia abitudine avere pazienti al
di sopra dei vent’anni, ma per te farò un’eccezione.»
Sorrise lascivo, per
riprendere il discorso come se si fosse appena ricordato una cosa fondamentale.
«Tanto perché tu lo
sappia: le sue allucinazioni non sono del tutto irreali e la maggior parte
delle persone che nomina esistono realmente, solo che non le conosce. Sono
stato io ad accompagnarlo passo passo nella sua visione, costruendogli un mondo
su misura per lui. Ho potuto così verificare che Naruto, in effetti, soffre di
allucinazioni di suo, ma che lo avrebbero anche potuto portare all’epilessia, o
in coma, in caso si fosse gravemente ferito mentalmente durante una sua
allucinazione, come poi si è verificato cinque anni fa. I farmaci
effettivamente gli sono utili, evitandogli gravi attacchi epilettici, ma questi
contribuiscono alle allucinazioni, motivo per cui ho sperimentato
l’elettroshock che, devo ammettere, non mi ha ancora soddisfatto completamente.
Magari il voltaggio era troppo basso.»
Gli scostò dolcemente la manica del camice,
portandola fin sopra l’avambraccio. Tastò con cura le piccole vene che si
trovavano sotto la pelle, fortunatamente erano abbastanza in rilievo da poterle
vedere senza problemi.
Puntò l’ago sulla pelle, rassicurando Iruka, che
piangeva dandogli del pazzo sadico e dell’assassino, con voce melliflua e
suadente.
«Sentirai solo un lieve bruciore.»
Iniettò velocemente il liquido, che si mischiò
facilmente al sangue, iniziando ad andare in circolo per il corpo.
Tolse la siringa, buttandola celermente nel cestino,
così da non essere più utilizzata.
Naruto urlava ancora, muovendosi sulla sedia come
meglio poteva, cercando in ogni modo di liberarsi da quella costrizione. Se per
uccidere Orochimaru o suicidarsi, non lo sapeva, ma il suo nome, urlato con
quel dolore misto a rabbia, era il suono più bello che si potesse ascoltare.
«Eccezion fatta per altri tipi di gemiti
di dolore.»
Pensò lussurioso, leccandosi le labbra come suo
solito, ma prima di finire il suo esperimento con Naruto, guardò Iruka
negli occhi, che iniziava ad avvertire gli effetti del medicinale.
«Penso tu l’abbia capito, ma Naruto ora è cosciente
e probabilmente rimarrà tale. - ampliò il ghigno, slacciandosi lentamente la
cintura dei pantaloni. - Almeno fino al prossimo esperimento.»
The End
Allora, grazie a tutti quelli che hanno letto e
messo tra i preferiti/seguite, ma grazie principalmente a chi ha commentato,
lasciando traccia del suo passaggio – che fa sempre piacere.
Un bacio,
Kei
Globulo Rosso:
Ti ringrazio del commento e sono felice che la storia ti sia piaciuta. Penso
che tratterò in altre storie la questione malattia mentale, mi è piaciuto °°.
Kagchan:
Spero quindi di non averti delusa con questo ultimo capitolo ^^. Mi fa piacere
sapere che segui le mie storie e grazie infinite del commento. Fammi sapere che
ne pensi anche di questo ^^.
Karolalpha:
Grazie! Spero vivamente che in questo capitolo ci siano i dovuti chiarimenti
^^. Il primo doveva essere in effetti confuso, in quanto è basato maggiormente
dal punto di vista di Naruto e del suo problema e di conseguenza, scrivere di
una mente confusa necessita di un capitolo confuso XD. Spero che ti sia
piaciuta anche questa parte! ^^
Bravesoul:
Grazie XD. Ne abbiamo già parlato in privata sede quindi non sto qui a
riscrivere, spero solo che anche questo capitolo ti piaccia ù_ù. Grazie ancora
del commento!
Note dell'autore: Umh,
difficile dire qualcosa nelle note, praticamente dovrei riempire la pagina, ma
vedrò di essere concisa. Allora, tutte le informazioni riguardanti la malattia
di Naruto, sono inserite nella fan fiction; le ho prese da vari siti, quali: http://www.torrinomedica.it/farmaci/schedetecniche/Gabapentin_Teva_100mg.asp;
http://it.wikipedia.org/wiki/Terapia_elettroconvulsivante;
http://www.torrinomedica.it/studio/index;
http://www.italiachiamaitalia.net/news/132/ARTICLE/13771/2009-08-21.html.
Questi sono la maggior parte dei siti che ho visitato, qualche licenza poetica
è probabile che ci sia, ma non eccessivamente.
Prendo invece per un attimo le spiegazioni
giapponesi, onde evitare problemi: “sama” è la particella onorifica che viene
aggiunta dopo il nome/soprannome proprio; è più formale di “san” e
letteralmente può essere tradotto con “venerabile”.
“Tomoe” il tomoe, per intenderci il segno maledetto del cielo di Orochimaru, è
una raffigurazione astratta giapponese. Ho messo che somiglia a delle virgole
ed in effetti è così anche in quest’arte, ma non so se in molti conoscono il
termine, quindi l’ho messo.
Mi sembra non ci sia altro da dire, se non che viene
praticato anche l’elettroshock, ma non viene mai detto, solo fatto intuire al
lettore. Orochimaru è un po’ logorroico, ma il caso lo richiedeva così, poi non
credo sia molto silenzioso, o meglio, se deve dare spiegazioni parla e molto
anche (XD).
Ah, per finire, direi che ho scelto le allucinazioni come malattia, ma è
un po’ contorta, spero solo di essere stata all’altezza della dovuta
spiegazione. Purtroppo, in quindici pagine, non sono riuscita a fare come avrei
voluto.
Un’ultima cosa: ho inserito gli “avvertimenti” anche se non erano segnati nello
schema. Ho comunque preferito metterli. “AU” è tra virgolette per un motivo che
si capirà nella storia, mentre “non per stomaci delicati” è perché, trattando
di argomenti delicati e facilmente impressionabili per alcuni, è un avviso che
andava inserito, a mio parere. Ci sono anche accenni alla pedofilia e molti
sulla violenza fisica/psicologica, motivo che mi ha spinto molto ad alzare il
rating. Non lo ritengo rosso, ma nemmeno sotto l’arancione. Il “Chidori” è
maiuscolo perché è una tecnica e, in quanto tale, andrebbe messo così.
Spero di aver detto tutto.