Quello che conta - I - Un patto matrimoniale

di mamma Kellina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


 

Questa volta Sento l’esigenza di dire due parole prima di iniziare il racconto.
Come ho accennato nella presentazione, si tratta di un vero e proprio romanzo che richiede un certo impegno anche da parte di chi legge. Ho deciso quindi di scinderlo in due parti perché è piuttosto lungo in quanto era nato per essere un libro e non per essere messo on line. Eccovi la prima che però  in un certo senso arriva già  ad una conclusione. Sarà la verifica del vostro  gradimento a dirmi se dovrò postare anche la seconda o  sarà meglio fermarmi qui.
Di solito amo descrivere luoghi che mi sono familiari, ma questa volta la fantasia mi imponeva una ambientazione in una zona mineraria. Come fare allora ? A Napoli e dintorni miniere non ce ne sono di certo! Per fortuna però oggi non occorre avere la genialità di un Salgari per parlare di luoghi che non si è mai visto, basta andare su Internet, e voilà, il gioco è fatto! A me è successo quasi un miracolo. Nelle mie ricerche ho trovato un sito molto interessante che si chiama “minieredisardegna.it”, l’ho cliccato e mi sono persa in un viaggio nel tempo e nello spazio. C’è la storia affascinante di questi luoghi, legati oramai all’archeologia mineraria, corredata di foto,  cartine e  preziosi dettagli. Tutti i personaggi, frutto della mia fantasia e dapprima solo abbozzati nella mia mente, hanno preso magicamente vita e le loro storie, piene di sentimenti forti e di autentici momenti di vita vissuta, alcuni dei quali mi appartengono addirittura, hanno trovato una collocazione ideale.
Per tutto questo desidero ringraziare  i curatori del citato sito senza i quali  questo romanzo forse non sarebbe stato mai realizzato. Inoltro mi scuso con gli eventuali  lettori sardi per le possibili inesattezze che ho potuto commettere. Mi perdonino e prendano comunque il mio lavoro come un atto d’amore da parte di una napoletana nei confronti della loro splendida terra.
Non mi resta che invitarvi ad iniziare la lettura sperando che vi venga subito la voglia di dirmi cosa ne pensate.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



Barbara aveva finito già da un pezzo di vestirsi, ma non aveva nessuna voglia di andare in salotto. Sentiva le voci del fratello Alfredo, della moglie Luisa e quelle degli ospiti tanto attesi che dovevano essere arrivati da un bel po’. Non riusciva a capire cosa dicessero ma udiva bene  Grazia Sulis con il suo forte accento sardo e la tipica risata acuta del marito Lino ma, pur tendendo  l’orecchio, non coglieva nemmeno una parola pronunciata dall’ingegner Forrest che avrebbe dovuto accompagnarli.
- Probabilmente non sarà nemmeno venuto o forse non conosce l’italiano – si disse, pensando all’assurdità dell’appuntamento che l’anziano padrino aveva organizzato per cercare di combinare un matrimonio tra lei e quel tipo inglese. Una cosa che non stava né in cielo né in terra.
Il corso dei suoi pensieri fu interrotto dal violento spalancarsi dell’uscio che la fece sobbalzare.
- Ragazze, ma che maniere sono queste!?  Vi pare un modo educato di entrare? – irritata, rimproverò le nipoti che avevano fatto irruzione così poco delicatamente.    
Le due ragazze erano troppo eccitate per starla a sentire.
- Zia, c’è anche lui con i Sulis, l’ingegnere Robert Forrest ed è… – cominciò a dire Caterina, agitatissima.    
La sorella Carolina non le diede il tempo di finire la frase  perché voleva essere lei a dirlo:
- Bellissimo! Mamma mia, che uomo affascinante! Sei proprio fortunata, sai?
Barbara restò perplessa a guardarle: non c’era molto da  fidarsi dell’impressione avuta da due ragazzine di sedici e quindici anni, ma nonostante ciò, ugualmente si sentì scossa. Non era mai stata convinta di voler fare quella conoscenza e se aveva accettato, era stato solo per accontentare il fratello. Si rendeva conto che a trent’anni, senza un’ indipendenza economica e con un triste passato alle spalle, per Alfredo lei era solo una grossa preoccupazione. Riuscire ad  accasarla in qualche modo gli avrebbe dato un grosso sollievo.
Intanto Carolina continuava a descriverle con entusiasmo l’uomo che era venuto a conoscerla. Neanche l’ascoltava però,  troppo preoccupata dalla decisione da dover prendere. E ciò perché, nonostante la sua vita si fosse fatta insostenibile, aveva comunque paura di cambiarla.  
Più pratica della sorella maggiore e brusca come la madre, Carolina quasi la rimproverò:
- Ma insomma, sei vestita di tutto punto e di là ti stanno aspettando. Ti decidi o no a venire?
Barbara suo malgrado si alzò e seguì le due giovani in salotto. Luisa stava servendo il tè. Naturalmente non era una loro abitudine prenderlo, ma poiché l’ingegnere era inglese, anzi, per la precisione gallese, la cognata aveva deciso di fare bella figura ed aveva preparato quella bevanda accompagnata da prelibati pasticcini. Ora la stavano sorbendo tutti con la massima naturalezza come se nella loro casa di Alghero lo si facesse tutti i giorni. Colpita nel suo spiccato senso dell’umorismo, la giovane donna non trattenne un sorriso divertito mentre salutava gli ospiti.
I due uomini si alzarono entrambi in piedi. Lino Sulis le si avvicinò e con estrema familiarità le posò un bacio sulla guancia. La conosceva da quando aveva sette o otto anni e le era stato sempre molto affezionato, anche nei periodi peggiori. Anche lei gli voleva bene e lo  aveva considerato come uno zio buono sin  da quando, tanti anni prima, si erano trasferiti in Sardegna dalla natia Genova per seguire il padre medico condotto.
Nel guardarlo Barbara notò che aveva perso quasi tutti i capelli e anche il viso grassoccio e gioviale era molto invecchiato. Nonostante ciò, sotto la pelata e la fronte oramai rugosa, continuavano a brillare due occhietti scuri, intelligenti e simpatici. Non lo vedeva dalla morte del padre. Nei due anni trascorsi, Lino Sulis era stato a lavorare come contabile in una miniera di proprietà di un inglese situata nel sud ovest della Sardegna e lì aveva conosciuto l’ingegner Forrest che ne era il direttore.
Finalmente alzò lo sguardo su quest’ultimo che nel frattempo aveva posato la tazza e se ne stava tutto impettito ad aspettare di essere presentato. Barbara pensò che le nipoti non avevano detto una sciocchezza. Aveva davvero un aspetto gradevole perché era alto e snello, con i corti capelli castani e una barba rada dello stesso colore. Il viso in particolare era assai piacente anche se gli occhi, di un azzurro intenso, sembravano tristi.
Si augurò di non tremare mentre gli porgeva la mano nel saluto perché il sorriso che le stava rivolgendo in quel momento era talmente accattivante da riuscire a turbarla.
- Lieto di conoscervi, signorina. Il vostro padrino mi ha parlato talmente tanto di voi che non vedevo l’ora d’incontrarvi - le disse in un italiano perfetto anche se con un forte accento straniero.
- Davvero? E cosa vi ha raccontato di me, sentiamo?
- Che siete una splendida donna di casa, colta e signorile ed anche molto carina. Ma su questo si è sbagliato: non siete carina, siete davvero bella.
Tra le risatine maliziose delle ragazze ed i sorrisi compiaciuti dei parenti, la giovane donna si sentì avvampare e si vergognò ancora di più per questo. Non aveva più quindici anni, ma un complimento da un uomo così affascinante non poteva non colpirla.
- Grazie ingegnere, ma volete essere galante e perciò esagerate. So che le donne del vostro paese sono assai attraenti e non vedo come il mio aspetto possa apparirvi tale.
Robert restò un momento in silenzio. In effetti non aveva detto una bugia, la giovane davanti a lui era di sicuro bella, ma la bionda grazia della sua Julie  gli era rimasta talmente dentro che mai e poi mai si sarebbe sognato di fare un complimento ad una donna se non fosse stato per una questione di pura educazione. Però, poiché era lì con uno scopo ben preciso, era meglio sforzarsi di apparire cortese.
- Siete troppo modesta. Le donne italiane non hanno nulla da invidiare alle altre in quanto ad avvenenza e voi ne siete la testimonianza vivente - aggiunse.
- Certo, però vostra moglie era davvero un incanto, consentitemi di dirlo, Robert – intervenne l’anziano amico e poi rivolto agli ospiti spiegò – Io ho avuto l’onore di conoscere la sfortunata signora Forrest e vi assicuro che era più bella di un raggio di sole. Purtroppo il Signore l’ha voluta con sé ed il mio povero amico è rimasto solo con un bambino appena nato. Per questo mi sono permesso di parlargli di te, Barbara, perché sono sicuro che la tua bellezza e la tua dolcezza  potrebbero dare sollievo ad un dolore così immenso.
Come un’ombra nera era passata sul bel volto di lui a quelle parole e la giovane donna lo aveva notato. Non riusciva a capire perché un uomo tanto attraente e con una posizione di prestigio avesse avuto voglia di farsi un viaggio così lungo  per venire a conoscere una zitella qualunque  quando avrebbe potuto avere quante donne voleva per consolarsi della perdita della moglie. Probabilmente Lino aveva un vero talento come sensale di matrimoni.
Doveva pensarlo anche la moglie perché intervenne compiaciuta:
- Avete visto come il nostro ingegnere parla bene l’italiano? Eppure, pensate, è in Sardegna da soli tre anni.
- Come mai siete venuto a lavorare qui? – gli chiese Luisa, fingendo di non saperlo.
- Noi gallesi le miniere ce l’abbiamo nel sangue. Mio nonno era minatore e dopo di lui,  mio padre. Anch’io lo sarei stato,  ma grazie ad un piccolo lascito di un fratello di mia madre, ho potuto studiare e prendere la laurea in ingegneria mineraria. Ho cominciato a lavorare subito dopo nelle miniere di proprietà di sir Paul Bradley  e quando mi ha proposto di aiutarlo nella conduzione di quelle di piombo e zinco di cui aveva appena avuto la concessione qui, non ho esitato un attimo a seguirlo.
- Sir Bradley è davvero una gran brava persona, ha molto a cuore il benessere dei suoi minatori e degli impiegati – osservò Lino.
- E vostra moglie non si è opposta a seguirvi in un posto così sperduto e lontano da casa sua? – gli chiese ancora la donna, molto curiosa di conoscere qualcosa sul passato di quel bel giovane.
- Non ero ancora spostato all’epoca. Julie era una nipote di Lady Margaret Bradley e, anche se ci eravamo già conosciuti ad una festa, abbiamo deciso di sposarci l’estate successiva quando è venuta  qui in Sardegna a far visita alla zia.
Ora il volto di Robert si era rabbuiato e le parole sembravano venir fuori a forza. Barbara intuì che non amava raccontare della moglie.
- Avete un maschietto, non è così? – gli chiese per cambiare argomento.
All’ingegner Forrest si illuminarono gli occhi.
- Sì, si chiama Charles ed è la mia gioia –  disse – È molto bello ed è anche buono. Purtroppo ho difficoltà a crescerlo da solo perché sono molto preso dal lavoro. Sapete, ad Ingurtosu non c’è nulla, è un posto molto isolato dove è difficile trovare qualcuno in grado di occuparsi degnamente di un bambino di poco più di un anno. Per questo  ho pensato di riammogliarmi e quando il signor Sulis mi ha parlato della signorina Barbara, ho immaginato che potesse essere la persona adatta a me.
Aveva rivolto le ultime parole ad Alfredo che lo seguiva con un sorriso compiaciuto. Sentendosi chiamare in causa, Barbara però non poté trattenersi dall’osservare scherzosamente:
- Noto con piacere che andate dritto al sodo, ingegnere!
Le appariva una persona molto franca, così decise di andare fino in fondo anche lei ed esprimere i propri dubbi.
- Scusatemi, ma non riesco a spiegarmi come mai un uomo di bell’aspetto e con una buona posizione sociale come voi abbia difficoltà a trovare una nuova compagna e decida piuttosto di affidarsi ad un vecchio signore che decanta le doti della sua figlioccia!
- Ve l’ho detto, signorina, sono molto preso dal lavoro e non ho tempo per cercarmi una moglie. Ad Ingurtosu poi c’è molta carenza di ragazze da marito, perlomeno quelle ad un certo livello sociale.
- Quindi preferite sposare qualcuna che nemmeno conoscete e che di sicuro non amate solo per non prendervi il fastidio di cercare una moglie?
- Esattamente. Il matrimonio d’amore l’ho già fatto una volta e purtroppo è finito quando la mia adorata Julie è morta di febbre puerperale. Potrà sembrare strano che dopo appena un anno io stia pensando di risposarmi, ma ho la necessità di una donna su cui poter fare affidamento per crescere Charles ed aiutarmi a tenere la casa.
- Perché non prendete una governante allora? – osservò la ragazza assai piccata e guardandolo dritto negli occhi.
- Non mi serve una governante, mi serve una moglie – le rispose lui sostenendone lo sguardo mentre gli  occhi gli balenavano freddi come il  ghiaccio.
- Se potreste andarla a comprare in un negozio sarebbe ancora meglio, non è così? – osservò ancora lei con marcato sarcasmo.
- Certo, sarebbe meglio, ma non credo ce ne sarà bisogno.  Troverò di certo qualcuna disposta a sposarmi. Non pretendo molto, in fondo, vorrei solo che fosse onesta e disposta a prendersi cura di me e di mio figlio.
- È naturale, ogni uomo ha bisogno della guida di una donna! – intervenne Alfredo – Del resto i migliori matrimoni nascono sulle basi della reciproca utilità e collaborazione. Solo tu ti ostini, alla tua non più tenera età, a credere ancora all’amore!
- E lo fa come se non ne fosse già rimasta abbastanza scottata poi! – aggiunse acida Luisa che non perdeva mai l’occasione per rinfacciarle il passato.
Barbara ne fu molto irritata ed alzandosi in piedi, con un sorriso cortese, prese congedo dall’ingegnere Forrest e dai Sulis.
- Bene, mister Forrest, sono sicura che ben presto troverete una donna molto più saggia di me disposta a seguirvi in quel solitario paesino di minatori e che invece di un regolare stipendio quale governante, sarà contenta di ricevere un bel certificato di matrimonio. Vi faccio i miei migliori auguri e vi saluto.
Lasciò il salotto con altezzosità, non senza aver lanciato prima uno sguardo alle  persone sedute lì che non riuscivano a nascondere i propri sentimenti: irritazione il fratello e la moglie, smarrimento i coniugi Sulis, curiosità le due ragazze. Solo Robert Forrest la guardava calmo con un mezzo sorrisino sulle labbra.
Barbara non riuscì a spiegarsi se la stesse apprezzando per la dignità mostrata o la stesse deridendo per l’occasione che si stava lasciando sfuggire.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Grazie, grazie, grazie a tutte per la vostra bella accoglienza alla mia nuova storia ed un particolare benvenuto a Badkaty che si è aggiunta alle mie carissime lettrici di sempre. Vi confesserò che questo romanzone avrebbe potuto intitolarsi “La fifa nell’anima” per quanto mi preoccupava! In effetti mi preoccupa ancora perché la strada che abbiamo da percorrere è ancora lunga. Già me le sento le mie nanette che s’ incazzano con questo o con quella e la dolce Cricri che perde la pazienza per la perfidia con la quale farò soffrire qualcuno …  In compenso, ne sono certa, le passioni, le emozioni, la personalità che ho cercato di dare ai personaggi e le loro complicate vicende finiranno per intrigarvi. Per quanto riguarda gli aggiornamenti, tranquille, salute permettendo, li farò spessissimo tanto è mia abitudine pubblicare solo storie finite che hanno bisogno unicamente di una revisione (quelle non mancano mai dato che scrivo senza beta!). Anzi, visto che come vi dicevo è una  fiction è molto lunga, per farvi entrare meglio nello spirito della storia, stasera vi posterò  sia il secondo che il terzo capitolo.
Incrocio le dita sperando che questo romanzo  che ho avuto l’ambizione di scribacchiare sperando di avvicinarmi a quelli classici continui a piacervi e che magari possa attirare anche nuove lettrici.
Un bacio a tutte.

Quel colloquio era avvenuto nel mese di giugno e fino a settembre il fratello e la cognata non avevano fatto altro che ripetere ogni giorno a Barbara quanto avesse sbagliato a rifiutare la proposta dell’ingegnere.  Lei non ce la faceva più a sopportare i loro continui rimbrotti, ma doveva farlo perché non sapeva dove andare. Tra pochi giorni, esattamente il 19 settembre del 1902,  avrebbe compiuto trent’anni  ed il destino di una donna rimasta ancora zitella a quell’età era irrimediabilmente segnato. Sarebbe dovuta rimanere per tutto il resto dell’esistenza in casa di Alfredo come un’intrusa, sopportando il carattere infernale di sua moglie ed accontentandosi del po’ d’amore  riservatole dai quattro nipoti, senza alcun diritto, senza alcuna pretesa.
I genitori non le avevano lasciato nulla e se dopo la loro morte non ci fosse stato il fratello, non avrebbe avuto neanche da mangiare o da vestirsi e tanto meno un tetto sulla testa. Più volte aveva cercato di convincerlo a lasciarle trovare un lavoro, magari come governante, ma nel piccolo ambiente della loro cittadina, per lui sarebbe stata una vergogna permetterle di servire in casa di estranei. E poi Alfredo preferiva non suscitare altre chiacchiere perché tutti conoscevano bene lo sciagurato passato della sorella. Un passato che solo tredici anni di condotta irreprensibile e di abnegazione accanto ai genitori erano bastati a far dimenticare a qualcuno, ma nemmeno a tutti.     
Barbara sapeva che soltanto se si fosse maritata avrebbe potuto lasciare quella prigione, ma nonostante fosse ancora molto bella, nessuno l’aveva chiesta in moglie. Con il passare degli anni, aveva ormai perso ogni speranza di potersi creare una famiglia propria e allontanarsi da un luogo così pieno di ricordi dolorosi. Però non aveva rimpianti, aveva potuto dedicarsi ai genitori e la loro amorosa presenza era riuscita per molti anni a  colmare il vuoto della sua vita.        
Durante la lunga malattia della mamma, nelle notti insonni passate al suo capezzale a tenerle la mano o a bagnarle la fronte cocente di febbre, si era detta che forse la propria esistenza non era stata inutile perché negli occhi della moribonda aveva visto più volte un’enorme gratitudine. Anche quando la mamma era finita ed era restata con il padre, occuparsi di lui le aveva dato un enorme conforto. Tra loro c’era sempre stata un’intesa perfetta che niente aveva mai potuto spezzare. A volte, nelle sere d’inverno, mentre sedevano vicini nel salotto e lui le leggeva qualche bel libro mentre le fiamme crepitavano nel camino ed il vento faceva vibrare i vetri, si era sentita persino felice e la tranquillità così faticosamente conquistata, le era sembrata la ricompensa a tutte le sofferenze passate.  
Purtroppo anche il vecchio dottor Rispoli se n’era andato dopo qualche anno. Già nei giorni successivi al funerale, quando ancora le lacrime per la perdita dell’adorato genitore le scorrevano sul volto, Barbara aveva intuito dalle parole del fratello che il suo destino sarebbe stato ancora più amaro.

 
- Papà non ha lasciato nulla – le aveva detto  senza mezzi termini - ed io non posso consentirmi la spesa di mantenere te e questa casa. Vuol dire che verrai a stare da noi.

- Sei impazzito? Dove la mettiamo? – aveva obiettato la cognata che mal la sopportava e non aveva nemmeno mai amato i suoceri.

- Federico tra poco partirà per il servizio militare. La metteremo nella sua stanza, poi si vedrà.

- La voleva Luigino quella stanza!

- Luigino ha solo otto anni, può continuare a dormire con noi. E poi vedrai che Barbara ti sarà anche molto utile, potrà darti una mano in casa e con i bambini. Non è vero, mia cara?

Lei lo aveva guardato stralunata perché aveva intuito che da quel momento in poi doveva dire addio alla dignità ed alla sua vita privata per diventare la vecchia zia zitella, quella che si tiene in casa solo per pietà, quella che deve lavorare, silenziosa e muta, per guadagnarsi quanto le viene dato. Però non aveva altra scelta. Annuendo tra le lacrime, aveva risposto:

- Sì, certo.

Da allora erano passati due anni e tutte le più nere previsioni si erano avverate in pieno. Nonostante cercasse di rendersi utile, la cognata la considerava sempre un peso e talvolta doveva farsi forza per non risponderle a puntino.        
Una mattina di settembre, parlando dell’imminente rientro a casa di Federico che aveva terminato la leva militare, Luisa le aveva annunciato che i figli maschi avevano anch’essi bisogno di una stanza per cui lei si sarebbe dovuta adattare a dormire su di  una brandina  in salotto.    
Timidamente Alfredo aveva obiettato che la sorella avrebbe potuto dormire nella stanza delle ragazze, ma la moglie lo aveva guardato storto, zittendolo. Più tardi, mentre portava i piatti i cucina, Barbara l’aveva sentita dire al marito senza  neanche avere la creanza di non farsi udire:

- Non voglio che quella stia troppo a  contatto con le mie figlie, non è certo una buona compagnia per due ragazze che tra poco dovranno trovare marito!

La giovane donna aveva inghiottito amaro. Ricacciando indietro le lacrime,  si era augurata che almeno arrivasse presto la sera.
Era il tardo pomeriggio, infatti, l’unico momento bello della sua giornata. Andava in chiesa ad ascoltare i Vespri, poi proseguiva la passeggiata fino ai Bastioni e si sedeva lì, a guardare il mare. Se ne stava a fissare il disco del sole che lentamente calava all’orizzonte cercando di far scendere nella propria anima il silenzio e la calma.  
Quasi sempre rimaneva da sola, a volte veniva a sederle accanto Gavino, un vecchio che era stato pescatore di coralli, solido e scuro come una spranga di ferro, con il quale scambiava qualche parola. Lo conosceva sin da piccola perché era stato molto amico di  suo padre. Le era sempre  piaciuto per la sua saggezza e per i modi gentili e rispettosi. Anche se era un estraneo, le ispirava fiducia più di chiunque altro, e così un giorno aveva trovato persino il coraggio di parlargli brevemente della strana proposta di matrimonio ricevuta e subito rifiutata con tanto sdegno.  
Il vecchio non aveva commentato mai nulla, ma quella sera di settembre, quando in un momento di sconforto gli aveva confidato le proprie pene, le aveva detto:

- Avete fatto male a non accettare il matrimonio con quel forestiero, signorina mia. Se vi foste sposata, ora non dovreste fare la serva in casa di vostra cognata.

- Già, farei la serva in casa di mister Forrest! – mormorò, amara.

- Lui vi aveva offerto di essere sua moglie e a meno che non consideriate tutte le mogli delle serve…

- No, certo. Come si fa a considerarsi serve quando ciò che si fa è per il proprio uomo e per i propri figli?  Ma un matrimonio combinato, fatto solo per opportunità…no, è una cosa orribile, non è per me!

- Forse con  il tempo avreste potuto conoscervi meglio ed allora … chissà! Però, se non vi piaceva e trovavate disgustosa persino l’idea di dovergli stare vicino, avete fatto bene a rifiutare.

Barbara non trovava il coraggio di parlare perché temeva di apparire una sfacciata. Però voleva bene a Gavino e poi il vecchio pescatore conosceva la sua storia, non c’era pericolo di essere fraintesa. Aveva troppo bisogno di una parola amica così decise di confidarsi.

- È stato proprio perché mi piaceva moltissimo che non ho voluto accettare. Ho avuto paura, in realtà. Lo sapete, amico mio, non posso più mettere la mia vita nelle mani di un uomo, il lusso di innamorarmi non me lo posso più concedere.

- E perché? Il vostro padrino gli avrà sicuramente parlato della vostra vicenda e se l’ingegnere ha deciso lo stesso di chiedervi in moglie, vuol dire che non gliene importa poi tanto. Forse nel loro paese a certe cose non ci tengono. E poi, credetemi, per sposarsi non sempre l’amore è essenziale.

-  Ma come può funzionare un’unione se non c’è l’amore?

- Quello che conta è essere sinceri, desiderare di aiutarsi l’uno con l’altra, affrontare insieme la vita, crescere i figli con affetto. È questo quello che conta davvero, ragazza mia,  quello che fa diventare un uomo e una donna una famiglia, non l’amore che può anche ardere come un fuoco, ma bruciare troppo in fretta.

- Proprio a me lo dite? Forse avete ragione, ma oramai è troppo tardi. L’ingegnere avrà di certo trovato qualcuna disposta a sposarlo ed a seguirlo in quel posto sperduto. Pazienza! Vuol dire che mi rassegnerò a prepararmi il lettuccio nel salotto tutte le sere e a sperare che i miei nipoti si sposino presto, così potrò riavere finalmente una stanza per me – concluse lei con un amaro sorriso, ma decisa a convincersi di prendere la cosa con filosofia.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Anche se  il viaggio da Ingurtosu era molto lungo, i Sulis venivano spesso ad Alghero perché avevano la figlia Marina che viveva ancora lì. Ogni volta non mancavano di andare a trovare Alfredo Rispoli e la sua famiglia.     
In previsione della loro visita, Barbara era stata tutto il giorno in cucina a preparare una cena speciale, aveva tirato fuori il servizio di piatti buono, aveva lucidato le posate d’argento ed apparecchiato per bene la tavola. Avrebbe voluto che perlomeno Luisa le avesse detto un grazie invece la cognata non solo non l’aveva fatto, ma ora si lamentava con gli ospiti perché la vita era assai cara e mantenere oltre ai loro quattro figli anche la sorella del marito, era una cosa che li costringeva a fare i salti mortali.

- Non esagerare – le aveva detto Alfredo – adesso chissà Lino e Grazia cosa penseranno di noi.

- Cosa dovremmo pensare mai! La vita è dura per tutti. Prendete noi, ci siamo dovuti adattare a vivere in un paesino minerario quando avremmo preferito restare qui a casa nostra – convenne la signora Sulis, molto solidale con Luisa.

- Adesso sei tu ad esagerare. Credetemi, lì si sta davvero bene. Sir Bradley è proprio un bravo padrone. Pensate, adesso farà costruire persino un ospedale – la rimproverò il marito, sempre entusiasta del suo nuovo incarico.

- Sì, è proprio un santo! – lo rintuzzò la moglie con ironia – Sei proprio un ingenuo se pensi che sia una brava persona, quello lì pensa solo al suo tornaconto, non certo ai minatori.

- Va bene, ma l’ospedale…

La moglie non lo lasciò neanche finire.

- È stato l’ingegnere Forrest a convincerlo a farlo costruire. L’ha detto proprio a me che se sua moglie avesse avuto le cure adatte e non fosse stata costretta a partorire come una selvaggia con una mammana qualsiasi, forse si sarebbe salvata.

- A proposito, come sta l’ingegnere? Ha trovato poi una moglie? – si informò subito Luisa.

- Non me ne ha più parlato. Ogni tanto lo vedo andare a Cagliari, ma più che altro per…affari suoi! – rispose Lino, sottolineando maliziosamente la frase per spiegare quali potessero essere gli affari che richiamavano a Cagliari l’uomo. Poi, cercando di farsi capire dagli adulti senza essere troppo esplicito per rispetto ai commensali più giovani, aggiunse – Non sono  però le sue frequentazioni in città la cosa più adatta a fargli trovare una giovane onesta che si prenda cura di lui e del bambino.

- Povera creatura! – commentò la moglie – È proprio macilento e sciupato e quella stupida di Angelina non lo sa proprio crescere. Lady Margaret mi ha confidato una volta che la sorella è molto preoccupata per il nipote.

Lino proruppe in una sonora risata.

- Chi te l’ha detto? - chiese divertito - Lady Margaret? Ma non statela a sentire, miei cari! Lady Margaret sta talmente sulle sue! Lei, che  è una nobildonna e la moglie del padrone, figuriamoci se si confidava con la consorte di un povero contabile!

- E va bene, me l’ha detto Giovanna – sbottò la donna,  irritata per essere stata sbugiardata – ed è una fonte molto attendibile. Dovete sapere che Giovanna fa la governante alla villa dei Bradley  ed un giorno, servendo a tavola, ha udito una conversazione tra l’ingegnere e loro.

- Già, sono parenti – osservò Alfredo.

- Erano parenti. Ora la nipote è morta e la zia lo rimprovera spesso per il modo in cui sta facendo crescere il bambino affidato, come vi dicevo prima, alla moglie di un minatore che è una povera ignorante.

- Ma cosa può farci  il povero ingegnere se è stato così sfortunato da perdere la giovane moglie!

- Secondo loro dovrebbe mandare il piccolo a Londra dai nonni. Là potrebbe avere l’educazione che gli spetta, ma di questo l’ingegnere non ne vuole neppure sentir parlare. Sei stata una vera stupida a rifiutare la sua proposta – aggiunse rivolgendosi a Barbara -  È vero, Ingurtosu non è un granché, ma con la tua cultura e la tua educazione avresti potuto fare la signora e neanche la lady con la puzza sotto al naso avrebbe avuto niente da ridire su di te.

Era un rimprovero che Grazia Sulis si portava dentro da tanto, ma la giovane, già piuttosto depressa per conto suo, rimase muta.

 

Dopo cena andò in cucina a  preparare il caffè e mentre aspettava che fosse pronto, andò sul balcone a respirare una boccata d’aria fresca. In cuor suo sperava che gli ospiti se ne andassero presto perché era assai affaticata e non vedeva l’ora di prepararsi il suo lettuccio di fortuna. Non si avvide neanche di Lino fin quando non se lo ritrovò accanto.       
La sera era fresca e l’odore del mare arrivava fin lì.
Il vecchio amico si riempì i polmoni dell’aria dolce e profumata e sospirò.

- Che hai, non ti senti bene?- le chiese con dolcezza -  È tutta la sera che te ne stai zitta.

- E cosa devo dire, padrino, già c’è Luisa e, perdonatemi, vostra moglie che parlano tanto!

Lui rise e, sedutosi vicino alla figlioccia, le prese affettuosamente una mano tra le sue.

- Lo so, non tutte le donne sono come te, non tutte hanno la tua grazia e la tua intelligenza. Tuo padre ti ha allevato proprio bene, Barbarella mia.

Stette un po’ zitto poi tornò alla carica.

- Quando ce ne  siamo andati la volta scorsa ho chiesto a Robert che impressione avesse avuto di te. Mi ha detto di averti apprezzato molto, anche se lo avevi rifiutato con tanto sdegno, ed ha aggiunto che avrebbe voluto sposare  proprio una donna come te. Non credo abbia cambiato idea, sai. Se ci hai ripensato, sei ancora in tempo.

Barbara non rispose, ma rientrò in cucina e si mise a versare il caffè nelle tazze.

- Perché non ci fai un pensiero? Tu qui non stai bene, si vede chiaramente, ed ogni anno sarà sempre peggio – continuò l’anziano signore che l’aveva seguita dal terrazzo.

- Ho paura. Sarebbe un salto nel buio che mi spaventa. Qui perlomeno so cosa mi aspetta.

- Già, un lettuccio nel salotto e sentirsi rinfacciare ogni boccone. Questo ti aspetta!

Barbara lo guardò.

- Cosa ne sapete voi?

- Lo so. Invece Robert ha una bella casa e tu ne saresti la padrona. Poi non mi sembra un uomo tanto male o mi sbaglio?

- No,  anzi, è fin troppo bello – mormorò lei arrossendo ed abbassando la testa.

- E allora? Perché non vieni a vedere Ingurtosu  perlomeno? Così poi decidi. Senza impegno.

- Non credo che lui sarebbe disposto a darmi un’altra possibilità.

- Te l’ho detto, è proprio una donna come te che cerca. In fondo mia moglie ha ragione: sei bella, educata, signorile. Con una come te, lady Margaret non potrebbe nemmeno aprire bocca. Dove la trova Robert un’altra così? Facciamo in questo modo: quando ripartiremo verrai con noi, così lo rivedrai. Poi magari tuo fratello verrà a riprenderti dopo qualche giorno.

- No, per carità! Mi vergognerei troppo a fargli capire di averci ripensato.

- Ma sei stupida? Vuoi vedere che adesso la mia figlioccia non è neanche libera di venirmi a trovare!

- Non lo so, devo pensarci un po’ su.

- Pensaci allora, tanto noi rimaniamo qui fino a domenica prossima.

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Eccovi un nuovo capitolo e solo due parole per ringraziare delle recensioni. Oltre ad esservi veramente grata, sono anche molto contenta perché vedo che state cominciando ad entrare nella psicologia dei personaggi, indovinando già la personalità che ho voluto dare loro. Io li ho molto amati e con il proseguire della narrazione capirete il perché. Tutti tranne uno che apparirà proprio in questo capitolo per cui dico a Vale e Lucy: fatene ciò che volete, tanto sta antipatica persino a me che l’ho inventata!

A Cricri voglio dire che anche stavolta mi sono ispirata ad attori per le descrizioni fisiche dei personaggi, anzi, in verità ho messo su un cast talmente “all stars” che neanche il kolossal più costoso di Hollywood! Magari, alla fine di questo lungo viaggio, ci divertiremo a dirci reciprocamente chi abbiamo immaginato a “recitare” le vari parti!

Vorrei ringraziare e dire qualcosa ad ognuna di voi ma penso sia meglio partire subito con il capitolo senza farvi perdere ancora tempo. Buona lettura.

 

 

 

 

Capitolo 4

 

Forse fu per la stanchezza del lungo viaggio o forse per le tante notti  agitate trascorse a girarsi e a rigirarsi  nella sua brandina senza poter dormire a causa dell’importante decisione da dover prendere, ma la prima  l’impressione che Barbara ebbe del piccolo villaggio minerario fu molto sgradevole.  Non era brutto però era tetro ed isolato e mentre si recavano alla casa dei Sulis, ai loro occhi apparve il palazzo della Direzione che sovrastava tutto con la sua imponente mole. Era molto bello ma chissà perché le diede l’impressione di un grosso uccello rapace che  dispiegasse le ali sulle sue prede. Gli alloggi degli impiegati e la piccola piazza del paese, benché non privi di una certa dignità, sembravano essere ai piedi della palazzina. Lino le spiegò che era soprannominata “Il Castello” ed infatti proprio all’abitazione di un re rassomigliava e le piccole case a quelle dei suoi umili sudditi.

- È lì che abita Robert Forrest? – chiese un po’ spaventata all’idea che si potesse vivere lì.

- No, lì c’è solo la Direzione delle miniere,  Forrest abita in un villino poco lontano. È un vero incanto, vedrai.

- Mai quanto quello di sir Bradley, però – soggiunse la moglie.

 

Già il giorno successivo, dopo essersi riposati dal lungo viaggio, andarono a fare un giro per la miniera e Lino portò Barbara fino alle laverie e ai pozzi. Lungo la strada si fermava continuamente a parlare con questo e con quello, presentando a tutti con molto orgoglio la figlioccia venuta a trovarlo. In realtà quest’ultima riceveva molti sguardi di ammirazione dagli impiegati e dai minatori perché era assai graziosa. Era alta, con una figurina sottile e slanciata, il seno prosperoso e la vita sottile. Bruna di capelli, ma chiara di carnagione, aveva lineamenti decisi,  la bocca carnosa e grandi occhi dalle iridi del colore dell’ambra. Da ragazza aveva avuto una grande bellezza, ma poi la vita, le delusioni ed i molti dispiaceri l’avevano un po’ offuscata. Il suo carattere orgoglioso, che la portava a tenersi tutto dentro, le aveva scavato una precoce ruga sulla fronte che però non la imbruttiva affatto.

Passeggiando, erano arrivati fino alle scuderie ed all’improvviso si trovarono di fronte Robert Forrest che rimase molto stupito nel vedersi davanti la bella ragazza sdegnosa che solo qualche tempo prima l’aveva congedato con tanta decisione.          
Anche lei sussultò nello scorgerlo ed ancora una volta fu attratta dal suo aspetto. Portava un cavallo baio per la briglia ed era in  tenuta da lavoro, ma quell’abbigliamento gli donava assai di più del vestito con il quale si era presentato a casa loro. Indossava gli stivali ed un pantalone aderente con una camicia bianca un po’ aperta sul petto. Sopra aveva uno spolverino di pelle nera ed un cappello, anch’esso di pelle, con le falde piuttosto larghe.

La donna sperò di non arrossire quando lui, guardandola, scoprì i denti piccoli e perfetti in un sorriso

- Quale sorpresa, signorina! Alla fine vi siete decisa a venire a vedere questo misero villaggio – le disse non senza una certa ironia.

- Il mio padrino ha insistito tanto e non ho potuto rifiutarmi - si giustificò lei.

- Già, sono stato io ad insistere per farla venire e starà con noi qualche giorno, fino a quando il fratello non verrà a riprenderla. Perché non vieni a cena da noi stasera, Robert?

- No, stasera non posso. Sto andando a controllare la partenza del materiale estratto giù al mare e farò tardi. Verrò domani, sempre se l’invito sarà ancora valido, s’intende.

Aveva parlato senza staccare gli occhi da Barbara e la donna, suo malgrado, si sentì come stordita. Udì Lino rispondere:

- Certo che è valido. Ti aspettiamo.

- Allora a domani.

Salì sul cavallo e dopo aver fatto un cenno di saluto togliendosi il cappello, se ne andò. Ancora una volta lei pensò che le piaceva molto.

 

I giorni trascorsero in fretta e Robert si mostrò molto più simpatico e cortese di quanto non avesse immaginato. Quando si  conobbero un po’ meglio, lui le raccontò della cittadina nei pressi  Cardiff dove era nato trentatré anni prima, dei suoi studi, del padre che un incidente in miniera aveva reso gravemente invalido, del coraggio di sua madre e della simpatica stravaganza della sorella, ma Barbara notò che della defunta moglie invece non parlava mai.    
Si stava bene in sua compagnia e quel villaggio sperduto, con la sua pace e l’aria buona, a poco a poco incominciò a sembrarle anche un posto meno spiacevole.

In parecchi non mancarono di notare quella coppia passeggiare a sera per le stradine del paese e in parecchi si chiesero se l’ingegner Forrest non avesse trovato  una nuova moglie. Le voci giunsero anche alle orecchie di lady Margaret la quale in quel periodo si trovava a Ingurtosu nella sua bella villa da cui si godeva tutto il paesaggio fino al mare. Incuriosita, invitò a cena il direttore della miniera e lo mise per bene sotto torchio fino a quando questi le confessò la sua intenzione di chiedere in moglie la giovane donna.

- Povera nipote mia, se n’è andata da così poco e tu già stai pensando a metterti un’altra accanto! – commentò allora la nobildonna.

- Margaret, Robert è molto giovane ancora, non pretenderai che faccia il vedovo tutta la vita – la redarguì il marito.

- Non tutta la vita, ma almeno due anni di lutto glieli doveva a quella povera Julie. Lei, per amor suo, ha rinunciato al suo rango e alla sua fortuna, non scordartelo.

Il giovane non parlava, ma se ne stava con gli occhi bassi, molto pensieroso.

- Charles ha bisogno di una madre e Barbara è la donna più adatta a farlo - disse infine.

- Sarebbe molto più logico mandare il piccolo da mia sorella Ilary piuttosto che prendere in moglie una mezza calzetta di italiana. Sicuramente non saprà neanche allevarlo!

- Non è come dite. È una giovane di buona famiglia, capace ed istruita. Suo padre era medico e studioso e le ha dato un’educazione perfetta. Sa parlare abbastanza bene anche in inglese, lo abbiamo fatto più volte in questi giorni, ed è un’ottima donna di casa oltre ad essere anche bella. Non potrei volere di più.

- Eccolo l’amore degli uomini! Avevano  ragione Ilary  ed Arnold a  rifiutarsi di darti in moglie la povera Julie. Se penso che è anche  colpa di questo sconsiderato di mio marito se quella povera ragazza ti ha sposato, mi viene quasi da piangere. Sei stato la sua rovina!

- Io ho molto amato vostra nipote, mylady!

- Già l’hai amata talmente che dopo un anno dalla sua morte ne sposi un’altra!

- Quando lo farai? – gli chiese Bradley, meno offeso della moglie alla prospettiva di un matrimonio.

- Non lo so, signore, al più presto spero.

- Va’ via! Vattene e non farti vedere per un po’, non ti sopporto più! – gli urlò indispettita la nobildonna scacciandolo in malo modo.   
Era così adirata che l’uomo si alzò immediatamente e prese congedo con un compito inchino.

 

Stava prendendo il cappello ed il soprabito dalle mani di Giovanna, quando si sentì chiamare da Paul che lo aveva raggiunto nell’atrio.

- Aspetta, aspetta un attimo.

Il giovane si fermò e si voltò a guardarlo.

- Ascolta – gli disse l’anziano signore – non dar retta a mia moglie: è ferita e triste per la morte della nipote, ma è ingiusta con te. In fondo lo sappiamo tutti che mia cognata sta per iniziare una vera e propria battaglia legale per avere l’affidamento di Charles e se tu ti sposerai avrà di certo meno possibilità di averlo. Però, figliolo, sei sicuro di voler fare questo passo? Ti stai legando ad una donna per la vita, non lo dimenticare.

Sir Bradley era stato come un secondo padre per Robert e forse aveva intuito i veri motivi che lo spingevano a quel  matrimonio così affrettato e strano.

- Per me non ci sarà mai  nessuna donna che possa prendere il posto di vostra nipote. È a lei che mi sono legato per tutta la vita, con  un’altra potrò solo fare un contratto matrimoniale – gli disse in tutta sincerità.

- Lo so, amavi Julie sinceramente e ne eri ricambiato, per questo vi ho aiutato a sposarvi, nonostante l’opposizione dei suoi genitori e di mia moglie. Ma è proprio per questo motivo che ora ti chiedo di pensarci bene: potresti rovinarti la vita e non solo la tua. Potresti rovinare anche quella giovane donna che accetterà di sposarti perché magari si è innamorata di te.

- Non c’è pericolo,  siamo abbastanza adulti entrambi per sapere cosa stiamo facendo. Comunque è mia intenzione esporle chiaramente come stanno i fatti. Non potrei mai ingannarla, non è nella mia natura.

- Bene. Fai ciò che ritieni più opportuno allora

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Ed eccovi uno dei capitoli più importanti di tutta la storia dove scoprirete le motivazioni che spingono questi due individui a ficcarsi in una trappola quale può essere un “patto matrimoniale”. Credo di aver immaginato delle ragioni abbastanza plausibili e consone alla personalità che ho dato loro.

Come sempre in gran sintonia con me, Arte è riuscita a fare una buona analisi del carattere di Robert. Lui, all’apparenza freddo e calcolatore, in realtà è molto buono e fragile. Quella forte in questa storia è Barbara, una che non si fa mettere sotto i piedi da nessuno, quasi una femminista ante litteram, ma non per questo meno infelice e degna di simpatia.

Credo che le perplessità di Cricri su Robert saranno presto superate perché lui è molto meno drastico di Christopher e non è superficiale quanto Massimo. Sono certa che pur non volendo, finirete tutte per affezionarvi a lui e perdonarlo per i suoi inevitabili sbagli. In questo capitolo scoprirete anche quanto una supposizione di Cricri sia esatta.

Per quanto riguarda l’aspetto fisico dei mie protagonisti, mi dispiace, ma non posso rivelare chi me li ha ispirati perché un autore non deve mai imporre la propria visione. Per cui immaginateli  pure come più vi aggrada, è nel vostro pieno diritto di lettrici. Posso mai deludere Cricri, ad esempio, che vede Robert con l’aspetto di Pattinson se è lui che le accende il cuore ed i sensi? Immaginare qualcuno che vi piace molto “interpretare” la mia storia non può che rendervela più gradita, magari a compensazione della mia poca bravura a farvi innamorare dei miei protagonisti, soprattutto quelli maschili,  per cui…  

Per quanto riguarda la lunghezza dei capitoli,  non so. Oramai è fatta e cambiarla mi rallenterebbe. Prometto però che magari quelli più interlocutori li posterò a due a due.

Va bene nanette mie? Ma quanto siete dolci!

Tutte siete dolci!  

 

 

 

 

                               Capitolo 5

 

Robert Forrest aveva detto la verità. Sapeva di dover chiarire a  Barbara le sue vere intenzioni, ma fino a quel momento non aveva ancora trovato il coraggio di farlo. Oramai però si doveva decidere. Barbara non sarebbe rimasta ancora molto ad Ingurtosu perché il fratello era già venuto riprenderla.
Così li aveva invitati insieme ai Sulis  a Villa Bianca e si era ripromesso di chiedere ufficialmente la mano della giovane ad Alfredo.
Mentre li aspettava nel portico spiando ansiosamente il vialetto di ingresso, si era sentito molto agitato, ma la sua irrequietezza si trasformò in fredda calma quando infine vide arrivare la carrozza con gli ospiti. Nel rivedere Barbara dovette ammettere che era davvero bella. Se ne compiacque ma solo perché era un ulteriore buon motivo per chiederla in moglie. Nessuno avrebbe potuto biasimare un uomo ancora giovane che si fosse sentito attratto da una ragazza tanto seducente.       
Dopo i soliti convenevoli, rimasero un po’ a parlare del più e del meno. Intanto il comportamento di Alfredo denotava una certa inquietudine per l’ansia di ricevere finalmente quella domanda di matrimonio che lo aveva spinto a fare un viaggio così lungo.
Robert si avvide che era venuto il momento di parlare chiaro. Così chiese il permesso di conferire in privato con la ragazza e la condusse in un salottino al primo piano della villetta.

Barbara lo seguì e si accomodò su di una poltrona aspettando di udire cosa avesse da dirle. In quegli ultimi giorni si era sentita molto presa da lui e non vedeva l’ora di sentirsi ripetere quella proposta ricevuta solo pochi minuti dopo averlo conosciuto che adesso il giovane sembrava così riluttante a rifarle.

Dopo qualche attimo di riflessione, Robert esordì dicendo:

- Ascoltate, mia cara, credo che abbiate capito che ho intenzione di chiedere a vostro fratello la vostra mano. Prima però ho bisogno di chiarire alcune cose con voi e sapere le vostre intenzioni. Io non vi chiedo in moglie per amore.

La ragazza sussultò: non le sembrava certo il modo migliore per fare una domanda di matrimonio,  ma non disse nulla. 
Robert continuò:

- Però vi ho apprezzato sin dal primo momento che vi ho vista e sono sicuro che non c’è persona migliore a cui potrei chiedere di sposarmi. Volete farlo?

Rincuorata, lei gli sorrise.

- Sì Robert, lo voglio. Ve lo prometto, sarò una buona moglie.

Con il viso molto serio ed addolorato, lui la fermò con un gesto della mano.

-  Aspettate, non ho finito. Io non vi propongo un matrimonio d’amore, e questo pare che lo accettiate, ma non posso offrirvi neanche un matrimonio di convenienza. Il nostro sarà solo un patto. Io vi sposerò, ma tra noi non dovrà mai esserci nulla. Ho giurato a mia moglie sul suo letto di morte che non avrei mai più amato un’altra donna ed intendo mantenere la parola.

Sconvolta Barbara si alzò in piedi, ma era talmente agitata che non riuscì a dirgli altro che:

- Ma allora perché volete risposarvi?

- I miei suoceri intendono portarmi via Charles. Io sono di una condizione sociale molto inferiore alla loro e dopo la morte di mia moglie  non ho saputo fare di meglio che affidare il mio bambino ad una balia ignorante. Potrebbero portarmelo via, e molto facilmente. È per questo che ho bisogno di una moglie: un vedovo risposato con una donna di buona famiglia e ben  educata è più rispettabile di un uomo solo e sbandato. Proprio come sono diventato io - aggiunse con molta amarezza. Dopo una breve pausa, proseguì - Se così fosse, qualsiasi giudice ci penserebbe bene a dar ragione ai miei suoceri, per quanto potenti essi possano essere. Per questo motivo vi sto chiedendo di diventare mia moglie, ma lo saremo solo agli occhi del mondo. Tra di noi non ci sarà mai alcun rapporto se non la stima, la collaborazione  e, perché no, una profonda amicizia.

Barbara sentì salirsi le lacrime agli occhi per la delusione, ma le trattenne e con la voce rotta dal pianto, proruppe:

- È perché ho avuto un bambino senza essere sposata, non è così? È  per questo che mi state chiedendo questo, per disprezzo.

Lui fu sconcertato da quella accusa. Davvero quella era una cosa a cui non aveva mai pensato.

- No, per carità, non dite così! – si giustificò - Ho saputo della vostra triste storia e del fatto che avete poi perduto quella creatura, ma non lo sto facendo per questo, ve lo giuro, soltanto ho immaginato che la condizione in cui vi trovate in casa di vostro fratello possa essere peggiore di quella che vi offro io. Se accettaste, io non vi farei mancare mai nulla e vi riserverei  sempre una gratitudine immensa.

- Già, è logico, avete pensato che una povera zitella miserabile e con un passato come il mio avesse potuto trovare apprezzabile una tale proposta! Vi siete sbagliato, caro signore, io ero già preparata a non essere ancora amata, però così mi sembrerebbe di svendere completamente la mia dignità. Chiedetemi di diventare la vostra governante e lo farò, ma non pronunciate più la parola “matrimonio”. È un Sacramento e sarebbe un vero e proprio sacrilegio sposarci a queste condizioni!

Robert rimase zitto con il capo chino, poi mormorò molto addolorato:

- Lo farei, ma non posso. Una governante non sarebbe una soluzione definitiva ed i miei suoceri continuerebbero ad insistere per avere la tutela del nipote. Devo risposarmi se voglio tenere il mio piccino. Forse sono un pazzo, forse sarebbe meglio per Charles andare a vivere con i nonni, ma io ho già perduto sua madre e non voglio perdere anche lui. Vi supplico,  pensateci.

- No, Robert, non posso accettare. Perdonatemi.

Senza voltarsi indietro, Barbara lasciò la stanza. Soltanto pochi passi dopo però si fermò perché i singhiozzi le salivano dal petto. Aveva bisogno di farsi un bel pianto, uno di quelli disperati a cui si era abbandonata tante volte, sin da quando aveva diciassette anni, da quando cioè il suo amore per Filippo l’aveva perduta.        
Non potendo restare in quel corridoio, aprì una porta a caso e si infilò nella stanza buia. Solo allora diede sfogo al dolore per l’umiliazione subita che, unita alla paura di dover rivelare a qualcuno i motivi del suo rifiuto alla proposta di matrimonio dell’ingegnere Forrest, la ferivano profondamente nell’orgoglio.

Si accasciò per terra mentre le lacrime le scendevano copiose ed appoggiò la testa al muro abbandonandosi all’onda della propria pena, aspettando che passasse, così come aveva fatto tante volte nella vita. Infatti dopo un po’ si calmò ed asciugandosi gli occhi, già stava preparando il sorriso di circostanza da sfoggiare nel momento in cui avrebbe raggiunto gli altri, quando udì il pianto di un bambino provenire dalla stanza accanto. Incuriosita, si alzò ed aprì la porta. Scorse seduto sul lettino un bambino piccolo tutto nudo: doveva essere Charles, il quale, abbandonato a se stesso, piangeva disperato.

Stupita che lo avessero lasciato così da solo, la donna gli si avvicinò ed il bimbo alzò il faccino verso di lei. Con i riccioli biondi ed i lineamenti delicati, sembrava uno di quei puttini  raffigurati nei dipinti del Rinascimento. I suoi occhi erano simili a quelli del padre anche se il loro splendido colore azzurro era velato dalle lacrime.   
Nello scorgere una persona mai vista prima, il piccolo si stupì un po’ e smise di piangere, la boccuccia che gli tremava ancora. Era talmente tenero che Barbara non riuscì a frenarsi e lo prese in braccio.

- Che c’è, tesoro, che c’è? – gli disse mentre stringeva quel corpicino nudo a sé.        
Quando il bambino riprese a piangere, sempre parlandogli con dolcezza, accostò il viso al suo e tenendolo per la nuca, lo strinse ancora più amorosamente. Nel percepire il tipico odore dei bambini piccoli fatto di sudore, di latte, di pelle tenerissima, fu presa come da una vertigine e fu costretta a chiudere gli occhi. Per un attimo le parve di avere ancora tra le braccia il suo Giacomino e la commozione che gliene derivò fu immensa. Quante volte aveva sognato di averlo ancora, quante volte si era risvegliata da quel sogno con l’amara consapevolezza che il suo piccolo angelo se n’era tornato in Paradiso! Adesso, stringendo Charles, si avvide di quanto amore materno portasse ancora dentro e quanto fosse ancora viva la sofferenza per la perdita della sua creatura. Ora, accarezzando la pelle tenera di quel cucciolo solo ed indifeso, sentiva come una corrente di tenerezza passarle attraverso i sensi e riscaldarle l’anima. Forse anche il bambino l’avvertì  perché si calmò ed, appoggiata la testina sulla sua spalla, si abbandonò fiducioso.       
Ben presto però nel rendersi conto che il piccino era gelato, lo spirito pratico di Barbara prese il sopravvento sull’emozione. Aprì un comò e con una mano sola, rovistò nei cassetti fin quando non riuscì a trovare una copertina di lana con cui gli avvolse il corpicino nudo e tremante. Solo dopo si accorse della foto incorniciata sul mobile: ritraeva una ragazza molto giovane, bionda e bellissima. Intuì dai suoi lineamenti delicati che doveva essere la madre di Charles, la dolce ed angelica Julie di cui Robert non parlava mai. Fissò il ritratto con interesse ed ebbe la sensazione che la donna raffigurata la guardasse quasi  con un’espressione molto seria negli occhi, come a volerle dire qualcosa.

- Non ti preoccupare – le disse mentalmente – mi prenderò cura del tuo piccino, non lo lascerò solo, te lo prometto.

Le erano salite di nuovo le lacrime agli occhi, ma tutto sommato adesso si sentiva meno infelice con il bimbo tra le braccia. Lo avvolse nella copertina poi gli asciugò le lacrime con un fazzoletto e gli pulì il nasino, stringendolo sempre più forte al seno e cullandolo con dolcezza. Il piccolo a poco a poco non solo si calmò, ma le fece anche un sorrisino mostrandole i teneri dentini. Anche Barbara gli sorrise ed andò a sedersi su di una poltrona accanto alla finestra da dove si intravedeva il sole ormai al tramonto che aveva tinto di porpora il cielo e faceva risaltare la vegetazione  già del bel colore  rosso dell’autunno.        
Nella luce del crepuscolo, una sensazione di pace avvolse la donna ed il bambino che rimasero dolcemente abbracciati quasi come se il tempo si fosse fermato.   
Chissà quanto ne era passato quando si spalancò la porta. Entrò una donnetta di una quarantina d’anni la quale, vedendo la scena, sembrò restare interdetta. Subito dietro di lei apparvero Grazia,  Robert ed Alfredo.

- Insomma, si può sapere cosa stai combinando? Ti stavamo cercando per tutta la casa! - proruppe quest’ultimo, molto adirato. La sorella non si curò di lui e, rivolta alla donna, le chiese molto duramente:

- Vi occupate voi di questo piccino?         
Vedendo che l’altra annuiva, continuò:

 – Allora spiegatemi come mai lo avete lasciato nudo e da solo. Siete pazza per caso? Non vedete che fa freddo ed è già molto raffreddato?

- Ma io ho aiutato i signori a cercare voi! – si giustificò la domestica, prontamente e con furbizia.

- Non dite sciocchezze! Ho udito il bambino piangere disperato non appena ho lasciato il salotto e chissà da quanto tempo stava in queste condizioni! Ma ora basta, andate a preparargli un bagnetto caldo perché dobbiamo farglielo subito!

Mentre la donna si affrettava ad obbedire, Alfredo obiettò, sempre più innervosito:

- No mia cara, non gli farai nessun bagnetto. Dobbiamo ripartire domattina presto e ora ce ne dobbiamo andare. E poi mi spieghi cos’è questa pretesa? L’ingegnere mi ha appena detto che hai rifiutato la sua proposta di matrimonio.

- Ho cambiato idea – rispose calma la ragazza, senza smettere di guardare il bambino che ora stava giocando con le manine sul suo viso.

- Finiscila con questi capricci da stupida! – le urlò il fratello fuori di sé dalla rabbia – Forse tutti noi, e soprattutto il signor Forrest, dovremmo stare ai tuoi comodi?

- Ma perché non stai un po’ zitto tu e non fai parlare l’ingegnere? – lo rimproverò Grazia alla quale non era sfuggito l’intenso sguardo che i due giovani si stavano scambiando.

Robert non aveva aperto bocca fino a quel momento ed era rimasto ad osservare con tenerezza la donna ed il bambino. Chiamato in causa, affermò:

- Io invece non ho cambiato idea: sono sempre di più dell’avviso che siate la donna che cercavo. Ve lo ripeto, Barbara, sarei felicissimo se mi diceste che volete sposarmi.

- Sì e voglio prendermi cura di questo angioletto – gli rispose subito lei.

Gli stava sorridendo e negli occhi dell’uomo si dipinse un’enorme gratitudine perché sapeva che pronunciando quelle parole, la ragazza aveva accettato anche l’assurdo patto che le aveva proposto.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Così come vi avevo promesso, stasera posterò due capitoli perché sono piuttosto interlocutori anche se nel primo il discorso che Gavino fa a Barbara sarà molto importante per lei. Cercate di ricordarvelo.

Vi ringrazio davvero tutte per le belle recensioni che mi state facendo e per il modo come state entrando nella vicenda. In effetti non è affatto semplice per noi che viviamo nel terzo millennio e certe cose le diamo per scontate capire quale potesse essere la situazione di una zitella, per giunta disonorata. Certo Alfredo e Luisa non sono delle belle persone, ma la loro reazione è comprensibile, almeno alla luce della mentalità dell’epoca. Robert è una persona onesta e Barbara è cosciente del passo che fa. Anche il suo è un matrimonio di convenienza. Ma le converrà essersi presa un uomo da cui si sente tanto attratta o piuttosto così non va incontro ad una sofferenza difficile da sopportare? Seguitemi e lo saprete. Di sicuro il cammino che questi due giovani stanno per intraprendere è molto lungo ma, anche se un po’ vi farò penare, vi prometto che non vi annoierete perché gli avvenimenti si susseguiranno senza sosta.

Solo una precisazione perché posso avervi indotte in errore: non è stata Julie a chiedere quella promessa a Robert, è stato lui a farla quando lei è morta di parto. È vero, fu una promessa assurda, fatta in un particolare stato emotivo ma il loro amore era stato davvero grande. Presto in merito ne saprete anche voi di più.

  

 

 

Capitolo 6

 

Raramente ci si sposa a novembre, ma Robert e Barbara non avevano motivo di aspettare. Fortunatamente l’uomo era di religione cattolica ed il suo precedente matrimonio era stato celebrato in Italia per cui non trovarono eccessivi ostacoli burocratici.
Alfredo era stato ben felice di togliersi il peso di una sorella zitella da mantenere e si mostrò anche molto generoso nel sostenere le spese per le nozze. Voleva dimostrare a tutti che la sorella, anche se si era macchiata di un’ imperdonabile colpa in gioventù, adesso era stata scelta da un galantuomo e portata all’altare con tutti i crismi.      
Tutto fu curato nei minimi particolari per fare una bella figura nell’ambiente cittadino dove erano una famiglia molto conosciuta.
Anche Luisa si diede un bel daffare e, nonostante avesse sperato che tanta bella biancheria andasse alle proprie figlie, aiutò la cognata a dare una rinfrescata al suo corredo che giaceva in un baule oramai già da tanto tempo.  Si prese anche la briga di far confezionare per la sposa un abito adatto alla circostanza e la cosa la preoccupò non poco. Voleva che Barbara fosse talmente elegante il giorno delle nozze da far invidia a tutti, ma nello stesso tempo doveva trovare qualcosa di diverso perché non le sarebbe stato possibile farle indossare il vestito bianco. In fine si decise per un tailleur di velluto celeste molto sobrio ed elegante a cui abbinò un’acconciatura di fiori con la veletta dello stesso colore.   
Barbara la lasciò fare. Non le interessava affatto ciò che avrebbe messo per quello strano matrimonio e neanche fece caso a quanto apparisse bella indossando una volta tanto un abito per il quale il fratello non aveva badato a spese.

La cerimonia si sarebbe svolta in casa e siccome gli sposi non potevano trascorrere la prima notte in salotto, fu deciso che per l’occasione i ragazzi sarebbero andati a dormire da Marina Sulis così Alfredo e Luisa si sarebbero trasferiti nella loro stanza da letto ed avrebbero ceduto la camera matrimoniale ai novelli coniugi.

 

A causa dei  preparativi per lo sposalizio, la confusione in casa Rispoli la mattina del 15 era arrivata quasi al parossismo tanto che Barbara decise di andare a prendere una boccata d’aria per non arrivare al pomeriggio con un mal di testa feroce.
Uscì nonostante le proteste della cognata. I suoi passi la portarono come al solito ai Bastioni e di lì arrivò al porto. Stringendosi addosso il cappotto con una mano per difendersi dal freddo e reggendosi con l’altra il cappellino legato sotto il mento per non farlo portar via dal vento impetuoso, la giovane donna si guardava intorno per imprimersi bene nella mente i luoghi familiari dai quali stava per allontanarsi forse per sempre. Si sentiva molto triste e perciò le fu di grande conforto scorgere Gavino che pescava tranquillo. In un moto di affetto, gli si avvicinò per salutarlo.      
Nel vederla, il vecchio le rivolse uno dei suoi rari sorrisi.

- Ehilà – le disse – e cosa ci fa qui la sposa?

- Sono dovuta uscire un po’ a prendere una boccata d’aria, a casa c’è una confusione pazzesca.

- A che ora è la celebrazione?

- Alle quattro del pomeriggio. Sono tutti talmente eccitati che non so come  arriveranno alla cerimonia – gli rispose calma.

- E voi non lo siete?

- No, piuttosto mi sento preoccupata e triste per il passo che sto per compiere.

- Sapete, ho visto il futuro sposo. Vostro fratello ieri sera  l’ha portato a bere un bicchiere di vino giù all’osteria di Raffaele e l’ha presentato a tutti. È un bell’uomo ed anche se è forestiero, mi è parso un tipo molto alla mano.

La donna non rispose nulla e si sedette su un muretto poco distante, mettendosi a guardare il mare. Anche il vecchio non disse più niente ed aspettò che lei riprendesse il discorso. Dopo un po’ Barbara trovò la forza di confidarsi.

- Ho accettato di sposarlo solo per prendermi cura del bambino. Quel piccolo orfano mi ha fatto una pena infinita ed ho pensato che forse la mia vita non sarebbe stata così insignificante se avessi potuto essere ancora utile a qualcuno. Tra me ed il padre non c’è e non ci sarà mai niente, anche se stiamo andando davanti a un sacerdote a far benedire la nostra unione – gli disse un po’ titubante.

Gavino sospirò, poi posò la canna da pesca e si accese la pipa prima di parlarle ancora.

- Allora avete bisogno più che mai della benedizione del Signore.   Già ve l’ho detto una volta, mi sembra, ma ve lo ripeto: ci sono cose più importanti dell’innamoramento. Voi ed il vostro futuro marito avete una lunga strada da percorrere insieme e non sarete sostenuti dall’amore, ma soltanto dalla voglia di aiutarvi reciprocamente a vivere e a crescere bene il piccino. Se riuscirete a farlo, alla fine vi troverete tra le mani qualcosa di molto più prezioso della passione. Questa può finire, la stima e l’affetto tra voi due invece cresceranno ogni giorno di più.

Barbara non era molto convinta e scosse la testa perplessa.

- Non l’avrei mai fatto se non fosse stato per Charles, ma dentro di me  ho promesso a sua madre che me ne sarei presa cura come se fosse stato il bimbo che la morte mi ha rubato tanto tempo fa. Mi sento stranamente impegnata da questa promessa, ma nello stesso tempo ho paura: chissà se sarò capace di amarlo davvero come se fosse il mio piccolo Giacomo!

Le si erano riempiti gli occhi di lacrime ed il vecchio la consolò ancora, conoscendo bene la pena enorme che si portava dentro.

- Un figlio non è solo quello che si mette al mondo, è quello che si aiuta a crescere, che si veglia durante le notti in cui ha la febbre, che si accoglie tra le braccia quando cade e si fa male, a cui si insegna la vita. Voi farete tutto questo per lui e vi dimenticherete persino che non siete stata voi a partorirlo. Forse se c’è un Paradiso, quell’anima buona farà la stessa cosa con il vostro piccino!

Barbara sogghignò.

- E non sarebbe stato meglio che ognuna di noi si fosse tenuto il suo di figlio?

- Dobbiamo accettare la volontà di Dio. Lui solo sa quali sono i suoi fini.

- Giusto ed io sono una grande sacrilega.

Era scattata in piedi e come se si fosse pentita di essersi abbandonata a simili confidenze con un estraneo, concluse un po’ bruscamente:

- Adesso devo andare. Statemi bene Gavino e buona fortuna!

- Aspettate – le disse questi – ho una cosa per voi. Me la porto appresso da tanto sperando di incontrarvi ed oggi è davvero l’ultima occasione che ho per darvela.

Così dicendo trasse dalla tasca della giacca un fazzolettino di battista in cui era avvolto qualcosa. Con aria timida, lo passò alla donna che lo prese e lo aprì. Dentro c’era un bel crocifisso di corallo rosa appeso ad una catenina d’oro.

- Ma io non posso accettarlo, è troppo bello! – protestò.

- Era di mia moglie Gemma, glielo regalai quando eravamo ancora fidanzati.

- Perché volete darlo a me?

- E a chi dovrei darlo? Le mie figlie sono tutte lontane in America ed io sono vecchio e solo. Mi fa piacere se lo tenete voi. Magari così vi ricorderete di me.

- Non c’è bisogno di questo dono per farmi  ricordare di voi, lo sapete quanto vi sono stata sempre affezionata.

- Lo so ed anche io vi voglio bene. Prendetelo e quando vi sentirete smarrita, stringetelo tra le mani: il corallo porta fortuna. Questo poi che ha la forma della Croce di Nostro Signore, vi proteggerà sempre da ogni male.

Barbara avrebbe voluto abbracciarlo, ma non osò una simile confidenza, così si limitò a mettergli una mano sulla spalla e a sussurrargli grata:

- Grazie, lo terrò molto caro e non vi dimenticherò mai.

Poi se ne scappò verso casa, assai commossa.

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

A casa la confusione si era ancora di più accresciuta. Se n’era appena andato il fioraio che aveva addobbato un  piccolo altare in salotto mentre la pettinatrice stava già acconciando i capelli a Caterina. La signora Maddalena, loro vicina di casa, era passata a farle gli auguri ed a portarle un piccolo dono.   
Appena la vide rientrare, la cognata l’apostrofò, scortese come sempre:

- Alla buon’ora! Vedete se è giusto che la sposa se ne debba andare a passeggio e noi tutti qui a sgobbare per lei!

- E va bene, lasciatale stare! Sarà un po’ nervosa, povera figlia – intervenne la vicina.

- Non sono io ad essere nervosa, sono loro ad essere agitati  e mi stanno facendo venire un bel mal di testa – rispose Barbara, cercando di sorridere.

- Che razza d’ingrata! – sbottò Luisa - Dopo tutto quello che stiamo facendo per lei, questo è il ringraziamento! Credetemi, Maddalena, quel povero marito mio si è letteralmente svenato per permettere a sua sorella di fare nozze degne di una principessa.

- Lo so, lo so, ho visto il rinfresco magnifico che avete preparato e mi avete mostrato anche le bomboniere ed il bel vestito che le avete fatto cucire – rispose la donna, poi, rivolta alla sposa aggiunse, non senza una vena di malizia –  Però tu sei strana, non mi sembri molto contenta.

- Ma che dite! Si capisce che è contenta e vi assicuro che non poteva capitare meglio – la rimbrottò la padrona di casa avendo colto la domanda insidiosa.

- In effetti ieri sera ho conosciuto il tuo futuro marito e devo dire che è davvero molto affascinante. Certo è uomo fatto, ma neanche tu sei più una ragazzina e poi un vedovo era proprio ciò che ci voleva per te – ammise l’altra, quasi con condiscendenza.

Incuriosita, Luisa le domandò:

- L’avete visto? E quando?

Con un sorriso ironico, Barbara intervenne:

- Non l’ha visto solo lei. A quanto pare tuo marito l’ha portato  in giro per tutto il paese presentandolo persino agli ubriaconi giù all’osteria di Raffaele. Oramai  penso che non ci sia nessuno in tutta Alghero che non lo conosca e che stamattina non stia commentando il mio matrimonio.

- E allora? C’è qualcosa di male in questo? L’ingegnere Forrest è una persona stimabile e perbene e tuo fratello ci ha tenuto a dimostrare che, nonostante tutto, non ti ha data in moglie al primo venuto.

Un sorrisetto maligno affiorò sulle labbra della vicina alle parole sgradevoli di Luisa e la ragazza se ne sentì alquanto infastidita. Stava per andarsene in cucina quando entrò nella stanza Carolina che era andata ad aprire la porta. Il fioraio aveva appena consegnato uno splendido bouquet di fiori d’arancio accompagnato da un biglietto.

-Te l’ha mandato lui non è così? – le chiese la ragazza vedendola leggere. Quando la zia annuì, commentò:

- Com’è gentile e come sei stata fortunata a trovare un uomo così!

- Questo bouquet è magnifico! Chissà quant’è costato! Perdonatemi Luisa, ma fa molto più effetto di quello che le avevate preso voi! – osservò Maddalena.

- Non ci potevamo permettere di più! – rispose l’altra, acida. Sapeva bene che nonostante tutti i loro sforzi ci sarebbe stato sempre qualcuno pronto a criticarli. Molto irritata, commentò sprezzante indicando la futura sposa con un gesto della mano:

 - D’altronde è vero, questa qui è stata così fortunata…

- ..che poteva anche sposarsi portando in mano  un cavolfiore invece che un bouquet di fiori! – concluse per lei Barbara scherzosamente. 
In fondo, anche se si sentiva dentro un po’ di amarezza, era convinta che andarsene da quella casa era una vera fortuna. Vedendo il viso della cognata diventare verde di rabbia, decise di troncare lì la conversazione e, salutata la vicina, se ne andò in cucina con la scusa di voler mettere qualcosa sotto i denti prima che si facesse troppo tardi.

 

Mentre più tardi avanzava sottobraccio al fratello verso il piccolo altare e le note della marcia nuziale suonate da un pianista appositamente chiamato per l’occasione facevano da sottofondo ai commenti di chi era rimasto stupito nel trovarla tanto bella, Barbara posò gli occhi sull’uomo che l’attendeva accanto al prete. Vederlo le causò una stretta al cuore perché le piaceva da morire. La stava guardando e lei cercò di leggere nei suoi occhi cosa stesse pensando in quel momento, ma trovò la sua espressione impenetrabile. Smarrita, rivolse lo sguardo a Padre Gerardo ed il buon sacerdote le sorrise rassicurante.
Era stato l’unico a cui aveva raccontato del patto che le era stato proposto perché, pur non essendo una bigotta, aveva temuto per davvero di profanare il Sacramento del matrimonio accettando l’offerta di Robert. Invece il suo padre spirituale l’aveva rassicurata: non c’era alcun peccato nella scelta della castità matrimoniale, piuttosto per lei una simile rinunzia sarebbe stata un buon modo per espiare la colpa commessa  da giovane, quando quella stessa castità aveva perduto al di fuori del sacro vincolo nuziale.

Dritta in piedi accanto all’uomo che stava per diventare suo marito, Barbara si chiedeva se avrebbe avuto la forza di non innamorarsene o se magari non l’avesse già fatto. Non aveva  mai trovato il coraggio di domandarselo, ma in quel preciso istante capiva quanto suo malgrado se ne sentisse attratta. Sapere che per lui invece era meno di niente, la mortificava profondamente. Però nella vita aveva imparato già da tempo a fare buon viso a cattivo gioco così nessuno poté immaginare nel corso della cerimonia ed anche dopo, durante il ricevimento, l’oscura pena che la bella sposina sorridente si portava nel cuore.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

 

 

Per fortuna la festa non durò a lungo e presto Barbara poté ritirarsi. Mentre si pettinava davanti allo specchio, guardando l’ elegante camicia di raso e pizzo che per forza la cognata e Marina Sulis  le avevano imposto di indossare per la prima notte di nozze, quasi si vergognava del proprio aspetto. Era bella, questo sì, ma l’immagine che vedeva riflessa era quella di una giovane moglie in attesa dello sposo. Lei invece non sapeva cosa l’aspettasse. In cuor suo sperava di aver frainteso le parole di Robert  non  perché fosse interessata al sesso in quanto tale, da tanto ormai ci aveva rinunciato, ma perché avrebbe desiderato essere stretta da braccia forti per non sentirsi più sola. Avrebbe voluto trovare finalmente il calore di un uomo che l’amasse e la proteggesse, non sentirsi rifiutata o ignorata.

Nell’udire bussare alla porta sussultò e timidamente disse “avanti”. Robert entrò piano, come in punta di piedi.

- Scusate – le disse – pensavo che foste già a letto, ma se volete torno tra un po’.

- No entrate, sono pronta per coricarmi, stavo solo finendo di spazzolarmi i capelli.

Si tolse la vestaglia ed ancora di più si vergognò della camicia da notte che doveva metterle in bella evidenza il corpo in maniera provocante. Si affrettò a mettersi a letto. Le lenzuola fredde le diedero un lungo brivido.

- “Mio Dio – pregò – fa che adesso venga accanto a me e mi prenda tra le braccia. Lo so, me l’ha detto che non sarà così, ma  forse se adesso lo facesse, a poco a poco potrebbe anche affezionarsi a me e potremmo davvero diventare marito e moglie!”

Invece l’uomo si tolse la giacca ed avvicinandosi al letto le disse soltanto:

- Vi dispiace se prendo un cuscino? Cercherò di  sistemarmi sulla poltrona lì accanto alla finestra.

- Ma come farete a dormire?

- Non importa. Si tratta soltanto di una notte, domani sera saremo a Villa Bianca ed avremo ognuno la propria stanza.

- Intanto stanotte gelerete! Prendete almeno la coperta.

- No, ne avete più bisogno voi che indossate una camicia da notte così leggera. Metterò addosso la giacca  e starò benone.

Barbara non disse nulla, mortificata che avesse notato la camicia. Chissà, forse aveva pensato che stesse cercando di sedurlo. Si coprì, tirandosi le coperte fin sul naso. Lo sentì muoversi piano nella stanza per spegnere il lume, dopodiché si fece il silenzio più assoluto.     
Un’inquietudine sempre più profonda le agitava l’animo ed alla fine non ne poté più e lo chiamò piano.

Non le rispose.
“Forse si è già  addormentato” – pensò. 
 Dopo qualche istante però udì la sua bella voce, calma e calda.

- Che c’è, ditemi.

- Vorrei chiedervi una cosa: non potremmo darci almeno del tu? Sapete, mi sembrereste un po’ meno estraneo e poiché dobbiamo vivere insieme d’ora innanzi…

- Certamente. Però anch’io ho una cosa da chiederti.

- Dimmi.

- Vorrei che tra noi cominciassimo a parlare in inglese.

- Ma io non ne sono capace!

- Non è vero, lo parli già benino anche se hai bisogno di molto esercizio. Vedrai, non è difficile, sicuramente non lo è per una persona intelligente come te.

- Perché dobbiamo farlo, tu parli bene l’italiano! Che bisogno c’è?

- Perché io sono britannico, perché lo è la mia famiglia, il mio ambiente e soprattutto perché lo è mio figlio. Voglio che impari a parlare la sua lingua madre e non potrà mai farlo se non sentirà noi due. E poi forse non  rimarremo qui per sempre. Cercherai di farlo per favore?

- Ci proverò – gli rispose in un sussurro. Aveva cercato conforto ma la prospettiva che Robert le aveva mostrato era ancora più avvilente. Non era la sua cameriera o la governate, era sua moglie, legata a lui per la vita ed avrebbe dovuto seguirlo ovunque fosse andato anche se ciò significava dover rinunciare alla sua terra, alla sua famiglia, alle sue stesse radici. Una sorta di sgomento le invase l’animo e se ne stette silenziosa, con gli occhi spalancati nel buio per buona parte della notte, cercando di capire se l’uomo si fosse addormentato o, come lei, stesse solo in silenzio a pensare all’assurdità del passo che entrambi avevano appena compiuto.

 

L’indomani partirono di buon ora. Il viaggio fino ad Ingurtosu fu lungo e faticoso  ma lo fecero in compagnia di Grazia e Lino Sulis e così non ebbero l’imbarazzo di dover stare da soli. Arrivarono a casa a sera inoltrata. Charles dormiva già da un pezzo e la cameriera fece trovare loro una cena frugale. Così come le aveva espressamente richiesto di fare il padrone prima di partire, aveva preparato  due stanze da letto.

La donna, che si chiamava Angelina, si era un po’ meravigliata, ma non aveva fatto commenti, anzi, approfittando della cosa, si era tenuta per sé la camera da letto più bella e luminosa, contigua a quella dell’ingegnere, dove dormiva insieme al bambino, ed aveva lasciato alla signora la stanza accanto, più piccola. In pratica si era piazzata proprio in mezzo ai due sposi, ma si era detta che se  il padrone voleva andare a trovare la moglie, poteva sempre entrare dalla porta sul corridoio.
Aveva temuto che qualcuno  facesse delle osservazioni sulla sistemazione da lei ideata ma nessuno mosse obiezioni. Silenziosi, i due giovani si ritirarono senza neanche scambiarsi una parola        e lei ne fu molto soddisfatta.

 

 

 

 

Robert e Barbara hanno appena cominciato la loro vita matrimoniale ed il cammino da percorrere sarà lungo e tormentato. La cosa migliore per entrambi sarebbe rispettare il loro patto e non innamorarsi ma ho paura che, almeno per Barbara, sia già troppo tardi. Ma lei è una donna troppo forte per lasciarsi scoraggiare e troppo orgogliosa per soccombere.
Nel rendermi conto che, anche se molto intenso, questo capitolo è stato davvero un po’ corto e che le mie dolci lettrici vorranno almeno sapere cosa aspetta la nostra sfortunata eroina e come lei affronterà la situazione. Allora passo a postare, così come avevo promesso, anche un altro capitolo, il 9.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9


Angelina  aveva deciso di fare la guerra alla nuova padrona perché le era stata subito antipatica inoltre  non era disposta a cedere la posizione di privilegio  guadagnatasi in casa Forrest per il fatto di essere la balia di Charles. Da quando era morta la signora Julie comandava a Villa Bianca come se fosse stata la padrona di casa e lo faceva anche con Giosuè che si occupava della stalla e con la di lui moglie, Maria, la quale svolgeva i lavori pesanti.

Barbara non tardò ad accorgersi della difficile situazione da affrontare e del fatto che Robert l’avrebbe lasciata completamente sola in questo. Già il mattino successivo al loro ritorno, infatti, era uscito presto per andare a lavoro ed Angelina, rispondendo con freddezza a tutte le sue domande in merito all’andamento del menage familiare, le aveva fatto notare con poca cortesia che fino a quando non avesse imparato a muoversi in quella grande casa, doveva sentirsi più ospite che padrona. Purtroppo era vero e la povera donna, alquanto smarrita, notò che alcune stanze e molti mobili erano addirittura chiusi e  la cameriera ne portava le chiavi  appese alla cintura. Quando le chiese gentilmente di dargliele, le rispose che ora non aveva tempo di mostrarle tutto perché c’era troppo da fare.
Barbara preferì non insistere, almeno per il momento, e provò a prendersi cura del bimbo. Aveva trovato Charles ancora più sciupato e triste di quando l’aveva lasciato, ma appena lo prese in braccio, il piccolo, che non rammentava di certo il loro primo, magico incontro, scoppiò in un pianto dirotto. Angelina accorse subito con ostentata premura e, togliendoglielo dalle braccia, la invitò ad aspettare che il bambino la conoscesse meglio e non si sentisse spaventato da una perfetta estranea.

Alla fine la giovane sposa non trovò altro da fare che uscire a passeggiare nei dintorni. Non conosceva quei luoghi  perché c’era stata solo una volta, la sera che Robert l’aveva chiesta in moglie, e l’emozione di quel giorno le aveva impedito persino di guardarsi intorno. Osservò la casa dall’esterno e dovette convenire che era molto bella. Tutta dipinta di bianco, da cui il  nome di “Villa Bianca”, su due piani, con un bel loggiato ed il tetto rosso, spiccava sullo sfondo della vegetazione rigogliosa. Stranamente però  dava una sensazione di  abbandono, quasi come se fosse stata  disabitata.

Poco lontano c’era la casetta dei due anziani coniugi che lavoravano per l’ingegnere Forrest.  Già quella mattina aveva fatto la conoscenza con Maria che stendeva il  bucato sotto la sorveglianza di Angelina, occupata a dirigerla come un generale guardandosi bene però dall’aiutarla. Ad un tratto le venne voglia di conoscerne anche il marito ed andò a cercarlo. Lo trovò nella vicina stalla. Anche lui le sorrise gentilmente, le fece  un rispettoso inchino e si presentò come Giosuè Melis poi, quando la padrona lo invitò a riprendere le sue occupazioni, ricominciò a strigliare un asino. Si vedeva che era molto affezionato alle bestie in sua custodia, soprattutto ai due cavalli. Le mostrò quello prediletto da Robert, Thunder, un baio dalla linea nobile ed elegante con il quale il padrone faceva sempre lunghe, solitarie cavalcate. Barbara non aveva molta confidenza con  quegli animali e si mostrò piuttosto recalcitrante a toccarli, tanto che il buon uomo osservò:

- Eh signora mia, dovrete abituarvi altrimenti restereste prigioniera qui a Villa Bianca perché il villaggio minerario è lontano ed  il paese lo è ancora di più!

- Ma io non so andare a cavallo! – obiettò lei.

- Ve lo insegnerà vostro marito. L’ingegnere li ama moltissimo e quasi ci parla con loro, soprattutto con questo – le rispose il vecchio carezzando il muso del fiero animale che lo guardava con gli occhi intelligenti.

Timidamente Barbara allungò una mano osando anche lei una carezza.

- Non credo ne avrà la pazienza. E poi per me sarebbe meglio imparare a portare un calesse anche se non ho mai fatto neanche quello. Non è che mi insegnereste voi?

- Certo, signora, lo farò volentieri – le rispose l’anziano stalliere, rassicurandola con un sorriso benevolo.

Tornando a casa la ragazza si mise a riflettere sulle difficoltà che avrebbe trovato ad ambientarsi in un luogo così isolato nei cui confronti persino Alghero, pur essendo solo una cittadina, sembrava addirittura una grande città. La cosa la preoccupava, ma ciò che la spaventava più di tutto, era il suo futuro rapporto con Robert, perché davvero non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi.

I giorni successivi le tolsero ogni dubbio: non c’era bisogno di alcuna strategia da seguire, perché l’uomo si limitava semplicemente ad ignorarla. Più volte ebbe la sensazione di essere diventata trasparente perché lui sembrava non vederla nemmeno. Stava tutto il giorno fuori per lavoro e tornava solo a prima sera. Appena arrivava, si chiudeva in camera sua e faceva un lungo bagno, poi giocava con Charles prima che il piccino fosse messo a letto ed infine si sedeva con lei a tavola per la cena. Durante il pasto si ostinava a parlarle in inglese, ma poiché Barbara non era padrona della lingua, la loro conversazione si limitava a qualche monosillabo. Dopo fumava un sigaro in salotto leggendo qualche libro, ma già alle nove le dava la buonanotte e si ritirava nella sua stanza. Lei se ne restava accanto al fuoco, ripromettendosi di non avvilirsi subito, ma la sconsolata solitudine e il non aver nulla da fare tutto il giorno perché Angelina continuava tenacemente ad impedirle di prendersi cura della casa e del bambino, a volte le facevano persino rimpiangere la casa del fratello dove la presenza dei ragazzi, l’enorme mole di lavoro da svolgere e persino le isterie di Luisa, almeno la facevano sentire viva.

Per fortuna la prima, orribile settimana ebbe termine e la domenica Robert le comunicò che alle dieci sarebbero andati in paese ad ascoltare la messa nella chiesa di Santa Maria della Neve. Il vecchio parroco, don Giustino, era ansioso di conoscerla, così come gli altri paesani.   
Barbara si preparò con cura per non sfigurare e mentre saliva sul calesse, chiese al marito come avrebbe dovuto comportarsi con sir  Bradley e sua moglie.

- Non ci saranno. – le rispose lui - Erano a Londra in visita a mia suocera. Pare che costei abbia preso molto male il fatto che io mi sia risposato e per consolarla e farle compagnia hanno deciso di trascorrere con lei il Natale. Dopo andranno in Galles dove sir Bradley possiede altre miniere. Non so quando torneranno.

Come al solito le aveva risposto in inglese e poiché a stento aveva colto il senso delle parole, non comprese cosa significasse per lui la reazione avuta dagli ex suoceri nel sapere del loro matrimonio e cosa dovesse mai aspettarsi.

Comunque fu lieta di conoscere  don Giustino che l’accolse bene e le sembrò subito una gran brava persona. Grazia si affrettò a presentarla alle poche signore, consorti degli impiegati della miniera, che non l’avevano conosciuta nella sua precedente visita. Anche diversi minatori le si fecero intorno, presentandole le mogli ed i figli. Forse tutti le facevano festa solo per rispetto a Robert che era secondo solo al padrone della miniera per importanza ed autorità,  ma ugualmente Barbara si sentì rinfrancata dal loro calore umano e trovò la forza di sorridere ad ognuno.

- L’ingegnere non poteva scegliere una moglie migliore – commentò l’anziano sacerdote quando, dopo la funzione, invitò qualcuno in sacrestia per stappare qualche bottiglia di vino in onore della sposa – pensate, si chiama anche Barbara, come Santa Barbara, la patrona dei minatori.

- Ed è anche bella come la Santa – disse Giovanna che per il solo fatto di essere la governante in casa Bradley era diventata una persona autorevole nella piccola comunità.

- Allora ci rivolgeremo a lei affinché interceda per noi con l’ingegnere – aggiunse allegro Gaetano Spalice, il capo dei minatori.

Tutti risero ed anche Robert si abbandonò ad uno dei suoi rari  sorrisi che lo rendevano più bello.

- Andiamo, non avete nulla da lamentarvi!  Dove lo trovate uno migliore di me? – scherzò -  Comunque, se vi fa piacere, rivolgetevi pure a mia moglie: è senz’altro una persona buona e sensibile ed otterrete da lei tutto il conforto di cui avete bisogno. Non è così, mia cara?

Pronunciando quelle parole, l’aveva affettuosamente stretta a sé traendola per la vita e Barbara rabbrividì al suo contatto. Possibile che il marito fosse un attore tanto bravo da fingere con naturalezza un affetto per lei che in realtà era ben lontano dal provare? Ancora una volta, suo malgrado, una piccola speranza le riscaldò il cuore.

Più tardi, prima di ritornare a casa, Grazia la chiamò un po’ in disparte e le disse seria, in presenza di Lino:

- Di’ la verità figliola, c’e qualcosa che non va tra te e tuo marito?

La ragazza li guardò perplessa senza trovare la prontezza di rispondere, mentre l’uomo  aggiungeva:

- Noi ti vogliamo bene e siamo stati anche i tuoi compari d’anello, con noi ti puoi confidare.

- Perché mi fate questa domanda, cosa vi fa pensare che possa esserci qualche difficoltà?

Un po’ avvilito, il vecchio le confidò le voci già sentite in giro, a nemmeno una settimana dal loro arrivo ad Ingurtosu.

- Pare che Angelina abbia cominciato a dire a tutti che siete una coppia strana perché dormite in stanze separate e tuo marito non ti rivolge nemmeno la parola.

- La cosa peggiore è che l’ha raccontato a Giovanna. Lei è mia amica ma forse le potrebbe venir voglia di andarlo a riferire a lady Margaret quando ritornerà. Quella nobildonna spocchiosa potrebbe essere molto soddisfatta nel sapere che tu e Robert  non andate d’accordo – aggiunse la moglie.

- Non è affatto vero, siamo una coppia felice ed affiatata e non siamo per nulla tenuti a mostrare ad una persona di servizio la nostra intimità. La verità è che quella donna non mi piace, è furba e maligna e se ne deve andare da casa mia! Forse ha intuito le mie intenzioni ed è per questo che sta cominciando a diffondere maldicenze su di noi.

- Se è così vedi di fare in fretta, figlia mia. Questo è un piccolo ambiente e le chiacchiere fanno presto a rovinare la reputazione alla gente.

- Non vi preoccupate, ne parlerò a mio marito oggi stesso.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Mentre comincio con il ringraziare tutte coloro che stanno continuando a seguire questa lunga storia, non posso fare a meno che congratularmi con la mia amica Arte che, ancora una volta, non solo riesce a cogliere perfettamente le cose che volevo dire ma persino a chiarirle  nei suoi commenti meglio di quanto non saprei fare io. Ma anche Cricri e le mie “nanette” hanno afferrato bene la situazione ed il carattere di Barbara tant’è vero che il prossimo capitolo, che pure è stato scritto tanto tempo fa, sembra quasi raccogliere i loro suggerimenti… Complimenti anche a loro.

Che lettrici in gamba che ho!

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Capitolo 10

 

Barbara era una persona più che buona, ma quando qualcuno si dimostrava cattivo,  non esitava a difendersi.

Appena arrivati a casa, mentre Angelina serviva loro il pranzo domenicale, decise che era venuto il momento di prendere in mano le redini della situazione. Colse l’occasione dal modo in cui la donna serviva a tavola per rivolgerle un aperto rimprovero.

- Ve l’ho detto tante volte: per servire l’insalata dovete usare le apposite posate! Andate in cucina a prenderle – le disse molto freddamente e con un tono autoritario mai usato prima.

La domestica  ci rimase di stucco, ma si limitò a guardare Robert che aveva alzato stupito lo sguardo ad osservare la moglie. Risentita, si  allontanò per andare in cucina, non senza borbottare a bassa voce.

Appena furono soli, Barbara si rivolse al marito, molto decisa.

- Se ne deve andare, vuole fare da padrona e la cosa non mi piace. Per favore, diglielo, dalle quello che le spetta e mandala via.

- Non farmi entrare in queste beghe da donne! – le rispose lui, palesemente irritato ed in inglese.

Barbara però questa volta non intendeva cedere e continuò a parlargli in italiano per potersi esprimere meglio.

- Non sono beghe da donnette. Non mi fa governare la casa e non lascia  Charles  affezionarsi a me.

- Non ho alcun motivo per mandarla via, mi pare che il suo compito lo svolga egregiamente e non è giusto togliere il lavoro ad una persona solo perché ti sta antipatica.

Barbara si infuriò.

- Ah sì? E allora mi spieghi perché non ti sei limitato a tenerti lei come governante ed hai voluto sposare me? Cosa ci sono venuta a fare io qui, la bella statuina?

- Te l’ho spiegato il perché avevo bisogno di una moglie e non di una governante – le rispose, calmo e guardandola con umiltà, come a volerla rabbonire.

- Bene. Però potevi anche risparmiartelo un simile sacrificio poiché quella brava donna sta già dicendo a tutti che siamo strani e che in realtà non siamo davvero marito e moglie. Naturalmente la prima a saperlo sarà lady Margaret e sai quanto ci metterà a riferirlo alla sorella!

Robert parve preoccupato da una simile notizia.

- Davvero sta facendo questo? – le chiese corrugando la fronte.

- Te ne meravigli? Quando si fanno certe cose non si può tenere gente di quella risma in casa che ti osserva e ti spia. Te l’ho detto, devi mandarla via.

- Ma tu non ti affaticherai troppo a mantenere la casa da sola e ad occuparti anche di Charles?

- Non sarò da sola, ci saranno Maria e Giosuè a darmi una mano e poi cercherò di trovare qualcuna un po’ più fidata. Per quanto ti riguarda poi, ci stai così poco in casa ed anche quando ci sei ti mostri così indifferente a tutto che non vedo quale differenza possa fare per te la presenza di una cameriera o di un’altra. Nemmeno me vedi, figuriamoci una donna di servizio!

Era stata volutamente dura, ma Robert non raccolse la provocazione e si limitò a dirle con il viso serio ed addolorato:

- Va bene, faremo tutto quello che vuoi tu.

Dopodiché, senza neanche finire di mangiare e dichiarando di aver bisogno di un po’ d’aria, disse che si sarebbe fatto sellare il cavallo e sarebbe andato a fare una passeggiata.

 

 

Sostenere tutte le responsabilità e tutto il lavoro non fu certo un’impresa facile per Barbara, però quando finalmente Angelina se ne andò, si sentì come liberata da una presenza maligna. La prima cosa a migliorare fu il suo rapporto con il bambino il quale a poco a poco incominciò a conoscerla e ad accettarla. Benché tanto piccolo, dimostrava già un indole assai sensibile e molto bisognosa d’amore. La donna non chiedeva altro ed incominciò ad occuparsi di lui con tanta gioia e tanta tenerezza che ben presto divennero legatissimi l’uno all’altra. Barbara amava moltissimo i bambini, ci sapeva fare con loro ed era per sua natura molto affettuosa. Il piccolo Charles che non aveva mai conosciuto né la tenerezza né il gioco se non nei pochi momenti dedicatigli dal suo occupatissimo padre, trovò in lei un calore così grande che divenne presto meno piagnucoloso e triste. Lei lo prendeva molto spesso in braccio, lo baciava, lo faceva ridere e soprattutto gli parlava tantissimo, portandoselo dietro dovunque andasse. Già dopo pochi giorni si avventurarono insieme sul calesse fino allo spaccio in paese  e qualcuno dovette avvisare Robert della cosa perché li raggiunse subito, mostrandosi molto inquieto.

- Che ci fai qui con Charles? – le chiese prendendoglielo dalle braccia.

- Perché, che c’è di strano? Cos’ha questo bimbo da non poter uscire?

- Fa freddo – obiettò il padre.

- È ben coperto – gli rispose.

- Potrebbe essere pericoloso, sarebbe stato meglio tenerlo a casa.

- Non ho a chi lasciarlo e poi, te lo ripeto, uscire gli fa bene. Insomma fidati di me.

Nel guardare il visino bianco e rosa del bambino e la sua aria felice, Robert capì che davvero poteva fidarsi perché il figlio era in buone mani.

Da quel giorno non obiettò più nulla alle loro continue passeggiate.

Anche nella conduzione della casa Barbara stava rivoluzionando tutto e più di una volta, tornando dal lavoro, il giovane ingegnere trovò lei ed i due domestici ancora impegnati nelle grandi pulizie.

- Ce n’era un gran bisogno – gli spiegò una sera mentre erano a cena – questa casa era sporca e trascurata. Abbiamo dovuto fare una pulizia radicale e vorrei che tu ricompensassi per questo Giosuè e Maria con un piccolo extra.

- Lo farò senz’altro – la rassicurò sorridendole.

- Grazie, senza di loro non avrei potuto far nulla e sarebbe stato un vero peccato. È una bella casa questa e ci sono dentro mobili ed arredi di valore che potrebbero andare in rovina se non venissero tenuti come si deve. L’avete arredata tu e Julie?

L’uomo sembrò quasi non volerle rispondere, poi invece le disse:

- No, li abbiamo trovati già qui. Anzi, ti ringrazio per la cura che ne avrai  perché non sono cose mie, appartengono a sir Bradley.

Stupita, Barbara gli chiese:

- Quindi qui non c’è niente di tuo o che sia appartenuto a tua moglie?

- Solo qualcosa acquistata dopo il matrimonio. Quando sono venuto ad Ingurtosu, vivevo al villaggio, nella casa per i minatori senza famiglia. Non avevo e non ho nulla di mio. Quando ho sposato Julie, sir Bradley ci ha concesso di venire in questa casa perché non avevamo dove andare né la possibilità di arredarcene una.

- Ma scusa, tua moglie non era ricca?

- La sua famiglia lo era, lei no. Quando ha scelto me, si è messa contro i suoi che l’hanno diseredata. Quando ci siamo sposati aveva solo gli abiti che indossava e se non fosse stato per l’aiuto dello zio che non mi ha mandato via, saremmo stati disperati.

La donna rimase un attimo pensosa, poi commentò, con il viso basso e molto melanconica:

- Si vede che è una tua specialità prenderti le mogli senza dote. Anche con me l’hai fatto, anch’io non ti ho portato nulla. 

Lui sorrise.

- Nulla?- le disse con sincerità, prendendole una mano -  È nulla ciò che fai per me, per Charles e per questa casa? Se dovessi pagarti uno stipendio, andrei in rovina per quanto dovrei darti! Però, mia cara, affrettati a trovare una persona di servizio, perché non è giusto che tu debba faticare tanto. Hai le mani sciupate dai lavori  e vai avanti e indietro tutto il giorno senza tregua. Io non ti ho sposato per farti fare la serva ed è questo ciò che penseranno tutti se continuerai così!

Mortificata, Barbara si nascose le mani in grembo e si affrettò a precisare.

- Non ti preoccupare, ho incaricato Giovanna, Grazia e persino padre Giustino di trovarmi una persona fidata. Vedrai, sarà solo per poco e non dovrai più vergognarti di me.

- Non fraintendermi, io non volevo dire questo, volevo solo dire che non devi sacrificarti troppo. Mi sento in colpa per questo.

- Lo faccio volentieri, te l’assicuro.

 

Nonostante le sue rassicurazioni, Barbara sapeva benissimo che Robert ci teneva a salvare le apparenze. Fu per questo che il 4 dicembre, giorno di Santa Barbara e del suo onomastico, gli chiese il permesso di dare una festicciola a cui invitare qualche persona più importante della piccola comunità. Robert acconsentì subito, anche perché  in onore della Santa Patrona dei minatori avrebbe concesso una mezza giornata di libertà a tutti.

Non fu affatto una cosa semplice organizzare tutto per benino. Barbara dovette procurarsi l’occorrente per preparare il buffet e allestire il salotto che da lunghi anni ormai non veniva più usato per ricevere. Dovette fare anche tutto da sola perché in quel genere di cose Maria non le poteva essere di nessun aiuto. Ma era una donna svelta ed efficiente e già il primo pomeriggio del giovedì  era tutto pronto per ricevere gli ospiti. Questi, in realtà,  non erano altri che gli impiegati della miniera con le loro consorti, il capo dei minatori, la solita Giovanna e padre Giustino, ma furono ricevuti con tutti i crismi. Trovarono un bel rinfresco, la casa  pulita e scintillante di luci, il bambino florido e vestito come un principino  e la padrona di casa gentile ed elegantissima nel suo abito azzurro, lo stesso indossato il giorno del matrimonio.

Quando tutti se ne furono andati ed ebbe messo a letto Charles che crollava dal sonno, Barbara tornò per un attimo in salotto. Trovò il marito ancora seduto lì a sorseggiare un bicchiere di whisky.

- È andato tutto bene mi sembra. Ti ho fatto fare bella figura con i tuoi impiegati? – gli chiese.

- Sei stata perfetta, talmente perfetta che devo chiederti ancora una cosa – le disse dopo aver vinto una certa esitazione.

- Dimmi.

- Ogni anno, a Natale, qui si organizza una festa per i minatori. La si tiene nella sala accanto alla chiesa. Vengono dati doni ai bambini, si offrono dolci e pietanze speciali, interviene un’orchestra e si balla un po’. Insomma per questa povera gente che di distrazioni ne ha così poche, è un vero e proprio avvenimento mondano Quest’anno però non potremo farla perché è stata sempre lady Margaret ad occuparsi di organizzarla ed ora lei è a Londra. Proprio stasera padre Giustino mi diceva che sono tutti molto dispiaciuti per questo e c’è molto scontento in giro. Sir Bradley l’aveva immaginato, infatti me ne aveva parlato in una sua lettera di qualche tempo fa. Vorrei potergli dire che te ne potresti occupare tu, ne sarebbe molto sollevato senza contare che faresti un’opera buona per questa povera gente.

Barbara lo guardò spalancando gli occhi dallo stupore.

-  Ma io non so neanche da dove cominciare!- obiettò.

- Per favore, fai questo sacrificio, sono sicuro che sei troppo in gamba per non riuscirci. Poi ci saranno  Grazia e le altre signore ad aiutarti e persino il parroco sarà a tua completa disposizione.

La donna non ebbe il coraggio di rifiutare e così si lanciò in quell’altra avventura che la tenne impegnata fino alla Vigilia di Natale.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

 

Alla festa organizzata da Barbara andò tutto benissimo. Nella sala addobbata con luci e festoni, i più giovani si divertivano a danzare, mentre gli adulti, seduti tutt’intorno, li osservavano soddisfatti. Il rinfresco servito in precedenza era stato ottimo ed i bambini avevano ricevuto i giocattoli tanto attesi per tutto un anno.

Accanto a Robert, Barbara appariva bella e cordiale e forse per l’eccitazione, forse per il caldo che faceva lì dentro, il rossore le faceva risaltare ancora di più i grandi  occhi colore dell’ambra.

- Sei stanca vero? – le chiese premuroso il marito mentre le toglieva dalle braccia Charles, quella sera abbastanza in vena di capricci.

- Un po’. E poi questo birbante ha appena cominciato a camminare e non ne vuole sapere di stare un attimo fermo – gli rispose passandosi una mano sulla fronte con un gesto stanco.

- Sei stata brava ad organizzare tutto questo. Sir Bradley ne sarà molto contento quando lo verrà a sapere.

- A dire il vero di lui non me ne importa un granché, per me l’importante è che siano state contente tutte queste brave persone. E tu, naturalmente – aggiunse guardandolo dritto negli occhi.

- Certo che lo sono! Ti sono grato e non solo per questo, ma anche per tutto quello che stai facendo per me. Sei davvero una donna meravigliosa.

Barbara gli sorrise, felice della nota di sincerità che gli aveva udito nella voce.

- Prego, non c’è di che! – gli rispose allegra, mettendosigli con familiarità sottobraccio.

 

Anche il giorno di Natale fu piuttosto stancante: il pranzo da preparare, il bambino bisognoso delle sue attenzioni, la messa a cui partecipare. Soltanto nel pomeriggio la poverina ebbe un attimo di tregua. Dopo aver lavato i piatti, era appena tornata in salotto con l’intenzione di stare un po’ accanto al marito, quando questi si alzò, dicendole che sarebbe uscito.

Benché fosse stato per tutto il giorno calmo e cortese come sempre, Barbara aveva notato in lui sin dalla mattina una grande tristezza. Aveva cercato di farlo distrarre dandogli da parlare, ma tutto era stato inutile  e così aveva deciso di rispettare i suoi silenzi ed il suo pessimo umore lasciandolo stare. Ma vederlo uscire in quello stato di prostrazione e per giunta da solo proprio il  pomeriggio di Natale, le diede una gran pena.

- Robert! – protestò –  Fa freddo fuori, dove vuoi andare?

- Solo a fare una passeggiata a cavallo, nient’altro. Prima del tramonto sarò di ritorno. Scusami, ma  d’altronde certi giorni per te non sono nemmeno una gran compagnia ed allora preferisco fare una cosa che mi aiuta sempre a calmarmi.

- Non potresti farne a meno almeno oggi che è Natale?

- Sai, Barbara, per me ha smesso di essere Natale tanto tempo fa. Oggi è un giorno come tanti altri, anzi, forse è un po’ peggio degli altri perché mi ricorda ancora di più che una volta era una festa bellissima che vivevo vicino a chi amavo.

- Fai come vuoi – gli disse un po’ delusa ma poi lo richiamò perché si sentiva troppa amarezza dentro per essere considerata ancora una volta solo un’estranea.    
Quando lui si voltò per ascoltare cosa volesse, incontrò lo sguardo di lei, severo, ma calmo:

- Almeno fammi gli auguri. Me li hanno fatti tutti, solo tu no. Io ci tengo ancora, se permetti!

- Perdonami – mormorò abbassando gli occhi molto mortificato da quel meritato rimprovero - buon Natale, allora  - aggiunse in un sussurro, dopodiché se ne andò e lei non ebbe il coraggio di trattenerlo ancora.       
Si alzò ed andò a prendere il piccolo Charles che giocava seduto sul tappeto accanto al camino. Se lo mise in grembo e cominciò a dargli tanti teneri bacini sulla guancia morbida e tonda. Mentre lo faceva, pensava che anche lei aveva trascorso tanti giorni di Natale accanto a persone amate che ora non c’erano più, ma non per questo avrebbe perduto la speranza e la voglia di amare ancora. 
Il piccolo rise al contatto delle labbra morbide della donna e voltando il capo verso di lei, le rivolse un sorriso radioso, gli occhi azzurri, identici a quelli del padre eppure così diversi perché quelli dell’uomo erano colmi di dolore e di malinconia, quelli del bimbo ora brillavano di gioia.

 

Passata la confusione per il Natale, cominciò ad avere un po’ più di tempo per adattarsi alla nuova vita. Il clima che era stato clemente fino ad allora, si era messo al brutto e per forza di cose dovette limitare le uscite con il piccolo. Curato ed amato come non mai, intanto quest’ultimo diventava ogni giorno più vivace e grazioso. Era sempre stato molto inappetente, ma mentre Angelina non aveva né la voglia né la pazienza per farlo mangiare, Barbara era capace di trascorrere anche intere ore ad imboccarlo e studiava le pietanze  più gustose per stuzzicargli l’appetito. I risultati non tardarono a farsi vedere ed in poco tempo Charles si trasformò in un bimbetto paffuto che trotterellava per tutta la casa e cominciava anche a parlare. Non era certo una cosa eccezionale perché oramai aveva già diciannove mesi, ma l’abbandono in cui era stato lasciato in precedenza non aveva certo favorito il suo sviluppo. Il linguaggio che usava era invero un po’ strano, un miscuglio di parole inglesi ed italiane tutte pronunciate a modo suo,  ma forse anche per questo  era talmente simpatico nell’esprimersi che tutti lo trovavano delizioso. A metà mattina si faceva sempre un sonnellino di un paio d’ore e Barbara ne approfittava per dedicarsi alle faccende domestiche  in quanto, nonostante tutti i suoi sforzi, non aveva ancora trovato una persona di servizio all’altezza della situazione.

 

Una fredda mattina di fine gennaio, si recò come di consueto a rigovernare la camera da letto di Robert. Di solito svolgeva questo compito piuttosto in fretta, ma quel giorno aveva voglia di prendersela con calma. Per la prima volta dopo tanto tempo si mise ad osservare la stanza per cercare di capire da essa le abitudini del suo riservatissimo proprietario. Notò ad esempio come il grande letto matrimoniale che lui aveva già condiviso con la prima moglie, anche adesso che ci dormiva da solo, apparisse assai disfatto, a dimostrazione di quanto le sue notti dovevano trascorrere agitate.  
Sul comodino c’era un ritratto di Julie in una bella cornice d’argento e davanti ad esso un piccolo vasetto di cristallo con dei fiori di campo. Già da tempo Barbara aveva notato che erano sempre freschi e poiché non era lei a sostituirli ed in casa non c’erano altri, aveva pensato che dovesse essere Robert a farlo, anche se non l’aveva mai visto portarli su, forse perché doveva tenerli nascosti sotto il mantello o dentro il giornale. 
Sul tavolino accanto a una poltrona c’era sempre un posacenere colmo e una bottiglia di whisky,  segno che anche se si ritirava alle nove di sera, lui trascorreva ancora molto tempo a fumare e a bere. Si era sempre limitata a gettare via le cicche e a sostituire il bicchiere sporco con uno pulito, ma questa volta fece caso alla grande quantità di mozziconi ed al fatto che il giorno precedente la bottiglia era quasi piena ed invece adesso conteneva solo due dita di liquore. Meno di una settimana prima aveva visto Giosuè salire in camera del marito un’intera cassetta di bottiglie, così, per curiosità, la cercò. Era in un armadio, quasi dimezzata. Robert beveva e fumava troppo, su questo non c’era dubbio e la cosa non le faceva certo piacere.

Intanto tutto era silenzioso e calmo. Dalla stanza vicina attraverso la porta aperta le arrivava il suono del respiro regolare del piccolo Charles che dormiva tranquillo, mentre il picchiettare di una pioggia leggera sui vetri le teneva compagnia.

Una strana smania la prese e contrariamente a quanto sarebbe stato giusto fare, si sedette allo scrittoio di Robert e ne aprì i cassetti. Dentro però non c’era nulla che le parlasse di lui, solo conti, appunti di lavoro, cose senza importanza. Stava per andarsene quando gli occhi le caddero sul cassetto centrale della piccola alzatina, chiuso e senza nessuna chiave per aprirlo. Rammentando che suo padre aveva posseduto uno scrittoio simile, tolse il cassettino laterale e con le dita, alla cieca, cercò la piccola molla che avrebbe fatto scattare il segreto. La trovò, la spinse  ed infatti il cassetto centrale si aprì.  Per prima cosa  il suo sguardo si posò su una miniatura la cui modella doveva essere stata  Julie. Certo era stata molto bella, così bionda e delicata. Immaginò quante volte l’uomo doveva aver preso quel ritratto per guardarlo, rimpiangendo la donna amata. Accanto c’era un carnet con la copertina di madreperla, di quelli tenuti ai balli dalle ragazze di buona società per annotare il nome dei giovanotti che prenotano una danza con loro. C’era una data: 22 dicembre 1897 e segnati alcuni nomi, Edward, George, Alan e poi Robert ed a questo punto non ce n’erano altri, ma ripetuto fino alla fine delle pagine, fitto fitto, solo Robert, Robert, Robert… Barbara rammentò che una volta lui le aveva detto che si erano conosciuti ad una festa ed immaginò cosa volesse significare per entrambi quel piccolo carnet. Lo posò piano, con rispetto, ma la sua curiosità non si era ancora placata e nonostante in cuor suo si rimproverasse per tanta indiscrezione, prese in mano un pacchetto di lettere legato da un nastro rosso. Con la sua scrittura bella e regolare, Julie scriveva al giovane incontrato la sera del ballo. Le lettere, la prima delle quali era datata 5 gennaio 1898 ed  era abbastanza formale, divennero sempre più frequenti ed intense. Non le lesse tutte, un po’ perché erano troppe ed un po’ perché erano in inglese e qualche termine ancora le sfuggiva, ma da esse ricostruì la loro storia d’amore e le difficoltà incontrate dalla ragazza per l’opposizione dei genitori ad una unione con un uomo, figlio di poveri minatori, di rango tanto inferiore al loro.     
Ma non erano le sole lettere conservate nel cassetto, ce n’era un altro pacco. Riconobbe la scrittura di Robert. Incapace di resistere al desiderio di sapere, le prese e le incominciò a leggere avidamente. Colui che incontrò nelle pagine appassionate, era ben diverso dall’uomo controllato e freddo che aveva avuto modo di conoscere, era una persona colma di tenerezza, di gioia, di amore, a cui nessuna donna avrebbe mai potuto resistere. Evidentemente non c’era riuscita neanche la dolce Julie che per ricchezza e bellezza  avrebbe potuto aspirare al meglio ma che invece per lui non aveva esitato a lasciare ogni cosa.

Charles intanto si era svegliato  e con la sua vocina allegra la riportò alla realtà. Rimise tutto a posto  ed andò a prenderlo in braccio. Dolcissimo, il bambino le sorrise e balbettò una parola tenera che negli ultimi tempi usava spesso: mamma. Barbara lo strinse forte e lo baciò. Quanto era prezioso quel bambino, frutto di un amore così grande e così sfortunato!
Eppure, pensò, anche se per poco, la povera Julie aveva conosciuto un sentimento vero ed appassionato così come è difficile provare nella vita. Tutto sommato era stata più fortunata di lei. Forse la felicità può essere racchiusa anche in un tempo infinitamente breve, anche un solo istante può essere eterno e dare di più di una lunga, inutile vita trascorsa senza mai aver conosciuto l’ebbrezza dell’amore vero.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

 

I suoi rapporti con il marito, anche se improntati alla massima correttezza,  rimanevano molto formali. Barbara non si era aspettata di più però c’era una piccola cosa che le causava un certo fastidio. Tutti, persino la cognata Luisa che con lei non  era mai stata tenera, l’avevano sempre considerata una  bravissima cuoca. Per questo motivo si era abituata a ricevere continui complimenti per le pietanze che preparava, Robert invece non aveva manifestato di gradire nemmeno una volta qualcosa cucinato da lei. Mangiava con appetito e di tutto, ma forse non gli piaceva la sua cucina. Si era sforzata pertanto di preparargli manicaretti sempre più succulenti ma ogni tentativo si era scontrato con la sua costante indifferenza, lasciandola molto indispettita.       
Una sera notò che nemmeno aveva toccato la minestra di cavolo e, cogliendo lo spunto, gli chiese perché non la mangiasse.

- Non mi va, non ho fame – le rispose lui scostando il piatto.

- Non è che diventi anche tu inappetente come tuo figlio adesso? – provò a scherzare.

- No,tranquilla, non c’è pericolo – sorrise l’altro  -  prenderò volentieri la carne e le patate.

- Dovresti assaggiare questa zuppa,  invece. È un cavolo che mi ha portato Salvatore Sannia stamattina: è del suo orto ed è davvero buonissimo. Assaggialo, dai.

- No grazie, non mi piace il cavolo.

- Davvero? E perché non me lo dicevi? Sai, con te è difficile intuire cosa ti piace e cosa no, non fai mai commenti, butti giù tutto senza dire mai una parola ed io non so neppure se le cose che ho cucinato  sono state di tuo gradimento o meno – sbottò, tirando fuori il proprio risentimento.

- Non è questo, è che non m’ interessa molto ciò che mangio.

- Me ne sono accorta. Evidentemente t’interessa molto di più fumare come un turco e bere come una spugna! – commentò la donna, molto  acida.

Robert provò un certo fastidio anche se la sua unica reazione fu un guizzo della mascella. Aspettò qualche attimo per riprendere la calma prima di risponderle.

- Non metterti a fare la moglie adesso e a criticare le mie abitudini – disse -  non mi sembra il caso.

- Non è mia intenzione farlo, però ho notato davvero che bevi troppo.

- Lo reggo bene, mi pare. Mi hai mai visto ubriaco?

- No, ma ti fa male lo stesso.

- Oh, come ci tieni alla mia salute! – la rintuzzò ironico per poi aggiungere -  Dati i nostri rapporti, mi sembra fuori luogo che tu ti debba preoccupare per me.

- Invece ti sbagli, non lo è, nonostante i nostri rapporti. In fondo sei stato tu a volermi sposare e poiché oramai sono tua moglie, sei diventato il mio unico sostentamento oltre ad essere l’investimento per la mia vecchiaia. Capirai, la prospettiva che tu ti faccia  venire un accidenti per la tua sregolatezza lasciandomi  già vedova  con un bambino piccolo da crescere, non è molto allettante per me. Se t’invito a badare alla tua salute è solo per questo, non certo perché m’importa qualcosa di ciò che fai.

Aveva parlato guardandolo dritto in faccia, con gli occhi che le luccicavano e la bella bocca sdegnosa. L’uomo la guardò con ammirazione: decisamente quella donna non si faceva mettere sotto da nessuno ed il suo senso pratico era un enorme aiuto per lui che si sentiva sempre così sbandato. Le sorrise e le disse scherzoso:

- Non si preoccupi, signora moglie, cercherò di stare più attento in modo da provvedere a lei per tutto il tempo necessario.

Barbara non gli rispose e nemmeno sorrise. Gli aveva tenuto testa, ma non si sentiva soddisfatta, forse perché non era quello il vero motivo della sua preoccupazione. D’altronde non avrebbe mai potuto dirgli la verità. Per Robert era solo una collaboratrice, non certo una moglie innamorata.

 

L’ingegnere Forrest cercò di mantenere la promessa di bere di meno, ma la mancanza d’alcool e l’inverno che avanzava impietoso togliendogli anche lo sfogo delle cavalcate solitarie, lo avevano reso assai nervoso. Durante la settimana, il lavoro e le responsabilità lo assorbivano completamente, ma le giornate di festa erano una vera pena. Barbara se n’era accorta e non riuscendo a far nulla per calmarne l’agitazione, si limitava ad osservarlo in silenzio. In lui c’era come un’involontaria smania di autodistruzione che veniva fuori all’improvviso e che le faceva molta pena.

Una domenica, prima di andare a messa, aveva dovuto richiamarlo perché se ne stava fuori a spaccare la legna a torso nudo, incurante della temperatura gelida dei primi di febbraio. Quando l’aveva rimproverato dicendogli che così si sarebbe preso un malanno, l’aveva solo guardata con uno sguardo molto malinconico sul  viso sciupato ed aveva ripreso il lavoro, senza neanche risponderle. Era rimasta ad osservarlo, intuendo che tutta quella furia era volta unicamente a stancare il corpo, quasi una penitenza a cui il giovane uomo desiderava sottoporsi.  Suo malgrado, aveva provato l’irresistibile voglia di abbracciarlo, riscaldargli con il proprio calore la pelle gelata e cancellargli a furia di baci quell’espressione triste dal viso. Purtroppo i suoi sentimenti non contavano nulla per lui e così,  con un sospiro,  era tornata a casa a prepararsi per andare a messa.

Il resto del giorno era passato tranquillo perché in mezzo alla gente erano talmente occupati a recitare la parte degli sposi felici che quasi ci credevano loro stessi, ma una volta tornati,  l’inquietudine del giovane si era di nuovo manifestata.

Fuori faceva freddo e pioveva molto e mentre Barbara giocava con Charles, lui andava su e giù per il salotto come un leone in gabbia. La donna s’imponeva di ignorarlo e dedicava tutta la sua attenzione al piccolino che stava facendo degli scarabocchi con delle matite colorate. Ad un tratto questi, tutto felice e soddisfatto della propria opera, prese il foglio e glielo mostrò dicendo con la sua fresca vocina infantile, ma scandendo bene le parole pronunciate in perfetto italiano:

- Guarda com’ è bello, mamma!

Gli stava per rispondere con un sorriso, quando si avvide che Robert si era avvicinato a loro, gli occhi pieni di una strana rabbia.

- Mamma!? È così che l’hai chiamata? Mamma!? – gridò.
Come una furia prese in braccio il bambino, lo porto davanti al caminetto dove c’era appeso uno dei tanti ritratti di Julie presenti in casa,  e glielo mostrò.     
- È lei la tua mamma, stupido, è lei, lo capisci? – continuò ad urlare fuori di sé al piccolo il quale si spaventò ed incominciò a piangere.

- Lo stupido sei tu che non capisci niente! Ma secondo te come può un bambino di questa età comprendere chi è sua madre?

Barbara lo aveva raggiunto e gli si era rivolta  molto adirata.

- Deve impararlo da subito che non sei sua madre. Non tollero che Julie venga dimenticata da suo figlio!

- Ti rendi conto o no che per lui sua madre è chi gli dà da mangiare, chi lo culla per farlo dormire, chi lo consola quando piange? Come può Charles dimenticare sua madre se nemmeno l’ha conosciuta!

Intanto il bambino, molto timido e pauroso per natura, continuava a piangere. Barbara lo strappò in malo modo dalle braccia dell’uomo a cui rivolse uno sguardo talmente corrucciato che sembrava volerlo fulminare.

- Non farlo mai più – gli disse, la voce stravolta dalla collera – mai più! Anzi, se hai ancora questa intenzione dillo subito. Se è così, preferisco andarmene via stesso ora, prima di fare ancora del male a questo povero piccolino che non solo è stato tanto sfortunato da perdere la madre, ma ha avuto anche la sventura di avere un padre ottuso ed insensibile come te!

Robert non le rispose. Aveva gli occhi colmi di lacrime e si voltò verso il quadro della moglie mettendosi ad osservarlo in silenzio. La donna preferì mostrargli il suo sdegno ignorandolo e così, senza aggiungere nulla, portò il bambino in camera.

Le ci volle del bello e del buono per calmarlo. Solo dopo avergli cantato mille canzoncine ed averlo accarezzato a lungo, riuscì a farlo addormentare. Rimase a sorvegliarne il sonno poiché ogni tanto un singhiozzo lo faceva sussultare ed allora gli accarezzava il faccino, sussurrandogli:

- Dormi, amore mio, dormi sereno.

Stava ancora così quando si aprì la porta comunicante con la stanza di Robert e questi entrò, quasi in punta di piedi, avvicinandosi alla culla.

- Come sta? – le chiese.

- Si è calmato.

- Scusami, sono imperdonabile –  disse ancora lui con un filo di voce.

Barbara lo guardò, ancora molto arrabbiata.

- Sì, sei imperdonabile. Perché credi che io voglia rubare alla vera madre l’amore del figlio? Non è mia intenzione, te l’assicuro. Gli parlerò di lei, ma non appena sarà in grado di capire. Ora ha solo bisogno di qualcuno che lo ami e se questo non riesci a comprenderlo, te lo ripeto, è meglio se me lo dici  subito. Solo tu puoi decidere. Non hai nessun impegno né con me né con il mondo esterno, pensa solo a quale può essere il bene del bambino e a quello che Julie avrebbe voluto per il figlio. Ti ho sposato solo perché so di potergli dare ciò di cui ha bisogno, però, se ritieni il contrario,  è meglio che me ne vada via ora, prima di legarmi troppo a lui e che lui si leghi troppo a me.

- Sono stato io a sbagliare, Barbara, non tu. Te lo ripeto, perdonami. Non lo so cosa mi sia preso, forse è che lei mi manca tanto. Troppo. Io sto immensamente male e Julie non c’è più: vedere te ed il bambino felici insieme,  mi è sembrata un’atroce ingiustizia, anche se mi rendo conto che non è affatto così.

- Io  e Charles non abbiamo nessuna colpa di quanto è accaduto. Sei tu che devi trovare la forza di elaborare il tuo lutto e di tirare avanti. Non sarai né il primo né l’ultimo ad aver affrontato un simile calvario, ma purtroppo nessuno ci assicura la felicità quando veniamo a questo mondo. Dobbiamo accettarlo, non possiamo farci nulla.

- Cercherò di farlo, solo… tu non te ne andare, te ne prego – la supplicò.

La donna sospirò, molto seria in volto.

- Non me ne andrò, non temere – gli disse in fine -   però non chiedermi più di quanto io possa darti. Ora resta un po’ con Charles: è ancora agitato e potrebbe svegliarsi.

- E cosa devo fare se si sveglia? – le chiese un po’ sconcertato mentre si  sedeva accanto alla culla.

- Niente. Parlagli solo con dolcezza, carezzarlo. Sei suo padre, ha bisogno di te, soprattutto di te – gli rispose.

- Sono solo uno stupido buono a nulla, Barbara. Tu invece sei una santa, la mia santa protettrice!  Non abbandonarmi mai, ti prego, aiutami …

C’era tanta sincerità nella voce di Robert che la donna, già con una mano sulla maniglia della porta per ad uscire dalla stanza, si fermò e si voltò a guardargli il viso addolorato. Sapeva bene che lui la stava sopravvalutando: non era una santa. Eppure nel suo cuore generoso c’era posto per il perdono e la compassione.

Gli sorrise con dolcezza.

- Certo, sono qui per questo – gli disse e poi si ritirò.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

 

Nonostante stesse facendo uno sforzo immane, Robert non riusciva a calmare la propria agitazione e Barbara se ne avvedeva. Era nervoso, irritabile, sembrava sempre sfuggirla anche se a volte lo sorprendeva a fissarla intensamente. Purtroppo non appena lo guardava a sua volta per cercare di decifrarne l’espressione, distoglieva lo sguardo o si allontanava in fretta. Anche se il tempo era pessimo, aveva ripreso ad uscire a cavallo, a volte anche fino a sera inoltrata, e la moglie restava ad aspettarlo in preda all’ansia senza riuscire a prendere sonno. Una volta che aveva tardato più del solito, lo aveva affrontato, rimproverandolo apertamente per la sua imprudenza. Bagnato fradicio, con i capelli grondanti e gli occhi che luccicavano febbrili, le aveva risposto solo:

- Non ce la faccio! Io così impazzisco!

Barbara non aveva capito cosa volesse dire, ma lui non si era spiegato meglio ed era andato subito a chiudersi in camera.

 

La mattina del 21 febbraio, si era già giunti ormai a sabato grasso, stranamente lo trovò ancora in casa alle otto del mattino. Quando gli chiese come mai non fosse andato a lavoro, le rispose che doveva andare a Cagliari a sbrigare delle faccende per cui sarebbe ritornato solo l’indomani sera.

Rammentando cosa avesse detto una volta Lino in merito alla natura di quelle tali faccende, la donna rimase molto sconcertata.
- Devi andarci per forza? Non puoi mandarci qualcun altro? – gli chiese.

Lui la guardò meravigliato.

- Che c’è, hai paura di stare da sola? In questo caso potresti chiedere a Maria di venire a dormire qui.

Barbara si riprese subito e sdegnosamente gli rispose di non aver paura di niente. Che andasse pure a fare le sue cose, non le importava affatto!

Invece aveva mentito. Le importava, eccome. Se davvero Robert fosse andato in città a cercare la compagnia di una donna, si sarebbe sentita ancora di più umiliata ed avvilita per questo. E poi non era vero che non aveva paura di nulla, una cosa c’era a terrorizzarla ed avvenne proprio la sera del sabato e cioè un tremendo temporale.

Dopo una giornata trascorsa in tranquillità e nella massima solitudine, aveva appena messo a letto  Charles e se ne stava in salotto a ricamare, quando un vento impetuoso cominciò a far tremare tutta la casa ed il cielo fu attraversato da mille saette. Terrorizzata, Barbara non aveva neanche la forza di muoversi e ad ogni tuono si faceva sempre più piccola. Tremando di paura, fu costretta però ad andare a controllare che le numerose finestre della grande casa fossero tutte chiuse. Mentre il bagliore delle folgori illuminava di una luce sinistra le stanze buie, le sembrava quasi che ci fosse qualcosa di minaccioso pronta a ghermirla. Rimpiangeva la presenza rassicurante del marito e si sentiva talmente smarrita e sola che quando finalmente poté ritirarsi in camera, si ficcò sotto le coperte senza nemmeno spegnere il lume. Purtroppo il sonno non veniva a portarle conforto e la sua innata fobia ad un certo punto la terrorizzò così tanto da farla scoppiare in lacrime. Vergognandosi però di quella reazione così infantile, non trovò di meglio che andare nella stanza accanto, prendere in braccio il bambino dormiente e metterselo accanto nel letto. Alla tremolante luce del lume a petrolio, ne osservò il bel visetto abbandonato nel sonno, la boccuccia socchiusa da cui scendeva un filo di saliva, le lunghe ciglia che gli ombreggiavano gli occhi. Gli poggiò una mano sul petto e percepì il battito del cuoricino ed il ritmo regolare del respiro. Stranamente, da quell’esserino così piccolo ed indifeso, sembrò sprigionarsi una sensazione di pace e di protezione che a poco a poco la calmò. Stringendolo con tenerezza, ma piano per non svegliarlo, si lasciò vincere anche lei dal sonno.

 

Robert tornò la sera dopo, molto tardi. Aveva un’aria stanca e gli occhi cerchiati. Le chiese con gentilezza come fossero andate le cose, ma lei non gli diede alcuna soddisfazione.

- Bene. Ti ho lasciato la cena pronta in cucina. Io e Charles andiamo a dormire adesso – gli rispose con freddezza.

Dopodiché non toccò più l’argomento.

 

L’ingegnere Forrest non era mai stato un tipo molto aperto con nessuno, ma con Lino Sulis aveva sempre avuto un rapporto un po’ speciale. Gli era assai affezionato e a dire il vero il brav’uomo meritava senz’altro quell’affetto. Nella sua gioviale bonomia, sapeva trasmettere agli altri un calore che riscaldava il cuore. Tra tutte le persone lì ad Ingurtosu, era stato l’unico ad essergli  stato veramente vicino dopo la morte di Julie. Lo aveva fatto con tale semplicità ed amicizia, facendogli sentire tutto il suo sincero interessamento, che  alla fine  aveva trovato il coraggio di confidarsi con lui.       
Quando aveva appreso del suo disagio gli aveva   consigliato di risposarsi e non si era lasciato scoraggiare dalla sua reazione infastidita. Come se niente fosse, aveva cominciato a parlargli spesso della  figlioccia e della sua disgraziata storia, portandogliela ad esempio per la forza d’animo ed il carattere al tempo stesso dolce ed indomabile. A poco a poco Robert si era quasi affezionato a quella sconosciuta che gli era parsa molto ammirevole per la dignità e il coraggio con cui sapeva sopportare le avversità della vita ed ancor prima di vedere quanto fosse anche bella, aveva pensato che proprio una donna così, abituata alla lotta e alla sofferenza, sarebbe stata la persona adatta ad affrontare l’esistenza accanto a chi, come lui, oramai non credeva più nella vita.   
Ora, dopo cinque mesi di matrimonio,  doveva convenire che Lino non aveva detto il falso quando aveva decantato le doti di Barbara perché era davvero una creatura eccezionale. Anche per questo gli era grato e gli concedeva spesso di allontanarsi dal lavoro per andare a trovare la figlia ad Alghero. Capiva inoltre che per la moglie i coniugi Sulis erano l’unico legame con la sua vecchia casa perciò fu addirittura contento quando, una domenica di inizio marzo, lei gli comunicò di averli invitatati a pranzo perché erano tornati da qualche giorno da uno dei loro soliti viaggetti.

 

Consumarono  insieme un ottimo pranzetto  e Lino, contrariamente a Robert che continuava a mangiare senza far commenti, non mancò di lodare ogni portata. Grazia poi  raccontò per filo e per segno tutto quanto era avvenuto in quei mesi in casa di Alfredo e tra le loro conoscenze, con grande gioia di  Barbara che davvero non riusciva a liberarsi da una punta di nostalgia per ciò che aveva lasciato.  
Aveva chiesto all’amica di comprarle ad Alghero della stoffa per confezionare delle tende nuove e l’altra l’aveva accontentata, portandogliene una molto bella. Così dopo pranzo le due  donne si misero all’opera piene di entusiasmo mentre gli uomini andarono nel portico a fumare e a godersi l’aria fresca che già profumava di primavera.

Mentre tagliava la stoffa con abilità, Grazia colse l’occasione per confidarle le sue preoccupazioni.

- Lino non dovrebbe fumare affatto, il medico gliel’ha impedito – le disse scuotendo la testa.

- Non sta bene?

- Negli ultimi tempi stava sempre male con lo stomaco così io e Marina abbiamo insistito perché si facesse vedere da un medico. Non voleva, diceva che il dottor Sullo non è bravo e che l’unico ad esserlo stato era la buonanima di tuo padre.

- Cosa gli ha trovato? – tagliò corto l’altra, troppo inquieta per soffermarsi sul complimento rivolto al suo defunto genitore.

- Non ha detto nulla di preciso però  aveva una faccia un po’ preoccupata. Gli ha raccomandato di mangiare leggero, di non bere e soprattutto di non fumare, ma avrai appena visto in che conto mio marito tiene queste raccomandazioni.

- Cosa ci volete fare, amica mia, gli uomini sono fatti così! Anche Robert non fa altro che bere e fumare e mi dà molto pensiero.

L’anziana donna la guardò un attimo quasi esitando a parlare, poi si decise a dirle:

- E non è l’unica cosa che ti dà preoccupazione questa, non è così?

- Certo che lo è. Cos’altro potrebbe esserci?

- Le sue visite a Cagliari, per esempio.

Barbara la guardò sbalordita.

- Voi come fate a sapere che è stato a Cagliari se nemmeno eravate qui quando ci è andato?

- Sai, ne parla tutto il villaggio – le rispose l’altra  fingendo di star dedicando tutta la sua attenzione a misurare la stoffa. Sperava che la giovane moglie cogliesse il tono allusivo e non la costringesse ad entrare nei particolari. 
- Addirittura! Un poverino non può andare in un posto per cose sue che ne devono parlare tutti?  - commentò invece lei.

Questa volta Grazia la fissò dritto negli occhi cercando di capire perché la ragazza si mostrasse così lenta a comprendere la situazione.

- Ascolta, figliola – le disse infine, decidendo di parlar chiaro – tuo marito è stato in una casa di tolleranza. Era sabato grasso e parecchi minatori sono andati in città. Lo hanno visto in molti, anche il marito di Annamaria Forte.

Barbara si sentì stringere lo stomaco dall’agitazione.      
- E allora invece di preoccuparsi di suo marito la signora Forte si preoccupa del mio? – commentò.

- Innanzi tutto non è detto che Armando sia stato anche lui in quel brutto posto solo perché ha riferito di aver visto l’ingegnere Forrest entrare inequivocabilmente lì – la rintuzzò l’anziana amica - E poi, anche se fosse, sua moglie ha più di cinquant’anni, è tutta storta per i dolori, hanno quattro figli e sono sposati da più di trent’anni. Ammetterai che c’è un po’ di differenza con voi due che invece siete giovani e non siete sposati neanche  da sei mesi.

La ragazza non ebbe la forza di replicare nulla e l’altra continuò:

- C’è qualcosa che non va, figlia mia? Scusami, ma io mi sento davvero come se fossi tua madre ed anche se certi argomenti sono difficili da toccare, vorrei che tu ti confidassi con me se ci fosse qualche problema.

- No, non c’è nessun problema, va tutto bene. Probabilmente è solo che… forse non trova in me quello che vuole.

La vecchia signora sospirò:

- Lo so bene che sei una brava ragazza ed il tuo fu solo un errore di gioventù, non certo il segno di un’indole poco seria. Però ora le cose sono cambiate, devi metterti in testa che sei sposata ed una donna un marito se lo deve pur sapere tenere senza per questo perdere di rispettabilità! Cerca di essere più affettuosa con lui, prova a dargli un bambino, solo così diventerete davvero marito e moglie.

La ragazza sorrise tra sé con amarezza ma era meglio concludere in fretta quell’argomento penoso. Rassegnata a prendersi la colpa, le disse sorridendo e cercando di non lasciare trasparire alcun sarcasmo dalle parole:

- Non vi preoccupate, cercherò di essere meno virtuosa per il futuro!

 

Quando a sera i coniugi Sulis se andarono, Robert volle  accompagnarli perché Lino non si sentiva molto bene. Barbara ne approfittò per mettere a letto Charles e siccome non desiderava   rimanere da sola con il marito, andò a chiudersi in camera sua senza nemmeno aspettare che rientrasse. Provò a mettersi a letto, ma era ancora presto e il sonno non le veniva. Allora prese un libro e cominciò a leggere. Nel frattempo udì l’uomo rincasare e fare il solito giro per casa per spegnere tutte le luci e chiudere le finestre, poi lo sentì ritirarsi. Inutilmente cercò di concentrarsi nella lettura, i suoi pensieri seguivano tutta un’altra strada e più di una volta si accorse di essere arrivata alla fine della pagina senza aver capito un rigo di quanto aveva letto.  Infastidita, posò il libro e cercò di nuovo di addormentarsi. Sentiva una strana collera nei confronti del marito ed il suo comportamento le sembrava davvero immondo. Ad un certo punto  si rese conto che se non voleva trascorrere una notte in bianco, doveva sfogarsi. Di preciso non sapeva cosa dirgli, era talmente arrabbiata che la sua mente ne era quasi ottenebrata. Guardò l’orologio a pendolo: erano le dieci. Non era troppo tardi e poi da sotto la porta della stanza di lui filtrava ancora la luce, segno che era ancora sveglio. Esitò solo un attimo perché aveva già indosso la camicia da notte di flanella ed aveva sciolto i capelli ma gettando uno sguardo all’immagine di sé riflessa nello specchio, si convinse di essere più che decentemente vestita e poi l’urgenza di parlargli era troppa per perdere tempo a  rivestirsi e a legarsi di nuovo i capelli. Prese il coraggio a due mani e bussò alla porta. Non appena lo sentì dire “avanti” la spalancò quasi con violenza. 
Anche Robert era già a letto e stava leggendo. Indossava un paio di mutandoni di lana ed una camicia molto larga aperta sul petto, un abbigliamento che su chiunque altro sarebbe stato ridicolo, ma che addosso a lui riusciva ad essere persino seducente.
La guardò stupito, corrugando la fronte.

- Barbara,  è successo qualcosa? - le chiese un po’ spaventato.

- Niente, ma dovevo parlarti.

- Non possiamo farlo domani  se non è nulla di urgente?

- No. Tu domani te ne andrai a lavorare all’alba, tornerai, mangerai in silenzio poi verrai a chiuderti in questa maledetta camera e così farai anche dopodomani e domani l’altro ancora. C’è una cosa che devo dirti e devo dirtela adesso: hai intenzione di andare ancora a Cagliari?

L’uomo capì l’antifona e si mise subito sulle difensive.

- Perché, cosa t’importa?

- A me proprio nulla, ma cerca di cambiare posto, almeno, se non vuoi finire ancora sulla bocca di tutti – gli rispose, fredda come il ghiaccio.

- Accidenti! Detesto questi pettegoli che non sanno farsi gli affari propri al punto da arrivare a spiarmi!

- Nessuno ti ha spiato, ti hanno solo visto andare lì ed ammetterai che per un fresco sposo è una cosa piuttosto disdicevole. Certamente loro non sanno del nostro patto, ma anche se lo sapessero, non ci  crederebbero. Ti senti tanto nobile da arrivare a fare certe promesse e poi ti comporti in modo indecoroso andando con le prostitute!

Robert si sentì mortificato ed in colpa. Alzandosi dal letto, si avvicinò al camino e si mise a guardare il fuoco. Stette qualche attimo silenzioso sotto lo sguardo severo di lei poi, in un soffio, le  mormorò:

- Scusami, mi dispiace. Ho provato a resistere, ma non ci sono riuscito. Sono davvero un essere spregevole sia nei confronti tuoi che della mia Julie. Anche se quelle donne per me non hanno nessun valore, non sai quanto mi vergogno di aver avuto un comportamento  così bestiale.

Barbara sospirò. Nonostante tutto le faceva pena. Lo aveva visto stare veramente male e si rendeva conto di quello che un uomo così giovane e vigoroso doveva passare per tener fede alla sua assurda promessa.

- Ma di cosa ti vergogni? – gli disse a questo punto con dolcezza – Ti vergogni di essere ancora vivo? Ti vergogni di essere un uomo e provare impulsi perfettamente naturali?

Lui non osava alzare il capo a guardarla.

 - Sì – le mormorò - vorrei non essere così, non farmi prendere da certe smanie, non provare queste voglie insane. Ma forse è come hai detto tu: è normale per un uomo farsi trascinare  disgustosamente dai propri istinti più bassi. Non sai quanto invidio voi donne che siete invece tanto migliori di noi sotto questo aspetto!

La giovane si lasciò sfuggire una risata sarcastica.

- Migliori? E chi te lo dice che siamo migliori? Siamo fatte anche noi di carne e di sangue proprio come voi. Anche noi proviamo certi desideri, solo che non lo possiamo manifestare, ce lo dobbiamo tenere dentro per non essere giudicate male dal mondo.

Robert si voltò di scatto a fissarla tenendo ancora le mani appoggiate alla mensola del caminetto.

- In ogni caso siamo sempre e solo noi quelle sottoposte a giudizio, è sempre nostra la colpa – continuò lei, accorata -  prendi il nostro caso, ad esempio: nessuno si è sognato di considerare te infedele o vizioso per aver preferito la compagnia di una donna di malaffare alla mia, hanno semplicemente pensato tutti che tu abbia fatto bene ad agire così, che forse me lo sono meritato. Ai loro occhi ora sono una donna fredda ed incapace di amare così come al mio paese invece ero soltanto una poco di buono. Pensaci un po’, allora, ti sembriamo ancora tanto fortunate? Secondo te è tanto meraviglioso essere costrette per tutta la vita ad impersonare un ruolo non nostro e a reprimere i sentimenti e i bisogni più istintivi?

Gli aveva parlato con sincerità, senza alcuno scopo personale, solo perché erano argomenti sui quali aveva riflettuto a lungo e molto spesso,  però, visto che non le rispondeva e continuava a guardarla perplesso, gli augurò la buonanotte e fece per andarsene.

Inaspettatamente il giovane l’afferrò per un braccio e la costrinse a girarsi, traendola vicinissima a sé.

- Anche tu provi queste cose, dimmi, anche tu? – le chiese appassionato.

Barbara avvertì come una vertigine: non gli era mai stata così vicina come adesso. Per un attimo desiderò che la stringesse e  che la baciasse, finalmente. Si rendeva conto di quanto quell’uomo l’attirasse ed il suo smarrimento le si rispecchiò in viso.
Lui se ne avvide e subito la lasciò andare. Distogliendo lo sguardo con imbarazzo, quasi scusandosi, le sussurrò:

- Io non immaginavo che potesse essere così. Mi dispiace, io non volevo metterti in questa situazione, però non posso …

Per la donna fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto. Si riscosse e con tutta la freddezza di cui si sentiva capace, commentò:

- Oh non preoccuparti per questo! Anzi, sai cosa ti dico? Non hai fatto nessun errore a sposare me, non avresti potuto scegliere una persona meglio addestrata ad esercitare un controllo ferreo sulle proprie emozioni. Dormi tranquillo, ingegnere, va tutto bene, ti ripeto, è tutto sotto controllo.

 

Non appena si richiuse alle spalle la porta della sua stanza, Barbara vi si appoggiò, cercando di calmarsi. Non aveva mentito: era una vita oramai che si era dimenticata pure di essere donna. Tutta la passione e la sua enorme energia fisica l’aveva sublimata nel sacrificio e quasi si era sentita salva ad un certo punto. Ma aveva preteso troppo da se stessa quando aveva sposato un uomo che l’affascinava in quel modo e che invece  non la voleva.
Si guardò di nuovo allo specchio e ciò che vide fu l’immagine di una giovane ancora bella. Ma quel corpo così piacente non avrebbe mai potuto provare le carezze di suo marito, anche se le desiderava ardentemente. La vicinanza di Robert aveva risvegliato la sua femminilità da tanto tempo assopita e si rendeva conto di quanto ciò le facesse male. Se avesse potuto, se la sarebbe strappata dal ventre così come avrebbe gettato via la giovinezza che ancora la faceva vibrare di sensualità. Come avrebbe voluto essere vecchia ed inaridita, senza più desideri, senza più amore, come un vecchio tronco senza più linfa vitale, ma finalmente in pace! 

Un singhiozzo represso le scosse il petto e, per calmarsi, aprì la finestra, appoggiandosi ai vetri. L’aria fredda della notte di marzo le fece lacrimare gli occhi o perlomeno così volle credere, ignorando apposta che quelle lacrime invece venivano dal cuore.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Sono davvero tanto contenta delle vostre recensioni, mie dolcissime amiche, perché vedo che state partecipando a questa storia con molto interesse e sentimento. Ve l’ho detto e ridetto, forse: non c’è niente che può fare più piacere a chi scrive per diletto di sentir parlare dei propri personaggi e dei propri intrecci. È assai gratificante sapere di essere riusciti a trasmettere attraverso semplici parole emozioni e sensazioni di un mondo immaginario, visibile solo agli occhi di chi scrive ma che in alcuni momenti è per lui quasi più reale della vita vera. Per questo vi ringrazio di cuore e, consentitemi, ringrazio in particolare Lizzie83 perché spero tanto che, così come ha fatto lei, altre lettrici, fino ad oggi silenziose, trovino la voglia e il tempo di dirmi anche con una semplice parola che il mio lavoro è servito allo scopo di divertirle ed intrigarle.
E veniamo alla storia. Nel prossimo capitolo vedrete questa strana coppia fare un piccolo passo avanti nel loro rapporto, conoscerete un nuovo personaggio che ci accompagnerà fino alla fine e ne saprete un po’ di più sul passato di Barbara. Solo un avviso: preparate i fazzoletti …

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Capitolo 14

 

Per fortuna Barbara Rispoli era davvero una donna forte ed abituata alla lotta. Cercò di convincersi a togliersi dall’animo un sogno assurdo ed a considerare il marito come un semplice datore di lavoro. Incominciò a rifuggirne la compagnia anche se, a parte il piccolo Charles e sporadicamente Giosuè e Maria, così facendo si condannava alla solitudine più desolata.

Nel frattempo il parroco le aveva comunicato di avere una ragazza adatta ad andare a servizio da loro e che il 19 di marzo, festa di San Giuseppe,  sarebbero potuti andare a conoscerla in quanto era sua ospite presso la canonica. Le aveva raccontato che, benché  molto giovane, la povera Nunzia aveva già una triste storia alle spalle. Figlia di pastori, era restata orfana di padre all’età di quindici anni e la madre, sola e senza chi la proteggesse, era stata costretta a sottomettersi ad un uomo rozzo e malvagio che non aveva tardato a rivolgere le sue pericolose attenzioni alla giovanetta. Avvedutasi della situazione, la povera donna l’aveva aiutata a scappare di casa affidandola ad un sacerdote che a sua volta, conoscendo la bontà di don Giustino, l’aveva affidata a lui. A questo punto il buon parroco aveva pensato ai coniugi Forrest che ancora cercavano una domestica brava e fidata perché gli era parso che la povera, sfortunata adolescente facesse al caso loro. Robert non si era detto contrario e Barbara aveva sperato davvero che potesse essere la persona adatta così non solo avrebbero fatto del bene, ma ci sarebbe stato anche qualcuno a farle un po’ di  compagnia.

La sua prima impressione fu  positiva: era una bella giovane di sedici anni con i capelli neri raccolti in una semplice crocchia, due occhi immensi da cerbiatta e la bocca grande e carnosa. Se ne stava davanti a loro a capo chino con le mani sciupate dal gran lavoro strette in grembo e tremanti. Le piacque subito.

- Ti farebbe piacere venire a lavorare da noi, Nunzia? - le chiese con gentilezza -  Ti tratteremo bene,  ci sarà da mangiare a sazietà ed avrai una bella stanza. Prometto che non ti farò lavorare troppo e quello che ci sarà da fare lo faremo insieme. L’ingegnere poi ti pagherà un discreto stipendio così potrai mettere da parte un bel gruzzoletto per la tua dote. In cambio ti chiedo solo due cose: la prima è trattare bene il nostro piccolo Charles, la seconda è mantenere una certa riservatezza su quanto accade a Villa Bianca perché non ci piace che i fatti nostri vengano spiattellati a destra e a manca. Credi di esserne capace?

La giovanetta annuì, fissandola negli occhi con tanta sincerità che la donna se ne sentì conquistata.

- Bene – le disse – ed allora verrai immediatamente a stare da noi. Non è così Robert? L’assumiamo?

- Se sta bene a te! – gli rispose questi in inglese, suscitando lo sguardo perplesso della ragazza.

Barbara rise.

- Ha detto di sì – le spiegò, poi aggiunse -  Non farci caso,  parla spesso nella sua lingua, ma a poco a poco comincerai a capirlo anche tu, vedrai.

 

In effetti Nunzia si dimostrò davvero brava e servizievole e poi era una persona riservata, una che non si perdeva in chiacchiere, ma capace di nutrire sentimenti forti e sinceri. La giovane padrona così gentile suscitò subito il suo affetto e se anche dovette avvedersi altrettanto in fretta degli strani rapporti che aveva con l’ingegnere Forrest, se lo tenne per sé senza mai fiatarne con anima viva.

Per Barbara la presenza di Nunzia non solo fu un gran sollievo alla solitudine, ma anche un notevole sgravio dai compiti più gravosi, anche se non mancò di continuare ad occuparsi con entusiasmo sia di  Charles che della casa.
Dopo un po’ Villa Bianca sembrò rinascere sotto le cure delle due donne e di Maria e ad un certo punto la padrona di casa si mise ad insistere talmente tanto con il marito che questi alla fine si arrese ed accontentò la sua richiesta di farne ridipingere le stanze e la facciata da un gruppo di operai chiamati per la costruzione del nuovo ospedale.     
Approfittando pure che il piccolo ora poteva essere lasciato con la ragazza per qualche ora, Barbara andava spesso in paese a visitare i pochi negozi o qualche bravo artigiano e ritornava a casa sempre piena di cose nuove.
A Robert tanta baraonda dava fastidio, ma si rassegnò di buon grado a sopportarla perché si rendeva conto che la moglie sembrava più serena e contenta da quando si stava dedicando a quelle occupazioni con tanto entusiasmo e questo valeva bene  qualche piccolo sacrificio.

Alla fine di maggio, nel rigoglio della vegetazione e della primavera, la grande casa sembrava trasformata.  Tutto brillava di pulito, alle finestre c’erano tendine nuove mentre enormi vasi di fiori e graziosi gingilli pescati chissà dove erano stati collocati con gusto facendo diventare tutti gli ambienti più luminosi ed accoglienti.
Osservando la casa da lontano una sera che rientrava, Robert  pensava che grazie all’attività frenetica ed instancabile di Barbara l’aria di tristezza e di abbandono che aveva caratterizzato Villa Bianca in quegli ultimi anni era scomparsa e ciò, nonostante tutta la sua tristezza, lo faceva sentire meglio. Ad un tratto  scorse la moglie arrampicata su una scala di legno a fissare sopra la porta d’ingresso un’enorme bouganvillea dai fiori rossi. Notò anche Giosuè, Maria e  Nunzia con Charles in braccio che ne seguivano le acrobazie con lo sguardo preoccupato.

- Che stai facendo? – le domandò avvicinandosi.

- Niente, prendo un po’ d’aria qui sulla scala – scherzò lei sporgendosi ancora di più per cercare di fermare un ramo.

- Scendi, è pericoloso – le intimò in preda all’ansia.

- Gliel’ho detto anch’io, signore, ma non mi sta a sentire – confermò il vecchio stalliere.

- Per favore, scendi – le disse di nuovo e visto che non lo stava ad ascoltare, le ordinò perentorio alzando la voce – Scendi subito, ubbidisci!

Barbara non gli aveva mai sentito usare quel tono e lo guardò meravigliata, poi, come se si fosse convinta all’improvviso, cominciò a scendere i pioli mentre lui si avvicinava alla scala per sostenerla. Era già a terra quando si allungò  ad aggiustare un ramo basso, ma toccando la pianta, si punse con una spina.

- Ahi! – strillò afferrandosi la mano.

- Fammi vedere cosa ti sei fatta  - le disse Robert prendendogliela tra le sue.

- Non è niente, è solo un graffio – mormorò lei,  provando suo malgrado un brivido.

Intanto l’uomo aveva cominciato a succhiare la goccia di sangue che le usciva dal dito ferito guardandola con tenerezza mentre la ragazza se ne restava immobile, incapace di sottrarsi alla strana vertigine da cui si sentiva travolgere.          
Restarono per un attimo così, sotto lo sguardo della servitù un po’ stupita perché non li aveva mai visti in una simile intimità, poi si riscossero e si separano.

- Adesso però sarà meglio che tu vada  a disinfettarti – le disse Robert sorridendole – Finirò io di sistemare questa pianta, credo di essere un po’ più bravo di te ad arrampicarmi sulle scale.

- Già, ma non hai il mio senso estetico – gli rispose lei con una smorfia ma poi preferì battere in ritirata per non mostrargli quanto si sentisse turbata dall’inaspettato contatto appena avuto.

 

Nelle sue numerose visite agli artigiani del paesino dove si riforniva, si era procurata anche un bel seggiolone per Charles e la sera lo faceva sedere a tavola con loro. Adesso che c’era Nunzia a servire a tavola, non doveva alzarsi di continuo ed aveva deciso di abituare il bambino a mangiare da solo. In un primo momento il padre fu stupito da un cambiamento che comportava anche qualche piccolo disagio, ma quando Barbara gli ribadì la necessità di insegnare al piccino a stare a tavola, fu perfettamente d’accordo. In fondo la moglie aveva una cura ed un’amorevolezza verso suo figlio che andava al di là di ogni più rosea aspettativa e neanche una madre naturale avrebbe potuto trattare meglio il bambino più di quanto non facesse lei.

 

Ne ebbe un’ulteriore conferma una notte di giugno, poco prima del secondo compleanno di Charles, quando fu svegliato dal sonno dai suoi strilli. In preda all’agitazione, si lanciò dal letto ma al suo capezzale era già corsa Barbara che lo teneva in braccio e lo stava accarezzando, parlandogli con dolcezza per calmarlo.

- Che ha? – le chiese con una voce da cui traspariva molta ansietà.

- Ha male al pancino. Adesso  andiamo giù in cucina e gli preparo una bella camomilla calda – disse la donna mentre asciugava le lacrime al bimbo.

- Vengo con te per aiutarti accendere il fuoco – si offrì Robert.

- Grazie, mi fa piacere perché così non dovrò svegliare Nunzia. Quella poverina fatica già tutto il santo giorno ed ora starà dormendo come un sasso.

Scesero tutt’e tre in cucina e Robert preparò la camomilla al bambino che intanto continuava a strillare dal dolore. Riuscirono a fargliela bere quasi tutta, poi Barbara andò a sedersi su una poltrona in salotto con lui in braccio e cominciò a massaggiargli il pancino, blandendolo con paroline dolci. Sempre più preoccupato, il padre accostò una sedia e si avvicinò a loro, guardandoli con il viso addolorato. Poiché il bambino non si calmava, ad un certo punto scattò in piedi dicendo:

- Vado giù in paese a chiamare il medico!

- Ma no, non è necessario, stai tranquillo,  tra poco gli passerà.

- E se invece fosse una cosa grave? Ho troppa paura: vado a chiamare quel dottor Bernardi.

- È soltanto una colica d’aria, anche Giacomino mio a volte ne soffriva. Ieri si è fatto una scorpacciata di ciliegie e gli avranno  fatto male, ma ora starà subito meglio. Siediti qui e stai buono. Se percepisce la tua paura, si spaventa ancora di più.

Robert ubbidì e si sedette di nuovo, fidandosi di lei che continuava a massaggiare il piccino appoggiato con il capo sul suo seno. Era la prima volta che aveva  accennato al figlioletto perduto e l’uomo non seppe resistette alla curiosità.

- Come è accaduto che il tuo bambino è…? – cominciò a chiederle senza però avere il coraggio di finire la frase.

Un sorriso malinconico le apparve sul volto e gli rispose piano, nascondendo nella calma delle parole la pena ancora viva.

- Non certo per un mal di pancia, fu un’infezione di difterite.

- Era piccolo?

- Aveva quattro anni. Era un bambino bellissimo, allegro, gioioso, anche un po’ monello. Gli piaceva correre e cantare e parlare, non stava mai un momento fermo!

- Deve essere stato penoso per te vederlo… - ancora non ebbe il coraggio di finire la frase, ma accarezzò la gambetta del figlio perché voleva sentirne il calore vitale, annichilito al solo pensiero  di un simile dolore.

- Per fortuna il Signore questo me l’ha risparmiato – soggiunse Barbara senza smettere di carezzare Charles anche lei – sono stata io la prima ad ammalarmi e non avevo coscienza quando… – la voce le si ruppe di pianto, poi proseguì – L’ultima volta che lo vidi si era affacciato nella stanza dove giacevo a letto in preda a ciò che pensavo fosse solo un banale mal di gola. Con il faccino tutto allegro, mi chiese il permesso di venire a giocare con me, come facevamo sempre, ma io lo sgridai un poco perché aveva disubbidito alla nonna entrando nella mia stanza. Avevo una voglia incredibile di abbracciarlo, ma mi feci forza e gli dissi “vai via amore, non vedi che mamma è malata? Va’ via, altrimenti ti ammalerai anche tu…”

Il ricordo penoso le fece scorrere lacrime silenziose sul volto e, smettendo per un attimo di carezzare il bambino che intanto si era calmato, se le asciugò prima di proseguire:

- Dopo mi aggravai e persi conoscenza così non seppi che sul serio anche lui si sarebbe ammalato ed il suo piccolo fisico non avrebbe resistito alla malattia devastante. Quando miracolosamente guarii, lo cercai. In un primo momento mi dissero di averlo mandato da Alfredo per sottrarlo al contagio, ma la tristezza sul volto di mamma e di papà e la desolazione della casa piombata nel buio senza che nessuno facesse nulla per riportarci il mio piccolo sole anche adesso che il pericolo era passato, mi fecero capire la verità.

Barbara non parlò più, solo ricominciò a carezzare il bimbo il quale, cullato dalla sua voce e poiché il mal di pancia gli era quasi passato, le rivolse un sorrisino dolcissimo che la donna ricambiò.

Robert l’aveva ascoltata in silenzio, con la fronte corrugata per l’angoscia suscitatagli nel cuore da quel racconto. Nel vederli sorridersi, non riuscì a resistere ed allungando la mano questa volta carezzò il viso di Barbara che lo guardò stupita con gli occhi ancora pieni di lacrime. Ancora con la sua guancia nel palmo della mano, lui le disse con estrema dolcezza:

- A volte dimentico di non essere stato l’unico ad aver sofferto tanto! Perdonami. Spero solo che l’amore di Charles possa sostituire almeno un po’ quello del piccolo che hai perduto. Lui ti adora, non vedi?

La donna gli afferrò la mano, stringendola forte e gli sorrise ancora.

- Anch’ io lo adoro e ti sono grata per avermi dato questa possibilità: è grazie a te se sto provando ancora la gioia di avere un bambino da amare.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Un rapido ringraziamento a tutte per la fedeltà nelle recensioni e un grazie anche a Reader non solo per l’incoraggiamento che mi ha dato, per me così importante, ma anche per aver notato quel piccolo particolare dei mutandoni di Robert. In realtà io sono una gran pignola ed anche nelle piccole cose mi piace essere precisa e documentarmi. Non è facile però rendere i particolari di una vicenda che si svolge così lontana nel tempo e nello spazio ma mentre nel primo caso mi posso aiutare con i film in costume ed i libri, nel secondo non so se l’ausilio di internet e delle cartine possano bastare. Ancora una volta quindi chiedo perdono alle lettrici sarde se nella mia narrazione noteranno delle incongruenze. Ma a proposito, ce n’è qualcuna o almeno qualcuna che abbia visto quei luoghi?

PS per Cricri: mi dispiace, né l’uno né l’altro. Il mistero continua …

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Capitolo 15

 

Il colloquio notturno sembrò averli resi un po’ più vicini. Da allora in poi infatti cominciarono a parlarsi spesso ed in maniera senz’altro più amichevole. Barbara doveva convenire che Robert era davvero una persona molto buona che le lasciava fare tutto ciò che voleva senza mai intervenire nelle sue scelte. Ciò le dava una sensazione di libertà dimenticata negli anni trascorsi in casa del fratello. Sapeva bene di non essere la sola ad Ingurtosu ad apprezzare quell’uomo silenzioso e serio che si dimostrava con tutti, anche con i minatori,  una persona semplice, tollerante e generosa. Ogni giorno di più capiva di provare qualcosa per lui ed anche se sapeva di non avere nessuna possibilità di trasformare il loro patto in un vero matrimonio, lo colmava di tante piccole attenzioni solo per il piacere di farlo.  

Al compleanno di Charles diede ancora una volta una piccola festa, ma poiché si era in giugno, la tenne in giardino e volle farvi partecipare anche alcuni figlioletti di minatori. Quei piccoli, abituati al lavoro e ad un’esistenza molto misera, non stavano nella pelle dalla gioia e giocavano spensierati godendo delle cose buone preparate per loro da Barbara. Tra di essi Charles, biondo e delicato, spiccava come un fiore per la sua bellezza  e per la contentezza causatagli dalla presenza di tanti bambini come non ne aveva mai visti.

Allontanatasi un attimo dai piccoli ospiti, Barbara si avvicinò a Robert per portargli una bibita fresca. Aveva notato la sua espressione soddisfatta e fu ancora più contenta dal sorriso dolcissimo con cui l’accolse.

- È bellissima la cosa che hai fatto oggi, lo sai? – le disse  infatti - Questi poveri bimbi non sono mai stati così felici. Non solo per me, ma anche per i minatori e le loro famiglie stai diventando una specie di santa. Ho paura che lady Margaret abbia perso il suo primato nei loro riguardi. Chissà come ne sarà contrariata adesso che torna!

- Perché, stanno tornando?

- Sì, mi ha scritto sir Bradley: saranno qui per la fine del mese.

- E a te non dispiace contrariarla? Dio mio, non mi sembra il modo migliore per cominciare un rapporto con me! – obiettò la donna, sinceramente perplessa.

L’uomo le sorrise, allegro e rassicurante, e le mise un braccio intorno alle spalle in maniera assai affettuosa.

- Perché dovrei esserlo? Potrebbe mai essere un problema il fatto che tu sei migliore di lei e lo stai ampiamente dimostrando a tutti?- le disse.

- Mi odierà ancora di più, allora: non solo ho preso il posto di sua nipote accanto a te, ma le porto via anche il ruolo di first lady!

Immediatamente Robert si rabbuiò ad udire l’accenno a Julie e si ritrasse.

- Lo so, hai ragione, quella donna non sa del nostro patto e crede che io ti abbia sposato dimenticando troppo in fretta Julie. Ma proprio per questo però non deve trovare assolutamente nulla da ridire sul tuo conto. A proposito, dovresti farti confezionare qualche abito nuovo. Quelli che hai non vanno bene per andare dai Bradley e di certo dovremo farlo non appena torneranno. Se la conosco bene, la megera starà morendo dalla curiosità di conoscerti e si affretterà a riferire tutte le sue impressioni più maligne alla sorella. Dovrai apparirle elegantissima e ben curata quando ci andremo.

Barbara sospirò, un po’ mortificata.

- Lo so, ad eccezione del vestito con il quale mi sono sposata non ho abiti eleganti, ma non vedo in questo posto dove possa trovarne di adatti ad un così “nobile personaggio” – gli disse, sottolineando con ironia le ultime parole cosa che indusse il marito a fare un risolino.

- Andremo a Carloforte. Conosco una sartoria che confeziona abiti molto belli. Hai una figura ben proporzionata e per loro non sarà difficile farti dei vestiti anche con poche prove.

- Ma Carloforte è lontana!

- Meno di quanto immagini. Ci vado spesso per il mio lavoro perché è da lì che partono i velieri carichi del materiale delle nostre miniere. Riesco sempre ad andare e tornare nello stesso giorno.

- E Charles?

- Lo lasceremo con Nunzia. La piccina sta dando prova di sapersela cavare, non trovi?

- Questo sì, ma…

- Cos’è, non avrai paura di passare un giorno intero sola con me per caso?

Gliel’aveva chiesto sorridendo. Notando come il sorriso gli facesse brillare gli occhi, Barbara pensò che sì, ne aveva paura e sapeva bene anche il perché, ma con una risata nervosa lo prese sottobraccio e lo trascinò verso gli altri.

 

L’ingegnere Forrest non era certo il tipo da aspettare molto tempo prima di mettere in atto le decisioni prese e d’altronde, se desiderava sul serio che sua moglie si presentasse al cospetto dei Bradley elegantemente vestita, non c’era da indugiare ancora perché mancava poco tempo al loro ritorno. Così la domenica successiva, mentre tornavano dalla messa sul calesse insieme al piccolo Charles ed a Nunzia, le comunicò che l’indomani si sarebbero recati a Carloforte.  Barbara si agitò non poco  e per tutto il giorno non fece altro che organizzare le cose a puntino, riempiendo la domestica  di mille raccomandazioni per l’indomani.

Alle cinque del pomeriggio, quando finalmente si sedette un po’ in salotto accanto a lui, Robert non riuscì a trattenersi dal prenderla in giro.

- Hai finto o no le grandi manovre? - le chiese con un sorriso benevolo -  Guarda che non dobbiamo partire per l’America, andiamo solo a Carloforte e domani  sera saremo anche tornati.

Alzando lo sguardo dal ricamo, lei gli sorrise accettando la critica, ma sentendosi lo stesso preoccupata per la cosa insolita che si accingevano a fare.

 

Il mattino dopo era già pronta di tutto punto alle sette, ma le sue preoccupazioni del giorno prima sembrarono subito concretizzarsi quando si trattò di  far capire al bambino che non poteva  andare con loro. Infatti, nel vederla con il cappello ed i guanti, Charles si era convinto di stare per andare a fare una delle loro solite passeggiate. Quando Nunzia lo afferrò per impedirgli di trotterellare dietro ai genitori che varcavano la soglia di casa, scoppiò in un pianto dirotto. Con le braccine tese verso Barbara, urlava disperato “mamy, mamy, mamma” e rischiava quasi di cadere tanto si divincolava. Subito lei tornò indietro per  prenderlo in braccio, cercando di calmarlo.

- Non fare così, tesoro, fai il bravo. Adesso Nunzia ti darà pane e  marmellata e quando avrai finito di mangiare io sarò già qui –  lo blandiva.

Però il bambino continuava a strillare e le si aggrappava addosso, bagnandole anche  la spallina del vestito con le lacrime.

Tra l’ irritato e il divertito, Robert si avvicinò.

- Insomma, la vogliamo finire con queste scene madri? – li rimproverò e, preso Charles dalle braccia della moglie, lo riconsegnò alla cameriera dicendole - Pensaci tu Nunzietta, altrimenti con i capricci di questi due finisce che non ce ne andiamo più.

- Non vi preoccupate, signore, anche il mio fratellino più piccolo faceva così quando la mamma si allontanava, però dopo un poco gli passava.

Poco convinta, Barbara fece per andarsene poi si fermò di nuovo come presa da un pensiero improvviso. Voltandosi verso la ragazza che stava rientrando con il bimbo ancora piangente, le rivolse un’ultima, accorata raccomandazione:

- Fallo bere!

- Cammina - le disse ridendo il marito  e prendendola per un braccio la costrinse  a salire sul calesse.

Dopo un po’,  irritata dall’aria divertita che ancora gli si leggeva sul viso, gli disse:

- Il tuo sarcasmo è davvero fuori luogo. Io non  faccio capricci,  solo mi preoccupo perché Charles è molto sensibile e mi dispiace se deve star male, povero piccolo mio!

Robert la rassicurò:

- Lo so, anche sua madre era così e per non ferirla dovevo fare i salti mortali, ma lo facevo volentieri perché nello stesso tempo sapeva essere infinitamente dolce. Spesso però mi rendevo conto che finiva per farmi fare sempre quello che voleva lei senza neanche farmene accorgere.

- Lo vedi? – gli disse un po’ seccata – E poi Charles è piccolo per cui la mia indulgenza è ancora più giustificabile.

- Ti ho parlato di Julie proprio perché non voglio fartene una colpa, ma devi capire che se lei era una donna e suscitava in me un senso di protezione, la stessa cosa non sarà per Charles. È maschio e dovrà correggere la sua eccessiva sensibilità se non vorrà trovarsi male nella vita.

- Ma se ha solo due anni! – obiettò la donna che stava davvero cominciando ad innervosirsi e perciò continuò con un tono piuttosto duro – Poi non hai da  temere se il suo carattere somiglia così tanto a quello di Julie: l’hai detto tu stesso che riusciva a farti fare cosa voleva. E tutto sommato non doveva essere neanche un tipo troppo fragile ed  arrendevole se ha tenuto testa ai genitori e ti ha sposato nonostante la loro disapprovazione!

- Magari non l’avesse fatto! Lady Margaret ha ragione quando sostiene che sono stato la rovina di quella povera ragazza. Forse, se avesse seguito i loro consigli e  non avesse scelto me, oggi sarebbe ancora viva – commentò Robert con amarezza.

- Come si fa a dire una cosa così perfida? Saresti stato la sua rovina se l’avessi tradita o se l’avessi trattata male, ma che  colpa ne hai tu se è morta per le conseguenze del parto?

- Forse non avrei dovuto metterla incinta… – rispose l’uomo, un po’ titubante.

- Non dire sciocchezze! Lei ti amava e tu amavi lei, è naturale che desideravate avere un figlio. Tua moglie è stata molto felice insieme a te, ne sono sicura.

Robert la guardò con gratitudine.

- Sì, è vero, abbiamo vissuto un periodo meraviglioso insieme, anche se è stato troppo breve.

- Ed allora non farti venire assurdi sensi di colpa.

- Lo so, hai ragione, ma agli occhi dei suoi parenti sono colpevole di esserle sopravvissuto, anche se non sanno cosa avrei dato per essere stato io al suo posto.

- Devono essere ben maligni questi parenti! A dirti il vero non ho molto piacere di doverli conoscere - affermò Barbara, sempre più scontenta.

- Paul no, lui è una brava persona, sono la moglie e la sorella di lei, la madre di Julie, ad essere cattive. Ma è con me che ce l’hanno, su di te non avranno niente da ridire, ne sono convinto.

- Speriamo! – sospirò Barbara.

 

Non parlarono più fin quando arrivarono a destinazione. Robert andò a ricoverare il calesse da un maniscalco suo amico dopo aver accompagnato la moglie sulla spiaggia di Piscinas. La donna lo aspettò mettendosi a guardare il mare e godendo della pace infinita tutt’intorno. Era meraviglioso quel posto e molto solitario: la sabbia formava delle ampie dune che arrivavano fino all’orizzonte creando un paesaggio quasi da deserto e sotto il cielo azzurro e terso, il loro biancore era interrotto solo dalle rare macchie di verde che sbucavano qui e là nella rena sottile. Poco distante un pontile di legno, costruito per consentire ai velieri che andavano e venivano da Carloforte di attraccare e caricare il materiale della miniera, si allungava sul mare blu cobalto. Barbara si lasciò accarezzare il viso dal vento e socchiuse gli occhi alla luce del sole di giugno. Ora si sentiva un po’ meglio, ma durante il tragitto la conversazione avuta con Robert l’aveva davvero irritata. Non ce l’aveva con lui per il larvato rimprovero mossole al riguardo di Charles, in cuor suo sapeva benissimo di starlo viziando un po’ troppo, ed anche se non le faceva piacere sentirselo dire, doveva ammettere che il padre aveva tutto il diritto di intervenire nell’educazione del figlio. Era dispiaciuta piuttosto per il modo in cui le aveva parlato di Julie. Sicuramente non lo aveva fatto di proposito. Come avrebbe potuto infatti intuire il male che le procurava manifestandole l’amore che  provava ancora per la sua adorata e sfortunata moglie? Era lei a sbagliare perché nonostante mille prove, non voleva capire che  doveva togliersi dalla testa ogni illusione e mettersi il cuore in pace. Tra sé e sé decise di controllarsi e di cercare almeno per quella giornata di godersi la gita senza pensare a nulla. Vide Robert tornare e si accorse che le stava sorridendo. Lo accolse sorridendo anche lei.

- Pensavo di portare qui con il calesse Charles e Nunzia adesso che è venuta la buona stagione. Forse la strada sterrata è un po’ bruttina, ma non ci vuole molto tempo per arrivare. Mio padre diceva sempre che non c’è niente di meglio per i bambini dell’aria di mare e credo che anche Nunzietta  sarebbe felice di venirci – gli disse.

 - È una buona idea, ma non puoi venire qui, dovrai andare più avanti, alla spiaggia dove d’estate vanno anche i figli dei minatori. Vi accompagnerò io le prime volte. Vedrai, anche lì è molto bello ed è un posto più adatto ai bambini. In questo tratto il mare è troppo profondo e le dune sono troppo alte, però concordo con te, è un luogo magico. Quando esco con Thunder finisco sempre per venirci: lui si diverte molto perché lo lascio libero sulla spiaggia ed io mi arrampico su qualche duna altissima e di lì mi godo questo panorama mozzafiato.

- Vieni qui?- gli domandò stupita.

- Già – le rispose, ma poi un pensiero parve divertirlo -  Perché, dove pensavi che andassi? All’osteria di tziu Nerardu per caso? - aggiunse con un sorriso mentre la prendeva sottobraccio e la conduceva sul pontile poiché nel frattempo una bilancella si stava avvicinando velocemente.

- No, certo, ma non pensavo che venissi sulla spiaggia, perlomeno non in pieno inverno con il freddo.

- Il freddo? Qui fa freddo forse?

- D’inverno sì, fa freddo.

- Si vede che non conosci il Galles, allora. A casa mia, in pieno agosto, la temperatura arriva massimo a 20° e piove continuamente. In questo posto per me è come se fosse sempre estate, almeno quasi sempre.

- Ah già , dimenticavo che sei inglese!

- Accidenti, mia cara, forse è venuto il momento di precisare meglio per non farti cadere in errore: io non sono inglese, sono gallese.

-  Fa differenza?

Robert scoppiò in una risata divertita.

- Siamo due popoli completamente diversi – le spiegò - noi siamo di origine celtica e sono secoli che lottiamo contro l’oppressione inglese. Abbiamo una nostra cultura e le nostre tradizioni, persino una nostra lingua che non è l’inglese, ma il gallese.

- Davvero? Ma allora perché sto facendo tanta fatica inutile ad imparare l’inglese? Perché non m’insegni a parlare il gallese piuttosto?

La nave ormai stava attraccando, mentre il pontile si era riempito di operai che dovevano provvedere al carico. Incuranti della confusione, continuavano la loro conversazione e poiché erano uno di fronte all’altra, lui le prese il mento in mano carezzandoglielo un po’, con una tenerezza mai avuta prima che la stupiva.

- È troppo difficile per te. Ti assicuro, è una lingua impronunciabile, piena di doppie e consonanti consecutive.

- Davvero? Dimmi qualcosa in gallese, allora.

Lui l’accontentò e l’espressione sconcertata che le vide sul volto lo divertì molto.

- Non ti preoccupare – aggiunse sorridendole – parliamo tutti anche l’inglese. Ti basterà imparare quello.

Dalla passerella che alcuni marinai avevano provveduto a calare sul pontile intanto era sceso un signore di una certa età che si avvicinò a loro.

- Ehilà – disse con cordialità - il nostro ingegnere è venuto con una bella signora a controllare il carico?

- No, l’ingegnere è venuto a scroccare un passaggio fino a Carloforte  insieme a questa bella signora che è sua moglie Barbara – rispose Robert con un tono confidenziale a dimostrazione della sua amicizia con il capitano della nave.

- Ma allora è la donna che ha fatto il miracolo! – soggiunse questi prendendo una mano della giovane e portandosela alle labbra per farle un galante baciamano – Pensate, ho scoperto che si era risposato quando l’ho visto ricominciare a circolare con i colletti delle camicie bianchi e stirati, i calzoni puliti ed i soprabiti senza pillacchere!

Sorridendo divertito, Robert lo  presentò a Barbara.

- Ti presento il capitano Efisio Borghero, quello…

…che vi è grato per aver trasformato questo selvaggio di un gallese di nuovo in un essere umano! – concluse scherzosamente il capitano.     
Barbara si mise a ridere dovendo riconoscere che l’abbigliamento di Robert non era sempre all’altezza del suo ruolo mentre invece l’uomo davanti a lei, con i candidi capelli folti e ben pettinati ed i baffoni all’insù, dimostrava di tenere molto all’aspetto esteriore poiché era molto elegante.

- Lo so, mio marito a volte è un po’ trasandato nel vestire, ma sono contenta che qualcuno abbia notato la mia cura nello stirargli le camicie. Sono quelle piccole cose che fanno piacere ad una moglie, credetemi – gli disse.

- L’ho notato sì! Questo ragazzone non poteva finire in mani migliori e più belle di queste – aggiunse il vecchio gentiluomo con galanteria mentre li accompagnava a bordo.

Dopo essersi occupato del carico ed aver guidato la partenza, si avvicinò di nuovo a loro che se ne stavano sul ponte a chiacchierare spensierati.

– Siete mai stata a Carloforte? -  chiese alla ragazza.

- No.

- Ma siete sarda?

- Ho vissuto ad Alghero da quando avevo cinque anni, ma sono nata a Genova ed i miei erano entrambi liguri.

- Ma che combinazione! Lo sapete che gli abitanti di Carloforte sono originari di Pegli in Liguria? Erano emigrati sull’isolotto di Tabarka,  davanti alle coste della Tunisia. Nel 1737 però accettarono l’invito del re Carlo Emanuele di Savoia e vennero a colonizzare l’Isola di San Pietro.

Efisio Borghero, che era un appassionato di storia della sua terra, continuò per tutto il viaggio a raccontarle per filo e per segno i fatti dell’isola e dei suoi abitanti, tanto che quand’essa apparve ai loro occhi, con le sue spiagge bianche e rosa, le insenature, le scogliere rocciose, adagiata nel blu profondo di un mare screziato di azzurro metallico, Barbara non vedeva l’ora di scendere per visitarla.

 

Carloforte era bella tanto quanto la sua Alghero. Camminò volentieri sotto le palme del lungomare e girò a braccetto del marito per stradine pittoresche, angoli suggestivi e ripide scalinate tra case dipinte di bianco finché non arrivarono ad un bel palazzetto a due piani,  sede della sartoria delle sorelle  Poma. Quest’ultime riconobbero subito il direttore della miniera di Ingurtosu, ma evidentemente non si ricordavano di Julie perché quando seppero che la moglie doveva farsi confezionare dei vestiti, commentarono che  oramai da parecchio tempo la signora non ricorreva più alla loro opera. Barbara arrossì  un po’ mentre Robert invece non si curò affatto di correggere l’errore.
Quando le due donne si recarono a prendere i campionari della stoffa, le disse:

- Io adesso vado, ho molte cose da sbrigare. Ti vengo a prendere al massimo tra un paio d’ore.

- Cosa? – protestò lei - Mi lasci qui da sola!?

- Non aver paura, le sorelle Poma sono bruttine ed un poco sceme, ma non certo pericolose – scherzò, abbassando la voce in tono complice.

- Non è per questo! Speravo che mi aiutassi a scegliere! – obiettò la donna.

- A scegliere? Mi dispiace deluderti mia cara, ma qui non siamo in un atelier di Parigi: al massimo potrai scegliere tra una decina di stoffe e tre o quattro modelli!

- Posso sbagliare lo stesso e farmi fare dei vestiti che non ti piaceranno o non riterrai adatti. Per favore, resta!

- Non posso e poi non temere,  mi fido di te – le disse mentre si allontanava, ma la moglie lo afferrò per la manica della giacca e lo costrinse a girarsi.

- Aspetta! Dimmi almeno quanto posso spendere – gli sussurrò con sul volto un’espressione preoccupata talmente tenera che lui fu indotto per la seconda volta in quel giorno a farle una carezza.

- Quanto vuoi! Te l’ho detto, mi fido di te - la rassicurò.

Quando passò a riprenderla, la trovò molto più rilassata. Dopo aver scelto tre vestiti, due da pomeriggio ed uno elegante per la sera, era rimasta a chiacchierare del più e del meno con le sorelle Poma le quali erano state contente nell’apprendere che non era anche lei inglese, ma sarda e di origini liguri. La trattarono quasi da amica,  offrendole pure il caffè con dei dolcetti buonissimi.  Presero appuntamento per la prima prova da effettuarsi la settimana successiva e quando se ne stavano andando, Anna Poma le suggerì:

- Non si dimentichi di passare da mia cugina Rita, signora. Vedrà, l’accontenterà senz’altro.

Incuriosito dalla frase, Robert le chiese chi fosse questa Rita.

- Niente, è una loro cugina modista. Secondo loro dovrei comprare anche dei cappellini per abbinarli agli abiti che mi cuciranno. Ma non importa, verrebbe a costare troppo.

- Invece no, ci andremo subito. Hanno ragione, anche i cappelli sono importanti e le scarpe e la borsetta ed i guanti…

- Insomma, ma quanto hai deciso di spendere per me oggi?

- Tutto ciò che sarà necessario per renderti elegante.

- È così importante per te mostrarmi ai Bradley? – gli domandò abbassando gli occhi con un’espressione po’dispiaciuta.

L’uomo si fermò di colpo e prendendola per le spalle la fece girare in modo da farsi guardare bene in volto per mostrarle quanto fossero sincere le sue parole.

- Non m’importa più di tanto dei Bradley. Voglio che tu abbia il meglio di tutto. È la sola cosa che posso darti e questo almeno voglio farlo.

- Non c’è bisogno, non devi spendere tanto per me.

- Invece sì. Certo, io non sono ricco. Non guadagno moltissimo, purtroppo, e devo aiutare anche i miei genitori che non navigano in buone acque, ma ti assicuro che se mai ho avuto un rimpianto è stato quello di non poter dare di più a mia moglie.

- Se ti riferisci a Julie, allora ne convengo. Io però non sono stata cresciuta come una principessa: mio padre faceva il medico condotto  e tutto ciò che guadagnava lo spendeva per vivere, per non parlare poi di mio fratello che è solo un impiegato delle Regie Poste con una famiglia numerosa da mantenere… - esitò un poco, gli occhi bassi e le lunghe ciglia che le ombreggiavano le guance perché aveva vergogna a dirglielo – … se non fosse stato per te, altro che vestiti, starei ancora a prepararmi la brandina in salotto per andare a dormire la sera!

Assai intenerito, Robert le sollevò il viso e le sussurrò, guardandola intensamente:

- Mi riferivo a te, non a Julie.

Nei suoi occhi brillava una tale dolcezza che Barbara se ne sentì quasi sconvolta ed avvertì il cuore batterle forte nel petto. Ma l’uomo non le diede il tempo di stare a pensare perché allegramente la trascinò con sé.

- Forza, signora mia, abbiamo ancora tante cose da andare a comprare! – la esortò allegro.

 

Trascorsero una giornata meravigliosa e ritornarono a casa in perfetto orario. Barbara fu costretta a coccolare un po’  Charles perché le teneva il broncio, ma la sera,  cenando insieme al marito, si accorse che la splendida sintonia provata per tutto il giorno non era ancora cessata. Ritirandosi in camera sua, per la prima volta da quando si era sposata, si sentiva felice. Spalancò la finestra aspirando a pieni polmoni l’aria profumata della notte di tarda primavera ed  alzando lo sguardo al cielo stellato, vide una stella cadere. Non era mai stata una delle stupide credulone che ritengono basti vederne una perché un desiderio si avveri, ma quella sera, nonostante tutto, anche lei ne espresse uno. 
La speranza che  il suo sogno potesse realizzarsi la fece andare a dormire più contenta.

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

 

Grazie alla confezione dei vestiti, quella di andare insieme a Carloforte divenne nel mese di giugno del 1903 quasi un’abitudine per i due giovani sposi. Furono giornate molto piacevoli ed entrambi cominciarono a godere della compagnia reciproca. Quando alla fine del mese  i vestiti furono pronti, Barbara quasi rimpiangeva di non avere più nessun pretesto per trascorrere tante spensierate ore insieme a Robert, ma aveva accettato la cosa e si era rassegnata. Per questo motivo fu davvero contenta quando l’ultima domenica di giugno lui le fece una proposta inaspettata: poiché l’indomani sarebbe stata la festa di San Pietro e per l’occasione si sarebbero tenuti grossi festeggiamenti sull’isola, ne avrebbero approfittato per andarci ancora una volta.

- Sei sempre in casa a lavorare. Una volta tanto potrai prenderti un po’ di distrazione e ti farà bene – furono le affettuose  parole con le quali concluse la sua proposta.

- Porteremo anche Charles? – gli chiese allora, piena di gioia.

- No, è troppo piccolo per star fuori tutta una giornata senza dare fastidio. Lo lasceremo come al solito con Nunzietta, tanto abbiamo verificato che basta uscire di casa prima che si svegli per non fargli fare capricci. Andremo noi due, come al solito, e ci godremo la festa.

 

In realtà nel giorno di San Pietro Carloforte era piena di vita. Ovunque c’erano bancarelle, giostre,   divertimenti e bande musicali che suonavano allegri motivetti. Oltre che il Santo Patrono, si festeggiava  anche la mattanza del tonno e Robert la portò in un ristorante dove gustarono questo tipico pesce cucinato in svariati modi. Il pomeriggio si prepararono ad assistere alla  processione della statua del Santo che per le vie della città doveva giungere fino al mare dove si sarebbe imbarcata ed insieme ad altre numerose imbarcazioni avrebbe fatto  il perimetro del porto.

Durante l’attesa della partenza del corteo, Barbara osservò rivolta al marito:

- Bisogna ammettere che sei molto ben integrato nel folklore sardo. Pensavo t’infastidissero tutte queste abitudini paesane.

- Tutto il mondo è paese, mia cara, anche noi abbiamo le nostre tradizioni e le nostre feste.

- Davvero?

- Certo. Non ti dico quanti eisteddfodau abbiamo oltre a svariate feste per le mucche e gli aratri.

- Gli eist..che? – chiese stupita.

- Sono feste antichissime. Derivano addirittura dagli antichi tornei di bardi e musicisti che gareggiavano tra loro per conquistarsi… la zuppa in casa dei nobili dell’epoca. D’altronde ancora oggi dalle mie parti i cori maschili sono molto diffusi.

- Davvero? Canti anche tu?

Robert rise, cogliendo una certa incredulità nel suo tono.

- Ho una bellissima voce, cosa credi! -  precisò.

- Ma dai, stai scherzando!

- Perché?

- Non ti ci vedo a cantare, sei troppo serio.

- Guarda che noi celti siamo pieni di sorprese, non per niente siamo i discendenti di Re Artù e nelle nostre foreste albergano ancora fate e folletti.

- Quale Re Artù, quello della Tavola Rotonda e di Mago Merlino?

- Esattamente,  noto con piacere che sei preparata!

Continuarono a scherzare ancora un po’ sulle strane usanze gallesi e Barbara rise quando lui decantò i loro piatti tipici che  a lei parevano più che altro infami miscugli.

Intanto erano arrivati davanti ad una bancarella che vendeva dolciumi e giocattoli e la donna volle acquistare un teatrino di marionette da portare in dono a Charles.

- Si divertirebbe tanto. Sai, io sono assai brava ad inventare storie.

Glielo aveva chiesto con così tanta grazia che il marito mise subito mani al portafoglio ed acquistò quanto lei chiedeva.

- Per favore, mi compri anche un pacco di caramelle?

- Che c’è, ora sei diventata anche golosa? – le chiese divertito.

- No, lo voglio portarle a Nunzia. Forse la povera piccina non ha mai ricevuto un dono del genere in vita sua.

Robert la guardò con gli occhi pieni di ammirazione e le mormorò piano:

- Sei davvero una persona meravigliosa, hai sempre un pensiero gentile per tutti.

Barbara toccò il cielo con le dita a quel complimento e tutta felice, stringendo i pacchetti con i doni per i suoi cari, si avviò con lui verso il porto.

Assistettero alla processione e nel tardo pomeriggio ritornarono sul molo per imbarcarsi e far ritorno a Ingurtosu . Ad un tratto, girandosi per caso verso la moglie, Robert notò che  era diventata terrea e stava tremando.

- Barbara che c’è? Ti senti male? – le chiese.

Lei non gli rispose, continuando a tenere gli occhi fissi su un gruppetto di uomini poco più avanti.

- Barbara, cos’hai? Parla, per favore! – le ripeté, sempre più preoccupato.

Non ottenendo ancora risposta, guardò a sua volta quelle persone, ma non notò nulla di strano. In occasione della solenne ricorrenza di San Pietro, la Marina Militare di Sua Maestà aveva mandato una nave ed adesso parecchi  marinai partecipavano alla festa sul lungomare. Quelli che la donna stava guardando con un’espressione tanto strana erano alcuni ufficiali fermi proprio davanti alla scaletta dell’imbarcazione sulla quale sarebbero dovuti salire loro.

Vedendo il suo  sguardo fisso su di un giovane bruno con gli occhi a mandorla che rideva e scherzava con altri compagni senza nemmeno essersi accorto di lei, Robert ebbe un’intuizione che fu confermata dalle parole della moglie.

- Non posso, non posso… - gli  mormorò disperata e poiché lui la teneva per un braccio cercando di condurla verso il battello, si divincolò e scappò via, lasciando cadere persino i suoi preziosi pacchetti.

Dopo averli raccolti, la seguì nella sua corsa. Riuscì a raggiungerla solo poco dopo, quando, giunta in un giardinetto poco lontano, si fermò appoggiandosi con la mano al tronco di un albero  premendosi l’altra sul petto come a voler calmare i battiti del cuore.

- Insomma, si può sapere cosa ti è preso? - le chiese in tono di aspro rimprovero non appena l’ ebbe raggiunta, ma lo sguardo smarrito che lei gli rivolse lo impietosì.

Prendendola per mano, la condusse in un caffè lì vicino per farla sedere. Barbara però stava troppo male. Precipitosamente chiese ad un cameriere dove fosse la toilette e sparì per un po’. Quando ritornò aveva il viso bianco come un cencio. Robert le aveva fatto portare un bicchiere di mirto e le intimò di berlo.

- Tanto – aggiunse irritato – il battello a quest’ora sarà anche partito. Ci toccherà aspettare quello delle sette ed arriveremo a casa che sarà già notte inoltrata.

- Scusami!  - gli sussurrò lei mortificata, sorseggiando il liquore e riprendendo un po’ di colore sulle guance.

- Lo farei più volentieri se mi spiegassi cosa accidenti ti è preso – le disse ancora duramente. Poiché non gli rispondeva, la incalzò – Hai visto qualcuno?

La ragazza annuì con il capo, ad occhi bassi.

- Quel giovane ufficiale bruno  con gli occhi a mandorla?

Di nuovo Barbara annuì, ma senza parlare.

- Chi era?

Non gli rispose.

- Insomma, chi era? – si arrabbiò Robert.

Solo a questo punto la ragazza  parlò.

- Il padre di mio figlio.

L’uomo sospirò. Assai irritato, girò il viso dall’altra parte per non mostrarle il proprio disappunto.

- Ebbene e che motivo avevi di scappare così? Mi sbaglio  o eri con me? – le chiese dopo un po’.

- Era da allora che non lo vedevo più, ne sono rimasta sconvolta.

Robert tornò a guardarla ed i suoi occhi chiari erano duri come lame d’acciaio.

- Lo ami ancora?

- No, come ti viene in mente! – protestò lei, guardandolo a sua volta, il viso oramai tutto rosso – Solo che, te l’ho detto, dopo tanti anni... non mi aspettavo di vederlo mai più.

- Come lo avevi conosciuto questo mascalzone?

- Non mi va di parlarne, per favore.

Il marito non insistette.

- Bene, non ne parliamo allora. Comunque, se ti senti meglio, andiamo a fare una passeggiata: ci vuole ancora più di un’ora prima che parta il prossimo battello e non ho voglia di starmene nascosto qui in questo caffè. O hai paura di incontrare ancora il tuo bellimbusto?

- Smettila! – gli disse dura, ma si alzò e si avviò, precedendolo.

Passeggiarono per un po’ in silenzio. La meravigliosa atmosfera di quel giorno sembrava oramai perduta. Per fortuna la strada era abbastanza solitaria perché la folla era tutta giù al lungomare dove si accalcava a festeggiare. Barbara ad un tratto si fermò, sedendosi su un basso muretto. Senza parlare, Robert le si sedette accanto.

- Praticamente siamo cresciuti insieme – cominciò a raccontargli anche se lui non le aveva  chiesto più nulla – Filippo era il figlio del farmacista e mio padre faceva il medico per cui le nostre famiglie cominciarono frequentarsi quasi subito dopo il nostro arrivo ad Alghero. Aveva solo un anno più di me e siamo stati compagni di giochi per tutta l’infanzia. Forse fu per questo che nessuno ebbe niente da obiettare quando, diventati adolescenti, continuammo ad essere molto vicini. Quell’estate era l’ultima che Filippo doveva passare a casa: era stato ammesso all’Accademia  Navale di Livorno ed in autunno doveva partire. Nonostante fosse stato sempre il suo sogno, eravamo entrambi tristi. Separarci ci faceva molto male e per questo stavamo quanto più tempo era possibile insieme, a volte anche tutto il giorno.

- Di solito queste amicizie d’infanzia si mantengono sempre su un piano di innocenza, si diventa quasi come fratello e sorella – osservò Robert – com’è che voi due invece… - non finì la frase.

Imbarazzata, Barbara si morse l’unghia del mignolo poi gli spiegò.

- Cominciammo quasi per gioco, facendo la lotta sulla spiaggia perché mi aveva tirato la sabbia… ci ritrovammo a baciarci… era la prima volta e poi insomma successe, e parecchie volte anche.

- Ma vi rendevate conto di ciò che stavate facendo?

- Non lo so, forse no, ma era meraviglioso.

- Già! – sogghignò Robert, amaro, facendola arrossire e tacere. Ma anche se si accorse del suo imbarazzo, non esitò ad interrogarla ancora -  - Che successe quanto ti rendesti conto di essere incinta?

- Gliene parlai e Filippo mi giurò che ci saremmo sposati.

- Invece?

- La sua famiglia non volle. Dissero che un ragazzo di diciassette anni era troppo giovane per lasciarsi mettere il cappio al collo, che doveva frequentare l’Accademia, farsi un futuro e che la colpa era solo mia che non avevo saputo salvaguardare il mio onore.

- Lui lo accettò?

- Cosa poteva fare? Era solo un ragazzo ed i suoi, pur di non farci sposare, preferirono andarsene via tutti quanti da Alghero per trasferirsi a Livorno.

- Tu che facesti?

- Niente, mi disperai, naturalmente. Posso dirti solo che fui fortunata ad avere dei genitori come i miei. Se la stessa cosa accadesse oggi a Carlotta o a Caterina,  mio fratello le caccerebbero di casa e chissà che fine farebbero. Mio padre e mia madre invece mi furono molto vicini, mi difesero da Alfredo e da mia cognata, dal paese, dalle malelingue, accettarono il mio piccolino come un dono e lo amarono tantissimo. Se non avessi avuto loro sarei impazzita dopo.

Barbara s’interruppe ancora una volta. Le lacrime le riempirono gli occhi impedendole per un po’ di parlare, ma poi continuò con la voce rotta di pianto.

- Già, perché come una stupida continuai a credere per cinque anni che Filippo mi amasse e che sarebbe tornato per sposarmi non appena fosse stato in grado di farsi una famiglia. Sai quando mi resi conto che non sarebbe mai stato così? Quando Giacomino morì e  nemmeno mi mandò due righe per dirmi la sua sofferenza per la morte di colui che era stato anche figlio suo.

- Forse non lo seppe – cercò di consolarla Robert, addolorato di vederla così in preda a ricordi tanto brutti.

- Certo che lo seppe! Aveva ancora parenti ad Alghero e dovevano averlo informato sia della nascita che della morte del nostro bambino. No, semplicemente non gliene importava nulla! Se per me il mio piccolo angelo era stato come un bel sogno venuto e scomparso troppo presto, per lui nemmeno era esistito ed io ero soltanto una ragazzetta accondiscendente con cui si era divertito un po’ su una spiaggia solitaria. Avevo soltanto ventuno anni, ma se ne avessi avuto cento sarebbe stata la stessa cosa, per me oramai la vita era finita ancora prima di cominciare – concluse, senza nemmeno osare di alzare gli occhi sul marito.

Lui sospirò poi le carezzò un braccio e con tanta dolcezza, come si fa con i bambini addolorati, le disse piano:

- Vieni, su, torniamo a casa nostra ora.

 

Barbara se ne stette triste e silenziosa per tutto il viaggio di ritorno. Quando arrivarono,  il sole era già tramontato.  La notte era buia e soltanto la lanterna del calesse rischiarava la strada già difficile da percorrere in pieno giorno.

- Scusami, non sai quanto mi dispiace che si sia  fatto così tardi per colpa mia!  – gli sussurrò ad un certo punto.

- Non fa niente. Sono abituato a farla anche di notte questa strada. Piuttosto dispiace a me il vederti così triste. Lo so, hai vissuto momenti molto dolorosi, ma quella a cui mi hai abituato è una donna forte, coraggiosa, che sa reagire. Non ce la faccio a vederti così solo perché oggi abbiamo avuto la malasorte d’incontrare quello sciagurato!

Nel buio balenò il biancore dei denti di lei nel sorriso.

- Sì, hai ragione, in fondo ora ho qualcosa che prima non avevo: Charles mi aspetta e domani giocheremo con le marionette che gli abbiamo comprato. Nunzietta mi sorriderà contenta quando le darò i suoi dolci ed io avrò  tre vestiti nuovi, due cappelli ed un paio di scarpe. Cosa posso volere di più?

La luce del calesse non le illuminava il viso per cui Robert non riuscì a capire dalla sua espressione se stesse ironizzando o se facesse sul serio, poi però la voce le cambiò, assumendo un tono davvero preoccupato mentre gli confidava un pensiero che la stava tormentando da un po’.

- Abbiamo fatto tanto per farmi presentare bene ai Bradley e poi se…

- Se? – la incitò l’uomo perché non si spiegava cosa volesse dire.

- Se venissero a sapere dei miei precedenti?

- Tanto per cominciare non li conosce nessuno qui ad Ingurtosu, solo Grazia e Lino e quei due si farebbero torturare piuttosto che  rivelarli a qualcuno. Ma poi, credimi Barbara, anche se ti avessi sposata in altre circostanze, quella vecchia storia non avrebbe avuto nessun significato per me.

- Come fai a dirlo se non mi ami? Forse ti sembra così proprio per questo: io ti sono solo indifferente e lo è tutto quanto mi riguarda. 

- Non è vero.

- Cosa non è vero, che non mi ami o che ti sono indifferente? – gli chiese e nella notte silenziosa le sembrò quasi di sentire i battiti del proprio cuore che palpitava in attesa della sua risposta.

- Che mi sei indifferente. Io ti stimo molto, lo sai.

- Già, però non mi ami. Così come non mi ha mai amato nessuno.

In quel momento una tale consapevolezza la rendeva davvero triste . Aveva speso tanto tempo prima tutte le sue monete ed ora era restata povera e senza amore. Non poteva fare altro che rassegnarsi  al destino a cui si era condannata con le sue stesse mani.

L’uomo accanto a lei sembrava anch’egli in preda a un enorme dolore.

- Nessuna altra donna al mondo meriterebbe più di te di essere amata – le mormorò un po’ incerto - ma io non posso farlo, ho fatto un giuramento, lo sai…

- Sì, Robert, lo so.

 - Ma non devi pensare per questo di essermi meno cara. Ti sono molto affezionato, te lo giuro.

Affezionato! Barbara era delusa: lei che avrebbe voluto essere amata, doveva  farsi una ragione di rappresentare per Robert solo una compagnia e un appoggio. Chissà però … se prima di lei non ci fosse stata Julie … Forse era meglio rifugiarsi nell’illusione che tra loro le cose sarebbero potute andare diversamente, una lusinga questa che l’avrebbe aiutata ad accettare l’amara realtà di una vita fatta solo di desolata solitudine.

 

Al ritorno trovarono Nunzia molto preoccupata per il loro ritardo. Aveva tenuto in caldo la cena, ma entrambi non avevano fame. Entrarono solo a dare un saluto al piccolo Charles che già dormiva tranquillo nel suo lettino da un bel po’, poi si augurarono la buona notte e si ritirano nelle loro stanze.

Come di consueto Barbara si preparò per la notte e si coricò, ma con gli occhi spalancati nel buio, incapace di prendere sonno, ancora una volta si sentì come se avesse avuto cent’anni.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Ancora una volta devo complimentarvi con voi per la grande capacità che state dimostrando nel comprendere a fondo i miei personaggi. Arte, ad esempio, ha tracciato così bene la figura ed il carattere di Barbara che quasi quasi ha anticipato il prossimo capitolo! Anche Lilysol ha centrato il problema: Barbara è aperta alla vita, Robert no. Come hanno intuito Cricri  e Lucy, però, è come se lui si volesse giustificare perché non può amarla. In effetti il parallelo tracciato da Faith tra il mio precedente protagonista maschile, Christopher, e Robert non è errato, almeno per quanto riguarda il comportamento distaccato nei confronti della propria compagna, ma mentre il primo era uscito piuttosto scettico ed incattivito dalla precedente, dolorosa esperienza, il giovane ingegnere ne è stato quasi annientato. Avrete già capito, ne sono certa, di quanto Barbara lo attragga fisicamente e di come la consideri meravigliosa. Il guaio è che il giuramento fatto a Julie lo vincola molto perché è una persona troppo leale per mancare alla parola data ed inoltre si sente in colpa con quella povera ragazza come se davvero fosse stato lui a causarne la morte. E’ proprio questo ad impedirgli di amare Barbara e sarà questo a causare le loro future difficoltà. Ma non voglio anticiparvi niente, anche perché i prossimi capitoli saranno molto lieti e sereni ed allora godeteveli prima di consumare interi pacchetti di fazzolettini di carta! (che ne dite, chiedo alla Kleenex se mi vuole sponsorizzare?)

 

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Capitolo 17

 

Per fortuna Barbara era una persona equilibrata e dotata di molto senso pratico e così, ragionando con se stessa, riuscì a convincersi che anche se la sua vita non era stata particolarmente fortunata,  adesso aveva molto più di quanto si sarebbe potuta aspettare. Tutto sommato era stato meglio aver sposato Robert, amandolo senza esserne ricambiata, piuttosto che essersi maritata ad un uomo che non le piaceva e doverlo subire, così come era successo a tante donne di sua conoscenza che pur di sistemarsi avevano dovuto accettare un simile sacrificio. In questo caso la vita matrimoniale sarebbe stata davvero insopportabile, ora invece aveva una bella casa, un bambino adorato ed un uomo dolce e cortese il quale, anche se non la voleva, la trattava comunque con riguardo. Sarebbe stato da stupida non accontentarsi e non cercare di prendere quanto c’era di buono nella strana situazione in cui si trovava.  
Per tutta la settimana successiva cercò di tuffarsi con rinnovato entusiasmo nelle occupazioni di ogni giorno e ciò le diede la forza di riacquistare un po’ di serenità e di buttare giù ancora una volta l’amaro boccone delle delusioni passate e presenti. La bella stagione l’aiutava in questo e la presenza del piccolo Charles e persino della brava Nunzia a cui si era affezionata davvero, la fecero sentire presto di buonumore.

Così come si era ripromessa di fare, la mattina andavano  sulla spiaggia e si divertivano a scorazzare tra la sabbia ed il mare. Portavano anche la colazione e restavano lì fino a sera quando l’ingegnere Forrest, finito il lavoro, li veniva a prendere per riportarli a casa. 
Anche se arrivava  quasi al tramonto, approfittando delle giornate d’estate calde e lunghissime, Robert non mancava mai di fare un tuffo  nell’incantevole mare per poi mettersi a giocare con il piccino prima di andare via. In queste circostanze Barbara rimaneva a guardarli, il padre che  usciva dal mare, bello e sorridente,  e lo splendido bambino biondo che gli trotterellava accanto come un cuccioletto impazzito di contentezza. Allora si diceva che anche se non le appartenevano davvero, bastava che fossero lì e si lasciassero amare perché la sua vita  ne fosse già colmata di gioia. A tale pensiero si sentiva perfino allegra e la sera, dopo cena, si metteva a fare il teatrino con le marionette, inventando storie talmente buffe da riuscire ad incantare non solo il bimbo e la servetta che nella loro ingenuità ridevano a crepapelle, ma perfino il marito, il quale, invece di ritirarsi in camera sua come faceva di solito, rimaneva ad ascoltare divertito.
In realtà stavano bene insieme, forse non erano una vera e propria famiglia, ma erano quanto di più vicino ad essa potesse esserci.

 

Intanto i Bradley erano tornati e come Robert aveva immaginato, il sabato gli arrivò l’invito per andare a Villa Margherita. Sapendo che  non era andata al mare, decise di andare ad avvisare la moglie per darle il tempo di prepararsi così, verso le tre del pomeriggio, lasciò il lavoro per tornare a casa. La  trovò in giardino che si stava asciugando al sole i capelli appena lavati. Barbara li aveva belli, folti e lunghissimi, di un bel colore castano. Ora le ricadevano come una cascata perché se ne stava a testa in  giù per farli asciugare. La nuca, bianca e delicata, risaltava dalla scollatura del corpetto.

Non lo aveva sentito arrivare e all’improvviso lo scorse in piedi davanti a lei. Per lo stupore si rialzò di scatto e mentre i capelli le ricadevano sulle spalle, rimase interdetta a fissarlo per la strana espressione che aveva sul viso. La stava guardando molto intensamente e per un attimo ebbe anche la sensazione che stesse tremando.

- Robert, che è successo? – gli chiese con un filo di voce perché si era sentita turbata nel vederselo davanti all’improvviso, con quel  viso dall’ovale perfetto e gli occhi che mandavano bagliori di fuoco.

Lui sembrò riprendere il controllo e le sorrise.

- Nulla, è arrivato il momento di farsi bella, ragazza mia. Oggi pomeriggio si va a prendere il tè dalla vecchia lady Margaret.

- Io non ho bisogno di farmi bella, lo sono sempre! – scherzò di rimando facendogli una smorfia ma si sentì attanagliare lo stomaco dall’agitazione.

 

Più tardi, quando si presentò al cospetto del marito tutta vestita a nuovo, temette sul serio di non essere all’altezza, ma  notò l’ammirazione nello sguardo di lui e se ne sentì subito rassicurata. Le sorelle Poma avevano fatto un buon lavoro ed il vestito di un rosa pallidissimo metteva in risalto la sua bellezza.
- Stai bene, davvero stai bene – le mormorò Robert.

Come se fosse stato incapace di resistere dal toccarla, le fece una lieve carezza sulla guancia e poi, scendendo  delicatamente sul collo, prese tra le dita il piccolo crocifisso di corallo che portava appeso ad una catenina.

- È bello questo gioiello e sta anche molto bene con il vestito – osservò.

- È il mio portafortuna e stasera ne ho proprio bisogno.

- Dai, non drammatizzare, in fondo che te n’importa della vecchia, odiosa Maggie?

- Niente. Ma ci tengo lo stesso a farti fare bella figura - gli rispose stringendosi al suo braccio.

 

Ma la vecchia, odiosa Maggie non ebbe modo di trovare nulla da ridire sulla nuova moglie di Robert e sì che ne avrebbe avuto una voglia immensa! Barbara si mostrò bene educata, colta e  socievole e sir Paul ne rimase subito incantato. Ai coniugi Bradley il Signore non aveva fatto provare la gioia di avere figli e così si erano affezionati a quelli delle sorelle di lady Margaret come se fossero stati i propri. Da quando aveva conosciuto Robert però, così buono, bello ed intelligente, il vecchio gentiluomo aveva sempre pensato che se avesse potuto avere un figlio lo avrebbe voluto proprio come lui. Naturalmente questo non poteva dirlo alla moglie per la quale i nipoti non potevano essere eguagliati da nessuno, figuriamoci poi da quell’intruso figlio di minatori che aveva osato alzare lo sguardo ed addirittura sposare una dea come Julie, portandola alla rovina. Il nobiluomo invece sapeva perfettamente quanto Robert e Julie si fossero amati e fossero stati felici insieme, ma ora che purtroppo la ragazza non c’era più, era contento che il suo pupillo si fosse rifatto una vita con una donna altrettanto deliziosa della sua sfortunata nipotina.

Per tutto il pomeriggio cercò di mettere Barbara a proprio agio con benevolenza, parlandole spesso anche in italiano. L’arcigna signora invece non si lasciò sfuggire neanche una parola che non fosse in inglese e continuò sempre a guardare la giovane con un’aria distaccata e fredda che non migliorava di certo il suo aspetto già piuttosto bruttino. Nonostante il portamento signorile, aveva un viso magro e spigoloso, pieno di rughe, gli occhi sporgenti e le labbra sottili, tanto che in cuor suo Barbara si chiese come avesse fatto un bell’uomo come Paul a sposare una specie di ranocchia così. 
Al momento di congedarsi, la giovane sposa invitò i coniugi a casa loro, ma seppe farlo con molto garbo, scusandosi in anticipo perché non sarebbe stata in grado di uguagliare la perfezione della padrona di casa nell’offrire un tè così impeccabile e si sarebbero dovuti accontentare di una semplice cena a base di piatti della cucina locale. La nobildonna non accettò subito, limitandosi a dirle un freddo: “vedremo, vedremo” e poi invitò Giovanna ad accompagnarli alla porta.

Quest’ultima, che si riprometteva di correre subito a riferire all’amica Grazia la magnifica figura fatta da Barbara, non appena la padrona fu lontana,   disse, sorridente e soddisfatta:

- Ricambierà sicuramente la visita. Se ben la conosco,  starà già morendo dalla curiosità di venire a vedere casa vostra per trovare qualcosa di cui sparlare. Ma sono certa che rimarrà ancora una volta senza parole.

- Speriamo! – la ringraziò Barbara stringendole la mano.

Dopodiché i due giovani risalirono sul calesse. Non appena ebbero imboccato il cancelletto di ferro lasciando il viale d’ingresso della villa, si guardarono e scoppiarono a ridere insieme, contenti come due bambini.

- Fine del primo round – affermò la ragazza appena si fu calmata un po’, usando un termine che il marito le aveva insegnato parlandole del suo sport preferito, il pugilato.

- E l’hai messa ko, mia cara.  Grazie.

Alla luce del tramonto il viso di Robert era talmente allegro e soddisfatto che Barbara si sentì stringere il cuore dall’emozione. Pensò che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vederlo sempre così contento.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

 

Il secondo round non tardò a cominciare, ma l’incontro fu un po’ truccato. Infatti Giovanna aveva  sentito dire alla padrona che avrebbero ricambiato la visita già il giovedì successivo e prima ancora che Paul lo dicesse a Robert, avvisò Grazia affinché ne informasse Barbara.     Poiché era già lunedì e non c’era molto tempo per i preparativi, l’anziana signora si recò di corsa a Villa Bianca.

Fu così che, nel ritirarsi quella sera, l’ingegnere trovò le donne di casa a confabulare.

- Ma che succede? – chiese nel vedere in cucina non solo la moglie e la domestica, ma anche Maria, Grazia ed un’amica di quest’ultima, moglie di un altro contabile.

- Niente – gli rispose Barbara – stiamo organizzando una cosa. Scusa, caro, sono un po’ in ritardo per la cena, comunque tra meno di mezz’ora sarà tutto pronto. Nel frattempo ti dispiacerebbe occuparti un po’ di Charles? Non ci fa dire una parola con i suoi capricci.

Perplesso, l’uomo prese in braccio il figlio e si allontanò con lui, impaziente di venire a conoscere il motivo di tanta agitazione che però  gli fu svelato solo più tardi a cena.

- Giovedì, verranno giovedì – gli comunicò Barbara mentre gli metteva nel piatto una bella fetta di pasticcio di maccheroni. Lui, che era affamato, preferì cominciare a mangiare piuttosto che contraddirla, ma appena si fu un po’ saziato, disse:

 - Ti sbagli di sicuro, sir Bradley non mi ha detto niente.

- Lei gli ha chiesto di non farlo. Vuole prendermi di sorpresa, la perfida.

- E tu come fai a saperlo?

- Giovanna – gli rispose prima di bere un sorso di vino.

- Ebbene, noi siamo qua, venisse quando vuole. Che bisogno c’era di fare quel conclave?

Barbara lo guardò spalancando gli occhi stupita.

- Che bisogno c’era? Deve essere tutto perfetto per giovedì sera, il pranzo squisito, la casa scintillante e noi tre elegantissimi.

Robert rise di gusto, mettendosi a scherzare.

- Ti prometto che non indosserò i calzoni bianchi con i quali vado a cavallo, ma sulla marsina non  ti do assicurazioni!

- Non parlavo di te, scemo – gli rispose la ragazza sorridendo –  Tanto di te pensa già tutto il male possibile e non le faresti cambiare idea neanche se ti mettessi in frac! – aggiunse ironica e con un’alzata di spalle per prenderlo in giro.

- E chi sarebbero i tre allora?

- Io, Charles e Nunzietta.

- Anche lei?

- Certamente! E le mie amiche mi aiuteranno.

 

La loro conversazione comunque ebbe una sua utilità perché quando il giovedì mattina sir Paul andò negli uffici della Direzione per  dire a Robert che sarebbero andati la sera a trovarli, lui non ne fu affatto stupito.

- Ascolta – gli disse l’anziano gentiluomo con sul viso un’espressione vagamente imbarazzata – L’ho detto a Maggie che dovevamo avvisarvi qualche giorno prima, ma lei dice di averlo deciso stamani e che se non sarà possibile stasera non sa se…

- No, signore, va benissimo stasera. Mia moglie ne sarà molto contenta – lo interruppe, sicuro del fatto suo – magari andrò via un po’ prima per avvisarla. Forse vorrà preparare qualcosa di più per cena e dobbiamo dargliene il tempo.

- Sicuro, ma diglielo però:  non si mettesse troppo in cerimonie.

- Tranquillo, non faremo molto più di quanto non siamo abituati a fare.

 

Invece a casa trovò le grandi manovre. Grazia si affannava tra la cucina e il salotto, Maria  lucidava il pavimento come se avessero dovuto mangiare lì, Nunzia portava montagne di piatti e la signora Ferri faceva misurare a Charles un vestitino tutto pizzi e ricami.

- Dov’è mia moglie? – chiese a Giosuè che vide entrare con una sporta colma di magnifica frutta e verdura appena colte nell’orto del suo amico Salvatore Sannia.

- È in cucina, ingegnere.

Infatti la trovò lì, con il viso arrossato ed  un candido grembiulino, mentre finiva di decorare con delle fragole una monumentale torta alla panna.

- Accidenti! – mormorò  – L’hai fatta tu questa?

- Ti piace? Sono due ore che ci sto lavorando, ma n’è valsa la pena.

- Meno male che ho detto a Paul che non avremmo fatto niente di più di quanto facciamo sempre per cena! – rise l’uomo, divertito. Osò allungare un dito per prendere un po’ di panna.

- Stai fermo! – lo sgridò la moglie dandogli un buffetto sulla mano per impedirgli il misfatto, ma poi, più dolcemente, gli chiese - Davvero hai detto così?

- Sì, mi sono guardato bene dal rivelargli che sono tre giorni che qui si sta facendo lavoro di squadra. La vecchia megera dovrà convincersi che noi si vive sempre così, tra pavimenti scintillanti e pranzi sontuosi, in una casa perfetta dove giriamo tutti eleganti come damerini. La dobbiamo far crepare di rabbia o no?

La stava prendendo in giro e Barbara, fingendosi adirata, si girò verso di lui minacciando di sporcarlo con l’indice sul quale aveva preso un ciuffetto di panna, ma Robert ridendo l’afferrò per la vita e la strinse a sé, poi le prese la mano e cominciò a leccare la panna senza smettere di guardarla, con gli occhi sorridenti.

In quel momento entrò Grazia.

- Oh scusate! – disse battendo in ritirata nel vederli abbracciati ed in intimità, ma loro si erano già staccati, un po’ stupiti essi stessi di essersi lasciati andare così tanto, e la invitarono ad entrare.

 

La sera fu tutto perfetto. La prima cosa che i due nobili notarono fu Nunzia che rivestita con un abitino nero, il grembiulino e la crestina bianca, non sembrava più una pastorella,  ma una perfetta cameriera abituata a servire nelle migliori famiglie. Anche la padrona di casa poi era un vero splendore in un  raffinato abito bianco ed accanto a lei, bello ed elegante, Charles sembrava addirittura un altro bambino, tanto che la vecchia signora gli si avvicinò, squadrandolo con l’occhialino. Un po’ intimidito, il bimbo si nascose dietro la sottana di Barbara che però lo incoraggiò a farsi avanti e a salutare, cosa che fece con un inchino ed in perfetto inglese. Il padre lo guardava soddisfatto: i boccoli biondi che gli ricadevano ben pettinati sulle spalle, il vestitino bianco dall’ampio colletto di pizzo e la sua aria  serena ed in salute dimostravano che era  ben curato e felice. Neanche quella perfida vecchiaccia avrebbe potuto metterlo in dubbio. Il suo scopo era stato pienamente raggiunto. Ora i nonni non avevano più alcun pretesto per portarglielo via e se ciò era avvenuto, lo doveva solo a quella cara creatura che lo aveva salvato ed era riuscita dal niente a creare tutto questo. 

Durante il corso della serata, si avvide che la moglie aveva conquistato del tutto il buon Paul, perché ad un certo punto, si lasciò andare ad un aperto complimento. Lo fece quando Margaret le chiese dove avesse comprato la splendida tovaglia a tombolo che c’era sulla tavola.

- Non l’ho comprata, mylady, l’ho fatta io con l’aiuto della mia povera mamma.

- Così oltre a cucinare divinamente sapete anche fare cose così belle? Siete una moglie perfetta, mia cara, Robert non poteva trovare di meglio. Non rammentavo nemmeno che questa casa fosse così bella. Ma forse non lo era, lo è diventata ora grazie alle vostre cure – osservò il nobiluomo, sorridendole benevolo.

- Vuoi dire che mia nipote non la sapeva mantenere così? – intervenne la moglie molto adirata e risentita per i complimenti fatti a colei che aveva preso il posto della sua piccola, adorata Julie.

L’uomo non comprese di averla ferita e continuò imperterrito.

- Julie aveva tante doti, ma come donna di casa non era il massimo, dobbiamo ammetterlo, Maggie.

- E tu vuoi mettere la bellezza, la nobiltà e la grazia con le doti terra terra di una qualsiasi brava donnetta di casa? – continuò l’altra assai incattivita pur rendendosi conto di star diventando offensiva.

- Per favore! – intervenne Robert facendosi serio – Ho amato tanto Julie,  lo sapete, ma se è vero che era perfetta ciò non toglie che anche altre donne possano esserlo altrettanto. Non mi sembra il caso di lasciarsi andare a paragoni fuori luogo. Soprattutto perché non c’è nulla che possa farla tornare –  concluse con un’aria molto mesta.

Per rompere il silenzio imbarazzato sceso tra loro, Barbara propose con un sorriso di andare a prendere il caffè sul portico perché era una bellissima serata di luna piena. Tutti accolsero di buon grado l’invito. I due uomini si sedettero un po’ distanti perché stavano fumando il sigaro e non volevano dar fastidio alle signore. Approfittando che non potessero sentirli parlare, Paul sussurrò al giovane amico, mentre un’espressione imbarazzata gli appariva negli occhi azzurri che fissavano il cielo stellato.

- Mi dispiace, sono stato assai inopportuno prima ed ho dato a Maggie l’opportunità di diventare sgradevole come sa esserlo solo lei. Mi dispiacerebbe se tua moglie si fosse offesa per ciò che ha detto.

- No, Barbara è una donna troppo intelligente per farlo e poi sapeva bene a cosa  andava incontro sposandomi.

- Sai – aggiunse l’altro – quando me ne avevi parlato non pensavo che fosse così. È davvero brava ed è anche molto bella. Come mai non aveva già trovato marito?

- Non lo so. Forse per maritarsi cercava qualcuno perfetto come me! – sorrise lui, buttandola sullo scherzo.
Ma l’altro non ci cascò e  continuò serio:

- L’ami?

Robert abbassò lo sguardo. Quella domanda a bruciapelo era la stessa che da mesi ormai gli veniva da farsi quasi ogni giorno e che scacciava ogni volta come un pensiero osceno. Preferì dare la solita risposta, quella che lo rassicurava e gli dava la forza di andare avanti.

- È una persona meravigliosa – balbettò un po’ esitante – ma io ho amato Julie. Come potrei dimenticarla?

- Perché dovresti dimenticarla? Non credi che nel cuore di una persona ci sia spazio per più di un amore?

- No, per me l’amore deve essere esclusivo, totale. Non si possono amare due donne contemporaneamente.

- Questo è verissimo, ragazzo mio, ma non quando una delle due non c’è più. In questo caso il suo ricordo non deve impedirti di vivere ancora, deve diventare qualcosa di prezioso da custodire dentro di te finché avrai respiro. Però la vita può e deve continuare, non puoi impedirle di farlo.

- Non lo so, sono assai confuso.

- Non ti preoccupare, lascia che sia il tempo a farti guarire. Per ora goditi solo la presenza di questa piccola fata. Non può farti che bene. Anzi, ho un’idea…

Come preso da un pensiero improvviso si alzò e si avvicinò alle donne.

- Maggie, pensavo che se tu non sei interessata ad andare  a Cagliari, potrebbero andarci questi ragazzi  - disse e  rivolgendosi ai due giovani che lo guardavano stupiti, si spiegò meglio - Una ditta che costruisce teleferiche ha organizzato una presentazione per illustrare tutti i vantaggi dell’installazione di un congegno del genere negli impianti minerari, invitando molti dei proprietari dell’isola. M’interesserebbe sapere che tipo di risparmio potrebbe consentirci sui costi di produzione l’installazione di una di esse per trasportare il materiale. Credo che tu saresti la persona più indicata a prendere la decisione di acquistarla o meno, Robert, anche perché si tratterebbe di una spesa notevole.

- Lui è senz’altro  la persona più adatta a farlo, ma io cosa c’entro? – obiettò Barbara.

- Hanno invitato anche le mogli, offrendo una settimana di soggiorno in uno dei migliori alberghi cittadini. È usanza far partecipare anche loro a questo tipo di promozioni. Di solito, mentre gli uomini lavorano, le signore si rilassano un po’ e si fanno compagnia. La sera poi si sta tutt’insieme.

- Forse questa ragazza si annoia quanto me ad andarci. In fondo o si sta da sole tutto il giorno o si è in compagnia di quelle orrende, grasse mogli dei tuoi colleghi proprietari di miniera  – obiettò Maggie, sempre sprezzante con tutti.

- Però forse a Barbara farebbe piacere fare un viaggetto, anche se breve. Che ne dici Robert?

- Non so… – perplesso, il giovane ingegnere si passava una mano sulla barba. Gli sarebbe piaciuto andarci, le innovazioni tecnologiche lo affascinavano moltissimo e Barbara, socievole e carina com’era, non avrebbe trovato le stesse difficoltà ad integrarsi nel gruppo di quella vecchia acida. Ma c’era un ma: avrebbero dovuto trascorrere una settimana intera nella stessa stanza ed oramai sentiva vacillare tutti i buoni propositi.

- Avanti, lascia decidere lei – lo invitò l’anziano amico vedendolo esitante.

- No, per carità! Io non posso decidere niente, è Robert che deve farlo, io accetterò ogni sua decisione.

Nel dirlo Barbara lo aveva guardato con i begli occhi seri. Sembrava così rassegnata a non contare nulla che gli fece tenerezza.

- Se non ci andrete neanche voi,  vuol dire che Paul si dimenticherà della teleferica. Anche se gli secca partecipare senza di me perché dice che così rischiamo di isolarci nell’ambiente mostrandoci  altezzosi, io di certo non lo accompagno! – continuò la lady.

- Non c’è problema allora, ci andremo noi – affermò il giovane guardando fisso in faccia la moglie la quale lo fissava a sua volta con un aria interrogativa come a volergli dire “ma sei sicuro di ciò che stai facendo?”

- Benissimo, allora preparate le valige perché dovrete trovarvi lì sabato pomeriggio! – dichiarò allegro sir Bradley, felice di aver offerto ai due giovani l’opportunità di una vacanza inaspettata

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

 

Fino a quando non furono arrivati a Cagliari, Barbara non trovò il coraggio di fare nessuna osservazione in merito all’avventura in cui si stavano imbarcando perché era troppo contenta per rischiare che il marito cambiasse idea. Però, non appena un cameriere molto gentile li ebbe accompagnati in quella che doveva essere la loro stanza per un’intera settimana, si sentì davvero in imbarazzo. Timidamente osservò:

- Come faremo per dormire? La camera è piccola e non c’è nemmeno una poltrona.

Robert non rispose, aprì il balcone ed uscì fuori soffermandosi a guardare il bel panorama ed il giardino profumato davanti a lui.

- Non ti preoccupare – le disse poi in un sussurro – non ti darò fastidio.

La donna non insistette più e cominciò a prepararsi per la serata.

 

La ditta costruttrice delle teleferiche non aveva badato a spese. L’albergo prescelto era uno dei migliori della città, dotato di una bella saletta dove gli eventuali, futuri acquirenti potevano trattenersi a discutere dei loro problemi con del personale molto qualificato. Inoltre, per consentire anche alle signore di svagarsi, erano stati organizzati vari incontri.

La sera si doveva tenere una cena di gala e Barbara fu davvero lieta di essersi fatta confezionare dalle sorelle Poma anche un abito da sera. Lo indossò con piacere e guardandosi allo specchio si ritenne molto soddisfatta del  proprio aspetto. Il vestito,  con la gonna morbida un po’ a coda, era anche leggermente scollato, ma solo al punto da mettere appena in risalto le spalle tornite e la sommità del seno il cui biancore risaltava in contrasto al nero della stoffa ricamata di perline dello stesso colore. Aveva raccolto i capelli in una morbida pettinatura e li aveva ornati con un’acconciatura di piccole  piume nere,  confezionata apposta dalla modista per accompagnare l’abito. Stava ancora davanti allo specchio a darsi dei pizzicotti sulle guance per colorirle un po’, quando entrò Robert che si era già vestito da un pezzo ed era sceso giù per farsi dire chi erano gli altri ospiti. Era venuto a prenderla per condurla al ristorante, piuttosto allegro anche lui.

- Ci sono proprio tutti, quelli delle miniere di Iglesias, di Nurra e della Sardegna Centrale… - stava dicendo ma non finì la frase e restò incantato a guardare la moglie perché non l’aveva mai vista così bella.

- Sei stupenda! – proruppe.

- Grazie – sorrise lei, contenta del complimento – Spero di non farti fare brutta figura.

- Come potresti? Piuttosto penso che m’invidieranno in tanti.

In effetti poco dopo non mancarono di attirare l’attenzione di quanti erano nella lussuosa sala. Parecchi conoscevano sir Bradley e la sua legnosa consorte, ma nessuno aveva mai visto il giovane uomo dall’aspetto prestante e dagli occhi magnetici  né la bella donna che lo accompagnava.

Capitarono a tavola vicino al marchese Giambattista Rodotà. Il gentiluomo rappresentava una società che possedeva una miniera proprio nei pressi di Alghero e Barbara fu molto lieta della circostanza perché le sembrò di ritrovare un po’ dell’atmosfera di casa, anche se non rivelò di provenire da lì.

La moglie era davvero molto grassa proprio come aveva detto lady Margaret, ma molto più alla mano e cordiale di quanto non fosse l’arcigna signora di Ingurtosu. Lei e Barbara simpatizzarono subito e la ragazza fu contentissima di poter conversare finalmente nella propria lingua con una persona senza la puzza sotto al naso. Parlarono della vita in miniera, dell’isolamento a cui erano sottoposte pur di stare accanto ai loro uomini e delle loro famiglie.  Barbara non mancò di decantare le doti di Charles di cui raccontò le prodezze e lo strano linguaggio fatto di parole italiane, inglesi ed anche di qualche parolina di  sardo insegnatagli da Giosuè e del modo comico in cui le storpiava tutte. Divertita, la marchesa Ida l’ascoltava ridendo. Robert intanto parlava di ingegneria mineraria con il marchese e lo faceva con tanta cognizione di causa che il suo interlocutore ne restò ammirato. Durante la cena si avvicinò al tavolo Williams Bates, uno degli organizzatori, per informarsi con molta cortesia se le sistemazioni assegnate fossero state di loro gradimento.

- Avrei preferito una stanza con il balcone sul giardino, ma non fa nulla, va bene anche così – commentò la grassa signora.

- Mi dispiace, ce n’era solo una disponibile e l’abbiamo data ai due sposini accanto a voi perché si può dire che sono ancora in luna di miele – commentò il baffuto giovanotto per giustificarsi.

- Ancora? E quanto dura questa luna di miele? – protestò lei – Hanno già un bambino di due anni!

- Siamo sposati solo da novembre scorso, signora – precisò Robert. Nel vedere l’espressione attonita e scandalizzata della sua interlocutrice però si affrettò a spiegare –  Anche se Barbara ne parla come se fosse suo, Charles è figlio della mia prima moglie.

- Per me è come se lo fosse davvero, mi dispiace – disse  la giovane un po’ mortificata, senza che si capisse se si stava giustificando con la marchesa per averla indotta in errore o con il marito per chissà quale ragione.

- Ma di cosa vi dispiacete, figliola mia! È molto bello l’amore che portate a quel piccino. Vostro marito deve ritenersi senz’altro fortunato perché non sempre le matrigne riescono a fare altrettanto.

- Detesto quel termine! Matrigna mi fa venire in mente le favole con le streghe cattive. Certo non sono sua madre, ma non sarò mai una matrigna per il mio piccolo Charles.

- Quindi siete voi quel giovane ingegnere la cui moglie morì pochi giorni dopo il parto? Ricordo che  se ne parlò molto nel nostro ambiente perché era la nipote di sir Bradley. Si diceva che foste quasi impazzito dal dolore e volevate lasciare anche il lavoro per andarvene via con il piccino – rammentò a voce alta  il marchese Rodotà senza rendersi conto di essere inopportuno.

- Già – rispose Robert girando mestamente il cucchiaino nella macedonia di frutta che aveva smesso di mangiare.

- La vita continua, Giambattista, ed il nostro ingegnere ha trovato ancora una volta una donna buona e bella con cui dividerla. Non è così signor Forrest? – intervenne la moglie la quale aveva notato l’imbarazzo in cui la frase infelice del marito aveva  messo i due.

- Già – rispose ancora lui, ma con lo stesso tono desolato. Barbara ne fu molto dispiaciuta.

 

Più tardi la raggiunse in camera quando era già a letto. Faceva caldo e la donna aveva indossato la leggera camicia di raso messa solo la prima notte di nozze perché in effetti era l’unica buona che possedesse, ma ora, nonostante il gran caldo, se ne stava con il lenzuolo tirato fin  quasi sul viso, un po’ vergognosa.

Robert non si coricò.

- Ti dispiace se vado a fare quattro passi? – le chiese

- No, va’ pure, però chiudi l’uscio e porta con te la chiave perché ho paura a stare in questa stanza d’albergo con la porta aperta.

- Ma davvero vuoi che ti chiuda dentro? E se poi ti viene voglia di uscire?

- Non lo farò, sono stanchissima e tra poco starò già dormendo. Vai pure, non preoccupati.

- Va bene allora, buonanotte.

- Buonanotte a te.

Appena fu uscito, la ragazza si scoprì  per rinfrescarsi un po’, poi si raggomitolò su se stessa e provò a prendere sonno per non avere l’imbarazzo di dover stare ancora da sveglia insieme a lui.

 

La mattina dopo, quando la vide entrare nella sala ristorante dove la stava aspettando per fare colazione, Robert notò subito quanto fosse graziosa con il vestito bianco ed il bel cappello a falda larga confezionatole da Rita Poma. Purtroppo cominciava anche a conoscerla e  sapeva bene che quella ruga sulla fronte era indice di una forte irritazione che stava cercando invano di trattenere. Per un po’ sperò di essersi sbagliato perché si stava comportando con molta calma, sorridendo anche al cameriere avvicinatosi per servirli, ma appena furono soli, mentre spalmava del burro su di una fetta di pane, lo apostrofò con una voce bassissima ma molto adirata:

- Insomma, si può sapere dove sei stato stanotte?

Per tutta risposta lui le spalancò in faccia due occhioni turchini che sembravano tanto innocenti quanto quelli del piccolo Charles.

- Come dove sono stato? Sono stato con te. Non mi hai visto uscire stamani? Eri già sveglia, mi pare – le rispose.

- Non mi riferivo a stamattina, anche se ti sei fiondato fuori dalla camera quasi all’alba. Parlavo di stanotte, quando sei tornato che erano le due passate!

- Non è vero! Era l’una, ho visto l’ora all’orologio della piazza qui davanti!

- L’una o le due poco cambia! Dove sei stato? – il suo tono era molto aspro.

- A fare una passeggiata.

- Davvero? Magari in uno di quei posti che sei avvezzo a frequentare qui in città?

- Sei impazzita per caso?– le rispose molto risentito - Come ti viene in mente una cosa del genere?

La donna fece un sorrisetto ironico e continuò:

- Che strana idea, vero? Chissà come mi è venuta in mente! Forse perché so che sei capace di farti anche dei chilometri in pieno inverno per andarci. Probabilmente, poiché adesso siamo qui, avrai pensato di approfittare dell’occasione.

- Te l’ho detto, sono andato solo a fare una passeggiata sul lungomare. Faceva caldo e lì si stava bene. Non mi sono reso conto del tempo trascorso.

- Speriamo! Non m’importa più di tanto, però sai che figura ci facciamo entrambi se si viene a sapere? – commentò la donna con tanta incredulità nella voce da farlo davvero indignare.

- Insomma, perché non mi credi! Io non sono abituato a mentire.

 Inaspettatamente Barbara si mise a ridere di gusto.

- Ma se tutta la nostra vita è una menzogna bella e buona! –  disse.

Intanto aveva notato che la marchesa Ida e Williams  Bates si stavano avvicinando e così tramutò la risata amara in un sorriso radioso.

- Se avete finito di far colazione, possiamo andare via subito. Le carrozze ci stanno aspettando – li invitò il giovanotto mentre le due donne si salutavano con simpatia.

- Non dovevamo vedere i progetti della teleferica? – chiese Robert, stupito.

- Oggi è domenica, ingegnere, dobbiamo andare a messa – intervene la grassa signora – avrete tutto il tempo di discutere del vostro lavoro domani. Questa giornata almeno, oltre che al buon Dio, dedicatela a vostra moglie ed approfittiamo del programmino con i fiocchi  che ha organizzato questo bravo giovanotto.

 

Trascorsero una giornata piacevole, visitando la città ed i suoi monumenti. Per Barbara era un’esperienza nuova perché non si era mai mossa da Alghero e si mostrava piena di entusiasmo e di curiosità. Ad un certo punto la marchesa tracciò un paragone tra le città della Sardegna e citò proprio Alghero chiedendo loro se la conoscessero.

- Certo che la conosciamo – confermò l’uomo – Barbara è proprio…

- Shut up! – gli sibilò lei tra i denti ed in inglese per non farsi capire e poi concluse la frase al posto del marito – Sì, la conosco bene e mi piace anche molto.

La marchesa rimase un po’ interdetta, ma  poi non diede peso allo strano comportamento dei due.

- Dovreste venirci a trovare – li invitò con gentilezza - La nostra miniera è un po’ distante da lì, ma in compenso abbiamo un mare favoloso.

- Tutta l’isola ha un mare favoloso, signora – confermò Robert con quel  sorriso che lo rendeva tanto affascinante – Io ne sono davvero innamorato. Anche se a volte rimpiango Cardiff ed il suo splendido Castello, devo confessare che questa terra incantata, con il suo sole, il suo mare e la sua gente forte e leale mi ha letteralmente imprigionato!

I marchesi Rodotà ed anche Barbara sorrisero contenti di un commento così gentile e spontaneo e poi andarono a raggiungere il resto del gruppo che nel frattempo si stava dirigendo all’albergo per il pranzo di mezzodì.

 

Soltanto a sera, mentre Barbara si stava pettinando seduta davanti allo specchio e Robert aveva appena finito di vestirsi per la cena, tornarono sull’argomento.

- Perché non hai voluto farmi dire alla marchesa che sei di Alghero? – le chiese.

Barbara non smise di acconciarsi i capelli.

- È meglio di no, potrebbe sempre incontrare qualcuno che mi conosce - gli rispose.

- E allora?

Lei lo guardò, seria in viso.

- Questo qualcuno potrebbe riferirle di me e del mio passato. Non hai visto come si sanno le cose nell’ambiente? Finirebbero per venirne tutti a conoscenza.

- Ebbene? Ti ho già detto una volta che non me ne importerebbe nulla.

- A me sì, invece.

- Perché? Oramai sei una donna sposata e rispettabile.

Barbara aveva finito di pettinarsi, si alzò e gli si avvicinò, poi cominciò ad aggiustargli meglio la cravatta con un gesto affettuoso.

Sorridendo amara, commentò:

- Già, dimenticavo: la rispettabilità di una donna passa sempre attraverso un uomo. Ora che c’è stato qualcuno a sposarmi, sono diventata di nuovo rispettabile. Attraverso te mi sono stati rimessi tutti i peccati.

- Non è colpa mia se la gente la pensa così.

- Lo so, ma permetterai che io non sia d’accordo,  però. Non mi sono mai sentita una persona indegna, nonostante tutto, e adesso che sono sposata, non sono certo più meritevole di prima anche perché i motivi per i quali mi hai preso in moglie li conosco bene e non lusingano esattamente il mio amor proprio. Credimi, tutto sommato  è meglio che certe cose non si sappiano in giro. Ecco, così sei perfetto: siamo pronti per un’altra recita. Affrettiamoci a scendere – aggiunse poi cambiando tono.

Senza aspettare risposta, prese la borsetta di perline ed i guanti e si avviò verso il ristorante dove li attendevano per la cena.

 

 

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Dolcissima SweetCherry, grazie, il fatto di essere tra le tue autrici preferite mi onora! Non preoccuparti se non recensisci spesso, mi rendo conto che gli impegni scolastici sono pressanti e non sempre si ha il tempo di commentare capitolo per capitolo. Ma a me basta che leggiate la mia storia e che magari, di tanto in tanto, mi comunichiate anche con un semplice “mi sta piacendo” il vostro gradimento. Con questo non voglio dire che oramai potrei fare a meno dei commenti costanti delle mie “fedelissime” senza i quali forse perderei fiducia nel mio lavoro e non saprei mai se sto riuscendo a comunicare quello che volevo dire. A loro tutta la mia gratitudine perché mi dimostrano che lo sto facendo. Ora, ad esempio, ho la curiosità di sapere se dopo aver letto questo capitolo, ritenete, così  come fa Barbara, che Robert possa essere stato capace di tornare in “quel posto” oppure pensate che sia scappato soltanto. Inoltre mi piacerebbe sapere se vi è parso che la mia protagonista sia un po’ troppo all’avanguardia nel suo modo di pensare oppure sia plausibile che anche nei primi del novecento alcune donne avvertissero le ingiustizie perpetrate ai loro danni da una società prettamente maschilista ed ipocrita. Aspetto con ansia.

 

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

 

- Ti sei divertita stasera non è vero? – le chiese più tardi Robert mentre apriva la porta della loro camera.

- Sì – gli rispose lei,  ancora ridendo – quel belga, come si chiama? Ah sì, Pernaud. È una persona simpaticissima e le sue storielle sono molto buffe. Mamma mia che caldo fa qui dentro! – aggiunse andando a spalancare il balcone e fermandosi a godere il soffio di aria fresca e profumata che veniva dal giardino sottostante. Poi si voltò verso il marito rimasto in piedi a guardarla.

- Sono stanchissima però  - gli disse -  Che ora si è fatta?

- Non è tardi, è mezzanotte meno un quarto – le rispose dopo aver guardato l’orologio preso dal panciotto.

- Non è tardi!?  Quando siamo a casa a quest’ora dormo già da un pezzo! Ma adesso faccio in un attimo. Ti dispiace se vado prima io a spogliarmi in bagno?

Il tono era ancora molto allegro però si rabbuiò quando il marito le disse:

- Spogliati pure qui, io vado a fare quattro passi.

- Come quelli di ieri? – gli chiese, ad un tratto seria.

- Ancora con quella storia! Vado a fare solo quattro passi. Perché non mi credi?

- Che farai quattro passi ci credo, ma  è dove ti porteranno il problema!

- Alla marina, solo alla marina e poi torno.

- D’accordo, fai come ritieni opportuno. Sei adulto e sai quello che fai! – aggiunse freddamente e sempre incredula.

- Barbara non ce la faccio a stare qui, ti prego, lasciami uscire! – le disse in tono quasi implorante con il risultato di farla arrabbiare ancora di più.

- Fai quello che ti pare! Anche se per qualche oscuro motivo hai deciso di restare tutta la settimana senza dormire, sai quanto me ne importa? Io me ne vado a letto ora,  per cui vattene via perché devo spogliarmi!

Robert non se lo fece dire due volte e senza replicare nulla, sembrò quasi fuggire.

 

Si  era già a metà luglio e sul serio faceva molto caldo quella notte. Barbara si svegliò dal sonno profondo in cui era sprofondata subito dopo essersi messa a letto. Notò di essersi scoperta. La camicia leggera era salita su, lasciandole le gambe completamente nude sin quasi al bacino. Si ricordò all’improvviso di star condividendo la stanza con il marito e si affrettò a ricoprirsi poi si girò dal lato di lui per accertarsi che dormisse e non l’avesse veduta così discinta. Il letto però era ancora intatto. Con un sospiro si alzò ed alla luce della luna che entrava dal balcone spalancato guardò l’ora all’orologio sul comodino: era l’una e mezza  e Robert non si era ancora ritirato.

Andò in bagno e la frescura dell’acqua ed il  profumo della saponetta  le diedero un immediato sollievo. I lunghi capelli però le pesavano come un manto caldo sulle spalle, così prese delle forcine dalla mensola per alzarseli, ma invece di farlo in bagno, decise di uscire sul balcone per prendere anche una boccata d’aria.        
Lì fuori si stava meglio. Un venticello fresco agitava le piante del giardino portandone il profumo e la luna piena brillava enorme e vicina nel cielo stellato rendendo tutto magico, anche il canto dei grilli nel silenzio incantato. All’improvviso sentì qualcosa muoversi accanto a lei e nello scorgere una figura d’uomo ebbe un sussulto di spavento  prima di rendersi conto che si trattava di Robert.

- Sono io, non aver paura! – la tranquillizzò questi, avvedendosene.
Era in un angolo, appoggiato al muro e a torso nudo.

La donna lo guardò, trovandolo come al solito molto attraente. La luce lunare lo illuminava in pieno e gli occhi chiari brillavano nel viso dolcissimo, mentre le spalle larghe e le braccia muscolose risaltavano sul muro tinteggiato di bianco.

- Da quanto sei qui? – gli chiese -  Non ti ho sentito rientrare.

- Sono tornato presto, ma dormivi già.

- Perché non sei venuto a letto anche tu,  non puoi dormire? – gli chiese ancora.

- No.

- Hai ragione, fa caldo,  come si fa a dormire con questo caldo!

Sollevò con un gesto disinvolto la massa dei capelli, li arrotolò sulla testa e li fermò con una grossa forcina. Le spalle le rimasero nude così come la nuca delicata. Vista di profilo, sembrava una di quelle testine dei cammei.       
Robert la stava guardando intensamente, senza parlare.

- Non è per colpa del caldo se non dormo, è colpa tua – le disse ad un tratto.

Lei si voltò stupita ed  incontrò i suoi occhi che la fissavano con un’espressione di desiderio.

- Ti sto dando fastidio in qualche modo? – gli chiese in un sussurro - Mi dispiace se è così.

- Di cosa ti dispiaci? Di essere così bella o perché hai capito che sto morendo dalla voglia di te.

Quelle strane parole le provocarono un violento sussulto.

- Io … io non pensavo di attirarti, credevo che tu non mi considerassi nemmeno una donna! – balbettò confusa.

- Forse una volta era così. Quando ti ho chiesto di sposarmi la tua bellezza mi sembrava solo un ulteriore motivo per giustificare la mia scelta agli occhi degli altri, ma poi mi sono reso conto di aver sbagliato perché sei diventata un vero tormento per me e non da poco tempo. Quando siamo a casa è più facile resistere, ma ora… averti così vicina…  non poterti nemmeno toccare…

La voce oramai gli tremava e Barbara continuò a guardarlo, stupita e felice ad un tempo.

- Sei tu che hai messo certe regole – osò dirgli – nessuno ti ha imposto di farlo, tanto meno io.

Gli vide stringere talmente forte la ringhiera del balcone tra le mani  che le nocche gli diventarono bianche. Temendo di essere stata troppo audace, si congedò in fretta.

- Bene, ho preso un po’ di fresco, adesso provo a riprendere a dormire!

Si era voltata per tornare in camera quando si sentì afferrare.

- Aspetta! – le disse lui traendola a sé.     
Erano vicinissimi ora, tanto che Barbara avvertiva il suo respiro caldo sul viso. Non osava guardarlo però, non voleva leggere il desiderio nei suoi occhi, un desiderio di cui si sentiva avvampare lei stessa.      

Senza parlare, Robert avvicinò la bocca e posò un lieve bacio sulla sua. La ragazza chiuse gli occhi. La testa le girava e non sapeva sottrarsi a quelle labbra dolcissime che la cercarono ancora e ancora.

- E se le cambiassimo quelle regole?- le chiese dopo un po’ con la voce roca – Io ho bisogno  di averti, Barbara, non ce la faccio più a resistere. Se anche per te è così … Perché non dovremmo farlo?
Non le stava dicendo di amarla, solo che la desiderava. Forse per Robert avere lei o una qualsiasi altra donna, magari anche una da pagare,  era la stessa cosa. Avrebbe voluto allontanarlo in malo modo, urlargli il suo disappunto, ricordargli quanto fosse disgustoso quel comportamento … Intanto le sue mani le carezzavano il seno sotto la stoffa sottile della camicia da notte e ne avvertiva il respiro caldo sul collo. Era una sensazione così travolgente ed irresistibile che Barbara non pensò più a nulla e non oppose nessuna resistenza quando Robert la prese tra le braccia per portarla sul letto.        
Quei baci, quelle carezze, quell’unione profonda! Gesti dimenticati il cui solo ricordo entrambi avevano cercato persino di cancellare e che ora ritrovavano. Perché farsi domande? Perché non abbandonarsi semplicemente al piacere? Erano solo un uomo e una donna, giovani ed  attratti l’uno dall’altra.  Erano solo vivi, nonostante il dolore che aveva sconvolto le loro vite. Non c’era nessun motivo per rinunciare a quella calda magia che li avvolgeva e li esaltava e cancellava ogni sofferenza.

Anche quando si furono placati, nonostante il caldo, rimasero ancora abbracciati. Lei gli teneva il capo sulla spalla, abbandonata e felice, mentre Robert continuava a carezzarle il viso e le braccia. Lo faceva con tanta maestria da  procurarle un godimento altrettanto grande di quello intenso che le aveva donato poco prima, solo infinitamente più dolce. 

- Ti piace fare l’amore, non è vero? – le chiese ad un tratto.

Barbara si irrigidì, interrogandosi. Si era lasciata andare troppo? Il suo comportamento era stato in qualche modo sconveniente? Non era riuscita a controllarsi e adesso temeva di essere giudicata male. Se ne vergognò.

Con un soffio di voce gli chiese:

- Perché? Non è una cosa normale? Ti è dispiaciuto?

- Sei stata meravigliosa. L’ho detto solo perché non tutte le donne sono così. Julie, ad esempio, considerava l’amore fisico più come una cosa necessaria che un vero piacere. Non è che fosse fredda, ma lo faceva soprattutto per me. Lei avrebbe preferito la tenerezza e le coccole, per questo mi sono sentito sempre in colpa per averla messa incinta.

Barbara non disse nulla. Riprese la camicia, si rivestì e si alzò.

- Dove vai? – le chiese.

Improvvisamente  si era reso conto che ciò che aveva appena detto poteva averla turbata. Non era stata sua intenzione farlo perché quella donna dolce e appassionata era come se gli avesse appena ridonato la vita.
Nonostante il volto di lui le apparisse preoccupato, Barbara si sentiva morire.         Cercò di vincersi e gli rispose con un sorriso:

- Vado solo in bagno a rinfrescarmi un po’. Torno subito.

Appena chiusa la porta, aprì il rubinetto dell’acqua e lasciò che scorresse un po’ prima di cominciare a lavarsi. Si rese conto di star piangendo anche se le lacrime si confondevano all’acqua che si passava sul viso, ma poi asciugò anche quelle con la salvietta e si avvicinò alla finestra. Seduta sul davanzale, appoggiò il capo al muro ancora caldo di sole, guardando la notte stellata. Il suo cuore era colmo di amarezza perché neanche in un momento così intenso il marito era riuscito a dimenticare Julie. Era ancora lei la donna amata e lo sarebbe sempre stata. Non c’era niente da fare, purtroppo, era un’avversaria troppo potente da affrontare.  Eppure era stata lei stessa poco prima ad aver fatto l’amore con lui ed era  lei che Robert aveva cercato. Ancora la pelle le  fremeva per i suoi baci e le sue carezze ed il sangue le pulsava nelle vene al ricordo di tanta passione. Era lei ad essere viva, non la povera Julie, e aveva il dovere di lottare per possedere l’uomo che amava. La sua rivale era certamente forte, ma non c’era più e per questo non era invincibile. Lei invece gli era  accanto e forse avrebbe potuto anche farlo innamorare se solo avesse superato l’orgoglio e la paura.

Stette ancora un po’ affacciata cercando di calmarsi, poi finì di lavarsi e tornò a letto. Era convinta che Robert si fosse già addormentato invece non appena si fu distesa, si sentì ancora avvolgere dalle sue braccia.

- Perché ci hai messo tanto! – le disse riprendendo a baciarle il collo profumato e fresco – Non lo sai che sto morendo dalla voglia di te?

- Ancora?  - gli chiese sorridendo.

- Sempre! – le rispose in un farfuglio perché la bocca era già sulla sua.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21

 

Nei giorni seguenti Barbara si rese conto che quell’uomo all’apparenza così freddo e controllato era in realtà molto appassionato e sensuale. La cercava ogni momento, senza quasi darle tregua e si spiegò cosa avesse voluto dire quando le aveva parlato dei suoi rapporti con la tenera e romantica Julie. Tra loro però quel problema non c’era perché era uguale a lui e fremeva dello stesso desiderio.

Più  volte evitarono anche di uscire con gli altri per avere più tempo per stare insieme ed ogni giorno di più la loro intesa diventava meravigliosa. Erano come un vulcano che era sembrato spento ma che sotto l’apparente calma celava ancora un fuoco divoratore. Per troppo tempo avevano forzato la propria natura ed ora che si erano trovati, non riuscivano a staccarsi l’uno dall’altra, vivendo quei pochi giorni come in preda all’ebbrezza.

Nonostante ciò, l’ingegner Forrest cercò di dare anche il giusto spazio al compito affidatogli e perlomeno durante le ore dedicate al lavoro, si sforzava di non pensare alla sua tenera ed appassionata compagna. Con molta  professionalità si occupò di quanto veniva presentato, mostrandosi interessato all’installazione della teleferica nei cantieri di Ingurtosu, senza però farsi abbindolare, ma ponendo sempre domande pertinenti che dimostrarono a tutti la sua competenza in materia.

- Ho deciso di consigliarne a sir Bradley l’acquisto – affermò mentre erano a cena la sera dell’ultimo giorno – con un mezzo del genere ci sarebbe senz’altro un notevole risparmio di costi.

- Naturalmente. E poi se non se li concede  lui certi lussi chi mai se li potrebbe permettere? – commentò un po’ irritato un giovane ingegnere che possedeva una piccola miniera e si sentiva minacciato dallo strapotere economico dell’inglese.

- A dire il vero anch’io me li potrei permettere – intervenne il marchese Rodotà – ma ci sarebbero troppe complicazioni e poi chi ne sorveglierebbe l’installazione? Sir Bradley è fortunato ad avere un collaboratore valente e preparato come questo giovanotto.

- Grazie, sono davvero lusingato dai vostri complimenti, marchese

- Invece di ringraziarmi perché non fate il pensierino di venire a lavorare per me? Sono certo che potrei offrirvi anche qualcosa in più di quanto vi paga quel tirchio di un inglese!

La moglie si mostrò entusiasta di questa proposta.

- Sarebbe davvero magnifico, ingegnere. Accettate, vi prego. Mi farebbe un enorme piacere avere voi e questa cara figliola accanto. D’altronde ora non avete più nessun obbligo di parentela con i Bradley e mio marito di certo vi tratterebbe bene economicamente. Sono sicura che ad Alghero stareste meglio che a Ingurtosu. Diteglielo anche voi, Barbara, su.

Quest’ultima si sentì stringere lo stomaco dall’emozione ad una simile prospettiva e non seppe se augurarsi che il marito accettasse la proposta oppure la rifiutasse.

- Vi ringrazio di cuore, ma non posso - rispose invece Robert -  Ho un enorme debito di gratitudine con Paul Bradley e non posso lasciarlo, nemmeno per un’offerta più allettante.

- Avanti, signora Forrest, convincetelo – insistette Giambattista Rodotà.

- Non ci riuscirei, marchese. Purtroppo è molto testardo e  poi è un sentimentale, quando ama qualcuno è quasi impossibile toglierglielo dal cuore.

Aveva detto quelle parole guardandolo dritto negli occhi. Robert ricambiò lo sguardo con un’espressione preoccupata ed interrogativa, quasi come se avesse voluto  chiederle: “ma tu mi accetti lo stesso anche così, non è vero?”.

La migliore risposta gliela diede più tardi quando ancora una volta si abbandonò tra le sue braccia con tenerezza e passione. Dopo l’amore lui restò ad accarezzarla a lungo ma stavolta la ragazza non si addormentò per prima.  Era l’ultima sera e si sentiva un po’ smarrita al pensiero di lasciare quel nido accogliente che li aveva visti così felici. Guardando Robert abbandonato nel sonno, si chiedeva cosa ci fosse davvero nel suo animo e se almeno le volesse un po’ di bene. Ogni giorno di più lo strano patto che avevano stipulato si era andato trasformando, arricchendosi di stima e solidarietà reciproca. Ora che avevano trovato anche una stupenda intesa fisica, Barbara lo sentiva sempre più come un vero matrimonio e ne era felice. Amava quell’uomo e il suo bambino e non voleva fare altro che continuare ad amarli. Ben presto forse la sua dedizione sarebbe stata  ricambiata in pieno ed allora  la vita sarebbe diventata meravigliosa. Doveva solo continuare con  pazienza  un cammino che, benché faticoso ed in salita, l’avrebbe portata alla fine in cima alla montagna della sua esistenza dove avrebbe potuto finalmente anche lei trovare  un po’ di felicità e lasciarsi ai piedi la valle  buia e desolata della sofferenza passata.

Piena di gratitudine e di gioia, guardò Robert che dormiva tranquillo, così somigliante a Charles nel sonno.  Con tenerezza gli scostò un ciuffetto di capelli e gli posò un lieve bacio sulla fronte un po’ sudata.

 

Non appena furono scesi dalla carrozza davanti casa, videro Charles correre loro incontro. Il bambino, strillando di gioia, si gettò tra le braccia di Barbara  che, incurante di sporcarsi il vestito, si abbassò allargando le braccia per accoglierlo al termine di quell’allegra corsa. Si riempirono reciprocamente di baci sotto lo sguardo divertito di Nunzia e di Robert.

- Ehi, mascalzone, e a papà un bacio non lo dai? – protestò questi ridendo.

Charles rivolse anche a lui un sorriso e gli tese le manine per farsi prendere in braccio.   
 Mentre padre e figlio giocavano insieme, Barbara chiese a Nunzia:

- E allora? È stato buono? Ha mangiato o ha fatto i capricci?

- È stato un angelo e non ha mai fatto capricci.

- È naturale. Sta aspettando te per farli. Non è così, farabutto, non è così?– commentò Robert facendogli il solletico sulla pancia e strappandogli risate divertite

Nel vederli tanto vicini e felici, Barbara si sentì invadere l’animo dalla contentezza e continuò il gioco.

- Allora se è così non glieli do i regali che gli ho portato!

- No, no, mamma, faccio il bravo! – protestò il bimbo con la sua bella vocina.

Era così tenero che Barbara se lo riprese in braccio, lo baciò  e si avviò verso casa.

- Vieni anche tu – disse rivolta alla giovane cameriera – ho portato tante cose anche a te. Robert, per favore, me la sali su la valigia di cuoio?

La ragazza a sentire la promessa si affrettò a seguirla tutta lieta, ma poi si ricordò all’improvviso di una cosa.

- Oh Signore, quasi me ne dimenticavo!  Poco fa è venuto sir Bradley per sapere se eravate già tornati. Ha detto che ha molta urgenza di vedervi – disse al padrone.

- Lo immagino. Se lo conosco bene, starà morendo dalla voglia di sapere cosa ne penso della teleferica! Adesso ci vado subito – commentò l’altro mostrandosi divertito.

- Riposati ora – lo invitò invece la moglie – Dai Bradley ci andremo insieme oggi pomeriggio. Anch’io ho voglia di salutare sir Paul e ringraziarlo per la meravigliosa vacanza che ci ha regalato! È stato il periodo più bello della mia vita!

Lo aveva detto con così tanta sincerità che lui quasi ne fu commosso. Con un sorriso la seguì in casa, acconsentendo alla proposta.

 

Purtroppo non arrivarono neanche a finire di pranzare che  Bradley si ripresentò a casa loro, raggiungendoli in camera da pranzo dove erano ancora a tavola.

- Scusate quest’ irruzione – disse.

Aveva il viso talmente stravolto da far preoccupare Robert.

- Ma cosa succede? – gli domandò.

- Una cosa terribile, ragazzo mio – affermò l’altro crollando su una sedia ed accettando il bicchiere di vino che Barbara si era affrettata a versargli vedendolo così agitato.

- Ebbene parlate, non mi tenete sulle spine! – lo invitò il giovane appena lo vide finire di bere.

- La miniera di LLyrnog: c’è stato un incidente!

Barbara vide il marito impallidire mentre chiedeva:

- Quanti?

- Non lo so di sicuro, forse venti o forse di più.

- Accidenti, signore! Vi avevo detto di non metterla nelle mani di Leonard! Vostro nipote è decisamente un incompetente!

- Forse non è stata colpa sua.

- Ah no? E chi si era messo in testa di sfruttare quel filone prima di mettere completamente in sicurezza le gallerie?

- Lo so, Robert, ma oramai è successo ed io sono venuto a chiederti di andarci.

- A far cosa? Ad identificare le vittime forse? – gli chiese amaro ed ironico.

- Sai meglio di me  quello che necessita ora e mi sentirei più sicuro se ci fossi anche tu con Leonard, se non altro li conosci  e saprai aiutarli meglio.

- Ma se siamo appena tornati! – trovò la forza di protestare la donna.

- Sono consapevole di star chiedendo anche a voi un grosso sacrificio, figliola, però vedete, Robert è di là ed inoltre, per la sua competenza e preparazione, è la persona più adatta ad affrontare tutto quanto si dovrà fare.

Poi, di nuovo rivolto al giovane che se ne era restato  in piedi accanto a lui molto pallido in volto, aggiunse:

 – Potresti partire domani stesso. Il viaggio è lungo e non so esattamente cosa troverai a LLyrnog, ho solo qualche notizia pervenutami per telegrafo. Ti ripeto: sono certo che nessuno saprà fare meglio di te e ti darò carta bianca in tutto. E poi, se mi permetti un suggerimento, potresti approfittarne anche per andare a trovare i tuoi genitori. Se non mi sbaglio è da un bel po’ che non li vedi.

- Sì, sono quasi quattro anni.

- Ed allora? Cosa faccio? Ti mando a prendere da Antonio con la carrozza domani?

- D’accordo - sospirò l’altro arrendendosi – partirò domani.

 

La giornata che era cominciata così bene si era tramutata in un pomeriggio molto triste. Robert se ne stava torvo e  malinconico in un angolo, mentre Barbara si affrettava a preparargli la biancheria pulita per rifargli la valigia, seguita a vista dal piccolo Charles che non la mollava un minuto, timoroso che potesse fargli qualche altro scherzetto e lasciarlo di nuovo. 
La sera, dopo averlo messo a letto ed aver  stirato le camicie del marito, andò a portargliele nella sua stanza. Lui era nel gabinetto contiguo a fare il bagno. Sul letto c’era già la valigia non  ancora chiusa e così la donna pensò di cominciare a sistemargli le cose che aveva con sé. Nel sollevarne il coperchio però le capitò sotto gli occhi, in mezzo ai pullover ben ripiegati, la miniatura che ritraeva Julie. Si sentì serrare il cuore come in una morsa ed istintivamente ritrasse la mano, quasi come se si fosse scottata, lasciando la valigia richiudersi. Come in un gesto di difesa, si strinse al petto la biancheria pulita  e cercò di calmare l’angoscia dentro di sé. Di cosa si meravigliava? Non lo sapeva forse che Julie era sempre presente nei pensieri di lui? Forse si era portato appresso il ritratto pure nella breve vacanza a Cagliari … forse lo aveva guardato ogni sera, anche prima di stare insieme …

Robert uscì in quel momento dal bagno, un asciugamano cinto intorno ai fianchi. Nel vederla rimase un po’ stupito e la donna si  giustificò fingendo di essere appena entrata.

- Ti ho preparato anche la camicia bianca buona. Fortuna che fa caldo e si è asciugato subito tutto – gli disse cercando di mostrarsi disinvolta mentre posava le cose sul letto.

- Mi duole che tu abbia dovuto fare tanta fatica. Comunque la camicia elegante è superflua. O forse no – soggiunse pensieroso e triste – forse ne avrò bisogno quando dovrò andare davanti alla Commissione.

- Non ti preoccupare per me, mi dispiace piuttosto… - gli sussurrò senza finire la frase.

Il marito le si avvicinò alle spalle e, trattala per la vita, la fece appoggiare a sé.

- Anche a me dispiace. – mormorò - Proprio ora che … Però non posso fare a meno di andarci. Sai, cara, in quella miniera un tempo ci ha lavorato mio padre ed ora ci lavorano i miei cugini e tanti miei amici d’infanzia. Chissà quanti di loro non ci saranno più dopo questo…

Colpita dal tono triste della sua voce, Barbara si voltò ad abbracciarlo stretto e gli posò il capo sulla spalla. La sua pelle nuda profumava di sapone ed era fresca e morbida. Con enorme amore gli posò tanti piccoli baci innocenti sul petto e lui le sorrise prendendole il viso nella mano e costringendola ad alzarlo per guardarlo negli occhi. C’era una luce assai affettuosa in essi ed anche nella mano che le carezzava il viso ed il collo c’era tenerezza. Si baciarono e lei sarebbe rimasta così per un tempo infinito, perduta e beata tra le quelle braccia, ma Robert si riscosse e la scostò da sé. Dandole un buffetto affettuoso sul sedere, la girò verso la porta.

- Adesso basta, va’ via ché domani mi attende un viaggio lungo e faticoso – scherzò sospingendola.

Senza farselo ripetere, Barbara gli sorrise ed augurandogli la buonanotte, lo salutò mandandogli un bacio con la mano.

 

Era quasi l’alba quando sentì la carrozza che era venuta a prenderlo. Avrebbe voluto precipitarsi giù a salutarlo, ma la notte era stata molto calda e con la sola sottana addosso era quasi nuda. Non avrebbe mai fatto in tempo a rivestirsi perché vide il marito già pronto che si accingeva a salire sulla vettura dopo aver gettato uno sguardo alla casa ancora addormentata.
Non la vide nascosta dietro la persiana. Lei invece notò perfettamente una strana luce nei suoi occhi: era malinconia, smarrimento, paura, quasi come se Robert stesse guardando qualcosa che faceva parte di lui ma che già non gli apparteneva più
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Sono davvero tanto contenta che il capitolo precedente vi sia piaciuto. In effetti  l’ attrazione tra quei due doveva prima o poi avere le sue naturali conseguenze, non potevano evitarlo. Barbara è attratta da Robert sin dal primo momento in cui lo ha visto e lui, come del resto ha confessato, aveva sopravvalutato la sua capacità di restare indifferente ad una donna giovane, bella e in gamba dalla quale si sente sempre più preso nonostante il giuramento fatto al suo grande amore Julie.Però ora dovranno accadere ancora tante cose prima che la passione possa trasformarsi in amore e ciò per motivi che più avanti vi spiegherò. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto anche se una forzata separazione proprio nel momento in cui i due amanti si sono trovati non è la cosa migliore che potesse capitare loro. Ma, credetemi, non lo faccio per sadismo, lo faccio per regalarvi una storia interessante e complessa che possa soddisfare la vostra voglia di continuare a leggere. Comunque grazie ancora a tutte per le belle cose che mi dite e per la considerazione che avete del mio lavoro.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Vi chiedevate perché Robert fosse così triste quando ha lasciato la casa. Chissà, forse è perché anche lui stava appena ritrovando un equilibrio ed essere costretto a tornare nel suo paese in Galles dove per giunta dovrà affrontare una penosa tragedia, gli riempie l’anima di dolorosi presentimenti. Inoltre è molto confuso perché nonostante l’amore che prova ancora per Julie, si sente irrimediabilmente attratto da Barbara e questo gli sembra un comportamento poco leale. Il nostro ingegnere, che è  una persona molto onesta e pulita, purtroppo è anche molto fragile ed insicuro e questo  perché la vita è sempre stata dura e crudele con lui, come scoprirete in seguito. La vita!? Già sento le mie lettrici, soprattutto le nanette e Cricri, protestare che non è la vita ad essere crudele ma io che gliel’ho inventata! E va bene, avete ragione, allora per farmi perdonare eccovi almeno un capitolo in cui avviene una cosa che vi farà piacere aver previsto.

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Capitolo 22

 

I caldi giorni di luglio cominciarono a trascorrere lunghi e uguali. Robert mancava moltissimo a Barbara eppure, poiché ogni medaglia ha il suo rovescio, anche la sua assenza aveva qualcosa di positivo: senza dover badare alle esigenze di un uomo, la padrona e la domestica  si sentivano più libere ed avevano organizzato le loro giornate in modo da trascorrerle quasi interamente sulla spiaggia. Sotto a una tenda per non farsi scurire troppo la pelle dal sole, lei se ne stava  a leggere o a lavorare all’uncinetto, mentre la ragazza ed il bambino scorazzavano e giocavano felici insieme agli altri bambini, tutti figli di minatori.

A volte rimanevano a casa, ma di comune accordo evitavano persino di cucinare per loro stesse, preferendo nutrirsi di frutta, insalate e formaggio,  e cercavano anche  di non impegnarsi troppo nei lavori domestici. Giosuè poi era un vero tesoro: le accompagnava, le andava a riprendere ed ogni domenica non mancava mai di portarle al paese per la messa.

Il 5 di agosto si celebrava la Madonna della Neve e come sempre avveniva nel piccolo, umile paesino,  l’ avvenimento veniva   solennizzato con ardore.        
Padre Giustino aveva preparato in onore della Patrona una festa con i fiocchi. Aveva fatto venire degli specialisti che avevano illuminato con delle torce la facciata della chiesa, aveva predisposto una funzione bellissima con tanto di processione e si era occupato di raccogliere i fondi per assoldare la banda ed un gruppo di ballerini professionisti che si sarebbero esibiti in danze folkloristiche. Ognuno degli abitanti, ricco o povero che fosse, aveva contribuito a seconda delle proprie possibilità alla festa a cui avrebbero partecipato numerosi venditori con le loro bancarelle e persino qualche ospite dai paesi vicini.

Barbara vi si recò in compagnia di Nunzia e Charles e dopo la funzione si unì a Grazia e a Lino sul sagrato della chiesa in attesa delle danze. Stava parlando con loro quando notò i Bardley. Paul aveva un’aria gioviale e divertita, invece lady Margaret sembrava guardare tutti con nobile accondiscendenza. Quando la vide, le fece un mezzo sorrisetto, invitandola ad avvicinarsi, cosa che la giovane si affrettò a fare, seguita dagli amici.

- Ebbene,  come ve la passate? È da un po’ che non mi fate l’onore di una vostra visita – le chiese in inglese l’arcigna signora.

Barbara le rispose con un sorriso ed italiano perché accanto a loro c’erano delle persone che non comprendevano quella lingua straniera e le sembrava assai scortese non farsi capire.

- Bene, grazie. Dovete perdonare se non sono venuta ma, mancando Robert, non sapevo se potevo farlo da sola. Comunque in questi giorni sono stata poco a casa, ho approfittato dell’assenza di mio marito per portare Charles a fare qualche bagno di mare.

- Lo vedo – mormorò la vecchia con aria un po’ disgustata osservando con l’occhialino il bambino che in braccio a Nunzia stava mangiando con gusto dello zucchero filato – Lo avete fatto diventare bruno quasi come se fosse un piccolo minatore anche lui!

Questa volta aveva parlato in italiano per far malignamente capire a tutti la sua disapprovazione.

- Maggie, non trovi che questo bambino sia diventato il ritratto della salute?  Guarda com’è vivace! - intervenne il marito, cercando di mitigare la sgradevolezza di lei.

- Ed anche la nostra sposina si è fatta bellissima, non è così signore? -  osò intervenire Lino che quando si trattava di tessere le lodi della figlioccia non esitava davanti a nessuno.

- Sì, avete ragione, sta proprio bene – ne convenne l’altro con sincerità.

Invece  la moglie alzò il labbro superiore in segno di disprezzo ma ebbe almeno  la compiacenza di girare il viso dall’altra parte per non farsi vedere.

- Sto provando a convincerla a venire con me ad Alghero il prossimo settembre per andare a trovare la famiglia. Credo che sarebbero contentissimi di ritrovarla così in forma dopo pochi mesi di matrimonio. Purtroppo non ci riesco, dice che deve stare qui ad aspettare il ritorno dell’ingegnere Forrest. Perché non ci provate un po’  voi, signore?

Ignorando la domanda, il nobiluomo gli chiese:

- Andate ancora una volta ad Alghero? Non trovate che le vostre assenze siano un po’ troppo frequenti, Sulis?

Preso alla sprovvista, il pover’uomo si agitò soltanto senza saper cosa rispondere.      
In suo soccorso intervenne Grazia.

- L’ingegnere Forrest sa dei problemi di salute di mio marito e per questo ci permette di andare spesso a casa dove c’è il medico che lo sta curando. Comunque in quei giorni non viene nemmeno pagato!

- È così, signora, purtroppo la Direzione non può farsi carico di tutti i malanni degli impiegati e dei minatori, anche se spero che presto con la realizzazione del nostro ospedale i disagi potranno diventare minori. Comunque vostro marito potrebbe farsi curare anche qui, senza arrivare fino ad Alghero. Dopo la morte di mia nipote sono riuscito ad ottenere che in questo posto sperduto venisse ad esercitare la professione il dottor Bernardi.

- Io non mi fido dei medici. Da quando ho perso il papà di Barbara che mi curava da par suo non mi sento sicuro con nessuno… - obiettò Lino.

- Ebbene, allora dovreste fare un pensierino a ritirarvi dal lavoro, caro mio. D’altronde l’età ce l’avete!

- Non era un semplice medico condotto vostro padre? Da come ne parla quest’uomo sembrerebbe fosse quasi uno scienziato! – intervenne Margaret, sempre più acida.

- A detta di tutti era bravissimo e finché è vissuto non ha mai smesso di studiare e di aggiornarsi, ripetendo spesso che il peggiore nemico di chi pratica la medicina sia il ritenere di sapere oramai tutto. Avrebbe potuto far soldi a palate, ma sosteneva anche che il vero medico compie una missione e deve mettersi al servizio di coloro i quali non possono permettersi il lusso di pagarsene uno. Sapete, milady, le persone che lavorano umili e silenziose come mio padre sono i veri scienziati, non i medici con gli studi sontuosi e le parcelle impossibili.

Barbara proprio non la sopportava quella nobilastra arrogante e fu contenta di averla zittita con la sua risposta. Ancora di più lo fu quando qualcuno si avvicinò a lei ed al marito consentendo loro di prendere congedo.

- Ma li hai sentiti? – protestò Grazia appena si furono allontanati – E questo sarebbe il “bravo padrone”? Secondo me è una carogna come sua moglie!

- No, lui è una brava persona. Mi spieghi perché hai trovato la scusa della mia salute quando invece lo facciamo per te? Non riesci a staccarti da tua figlia nemmeno avesse ancora tre anni! – le disse rimproverandola l’anziano marito – E poi è vero, andiamo troppo spesso a casa e dobbiamo solo ringraziare Robert che me l’ha consentito senza farmi perdere il lavoro. Però lui ha un debito di gratitudine con noi, non è vero? – aggiunse sorridendo di nuovo e guardando Barbara – Dove la trovava un’altra moglie così se non era per me!

Aveva ripreso il suo solito buon umore e, mettendosi il piccolo Charles a cavalluccio, lo portò tutto allegro alla giostra. Grazia lo seguì con gli occhi, piena di affetto.

- Come si fa a maltrattare uno così! – sospirò e, rivolgendosi alla giovane amica che l’aveva presa sottobraccio, aggiunse sorridendo - Però su una cosa ha ragione: davvero sei bellissima in questo periodo, radiosa addirittura! Ma che hai fatto?

- Chissà, forse sarà per l’aria di mare che prendo giù alla spiaggia o forse….no, è meglio non parlarne ancora, non ne sono sicura.

La sua interlocutrice però non intendeva demordere dal farsi fare una confidenza che aveva già intuito.

- Sei incinta per caso?

- Ma no! – si schermì lei – Ho solo qualche giorno di ritardo: dovevano venirmi verso il 25 di luglio ed oggi è solo il 5 agosto!

- Ti è mai successo prima?

- Solo quella volta… – mormorò vergognosa.

- Ed allora sarà sicuramente così. Vedrai, adesso sarà tutto diverso! Lo hai già detto a lui?

- E come facevo se è via da tanto?

- Giusto, però credo che ne sarà contentissimo quando lo saprà.

- Speriamo! Mi raccomando, Grazia, voi non ditelo ancora a nessuno, nemmeno a Lino.

- Per chi mi hai preso? Vuoi essere tu a dirlo a tuo marito, è naturale, ed invece so bene che se lo raccontassi al mio, lo andrebbe a spiattellare a tutto il paese!

Ridendo insieme le due donne si prepararono felici a godersi la festa.

 

Agosto era quasi finito e Robert non solo non era ancora tornato ma in tutto quel tempo non le aveva mai dato notizie di sé. Barbara cominciava davvero ad essere inquieta e decise che doveva trovare un pretesto per andare a chiedere di lui. Una scusa buona intanto ce l’aveva davvero perché anche se aveva speso poco, con la generosa elargizione fatta per la festa della Madonna della Neve ed i conti da pagare arrivati nel frattempo, i  soldi lasciati dal marito erano quasi finiti. Così, approfittando che l’ultimo venerdì del mese si era presentato nuvoloso e ventoso, pensò che fosse la giornata adatta per evitare di scendere alla spiaggia ed andare invece a trovare sir Paul.      
Detestava il “Castello” perché continuava a farle soggezione, ma era sempre meglio recarsi al palazzo della Direzione piuttosto che presentarsi a Villa Margherita dove c’era anche la vecchia odiosa. Vestitasi  elegantemente, ci arrivò con il calesse e chiese di  Bradley ad un baffuto giovanotto di nome Aldo che fungeva da segretario. Fu ricevuta con molta cordialità e l’amabile gentiluomo l’ascoltò fare la sua richiesta facendosi rosso in volto.

- Dovete perdonare – concluse Barbara – non sarei nemmeno venuta se avessi saputo quando tornerà Robert. Purtroppo, se la sua assenza si protrarrà ancora a lungo, finirò per dover chiedere al droghiere e all’ortolano di farmi credito perché non ho come pagarli.

- Non lo dovete nemmeno dire, mia cara - le rispose l’uomo mentre prendeva da una piccola cassaforte delle banconote -  sono stato io davvero imperdonabile a non pensarci. Comunque vostro marito sta per tornare, probabilmente arriverà domenica o lunedì perché credo che a quest’ora sia addirittura già partito. Mi meraviglio però, non ve l’ha scritto?

- No, in tutto questo tempo non mi ha mandato neanche una lettera.

L’uomo la guardò un po’ meravigliato poi, per consolarla, scherzò:

- Lo conosciamo il nostro Robert: è avaro di parole, anche di quelle scritte. Ritengo che per lui scrivere una lettera debba costituire uno sforzo sovrumano.

- Sì, è così! – confermò la donna ma sapeva che non era affatto vero. Con i suoi stessi occhi aveva visto le tante lettere mandate da Robert a Julie e non si poteva certo dire che allora le parole non le avesse trovate.

- “Forse è a me che non ha niente da dire” – si disse con amarezza mentre più tardi ritornava a casa, ma all’improvviso rammentò l’affetto che le aveva manifestato la sera prima di partire e si sentì riscaldare il cuore. – “ E poi la cosa  davvero importante devo dirgliela io” -  pensò, sorridendo di gioia.

 

Le previsioni dell’anziano sir si avverarono e la domenica, l’ultima di un mese trascorso senza di lui, finalmente Robert tornò. Fu tanta la gioia che Barbara provò nel vedere la carrozza fermarsi davanti casa che si precipitò per le scale e gli corse incontro, con l’intenzione di buttarglisi tra le braccia per dargli il benvenuto. Ma quando l’uomo che stava prendendo le valige dalle mani del cocchiere girò il viso a guardarla, si sentì raggelare dallo stupore. Sembrava quasi invecchiato, forse perché  aveva un’espressione assai malinconica e profonde occhiaie.

- “Forse è stanco per il viaggio, forse ha bevuto troppo in questo periodo” – pensò.

Ma non era un problema, era abituata a prendersi cura degli altri e presto anche il marito sarebbe tornato in splendida forma. Frenando il suo impeto, gli si avvicinò e posandogli un tenerissimo bacio sulla guancia, lo salutò con dolcezza.

- Stai bene? – le chiese lui  – E Charles? E Nunzietta?

- Stiamo tutti bene. Ora però chiamo Giosuè per far portare dentro le valige e dico a Nunzia di prepararti un bel bagno caldo perché ho l’impressione che tu sia stanchissimo.

- Infatti lo sono ed hai perfettamente ragione: non vedo l’ora di farmi una bella lavata e di mangiare. Mi sento sporco ed affamato.

- Avrai tutto il tempo per riposarti. Io adesso vado a prepararti subito un bel pranzetto. Oh, ecco tuo figlio!

Il bambino si era avvicinato sotto la porta di casa e guardava il padre con timidezza, quasi come se la lunga lontananza glielo avessero reso un poco estraneo. Ma Robert  lo prese subito in braccio scherzando.

- No! Questo non è mio figlio, questo è un negretto! Dove l’hai messo Charles, mascalzone, mi dici cosa ne hai fatto? – disse rivolto al bimbo e facendogli il solito solletico che lo faceva sbellicare dalle risate.

Barbara li guardò allontanarsi con tenerezza poi si precipitò in cucina a preparare tante cose buone per il suo amore appena ritornato. Si sentiva molto contenta.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


A questo punto mi corre l’obbligo di fare un avviso alle mie lettrici prima che proseguano nella lettura del mio romanzetto e cioè: non aspettatevi un lieto fine nei prossimi capitoli e fino alla fine di questa prima parte. Ciò non avverrà però per la mia notoria perfidia o per l’intenzione di “allungare il brodo” ma perché questa storia non è stata scritta con lo scopo di farne solo un racconto d’amore ma anche per parlare di temi più importanti anche se notevolmente più tristi. Non che io voglia atteggiarmi ad autrice, ma come ben sa chiunque prende una penna in mano per inventare una vicenda, in quel che  si scrive si mette dentro sempre qualcosa di sé e del proprio sentire. In quel particolare momento io mi facevo delle domande e cercavo di darmi delle risposte attraverso le vicende e le emozioni dei miei personaggi. Sarebbe stato semplice per me ora cambiare, mi sarebbe bastato inventarmi un finale roseo, di quelli visti e rivisti in tanti libri e in tanti film, dove Barbara avrebbe dato la notizia di aspettare un bambino, Robert, contento e commosso, avrebbe superato tutti i suoi passati problemi personali ed insieme  avrebbero cominciato a vivere felici e contenti. Certo sarebbe stato rassicurante e forse più gradito, ma non me la sono sentita di farlo perché avrei snaturato l’intera vicenda così come era stata pensata. D’altronde chi mi ha seguita fin qui ha già dato dimostrazione di avere sensibilità e voglia di affrontare anche argomenti più seri di quelli che di solito si trovano nelle fiction romantiche per cui, ne sono convinta, non abbandonerà ora la lettura. Dal canto mio posso promettervi uno sviluppo della vicenda interessante e pieno di emozioni e, inoltre,  che non farò patire né i coniugi Forrest né voi più di quanto possiate sopportare. Parola di mamma Kellina.

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Capitolo 23

 

Robert però non era altrettanto contento di Barbara. Una strana inquietudine si era impossessata di lui da un po’ di tempo e non accennava a placarsi con il ritorno a casa, anzi, addirittura era stata accresciuta da alcuni particolari. Nel prendere i vestiti puliti, ad esempio,  aveva notato negli armadi anche i vestiti della moglie. Sul letto matrimoniale c’erano le lenzuola del suo corredo e la fotografia di Julie che aveva sempre  tenuto sul comodino  con un vaso di fiori freschi davanti, era stata messa nel cassetto. Tutto ciò lo agitava moltissimo perché avrebbe preferito non affrontare niente senza prima rifletterci ancora un poco sopra, ma la situazione creatasi rischiava davvero di diventare irreversibile.

Durante il pranzo parlò poco e la moglie dovette quasi tirargli da bocca qualche notizia sui genitori.

- Mio padre sta molto male. È paraplegico da tanto oramai e le sue condizioni di salute peggiorano giorno dopo giorno. Mia madre sembra invecchiata di cent’anni  e non ce la fa a pagare le cure di cui lui ha bisogno con quei pochi soldi a loro disposizione – le disse con tristezza.

- Mi dispiace. Ma tua sorella perché non li aiuta?

- Ha la sua famiglia. I figli sono tanti e tutti piccoli ed il marito è solo un impiegato di una ditta tessuti. Non può permettersi di aiutare anche i suoceri.

- Tu mandi loro dei soldi vero? A proposito di questo: sono stata costretta a chiedere a Bradley un anticipo perché non ne avevo più.

- Quanto ti ha dato?

Lei glielo disse e lo vide corrugare le sopraciglia ironicamente.

- Un anticipo? È tutto lì mia cara!

- Non dirai sul serio spero? Con tutto quello che fai per lui, ti paga così poco?

- La casa è sua e non la paghiamo.

- No, non è possibile! Sei il direttore qui, ti occupi di tutto, ti ha mandato persino a LLyrnog a sistemare le cose e poi ti paga una miseria! Si capisce che non ce la fai ad aiutare anche  i tuoi – gli disse sdegnata, ma poi vedendolo fare un viso ancora più triste e mortificato, aggiunse,  prendendogli una mano tra le sue – Non ti preoccupare, faremo ancora qualche economia e così potrai mandare loro di più. Però, ora che ci penso, perché non li fai venire qui? Sarebbe più conveniente e potrei badare io a loro. Sai, sono abituata a prendermi cura degli anziani.

Robert la guardò un po’ smarrito da tanta generosità.

- Grazie, apprezzo molto la tua offerta, ma mio padre non ce la farebbe mai a sopportare un viaggio così lungo ed anche la mamma è vecchia – le disse.

Furono interrotti da Nunzia venuta a sparecchiare che aveva portato con sé Charles.

- Signora, posso uscire dopo aver lavato i piatti? – le chiese.

Lei la guardò con un sorriso che voleva essere severo ma risultò solo indulgente mentre prendeva il piccolino in braccio e lo sistemava sul divano con un libro di figure in mano.

- Se ti accompagna Giosuè, sì. Però cerca di non tornare tardi stasera. Dillo a Luigi, al massimo alle otto devi essere a casa – le raccomandò più come una sorella maggiore che come una padrona.

- Ve lo prometto. Grazie, grazie – cinguettò la ragazza scappando via tutta contenta.

- Chi è questo Luigi? – s’informò Robert.

- Luigi Vargiu, un tuo minatore. Si sono conosciuti alla festa della Madonna della Neve e credo che si vogliano già bene.

- Non è un minatore, è un inserviente che trasporta i carrelli con il materiale e fa qualche commissione per me. Ma per una come lei va più che bene, certo non poteva aspirare di più.

- Di sicuro è un bravo giovane, anche se modesto. Mi meraviglio di te però: perché  fai questo discorso? Ognuno di noi ha il diritto di aspirare al meglio, soprattutto in amore.

- Ti sbagli. Non c’è cosa peggiore che cercare di cambiare il proprio stato sociale, è una cosa che ti condanna all’infelicità perpetua.

- Scusami, ma stai dicendo una sciocchezza enorme. Prendi te per esempio…

Robert non la lasciò nemmeno finire.

- Me? Ecco, hai centrato in pieno cosa volevo dire: chi sono io se non un frustato ed un fallito?

- Ma che dici! – protestò indignata.

Lui però non le diede retta e continuò il discorso quasi come se stesse esprimendo ad alta voce considerazioni fatte innumerevoli volte tra sé e sé.

- Ho studiato facendo dilapidare a mia madre quei pochi soldi che ora le sarebbero stati così utili per curare papà e sono diventato un ingegnere minerario. Per far cosa? Per difendere gli interessi dei padroni che mandano quelli come me a morire nelle viscere della terra pagandoli quattro soldi?  Erano i miei cugini, i miei compagni d’infanzia e di giochi gli uomini che mi guardavano speranzosi e desolati ed io non potevo fare niente per loro, dovevo difendere gli interessi di sir Bradley, non i loro. Mi sono sentito un verme ed avrei preferito mille volte esserci stato anch’io là sotto quando è accaduto il disastro. In fondo quello era il mio posto e forse, se fossi rimasto un minatore come loro, non mi avrebbero guardato con tanto sdegno e rabbia come hanno finito poi per fare, saremmo rimasti  buoni amici, saremmo andati a bere una birra insieme e a cantare nei cori. Così non sono più niente.

- Non dire così, non è colpa tua. Capisco che tu possa sentirti addolorato, ma cerca di essere coerente…

Ancora una volta la interruppe con un riso amaro.

- Coerente? Io? No, non lo sono affatto, anche con Julie, anche con te. Mi sento uno schifo!

Proferì queste parole mettendosi una mano tra i capelli che gli erano cresciuti piuttosto lunghi ed interrompendosi come se non avesse più la forza di continuare.

La donna era veramente sconcertata.

- Che vuoi dire? Cosa c’è che non va? – lo invitò a proseguire.

- C’è che non sono stato neanche capace di mantenere la parola data sulla tomba di una povera ragazza. Avevo giurato che non avrei preso più un’altra donna ed invece l’ho fatto dopo appena un anno.

- Sappiamo entrambi perché l’hai fatto – obiettò lei.

Robert si mise a passeggiare per la stanza, tormentandosi la barba e le rispose piuttosto irritato:

- Oh sì, nelle intenzioni, ma in pratica ti ho fatto diventare davvero mia moglie. Me lo spieghi dove sarebbe la differenza tra ciò che siamo io e te ed una vera coppia?  Avrei dovuto avere la forza di non consentirlo ed invece… E poi tu vieni a parlarmi di coerenza!

- Io non ti ho mai chiesto di amarmi – gli disse quasi in un sussurro, notando quanto fosse agitato.

- Non fare l’ipocrita! Non vuoi che ti ami?  Ed allora cosa vuoi, che mi sollazzi con te come con una donnaccia?

Barbara si sentì avvampare e non riuscì a rispondergli niente. La mortificazione ed il dolore che le stava dando erano peggiori di una frustata.

- Dobbiamo fare un passo indietro, Barbara. Tra noi non può esserci e non deve esserci  nulla – proseguì lui.

- Perché? – gli chiese lottando con le lacrime e quasi implorandolo.

- Perché mi conosco e forse oramai conosco anche te.  Lasciandoci andare ai nostri istinti diventeremmo come amanti. Non dobbiamo. Non possiamo basare il nostro rapporto sulla passione perché questa potrebbe finire ed allora finiremmo anche noi per odiarci. Il nostro patto non prevedeva nessun tipo di coinvolgimento tra noi per cui non debbo approfittarmi di te. Voglio che tu sia la donna che ha cura di me e di mio figlio, a cui devo dare tutto il mio affetto e il mio appoggio, ma che in compenso devo anche rispettare quasi come una santa.

- Hai proprio sbagliato, allora. Lo dovevi intuire che avevi sposato tutto fuorché una santa. Eppure i miei precedenti parlavano chiaro no? - gli chiese con un sorriso sprezzante.

All’improvviso tutto il suo dolore si era tramutato in una rabbia cieca per cui, vedendo l’uomo guardarla addolorato dalla sua ironia, aggiunse quasi con cattiveria, fingendo un’ipocrita dolcezza:

- Non ti preoccupare, ingegnere, va tutto bene, è tutto sotto controllo. Ora scusami, ma prima che Nunzia esca, mi faccio aiutare a portare via le mie cose dalla tua camera. Forse ti sei preoccupato nel vederle lì, ma ce le avevo messe perché ho chiesto a Lino di portare con sé le mie nipoti a farmi visita. Potevano arrivare da un momento all’altro, per questo avevo già preparato la mia stanza per loro. Ma non c’è problema: quando arriveranno, io andrò a dormire con Charles.

Era già  con la mano sulla maniglia della porta, quando Robert la fermò.

- Aspetta, Barbara. Durante il pranzo mi hai detto che avevi una cosa importante da dirmi. Cos’ è?

- Niente, era questo. Volevo parlarti dell’invito che ho fatto a Carlotta e a Caterina perché non ti ho chiesto prima il permesso – mentì.

- Quale permesso? Non è cambiato nulla, vorrei che tu non lo dimenticassi. Qui sei sempre la padrona.

- No, ti sbagli. Io non sono la padrona. Io non sono niente. Ma mi sta bene, non preoccuparti.

 

Robert la guardò uscire senza che mostrasse più nemmeno l’ombra di quell’umore allegro che aveva avuto la mattina. Anche lui era stanco e confuso e si chiedeva se non fosse stato troppo precipitoso. Aveva preso una decisione, è vero, ma avrebbe potuto anche porgergliela più gradualmente, così forse l’aveva soltanto offesa. Non voleva farlo ma non poteva nemmeno rischiare, doveva di nuovo costruire tra loro una barriera insormontabile altrimenti per lui non ci sarebbe stata nessuna giustificazione.
Mentre rimuginava tra sé questi pensieri lo sguardo gli si posò sul figlioletto addormentato sul divano. Indossava una salopette  azzurra e sotto non portava niente. La carnagione delicata aveva un bel colore dorato e le membra, prima tanto macilente, erano diventate robuste. Era consapevole che il suo aspetto sano e felice era dovuto alle cure di colei che lo amava come una madre, ma nello stesso tempo i suoi riccioli biondi ed il visino dai lineamenti delicati così simili a quelli di Julie, non facevano che ricordargliela. Dio, quanto l’aveva amata! Però questo sentimento non gli impediva adesso di essere attratto da Barbara, così bella, fiera e dignitosa. Ciò gli dava un vero  tormento.    
Appoggiando la testa allo schienale del divano, ebbe l’impulso irrefrenabile di andare da lei,  prenderla tra le braccia e dirle che era stato uno stupido, che desiderava solo tenerla stretta così, senza pensare più né al passato né al futuro. Ma si controllò, anche se gli costò uno sforzo enorme.

 

 

Barbara si sentiva davvero amareggiata. Il comportamento di Robert l’aveva sconvolta e non pensò nemmeno per un istante che potesse essere stato dettato dal periodo doloroso e difficile che il giovane aveva appena trascorso, un periodo durante il quale numerose circostanze dovevano averlo messo davanti alle proprie scelte ed alle proprie responsabilità.

Se fosse stata più esperta di uomini, forse avrebbe lasciato passare quel momento nero, gli sarebbe restata pazientemente vicino, avrebbe saputo offrirgli di nuovo  la serenità e l’equilibrio di cui aveva bisogno e che già una volta lo avevano conquistato. La sua bellezza e l’enorme attrazione fisica che il marito provava per lei di sicuro poi avrebbero fatto il resto. Ma seduzione ed orgoglio non vanno molto d’accordo e Barbara, oltre che inesperta, era troppo     piena di amor proprio per non ritenere le parole del marito offensive e crudeli. Anche se solo fino a qualche mese prima era stata pronta ad accontentarsi di percorrere con fatica la strada in salita che avrebbe potuto portarla a conquistarne l’amore, ora le pareva che Robert non fosse come un compagno di cordata, pronto a porgerle la mano per aiutarla a salire, ma volesse solo  prenderla a calci per ricacciarla indietro. Non si era umiliata mai con nessuno e non l’avrebbe fatto neanche questa volta, anzi, anche se adesso lui avesse voluto tornare indietro, non glielo avrebbe più consentito. All’improvviso dentro di lei  non c’era più posto né per la solidarietà né per la comprensione e tantomeno per l’amore. Se solo una governante doveva essere, una governante sarebbe stata e mai Robert avrebbe dovuto sapere quanto l’avesse ferita.

Così, senza neanche riflettere e benché fosse già pomeriggio inoltrato, si affrettò a fermare Nunzia.

La giovanetta, tutta vestita a festa e con i capelli ben pettinati sui quali aveva messo lo scialle di seta a fiori portatole in dono dalla padrona da Cagliari, si stava accingendo ad uscire per andare a trascorrere il pomeriggio festivo con l’innamorato.

- Per favore, vai a dire a Giosuè di aspettarti un momento – la invitò -  non ti farò tardare a lungo, ma devi darmi prima una mano a spostare le mie cose di nuovo in camera mia.

La ragazza si limitò a sgranare gli occhi per la meraviglia, ma non le domandò nulla, anche se, tornando di sopra dopo aver pregato il vecchio stalliere di aspettarla un po’, pensò che la luce radiosa accesasi sul volto della padrona in quegli ultimi giorni si era improvvisamente spenta. Chissà cosa era successo tra lei e l’ingegnere. Comunque, qualsiasi cosa fosse stata, non ne avrebbe fatto parola con nessuno, nemmeno con Luigi. Voleva troppo bene a quella donna così buona e gentile per permettere alla gente di sparlarne!

- Fammi il piacere – le disse ancora questa porgendole i vestiti che toglieva a  mano a mano dall’armadio – valli a mettere sul mio  letto, poi li poserò io più tardi così non dovrai rinunciare al tuo pomeriggio di libertà.

Presto finirono di svuotare anche i cassetti e la ragazza si stava accingendo a togliere le belle lenzuola ricamate dal letto quando la padrona la fermò.

- No, lasciale là, è inutile toglierle, in fondo dovrà pur consumarsi questa biancheria! – le disse con un sorriso triste - Va’ ora, cara, Luigi ti aspetta. Stai attenta, mi raccomando.

Appena Nunzia ebbe lasciato la stanza, Barbara si guardò intorno per vedere se tutto fosse in ordine dopodiché andò nel corridoio a prendere il vasetto con i fiori che aveva appoggiato sopra una consolle e lo rimise sul comodino, infine riprese dal cassetto il ritratto di Julie e lo posò anch’esso lì, con i fiori davanti.

- Hai vinto – le mormorò – Hai vinto tu!

Mentre lo diceva però, osservando il volto bello e malinconico di quella che era stata Julie, si rese conto di stare dicendo una sciocchezza: probabilmente nemmeno quella poveretta sarebbe stata felice di quanto stava accadendo. Che se ne faceva di tanto amore se non poteva tornare da dov’era per goderselo? Se lo spirito consapevole sopravvive alla morte, allora forse avrebbe preferito essere lasciato libero da quel legame disperato  per  andarsene verso la sua meta eterna e se di lei invece non era restato più neanche quello, se della sua breve esistenza ogni sentire ed ogni forma si erano dissolte nel  buio e nel freddo del nulla, allora nemmeno  l’ostinata disperazione di Robert avrebbe potuto riportarla indietro.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24

Come le accadeva sempre quando qualcosa le travagliava l’animo, il comportamento di Barbara appariva all’esterno ancora più calmo e distaccato. Ciò era dovuto all’estremo controllo esercitato su se stessa che le costava una fatica enorme ma che era la sua unica arma di difesa. In quei giorni nessuno avrebbe potuto indovinare la tempesta nel suo cuore, neppure chi le stava più vicino come la piccola Nunzia o Robert. Quest’ultimo arrivò persino a convincersi che avesse preso quasi con indifferenza la sua decisione, forse perché, fortunatamente, non doveva essere davvero innamorata di lui.        
Invece, dietro l’apparente freddezza, la giovane covava un dolore terribile, causato dalla certezza di essere stata ancora una volta respinta. Così come aveva fatto una volta con Filippo, anche a Robert si era data anima e corpo, ma la sua passione e il suo totale abbandono erano stati fraintesi o magari considerati solo indice di una natura viziosa che la portava a lasciarsi andare, senza pudore, senza dignità. Per questo non era stata mai amata, per questo forse neanche era degna d’amore. Dentro di lei però qualcosa si ribellava a quest’idea, perché sapeva che non era così. Era certa di possedere tenerezza, dedizione, gioia, tutti sentimenti che avrebbe voluto donare ad un uomo per renderlo felice. Se nessuno la voleva, non era colpa sua, come non è colpa del sole se bruciando troppo  nella torrida estate finisce per seccare le piante. Eppure ora, ancora una volta, avrebbe dovuto affrontare le conseguenze della propria leggerezza e  la cosa che fino a qualche giorno prima le era sembrata una meravigliosa promessa si era trasformata in una minaccia.  
Ogni giorno di più l’ipotesi di essere rimasta incinta si trasformava in certezza, anche se oramai rifiutava l’idea  sperando che si trattasse solo di un ritardo e che le sue cose potessero venirle da un momento all’altro. Andava a controllarsi perlomeno cento volte al giorno, ogni sera si andava a coricare sperando che l’indomani la sua preoccupazione avesse fine ed ogni mattina, spiando i sintomi del proprio corpo, si diceva che forse era la giornata buona.  Purtroppo ben presto dovette rinunciare alla speranza ed accadde a nemmeno una settimana dal ritorno del marito.

Così come aveva fatto tantissime volte, si era recata nel pollaio a prendere delle uova per preparare un sostanzioso zabaione a Charles, ma stranamente la puzza delle galline le sembrò insopportabile. Le uova e gli animali le parvero ad un tratto immondi ed una violenta ondata di nausea l’assalì talmente forte da costringerla a  scappare lì vicino per liberarsi.
Nunzia  era anche lei fuori a stendere il bucato ed accorse in suo soccorso. La trovò pallida come uno straccio, appoggiata al tronco di un albero con il fazzoletto premuto sulla bocca mentre piangeva disperata.

- Signora, cosa c’è?  Non vi siete sentita bene? – le chiese carezzandole con dolcezza l’avambraccio.

Barbara scosse la testa, continuando a piangere.

- Forse non è niente – continuò la ragazza per consolarla.

- Infatti, non è niente: sono solo incinta – le confermò passandosi una mano sulla fronte, senza riuscire a nascondere la disperazione nella voce.

- Ma come, non siete contenta allora?

- No, piccina, non lo sono, ma non chiedermi il perché. Per favore, preparalo tu lo zabaione a Charles intanto che finisco io di stendere il bucato.

Non aggiunse più nulla e si allontanò sotto lo sguardo perplesso della giovane domestica.

 

Dopo quel primo episodio la nausea divenne quasi uno stato abituale che cercava di combattere alla meglio così come tanto tempo prima le aveva insegnato il padre. Per fortuna Robert era quasi tutto il giorno fuori e lei ne soffriva soprattutto di mattina. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dirglielo, ma non ne aveva né la voglia né il coraggio.

Il 19 settembre,  giorno del suo trentunesimo compleanno, si era sentita molto male per cui aveva cercato di alzarsi quanto più tardi possibile. Come di consueto aveva preparato da mangiare per Charles mentre lei e la ragazza si sarebbero accontentate di un po’ di insalata e del formaggio portato la mattina stessa da Alfio, il pastore. Verso l’ora di pranzo però inaspettatamente giunse Robert.  
Mai come in quei giorni l’uomo si stava mostrando gentile e premuroso perché era desideroso di farsi perdonare la decisione presa. Per nulla scoraggiato dal comportamento gelido della moglie, aveva deciso di festeggiarne il compleanno portandole un enorme fascio di fiori.

- Ti ho portato anche un pacco di quei dolci che assaggiammo a Cagliari e che ti piacquero tanto – le disse sorridente – Pensa, ho mandato apposta Ferri a comprarli. Non sapevo cosa regalarti per il tuo compleanno ed ho pensato che ti avrebbero fatto piacere.

- Grazie, mi fanno piacere, ma non dovevi disturbarti: oggi per me è un giorno come un altro.

- Lo so, voi italiani siete abituati a festeggiare l’onomastico, ma per noi conta di più il compleanno e credo sia più giusto così perché è una ricorrenza che riguarda solo quella determinata persona e non tante altre. Oggi dobbiamo celebrare degnamente – aggiunse allegro, cercando di trascinarla con il proprio entusiasmo.
Lei però si mostrò fredda.

- Capirai, non c’è nulla di tanto importante da festeggiare, sto solo facendomi vecchia.

Robert rise divertito.

- Ma se sei nel pieno della giovinezza!

- Già, buttata via! – commentò la donna con amarezza.

- Dai, non fare così – la invitò, questa volta un po’ più serio – Vedrai quante cose belle ti aspettano ancora ed io farò tutto quanto è in mio potere per regalarti serenità e gioia. Oggi ho preso il pomeriggio libero e sai cosa faremo? Dopo un buon pranzetto, andremo a fare una bella passeggiata a Carloforte e porteremo anche Charles e Nunzietta con noi. Ho già preso accordi con il capitano Borghero che passerà a prenderci  e ci riporterà qui stasera. Però dobbiamo sbrigarci a mangiare, altrimenti si farà tardi.

Barbara si affrettò a spegnere quell’entusiasmo.

- Mi dispiace, non ho cucinato nulla. Charles ha già mangiato ed io e la ragazza abbiamo per pranzo solo formaggio e insalata. Al massimo posso prepararti anche una frittata, ma non c’è niente altro di pronto.

- Non importa, va benissimo così. Però facciamo presto lo stesso: è già quasi l’una e dobbiamo arrivare alla spiaggia per le tre.

- Non ho nessuna voglia di andare a Carloforte e nemmeno alla spiaggia. Vacci da solo con Charles, se ti va, io non mi sento bene. Vado a farti preparare da mangiare.

Vedendola allontanarsi le disse assai deluso:

- Barbara, ti prego, non fare così!

Lei si voltò a guardarlo in malo modo.     
- Ma che vuoi? – lo assalì -  Ti ho detto che non ho niente da festeggiare. Cerca di  lasciarmi in pace, per favore!   
Poi si allontanò senza dire più nulla.

 

Anche a tavola continuò a mantenere un contegno gelido incurante del fatto che il marito cercasse di intrattenerla con una simulata allegria perché gli dispiaceva vederla così e si sentiva molto in colpa. Cercava di farla parlare, ma inutilmente. Gli sembrava strana ed ancora di più si meravigliò quando Nunzia portò in tavola la frittata e lei se ne stette silenziosa e terrea ad osservare per qualche minuto la pietanza nel piatto. Aveva un’espressione inorridita e ad un certo puntò si alzò di scatto, facendo quasi cadere la sedia, e scappò in cucina, seguita dalla ragazza.

Un poco perplesso da quello strano comportamento, Robert rimase qualche momento incerto sul da farsi, poi decise di andare a vedere cosa stesse succedendo. Andò anche lui in cucina e trovò la donna pallidissima con un fazzoletto premuto sulla bocca, seduta  con la servetta accanto.

- Non dovreste dirlo a vostro marito, signora? – le stava dicendo questa.

- Cosa dovrebbe dirmi, di grazia? – chiese l’uomo con molta preoccupazione nella voce.

La ragazza, che non lo aveva visto entrare perché era di spalle, sussultò e si portò le mani sul viso per la mortificazione di essersi fatta sentire.

- Non ti preoccupare, Nunzietta, vai a sparecchiare ora – le disse allora la padrona. 
Mentre la giovanetta si allontanava rossa in volto per l’imbarazzo, Barbara si alzò e andò a versarsi un bicchiere d’acqua all’acquaio, ignorando la domanda del marito.

- Insomma, me lo dici cosa ti succede? Stai male? Vuoi che chiami il medico? – continuava intanto a chiederle Robert con la voce ansiosa e stizzita – Insomma, vuoi parlare o no, accidenti!

Il suo tono spazientito bastò perché Barbara si sentisse assalire da una collera irrefrenabile. Neanche lo sfiorava l’idea che potesse essere incinta! Già, per lui come per Filippo tanto tempo prima, era stata solo un passatempo, una donna accondiscendente con la quale godere un po’ e basta. Loro erano uomini e privilegiati, non avrebbero dovuto pagare le conseguenze del loro piacere per tutta la vita! Ebbe voglia di ferirlo. Si voltò e, guardandolo dritto negli occhi, gli disse molto dura:

- Cosa è successo vuoi sapere? È successo che mi hai ingravidata.

Non avrebbe mai usato quel termine così animalesco se fosse stata in sé, ma il vederlo barcollare alle sue parole le diede una sorta di maligna soddisfazione per cui continuò su quel tono con un sorriso sarcastico stampato sul viso.

- Oh, non ti preoccupare, caro, non farti venire i sensi di colpa anche per me, adesso! Io non sono come l’innocente Julie, io sono venuta con te perfettamente consenziente e mi è piaciuto pure. Non ti ricordi? Me lo facesti persino notare! In fondo quelle come me devono pur essere consapevoli che così facendo finiscono per mettere al mondo dei bastardi.

Robert era assai addolorato ed  obiettò con sincerità:

- Bastardi?  Come ti viene quest’idea, sei impazzita?

Lei sorrise amara ed alzando entrambe le mani come a chiedere perdono, continuò:

- Oh! Scusa se ti ho offeso! Lo so, tu non te la squaglierai come fece Filippo, tu gli darai il tuo nome, lo manterrai e forse ti farà anche piacere dimostrare al mondo che l’ingegner Forrest si è fatto una famiglia solida e rispettabile, così nessuno potrà più insinuare che è uno sbandato! Però non lo negare, questo bambino per te non sarà mai uguale al figlio della donna che hai amato. Ecco perché sarà un bastardo lo stesso.

- Non è vero! – protestò l’uomo, esasperato da tanta cattiveria.

Ma nemmeno immaginava a quanto potesse arrivare la perfidia di lei.

- Non è vero? Beato te che ne sei così sicuro! Già, perché io invece non sono affatto certa che tratterò allo stesso modo il figlio della tua adorata moglie ed il mio.

Sapeva di star mentendo, ma lo sguardo smarrito dell’uomo le diede una soddisfazione infinita. Assai calma, aggiunse uscendo dalla cucina:

- Ti ringrazio molto per i fiori ed i dolci, sono stati molto graditi, ma adesso scusami, vado un po’ a riposare. Porta Charles a fare la gita oppure tornatene a lavoro, insomma, fai un po’ come ti pare. Non preoccuparti per me, io non ho bisogno della tua compagnia.




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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Ho notato, almeno in voi che avete commentato, un certa spaccatura: c’è chi propende per Barbara, giudicando la sua reazione uno sfogo giusto e prevedibile e chi invece per Robert che, nonostante i suoi dubbi e le sue titubanze, sa essere un uomo sempre molto dolce e gentile che forse andrebbe preso per un altro verso. Che devo dirvi! Io ho cercato di non incolpare nessuno dei due di quanto sta succedendo ma ho solo voluto mostrarvi le luci e le ombre di ognuno di loro. Comprendo che alcuni comportamenti potranno risultarvi sgradevoli, soprattutto per quanto riguarda  Barbara che si è molto incattivita dopo questa nuova delusione. Però, se ciò avverrà, allora saprò di aver reso con autenticità i miei personaggi perché nella realtà le persone sono fatte così, a volte sbagliano e pur essendone consapevoli, non riescono a fare diversamente per orgoglio, per mentalità, per paura   

Ringrazio le “fedelissime” per i loro commenti così graditi e preziosi anche se, ancora una volta, voglio invitare chi sta leggendo ad esprimere un parere. Ripeto, basta una sola parola tipo “bene”, “mi piace”, “è interessante” ma beninteso anche “che polpetta indigesta!” (pure se in verità quest’ultimo commento mi auguro proprio di non riceverlo mai!) Grazie a tutte comunque.

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Capitolo 25

 

Nonostante il passare dei giorni, Robert non riusciva a superare lo sconforto in cui lo aveva lasciato la rivelazione della moglie non tanto per la notizia inaspettata dell’arrivo di un figlio non certo voluto, ma per la strana reazione di lei. Per quanto la spiasse con ansia, in apparenza non coglieva il minimo cambiamento nel suo modo di comportarsi. Era sempre molto affettuosa con il bambino e perfetta come  padrona di casa. Anche con lui, dopo la durezza di quel giorno, aveva ripreso i consueti modi gentili sebbene non privi di una certa freddezza.
Il suo malessere fisico invece traspariva chiaramente, ma ogni volta che, preoccupandosene,  le chiedeva come si sentisse, gli rispondeva con un sorriso:  “benissimo, ingegnere, va tutto  bene, è tutto sotto controllo”. Eppure s’intuiva che nel suo animo c’era una grossa inquietudine, anche se mai Robert avrebbe potuto immaginare la profondità dell’angoscia che  l’attanagliava
.

Barbara infatti aveva cominciato ad odiare la nuova vita dentro di sé, la sentiva come una forza aliena che a poco a poco l’invadeva prendendo possesso del suo corpo, non voluta, non desiderata, non amata. Ciò la gettava in un profondo sconforto perché sapeva di essere contro natura. Quella povera creatura non aveva certo colpa e non aveva chiesto di venire al mondo, però, nonostante tutto, non riusciva a sentirsene madre.

Lei non aveva figli.

Suo figlio era stato un sorridente angioletto bruno ma l’aveva  salutata sull’uscio di una stanza mentre giaceva febbricitante e se n’era andato per non tornare mai più.

Suo figlio non era Charles che, sebbene adorato, non le apparteneva e forse un giorno le avrebbe chiesto conto di tutto l’amore usurpato che aveva estorto alla sua innocenza.         
Chi era allora questo bambino? Solo un estraneo   imprigionato in un corpo  che lei per prima avrebbe voluto lasciare!
A volte, infatti, sentiva forte la voglia di scappare via per essere finalmente libera da se stessa, da tutto l’amore non ricambiato che aveva dato, dai legami, dagli obblighi sociali, dalle costrizioni da cui si sentiva soffocare. Invece rimaneva al suo posto a recitare una parte  non sua, sapendo di dover continuare ad interpretarla per tutta la vita. Da brava attrice, celava così bene il suo vero sentire dietro una maschera imperscrutabile che nessuno avrebbe potuto scoprire il suo vero essere per provarne pietà o disgusto. E più il suo ruolo diventava difficile, più lo interpretava con successo.

 

Quando, ai primi di ottobre,  arrivarono ospiti ad Ingurtosu le nipotine, non sospettarono lo stato pietoso in cui era la zia, anzi, ammirarono la bella casa, il suo affascinante marito, il simpaticissimo bambino biondo ed addirittura si eccitarono alla notizia del cuginetto in arrivo.

La loro venuta suscitò molto interesse nella piccola comunità perché quelle due signorine eleganti e ben educate attirarono l’attenzione di tutti. Robert le accolse con molta cortesia e dedicò loro molto più tempo di quanto ci si potesse aspettare da un uomo tanto impegnato nel lavoro. Dal canto suo Nunzia, che aveva circa la loro stessa età, le guardava quasi come si possono guardare delle creature soprannaturali.

Spesso Barbara, confrontando il loro manifesto benessere con la vita condotta dalla sfortunata pastorella senza famiglia e senza istruzione che si ammazzava di fatica per guadagnarsi il pane, aveva pensato a quanta ingiustizia ci fosse nel mondo dove sotto lo stesso cielo vivevano persone  tanto fortunate ed altre che non avevano niente.

Aveva ceduto alle nipoti la sua camera da letto ed era andata a dormire in quella di Charles. Provvedeva sempre  però a tenere ben chiusa la porta di comunicazione tra le stanze per non far capire alle due giovani che non dormiva con il marito mentre non si prendeva nemmeno la briga di chiudere a chiave l’uscio che la separava da quella di lui tanto era certa che la barriera costruita tra di loro fosse più invalicabile di qualsiasi barriera fisica.

Una domenica furono invitati anche a pranzo da lady Margaret la quale però non agì per gentilezza, ma solo per curiosare sulle parenti di Barbara. Anche stavolta però la perfida gentildonna dovette restare delusa perché, all’infuori che trovarle decisamente paesanotte ancor peggio della zia, non poté muovere alcuna critica né sulla loro educazione né sul loro aspetto fisico. Dal canto loro  le giovani furono onorate ed eccitate di essere state ricevute da una dama di così alto lignaggio, ma si divertirono senz’altro di più quando  Robert le portò una volta in gita  a Carloforte.

In ogni modo la presenza delle amate nipoti fece bene a Barbara ed il mese di ottobre passò un po’ meno triste anche perché cominciava a sentirsi meglio. Si era accorta che  la piccola Carlotta si era un po’ innamorata di Robert e lo seguiva quasi come un cagnolino, ripetendole sempre:“come sei stata fortunata, zia!”.  Lei sorrideva divertita perché le faceva tenerezza vederla guardare l’uomo con un’aria tanto adorante. Caterina  invece la  preoccupava un po’, le sembrava cambiata e la scopriva sempre più spesso silenziosa e triste.

Un pomeriggio di fine mese, oramai si avvicinava il tempo che Alfredo e Luisa sarebbero venuti a riprenderle,  se ne stavano loro due sotto il portico a prendere l’ultimo sole sulle sedie a dondolo mentre Charles, Carlotta e Robert giocavano a palla in giardino. Ad un tratto Caterina sospirò  guardandoli e mormorò con malinconia:

- Come ha ragione Carlotta quando dice che sei stata fortunata, zia!

- Già, sono stata fortunata – confermò lei, cercando di nascondere l’amarezza – anche tu lo sarai, vedrai.

Lo aveva detto augurandole sinceramente il cuor suo ben’altra fortuna ma rimase molto stupita nel vederla scoppiare a piangere.

- Piccola mia, cos’hai? Non vuoi confidarti con me? – le chiese prendendole il capo tra le mani e parlandole con dolcezza.

- Vorrei rimanere qui con te per sempre, non tornare mai più a casa! – singhiozzò la ragazza.

- Ma perché? È successo qualcosa?

- Papà ha deciso che mi devo fidanzare e sposare.

- E con chi?

La giovane alzò il viso a guardarla e nei suoi occhi colmi di lacrime si leggeva una profonda angoscia.

- Con Fedele, il figlio del sindaco. Ha fatto dire a papà da suo padre che da quando mi ha vista passeggiare in piazza pensa solo a me. Hanno già combinato un paio d’incontri. A me  non piace, è brutto, grasso ed arrogante. Io non lo voglio per marito!

In preda all’ angoscia, la ragazza non si era accorta di aver alzato la voce, attirando così l’attenzione di Robert che le guardò perplesso.

- Buona, buona – l’ammansì la zia – Devi dirlo con calma a tuo padre. Vedrai, non ti obbligherà a prendere chi  non vuoi.

- Sì invece, lo farà. Anche mamma e quell’altra lì sono d’accordo.  Dicono sempre: “è un buon partito,  ha le proprietà, con uno così farai la tua fortuna”.

- La famosa fortuna!  Ce la vedo quasi tua madre ripetertelo in continuazione ed anche tua sorella, se è per questo – commentò la zia. Rimase un po’ a riflettere, poi aggiunse:  – Stai tranquilla però,  vedrai che tuo padre si convincerà.

- Macché, è arrivato a minacciarmi di farmi chiudere in convento se non accetto di sposare Fedele! Ed io cosa posso fare?

- Niente, mia cara, non puoi fare niente. Anzi no, una cosa la puoi fare: anche se sarai costretta a piegarti, dovrai continuare a ripeterti sempre che ti è stata fatta un’enorme ingiustizia, che quella non era la vita che volevi, che non ti sottometterai mai.

- Perché mi dici questo? Tutte le mie amiche mi consigliano di rassegnarmi, di accettare di buon grado una soluzione che a poco a poco comincerò ad apprezzare… - obiettò la giovane guardandola perplessa.

Barbara l’afferrò per le spalle e la scrollò forte.

- Mai, mai! – la esortò -  Appena farai questo sarai diventata una schiava e non avrai più alcuna speranza. Invece, anche se la tua vita dovrà essere una continua sofferenza, potrai conservare la tua dignità e trovare la forza di ribellarti  perché questa stessa ingiustizia non venga ancora fatta alle tue figlie. Forse un giorno anche noi donne potremo decidere del nostro destino, ma ciò potrà avvenire solo se impareremo a lottare e a non rassegnarci mai.

Caterina non disse nulla, ma si asciugò in fretta le lacrime. Non era convinta delle cose dettele dalla zia e d’altronde sin da piccola era stata cresciuta con l’idea che Barbara fosse un po’ strana. Ancora di più  si convinse di ciò vedendola sorridere con familiarità alla serva che si stava avvicinando.

Tutta vestita a festa e assai contenta, Nunzia stava venendo a chiederle il permesso di uscire con l’innamorato, come faceva oramai  tutte le domeniche. Guardandola, Barbara aveva intuito in un lampo che quella che le era parsa in un primo momento sfortunata a confronto delle sue agiate nipoti, in realtà possedeva molto di più: poteva disporre della propria esistenza, scegliersi un uomo  amato e non aver paura di niente perché la sua ricchezza stava nel suo lavoro che le consentiva di mantenersi senza dover dipendere da nessuno, né padri, né fratelli e tanto meno mariti.

- Ho lavato i piatti e preparato la stanza alle signorine, posso andare ora, signora? – le stava chiedendo intanto la giovane  mentre con le mani sciupate si aggiustava con orgoglio il vestito nuovo che si era appena fatta cucire.

La donna la guardò con molta tenerezza ed annuì sorridendo, ma mentre si stava allontanando, la richiamò per dirle:

- Stai attenta, bambina mia. Usala bene la tua libertà. È la tua vera fortuna.

Nunzia non la capì e la guardò stupita. Ancora di più si meravigliò Caterina, ma Barbara non se ne curò. Sapeva benissimo di non star dicendo una sciocchezza.

 



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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Giubilo! Gaudio! Tripudio! Cosa altro potrei provare secondo voi nel leggere queste recensioni che inorgogliscono e fanno battere il cuore alla povera, vecchia mamma Kellina? Non so come ringraziare per tutte le belle cose che mi sono state dette e per le analisi accurate dei miei personaggi fatte dalle “fedelissime” ma anche da Lizzie, Lilysol e Tartis. La presenza di quest’ultima poi è per me un regalo immenso perché, come vi ho detto nella prefazione, io quei posti li ho conosciuti solo tramite internet ma li ho amati talmente tanto da sentirli quasi miei. Sapere che c’è un lettrice che è proprio di lì e non trova assurda o inappropriata la mia ambientazione con tutte le inesattezze che posso aver commesso, mi fa un piacere immenso. Anzi, Tartis, devo farti una preghiera: se tu dovessi notare che ho detto proprio una grossa fesseria, fammelo sapere. Forse sono eccessiva, ma quando scrivo delle cose cerco di essere precisa e per questo mi documento fino allo spasimo ma è facile lo stesso sbagliare. Mi ero un tempo ripromessa di fare un viaggio in quei posti magnifici per vederli con i miei occhi ma purtroppo le circostanze della vita me l’hanno impedito e mi sono dovuta accontentare di averli solo immaginati.

Ma eccovi un nuovo capitolo.

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Capitolo 26

 

Con la partenza delle nipoti e l’arrivare dell’autunno, Barbara si sentì sprofondare sempre di più nella tristezza. L’amareggiava anche il fatto di non essere riuscita a far nulla per aiutare Caterina perché, quando aveva provato a parlare al fratello ed alla cognata della crudeltà di un matrimonio imposto, aveva trovato un’ostinazione insormontabile.

Esasperata dal suo discutere l’argomento, Luisa le aveva bruscamente detto di farsi gli affari suoi perché se a lei, nonostante il suo passato, era capitato un marito bello, benestante ed affettuoso, poteva darsi che quella stessa buona sorte non capitasse a Caterina anche se era una ragazza buona e virtuosa. Forse l’occasione di trovare un partito come il figlio del sindaco non le si sarebbe più ripresentata e Barbara  era stata davvero una cattiva consigliera se aveva indotto la  sprovveduta nipote a non approfittarne.

La sua stizza era stata tale che nessuno aveva osato fiatare, tantomeno Robert il quale non aveva afferrato tutte le parole, alcune delle quali erano state dette in catalano, ma aveva intuito dall’espressione della moglie quanto dovessero essere state dure.

Eppure Barbara non si era offesa perché aveva capito che agli occhi degli altri la sua attuale condizione era davvero invidiabile. Non se l’era detto lei stessa qualche tempo prima? Però ora, mentre si aggirava per le stanze della grande casa nelle giornate fredde e buie di novembre, capiva che tutto ciò di cui si era accontentata  non le bastava più.

Cosa era cambiato da quando un anno prima aveva deciso di sposare Robert? Niente e nello stesso tempo tutto. Per un breve momento aveva assaggiato la felicità, ma questa le era stata subito negata di nuovo ed ora non riusciva più ad accettare solo una convivenza fraterna quando aveva sperimentato la passione. D’altronde non c’era via di uscita e si sarebbe dovuta adattare, ma non era più disposta a prendersi il lato buono delle cose limitandosi ad amare il marito senza essere ricambiata, piuttosto avrebbe preferito  odiarlo ed anche se non ci riusciva perché lui era troppo buono e gentile, lo teneva il più lontano possibile, evitando persino di guardarlo o di parlargli. Preferiva ignorare la tenerezza nel suo sguardo quando le si posava  sul corpo che cominciava a sfigurarsi per la maternità,  la premura con la quale la trattava, la dolcezza del suo volto malinconico dal quale traspariva la fatica di vivere che lo travagliava. Lei era troppo orgogliosa per dimenticare che l’aveva respinta come donna, così lo trattava con freddezza, allontanandolo sempre di più, anche se cercava di rimanere comunque una compagna ineccepibile e di adempiere con scrupolo tutti i doveri.  
Anche i sentimenti assurdi che provava nei confronti del nascituro non erano affatto cambiati pure se la sofferenza fisica era quasi passata con l’avanzare della gravidanza. A volte si soffermava a guardarsi il ventre ingrossato davanti allo specchio e si chiedeva come fosse possibile che solo poche ore di un piacere ormai quasi negato, si stessero trasformando in un essere umano. L’idea che i figli si potessero fare così, senza alcuna gioia,  la faceva star male e si domandava quale destino avrebbe mai potuto avere una creatura non desiderata da suo padre, non amata da sua madre. Aveva paura per sé e per lei e mentre la volta precedente aveva avuto i genitori accanto a consolarla e ad incoraggiarla, ora era completamente sola. Eppure, come tutte le donne incinte, avrebbe avuto voglia di tenerezze, di rassicurazioni, soprattutto quando nonostante il freddo si svegliava  madida di sudore nel cuore della notte per qualche terribile, sconvolgente incubo. Invece non poteva parlare con nessuno anche se, almeno nelle piccole cose pratiche, c’era Grazia a darle aiuto. Era stata lei a condurla ad un negozio in paese dove si vendevano filati e tessuti e l’aveva convinta ad incominciare a preparare il corredino per il piccolo in arrivo, era lei che le consigliava i modi migliori per evitare i crampi o le procurava l’olio di mandorle da spalmarsi sul corpo per prevenire le smagliature. Grazia e Lino erano diventati per Barbara un punto di riferimento e con loro si sentiva più serena. Anche Charles e Nunzia le davano conforto, solo Robert no, lui doveva quasi diventare invisibile ai suoi occhi perché anche la sua sola presenza le faceva male. Per fortuna il lavoro lo manteneva sempre fuori casa e la sera riusciva ad evitarlo perché  con la scusa di sentirsi poco bene,  si rifugiava  nella sua stanza o in quella del bambino dove rimaneva a leggere i libri del padre che si era fatta portare da Alfredo da Alghero.

          
Il 15 di novembre, giorno del loro primo anniversario di nozze, fu molto infastidita quando, ritornando a casa verso mezzogiorno dopo una breve passeggiata con Charles, seppe da Nunzia che l’ingegnere era tornato e stava nella sua stanza. Non avrebbe sopportato un’altra sceneggiata come quella avvenuta il giorno del suo compleanno. Non voleva né doni né auguri, voleva solo essere lasciata in pace.

Molto prevenuta, bussò alla porta della camera di lui ed entrò, dicendogli gentile ma fredda:

- Se vuoi un piatto di minestra calda vieni giù, è pronto.
Lo sguardo che l’uomo alzò su di lei la fece quasi rabbrividire. C’era una tristezza infinita nei suoi occhi ed aveva un’aria talmente  sconvolta che le venne spontaneo chiedergli:

- Robert, cosa c’è?

- Mio padre. È morto – le disse mostrandogli un telegramma che aveva ancora tra le mani.

- Mio Dio! Mi dispiace. Ma quando è successo?

Non le rispose subito. Si alzò e si mise guardare il paesaggio autunnale fuori dalla finestra, forse per non mostrare il viso sconvolto dal dolore.

- Vent’anni fa è successo! – le disse.

- Come!? – gli chiese stupita.

- Sì, è successo un giorno quando tornando da scuola, avevo solo tredici anni,  non trovai né mia madre né mia sorella in casa. Pensai che fossero uscite a fare qualche commissione, ma quando vidi entrare zio John, capii dal suo volto che era successa una disgrazia.

- Il giorno dell’incidente alla miniera! – pensò Barbara ad alta voce.

- Già. Quando avevo lasciato mio padre la mattina all’alba, ci eravamo ripromessi di andare a pescare insieme la domenica successiva. Lo facevamo spesso ed anche se non prendevamo mai nulla, ce ne stavamo ore ed ore a parlare. Lui mi raccomandava sempre di studiare perché con un titolo di studio avrei potuto avere una vita migliore della sua. Non c’era sacrificio che non gli apparisse lieve  per ottenere questo scopo, anche risparmiare il poco denaro lasciato alla mamma dal fratello che doveva essere utilizzato solo per mandare me al college. Per questo io m’impegnavo fino allo spasimo a scuola, perché ogni bel voto che prendevo vedevo i suoi occhi illuminarsi di orgoglio e sapevo che sarebbe andato a vantarsene con tutto il parentado. E sapeva farlo benissimo, sai – le disse voltandosi a guardarla con un sorriso  triste e tenerissimo - era un giovane forte, pieno di vita e di allegria, un gran bevitore, uno che non si faceva passare la mosca al naso, pronto a fare a cazzotti con un amico fraterno se l’aveva fatto arrabbiare o a togliersi dalla tasca i pochi spiccioli messi da parte per il tabacco per darli a un vagabondo che gli aveva fatto simpatia. Ma ti ho descritto l’uomo sceso quella mattina nel pozzo della miniera di LLyrnog, quello  che ne risalì era ormai un vegetale. Non camminava e non parlava più e forse neanche riconosceva in noi i suoi cari tanto amati. Sempre più spesso cominciai a pensare alla sua grande anima  rimasta prigioniera in quel corpo inerte, a volte me ne stavo per ore a guardarlo fisso, per vederla guizzare nei suoi occhi, ma inutilmente. Arrivai a pensare che solo la morte avrebbe potuto liberarla di nuovo e l’ho pensato anche questa mattina quando ho saputo… ma ho paura di sperarlo…

Barbara gli si avvicinò e timidamente gli posò una mano sulla spalla.

- Sì, è senz’altro così. Ora è libero di nuovo – gli sussurrò commossa.

Robert annuì, il capo chino, poi si girò verso di lei, nascondendo il dolore dietro la sua solita espressione dolce.

- Credo che prenderò il piatto di minestra calda che mi offrivi prima. Ho freddo oggi, non è strano?  - le disse con un sorriso triste.

 

 

La notizia della morte del padre del Direttore si diffuse rapidamente e poiché lui non nascose a nessuno che fosse stato un semplice minatore, la cosa aumentò l’affetto nei suoi confronti da parte degli operai i quali già lo stimavano molto perché non approfittava  dei cottimi per farli lavorare di più e non amava punirli con le multe.

Anche Bradley gli manifestò il suo cordoglio venendo a fargli personalmente visita, preoccupandosi di portare conforto all’amico senza curarsi delle critiche che gli faceva la moglie. Purtroppo il giovane sembrava essere preda di una malinconia dalla quale neanche la vivacità e la dolcezza del piccolo Charles riuscivano a strapparlo. Barbara avrebbe voluto consolarlo, ma dopo le confidenze di quella sera, si era di nuovo chiuso in sé e lei stessa, ferita e sola, non aveva la voglia di tendergli una mano per paura di essere fraintesa. Eppure molte volte si chiedeva perché tra loro dovesse andare così. A volte, durante i frequenti temporali notturni di un inverno precoce, quando se ne stava tutta tremante in preda alla sua incontrollabile fobia nella stanza del bambino per avere almeno il sollievo della sua presenza, vedendo la luce filtrare sotto l’uscio della camera di Robert, provava l’impulso di andare a cercare conforto tra le sue braccia. Ogni volta però si tratteneva dal farlo perché forse lui avrebbe pensato che era l’amore fisico ciò che cercava, senza capire che in realtà voleva unicamente protezione ed affetto.

 

Intanto si avvicinava Natale, ma un po’ per il recente lutto, un po’ per lo stato di Barbara,  questa volta non furono coinvolti nell’organizzazione della festa di cui si occupò solo lady Margaret.
Se avesse potuto, la giovane avrebbe evitato persino di andarci, ma non poteva e dovette per forza pensare al proprio abbigliamento. Provò a misurare il vestito del matrimonio, ma com’era naturale, non riusciva neanche a chiuderlo.

- Potrei farmi confezionare da Olga Ferri una giacchetta da indossarci sopra, così potrei portarlo aperto. Cosa ne dici Nunzia?  – chiese alla ragazza che la stava aiutando a provarlo davanti alla grande specchiera della consolle nel salotto.

- No, signora, secondo me si vedrebbe.

Nessuna delle due si era accorta di Robert. Era entrato già da un po’, fermandosi silenzioso a fare una carezza sul capo biondo del suo piccino seduto sul tappeto a giocare con le costruzioni.    

- Avresti bisogno di qualche vestito nuovo per il tuo stato - commentò nel vedere la scena -  Andremo di nuovo a Carloforte dalle sorelle Poma – aggiunse poi , ma senza troppo entusiasmo.

- Nemmeno per sogno! – obiettò la moglie a cui il ricordo di quei giorni felici faceva addirittura male – Dobbiamo fare economie per tua madre e non mi sembra il caso di spendere tanti soldi per dei vestiti adesso che sono incinta.

- Scusate se mi permetto, ma dopo si potrebbero sempre stringere  – intervenne Nunzietta.

- La signora Ferri sa cucire abbastanza bene e non prende molto. Me li farò confezionare da lei. Il tuo vestito l’ha fatto bene, no? E poi voglio delle cose semplici e pratiche.

Per non ferire la giovanetta, Robert non commentò nulla finché non fu uscita dalla stanza, ma appena furono soli riprese il discorso.

- Nunzia è una cameriera, non ha l’obbligo di apparire elegante, tu sì invece.

- Ma dai, quale obbligo! E con chi poi? Con lady Bradley? Quella mi troverebbe odiosa anche se mi vedesse con vesti preziose e per tutti gli altri conto talmente poco che nessuno  si prenderà nemmeno la briga di osservare il mio abbigliamento. Perché – aggiunse vedendolo poco convinto - tu ti accorgi di come vado vestita?

- Anche se non presto attenzione a queste cose, voglio lo stesso darti sempre il meglio.

- E cosa sarebbe il meglio? Vestiti? Fiori? Gioielli? No caro, non sono queste le cose che vorrei, sono ben altre e tu non vuoi e non puoi darmele.

Aveva parlato troppo. Vedendolo abbassare il capo mortificato, si pentì per essersi lasciata andare ad inopportune recriminazioni perché non sopportava di apparirgli desiderosa del suo amore. Stringendo tra le dita il piccolo crocifisso di corallo che portava sempre al collo, trovò la forza di sorridergli, cercando di mostrarsi serena mentre gli diceva:

- Vedrai, sarò lo stesso elegante con il vestito che mi cucirà Olga. Piuttosto mi farai il favore di comprarmi della stoffa quando andrai a Carloforte e, visto che ci sei, acquisterai anche una camicia nuova per te. A furia di lavarla e inamidarla, quella di batista bianca, l’unica buona che hai, è diventata molto lisa. Qui sei il Direttore, devi fare bella figura anche tu.


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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27

 

La Vigilia di Natale, contrariamente alle sue aspettative,  Barbara si divertì, anche se la prima parte della festa fu meno bella di quella dell’anno precedente. Il grande buffet sulle tavole apparecchiate non era stato preparato, ma lady Bradley aveva fatto confezionare dei pacchi di dolciumi, giocattoli ed indumenti che aveva consegnato nelle mani dei più piccoli di ogni famiglia. La cosa era stata piuttosto squallida perché era sembrata più un’elargizione benefica che una festa. Però quando don Giustino aveva fatto portare dal sacrestano le ceste di liquori offerti dal padrone della miniera e gli enormi  vassoi di dolci preparati da tutte le signore del paese e l’orchestrina aveva iniziato a suonare una allegra musica sulle note della quale i più giovani avevano cominciato a ballare, l’atmosfera si era fatta assai festosa.  
La giovane donna incinta se ne stava abbastanza contenta ad osservare le danze in compagnia di Grazia e non c’era persona che non venisse a salutarla o a complimentarsi con lei per il suo aspetto. Barbara sapeva di essere molto benvoluta nella piccola comunità, ma ad un certo punto sospettò che tante attenzioni le venissero rivolte anche per far dispetto a lady Margaret la quale invece se ne stava sola e sussiegosa ad osservare tutto e tutti con il monocolo ed un sorrisetto ipocrita sulla labbra sottili contornate da una fitta rete di rughe.

La piccola Nunzia intanto volteggiava allegra tra le braccia del suo Luigi. Barbara notò quanto fosse carina ed anche molto felice perché la sera stessa, dopo la festa, il fidanzato l’avrebbe condotta a conoscere i suoi in un paesino poco lontano. Le aveva concesso di stare da loro fin dopo Capodanno, permettendole per la prima volta in vita sua di prendersi una lunga vacanza. Era contenta che quel  ragazzo le volesse bene e considerasse la loro storia una cosa seria perché si era davvero affezionata molto a quella brava ragazza. 
Charles, come un monello, correva all’impazzata per tutta la sala insieme agli altri bambini, anche in mezzo alle coppie che danzavano rischiando di travolgerli. Aveva il bel vestitino elegante tutto stazzonato, i capelli spettinati ed il visino rosso per la gioia e l’eccitazione. Barbara non aveva smesso un attimo di sorvegliarlo da lontano e quando lo vide litigare con una bimbetta bruna per un giocattolo, si affrettò ad andarlo a prendere. Provò a tenerselo in braccio ma lui non ne volle sapere di starsene buono. Cominciò a divincolarsi, strillando come un aquila fin quando lei non lo lasciò andare, accontentandolo. Stava commentando la cosa ridendo insieme a Giovanna e a Grazia, quando gli occhi le caddero per caso sul marito. Come se fosse stato in un altro posto e non in quella baraonda, questi se ne stava triste in un angolo con un bicchiere ed una bottiglia in mano. Lo vide mescersi il liquore almeno quattro volte nella seguente mezz’ora in cui non smise mai di osservarlo e, piuttosto preoccupata da un simile atteggiamento, gli si avvicinò per parlargli.

- Robert, per favore, finiscila di bere così. Guarda che questa non è acqua, è grappa e di quelle belle forti anche. Che figura ci facciamo se ti ubriachi?

- Lasciami in pace – le rispose secco con un tono mai usato prima con lei  poi si voltò e se ne  andò fuori, senza peraltro mollare la bottiglia.

Non osò dirgli più nulla, solo sperò che non si ubriacasse davvero perché avevano deciso di trattenersi per la messa di mezzanotte e la strada del ritorno, già in condizioni normali molto brutta da percorrere, di notte e con il freddo lo diventava ancora di più.

Per fortuna i suoi timori si rivelarono infondati perché, come se l’alcool ingerito non gli avesse provocato il minimo fastidio, Robert li condusse facilmente a casa. Una volta arrivati, le tolse anche dalle braccia Charles che si era addormentato sfinito.

- Dammelo, si è fatto pesante per te – la invitò infatti con dolcezza preoccupandosi anche di aiutarla a scendere dal calesse.

Arrivati in casa, stava per andare a metterlo nel lettino, quando udì la moglie dirgli:

- No, portalo sul mio letto, così lo spoglio e lo faccio dormire con me.

- Perché, non ce l’ha una stanza?

- Quando è eccitato si sveglia sempre la notte e così lo metto  accanto a  me. Stasera lo è così tanto che lo farà di sicuro, tanto vale allora…

- Non è una bella abitudine – commentò lui.

- Che c’è di male? Dovrei fargli bere una camomilla e perdere un’infinità di tempo per farlo dormire. Invece basta lasciargli mettere le manine tra i miei capelli sciolti per farlo rilassare e  riaddormentare subito.

La donna aveva parlato sorridendo con tenerezza e nel frattempo aveva cominciato a mettere la camicia da notte al bimbo che dormiva come un sasso. 

- Cerca di fargli togliere questo vizio – la invitò il marito senza lasciarsi intenerire -  Deve imparare ad essere autonomo e a dormire anche senza di te.

- Va bene –  accondiscese lei, però dal tono della voce si capiva che non l’avrebbe mai fatto.

L’uomo non disse più nulla e fece per andarsene, ma arrivato sulla porta si voltò per dirle:

- A proposito, buon Natale. Se non sbaglio tu ci tieni.

Barbara rimase un po’ interdetta perché le sembrò di cogliere uno strano tono ironico nella sua voce.     
-  Buon Natale anche a te – rispose in fine  e guardò la porta richiudersi alle spalle di lui.

 

Purtroppo non riuscirono a risparmiarsi il pranzo dai Bradley il giorno di Natale. La giovane donna avrebbe preferito mille volte starsene a casa sua. Anche se Robert fosse scappato via subito dopo pranzo lasciandola sola come aveva fatto l’anno precedente, almeno non avrebbe dovuto sopportare il busto stretto, il disgustoso desinare e le chiacchiere maligne della vecchia nobildonna.

Rifiutando con un gesto educato un’altra porzione di un roast-beef talmente al sangue che quasi la disgustava come se avesse ancora avuto le nausee gravidiche, si stava sforzando di farne mandare giù qualche boccone al piccolo Charles che però non lo gradiva affatto.

L’anziana signora si mostrò un po’ infastidita dai capricci  del bambino.

- Avreste dovuto lasciarlo a casa, mia cara, è troppo piccolo per stare a tavola con gli adulti! – commentò, acida.

- In questo caso avremmo dovuto rifiutare il vostro cortese invito perché non avevamo a chi affidarlo. Ho dato un po’ di giorni di vacanza alla cameriera,  ma in fondo, anche se lei ci fosse stata, né io né il padre avremmo voluto lasciarlo da solo proprio il giorno di Natale. Comunque il vostro nipotino si è comportato proprio come un ometto finora. Adesso non ce la fa più dal sonno e, con il permesso di tutti, vorrei provare a farlo addormentare un po’. Posso chiedere a Giovanna  se mi può accompagnare in un’altra stanza, per favore?

- Certo, così almeno noi finiamo di pranzare in pace – l’autorizzò l’altra, rivolgendo poi la sua attenzione ai due uomini i quali, non avendo seguito la loro conversazione, guardarono meravigliati Barbara allontanarsi da tavola con il bimbo per mano.

 

Finalmente Charles si era addormentato con il capino poggiato sul suo seno e Barbara gli stava carezzando con il consueto amore i riccioli biondi quando lady Margaret entrò nel salotto, seguita da Giovanna che portava un vassoio.

- Considerato che non avete neanche finito di mangiare, ho pensato di farvi portare qui il caffè ed un po’ di dolci – le disse con affettata cortesia, guardando però in maniera strana il bel bimbo abbandonato nel sonno e lei che lo stringeva teneramente.

- Grazie, gradisco molto il caffè, ma preferisco non mangiare dolci perché nel mio stato è meglio non abusarne.

- Non lo sapete? Dovete mangiare per due adesso! – osservò la governante che era molto in confidenza con la signora Forrest.

Tale familiarità non fu gradita alla nobildonna che le si rivolse assai imperiosa.

- Andate ora, Giovanna. Non abbiamo bisogno d’altro.

Quando la domestica ebbe ritirato la tazza vuota e si fu allontanata, osservò:

- Avete un aspetto magnifico, invece, si vede che la gravidanza vi fa molto bene. Piuttosto ho visto Robert eccessivamente giù.

- Ha perso il padre poco più di un mese fa, signora – obiettò la giovane, ma vedendo l’altra fare spallucce, si sentì montare la collera e, cercando di controllarsi, aggiunse:

- Anche se era un semplice minatore e per giunta invalido, non vi sembra naturale che il figlio abbia potuto soffrire per la sua morte?

- Ma sì, certo, non mi prendete per insensibile, solo che… insomma, quel ragazzo non mi è parso mai troppo attaccato ai suoi. Non era andato mai a trovarli, non ne parla mai e, pensate, neanche li aveva presentati a mia nipote! Ritengo che se ne debba vergognare, forse per questo si è sempre disinteressato a loro.

- Non è vero, non ha mai mancato di inviare ai genitori parte del suo stipendio.

Sapeva che il marito si sarebbe irritato se l’avesse sentita fare una simile indiscrezione, ma la faccia ironica ed antipatica della vecchia la fece uscire dai gangheri.

- Certo, se sir Bradley gliene avesse pagato uno più adeguato al suo ruolo, avrebbe potuto fare di più per loro – la provocò.

L’anziana signora la guardò stupita, ma non si arrese.

- Ve l’ha detto lui che guadagna poco? Se è così mi meraviglio molto perché il nostro ingegnere lo sa bene che una miniera deve almeno fruttare ai proprietari. Ogni volta che mio marito lo ha invitato ad essere un po’ più duro con gli operai e gli impiegati, lui gli ha detto che preferisce essere comprensivo ed indulgente con loro perché il benessere dei lavoratori deve venire prima del guadagno. Vi renderete conto che il profitto da qualche parte deve pur venir fuori, per cui...

Barbara rimase interdetta. Capiva bene le motivazioni di Robert e le condivideva ma per difenderle avrebbe dovuto sostenere  una discussione con quella altezzosa aristocratica e ciò proprio non le andava.

- No, non me l’ha detto lui – troncò in fretta -  Robert parla molto poco.

- Oh sì, questo è vero, è molto musone, non l’ho mai visto felice! Però, a pensarci, sto dicendo una sciocchezza: il periodo in cui  stava con Julie, allora sì che era felice. Mio malgrado devo ammetterlo,  quei due ragazzi, nonostante la differenza di classe, si volevano bene. È stato davvero un peccato che la sorte sia stata così crudele con loro!

Barbara la guardò con freddezza senza commentare nulla e lei,  accortasi di essere stata molto sgarbata, mostrò ipocritamente di essersi pentita della propria uscita.

- Scusate cara, ma io amavo mia nipote come se fosse stata una figlia. La sua morte per me è stata un dolore infinito.

La giovane, riprendendo a carezzare il bambino che aveva sospirato nel sonno e le si era stretto ancora di più addosso, le rispose:

- Non temete, lo capisco, è una cosa naturale. Anche Robert però ha sofferto assai e non è stata colpa sua se è successo. Neanche mia,  se è per questo.

Conosceva bene la sofferenza per la perdita di una persona amata e, sollevando sulla sua interlocutrice gli occhi lucenti e sinceri, provò per un momento ad instaurare con lei un rapporto un po’ più amichevole.

- E poi forse la stessa sfortunata Julie sarebbe stata contenta di sapere che l’uomo amato e soprattutto il bambino per cui ha dato la sua stessa vita, ora sono in buone mani –  aggiunse con molta dolcezza.

L’anziana nobildonna però non accettò la tregua.

- No – le rispose sprezzante -  credo che Julie impazzirebbe di dolore a vedere suo marito tra le braccia di un’altra e il figlio affidato ad una matrigna.

- Ma io amo moltissimo Charles, non sarò mai una matrigna per lui!

- Davvero? E chi ve lo dice? Incominciate a mettere al mondo il bambino che avete nella pancia e poi ne riparliamo. Sono proprio curiosa di vedere se lui e mio nipote saranno la stessa cosa per voi!

La giovane mamma  sentì salire il sangue alla testa per lo sdegno. Avrebbe voluto replicare qualcosa, ma poi si rammentò che per ferire Robert aveva usato la medesima cattiveria. Ora la sua perfidia le si ritorceva contro. Sapeva benissimo di amare il bambino tra le sue braccia forse ancor più di quello che portava in grembo, ma per tutta la vita avrebbe dovuto dimostrare agli altri che non faceva differenza tra loro. Questa sarebbe stata un’altra punizione per la leggerezza con la quale si era di nuovo abbandonata ad un uomo.

Per fortuna entrarono in salotto Paul e Robert. Troncarono la spiacevole conversazione ed il pomeriggio bene o male passò.

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28

 

A sera, nel salotto di casa, mentre Robert ravvivava il fuoco nel camino sorseggiando l’ennesimo bicchiere di liquore della giornata, Barbara stava dando  da mangiare a Charles rimasto quasi tutto il giorno digiuno. Le sembrò il momento migliore per introdurre l’argomento con il marito così gli disse, molto calma:

- Ti ho sentito accettare l’invito di Paul anche per Capodanno. Per favore, trova una scusa per non andarci. Non siamo graditi alla moglie ed io non ho nessuna intenzione di stare ancora a sorbirmi le sue cattiverie. Se preferisci stare con loro,  vai pure, ma non obbligare me a venirci.

Robert si voltò a guardarla, serissimo in volto.

- Lo so che è una donna molto sgradevole  però su certe cose ha ragione – osservò.

Barbara si fermò stupita con il cucchiaio colmo di minestra a mezz’aria.

- Ha ragione? E in cosa avrebbe ragione, sentiamo? – gli chiese.

- Su Charles ad esempio. Non  hai visto ieri come si è scatenato in mezzo a quei bambini?

Per tutta risposta lei si mise a ridere.

- Ha solo due anni e mezzo, cosa pretendi da lui, che se ne stia serio e compassato senza dare confidenza a nessuno? – gli chiese corrugando la fronte con ironia.

L’uomo le colse una velata critica nella voce e replicò:

- Non è un bene mischiarsi tanto con i bambini dei minatori…

La donna non lo lasciò finire la frase tanto se ne sentì irritata.

- E tu, proprio tu, vieni a dirmi queste cose? Che c’è, ti sei dimenticato di chi sei figlio?

- Non me ne sono dimenticato, anzi, mio padre desiderava che io avanzassi socialmente ed ora cosa facciamo con mio figlio? Ritorniamo indietro? Proprio con lui poi che è anche figlio di un’aristocratica.

La donna non disse nulla ma si alzò furente e batté il piatto sul tavolo in segno di disappunto. Robert perse le staffe a quella reazione ed alzò involontariamente la voce, incurante del bambino che si stava un po’ spaventando nell’assistere all’inusuale ed animata discussione.

- Insomma, ti avevo pregato di insegnarli a parlare l’inglese ed invece non solo parla la tua lingua, ma addirittura il sardo. Fa di continuo capricci, anche per mangiare e dormire, e non sta buono un minuto. Tu gli fai fare tutto ciò che gli pare e lo stai viziando in maniera esagerata! Io te l’ho affidato con piena fiducia, ma non immaginavo che lo avresti usato come un bambolotto per il tuo spasso!

- Sei ingiusto! – lo accusò lei urlando – E poi se non ti piace come lo cresco io, sei sempre in tempo a prendere al tuo servizio una bella governate inglese, di quelle tutte d’un pezzo e severissime. Anzi, fattene consigliare una dalla nostra milady e, vedrai, sarà perfetta.

L’uomo sogghignò, senza prendersi neanche la briga di risponderle.

- Che c’è, non ti piace questa soluzione? – continuò allora – Certo, è naturale, per pagare una così ci vogliono molti soldi e con quello che guadagni al massimo ti sei potuto permettere di prendere in moglie  una paesana come me. È molto più economico così ed anche più comodo perché non solo risparmi, ma ti puoi prendere anche il gusto di criticarmi quando ti va, perché tanto io non sono una nobildonna!

Robert era molto calmo e buono, ma non ce la faceva a tenersi tante accuse. Pur sapendo di ferirla, la provocò:

- Come, adesso ti lamenti? Eppure lo sapevi bene a cosa andavi  incontro, io non ti ho nascosto nulla. Si vede che anche a te faceva piacere cambiare vita e prenderti la soddisfazione di far vedere a tutti che ti eri sposata. E poi, ne sono convinto, non hai perso tanto considerato come ti trattava la tua famiglia dopo che il grande amore della tua vita  ti aveva abbandonata come un vigliacco.

Prendendo in braccio il bambino che cominciava a piangere spaventato, Barbara si allontanò, davvero furente.

- Sei stato una delusione. Pensavo tu fossi un brav’uomo. Solo ora mi rendo conto di quanto sei perfido e cattivo invece – gli disse uscendo dalla stanza.
Ma ancora una volta Robert non rinunciò ad avere l’ultima parola.

- Anche tu sei stata una delusione per me. Sei diventata acida ed intrattabile e puoi risparmiartele le tue premure ipocrite,  posso pure farne a meno – le rispose.

Però, già mentre pronunciava l’ultima frase, lei se n’era andata via.

 

Se prima di questa discussione tra i due giovani sposi c’era stata freddezza, dopo di essa tra loro calò un gelo ancora peggiore di quello che il mese di gennaio aveva portato con sé. Si parlavano solo a monosillabi e la donna, appesantita dalla gravidanza nonché mortificata dai rimproveri ricevuti dal marito, non aveva neanche voglia di giocare con il piccolino che ne soffriva molto ed era diventato ancora più capriccioso.    
La giovane domestica vedeva tutto ed anche se in cuor suo era dispiaciuta dalla tristezza dei suoi cari padroni, non ne faceva parola con nessuno. Una fredda mattina di fine mese, tornando dallo spaccio dove era andata a fare alcuni acquisti, quasi non aveva il cuore di dare alla giovane incinta una così brutta notizia, ma si fece forza.

- Signora, l’ingegnere ha dovuto riaccompagnare a casa il signor Sulis. Pare che stia molto male – le raccontò.

- Cos’ha? – le chiese Barbara allarmata poi,  senza neanche attendere la risposta, si precipitò da Giosuè a farsi preparare il calesse per correre dai suoi amici.

Sulla soglia della casa di costoro, incontrò il dottor Bernardi che aveva un’aria piuttosto preoccupata e la salutò togliendosi il cappello, ma senza dirle nulla. In salotto trovò Grazia che piangeva disperata mentre Robert le teneva le mani tra le sue.

- Ma che è successo? -  chiese avvicinandosi con il viso stravolto.

- Ha avuto una emorragia dallo stomaco, sta piuttosto male – le spiegò il marito.

- Io glielo dicevo: “Lino, non bere, non mangiare troppo, smettila con quei sigari”, ma lui niente, niente! Ed a Natale poi si è dato da fare più che mai – si lamentò l’amica tra le lacrime.

- Cosa dice il medico?

- Per adesso è fuori pericolo, ma la crisi potrebbe ripetersi – le rispose lui, all’apparenza calmo.

- Posso entrare a vederlo?

- Certo cara, vai, lo sai quanto ti vuole bene – la invogliò Grazia  senza riuscire a frenare il pianto.

Trovò il malato sotto le coperte, pallido come un cencio. Sembrava un vecchietto di cent’anni eppure appena la vide le fece un bel sorriso.

- Ah, eccola la mia figlioccia che mi è venuta a trovare! Come stai? Il  pancione cresce, vedo.

- Piuttosto voi come state?

- Bene, ora sto bene. Prima però me la sono vista brutta.

- Devo rimproverarvi perché  un po’ ve lo siete voluto: avete sempre disubbidito al medico e a vostra moglie mangiando e bevendo quando sapevate benissimo che lo stomaco ne soffriva.

- Meglio che soffra lui che io – le disse con un sorriso tirato, ma poi, più seriamente, aggiunse -  Barbarella mia, io non vivrò a lungo, lo so, ed allora perché avrei dovuto privarmi di tanti piccoli piaceri? Anche se così mi sono accorciato la vita, perlomeno ho fatto tutto ciò che volevo fare. Solo una cosa però non sono arrivato a fare e cioè vedere nascere il tuo bimbo.

- Perché dite così? – protestò lei scoppiando in singhiozzi.

Nel vederla così desolata, l’uomo si affrettò a rassicurarla.

- Non piangere, su. Lo dicevo solo perché deve nascere ad aprile  e credo che allora non saremo più qui perché accontenterò Grazia e ce ne torneremo ad Alghero da Marinella nostra. In fondo sono stufo di lavorare e quel poco che abbiamo da parte ce lo faremo bastare.

Un po’ rassicurata, Barbara  gli sorrise tra le lacrime.

- Però al Battesimo dovete venire. Mi avete fatto da padrino di Cresima, da compare d’anello ed ora volete rinunciare a battezzare mio figlio?

- Questo mai! D’altra parte per noi oramai il viaggio da Alghero ad Ingurtosu è diventato uno scherzo!

 

Per il povero Lino invece non fu affatto uno scherzo ritornare ad Alghero, perché migliorò molto poco. Robert si incaricò di accompagnare i due anziani amici, cercando di risparmiare loro quanti più disagi possibile.

Fu di ritorno una sera molto fredda e piovosa ed a Barbara, che lo aveva visto entrare in casa fradicio d’acqua, non disse una sola parola. Se ne andò in camera a cambiarsi ed anche a tavola continuò nel suo mutismo ostinato. Dopo cena la donna era davvero esasperata. Lo raggiunse in salotto e lo apostrofò con irritazione:

- Insomma, potresti almeno dirmi come sta e come è andato il viaggio.

- Cosa devo dirti, è stato lungo e faticoso per un vecchio in tali condizioni.

- Il dottor Sullo l’ha visto? Che ha detto?

Lui le si mise di fronte guardandola con  gli occhi colmi di una tristezza infinita, ma continuò a tacere.

- Accidenti, smettila di farti tirare le parole di bocca. Vuoi parlare o no? – gli urlò fuori di sé, battendogli un pugno sul petto, mentre cominciava a piangere.

- Sta morendo, Barbara. È questo che vuoi sapere? Ecco, ora te l’ho detto – le sussurrò.

La giovane si portò le mani sul viso, disperata, ma era troppo sconvolta, doveva prendersela con qualcuno e lo fece con il marito, urlandogli contro.

- Per me era come un padre e così me lo dici? Sei tu ad essere così freddo ed insensibile o sono così tutti quelli della tua razza?

Robert comprendeva quel dolore, però non ce la faceva ad essere il bersaglio del suo sfogo

- Credi che io non gli volessi bene? – le disse concitato ma con dolcezza, afferrandola per le braccia - Anche per me era un caro amico e mi sento morire dalla disperazione al pensiero che ancora una volta chi amo se ne sta andando ed io non posso farci niente!

Barbara continuava a singhiozzare. Annientata da tanta sofferenza, avrebbe desiderato solo essere tenuta stretta per dividere con lui l’immensa angoscia provata.   
Robert invece  la lasciò andare e si voltò a guardare le fiamme nel camino.

Desolata, si gettò a sedere su una poltrona.

- Non vuoi nemmeno provarci a darmi un po’ di conforto?- gli mormorò piano.

- Conforto? Da me? – sorrise lui, amaro – Vorrei, ma non posso perché  non può esserci nessun conforto in questa vita! Dobbiamo  ficcarcelo bene in testa, è meglio essere soli così come lo siamo quando nasciamo e quando moriamo. L’amore è solo un’illusione che ci fa dimenticare di esserlo, ma poi arriva il destino, il fato, una qualche divinità crudele, chiamala come vuoi, che dice: “Ecco, credevi di poter essere felice, credevi di essere più forte di me?” ed allora giù una bella batosta che ti lascia senza respiro…

- Cosa dovremmo fare allora, perdere persino la speranza?

- Ma quale speranza! Non c’è nessuna speranza, c’è solo un enorme peso da sopportare che non puoi dividere con nessuno.

- Come puoi pensare allora di allevare dei figli quando sei convinto che neanche per loro ci possa essere una vita migliore?

Il volto del giovane era contratto quasi in una smorfia quando si voltò a guardarla per dirle una cosa così terribile da lasciarla sconvolta.

- Lo capisci o no che fare figli è un’altra trappola di una natura crudele? Se non fossimo così, stupidi animali, se non ci facessimo trascinare da un istinto scellerato  che ci spinge a perpetrare la nostra infame specie, chi mai sarebbe tanto folle da mettere al mondo degli altri esseri solo per condannarli alla sofferenza fisica e morale?

Stringendosi istintivamente una mano sul ventre ingrossato, Barbara scosse il capo tra le lacrime e commentò inorridita:

- Ho sofferto tanto in vita mia ma non mi sono mai sentita così male. La disperazione è peggio di un morbo, appesta l’aria e fa morire tutto ciò che c’è di bello e di buono! Ma forse hai ragione tu, forse non c’è nulla per cui valga veramente la pena di vivere!

Poi, singhiozzando, scappò in camera sua.

 

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


Lo so, lo so, la cosa si sta facendo seria e la sofferenza presente e passata di questi due giovani sta affiorando con prepotenza. Nonostante questo, ho notato con piacere che state continuando non solo a seguirmi ma anche ad apprezzare ancora questa storia, cogliendo tutte le sfumature ed i risvolti psicologici che sto dando alla vicenda. La vita a volte sa essere molto dolorosa e mamma Kellina ve la sta solo raccontando. Per fortuna lei, almeno per Robert e Barbara, può assicurarvi che, qualsiasi cosa succeda, alla fine del tunnel troveranno la luce. Un po’ come avviene nelle vecchie, rassicuranti favole, in fondo.   

Eccovi comunque un nuovo capitolo. Sarà molto movimentato e vi assicuro che nello scriverlo ho avuto la sensazione di essere anche io una spettatrice dei fatti che avvenivano in quella casa di Ingurtosu. Spero che sarà così anche per voi.

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Capitolo 29

 

Il mese di febbraio si era presentato assai freddo e piovoso e la piccola cittadina mineraria  sembrava ancora più scura e triste. Barbara, oramai al settimo mese di gravidanza, non si sentiva molto bene, ma attribuiva il proprio malessere all’assenza di Grazia e Lino. Oramai usciva molto poco, limitandosi a fare solo qualche giretto nei dintorni di Villa Bianca e si appoggiava sempre di più all’efficienza e all’inesauribile energia della piccola Nunzia sempre piena di premure nei suoi confronti. Non riceveva nemmeno più nessuno per cui, un lunedì mattina intorno alla metà del mese, si meravigliò molto nel vedere arrivare Giovanna che di solito in quel giorno lavorava. Lo scopo dell’inusuale  visita purtroppo le fu ben chiaro quando notò insieme a lei anche Olga Ferri. Le migliori amiche di Grazia erano venute infatti a portarle la notizia appena arrivata della morte di Lino, pronte a darle il dovuto conforto e si meravigliarono moltissimo quando non la videro versare nemmeno una lacrima anche se dalla sua espressione impietrita traspariva benissimo un dolore enorme.

Per tutto il resto del giorno continuò a comportarsi normalmente, sorvegliata a vista dalla ragazza, assai preoccupata da una reazione così strana.

A sera fece cenare Charles, ma dato che il bimbo faceva i soliti capricci, ad un certo punto, cosa inconsueta per lei, perse la pazienza e lo sgridò, alzando la voce. Proprio in quel momento arrivò Robert e si fermò sulla soglia della stanza a guardare meravigliato la scena. Nello scorgerlo, lei gli si rivolse con freddezza:

- Ecco, lo vedi? Sto seguendo i tuoi consigli. Hai ragione tu, questo bambino è cattivo e viziato – poi, parlando di nuovo al piccolo, gli disse  severa - Non vuoi smetterla? Va’ a letto allora,  però ti accompagnerà Nunzia, non io.

Il piccolo, abituato a vincerla sempre, incominciò a piangere. La tirava per una manica, ma stavolta la mamma fu irremovibile.

- Non meriti che venga a leggerti la favola della buonanotte. Lo farò di nuovo solo quando avrai imparato ad essere più buono. Vai via ora!

Il padre, nel vederlo disperato, gli si avvicinò e lo prese in braccio.

- Su, fai il buono. Adesso ti accompagna papà – gli disse con dolcezza.

- Bravo! – affermò la moglie con marcato sarcasmo – Ottimo metodo educativo questo! Metterti tu a fare l’indulgente quando una volta tanto sono severa io!

- Lo so, hai ragione, ma vorrei che se ne andasse a dormire tranquillo perché devo dirti una cosa importante. Spero si calmi presto, così torno subito da te. Aspettami – le disse portando di sopra il bambino piangente.

- Sto qua. Dove vuoi che vada? – gli rispose mettendosi a sedere sul divano e cominciando ad osservare la sera fredda e piovosa al di là dei vetri della finestra.

Dopo un po’ Nunzia raggiunse il padrone in camera del bambino e glielo tolse dalle braccia. Charles si era un po’ calmato, ma la brusca modifica alle abitudini serali l’aveva un po’ scombussolato.

Cominciando a spogliarlo, la giovanetta lo ammansì con dolcezza.

- Adesso sta con te  Nunzietta -  ed alzando gli occhi sul padrone, lo tranquillizzò  - Non vi preoccupate, io non so leggere, ma adesso gli racconto lo stesso una bella favola. Fai il buono Charles, perché mamma stasera non sta bene – concluse rivolta ancora al bimbo che si era un po’ acquietato.

- Mio Dio, proprio stasera che devo dirle…- si rammaricò Robert.

- Sta male per questo, l’ha saputo già.

- Da chi?

- Dalla signora Giovanna e dalla signora Ferri. Andate da lei però, mi ha fatto stare tutto il giorno in pena per come l’ha presa.

Lui non se lo fece dire due volte e si affrettò a raggiungere la moglie. Non si era mossa e nemmeno si girò quando l’uomo le si sedette accanto e le posò una mano su un ginocchio.

- Allora lo sai già!

- Sì.

- Perlomeno è morto a casa sua ed era ciò che voleva. Ci ha voluto molto bene e noi gliene abbiamo voluto, per questo rimarrà sempre con noi.

La donna si voltò a guardarlo irritata e con gli occhi  febbrili.

- Smettila con queste ipocrisie e non ti sentire in obbligo di consolarmi! Ho riflettuto tanto sulle tue parole e devo convenire con te che la vita è veramente uno schifo.

- Ti prego, non fare così, non ricordarmi le cose assurde che ti ho detto. Mi dispiace, ma sai, anche se apparentemente reggo bene l’alcool, se bevo troppo mi prende la tristezza e  dico cose così. Ultimamente ero nervoso e ne ho abusato un po’, ma te lo prometto, eviterò di bere in  futuro.

La moglie sorrise e con amarezza gli domandò:

- Lo sai come dicevano i latini? “In vino veritas” , dicevano, e non avevano tutti i torti. Anche tu nell’ubriachezza dici verità inconfutabili.

- Ma dai, fammi il piacere, non è vero!

- Ah no? Non è vero forse che sto facendo di Charles un bambino prepotente e viziato? Non è vero che mi sono dovuta sposare solo per sfuggire ad una situazione ancora peggiore? Forse è una bugia dire che questa creatura che ho dentro è solo un altro sfortunato essere a cui non potremo risparmiare angosce e dolori e che lo abbiamo concepito soltanto perché in qualche notte d’estate abbiamo perso la testa?

Robert abbassò il capo, mortificato. Stava cercando di trovare argomenti validi per sdrammatizzare il proprio pessimismo rendendosi conto di averlo ingiustamente  trasferito su di lei. Sapeva bene quanto fosse un fardello assai penoso da portare e non avrebbe sopportato vedere quella donna così forte e solare cambiare sotto la sua nefasta influenza.

Però Barbara non gli diede il tempo di aggiungere altro. Si alzò e, dicendo di avere un terribile mal di schiena, tornò in camera sua, lasciandolo da solo a guardare il fuoco crepitare nel camino.

 

Per tutta la settimana la giovane continuò a trascinarsi in un malessere  non solo morale, ma anche fisico. Il lunedì successivo ricevette la lettera del fratello Alfredo che le parlava della dipartita del caro Lino. Solo allora,  leggendo quelle pagine,  il suo dolore ebbe sfogo in un pianto liberatorio e spossante che la lasciò esausta. Per tutto il pomeriggio accusò delle fitte molto lievi alla schiena, ma era troppo triste per farci caso. A sera, vedendola assai sofferente, Robert la invitò a ritirarsi, offrendosi ancora una volta di prendersi cura del piccolino. Lei accettò di buon grado perché cominciava ad accusare anche dei dolori al ventre.

Verso  mezzanotte, avvertendo qualche strano movimento in casa, l’uomo si alzò per andare a controllare. In cucina, accanto al focolare acceso, trovò sua moglie e la servetta, entrambe in camicia da notte.

- Cosa c’è? – chiese preoccupato.

- Niente, non mi sento bene.

- Ma è presto per il bambino no? Non mancano ancora due mesi?

- Sì, certo. Sarà solo un malessere. Vai a riposare, domani devi svegliarti all’alba – lo invitò, gentile ma fredda.

- Se hai bisogno di qualcosa chiamami, mi raccomando.

Lei annuì soltanto.

La mattina dopo però stranamente la trovò in cucina che gli aveva preparato la colazione.

- Come mai sei già in piedi a quest’ora? – le chiese – Tornatene a letto, io sono abituato a fare da solo la mattina presto.

- Lo so, ma non ci sono proprio andata a letto, distesa sto peggio.

Gli stava versando il tè, ma un dolore improvviso la fece fermare con le braccia sulle reni.

- Ahi! – si lamentò e poi, dopo un respiro profondo, aggiunse – Fammi il piacere, arriva un momento in paese e vai a dire alla levatrice di passare a vedermi.

- Ma non abbiamo detto che è ancora presto?

- Forse sì, però non costa nulla se viene a controllare un momento.

- Accidenti! – esclamò l’uomo irritato e preoccupato – Ancora una volta quella donna ignorante! E pensare che l’ospedale è quasi pronto! Devo dire a sir Paul di affrettarsi a chiamare i medici e a far venire le attrezzature, non se ne può più fare a meno. Sai –  le disse poi – l’ho pregato di fare in modo che per aprile sia tutto pronto così potrai partorire lì anziché qui in casa.

- Già, speriamo. Tu comunque adesso va’ a chiamare Marta, non si sa mai.

Verso l’ora di pranzo Robert ritornò a casa per sapere cosa avesse detto la levatrice.

- Niente – gli riferì la moglie – sostiene che manca ancora tanto tempo al parto ed io sto facendo le smorfie perché è il mio primo figlio ed ho già una certa età.

Lo aveva detto guardandolo fisso in faccia, con un sorrisetto ironico del quale solo lui poteva cogliere il significato.

- Sono mortificato, ma devo tornare in cantiere adesso. Stanno installando la teleferica e devo esserci anch’io.

- Oh, la famosa teleferica! Vai pure, mi dispiace però se non mangi nulla.

- Non preoccuparti per me. Tu non stai proprio bene! – commentò poi assai addolorato vedendola stringere i denti.

La donna gli fece un gesto con la mano come per dirgli ”non è niente, va’ pure” e lui, pressato dagli impegni di lavoro, scappò  via dicendole che forse si sarebbe sentita presto meglio.

 

Quando ritornò la sera però la scena era cambiata in peggio. Charles si aggirava per casa piagnucolando perché nessuno gli prestava attenzione e quando Robert chiamò a gran voce Nunzia per chiedergliene la ragione, la vide entrare con il viso stravolto.

- Perdonate, signore, ma la padrona sta proprio male e non so a chi dare retta, se a lei o a Charles.

Lui si precipitò in camera della moglie e la trovò dolorante sul letto.

- Barbara, ma che hai?

- Le doglie.

- Ma è presto ancora… - obiettò smarrito.

- Ah sì? Me le starò sognando allora!

- Perché non mi hai mandato a chiamare?

- Chi mandavo se in casa ci siamo solo io e quella povera figlia? – gli rispose irritata, ma poi fece un respiro profondo, aspettò qualche istante e aggiunse – Giosuè l’ho mandato di nuovo a chiamare Marta, mi è sembrato più urgente che avvisare te.

- Sì, certo, hai fatto bene. Posso fare qualcosa?

- Tieniti un po’ Charles così Nunzia sta con me.

Non finì nemmeno la frase che una nuova fortissima doglia la fece torcere su se stessa. Impressionato, Robert si affrettò a tornare di sotto.

Verso le sette di sera Giosuè ritornò, ma non con Marta. In compenso con lui c’era Giovanna. Senza nemmeno rivolgere uno sguardo a Robert che se ne stava in salotto con in braccio il piccolo anche lui smarrito e sconcertato quanto il padre, i due si diressero alla stanza di Barbara. Giovanna entrò mentre Giosuè rimase sulla soglia.

- E allora? La levatrice? – gli chiese il padrone avvicinandosi.

Il vecchio rispose torcendosi il cappello tra le mani e scuotendo la testa desolato.

- Non c’era, sta prendendo il parto a Rosa Barone. Però ho incontrato la signora Giovanna che si è offerta di venire a vedere.

- Perché, fa la levatrice la signora Giovanna? – gli chiese piuttosto indispettito.

- No, ma ha avuto quattro figli e qualcosa pure ne saprà! Adesso vado a chiamare anche Maria mia: lei figli non ne ha avuti, ma una mano in più è sempre utile.

Robert lo guardò allontanarsi mentre Charles, spaventato da un grido proveniente dalla stanza, gli si strinse contro tutto tremante.

- Mamy ha la bua! – mormorò frignando.

- Non è niente, tesoro, adesso starà subito bene – gli disse carezzandogli la testa poi si allontanò da lì per evitare che sentisse altri lamenti e se ne impressionasse.        
 Dopo circa una mezz’ora Nunzia venne a prendere Charles.

- La signora ha detto di dargli un po’ di latte e di provare a farlo addormentare in camera vostra, così starà un po’ più lontano dal trambusto. Adesso preparo anche a voi  qualcosa da mangiare: è tutto il giorno che state digiuno!

 L’uomo stava per rifiutare quando apparve sulle scale Giovanna, tutta scarmigliata. Aveva sentito le ultime parole di Nunzia ed agitatissima, urlò:

- Ma quale mangiare, qui non c’è tempo da perdere! Dovete correre immediatamente a chiamare il dottor Bernardi: le si sono rotte anche le acque e non mi piace affatto come si sta mettendo la cosa.

Robert passò il bambino alla ragazza e si precipitò alla stalla a prendere Thunder. Era talmente agitato che fu solo grazie a Giosuè se si ricordò di prendere con sé una lanterna. La notte era molto buia, infatti, ed una  mezza luna  a tratti illuminava la via, ma scompariva spesso dietro nuvole nere dense di pioggia. Lanciando il povero animale quasi a galoppo, arrivò a casa del dottor Bernardi alle nove passate. Il bravo medico stava cenando, ma non esitò a prendere il calesse ed a correre dietro all’ingegnere Forrest.    
Per fortuna la tempesta diede loro il tempo di arrivare ed i due uomini si precipitarono su per le scale. Il medico entrò nella stanza dove sul letto Barbara si contorceva dal dolore. Robert non osò entrare, si limitò a sbirciare dentro e lo sentì chiederle da quanto tempo avesse le doglie.

- Da ieri pomeriggio – rispose la donna.

- Perché avete aspettato tanto a chiamarmi?

- Perché doveva nascere ad aprile, sono solo di sette mesi.

Bernardi sospirò, accingendosi a visitarla.

- Coraggio, signora mia, adesso dovete radunare tutte le vostre forze. Cerchiamo di farcela, perlomeno per voi!

In quel momento la donna lanciò un grido e Robert non ebbe il tempo di capire se fosse di disperazione o di dolore perché Giovanna uscì nel corridoio chiudendosi la porta alle spalle.

- Sentite, ingegnere, – gli disse – voi qui non potete far nulla ed io devo chiedervi un grosso favore: ero  uscita da Villa Margherita per fare solo delle commissioni ed a quest’ora lady Bradley si sarà di sicuro innervosita non vedendomi tornare. Volete essere così cortese da andarglielo a dire voi perché sono qui?

L’uomo la guardò, come inebetito.

- Sta morendo anche lei, non è cosi? – le chiese senza neanche mostrare di aver capito quanto gli aveva detto.

- Ma no, vedrete, andrà tutto bene! Per favore, ora fate ciò che vi ho chiesto, non mi va di rischiare il posto. E poi statemi a sentire, rimanete in compagnia di sir Bradley, sarà meglio che  stare dietro questa porta a preoccuparvi soltanto!

Docilmente Robert si allontanò e Giovanna poté tornare dentro. Trovò la partoriente afferrata a delle asciugamani che il dottore aveva fatto legare alla spalliera del letto. Stava spingendo con tutte le forze per cercare di far nascere il bambino troppo debole e prematuro per venire al mondo. Appena la doglia si fu calmata, le si avvicinò e le terse la fronte madida di sudore.

- Mio marito è lì fuori? –  le chiese la poverina con un filo di voce perché l’aveva sentita parlare con lui.

- Non più, l’ho mandato dai Bradley.

- Speriamo che gli facciano mangiare qualcosa – commentò Nunzia – Poverino, è digiuno da stamattina.

Se non fosse stata così male sicuramente Barbara si sarebbe messa a ridere. Poverino, stava digiuno! Ma già, Robert era un uomo,  non portava la colpa  di Eva, non doveva partorire tra le sofferenze più atroci per il peccato commesso, poteva tranquillamente pensare a mangiare qualcosa in compagnia dei suoi odiosi parenti, calmo e flemmatico come sempre, tanto che poteva farci? Si sentì invadere dallo sdegno per una simile freddezza e per la prima volta lo detestò sul serio. Poi una nuova ondata di dolore la travolse e stringendo i denti, sperò che quell’orribile patimento finisse anche se fosse stata l’ultima cosa da dover provare nella vita.

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30

 

Padre Giustino aveva sempre sostenuto che la chiesa della Madonna della Neve doveva restare sempre aperta per dare riparo ai viandanti. D’altronde, come ripeteva spesso dal pulpito, lì non c’era niente di prezioso da poter essere portato via se non l’amore del Signore ed il conforto che dava il pregarLo. Però, nel piccolo paesino di mare posto ad un passo dalla miniera di Ingurtosu, non è che ci fossero tante persone di passaggio   e gli abitanti del luogo, in una serata fredda e piovosa di febbraio come quella, se ne stavano tutti al riparo ed al calduccio nelle loro case. Per questo il vecchio sacerdote ebbe un sussulto quando nell’entrare in chiesa verso le dieci scorse accasciata nei primi banchi la figura di un uomo avvolto in un mantello fradicio di pioggia.  Il suo buon cuore gli fece vincere la naturale paura e, trepidante, gli si avvicinò per portargli aiuto. Solo quando gli fu abbastanza vicino si rese conto che si trattava di Robert Forrest.

- Ingegnere, cosa ci fate qui in una notte tanto brutta? – gli chiese stupito.

Lui lo guardò con uno sguardo assente e nei suoi occhi chiari c’era così tanta disperazione da farlo spaventare.

- Ditemi, che succede?- gli domandò ancora con l’ansia nella voce.

- Mia moglie: sta partorendo ed è un parto prematuro e difficile – mormorò alla fine il giovane in un sussurro, tenendosi la fronte in un gesto desolato.

Il prete gli posò una mano sulla spalla.

- Avete fatto bene allora a venire qui a pregare – gli disse, ma la reazione dell’altro fu inaspettata. La tristezza nei suoi occhi si  trasformò in una collera insostenibile e, con il viso stravolto, gli urlò:

- Vi sbagliate di grosso, sono entrato solo per ripararmi dalla pioggia battente. Chi mai dovrei pregare poi? Io non credo più in niente, padre, e meno male! Se credessi ancora, allora dovrei odiare Colui che mi dite di pregare perché sarebbe un essere infinitamente crudele!

Sussultando di sgomento, il vecchio gli parlò con tutta la calma che riuscì a trovare e dandogli del tu. In quel momento non c’era più il Direttore della miniera seduto accanto a lui, ma solo un’anima smarrita bisognosa di aiuto.

- Sai, me ne sono reso conto, né tu né tua moglie avete molta fede. Ma è sbagliato, figlio mio.

- Davvero? Dovrei avere fede io che sto vedendo per la seconda volta morire una donna  mentre mette al mondo un figlio mio o magari la mia povera Barbara? Vi assicuro, padre,  è stata già colpita così duramente dall’esistenza che, ne sono certo, preferirebbe mille volte cessare di vivere lei stessa piuttosto che vedere la sua creatura morire.

- Però tutto questo non è ancora successo e forse non accadrà mai – lo rassicurò l’altro.

- Già, non è detto, dobbiamo continuare a sperare – osservò Robert,  ironico – può darsi che questa volta riusciamo a cavarcela! Ma cosa avverrà la prossima volta? E poi, anche se personalmente ci va bene, non ci sono accanto a noi tanti che invece si dibattono nella malattia e  nel dolore? No, padre, c’è troppa sofferenza nel mondo e la speranza è solo una cosa assurda e  vana che fa ancora più male. Non c’è nessun Dio che possa consentire tutto ciò e se c’è,  come facciamo a chiamarlo buono ed amoroso?

- Tu non conosci i suoi fini.

- Quali? La salvezza eterna? Il Paradiso? – Robert scosse la testa, amaro – Io vedo soltanto lacrime e disperazione, non c’è nessuna salvezza.

- Anche tu sei padre però. Quante volte hai visto il tuo piccolino prendere un capriccio  perché gli avevi impedito di fare ciò che voleva o perché qualcosa non andava secondo i suoi desideri. Anche lui era disperato in quel momento e non si spiegava il perché di tanta cattiveria da parte tua, eppure tu non hai smesso neanche un istante di amarlo ed agire per il suo bene.

Vedendolo continuare a scuotere la testa assai incredulo, il sacerdote continuò:

- Io ti capisco, Robert, siamo legati al nostro  corpo e all’esistenza terrena. Il nostro stesso essere si esprime solo attraverso i sensi e non riusciamo neanche ad immaginare che ci possa essere qualcosa di ancora più grande e meraviglioso dopo  questa vita. L’idea della morte nostra e di quella dei nostri cari ci avvelena ogni istante ed a poco a poco diventa talmente predominante che ci impedisce persino di guardarci intorno e scoprire quale immenso regalo sia l’esistenza e quanti doni ci sono stati fatti. Pensa, figlio mio, se il trapasso fosse solo  il passaggio obbligato ad un mondo migliore non saresti contento?

Robert sbuffò, irritato.

- Quante belle parole! Ma allora perché la sofferenza, perché il dolore, perché la malattia?

- Perché sono le uniche cose attraverso le quali arriviamo a capire ed  è proprio la sofferenza a far sbocciare nel nostro animo la compassione che ci insegna ad amarci l’uno con l’altro. Devi crederci, figliolo, tutti gli esseri vengono da Dio e solo quando ritornano a Lui  sono finalmente liberi dal greve fardello della materia e di nuovo compiuti!

- Come faccio a credere! Io ho paura, ho soltanto una paura immensa! – protestò l’uomo disperato  nascondendosi il viso tra le mani mentre le sue spalle robuste erano scosse da singhiozzi profondi.

- È vero, tutti abbiamo paura, per questo dobbiamo sforzarci di vivere in armonia con le Sue leggi ed abbandonarci a Lui con fiducia, solo così lo sentiremo vicino. Anche a questo serve la preghiera, a parlarGli come si fa con un padre.

- E se poi non ci ascolta?

- Siamo noi che dobbiamo ascoltare Lui, non l’inverso. Come fece Gesù nell’Orto di Getzemani, quando con tanta umanità gli chiese di allontanargli il calice amaro della sofferenza, ma poi si abbandonò nelle Sue mani ricevendone in cambio la forza di affrontare il proprio destino. Prega e vedrai che Iddio non ti lascerà solo anche se la Sua volontà è diversa dalla tua e poi… come fai a saperlo? Può darsi che non sia così ed allora ne trarrai ancora di più conforto  perché niente dà più gioia di veder realizzare le proprie speranze.

Il giovane non parlò più, se ne stette a capo chino, desolato e vinto. Allora il sacerdote si alzò e con il suo passo vacillante di anziano si avvicinò all’immagine della Madonna sull’altare. Dalla tonaca un po’ lisa e macchiata, trasse dei fiammiferi ed accese dei ceri davanti alla Sacra Effige poi si voltò a guardarlo. Alla luce tremolante delle candele fissò gli occhi colmi di lacrime dell’ingegnere.

- Lo sai chi raffigura questa Immagine? – gli chiese – Certo che lo sai, è la Madonna della Neve, ma forse non sai perché si chiama così. È per una bella leggenda nata nel Medioevo che narra di un sogno fatto da Papa Liberio. In esso gli apparve la Santa Vergine che gli ordinò di costruire una basilica sul colle Esquilino dove gli uomini potessero andare a pregare. Non doveva erigerla in un punto qualsiasi, però, solo nel luogo che avrebbe ritrovato l’indomani coperto di neve. Anche se si era in piena estate, Liberio ebbe fiducia nelle parole di Maria ed in effetti una neve miracolosa gli indicò il punto dove costruire la basilica desiderata dalla Vergine.

S’interruppe un attimo guardando l’immagine ed alzando verso di essa le mani in segno di implorazione, mormorò una preghiera. Dopo un po’ si girò ancora verso Robert che ora se ne stava a capo chino, tutto tremante. Continuò a parlargli:

- Forse non ti sembrerà un gran miracolo la neve in agosto, ma se ci pensi vuol dire che anche le cose più impossibili possono realizzarsi con la forza della preghiera. Non dobbiamo mai smettere di aver fede nell’aiuto divino, anche quando ci sembra  non esserci più speranza. Adesso ti lascio solo, ma rivolgiti alla Vergine e vincerai le tue paure – soggiunse mettendogli di nuovo una mano sulla spalla prima di allontanarsi.

Avvertendo la stoffa del mantello bagnata e sentendo ancora infuriare la bufera fuori della chiesetta silenziosa, gli disse dolcemente:

 - Passa in canonica prima di andartene. Berrai una tazza di latte caldo e potrai riscaldarti un poco al fuoco del camino prima di far ritorno a casa.

 

 

Poteva essere circa mezzanotte quando Robert arrivò nei pressi di Villa Bianca. La violenta pioggia di poco prima si era calmata, ma le foglie degli alberi grondavano ancora acqua e la strada sterrata era diventata solo una fanghiglia. Dopo aver lasciato Thunder alla stalla, si avvicinò all’ingresso non senza aver lanciato uno sguardo alla facciata dove solo dietro alle finestre della stanza di Barbara s’intravedeva la luce tremolante delle candele. Con l’animo combattuto tra l’angoscia e la speranza, attraversò l’atrio e si diresse su per le scale fino alla camera della moglie. C’era così tanto silenzio che quasi poteva sentire il proprio cuore battere all’impazzata. La prima cosa che scorse spalancando la porta fu la figuretta della piccola Nunzia che dormiva rannicchiata su una poltrona, il capo e le braccia poggiati su un bracciolo. Il suo sguardo corse al letto dove giaceva Barbara, rivestita di una camicia pulita e con i capelli legati da un nastro azzurro. La sua immobilità lo fece spaventare ed in punta di piedi si avvicinò al letto per osservarla da vicino. Aveva il viso gonfio, profonde occhiaie ed era assai pallida. Con ansia le guardò il petto e si calmò soltanto quando scorse il ritmo regolare del respiro. Solo allora si girò a guardare la piccola culla di vimini rivestita di pizzo già appartenuta a Charles. Trepidante vi si avvicinò. Dentro c’era l’esserino più piccolo che avesse mai visto in vita sua: tutta la faccina rugosa non era più grande di una grossa arancia e sulla testina c’erano una quantità di capelluzzi neri.

- È una bambina – mormorò piano alle sue spalle Nunzia  che si era svegliata. -  È prematura, ma secondo il dottor Bernardi ce la può fare. Anche la mamma sta bene - si affrettò a rassicurarlo.

Robert la guardò con un’espressione di tale gioia che la ragazza ne fu commossa.

- Grazie, piccina, grazie per tutto quello che hai fatto per noi - le disse con dolcezza -  ora però vai a dormire nel tuo letto. Resterò io a vegliarle, tu devi essere distrutta.

La ragazza lo era davvero e non se lo fece dire due volte, però prima si avvicinò anche lei alla culla in tempo per vedere il padrone prendere nella sua grande mano la manina minuscola della figlia appena nata e tenerla tra le dita con una tenerezza enorme.

- La chiameremo Maria Neve – le disse ancora vedendola accanto a sé.

- Mi piace, è un bel nome – sussurrò la giovanetta. Poi si affrettò ad andarsene un po’ perché era davvero stanca ed un po’ perché  l’ingegnere, grande e grosso com’era, forse non desiderava farsi vedere piangere da una servetta così come stava facendo in quel momento.

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


Capitolo 31

 

- Neve!? Ma tu devi essere impazzito! – protestò Barbara all’indirizzo del marito seduto accanto a lei che era a letto e stava allattando la piccina. In piedi, dall’altro lato, c’era anche Nunzia con Charles in braccio il quale doveva essere trattenuto con la forza perché voleva salire sul letto per andare dalla mamma.

- Perché, è un nome così bello! – commentò la ragazza sempre lottando con il bambino – e poi è anche il nome della Patrona del paese.  Farà piacere a tutti se la chiamate così.

- Davvero lo vuoi fare per questo? Per ingraziarti la benevolenza degli abitanti di qui e dei minatori? – domandò a Robert la donna piuttosto perplessa.

Lui le rivolse un sorriso sornione e, calmo calmo, la prese in giro:

- Semmai avessi voluto ingraziarmi qualcuno, allora avrei deciso di chiamarla Margaret, non ti pare?

Irritata, Barbara gli stava rispondendo per le rime, ma intanto il bambino era riuscito a divincolarsi dalle braccia di Nunzia e si era messo ginocchioni sul letto accanto a lei. Per attirare la sua attenzione, le aveva preso il viso in una mano e l’aveva costretta a girarsi a guardarlo.

- Che c’è, tesoro? – gli chiese allora con dolcezza, senza però smettere di tenere la bambina al seno con molta attenzione perché la sua boccuccia  era talmente piccola da riuscire a stento  a contenere il capezzolo.

- Scotta! - mormorò il piccolo.

- Chi?

Lui non rispose, ma con il piccolo indice indicò la sorellina che in effetti era talmente rossa da sembrare avesse la febbre. Risero tutti all’ingenua battuta e Barbara lo incoraggiò:

- No, non scotta, è solo assai piccola ancora. Toccala se vuoi, ma fai piano.

Il bimbo invece le toccò guancia quasi con violenza e la neonata, infastidita, si mise a  vagire.

- Ti ho detto di fare piano! – lo rimproverò Barbara e Charles, che in realtà era assai geloso di quell’esserino brutto ed invadente sbucato fuori all’improvviso per prendere il suo posto in braccio alla mamma, fece uno di quei musini di pianto che la facevano sciogliere di tenerezza. Questa volta invece lei lo ignorò e riprese a parlare al marito.

- Insomma - gli disse – a me Neve non piace. È altrettanto brutto di “Pioggia”.  Se era un maschietto cosa facevamo? Lo chiamavamo “Vento”?

Robert rise, con gli occhi luminosi ed allegri mentre prendeva lui Charles in braccio.

- Puoi chiamarla Maria Neve se ti piace di più.

- No, non voglio proprio chiamarla così! – Barbara  era davvero contrariata ma decise di mantenersi calma ed aggiunse – Ascolta, ho sempre pensato che se fosse stata una femminuccia avremmo potuto chiamarla Kate come tua madre. Anche la buonanima della mia si chiamava Caterina e sarebbe stato simpatico se nostra figlia avesse portato il nome delle due nonne.

- Sì, sarebbe stato simpatico, ma lei si chiamerà Neve.

Questa volta Barbara non si contenne più e quasi gli gridò:

- Ma insomma, quale diritto hai di sceglierle tu il nome?

- Perché sono suo padre forse? – le  rispose calmissimo e sempre sorridente.

- Tu non hai fatto proprio nulla, sono stata io a soffrire per sette mesi, io ad avere un travaglio di quasi due giorni, io che ci stavo lasciando le penne per partorirla…

- E chi lo nega! Però nemmeno tu puoi negare quanto il mio contributo sia stato essenziale: non credo che ti sarebbe riuscita la cosa a far tutto da sola…

Era davvero allegro quel pomeriggio l’ingegnere Forrest e sorrideva ancora mentre passava il bambino alla servetta la quale si era messa a ridere divertita alla sua battuta. Si chinò a posare un tenerissimo bacio sul capino nero della figlia e fece una carezza affettuosa alla moglie prima di uscire dalla stanza per tornarsene a lavoro.  Dopo tutta la sua indifferenza del giorno prima, Barbara fu stupita da quello strano comportamento, ma anche urtata e non avendo con chi prendersela, si rivolse alla ragazza per rimproverarla.

- Me lo dici cosa hai da ridere come una stupida tu?

 

 

Purtroppo l’allegria durò molto poco perché già i giorni successivi la giovane mamma cominciò a preoccuparsi per la figlioletta. Non è che stesse male, ma passava tutto il  tempo a dormire. Doveva sempre svegliarla per farla attaccare al seno, ma già dopo pochi minuti si stancava e non c’era più verso di farla mangiare.
Anche le signore venute a farle visita si erano mostrate un po’ perplesse dalla mancanza di vitalità della piccina e glielo avevano detto senza tante cerimonie.        
Per tutta la giornata del sabato la neonata non fece neanche sentire i suoi deboli vagiti e quando il respiro le diventò affannoso, Barbara ne fu davvero sconvolta. A pochi giorni dal parto così difficile, anche lei non si sentiva ancora bene ma la preoccupazione  divenne molto più forte di ogni altro malessere. Quella sera poi Robert fu trattenuto in miniera ancora più del solito e quando tornò trovò la moglie in uno stato pietoso. Cercò di tranquillizzarla ma lui stesso non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte ed alle prime luci dell’alba si precipitò a chiamare il dottor  Bernardi.

 

Nel primo mattino dell’ultima, piovosa  domenica del mese di febbraio,  la stanza dove il medico stava visitando la piccola era piuttosto buia, così come il cuore dei genitori che lo guardavano trepidanti in attesa del responso.

- Certo è molto deboluccia e non si è ripresa come speravo – commentò lui dopo averla esaminata con attenzione.

- Insomma, dottore, cos’ha? – gli chiese la mamma con la voce rotta dal pianto.

- È prematura, signora ed è difficile che…

La donna si accasciò su di una sedia e scoppiò in un pianto disperato, nascondendosi la faccia tra le mani.

- L’avete già fatta battezzare? – domandò l’uomo al padre che era rimasto come inebetito.

- No.

- Bene, allora vi consiglio di farlo. Se volete passo io da don Giustino adesso che torno in paese.

- Sta morendo allora, non è così? Mia figlia sta morendo! – urlò Barbara, disperata.

- Non è ancora detto: ora le darò delle gocce che dovrebbero aiutarla. Mettetegliene cinque sotto la lingua ogni sei ore senza interrompere mai, neanche la notte. Aspettiamo almeno quarantotto ore ed affidiamoci a Dio.

Parlando aveva tratto una boccetta dalla borsa e l’aveva porta a Robert.

- Mi raccomando, ogni sei ore, senza nessuna interruzione. Passerò domattina, prima non saprei cos’altro fare.

- Grazie dottore – gli disse l’ingegnere accompagnandolo alla porta.

- Di niente. Avrei preferito non dovervelo dire, ma è meglio che siate preparati all’eventualità. Che faccio, ve lo mando don Giustino?

- Sì, pregatelo di venire, per piacere.

Raggiungendo la moglie in salotto, Robert la vide talmente disperata che non ebbe i coraggio di dirle nulla.  
Fu lei a parlare.

-  Ecco, questa è la mia punizione: il Signore mi castiga dei miei peccati facendomi morire i figli!

- Barbara, per favore, non dire sciocchezze.

- Sì, è questo – gli rispose senza più piangere nemmeno e torcendosi le mani.        
Gettò uno sguardo strano alla bambina nella culla  come se avesse voluto guardarla per l’ultima volta, poi uscì dalla stanza, dicendogli con un filo di voce:

- Non chiamarmi quando viene il prete. Fate quello che dovete fare,  ma non chiamatemi, io non ci voglio essere.

- Barbara… – la chiamò dolcemente, ma lei neanche si voltò.

 

Il sacerdote arrivò verso le tre, affannato e fradicio di pioggia, ma come sempre nei suoi occhi buoni brillava una luce calda di amore e di solidarietà.

- Quant’è carina! - commentò vedendo la piccola in braccio a Nunzia – Dimmi, le fai tu da madrina, figliola?

La ragazza arrossì e guardò Robert che annuì, profondamente triste.

- E come la chiamiamo? – gli chiese il buon vecchio.

- Maria Neve, padre. Ho ancora bisogno di sperare che possa nevicare in pieno agosto! – gli rispose con il viso contratto nello sforzo di trattenere la commozione.

- E così sia! – rispose don Giustino accingendosi a battezzare la piccola Neve.

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Capitolo 33
*** Capitolo 32 ***


Capitolo 32

 

Potevano essere circa le sei del pomeriggio quando Robert vide entrare Barbara nella stanza. Aveva indosso la camicia da notte e la vestaglia, i bei capelli sciolti le ricadevano come un manto ad incorniciarle il viso pallidissimo dove spiccavano gli occhi arrossati dal pianto.

Si avvicinò alla culla e guardò la bambina ancora immersa in un sonno così profondo da sembrare quasi un letargo. Sotto lo sguardo preoccupato del marito, la prese in braccio e andò a sedersi su una poltrona. Scoprendosi il seno, provò a farla attaccare, ma inutilmente. La piccina neanche si riscosse un po’ al contatto delle labbra con il capezzolo. Nel silenzio rotto solo dal ticchettio dell’orologio a pendolo, rimasero entrambi muti fino a quando la donna, vista l’inutilità di ogni tentativo, con un sospiro si ricoprì e posò di nuovo delicatamente la figlia nella culla, rimboccandole la copertina con un gesto di enorme amore.

- Dov’è Charles? – chiese al marito.

- Ho dato il pomeriggio libero a quella povera piccina di Nunzia e  lei lo ha voluto portare con sé. Andavano in casa di amici di Luigi. Sono delle brave persone, anch’io li conosco e poi hanno dei bambini della sua età. Ho pensato che un po’ di distrazione non avrebbe fatto male a nessuno dei due. Ho sbagliato?

- No, hai fatto benissimo. L’ha coperto bene? Fa freddo ed è già buio.

- Sì, gli ha messo la mantellina pesante.

- E il cappellino di lana? È importante, sai, Charles sta mettendo gli ultimi molari ed un colpo di freddo in questi casi non è l’ideale.

Aveva parlato con una voce molto triste e strana, come se quelle parole non venissero davvero da lei, ma da un’estranea la quale fingeva che tutto fosse normale. Robert ne ebbe una gran pena.

- Mi pare di sì. Sta’ tranquilla e torna un po’ a riposare – le sussurrò. Si sentiva struggere dalla tenerezza ed avrebbe voluto abbracciarla forte per consolarla. Ma anche così non avrebbe potuto rassicurarla e si trattenne.

Barbara si allontanò, ma verso mezzanotte tornò di nuovo nella stanza. Vide il marito che aveva la figlioletta in braccio e quasi lanciò un grido.

- Robert, cosa è successo!

- Nulla, nulla, stai tranquilla, l’ho presa un po’ in braccio perché in questo modo mi sembrava di tenerla più calda.

In effetti la minuscola neonata tra le sue braccia forti sembrava davvero protetta ed al calduccio. Lui aveva un’espressione così dolce e buona sul viso mentre la stringeva con una tenerezza smisurata che Barbara si sentì stravolgere dall’emozione.

Non riuscì più a controllarsi.

- Dovrei essere io a riscaldarla, non tu! – proruppe - Ma forse è meglio che sia tu a farlo, io sono stata buona solo a detestarla in tutti questi mesi, a sentirla come una cosa estranea che mi cresceva dentro, a desiderare che non ci fosse … - dovette interrompersi tanto era  scossa dai singhiozzi ma poi mormorò, ancora tra le lacrime – È colpa mia. Non sono stata una brava madre  e me ne rendo conto solo adesso che la sto perdendo!

Il giovane posò la bimba nella culla e le si avvicinò, questa volta prendendola tra le braccia.

- Smettila, smettila. Non è vero! – le disse carezzandole i capelli mentre lei si era abbandonata a piangere con il viso posato sulla sua spalla.

- Sì, è vero, tu neanche l’immagini quanto l’ho odiata, ma io non la conoscevo ancora… ora vorrei…

-  Non è colpa tua, semmai la colpa è mia che ti ho messo in questa situazione e non avrei dovuto farlo. Era me che odiavi, ed a ragione anche, non lei.

Barbara lo guardò. I suoi begli  occhi ora erano gonfi e sciupati dalle troppe lacrime.

- Non dovevo farlo comunque - gli disse -  la mia creatura era innocente e non c’entrava affatto con i nostri errori.

- È proprio perché è innocente che il suo destino non dipende da noi e dalle nostre colpe.

La giovane stava per replicare qualcosa, ma la porta di comunicazione con la stanza di Charles si aprì e questi apparve sulla soglia. Le loro voci l’avevano svegliato e già da troppi giorni con tutta quella strana confusione in casa, il povero bimbo, sensibile com’era, si era sentito sbandato e triste. Ora con i piedini nudi e solo con la camicina da notte addosso, piangeva silenziosamente e guardava i genitori con le labbra tremanti come ad implorare la loro protezione ed il loro conforto.

Barbara si precipitò da lui e lo prese in braccio. Solo allora il piccolo scoppiò in un pianto dirotto.

- Che c’è, amore, perché fai cosi? – gli chiese stringendogli forte il capo e baciandogli la guancia bagnata di lacrime.

- Ha paura, cara, e solo tu puoi calmarlo. Mettilo nel letto accanto a te e fagli mettere le manine tra i tuoi capelli. Vedrai che si addormenterà tranquillo e perlomeno lui sarà sereno stanotte – le disse il marito con un sorriso triste e dolcissimo.

- Ma io non posso, io devo stare con Neve.

- Ci sarò io, la veglierò tutta la notte e continuerò a darle la medicina. Vai cara, cerca di dormire un po’ anche tu, sei ancora così debole!

- Non posso lasciarti solo, non stanotte, non con la mia bambina che potrebbe…

- Ti chiamerò se ci saranno novità e poi …è mia figlia, nessuno più di me potrà vegliarla con amore. Va’ a riposare, sei distrutta e Charles ha bisogno di te.

Alla fine lei acconsentì, un po’ per il bambino che le si stringeva contro tutto tremante, un po’ perché l’angoscia dell’attesa l’avrebbe uccisa e si ritirò in camera sua.

Come aveva previsto Robert, dopo un po’ il bimbo si addormentò. Barbara lo tenne stretto, traendo conforto da quel corpicino di cui percepiva il tepore. Il pensiero però correva sempre nell’altra stanza, al padre e alla figlia che lottavano insieme contro la morte. Si pentiva di aver ritenuto che un figlio appartenesse solo alla madre, ora certamente non avrebbe più potuto crederlo. A tratti un sonno agitato la travolgeva ed i sogni con esso. A volte erano incubi, a volte invece vedeva la bambina star bene, muoversi, strillare. Si sentiva piena di gioia, ma poi la consapevolezza che si trattava solo di un sogno la faceva svegliare bruscamente riportandola alla realtà.       
Durante quella notte terribile, più volte si alzò dal letto e, silenziosa, si avvicinò all’ uscio da sotto il quale filtrava la luce. Accostato l’orecchio per percepire i suoni nell’altra stanza, udiva però solo un silenzio innaturale che le toglieva ogni speranza. Allora se ne tornava a letto, incapace di trovare il coraggio di scoprire che tutto era già finito.     
Riuscì a resistere solo fino alle prime luci dell’alba. Stava male, aveva la testa che le scoppiava ed il cuore che batteva all’impazzata, ma non poteva più sottrarsi, doveva sapere. Robert le aveva sì promesso di venirla a chiamare se fosse successo qualcosa, ma forse non aveva avuto l’animo di farlo. Era venuto il momento di affrontare la pena.
Così come aveva fatto oramai tante volte dalla sera precedente, si avvicinò alla porta ma questa volta fu colpita dal suono della voce di lui che stava pronunciando versetti scherzosi, di quelli usati con i bambini piccoli per farli giocare. In preda ad un'ansia senza fine spalancò l’ uscio  e l’uomo, sobbalzando, sollevò a guardarla gli occhi cerchiati dalla stanchezza, ma pieni di felicità. Teneva in mano un piedino di Neve sbucato fuori dalle fasce disfatte e stava giocando con lei che aveva aperto gli occhietti ed un po’ si lamentava. Ad un tratto il lamento si trasformò in un vero pianto di protesta.

- Meno male, ti sei decisa a venire! – scherzò allora con un tono allegro che sottolineò ancora di più la gioia  sul suo volto – Credo che abbia fame. A farla mangiare però, mi dispiace, ma  devi provvedere tu.

Senza farselo dire ancora, Barbara si precipitò a prendere la bambina  in braccio e le offrì il seno. La neonata si attaccò subito e cominciò a succhiare, se non proprio avidamente, almeno con una certa lena. Intanto Robert aveva accostato la sedia alla poltrona della moglie e carezzandole le guance con tenerezza, cominciò ad asciugarle le lacrime perché lei non poteva farlo, occupata com’era a tenere la bimba.

- Vedrai, starà bene la nostra piccola – le sussurrò dolcemente - E forse anche noi potremo essere felici.
Lei lo osservò. Gli occhi chiari nella penombra della stanza gli brillavano di commozione e le mani che la carezzavano avevano un tepore confortante. Barbara non sapeva se davvero sarebbero stati felici in futuro. Di una cosa era certa,  però: anche se quell’uomo non era davvero il suo sposo, di sicuro sarebbe stato il compagno fidato con cui affrontare le prove della vita.

E all’improvviso non si sentì più sola.


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Ed ecco finita la prima parte di questa storia. Presumo che abbiate consumato intere scatole di Kleenex (a proposito, devo sempre proporre a quest’ultima di sponsorizzarmi) ma che tutto sommato l’abbiate gradita. Come avete visto, alla fine non solo Neve si è salvata ma anche sui suoi genitori è calata una luce di speranza e di gioia. Ho notato che qualcuna di voi ha parteggiato per Robert, altre per Barbara e ciò mi fa piacere perché io non volevo creare “eroi” o “eroine” ma personaggi veri nella loro umanità, di quelli che talvolta ti fanno venire la voglia di prenderli a schiaffi perché sono cocciuti e pieni di difetti. I vostri commenti mi hanno detto che ci sono riuscita.

Ringrazio tutte coloro che mi hanno recensita, in particolar modo la banda delle “fedelissime” a cui va tutta la mia immensa gratitudine e le persone che hanno messo questo romanzo tra i seguiti o i preferiti perché anche fare ciò è un tacito segno di apprezzamento. Ma come non  ringraziare ugualmente poi tutte quelle che hanno avuto il coraggio di sorbirsela tutta pur senza esprimere nessuna opinione? Non nego però che mi avrebbe fatto piacere conoscere un parere, anche sintetico,  di ognuna delle mie lettrici e questo non per la pretensione di ricevere molte recensioni ma solo  per sapere se sono riuscita nel mio intento di emozionarvi, intrigarvi, divertirvi.

Dopo una breve pausa, comincerò a postare anche la seconda parte di questo mio “romanzo” che, ve lo prometto, sarà meno drammatica e più varia nell’intreccio. Che aggiungere? Spero di avervi fatto venire la voglia di continuare a leggere di Barbara e di Robert, non solo per vedere come andrà a finire il loro amore ma anche per continuare a vivere insieme ad essi le romantiche atmosfere di un’epoca ormai lontana e di luoghi magici quali dovevano essere  le miniere della Sardegna. Ma questo potrete dirmelo solo voi.

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