Gelida Luce

di Ellie_x3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Nightmare ***
Capitolo 2: *** Mad Girl ***
Capitolo 3: *** 3. Ali d'angelo ***
Capitolo 4: *** 4. Sweet Night my love ***



Capitolo 1
*** 1. Nightmare ***


Gelida Luce

Inu Yasha –

Nightmare


A volte sogno l’insonnia
Alle soglie della gloria trova
La morte
Che gli tende le mani
Ora.
Torna a casa, ora.


Presto, risponde lui. Presto.

Gelo.
Freddo, dolore.
Freddo dolore sofferenza freddo, sangue, gelo nulla vuoto incubo sogno dolore freddo, sangue, agonia sogno morte perdita freddo sofferenza gelo, nulla dolore nulla sogno nulla, nulla, nulla –
sangue.
Lui, lì.
Proprio in mezzo.
Incapace di dire se fosse passato solo un secondo o una vita da quando aveva ripreso conoscenza e aveva trovato ad accoglierlo una segreta, dure catene a mordergli i polsi e quel buco nero al posto dello stomaco. Il dolore alle spalle, tese verso l’alto, poteva essere un indizio utile a fargli capire quanto tempo fosse passato.
Ma era da tanto che Inu Yasha si era abituato al dolore fisico. Troppo. Ormai non ci badava neanche più.
Quindi, eccolo.
Senza tempo. Senza qualcosa che lo aiutasse a cancellare l’altro dolore.
Quello sordido, quello sporco. Quello odioso.
Quello della morte altrui.
Non era nuovo a quelle sensazioni di vuoto, di impotenza, di un peso nello stomaco che sembrava lacerarlo. Eppure non si muore d'amore. Non si può morire di disperazione.
O, almeno, lui non poteva.
Non era giusto. Non era per lui.
Vendicatore che non era mai riuscito ad alzarsi per poter portare a termine il suo incarico.
Soldato senza più capitano. Bushi senza Shogun.
Qualcuno senza più dentro di sé la fiammella della vita.
Cosa avrebbe detto a Kagome, lassù in cielo, quando l'avrebbe rivista?
Mi spiace. Non ti ho potuta salvare, o vendicare. Perché? Semplice: sono stanco di una vita senza nessuna ragion d'essere.
Sarebbe stato imbarazzante, ma sincero. E sapeva che lei avrebbe capito.
Sperava solo di vederla presto purché tutto quel gelo, quel male,avesse una fine.
Pregava come mai aveva fatto prima per trovare la sua pace.
Ma ricordava, nonostante tutto, chi fosse il suo nemico; chi l'avesse condotto lì. E anche cosa dovesse fare.


Non ne aveva la forza. Non ne aveva la voglia.


Sentì la porta cigolare leggermente, aprendosi e lasciando entrare un timido, tiepido spiraglio di luce nera.
Che paradosso. Avrebbe riso, se avesse mai potuto ricordare come si faceva.
Quella era per lui oscurità palpabile, come un fumo che entra e uccide ogni singola molecola d'aria. Però era luce, per quanto buia e tetra.
Da fuori, dove sapeva non esserci luna in un cielo che affogava nel nero.
In passato aveva odiato la sua forma umana. Ora la benediceva, perché sarebbe morto presto, sebbene ignorasse il perché fosse ancora vivo con un buco nello stomaco.
Non aveva più nessun interesse nel vivere.
Persino quelle tenebre che nel loro tetro, patetico brillare gli illuminavano il viso non avevano più valore.
Nulla splendeva più.
-Ti sei svegliato, Inu Yasha?-

Non reagì alla voce sottile di Kikyo, leggera come una brezza tiepida nel silenzio pungente. Al mezzo demone sembrò che quello stesso tono gli accarezzasse la guancia gonfia, arrossata, sporca di terra e sangue, per poi scendere sulle labbra spaccate.
La sacerdotessa si richiuse l'uscio alle spalle, soffocando quella piccola speranza che gli era nata nel cuore: scappare. Rivedere la luna.
Ma in fondo cosa c'era là fuori?
Niente.
Nessuno.
Non c'era ragione per uscire. Tanto valeva morire lì.
Il mezzo demone la sentii avvicinarsi, e solo quando gli fu abbastanza vicina alzò gli occhi d'ametista, guardandola.
Kikyo...com'era bella.
Viva.
Il tocco delle dita di cera e terra della Miko era fresco, piacevole sui lividi. Ma non gli dava altro che fastidio.
Non toccarmi.
Non guardarmi.
Pensa a me come si pensa ad un pezzo di carne.
Morto.
Morto.
Morto.
- Non sei morto, Inu Yasha. Non ancora.- Cosa gli stava dicendo? Lo rassicurava che non era ancora morto.
Davvero? Eppure credeva di esserci così vicino...
Si vedeva già come un cadavere, lì incatenato, morto. Umano e totalmente indifeso.
Vedeva Kikyo e vedeva Naraku. E rideva perché loro erano ancora intrappolati lì, nel mondo, e non sapevano cosa voleva dire essere aria.
Parte della vita stessa.
E sforzandosi ancora un poco già scorgeva Kagome ad aspettarlo, con Sango e Miroku e Koga. Lei lo salutava con la sua espressione più dolce. Gli diceva di avvicinarsi.
E lui voleva andare da lei. Correre. Abbracciarla.
Invece Kikyo gli diceva che era ancora maledettamente ancorato a questa terra crudele. Lui non ci voleva più stare: accanto a Kagome, alla sua Kagome, c'era sua madre. Sul viso era dipinto un meraviglioso sorriso.
Le mancava. Voleva rivederla subito.
Il mezzo demone era come un orologio rotto. Fermo da così tanto tempo che non ricordava nemmeno più il rumore del ticchettio della lancetta del cuore.
Tic, tac, tic, tac. Niente suonava più dentro di lui.
Le ore, che scoccavano quando Kagome gli sorrideva. Sparite.
I minuti, segnati dall'urlare di Sango e dall'assurdo arrampicarsi sugli specchi di Miroku. Finiti.
I secondi, quando combatteva con suo fratello. Esauriti.
I mesi, i giorni, gli anni passati a cercare il nemico di sempre con l'implacabile forza datagli dalla furia.
Non sarebbero mai più tornati.
Game Over. Aveva perso.
- Non piangere.- lo pregò la sacerdotessa dolcemente, accogliendo con l'indice l'unica lacrima che era sfuggita al mezzo demone.
Inu Yasha si chiese con che diritto la donna gli dicesse cosa fare. Lei, poi.
Traditrice. Umana.
Kikyo era morta. L'aveva sempre pregato di accompagnarla nell'ultimo viaggio.
Perché ora non voleva lasciarlo andare? Poteva anche portarla con sé. Non gli importava.
Erano ben poche le cose che avevano valore, per lui, lì rinchiuso.
Di certo le rassicurazioni di Kikyo non erano fra queste.
Sentiva e non sentiva la voce musicale della miko narrargli di cosa avrebbero potuto fare, lui, lei e Naraku insieme. Avrebbero riunito la Shikon.

Sarebbero diventati dei immortali.

In fondo, cosa significa essere immortali? Ritardare di qualche millennio la propria fine? Prolungare una sofferenza già abbastanza pesante da sola?
Il sorriso di Kagome era immortale. Eppure già iniziava a sfumare, nella sua memoria.
Il suo amore per lei lo era. E anche quello sembrava perso nel dolore.
Dei. Demoni completi. Invincibili.
Ascoltava le sue parole come si comprende il significato del fruscio delle fronde degli alberi. Non ci si presta mai abbastanza attenzione, altrimenti lo si potrebbe cogliere.
Tuttavia l'hanyou non voleva, non poteva capire i discorsi di Kikyo.
Una volta erano stati anche i suoi sogni. Ma ora erano cenere.
Troppo difficile parlare di potenza, amore, demoni e dei quando sei incatenato, umano e a pochi passi dalla tanto agognata morte.
La aspettava come un dono, Inu Yasha. La voleva e la bramava.
Poi di nuovo quelle parole. Quella timida, leggera ma importante confessione che già una volta aveva sentito pronunciare dalla sacerdotessa.
Riferita a Onigumo, il suo peggior nemico che probabilmente in quel momento stava facendo i salti di gioia per essere riuscito a piegare Kikyo al suo volere, quell'ammissione gli smbrò strana
- Io lo amo.-

Così candida e perfetta, per essere una frase impura.
Non se la meritava quel...quel...Bastardo? No. Che aveva contro Naraku, ormai?
Tanto Kagome non c'era più. Nemmeno sua madre.
E anche Kikyo ormai gli sembrava priva di valore.
Non aveva nulla da difendere.
Nessuno scopo. Si sentiva vuoto.
Periva lentamente in una tempesta di sentimenti che provocavano nient'altro che oblio. Sentimenti che venivano soppressi dall'apatia più totale.
Non voleva sentire più nulla. Provare più nulla.
Come se stesse affogando in un sogno senza fine e senza inizio, dal quale non poteva uscire.
Se questa è la vita, vi prego, uccidetemi.
I Kami.
Oh, mai li aveva pregati. Cos'aveva da chiedere ad un cielo muto e fermo? Non si fidava.
Ma ora le carte in tavola erano scoperte. E lui non aveva niente.
Sentii la voce di Kikyo pregarlo di comprendere, di tornare in sè. Che la morte non era nient'altro che l'ennesima fuga: scappava da lei rifugiandosi in Kagome. E ora scappava dal dolore rifugiandosi nella luce immacolata della morte.

Non era da demoni. O da mezzi demoni. Nè da umani.
Piuttosto era da sciocchi.

Inu Yasha la guardò. Solo un secondo, in cui la sacerdotessa sentì che il suo cuore di terra mancava un battito, per poi accelerare in una corsa forsennata. Disperata.
Gli occhi del mezzo demone erano un buco nero, profondo e senza una fine o un inizio. Alfa e Omega. A e Z. Vita e morte.
Il mezzo demone vide tutti questi suoi sentimenti riflessi nello sguardo della antica amata e se ne rallegrò vagamente: era così complicato, il suo dolce e semplice nulla?
-Se questo fosse un sogno.- iniziò, con la voce tremolante di chi non sa bene cosa dire. O come formulare una preghiera. -Kikyo, ti prego. Svegliami. Ho paura.-
L'ammise con così tanta facilità che gli sembrò di averlo detto mille altre volte.
Lo ripeté, in un rantolio stanco, come l'ultimo uggiolio di un cane abbandonato sotto la pioggia.
Fradicio.
Stanco.
Solo.
Disilluso.
Così si sentiva. Per la prima volta in vita sua, però, lo ammetteva.
Forse perché non c'era nessuno per cui mostrarsi forte? Nessuno che si affidava a lui?
A cui sorridere e dire "Tranquilla, andrà tutto bene".
Era un uomo senza uno scopo. Un fiore in una stanza buia che appassiva agonizzando, ignorando il raggio di luce che gli era vicino.
Voleva la salvezza. Voleva svegliarsi ora, oppure sapeva che non l'avrebbe fatto mai più.
Improvvisamente tutto si fece più sfocato, un disegno su cui qualcuno avesse rovesciato dell'acqua.
-Ho capito.- il sussurro di Kikyo sembrava lontano. Troppo.
Forse fra poco sarebbe davvero finita. Ogni cosa perdeva sostanza e forma.
Finché la donna non divenne una macchia fatta di rosso, di bianco, nero e rosa. La stanza girava. E lui con lei.
Non stava morendo, lo sapeva.
Una parola, semplice, gelida, gli si insinuò nella mente prepotente. Capì che era la risposta.

Incubo.


Si svegliò di soprassalto, soffocando in gola un urlo spaventato e espirando profondamente l'aria umida della notte. Gli sembrava di aver corso cento miglia, ma il cielo era ancora un'infinita striscia di seta nera puntellata di stelle.
La luna gli illuminava i tratti semidemoniaci, e nessuno sembrava essersi svegliato. Poco male: non avrebbero visto le goccioline di sudore che gli imperlavano il viso e non si sarebbero mai accorti del terrore che traboccava dai suoi occhi. Aveva le lacrime.
Era una vera fortuna che nessuno fosse stato destato a causa del suo sobbalzo.
Guardò sotto di lui, cercando di non perdere l'equilibrio: trasse un sospiro profondo, calmandosi, quando vide Kagome raggomitolata in quel coso rosa...nel "sacco a pelo", come l'aveva chiamato lei.
Sango accanto a lei aveva una mano appoggiata sulla groppa morbida di una gigantesca ed addormentata Kirara. Miroku, poco più in la, sembrava immerso in un sogno piacevole.
Il mezzo demone alzò un sopracciglio, già immaginandosi che tipo di sogno potesse essere e sussurrando un "maiale" fra sé e sé.
Poteva esser vero il suo incubo? Poteva perdere la sua voglia di vivere solo per degli umani?
Ridursi all'ombra di se stesso solo per aver perso Kagome era possibile?
Di certo era assolutamente assurdo che Kikyo si innamorasse di Naraku. Sicuro.
In fondo era solo un parto della sua mente malata, uno sciocco mescolarsi di mente e anima.
Senza senso.
Capita, quando si è agitati, si disse.
Doveva calmarsi. In fondo Kagome era lì, sognava tranquilla.
Ma a lui, almeno per quelle poche ore che mancavano all'alba, il sonno era stato rubato.
Da un sogno su Naraku.
Squallido.
Ma non gli passò nemmeno per la mente di chiedersi "e se fosse vero?". Non voleva portarsi sfortuna da solo. E forse sbagliava.
Perchè quello fu l'ultimo, spaventoso sogno premonitore del mezzo demone, che dopo non ebbe più tempo per bere, mangiare, dormire. Era iniziata la battaglia finale con Naraku.
E prima che se ne potesse accorgere, scoprì che era stato quel fugace momento fra sonno e veglia la vera chimera. Un frammento di illusione.
Fantasia, fatalità o potenza demoniaca?
Non avrebbe saputo spiegarlo. Però in poche ore realtà e fantasia, sogno e realtà, nel suo mondo erano state capovolte come in una strana giostra che non seguiva le sue regole.


...Non sei ancora morto, Inu Yasha. Ma presto spererai di esserlo...

Notes:
Ohayoo, Minna-san! *O* 
Pronti a ricominciare la scuola? Io assolutamente no [Q.Q].
Ma per, come dire?, festeggiare il ritorno di compiti e interrogazioni e salutare l'estate con un pò di sana, giusta, depressione ho deciso di buttarmi su una raccolta di Shot sui sogni dei vari personaggi di Inu Yasha, il cui titolo è lo stesso del terzo libro di Victoria Francès "Favole". 
Questa prima shot è, per l'appunto, un incubo del nostro mezzo-cane preferito. L'ho mandato un pò OOC, ma ho pensato ad un Inu Yasha totalmente disperato, illudendomi che la perdita di Kagome lo possa portare a questi livelli. 
Non posso dare anticipazioni in quanto non so ancora su cosa sarà la prossima, ma non temete: stavolta porterò a termine il progetto U.U
Un bacione, con la speranza che sia piaciuta almeno un pochino.

Elle.

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Capitolo 2
*** Mad Girl ***


Gelida Luce
Kagome Higurashi-
Mad
girl




Dove sei, che canti la tua canzone per me?
Le mie orecchie non lo percepiscono più, ma c’è l’eco di un battito di cuore instabile.
Persino la mente sembra dormire.
La frenesia che mi rimane addosso non mi permette di ricordare.
Quando guardo tra le ombre del vuoto sfocato, vedo i colori freddi della realtà.
[The Gazette-Chizuru]

Occhi chiusi.
Kagome si era appena coricata- finalmente nel suo bel lettino, finalmente con i confort dell'epoca Heisei, finalmente dopo aver fatto uno straccio di bagno- nella sua cameretta.
Una camera meravigliosa...per una bambina di sette anni.
Tuttavia non aveva ancora trovato il tempo di rimodernarla, adattandola alla sua età attuale. Poco male, magari si sarebbe fatta aiutare da Inu Yasha, pensò soffocando uno sbadiglio.
Ora però aveva solo sonno e certe questioni non le interessavano.
Gli sembrava di non tornare da secoli. E invece era lì, a casa, sola con la sua stanchezza.
Aveva bisogno di dormire, possibilmente di fare tanti bei sogni.
Ma da quando i sogni seguono il nostro volere?

Storse le labbra, con gli occhi fermi sul foglio.
Bianco.
Vuoto.
Solo alcune frasi in nero, stampate al computer, campeggiavano su quella carta immacolata.
Kami-Sama, che roba è questa?- si chiese, schifata, scorrendo velocemente le varie domande.
Trigonometria.
Che funzione pratica aveva studiare trigonometria? E ancor più a cosa le serviva fare un compito?
L'aiutava a uccidere i demoni? No!
A trovare i frammenti della sfera dei quattro spiriti? Ovvio che no!
Sarebbe potuta andare avanti per ore: purtroppo ne aveva solo una per riconsegnare quel foglio -per il momento vuoto- risolto, ordinato e possibilmente corretto.
Quindi sospirò, facendosi forza. Insomma, aveva affrontato di peggio, no?
Poggiò la punta della biro blu sulla carta, ritirandola immediatamente come se quell'unico puntino d'inchiostro scuro fosse un errore tremendo.
“Così uscirò pazza, e non va bene.” considerò esasperata, passandosi una mano tra i capelli. Non poteva continuare così per il resto dell'ora e consegnare in bianco.
Sembrava non riuscire ad alzare gli occhi, però: quel bianco la risucchiava. La ipnotizzava.
Nella sua mente frullavano un centinaio di formule che sapeva essere perfettamente inutili per il primo problema.
Il secondo nemmeno riusciva a capirlo.
Le domande di teoria, un disastro.
Non sapeva rispondere a nulla, nonostante avesse studiato tutta la sera precedete.
Dannazione a Inu Yasha che l'aveva deconcentrata con le sue entrate inutili.
Dannazione all'epoca sengoku che non le lasciava mai il tempo di studiare.
Dannazione a Naraku che comprometteva pure la sua media scolastica, oltre che tentare di uccidere lei e tutti i suoi amici.
Sarebbero dovuti sparire, tutti quanti: almeno avrebbe potuto stare in pace, avere una vita normale, studiare e uscire con le amiche. Poter stare con un ragazzo senza avere come rivale una bellissima sacerdotessa non-morta. 
Purtroppo per lei non era così.
Toc
Quasi nemmeno si accorse della cosa che cadde sul suo banco: una minuscola pallina di carta che planò davanti ai suoi occhi.
Un bigliettino.
Lo prese tra le mani, facendo attenzione che il professore fosse voltato per non farsi scoprire, e lo aprì piano. Curiosa.
Vi diede una scorsa, ma sbattè le palpebre, credendo di aver letto male. Di sicuro quell'assurda frase si doveva leggere in un altro modo.
Doveva per forza avere un altro significato, perché così com'era era assolutamente priva di qualsiasi senso.
“ Carina la maglia”. C'era scritto carina la maglia!
Chi era il benemerito idiota che durante un compito scriveva certe diavolerie, invece di pensare a risolvere il proprio test?
Kagome alzò le spalle, esasperata, voltando un poco la testa per cercare di capire chi le avesse giocato quello stupidissimo tiro.
E rimase lì. Come una cretina, girata -ignorando bellamente il professore che, dal canto suo, non faceva una piega- a fissare una persona seduta pochi banchi dietro di lei.
Non era possibile.
Aveva i capelli lunghi e argentei. Ed era un ragazzo.
La fissava con due occhi d'ambra colata, divertiti.
E aveva un paio di odiose orecchiette triangolari in testa.
Ma non poteva, non doveva essere Inu Yasha. Perché quel mezzo demone iper-geloso e rissoso la aspettava scodinzolando dall'altra parte del pozzo!
E non portava la divisa scolastica. Inoltre non era certa che sapesse tenere in mano una penna senza spaccarla a metà.
Doveva esserci un errore. Forse se l'era sognato.
Chiuse gli occhi per qualche istante, convinta che, una volta riaperti, si sarebbe ritrovata a guardare un normalissimo ragazzo giapponese della sua classe.
Magari si era accorta solo adesso di lui e poteva assomigliare vagamente al mezzo demone
Invece no.
Riaprì piano prima un occhio, poi l'altro. Così lentamente che la luce della classe le fece male.
Quel che vedeva era esattamente uguale a prima.
Nessun dettaglio era cambiato: nemmeno l'espressione del giovane.
Inu Yasha era ancora lì, che la fissava con quella luce maliziosa negli occhi ambrati e un sorriso sghembo tutto rivolto a lei.
Sembrava invitarla ad avvicinarsi. Quasi per provocarla si portò la penna alle labbra con gesti lenti, misurati. Tutto ciò le dava, però, un'idea di spudoratezza che mai avrebbe pensato di poter accostare a quella persona.
Quel sorriso, quelle mani, quegli occhi le lanciavano un richiamo. Era inutile negarlo.

Così si alzò.
Voleva avvicinarsi.

Non sapeva nemmeno lei perché. Ed era pure nel bel mezzo di un test, per la miseria!
Andava contro ogni regola.
Si voltò, cercando il bigliettino che aveva lasciato sul banco. Sparito.
E, per inciso, era sparito tutto.
Magicamente, nello stesso istante in cui lei se ne era dimenticata foglio, banco, classe e professore erano spariti.
Eclissati.
La scena era cambiata attorno a lei e non se ne era nemmeno resa conto.
C'erano solo lei e il mezzo demone, imprigionati nelle quattro mura spoglie di una scuola che più che un liceo sembrava un manicomio. C'erano tavoli e qualche fascicolo era appoggiato su di essi, forse dimenticato da un professore di chimica.
Le sembravano più che altro cartelle cliniche scordate da uno psicologo distratto.
Ignorandole, comunque, si avvicinò a Inu Yasha, che ancora non distoglieva lo sguardo da lei. E accanto a lui, venuto da chissà dove c'era Miroku. Il monaco.
Altra persona che doveva stare al di là del pozzo.
E, Dio, anche lui indossava abiti moderni!
Davvero, tutto ciò era troppo strano.
- Inu Yasha, che ci fai qui? Miroku?
Le costò tanto -troppo?- dire quelle parole. L'aveva sottoposta a uno sforzo immane.
Forse solo psicologico, o fisico, o tutte e due. Non riusciva a capirlo.
Il monaco alzò un sopracciglio, scambiandosi un'occhiata d'intesa con l'hanyou. 
Sentiva la tensione impadronirsi di lei; Non capiva perché. Lo sentiva e basta.
Era sufficiente per farle perdere il controllo.
- Kagome.-
Fu tutto quello che disse l'hanyou, con il tono esasperato di chi parla ai bambini capricciosi che non vogliono saperne di imparare l'alfabeto. Odiava quando qualcuno le parlava così, eppure...eppure ora le faceva solo una gran pena.
Pena per se stessa?
Non solo.
Socchiuse le labbra, cercando qualcosa di serio da dire. Voleva chiedere loro il perché di quella situazione assurda, ma non ci riusciva.
Era la domanda sbagliata. O era quella giusta.
Sapeva che la risposta le avrebbe fatto paura, in ogni caso, qualsiasi cosa le avrebbero detto.
Non riusciva ad urlare. Però lo desiderava.
E ancora di più quando, guardandosi le mani in un tic di riflesso che aveva fin da bambina, vide di non avere più la divisa scolastica, ma una immacolata tunica bianca che le arrivava fino ai piedi.
Non un vestito bianco.
Non un completo da angelo.
Uno di quei camici che aveva visto nei film horror per i malati mentali.
Soffocò un grido, terrorizzata, e rivolse l'ennesimo sguardo ai due uomini che la guardavano come se si aspettassero da lei chissà quale atto di pazzia.
Ma qualcosa era cambiato. Non c'era più la curiosità negli occhi castano scuro della ragazza.
Lo stupore di prima era sparito.
Solo terrore. La muta richiesta d'aiuto rivolta a due amici che non dovevano essre lì e per fortuna c'erano.
Accanto a lei.

Sicura, Kagome, che sia una buona cosa?

Mosse un passo verso di loro, un altro e uno ancora dopo di quello. Le risultava tutto così strano.
L'inquietudine era come vento freddo che prima le aveva avvolto le mani, le braccia, il petto.
Temeva il momento in cui sarebbe arrivata alla testa. Al cervello.
Allora sapeva che sarebbe completamente impazzita.
Pazza.
Parola che gravava su di lei come un macigno, etichetta indelebile che leggeva riflessa negli occhi dei compagni.
Pazza.
Pazza.
Pazza.
Pazza!
Non lo era.
O sì?
Quel dubbio, velenoso, spaventoso, gelido come vento nordico le attraversò il corpo come una scarica elettrica.
La scosse come un fulmine.
Non lo era, no. L'avrebbe dimostrato: se non a quei due zucconi, almeno a qualcuno che l'avrebbe capita.
- Scusate ma...Sango?-
Le rotolò fuori dalle labbra incontrollata, la domanda ingenua di chi cerca un sostegno su cui poter riporre un minimo di fiducia. 
E sapeva, credeva, sperava...no, era convinta che Sango le avrebbe creduto.
In ogni caso.
Lei era sua amica.
Gli occhi di Miroku sembrarono spegnersi, soffocando la luce azzurra di vitalità ed energia in spire di pesante rassegnazione.
- Kacchan, quante volte te lo dobbiamo dire? Questa tua “Sango” non esiste.-
Sbarrò gli occhi.
Impossibile: Sango era viva! Era stata sempre accanto a lei!
Non poteva essersi inventata una cosa del genere.
Non era mica scema! E neanche matta.
Già...matta...
Quand'è che una persona perde la ragione?

Qualcuno è pazzo quando si inventa le cose. Le immagina.

Scosse la testa, con tanta violenza da senitre male al collo. Credeva sinceramente che se lo sarebbe spezzato, e allora forse avrebbe finito di soffrire.
Lei non aveva inventato Sango, comunque.
Ne era sicura.
-Voi non capite.- ribatté, stringendo i pugni -E' chiaro che Sango esiste: esistete voi! Non può non esistere lei!
Rivolse un'occhiata supplichevole a Miroku, con il labbro inferiore che tremava piano: stava per piangere.
- Tu la amavi! Facevi la corte a tutte ma in fondo volevi lei, no?-
Lo vide scuotere le spalle con noncuranza, un sorriso compiacente stampato sul volto perfetto.
E la risposta dell'uomo fu fredda come neve. 
- Non so di cosa tu stia parlando, Kacchan., Davvero, non ho mai conosciuto nessuna Sango. E neanche tu.-
Inchiodata, sentì il sangue che le si ghiacciava nelle vene.
Era davvero qualcosa che andava oltre la sua sopportazione. Cominciava ad urtarle seriamente i nervi.
- Kagome, amore, guardami: non esiste nessuna Sango fra le tue conoscenze, né nessuna cacciatrice di demoni. I demoni non esistono, e nessun pozzo può portare nel sengoku.-
La voce di Inuyasha era morbida, gentile. Se si sforzava poteva sentirla come una carezza sulla pelle, sebbene coperta da quella vomitevole tunica bianca.
Ma quel tono dolce aveva un retrogusto tanto amaro che Kagome odiò quella voce. Il disgusto era tale che la ragazza ignorò anche l'epiteto che il mezzo demone aveva usato.
E senza nemmeno accorgersene si trovò ad odiare tutto l'uomo che le stava davanti e la guardava con stampata una domanda ben precisa nella mente. E quella domanda era: quand'è che è cambiata così?
Le dedicò un sorriso  bellissimo.
- E' impossibile.- aggiunse con pazienza.
Rabbia.
- Non è vero!- urlò lei, senza nemmeno accorgersi del tono di voce spropositamene alto che aveva usato. Le era venuto naturale.
Iniziava ad agitarsi. E parecchio, anche.
Sentiva spasmi salirle alla gola e bloccarle il respiro.
Urlare: sì, voleva urlare contro quei due uomini che non cercavano di capirla. Scommetteva che nemmeno ci avevano provato, a entrare in quel maledettissimo pozzo!
Non la capivano.
Stupidi.
Stupidi.
Lei aveva ragione, sì, ne era convinta.
Erano loro a sbagliare. Non cercavano nemmeno di capirla.
Erano cattivi.

I matti vogliono sempre avere ragione, e fanno i capricci. In fondo, non si dice “ai pazzi bisogna sorridere e annuire”?

Ferma. Rimase ferma.
Le sembrò che il tempo le scorresse davanti, secondo dopo secondo, senza toccarla.
Era lì.
Pazza.
Come dicevano Inu Yasha e Miroku.
Sango non esisteva.
Il sengoku era un parto di una adolescente annoiata.
Tutta la sua vita era una bugia.
E l'aveva costruita lei. Lei si era messa in testa quell'orrido, grottesco teatrino.
Era colpa sua.
Non aveva scusanti: com'era possibile amare ancora una persona come lei?
Falsa innocentina, viziata, egocentrica, che vedendo che l'interesse nei suoi confronti calava aveva inventato tutto, facendo più male a se stessa che agli altri?
Imperdonabile.
E come in un brutto sogno risentì la sua voce constatare, con naturalezza inquietante, quella che sembrava una vita fa

“Così uscirò pazza. E non va bene.”



Autor's note:
Ragaaaaaaaazzi Salve! XD me è tornata con il secondo capitolo, che sarà l'ultimo prima di partire per Stoccarda per una settimana!!! Speriamo di sopravvivere sia al viaggio che alla verifica di matematica di domani O.o Beh ma suvvia questo non c'entra!
Grazie mille per i commenti, mi hanno fatto tutti molto piacere. Sarei felice di sapere anche come vi sembra questo cappy: l'incubo stra-inquietante della nostra Kagomina xD Avrà mangiato pesante? ò.ò
Ma passiamo ai ringraziamenti ù.ù

Chandrajak: Salve Telekei! La ringrazio per il commentone, è stato preciso, esauriente e molto soddisfacente! XD anche se penso di non meritarmi un 4,5, ma un 2! ù.ù Comunque, davvero, accie anche per il betaggio di questo capitolo che, senza la tua idea, non sarebbe mai nato.
Un bacione!

Fast: Grazie mille per il commento! Sono felice che ti piaccia la ff e che tu non abbia trovato Ooc Inu-chan. Spero che apprezzerai anche questo capitolo. ^^

Dance of death: OMG! Quando ho visto il tuo commento sono andata in crisi! Sono lusingatissima che una scrittrice così brava apprezzi la mia modesta ficcyna! *.* Davvero! Mi hai resa felicissima!
spero che commenterai anche questo, così mi dici se ti è piaciuto ^^ *me scodinzola felice*

Chocola92: grazie mille, Chocola! Spero che ti piaccia anche questo capitolo e ti confesso che sapere che ti piace come scrivo mi ha lusingata molto. Un bacio e spero di sentire i tuoi pareri anche su questo ^^

Kirarachan: Ciao! Wow, che commento, mi hai fatta arrossire ^\^
Beh comunque Favole è Favole: un miracolo letterario-artistico u.u E poi i vampiri sono creature talmente belle xD
Anyway, mi fa davvero piacere che ti piaccia la fic, spero che anche questo capitolo ti piaccia :)




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Capitolo 3
*** 3. Ali d'angelo ***



Gelida Luce

Sango-Ali d'angelo


In the hanging garden

Casting halo's on the moon,
Gives my hands the shapes of angels.
In the heat of the night, the animals scream.
In the heat of the night, walking into a dream.

Fall fall fall fall into the walls,
jump jump out of time.
Fall fall fall fall out of the sky,
Cover my face as the animals cry.

Gocce.
Incenso.
Profumo di pioggia e di erba tagliata di fresco.
Rugiada.
Guardarsi attorno faceva male. Era un dolore lancinante che non le lasciava vie di fuga, ma indispensabile.
Correvo e correvo e correvo.
Sembravo solo un'ombra nel buio della notte e sentivo che a momenti mi sarebbero spuntate due grandi ali bianche sulla schiena.
Maestose appendici rilucenti e morbide, come quelle dei libri che avevo curiosamente sfogliato, simbolo dell'appartenenza ad alte gerarchie soprannaturali.
Innalzate ad una vita perfetta.
Ali d'angelo, e anche se era stata Kagome a spiegarmi cosa fossero le sentivo già mie.
Prima non li conoscevo e ora mi pareva di non aver mai vissuto senza.
Sogni un po' folli, forse, da ragazzina.
Dimenticavo -erroneamente- troppo spesso di non avere nemmeno vent'anni, schiacciata dal peso di chi ha vissuto e visto e patito cose che altri non potrebbero mai concepire.
Oh, vita. Crudele, a volte patetica.
Ti ho odiata e rinnegata, eppure eccomi qui ad aggrapparmi all'unico scoglio che m'è offerto.
A elemosinare qualche istante ancora su questa terra che ha solo tranciato quel che avrei potuto essere.
La donna che sarei potuta diventare.
La madre che non vedrà mai nascere i suoi figli.
L'amante che non sentirà il calore di nessun corpo.
Troppo, troppo presto.
Sì, lo so, è patetico. E' melanconico.
Ma, scappando dalla morte nel buio più totale, i pensieri vengono soffocati dall'adrenalina; il cervello lascia le briglie del corpo e libera le gambe che vanno da sé, guidate dal naturale istinto di sopravvivenza.
E il mio cuore batte- cuore d'angelo, selvaggio e incontrollabile.
Batte al ritmo dei tamburi funerari che ancora aumentano il ritmo, fino a capitolare in un urlo inascoltabile.
Così è il cuore umano oppresso dalla paura.
Diventa forte e debole, si eleva a cioè che prima era semplicemente mortale e ora non lo è più. Mistico e libero, senza più la museruola della razionalità; Il cuore anela vita, vuole vita, la desidera e la brama e cerca di afferrarla come se avesse forma e corpo.
Non è una sensazione nuova, ma solo ora non riesco a controllarlo.
In battaglia è diverso.
Quando mi trovo qualcuno davanti e lo guardo negli occhi e vi vedo la morte...so di non potermi permettere errori. Sopravvivenza, semplice e animalesca.
Un po' primitiva.
Ora è...è strano. Non riesco a controllarmi, a fermarmi, a pensare o ad attaccare.
Non sono io. E' l'angelo che spiega le ali per scappare dall'inferno, per svegliarsi e tornare nella sua perfezione eterna.
Semplice e schietta perfezione, senza dettagli.
Uno schizzo all'acquerello di fianco ad un sumi-e di Toyo, che nella sua apparente insignificanza risplende più di ogni altro.
Ma io so...so che questo Paradiso per me è lontano. Non lo raggiungo mai e continuo a correre, ignorando gli impulsi del cervello.

Fermati!”

Così morirai!”

Smettila!”

Inutile.
Non puoi chiedere a un corso d'acqua d'arrestare il suo corso e invertirlo.
Non si può domandare alla neve di non scendere.
Perché quindi dovrei fermarmi io?
E poi i passi si sono fatti più veloci. Non i miei, che bucano il silenzio interferendo sgradevolmente nella natura, ma quelli di colui che mi sta inseguendo, che corre e non accenna a rallentare.
Aumentano.
E io so di non avere scampo.
Ancora più forti, più insistenti e terribili.
Piango, forse, o prego o chiedo alle ali di aprirsi e salvarmi.
Non lo so.
Non lo sento più- tutto troppo sfocato mentre la luce dell'umanità si spegne rapidamente.
E intanto che il rumore si fa sempre più assordante mi rendo conto di non provare più nulla.
Tutto è stato sommerso dalla pura paura, che ha sfondato gli argini della calma e ha allagato ogni cosa.
Non mi fermo ancora, però. Non sono mai stata una codarda.
Lo scalpiccio si fa insistente, vicino e inarrestabile. I fruscii delle foglie spostate e il buio che si fa sempre più denso.
Ed è qui che i passi si arrestano.
Improvvisamente il mondo si capovolge poi si ferma e ancora riprende a girare. La tenebra diventa blu cobalto.
Sento le mie gambe tremanti, deboli ma finalmente ferme.
Guardo negli occhi la mia paura più grande, perdendomici e capendo quanto sarebbe facile per me affogare, non trovare più il modo di risalire in superficie.
Tiro un sospiro, chiudo gli occhi ma non sparisce.
Io annaspo, mentre lui è tranquillo e mi tiene tra le sue braccia familiari
Immortale.
Bellissimo e pacato.
Era lui che mi inseguiva, anche se probabilmente l'ho sempre saputo.
Ancora adesso, prego che quelle mie ali spuntino fuori e mi permettano di volare via, per sempre lontano.
-Sango...-
Guardo Miroku e vi vedo l'infinito, mentre sangue caldo mi cola lungo la schiena.
Solo lì si spezza la magia, la perfezione.
Crac -in pezzi come un cristallo prezioso.
E tutto svanisce, mentre rimangono solo le urla.


- Sango! Sango, svegliati!-
Qualcosa mi svegliò. O meglio...qualcuno che, molto poco delicatamente, mi stava scrollando.
Sentii quello che probabilmente era il lenzuolo scivolarmi giù dalla spalla, con una deliziosa sensazione morbida.
Ma avevoo freddo e ancora paura.
Quasi feci un salto, accorgendomi di Miroku lì a qualche centimetro da me.
Balzai indietro ansimando pesantemente.
Non per pudore.
Non per vergogna.

Ma per terrore.

Eppure, nonostante tutto quello che avevo passato in quel maledetto incubo, mi tranquillizzai sentendolo abbracciarmi e dirmi che andava tutto bene. Che era solo un brutto sogno, e lui era lì e sarebbe sempre rimasto.
Decisi che aveva ragione, forse sbagliando o forse no.
Ma nel momento in cui ricambiai la stretta, dimenticai tutto -paura, disperazione, sfiducia- per abbandonarmi alla più dolce compagnia che potessi sperare.
E rinnegai gli angeli, ricacciando indietro le mie ali.
Per sempre.



***

*I sumi-e sono le pitture giapponesi monocromatiche raffiguranti la natura, usate soprattutto come decorazione per paraventi, ventagli e rotoli, mentre Sesshou Toyo era uno dei maggiori esponenti del periodo Muromachi. (← si vede che sto leggendo il Genji Monogatari? O.o”)


Elle's note:
Gooooooooood evening people! XD
Era tantissimo tempo che non aggiornavo Gelida luce, vero? Cavolo, da prima di partire per Stoccarda! O.o Shame on me!
Scusate, ma tra la scuola, il viaggio (che è andato alla grande poi ^^) e la malsana quanto improvvisa idea di Vanilla coffee non ho davvero trovato il tempo di aggiornare!
Questa shot su Sango poi non mi sembra molto convincente ma...boh, speriamo O.O
Ringrazio Chocola92 e Dance of death per aver commentato: siete dei tesori *___*
Ora corro via e quindi non posso lasciare risposte lunghe ed esaurienti (doppio shame on me X.x), però giuro che il prossimo capitolo -che sarà tutto dedicato al nostro monaco preferito!- risponderò per filo e per segno!!!
Un bacione
Elle *un po' in crisi*


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Capitolo 4
*** 4. Sweet Night my love ***




Gelida Luce
Capitolo finale- Miroku
Sweet Night my love

Miroku non aveva mai lasciato che i suoi timori prendessero il sopravvento- Nemmeno nei sogni.
Miroku voleva solo lasciare il suono del vento fuori dalla sua mente -difficilmente ci riusciva.
Miroku non era tipo da lasciarsi irretire da un'illusione- a meno che non fosse una bella donna.
Quella notte, però, la paura fu troppa.
Anche per lui.

Miroku vedeva un bambino, tra le braccia di una madre meravigliosa: un bimbo appena nato che piangeva e si dibatteva nel kimono troppo grande in cui era avvolto.
Lo guardava e si diceva tutto fiero che era uguale a lui: stessi occhi, che aveva visto solo per un istante prima che il piccolo cominciasse a piangere forte, stesso ciuffo di capelli neri che -stando ai racconti di Mushin- aveva avuto anche lui.
La pelle chiara e delicata e i lineamenti dolci, però, erano della donna che lo teneva in braccio.
Sembrava non stancarsi mai di baciarlo, accarezzarlo, riempirlo di vezzeggiativi e giocattoli.
Sango- non più ragazza ma donna, non più guerriera ma madre- non gli era mai sembrata così fragile.
Forse era un bene, aveva detto Kaede tutta contenta di vederla così serena.
E lui non si era mai sentito così stupido: in una vita che sapeva di dover lasciare troppo presto si era permesso di avere dei rimpianti.
Qualcosa da perdere.
Qualcuno per il quale la sua morte sarebbe stata sinonimo di disperazione, che avrebbe pianto per lui per anni.
Forse per sempre.
Per questo non riusciva a essere pienamente felice; e come poteva, poi, vedendo un puntino nero sul palmo del neonato?
Un minuscolo foro del vento che, presto o tardi, l'avrebbe costretto a vagare in cerca di Naraku per ucciderlo.
Che pena si disse il monaco sapere già che tuo figlio sarà un assassino.
Lo era anche lui, in fin dei conti: demoni, certo, ma erano pur sempre creature.
Imperniare la propria vita sulla vendetta, anche se era sinonimo di sopravvivenza, gli procurava una sensazione sgradevole.
Mentre lo pensava non si accorgeva che gli anni passavano, il suo bambino era diventato un ragazzo ma lui non se ne era reso conto.
In un soffio tutto era cambiato: luoghi, persone e cose. Lui e Sango, però, non sembravano invecchiati.
Altre cose che passavano davanti ai suoi occhi, pur senza essere viste davvero.
E il tempo ticchettava.
L'unica cosa che sentiva il monaco era l'incessante tic tac che lo sperava dalla morte.
Ma sembrava sentirlo solo lui: ogni volta che lo guardava Sango sorrideva, a volte un po' sovrappensiero.
-Miroku.- la sentì dirgli, una sera, mentre uscivano dalla loro casa. Non aveva ricordo di altre notti passate con lei, se non una vaga accozzaglia di sensazioni che avrebbe dovuto provare. -C'è qualcosa che non va?-
Non se la sentì di rispondere, anche perché gli sembrava di non poter parlare: le labbra erano cucite: neanche il dolce e un po' preoccupato bacio della compagna le sciolsero; e il cervello non ne voleva sapere di formulare frasi sensate.
-Miroku, mi vuoi rispondere?- Insistette lei, tirandogli la manica del kimono.
Silenzio.
Avrebbe voluto dire qualcosa, stavolta: un semplice mi spiace, magari.
Perché era vero, gli dispiaceva molto di essere ancora lì a causare problemi e dolori a tutti.
Si riteneva un peso: tanto sarebbe morto lasciando in eredità a suo figlio nient'altro che una maledizione, che senso aveva vivere? E amare, poi.
Era stato tremendamente egoistico, da parte sua, impuntarsi e volerlo a tutti i costi:e anche se aveva l'amore di una donna stupenda e dolcissima non era stato abbastanza.
No, aveva voluto anche un figlio: doveva dirle di no. Dirle che sarebbe stato stupido dare alla luce una creatura destinata a morire prematuramente.
Come lui.
Ma la sua bocca era sigillata e Sango aveva le lacrime agli occhi.
Non riuscì a reagire nemmeno quando gli venne urlata contro tutta la sua inettitudine -come padre, come marito, come uomo. Forse, sì, anche come monaco: donnaiolo, arrogante, disonesto e poco serio-.
Non disse nulla alla donna che, guardandolo carica di rancore, lo rimproverava su tutta la sua vita.
Iniziava a pensare che avesse ragione: era stato un padre assente -anche se non ricordava particolari episodi di un passato che sembrava volato, sapeva che era così-, un marito infedele e un amico incostante per tutti quelli che avevano creduto in lui.
Li aveva delusi.
Sango era già sparita dalla sua vista, come trasportata dal vento per magia, e non c'era nulla per chilometri e chilometri davanti a lui: dietro le sue spalle la casa sembrava più vecchia che mai, mentre davanti gli alberi si erano spogliati delle loro chiome verdi in un istante.
Miroku sentiva che stava perdendo il controllo -del tempo, della sua vita e della sua mente.  Di tutto, semplicemente.
Una voce conosciuta -simile alla sua- lo fece voltare di scatto.
-Papà, ti voglio parlare. Ti devo parlare-
Suo figlio era un ragazzo dai lineamenti delicati della madre e in cui rivedeva i suoi stessi occhi azzurri e i medesimi capelli neri raccolti in un codino. Guardandolo si chiedeva come poteva essere nato qualcosa di tanto bello da qualcuno come lui -disilluso, abbattuto, sconfitto e che viveva in funzione della propria morte.
Annuì, incapace di pronunciare parola.
Forse era la sua punizione, pensò, per aver parlato troppo a sproposito.
Comunque fosse al monaco faceva paura non poter parlare e spiegare. Significava tenersi tutto dentro e stare in silenzio di fronte al mondo che girava e girava e girava; senza la possibilità di fermarlo.
Minimamente.
Il ragazzo gli stava davanti, a qualche metro, con espressione corrucciata.
-Hai lasciato la mamma sola. Lei è morta per colpa tua, sai?- Lo accusò, greve.
Ancora una volta Miroku non poteva né sapeva rispondere. Ma come, Sango era lì un istante prima proprio accanto a lui. Non poteva essere morta.
E poi...lui che abbandonava lei? Non scherziamo.
- E zia Kagome è rimasta uccisa perché non hai voluto aprire il tuo vortice. Per cosa, per paura?- di nuovo, lo accusava e non capiva a cosa si riferisse.   
Era proprio possibile che, per paura o per buonsenso, non avesse voluto salvare Kagome? E da cosa , poi?
Era assurdo.
Tutto quel discorso si stava rivelando privo di senso.
E le parole ancora gli sfuggivano, si nascondevano e non volevano saperne di venir fuori. Avrebbe voluto chiedere una spiegazione, ma con che voce?
Voleva scusarsi, ma con che parole?
E con che scuse?
Troppo, troppo. Era semplicemente tutto troppo veloce perché riuscisse a seguirlo con chiarezza.
Senza un buon motivo, senza una ragione né una logica a quello che era sicuro fosse suo figlio si sovrappose la figura di Kohaku, ancora ragazzino.
Forse perché non sapeva immaginarlo in altri modi.
- Miroku-sama, non avete protetto mia sorella.- e sorrideva con un sorriso nostalgico mentre lo diceva, un po' deluso ma con quell'espressione da "io lo sapevo".
Un istante dopo già erano gli occhi di Inu Yasha che lo guardavano carichi di rancore, traslucidi come quelli di uno spettro e vacui come quelli di una statua.
- Io mi ero fidato di te.-
e con quel suo solito tono rasposo, arrogante, era riuscito a fargli salire un nodo in gola.
Come se un batuffolo di cotone gli si fosse incastrato nella trachea e, raschiando, gli bloccasse la respirazione.
Ma InuYasha era già diventato Shippo che, con i lucciconi, gli rinfacciava un “noi ti volevamo bene”.
Anche lui ne voleva a loro, tanto.
Ne era convinto.
Perché allora non poteva rispondere? Con un singhiozzo al trattenuto, che gli scosse le spalle e produsse un brivido gelido, seguì silenzioso la parata di amici e nemici che gli si presentavano davanti possedendo e infestando il corpo del suo bambino.
I primi lo accusavano di averli traditi ricordando le sue mille promesse infrante, i secondi ridevano di lui e della stupidità di un monaco troppo egocentrico per guardare agli altri con obiettività.
Sì, forse lo era.
Con tutte quelle frasi infamanti se ne convinse persino lui.
E per ultima vide Sango, con i lunghi capelli castani fluttuanti in un vento inesistente e gli occhi spenti, che gli sorrise amaramente.
-Sai, Miroku...- cominciò. La sua voce era triste, delicata come una carezza, ma al monaco ogni parola sembrava uno schiaffo in piena faccia
- Io ti amavo. Davvero, non sto scherzando. Per questo ho sopportato le tue scappatelle, le tue battutine, tutti i tuoi comportamenti inopportuni. Ma ho sempre apprezzato il tuo coraggio...o almeno, quello apparente. Negli anni passati ho notato, sai, che usavi spesso il vortice per salvare tutti noi ed ero felice vedendoti così coraggioso. Mi dicevo: ecco, guardalo com'è fiero e bello mentre cerca di salvarci a costo della sua vita.- pausa, piccola e tragica pausa.
Come a teatro, Miroku si trovò costretto a sospirare con Sango e a prendere fiato insieme a lei, come un'immagine allo specchio.
Poi la ragazza continuò, gli occhi fieramente puntati sull'uomo -Ma poi ho capito: tu lo facevi perché, una volta arrivata la volta in cui saresti davvero morto per me -o forse per noi- eri convinto che saresti stato fermato. Che qualche altro sarebbe morto per te in memoria delle tante volte che avevi rischiato. Così è stato....qualcuno è morto e quello non eri tu. Perché avevi paura e nessuno ti biasimava. E tu lo sapevi, oh, lo sapevi di sicuro Miroku. Poi abbiamo avuto un figlio, di cui tu conoscevi il destino. Ma ancora non hai fiatato e, accondiscendente,  hai fatto tutto in modo che nessuno ti potesse far altro che compatire. Complimenti caro, davvero.”
Era stato un discorso...Miroku non l'avrebbe definito impietoso.
No, era stato crudele. Spietato. Stronzo.
Ma assolutamente vero: un ricalco perfetto di quell'evidenza che aveva sotterrato in notti insonni e giorni tormentati.
Dentro di sé però lo sapeva, e sapeva che Sango sapeva ma non parlava.
E il non poter parlare, se non altro per un ultima scusa o un lamento o un'imprecazione verso sé stesso, lo dilaniava: da dentro, come un coltello che gli bruciava conficcato nello stomaco.
Guardò in basso, incapace di sostenere lo sguardo vitreo e apatico della compagna -se ancora poteva chiamarla così.
Il fruscio ormai familiare del vento che proveniva dalla sua mano si fece più forte.
Prima che se ne accorgesse divenne un tuono, e poi un boato e in un lampo di luce non sentì più niente.
Non vide più niente. Nulla, a parte luce ovunque potesse guardare.
Rimase galleggiante, immobile, nel niente più totale per un istante, con l'ultima parola che Sango non aveva avuto il coraggio di pronunciare:
bugiardo.
E ipocrita.
E stupido.
E avrebbe potuto andare avanti così per altri secoli se, nel bianco della luce, non ne avesse intravista una dorata più calda.
Ospitale.
Il sole di un nuovo giorno -dove le tenebre non sarebbero arrivate.

Miroku era uscito da quel sogno -finalmente.
Ne era rimasto sconvolto, però- quelle non erano né più ne meno che tutte le sue paure.
Non aveva la pretesa di nasconderle al proprio animo- anche se avrebbe voluto.
Ma, come accade a tutti, una volta alzato e riaccolto nel calore del suo mondo, accolto e circondato dall'immutato amore di Sango e dall'affetto dei suoi amici, si dimenticò presto del suo non poter parlare e di tutto quello che poteva aspettarlo dietro l'angolo.
Abbassò la guardia.
Forse fu questo il primo, vero, unico errore del Monaco Miroku.


Note:

Ebbene Ragazzi e con questa si chiude il ciclo!
Mi spiace finirlo così però l'idea base era di basarlo sul gruppo di Inu Yasha e, visto che Shippo non ha paura di niente a parte Inu Yasha (xD), e che mi troverei in difficoltà a fare un sogno su Kirara ho deciso di chiudere qui.
Magari un giorno farò Gelida Luce 2 la vendetta con i cattivoni xDxD Che ne dite, vi andrebbe? *parla a nessuno*
Comunque l'ho fatto anche perchè ho una mezza idea per una nuova long, quindi vorrei concentrarmi su quella e su Vanilla.
Per quanto riguarda il sogno di Miroku mi sembra un pò il tipico clichè da sogno: tutti mi odiano e io mi detesto da solo. Lineare, no?
Però ho pensato che uno come il nostro Miroku -sempre così spavaldo- possa avere un animo fragile e poco stabile...magari con una bassissima autostima, come me *_*
Quindi ditemi cosa ne pensate *___* Visto che è l'ultima potete essere buoni, vero? ^(^_^)^
I ringraziamenti di dovere...
Dance of death: Carissima, io  amo le tue recensioni. Mi piace un sacco sapere quello che provi leggendo questi capitoli e ti sei fatta capire perfettamente, tranquilla. Anzi il capitolo su Sango l'ho scritto proprio mentre ero tristissima, non sto neanche a tediarti sul perchè che è meglio. Comunque non sei assolutamente pazza, anzi, trovo meraviglioso che tu abbia percepito quella tristezza che era mia intenzione mettere "di sfondo".
Chocola92: Grazie Grazie Grazie *___* Eh sono un pò in ritardo, ma tu mi perdoni, vero? xD
Kiriri93: O.O dei boni, cara, spero di non averti rovinato il sonno di bellezza! E ora scodellati quest'ultimo capitolo e dimmi com'è xD ma dormi, mi raccomando, che domani abbiamo latino O___O
Chandrajak: Telekei! *_* Beh, che dire...sei stata illuminante xD Alcuni passaggi erano un pò artificiosi, sì, però come hai notato volevo distanziarla un pò dalle Odi che ho scritto (e che non potrò mai pubblicare -.- maledetto blocco sulle opere della Rice!).
Ora tu mi dirai che questo cappy è assolutamente scontato e poggia su clichè orrendi. Vero, non posso che darti ragione. Però...boh, a me piace ù.ù *ora griderai al miracolo*
E con questo -ringraziando tutte le anime pie che hanno messo Gelida Luce tra le preferite e le seguite- mi ritiro nel mio angolino a fare gli origami.
Alla prossima xD
Elle


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