La luna, la tigre e il Diavolo

di Ariadne Oliver
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 4: *** Quarta parte ***
Capitolo 5: *** Quinta parte ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Riassunto: Wang ha quindici anni ed è nato a Roma, ha sempre vissuto in questa città e con lei ha un rapporto profondo, nonostante la famiglia sia di origine cinese. La madre, scrittrice di fama internazionale, decide di condurlo con sé a Parigi per ritirare un prestigioso premio letterario. Al ricevimento che segue la cerimonia, il ragazzo incontrerà un Diavolo tentatore che lo aiuterà a prendere coscienza di se stesso. Riuscirà Wang a seguire il suo cammino, o l'ascesa della luna verrà fermata dagli artigli di una Tigre possessiva?

Nota: Questa storia non avrebbe mai visto la luce se una persona molto speciale non mi avesse permesso di utilizzare un suo personaggio, Enack Viljani. Purtroppo per lei, non ho saputo rendergli giustizia, e di questo mi dispiaccio. Buona lettura.


Parigi, città-luogo comune.
Questo hai sempre pensato della capitale francese.
Eppure tanti tuoi amici si sono rifugiati qui per vivere il loro lusso, il loro tedio, per cancellare dalla vista la chiusura e l’arretratezza del vostro paese natale.
In fondo –pensi- i luoghi comuni sono rassicuranti, e c’è chi nel proprio vizio cerca conforto e rassicurazione.
L’Europa è un soffice letto in cui sprofondare, soprattutto quando tuo marito è un brillante diplomatico e tu una scrittrice di talento in rapida ascesa.
An Sun, nome d’arte semplice con cui mantenere intatta la stabilità di un matrimonio di facciata, non troppo terribile da sopportare.
Ho è un buon marito, hai il sospetto che abbia accettato di sposarti per salvarti e permetterti di fare l’uccello selvatico che sai di essere fin dalla nascita.
Sei sicura che ti ami molto più di quanto ammetterà mai.
Si accontenta di poco e quel poco è il poter vegliare silenziosamente sulla libertà che il suo animo non riuscirà mai a vivere appieno.
Certe persone non sono fatte per essere fino in fondo se stesse, e Ho è una di queste.
Ma, in fondo, un’ampia voliera è sempre meglio di una piccola gabbia.
Meglio lui e l’Europa che un marito bifolco e la Cina.
La Fortuna ti aveva assistito benedicendo la tua scelta e regalandoti, dopo appena un anno di nozze, un figlio maschio che avevi chiamato Wang.
Un bambino della luna, silenzioso e attento.
Molti vedevano in lui un ritratto perfetto di Ho, pronosticandogli una carriera ugualmente brillante ed un matrimonio altrettanto fortunato.
Hai sempre sorriso sarcastica di fronte a certe scempiaggini, cercando lo sguardo complice di tuo marito ogni volta che qualcuno osava pronunciarle.
Perché lui sapeva almeno quanto te che Wang era uno spirito libero, nel profondo.
L’hai notato spesso fissare cupo il viso di vostro figlio, così distante da tutto quando si immergeva nelle sue riflessioni, così capace di creare percorsi mentali propri di fronte ad un’opera d’arte o ad un’esecuzione musicale accurata.
Wang parlava pochissimo, alcune malelingue avevano persino sentenziato fosse un po’ tardo, ma tu e tuo marito, al contrario, avete notato subito quanto fosse un osservatore attento ed acuto, capace di dire la frase giusta al momento giusto senza sprechi di parole inutili, restituendo all’udito la purezza di un pensiero appena concepito, non sporcato dal percorso che porta all’emissione dei suoni corrispondenti.
Wang, adesso, è un quindicenne mite e studioso, diligente, leale ed inconsapevole di se stesso.
È questo quello che temi di lui, il grosso limite di chi possiede un dono e quindi lo usa senza rendersi conto di possederlo.
Perché dietro la calma, il controllo di sé, la pacatezza di parola ed azione si celano fascino e carisma.
Wang sapeva attrarre in maniera del tutto inconscia e naturale, imponendosi all’attenzione, più che alla vista di per sé, proprio per la perfezione con cui sapeva calarsi in ogni contesto.
Il bambino in apparenza quasi tardo un giorno sarebbe divenuto un uomo potente nel senso più letterale del termine.
Doveva soltanto prendere coscienza di esserlo, e a quel punto avrebbe potuto fare qualsiasi cosa desiderasse.
E An, con l’intuito che solo una madre protettiva possiede, sapeva che quel qualcosa era scrivere.
Wang aveva il suo stesso talento, lo sentiva.
È vero, mai aveva manifestato apertamente una qualche preferenza per la scrittura, a dire il vero passava più tempo al pianoforte e chiuso nei musei che sui libri e con una penna in mano, ma la sua preferenza per la parola scritta era perfettamente tangibile, una sorta di invisibile ago puntato verso nord di cui l’influsso magnetico riusciva a contaminare gli altri aspetti della sua educazione.
An imputava la colpa di quell’approccio mancato eppure latente alla città che suo figlio aveva scelto come propria, Roma.
La trovava una distrazione fastidiosa, un giocattolo inutile e, a suo modo, volgare, un orso di pezza vecchio e sporco di cui suo figlio avrebbe dovuto imparare a liberarsi.
Ma Wang, col suo fare tipico, l’aveva fatta irrimediabilmente sua, senza rumorosi proclami, sorridendole attraverso i finestrini dell’auto che lo accompagnava alla scuola francese tutte le mattine.
Cercava, quasi inconsciamente, continui pretesti per immergersi nella sua realtà, non ribellandosi apertamente ai filtri impostigli dalla sua condizione di figlio di diplomatico e, quindi, straniero in terra straniera.
Semplicemente, una mattina le aveva rivolto una domanda:

-Mamma, è qui che sono nato, vero?-

Avresti desiderato ribattere che, comunque, era cinese il sangue che gli scorreva nelle vene ma il sorriso che ti rivolse ti costrinse a rispondere un semplice “sì”.
Ormai aveva deciso, è lì che sarebbe rimasto tutta la vita.
Aveva appena cinque anni.
Due anni dopo Ho declinò l’offerta di lasciare l’Italia per ottenere un incarico prestigioso in patria.
Quasi tutti pensarono che il motivo fosse il non volere che il governo di Pechino incarcerasse sua moglie per alcuni libri giudicati “scandalosi”, ma nessuno aveva visto la faccia che aveva fatto quando vide suo figlio sorridere per la risposta di sua madre, due anni prima.
Con la morte nel cuore aveva dovuto accettare che, dopo sua moglie, neanche quella creatura che pure tanto amava gli sarebbe mai appartenuta.
Un figlio della luna libero come il cielo nero nel quale galleggiava.

***

-Mamma, non credo serva tormentarlo ancora, il problema non è certo il papillon.-

An rise sommessamente, e mentre con una mano raddrizzava quell’agglomerato di stoffa ribelle, con l’altra carezzò pigramente la nuca del suo amato figlio.

-E così qualcosa è finalmente riuscito a turbare la tua calma perenne, eh? Sono orgogliosa che sia la vittoria di questo premio piuttosto che qualcos’altro.-
-Mamma, permettimi di farti notare che non hai ancora la certezza di aver vinto questo premio.-

Perfino nei rimproveri non sapeva essere cinico.
Tuttavia, le parole di Wang erano state ferme.
L’Uomo Potente stava cominciando a rompere il guscio dell’adolescente mite, An lo sentiva scalpitare sempre più spesso, temendolo, in parte.

-Un bravo scrittore è sempre certo di quello che ha scritto, e io ho scritto quello che questa gente voleva sentirsi dire da qualcuno che non fosse lei.-
-Ti invidio questa tua sicurezza, te l’ho mai detto? Io a volte temo che non riuscirò ad andare oltre il mio naso.-

A quelle parole An aggrottò la fronte, stringendo con le unghie laccate la giacca dello smoking del figlio.
Mai e poi mai l’incertezza avrebbe dovuto frenare il suo sviluppo, non c’era motivo per cui da monito dovesse trasformarsi in ostacolo.

-Ascoltami bene, Wang. Tu non devi pensare di dover vivere la tua vita all’ombra di quel che siamo io e tuo padre, ma alla luce di quello che senti di dover diventare. Il talento è semplicemente questo.-
-Ma se facessi così, papà … -
-Tuo padre non può avere il diritto di influenzare scelte che coinvolgeranno la tua vita quando lui sarà ormai cenere.-

An sembrò allontanare quel pensiero nefasto con un elegante gesto della mano minuta, mano che tornò a posare sulla nuca di suo figlio.

-Tuo padre, e nemmeno io.-

Disse sorridendo dolcemente, come raramente la si vedeva fare.

-Se ti ho voluto con me a Parigi strappandoti, per una volta, alla tua amata Roma per farti assistere a questa cerimonia è perché voglio che tu veda come si vive un certo tipo di dono.-

-Ma io non so scrivere!-

Wang aveva sgranato gli occhi, stupito, lasciandosi andare ad un’esclamazione improvvisa, comportamento ancora più raro a vedersi.
Il sorriso di An, a quel punto, si fece più largo, rivelando una soddisfazione che stemperava la tenerezza.

-Non è vero che non sai scrivere. Semplicemente, ancora non ne senti l’esigenza.-

Wang parve impressionato e turbato insieme da quelle parole.
Nella sua testa si era convinto che quello che gli dicevano i nonni, ovvero che sarebbe divenuto un diplomatico come suo padre fosse una verità ovvia, l’unica via che sarebbe stato in grado di percorrere.
Sua madre, come sempre, gli aveva fatto vedere le cose da un’altra prospettiva.
Poteva essere altro, ancora non sapeva cosa, esattamente, ma nel profondo era bastata questa prospettiva per rassicurarlo.

-Comincio a scendere a controllare che l’auto sia arrivata. Raggiungimi nella hall, quando sarai pronta.-

An scosse la testa, ridendo.
Rispose un “va bene” distratto, soddisfatta di aver colto una certa luce nello sguardo di suo figlio.
Ora era assolutamente certa che fosse esattamente come lei.

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Nota: Per dovere nei confronti del regolamento, mi vedo costretta ad anticipare a coloro che leggeranno il capitolo fino in fondo che le cose si evolveranno in maniera diversa da quanto si potrebbe pensare. Buona lettura.

Noiosi, i ricevimenti.
Tutti uguali, a cambiare era solo la quinta e gli abiti delle comparse.
Il tuo, stavolta, era un occidentale abito da sera di seta bianca.
L’ampia gonna, quasi fosse un vestito da sposa, ad un certo punto veniva ripresa e fissata da un piccolo mazzo di fiori blu, gli stessi che ornavano la crocchia con cui avevi raccolto i capelli.
Cosa avrebbe detto tuo marito se ti avesse vista così?
Non ti interessava, come non ti interessava il tipo di richieste mute che riuscivi a leggere negli occhi degli uomini che ti stavano rivolgendo la parola.
Eri abituata a considerare certi abiti nulla di più di un biglietto di ingresso per quella gabbia di noia, gli sguardi ammirati che si posavano sulla tua figura esotica erano solo la vidimazione, ciò che ti rendeva legittimamente partecipe di quel mondo artefatto.
Come da te pronosticato, avevi vinto il premio.
Uno dei giurati, un facoltoso magnate dell’industria di non–ricordi–quale-settore aveva indetto un ricevimento per festeggiare degnamente il vincitore, nella speranza che fossi proprio tu la fortunata.
Ogni volta che si ripeteva una circostanza simile dicevi a te stessa che quello era il prezzo che devono pagare gli uccelli da voliera.
Esibirsi davanti agli estranei per compiacere gli ospiti del loro padrone.
Non che Ho apprezzasse quel genere di esibizionismo, ma era la tua professione ad esigerlo.
Questa volta avevi deciso di mostrare a Wang anche questo aspetto crudele della via che covava dentro, certa che ne avrebbe fatto prezioso tesoro.
Aveva quindici anni ed era la prima volta che lo trascinavi ad un ricevimento composto interamente da stravaganti occidentali.
Eri certa che i tuoi genitori, come quelli di tuo marito, ti avrebbero disapprovata, così come avevano contestato tutte le tue scelte che riguardavano Wang, da quella di farlo nascere e crescere in Europa a quella di farlo studiare in scuole occidentali.

-Wang è cinese, come credi che possa amare il suo paese se lo allontani da tutto ciò che gli appartiene?-
-Wang ha il diritto di avere il meglio che questo mondo può offrirgli. Se ne avrà voglia, una volta adulto, tornerà da solo a cercare ciò che gli manca.-


Mentre i tuoi genitori ti ascoltavano torvi, tu sapevi che tuo figlio non avrebbe mai lasciato l’Italia.

***

Rovistare tra le carcasse in cerca di qualcosa di appetibile è proprio delle iene, animali rivoltanti ai quali ti ripugna essere associato.
Tuttavia non conosci altro modo di sopravvivere a queste inutili farse.
Gli anni passati al fianco di Genrikh Zainàb ti hanno inaridito al punto da non provare interesse verso nulla che non sia il guadagno.
Soldi, affari, potere: triade che atterrisce chi non ha mai avuto il privilegio di sentirli scorrere tra le dita.
Da quanto tempo non lasciavi Praga?
Non troppo, a dire il vero, fare il trafficante d’armi è stata una scelta che ti ha permesso di continuare a coltivare la tua insana sete di viaggi.
La scusa reale che ti ha portato nella capitale francese è stata l’acquisizione di una partita di fucili mitragliatori provenienti dalla Ex Unione Sovietica.
Per sfuggire alle maglie delle serrate indagini dell’Interpol hai dovuto far prendere al carico vie tortuose che ne hanno rallentato la consegna.
La cosa ti secca oltremodo, ma lo sarebbe ancora di più il ritrovarti nuovamente faccia a faccia con l’agente speciale Thomàs Dubĉek, che pare ti aliti sul collo ventiquattr’ore su ventiquattro, salvo poi spifferare tutto ai fidati superiori stipendiati sottobanco da Genrikh.
Uno stupido, e tu odi gli stupidi.
Da tutto questo concatenarsi di contrattempi era nato qualcosa di buono, tuttavia.

Enack Viljani era un uomo di cultura ma, più ancora, sapeva fiutare chi sapeva essere spietato e impietoso quanto lui.
Aveva sentito parlare molto, negli ultimi tempi, della nota scrittrice cinese An Sun e aveva ben presto imparato ad amare il suo stile asciutto e tagliente.
Era curioso di conoscerla, di capire se anche la persona che stava dietro a quelle parole di diamante fosse altrettanto dura, altrettanto inarrivabile.
Voleva capire se su questa terra esistesse qualcuno di simile a lui, e non certo perché nutrisse ambizioni di seduzione nei confronti della donna.
No, se fosse stata anche una sorta di visione celestiale l’avrebbe lasciata lì dov’era, frugando nei suoi modi a caccia di altro.
Da quando aveva perso sua madre, infatti, molti anni prima, qualcosa dentro di lui si era spezzato.
Non che il suo carattere sofisticato e selettivo fosse cambiato più di tanto, ma quel filo sottile che lo legava in qualche modo alla terra rendendolo umano era stato reciso.
Solo nelle parole di An, oltre che nella musica, gli pareva di scorgerlo, a tratti, ben nascosto tra i caratteri che componevano le righe dei suoi romanzi.
Non riusciva a capire il perché, ma quella donna pareva riunire in un’unica persona quello che aveva perduto e quello che avrebbe finito per perderlo definitivamente, e tanto era bastato a spingerlo in mezzo ad altri suoi simili, per una sera.

***

-Cosa dovrei fare, esattamente?-

Wang era a disagio. Troppa gente a fissarlo, troppa gente che aveva facce estranee ed ostili. Quel tipo di ricevimenti non gli piaceva, non c’era nemmeno il conforto di un’etichetta da seguire a proteggerlo e ad aiutarlo a passare inosservato.
Al contrario, quello smoking lo faceva sentire ridicolo, così assurdamente formale come a quasi nessuno, in quella stanza, importava apparire.
Risate sguaiate, colori sgargianti, bevande alcoliche bevute senza gustarne l’essenza, trangugiate neanche fossero più insapori dell’acqua.

-In che senso “dovrei”? Dovere non mi devi niente, Wang. Voglio che tu osservi attentamente e poi valuti cosa fare di questa esperienza.-
-Non capisco, mamma. Mi hai portato in mezzo a degli estranei per dimostrarmi che non sono all’altezza di sostenere conversazioni intelligenti?-
-Ti ho portato in mezzo a degli estranei per riuscire a farti dimostrare a te stesso che è l’esatto opposto. Com’è che quando te ne vai a spasso per Roma non senti il bisogno di chiedermi cosa sarebbe opportuno fare e cosa no?-

An lanciò quella frecciata al figlio con un tono sottilmente velenoso.
Desiderava ardentemente pungolare il suo orgoglio.

-Perché quelli sono momenti miei, non temo di rovinarti.-

La risposta era scaturita in maniera naturale, accompagnata da un lieve movimento laterale del capo.

-Non temere di offuscarmi, allora, stasera, non mi importa nulla. Voglio che sia tu a splendere di luce propria, io resterò in silenzio a guardarti.-

La fronte di Wang si aggrottò lievemente, ma le labbra continuarono a mantenere inalterate il sorriso.

-Non sarebbe da me fare una cosa del genere né sarebbe da te accettare in silenzio un simile comportamento.-
-Se lasciassi agire la scrittrice, avresti perfettamente ragione. Ma stasera parla la madre, e dovere di una madre è compiacersi di un figlio che cresce.-

A ribadire quel concetto ci pensò la sua mano che, con dolcezza, catturò il braccio del figlio attirandolo lievemente a sé.

***

-Enack, lascia che ti presenti la vera stella di questa serata. Mi hai sopportato anche troppo, ti sei meritato questo privilegio.-

Il tono del suo interlocutore era chiaramente canzonatorio, dettato dalla totale assenza di risposte convinte e costruttive da parte del giovane petroliere turco.
Vincent Maureil era un ricco industriale dell’acciaio, nonché uno dei tanti ospiti che spesso avevano salito gli scalini della monumentale villa della famiglia Viljani in quel di Istanbul, negli anni d’oro in cui i suoi genitori, ancora in vita, attiravano nella celebre città turca le personalità più varie.
Nello specifico Vincent Maureil assieme a sua madre, della quale Enack aveva sempre sospettato fosse segretamente innamorato, aveva dato vita a diverse associazioni filantropiche per favorire lo sviluppo delle arti, associazioni che avevano istituito, nel corso degli anni, prestigiosi premi internazionali in svariate discipline.
Ad Enack, di solito, interessava soltanto l’aspetto musicale, avendo seguito compiaciuto diverse esibizioni di giovani promesse da loro scoperte, per questo Maureil si era stupito quando aveva accettato l’invito a partecipare al ricevimento in onore del vincitore del premio letterario internazionale “Étoile de Paris.”.

-So che la favorita è la scrittrice cinese An Sun e sarei curioso di conoscerla.-
-Tu non sei mai curioso di conoscere nessuno, soprattutto da quando ti sei trasferito a Praga, Enack.-
-Perché nessuno ha saputo rendersi interessante ai miei occhi, evidentemente.-


Nessuno a parte gli amanti occasionali, figure evanescenti a cui non era permesso altro che godere di qualche assaggio del suo egoismo somministrato in forma di fascino.

-Ti costerà caro, hai un grosso debito da saldare con l’associazione, vedrai che te la faranno pagare.-

Maureil non riuscì a mascherare la propria delusione. Per anni aveva romanticamente sperato che in Enack lo spirito di sua madre Hessa potesse trovare terreno fertile per continuare a vivere, ma era evidente che in quel rampollo viziato non c’era nulla a parte l’interesse per il denaro e per se stesso.
Per la prima volta in tanti anni che lo conosceva dovette ammettere che le voci che aveva sentito sul suo conto erano ben più di malignità dettate dall’invidia.
Genrikh Zainàb era un cancro che aveva svuotato persino il giovane Viljani, riempiendolo di rabbia, cinismo e solitudine.

-Correrò il rischio.-

Il pensiero di Enack corse automaticamente alla sua Glock, come il suo ghigno sprezzante lasciò ampiamente intendere.

Ad ogni modo, Maureil aveva avuto ragione, la serata era stata soffocante, tutti lo reclamavano come fosse un oggetto di proprietà, difficile contenere il malcontento e l’impazienza.
Si era dato mentalmente dello stupido, dicendosi che era semplicemente ridicolo quello che stava facendo, che Genrikh lo avrebbe deriso se avesse saputo cosa gli era passato per la testa, anche se spesso lo esortava a partecipare ad eventi anche più noiosi di quello, pur di contribuire a mantenere una copertura efficace al loro giro d’affari.
Tuttavia Maureil aveva avuto pietà di lui, o forse si era semplicemente stancato della sua continua indifferenza.

Ora che finalmente era riuscito a posare lo sguardo sull’oggetto di tanta morbosa curiosità, tuttavia, Enack dovette ammettere che tutto quel ciarlare a vuoto aveva riacquistato un senso.
Quella figura vestita di bianco, quasi fuori posto e fuori tempo con la sua puntigliosa formalità, emanava un carisma particolare.
Gli sguardi si incrociarono immediatamente senza che nessuno cedesse sotto la pressione dell’altro, come solo tra persone che riescono a leggersi chiaramente dentro riesce ad accadere.

Enack, a cui a Praga era stato affibbiato il soprannome di “Doûpe”, ovvero Diavolo, non si sa se dai rivali in affari, dagli invidiosi oppure dal discutibile senso dell’umorismo di Genrikh, ebbe la piacevole sensazione di trovarsi di fronte ad uno specchio.
C’era qualcosa di spietato nella luce tagliente dello sguardo di An Sun, qualcosa che aveva visto spesso inciso sui volti degli uomini a cui vendeva armi.
Non era normale ritrovare quel seme di spietatezza in una persona che vive avvolta in un mondo fatto di arte; questo aumentava la sua curiosità, certo, ma lo aveva portato istintivamente ad alzare la guardia.
Dopo aver eseguito con impeccabile formalità il cerimoniale delle presentazioni spostò appena lo sguardo al lato della sua interlocutrice.
Fu così che incrociò la sagoma scura di un esile corpo fasciato da uno smoking, quella di un adolescente che sembrava quasi una versione moderna di uno dei guerrieri di terracotta di Xi’An.
Stava facendo vagare lo sguardo per la stanza, completamente estraneo a quanto stava accadendo attorno a lui.
Per un attimo Enack provò a seguire a sua volta quello stesso, immaginario percorso, cercando di indovinare i pensieri, chiedendosi come fosse possibile rompere quella bolla di isolamento senza disturbare ciò che la racchiudeva.
Non era abituato ad essere ignorato, di solito avrebbe reclamato attenzione con qualche battuta sarcastica, ma in quel caso decise che era meglio lasciar correre.
La ferocia dello sguardo di An Sun aveva cominciato ad acquisire un senso, soprattutto se la donna era al corrente di certe voci circolanti sul suo conto.
Non c’era voluto molto, infatti, a capire che quel ragazzo che aveva catturato la sua attenzione era il figlio della donna che tanto aveva insistito per conoscere.
Tornò ad osservarlo nuovamente: avrebbe scommesso l’intero suo patrimonio che quelle labbra erano intonse, così morbide e carnose, perfette nella forma e nella piega.

Cominciò a fantasticare se fosse possibile sedurlo, arrivare addirittura ad essere il suo primo amante.

Quel corpo sembrava fatto apposta per essere avvolto da lenzuola di seta, per essere coperto da baci lascivi.
Quel corpo era un inno alla giovinezza e alla lussuria più sfrenata, ed era certo che soltanto lui avrebbe potuto farlo vibrare e tendere nella maniera più adatta, proprio come se fosse un pianoforte pregiato.
Enack non aveva mai neanche lontanamente considerato l’ipotesi di poter provare attrazione per un adolescente, amava avere nel suo letto amanti esperti che sapessero farlo godere e divertire senza pretendere inutili smancerie, ma quel ragazzino non aveva nulla del tipico adolescente insopportabile e sguaiato, stuzzicando proprio per questo la sua fantasia.
Era una figura senza tempo, con quel volto liscio dai lineamenti scivolosi, fatti quasi d’acqua e pietre levigate, una sorta di Modigliani in carne e ossa col fascino di un’icona bizantina.
Un delicato riflesso di luna custodito da una tigre scaltra, ecco la sfida che cercava per movimentare quella serata noiosa.

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


-Se volete scusarmi, vado a prendere qualcos’altro. Bere champagne, alla lunga, stanca.-

La flûte intonsa venne poggiata con noncuranza su un vassoio tenuto in mano da un cameriere attento.
Enack accompagnò il suo congedo con un sorriso che era più di intima esultanza che di circostanza.
Non c’era tempo da perdere, il ragazzo stava per lasciare la sala e lui aveva voglia di raggiungerlo e trattenerlo ancora un po’ lì per il suo personale diletto.
Un’occasione rara, premio che andava al di là di ogni più rosea previsione.
Premio da aggiungere al premio, sia chiaro.

Durante quello stralcio di conversazione An Sun si era rivelata essere esattamente corrispondente all’immagine mentale che si era creato di lei, per mesi, leggendo le sue parole.
Ben presto i due avevano iniziato a bersagliare gli altri presenti nella sala di battute sottili accompagnate da fine retorica, impedendo, in breve, a chiunque di intromettersi nella conversazione.
Il ragazzino aveva seguito attentamente l’evolversi della situazione fissandolo per tutto il tempo con aria curiosa e la fronte appena corrugata.
Era certo di non piacergli, cosa che rendeva la situazione ancora più stuzzicante.
La madre pareva ignorare la presenza del figlio, eppure Enack sentiva che non era affatto così.
Non glielo aveva presentato di proposito, proteggendolo dai suoi sguardi avidi con un muro di parole irresistibili.
Molto probabilmente sapeva sul suo conto molto più di quello che lui stesso amava far credere al bel mondo, e forse era proprio per questo che aveva tentato di tenerlo il più alla larga possibile da un rampollo per il quale, c’era da scommetterlo, era stato progettato un roseo futuro che non includeva certo relazioni omoerotiche con pericolosi criminali d’alto rango.
Tuttavia, una volta lasciati soli dal resto della compagnia annoiata il ragazzo, contrariato, aveva chiesto alla madre di potersi congedare.
An Sun aveva acconsentito con un cenno del capo e un sorriso delicatissimo.
Enack non poté fare a meno di dirsi che non c’era visione più ricca di sfumature e densa di desideri dello sguardo di una madre che getta sul figlio sottili reti di speranza.
Wang , sollevato, si allontanò da quell’uomo che era riuscito a metterlo a disagio come pochi.
Provò a lanciargli uno sguardo incerto e un “buonasera” imbarazzato, ma senza osare stringergli la mano.
Enack rispose cortesemente, ma senza pretendere alcun contatto.
Si era detto subito che non doveva avere alcuna fretta, che se anche ci avesse messo dieci anni per ottenere soltanto un suo sorriso cordiale ne sarebbe valsa, comunque, la pena.
Wang li valeva tutti, su questo non c’era il benché minimo dubbio.

Enack era certo che An avesse voluto rimanere da sola con lui per minacciarlo e troncare sul nascere ogni interesse morboso nei confronti di suo figlio.
Era una donna determinata almeno quanto lui era un criminale spietato.
Fu rapidissimo a sfuggire dalle sue grinfie con la scusa del voler prendere altro da bere.
Un predatore è un predatore, gli occhi di una madre non sono sufficienti ad allontanarlo dalla preda.

***

-L’atroce tortura è il papillon, le scarpe o la conversazione con degli estranei poco raccomandabili?-
-Tutte e tre le cose, suppongo.-

Il ragazzo aveva un’espressione sorpresa, nonostante la risposta pronta.

-Non sei un bravo attore, si capisce che non sai recitare molto bene la parte del duro. È certo che da grande non diventerai un criminale.-

Questa volta il ragazzo non rispose, nonostante le parole che avrebbero dovuto avere lo scopo di lusingarlo.

-Enack Viljani. Se devo discutere con qualcuno, desidero presentarmi formalmente.-

La mano che strinse era curata e fredda, due caratteristiche che nulla avevano a che fare con l’adolescenza.

-Wang Chen, avrei dovuto presentarmi prima io, invece. Mi perdoni la maleducazione.-

Le dita sottili, quasi di porcellana, indugiarono un poco tra le sue, come a cercare calore.
O era stata soltanto una sua impressione?

-Lo ha fatto, a suo modo, mi creda, non c’è bisogno di scusarsi. Mi è dispiaciuto soltanto che non si sia voluto unire a noi nella conversazione.-
-Non avevo nulla da dire che non fosse stato già detto da lei e da mia madre.-

Le labbra erano deliziosamente piegate in una smorfia di imbarazzo e titubanza. Il ghiaccio era ben lungi dall’essere sciolto.

-Così, tu sei il figlio di An?-
-Sì.-
-Accompagni sempre tua madre in questo tipo di eventi? Ho avuto l’impressione che lei tenga davvero molto a te, nonostante questa sera abbia cercato di farmi credere il contrario.-

Wang abbassò gli occhi con aria imbarazzata, ma durò solo un attimo. Quando rialzò lo sguardo lo puntò nel suo con decisione.

-A dire il vero è stata la prima volta, e temo resterà l’ultima, almeno per qualche tempo.-

Le labbra, questa volta, si erano piegate in un sorriso timido, ma gli occhi parlavano chiaro.
La vita mondana non aveva la minima attrattiva per quel ragazzo.

-Quindi non avremo più la fortuna di incontrarci?-
-Cosa ci può essere di tanto interessante nel rivolgere la parola ad un adolescente?-
-Il fatto che non sembri affatto un adolescente.-

Enack provò a conferire quanta più cordialità possibile al suo sorriso.
La forte attrazione di prima si era mitigata. Non che Wang avesse perso di interesse, ma era davvero l’immagine dell’innocenza. Non c’era affettazione nei suoi modi, al contrario: pareva, con ogni gesto, riscrivere le regole dell’educazione conferendo loro nuova grazia.
Da quanto tempo Enack non si trovava di fronte a tanto candore?
Da quanto non provava più la certezza di potersi fidare della persona di fronte?
Molti amanti lo avevano conquistato per essere diversi dall’ambiente che li circondava, ma non erano stati che semplici svaghi, complici di una nottata di sesso, compagni di giochi a cui evitare di avvicinarsi davvero.
Questo ragazzo, al contrario, sembrava una scatola contenente un tesoro da scoprire, così educato ed introverso.

-Se non sono indiscreto … quanti anni hai, con esattezza, Wang?-
-Quindici, Sig. Viljani.-

Praticamente ancora un bambino, anche se di molti suoi coetanei non si può dire certamente lo stesso.

-Hai ancora tanto tempo davanti, quindi.-
-Tempo? Per fare cosa?-
-Per prendere coscienza di te stesso.-

Enack vide il volto di Wang farsi stupito e, subito dopo, chiudersi in un’espressione pensosa. Che avesse prese quelle parole per un’offesa? Sperò vivamente di no.

-Sono stato troppo insolente? Ti chiedo perdono.-
-No, non è questo.-

Wang scosse la testa con movimenti nervosi.

-Vede, è la seconda persona a farmi un discorso simile da stamattina.-
- La prima chi è stata, se posso?-
-Mia madre.-

Enack squadrò rapidamente il salone in cerca dello sguardo di An Sun.
Non era molto distante da loro e aveva un’aria più preoccupata che torva.

-Che ne dici se ti riaccompagno io in albergo, Wang?-
-Ecco, io… la macchina è già stata preparata.-

Il tono di voce era sinceramente dubbioso.

-Basterà dire all’autista che hai cambiato idea.-

L’idea di poter essere Pigmalione per una notte gli fece correre più di un brivido lungo la schiena.

***

Dall’altro capo della sala An Sun aveva osservato la scena con uno sguardo indecifrabile.
Aveva sentito parlare di Enack Viljani: nulla di particolare, frequentavano ambienti completamente diversi, ma più di qualche voce era circolata, e raccontava di una persona tutt’altro che raccomandabile.
La cosa non l’aveva minimamente colpita, ogni uomo che appartenga al bel mondo è vittima di insinuazioni più o meno malevole sul proprio conto, definire un mediorientale un trafficante d’armi le sapeva più di luogo comune che di verità.
Tuttavia, nel momento esatto in cui si era ritrovata a stringere quella mano aveva cominciato a sentirsi stranamente inquieta.
Viljani era un bellissimo giovane uomo, elegante, raffinato, colto, eppure pregno dell’essenza della sua terra molto più di quanto lui stesso, ne era certa, sarebbe stato disposto ad ammettere.
An Sun la Turchia non l’aveva mai vista, aveva passato la vita a fuggire da tutto ciò che era Asia, dal caldo ai colori, dal disordine alle contraddizioni, eppure quella sera sentiva di aver toccato quella terra, di averla respirata.
Le si era palesata oltre la colonia costosa e il profumo raffinato, oltre il perlage dello champagne e un francese privo di inflessioni, le si era resa fisica, le aveva consentito di assaporarla.
È difficile cogliere una sfumatura simile se non si è tra coloro che la portano incisa sulla propria pelle come un marchio.
Aveva trascorso l’intera serata a chiedersi che storia nascondesse dietro di sé quell’uomo, cosa lo spingesse realmente a tenere nascosta la sua natura passionale, ad imporsi cinismo e distacco.
Sicuramente Enack Viljani era una persona snob, ma lo snobismo nasconde noia e vuoto intellettuale, mentre in lui era presente un’intelligenza vivace e acuta.
Enack era un felino, lo si dice spesso di chi fa parte del mondo degli affari, ma in quel caso nel luogo comune c’era un fondo di verità.
E se fosse stato così anche per le voci riguardanti i suoi traffici?
Doveva capire quell’uomo, coglierne l’essenza.
Enack Viljani era una persona complessa, interessante, poteva raccontarle molto sulla natura umana e le sue infinite contraddizioni.
Tuttavia, gli sguardi che aveva rivolto a suo figlio l’avevano perplessa e preoccupata.
Cosa voleva da Wang? Era solo un adolescente.
Quella sera l’aveva portato con sé affinché si arricchisse, non per fare in modo che fosse prosciugato dall’aridità di un misterioso petroliere turco.
Perché sei sicura che un uomo così disilluso spegnerebbe un po’ dell’ingenuità che vena il carattere di tuo figlio.
Mentre osservi i due lasciare la sala assieme ti dici che, forse, avresti fatto meglio a dividerli.
L’istinto di una madre –altro luogo comune con un fondo di verità- raramente sbaglia.

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Capitolo 4
*** Quarta parte ***


Il viaggio, per Enack, fu un silenzioso atto di adorazione.
Wang era stranamente nervoso, come se avesse intuito le intenzioni dell’altro senza comprenderne il reale significato.
O almeno così sembrava a prima vista.

-Siamo quasi arrivati, non ti preoccupare.-

Wang stava guardando fuori dal finestrino con aria assente.

-Non hai fatto nulla di male, è normale lasciare i ricevimenti se ci si annoia.-
-Non mi pento di aver lasciato il ricevimento, infatti, solo che… ecco: mi ritrovo in macchina con un perfetto estraneo, Sig. Viljani, e ancora devo capire perché.-

La frase venne accompagnata da un delicato sorriso di imbarazzo.
Enack, a sua volta, ridacchiò con aria complice.

-Tra qualche anno imparerai che sarà normale routine far salire in macchina delle estranee, e ti assicuro che allora non sentirai affatto l’esigenza di dare a te stesso delle motivazioni valide.-

Wang scosse il capo con aria divertita.

-Sono perfettamente d’accordo con lei, Sig. Viljani, ma c’è un piccolo particolare che lei si ostina a non voler notare: non sono io ad aver fatto salire nella mia macchina un estraneo, ma è l’estraneo che mi ha condotto nella sua senza che io battessi ciglio.-

Ad Enack non sfuggì la distinzione di genere.
In un primo momento tentò di attribuirle un doppio senso; ripensandoci, optò per una leggerezza del suo interlocutore.
Una leggerezza che lo stava spingendo sempre più lentamente nella sua rete.

-Non c’è nulla di cui preoccuparsi, Sig. Chen: in un certo senso, sono uno degli organizzatori della serata di gala a cui è stato costretto a partecipare, mi dispiace la abbia trovata noiosa. Ho sentito come un preciso dovere quello di sdebitarmi offrendole qualcosa da bere in un locale che, sono sicuro, risulterà molto più di suo gusto.-

Enack stava usando il lei in maniera giocosa, ma in quel modo di apostrofare Wang c’era anche una forma di rispetto per le sue insicurezze.

-Ma in sala aveva detto che mi avrebbe riaccompagnato in albergo!-

Più che disappunto, nella voce di Wang c’era sorpresa.
Soltanto adesso si era reso conto che la strada che stavano percorrendo non somigliava affatto a quella del viaggio di andata.

-Lo farò, ma solo dopo un brindisi in onore del suo “debutto in società”.-

Wang non rispose, limitandosi a sollevare un sopracciglio con aria perplessa.

-Cosa c’è di male in tutto questo? Se vuole fare il diplomatico come suo padre deve imparare a conoscere il più alto numero di persone possibili. Non le è stato insegnato nulla a riguardo, Sig. Chen?-
-Non ancora, direi.-

Wang sospirò rimettendosi a fissare le luci di Parigi dal finestrino.
Improvvisamente aveva assunto l’aria di una persona schiacciata da un masso tanto enorme quanto del tutto invisibile ad occhi estranei.
Enack conosceva bene quella sensazione, anche lui era stato cresciuto nella medesima maniera.
A quel pensiero anche lui smise di sorridere.
Non c’era nulla di piacevole nell’essere il futuro erede di un regno, quale che esso sia.

***

-Mai assaggiato un cocktail alcolico? Sul serio?-
-Non amo bere, Sig. Viljani.-

Il sorriso di Wang, ormai, mostrava tutti i segni di un’aperta cordialità, anche se impastata di imbarazzo.
La prima trasgressione di un adolescente non ha mai nulla di epico, in fondo.
È goffaggine allo stato puro, come quelle mani che stavano stropicciando la stoffa dei pantaloni.

-Chiamami Enack, per favore, o finirò per sentirmi un vecchio senza speranza.-

Il tono di voce aveva l’effetto di un braccio stretto attorno alle spalle, quasi più un tono fraterno che complice.

-Parlare non è certo una cosa che ti piace, lo si vede benissimo. Tuttavia, non credo sia una cosa malvagia. Eviterai pessime figure, il che è soltanto un bene.-

Il tono di voce, adesso, è una carezza di velluto che lambisce la punta delle dita per risalire fino al collo.
Wang aggrottò la fronte, quasi ritraendosi impercettibilmente, sulla difensiva ma non ancora in allerta.

-Perché le interessa tanto il mio futuro, Sig. Viljani? Ne ha fatto cenno anche in macchina. Non vorrei sembrarle insolente, ma ho come l’impressione che la sua cordialità sia mossa da intenti che nulla hanno a che vedere con la filantropia.-

Sembrava più ferito che arrabbiato, al punto che quella frase, ricca di termini cerimoniosi, pur pronunciata da labbra inesperte non aveva nulla di ridicolo.
Enack chinò appena il capo, quasi concedendo un piccolo inchino.

-A dire il vero volevo soltanto sapere che persona si nasconda dietro le parole stampate di certi romanzi, Wang. Tua madre è una scrittrice straordinaria, per questo ho insistito per conoscerla, alla festa.-
-Mia madre? Pensava di fare un favore a mia madre?-
-Una piccola gentilezza, sì. Sei molto importante per lei, si vede chiaramente dal modo in cui ti ha protetto dalla curiosità insistente di certi sguardi.-

Wang parve irrigidirsi un poco. Dubbioso, si fermò un istante prima di rispondere.

-A quanto pare, i suoi sforzi non sono serviti a molto.-

L’espressione tesa si era sciolta in un sorriso complice.
La pazienza di Enack era stata finalmente ripagata: Wang pareva avergli concesso la sua fiducia.

-Au contraire: se non fosse stata così brava, a quest’ora, seduto con lei in questo locale, avrebbe potuto esserci qualcun altro.-

Wang scosse la testa con una risata leggera.

-Gliel’ho detto: non amo bere. Lei mi ha portato qui con l’inganno, e io ci sono caduto perché sono uno stupido. In un’altra circostanza avrei declinato sicuramente.-
-Io sono convinto che tu ti stia sottovalutando, Wang. Non sei affatto uno stupido.-

Lo fissò con aria decisa, al punto che il ragazzo se ne sentì imbarazzato.

-Perché ne è così sicuro, Enack?-

Perché se potessi ti bacerei all’istante, ma non posso rovinare tutto proprio adesso.

-Perché anch’io, alla tua età, mi vedevo così. Credo sia una cosa normale.-

No, questa era una bugia bella e buona, mai Enack si era sentito insicuro o inferiore a qualcuno.
Soprattutto quando quel qualcuno era suo padre.

-Cosa fa nella vita, Enack?-

Il ragazzo era tornato a parlare con curiosità.

-Secondo lei cosa può fare un mediorientale in Europa?-

Wang trattenne una risposta a fior di labbra.

-I soldi non hanno bandiera: cerchi di ricordarlo.-
-Ci proverò.-

I sorrisi del ragazzo somigliavano a fiori: si schiudevano un po’ di più ad ogni nuovo scambio di battute.
Enack notò soltanto in quel momento che il francese di Wang era fluido e privo di inflessioni particolari, il modo di parlare tipico degli apolidi.

-E lei dove vive, esattamente? Mi è parso di capire che Parigi non sia la sua residenza abituale.-
-La mia famiglia vive stabilmente a Roma da molti anni, infatti, nonostante i viaggi frequenti. Studio lì, e devo dire che non ne sono affatto dispiaciuto.-

Enack annuì pensoso, mandando giù un sorso di liquore.

-Credevo che i cinesi di buona famiglia preferissero far studiare i propri figli negli Stati Uniti, piuttosto che lasciarli in una città così provinciale come Roma.-

Wang strinse le labbra con aria offesa.

-Io non trovo affatto Roma una città provinciale, anzi: la amo molto. Non so bene perché, ma mi rassicura. E poi ci sono così tante cose da vedere…-

Il ragazzo aveva preso ad animarsi. Se non lo avesse interrotto, Enack era sicuro che gli avrebbe fatto un elenco completo di musei e siti archeologici da visitare.

-Ami l’arte, Wang?-

Un altro gradino saltato: Enack aveva deciso di passare al “tu” definitivo.

-Le chiese. Hanno un fascino particolare.-
-Le chiese? Credi in Dio?-
-No, però ammiro ciò che gli uomini hanno costruito per lui. Al posto del cemento pare ci sia la devozione.-

L’immagine della fede come se fosse cemento rappreso parve ad Enack molto efficace. Quel ragazzo ragionava secondo schemi propri, ma era acuto, e l’essere privo del disincanto materno aveva lasciato meravigliosamente intatta la sua curiosità.
Annuì sorridendo in risposta al ragionamento.

-Io, al contrario, sono turco, e non credo di avere simpatia per le chiese e i loro abitanti.-

Enack osservò soddisfatto l’effetto delle sue parole. Quelle labbra carnose, appena schiuse in un’espressione stupita e imbarazzata, erano provocanti in maniera del tutto inconsapevole.

-È un fervente musulmano, quindi?-

Ribatté l’altro, squadrando con aria dubbiosa il massiccio tumbler colmo di bourbon.

-L’ha notato, eh? Beh, chinare la fronte a terra e chiedere misericordia non fa per me, qualunque sia la forma. Non sento di dover ringraziare nessuno per quello che ho, né tantomeno ho bisogno di un’illusione a cui aggrapparmi nei momenti difficili. Vivo l’istante, Sig. Chen, e credo in quello che posso toccare. Soprattutto se si tratta della tastiera di un pianoforte.-
-Ama suonare? Questo non l’avrei proprio detto.-

Enack inarcò un sopracciglio con disappunto. Era la prima volta che il suo amore viscerale per la musica non veniva notato. Non che potesse farne una colpa al ragazzo, certo, però la cosa lo aveva irritato lo stesso.
Era l’unico legame che avesse mai avuto con sua madre.

Bevve un lungo sorso di liquore lasciando che gli bruciasse la gola e poi tornò a voltarsi nuovamente verso Wang. Aveva la testa appena reclinata da un lato, mentre una mano stava carezzando pigramente il sottobicchiere.

-Suono fin da piccolissimo, è stata mia madre ad insegnarmi. Era una concertista di discreto successo, ed era tanto, visto l’ambiente in cui era cresciuta.-
-Così, hai finito per fare ciò che tutti si aspettavano da te.-

Senza pensarci troppo, Wang aveva seguito Enack abbandonando completamente ogni formalità verbale.
Si accorse soltanto adesso dell’esistenza di un bicchiere di fronte a lui.
Stava giocando distrattamente con l’oliva, incerto se mangiarla subito o rimandare, ma non aveva mai preso seriamente in considerazione l’idea di bere. I dubbi sul suo futuro istillati dal racconto di Enack, tuttavia, lo portarono d’istinto a bere un sorso di quel liquido chiaro.

-È molto forte, sembra vetro liquido!-

Disse, tossendo e stringendo gli occhi.
Enack rise di gusto.

-C’è della vodka, pensavo lo sapessi.-
-Ti ho già detto che non amo bere.-

Enack fece un gesto al barista, chiedendogli di portare al ragazzo un nuovo cocktail.

-Cos’è? Altro vetro liquido?-
-No, qualcosa di decisamente più adatto al tuo palato delicato. Niente vodka, stai tranquillo.-

Wang aveva un’aria dubbiosa, allungò la mano verso il piattino delle noccioline per togliere dalla bocca quel sapore di trasgressione.
Chiusa quella parentesi, riprese il discorso interrotto.

-Mi piacerebbe sentirti suonare. Sono sicuro che tu abbia un gran talento per la musica, si nota da tanti piccoli dettagli, ora che me l’hai fatto notare. Peccato che si finisca sempre per dare retta ai padri…-
-… Soprattutto quando ci costringono a seguire le loro orme con eventi inaspettati come la morte.-

In quel momento Wang si rese conto che, parlando di sua madre, Enack aveva utilizzato il passato, non il presente.
Aveva perso entrambi i genitori in giovanissima età.

-Mi dispiace, non avevo capito, sono stato indelicato.-
-Non rammaricarti più di tanto, non è successo nulla di grave. È passato molto tempo, ed io non ne ho sofferto, in ogni caso. Non ambivo ad una carriera di musicista, coltivo la musica come bene esclusivo della mia anima.-

Wang fissò pensoso la superficie del bancone.

-Non ti annoi ad avere così tanto solo per te? Senza qualcuno che ci ascolti non ha senso suonare, mia madre mi ha sempre insegnato questo.-

Enack piegò le labbra in un sorriso cinico, svelando per un attimo la sua reale natura, neanche fosse il riflesso di una scheggia di vetro.

-Sono la persona che sono, Wang. Porsi troppe domande ci distrae dal vivere, ed io ho molto più interesse a fare questo che a lambiccarmi il cervello.-

Lo sguardo di Enack era denso come pece. Wang, per un attimo, se ne sentì invischiato.

-Non è il porsi troppe domande a distrarci dal vivere, ma l’esatto opposto. Se si agisce senza chiedersi il perché, se si rimane a testa bassa a rovistare nella mangiatoia si è davvero come muli da soma. In fondo, la sete di soldi e di potere non è molto diversa da un qualsiasi altro padrone.-

Un ragazzino timido e lamentoso non ti sbatte in faccia la verità con tanta crudele e disarmante sincerità, si limita a godere, gioioso, della sua piccola trasgressione, andando in cerca di sapori sempre più forti.

Enack, in fondo, non voleva nient’altro che questo, e a tale scopo aveva accettato di scoprirsi.
Pensava che mostrare il suo lato più intimo ad un silenzioso adolescente sarebbe bastato a convincerlo, a conquistarlo, a fidarsi di lui.
Si sbagliava, ed ora si sentiva stupido per questo.
A quel ragazzo non importava niente di lui, non l’aveva seguito attratto dalla persona, ma semplicemente curioso di capire le ragioni di un certo tipo di comportamento.
Lo stava studiando come una cavia, lo dimostrava il suo tono calmo, il viso rilassato.
Non lo stava giudicando, ma soltanto annotando mentalmente la sua essenza.
Era irritato.
Avrebbe voluto ribattere in qualche modo, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu emettere una roca risata.

-Meglio una propria pulsione dei propri genitori, non trovi? In fondo, se ho seguito una strada già tracciata per me è perché era quella che mi faceva più comodo, non sei d’accordo?-

Il suo sorriso aveva smesso di essere cordiale, era una ferita che stillava rabbia al posto del sangue.

Voglio vedere quanta fatica dovrò fare per renderti mio.

-Io non so affatto se seguirò la volontà della mia famiglia. Sento un’alternativa, dentro, ma non so darle ancora un nome preciso. Mi stavo chiedendo se potesse essere la ricerca di potere, ma non so se saprei isolarmi così tanto.-

Wang vide l’altro farsi appena più vicino. Lo stava fissando come a voler frugare tra i suoi neuroni per saggiare la consistenza effettiva dei suoi pensieri.

-No, non ne saresti capace. E bada che si tratta di un complimento.-

Nel sussurrargli quella sentenza all’orecchio Enack aveva fatto elegantemente scivolare le dita lungo il suo braccio, notando con compiacimento quanto Wang fosse tutt’altro che infastidito da quella piccola attenzione. C’era tensione, tra loro, ma non certo una tensione negativa. Wang lo fissava con la bocca appena socchiusa, non capiva bene cosa sarebbe dovuto accadere ma non era convinto si trattasse di qualcosa di pericoloso.
Se fossero stati soli lo avrebbe baciato, e il pensiero che quella solitudine potesse giungere a breve scosse Enack con un intenso brivido di eccitazione.

-Sarà meglio che ti riaccompagni in albergo, o tua madre si preoccuperà. Avresti dovuto essere in camera già da un pezzo.-

Gli scoccò uno sguardo complice, un sorriso da soci che condividono un segreto.
Wang annuì lentamente, ma il suo silenzio era indice di inquietudine.
Aspettò che Enack fosse in piedi, stropicciandosi ancora le mani sui pantaloni e guardandolo come un cucciolo guarderebbe il suo padrone mentre aspetta che gli impartisca un ordine.
Tuttavia, ad un nuovo cenno di Viljani, indugiò fissando un punto imprecisato del bancone.

-Qualcosa non va? Non ti va di rientrare?-

Sospirò pesantemente.

-Non sono ancora pronto.-

Enack lo fissò con aria interrogativa.

-Non era la serata adatta. Mia madre ha voluto anticipare troppo i tempi.-
-Che vuoi dire?-

Wang parlò quasi più a se stesso che a lui.

-Io non sono pronto, non posso ancora fare a modo mio.-

Enack tornò a sedersi, poggiando una mano sulla spalla del ragazzo.

-Se un carcerato vuole evadere prima si scava un tunnel dal quale fuggire. Io non ho tunnel, e in fondo non sono nemmeno sicuro di volerlo progettare. Perché dovrebbe non piacermi la carriera di mio padre? Tutti danno per scontato che io provi questo, ma nessuno ancora mi ha spiegato su quale base formula questo giudizio. Non sono scontento di quello che sono, non sento l’esigenza di trasformarmi in altro. Prendo atto delle vie che mi si aprono davanti, ma sono ben lungi dal sentirmi tentato di percorrerle.-
-Sei mai stato innamorato, Wang?-

Il ragazzo non si soffermò sull’opportunità o meno della domanda, ma sul senso che poteva assumere in quel contesto.

-L’amore potrebbe farti cambiare prospettiva.-

Le labbra erano vicinissime al collo, tanto, stavolta, da scatenare in Wang un riflesso che lo portò ad allontanarsi.

-La tua famiglia avrà già cominciato a cercare una ragazza adatta da farti sposare.-

Un tentativo di indagine mascherato da battuta.
Il ragazzo corrugò appena la fronte.

-A dire il vero, no.-
-No?-
-Mia madre vuole che sia quello che voglio, e mio padre non mi ha mai imposto nulla.-

Enack sorrise compiaciuto.

Questa volta, Wang si alzò assieme a lui, fissandolo curioso. Poggiandogli una mano sulla schiena lo guidò fuori dal locale, premurandosi di aprirgli la portiera della sua auto.
Durante quell’ultimo tratto di strada cadde di nuovo il silenzio, entrambi chiusi nei rispettivi pensieri. Le strade deserte della Parigi notturna hanno un che di squallido, a quell’ora, come un vestito stropicciato da una serie corsa a perdifiato priva di logica e meta. Arrivati davanti all’albergo, nessuno dei due ha voglia di lasciare il calore dell’abitacolo per essere inghiottito dal freddo.
La luna che hai di fianco vuole restarsene per conto proprio, non ha voglia di farsi mangiare un pezzo dal buio e divenire falce sottile.

-Vuoi che salga su con te?-

Non è educata quella richiesta, ma è sempre meglio di quel silenzio imbarazzante.

-No, non è necessario. Mia madre non è ancora rientrata, preferirei fare una doccia e riposare.-

La luce bluastra del display del cellulare rese gli occhi di Wang un po’ più tristi.

-Non volevo rovinarti l’umore, scusami.-

Wang lo fermò con un cenno di mano.

-È stato divertente osservarmi, Sig. Viljani?-

La domanda era spiazzante, e la risposta arrivò meccanica come un riflesso.

-Tu, invece? Mi hai trovato divertente?-

Wang lo fissò con aria piccata.

-Perché evita sempre di rispondere alle domande che le vengono rivolte?-
-Perché non sono coraggioso come te.-
-Coraggioso?-

Enack sentì con chiarezza il respiro dell’altro fermarsi.
Gli occhi erano lune nere, pacifiche e solitarie.

-Tu sai guardare in faccia chi sei, e sono sicuro che saprai difenderti, quando sarà il momento.-
-Difendermi?-
-Il mondo è cattivo, Wang. Non tutti sanno essere trasparenti come te.-

Enack non amava i baci, così come non amava ogni altra forma di contatto fisico.
Eppure le sue labbra stavano premendo con dolcezza su quelle di un adolescente.
Non era una violazione, quel gesto: era un atto di devozione.
Una promessa.

Wang sgranò gli occhi, trattenne il respiro, affondò le dita nella sua giacca, ma non si allontanò.

-Saprai come difenderti, a tempo debito.-

Enack ripetè quella frase indugiando su quelle labbra, trattenendole sospese con un filo di respiro.
Le sentì tremare, ancora lucide e arrossate.

-Ho paura, Enack. Non capisco.-

La mano dell’uomo scivolò dolcemente lungo la sua schiena in una carenza docile e salda.

-Non è necessario, adesso. Un giorno amerai, e a quel punto avrai tutte le risposte.-

La tensione si sciolse in un nuovo, impercettibile contatto di labbra.

-Tu…-

Wang non riuscì a proseguire la frase, tante erano le sensazioni che gli ingorgavano i nervi e stringevano lo stomaco.

-Perché?-

Riuscì a chiedere con un filo di voce.

-Perché volevo che non lo facesse nessun altro.-

Enack sorrise con aria sfacciata, come se il suo desiderio fosse assolutamente legittimo.

-Vai via, sei ancora in tempo per non fare stupidaggini. Fai finta che questo sia stato un brutto sogno e che io non sia mai esistito, sarebbe molto meglio per te. —

Wang gli strinse con forza il braccio, scuotendo la testa con aria decisa.
Era come se quel bacio avesse sbloccato le tessere di un puzzle incastrato male, per rimontarle poi nella maniera corretta.
Si sentiva bene, e questo lo spinse a ritenere che ciò che stava facendo fosse del tutto legittimo e naturale.

-Non è stato un brutto sogno, Enack. No, direi proprio che non lo è.-

Ora era lui ad allungarsi per baciare il compagno, cercando le sue labbra con curiosità e imbarazzo.
Nessuno dei due sapeva dove si sarebbe spinta la prima e dove avrebbe alzato un muro il secondo, ma di sicuro Enack sapeva di avere voglia di aiutare il suo amante a cercare il confine della sfacciata incoscienza della sua gioventù.
Le mani che esplorano e le labbra che si cercano sarebbero state le maglie di una rete che si sarebbe stretta a suo piacere attorno ai vostri corpi.

Che tu avresti stretto, con pazienza ed eleganza.

Volevo rigraziare sentitamente Vale_03 per il suo commento, che mi ha permesso di rimettere mano a questo racconto, che ho sempre considerato il meno riuscito tra quelli che ho scritto. Considera che l'ho finito parecchio tempo prima di iniziare a lavorare a "Un'estate pericolosa", fai tu... non avevo smesso di postarlo per l'assenza di commenti, quindi, cosa che di solito non influisce sul proseguimento di una storia, ma perché avevo dei dubbi circa la sua aderenza o meno al regolamento, dato che c'è di mezzo un minorenne. I personaggi sono patinati in maniera voluta, in realtà sono stati creati da me e dalla mia carissima amica e coautrice per due storie molto diverse, smussarne le spigolature era l'unico modo per rendere plausibile il loro interagire. Sono felice che ti piaccia tanto An Sun, è un personaggio piuttosto complesso del quale mi piacerebbe riprendere a scrivere, prima o poi. Come puoi notare, passando alle questioni di carattere pratico, ho corretto l'impaginazione. Ti ringrazio per avermi segnalato questa mancanza, mi scuso per non averci pensato io dall'inizio. Sulle recensioni, infine: mi son trovata a scrivere la stessa cosa anche a chi sta commentando "Un'estate pericolosa", e cioè che le mie aspettative, approdata qui in veste di perfetta sconosciuta, erano e sono pari allo zero. Mi fa piacere pensare ai miei racconti come salottini pronti per gli ospiti, accoglienti e a loro completa disposizione: per ora sembrano portare ritardo, ma qualcuno sta arrivando, e su quel qualcuno vorrei concentrarmi in qualità di padrona di casa, offrendogli sempre il meglio di cui sono capace. Ti ringrazio, quindi, per la fiducia e la franchezza, mando un abbraccio fortissimo anche a te!

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Capitolo 5
*** Quinta parte ***


Ormai sei certo che al solo sguardo non sia possibile darle un’età, il tipo di lineamenti e la pelle levigata non permettono un azzardo.
Proprio come il modo di scrivere e vestire, infatti, An Sun è una donna senza tempo.
Passa attraverso le cose non con la violenza di un coltello, ma con la discrezione di un’infiltrazione d’acqua.
Tutto in lei la ricorda, perfino il colore degli abiti e il riflesso degli occhi.
Ti aspettavi quella visita, la conversazione sarà lunga e niente affatto piacevole.

-Desideri qualcosa da bere? Un tè o un caffè, magari?-
-La ringrazio, ma preferirei di no.-

Enack si ricordò di qualcosa a proposito di alcuni miti antichi in cui chi scende negli inferi si rifiuta di mangiare il cibo di quei luoghi maledetti.
“Signori della morte” non è, appunto, una delle tante definizioni con cui si etichettano i trafficanti d’armi?

-Se non ricordo male, ieri sera ci davamo del tu.-
-Ieri indica, appunto, il passato. Il presente viaggia su un piano diverso, e a falsarlo non sono di certo stata io, Sig. Viljani.-
An Sun intrecciò le dita sottili, raddrizzando la schiena, e non per nervosismo.
Sembrava uno spadaccino pronto a trafiggere il petto dell’altro.
Lo sguardo non accennava ad abbassarsi al livello del tavolo, puntava dritto al viso del suo interlocutore.

-Ho portato tuo figlio a bere qualcosa prima di accompagnarlo in albergo, non credo ci sia nulla di male in questo.-
-No, infatti. Non c’è nulla di male in questo.-
-Ho sbagliato a non chiederti il permesso, di questo ti chiedo scusa. Spero solo che tu non abbia intenzione di punire quel povero ragazzo, mi sentirei in colpa.-

Enack, che si trovava in piedi vicino la finestra, provò ad accennare un inchino.
Detestava scusarsi, ma questa volta era inevitabile: era stato sincero nel dire che si sarebbe dispiaciuto se fosse stato Wang a pagare.
Come a ribadire il suo essere una persona poco raccomandabile, si riempì il bicchiere di un liquore color oro, bevendone un lungo sorso.

-Mi fa piacere che almeno ti preoccupi per lui, Enack, ma non c’è bisogno di portare avanti questa sceneggiata: a Wang non ho detto o fatto nulla, perché non è con lui che ho necessità di chiarirmi. Non adesso, almeno.-

Sentendosi dare nuovamente del tu, anche se in maniera fredda, Enack provò ad accennare un sorriso.

-Accetta almeno un caffè, te ne prego. Sono appena le nove di mattina, e a quest’ora l’unica cosa per cui si è sufficientemente lucidi è confondersi.-
-Io non sono confusa, Enack: sono spaventata. Ho paura per mio figlio, una paura che faccio fatica a dominare.-

Enack era sorpreso: fino a pochi attimi prima era convinto di trovarsi di fronte ad una donna arrabbiata, ed invece ora veniva a sapere che quella stessa donna era profondamente spaventata.
Da cosa, non riusciva a capirlo.
Il liquore a stomaco vuoto era stato una pessima idea, si avviò verso il carrello della colazione versando il caffè caldo in due tazze.
Nel sedersi di fronte ad An Sun, cercò di studiarne l’espressione del viso: sembrava una bambina imbronciata, forse stizzita perché incapace di dominare razionalmente un sentimento che nasceva dal suo lato più istintivo e passionale.

È una donna che non è riuscita a prendere completamente coscienza del suo istinto materno.

Si disse questo, mentre il caffè gli scottava la lingua.

-An, perché dovresti avere paura per tuo figlio? Mi sembra un ragazzo assennato e perfettamente in grado di badare a se stesso. O c’è qualcosa che dovrei sapere?-

An Sun non amava il caffè, ma ne cercò il calore.
Bevve tenendo gli occhi chiusi, cercando di organizzare i pensieri in maniera precisa.
Odiava non riuscire ad esporre con chiarezza quello che doveva dire, e si stizziva se le capitava di incespicare in qualche parola.

-Intanto cominciamo con quello che io so sul tuo conto. Poi, forse, potremmo discutere di quello che non sai tu.-
-E sia. Vedrò di completare il quadro delle chiacchiere, se dovesse servire.-

Di tutti i lussi di cui ha goduto fin dall’infanzia, l’unico di cui Enack si è privato a cuor leggero è stata la menzogna.
Soprattutto quando una persona meritava rispetto, come in questo caso.
Fu lieto di constatare che anche An approvò il suo atteggiamento con un cenno del capo.

-So che ti occupi di affari poco puliti, e so che lo fai per conto di una persona raccapricciante.-

Fece una pausa, concedendosi un pesante sospiro.

- Potrà sembrarti strano, ma non è questo che mi turba: un giudizio del genere si può dare riguardo a molte persone: perfino mio marito, infatti, che pure è una persona onesta e di buon cuore, lavora per un governo che definire ipocrita e meschino è dire poco. E favorirne gli scambi commerciali con un paese straniero, accrescendone il potere economico, non mi pare un affare particolarmente lecito. Tu vendi armi, lui vende la libertà di espressione degli abitanti del mio paese. Per cui, tornando al nostro discorso: non è in ciò che fai il punto.-

Tra loro calò un silenzio denso di interrogativi.

-Esiste davvero, un punto, An? La tua paura è reale? Cosa temi, esattamente?-

Le parole di Enack erano un campo minato: aveva seppellito nel terreno della conversazione esplosivi, e ciò che sarebbe saltato in aria lo avrebbe aiutato a capire meglio la strada per giungere alla conclusione di quel ragionamento. Odiava tergiversare, il tempo non andava perso, al massimo lasciato scivolare con dolcezza tra piaceri di varia natura.

-I punti sono diversi, Enack, e diversa è la loro importanza. Circoscrivono un perimetro netto, e in questo perimetro sono racchiuse molta paura e molto dolore.-

Ora toccò ad Enack concedersi un lungo sospiro di esasperazione.

-La tigre e la sua gabbia, An. Non sono i punti che vuoi chiarire a circoscrivere il perimetro, ma è la tua stessa, immotivata paura a tramutarsi in sbarre. E permettimi di farti notare che questa situazione era già piuttosto visibile ieri sera, prima che decidessi di concedere ad un adolescente un po’ di sano svago.-
-Tu sai cosa ha rappresentato per il mio paese la Rivoluzione Culturale?-

La domanda destabilizzò non poco Enack.

-Sì, lo so.-

Si limitò a rispondere cauto.

-Vorrei sapere, però, cosa c’entra col nostro discorso.-
-Ho sentito diverse voci sul conto dei tuoi gusti sessuali, Enack. Ingannare la gente non è affatto semplice, soprattutto se la gente in questione è annoiata e a caccia di argomenti di conversazione.-

L’andamento di quella discussione ora cominciava ad apparire decisamente più chiaro.

-Se lo scopo di questa visita era sapere se mi sono portato a letto tuo figlio potevi andare subito al sodo, senza fare tutti questi giri di parole.-

Enack evitò malignamente di rispondere, divertito dall’idea di tenere An Sun sulle spine.
Doveva cominciare ad abituarsi all’idea che Wang, nonostante l’aspetto delicato e la fine educazione, era pur sempre un essere fatto di carne dotato di pulsioni sessuali, e se davvero era il bene di quel ragazzo che perseguiva, doveva permettergli di dar sfogo a quelle pulsioni nella maniera più serena possibile.

-Lo hai fatto?-

Le labbra di An tremavano.

-Hai sedotto mio figlio come un qualsiasi amante occasionale?-
-Ho sedotto tuo figlio come farei con qualsiasi creatura degna delle mie attenzioni, An. Il che non significa che l’abbia plagiato.-
-Ah, no?-

Il viso si era trasformato in una maschera di cera dai lineamenti rigidi.

-Fare quello che hai fatto ad un minorenne è un reato! Tu meriteresti di finire in galera!-
-Per aver offerto da bere alcolici ad un minorenne? Possibile, sì, ma sappi che tuo figlio li ha appena assaggiati. Non diventerà un alcolista, e questa è una cosa di cui dovresti andare piuttosto fiera.-

In maniera del tutto inaspettata, esattamente come un felino rabbioso, An Sun prese il coperchio della zuccheriera di porcellana e lo scagliò contro Enack, mancandolo.

-Non offendere la mia intelligenza! Non osare! Sei un essere rivoltante, non riesco a starti accanto!-

La rabbia repressa esplose in una crisi di pianto, come una scarica elettrica che avesse dato vita ad un temporale interiore.
Enack, furente, cercò di mantenersi il più possibile lucido.
Si avvicinò ad An, afferrandola saldamente per le spalle, costringendola ad alzarsi.

-Visto che non desideri veder offesa la tua intelligenza, vedrò di accontentarti dicendoti la verità.-

Disse con tono di sfida, mentre le bucava la fronte con un sguardo carico di rabbia.

-È vero, tuo figlio mi ha attratto fin dal primo momento in cui l’ho visto, ma non per il motivo che immagini. Se dicessi solo per la sua bellezza gli farei un torto, credimi. Wang è una creatura fuori dall’ordinario, un adolescente che nulla ha in comune con l’età che lo caratterizza. Soprattutto, Wang ha una personalità ben delineata, e saresti tu a fargli un torto, se pensassi che si sia lasciato plagiare da un estraneo.-

Passarono lunghi istanti prima che An Sun riuscisse a trovare le parole adatte per replicare a quelle parole.

-Gli hai fatto male?-

Provò a chiedere timidamente.

-Non abbiamo fatto quello che pensi, An. Avrei dato qualunque cosa affinché accadesse, ma non è successo. Ha bisogno di tempo, e tu hai bisogno di imparare ad accettare tutto questo.-

An Sun distolse lo sguardo da quello di Enack, facendolo vagare a caso sul pavimento.

-Stanotte non ha dormito, stamattina si è rifiutato di toccare cibo. Non mi parla, sta chiuso nei suoi pensieri e fa come se non esistessi… sei sicuro di non avergli fatto nulla di male? Non ti perdonerei mai se...-
-An, in questo momento tuo figlio è come una larva chiusa dentro il suo bozzolo. Lascialo nel suo mondo, lascia che si chiarisca. Non intrometterti e non disturbarlo, sta prendendo confidenza con una parte di lui che non ha mai conosciuto.-

La donna si liberò dalla stretta attorno alle spalle.
Cercava aria.
Si diresse lentamente verso la grande finestra di legno bianco, fissando con aria assente il panorama. Suo figlio Wang non era l’unico che doveva fare i conti con una parte di sé sconosciuta.

-Mia madre aveva un fratello.-

Parole che non c’entravano nulla col discorso che si era appena chiuso.
Enack attese pazientemente, in silenzio, che quel sottile filo rosso si dipanasse, giungendo alla sua meta.

-Un fratello più grande di lei, che amava molto. Si chiamava Liu. Liu era l’orgoglio della famiglia. Era un poeta, amava tradurre dall’inglese e dal francese. Molti, a Shangai, sostenevano che sarebbe andato lontano. Doveva soltanto mettersi dalla parte giusta, ovvero quella del Partito. La Rivoluzione Culturale stava incombendo su Shangai, e mio padre decise che era meglio per tutti lasciare il paese in fretta. Così fu. Liu decise di restare, invece. Rinnegò la famiglia che lo aveva generato e divenne un quadro emergente del Partito Comunista. Una volta giunti a Parigi non riuscimmo a sapere più nulla di lui. Eravamo preoccupati, temevamo gli fosse accaduto qualcosa di brutto, che fosse stato deportato in qualche campo di rieducazione a causa dei suoi trascorsi di borghese benestante. Per molto tempo mia madre pianse in silenzio, cercando di tenerci nascosto il suo dolore. Non riuscivo a capire perché fosse tanto sicura che allo zio fosse successo qualcosa di brutto, finché un giorno non arrivò una lettera. Era da parte di Quin, un caro amico di Liu, che ci comunicava che lo zio era morto di malattia. La cosa ci parve molto strana, perché era giovane e aveva sempre goduto di ottima salute. Riuscimmo a scoprire la verità solo molti anni dopo.-

Calde lacrime rigarono le sue guance tinte da un trucco leggero.

-Era stato giustiziato?-

Enack si fece nuovamente alle sue spalle, protettivo.

-Non esattamente. Quin e Liu si conoscevano da molti anni. Quin nutriva per mio zio una sorta di venerazione. Erano inseparabili, tanto che non credo di avere un suo ricordo in cui non compaia anche l’altro. Mio zio era un uomo ricco di fascino, colto, dotato di grande intelligenza. Quin lo invidiava. Fu lui a dirmi che erano amanti. All’inizio avevano pensato che rifugiarsi nella politica li avrebbe messi al riparo dalle accuse, ma ben presto si lasciarono convincere dalle teorie assurde di Mao. Rinnegarono le loro famiglie, disprezzandole, conquistandosi la stima di molti e aumentando la loro velocità di carriera. Nessuno avrebbe potuto sospettare di loro. Ma Quin era invidioso. Temeva che, così come aveva rinnegato i suoi cari, Liu avrebbe potuto liberarsi nello stesso modo anche di lui, per salvarsi la vita. Non capiva che, a differenza di lui, lo zio aveva agito così soltanto per metterci al riparo dai pericoli, almeno fino alla nostra fuga in Francia. Ma Quin aveva troppa paura per riflettere lucidamente. Denunciò Liu alle autorità. A quel tempo, in Cina, l’omosessualità era considerata una malattia. Lo internarono, sottoponendolo a pratiche brutali. Non sopravvisse a lungo, una volta uscito di lì. Quin non si perdonò mai per ciò che aveva fatto, portando con sé questo peso per anni, finché, schiacciato dai sensi di colpa non decise di confessare tutto a mia madre anni dopo che era riuscita con fatica a cicatrizzare quella dolorosa ferita. Per il dolore, morirono entrambi pochi mesi dopo.-

Enack restò a lungo in silenzio prima di parlare.

-Wang non vive in Cina, An. E per quanto il tuo paese sia repressivo, ad ogni modo la Rivoluzione Culturale è finita da tempo. Nessuno può fargli ciò che hanno fatto a tuo zio.-

An Sun annuì in maniera distratta, lo sguardo assorto sulla via animata su cui si apriva la finestra a cui era affacciata.

-Ma se decidesse di fare il diplomatico … -
-Non spetterebbe a te risolvere il problema. Te l’ho già detto, An: devi lasciare Wang libero di vivere la sua vita. Non lasciarti vincere dalla paura, lui non ne ha.-

Enack tornò a stringerla per le spalle, massaggiandole con premura.
La donna rabbrividì, chiudendo gli occhi.

-Wang è una luna silenziosa che splende illuminata dalla vita. Vorrei avere la certezza che quella luce lo aiuterà a non essere inghiottito dal buio.-
-Non hai bisogno di questa certezza, An. Credimi, ho avuto modo di rendermene conto ieri sera.-

An Sun sospirò pesantemente.
Era stanca, e cominciava a provare imbarazzo per quell’incontro.
Non aveva mai perso il controllo di sé, e questo la spaventava.
Prese da un attaccapanni il lungo soprabito bianco e fece per andarsene.

-Ho deciso di darti fiducia, Enack, anche se non la meriti. Sappi che ti odierò a lungo per ciò che hai fatto a mio figlio. Tuttavia, è a lui che devo pensare, prima che a te.-

Enack annuì in silenzio, accompagnandola alla porta.

-Lascia che capisca da solo chi vuole diventare, e lascialo andare quando sarà il momento.-

A quelle ultime parole, An Sun rispose sgranando gli occhi con aria terrorizzata.
Nel richiudere la porta, Enack si chiese come fosse possibile che tanto egoismo albergasse nella maternità.

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Grazie anche solo a chi ha dato un'occhiata a questa storia per pura curiosità, spero sia risultata una lettura gradevole.

***

La scena raffigurava una strada in prospettiva: partiva larga e finiva stretta.
Il bianco e nero mostrava le gradazioni di grigio che ombrano le nostre scelte, rendendole meno definitive di quanto si pensi.
Un paesaggio sfocato, come lo è il mondo quando lo si guarda da adolescente.
Enack non fece fatica a cogliere i riferimenti autobiografici dell’autore di quell’opera, né si stupì quando seppe che aveva vinto un importante concorso.
Erano passati cinque anni da quando l’aveva visto l’ultima volta.
Wang Chen.
Ora aveva vent’anni, diceva la nota biografica del catalogo che aveva in mano, e quella era la sua prima mostra personale.
Si era trasferito a Parigi, dove studiava storia dell’arte alla Sorbona e si dilettava con la fotografia.
Era molto più bello di quanto ricordasse, col fisico meno acerbo, il viso di una bambola di porcellana, il portamento fiero e composto.
Gli sorrise tentando di catturare il suo sguardo.
Il ragazzo corrugò la fronte, scuotendo la testa con aria desolata.
Lì per lì fece fatica a riconoscere l’uomo che lo stava fissando da almeno cinque minuti.

-Quando mi dicevano che il Diavolo, da bravo immortale, non invecchia mai, mi raccontavano una cosa vera, Enack. Non è colpa tua se non ti ho riconosciuto, ma della mia pessima memoria.-

La mano che cercò la sua era sempre fredda e curata, ma nella stretta c’era una decisione nuova.

-La luna ha ora rivelato il suo volto per intero.-

Disse Enack sorridendo, citando a memoria la didascalia della foto di apertura di quell’esposizione.
Si compiacque di trovare tanta serenità in quel viso, come certi cieli estivi in cui si ama perdersi durante una passeggiata in riva al mare.

-Non so se questo è il mio cammino definitivo ma sì, ora mi sento molto meglio di quando ci siamo conosciuti per la prima volta. E reggo molto meglio l’alcol.-

Ridacchiò strizzandogli un’occhio e afferrandolo gentilmente per un braccio.

-Ti prego, Enack, permettimi di sdebitarmi per quella sera offrendoti io qualcosa da bere. Mi farebbe piacere.-

Lo sguardo fermo sembrava chiedere più di quanto espresso a parole.

-Accetto volentieri, ma prima vorrei salutare tua madre, se non ti dispiace. L’ho intravista di sfuggita appena entrato.-
-Non credo che sia ancora qui, se ne stava andando. Mi ha aiutato personalmente con l’allestimento, ed era venuta soltanto a vedere che tutto fosse in ordine prima dell’apertura.-

Enack aggrottò la fronte, interdetto.

-Non è rimasta a godersi il tuo successo?-
-Non ha voluto offuscarmi, così ha detto.-

Wang distese le labbra in un sorriso dolente.

-Le cose tra noi non sono andate sempre bene, in questi anni.-

Enack annuì con un movimento lento del capo.

-Lo so, ne abbiamo parlato spesso.-

Disse, facendo scivolare lo sguardo da un pannello all’altro.

-Hai molto talento, Wang. E il talento è una colpa difficile da perdonare. Ma lei ti ama, non dubitare mai di questo. Vedrai che la paura di ferirti e di perderti la condurrà alla ragione, prima o poi.-

Wang sospirò, stringendo un po’ di più la presa sul suo braccio.

-Goditi questo momento come il primo di una lunga serie di successi e non pensare a lei, adesso. È la tua serata, in fondo.-

Enack gli carezzò la schiena, sorridendo incoraggiante.
Tuttavia Wang non era del tutto convinto.

-Già, e come tutte le serate di gala il protagonista non può lasciare l’evento prima della sua fine. Per cui, stavolta, niente fuga clandestina. Se ti va, potremmo vederci con più calma un’altra sera.-
-Non ti preoccupare, resterò ad aspettarti, e poi ti riaccompagnerò io in macchina. L’albergo è sempre lo stesso?-
-Non vivo in albergo, ho un appartamento mio ma è poco più di una mansarda. Mi ci trovo benissimo, per carità, ma so che non sarebbe un posto adatto a lei, Sig. Viljani.-

Il tono di voce era una non troppo velata imitazione dei suoi modi formali.
Dopo cinque anni, Wang aveva ribaltato le parti, prendendolo in giro in maniera indisponente.

Il giovane che si prende gioco del vecchio

Enack fece una smorfia di disappunto a quel pensiero.

-Come preferisce, Sig. Chen: in questo caso mi vedrò costretto a condurla nelle mie stanze, sperando che le risultino gradite.-

Disse, chinandosi verso il viso, e bisbigliando quelle parole sulla pelle scoperta del collo.
Wang rabbrividì.
Una scarica gli aveva attraversato il corpo come una saetta, costringendolo a deglutire.
Aspettava quel momento da molto.
Sapeva che con Enack avrebbe trascorso una sola notte, e che non era l’amore ciò che avrebbe trovato tra le sue lenzuola, ma sapeva altrettanto bene che non esisteva persona migliore a cui affidarsi, per divenire un uomo perfettamente consapevole della propria sensualità.

-Sarà solo per questa notte, Enack. Cinque anni fa non avrebbe avuto senso, ma ora è diverso. Ora so chi sono e cosa voglio, non ho più bisogno di appigli o vie di fuga.-

Enack gli baciò rapidamente una tempia, stringendolo a sé per un attimo.

-Ti aspetterò qui, e non preoccuparti di niente. E ora va’, la maggior parte delle persone non sopporta dover attendere per stringere una mano, meno che mai quella di un ragazzo molto più giovane di lei.-

Wang aveva voglia di ribattere, ma non riuscì a trovare in tempo le parole giuste.
Scosse il capo ridendo e si allontanò senza staccare gli occhi dall’altro, tanto per dimostrargli che si stava limitando ad obbedire di malavoglia ad un ordine.
Enack lo osservò allontanarsi, per poi tornare nuovamente con gli occhi ai pannelli fotografici.
Cinque anni fa avrebbe dato qualunque cosa per vedere il mondo con gli occhi di quel ragazzo, anche solo per qualche istante.
Ora il miracolo si stava compiendo senza sforzo alcuno, materializzandosi in forme pure e delicate gradazioni di grigio.
Quello che aveva di fronte era il mondo visto con gli occhi della luna, una luna placida dai riflessi color latte, per cui, per quella notte, si sarebbe fatto volentieri cielo.
Perché nessuno meglio del Diavolo in persona era in grado di sedurla senza sporcarne la bellezza, dialogando nella lingua muta propria dei gesti e della carne.

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