Moment

di Black Angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Cercando un angelo ***
Capitolo 2: *** Attrazioni ***
Capitolo 3: *** Inferno e Paradiso ***
Capitolo 4: *** Love me, Love me ***



Capitolo 1
*** 1. Cercando un angelo ***


1

1. Cercando un angelo

Colonna sonora:  Scorpion - Send me an Angel

 

Cos’è l’amore?

Una domanda così semplice, eppure così complessa. Come quella parola che suona soave a ogni orecchio: Amore. Possibile che una sola parola possa descrivere un sentimento così grande, così esteso, così…profondo?

Possibile che in una così piccola parola si nasconda un significato così vario?

Perché di “amore” ne esistono tanti: l’amore passionale e violento di due amanti, quello dolce e puro di due fidanzati, l’amore naturale per il proprio figlio, quello gioioso tra amici…quello tra fratelli…

Amore…..come facciamo a sapere se è veramente quello che fa battere il nostro cuore? Come facciamo a sapere se è quel sentimento, o una giovanile infatuazione che durerà solo qualche giorno? Come facciamo a riconoscere la persona giusta?

Platone diceva che tutti noi siamo stati divisi, come una mela, e che non facciamo altro che cercare quella parte da cui siamo stati brutalmente privati: l’anima gemella.

Ma esisterà davvero? Esiste la mia anima gemella…?

 

Le gocce di pioggia picchiettavano contro il vetro della finestra della mia camera. Violente scendevano dal cielo, infrangendosi contro quella fredda lastra trasparente, lasciando che il loro ultimo sospiro si accompagnasse al gemito sottile del vento. Un lamento, una straziante melodia che non faceva altro che peggiorare il mio cattivo umore.

La settimana che mi portavo alle spalle era stata davvero una delle peggiori di quell’anno. Sembrava quasi che tutte le sfortune più nere avessero cercato apposta il sottoscritto, e la notizia, seguita immancabilmente dall’ammissione della stessa Sabrine, che la mia ragazza mi aveva lasciato per uno stupido bulletto da due soldi, era stata solo l’ultima goccia!

Non che di lei m’importasse poi così tanto. In fondo se avevamo iniziato qualcosa era solo perché me lo aveva chiesto e perché io non avevo molto di meglio da fare. Suona davvero insensibile detto in questa maniera, me ne rendo conto, ma in realtà Sabine per me non era altro che una bambola con cui mi divertivo a giocare. Nulla di più. Pur sapendolo, però, nel mio cuore si era insinuata la vana illusione che quella ragazzetta si riscoprisse essere la mia anima gemella: un altro buco nell’acqua.

La mia anima gemella. Da quanto la cercavo?

Probabilmente da quando avevo visto per la prima volta il mondo. Sempre alla ricerca di qualcuno da poter proteggere con le mie sole braccia, di qualcuno a cui regalare il mio primo sorriso del mattino, di qualcuno da amare, e da cui essere amato…il sogno di ogni uomo che poggia piede su questa fredda terra, e fino ad allora era anche il mio sogno.

Avevo avuto tante ragazze, nonostante fossi ancora un diciassettenne. Le avevo cambiate come abiti, alla disperata ricerca di qualcuna che riuscisse a farmi sentire il dolce succo del fiele d’Amore. Molte erano attratte unicamente dal mio fisico, ne ero ben a conoscenza, ma la speranza che prima o poi una qualunque di loro si sarebbe rivelata l’altra metà della mia mela persisteva. L’uomo ha bisogno di sperare per vivere.

E io continuavo a farlo, proseguendo nella mia caccia…

Ognuna di quelle ragazze mi aveva detto, almeno una volta, “Ti amo”. Piangendo, ridendo, arrossendo. Diversi erano stati i modi, ma il concetto era sempre stato identico. Eppure nessuna di loro mi sentì mai rispondere a quell’affermazione: io non avevo mai detto di amare qualcuno. Dopotutto loro per me non si erano rivelate altro che giochi dalle belle forme, per cui non nutrivo il benché minimo interesse sotto quella visione, perché, non appena tolte le vesti della compagna d’amore, alcune di loro sapevano rivelarsi simpatiche amiche.

Sistemai le mani dietro la nuca e chiusi pesantemente gli occhi, tinti come una limpida mattina estiva, che mi pareva così lontana in quel pomeriggio temporalesco d’autunno.

Un sospiro pesante sfuggì alle mie labbra semichiuse, prima che la famigliare voce di mia madre mi richiamasse nel mondo reale. Attesi che la sua voce, morbida nonostante stesse gridando, ripetesse il mio nome per qualche volta, prima di alzarmi controvoglia.

Scesi le scale a piedi scalzi, trovandomi subito davanti alla cucina. L’odore di carne bollita aveva invaso dolcemente quell’angolo della casa e lo scroscio del rubinetto, batteva rumorosamente contro la pentola che vi era stata messa sotto. La piacevole sensazione di essere protetto si diffuse come quando ero bambino.

La figura di mia madre di schiena, indaffarata tra i fornelli e i lavandini, appariva come appena riemersa da un sogno, contornata dai fumi leggeri della cena che stava cocendo. In un angolo buio della mia memoria si risvegliò un’immagine lontana, simile a quella che mi si presentava agli occhi. Un altro pezzo del mio personale puzzle che andava a incastrarsi in attesa degli altri compagni mancanti, che forse non avrei mai ritrovato.

Osservai la silhouette sottile dell’unica donna di casa, incantandomi a osservare il movimento lento che la sua lunga treccia bruna faceva scivolando sulla sua schiena. Il fiocchetto giallo ocra del grembiule, che s’era legata alla vita,  risaltava tra i suoi scuri abiti consumati a furia di usarli saltuariamente.

Le avevo detto più volte d’indossare vestiti più vivaci, i quali avrebbero risaltato la sua bellezza, non ancora appassita sotto i segni dell’età, e che, magari, le avrebbe permesso di accaparrarsi qualche uomo. In fondo aveva solo quarantacinque anni. Ma lei, ogni volta, si era limitata a dirmi che l’uomo della sua vita l’aveva già trovato. Anzi, si vantava con un sorriso, ne aveva trovati ben due: i suoi splendidi figli. Per lei, noi eravamo la sua vita.

Sentirla nuovamente gridare il mio nome mi risvegliò dai miei pensieri, facendomi capire che non si era ancora accorta della mia presenza

- Che c’è, mamma? – le chiesi, posandole una mano sulla spalla. Sembrava così piccola e fragile sotto la stretta della mia mano, eppure lei era sempre stata una donna con una grande forza d’animo, che camminava sempre con la schiena eretta e a testa alta. Aveva dovuto imparare ad essere forte, aveva dovuto apprendere dolorosamente quell’arte per crescere due figli aiutata solo da se stessa. Non doveva essere stato facile farci sia da madre che da padre, in modo che non risentissimo dell’assenza della parte maschile della famiglia. Mi rendevo conto di questo, al contrario di quell’idiota di Michael, il mio fratello minore.

- Oh, finalmente! Sono ore che ti chiamo, Steveesclamò, lasciando la pentola e asciugandosi le mani sul tessuto giallognolo. Si voltò con un sorriso dolce sulle labbra, togliendosi qualche ciocca dal volto affaticato.

- Non ti ho sentito, stavo dormendo - spiegai

- Scusami, non volevo svegliarti. E’ solo che sono preoccupata per Michaeldisse con un tono che tentava di mascherare la sua ansia – Dovrebbe essere già qui…-

Stancamente mi passai una mano tra le ciocche nere, che erano tanto lunghe da infastidirmi gli occhi. Sapevo già dove mia madre volesse andare a parare: guardandomi con quei suoi occhi azzurri mi avrebbe convinto ad andare a prendere quel cretino, pur sapendo che tra noi non c’era mai stato un buon rapporto e il fatto che fossimo fratelli non faceva che peggiorare la situazione: lunghi silenzi a tavola, indifferenza più totale quando c’incrociavamo nei corridoi, neanche una parola di benvenuto all’altro che rientrava a casa. Quell’atmosfera così distaccata tra noi aveva creato non pochi crucci e sofferenze all’unica donna di casa, la quale aveva tentato in tutti i modi di abbattere quel muro che, non si sapeva come o perché, si era creato tra di noi. Ogni suo tentativo, però, era stato un puro e semplice fallimento: io e mio fratello non ci sopportavamo e nulla l’avrebbe cambiato.

Nonostante quello, però, l’affetto che mi legava a mia madre non era mai cambiato ed era proprio quell’affetto che mi faceva preoccupare tanto per lei, al contrario del mio illustre fratello. Entrambi eravamo a conoscenza del fatto che l’ansia e l’agitazione erano due fattori che potevano scatenare uno dei suoi attacchi di cuore. Nostra madre, infatti, era nata con una malformazione al cuore che le aveva sempre dato un sacco di problemi.

Non era un’occasione rara che fosse colta e che io e Michael fossimo costretti a trasportarla in ospedale, dove la imbottivano sempre di ogni genere di farmaci. Durante l’ultima visita il dottore ci aveva preso da parte, sia a me che a mio fratello, e nuovamente si era raccomandato di darle meno preoccupazioni possibili. Le sue parole dovevano essere entrate da un orecchio e uscite dall’altro, nel caso di quel cretino. Così, per evitare che mia madre finisse di nuovo in ospedale, accettai di andare a prendere il mio consanguigno.

- Vado a vedere dove è finita quella testa vuota – dissi sconfitto, prendendo le chiavi della macchina e uscendo senza nemmeno infilarmi la giacca. Sul volto di mia madre mi sembrò scorgere un sorriso di gratitudine, il quale mi convinse che quell’uscita non era del tutto inutile.

*

Spinsi di più l’acceleratore, desideroso di sbrigare il più in fretta possibile quella commissione.

La pioggia batteva imperterrita sul parabrezza, offuscandomi la vista per pochi attimi, prima che i tergicristalli la spazzassero via. Il suo canto malinconico continuava a seguirmi anche lì…cacciai via i miei pensieri prima che potessi ricominciare a perdermi nelle mie domande su quel qualcosa che ancora non ero riuscito a trovare.

Come non ero riuscito a trovare quel cretino! Avevo fatto, al contrario, tutta la strada che solitamente percorreva per tornare a casa, ma di quell’incapace non c’era la minima traccia. Seguendo il percorso finii davanti alla scuola che entrambi frequentavamo e dove Michael faceva i suoi allenamenti di basket.

Non sapevo neanche perché avesse scelto proprio quello sport, dove tutti devono essere alti almeno un metro e novanta (ma non è vero!!! NdBlack – E tu che ne sai? NdWhite – Sono un’ammiratrice di Slam Dunk e Generation Basket ^^’’’’ – Ah, beh…ottima fonte -.- NdWhite). Dopotutto lui non era così alto: era di poco più basso di me che ero un metro e ottanta.

Sbuffando svoltai l’angolo, per frenare davanti alla palestra, dove solitamente si tenevano gli esercizi per i corsi sportivi. L’edificio era completamente avvolto dall’oscurità e anche lì, di mio fratello, neanche l’ombra.

- Ma dove cazzo si è cacciato? – ringhiai furioso, stringendo i pugni sul volante per placare la mia rabbia.

Poi una figura attrasse la mia attenzione: lui.

Era seduto sul marciapiede, dall’altra parte della strada, con la testa china e i capelli che gli cadevano disordinatamente sul volto, fisso a guardare il borsone blu ai suoi piedi. La pioggia scivolava rabbiosa su di lui bagnandolo fino alle ossa, ma sembrava che la cosa non gli importasse molto, come non sembrava importargli la mia presenza.

- Che gli è presto, stavolta? – domandai al vuoto, chiudendo la portiera della macchina. Il rumore prodotto fu tanto forte che, per un attimo, riuscì a superare perfino lo straziante grido delle gocce d’acqua che morivano sull’asfalto, sulla macchina, su di noi…

Controvoglia mi avvicinai a lui, fermandomi quando fui a pochi passi da dove s’era seduto. Solo a quel punto sembrò accorgersi di me

- Ste…-

- Si può sapere che diavolo ti passa per la testa, razza di coglione? – lo aggredii, interrompendo subito il suo tentativo di parlare – La mamma si è spaventata a morte, cretino che non sei al…?! – mi bloccai non appena il suo volto s’alzò verso di me: la candida pelle era segnata da vistosi segni rossi, che, con molta probabilità, si ripetevano anche su tutto il suo corpo. Dovevano averlo picchiato proprio per bene.

Per un attimo sentì un’inspiegabile rabbia scorrermi nelle vene, una furia cieca verso coloro che avevano alzato le mani su colui che raramente riuscivo a definire come fratello. Mi stupii di quella mia reazione, ma essa si volatilizzo velocemente com’era venuta, con una scossa esasperata della mia testa.

- Possibile che tu non riesca neanche a difendere te stesso? – sbottai senza neanche rendermene conto.

Offeso, mi fulminò con un’occhiataccia che riuscì a colpirmi nonostante fosse seminascosta dalle sue lunghe frange bagnate. Un brivido scivolò lungo la mia schiena. Neanche ora saprei dire se questo fosse dovuto al freddo o…ad altro…

Solo in quel momento sembrai accorgermi del fatto che eravamo entrambi sotto la pioggia, la quale, avida, s’era impossessata presto dei miei leggeri abiti, inzuppandomi fino al midollo. Se continuavamo a stare lì ci saremmo presi una bronchite, e poi chi l’avrebbe sentita nostra madre?

- Entra in macchina – gli ordinai, dandogli le spalle e tornandomene in auto. Nonostante non lo stessi guardando, potevo sentire la presenza di Michael che, silenzioso come al suo solito, mi stava seguendo ubbidiente.

- Per poco non facevi venire un infarto a mamma – lo rimproverai duramente, non appena si fu accomodato sul sedile del passeggero – Dimmi, sei scemo o cosa? Lo sai che mamma si preoccupa facilmente! -

- Vedermi in questo stato l’avrebbe, certamente, ammazzata sul colpo – ribatté lui, totalmente atonico. Trattenetti a fatica l’impulso di tiragli un pugno. Quella sua completa apatia, con la quale si rivolgeva unicamente verso il sottoscritto, riusciva a irritarmi più di quanto riuscivo ad ammettere.

Dovetti ammettere, tuttavia, che il suo pensiero non era così errato. Non che questo potesse giustificare la sua egoistica imprudenza

- Potevi almeno telefonare -

- Mi hanno rubato il cellulare – rispose, con un tono che suonava quasi annoiato.

- Sei troppo stupido per difenderti? – lo schernì, con un sorsetto serafico. Sapevo che avrei provocato le sue ire con quell’affermazione, ed era proprio per quel motivo che avevo detto una cosa del genere. Solo per vedere quella sua maschera impassibile incrinarsi, per qualche secondo.

- Stupido?! Non so te, Mr.Muscolo, ma io non sono in grado di confrontarmi con sei ragazzi tutti alti il doppio e spessi il triplo di me! – urlò infervorandosi.

- Piantala di urlare – lo ammonii seccamente, prendendo il mio cellulare e componendo il numero di casa.

Come immaginavo era impossibile, per noi, stare cinque minuti senza litigare. Preferii, così, telefonare a nostra madre giusto per informarla che avevo trovato quell’imbecille. In secondo luogo avrei dovuto trovare una scusa plausibile, grazie alla quale avremmo potuto restare fuori casa fino a notte inoltrata, per evitare che la visione del secondogenito ridotto in quella maniera aggravasse lo stato di salute della donna di casa.

La prima scusa che mi venne in mente fu che saremmo andati ad una festa organizzata dai nostri compagni di scuola - Rientreremo a tarda notte. Non aspettarci alzata – mi affrettai ad aggiungere.

A quella notizia la donna dall’altra parte della cornetta non riuscì a reprimere un grido di gioia, che mi obbligò ad allontanare il telefonino dal mio povero orecchio assordato

- Mamma, perché diavolo gridi??? – sbraitai, mentre il ragazzo al mio fianco mi lanciava un’occhiata traversa che stava chiaramente a significare una cosa del tipo “guarda che lo stai facendo anche tu”. Ignorai volutamente quello sguardo, consigliando a nostra madre di andare a dormire dalla signora McGonnall per quella notte, in modo da non restare da sola.

La signora McGonnall era la nostra vicina di casa, una vecchietta allegra e fin troppo arzilla per la sua veneranda età. Viveva da sola con i suoi tre gatti, dai nomi impossibili da ricordare, e il suo cagnolino Rolly. Forse proprio a causa di questa sua solitudine, si era avvicinata presto a noi ed era sempre stata disponibile e gentile, in particolare dopo che nostro padre se n’era andato di casa. Diciamo pure che la consideravo ormai come una nonna, e il paragone non era poi così fantasioso. Una volta la sentii parlare con un uomo che, furibondo, continuava a gridarle che cosa mai la legasse alla nostra casa. La sua risposta fu tanto semplice da ferirmi: - Loro sono la famiglia che non ho mai avuto -

Capì allora che anche quella dolce nonnina che ci cucinava i suoi deliziosi dolcetti alla cannella nascondeva un passato molto triste. Come il nostro, del resto…

La voce di mio fratello mi riportò alla realtà

- Questo vuol dire che dovremmo passare la serata insieme – disse, cercando di apparire piuttosto seccato per la cosa.

- Non ti lamentare! E’ solo colpa tua se ci troviamo in questa dannata situazione…- le mie parole di rimprovero furono interrotte bruscamente dalle sue

- Piantala! – sibilò, continuando a tenere lo sguardo fisso sul parabrezza – Piantala di rimproverarmi. Chi ti credi di essere? Nostro padre, forse? -

M’irrigidii involontariamente a quell’insinuazione, per poi sciogliermi sotto l’influsso della rabbia. Una rabbia che fa offuscare tutti i tuoi pensieri razionali, che non fa vedere più nulla, che non ti fa più distinguere il bene dal male, se mai questa distinzione esista davvero.

Con violenza strinsi i pugni sulle sue spalle, troppo esili per appartenere a un giocatore di basket, costringendolo a voltarsi verso di me. Il suo sguardo s’incrociò subito con il mio, permettendomi di notare una punta di stupore nelle sue iridi argento.

- Non me ne frega nulla di te e di cosa cazzo fai! Ma se quello che fai danneggia mamma, non ci penso su due volte a tirarti un cartone in faccia! -

- Perché non lo fai, allora? - mi stuzzicò

Quando si è preda della collera crolla ogni genere di pensiero raziocinante, anche il più banale che ti permetterebbe di rispondere civilmente a una così stupida istigazione. Si agisce d’istinto, e il mio istinto, in quel momento, mi diceva unicamente di colpirlo. Così alzai minacciosamente il pugno muovendolo velocemente verso il suo volto, ma mi bloccai a pochi soffi dalla sua candida pelle.

I suoi occhi. I suoi occhi, dello stesso colore dei raggi di una luna estiva, avevano abbandonato il velo di sfida per lasciarsi andare a d’una aperta tristezza.

Credo furono proprio quelle due iridi d’argento a bloccare il mio gesto. Le stesse iridi che mi fermai a contemplare. Non avevo mai notato quanto gli occhi di quel cretino fossero belli. Forse perché avevo avuto poche occasioni per guardarli a così poca distanza, o forse perché non avevo mai avuto motivo di fissarli…

Con un profondo sospiro lasciai la presa sulle sue spalle e distolsi il mio sguardo dal suo, tornando a poggiarmi al sedile.

- Senti, se vogliamo superare questa notte senza farci a pezzi dobbiamo fare una tregua –

- Mh – presi quel grugnito per un sì.

Accesi il motore, già stufo del cocciuto comportamento che Michael stava tenendo. La mia idea era di infilarmi nel primo pub aperto che avremmo incrociato lungo la strada. Grazie a quel genio che mi stava di fianco, infatti, ero stato costretto ad uscire di casa con lo stomaco vuoto, che ora brontolava per quella mia dimenticanza. Molto probabilmente anche il mio compagno stava morendo di fame, ma lo conoscevo abbastanza per sapere che non l’avrebbe ammesso mai, neanche sotto tortura. Non valeva la pena sprecare fiato con quello lì.

- Dove stiamo andando? – mi chiese, togliendosi di dosso il giaccone zuppo d’acqua, rimanendo solo con un’altrettanto fradicia maglia di cotone, che aderiva sul suo corpo come una seconda pelle, esaltandone il più piccolo muscolo.

Ero a conoscenza del fatto che Michael aveva sempre riscosso un notevole successo con la fazione femminile e, proprio come per me, questo era dovuto in gran parte al suo aspetto: morbide ciocche corvine dai riflessi quasi bruni, il viso dai tratti delicati e ancora non del tutto sviluppati, il corpo minuto ma allenato come quello di qualsiasi atleta, e poi quegli occhi d’argento…così magnetici. Al contrario del sottoscritto, però, la sua fama non era dovuta unicamente ad un fattore estetico, ma, anzi, il suo carattere gentile e riservato gli conferiva maggiore fascino. L’esatto contrario del mio, più rumoroso e, paradossalmente, più scontroso. Era proprio il suo carattere che faceva andare in delirio numerose ragazze e ragazzi, a sentire le voci che giravano liberamente per i corridoi.

- Ehi, sei tra noi? – la sua voce mi giunse delicata alle orecchie

- Eh?! Cosa? -

Aggrottò le sopracciglia, con fare interrogativo – Ti ho chiesto dove stiamo andando - ripeté

- Nel primo pub che troviamo. Sto morendo di fame. Penso che valga la stessa cosa anche per te - dissi, anche se ero ben poco fiducioso della sua risposta.

- Effettivamente – sussurrò lui, lasciandomi letteralmente a bocca aperta

Cosa?! Mister-sto-sempre-zitto mi ha dato una risposta affermativa? Questa sì che sarà una notte da ricordare!” ironizzai nella mia mente, inconsapevole di quanto in realtà fossi vicino alla verità.

 

 

Free talk

Salve! ^^ Qui parla Black Angel, la guardiana dei Portali Infernali.

Dopo le mie favole del Giardino dei Peccatori e dei Dannati, passo ad un genere un po’ più roseo ma ugualmente intriso di quell’angst che mai guasta (almeno per la sottoscritta) ^^ Idealmente Moment dovrebbe essere il primo capitolo di una breve trilogia incentrata sui due fratellini protagonisti: in questa prima parte, infatti, i loro pensieri e sentimenti sono affrontati superficialmente, per dare un maggior spazio alla storia in se che aprirà le danze per il secondo capitolo…credo non si sia capito nulla, ma abbiate pietà per una poveraccia che non conosce uno straccio d’italiano ^^’’

Vorrei soltanto affrontare un ultimo punto, prima di svanire nelle nebbie dell’eternità: visto che so che a molti potrebbe infastidire una tematica del genere, voglio dire fin da subito che questa storia riguarda un amore omosessuale tra due fratelli (un incesto, in poche e semplici parole).

Grazie mille per l’attenzione ^^ Aspetto vostri commenti e/o critiche (con molta probabilità saranno in netta maggioranza quest’ultime NdWhite – Il tuo sostegno è sempre ammirevole -.- NdBlack)

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Attrazioni ***


2

2. Attrazione

Colonna sonora: Jessica Simpson - Irresistable

 

Quelle furono le ultime parole che pronunciammo, prima che il silenzio ci calasse addosso come un pesante macigno, accompagnandoci finché non varcammo la soglia del primo pub aperto che avevamo trovato.

La taverna del Trifoglio, così la nominava una targhetta all’esterno logorata dal tempo, era quello che si poteva definire il classico pub irlandese: un’atmosfera calda ed avvolgente ti accoglieva non appena entravi e i tuoi polmoni respiravano la prima boccata di aria malsana, infetta di odori che spaziavano dall’acre fumo di sigaretta al morbido profumo di cibo appena cucinato, tipica dei pub. Il locale era piuttosto piccolino, con il lungo bancone di legno che occupava quasi totalmente una parete e i tavolini, in rozzo legno scuro anch’essi, che si diramavano da esso. Le luci, flebili come candele, erano state posizionate agli angoli e liberavano una soffusa illuminazione per tutto il locale, la quale contribuiva a rilassare il cliente appena riemerso dal temporale che si era abbattuto sulla città. Al fondo della sala, uno scoppiettante camino riscaldava la temperatura, facendo danzare soavemente le sue fiamme nell’antro costituito da piccoli mattoncini rossastri. Una giovane cameriera si destreggiava abilmente tra i pochi tavoli occupati, sorridendo gentilmente, nonostante sul suo volto era ben chiaro il segno della stanchezza. Al di là del bancone un uomo sulla trentina si occupava di preparare i drink, urlando, di tanto in tanto, qualcosa a colui che doveva essere in lotta con i fornelli.

I pochi clienti presenti erano dispersi in vari tavoli, il più possibile lontani gli uni dagli altri, come se la sola vicinanza con altre persone sconosciute potesse irritare quel loro pacifico ritrovo. Fortunatamente per noi il tavolo davanti al camino non era stato occupato, e, fradici fino alle ossa com’eravamo, non ci pensammo due volte a diventarne noi i possessori. Ci vollero una manciata di secondi, prima che la cameriera venisse a chiederci le ordinazioni.

- Cosa vi posso….- la sua voce si smorzò nell’aria non appena focalizzò lo stato in cui eravamo ridotti

- Per iniziare un po’ di ghiaccio, ehm…Janyce – risposi, sforzandomi di leggere il nome scritto sul taschino della sua divisa. In men che non si dica, ci fu portato quanto richiesto e il mio silenzioso compagno non attese un attimo in più per poggiarlo sul suo bel faccino deturpato. Quando il primo problema sembrò essere risolto, pensammo al desiderio più impellente che il nostro corpo aveva in quel momento: mangiare. Scrutai frettolosamente il menù, richiedendo la prima cosa che mi capitò agli occhi.

- Allora – esordì, non appena Janyce ci ebbe congedato – Chi è che ti ridotto così, eh? -

- E perché dovrebbe interessarti? – ribatté, fulminandomi con lo sguardo, mentre si premeva di più il ghiaccio sul volto

- Volevo solo fare un po’ di conversazione – sbuffai con un’alzata di spalle

- Non ne abbiamo mai fatta e di certo non ho intenzione d’iniziare ora –

Un sussurro gelido, il suo, che s’infilava nel tuo animo, come la pioggia, là fuori, trapassava i tuoi vestiti. Parole accompagnate da uno sguardo freddo come la neve, che, chissà per quale assurdo motivo, mi facevano sentire improvvisamente amareggiato.

Michael non aveva torto: la mia memoria non riportava nemmeno un ricordo di una chiacchierata tra noi svoltasi civilmente, non un ricordo di un gesto affettuoso donato l’uno all’altro. E questo non era causato dall’amnesia che mi aveva colpito dopo l’incidente.

Indifferenza, gelo, disprezzo…quelli erano stati gli unici sentimenti che avevamo condiviso. Spesso mi chiedevo dove e quando questo muro si fosse innalzato tra noi, ma solo una triste risposta si ripeteva nel mio cervello: non c’era un dove o un quando, eravamo nati con tutto quello…nati per non essere fratelli.

- Lo dici come se fosse colpa mia – gli feci notare, alzando il sopracciglio – Se tu avessi voluto, avresti sempre potuto…-

- Fare cosa? Avvicinarmi a te? – m’interruppe, alzando la voce e fulminandomi con i suoi occhi argentati – Io dovevo avvicinarmi a te? E tu? Tu cosa dovevi fare? Stare lì fermo ad aspettarmi? –

- Ehi, non ho detto questo – tentai di difendermi – Ho detto solo che è colpa di entrambi se…-

- Se siamo costretti a litigare ogni cinque minuti. Volevi dire questo, no? – continuò la mia frase con un raschiante sarcasmo – Beh, io non l’ho mai voluto – aggiunse, quasi volesse addossarmi tutta la colpa

- Non puoi pretendere che tutto vada come vuoi –

- E tu invece puoi farlo? Vieni qua e pretendi che iniziamo una conversazione da buoni fratelli, come se non facessimo altro da anni. Come se quel giorno…-

- Eccovi le vostre ordinazioni – l’arrivo della cameriera, interruppe bruscamente il discorso che stavamo intraprendendo – Un hamburger con patate e una pizza ai formaggi – elencò, posandoci davanti agli occhi la nostra cena – Buon appetito – ci augurò, infine, lasciandoci liberi di riprendere là da dove avevamo lasciato in sospeso.

Curioso di sapere a cosa si riferisse Michael con “quel giorno” non aspettai altro tempo per chiederglielo, ma lui non sembrava tanto intenzionato a ricominciare la discussione, visto che si era già avventato sulle patatine. Si bloccò solo qualche secondo per guardarmi e mostrarmi i suoi occhi, ora privi dell’ira che vi aveva brillato fino a qualche attimo prima.

- Lascia perdere – mormorò, dedicandosi al suo panino. Chiaramente non voleva svelarmi quel mistero. Non in quel momento, almeno.

Abbassai lo sguardo sul mio piatto, fissando la pizza fumante che vi era posata sopra. La fame che aveva attanagliato il mio stomaco, sembrava essere stata soppressa dalla curiosità. Quel fantomatico “giorno”, a me oscuro, aveva iniziato a tormentarmi.

*

Quando terminammo di mangiare le lancette del mio orologio segnavano le dieci.

Avrei davvero voluto tornarmene a casa e chiudermi nella mia camera, ma certamente a quell’ora nostra madre era ancora in piedi a giocare a bridge con la signora McGonnall e ci avrebbe notati immediatamente non appena avremmo tentato di avvicinarci a casa nostra.

La mia idea era, infatti, di rientrare verso le undici, quando nostra madre si sarebbe messa sotto le coperte, costretta dalla premurosa anziana la quale non si coricava mai dopo quell’ora. Il vero problema era come riuscire a far passare quella lunga ora in sola compagnia del mio fratellino dalla parlantina facile.

Anche in quel momento stava in silenzio, contemplando il fuoco che scoppiettava nel camino, assorto in chissà quali pensieri. Il colore caldo delle fiamme danzava sul suo profilo, mascherandolo con soffici sovrapposizioni di luci ed ombre. I marchi rossi, lasciatigli da coloro che l’avevano picchiato, avevano perso colore e parevano anche essersi sgonfiati, rispetto a quando l’avevo trovato. Fortunatamente la pioggia gelida aveva placato subito il gonfiore e, con molta probabilità, l’indomani non avrebbe avuto più nulla di così vistoso. Il mio sguardo rimase, poi, impigliato sui suoi capelli, che avevano iniziato ad asciugarsi, mostrando alla luce i loro riflessi bruni. Ero così immerso nel notare i piccoli particolari che identificavano Michael, che trasalì non appena il suo sguardo argenteo si posò su di me.

Lo stavo fissando e, ovviamente, lui se n’era accorto. Il problema era che io non me n’ero accorto.

- Si può sapere che hai, oggi? Stai tutto il tempo a fissarmi -

“Bella domanda! Me la sto facendo anch’io” pensai, autorimproverando la mia distrazione

- Io non ti sto fissando, cretino – ribattei, cercando di rimanere indifferente

- Hai pure il coraggio di mentire? –

- Non ho alcun motivo per guardarti, narcisista imbecille -

- Tsk…dev’essere una questione genetica – disse, lanciandomi uno sguardo sprezzante – Anche papà aveva il bel vizio di dire balle –

Senza neanche accorgermene un sonoro schiaffo raggiunse la sua guancia, spostandogli il volto da un lato.

Sentirmi paragonare a quell’infame che aveva abbandonato noi e nostra madre era stato veramente troppo da sopportare. Sapevo che quel ceffone se l’era meritato, eppure, non appena tornai alla lucidità, sentì l’irresistibile impulso di chiedergli scusa, domandandomi, contemporaneamente, il perché di tale stupido desiderio.

Abbassai la mano mentre la sua si alzava verso la guancia mortificata, sfiorandola delicatamente.

Un ironico sorriso gli piegò le labbra. Come se nulla fosse si alzò, trafiggendomi da parte a parte con un’occhiata degna di un iceberg

- Non sei mai cambiato – sussurrò, prima di allontanarsi verso l’uscita e sparire dietro la pesante porta di legno scuro. Ci misi qualche secondo ad assorbire quelle parole, ma non riuscì a capire esattamente il loro significato. Lasciai i soldi sul tavolo, in una tale fretta che aggiunsi pure cinque dollari di troppo. Dopo di che seguì mio fratello sotto la pioggia, che non dava alcun cenno di voler smettere.

Michael era immobile, a pochi metri da me, dandomi le spalle. Le gocce gelide erano tornate ad accarezzare avidamente i nostri corpi ancora umidi, riempiendo quel famigliare silenzio che calava fin troppo spesso tra di noi. Non mi aspettavo di trovarlo ancora lì, ma visto che c’era dovevo approfittare della situazione per tentare di farlo rientrare.

- Dove hai intenzione di andare? – domandai spazientito

- A casa – mi rispose apatico, continuando a darmi le spalle.

Guardai il mio orologio. Era ancora troppo presto per rischiare di avvicinarsi a casa

- Mamma potrebbe vederti – gli feci notare, tentando di usare il tono più pacato possibile nella speranza di riuscire a riportarlo alla ragione. Ma il mio intento, ovviamente, non riuscì

- Non m’importa! – ringhiò a denti stretti – Mi sono stancato di stare da solo…con te -

Vidi le sue mani, abbandonate lungo i fianchi, serrarsi in due pugni tremanti. Persino il suo corpo sembrava che tremasse cercando di trattenere dentro di se tutta la furia che ribolliva pericolosamente. Furia che io avevo immesso.

Sbuffai rumorosamente, passandogli di fianco – Muoviti – gli ordinai, aprendo la portiera

*

Ancora non saprei dirvi perché lo feci, perché assecondai i capricci di quel deficiente che mi aveva insultato fino a pochi attimi prima, perché mi ero sottomesso, per la prima volta, a una richiesta di quel moccioso, con cui avevo provato in tutti i modi ad essere gentile senza, tuttavia, essere ricambiato.

Non lo sapevo, eppure lo feci: lo riportai a casa, rischiando anche di far prendere un infarto a nostra madre.

“Ma perché cazzo lo sto facendo?” continuavo a ripetermi.

Miracolosamente, per una volta la Dea Fortuna s’era stufata di ridermi dietro le spalle e si era decisa a darmi una mano. Quando arrivammo la casa della nostra anziana vicina era immersa nel più assoluto buio e silenzio, tipico del sonno. Molto probabilmente la nostra nonnina si era stufata di perdere a bridge con nostra madre e aveva proposto allegramente di andare sotto le coperte, lasciandoci inconsciamente via libera.

Infilai la chiave nella serratura, facendola girare per un paio di volte finché un rumore metallico non mi annunciò che era aperta. Posammo malamente le scarpe fradice nell’ingresso, lasciando una scia di piccole goccioline al nostro passaggio, che segnavano il percorso fino alle nostre camere, poste al piano superiore.

- Non accendere la luce – ordinai a Michael, il quale neanche si degnò di rispondersi, rifugiandosi nella sua tana

Mi dovetti rassegnare a quel suo atteggiamento. Potevamo continuare tutta la notte a litigare per cazzate simili, e quella non era proprio la migliore aspirazione che avessi per quella serata.

Entrai nella mia stanza, togliendomi la maglietta bagnata e lanciandola in un angolo di quel caos che solo io potevo chiamare camera. Stanco, mi passai una mano tra i capelli fradici, mentre con l’altra cercavo il cellulare nelle tasche dei miei jeans. Sentivo il terribile bisogno di parlare con Mary-Jean: quella pazza era sempre riuscita a tirarmi su di morale, anche in situazioni ben peggiori.

La mia mano, però, non trovò nulla.

Aggrottai le sopracciglia, imprecando contro il mio stesso disordine

“E ora dove diamine l’ho lasciato” mi domandai, dirigendomi verso la stanza di Michael, nella pallida speranza che quel cretino potesse essermi utile per una volta.

Mi aspettavo di trovare la sua porta serrata, come di solito la teneva, ma stranamente quella sera era spalancata, lasciandomi completamente impreparato all’immagine che custodiva al suo interno: lui era lì, davanti alla finestra, illuminato da qualche pallido raggio di luna che sfuggiva alle spesse nuvole nere. Il suo sguardo seguiva ogni movimento di quella danza armoniosa che le gocce intraprendevano scivolando sul vetro freddo della finestra.

Si era disfatto sia della giacca che della maglia, rimanendo solo con i fradici jeans neri che contrastavano con la pelle chiara del suo torace, come in una foto in bianco e nero. Il suo profilo sembrava essere stato scolpito nel marmo dalle mani esperte e delicate di Michelangelo, illuminato appena dalla luce bagnata di quella notte in cui il profumo dell’umidità si spargeva dovunque riusciva ad infilarsi.

Mi bloccai, sotto l’effetto di una misteriosa magia che mi obbligava a fissare quella bellissima statua dinanzi ai miei occhi d’incredule mortale. Il mio respirò accelerava ad ogni boccata d’aria in più, così come i battiti sempre più frenetici del mio cuore, entrambi mossi da qualcosa che non potevo controllare…che non riuscivo a definire. Qualcosa che m’impedì di muovermi anche quando il suo sguardo si posò su di me

- Hai ancora il coraggio di dire che non mi fissavi, ora? – mi chiese, con uno strano tono divertito nella voce. Crudelmente divertito, simile a quello che userebbe un gatto quando ha messo finalmente le zampe sul topolino che da lungo tempo invade il suo territorio.

- V-volevo solo chiederti s-se hai visto il mio c-cellulare - sviai sfrontatamente, tentando di risultare il più possibile credibile, cosa che, ovviamente, non avvenne.

“Cretino, cerca almeno di non balbettare! Devi essere sicuro di te” mi rimproverai mentalmente.

Una piegatura sprezzante ricoprì le labbra fini di Michael, mentre mi osservava attentamente con i suoi occhi, nascosto dal velo della notte.

- Sei proprio un codardo -

- Io codardo? – ripetei, indignato da quell’affermazione – Ti ricordo che sei tu quello che non si sa nemmeno difendere da un gruppetto di teppisti. Hai visto? Anche tu hai qualche somiglianza genetica con il nostro caro papino – ribattei tentando appena di nascondere il ghigno diabolico apparso sul mio volto.

Ve ne do atto: ero stato un bastardo in piena regola!

Io stesso ero il primo a riconoscerlo, ma sapevo anche che istigarlo nuovamente l’avrebbe portato lontano da quell’argomento che, a mio parere, stava prendendo davvero una brutta piega. Nonostante all’apparenza Michael sembri calmo e controllato, si rivela essere una mente completamente impulsiva una volta che gli viene lanciato il seme della discordia. E questa non era una situazione su cui avrebbe sorvolato.

Come avevo immaginato, infatti, senza neanche rifletterci per un secondo, si avventò su di me con un pugno, che bloccai con notevole facilità. Non contento, tentò di attaccarmi con la mano libera, ma anche quella mossa fu fermata sul nascere. In quanto a forza fisica il mio fratellino non era mai riuscito a battermi e, purtroppo per lui, quella non era esattamente la serata giusta per prendersi la sua rivincita.

Lo buttai sul letto senza alcuna cura, stringendogli con forza i polsi e obbligandoglieli sopra la testa, mentre mi sedevo su di lui per bloccare ogni eventuale movimento delle gambe. Dopo aver tentato di liberarsi con un paio di strattoni, si placò limitandosi a riversare la sua rabbia nei suoi occhi, i quali mi rivolgevano un’occhiata carica di tacite ma ben comprensibili minacce.

- Bastardo – mi ringhiò contro – Sei solo un bastardo codardo! Non sei cambiato affatto: scappi sempre dalla verità -

- E quale sarebbe la verità? Illuminami genio! – lo schernii crudelmente, accompagnando le mie parole con una meschina risata

- Non sei neanche in grado di vederla? Oppure preferisci nasconderla, fare finta di niente per non sentirti troppo in colpa? – urlò, sporgendosi in avanti e mostrandomi così il suo bel volto scomposto dall’ira. Nuovamente prese a muoversi nella speranza di liberarsi, missione in cui fallì miseramente per la seconda volta, invischiando il suo animo anche con una profonda frustrazione.

- Che diavolo stai farneticando? -

- Oh, ma certo: tu hai perso la memoria. Non ricordi più nulla del giorno in cui se ne andò nostro padre? O forse la tua amnesia è solo un altro dei tuoi stupidi trucchetti per tirarti fuori da situazioni sgradevoli? -.

Lo fissai aggrottando le sopraciglia e tentando di dare un senso alle sue parole: cosa poteva centrare tutto quello con il giorno in cui quel fottuto bastardo aveva lasciato casa nostra?

La mia memoria indagò nei meandri perduti del mio passato, di cui molti pezzi erano andati dispersi e, forse, non sarebbero stati più ritrovati. Cercò quel giorno, presentandomelo in insieme di frammenti che passavano nella mia testa come un film montato male. Un film che sembrava saltare appositamente le scene madri.

Inconsciamente allentai la presa attorno ai polsi del mio prigioniero, il quale approfittò della mia distrazione per liberarsi.

Ora non era più bloccato dalla mia morsa: poteva senza tirarmi un pugno, senza alcun problema, e non me ne sarei nemmeno accorto, talmente ero assorto nel sforzare al massimo la mia memoria frammentaria. Poteva allontanarmi, cacciarmi in malomodo dalla sua stanza e intimarmi di non metterci mai più piede.

Poteva…ma lui non fece nulla di tutto questo.

Stette in silenzio, sdraiato sotto di me, guardandomi mentre gli sputavo addosso una scarica di domande a cui avevo bisogno di trovare una risposta. Domande che lui stesso aveva immesso nella mia testa.

- Che centra il giorno in cui quell’infame ci ha lasciato? Cosa centra con noi? Perché è anche la causa di tutta questa maledetta situazione? – la mia voce giungeva alle mie orecchie sempre più roca e spezzata, dandomi segno che ero ormai vicino al pianto, nonostante il mio orgoglio m’impedisse in ogni modo di non versare lacrime davanti al mio con sanguigno

- Che centra con il fatto che non ci odia…- non ebbi la possibilità di terminare quell’ultima domanda. Le mie grida s’erano fermate contro le sue labbra, che delicate s’erano appoggiate alle mie lasciandomi ammutolito.

“Mio fratello mi sta baciando” pensai distrattamente, distaccato quasi come se la cosa non mi riguardasse.

Fu l’unica cosa che riuscì a comporsi nel mio cervello, dopodiché i neuroni parvero scioperare in gruppo, senza chiedermi alcuna autorizzazione, oltretutto. Dovevo sembrare davvero un fantoccio, non fosse stato per il cuore che mi batteva come un tamburo nel petto e per i brividi che, per qualche inspiegabile motivo, continuavano a scivolare sulla mia schiena. Brividi caldi che annodavano il mio stomaco in una morsa della stessa bollente temperature. Scosse di sensazione che si diffondevano in me con cerchi concentrici, raggiungendo ogni angolo del mio essere.

Ricordo addirittura di aver realizzato, nella mia testa messa momentaneamente in standby, che nessuna mai mi aveva fatto provare una tale scarica di emozioni con un solo bacio. Però, qui non si parlava di una ragazza qualunque: qua si parlava di mio fratello, per la miseria!

So bene cosa sta passando per le vostre menti, ora: mi vedete già con la mano alzata, pronto a dargli un ceffone che in breve arriverà ad inferire sulla pelle già marchiata. Immaginate chiaramente il mio corpo alzarsi dal suo e i miei occhi lanciargli tutto il mio disprezzo, mentre me ne torno in camera mia, magari maledicendo tutto il mondo e l’universo. Mi dispiace per voi, ma avete toppato alla grande!

Ciò che feci fu esattamente l’opposto! E non chiedetemi le motivazioni, perché neanch’io riesco ancora a trovarle. So solo che le sue labbra diventarono la mia unica fissazione, che il suo respiro affannoso mischiato con il mio era diventata l’unica musica che avrei voluto ascoltare, che il suo volto diventò l’unica immagine che occupava i miei occhi.

Dopo lo shock iniziale, mi lasciai travolgere da quel bacio, assecondando tutti i movimenti di Michael.

Mi stupisco tutt’ora nel pensare che fui proprio io a chiedere di più, a far diventare quell’effusione più profonda ed intima. Feci scorrere la mia lingua sulle sue labbra, intanto che lui si stendeva completamente sul materasso portandomi dolcemente con se in quel mondo dove la razionalità sembrava sconosciuta.

Un gemito e poi il varco in quel luogo a me proibito da ogni cultura, civiltà, religione. Ma in quel momento nulla di tutto questo occupava i miei pensieri: solo lui, steso sotto di me, che sussurrava frasi sconnesse dal piacere e dal desiderio. Le sue dita gelide strette sulla pelle bollente della mia schiena, il suo corpo sottile che si contorceva sotto i miei baci, la sua voce ansimante: volevo tutto di lui. Cieco, desideroso solo di soddisfare i miei desideri, di riuscire a fargli toccare il nirvana del piacere, di possederlo. Lui, mio fratello…

E’ così semplice dirlo ora, lontano da quel momento in cui la ragione non aveva trovato posto. O forse ero semplicemente io a rinnegarla, poiché ero schiavo soltanto dei miei sensi e del miei istinti, perso in quel tunnel di lussuria in cui Michael mi stava dolcemente trasportando. Un tunnel che sembrava l’unica strada possibile in quella notte bagnata dalla pioggia, in quella notte in cui la luna giocava a nascondino con nuvole piene di lacrime, in quella notte in cui lo feci mio…

- Steve…-

…per sempre…

 

 

Free Talk

Salve a tutti ^^ Bene, dopo un lungo silenzio (causato dai capricci del mio caro pc -.-) torno con il secondo capitolo di questa storia ^^ Vi chiedo perdono per la scena finale: è davvero pessima, ma io non ci so proprio fare con queste cose ^^’’’ (e una domanda comune acquista voce: perché cavolo le scrivi, eh??? NdWhite). Ringrazio cicciachan e effy&ale che hanno avuto cuore di commentare questo mio piccolo schizzo di mente ^^  Alla prossima

 

 

 

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Capitolo 3
*** Inferno e Paradiso ***


3

3. Inferno e paradiso

Colonna sonora: Elisa - Heaven out of Hell

 

Il cinguettio canoro dei passerotti, già svegli dal primo mattino, mi condusse nel risveglio ad un nuovo giorno.

La luce pallida e grigiastra di una mattina che segue una notte di pioggia entrava pigra dalla finestra, ancora ingioiellata di quelle gemme che le nuvole avevano riversato per tutta la sera.

Non occorse molto tempo prima che i miei occhi si abituassero alla tenue luce, dandomi la possibilità di dare uno sguardo alla mia camera. Peccato che non mi trovavo nella mia camera e l’ordine in cui erano disposti tutti gli oggetti era un chiaro avvertimento, più di una targhetta con il nome del proprietario: quella in cui mi trovato era la camera di mio fratello!

- Io…c-che cavolo ci faccio qui? – sussurrai, con la voce ancora impastata dal sonno, cercando di alzarmi da quel groviglio di umide coperte. Ma non appena tentai di sollevarmi un sommesso mugugnare di disapprovazione, simile a quello di un neonato spostato contro la sua volontà, fermò i miei movimenti, attirando il mio sguardo sul peso posato sul mio petto. I miei occhi si allargarono sorpresi quando delinearono un Michael placidamente abbandonato nelle braccia del sonno, che usufruiva tranquillamente del mio corpo come cuscino. A vederlo lì, con il volto rilassato dalle carezze suadenti di Morfeo, non potei risparmiarmi dal paragonarlo ad un angelo sceso miracolosamente dal cielo. Un angelo che io stesso avevo sporcato quella stessa notte, affermandone la mia proprietà…facendolo mio…

In un breve attimo le emozioni cieche, i gesti misti ai sussurri di passione, le travolgenti sensazioni di poche ore prima mi tornarono prepotentemente alla memoria, come un fiume in piena che inonda ogni villaggio al suo passaggio.

Spalancai gli occhi, incredulo del mio stesso atto: avevo amoreggiato con mio fratello? E non si era trattato solo d’innocenti bacetti. Anzi, si era trattato di tutto fuorché di quello!

“Ma che cazzo ti è passato per la testa?” mi urlò la mia coscienza, intanto che tentavo nuovamente di alzarmi, ignorando volutamente il fatto che con i miei movimenti avrei rischiato di svegliare il bell’ addormentato.

“Sei un’idiota. Un’idiota completo! Non solo lui è un ragazzo, ma è pure tuo fratello!” continuai a rimproverarmi, mentre m’infilavo frettolosamente i jeans, abbandonati malamente sul pavimento.

Ma sei proprio il re dei coglioni. No, voglio dire: ma se proprio volevi spassartela con un ragazzo, perché cazzo hai scelto tuo fratello?”

Nonostante continuassi a criticarmi per la mia debolezza, sapevo bene, però, che quella notte non poteva essere catalogata semplicemente come una nuova esperienza. Anche se non l’avrei mai ammesso, in cuor mio ero cosciente del fatto che se tutto quello fosse successo con un ragazzo qualsiasi non si avrei pensato due volte a riempirlo di pugni non appena mi avesse sfiorato.

Invece con lui, con il mio odiato fratello minore, questo non era successo.

Con lui mi ero liberato di ogni pudore dando retta solo alle mie fantasie e, era terribilmente seccante ammetterlo, mi era pure piaciuto! Non era la prima volta che lo facevo, eppure era la prima volta che lo facevo in un modo così…bello forse è la parola giusta?

Per la prima volta qualcuno, in quell’atto che avevo sempre concepito come un’azione puramente fisica, era riuscito a scuotermi così profondamente da far vibrare anche il mio cuore, da farlo battere all’uninsoro con il suo mentre insieme raggiungevamo il nirvana.

Piantala con queste cazzate” mi dissi, scuotendo la testa. Michael, in fondo, non aveva tutti i torti a dirmi che fuggivo dalla realtà per non macchiarmi con essa.

- Steve? – il suo richiamo mi fece sobbalzare. Lo stesso richiamo che aveva ripetuto più e più volte nel corso della nottata: sussurrandolo, ansimandolo, gridandolo ed ogni volta il mio nome usciva dolce dalle sue labbra, come un canto velato di zucchero.

“No, basta! Devi darci un taglio o finirai per ricascarci”

Mi ero reso colpevole di un peccato, un peccato orribile, e qualunque cosa provassi per lui non giustificava il mio atto. Nulla avrebbe potuto giustificarlo...

Mi voltai verso di lui, vedendo di quale bellezza la natura lo aveva dotato: era ancora seduto sul letto, coperto solo dal leggero lenzuolo ed accarezzato, la dove non fosse scoperto, dai metallici raggi di sole, i capelli arruffati e gli occhi ancora velati dal sonno, così simile a un bambino troppo cresciuto. Puro come solo un angelo può essere. Davanti a tutto quello dovetti impegnare tutta la mia buona volontà per trattenere l’impulso di tornare a gustarmi delle sue labbra.

“E’ sbagliato. Tutto sbagliato” mi ripetevo nella testa, cercando di placare i miei bollenti spiriti.

- Stai bene? – mi chiese dolcemente, avvicinando di più il capo alla spalla. Sentì perfettamente il mio cuore fermarsi, e pregai che lo facesse per sempre, almeno quella tortura sarebbe finita. Quella dolce tortura…

- Non guardarmi così - mormorai, in una confusione di parole appena udibili da me stesso.

- Come? -

- Sì, sto bene – mi corressi, usando un tono degno di una bufera di neve e tornando a dargli le spalle.

Feci il possibile per concentrarmi sullo squarcio della città che la finestra mi offriva: un cane che passeggiava annusando qua e là qualche albero, una ragazzina sui pattini che si muoveva al tempo che la musica del suo walkman le offriva, una moglietta apprensiva che rincorreva il marito sventolando una serie di pratiche…qualunque cosa che mi distraesse da lui era perfetta, che distogliesse la mia mente dalle fantasie poco pure che in meno di un attimo aveva risvegliato.  

Avrei dovuto uscire da quella stanza senza dire più nulla, gettandogli una distratta occhiata di disprezzo per poi non rivolgergli mai più la parola. Forse così tutto sarebbe caduto nel dimenticatoio, tutto quello sarebbe sparito in un angolo remoto della memoria di entrambi. Ma Michael...per chissà quale stupido pensiero io non volevo ferirlo. Desideravo tutto fuorché quello. E ora sapevo che bastava davvero poco per infrangere il suo piccolo cuore, perché durante quella notte non ci fu solo uno scambio di effusioni ma anche rivelazioni, che avrebbero fatto meglio a restare chiuse nelle loro prigioni senza chiavi, così mi sarei sciolto da quella situazione con maggiore semplicità.

Avevo scoperto molte cose su di me e soprattutto su mio fratello, che era sempre stato un mistero. Tra queste quanto lui fosse fragile in realtà, tanto fragile da piangere mentre raggiungevamo il culmine, pregandomi di non abbandonarlo mai. Una fragilità che era stata in grado di sciogliermi, di farmi perdere la ragione come mai nessuno era riuscito a fare.

“Ma perché devi essere così perfetto, maledizione?” una domanda che trafisse dolorosamente i miei pensieri, destinata a rimanere senza risposta.

- Sicuro? – mi domandò il protagonista delle mie congetture, con un tono preoccupato.

- Ti ho già detto di sì – risposi bruscamente. Se mi l’avessi allontanato, se mi avesse odiato, disprezzato, insultato allora, forse, sarebbe stato più semplice buttarci dietro alle spalle quell’errore in cui entrambi eravamo scivolati. Sarebbe stato più semplice per entrambi…forse…

“Odiami, dannazione!” urlò la mia coscienza, straziata “Da solo non posso dimenticare. Non se mi guardi così! L’hai detto tu stesso, in fondo: non sono altro che un codardo”

Le mie disperate e mute richieste sparirono nel nulla non appena sentì le sue braccia allacciarsi sulla mia vita, stringendomi in un caldo abbraccio che mi fece sentire…come?

Come la notte appena trascorsa, durante la quale tutta la mia morale da bravo ragazzo era sparita lasciando spazio solo per…per cosa? Cosa provavo per il mio fratellino minore?

- Scusami – disse lui, strofinando la guancia contro la mia schiena nuda – Non volevo farti arrabbiare. Non voglio che succeda di nuovo – la sua voce si era ridotta a poco più di un sussurro, basso e roco come se fosse vicino al pianto. Probabilmente si riferiva nuovamente a quel fantomatico giorno in cui sembrava essere nato tutto il nostro distacco e di cui io non ricordavo nulla. Avrei voluto chiedergli che cosa fosse mai successo, che cosa ci aveva diviso e ci aveva proibito un rapporto tra normali fratelli, ma, sfortunatamente, Chronos non mi era favorevole.

- Preparati o faremo tardi a scuola – dissi atono, scrollandomi dal suo abbraccio e andando a rifugiarmi in camera mia, con la testa piena di domande a cui nessuno sarebbe stato in grado di dare una risposta. I miei occhi finirono sull’aggeggio rumoroso e fastidioso che mi aveva portato dritto tra le braccia del peccato, mentre lui si nascondeva diabolico sotto la sedia accostata alla mia scrivania. Sbuffando imprecazioni, mi chinai a raccoglierlo visualizzando le due chiamate che avevo ricevuto durante la nostra separazione: entrambe portavano un unico nome, che era il medesimo di colei che mi avrebbe schiarito un po’ le idee.

*

Per il resto della giornata ottenni ciò a cui avevo lambito: il silenzio, sceso implacabile tra noi, freddo e rabbioso come una marea. Tutto sembrava essere tornato come al solito, anzi, per coloro che ci avevano sempre osservati dall’esterno, nulla sembrava essere mai cambiato. Nessuno notava gli sguardi fuggiaschi che ci mandavamo ad ogni nostro incontro, per poi distogliere frettolosamente gli occhi quando s’incrociavano con quelli dell’altro. Tristezza, regina dei suoi, confusione, unica dama nei miei.

Nessuno, però, riuscì a scorgerle. Nessuno tranne lei, Mary-Jane, l’unica vera amica che posso ricordare.

Lei è stata la mia prima ragazza, alla tenera età di sei anni. Il cosiddetto “fidanzamento” si era trasformato presto in una pestifera complicità che ci aveva accompagnato durante tutta l’adolescenza e che ancora non ci lasciava. Lei, la bellissima e stramba ragazza perennemente allegra e saltellante come un folletto, io, l’affascinante ed oscuro ragazzo, che si nasconde dietro una maschera di freddezza. Probabilmente qualcuno definirebbe questo nostro rapporto come una sorta di “compensazione” per entrambi, e in effetti non andrebbe tanto lontano dalla realtà.

- Ti devo fare una flebo di vivacità, bello mio! – mi aveva detto ridendo un giorno, quando eravamo appena ragazzini - Sembri proprio un morto che cammina. Il mio dovere è quello di rimetterti nel mondo dei vivi -.

E Mary assolveva quel compito ogni santo giorno ronzandomi attorno, e facendo spargere voci infondate di un nostro fidanzamento tra le peppie invidiose della scuola. Ma nessuno di noi due dava importanza a quei pettegolezzi da tabloyd: stavamo bene insieme, ci divertivamo come mocciosi, e, soprattutto, Mary era l’unica persona con cui riuscivo a parlare di tutto, anche di argomenti imbarazzanti come quello che tentai di affrontare quella mattina.

Come nostra consuetudine, per la pausa pranzo ci ritirammo in terrazza in compagnia dei nostri panini. La pioggia, che aveva ripreso a scendere durante la mattinata, continuava a battere sopra la tettoia sotto alla quale ci eravamo rifugiati, diffondendo un rumore metallico  che riempiva quell’inconsueto silenzio nato tra noi.

- Si può sapere che hai oggi? – sbottò spazientita la mia compagna, all’improvviso.

- Ho qualcosa di diverso? – domandai di rimando, addentando il mio panino

- No, non so neanche cosa mi abbia dato quest’impressione – rispose ironicamente, alzando gli occhi al cielo – Forse il fatto che tu e tuo fratello non facciate altro che lanciarvi occhiate che variano dal “che cazzo ti ho fatto?” al “lasciami stare” ? -

La guardai spalancando gli occhi, con la bocca, aperta dallo stupore, ancora piena dell’ultimo morso del mio pranzo. La visione fece inorridire abbastanza la mia amica, che mi costrinse a richiuderla con la mano.

- Per favore. Ho appena mangiato -

- Te ne sei accorta, quindi – mormorai, lasciando da parte il mio stupore e annegandomi nell’amarezza.

- Beh, è un po’ difficile non accorgersene se mi parli a un centimetro dal viso –

- Intendevo dell’atmosfera tra me e mio fratello – le ricordai, lanciandole un’occhiataccia

- Oh, quello. No, guarda: stavo solo tirando ad indovinare – ribatté, accentuando le sue parole con un’ironia sempre più marcata – Allora, mi vuoi dire cos’hai? -

Sospirai pesantemente, preparandomi ad affrontare quel discorso che avrei voluto dimenticare al più presto – Ho fatto una cosa orribile – dissi, riavvolgendo il mio pranzo nella carta stagnola – E non so nemmeno il perché -

- Oh mio Dio! Chi hai ucciso? – urlò lei sconcertata, portandosi le mani alla bocca

- Mary vuoi essere un po’ seria? -

- Dai, scusa scusa - rise la mia amica, alzando le mani in segno di resa – Dimmi un po’ che hai combinato -

- Io…- le parole sembravano non voler uscire, bloccate nella mia gola per la troppa vergogna o forse per la paura di essere giudicato anche da lei che mi aveva sempre capito.

“Andiamo! Da quando m’imbarazzo a parlare con lei?”

- Tu? – m’incitò, curiosa di sapere qual’era il peccato commesso e per cui tanto mi dannavo

- Io…ho fatto sesso con un ragazzo – risposi tutto d’un fiato, cercando di contenermi nel mio autocontrollo.

- Cosa? E sarebbe questa la cosa orribile? – mi chiese, assumendo un’espressione delusa

- E come la definiresti? E’ una cosa completamente sbagliata – ribattei furioso, anche a causa della delusione. Mi chiesi che diamine si fosse immaginata, quella pazzoide, per reagire con tanta depressione.

- Non è sbagliato -

- E allora cos’è? Malato? Sono malato? –

Le sue sopraciglia, bionde come la sua folta chioma, si aggrottarono alla radice del suo nasino alla francese, mentre le esili braccia si incrociavano dietro la nuca – Non esiste amore sbagliato o malato, Steve - concluse semplicemente, sorridendo al vuoto.

“Non esiste…amore?”

- A-amore? – ripetei confuso dalla scelta di quella parola. Io l’avevo definito solo sesso, pur sapendo che non si trattava unicamente di un atto materiale, perché se così fosse stato non mi sarei dannato l’anima come stavo facendo. Ma lei l’aveva addirittura definito amore.

Un sorriso arricciò le labbra di Mary, in un’espressione dolcissima che conservava fin da bambina. Con un movimento fluido si spostò su di me, sedendosi a cavalcioni sul mio stomaco. I suoi occhioni verdi iniziarono a scrutare attentamente i miei

- Sai da quanto ci conosciamo, Steve? -

- Sono tredici anni, più o meno – risposi, non riuscendo ancora a capire dove volesse andare a parare.

- Din din, risposta esatta! E in tutti questi anni mai una volta ti ho sentito dire che ti eri innamorato di qualcuno. Mai – mi disse, addolcendo a poco a poco il suo tono – Di solito, quando andavi oltre al semplice bacio, lo dicevi come se non fosse successo nulla d’importante. Addirittura la tua prima volta me la descrivesti in questi toni – per qualche inspiegabile motivo il suo sorriso si allargò, inondandomi con la sua luminosità - Ma stavolta, stavolta è diverso: sei preoccupato, turbato, confuso, e il tuo unico pensiero è tuo fratello -

I miei occhi si spalancarono increduli, mentre mi puntavo sui gomiti – E tu come fai a sapere…? -

- Mi credi davvero così stupida? – rise, nascondendo appena la bocca dietro alla sua mano smaltata di un vivace viola - Ti conosco troppo bene -

- Allora, se lo sai, perché continui a dire che non è sbagliato? – gridai, ormai al limite della frustrazione – Non è forse un peccato da maledire? Cazzo, è pur sempre mio fratello, no? E io me lo sono fatto, tranquillamente, come se fosse una qualsiasi di quelle stupide che mi ronzano sempre intorno! Perché continui a dire che non sono malato? – il mio tono di voce era diventato poco più di un mormorio confuso con il rumore della pioggia che batteva sulla tettoia – Perché non riesco a levarmelo dalla testa? – chiesi, abbassando lo sguardo rigato dai cerchi dell’esasperazione. Ma Mary non mi permise di nascondere la mia debolezza, e con dolcezza poggiò le mani sul mio volto costringendolo a voltarmi verso di lei

- Nell’amore non c’è nulla di sbagliato, Steve. L’amore è il sentimento più puro e bello che qualcuno possa provare. Non importa come, non importa per chi…l’amore ti fa sentire vivo, ed è questo che conta. E tu, tu finalmente te ne sei accorto -

Rimasi lì, immobile, con le sue mani gentili sulle mie guance, con le sue parole piene di passione che riecheggiavano nel mio cervello senza darmi il tempo di rifletterci.

- M-m-ma…insomma…noi…noi siamo fratelli – cercai di ribattere, ma la mia amica non parve perdere la sua determinazione.

- Ma mi ascolti sì o no? Non importa per chi! E poi cosa intendi fare? Fuggire da quello che tu stesso provi? Impedire al tuo cuore di amare? Privarti della tua anima gemella? –

- La mia anima gemella? – ripetei, scombussolato. Ma prima che potessi prendere un attimo di respiro, Mary tornò a ricoprirmi con le sue parole che intrecciavano maggiormente i miei pensieri in confusi teli senza risposta.

- Non ti ho mai spronato a continuare una relazione, lo sai. Non ho mai visto in te qualcosa per cui valesse la pena farlo. Ma ora lo devo fare, devo perché so che se la troncherai qui non farai altro che odiarti per il resto della tua vita. E, cavolo, ti voglio troppo bene per lasciarti fare senza intervenire.

So che non sarà facile. Non sono vissuta in un modo di rose e fiori neanch’io. E so, anche, che sarà probabilmente l’amore più difficile e tormentato che io abbia mai sentito dopo Romeo e Giulietta. Ma non è impossibile, Steve. Nulla lo è – concluse con un dolce sorriso poggiato sulle labbra, guardandomi come per dirmi che lei sarebbe stata sempre al mio fianco per sostenermi. Ricambiai il sorriso, stringendola in un abbraccio e immergendomi nei suoi morbidi seni

- Grazie – fui solo capace di dire

Paziente sospirò, iniziando a giocherellare con le mie ciocche corvine - E di cosa? -

- Di essere così. Di essermi sempre vicina. Grazie -

 

 

Free Talk

Eccomi tornata con un nuovo capitolo, dopo aver affrontato di nuovo i capricci del mio stupidissimo pc -.- Dunque in questo capitolo appare Mary-Jane, un personaggio che in questa prima parte della trilogia è a dir poco secondario (direi anche terziario vista la brevissima apparizione) ma che ritornerà vivacemente nella seconda parte. Almeno ce n’è una che sprizza un po’ di allegria ^^

I miei ringraziamenti a pucci2, ad effy&ale, a piccola90 che hanno commentato e a tutti quelli che hanno letto e leggeranno ^^ Alla prossima…

 

 

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Capitolo 4
*** Love me, Love me ***


4

4. Love me, love me

Colonna sonora: Savane Garden – Truly Madly Deeply

 

Restammo abbracciati così a lungo. Il mio respiro, ora calmo, che s’infrangeva contro la camicetta della divisa di Mary, le sue dita affusolate che s’intrecciavano con le mie corte ciocche setate.

- Sai – esordì allegramente lei, dopo quei lunghi attimi di placido silenzio – Non so come, ma avevo sempre saputo che il vostro legame sarebbe sfociato in qualcosa di molto forte. Che avreste dimenticato quel giorno e sareste andati avanti -

M’irrigidii nella stretta di quel corpo tanto morbido, al sentire nuovamente quel giorno fare capolino nel mio presente. Quel maledetto giorno che tutti sembravano ricordare tranne il sottoscritto, quasi tutto il mondo si fosse unito in una grande congiura architettata per portarmi alla pazzia.

Ero stufo di rimanere nell’oblio della mia memoria: io volevo conoscere cosa ci aveva divisi in quel giorno.

Pigro, alzai il volto verso quello della mia migliore amica - Quel giorno... - soppesai con cura quelle due parole, dandogli più peso del dovuto – Anche Michael lo ripete spesso. Si può sapere che è successo di tanto grave? - mi osai a domandare. Le iridi smeraldo della mia amica, si allargarono incredule

- Davvero non lo ricordi? – mi chiese, quasi scettica.

Scossi la testa – Non completamente – ammisi, sconfitto dalla mia impotenza sul mio stesso passato

- Non ti ricordi neanche del vostro litigio? – continuò, sempre più stupita.

Scossi nuovamente la testa. Non ricordavo nemmeno che ci fosse stato un litigio!

Rassegnatasi alla mia ignoranza, Mary si decise a raccontarmi ciò che mi ossessionava da due giorni ormai.

Sospirando, si sciolse dall’abbraccio e, assumendo il medesimo tono di un’anziana nonna che narra le tristi vicende del suo passato, iniziò a parlare

- C’ero anch’io quel giorno – mi disse – Tu e Michael m’invitaste a giocare con il vostro nuovo videogioco, cosa che avremmo sicuramente fatto se non fosse successo tutto quel putiferio -

 

La mattina era passata nel silenzio. Non ci fu nessuna parola tra noi, solo sguardi: confusi, tristi, malinconici...freddi, crudeli, micidiali…

Le mie speranze, createsi durante quella dolcissima notte, vennero spazzate via in un attimo dalle sue gelide parole mattutine. La felicità di essere riuscito a toccare il mio sogno sparì del tutto, seguito da ogni speranza, emozione piacevole e sensazioni di gioia. L’unica cosa che permaneva era l’amore per lui.

Un amore straziante immerso nella follia del peccato, ma pur sempre amore…

Nonostante mi sentissi alla stregua di una qualsiasi delle ochette con cui era solito divertirsi non potevo fare a meno di sentire il mio cuore accelerare i battiti e la gola seccarsi ogni volta che il suo nome mi saettava nei pensieri. La realtà è che non avevo mai potuto fare a meno di amarlo!

Non ricordo quando iniziai ad accorgermi che i sentimenti che nutrivo per Steve non seguivano la giusta strada, ma da lì a provare una forte attrazione anche sul lato fisico il passo fu assai breve. Iniziai ad allontanarlo il più possibile da me, nella speranza di dimenticare quei sentimenti impuri, e il litigio che si scatenò tra noi quel giorno fu un ottimo espediente. Ma nonostante tutto non ci riuscì: continuavo ad amare mio fratello e, ogni volta che mi guardavo allo specchio, vedevo solo un essere sporco, maledettamente sporco e infinitamente perverso.

Cercai di allontanare questa perversione da me. Giuro che ci provai in tutti i modi possibili!

In quel periodo ebbi molte relazioni con diverse ragazze, ma con nessuna di loro funzionò alle lunghe, neppure con colei a cui mi concessi per la prima volta. Tentai, così, d’intraprendere questa strada con gli esponenti del mio stesso sesso, pensando che i miei pensieri impuri fossero riconducibili a una mia strana inclinazione sessuale.

Andrew, un ragazzo che incontrai casualmente ad una festa, fu colui che potrei definire il mio mentore in questo campo. La nostra storia andò avanti per otto mesi, con più bassi che alti, finché lui non mi lasciò.

- Mi sto innamorando di te, Michael - mi disse con quel suo sorriso triste che lo rendeva irresistibile - Ma so che tu non mi ricambierai mai e io…io ho bisogno…- non lo lasciai finire: gli diedi un ultimo bacio e mi allontanai. Ero ben consapevole di ciò che voleva dirmi, poiché io stesso me n’ero sempre reso conto: ogni volta che lo baciavo, che mi abbracciava, che facevamo l’amore io non vedevo lui…io vedevo Steve.

Amavo mio fratello e non c’era modo di cambiarlo! Ero pervaso da un amore impossibile, peccaminoso, condannabile da ogni senso morale. Come potevo sperare che un tale sentimento fosse corrisposto?

Eppure quella notte sotto i suoi baci, sotto i suoi tocchi, sotto i suoi sospiri iniziai a credere che potesse essere un amore a due vie. Oh cavolo, ma come potevo essere così ingenuo?

Lacrime silenziose scesero sulle mie guance. Le asciugai rapidamente prima che spalancassi la porta della terrazza. L’odore umido della pioggia m’invase velocemente, insieme all’insistente rumore delle gocce che s’infrangevano contro la tettoia. L’unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento era di stare da solo con i miei pensieri, nel vano tentativo di schiarirli un po’. Il mio desiderio, però, non venne esaudito: qualcuno aveva già occupato quel luogo e, guarda la fortuna!, erano le ultime che avrei voluto vedere in quel momento…o forse le prime…

- Non esiste amore sbagliato o malato, Steve – sentì dire Mary-Jane

- A-amore?! – la sua voce era confusa, insicura. Ogni suo dubbio pareva avere un suono.

“Di che diavolo stanno parlando?” mi chiesi, aggrottando le sopraciglia “Di me forse?”

Vidi la chioma dorata della nostra amica d’infanzia spostarsi sopra il corpo supino di mio fratello, e non potei trattenermi di stringere gli occhi per qualche breve secondo. Non ero geloso di Jane, non avrei mai potuto esserlo, soprattutto sapendo che quei due erano semplicemente grandi amici. No, non era gelosia quella che sentivo, era semplice e pura invidia: volevo poter avere anch’io quella libertà con mio fratello. Una liberà così scontata, così pura…ma io non ero affatto puro, e allora come lo potevano essere i miei gesti?

Un altro frammento del loro discorso mi giunse perfettamente nitido, facendomi sentire maggiormente in colpa per quella situazione in cui ricoprivo il ruolo di perfetta spia.

- Ma stavolta, stavolta è diverso: sei preoccupato, turbato, confuso, è il tuo unico pensiero…tuo fratello…- 

Ebbi la conferma di ciò che sospettavo: il centro del discorso ero proprio io!

- E tu come fai a sapere…? -

- Mi credi davvero così stupida? - rise lei - Ti conosco troppo bene -

- Allora, se lo sai, perché continui a dire che non è sbagliato? Non è forse un peccato da maledire? Cazzo, è pur sempre mio fratello, no? E io me lo sono fatto, tranquillamente, come se fosse una qualsiasi di quelle stupide che mi ronzano sempre intorno! Perché continui a dire che non sono malato? -

Quelle parole mi trafissero il cuore, come una scheggia affondata con sadica lentezza, per farmi soffrire il più possibile.

Ora iniziavo a capire il suo comportamento discostante che aveva tenuto quella mattina: io lo ripugnavo! Ciò che io avevo osato chiamare amore lui lo trovava semplicemente abominevole.

“Come ho potuto essere così stupido?” domandai a me stesso, mentre il gusto salato delle mie lacrime mi bagnava le labbra “Come ho potuto credere per un solo istante che potessi essere corrisposto?”

Soffocai i singhiozzi contro la manica della giacca che componeva la divisa scolastica, poggiando l’altra mano sul maniglione antipanico che riconduceva dentro alla scuola, intenzionato a correre il più lontano possibile da quella maledetta terrazza. Mi fermai non appena una frase stuzzicò la mia curiosità

- C’ero anch’io quel giorno – stava dicendo la ragazza - Tu e Michael m’invitaste a giocare con il vostro nuovo videogioco, cosa che avremmo sicuramente fatto se non fosse successo tutto quel putiferio -

 

Era un altro caldo pomeriggio d’inizio Luglio. Uno come tanti altri con il sole che batteva infuocato su tutte le case, il cielo azzurro privato dei veli delle nuvole e il vento che pareva essersi addormentato in qualche zona d’ombra, dimenticandosi di allietare con il suo sospiro i comuni mortali. Un silenzio tombale si era sparso nelle strade, ormai prive del via vai cittadino. In quel silenzio aleggiava la mia vocina sottile, che intonava una canzoncina mentre saltellavo sul marciapiede. Più che una canzoncina era una filastrocca che usavo nel gioco della campana. Non ci volle molto, infatti, prima che iniziassi a saltare su un piede solo o su entrambi, alternandoli mentre sotto di essi andava a disegnarsi, con linee immaginarie, lo schema di quel gioco.

Un sorriso ingenuo illuminava il mio volto infantile, scoperto da due buffi codini che fermavano le miei ciocche dorate ai lati della mia testolina. Tenevano molto caldo quei capelli e non avrei esitato a tagliarli se Michael e Steve non mi aveste detto che erano più luminosi del sole e più preziosi dell’oro.

Già, quei due fratellini che tutti non potevano fare a meno di adorare, me compresa: di una bellezza quasi angelica, molto intelligenti nonostante la tenera età e profondamente legati l’uno all’altro. Un legame così forte che nessuno riusciva a immaginarseli separati.

Steve era il più grande: aveva nove anni ed era un mio compagno di classe. Aveva ricevuto fin da subito la nomina a bambino più carino della scuola e, in prima elementare, i nostri compagni fecero di tutto per farci fare un fidanzamento ufficiale. La cosa durò a malapena una settimana. Dopo fu solo la nostra amicizia a crescere, un’amicizia che ci avrebbe accompagnato per molti e molti anni.

Michael, invece, lo conobbi successivamente, quando il fratello iniziò a invitarmi a casa sua sotto cortese richiesta della madre. Michael, forse a causa dei due anni che ci distanziavano o forse per suo vero e proprio carattere, era molto più timido del maggiore, nonché assai più dolce e taciturno. Ricordo che era in grado di farti intenerire soltanto con un suo flebile sorriso.

Proprio per queste sue caratteristiche, Steve, forte sia di carattere che di fisico, aveva coltivato una sorta d’istinto di protezione nei suoi confronti, cosa che sembrava rendere la signora Guire particolarmente felice.

Quel giorno i due fratelli preferiti da tutto il circondato m’invitarono a casa loro per provare il videogioco, regalatogli in occasione della festa del 4 Luglio: “Dolls & Cars Attack”, ossia il gioco che tutti i bambini attendevano impazienti da due mesi.

Così, saltellando come Cappuccetto Rosso alla volta della casetta della nonnina, arrivai a casa loro, di poco distante dalla mia. Chi mi venne ad aprire fu proprio il secondogenito

- Ciao Jane – salutò vivacemente, invitandomi ad entrare

- Piccola Mary-Jane, che piacere vederti ancora – mi accolse gentilmente la padrona di casa. La signora Guire era sempre dolce e premurosa con me e non si risparmiava dall’offrirmi ogni genere di dolcetto preparato quotidianamente dalle sue mani di fata. Si giustificava dicendo che le erano nati due splendidi maschietti ma che lei aveva sempre desiderato una femminuccia.

- Sei carina come al solito – mi disse, baciandomi la fronte

- Mamma! – esclamò un’irritata voce dalle scale – Piantala di fare complimenti a questa strega -

- Steve, suvvia, fai il gentile con la piccola Mary-Jane – lo ammonì dolcemente la donna, pur sapendo che le sue frecciatine non erano altro che il suo modo di dimostrarmi il suo affetto.

Dopo un grosso bicchierone di latte e un paio di biscotti, salimmo tutti e tre in camera di Steve e ci dilettammo con il videogioco, commentando ogni minima cosa con l’eccitazione di cui sono capaci solo i bambini. Eravamo più o meno a metà partita quando la voce profonda del signor Guire ci raggiunse fino in camera. Sarebbe iniziata allora la fine di molte cose…

- Michael vieni giù – sbraitò, con il tono più infuriato che gli avevo sentito addosso. Il più piccolo ci dedicò uno sguardo interrogativo, ma fu solo quando il fratello annuì deciso con il capo che si decise a scendere dal padre, mentre noi ci appostavamo sulle scale per poter vedere tutta la scena.

- No – la voce strozzata della signora Guire uscì dalla cucina, mista ai singhiozzi di un pianto che probabilmente la stava affliggendo – Vattene, ma lascia in pace loro –

- Taci! - urlò l’uomo - Sono anche figli miei - ringhiò, prima di rivolgere il suo sguardo al pargoletto che era appena entrato nella stanza. Il suo sguardo confuso e impaurito si posò ripetutamente sia sul padre che sulla madre, la quale tentò di chiamarlo ma venne bloccata da una occhiata eloquente del marito.

Michael venne sollevato dalle forti braccia del padre, che sembrava essersi un poco raddolcito con la sua vicinanza

- Cosa c’è, papà? -

- Michael, il mio ometto! Tu sei grande abbastanza per capire quello che ti sto per dire, vero? – il bambino annuì con scarsa convinzione – Papà va in un'altra casa –

Il piccolo inclinò il volto da un lato - Perché? -

- Lui e la mamma non vanno tanto d’accordo, così papà va via -

- Ma sarai sempre qui, vero? – chiese il figlio, non riuscendo a comprendere pienamente quelle parole

- No, Michael no. E’ per questo che voglio chiederti di venire con me. Saremo io e te soli…- un gemito di dolore della signora Guire lo obbligò ad interrompersi, prima di riprendere, più convinto di prima – Ti piace l’idea? -

- M-ma-ma la mamma e Steve? – balbettò confuso Michael. Di certo non voleva che suo padre se ne andasse di casa, ma non voleva nemmeno separarsi dalla sua mamma e, soprattutto, dal suo caro fratello.

- Loro resteranno qui, Michael -

Quella frase suonò come una condanna a morte su quella casa.

Steve si alzò di scatto, andandosi a chiudere in camera sua prima che il discorso potesse terminare. Io mi limitai a scuotere pazientemente il capo, consapevole che il mio amichetto era sempre stato troppo impulsivo, continuando poi a seguire con interesse quella conversazione

- Io non voglio. Non voglio separarmi da Steve - piagnucolò

- Michael cerca di capire…-

- No! Voglio stare dove c’è Steve…io voglio stare insieme a lui e alla mamma -

- Oh, bene! – esclamò l’uomo, ormai al limite della pazienza, poggiandolo nuovamente a terra – Famiglia ingrata. Chissà cosa diavolo hai inculcato nella testa di questi due poveri bambini – urlò rivolto alla moglie, che ancora singhiozzava in cucina – Una famiglia di disgraziati! Ecco cosa diventerà – gridò, prima di sbattersi la porta di casa alle spalle. Quelle, che suonarono quasi come un cattivo augurio, furono le sue ultime parole e l’ultima volta che i suoi figli lo videro.

Michael rimase qualche attimo fermo a fissare la porta dietro alla quale suo padre era scomparso, aspettandosi, forse, di vederlo tornare con in mano i regali che aveva promesso ad entrambi insieme ai  biglietti per la partita dei Dogers.

Ecco qual è la colpa dei bambini: quella di sognare, di sperare, d’illudersi anche davanti all’evidenza.

E la colpa degli adulti? Di distruggere ogni sogni, ogni speranza, ogni illusione…

Rientrai nella cameretta, mentre il più piccolo risaliva le scale in perfetto silenzio, rotto solamente dal lamento incontrollato della signora Guire al quale si era unito anche quello del mio coetaneo.

- Steve – lo chiamai cautamente, sedendomi sul letto, al fianco della sua figura rannicchiata

- Va via -

- Non è colpa di tuo fratello – cercai di spiegargli

- E invece sì! E’ lui che ha fatto andare via papà – borbottò lui, scosso dal pianto

- No, non è vero! – esclamai, indignata davanti alla sua ottusaggine

- Beh, papà voleva portarselo via, no? – disse, alzando finalmente il volto e mostrandomi le lacrime che lo rigavano – E’ lui il suo preferito -

- Io non vado via con papà – informò la voce minuta del fratellino, ora fermo sulla soglia

- Non m’interessa – ribatté gelido l’altro, trafiggendolo con un’occhiata dura

- Steve – tentai di rimproverarlo, ma non mi diede neanche retta: per loro, in quel momento, non ero altro che uno spettro fastidioso.

- Io pensavo che saresti stato felice se fossi rimasto qui -

- Ti credi davvero così importante? Credi di essere così necessario da darmi la felicità? -

Fu gelido, spietato senza alcun ritegno: la rabbia aveva cancellato da lui ogni possibile ragionamento logico.

Rabbia per essere quello imperfetto, per essere sempre secondo tra i due, e soprattutto, per la consapevolezza che il suo protetto, prima o poi, non avrebbe più avuto bisogno di lui. Una furia cieca che lo portò a non notare nemmeno gli occhi argentati che si velavano velocemente di lucido, mentre il piccolo cuoricino del minore andava in frantumi a quelle parole.

- Ma…ma…-

- Sta zitto! – urlò l’altro, alzandosi da letto e avvicinandosi a grandi passi al più piccolo – Se volevi andare con papà perché non ci sei andato? Perché non sei andato via con lui, lasciando me e la mamma da soli? Credi che non ce la sappiamo cavare? Credi che non potremo essere felice senza di te? Beh, ti sbagli. Io… io…ti odio! -.

Un urlo che accompagnò il rumore sordo di qualcosa che cadeva a peso morto giù per le scale: il corpo di Michael. Impaurito per il comportamento del fratello aveva arretrato fino a poggiare i piedi sugli scali e, scivolando su uno di questi, era caduto facendosi l’intera rampa ruzzolando. Ma se le ferite riportate da quel volo sarebbero guarite in meno di una settimana, la ferita che gli si era aperta nel suo cuore non sarebbe mai stata risanata. Quel – Ti odio! – l’aveva attraversato da parte a parte, più dolorosamente di qualsiasi schiaffo. Eppure proprio quell’urlo non era riferito a lui. Steve non vedeva altro che suo padre nel corpo minuto del fratellino. A lui era rivolto quel grido liberatorio. Ma i bambini sono troppo ingenui per comprendere una cosa tanto complessa.

Così Michael rimase immobile alla fine delle scale, con gli occhi sbarrati e pieni di lacrime come quelli di suo fratello, che era corso a rifugiarsi nuovamente nella sua camera, e come quelli della madre, singhiozzante in cucina.

In quel bel giorno d’estate, molte cose ebbero fine.

 

- Io-io…fu colpa mia – sussurrai incredulo da ciò che io stesso avevo detto al piccolo Michael d’allora.

- No, affatto – si affrettò a correggermi Mary – Non fu colpa tua. Tu vedesti in Michael, il figlio prediletto, la figura di colui che non ti aveva mai dato importanza: tuo padre -

- Questo non mi giustifica affatto – ribattei, iniziando ad infervorarmi

- Non è una giustificazione: hai reagito esattamente come qualunque altro bambino -

- Sono stato semplicemente un ipocrita: ho detto di odiarlo, che non creava la mia felicità quand’era l’esatto contrario -

- Ti riferivi a tuo padre in quel momento, non a tuo fratello stesso – ripeté pazientemente lei, rialzandosi in piedi e riaggiustandosi alla bell’e meglio la divisa.

- Smettila con questa psicologia da quattro soldi, Mary – dissi esasperato. Lei sorrise pazientemente, accarezzandomi la guancia

- Che lagna che sei – mormorò, pochi secondi prima che il trillo della campanella ci richiamasse nella nostra aula. La mia amica accolse con uno sbuffo quel fastidioso rumore, che ricorreva fin troppo spesso anche nei suoi incubi

- Non ho proprio voglia di subirmi un’altra le-zio-ne?! – iniziò inspiegabilmente a sillabare, mentre il suo sguardo si perdeva in un punto indeterminato dietro le mie spalle. La guardai per qualche attimo, aggrottando le sopracciglia, prima di seguire la linea dei suoi occhi la quale si posava sull’ultima persona che avrei pensato, e avrei sperato, di vedere in quel momento

- M-M-Michael – balbettai – Da quanto sei lì? -

- Da abbastanza – si limitò a rispondere.

“Risposta per niente positiva” sembravo l’unico a pensarla così, visto che sul volto di Mary non c’era altro che uno sguardo trionfante, estremamente irritante per il sottoscritto.

- Beh, io devo andare o la professoressa si divertirà a torturarmi -  disse, mentre si allontanava sempre più da noi - Non preoccuparti: la trovo io una scusa che ti permetta di risolvere il tuo…ehm…contrattempo. Prenditela con tutta calma – concluse, facendomi l’occhiolino, prima di sparire velocemente dietro la pesante porta di ferro che divideva il resto dell’edificio da quel piccolo pezzo di paradiso. Un paradiso piuttosto silenzioso, ad essere sinceri.

Come c’era d’aspettarsi, infatti, dopo la scomparsa della ragazza tutto pepe nessuno di noi due ebbe il coraggio di spiccicare una sola parola, lasciando che un filo di tensione ci legasse.

- Io…- tentai di dire qualcosa, ma nulla riuscì a sfuggire a quel nodo che mi aveva chiuso la gola

- Io ti disgusto, vero? – mi chiese, abbassando lo sguardo rassegnato. La sua voce tremava sotto la frustrazione e la disperazione che, sapevo, si nascondevano nel suo animo, ma non potei fare a meno di guardarlo con un tono interrogativo

Cosa? E questa quando gli è saltata in testa? Come diavolo può credere che una persona così splendida possa disgustarmi?”

- Michael, ma cosa stai…-

- Stamattina mi hai respinto quasi fossi la peste e adesso non facevi altro che ripetere che era sbagliato, un peccato da maledire. Ti ho sentito, Steve – m’interruppe alzando di poco la voce. Notavo il suo tentativo di rimanere il più calmo possibile, nonostante il suo nervosismo fosse ben definito dal tremito che gli attraversava tutto il corpo. La sua voce tornò a farsi sentire, questa volta con una piega che ben si sposava con la sofferenza che gli batteva nel petto

- So come mi vedi: sporco, perverso, una cosa da rinnegare, da nascondere. E’ inutile che menti, perché io stesso mi vedo così. Ma anche se sono un mostro nulla ti da il diritto di giocare con i miei sentimenti, d’ingannarmi solo per divertirti un po’ – urlò con quanto fiato aveva in gola, mentre le lacrime uscivano violentemente dai suoi occhi grigi – Nulla ti dai il diritto di prendermi ogni volta che il tuo corpo lo desidera, per poi lasciarmi quasi fossi un ogg – fermai le sue parole stringendomelo forte al petto. Non avevo più la forza per subire quelle sue continue critiche rivolte a se stesso, e del tutto lontane dalla sua vera natura.

Lentamente il suo corpo si sciolse nel mio abbraccio singhiozzando contro la camicia della mia divisa. Iniziai a cullarlo con dolcezza, nella speranza di riuscire a placare il pianto che lo strozzava.

- Basta piangere – gli sussurrai

- Perché? – mormorò lui, visibilmente distrutto – Perché non puoi dirmi che mi odi? Almeno non dovrei soffrire così tanto -

- Io non posso odiarti, fratellino – gli disse, poggiando lievi baci sulle sue ciocche scure – Sei talmente bello e pure da sembrare un angelo -

- Non dirmi stronzate! – mi ordinò, battendo un debole pugno sui miei pettorali che ebbe unicamente la forza di farmi sorridere, intenerito davanti alla sua immagine. Il suo dolce profumo mi avvolgeva i sensi e il calore del suo corpo stretto contro il mio m’irradiava nel petto una piacevole sensazione, proprio come l’abbraccio che mi aveva donato quella mattina e che mi aveva fatto sentire così…amato? Sì, finalmente avevo trovato la parola giusta!

Mi appogiai con le spalle al muro, facendoci successivamente scivolare fino a terra. Timidamente si mosse su di me, cercando di sistemarsi meglio in quella posizione

- Ero confuso – mi giustificai, accarezzandogli pensieroso la testa, ora incastrata nell’incavo tra la mia spalla e il collo – Spaventato del nuovo, di quello che non conoscevo e di quello che avevo dimenticato -

Il racconto della mia migliore amica mi ritornò alla mente, forte come una cannonata: ero stato un infame con lui e, anche se Mary continuava a giustificarmi, non potevo fare a meno di sentirmi colpevole per tutto quello.

Una colpa che volevo espiare soltanto con il suo perdono. Intanto lui pareva essersi calmato: i suoi singhiozzi erano morti in lenti e profondi sospiri, che parevano quelli di un addormentato. Nonostante fosse incredibilmente piacevole quell’attimo di pace cullato solo dal nostro respiro, mi costrinsi ad infrangerlo. Non potevo lasciare che tutto rimanesse così, senza alcuna conclusione…

- Michael - lo chiamai ansioso. Lui annuì appena, dandomi segno di poter continuare – Tu hai sentito quello che mi ha raccontato Mary-Jane? -

Annuì nuovamente con un pigro mugugnare, senza tuttavia abbandonare la posizione che aveva assunto

“Sempre di poche parole il ragazzo, eh?” commentai sarcasticamente nella mia testa

- Io, vedi…io non ricordo nulla di quel giorno. Ma ora, che almeno so cosa è effettivamente successo io vorrei chiederti per…- le mie scuse si spensero contro le sue dita affusolate

- Non importa. E’ una cosa vecchia ormai – il suo tocco delicato salì fino alla mia fronte – Il coma ti ha tolto tanti ricordi -

Già, il coma: la fonte della mia amnesia. Non erano passati neanche due anni da quel giorno di cui, tutt’ora dopo le varie sedute di riabilitazione, non riesco a vedere che pochi e miseri frammenti: la pioggia, una macchina che esce all’improvviso, uno scontro frontale a cui per miracolo sono sopravvissuto e poi i lunghi tre mesi passati attaccato ad una macchina tra la vita e la morte.

Dovevo aver assunto un’espressione turbata perché, quando tornai alla realtà, incrociai i suoi occhi che preoccupati vagavano sul mio volto. Sorrisi, posando due dita sotto il suo mento e costringendolo ad alzare quel viso celestiale per poterlo avvicinare più facilmente al mio. Le mie labbra sfiorarono le sue, prima di poggiarsi definitivamente in un casto bacio. Oddio, la castità non durò poi molto, e non c’era da dubitarne conoscendomi!

Continuai a guastarmi della sua bocca di pesca finché proprio lui non m’interruppe, allontanandomi gentilmente da se. Un verso di disappunto librò involontariamente dalla mia bocca, ma esso sparì immediatamente non appena incrociai i suoi occhi, che, ora timidi, cercavano di sfuggirmi.

- Che succede? – gli chiesi, non comprendendo quel suo repentino cambiamento.

- I-i-io..io volevo solo – iniziò a balbettare, arrossendo vistosamente – Volevo solo dirti che…ti amo…-

 

Ognuna di quelle ragazze mi aveva detto almeno una volta “Ti amo”. Piangendo, ridendo, arrossendo, in modi diversi ma quello era il concetto. Eppure nessuna di loro mi sentì mai rispondere a quell’affermazione: io non l’avevo mai detto.

 

Sorrisi – Ti amo anch’io, Michael – sussurrai stringendolo di nuovo a me, e tornando a baciarne la fronte.

In quei giorni di pioggia successero davvero molte cose: scoprì di avere un fratello, scoprì il mio passato, scoprì la mia anima gemella e scoprì…di amarla.

 

§ THE END §

 

Free Talk

Dunque dunque un aggiornamento dopo un solo giorno. Ho paura di me stessa, non è degno di me ^^’’

Bene siamo giunti alla fine della prima parte di questa trilogia ^^ Finale un po’ troppo romantico per i miei gusti, e vi prego di perdonare tutte le sdolcinatezze di quest’ultimo capitolo ^^

Presto aprirò le danze alla seconda parte di questa trilogia. Il titolo sarà Minutes & Seconds (titoli che non centrano mai un cavolo, complimenti -.- NdWhite – Fa un po’ di silenzio, tu >_< NdBlack). Spero vi possa appassionare come questa prima parte sembra aver fatto ^^

E passiamo ai soliti ringraziamenti: dunque, vedo che pucci2 si è infervorata per il comportamento di Steve. Beh, in effetti il suo è un comportamento infantile, ma non fateglielo notare se no non lo ferma più nessuno. Come vedi Mary-Jane ha salvato abilmente la situazione ^^

Un grazie anche a mimmyna: sono onorata davanti a tanti complimenti, che non credo comunque di meritare ^///^ Felice che la storia che ho creato sia di tuo gradimento, nonostante la situazione spinosa ^^

Alla prossima ^^

 

 

 

 

 

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