American Dream

di RMSG
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Dedicata per Natale, anche se molto in ritardo, e per Capodanno, piuttosto in anticipo, a:
_Ale2_
, santa donna che mi sopporta ogni giorno e a cui voglio un bene grandissimo;
Setsuka, scrittrice che stimo immensamente, a cui tengo molto e che, anche lei, sopporta spessissimo la sottoscritta;
Kairi_Hatake, grande amica, ottima compagna di risate e instacabile mia sostenitrice;
E naturalmente My Pride, che ha indetto questo contest e che ringrazio per avermi fatta tornare a scrivere!
Merry Christmas and Happy New Year!


American Dream ©

di Roy Mustung sei uno gnocco

 

Capitolo 1 

Seduto nella sala d’attesa ci sono solo quattro persone: un anziano in giacca e cravatta, una donna così palesemente rifatta da sembrare una Barbie Malibù, un ragazzo dai capelli rossi e le lentiggini sul naso e, infine, un ragazzo dai lunghi capelli biondi, legati ordinatamente in una coda, vestito casual ma sobrio. Ed è la storia di questo ragazzo che vi narrerò. Delle sue speranze, delle sue vittorie, delle sue sconfitte, delle sue lacrime, dei suoi sorrisi, dei suoi sogni e delle sue illusioni…

 

Il grande giorno per Edward Elric era arrivato. La sua grande - e forse unica - possibilità di realizzare il sogno di una vita, passata a studiare e a guadagnarsi ogni cosa. Tutto per il suo sogno.
Da quando si era laureato a Yale - circa sei mesi fa - si era subito messo all'opera per trovare al più presto un impiego e, possibilmente, L’impiego. Era laureato in Lettere e Filosofia e aveva sempre sognato di diventare uno scrittore; e lì, a New York, come tutte le persone che conosceva gli avevano detto, c'era solo un uomo che poteva dargli l'aiuto necessario, che poteva costruirgli il trampolino di lancio, che poteva raccomandarlo a una casa editrice: Roy Mustang, presidente della Mustang Publication, possessore di quattro dei quotidiani più importanti di New York e delle tre riviste mensili più lette in città. Nel giro, e anche oltre, lo chiamavano l’American Dream, un po’ perché era considerato il sogno di ogni donna, data la sua fama di donnaiolo incallito, e un po’ perché, per l’appunto, dava speranza a giovani come lui che volevano sfondare. Insomma, lui, le donne e l'editoria andavano praticamente di pari passo. E’ vero, non lo entusiasmava granché il fatto di scrivere articoli e di fare il giornalista, ma aveva bisogno di quell'uomo o non sarebbe mai riuscito a realizzare il suo sogno. Seduto compostamente su uno dei sei divanetti in pelle che c'erano nell'atrio del Mustang Building, così tutti chiamavano quell'enorme e antico palazzo di venticinque piani, si dovette improvvisamente spostare un po', per far spazio a un tizio biondiccio, con gli azzurri e una sigaretta in bocca, che voleva sedersi. Si accomodò al suo fianco e placidamente tirò fuori l'accendino, accendendosi la sigaretta e tirando una lunga boccata di fumo, che fece uscire fuori, creando una grande nuvola grgiia proprio vicino al suo viso. A Edward, da sempre infastidito dal fumo, partì d’istinto un attacco di tosse e agitò la mano sinistra, quella senza il guanto, per smuovere aria.

- Oh, scusami! - anche lui si mise ad agitare la mano, guardandolo con un sorriso sbilenco. Edward l’osservò di sfuggita, smettendo di tossire e sbuffando leggermente.

- Nessun problema, si figuri -, borbottò il giovane. Il tizio, subito, spense la sigaretta su un portacenere posato sul lungo tavolino di cristallo al centro della sala d'attesa, accerchiato dai sei divani. Poi si girò a guardare Edward, sorridendogli ancora in quel modo strano. Ma cos'era, ubriaco?

- Non ti ho mai visto qua, sei nuovo? -, domandò, incuriosito, e sempre con quello sciocco sorriso sulle labbra. 

- Sì, ho un colloquio di lavoro. Sto aspettando che mi vengano a chiamare -, rispose, atono. - E lei? Lavora qui? -, s’interessò. Magari era uno con dei contatti: se gli fosse andata male col colloquio, magari, avrebbe potuto chiedere a lui.

- Sì, lavoro qui. Faccio parte del cast di fotografi della rivista di moda, Malice - inclinò la testa e tese la mano destra - Jean Havoc -. Mai sentito. E comunque non poteva aiutarlo. La sua solita fortuna.

Edward gliela strinse - Edward Elric, piacere -, Jean sorrise, scanzonato. 

- Bel nome, complimenti! -, esclamò, mettendosi le mani nelle tasche del giubbotto di pelle.

- Grazie -. Edward voltò il viso e tornò a fissare la lunghissima scalinata che portava ai primi piani, dove c’erano gli uffici di chissà quale dei tanti giornali e delle tante riviste. Il desiderio di salire quelle scale in marmo bianco ed entrare nell’ufficio di Mr. Mustang in persona, di farsi scrivere una lettera di raccomandazione per la migliore casa editrice di New York, era… un sogno. Però aveva solo ventitré anni, tanta caparbietà, tanto genio creativo e, soprattutto, tanta volontà. Intanto fra i due biondi era calato il silenzio, interrotto poi dalla voce di Jean.

- Dimmi, Edward, il tuo colloquio è per essere assunto tra coloro che lavorano per le riviste o per i quotidiani? -.

Edward distolse nuovamente lo sguardo dalle scale, tornando a fissare gli occhi azzurri del fotografo.

- Non ne ho idea. E in tutta sincerità non m’importa granché: possono inserirmi dove vogliono. Io ho bisogno di questo lavoro solo per… - Jean lo interruppe, con un sorrisino divertito.

- Anche tu qui per l’American Dream? -, intuì.

- Sì, esatto -, ammise.

- Beh, qualcosa mi dice che ti prenderanno… - commentò, col suo solito sorriso scanzonato. Poi guardò l’ora sull’orologio da polso e si alzò, tirando fuori il pacchetto delle sigarette e accendendosene un’altra. Stavolta ebbe il buon senso di voltare il viso, soffiando lontano da lui il fumo.

- E lei come fa a saperlo? -, chiese, stupito.

- So cosa cerca nei suoi dipendenti Roy Mustang – rispose, enigmatico, facendo un altro tiro.

- E cosa cerca? – il tono di voce di Edward era un po’ ansioso: voleva sapere! Quel fotografo sembrava conoscere bene Mustang! Forse poteva aiutarlo a fare presto bella figura davanti agli occhi del capo, se lo avessero presto davvero!

- Lo scoprirai da solo.  -, sorrise ancora, quasi malizioso – Ora scusami, ma devo andare. Ho un servizio fotografico da fare. E il capo odia non avere al più presto il lavoro sulla scrivania -, fumò ancora un po’ e poi spense di nuovo la sigaretta nello stesso posacenere. – Ci vediamo presto Edward -.

- Arriverderci… - mormorò, pensieroso. 

Lo seguì con gli occhi fino a quando non sparì in cima alle scale. Sospirò pesantemente e tirò fuori il suo Motorola: 11:47. L’appuntamento gli era stato fissato quarantasette minuti fa. Sbuffò e si mise di nuovo nei pantaloni neri il telefonino. Quanto ancora lo avrebbero fatto aspettare? Stava per fare la muffa, lì! Passò ancora qualche minuto prima che lo chiamassero.

- Edward Elric? – una ragazza dai capelli castani e ricci: aveva due grandi occhi verdi, da cerbiatta, ed il corpo minuto ma sinuoso era fasciato da un elegante tailleur nero. Gli sorrise, sbattendo le ciglia, con fare grazioso.

- Sì, sono io! – Edward si alzò subito, non dando poi così tanto peso alle occhiate languide dell’impiegata: d’altronde, c’era abituato. Sapeva di essere un gran bel ragazzo e di piacere molto alle donne. Peccato che…

- Deve venire con me. La porterò nell’ufficio del Signor Hughes, dove avrà luogo il suo colloquio! – esclamò, civettuola. Odiava quando cominciavano a fare così.

- Perfetto -, rispose, prendendo la sua cartellina marrone, contenente il suo Curriculum Vitae. Avrebbe voluto portare con sé anche qualche suo scritto, magari una parte della bozza del suo romanzo a cui stava lavorando dopo la laurea… ma no, non sarebbe servito a niente. E poi, ora, non era il momento di pensare a cosa avrebbe dovuto portare e a cosa no. Era tempo di dimostrare quanto le sue capacità fossero affidabili. Fra l’altro, le parole del fotografo appena conosciuto gli rimbombavano in testa. Chissà cosa lo rendeva così convinto del fatto che l’avrebbero preso…
Immerso nei suoi pensieri pre-colloquio seguì la giovane – ed esageratamente sculettante – segretaria. Cosa sperava di fare, muovendo quel culo rinsecchito? Le donne erano sempre state un mondo incomprensibilmente assurdo per Edward Elric. E lo sarebbero sempre rimaste, dato che non gli interessavano affatto.

- Siamo arrivati! – squittì. La sua voce diventava sempre più stridula alle orecchie del giovane. – Prego, entri pure. La sta aspettando! – sorrise ancora e ancheggiando pericolosamente (pericolosamente perché avrebbe rischiato di far crollare le mura della stanza) andò a sedersi alla sua scrivania, facendo finta di lavorare su qualcosa di molto importante. Edward sbuffò nuovamente, e bussò alla porta della stanza. Non era agitato, ma temeva di non rimanere a mente lucida per tutta la durata del colloquio. Era sempre stato un tipo… impulsivo. Troppo impulsivo. Suo fratello Alphonse glielo aveva sempre rimproverato, ma lui che ci poteva fare? Vero però che dopo il College aveva “messo la testa a posto”. Perlomeno, il necessario da non farsi cacciare da ogni posto pubblico e non per il suo comportamento. Ricevuto il permesso di entrare, si addentrò all’interno dell’ufficio: luminoso, spazioso, arredato modernamente e con un buon gusto. Se questo era l’ufficio di un capo reparto qualsiasi, non osava immaginare quello del capo.
L’uomo che l’ochetta sculettante di poco prima aveva chiamato “Signor Hughes” era seduto dietro la sua scrivania, dai tratti curvilinei. Si alzò subito in piedi, mostrando il completo grigio (spudoratamente firmato Cavalli) che indossava. Aveva gli occhi verde smeraldo, nascosti dagli occhiali rettangolari e con la montatura argentata. I capelli neri e un lungo e buffo ciuffo sulla fronte.

- Salve! Piacere, Maes Hughes! – esclamò, sorridendogli a trentadue denti. Edward ricambiò il sorriso e si avvicinò alla scrivania, stringendogli deciso la mano.

- Il piacere è tutto mio, Signor Hughes. Io sono Edward Elric -. Maes annuì e si risedette sulla poltrona in pelle nera, scrutandolo attentamente. Sorrise sbarazzino e gli fece cenno di accomodarsi. Anche Edward si sedette di fronte a lui, confuso dal suo sguardo indagatore.

- C’è… qualcosa che non va, Signor Hughes? -, domandò, leggermente preoccupato e, doveva ammetterlo, anche un po’ scocciato: odiava essere osservato così tanto.

- No no! Anzi! E’ tutto al suo posto! – Edward proprio non riuscì a trattenersi dal sollevare il  suo dorato sopracciglio sinistro. Era pazzo lui o c’era un doppio senso in quella frase?

- Meglio così, no? -, si limitò a commentare. Sicuramente il lavaggio del cervello che Alphonse gli aveva fatto poco prima di farlo venire qui gli era proprio servito. A quest’ora, qualche mese fa, lo avrebbe già mandato a… farsi benedire.

- Sì, infatti! – sorrise ancora e si strinse le mani l’una nell’altra, battendole ed emettendo un rumore schioccante – Allora… cominciamo questo colloquio! -. Maes era a dir poco euforico. Roy sarebbe stato contento di quel nuovo dipendente.

 

*****

 

Il colloquio durò più di mezz’ora e quando Edward uscì, poteva ritenersi più che soddisfatto di se stesso: lo avevano assunto! E avrebbe cominciato già da domani a lavorare! Certo, non sapeva ancora che mansione gli sarebbe stata assegnata, tuttavia non ci pensò più di tanto. Moda, vestiti, animali, cinema… tutto gli sarebbe andato bene! L’importante era riuscire a raggiungere i suoi due obiettivi, di cui uno già da spuntare. Era riuscito a farsi assumere, quindi ora lui e suo fratello non avrebbero più dovuto stringere la cinta alla fine del mese, il che significava anche che sarebbe tutto cambiato, da lì a poco. Sorridente si avviò nuovamente per il corridoio, non prima di aver scoccato un’occhiata eloquente alla segretaria. La ragazza dai capelli castani arrossì immediatamente, ma poi subito riprese il suo colorito normale e il suo atteggiamento altezzoso. Ricambiò lo sguardo e gli fece un sorriso malizioso. Edward scosse il capo, divertito e uscì sul corridoio, raggiungendo le scale: niente ascensore, aveva bisogno di movimento per smaltire l’euforia e l’adrenalina che era ancora in circolo nel suo organismo. Ancora non riusciva a credere che aveva un lavoro! E un lavoro lì, alla Mustang Publication! Forse, finalmente, la sua vita sarebbe andata per il verso giusto…
Ritornò nella sala d’attesa, passando proprio accanto al divanetto su cui prima era seduto col fotografo. Si fermò all’improvviso, fissando i cuscini bordeux del sofà. Jean Havoc ci aveva preso: era stato assunto. Rimase ancora qualche secondo a riflettere sulla coincidenza. Sì, perché sicuramente di coincidenza si trattava. Magari il fotografo aveva notato che Edward non lo filava più di tanto e aveva deciso di tentare il tutto per tutto. Tanto, se non fosse stato preso, non lo avrebbe più rivisto e, in caso contrario, avrebbe fatto la figura dell’indovino! Ah, la gente non sapeva veramente più che inventarsi per far colpo sugli altri…
Sorrise e scosse nuovamente il capo. All’improvviso voltò la testa. Alle sue orecchie stava arrivando un chiasso tremendo che proveniva dall’ingresso. Si avvicinò alla grande entrata e vide una marea di fotografi, giornalisti, cameraman e gente comune… tutti accerchiati intorno a una persona. Quella persona. Il suo capo.
Dal vivo, Edward, non lo aveva mai visto. Mai. Solo sui giornali e, raramente dato che non la guardava molto, in televisione. Però, ora che lo vedeva avanzare spedito, con una cadenza quasi marziale, le mani in tasca, il corpo avvolto da un attillato completo nero, la camicia sbottonata sul petto, gli occhiali da sole scuri come la zazzera nera che gli mettevano ancora più in risalto la pelle d’avorio, si rese conto che non aveva mai notato quanto fosse maledettamente bello. Anzi, bello a dir poco. Era una specie di divinità greca scesa in terra proprio a Dicembre del 2009, a New York. Poi, però, il suo sguardo cadde irrimediabilmente sulla donna al suo fianco: bionda, con un fisico perfetto e dei lunghi capelli biondi tenuti relegati in un elegantissimo chignon. Era stupenda anche lei, dovette ammettere. E sembravano quasi una coppia, tanto era palpabile l’alchimia fra di loro. Gli si stavano sempre più avvicinando e quando ormai erano a pochi metri da lui, l’American Dream in persona si fermò di fronte a lui, a guardarlo. Si tolse gli occhiali da sole con un gesto quasi da film e inclinò leggermente il volto, osservandolo con quei due pozzi scuri come la notte che erano i suoi occhi. A Edward mancò un battito. Si disse che era perché, ormai, era diventato il suo capo, perché era un uomo molto importante, perché il suo futuro dipendeva completamente da lui… e non certamente perché era bello come un Dio. No, assolutamente no.
Roy Mustang continuava a fissarlo e ora che il cervello di Edward era tornato a ragionare, cominciò a innervosirsi. Che diavolo aveva da guardare?
Aggrottò le sopracciglia e ricambiò lo sguardo, serio. Una scintilla negli occhi di Roy saltò all’attenzione di Edward. Infine, il moro, sfoderò un sorrisino strafottente e sexy allo stesso tempo. Inforcò nuovamente gli occhiali da sole e procedette insieme alla donna bionda, che lo guardava con un’aria… preoccupata? Edward, e non solo lui, li seguì con lo sguardo, fino a quando le porte dell’ascensore non interruppe il contatto visivo.

Roy, nell’ascensore con Riza, appoggiò la schiena allo specchio dell’ascensore, sghignazzando sotto i baffi.

- Riza? Voglio che tu scopra chi è quel biondino, cosa ci faceva qui e se è interessato a un posto di lavoro qui da noi -.

- Sì, Presidente - mormorò la donna, abbassando il capo, quasi demoralizzata.

- Riza… ? - la chiamò, rimettendosi dritto e togliendo ancora una volta gli occhiali da sole. Stavolta li appese alla scollatura della camicia bianca.

- Mi dica… -.

- Anche stasera esci con me? -, chiese, col tono innocente di un bambino che chiede una caramella alla mamma.

Riza arrossì debolmente e annuì. – Sì, Presidente -.

- Mi fa piacere -, commentò, solamente, con la sua voce suadente. Calò il silenzio più totale, fino a quando le porte dell’ ascensore non si aprirono, al venticinquesimo piano. Un intero piano faceva da ufficio a Roy Mustang. Lui uscì dall’ascensore e sbadigliando un po’, si stiracchiò le braccia. Si tolse la giacca e la lanciò su uno dei lunghissimi divani.

- Riza, vieni da me solo se hai notizie su quel ragazzo, chiaro? – impose, senza neanche guardarla e dirigendosi tranquillo verso un muro di vetro e la sua rispettiva porta, che dividevano l’enorme vano. Vi entrò e si abbandonò sulla poltrona della sua scrivania, girandola e rimanendo a guardare dall’enorme vetrata che gli faceva da parete alle spalle. New York era bellissima… e anche quel ragazzo.

 

*****

 

Edward tornò a casa solo un’ora e mezza dopo. Non aveva chiamato un taxi, preferendo una rilassante camminata per le vie inquinate di New York. Anche se era una cosa malsana e alquanto assurda da dire, lo smog lo rilassava. Amava alla follia New York, pur venendo da un paesino di campagna del Tennessee. E forse proprio per questo si era innamorato della Big Apple, per rinnegare le proprie origini. Non aveva mai amato particolarmente il suo villaggio, considerandolo ristretto, limitato e dannoso per la sua vena creativa. Però non poteva non ammettere che aveva aiutato molto a tirar fuori la sua parte da poeta maledetto e pessimista. Alla Leopardi maniera, insomma…
Anche lui confinato in un paesino sul modello di Recanati, anche lui era sprofondato in uno studio matto e disperato, pur di sfuggire alla sua famiglia. Sospirò leggermente, ripensando alla sua adolescenza: una sofferenza dopo l’altra. Quell’idiota di suo padre lo aveva costretto a fidanzarsi con la sua amica storica, Winry, e lui lo aveva accontentato. Per Edward era solo una relazione passa tempo che gli serviva per mascherare la sua omosessualità almeno fino a quando non se ne sarebbe andato via per il College. Ma il padre non era dello stesso avviso: Winry sarebbe diventa sua sposa non appena avesse compiuto diciott’anni. E questo, Edward, non poteva accettarlo. Un po’ perché erano nel 2009 e i matrimoni combinati erano stati aboliti quasi dappertutto per sempre e un po’ perché non voleva legarsi a nessuno. Aveva spesso scritto e letto del sentimento dell’amore, di quella cosa che ti prende corpo, cuore e anima… ma lui no, non l’aveva ancora provato. E perché, dunque, avrebbe dovuto far finta di provarlo per far contento suo padre? Così, arrivato alla maggiore età, aiutato da suo fratello Alphonse di un anno più piccolo di lui e da sua madre Trisha, era scappato in Connecticut, precisamente nel New Haven, per iscriversi all’Università di Yale. Da lì, la sua vita era completamente cambiata: finalmente aveva potuto essere se stesso per tutte le ventiquattro ore della giornata, studiando ciò che più amava di più. Un anno dopo anche suo fratello se n'era andato di casa, ma iscrivendosi alla New York University, College di serie B. Perché lo avesse fatto, mai Edward era riuscito a capirlo. Nemmeno ora, a distanza di cinque anni e passa, dato che era ormai un laureando e si stava specializzando in Scienze matematiche, fisiche e naturali. Da sempre entrambi avevano dovuto lavorare per pagare la cospicua tassa d’iscrizione a una delle più rinomate università private d’America. Ma valeva la pena faticare così tanto, se poi si poteva ottenere ciò che si voleva con poco. Edward aprì la porta del suo appartamento a Brooklyn, con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.

-Al?! Ci sei?? - lo chiamò, lasciando cadere la cartellina sul divano verde scuro del piccolo salotto. Si tolse la giacca, sistemandola sull’appendiabiti. Poco dopo la risposta di suo fratello lo raggiunse, così come lui stesso, che si fiondò fra le sue braccia.

- Fratellone! Allora?! Com’è andata? Ti hanno preso?! Che hanno detto?! - lo ricoprì di domande, saltellando quasi tanta era l’agitazione. Edward scoppiò a ridere e annuì.

- Mi hanno preso! Comincio domani! - Alphonse gli buttò le braccia al collo, abbracciandolo stretto. Era così felice per suo fratello! Ora le cose sarebbero finalmente cambiate!

- Aaaah, lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo! Sei troppo geniale, sarebbero stati degli idioti se non ti avessero preso! - esclamò, strapazzando la zazzera dorata di Edward con le mani. Il più grande rise e lo allontanò, riordinandosi alla bell’e meglio la capigliatura.

- Sì sì, okay… ma i miei capelli non c’entrano niente! – risero entrambi e poi Edward si diresse verso la sua stanza. – Al, vado a cambiarmi e poi scrivo un po’, okay? Non disturbarmi -.

- Va bene Fratellone, però… non vuoi mangiare? -.

Nessuna risposta, se non la porta della stanza che si chiudeva con un secco rumore. Alphonse sbuffò. Mai avrebbe capito suo fratello e i suoi strani atteggiamenti! Invece di essere contento di aver trovato lavoro, si andava a rinchiudere in stanza con chissà quale strambo pensiero! Bah…
Edward, dal canto suo, appena chiuso in stanza andò a chiudere le tende, lasciando la stanza completamente al buio. Si gettò sul letto a una piazza, stiracchiandosi pigramente, poi strinse a sé il cuscino dalla federa azzurra e sospirò ancora. Non riusciva a togliersi dalla testa gli occhi di Mustang. Non aveva mai visto un uomo tanto bello da così vicino e lui, d’altronde, era fatto di carne così come tutto il resto dell’umanità. Di carne molto debole…
Sbuffò, scocciato dai suoi stessi ragionamenti. La sua era solo stanchezza, sicuramente. E tanta repressione sessuale non aiutava molto. Incrociò le mani dietro la nuca, fissando il soffitto con aria annoiata.

- Ora basta pensarci. Devo pensare solo a fare bella figura il prima possibile e ad avere la lettera di raccomandazione. - chiuse gli occhi e si lasciò cadere in un sonno profondo, non sapendo, però, che non avrebbe smesso di pensare a quei due occhi così neri neanche nei suoi sogni.


Continua...

*****


AMERICAN DREAM
DÌ ROY MUSTUNG SEI UNO GNOCCO
PRIMA CLASSIFICATA




PREMIO ORIGINALITA’ 


Commento e giudizio della giudice My Pride:
Mi è piaciuto molto come la storia si è conclusa, devo ammetterlo.
Ma facciamo qualche passo indietro, concentrandoci sull’ambientazione, sulla caratterizzazione dei personaggi e sulla grammatica.
A parte qualche piccolo errore di battitura (Grgiia, per citarne uno) e qualche virgola dimenticata, il lessico e lo stile erano abbastanza scorrevoli, i personaggi sfociavano nell’OOC solo rare volte e anche la descrizione dell’ambiente in cui tutto si svolge è attinente alla realtà.
L’immagine che credo non cancellerò più dalla mia mente, comunque, sarà Edward con il Motorola (E anche con l’I-pod nano, ammettiamolo): non chiedermi perché, ma nel leggere quel piccolo pezzettino sono scoppiata a ridere; tale cosa, però, non c’entra assolutamente con la tua fan fiction.
È solo colpa della mia mente deviata.
Un sorriso mi è stato strappato anche da questo: “Immerso nei suoi pensieri pre-colloquio seguì la giovane – ed esageratamente sculettante – segretaria. Cosa sperava di fare, muovendo quel culo rinsecchito? Le donne erano sempre state un mondo incomprensibilmente assurdo per Edward Elric.”; Edward Elric riassunto in queste semplici righe, in poche parole.
Ammetto anche che mi sono innamorata dell’immagine di Roy che compare dinnanzi al nostro biondino e, quasi come un attore hollywoodiano, si libera degli occhiali.
Mi hai fatto diventare schifosamente superficiale in quel pezzo che hai descritto (Pentiti di ciò che hai fatto, quindi - Naturalmente scherzo).
Indubbiamente, poi, anche la caratterizzazione di Riza è stata mantenuta tale: che sia alle dipendenze di un Colonnello o di un Presidente resta sempre la composta Riza Hawkeye che conosciamo.
Passando al (Per esser precisi, ai) pairing, mi hai piacevolmente sorpresa scegliendo d’utilizzarli realmente entrambi: hai creato un intreccio di personaggi davvero fantastico, e certe cose le adoro.
Nessun coinvolgimento emotivo esagerato, ma hai dato a Roy quell’insana vena un po’ frivola che, concedimi il termine, lo fa andare (E scopare) con tutti.
Mi sono poi sentita molto solidale con Edward quando è stato costretto ad analizzare il Manzoni: esattamente come lui, odio I Promessi Sposi.
Probabilmente la mia vecchia professoressa mi bastonerebbe se lo sapesse.
Non mi aspettavo poi la comparsa di Ling, mio piccolo amore segreto, che mi ha fatta sorridere ad ogni discorso in cui si cimentava.
La scena in limousine l’ho trovata molto adatta al contesto: ho sempre immaginato che Roy fosse un uomo elegante, sia nel gusto che nella scelta dei vini (Il Conti è favoloso, specialmente quando non sei tu a pagarlo), nonché nei modi di parlare.
Un senso dolce amaro poi si avverte quando Jean e Roy si ritrovano a discutere (Proprio da qui, poi, si evince il pairing reale della storia, per così dire), facendo tornare a galla il passato burrascoso del moro e la perdita della sorella; senso che si estende poi maggiormente quando è Roy a parlare con Edward, chiarendo che ciò che prova altro non è che amore paterno (O fraterno), se così lo si vuole chiamare.
Torno a ribadire che ho amato la fine: perfetta così com’è stata lasciata, perfetta in quella citazione da te scelta che sembra racchiudere in sé tutto lo svolgimento della storia.
Davvero struggente.
Oserei dire che questo è stato uno dei tuoi lavori migliori, la posizione è più che meritata.


Correttezza grammaticale: 9,5/10
Originalità: 8,5/10
Ambientazione e citazione: 9/10
Caratterizzazione dei personaggi: 8,5/10
Stile e lessico: 9,5/10
Apprezzamento personale: 5/5

Totale: 50/60

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


American Dream ©
di Roy Mustung sei uno gnocco


 
Capitolo 2

 
Quando Edward riaprì gli occhi, erano circa le 23:00. Aveva saltato pranzo e cena e ora la sua pancia reclamava cibo. Sbadigliando si alzò dal letto, stiracchiando le braccia e gambe. Si rese conto solo ora che aveva ancora le scarpe e tutti i vestiti della mattina. Sbuffò e decise di spogliarsi prima di andare a cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Si tolse il gilet nero, la camicia bianca e i pantaloni scuri. Gettò gli abiti sulla sedia e poi andò ad aprire l’armadio, raccattando dal fondo di esso dei pantaloni di una tuta grigia e la felpa blu con stampato su il caratteristico Bulldog, mascotte di Yale. Poi uscì dalla stanza, andando in cucina alla ricerca di qualche schifezza.
 
                                                                                                 *****
 
Nel contempo, Roy Mustang aveva ospiti in casa sua…
- Maes ha fatto proprio bene ad assumerlo… - commentò Jean Havoc, seduto sul letto tondo e matrimoniale, nudo, con solo il piumone a coprirgli le parti intime. Fumava, come suo solito, e a giudicare dal portacenere che c’era sul comodino alla sua destra, quella doveva essere almeno la quinta sigaretta.
Roy mugolò, d’accordo, con la testa affondata nel cuscino. Jean gli passò una mano tra i capelli, arruffandoli di più. Con l’altra si tolse la sigaretta dalle labbra, lasciando uscire fuori il fumo. Poi si piegò e gli lasciò un languido morso sul collo. Avvicinò poi le labbra al suo orecchio.

- Che mansione vuoi assegnargli? – sussurrò, con tono curioso.

- M’inventerò qualcosa… - rispose, con voce rauca. Poi si girò, guardandolo. – Perché tanto interesse? Cos’è, sei geloso? – insinuò, malizioso. Gli cinse la vita con le braccia. – Non ti dimenticare che sei tu il mio amante preferito… - sogghignò, guardandolo negli occhi azzurri.

- Non fare l’ipocrita con me, Roy. Tu non hai preferenze in nessun campo! – sorrise, scuotendo il capo. Poi tirò un’altra boccata di fumo.

- Non mi credi? Potrei offendermi, sai? E poi… - Jean lo interruppe.

- Credo che quel ragazzo sia competente. Dagli una possibilità e non usarlo solo perché ha un bel faccino… -

- Le avevo già intuite… - rispose, Roy, puntellando il gomito sul materasso e reggendosi la testa col palmo della mano.

- Che cosa? -

- Le sue capacità! Ha uno sguardo molto intelligente… - piegò le labbra in un ghignetto.

- Oh, sappiamo tutti che capacità guardi! Non inventarti storielle sugli sguardi intensi! -

- Ma sta’ zitto! – sbottò, guardandolo con la coda dell’occhio. Poi tornò a fissare l’enorme armadio di fronte a lui – Si sta facendo tardi… e sono stanco – si ristese sul letto, stiracchiandosi pigramente.

- Ma se la tua serata comincia ora! Su, confessa! Prima Riza, poi me e poi chi altro? Andiamo Roy, tre in una notte sola non li reggi neanche tu! – ridacchiò. Che Roy fosse così idiota da aver chiamato anche un altro?

- Il mio unico compagno, per il resto di questa notte, sarà il cuscino. - ribatté.

- Lo spero per te! – esclamò Jean, sorridendo. Poi spense la sigaretta nel posacenere sul comodino e si alzò, completamente nudo.  - Roy, faccio prima la doccia e poi me ne vado a casa - lo avvertì, dirigendosi in bagno. L’altro sventolò una mano.
- Come vuoi… - sbadigliò di nuovo e abbassò le palpebre, pronto a riposarsi dopo l’ennesima serata di fuoco. Quei due occhi dorati che lo avevano guardato con un imprevisto ardore ancora gli tornavano in mente. Lo affascinava incredibilmente quel ragazzino. Di solito tutti rimanevano imbambolati o intimoriti di fronte a lui. Invece, Edward Elric, aveva ricambiato lo sguardo. Lo aveva colpito, stuzzicato… Poi era anche molto bello e aveva gli occhi illuminati dall’ intelligenza, dalla voglia di scoprire, di fare e, soprattutto, da una particolare innocenza, pronta a sparire. Lo desiderava. E ciò che Roy Mustang voleva, prima o poi, in un modo o nell’altro, sarebbe diventato suo. Magari quel ragazzino non era neanche gay… ma non gli interessava. Non lo era nemmeno Jean, al tempo, e ora si trovava nel suo letto quasi ogni notte. Con questi pensieri s’addormentò subito dopo, già pronto ad affrontare il nuovo impiegato la mattina dopo.


  
                                                                                                *****
  


Erano le 07:45 del mattino ed Edward, nonostante avesse passato tutta la notte a scrivere e a leggere, era pimpante e allegro. Arrivato al Mustang’s Building, si andò a sedere sullo stesso divanetto della mattina precedente. Lo avrebbero chiamato a momenti. Dalla cartella, stavolta nera, tirò fuori l’I-Pod nano azzurro, regalo ricevuto il Natale scorso da suo fratello che aveva risparmiato per mesi e mesi i soldi. Lo accese. Si mise solo una cuffia, all’orecchio sinistro, e fece partire la prima canzone che la lista gli proponeva: Fuck You, Lily Allen. Edward sbuffò. Sicuramente era stato Alphonse a mettergli quella canzone assurda sull’I-Pod. Lui che amava il Jazz, che adorava alla follia Oscar Peterson, mai e poi mai avrebbe scaricato una tale oscenità musicale. Però doveva dire che era orecchiabile. Anche se il testo era un insieme di parole messe insieme senza un senso logico. Appoggiò il gomito al bracciolo del divano e si resse il mento con la mano, guardando nel vuoto. La canzone finì pochi minuti dopo e la signorina dell’altra volta, Lust, lo raggiunse all’improvviso. Stavolta indossava uno striminzito tubino blu. Ma da quando a lavoro ci si poteva presentare così?

- Signor Elric… - sorrise, sbattendo le ciglia allungate dal mascara - il Signor Hughes mi ha detto di avvertirla che oggi le sarà assegnata la sua mansione! – si avvicinò a lui, piegandosi un po’ in avanti, per guardarlo negli occhi meglio. E per mostrare le tette.

- Ottimo. Dove devo andare? – domandò, senza far caso alla scollatura sul prorompente seno.

- Al venticinquesimo piano. Il Signor Hughes è rimasto colpito da lei e ha riferito al Presidente delle sue capacità. Ha quindi un appuntamento col Presidente Mustang! - esclamò, entusiasta per lui. Edward la guardò stupito, senza parole. La sua mansione sarebbe stata decisa dall’American Dream in persona? Sembrava un sogno per davvero, questo…

- F-fantastico! Cioè, okay, ora… vado. - si alzò, ancora confuso. - Venticinquesimo piano, ha detto? Okay, grazie mille! - non saltellava dalla gioia perché i suoi freni inibitori fortunatamente funzionavano ancora. Salutò con un cenno del capo, forse un po’ rozzo, la signorina e si diresse verso la lunghissima scalinata di marmo bianco. La percorse tutta, quasi correndo, ansioso. Ancora non ci credeva. Se avesse fatto colpo anche su di lui già da ora… ma no no, ora doveva rimanere coi piedi per terra! Prepararsi psicologicamente e soprattutto emotivamente: l’ultima volta che si erano guardati, le viscere di Edward avevano deciso di andare a farsi un giro sulle montagne russe, quindi ora temeva di avere… strane reazioni. Era un bell’uomo, affascinante e il suo carisma gli pareva quasi di poterlo toccare con mano. Lui era un ragazzino inesperto con gli ormoni, nonostante i ventitré anni compiuti il mese scorso, che ancora ballavano la samba alla vista di qualcuno come Roy Mustang. Ergo, doveva darsi una regolata e pensare con professionalità alla cosa. In ascensore il batticuore gli martoriava il petto ma lo ignorò, aspettando con trepidante attesa che finalmente le porte dell’ascensore si aprissero. I minuti passavano, aumentando la tensione di Ed. Emise un pesante sospiro, chinando il capo in avanti e proprio in quell’istante le porte si aprirono. Edward alzò di scatto la testa, ritrovandosi due grandi occhi color cioccolato a guardarlo. Deglutì pesantemente e fece scorrere gli occhi sul resto del viso, sul busto, le gambe e le scarpe. Era la donna bionda che aveva visto ieri col Presidente, quella che, presumibilmente, sarebbe dovuta essere la sua assistente personale.

- Buongiorno, Lei è Edward Elric, giusto? – si spostò, per farlo uscire fuori dall’ascensore. Edward fece qualche passo avanti e venne subito investito dalla luce del sole di quella giornata che si prospettava a dir poco splendida. L’intero piano era adibito come ufficio per il Presidente e la sua segretaria. Non c’erano quasi pareti, ma solo grandi vetrate che illuminavano completamente la stanza. Il sole, ancora nascosto dietro gli altissimi grattaceli, teneva ancora parzialmente in ombra la città. Loro, però, erano abbastanza in alto da non avere problemi d’illuminazione. Rimase a bocca aperta per il panorama che si poteva ammirare: tutta New York, in ogni suo lato, ogni sua sfaccettatura urbana era davanti ai suoi occhi.

- Signor Elric? - la voce calda dell'assistente gli arrivò alle orecchie, distogliendolo dalla sua contemplazione. Edward non poté non notare una punta di divertita comprensione nel suo tono.

- Ehm... sì, scusi. Notavo quanto fosse bella la vista da qui... - mormorò, sorridendo impacciato. La donna gli concesse un piccolo e comprensivo sorriso.

- Non si preoccupi. Non è il primo ad avere questa reazione. A quest'ora, poi, il paesaggio è ancora più bello! - il giovane notò subito come la postura della donna fosse inflessibilmente rigida: la schiena dritta, il portamento fiero... sembrava più un soldato che un assistente. E solo ora si accorse che i lunghi capelli dorati le ricadevano sulle spalle. Ieri li teneva legati, oggi no. Sorrise, erano di un colore più chiaro rispetto al suo, ma erano ugualmente splendidi. Come lei, d'altronde.

- Già... - mormorò soltanto. La luce soffusa che prima tanto aveva ammirato le illuminava il profilo perfetto. Poi gli occhi gli caddero sul suo petto, dove c'era il cartellino col suo nome: Riza Hawkeye.

- Il Presidente la sta aspettando, Signor Elric. Prego, mi segua! - esclamò. Anzi, ordinò. Partì spedita col suo passo rigido alla volta della parete in vetro che divideva a metà il venticinquesimo piano. Dall'altra parte del vetro c'era un grande salotto, con un moderno tavolino da caffè e un caminetto dall'aria antica a spezzare la scena troppo contemporanea. E ancora più avanti dovevano esserci altri divani, qualche poltrona e diverse sculture astratte. Da così lontano non si vedeva molto bene. Riza entrò all'interno della seconda parte. A Edward, che la seguì poco dopo, sembrò quasi di varcare la soglia di un altro mondo, di un universo parallelo. Chiuse alle sue spalle la porta e seguì silenziosamente l’assistente. Due minuti dopo si avvicinarono alla scrivania nera e a semicerchio del Presidente, seduto sulla poltrona, sempre nera e di pelle. Dava loro le spalle e contemplava New York dall’alto in basso. Doveva proprio sentirsi un Dio da lassù…
Accanto a Riza, Edward sentì il suo olfatto stuzzicato dal dopobarba - o era acqua di colonia? - di Mustang. Sbatté più volte gli occhi, coi sensi che cominciavano a far cilecca. Ciò che si era ripromesso nell’ascensore stava già andando a farsi benedire.

- Presidente? Edward Elric è arrivato. - decretò, con la voce calda di prima. Forse un po’ più… accorata, interessata? Non trovava il termine adatto, Edward. Eppure al Liceo lo avevano sempre preso in giro chiamandolo “Vocabolario umano”… buffo.

- Ottimo. Puoi andare, Riza, grazie… - quella che sentì sulla schiena Edward fu più di una scossa elettrica. Fu un qualcosa che non seppe definire, un improvviso brivido, una sensazione di puro piacere. Quel giorno la sua fama da Vocabolario Umano stava per decadere. La voce di Roy era morbida, vellutata e troppo, troppo, troppo sensuale.

Riza annuì - Sì, Presidente. - e fece dietro-front, tornando nel mondo di prima, quello dove un semplice uomo non doveva, e non poteva, avere un tale ascendente sulle persone che lo circondavano. Ma, per l’appunto, ora si trovavano in un altro mondo.

Finalmente la poltrona si girò, mostrando il moro affascinante che vi era seduto sopra. Indossava un dolcevita bianco latte e dei pantaloni beige, tenuti fermi da una cinta marrone, come le scarpe eleganti. Un candore surreale, contornato dalla pelle chiara e spezzato dai capelli e gli occhi scuri come l’inchiostro. Roy Mustang si alzò, era alto. Molto alto. Sicuramente superava il metro e ottanta, osservò Edward. Ma questo non lo avrebbe dovuto toccare più di tanto… se fosse stato nell’altro mondo, dall’altra parte della parete di vetro.

- Piacere di conoscerti, Edward… - gli tese la mano. Il giovane scrittore rimase lì, a guardare le dita affusolate, l’orologio d’oro (gli ricordava molto quello di Jean Havoc, il fotografo) e il palmo aperto. Il modo in cui aveva pronunciato il suo nome, con quell’accento tipicamente Newyorkese che lui non aveva, gli aveva fatto di nuovo provare quel brivido lungo la schiena. Ma chi diavolo era, quell’uomo?
Con la mano tremante - e sperò non sudata - Edward gliela strinse, alzando gli occhi dorati e puntandoli contro i suoi. La stessa cosa dell’ultima volta: le viscere gli si attorcigliarono letteralmente. Deglutì a malapena e sbatté più volte le palpebre, acquistando solo dopo un po’ sicurezza.
Roy sorrise. Quel ragazzo lo interessava sempre più. Aveva un carattere strano, un modo di comportarsi che non era comune. Oscillava tra l’insicurezza più totale e la determinazione senza freni. Perché sì, sapeva che poteva essere molto determinato: lo aveva capito la prima volta che i loro occhi si erano incrociati. Impossibile non notare come fosse rimasto di sasso davanti a Roy, ma impossibile anche non accorgersi di come poi aveva ricambiato lo sguardo. Sciolse la mano dalla sua e tornò a sedersi sulla poltrona. - Accomodati, Edward… -.

Il biondo annuì, sussurrando un flebile - Grazie… -.
Le cose non stavano andando bene. Quello non era lui, non era l’Edward Elric impulsivo e spacca tutto che poteva sfondare. Così non sarebbe riuscito a convincere proprio nessuno. Specie l’American Dream.

Roy rimase in silenzio per un po’, ponderando le parole. Lo fissava, studiando bene le sue reazioni. Edward sembrava molto preso dai suoi pensieri.

- Allora Edward, Maes Hughes mi ha detto che sei molto preparato. Laureato con il massimo dei voti a Yale in Letteratura e Filosofia… - cominciò, provando con la strategia della lode. Edward tornò a guardarlo, mettendo dritta la schiena e accavallando la gamba destra su quella sinistra. - E mi ha detto che ti piacerebbe diventare uno scrittore - sorrise, Roy. Edward spalancò gli occhi dorati, ma non disse null’altro. Ricambiò il sorriso, con uno di circostanza.

- Sì, esatto. Ma dovremmo parlare del presente, non del futuro. Ogni cosa a suo tempo, giusto? - azzardò, sperando di riuscire a prendere il prima possibile le redini del discorso. Mustang rimase piacevolmente stupito. Ecco la determinazione che cercava in quel ragazzo. Non sarebbe stato facile conquistarlo. Molto meglio così: amava le sfide.

- Hai perfettamente ragione, Edward. Dunque voglio subito metterti al lavoro nel tuo campo! - esclamò, entusiasta e con un ghignetto forse un po’ provocatorio sul viso. - Sulla rivista scientifica, I-Science, ho fatto aprire recentemente, in contrapposizione con gli argomenti a tema scientifico trattati nel settimanale, una rubrica che commenta dal punto di vista moderno opere antiche. Una follia, vero? Beh, sembra che invece i lettori abbiano apprezzato: le vendite sono aumentato del sei per cento! - Roy si alzò, mettendo le mani in tasca. Diede le spalle a Edward, guardando giù, in strada. Adorava farlo. Lo faceva sentire così potente e importante. Più di quanto già non fosse.

- E io cosa dovrei fare, di preciso? - intervenne, poggiando le mani sulle sue ginocchia. Roy girò solo il viso, guardandolo negli occhi, con quel sorrisino che un po’ stava cominciando a infastidire Edward. Era chiaro come il sole che finalmente si stava levando in cielo silenzioso, quanto fosse ironico, quel ghigno. Ghigno sì, perché di sorriso non si poteva certamente parlare.
- Oggi è Venerdì. Domani è Sabato… - commentò, non staccando gli occhi da quelli di Edward. Il biondo si mordicchiò la lingua per non sbottare in un ‘Ma bravo! Sai i giorni della settimana!’. Alphonse, la stessa mattina, mentre si preparava per andare in facoltà, gli aveva rammentato per almeno un milione di volte che anche oggi avrebbe dovuto mettere a tacere il suo caratteraccio. Glielo aveva promesso. E non poteva deludere Alphonse facendosi licenziare ancor prima di aver cominciato a lavorare.

- E cosa succede di Sabato? - domandò Roy a Edward. In quel momento nella mente del giovane mille possibilità vorticarono, tutte scontate, tutte scontrose, tutte acide, tutte ironiche, tutte… bingo!

- Vanno in stampa i settimanali? - domandò, ma pur sempre con tono deciso. Roy sorrise, soddisfatto della risposta.
- Esattamente. Mi piace chi ragiona velocemente e con lucidità.- si girò completamente, inclinando il capo e continuando il discorso di prima. - Il Sabato vanno in stampa le riviste settimanali, per essere poi pubblicate il Lunedì mattina. Ora, io ti propongo di analizzare I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, in chiave moderna ed entro stasera. Hai superato il colloquio di Hughes, ma dovrai superare anche il mio. - decretò. Lo doveva ammettere, Roy: questa mansione non era per niente programmata. Così come la scelta dell’opera letteraria: era la prima cosa che gli era passata per la mente. Eppure aveva sortito il suo effetto: Edward era semplicemente basito.
- Mi prende in giro? Non posso farcela! - esclamò, scioccato, agitando la mano senza il guanto. Era un folle, quell’uomo! Come si poteva fare una cosa del genere in un giorno solo?! Anche con una settimana d’anticipo sarebbe stata ardua! E al diavolo tutte le raccomandazioni di Alphonse, se fosse stato necessario lo avrebbe mandato anche a quel paese!
Il sorriso di Roy scomparve. Mustang lo guardò serio, forse un po’ deluso. Si aspettava un animo più battagliero e pronto alla sfida. Ma non era detta l’ultima parola. Con quel ragazzo bastava toccare le corde giuste per ottenere le giuste risposte e le giuste reazioni…

- Lo sai quanti ragazzi della tua età vorrebbero avere questa possibilità? Ne hai la più pallida idea? Non credo. Eppure sei qui, di fronte a me, che hai quest’occasione: sfruttala! - tirò fuori dalla tasca dei pantaloni beige un orologio d’argento, da cui lesse l’orario. - Le otto e ventisette minuti, Edward. Stai perdendo tempo. Io correrei a casa a lavorare. Devi portarmi l’articolo, non più di settecento parole, entro le nove di sera. Se non ce la fai o se non sarà un eccellente elaborato, dovrai cercarti un altro impiego. Sono stato chiaro? - e terminò il tutto con un sorrisino divertito. Edward aggrottò le sopracciglia, piccato. Fu più forte di lui, ma dovette lanciargli un’occhiataccia.

- Cristallino! - sibilò e si alzò. Notò la spaventosa differenza d’altezza fra loro due, ma non ci fece caso. Non era lui troppo basso, era quell’uomo dalle richieste impossibili a essere troppo alto.

- Ottimo. Allora… a stasera, Edward. - poggiò una mano al bordo della scrivania, sorridendogli bonario.
- A stasera, Presidente. - ribatté, marcando la sua carica con tono acido e, presa la cartella, si diresse verso la porta di vetro. Uscì e sospirò pesantemente, l’aria in quella stanza sembrava così strana senza il profumo di Mustang. Si risvegliò subito e gettò un’occhiata a Riza, seduta sulla scrivania che leggeva qualcosa di veramente importante, non come Lust. La bionda alzò la testa.

- Arrivederci, Signor Elric! - lo salutò, cordialmente.

- Arrivederci, signorina -.
Edward entrò a passo svelto nell’ascensore, spingendo il tasto per il piano terra. Si appoggiò all’ascensore, sbattendoci la testa contro. Non diede peso al dolore che si provocò, ma più che altro all’impresa impossibile che lo aspettava. - Quello stronzo! - sbottò.
Attese che le porte dell’ascensore si aprissero, per uscire finalmente e scendere la lunga scalinata. Si precipitò fuori dall’edificio e, fortunatamente, un taxi stava lasciando una bellissima ragazza, probabilmente una modella, di fronte all’edificio. Appena scesa lei, vi entrò lui. Gli comunicò il suo indirizzo e una volta partiti si abbandonò poi sul sedile posteriore e chiuse gli occhi, stanco. Cominciò a riesumare tutto ciò che aveva nella sua testa su I Promessi Sposi. Sarebbe stata dura: lui odiava Manzoni.


 
                                                                                                *****
 


Le 20:55. Un fortissimo temporale si era abbattuto nel pomeriggio su New York e persisteva tuttora a inondare le strade d’acqua.
Le porte dell’ascensore si aprirono, mostrando un Edward molto più sportivo, in jeans, maglietta, felpa e i capelli leggermente umidi di pioggia. Riza era seduta nella stessa posizione perfetta di undici ore fa. Era un cyborg, forse. Il biondo si avvicinò alla sua scrivania.

- Buonasera, signorina. Sono venuto a consegnare del lavoro. Posso entrare? - Riza alzò la testa e lo guardò, leggermente confusa. Non ricordava che il Presidente avesse mai assegnato del lavoro ai nuovi impiegati già dal primo giorno. Specie a fine settimana. A che scopo se poi non lo avrebbe pubblicato? Il biondo non si accorse dello sguardo interrogatorio dell’assistente e attese risposta.

- Certo. Scusi se non l’accompagno, ma ho da terminare delle cose e… - Edward sorrise e scosse il capo.

- Nessun problema, si figuri! - si allontanò dalla scrivania e si diresse verso quella benedetta porta di vetro. Poggiò una mano sulla maniglia, bianca, e prese un profondo respiro. Varcò la soglia della porta e di nuovo gli sembrò di andare in un altro mondo. Chissà, magari per Il ponte di Terabithia si erano ispirati a Roy Mustang e alla sua parete di vetro. All’improvviso un forte tuono fece tremare i vetri e il pavimento, facendolo sussultare dallo spavento. Camminò sicuro di se stesso e del suo operato verso il semicerchio che circondava la poltrona nera. Anche stavolta Roy gli dava le spalle. 

- Presidente? - cercò di attirare la sua attenzione. Roy non fiatò, fissando la strada bagnata sotto di lui, i clacson delle macchine suonati freneticamente da automobilisti nervosi, arrabbiati, stanchi di essere ancora imbottigliati nel traffico a quell’ora della sera. 
- Presidente Mustang?! - ripeté Edward, stizzito. Odiava non ricevere attenzione. La poltrona si girò e finalmente si ritrovarono faccia a faccia. Gli occhi di Roy caddero sulla cartella di Edward.

- L’hai portato? - chiese, apatico. Edward annuì e tirò fuori una busta gialla che poggiò sulla scrivania.

- E’ qui. Seicentonovantotto parole di analisi in chiave moderna de I Promessi Sposi. Ciò che voleva, no? - la soddisfazione nello sguardo e nella voce del biondo era così palese da far innervosire Roy. Il moro si alzò e annuì, andando a prendere la giacca appoggiata sulla testa di un mezzo busto in gesso che si trovava lì vicino. Assomigliava molto a Mustang, quel mezzo busto.

- Puoi andare. - s’infilò la giacca e poi la sciarpa, beige come i pantaloni. Perché era così strano?

- Ma… non lo legge?! - domandò, di nuovo arrabbiato. Roy sospirò e si girò a guardarlo annoiato.

- No. - rispose, lapidario. Edward strinse forte i pugni.

- Ma come sarebbe?! Ha detto che se non fosse stato un eccellente elaborato mi avrebbe licenziato! E non ha ancora deciso la mia mansione, fra parentesi! - sbottò. Mustang continuò a guardarlo, poi sorrise leggermente.

- Andrà in stampa così com’è, Edward. Se andrà male e i lettori non apprezzeranno, sarai licenziato. Tuttavia sapremo come sono andate le vendite solo Lunedì sera e qualcosa dovrai pur farla Lunedì mattina, hai ragione… - il sorriso si trasformò in un ghigno. - Al quinto piano hanno bisogno di una mano per l’inventario degli abiti usati nella sfilata fatta la settimana scorsa. Chiedi di una certa… Sheska, credo si chiami. E’ la responsabile. Lei saprà dirti cosa fare. Buona serata, Edward. - gli diede le spalle e, mani in tasca, se ne andò. 
Il biondo rimase lì imbambolato ancora per qualche minuto. Aveva sputato il sangue sopra quel dannato articolo e Mustang non lo aveva nemmeno guardato! Che uomo menefreghista! Solo perché tutti abbassavano la testa davanti alla sua onnipotenza, non significava che doveva trattare così il lavoro altrui! No, non poteva mandare in stampa il suo lavoro, lasciarlo nelle mani di quello stronzo. Fece per riprendere la busta ma all’improvviso i volti di suo fratello, di suo padre che lo chiamava fallito, di sua madre che sperava tanto di vederlo realizzato gli tornarono in mente. Se non fosse riuscito ad avere questo lavoro, se si fosse fatto “nemico” Roy Mustang, la sua carriera sarebbe stata chiusa ancor prima di iniziare. Lasciò lì la busta gialla e nervosamente se ne andò dall’ufficio. Non salutò Riza, che stava prendendo le sue cose per tornare a casa, ma si fiondò nell’ascensore, spingendo arrabbiato il pulsante del piano terra. Aveva una rabbia addosso che rasentava l’incredibile! Doveva calmarsi però. Chiuse gli occhi e appoggiò la schiena alla parete dell’ascensore. Nella mente gli tornò la canzoncina di stamattina: Fuck you, fuck you, fuck you very very much! Sorrise e sollevò le palpebre quando le porte si aprirono. Più rilassato e con quel motivetto nella mente se ne andò dal Mustang’s Building.


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


American Dream ©
di Roy Mustung sei uno gnocco


Capitolo 3

Le 21:25 della sera dopo.
Edward, non appena entrato a casa, si era letteralmente gettato sul piccolo divano del salotto. Alphonse, che stava studiando sulla poltrona lì vicino si avvicinò, lasciando perdere il libro e guardandolo preoccupato.
- Fratellone? Stai bene? - il biondo aveva la testa affondata nel cuscino e borbottò qualcosa di incomprensibile. Poi si girò e pesantemente si ritrovò a pancia in su.

- No, Al, sono stanchissimo. Mustang mi ha costretto a fare l’inventario dei vestiti insieme a una pazza furiosa che ricorda a memoria ogni più piccola cosa letta!!- esclamò, esasperato. Si mise un braccio sopra il viso, coprendosi gli occhi. - Non solo! Domani probabilmente, se l’articolo non piacerà ai lettori di I-Science la mia carriera di scrittore si potrebbe chiudere per sempre! -.
Al lo lasciò sfogare per un altro po’, poi si sporse sul tavolino al centro del salotto e prese il cordless, in alcuni punti tenuto insieme dallo scotch. Compose un numero e aspettò che dall’altro capo del telefono qualcuno rispondesse. - Ling? Sono io, Al. Senti, portami quadrupla razione del solito. Sì, Edward è depresso. Grazie mille. A dopo. - e chiuse la comunicazione. Il braccio del biondo si spostò, mostrando i suoi occhi stanchi.

- Hai ordinato il cinese? - Alphonse sorrise e annuì.

- Devi stare tranquillo, Fratellone. E hai bisogno di distrarti! - cominciò, con tono comprensivo. - Ascoltami, io ho comprato la rivista e ho letto il tuo articolo: è fantastico. E non lo dico solo perché sei mio fratello, sia chiaro. E’ la pura e semplice verità. Mustang se ne intende di queste cose, sono certo che capterà il tuo talento! - lo rassicurò, sorridente. Edward lo guardò, sospirando. Distolse lo sguardo, poi.
- Odio Roy Mustang… - borbottò. E Al scoppiò a ridere.

- Un giorno lo amerai, Fratellone! - Edward roteò gli occhi, annoiato.

- Come no, certo! E ci vorrò stare anche insieme! - il tono stizzito e schifato di Edward non fece altro che aumentare le risate del fratello, che alla fine contagiarono anche lui. Cominciarono a chiacchierare tranquillamente, parlando del più e del meno e cercando di evitare l’argomento “Lavoro di Edward”. Era meglio così. Meglio non pensare alla possibilità che Ed sarebbe potuto tornare a fare il cameriere al bar all’angolo. Poco dopo suonò il campanello e Alphonse andò ad aprire, mentre il maggiore dei fratelli Elric si metteva a sedere. Un ragazzo dai lunghi capelli mori legati in una coda, con una frangetta sulla fronte a sfiorargli gli occhi a mandorla.

- Ling, ciao! Entra! Grazie per essere arrivato così in fretta! - Al si scostò dalla soglia della porta e lo lasciò entrare.

- Figulati, Al! Sappiamo tutti che quando Edwald è deplesso c’è bisogno del plonto intelvento! - scoppiarono a ridere entrambi e smisero esattamente quando Ed li raggiunse all’ingresso, con uno sguardo incavolato.

- Piantatela di prendermi in giro! Sono davvero depresso! - prese dalle mani di Ling la busta bianca strapiena di pietanze tipicamente orientali. Se ne ritornò di nuovo sul divano, aprì la busta, trovò le bacchette, prese una scatoletta bianca qualsiasi - non gli interessava quale pietanza, l’importante, ora, era mangiare! - e cominciò a mangiare subito. Anzi, a divorare letteralmente quelli che parevano essere involtini primavera. Appoggiò i piedi sul tavolino da caffè di fronte a lui, mangiando e borbottando tra sé chissà cosa. Ling e Al, intanto, si erano seduti sull’altro piccolo divano. Alphonse fulminò Ed, indicando con un cenno della testa i piedi sul tavolino. Edward sbuffando li tolse, continuando a mangiare. 

- Sei deplesso pel quello che mi hai laccontato ieli sela, Edwald? - l’interpellato annuì, guardando Al, come a passargli il testimone. Non gli andava di raccontare ancora la sua giornataccia. Il fratellino comprese al volo e sistematosi un cuscino dietro la schiena cominciò a parlare con Ling.

- Devi sapere che il nuovo capo di Edward gli ha assegnato un’ingrata mansione con una ragazza che, a detta sua, è un po’ pazza. Comunque Edward è stanchissimo e super preoccupato per domani, perché, come ti abbiamo già detto, se la rivista dove il suo articolo è stato pubblicato non fa i soliti incassi record o se qualcuno si lamenta per il suo articolo, Ed verrà licenziato! - Ling osservò preoccupato Al, mettendosi una mano sotto il mento.

- E’ un bel ploblema… - mormorò, pensieroso.

- E’ più che un problema! E’ una tragedia, Ling! Se vengo licenziato si spargerà in giro la voce che non sono capace di scrivere e ciò significa che tutte le porte per il mio futuro saranno sbarrate per il resto della mia esistenza! E dovrò tornare a fare il cameriere di fronte al tuo ristorante! - si lagnò, finendo la prima scatola e prendendone un’altra. Ling sbatté le palpebre e poi guardò Al, che scosse il capo.

- Edwald io cledo che tu sia un po’ tloppo… melodlamattico, ecco. Ce la falai di celto! E comunque tutta la mia famiglia e i nostli clienti hanno complato I-Science! Quindi, su! Hai anche tanto talento! - annuì, d’accordo con se stesso. Edward sospirò, smettendo un attimo di mangiare. Poi guardò i due ragazzi di fronte a lui e ricominciò a mangiare, sempre più in ansia. Con la bocca piena continuò a bofonchiare qualcosa di incomprensibile. Passò una buona mezz’oretta e alla fine Ling tornò al ristorante gestito dalla sua famiglia - tutti immigrati in America dalla Cina -, lasciando soli i due fratelli. Edward rimase sveglio per un altro po’, a leggere un libro, poi, stanchissimo, decise di andare a dormire. Domani sarebbe stato il giorno del giudizio.


                                                                                                                          *****


Anche stavolta era seduto sullo stesso divanetto delle ultime due volte, sperando che gli portasse ancora un pizzico di fortuna, quel po’ che gli sarebbe bastato per non essere licenziato in tronco. Aspettava, decisamente in ansia, che lo chiamassero. Accavallò la gamba destra su quella sinistra, incrociando le mani sulla cartella posata sulle ginocchia. Sospirò leggermente, voltando il viso verso destra. L’attesa lo stava a dir poco snervando. Sollevò la mano destra, quella col guanto, e si coprì gli occhi con questa, stanco. Dire che era crollato sul letto come un sasso era a dir poco un eufemismo. A malapena si era riposato dopo la stancante giornata di ieri e ora sperava di non dover continuare a fare l’inventario dei vestiti con quella pazza di Sheska. In tal caso, sarebbe stato lui a licenziarsi. Meglio fare il cameriere che stare con quella. Attese ancora qualche minuto, sospirando più o meno ogni dieci secondi. Che tensione…
Poi, finalmente, arrivò Riza Hawkeye. La vide arrivare dalla cima delle scale e scenderle, sicura di se stessa. Avrebbe voluto essere un po’ come lei, in quell’istante: senza preoccupazioni sul proprio lavoro. Quando Riza si fermò davanti a lui, si alzò, rassettandosi la camicia e i pantaloni, mettendo la schiena un po’ più dritta.

- Salve Signor Elric. Il Presidente la sta aspettando: mi segua, prego! - ordinò come al solito ed Edward, annuendo solamente, la seguì senza spiccicare parola. Arrivarono in meno di dieci minuti all’ultimo piano e, come la prima volta, rimase basito dal paesaggio. Tuttavia su di esso si soffermò meno: se ciò che Mustang doveva dirgli fosse stata una cosa positiva, allora sì, avrebbero perso il tempo a guardare bene lo spettacolo che ogni giorno quel piano offriva ai visitatori. Riza riprese la parola: - Entri pure -.

- Okay… - prese un profondo respiro e, un po’ impettito, si diresse verso il muro di vetro. Abbassò la maniglia bianca ed eccolo, di nuovo dall’altra parte. Respirò ancora e riprese a camminare dopo essersi chiuso la porta alle spalle. Qualche minuto ancora e finalmente - purtroppo, doveva ammettere - si ritrovò di fronte alla scrivania di Mustang. La poltrona sui cui era seduto, come sempre, rivolta verso la vetrata che dava sulla strada.
- Presidente? Sono Edward Elric. - non cercò di trattenere un tono scocciato.

- Un lavoro… passabile, Edward - commentò, girando la poltrona e arrivando subito al nucleo del discorso. Lo guardò, con aria sfrontata. Quanto lo irritava quell’uomo!!

- Un lavoro passabile?! - sbottò - Il mio articolo non è passabile! E’eccellente! Citazioni, riferimenti storici! E’ un’analisi breve ma concisa su un’opera di un autore che mi fa pure schifo! Ciò dimostra che non solo ha dei gusti letterari pessimi, ma che non capisce un cavolo! - gli urlò contro, sbattendo la mano destra, guantata, sul tavolo. Roy guardò Edward e i suoi movimenti a dir poco divertito. L’insolenza palesemente mal trattenuta di quel ragazzo lo divertiva enormemente. 

- Trovi? Beh, qui il capo sono io… e non tu. Ergo, ti do tempo un mese: ti lascerò scrivere un articolo su qualunque cosa tu voglia. Qualunque, caro Edward… - e gli sorrise, con fare affascinante. Si alzò e fece il giro della scrivania, andandogli vicino. Il giovane scrittore rimase perplesso e anche un po’ imbambolato, mentre lo squadrava. Fasciato in quel completo blu scuro, Mustang era davvero… sexy. Altre parole non c’erano.

- Sul serio? E mi darà un mese intero? - no, la cosa non gli quadrava. Non conosceva bene Roy, ma quell’uomo era troppo stronzo per fargli un simile favore! C’era sicuramente qualcosa sotto.

- Certo! Sono un uomo di parola, io! - ancora lo stesso sorriso di prima.

- Qualcosa mi dice che questa cosa mi verrà a costare parecchio… - Roy fece un ghigno decisamente poco rassicurante.

- Apprezzo moltissimo le persone sveglie come te: risparmio tempo e lo posso utilizzare per cose più costruttive. – Edward incrociò le braccia, guardandolo tra lo scocciato, il sospettoso e l’imbarazzato per aver intuito un leggero doppio senso.

- Arrivi al punto. Non ho tutta la giornata per lei, Presidente! - sbottò, arrogante. Gli occhi di Roy brillarono di nuovo, proprio come la prima volta in cui i loro sguardi si erano incrociati: lo stuzzicava in una maniera incredibile, Edward. Doveva averlo! E subito, anche!

- Giusto. Non hai tutta la giornata per me. - usò volutamente un tono ironico, per dargli fastidio. Aveva capito fin troppo bene la psicologia del ragazzo e, oramai, sapeva benissimo quali corde toccare per farlo calmare o arrabbiare. Era sempre di più nelle sue mani. - Voglio che tu scriva un articolo su qualunque cosa, non m’importa se su i problemi dei taxi introvabili a New York City o se della fame nel mondo: andrà bene tutto! Avrai un mese di tempo e nessun limite di lunghezza. In cambio di ciò, voglio solo una cosa. Non ti costerà poi molto, anzi, vedrai, potrebbe avere risvolti piacevoli! – Edward sollevò un sopracciglio, sempre più in ansia. Dove diavolo voleva arrivare?

- Insomma! Si sbrighi! - l’impellenza di sapere lo stava innervosendo più di quanto già non fosse di suo.

- Dovrai uscire con me stasera. E poi, se vorrai, anche altre volte… ma l’accordo è per una sera sola. Ci stai? -.


                                                                                                                           *****


Non ci poteva credere. Perché diavolo lo aveva fatto? Per quale arcano motivo la sua mente, la sua anima e il suo corpo avevano deciso di acconsentire a una proposta di tale indecenza? Insomma, come cavolo gli era venuto di accettare l’invito - che pareva più un ricatto - di Mustang? Però il danno era fatto, ora e, anzi, era anche passato dato che adesso si trovava a bordo della limousine nera del Presidente. Lo stava riportando a casa. A Brooklyn. Con una limousine. Lo aveva infastidito incredibilmente lo sguardo che Roy gli aveva rivolto quando gli aveva il detto quartiere dove abitava. Evidentemente, quel cretino, credeva che tutto il mondo si potesse permettere di vivere nell’Upper East Side.

- Vivi da solo? - domandò, improvvisamente, rigirandosi tra le mani il suo flûte di cristallo. Impossibile non notare quanto bevesse Mustang. Da solo aveva finito la bottiglia di vino -
un Romanée-Conti dal valore minimo di duemila dollari a bottiglia - e metà di quella che aveva ordinato dopo. Fortunatamente aveva pagato Roy, altrimenti Edward, per pagare quella cena fantastica, avrebbe dovuto fare un mutuo.

- Con mio fratello. - rispose, laconico, riprendendo ad analizzare la cena appena trascorsa. Pensandoci bene, non avevano litigato nemmeno una volta, né si erano stuzzicati: avevano discusso appassionatamente su qualunque cosa e, doveva ammetterlo, aveva finalmente capito come a soli trentacinque anni fosse diventato uno degli uomini più potenti e ricchi di New York. Roy Mustang possedeva un’intelligenza e un’acutezza rara, era un uomo profondo, seppur a tratti molto superficiale, e una grande - grandissima - cultura. Ora come ora non ricordava bene, ma suo fratello Al gli doveva aver detto qualcosa a proposito dei titoli di Mustang… beh, glielo avrebbe chiesto. 

- Cosa c’è? - Roy poso il flûte sul basso tavolino incastrato tra un sedile e l’altro. - Il gatto ti ha mangiato la lingua? - lo stuzzicò. Edward si girò a guardarlo, o meglio, a fulminarlo.

- No. Ma mi chiedo quando questo accadrà a lei: non sta zitto un minuto! - sbottò. Rimasero in silenzio per un po’, poi Roy scoppiò a ridere, scuotendo il capo, con i capelli che gli ondeggiavano sulla fronte. Si sporse verso Ed, posando l’avambraccio destro al sedile e avvicinandosi al suo viso. Lo fissò intensamente negli occhi, con uno sguardo tra il divertito e l’affascinato.

- Sai… non ho mai conosciuto nessuno come te… - cominciò. Edward, improvvisamente e senza alcun motivo di natura scientifica, cominciò a sentir caldo. Molto caldo.

- E’… è ovvio! - borbottò, impacciato dalla vicinanza dei loro volti.  - Nessuno è uguale a nessun altro: siamo tutti diversi! -. Roy sbuffò, sollevando scocciato gli occhi al cielo.

- Non hai capito. Voglio dire che non ho mai conosciuto nessuno che, come te, mi dà battaglia! Ribatti alle mie provocazioni, hai gli occhi che ti brillano, hai un fuoco dentro che non è comune, Edward… - sussurrò. Non era una di quelle frasi che diceva a tutte le donne che voleva portarsi a letto o a Jean quando era incavolato con lui, no… era la pura e semplice verità. Teoricamente già gli stava confessando ciò che la sua presenza gli provocava. Lo infuocava. Edward era riuscito a risvegliare il suo animo addormentato, proprio come, tanto tempo fa, aveva fatto Jean.
Per il giovane fu impossibile trattenersi: arrossì violentemente, con le guance che diventavano rosse e mettevano ancor più in evidenza i grandi occhi color miele.

- C-come… ? - il cuore gli batteva forte e accelerò sempre di più quando si ritrovò le labbra di Roy sulla sua bocca. La schiuse istintivamente, lasciando a Mustang la possibilità di invaderla e approfondire il bacio. Edward si sentì schiacciare contro lo sportello e il vetro scuro dell’auto tanta fu la passione in quel singolo bacio. Non immaginava il resto.
Si staccarono dopo lunghi secondi e solo allora Ed si accorse di aver chiuso gli occhi. Li riaprì, osservando Roy sporgersi verso il vetro dell’autista per dirgli qualcosa che lui non capì molto bene. Era troppo impegnato a cercare di capire cosa diavolo stesse succedendo e cosa diavolo avesse fatto. Era stato appena baciato Roy Mustang? L’accanito play-boy? Quello di una donna diversa ogni notte? Non era assolutamente possibile. Eppure Roy, appena terminato di parlare con l’autista, si era riappropriato delle sue labbra. Da quel secondo bacio in poi, Edward Elric decise di spegnere il cervello, senza rendersi conto di cosa sarebbe accaduto e delle conseguenze.


                                                                                                                      *****


La mattina dopo, quando Edward aprì gli occhi, capì all’istante di non essere a casa sua. Era steso in un letto a due piazze, in lenzuola morbide  - ma erano di seta?! - e rosse. Ed era nudo, con le parti intime coperte solo dal piumone caldo. Eppure, anche se col busto scoperto, non aveva freddo. L’appartamento era riscaldato e c’era un piacevole tepore dovunque. Si mise seduto di scatto, pentendosene subito dopo. Una fitta gli attraversò violentemente i reni. Roy non era stato proprio delicatissimo, ricordò. Certamente, però, lui non si era lamentato. Anzi. Non la smetteva più di incitarlo. Arrossì al solo pensiero di ciò che aveva fatto quella notte. Non era nemmeno tanto sicuro di essere la stessa persona che si era abbandonata tra le braccia di quell’uomo! Si guardò in giro, coi lunghi capelli biondi sciolti sulla schiena. Gli cadde l’occhio sul cuscino alla sua destra - dove sicuramente aveva dormito Roy - e c’era sopra un biglietto. Si ristese sul materasso e lo prese. Era piegato in due parti e appena lo aprì, notò come fosse bella la calligrafia di Roy. Elegante, fine… sembrava di vedere un biglietto stampato. Non una sbavatura o una gambetta fuori posto. Gli piaceva.


Oggi hai un giorno di permesso. Rimani pure a casa mia e facci ciò che vuoi – a parte sesso con qualcun altro e provocare un incendio. Va’ in cucina: c’è un abbondante colazione che ti aspetta. Tornerò stasera sul tardi, ma voglio trovarti ancora lì. Nel frattempo, per occupare il tempo, puoi usufruire tranquillamente della mia biblioteca e cominciare a scrivere l’articolo.
A stasera.  
Roy.

Sollevò un sopracciglio, notando come una scrittura così bella e uno stile di scrittura così cadenzato e musicale fossero stati rovinati dalle parole del messaggio. A parte sesso con qualcun altro? Ma per chi lo aveva preso? Per una sgualdrina?! Certo che era incredibile quell’uomo… non appena provava a pensare di lui positivamente, eccolo che subito mostrava il suo lato idiota! Più del settanta per cento di lui, pensandoci bene. E poi era incredibile come non smettesse di dare ordini!- Scrivi l’articolo, rimani a casa mia, va’ in cucina, fa’ colazione … - borbottò, tra sé e sé. Ok, forse non era propriamente un buon segno il criticare ad alta voce da solo Roy. Forse stava impazzendo. O forse stava sognando e non era mai stato assunto!
- Ma che diavolo sto dicendo?! - sbuffò e decise di alzarsi. Lo fece, un po’ a fatica dati gli indolenzimenti dovuti alla serata di fuoco, e andò subito a raccogliere i suoi abiti. Trovò al primo colpo boxer e camicia. Per i pantaloni, la ricerca fu un po’ più ardua. Erano finiti in un angolo remoto  - estremamente remoto - dell’enorme stanza. Edward sospirò pesantemente, mentre era ormai completamente rivestito, rendendosi conto come solo la camera da letto di Roy fosse duemila volte più grande del loro mini-appartamento a Brooklyn. Ma, d’altronde, erano nell’Upper East Side! In uno dei più ricchi quartieri di New York, che poteva aspettarsi se non una reggia? Uscito dalla camera da letto, si ritrovò nell’enorme soggiorno.
- Oh mio Dio… - ieri sera non si era accorto di quanto fosse enorme: era troppo impegnato. Si guardò in giro, meravigliato. Quadri firmati da pittori contemporanei di un certo talento e calibro, sculture varie… non trovò fotografie. Nemmeno una. Non lo stupì: non gli sembrava un uomo che perdeva il suo prezioso tempo con dei vecchi ricordi. Alzò gli occhi al soffitto - altissimo, doveva essere almeno a quattro metri di distanza - e notò un enorme lucernario in cristallo. Sembrava tanto uscito dalla Reggia di Versailles. Lo guardò meglio: lui aveva visitato la Reggia di Versailles quando era più piccolo e quello sembrava per davvero un lucernario del ‘600. Guardandolo meglio ebbe la conferma: era senz’altro una riproduzione perfetta di uno dei tanti che si trovavano lì! La notizia lo scioccò non poco, dato che lui, sul suo soffitto, aveva una lampadina penzolante. Deglutì pesantemente e decise di uscire dal soggiorno. Provò la prima porta sulla sinistra, riuscendo ad arrivare alla cucina. Sospirò, affranto. Sarebbe stato meglio rimanere nel soggiorno. Quella che aveva davanti sembrava più una sala ricevimenti che una cucina. Un lunghissimo tavolo - sempre di cristallo. Evidentemente apprezzava le cose trasparenti, Roy - che poteva contenere almeno venticinque persone stanziava alla sua destra, sotto un enorme vetrata che dava sulla strada. Alla sua sinistra, invece, un attrezzatissima cucina, moderna, a isola. Ed enorme. Troppo. Notò che in un piccolo angolo del tavolo, c’era un vassoio con su diverse pietanze. Si avvicinò e rimase scioccato ancora una volta: persino il vassoio era di vetro! Si accomodò a una delle sedie dai tratti moderni e curvilinei - gli ricordavano il tema della scrivania di Maes Hughes -, prendendo una fetta biscottata. Poi il coltello - era argento, ne era certo! - e ci spalmò sopra del burro. Diede subito un morso e masticando distrattamente trovò spiegazioni al fatto che anche il suo ufficio fosse diviso da un muro di vetro. Chissà perché preferiva così tanto le cose trasparenti! Addentò ancora un paio di volte la fetta biscottata, finendola, concentrandosi poi sul resto della colazione. Spazzolò via tutto in men che non si dica, trangugiando anche la tazza di caffè - rimasto caldo chissà come. Era sicuramente più buono di quello annacquato - sicuramente fatto con tanto amore - che suo fratello Alphonse gli propinava ogni mattina. Finita la colazione, si alzò, lasciando tutto così. Giusto per dar fastidio a Mustang. Si diresse subito alla ricerca della biblioteca, immaginando già di ritrovarsi al cospetto di un museo dei libri. Aprì qualche porta, trovando un bagno che ricordava più delle terme, una stanza con una piscina - la piscina in casa era sempre stata un suo sogno! - e poi, finalmente, la biblioteca. Non si stupì più di tanto alla vista delle centinaia di volumi di tutti i tipi che stanziavano in diverse decine di scaffali. Silenziosamente cominciò a spulciarli tutti, leggendo i titoli di ogni libro. Erano tutti in ordine alfabetico per nome d'autore. Canticchiando un motivetto natalizio che voleva essere Jingle Bells Rock - tra due settimane sarebbe arrivato Natale - arrivò allo scaffale “L”. Passò un dito sui bordi di alcuni volumi, qualcuno leggermente impolverato, quando l’occhio gli cadde su un’autrice di cui mai aveva letto qualcosa. Luisa Ferretti. Prese il libro e passò le dita sulla copertina, leggendone il titolo: L’infinita ombra del vero. Il suo cervello ricollegò immediatamente il titolo a Giovanni Pascoli, che nei suoi Poemi conviviali scriveva: “Il sogno è l’infinta ombra del vero”. Improvvisamente i suoi occhi e la sua mente vennero illuminati da Madama Ispirazione. Sorrise, felice e, libro in mano, si allontanò dagli scaffali che circondavano la stanza circolare. Al centro della stanza c’era un grande tavolo rotondo - in vetro - dove trovò un block notes e delle penne stilografiche sparse sulla superficie. Strappò un foglio e afferrò al volo una penna, scribacchiando qualcosa. Poi aprì il libro e s’immerse nella lettura.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***



American Dream ©

di Roy Mustung sei uno gnocco





Capitolo 4



Il mese di tempo che Roy aveva dato a Edward per scrivere il suo articolo era finalmente scaduto. In tutto questo periodo l’aspirante scrittore aveva frequentato costantemente Mustang, rendendosi che, dopotutto, non era poi così male. Certo, era estremamente irritante e spesso… strano. Doveva ammetterlo Ed, Roy aveva un carattere molto molto particolare. Non riusciva ancora a capirlo e diverse volte preferiva lasciarlo solo in qualche angolo della sua casa enorme. Capitava, tuttavia, che si mettesse poco distante da lui, a osservarlo mentre era perso nei suoi pensieri, cercando in tutti i modi di provare a capire qualcosa di ciò che gli passasse per il cervello. Pensandoci bene, nemmeno Edward era poi così tanto senza pensieri. In questo mese aveva preferito non pensare a ciò che stava succedendo, a ciò che si stava creando fra di loro. Era amore o era solo sesso? Tra di loro c’era un po’ d’affetto o solo una sfrenata passione? Ogni volta che Edward provava a fargli qualche domanda, finivano sempre col rotolarsi fra le lenzuola. Non che al biondo dispiacesse, anzi! Ma dovevano mettere le cose in chiaro. Specie perché lui, a Mustang, si stava per davvero affezionando. Di ciò si era accorto già da un bel po’: aspettarlo la sera diventava sempre più snervante e impossibile da sopportare, discutere con lui su qualunque cosa, invece, era diventato un bisogno naturale. Così come bisticciarci. Mustang stava diventando sempre più importante, per lui.
D’altro canto, Roy non si stava rendendo conto di dove stesse arrivando. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, di chiedere consiglio. E chi meglio del suo fotografo preferito?
Era a casa sua, quella sera. Tra un’ora sarebbe tornato a casa e ci avrebbe trovato Edward. E lì il suo cervello si sarebbe staccato di nuovo smettendo per l'ennesima volta di dare segni vitali e, soprattutto, d'intelligenza.

- Cosa dovrei fare, Jean? - appoggiò la testa al suo petto, seduto sul tappeto morbido del soggiorno della casa. Era arrivato a casa sua poco meno di quaranta minuti fa e appena entrato gli era saltato addosso. Fare l’amore col suo fotografo migliore era sempre rilassante…
Jean passò una mano tra i capelli corvini di Roy, scompigliandoli, scendendo lentamente sul suo collo, sul suo petto e sugli addominali.

- Se quel ragazzo t’interessa non vedo perché tu non ci debba stare insieme. Cerca di pensare alla tua felicità, no? - appoggiò le labbra sul suo collo, lasciandogli qualche bacio umido. Roy sospirò, lasciandolo fare.

- Mi sento confuso. Credo di aver fatto un casino troppo grosso. Edward si è affezionato a me, me ne sono accorto. Ma io per lui non provo niente se non attrazione fisica. Eppure, se fosse un altro, non ci penserei due volte a lasciarlo in tronco, capisci? Mi sento così dannatamente confuso. - Jean non trattenne un sorriso e gli lasciò un affettuoso bacio sulla tempia. Roy intanto continuava. - L’ho fatto entrare troppo nella mia vita... -

- Passami le sigarette, per favore… - domandò improvvisamente e Roy, seppur mal volentieri,  le cercò con gli occhi, senza trovarle. - Sono lì, vicino alla poltrona -.

Il moro si sollevò e a quattro zampe allungò un braccio, afferrando il pacchetto. Jean improvvisamente ridacchiò e quando si ritrovò di nuovo Roy, nudo, tra le braccia, le sue risate aumentarono.

- Ma si può sapere perché cavolo ridi?! - sbottò Mustang, tirando fuori una sigaretta e mettendogliela fra le labbra per farlo smettere di ridere. Prese poi l’accendino e gliel’accese. Jean non staccò mai gli occhi da quelli di Roy, tirando la prima boccata di fumo.

- Ridevo perché il tuo sedere mi mancherà da morire se ti metti con Edward… - il moro sbuffò, sorridendo e scuotendo il capo.

- Mettiamo le cose in chiaro: se mai mi metterò insieme a qualcuno, quello sarai tu! - Jean sorrise, facendo spallucce e continuando a fumare.

- E se io non volessi? - insinuò, inconsciamente con uno sguardo dolce.

- Non ho dimenticato ciò che mi hai detto l’anno scorso, Jean. - ribatté, appoggiando la guancia al suo petto. Il biondo riprese ad accarezzargli i capelli.

- Mi chiedo se tu sia ancora capace di innamorarti. Dopo quello che è successo a Michelle non sei più lo stesso e… -

- Michelle non c'entra! - sbottò, innervosito.

- Roy… perdere tua sorella è stata una cosa spaventosa. E’ successo cinque anni fa, è vero, ma da quel giorno sei cambiato tantissimo. Sono dieci anni che ti conosco, dieci! So come sei fatto, so qual è il tuo film preferito, il tuo piatto preferito, il tuo colore preferito, come preferisci il riso o la pasta, so che ogni Sabato sera, per tradizione, devi andare al ristorante giapponese… - Roy si mise seduto, staccandosi da lui. Jean lo afferrò di nuovo, stringendolo a sé. Roy provò a divincolarsi, ma lo aveva imparato negli anni: Jean era più forte di lui. Il biondo gli bloccò i polsi e se lo strinse forte addosso. - So quanti e quali biscotti mangi la mattina, come preferisci il caffè e… ahia! Smettila di picchiarmi e stai un po’ fermo! - Roy gli aveva tirato una forte gomitata nell’addome. Anche se Jean era più forte di lui, non significava che il moro non sapesse far male.

- E tu smettila di provare a smuovermi i sentimenti, idiota! -.

- Perché dovrei smetterla?! Non ti sei mai chiesto perché sono ancora al tuo fianco dopo tutto questo tempo?! Eppure l’anno scorso te l’ho detto! - Roy ammutolì, guardandolo però stizzito. - Roy… io ti amo. E ti voglio felice come lo eri cinque anni fa prima di quello schifoso incidente. Se starai con me o con Edward o con Riza o con chiunque altro a me non interessa. Ti voglio solo felice, Roy. - il moro si alzò, andando a cercare i propri abiti. Jean scosse il capo, rendendosi conto solo ora che la sigaretta era quasi del tutto bruciata e che stava per cadere la cenere. Allungò il braccio verso il bracciolo destro del divano a cui dava le spalle, lasciandola cadere lì. Tirò un’altra boccata.

- Non è andandotene che aggiusti la tua vita, Roy… - Mustang smise di allacciarsi i pantaloni e lo guardò, serio in volto.

- E dichiarandomi si aggiusterà? - ribatté, leggermente acido.

- Se ti serve a far chiarezza, sì. - un’ultima boccata di fumo prima di spegnere nel posacenere la sigaretta e lasciarne lì i resti; poi Jean si alzò, andandogli vicino. Gli cinse la vita con le braccia, dandogli un bacio al sapore di tabacco. Roy si staccò, schifato.

- Lo sai che dopo aver fumato non devi baciarmi: mi fa schifo! - Jean sollevò gli occhi al cielo.

- Scusa… - borbottò, ma poi, divertito, tornò a baciarlo. Roy mugolò piuttosto contrariato, ma stavolta lo lasciò fare, accarezzandogli la schiena e facendo scendere lentamente le mani sulle sue natiche. Il moro cominciò a spingerlo di nuovo a terra, mettendosi a cavalcioni su di lui e baciandolo appassionatamente.

- Jean… - Roy nascose il viso nel suo collo, sentendosi subito abbracciare forte. - sei il mio amante preferito… - mormorò, carezzandogli un fianco.

- E’ una dichiarazione d’amore? - insinuò, con tono scherzoso.

- No. - una risposta tanto lapidaria quanto falsa che fece scoppiare a ridere Jean. Mai avrebbe smesso di adorare i cambiamenti d’umore di Roy. Prima s'addolciva come melassa e poi tornava a fare il duro.

- Me la farai un giorno? Con tanto di poesia? - domandò, ironico ma palesemente contento.

- Faccio ancora in tempo ad andarmene, sai? Non approfittarne! - lo minacciò. Jean ribaltò le posizioni.

- Va bene, la smetto. Però è un po’ che non mi fai leggere qualcosa di tuo… - Roy fece per ribattere, poi si fermò, come colto da una folgorazione.

- Edward… - Jean sollevò un sopracciglio.

- Cosa c’entra Edward? - chiese, non riuscendo a trattenere la gelosia. Non era mai stato possessivo nei confronti di Roy, mai geloso di tutte le persone che insieme a lui erano passate fra le sue braccia. Ma qualche volta, molto raramente, non riusciva proprio a non desiderare di averlo solo per sé. Per non parlare di ora che erano "quasi fidanzati". Ma quanti anni aveva aspettato prima di riuscire a raggiungere questo momento? Per cui era più che lecita la sua gelosia.

- Edward ha tantissimo talento. Anche quel primo articolo scritto in fretta e furia è stato un grande lavoro. E lui vuole fare lo scrittore. - si mise seduto sul tappeto, guardando negli occhi azzuri di Jean.

- E scrivigli una lettera di raccomandazione, no? - suggerì.

- Sì, lo farò. Stasera stessa! Ma... devo... devo prima mettere in chiaro le cose con lui... -

- Stasera stessa, ovviamente. - terminò per lui. Roy lo guardò, con gli occhi vagamente dispiaciuti.

- Dai, domani è Sabato, andiamo al giapponese e poi stiamo insieme tutta la notte. Ci stai? - sorrise e Jean capitolò, sospirando e poi sbuffando. Dieci anni e ancora non riusciva a resistere a quel sorriso.

- Va bene, hai vinto tu. Se ti sbrighi, naturalmente, io ti aspetto sveglio. Anche fino a tardi. - Roy spostò Jean e si alzò subito, andando a mettersi la camicia in fretta. Poi infilò giacca e scarpe, afferrando il pesante pastrano nero. Lo indossò e tornò dal fotografo. Si piegò e gli lasciò un bacio languido sulle labbra.

- Ora vado... - si rimise in posizione eretta, diringendosi svelto verso la porta.

- Roy! - lo chiamò un'ultima volta. Il moro si girò e tornò indietro.

- Che c'è? - non attese la risposta, notando che al collo Jean teneva la sua cravatta blu. Sorrise. - Tienila tu. Un motivo in più per tornare da te, no? - e uscì dal grande appartamento.



                                                                                                                   *****


Aprì la porta del suo attico nell'Upper East Side con un po' di ansia. La cosa era piuttosto strana dato che lui era Roy Mustang, che a quel ragazzino non doveva proprio dimostrare nulla e che quella era casa sua e avrebbe potuto cacciarlo quando più gli andava. Ma quella giornata non era stata affatto nella norma e ora doveva dare un taglio a tutto quel casino che aveva combinato con Edward. Vero, però, che non poteva mostrargli il lato affettuoso che usciva sempre fuori con Jean, ma doveva mantenere le distanze come aveva costantemente fatto da quando si erano conosciuti.

- Edward?! - lo chiamò e nemmeno cinque secondi dopo vide apparire un tornado biondo con in manco dei fogli.

- Roy! Ho finito l'articolo! - sorrise, trattenendosi dal saltare di fronte a lui, felice di vederlo ed euforico per aver terminato il lavoro che, ne era certo, era il migliore che mai avesse svolto.

- Oh... bene. Perfetto. Domani lo portiamo in stampa. - glielo prese dalle mani e lo poggiò su un tavolino di vetro lì vicino.

- Ehm... Roy... non lo leggi? - sollevò le sopracciglia dorate. - Insomma, ci ho messo un mese per far la recensione a quel
libro! E voglio un parere subito! - Roy ammutolì, girandosi a guardarlo. Per qualche minuto rimase in silenzio, cercando di
riordinare il caos che aveva nel cervello. Era più forte di lui: a quel moccioso si era affezionato. Ma lui aveva occhi solo per un biondo sulla faccia della Terra. La cosa più assurda è che, Roy, ne era sempre stato a conoscenza. Sempre. Non voleva ammetterlo a se stesso, ma ogni volta che aveva bisogno d'aiuto, conforto o semplicemente di un pizzico di felicità... Jean era la risposta.

- Ti ho illuso, Edward. - esordì, spezzando il silenzio e facendo sgranare i grandi occhi dorati al giovane scrittore.

- C-come... ? - non capiva, Edward. Non capiva a cosa si stesse riferendo. Al lavoro? Era solo una scusa per portarlo a letto? O... a loro due?


- Io per te non provo niente. Sei stato il mio ennesimo giocattolo. Però... - Edward strinse i pugni, voltando il viso, con la rabbia che già gli montava dentro. Doveva immaginarlo! Come aveva fatto a fidarsi di quello stronzo?!

- Però cosa?! Sono stato il più divertente?! - esclamò, ritornando a guardarlo, con gli occhi dorati illuminati dalla rabbia.
Roy sospirò pesantemente: non lo stupiva la reazione di Edward.

- Non proprio, Edward. Tu... tu mi hai colpito appena ti ho visto per la prima volta. E io ti volevo... ti desideravo... - camminò lentamente verso una vetrata lì vicino. Ed lo seguì con gli occhi, tremando come un foglia. - E ciò che voglio io me lo prendo sempre. Però, come ti dicevo prima, tu non solo mi hai colpito già dalla prima volta in cui i nostri occhi si sono incontrati, ma mi sei entrato dentro… nell’anima. A te io ci tengo. Non so perché proprio tu e perché non un altro. So che tu sei speciale. - si mise di profilo, guardandolo un po’ dispiaciuto.

- Che significano queste parole? - chiese, confuso.

- Significano che io ti voglio… bene. Lo stesso bene che potrei provare per… un fratellino piccolo o un figlio. Edward io non so spiegarti bene cosa provo per te, ma non è amore. Ho sbagliato a usarti. Ho sbagliato a illuderti, soprattutto. Ti ho usato per non pensare ai miei problemi, per evitare gli scheletri del mio passato. Ti chiedo scusa per questo. Mi dispiace. Ma non me ne pento più di tanto. Grazie a te, ho capito molte cose. Ho capito dove erravo e cosa mancava nella mia vita. E ho capito, anche, cos’è l’amore. Un tempo ero anche io come te: pieno di talento, capacità, sogni… e io, a differenza tua, non ho incontrato un capo stronzo sulla mia strana che mi ha sfruttato. Ho incontrato il destino che mi ha steso, che mi ha diventare il tuo capo e soprattutto stronzo. Ti starai chiedendo perché ti sto facendo questo lunghissimo monologo e a dirla tutta neppure io so bene il motivo. Però tu non meritavi di essere trattato come ho fatto io. Scusami, Edward. Ti prego di perdonarmi un giorno, se potrai… -. Edward rimase in silenzio e di colpo la rabbia sparì, lasciando il posto solo a un grande dispiacere e a un grande senso di vuoto.

- Devo andare… - mormorò. Non voleva più parlare di e con Roy. Aveva sbagliato anche lui a dargli corda e lasciarsi illudere da Roy e dalle sue parole.

- Edward, no, aspetta, io… ! - non fece in tempo a dire nulla che il biondino era già fuggito fuori dalla porta senza la giacca. Il moro sospirò. Seguirlo non era sicuramente un’ottima idea, per cui lasciò perdere e si diresse verso il salotto. Prima che potesse varcare la soglia che portava al grande soggiorno, si ricordò improvvisamente dell’articolo. Ritornò sui suoi passi, prendendo al volo i fogli spillati dove c’era stampata l’opera di Ed. Cominciando a leggere si diresse in salotto e si sedette sul divano, divorando letteralmente ogni parola dell’articolo. Quando finì, alzò gli occhi e fissò senza parole il vuoto.


                                                                
                                                                                                                        *****



Tre giorni dopo, tutta l’America sapeva chi fosse Edward Elric. Sapeva quanto grande fosse il suo talento. Sapeva finalmente che di un semplice articolo ci si poteva innamorare. Sapeva anche che ora c’era un libro in più da leggere. Sapeva anche che una frase come quella che Edward Elric aveva scritto, riguardava un po’ tutti noi. Chi più, chi meno. Sapeva che “Il più solido piacere di questa vita, è il piacere vano delle illusioni”.









Note finali:
Semplicemente grazie. Grazie a tutti quelli che hanno commentato questa storia, a quelli che l'hanno soltanto letta e, spero, apprezzata, a quelli che l'hanno messa tra le "seguite" e a quelli che l'hanno messa anche tra i preferiti, a quelli che, in futuro, forse, la leggeranno. Grazie di cuore!

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