American Dream di RMSG (/viewuser.php?uid=30472)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Dedicata
per Natale, anche se molto
in ritardo, e per Capodanno, piuttosto
in anticipo, a:
_Ale2_,
santa donna che mi sopporta ogni giorno e a cui voglio un bene
grandissimo;
Setsuka,
scrittrice che stimo immensamente, a cui tengo molto e che, anche lei,
sopporta spessissimo la sottoscritta;
Kairi_Hatake,
grande amica, ottima compagna di risate e instacabile mia sostenitrice;
E naturalmente My Pride,
che ha indetto questo contest e che ringrazio per avermi fatta tornare
a scrivere!
Merry
Christmas and Happy New Year!
American
Dream ©
di
Roy Mustung sei uno gnocco
Capitolo 1
Seduto
nella sala d’attesa ci sono solo quattro persone: un anziano
in giacca e cravatta, una donna così palesemente rifatta da
sembrare una Barbie Malibù, un ragazzo dai capelli rossi e
le lentiggini sul naso e, infine, un ragazzo dai lunghi capelli biondi,
legati ordinatamente in una coda, vestito casual ma sobrio. Ed
è la storia di questo ragazzo che vi narrerò.
Delle sue speranze, delle sue vittorie, delle sue sconfitte, delle sue
lacrime, dei suoi sorrisi, dei suoi sogni e delle sue
illusioni…
Il
grande giorno per Edward Elric era arrivato. La sua grande - e forse
unica - possibilità di realizzare il sogno di una vita,
passata a studiare e a guadagnarsi ogni cosa. Tutto per il suo sogno.
Da quando si era laureato a Yale - circa sei mesi fa - si era subito
messo all'opera per trovare al più presto un impiego e,
possibilmente, L’impiego. Era laureato in Lettere e Filosofia
e aveva sempre sognato di diventare uno scrittore; e lì, a
New York, come tutte le persone che conosceva gli avevano detto, c'era
solo un uomo che poteva dargli l'aiuto necessario, che poteva
costruirgli il trampolino di lancio, che poteva raccomandarlo a una
casa editrice: Roy Mustang, presidente della Mustang Publication,
possessore di quattro dei quotidiani più importanti di New
York e delle tre riviste mensili più lette in
città. Nel giro, e anche oltre, lo chiamavano l’American
Dream, un po’ perché era considerato il
sogno di ogni donna, data la sua fama di donnaiolo incallito, e un
po’ perché, per l’appunto, dava speranza
a giovani come lui che volevano sfondare. Insomma, lui, le donne e
l'editoria andavano praticamente di pari passo. E’ vero, non
lo entusiasmava granché il fatto di scrivere articoli e di
fare il giornalista, ma aveva bisogno di quell'uomo o non sarebbe mai
riuscito a realizzare il suo sogno. Seduto compostamente su uno dei sei
divanetti in pelle che c'erano nell'atrio del Mustang Building,
così tutti chiamavano quell'enorme e antico palazzo di
venticinque piani, si dovette improvvisamente spostare un po', per far
spazio a un tizio biondiccio, con gli azzurri e una sigaretta in bocca,
che voleva sedersi. Si accomodò al suo fianco e placidamente
tirò fuori l'accendino, accendendosi la sigaretta e tirando
una lunga boccata di fumo, che fece uscire fuori, creando una grande
nuvola grgiia proprio vicino al suo viso. A Edward, da sempre
infastidito dal fumo, partì d’istinto un attacco
di tosse e agitò la mano sinistra, quella senza il guanto,
per smuovere aria.
-
Oh, scusami! - anche lui si mise ad agitare la mano, guardandolo con un
sorriso sbilenco. Edward l’osservò di sfuggita,
smettendo di tossire e sbuffando leggermente.
-
Nessun problema, si figuri -, borbottò il giovane. Il tizio,
subito, spense la sigaretta su un portacenere posato sul lungo tavolino
di cristallo al centro della sala d'attesa, accerchiato dai sei divani.
Poi si girò a guardare Edward, sorridendogli ancora in quel
modo strano. Ma cos'era, ubriaco?
-
Non ti ho mai visto qua, sei nuovo? -, domandò, incuriosito,
e sempre con quello sciocco sorriso sulle labbra.
-
Sì, ho un colloquio di lavoro. Sto aspettando che mi vengano
a chiamare -, rispose, atono. - E lei? Lavora qui? -,
s’interessò. Magari era uno con dei contatti: se
gli fosse andata male col colloquio, magari, avrebbe potuto chiedere a
lui.
-
Sì, lavoro qui. Faccio parte del cast di fotografi della
rivista di moda, Malice - inclinò la
testa e tese la mano destra - Jean Havoc -. Mai sentito. E comunque non
poteva aiutarlo. La sua solita fortuna.
Edward
gliela strinse - Edward Elric, piacere -, Jean sorrise,
scanzonato.
-
Bel nome, complimenti! -, esclamò, mettendosi le mani nelle
tasche del giubbotto di pelle.
-
Grazie -. Edward voltò il viso e tornò a fissare
la lunghissima scalinata che portava ai primi piani, dove
c’erano gli uffici di chissà quale dei tanti
giornali e delle tante riviste. Il desiderio di salire quelle scale in
marmo bianco ed entrare nell’ufficio di Mr. Mustang in
persona, di farsi scrivere una lettera di raccomandazione per la
migliore casa editrice di New York, era… un sogno.
Però aveva solo ventitré anni, tanta
caparbietà, tanto genio creativo e, soprattutto, tanta
volontà. Intanto fra i due biondi era calato il silenzio,
interrotto poi dalla voce di Jean.
-
Dimmi, Edward, il tuo colloquio è per essere assunto tra
coloro che lavorano per le riviste o per i quotidiani? -.
Edward
distolse nuovamente lo sguardo dalle scale, tornando a fissare gli
occhi azzurri del fotografo.
-
Non ne ho idea. E in tutta sincerità non m’importa
granché: possono inserirmi dove vogliono. Io ho bisogno di
questo lavoro solo per… - Jean lo interruppe, con un
sorrisino divertito.
-
Anche tu qui per l’American Dream? -, intuì.
-
Sì, esatto -, ammise.
-
Beh, qualcosa mi dice che ti
prenderanno… - commentò, col suo solito sorriso
scanzonato. Poi guardò l’ora
sull’orologio da polso e si alzò, tirando fuori il
pacchetto delle sigarette e accendendosene un’altra. Stavolta
ebbe il buon senso di voltare il viso, soffiando lontano da lui il fumo.
-
E lei come fa a saperlo? -, chiese, stupito.
-
So cosa cerca nei suoi dipendenti Roy Mustang – rispose,
enigmatico, facendo un altro tiro.
-
E cosa cerca? – il tono di voce di Edward era un
po’ ansioso: voleva sapere! Quel fotografo sembrava conoscere
bene Mustang! Forse poteva aiutarlo a fare presto bella figura davanti
agli occhi del capo, se lo avessero presto davvero!
-
Lo scoprirai da solo. -, sorrise ancora, quasi malizioso
– Ora scusami, ma devo andare. Ho un servizio fotografico da
fare. E il capo odia non avere al più presto il lavoro sulla
scrivania -, fumò ancora un po’ e poi spense di
nuovo la sigaretta nello stesso posacenere. – Ci vediamo
presto Edward -.
-
Arriverderci… - mormorò, pensieroso.
Lo
seguì con gli occhi fino a quando non sparì in
cima alle scale. Sospirò pesantemente e tirò
fuori il suo Motorola: 11:47. L’appuntamento gli era stato
fissato quarantasette minuti fa. Sbuffò e si mise di nuovo
nei pantaloni neri il telefonino. Quanto ancora lo avrebbero fatto
aspettare? Stava per fare la muffa, lì! Passò
ancora qualche minuto prima che lo chiamassero.
-
Edward Elric? – una ragazza dai capelli castani e ricci:
aveva due grandi occhi verdi, da cerbiatta, ed il corpo minuto ma
sinuoso era fasciato da un elegante tailleur nero. Gli sorrise,
sbattendo le ciglia, con fare grazioso.
-
Sì, sono io! – Edward si alzò subito,
non dando poi così tanto peso alle occhiate languide
dell’impiegata: d’altronde, c’era
abituato. Sapeva di essere un gran bel ragazzo e di piacere molto alle
donne. Peccato che…
-
Deve venire con me. La porterò nell’ufficio del
Signor Hughes, dove avrà luogo il suo colloquio! –
esclamò, civettuola. Odiava quando cominciavano a
fare così.
-
Perfetto -, rispose, prendendo la sua cartellina marrone, contenente il
suo Curriculum Vitae. Avrebbe voluto portare con sé anche
qualche suo scritto, magari una parte della bozza del suo romanzo a cui
stava lavorando dopo la laurea… ma no, non sarebbe servito a
niente. E poi, ora, non era il momento di pensare a cosa avrebbe dovuto
portare e a cosa no. Era tempo di dimostrare quanto le sue
capacità fossero affidabili. Fra l’altro, le
parole del fotografo appena conosciuto gli rimbombavano in testa.
Chissà cosa lo rendeva così convinto del fatto
che l’avrebbero preso…
Immerso nei suoi pensieri pre-colloquio seguì la giovane
– ed esageratamente sculettante – segretaria. Cosa
sperava di fare, muovendo quel culo rinsecchito? Le donne erano sempre
state un mondo incomprensibilmente assurdo per Edward Elric. E lo
sarebbero sempre rimaste, dato che non gli interessavano affatto.
-
Siamo arrivati! – squittì. La sua voce diventava
sempre più stridula alle orecchie del giovane. –
Prego, entri pure. La sta aspettando! – sorrise ancora e
ancheggiando pericolosamente (pericolosamente perché avrebbe
rischiato di far crollare le mura della stanza) andò a
sedersi alla sua scrivania, facendo finta di lavorare su qualcosa di
molto importante. Edward sbuffò nuovamente, e
bussò alla porta della stanza. Non era agitato, ma temeva di
non rimanere a mente lucida per tutta la durata del colloquio. Era
sempre stato un tipo… impulsivo. Troppo
impulsivo. Suo fratello Alphonse glielo aveva sempre rimproverato, ma
lui che ci poteva fare? Vero però che dopo il College aveva
“messo la testa a posto”. Perlomeno, il necessario
da non farsi cacciare da ogni posto pubblico e non per il suo
comportamento. Ricevuto il permesso di entrare, si addentrò
all’interno dell’ufficio: luminoso, spazioso,
arredato modernamente e con un buon gusto. Se questo era
l’ufficio di un capo reparto qualsiasi, non osava immaginare
quello del capo.
L’uomo che l’ochetta sculettante di poco prima
aveva chiamato “Signor Hughes” era seduto dietro la
sua scrivania, dai tratti curvilinei. Si alzò subito in
piedi, mostrando il completo grigio (spudoratamente firmato Cavalli)
che indossava. Aveva gli occhi verde smeraldo, nascosti dagli occhiali
rettangolari e con la montatura argentata. I capelli neri e un lungo e
buffo ciuffo sulla fronte.
-
Salve! Piacere, Maes Hughes! – esclamò,
sorridendogli a trentadue denti. Edward ricambiò il sorriso
e si avvicinò alla scrivania, stringendogli deciso la mano.
-
Il piacere è tutto mio, Signor Hughes. Io sono Edward Elric
-. Maes annuì e si risedette sulla poltrona in pelle nera,
scrutandolo attentamente. Sorrise sbarazzino e gli fece cenno di
accomodarsi. Anche Edward si sedette di fronte a lui, confuso dal suo
sguardo indagatore.
-
C’è… qualcosa che non va, Signor
Hughes? -, domandò, leggermente preoccupato e, doveva
ammetterlo, anche un po’ scocciato: odiava essere osservato
così tanto.
-
No no! Anzi! E’ tutto al suo posto!
– Edward proprio non riuscì a trattenersi dal
sollevare il suo dorato
sopracciglio sinistro. Era pazzo lui o c’era un doppio senso
in quella frase?
-
Meglio così, no? -, si limitò a commentare.
Sicuramente il lavaggio del cervello che Alphonse gli aveva fatto poco
prima di farlo venire qui gli era proprio servito. A
quest’ora, qualche mese fa, lo avrebbe già mandato
a… farsi benedire.
-
Sì, infatti! – sorrise ancora e si strinse le mani
l’una nell’altra, battendole ed emettendo un rumore
schioccante – Allora… cominciamo questo colloquio!
-. Maes era a dir poco euforico. Roy sarebbe stato contento
di quel nuovo dipendente.
*****
Il
colloquio durò più di mezz’ora e quando
Edward uscì, poteva ritenersi più che soddisfatto
di se stesso: lo avevano assunto! E avrebbe cominciato già
da domani a lavorare! Certo, non sapeva ancora che mansione gli sarebbe
stata assegnata, tuttavia non ci pensò più di
tanto. Moda, vestiti, animali, cinema… tutto gli sarebbe
andato bene! L’importante era riuscire a raggiungere i suoi
due obiettivi, di cui uno già da spuntare. Era riuscito a
farsi assumere, quindi ora lui e suo fratello non avrebbero
più dovuto stringere la cinta alla fine del mese, il che
significava anche che sarebbe tutto cambiato, da lì a poco.
Sorridente si avviò nuovamente per il corridoio, non prima
di aver scoccato un’occhiata eloquente alla segretaria. La
ragazza dai capelli castani arrossì immediatamente, ma poi
subito riprese il suo colorito normale e il suo atteggiamento
altezzoso. Ricambiò lo sguardo e gli fece un sorriso
malizioso. Edward scosse il capo, divertito e uscì sul
corridoio, raggiungendo le scale: niente ascensore, aveva bisogno di
movimento per smaltire l’euforia e l’adrenalina che
era ancora in circolo nel suo organismo. Ancora non riusciva a credere
che aveva un lavoro! E un lavoro lì, alla Mustang
Publication! Forse, finalmente, la sua vita sarebbe andata per il verso
giusto…
Ritornò nella sala d’attesa, passando proprio
accanto al divanetto su cui prima era seduto col fotografo. Si
fermò all’improvviso, fissando i cuscini bordeux
del sofà. Jean Havoc ci aveva preso: era stato
assunto. Rimase ancora qualche secondo a riflettere sulla
coincidenza. Sì, perché sicuramente di
coincidenza si trattava. Magari il fotografo aveva notato che Edward
non lo filava più di tanto e aveva deciso di tentare il
tutto per tutto. Tanto, se non fosse stato preso, non lo avrebbe
più rivisto e, in caso contrario, avrebbe fatto la figura
dell’indovino! Ah, la gente non sapeva veramente
più che inventarsi per far colpo sugli altri…
Sorrise e scosse nuovamente il capo. All’improvviso
voltò la testa. Alle sue orecchie stava arrivando un chiasso
tremendo che proveniva dall’ingresso. Si avvicinò
alla grande entrata e vide una marea di fotografi, giornalisti,
cameraman e gente comune… tutti accerchiati intorno a una
persona. Quella persona. Il suo capo.
Dal vivo, Edward, non lo aveva mai visto. Mai. Solo sui giornali e,
raramente dato che non la guardava molto, in televisione.
Però, ora che lo vedeva avanzare spedito, con una cadenza
quasi marziale, le mani in tasca, il corpo avvolto da un attillato
completo nero, la camicia sbottonata sul petto, gli occhiali da sole
scuri come la zazzera nera che gli mettevano ancora più in
risalto la pelle d’avorio, si rese conto che non aveva mai
notato quanto fosse maledettamente bello. Anzi,
bello a dir poco. Era una specie di divinità greca scesa in
terra proprio a Dicembre del 2009, a New York. Poi, però, il
suo sguardo cadde irrimediabilmente sulla donna al suo fianco: bionda,
con un fisico perfetto e dei lunghi capelli biondi tenuti relegati in
un elegantissimo chignon. Era stupenda anche lei, dovette ammettere. E
sembravano quasi una coppia, tanto era palpabile l’alchimia
fra di loro. Gli si stavano sempre più avvicinando e quando
ormai erano a pochi metri da lui, l’American Dream
in persona si fermò di fronte a lui, a guardarlo. Si tolse
gli occhiali da sole con un gesto quasi da film e inclinò
leggermente il volto, osservandolo con quei due pozzi scuri come la
notte che erano i suoi occhi. A Edward mancò un battito. Si
disse che era perché, ormai, era diventato il suo capo,
perché era un uomo molto importante, perché il
suo futuro dipendeva completamente da lui… e non certamente
perché era bello come un Dio. No, assolutamente no.
Roy Mustang continuava a fissarlo e ora che il cervello di Edward era
tornato a ragionare, cominciò a innervosirsi. Che
diavolo aveva da guardare?
Aggrottò le sopracciglia e ricambiò lo sguardo,
serio. Una scintilla negli occhi di Roy saltò
all’attenzione di Edward. Infine, il moro, sfoderò
un sorrisino strafottente e sexy allo stesso tempo. Inforcò
nuovamente gli occhiali da sole e procedette insieme alla donna bionda,
che lo guardava con un’aria… preoccupata? Edward,
e non solo lui, li seguì con lo sguardo, fino a quando le
porte dell’ascensore non interruppe il contatto visivo.
Roy,
nell’ascensore con Riza, appoggiò la schiena allo
specchio dell’ascensore, sghignazzando sotto i baffi.
-
Riza? Voglio che tu scopra chi è quel biondino, cosa ci
faceva qui e se è interessato a un posto di lavoro qui da
noi -.
-
Sì, Presidente - mormorò la donna, abbassando il
capo, quasi demoralizzata.
-
Riza… ? - la chiamò, rimettendosi dritto e
togliendo ancora una volta gli occhiali da sole. Stavolta li appese
alla scollatura della camicia bianca.
-
Mi dica… -.
-
Anche stasera esci con me? -, chiese, col tono innocente di un bambino
che chiede una caramella alla mamma.
Riza
arrossì debolmente e annuì. –
Sì, Presidente -.
-
Mi fa piacere -, commentò, solamente, con la sua voce
suadente. Calò il silenzio più totale, fino a
quando le porte dell’ ascensore non si aprirono, al
venticinquesimo piano. Un intero piano faceva da ufficio a Roy Mustang.
Lui uscì dall’ascensore e sbadigliando un
po’, si stiracchiò le braccia. Si tolse la giacca
e la lanciò su uno dei lunghissimi divani.
-
Riza, vieni da me solo se hai notizie su quel ragazzo, chiaro?
– impose, senza neanche guardarla e dirigendosi tranquillo
verso un muro di vetro e la sua rispettiva porta, che dividevano
l’enorme vano. Vi entrò e si abbandonò
sulla poltrona della sua scrivania, girandola e rimanendo a guardare
dall’enorme vetrata che gli faceva da parete alle spalle. New
York era bellissima… e anche quel ragazzo.
*****
Edward
tornò a casa solo un’ora e mezza dopo. Non aveva
chiamato un taxi, preferendo una rilassante camminata per le vie
inquinate di New York. Anche se era una cosa malsana e alquanto assurda
da dire, lo smog lo rilassava. Amava alla follia New York, pur venendo
da un paesino di campagna del Tennessee. E forse proprio per questo si
era innamorato della Big Apple, per rinnegare le
proprie origini. Non aveva mai amato particolarmente il suo villaggio,
considerandolo ristretto, limitato e dannoso per la sua vena creativa.
Però non poteva non ammettere che aveva aiutato molto a
tirar fuori la sua parte da poeta maledetto e pessimista. Alla Leopardi
maniera, insomma…
Anche lui confinato in un paesino sul modello di Recanati, anche lui
era sprofondato in uno studio matto e disperato, pur di sfuggire alla
sua famiglia. Sospirò leggermente, ripensando alla sua
adolescenza: una sofferenza dopo l’altra.
Quell’idiota di suo padre lo aveva costretto a fidanzarsi con
la sua amica storica, Winry, e lui lo aveva accontentato. Per Edward
era solo una relazione passa tempo che gli serviva per mascherare la
sua omosessualità almeno fino a quando non se ne sarebbe
andato via per il College. Ma il padre non era dello stesso avviso:
Winry sarebbe diventa sua sposa non appena avesse compiuto
diciott’anni. E questo, Edward, non poteva accettarlo. Un
po’ perché erano nel 2009 e i matrimoni combinati
erano stati aboliti quasi dappertutto per sempre e un po’
perché non voleva legarsi a nessuno. Aveva spesso scritto e
letto del sentimento dell’amore, di quella cosa che ti prende
corpo, cuore e anima… ma lui no, non l’aveva
ancora provato. E perché, dunque, avrebbe dovuto far finta
di provarlo per far contento suo padre? Così, arrivato alla
maggiore età, aiutato da suo fratello Alphonse di un anno
più piccolo di lui e da sua madre Trisha, era scappato in
Connecticut, precisamente nel New Haven, per iscriversi
all’Università di Yale. Da lì, la sua
vita era completamente cambiata: finalmente aveva potuto essere se
stesso per tutte le ventiquattro ore della giornata, studiando
ciò che più amava di più. Un anno dopo
anche suo fratello se n'era andato di casa, ma iscrivendosi alla New
York University, College di serie B. Perché lo
avesse fatto, mai Edward era riuscito a capirlo. Nemmeno
ora, a distanza di cinque anni e passa, dato che era ormai un
laureando e si stava specializzando in Scienze matematiche,
fisiche e naturali. Da sempre entrambi avevano dovuto lavorare per
pagare la cospicua tassa d’iscrizione a una delle
più rinomate università private
d’America. Ma valeva la pena faticare così tanto,
se poi si poteva ottenere ciò che si voleva con poco. Edward
aprì la porta del suo appartamento a Brooklyn, con un
sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.
-Al?!
Ci sei?? - lo chiamò, lasciando cadere la cartellina sul
divano verde scuro del piccolo salotto. Si tolse la giacca,
sistemandola sull’appendiabiti. Poco dopo la risposta di suo
fratello lo raggiunse, così come lui stesso, che si
fiondò fra le sue braccia.
-
Fratellone! Allora?! Com’è andata? Ti hanno
preso?! Che hanno detto?! - lo ricoprì di domande,
saltellando quasi tanta era l’agitazione. Edward
scoppiò a ridere e annuì.
-
Mi hanno preso! Comincio domani! - Alphonse gli buttò le
braccia al collo, abbracciandolo stretto. Era così felice
per suo fratello! Ora le cose sarebbero finalmente cambiate!
-
Aaaah, lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo! Sei troppo geniale, sarebbero
stati degli idioti se non ti avessero preso! - esclamò,
strapazzando la zazzera dorata di Edward con le mani. Il più
grande rise e lo allontanò, riordinandosi alla
bell’e meglio la capigliatura.
-
Sì sì, okay… ma i miei capelli non
c’entrano niente! – risero entrambi e poi Edward si
diresse verso la sua stanza. – Al, vado a cambiarmi e poi
scrivo un po’, okay? Non disturbarmi -.
-
Va bene Fratellone, però… non vuoi mangiare? -.
Nessuna
risposta, se non la porta della stanza che si chiudeva con un secco
rumore. Alphonse sbuffò. Mai avrebbe capito suo fratello e i
suoi strani atteggiamenti! Invece di essere contento di aver trovato
lavoro, si andava a rinchiudere in stanza con chissà quale
strambo pensiero! Bah…
Edward, dal canto suo, appena chiuso in stanza andò a
chiudere le tende, lasciando la stanza completamente al buio. Si
gettò sul letto a una piazza, stiracchiandosi pigramente,
poi strinse a sé il cuscino dalla federa azzurra e
sospirò ancora. Non riusciva a togliersi dalla testa gli
occhi di Mustang. Non aveva mai visto un uomo tanto bello da
così vicino e lui, d’altronde, era fatto di carne
così come tutto il resto dell’umanità. Di
carne molto debole…
Sbuffò, scocciato dai suoi stessi ragionamenti. La sua era
solo stanchezza, sicuramente. E tanta repressione sessuale non aiutava
molto. Incrociò le mani dietro la nuca, fissando il soffitto
con aria annoiata.
-
Ora basta pensarci. Devo pensare solo a fare bella figura il prima
possibile e ad avere la lettera di raccomandazione. - chiuse gli occhi
e si lasciò cadere in un sonno profondo, non sapendo,
però, che non avrebbe smesso di pensare a quei due occhi
così neri neanche nei suoi sogni.
Continua...
*****
AMERICAN DREAM
DÌ ROY
MUSTUNG SEI UNO GNOCCO
PRIMA CLASSIFICATA
PREMIO ORIGINALITA’
Commento e giudizio della
giudice My Pride:
Mi è piaciuto molto come la storia si è conclusa,
devo ammetterlo.
Ma facciamo qualche passo indietro, concentrandoci
sull’ambientazione, sulla caratterizzazione dei personaggi e
sulla grammatica.
A parte qualche piccolo errore di battitura (Grgiia,
per citarne uno) e qualche virgola dimenticata, il lessico e lo stile
erano abbastanza scorrevoli, i personaggi sfociavano nell’OOC
solo rare volte e anche la descrizione dell’ambiente in cui
tutto si svolge è attinente alla realtà.
L’immagine che credo non cancellerò più
dalla mia mente, comunque, sarà Edward con il Motorola (E
anche con l’I-pod nano, ammettiamolo):
non chiedermi perché, ma nel leggere quel piccolo pezzettino
sono scoppiata a ridere; tale cosa, però, non
c’entra assolutamente con la tua fan fiction.
È solo colpa della mia mente deviata.
Un sorriso mi è stato strappato anche da questo: “Immerso
nei suoi pensieri pre-colloquio seguì la giovane –
ed esageratamente sculettante – segretaria. Cosa sperava di
fare, muovendo quel culo rinsecchito? Le donne erano sempre state un
mondo incomprensibilmente assurdo per Edward Elric.”;
Edward Elric riassunto in queste semplici righe, in poche parole.
Ammetto anche che mi sono innamorata dell’immagine di Roy che
compare dinnanzi al nostro biondino e, quasi come un attore
hollywoodiano, si libera degli occhiali.
Mi hai fatto diventare schifosamente superficiale
in quel pezzo che hai descritto (Pentiti di ciò che hai
fatto, quindi - Naturalmente scherzo).
Indubbiamente, poi, anche la caratterizzazione di Riza è
stata mantenuta tale: che sia alle dipendenze di un Colonnello o di un
Presidente resta sempre la composta Riza Hawkeye che conosciamo.
Passando al (Per esser precisi, ai) pairing, mi hai piacevolmente
sorpresa scegliendo d’utilizzarli realmente entrambi: hai
creato un intreccio di personaggi davvero fantastico, e certe cose le
adoro.
Nessun coinvolgimento emotivo esagerato, ma hai dato a Roy
quell’insana vena un po’ frivola che, concedimi il
termine, lo fa andare (E scopare) con tutti.
Mi sono poi sentita molto solidale con Edward quando è stato
costretto ad analizzare il Manzoni: esattamente come lui, odio I
Promessi Sposi.
Probabilmente la mia vecchia professoressa mi bastonerebbe se lo
sapesse.
Non mi aspettavo poi la comparsa di Ling, mio piccolo amore segreto,
che mi ha fatta sorridere ad ogni discorso in cui si cimentava.
La scena in limousine l’ho trovata molto adatta al contesto:
ho sempre immaginato che Roy fosse un uomo elegante, sia nel gusto che
nella scelta dei vini (Il Conti è favoloso, specialmente
quando non sei tu a pagarlo), nonché nei modi di parlare.
Un senso dolce amaro poi si avverte quando Jean e Roy si ritrovano a
discutere (Proprio da qui, poi, si evince il pairing reale
della storia, per così dire), facendo tornare a galla il
passato burrascoso del moro e la perdita della sorella; senso che si
estende poi maggiormente quando è Roy a parlare con Edward,
chiarendo che ciò che prova altro non è che amore
paterno (O fraterno), se così lo si vuole chiamare.
Torno a ribadire che ho amato la fine: perfetta così
com’è stata lasciata, perfetta in quella citazione
da te scelta che sembra racchiudere in sé tutto lo
svolgimento della storia.
Davvero struggente.
Oserei dire che questo è stato uno dei tuoi lavori migliori,
la posizione è più che meritata.
Correttezza grammaticale: 9,5/10
Originalità: 8,5/10
Ambientazione e citazione: 9/10
Caratterizzazione dei personaggi: 8,5/10
Stile e lessico: 9,5/10
Apprezzamento personale: 5/5
Totale: 50/60
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
American Dream
©
di Roy
Mustung sei uno gnocco
Capitolo 2
Quando
Edward riaprì gli occhi, erano circa le 23:00. Aveva saltato
pranzo e cena e ora la sua pancia reclamava cibo. Sbadigliando si
alzò dal letto, stiracchiando le braccia e gambe. Si rese
conto solo ora che aveva ancora le scarpe e tutti i vestiti della
mattina. Sbuffò e decise di spogliarsi prima di andare a
cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Si tolse il gilet nero, la
camicia bianca e i pantaloni scuri. Gettò gli abiti sulla
sedia e poi andò ad aprire l’armadio, raccattando
dal fondo di esso dei pantaloni di una tuta grigia e la felpa blu con
stampato su il caratteristico Bulldog, mascotte di Yale. Poi
uscì dalla stanza, andando in cucina alla ricerca di qualche
schifezza.
*****
Nel
contempo, Roy Mustang aveva ospiti in casa sua…
-
Maes ha fatto proprio bene ad assumerlo… -
commentò Jean Havoc, seduto sul letto tondo e matrimoniale,
nudo, con solo il piumone a coprirgli le parti intime. Fumava, come suo
solito, e a giudicare dal portacenere che c’era sul comodino
alla sua destra, quella doveva essere almeno la quinta sigaretta.
Roy
mugolò, d’accordo, con la testa affondata nel
cuscino. Jean gli passò una mano tra i capelli, arruffandoli
di più. Con l’altra si tolse la sigaretta dalle
labbra, lasciando uscire fuori il fumo. Poi si piegò e gli
lasciò un languido morso sul collo. Avvicinò poi
le labbra al suo orecchio.
-
Che mansione vuoi assegnargli? – sussurrò, con
tono curioso.
-
M’inventerò qualcosa… - rispose, con
voce rauca. Poi si girò, guardandolo. –
Perché tanto interesse? Cos’è, sei
geloso? – insinuò, malizioso. Gli cinse la vita
con le braccia. – Non ti dimenticare che sei tu il mio amante
preferito… - sogghignò, guardandolo negli occhi
azzurri.
-
Non fare l’ipocrita con me, Roy. Tu non hai preferenze in
nessun campo! – sorrise, scuotendo il capo. Poi
tirò un’altra boccata di fumo.
-
Non mi credi? Potrei offendermi, sai? E poi… - Jean lo
interruppe.
-
Credo che quel ragazzo sia competente. Dagli una possibilità
e non usarlo solo perché ha un bel faccino… -
-
Le avevo già intuite… - rispose, Roy, puntellando
il gomito sul materasso e reggendosi la testa col palmo della mano.
-
Che cosa? -
-
Le sue capacità! Ha uno sguardo molto
intelligente… - piegò le labbra in un ghignetto.
-
Oh, sappiamo tutti che capacità guardi! Non inventarti
storielle sugli sguardi intensi! -
-
Ma sta’ zitto! – sbottò, guardandolo con
la coda dell’occhio. Poi tornò a fissare
l’enorme armadio di fronte a lui – Si sta facendo
tardi… e sono stanco – si ristese sul letto,
stiracchiandosi pigramente.
-
Ma se la tua serata comincia ora! Su, confessa! Prima Riza, poi me e
poi chi altro? Andiamo Roy, tre in una notte sola non li reggi neanche
tu! – ridacchiò. Che Roy fosse
così idiota da aver chiamato anche un altro?
-
Il mio unico compagno, per il resto di questa notte, sarà il
cuscino. - ribatté.
-
Lo spero per te! – esclamò Jean, sorridendo. Poi
spense la sigaretta nel posacenere sul comodino e si alzò,
completamente nudo. - Roy, faccio prima la doccia e poi me ne
vado a casa - lo avvertì, dirigendosi in bagno.
L’altro sventolò una mano.
-
Come vuoi… - sbadigliò di nuovo e
abbassò le palpebre, pronto a riposarsi dopo
l’ennesima serata di fuoco. Quei due occhi dorati che lo
avevano guardato con un imprevisto ardore ancora gli tornavano in
mente. Lo affascinava incredibilmente quel ragazzino. Di solito tutti
rimanevano imbambolati o intimoriti di fronte a lui. Invece, Edward
Elric, aveva ricambiato lo sguardo. Lo aveva colpito,
stuzzicato… Poi era anche molto bello e aveva gli occhi
illuminati dall’ intelligenza, dalla voglia di scoprire, di
fare e, soprattutto, da una particolare innocenza, pronta a sparire. Lo
desiderava. E ciò che Roy Mustang voleva, prima o poi, in un
modo o nell’altro, sarebbe diventato suo. Magari quel
ragazzino non era neanche gay… ma non gli interessava. Non
lo era nemmeno Jean, al tempo, e ora si trovava nel suo letto quasi
ogni notte. Con questi pensieri s’addormentò
subito dopo, già pronto ad affrontare il nuovo impiegato la
mattina dopo.
*****
Erano
le 07:45 del mattino ed Edward, nonostante avesse passato tutta la
notte a scrivere e a leggere, era pimpante e allegro. Arrivato al
Mustang’s Building, si andò a sedere sullo stesso
divanetto della mattina precedente. Lo avrebbero chiamato a momenti.
Dalla cartella, stavolta nera, tirò fuori l’I-Pod
nano azzurro, regalo ricevuto il Natale scorso da suo fratello che
aveva risparmiato per mesi e mesi i soldi. Lo accese. Si mise solo una
cuffia, all’orecchio sinistro, e fece partire la prima
canzone che la lista gli proponeva: Fuck You, Lily Allen.
Edward sbuffò. Sicuramente era stato Alphonse a mettergli
quella canzone assurda sull’I-Pod. Lui che amava il Jazz, che
adorava alla follia Oscar Peterson, mai e poi mai avrebbe scaricato una
tale oscenità musicale. Però doveva dire che era
orecchiabile. Anche se il testo era un insieme di parole messe insieme
senza un senso logico. Appoggiò il gomito al bracciolo del
divano e si resse il mento con la mano, guardando nel vuoto. La canzone
finì pochi minuti dopo e la signorina dell’altra
volta, Lust, lo raggiunse all’improvviso. Stavolta indossava
uno striminzito tubino blu. Ma da quando a lavoro ci si
poteva presentare così?
-
Signor Elric… - sorrise, sbattendo le ciglia allungate dal
mascara - il Signor Hughes mi ha detto di avvertirla che oggi le
sarà assegnata la sua mansione! – si
avvicinò a lui, piegandosi un po’ in avanti, per
guardarlo negli occhi meglio. E per mostrare le tette.
-
Ottimo. Dove devo andare? – domandò, senza far
caso alla scollatura sul prorompente seno.
-
Al venticinquesimo piano. Il Signor Hughes è rimasto colpito
da lei e ha riferito al Presidente delle sue capacità. Ha
quindi un appuntamento col Presidente Mustang! - esclamò,
entusiasta per lui. Edward la guardò stupito, senza parole.
La sua mansione sarebbe stata decisa dall’American Dream in
persona? Sembrava un sogno per davvero, questo…
-
F-fantastico! Cioè, okay, ora… vado. - si
alzò, ancora confuso. - Venticinquesimo piano, ha detto?
Okay, grazie mille! - non saltellava dalla gioia perché i
suoi freni inibitori fortunatamente funzionavano ancora.
Salutò con un cenno del capo, forse un po’ rozzo,
la signorina e si diresse verso la lunghissima scalinata di marmo
bianco. La percorse tutta, quasi correndo, ansioso. Ancora
non ci credeva. Se avesse fatto colpo anche su di lui
già da ora… ma no no, ora doveva rimanere coi
piedi per terra! Prepararsi psicologicamente e soprattutto
emotivamente: l’ultima volta che si erano guardati, le
viscere di Edward avevano deciso di andare a farsi un giro sulle
montagne russe, quindi ora temeva di avere… strane
reazioni. Era un bell’uomo, affascinante e il suo
carisma gli pareva quasi di poterlo toccare con mano. Lui era un
ragazzino inesperto con gli ormoni, nonostante i ventitré
anni compiuti il mese scorso, che ancora ballavano la samba alla vista
di qualcuno come Roy Mustang. Ergo, doveva darsi una regolata e pensare
con professionalità alla cosa. In ascensore il batticuore
gli martoriava il petto ma lo ignorò, aspettando con
trepidante attesa che finalmente le porte dell’ascensore si
aprissero. I minuti passavano, aumentando la tensione di Ed. Emise un
pesante sospiro, chinando il capo in avanti e proprio in
quell’istante le porte si aprirono. Edward alzò di
scatto la testa, ritrovandosi due grandi occhi color cioccolato a
guardarlo. Deglutì pesantemente e fece scorrere gli occhi
sul resto del viso, sul busto, le gambe e le scarpe. Era la donna
bionda che aveva visto ieri col Presidente, quella che,
presumibilmente, sarebbe dovuta essere la sua assistente personale.
-
Buongiorno, Lei è Edward Elric, giusto? – si
spostò, per farlo uscire fuori dall’ascensore.
Edward fece qualche passo avanti e venne subito investito dalla luce
del sole di quella giornata che si prospettava a dir poco splendida.
L’intero piano era adibito come ufficio per il Presidente e
la sua segretaria. Non c’erano quasi pareti, ma solo grandi
vetrate che illuminavano completamente la stanza. Il sole, ancora
nascosto dietro gli altissimi grattaceli, teneva ancora parzialmente in
ombra la città. Loro, però, erano abbastanza in
alto da non avere problemi d’illuminazione. Rimase a bocca
aperta per il panorama che si poteva ammirare: tutta New York, in ogni
suo lato, ogni sua sfaccettatura urbana era davanti ai suoi occhi.
-
Signor Elric? - la voce calda dell'assistente gli arrivò
alle orecchie, distogliendolo dalla sua contemplazione. Edward non
poté non notare una punta di divertita comprensione nel suo
tono.
-
Ehm... sì, scusi. Notavo quanto fosse bella la vista da
qui... - mormorò, sorridendo impacciato. La donna gli
concesse un piccolo e comprensivo sorriso.
-
Non si preoccupi. Non è il primo ad avere questa reazione. A
quest'ora, poi, il paesaggio è ancora più bello!
- il giovane notò subito come la postura della donna fosse
inflessibilmente rigida: la schiena dritta, il portamento fiero...
sembrava più un soldato che un assistente. E solo ora si
accorse che i lunghi capelli dorati le ricadevano sulle spalle. Ieri li
teneva legati, oggi no. Sorrise, erano di un colore più
chiaro rispetto al suo, ma erano ugualmente splendidi. Come lei,
d'altronde.
-
Già... - mormorò soltanto. La luce soffusa che
prima tanto aveva ammirato le illuminava il profilo perfetto. Poi gli
occhi gli caddero sul suo petto, dove c'era il cartellino col suo nome:
Riza Hawkeye.
-
Il Presidente la sta aspettando, Signor Elric. Prego, mi segua! -
esclamò. Anzi, ordinò.
Partì spedita col suo passo rigido alla volta della
parete in vetro che divideva a metà il venticinquesimo
piano. Dall'altra parte del vetro c'era un grande salotto, con un
moderno tavolino da caffè e un caminetto dall'aria antica a
spezzare la scena troppo contemporanea. E ancora più avanti
dovevano esserci altri divani, qualche poltrona e diverse sculture
astratte. Da così lontano non si vedeva molto bene. Riza
entrò all'interno della seconda parte. A Edward, che la
seguì poco dopo, sembrò quasi di varcare la
soglia di un altro mondo, di un universo parallelo. Chiuse alle sue
spalle la porta e seguì silenziosamente
l’assistente. Due minuti dopo si avvicinarono alla scrivania
nera e a semicerchio del Presidente, seduto sulla poltrona, sempre nera
e di pelle. Dava loro le spalle e contemplava New York
dall’alto in basso. Doveva proprio sentirsi un Dio
da lassù…
Accanto
a Riza, Edward sentì il suo olfatto stuzzicato dal dopobarba
- o era acqua di colonia? - di Mustang. Sbatté
più volte gli occhi, coi sensi che cominciavano a far
cilecca. Ciò che si era ripromesso
nell’ascensore stava già andando a farsi benedire.
-
Presidente? Edward Elric è arrivato. - decretò,
con la voce calda di prima. Forse un po’
più… accorata, interessata? Non trovava il
termine adatto, Edward. Eppure al Liceo lo avevano sempre preso in giro
chiamandolo “Vocabolario umano”… buffo.
-
Ottimo. Puoi andare, Riza, grazie… - quella che
sentì sulla schiena Edward fu più di una scossa
elettrica. Fu un qualcosa che non seppe definire, un improvviso
brivido, una sensazione di puro piacere. Quel giorno la sua fama da
Vocabolario Umano stava per decadere. La voce di Roy era morbida,
vellutata e troppo, troppo, troppo sensuale.
Riza annuì - Sì, Presidente. - e fece
dietro-front, tornando nel mondo di prima, quello dove un semplice uomo
non doveva, e non poteva, avere un tale ascendente sulle persone che lo
circondavano. Ma, per l’appunto, ora si trovavano in un altro
mondo.
Finalmente
la poltrona si girò, mostrando il moro affascinante che vi
era seduto sopra. Indossava un dolcevita bianco latte e dei pantaloni
beige, tenuti fermi da una cinta marrone, come le scarpe eleganti. Un
candore surreale, contornato dalla pelle chiara e spezzato dai capelli
e gli occhi scuri come l’inchiostro. Roy Mustang si
alzò, era alto. Molto alto. Sicuramente superava il metro e
ottanta, osservò Edward. Ma questo non lo avrebbe dovuto
toccare più di tanto… se fosse stato
nell’altro mondo, dall’altra parte della parete di
vetro.
-
Piacere di conoscerti, Edward… - gli tese la mano. Il
giovane scrittore rimase lì, a guardare le dita affusolate,
l’orologio d’oro (gli ricordava molto quello di
Jean Havoc, il fotografo) e il palmo aperto. Il modo in cui aveva
pronunciato il suo nome, con quell’accento tipicamente
Newyorkese che lui non aveva, gli aveva fatto di nuovo provare quel
brivido lungo la schiena. Ma chi diavolo era,
quell’uomo?
Con
la mano tremante - e sperò non sudata - Edward gliela
strinse, alzando gli occhi dorati e puntandoli contro i suoi. La stessa
cosa dell’ultima volta: le viscere gli si attorcigliarono
letteralmente. Deglutì a malapena e sbatté
più volte le palpebre, acquistando solo dopo un
po’ sicurezza.
Roy
sorrise. Quel ragazzo lo interessava sempre più.
Aveva un carattere strano, un modo di comportarsi che non era comune.
Oscillava tra l’insicurezza più totale e la
determinazione senza freni. Perché sì, sapeva che
poteva essere molto determinato: lo aveva capito la prima volta che i
loro occhi si erano incrociati. Impossibile non notare come fosse
rimasto di sasso davanti a Roy, ma impossibile anche non accorgersi di
come poi aveva ricambiato lo sguardo. Sciolse la mano dalla sua e
tornò a sedersi sulla poltrona. - Accomodati,
Edward… -.
Il
biondo annuì, sussurrando un flebile - Grazie… -.
Le cose non stavano andando bene. Quello non era lui, non era
l’Edward Elric impulsivo e spacca tutto che poteva sfondare.
Così non sarebbe riuscito a convincere proprio nessuno.
Specie l’American Dream.
Roy
rimase in silenzio per un po’, ponderando le parole. Lo
fissava, studiando bene le sue reazioni. Edward sembrava molto preso
dai suoi pensieri.
-
Allora Edward, Maes Hughes mi ha detto che sei molto preparato.
Laureato con il massimo dei voti a Yale in Letteratura e
Filosofia… - cominciò, provando con la strategia
della lode. Edward tornò a guardarlo, mettendo dritta la
schiena e accavallando la gamba destra su quella sinistra. - E mi ha
detto che ti piacerebbe diventare uno scrittore - sorrise, Roy. Edward
spalancò gli occhi dorati, ma non disse
null’altro. Ricambiò il sorriso, con uno di
circostanza.
-
Sì, esatto. Ma dovremmo parlare del presente, non del
futuro. Ogni cosa a suo tempo, giusto? - azzardò, sperando
di riuscire a prendere il prima possibile le redini del discorso.
Mustang rimase piacevolmente stupito. Ecco la determinazione che
cercava in quel ragazzo. Non sarebbe stato facile conquistarlo. Molto
meglio così: amava le sfide.
-
Hai perfettamente ragione, Edward. Dunque voglio subito metterti al
lavoro nel tuo campo! - esclamò, entusiasta e con un
ghignetto forse un po’ provocatorio sul viso. - Sulla rivista
scientifica, I-Science, ho fatto aprire
recentemente, in contrapposizione con gli argomenti a tema scientifico
trattati nel settimanale, una rubrica che commenta dal punto di vista
moderno opere antiche. Una follia, vero? Beh, sembra che invece i
lettori abbiano apprezzato: le vendite sono aumentato del sei per
cento! - Roy si alzò, mettendo le mani in tasca. Diede le
spalle a Edward, guardando giù, in strada. Adorava farlo. Lo
faceva sentire così potente e importante. Più di
quanto già non fosse.
-
E io cosa dovrei fare, di preciso? - intervenne, poggiando le mani
sulle sue ginocchia. Roy girò solo il viso, guardandolo
negli occhi, con quel sorrisino che un po’ stava cominciando
a infastidire Edward. Era chiaro come il sole che finalmente si stava
levando in cielo silenzioso, quanto fosse ironico, quel ghigno. Ghigno
sì, perché di sorriso non si poteva certamente
parlare.
-
Oggi è Venerdì. Domani è
Sabato… - commentò, non staccando gli occhi da
quelli di Edward. Il biondo si mordicchiò la lingua per non
sbottare in un ‘Ma bravo! Sai i giorni della
settimana!’. Alphonse, la stessa mattina, mentre si
preparava per andare in facoltà, gli aveva rammentato per
almeno un milione di volte che anche oggi avrebbe dovuto mettere a
tacere il suo caratteraccio. Glielo aveva promesso. E non poteva
deludere Alphonse facendosi licenziare ancor prima di aver cominciato a
lavorare.
-
E cosa succede di Sabato? - domandò Roy a Edward. In quel
momento nella mente del giovane mille possibilità
vorticarono, tutte scontate, tutte scontrose, tutte acide, tutte
ironiche, tutte… bingo!
-
Vanno in stampa i settimanali? - domandò, ma pur sempre con
tono deciso. Roy sorrise, soddisfatto della risposta.
-
Esattamente. Mi piace chi ragiona velocemente e con
lucidità.- si girò completamente, inclinando il
capo e continuando il discorso di prima. - Il Sabato vanno in stampa le
riviste settimanali, per essere poi pubblicate il Lunedì
mattina. Ora, io ti propongo di analizzare I Promessi Sposi di
Alessandro Manzoni, in chiave moderna ed entro stasera. Hai superato il
colloquio di Hughes, ma dovrai superare anche il mio. -
decretò. Lo doveva ammettere, Roy: questa mansione non era
per niente programmata. Così come la scelta
dell’opera letteraria: era la prima cosa che gli era passata
per la mente. Eppure aveva sortito il suo effetto: Edward era
semplicemente basito.
-
Mi prende in giro? Non posso farcela! - esclamò, scioccato,
agitando la mano senza il guanto. Era un folle,
quell’uomo! Come si poteva fare una cosa del genere in un
giorno solo?! Anche con una settimana d’anticipo sarebbe
stata ardua! E al diavolo tutte le raccomandazioni di Alphonse, se
fosse stato necessario lo avrebbe mandato anche a quel paese!
Il
sorriso di Roy scomparve. Mustang lo guardò serio, forse un
po’ deluso. Si aspettava un animo più battagliero
e pronto alla sfida. Ma non era detta l’ultima parola. Con
quel ragazzo bastava toccare le corde giuste per ottenere le giuste
risposte e le giuste reazioni…
-
Lo sai quanti ragazzi della tua età vorrebbero avere questa
possibilità? Ne hai la più pallida idea? Non
credo. Eppure sei qui, di fronte a me, che hai
quest’occasione: sfruttala! - tirò fuori dalla
tasca dei pantaloni beige un orologio d’argento, da cui lesse
l’orario. - Le otto e ventisette minuti, Edward. Stai
perdendo tempo. Io correrei a casa a lavorare. Devi portarmi
l’articolo, non più di settecento parole, entro le
nove di sera. Se non ce la fai o se non sarà un eccellente
elaborato, dovrai cercarti un altro impiego. Sono stato chiaro? - e
terminò il tutto con un sorrisino divertito. Edward
aggrottò le sopracciglia, piccato. Fu più forte
di lui, ma dovette lanciargli un’occhiataccia.
-
Cristallino! - sibilò e si alzò. Notò
la spaventosa differenza d’altezza fra loro due, ma non ci
fece caso. Non era lui troppo basso, era quell’uomo dalle
richieste impossibili a essere troppo alto.
-
Ottimo. Allora… a stasera, Edward. - poggiò una
mano al bordo della scrivania, sorridendogli bonario.
-
A stasera, Presidente. - ribatté, marcando la sua carica con
tono acido e, presa la cartella, si diresse verso la porta di vetro.
Uscì e sospirò pesantemente, l’aria in
quella stanza sembrava così strana senza il profumo di
Mustang. Si risvegliò subito e gettò
un’occhiata a Riza, seduta sulla scrivania che leggeva
qualcosa di veramente importante, non come Lust. La bionda
alzò la testa.
-
Arrivederci, Signor Elric! - lo salutò, cordialmente.
-
Arrivederci, signorina -.
Edward entrò a passo svelto nell’ascensore,
spingendo il tasto per il piano terra. Si appoggiò
all’ascensore, sbattendoci la testa contro. Non diede peso al
dolore che si provocò, ma più che altro
all’impresa impossibile che lo aspettava. - Quello stronzo! -
sbottò.
Attese
che le porte dell’ascensore si aprissero, per uscire
finalmente e scendere la lunga scalinata. Si precipitò fuori
dall’edificio e, fortunatamente, un taxi stava lasciando una
bellissima ragazza, probabilmente una modella, di fronte
all’edificio. Appena scesa lei, vi entrò lui. Gli
comunicò il suo indirizzo e una volta partiti si
abbandonò poi sul sedile posteriore e chiuse gli occhi,
stanco. Cominciò a riesumare tutto ciò che aveva
nella sua testa su I Promessi Sposi. Sarebbe stata dura: lui odiava
Manzoni.
*****
Le
20:55. Un fortissimo temporale si era abbattuto nel pomeriggio su New
York e persisteva tuttora a inondare le strade d’acqua.
Le porte dell’ascensore si aprirono, mostrando un Edward
molto più sportivo, in jeans, maglietta, felpa e i capelli
leggermente umidi di pioggia. Riza era seduta nella stessa posizione
perfetta di undici ore fa. Era un cyborg, forse. Il
biondo si avvicinò alla sua scrivania.
- Buonasera, signorina. Sono venuto a consegnare del lavoro. Posso
entrare? - Riza alzò la testa e lo guardò,
leggermente confusa. Non ricordava che il Presidente avesse mai
assegnato del lavoro ai nuovi impiegati già dal primo
giorno. Specie a fine settimana. A che scopo se poi non lo avrebbe
pubblicato? Il biondo non si accorse dello sguardo interrogatorio
dell’assistente e attese risposta.
- Certo. Scusi se non l’accompagno, ma ho da terminare delle
cose e… - Edward sorrise e scosse il capo.
- Nessun problema, si figuri! - si allontanò dalla scrivania
e si diresse verso quella benedetta porta di vetro. Poggiò
una mano sulla maniglia, bianca, e prese un profondo respiro.
Varcò la soglia della porta e di nuovo gli sembrò
di andare in un altro mondo. Chissà, magari per Il
ponte di Terabithia si erano ispirati a Roy Mustang e alla
sua parete di vetro. All’improvviso un forte tuono fece
tremare i vetri e il pavimento, facendolo sussultare dallo spavento.
Camminò sicuro di se stesso e del suo operato verso il
semicerchio che circondava la poltrona nera. Anche stavolta Roy gli
dava le spalle.
-
Presidente? - cercò di attirare la sua attenzione. Roy non
fiatò, fissando la strada bagnata sotto di lui, i clacson
delle macchine suonati freneticamente da automobilisti nervosi,
arrabbiati, stanchi di essere ancora imbottigliati nel traffico a
quell’ora della sera.
-
Presidente Mustang?! - ripeté Edward, stizzito. Odiava non
ricevere attenzione. La poltrona si girò e finalmente si
ritrovarono faccia a faccia. Gli occhi di Roy caddero sulla cartella di
Edward.
- L’hai portato? - chiese, apatico. Edward annuì e
tirò fuori una busta gialla che poggiò sulla
scrivania.
- E’ qui. Seicentonovantotto parole di analisi in chiave
moderna de I Promessi Sposi. Ciò che voleva, no? - la
soddisfazione nello sguardo e nella voce del biondo era così
palese da far innervosire Roy. Il moro si alzò e
annuì, andando a prendere la giacca appoggiata sulla testa
di un mezzo busto in gesso che si trovava lì vicino. Assomigliava
molto a Mustang, quel mezzo busto.
- Puoi andare. - s’infilò la giacca e poi la
sciarpa, beige come i pantaloni. Perché era
così strano?
- Ma… non lo legge?! - domandò, di nuovo
arrabbiato. Roy sospirò e si girò a guardarlo
annoiato.
- No. - rispose, lapidario. Edward strinse forte i pugni.
- Ma come sarebbe?! Ha detto che se non fosse stato un eccellente
elaborato mi avrebbe licenziato! E non ha ancora deciso la mia
mansione, fra parentesi! - sbottò. Mustang
continuò a guardarlo, poi sorrise leggermente.
- Andrà in stampa così
com’è, Edward. Se andrà male e i
lettori non apprezzeranno, sarai licenziato. Tuttavia sapremo come sono
andate le vendite solo Lunedì sera e qualcosa dovrai pur
farla Lunedì mattina, hai ragione… - il sorriso
si trasformò in un ghigno. - Al quinto piano hanno bisogno
di una mano per l’inventario degli abiti usati nella sfilata
fatta la settimana scorsa. Chiedi di una certa… Sheska,
credo si chiami. E’ la responsabile. Lei saprà
dirti cosa fare. Buona serata, Edward. - gli diede le spalle e, mani in
tasca, se ne andò.
Il biondo rimase lì imbambolato ancora per qualche minuto.
Aveva sputato il sangue sopra quel dannato articolo e Mustang non lo
aveva nemmeno guardato! Che uomo menefreghista! Solo perché
tutti abbassavano la testa davanti alla sua onnipotenza, non
significava che doveva trattare così il lavoro altrui! No,
non poteva mandare in stampa il suo lavoro, lasciarlo nelle mani di
quello stronzo. Fece per riprendere la busta ma
all’improvviso i volti di suo fratello, di suo padre che lo
chiamava fallito, di sua madre che sperava tanto di vederlo realizzato
gli tornarono in mente. Se non fosse riuscito ad avere questo lavoro,
se si fosse fatto “nemico” Roy Mustang, la sua
carriera sarebbe stata chiusa ancor prima di iniziare.
Lasciò lì la busta gialla e nervosamente se ne
andò dall’ufficio. Non salutò Riza, che
stava prendendo le sue cose per tornare a casa, ma si fiondò
nell’ascensore, spingendo arrabbiato il pulsante del piano
terra. Aveva una rabbia addosso che rasentava l’incredibile!
Doveva calmarsi però. Chiuse gli occhi e appoggiò
la schiena alla parete dell’ascensore. Nella mente gli
tornò la canzoncina di stamattina: Fuck you, fuck
you, fuck you very very much! Sorrise e sollevò
le palpebre quando le porte si aprirono. Più rilassato e con
quel motivetto nella mente se ne andò dal
Mustang’s Building.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
American
Dream
©
di
Roy Mustung sei uno gnocco
Capitolo 3
Le
21:25 della sera dopo.
Edward, non appena entrato a casa, si era letteralmente gettato sul
piccolo divano del salotto. Alphonse, che stava studiando sulla
poltrona lì vicino si avvicinò, lasciando perdere
il libro e guardandolo preoccupato.
- Fratellone? Stai bene? - il biondo aveva la testa affondata nel
cuscino e borbottò qualcosa di incomprensibile. Poi si
girò e pesantemente si ritrovò a pancia in su.
- No, Al, sono stanchissimo. Mustang mi ha costretto a fare
l’inventario dei vestiti insieme a una pazza furiosa che
ricorda a memoria ogni più piccola cosa letta!!-
esclamò, esasperato. Si mise un braccio sopra il viso,
coprendosi gli occhi. - Non solo! Domani probabilmente, se
l’articolo non piacerà ai lettori di I-Science la
mia carriera di scrittore si potrebbe chiudere per sempre! -.
Al lo lasciò sfogare per un altro po’, poi si
sporse sul tavolino al centro del salotto e prese il cordless, in
alcuni punti tenuto insieme dallo scotch. Compose un numero e
aspettò che dall’altro capo del telefono qualcuno
rispondesse. - Ling? Sono io, Al. Senti, portami quadrupla razione del
solito. Sì, Edward è depresso. Grazie mille. A
dopo. - e chiuse la comunicazione. Il braccio del biondo si
spostò, mostrando i suoi occhi stanchi.
- Hai ordinato il cinese? - Alphonse sorrise e annuì.
- Devi stare tranquillo, Fratellone. E hai bisogno di distrarti! -
cominciò, con tono comprensivo. - Ascoltami, io ho comprato
la rivista e ho letto il tuo articolo: è fantastico. E non
lo dico solo perché sei mio fratello, sia chiaro.
E’ la pura e semplice verità. Mustang se ne
intende di queste cose, sono certo che capterà il tuo
talento! - lo rassicurò, sorridente. Edward lo
guardò, sospirando. Distolse lo sguardo, poi.
- Odio Roy Mustang… - borbottò. E Al
scoppiò a ridere.
- Un giorno lo amerai, Fratellone! - Edward roteò gli occhi,
annoiato.
- Come no, certo! E ci vorrò stare anche insieme! - il tono
stizzito e schifato di Edward non fece altro che aumentare le risate
del fratello, che alla fine contagiarono anche lui. Cominciarono a
chiacchierare tranquillamente, parlando del più e del meno e
cercando di evitare l’argomento “Lavoro di
Edward”. Era meglio così. Meglio non pensare alla
possibilità che Ed sarebbe potuto tornare a fare il
cameriere al bar all’angolo. Poco dopo suonò il
campanello e Alphonse andò ad aprire, mentre il maggiore dei
fratelli Elric si metteva a sedere. Un ragazzo dai lunghi capelli mori
legati in una coda, con una frangetta sulla fronte a sfiorargli gli
occhi a mandorla.
- Ling, ciao! Entra! Grazie per essere arrivato così in
fretta! - Al si scostò dalla soglia della porta e lo
lasciò entrare.
- Figulati, Al! Sappiamo tutti che quando Edwald è deplesso
c’è bisogno del plonto intelvento! - scoppiarono a
ridere entrambi e smisero esattamente quando Ed li raggiunse
all’ingresso, con uno sguardo incavolato.
- Piantatela di prendermi in giro! Sono davvero depresso! - prese dalle
mani di Ling la busta bianca strapiena di pietanze tipicamente
orientali. Se ne ritornò di nuovo sul divano,
aprì la busta, trovò le bacchette, prese una
scatoletta bianca qualsiasi - non gli interessava quale pietanza,
l’importante, ora, era mangiare! - e cominciò a
mangiare subito. Anzi, a divorare letteralmente quelli che parevano
essere involtini primavera. Appoggiò i piedi sul tavolino da
caffè di fronte a lui, mangiando e borbottando tra
sé chissà cosa. Ling e Al, intanto, si erano
seduti sull’altro piccolo divano. Alphonse fulminò
Ed, indicando con un cenno della testa i piedi sul tavolino. Edward
sbuffando li tolse, continuando a mangiare.
-
Sei deplesso pel quello che mi hai laccontato ieli sela, Edwald? -
l’interpellato annuì, guardando Al, come a
passargli il testimone. Non gli andava di raccontare ancora la sua
giornataccia. Il fratellino comprese al volo e sistematosi un cuscino
dietro la schiena cominciò a parlare con Ling.
- Devi sapere che il nuovo capo di Edward gli ha assegnato
un’ingrata mansione con una ragazza che, a detta sua,
è un po’ pazza. Comunque Edward è
stanchissimo e super preoccupato per domani, perché, come ti
abbiamo già detto, se la rivista dove il suo articolo
è stato pubblicato non fa i soliti incassi record o se
qualcuno si lamenta per il suo articolo, Ed verrà
licenziato! - Ling osservò preoccupato Al, mettendosi una
mano sotto il mento.
- E’ un bel ploblema… - mormorò,
pensieroso.
- E’ più che un problema! E’ una
tragedia, Ling! Se vengo licenziato si spargerà in giro la
voce che non sono capace di scrivere e ciò significa che
tutte le porte per il mio futuro saranno sbarrate per il resto della
mia esistenza! E dovrò tornare a fare il cameriere di fronte
al tuo ristorante! - si lagnò, finendo la prima scatola e
prendendone un’altra. Ling sbatté le palpebre e
poi guardò Al, che scosse il capo.
- Edwald io cledo che tu sia un po’ tloppo…
melodlamattico, ecco. Ce la falai di celto! E comunque tutta la mia
famiglia e i nostli clienti hanno complato I-Science! Quindi, su! Hai
anche tanto talento! - annuì, d’accordo con se
stesso. Edward sospirò, smettendo un attimo di mangiare. Poi
guardò i due ragazzi di fronte a lui e ricominciò
a mangiare, sempre più in ansia. Con la bocca piena
continuò a bofonchiare qualcosa di incomprensibile.
Passò una buona mezz’oretta e alla fine Ling
tornò al ristorante gestito dalla sua famiglia - tutti
immigrati in America dalla Cina -, lasciando soli i due fratelli.
Edward rimase sveglio per un altro po’, a leggere un libro,
poi, stanchissimo, decise di andare a dormire. Domani sarebbe stato il
giorno del giudizio.
*****
Anche stavolta era seduto sullo stesso divanetto delle ultime due
volte, sperando che gli portasse ancora un pizzico di fortuna, quel
po’ che gli sarebbe bastato per non essere licenziato in
tronco. Aspettava, decisamente in ansia, che lo chiamassero.
Accavallò la gamba destra su quella sinistra, incrociando le
mani sulla cartella posata sulle ginocchia. Sospirò
leggermente, voltando il viso verso destra. L’attesa lo stava
a dir poco snervando. Sollevò la mano destra, quella col
guanto, e si coprì gli occhi con questa, stanco. Dire che
era crollato sul letto come un sasso era a dir poco un eufemismo. A
malapena si era riposato dopo la stancante giornata di ieri e ora
sperava di non dover continuare a fare l’inventario dei
vestiti con quella pazza di Sheska. In tal caso, sarebbe stato lui a
licenziarsi. Meglio fare il cameriere che stare con quella. Attese
ancora qualche minuto, sospirando più o meno ogni dieci
secondi. Che tensione…
Poi, finalmente, arrivò Riza Hawkeye. La vide arrivare dalla
cima delle scale e scenderle, sicura di se stessa. Avrebbe voluto
essere un po’ come lei, in quell’istante: senza
preoccupazioni sul proprio lavoro. Quando Riza si fermò
davanti a lui, si alzò, rassettandosi la camicia e i
pantaloni, mettendo la schiena un po’ più dritta.
- Salve Signor Elric. Il Presidente la sta aspettando: mi segua, prego!
- ordinò come al solito ed Edward, annuendo solamente, la
seguì senza spiccicare parola. Arrivarono in meno di dieci
minuti all’ultimo piano e, come la prima volta, rimase basito
dal paesaggio. Tuttavia su di esso si soffermò meno: se
ciò che Mustang doveva dirgli fosse stata una cosa positiva,
allora sì, avrebbero perso il tempo a guardare bene lo
spettacolo che ogni giorno quel piano offriva ai visitatori. Riza
riprese la parola: - Entri pure -.
- Okay… - prese un profondo respiro e, un po’
impettito, si diresse verso il muro di vetro. Abbassò la
maniglia bianca ed eccolo, di nuovo dall’altra
parte. Respirò ancora e riprese a camminare dopo
essersi chiuso la porta alle spalle. Qualche minuto ancora e finalmente
- purtroppo, doveva ammettere - si ritrovò di fronte alla
scrivania di Mustang. La poltrona sui cui era seduto, come sempre,
rivolta verso la vetrata che dava sulla strada.
- Presidente? Sono Edward Elric. - non cercò di trattenere
un tono scocciato.
- Un lavoro… passabile, Edward -
commentò, girando la poltrona e arrivando subito al nucleo
del discorso. Lo guardò, con aria sfrontata. Quanto
lo irritava quell’uomo!!
- Un lavoro passabile?! - sbottò - Il mio articolo
non è passabile! E’eccellente! Citazioni,
riferimenti storici! E’ un’analisi breve ma concisa
su un’opera di un autore che mi fa pure schifo!
Ciò dimostra che non solo ha dei gusti letterari pessimi, ma
che non capisce un cavolo! - gli urlò contro, sbattendo la
mano destra, guantata, sul tavolo. Roy guardò Edward e i
suoi movimenti a dir poco divertito. L’insolenza palesemente
mal trattenuta di quel ragazzo lo divertiva enormemente.
-
Trovi? Beh, qui il capo sono io… e non tu. Ergo, ti do tempo
un mese: ti lascerò scrivere un articolo su qualunque cosa
tu voglia. Qualunque, caro Edward… - e gli sorrise, con fare
affascinante. Si alzò e fece il giro della scrivania,
andandogli vicino. Il giovane scrittore rimase perplesso e anche un
po’ imbambolato, mentre lo squadrava. Fasciato in quel
completo blu scuro, Mustang era davvero… sexy. Altre
parole non c’erano.
- Sul serio? E mi darà un mese intero? - no, la cosa non gli
quadrava. Non conosceva bene Roy, ma quell’uomo era troppo
stronzo per fargli un simile favore! C’era sicuramente
qualcosa sotto.
- Certo! Sono un uomo di parola, io! - ancora lo stesso sorriso di
prima.
- Qualcosa mi dice che questa cosa mi verrà a costare
parecchio… - Roy fece un ghigno decisamente poco
rassicurante.
- Apprezzo moltissimo le persone sveglie come te: risparmio tempo e lo
posso utilizzare per cose più costruttive.
– Edward incrociò le braccia, guardandolo tra lo
scocciato, il sospettoso e l’imbarazzato per aver intuito un
leggero doppio senso.
- Arrivi al punto. Non ho tutta la giornata per lei, Presidente! -
sbottò, arrogante. Gli occhi di Roy brillarono di nuovo,
proprio come la prima volta in cui i loro sguardi si erano incrociati:
lo stuzzicava in una maniera incredibile, Edward. Doveva averlo! E
subito, anche!
- Giusto. Non hai tutta la giornata per me. -
usò volutamente un tono ironico, per dargli fastidio. Aveva
capito fin troppo bene la psicologia del ragazzo e, oramai, sapeva
benissimo quali corde toccare per farlo calmare o arrabbiare. Era
sempre di più nelle sue mani. - Voglio che tu
scriva un articolo su qualunque cosa, non m’importa se su i
problemi dei taxi introvabili a New York City o se della fame nel
mondo: andrà bene tutto! Avrai un mese di tempo e nessun
limite di lunghezza. In cambio di ciò, voglio solo una cosa.
Non ti costerà poi molto, anzi, vedrai, potrebbe avere
risvolti piacevoli! – Edward sollevò un
sopracciglio, sempre più in ansia. Dove diavolo
voleva arrivare?
- Insomma! Si sbrighi! - l’impellenza di sapere lo
stava innervosendo più di quanto già non fosse di
suo.
- Dovrai uscire con me stasera. E poi, se vorrai, anche altre
volte… ma l’accordo è per una sera
sola. Ci stai? -.
*****
Non ci poteva credere. Perché diavolo lo aveva fatto? Per
quale arcano motivo la sua mente, la sua anima e il suo corpo avevano
deciso di acconsentire a una proposta di tale indecenza? Insomma, come
cavolo gli era venuto di accettare l’invito - che pareva
più un ricatto - di Mustang? Però il danno era
fatto, ora e, anzi, era anche passato dato che adesso si trovava a
bordo della limousine nera del Presidente. Lo stava riportando a casa.
A Brooklyn. Con una limousine. Lo aveva infastidito incredibilmente lo
sguardo che Roy gli aveva rivolto quando gli aveva il detto quartiere
dove abitava. Evidentemente, quel cretino, credeva che tutto il mondo
si potesse permettere di vivere nell’Upper East Side.
- Vivi da solo? - domandò, improvvisamente, rigirandosi tra
le mani il suo flûte di cristallo. Impossibile non notare
quanto bevesse Mustang. Da solo aveva finito la bottiglia di vino - un
Romanée-Conti dal valore minimo di duemila dollari a
bottiglia - e metà di quella che aveva ordinato dopo.
Fortunatamente aveva pagato Roy, altrimenti Edward, per pagare quella
cena fantastica, avrebbe dovuto fare un mutuo.
- Con mio fratello. - rispose, laconico, riprendendo ad analizzare la
cena appena trascorsa. Pensandoci bene, non avevano litigato nemmeno
una volta, né si erano stuzzicati: avevano discusso
appassionatamente su qualunque cosa e, doveva ammetterlo, aveva
finalmente capito come a soli trentacinque anni fosse diventato uno
degli uomini più potenti e ricchi di New York. Roy Mustang
possedeva un’intelligenza e un’acutezza rara, era
un uomo profondo, seppur a tratti molto superficiale, e una grande -
grandissima - cultura. Ora come ora non ricordava bene, ma suo fratello
Al gli doveva aver detto qualcosa a proposito dei titoli di
Mustang… beh, glielo avrebbe chiesto.
-
Cosa c’è? - Roy poso il flûte sul basso
tavolino incastrato tra un sedile e l’altro. - Il gatto ti ha
mangiato la lingua? - lo stuzzicò. Edward si girò
a guardarlo, o meglio, a fulminarlo.
- No. Ma mi chiedo quando questo accadrà a lei: non sta
zitto un minuto! - sbottò. Rimasero in silenzio per un
po’, poi Roy scoppiò a ridere, scuotendo il capo,
con i capelli che gli ondeggiavano sulla fronte. Si sporse verso Ed,
posando l’avambraccio destro al sedile e avvicinandosi al suo
viso. Lo fissò intensamente negli occhi, con uno sguardo tra
il divertito e l’affascinato.
- Sai… non ho mai conosciuto nessuno come te… -
cominciò. Edward, improvvisamente e senza alcun
motivo di natura scientifica, cominciò a sentir
caldo. Molto caldo.
- E’… è ovvio! - borbottò,
impacciato dalla vicinanza dei loro volti. - Nessuno
è uguale a nessun altro: siamo tutti diversi! -. Roy
sbuffò, sollevando scocciato gli occhi al cielo.
- Non hai capito. Voglio dire che non ho mai conosciuto nessuno che,
come te, mi dà battaglia! Ribatti alle mie provocazioni, hai
gli occhi che ti brillano, hai un fuoco dentro che non è
comune, Edward… - sussurrò. Non era una di quelle
frasi che diceva a tutte le donne che voleva portarsi a letto o a Jean
quando era incavolato con lui, no… era la pura e semplice
verità. Teoricamente già gli stava confessando
ciò che la sua presenza gli provocava. Lo
infuocava. Edward era riuscito a risvegliare il suo animo
addormentato, proprio come, tanto tempo fa, aveva fatto Jean.
Per il giovane fu impossibile trattenersi: arrossì
violentemente, con le guance che diventavano rosse e mettevano ancor
più in evidenza i grandi occhi color miele.
- C-come… ? - il cuore gli batteva forte e
accelerò sempre di più quando si
ritrovò le labbra di Roy sulla sua bocca. La schiuse
istintivamente, lasciando a Mustang la possibilità di
invaderla e approfondire il bacio. Edward si sentì
schiacciare contro lo sportello e il vetro scuro dell’auto
tanta fu la passione in quel singolo bacio. Non immaginava il
resto.
Si staccarono dopo lunghi secondi e solo allora Ed si accorse
di aver chiuso gli occhi. Li riaprì, osservando Roy
sporgersi verso il vetro dell’autista per dirgli qualcosa che
lui non capì molto bene. Era troppo impegnato a cercare di
capire cosa diavolo stesse succedendo e cosa diavolo avesse fatto. Era
stato appena baciato Roy Mustang? L’accanito play-boy? Quello
di una donna diversa ogni notte? Non era assolutamente possibile.
Eppure Roy, appena terminato di parlare con l’autista, si era
riappropriato delle sue labbra. Da quel secondo bacio in poi, Edward
Elric decise di spegnere il cervello, senza rendersi conto di cosa
sarebbe accaduto e delle conseguenze.
*****
La mattina dopo, quando Edward aprì gli occhi,
capì all’istante di non essere a casa sua. Era
steso in un letto a due piazze, in lenzuola morbide - ma
erano di seta?! - e rosse. Ed era nudo, con le parti intime coperte
solo dal piumone caldo. Eppure, anche se col busto scoperto, non aveva
freddo. L’appartamento era riscaldato e c’era un
piacevole tepore dovunque. Si mise seduto di scatto, pentendosene
subito dopo. Una fitta gli attraversò violentemente i reni. Roy
non era stato proprio delicatissimo, ricordò.
Certamente, però, lui non si era lamentato. Anzi. Non la
smetteva più di incitarlo. Arrossì al solo
pensiero di ciò che aveva fatto quella notte. Non era
nemmeno tanto sicuro di essere la stessa persona che si era abbandonata
tra le braccia di quell’uomo! Si guardò in giro,
coi lunghi capelli biondi sciolti sulla schiena. Gli cadde
l’occhio sul cuscino alla sua destra - dove sicuramente aveva
dormito Roy - e c’era sopra un biglietto. Si ristese sul
materasso e lo prese. Era piegato in due parti e appena lo
aprì, notò come fosse bella la calligrafia di
Roy. Elegante, fine… sembrava di vedere un biglietto
stampato. Non una sbavatura o una gambetta fuori posto. Gli piaceva.
Oggi
hai un giorno di permesso. Rimani pure a casa mia e facci
ciò che vuoi – a parte sesso con qualcun altro e
provocare un incendio. Va’ in cucina:
c’è un abbondante colazione che ti aspetta.
Tornerò stasera sul tardi, ma voglio trovarti ancora
lì. Nel frattempo, per occupare il tempo, puoi usufruire
tranquillamente della mia biblioteca e cominciare a scrivere
l’articolo.
A stasera.
Roy.
Sollevò
un sopracciglio, notando come una scrittura così bella e uno
stile di scrittura così cadenzato e musicale fossero stati
rovinati dalle parole del messaggio. A parte sesso con
qualcun altro? Ma per chi lo aveva preso? Per una
sgualdrina?! Certo che era incredibile quell’uomo…
non appena provava a pensare di lui positivamente, eccolo che subito
mostrava il suo lato idiota! Più del settanta per cento di
lui, pensandoci bene. E poi era incredibile come non smettesse di dare
ordini!- Scrivi l’articolo, rimani a casa mia, va’
in cucina, fa’ colazione … - borbottò,
tra sé e sé. Ok, forse non era propriamente un
buon segno il criticare ad alta voce da solo Roy.
Forse stava impazzendo. O forse stava sognando e non era mai stato
assunto!
- Ma che diavolo sto dicendo?! - sbuffò e decise di alzarsi.
Lo fece, un po’ a fatica dati gli indolenzimenti dovuti alla
serata di fuoco, e andò subito a
raccogliere i suoi abiti. Trovò al primo colpo boxer e
camicia. Per i pantaloni, la ricerca fu un po’ più
ardua. Erano finiti in un angolo remoto - estremamente remoto
- dell’enorme stanza. Edward sospirò pesantemente,
mentre era ormai completamente rivestito, rendendosi conto come solo la
camera da letto di Roy fosse duemila volte più grande del
loro mini-appartamento a Brooklyn. Ma, d’altronde, erano
nell’Upper East Side! In uno dei più ricchi
quartieri di New York, che poteva aspettarsi se non una reggia? Uscito
dalla camera da letto, si ritrovò nell’enorme
soggiorno.
- Oh mio Dio… - ieri sera non si era accorto di quanto fosse
enorme: era troppo impegnato. Si guardò in giro,
meravigliato. Quadri firmati da pittori contemporanei di un certo
talento e calibro, sculture varie… non trovò
fotografie. Nemmeno una. Non lo stupì: non gli sembrava un
uomo che perdeva il suo prezioso tempo con dei vecchi ricordi.
Alzò gli occhi al soffitto - altissimo, doveva essere almeno
a quattro metri di distanza - e notò un enorme lucernario in
cristallo. Sembrava tanto uscito dalla Reggia di Versailles. Lo
guardò meglio: lui aveva visitato la Reggia di Versailles
quando era più piccolo e quello sembrava per
davvero un lucernario del ‘600. Guardandolo meglio
ebbe la conferma: era senz’altro una riproduzione perfetta di
uno dei tanti che si trovavano lì! La notizia lo
scioccò non poco, dato che lui, sul suo soffitto, aveva una
lampadina penzolante. Deglutì pesantemente e decise di
uscire dal soggiorno. Provò la prima porta sulla sinistra,
riuscendo ad arrivare alla cucina. Sospirò, affranto.
Sarebbe stato meglio rimanere nel soggiorno. Quella che aveva davanti
sembrava più una sala ricevimenti che una cucina. Un
lunghissimo tavolo - sempre di cristallo. Evidentemente apprezzava le
cose trasparenti, Roy - che poteva contenere almeno venticinque persone
stanziava alla sua destra, sotto un enorme vetrata che dava sulla
strada. Alla sua sinistra, invece, un attrezzatissima cucina, moderna,
a isola. Ed enorme. Troppo. Notò che in un piccolo angolo
del tavolo, c’era un vassoio con su diverse pietanze. Si
avvicinò e rimase scioccato ancora una volta: persino il
vassoio era di vetro! Si accomodò a una delle sedie dai
tratti moderni e curvilinei - gli ricordavano il tema della scrivania
di Maes Hughes -, prendendo una fetta biscottata. Poi il coltello - era
argento, ne era certo! - e ci spalmò sopra del burro. Diede
subito un morso e masticando distrattamente trovò
spiegazioni al fatto che anche il suo ufficio fosse diviso da un muro
di vetro. Chissà perché preferiva così
tanto le cose trasparenti! Addentò ancora un paio di volte
la fetta biscottata, finendola, concentrandosi poi sul resto della
colazione. Spazzolò via tutto in men che non si dica,
trangugiando anche la tazza di caffè - rimasto caldo
chissà come. Era sicuramente più buono di quello
annacquato - sicuramente fatto con tanto amore - che suo fratello
Alphonse gli propinava ogni mattina. Finita la colazione, si
alzò, lasciando tutto così. Giusto per dar
fastidio a Mustang. Si diresse subito alla ricerca della biblioteca,
immaginando già di ritrovarsi al cospetto di un museo dei
libri. Aprì qualche porta, trovando un bagno che ricordava
più delle terme, una stanza con una piscina - la piscina in
casa era sempre stata un suo sogno! - e poi, finalmente, la biblioteca.
Non si stupì più di tanto alla vista delle
centinaia di volumi di tutti i tipi che stanziavano in diverse decine
di scaffali. Silenziosamente cominciò a spulciarli tutti,
leggendo i titoli di ogni libro. Erano tutti in ordine alfabetico per
nome d'autore. Canticchiando un motivetto natalizio che voleva essere
Jingle Bells Rock - tra due settimane sarebbe arrivato Natale
- arrivò allo scaffale “L”.
Passò un dito sui bordi di alcuni volumi, qualcuno
leggermente impolverato, quando l’occhio gli cadde su
un’autrice di cui mai aveva letto qualcosa. Luisa
Ferretti. Prese il libro e passò le dita sulla
copertina, leggendone il titolo: L’infinita ombra
del vero. Il suo cervello ricollegò immediatamente
il titolo a Giovanni Pascoli, che nei suoi Poemi conviviali scriveva:
“Il sogno è l’infinta ombra del
vero”. Improvvisamente i suoi occhi e la sua mente
vennero illuminati da Madama Ispirazione. Sorrise, felice e, libro in
mano, si allontanò dagli scaffali che circondavano la stanza
circolare. Al centro della stanza c’era un grande tavolo
rotondo - in vetro - dove trovò un block notes e delle penne
stilografiche sparse sulla superficie. Strappò un foglio e
afferrò al volo una penna, scribacchiando qualcosa. Poi
aprì il libro e s’immerse nella lettura.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
American
Dream ©
di
Roy Mustung sei uno gnocco
Capitolo 4
Il mese
di tempo che Roy aveva dato a Edward per scrivere il suo articolo era
finalmente scaduto. In tutto questo periodo l’aspirante
scrittore aveva frequentato costantemente Mustang, rendendosi che,
dopotutto, non era poi così male. Certo, era estremamente
irritante e spesso… strano. Doveva
ammetterlo Ed, Roy aveva un carattere molto molto particolare. Non
riusciva ancora a capirlo e diverse volte preferiva lasciarlo solo in
qualche angolo della sua casa enorme. Capitava, tuttavia, che si
mettesse poco distante da lui, a osservarlo mentre era perso nei suoi
pensieri, cercando in tutti i modi di provare a capire qualcosa di
ciò che gli passasse per il cervello. Pensandoci bene,
nemmeno Edward era poi così tanto senza pensieri. In questo
mese aveva preferito non pensare a ciò che stava succedendo,
a ciò che si stava creando fra di loro. Era amore o era solo
sesso? Tra di loro c’era un po’ d’affetto
o solo una sfrenata passione? Ogni volta che Edward provava a fargli
qualche domanda, finivano sempre col rotolarsi fra le lenzuola. Non che
al biondo dispiacesse, anzi! Ma dovevano mettere le cose in chiaro.
Specie perché lui, a Mustang, si stava per davvero
affezionando. Di ciò si era accorto già da un bel
po’: aspettarlo la sera diventava sempre più
snervante e impossibile da sopportare, discutere con lui su qualunque
cosa, invece, era diventato un bisogno naturale. Così come
bisticciarci. Mustang stava diventando sempre più
importante, per lui.
D’altro
canto, Roy non si stava rendendo conto di dove stesse arrivando. Aveva
bisogno di parlare con qualcuno, di chiedere consiglio. E chi meglio
del suo fotografo preferito?
Era a
casa sua, quella sera. Tra un’ora sarebbe tornato a casa e ci
avrebbe trovato Edward. E lì il suo cervello si sarebbe
staccato di nuovo smettendo per l'ennesima volta di dare segni vitali
e, soprattutto, d'intelligenza.
- Cosa
dovrei fare, Jean? - appoggiò la testa al suo petto, seduto
sul tappeto morbido del soggiorno della casa. Era arrivato a casa sua
poco meno di quaranta minuti fa e appena entrato gli era saltato
addosso. Fare l’amore col suo fotografo migliore era sempre
rilassante…
Jean
passò una mano tra i capelli corvini di Roy,
scompigliandoli, scendendo lentamente sul suo collo, sul suo petto e
sugli addominali.
- Se
quel ragazzo t’interessa non vedo perché tu non ci
debba stare insieme. Cerca di pensare alla tua felicità, no?
- appoggiò le labbra sul suo collo, lasciandogli qualche
bacio umido. Roy sospirò, lasciandolo fare.
- Mi
sento confuso. Credo di aver fatto un casino troppo grosso. Edward si
è affezionato a me, me ne sono accorto. Ma io per lui non
provo niente se non attrazione fisica. Eppure, se fosse un altro, non
ci penserei due volte a lasciarlo in tronco, capisci? Mi sento
così dannatamente confuso. - Jean non trattenne un sorriso e
gli lasciò un affettuoso bacio sulla tempia. Roy intanto
continuava. - L’ho fatto entrare troppo nella mia vita... -
-
Passami le sigarette, per favore… - domandò
improvvisamente e Roy, seppur mal volentieri, le
cercò con gli occhi, senza trovarle. - Sono lì,
vicino alla poltrona -.
Il moro si sollevò e a quattro zampe allungò un
braccio, afferrando il pacchetto. Jean improvvisamente
ridacchiò e quando si ritrovò di nuovo Roy, nudo,
tra le braccia, le sue risate aumentarono.
- Ma si
può sapere perché cavolo ridi?! -
sbottò Mustang, tirando fuori una sigaretta e mettendogliela
fra le labbra per farlo smettere di ridere. Prese poi
l’accendino e gliel’accese. Jean non
staccò mai gli occhi da quelli di Roy, tirando la prima
boccata di fumo.
- Ridevo
perché il tuo sedere mi mancherà da morire se ti
metti con Edward… - il moro sbuffò, sorridendo e
scuotendo il capo.
-
Mettiamo le cose in chiaro: se mai mi metterò insieme a
qualcuno, quello sarai tu! - Jean sorrise, facendo spallucce e
continuando a fumare.
- E se
io non volessi? - insinuò, inconsciamente con uno sguardo
dolce.
- Non ho
dimenticato ciò che mi hai detto l’anno scorso,
Jean. - ribatté, appoggiando la guancia al suo petto. Il
biondo riprese ad accarezzargli i capelli.
- Mi
chiedo se tu sia ancora capace di innamorarti. Dopo quello che
è successo a Michelle non sei più lo stesso
e… -
-
Michelle non c'entra! - sbottò, innervosito.
-
Roy… perdere tua sorella è stata una cosa
spaventosa. E’ successo cinque anni fa, è vero, ma
da quel giorno sei cambiato tantissimo. Sono dieci anni che ti conosco,
dieci! So come sei fatto, so qual è il tuo film preferito,
il tuo piatto preferito, il tuo colore preferito, come preferisci il
riso o la pasta, so che ogni Sabato sera, per tradizione, devi andare
al ristorante giapponese… - Roy si mise seduto, staccandosi
da lui. Jean lo afferrò di nuovo, stringendolo a
sé. Roy provò a divincolarsi, ma lo aveva
imparato negli anni: Jean era più forte di lui. Il biondo
gli bloccò i polsi e se lo strinse forte addosso. - So
quanti e quali biscotti mangi la mattina, come preferisci il
caffè e… ahia! Smettila di picchiarmi e stai un
po’ fermo! - Roy gli aveva tirato una forte gomitata
nell’addome. Anche se Jean era più forte di lui,
non significava che il moro non sapesse far male.
- E tu
smettila di provare a smuovermi i sentimenti, idiota! -.
-
Perché dovrei smetterla?! Non ti sei mai chiesto
perché sono ancora al tuo fianco dopo tutto questo tempo?!
Eppure l’anno scorso te l’ho detto! - Roy
ammutolì, guardandolo però stizzito. -
Roy… io ti amo. E ti voglio felice come lo eri cinque anni
fa prima di quello schifoso incidente. Se starai con me o con Edward o
con Riza o con chiunque altro a me non interessa. Ti voglio solo
felice, Roy. - il moro si alzò, andando a cercare i propri
abiti. Jean scosse il capo, rendendosi conto solo ora che la sigaretta
era quasi del tutto bruciata e che stava per cadere la cenere.
Allungò il braccio verso il bracciolo destro del
divano a cui dava le spalle, lasciandola cadere lì.
Tirò un’altra boccata.
- Non
è andandotene che aggiusti la tua vita, Roy… -
Mustang smise di allacciarsi i pantaloni e lo guardò, serio
in volto.
- E
dichiarandomi si aggiusterà? - ribatté,
leggermente acido.
- Se ti
serve a far chiarezza, sì. - un’ultima boccata di
fumo prima di spegnere nel posacenere la sigaretta e lasciarne
lì i resti; poi Jean si alzò, andandogli vicino.
Gli cinse la vita con le braccia, dandogli un bacio al sapore di
tabacco. Roy si staccò, schifato.
- Lo sai
che dopo aver fumato non devi baciarmi: mi fa schifo! - Jean
sollevò gli occhi al cielo.
-
Scusa… - borbottò, ma poi, divertito,
tornò a baciarlo. Roy mugolò piuttosto
contrariato, ma stavolta lo lasciò fare, accarezzandogli la
schiena e facendo scendere lentamente le mani sulle sue natiche. Il
moro cominciò a spingerlo di nuovo a terra, mettendosi a
cavalcioni su di lui e baciandolo appassionatamente.
-
Jean… - Roy nascose il viso nel suo collo, sentendosi subito
abbracciare forte. - sei il mio amante preferito… -
mormorò, carezzandogli un fianco.
-
E’ una dichiarazione d’amore? - insinuò,
con tono scherzoso.
- No. -
una risposta tanto lapidaria quanto falsa che fece scoppiare a ridere
Jean. Mai avrebbe smesso di adorare i cambiamenti d’umore di
Roy. Prima s'addolciva come melassa e poi tornava a fare il duro.
- Me la
farai un giorno? Con tanto di poesia? - domandò, ironico ma
palesemente contento.
- Faccio
ancora in tempo ad andarmene, sai? Non approfittarne! - lo
minacciò. Jean ribaltò le posizioni.
- Va
bene, la smetto. Però è un po’ che non
mi fai leggere qualcosa di tuo… - Roy fece per ribattere,
poi si fermò, come colto da una folgorazione.
-
Edward… - Jean sollevò un sopracciglio.
- Cosa
c’entra Edward? - chiese, non riuscendo a trattenere la
gelosia. Non era mai stato possessivo nei confronti di Roy, mai geloso
di tutte le persone che insieme a lui erano passate fra le sue braccia.
Ma qualche volta, molto raramente, non riusciva proprio a non
desiderare di averlo solo per sé. Per non parlare di
ora che erano "quasi fidanzati". Ma quanti
anni aveva aspettato prima di riuscire a raggiungere questo momento?
Per cui era più che lecita la sua gelosia.
- Edward
ha tantissimo talento. Anche quel primo articolo scritto in fretta e
furia è stato un grande lavoro. E lui vuole fare lo
scrittore. - si mise seduto sul tappeto, guardando negli occhi azzuri
di Jean.
- E
scrivigli una lettera di raccomandazione, no? - suggerì.
-
Sì, lo farò. Stasera stessa! Ma... devo... devo
prima mettere in chiaro le cose con lui... -
-
Stasera stessa, ovviamente. - terminò per lui. Roy lo
guardò, con gli occhi vagamente dispiaciuti.
- Dai,
domani è Sabato, andiamo al giapponese e poi stiamo insieme
tutta la notte. Ci stai? - sorrise e Jean capitolò,
sospirando e poi sbuffando. Dieci anni e ancora non riusciva a
resistere a quel sorriso.
- Va bene, hai vinto tu. Se ti sbrighi, naturalmente, io ti aspetto
sveglio. Anche fino a tardi. - Roy spostò Jean e si
alzò subito, andando a mettersi la camicia in fretta. Poi
infilò giacca e scarpe, afferrando il pesante pastrano nero.
Lo indossò e tornò dal fotografo. Si
piegò e gli lasciò un bacio languido sulle labbra.
- Ora vado... - si rimise in posizione eretta, diringendosi svelto
verso la porta.
- Roy! - lo chiamò un'ultima volta. Il moro si
girò e tornò indietro.
- Che c'è? - non attese la risposta, notando che al collo
Jean teneva la sua cravatta blu. Sorrise. - Tienila tu. Un motivo in
più per tornare da te, no? - e uscì dal grande
appartamento.
*****
Aprì la porta del suo
attico nell'Upper East Side con un po' di ansia. La cosa era piuttosto
strana dato che lui era Roy Mustang, che a quel ragazzino non doveva
proprio dimostrare nulla e che quella era casa sua e avrebbe potuto
cacciarlo quando più gli andava. Ma quella giornata non era
stata affatto nella norma e ora doveva dare un taglio a tutto quel
casino che aveva combinato con Edward. Vero, però, che non
poteva mostrargli il lato affettuoso che usciva sempre fuori con Jean,
ma doveva mantenere le distanze come aveva costantemente fatto da
quando si erano conosciuti.
- Edward?! - lo chiamò e nemmeno cinque secondi dopo vide
apparire un tornado biondo con in manco dei fogli.
- Roy! Ho finito l'articolo! - sorrise, trattenendosi dal saltare di
fronte a lui, felice di vederlo ed euforico per aver terminato il
lavoro che, ne era certo, era il migliore che mai avesse svolto.
- Oh... bene. Perfetto. Domani lo portiamo in stampa. - glielo prese
dalle mani e lo poggiò su un tavolino di vetro lì
vicino.
- Ehm... Roy... non lo leggi? - sollevò le sopracciglia
dorate. - Insomma, ci ho messo un mese per far la recensione a quel
libro! E voglio un parere subito! - Roy ammutolì, girandosi
a guardarlo. Per qualche minuto rimase in silenzio, cercando di
riordinare il caos che aveva nel cervello. Era più forte di
lui: a quel moccioso si era affezionato. Ma lui aveva occhi solo per un
biondo sulla faccia della Terra. La cosa più assurda
è che, Roy, ne era sempre stato a conoscenza. Sempre. Non
voleva ammetterlo a se stesso, ma ogni volta che aveva bisogno d'aiuto,
conforto o semplicemente di un pizzico di felicità... Jean
era la risposta.
- Ti ho illuso, Edward. - esordì, spezzando il silenzio e
facendo sgranare i grandi occhi dorati al giovane scrittore.
- C-come... ? - non capiva, Edward. Non capiva a cosa si stesse
riferendo. Al lavoro? Era solo una scusa per portarlo a letto? O... a
loro due?
- Io per te non provo niente. Sei stato il mio ennesimo giocattolo.
Però... - Edward strinse i pugni, voltando il viso, con la
rabbia che già gli montava dentro. Doveva
immaginarlo! Come aveva fatto a fidarsi di quello stronzo?!
- Però cosa?! Sono stato il
più divertente?! - esclamò, ritornando a
guardarlo, con gli occhi dorati illuminati dalla rabbia.
Roy sospirò pesantemente: non lo stupiva la reazione di
Edward.
- Non proprio, Edward. Tu... tu mi hai colpito appena ti ho visto per
la prima volta. E io ti volevo... ti desideravo... - camminò
lentamente verso una vetrata lì vicino. Ed lo
seguì con gli occhi, tremando come un foglia. - E
ciò che voglio io me lo prendo sempre. Però, come
ti dicevo prima, tu non solo mi hai colpito già dalla prima
volta in cui i nostri occhi si sono incontrati, ma mi sei entrato
dentro… nell’anima. A te io ci tengo. Non so
perché proprio tu e perché non un altro. So che
tu sei speciale. - si mise di profilo, guardandolo un po’
dispiaciuto.
- Che significano queste parole? - chiese, confuso.
- Significano che io ti voglio… bene. Lo stesso bene che
potrei provare per… un fratellino piccolo o un figlio.
Edward io non so spiegarti bene cosa provo per te, ma non è
amore. Ho sbagliato a usarti. Ho sbagliato a illuderti,
soprattutto. Ti ho usato per non pensare ai miei problemi,
per evitare gli scheletri del mio passato. Ti chiedo scusa per questo.
Mi dispiace. Ma non me ne pento più di tanto. Grazie a te,
ho capito molte cose. Ho capito dove erravo e cosa mancava nella mia
vita. E ho capito, anche, cos’è l’amore.
Un tempo ero anche io come te: pieno di talento, capacità,
sogni… e io, a differenza tua, non ho incontrato un capo
stronzo sulla mia strana che mi ha sfruttato. Ho incontrato il destino
che mi ha steso, che mi ha diventare il tuo capo e soprattutto stronzo.
Ti starai chiedendo perché ti sto facendo questo lunghissimo
monologo e a dirla tutta neppure io so bene il motivo. Però
tu non meritavi di essere trattato come ho fatto io. Scusami, Edward.
Ti prego di perdonarmi un giorno, se potrai… -. Edward
rimase in silenzio e di colpo la rabbia sparì, lasciando il
posto solo a un grande dispiacere e a un grande senso di vuoto.
- Devo andare… - mormorò. Non voleva
più parlare di e con Roy. Aveva sbagliato anche lui a dargli
corda e lasciarsi illudere da Roy e dalle sue parole.
- Edward, no, aspetta, io… ! - non fece in tempo a dire
nulla che il biondino era già fuggito fuori dalla porta
senza la giacca. Il moro sospirò. Seguirlo non era
sicuramente un’ottima idea, per cui lasciò perdere
e si diresse verso il salotto. Prima che potesse varcare la soglia che
portava al grande soggiorno, si ricordò improvvisamente
dell’articolo. Ritornò sui suoi passi, prendendo
al volo i fogli spillati dove c’era stampata
l’opera di Ed. Cominciando a leggere si diresse in salotto e
si sedette sul divano, divorando letteralmente ogni parola
dell’articolo. Quando finì, alzò gli
occhi e fissò senza parole il vuoto.
*****
Tre giorni dopo, tutta
l’America sapeva chi fosse Edward Elric. Sapeva quanto grande
fosse il suo talento. Sapeva finalmente che di un semplice articolo ci
si poteva innamorare. Sapeva anche che ora c’era un libro in
più da leggere. Sapeva anche che una frase come quella che
Edward Elric aveva scritto, riguardava un po’ tutti noi. Chi
più, chi meno. Sapeva che “Il più solido
piacere di questa vita, è il piacere vano delle
illusioni”.
Note finali:
Semplicemente grazie. Grazie a tutti quelli che hanno
commentato questa storia, a quelli che l'hanno soltanto letta e, spero,
apprezzata, a quelli che l'hanno messa tra le "seguite" e a quelli che
l'hanno messa anche tra i preferiti, a quelli che, in futuro, forse, la
leggeranno. Grazie di cuore!
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