The Best Day

di crazyfred
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come back home ***
Capitolo 2: *** Io odio il jet lag ***
Capitolo 3: *** Ti ripresento i miei ***
Capitolo 4: *** Two Shopaholics and a pregnant friend ***
Capitolo 5: *** My beloved' lament ***
Capitolo 6: *** Qualcuno scrisse... ***
Capitolo 7: *** Rivedere le proprie idee ***
Capitolo 8: *** Mantenere la calma ***
Capitolo 9: *** The captain of my heart ***
Capitolo 10: *** Due biglietti di sola andata ***
Capitolo 11: *** Birthday of truth ***
Capitolo 12: *** How will you remind me? ***
Capitolo 13: *** Getaway ***
Capitolo 14: *** Lettera dal cuore ***
Capitolo 15: *** The Garden of England ***
Capitolo 16: *** Quel TI AMO maledetto ***
Capitolo 17: *** Attese ***
Capitolo 18: *** Beyond the ocean beach ***
Capitolo 19: *** Clair de lune ***
Capitolo 20: *** Pensieri a lancette ferme ***
Capitolo 21: *** Ragione e Sentimento ***
Capitolo 22: *** Un ponte tra il vecchio e il nuovo mondo ***
Capitolo 23: *** Family Portrait ***
Capitolo 24: *** Total Eclipse of the Heart ***
Capitolo 25: *** I love party for the baby ***
Capitolo 26: *** Alfa & Omega ***
Capitolo 27: *** Monkeys and little rabbits ***
Capitolo 28: *** What's in a name? ***
Capitolo 29: *** Confusione ***
Capitolo 30: *** When we're apart ***
Capitolo 31: *** Epilogo ***
Capitolo 32: *** Extra 1 ***



Capitolo 1
*** Come back home ***


the best day-capitolo 1 Eccomi a voi!!!!!!!!! sono tornata. dopo una piccola pausa...ma sono tornata!
Questa nuova fan fiction è il seguito di Canto di Natale, e si colloca qualche mese dopo la fine della precedente. non dovrebbe essere difficile leggerla senza aver letto la prima, ma se avete qualche dubbio, leggere l'altra non fa male, oppure basta chiedere a me. Il titolo, The Best day, mi è venuto in mente ascoltando la canzone di Taylor Swift, dedicata alla sua famiglia; nel corso della storia capirete per quale motivo ho scelto questo nome. Comunque, bando alle ciance e andiamo subito alla lettura di questo capitoletto iniziale.
Non c'è bisogno di dirvi che aspetto con ansia le vostre recensioni!
Enjoy it!






 


Capitolo 1
COME BACK HOME - P.O.V. Kristen


Eravamo da poco atterrati a LAX, ed ero stanca morta; come non esserlo dopo 12 ore di viaggio interminabili, con solo un’ora di tregua a New York dove, scesi dall’aereo proveniente da Londra, dovemmo aspettare la coincidenza per Los Angeles. In quell’ora ne approfittai per mettere qualcosa nello stomaco: il mangiare in volo avrebbe significato per me, nel mio stato, passare il viaggio attaccata al water a vomitare, sensibile com’ero ad ogni minimo movimento del velivolo. A dir la verità, non avevo il coraggio di  toccare cibo nemmeno a terra, ma Rob insistette così fortemente, che non potei fare altrimenti: pensai che, in fondo, una volta a bordo, la digestione sarebbe stata già a buon punto, e sarei stata bene, se mi fossi mantenuta leggera; e poi, a dir la verità, avevo una fame …

Arrivati, dicevo, prendemmo un taxi e ci fiondammo a casa; voleva venire mio padre a prenderci, ma in questo modo avremmo dato di più nell’occhio, ed era l’ultima cosa che volevo, dopo che nelle ultime settimane, i giornali non facevano altro che pubblicare foto paparazzate del matrimonio e della luna di miele … mio Dio, non posso ancora crederci, io ho sposato davvero Rob, e aspetto un figlio suo … sfacciatamente fortunata!!! ... nei miei pensieri queste parole ricorrevano spesso in quel periodo. 

La casa, quella dove abitavo da “nubile”, era come l’avevo lasciata prima di partire per Londra, oramai 4 mesi fa: decisamente troppo lunga ed inaspettata era stata la mia assenza, mai avrei detto che il mio soggiorno a Londra si sarebbe prolungato in tal maniera, e che al mio rientro negli States, le cose sarebbero state così diverse. 
A parte la piccola tappa di lavoro a gennaio per il Sundance Festival, avevo ormai stabilito la mia residenza in quell’angolo di paradiso chiamato Barnes, alla periferia sud di Londra, dove non trovi un fotografo neanche a chiamarlo apposta. Il mio trasferimento si era reso necessario perché, a causa dei miei ormoni ballerini, mi ero trasformata in un mostro di romanticherie, ed avevo insistito a sposarmi nella tranquilla campagna inglese, nello Yorkshire tanto caro alla nonna di Robert, dove lei e nonno Ed si erano sposati mezzo secolo prima. Nel frattempo Rob stava girando il Bel Amì a Londra e sinceramente non ce la facevo proprio a stargli lontana. Mamma aveva fatto mettere in ordine per il nostro arrivo, però, nonostante fosse tutto come me lo ricordavo, e niente fosse fuori posto, non riconoscevo quella casa come mia: era come se fosse appartenuta ad un parente, conoscendola come le tue tasche, ma non oseresti mai metterti a frugare nei cassetti.

Ultimamente i miei occhi dovevano essere proprio, come dice il proverbio, lo specchio dell’anima, perché Rob … come lo amo … mi rispose, capendo il mio stato d’animo: “Non ti preoccupare amore, tra poco sarà tutto come prima, vedrai, devi solo riprendere un po’ confidenza con i tuoi spazi”.

“Mah sì” gli risposi “tanto per cominciare, mi riapproprierò della vasca, con un bel bagno”
“Brava” si complimentò  standomi alle spalle, abbracciandomi alla vita, accarezzando il mio pancino, che giorno dopo giorno, incominciava a farsi notare, e baciandomi i capelli …
 allora lo sa che mi fa morire quando fa così!!!

“E poi riprenderò possesso del letto … ho proprio bisogno di una bella dorm
ita!” mentre parlavo mi venne naturale uno sbadiglio.

All’improvviso mi sentii sollevare da terra, ovviamente era stato Rob, che mi stava portando al piano superiore, verso la stanza da letto.
“Ma che fai?” chiesi sorpresa, anche se tutte queste sue attenzioni non potevano che farmi piacere.
“Beh sai, avevo paura che ti addormentassi per le scale” gli stampai un bacio sulla guancia, arpionata al suo collo … che profilo che ha, dopo tutto questo tempo ancora mi lascia senza fiato, penso però che non mi abituerò mai … in camera mi fece scendere, continuò:  “e fammi una cortesia, preferirei che facessi una doccia, anziché il bagno, per lo stesso motivo per cui ti ho portato in braccio fin qui” disse dandomi un bacio, dolce e sensuale questa volta … come se i suoi baci non fossero tutti dolci e sensuali … ma fammi il piacere Kris!!!

ANGOLO DELL'AUTRICE

come avrete certamente capito Rob e Kris sono oramai sposati, siamo più o meno ad aprile di questo stesso anno. Ho saltato le parti del matrimonio, ma questo non significa che più in là io non possa fare dei flash back, anzi, ne ho uno già pronto che non vedo l'ora di proporvi...però ogni cosa a suo tempo

per questa nuova ff ho deciso di fare i capitoli più brevi, per quanto mi sarà possibile ed evitare di annoiarvi inutilmente

come avrete certamente capito, le parti in corsivo sono quelle in cui viene fuori il pensiero del narratore; in quetso caso Kris, ma potrebbe essere anche Rob, o qualcun altro in futuro...


Alla prossima!

 



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Capitolo 2
*** Io odio il jet lag ***


The best day - capitolo 2

eccomi qui, malata, al letto, che vi posto il nuovo capitolo della mia storia. vi ringrazio enormemente per i commenti, già numerosissimi! Mi raccomando, fateli crescere di capitolo in capitolo. Vi aspetto, alla fine del capitolo, per l'angolo dell'autrice


Capitolo 2

IO ODIO IL JET LAG - P.O.V. Kristen

Non so bene quanto ho dormito, perché mi risvegliai con la luce che illuminava la stanza e mi batteva sulla schiena, molto insistente … di conseguenza sarà mattina inoltrata. Era estremamente caldo in California, nonostante fossimo solo agli inizi di aprile, perciò mi scoprii dal lenzuolo, che di sicuro è stato il mio maritino premuroso a mettermi addosso. Lo cercai con la mano nel letto, ancora con gli occhi chiusi, per evitare che il sole forte mi accecasse, ma non lo trovai... Figurati, chissà quanto ho dormito? ... Percorsi con lo sguardo l’ambiente e notai che non c’era traccia di valigie, eppure Rob la sera prima le aveva salite in camera per cambiarci, evidentemente doveva averle disfatte lui … lo sposerei, se non lo avessi già fatto!!! ... Mi decisi finalmente ad alzarmi, convinta che se non lo avessi fatto mi sarei ritrovata con le piaghe da decubito al sedere, indossando la camicia a quadri che Rob aveva lasciato sulla poltroncina ... non c'è niente di meglio del suo profumo al mattino .... e mi diressi il cucina per fare colazione … o pranzo?tutto dipende dall’ora! … Sulle scale un forte odore di bacon mi convogliava, come uno zombie, verso la cucina ... mi rimangio tutto quello che ho appena detto sui profumi ... questo è molto meglio ... al mattino ... era troppo per i miei poveri sensi, e per il mio povero stomaco ... Dio che fame! ... : erano un bel po’ di ore che non gli arrivava niente. 

Non potevo credere a ciò che vidi entrando in cucina: Rob, ai fornelli!!!!! .

“Buongiorno panciona dormigliona!!!!!!” 
“Prima cosa, non sono ancora panciona …” puntualizzai: se non mettevo le cose in chiaro da subito, avrei rischiato di essere chiamata balenottera nell’ultimo mese di gravidanza “… e secondo, buongiorno a te!” mi avvicinai a lui, prendendo una fetta di pane tostato dal vassoio che era sul piano di cottura … che tenero, mi stava portando la colazione, o il pranzo, in camera … e gli diedi un bacio a stampo: sembrò gradire. 
“Allora buongiorno pancina!” ricambiò il mio bacio con uno del suo repertorio, di quelli che mi mandavano ... ti ci mandano ancora, Kris ... in orbita. “Volevo farti una sorpresa, ma evidentemente l’odore deve aver stimolato il tuo corpo a svegliarsi in automatico” disse con il suo bel sorriso stampato sulle labbra: era la sua versione del sorriso sghembo ed io, come il mio alter-ego cinematografico, Bella Swan, andavo letteralmente in iperventilazione!!!! 
“Oh amore: ma perché ti amo così tanto? No, spiegamelo … sai che non dovevi!!!” 
“Stupida e presuntuosa!!!” lo guardai interdetta, da ebete, ne sono convinta “mica lo facevo per te" ...eh?... "Sono due giorni che non fai mangiare MIO FIGLIO in maniera decente”. 
Gli tirai un buffetto sulla nuca e andai a sedermi, ma nessuno dei due riuscì a trattenersi dal ridere. Lui allora si affrettò ad apparecchiare in tavola, visto che il suo piano, per colpa mia, era evidentemente saltato. 
“Toglimi una curiosità?" gli chiesi "Esattamente, cos’è che sto per mangiare? Colazione o pranzo?” non avevo ancora idea di che ora fosse ...che genio di donna, vent'anni e non ti viene nemmeno in mente che potresti anche controllare sull'orologio ... oltretutto in cucina c’era così tanta roba da mangiare, così diversa, che non riuscivo a distinguere proprio … ma
quando ha avuto il tempo di comprare tutte quelle cose da mangiare?

“Allora” esordì il mio casalingo disperato “adesso sono le 11:30, pensavo che per il pranzo fosse troppo presto, e per la colazione invece troppo tardi” 
“E quindi?” il sonno mi aveva completamente neutralizzata, non ero neanche in grado di fare due più due quella mattina ... decisamente ... io odio il jet lag … 
“E quindi oggi faremo un brunch … metà breakfast, metà lunch. Che te ne pare?” Gli ormoni della gravidanza mi ricordarono di essere in circolo nel corpo, facendo uscire le lacrime quando nessuno le aveva interpellate. Come una stupida sentimentale fui capace solo di dire “Oh amore!!!!!!” e lo abbracciai forte, tirandolo a me; sentii all’improvviso qualcosa muoversi dentro di me, o meglio qualcuno … oh,
buongiorno piccolino, ben svegliato!!!

 

L'ANGOLO DELL'AUTRICE

Piccola premessa: ho ultimato la lettura di Breaking Dawn, e mi sono innamorata dei titoli dei capitoli del secondo libro, quello a P.O.V. Jake. Ora, io non pretendo assolutamente di poter imitare la Meyer, perché non sono degna nemmeno di sfogliare una pagina dei suoi libri, ma mi è sembrato carino di dare dei titoli spiritosi ai capitoli più allegri. Non credo ci sia bisogno di spiegare granché di quetso capitolo, ma se avete qualche domanda, come al solito, non esitate a chiedere, perché l'angolo delle recensioni non è dedicato solo ai complimenti. se avete anche qualcosa da ridire in negativo, mi fa piacere, ma ormai sapete anche quello, ricevere dei commenti negativi, che sono sempre costruttivi. 

Ringrazio chi ha commentato la mio primo capitolo e chi mi ha dato la sua fiducia inserendolo tra i preferiti e tra i seguiti. à la prochaine fois!!!(alla prossima volta...ihihih!!!)

@ladylang : li scriverei anche capitoli più lunghi, però ho capito che il colpo di scena rende di più e che siccome non so controllarmi poi diventerebbero troppo, troppo lunghi...cmq cercherò senz'altro di trovare un giusto equilibrio...se saprete consigliarmi! ;-)
@enris : una promessa è una promessa, avevo detto che avrei continuato e così è stato...questa sarà moooolto lunga, non mi sono data scandenze, quindi vi accompagnera per un bel po' di tempo...tieniti pronta!
@Anto_Pattz : ti ringrazio, sono contenta del tuo entusiasmo, ci vorrà ancora un po' per soddisfare la tua voglia dei flashback, ma arriveranno,,,don't worry! uno è già pronto sul mio pc, l'altro è nella mia mente, devo solo scriverlo...il che è una bella impresa
@Fiorels : tesò, ricevere un complimento da un'autrice come te mi lusinga e non poco, sai quanto mi piace la tua ff...mi sto impegnando tanto per migliorare, spero questa ff non sia pesante come la precedente

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Capitolo 3
*** Ti ripresento i miei ***


The best day - capitolo 4 Salve a tutti!!!! Che bello sapere che il capitolo precedente non è andato così male come invece mi aspettavo! Allora bando alle ciance e vi presento il nuovo capitolo, finalmente un po' d'azione in più. Ci vediamo come al solito a fine capitolo, per le risposte ai vostri commenti.  Buona lettura!!!








 Capitolo 4
TI RIPRESENTO I MIEI - P.O.V. Kristen


La sera era arrivata in fretta … come al solito le cose belle finiscono troppo presto … ed io e Rob eravamo indaffarati a prepararci: lui sempre pronto prima di me, eppure impeccabile … ma come fa? … semplice pantalone nero e camicia bianca … gli salterei addosso seduta stante, se non avessimo altro da fare … o se mia madre non fosse una maniaca della puntualità … io cercai di  adeguarmi a lui, per quanto possibile: minigonna nera a balze, maglioncino a tono e una camicetta bianca … oddio la pancia è scomparsa! … ma non posso far morire i miei che non mi vedono da oltre un mese con questa pancia stratosferica che mi ritrovo ora! … dai, qualcosa sempre rimane …  eccola sì … c’è ancora! … effettivamente il mio abbigliamento quella sera era molto da collegiale, ma carino e quando scesi le scale Rob rimase estasiato, glielo leggevo distintamente negli occhi … non ti pietrifichi come davanti a Medusa, vero? … avevo poi aggiunto un tocco di classe con la parure di perle di Chanel, direttamente da Parigi, regalo di Rob quando siamo andati lì per la presentazione di New Moon … è troppo dolce, come il mio amore …

Arrivati a casa dei miei l’accoglienza fu calorosa, come sempre, mi aspettavo il nostro ritrovarci esattamente così. Abbracci, baci, pacche sulle spalle … mia madre in devota adorazione di mio marito … bentornata a casa Kris!!! Anche Rob sembrava essersi disteso, anche se rimaneva un po’ impacciato. 
“Oh, ecco la nostra futura mammina!!! Tesoro sei splendida stasera!!!”
… uno, due, tre … LIBERA! … mia madre l’avevamo proprio persa. 
Mio padre, più distaccato, mi disse: “Già, sei molto carina!” un attimo di pausa “state molto bene come coppia, sembrate due divi di Hollywood” …
ma che perspicacia! …
“Oh piccola mia, allora come va? Devi raccontarmi tutto, ma proprio tutto, come mi sei mancata …” 
“Anche tu mamma!!!” ci abbracciammo. Fu un abbraccio caldo, pieno d’amore, fra due madri. “Però devo tirarti le orecchie … a questo dovresti avere un bel pancino, e lo nascondi? Cos’è sta storia?”
“Cosa ti ho detto prima di uscire?” mi rimproverò Rob
; ci teneva a stare dalla parte di sua suocera. 
Intervenne mio padre: “Meglio così, stai molto meglio così”. Potrei giurare di aver letto sulle sue labbra qualcosa del tipo
occhio non vede, cuore non duole, bah! … chi lo capisce, mio padre, è proprio bravo.

Mia madre ci fece accomodare in salotto, dove prendemmo gli aperitivi, io ovviamente analcolico; mio fratello Cam - Tay e Dana erano fuori con gli amici - si buttò sul divano, lui e mio padre stavano vedendo una partita di basket.  
“Caspita! Ma il campionato è già al girone di ritorno?” chiesi, così, tanto per fare conversazione con loro, dopo essere stata inondata di pettegolezzi dalla mamma su tutte le sue amiche.
“Cosa? Dici sul serio Kris o stai scherzando, mi auguro la seconda sorellina!” Cam mi guardava come se stessi bestemmiando. Frecciatina di mio padre: “Cam, cosa pretendi, chi va ad Ascot non può seguire del volgare basket!”. Rimasi sbalordita: nelle sue parole non c’era ironia, ma puro disprezzo, ma la cosa più brutta fu che mentre le pronunciava fissava me, ma soprattutto Rob con uno sguardo strano, non piacevole. LUI, intanto, mi teneva per mano. Oltre che nella mano di mio marito, cercai rifugio in mia madre.
“Ma’, che gli prende?” le chiesi, opportunamente sottovoce. 
“Niente, non gli è passata ancora per quella storia del matrimonio …” non potevo credere che ancora ce l'aveva con me perché l'avevo obbligato ad indossare il tight, come del resto tutti gli invitanti, com'è di tradizione nell'Inghilterra più in. Era il mio matrimonio, si sarebbe fatto tutto a mio piacimeto e tutti i suoi capricci da bambino di cinque anni non riuscirono ad impietosirmi.
… se avessi saputo, avrei fatto le cose in modo diverso …  ma la mia vita ormai è lì, che ci devo fare … Londra ti lega … Rob aveva ragione … come sempre … 
“Certe cose non se le può tenere per sé, ma’?” 
Mia madre fece spallucce e allora cercai di cambiare argomento mostrando loro le foto del matrimonio e del viaggio di nozze …
sai che cambiamento, Kris …
Tutto sommato si poteva anche passare sopra ad alcuni commenti di mio padre, o di mio fratello: loro tanto convenzionali non lo erano mai stati … non lo eri neanche tu … e a loro dire, quel giorno li avevo trasformati in pinguini … ora capisci perché per 20 lunghissimi anni hai avuto difficoltà a vestirmi decentemente?! …
“E qui Kris? Dove siete? Non credevo il kilt fosse anche usanza delle Bahamas?!?” Cam aveva scelto proprio la serata sbagliata per provocarmi … che gli prende a tutti e due? … hanno bevuto qualcosa di forte, molto forte! …  
Ma mio padre lo seguiva a ruota:  “Da’ un po’ qua …” gli disse, e mio fratello gli passò l’album più piccolino, ultimo tra quelli che avevamo portato, in cui c’erano tutte le nostre foto in Inghilterra con i nostri amici e parenti. Quella in questione poi, risaliva alla settimana prima, uno dei week-end più piacevoli della mia vita. Mia madre, che come tutti aveva percepito tensione nell’aria, decise che era ora di sistemarsi a tavola e cenare. Rob si propose di darle una mano … stasera fa gli straordinari di galanteria …  forse mi vuole risparmiare dispiaceri inutili … io proprio non lo capisco mio padre …
Dal canto mio, mi misi a tavola ma sbirciai in cucina e distinsi il labiale di mamma che continuava a ripetere a Rob “I’m so sorry, really, so sorry!!!” e Rob che con lo sguardo la rincuorava. Aspettai il loro ritorno in sala da pranzo per controbattere a mio padre, avevo bisogno di loro che erano i miei scudi, le mie rocce, i miei angeli … uno dei due poi è il più bell’angelo dei cori celesti!!!...  
“Quella foto, ovviamente” e tesi a sottolineare la parola ovviamente “è stata scattata domenica scorsa, dopo che siamo tornati dalla crociera, papà” sentivo mio marito che stringeva la mia mano come segno di disapprovazione e mia madre mi aveva fulminato con lo sguardo, ma dovevo continuare, non potevo dargliela vinta. …
Rob ti aveva avvertito però Kris, e che cavolo! … e allora? chissene, è la mia, non la sua famiglia, ci devo passare io il resto della vita, non lui … e li amo tutti alla follia …

“Lì siamo a casa di alcuni amici di famiglia, i Fairfax, ve li ricordate?” fu Rob a prendere la parola. Si capiva che arrancava nel cercare le parole più opportune per tentare di passare dalla parte della ragione … abbiamo già ragione … non secondo papà … 
Evidentemente era però molto difficile. 
Aggiunsi io: “Sì papà, i genitori di Kitty, una delle mie damigelle.” 
“Ah, sì, ok, la contessa …” 
“Non proprio …” Rob mi frenò e riprese la parola: certe volte non riuscivo proprio a rendermi conto di quanto potessi diventare petulante, dovendo sempre avere l'ultima parola su tutto e mettendo i puntini sulle i.
“ Ci avevano invitato a passare con loro un week-end già da molto tempo, ma ho preferito che fosse un po’ più caldo, perché saremmo stati molto all’aria aperta, ed il vento molto freddo può far male a Kris”. Una persona normale si sarebbe convinta della buona fede di quest’uomo … di quest’angelo … ma non mio padre; rimaneva di pietra, mentre si vedeva che mia madre moriva dentro, e questo mi faceva male, perché il mio sesto senso, affinato dalla maternità, sapeva dove stavamo andando a finire, anche se io stessa mi rifiutavo di crederci. 
“Siamo stati proprio bene, il divertimento e la compagnia non ci sono mai mancate e poi la Scozia è stupenda!” 
“Scozia?” intervenne mio padre, fintamente interessato. 
“Sì, papà, Scozia. Ma quella è solo una residenza per le vacanze; di solito ci vanno d’estate e durante la stagione primaverile. Precisamente loro stanno a Balmoral, dove anche la regina Elisabetta ha un castello. Anzi la tenuta di Lord Bracknell è molto vicina a quella di sua maestà, e visto che era vuota abbiamo potuto visitarla. È enorme!” 
“Caspita!” ancora finto interessamento, con un tono di scherno. 
Mia madre, conoscendo quanto suo marito possa diventare pesante e provocatorio, in luna storta, ci venne incontro: “Immagino avrete fatto un sacco di cose ” … ti ho mai detto mamma che ti voglio un bene dell’anima? … beh, se non ne ho mai avuto l’occasione, beh te lo dico ora … ti voglio bene mamma!!!
"Oh così tante cose!!! Siamo andati a fare escursioni, a piedi e a cavallo …” 
“A cavallo Kris? Cazzo, sei incinta non le puoi fare queste cose? E tu Robert, perché non l’hai fermata?” sembrava davvero interessato a ciò che dicevo, per la prima volta in tutta la serata, ma lo faceva non perché fosse particolarmente preoccupato, solo perché sapeva di avere il coltello dalla parte del manico, e di poter rompere le scatole a Rob.
“Signore io c’ho provato ma, davvero, sua figlia è irremovibile quando si impunta …” era diventato paonazzo dall’imbarazzo … povero amore … ed i suoi capelli oramai non avevano più un unico verso, tanto li stava maltrattando, in preda al tensione. 
“Sì papà non preoccuparti, sono qui e sto bene, non devi scaldarti per così poco, e poi Rob ha davvero tentato di dissuadermi, ma devo riconoscere che a volte sono proprio un mulo!” 
“Robert quando ti ho lasciato
sposare mia figlia io ti ho chiesto di prenderti cura di lei, non tentando, ma agendo, e basta!”.

Decisi, chiedendo scusa a mio marito per il comportamento di mio padre col solo sguardo, di ritornare al discorso iniziale. 
“Insomma, hanno organizzato delle battute di caccia, con tanto di giubbe rosse e cani da riporto, ma noi poi ci siamo staccati dal gruppo; l’attività venatoria non è certo la nostra più grande passione. Preferisco di gran lunga la pesca, più rilassante” 
“Più snervante vorrai dire: non potete avere l’idea di che strazio sia! Poi la signora” disse Rob indicandomi “si lamenta ogni due secondi perché i pesci non abboccano, e dà la colpa a me ogni volta!” Ridemmo entrambi di gusto per questo, mia madre si unì a noi. Solo mia madre. 
“Tesoro mio, comunque non credere, per quanto mi faccia piacere che tu ti stia divertendo, che non mi preoccupi per te; perciò, fallo un favore alla tua mamma, ed evita di andare  a cavallo, ok?” 
“Certo, te lo prometto, mamma!”
… vedi papà? … c’è modo e modo di dire le cose …

Sbucò di nuovo mio fratello, staccando la testa dal piatto per la prima volta da quando ci siamo seduti a tavola: “E la foto di prima?” 
“Lì eravamo a fare una partita di croquet in giardino, e quel giorno ci convinsero a vestire tutti con qualcosa che richiamasse la Scozia” 
“Ma che idea carina! … mi piacciono molto i party a tema!” mamma riusciva sempre ad essere così positiva alle novità, ed era una maestra nello stemperare le situazioni più difficili … speriamo lo sia altrettanto a quella che dovrò darle … 
“C’è mancato poco che facessero mettere anche a me il kilt … “ Rob confessò tremendamente imbarazzato.

La cena scivolò via, in maniera sempre molto formale, con mio padre e mio fratello che si divertivano a punzecchiarci ed io che non riuscivo a non rispondere, nonostante i tentativi di mamma e Rob di farmi tacere. Ci spostammo di nuovo in salotto per prendere il dolce, e mio fratello disperato se ne andò, perché disse che per quella sera si era rotto abbastanza … sempre molto fine lui …

Approfittai della sua assenza per parlare seriamente con i miei.
"Mamma, papà, dobbiamo … devo dirvi una cosa”. Volli prima osservare i loro volti, mentre Rob mi teneva dolcemente la mano - quella sera non aveva mai staccato la sua mano dalla mia presa, sapeva che mi ero agitata e questo non faceva bene a nessuno di noi … tre. Li osservai meglio e vidi mio padre impassibile, quasi che niente c’era di peggio dopo la batosta ricevuta dal mio matrimonio; mia madre era preoccupata, quasi sapesse già cosa dovessi comunicare, e già ne soffrisse.

Per un attimo pensai persino di rimangiarmi tutto, anche perché sapevo che se la sarebbero presa prima ed esclusivamente con Rob, che lo avrebbero incolpato di essere la causa di tutto. Ma poi guardai lui, l’oceano dei suoi occhi, e ogni dubbio venne meno: “Ho deciso … ho deciso di trasferirmi a Londra … definitivamente”.

 









L'ANGOLO DELL'AUTRICE
Allora, che ve ne pare? Io ho dato del mio meglio per farmi entrare nella storia, ma non rivelarvi, troppo, non ancora almeno. Come avrete capito questa volta le parti si invertono rispetto alla precedente ff ed ancora una volta la famiglia è al centro di tutto. Inizia qui a svelarsi il perché di questo titolo per la storia. Best day è titolo di una canzone che Taylor Swift dedica alla sua famiglia, che l'ha sempre supportata e le è stata sempre vicina. Per Kristen e Rob vale stesso, fino a poco fa, almeno. Non vi rivelo altri particolari, perché ci penserò nei prossimi capitoli, Se avete qualsiasi domanda vi risponderò ben volentieri, tanto sapete ormai benissimo qual è il metodo per contattarmi: un bel...commentino!!!! Mi raccomando che siano numerosi!!!!
Vi ringrazio tutti per il seguito immeritato che sto avendo, significa molto e mi sprona a migliorare e a sperimenatare nuove idee.
Qui di seguito i commenti alla recensione scorsa:
@Juliet96 : hai proprio ragione, nelle ff le cene hanno mai un effetto benefico sui protagonisti...spero che il modo di raccontarla sia stato buono. continua a seguirmi! Ah, ti rispondo anche al commento al 2° capitolo che hai lasciato; beh forse nella realtà Kristen è piuttosto fredda, ma sono dell'opinione che sia una maschera per nascondersi ai giornalisti...secondo me è una romanticona...altrimenti non avrebbe mai accettato di fare twilight!!! Poi, sfido chiunque a non andare in iperventilazione avendo davanti Rob che ti sorride!!!!
@Enris : scusa, credo proprio che ci siamo fraintese a vicenda. con critica volevo dire piuttosto commento tecnico, più che commento negativo.  Mi sono espressa male, ti chiedo scusa. ed infatti sono sempre felice di ricevere i tuoi commenti, Una domanda: hai detto che i miei capitoli ti rilassano...sarà mica che ti faccio addormentare? Sono troppo lenti, oppure il lingiuaggio è troppo articolato? Dimmelo, lo sai bene che non mi faccio problemi. La ff è ancora in corso di scrittura, non so se Ash e Nikky ci saranno ancora, perché la storia non prenderà una bella piega, questo posso anticiparlo già. Però una mezza idea mi è venuta proprio adesso che sto scrivendo questa risposta!!!!
@ledyang : che fiction sarebbe se fosse tutta rosa e fiori...no, come vedi qualcosa deve venir per forza fuori
@fiorels : be', è chiaro che non mi puoi aiutare in quel senso, la mia era solo una battuta. Però ad esempio potresti incominciare dicendomi se qualcosa non ti è piaciuto in qualche capitolo, a livello di scrittura, se la storia è credibile. cose di questo genere, insomma...
Vi aspetto numerosi nella pagina dei commenti e al prossimo capitolo!!!
FEDERICA

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Capitolo 4
*** Two Shopaholics and a pregnant friend ***


The best day - Capitolo 3 Presente di nuovo tra voi!!! Come va? Io meglio, mi sono appena rimessa dall'influenza!
Allora vi posto subito subito il nuovo capitolo di questa storia, e non potete capire quanto mi state rendendo felice con tutti i vostri commenti, mi raccomando, che siano sempre numerosi.
Anche se stavolta credo che verrò presa a pesci in faccia, per quanto è brutto...vabbé in attesa di ricevere i pomodori e le uovas marce, eccovi il capitolo e ci rivediamo come sempre all'angolo dell'autrice!









Capitolo 3
TWO SHOPAHOLICS AND AN PREGNANT FRIEND - P.O.V. Kristen

Nel pomeriggio avevo in programma un sacco di cose da fare ma ero stata costretta a chiudermi in casa da quell’incapace di mio marito, che si era messo in testa di fare il casalingo per un giorno, ma che mi aveva distrutto casa, neanche fosse passato l’uragano Katrina. Aveva sporcato i fornelli con l’olio del bacon, l’impasto del pancake era finito sulle piastrelle della cucina e le uova … lasciamo stare!!!!!! 

Il bagno era diventato un lago dopo che, tornato dalla sua corsetta mattutina, ha fatto la doccia, e neanche è stato capace di raccogliere i capelli dallo scarico … anche se devo dargliene atto, ha i capelli più sexy del mondo, le mie mani passano le ore a toccarli, il mio antistress preferito...

La mia preoccupazione fu poi rivolta al guardaroba: aveva sì svuotato le valigie, ma con che criterio gli abiti erano stati rimessi negli armadi e nei cassetti dovevo ancora capirlo. Perciò a sera dovetti rinunciare ad ogni tipo di vita sociale, ero stanca morta, ed andai a dormire presto. 

Il giorno dopo infatti mi aspettava un incontro che era ben peggiore delle faccende domestiche: shopping con Nikki e Ash … la scalata dell’Everest a confronto era una passeggiata! Non che non avessi ormai preso l’abitudine a fare shopping, a Londra lo facevo a giorni alterni con le sorelle di Rob e con le mie migliori amiche londinesi, Olivia, Kitty e Freddie. Ma con loro due era diverso: avevano dei gusti difficilissimi, provavano spesso tutta gli articoli del negozio, facendo impazzire le commesse, magari senza poi acquistare nulla. A Londra invece eravamo più in stile mordi e fuggi: sai quel che vuoi ed acquisti. Dopo un paio d’ore al massimo le compere erano terminate ed il resto della giornata era dedicato ai pettegolezzi in qualche sala da tè, o nel salotto di mia suocera … che spasso, mi mancano già, e sono solo 3 giorni che non le vedo … una volta mi hanno addirittura portata ad Ascot a vedere le corse dei cavalli! 
Ma è pur vero che le mie amiche “yankee” mi erano mancate tanto, avevo bisogno di parlare con loro, raccontare quanto fossi felice, e per farlo avrei subito anche le peggiori torture. 
Per fortuna Rob era stato chiaro, aveva dato degli orari ben precisi, ai quali dovevano attenersi, se non volevano vedere come potesse diventare cattivo. Era sempre così premuroso, però a volte lo era fino alla noia. Quel giorno ad esempio, mi impedì di indossare delle nuove scarpe col tacco … tuo marito lo dice per il tuo bene, sciocca … se passi sui tacchi tutta la giornata, stasera a cena neanche delle scarpe di 2 numeri più grandi ti entreranno … e come al solito ha ragione lui … avevamo in programma per la sera, infatti, una cena con i nostri amici più cari del cast di Twilight, per festeggiare, con qualche giorno di ritardo, il mio compleanno.

Arrivata al luogo dell’incontro Nikki e Ash erano già lì ad aspettarmi, e si sbracciarono vedendomi arrivare. Attraversai la strada e andai incontro alle mie amiche, ci abbracciamo come se non ci vedessimo da una vita … grazie Kris, è più di un mese che non le vedi … 
"Kris sei stupenda!!!Fatti un po’ vedere?”  feci un giro su me stessa, per accontentare Ashley “Sarà la gravidanza, sarà l’aria della vecchia Europa, ma ti trovo in forma smagliante!!!” continuò la sfilza di complimenti. 
“Noooo, secondo me la ragione di tanto splendore è un'altra Ash” la corresse Nikki. 
“E quale sarebbe, sentiamo?” ero curiosa di saperlo in effetti. 
“TUO MARITO, che domande!!!!!!!!”

In effetti aveva ragione. Nessun’altra avrebbe potuto, né dovuto beneficiarne!  Iniziammo il giro delle boutiques, ed ero contenta di essere ascoltata una volta tanto mentre davo consigli sull’abbigliamento. Mi trascinarono con forza dentro un negozio di articoli per neonati, pur sapendo che io non volevo fare acquisti prima dei sette mesi, per scaramanzia … mamma come siamo diventate ansiose Kris! … diamoci un po’ di contegno, in fondo comprare qualcosa non può fare del male al piccolo! … 
Con loro non era stato facile parlare di gravidanza, perché vivevano dal di fuori questa esperienza, e certo non potevano capire le scoperte e le tempeste emotive che provavo quotidianamente, e si limitavano a vederne il lato più esteriore: le compere, come al solito. 

La giornata passò serenamente, ci divertimmo come delle matte, anche se dovetti fare i conti con i paparazzi … non c’ero più abituata … Londra è fin troppo tranquilla a confronto … uno dei suoi mille pregi … Le ragazze vollero conoscere ogni dettaglio del viaggio di nozze … ma se lo avete organizzato voi? … Che cosa vi devo raccontare ancora? … I particolari intimi sono chiusi ermeticamente …  non dirò una parola neanche sotto tortura ...
Mostrai loro le foto, e provai un pizzico di nostalgia per il caldo sole dei Caraibi, per le sue acque cristalline, i paesaggi mozzafiato ed i colori ... devo dirglielo a Rob che dobbiamo assolutamente comprare una casa per le vacanze lì …
“Una crociera alle Bahamas, due settimane di relax e divertimento, la consiglio a tutti come viaggio di nozze!” dissi, compiacendo evidentemente le mie damigelle, che ce l’avevano regalata insieme ai testimoni di Rob. 
Scherzando Nikki mi domandò: “Da quando hai iniziato a lavorare per il Touring club?” 
“Uh, guarda che carini qui!!!!!!” Ash riuscì a stento a trattenere le lacrime. 
“Oooooooh” le fece eco Nikki. Strappai dalle loro grinfie l’album ed osservai la foto: io e Rob … naturale Kris, era la vostra luna di miele …  eravamo in acqua, abbracciati col mio pancino ad intrufolarsi e, dietro di noi, l’oceano … eravamo davvero felici lì … come se adesso non lo fossimo … e guarda Rob … quant’è bello lui, da mozzare il fiato …  capelli schiariti dal sole e dalla salsedine e abbronzatura naturale … io invece sembro il brutto anatroccolo, capelli arruffati dal vento e lentiggini sul viso …  che orrore … ma come fa LUI a stare con me??? … non mi lamento, ma proprio non capisco …
Questo, e la gravidanza, erano gli unici argomenti che sembravano interessare la gente, che mi conoscesse o meno. 

Un altro degli argomenti di conversazione che andavano per la maggiore era sicuramente il mio cambiamento di look. Da quando ero partita per Londra avevo cambiato molte cose di me stessa, soprattutto per ciò che riguardava il mio aspetto esteriore, e non tutti apprezzavano questo mio cambiamento, soprattutto Rob, che temeva di perdere la Kris di cui si era innamorato. Il mio compito era quello di convincerlo del contrario. Ogni volta che mi facevano un complimento … oddio, storce il muso, gelosone!!! … si riempiva d’orgoglio, mi stringeva la vita, mi guardava … che sguardo e rideva dolcemente … come farò a vivere il resto della mia vita affianco ad un uomo così … mi dispiace amore, ma credo che diventerai vedovo molto, troppo presto … però a volte si vedeva lontano chilometri che tutto questo affannarsi per l’apparire lo scocciava … oh sentite!!! la natura mi ha concesso un briciolo di femminilità da quando sono rimasta incinta … voglio goderne … finché non deciderà di riprendersela … con tanto di interessi …

Dopo il tour de force di quella giornata tra shopping e sarata tra amici decisi che era il caso, per il giorno dopo, di prendermi un po’ di tempo per me e giocare col mio bambino: accarezzare la pancia, parlargli, ascoltare insieme la musica  … lo vizi già ora Kris? … Certo, è il mio primo bimbo, non deve mancargli nulla … non che un domani gli altri non riceveranno lo stesso trattamento … oddio, ora sì che sto esagerando, ancora non nasce il primo ed io guardo già agli altri! … e naturalmente tutto questo sempre insieme al mio amore grande … oh beh, questo cambia le prospettive!!! Ma se non sai fare altro?!? … ma come potrei staccarmi da lui anche solo un attimo!!! … Quel giorno lo vidi alquanto sovrappensiero: era evidente che l’appuntamento di quella sera lo preoccupava non poco … ma perché? … si tratta solo di una cena dai miei!!! …  nessun patibolo in vista … in quel momento lo credevo.

 











ANGOLO DELL'AUTRICE

Visto che bella schifezza? Ma vi prometto che questo è l'ultimo capitolo di transizione, e poi andremo al sodo. Però come avete visto vi ho già introdotto al prossimo, e mi raccomando, mantenete fisso in mente l'ultima frase, perché è quela che più ci interessa ai fini della storia. Lo so che è lungo  e noioso, e che magari potevo eviatrlo, ma mi serviva a spiegare altri dettagli del lasso di tempo che ho fatto trascorre tra la fine della precedente fiction e l'inizio di questa. In più per chi non dovesse aver seguito la precedente ci sono dei richiami a personaggi del precedente racconto...che non ho proprio intenzione di abbandonare!!! così ci rinfreschiamo la memoria un po' tutti...
Per ogni domanda sappaite che ci sono, ed anche per le critiche, se sono fatte in maniera civile.
Ringrazio chi ha commentato "Io odio il jet lag" ...tralaltro per questo capitolo non mi è venuto niente di meglio in mente, se avete suggerimenti per modificarlo sarei felice, e ringrazio per aver fatto salire il numero di preferiti e di seguiti.
Passiamo alle risposte alle recensioni:
@ledyang : sei troppo generosa, adorare è un verbo troppo grade per un ff così modesta...ti ringrazio, comunque, continua a seguirmi!
@Anto_Pattz : beh, devo essere sincera...trovo anch'io che il precedente capitolo sia molto dolce; infatti dopo averlo scritto ho dovuto spararmi un bel po' di insulina per far scendere la glicemia...ahahahah!!!!
@Fiorels : eccomi con una bella schifezza!!!...altro che i tuoi capolavori da terapia intensiva...mi piacerebbe che mi suggerissi qualcosa per migliorare, visto che hai tanto talento...me ne presti un po'? XD
@Roxisnotdied :  Rox, che bello ritrovarti tra i lettori anche stavolta. Ti ringrazio per l'incoraggiamento, perchè ne ho proprio bisogno, e poi come se come dici tu le ff sono come avventure, io allora mi trovo adesso ai piedi di una montagna da scalare...che fatica sarà!!!
@Enris : che bello avere la mia prima critica...e non sto scherzando. Ci ho riflettuto su, e ho capito che avevi ragione. Ho stravolto un po' la storia, per ottenere quello che mi dicevi, spero di essermi avvicinata un po', anche se questo capitolo fa veramente rivoltare...aspetto con ansia la tua prossima recensione!!!

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Capitolo 5
*** My beloved' lament ***


The best day - capitolo 5 Hi guys!!!!!!!!!!!! Premetto che sono ancora sconvolta dalle immagini uscite ieri. Vi dico solo una cosa: voglio il 30 giugno!!!!!!
Mi fa piacere che il capitolo nuovo sia piaciuto, perché mi premeva molto. Era il vero banco di prova dopo 3 capitoli un po' piatti...
Bando alla ciance e passiamo al prossimo capitolo...vediamo che succede...
buona lettura e ci vediamo a fine capitolo!












Capitolo 5
MY BELOVED' LAMENT - P.O.V. Robert

Il viaggio di ritorno verso casa fu muto e tetro, quasi spettrale, e le luci della città così viva scivolavano sulla nostra auto senza nemmeno sfiorarla con la loro allegria ed i loro colori, ne eravamo immuni. 
Solo una canzone si ripeteva all’infinito in macchina, Kris aveva deciso così all’accensione della radio. EVERYBODY HURTS. Evocava bei ricordi, per quanto mi riguarda, per lei era un porto sicuro ogni volta che era più che triste, e diceva sempre che ascoltarla con me la faceva sentire completa … questo mi riempiva sempre d’orgoglio. 

Ricordo quando mi chiese la prima volta di ascoltarla con lei: dovevamo partire per il Giappone, per l’ennesima presentazione di Twilight, preistoria ormai, e quella sera si era scatenata una tempesta incredibile su Londra. 
Dovevamo incontrarci solo due giorni più tardi a Tokio, lei proveniente da Los Angeles, io da Londra, chiaramente. 
Ero molto nervoso, perché incontrarla, di nuovo, la mia Musa, era una tortura, sapevo che non potevo toccarla, era per me come le sculture classiche esposte nei musei, eteree e incomprensibilmente perfette, con affianco il cartello VIETATO TOCCARE; una tortura, davvero. Mi riconoscevo come suo, ma lei non sarebbe mai stata mia. 
Avrei voluto non prendere quell’aereo, dare forfait, ma dovevo rivederla almeno; sentirla vicina anche solo come amica - questo io ero per lei: un amico fraterno - mi dava forza; lei era la mia linfa vitale. 
Era, insomma, una serata di pioggia forte a Londra, ed ero rimasto stranamente a casa
… quando si dice il destino … a suonare la chitarra davanti la finestra, appoggiato al davanzale della mia camera, mentre sul vetro la pioggia disegnava lacrime dolcissime … me stesso lontano da Kris … sentii suonare alla porta e mi ricordai di essere solo. Pensai a quello sbadato di Tom, forse aveva dimenticato le chiavi, andai ad aprire e davanti a me c’era LEI, zaino in spalla, bagnata dalla testa ai piedi, con il fiato corto, doveva aver corso per scampare alla pioggia … e venire da me ...
Senza dirci niente la feci entrare e le poggiai sulle spalle una coperta, ancora stranamente pulita, che mi procurai con un po' di fortuna tra le cataste di abiti sparsi nelle nostre stanze per farla stare al caldo, oltre a farla accomodare davanti al camino …
neanche una parola …
Decisi di prepararle thé caldo, le avrebbe fatto bene. Quando tornai dalla cucina era già in piedi, davanti al mobile dell’impianto stereo, dove io e Tom tenevamo gelosamente custodita la nostra collezione di Cd e vinili. Era un richiamo troppo forte per i miei sensi quella visione: i capelli ancora le gocciolavano … ne aveva presa di pioggia!!! … e faceva scorrere le sue dita affusolate contro le custodie degli album, come a cercare qualcosa. 
Finalmente aprì le sue dolci labbra: “Hai i R.E.M.?”
Mi avvicinai …
la mia bambola di porcellana, così fragile … poggiai il vassoio con le tazze fumanti sul tavolino del soggiorno e mi diressi verso il lato opposto della parete.
“Qualcosa, dipende cosa cerchi” …
stupido, stupido, stupido … lei si è presentata a casa tua, così, all’improvviso,  si vede che è uno straccio e tu le parli di musica … chiedile perché è qui,  fenomeno! … sentivo dentro di me che non stava bene, ma mi rifiutai di indagare … sarà lei a dirmelo se vorrà … se non vuole, va bene lo stesso … è qui da me, ed è l’unica cosa che conta … estrasse dalla pila un Cd, Automathic  for the people, e inseritolo nel lettore, lo portò direttamente alla traccia che le interessava, come se lo conoscesse a memoria, perché non dovette neanche sincerarsene guardando il lato posteriore della custodia. Riconobbi immediatamente la canzone, era straziante. 
Non volevo, ma le parole mi uscivano dalla bocca senza preavviso: “Stai male.” 
Non era una domanda; lei però annuì comunque. La strinsi a me e le mie mani si posarono delicatamente sui suoi capelli ancora umidi. Iniziammo a dondolarci, come in un lento … 
ti cullo io, mia bambina …  mio amore unico … 
“Perché devi deprimerti così?” Mi accorsi infatti che aveva incominciato a piangere e questo faceva star male anche a me; si strinse ancor più forte, raggomitolandosi addosso a me; non mi opposi. 
“Devo toccare il fondo, se voglio reagire, questa canzone mi aiuta. Parla di me adesso.” 
“Chi ti ha ferita? Quel bastardo?” Non rispose, ma immaginavo che fosse un sì. Non avevo bisogno di nomi per identificare un tale verme, non poteva essere degno di nomina uno che fa soffrire così la donna che dice di amare. 
“Ma è possibile andare più a fondo di così amore mio? Sei ridotta ad uno straccio, per lui poi” …
cazzo fai Rob? L’hai appena chiamata amore! … lei mi afferrò letteralmente la camicia con le mani, quasi a strapparla: il contatto con i suoi abiti bagnati, aveva impregnato di pioggia anche i miei. 
“Dovevo andare a fondo come ti ho detto, se volevo vedere la luce, se volevo avere te amore mio!”  Stavamo ancora ballando, ma lei aveva smesso di singhiozzare. Capii. La guardai e i suoi occhi brillavano, riflettevano la luce dei miei: più vicini, ancora più vicini, e ancora, e ancora. Un bacio troppo a lungo sperato arse la mia gola, e di tanto in tanto le nostre bocche venivano bagnate dalle sue lacrime, questa volta piene di gioia: ridevamo e morivamo sulle labbra dell’altro. Eravamo soli, eravamo uno. Io ero suo da sempre, lei era mia ora…

… Tornai alla strada dopo che una sola canzone aveva avuto il potere di riportarmi a quel momento di paradiso, mentre noi avevamo vissuto la nostra personale anteprima dell’inferno poco prima. Non so se stesse piangendo, perché aveva coperto il suo volto, appoggiato al finestrino dell’auto; ma di certo non era serena. Una cosa mi tranquillizzava: non aveva lasciato la mia mano. Arrivati a casa, scese dall’auto e non smise un secondo di cantare quella canzone, tra sé, ma faceva in modo che la sentissi. Mi chiusi la porta di casa alle spalle sbattendola, come a voler lasciare prepotentemente i problemi fuori, ma non ci riuscii. Lei aveva acceso lo stereo in salotto, la colonna sonora era la stessa di quella sera a Londra, ancora. Le andai incontro e ballando iniziai a cullarla: il suo corpo mi disse che non stava aspettando altro. Mi abbracciò al collo, mentre le note incalzavano il lamento e scoppiò in lacrime.
“Piangi, piangi amore mio, finché vuoi, finché ne hai la forza, io sono qui, finché vorrai, non vado via”…







ANGOLO DELL'AUTRICE
Allora come avete visto ho fatto un piccolo salto, ma è voluto, per creare un po' di suspance ... eccoti accontentata Anto_Pattz! ;-); spero sia stata una trovata opportuna! Ne ho approfittato per realizzare il primo di una serie di flashback. Ho ipotizzato così, l'inizio della storia tra Kris e Rob, spero non sia troppo mieloso o malinconico. Quando l'ho scritto era una giornata un po' cupa per me, il tempo faceva schifo e la canzone dei r.e.m. in sottofondo nn ha aiutato a scrivere neinte di particolrmente allegro. Forse è troppo cinematografica come scena, ma resta sempre una fiction. Fatemi sapere che ne pensate! Sempre aperta a spiegazioni varie ed eventuale: ma qst dovreste saperlo bene, ormai!
@Juliet96 : poveretti sì, ma qst non è niente....sono stata piuttosto magnanima lo ammetto! grazie per la recensione e continua a seguirmi!
@ledyang : grazie tesoro, sempre fedelissima, continua così!!!
@twilight91 : sono contentissima, davvero tutta d'un fiato? ma quella precedente l'hai letta? sennò facci un salto e fammi sapere!!! ;-)
@Enris : wow! non avevo idea che la mia scrittura potesse avere un tale effetto!!!!!! mi elettrizza saperlo!!! Ho letto da qualche parte che davevro il padre di Kris non digerisce Rob, non in questa maniera, ma io ne ho fatto una sorta di ritratto manierista, ad hoc per la mia storia. però non ti spiego altro, perché le sue ragioni le sentirai più avanti...anche alla luce dei prossimi capitoli...qst ti obbligherà a seguirmi!!! ahahahahah
Non mi resta che ricordarvi di lasciare i vostri commenti...siate generosi come sempre!!!
Grazie a tutti quelli che mi seguono e preferiscono la mia storia...un bacione ad Elenes dalla lontana Ungheria (lascia un commento sorè!) e ci vediamo tra un paio di giorni col prossimo capitolo!!!
Federica

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Capitolo 6
*** Qualcuno scrisse... ***


The best day - capitolo Allora? che c'è, non è piaciuto il capitolo precedente? Davvero in pochi l'avete letto e solo una recensione...dite la verità, che eravate in sciopero perché non vi ho raccontato com'è anadata a finire con i genitori di Kris!!!!!! se è così, allora , provvedo subito, e non mi date buca ancora!!!!!!!!!!sennò vado in depressione....












Capitolo 6
QUALCUNO SCRISSE: ERA IL PARADISO, MA AL CENTRO ESATTO DELL’INFERNO. AVEVA RAGIONE! - P.O.V. Robert



Prese sono tardi quella notte, io invece la passai insonne, a vegliarla, a sentirla lamentarsi nel sonno. Non aveva il diritto di soffrire così, non lei. Ripensai al motivo che l’aveva ridotta in quelle condizioni … chi non ne sarebbe uscito distrutto … aveva voluto dare la notizia ai suoi in maniera netta, aveva detto che era meglio così, che non bisognava illuderli. Quando 4, quasi 5 mesi fa, mi aveva annunciato che sarei diventato padre … non pensavo al mondo potesse esserci tale gioia … aveva deciso di voler avere un bambino inglese, farlo nascere a Londra. Ma sapevo che, anche per il nostro lavoro, sarebbe stata una promessa da marinaio, e Londra l’avremmo sempre vista con il cannocchiale. Quando poi dopo il viaggio di nozze, volle rendermi la persona più felice del mondo, decidendo di stabilirsi definitivamente a Londra, né io né tantomeno lei potevamo immaginare cosa sarebbe successo nel momento di dirlo ai suoi.

“Lurido verme … ” suo padre a me “ … ce l’hai fatta, l’hai messa contro la sua famiglia, ce la porti via davvero ora!!!” 
“Papà non è come credi. È una decisione mia, solo mia, MIO MARITO non c’entra niente!” … com’è forte la mia Kris … e con quanto orgoglio mi chiama marito ... ti amo, amore mio! …

“Sì, come no, figuriamoci. Ma guardati Kris, guarda come ti sei ridotta, sei solo il fantasma della mia bambina …” Il mio amore tremava come una foglia, eppure tesa come una corda di violino, stava per esplodere; tuttavia decisi che dovevo lasciarla fare, anche se immaginavo che le conseguenze delle sue azioni d’ora in avanti sarebbero state devastanti, per tutti. Era la sua famiglia, io non dovevo entrarci, ma ero con lei, qualunque sarebbe stata la sua decisione. 
“Su questo hai ragione, la tua bambina non c’è più ... ma solo perché ora al suo posto c’è una donna, una moglie … ed una madre” Lo sguardo di suo padre era insostenibile, non so dove trovasse lei la forza per rispondergli con uno altrettanto di fuoco …
mai vista così nera … mi preoccupava. Per un attimo il mio sguardo si posò all’angoletto del divano che avevamo di fronte.  Jules, sua madre, era lì. Dopo l’annuncio, dopo che John, mio suocero, aveva scatenato il finimondo, lei era rimasta lì seduta, con le mani a coprire il volto, evidentemente rigato da lacrime. Non lo era per la decisione di Kris, si fidava molto di sua figlia, e l’amava troppo per impedirle di vivere la vita come meglio riteneva. Era anche il ritratto della vergogna, suo marito l’aveva tradita, mettendosi contro il loro stesso sangue. 
“ Mia figlia” continuò lui “Non avrebbe mai fatto la stupida facendosi mettere incinta! Non a 20 anni! ” 
“Allora è questo! È questo che ti da fastidio, che tua figlia sia cresciuta. Santo Iddio papà, lo sapevi benissimo che prima o poi mi sarei sposata con Rob, ne stavamo parlando con la mamma già prima di sapermi incinta , e non dirmi che non lo sapevi” Colpito. Sì, una donna certe cose le sente davvero, e davvero ci sposati comunque, prima o poi. E a sua madre non l'avrebbe mai tenuta nascosta una emozione così grande. 
“Certo che lo sapevo, e disapprovavo. Mia figlia non avrebbe mai fatto neanche questo … ti hanno fatto il lavaggio del cervello!” poi a me “Signor Pattinson, porti i miei più vivi complimenti alla sua famiglia per questo lavoro magistrale!” Mi sbeffeggiò con una riverenza; non mi ferì, non in quel modo. La cosa che mi faceva più male era sapere che il cuore di Kris e quello di sua madre si stavano sgretolando. Avrei voluto dire qualcosa, ma quei due si erano creati uno scudo, si erano estromessi dal mondo, e stavano combattendo una battaglia privata. 
“Mi spieghi allora perché hai permesso che tutto questo accadesse? Se non ti andava bene avresti potuto dirmelo da subito!” 
“Mi avresti mai ascoltata? Non credo. Eri e sei completamente persa per il tuo inglesuccio. E poi allora eri ancora la mia bambina, magliette larghe e capelli spettinati” era suo padre ora a condurre l’attacco, ed era andato a toccare proprio un punto sensibile per Kris, perché anch’io diverse volte l’avevo messa in guardia: avevo paura che la Kris si cui mi ero innamorato svanisse. La nostra dolce quotidianità, però, mi rassicurò del contrario. Ma suo padre, questo, non poteva saperlo: volevo intervenire, ma sembravo invisibile. Kris tirò dritto, sorvolando sull’ultima frase. 
“Cioè, fammi capire: ti andava bene che tua figlia, a 19 anni, convivesse e andasse a letto con il proprio ragazzo, anche sotto il tuo stesso tetto, ma se si tratta di mettere la testa a posto, e di creare una famiglia rispettabile e rispettata non ti va bene più, anzi ti fa schifo? Papà fatti vedere da uno bravo perché hai il senso della morale alquanto deviato!” Colpito e affondato. 
“Rispettabilità … apparenze … Kristen Stewart non ha mai badato a queste cose. Mia figlia non si è mai vestita come una snob con la puzza sotto il naso, né ha mai amato la vita mondana … tu non sei mia figlia, te ne puoi anche andare!” 
Quelle parole aspettava Kris, solo quelle. “Bene” Mi prese per mano e con un “Vieni Rob, andiamo via” ci dirigemmo verso l’ingresso. Il padre rimase lì impalato, sperava forse che sua figlia rinsavisse a quell’ultimatum. 
Sua madre, straziata dal dolore, ci corse dietro …
non so per chi sto più male, se per mia moglie o mia suocera … che pena. “Fermati Kris, fermatevi ragazzi!” gridò, con la voce rotta dal pianto. “Questa casa è anche mia, e se io non voglio, voi non andate da nessuna parte, lui non può disporre come crede” 
“Non è lui che mi ha cacciato, sono io che me ne vado, è diverso.” Mentre riprendevamo tutto quello che avevamo con noi, lei continuava il suo sfogo nei confronti del padre, che nel frattempo, ci aveva raggiunti; evitavano entrambi con estrema cura lo sguardo della madre, che li avrebbe certamente pugnalati dritti al cuore, come aveva fatto con me. 
“Mi dispiace che sia finita così, ma avevi ragione su una cosa … tua figlia non esiste più, Kristen Stewart non esiste più, io sono la signora Kristen Pattinson ormai, ed io e mio marito ripartiremo per casa nostra, per Londra, il prima possibile!” 
Prese la via della porta, ma le afferrai il braccio, la fissai implorante e le dissi solo : “TUA MADRE!” 
Non poteva lasciarla così, lei non le aveva fatto niente. Tornò indietro e abbracciò e baciò forte sua madre: l’addio. “Ti voglio bene mamma, perdonami. Non odiarmi, non odiarti per questo. Ti giuro, ti giuro che ci vedremo ancora. Non posso perderti!” La madre la strinse a sé più forte: “Vai avanti così tesoro mio, non ti odio, e ama il tuo bambino come io amo te!” le prese il volto tra le mani, erano entrambe in lacrime “Sarai una brava madre, ne sono certa! Segui i consigli di Claire, è una splendida persona, e anche Richard, le tue cognate e le tue amiche. Hai una famiglia meravigliosa a Londra! Tieniteli stretti tutti. Soprattutto Rob” Kris era dilaniata dal dolore, lo percepivo. 

Non poté resistere oltre e corse via dalla casa in men che non si dica, io la seguii a ruota, lanciando un ultimo sguardo a quel che restava della simpatica famiglia di Kris: Jules era seduta sulle scale che portavano al piano di sopra, e piangeva appoggiata al corrimano, una parte di lei era morta, si sarebbe potuto dire; John, che sembrava invecchiato di 20 anni solo in un ora, rimaneva impietrito e abbattuto davanti all’uscio della porta, ad osservare sua figlia che se ne andava, per sempre.

L'ANGOLO DELL'AUTRICE

ecco il motivo di tanta malinconia in Kristen nel capitolo precedente, ora forse vi risulterà più chiaro. Non so se le motivazioni di suo padre sono state sufficienti o se i comportamenti di tutti i presenti siano corretti e giustificabili, questo sta a voi deciderlo.

Il titolo è ovviamente una citazione di Stephenie Meyer, che vorrei spiegare:be' l'inferno credo che sia facile da rintracciarenel capitolo. Era comunque il paradiso perché ognuno dei personaggi ha un legame d'amore da difendere: Kristen e Robert il loro amore e i genitori, ciascuno a proprio modo, il legame d'amore genitoriale con Kristen. 

Putroppo vado di fretta e non posso fare altro che ringraziarvi e ricordarvi l'appuntamento con la mia ff tra 2 giorni esatti (venerdì), come al solito nel pomeriggio.

à bientot!!!!! 

Federica

 

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Capitolo 7
*** Rivedere le proprie idee ***


The best day - capitolo 7 Ciao!!!!!!!!!!!! Vado di fretta, come al mio solito ultimamente quindi vi posto il nuovo capitolo della mia storia. ne approfitto per comunicarvi che ben presto la mia puntualità si andrà a far benedire, perché ricominciò l'università e stando via tutto il giorno non so quando potrò postare; vi prego però di rimanere sempre "sintonizzati" alla mia storia. Bando alla ciance e vi posto immediatamente il capitolo!









Capitolo 7
OBIETTIVO: RIVEDERE LE PROPRIE IDEE - P.O.V. Robert

Le prime luci dell’alba mi riportarono di nuovo alla realtà. Non ero rimasto sveglio: i miei non erano stati dei ricordi, ma dei sogni; avevo sognato tutto quello che era successo la sera prima, ogni dettaglio fissato nella mia mente aveva reso il sogno, l’incubo, più vero del vero. 
Il mio primo pensiero andò a Kris, che dormiva stretta al mio petto. Finalmente era beata, almeno così sembrava, ma era tanto stanca, il suo volto segnato dal pianto. Aveva perso la sua famiglia, l’aveva lasciata con le sue mani, e questo per difendere la mia, per difendere me. Saremmo partiti quella sera stessa, ma c’erano alcune cose da organizzare e da sistemare ancora, prima di lasciare una volta per tutte gli States. 
Pensai poi che aveva bisogno di un po’ di dolcezza al suo risveglio, dopo il fiele amaro che aveva bevuto la sera prima. Io invece avevo bisogno di scaricare la tensione che avevo accumulato, così ebbi l'idea di fare un po’ di jogging e di unire l’utile al dilettevole, passando in una pasticceria, la favorita della mia principessa. 
Senza volerlo, mi accorsi durante il percorso di passare davanti casa Stewart, teatro del dramma della sera precedente. Senza pensarci due volte, seguendo l’istinto, suonai il campanello. Dovevo parlare io ora, dovevo dire tutto quel che pensavo al padre di Kris, e consolare, se mai ne avessi avuto i mezzi, la madre. 
Alla porta venne ad aprire quel debosciato del fratello di Kris, che sembrava appena uscito da un pub inglese dopo una serata con gli Hulligans. 
“Hei!” mi salutò, ancora mezzo addormentato.
“Hei!”risposi io. 
Si portò una mano tra i capelli arruffati, doveva essersi svegliato davvero da poco, e continuò, con un volto sinceramente rattristato : “Senti Rob, veramente non so se posso farti entrare …"
“Cam!” era Jules, che nel frattempo era uscita dalla cucina per raggiungerci sull’uscio della porta “fai entrare tuo cognato immediatamente! Rob vieni qui!”. Mi abbracciò come se le avessi salvato la vita: ma in fondo era come se lo fossi davvero, il suo salvatore, perché le avevo fatto capire con la mia visita che non avrebbe perso la figlia. 
“Mamma!” la interruppe Cameron, forse preoccupato e ancora titubante per il comportamento di sua madre. Non era presente alla lite, ma di sicuro era venuto a conoscenza dello scontro: i panni più sporchi vengono sono quelli che si individuano più facilmente.
“Senti Cam" lo riprese Jules "questa è casa mia e faccio entrare chi mi pare, tanto più mio FIGLIO!” 
“Ricevuto!” si arrese Cam, a mani alzate e sparì dalla circolazione, andando con la sua tazza dei cereali a fare colazione davanti allo schermo piatto del salone
… non posso avercela con lui, è  ancora un bambinone, in fondo …
Io e Jules invece andammo in cucina: nonostante quello che era successo la sera prima, tutto sembrava in stand by; nonostante mia suocera avesse la faccia di chi non ha chiuso occhio tutta la notte, passandola a piangere, la cucina profumava di dolce, crostata si sarebbe detto: “Ho fatto il dolce preferito di Kris, l’apple pie, dopo gliela porti. Il tuo arrivo è stato provvidenziale, non so come avrei fatto per dargliela prima della … sì, insomma, della vostra partenza …" le dava naturalmente fastidio parlare di certe cose, come a me, però sapeva affrontare la realtà delle cose con molta forza. Non avrebbe potuto fare altrimenti, d'altronde, la decisione era ormai stata presa e non c'era verso di far cambiare idea a quella testona di sua figlia. Comunque la interruppi
: “Jules, lo sai che tu sarai sempre la benvenuta in casa nostra" dovevo mettere in chiaro le cose il prima possibile con lei "se ti andasse di venire a Londra, non farti problemi, è chiaro?” Annuì, ma non la vedevo convinta.
“Io non vado da nessuna parte senza John, Rob" mi spiegò "Sembra strano, lo so, ma vedi, è un po’ come per te e Jaymes”
… Jaymes era il nome che lei aveva fortemente voluto per sua figlia, come se fosse un nome in codice, una lingua solo per loro … “lui è la mia vita, e non può essere dove non c’è lui, condividiamo tutto … nella buona e nella cattiva sorte, hai presente?”. 
Non riuscivo a capire come potesse essere così buona quella donna, io stesso che mi definisco una persona sostanzialmente zen, dopo un comportamento simile, avevo accumulato un certo quantitativo di rabbia. 
“Ma lui …” mi venne spontaneo ribattere, ma mi riprese all'istante ed io rimasi ad ascoltarla.
“lo so, per te è difficile da capire, soprattutto perché ieri sera hai visto tua moglie soffrire, per colpa sua, ma non credere che John si sia divertito”
aveva capito cosa intendessi.
“Non dico questo, ma lui è suo padre, dovrebbe appoggiare sua figlia, anche se ritiene che le sue non sono scelte giuste, come stai facendo tu” 
“Non è nella sua natura, Rob; però ti prego di non avercela con lui, cerca di capirlo, come futuro padre, cerca di fare uno sforzo" Non ci riuscivo, era più forte di me. Non capivo come potesse ancora a giustificarlo. Si era letteralmente trasformata in Jules, avvocato delle cause perse. 
"Immagina che tua figlia, la tua luce, quella che hai passato una vita a coccolare, e che ha per te una particolare devozione, di punto in bianco stravolga la sua vita.” Ero rimasto in silenzio, avevo proprio voglia di sentire quali ragioni avanzava per difendere John, indifendibile a mio modo di vedere, nella sua posizione, e poi perché era una buona lezione, da poter applicare se il nascituro fosse stato una femminuccia
… oddio, già me la immagino, bella come la sua mamma … occhioni grandi da cerbiatta e capelli morbidi, lunghi e profumati … la mia bambina … “Aveva un ragazzo, che ti aveva portato a casa, e ti eri affezionato a lui, convinto che con lui sarebbe andata lontano. Di botto lo lascia, fai per chiedere spiegazioni e lei ti dice che ha un altro, neanche una settimana dopo che ti ha dato la notizia della separazione da quel ragazzo che vedeva con te le partite di baseball in tv e che veniva la domenica a fare l’arrosto in giardino con tutta la famiglia …” chiaramente, ma con molto tatto, stava parlandomi di Michael, l’altro, il primo. Kris mi aveva più volte accennato che tra lui e suo padre c’era un legame molto forte, che non era cambiato di una virgola dopo la loro rottura. Mi diceva sempre che non dovevo prendermela, ed io non l'avevo mai fatto. Le sue parole incominciavano ad assumere forme e significati più nitidi … forse non aveva tutti i torti ... "… il ragazzo con cui lei adesso esce è completamente l’opposto del precedente, più bello senza ombra di dubbio, più bravo in quel che fa, un intellettuale, molto affascinante, ma lontano miglia in educazione ed abitudini dalla tua bambina, anche geograficamente le loro case li separano oltre 10 ore di aereo. Nel frattempo la noti ogni giorno che passa con lui sempre diversa: più attenta a ciò che indossa, a come parla, più matura anche, nonostante non abbia ancora nemmeno compiuto vent’anni. Viene poi un giorno e ti annuncia di aspettare un bambino da quello che tu consideri uno sconosciuto, e che ha intenzione di passarci il resto della vita … come se non bastasse decide di farlo in un altro Paese, nel SUO, con un rito tradizionale, come quelli che lei prendeva in giro insieme a te fino ad un paio di anni prima" si interruppe un attimo per prendere fiato e guardarmi più attentamente "… beh, Rob, se a te capitasse una cosa simile, come reagiresti?” sul suo volto comparve un viso furbo, sapeva che in qualche modo, in una piccola parte di me, era riuscita a farmi cambiare opinione.
Non avevo più parole …
touchési dice in queste occasioni! Mi passai una mano tra i capelli, come faccio sempre quando sono nervoso: “Beh, probabilmente reagirei alla stessa maniera, ma è comunque sua figlia e non doveva trattarla in quel modo. Tu non l’hai fatto” cercai di riprendermi, malamente.
“ No io non l’ho fatto, non l’ho fatto perché mia figlia sta percorrendo la mia stessa strada, anch’io sono andata via dall’Australia per stare con mio marito, e poi non potrei dire mai del male alla tua famiglia, perché ti voglio bene, e voglio bene anche ai tuoi per come amano Jaymes”
“Che ci fai tu qui?” mi voltai a quella voce quasi tonante: una sagoma come di spettro apparve all’ingresso della cucina.








ANGOLO DELL'AUTRICE
So che il capitolo è un po' cortino, ma andava unito al successivo e non mi andava di bruciarmi la storia tutta in una volta, così vi lascio con la voglia di sapere chi si è presentato in cucina e cosa succederà soprattutto. Mi dispiace se la storia sia diventata triste, ma sinceramente, rivedendo anche il lavoro precedente, avevo bisogno di una svolta drammatica! Era troppo melenso... così eccomi qui. Dovrete pazientare un po' prima di vedere un po' di sole...
Passiamo ora ai commenti, che sono ancora pochi...solo 2? forza ragazzi potete fare meglio...
Ringrazio chi segue la storia e chi l'ha inserita tra le seguite e le preferite (voi invece aumentate sempre  di più...grazie mille!!!)
Alla prossima...spero lunedì...Federica!

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Capitolo 8
*** Mantenere la calma ***


The best day - capitolo 8 ragazze mi dispiace ma oggi vado di fretta proprio e posso solo postare il capitolo: prometto che la prossima volta risponderò alle recensioni dei capitoli precedenti anche. un abbraccio e buona lettura!!! mi raccomando, legegte e commentate in tanti!!!







Capitolo 8
OBIETTIVO NUMERO DUE: MANTENERE LA CALMA - P.O.V. Robert



In abbigliamento da camera, e con le occhiaie che si ritrovava quel mattino, senza problemi avrebbe potuto prendere parte alla messa in scena del capolavoro di Dickens nei panni di Ebeniezer Scrooge. 
Mi alzai in piedi di scatto, in segno di rispetto, ma cercai di mostrare sicurezza, quella che la sera prima mi era decisamente mancata. 
“Tesoro, Rob è venuto a salutarci prima di ripartire per Londra …” cercava di far apparire la mia visita come un evento di normale cortesia tra genero e suoceri, ma si vedeva da chilometri che Jules era nervosa, come se di quell’uomo, che era suo marito, lei ne avesse paura … e a ragione! 
“Vai via immediatamente, sei un estraneo in questa casa, per questa famiglia!” mi ordinò, con prepotenza.

“Veramente signore ero venuto per parlare con lei della spiacevole situazione di ieri sera …" il nostro rapporto era sempre stato molto formale, io gli davo del lei, lui del tu, ma con disprezzo … forse dovrei chiedergli di darmi del lei, in fondo mi considera un estraneo … così almeno siamo pari …
“Non ti aspettare che io ritratti la mia posizione, e poi pensavo che non avessimo altro da dirci. Avete ottenuto ciò che volevate, tu e la tua famiglia di …” mia suocera intervenne “Non ricomincerai di nuovo con questa menata! Sei sfiancante John, basta! Hai già detto quel che pensavi ieri sera, e mi pare, per come siano andate le cose, che tu sia stato anche piuttosto convincente …” 
“Zitta! Fammi finire” … ma come può permettere che la tratti in quel modo, ti faccio vedere io, stronzo … “…insomma tu e la tua cara famigliola ora avete legato mia figlia a voi ”
 
“Lei non ha capito niente” risposi, raccogliendo il guanto di sfida. Non potevo credere che la pensasse davvero così, che per definire l'affetto di sua figlia si basasse solo sul suo luogo di residenza o le compagnie; continuai “non creda che io mi senta offeso per le frasi di affetto e stima riserva sempre alla mia famiglia, non mi interessano, e immagino che nemmeno a loro interesserebbero, ma non provi più usare quel tono quando parla di MIA MOGLIE!, si sciacqui la bocca prima di farlo, chiaro? Su questo non transigo: punto primo perché mia moglie non ha fatto nulla per meritarselo e secondo ... secondo perché, cazzo signore, è sua figlia … ma non prova un minimo disgusto per se stesso per come l’ha trattata ieri sera … e anche sua moglie???” 

Finalmente ero riuscito a tirar fuori tutto quello che per vergogna, o per paura, mi ero tenuto dentro la sera precedente; ed avevo deciso di non fare sconti, ed i mezzi termini non servivano più, né tanto meno essere diplomatici o garbati: ripagare con la stessa medaglia il torto subìto non faceva parte della mia educazione, ma risparmiare un uomo del genere non aveva poi molto senso. 
“Non cambiare discorso giovanotto …” si affrettò a rimproverarmi, scottato dalla sincerità e dalla verità delle mie parole.
“Non sto affatto cambiando discorso, mi sembra invece che sia lei quello che lo sta facendo …  o non ha le palle per rispondermi, sentiamo!” 
“Come mi comporto con la mia famiglia sono affari miei, e abbassa un po’ la cresta quando parli con me!”
era
sconvolto, disarmato, dalla forza e dalla prontezza della mia reazione. Forse non mi riteneva abbastanza uomo da poter parlare a quel modo.
“Non sono più affari solo suoi, da quando ho sposato sua figlia. Tecnicamente faccio anch’io parte di questa famiglia” la sera precedente avevo creduto il contrario, ma il troppo dolore e la rabbia che avevo provato, mi fecero intuire che avrei fatto bene a far sentire anche la mia voce in capitolo “ una famiglia che lei non è stato capace di conservare. Mi dispiace, perché Kris ci teneva a dare il suo nome a nostro figlio nel caso di un maschietto … ma a questo punto credo che sarà mio padre il prescelto …” ero disposto anche a rompere la tradizione di famiglia, se fosse servito a rimettere in sesto la situazione, papà e nonno se ne sarebbero fatti una ragione. 

Feci per andarmene … non voglio stare un minuto di più in questa casa di matti … lasciando sul tavolo della cucina una lettera per la mia adorata suocera, l’avevo scritta al mattino prima di uscire, la volevo spedire perché pensavo di non avere abbastanza forza per andare a trovarla, ma invece le cose sono andate diversamente … premio cuor di leone dell’anno a Rob Pattinson … non è riuscito a dire un’acca a sua suocera … così dovetti affidarmi comunque a quella lettera per far sapere a mia suocera quello che provavo per lei e per quel lato di famiglia. Avevo lasciato un paragrafo esclusivamente per mio suocero, perché doveva sapere cosa pensavo di lui. 

Prima di aprire la porta e uscire pensai però che fosse il caso di dire almeno a John a voce quello che provavo, perché non avesse da ribattere ulteriormente: “ Lo so John che io e lei non siamo mai andati d’accordo, che lei crede che io sia la causa della rottura tra Kris e Mike, a cui lei vuole un bene esagerato e ... ed in parte forse è vero, ma ciò non toglie che se Kris non mi avesse amato davvero ora non saremmo arrivati fin qui, non ci saremmo mai sposati, non staremmo aspettando un bambino. Mi dispiace signore che non ci siamo mai capiti e apprezzati reciprocamente … ah, mi faccia una cortesia in questo tempo che passerà da solo …  pensi al suo passato … si ricordi di quando era giovane …  e vedrà che sua figlia non sta avendo una vita molto diversa da quella che ha avuto lei. Addio!” 

Baciai sulla guancia la mia adorata nonna Stewart, come io e Kris ci divertivamo a chiamarla in previsione della nascita del bimbo … Kris … cazzo!!! Si sarà svegliata oramai, sono quasi le dieci!!! … dimenticai l’apple pie di mia suocera e così fui costretto a passare in pasticceria a prenderla … meglio così, cosa avrei raccontato a Kris, non devo riaprirle la ferita …

Tornai a casa e fortunatamente tutto taceva ancora  … era davvero tanto stanca la mia cucciola …

 

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Capitolo 9
*** The captain of my heart ***


The best day - capitolo 9 Eccomi qui con un nuovo capitolo della storia. Posto oggi perché nei prossimi giorni non sarò presente solo la sera molto tardi e molto di fretta e non so se riuscirò più ad aggiornare come prima. Per questo ho aggiornato i capitoli precedenti molto velocemente. Come promesso a fine pagina ci sono le risposte alle recensioni anche del capitolo 7.
Vi avverto fin da ora che questo che state per leggere è un capitolo piuttosto speciale, sperimentale potrei definirlo, perché ho provato a fare qualcosa di nuovo, che non avevo mai aftto prima. Il fatto è che mentre leggevo...beh, lo capirete da voi leggendo. poi non dimenticate l'angolo dell'autrice così vi spiego meglio la situazione. Buona lettura e, mi raccomando, recensite, perchè questa volta ho proprio bisogno di sapere che ne pensate.











Capitolo 9
THE CAPTAIN OF MY HEART - P.O.V. Kristen


Era piacevole svegliarsi e trovare il sole a farti capolino e dirti buongiorno. Pure in quel giorno, che non era buono per niente.  Era ancora di più un sollievo se le coperte si erano freddate, perché mancava la persona che le condivideva con me. 
“Rob!” chiamai. Niente, non era in bagno. 
“Rooob!” alzai il tono di voce, avrei avuto qualche possibilità di farmi sentire, se fosse stato in cucina. Silenzio.  Così mi trascinai verso il suo lato del letto. Il suo odore, almeno quello, era ancora lì. Guardai la sveglia sul comodino: erano le 9.15; altri cinque minuti a letto non mi avrebbero cambiato la vita, per quanta me ne fosse ancora rimasta in quell’angolo d’America. Sentii l’aria mancare. Il vuoto che c’era in quella casa, in quel momento, mi schiacciava, come un macigno. Avvertivo una morsa allo stomaco ed un bruciore improvviso risalì fino in gola; la sentivo ardere. Nausea. Corsi in bagno … fortuna che è in stanza … in tempo utile da non sporcare niente
… non sono in vena di faccende domestiche … voglio solo partire … e basta.
Passai al lavandino, per darmi una rinfrescata. Chissà che sogni … o incubi … avevano infestato la mia notte, tanto da farmi sudare in maniera così spropositata. Non devo avergli dato pace, povero Rob!  Mentre mi asciugavo non potei  fare a meno di notare il fantasma che si rifletteva allo specchio, al posto del mio volto. Più bianca del solito, capelli spettinati, borse nere e gonfie sotto gli occhi: non ero certo nella mia forma migliore. Non volevo svegliarmi, non ancora. Non mi sentivo ancora pronta, dopo quella sera, ad affrontare di nuovo il mondo. Tornai di nuovo a letto, trascinandomi  più che camminando. No, decisamente la sveglia per me quella mattina non era ancora suonata. Avrei aspettato lui … il capitano del mio cuore.
Perché l’avevo fatto? Perché mi ero svegliata, senza che lui mi fosse accanto. Avevo paura di aver sbagliato tutto, solo i suoi occhi erano la mia ancora, il mio porto sicuro … niente dubbi col capitano del mio cuore.

 

Too long ago

Too long apart

She couldn't wait another day for

The captain of her heart

 

Era vecchio quel ritornello che  mi si era fissato in mente quella mattina, troppo vecchio per poterlo scoprire da sola. Era stato l’ ultimo regalo al mio vecchio, era stata la canzone delle mie scuse, la canzone degli addii. L’ultima volta che vidi un suo sorriso. Il primo ed ultimo ballo padre-figlia; il giorno delle mie nozze.  Non potevo aspettare, papà, il capitano del mio cuore, non potevo attendere oltre. Non ce la facevo! Quando mi chiese perché avessi deciso di sposarlo così presto gli risposi solo che me l’aveva chiesto ed io avevo accettato; il bambino non c’entrava. Non ci aveva mai creduto, e forse non ci credevo più neanch’io, ma non avrei mai saputo dire di no … al capitano del mio cuore. Lui l’aveva preso e l’aveva fatto salpare …

Not only for a cruise
Not only for a day

 … per il resto dei miei giorni. A guardare i suoi occhi non avevo incertezze. Ma non c’erano in quel momento …  

...come ridevano quel giorno quando varcavo la navata, al braccio di mio padre. 
C’era tanta di quella gente, e tanta di quella confusione fuori dalla chiesa, i nostri fan erano accorsi numerosi, appena la notizia era trapelata. Ma non vedevo e non sentivo niente, a parte lui. Era così bello. Tante volte lo avevo visto in giaccia e cravatta, ma era la prima volta che agli occhi mi salivano tutti quei dettagli, era la prima volta che lo osservavo davvero, in tutto il suo splendore. 
Sentivo le gambe tremare, mentre avanzavo, le braccia non avevano forza, e temevo che il bouquet potesse cadermi dalle mani da un momento all’altro. Ma non poteva accadere, se lo sguardo fosse rimasto fisso sul capitano del mio cuore. Mio padre gli cedette la mia mano ed andammo insieme all’altare. Al nostro fianco, gli amici di sempre. Tom per lui, Ashley e Nikki per me.

Avrei dovuto ricambiare i sorrisi di ciascuno di loro, per ringraziarli di essere lì, di supportarmi e di avermi sopportata in tutti quei momenti di paranoia e sclero durante i preparativi. Le mie fantastiche wedding planner, Freddie e Kitty avevano fatto un lavoro magnifico, tutto era perfetto, e l’abito che mi aveva cucito Olivia, il suo primo lavoro, era degno di una principessa delle fiabe. Avevano detto che il nostro amore era una favola, meglio di quello che avevamo portato al cinema, e come tale andava celebrato.
Ma non feci a caso a nessuno di quei particolari, non avrei potuto farlo finché sarebbe stato lui lì: il miracolo più grande di quel giorno erano i suoi occhi. Era come se mi vedessero per la prima volta, come se davanti a lui ci fosse un angelo, non me, che vedeva tutti i giorni e che certo non ero il massimo della bellezza che la natura potesse offrire. 
Mi promise il suo amore con decisione, fierezza, devozione assoluta: sarei stata capace di fare altrettanto? Eppure rimase se stesso: il dolce, timido ed imbranato Rob, il mio Rob.

Quando arrivò il momento della mio giuramento, strinsi forte la sua mano e lo fissai attraverso gli zaffiri incastonati nel suo meraviglioso viso; se anche un piccolo ripensamento ci fosse mai stato, di certo in quell’istante mi aveva abbandonata: non ci stavamo sposando per il bambino, non per riparare al danno, non per far contenti genitori e nonni. Lo stavo sposando perché l’amavo, perché volevo passare il resto della mia vita con lui. Il resto, tutto il resto, era una magnifica cornice.
“I Kristen, take you Robert” pronunciare i nostri nomi bastò per far vacillare la mia voce, mentre le lacrime iniziavano a sbiadire la vista “ to be … my husband … to have and to hold … from this day forward, for better and for worse” lo vedevo sorride, pur nelle lacrime che annebbiavano la mia visuale, e gli occhi brillavano anche a lui, ma di una grande gioia. Il suo sorriso che tanto amo era colmo di sorpresa: avevo cercato di imitare, anche se malamente, l’accento inglese, di cui mi ero innamorata, perché parte di lui. Cercai di trattenere ancora per un po’ il magone e andai avanti: “ for richer and for poorer, in sickness and in health, to love and to cherish, ‘till death us do part ” Ce l’avevo fatta, ero arrivata alla fine del giuramento, ed ero felice come mai nella mia vita. 
Il pastore benedì gli anelli che Tom custodiva e ce li porse. Toccò per primo a Rob pronunciare la formula di rito. Iniziò ad infilare la vera al mio anulare sinistro; fu in quel momento che cercò i miei occhi, quasi a chiedere permesso; sorridendo annuii ed andò avanti : “Kristen I give you this ring as a sign of our marriage” in lui nessuna esitazione, non era così sicuro neanche quando aveva un copione scritto davanti a lui “with my body I honour you, and all that I am I give to you, and all that I have I share with you” l’anello terminò il percorso lungo il mio dito. 
Prese d’improvviso la mia mano, e la baciò lì dove aveva posato la fede. Arrossii come non mai. Ero definitivamente in lacrime, eppure felice. 
Tutto quello che lui era me lo aveva donato e tutto quello che possedeva lo aveva condiviso con me: finalmente completa …

Così spiegai a me stessa il motivo per cui la sera precedente mi ero comportata in quel modo, perché avevo mandato a puttane il mio passato ed avevo tagliato i ponti con chi più mi amava, o che almeno avrebbe dovuto farlo: perché senza di lui avrei perso parte di me, quella parte che gli avevo donato quel giorno; ma sapevo anche che rinunciarvi, avrebbe colpito anche lui: in fondo parte di lui era in me.
Ma tutto quell’amore valeva un tale sacrificio? Non c’era bisogno di illudersi: non li avrei più rivisti; mio padre almeno. Io ero lui e lui era me, talmente uguali da respingerci anziché attrarci. Un legame d’amore giustificava spezzarne uno di sangue?

Poi capii: non si trattava di semplice amore, non più. Rob e Kristen non c’erano più: eravamo noi, una cosa sola; a testimoniarlo il caldo nel mio ventre. Niente dubbi: quell’unicità era la cosa di cui non avrei mai più potuto fare a meno. Nella buona e nella cattiva sorte. Se mio padre non poteva soffrire mio marito, come sperava di poter amare suo nipote. L’avrebbe guardato negli occhi, e lo avrebbe odiato, perché vi avrebbe rivisto lui. Ne ero certa: maschio o femmina che fosse, la creatura avrebbe avuto gli occhi di suo padre … il capitano del mio cuore; erano troppo belli per andare persi. Sentii d’improvviso la serratura dell’ingresso scattare: bentornato a casa, amore mio! Tirai le coperte fin sopra la mia testa e mi riaddormentai.

 




ANGOLO DELL'AUTRICE

Da dove incomincio, vediamo. Allora, innanzi tutto come vi ho detto questo capitolo è nato come un esperimento. mentre ascoltavo quest canzone, The captain of her heart, mi è venuta l'idea di sviluppare un capitolo simile. Mi evoca bei ricordi, anche se non personalissimi, visto che è nel filmino del matrimonio dei miei genitori, e quindi mi fa pensare comunque a sensazioni retrò e malinconiche. ecco dunque che Kristen riflette su ciò che è accaduto, su ciò che ha fatto, e perché lo ha fatto. Ho immaginato che questa canzone fosse il brano scelto da lei per ballare con il padre il giorno del matrimonio, perché era una canzone di moda negli anni 80 (quando presumibilmente si sono sposati i genitori di Kristen).
le parti della canzone che ho riportato significano:

Troppo tempo fa, troppo lontano
Non poteva aspettare un giorno in più
Il capitano del suo cuore
e
Non solo per una crociera
Non solo per un giorno
Poi come avete notato il centro del racconto è occupato dal ricordo di Kristen del suo matrimonio. Essendo un ricordo, non può essere un racconto precisissimo degli eventi, ma sicuramente lei ricorda benissimo le sensazioni provate quel giorno. Notate che le promesse di matrimonio le ho riportate in inglese con la formula esatta utilizzata dalla chiesa anglicana, escludendo alcune piccole parti, che fanno riferimento alla chiesa e che sinceramente disturbavano il racconto,

COMMENTO ALLE RECENSIONI:

@ledyang: purtroppo non ho potuto dare una piega felice alla storia come avresti desiderato, perché altrimenti poi il racconto è troppo corto e non saprei come portare avanti la storia. non è poi così interessante se fosse tutto rose e fiori, non ti pare? prometto che la tenerezza e la tranquillità torneranno però al più presto...
@Enris: non preoccuparti se ritardi a recensire, l'importante è che lo fai, perché sai bene quanto siano importanti per me i tuoi commenti. non puoi cpaire quanto mi faccia piacere sentirti dire che sono migliorata, ma se potessi spiegarti meglio, sarebbe magnifico. ad esempio dicendomi dove posso migliorare.

Vi ringrazio per avere avuto pazienza nel leggere anche quest'altro papiro e vi ringrazio anche per la costanza con cui mi seguite. Non dimenticate di recensire questo capitolo in particolare, perché voglio sapere se l'esperimento è riuscito o se è meglio che lascio perdere.

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Capitolo 10
*** Due biglietti di sola andata ***


The best day - capitolo 10 Ragazze eccomi ce l'ho fatta finalmente!!!! Non vi garantisco che potrò postare con regolarità d'ora in avanti, ma la vena creativa come vedete non è andata persa del tutto. Mi dispiace avervi fatto aspettare così tanto ma la mia vita ultimamente è davvero frenetica. Non so se i risultati sono migliori o peggiori rispetto a prima, ma faccio quel che posso per far rimanere il livello sempre molto alto. Ho deciso di ricominciare con un capitolo tranquillo, dove non accade niente di che, e che magari sarà anche un po' noioso, a dirla tutta. Ma lascio a voi decidere, e mi raccomando, commentate!!!!











 Capitolo 10
DUE BIGLIETTI DI SOLA ANDATA


P.O.V. Richard

“Richard! Richard!” sentivo in lontananza mia moglie che mi chiamava; io intanto riemergevo dal sonno. 
“Sì? Che c’è Claire?” Non era la solita sveglia del mattino, quella delicata e dal profumo di tè. 
“Il telefono squilla.” Mi voltai verso il comodino, la sveglia segnava le 5 del mattino. 
Una sola persona poteva chiamare a quell’ora. 
Non ricordo bene i miei movimenti, so solo che mi ritrovai, con la vestaglia infilata e le pantofole ai piedi, a scendere le scale a perdifiato, fiondandomi come un razzo sull’apparecchio telefonico. 
Col fiatone risposi “Rob?”
Non c’era bisogno di un genio per capire che a quell’ora si potevano ricevere solo chiamate da oltreoceano, dove l’orario sarà stato certamente più appropriato; ma comunque mi preoccupai, visto che i ragazzi non avevano mai disturbato a quell’ora. “Che c’è figliolo, che è successo?” 
“Ciao papà. senti, potresti passarmi la mamma?” La voce sembrava calma, ma fin troppo seriosa: era un attore, poteva darmela a bere con facilità. 
“Sei sicuro Rob? Dimmi che va tutto bene” continuai con il mio interrogatorio, preoccupandomi ad ogni secondo che passava senza avere una risposta.
“Te l’ho detto papà, va tutto bene, ma mi passeresti la mamma, ho bisogno di un favore” 
“Ma se va tutto bene perché chiederlo a quest’ora il favore, Rob? Non potevi chiamare più tardi? Dimmi che tu stai bene e Kristen sta bene e che …” non potevo pensare ad una cosa così brutta “… e prima che me lo chiedi, anche il tuo nipote preferito, nonché unico, sta bene” rispondendomi così, Robert mi procurò un sospiro di sollievo. 
“Ora, me la passi mamma?” senza dire una parola, con un pizzico di amaro in bocca, visto che mio figlio puntava sempre a sua madre, passai l’apparecchio a Claire, che mi era rimasta affianco col fiato sospeso, e se possibile mi aveva fatto salire l’ansia ancora di più. 
“Che c’è tesoro?” Eccola che comincia a fare le fusa a suo figlio: a volte mi sento geloso di quella intimità; ma d’altronde, io e mio figlio non siamo stati legati per nove mesi con un cordone. 

Ormai certo il sonno perso non poteva essere recuperato, così mi spostai in cucina, e mia moglie mi seguì a ruota con il telefono portatile. Iniziò una fitta, nonché interessantissima conversazione con Robert, fatta di ehm, sì, capisco, certo come no … se avessero usato l’alfabeto morse, li avrei capiti più facilmente. Almeno Clare aveva avuto il buon senso di mettersi a preparare la colazione nel frattempo. Accesi la televisione e passai distrattamente in rivista i canali di notizie.
La mia attenzione fu poi attirata da una frase di mia moglie “Ma perché? Mi vuoi spiegare per cortesia cosa è successo?” 
Allora qualcosa era successa davvero! Ma perché Robert non me l’aveva detto, e perché Clare continuava ad essere così tranquilla. Con la stessa calma di sempre, la telefonata si interruppe con un “Ci vediamo, buon viaggio” che ovviamente mi insospettì. 
“Già di ritorno?” chiesi, con nonchalance, tentando di celare il mio stato d'animo reale “ma non dovevano tornare tra 3 settimane?” 
“Sì ma hanno anticipato la partenza. Kristen aveva bisogno di tornare” 

A quelle parole mi si rizzarono le antenne: volevo troppo bene a mia nuora per poter sopportare che le succedesse qualcosa di grave; e poi portava il mio nipotino in grembo: una ragione in più per preoccuparmi. “Ma allora non sta bene? È successo qualcosa al bambino” 
“No, calmati caro, non è successo niente! Non si tratta di questo” Mi innervosii 
“E allora? Santo Iddio, ma perché non mi dici le cose come stanno Claire. Non sono malato di cuore, se è successo qualcosa di brutto non mi sento male” mi facevo forza, ma sapevo che era una bugia anche per me. 
“Non ti dico niente perché non è successo niente di grave. Robert mi ha solo chiesto di andare a casa loro, e dare una sistemata prima di rientrare. E anche di fare un po’ di spesa, perché il frigo è vuoto, visto che avevano programmato di rimanere via per un mese.” Mi tranquillizzai definitivamente; Clare non mentiva. 
“Ma perché ripartono subito? Che significa che Kristen aveva bisogno di tornare?” 
“Non lo so, non me l’ha voluto dire. E questo mi sembra strano. Mi ha detto che se voleva, ce l’avrebbe spiegato lei al ritorno” stavolta però era preoccupata Clare, e lo ero anch’io.

Tuttavia mi sentivo felice, fiero, che Kristen avesse scelto di tornare in Inghilterra così presto. Sicuramente non era così, ma mi piaceva credere che la nostra compagnia le fosse più gradita di quella della sua famiglia. Così azzardai ad incoraggiare Clare “Beh allora tesoro non preoccuparti; non sarà successo niente di così brutto poi; magari è la solita storia con i paparazzi. Sai quanto Kristen e Rob li detestino; avranno deciso che la cosa migliore era tornare qui e starsene tranquilli, prima di riprendere con il lavoro …” 
“ma sì forse è come dici tu”.


P.O.V. Robert

“Mamma adesso ti devo lasciare, che sta arrivando Kris …” “Ma perché? Mi vuoi spiegare per cortesia cosa è successo?” “Mamma, ti prego, ora non posso parlare, te lo dirà lei quando torniamo, se vuole. Ciao!” mi dispiacque molto riattaccarle il telefono praticamente in faccia, ma era l’unico modo che avevo per evitare di rispondere a quella domanda. 
Uno perché non volevo parlarne davanti a LEI, non volevo farla rabbuiare di nuovo e due, perché sinceramente cosa avrei detto a mia madre per giustificarlo? Più ripensavo a mente fredda a ciò che era successo, e più mi davo del minchione per non aver saputo trovare un compromesso ed aver fermato quella catastrofe. Anzi, avevo ulteriormente peggiorato la situazione con le mie stesse mani. 
Stavamo per diventare genitori, ciò nonostante ci stavamo comportando come dei bambini: scappavamo dai problemi anziché affrontarli. Ma lei aveva voluto così e sì, lo ammetto, ero e sono completamente succube di lei, non posso non assecondarla, ogni volta. Tanto più allora, che era incinta e non volevo che le capitasse niente di male.

Era andata in bagno prima di partire, perché durante il volo non si sarebbe mossa dal sedile, o meglio non avrebbe scrollato via la sua presa dal mio braccio. Gli occhiali neri e capelli perennemente in disastro mostravano ai paparazzi che ci ronzavano intorno la solita Kris, ma sapevo che sotto le lenti nascondeva delle occhiaie profonde e livide. Le avevo detto che se fossimo arrivati troppo presto in aeroporto avremmo dovuto aspettare ed avremmo certamente attirato l’attenzione, ma aveva voluto fare di testa sua, aveva voluto abbandonare quella città il prima possibile, e anche stare a LAX la faceva sentire possibilmente più vicina alla meta del nostro viaggio. 
Avevamo già dei biglietti per il ritorno, previsto in data molto più lontana, ma non essendo rimborsabili dovetti prenderne altri due, un volo diretto per Londra, di sola andata.

In attesa di imbarcarci stavamo sulle panchine come una normalissima coppia, come tante ce ne erano lì in quel momento. Cercavamo di non dare importanza ai flash che partivano da ogni parte dell’edificio, probabilmente non avevamo la forza, più che la voglia, di fermarli in quel momento. Kris teneva la testa appoggiata alla mia spalla e, tipico segno della gravidanza, tendeva ad avere le gambe divaricate mentre stava seduta. Di tanto in tanto accarezzava la pancia che, ormai giunta al quinto mese, non poteva più essere nascosta. Lei ascoltava musica dall’ iPod, io tentavo di leggere una rivista qualsiasi presa distrattamente nell’edicola dell’aeroporto, mentre come un tic che le accarezzavo i capelli. 
Ma venni distratto facilmente dalla tenerezza del quadro familiare che io e la mia dolce metà stavamo componendo. Non resistetti e le stampai un bacio sui capelli profumati. 
“Vi amo” sussurrai. 

Non ero sicuro che avesse sentito le mie parole, ma sembrò rispondere quando strinse le sue braccia attorno al mio e mi attirò più a sé. 
“Scusa per questo trambusto” mi disse. Aveva quel maledetto vizio di mantenere le cuffie alle orecchie, nonostante non ascoltasse nulla; allora aveva davvero sentito le mie parole: ne ero felice.  Sembrava voler dire qualcosa, i suoi occhi me lo chiedevano, però era incerta, credo soprattutto nei confronti della mia possibile reazione. Effettivamente non avevamo ancora parlato di ciò che era accaduto. Io le avevo dato il mio pieno e devoto appoggio, come sempre; da parte mia non le avevo però rivelato del mio incontro con i suoi quella mattina stessa. 
“Come stai?” le chiesi. 
Fraintese la mia domanda: “Bene, non ho più avuto nausea da stamattina, ed il sonno lo recupero ora che saliamo in aereo …” 
Posai la mia mano libera dalla sua stretta sul suo cuore, per farmi capire meglio “Come stai, qui?” Un attimo di silenzio. Abbassò lo sguardo: forse non stava poi così bene come aveva voluto farmi credere. Ed i miei sensi di colpa presero di nuovo a farsi largo, prepotenti. 
“Kris non è tardi per tornare indietro. Possiamo tornare a casa e sistemare le cose.”
Alzò lo sguardo implorante ma decisa “Sì Rob io voglio tornare a casa mia! Voglio tornare a Londra” la speranza che avremmo risolto tutto svanì improvvisa così come era arrivata. 
“Ma non pensi di aver bisogno di loro?” le dissi mentre scuoteva la testa “di tua madre, almeno? Lei non ha  colpe!” 
“Lo so Rob che lei non c’entra. Ed infatti lei farà sempre parte della mia vita. Ma non potevo dargliela vinta”. 
La presi per mano: “Kris ascolta” non potevo mentirle, non l’avevo mai fatto e non potevo cominciare proprio in quel momento “io rispetto e accetto tutte le tue scelte, ti seguirò ogni decisione prenderai, però credo che una possibilità dovresti dargliela. Parlare non significa gettare la spugna. Si tratta di venirsi incontro. E magari lui potrebbe capire e …” “Ssshhhhhhhhh!!!” posò un dito sulle mie labbra, a zittirmi “lo sai qual è la ragione per cui mi sono comportata così? Perché mi sono resa conto che mio padre non è capace di amarti” sapevo che era così, lo era stavo fin dal principio, ma non mi ero mai arrabbiato perché in fin dei conti nessuno ci aveva ostacolati concretamente nei nostri progetti, la sua avversione era rimasta del piano verbale e non mi dava fastidio più di tanto. 
“Ma questo non mi importa, col tempo passerà, qui si tratta del vostro rapporto!” 
Ma lei no, lei si sentiva offesa, presa in giro.
“No, Rob, no! Noi siamo una cosa sola ormai, se lui odia te odia anche me. Ed odierà alla stessa maniera anche nostro figlio” 

Chiamatemi pure debole, pollo, ma quando disse queste parole mi sciolsi totalmente e non fui capace di controbattere, gliela diedi vinta, come al solito. Avvolsi con un abbraccio le sue spalle, e la feci accoccolare sul mio petto, lei cinse la mia vita con un abbraccio abbondante e caldo. 
“Ok, va bene ... per ora si fa come vuoi tu. Tanto si fa sempre come vuoi tu!" dissi sarcastico mentre lei rideva sotto i suoi baffi da gattina. "Ma promettimi che ci penserai. E che seguirai il mio consiglio. Si tratta almeno provaci …” Non potei continuare oltre, perché le sue labbra si fermarono sulle mie, e mi tolsero il respiro. Dire che si fermarono, oltretutto, è una parola grossa … 

“Ah, comunque …” mi disse affannata quando terminammo entrambi l’aria nei polmoni e dovemmo staccarci “Ti amiamo!”

 

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Capitolo 11
*** Birthday of truth ***


The best day - capitolo 11 Scusate scusate scusate!!!!!!!!!!!!!!! Lo so sono in trmendo ritardo, ma non so cosa sia successo??? mi sono persa nelle lande desolate della caranza di ispirazione. Ma ho scritto qualcosa e voglio proporvelo comunque, anche se non dovesse essere un capolavoro della letteratura...lo aggiusterò meglio nel tempo, e magari porovvederò a sostituirlo se dovessi partorirne una versione migliore. Mi rendo conto che la mia assenza avrà certamente provocato un calo nel mio "seguito", ma vi garantisco e ribadisco per l'ennesima volta che non ho alcuna intenzione di chiudere la mia storia. Vi sono troppo affezionata per non finirla. anche perché nella mia mente è già tutta scritta. Il problema  arriva quando ho davanti a me la pagina bianca...
comuqnue per farmi perdonare vi posto un capitolo bello lungo. forse alcune aprti possono essere limate, altre approfondite, ed è per questo che ho bisogno del vostro aiuto per migliorarla. I vostri commenti per me saranno preziosissimi, come sempre.
Vi aspetto a fine pagina per la risposta alle recensioni - ho un bel po' da recuperare anche lì -  e con l'angolo dell'autrice
Ho pubblicato anche una one shot, sempre Robsten, ormai la mia specialità. Mi farebbe piacere se le desse uno sguardo e la commentaste....QUI
Buona lettura!











Capitolo 11
BIRTHDAY OF TRUTH - P.O.V. Kristen

“Tanti auguri a te!
Tanti auguri a te!
Tanti auguri a Robert!
Tanti auguri a teeeee!!!!”

E mentre spegneva le 24 candeline sulla torta che sua madre aveva preparato per l’occasione, una pioggia di applausi e  grida ricoprivano il mio festeggiato.
C’era poco da festeggiare, secondo lui. Di lì a pochi giorni avrebbe dovuto iniziare un nuovo lavoro, Water for Elephants, il che significava di nuovo aerei da prendere, di nuovo sedute di trucco e parrucco, di nuovo orde barbariche di ragazzine appostate ogni giorno ai bordi del set.
Eppure ogni giorno che passava, ogni giorno che ci portava a separarci, riuscivo a fargli trovare un motivo per essere positivo e sorridere. Tutto sommato era persino eccitato, sebbene non ci saremmo visti per 2 mesi, perché significava che i suoi impegni si sarebbero esauriti e poi si sarebbe potuto concentrare esclusivamente sul cucciolo e su di me. E questo non poteva che rendermi altrettanto impaziente di trascorrere quei mesi.

 

“Ma perché non vieni con me? Lo sai che mi fa male saperti lontana … non potervi proteggere …”
“Cosa potrebbe succedermi, Rob?”
In certi casi, le conversazioni sono migliori se fatte mentre si è indaffarati in qualcos’altro. Ad esempio, la preparazione dei bagagli. Non che Robert avesse bisogno di portare con se tutto l’armadio, visto che usava sempre le solite t-shirt, e lasciava che io tenessi il resto, per poter avere sempre su di me il suo odore. Ma comunque avere la testa immersa nei cassetti tra le magliette aveva il suo bel vantaggio: nascondermi dai suoi occhi, che come calamite irresistibili colgono ogni sfumatura del mio volto, anche se coperto da una maschera di bronzo.
Alle sue insistenti preghiere  di accompagnarlo a Los Angeles cercavo di oppormi serenamente e risoluta, eppure il dolore fisico che ci avrebbe colti entrambi, una volta che il suo aereo avesse lasciato il suolo britannico, lo iniziavo ad avvertire anch’io. Una morsa che chiude lo stomaco, una coltellata che trafigge l’anima. Silenzio, buio, vuoto.
Ma c’era qualcosa che andava aldilà della tristezza che avrei provato: non potevo tornare a Los Angeles.

Gli avevo accampato una marea di scuse più o meno plausibili, come quella del corso preparto, che con una telefonata avrei potuto benissimo continuare a fare in California, che non volevo lasciare il ginecologo che mi seguiva a Londra. Ma sapevo che non se n’era bevuta neanche mezza … tuttavia, finché non mi avesse parlato direttamente dell’argomento, mi stava bene.
"Amore … guardami” mi prese di scatto mentre ero intenta a rovistare nel comò, mi girò e prese tra le sue mani caldissime il mio volto. Fu molto delicato, le sue dite affusolate di pianista erano come soffice cotone sulla mia pelle. Quando mi amava c’era un non so che di femminile in lui, mi trattava come un curatore tratta la più preziosa statua del suo museo, come se fossi la Gioconda del Louvre. “Amore!” ripeté, stavolta con più decisione, costringendomi ad immergermi nel suo sguardo “Dimmi solo perché” “Lo sai perché” mi sbrigai a rispondergli, tornando alle sue camicie.

"No. Non lo so perché!” sapevo quanto mettersi contro di me gli dava fastidio, perché la sua devozione, glielo ripetevo in continuazione, era arrivata al punto di non ritorno, eppure lo faceva comunque, perché per lui la cosa più importante era il mio benessere “ e secondo me” continuò “non lo sai più nemmeno tu”

 

Ed invece io lo sapevo eccome. Lo nascondevo, sapevo mentire, sfortunatamente sapevo mentire benissimo davanti a mio marito, ed è per questo che passavo la notte a piangere non appena si fosse addormentato, e la mattina il cuscino, o a volte anche la maglietta che lui usava per dormire, erano umide. Brutti sogni e sudate notturne erano la versione ufficiale.

 

Il giardino nelle prime giornate calde di maggio si riempie di colori e profumi e fu decisamente generoso il tempo a concederci quella bella giornata per festeggiare il compleanno di Robert all'aperto. Erano venuti tutti a fargli gli auguri e a festeggiarlo, persino i nonni dallo Yorkshire. 
Eravamo tutti lì a ridere e scherzare con Richard, il quale era convinto che non si sarebbe lasciato intenerire più di tanto dal nipotino che stava arrivando. Lo prendevamo tutti in giro, dicendogli che stava prendendo la patente per il passeggino clandestinamente, e tutte le battute tipiche del caso. 
Sia io che Robert, anche se solo per poche ore, eravamo riusciti a levarci pensieri cattivi e malinconici dalla mente e ridere un po’ di gusto.

Il suo telefono squillò all’improvviso. Certamente qualche amico o collega aveva telefonato per gli auguri, e siccome i suoi pazzi amici non la smettevano un solo istante di fare baccano, fu costretto a tornare in casa per avere un po’ di pace durante la conversazione. Non sapevo chi fosse, ma mi fidavo talmente di lui, che sinceramente non me ne importava nemmeno. Tuttavia, quella telefonata mi sembrò durare un po’ troppo, per essere fatta di semplici auguri, così andai dentro a chiamarlo.

Mi venne incontro, sorridente: “Chi era al telefono?” 
“Stephanie, la mia pubblicista. Ha attaccato a parlare di lavoro e non la finiva più, sai che noia!!!” Quanto mi stava antipatica quella donna, proprio non potevo spiegarlo a nessuno. Era un qualcosa di viscerale, che non riuscivo a spiegarmi. Forse perché non aveva mai voluto aiutare me e Robert quando dovevamo nasconderci dai paparazzi, nei primi mesi della nostra storia, al contrario di Nick, il suo agente, che si è sempre dimostrato un buon alleato. Forse, perché intimamente ho compreso che a lei tutto interessa di Rob, fuorché la sua carriera. Forse, perché diverse volte ho visto i suoi occhi avventurarsi furtivi lungo il fondoschiena del MIO, allora, ragazzo. 
“Ah, ok" Robert sapeva che mi dava profondamente fastidio, e quindi era un po’ nervoso, forse per la mia reazione. ""Ehi, tranquillo!!!" lo rincuorai, accarezzandogli la guancia "Guarda che non ti spello vivo!!! Tanto lei è a Los Angeles …” mi guardava con degli occhi dubbiosi, non capivo …. Oddio! ... “perché è a Los Angeles, vero?” chiesi impaurita.
Il suo volto esplose in una risata che lo illuminò come il sole, mi agganciò a sé prendendomi in vita, cosa che diventava sempre più difficile per via del pancione di 6 mesi ormai, mentre era alle mie spalle “Ma come devo fare con te??? La mia gelosona!!!” Prese a baciarmi tutta, i capelli, le tempie, il collo, finché non ne potevo più, così mi girai verso di lui e conclusi l’opera esattamente come ritenevo fosse più opportuno: impossessandomi delle sue la labbra.
 

A sera, rimasti soli, mi aiutò a sistemare nelle credenze tutte le stoviglie, mentre io pregavo che la sua sbadataggine si facesse un giro dell’isolato, almeno finché non avesse messo tutti i bicchieri di cristallo e i piatti di porcellana al loro posto. 
Mentre gli passavo una teglia da forno, che era nel ripiano più alto mi disse: “… comunque abbiamo lasciato un discorso in sospeso l’altro giorno” 
“oh, non mi sembra proprio di averlo lasciato in sospeso … QUEL discorso” gli risposi ironica, all'unico di evitare quello di cui lui parlava.
 
Mi guardava con occhi che non lasciavano spazio al minimo dubbio o fraintendimento. Stava tornando di nuovo al discorso di due giorni prima, quello che con un pizzico di malizia femminile avevo saputo gettare alle nostre spalle. L’avevo distratto con un discorso, sicuramente più urgente, al quale, generalmente, nessun individuo maschile sulla faccia della terra sa dire di no. Le sue morbide mani sul volto me lo avevano ispirato. 
Confidavo che il suo non lo avrebbe più ripreso, invece doveva stargli davvero a cuore. 

Scese dalla sedia che aveva usato a mo’ di scalino, e mi venne vicino. Io abbassai lo sguardo, e mi rimisi a lucidare l’argenteria.
Dovevo solo evitare i suoi occhi, come se fosse la mia Medusa.

“Devo capire perché non vuoi venire con me, ora. Tanto dovrai per forza tornare a Los Angeles in giugno, per il tour di Eclipse” 
Mi si accese la lampadina: voleva la verità? A modo mio gliel’avrei concessa. 
“Appunto. A giugno abbiamo la promozione del film. Avrò qualcosa da fare, lì. Ora come ora mi sento più utile qui, invece. La cameretta da arredare, il corredino da sistemare, le visite ginecologiche e il corso preparto …” 
“Non ricominciare con questa solfa, Kri …” non cascava più a nessuna delle mie bugie, e sembrava innervosirsi ogni volta che provavo ad inventarmene di nuove.
“uffa, fammi finire! I tuoi nonni mi hanno invitata a stare da loro in campagna per una settimana, e voglio andarci ora che tu sarai via … mi farà bene svagarmi … un po’ d’aria pulita! Credi che Los Angeles sia così salutare per me? Lo smog e i paparazzi mi costringeranno a rimanere chiusa in casa … sai che divertimento!!! Poi tu sarai impegnato sul set, quindi stare qui o a L.A. non cambia molto le carte in tavola …” speravo che bastasse a convincerlo, ma dovevo aver reputato mio marito più ingenuo di quanto fosse, e mi vergognai da morire, per averlo solo minimamente pensato. 
“Ecco cos’è! TU NON VUOI RESTARE SOLA.
è così, vero? ” 
“Sì è così” Non potevo proprio negarlo, per cui, visto che l’aveva capito da se, era inutile continuare ad inventare altre scuse. Poi, non era bello mentirgli, mi avrebbe fatto stare ancora di più da schifo, quando saremmo rimasti soli, io ed il mio bambino. Lui diceva sempre tutto, mi esprimeva il suo giudizio su ogni questione, anche se sapeva che mi avrebbe ferito, ma voleva giocare a carte scoperte … la sincerità e la fiducia erano dovevano essere al primo posto: questo era l’insegnamento che ci aveva trasmesso sua nonna Elizabeth, il giorno delle nozze.

“Sì, è vero amore, non voglio stare da sola. Mi fa paura. Il silenzio mi fa pensare, ed io non DEVO pensare. Altrimenti vengono a galla tante cose brutte: sul futuro, sul bambino, su noi, sulla famiglia …” Mi osservava sereno mentre mi sfogavo. Dovevo sembrargli una pazza da compatire e, mentre le lacrime completavano la mia mensile crisi di nervi, lui pazientemente le asciugava con i pollici. Doveva aver capito tutto sin dal principio. Quindi, sapeva di certo, che in più c’era qualcos’altro.

“Ti amo” mi disse semplicemente, come un soffio sfiorando la mia fronte “però non posso lasciarti qui a tenerti tutto dentro. è per questo che devi tornare a L.A. … prima risolvi questa situazione, e prima starai bene” 
“ma io sto bene. Qui ho tutto quello che posso desiderare!!! Sono felice, davvero!!! Qui tutti ci amano” 
“Ma qui non ci sono quelli che TU ami. Non tutti, almeno” Sì aveva capito. Non dovevo fermarlo perché era la verità e sentirmela dire da un’altra persona mi faceva bene. Eppure io non stavo così male come lui mi stava descrivendo: da quando eravamo tornati nel Regno Unito avevo trovato un mio equilibrio. Le mie cognate mi divertivano e con le altre nostre amiche passavamo il tempo tra shopping e piccoli rinfreschi. Il pranzo dai miei suoceri, la domenica, era diventato una tradizione irrinunciabile. Le carezze di mia suocera e gli abbracci di mio suocero mi facevano sentire parte di una grande famiglia, di nuovo. La mia l’avevo persa, ma ero riuscita a rifarmene un’altra. Tornare al punto di partenza avrebbe significato riaprire la ferita, e non potevo permettermelo.

“Ascoltami Kris” mi disse “c’è qualcosa che ti devo dire, e so sin da ora che non ti farà piacere. Però devo farlo, come sempre” mi spaventava, ma se lo faceva era solo per il mio bene. Così annuii: “come sempre” gli confermai.

“è passato un mese da quando è successo quel casino a casa dei tuoi …" era agitato quanto me, lo sentivo dalla sua voce, che arrancava, lo vedevo dalle sue mani, che non riuscivano a stare ferme e continuavano a scorrere tra la seta dei suoi capelli “e come sai io ho sempre disapprovato il tuo comportamento, anche se ti sono rimasto vicino …”
 
“Rob” intervenni “dove vuoi arrivare?”






L'ANGOLO DELL'AUTRICE
Lo so vi lascio con il fiato sospeso, ma è importante per me legarvi alla storia, anche in questo modo...
Ovviamente la parte di testo in grasseto è un flashback, di pochi giorni prima che si svolgano i fatti del racconto.  Vorrei specificare che sebbene nella narrazione mi stia mantenendo in spazi e tempi presenti, ogni fatto che racconto è puramnete inventato. anche per forza, perché non ho la sfera di cristallo per sapere cosa a accadrà il 13 maggio....
ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere il capitolo, e ne approfitto anche per chiedervi di aiutarmi a scegliere il nome di questo capitolo, perché sinceramnete non mi esalta particolarmente.

COMMENTI ALLE RECENSIONI
(per praticità rispondo solo all'ultimo capitolo)

@Enris:
sono contenta che il P.O.V. Richard ti abbia colta di sorpresa, vuol dire che ho colpito nel segno, perché era proprio quello che volevo.è la storia di una famiglia, quindi limitarmi solo ai due punti di vista di rob e kristen mi risulta limitante. sappi che sto pensando di sviluppare anche un altro P.O.V.,utilissimo ai fini della storia.Sono contentissima che il capitolo "sperimentale" sia stato un successo.sero di trovare il modo di farne altri in quel modo.
@ledyang: purtroppo non posso essere presente come vorrei, perché l'università mi tiene occupata tra lezioni e tirocinio, x l'intera giornata, e a sera sono troppo stanca per mettermi davanti al pc a scrivere.però penso sempre a come poter continuare, non ti preoccupare. tu continua a recensire,mi raccomando.
@Imaginary82: ecco la latitante...mi chiedevo dove fossi finita??? Be', certo che anch'io mi difendo bene, da quetso punto di vista...hai ragione, sono imperdonabile, ma che vuoi, come hai detto tu, oltre alla ff abbiamo altri impegni che hanno assolutamente la priorità...darò un'occhiata ai tuoi lavori appena posso, ma tu tieni sott'occhio i miei sempre, ok? come ti è parso questo??? secondo me la pausa che ho avuto si è fatta sentire, perché la scrittura, rispetto al passato non "scivolava", è come se avessi dovuto ricominciare da zero....

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Capitolo 12
*** How will you remind me? ***


The best day - capitolo 12

Ciao a tutti? come va? Rispetto all'ultimo aggiornamento sono stata molto più veloce, e questo è sicuramente un buon segno...vuol dire che ho ritrovato lo stimolo a scrivere. Ma questo è soprattutto grazie a voi che mi seguite...addirittura 5 recensioni, wow!!! per me è tanto, ma so che potete fare ancora meglio...quindi non aspettate oltre ed andate a leggere il capitolo. Buona lettura e ci vediamo a fine capitolo con l'angolino tutto mio....

Capitolo 12  

HOW DO YOU REMIND ME? - P.O.V. John

 

La mattinata si era avviata come di routine: colazione, zapping annoiato dei canali tv per le ultime notizie e passeggiata con i cani per soddisfare i loro “bisogni”.
Nella monotonia delle giornate gli eventi si ripetevano come se ogni giorno fosse uguale al precedente e a quello che sarebbe seguito. Nemmeno il lavoro riusciva a rendere più interessanti le mie ore.
In casa i momenti di conversazione erano stati ridotti al minimo ed i ragazzi avevano imparato a fare poche domande. Erano abbastanza grandi e maturi da capire che non potevano indagare più di ciò che io avevo concesso loro di sapere, e non certo Jules era disposta ad intervenire al posto mio, come normalmente avrebbe fatto.
Tra di noi litigare non serviva, il silenzio era più assordante, doloroso e pesante di mille parole urlate all’altro, in faccia a statue di marmo gelido. Quello stesso silenzio bastava a ricordarci i pensieri e le opinioni di ciascuno. Lo riconosco, per mia indole non riesco ad ammettere l’errore mai, neanche quando la verità mi si para davanti, cristallina. E lei mi vuole troppo bene per dirmelo, aprendomi gl’occhi, e facendomi star male. Eppure vivevo nel suo dolore, incrociare il suo sguardo anche solo per un attimo era sufficiente per entrare nella sua anima.

tired of living like a blind man
I'm sick of sight without a sense of feeling
And this is how you remind me
This is how you remind me
Of what I really am


I cani per fortuna mi avevano salvato da quella casa di spettri. Loro non sembrano giudicare le nostre azioni, mai. Loro ci vogliono bene, sempre e comunque; ci amano tutti, indistintamente. Perché i rapporti umani non potevano essere altrettanto semplici ???

Decisi di fermarmi un attimo in un market prima di rientrare in casa, per prendere la birra e le sigarette. Prima di passare alla cassa mi imbattei per caso nello scaffale delle riviste. Solitamente evitavo quella parte di negozio, perché consideravo i paparazzi una piaga da debellare, una pianta velenosa da estirpare.
Eppure quel giorno mi trovai catapultato lì, come se ci fosse stata una calamita, come se una sirena mi avesse attirato alle sue rive col suo bel canto.
Posai gli occhi sullo scaffale della cronaca rosa …  così … distrattamente.
Non mi aspettavo di trovarla lì … mia figlia.
Non mi aspettavo che fosse finita in copertina, in mezzo a tanta spazzatura, con suo marito ed il loro bambino, che lei portava in grembo. Persi un battito. Presi anche una copia di quel giornale e tornai a casa.

 
… of what I really am

 
Chiuso nello studio col mio Starbucks fumante, iniziai a sfogliare la rivista. Era un normalissimo giornale di gossip, solo foto e didascalie poco intelligenti.
Loro, così riservati, così attenti ad ogni uscita, si erano lasciati trovare dai paparazzi ed erano rimasti indifferenti davanti a tutti quei flash. Così strano …
Le foto risalivano al giorno della loro partenza. Erano a LAX, ed aspettavano il volo come tutte le altre persone che erano in aeroporto in quel momento … forse i paparazzi erano l’ultimo dei loro pensieri.
Li osservai meglio: non erano più i signori snob ed elegantissimi che si erano presentati alla mia porta, ed erano venuti a cena da me una settimana prima; erano semplicemente Kristen e Robert, Kris e Rob come gli piaceva chiamarsi tra loro: due ragazzi normali, i NOSTRI ragazzi.
Ritrovai gli stessi giovani, dolci, affettuosi, innamorati, poco più che adolescenti che con timore mi annunciavano mesi prima che sarei diventato nonno, gli stessi che erano venuti a passare il Ringraziamento in famiglia. Gli stessi che, timidi ed impacciati, vidi giurarsi amore eterno davanti a Dio.
Eppure in casa
mia non li vidi così quella sera. Qualcosa in loro era cambiato.
Ad esser sinceri ora non so più se davvero fossero loro ad essere cambiati, o se piuttosto sia cambiato io. Ma non c’era più ciò che amavo di loro. La semplicità, la giovinezza di spirito. Avevano i corpi di due ventenni, ma erano cresciuti … erano invecchiati dentro.
Non avrei voluto vederli in quel modo, non avrei dovuto. Era la mia bambina lei, ma varcata la soglia di casa, avevo trovato una donna.
Lui era sempre stato più immaturo di lei, nonostante l’anagrafe dimostrasse il contrario. Diceva sempre che i loro cervelli si incontravano a metà strada tra i suoi 24 anni ed i 20 di lei. Ma davanti a me avevo due persone di mezza età. E non per l’abbigliamento, non per il modo di parlare. Lo sguardo era spento, come quello di che ha già provato tutto e dalla vita non aspetta altro. Non realizzato, no; annoiato piuttosto.
 
Non tolleravo l’idea di vederli in quel modo. Dovevo intervenire. Così venne fuori la mia sparata di quella sera. Vani furono i miei tentativi interiori di trattenerla, sia quelli di mia moglie di mitigarla.

I love you and I swear I still do
And it must have been so bad

 E così fu che rimasi solo … 

and this is how, you remind me  

… e si fece mattina.
Lui venne a trovarci. Lui non ci aveva scordati. A lui non interessava minimamente cosa avessi detto di lui o della sua famiglia.

Aveva solo a cuore il bene di sua moglie … mia figlia.
Mi aveva urlato contro, aveva inveito, perso ogni traccia della buona educazione che si trascinava dietro dal vecchio continente. Vedevo il suo sguardo in fiamme, ma sapevo che gli faceva male. Perché ha un cuore buono, perché è davvero un bravo ragazzo.
Non ci ha mai mancato di rispetto, non ha mai mancato di rispetto Kristen.
Mi ero ostinato a credere che i bravi ragazzi si trovassero solo nel proprio isolato, che si conoscessero solo perché li avevi visti crescere e di certo non ti piombassero in casa da un aereo venuto da Londra. Lui aveva bruciato le tappe, e per questo lo avevo giudicato male. Un ragazzo moderno con un anima antica: era quello il marito di mia figlia, l’uomo che lei amava ed aveva scelto, mio genero … mio figlio.

 

This time I'm mistaken …
… and I've been wrong, i've been down,
been to the bottom of every bottle…

 

Ed eccoli lì, tutti e due, accoccolati, stretti, come tutti gli innamorati di questo mondo, ad aspettare un volo che me li avrebbe portati via, per sempre.

It's not like you to say sorry …

 
Certo non sarebbero tornati da soli indietro. Conoscevo troppo bene mia figlia, mi assomiglia troppo per non sapere che si farà solo quello che vorrà lei. Ma non per despotismo, no, ma solo perché abbiamo avuto entrambi la fortuna di trovare un amore assoluto e devoto nella persona che ci è accanto.
Non dovevo mettere nessuno in mezzo, né mia moglie, né i miei figli. Era mia la colpa ed io dovevo tirarci fuori da quella situazione.

Se avessi temporeggiato, cosa sarebbe stato di noi? Cosa sarebbe rimasto? Come mi avrebbero ricordato? Mi avrebbero ricordato? 
All’inizio forse sarei stato
il solito ricordo doloroso, una stretta al cuore che ti porta alta salivazione per la rabbia, e l’umore nero in corpo. Poi sarei stato un ricordo vago e lontano, non più doloroso, ma fastidioso. Infine … l’oblio. Non potevo permettermi una fine simile.

Senza neanche pensarci due volte alzai la cornetta, composi il numero e pregai che nessuno lasciasse la chiamata senza risposta …

“Pronto?”
“Ciao Rob.”







L'ANGOLO DELL'AUTRICE

No, ragazzi, tranquilli, non incominciate ad agitarvi. Non avete perso voi nulla, né io ho lasciato un capitolo per strada. Voglio portarvi piano piano alla metà, in maniera lenta ... e dolorosa. Muahahahahah!!!! scherzo! No, diciamo che prima di tornare alla narrazione principale, per come sto impostando la storia, e nella direzione che le ho fatto prendere, avevo bisogno di studiare quest'altro punto di vista. Spero non sia troppo malinconico. Spero che le ragioni siano sufficienti e la risoluzione sia d'effetto. Le frai si che trovate qua e là nel testo sono della canzone "How you remind me" dei Nickelback che ho riadattato per l'occasione.

RISPOSTE ALLE RECENSIONI
@ladyang: purtroppo non posso rispondere alla tua richiesta in questo capitoli e nei prossimi ... non ne ho la più pallida idea ;-) continua a leggere e vedrai...e continua anche a recensire, per me è importante che tu mi faccia sepere che ne pensi
@Imaginary82: miki che bello riaverti costante nelle recensioni!!! non mi sono fatta pregare stavolta e così appena ho avuto 5 min ho scritto e postato ( a dir la verità un intero pomeriggio... XD) ti rispondo qui anche alla recensione della one-shot. A dir la verità non c'è un motivo preciso per cui li immagino sempre genitori. In realtà questa ff ha preso il posto di quella one-shot che doveva essere una long-fic, ma che per ragioni a me sconosciute non sono riuscita a continuare. poi è venua fuori per caso Canto di Natale e da lì questa. riprendendo in mano quei 2 capitoletti ho pensato di farvi un OS. Oltretutto poi credo che raccontare oggi come si siano messi insieme Rob e Kris sia veramente scontato...quindi mi porto avanti col lavoro, se non lo fanno loro!!!
@LaFrancy: che bello!!! la mia redattrice anche qui sul sito, ma che onore!!! mi raccomando, nella prossima recensione non scrivere niente che possa annunciare come andranno avanti le cose, sennò ti lincio e cambio la storia....ihihihih!!!! continua a seguirmi anche qui!
@Enris: sei sempre molto generosa con me, ti ringrazio!!! spero abbia trovato il tempo per leggere l'altra storia. Altrimenti ti rinnovo il mio invito a farlo...spero che qesto capitolo non ti deluda...
@BabyVery: benvenuta tra i miei "censori"!!! grazie per le tue belle parole ed i complimenti immeritati!!! continua a recensire, ma soprattutto a leggere la mia storia!!!!

A tutti coloro che hanno insierito la mia storia tra i preferiti ed i seguiti, mando una bacione ed una grosso GRAZIE di cuore!!!
A bientot!!!!!!

 Federica

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Capitolo 13
*** Getaway ***


The best day-capitolo 13 Eccomi ragazzi!!! vi avevo promesso che avrei postato a breva e così ho fatto. Come vi dicevo è stato un periodaccio: un viaggetto a Lourdes non mi avrebbe fatto male per niente!!! è solo per questo, e anche per delle feste in famiglia, che non ho avuto tempo di scrivere e postare. Spero d'ora in avanti di poter fare meglio.
Dopo essere usciti un po' fuori dalla storia centrale, eccoci oggi di ritorno a casa Pattinson-Stewart. eravamo rimasti in bilico con la discussione tra i due...vediamo come si evolve...
vi avverto sin da subito che è un po' lunghetto come capitolo, rispetto al mio standard, ma non potevo permettermi alcuno sconto, né potevo dividerlo in due, visto la delicatezza dell'argomento. spero che le mie scelte vi siano chiare. Ma per ogni chiarimento come sapete sono sempre a vostra disposizione nell'angolo dell'autrice alla fine del capitolo. Quindi leggete e recensite, perché per me è molto importante, soprattutto per questo capitolo.












Capitolo 13
GETAWAY - P.O.V. Robert

“Rob” mi disse “dove vuoi arrivare?”
Già, dove volevo arrivare. Non lo sapevo nemmeno io.. 
Non so né come, né perché quelle parole erano venute fuori. E se non le avevo controllate significava forse che era arrivato il momento di sistemare la questione una volta per tutte.
Mi permettevo di farle la morale, continuavo a ripeterle che il suo comportamento nei confronti dei suoi genitori non mi aveva mai convinto, come sono certo che non avesse mai convinto neanche lei, ma avevo lasciato le mie parole al vento; rimanevano pur sempre parole, per quanto potessero essere belle, e necessitavano di essere marchiate col fuoco dei fatti per poter rimanere.
Oltretutto non è facile portarsi dietro un peso simile a quello che io mi trascinavo da oltre un mese e convivere con la paura di poter essere scoperti in ogni momento. Un solo passo falso, un solo errore e tutta l’impalcatura sarebbe crollata. Prima o poi sarebbe caduta comunque, perciò era meglio se fosse accaduto col minor danno per tutti.

Presi un bel respiro, passai un’ultima volta la mano nei capelli, come a trasferire loro la mia tensione, ed iniziai.
Rimasi concentrato il più possibile, per non far tremare la voce, eppure avvertivo un tremolio alle mani, ed il mio cuore era davvero, come dice il detto, in gola. 
Ma non potevo fallire; non dovevo dimostrarmi debole. Tutti avevano sempre visto in lei colei che in casa portava i pantaloni, e che sempre lei mi trattava come il suo cagnolino. Ma nessuno conosce il vero Rob, quello capace anche di alzare la voce; fosse nemmeno la donna che lo ha sposato.
“Kris …”la voce indugiava “prima non ero al telefono con Stephanie” eppure era sterile, completamente priva da ogni intonazione che potesse tradire una mia emozione, forte o debole che fosse. Non ero diventato una attore invano, allora.
La sua espressione era dubbiosa, incerta. Chiaramente non era riuscita a capire, da quel po’ che le avevo detto, quale fosse il nocciolo della questione. Rimaneva sulla difensiva. E faceva bene. L’urto che avrebbe subìto non sarebbe stato di certo letale, ma ci mancava davvero poco che lo fosse …
La feci accomodare ad una delle sedie della cucina e accolsi le sue mani tra le mie, giunte, e cercai il suo sguardo finché non lasciò il permesso di entrarvi. Che bello perdersi in quelle vaste praterie e non pensare a nulla …
… ma non era quello il tempo per lasciarsi prendere da certe fantasie.

Tornai ai suoi occhi, tornai al suo  cuore e tra le se mani abbandonai il mio: “ Né oggi, né la maggior parte delle volte che ricevo chiamate dagli Stati Uniti … non era quasi mai per lavoro …”
Vidi per la prima volta la paura insinuarsi tra le corde del suo essere. Aveva una paura incredibile di perdermi e di rimanere sola. La solitudine era il suo più grande fantasma. Ed è per questo che mi ero deciso a compiere quella mossa, che per troppo tempo era stata da me rimandata.

“E … con chi … eri?” non c’era angolo della sua anima che riuscisse a non pensare alla possibilità che io lo a stessi tradendo, lo vedevo dai suoi occhi lucidi che non la smettevano di agitarsi. Per lei non poteva esserci nessun’altra spiegazione logica.
Anche perché la sua piccola autostima le faceva credere che una tale aberrazione potesse essere possibile. Come se sulla faccia della terra ci fosse qualcun’altra in grado di rubarmi come aveva fatto lei.

Era così buffa e dannatamente adorabile che avrei voluto prenderla e stringerla forte al mio petto, farle sentire come il mio cuore battesse all’unisono col suo e come ogni singola cellula vivesse esclusivamente in funzione di lei.
Ma non dovevo cedere. I sentimentalismi li avrei lasciati a quando tutta questa storia ce la saremmo lasciata alle spalle.
“Ero al telefono con tuo padre” le dissi, molto semplicemente, come se fosse la cosa naturale del mondo. Avrei voluto tanto che lo fosse!!!
Vidi il suo volto cambiare espressione mille volte nell’arco di un millisecondo. Se da un lato sicuramente era sollevata, perché la sua paura si era rivelata infondata, il mio richiamare alla sua mante quelle persone era riuscito a far riaffiorare momenti poco piacevoli e di certo molto dolorosi. 
Abbassò lo sguardo, privandomi così della vista dei suoi splendidi occhi verdi, nascosti dietro quella ciocca ribelle di capelli, con cui amavo giocherellare.
Ma quello non era un gioco; era la più cruda realtà, era il mondo dei grandi, dove non si tiene il broncio come quando si ha 4 anni ed il regalo non era quello desiderato. Ma è il mondo della discussione, del confronto, della maturità … quella stessa maturità che scappando via da Los Angeles avevamo dimostrato di non avere.

“Ma cosa hai fatto? Perché ti sei abbassato ai suoi livelli? Non capisci che così fai solo il suo gioco?” mi aspettavo una sua opposizione, quindi non feci attendere la mia risposta: “Ma quale gioco Kristen? Tuo padre è cambiato, è sinceramente pentito e vorrebbe provare a ricucire lo strappo che si è creato … risanare la ferita” Usai le stesse parole con cui John mi aveva supplicato. Speravo tanto che avessero su di lei lo stesso effetto che ebbero su di me; ma lei era troppo orgogliosa per lasciarsi commuovere, e non bastarono.
“Ma quale strappo? Quale  ferita? Rob lui è un bravo attore e sei caduto nella sua trappola solo perché sei troppo buono … tu … tu non lo conosci” Negli occhi di Kristen vedevo rabbia, furore, ora che aveva rialzato la testa. La mia leonessa, era così dunque che scendeva in battaglia. Speravo di non dovermela mai trovare contro; ed invece stava accadendo proprio in quel momento. 
Stava dipingendo suo padre come l’essere più infimo e meschino sulla faccia della terra. Eppure le telefonate degli ultimi tempi mi avevano mostrato un uomo completamente diverso. Non doversi guardare negli occhi durante le nostre conversazioni probabilmente lo avevano aiutato molto ad aprirsi con me. E dire che non lo conoscevo era proprio una blasfemia.
“Forse sei tu che non lo conosci in fondo” le risposi aspramente “d’altronde non gli hai dato modo di parlarti …”
“Ma stai zitto! Non dirmi quello che devo, o non devo fare … visto come ti sei comportato non puoi proprio parlare. Mi avevi promesso che mi avresti sostenuta sempre, ed invece …” “ ed invece io ti avevo chiesto di ascoltarmi!” Percepivo che si stava allontanando da me. L’avevo ingannata, ma non avrei potuto fare diversamente. Un giorno se ne sarebbe pentita, e allora sarebbe stato troppo tardi. Meglio cogliere l’attimo e sentire un po’ di dolore adesso.
“Vedi” le dissi “ lo stai facendo di nuovo”
“Cosa ?” mi chiese
“Fuggire … non sai fare altro”

La mia era una leonessa strana: scendeva in battaglia, ma poi batteva in ritirata. Quando le cose diventavano più grandi di lei, anche se si faceva forza, si lasciava sopraffare e non accettando aiuto perché troppo, troppo orgogliosa, finiva col tirarsi indietro e non accetterai mai il confronto diretto.
Mi pentii subito di quanto le dissi. Anche perché incominciò immediatamente a piangere. In altre circostanze sarebbe stata più forte, forse, ma nostro figlio piangeva attraverso di lei ed era lì che mi urlava smettila papà, smettila di far male alla mamma!!!
È questo che fanno gli adulti? Litigare fino alle lacrime? … non credo proprio.
Mi avvicinai cauto, avevo paura di farle male anche solo standole vicino. “Amore ..” 
“lasciami” strillò tra i singhiozzi “ non mi toccare”. Eccola la fine, eccolo lì il dolore: sale come una fiamma fino al cuore, e lo incenerisce.

Scappò via, di corsa, su per le scale. Andò in bagno, e si rinfrescò il viso con un po’ d’acqua e con l’asciugamano tentava di tamponare anche le lacrime che non la smettevano di irrigarle il volto. Era il momento più giusto per agire. La raggiunsi e l’afferrai dolcemente da dietro in vita. 
“Amore “ le sussurrai all’orecchio. Sentii il suo corpo tremare “ amore mio “ continuai “ti amo. Ma non posso vederti così. Tu dici che stai bene, ma io lo so che non è vero. Lo sento che ti manca qualcosa, perché sento dentro di me un vuoto … e noi viviamo in simbiosi … lo sai”

Speravo che le mie parole bastassero a convincerla. Le maniere forti non portano mai a niente di buono e se poi ero io a metterle in pratica, andava persino peggio.
Eppure la sentivo rigida, fredda, distante. Come se il brivido che l’aveva percorsa fosse una risposta fisiologica del suo corpo e non della sua mente. Come se il mio abbraccio servisse da calmante solo per il bambino che in pancia scalciava peggio di un cavallo imbizzarrito, e non a lei. Quando il cucciolo si fu fermato, infatti, si staccò da me e con tono glaciale mi disse: “scusami” e scivolò via, lasciandomi interdetto.
La ritrovai in camera, dove l’avevo seguita, intenta a preparare le valigie, le sue valigie. 
“E queste?” le dissi strappandole delle T-shirt dalle mani “dove hai intenzione di andare?” Non poteva fare sul serio!!!
“Non sono affari che ti riguardano!” fece lei, duramente.
“Certo che mi riguardano, ma se per te il fatto che tu sia mia moglie non conta, pensa almeno che quello che porti in grembo è anche mio figlio e non voglio che gli capiti niente di male. Per quanto ti possa sembrare assurdo tutti i padri amano i propri figli!!!

A quelle parole sembrò tentennare e la sua impulsività placarsi. Mi inginocchiai di fronte a lei ai piedi del letto, dove era crollata in preda alla disperazione.

“Kri, ti chiedo solo di parlargli. Gli manchi, e so quanto lui manchi anche a te. Basta fare i bambini!!! … poi se non dovesse andare, pazienza, ma intanto c’hai p rovato.” Si passò  una mano tra i capelli, tenendo l’altra sulla spalla, gesto che compiva macchinalmente ogni volta che voleva scacciare via i brutti pensieri, e che in qualche modo aveva acquisito da me.
Tornò di nuovo seria, non sembrava voler demordere dall’averla vinta. Ma da lei non mi sarei aspettato niente di diverso. Era anche per la sua tenacia che l’amavo alla follia. Non avrei cambiato mai quella parte di lei, neanche se ci fosse costata serate e serate come questa.

Almeno aveva smesso di togliere i suoi vestiti dagli armadi.
Mi fissò a lungo, con fare inquisitorio, finché, dopo un lungo sospiro, si decise a parlarmi: “Da quanto va avanti questa storia? Da quanto lo senti?"
Non mi pareva ci fosse ragione per mentirle in quel momento allora le raccontai di quando ero stato dai suoi il giorno dopo la sua lite con il padre e di come l’avevo mandato a quel paese per come si era comportato. Ma poi, le confidai, che la telefonata ricevuta - e quelle che seguirono - mi fecero capire quanto anche lui stesse male lontano dai suoi affetti e che su di noi e su di me si era rimangiato ogni parola. 
Restò in silenzio tutto il tempo e non riuscii a scrutare dal suo sguardo impassibile cosa le passasse per la testa e per il cuore. Sorvolando su tutto ciò che le avevo rivelato, continuò con le sue domande: “E gli altri? Hai sentito anche loro?" la voce era priva di ogni inclinazione che potesse farmi capire come si sentisse. Però percepivo che stava subendo una tempesta nell’animo.
“Ho sentito un paio di volte i tuoi fratelli e beh … tua madre … tutte le sere"
Era basita. Non poteva credere che le avessi nascosto tutto questo. E come darle torto? Come avevo potuto farlo? Sei un coglione Rob, un emerito coglione!!!
Ricominciò nervosamente e convulsamente ad armeggiare tra bagagli e cassetti e capii che la ferita che le avevo provocato avrebbe impiegato più tempo del previsto per rimarginarsi.

Era diventata livida in volto e le lacrime tornarono a scendere copiose. Mi guardò severa e urlò nel pianto. “Perché? Perché me l’hai tenuto nascosto? Sono tua moglie!!! Ci siamo promessi fedeltà, ricordi?”
“non ti ho detto nulla perché sapevo che questa sarebbe stata la reazione. Cercavo il momento più giusto … aspettavo che fossi più matura. Ed invece sei tornata indietro … non eri così frignona neanche quando ti ho conosciuta! … e dire che avevi 17 anni” Stavo esagerando probabilmente, ma non capivo cosa ci fosse di sbagliato nel provare a far pace con la sua famiglia.
Forse io e John, suo padre, avevamo sbagliato a tenerle nascosto tutto, ma pensavamo che il tempo avrebbe attenuato la sua rabbi. Invece ci sbagliavamo. La credevo più matura, sinceramente, forse la gravidanza la rendeva così testarda, ma proprio non comprendevo perché dovesse impuntarsi a quel modo. Così mi intestardii anch’io e non gliela diedi vinta.
“Cos’è Rob? Hai fatto il pieno di maleducazione stasera? O forse sei ubriaco? Bell’esempio sarai per nostro figlio!!! E tu vorresti fare da insegnante a me … tzé! Non starò a sentire le tue stupidaggini un minuto di più. Esci fuori da questa stanza, altrimenti finisce che ti prendo a schiaffi!” era totalmente fuori si sé.
“Capisco gli ormoni e tutto, ma non vedo perché tu debba fare tutta questa commedia per nulla, Kris!”
“Per nulla dici, Rob? Primo: hai parlato con l’ultima persona con cui vorrei avere a che fare e secondo, hai continuato a stare in contatto con MIA MADRE, CON LA PERSONA DI CUI ORA AVREI PIÙ BISOGNO AL MONDO. E me l’hai tenuto nascosto!!!”
“Se il tuo comportamento da bambina non fosse venuto fuori non saremmo mai arrivati a questo punto. Non si può fare sempre e solo quello che vuoi tu!!!"

“Peccato che quello che fai tu non abbia il minimo rigore logico!” Non ne potevo più di quella sceneggiata.
“Ti ho detto quello che ho fatto, ti ho chiesto scusa, ti ho proposto un modo per poter rimediare ad un qualcosa che tu stessa hai provocato: cosa devo fare ancora?"

Cocciuta come un mulo mi rispose con insolenza: “Non dovevi farlo, e basta!”
“Mi dispiace, ma il passato non ho il potere di cambiarlo, quindi tieniti le mie scuse. Anche perché sono l’ultima cosa mia che ti resta”
“Cosa?” Accettai le conseguenze delle mie azioni e, per quello che le avevo fatto mi apprestai a pagarne le prezzo più alto. A mali estremi, estremi rimedi, pensai. Non potevo lasciarla andare via, ma al momento era meglio per tutti e due se fossimo stati lontani per un po’, soprattutto per lei. Doveva rivedere le sue priorità in materia di affetti.

“Hai detto che ciò che faccio non ha il minimo rigor di logica, giusto?” esordii “ ed ora te lo dimostro. Vuoi stare sola ... beh, lo capisco … ti ho incasinato la vita. Ma non puoi immaginare quanto tu abbia incasinato la mia col tuo modo di essere, nel bene e nel male. Perciò me ne vado io. Tu sei incinta, famosa. Perché dovresti chiedere una stanza d’albergo nel cuore della notte per starvi da sola? Io invece ho un film da girare a Los Angeles e anticipare il volo per evitare i paparazzi ha molto più senso …”
Presi le mie valigie che erano già pronte da un pezzo, e mi diressi verso l’ingresso.
Prima che arrivasse il taxi a prendermi mi sedetti in salotto e mi guardai intorno: tante volte ero stato in quella stanza, ma aveva un aspetto diverso ai miei occhi quella sera: mi sormontava. Sul caminetto c’erano le foto di Natale, quelle del matrimonio e quelle dalla luna di miele. Stavo stravolgendo di nuovo la mia vita, ma stavolta non c’era nessuno con me a sostenermi e a dirmi che mi amava sempre e comunque. Lei si era fermata di sopra … ma almeno ero tranquillo che non sarebbe rimasta sola.
Quando arrivò il taxi mi accorsi in realtà che era rimasta per tutto il tempo seduta in cima alle scale. Ad aspettare me. Si alzò in piedi e scese fino a dove ero io. Era sempre fredda, ma sapevo, o almeno lo speravo, che presto sarebbe passato tutto e saremmo stati di nuovo insieme, più felici si prima.
Non la baciai perché, anche se minimamente, le cattiverie che le avevo rivolto, le pensavo. Tuttavia scesi a baciare il suo pancione, perché lui o lei che fosse aveva una sola colpa: avere due genitori uno più cretino dell’atro.
Sussurrai sul suo ombelico“scusaci” e mi avviai alla porta. Prima di uscire mi voltai un’ultima volta. Era sempre lì.
“Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno … e non restare sveglia tutta la notte ad aspettarmi, perché tanto non torno indietro!"





L'ANGOLO DELL'AUTRICE

oggi non ho molto da spiegare, anche perché immagino che il capitolo non vi avrà lasciati particolarmente sereni o comunque soddisfatti. lo so, passiamo dalla padella alla brace, andiamo di male in peggio. Non so se come la vedete voi, ma io non mi sento convinta totalmente da Rob, anche se certo, Kris ha un bel po' di difettucci che farebbe bene a correggere. Ditemi voi come la pensate.
per il resto vi ringrazio della vostra fedeltà, e della vostra pazienza. ringrazio chi mi segue e chi mi ha aggiunto tra i preferiti o tra seguiti/ricordati.
commenti alle recensioni
@Enris: ma che scherzi. è stata bellissima ed apprezzatissima la tua recensione, come sempre molto tecnica. Ma da te è proprio quello che mi aspetto. Ti ricordi bene, infatti per me era molto difficile all'inizio scrivere dei P.O.V. maschili,ma per assurdo ora mi viene quais naturale. Probabilmente conoscendo meglio i miei personaggi so meglio come muovermi nei loro caratteri. Ora devo riconcentrarmi un'attimino sulle donne.
@ledyang: eccomi qua, spero tu non abbia aspettato troppo. e grazie per esserci ad ogni chap. per me significa molto!!!lo so che a te piace quando le cose vanno bene, ma come ho scritto nel capitolo, questa è la vita vera. se fosse tutto rose e fiori, non ci sarebbe niente di bello da scrivere
@Imaginary82: come hai visto ho letto la tua ff...che non è per niente schifiction.purtroppo come ho già detto non ho avuto modo di poter sostare sul sito per molto tempo in questi giorni, quindi è solo per questo motivo che non trovi i miei commenti nella tabella delle recensioni. Noto con piacere che anche a te il punto di vista del padre di Kristen è piaciuto. Era una sfida, e sono soddisfatta di averla vinta.
@BabyVery: che bello che sei nei commenti anche nel capitolo precedente. Non dimenticare di recensire anche questo!!! Non ti ho detto molto di ciò che John e Rob hanno detto o fatto insieme, ma nell'insieme dovrebbe essersi capito...


à bientot!!!

Federica










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Capitolo 14
*** Lettera dal cuore ***


The best day - capitolo 14

Eccomi ragazzi. Sì lo so, sono in un ritardo tremendo, ma ho avuto tanto da fare, e questo capitolo è stato molto difficile da scrivere. Cosa poteva accadere dopo un evento tanto traumatico? Sarà una cosa un po' particolare, spero sia all'altezza dei precedenti, aspetto il vostro giudizio con ansia!

Posso fare un piccolo appunto prima di passare al capitolo? Me lo concedete? Votate i Robsten per il best Kiss degli MTV Movie Awards di quest'anno. Devono vincere ma, soprattutto, devono baciarsi!!!! 

Ci vediamo alla fine della vostra lettura con qualche spiegazione e commento nell'angolo dell'autrice.

Capitolo14 

LETTERA DAL CUORE - P.O.V. Kristen

 

Ero stata colta improvvisamente da una gran voglia di fare. Non avevo aspettato altro che l’orologio segnasse un orario opportuno per non dare fastidio al vicinato e iniziai a mettere in ordine casa da cima a fondo.
Non avevo seguito le sue indicazioni.
Mi aveva chiesto di non aspettarlo, ma rimasi comunque sveglia, perché speravo ardentemente che tornasse indietro, dopo aver superato già solo un chilometro di distanza lontano da noi. Ma sapevo bene che purtroppo stavolta era serio. Più delle altre volte, molto di più. Lo avevo letto nei suoi occhi, gelidi con me come non mai. Neanche quando mi aveva confessato di amarmi, a Roma, nel 2008 e gli avevo detto che l’altro ragazzo, Michael, era una parte troppo importante della mia vita per poterlo lasciare così, su due piedi. Neanche allora si era comportato così severamente con me. Erano le quattro del mattino quando mi arresi al torpore, ma non sognai nulla, né tantomeno ebbi incubi. Fu una notte vuota, come vuoto era il letto in cui mi ero coricata.
Fortuna che il bambino non sembrò risentire della lite dei suoi genitori coglioni. Nessuno dei due voleva che tutto ciò accadesse, ma nessuno dei due aveva potuto, saputo o voluto evitarlo.
Lo aveva salutato, il suo bambino, gli aveva chiesto scusa, e probabilmente la creatura lo aveva già perdonato, ma per me non c’era stato nemmeno un “stai attenta” o un “mi raccomando” … così, per dimostrarmi che ancora ci teneva a me …
Non pretendevo nulla, né scuse che non meritavo, né abbracci consolatori. Avevo sbagliato, questo è quanto. Forse lui aveva esagerato, ma come biasimarlo … chissà quanto aveva accumulato per sbottare a quel modo. In fondo non aveva fatto nulla di male. Aveva tentato di rimettere insieme i cocci … lo aveva fatto anche per te. E tu gli hai voltato le spalle … bella stronza!!!
Mi guardai per un attimo allo specchio della cabina armadio, dove stavo sistemando i vestiti dopo la sfuriata della sera precedente. Riflessa c’era una persona che non riconoscevo. Effettivamente ero lievitata parecchio negli ultimi tempi, ma non me ne ero mai accorta davvero, se non quando lui mi era accanto e vi avvolgeva a fatica con i suoi abbracci. Di solito avrei pianto in una situazione simile, invece ero rimasta completamente a secco di lacrime. Gli ormoni questa volta mi aveva giocato davvero un brutto tiro. Avevo voglia di piangere, sfogarmi, volevo gridare al mondo che ero stata una stupida ad aver buttato al vento tutto ciò che di meglio avevo, per seguire la mia testardaggine ed il mio stramaledetto orgoglio.
Una sola cosa mi restava: mio figlio. Era davvero diventato grande dentro la mia pancia, veniva sfori dal mio corpo come un pallone da calcio, però non ero più tanto sicura che gli facesse piacere stare lì dov’era. Se fosse stato per lui, probabilmente, avrebbe seguito suo padre.
Mi passai la mano sul pancione, laddove corre la linea alba. Avrei voluto tanto saper in quel momento il suo sesso … avrei voluto poterlo chiamare per nome, parlargli, nella stessa speciale maniera in cui solo suo padre sapeva fare.

 

“Allora signora” mi disse il ginecologo “ guardi com’è cresciuto il suo cucciolo!”.
Effettivamente l’ultima volta che lo avevo visto aveva più o meno le dimensioni di un topolino. Eravamo adesso nel pieno del secondo trimestre, c’era proprio una bella differenza!
Sentii la mano di Robert che stringeva forte la mia. La stanza dell’ecografo era buia, per favorire la visione delle immagini, tuttavia gli occhi luccicanti per le lacrime che stillavano dall’emozione non avrebbe mai potuto nascondermeli. Anche perché erano molto simili ai miei.
Ci sorridemmo, come se quella fosse l’apoteosi della felicità, ma entrambi sapevamo bene che niente sarebbe stato paragonabile alla gioia di tenere in braccio quella creatura, la NOSTRA  creatura.
Il battito del suo piccolo cuore rimbombava nella stanza e si confondeva con i battiti accelerati dei nostri cuori eccitati. Avrei voluto stringerlo presto tra le mie braccia, avrei voluto accelerare i tempi, fare in modo che nascesse sano e forte proprio in quell’istante, non vedevo l’ora di conoscerlo. Prendere le se manine ed i suoi piedini paffuti e mangiarmeli di baci. Gli occhi poi ... tutte le sere pregavo che fossero quelli di suo padre. Accadeva sempre così: persa nelle mie fantasie, mi distraevo dalle informazioni che il ginecologo ci dava sul piccolo, ma sapevo che finché Rob fosse stato lì non mi sarei dovuta prendere così tanta pena di stare ad ascoltare, perché era sempre attento. -Sarà un padre meraviglioso!!!-
“Ora devo fare ad entrambi una domanda” mi risvegliai dai miei sogni ad occhi aperti, temendo qualche brutta notizia “Siamo nel secondo trimestre, quindi gli organi genitali si sono formati. Il bambino è anche posizionato bene … volete sapere se è maschio o femmina?”
Non ci fu bisogno di nessuno sguardo né parola di intesa, entrambi conoscevamo bene la risposta. Sentii che Robert aumentò la stretta della mia mano, e potei fidarmi di lui, non aveva cambiato idea.
La nostra fu una risposta secca e laconica: “No!”

 

Ma quella mattina non era con me. Era partito.
Aveva posto una condizione per il suo ritorno: sarei dovuta crescere, almeno tornare ad essere quella che lui amava. Decisi che il momento per riporre via i giochi era arrivato, e bisognava incominciare a comportarsi da adulti. Niente più lacrime, niente più capricci, niente più perdite di tempo. Perché quello, per i grandi, vola. E non volevo averlo troppo lontano da me. Non avevo intenzione di svegliarmi al mattino e scoprire che erano passati mesi dall’ultima volta che l’avevo visto o accorgermi di aver dimenticato il suono della sua voce o che la casa avesse perso il suo odore.
Dovevo dare una sferzata alla mia vita. Ero l’unica a poterlo fare.
Per cominciare avrei sistemato casa, poi avrei pensato alla mia testa pazza.
Mentre pulivo il salotto mi soffermai a guardare le foto sul camino. Il nostro piccolo angolo dei ricordi. Tutte ritraevano lo stesso soggetto: noi. Il mio cuore si fermò per un secondo etero, mi manco il fiato e lo stomaco si chiuse in una morsa. Possibile che già mi mancasse così tanto?
Cercai di non badarci troppo ed andai avanti. Notai un particolare mentre continuavo a spolverare: una lettera su una mensola della libreria. C’era scritto: per Kristen.
La grafia l’avrei riconosciuta tra mille, così disordinata, frettolosa, eppure così particolare ed affascinante. Unica. Solo le sue lunghe mani da pianista avrebbe permesso una simile calligrafia. Doveva avergli tremato parecchio la mano mentre scriveva, perché era parecchio più incasinata del solito.

 

 

Spero proprio che non impiegherai molto a trovare questo biglietto.
Sono in salotto ora e sto aspettando il taxi; tu sei di sopra.
Dio, non so nemmeno perché  ho preso questo pezzo di carta e ti sto scrivendo.
Da  te ora mi divide una  solo una rampa di scale e potrei raggiungerti in un attimo, ma non lo faccio. Sto qui, immerso nelle mie paranoie, a scrivere cose che dovrei dirti guardando nei tuoi splendidi occhi. Eppure non lo faccio, tu sai dirmi il perché?
Non ci riesco! Perché ti sei scelta un marito così coglione?
So già che morirò  a starti tanto lontano, ma non sto facendo nulla per evitarlo …
Vorrei cancellare questa distanza che c’è tra noi,, annullare ogni cattivo pensiero, ogni parola detta. Vorrei restare con te. Vorrei essere dove sei ora, mentre leggi questo mio messaggio, abbracciarti, dirti che ti amo, che sei la vita mia, l’unica cosa che per me conta davvero. Vorrei prenderti tra le braccia, portarti in camera e fare l’amore. Vorrei perdermi nei tuoi occhi mentre diventano lucidi per il desiderio e lasci ogni contatto con la realtà. Vorrei  impazzire con te e sentire che sei solo mia. Ma non l’ho fatto e non lo farò.
Come hai visto me ne sono andato, ti ho lasciata da sola. Perché ti starai chiedendo … non ti sentivo più mia.
Ti farà male leggerlo, lo so, perché probabilmente non c’è modo più meschino per dirtelo. Ma aspetta, non arrivare a conclusioni affrettate. Ti conosco ormai, so che è esattamente ciò che faresti. So che mi ami, ma adesso sei troppo chiusa in te stessa per pensare a me, per capirmi, per amarmi anche. Ti sto dando un po’ di tempo per pensare … a me, a noi. So che sei sempre la mia Kris, so che ce la farai, mia leonessa, anche perché non ti avrei mai lasciata se non fossi stato sicuro che una schiera di persone accorrerebbe in tuo aiuto, semmai ne avessi bisogno. E poi c’è lui … o lei, questo non lo so. So che però ti da forza, ti aiuta ad essere quella che sei, come ha sempre fatto in questi mesi.
Non ho la più pallida idea da dove possano essere venute fuori queste parole, non so nemmeno come reagirai. Non so nella, sono perfettamente confuso su tutto, tranne che per una cosa: ti amo.

Tuo Rob

 

Qua e là le mie lacrime avevano non solo annebbiato la mia vista, ma avevano anche sbiadito l’inchiostro sulla carta e la presa malferma e tremante delle mie mani aveva stropicciato il foglio.
Ero a terra, nemmeno me ne ero accorta. Probabilmente avevo tentato di sedermi sul divano, ma concentrata com’ero nella lettura, mi ero semplicemente accasciata al suo fianco.
Presi a baciare quel foglio di carta come fosse una santa reliquia, a cercare ogni piccolo frammento di lui in quelle poche parole messe in croce, un particolare, una briciola della sua essenza e, più stavo lì, più i singhiozzi si facevano insistenti. Tutte le lacrime che fino a quel momento avevo trattenuto erano esplose finalmente. Mi mancava già, sì, ma ora sapevo che non se ne era andato per egoismo o per cattiveria. Mi ama.
Ero pronta per ricominciare.



L'angolo dell'autrice


Allora da dove cominciare. Innanzi tutto ringraziandovi per essere così tanti a leggere e recensire...so però che potete fare decisamente meglio. ed io con voi sarò come una sorta di motivatore, come si fa con gli atleti...ahahahah!!!
Veniamo a noi e alla storia.
Ovviamente il titolo si riferisce alla lettera di Rob, una lettera a cuore aperto, in cui confida tutte le sue paure, le insicurezze. In questo rispecchia molto me stessa, che sono sempre così restìa ad aprirmi direttamente con le persone. Non sa bene nemmeno lui perché si è comportato in quel modo, sa solo che la ama. e questa notizia tanto basta a kristen.
non volevo un capitolo in cui accadesse molto, perché dopo il precedente parecchio movimentato, mi sembrava di correre un po' troppo.
Qui si vedono alcune parti del carattere di kristen che la rendono molto simile a suo padre. non riesce a riconoscere i suoi sbagli molto facilmente, per orgoglio e testardaggine, ma se lo fa ci sta male e sa che deve rimediarvi da sola.
spero di aver detto tutto quello che c'era da spiegare, ma per altri questiti sapete come fare per rivolgervi a me.
Un bacio ed un GRAZIE di cuore a chi ha inserito la storia tra i preferiti, tra i seguiti e in quelle da ricordare.
Vi do appuntamento alla prossima volta. Se i nostri protagonisti faranno i bravi domenica notte, se vinceranno il best kiss e si baceranno davanti a tutti (cosa che però dubito fortemente) cercherò di postare il nuovo capitolo lunedì.

Passiamo ora alle recensioni:
@prudence_78 : non so ancora come evolvere la situazione, ho qualche idea, ma credo che più o meno sarà come dici tu...ma chissà...never say never ;-)  continua a seguirmi e a recensire,mi raccomando!
@ledyang : sono contenta che anche questo di piaccia, però non posso garantirti che posterò sempre presto, perché ho molti impegni al di fuori di questo. Lo so è una brutta situazione, ma si aggiusterà vedrai ... a me piacciono i lieto fine.
@La Francy : allora che mi dici? te piasa? c'è qualche errore? Vai prof, passa la tua penna rossa anche su questo capitolo!!!
@BabyVery : sì, come dici tu Kris è molto orgogliosa, ma come hai visto la batosta è stata davvero forte, anche se davanti a lui non l'ha data e vedere, ne ha risentito stavolta, e ha capito che se vuole riavere indietro il suo rob deve cambiare. ma ci vuole tempo: un caratterino del genere non si cambia in un batter d'occhio.
@Enris : mi fai piangere con le tue recensioni, sono così belle!!! grazie!!! >.< forse è la mia età ed il mio vissuto che mi aiutano a scrivere così realisticamente e senza mitizzare i personaggi. sono esseri umani, come noi. per le fiabe ci sono altre sezioni in questo sito. forse hai ragione, rob non doveva comportarsi così, ma hai letto quanto ci sta male. anche lui per una volta ha seguito l'istinto e non la razionalità che lo contraddistingue ed ha pagato pegno.
@sidney90 : non ti assicuro niente, ma ci proverò. sono troppo affezionata ai personaggi per volere che stiano separati. però vedi che in fondo si amano...
@Imaginary82 : certo che DEVI!!! ahahahah!!! lascia perdere l'idiozia di sti due...meno male che lentamente se ne stanno accorgendo anche loro...purtroppo la situazione non è facile e credimi, per esperienza personale, so che quando succedono certe cose basta poco per far saltare ogni certezza ed ogni legame, per quanto saldo possa essere. ma loro sono una coppia salda. supereranno anche questa.

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Capitolo 15
*** The Garden of England ***


The best day - capitolo 15 Salve ragazze!!! Lo so, sono in ritarto, e tremendo pure... ma non è questo il luogo per dirvi i casini che mi sono capitati e mi hanno fatto passare la voglia di copiare il capitolo sul pc e pubblicarlo. A parte ovviamente il malore scaturito dal bacio che i mitici Robsten si sono scambiati (o meglio che Robert ha dato a Kristen) agli Mtv Movie Awards.
Questo capitolo è un po' più corto rispetto ai precedenti, ma non mi andava di legarlo a successivo e bruciarmi la storia e la sua svolta così in breve tempo. Comunque non vi preoccupate, presto le cose si sistemeranno!!! Basta avere fiducia in me!!!
Vi avverto che in quetso capitolo non succede nulla di speciale, è un capitolo di transizione, ma è importante per farci avvicinare alla risoluzione positiva. Poi ho riesumato..ahahah...un personaggio dalla storia precedente, curiosi di sapere di chi sto parlando? Non ve lo dico...andate a leggere...ci vediamo con le risposte alle recensioni e qualche spiegazione al capitolo come sempre alla fine, nell'angolo dell'autrice.
Buona lettura!!! ...e recensite, mi raccomando! ;-)

















Capitolo 15
THE GARDEN of ENGLAND - P.O.V. Kristen


“E così è partito prima, eh?”
“Sì … be’, sai come sono queste cose per noi, nonna, almeno ha evitato che i paparazzi gli dessero il loro benvenuto tutto speciale a Los Angeles …”
Lei si limitò ad annuire.
Nonna Elizabeth non si sarebbe detta esattamente una buona compagnia per un viaggio, ma sicuramente al momento era la più opportuna.
Le avevo chiesto di accompagnarmi nello Yorkshire, dai genitori di Richard, suoi consuoceri, Victoria e Thomas, ed aveva accettato di buon grado,  senza fare troppe domande. Quando ero andata  ad invitarla, mi aspettavo di essere sommersa da uno dei suoi più tipici interrogatori, ma probabilmente aveva letto nei miei occhi che non era il caso. La discrezione degli inglesi era sicuramente uno dei pregi che apprezzavo di più in questi momenti.
Certo, qualche domanda se la sarà pur posta e, da donna forte ed intelligente qual è, di sicuro qualche teoria a proposito l’avrà pur costruita.
Perché scegliere lei, d’altronde, per passare una settimana in campagna dai nonni? Lei, così raffinata ed a volte un po’ snob, con cui i rapporti non erano stati sempre idilliaci. Perché non scegliere una compagnia più giovane, come le cognate o le amiche più intime, visto che ad attenderci non c’erano certamente dei miei coetanei?
Nel silenzio che accompagnava il nostro viaggio questi quesiti risuonavano forse nella sua testa e, senza alcun dubbio, nella mia.
Fu una decisione presa d’istinto, come tutte quelle che avevano caratterizzato quegli ultimi miei mesi. Ma riflettendo probabilmente non era stata un’idea così malvagia. I nostri rapporti erano notevolmente migliorati dal Natale precedente e poi era l’unica persona che in quel momento potessi avere vicino, avendo la certezza che, se le avessi spiegato come stavano realmente le cose, non mi avrebbe sgridata, biasimata e, cosa che non volevo per niente al mondo, non se la sarebbe mai presa con Rob.
Già, Rob. Erano quattro giorni che non lo sentivo. Ma non perché non mi avesse chiamata. C’aveva provato, eccome! Dal primo istante in cui aveva messo piede a Los Angeles. Da casa nostra, dal set. Conoscevo tutti i suoi spostamenti, ma io avevo attivato la segreteria telefonica in casa e staccato il cellulare.
Sinceramente, dopo quanto era accaduto, cosa potevamo ancora dirci? Dove avremmo trovato le parole per cominciare una conversazione. Lui sembrava molto più propenso di me a farlo, quindi forse sarebbe meglio usare il singolare: dove avrei trovato il coraggio per parlargli di nuovo?
Un altro dei motivi per cui avevo chiesto a nonna Elizabeth di venire con me era proprio questo: lei per me era Rob in quel momento; lei sapeva ricordarmelo terribilmente, con i suoi gesti, con i suoi sguardi, le parole non dette che riecheggiavano nell’anima.

...


Dovevo essermi addormentata durante il viaggio, cullata dalla guida sicura e gentile della nonna, perché mi risvegliai dal torpore in un auto che non era più in movimento, ma che certo non era arrivata a destinazione. Era parcheggiata all’ombra di grandi alberi, con il cinguettio degli uccelli in sottofondo a farmi da sveglia, ma anche da ninna nanna, ed in lontananza forse c’era anche un corso d’acqua, perché lo sentivo scorrere e sciabordare lungo la mia destra, un po’ distante. In auto ero sola, così mi alzai di scatto, non pensando ai capogiri che puntualmente questo gesto mi provocava. Mi portai le mani sulle tempie e le massaggiai delicatamente.
Potei così avere il tempo di inquadrare meglio il paesaggio.
Eravamo finalmente fuori da ogni agglomerato urbano: niente case, cemento, niente grigio o fumo dei tubi di scarico delle auto.
Il famigerato giardino d’Inghilterra, c’eravamo finalmente! Il verde era il colore prevalente, ma i raggi del sole gli facevano assumere mille tonalità diverse. L‘auto era stata parcheggiata lungo un viale alberato, ma non sapevo distinguere che tipo fossero: da brava ragazza di città non saprei trovare differenze nemmeno tra un pino ed un cipresso!!! Tutt’attorno il prato era vasto e verdeggiante, ma la primavera aveva qua e là depositato ciuffi di fiori variopinti.
Mi decisi ad uscire, anche perché trovai nonna Elizabeth sopra un plaid che prendeva il sole e con sé aveva portato il cesto delle vivande che mia suocera, la perennemente premurosa Claire, aveva preparato per soddisfare le mie repentine voglie; ed io avevo una fame in quel momento! Come le mie orecchie avevano intuito, dove lei era allungata, scorreva un piccolo corso d’acqua e ricordavo, da quei pochi campeggi fatti da bambina, quanto fosse piacevole rinfrescarvi il viso. Riempii i polmoni di quell’aria pregna di primavera, di pascolo, fiori di campo e fieno, vagamente umida, come umido era il prato dove poggiai i piedi scalzi. Che sollievo!
Era talmente rigenerante quel piccolo angolo di paradiso, che non mi chiesi nemmeno se quella sosta fosse prevista nel tragitto o se fosse una deviazione improvvisa.
Mi avvicinai a nonna Elizabeth e dopo essermi refrigerata con la fresca acqua del ruscello, lei mi fece segno, battendo le mani sul terreno, di sedermi accanto a lei, per godere del leggero venticello che soffiava.
“Dove siamo?” Le chiesi, beandomi di quel sole pomeridiano, non così forte da stordirmi, grazie anche alla brezza che solleticava il viso e scombussolava i capelli.  “Qui io e la buon’anima di mio marito portavamo le bambine a fare i picnic d’estate. Ma sono passati così tanti anni … non mi aspettavo di trovarlo ancora intatto”
Rimanemmo per un po’ in silenzio, anche perché io ero impegnata a dare da mangiare al mio cucciolotto con i manicaretti di Claire.
Secca, lei prese di nuovo la parola: “Comunque … ti manda un bacio e ti raccomanda di non strapazzarti troppo”. Non diede un soggetto alla frase, ma non c’erano dubbi, sapevo benissimo a chi si riferisse, soprattutto dal tono di voce che aveva usato. Quasi adorante. Ciononostante, feci finta di niente.
“Chi?” chiesi. “Mio nipote è un marito particolarmente apprensivo, non è vero Kristen?”
“Beh, porto in grembo suo figlio, è normale … e poi lo conosci, sai quanto si agiti quando siamo lontani …”
Erano così simili: vederla mentre mi fissava, mi portò alla mente tutte quelle volte  che non riuscivo a mantenere un segreto con Robert, soprattutto da quando ero rimasta incinta. Lui diceva sempre che era colpa dei miei occhi. Il suo era uno sguardo interrogativo, un misto tra lo scettico ed il divertito, che mi fece capire che aveva intuito la verità ed aspettava solo che mi confidassi con lei, senza però mettermi fretta o altro.
D’altronde, era una donna troppo intelligente per farsi sfuggire certi particolari.
“Potrai … potrete darla a bere a mia figlia, a Richard, al resto della famiglia … ma conosco troppo bene il mondo per non accorgermi che c’è qualcosa che non va”
Sì … qualcosa non andava … avevo solo buttato alle ortiche la mia famiglia … se questo si può chiamare qualcosa?! …
Eppure lei aveva ragione: non ricevendo risposte da me, e conoscendo la sua natura ansiosa e protettiva, Robert si sarà rivolto a tutta la famiglia per avere mie notizie. E’ un attore, si sarà inventato un alibi perfetto e confidava certamente che avrei retto il suo gioco con facilità. E lo avrei fatto, se davanti a me non ci fosse stata sua nonna, con cui era praticamente cresciuto, e a cui non poteva mentire. Stette pazientemente in silenzio ad ascoltare la mia storia, la mia versione dei fatti, con la sua tipica espressione di marmo in viso, che non lascia trasparire nessuna emozione o alcun giudizio. Sapevo che sarebbe stata la persona perfetta per passare questi giorni!!!
Quando ripensai a quanto accaduto, alla parole che gli avevo urlato in faccia, a quello che lui mi aveva detto e poi all’esatto contrario, ciò che aveva impresso sulla carta da lettere, non potevo evitare che un velo di amarezza di sormontasse. La voce tremava, inevitabilmente, e qualche lacrima appannava la mia vista.
Per la prima volta da quando la conoscevo, la vidi rivolgermi un gesto materno, tuttavia naturale, anche per una come lei. Mi passò il braccio attorno alle spalle, ad avvolgermi, ed io appoggiai dolcemente la mia testa sulla sua spalla. Prese a cullarmi e a placare i miei singhiozzi, per impedirgli di venire fuori. Dovevo e volevo combatterli, assieme a lei: in fondo, stavo preparandomi a diventare adulta, era vietato frignare ad ogni secondo.
“Cosa dovrei fare ora, me lo spieghi?”
“Non sta a me dirtelo, Kris. La vita è tua, la famiglia è la tua …”
“Ma nonna!” mi scostai per guardarla in faccia “ io in questo momento sono completamente fuori fase, non ce la faccio a decidere da sola. Ho bisogno di un tuo consiglio, di un tuo aiuto. Non puoi negarmelo!”
“Non ti nego il mio appoggio, il mio affetto. Ma cosa potrei consigliarti? Chi sono io per dare consigli? E’ una faccenda vostra. Io non devo entrarci, come non deve entrarci nessun altro.” Probabilmente aveva ragione: tutto questo casino era nato perché qualcuno aveva messo bocca in affari non propri, e noi ci siamo anche presi la pena di stare ad ascoltare. Ma avevo bisogno di sentirmi dire qualcosa in quel momento, anche se fossero state stupidaggini, avevo bisogno di parole che riempissero il silenzio. Perché il silenzio è meditativo, ma quanto rumore fa nella mia testa. Troppo stridore di pensieri, che volevo decisamente evitare.
“Dimmi almeno cosa ne pensi” la implorai “Chi ha ragione secondo te?”
Prese un attimo per pensare, per soppesare bene le parole che mi avrebbe rivolto. Anche in questo Rob le assomigliava: riflessivo, a volte anche troppo. Le parole feriscono più della spada, mi disse lei stessa una volta, quindi preferirei evitare spargimenti di sangue inutili.
“Qui non si tratta di stabilire chi ha ragione o chi ha torto, tesoro …”
La interruppi con foga, senza aspettare che concludesse la frase, senza sapere in realtà cosa volesse dirmi: “Non mi starai mica dicendo che Rob ha fatto bene a lasciarmi sola e per di più incinta, senza nemmeno provare a discuterne?”
“Non ho detto questo” si precipitò a precisare, tuttavia tranquilla “non credo che sia stato un gesto molto nobile da parte sa lasciarti così, di punto in bianco. Ma tu cosa hai fatto per evitarlo? Quando si litiga in una coppia, la colpa sta sempre a metà. Quindi è di entrambi il compito di risistemare le cose”
“E quale sarebbe il modo giusto, sentiamo!” la sfidai e la stimolai ad aiutarmi.
“Vorrei tanto poterti dire che la scelta giusta è quella che ti rende più felice, ma non lo farò. Non è così che va il mondo. Bisogna sapersi sacrificare. È questo che fa una buona madre.”
Il suo sorriso sincero  mi disse che lei di sacrifici ne doveva aver fatti tanti, che doveva aver rinunciato ad essere pienamente felice in più di un’occasione, ma che alla fine la felicità altrui l’aveva ripagata delle sue rinunce. Sarebbe stata dura, ma forse avrei dovuto comportarmi come mi aveva detto. Non voleva darmi consigli, eppure lo aveva fatto, implicitamente, o forse perché l’avevo costretta; ma è stata preziosa come sempre. Sarei diventata presto una madre e avrei dovuto adeguarmi a questa legge ineluttabile della natura. Eppure … “E’ ingiusto!" sbottai "Io ho solo 20 anni!!! Sono rimasta incinta per caso e anche se ho amato mio figlio dal primo istante questo non significa che io sia pronta. Non potete pretendere che io sia sempre serena e tranquilla. Lui non può pretendere che per me sia altrettanto facile come lo è per lui. Nessuno mi aveva detto che sarebbe stato così ....”
“... difficile?" completò lei la mia frase. Sì, difficile è proprio la parola più giusta. "Già … e hai ragione, è ingiusto. Ma purtroppo siamo nate donne. Le nostre non sono mai scelte facili. ” Mi rivolse fu un sorriso disincantato. Non stavamo più scherzando.
“Ora” mi disse, rialzandosi o tornando verso l’auto “visto che sono pur sempre nonna Elizabeth … quella cattiva … che impartisce ordini a destra e a manca … “ non potei fare a meno di ridere vedendola recitare la caricatura di sé stessa “ora tu accenderai quel cellulare e risponderai ad ogni chiamata che dovesse arrivarti” ovviamente sapeva che questo avrebbe implicato parlare con Robert.
“Ma cosa dovrei dirgli, scusa …  a Robert, intendo. Come …” “Questi non sono affari miei” fece spallucce “avrei un paio di giorni per pensarci visto che anche a lui ho ordinato di non chiamare durante il week-end”.
Avrei avuto solo due giorni per pensare a cosa dirgli.
Due giorni e avrei sentito di nuovo la sua voce.
Due giorni, e gli avrei parlato.








L'angolo dell'autrice
Come avete potuto notare, questo è un capitolo di transizione. Niente di particolarmente significativo, ma ho pensato che qualcuno che potesse parlare con la voce dell'esperienza, avrebbe potuto aiutare
in questo momento buio, perché da sola non ne sarebbe mai potuta uscire appieno. avrebbe, a mio parere, corso il rischio di tenersi dentro ancora del rancore. Il personaggio che ho voluto riscoprire da Canto di Natale è nonna Elizabeth. Per chi è nuovo alle mie storie, gli consiglio di dare uno sguardo alla storia precedente, per capire che genere di problemi possano avere avuto in passato queste due donne.
Il titolo del capitolo Garden of England si riferisce al titolo che gli inglesi danno a questa regione, di cui il padre di Robert, Richard, è davvero originario. Non credo ci sia bisogno di dire altro, ma per ogni domanda, sapete come rivolgervi a me.
risposte alle recensioni
@prudence_78: sì forse è vero che Kristen è molto più fragile di come lui la vede, però non è neanche così debole. è solo vittima degli ormoni e delle paranoie, come tutte le mamme in attesa. 
@BabyVery :grazie, sono contenta che la lettera ti sia piaciuta, peccato non sono riuscita a metterla qui col carattere originario con cui l'ho scritta sul pc, avrebbe avuto più effetto...anch'io la vedo come te per quanto riguarda robert, ma in questo capitolo ho voluto analizzare meglio le ragioni di kris, spero di esserci riuscita.dunque la gravidanza è intorno al 6° mese, quindi il pancione in realtà non è molto grande, ma kris è magrissima, quindi si vede molto di più che in una donna rotondetta.è ancora presto per il parto, stai tranquilla
@sidney90 :grazie mille, sono contenta che la lettera ti sia piaciuta, è stata una cosa venuta fuori all'improvviso,non ero sicura della sua riuscita, così come non sono mai sicura di ogni capitolo che scrivo
@Enris :cos'è, stavolta ti si è mozzata la lingua? o il capitolo che ho scritto no ti è piaciuto? scherzo, so che hai da fare come tutti, del resto, e sarà già stato tanto che tu abbia potuto recensire. mi aspetto di trovarti di nuovo nella pagina dei commenti, al presto!!! In realtà credo che il momento clou sarà tra un po', non era esattemente quello, ma è già un passo avanti.

Vi aspetto tutti quanti al prossimo capitolo e un bacio a tutti. Come sempre,
à bientot!!!
                                             Federica

p.s.: vi ricordo qui una mia OS che ho scritto tempo fa, se qualcuno a voglia di leggerla Piccolo Grande Amore

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Capitolo 16
*** Quel TI AMO maledetto ***


The best day- capitolo 16 salve ragazzi! come va? La mia estate va avanti tra alti e bassi. Mi scuso se non ho postato prima, ma dovevo passarlo dal quaderno al pc ed era talmente lungo che ogni volta perdevo la voglia...
purtroppo sono di fretta e non posso trattenermi nell'angolo dell'autrice e non posso risp alle vostre preziosissime recensioni. per qualsiasi chiarimento sapete dove trovarmi...al prossimo chappy!
ah, buona lettura!!!!







Capitolo 16
Quel TI AMO maledetto
- P.O.V Kristen







I due giorni erano scaduti.

Questione di ore, conoscendolo forse questione di minuti e lo avrei sentito.
Mi avrebbe chiamata. Sì, lo avrebbe fatto davvero.

In quei due giorni avevo provato a riflettere, a pensare a cosa dirgli quando gli avrei parlato. Ma niente mi sembrava sufficientemente naturale e decisamente troppo preparato. Frasi fatte e poco consone a noi, al nostro modo d’essere. Anche per questo ero terribilmente agitata.

Quello che meno volevo era risultare troppo fredda e distante, ma nemmeno poi così debole. Mi aveva chiesto di essere me stessa quando era partito … perché non mi ha lasciata, è semplicemente partito … e obiettivamente non ricordavo più come si faceva ad essere se stessi.

Onestamente, poi, ebbi davvero poco di quel tempo per occuparmi dei miei pensieri, indaffarata com’ero a godermi quell’angolo di paradiso. Il luccichio della rugiada al mattino, come anche il forte odore della stalla appena aperta dopo la notte, avevano su di me un effetto rigenerante. Non potevo credere che al mondo si potesse vivere ancora in maniera così semplice ed umile. Io ero lì solo per il week end ma, come mi era stato spiegato, in campagna in lavoro non si ferma mai, né per le feste, né per la vecchiaia. Eppure avevano tutti un’aria così serena …

Il borgo era molto piccolo, i suoi abitanti erano diminuiti nel corso degli anni richiamati dalle luci e del lavoro della città. Così, i pochi coraggiosi, superstiti della grande fuga, erano più o meno anziani e quasi tutti si conoscevano tra loro. Compagni di gioco prima e di lavoro poi.
Vivevano così lontani da Londra e li vedevo davvero poco, ma era difficile non affezionarsi e voler bene ai nonni Pattinson: Victoria e Thomas, insieme da una vita, forse di più.
Loro identificano quella che
per me
è l’immagine tipica di un nonno: sorriso sempre stampato sulle labbra, un proverbio da sfoggiare ad ogni problema da risolvere e la battuta sempre pronta per stemperare i momenti di tensione.
Erano di quei nonni che, a tavola, se dici che non hai fame, già prevedono deperimenti o malattie varie e se, al contrario, chiedi il bis di quella pietanza che più ti piace, si riempiono di gioia e te ne servono tre porzioni, oppure “basta” vale per un “ancora!”.
Per me erano piuttosto delle figure ideali, conosciute nelle fiabe che leggevo da bambina, e stentavo a credere che esistessero anche nella realtà. I miei nonni erano così diversi: sportivi, moderni, troppo giovani di spirito per poter passare la giornata davanti ai fornelli o avere doti da “aggiusta tutto”; qualcuno a volte li scambiava per i miei genitori o per degli zii di mezza età. Volevo loro un mondo di bene, così come loro ne volevano a me, da bambina avevo passato molte merende e tante notti a casa con loro, ma non riuscivo ad avere quel legame così speciale, quel calore che sa di casa.
I genitori di mamma, poi, abitavano in Australia, quindi vederli e passare del temo con loro era l’evento dell’anno per me ed i miei fratelli.
Per assurdo che possa sembrare, nonna Elizabeth è sta per me una nonna in meno di un anno, più di quanto lo sia stata nonna Stewart in tutta una vita. Ma forse è anche colpa mia:  a Los Angeles, presa dal lavoro, e occupata a tenere  fuori  dalla mia vita i paparazzi, era un impresa già riuscire a gestire genitori e fidanzato, figuriamoci passare del tempo con i nonni. In Inghilterra era molto più facile gestire tutto, o semplicemente ero io ad averne più voglia, a sentirne più la necessità, come se l’istinto materno mi avesse detto di avvicinarmi a chi madre lo è stata prima di me per carpirne i segreti.

Erano le undici di domenica mattina ed eravamo appena tornate dalla chiesa per il servizio domenicale. Pur non essendo particolarmente devota, accompagnai volentieri le mie nonne che, al mio contrario, lo erano. Il bello di queste piccole comunità è che la domenica viene vista ancora come un giorno di festa, oltre che come momento di riposo. Le nonne erano tutte agghindante, come se dovessero partecipare a chissà quale ricevimento. Io mi limitai ad indossare un abitino premaman che nonna Beth, come avevo iniziato a chiamarla … sono fiera di essere l’unica a poter avere questo privilegiooltre il suo adorato nipote, mio marito, s’intende … mi ha obbligato a mettere in valigia, finalmente capendo il motivo della sua insistenza.

Era una calda giornata di fine maggio, assolata quanto basta da far risaltare i colori dei fiori che affollavano i giardini dei tipici cottage, che ci ricordava che l’estate era più vicina.


Il soggiorno in campagna aveva messo di buon umore anche nonna Elizabeth, che nel grigiore di città, faceva fatica a distendere il volto in un bel sorriso, anche quando non era di pessimo umore, tanto che appena varcammo la soglia di casa fece a nonna Victoria una proposta che difficilmente avrebbe rifiutato.

Dopo aver pranzato e rassettato la grande cucina rustica, riempirono il grande tavolo degli ingredienti per cucinare quella che definirono “la crostata del secolo”. La specialità era dovuta alla confettura di frutti di bosco che nonna Vic preparava ogni anno con le sue mani. Vederle collaborare mi dava una strana sensazione: era come mettere vicine, e far andare d’accordo, la nonnina di Heidi e la signorina Rottermeyer. Avevano così poco in comune eppure stavano così bene insieme! Distanti, diametralmente opposte, ma due metà di un intero che, se combacianti, danno un’accoppiata vincente.
Dopo aver effettuato il mio ennesimo pipì-stop … geniale neologismo del mio ancor più geniale marito … (causa vescica compressa, tipica della gravidanza), mi attivai per dar loro una mano.
“Io se fossi in te non entrerei in quella cucina, mi hanno bandito tra minacce ed imprecazioni poco adatte ad una signora raffinata come la mia consuocera …” risi a quella battuta. Era la prima volta da quando lo conoscevo che vedevo nonno Tom seduto sul divano, senza fare niente. Di solito era sempre affaccendato o, come diceva nonna Victoria, “con le mani sporche”.
Tentai comunque di farmi strada in quella cucina: d’altronde tutti conoscevano ed apprezzavano le mie doti culinarie, in particolare proprio le mie qualità di pasticcera, quindi non potevo permettere che mi lasciassero fuori a questo giro … ne va della mia reputazione
Con la sua voce squillante nonna Vic mi chiese: “Ti sei lavata le mani, tesoro?” Persi un po’ di tempo per allacciare il grembiule, a causa della pancia, ma potei anch’io unirmi a loro.
Come se quella crostata che si prospettava deliziosa non fosse sufficiente, ebbero la brillante idea di preparare dei biscotti di pasta frolla, che io e nonna Beth avremmo portato via con noi, come ricordo della nostra piccola vacanza.
Questo mi ricordò che la giornata stava passando, ma di lui alcuna notizia.
Purtroppo però il mio stato interessante mi procurò un’amara discriminazione: espulsa dal tavolo dei dolci, per aver tentato un furto indebito di marmellata prima e di biscotti appena sfornati poi.
Così, ancora sporca di farina, col grembiule ai fianchi e le mani inzuccherate di marmellata rimasì lì, inerme, a guardarle decorare i dolci, insieme a nonno Tom che ascoltava musica da ballo dalla vecchia radio del salotto.
Dall’ingresso sentii arrivare una musica familiare: era Your Song di Elton John, una delle tante canzoni che componevano la nostra colonna sonora. Schizzai senza nemmeno pensare a cosa stessi facendo o a cosa stesse accadendo verso la fonte della canzone. Il mio cellulare.

Eccolo qua, era lui. Ci siamo … pensai.


Quasi avessi corso una maratona risposi ansante al telefono “Rob!”

“Kris” rispose lui all’istante, quasi all’unisono con me. E subito ci fu sollievo. Mi sentivo tranquilla, senza quel nodo insopportabile che avevo in gola da ormai una settimana.
“Come state?” chiese. Ovviamente chiamava per suo figlio. Prova che come marito sarà pur stato un completo disastro, ma come padre sarebbe stato perfetto.
“Bene” risposi io, semplicemente “stiamo benone entrambi, Rob” ci tenevo che lo sapesse. “Tu piuttosto? Non ti sento bene … hai il mal di gola per caso? Hai la voce roca …” la voce era come la ricordavo, anche più bella, bassa, gutturale, calda … eppure una nota diversa c’era. Mi fu tremendamente facile parlargli, naturale, come se non avessimo smesso mai, come se una settimana prima non fosse successo nulla. Probabilmente le parole che avevo cercato erano sempre state lì, nel mio cuore. E lo stesso, a quanto pare, valeva per lui “No, tesoro, sto bene … solo, mi sono appena svegliato …” sorrisi delle sue parole. Ed io che mi ero fatta tutti quei trip mentali! L’unica ragione per cui non mi aveva ancora chiamata era perché a Los Angeles era appena spuntato il sole e poi Rob la domenica è capace di poltrire a letto fino all’una. Ma facendo due conti, quella domenica si era svegliato fin troppo presto, e chiamarmi è stata la prima cosa che aveva fatto.
“Cosa stai facendo? Ti diverti dai nonni?”
Mentre continuavo a parlargli mi spostai nel portico davanti casa, e mi sedetti sulla panca, all’ombra, al riparo dal sole cocente del primo pomeriggio.
“Sì ... mi trovo bene qui ... potrei anche pensare di starci per sempre. Sai,
io e le nonne stavamo facendo dei dolci …”
“Tu che cucini?” mi prese in giro. “Non ti hanno ancora arrestata per attentato alla salute pubblica?” Non potevo prendermela per le battute di Rob. Era il primo che lodava i miei piatti e non si faceva mai mancare un bis o un tris. E dopo ogni pasto riempiva sempre di complimenti molto speciali e personali la sua "supercuoca".
“Ehi!!! Non incominciare a prendermi in giro Rob!" gli dissi "Io cucino benissimo, e lo sai, e mi hanno cacciata via dalla cucina solo perché stavo finendo la marmellata prima che potesse finire sulla crostata!!! Ma non è colpa mia … è nonna Vic che la fa troppo buona!!!”
Lo sentii ridere … Dio quanto mi è mancata quella risata … rimasi in silenzio a contemplarla per un po’.
Fu così che diventammo entrambi muti, aspettando che l’altro aprisse bocca per primo. Sarebebro potuti passare minuti, ore, stagioni, che non me ne sarei accorta, immersa in quello stato di beatitudine totale.
Tutt’a un tratto sentii come dei singhiozzi strozzati venire dall’apparecchio. “Rob … Rob, ma tu stai …?” le parole mi si fermarono in gola. Non potevo concepire che Robert potesse … piangere.
“Mi manchi Kris … non ce la faccio più”
Quelle parole mi uccisero. Chiusi le palpebre a trattenere le lacrime e strinsi forte il pugno della mano libera. Mi appoggiai al muro con la schiena per non lasciarmi andare . Sentivo che stava male. Stava male davvero. Forse più di me, che mi ero fatta forza per il bambino e per lui, che mi ero risollevata ed imposta di andare avanti. Ma lui per tutto questo tempo era rimasto da solo, senza sapere come stavo, senza sapere se lo avrei accettato di nuovo nella mia vita.
Ma sentendolo, di nuovo crollò tutto quello che avevo messo un piedi, come una casa di paglia abbattuta da un alito di vento.
“Shh” gli sussurrai “non piangere … shh” quasi fosse lui il mio bambino ed io la sua mamma iniziai a consolarlo “ è tutto finito ... sistemeremo tutto, te lo giuro, tutto andrà a posto, ma non voglio sentirti piangere …”. Probabilmente quelle parole servivano più a me che a lui. Avrei voluto prenderlo tra le mie braccia in quell’attimo, e cullarlo, affondare il mio viso tra la i suoi capelli e perdermi nel suo profumo.
Sapeva di colonia, ma non amava mettere profumi addosso: era una fragranza tutta sua, inconfondibile, ma che non riuscivo a ricordare. Questo mi faceva sentire in colpa.
“Kris?” “Dimmi Rob” “mi manchi”: me l’aveva già detto, ma sapevo cosa volesse, capivo che in realtà la sua era una domanda; sapevo bene come rispondergli: “… anche tu mi manchi”
“Kri ascolta” lo lasciai parlare “mando a fanculo tutto qui” aveva incominciato il suo vulcano di parole; sapevo che avrei dovuto fermarlo, perché da quelle pazzie da adolescenti non ci avremmo ricavato, ma quel suo modo di amarmi così matto, così impulsivo, così anche irresponsabile a volte, mi attraeva e mi sorprendeva ogni volta.
“Lo sai che del lavoro e della carriera non me ne frega un cazzo! Venite prima voi. Sempre. Adesso mollo tutto e vi raggiungo. Ce ne andiamo a Ventnor, dove abbiamo passato il Capodanno. Ti ricordi amore?”
Come potevo dimenticare. Fu il veglione più bello della mia vita. Io, lui ed il mare d’inverno. Avevamo lasciato i suoi amici a dare il benvenuto al nuovo anno tra sigarette e birra, e noi c’eravamo chiusi nella nostra stanza, ad ubriacarci l’uno dell’altro.
Sveglia Kris!
“Rob! Rob!” lo frenai “ non dire e soprattutto non fare stronzate!” Mi imposi a malincuore di bloccare quel suo impeto adolescenziale “Non serve che vieni. Vengo io. Dobbiamo … devo sistemare le cose”
“Ma se tu non vuoi non devi sentirti obbligata …” “No Rob, avevi ragione tu: così non sto bene ed ogni giorno che passa rischio di peggiorare le cose. Lascia fare a me. Fidati”
“Mi fido di te” quelle parole, pronunciate con voce ferma e sicura, ebbero il potere di calmarmi ed istintivamente sentii il mio volto contrarsi in un sorriso. Anche lui stava bene ara.
“Scusa amore mio … devo andare ora. Abbiamo da girare alcune scene in tarda mattinata e la truccatrice non vuole che la sua materia prima venga maltrattata!!!”
Risi spontaneamente. Era tornato tutto normale. Forse non era mai cambiato nulla. Per un attimo ebbi il dubbio che quanto accaduto una settimana prima fosse stato tutto solo u bruttissimo sogno.
“Ciao Rob!” “Ciao Kri … ti ” “No, ti prego!"
lo fermai "Non dire quelle parole” “Ma …?” “Ti prego ..” lo implorai “Come vuoi … ci sentiamo”
Avevo rifiutato che mi dicesse due semplicissime parole. Me le aveva dette tante volte ed io avevo fatto altrettanto, magari a volte senza nemmeno prestarci troppa attenzione; ma se davvero le cose erano tornate come prima, perché avevo impedito che le pronunciasse?
“Perché l’hai fermato? Perché non hai permesso che te lo dicesse?”
Nonna Elizabeth era sull’uscio della porta d’ingresso.
“Da quanto sei lì?”
“Abbastanza da sapere che tutto si è risolto per il meglio e sempre abbastanza da non capire perché non gli hai permesso di dirti che ti ama”
Nel frattempo di era avvicinata a me ed era venuta a sedersi anche lei sulla panca sotto al pergolato. Mi cinse i fianchi e continuò: “Allora?”
Non capivo la ragione di tutto questo suo interesse. Non era stata lei a dirmi che nei miei affari ed in quelli di mio marito nessuno doveva interferire? Così le risposi stizzita: “Non sono affari tuoi”
“Certo che non lo sono” rispose lei, sincera “ma ho capito che da sola non ce la fai. Quindi fai conto che io sono un po’ come la voce della tua coscienza”
“Il mio grillo parlante …” “Esattamente!” mi sorrise.
Dunque quella curiosità era solo per il mio bene. Come avevo potuto minimamente pensare che potesse esserci altro?
Tentennai a rispondere perché, sinceramente, una ragione vera che giustificasse il mio gesto non c’era.
“Forse ... non ero pronta. Se lo avessi lasciato  parlare, poi avrei dovuto dirglielo anch’io. E non mi sento pronta”
“Ma tu lo ami?” “Certo” “E allora perché questi dubbi?”
Lo avevo detto io che le mie scusanti non erano valide abbastanza. Così mi concentrai e per un attimo mi chiusi in me stessa cercando di estraniarmi dal quel luogo e da quel tempo. Pensai di nuovo, obbiettivamente, a ciò che era accaduto dall’aprile scorso, a cosa avevo perso e a cosa, grazie a quella settimana passata da sola, stavo ora riottenendo.
Mi protrassi a pensarlo, ad immaginare i suoi occhi, il suo sorriso anche, ogni più piccola, minima linea di espressione che si imprimeva nel suo volto mentre mi diceva “Ti amo”.
Fu allora che compresi.
“Non volevo che accadesse via telefono. In maniera così banale. Come se mai ci fossimo separati e nessuno dei due avesse sofferto per l’assenza dell’altro “Hai paura che lui possa mentirti?” infierì. No, questo mai …  Scossi la testa. Non mi ero accorta fino a quel momento di quanto fossi di nuovo in preda all’agitazione. Avevo preso a tremare come una foglia e i miei piedi battevano nervosamente a terra. La gamba che avevo accavallata era tutta un fremere.
“Ho bisogno si naufragare ... sì” sorrisi alla metafora “naufragare nei suoi occhi; ho bisogno di percepire il suo amore da ogni fibra, ho bisogno che me lo dica sulle labbra, mentre le assaporo. Devo viverlo, quell’amore! E lui ha diritto di vivere il mio”
Osservai nonna Elizabeth. Mi sembrava distante, assorta nelle preoccupazioni. O forse più facilmente, era infastidita dalle mie considerazioni. Le strinsi la mano. “Scusa. So che tuo nipote lo vedi ancora come un bambino. Non ho pensato al fatto che potesse darti fastidio sentirmi parlare così” Si ridestò, quasi di soprassalto.
“No, tesoro, non c’entra questo” mi accarezzò la guancia “perdona me se ho dato questa impressione. A sentire le tue parole mi sono persa nei ricordi …” Avrebbe voluto confidarsi, aprire il suo cuore; ma non lo avrebbe fatto, non era da lei, troppo rigida anche con se stessa.
Batté ritmicamente la mano sulla mia coscia. “Andiamo!” disse alzandosi in piedi e tornando all’interno, mentre io la seguivo “bisogna preparare i bagagli. È ora che tu torni da tuo marito!”.


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Capitolo 17
*** Attese ***


The best day - Capitolo 17
eccomi qui!!!! mamma che ritardo!!! so che l'attesa è stata lunga perciò vi lascio al capitolo e vi aspetto all'angolo dell'autrice. Recensite numerosi!!! Buona lettura!!!














Capitolo 17
ATTESE

P.O.V. Robert 


“Ciao Kris! … ti …”

“Ciao Robert”
Con un saluto secco, quasi serio e formale: ecco come si era conclusa l’ultima telefonata con mia moglie.
Era stata lei a chiamarmi, di nuovo, dopo che avevo messo la sveglia presto quella domenica mattina per poterla chiamare il prima possibile, colmando così il mio cuore di gioia.
Sembrava che tutto scorresse  per il verso giusto: era felice, lo sentivo, era elettrizzata all’idea che presto sarebbe tornata negli Stati Uniti. Questo tuttavia non significava necessariamente che fosse felice di tornare da me. Mi aveva confessato che le mancavo e, anche se ero stato io ad indurla a dirmelo, la sua voce era sincera.
Ma allora perché si è raffreddata così tanto nei miei confronti? Perché mi ha impedito di dirle “TI AMO”?
Con questi brutti pensieri arrivai a casa dei miei suoceri.
Avevo accettato di buon grado il loro invito. Primo, i nostri rapporti erano completamente all’opposto rispetto al passato mese di aprile e secondo, una notizia come quella dell’arrivo di Kristen non potevo nascondergliela.
Sapevo che lei voleva sistemare quella brutta e delicata questione, ma non mi aveva ancora messo a parte dei termini con cui voleva procedere. Né avevo voluto indagare: mi aveva chiesto di darle fiducia: gliel’avevo accordata  con tutto il cuore e per tutto l’amore che provo per lei.
Non volevo in ogni caso deludere i suoi genitori, istillare in loro false speranze, però ritenni giusto informarli almeno che la situazione tra  me e lei si era ristabilita.
Quando mi videro arrivare a Los Angeles prima del previsto, infatti, compresero immediatamente che c’era qualcosa che non andava. Volevo evitargli quell’ulteriore pena, ma non riuscivo a mentirgli, visto che sembravo un automa ogni volta che  provavo a rintracciare Kristen, ma lei sembrava volatilizzata nel nulla.
La mia frustrazione a riguardo era palese e quando spiegai loro come erano andate le cose, finii per coinvolgere anche loro con il mio malumore, inevitabilmente.
Non era come la vedeva lui, ma John si assunse ogni responsabilità di quello che era accaduto.
Era già stato male per aver visto sua figlia allontanarsi da lui, aveva pagato già un caro prezzo per un errore di cui si era ormai assunto ogni responsabilità e, per quanto mi riguardava non avevo bisogno che se ne sobbarcasse di ulteriori.
Almeno sul mio fronte volevo tranquillizzarli, anche se non sapevo esattamente cosa dirgli, perché io stesso non avevo la minima idea su come sarebbero andate davvero le cose quando io e Kristen ci saremmo rivisti.

Alla porta venne ad aprire Jules, la mia forte e tenace suocera.
Lei aveva sempre tradito una predilezione particolare nei miei confronti fin da subito, prima ancora che entrassi nella vita di sua figlia, quando ancora ero uno dei tanti colleghi di passaggio. Mi è rimasta affianco anche quando John difendeva a spada tratta Michael, l’altro, il primo. Questo mi rendeva felice, ma sapevo con amarezza che le avevo procurato non poche noie con quel marito che, all’inizio, stentavo a capire, per quanto mi impegnassi.
Avevo sempre trovato impressa sul volto di Kristen la fotocopia di suo padre, ma più conoscevo quella donna e più mi rendevo conto di quanto lei e la mia Kris fossero simili; caratterialmente soprattutto, ma anche in mille piccoli particolari, anche insignificanti a volte. Ma per me ciascuno era speciale, ogni minima smorfia nel volto, ogni broncio e ogni timido accenno ad un sorriso.
Fu con lo stesso sorriso che io amavo di Kristen che si presentò davanti a me, che per un attimo pensai davvero di avere mia moglie di fronte. La lontananza mi faceva davvero male, come quando hai sete e nel deserto l’arsura provoca miraggi d’oasi.
“Ciao Rob! Ben arrivato!”
“Grazie Jules!” entrai in casa guardandomi intorno “John non c’è?”
Tra i tanti passi avanti che avevo fatto non c’era stato quello di considerare i genitori di Kris anche miei genitori. Volevo molto bene ad entrambi, affetto pienamente corrisposto, eppure per me erano sempre John e Jules, i signori Stewart, i genitori di mia moglie, i miei suoceri. A loro non piacevano tutte quelle formalità, ma avevano dovuto abituarsi, di più non potevo offrire. Non perché non li amassi né perché ce l’avevo ancora con loro.
Kristen, al contrario, era entrata pienamente nello spirito della mia grande famiglia. I miei erano per lei “mamma Clare e papà Richard” . Ma forse per lei il discorso era un tantino diverso: lei si era considerata al pari di un orfana, e la mia famiglia era la sua a tutti gli effetti. Non avevo obiettato anche se non era d’accordo col suo atteggiamento, e questo ci aveva portati alle prime divergenze; ai miei faceva più che piacere, ovviamente, ma la situazione grottesca che si era creata non aiutava a ricomporre quella famiglia che lei aveva già.
Sapevo che il dolore più grande da entrambe le parti era quello per la separazione da chi non aveva colpa. I fratelli e la madre erano stati coinvolti passivamente e passivamente avevano dovuto accettare di restarne fuori.
Da futuro genitore potevo immaginare facilmente che per una madre non si tratta di un compromesso, ma di una condanna.
“John è ancora a lavoro, ma tornerà a breve. I ragazzi sono fuori stasera”
“… come tutte le sere, del resto” precisai, con macabra ironia.
I miei cognati non erano stati così indulgenti come Jules e John nei nostri confronti. Il loro non era stato un ostracismo in piena regola. Si erano semplicemente limitati ad ignorarci, nelle settimane che avevamo trascorso a Londra. Ed il mio ritorno negli Stati Uniti era stato accolto con sguardi duri e musi lunghi, e serate trascorse fuori con gli amici all’unico scopo di evitarci.
Neanche quando John aveva iniziato a riavvicinarsi a noi erano stati  favorevoli.
Mia suocera era dell’opinione che Dana e Taylor avessero sofferto abbastanza da piccoli per non aver avuto una famiglia e vedere il secondo tentativo sgretolarsi in famiglia e vedere il secondo tentativo sgretolarsi in quel modo doveva fare davvero male. Infatti il loro disappunto era rivolto anche al loro stesso padre con cui, a detta di Jules, i rapporti erano notevolmente difficili. Erano delusi, erano stanchi; a conti fatti, anch’io lo sarei stato.
L’unico che invece era rimasto vicino alla famiglia era Cameron, il maggiore. Il mio fratello americano era l’unico che, come da lui stesso detto, “aveva cacciato le palle” nel mese precedente. Prima ancora di suo padre e senza tanti sotterfugi si era rivolto alla sorella. Le aveva ricordato chi fosse suo padre, cosa avesse fatto per lei, ma soprattutto le aveva ricordato chi aveva lasciato senza motivo ed in maniera brutale.
Lei lo aveva respinto, non avendo ancora sbollentato la rabbia; ma almeno lui ci aveva provato.
Quando poi seppe ciò che suo padre stava organizzando non si rassicurò: prima di tutti aveva realizzato che Kristen non l’avrebbe digerita; quando vide i risultati che aveva portato quel tentativo di riappacificazione mediato, si ammutinò anche lui.
Fu per questo che alla mia constatazione Jules rispose con un cenno anonimo del capo, annuendo impotente a quel infelice dato di fatto.
“Bene” le dissi, spiazzandola del tutto “perché ho bisogno di pararti in privato … da madre a figlio”
Da buon mammone quale infondo ero, se fossi stato a casa probabilmente sarei corso a confidarmi con mia madre in un momento del genere.
Lei si sentì immediatamente sollevata alla mia preghiera, glielo leggevo negli occhi.
Ci dirigemmo in cucina dove ci sedemmo l’uno di fronte all’altra, sugli alti sgabelli della grande cucina ad isola.
“La faccio breve. Stamattina finalmente ho parlato con Kristen. E questo pomeriggio è stata lei a chiamarmi. Domani sera sarà qui, Jules” Le si illuminò il viso all’istante ma subito si scurì sentendomi parlare a quel modo. D’altronde, non c’era un minimo di coerenza nel mio tono di voce. Sovraeccitato, ma al contempo disincantato. E questo non le sfuggì.
Che c’è Rob? Dovresti esserne felice eppure …”
“… eppure non ci sto capendo un cavolo … non la capisco … sono suo marito e non ci riesco. Mentre parliamo sembra che non sia mai successo nulla, che venire qui sia la cosa più naturale del mondo, che non veda l’ora di vedermi. Ma poi quando ci salutiamo torna ad essere fredda, severa.”
Quello era il punto.
“Non capisco quale ruolo occupo nella sua vita. Potrebbe anche non volermi più … il che non sarebbe poi così anormale, dopo quello che le ho fatto”
E tutta quella confusione era devastante. D’improvviso mi colse un forte mal di testa, segno che stavo per implodere. Poco ancora e la bomba ad orologeria avrebbe terminato il conto alla rovescia, ed il ticchettio di sarebbe trasformato in un fragore inaudito.
“Cosa te lo fa pensare?” chiese lei, con tutta la calma del mondo.
Presi a massaggiarmi le tempie, cercando di calmarmi.
“Ogni volta che provavo a dirle TI AMO lei mi ha respinto. NO TI PREGO mi ha detto. Capisci? Cosa dovrei pensare io?”
Era paziente lei, era gentile. Si alzò dal suo posto e mi venne vicino. Appoggiò una sua mano sulla mia spalla. Esattamente come avrebbero fatto mia madre o mio padre se fossero stati lì. Esattamente come avrebbe fatto qualsiasi genitore al mondo.
Eccola la bomba. La sentivo sempre più prossima alla detonazione. Nascosi la testa tra le braccia, conserte sul piano.
Avevo 24 anni. Solo 24 anni. I miei amici erano chiusi nei pub tutta la notte a sbronzarsi e troppo impegnati a passare da un letto ad un altro per pensare a cosa fare da grandi. Io invece dovevo pensare ad un matrimonio in crisi, un figlio in arrivo, una famiglia sgangherata da rattoppare ed una carriera che correva veloce come un treno.
Se loro al mattino si fossero svegliati col mal di testa, sarebbe stato per il gomito troppo alzato per  la sera precedente. Per me era una sola la ragione: esaurimento nervoso.
“Io credo che tu non debba preoccuparti …” mi disse mia suocera “ o meglio: io non mi fascerei la testa prima di essermela rotta. Aspetta di rivederla, poi giudicherai. D’altronde, mi hai detto che sembrava entusiasta di partire.”
“Sì” risposi “così mi è parso … però Jules io non ci capisco più nulla. Come faccio ad essere un capo famiglia responsabile”
Jules rise: “Credimi Rob, dopo 25 anni di matrimonio scopro ancora nuovi lati di mio marito, ogni giorno … non stare lì a tormentarti. Vedrai che verrà tutto da sé. E se dovesse mai andare storto qualcosa, imparerai dai tuoi errori”
Io non la capivo, non volevo capirla. Le stavo dicendo che forse sua figlia mi avrebbe lasciato e lei rimaneva calma e tranquilla, come se le avessi detto che avevo bruciato una camicia stirandola.
“E cosa posso imparare da un divorzio? Io amo Kristen e non voglio lasciarla!!!”
La vidi nettamente spazientirsi a quel mio ultimo sfogo e, energica come sempre, mi si avvicinò puntandomi il suo indice contro. Ecco di nuovo Kristen di fronte a me.
“Stammi bene a sentire Robert. Non voglio sentirti parlare ancora da potenziale suicida. Hai vent’anni dovresti avere voglia di vivere, spirito di iniziativa … non c’è proprio bisogno di deprimersi!!!” D’improvviso un sorriso, seppur malinconico si aprì sul suo volto. La ferita non si era del tutto richiusa, ed ancora non riuscivo a capacitarmi come avesse potuto restare al fianco di suo marito in quei primissimi giorni “Perché credi che Kristen ha deciso di sistemare le cose? Anzi, per chi? … se non lo sai te lo dico io: per te.”


P.O.V. Kristen


Mettere piede ad LAX mi fece uno strano effetto. Durante i tour promozionali della saga era praticamente la mia seconda casa.

Stavolta invece era come trovarsi alla dogana, dove hai sempre il terrore inconscio di non avere tutte le carte in regola.
Rob mi stava aspettando ed io non vedevo l’ora di stringermi a lui, potergli finalmente dire ti amo e leggere nei suoi occhi tutta la felicità del mondo.
Quando mi aveva detto che sarebbe venuto personalmente a prendermi non avevo opposto alcuna resistenza. Sapevo che probabilmente saremmo stati accolti da una pioggia di flash all’uscita, ma dovevo farmi perdonare.
Quando l’avevo zittito al telefono avevo dal primo momento avvertito di averlo demoralizzato. Oltretutto affrontare l’orda di macchinette fotografiche sarebbe stata una passeggiata in confronto a ciò che mi aspettava.
Racimolai i miei bagagli e mi diressi verso l’uscita, inforcando gli occhiali da sole per proteggere la mia identità, per quanto possibile ancora.
Frequentare gli aeroporti era come andare in bicicletta, una volta che hai imparato non lo scordi. Perciò districarmi tra turisti e uomini d’affari non mi rubò molto tempo e raggiunsi in fretta la caffetteria dove c’eravamo dati appuntamento; di solito ci nascondevamo lì in attesa di imbarcarci. Certamente l’impazienza di rivederlo mi aveva dato una mano.
Passai in rivista un po’ di gente finché non lo scovai.
Era così alto, ma soprattutto così bello, che era davvero impossibile per lui mimetizzarsi.
Mi presi un attimo in disparte per calmare il cuore che scalpitava e per riprendere un respiro decentemente regolare. La mia piccola statura, ed il fatto che lui fosse intento a guardare una vetrina, mi consentirono di nascondermi ai suoi occhi.
Quando avevo immaginato il nostro incontro, durante il viaggio, non avevo minimamente ipotizzato di trovarmi davanti agli occhi la versione in carne ed possa di una statua greca. La mia memoria non gli aveva reso giustizia- Era vestito … chissà se lo aveva fatto apposta … nel modo in cui più mi faceva impazzire: jeans, t-shirt e felpa col cappuccio tirato su, sopra l’immancabile cappellino da baseball.
L’espressione assorta e il filo di barba appena accennata mi fecero ricordare per quale motivo lo trovavo l’uomo più sexy del pianeta … io ed il resto del mondo la pensavamo alla stessa maniera, probabilmente.
Mi provocò un leggerissimo infarto. Si tolse gli occhiali da sole e portò, riflessivo, una delle stanghette in bocca: inutile dire che avrei voluto essere io al posto di quegli occhiali.
Non potevo più aspettare. Mi avvicinai, approfittando della sua distrazione, e sperando nell’effetto sorpresa. Evidentemente era troppo sovrappensiero e non mi notò arrivare. Era così bello averlo così vicino e dovetti sforzarmi per non saltargli addosso, né per non scoppiargli a ridere in faccia, visto che non si era accorto di avere la sua panciona accanto.
Intrecciai la mia mano nella sua. Inevitabilmente sussultò all’istante per quel contatto, voltandosi verso di me. Il suo splendido volto si illuminò.
“Rob!” sospirai, inebriandomi di lui.
Il suo sorriso esplose.
















L'angolo dell'autrice

lo so sono in ritardissimo, ma è stato difficile scrivere questo capitolo, e questa cosa che ho scritto neanche mi viene voglia di chiamarla tale...
spero vi sia piaciuto. l'ho intitolato attese, sia perché entrambe i ragazzi aspettano di incontrarsi, sia per le attese, le aspettative che robert ha. quando io scrivo, ritengo di non essere del tutto io la fautrice della storia, ma i miei personaggi vivono, e rob mi ha rotto parecchio le scatole in questi giorni. lui non si poteva capacitare del comportamento di kristen. per me lui è un tipo molto cerebrale e per questo ho optato per tutti questi dubbi. spero di non essere stata troppo pesante.
mi sono inoltre sentita in dovere di spiegare alcune cose che avevo tralasciato, come le opinioni dei fratelli di kristen ed anche riscattare Cameron che,
nei capitoli iniziali, era venuto fuori come un ubriacone ed un menefreghista.
non ho tempo di rispondere alle vostre recensioni.vi ringrazio ma spero che il calo delle recensioni sia solo dovuto all'inizio delle vacanze e non ad un calo di interesse.
comunque voglio rassicurarvi, scrivere questo capitolo mi ha riaperto la mente e, non appena li avrò corretti e trascritti sul pc, avrò altri due capitoli da pubblicare nelle prossime 2 settimane.
ci sentiamo presto,
Federica

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Capitolo 18
*** Beyond the ocean beach ***


The best day - capitolo 18 Eccomi, puntuale, proprio a distanza di una settimana come vi avevo promesso, col nuovo capitolo della mia storia. Finalmente il capitolo che tutte quante stavate aspettando è arrivato, questa volta senza scherzi o interruzioni sul più bello. Perciò non vi rubo altro tempo, visto che sono convinta che tanto la maggior parte di voi avrà di sicuro saltato questa mia introduzione per correre a leggere il capitolo.
Quindi, non mi resta che augurarvi buona lettura, e ricordarvi dell'angolo dell'autrice, finalmente pieno, come si deve, di informazioni e delle risposte alle recensioni.












Capitolo 18
BEYOND THE OCEAN BEACH


P.O.V. Robert


Non riuscivo a stare fermo. Arrivai in aeroporto con mezz’ora d’anticipo rispetto all’orario previsto per l’atterraggio del volo e passai in rivista tutte le vetrine dei negozi. Praticamente li conoscevo a memoria ormai.
Quando ero io a viaggiare, per lavoro, non avevo mai il tempo per vivere quel posto concretamente, considerandolo sempre come un punto di passaggio, l’ultima terra di nessuno prima di entrare davvero gli Stati Uniti, o lasciarli.
L’unico posto vagamente familiare era la caffetteria. Capitava a volte di fermarsi lì prima di andare a prendere il volo. Niente di particolare, ma Kris adorava letteralmente le ciambelle di quel locale. Diceva sempre che, quando tornava a casa, non c’era un benvenuto migliore, assieme ad un tazzone di caffè. Le presi solo la ciambella, tralasciando quel concentrato di caffeina, poco salutare per lei, e feci di nuovo avanti e indietro per le vetrine.
Tutti lì avevano fretta. Anzi, tutti ne avevamo: chi di partire, chi di tornare a casa, chi come me di rivedere i propri cari; ovviamente, non vedevo l’ora di riprendere con me le mie gioie, mia moglie ed il mio bambino, di stringerli tra le braccia ed affondare il viso nell’incavo del SUO collo.
Per un istante notai un tizio: era difficile togliergli lo sguardo di dosso, perché era alquanto comico; teso come una corda di violino, si era fermato davanti ad una vetrina e sistemava e sistemava come meglio poteva i vestiti ed i capelli senza sosta, tentando di rendersi il più presentabile possibile. Tra le mani aveva un bouquet discreto, ma ben agghindato.
Anche lui probabilmente era lì per la mia stessa ragione. Mi voltai anch’io per un attimo verso il vetro della vetrina che avevo più vicina e cercai di scorgervi il mio riflesso.
Erano le 18 e 30 del pomeriggio, e la mia immagine riflessa non era poi così diversa da quella che nello specchio del bagno quella stessa mattina. L’ansia, le preoccupazioni ed il nuovo progetto cinematografico mi avevano fatto accumulare un bel po’ di ore di sonno in arretrato. Non osavo immaginare come sarei stato quando fossi passati alla produzione concreta del film.
Fisicamente ero il solito sciattone: pantaloni presi alla rinfusa dall’armadio ed abbinati con la prima maglietta che sbucava, sgualcita, dal cassetto. A me non era mai importato di apparire all’ultima moda, di rappresentare un modello per qualcuno … ad dir la verità, per via del mio status, spero proprio di essere il meno appariscente possibile … così come nemmeno Kristen faceva caso a queste formalità, ma per una volta avrei tanto voluto essere un po’ più presentabile.
Era un’occasione speciale quella.
Tra le mani non avevo niente fiori, né pacchetti regalo. Però su quel fronte avrei sempre fatto in tempo a rimediare.
Il caso volle che mi specchiai proprio davanti alla vetrina di una gioielleria. Passai un po’ lo sguardo i vari ripiani, ma tutto era troppo vistoso per lei: d’altronde, come poteva esserci qualcosa che potesse essere degno di lei, se lei era la vera stella. Oltretutto non era nemmeno un’amante dei gioielli. Non ne indossava mai, a meno che non significassero qualcosa di davvero importante per lei.
Ricordo benissimo che, per trovare il perfetto anello di fidanzamento, dovetti girare tutte le migliori gioiellerie di Londra. Non c’era niente che sembrasse alla sua altezza. Finché poi non lo vidi in una modesta boutique del paesino dei miei nonni, dimenticata da Dio, e che sopravviveva solo grazie alle riparazioni dei vecchi preziosi. Quel piccolissimo diamantino incastonato alla vera d’oro bianco mi colpì per la sua lucentezza. Pensai al mio scricciolo, a quanto, per quanto piccola ed indifesa, avesse un’anima immensa ed un cuore grande, e quanto splendesse di luce propria. Era perfetto per lei.
Perso nei ricordi non badai agli annunci di atterraggio provenienti dall’altoparlante ed udii vagamente qualcuno che mi chiamava in lontananza. Sperai con tutto il cuore che non si trattasse dei soliti fan, perché l’ultima cosa che volevo era un pubblico astante all’incontro con Kirsten.
Qualcosa, o meglio qualcuno, mi afferrò il braccio destro. Il suo tocco fu delicato, quasi temesse di spaventarmi, o semplicemente volesse fare silenzio anche con i gesti.
Non bastò tuttavia quella premura, perché quel tocco mi fece saltare come una molla, esattamente come quando si è colti da una scossa.
Mi voltai, un po’ urtato, un po’ incuriosito, verso la fonte di quell’elettricità.
O.Mio.Dio.
La mente si era svuotata di tutto. Non c’era più spazio per nessun rancore, nessuna rabbia, niente. Era passato tutto. C’era solo un grande senso di pace.
Ecco il mio sole, finalmente sorgeva; eccola la mia aurora.
Solo avendola davanti potei avere la percezione esatta di quanto fosse grande il vuoto che in poco più di sette giorni aveva creato. Solo allora capii quanto mi era mancata.
Mi accorsi di quanto potevo apparire ebete ai suoi occhi quando riuscii a pronunciare solo un “Hei!”
stentato e sottovoce per rispondere al suo saluto.
“Hei!” rispose lei, divertita. La vedevo serena. Forse mi ero preoccupato per nulla.
Certo era stanca, si vedeva: dodici ore di volo non sono una passeggiata per nessuno, figurarsi per lei. Eppure era raggiante. Molto più rotonda di quando la ricordassi, ma quelle rotondità in più non facevano che renderla più bella; era dolcissima, me la sarei mangiata di baci seduta stante.
Ma dovevo essere cauto con lei. Dovevo fare attenzione e non dimenticare delle due telefonate che ci eravamo scambiati ed del misero sms che mi aveva inviato per annunciarmi che stava per partire. Non potevo sbagliare di nuovo: per lei, per il nostro bambino … ma soprattutto per me.
“Cosa stavi facendo?” mi chiese. Dovevo essermi estraniato abbastanza dalla realtà mentre guardavo la vetrina, e dovevo averci passato davanti un bel po’ di tempo senza accorgermene, senza accorgermi di lei.
“A dir la verità” confessai, con un po’ di titubanza “ stavo cercando qualcosa per te … non mi andava di presentarmi a mani vuote ... ma non sapevo decidermi e così mi hai beccato in flagrante” mi uscì una risata nervosa, che le fece storcere il naso. Era deliziosa quando si comportava da micina.
“Vabbe’” fece spallucce “tanto lo sai che non mi piacciono i gioielli” mi disse. Sì, lo sapevo bene, ed ero stato uno stupido a pensare ad un regalo per genere. Come se lei fosse una di quelle dive tutte votate alla moda. “E poi” continuò lei “ non sei a mani vuote” mi fece notare con un rapido cenno del capo, indicando il sacchettino di Starbucks.
“Ma questa” sorrisi imbarazzato “ è solo una ciambella”
Me la strappo letteralmente dalle mani e prese a divorarla, senza dimenticare però di apprezzarne il sapore “Mmm … questo è come oro colato per una donna in stato interezzante. Non potevi farmi regalo più gradito, fidati”
Ridemmo entrambi, anche perché lo zucchero a velo le aveva imbrattato tutta la t-shirt nera, oltre al musetto. Era una delle mie maglie, troppo grandi per lei, ma pregne, a suo dire, del mio odore a sufficienza, e quindi le aveva confiscate per tenermi, in qualche modo, sempre con sé. Prima le annodava sempre in vita, ora ne aveva più bisogno: il pancione le riempiva a sufficienza.
Non sapevo che fare: volevo abbracciarla, farle sentire tutto il calore e l’amore che avevo dentro, ma temevo la sua reazione, la reazione di quegli ormoni pazzi che a ruota libera circolavano indisturbati nel suo organismo come mine vaganti. Come avrebbe reagito se avesse ritenuto inopportuno anche il mio più impercettibile spostamento?
Mia suocera mi aveva detto che è dagli errori che si impara: ma commetterne significava comunque agire. Quindi dovevo rischiare: d’altronde nessuno si aspetta che a vent’anni io possa fare le scelte giuste a primo colpo. Avevo chiesto a Kristen proprio di maturare, ma questo ci aveva portato alla deriva e mi ero reso conto che nemmeno io ero tanto diverso da lei.
Avrei agito, avrei rischiato. Ma non me ne sarei potuto pentire, al di là del risultato: ci avrei provato, almeno.
“Kris …” la bloccai leggermente per il braccio mentre andava a sedersi su una panchina. Lei si voltò, quasi preoccupata “… sei bellissima”. Ero senza parole, perché era davvero stupenda. Mi ero tenuto quel pensiero dentro fino a quel momento; la maternità l’aveva resa raggiante. E mi fece impazzire ancora di più quando quel complimento la fece arrossire. Questo mi fece capire che potevo osare qualcosa di più.
Non ci pensai due volte e azzardai di nuovo. La strinsi a me, più forte che potevo senza farle male; il più vicino possibile, stando attento al bambino. Doveva sentire il mio cuore, il suo martellare incessante, che era tutto suo.
Con mia infinita gioia non si oppose. Anzi, rincarò la dose, stringendomi forte in vita anche lei, e allacciando le proprie mani dietro la mia schiena. Era come se non volesse più staccarsi da me, come se volesse stare lì per sempre, stretti in quel modo.
Fosse stato per me l’avrei accontentata. Niente tempo, né spazio. Solo noi, nel nostro universo parallelo.
Le presi il volto tra le mani e le baciai la fronte. Delicatamente, ma con decisione. Avevo ormai capito, dopo il suo abbraccio, che la sua freddezza non era stata mai una questione di sentimenti, ma di tempi. Ed i suoi volevo rispettarli. Ci eravamo persi di vista per più di una settimana, senza parlarci e pensando le cose più brutte e tristi l’uno dell’altra; ora dovevamo ricomporre la nostra bolla, ma con calma. Era una bolla parecchio grande, messa su con fatica, centimetro dopo centimetro, con sacrifici, lacrime; non si ripara in un baleno. Aveva ragione, come sempre aveva ragione.
Era già un grande passo che non avesse respinto il mio abbraccio, dunque saremmo andati avanti per gradi ed ogni volta lei avrebbe aggiunto un qualcosa in più.
A quel punto le sue mani corsero avidamente ai miei capelli
... mi chiedevo quando lo avrebbe fatto abbattendo l'ostacolo del cappuccio e del cappello, ma si fermò, sconcertata, quasi subito. Risi perché sapevo quale fosse la ragione del suo stupore.
“Mio Dio Robert!” esclamò, enfatizzando la frase e cercando di urlare, seppur sottovoce “Ma cosa hai fatto ai tuoi splendidi capelli?”
“Li ho dovuti tagliare … come da copione” risposi “te ne avevo già parlato, ricordi?”
“Sì, ma non pensavo così … tanto!” la sua fu un’espressione afflitta, quasi mi avessero sfregiato il viso permanentemente. Non mi rimase che sorridere: non sapevo fare altro quel pomeriggio.
“Andiamo” le dissi, ancora ridendo, prendendola per mano e la trascinai verso l’uscita.


P.O.V. Kristen


Era andata meglio di quanto sperassi, Senza grandi gesti o parole teatrali avevamo ricostruito la nostra bolla privata.
Avevamo scherzato sul suo nuovo, orribile, taglio di capelli e bisticciato su chi avesse dovuto guidare l’auto, conoscendo le sue scarse qualità di pilota.
“In Inghilterra te lo concedo, perché la guida è a destra, e non ne sono capace, ma qui guido io!”
“Non se ne parla nemmeno, sei stanca e non voglio finire in una scarpata per un colpo di sonno!”
Aveva ragione, ero stanca. Avevo il collo indolenzito e le gambe gonfie. Ma non volevo dargliela vinta: al volante ero più affidabile io, anche se assonnata, che lui.
“E poi non credere" ribetté "ho fatto pratica in questi giorni!”
Lo ammonii con una linguaccia e mi rassegnai a salire in auto sul sedile del passeggero, alzando gli occhi al cielo.
Era strano vederlo sicuro, disinvolto, al volante di quella station-wagon immensa della Cadillac, grigia metallizzata. Certamente l’elettronica piazzata sull’auto avrebbero reso anche un neopatentato un pilota provetto.
“Ad essere sinceri” esordì “ho avuto modo di riesumare la mia vecchia BMW dal garage di Nick. La sto facendo rimettere a nuovo dopo l'inconveniente dell'anno scorso" ... una macchina che prende fuoco nel bel mezzo della strada lui me lo chiama inconveniete … "ma nel frattempo ho preso questa; non è male, e poi è formato famiglia, proprio quello che ci serve”
Stetti ad ascoltarlo e mi persi mentre lo guardavo; vidi me stessa assieme a lui su quell’auto: eravamo il ritratto della tipica famiglia americana. Per un attimo mi si strinse il cuore perché di lì a poco un seggiolone avrebbe fatto capolino dallo specchietto retrovisore, e pensai a quanto eravamo cambiati in meno di 5 mesi.
Gli sorrisi. “Beh … avrei preferito qualcosa di più piccolo per andare in giro, ma tanto c’è sempre la mia Mini in garage, vero? O l’hai impegnata per far aggiustare quel ferro vecchio?” Sapevo che non si sarebbe mai arrabbiato, perché non era un appassionato di automobili e per lui una valeva l’altra. Quella BMW forse aveva un qualcosa in più, un legame col passato, quando era un signor nessuno, e tentava di sfondare ad Hollywood.
Reclinai la poltroncina e osservai il panorama che scorreva ai nostri lati, per poco non mi addormentai, mentre le colline assolate della California da un lato e l’oceano Pacifico dall’altro mi riaccoglievano tra di loro, cullata dalla playlist che suonava nell’impianto. Sapevo che non avrei rivisto per un bel pezzo una goccia di pioggia, né la foschia leggera del primo mattino, né avrei avuto bisogno di coprirmi per uscire, perché era già praticamente estate a Los Angeles: non avrei sentito la mancanza del meteo inglese per un bel po’.
Mi riscossi dal torpore quando, distrattamente, notai un cartellone stradale.
“Fermo fermo fermo!!!” urlai
“Che c’è?” chiese
“Io lo sapevo che stava andando tutto troppo liscio, non dovevo lasciarti guidare!”
“Stai calma, si può sapere che c’è?”
A volte mi domandavo se fosse davvero così stupido, stentavo a trovare una spiegazione logica al suo modo di essere.
“No che non sto calma … per andare a casa, a STONE CANYON LAKE, bisogna prendere direzione nord e tu stai andando a SUD!!!” mi agitai. Ero indebolita dal viaggio, ed il jet lag puntualmente mi aveva rintronata, ed ogni miglio che ci allontanavamo da casa mi sentivo più spossata e con i nervi a fior di pelle. Solo a pensare al tempo che avremmo impiegato per tornare indietro mi saliva la febbre.
Mi guardò serenamente, capendo finalmente il perché della mia ansia e a me balenò in mente che forse aveva sbagliato di proposito.
“Ma non stiamo andando a casa …” appunto “… lasciami fare e rilassati, c’è ancora un po’ un’altra mezz’ora di strada da fare se non ci si mette il traffico a bloccarci”
Non sapevo dove stavamo andando, ora ero agitata anche per quello, ma la stanchezza aveva preso il sopravvento e sprofondai nel mondo dei sogni mentre anche il sole andava lentamente a tuffarsi in mare, tingendo l’orizzonte di un arancione vellutato e diffuso.
“Kris, tesoro sveglia ... Kris” la dolce voce di Rob che mi richiamava e mi invitava a svegliarmi fu una sorpresa. Ero ancora in uno stato confusionale e non avevo ancora realizzato definitivamente che ero con lui a Los Angeles. Ora che rimettevo in ordine i pezzi del puzzle non sapevo bene dove mi trovassi. Mi ero fatta convincere dalla sua voce calda ad appisolarmi in auto mentre mi portava chissà dove a sud di Los Angeles. Eravamo sotto un porticato elegante, stile coloniale, e dei ragazzi in divisa andavano avanti e indietro con le nostre valigie. C’era poco da immaginare, eravamo in un hotel; anche piuttosto lussuoso, a giudicare dall’ambiente.
“Dove mi hai portato?” gli chiesi, sorreggendomi a lui mentre lasciavo l’abitacolo dell’auto.
“Laguna Beach. Ho pensato che non abbiamo passato insieme il mio compleanno come si deve” disse facendosi scuro in volto, girando lo sguardo dall’altra parte per evitare di incrociarlo col mio. Effettivamente quel 13 di maggio avevamo festeggiato a pranzo con la sua famiglia, e gli amici, ma la sera, invece di festeggiare da soli, ci era venuta la brillante idea di metterci a litigare; e poi si sa com’è andata a finire.
Mentre entravamo nella ampia e raffinatissima hall mi sembrò di avere un déjà-vu, come se ci fossi già stata. Poi, muovendomi tra le varie sale, ricollegai a cosa era dovuta la familiarità di quel luogo: era il Carlton-Ritz Hotel di Laguna, c’ero stata tante volte tra matrimoni e feste delle mie amiche più chic. Mai avrei pensato però di passarvi una seconda luna di miele con mio marito. Perché quello era quel soggiorno: me ne accorsi mettendo piede in stanza. Una suite che avrebbe comodamente ospitato una famiglia di quattro persone, con un salotto ed un piccolo giardino privato che si affacciava direttamente sull’oceano, vista la posizione strategica dell’albergo, abbarbicato su di un promontorio, a picco sul mare.
Festeggiavamo il suo compleanno, ma il regalo lo aveva fatto a me.
Mentre Rob dava non so quali disposizioni al personale e distribuiva laute mance affinché potessimo rimanere il più indisturbati possibile, io corsi a godermi il panorama, cercando di non sprecare nemmeno un minuto della nostra permanenza in quel paradiso.
D’un tratto sentii avvolgermi alle spalle. Mi erano mancate le sue attenzioni, il calore che riusciva a trasmettermi anche con il più piccolo gesto.
“Per quanto staremo qui?” gli chiesi, conscia che non saremmo rimasti in eterno
“Tutto il tempo che vorrai …” mi rispose, accarezzandomi i capelli, e lasciando dei piccoli baci sulle tempie.
Sapevo che non sarebbe stato così, che probabilmente il giorno dopo saremmo già ripartiti, ma al momento era proprio quello che volevo sentirmi dire, e lasciai fare. Non dovevano esserci pensieri, affari; solo noi ed il tramonto sull’oceano.
Vedevo che faceva fatica, che cercava di trattenersi da un contatto più profondo con me. Come biasimarlo? Non mi ero comportata certo in maniera corretta con lui, e non avevo chiarito ancora, davvero,la situazione. Mi ero illusa di aver ripristinato la nostra bolla privata, ma non l’avevo fatto davvero. Mi ero lasciata un po’ di tempo per parlargli realmente, per dedicargli un po’ di romanticismo. Non volevo essere banale, dichiarandomi in aeroporto. Avrei lasciato che fossimo in casa, da soli, ma mi aveva portato su una nuvola, nel posto perfetto, non c’era più bisogno di aspettare.
Mi voltai verso di lui e gli sorrisi.
“Dammi cinque minuti per rinfrescarmi un po’ e tu cambiati. Andiamo in spiaggia …” lo trascinai dentro entusiasta per la mia stessa idea. Lui rimase un attimo interdetto, frastornato dalla mia verve, così improvvisa, quando sembrava che sarei crollata, da un momento all’altro, tra le sue braccia, per il sonno.
Mandai mille benedizioni a nonna Beth che mi fece mettere in valigia praticamente tutto l’armadio, probabilmente già informata da suo nipote sul programmino che mi attendeva. Indossai un caftano bianco di lino, abbastanza ampio da non costringere eccessivamente le mie forme lievitate, sopra al costume da bagno a due pezzi, stupendomi che riuscissi ancora ad infilarlo ma, ancor di più, che dovetti usare l’ultimo gancetto per fermare il reggiseno. Sorrisi maliziosa, pensando che quel particolare mi avrebbe aiutato nella notte …
Cercai di non svenire quando, uscendo dal bagno, trovai Robert in tenuta da mare: infradito, bermuda beige e camicia bianca. Probabilmente non mi sarei mai abituata allo splendore di quel corpo e alla noncuranza con cui mio marito lo trascinava in giro. Il primo impatto sarebbe rimasto per sempre dannoso per la mia salute.
Avevamo cercato, mentre scendevamo in spiaggia, di mantenere un basso profilo, attirando l’attenzione su di noi il meno possibile. Timore assolutamente infondato, visto che nessuno sembrava interessato ad una coppietta in villeggiatura. D’altronde ciascuno dei clienti dell’hotel, estratto conto alla mano, avrebbe avuto i suoi buoni motivi per reclamare l’attenzione su di sé.
Nonostante fossero quasi le otto di sera e il sole fosse ormai scomparso all’orizzonte, in cielo fluttuavano ancora dei riverberi vermigli a bande, mentre le nuvole scorrevano lente nel cielo, specchio di ciò che accadeva nel mare sotto di loro, allontanandosi verso ovest, lasciando spazio dietro di loro per una notte trapunta di stelle. Eravamo a maggio, eppure la California era già abbastanza calda da far apprezzare i benefici del mare. Non era certo il tempo per un bagno, ma i piedi potevano tollerare, scalzi, il refrigerio dei piccoli fiotti d’acqua che si stendevano lungo la battigia.
Mano nella mano passeggiavamo lenti e muti lungo la spiaggia deserta, aspettando che qualche gabbiano in lontananza riempisse col suo verso quel silenzio. Stavamo bene cos’, anche senza parole, tutto era più facile per entrambi, ma non doveva andare così.
Ancora con la mano intrecciata alla sua mi misi davanti a lui, con lo sguardo alto a cercare i suoi occhi. Inutile dire quanto fossero belli, mentre riflettevano gli ultimi sprazzi del tramonto.
“Ho bisogno di parlarti” non volli usare mezzi termini, lunghi giri di parole, che avrebbero allungato l’agonia di entrambi.
“Dimmi” disse a voce strozzata, mentre sbiancava, preoccupato davanti a me.
Era sempre così Rob, tendeva a preoccuparsi troppo, ed inutilmente; faceva drammi e si poneva un sacco di complessi per ogni minima, piccola cosa. Ed anche per questo lo amo da morire.
Volli rassicurarlo, così gli presi anche l’altra mano e le strinsi tutt’e due forte.
“E meno male che avevi paura di esserti presentato a mani vuote oggi in aeroporto!” scherzai pensando a quel pomeriggio. Rise assieme a me, stemperando gli animi.
“È che” mi confessò “ho paura di non fare mai abbastanza per te. Soprattutto dopo il casino che ho combinato …” quando tentava di fare il colpevole assumeva sempre una faccia da cucciolotto indifeso, ed era davvero dolce, che puntualmente tutta la serietà e l’impegno che mettevo nelle conversazioni, si andavano sempre a far benedire. Era il suo modo di ammaliare le persone; magari nemmeno lo faceva apposta, ma ci riusciva benissimo.
“Innanzi tutto i casini si fanno in due” dissi “e poi se tutto quello che hai fatto oggi ti sembra poco … a me bastava che avessi con te il tuo cuore …”.
Detta da me suonava davvero strana una frase melliflua come quella, ma lui non dovette farci caso, perché con una serietà pari a quella che mi sforzai di assumere, rispose: “… il mio cuore è dove sei tu. Su questo non puoi sbagliare …”
Mi alzai in punta di piedi, dimenticando quanto fossero appesantiti i miei polpacci quella sera, e scontrai la mia fronte con la sua, immergendo i miei occhi nei suoi.
Finalmente gli sussurrai: “Ti amo”.
Non ci fu risposta migliore che potesse darmi, e che attendessi, se non un suo bacio.
Dapprima fu irruento, appassionato, pieno di una foga che solo giorni e giorni di lontananza potevano aver accumulato. Pian piano la passione fu costretta a cedere il passo alla dolcezza, ad un lento riscoprirsi reciproco, delle nostre mani tra i capelli, le lingue che si sfioravano e si rincorrevano giocose ed impertinenti.
Nei pochi e brevi istanti in cui le nostre labbra si slegavano, lui pronunciava il mio nome, intervallandolo con dei ti amo sussurrati, rendendolo la più dolce canzone d’amore.

















Angolo dell'autrice

Eccomi qui, per spiegare qualche piccolo dettaglio di questo capitolo. Non ho voluto una riappacificazione plateale, con grandi discorsi o dichiarazioni di amore eterno. Non è in kristen e robert comportarsi così. se ben ricordate Canto di Natale, durante la proposta di matrimonio, loro sono consapevoli che nel matrimonio non tutto è rose e fiori, e che potrebbe non essere l'unica volta in cui capiterà di litigare. Lo sanno, come sanno anche di amarsi e questo va al di là di tutto quanto accade.
Quando Kristen parla della loro casa ho ipotizzato che abitassero in quel "quartiere" di Los Angeles chiamato appunto Ston Canyon Lake, perché tempo fa erano uscite delle foto a riguardo del loro nido d'amore, ed era su un lago vicino los angeles. Ho semplicemente tentato di fare due più due.
La parte al mare mi  venuta in mente pensando ad un gossip che era venuto fuori pochi giorni dopo il compleanno di Rob quest'anno, secondo cui i piccioncini sono stati davvero in quell'albergo, che è questo QUI.
Spero sia stato di vostro gradimento e vi aspetto sabato prossimo o anche prima, per il prossimo capitolo.
Per qualsiasi altra domanda o curiosità abbiate non esitate a chiedere tramite le recensioni o contattandomi direttamente.

Dopo aver disertato la risposta alle recensioni  per ben due capitoli, stavolta mi faccio perdonare, sperando che voi siate magnanimi con me e risponderete con altrettanta solerzia...mamma che paroloni!!!!ahahahah!!!

@prudence_78: sono contenta che ti sia piaciuto. avevo un po' di paura per la parte a P.O.V. Kristen perché è più "leggera" rispetto a quella di Rob. e sì, effettivamente rob sembra uno che si fa molti problemi per niente, figuriamoci per una storia come questa.
@La Francy: purtroppo non mi aspetto che tu dica di Rob che è favoloso, ma almeno piano piano lo stai iniziando ad apprezzare. Grazie per la recensione...dovresti farlo più spesso, amore mio!!!
@Enris: effettivamente mi sento abbastanza maturata come scrittrice, da esplorare con più decisione i sentimenti e le emozioni dei personaggi, anche con descrizioni. lo avrai notato nei precedenti capitoli quanto siano sempre più lunghi. non sono sicura che i risultati siano d'effetto, ma io intanto ci provo. Per lo sconforto di Rob: non mi era sembrato giusto accolare tutta la depressione su Kristen, farla passare per la povera pazza in preda agli ormoni della gravidanza. mi sono detta: per rob nemmeno dev'essere stata una passeggiata...e poi come ho già detto sono i personaggi che prendono vita in me, sono loro a muovere i fili.io riporto solo quello che loro vivono e sperimentano.
@BabyVery: ti arrabbi se ti dico che il capitolo doveva continuare? ma mi sembrava troppo lungo e pesante... così ho optato per il finale sospeso, così vi obbligo a rimanere in attesa...muahahahah!!! lo so sono perfida!!! Avevo bisogno di reintrodurre la famiglia di kristen, mi sembrava mancasse qualcosa. soprattutto perché il silenzio degli altri membri della famiglia era rimasto inesplicato.Jules è dall'inizio della storia l'unica persona della famiglia Stewart con cui robert ha un certo feeling. e poi dovevo far riscattare Cameron: l'avevo  fatto sembrare solo un ubriacone nei primi capitoli della storia.
@sidney90: mi dispiace  come ho già detto a Baby non potevo farlo troppo lungo, diventa anche per voi difficile da leggere...



Grazie per la pazienza accordatami fin qui! à bientot!!!


Federica

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Capitolo 19
*** Clair de lune ***


The best day - capitolo 19 Eccomi qui, puntuale, anzi, con ben due giorni di anticipo, a postare il nuovo capitolo della storia. Vi chiedo d'ora in avanti di avere un po' di pazienza perché inizia una nuova fase della storia e non so quanto tempo impiegherò a scriverla. spero di fare presto, ma potrei anche postare il nuovo capitolo più tardi di quanto vorrei. Non vi do una data, un appuntamento a cui risentirci, ma non abbandono la storia, anzi. Vi chiedo solo di aspettare pazientemente, e di affacciarvi ogni tanto per vedere se ho aggiornato.
Non so se ve ne siete accorti comunque ho alzato il rating della storia dal verde a giallo. Avevo detto mentre scrivevo Canto di Natale che non sarei mai stata esplicita, ma a questo punto qualcosa in più ci voleva. Nell'angolo dell'autrice ne parlerò più approfonditamente.
Vi lascio alla lettura.
Recensite!!!









Capitolo  19
CLAIR DE LUNE - P.O.V. Kristen


Riprendere a respirare in maniera regolare non fu per niente facile. Il caldo si faceva sentire e poi Robert aveva fatto davvero gli straordinari … forse stare lontani non era poi una cosa così negativa, se portava quegli effetti benefici alla nostra intimità.

Il leggero ronzio del condizionatore non disturbava lo sciabordare delle flutti che si infrangevano lungo la scogliera in quella notte adamantina. La luna, cortesemente, si insinuava tra le tende e, con il suo pallido bagliore, argentava la stanza.
Rob stava allungato a pancia in giù accanto a me, le nostre mani intrecciate a ricordare la nostra rinnovata unione, apparentemente addormentato. Mi girai su un fianco e mi misi ad osservarlo. Era difficile rimanere indifferenti alla sua bellezza, specialmente se non c’era neanche un centimetro di stoffa a coprirlo.
Il suo volto era rilassato, le sue bellissime e sensuali labbra assorte in un sorriso misto tra felicità e beatitudine: non potei fare a meno di fantasticare sui sogni che lo stavano rapendo a me in quel momento.
La sua fronte era leggermente imperlata di sudore, nonostante la stanza fosse rinfrescata dall’aria condizionata. Mi accorsi solo allora, guardandolo, che anche io ero coperta da una sottile patina di sudore, quasi certamente di origine comune: sorrisi al ricorso di quanto accaduto nemmeno mezz’ora prima. Probabilmente ero anche arrossita perché mi sentii avvampare le guance ed il cuore prese a battere forte.
Mi appoggiai con la testa sul palmo della mano, il gomito puntato sul materasso: soffiai leggermente sul suo viso, per asciugare tutte le goccioline che gli rigavano la fronte.
Quasi all’istante, per via del leggero solletico che gli avevo provocato, il suo sorriso divenne una risata furba. In tutto quel tempo mi aveva imbrogliata … allora mi fiondai su di lui, cercando di non pesargli addosso e di non far male al bambino, e lo riempii di baci sulla fronte, sulle guance ed infine mi impadronii della sua bocca. Non si oppose finché non lasciai un piccolo morso sul labbro inferiore.
Allora, cingendomi i lombi, mi portò con uno scatto repentino ma attento sotto di sé. Risi quando, tentando di avvicinarsi a me, dovette fare i conti con il mio “pancino”.
Nei mesi precedenti avevamo dovuto abituarci alla presenza del piccolino tra di noi, anche se a volte mi sentivo in imbarazzo a farlo “partecipe” dei nostri momenti di intimità. Tuttavia, complice la distanza, eravamo riusciti a stare insieme in maniera perfetta e completamente naturale.
Prese quelle ciocche ribelli che mi nascondevano gli occhi, ricordo che ancora mi portavo dietro dall’estate precedente, e dal set di The Runaways, e le sistemò dietro le mie orecchie.
Ne approfittai mentre era assorto per stampargli un bacio sul pomo d’Adamo. Sorrise … fu uno di quei sorrisi che mi sconvolgevano, che rinfrancano l’anima e che, al suo confronto, mi facevano sentire nulla. Ma questi complessi appartenevano al passato: finalmente avevo realizzato che entrambi avevamo un mucchio di difetti e pertanto non era necessario lasciarsi andare a paranoie inutili.
Mi restituì il favore che gli avevo fatto poco prima soffiando sul mio viso e refrigerandomi un po’. Poi scese lungo il collo e mentre soffiava, tracciava una scia di baci qua e là, mentre già a quei leggeri tocchi io perdevo il senso della misura, accelerando il respiro e annaspando con i battiti. Eppure non avrei mai detto di no a tutto quello, non sarei mai stancata di amarlo e sentirmi amata alla sua maniera.  Proseguì la discesa, andando ancora più in basso, poggiando le sue labbra su un seno, mentre con la mano carezzava l’altro. Mi inarcai leggermente, per favorirlo, e poter godere appieno dei suoi baci. Venerava le mie forme, non più così acerbe, e se ne curava con una dolcezza ed una delicatezza che avevano del maniacale, come un vasaio davanti alla creta grezza sul tornio, ancora da modellare. Come si poteva averne abbastanza? Non era mai irruente, sapeva avere pazienza, anche quando avremmo voluto prenderci senza tante smancerie.
Noi facciamo l'amore, mi ripeteva sempre, il sesso lasciamolo a chi uccide i sentimenti.
Combattuta tra la dolcezza di quegli attimi, e il desiderio di andare avanti, sentirlo di nuovo mio, fu lui a decidere per me. Strozzandomi il respiro iniziò a depositare baci e a muovere le sue mani da pianista sul mio ventre. Le dita, così lunghe ed affusolate scorrevano sopra di essa come se stessero suonando una ninna nanna al pianoforte, sfiorando ogni lembo di pelle dandogli la stessa importanza. Ogni singola cellula parve gradire, sconvolgendomi con un brivido caldo. Non potei evitare, pur impegnandomi, i tenui mugolii che di tanto in tanto nascevano in gola e venivano esalati insieme ad un respiro sempre più disordinato.
I suoi occhi, ormai degli zaffiri liquefatti, in cui avrei volentieri stemperato tutto il calore che avevo in corpo , si concentravano, sconcertati, sul grembo, non ancora avvezzi all’idea che quel miracolo fosse davvero avvenuto grazie a lui.
Passai una mano tra i suoi capelli, per ridestarlo dai suoi pensieri e ricordargli che non era solo nella stanza, reclamando gelosamente la sua attenzione, allacciandomi con le gambe ancor più stretta al suo corpo.
Rimasi con un leggero amaro in bocca quando realizzai che dei suoi bellissimi capelli, in cui affondavo le mani e a cui amavo aggrapparmi come se fossero la mia ancora di salvezza, la mia forza, era rimasto ben poco.
“Uffa …” sbuffai “… avresti dovuto interpellarmi prima di fare una cosa del genere! Io avrei fermato questo scempio!”
I suoi occhi si illuminarono ancora di più, e risero maliziosi insieme a lui: “Cos’è? Non ti piaccio più così? Mezz’ora fa non mi sembrava che mi reputassi così male …” 
Gli tirai un buffetto. “Smettila scemo … lo sai che non intendevo questo. Ma d’ora in avanti nei contratti inserirai una clausola per cui io dovrò essere consultata per ogni tuo cambio di look”
La sua risata avrebbe riecheggiato per tutta la stanza se non gliel’avessi fermata sul nascere con un bacio. Lo attirai maggiormente a me e pretesi, egoisticamente, che trasferisse sulle mie labbra tutta la passione ed il sollievo che aveva dato finora al mio corpo in fiamme.  Le lingue presero a danzare insieme, non più timide, come stato quel pomeriggio in riva al mare, ma ben consapevoli di un amore rinvigorito. Lo strinsi più che potevo, per prendere fino all’ultima goccia del suo odore, del suo sapore, prima che le nostre essenze si fondessero in un’unica melodia di sensi.
In quella posizione non fu difficile trovarci pronti per essere una cosa sola: eravamo già nudi, e le nostre intimità si cercavano e si scontravano mentre, a fronti congiunte, davamo vita ad una corrispondenza di sguardi ed un muto dialogo d’amore. I sospiri ed i baci parlavano per noi.
Entrò in me lentamente, lasciando che mi abituassi: intrecciammo forte le nostre mani, mentre lui si era staccato da me, per potersi muovere meglio e non pesare sul bambino. Io lo favorii a mio modo: inarcandomi leggermente e protendendo come meglio potevo verso di lui.
Non ero mai stata meglio in vita mia. Ero davvero completa.
C’era stato desiderio, anche urgenza, nei gesti di entrambi, la prima volta. Non avevamo saputo gestire i nostri gesti, nella impazienza spasmodica di tornare ad essere una cosa. Ora avevamo saputo andare oltre; c’era anche tanta delicatezza, voglia di fermare il tempo e non far trascorrere quella bellissima notte, solo nostra. Lo amavo, e quel sentimento era talmente totalizzante da non aver logica e mi sembrava che avrei potuto fare di tutto per lui, se solo me l’avesse chiesto in nome di quell’amore. E lui per me.
Eravamo riusciti ad adattare i nostri corpi in maniera perfettamente complementare, senza imposizioni né forzature.
Ci mettemmo a sedere, mentre lui continuava a spingere delicatamente. Mi aggrappai alle sue spalle e lo abbracciai come se non lo vedessi da una vita, come se me lo stessero portando via per sempre. Ogni tanto scostava qualche ciocca di capelli che si era attaccata al mio viso, madido di sudore. Mi sentivo rinascere ogni volta che quegli occhi di cielo si posavano su di me.
“La mia Jaymes” pronunciò, affannato.
Quel nome mi sorprese. Da quando ci eravamo sposati non mi aveva più chiamata in quel modo.
“Che c’è?” domandò incerto mentre, sostenendo la mia schiena, mi aiutava a stendermi di nuovo. Tornò di nuovo sopra di me, le bocche a sfiorarsi e gli occhi a riflettere le iridi dell’altro.
“Niente” sospirai “è solo … che … è da troppo tempo che non usavi quel nome”
“e … te ne dispiace?”
“sì, a dir la verità … lo so è da stupidi … ma era un modo speciale … per sentirmi tua”
Mi accarezzò dolcemente la guancia con il dorso della mano “Non è da stupidi …” ansimò “… ma tu sei mia … sempre e comunque … non devi dimenticarlo”
Scossi la testa mentre eliminavo la distanza, già esigua, tra noi “Mai!” affermai con determinazione “E tu sei mio”
“Per sempre” ribadì sulle mie labbra.
Sapevo che aveva ragione. Ci sarebbero state altre liti, musi lunghi, allontanamenti. Ma io ero il suo porto sicuro e lui il mio rifugio; saremmo sempre tornati indietro.



Quando la temperatura della stanza si fu ormai assestata a livelli più gradevoli Rob ci coprì entrambi con le lenzuola di seta e mi avvinghiai a lui.

“Aggrappati forte, piccolo koala …” mi sussurrò, carezzandomi i capelli “Come ti senti?”
“Mi sento a casa” risposi, tracciando delle linee immaginarie sul suo petto “ho capito che Los Angeles, Londra o qualsiasi altro posto al mondo non è casa se non ci sei tu”
Rimanemmo entrambi in silenzio per un po’ ad ascoltare i nostri respiri ed il battito dei nostri cuori. Fuori dalla stanza il mare si trascinava eternamente verso riva e la luna stava a vegliare, silenziosa.
“A cosa pensi?” mi chiese, vedendomi intenta a massaggiarmi la pancia.
“Al cucciolo …” risposi “… in questi giorni ho avuto  voglia di chiamarlo per nome”
“Effettivamente sarebbe anche ora di sceglierne uno …” rise tra i miei capelli.
“In realtà siamo anche facilitati” ribattei “dobbiamo scegliere il nome solo nel caso in cui sia una bambina”
“Non sei obbligata, amore. Possiamo trovare altri mille nomi …”
Naturalmente aveva subito capito a cosa mi riferissi. Nella sua famiglia il nome del primogenito maschio era già stabilito di generazione in generazione, scelto con una logica che avrebbe fatto invidia al più insigne matematico: il secondo nome del padre ed il primo del nonno del nascituro.
Quando questa regola mi fu spiegata la trovai sciocca, antiquata … neanche si trattasse di una famiglia reale … ma faceva parte delle tradizioni della sua, della mia famiglia e non potevo certo essere la pecora nera.
“Non mi sento obbligata. E poi Thomas mi piace come nome” esclamai con entusiasmo.
Thomas Richard, per la precisione, sarebbe stato il nome, se si fosse trattato di un maschietto. Mi piaceva, era elegante e molto british. E poi conoscevo bene l’intima speranza che Robert covava: con la scusa del nome, avrebbe potuto chiedere al suo amico fratello, TomStu, di essere il padrino del bambino. A dire la verità, Tom era l’ultima persona al mondo a cui l’avrei affidato, date le pessime abitudini da scapolone impenitente, ma se gli avesse voluto bene giusto una briciola di quanto ne voleva a Robert, lo avrebbe amato immensamente; Rob questo lo sapeva, e a me sembrava la migliore delle credenziali, perciò non avrei mai detto di no.

Tuttavia avevo la netta sensazione che non sarebbe stato un maschietto, non questa volta. Forse anche per questo avevo sentito la necessità di dare un nome alla piccolina. Perché Thomas non rispondeva mai quando lo chiamavo.
“E se fosse femmina?” domandai “se fosse una bambina? Hai qualche idea?”
“Se fosse una bambina …” si fermò a riflettere dandomi il tempo di voltarmi verso di lui e poterlo guardare negli occhi “mi piacerebbe qualcosa di diverso, non un nome classico, banale … in fondo siamo attori di Hollywood”
“No eh!” mi affrettai a reclamare “non ci provare! Ti conosco bene Robert Thomas Pattinson, conosco quel sorriso furbo che hai stampato in faccia. Non appiopperai a mia figlia il nome di un frutto! … Peach o Pear lasciamoli a chi non ha una fantasia migliore”
Scoppiò in una sonora risata che, per quanto tentassi di reprimere, rimanendo seria, coinvolse anche me.
“Veramente non avevo in mente niente di particolare …” si precipitò a spiegare “… solo … pensavo a qualcosa che avesse un significato particolare …” disse, prendendo tra le dita il piccolo ciondolo che penzolava dal mio collo, regalo per il mio compleanno.

“Oddio Rob! Non dovevi!”
“Shhh!” mi bloccò con un delicato bacio sulle labbra “tu sei venuta fin qui per festeggiare il compleanno, è il minimo. E poi, credimi, è una sciocchezza. Davvero!”
Quel sorriso avrebbe condotto all'inferno anche la più onesta delle anime.
Così, cercando di controllare il tremolio delle mani, aprii la piccola scatolina di velluto nero. All’interno c’era un ciondolo d’oro, discreto, legato ad una catenina.
Per quanto fosse bello, e molto delicato, non capivo cosa rappresentasse. Sembrava … un otto?!
Stavo per chiedere spiegazioni, ma lui, leggendo il mio sguardo, evidentemente spaesato, mi precedette.
“Prima che tu possa dire o chiedere qualsiasi cosa …” mi disse “… sì, quello è il numero otto. Ma non ti preoccupare, non ho sbagliato la tua data di nascita” ridacchiò, timidamente.
“Vedi” continuò a spiegarmi “ questo numero nella simbologia orientale è simbolo di eternità. Avevo pensato di regalarti l’infinito, e ci sto ancora lavorando ma … nel frattempo potresti accettare questa piccola anteprima”
Era geniale. Diceva sempre di essere stato un somaro a scuola ma aveva una cultura immensa, ed ogni piccolo gesto me ne dava la dimostrazione, e sapeva stupirmi sempre.
Non ci pensai due volte mi buttai a capofitto, con le braccia al suo collo, in un bacio.

“Tu avevi qualche idea?” mi chiese, ridestandomi da quei piacevoli ricordi.
“No, niente” scossi la testa, sconsolata “ma anch’io credo che non debba essere banale … in fondo è nostra figlia” dissi con una punta d‘orgoglio. Sarebbe stata innegabilmente una bambina speciale. “Mi piacerebbe però che i nomi fossero due. Un più americano e l’altro più british” dissi virgolettando.
Ci pensò un attimo e poi intervenne: “Ma perché sei così fissata con l’Inghilterra?”
Non avevo dubbi a riguardo: “Perché so che le sei legato. E quando sei qui … cioè la maggior parte del tempo … ti manca. E ora so cosa significa per te, perché anch’io ora ho quel vincolo speciale. Voglio che i nostri figli possano averla sempre con loro, anche nel nome”
“Ti ringrazio … è un pensiero molto dolce. Ma ti stai sacrificando troppo … e stai cercando di accontentarmi anche più del dovuto”
Capivo a cosa si riferisse. Prima che tutto quel casino ebbe inizio avevamo discusso più volte perché volevo che il bambino nascesse in Inghilterra e ci crescesse, anche. Per ottenere il suo consenso, anche se sapevo che dirmi di no gli costava molto, perché era anche un suo desiderio, dovetti impegnarmi con tutte le mie forze. Quando poi abbandonai i miei genitori sembrò diventare una scelta piuttosto ovvia e naturale.
“Una volta una persona mi disse: le scelte giuste non sono sempre quelle che ci rendono felici. Stiamo diventando dei genitori, Robert. Bisogna sapersi sacrificare se questo significa vedere felici i propri figli”
“Credo di sapere chi possa averti detto una cosa del genere … perciò quando torniamo a Londra ricordami di ringraziarla!” Ridemmo entrambi.
Effettivamente per arrivare lì dove eravamo non ero stata solo io a cambiare. Certo ora ero quella che lui voleva, ero finalmente me stessa, anch’io mi riconoscevo. Tuttavia entrambi avevamo sacrificato parti importanti di noi stessi, che nelle difficoltà erano emerse, prepotenti: il nostro orgoglio, la nostra testardaggine.
Sbadigliai, tenendo a stento gli occhi aperti dopo una giornata troppo lunga. Rob mi fece accoccolare di nuovo su di lui e prese a canticchiarmi una nuova melodia. Le ultime parole che udii, lontane, furono : “Bentornata amore mio”.

 

Angolo dell'autrice

Innanzi tutto inizio col dire che spero proprio che il capitolo vi piaccia perchè è molto importante per me. Ho impiegato tre giorni per scriverlo e molti di più per idearlo. Comunque, accetterò ogni critica, positiva e negativa, perché sono sempre costruttive. Questo capitolo, e la prima scena in particolare, rappresenta per me "la scena della radura" di Stephenie Meyer. L'ho immaginata così, con Kristen distesa sul letto, dopo aver fatto l'amore con Robert. E' già notte fonda nella scena, ho saltato tutta la parte che va dalla spiaggia alla cena e al loro ritorno in camera, che vedevo superfluo; spero che la narrazione non abbia subito una troncatura troppo netta. Forse avrei dovuto descrivere piuttosto la prima volta invecec che la seconda, ma ho pensato che la seconda fosse molto più consapevole della prima, che invece c'è più dettata dagli istinti, dalla voglia di tornare ad appartenersi.

Mi interessava molto spiegare questa parte, per il resto c'è solo da notare il flashback di Kristen che va a trovare Rob a Budapest (ho cercato di dare meno dettagli possibili perché nella realtà lei non è né sposata né incinta e mi sarebbe stato difficile gestirlo, in più si tratta di un ricordo) e la discussione sul nome. L'ho lasciata in sospeso perché a volte capita nelle conversazioni di passare da un argomento all'altro e poi il secondo argomento, l'interesse di kristen per l'inghilterra ed il suo desiderio di far nascere e crescere il bambino lì, lo riprenderò presto, contateci.

Come avrete certamente capito, ho intenzione di far nascere una bambina anziché un bambino, ma Robert e Kristen rimangono fermamente dell'idea che la sorpresa deve essere mantenuta fino all'ultimo. Vi chiedo a questo punto di darmi qualche consiglio sul nome, sulla falsa riga dell'idea dei due nomi di Kristen. Sarò poi io a fare la mia scelta, rispetto al nome che ho in mente.

Risposte alle recensioni
@prudence_78
:ti ringrazio per la recensione e per le bellissime parole. Sì ora c'è un rapporto da ricostruire con i genitori, ed ora inizia per me una nuova sfida, non sarà facile per niente.
@Bells85:tesoro grazie, i tuoi complimenti mi lusingano, e spero che avrai voglia di recensire anche questo capitolo, nonostante le divergenze che abbiamo avuto a riguardo.
@sidney90:postato abbastanza velocemente questa volta, ma non posso assicurarti nulla per il prossimo capitolo.
@La Francy: innanzi tutto, credo che la tua citazione sull'sdm(capiscimi) non è per nulla pertinente, specialmente in un capitolo come questo dove Robert dimostra di essere tutt'altro che un sdm...:-) poi,alle altre anticipazioni e spoiler ti ho già risp, quindi.... comunque continua a recensire!!!baci,amore!!!

Ringrazio tutti coloro che  hanno avuto la pazienza di arrivare fin qui e anche tutti i lettori silenziosi, che mi piacerebbe, per una volta, lasciassero il loro contributo. è un capitolo molto importante per me e, anche se vorrete scrivermi di lasciar perdere i momenti più o meno "lemon", ma anche di lasciar perdere completamente la fanfiction, perché non fa per me, e di darmi all'ippica XD, be' accetterò le critiche in maniera molto democratica. Spero che coloro che hanno saltato il giro delle recensioni nel capitolo precedente possano farmi sentire la loro voce questa volta. bacioni, à bientot!

Federica

 

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Capitolo 20
*** Pensieri a lancette ferme ***


The best day - capitolo 20 scusate per il ritardo, ma questo capitolo, un orrore di capitolo, mi ha fatto sudare sette camicie!!! non sapevo come partire, non sapevo cosa scrivere, mi ero completamente arenata, ma ora pare andare meglio superato questo scoglio. Lasciandovi alla lettura mi premunisco dicendovi che ho intenzione di rivederlo una volta conclusa la storia.
Ci vediamo a fine capitolo per la risposta alle recensioni.













Capitolo 20
Pensieri a lancette ferme

P.O.V. Jules
Mia figlia è a casa. È a poche miglia di distanza da me.
Non riuscivo a levarmi questo chiodo fisso dalla testa, nonostante mi fossi imposta di non pensarci come fosse un mantra, trovando da fare in casa un mucchio di faccende, in modo da non restare  con le mani in mano e sprofondare nei miei pensieri.
Del resto lei e suo marito avevano tutti i diritti di restare soli per un po’, dopo la lite e la separazione che avevano dovuto fronteggiare.
Io stessa avevo suggerito a Robert di portarla a Laguna Beach, per un paio di giorni. Lontani da ogni pensiero e preoccupazione.
Mi ero innamorata di quel posto da ragazza, quando arrivai per la prima volta negli Stati Uniti; quel tratto di costa, con i suoi tratti a volte selvaggi e beatamente incontaminati da cemento e progresso, ricordava vagamente la mia Australia.
In tutti quegli anni era capitato solo in un paio di occasioni di tornarci tutti insieme, pur avendo quel gioiello della natura praticamente dietro l’angolo, così pensai che fosse perfetto per loro.
Se potevo ancora vantarmi di conoscere bene mia figlia come avrei fatto fin qualche mese indietro, allora se ne sarebbe innamorata anche lei.
Quando Rob venne a portarmi la notizia che di lì a ventiquattro ore Kristen sarebbe arrivata, tornando finalmente a casa dopo quasi due mesi di lontananza, non potevo crederci. L’incubo, che durava da troppo tempo ormai, stava finalmente per avere la sua giusta conclusione.
Era oltre un mese e mezzo che, né io, né mio marito, la vedevamo, né sentivamo.
Non avrei saputo niente di lei, se non fosse stato per Robert, quell’angelo di ragazzo, che fino all’ultimo ha tentato di venirci incontro, di mediare, non curandosi di tutte le cattiverie che mio marito poteva avergli rivolto contro.
Era arrivato al sacrificio più estremo per aiutarci e la stava pagando cara: era ridotto uno straccio.
Diceva che era per il viaggio, il lavoro, ma ad una madre certi particolari non sfuggono.
Questa brutta storia lo aveva segnato, reso più maturo. Dal di fuori forse nessuno lo avrebbe notato, ma chi lo conosce bene, e sa cosa ha dovuto affrontare, può facilmente scorgere una vena malinconica, una vaga amarezza anche nelle sue battute più stupide e scherzose.
Lui era stato il primo a dire che bisognava essere realistici e mantenere i piedi per terra, di non lasciarsi prendere troppo dall’entusiasmo, perché nemmeno lui sapeva quali fossero le intenzioni di Kristen.
Speravo, mi ostinavo a credere con tutto il mio cuore di madre, che se Kristen si fosse decisa a tornare, ed anche con largo anticipo rispetto alle mie previsioni, non era stato per un caso, e che le cose si sarebbero risolte per il meglio, ma era corretto non illudersi.
La gioia è tanto maggiore alla fine, quanto più all’inizio il bicchiere ci sembra mezzo vuoto.
Così, mentre Rob si lasciava andare con me, e mi confidava i suoi timori di ragazzo innamorato, tornai a vestirmi della mia corazza spessa ed impenetrabile, per fare forza a me stessa, ma soprattutto agli altri. Poco importano le mie gioie e i miei sentimenti se vedo musi lunghi attorno.
Un ragazzo alto, che stava mettendo su anche un corpicino piuttosto importante, ma che di fronte ad un sentimento così sconfinato e complicato come l’amore diventava piccolo piccolo. Poco importava quello che era stato, poco importava in quel momento che aveva sempre voluto dare di sé l’impressione del ragazzo fiero, orgoglioso e forte. Poco importava  che non avesse mai avuto grande confidenza con noi, ingessato nelle formalissime buone maniere europee. Aveva un problema ed io lì ero quella madre che aveva ad oltre 10 ore di viaggio. Sembrava un cucciolo abbandonato ed indifeso, un micetto a cui non rifiuti una scodella di latte.
Come avevo sempre fatto con i miei tre figli maschi cercai di rimanere disincantata ed onesta con lui, anche se fu davvero difficile. Del resto in ballo c’era anche la felicità di mia figlia.
Nemmeno mio marito era stato di grande supporto in quelle ore di attesa. Dapprima sembrò prendere l’annuncio con grande e matura diplomazia, comprendendo le ragioni che ci impedivano di andare a prendere noi stessi Kristen all’aeroporto, la privatezza e l’importanza che acquisiva quell’incontro tra Kris e Rob. Ma, non appena Rob abbandonò casa nostra dopo cena, iniziò a schizzare qua e là impaziente e indisponente, nervoso e teso come una corda di violino, catapultando anche me in quel baratro profondo e buio. I nostri figli ci trovarono svegli al loro ritorno, alle luci dell’alba, mentre ci affidavamo all’ennesima camomilla della nottata passata a rigirarsi nel letto. 
Gli orologi di casa aveva iniziato a girare più lentamente del solito e l’apparecchio telefonico aveva smesso di funzionare: l’unica telefonata che aspettavamo era quella di Rob che ci avrebbe portato notizie, e quel suo silenzio rendeva l’attesa più snervante. Ogni squillo era un sussulto ed ogni falso allarme una delusione in più ed un tassello d’ansia che si aggiungeva al puzzle della nostra impazienza. Dovevamo fidarci di lui, e a modo nostro lo stavamo facendo: la realtà era che non sapevamo più gestire noi stessi.
Intrattabile come poche volte lo era stato in vita sua, John non lasciava che qualcuno lo contraddisse in qualsiasi cosa dicesse o facesse. Avevo provato in tutti i modi a renderlo partecipe delle mie attività anti-stress, ma mi ritrovavo con un pugno di mosche e di parole poco gentili in mano. Non riuscivo a prendermela, però: sapevo quale fosse il motivo di quella luna storta.
Passata quella nottata, e l’intero giorno del ritorno, sapevo che arrivare alla sera di quel nuovo giorno sarebbe stata un’impresa titanica. Conoscevo la tabella di marcia dei ragazzi; sapevo che non si sarebbero trattenuti a Laguna Beach più di una notte, e Robert mi avrebbe chiamata non appena fossero rientrati in casa.
John aveva proibito ai figli qualsiasi uso dell’apparecchio fin dalle prime ore della giornata e, come sempre quando è in tensione, si chiuse nel suo studio senza voler parlare con nessuno e senza toccare cibo. Non avevo idea di cosa potesse combinare chiuso tutto il tempo in quella stanza, al buio e con l’odore di aria viziata che inevitabilmente si spandeva nella stanza. Unico beneficio di quel confino volontario, fu che riuscii a rimanere tranquilla per l’intera giornata.
L’unico contatto con la famiglia era l’interfono che puntualmente sentivo richiudermi in faccia. L’unico ad avere accesso nella stanza con lui era Max, il gatto di sua figlia; Jella, come lo chiamava lei. Dopo le nozze Kristen non era riuscito a portarlo con se a Londra, pigro com’era e restio ad ogni viaggio ad alta quota. L’aveva lasciato a suo padre, che se ne occupava come fosse Kristen stessa.
Quando l’imbrunire colorava il cielo di rosso verso il mare, a tarda serata, quando eravamo rimasti soli in casa, vidi uscire dal suo antro mio marito John.
“Noto con piacere che sei ancora vivo!” mi azzardai ad esclamare, seppur scherzosamente, mentre entravo nello studio ad aprire le finestre per mandare via il cattivo odore di fumo e caffè che si era impregnato anche tra i libri negli scaffali.
Non rispose. Mi voltai e non c’era. Probabilmente era salito in camera, perché sentivo dei rumori provenire dal piano di sopra.
Me lo ritrovai una decina di minuti dopo in cucina, profumato e vestito di tutto punto, mentre stringeva tra le mani un mazzo di chiavi. Tra loro, anche quella della sua auto.
“Dove vai?” gli chiesi, con timore, avendone un vago sospetto. Speravo tanto che per una volta il mio sesto senso femminile mi portasse sulla strada sbagliata.
“Da mia figlia” rispose, laconico. Ovviamente avevo avuto ragione.
“John, non incominciare, ti prego. Rob non ha ancora chiamato e …” “… ed io non ce la faccio ad aspettare una chiama
Mia figlia è a casa. È a poche miglia di distanza da me.
Non riuscivo a levarmi questo chiodo fisso dalla testa, nonostante mi fossi imposta di non pensarci come fosse un mantra, trovando da fare in casa un mucchio di faccende, in modo da non restare  con le mani in mano e sprofondare nei miei pensieri.
Del resto lei e suo marito avevano tutti i diritti di restare soli per un po’, dopo la lite e la separazione che avevano dovuto fronteggiare.
Io stessa avevo suggerito a Robert di portarla a Laguna Beach, per un paio di giorni. Lontani da ogni pensiero e preoccupazione.
Mi ero innamorata di quel posto da ragazza, quando arrivai per la prima volta negli Stati Uniti; quel tratto di costa, con i suoi tratti a volte selvaggi e beatamente incontaminati da cemento e progresso, ricordava vagamente la mia Australia.
In tutti quegli anni era capitato solo in un paio di occasioni di tornarci tutti insieme, pur avendo quel gioiello della natura praticamente dietro l’angolo, così pensai che fosse perfetto per loro.
Se potevo ancora vantarmi di conoscere bene mia figlia come avrei fatto fin qualche mese indietro, allora se ne sarebbe innamorata anche lei.
Quando Rob venne a portarmi la notizia che di lì a ventiquattro ore Kristen sarebbe arrivata, tornando finalmente a casa dopo quasi due mesi di lontananza, non potevo crederci. L’incubo, che durava da troppo tempo ormai, stava finalmente per avere la sua giusta conclusione.
Era oltre un mese e mezzo che, né io, né mio marito, la vedevamo, né sentivamo.
Non avrei saputo niente di lei, se non fosse stato per Robert, quell’angelo di ragazzo, che fino all’ultimo ha tentato di venirci incontro, di mediare, non curandosi di tutte le cattiverie che mio marito poteva avergli rivolto contro.
Era arrivato al sacrificio più estremo per aiutarci e la stava pagando cara: era ridotto uno straccio.
Diceva che era per il viaggio, il lavoro, ma ad una madre certi particolari non sfuggono.
Questa brutta storia lo aveva segnato, reso più maturo. Dal di fuori forse nessuno lo avrebbe notato, ma chi lo conosce bene, e sa cosa ha dovuto affrontare, può facilmente scorgere una vena malinconica, una vaga amarezza anche nelle sue battute più stupide e scherzose.
Lui era stato il primo a dire che bisognava essere realistici e mantenere i piedi per terra, di non lasciarsi prendere troppo dall’entusiasmo, perché nemmeno lui sapeva quali fossero le intenzioni di Kristen.
Speravo, mi ostinavo a credere con tutto il mio cuore di madre, che se Kristen si fosse decisa a tornare, ed anche con largo anticipo rispetto alle mie previsioni, non era stato per un caso, e che le cose si sarebbero risolte per il meglio, ma era corretto non illudersi.
La gioia è tanto maggiore alla fine, quanto più all’inizio il bicchiere ci sembra mezzo vuoto.
Così, mentre Rob si lasciava andare con me, e mi confidava i suoi timori di ragazzo innamorato, tornai a vestirmi della mia corazza spessa ed impenetrabile, per fare forza a me stessa, ma soprattutto agli altri. Poco importano le mie gioie e i miei sentimenti se vedo musi lunghi attorno.
Un ragazzo alto, che stava mettendo su anche un corpicino piuttosto importante, ma che di fronte ad un sentimento così sconfinato e complicato come l’amore diventava piccolo piccolo. Poco importava quello che era stato, poco importava in quel momento che aveva sempre voluto dare di sé l’impressione del ragazzo fiero, orgoglioso e forte. Poco importava  che non avesse mai avuto grande confidenza con noi, ingessato nelle formalissime buone maniere europee. Aveva un problema ed io lì ero quella madre che aveva ad oltre 10 ore di viaggio. Sembrava un cucciolo abbandonato ed indifeso, un micetto a cui non rifiuti una scodella di latte.
Come avevo sempre fatto con i miei tre figli maschi cercai di rimanere disincantata ed onesta con lui, anche se fu davvero difficile. Del resto in ballo c’era anche la felicità di mia figlia.
Nemmeno mio marito era stato di grande supporto in quelle ore di attesa. Dapprima sembrò prendere l’annuncio con grande e matura diplomazia, comprendendo le ragioni che ci impedivano di andare a prendere noi stessi Kristen all’aeroporto, la privatezza e l’importanza che acquisiva quell’incontro tra Kris e Rob. Ma, non appena Rob abbandonò casa nostra dopo cena, iniziò a schizzare qua e là impaziente e indisponente, nervoso e teso come una corda di violino, catapultando anche me in quel baratro profondo e buio. I nostri figli ci trovarono svegli al loro ritorno, alle luci dell’alba, mentre ci affidavamo all’ennesima camomilla della nottata passata a rigirarsi nel letto. 
Gli orologi di casa aveva iniziato a girare più lentamente del solito e l’apparecchio telefonico aveva smesso di funzionare: l’unica telefonata che aspettavamo era quella di Rob che ci avrebbe portato notizie, e quel suo silenzio rendeva l’attesa più snervante. Ogni squillo era un sussulto ed ogni falso allarme una delusione in più ed un tassello d’ansia che si aggiungeva al puzzle della nostra impazienza. Dovevamo fidarci di lui, e a modo nostro lo stavamo facendo: la realtà era che non sapevamo più gestire noi stessi.
Intrattabile come poche volte lo era stato in vita sua, John non lasciava che qualcuno lo contraddisse in qualsiasi cosa dicesse o facesse. Avevo provato in tutti i modi a renderlo partecipe delle mie attività anti-stress, ma mi ritrovavo con un pugno di mosche e di parole poco gentili in mano. Non riuscivo a prendermela, però: sapevo quale fosse il motivo di quella luna storta.
Passata quella nottata, e l’intero giorno del ritorno, sapevo che arrivare alla sera di quel nuovo giorno sarebbe stata un’impresa titanica. Conoscevo la tabella di marcia dei ragazzi; sapevo che non si sarebbero trattenuti a Laguna Beach più di una notte, e Robert mi avrebbe chiamata non appena fossero rientrati in casa.
John aveva proibito ai figli qualsiasi uso dell’apparecchio fin dalle prime ore della giornata e, come sempre quando è in tensione, si chiuse nel suo studio senza voler parlare con nessuno e senza toccare cibo. Non avevo idea di cosa potesse combinare chiuso tutto il tempo in quella stanza, al buio e con l’odore di aria viziata che inevitabilmente si spandeva nella stanza. Unico beneficio di quel confino volontario, fu che riuscii a rimanere tranquilla per l’intera giornata.
L’unico contatto con la famiglia era l’interfono che puntualmente sentivo richiudermi in faccia. L’unico ad avere accesso nella stanza con lui era Max, il gatto di sua figlia; Jella, come lo chiamava lei. Dopo le nozze Kristen non era riuscito a portarlo con se a Londra, pigro com’era e restio ad ogni viaggio ad alta quota. L’aveva lasciato a suo padre, che se ne occupava come fosse Kristen stessa.
Quando l’imbrunire colorava il cielo di rosso verso il mare, a tarda serata, quando eravamo rimasti soli in casa, vidi uscire dal suo antro mio marito John.
“Noto con piacere che sei ancora vivo!” mi azzardai ad esclamare, seppur scherzosamente, mentre entravo nello studio ad aprire le finestre per mandare via il cattivo odore di fumo e caffè che si era impregnato anche tra i libri negli scaffali.
Non rispose. Mi voltai e non c’era. Probabilmente era salito in camera, perché sentivo dei rumori provenire dal piano di sopra.
Me lo ritrovai una decina di minuti dopo in cucina, profumato e vestito di tutto punto, mentre stringeva tra le mani un mazzo di chiavi. Tra loro, anche quella della sua auto.
“Dove vai?” gli chiesi, con timore, avendone un vago sospetto. Speravo tanto che per una volta il mio sesto senso femminile mi portasse sulla strada sbagliata.
“Da mia figlia” rispose, laconico. Ovviamente avevo avuto ragione.
“John, non incominciare, ti prego. Rob non ha ancora chiamato e …” “… ed io non ce la faccio ad aspettare una chiamata che chissà quando arriverà, non sono bravo come te a rigirarmi i pollici”
Non mi lasciò finire e dovetti ingoiare anche quest’altro boccone amaro. Lo conoscevo bene da non prendermene troppa pena, sapevo che quando si fosse calmato sarebbe corso come un razzo a chiedermi scusa.
“Se non hanno ancora chiamato vuol dire che non sono ancora tornati, abbi un po’ di pazienza, John”
“non ce la faccio, Jules. Vorrà dire che li aspetterò davanti casa”
Non mi diede il tempo di ribattere che, voltandomi per fermarlo, non lo trovai più. Dall’esterno, il rumore di un’auto che si allontanava.
ta che chissà quando arriverà, non sono bravo come te a rigirarmi i pollici”
Non mi lasciò finire e dovetti ingoiare anche quest’altro boccone amaro. Lo conoscevo bene da non prendermene troppa pena, sapevo che quando si fosse calmato sarebbe corso come un razzo a chiedermi scusa.
“Se non hanno ancora chiamato vuol dire che non sono ancora tornati, abbi un po’ di pazienza, John”
“non ce la faccio, Jules. Vorrà dire che li aspetterò davanti casa”
Non mi diede il tempo di ribattere che, voltandomi per fermarlo, non lo trovai più. Dall’esterno, il rumore di un’auto che si allontanava.

P.O.V. John
Neanche la musica del buon vecchio Bob Dylan riusciva a tranquillizzarmi quel pomeriggio. Percepivo da me che la mia guida era abbastanza irrequieta e solo la mia buona stella mi impedì di non avere incidenti o farmi beccare dalla polizia a commettere qualche infrazione. Una multa sarebbe stata corretta, ma forse avrei peggiorato le cose. Decisamente avrei dovuto farmi un promemoria: mai più di 2 caffè al giorno.
Avevo sempre avuto seri problemi d’orientamento, soprattutto in una città come Los Angeles che cambia volto ogni giorno, ma trovare la villetta di Kristen e Robert era impossibile da rintracciare. Mio figlio Dana l’aveva ribattezzata casa Cullen, per via della sua completa immersione nella natura e la sua architettura contemporanea. Per scovarla ci misero un bel po’, ma assolveva al suo compito di rifugio segreto in maniera impeccabile.
Arrivando notai con piacere che l’auto di Robert era già parcheggiata nello spazio antistante l’ingresso e mio genero era lì che scaricava le valigie dall’auto. Mi lasciai andare ad una risata mentre, guardandolo con attenzione, finalmente capii cosa intendeva Kristen quando diceva che Rob avrebbe potuto fare il clown nella vita. Era tremendamente goffo e totalmente scoordinato, il suo modo di camminare strano e non adeguato ad un ragazzo esile come lui. Forse questo riusciva a renderlo appetibile a tutte quelle ragazze che gli corrono appresso, insieme quella sua espressione da eterno cane bastonato mista ad una non meglio identificata sensualità che aveva fatto capitolare tutte, e dico proprio tutte, le donne della mia famiglia.
Si voltò quando si accorse della mia presenza e mi salutò con un ampio movimento del braccio.
Eccola di nuovo l’ansia, andava anche peggio di prima. Ma perché avevo avuto quella brillante idea?
Che cosa le avrei detto?
Scesi incerto dall’auto mentre Rob a grandi falcate mi si avvicinava. Tese il braccio verso di me e ci salutammo meglio. Ero contento, davvero, che avesse dimenticato tutto quello che gli avevo detto. Quasi per miracolo, lui sembrò non essersela mai davvero presa, capendo le ragioni che mi avevano spinto a trattarli con quel disprezzo immeritato.
“Siamo appena tornati” mi disse “una decina di minuti al massimo e vi avrei chiamati”
“Stai tranquillo Rob, va bene così. Non riuscivo a starmene a casa senza far niente così ho pensato di venire a salutarvi, ma ora non sono più sicuro che sia la cosa migliore. Vi lascio riposare …” cercai di svincolarmi e tornare all’auto, ma Rob con un gesto repentino riuscì a riprendermi e trattenermi.
“No, no!!!” si oppose, scherzosamente “ora sei qui e le parli. È di ottimo umore e vuole vederti, vedrai che andrà tutto bene”
“Ma cosa le dico?”
Ero completamente nel pallone; non avrei saputo come attaccare il discorso, né come dirle che ero decisamente dispiaciuto per quanto accaduto e volevo cominciare con lei un nuovo capitolo. Non mi illudevo di certo di poter tornare indietro, sperando che dimenticasse; ma almeno andare avanti … lesson learned …
Non sono mai stato bravo nei discorsi, non avrei saputo trovare le parole, ne ero certo; tanto più se una cosa mi sta particolarmente a cuore.
“Sei suo padre, no? Le parole ti verranno, ne sono sicuro. E poi, per una volta che puoi giocare sull’effetto sorpresa e ritrovartela ammutolita …”mi strizzò l’occhio, sorridendo a quell’eventualità.
Risi insieme a lui “dici che non mi interromperà?”
“Ci puoi scommettere!” rispose strizzandomi l’occhio.
Avevo proprio bisogno di quella nuova complicità con Robert. Avevo avuto troppi pregiudizi nei suoi confronti sin dal principio, ed il mio affetto per Mike aveva peggiorato le cose, impedendomi di agire con imparzialità.
Non era un figlio, né un amico. Il nostro era un rapporto talmente speciale da non poter essere etichettato. Dopo le parole sputate in faccia all’altro senza ritegno non avremmo più avuto occasione di litigare, ma non sarebbe mai corso da me per un problema né, per indole, io avrei chiesto a lui di confidarsi con me. Ci volevamo bene, sinceramente, con rispetto, senza tanti fronzoli e tanto bastava ad entrambi.
Mi fece ancora un cenno di incoraggiamento ad entrare. Presi un respiro profondo e mi diressi all’interno.


L'ANGOLO DELL'AUTRICE

Premetto che questo capitolo non sarebbe nemmeno degno di essere pubblicato, ma rob e kris hanno avuto una notte estenuante, dovevano riposare. ihihihih!!!

Il titolo di questo capitolo è molto particolare; con il termine lancette ferme mi riferisco essenzialmente al fatto che per John e Jules il tempo sembra essersi fermato in attesa che Kristen si riaffacci alla loro porta.

Non ci sono grandi avvenimenti nel capitolo, hio solo deciso che avevo bisogno di una pausa mentale, anche per esprimere quei due tre pensieri insepressi dal punto di vista di questi personaggi così importanti nella storia.

Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno recensito il capitolo, non ho mai ricevuto tante recensioni. credo non succederà ancora, ma spero di poter continuare ad avervi numerosi.

Mi dispiace non poter rispondere a tutti perché ho poco tempo, per cui mi dedico solo a chi mi ha posto qualche domanda o ha fatto delle riflessioni un po' più dettagliate, non dimenticando però di ringraziare coloro che anche con un semplice commento hanno fatto sentire la loro presenza. :-)

Io mi prendo un paio di settimane di stop perché vado in vacanza, ci sentiamo presto con il prossimo capitolo. RECENSITE NUMEROSI!!!

@prudence_78 : grazie per i consigli sui nomi, a dir la verità preferirei evitare Elizabeth perché già la sorella di Rob si chiama così e poi per il continuo della storia ho bisogno di una nome che abbia un significato particolare. Ti ringrazio per la fiducia sulla scena lemon. Per quanto riguarda il club della moda, be' cn loro penso di fare un discorsetto quando torneranno a Londra, tra un po' di tempo, speriamo bene. 

@dorel: vedo che il fiocco rosa va per la maggiore. non posso anticiparvi nulla, però. come avrai notato la mia scena lemon non si è spinta fino alla fine, per non esagerare e non risultare banale o volgare.

@enris: a te la risposta la devo anche se sei stata di poche parole per la devozione che hai nei confronti di questa storia, e non posso far altro che ringraziati. spero continuerai a seguirla anche con capitoli orribili come questo.

@La Francy:amore mio,non ti allargare, una cosa per volta!!! ti ho promesso una parte nella storia e l'avrai, ma con calma. ti ringrazio per il supporto che mi offri in goni fase della scrittura e per i tuoi consigli. Meno male che c'eri tu, sennò il cap lemon veniva stravolto

@BabyVery:sì, come nome Thomas Richard è molto carino, però non so se sarà un maschio sai. Ho voglia di vedere un rob compleatmente innamorato della sua piccola bambina, ma non è detta l'ultima parola.

@struppi: grazie per il tour de force!!! be', come dici tu c'è bisogno di bilanciare il dramma con la commedia, ma la storia a volta mi prende e calco troppo la mano nella parte più seria. sono acnora alle prime armi, è difficile gestire tutti i personaggi che vogliono emergere e tutte le idee che ho in testa, che sono veramente tante, Per quanto riguarda la tua recensione in Canto di Natale, ammetto l'errore che ho commesso a suo tempo Non ho ancora avuto modo di rivedere la storia, ma non appena concludo questa serie vorrei partire col revisionare il tutto.Purtroppo mi sono lasciata ingannare dal nome, ma se hai notato le note post storia, ho anche corretto.Si nota che sei una fan informata e questo non è che un bene.

à bientot!!!

Federica

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Capitolo 21
*** Ragione e Sentimento ***


Capitolo 21 - Ragione e sentimento Ciao a tutti!!!! finalmente ci siamo, ecco qui il capitolo che tutti stavate aspettando. Avevo voglia di tenervi ancora un poì sulle spine, ma siccome so che avrei rischiato il linciaggio mi sono data da fare ed ho sfornato il capitolo.
Vi lascio alla lettura e vi aspetto al mio solito angoletto per precisazioni e saluti di rito.

RECENSITE!!!!




Capitolo 21
RAGIONE E SENTIMENTO - P.O.V. Kristen

Di solito, rimettere piede in casa propria, dopo essere stati via per parecchio tempo, lascia addosso una strana sensazione, come se fosse qualcosa di nuovo o fuori posto. Complice probabilmente la presenza di Robert nei giorni precedenti, questo senso insolito lo percepivo in maniera minore. Certamente, il fattore sollievo era molto più pesante.
Il mio ingresso in quella casa significava aver aggiunto un altro tassello alla ricostruzione della mia intera vita, nuove fondamenta per il futuro della mia famiglia. Sentivo che le cose stavano tornando nel loro ordine naturale e prestabilito, con una facilità disarmante. Troppo facilmente, forse.
Ogni tanto balenava nella mia mente il brutto pensiero che forse questa corsa senza ostacoli sarebbe potuta interrompersi in maniera brusca, ed io avrei potuto farmi male. Avevo una paura matta di ciò che sarebbe potuto succedere se non fossi rimasta accorta, ma al contempo non volevo pensarci. Vivere alla giornata e prendere tutto ciò che viene era il mio nuovo credo, buono e cattivo, sapendo coglierne sempre i benefici.
Diedi una sbirciata nelle varie stanze, per rinfrescare la memoria e forse far riaffiorare nell’intimo la familiarità di quelle mura. La cucina era pulita a specchio, come l’avevo lasciata prima di partire, e probabilmente nel frigo c’erano solo bottiglie di birra, a testimoniare la poca intraprendenza di Robert ai fornelli, non tanto per incapacità … se ci si mette riesce anche piuttosto bene …  quanto per pigrizia. Aprii per curiosità i vari sportelli delle credenze e notai che tutto era pieno di cibo di prima qualità e persino nel frigorifero c’era qualcosa che non fossero bevande alcoliche.
Mi vergognai di aver solo avuto una così bassa considerazione per mio marito e sogghignai divertita dalla sua trasformazione in marito e futuro padre modello.
Probabilmente mi vide inebetita davanti agli scaffali e mi richiamò alla sua attenzione.
“Da quando sei diventato un casalingo?” gli chiesi, curiosa.
Lui rise; evidentemente il mio primo pensiero davanti alla cucina non era poi così lontano dalla realtà.
“Ho solo chiesto alla signora delle pulizie di fare la spesa per il nostro rientro; non puoi rimanere senza mangiare! E poi ho voglia di qualche delizia del mio superchef!!!” rise sornione … e ti pareva!
Si allontanò con valigie e borsoni in spalla e salì le scale per depositare tutto in stanza. Non mi soffermai molto nel salotto, così moderno e asettico, troppo da coppietta alle prime armi. D’altronde quella doveva essere la mia casa da single, riadattata in fretta e furia in un “nido” per me e Robert. A quei tempi, troppo impegnati tra promozioni di film e set, non avevamo avuto nemmeno il tempo di incorniciare qualche nostra foto insieme.
Al contrario la nostra casa di Londra era perfetta in questo: ogni suo angolo raccontava qualcosa di noi, della strada che avevamo fatto per arrivare fin lì e persino le bricioline che ci conducevano al nostro futuro. Nella camera che avevamo destinato al bambino infatti avevamo costruito una piccola bacheca non le foto delle ecografie; una sorta di diario della gravidanza.
Ma la mia vita era anche lì, dunque avrei dovuto provvedere alla svelta.
Salii al piano di sopra, mentre Rob come una furia era già tornato fuori a prendere gli ultimi bagagli.
Entrai in camera, dove la grande parete finestrata mi mostrava il paesaggio, insolito per una metropoli come Los Angeles, di Stone Canyon Lake. Avevo scelto quel luogo
per noi, pieno di verde, perché potesse rapararci e rilassarci dopo le fatiche del lavoro ed avere un po’ di tranquillità e di silenzio. Protezione da occhi indiscreti ed invidiosi di paparazzi e fan, schiumanti come iene ed avidi come sciacalli.
Entrando ebbi come un flash: ritrovai quella sensazione di nausea e tedio che ebbi il giorno dopo la lite con i miei, quando con tutta fretta pretesi di partire e andare via dagli Stati Uniti. Ricordai tutto il disgusto per quella città così inospitale ed ostica, riversando su quelle quattro mura tutte le mie frustrazioni, souvenir di un passato che non mi apparteneva più ed un presente che mi stava più che mai stretto.
Superai la pila di valigie e mi gettai a peso morto sul letto, tra i morbidi cuscini e le bianche coltri. Un odore intenso di colonia mi riempì i polmoni in una folata d’aria, alzata dal mio movimento.
Era il suo odore, lo avrei riconosciuto tra mille, non avrei potuto sbagliare. Mi dava sempre calma interiore e forza allo stesso tempo.
Rimasi ad occhi chiusi per qualche istante, per rimettere in ordine le idee, ed ebbi modo di riflettere su ciò che da allora non era affatto cambiato: lui, Rob, c’era ancora, era lì con me, e sarebbe rimasto per sempre al mio fianco, a qualsiasi condizione.
Forse non lo meritavo, per come mi ero comportata, ma egoisticamente, e con blanda modestia, gioii a quella certezza.
Sentii dei passi avvicinarsi lenti al letto, per via dei leggeri cigolii del parquet: probabilmente Rob credeva che mi fossi appisolata.
“Non ti preoccupare, sono sveglia!” lo rassicurai “avevo solo bisogno di un attimo per ricaricare la batteria …” ridacchiai.
“Bene … perché non avrei mai voluto svegliarti”
La voce non era certamente
quella di Rob. Andai nel panico perché tuttavia la conoscevo: calda, dolce, vissuta. John, mio padre.
Per qualche miracolo o strano gioco del destino era lì, era venuto da me ed ora avrei potuto parlargli.
“Sei bellissima ad occhi chiusi, sembri tornare bambina” mi confessò, teneramente intimorito.
Il suo tono era dolce, affettuoso; infinitamente diverso, e fortunatamente migliore, rispetto a quello spiritato, pazzo, irascibile uomo egoista a cui avevo detto addio diverse settimane prima. Lo scrutai attentamente ed appena si accorse del mio sguardo suo di lui abbassò il suo e si girò verso la grande vetrata, dandomi le spalle.
Mi alzai dal letto e lo raggiunsi. Era tornato ad essere la persona che conoscevo, lo schivo, riflessivo, dolce, a volte un po’ matto papaStew, l’unico uomo al mondo che avrei mai potuto dire di amare, oltre il mio Robert.
Fuggendo sempre il mio sguardo sembrava scrutare qualcosa di indefinito all’orizzonte.
“È … è una bellissima giornata ed il sole non è più così alto … ” affermò sommessamente “ … perché non andiamo a prendere un po’ d’aria in giardino?” propose.
Lo seguii, senza dire una parola, senza un gesto o uno sguardo di troppo.
Nella mia testa avevo un mucchio di interrogativi e mille paure. Mentre attraversavo il salotto per uscire ed andare nel giardino retrostante, intravidi Robert dietro di me, appoggiato allo stipite dell’ingresso della cucina, con una bottiglia di birra in mano. Istintivamente mi voltai verso di lui e protesi la mano: lo volevo con me, ne avevo bisogno come calmante naturale. Ma lui mi incoraggiò con un gesto ad andare da sola.
“È una cosa tra te e tuo padre. Vai, non avere paura” mi sostenne “andrà tutto bene” … e se me lo dice così, deve andare bene per forza … strizzò complice l’occhio e il mio cuore completò la carpiatura del tuffo prima di riprendere a battere sempre all’impazzata, ma almeno regolare.
Mio padre stava fermo dietro di me sull’uscio della porta finestra che da’ sul giardino. Anche lui rivolse uno sguardo ed un sorriso sereni verso Robert, ed in quegli occhi si poteva facilmente distinguere riconoscenza.
“Grazie” mimò sulle labbra, rivolgendosi al genero, malamente evitando di farsi sentire da me.
Questo nuovo rapporto tra i due mi stupiva, e al contempo mi riempiva di una gioia enorme. Sapere che tra loro le cose andavano bene mi infondeva speranza e mi diceva che forse con mio padre avrei potuto ricomporre quel legame tutto speciale che ci contraddistingueva.
In giardino mi stesi su uno dei lettini in vimini sul bordo della piccola piscina che avevamo fatto impiantare apposta: le spiagge affollate sono bandite dalle liste dei luoghi di villeggiatura per gente come noi.
Mio padre si sistemò accanto a me, ai piedi di un altro lettino, ben attento a non rivolgermi lo sguardo.
Lo capivo, sapevo bene quanto fosse difficile per lui spiegarsi, dire certe cose a quattr’occhi, anche solo cominciare il discorso. Avrei voluto potergli dire quanto io stessa mi stavo trovando a provare le stesse sensazioni, quanto eravamo simili, ma proprio per quella similitudine entrambi sembravamo colti da una paralisi fisica e mentale.
Mi rivolse una piccola occhiata, rivolgendo la sua attenzione verso la pancia. Ricordai solo allora che doveva apparigli davvero enorme, visto che erano passate otto settimane, più o meno, da quando ci eravamo visti l’ultima volta.
“Ne è passato di tempo … la tua pancia è cresciuta parecchio”
“Otto settimane” risposi, telegrafica “ … ed il bambino cresce in fretta”
“Già” annuì
“Già” risposi anch’io.
Speravo di non risultare acida, dando l’impressione contraria di quella che desideravo. La verità era che non ci stavo capendo nulla, dentro di me mille emozioni sensazioni e sentimenti si contrastavano. La ragione mi diceva di stare attenta, cauta, perché già una volta mi ero scottata; ma il cuore, lui correva all’impazzata, ed agognava il momento in cui John mi avrebbe stretto tra le sue braccia di padre.
Da un lato ero conscia perfettamente di quanto ci volessimo bene, perché se così non fosse stato, non saremmo mai arrivati a quel faccia a faccia. Ma bisognava riconquistare familiarità, fiducia, calore costruiti in una vita e strappati in una notte, che certo non possono ricucirsi in un attimo.
“Rob ci aveva promesso che ci avrebbe chiamati non appena foste tornati a casa, ma io non ho resistito e sono venuto senza preavviso … voleva venire anche tua madre, ma l’ho lasciata a casa: ho pensato che meno persone si fossero immischiate, meglio sarebbe stato” sorrisi perché evidentemente lui e Rob erano dello stesso avviso.
Continuò: “Probabilmente a quest’ora tua madre è davanti al telefono, crogiolandosi nel dubbio se chiamare o meno, la conosci ….”
Risi spontaneamente, e lui con me. Mamma era così dannatamente cerebrale e sensibile che analizzava ogni aspetto della sua vita nel più piccolo dettaglio; non agiva quasi mai per istinto, al contrario di papà: per lui la passione, il cuore erano al primo posto, sempre.
Spesso litigano, si confrontano, come usavano dire a noi bambini anni addietro, ma gli opposti si attraggono, è una legge fisica.
Io, si può dire, sono un perfetto mix dei due, probabilmente un po’ più tendente ad essere come papà; per questo le liti anche tra noi sono quasi all’ordine del giorno.
 “Oh al diavolo!” sbraitò, tutt’a un tratto, alzandosi dal lettino.
Entrambi eravamo infatti  rimasti in silenzio, combattuti ed intimoriti dall'idea di prendere la parola per prima, pur volendo entrambi che la questione si definisse una volta per tutte. Io mi misi a sedere meglio, per poterlo guardare. Si muoveva avanti e indietro per un paio di metri attorno a me, sfregandosi le mani nervosamente, probabilmente per cercare le parole giuste. Non ci impiegò molto e, fermandosi di scatto, mi guardò finalmente negli occhi “è inutile fare tutti questi convenevoli e girarci attorno all’infinito”
Mio padre era così, repentino fino all’osso. Si avvicinò a me, e tornò a sedersi, stavolta di fronte a me.
“Mi dispiace Kristen per quello che è successo” disse tutto d’un fiato “mi sono comportato malissimo nei vostri confronti, non volevo, ed ho quasi rischiato di generare conseguenze ben peggiori” ribadì riferendosi certamente alla lite tra me e Rob.
“Papà” pronunciai per la prima volta dopo tanto tempo, mi era mancata persino l'idea di quell'appellativo “se c’è una cosa che ho imparato in quest’ultimo periodo è che gli errori si fanno in due, e la verità sta sempre al centro. Anch’io ho la mia parte di colpe, e mi scuso per le cattiverie che ti ho urlato contro e per aver messo in mezzo persone che non c’entravano niente col mio comportamento. In qualche modo tu avevi ragione, io non sono quella caricatura che si era presentata a casa tua, non completamente almeno …”
“ Tu sei cresciuta, avevi ragione, devo prenderne atto. Non sto nemmeno a spiegarti le mie ragioni di allora: erano completamente folli, lo so, ma pensavo che fossero giuste per il tuo bene”
“Papà, a me non interessa quello che è stato, io ho perfino quasi dimenticato i motivi per cui abbiamo litigato allora …” gli confessai. Effettivamente la rabbia aveva annebbiato tutti i fatti di quella sera, accecandomi. Ho continuato a sentire il rancore per diverso tempo, ma era un sentimento opaco, protratto più che altro dalla voglia di prevalere.
“Una cosa però vorrei chiedertela” ripresi.
“Tutto ciò che vuoi” mi disse.
“Io quella sera ti chiesi perché, se eri così contrario alle mie nozze, avevi permesso che avvenissero. O anche prima, quando io e Rob ci siamo messi insieme. Tu non mi hai risposto …”
“Piccola mia … nella rabbia si dicono cose che non si pensano, dovresti averlo imparato. Comunque io non ho mai obiettato alla tua relazione con Robert. Certo, non lo vedevo di buon occhio, soprattutto all’inizio … per via di … ” si interruppe, incerto se continuare o meno.
“ … Mike” pronunciai io quel nome che lui stentava a dire, probabilmente imbarazzato. Ma per me era ormai un capitolo chiuso della mia vita, dolce amaro certo, ma passato; non avevo più problemi a ricordarlo.
“Già!”annuì “all’inizio pensavo che la tua fosse solo un’infatuazione. Che ti sarebbe passata e avresti capito chi era la persona giusta per te. Ma più passava il tempo e più capivo che mi sbagliavo. E più mi rendevo conto dello sbaglio, più mi ostinavo, per gelosia, a rifiutare l’estraneo. Quando mi hai dato la notizia del matrimonio e della gravidanza ero felice per voi, davvero, ma inconsciamente provavo del risentimento, per quel ragazzo che ti stava portando via da me”
“Ma ora è tutto passato vero?” chiesi.
Mio padre si voltò verso casa, ed io con lui, di rimando. Mi disse: “Rob è un ragazzo eccezionale. Non fartelo scappare!”
“Non ne ho la minima intenzione …” sorrisi.
Mi diede un pizzicotto sulla guancia, ed io strinsi la sua mano, baciandone il palmo. Era il nostro gesto, il nostro modo per dirci quanto siamo speciali per l’altro. Avevamo fatto pace, ma era solo l’inizio, il collante, ora bisognava rimettere insieme tutti i cocci.
“Mi perdoni?” chiese, titubante.
“L’ho già fatto” risposi, sincera. Lui sorrise, soddisfatto. Doveva aver penato parecchio nelle settimane precedenti: i suoi occhi erano gli stessi, anche il suo sorriso timido, ma lo vedevo che era stanco, forse anche leggermente invecchiato.
“Dimenticherai?” domandò ancora. Non mi davano fastidio quelle domande, erano assolutamente leggittime e pertinenti.
“No” dissi, fermamente. Vidi una ruga nella sua fronte accentuarsi per la preoccupazione. Sospirai divertita “Non dimenticherò, perché non voglio correre il rischio di fare lo stesso errore due volte”. Sorrise per la verità delle mie parole. No, non dovevo dimenticare, non avrei fatto finta che non fosse successo nulla, quell'esperienza doveva restare come monito per entrambi; non per vendetta, rancore solo per proteggerci da noi stessi e dai nostri pessimi caratteri.
 “Sei forte Kris!” mi disse “tanto forte, e sarai un’ottima madre” portò la mano sul mio ventre; delicatamente prese ad accarezzarlo, ed avvicinò il suo volto. Era poco sentimentale, non era mai stato l'uomo dalle grandi dimostrazioni d'affetto, ma per lui ogni singolo gesto ha un peso specifico e i suoi abbracci, le sue carezze, le sue parole gentili sono gioielli preziosi. Anche quel lucchichio degli occhi, lacrime che imponeva a se stesso di non versare, erano come diamanti.
“Ciao piccolino!!! Sono il tuo nonno, nonno John! Lo so … sembro troppo giovane per essere il tuo nonno … ma che ci posso fare io se la tua mamma ed il tuo papà si vogliono troppo bene!!!”
Ridemmo entrambi di gusto e fu allora che con dei leggeri colpi di tosse Robert di intromise nella conversazione, avvicinandosi. Aveva in mano una bottiglia di spumante italiano e tre flute. Per tutto quel tempo era rimasto in disparte, allungato sul divano ad ascoltare musica e leggere un giornale, facendo finta di essere preso da altro, ma non vegliandoci come una sentinella di guardia.
“Ehi!” lo rimproverai “non ti sembra di star esagerando con tutte queste bollicine?”
“E a te non sembra che ci sia qualcosa che valga la pena di essere festeggiato?” disse rivolgendo uno sguardo di approvazione a me e mio padre, soddisfatto di aver portato a termine la sua missione. Aveva votato tutto se stesso per quella riappacificazione, aveva anche deciso di starmi lontano per darmi la possibilità di riflettere. Era una vittoria anche sua infondo.
“Aspettate!!!” intervenne mio padre “stasera venite a cena da noi!!! Tua madre si arrabbierà con me perché non le ho dato il tempo di organizzare una cena degna del Presidente ma qualcosa attrezzeremo … e la bottiglia la stappiamo stasera tutti insieme”
Non mi rimase che annuire, felice; avevo voglia di vedere mia madre, riabbracciarla e anche di sentirla parlare logorroica per ore di cose che non mi interessano minimamente, divertendo i miei fratelli mentre annuisco passivamente a tutti i suoi discorsi.
Salutai quasi con le lacrime agli occhi mio padre che si allontanava, imprecando contro una brezza inesistente per il bruciore agli occhi.
Rob mi avvolse le spalle con il suo abbraccio.
“Grazie” gli dissi.
“Perché?” domandò; quasi mi stupii che davvero mi chiedesse il motivo. Ma era umile, sempre, e non riusciva mai ad ammettere di avere merito in qualcosa.
“Se non fosse stato per te …” non lasciò che terminassi la frase, posandomi l’indice destro sulle labbra.
“Goditi il momento, non pensare ad altro!” mi sussurrò al mio orecchio, scostando i capelli e baciandomi le tempie, delicatamente.
Mi voltai verso di lui e lo abbracciai forte, in preda ad un entusiasmo travolgente, finalmente esplodendo in una risata incontenibile. Non c’era più spazio per le lacrime, nemmeno per quelle di gioia.












Angolo dell'autrice
eccomi qui a spiegare un po' questo capitolo. Innanzi tutto partirei dal titolo. 
Provvederò quanto prima ad aggiornare anche gli altri capitoli dove ne faccio riferimento.
Ragione e Sentimento è un riferimento sono sono al romanzo, ma anche alla situazione di conflitto interiore che Kristen vive in questo momento, ed in un passaggio kristen esprime la sua sua confusione molto esplicitamente. Essendo molto simili, è una confusione che probabilmente coinvolge anche John , suo padre, che però come si evince è più portato all'istinto. 
Ho scelto di non dilungarmi troppo nel dialogo tra i due, concentrandomi piuttosto sul prima,su quella tensione che doveva sbloccarsi. Ho immaginato il rapporto padre figlia in maniera molto simile a quello tra Charlie e Bella in Twilight. Poche parole, ma molti fatti.
Infine Rob, defilato in questo capitolo, ma si conferma il vero perno della situazione, facendo le scelte giuste e rispettando i tempi di chi lo circonda. In più ho decisamente evitato le lacrime, perché era un capitolo troppo felice e non volevo rovinarlo con lacrime inutili. Quasi dimenticavo:
a seguito delle foto uscite su internet nelle corse settimane, ho deciso di cambiare il nome della località dove, secondo le fonti giornalistiche, i Robsten dovrebbero abitare a Los Angeles, cioè a Stone Canyon Lake, nel quartiere residenziare di Bel Air, a Los Angeles.
Vorrei ora chiedere scusa per la bruttura della seconda merà del capitolo, secondo me troppo frettoloso. Purtroppo quando si tratta di concentrare dei dialoghi così lunghi, mi perdo e non riesco a bilanciare con la prosa. Si accettano suggerimenti.
Ringrazio per i consensi e le ancora numerose recensioni. Spero che per un capitolo così decisivo possiamo abbattere il mio record personale delle 10 recensioni e stabilirne uno nuovo ;-) sapete benissimo come la penso: io apprezzo tutte le critiche, anche quelle negative, purché civili, ovviamente.
ora rispondo alle recensioni dello scorso capitolo, come al solito quelle più prolisse, ringraziando che lascia anche solo un breve saluto.

marty13__
:sono contenta che la descrizione di Rob ti sia piaciuta, ho notato che non sei stata l'unica e ti ringrazio per la gentilezza sul capitolo. continua a scrivere recensioni
Enris:devo essere sincera; c'ho messo un po' per leggere questa recensione, ma l'ho adorata. per me, è la perla del capitolo. :D  credimi quando ho bisogno di incoraggiamento per la scrittoura corro sempre a rileggere le tue recensioni. Grazie per la correzione, ho provveduto ad aggiungere la T mancante alla parola ratti....purtroppo vado come un treno sulla tastiera e a volte lascio pezzi per la strada e devo ricorreggere il capitolo due o tre volte. Il pov John è nato per caso, diciamo che in un certo senso John ha preso vita da se, prepotente come lo hai "letto" nel capitolo e così siamo arrivati a casuccia Robsten. La scleta di descrivere la goffacine di rob è stata dettata soprattutto con l'intento di stemperare la tensione che si era creata, ed anche perché, personalmente, adoro il modo in cui robert è davvero, e volevo descriverlo. ma una donna non avrebbe saputo essere realistica quanto un uomo come john e poi anche lui preso da tanti pensieri riesce per un attimo a distrarsi..spero ti piaccia anche questo capitolo
La Francy: grazie amore mio per esserci sempre, anche se sotto mie minacce personali. XD La crisi come avrai letto non c'è stata, ma di sicuro tanta emozione.
prudence_78: come dici tu il rapporto con Robert è facile da ricostruire, però avverrà lentamente, anche se all'apparenza è tutto rose e fiori. forse con questo capitolo ti ho un po' delusa, visto che maari immaginavi qualcosa di più pepato. ma entrambi sono consci dei propri errori ed avevano voglia di girare pagina, iniziare un nuovo capitolo. spero di aver rinnovato la tua fiducia e la tua passione per questa storia.
BabyVery: lo so che tutti volete che la storia vada avanti il più in fretta possibile, anch'io da lettrice ragione così, ma capite che non posso giocarmi tutto in una sola volta. anche perché c'è tanto da dire, da scrutare nelle menti di ogni personaggio. Tornando al capitolo precendente, credo che Jules sappia bene com 'è suo marito visto che sono sposati da oltre 25 anni. sa che non deve prendersela, ed infatti lo perdona, anche nelle cose più gravi. e poi c'è una cosa molto più importante che li unisce: l'amore.

Per i prossimi capitoli, escluso il prossimo, ci sarà una grande pausa mentale. Ho intenzione di creare una serie, non so ben preciso quanti, di capitoli di transizione, che mi permetteranno di approfondire cose che aveva lasciato per strada, come la questione Londra o come quei piccoli momenti tipici di una gravidanza, come i calci in pancia o le voglie.

à bientot!


                                                    Federica


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Capitolo 22
*** Un ponte tra il vecchio e il nuovo mondo ***


The best day - capitolo 22 La fretta non mi permette di introdurvi il capitolo come vorrei, perciò inizio semplicemente scusandomi per l'immane ritardo e lasciandovi un capitolo un po' più lungo del solito, come rimborso. Vi lascio alla lettura del capitolo e vi ricordo del'angolo dell'autrice a fine capitolo. Buona lettura!!!






Capitolo 22
UN PONTE TRA IL VECCHIO ED IL NUOVO MONDO - P.O.V. Kristen




Avevo la sensazione di aver rimesso le lancette indietro ed essere tornati a quasi due mesi prima. Come in un rewind Rob mi aveva portata a casa dei miei genitori, come quella sera, e come quella sera ero davanti alla porta d’ingresso, in attesa che qualcuno venisse ad aprirci.
Riponevo molte speranze in quella cena, come allora, ma diversamente avevo la certezza che stavolta non sarebbero state disattese.
Perché avrei trovato con tutte le mie forze un punto d’incontro, perché eravamo tutti cambiati, molto.
Al contempo però avevo intenzione di ribadire un concetto: io non ero più la stessa, le esperienze che avevano riguardato la mia vita, privata e lavorativa, inevitabilmente mi avevano plasmata, rendendomi diversa. D’altronde non si può rimanere sempre uguali, guai se così non fosse.
Tuttavia, per quieto vivere, mi ero sforzata di trovare un compromesso, una situazione che fosse gradita a tutti, e forse c’ero riuscita, conciliando la piccola Kris, il maschiaccio, con la signora Pattinson, quella elegante e mai inopportuna. A volte mi trovavo stretta nei miei stessi nuovi, eleganti panni, tuttavia volevo che in quelle nuove vesti, anche gli altri trovassero dei pregi, come io avevo fatto.
Venne ad aprirci papà, con un sorriso enorme stampato in viso, come non gliene vedevo uno da anni. Doveva averlo soddisfatto parecchio la nostra conversazione pomeridiana, soprattutto perché eravamo riusciti a sbrogliarcela da soli. Per il nostro intimo orgoglio, era davvero un toccasana.
In più, già solo a vista, lo avevamo rassicurato. Eravamo rimasti sull’informale, e così ci eravamo adeguati. Non poteva che farmi piacere: con la pancia che cresceva, costringermi in abiti eleganti era un supplizio infernale.
Un bel camicione lungo e largo per me, camicia a quadri e jeans per Rob: capii che quelli erano i figli che mio padre amava accogliere in casa. E in quel mondo io anche mi ritrovavo.
Ma anche l’altro non mi dispiaceva: forse perché mi divertiva, come un giocattolo nuovo; mi dava importanza perché, anche se inconsciamente, tutti noi attori soffriamo di manie di protagonismo.
Mentre mi distraevo in queste elucubrazioni mio padre ci fece entrare e Robert dovette richiamarmi più volte prima di avere la mia attenzione. Mi morsi il labbro dalla vergogna ed arrossii, ma mio padre lasciò scivolare via avvolgendomi le spalle con un suo abbraccio.
Vidi Rob dirigersi automaticamente in cucina, come fosse uno di famiglia, come se quella fosse la casa in cui
lui era cresciuto, non io.
Ero contenta di quella nuova atmosfera, ma lo invidiavo perché mi sentivo d’impaccio e sapevo che riappropriarmi di quegli spazi sarebbe stata un’impresa titanica.
Non gliel’avevo confidato, eppure immaginavo che lui l’avesse intuito, ma mi sentivo profondamente a disagio ad andare a cena dai miei: volevo farlo, dovevo farlo, ma come avrei rivolto la parola a mia madre? Come avrei convinto i miei fratelli che era tutto finito, e che mi dispiaceva un mondo averli feriti?
Quasi avesse udito i miei pensieri, Rob tornò dalla cucina, mentre mio padre mi incoraggiava ad entrarvi. Dall’odore intuivo che mia madre era lì, ed aveva messo in piedi la cena con tutte le mie pietanze preferite. L’adoravo per essere sempre così puntuale e reattiva agli eventi. Di sicuro avrà inveito contro mio padre per mezz’ora per averle messo in piedi una serata all’improvviso, ma conoscendola avrà reagito in una frazione di secondo, ricomponendosi e rimboccandosi le maniche. In questo anche eravamo molto simili.
Cosa le avrei detto una volta entrata? Le avevo promesso che non l’avrei dimenticata, che non l’avrei abbandonata, invece era proprio ciò che avevo fatto, e me ne vergognavo a morte.
Come avrei potuto essere una buona madre senza essere prima una buona figlia?
Rob mi prese per mano e mi condusse verso la cucina. Mia madre era alle prese, ovviamente, con piatti e padelle, con l’immancabile grembiulino e occhiali inforcati per leggere le ricette. Non che ne avesse bisogno, ma era una maniaca della perfezione e controllava ogni dettaglio cento volte prima di essere convinta, in qualsiasi cosa.
Si voltò a guardarmi e mi sorrise, pacatamente. A differenza di papà lei non era cambiata affatto, sembrava non essere stata scalfita dal corso degli eventi. Certo, solo due mesi erano trascorsi da quando ci eravamo separati, ma a volte sono sufficienti per provare una persona anche fisicamente. Ma lei no, lei era la parte forte, quella tosta, che in casa porta i pantaloni e manda avanti concretamente la baracca. Dove sarebbe a quest’ora papà se non avesse avuto alle spalle una personalità forte come mamma.
Si affrettò ad abbassare la fiamma dei fornelli e mi venne incontro. Io non riuscivo a dire nulla, nemmeno a fare un passo in avanti. Aspettavo che fosse lei a parlare. Tuttavia, appena me la ritrovai davanti un sussurro mi partì spontaneo: “Mamma!” era piuttosto flebile, ma ero sicura che l’avesse sentito perché portò la mano sulla mia guancia, per accarezzarmi. A quel contatto, la mia pelle si infuocò, per lo stupore e l’emozione che quel così semplice gesto mi provocava. Ero abituata alle sue attenzioni, un tempo. Ritrovarle fu una sorpresa positiva e negativa allo stesso tempo. D’altronde, sapere che dimostrazioni d’affetto come quella a lungo andare diventano banali e quasi non ce ne curiamo lascia un pizzico d’amaro in bocca, specialmente se ne hai dovuto fare a meno per un lungo periodo. Non avrei mai più lasciato al caso nulla, neanche il più piccolo gesto.
“Piccolina” sussurrò anche lei, distendendo sul suo volto il più serafico dei sorrisi, soffermando le sue dita nell’accarezzare le mie guance rosee ed ormai paffute. … Sì mamma, sono qui, con te, in carne ed ossa. Non sono un sogno
“Be’, non più tanto piccolina” constatò, ridendo. Risi anche io con lei, spontaneamente.
Rob e papà erano ancora lì, alle mie spalle, ad osservare in silenzio la scena.
“Credo che sia ora di prenderci un drink noi due, vero Rob?”
Un ottimo tempismo. Così come Rob aveva lasciato a noi spazio e tempo per conversare, da soli, quel pomeriggio, ora mio padre stava offrendo a me e alla mamma questa opportunità. Sinceramente avrei preferito continuare la nostra conversazione in maniera pubblica, con la semplicità con cui l’avevamo iniziata. Ma c’era altro da dirsi, tanto altro da condividere tra sole donne e papà aveva da scusarsi con la mamma per tutte quelle settimane trascorse, che io sembravo una sorta di risarcimento. Non me ne ebbi a male.
Lei nel frattempo era tornata ai fornelli ed io la seguii, aiutandola come potevo.
“Allora …” mi disse “che mi racconti? Che si dice a Londra? I tuoi suoceri, tutto bene?”
“Mamma!” la freddai. Non volevo che la conversazione fosse rimandata, né del tutto annullata. Dovevo chiarire, chiederle scusa e farle sapere che anche se non gliel’avevo dimostrato, ci tenevo davvero tanto a lei e papà. “Mi sei mancata tanto!!!” e così dicendo me l’abbracciai con tutta la forza che avevo in corpo, di certo prendendola alla sprovvista e lasciandola quasi certamente senza fiato per la veemenza che usai. Mi sentii tanto fortunata e pienamente felice quando mi accorsi che stava rispondendo all’abbraccio. Sentivo dei lucciconi pungermi negli occhi, e reclamavano prepotentemente di poter solcare le mie guance, ma avevo deciso che le lacrime le avrei lasciate solo ai momenti tristi, e così come erano venute le ricacciai, soddisfatta di me stessa e del mio nuovo autocontrollo.
“Oh tesoro!!! Mi sei mancata tanto anche tu, ma ora è finito tutto, è finito tutto
davvero
… mi sembra un sogno!!!”
“Non lo so perché non ti ho chiamata per tutto questo tempo, perché mi ero imposta di cancellarvi tutti …”
“Shh tesoro, shh!!! A me non interessa … io ti rivolevo a casa e volevo che fossi in pace con papà, il resto non conta”
Quelle parole mi scombussolarono dentro. Sarei diventata madre a breve e ancora mi stupivo del comportamento istintivo e naturale più antico del mondo. Non voleva sentire ragioni o scuse da me, pretendeva solo che io stessi con lei e non comprendevo come ciò fosse possibile. Ma presto capii che il segreto stava in due paroline, magiche: amore incondizionato. Ciò di cui solo un genitore può essere capace e anche se non vogliamo ammetterlo, anche se vogliamo porre condizioni e paletti, alla fine torna sempre prepotente davanti ai nostri occhi. Perché qualsiasi cosa faccia, anche il più efferato delitto, una madre guarderà sempre suo figlio con gli occhi amorevoli e protettivi con cui l’ha donato al mondo.
“Allora” prese lei la parola tornando di nuovo alla sua attività “siamo diventate belle ingombranti, eh Jaymes!” mi prese in giro, scherzosamente. C'erano solo due persone al mondo che mi chiamavano così: una era in salotto a prendere un aperito, latra era lì accanto a me; il suono di quel nome, sulle loro labbra assumeva toni che colpivano le mie corde più intime scombussolandomi, ogni volta. Mentre frettolosamente scorrazzava da una parte all’altra della cucina, lasciandomi seduta allo sgabello dell’isola con le mani in mano a sorseggiare un succo, mia madre si puliva furtivamente il viso da piccole lacrime che scendevano.
“Mamma non me ne parlare” cercai di non dare peso e di smorzare l’atmosfera, facendola rilassare, com’era nelle sue intenzioni “a volte sento che sto per scoppiare”
“Ma se non sei ancora entrata nel settimo mese!!!!”
Rimanemmo ancora per un po’ a parlare del più e del meno per riprendere quel rapporto di naturale confidenza ed affettuosa civetteria tra madre e figlia. Lasciai che gli eventi ed i pettegolezzi di famiglia scivolassero nella nostra conversazione fin quando non fu lei a riprendere i discorso.
“Stasera ci saranno anche i tuoi fratelli a cena” mi annunciò “loro non saranno altrettanto indulgenti con te e Robert come lo siamo stati io e papà”. Capivo cosa volesse dire, e sapevo bene come stavano le cose. Quando avevo abbandonato gli States dovetti affrontare l’ira del maggiore dei miei fratelli, Cameron, ma soprattutto la fredda ed ostile indifferenza dei miei fratelli, fatto che mi intristiva ed urtava ancora di più. Non c’è cosa che io possa odiare di più al mondo dell'indifferenza, più della collera. A quella puoi rispondere, a seconda della tua indole, con altra violenza o porgendo l’altra guancia. Come puoi rispondere a chi decide di spontanea volontà di estrometterti dalla sua vita? Per me le cose si complicavano ulteriormente perché era stato il mio comportamento a indurli ad agire in quel modo.
Mia madre continuò a parlare, spiegandomi le ragioni del loro comportamento, ma io facevo poca attenzione alle sue parole, presa com’ero dalle mie preoccupazioni.
“Ho parlato con tutti e tre in questi giorni, ho spiegato loro la situazione e li ho convinti a venire qui stasera”
“Come l’hanno presa?” ero preoccupata sinceramente della loro reazione, perché tutto dipendeva da loro a questo punto.
“Li conosci meglio di me. Dana e Cameron hanno due caratteri opposti, ma comunque entrambe non riescono a tenere il broncio per troppo a lungo …” Già. Il mio fratellone burbero, sempre pronto a fare a cazzotti e litigare, ma solo se c’è da difendere qualcuno. Una corazza fatta di tatuaggi per un cuore tutto di marzapane. Dana invece era davvero un pezzo di pane, buono dalla testa ai piedi e capace di distinguere davvero il giusto dallo sbagliato. Di lui ho sempre apprezzato il senso della misura, l’abilità di riconoscere quando un gioco è durato troppo a lungo e bisogna terminarlo. Probabilmente per lui era arrivato quel momento anche con me.
“… ma Taylor …” mamma strozzò le sue parole in gola mentre pronunciava quel nome.
Pur non essendo mio fratello di sangue, pur avendo iniziato a vivere insieme quando avevamo 6 anni, provavo per lui l’affetto più grande e a lui avevo sempre riservato le maggiori attenzioni e coccole. Perché in fondo eravamo come gemelli, nati ad un solo giorno di differenza l’uno dall’altra e con gli anni avevamo affinato anche una certa somiglianza fisica. Preferiva confidarsi con me lui, anziché con i nostri fratelli maggiori, e per me aveva la sensibilità di una sorella, tanto che quando ancora avevo problemi di cuore era lui il primo a saperlo.
Lo sapevo, avevo tradito la sua fiducia, l’onestà eterna che c’eravamo giurati da ragazzini, quando si giocava a football o facevamo a gara di tuffi bomba in piscina nel grande giardino dietro casa e mamma ci sgridava perché rompevamo puntualmente qualche vaso o con gli spruzzi d’acqua clorata sporcavamo tutti i vetri del salotto.
“Ma Taylor, mamma?” la incalzai, anche se quello che mi avrebbe detto lo sapevo già da me.
Non ci fu bisogno che continuasse perché proprio in quell’istante si aprì la porta di ingresso e sentii dal vociare che i tre moschettieri di casa Stewart erano rientrati. Cameron, il diavolo della Tasmania, come lo chiamava mamma da piccolo, corse come un tornado in cucina e prima che aprissi bocca mi ritrovai tra le sue braccia, in uno dei rarissimi abbracci che concedeva in vita sua. Era così restio alle dimostrazioni d’affetto, esattamente come me e papà, ma questo permetteva di apprezzarne ogni singolo gesto.
“Camerooooon!!!” urlai abbracciandolo di rimando. Sentii per un attimo la terra mancarmi sotto i piedi, ma mingherlino com’era, Cam non riuscì a tenermi per aria per più di due secondi.
“Dio Kris, ma quanto sei ingrassata!!!” si lamentò.
“Ma quanto sei gentile Cameron!!! Ho messo su i chili necessari … tuo nipote ha fatto il resto!!! Semmai la colpa è tua!” protestai “passi le giornate in palestra, ma non metti su una libbra di muscoli … la verità  è che secondo me ci vai solo per le donne!!!” Sfoderammo una bella linguaccia ciascuno, come due bambini. Era così bello provare di nuovo quell’affetto genuino e naturale tra fratelli, che permette di ridere e scherzare nonostante le continue schermaglie e litigi. Intravidi mia madre con la coda dell’occhio che ci guardava stralunata, come se non si rendesse conto che la sua famiglia era tornata ad essere unita.
Molto più timidamente si fece aventi Dana, il riflessivo, il secchione, che senza grandi parole o gesti mi diede il suo saluto. “Bentornata piccola Stewie!!!” era introverso  e schivo più di me, avrei dovuto farmelo bastare. Lo salutai timidamente, così come altrettanto timidamente abbassammo gli sguardi. Tra di noi era così, non me ne presi tanta pena.
Anche perché la mia attenzione era stata rivolta dal vociare convulso e confuso che proveniva dall’ingresso di casa. Era tutte voci maschili. Mentre Dana era rimasto a salutare mamma in cucina, Cam era accorso anche lui in quella piccola masnada. C’erano tutti: papà, Rob … anche Taylor. Probabilmente erano tutti immersi nell’impresa di convincerlo a parlarmi. Cosa che, a quanto sembrava, non volesse. Rivederlo mi causò un tuffo al cuore, tanto che non mi capii di come avevo potuto lasciare tutto senza dare troppe spiegazioni quel giorno di un paio di mesi prima. Lui era l’ultima persona, insieme alla mamma, a cui avrei voluto e dovuto riservare quel trattamento e pure non me ne curai. E lo ferii, ovviamente. Vederlo opporsi alle richiesti di mio padre, mi faceva ancora più male, perché gli voleva un bene pazzo. Aveva sempre trovato la nostra famiglia un motivo di vanto, perché laddove c’erano divorzi, battaglie legali, piatti rotti nei litigi, noi restavamo uniti.
“Tay!” lo chiamai.
Lui con gli altri si voltarono verso di me. “Vieni, per favore” lo supplicai, e con la testa gli feci cenno di seguirmi, verso quella che era stata la mia camera da letto. Entrai e mi sembrò di entrare in un mondo lontano, diverso, eppure non era passato neanche un anno e mezzo dall’ultima volta che vi avevo dormito. Presi tra le mie braccia Jella, io mio gattone, che avevo trovato in cima alle scale, esigente come non mai di un abbraccio da quella che, ancora, considerava la sua padroncina.
Mentre mi soffermavo a guardare i ricordi che la mia stanza conteneva, aspettando e sperando che Taylor si decidesse a salire, le sussurrai: “ Non dovresti abituarti troppo alle mie coccole Jella … lo sai che non rimarrò per sempre ..." sospirai "... e tu sei troppo attaccata a queste quattro mura per venire con me”. Max era un gatto come gli altri, affettuoso sì, ma egoista ed anche ruffiano, pronto a farti le coccole se hai qualcosa in cambio, ma anche pronto a tradirti se i suoi interessi vengono meno.
Sentii scattare la  serratura e pregai il Paradiso che non fosse mamma, Rob, o qualcun altro della famiglia, venuto a dirmi che Taylor se n’era andato.
Ed invece Taylor era lì: forse una speranza c’era ancora.
Senza badare a me si sedette sulla sedia della scrivania ed io, abbandonate le scarpe a terra, mi lasciai sedere sul letto, a gambe incrociate, col pancione che sbucava e quel poco spazio che rimaneva tra le mie gambe riempito da Jella che si muoveva come un ossesso, nella ricerca di una posizione comoda. Iniziai a carezzargli la nuca, più per tranquillizzare me che per lei.
Non so dove trovai lo spirito di iniziativa che mi condusse in quella stanza faccia a faccia con mio fratello, ma dovevo prenderne più che potevo ora, prima che si volatilizzasse ed io potessi pentirmi di ciò che stavo facendo.
“Che sei venuta a fare?” mi chiese, con lo sguardo volto alla finestra, voce sprezzante.
“Voglio rimettere a posto le cose” risposi, onestamente. La voce mi tremava, avrei potuto essere più convincente, ma era il meglio che potessi fare.
“Mi prendi in giro, ma non sperare che me la beva come hai fatto con loro, io ti conosco meglio di tutti loro messi insieme” era vero, lui mi conosceva meglio di chiunque altro, ma non avrei mai preso in giro qualcuno in una situazione del genere, tantomeno lui.
“Perché dovrei prenderti in giro?”chiesi, rattristata dalle sue parole.
“Forse ora le cose si sistemeranno, e forse anche tu ci credi, ma quanto tempo passerà prima che si ritorni di nuovo punto e a capo”. Scossi la testa, non riuscivo a seguire la logica del suo discorso.
“Andrai di nuovo via vero?" mi chiese "non resterai qui?”. Ecco qual era il nocciolo della questione.
“No” risposi sincera “ Presto il bambino nascerà e il mio ginecologo e l’ostetrica che mi seguono sono a Londra. Dovrò tornare lì. Ma non vado via subito” mi affrettai a precisare, per rincuorarlo “anzi resterò più del previsto, considerando che sono arrivata con largo anticipo!”
“Kris tu lo capisci cosa hai fatto vero? Ti sei resa conto di quanto c’hai fatto male, specialmente a Dana e a me”. Si vedeva che voleva aumentarmi i sensi di colpa, ma non me ne preoccupai. Era del tutto comprensibile. D’altronde loro non avevano avuto una famiglia normale dalla nascita e per i prima anni della loro vita avevano vissuto in istituto. Non doveva essere bello vivere di nuovo l’esperienza di una famiglia spezzata.
“Lo capisco Tay, so che cosa ti ho fatto, e sono sinceramente pentita di tutto, come lo è anche papà" volli spezzare una lancia a suo favore; sapevo che tra loro i rapporti non erano "idilliaci", per usare un eufemismo. "Quindi adesso basta, ti prego”
Si alzò in piedi, iniziando a blaterare per la stanza. Mi ricordava papà quando faceva così.
“Basta cosa? Uno strappo come questo lascia cicatrici Kristen, è inutile che fai finta di niente. Ci hai bistrattati preferendo una famiglia all’altra e continui a farlo. E come se non bastasse mamma e pure papà ora ti danno ragione!!!”
Reagii, perché i suoi non erano ragionamenti tollerabili da parte di un ragazzo di vent'anni. “Io non faccio preferenze, non ne ho mai fatte e mai ne farò. Certo è difficile mantenere l’equilibrio, ma in qualche modo faremo. Credi che la famiglia di Rob sarebbe contenta se noi restassimo qui per sempre? Se per fare contenti voi passassimo qui tutte le feste e ci dimenticassimo di loro? Quella è una famiglia di serie B, Tay? Non merita le stesse attenzioni che meritate tutti voi? Non devi essere così egoista!” mi dispiacque molto rivolgermi a lui con quel tono, toccando note dolenti e personali come quelle, ma dovevo fargli capire che lui avanzava pretese scorrette.
“Non lo so se sto facendo la cosa giusta Tay” continuai, sfogandomi con lui come facevo da ragazzina “ma ce la sto mettendo tutta e ho bisogno del supporto di tutti voi per farcela! Anche il tuo!”mi sforzavo di rivolgergli sempre lo sguardo, nella speranza che lui rivolgesse a me il suo e potesse vedere quanto di vero ci fosse nelle mie parole.
Rimase fermo, immobile a fissare le foto sul comò. Era leggermente rivolto verso di me, e potevo vedere il suo volto. Sorrideva, questo mi lasciava ben sperare.
“E così siamo cresciuti, eh piccola Kris? Ognuno per la sua strada?”
Mi ricordai allora della promessa fatta da bambini e del piccolo motto che lui aveva inventato come giuramento.
“Sì. Ognuno per la sua strada, senza perderci mai di vista!” gli sorrisi, perché finalmente si era voltato verso di me e doveva vedere quanto ero felice di essere lì con lui in quel momento. Forse non ero stata così felice nemmeno nel pomeriggio, quando avevo rivisto papà e sistemato le cose con lui, eppure mi premeva tanto, perché sapevo che quelle erano solo le pendici della salita. Ora c’era la discesa, e non mi sembrava vero.
Tornammo in sala da pranzo dove gli altri, angosciati, ci stavano aspettando. Appena ci videro trattennero il fiato per poi scoppiare in un fragoroso applauso quando capirono che ero riuscita a far ragionare quello zuccone del mio fratellino “quasi gemello”. Rob corse ad abbracciarmi e mi lasciai baciare con una foga che davanti ai miei non c’eravamo mai concessi, segno di una liberazione completa da ogni formalismo e giudizio. I fischi dei miei fratelli e le risate dei miei genitori lasciavano intendere che avremmo potuto essere quella famiglia che prima era solo una facciata ben decorata, anche ai miei occhi.
Eravamo maturi abbastanza per sapere che le nostre scelte e le nostre vite appartenevano a noi stessi, ma probabilmente una parte di noi sarebbe sempre rimasta bambina, legata a quei ricordi e quelle stanze; tuttavia senza quella parte non saremmo mai stati capaci di lottare, ognuno a suo modo, per restare insieme.











Angolo dell'autrice
Purtroppo non ho molto tempo da dedicarvi oggi e le risposte alle recensioni che vedete le avevo pronte già da un po', perciò vi chiedo vi scusarmi se non lascio grandi spiegazioni, anche perché non credo che a questo punto della storia ne servano molte. Comunque, per qualsiasi chiarimento sapete dove trovarmi e sapete che, se posso, rispondo sempre alle vostre recensioni o richieste. Ora che si siamo buttati alle spalle questa brutta faccenda ho deciso di postare due o tre capitoli più tranquilli, di transizione, che ci condurranno a quello che è l'altro evento principale della storia. Il vesto e proprio "best day". inutile dirvi quale sia...
Credo abbiate notato il cambiamento della grafica e l'aggiunta di un piccolo banner fatto me. In giro ci sono dei veri capolavori ed io sono proprio un disastro a confronto. Mi farebbe piacere se lasciaste un commento anche per questo. Vi ringrazio per l'assiduità con cui mi seguite e spero di riavervi numerosi anche questa volta.

prudence_78: prima di tutto vorrei ringraziarti per il favore accordatomi ed anche per il tuo farmi da sponsor, è bellissimo sapere che ci si passa la voce ed anche la mia FF è degna di essere consigliata alle amiche.mi da grande stimolo ad andare avanti. poi c'è una cosa che vorrei precisare. Forse la lettere che a suo tempo io, o meglio Rob ha scritto, non sono riuscita a far passare bene il messaggio. Non volevo dire che per lui Kristen non è più la stessa donna di cui si è innamorato, anzi non smette mai di ripeterle quanto la ama. Lui le dice invece che non sente più, da parte di lei, quell'attenzione che aveva prima, come se lei, presa dalle sue facende e facezie, avesse perso la bussola. Invece se ti riferivi a quanto detto nella lite, kristen è ben consia che quelle parole, dette in un momento di rabbia, non hanno alcun valore. Come hai detto tu, c'è tanto da ricostruire, ma io credo che poco debba essere fatto in questo matrimonio tranne una cosa: lasciare che siano loro ad occuparsene.
ledyang, Bells85, sidney90, bellsblack : a voi do un grazie di cuore perché, anche se con poche parole, mi dimostrate di esserci sempre e di tenere così alla mia storia. Un benvenuto speciale a bbelsblack per la sua prima recensione alla mia storia:mi auguro che ne potranno seguire altre. Vi complimentate sempre per l'esattezza e la precisione nella scrittura. Credo, che oltre il contenuto, la forma sia il primo elemento che mette in risalto una storia, quindi è necessario curare sia la presentazione che il lessico e la grammatica. Ammetto che a volte la frett gioca brutti scherzi e sono costretta a modificare un capitolo 4 o 5 volte prima che perda tutti gli errori. Ma errare è umano...
La Francy: amore mio, sai benissimo che la tua riappacificazione "catastrofica" non potevo attuarla. Primo perché nella vita le cose di solito si svolgono leggermente meglio, ed io cerco di rappresentare la realtà quanto più possibile, anche nei dettagli più piccoli, pur rimanendo questo un mero racconto di fantasia. Poi perché, come ti ho già spiegato, la "tragedia" preferisco riservarla al gran finale.
BabyVery: come dici giustamente tu, è proprio l'orgoglio che entrambi hanno a scatenare l'imbarazzo ed il silenzio all'inizio della conversazione. Ma non perché non riconoscano le proprie colpe, anzi. C'+ solo la difficoltà, la ritrosìa, a mostrarle pubblicamente. Ma altrettanto bene sanno, sia John che Kristen, che in mallo c'è molto di più dell'onore personale, così mettono da parte ogni stupido atteggiamento e si fanno forza, sperimentando quanto in realtà sia facile dirsi "ti voglio bene, voltiamo pagina". Il difficile è poi ridarsi fiducia a vicenda, ma è una cosa che viene da sé, col tempo.
Enris: mi spiazzi, ogni volta, davvero. Vorrei aggiungere, precisare qualcosa, ai tuoi commenti, ma non posso farlo mai. Sempre esatta, puntuale, comprendi il capitolo con una sensinsilità che pochi hanno, attribuendo un valore alla storia che va al di là del semplice racconto della vita complicata di due attori. E di questo sono felice, perché io do l'anima per scrivere, e per me questo è molto di più di un racconto su Robert e Kristen, perché i loro gesti e i loro pensieri potrei rapportarli a due nomi qualunque, e la storia prenderebbe vita comunque. Grazie per il tuo sostegno!!!
Imaginary_82:stavo per postare quando mi sono accorta delle tue recensioni,così mi sono fermata un attimo e ti rispondo.Innanzi tutto è comico il modo in cui riesci sempre a recensire prima che io posti un capitolo,in modo che io debba rivedere le recensioni XD. Ti ringrazio per lo sforzo immane che hai fatto nel recensire tutti capitoli, bastava che recensissi l'ultimo, e quindi ti ringrazio mille volte!!! Per quanto riguarda il capitolo 20 vorrei precisare che non ho intenzione di lasciarlo in quel modo, sarà il primo ad essere revisionato una volta terminata la storia, forse anche prima. Però era un problema che facilmente poteva venir fuori dal momento che è un capitolo altamente introspettivo. Ti aspetto alla prossima!!!

ricordandovi di recensire, per farmi sapere che ne pensate, o anche solo un saluto per me è importante, vi lascio anche il link del mio account twitter dove da qui in avanti ho deciso di scrivere qualche piccola anticipazione ai prossimi capitoli Crazyfred
à bientot,
Federica

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Capitolo 23
*** Family Portrait ***


The best day - capitolo 23
Ragazzi miei, carissimi lettori, mi rimangio tutto quello che vi avevo annunciato nell'anteprima del capitolo, e vi dico e il capitolo è pronto e lo posto subitissimo. Nelle prossime settimane comunque non avrò modo di essere particolarmente presente si EFP perché torno in ospedale a fare tirocinio, e poi ad ottobre ricomincio anche con le lezioni quindi poi sarò fuori tutto il giorno. Spero nelle prossime due settimane di poter scrivere abbastanza per potermi portare avanti. Vi dico già che penso di concludere la storia sui 30 capitoli, devo ancora stabilire se questi 30 prevedono anche l'epilogo o meno. Comunque una volta conclusa questa mia fatica, sono lieta di annunciarvi che, oltre ad una pausa, spero breve, darò il via ad una raccolta di One Shotm che racchiuderà tutti i momenti che vanno dalla fine di questa serie fino all'epilogo, ma potrebbe anche trattarsi di qualche prequel o sequel, come dicono gli inglesi. Bando alle ciance, vi lascio alla lettura del capitolo.
Buona lettuta e ci vediamo all'angolo dell'autrice, a fine capitolo.
E mi raccomando. RECENSITE!!!
vi ricordo il mio TWITTER per seguire aggiornamenti. sto aprendo un gruppo anche su FB per gli aggiornamenti, vi basterà seguire il link  per iscrivervi.















Capitolo 23
FAMILY PORTRAIT - P.O.V. Robert

 

Un pantofolaio di mezza età: ecco cos'ero diventato. Mi atteggiavo a nuova stella di Hollywood, sex symbol di fama internazionale ... o meglio gli altri mi dipingevano così ... eppure non c'era cosa al mondo, nell'ultimo periodo, che desiderassi fare, se non chiudermi in casa dopo il lavoro e, dopo cena, stendermi sul divano o nel letto a vedere un film o a leggere un buon libro, sciogliendomi come neve al sole, magari abbracciato alla mia signora e facendo le coccole a lei e al nostro pancione. Lo portava lei, con grande orgoglio e disinvoltura, il che la rendeva ancor più meravigliosa, ma era nostro ... in fondo il mio contributo l'avevo dato ...
Lei prendeva in giro le mie nuove abitudini casalinghe, ma la verità è che c'erano delle giustificazioni ben specifiche e del tutto ragionevoli alla mia inspiegabile, fino a qualche mese prima, pigrizia serale. 

Il set mi stava uccidendo. Ero entrato nei meccanismi delle grandi produzioni cinematografiche hollywoodiane, levatacce mattutine e turni di riprese estenuanti fino a tarda sera, a volte anche in notturna, oltre a sforzi fisici fuori dal mio ordinario. Non facevano per me; o meglio, io non ero fatto per loro. Il mio preparatore atletico, che prima e durante le riprese di ogni film ha il compito di fammi smaltire la tradizionale pancetta da birra di noi giovani attori inglesi, si sforzava di farmi lavorare alla panca e ai vari attrezzi per aumentare la massa muscolare ma, come da lui stesso ammesso, il mio corpo si rifiutava categoricamente e perentoriamente di collaborare. A dir la verità pochi sprazzi di luce alla fine del tunnel si potevano scorgere: senza neanche nascondere fin troppo la mia soddisfazione per questo, mi sono scoperto finalmente capace di compiere molti quei lavori che avrebbero richiesto uno stuntman al posto mio e, finalmente, avevo affinato anche la mia tecnica nella corsa. Al mattino, davanti allo specchio della mia roulotte, mentre mi preparavo ad entrare nei panni di Jacob, del tutto involontariamente, mi sono scoperto più di una volta a fissare sconcertato le spalle e i pettorali sviluppati. Probabilmente la mia stima era oltremodo ed eccessivamente su di giri, ma come non esserlo se anche la propria moglie rimane senza fiato ogni qual volta girassi per casa senza maglietta.
Purtroppo Kristen non era tipa da darmi soddisfazione in questo senso, diceva che se lo avesse fatto mi avrebbe danneggiato, ed anche con un fisico simil-palestrato sarei rimasto sempre il suo Flippy, dalla camminata strana e con i comportamenti tipici di un bambino di 5 anni. Ma le bugie hanno le gambe corte e non mancavo di farle ammettere il contrario quando si era impegnati in un altro genere di attività fisica ....
Mi piaceva stare in casa, soprattutto da quando Kristen aveva deciso di risistemare il nostro rifugio di Los Angeles, e renderlo più accogliente. Finalmente, oltre al mobilio da catalogo e gli accessori costosissimi da fiera del lusso, iniziavo a vedere piccole cornici con le nostre foto spuntare per casa come funghi, ed ogni tanto ero costretto ad armarmi con martello e chiodi per appenderne di nuove alle pareti. 

"Qualche giorno questa casa crollerà per tutti i buchi che le stiamo facendo!!!" mi lamentavo con lei, ridendo. Lei, puntualmente sbuffava.
Effettivamente era troppo asettica prima, ma non avevamo avuto il tempo di renderla davvero nostra; ora era degna di essere vissuta, sporcata e messa in disordine.

Dunque ero ormai ben acclimatato alla vita familiare, e tanto mi ci trovavo bene che neanche la Soho House di Los Angeles ed i suoi fantastici cocktail erano più invitanti per me. Kristen voleva che uscissi perché, diceva, non avrebbe mai permesso che io potessi in alcun modo rimpiangere di non aver sfruttato al meglio quell'ultimo periodo di libertà, quando saremmo stati confinati in casa tra biberon, pannolini e pappette. Le ripetevo sempre che per me non era un grande sacrificio, anzi. Oltretutto lasciarla sola a casa non mi sembrava il comportamento di un marito e padre responsabile. Lei non accettava, ma era la verità. Al contrario, per me quello era un periodo talmente speciale, che non avrei voluto perdermene neanche un nano-secondo.
La cosa che mi divertiva di più in assoluto era vedere il bambino muoversi in pancia. Le prime volte, attorno al quinto mese, erano state dei piccoli traumi per entrambi: la sorpresa di quel passo avanti, lo stupore da parte mia per aver realizzato finalmente che dentro quella pancia c'era davvero mio figlio, ma anche un pizzico di apprensione; non tanto quando, all'inizio, con dei piccoli calci il cucciolo ci ricordava della sua presenza, quanto invece più in là, quando la pancia era diventata più grande ed il bambino incominciava, seppur lentamente, a posizionarsi per il parto. Povero il mio amore, non avrei mai voluto essere nei suoi panni: io come minimo sarei morto d'infarto! Avete presente quei film di fantascienza, tipo Alien, dove il mostro di turno si contorce in un bozzolo prima di venire al mondo? Beh, il movimento di mio figlio dentro la pancia di Kristen si avvicinava molto ad una di quelle immagini poco piacevoli. Ed in certi momenti era irrefrenabile; Kris allora era costretta ad allungarsi e lasciare che il piccolo si sfogasse, concedendogli quelle coccole e quelle attenzioni che reclamava con il suo scalciare. Movimenti tellurici li avevamo ribattezzati. Voi capite che non potevo, e non volevo, perdermene nemmeno uno: a volte assumeva posizioni talmente contorte che nella notte mi trovavo un gomito del piccolo piantato nel fianco, solo perché Kris nel sonno, come d'abitudine, mi abbracciava; o altre volte, da quel cupolone, vedevamo spuntare piedini o manine. A volte sembravamo due scemi a fissare quella pancia tutto il giorno, riprendendola con la telecamera e facendo vocine strane per chiamare il piccolo. Ma così va il mondo …

Non eravamo futuri genitori apprensivi e ansiosi, ma da quando in casa mia erano entrati due o tre guide prenatali e manuali di puericultura era stata la fine; non pensavo soprattutto che Kristen potesse diventare tanto petulante. Dallo stop al fumo, anche da parte mia – per fortuna sul set potevo concedermi tutte le sigarette che volevo – alle più stupide regole di comportamento da seguire per non far traumatizzare il bambino durante la gestazione. Ma roba da matti!!! Le ripetevo sempre che tutte queste stronzate spilla-quattrini non esistevano quando siamo nati noi, eppure siamo venuti su benissimo.

Una mattina, una delle rare occasioni in cui avevo potuto alzarmi tardi grazie al giorno libero, mi alzai guidato puramente dall'olfatto, andando in cucina, da dove provenivano le migliori fragranze mangerecce di questo mondo. Ancora in maglietta e boxer, nemmeno mi curai di passare in bagno a darmi una sistemata; ormai il mio nuovo taglio di capelli non mi dava più problemi come un tempo. Fosse stato per me, lo avrei tenuto in eterno.
Scesi in cucina e trovai Kristen ai fornelli, ovviamente.
"'giorno!" riuscii a dire, con la voce ancora impastata dal sonno e tutto dolorante. Mi arresi all’evidenza di un invecchiamento precoce. La sera prendevo sonno nonappena mi allungassi sul letto e al mattino era sempre come se un camion mi fosse passato addosso, stritolandomi tutte le ossa. La dovevo smettere di pretendere di essere un'atleta provetto sul set!!! Gli stuntman esistono proprio per questo!
"ehi, zombie!!!" Kristen non perdeva occasione per prendermi in giro "per due addominali in più che fai, ti lamenti pure???"
Non la stetti nemmeno a sentire ed mi sedetti a tavola, nascondendo la testa tra le braccia conserte per dormire altri cinque minuti.
Ed era in quei momenti di mio disfacimento totale che Kristen dava il meglio di sé, sfoderando il lato materno che si stava inoltrando in lei. Diventando dolce, direte voi. Diventando isterica, dico io!
"Robert!!!" sbraitò "ma se dovevi dormire potevi stare a letto, nessuno ti ha chiamato!!!"
 

"Eddai Kris, fai silenzio che ho sonno!!!" mi lamentai, come un bimbo che non vuole andare a scuola.
"Eddai Kris un corno!!!" continuava a blaterare, mentre il mio mal di testa post risveglio incalzava prepotentemente "la tavola è apparecchiata, vedi di non far cadere i capelli sul cibo!!!"
Sembravamo una di quelle coppie sposate da cinquant'anni, e scoppiammo entrambi a ridere, come sempre dopo questi battibecchi assurdi.
Mi sarebbe piaciuto sapere come saremmo stati cinquant'anni, con i capelli bianchi, figli grandi e nipotini che ci scorrazzano intorno. Se ci pensavo, la mia mente correva ai miei genitori.
"Rob!" mi chiamò, scuotendomi da un sonno ormai irrimediabilmente perso, a causa delle sue chiacchiere. Le risposi con un verso, non propriamente umano, e molto più simile ad un lamento di un animale in agonia "stavo leggendo una ... cosa ....mmm... imteressamtissima!!!" mi voltai e mi accorsi che stava sgranocchiando una fetta di pane tostato con burro e marmellata. Stava lì, davanti fornelli, con quel pancione che io adoravo ben in evidenza, grazie ad una vestaglietta allacciata sotto il seno, persa a leggere uno di quei suoi libri sulla gravidanza.
"qui dice che nel padre in attesa si risveglia una componente energetica creativa, contenitiva e protettiva; suo compito è divenire un secondo utero, abbracciare madre e piccolo.
Si avvia un processo di “maternalizzazione” che esalta le sue componenti femminili legate all’affettività, alla sensibilità, all’intuizione, alla capacità di entrare in contatto empatico con la compagna e con il figlio.
 Amore stai diventando una femminuccia!!!!!!!!!!" mi canzonò e scoppiò a ridermi in faccia.
" Ma la vuoi fare finita una volta per tutte con queste stronzate???" mi ero rifiutato persino di stare a sentire tutto quel filosofeggiare e teorizzare su un evento così personale e sacro come l’arrivo di mio figlio. Ragion per cui non badai nemmeno se quello che Kris stava leggendo potesse avere un senso logico.
"E non dire le parolacce" mi rimproverò "vuoi che tuo figlio diventi un piccolo teppista. Non vogliamo diventare dei teppistelli, vero amore?" e nel frattempo si mise a parlare con suo figlio, carezzando la pancia e sfoderando la vocetta stridula. Non era ancora nato e vedevo già sminuire il mio ruolo di padre. Era una cosa davvero frustrante.
Mi avvinai a lei, presi il libro tra le mani e lo lanciai via: "leggi leggi, che poi ti si brucia il dolce nel forno..."
"Oddio!!!" urlò. Stava facendo la crostata che tanto le piaceva, con le nespole giapponesi, di cui la sua famiglia aveva un albero in giardino. E il suo lavoro stava per andare in fumo per colpa di uno stupido libro. "Uh! Salvata giusto in tempo! Grazie amoreee!!!" mi cantilenò, un po' grata per il salvataggio, un po' in colpa per non avermi dato retta.
Lasciai correre, tanto quel suo caratterino un po’ matto e tanto lunatico non l'avrei mai cambiato, e neanche mi interessava farlo; feci spallucce e attesi che mi ricompensasse con un bacio.

Poi la presi per mano e la feci sedere, inginocchiandomi davanti a lei.
"Senti amore" le dissi "ti ricordi cosa ci ha detto il ginecologo appena abbiamo scoperto che eri incinta e tu hai iniziato a fare tutte quelle domande?". Non aspettai che rispondesse:" ci disse che ogni gravidanza è diversa dall'altra, quindi a mio parere non serve che esperti di chissà cosa vengano a dirci cosa fare". Portai le mie mani sul suo ventre, cercando di poterne toccare più superficie possibile; era caldo e, per una volta, tutto taceva. "è un fatto istintivo, sapremo come comportarci e non mi sembra che finora ce la siamo cavati poi così male, anche senza tutta quella carta da macero...!" Alzai un sopracciglio, sperando che recepisse il mio messaggio.
Annuì, sospirando e arrendendosi, ne fui felice. Era così matura a volte, che mi era difficile ricordarmi che aveva da poco compiuto vent'anni. L'arrivo del bambino aveva sconvolto me, figurarsi lei che, in fondo, era ancora una bambina.
L'abbracciai forte, per farle sentire il mio supporto, che non avrei mai mancato di darle, ma fummo interrotti dal suono del campanello.
Corsi su in camera a vestirmi con i primi stracci che avevo trovato in camera e render
mi quantomeno presentabile, mentre Kristen, già pronta dall’alba, rispondeva al citofono. Chissà chi poteva essere a quell'ora? Erano solo le otto? La cosa non mi piacque.
Scesi nella zona giorno e Kristen era di fronte alla porta, aperta. "è un fattorino" mi disse, stupita, come del resto ero anch'io.
Lasciate le firme di ricevuta ed evitando di alterarmi e protestare per l'entusiasmo che il pony express aveva avuto nell'entrare nel nostro giardino, constatando chi fossero i proprietari dell’abitazione, andammo in cucina ad aprire il pacco proveniente, a quanto pareva, da Londra.
"Oddio!!!" esclamò Kristen. Ero più stupito di lei. Mia madre, lei era la responsabile, ci aveva mandato un vassoio di scones, piccoli panini dolci, ed aveva avuto il tempismo pazzesco, tipico di mia madre, di mandarceli per la colazione.
Kristen si mise a ridere, nervosamente. "è colpa mia" confessò, con una piccola smorfia, ma io non capii e la guardai interdetto.
"L'altro giorno l’ho chiamata e da loro erano le cinque e stava prendendo il thé con le ragazze" le comari di Windsor, ti pareva che non c'era il loro zampino!!! "e insomma mi ha detto che aveva fatto gli scones. Io per scherzare le ho detto che mi aveva fatto venire voglia, non pensavo che mi avrebbe presa sul serio!!!"
"Tesoro, devi stare attenta! Mia madre ha il maledetto vizio di prendere tutto sul serio!" era stata persino capace di credere che, durante le riprese di Remember Me, mi fossi davvero tatuato il nome Michael su petto. Di tutti i nomi, Michael poi!!!! Quindi, le voglie di mia moglie incinta erano in fondo la cosa minore.
Tuttavia dovetti dargliene atto: non so come fece, ma erano più buoni di quando a Londra li mangiavo appena sfornati. E stavolta erano ancora più buoni perché al posto dell'uvetta aveva messo le scaglie di cioccolato, perché sapeva che Kris li preferiva così.
Non persi tempo e li inzuppai nel thé. Mamma che goduria!!!
Kristen iniziò a ridere, mentre anche lei si dava il suo bel da fare a far fuori i dolci da quel vassoio.
"Che c'è?" protestai.
"No niente" disse ed intanto continuava a sghignazzare "... e meno male che sono io la donna incinta!!!"
 










L'ANGOLO DELL'AUTRICE
Eccomi qui per parlare un po' del capitolo. Dopo tutti gli eventi che si sono succeduti nei capitoli scorsi, ho deciso che era il caso di prenderci una piccola pausa, di almeno 3 capitoli di transizione, per riposare un attimo, e approfondire altre tematiche che comunque riguardano la storia. Anche per questo i capitoli sono più brevi dei precedenti. In questo caso, la maternità, vissuta adesso dal di fuori. e quindi anche la paternità. Non so se i personaggi sono descritti coerentemente rispetto al resto del racconto, diciamo che ho immaginato così una coppia di ragazzi alle armi con qualcosa che è inevitabilmente più grande di loro. Volevo essere divertente, raccontando quella che è un po' la vita in casa Pattinson-Stewart, non dimenticando però di dare una collocazione temporale alla vicenda. Qui siamo, teoricamente alla fine di maggio e Robert ha iniziato le riprese di Water for Elephants, mentre Kristen è in casa a godersi le gioie della gravidanza.
Vi anticipo già che ho intenzione di dedicare il prossimo capitolo alla presentazione di Eclipse e sarà un capitolo un po' speciale.Non ho ancora nessuno spoiler da proporvi perché è tutto nella mia testa.
Ringrazio come sempre per le bellissime e sempre numerosissime recensioni che mi lasciate, spero vada sempre così e meglio. Purtroppo non ho il tempo di rispondere, ma vi ricordo che per qualsiasi domande, opinione sia positiva che negativa io sono qui e certo non me la prendo se qualcosa non dovesse piacervi.

à bientot,
Federica



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Capitolo 24
*** Total Eclipse of the Heart ***


The best day-capitolo 24

Eccomi qui, ce l'ho fatta a tornare. Pensavo di non riuscire a pubblicare nemmeno per oggi, ed invece... meglio così, no?!
Vi lascio alla lettura e per i dettagli ci vediamo, come al solito alal fine del capitolo. Buona lettura e, come al solito, mi raccomando,
RECENSITE!!!


















Capitolo 24

Total Eclipse of the Heart - P.O.V. Kristen


Non mi sono mai lamentata del fenomeno Twilight, sarei un'ipocrita a farlo, e di tutto il clamore ma soprattutto il business che gli è stato costruito attorno, ma non c'era cosa che odiassi di più al mondo, almeno per quanto riguardava il lavoro, che presentare il film in giro per il mondo.
Mi vergognavo da morire a salire su quei palchi, di fronte a orde di ragazzine urlanti, posare davanti agli obiettivi dei fotografi con sorrisi smaglianti anche quando le scarpe con i tacchi ti hanno distrutto i piedi e sei al limite e soprattutto, durante le conferenze stampa, ripetere all'infinito gli stessi concetti, davanti a giornalisti annoiati che sono lì solo perché sei il fenomeno da baraccone del momento e non credono minimamente in ciò che fai; anzi, sono gli stessi che se possono, alla prima occasione, sono ben felici di troncarti le gambe e distruggerti.
Finché con me ci fosse stato Robert avrei avuto la mia consolazione, e avrei potuto sopportare anche di peggio, perché avrei saputo che ci sarebbe stato lui lì, a sostenermi, anche solo con uno sguardo, un dolce sorriso dei suoi; ma in quell'occasione, per il tour promozionale di Eclipse, era rimasto a Los Angeles, per il suo nuovo lavoro e non potevo chiedergli di partire comunque perché avrebbe significato protrarre le riprese e non avrei mai corso il rischio di non averlo con me quando la gravidanza fosse atrivata al termine.
Dal canto suo Rob mi aveva pregata, scongiurata fino all'esasperazione di non partire: era infatti terrorizzato all'idea che io potessi prendere così alla leggere un numero spropositato di aerei per voli interminabili in un lasso di tempo tanto breve. Ipocondriaco com'era, il ginecologo non ebbe tanta difficoltà a convincerlo che le differenze di pressione ed altre complicate faccende fisiche mi avrebbero potuto danneggiare, ma io ero sicura che finché avessi sentito il piccolo scalciare dentro di me, tutto sarebbe andato a meraviglia. E poi una madre certe cose le sente...
La mia gravidanza procedeva magnificamente, niente all'orizzonte che potesse compromettere qualsiasi attività lavorativa: avere 20 anni aveva pure i suoi benefici...
Così partii insieme a Taylor e al mio "senza nome": non mi piaceva, ma ormai mi ero rassegnata all'idea che avremmo scelto il nome solo quando l'infermiera me l'avesse messo in braccio per la prima volta.
Taylor dal canto suo era un buon amico, un fratello minore che non ho mai avuto, di cui prendermi cura, ma non poteva sopperire al vuoto che Robert lasciava dietro di sé.
Era difficile non averlo al mio fianco, soprattutto quando, di fronte ai giornalisti, dovevo inventare delle scuse o trovare delle scappatoie per non parlare della mia vita privata, o quando i fan, nei raduni, mi chiedevano di lui. Ecco, lì il magone saliva ancora più forte. Ma il momento peggiore era a sera, quando ad attendermi c'era un letto vuoto e freddo. Neanche potevo chiamarlo perché il fuso orario, soprattutto nelle tappe orientali, sfasava completamente le nostre attività, portandoci a lavorare mentre l'altro dormiva, e viceversa.
Rientrati finalmente, un po' stanchi, negli States, era il turno della Press Junket ufficiale, a Los Angeles; forse la sfida più ardua. Ci aspettavano tre giorni intensi di conferenze stampa, interviste con i giornalisti di mezzo mondo e gli immancabili photocall. Come se tutto questo non bastasse, in agenda c'era pure il bagno di folla alla Twilight Convention.
Stavolta il trio si era ricostituito, insieme al resto del cast, anche se la casa di produzione aveva stabilito che durante le interviste fossimo tutti separati.
Ma a noi, in fondo, stava bene così: doveva essere pubblicizzato il film, non il nostro matrimonio o la mia gravidanza. Certo eravamo ormai una coppia più che ufficiale, ma non avevamo la minima intenzione di trasformare la nostra vita in un reality show come quelli che passano sulle tv americane, che danno da mangiare a migliaia di persone.
Tra le tante testate giornalistiche e televisive più o meno accreditate, ce n'era una che da sempre aveva avuto per noi un occhio di riguardo e grande tatto nell'affrontare determinati argomenti. E questo noi non lo abbiamo mai dimenticato.
Davanti a me si presento infatti Shaun Robinson di Access Hollywood. Lei è stata la prima con cui abbiamo parlato, sia io che Robert, con grande tranquillità dei nostri sentimenti e sensazioni, tuttavia senza mai toccare l'argomento Robsten in maniera diretta.
Appena parte la registrazione dell'intervista mi saluta come si conviene e con i soliti complimenti che tutte le donne incinte ricevono.
"Hei Kristen!!! Ma quanto sei bella???"
"Hei!" risposi io imbarazzata, percependo già le mie guance imporporarsi.
"Ti trovo in ottima forma e lasciatelo dire: la gravidanza ti dona. Dovrò fare i complimenti a Robert per il lavoro ben fatto!!" scherzò lei.
Io non potei far altro che ringraziare e annuire, timidamente, ma divertita al tempo stesso. Per quanto cercassi di rimanere il più professionale e distaccata possibile, non riescii a trattenere un sorriso pensando a Rob e alle sue reazioni, di sicuro una più pazza dell'altra, a questo genere di domande. 
Gli avevo intimato, prima di iniziare le interviste, di chiudersi quella boccaccia e non creare casini, come al suo solito, con doppi sensi e battute che poco lasciano all'immaginazione. Mi fidavo di lui, ma una rinfrescatina alla mente non fa mai male.
Con Shaun, a seguire ovviamente parlammo del film, della lavorazione, del cambiamento del mio personaggio, scherzando e forzando un po' la mano sulla sua indecisione di Bella tra Edward e Jacob.
"A proposito di scelte" prosegue Shaun "credo che ultimamente tu ne abbia affrontate parecchie. Mi chiedevo cosa ti avesse spinto a prendere delle decisioni invece che altre..."
"sii più precisa" la spronai. Era una domanda intelligente che, pur strizzando l'occhio alla mia vita privata, meritava una risposta altrettanto intelligente.
"Bella decide di lasciare la sua vita da umana per quella immortale da vampira" ribatte lei "A quanto ne so tu hai deciso di lasciare gli Stati Uniti per vivere a Londra. Mi chiedevo cosa ti avesse spinto a prendere questa decisione?"
Naturalmente, non poteva scegliere un tema migliore per spulciare nei meandri della mia vita personale. Le voci ad Hollywood, nonostante non sia una realtà poi così piccola, si rincorrono veloci e il passo dalla voce alle copertine dei tabloids è davvero breve.
Non so bene come era venuta fuori la notizia né chi, probabilmente qualcuno nella redazione dove
lavorava mio padre, aveva spifferato del periodo di maretta che la nostra famiglia aveva attraversato e si fa davvero in fretta a trasformare un gossip in un dato di fatto. Volevo perciò togliere ogni dubbio non solo, e non tanto, alla giornalista, quanto piuttosto a quelle malelingue che non fanno altro che tirarci i piedi, sperando che il tracollo della vita privata possa influenzare anche quella lavorativa. Normale amministrazione per una celebrità di Hollywood, celebrità che io mi rifiutavo categoricamente di essere.
Rimasi per un po' in silenzio a pensare alla risposta più opportuna da dare, cercando il modo per parlare nel frattempo anche del film, che era del resto il motivo principale, se non unico, del nostro incontro.
"Vedi" iniziai, molto lentamente, pesando le parole, per evitare errori ed incomprensioni che avrebbero potuto nuocermi "Bella alla fine della storia capisce che qualsiasi scelta lei faccia dovrà sacrificare qualcosa, perché i due poli che lei cerca di conciliare, Edward e Jacob, il mondo umano e quello sovrannaturale, non esistono insieme, sono opposti e
allo stesso tempo
identici, si contrastano anziché attrarsi. E questo è un po' quello che ho dovuto fare io; e come lei senza amarezza, né rimpianti".
All'inizio certo era stata dura convincersi a lasciare casa, soprattutto all'idea di essere tanto lontana dai miei genitori. Ma poi capii che non avrei potuto fare altrimenti.
"Come dico sempre" proseguii "la mia vita non è più mia. Ora c'è qualcun altro" dissi tamburellando sul pancione "che conta più di me stessa, le cui necessità devo anteporre alle mie" con un filo di incertezza avrei voluto terminare la frase aggiungendo una piccola nota, chiedendomi se fosse una scelta opportuna. Ma presi coraggio e proseguii, sorridendo a volto basso, quasi di nascosto: "... e lo stesso vale anche per Robert."
Essenzialmente per pudore, per rispetto preciproco, non riuscivamo a parlare tanto in pubblico l'uno dell'altro, oltre che per la ormai ben nota riservatezza che ci contraddistingue sin dall'inizio della nostra storia quando, pur davanti all'evidenza, negavamo la verità.
"E quali sarebbero queste necessità che qui a Los Angeles non potrebbe soddisfare?" mi chiese la giornalista, con una punta di sfida nelle corde della sua voce "e cosa c'è di più facile...anche per voi. Voglio dire, qui avete la vostra carriera..."
Quello che diceva non era sbagliato, anzi. Robert nei primi mesi di gravidanza, quando affrontavo l'argomento Londra, non faceva altro che ripetermi queste stesse identiche parole. Aveva troppo a cuore la mia carriera ed il mio futuro, più che per se stesso, e non voleva che rinunciassi a niente. Però non è così che vanno le cose.
"Mi chiedi cosa non avrebbe qui..." la interrompo, accennando un sorriso sarcastico "...una vita. So che questa pazzia che ci circonda non finirà certo domani, neanche se dovessi implorare in ginocchio pubblicamente, neanche se dovessi confessare tutti i particolari delle mia vita. Come già una volta ti accennai ne vorranno sempre di più. E mio figlio non deve vivere in questo mondo."
E fu così che la mia fantasia spiccò il volo: "Mi piacerebbe portarlo a passeggiare al parco o a fare shopping per lui con le mie amiche senza dover scappare, inseguita da decine e decine di paparazzi che sbucano fin dal più piccolo vicolo, mi piacerebbe ..." e qui, senza volerlo, mi ritrovo a sorridere come un ebete, al solo pensiero " ... mi piacerebbe che mio figlio potesse andare a scuola a piedi al mattino e che gli amici lo trattassero per quello che è e non per essere il figlio di. E questo qui non è possibile, forse voi non ve ne rendete conto, ma per noi è così"
Era la prima volta che davo veramente parola alle mie idee, che mi esprimevo così apertamente sulla questione. Probabilmente non ci avevo nemmeno mai pensato seriamente ad un'ipotesi simile e fui abbastanza orgogliosa di me stessa. Era quello il motivo principale per cui volevo andarmene da Los Angeles e dalla sua frenesia. Volevo tornare ad essere una persona qualunque nella città più riservata del mondo, dove dal netturbino fino ad un principe della famiglia reale, si è tutti uguali ed ognuno è talmente perso nei suoi affari che non c'è tempo nemmeno per segnalare su internet la presenza di questo o quell'altro VIP. Volevo provare a vivere quella vita tranquilla e anche noiosa a volte che in California non puoi permetterti, volevo rinchiudermi in casa nei pomeriggi piovosi o guardare le strade vuote la domenica mattina.
Per me e la mia famiglia non desideravo altro che la vita normale che Rob mi raccontava dai suoi ricordi di infanzia, che a modo mio non avevo vissuto.

Finite le interviste, usciti in edicola i giornali e mandati in onda i servizi in tv, a distanza di una settimana da quel tour de force ci preparammo per la prova del fuoco: la première.
I fan più accaniti, sarebbe meglio dire drogati, si erano accampati davanti al Nokia Theatre di Los Angeles ben tre giorni prima dell'evento, per riuscire ad ottenere una foto sfocata e uno scarabocchio, più che un autografo, sulla loro copia del libro.
Per noi era qualcosa di più: sarebbe stata la prima occasione in cui ci presentavamo insieme ad un evento pubblico. In più sarebbe stato il mio personale arrivederci agli States. Avevo previsto infatti di tornare in Inghilterra prima che il film uscisse nelle sale, per poter partecipare anche alla première londinese e poi dedicarmi completamente ai preparativi per il lieto evento.
Per l'occasione, neanche si trattasse di un matrimonio, le nostre rispettive famiglie erano al gran completo. La famiglia di Rob ed i suoi amici avevano quasi riempito un intero aereo da Londra per esserci vicini.
Casa nostra, quel pomeriggio, era un inferno. Mia madre era venuta a casa mia mia ad assistermi nella preparazione e le mie cognate, insieme ad una delle cugine, Suki, erano accorse per truccarsi e acconciare i capelli, parola di Rob, a scrocco. Come se non bastasse anche mia suocera, alla fine, si era presentata in casa mia, accompagnata dal immancabile trio modaiolo, Kitty Olivia e Freddie. Quando arrivarono, non sapendo di chi si trattasse, ero così nervosa che mi diressi verso l'ingresso di casa per cacciare via i nuovi arrivati. Ero in cima alle scale quando le vidi, tutte già perfettamente agghindate e quando i nostri sguardi si incrociarono ci parti all'unisono un urlo acuto degno del miglior soprano. Corseso su per le scale ad abbracciarmi, nonostante ciascuna di loro indossasse 15 cm di tacco. Non riuscivo a spiegarmi come potessero sopportarli così egregiamente. Probabilmente la mia "allergia" ai tacchi era solo dovuto alla gravidanza e mi consolai con questa scusa.
In cucina, inoltre, fu letteralmente allestita una zona catering da mia madre, con caffé, thé e pasticcini, dove nell'attesa tutti gli ospiti, nessuno dei quali era mai stato formalmente invitato, aveva potuto rifocillarsi.
Quando finalmente pronta mi accinsi a cendere le scale, tutti i parenti mi attendavano nell'atrio d'ingresso, proprio come nel giorno del mio matrimonio, quando scesi la grande scalinata del castello nello Yorkshire dove avevamo organizzato il ricevimento. Rob era dietro di me, nervoso e stretto nel suo abito di Gucci, che aveva nascosto alla mia vista per tutto quel tempo ... diceva che era una sorpresa. E ti credo ... guarda che colore!
"Ma che colore è?" gli domandai, sconcertata.
"Ehm ... rosso?!" mi rispose, divertito.
Non che gli stesse male, solo non era di un colore che convince a colpo d'occhio. Sperai che a forza di guardarlo mi sarebbe stato a genio.
Poi mi porse il braccio, per aiutarmi a scendere le scale e avvicinandosi al mio orecchio mi sussurrò: "Sei stupenda!" Arrossii immediatamente alle sue parole, vuoi per il loro stretto significato, vuoi per la sensualità del tono che aveva usato: era decisamente troppo per il mio povero cuore, che ora doveva lavorare per due.
"Non è niente di speciale" gli dissi, confusa ancora dalle sue parole.
"Forse non ti sei vista allo specchio" mi disse, mentre scendevamo le scale ed mi ricordai che effettivamente, per la fretta e la confusione che c'era intorno a me quel giorno, non mi ero avvicinata più ad uno specchio dopo la sessione di trucco, per cui potevo solo immaginare quale fosse il risultato finale.
Una volta arrivati in fondo alla scalinata mio suocero, il mio adorato suocero Richard mi venne incontro e credendo che volesse stringermi la mano gliela porsi; finché non mi accorsi che era il solito trucco, che con me gli usciva alla perfezione ogni volta, ed io non riuscivo mai a smascherarlo: portò la mia mano verso la sua bocca e vi posò un bacio delicato, sorridendomi con una dolcezza che solo lui sapeva sprigionare da quegli occhi azzurri e vispi, che aveva lasciato in eredità a suo figlio. "Meravigliosa..." sussurrò anche lui, con un velo di commozione.
In mezzo a tutti gli amici che ci salutavano e si complimentavano, neanche fossimo davvero in procinto di sposarci, scorsi mio padre
e mia madre: lui si allontanava per nascondere le lacrime che altrimenti sarebbero scese, e sorrisi al suo perenne vizio di nascondere le emozioni , mentre lei con un fazzoletto asciugava i goccioloni che altrimenti sarebbero caduti.
Nick Stephanie e Ruth, i nostri menager, tentavano con tutte le loro forze ma invano di sottrarci all'attenzione di quella piccola folla privata e, quando
finalmente ci riuscirono, potei guardare il mio riflesso su una delle porte finestre che avevamo in casa e che, opacizzate per proteggerci da sguardi indiscreti, erano dei veri e propri specchi.
Rimasi imbambolata davanti ad una figura sconosciuta. Quella non ero io: la truccatrice aveva fatto un miracolo e le sarte di Elie Saab erano riuscite ad aggiustare il mio abito in modo che diventasse uno spendido minidress prémaman. Quando l'avevo visto ero rimasta incantata dallo spacco dietro la schiena e il simpatico gioco del monospalla. Era stato leggermente allungato, per evitare che il gonfiore delle mie gambe venisse troppo fuori e fu arrangiata una vita stile impero per lasciare ampio spazio al pancione. Le scarpe, Christian Laboutine, erano di uno scomodo allucinante, ma non avevo certo intenzione di tenerle per tutta la serata. Avevo infatti affidato a Ruth un borsone con il mio cambio d'abito e delle scarpette basse e comode.

Una volta arrivati a destinazione l'ansia mi strinse lo stomaco in una morsa e la tensione si approprio delle mie gambe, mai instabili come allora. Strinsi forte la mano di Rob mentre ancora eravamo in auto ed implorai l'autista di lasciarci ancora qualche minuto di tranquillità nell'abitacolo dai vetri oscurati e isonorizzato.
"Ho paura!" gli confidai, senza timore di sembrargli stupida.
Lui mi accarezzò una guancia, soffermandosi con i suoi
splendidi occhi sul mio volto. Già quello bastò a tranquillizzarmi. Probabilmente anche lui era nervoso, non aveva smesso un'attimo di passare le mani tra i capelli e aggiustarsi il vestito, ma davanti a me non voleva darlo a vedere.
"Non devi, lo sai che ti adorano ... e non vedono l'ora di vederci insieme posare per le foto" era proprio quello che mi spaventava maggiormente "e poi io sono con te!" dichiarò, sorridendo, e allora non ebbi più paura.
"Me ne ricorderò..." affermai, con sicurezza, alzando la mia testa in segno di sfida. Entrambi ci lasciammo andare ad una risata.
Rob aprì leggermente la portiera per uscire, ma prima che io aprissi la mia mi bloccò "Aspetta" disse. Lo guardai, stranita. Mi lasciò un bacio a fior di labbra e lasciò l'auto, accolto da un boato assordante, ma del tutto naturale date le circostanze. Poco dopo il mio sportello si aprì e ad aspettarmi trovai Robert, impeccabile, che da vero gentleman mi porgeva la mano per scendere dall'auto. "Madame ..." pronunciò. Sfoderai il mio miglior sorriso per entrare in scena, ma se lui fosse rimasto vicino a me sarebbe rimasto perfettamente autentico. Insieme ci incamminammo verso il tappeto, mentre una pioggia di flash e uno stormo di ragazze impazzite gridando convulsamente ci dava il benvenuto.










L'ANGOLO DELL'AUTRICE

Eccomi qui con voi a raccontare un po' di questo nuovo capitolo. Ho preferito raccontare altro, rispetto a ciò che tutti immaginano quando si parla della Premiere di Eclipse. Spero di avervi interessate. La giornalista che cito esiste veramente, ed è quella che chiede sempre a Robert di toccare i suoi capelli; personalmente la ritengo molto simpatica  e mi sono permessa di rivedere la sua intervista un po' diversa, diciamo pure del tutto, da quella originale.
Mi  sembrava un buon modo di far parlare kristen, farle aprire il cuore a proposito delle sue decisioni.  Lei inondo è nata  nel mondo dello spettacolo, ed ha esordito da piccola al cinema, quindi la sua vita non è mai stata, per come la vedo io, e per come mi è sembrato di capire, del tutto normale.
La seconda parte non credo abbia bisogno di molte spiegazione ma, come al solito vi aspetto nell'angolo delle recensioni per qualsiasi domanda, a cui come sapete, risponderò molto volentieri, se posso.
Purtroppo state diventando sempre di più, e questo non può che farmi piacere, ma non posso più rispondervi personalmente alle recensioni. Mi ha fatto molto piacere sapere che il capitolo precedente vi ha divertiti, perché non mi apsettavo che l'effetto fosse talmente esilarante. probabilmente scriverlo fa perdere tutta l'allegria.
Mi auguro che possiate suggerirmi qualcosa per modificare questo capitolo perché ho come la sensazione che manchi qualcosa, è molto insipido a mio parere. Spero però che possiate confutare la mia tesi :-)
Vi saluto e vi do appuntamento, alla prossima, spero molto presto; ma tutto dipende da madama ispirazione.


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à bientot

Federica

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Capitolo 25
*** I love party for the baby ***


The best day - capitolo 25
Eccomi qui, finalmente ce l'ho fatta a pubblicare. Ho avuto un po' di difficolta a cominciare il capitolo, ma alla fine è scivolato via nella stesura abbastanza agilmente.
Spero di non avervi annoiato troppo nei capitolo precedenti di transizione, ma con questo si ritorna a fare sul serio quindi preparatevi. Vi lascio alla lettura e vi aspetto alal fine del capitolo con le solite spiegazioni di rito.
BUONA LETTURA e, mi raccomando, RECENSITE!!!!!









CAPITOLO 25 – I love party for the baby

P.O.V. Kristen






In un certo senso mi era mancata.
Nonostante avessi avuto parecchie cose da fare in California, rimettere in ordine senza lasciare niente in sospeso, tra lavoro e vita privata, ogni tanto il mio pensiero non poteva fare altro che correre a questa città che, nonostante tutto, era ormai parte di me.
Vederla sotto di me dall’aereo, girare per le vie del centro nel taxi nero e guardare i palazzi antichi ed eleganti dava davvero la sensazione di essere in un mondo completamente diverso da quello che avevo lasciato negli States; forse ero stata catapultata addirittura in un’altra epoca o, perché no, in un universo parallelo. Fermi nel traffico guardavo estasiata fuori dal finestrino, come un turista curioso e meravigliato, come un bambino nella città dei balocchi. Milioni di facce diverse per colore della pelle, cultura, estrazione sociale ma tutti uniti in un unico grande calderone. È questo che amo di Londra: nessuno è mai davvero straniero qui.
Il sole avrebbe dovuto essere già bello alto in cielo data l’ora, ma le nuvole, come sempre, lo rendevano invisibile e nonostante luglio fosse ormai alle porte l’abbigliamento da spiaggia non era contemplato.
Rob, al mio fianco, era indifferente alla vista di Londra, dei suoi grandi centri commerciali in pieno centro p dei suoi monumenti, evidentemente annoiato dal traffico. Lui vi aveva trascorso del resto i suoi anni migliori, la conosce come le sue tasche, è casa sua, non poteva esserne strabiliato più di tanto. Anche in questo è molto british: ha perennemente nostalgia di casa quando è fuori, ma quando ci torna, finalmente, non lo da mai a vedere. All’inizio ammetto che mi dava piuttosto sui nervi, ma ho dovuto imparare a convivere anche con questo suo lato un po’ strambo.
Gli strinsi la mano, ed egli ricambiò il mio gesto sorridendo, affaticato … erano quasi 48 ore che non dormiva: il lavoro sul set prima, il volo preso senza nemmeno riposarsi ed infine la turbolenza in aereo non gli avevano permesso di chiudere un attimo gli occhi. Aveva deciso infatti di riaccompagnarmi a Londra, non mi avrebbe mai permesso di prendere il volo da sola e per questo aveva dovuto fare dei turni straordinari e infiniti sul set per ottimizzare la tabella di marcia il più possibile. In più, quel birbante di nostro figlio aveva avuto la brillante idea di mettersi ai posti di manovra proprio durante il volo, creando ulteriore agitazione a noi e agli assistenti di volo; non so dove abbiano trovato la forza di sorriderci ancora le hostess nel congedarci alla fine del volo.
Finalmente arrivammo a casa, dopo essere rimasti imbottigliati nel traffico cittadino per oltre un’ora e mezza. Era il trenta giugno, e negli Stati Uniti di lì a poche ore sarebbe uscito Eclipse al cinema. Per i grandi capi era un giorno importante, per noi uno dei tanti che compongono il calendario.
All’ingresso di casa trovai immancabili e puntuali i miei suoceri che corsero a darci una mano, gentili e disponibili come sempre, con le valigie.
“Oh ragazzi, bentornati!!! Come state??? Dio Kristen hai un faccino!!!” mia suocera mi venne incontro abbracciandomi ed io corsi volentieri tra le sue braccia perché, benché fino a quel momento non me ne fossi resa conto, avevo davvero bisogno di qualcuno che mi sorreggesse. Ma forse Robert ne aveva bisogno più di me. Sorrisi, senza alcuna malizia, nel vederlo ridotto come uno straccio, con delle occhiaie nere e pronunciate, lo sguardo spento e completamente privo di forze e mi dispiacque sapere che, in qualche modo, era per colpa mia.
Mia suocera ci condusse in casa.   
Era strano passare da una casa all’altra, soprattutto quando incominci a non avere più un riferimento preciso su quale sia quella vera, quella che chiami CASA TUA. Avevo messo a nuovo la villa di Los Angeles, personalizzandola e dandole un’anima, rendendola degna di essere vissuta. Ma questa doveva essere LA casa, quella in cui avrei, volente o nolente, passato la maggior parte del tempo. Ero stata via un po’ troppo tempo, era solo quello il problema: una bella dormita tra le lenzuola pulite e profumate mi avrebbe sicuramente aiutata a ritrovarmi.
Nella confusione delle valige ed il trambusto provocato dalla stanchezza e dal fuso orario, non feci caso a molte cose, come i fiori che mia suocera aveva posizionato sul tavolino a muro dell’ingresso o il profumo di caffè e i dolci in quantità industriale che erano sul tavolo della cucina. Storsi il naso quando tutti quei particolari mi salirono all’occhio, evidentemente coadiuvati dal fatto che la porta del salone, sulla sinistra, era chiusa e dentro sembrava esserci un vociare confuso, seppur flebile. Feci per aprire la porta ma mio suocero mi fermò sul filo del rasoio: “No!” mi intimò, poderoso ma timido, allo stesso tempo, quasi avesse paura di potermi far male solo con le parole. C’era dipinto sul suo volto un ghigno divertito e furbo come di chi, certamente, nasconde qualcosa. Guardai in direzione di mia suocera, che in cucina era intenta a passare l’acqua calda dal bollitore alla teiera. Lei fulminò suo marito con lo sguardo e gli blaterò qualcosa che noi udii perché in labiale e non distinsi perché la stanchezza mi aveva persino annebbiato la vista.
“Adesso vai di sopra cara” continuò gentile mio suocero “ti dai una rinfrescata e poi ci raggiungi assieme a Robert in salotto che prendiamo un thé insieme, che ne dici? Mh?”
Annuii, non avevo la forza nemmeno per parlare, ero ridotta davvero male …
In stanza trovai Robert che ronfava già sul letto, a pancia in giù e mancava davvero poco che un rivolo di bava non uscisse dalla bocca leggermente dischiusa. Era troppo dolce, e davanti a quel ritratto di beatitudine non potei fare a meno di allungarmi vicino a lui per qualche minuto, quel letto si mostrava parecchio invitante, e rilassarmi. Ma mi accorsi presto che quel riposo di pochi secondi si sarebbe potuto trasformare in men che non si dica in un sonno di una decina di ore così imposi a me stessa, facendo uno sforzo immane, di lasciare quel ghirotto al suo pisolino ed io andai a farmi una doccia.
Quando, quasi un’ora dopo, riuscii a scuoterlo dal suo torpore quasi comatoso e lo resi vagamente presentabile scendemmo in salotto.
In casa sembrava finalmente sparito ogni rumore sospetto, ma al contempo parevano essere spariti tutti: mancavano i dolci sul tavolo e sul piano della cucina, la teiera ed il mio bellissimo servizio da thé era spariti ed il bollitore era vuoto.
La porta del soggiorno, tuttavia, era ancora serrata. Pensai che, qualsiasi cosa ci fosse al suo interno, doveva aver risucchiato tutto quello che stavo cercando, compresi i miei suoceri.
Nell’abbassare la maniglia anche Rob mi fermò prima che potessi aprire la porta.
“Aspetta!”mi disse, a bassissima voce.
“Uffaaaa!!!” protestai, mimando il suo tono, sebbene non comprendendone il motivo “prima tuo padre, ora tu: ma cosa ci sarà mai qui dentro che nessuno vuole lasciarmi aprire questa porta, si può sapere???”
“Lo scoprirai presto” mi rispose, candidamente, con quella faccia da schiaffi che si ritrovava “ma prima promettimi che mi perdoni ….”
“che cosa … che cosa dovrei fare io?” chiesi, lasciando perdere il basso volume, naturalmente disorientata dalla sua richiesta.
“fidati, perdonami … poi capirai perché … credimi, non sono riuscito a dirgli di no”
“E va bene!” mi arresi, stufa di essere l’ultima a sapere cosa stesse accadendo in casa mia “ti perdono, ma ora voglio proprio sapere cosa …” e pronunciai queste ultime parole mentre finalmente aprivo la porta e nessuno obbiettava. Una serie di festoni agghindava il soggiorno e la sala da pranzo, che erano comunicanti in quella parte dell’edificio. Tanti palloncini erano appuntati agli angoli delle stanze, tutti raffiguranti ciucciotti, pargoli stilizzati e cicogne in volo.
“Sorpreesaaaaaaaaaaaaaa!!!” gridarono all’unisono tutti i convenuti. Mi avevano organizzato un baby shower!!! Non potevo crederci! Era … era … pazzesco!
Non avrei mai pensato di desiderare per me ed il mio bambino una cosa del genere ma, sarà stato per gli ormoni, sinceramente mi piaceva tutta quella “doccia” di regali e affetto che mi veniva riversata addosso. Mi voltai verso Robert, che era rimasto appoggiato, ancora vagamente sonnecchiante, allo stipite della porta, che rideva sotto i baffi, o meglio sotto la sua leggera peluria bionda, per essere riuscito, forse per la prima volta in vita sua, a mantenere un segreto.
C’erano proprio tutti, tutti quelli che avrei voluto avere con me in un giorno tanto speciale. C’erano i miei suoceri ovviamente, ma anche le mie cognate, che contavano i giorni che le separavano dal tenere in braccio il loro primo nipote. Poi c’erano le mie migliori amiche inglesi, le matte, strampalate e sempre alla moda Olivia Kitty e Freddie, che dal Garden Party della regina alle maratone di vodka liscia organizzate dal più squallido pub, non avrebbero perso un solo evento che riguardasse Londra. Erano loro le persone giuste da conoscere qui in città, le ragazze di cui ti conviene sempre avere il numero a portata di mano, se vuoi ritrovarti in lista nei locali più in. Ma ovviamente non era più una vita che si confacesse ad una donna delle mie dimensioni, ormai; in più, quello non era mai stato il mio stile di vita. Poi c’erano gli amici di Rob, venuti più che altro per accontentare le proprie ragazze e la sorella di Tom e scolarsi qualche birra che mio marito aveva l’abitudine di lasciare in casa come scorta. Nettie, Laura, Matilda ed io non eravamo particolarmente legate, ma erano state di ottima compagnia in quelle poche occasioni che avevamo trascorso tutti insieme, come il Capodanno o i concerti dei loro fidanzati e sarebbero state come delle zie per il piccolo. Come se di zii non ne avesse già a sufficienza …
C’erano gli zii e le zie di Rob, le cugine e i nonni di Rob, venuti dallo Yorkshire. Senza pensarci due volte mi diressi da un’altra delle donne invitate alla festa. L’abbracciai, nonostante sapessi bene che lei odiava certe manifestazioni d’affetto in pubblico, non amava certo ostentare i suoi sentimenti … era inglese, lei. Ma dopo quello che aveva fatto per noi, una stretta di mano ed un bacio misero e formale non potevano bastare.
“Nonna Beth!” la strinsi a me, e per fortuna non si oppose “grazie!” le sussurrai. Lei mi corrispose e mi lasciò solo quando anche Rob le si avvicinò per ringraziarla, di tutto. Era commossa, a sento riuscì a tenere le lacrime dentro. Io e Rob ci scambiammo uno sguardo fugace e sorridemmo entrambe pensando a quanto fosse tutta matta la nostra famiglia.
Freddie mi corse incontro, tentennando però al momento di parlare. Risolsi intervenendo personalmente: "Devi dirmi qualcosa Fedy?" questo era il nomignolo strano con cui la chiamava Robert; mi spiegarono che risaliva ai tempi di Little Ashes, perché nel copione Salvador Dalì, il suo personaggio, chiamava così Federico Garcia Lorca, e Federica aiutò molto Robert nella pronuncia di alcune parole latine.
"Ehm, sì Kris ... però promettimi che non ti arrabbierai..." anche lei?! Ma cosa avevano tutti oggi???
"No, non mi arrabbio, ma che c'è?"
"C'è che devo presentarti una persona, una mia amica" mi rispose. Stavo sinceramente per perdere la pazienza, ecco il perché di quella promessa. Ma tentai di rilassarmi, d'altronde mi ero impegnata a non scompormi.
Si fece avanti una ragazza minuta, bionda e ricciolina, che molto timidamente tento di presentarsi a me con uno stentato inglese, imbarazzata forse più dall'incapacita di comunicare, che dalla mia presenza.
"Ciao Kristen io ... io sono Francesca" si presentò, finalmente.
"Ciao piacere di conoscerti" "Anche per me" sorrise, leggermente più rilassata.
"Francesca viene dall'Italia, è qui per le vacanze e non potevo lasciarla sola, tu capisci ..." si affrettò a giustificarsi Federica, dispiaciuta e preoccupata per avermi recato disturbo.
"Non ti preoccupare Fedy, è tutto apposto. Solo ..." mi lasciai sfuggire, ironica " ... tienila lontana da Rob, non vorrei assistere a senimenti improvvisi ..." anche lei rise con me.
"su questo non devi proprio temere nulla ... "mi rispose e prosegui a bassa voce, avvicinandosi al mio orecchio per farsi sentire meglio nel frastuono della stanza "ti svelo un segreto ... è Team Jacob!!!"

Non che temessi mio marito, ma una fan in casa poteva essere un pericolo per molti altri motivi.
Una volta rilassati i nervi, non potemmo evitare di ridere tutte insieme. 
Mi fu offerto un succo d’arancia ed un piatto con il brunch che era stato allestito a buffet sul tavolo della sala da pranzo. Mentre scorrevo tra gli invitati per salutarli e riabbracciarli uno ad uno, specialmente coloro che non erano potuti venire a Los Angeles, osservai meglio tutti i dettagli delle decorazioni. Su un festone c’era la scritta “W LA MAMMA PIU’ SEXY!”; su un altro cartellone invece, più nascosto rispetto agli altri, di sicuro fatto dai compari di Rob, compariva la scritta “GRAN BEL COLPO AMICO!”: appena lo intravidi mi fu inevitabile storcere il naso, ma a guardarli, quei quattro pazzi sciroccati, ogni nuvola scura si dissipò immediatamente ed insieme a Robert esplodemmo in una grassa risata assieme alla ciurma. Sul tavolo del buffet erano stati sparpagliati qua e la confetti azzurri e rosa, proprio perché non volevamo sapere assolutamente quale fosse il sesso del bambino.
Su un tavolino all’angolo, invece, era stata allestita la postazione regali. Non volevo ci fossero, ma purtroppo la tradizione li imponeva e, sinceramente, chi ero io per oppormi alla tradizione? E poi morivo dalla voglia di scoprire cosa ci fosse dentro quelle confezioni colorate ben rifinita.
Non appena venni vista davanti a quella montagna di pacchi il trio della moda si fiondò su di me, per darmi le opportune spiegazioni.
“Lo so che non avremmo dovuto impicciarci, perché il bimbo lo stai aspettando tu” esordì Kitty, come sempre a capo delle operazioni e vera mente diabolica del trio “ma la festa era alla porte e tu non l’avevi organizzata ancora, e così ci abbiamo pensato noi. Ma devi stare tranquilla, ha pensato a tutto Olivia!!!”
“Fermi tutti!!!” mi imposi “cos’è che non avrei organizzato?”
“Ma la lista baby, Kris, che domande?” mi rispose Freddie, come se stessi mancando di capire un’ovvietà.
“Ho pensato a tutto io, Kris, devi stare tranquilla! Sai che conosco i tuoi gusti meglio di te!”
Aveva ragione, conosceva i miei gusti, ma cosa ne sapeva su come ero fatta, su quali fossero i miei desideri? Non volevo essere sgarbata con loro, ma parlargli, civilmente, faceva parte del progetto di ripristino della mia vita. Non dovevo lasciare niente di incompiuto.
“Mi dispiace ragazze … so che avete faticato molto per mettere in piedi tutto questo” dissi indicando la sala “ e quanti tempo ti abbia portato via scegliere ogni oggetto per la lista Olivia, ma vedete … queste sono cose che avrei dovuto fare io …”
Quasi con le lacrime agli occhi, Olivia prese la parola “ed ora hai intenzione di non accettare i regali che ti hanno fatto?”
“No, no tesoro” le accarezzai la guancia, per tranquillizzarla. Ero nervosa, non volevo ferirle, così mi passai una mano tra i capelli e porsi l’altra sul fianco, quasi a sorreggere la pancia “ma vedete, mi piacerebbe che non interferiste più nella mia vita in questo modo. Sono sicura che sarà tutto splendido ma IO avrei dovuto sfogliare il catalogo delle carrozzine e dei lettini, IO avrei dovuto litigare con Rob perché lui avrebbe scelto la carrozzina hi-tech mentre io adoro per quelle classiche …”
“che ti avevo detto io!!!” mi interruppe Freddie, mentre si rivolgeva con un batti – cinque ad Olivia “lo sapevo!!! Ops … scusaci Kris continua pure” mi lasciò continuare, imbarazzata.
“Così mi avete levato tutto il divertimento!!! … io ci tengo a voi, vi voglio bene, mi avete aiutata tantissimo ad ambientarmi qui, ma è ora che io cammini da sola, lo capite vero?”
Meste annuirono tutt’e tre, e ci abbracciammo, con la promessa che non avrebbero più interferito nelle mie decisioni ed io avrei vissuto la mia vita senza condizionamenti, libera da ogni giudizio.
“Ok” disse Kitty, quasi annoiata da tutto quell’affetto, “ma ora apri i tuoi regali, gli ospiti non aspettano altro”
Alzai gli occhi al cielo mentre Rob mi si avvicinava per darmi  una mano con gli scatoloni e tutta quella carta da regalo. Doveva aver udito la mia conversazione con le ragazze di poco prima, perché la prima cosa che mi sussurrò all’orecchio non appena mi raggiunse fu: “sono molto fiero di te”. Inutile dire che divenni immediatamente paonazza.
Capii poi l’euforia di Freddie e Olivia e la loro complicità quando scartai il regalo dei miei suoceri, una bellissima carrozzina classica inglese rigida, elegante nel suo tessuto blu notte e bianco, di manifattura artigianale. Ovviamente avevano recepito i miei gusti: io e Rob ci scambiammo divertiti una linguaccia, per ora avevo vinto io; la carrozzina hi-tech l’avremmo lasciata a quando il mio cervello sarebbe stato abbastanza fuso da farmi perdere il lume della ragione. Ma non contai che Rob ottenne la sua personale rivincita grazie ai suoi amici, i quali regalarono al piccolo un passeggino sportivo, dai colori piuttosto neutri (si erano davvero salvati in calcio d’angolo) adatto per delle scampagnate all’aria aperta che, obiettivamente, non avremmo mai fatto. Per il resto un mucchio di elettrodomestici per biberon e tutine e completino neutri.
Ad un certo punto mia suocera richiamò la nostra attenzione, ed un coro di oooooh fece eco nella stanza. Reggeva su un vassoio una enorme torta bianca, con tanta glassa e tanta panna colorata rosa e azzurra nelle decorazioni.
“è una mille foglie Kris, come piace a te” mi disse compiaciuta mia suocera, sapendo che aveva realizzato una delle mie maggiori voglie.
Mentre tutti applaudivano al passaggio della torta, che mia suocera andò prontamente a sistemare sul tavolo del salone, io e Rob andammo dietro di lei, per fare le ennesime foto della giornata, alle quali , sinceramente, non mi dispiaceva sottopormi.
All’improvviso una fitta mi colpì nel basso ventre, all’altezza dell’utero, lasciandomi senza fiato. Avevo già avuto esperienza con delle prime, leggere contrazioni, ma nessuna era paragonabile a questa. Questa era … l’inferno. Una morsa che leva il fiato, improvvisa, persistente, dolorosa.
Forse per la stanchezza, forse per il colpo deciso che mi venne inferto, mi ritrovai costretta ad accasciarmi a terra, con le mie mani che corsero immediatamente sul ventre e mille altre che tentavano di sorreggermi per attutire il colpo sul pavimento. Mi sentii d’improvviso bagnata, come se avessi fatto la pipì, ma era liquido più viscido, fluido e più chiaro. Ripresi lucidità in un baleno, non appena la fitta scomparve e mi rialzai di botto, riacquistando le forze e iniziando a realizzare cosa potesse star accadendo. Ed avevo sinceramente paura.
Rob che mi era di fronte guardava me e la pozza che si stava creando ai miei piedi, raggelato.









Angolo dell'autrice


Carissime, ok ci siamo, state calme ed andrà tutto per il meglio! A parte gli scherzi, ci terrei a precisare che io non sono un'ostetrica ma una semplice futura infermiera, quindi sdi ostetricia e ginecologia ne so davvero poco. Ho chiesto aiuto ad una mia amica, per quanto possibile, ma per alcune cose ho dovuto lavorare di fantasia, specialmente per adatttarmi al racconto. Sappiate però che, di norma, la rottura delle acque non si accompagna ad una contrazione. Vi starete certamente chiedendo ora se si tratta di un parto prematuro. Ebbene sì, lo è, nel prossimo capitolo spiegherò le cause che l'hanno provocato e tutto il resto. Ma state tranquille, io amo i lieto fine.

Per il resto, dedico alla mia lettrice numero 1, La Francy, questo capitolo, nella quale sono riuscita a farle fare una piccola comparsata. Spero, per il resto, che il capitolo scivoli via con facilità e vi sia piaciuto nel complesso.
Alla prossima, che purtroppo non posso divi quando sarà perché lunedì rincomincio tirocinio e lezioni, quindi sarò pochissimo a casa.
Vi ringrazio per il vostro supporto e il vostro sostegno e spero le recensioni aumenteranno di nuovo, in questi capitoli che ci conducono alla fine della storia, e che sono così cruciali ed importanti.
Adesso rispondo alle recensioni e poi alla fine della pagina ho da fare qualche annuncio importante.

La Francy: tesoro mio, hai visto che alla fine sono riuscita ad inserirti? spero che questa comparsata ti soddisfi!!!Siccome non amo mettere le fotografie degli abiti e non ho molto tempo per cercarne su internet, ho pensato di modificare giusto un po' le cose che sono accadute veramente, e poi, davvero, quelle scarpe erano favolose. E non criticare Rob, che il vestito era fantastico!!!! (su di lui,almeno). Il lupacchioto è venuto lì naturale, non è che avessi proprio pensato  a te in quel momento ...XD alla prossima
prudence_78: be' ormai ci siamo e penso che non sia il caso di dirtelo perché lo scoprirai presto, spero ti piacerà. comunque, non è Joy, perché nella mia storia il nome ha un significato forse ancora più particolare, poi leggerai. Sì, effettivamente è un capitolo di critica questo, credo fosse necessario, anche di protesta personale nei confronti dei paparazzi, che odio. Effettivamente ho cercato di immedesimarmi il più possibile in Kristen in questo capitolo, cercando di capire come ragiona e simulando quets'intervista. Alla prossima e grazie epr le tue recensioni
sydney_90: grazie per il tuo supporto costante, spero non mancherai di recensiore ora che la storia entra nel vivo. Rob è così, semplicemente paranoico, quindi non poteva esimersi adesso e lo vedrai ora che la storia continua...
baby_Very: per il nome come ho già detto non dovrai attendere molto, si solo tratta di farla partorire...come ho già detto io adoro quella giornalista. certo le sue domande sono sempre rivolte al personale, ma si tratta del loro lavoro e finché se ne stanno buoni e tranquilli io li rispetto; al contrario odio i paparazzi, ma questo si deve essere capito nel corso della storia.
marty13__: kristen sono convinta che se leggesse questa storia condividerebbe l'idea al cento per cento. ho visto talmente tante sue interviste che posso dire di conoscerla abbastanza, o almeno conosco un lato di lei perché si sa che lei è abbastanza protettiva nei riguardi della sua vita privata; ma come è giusto che sia, del resto. Alla prossima

Ora vorrei per finire ricordarvi i miei contatti
FACEBOOK  (ho avuto dei problemi in settimana, per cui l'indirizzo è cambiato rispetto a quello che avevo pubblicato precedentemente)
TWITTER
dove troverete, spoiler, link e discussioni. In più, nella pagina di FB troverete, in area discussioni, un piccolo concorso a cui vorrei partecipaste.
D'ora in avanti vorrei scrivere esclusivamente in POV Kristen, spero la cosa non vi dispiaccia, fatemi sapere che ne pensate.
Alla prossima,

Federica

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Capitolo 26
*** Alfa & Omega ***


Eccomi qui!!! Sono tornata, puntuale come tutti i week end, con il nostro appuntamento. Il nuovo capitolo è pronto e sono convinta che pochi di voi avranno la bontà e la pazienza di leggere questa introduzione percui, bando alle ciance, e vi offro il nuovo capitolo. Vi ricordo dell'angolo dell'autrice e, mi raccomando, RECENSITE!!!!



















CAPITOLO 26
Alfa & Omega - P.O.V. Kristen

Mi ritrovai su un letto d’ospedale quasi senza rendermene conto. La chiamano corsa contro il tempo, ora capisco cosa significa.
Più che un viaggio in auto, infatti, il mio fu un flash.
Robert mi prese in braccio, e mi caricò sull’auto talmente rapidamente che non ebbi nemmeno modo di oppormi o ribellarmi: la verità è che non avevo la minima intenzione di farlo; le mie cognate nel frattempo volarono letteralmente in camera mia, a preparare una borsa di biancheria improvvisata , dato l’arrivo pretermine dell’evento.
In macchina con noi salirono solo mio suocero, dalla guida più salda e sicura e Freddie, la cui assistenza, per quanto di base. Servì più ai nervi di Robert che alle mie contrazioni.
Il tragitto da casa al St Mary’s Hospital si rivelò più tranquillo di quanto io stessa sperassi e prevedessi, al di fuori delle imprecazioni di mio marito rivolte al traffico londinese, che di fece percorrere un percorso di venti minuti in oltre tre quarti d’ora. Di contrazioni ne contammo tre piuttosto costanti per durata, intensità e distanza le une dalle e altre. Arrivai in ospedale e mi visitarono per la prima volta.
Erano le 14.15 del 30 giugno, ed io ero ufficialmente in travaglio.
Finalmente, una volta tranquillizzato Robert, fatti uscire dalla stanza che mi avevano assegnato tutti i parenti che ci corsero appresso, mi ritrovai sola insieme a Rob.
Venni attaccata ad un’attrezzatura, il cardiotocografo, che registrava i battiti della creatura e monitorava le contrazioni. Sentire dalle casse di quell’attrezzo il cuore di mio figlio mi rilassava, e per un attimo ebbe il potere di svuotare la mia mente e farle dimenticare che stavo partorendo nel bel mezzo del settimo mese.
Tuttavia continuavo ad avere paura; fino ad allora ero sicura che avrei potuto mantenere la calma, ma ora non ero più sicura di niente. Ero convinta che avrei dovuto aspettare altri due mesi per conoscere il mio bambino, e con impazienza aspettavo quel giorno. Ora invece non facevo altro che temere il peggio. Non avevo frequentato sufficientemente il corso preparto, non avevo imparato a respirare correttamente e Robert non sapeva nulla su come si sta accanto ad una partoriente. Avevo letto troppi libri, o forse troppo pochi e la mia testa era un groviglio di nozioni che stentavano a mettersi in ordine e mi annebbiavano la ragione completamente.
Ma più che per me stessa, ero terrorizzata per il bambino: ero alla 33esima settimana, ero perfettamente conscia del fatto che non fosse pronto; non ne conoscevo i dettagli, ma immaginavo che se i bambini di solito nascono al nono mese, un motivo ci dovrà pur essere...
A queste preoccupazioni aggiunsi anche lo stress di sapere mia madre e tutta la mia famiglia lontana e forse nessuno ancora i aveva avvertiti, troppo presi a correre in ospedale.
“Mamma, Rob, devi chiamare mamma!!!” gli urlai concitata, prendendolo per la manica del camicie verde che gli avevano fatto indossare.
“Tesoro tranquilla” disse accarezzandomi i capelli, che iniziarono ad inumidirsi per il sudore “ho lasciato a Vicky il compito di occuparsene … sono sicuro che tua madre e gli altri sono già in aeroporto a Los Angeles, se non addirittura in volo” Annuii, sollevata. La sua voce era ferma, serena, e mi fece capire che non mi stava mentendo e che mia madre starebbe stata da me, anche se forse sarebbe arrivata a cose ormai fatte; continuò: “… però tu ora devi stare tranquilla e pensare a conservare le forze per dopo”. Dopo … cavoli!!! Provavo già un dolore atroce solo con delle contrazioni innocue e preparatorie, non potevo immaginare che ci potesse essere qualcosa di peggio. Sarei svenuta, ne ero certa.
Finalmente entrarono la mia ostetrica, per fortuna in turno proprio quel pomeriggio ed il mio ginecologo. Dietro di loro Federica, in divisa anche lei.
“Loro si occuperanno di te, Kris” mi disse, professionale, e al contempo giocosa “ed io del futuro papà!. Stai attento a non svenire signor Pattinson, perché non credo di essere in grado di reggerti!!!” sorrise verso Rob. Entrambi, messi a nostro agio dalla sua ironia, ci lasciammo andare per un attimo ad un sorriso, seppur sommesso.
Ripresi il controllo della situazione quando il medico prese parola, avendo concluso la sua valutazione sulla situazione.
“Allora Kristen” mi disse, imperturbabile “come ti ho già spiegato il tuo sarà un parto abbastanza lungo, non mi va di mentirti. Sei al primo bambino e quindi avrai più difficoltà in tutte le fasi”.
Mi fidavo del dottor Braine. Era un medico con una certa esperienza, aveva assistito minimo un migliaio di donne prima di me, e la sua capigliatura grigia lo supportava nella testimonianza di una carriera florida; era pacato e piuttosto tradizionale nell’applicazione della medicina. Amava avere un rapporto diretto e sincero con le sue pazienti, e per me questo era fondamentale. Fu per questo che non temetti di rivolgergli la fatidica domanda: "Dottore, la prego, mi dica la verità. Perché?”
Non ebbi bisogno di spiegarmi oltre, perché chissà quante altre volte aveva vissuto questa situazione e sapeva leggere le parole non dette nel mio sguardo terrorizzato.
“Kristen ...” si fermò, prendendo un gran respiro e alternando la sua espressione da seria e professionale a greve. “Quando accadono eventi del genere la causa non è mai una sola. Sapevamo sin dall’inizio che avresti fatto bene a riguardarti, perché la giovane età non è mai una garanzia; anzi, nel tuo caso non lo è per nulla”
Ricordai allora di quanto accaduto nella prima visita quando, controllando il mio peso ed il girovita, mi disse di stare particolarmente attenta perché ero leggermente sottopeso e la mia vita troppo stretta avrebbe potuto rallentare se non fermare la crescita del feto, favorendo un parto prematuro.
“In più” proseguì “potresti aver subito le conseguenze di un periodo intenso di stress … anche emotivo”
Riepilogai in un rewind accelerato tutti gli ultimi mesi della mia vita, che scorrevano in fretta davanti ai miei occhi. Mi rivolsi verso Robert, serio, di fronte al discorso del medico: era la prima volta che lo vedevo così attento in vita sua, bianco in viso e con gli occhi fermi e fissi nel vuoto.
Pensai allora a tutte quelle volte che mi aveva pregata, implorata quasi di riguardarmi e starmi attenta. Ma io testarda avevo voluto fare di testa mia per l’ennesima volta, e per l’ennesima volta per la mia presunzione stavo rischiando di buttare alle ortiche tutta la mia vita, non conoscendo mai mio figlio. Quella ipotesi mi gelò il sangue che avevo in circolo e presi a sudare freddo.
“Rob!” strinsi forte la sua mano che era incollata alla mia dal primo minuto che avevo messo piede in quell’ospedale, disperata nel tentativo di assicurarmi ancora che mi amasse e che quello non fosse solo un gesto impulsivo, un riflesso incondizionato, dettato più dall’abitudine che dall’amore. “È tutta colpa mia!!! Perdonami” lo implorai, arrivando quasi alle lacrime “io … io … avrei dovuto ascoltarti … sono un’irresponsabile!!!”
“Shhhh!!!” mi sussurrò, quasi soffiando, baciandomi dolcemente la tempia sinistra. Si chinò su di me, prendendo il mio volto tra le sue grandi e lunghe mani calde e fece scontrare i nostri sguardi “Kri, ascoltami bene” proseguì, scandendo ogni parola, modulando il tono della voce, commossa, cercando di trattenere l’uragano di emozioni positive e negative che i suoi occhi, troppo lucidi, non potevano celarmi “ora sapere chi ha torto e chi ha ragione è proprio l’ultima cosa che conta. Pensiamo solo al bambino, e soprattutto a farlo nascere sano”.
“Rob .. ho bisogno … ho bisogno di sapere e che mi ami … e che mi perdoni!!!” continuai, in preda ad un delirio emotivo.
“Amore … amore” cantilenò, stringendo ancora il mio volto tra le sue mani, carezzandomi e sorridendomi a stento, perché niente ci permetteva di sorridere, se non la volontà di mascherare reciprocamente il nostro terrore “tu sei tutta la mia vita, tu e questo bambino che sta per nascere. Io non sono niente senza di voi … niente!” Si avvicino alla mia fronte, stampandole un bacio lungo, intenso, di un’intimità disarmante. Mi ancorai al suo collo con le mie braccia, mentre una nuova contrazione mi troncava il respiro in un gemito strozzato.
Aveva ragione Robert. Non era più il tempo delle recriminazioni e del cilicio come punizione. Quello era il tempo di ritrovare e radunare le forze, concentrandomi per far venire il mio piccolo angelo al mondo. Al resto avrei, semmai, pensato dopo.
Tra urla, incitamenti ed indicazioni varie le contrazioni, sempre più ravvicinate e sempre più dolorose, si susseguirono e permisero al collo dell’utero di dilatarsi sufficientemente per consentire il passaggio del bambino: l’ostetrica già ne intravedeva la testa.
Eravamo stati fortunati che già fosse in posizione, perché un parto podalico in queste condizioni avrebbe peggiorato la situazione già di per sé critica, lo sapevamo tutti, anche se nessuno lo avrebbe mai detto ad alta voce.
Malgrado tutto, malgrado del resto avessi voluto godermi ancora un altro po’ l’aura di beatitudine che mi circondava in gravidanza, ero felice che presto avrei potuto stringere tra le mie braccia la mia creatura, quella che per quasi otto mesi era stata al caldo nel mio ventre: ero eccitata all’idea di scoprire che faccia avesse, e soprattutto da chi avesse preso gli occhi; il sesso non mi interessava, solevo solo scoprire i suoi occhi, e capire, con i miei di madre, che era tutto apposto, e che aveva solo avuto fretta di conoscere la sua mamma ed il suo papà.
Finalmente era arrivato il momento di spingere; per tutto il tempo che ero rimasta in quel letto … ormai non avevo più idea di quanto tempo fosse trascorso … ore, minuti, non aveva importanza … avevo dovuto trattenere l’impulso naturale di accompagnare il piccolo verso l’esterno con le mie spinte.
Robert era sempre là, stoico, attento, dolce ed io più che mai mi aggrappai a lui, tentando di attingere alla grande forza e al coraggio che stava dimostrando di avere. Lo amavo, ancora una volta me ne resi conto, e come forse non avevo mai fatto prima, finalmente con la consapevolezza di una donna matura ed adulta e non con l’entusiasmo volubile di una ragazzina.
“Amore mio stai andando benissimo” mi incoraggiò ulteriormente “resisti ancora per poco, ci siamo quasi …”
Strinsi forte la sua mano e con le ultime forze che aveva in corpo portai a termine quelle 3 spinte che mi portarono alla fine di quel tunnel che sembrava ormai non avere più fine, quell'inferno di dolore che invece di diminuire aumentava senza mai raggiungere un picco massimo. Sentii il pianto a squarciagola di un neonato salire fino ai miei timpani, mentre uno sciame di voci confuse si rincorrevano a richiamare la mia attenzione, senza che io, in trance, comprendessi una parola. Robert si sporse verso di me, ad abbracciarmi e baciarmi, finalmente liberandosi in quel pianto che avrebbe voluto concedersi chissà da quanto. Io, ancora intontita, sulle prime non mi rendevo conto di cosa fosse accaduto, che quello che immaginavo fosse davvero accaduto, finché non vidi l’ostetrica avvicinarsi, con un fagottino verde tra le sue braccia.
Eccoli di nuovo i vagiti, sempre più acuti e prepotenti. Ora li sentivo distintamente e mi sembrava di conoscerli da sempre, come se quella creatura non potesse avere un timbro diverso. Chi li emanava era il vero eroe, la vera stella: quella era la voce di mio figlio.
Mi venne appoggiato delicatamente sul seno e subito sembrò calmarsi, riconoscendo il mio odore forse, per un istinto primordiale, ed unificando di nuovo i nostri battiti, come quando eravamo una sola cosa.
“È una bambina” sospirò Robert, completamente in adorazione, mentre delicatamente provava ad accarezzarle la testolina ancora sporca di sangue e residui di liquido amniotico e placenta. Ancora stentava a credere che fosse davvero successo; io invece ero sicura che fosse tutto vero, però il tempo era trascorso troppo velocemente, che neanche me ne accorsi quando il ginecologo ci annunciò la nascita di una femminuccia.
Una bambina. La MIA bambina. Il suo cuoricino batteva all’impazzata ed io la stringevo a me incurante del resto del mondo.
Avevo dimenticato tutto: i dolori del parto erano svaniti e non avevo più memoria di quanto accaduto fino a qualche istante prima.
Provavo solo grande gioia, completa, pura. Il mondo sarebbe anche potuto crollare che io non me ne sarei mai accorta.
Ma in un lampo due mani di donna, rugose, con un impeto severo e gretto la strapparono via da me.
“La mia bambina!” mi riscossi dalla mia bolla con veemenza, reclamando l’attenzione alzando il volume della voce. Mi girai verso Robert, allarmata “dove la stanno portando?”
“non ti preoccupare Kristen” una mano guantata di bianco, si posò delicata sulla mia spalla ed in quella voce rassicurante riconobbi Federica “devono farle dei controlli di routine nei primissimi minuti di vita, è fondamentale. E poi vuoi che rimanga così sporca?" rise "Le faranno un bagnetto e se è tutto apposto la riporteranno qui appena le mie colleghe avranno finito con te …”. Mi rispose tranquilla, talmente sicura che sulle prime non esitai a darle fiducia.
Tutt'a un tratto, con il ventre e le braccia vuoti ebbi una vertigine, come se tutta la stanchezza di quel giorno, durato decisamente troppo, fosse di botto crollata sulle mie spalle. Ero stanca, davvero, e mi abbandonai sullo schienale del letto, mentre le altre infermiere accorse mi aiutavano a risistemarmi nel letto e Robert ancora accanto a me mi contemplava, quasi fosse una dea lontana.
Le parole di Freddie mi ronzavano ancora in mente … e se è tutto apposto la riporteranno qui … come una mosca fastidiosa, ma lasciai che il sonno si impossessasse di me e sbiadisse suoni e colori intorno.







L'ANGOLO DELL'AUTRICE

Allora, che ve ne pare? Vi prego recensite, perché per me è davvero importante conoscere la vostra opinione su un capitolo così cruciale. Innanzi tutto è mio dovere spiegare il titolo. Alfa ed Omega come certo saprete sono la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco. Con questo ho voluto segnalare che, in qualche modo, questo è il giro di boa della storia, forse non è il best day del titolo, ma è comunque un giorno cruciale. L'inizio della nuova vita ed ovviamente la fine della gravidanza. La fine della vita a due di coppia per Rob e Kris, l'inizio della vita a 3 della famiglia Pattinson. La fine della vita da ragazza e l'inizio della vita da donna e madre per Kristen.  
Non mi andava di  raccontare tutto nei minimi dettagli perché non sono espertissima nel settore e poi perché a volte troppi dettagli possono annoiare. Spero altresì di non essere stata troppo frettolosa in alcuni passaggi che magari meritavano maggiore attenzione da parte mia.
Mi sembra di non aver dimenticato nulla nei miei punti da trattare. ma per qualsiasi domanda io sono qui a rispondere, lo sapete. Per cui recensite!!! XD XD XD

Do ora spazio alle risposte alle vostre recensioni:
@La Francy: ecco scoperto l'arcano, è una bimba!!! certo che ti ho descritto perfettamente, sono una grande scrittrice,non lo sapevi...ihiihihi!!!! apparte gli scherzi, volevo che fossi davvero tu e ho cercato di descriverti al meglio delle mie possibilità, come ti vedo io.
@marty13__: lo sai che io sono sadica e mi piace farvi penare per una settimana intera...muahahah!!! eccoti servita, spero ti sia piaciuto
@prudence_78: lo so, nella vita magari le cose sarebbero andate diversamente, ma nella storia dovevo mettere qualche elemento di brio, così il felici e contenti suona meglio. ti ho detto che mi piacciono i lieto fine, ma questo non significa che sarà facile ottenerli. Per scrivere il discorso ad olivia e alle altre ragazze sappi che ho pensato a te e alle tue recensioni precedenti, mi sono state davvero d'aiuto, grazie! 
@BabyVery: il baby shower, come molte cose che sono nel racconte sono delle idee che ho preso da una delle mie scrittrici contemporanee preferite, Sophie Kinsella, la scrittrice di I love Shopping. Volevo proprio che ci fosse,poi, mentre scrivo, come al solito, gli eventi diventano più grandi di me e accadono senza che io gli dia il permesso.
@sydney90: come detto da altri il parto prematuro non è dovuto solo dallo stress. del resto io e mio fratello siamo entrambi nati prematuri dopo anni e anni di distanze e il ginecologo non si è mai spiegato come mai. eppure siamo qui!!! =) quindi ho ricreato una serie di fattori che potessero essere plausibili.
@ledyang: io cerco di essere sempre puntuale, per quanto mi è possibile. non mancare a questi ultimi capitoli che sono importantissimi.
@enris: come sai ho letto e ho molto apprezzato la tua recensioni via email. e ti ringrazio per i salti mortali che fai per recensire tutti i capitoli. sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo, ma sono altresì contenta che tu mi dica anche quello che non va perché sono in pochi ad essere sinceri. questo lo apprezzo molto. alla prossima

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Alla prossima settimana con il nuovo capitolo dove conosceremo lo scricciolo di casa Pattinson... ^.^

à bientot

Federica

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Capitolo 27
*** Monkeys and little rabbits ***


The best day - capitolo 27 Sono desolata se venerdì ho saltato la pubblicazione del capitolo, ma purtroppo ho avuto un guasto tecnico al computer e non ho potuto scrivere, ed ero così di cattivo umore che se anche l'avessi fatto sul mio quaderno di scrittura sarebbe venuto fuori un disastro. ma bando alle ciance. buona lettura e mi raccomando alle recensioni.
vi aspetto come sempre alla fine del capitolo nell'angolo dell'autrice.



















CAPITOLO 27 - Monkeys and little rabbits
P.O.V. Kristen

Ero stanca, come se avessi fatto il giro del mondo a piedi senza mai fermarmi, ma paradossalmente sentivo che avevo dormito abbastanza per i miei ritmi, ed il mio corpo premeva per restare sveglio e rimettersi in moto al più presto.
Aprii dunque gli occhi e mi ritrovai in una stanza d'ospedale, con un ago conficcato nel mio braccio sinistro ed una flebo di chissà cosa collegata ad esso. Ovviamente ricordai in un istante perché fossi lì; mi senti immediatamente meglio e le mie labbra si distesero in un sorriso astatico e beato, e tutte le mie ossa a quel pensiero ripresero vigore. Volevo, anzi dovevo vederla.
La mia creatura era nata, ed era una splendida bambina.
A dir la verità, non è che la ricordassi nitidamente.
L'avevo vista e avuta tra le mie braccia per pochi, brevi istanti, giusto il tempo necessario a realizzare che quello non era un sogno, ma la più bella delle realtà, ed il mio ventre sgonfio ora ne era una prova inconfutabile; ma poi, altrettanto rapidamente me l'avevano portata via, quasi con violenza, ai miei occhi, per i controlli dei primi minuti. Non ebbi la forza di protestare, sfinita dalla fatica del parto, soprattutto se quei controlli erano davvero importanti per la sua salute, ma ero rimasta interdetta e contrariata dal modo in cui presero la piccola, quasi strappandola al nostro momento madre-figlia. Sapevo che avremmo avuto tutta una vita davanti per recuperare, ma era un momento così speciale quello, il primo tutto nostro, che sprecarlo mi sembrò una blasfemia.
Ma dovevo essermi addormentata prima che me la portassero di nuovo e quindi, per consentire un riposo migliore e una ripresa più rapida da parte mia, avranno pensato che fosse il caso di lasciarla nel nido, insieme agli altri neonati; voltandomi, infatti, non trovai la culletta come avevo visto, durante le mie visite, nelle altre stanze del reparto.
L'avevo vista per pochi secondi e tutto ciò che ricordavo di lei era un batuffolino piccolo e paffuto avvolto in un telino verde, tutta sporca e già con delle guanciotte leggermente arrossate. Le manine erano chiuse a pugno, quasi a voler protestare per tutto il trambusto ed il baccano che l’avevano accolta, e gli occhietti chiusi, serrati mentre piangeva, accecati dalla luce dei neon che erano accesi nella stanza. Persino quando l’appoggiarono al mio petto, nella tranquillità che i battiti del mio cuore le infondevano, aveva continuato a tenere chiuse le palpebre, seppur rilassate, la mia piccola dispettosa. Non avevo quindi potuto vedere quale fosse il colore dei suoi occhi, la cosa che prima di tutte avrei voluto conoscere di lei. Probabilmente si era divertita a nasconderli, perché tante volte le avevo confidato, mentre eravamo da sole, che avrei voluto vedere sua padre nei suoi occhi, e l’avevo spronata a impegnarsi in questo. O chissà, lei e suo padre forse si erano già alleati contro di me, ed aveva i miei occhi.
Ora che la parte più dura era passata avrei dovuto pensare ad un nome da darle: l’avevo tenuta con me talmente poco, che i miei vaghi ricordi di lei non potevano aiutarmi a trovare un nome che le si addicesse. Ero sicura, inoltre, che avrei dovuto tenere a bada Robert che, preso dall’euforia del momento, avrebbe potuto sfoderare, ne ero certa, i nomi più strampalati ed improponibili. Ecco perché dovevo assolutamente vederla.
Già, Robert. Era lì accanto a me, accucciato e appisolato in una poltroncina di pelle, di fianco al mio letto. Dalla luce che filtrava nella stanza dalla finestra, si poteva indovinare che era una mattina calda ed assolata a Londra, e dunque Robert era rimasto tutta la notte accanto a me, perché ancora indossava gli abiti con cui mi aveva accompagnata in ospedale, e aveva un faccino a dir poco sbattuto. Le occhiaie erano decisamente marcate, la barba incolta ed ispida era ancor più accentuata dalle righe che, a causa della cerniera del cuscino, gli erano rimaste stampate sulla guancia. Dormiva profondamente, con la bocca leggermente aperta, raggomitolato su una poltroncina troppo piccola per lui, e immaginavo che si era opposto con tutte le sue forze alle palpebre che scendevano sui suoi occhi a chiudersi, perché nei suoi sogni di futuro padre c’era quello di non perdersi un minuto di quella veglia, ma soprattutto del mio risveglio, quando sarebbe stato lì ad accogliermi, magari un po’ assonnato, ma sorridente. Avrei rispettato questo suo piccolo desiderio, e avrei fatto attenzione a farmi trovare con gli occhi chiusi, ad un suo minimo accenno di risveglio.
Sul comodino la radiosveglia segnava le 9 del mattino di giovedì primo luglio 2010.
Ricordavo vagamente il ginecologo annunciare la nascita della piccola, la sera prima, avvenuta alle 23.45. La mia piccola ci aveva giocato un bello scherzo: era nata agli sgoccioli del 30 giugno, il giorno in cui Eclipse usciva nelle sale. I fan, ne ero sicura, sarebbero andati nel delirio più totale. Avevo dormito per nove ore di fila e per tutto quel tempo Robert era rimasto al mio fianco. Non mi stupì che avesse un’espressione tanto sbattuta.
Nel frattempo, per non fare rumore e rischiare di svegliarlo, diedi uno sguardo veloce ma attento alla stanza. Non era fredda e asettica come tutte le degenze ospedaliere, bianche e spoglie, ma, al contrario, era calda ed accogliente, le pareti dipinte di fresco con un rosa salmone, quasi arancio ed il mobilio nuovo e familiare. Avevo scelto quella struttura proprio perché, oltre alla professionalità del suo personale e alla grande riservatezza, garantiva anche quell’atmosfera serena ed informale, che sembra di essere in casa anziché in una clinica, seppur extralusso.
Alla mia sinistra, sul lato di ingresso nella stanza, su di un comò sobrio ed elegante in legno, erano stati posizionati diversi vasi con bouquet di fiori coloratissimi, degni dell’estate inoltrata ed alcuni peluche di orsacchiotti e paperotti sbucavano qua e là, nel poco spazio che era rimasto per loro sul ripiano; erano uno più dolce dell’altro, e già immaginavo la mia bambina giocarci ed io davanti a lei come la più tipica mamma isterica attenta perché li mettesse in bocca.
Notai poi che all’angolo tra il letto ed il mobile c’erano dei palloncini ad elio colorati, a forma di cuore; probabilmente alcuni erano stati portati da casa mia dove la festa era stata interrotta proprio sul più bello, altri invece erano nuovi di zecca: oltre ai classici AUGURI, W LA MAMMA, BENVENUTA ce n’era uno, che settava sugli altri, ed era stato messo in prima linea: TI AMO, c’era scritto. Una sola persona poteva averlo portato, ed in quel momento era lì accanto a me.
A seguito della nascita della piccola, avevo scoperto, con mia enorme sorpresa, quanto il cuore di una donna, possa essere colmo d’amore. Non avevo, infatti, diviso il mio amore tra lei ed mio marito. Al contrario, invece, questo amore si era raddoppiato, triplicato anche, e sentivo che il cuore poteva contenerne tanto altro.
Amavo la mia bambina pur avendola vista anche solo pochi secondi, ed amavo Robert, perché nelle sue paranoie, nelle sue paure, nei suoi complessi, era sempre al mio fianco, sempre.
“Kris …” un debole sussurro alla mia destra mi fece capire che Robert si era risvegliato.
Mi voltai verso di lui e notai che  da sveglio sembrava ancor più stanco di quando era addormentato. In più, sul suo volto, notai una vena di preoccupazione che, calmo, non aveva nel riposo. Allungai verso di lui il mio braccio destro, che non era braccato dal deflussore della flebo, con quel poco di forza che i muscoli mi offrivano, e lui non si fece attendere più tanto; mi strinse forte la mano con le sue, sempre calde e delicate, attente a me come fossi un prezioso vaso di porcellana francese. Si alzò dalla poltrona e si portò a sedere sul letto, di fronte a me. Sempre tenendo con una mano la mia, portò l’altra sulla mia guancia, riscaldandomi con una sua carezza fin dentro l’anima; con un suo sguardo, struggente e profondo, attento al più piccolo dettaglio del mio volto, uccise le ultime forze che avevo. Era possibile che non abituarsi mai al suo modo straordinario di prendersi cura di me, alla sua maniera gentile e sensuale di amarmi ogni secondo? Sì, scoprii decisamente che lo era.
Era rimasto in silenzio, mentre mi scrutava, e finalmente, seppur flebile e quasi strozzato da singulti interiori, che i suoi occhi non potevano celare, mi disse: “Amore mio … sei bellissima!”
Io arrossii immediatamente alla sua dichiarazione, sconvolta dalla commozione che l’aveva accompagna, e scostai il mio viso per nascondere la vergogna ed il rossore, ed anche le lacrime che iniziavano a venire fuori. La sua era certamente un’opinione di parte, in più era stato sicuramente indulgente perché l’equilibrio emotivo post-partum di una donna è notoriamente precario, ma sapevo perfettamente quanto fosse menzognero. Mi ero vista poco prima, seppur di sfuggita, nel piccolo specchio da toeletta che avevano messo su comodino di fianco al letto, e avevo visto riflessa la peggiore delle Kristen mattutine: alone nerastro sotto gli occhi, puntini lentigginosi tutt’attorno le guance e sul naso e la punta del naso e le narici rosse come se avessi una brutta febbre da fieno.
“No, non è vero!” mugugnai, lamentandomi scherzosamente della sua bugia.
Lui sembrò divertito dalla situazione e continuò ad accarezzare il mio volto, scendendo fino al collo e aprendosi finalmente in un sorriso più rilassato.  “È così … davvero … sei bellissima!!!” non potei in alcun modo protestare, e sinceramente nemmeno mi interessava tanto, perché si avventò con foga sulle mie labbra, a dover sfogare una tensione inspiegabile, repressa per troppo tempo. Non capii. Quasi si allungò su me, cingendo i miei fianchi ed il mio fisico, ricordandomi che avevo partorito da poche ore, protestò con una fitta sul ventre. “mmmh! Noo!!” fui costretta a lamentarmi, con un fremito strozzato in gola dalle sue labbra che premevano ancora sulle mie. Si staccò repentinamente, guardandomi con timore di aver commesso chissà quale grave errore.
“Come stai?” si rivolse a me, preoccupato.
“Sto bene” risposi, con sollievo, per il dolore scomparso rapidamente.
“Sicuro?” non mi credeva, sapeva che tante volte per non preoccuparlo avevo celato i miei malesseri. Non avevo però motivo di mentirgli e dunque risposi, onestamente: “Sì. Stanca, ma bene!” restammo immobili per alcuni secondi, a guardarci negli occhi. I suoi erano ancora agitati, sconvolti dalla grandezza dell’evento e cercai con i miei di rassicurarlo; non c’era ragione per avere paura, se restavamo uniti.
“Tu come stai?” gli domandai, retoricamente, ma non lasciai che mi rispondesse continuando a parlare “mi dispiace essermi svegliata prima di te ed aver rovinato il tuo sogno”.
Sorrise, mi  aveva capita al volo, come sempre; fece spallucce “oh, figurati, era solo una stupida fantasia …”. Sapevo che per lui era qualcosa di più: una dimostrazione, piuttosto, del suo amore per me, lui che amava stupirmi e dimostrarmi il suo sentimento nei suoi più minimi particolari, come i pittori manieristi nelle loro opere. Forse era al limite della mania, ma io lo amavo anche per questo.
“Mi dispiace anche che tu sia dovuto rimanere qui tutta la notte, potevi lasciare che fosse tua madre ad assistermi, so che ci teneva, e tu tornare a casa a riposare …”
“no, non potevo” mi interruppe, tornando serio. Proseguì: “ho rimandato tutti a casa perché qui non c’era molto da fare per loro, poi con i tuoi in arrivo volevo che ci fosse qualcuno ad accoglierli …”
“I miei sono qui?” domandai, felice.
“Sono in albergo ora, sono arrivati alle otto e sono corsi direttamente qui ma tu dormivi ancora così li ho mandati via … torneranno al prossimo turno visite” mi rispose tranquillo “tua madre, lo sai com’è fatta, voleva darmi il cambio con te, ma non potevo, non dopo stanotte …”
“Stanotte? Che ho combinato stanotte?” chiesi, più scherzosa che altro; tuttavia Robert non sembrava altrettanto divertito. Mi fissò negli occhi, tornando a sedersi alla poltroncina, con un espressione grave e di nuovo preoccupata “non è per te che ho passato la notte in bianco, Kris …” mi freddò.
Mi rifiutavo di comprendere, di realizzare ciò che il mio istinto materno aveva già elaborato. Cercai di tirarmi almeno a sedere sul letto, e Rob si precipitò ad alzarmi lo schienale. Lo bloccai immediatamente per un braccio e i nostri occhi si scontrarono per pochi secondi, perché lui distolse in fretta il suo sguardo, ma furono sufficienti quei brevi istanti a comprendere che i miei timori erano fondati.
“La bambina Rob? La bambina?” mi ritrovai, senza volerlo, ad alzare il tono di voce contro di lui. Robert non poté altro che annuire, passivamente ed esausto, prostrato per aver dovuto affrontare quella notte, terribile a quanto sembrava, da solo.
“Cos’ha la bambina?” la mia voce era rotta, mentre urlavo dei singhiozzi avevano infatti iniziato a spezzare il mio respiro in gola e, per quanto cercassi di respingerlo, il pianto si faceva prorompente ad ogni secondo che passava.
“Subito dopo la nascita ha avuto una crisi respiratoria … i suoi polmoni sono ancora immaturi …”
Non potevo crederci. Sapevo che sarebbe stata piccolina e sicuramente più debole del normale, dato il parto prematuro, ma non immaginavo che le condizioni potessero essere tanto peggiori. Dio, che madre ero da non essere riuscita a crescere mia figlia nel mio grembo? Perché non ero stata attenta quando il medico non aveva fatto altro che raccomandarsi? Perché, Dio, perché?
Non ero mai stata una persona dalla fede solida e praticante eppure non riuscivo a fare altro che interpellare a Dio sul perché di quella sofferenza, di quel dolore tanto grande inflitto ad una creatura così piccola ed indifesa; se mi ero comportata male, perché allora non aveva punito me, e si era invece accanito sulla mia creatura?
Non conoscevo l’entità della crisi, né le conseguenze, ma i pensieri più brutti affollarono in un istante la mia mente, portandomi quasi uno stato di shock, ma sicuramente ad una crisi di pianto e nervi.
Iniziai ad urlare: “Voglio vederla Rob! Fammela vedere! Voglio vedere la mia bambina!!!” lui, impotente, tratteneva a stento delle lacrime che per pietà, amore e frustrazione condivideva con me  e tentava di calmarmi come meglio poteva. “Calma Kris, devi stare calma, sei ancora molto debole!” Nei suoi occhi rividi le mie paure, il mio smarrimento, le stesse domande che stavano affollando la mia mente, e capii che davvero era impotente in tutta la questione e che, se avesse potuto, avrebbe dato se stesso per far terminare quell’inferno. Ma non riuscivo a darmi pace.
Una piccola equipe medica e paramedica entrò nella stanza di corsa a tentare di calmarmi e solo dopo mille preghiere e carezze di Robert riuscii a placarmi ed evitare dei tranquillanti che avevano già preparato da introdurre direttamente in vena. Sarebbero stati un biglietto di sola andata direttamente per il mondo dei sogni e non volevo assolutamente che accadesse; dovevo accertarmi con i miei occhi che la situazione, come sostenevano i medici, non fosse poi così grave, dovevo vedere mia figlia.
Mi aiutarono a salire su una sedia a rotelle, i miei muscoli non erano ancora così rinvigoriti da permettermi di camminare da sola, per lunghi tratti e venni accompagnata, da un infermiera, insieme a Robert, nel reparto di neonatologia dell’ospedale. Mi fecero indossare un camice e la cuffietta per i capelli. Mentre entravo nel piccolo reparto, seduta in carrozzella, scorgevo a malapena, dalla mia altezza, tutte le culle termiche che contenevano tutti quegli scriccioli. Erano uno più piccolo dell’altro e sembravano così beati mentre riposavano, ma la loro quiete e innocenza celava la malattia, la sofferenza, il dolore. Mi chiedevo se nelle loro memorie sarebbe rimasto un ricordo, seppur inconscio di quei momenti; speravo ardentemente che fosse l’oblio ad occuparsi di quei giorni.
Ci fermammo davanti ad una culla, e sul lato c’era scritto baby Pattinson – Stewart. Non aveva un nome, e non volevo che fosse la fretta e il terrore di perderla a costringerci a sceglierne uno: baby Pattinson - Stewart suonava bene, al momento. Volli alzarmi, testarda, per poterla vedere meglio e Robert mi aiutò, cingendomi i fianchi ed io mi sorressi sulle sue grandi spalle.
Eccolo il mio angelo. Era sveglia, e sperai che lo fosse perché in attesa di rivedere la sua mamma. I suoi grandi occhioni era finalmente aperti, sgranati ed erano blu. Blu, come l’oceano più profondo, come gli zaffiri più rari. Dio ti ringrazio! Almeno questo regalo me l’hai fatto …
Rapita da quello sguardo così sveglio, vispo ed anche ammaliante, così simile a quello di suo padre, quasi non mi curai del resto. Ma fui costretta a far fronte alla realtà più cruda. A parte il pannolino,e la medicazione che le copriva il moncone del cordone ombelicale, la bimba era completamente nuda, e sul suo petto, così piccolo, che si alzava e si abbassava con grande rapidità, come se avesse fame d’aria, erano stati attaccati tre piccoli elettrodi che controllavano i battiti del suo cuoricino. Ad uno dei piedini un altro cerottino collegava la bimba ad un’altra apparecchiatura ed, al suo nasino, erano stati posti i tubicini per l’ossigeno.
Eppure non si lamentava, sopportava in silenzio tutte quelle torture ed i suoi occhietti, così giovani, ma già così intelligenti, mi imploravano solo di porre fine a tutto questo.
Si avvicino a noi un medico, che supposi essere il neonatologo che si occupava della piccola, dal modo in cui Robert si era approcciato a lui.
“Dottore, lei è mia moglie …” gli comunicò.
Senza battere ciglio, mi si avvicino e con un gran sorriso, che non mi aspettavo date le circostanze, mi posò un braccio sulla spalla, accarezzandomi leggermente la schiena, a darmi coraggio.
“Lo capisco signora, che vedere la piccola così le fa paura … o comunque le fa male, ma se le dicessi che la sua bambina è quella che sta meglio, mi crederebbe?” restai interdetta dalle sue parole, non potevo credere che la bambina non fosse poi così grave. Allora perché aveva tutti quei macchinari addosso? Certo, mi  faceva male saperla costretta lì, e non tra le mie braccia, e sapevo che faceva male anche a lei stare lontana dalle braccia dei suoi genitori.
“ma … la crisi?”
“La crisi respiratoria l’abbiamo gestita molto bene, ma del resto eravamo preparati ad un’eventualità simile. È troppo piccola ed i suoi polmoni non erano completamente maturi, nonostante fossero ormai formati. Comunque ora l’emergenza è rientrata; stiamo sottoponendo vostra figlia ad una terapia con il Surfactante, una sostanza che permette ai polmoni di lavorare e che lei non produce ancora in quantità sufficienti. Ma presto lo farà …” sorrise, guardando la piccola “e siamo abbastanza fortunati perché la sua bambina è anche più grande del normale per la sua età gestazionale, è 2 chili e 100 grammi, una rarità per un neonato di sette mesi. Questo ci fa ben sperare per una sua ripresa precoce”
Mi sentii come svuotata da un macigno e quasi mi sarei stesa per terra se Robert non mi avesse sostenuta da dietro. Non che avessi capito molto dei grandi e troppo tecnici paroloni che il medico aveva usato, ma alcune di quelle cose mi erano rimaste impresse nelle mente e non facevano altro che riecheggiare rimbombanti ed io non potevo che aggrapparmi a quelle a più non posso, sperando con tutta me stessa che non fosse un sogno.
“Ehi, tesoro, stai bene? Vuoi sederti un po’?” si affrettò a chiedermi Robert, concitato, tenendomi stretta a sé più che poteva.
“Sto bene, sto bene. Sono tutte queste emozioni tutte insieme … adesso mi passa”
Mi rimisi in piedi correttamente e da sola, con Robert che mi vegliava e mi stava vicino. Mi avvicinai più che potevo alla culla termica finché il freddo del vetro non mi ricordo che oltre quel limite non potevo andare. Vedere mia figlia così vicina, ma così fragile da non poter nemmeno toccarla, e questo chissà per quanto tempo, mi fece sprofondare di nuovo nella disperazione. Sarebbe andato tutto bene, me l’avevano assicurato, ma io non avrei tollerato quella situazione troppo a lungo. Appoggiai la mia fronte sul vetro dell’incubatrice. L’infermiera, che per tutto quel tempo era rimasta con noi mi si avvicinò discreta. Ho sempre pensato che fossero loro i veri angeli in ospedale: stanno nelle retrovie, non si prendono mai il merito per il loro lavoro, ma ci sono sempre quando hai bisogno di loro. Senza grandi gesti, né parole, aprì due piccoli oblò nella culla e mi invitò ad introdurvi le braccia. Avrei potuto stringere la mia piccola, almeno finché il mondo esterno non fosse stato abbastanza caldo per lei, e mantenere la temperatura del ventre materno non fosse più così importante.
La vedevo con i miei occhi, era piccolissima, al massimo 45 cm, eppure prendendo le sue manine tra le mie mi resi davvero conto di quanto fosse piccina. Con le mie mani, facendo attenzione più che potevo accarezzai la testolina e lei, a quel contatto, chiuse gli occhi, aprendo la boccuccia in uno sbadiglio, troppo grande per il suo visino minuto. Aveva una leggera peluria, che sapevo ben presto sarebbe caduta per far posto ai capelli veri, di certo biondi come quelli del suo papà.
“Ciao amore della mamma!” le sussurrai, cantilenando, come in una ninna-nanna “ma come sei bella amore mio!” nonostante fosse davvero piccola era davvero bella, ed immaginai che appena avesse preso un po’ di peso sarebbe diventata stupenda, la più bella bambina del pianeta.
Al suo della mia voce si ridestò dal sonno che stava per rapirla e sbarrò di nuovo gli occhi, come se volesse prolungare il più possibile il contatto con la mamma, che in quella prima notte della sua vita, le era mancato.
“Guarda che occhioni!!!” esclamò Robert, incantato davanti a sua figlia.
“Che ti avevo detto che sarebbero stati come i tuoi?” incalzai io, in un’atmosfera decisamente più rilassata.
“L’hai corrotta per sette mesi e mezzo, non vale!!!” scherzò lui, divertito “… la mia scimmietta!!!”.
Mi voltai di scatto verso di lui, esterrefatta. Sapevo che ne era capace, ma non potevo tollerare che mia figlia ricevesse quel soprannome, soprattutto da suo padre.
“Come l’hai chiamata scusa?” gli chiesi. “Scimmietta” rispose lui, senza mezzi termini, convinto della sua posizione; certamente non aveva capito con chi aveva a che fare.
“Tu mia figlia non la chiami scimmietta!!!” gli intimai “al posto suo mi sentirei offesa, non è vero piccola?” continuai, stringendole le manine, chiedendole un appoggio che ero certa non mi avrebbe rifiutato, nel nome della complicità femminile. Speravo non avesse avuto già un incontro ben ravvicinato con suo padre, innamorandosene come accade a tutte le donne, perché altrimenti non l’avrei avuta vinta così facilmente. Lei continua a guardarci, sicuramente spaesata, ma felice e serena, così come i macchinari ci dicevano con i loro beep costanti.
“E come vorresti che la chiamassi, sentiamo?” mi sfidò Robert, appoggiato col braccio sul tettuccio dell’incubatrice, in posizione di sfida.
Ci pensai un attimo, guardando attentamente la piccola che sotto le mie carezze andava lentamente addormentandosi. Si era girata su un fianco, leggermente rannicchiata, per quanto gioco le concedessero tutti quei fili.
“Be’” risposi “a me ricorda piuttosto un coniglietto … e poi i conigli sono anche più dolci delle scimmie”
“Sarà …” continuò Rob, scettico, tuttavia arrendendosi alla mia scelta, nascondendo poco velatamente la delusione per la sconfitta “ma a me ricorda più una scimmietta …”
La piccola si era finalmente addormentata, nonostante il battibecco, seppur scherzoso e a bassa voce, che io e Robert avevamo avuto. Era ora di andare, anche se avrei voluto mettere le radici in quella stanza e non andarmene finché non l’avesse lasciata anche lei, ma le regole erano ferree anche per noi genitori e, finché non avessi iniziato ad allattarla e le sue condizioni fossero rimaste tranquille e stazionarie quali, per fortuna, erano.
Prima di andarmene lasciai all’infermiera un cappellino leggero di cotone, che aveva delle orecchie in punta, da farle indossare. Capivo che la tutina potesse essere scomoda per il lavoro degli infermieri intorno a lei ma, almeno un cappellino, un qualcosa che avevo preparato per lei, volevo lo avesse.
Uscendo dalla sala, lanciai un’ultima occhiata verso la vetrata del corridoio, da dove si vedevano tutte le cullette. Nonostante la cameretta fosse leggermente in penombra distinsi immediatamente il nostro scricciolo: dormiva, paffuta, beata, come un piccolo angelo assopito. Il suo braccino era proteso verso il vetro, e immaginai, sperai, che stesse sognando la sua mamma ed il suo papà, ancora lì con lei, dall’altro lato dell’oblò. Ero felice, nonostante tutto, e la sua serenità mi aveva ridato forza.
Sarebbe andato tutto bene.















ANGOLO DELL'AUTRICE


Allora, da dove cominiciare. Be', innanzi tutto scusandomi per il ritardo, ma ho avuto un bel week end impegnato.
Poi ringraziandovi per il seguito sempre numeroso, anche se mi piacerebbe davvero che e recensire foste molti di più. Sono curiosa di leggere pareri, sia negativi che positivi, di coloro che mai hanno recensito. Soprattutto perché questi capitoli, che come vi ho già detto sono i finali di questa storia, per me sono di fondamentale importanza.
Mi dispiace davvero non aver svelato il nome della piccola in questo capitolo, ma sarebbe stato troppo lungo se lo avessi fatto, per cui vi chiedo solo di avere un po' di pazienza,
Non credo ci sia molto da spiegare in questo capitolo, a parte che, per le parti mediche e infermieristiche ho cercato di mantenermi in un linguaggio più facile possibile, per far si che tutti possiate comprendere. Anche il modo di esprimersi di Kristen riguardo ad alcune parole di gergo medico ho voluto lasciarle su vago, come ad esempio per la flebo (che è semplicemente per reintegrare i sali persi) e tutti i "cavi" e i "tubicini" che lei vede attaccati alla bimba; ognuno ha un nome specifico, ma se stessi qui a spiegarvelo avrei scritto un capitolo di 12 pagine di Word. E a me non è questo che interessa. Voglio far passare le emozioni dei protagonisti. In questo momento e Kristen quella che le esprime più prepotentemente, ma ho deciso che nel penultimo capitolo lascerò spazio anche a Robert, eroe silenzioso degli ultimi 2 o 3 capitoli. Per qualsiasi domanda sono qui a vostra disposizione, lo sapete.
Passiamo ora, come sempre, alle risposte alle vostre recensioni:
rmarta: l'avete conosciuta ora la piccola, abbiate un po' di pazienza e avrete anche il nome. alla prossima
marty13__: mi dispiace che abbiate dovuto attendere così tanto, ma non è dipeso da me. Sì, è una bambina, e come vedi già è l'amore della sua mamma, ma soprattutto del suo papà tutto matto. personalmente non vedo l'ora di vedere BD per vedere come si comporteranno Rob e Kristen con una bambina tra le braccia, anche se aspetto con ansia il giorno in cui avranno, si spera un bambino tutto loro.
sidney90: era facile da immaginare il sesso della piccola, un po' di meno il suo nome, ma sapete che io adoro farvi tribolare, anche se forse a volte sbaglio. Robert io lo vedo così, e secondo me un po' ci ho preso. Fa il simpatico, il fifone a volte, ma nasconde una corazza bella forta che tira fuori solo nei momenti più importanti e al di là di ciò che si dice è quello che porta i pantaloni i casa Robsten.
prudence_78: Rob l'ama troppo per prendersela con lei, e ormai non sono più dei bambini, sanno distinguere bene l'entità delle cose, quindi Robert non potrebbe mai prendersela con Kristen per ciò che è successo, sa bene che non è colpa sua. Kristen è arrivata solo ora a maturare definitivamente, ed ha pagato un prezzo bello alto, ma si risolve tutto, stai tranquilla. e nn mi sento affatto di condannarla per le sue scelte, anch'io le avrei fatte. come dici tu fanno casino in due figurarsi in tre: è proprio per questo che per spezzare un ritmo così drammatico ho scelto la scenetta dei soprannomi in questo capitolo, spero non sia troppo breve.
La Francy: non ti perdono...sei stata tra le prima a leggere e quasi l'ultima a recensire...come non ti vergogni??? scherzo!!! sono contenta che ti sia piaciuto, ma a te posso dire poco visto che quasi sempre sai cosa accade, prima che lo pubblico, anche se ora ti lascio anche a te parecchio nascoste le idee... robert parlerà presto, stai tranquilla
Enris: c'ho dovuto pensare parecchio a questo titolo, non volevo niente di scontato, niente di troppo tradizionale ed ecco che spuntano fuori quelle due lettere dell'alfabeto greco...principio e fine, nella spiritualità...be' i dubbi sono legittimi, servono a portarti in questo capitolo. ti ringrazio per la recensione dettagliata e per la tua costanza...meriteresti un premio per questo!!!



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Capitolo 28
*** What's in a name? ***


The best day - capitolo 28
Salve a tutte!!! Come state? Io bene, più o meno. Ho saltato l'appuntamento con la vostra, spero, FF preferita lo scorso week-end perché sono stata particolarmente impegnata, ed il tempo per scrivere l'ho trovato solo la sera scorsa. Ed eccomi qui a pubblicare un capitolo nuovo. Finalmente, direte voi!
Non vi lascio penare oltre e vi ricordo, dopo la lettura, di passare a dare una sbirciatina all'angolo dell'autrice a fondo pagina e agli indirizzi che vi do ogni volta.
Mi raccomando RECENSITE!!!! e, come sempre, BUONA LETTURA!!!!






CAPITOLO 28
WHAT'S IN A NAME? - P.O.V. Kristen



Che cos'è un nome? Quella che chiamiamo "rosa" anche con un altro nome avrebbe il suo profumo.
(William Shakespeare, Romeo e Giulietta)

Rientrati in stanza mi risistemai per bene sul letto. Odiavo starci perché non era il mio, era piccolo e scomodo ma soprattutto perché le lenzuola non profumavano di Rob. Nonostante tutto non potevo lamentarmi: era lì, vicino a me. Dopo avermi messo a letto si era seduto di nuovo sulla poltroncina accanto al letto, certamente più rilassato di quanto fosse al mio risveglio, potendo condividere il fardello della piccola con me.

Era stanchissimo, glielo leggevo in ogni poro della sua pelle, in ogni espressione, in ogni sguardo che a fatica tentava di rimanere vigile ed attento.
Buttò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, coprendoli alla luce che entrava nella stanza con gli occhi. Era rimasto sveglio troppo a lungo, ormai erano quasi 48 ore che non vedeva un letto e non potevo tollerarlo.
“Vai a casa!” lo spronai, ma lui, imperterrito, scosse la testa e rivolse di nuovo a me il suo sguardo e le sue attenzioni “Tu e la bambina venite prima di tutto” mi disse “il resto può aspettare.”
Non potei che essergli grata per quelle parole, mi facevano capire una volta di più quanto ero stata  fortunata ad averlo, e quanto sarebbe stata fortunata la nostra bambina ad averlo come padre: sempre presente, attento, premuroso; il meglio che si possa chiedere.
“Ma cosa me ne faccio io di un marito accanto a me, se si addormenta in piedi?! E cosa se ne fa la piccola …” ribattei. Non volevo cedere; così come a lui io stavo a cuore, così io tenevo a lui, nella stessa misura. Doveva staccare la spina per un po’ di ore, lasciarsi i problemi alle spalle, e tornare ad una vita più facile, almeno nell’universo onirico.
Ma lui era un mulo, non si arrendeva così facilmente. E se non avessi lasciato correre, probabilmente saremmo andati avanti con quella discussione per ore. Anche perché, forse, egoisticamente, volevo saperlo lì al mio fianco, anche appisolato. Lui era la mia roccia, anche con i suoi difetti, anche con le sue paranoie o i suoi momenti di totale follia. Ma a lui, e a lui solo potevo appoggiarmi, nessuno mi avrebbe capito e sostenuto come lui. Nessuno.
A tutto questo aggiunse una giustificazione che mi sembrò essere anche abbastanza valida: “Non posso andarmene ora. Abbiamo così tanto da fare! Ti ricordo che nostra figlia non ha ancora un nome …”
Con tutta la confusione del mattino, le cattive notizie, le crisi, le lacrime ed infine la speranza, non avevo  potuto, né obbiettivamente voluto, ritagliarmi un momento tutto per me, in cui stare in silenzio, pensare a lei, e trovare il nome che più me la ricordasse.
Ora che l’avevo conosciuta, l’avevo stretta a me, seppur attraverso un vetro freddo, non c’era nessun nome che trovassi adatto, nessuno che parlasse di lei.
Tutti i nomi che avevo letto nei libri per settimane, sembravano essere obsoleti, ovvi, troppo comuni. Volevo fosse speciale, volevo fosse unico, come lei lo era per noi.
“Non lo so Rob, non ho alcuna idea, non c’è niente che mi convinca davvero … penso e ripenso a tutti i nomi che avevamo vagliato, ma nessuno sembra abbastanza bello per lei!”
“Per forza Kris” rise Rob “ti assomiglia così tanto che niente è bello se paragonato a voi!!!”
Arrossii miseramente. I miei ormoni erano già abbastanza in subbuglio, anche senza il suo intervento … ora, aiutati da quel sorriso mozzafiato, erano proprio partiti per la tangente. Ogni volta che si lanciava in quei complimenti così innocenti e al tempo stesso sensuali, grazie alle sua voce intensa, roca e profonda, mi sembrava di tornare indietro di secoli, quando si divertiva a destabilizzarmi con commenti piccanti ed impertinenti davanti al mio allora fidanzato Michael. Io non potevo fare a meno di arrossire e iniziare a fantasticare su lui, Michael andava su tutte le furie, e lui, divertito, sogghignava sotto i baffi per gli affondi per riusciti.
Tornata al mondo reale risposi al suo affondo, cercando di non far trasparire quanto mi aveva colpito ciò che aveva appena detto. “E comunque” gli dissi, evitando di ammiccare troppo spudoratamente “gli occhi sono tutti del suo papà … quindi sappiamo chi incolpare se le persone inizieranno a cadere ai suoi piedi ammaliati”. Colpito e affondato, pensai, lui che aveva sempre sostenuto che il piccolo avrebbe avuto i miei occhi.
“Non è detta l’ultima parola” rispose, in tono di sfida “è noto che i bimbi alla nascita hanno gli occhi di una tonalità molto simile al blu … poi cambiano nel corso delle settimane. Quindi non mi sorprenderei se una mattina svegliandoci la trovassimo a sorriderci con dei bellissimi occhi verdi”
Aveva sempre detto che leggere quei libri sulla gravidanza era solo uno spreco di tempo e denaro, eppure dimostrava ogni giorno di più di essere molto più preparato di me sull’argomento. Ne ero vagamente gelosa, ma poi pensai che lui non poteva contare su qualcosa che a me veniva direttamente dal corredo genetico: l’istinto materno. Ed è per questo, probabilmente, che voleva rimanere al mio passo, compensando con quanto il mondo aveva da offrirgli.
Lo guardai di sottecchi, dimostrandogli che avevo capito delle sue letture clandestine di manuali sui bambini, ma la verità è che questo suo lato da mammo, mi faceva morir dal ridere.
In ogni caso, l’immagine che aveva evocato, mi sciolse completamente il cuore, e gli ultimi ormoni che mi erano rimasti, ancora convalescenti dalle battaglie perse col suo charme, alzarono bandiera bianca e chiesero clemenza. Tuttavia, nella mia mente l’immagine era un tantino differente: al mare, in una calde estate mediterranea. Immaginavo lui che stringeva tra le braccia la nostra creatura, ormai di 6 o 7 mesi, mentre la dondolava dolcemente tra le onde rade e leggere della riva, con l’ acqua limpida e fresca che le bagnava i piedini e lei ad ogni contatto con la spuma del mare dimenava i piedini, un po’ felice e curiosa, un po’ spaventata dalla novità. E poi arrivo io, dalla battigia, e Rob che le dice: “Amore, guarda chi c’è?! La mamma!”. Lei alza il suo visino paffuto, le guanciotte rosse per il sole ed il calore, riccioli biondi che le incorniciano un volto senza difetti. E lì il miracolo più bello: non appena mi riconosce, tra la folla della spiaggia, si apre in un sorriso come non ce ne sono altri al mondo, le sue manine corrono verso di me, impazienti di ritrovarsi tra le mie braccia ed i suoi occhi che sorridono con lei. I suoi occhi, di un azzurro limpido come il mare ed esattamente identici a quelli di suo padre.
“Staremo a vedere …” replicai, cacciandogli una bella linguaccia. Avrei vinto io, ne ero sicura.
 “Rob” gli dissi poi, seria “vorrei che tu sapessi quanto mi dispiace di aver creato questa situazione”. Volevo lo sapesse; forse più per me stessa che per lui, per liberarmi da quel peso che mi opprimeva dentro, e scaricarmi dalla colpa, per poter iniziare il mio cammino di buona madre senza la macchia del giorno in cui ho messo al mondo la mia bambina. Lui, al contrario sembrava non capire.
“Avrei dovuto stare attenta, sentire le tue raccomandazioni, seguire le indicazioni del medico. Non so cosa mi sia preso. Forse … forse pensavo che a fare di testa mia non avrei cambiato nulla, ed invece …” nel frattempo, senza che potessi fare qualcosa per controllarle, le lacrime avevano iniziato a rigare il mio volto, dapprima lentamente, via via sempre più copiose, e la voce di fece sempre più alterata, strozzata da singhiozzi che volevo ricacciare dentro, ma invano. Perché mi dimostravo sempre maledettamente debole e piccola di fronte a lui? Perché davanti a lui tutte le mie miserie venivano fuori, prepotenti? Non ero io, secondo tutti, l’uomo di casa?
No, ognuno rispettava i suoi ruoli, con i pro e i contro di ogni situazione. E non mi vergognavo di essere così davanti a lui, era l’unico per me, l’unico a cui avessi aperto il mio cuore e mostrato la mia anima, l’unico che le avrebbe custodite. Non potevo vergognarmi davanti a lui.
Si avvicinò a me, con la pazienza di un santo, si sedette sul letto, di fronte a me, prendendo tra le sue mani il mio volto, e asciugando quelle lacrime con i pollici delle sue mani. Mi gettai a capofitto sul suo petto, la mia roccia, il mio appiglio,e lasciai che si prendesse cura di me, perché volevo ancora essere solo la sua piccola donna, oltre che la madre di sua figlia.
“Shhh …” mi sussurrava all’orecchio, accarezzando i miei capelli, e stringendomi forte a sé, lasciando che, nonostante il caldo di un assolato luglio, il suo cuore riscaldasse il mio, ed i suoi battiti mi tranquillizzassero con il loro ritmo costante.
“Quello che è successo, non è colpa di nessuno” mi disse, sincero e tranquillo “si vede che doveva andare così e basta, è inutile pensarci ancora … e poi ora si sistemerà tutto, hai sentito anche tu il medico cosa ha detto il medico, basterà avere solo un po’ di pazienza”.
Lasciai che continuasse a cullarmi, nulla poteva calmarmi più di lui, nonostante intimamente temessi, come un’ombra perenne, che le sue fossero solo parole di contento.
Passammo il resto della mattinata tranquilli, in attesa di ricevere le visite di orde barbariche di parenti ed amici, godendoci quelle poche ore di silenzio attorno a noi. Lasciai che Robert durante il nostro parlare senza sosta si appisolasse, e senza dargli troppo peso, riprendevamo non appena i suoi occhi tornavano su di me.
Nella fatidica ora in cui le porte del reparto vennero aperte ai visitatori, la mia camera si riempi di gente e rumore, risate e chiacchiere confuse. La pila di pacchetti regalo andò innalzandosi sul tavolino ed i fiori e i peluche oramai non sapevamo più dove metterli. Ogni più piccola ombra era stata spazzata via dalla gioia che i nostri amici avevano portato e dalle attenzioni che i miei genitori mi donavano, celando ogni preoccupazione con una inaudita maestria. Ciascuno di loro dissimulava con grande abilità l’ansia per le condizioni della creatura con sorrisi assolutamente gratuiti e con le chiacchiere ed i pettegolezzi più futili.
"Mamma!!!" urlai di gioia, tendendole le mie braccia per lasciarmi abbracciare. "Tesoro mio!" contraccambiò lei. Ero diventata madre, ma per un attimo volli sentirmi ancora figlia, protetta nel suo abbraccio, sicura nel suo petto. Non smise di stringermi a sé, di accarezzarmi, baciarmi i capelli, nemmeno quando mio padre ed i miei fretelli si avvicinarono. Avrebbe voluto essere con me durante il parto, mi disse, o almeno in sala d'attesa. Anch'io avrei voluto saperla lì. Ma la piccola dispettosa aveva voluto diversamente ed ormai i giochi erano fatti, e ci godevamo quel dolce momento d'intimita, in una piccola bolla privata nella baraonda che affollava la stanza.
Mio padre riuscì a restarmi vicino solo dopo aver sfogato la sua razione di lacrime, per 5 sani minuti, fuori dalla stanza. L'avevo visto entrare, infatti, ma, dopo esserci scambiati un sorriso lo vidi cambiare espressione velocemente, per poi dileguarsi, senza che io potessi accorgermene, distratta degli scherzi e dalle battute dei miei fratelli. Finché non tornò accanto a me Robert e Taylor, mio fratello, si posero al mio fianco come una cinta muraria, uno abbracciandomi e l'altro stringendo e carezzando fraternamente la mia mano.
Erano tutti curiosi di vedere la piccola, nonostante l’unica foto che Rob era riuscito a farle prima che venisse trasferita in Neonatologia, avesse fatto il giro di tutti i cellulari in meno di un’ora probabilmente. Aiutati forse dal nostro cognome, o da un assegno a mo’ di donazione, questo non lo seppi mai, riuscimmo a fare uno strappo alla regola, e a concedere ad uno sparuto numero di famigliari, i più stretti, di vedere la piccola da vicino. Gli altri avrebbero dovuto accontentarsi di vederla dalla vetrata nel corridoio, lontana.
Mi rendo conto solo ora di quanta forza dovemmo munirci tutti i quei giorni, per riuscire a rimanere sereni di fronte a quella culla, con la piccolina attaccata a tutti quei monitor e ad un supporto per la respirazione. Avevamo tutti la perenne sensazione che tutto fosse sospeso, come in un sogno, e che presto ci saremmo svegliati, e la bambina sarebbe stata in una culla normale, nel nido, insieme a tutti gli altri bimbi. Ed invece lei era lì, insieme a tutti quegli altri piccoli guerrieri.
La rividi per la seconda volta quel giorno, ed era come se fosse la prima volta. Scoprii di lei altri particolari, altre piccole tratti peculiari che la rendevano sempre più nostra, la piccola baby Pattinson.
“Allora, che ve ne pare?” chiese Rob ai miei suoceri, un tantino frastornati. “È  una bambina bellissima” intervenne per primo mio suocero, abbozzando un sorriso, che tuttavia parve onesto “ siete stati molto bravi”
“... ed proprio vostra figlia” concluse per lui mia suocera “caparbia e tenace. Una piccola leonessa”.
Già una piccola leonessa, cacciatrice di professione, una combattente tutta artigli che si aggrappava alla vita con tutte le sue forze; noi l’avremmo sostenuta nella sua battaglia, sempre.
Mentre gli altri erano già usciti fuori, e noi ultimavamo l’aggiornamento dal neonatologo, nello stretto corridoio del reparto, davanti alla vetrata che separava la camera con le incubatrici ed il mondo esterno, una piccola figura stava ritta, con una mano appoggiata al cornicione del vetro: nonna Victoria, la nonna paterna di Rob. Guardava verso la bambina con amore, ma i suoi occhi mostravano, noncuranti ma almeno onesti, la tristezza che tutti gli altri mi avevano celato. Eppure trovavano ancora il posto per la speranza, perché non si staccavano un attimo da quella culla, e sembravano urlare, disperati “forza piccola! Continua a lottare!”
Mi avvicinai a lei, guardando ancora verso la mia bambina. Robert mi seguiva, sostituendo la mia ombra.
“È un gioiello, piccola Kristen. È il vostro gioiello più prezioso, Robert caro” si rivolse ad entrambi “e come tale dovrete trattarla. Richiede attenzioni particolari, precise. È la più fragile, e quindi dovrete porre molta cura in lei, e dovrete stare particolarmente attenti ma, statene certi, sarà la vostra gioia, il vostro motivo di vanto. Tutti ve la invidieranno e faranno la fila per goderne almeno un po’…”
Ero commossa, perché aveva rivolto il più dolce augurio alla mia bambina e ne aveva fatto il ritratto che era nella mia mente da sempre. Poi capii: era davvero lei, non poteva essere altrimenti.
She’s not a jewel” dissi, mentre lei e Robert mi guardavano, stralunati “She’s Jewell!” risposi ai loro interrogativi muti.
“Jewell? È così che vuoi chiamarla?” mi chiese Rob, ancora spaesato dalla mia decisione così repentina.
“Sì Rob” gli risposi “sono sicura che è quello giusto, è lei, il nostro gioiello più prezioso!!!”. Era stata una scelta improvvisa, dettata dall’istinto più che da una decisione posata, riflessiva. Ma avevo imparato a mie spese che gli eventi più importanti della mia vita erano un susseguirsi di improvvisazioni e momenti di puro istinto. Non avrei agito diversamente, neanche quella volta.
“Veramente io …” intervenne Rob, timidamente “avevo in mente un altro nome. Non che Jewell non mi piaccia” si affrettò a concludere “ma avevamo detto che sarebbero stati due, quindi pensavo potrebbe starci bene insieme …”
“E sarebbe?” gli domandai. In quel momento di sana euforia personale forse non era il caso di lasciar scegliere a Robert il secondo nome della piccola, perché avrei potuto accordargli di tutto.
“Io … io veramente avrei pensato a Catherine. suggerì, timidamente, temondo forse che io potessi rigettare la sua idea "Ho letto da qualche parte che significa pura e poi … c’è una persona a cui vorrei dedicarlo, senza la quale non sarei la persona che sono oggi, non avrei te, non avrei lei. È un modo per dirle grazie …”
Capivo benissimo a chi si riferisse. Cath, la nostra regista tutta matta, la donna che ci aveva scelti, anche solo per un film, fatti incontrare e, suo malgrado, fatti innamorare. Aveva ragione Rob, senza di lei, non saremmo stati mai quello che siamo; a lei dovevamo tutto, c’era poco da discutere su questo. E poi Catherine mi piaceva, era un nome molto nobile, elegante e decisamente inglese.
“E poi sono convinta che appena lo saprà inizierà a dare di matto, come al suo solito …” gli dissi, ridendo.
“Allora Jewell Catherine Pattinson? Giusto?” mi chiese Rob; io annuii sicura. “Suona bene, mi piace” rispose Rob, con orgoglio, altrettanto convinto che fosse la scelta giusta. Finalmente la piccola aveva un nome; ce ne avevamo messo di tempo ma ne avevamo trovato uno davvero bello.
“Ciao piccola Jew!” sentii salutare da Rob mentre uscivamo dal corridoio, rivolto per l’ennesima volta verso la vetrata, verso il nostro piccolo gioiello prezioso.
All’uscita trovammo tutti i nostri parenti ed amici ad aspettarci. Probabilmente era passato un bel po’ di tempo da quando erano usciti, senza che ce ne accorgessimo e dovevano essersi preoccupati per il nostro ritardo.
“Allora, novità?” chiese mio padre, come portavoce, con un’espressione ansiosa, che del resto lo accomunava a tutti i presenti.
Io e Rob ci scambiammo uno sguardo d’intesa e, rivolgendomi a mio padre, gli dissi, sorridendo : “Abbiamo un nome! … anzi no, due!”














L'ANGOLO DELL'AUTRICE

Innanzi tutto, mi preme spiegare che questo capitolo, nato piuttosto dal nulla, doveva originariamente essere collocato alla fine del capitolo precedente. Tuttavia, ho ritenuto più giusto dedicare un capitolo a sé alla scelta del nome, parte fondante dell'identita di una persona. Forse alcuni di voi rimarranno male per il fatto che mi sono discostata dal trend degli ultimi tempi, che vuole "Joy" come nome della piccola baby-Pattinson. Non che non mi piaccia, anzi. Il suo significato è molto profondo, e non nego che c'ho pensato, ma Jewell è sempre il nome che ho immaginato per lei, sin dagli inizi, ed era giusto portarlo avanti. Per chi non sapesse pronunciarlo, si legge "Giu-uell", più o meno XD.In inglese significa gioiello, solo che il nome ha una L in più rispetto al sostantivo, e non è un caso che io abbia voluto scriverlo in inglese per far notare la differenza. Per quanto riguarda il secondo nome, se ricordate avevo detto, in un capitolo precedente, che Kristen voleva un nome un po' più classico e British, accanto ad uno più moderno e particolare. Guardando gli MTV Movie Awards tempo fa, quando Rob ringraziò ancora la regista di Twilight, anziché il regista di New Moon, mi è venuta in mente questa idea. In fondo loro devono molto a Catherine Hardwicke, davvero. Avrei voluto farla comparire nel capitolo, ma mi sembrava che avrebbe stonato poi con il resto della storia. Allora, cosa dite, vi piacciono i nomi?
Ah, un'altra cosa. ad un certo punto ho inserito una fantasia che Kristen ha sulla bambina: vorrei chiarire che non si tratta di un flash forward, ossia di una scena ambientata nel futuro. infatti la piccola è nata il 30 giugno, quindi Kirsten non può immaginarla al mare, nel mediterraneo, a 6/7 mesi. è solo una fantasia di mamma. spero mi concediate un minimo di "licenza poetica" XD.
Poi, un altro argomento che mi sta a cuore: noterete che l'umore di Kristen è alquanto ballerino negli ultimi capitoli. Questo suo comportamento non ha nulla di strano, bensì ha delle basi specifiche ed un nome ben preciso:depressione post-partum. Adesso è solo un ombra, nei prossimi capitolil quelli che ci separano dall'epilogo, vedrò di affrontarla in maniera più seria ed approfondità.

@marty13
__: ti giuro, non avevo idea che il soprannome scimmietta potesse essere così gettonato.sono contenta che ti sia piaciuto e mi auguro che anche i nomi ti siano piaciuti. continua a seguirmi e a dimostrarmi il supporto con i tuoi commenti. alla prossima =)
@BabyVery: sentire le tue parole mi ha commossa. Far emozionare ci può stare, ma fino alle lacrime...non credevo fosse possibile. Sono contenta che le mie emozioni sia diventate anche le vostre, che ciò che volevo trasmettere vi sia arrivato. Purtroppo non sono immagini felici quelle che vi ho raccontato, ma cerco di farlo con la sensibilità di chi sa di cosa sta parlando; io conosco bene certe realtà di sofferenza, e so bene quanta
forza ci vuole. So che è necessario a volte mascherarla e addolcirla anche con una battuta o uno scherzo. spero tutto questo sia sta compreso. alla prossima =)
@rmarta
: sono felice che tu sia continuando
a recensire, significa tanto per me, al di là dei lunghi papiri o delle grandi considerazioni. ognuno mi da quel che può, e se lo fa col cuore, anche il poco basta ed è gradito. non amo perdermi troppo nei dettagli, anche se una buona descrizione è necessaria per farvi capire lo spazio in cui ci si trova, però bisogna, come in tutte le cose saper trovare equilibrio. spero, soprattutto per voi che leggete, che io ci stia riuscendo. credimi, dispiace anche a me che la storia stia finendo, non posso fare altrimenti, ma tu continua a seguirmi. alla prossima =)
@prudence_78:
è bello che tu abbia notato, forse la sola, anche quella parte:è vero ora sono in tre, ma non si smette mai del tutto di essere coppia.
Mi piace tantissimo quando la costanza della lettura ci porta ad avere, tra lettori e autori, un rapporto tanto speciale. io vi sto raccontando una storia e, visto che è in prima persona, è come se vi facessi una confidenza, come se vi raccontassi un segreto. il tuo chiamarmi tesoro sa tanto di amicizia, una amicizia che voglio onorare migliorando sempre la qualità del mio lavoro. credo, e spero, di riuscirci. ma senza il vostro supporto non potrei mai. grazie, alla prossima =)
@La Francy: ho tanto da farmi perdonare e tanto per cui ringraziarti. Vorrei dedicarti questo capitolo, in particolare la frase che nonna pattinson usa per descrivere la piccolina. Perché anche l'amicizia, in fondo, è un gioiello prezioso. Ti voglio bene =). kiss kiss
@sidney90: non ho voluto appesantire il capitolo con troppa tristezza e così p nata la scaramuccia tra i due per il soprannome, e mi fa piacere che sia stata gradita da tutti. Il momento in cui Kris vede la figlia per la prima volta mi ha dato modo di riflettere molto, soprattutto per il modo in cui dovevo presentarvelo, Nella realtà non poche persone soffrono un'esperienza simile, ho cerceto per quanto possibile di rifarmi al mio vissuto, alle mie esperienza. In fondo, in questa storia, c'è molto di me, più di quanto si possa credere. alla prossima =)
@twilighter97: siccome è la prima volta che recensisci, benvenuta!!! sono contenta che tu abbia letto anche Canto di Natale. Spero ti sia piaciuta, anche se il livello è molto più basso rispetto a questa  storia, per tanti motivi. Mi hai chiesto come faccio? Leggo tanto, scrivo e riscrivo fin quando non mi convince del tutto, e a volte non lo sono mai e sono costretta a pubblicare comunque. Ma è soprattutto una questione di cuore,il resto viene con l'esperienza. continua a seguirmi. Alla prossima =)
Non credo ci sia molto altro da dire, spero di essere riuscita a comunicare ciò che volevo dire, senza annoiarvi ma senza nemmeno essere troppo sbrigativa. Per qualsiasi domanda sono qui, ormai lo sapete.
vi rinnovo l'invito a raggiungermi su

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Non vi do appuntamento ad una data ben precisa, perché anche il prossimo week-end sarà particolarmente impegnativo per me. oltre agli impegni quotidiani con l'università ed il tirocinio.
A bientot!

Federica

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Capitolo 29
*** Confusione ***


The best day - capitolo 29 salve ragazze!!!! Come va? A me bene, è stato un periodo abbastanza movimentato tra feste, eventi più o meno felici e poi le settimane lavorative che non mi ha permesso di postare. Oggi non dovrei essere nemmeno qui a postare il capitolo ma siccome mi e vi voglio bene, ho pensato di farci tutti un bel regalo (seppur in ritardo) con il nuovo capitolo.
Direi dunque  di passare direttamente al capitolo. Purtroppo non ho il tempo per l'angolo dell'autrice al momento, per cui nei prossimi passate di nuovo perché potreste trovare modifiche alla pagina, anche per le risposte alle recensioni che oggi non ho il tempo di darvi, mi dispiace...
RECENSITE LO STESSO NUMEROSI!!!!












CAPITOLO 29 - Confusione



P.O.V. Kristen

Erano trascorsi ormai 5 giorni da quando ero diventata madre di Jewell Catherine, la piccola Jew, come suo padre non smetteva un'attimo di chiamarla, un coniglietto dolcissimo e piccolissimo, eppure forte come un gigante, che mi aveva resa la persona più felice del mondo. Eppure di questa felicità e di tutta l'atmosfera speciale della maternità ne percepivo davvero una minima parte. Mi dicevano, e di conseguenza mi autoconvincevo, che il mio malessere fosse dovuto al fatto che non tenevo la piccola mai davvero con me, per la gran parte del tempo era chiusa nella sua cullettta termica con gli occhialini per l'ossigeno perennemente posizionati alle narici e i monitoraggi ben ancorati al resto del corpo.
Avevo iniziato anche a darle da mangiare; finalmente, nonostante il mio seno non fosse particolarmente florido, avevo cominciato a produrre latte sufficiente per lei, e fondamentale per la sua crescita. Tutti erano in pensiero perché il parto prematuro limita le possibilità della donna a produrre latte, ed invece li avevo sbalorditi tutti. Rob ripeteva in continuazione che sia io che SUA figlia eravamo delle campionesse, galvanizzando oltremodo il mio ego che, nelle ultime settimane, era stato leggermente sotterrato.
Tuttavia, anche questo rituale, che avrebbe dovuto forgiare e saldare il nostro già speciale legame, era falsato dalla necessitò di tenere la bimba sempre al caldo e controllata da quei maledetti macchinari. Ero costretta dunque, per alimentarla, ad usare il tira.latte e poi ad allattarla con il biberon. Nonostante tutto, Jewell si rivelò essere una bimba obbediente e tranquilla sin dai primi attimi di vita, non protestando mai a qualsiasi intervento del personale e dimostrando di essere una mangiona, con una voglia matta di aumentare il peso e fortificarsi. Infatti, dopo il calo fisiologico post-partum, non era scesa al di sotto dei 2 kg, e ben presto, secondo le stime dei medici, avrebbe raggiunto i 2.5 kg.
Speravo sinceramente che questo traguardo potesse consentire alla situazione, al momento di una gravità stazionaria, di stabilizzarsi positivamente, e le permettesse di liberarsi dall'ossigeno, e poter quindi tenerla finalmente tra le mie braccia, oltre a stringere le manine ed i piedini, o accarezzarle la testolina.

Sinceramente volevo di più.
Volevo poterla stringere a me, respirare il suo dolce profumo e poter lasciare bacetti e pernacchie sul suo pancino, magari facendola sorridere, almeno un po'.
Non mi era permesso nemmeno di provare a cambiarle un pannolino, per via del groviglio di cavetti e tubicini che la circondavano. Ora avevano anche aggiunto un piccolo aghetto sulla fronte, la corsa che più non riuscivo a tollerare e mi facevamale ogni volta che lo sguardo cadeva sulla minuscola medicazione. Mi avevano detto che era necessario per l'infusione di farmaci e per prelevare il sangue, ma non potevo credere che non ci fosse una sede meno invasiva di quella. Eppure, a quanto pareva, era proprio così.

Ed io aspettavo con impazienza dunque il giorno in cui ci saremmo liberate entrambe da quella prigionia forzata.
Rob dal canto suo, nonostante avesse un film ancora in sospeso a Los Angeles, aveva deciso di restarmi vicino. Voi venite sempre prima di tutto, ripeteva sempre, e non c'era modo di controbattere. Ma io, egoisticamente, volevo che rimanesse al mio fianco. Era il mio calmante naturale, il fazzoletto per le mie lacrime, la roccia a cui aggrapparmi quando sentivo le forze venir meno. Ma non potevo sperare che rimanesse con noi in eterno, e non dovevo nemmeno permetterlo se ci tenevo davvero a lui. Aveva degli obblighi contrattuali da ottemperare e non avrebbero aspettato in eterno ad Hollywood. Sapevo bene, anche se cercavo di non pensarci, che sarebbe arrivata la mattina in cui l'avrei trovato con le valigie all'ingresso di casa nostra pronto a partire e sapevo anche che sarei rimasta sola, con la bambina, con la sola consolazione di una conversazione tramite webcam ad orari assurdi per via del fuso orario. Sapevo bene che neanche per lui sarebbe stato facile, del resto la piccola era nata con 2 mesi d'anticipo, ed avevamo programmato i nostri impegni in maniera diversa, ma non era colpa di nessuno e dovevamo affrontare la situazione da persone mature, anche se non ne avevo proprio voglia.

Durante la visita medica, quel giorno, mi venne data una notizia, che mi colpì come un fulmine a ciel sereno.
"Signora" mi disse il primario "direi proprio che non ha più alcun motivo per rimanere ancora qui in ospedale". Sì che ce l'avevo, pensai tra me e me. Il motivo era mia figlia, e non comprendevo come potessero pensare di mandare a casa me, e lasciare lei nella terapia intensiva neonatale, da sola.
"Come prego?" chiesi, accertandomi di aver udito bene. "Domani mattina potrà tornare a casa signora" mi rispose uno specializzando "non è contenta?"
Come potevo esserlo? La mia bambina in ospedale a combattere da sola la sua battaglia ed io a casa, a riprendere la mia vita come se niente fosse, come se lei non fosse mai nata, come se lei non fosse mai esistita.
Ma lei c'era e non avrei permesso a niente e nessuno di frapporsi tra noi. "Ma la bambina?" chiesi, forse sperando ingenuamente che con un sorriso smagliante mi avrebbero detto che sarebbe venuta via con me e che avevano solo dimenticato di comunicarmelo.
"La bambina rimarrà qui in ospedale ancora per qualche tempo" mi rispose uno dei medici che componeva quella processione di camici bianchi "è ancora troppo piccola, e debole, per pensare di portarla a casa. Ma al di là del peso e delle dimensioni, sua figlia signora ha avuto dei problemi respiratori importanti, seppur nella norma per la sua età gestazionale e e seppur ben gestiti dalla nostra equipe. Dobbiamo controllare la sua funzionalità respiratoria aiutandola sempre di meno con farmaci e supporti ventilatori, ma il passaggio alla respirazione autonoma deve essere molto graduale." si fermò un attimo, dopo la sfilza di paroloni tecnici e altisonanti che aveva infilato in quella frase e, forse preoccupato che io non avessi capito, forse per l'espressione di sfiducia e panico che avevo stampata sul mio volto, mi fissò, in silenzio e, quando arrivò ad incrociare il mio sguardo, non poté altro che abbassare la testa e affermare, sommessamente: "Mi dispiace".
Un piccolo gesto di umanità, dai quei grandi professori che, se non fossi stata una paziente strapagante e strafamosa, non avrebbero nemmeno saputo il mio nome. Ebbero la decenza di lasciarmi da sola, e continuare il loro giro per le stanze. Mentre, lasciando la mia stanza, aprirono la porta rivolta alla corsia del reparto, notai una coppia, con un carrozzino che andava via, ed erano felici, come anch'io e Robert avevamo il diritto di essere, con il nostro piccolo gioiello.
Intravidi, in quell'attimo di amarezza, una figura tutta bianca affacciarsi alla porta della mia stanza, e con un sorriso illuminò il suo volto, e di riflesso il mio.
"Freddie!!!" la chiamai, andando verso di lei tendendole le mie braccia. Non ero più debole fortunatamente come i primi giorni, ero stata fortunata a non perdere troppo sangue durante e dopo il parto, ed avevo ripreso in fretta le forze, anche imponendomi di mangiare quando le preoccupazioni mi chiudevano lo stomaco con una morsa.
Lei mi fece riaccomodare sul letto, sedendosi affianco a me sul materasso.
"Che ci fai qui?" le domandai. "Oh, niente di che. Sono venuta a portare una paziente per una consulenza, e ho pensato di venire a salutarti!" rispose con un occhiolineìo che parlava di più della sua lingua. Non c'era nessuna paziente, ovviamente; ma mi stava bene così, ed ammiccai in risposta con un sorriso stentato, il massimo che il mio umore potesse concedere. Le ero grata per le attenzioni e le premure che mi aveva dedicato nei giorni precedenti. Con la scusa di qualche farmaco o altro materiale per il suo reparto, non aveva mai perso l'occasione per venirmi a trovare; poi al termine del turno, e poi a sera, con le ragazze. Era un'amica sincera, e poi il suo essere del mestiere mi aiutava a capire molte cose, a vederle sotto un'altra luce e non temerle. L'avevo portata con me dalla bambina, e non sembrava provare paura, apprensione o semplicemente pena, per lei che era in quelle condizione, e per noi che dovevamo vederla il quello stato, come avevano fatto molti. Lei l'aveva toccata, accarezzata, c'aveva giocato, esattamente come avrebbe fatto con qualsiasi bimbo al parco. E sapevo che in quel momento lei poteva essermi d'aiuto; mi avrebbe capita, mi avrebbe anche solo ascoltata: del resto da sola non ce la potevo fare, volevo essere forte, ma a cosa sarebbe servito fingere e celare il mio disappunto e la mia tristezza, in una giornata che doveva essere di sollievo.
Forse i miei pensieri andavano di pari passo con le mie espressioni facciali, perché la vidi incupirsi ed iniziò a squadrarmi, indagando sul mio malumore: "ohoh! cos'è questo faccino scuro scuro Kris?" mi domando, carezzandomi lievemente la guancia con il dorso della mano "che è successo?". D'improvviso si allarmò visibilmente, perché dovevo sembrare davvero ditrutta, senza accorgermene dovevo aver tirato fuori anche qualche lacrima; forse il suo pensiero era corso direttamente alla bambina.
"No tranquilla, niente di grave" mi sbrigai a tranquillizzarla. Infatti, anche se in maniera velata, la vidi prendere un bel sospiro di sollievo. "...solo che ..." proseguii "domani mi dimettono".
"E allora?" subito torno lei all'attacco, rimproverandomi giocosamente "non sei contenta?"
Possibile che nenahce lei capisse? Ah, già, è vero. Lei non era madre. "Ma non capisci, possibile che nessuno capisca?" mi lamentai con lei, senza sapere nemmeno cosa dicevo "Io torno a casa, sì, ma non la mia bambina. Ora la lascio sola, e non potrò vederla!!!"
Si lasciò sfuggire una piccola risata, ripresa immediatamente con un tono più serio, seppur sereno. "E secondo te lasciano che la bimba sia qua da sola, senza la sua mamma? Siamo in ospedale Kris, non in carcere!!! Stai tranquilla " mi disse, appoggiando la mano sulla mia spalla, massaggiandomela. Era un'infermiera, non una massaggiatrice, né una fisioterapista, ma con quel piccolo ondeggiare della sua mano, mi aveva calmato quasi all'istante.
"Dici davvero?" la implorai "non è che me lo dici solo per rincuorarmi e farmi stare buona?"
"Ma no tesoro, no. Che cosa dici? Non avrebbe senso mentirti!!" mi sorrise, e capii che per fortuna era sincera. "Avrai un permesso come tutti i genitori dei piccoli pazienti della neonatologia. Potrai stare lì quando e quanto di pare, tranne di notte. L'unica precauzione sarà indossare il camice, cuffiette e calzari. Ma per il resto potrai stare con lei praticamente sempre"
Tanto rumore per nulla, come sempre nella mia vita. Ma ero felice che fosse andata così. Non avrei sopportato di stare troppo lontana da lei e troppo a lungo sola in casa. Sapevo infatti che il mio ritorno alla normalità avrebbe riportato Rob a Los Angeles e al suo film. Non potevo impedirglielo, ma non volevo accadesse così presto.
In un misto tra serenità e frustrazione: felice in fondo per il ritorno alla normalità, finalmente all'aria profumata di casa mia e lontana dalla monotonia, seppur lussuosa e confortevole di quella stanza d'ospedale; ma triste perché sarei rimasta sola. Rob, secondo le mie previsioni, sarebbe partito nonappena la situazione si fosse stabilizzata ed io fossi tornata perfettamente padrona dei miei spazi. Mi ripeteva sempre che anche lui non voleva che ci separassimo di nuovo, che non avrebbe resisto neanche la durata del volo Londra-Los Angeles lontano da sua figlia e da me; eppure non me lo dimostrava mai, neanche vagamente, e non sembrava intenzionato a farlo. Ma d'altronde, che se ne faceva di una moglie piagnucolona, che non era stata capace di darle un figlio sano, e di era dovuto accontentare di una figlia malata, che nemmeno poteva prendere tra le sue braccia. Che se ne faceva di due pesi come noi, uno spirito libero come lui?
Mentre preparavo le valigie insieme a lui, che aveva insistito per non lasciarmi sola un attimo, non potevo far altro che pensare e ripensare alle cattive considerazione che avevo lasciato si infiltrassero nella mia mente in quell'ultima notte di degenza. Mi ero alzata come uno straccio per via degli incubi ed ora sentivo che questi fantasmi stavano per concretizzarsi. Lui continuava a trattarmi con lo stesso amore di sempre, la stessa premura maniacale, lo stesso sguardo attento: eppure perché non riusciva a capire come mi sentissi davvero? Se era così innamorato di me, perché non riusciva a leggermi dentro?
Mi accascia sul letto, portando le mani al volto, grondante di lacrime.
"Amore!" urlò Robert, rendendosì finalmente conto della mia crisi "che c'è? perché piangi?"
Mi venne di fronte e si accucciò davanti a me. Il suo sguardo era preoccupato, perso nel mio alla ricerca di uno spiraglio, un indizio che gli facesse capire cosa avessi. E non trovava niente. Eppure stava tutto lì!!!
"non voglio tornare a casa!" lamentai, stringendo le mie braccia al suo collo, nel tentativo disperato di scrollarlo e svegliarlo un po'.
"Ma come? Amore perché dici così? Non vuoi tornare a casa nostra?" perché per tutti era così difficile da capire, eppure era così elementare, così naturale ed istintiva la mia esigenza.
"Io non voglio tornare a casa senza Jewell!!!"
"amore mio" mi prese le mani "...eh! guarda, è diventata un fazzoletto!!!" a forza di stringerla e di asciugarmi le lacrime la canotta si era tutta bagnata e sgualcita. Ridemmo entrambe per la semplicità di quel momento: avrei voluto che la nostra vita fosse un eterno momento felice e semplice. Perché non era possibile?
"Amore mio" ripeté "la piccola tornerà a casa, prestissimo vedrai, ma devi capire che è per il suo bene!!! E vedrai che quando l'avremo con noi tutto questo sarà solo un brutto sogno!!!"
"Ma io sarò da sola!!! voglio averla con me!!!" "E l'avrai amore mio, starai sempre qui, con lei!!!" "Ma io voglio anche te!!!"
Mi liberai del masso più grande forse, quello più difficile da ammettere. Avevo bisogno di lui, solo di lui. Anche se me l'avevano proibito per i primi tempi, avrei tanto voluto fare l'amore con lui ogni notte, ed invece mi sarei ritrovata da sola nel letto di lì a poco. E non potevo farci nulla.
"Sarà solo per 3 settimane, Kris, e ci sentiremo sempre" mi promise, sperando non fossero promesse presto fatte e presto dimenticate "e quando tornerò verremo dalla piccola tutti i giorni e poi la porteremo a casa. Te lo giuro!"
Rob non avrebbe ma

i giurato. Sapevo quindi che avrebbe tenuto fede a quanto detto. Ora ero più tranquilla.

P.O.V. Robert
Sapevo fin dall'inizio che l'idea di lasciarla sola per 3 settimane era la più insensata che potesse venirmi in mente, degna di un cazzone come Robert Pattinson. Ma non potevo fare altrimenti. Avrei voluto essere a Londra per quando la piccola Jew sarebbe stata dimessa dall'ospedale, dunque dovevo finire quelle riprese una volta per tutte, e al più presto possibile. Avevo accettato di buon grado di fare quel film, eppure si era trasformato in una spina nel fianco. Mi avrebbe garantito la realizzazione di un sogno chiamato Hollywood, ma al momento vedevo solo l'incubo interminabile di una lontananza forzata, che faceva male a tutti e tre. A me, alla mia Kris e alla nostra bambina.
Dio, non potevo quantificare la mia gioia, non ci riuscivo proprio. Il primo ruolo importante, il primo premio, la prima premiere con fans urlanti non erano niente a confronto della gioia di essere padre. Quando ho realizzato che quel batuffolino, la mia scimmiettia, era davvero mia, era parte di me, non capii più nulla. E a poco servivano le parole preoccupate dei medici e tutti quei macchinari che la circondavano, e ci ricordavano che non stava proprio bene; la mia Catherine sarebbe stata in eterno la mia bambina, la mia gioia più grande.
Ed anche se Kris stentava ad ammetterlo, aveva fatto davvero un buon lavoro: per quanto piccola e minuta, magrolina e debole, era la bimba più bella che io avessi mai visto. I suoi occhi erano i miei e sapevo che, come diceva anche Kristen, le mie speranze di vedere il completo ritratto di sua madre in lei erano mal riposte; Kris diceva che era giusto così ed aveva vinto la scommessa, ed in fondo, la cosa mi inorgogliva.
bipbip...bipbip
"Ma di chi diavolo è questo telefono che squilla!!!"
"Scusate scusate!!" mi affrettai a controllare, correndo dal set dove stavamo girando, fino alle nostre sedie dove avevo lasciato il telefono "è colpa mia! aspettavo una chiamata importante!!!"
Il regista levò gli occhi al cielo, ormai abituato alla mia risposta: avevo interrotto chissà quanti altri ciack in quelle settimane per un messaggio o per una telefonata.
Era stato difficile tornare al lavoro: non un attimo senza che la mia mente corresse a Londra.
Avevo preso le migliori sgridate dal registe, ed il resto del cast cominciava a spazientirsi, ma nessuno di loro poteva capire, nessuno avrebbe mai pienamente compreso.
Non potevo stare senza sentirla, senza vederla. Era già una tortura non poter fare niente per loro quando eravamo insieme, figuriamoci non poterle nemmeno vedere.
God bless SmartPhone: era una email, l'ennesima di una lunga serie, tutte con le foto della piccina, a dire il vero sempre più grande, sempre più bella, ma soprattutto sempre più in salute.
La mia gioia schizzò alle stelle quando tra le foto ne scorsi una, probabilmente scattata da mia suocera, che non ne aveva voluto sapere di lasciare sola sua figlia ... e meno male ... con la piccola in braccio a Kristen PER LA PRIMA VOLTA.
Il cuore mi si riempì di gioia, e dovetti impiegare non poca fatica per ricacciare indietro le lacrime ed evitare di rovinare il trucco abbronzante di Jacob.
Ero più che felice: la piccola stava iniziando a respirare da sola, non aveva più nessun cavo a costringerla nella sua culla termica e secondo Kristen presto avrebbe provato a dormire in un lettino normale, assieme agli altri bimbi del nido.
Ma probabilmente la gioia più grande era tutta per la mia Kris. Vederla con sua figlia in braccio, finalmente, dopo 3 interminabili settimane, significava aver riportato il sorriso sul suo splendido viso ed i suoi occhi, avevano di nuovo la luce viva e ardente dentro di loro.
Avrei voluto indubbiamente essere lì con loro, e non mancavo di mostrarle il mio supporto in qualsiasi modo mi fosse possibile.
Ero estasiato dal vederla finalmente felice, viva e pienamente madre. L'avevo lasciata da sola con il fantasma della depressione che si insinuava già tra di noi: prima di partire mi aveva criticato, mi aveva quasi accusato di non essere un buon marito ed un buon padre, ma considerai meno di niente le sue parole, comprendendo che era solo una crisi emotiva, e che le sarebbe passata, nonappena avesse sperimentato concretamente il suo ruolo di madre.
Unico rammarico rimaneva per me ogni giorno di più l'esserle lontano, poterla sentire solo in alcune ore del giorno e non poterla stringere a me quando le lacrime scendevano a rigarle quel volto perfetto. Sapevo da sua madre, che era preoccupata, ma in silenzio, dei suoi continui cambi d'umore, di come non volesse nemmeno entrare nella stanza della piccola, di come rifiutava di vedersi allo specchio.
Avevo il dovere di essere con lei, eppure avevo lasciato che la macchina del cinema mi risucchiasse e senza forza non avevo saputo, o forse, per comodità, voluto oppormi. Ero troppo debole per capire cosa le stesse accadendo, troppo pauroso per restarle accanto e sorreggerla. Eppure, forse, non avrebbe avuto bisogno d'altro.
Se solo non fossi stato così coniglio...se prima il loro pensiero mi distraeva dal lavoro, ora pensarle mi avrebbe dovuto spronare, perché lo sentivo: era ora di tornare a casa.

L'angolo dell'autrice

Vi prego, calme! restate tutte calme! Non è come sembra: Rob e Kris non hanno nessuna crisi di coppia, ve lo garantisco. Come dice lo stesso titolo del capitolo Kristen ha una gran confusione nella sua testa, frutto di continui e fastidiosi stimoli dall'esterno. capita a tutti quando la vita è un treno di fermarsi un attimo e trovare tutto ciò che è capitato che d'improvviso di crolla praticamente addosso. Kristen ha quella che si definisce depressione post-partum, è naturale e presto passerà. è per questo che Rob non vede l'ora di tornare a casa: per starle vicino, per sostenerla e aiutarla con la bambina. Mi dispiace se il capitolo in sé risulta mal organizzato e abbastanza incasinato, soprattutto nella parte di Rob, ma ho intenzione di rivedere al più presto questo capitolo, magari ripensandolo completamente.

Mi dispiace saltare le recensioni ma il tempo a mia disposizione è davvero poco. Volevo ringraziarvi per il vostro sostegno e per non avermi abbandonata nonostante la mia assenza prolungata da EFP. Sono contentissima che il nome della piccola vi piaccia, credevo che ormai Joy fosse così radicato che mi avreste presa a pomodori in faccia per averlo cambiato.

Vi aspetto al prossimo appuntamento e vi ricordo che per qualsiasi domanda potete scrivermi sulle recensioni oppure nei 2 indirizzi che come sempre lascio a vostra disposizione

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à bientot!!! 

Federica

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Capitolo 30
*** When we're apart ***


The best day - capitolo 30




Finalmente ce l'ho fatta, ho partorito l'ennesimo capitolo, il trentesimo e ultimo di questa fatica letteraria. Non temete però, non ho intenzione di chiudere così la storia. Ci sarà l'epilogo, e poi un paio di capitoli extra. Chiedo scusa di nuovo per il ritardo, ma tra la poca voglia di scrivere e il computer rotto, ecco spiegato il mio ritardo. Oggi non ho tempo per l'angolo dell'autrice, ma per qualsiasi domanda sarò bene felice di rispondervi attraverso la risposta alle vostre, spero, numerosissime recensioni.
Vi aspetto dunque numerosi!!!! BUONA LETTURA!!!!


















CAPITOLO 30 - When we're apart
P.O.V. Kristen



Avrei preferito mille volte una solitudine assordante piuttosto che la compagnia silenziosa di quelle persone, su tutte mia madre, che cercavano di intrattenermi; pensavano davvero che bastasse così poco per sostituire Rob?
Era partito da due settimane e mi mancava da morire. Nonostante fossimo in estate piena, il nostro letto a sera era estremamente freddo, ma più che altro vuoto. Mi mancava la sua risata, la sua sbadataggine e anche tutte le sue paranoiche attenzioni.  Attorno a me, senza il suo sguardo furtivamente vigile, era come se mi mancasse l'ossigeno.
Mi chiamava, questo sì, ed anche in maniera piuttosto assidua, ma non era certo la stessa cosa... per niente. L'immagine della web cam non era nitida, il suo della sua voce metallizzato attraverso le casse del PC: senza la sua intera presenza attorno a me, senza il suo sguardo furtivamente vigile, era cose se mi mancasse l'ossigeno. I suoi abbracci, le sue carezze, i giohi e gli scherzi tra noi, ma potrei continuare l'elenco all'inifnito. Dio ... quanto mi mancava!"
Nei giorni precedenti alla sua partenza, quando dovetti affrontare la "separazione" da mia figlia, ancora ricoverata in ospedale, avevo messo in dubbio che tutte le neo-madri hanno: sarei stata ancora donna? Sarei stata più desiderabile per mio marito, abbastanza interessanta da non farlo correre dietro alla prima attricetta che gli avrebbero affiancato nelle sue pellicole?
La verità è che sono solo una stupida. Robert me ne diede dimostrazione ancora una volta. Lui mi amava, c'era poco da discutere su questo, allo stesso modo straordinario e travolgente in cui io amavo lui e non sarebbero bastate due tette rifatte a portarmelo via. Le due settimane che seguirono alla sua partenza me ne diedero dimostrazione. Mai una telefonata mancata, ore di sonno buttate al vento per parlarmi, o semplicemente starmi a sentire, rimanendo lì a fissarmi attraverso l'obiettivo della web-cam, interessato ed estasiato alla medesima maniera dei nostri primi appuntamenti, quando finivamo col ridere invece che dedicarci a smancerie romantiche, troppo presi dall'assurdità delle situazione.  E a volte notavo nello schermo del portatile la sua testa penzoloni, o le palpebre che faticavano a restare aperte, ma continuava a ripetermi che andava tutto bene, e finché mi fosse andato di parlare lui ci sarebbe stato.
Sì, assolutamente, se tra i due c'era qualcuno che aveva qualche rotella fuori posto beh, quella ero di sicuro io! Ma non perché non l'amassi più, anzi, ma perché riuscivo a trovare lati negativi, e a fissarmi su di essi, anche laddove non ve ne fossero. Su me stessa e sugli altri.
Diventata pericolosamente volubile, vittima degli ormoni peggio che in gravidanza, alternavo momenti di euforia e gioia piena a momenti di depressione e malinconia totali, attimi di calma piatta ad altri di completa schizofrenia dei miei nervi, e guai a trovarsi nei miei paraggi allora.
E mia madre restava lì, ad osservare, sileziosa. Ero certa che avrebbe riferito tutto a Robert e non glielo impedivo, non rimostravo alla sua veglia perché, nei pochi sprazzi di lucidità mentale che ancora conservavo, capivo che fosse un bene che lui sapesse, non per fargli scontare una sorta di penitenza per essere partito, ma per renderlo ulteriormente partecipe, come era del resto nelle sue intenzioni, sin dall'inizio, anche nella distanza.
Avrebbe voluto trattenersi, se fosse stato per lui i produttori del suo film avrebbero potuto trovare anche un nuovo protagonista maschile, che lui non avrebbe levato le tende da Londra, perché non era stupido, ed aveva intuito che qualcosa non andava; ma con i pochi neuroni sani che mi rimanevano avevo raccolto tutte le mie forze ed il poco coraggio che mi rimaneva ed avevo insistito con lui affinché adempisse al suo lavoro, che io mi sarei fatta forza, e tornasse da me per quando la piccola fosse tornata a casa. Lì doveva esserci. Non se lo fece ripetere due volte: partì, sebbene col malincuore di entrambi, e promise che Jew, come ormai aveva preso abitudine di chiamarla, l'avremmo portata a casa insieme; sapevo che sarebbe stato così.
Eppure avevo così maledettamente bisogno di lui: al mio rientro a casa, infatti, avevo subito dei piccoli traumi, degli shock che, per quanto minimi, andavano a minare il mio già precario stato di sanità mentale. Prima di tutto trovai la camera da letto della piccola tutta arredata.
Sapevo dalla festa che avevano organizzato le mie amiche che sarebbe stato un regalo dei nostri nonni inglesi, e ne avevo visto una foto dal catalogo perché nessuno mai, per scaramanzia, si sarebbe mai azzardato a montarla prima della nascita. Probabilmente il parto prematuro aveva fatto accelerare i tempi di consegna, ma non ero ancora pronta per tutto quel candore.
Dovevo riconoscerlo, era la cameretta dei sogni di ogni madre per le proprie creature. Dai toni chiari, bianco e panna su tutti, i mobili in legno molto chiaro e di prima qualità, era molto luminosa, grazie anche alla posizione strategica della stanza, la più esposta ai raggi del sole dell'interno edificio. Qua e là era stata impreziosita - di sicuro decisione dell'ultimo minuto - con punti di rosa, dal raso delle tendine nella culla alle pareti, dipinte con degli orsacchiotti e tanti palloncini. Non avevo la più pallida idea di quando avessero avuto il tempo di sistemarla, probabilmenti gli imbianchini ed i mobilieri avevano lavorato giorno e notte dentro quella stanza per ultimarla, le pareti infatti profumavano ancora di vernice fresca, e le finestre erano spalancate, nonostante il condizionatore, per smaltire l'odore acre e pesante delle tintura.
Tuttavia, vedere quella stanza pronta, senza che nessuno potesse dormire tra le lenzuola ricamate del suo corredino, tutta perfetta come in un esposizione da fiera del mobile, non potevo tollerarlo, non volevo ricordar che la mia bambina era lontana da casa sua, dalla sua mamma ed ancora di più dal suo papà. Così, una volta partito Robert, non ci misi molto a prendere la decisione di chiudermi alle spalle quella stanza e serrarne la porta a doppia mandata, rimandando la sua apertura ed inaugurazione a quando la sua legittima inquilina sarebbe arrivata ad abitarla e a renderla finalmente viva. Presi il trenino di legno con le lettere J E W E L L  sui suoi vagoncini che campeggiava a lettere cubitali sulla porta d'ingresso di quella stanza e lasciai che mia madre lo nascondesse dove non avessi mai potuto trovaro. Mi ero sforzata di apparire entusiasta e sorridere quando Rob, prima di partire, tornando a casa un pomeriggio, mi diede questo pacchettino tutto colorato da Hamleys, e propose di appenderlo insieme. Lo accontentai, ricacciando indietro ogni forma di protesta, perché stava davvero impegnandosi a far sembrare tutto semplice e naturale, e se io non fossi stata così spostata sarebbe stato tutto magnifico e perfetto.
Lui non doveva sapere, anche se ovviamente intuii che non gli erano passati inosservati molti mei atteggiamenti ma, cosa più importante, non doveva essere coinvolto dalle mie paranoie di madre in depressione; aveva tutto il diritto di vivere la paternità in modo sereno e per quanto potevo, dovevo aiutarlo ed incoraggiarlo ad essere "parte del gioco".Per quanto consentissero le ore di differenza ed i mezzi a nostra disposizione, mi era rimasto vicino, come aveva sempre fatto; tuttavia, i risultati questa volta non sembravano arrivare, non velocemente come accadeva di solito. Ero decisamente io ad avere qualcosa che non andava: loi volevo, lo desideravo, lo amavo nella maniera più completa, totalizzante e matura da quando stavamo insieme, eppure non riuscivo  ad arrossire e ad essere felice per le sue adulazioni: mi sentovo ancora un mostro, ancor di più visto che il mio ventre, ancora leggermente gonfio ma flaccido e sotto tono, lasciava tracce quasi indelebili di un parto sofferto e prematuro, che niente aveva portato di buono, se non una bimba ancora ricoverata in ospedale e che non scorgeva ancora speranze di dimissioni. Odiavo me stessa, ecco qual era il punto, ed il corpo che non le aveva permesso di venire al mondo in maniera normale.
Il momento peggiore della mia giornata era il mattino, quando, davanti allo specchio, il riflesso del mio corpo svuotato si ripresentava meschino, prepotente e doloroso, come uno schiaffo dato per pura violenza.
"Tua figlia è viva! è in ospedale, è lì che aspetta la sua mamma!!!" ripetevo a me stessa, come se fosse la preghiera del mattino che si impara a memoria da piccoli, cercando di modulare il respiro, che annaspava ogni volta per la crisi di nervi che puntualmente mi coglieva.
Eppure la realtà dei fatti era un'altra. Il ventre era vuoto, ma io non avevo nessuno da tenere in braccio, nessuno per cui passare le notti in bianco o da sfamare a tutte le ore. Avrei dannato l'anima per poter essere impegnata ed esaurita fin sopra la cima dei capelli per una casa sottosopra e una figlia da accudire, ma sana e serena nella sua culla, piuttosto che tranquilla ma fondamentalmente depressa, sconvolta dalla spola quotidiana tra casa ed ospedale per l'allattamento e l'aggiornamento dai medici, che ogni volta era una piaga rinnovata, visto che di aggiornamenti veri e proprio non ce n'erano mai.
Potevo sorridere almeno per un motivo, il più insignificante di tutti: continuando a quei ritmi, avrei ben presto perso i chili accumulati durante la gestazione e il mio corpo sarebbe tornato tonico come quello di tutte le ventenni, e la "cicatrice" dei miei errori sarebbe sparita, se non dai pensieri, almeno dal mio corpo, e la mancanza di appetito mi avrebbe sicuramente favorita. Mia madre mi stava dietro come ad una adolescente che decide di dimagrire, invocando i miei doveri di madre. Avevo una voglia matta di ricordarle che avevo solo 20 anni, e scusate tanto se non so nemmeno l'ABC dell'essere madri!!! Ma aveva ragione lei e nel momento in cui avevo deciso che mai nessuno mi avrebbe privato di quel figlio, del più prezioso dono della MIA STORIA D'AMORE, figlio dell'uomo che amo più di me stessa, da quel preciso istante avevo deciso di diventare donna e buttarmi alle spalle ogni attegiamento infantile.
Forse per  puro egoismo, o più semplicemente per paura, avevo deciso che per me era più comodo rifiutare il mio ruolo di madre.
Ma, prendendo un respiro profondo, incominciai quella mattina come ogni mia giornata da un mese a quella parte ed affrontai il mondo, inforcando un bel paio di occhiali scuri, che mi proteggevano dal sole e dagli sciacalli pronti a sputare fango su me e la mia famiglia.

sto andando dalla piccola. vorrei fossi con me

Capii che non dovevo avere paura di esternare i miei sentimenti con Robert, tanto non avrei mai potuto nascondergli nulla, nemmeno volendo ed impegnandomi seriamente;  doveva sapere cosa provavo, perché era mio marito e si era impegnato a condividere con me soprattutto i momenti di difficoltà. Avrebbe saputo aiutarmi, anche se a volte ero così ottusa da non ritenerlo possibile.

dalle un bacione dal suo papà. mi mancate da morire

Non poteva essere diversamente, d'altronde il mio cellulare squillava quasi ogni minuto e non riuscivo mai a rispondere ai suoi sms, che subito me ne arrivava un altro. Rimanevo sempre stupita ed interdetta di fornte alla sua immensa forza interiore, che riusciva a trasmettermi anche via internet, con una sorriso sulle labbra, smagliante e sconvolgente, nonostante la stanchezza delle due di notte, ed il lavoro sempre più stressante.
Anche le parole più semplici, o un piccolo smile dal cellulare riuscivano ad infondermi calore dritto al cuore e mi aiutavano ad affrontare giornate, altrimenti impossibili.
Varcando l'ingresso dell'ospedale venni invasa ed impregnata in ogni centimetro della mia pelle da quel terribile odore che è tipico dei nosocomi, odore di disinfettanti, medicinali e materiali sterili, che mi ha sempre dato la nausea, si da quando, da bambina, andavo nell'ambulatorio del mio pediatra per le semplici vaccinazioni di routine. Mi accorsi però che, per quanto mi desse fastidio, stava diventando sempre di più un profumo familiare, in cui, nonostante il rifiuto per la situazione generale, ero riuscita a ritagliare un angolo dove stare bene, ed ero molto più serena rispetto ai primi giorni dopo il parto, quando i macchinari della terapia intensiva e l'estrema professionalità del personale mi dava l'impressione di essere fuori luogo e poco gradita, persio di fronte all'incubatrice dove riposava mia figlia.
Ma ormai non temevo più i suoni delle apparecchiature ed avevo persino imparato a distinguere i beep buoni da quelli per i quali era necessario allarmarsi. Gli infermieri erano costantemente al fianco di noi genitori che, per quanto possibile, ci sostenevamo a vicenda; il rapporto con quegli angeli, le nostre ombre buone, era diventato amichevole e quasi confidenziale, tanto da riuscire a strappare loro favori molto più di frequente.
Mia madre, i miei suoceri e le mie cognate erano riusciti a farmi compagnia più di una volta, durante l'arco della giornata, mentre stavo con la mia Jew. Avevamo ormai attrezzato, grazie alla bravura di mia madre nella fotografia, un piccolo book: ogni secondo era testimoniato da uno scatto: non c'era sbadiglio o smorfia che non venisse immortalata dalla sua fotocamera.
Non volevamo assolutamente che Rob perdesse un'istante della crescita della sua scimmietta - ormai mi ero arresta a lasciargli usare quell'orribile e stupido soprannome - per cui a volte nemmeno aspettavo il ritorno a casa per spedirgli le foto via email. Mi bastava la camera del cellulare e, sorvolando bellemente, sulle proteste e lo storcere continuo dei nasi degli infermiei, scattavo mille foto alla mia piccola.
Piccola che ormai non era più tanto minuscola. Il mio latte lo sopportava alla grande, ed infatti il suo peso era quasi arrivato ai tre chili e le sue guanciotte erano diventato ormai paffute e rosee come avrebbero dovuto essere fin dall'inizio.
Quella mattina, arrivando in reparto, indossai camice, calzari e cuffietta come da routine e mi sentii stranamente osservata, e qua e là trovai persone che sorridevano al mio passaggio. Capivo che ormai la mia presenza tra di loro era naturale, ma non era come gli altri giorni, e mi insospetti. Mia madre, che era con me, mi suggerì di andare dentro lo stanzone con le culle, e controllare di persona.
"Buondì!" salutai tutti. Ero di buon umore anch'io, era una bella giornata e mi sentivo energia positiva scaturire da tutti i pori della mia pelle.
"Buongiorno Kristen!" mi salutò il neonatologo che si occupava della mia cucciola "Vieni!" mi disse, anche lui raggiante. Ma che avevano tutti quella mattina? Poi ricordai: mi era stato anticipato che avrebbero tolto la piccola dall'incubatrice, perché ormai il peso ideale era stato raggiunto e avrebbe tollerato tranquillamente al temperatura esterna. Ma io, troppo impegnata con le mie paranoie, non avevo minimamente fatto attenzione a quando questo evento sarebbe avvenuto. Dunque il giorno era arrivato, ed io non avevo preparato nemmeno un completino per farla vestire. Vi voltai verso mia madre disperata, ma lei, più accorta di me, ciondolava dalla mano una bustina rigida, con dentro le tutine per Jewell.
"Come farei senza di te?" le chiesi, davvero grata che fosse lì con me. Lei fece spallucce.
Ero felice, vedevo tutto rosa, e nessuno mi avrebbe potuto rovinare quella giornata.
Mi avvicinai all'incubatrice, con l'operatrice che stava ultimando la medicazione del moncone ombelicale e, nonappena mi vide, mi fece cenno di avvicinarmi.
"buongiorno kristen!!! Gran bella mattina vero? Vieni, vestila tu!"
Mia madre mi porse la busta e presi, tutta tremante, la tutina a body che la mamma aveva preparato. Era una tutina verde e panna, con delle farfalle rosse e dei fiori disegnati, ed aveva sul bacino delle balze che formavano una gonnellina. Ero terribilmente impacciata, le mani non la smettevano di tremare e nonostante fossimo in pieno luglio, quasi agosto, erano talmente fredde che la piccola, nonappena la sfiorai, si dimenò per il contatto col la mia pelle ghiacciata. L'avevo sempre vista dal vetro che quel contatto, il più ravvicinato da quando era nata, mi sembrava frutto di un mio sogno notturno e chiesi ripetutamente di essere svegliata. Ma mia madre, e tutto il personale presente in quel momento, ridendo mi disse di andare avanti perché non era un sogno, era la più meravigliosa delle realtà. Avevo una paura matta di farle male, l'avevo sempre vista fragile e piccola e non volevo spaventarla.
"Ehi piccolina!!!" le sussurrai, mentre si lasciava infilare le braccine nelle fessure del body smanicato "tranquilla tesoro, sono la mamma!!! ci stiamo facendo belle, stiamo andando nel lettino nuovo, insieme agli altri bimbi, perché non c'è più bisogno che stai al caldo, fa già tanto caldo fuori..." le sistemai il body con un po' di fatica a causa del pannolino "...e presto amore andremo a passeggio fuori di qui, te lo prometto, e ti farò vedere le farfalline e i fiorellini....sì amore mio...come quelli che ci sono qui sul vestitino che ti ha portato la nonna!!!"
Era passato tutto, l'incubo delle settimane precedenti non era che un ricordo, e presto non sarebbe rimasto neanche quello. C'era solo mia piccola, nel suo tutù e con una fascia sulla fronte con una farfallina, che le avevo messo più per vezzo che per ternerle indietro quei quattro capelli che aveva in testa.
"Ora prendila in braccio!" mi disse qualcuno, e non badai nemmeno a vedere chi fosse, troppo presa nella mia bolla privata con il mio coniglietto.
Non me lo feci ripetere due volte, perché non volevo che quel qualcuno potesse cambiare idea. Ero impacciata nei movimenti, ma nessuno sembrò volermi correggere, tutti probabilmente avevano capito che in quel momento non avrei dato retta a nessuno e che le mosse e la gestualità le avrei migliorate da sola, con l'esperienza.
Sorreggendole la testolina come meglio potevo, imitando le altre mamme e le infermiere, la portai al mio petto e la strinsi a me, più che potevo, immergendomi in lei e nel suo dolce profumo, beandomi di quell'attimo. Sapeva di latte e bucato appena steso, di pulito e di casa. Sapeva di Jewell.
Non c'era più spazio né tempo, c'eravamo solo io e lei, e anche se qualcuno avrebbe certamente obbiettato, per me eravamo tornate ad essere una cosa sola.
Sentii un flash colpirmi, nonostante avessi gli occhi chiusi, per inebriarmi ulteriormente e godermi l'attimo; mia madre non aveva perso tempo ed aveva già fatto in modo che quel momento non potesse più essere cancellato  dalle nostre memorie. Mi diedero una sedia e mi accomodai per far stare la bimba allungata meglio tra le mie braccia e guardarla negli occhi, vicina come mai prima d'allora.
"Amore mio!!!" non riuscivo a formulare altre parole che avessero un senso compiuto, a parte mugugnare dei versetti che potessero esserle familiari, abbagliata com'ero dalla sua bellezza folgorante. Era davvero il ritratto di suo padre: non tanto per i tratti somatici, che dovetti ammetterlo, con una punta di orgoglio, erano in gran parte miei, ma per quella straordinaria capacità che aveva di affascinare chiunque la guardasse o le girasse intorno. E poi quegli occhi: non erano cambiati di una virgola da quando era nata, assolutamente azzurri come quelli del suo papà, che lei non praticamente non conosceva, ma che avrebbe amato come nessun altro uomo al mondo, nonappena lui avesse fatto capolino alla sua culla e le avesse sorriso. Non manc
avo mai di parlarle di lui, anche quando era immersa nei sogni, come in quel momento, e sembrava sorridere di quando in quando, e speravo che in quel momento stesse sognando il suo papà, mentre le fa delle piccole pernacchie sul pancino o la fa volare in aria. Sarebbe stato amore a prima vista, e non vedevo l'ora che potesse accadere.
Mia madre di tanto in tanto tornava all'attacco con le sue fotografie ma ero troppo felice per potermi rifiutare, soprattutto perché Robert le avrebbe viste, di lì a poche ore. Ero troppo felice, ed il sorriso si apriva spontaneo appena mia madre chiamava il mio nome e mi puntava addosso quell'obbiettivo.
La giornata più bella delle mia vita si era conclusa troppo in fretta, ma come quella, pensai, ce ne sarebbero state infinite altre d'ora in poi. Lasciai la piccola in ospedale, sapendo che i giorni di attesa stavano finendo e presto seremmo stati tutti e tre a casa insieme. Prima sembravano un miraggio, ora erano un piacevole traguardo da raggiungere.
Mentre il cielo di imbruniva nella tarda serata londinese spedii le foto a Robert e mi addormentai, stanca per una giornata piena e vissuta, e per tutte quelle notti che, in preda all'ansia e alla depressione, erano passate insonni.

DUE SETTIMANE DOPO
"Rob potresti evitare di prendere tutti i tombini e le buche per cortesia!!!" imprecai per l'ennesimo sussulto dell'auto sull'asfalto.
"Tesoro mio, lamentati col comune di Londra, non con me, io non c'entro!!!"
La guida di mio marito non era affatto migliorata come amava vantarsi in giro e siccome era una giornata di festa non persi tempo ad arrabbiarmi per quello così lo ripresi per il male minore. La piccola, al mio fianco, dormiva beata tra le coltri del suo carrozzino che avevamo sistemato nei sedili posteriori dell'auto. Rob ci scrutava, sorridente, dallo specchietto retrovisore ed io, di rimando, gli lasciavo dei baci sul collo, di tanto in tanto.
"Signora!!!" mi richiamò, sogghignando "non si disturba l'autista mentre guida!!!"
"Mi scusi....ma l'autista dovrebbe evitare di essere dannatamente sexy!!!"
Non c'era stato bisogno di discussioni, né di particolari chiarimenti e riappacificazioni al suo rientro, solo di un profondo ed eterno abbraccio. Io ero solo per lui, e lui era solo per me, due poli di una calamita che si sarebbero sempre attratti, fatti per essere ancorati all'altro.
"Dorme?" mi chiese, senza bisogno di pronomi, tanto era fin troppo semplice capire a chi si riferisse. Al suo ritorno aveva preso seriamente in considerazione l'idea di rapirla e riportarla a casa anche senza il consenso dei medici, sebbene fosse davvero questione di ore. La scintilla tra loro era scattata senza tante difficoltà e si era dimostrato da subito un padre modello, attento, premuroso, innamorato pazzo della sua bambina.
Dio come avrei voluto fermare il tempo in quel preciso istante, di fronte a quel semaforo. Noi tre, un'auto, dei pasticcini e la musica di Van Morrison in sottofondo; tanto mi bastava per essere felice.
Arrivammo a casa e nel giardino d'ingresso era radunata una folla astante, pronta a dare il benvenuto alla nostra piccola combattente: avrebbero fatto rumore e schiamazzi, la piccola sarebbe passata in braccia in braccia, strattonata bonariamente e sballottata di qua e di là, e per farla tranquillizzare non sarebbero bastate tutte le ninna nanne del mio repertorio. E la coda di persone che avrebbero voluto vederla e conoscerla era solo iniziata, così come il mio esaurimento per stare dietro a lei e alla casa. Ma non potevo desiderare di meglio.
Caneron che assieme a mio padre e agli altri miei fratelli era tornato a Londra con Robert si avvicinò all'auto con la telecamera e sembrava fare una specie di telecronaca di tutto ciò che stavamo facendo. Io e Robert uscimmo dall'auto, accompagnati dal fragore degli applausi che la piccola folla, familiare ed amata, ci stava riservando. Qualcuno piangeva, altri ridevano, ma tutti erano felici.
Mentre io mi occupai dei vassoi di pasticcini che avevamo ritirato dalla pasticceria e mia suocera mi venne incontro per aiutarmi, Rob si diede da fare per slacciare la culla della carrozzina dai cinghie che la tenevano assicurata all'auto. Mentre apriva la portiera dell'auto, una berlina elegante, prestito di mio suocero Richard, mio fratello non poté astenersi dal commentare, patito com'era di belle auto: "Ecco il padre....che mostra una porta...e da uno schiaffo morale a tutti!!!"
"Ma smettila cretino!!!" sghignazzò Robert, mentre ancora si affaticava per sganciare la piccola dall'auto. Di quel passo la bimba sarebbe uscita dall'auto con le proprie gambe....
"Rob!!!" blaterai, tra le risate generali "non dire certe cose davanti alla piccola!!! E sbrigati che qui tutti sono affamatissimi e i dolci vorrei assaggiarli anch'io!!!"
"Ma cretino non è una parolaccia!" si difese "nei confronti di tuo fratello è più che altro un dato di fatto" mi sorrise, sbucando dall'abitacolo un po' affannato e sudaticcio per la fatica fatta e con Jewell tra le braccia.
Non potevo crederci! Mezz'ora e non c'era riuscito....non sarebbe cambiato mai!!!
"E il carrozzino? Dove la mettiamo se si addormenta?" gli chiesi, ancora incredula e completamente senza speranze.
"Se si addormenta la portiamo di sopra ..." rispose sicuro "e poi fidati se ti dico che senza il carrozzino non ce la ruberà nessuno!" e mi strizzò l'occhio con quel fare tipico di chi ha in mente qualcosa, un qualcosa di piuttosto perfido.
Ed infatti il suo diabolico piano funzionò a meraviglia. Nessuno gliela strappò dalle mani, nemmeno per un'istante, grazie al marsupio in cui l'aveva adagiata e che gli consentiva di tenersela bella stretta per tutto il tempo. Mi aveva detto, quando era tornato, che non aveva intenzione di lasciarla più, ma conoscendo sua madre avrei dovuto sospettare che avrei dovuto prenderlo alla lettera. Erano dolcissimi insieme, non avrei smesso mai di starli a guardare. Lei si era perfettamente accucciata nel grande e forte petto di suo padre, ed i battiti del suo cuore erano la migliore ninna nanna .... aveva già capito tutto la piccolina .... e lui non smetteva di coccolarla, talora con un bacio sulla fronte, o una carezza, o stringendola un po' più forte.
Sommersi dall'affetto dei familiari ebbi poco tempo da dedicare ad entrambi, ma era giusto così: dovevano ritrovarsi, avevano bisogno di un attimo tutto per loro. Ma io mi divertivo a sorvegliarli, osservarli di sottecchi di tanto in tanto. E Rob, sentendosi osservato, ricambiava con i miei stessi sguardi attenti e premurosi. I suoi occhi brillavano della mia stessa felicità. Avrei potuto scrivere la parola fine a tutto quello che di brutto ci era capitato, ma sapevo che quel giorno era solo l'inizio di una grandissima avventura, quella della nostra famiglia.
Finché Rob e Jew fossero rimasti con me, non mi sarei tirata indietro dall'affrontarla.
Lui era la mia forza, il mio coraggio, il mio cuore, il mio respiro: fratello, amico, compagno, amante, marito; tutto in una sola persona, la più importante della mia vita. In una sola parola: ROB.
Lei era parte di me, straordinario futuro, prova d'amore: mia figlia, Jewell.
Erano una benedizione, la mia benedizione. E sarebbero stati con me, per sempre.

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Capitolo 31
*** Epilogo ***


epilogo Devo dirvi la verità, potrei scoppiare in lacrime da un momento all'altro al solo pensiero che questo è l'ultimo scritto che posterò su The Best Day. Insieme a Rob e Kristen ho affrontato un percorso tortuoso, fatto di momenti belli e brutti, romantici e non, risate ma anche molte lacrime. E in questo percorso ho incontrato persone come voi, che mi avete supportata e pazientemente aspettata ogni volta che pubblicavo con ritardo. Mi dispiace concluderla qui, ma voglio evitare di arrivare ad una storia sterile, che non è capace di emozionare più né me, ne quindi tantomeno voi. Spero vi piacerà il finale e vi do l'appuntamento qua e là per delle shot che sicuramente scriverò ancora su questa magnifica coppia, a cui auguro di poterci donare ancora emozioni e momenti indimenticabili. Tanto per loro, quanto per noi. Per cui state all'erta, controllate le pagine che come sempre vi metto a disposizione, qui sul sito su FB e su Twitter, perché potrei tornare da un momento all'altro.
Per ora vi lascio ad un lungo epilogo.
BUONA LETTURA!!!!!














EPILOGO

Dietro le quinte del teatro della nostra scuola il via vai di studenti e professori era continuo e disordinatamente chiassoso. Le mie compagne erano troppo preoccupate per le sbavature del trucco o dall'orlo dei costumi che, durante le prove generali, potevano essersi scuciti, da badare a me.
La recita di fine anno all'Harrodian Private School era cominciata da poco e l'agitazione era palpabile. La vetrina di presentazione della scuola, in cui dimostrare il lustro ed il proprio prestigio alle famiglie degli iscritti. Le mie compagne, quelle più vanitose e maniache di protagonismo, attendevano e si preparavano a quell'evento nei nove mesi che lo precedevano, progettando ogni minimo dettaglio fin dai primi giorni di scuola in Settembre, neanche fosse la première dello spettacolo del secolo al Royal Albert Hall davanti alla famiglia reale.
Per me era quello che doveva essere: uno stupido spettacolo scolastico, fatto per appagare l'egocentrismo dei nostri insegnanti e soddisfare i genitori che sborsavano cifre esorbitanti per mantenerci agli studi in una delle scuole più in della città. Uno spettacolo il cui scopo, tra gli altri, era quello di riempire la memoria di qualche DVD imbarazzante, da rivedere tutti insieme in famiglia del giorno di Natale, compiacendo i parenti e lasciando che i protagonisti andassero a sotterrarsi da qualche parte per la vergogna.
Ero abituata a ben altri palcoscenici e la platea di un liceo mi passava davanti indifferente, tuttavia ci tenevo a fare bella figura davanti ai miei.
E proprio per questo, seduta su un baule vuoto di strumenti di scena dietro le quinte, me ne stavo, gambe a penzoloni, a fissare spaesata e ormai senza speranza un foglio immacolato.
Oltre alla canzone che avrei cantato, volevo dare un tocco di originalità alla mia performance con un breve discorso di chiusura. Mi ero detta, sulle prime, quando, abbozzando un discorso, la mia mente era completamente vuota, che ci avrei pensato all'ultimo minuto, aiutata dalle emozioni del palcoscenico. Invece l'unica emozione che provavo era l'ansia, per la prima volta in vita mia, e di certo non mi era d'aiuto.
Ero sempre stata abituata a stare al centro dell'attenzione, mio malgrado, fin da quando me la facevo ancora addosso nel pannolino. La mia nascita era stata salutata dalle prime pagine dei giornali di mezzo mondo e, per una mia foto, alcune riviste scandalistiche sono arrivate ad offrire mezzo milione di dollari per moltissimi anni. Fin da piccola, ed in parte per una sorta di emulazione di mamma e papà, avevo partecipato a spettacoli scolastici, ma sempre interpretando qualcun'altro, generalmente nascondendo me stessa dietro una maschera. Questa volta, per la prima volta, mi era stato chiesto di essere semplicemente me stessa; di mostrare, al pubblico astante, ciò a cui tenessi davvero e di farlo nella maniera che ritenessi migliore.
C'era una sola cosa al mondo a cui tenessi veramente, una sola che veniva prima di tutto il resto: la mia famiglia, quella pazza e grande tribù a cui appartenevo.
D'un tratto mi sentii tirare prer un braccio quasi venendo sbalzata giù dal baule.
"Dai Jew!"
Mio fratello Tom. Era la star della scuola, il ragazzo con cui tutte volevano uscire, l'amico che tutti si contendevano, l'aggancio giusto per le feste, la corsia preferenziale per la popolarità tra le quattro mura di quel liceo; eppure sembrava l'unico che non ne fosse a conoscenza, o semplicemente se ne fregava altamente della sua reputazione. L'unica cosa che per lui aveva davvero valore era la sua chitarra, sempre la stessa, quella che aveva ricevuto in regalo per il suo decimo compleanno. La trattava come fosse fatta d'oro, come se fosse una reliquia o un reperto archeologico da trattare con cura.
"Muoviti da lì tocca a noi!"
Ebbi un tuffo al cuore, che inciampò nei battiti e riprese la sua corsa, sempre più veloce.
Il nostro momento era arrivato e non avevo idea di cosa dire una volta sul palco, alla fine dell'esibizione. AVrei fatto una figura del cavolo, ne ero sicura. Sapevo che non avrei mai deluso i miei, ma avrei sopportato di deludere me stessa? Non credo proprio...
Così, senza troppe smancerie, venni catapultata sul palco dalla prof di musica e venni investita dritta negli occhi da un faro accecante, puntato direttamente su di me, e da uno scroscio di mani battenti.
Probabilmente ci avevano anche annunciati ma c'era talmente tanto chiasso nella mia mente, che non ebbi modo di accorgermene.
Andai verso il microfono al centro del palco, ma sembrava piuttosto che mi stessi avvicinando sempre più inesorabilmente verso un patibolo, data la mia lentezza, una spada di Damocle puntata giusto sulla mia testa.
Un ultimo sguardo d'intesa verso mio fratello che, poco più indietro, alle mie spalle, si sistemava sullo sgabello assieme alla chitarra. Non era mai stato un problema per noi lavorare assieme, l'esigua differenza d'età infatti  ci aveva fatti crescere praticamente come gemelli, a parte le naturali schermaglie adolescenziali tra fratello e sorella; mi veniva persino difficile considerarlo un fratello minore, talvolta, visto che mi superava tranquillamente di una spanna in altezza, ed i suoi tratti somatici assomigliavano di più a quelli di un giovane uomo che a quelli di una ragazzino di 16 anni.
Alla chitarra Tom era un piccolo virtuoso, aveva imparato da piccolo a suonarla, ed in pochissimo tempo, eppure si era sempre rifiutato di proseguire con degli studi più approfonditi, svogliato com'era. Nonna diceva sempre che nascere di domenica, giorno universalmente dedicato al riposo, aveva influito sul suo carattere. Mamma, invece, sosteneva che era semplicemente figlio di suo padre, e dunque non bisognava stupirsi troppo, né dei suoi pregi, né dei suoi difetti.
Un bel respiro prima di iniziare e poi via, le parole e le note scivolavano via senza paura, e finalmente anch'io ripresi quel naturale contegno che sul palco mi aveva sempre contraddistinta.
Avevo scelto una vecchia melodia, che aveva persino di più dei miei 17 anni, ma che suonava vagamente familiare, tornata a galla da ricordi di bambina.
Nei giorni di ricerca della canzone ideale e altro materiale per lo spettacolo mi imbattei, infatti, in uno scatolone tutto impolverato e nascosto nei meandri della nostra soffitta. A lettere cubitali c'era scritto il nome Jaymes, che sapevo essere il secondo nome di mia madre, ma non capivo per quale motivo fosse stato scelto come intestazione. Sapevo che probabilmente si sarebbe arrabbiata come una bestia feroce se mi avesse beccata in flagrante a frugare tra le sue cose, possessiva e gelosa com'era, per giunta dei ricordi, ma dovevo farlo ... causa di forza maggiore.
Così decisi di non indugiare oltre e mi risolsi di aprire la scatolae terminare quel lavoro "sporco" il prima possibile. C'erano un mucchio di oggetti tipicamente da ragazzina, come peluches o cuoricini che si ragalano tra fidanzatini, e alcuni quaderni, che riconobbi essere dei diari di mia madre. Non volli aprirli, perché rispettavo profondamente la sua vita privata, anche se passata. E poi ... non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
Tra le altre cose scovai un CD, Fearless. Doveva essere un regalo di papà, perché all'interno della copertina c'era un biglietto con la sua calligrafia.

Mi piacerebbe poter dire che la nostra storia e le nostre canzoni sono tutte racchiuse qui.
Ma non abbiamo una storia, né una canzone tutta nostra.
Ascoltale bene però, una ad una, perché, per quanto possa sembrare strano, c'è un po di noi tra queste note.

Lo sai che ti amo, per sempre tuo
                                                                                           Rob



Con un sorriso ebete stampato sulla faccia richiusi la scatola e tornai nella mia stanza, per cercare le canzoni di quell'album su internet, per studiarne testo e note, e trovare anche gli accordi per Thom, che si era offerto di accompagnarmi con la chitarra, all'unico scopo di risparmiarsi un lavoro da solo. Come al suo solito, il massimo risultato con il minimo sforzo.
Ascoltando le varie tracce la mia faccia scema non poté fare altro che aumentare, sconvolta dal quel romanticismo e dall''infinita dolcezza, insospettabili in mio padre.
Che lui e mamma si amassero ancora come il primo giorno, se non di più, dopo quasi 18 anni di matrimonio e 4 figli, non l'avevo mai messo in dubbio, ma immaginarli carini e coccolosi mi riusciva davvero troppo difficile. Dovetti imparare però, in quelle settimane di preparazione, che con i miei niente è scontato. Da allora, infatti, iniziai a notare tanti piccoli dettagli ... sguardi, gesti, parole non dette o semplicemente soffiate all'orecchio dell'altro ... a cui fino a quel momento non avevo mai dato troppa importanza, che mi fecero capire che non erano cambiati poi così tanto, da quando erano due più che ragazzini, e solo per la grande gelosia che avevano del loro amore, non amavano mostrarlo agli altri. Bolla privata la chiamavano i giornalisti: finalmente ne capii il significato.
E dunque la canzone che avevo scelto e che stavo cantando proprio in quel preciso istante era proprio presa da quel CD.
Presa sicurezza dopo le battute iniziali, sfilai il microfono dall'asta e iniziai a muovermi sul palco, con le luci che mi seguivano e il pubblico sempre in silenzio ad ascoltarmi, avvicinandomi a Tom che continuava a suonare sicuro, come al solito menefreghista dell'intera situazione, totalmente rapito dalla musica. Appoggiandomi allo schienale del suo sgabello per non perdere l'equilibrio, chiusi gli occhi per un'istante e le parole della canzone, le scene che i suoi versi evocavano, presero vita nella mia mente. Piccoli affreschi di vita quotidiana, ricordi in parte sbiaditi dal tempo, ma vivi nella mia mente e caldi nel mio cuore.
 

I'm five years old, it's getting cold, I've got my big coat on

I hear your laugh and look up smiling at you, I run and run
Past the pumpkin patch and the tractor rides, look now, the sky is gold
I hug your legs and fall asleep on the way home


Non c'era una stagione ideale, né un motivo ben preciso, ma durante l'anno era d'obbligo una settimana di relax e divertimento in campagna, nella casa dei tuoi nonni papà. La cosa più bella erano i colori, e nel passare per le stradine sterrate era facile vedere come cambiavano, di giorno in giorno, per diventare sempre più brillanti, o sempre più scuri. Attaccati al cristallo dei finestrini guardavamo il paesaggio senza fiatare, e tu ci dicevi di guardare di qua e di là, e non sapevamo più dove mettere gli occhi, tanto lo stupore sempre nuovo per ogni cosa che ci circondava. Era per noi l'età dei perché, con cui noi bambini riempivamo la vostra testa di domande, stupiti da tutto ciò che non fosse tecnologico o che, semplicemente, faceva parte della natura che noi, figli della fumosa Londra, non vedevamo se non nei libri delle favole. E ci sembrava davvero di vivere una favola, seppur per pochi giorni, perché voi finalmente eravate lì con noi, lontani dal vostro lavoro, e perché il cottage dei bisnonni sembrava davvero la casetta nel bosco dei racconti della buona notte e nonna Victoria era la fata Smemorina, capelli bianchi e voce squillante, sempre sorridente buona e generosa con noi "piccini", come ci chiamava lei. Le corse nei prati e l'aria fresca ci toglievano il freno che la città imponeva e voi eravate sicuri nel lasciarci liberi e a sera, puntuali, non si finiva nemmeno di mangiare che si crollava tra le vostre braccia.


I'm thirteen now and don't know how my friends could be so mean

I come home crying and you hold me tight and grab the keys
And we drive and drive until we found a town far enough away
And we talk and window shop 'til I've forgotten all their names


Ma il vostro lavoro vi portava sempre lontani e per non lasciarci da soli eravate costretti a selezionare il vostro lavoro, separandovi, così da non lasciarci mai senza uno di voi. Ma separare voi era troppo e, anche se non lo davate a vedere, vi ho visti piangere più di una volta davanti allo schermo del pc, più di una volta a notte fonda, vi ho sentiti sussurrare "mi manchi" alla cornetta del telefono. E così ce ne siamo andati da Londra, alla conquista della California che, per noi, era da sempre sinonimo di vacanze estive dai nonni e tacchino arrosto nel giorno del Ringraziamento. "Andiamo in un posto dove c'è sempre il sole" avete detto ai più piccoli, ma io e Tom, già abbastanza grandi, sapevamo che sarebbe stato più nuvoloso dell'Inghilterra. "Arrivano i Lord" ci dicevano a scuola, e nessuno la smetteva di prenderci in giro per il nostro accento, forse invidiosi della nostra educazione e della nostra migliore preparazione scolastica. Eravamo considerati da tutti dei raccomandati, figli snob e spocchiosi di due celebrità di Hollywood, ma nessuno capiva che ci mancavano solo i nostri vecchi amici, le nostre divise da personalizzare, le attese dell'autobus passate sotto l'ombrello insieme ai propri amici, sperando che le macchine non ci bagnassero. Così Tom si è sempre più chiuso nella sua stanza a suonare la chitarra ed io ho iniziato a piangere e l'unica spalla che avevo a disposizione era la tua, mamma. Hai preso le chiavi della tua vecchia mini, che usavi per le strade della tua vecchia Los Angeles, e mi hai portata a fare shopping e a prendere il mio primo caffé da Starbuck. Mi hai fatta ridere, divertire come non mi succedeva da tanto. A sera, quando il sole spariva nell'oceano, mi hai detto: "Si torna a casa". E siamo tornati a casa, a Londra, e ci hai protetti di nuovo, e ci hai ridato il sorriso.


I have an excellent father, his strength is making me stronger

God smiles on my little brother, inside and out, he's better than I am
I grew up in a pretty house and I had space to run
And I had the best days with you



Ho il padre migliore del mondo, e riempiti pure d'orgoglio papà, perché è davvero così che ti vedo. Non l'amico che vorresti essere, combinando guai a non finire, ma un genitore speciale. Il tuo sorriso, il tuo sguardo protettivo su di noi, la tua presa sicura è tutto ciò di cui ho bisogno per affrontare il mondo. Sei la mia roccia, le mie radici, non potrò mai fare a meno di te.
Thomas (Richard, come di tradizione) è il mio quasi fratello gemello, nato un anno dopo la mia nascita, ed ero troppo piccola per poter capire cosa fosse la gelosia. Ma in braccio a mamma e papà finivamo sempre per strapparci i giocattoli di mano, o prenderci a pizze in faccia, per il puro gusto di farlo o rivendicare la proprietà esclusiva dei nostri genitori. "MIO MIO" ripetevo in continuazione quando il piccolo Tom aveva imparato ad afferrare gli oggetti soprattutto i miei giocattoli, troppo belli e colorati per passare inosservati.
E casa nostra, la grande e antica casa di Barnes, divenne negli anni sempre più stretta e confusionaria, man mano che la famiglia si allargava. Prima Julie (Juliet Mary) e poi Chris (Christopher John). Con loro il legame è stato più difficile, data la differenza d'età più grande, rispettivamente più piccoli di me di 5 e 6 anni, ma quando è stato possibile sono sempre stati dei buoni compagni di giochi, ed io per loro una sorta di guida, un'orgogliosa e sempre disponibile e affettuosa sorella maggiore, a parte quando i miei primi trucchi e i poster che cercavo di appendere in camera venivano macchiati dai loro pennarelli impertinenti. Difficile raccontare dei segreti a chi è più piccolo di te, confidarsi quando non ti possono capire, ma è bello poter ascoltare la mia piccola Julie ora e sperare che, magari più in là, lei potrà farlo con me.
La nostra casa, con il discreto giardino e la sua piccola torretta rifiugio è sempre stata la nostra sicurezza, il posto in cui tornare a sera quando è tardi, dove trovare sempre il frigo pieno o il forno caldo di leccornie della mamma.
Con voi ho davvero vissuto i miei giorni migliori!


And Daddy's smart and you're the prettiest lady in the whole wide world


E quando ci sono le premiazioni in tv ci piace starvi a guardare, contenti che non ci abbiate portati con voi. Ti vediamo bella come sei mamma, e ridiamo per le facce buffe e le frasi sconnesse che papà dice durante le interviste. Forse non lo sapete, ma anche Tom vede e vostre interviste. L'ho beccato in camera una volta, mentre guardava per conto suo gli MTV Movie Awards: mi ha detto che era per un cantante, ma l'ho sentito urlare di gioia, mamma, mentre dicevano che avevi vinto.


And now I know why the all the trees change in the fall
I know you were on my side even when I was wrong
And I love you for giving me your eyes
For staying back and watching me shine
And I didn't know if you knew, so I'm takin' this chance to say
That I had the best day with you today


"Ora conosco tanto di questo mondo" le parole uscirono incontrollate dalle mie labbra, prima che un'azione volontaria potesse fermarle. Mio fratello astutamente, continuò l'arpeggio con le sue corde liddove stava per terminare.
"So perché gli alberi cambiano in autunno e so perché tra Americani ed Inglesi a volte non scorre buon sangue" e qui un leggero sorriso si impose sulle mie labbra. Riconobbi nella platea la sagoma di mio padre, e la sua risata spontanea e, di fianco a lui, quella timida e minuta di mia madre, imbarazzata ma al contempo divertita.
"Conosco tutte quelle parole che da bambina non riuscivo a pronunciare, ed ho anche imparato a distinguere gli amici dagli approfittatori. Ma ci sono tante cose che ancora non so, e tante altre che forse non imparerò mai, ma una cosa la so con certezza: che voi sarete lì, mamma e papà, magari dietro la cortina di un palco, o nascosti all'angolo di una parete di un'aula, e sarete pronti a venirci in aiuto. Ci avete insegnato a rialziarci, ma sarete i primi a tenderci una mano. Abbiamo avuto per anni i vostri piedi per camminare, le vostre mani per prendere gli oggetti più in alto, i vostri occhi per vedere il mondo nella maniera più bella e semplice. Ed è per questo che oggi vi dico grazie, per avermi ... averci fatti così come siamo, insegnandoci l'umiltà, il sacrificio, doti che ho sempre riconosciuto come vostre. Because my best day is YOU, today"










ANGOLO DELL'AUTRICE

Eccomi pronta a scrivere l'ultimo angolo dell'autrice. Non scrivo grandi spiegazioni perché non credo che ce ne sia bisogno. Spero vivamente di non aver rovinato la storia con l'epilogo, ma volevo dare spazio anche alla piccola Jew, che tanto piccola ora non lo è più.
Colgo l'occasione per dirvi grazie e mandarvi un bacio ed un abbraccio virtuali.
Ho un desiderio per quest'ultima parte della storia: che possiate salutarmi tutte attraverso le recensioni dicendomi qual è il vostro capitolo preferito, perché, cosa vi è piaciuto e cosa no.
Comunque non disperate rivedremo tutta questa bella e ormai grande famiglia al più presto non appena avrò un po' di tempo e di ispirazione per scrivere. Poi mi piacerebbe anche scrivere dei Robsten come li conosciamo ora, giovani e innamorati.
Ho in mente una raccolta di one shot o forse due. Una si chiamerà sicuramente "And so they kissed" per cui state sempre all'erta perché potrei tornare da un momento all'altro.
à bientot
Federica

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Capitolo 32
*** Extra 1 ***


The best day - extra 1 Lo so...probabilmente vi state chiedendo se questo non sia un sogno... ma invece è una bellissima realtà. sono tornata su questa storia con un nuovissimo extra. Non so quanti ne farò, né se a questi ne seguiranno altri, ma sentivo che qualcosa mancava e poteva essere aggiunto. Se c'è qualcosa che credete possa essere approfondito, non esitate a dirmelo. Approfitto per ringraziarvi delle recensioni all'epilogo di questa storia, e mi auguro non ne farete mancare nemmeno qui.
Vi lascio alla lettura...














Extra 1
La prima notte - P.O.V. Robert











Dio sono padre!!! Sono un papà!!!
Non riuscivo a spiegarmi come fosse possibile. Ero passato come in un flash dall'essere un scapolone impenitente ad essere un padre. Nel mezzo del flash c'erano una moglie fantastica, un matrimonio e un batuffolino tutto rosso e piangente che era appena uscito dalla sua pancia.
Certo aveva fatto parecchio casino per venire al mondo. Ha rovinato la festa che tutti stavamo facendo in suo onore ... o semplicemente aveva deciso di voler partecipare anche lei ai festeggiamenti e diventare la guest star dell'evento. Decisamente aveva già un spiccato senso dell'umorismo noir, così tipico di noi inglesi, nonostante i pochi minuti di vita, che non mi sarei insospettito più di tanto se il semplice latte materno non le fosse bastato. Le avrei fatto provare del té e, perché no, un goccio di Lager che non ha mai fatto male a nessuno e mette tutti di buon umore.
Mentre lo staff della sala parto aiutava Kristen nella fase post-parto e visitavano la piccola per la prima volta decisi che era arrivato il momento di tirare il fiato un attimo dopo la corsa delle ultime ore e andare ad annunciare la nascita della piccola alla mia famiglia. Mi disfai di tutto quell'abbigliamento verde, che faceva tanto stile E.R., mi diressi in sala d'attesa.
Feci appena in tempo ad aprire la porta a spinta con una spalla, che mi trovai in mezzo alla calca di parenti che non c'era stato verso di rimandare a casa e che avevano letteralmente trasferito il baby shower da casa mia al reparto di Ginecologia-Ostetricia del St. Mary's Hospital. Mia madre, mio padre e le mie sorelle erano in prima fila e, accavallandosi nella conversazione l'un l'altro, non capii una delle domande che mi rivolgevano.
"Sshhhhhh!!!" fui costretto a blaterare a grandi gesti per farli tacere.
Finalmente intorno a me si creò un varco abbastanza largo sufficiente, da consentire a tutti di sentirmi e a me di respirare.
"è una bambina!" esclamai felice e sollevato come se mi fosse stato levato di dosso un macigno. Lasciai che si impossessassero (sarebbe meglio usare l'espressione estirpare con violenza) del mio cellulare con cui, furtivamente, ero riuscito a scattare una foto della piccola prima che ce la portassero via. Se non me l'avessero restituito poco male ... non avevo voglia proprio di sentire nessuno per successive ventiquattro ore.
Effettivamente lo stress accumulato durante quelle ore, che erano passate senza quasi accorgemene, si faceva sempre più pressante: infatti era ormai sera, anzi notte avanzata, ed ora mi sentivo decisamente stanco. Ma non avrei lasciato Kristen da sola per tutto l'oro del mondo; era la nostra prima notte da genitori, dovevamo trascorrerla insieme. Perciò, sarei stato comodo anche su una poltroncina, nella stanza che le avrebbero destinato.
Dopo le congratulazioni, gli abbracci e i baci reciproci, un'infermiera venne ad informarci che avevano portato Kristen in stanza, probabilmente da una via secondaria, certamente più consona visto che altrimenti sarebbe stata aggredita da tutto il parentado in attesa. Così, con mio grosso piacere, tutta quella marmaglia di parenti ed amici fu costretta a tornarsene a casa, a bocca asciutta, e permisi solo a mia madre di restare, per aiutarmi a sistemare la biancheria di Kristen e tutti i festoni che quegli scalmanati avevano depositato in sala d'attesa.
"Allora ..." mi sussurrò, avvolgendomi le spalle e appoggiandosi a me, mentre ci incamminavamo nella corsia buia e silenziosa del reparto. Tutte le neo mamme riposavano e noi ci godevamo un po' quel silenzo per assaporare meglio la gioia del momento "... com'è?"
Non avevo dubbi sul significato della domanda. Era impaziente di conoscere sua nipote e francamente non vedevo l'ora anch'io di conoscerla meglio. Non sapevo proprio cosa rispondere alla sua domanda, perché l'avevo vista talmente di sfuggita che non avevo fatto in tempo a fissare nella mia mente il suo volto. Ricordo un batuffolino tutto rosso, sporco di sangue e rimasugli placentari, avvolto in un telino verde e che l'ostetrica, per tenerla stretta a sé, aveva dovuto chiudere bene le braccia altrimenti sarebbe caduta. Sapevo solo una cosa e non esitai a dirgliela: "è proprio piccola!"
Entrambi ci lasciammo andare ad un sorriso pacato e sereno.
Purtroppo non potevo dire altro: non ero mai stato abile nel descrivere le persone, figuriamoci farlo dopo averla vista per un nano secondo. Il cellulare era morto nel frattempo e lei non aveva potuto vedere la piccola foto tutta tremolante che le avevo fatto: per l'emozione non ero stato in grado di tenere il telefono ben fermo e l'obiettivo non aveva messo bene a fuoco la bambina.
Non avevo idea di che colore fossero i suoi occhi, chiusi stretti stretti a causa della luce accecante che l'aveva accolta in sala parto, non avevo potuto cogliere cenni di somiglianza nel suo volto perché aveva stretto contro il viso i suoi pugnetti e li sfregava contro il piccolo nasino. Avrei dovuto cogliere la possibilità di vederla meglio mentre era tra le braccia di Kristen, ma le lacrime involontariamente iniziarono a rigarmi il volto e ad offuscare la mia visuale.
Ero padre ed era la sensazione più bella del mondo.
Entrammo quietamente in stanza, Kristen era già profondamente addormentata e non mi presi la pena di svegliarla o distrurbarla. Aveva davvero faticato tanto e per un attimo mi presi la briga ringraziare il "Signore del piano di sopra" per aver lasciato alle donne un'incombenza simile ed avermi fatto nascere uomo. Conoscendomi non avrei resistito più di cinque minuti al dolore e avrei costretto i medici a farmi l'epidurale o passare direttamente al taglio cesareo.
Ma nonostante tutta la fatica non aveva perso quella sua bellezza naturale, quei tratti di ragazzina un po' ingenua tuttavia non più così acerba, un piccola donna alla scoperta del mondo. La sua femminilità stava venendo fuori sempre di più e mi resi conto che ogni giorno amavo una donna diversa eppure costantemente meravigliosa. Mia madre e mi lasciò sederle accanto per un po', occupandosi lei del riordino, e mi fermai un attimo a guardarla, beandomi del silenzio e della semi oscurità.
Ma si sa che la calma non è fatta per durare a lungo, specialmente quando le cose vanno tanto bene, come in quella notte.
"Signor Pattinson?" una voce accompagnò l'ombra che si era avvicinata alla porta della stanza. La penombra che avevamo creato per meglio far riposare Kristen e la luce dei neon del corridoio creava un dislivello nella visuale che non mi permetteva di distinguere bene il mio interlocutore. "Sì?" domandai di rimando. Fui costretto ad alzarmi e raggiungere sull'uscio quello che sembrava un dottore; oltretutto non fece alcun tentativo di avvicinamento, rispettando il riposo di mia moglie. Era un'uomo sulla trentina: capelli castani, aspetto tremendamente ordinato ed elegante, nonostante avessimo superato la mezzanotte e di solito a quest'ora anche negli ospedali ci si lascia andare a piccole pennichelle. Lo seguii titubante, sotto lo sguardo attento e ansioso di mia madre, mentre mi faceva strada verso il corridoio, portandomi in disparte, compresi, dalle orecchie di mia madre.
"Sono il dottor Martin, specializzando del reparto di Neonatologia ..." strinsi di rimando la sua mano, non capendo cosa stesse accadendo. Il suo saluto mi sembrò troppo formale per essere quello rivolto ad un neo-papà, e di solito tutti erano ben più affabili in tali circostanze. "Sono stato incaricato dal dottor Couney di venire qui da lei. Al momento è lui che si sta occupando di sua figlia. Ma non si preoccupi, è in più che ottime mani"
Aspettate un momento. Mia figlia? Cosa c'è che non va?
"Non...non capisco. Mi può spiegare cosa è successo?" chiesi, ma non riuscii a nascondere la leggera flessione nervosa della mia voce.
"Sua figlia è nata pre-termine signor Pattinson" mi rispose quel medicuccio, dal fare un po' sufficiente, come se dietro a quelle sue parole ci fosse la cosa più scontata del mondo da capire. Ci misi poco effettivamente a capire quell'ovvietà, il passaggio che avevo perso, e ricollegai il terrore di Kristen in sala parto. La piccola era nata alla 33esima settimana di gestazione, mancavano ancora 7 settimane al termine naturale della gravidanza, tutte estremamente importanti per la sua salute e, come ci era stato spiegato nei mesi precedenti, più il parto avveniva in anticipo, più ogni settimana era decisiva per la sopravvivenza del nascituro.
Sopravvivenza.
Mi sentii le gambe cedere, come se tutto lo stress e la stanchezza che accumulavo da giorni - riprese, viaggio e parto senza chiudere occhio che per un paio d'ore in tutto - si fossero coalizzati contro di me e avesse deciso di schiacciarmi, stritolarmi e soffocarmi in quell'istante. Mi appoggiai stremato alla parete del corridoio, scorrendo una mano sul mio viso. Non era finito niente. Anzi il peggio era appena iniziato.
Vidi, con la coda dell'occhio, mia madre affacciata dalla porta della stanza che ci osservava in apprensione. Anche il dottore se ne accorse e concordammo che fosse il caso di salire in reparto e controllare la situazione.
"Stai con lei" dissi a mia madre, afferrandole forte le mani. Avevo bisogno di tutta la forza che poteva darmi. "Ma cosa è successo?" domandò. Non ebbi né il tempo né la forza di rispondere.
Salii le scale accanto al Dr. Martin rivolgendogli tutte le domande che a cascata filtravano dalla mia mentre alla mia bocca, senza nemmeno aspettare che mi rispondesse e varcammo la soglia della neonatologia nello stesso turbine di iperattività che mi circondò appena capii quali potessero essere le condizioni di mia figlia. Mentre, in una zona filtro, mi preparavano nuovamente ad entrare in una zona quanto più sterile possibile, il dr. Couney, strutturato di Neonatologia, prese il posto della giovane recluta e decise finalmente che era il caso che io sapessi qualcosa di più sulla salute ma soprattutto sulla vita di mia figlia.
"Signor Pattinson" mi spiegò senza tanti giri di parole "sua figlia ha dei polmoni poco sviluppati che non le permettono di respirare come dovrebbe."
Rimasi di sasso. Non mi diede il tempo di proferire parola che subito continuò con la sua spegazione. Oltretutto non avevo proprio forza di dire nulla.
"Senza entrare nel dettaglio o spiegarle cose che comunque sono troppo tecniche sua figlia al momento non produce una proteina che è fondamentale per il corretto funzionamento dei polmoni. Di conseguenza la piccola si trova in una situazione di insufficienza respiratoria che porta scompensi all'intero organismo"
Non ero un luminare di medicina, ma quelle poche parole chiave che estrapolai dall'intero discorso bastarono per mettermi in allarme. Più che in allarme. Eppure non riuscivo a pensare a nulla, a niente che fosse bello o brutto, avvertivo solo tanto vuoto e buio intorno a me. Mi sentivo completemente svuotato, eppure con un macigno sulle spalle. Morire sarebbe stato un sollievo che avrei tanto voluto concedermi o almeno svenire e lasciare che tutto accadesse a mia insaputa. Avrei perso la mia piccola? Le avevo dato la vita e avrei dovuto dirle addio? Erano gli unici interrogativi che ronzavano come vespe velenose nella mia mente e pungevano al cuore indebolendolo battito dopo battito. No, mi sforzai di rispondere a me stesso, nel ventunesimo secolo i padri non seppelliscono i propri figli e non certo accadrà a me.
"Posso vederla?" chiesi in un lampo di lucidità. Mantenendo un rispettoso silenzio mi lasciarono entrare nella grande stanza dov'era la mia cucciola.
Non ero mai stato in stanze simili prima di allora ma dai pochi telefilm ospedalieri che avevo visto aveva tutta l'aria di essere una specie di terepia intensiva in miniatura. Al posto dei letti c'erano una serie di incubatrici ed i pazienti che li ospitavano erano uno più piccolo dell'altro. Perché tanto dolore? La nascita è la cosa più bella che possa esistere al mondo; perché deve essere oscurata dalla malattia? Cos'hanno fatto questi  piccoli da essere già puniti col dolore, a poche ore di distanza dalla loro nascita?
Camminavo tra quelle piccole cullette termine alla ricerca di una in particolare, senza sapere esattamente cosa cercare. Sapevo che dovevo andare da mia figlia, eppure quegli esserini sembravano tutti uguali e la sofferenza li rendeva in un certo senso tutti figli miei: avrei voluto stringerli tutti, portarli tutti con me, via dal dolore e dalla sofferenza.
"Da questa parte" una voce femminile, dolce, giovane e squillante, mi indicò una culletta in fondo alla stanza, dov'era adagiata una bimba. Il cartellino sull'incubatrice portava la scritta Baby Pattinson. Eccola.
Il mio cuore fu preso d'assalto da fiamme che divamparono in pochi secondi, eppure non c'era niente che le domasse; fu così che venne ridotto a brandelli. Era la mia bambina, e non potevo sopportare di assistere a quella scena. Era in un'incubatrice, attaccata ad una serie di fili e tubicini che controllavano i suoi parametri vitali e l'aiutavano a respirare. Dormiva, apparentemente beata: non era certo l'immagine di una bambina malata, al di là delle sue piccole dimensioni.
"Ci scusi" mi disse la piccola infermierina bionda che mi accompagnava "ma non sapevamo che nome avevate scelto per la bambina, così ci siamo limitati a scrivere il cognome"
Già, nella fretta non l'avamo deciso, ed in quel momento mi sembrava l'ultima delle priorità. "è proprio necessario?" le chiesi, senza staccare gl'occhi dall'incubatrice. "No, non per il momento ..." mi disse. Non volli assolutamente indagare il significato che quella sua frase potesse avere e mi limitai a dirle, gentilmente, che poteva lasciare la scritta che c'era, aggiungendo però anche il cognome di Kristen. L'avevamo fatta in due, era giusto che ci fosse anche lei, e se il diritto non ci consentiva il doppio cognome, nei nostri cuori sapevamo che lei era la perfetta congiunzione dei nostri interi. Ed anche il nome l'avremmo scelto insieme.
Allora pensai che Kristen era completamente all'oscuro di quanto stesse accadendo e mi faceva ancor più male pensare a cosa avrei dovuto dirle al suo risveglio e come avrei dovuto farlo. Mi si spezzava già il cuore ad immaginare la sua reazione, e ancora di più mi uccideva sapere di doverle infliggere un nuovo dolore.
Ma ogni cosa a suo tempo e quello era il momento da dedicare alla nostra creatura. A Kris avrei pensato al mattino, al suo risveglio.
Come facevo a non ricordare quel volto d'angelo. Nonostante fosse piccola e anche abbastanza gracilina, era l'identico ritratto di sua madre anche se, probabilmente, il biondo della mia famiglia aveva avuto il sopravvento, visto che di capelli non ne aveva nemmeno l'ombra. Avrei voluto svegliarla per vedere i suoi occhi, ma aveva bisogno di riposare.
In quel momento tutti avevano bisogno di riposare, tutti tranne me, evidentemente. Ero completamente solo. Anche in quella stanza ero stato lasciato solo. Un moto di rabbia e di sconforto mi montò da dentro e dovetti frenarlo come meglio potevo perché non era né il momento né il luogo per farsi prendere da certi raptus. Mi aggrappai a quella culla con le mie mani, lascia che le unghia sfogassero senza fare danni la mia frustrazione sul plexiglass per poi battervi contro con un leggero pugno.
Un beep intermittente mi permise di riavermi da quello stato di trance e mi fece rendere conto che col mio leggero movimento avevo, non solo svegliato la bambina, ma avevo anche scatenato una reazione negativa nel suo piccolo cuoricino.
"Signor Pattinson ma cosa ha fatto?" mi chiese l'infermiera di guardia, accompagnata dal medico di turno, che immediatamente controllò le condizioni della mia cucciola. Mi feci da parte e mi sentii piccolo piccolo, nulla in confronto a ciò che mi circondava, un pericolo nella misura in cui le avevo fatto del male. Avrei dovuto difendermi dalla accusa che mi era stata rivolta, reagire di fronte a quella crisi d'impontenza che aveva preso il sopravvento, dimostrare che ero un uomo fatto e finito, ormai pronto ad assumersi le proprie responsabilità. Invece non fui capace di fare altro che abbassare il capo, sommessamente, e lasciar svolgere il proprio lavoro a chi ne sapeva più di me.
Mi diressi fuori dalla sala e, nella zona filtro, scatenai la furia che avevo represso poco prima, gettando a terra tutto quello che mi passava per le mani e tirando calci agli armadietti del personale. Se avessi trattenuto le lacrime probabilmente sarei stato più uomo, ma avevo bisogno che qualcuno si accorgesse di me, che mi stesse a sentire, che mi dicesse qualcosa. Tutti si aspettavano qualcosa da me, una risposta, ma non ero in grado di fare niente e quella era l'unica reazione possibile. Non ce la facevo più. Mi accasciai a terra, le mani a coprire il volto.
Dopo pochi istanti udii un rumore di passi intorno a me e un corpo venne ad accovacciarsi al mio fianco. Riconobbi la sagoma matura e importante del dr. Couney; assomigliava a Dean, la mia guardia del corpo.
Lo guardai e mi guardai intorno: certo che avevo combinato un macello.
"mi scusi dottore" mi affrettai a scusarmi, con riacquistata lucidità "ripagherò tutti i danni che ho fatto, stia tranquillo ..."
"Oh lo credo bene!" rispose lui, con un leggero sorriso stampato sulle sue labbra. "Sa come faccio a vivere ancora?" mi chiese "come faccio a fare ancora questo lavoro dopo 20 anni, a sorridere ancora quando entro qui dentro e vedo questi piccoli, mentre a casa o due bambini che scoppiano di salute?". Lo guardai, perplesso, e scossi la testa. Era un'uomo estremamente colto eppure così umile, che si era abbassato al mio livello, condividendo e confessando una parte così intima di sé. "Perché spero e credo" continuò "che tutti i bambini che sono di là diventeranno grandi e forti come i miei figli e perché queste lacrime che vedo in lei e in tutti gli altri padri, mi creda, domani si trasformeranno in un sorriso. Stia tranquillo, sua figlia starà bene ... e ora torni da lei. La sta aspettando ad occhi sgranati"
Non me lo feci ripetere due volte ed entrai con grinta e sperenza in quella sala. La stanchezza sembrava essere svanita con le lacrime che mi avevano rigato il volto. Tornai dalla mia creatura e la vidi che mi guardava, bella come sua madre il giorno che ci siamo incontrati, con dei grandi occhi che mi scrutavano, domandandosi e domandandomi cos'erano quegli occhi rossi ed ancora un po' lucidi che avevo. E i miei occhi erano finiti sul suo piccolo volto e sembravano dirmi: tranquillo papà, sono forte.
"Sei forte davvero piccola mia" sussurrai al vetro freddo, baciandolo come se potessi arrivare alle sue guance. Allora, solo avvicinandomi bene, intravidi i segni della malattia: il fiato corto, il viso un po' cianotico. Ma al contempo mi confortava sapere che erano leggermente visibili, a riprova del fatto che il peggio era passato e non poteva che andare meglio.
"La stiamo aiutando con la respirazione" mi disse il dottor Couney "ed abbiamo iniziato la terapia con il Surfactante, la proteina che le manca. Il suo peso ci conforta abbastanza: è piccola, ma c'è di peggio, e se sopporterà il latte materno non credo che ci vorrà molto per toglierla dalla culla termica"
Non volli chiedere altro; non volli sapere per quanto ne avremmo avuto e i dettagli di terapie o analisi. Per il momento mi bastava sapere che sarebbe andato tutto a posto e che la piccola sarebbe tornata a casa con noi. Quando, era proprio irrilevante.
Stessi a guardarla un altro po' mentre si addormentava, provando a canticchiarle una melodia a caso, e non potei fare a meno di innamorarmi di lei e dei suoi grandi occhi color del mare. Era scritto nel mio destino, innamorarmi di donne dagli occhi grandi e belli come la luna.
Erano quasi le 4 del mattino, era trascorso molto più tempo di quanto ne avessi percepito scorrere addosso. Lasciai il reparto e tornai da Kristen. Mi sentivo ... non lo so più come mi sentivo. Stanco? Forse.
Mia madre mi venne incontro quando varcai la porta della stanza e capii che doveva essersi informata perché iniziò a rivolgermi mille domande e accanto a lei c'era mio padre. Non la sentii e mi rivolsi a lui, che era rimasto in silenzio, sulla poltrona, accanto a Kristen. "Dorme?" gli chiesi, mentre si alzava. Chissà quante ne aveva sopportate in silenzio e discrezione negli anni, quante cose si era tenuto dentro e per quante, di nascosto, aveva pianto. Gli avevo sempre voluto bene, lo avevo sempre stimato, ma mi trovai a provare per lui un nuovo rispetto. Mi arpionai al suo collo con le braccia, avevo bisogno di sentirlo vicino. Mi diede delle leggere pacche sulla spalla e mi fece accomodare sulla poltrona. Notai di sfuggita, nonostante la leggera oscurità, le sue guance di porpora e gli occhi luccicanti. "Accomodati figliolo, riposa un po'" feci come mi aveva detto.
"Dovresti andare a casa, e dormire per almeno mezza giornata" mi rimproverò mia madre "sto io con Kristen, lo sai che mi fa piacere"
"Lo so" le risposi, chiudendo gl'occhi e lasciandomi andare un po' "ma non ci penso nemmeno, le devo essere accanto quando si sveglia. Andate voi."
"Come sta?" mia madre non riuscì a trattenersi. "Non sta bene mamma" fui realista "ma è forte e guarirà".
Lei e mio padre si scambiarono una serie di occhiate e compresi che lui aveva capito la situazione senza tante spiegazioni. Presero quelle quattro cianfrusaglie che dovevano riportare a casa e mi lasciarono solo.
Da lontano il Big Ben segnava le 4 e mezza e lasciai che il respiro di mia moglie fosse l'ultimo rumore prima di sprofondare nei sogni.








à bientot
Federica

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