The Best Day di crazyfred (/viewuser.php?uid=82886)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come back home ***
Capitolo 2: *** Io odio il jet lag ***
Capitolo 3: *** Ti ripresento i miei ***
Capitolo 4: *** Two Shopaholics and a pregnant friend ***
Capitolo 5: *** My beloved' lament ***
Capitolo 6: *** Qualcuno scrisse... ***
Capitolo 7: *** Rivedere le proprie idee ***
Capitolo 8: *** Mantenere la calma ***
Capitolo 9: *** The captain of my heart ***
Capitolo 10: *** Due biglietti di sola andata ***
Capitolo 11: *** Birthday of truth ***
Capitolo 12: *** How will you remind me? ***
Capitolo 13: *** Getaway ***
Capitolo 14: *** Lettera dal cuore ***
Capitolo 15: *** The Garden of England ***
Capitolo 16: *** Quel TI AMO maledetto ***
Capitolo 17: *** Attese ***
Capitolo 18: *** Beyond the ocean beach ***
Capitolo 19: *** Clair de lune ***
Capitolo 20: *** Pensieri a lancette ferme ***
Capitolo 21: *** Ragione e Sentimento ***
Capitolo 22: *** Un ponte tra il vecchio e il nuovo mondo ***
Capitolo 23: *** Family Portrait ***
Capitolo 24: *** Total Eclipse of the Heart ***
Capitolo 25: *** I love party for the baby ***
Capitolo 26: *** Alfa & Omega ***
Capitolo 27: *** Monkeys and little rabbits ***
Capitolo 28: *** What's in a name? ***
Capitolo 29: *** Confusione ***
Capitolo 30: *** When we're apart ***
Capitolo 31: *** Epilogo ***
Capitolo 32: *** Extra 1 ***
Capitolo 1 *** Come back home ***
the best day-capitolo 1
Eccomi a voi!!!!!!!!! sono tornata. dopo una piccola pausa...ma sono tornata!
Questa nuova fan fiction è il seguito di Canto di Natale, e si
colloca qualche mese dopo la fine della precedente. non dovrebbe essere
difficile leggerla senza aver letto la prima, ma se avete qualche
dubbio, leggere l'altra non fa male, oppure basta chiedere a me. Il
titolo, The Best day, mi è venuto in mente ascoltando la canzone
di Taylor Swift, dedicata alla sua famiglia; nel corso della storia
capirete per quale motivo ho scelto questo nome. Comunque, bando alle
ciance e andiamo subito alla lettura di questo capitoletto iniziale.
Non c'è bisogno di dirvi che aspetto con ansia le vostre recensioni!
Enjoy it!
Capitolo 1
COME BACK HOME - P.O.V. Kristen
Eravamo da poco atterrati a LAX, ed ero stanca morta;
come non esserlo dopo 12 ore di viaggio interminabili, con solo un’ora di
tregua a New York dove, scesi dall’aereo proveniente da Londra, dovemmo
aspettare la coincidenza per Los Angeles. In quell’ora ne approfittai per
mettere qualcosa nello stomaco: il mangiare in volo avrebbe significato per me,
nel mio stato, passare il viaggio attaccata al water a vomitare, sensibile
com’ero ad ogni minimo movimento del velivolo. A dir la verità, non avevo il
coraggio di toccare cibo nemmeno a
terra, ma Rob insistette così fortemente, che non potei fare altrimenti: pensai
che, in fondo, una volta a bordo, la digestione sarebbe stata già a buon punto,
e sarei stata bene, se mi fossi mantenuta leggera; e poi, a dir la verità,
avevo una fame …
Arrivati, dicevo, prendemmo un taxi e ci fiondammo a
casa; voleva venire mio padre a prenderci, ma in questo modo avremmo dato di
più nell’occhio, ed era l’ultima cosa che volevo, dopo che nelle ultime
settimane, i giornali non facevano altro che pubblicare foto paparazzate del
matrimonio e della luna di miele … mio
Dio, non posso ancora crederci, io ho sposato davvero Rob, e aspetto un figlio
suo … sfacciatamente fortunata!!! ... nei miei pensieri queste parole ricorrevano
spesso in quel periodo.
La casa, quella dove abitavo da “nubile”, era come
l’avevo lasciata prima di partire per Londra, oramai 4 mesi fa: decisamente
troppo lunga ed inaspettata era stata la mia assenza, mai avrei detto che il
mio soggiorno a Londra si sarebbe prolungato in tal maniera, e che al mio
rientro negli States, le cose sarebbero state così diverse.
A parte la piccola
tappa di lavoro a gennaio per il Sundance Festival, avevo ormai
stabilito la mia residenza in
quell’angolo di paradiso chiamato Barnes, alla periferia sud di
Londra, dove non trovi un fotografo neanche a
chiamarlo apposta. Il mio trasferimento si era reso necessario
perché, a causa dei miei ormoni ballerini, mi ero trasformata in
un mostro di romanticherie, ed avevo
insistito a sposarmi nella tranquilla campagna inglese, nello Yorkshire
tanto
caro alla nonna di Robert, dove lei e nonno Ed si erano sposati mezzo
secolo
prima. Nel frattempo Rob stava girando il Bel Amì a Londra e
sinceramente non
ce la facevo proprio a stargli lontana. Mamma aveva fatto mettere in
ordine per
il nostro arrivo, però, nonostante fosse tutto come me lo
ricordavo, e niente fosse
fuori posto, non riconoscevo quella casa come mia: era come se fosse
appartenuta ad un
parente, conoscendola come le tue tasche, ma non oseresti mai
metterti a frugare
nei cassetti.
Ultimamente i miei occhi dovevano essere proprio,
come dice il proverbio, lo specchio dell’anima, perché Rob … come lo amo … mi rispose, capendo il mio
stato d’animo: “Non ti preoccupare amore, tra poco sarà tutto come prima,
vedrai, devi solo riprendere un po’ confidenza con i tuoi spazi”.
“Mah sì” gli risposi “tanto per cominciare, mi
riapproprierò della vasca, con un bel bagno”
“Brava” si complimentò
standomi alle spalle, abbracciandomi alla vita, accarezzando il mio
pancino, che giorno dopo giorno, incominciava a farsi notare, e baciandomi i
capelli … allora lo sa che mi fa morire quando fa
così!!!
“E poi riprenderò possesso del letto … ho proprio
bisogno di una bella dormita!” mentre parlavo mi venne naturale uno sbadiglio.
All’improvviso mi sentii sollevare da terra, ovviamente era stato Rob, che mi
stava portando al piano superiore, verso la stanza da letto.
“Ma che fai?”
chiesi sorpresa, anche se tutte queste sue attenzioni non potevano che farmi
piacere.
“Beh sai, avevo paura che ti addormentassi per le scale” gli stampai
un bacio sulla guancia, arpionata al suo collo … che profilo che ha, dopo tutto questo tempo ancora mi lascia senza
fiato, penso però che non mi abituerò mai … in camera mi fece scendere,
continuò: “e fammi una cortesia,
preferirei che facessi una doccia, anziché il bagno, per lo stesso motivo per cui ti ho portato in braccio fin qui”
disse dandomi un bacio, dolce e sensuale questa volta … come se i suoi baci non fossero tutti dolci e sensuali … ma fammi il
piacere Kris!!!
ANGOLO DELL'AUTRICE
come
avrete certamente capito Rob e Kris sono oramai sposati, siamo
più o meno ad aprile di questo stesso anno. Ho saltato le parti
del matrimonio, ma questo non significa che più in là io
non possa fare dei flash back, anzi, ne ho uno già pronto che
non vedo l'ora di proporvi...però ogni cosa a suo tempo
per
questa nuova ff ho deciso di fare i capitoli più brevi, per
quanto mi sarà possibile ed evitare di annoiarvi inutilmente
come
avrete certamente capito, le parti in corsivo sono quelle in cui viene
fuori il pensiero del narratore; in quetso caso Kris, ma potrebbe
essere anche Rob, o qualcun altro in futuro...
Alla prossima!
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Capitolo 2 *** Io odio il jet lag ***
The best day - capitolo 2
eccomi
qui, malata, al letto, che vi posto il nuovo capitolo della mia storia.
vi ringrazio enormemente per i commenti, già numerosissimi! Mi
raccomando, fateli crescere di capitolo in capitolo. Vi aspetto, alla
fine del capitolo, per l'angolo dell'autrice
Capitolo 2
IO ODIO IL JET LAG - P.O.V. Kristen
Non so bene quanto ho dormito, perché mi risvegliai
con la luce che illuminava la stanza e mi batteva sulla schiena, molto
insistente … di conseguenza sarà mattina inoltrata. Era estremamente caldo in
California, nonostante fossimo solo agli inizi di aprile, perciò mi scoprii dal
lenzuolo, che di sicuro è stato il mio maritino premuroso a mettermi addosso.
Lo cercai con la mano nel letto, ancora con gli occhi chiusi, per evitare che
il sole forte mi accecasse, ma non lo trovai... Figurati, chissà quanto ho dormito? ... Percorsi con lo sguardo
l’ambiente e notai che non c’era traccia di valigie, eppure Rob la sera prima
le aveva salite in camera per cambiarci, evidentemente doveva averle disfatte
lui … lo sposerei, se non lo avessi già
fatto!!! ... Mi decisi finalmente ad alzarmi, convinta che se non lo avessi
fatto mi sarei ritrovata con le piaghe da decubito al sedere, indossando la
camicia a quadri che Rob aveva lasciato sulla poltroncina ... non c'è niente di meglio del suo profumo al mattino .... e mi diressi il cucina per
fare colazione … o pranzo?… tutto dipende dall’ora! … Sulle scale un
forte odore di bacon mi convogliava, come uno zombie, verso la cucina ... mi rimangio tutto quello che ho appena detto sui profumi ... questo è molto meglio ... al mattino ... era
troppo per i miei poveri sensi, e per il mio povero stomaco ... Dio che fame! ... : erano un bel po’
di ore che non gli arrivava niente.
Non potevo credere a ciò che vidi entrando
in cucina: Rob, ai fornelli!!!!! .
“Buongiorno panciona dormigliona!!!!!!”
“Prima cosa,
non sono ancora panciona …” puntualizzai: se non mettevo le cose in chiaro da
subito, avrei rischiato di essere chiamata balenottera nell’ultimo mese di
gravidanza “… e secondo, buongiorno a te!” mi avvicinai a lui, prendendo una
fetta di pane tostato dal vassoio che era sul piano di cottura … che tenero, mi stava portando la colazione,
o il pranzo, in camera … e
gli diedi un bacio a stampo: sembrò gradire.
“Allora
buongiorno pancina!” ricambiò il mio bacio con uno del suo
repertorio, di quelli che mi mandavano ... ti ci mandano ancora, Kris ... in orbita. “Volevo farti una sorpresa,
ma evidentemente l’odore deve aver stimolato il tuo corpo a svegliarsi in
automatico” disse con il suo bel sorriso stampato sulle labbra: era la sua
versione del sorriso sghembo ed io, come il mio alter-ego cinematografico, Bella Swan, andavo letteralmente in
iperventilazione!!!!
“Oh amore: ma perché ti amo così tanto? No, spiegamelo …
sai che non dovevi!!!”
“Stupida e presuntuosa!!!” lo guardai interdetta, da
ebete, ne sono convinta “mica lo facevo per te" ...eh?...
"Sono due giorni che non fai
mangiare MIO FIGLIO in maniera decente”.
Gli tirai un buffetto
sulla nuca e
andai a sedermi, ma nessuno dei due riuscì a trattenersi dal
ridere. Lui allora si affrettò ad apparecchiare in tavola, visto
che il suo piano, per colpa mia, era evidentemente saltato.
“Toglimi
una curiosità?" gli chiesi "Esattamente, cos’è che
sto per mangiare? Colazione o pranzo?”
non avevo ancora idea di che ora fosse ...che genio di donna, vent'anni e non ti viene nemmeno in mente che potresti anche controllare sull'orologio ... oltretutto in cucina c’era così tanta
roba da mangiare, così diversa, che non riuscivo a distinguere proprio … ma quando ha avuto il tempo di comprare tutte quelle cose da mangiare?
“Allora” esordì il mio casalingo disperato “adesso sono le 11:30, pensavo che per
il pranzo fosse troppo presto, e per la colazione invece troppo tardi”
“E
quindi?” il sonno mi aveva completamente neutralizzata, non ero neanche in
grado di fare due più due quella mattina ... decisamente ... io odio il jet lag
…
“E quindi oggi faremo un brunch … metà breakfast, metà lunch. Che te
ne pare?” Gli ormoni della gravidanza mi ricordarono di essere in circolo nel
corpo, facendo uscire le lacrime quando nessuno le aveva interpellate. Come una
stupida sentimentale fui capace solo di dire “Oh amore!!!!!!” e lo abbracciai forte, tirandolo
a me; sentii all’improvviso qualcosa muoversi dentro di me, o meglio qualcuno …
oh, buongiorno piccolino, ben svegliato!!!
L'ANGOLO DELL'AUTRICE
Piccola
premessa: ho ultimato la lettura di Breaking Dawn, e mi sono innamorata
dei titoli dei capitoli del secondo libro, quello a P.O.V. Jake. Ora,
io non pretendo assolutamente di poter imitare la Meyer, perché
non sono degna nemmeno di sfogliare una pagina dei suoi libri, ma mi
è sembrato carino di dare dei titoli spiritosi ai capitoli
più allegri. Non credo ci sia bisogno di spiegare granché
di quetso capitolo, ma se avete qualche domanda, come al solito, non
esitate a chiedere, perché l'angolo delle recensioni non
è dedicato solo ai complimenti. se avete anche qualcosa da
ridire in negativo, mi fa piacere, ma ormai sapete anche quello,
ricevere dei commenti negativi, che sono sempre costruttivi.
Ringrazio
chi ha commentato la mio primo capitolo e chi mi ha dato la sua fiducia
inserendolo tra i preferiti e tra i seguiti. à la prochaine
fois!!!(alla prossima volta...ihihih!!!)
@ladylang : li scriverei anche
capitoli più lunghi, però ho capito che il colpo di scena
rende di più e che siccome non so controllarmi poi
diventerebbero troppo, troppo lunghi...cmq cercherò senz'altro
di trovare un giusto equilibrio...se saprete consigliarmi! ;-)
@enris : una promessa è
una promessa, avevo detto che avrei continuato e così è
stato...questa sarà moooolto lunga, non mi sono data scandenze,
quindi vi accompagnera per un bel po' di tempo...tieniti pronta!
@Anto_Pattz
: ti ringrazio, sono contenta del tuo entusiasmo, ci vorrà
ancora un po' per soddisfare la tua voglia dei flashback, ma
arriveranno,,,don't worry! uno è già pronto sul mio pc,
l'altro è nella mia mente, devo solo scriverlo...il che è
una bella impresa
@Fiorels : tesò,
ricevere un complimento da un'autrice come te mi lusinga e non poco,
sai quanto mi piace la tua ff...mi sto impegnando tanto per migliorare,
spero questa ff non sia pesante come la precedente
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Capitolo 3 *** Ti ripresento i miei ***
The best day - capitolo 4
Salve a tutti!!!! Che bello sapere che il capitolo precedente non
è andato così male come invece mi aspettavo! Allora bando
alle ciance e vi presento il nuovo capitolo, finalmente un po' d'azione
in più. Ci vediamo come al solito a fine capitolo, per le
risposte ai vostri commenti. Buona lettura!!!
Capitolo 4
TI RIPRESENTO I MIEI - P.O.V. Kristen
La sera era arrivata in fretta … come al solito le cose belle finiscono troppo presto … ed io e Rob
eravamo indaffarati a prepararci: lui sempre pronto prima di me, eppure
impeccabile … ma come fa? … semplice
pantalone nero e camicia bianca … gli
salterei addosso seduta stante, se non avessimo altro da fare … o se mia madre
non fosse una maniaca della puntualità … io cercai di adeguarmi a lui, per quanto possibile:
minigonna nera a balze, maglioncino a tono e una camicetta bianca … oddio la pancia è scomparsa! … ma non
posso far morire i miei che non mi vedono da oltre un mese con questa pancia
stratosferica che mi ritrovo ora! … dai, qualcosa sempre rimane … eccola sì … c’è ancora! … effettivamente
il mio abbigliamento quella sera era molto da collegiale, ma carino e quando
scesi le scale Rob rimase estasiato, glielo leggevo distintamente negli occhi … non ti pietrifichi come davanti a Medusa,
vero? … avevo poi aggiunto un tocco di classe con la parure di perle di
Chanel, direttamente da Parigi, regalo di Rob quando siamo andati lì per la
presentazione di New Moon … è troppo
dolce, come il mio amore …
Arrivati a casa dei miei l’accoglienza fu calorosa,
come sempre, mi aspettavo il nostro ritrovarci esattamente così. Abbracci,
baci, pacche sulle spalle … mia madre in
devota adorazione di mio marito … bentornata a casa Kris!!! Anche Rob
sembrava essersi disteso, anche se rimaneva un po’ impacciato.
“Oh, ecco la
nostra futura mammina!!! Tesoro sei splendida stasera!!!” … uno, due, tre … LIBERA! … mia madre l’avevamo proprio persa.
Mio
padre, più distaccato, mi disse: “Già, sei molto carina!” un attimo di pausa
“state molto bene come coppia, sembrate due divi di Hollywood” … ma che perspicacia! …
“Oh piccola mia,
allora come va? Devi raccontarmi tutto, ma proprio tutto, come mi sei mancata
…”
“Anche tu mamma!!!” ci abbracciammo. Fu un abbraccio caldo, pieno d’amore, fra
due madri. “Però devo tirarti le orecchie … a questo dovresti avere un bel
pancino, e lo nascondi? Cos’è sta storia?”
“Cosa ti ho detto prima di uscire?”
mi rimproverò Rob ; ci teneva a stare
dalla parte di sua suocera.
Intervenne mio padre: “Meglio così, stai molto
meglio così”. Potrei giurare di aver letto sulle sue labbra qualcosa del tipo occhio non vede, cuore non duole, bah! …
chi lo capisce, mio padre, è proprio
bravo.
Mia madre ci fece accomodare in salotto, dove prendemmo gli
aperitivi, io ovviamente analcolico; mio fratello Cam - Tay e Dana erano fuori
con gli amici - si buttò sul divano, lui e mio padre stavano vedendo una
partita di basket.
“Caspita! Ma il
campionato è già al girone di ritorno?” chiesi, così, tanto per fare
conversazione con loro, dopo essere stata inondata di pettegolezzi dalla mamma
su tutte le sue amiche.
“Cosa? Dici sul serio Kris o stai scherzando, mi auguro
la seconda sorellina!” Cam mi guardava come se stessi bestemmiando. Frecciatina
di mio padre: “Cam, cosa pretendi, chi va ad Ascot non può seguire del volgare
basket!”. Rimasi sbalordita: nelle sue parole non c’era ironia, ma puro
disprezzo, ma la cosa più brutta fu che mentre le pronunciava fissava me, ma
soprattutto Rob con uno sguardo strano, non piacevole. LUI, intanto, mi teneva
per mano. Oltre che nella mano di mio marito, cercai rifugio in mia madre.
“Ma’, che gli prende?” le chiesi, opportunamente sottovoce.
“Niente, non gli è
passata ancora per quella storia del matrimonio …” non
potevo credere che ancora ce l'aveva con me perché l'avevo
obbligato ad indossare il tight, come del resto tutti gli invitanti,
com'è di tradizione nell'Inghilterra più in. Era il mio
matrimonio, si sarebbe fatto tutto a mio piacimeto e tutti i suoi
capricci da bambino di cinque anni non riuscirono ad impietosirmi.
… se avessi saputo, avrei fatto le cose in modo diverso … ma la mia vita ormai è lì, che ci devo fare …
Londra ti lega … Rob aveva ragione … come sempre …
“Certe cose non se le
può tenere per sé, ma’?”
Mia madre fece spallucce e allora cercai di cambiare
argomento mostrando loro le foto del matrimonio e del viaggio di nozze … sai che cambiamento, Kris …
Tutto sommato si poteva anche passare sopra ad alcuni
commenti di mio padre, o di mio fratello: loro tanto convenzionali non lo erano
mai stati … non lo eri neanche tu … e
a loro dire, quel giorno li avevo trasformati in pinguini … ora capisci perché per 20 lunghissimi anni
hai avuto difficoltà a vestirmi decentemente?! …
“E qui Kris? Dove siete?
Non credevo il kilt fosse anche usanza delle Bahamas?!?” Cam aveva scelto
proprio la serata sbagliata per provocarmi … che gli prende a tutti e due? … hanno bevuto qualcosa di forte, molto
forte! …
Ma mio padre lo seguiva a
ruota: “Da’ un po’ qua …” gli disse, e
mio fratello gli passò l’album più piccolino, ultimo tra quelli che avevamo
portato, in cui c’erano tutte le nostre foto in Inghilterra con i nostri amici
e parenti. Quella in questione poi, risaliva alla settimana prima, uno dei
week-end più piacevoli della mia vita. Mia madre, che come tutti aveva
percepito tensione nell’aria, decise che era ora di sistemarsi a tavola e
cenare. Rob si propose di darle una mano … stasera
fa gli straordinari di galanteria … forse mi vuole risparmiare dispiaceri inutili …
io proprio non lo capisco mio padre …
Dal canto mio, mi misi a tavola ma
sbirciai in cucina e distinsi il labiale di mamma che continuava a ripetere a
Rob “I’m so sorry, really, so sorry!!!” e Rob che con lo sguardo la rincuorava.
Aspettai il loro ritorno in sala da pranzo per controbattere a mio padre, avevo
bisogno di loro che erano i miei scudi, le mie
rocce, i miei angeli … uno dei due poi è il più bell’angelo dei cori
celesti!!!...
“Quella foto,
ovviamente” e tesi a sottolineare la parola ovviamente “è stata scattata
domenica scorsa, dopo che siamo tornati dalla crociera, papà” sentivo mio
marito che stringeva la mia mano come segno di disapprovazione e mia madre mi
aveva fulminato con lo sguardo, ma dovevo continuare, non potevo dargliela
vinta. … Rob ti aveva avvertito però
Kris, e che cavolo! … e allora? chissene, è la mia, non la sua famiglia,
ci devo passare io il resto della vita, non lui … e li amo tutti alla follia …
“Lì siamo a casa di alcuni amici di famiglia, i
Fairfax, ve li ricordate?” fu Rob a prendere la parola. Si capiva che arrancava
nel cercare le parole più opportune per tentare di passare dalla parte della
ragione … abbiamo già ragione … non
secondo papà …
Evidentemente era però molto difficile.
Aggiunsi io: “Sì
papà, i genitori di Kitty, una delle mie damigelle.”
“Ah, sì, ok, la contessa
…”
“Non proprio …” Rob mi frenò e riprese la
parola: certe volte non riuscivo proprio a rendermi conto di quanto
potessi diventare petulante, dovendo sempre avere l'ultima parola su
tutto e mettendo i puntini sulle i.
“ Ci avevano invitato a
passare con loro un week-end già da molto tempo, ma ho preferito che fosse un
po’ più caldo, perché saremmo stati molto all’aria aperta, ed il vento molto
freddo può far male a Kris”. Una persona normale si sarebbe convinta della
buona fede di quest’uomo … di
quest’angelo … ma non mio padre; rimaneva di pietra, mentre si vedeva che
mia madre moriva dentro, e questo mi faceva male, perché il mio sesto senso,
affinato dalla maternità, sapeva dove stavamo andando a finire, anche se io
stessa mi rifiutavo di crederci.
“Siamo stati proprio bene, il divertimento e
la compagnia non ci sono mai mancate e poi la Scozia è stupenda!”
“Scozia?” intervenne mio padre, fintamente interessato.
“Sì, papà, Scozia. Ma quella è
solo una residenza per le vacanze; di solito ci vanno d’estate e durante la
stagione primaverile. Precisamente loro stanno a Balmoral, dove anche la regina
Elisabetta ha un castello. Anzi la tenuta di Lord Bracknell è molto vicina a
quella di sua maestà, e visto che era vuota abbiamo potuto visitarla. È
enorme!”
“Caspita!” ancora finto interessamento, con un tono di scherno.
Mia madre, conoscendo quanto suo marito possa diventare pesante e provocatorio, in luna storta, ci
venne incontro: “Immagino avrete fatto un sacco di cose ” … ti ho mai detto mamma che ti voglio un bene
dell’anima? … beh, se non ne ho mai avuto l’occasione, beh te lo dico ora … ti
voglio bene mamma!!!
"Oh così tante cose!!! Siamo andati a fare escursioni, a piedi e a
cavallo …”
“A cavallo Kris? Cazzo, sei incinta non le puoi fare queste cose? E
tu Robert, perché non l’hai fermata?” sembrava davvero interessato a ciò che
dicevo, per la prima volta in tutta la serata, ma lo faceva non perché fosse
particolarmente preoccupato, solo perché sapeva di avere il coltello dalla
parte del manico, e di poter rompere le scatole a Rob.
“Signore io c’ho provato
ma, davvero, sua figlia è irremovibile quando si impunta …” era diventato paonazzo
dall’imbarazzo … povero amore … ed i
suoi capelli oramai non avevano più un unico verso, tanto li stava
maltrattando, in preda al tensione.
“Sì papà non preoccuparti, sono qui e sto
bene, non devi scaldarti per così poco, e poi Rob ha davvero tentato di
dissuadermi, ma devo riconoscere che a volte sono proprio un mulo!”
“Robert
quando ti ho lasciato sposare mia figlia io ti ho chiesto di prenderti
cura di lei, non tentando, ma agendo, e basta!”.
Decisi, chiedendo scusa a mio marito per il
comportamento di mio padre col solo sguardo, di ritornare al discorso iniziale.
“Insomma, hanno organizzato delle battute di caccia, con tanto di giubbe rosse
e cani da riporto, ma noi poi ci siamo staccati dal gruppo; l’attività
venatoria non è certo la nostra più grande passione. Preferisco di gran lunga
la pesca, più rilassante”
“Più snervante vorrai dire: non potete avere l’idea
di che strazio sia! Poi la signora” disse Rob indicandomi “si lamenta ogni due
secondi perché i pesci non abboccano, e dà la colpa a me ogni volta!” Ridemmo
entrambi di gusto per questo, mia madre si unì a noi. Solo mia madre.
“Tesoro
mio, comunque non credere, per quanto mi faccia piacere che tu ti stia
divertendo, che non mi preoccupi per te; perciò, fallo un favore alla tua
mamma, ed evita di andare a cavallo,
ok?”
“Certo, te lo prometto, mamma!” …
vedi papà? … c’è modo e modo di dire le cose …
Sbucò di nuovo mio fratello, staccando la testa dal
piatto per la prima volta da quando ci siamo seduti a tavola: “E la foto di
prima?”
“Lì eravamo a fare una partita di croquet in giardino, e quel giorno ci
convinsero a vestire tutti con qualcosa che richiamasse la Scozia”
“Ma che idea
carina! … mi piacciono molto i party a tema!” mamma riusciva sempre ad essere così positiva
alle novità, ed era una maestra nello stemperare le situazioni più difficili … speriamo lo sia altrettanto
a quella che dovrò darle …
“C’è mancato poco che facessero mettere anche a
me il kilt … “ Rob confessò tremendamente imbarazzato.
La cena scivolò via, in maniera sempre molto formale,
con mio padre e mio fratello che si divertivano a punzecchiarci ed io che non
riuscivo a non rispondere, nonostante i tentativi di mamma e Rob di farmi
tacere. Ci spostammo di nuovo in salotto per prendere il dolce, e mio fratello
disperato se ne andò, perché disse che per quella sera si era rotto abbastanza
… sempre molto fine lui …
Approfittai della sua assenza per parlare seriamente
con i miei.
"Mamma, papà, dobbiamo … devo dirvi una cosa”. Volli prima osservare
i loro volti, mentre Rob mi teneva dolcemente la mano - quella sera non aveva
mai staccato la sua mano dalla mia presa, sapeva che mi ero agitata e questo
non faceva bene a nessuno di noi … tre. Li osservai meglio e vidi mio padre
impassibile, quasi che niente c’era di peggio dopo la batosta ricevuta dal mio
matrimonio; mia madre era preoccupata, quasi sapesse già cosa dovessi comunicare,
e già ne soffrisse.
Per un attimo pensai persino di rimangiarmi tutto,
anche perché sapevo che se la sarebbero presa prima ed esclusivamente con Rob,
che lo avrebbero incolpato di essere la causa di tutto. Ma poi guardai lui,
l’oceano dei suoi occhi, e ogni dubbio venne meno: “Ho deciso … ho deciso di
trasferirmi a Londra … definitivamente”.
L'ANGOLO DELL'AUTRICE
Allora,
che ve ne pare? Io ho dato del mio meglio per farmi entrare nella
storia, ma non rivelarvi, troppo, non ancora almeno. Come avrete capito
questa volta le parti si invertono rispetto alla precedente ff ed
ancora una volta la famiglia è al centro di tutto. Inizia qui a
svelarsi il perché di questo titolo per la storia. Best day
è titolo di una canzone che Taylor Swift dedica alla sua
famiglia, che l'ha sempre supportata e le è stata sempre vicina.
Per Kristen e Rob vale stesso, fino a poco fa, almeno. Non vi rivelo
altri particolari, perché ci penserò nei prossimi
capitoli, Se avete qualsiasi domanda vi risponderò ben
volentieri, tanto sapete ormai benissimo qual è il metodo per
contattarmi: un bel...commentino!!!! Mi raccomando che siano
numerosi!!!!
Vi ringrazio tutti per il seguito immeritato che sto avendo, significa
molto e mi sprona a migliorare e a sperimenatare nuove idee.
Qui di seguito i commenti alla recensione scorsa:
@Juliet96 : hai proprio
ragione, nelle ff le cene hanno mai un effetto benefico sui
protagonisti...spero che il modo di raccontarla sia stato buono.
continua a seguirmi! Ah, ti rispondo anche al commento al 2°
capitolo che hai lasciato; beh forse nella realtà Kristen
è piuttosto fredda, ma sono dell'opinione che sia una maschera
per nascondersi ai giornalisti...secondo me è una
romanticona...altrimenti non avrebbe mai accettato di fare twilight!!!
Poi, sfido chiunque a non andare in iperventilazione avendo davanti Rob
che ti sorride!!!!
@Enris : scusa, credo proprio
che ci siamo fraintese a vicenda. con critica volevo dire piuttosto
commento tecnico, più che commento negativo. Mi sono
espressa male, ti chiedo scusa. ed infatti sono sempre felice di
ricevere i tuoi commenti, Una domanda: hai detto che i miei capitoli ti
rilassano...sarà mica che ti faccio addormentare? Sono troppo
lenti, oppure il lingiuaggio è troppo articolato? Dimmelo, lo
sai bene che non mi faccio problemi. La ff è ancora in corso di
scrittura, non so se Ash e Nikky ci saranno ancora, perché la
storia non prenderà una bella piega, questo posso anticiparlo
già. Però una mezza idea mi è venuta proprio
adesso che sto scrivendo questa risposta!!!!
@ledyang : che fiction sarebbe se fosse tutta rosa e fiori...no, come vedi qualcosa deve venir per forza fuori
@fiorels : be', è chiaro
che non mi puoi aiutare in quel senso, la mia era solo una battuta.
Però ad esempio potresti incominciare dicendomi se qualcosa non
ti è piaciuto in qualche capitolo, a livello di scrittura, se la
storia è credibile. cose di questo genere, insomma...
Vi aspetto numerosi nella pagina dei commenti e al prossimo capitolo!!!
FEDERICA
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Capitolo 4 *** Two Shopaholics and a pregnant friend ***
The best day - Capitolo 3
Presente di nuovo tra voi!!! Come va? Io meglio, mi sono appena rimessa dall'influenza!
Allora vi posto subito subito il nuovo capitolo di questa storia, e non
potete capire quanto mi state rendendo felice con tutti i vostri
commenti, mi raccomando, che siano sempre numerosi.
Anche se stavolta credo che verrò presa a pesci in faccia, per
quanto è brutto...vabbé in attesa di ricevere i pomodori
e le uovas marce, eccovi il capitolo e ci rivediamo come sempre
all'angolo dell'autrice!
Capitolo 3
TWO SHOPAHOLICS AND AN PREGNANT FRIEND - P.O.V. Kristen
Nel pomeriggio avevo in programma un sacco di cose da
fare ma ero stata costretta a chiudermi in casa da quell’incapace di mio
marito, che si era messo in testa di fare il casalingo per un giorno, ma che mi
aveva distrutto casa, neanche fosse passato l’uragano Katrina. Aveva sporcato i
fornelli con l’olio del bacon, l’impasto del pancake era finito sulle
piastrelle della cucina e le uova … lasciamo
stare!!!!!!
Il bagno era diventato un lago dopo che, tornato dalla sua
corsetta mattutina, ha fatto la doccia, e neanche è stato capace di raccogliere
i capelli dallo scarico … anche se devo
dargliene atto, ha i capelli più sexy del mondo, le mie mani passano le ore a
toccarli, il mio antistress preferito...
La mia preoccupazione fu poi
rivolta al guardaroba: aveva sì svuotato le valigie, ma con che criterio gli
abiti erano stati rimessi negli armadi e nei cassetti dovevo ancora capirlo. Perciò a sera dovetti rinunciare ad ogni tipo di vita
sociale, ero stanca morta, ed andai a dormire presto.
Il giorno dopo infatti mi
aspettava un incontro che era ben peggiore delle faccende domestiche: shopping
con Nikki e Ash … la scalata dell’Everest
a confronto era una passeggiata! Non che non avessi ormai preso l’abitudine
a fare shopping, a Londra lo facevo a giorni alterni con le sorelle di Rob e
con le mie migliori amiche londinesi, Olivia, Kitty e Freddie. Ma con loro due
era diverso: avevano dei gusti difficilissimi, provavano spesso tutta gli
articoli del negozio, facendo impazzire le commesse, magari senza poi
acquistare nulla. A Londra invece eravamo più in stile mordi e fuggi: sai quel che
vuoi ed acquisti. Dopo un paio d’ore al massimo le compere erano terminate ed
il resto della giornata era dedicato ai pettegolezzi in qualche sala da tè, o
nel salotto di mia suocera … che spasso,
mi mancano già, e sono solo 3 giorni che non le vedo … una volta mi hanno
addirittura portata ad Ascot a vedere le corse dei cavalli!
Ma è pur vero che
le mie amiche “yankee” mi erano mancate tanto, avevo bisogno di parlare con
loro, raccontare quanto fossi felice, e per farlo avrei subito anche le
peggiori torture.
Per fortuna Rob era stato chiaro, aveva dato degli orari ben
precisi, ai quali dovevano attenersi, se non volevano vedere come potesse
diventare cattivo. Era sempre così premuroso, però a volte lo era fino alla
noia. Quel giorno ad esempio, mi impedì di indossare delle nuove scarpe col
tacco … tuo marito lo dice per il tuo
bene, sciocca … se passi sui tacchi tutta la giornata, stasera a cena neanche
delle scarpe di 2 numeri più grandi ti entreranno … e come al solito ha ragione
lui … avevamo in programma per la sera, infatti, una cena con i nostri
amici più cari del cast di Twilight, per festeggiare, con qualche giorno di
ritardo, il mio compleanno.
Arrivata al luogo dell’incontro Nikki e Ash erano già
lì ad aspettarmi, e si sbracciarono vedendomi arrivare. Attraversai la strada e
andai incontro alle mie amiche, ci abbracciamo come se non ci vedessimo da una
vita … grazie Kris, è più di un mese che
non le vedi …
"Kris sei stupenda!!!Fatti un po’ vedere?” feci un giro su me stessa, per accontentare
Ashley “Sarà la gravidanza, sarà l’aria della vecchia Europa, ma ti trovo in
forma smagliante!!!” continuò la sfilza di complimenti.
“Noooo, secondo me la
ragione di tanto splendore è un'altra Ash” la corresse Nikki.
“E quale sarebbe,
sentiamo?” ero curiosa di saperlo in effetti.
“TUO MARITO, che domande!!!!!!!!”
In effetti aveva ragione. Nessun’altra avrebbe potuto, né dovuto beneficiarne! Iniziammo il giro delle boutiques, ed ero
contenta di essere ascoltata una volta tanto mentre davo consigli sull’abbigliamento.
Mi trascinarono con forza dentro un negozio di articoli per neonati, pur
sapendo che io non volevo fare acquisti prima dei sette mesi, per scaramanzia …
mamma come siamo diventate ansiose Kris!
… diamoci un po’ di contegno, in fondo comprare qualcosa non può fare del male
al piccolo! …
Con loro non era stato facile parlare di gravidanza, perché
vivevano dal di fuori questa esperienza, e certo non potevano capire le
scoperte e le tempeste emotive che provavo quotidianamente, e si limitavano a vederne
il lato più esteriore: le compere, come al solito.
La giornata passò
serenamente, ci divertimmo come delle matte, anche se dovetti fare i
conti con i paparazzi … non c’ero più
abituata … Londra è fin troppo tranquilla a confronto … uno dei suoi mille
pregi … Le ragazze vollero conoscere ogni dettaglio del viaggio di nozze … ma se lo avete organizzato voi? … Che cosa
vi devo raccontare ancora? … I particolari intimi sono chiusi ermeticamente … non dirò una parola neanche sotto tortura ...
Mostrai loro le foto, e provai un pizzico di nostalgia
per il caldo sole dei Caraibi, per le sue acque cristalline, i paesaggi
mozzafiato ed i colori ... devo dirglielo
a Rob che dobbiamo assolutamente comprare una casa per le vacanze lì …
“Una
crociera alle Bahamas, due settimane di relax e divertimento, la consiglio a
tutti come viaggio di nozze!” dissi, compiacendo evidentemente le mie
damigelle, che ce l’avevano regalata insieme ai testimoni di Rob.
Scherzando
Nikki mi domandò: “Da quando hai iniziato a lavorare per il Touring club?”
“Uh,
guarda che carini qui!!!!!!” Ash riuscì a stento a trattenere le lacrime.
“Oooooooh” le fece eco Nikki. Strappai dalle loro grinfie l’album ed osservai
la foto: io e Rob … naturale Kris, era la
vostra luna di miele … eravamo in
acqua, abbracciati col mio pancino ad intrufolarsi e, dietro di noi, l’oceano … eravamo davvero felici lì … come se adesso
non lo fossimo … e guarda Rob … quant’è bello lui, da mozzare il fiato … capelli schiariti dal sole e dalla salsedine
e abbronzatura naturale … io invece sembro il brutto anatroccolo, capelli
arruffati dal vento e lentiggini sul viso …
che orrore … ma come fa LUI a stare con me??? … non mi lamento, ma
proprio non capisco …
Questo, e la gravidanza, erano gli unici argomenti che
sembravano interessare la gente, che mi conoscesse o meno.
Un altro degli
argomenti di conversazione che andavano per la maggiore era sicuramente il mio
cambiamento di look. Da quando ero partita per Londra avevo cambiato molte cose
di me stessa, soprattutto per ciò che riguardava il mio aspetto esteriore, e
non tutti apprezzavano questo mio cambiamento, soprattutto Rob, che temeva di
perdere la Kris di cui si era innamorato. Il mio compito era quello di
convincerlo del contrario. Ogni volta che mi facevano un complimento … oddio, storce il muso, gelosone!!! … si
riempiva d’orgoglio, mi stringeva la vita, mi guardava … che sguardo … e rideva
dolcemente … come farò a vivere il resto
della mia vita affianco ad un uomo così … mi dispiace amore, ma credo che
diventerai vedovo molto, troppo presto … però a volte si vedeva lontano
chilometri che tutto questo affannarsi per l’apparire lo scocciava … oh sentite!!! … la natura mi ha concesso un briciolo di femminilità da quando sono
rimasta incinta … voglio goderne … finché non deciderà di riprendersela … con
tanto di interessi …
Dopo il tour de force di quella giornata tra shopping e sarata tra amici decisi che era il
caso, per il giorno dopo, di prendermi un po’ di tempo per me e giocare col mio
bambino: accarezzare la pancia, parlargli, ascoltare insieme la musica … lo
vizi già ora Kris? … Certo, è il mio primo bimbo, non deve mancargli nulla …
non che un domani gli altri non riceveranno lo stesso trattamento … oddio, ora
sì che sto esagerando, ancora non nasce il primo ed io guardo già agli altri! …
e naturalmente tutto questo sempre insieme al mio amore grande … oh beh, questo cambia le prospettive!!! Ma
se non sai fare altro?!? … ma come potrei staccarmi da lui anche solo un attimo!!!
… Quel giorno lo vidi alquanto sovrappensiero: era evidente che
l’appuntamento di quella sera lo preoccupava non poco … ma perché? … si tratta solo di una cena dai miei!!! … nessun patibolo in vista … in quel
momento lo credevo.
ANGOLO DELL'AUTRICE
Visto che bella schifezza? Ma vi prometto che questo è l'ultimo
capitolo di transizione, e poi andremo al sodo. Però come avete
visto vi ho già introdotto al prossimo, e mi raccomando,
mantenete fisso in mente l'ultima frase, perché è quela
che più ci interessa ai fini della storia. Lo so che è
lungo e noioso, e che magari potevo eviatrlo, ma mi serviva a
spiegare altri dettagli del lasso di tempo che ho fatto trascorre tra
la fine della precedente fiction e l'inizio di questa. In più
per chi non dovesse aver seguito la precedente ci sono dei richiami a
personaggi del precedente racconto...che non ho proprio intenzione di
abbandonare!!! così ci rinfreschiamo la memoria un po' tutti...
Per ogni domanda sappaite che ci sono, ed anche per le critiche, se sono fatte in maniera civile.
Ringrazio chi ha commentato "Io odio il jet lag" ...tralaltro per
questo capitolo non mi è venuto niente di meglio in mente, se
avete suggerimenti per modificarlo sarei felice, e ringrazio per aver
fatto salire il numero di preferiti e di seguiti.
Passiamo alle risposte alle recensioni:
@ledyang : sei troppo generosa,
adorare è un verbo troppo grade per un ff così
modesta...ti ringrazio, comunque, continua a seguirmi!
@Anto_Pattz : beh, devo essere
sincera...trovo anch'io che il precedente capitolo sia molto dolce;
infatti dopo averlo scritto ho dovuto spararmi un bel po' di insulina
per far scendere la glicemia...ahahahah!!!!
@Fiorels : eccomi con una bella
schifezza!!!...altro che i tuoi capolavori da terapia intensiva...mi
piacerebbe che mi suggerissi qualcosa per migliorare, visto che hai
tanto talento...me ne presti un po'? XD
@Roxisnotdied : Rox, che
bello ritrovarti tra i lettori anche stavolta. Ti ringrazio per
l'incoraggiamento, perchè ne ho proprio bisogno, e poi come se
come dici tu le ff sono come avventure, io allora mi trovo adesso ai
piedi di una montagna da scalare...che fatica sarà!!!
@Enris : che bello avere la mia
prima critica...e non sto scherzando. Ci ho riflettuto su, e ho capito
che avevi ragione. Ho stravolto un po' la storia, per ottenere quello
che mi dicevi, spero di essermi avvicinata un po', anche se questo
capitolo fa veramente rivoltare...aspetto con ansia la tua prossima
recensione!!!
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Capitolo 5 *** My beloved' lament ***
The best day - capitolo 5
Hi guys!!!!!!!!!!!! Premetto che sono ancora sconvolta dalle immagini
uscite ieri. Vi dico solo una cosa: voglio il 30 giugno!!!!!!
Mi fa
piacere che il capitolo nuovo sia piaciuto, perché mi premeva molto.
Era il vero banco di prova dopo 3 capitoli un po' piatti...
Bando alla ciance e passiamo al prossimo capitolo...vediamo che succede...
buona lettura e ci vediamo a fine capitolo!
Capitolo 5
MY BELOVED' LAMENT - P.O.V. Robert
Il viaggio di ritorno verso casa fu muto e tetro,
quasi spettrale, e le luci della città così viva scivolavano sulla nostra auto
senza nemmeno sfiorarla con la loro allegria ed i loro colori, ne eravamo immuni.
Solo una canzone si ripeteva all’infinito in macchina, Kris aveva deciso così
all’accensione della radio. EVERYBODY HURTS. Evocava bei ricordi, per quanto mi
riguarda, per lei era un porto sicuro ogni volta che era più che triste, e
diceva sempre che ascoltarla con me la faceva sentire completa … questo mi
riempiva sempre d’orgoglio.
Ricordo quando mi chiese la prima volta di
ascoltarla con lei: dovevamo partire per il Giappone, per l’ennesima
presentazione di Twilight, preistoria ormai, e quella sera si era scatenata una
tempesta incredibile su Londra.
Dovevamo incontrarci solo due giorni più tardi
a Tokio, lei proveniente da Los Angeles, io da Londra, chiaramente.
Ero molto
nervoso, perché incontrarla, di nuovo, la mia Musa, era una tortura, sapevo che
non potevo toccarla, era per me come le sculture classiche esposte nei musei,
eteree e incomprensibilmente perfette, con affianco il cartello VIETATO
TOCCARE; una tortura, davvero. Mi riconoscevo come suo, ma lei non sarebbe mai
stata mia.
Avrei voluto non prendere quell’aereo, dare forfait, ma dovevo
rivederla almeno; sentirla vicina anche solo come amica - questo io ero per
lei: un amico fraterno - mi dava forza; lei era la mia linfa vitale.
Era,
insomma, una serata di pioggia forte a Londra, ed ero rimasto stranamente a
casa … quando si dice il destino … a
suonare la chitarra davanti la finestra, appoggiato al davanzale della mia
camera, mentre sul vetro la pioggia disegnava lacrime dolcissime … me stesso lontano da Kris … sentii
suonare alla porta e mi ricordai di essere solo. Pensai a quello sbadato di
Tom, forse aveva dimenticato le chiavi, andai ad aprire e davanti a me c’era
LEI, zaino in spalla, bagnata dalla testa ai piedi, con il fiato corto, doveva
aver corso per scampare alla pioggia … e
venire da me ...
Senza dirci niente la feci entrare e
le poggiai sulle
spalle una coperta, ancora stranamente pulita, che mi procurai con un
po' di fortuna tra le cataste di abiti sparsi nelle nostre stanze per
farla stare al caldo, oltre a farla accomodare davanti
al camino … neanche una parola …
Decisi di prepararle thé caldo, le avrebbe fatto bene.
Quando tornai dalla cucina era già in piedi, davanti al mobile dell’impianto
stereo, dove io e Tom tenevamo gelosamente custodita la nostra collezione di Cd
e vinili. Era un richiamo troppo forte per i miei sensi quella visione: i
capelli ancora le gocciolavano … ne aveva
presa di pioggia!!! … e faceva scorrere le sue dita affusolate contro le
custodie degli album, come a cercare qualcosa.
Finalmente aprì le sue dolci
labbra: “Hai i R.E.M.?”
Mi avvicinai … la
mia bambola di porcellana, così fragile … poggiai il vassoio con le tazze
fumanti sul tavolino del soggiorno e mi diressi verso il lato opposto della
parete.
“Qualcosa, dipende cosa cerchi” … stupido,
stupido, stupido … lei si è presentata a casa tua, così, all’improvviso, si vede che è uno straccio e tu le parli di
musica … chiedile perché è qui,
fenomeno! … sentivo dentro di me che non stava bene, ma mi rifiutai
di indagare … sarà lei a dirmelo se vorrà
… se non vuole, va bene lo stesso … è qui da me, ed è l’unica cosa che conta … estrasse
dalla pila un Cd, Automathic for the people, e inseritolo nel lettore,
lo portò direttamente alla traccia che le interessava, come se lo conoscesse a
memoria, perché non dovette neanche sincerarsene guardando il lato posteriore
della custodia. Riconobbi immediatamente la canzone, era straziante.
Non
volevo, ma le parole mi uscivano dalla bocca senza preavviso: “Stai male.”
Non
era una domanda; lei però annuì comunque. La strinsi a me e le mie mani si
posarono delicatamente sui suoi capelli ancora umidi. Iniziammo a dondolarci,
come in un lento … ti cullo io, mia bambina … mio
amore unico …
“Perché devi deprimerti così?” Mi accorsi infatti che aveva
incominciato a piangere e questo faceva star male anche a me; si strinse ancor
più forte, raggomitolandosi addosso a me; non mi opposi.
“Devo toccare il
fondo, se voglio reagire, questa canzone mi aiuta. Parla di me adesso.”
“Chi ti
ha ferita? Quel bastardo?” Non rispose, ma immaginavo che fosse un sì. Non
avevo bisogno di nomi per identificare un tale verme, non poteva essere degno
di nomina uno che fa soffrire così la donna che dice di amare.
“Ma è possibile
andare più a fondo di così amore mio? Sei ridotta ad uno straccio, per lui poi”
… cazzo fai Rob? L’hai appena chiamata
amore! … lei mi afferrò letteralmente la camicia con le mani, quasi a
strapparla: il contatto con i suoi abiti bagnati, aveva impregnato di pioggia
anche i miei.
“Dovevo andare a fondo come ti ho detto, se volevo vedere la
luce, se volevo avere te amore mio!”
Stavamo ancora ballando, ma lei aveva smesso di singhiozzare. Capii. La
guardai e i suoi occhi brillavano, riflettevano la luce dei miei: più vicini,
ancora più vicini, e ancora, e ancora. Un bacio troppo a lungo sperato arse la
mia gola, e di tanto in tanto le nostre bocche venivano bagnate dalle sue lacrime,
questa volta piene di gioia: ridevamo e morivamo sulle labbra dell’altro.
Eravamo soli, eravamo uno. Io ero suo da sempre, lei era mia ora…
… Tornai alla strada dopo che una sola canzone aveva
avuto il potere di riportarmi a quel momento di paradiso, mentre noi avevamo
vissuto la nostra personale anteprima dell’inferno poco prima. Non so se stesse
piangendo, perché aveva coperto il suo volto, appoggiato al finestrino
dell’auto; ma di certo non era serena. Una cosa mi tranquillizzava: non aveva
lasciato la mia mano. Arrivati a casa, scese dall’auto e non smise un secondo
di cantare quella canzone, tra sé, ma faceva in modo che la sentissi. Mi chiusi
la porta di casa alle spalle sbattendola, come a voler lasciare prepotentemente
i problemi fuori, ma non ci riuscii. Lei aveva acceso lo stereo in salotto, la
colonna sonora era la stessa di quella sera a Londra, ancora. Le andai incontro
e ballando iniziai a cullarla: il suo corpo mi disse che non stava aspettando
altro. Mi abbracciò al collo, mentre le note incalzavano il lamento e scoppiò
in lacrime.
“Piangi, piangi amore mio, finché vuoi, finché ne hai la forza, io
sono qui, finché vorrai, non vado via”…
ANGOLO DELL'AUTRICE
Allora
come avete visto ho fatto un piccolo salto, ma è voluto, per creare un
po' di suspance ... eccoti accontentata Anto_Pattz! ;-); spero sia
stata una trovata opportuna! Ne ho approfittato per realizzare il primo
di una serie di flashback. Ho ipotizzato così, l'inizio della storia
tra Kris e Rob, spero non sia troppo mieloso o malinconico. Quando l'ho
scritto era una giornata un po' cupa per me, il tempo faceva schifo e
la canzone dei r.e.m. in sottofondo nn ha aiutato a scrivere neinte di
particolrmente allegro. Forse è troppo cinematografica come scena, ma
resta sempre una fiction. Fatemi sapere che ne pensate! Sempre aperta a
spiegazioni varie ed eventuale: ma qst dovreste saperlo bene, ormai!
@Juliet96
: poveretti sì, ma qst non è niente....sono stata piuttosto magnanima
lo ammetto! grazie per la recensione e continua a seguirmi!
@ledyang : grazie tesoro, sempre fedelissima, continua così!!!
@twilight91 : sono
contentissima, davvero tutta d'un fiato? ma quella precedente l'hai
letta? sennò facci un salto e fammi sapere!!! ;-)
@Enris
: wow! non avevo idea che la mia scrittura potesse avere un tale
effetto!!!!!! mi elettrizza saperlo!!! Ho letto da qualche parte che
davevro il padre di Kris non digerisce Rob, non in questa maniera, ma
io ne ho fatto una sorta di ritratto manierista, ad hoc per la mia
storia. però non ti spiego altro, perché le sue ragioni le sentirai più
avanti...anche alla luce dei prossimi capitoli...qst ti obbligherà a
seguirmi!!! ahahahahah
Non mi resta che ricordarvi di lasciare i vostri commenti...siate generosi come sempre!!!
Grazie
a tutti quelli che mi seguono e preferiscono la mia storia...un bacione
ad Elenes dalla lontana Ungheria (lascia un commento sorè!) e ci
vediamo tra un paio di giorni col prossimo capitolo!!!
Federica
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Capitolo 6 *** Qualcuno scrisse... ***
The best day - capitolo
Allora? che c'è, non è piaciuto il capitolo precedente?
Davvero in pochi l'avete letto e solo una recensione...dite la
verità, che eravate in sciopero perché non vi ho
raccontato com'è anadata a finire con i genitori di Kris!!!!!!
se è così, allora , provvedo subito, e non mi date buca
ancora!!!!!!!!!!sennò vado in depressione....
Capitolo 6
QUALCUNO SCRISSE: ERA IL PARADISO, MA AL CENTRO
ESATTO DELL’INFERNO. AVEVA RAGIONE! - P.O.V. Robert
Prese sono tardi quella notte, io invece la passai
insonne, a vegliarla, a sentirla lamentarsi nel sonno. Non aveva il diritto di
soffrire così, non lei. Ripensai al motivo che l’aveva ridotta in quelle
condizioni … chi non ne sarebbe uscito
distrutto … aveva voluto dare la notizia ai suoi in maniera netta, aveva
detto che era meglio così, che non bisognava illuderli. Quando 4, quasi 5 mesi
fa, mi aveva annunciato che sarei diventato padre … non pensavo al mondo potesse esserci tale gioia … aveva deciso di
voler avere un bambino inglese, farlo nascere a Londra. Ma sapevo che, anche
per il nostro lavoro, sarebbe stata una promessa da marinaio, e Londra
l’avremmo sempre vista con il cannocchiale. Quando poi dopo il viaggio di
nozze, volle rendermi la persona più felice del mondo, decidendo di stabilirsi
definitivamente a Londra, né io né tantomeno lei potevamo immaginare cosa
sarebbe successo nel momento di dirlo ai suoi.
“Lurido verme … ” suo padre a me “ … ce l’hai fatta,
l’hai messa contro la sua famiglia, ce la porti via davvero ora!!!”
“Papà non è
come credi. È una decisione mia, solo mia, MIO MARITO non c’entra niente!” … com’è forte la mia Kris … e con quanto
orgoglio mi chiama marito ... ti amo, amore mio! …
“Sì, come no, figuriamoci. Ma guardati Kris, guarda
come ti sei ridotta, sei solo il fantasma della mia bambina …” Il mio amore
tremava come una foglia, eppure tesa come una corda di violino, stava per
esplodere; tuttavia decisi che dovevo lasciarla fare, anche se immaginavo che
le conseguenze delle sue azioni d’ora in avanti sarebbero state devastanti, per
tutti. Era la sua famiglia, io non dovevo entrarci, ma ero con lei, qualunque
sarebbe stata la sua decisione.
“Su questo hai ragione, la tua bambina non c’è
più ... ma solo perché ora al suo posto c’è una donna, una moglie … ed una
madre” Lo sguardo di suo padre era insostenibile, non so dove trovasse lei la
forza per rispondergli con uno altrettanto di fuoco … mai vista così nera …
mi preoccupava. Per un attimo il mio sguardo
si posò all’angoletto del divano che avevamo di
fronte. Jules, sua madre, era lì. Dopo l’annuncio,
dopo che John, mio suocero, aveva scatenato il finimondo, lei era
rimasta lì
seduta, con le mani a coprire il volto, evidentemente rigato da
lacrime. Non lo
era per la decisione di Kris, si fidava molto di sua figlia, e
l’amava troppo
per impedirle di vivere la vita come meglio riteneva. Era anche il
ritratto
della vergogna, suo marito l’aveva tradita, mettendosi contro il
loro stesso
sangue.
“ Mia figlia” continuò lui “Non avrebbe mai fatto la stupida facendosi
mettere incinta! Non a 20 anni! ”
“Allora è questo! È questo che ti da
fastidio, che tua figlia sia cresciuta. Santo Iddio papà, lo
sapevi benissimo
che prima o poi mi sarei sposata con Rob, ne stavamo parlando con la
mamma già
prima di sapermi incinta , e non dirmi che non lo sapevi”
Colpito. Sì, una donna certe cose le sente davvero, e davvero ci
sposati comunque, prima o poi. E a sua madre non l'avrebbe
mai tenuta nascosta una emozione così grande.
“Certo che lo sapevo, e
disapprovavo. Mia figlia non avrebbe mai fatto neanche questo … ti hanno fatto
il lavaggio del cervello!” poi a me “Signor Pattinson, porti i miei più vivi
complimenti alla sua famiglia per questo lavoro magistrale!” Mi sbeffeggiò con
una riverenza; non mi ferì, non in quel modo. La cosa che mi faceva più male
era sapere che il cuore di Kris e quello di sua madre si stavano sgretolando.
Avrei voluto dire qualcosa, ma quei due si erano creati uno scudo, si erano
estromessi dal mondo, e stavano combattendo una battaglia privata.
“Mi spieghi
allora perché hai permesso che tutto questo accadesse? Se non ti andava bene
avresti potuto dirmelo da subito!”
“Mi avresti mai ascoltata? Non credo. Eri e
sei completamente persa per il tuo inglesuccio. E poi allora eri ancora la mia
bambina, magliette larghe e capelli spettinati” era suo padre ora a condurre
l’attacco, ed era andato a toccare proprio un punto sensibile per Kris, perché
anch’io diverse volte l’avevo messa in guardia: avevo paura che la Kris si cui
mi ero innamorato svanisse. La nostra dolce quotidianità, però, mi rassicurò
del contrario. Ma suo padre, questo, non poteva saperlo: volevo intervenire, ma
sembravo invisibile. Kris tirò dritto, sorvolando sull’ultima frase.
“Cioè,
fammi capire: ti andava bene che tua figlia, a 19 anni, convivesse e andasse a
letto con il proprio ragazzo, anche sotto il tuo stesso tetto, ma se si tratta
di mettere la testa a posto, e di creare una famiglia rispettabile e rispettata
non ti va bene più, anzi ti fa schifo? Papà fatti vedere da uno bravo perché
hai il senso della morale alquanto deviato!” Colpito e affondato.
“Rispettabilità … apparenze … Kristen Stewart non ha mai badato a queste cose.
Mia figlia non si è mai vestita come una snob con la puzza sotto il naso, né ha
mai amato la vita mondana … tu non sei mia figlia, te ne puoi anche andare!”
Quelle parole aspettava Kris, solo quelle. “Bene” Mi prese per mano e con un
“Vieni Rob, andiamo via” ci dirigemmo verso l’ingresso. Il padre rimase lì
impalato, sperava forse che sua figlia rinsavisse a quell’ultimatum.
Sua madre,
straziata dal dolore, ci corse dietro …
non so per chi sto più male, se per mia moglie o mia suocera … che pena.
“Fermati Kris, fermatevi ragazzi!” gridò, con la voce rotta dal pianto. “Questa
casa è anche mia, e se io non voglio, voi non andate da nessuna parte, lui non
può disporre come crede”
“Non è lui che mi ha cacciato, sono io che me ne vado,
è diverso.” Mentre riprendevamo tutto quello che avevamo con noi, lei
continuava il suo sfogo nei confronti del padre, che nel frattempo, ci aveva
raggiunti; evitavano entrambi con estrema cura lo sguardo della madre, che li
avrebbe certamente pugnalati dritti al cuore, come aveva fatto con me.
“Mi
dispiace che sia finita così, ma avevi ragione su una cosa … tua figlia non
esiste più, Kristen Stewart non esiste più, io sono la signora Kristen Pattinson
ormai, ed io e mio marito ripartiremo per casa nostra, per Londra, il prima
possibile!”
Prese la via della porta, ma le afferrai il braccio, la fissai
implorante e le dissi solo : “TUA MADRE!”
Non poteva lasciarla così, lei non le
aveva fatto niente. Tornò indietro e abbracciò e baciò forte sua madre:
l’addio. “Ti voglio bene mamma, perdonami. Non odiarmi, non odiarti per questo.
Ti giuro, ti giuro che ci vedremo ancora. Non posso perderti!” La madre la
strinse a sé più forte: “Vai avanti così tesoro mio, non ti odio, e ama il tuo
bambino come io amo te!” le prese il volto tra le mani, erano entrambe in
lacrime “Sarai una brava madre, ne sono certa! Segui i consigli di Claire, è
una splendida persona, e anche Richard, le tue cognate e le tue amiche. Hai una
famiglia meravigliosa a Londra! Tieniteli stretti tutti. Soprattutto Rob” Kris
era dilaniata dal dolore, lo percepivo.
Non poté resistere oltre e corse via
dalla casa in men che non si dica, io la seguii a ruota, lanciando un ultimo
sguardo a quel che restava della simpatica famiglia di Kris: Jules era seduta
sulle scale che portavano al piano di sopra, e piangeva appoggiata al
corrimano, una parte di lei era morta, si sarebbe potuto dire; John, che
sembrava invecchiato di 20 anni solo in un ora, rimaneva impietrito e abbattuto
davanti all’uscio della porta, ad osservare sua figlia che se ne andava, per
sempre.
L'ANGOLO DELL'AUTRICE
ecco il motivo di
tanta malinconia in Kristen nel capitolo precedente, ora forse vi
risulterà più chiaro. Non so se le motivazioni di suo
padre sono state sufficienti o se i comportamenti di tutti i presenti
siano corretti e giustificabili, questo sta a voi deciderlo.
Il titolo
è ovviamente una citazione di Stephenie Meyer, che vorrei
spiegare:be' l'inferno credo che sia facile da rintracciarenel
capitolo. Era comunque il paradiso perché ognuno dei personaggi
ha un legame d'amore da difendere: Kristen e Robert il loro amore e i
genitori, ciascuno a proprio modo, il legame d'amore genitoriale con
Kristen.
Putroppo vado di
fretta e non posso fare altro che ringraziarvi e ricordarvi
l'appuntamento con la mia ff tra 2 giorni esatti (venerdì), come
al solito nel pomeriggio.
à bientot!!!!!
Federica
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Capitolo 7 *** Rivedere le proprie idee ***
The best day - capitolo 7
Ciao!!!!!!!!!!!! Vado di fretta, come al mio solito ultimamente quindi
vi posto il nuovo capitolo della mia storia. ne approfitto per
comunicarvi che ben presto la mia puntualità si andrà a
far benedire, perché ricominciò l'università e
stando via tutto il giorno non so quando potrò postare; vi prego
però di rimanere sempre "sintonizzati" alla mia storia. Bando
alla ciance e vi posto immediatamente il capitolo!
Capitolo 7
OBIETTIVO: RIVEDERE LE PROPRIE IDEE - P.O.V. Robert
Le prime luci dell’alba mi riportarono di nuovo alla
realtà. Non ero rimasto sveglio: i miei non erano stati dei ricordi, ma dei
sogni; avevo sognato tutto quello che era successo la sera prima, ogni
dettaglio fissato nella mia mente aveva reso il sogno, l’incubo, più vero del
vero.
Il mio primo pensiero andò a Kris, che dormiva stretta al mio petto.
Finalmente era beata, almeno così sembrava, ma era tanto stanca, il suo volto
segnato dal pianto. Aveva perso la sua famiglia, l’aveva lasciata con le sue
mani, e questo per difendere la mia, per difendere me. Saremmo partiti quella
sera stessa, ma c’erano alcune cose da organizzare e da sistemare ancora, prima
di lasciare una volta per tutte gli States.
Pensai poi che aveva bisogno di un
po’ di dolcezza al suo risveglio, dopo il fiele amaro che aveva bevuto la sera
prima. Io invece avevo bisogno di scaricare la tensione che avevo accumulato,
così ebbi l'idea di fare un po’ di jogging e di unire l’utile al dilettevole, passando in una
pasticceria, la favorita della mia principessa.
Senza volerlo, mi accorsi durante il percorso di
passare davanti casa Stewart, teatro del dramma della sera precedente. Senza
pensarci due volte, seguendo l’istinto, suonai il campanello. Dovevo parlare io
ora, dovevo dire tutto quel che pensavo al padre di Kris, e consolare, se mai
ne avessi avuto i mezzi, la madre.
Alla porta venne ad aprire quel debosciato
del fratello di Kris, che sembrava appena uscito da un pub inglese dopo una
serata con gli Hulligans.
“Hei!” mi salutò, ancora mezzo addormentato.
“Hei!”risposi io.
Si portò una mano tra i
capelli arruffati, doveva essersi svegliato davvero da poco, e continuò, con un
volto sinceramente rattristato : “Senti Rob, veramente non so se posso farti
entrare …"
“Cam!” era Jules, che nel frattempo era uscita dalla cucina per
raggiungerci sull’uscio della porta “fai entrare tuo cognato immediatamente!
Rob vieni qui!”. Mi abbracciò come se le avessi salvato la vita: ma in fondo era
come se lo fossi davvero, il suo salvatore, perché le avevo fatto capire con la
mia visita che non avrebbe perso la figlia.
“Mamma!” la interruppe Cameron, forse preoccupato e ancora
titubante per il comportamento di sua madre. Non era presente alla
lite, ma di sicuro era venuto a conoscenza dello scontro: i panni
più sporchi vengono sono quelli che si individuano più
facilmente.
“Senti Cam" lo riprese Jules "questa è casa
mia e faccio entrare chi mi pare, tanto più mio FIGLIO!”
“Ricevuto!” si arrese Cam, a mani alzate e sparì
dalla circolazione, andando con la sua tazza dei cereali a fare colazione
davanti allo schermo piatto del salone …
non posso avercela con lui, è ancora un
bambinone, in fondo …
Io e Jules invece andammo in cucina: nonostante quello che
era successo la sera prima, tutto sembrava in stand by; nonostante mia
suocera avesse
la faccia di chi non ha chiuso occhio tutta la notte, passandola a
piangere, la
cucina profumava di dolce, crostata si sarebbe detto: “Ho fatto
il dolce
preferito di Kris, l’apple pie, dopo gliela porti. Il tuo arrivo
è stato
provvidenziale, non so come avrei fatto per dargliela prima della
… sì,
insomma, della vostra partenza …" le dava naturalmente fastidio
parlare di certe cose, come a me, però sapeva affrontare la
realtà delle cose con molta forza. Non avrebbe potuto fare
altrimenti, d'altronde, la decisione era ormai stata presa e non c'era
verso di far cambiare idea a quella testona di sua figlia. Comunque la
interruppi: “Jules, lo sai che tu sarai sempre la benvenuta
in casa nostra" dovevo mettere in chiaro le
cose il prima possibile con lei "se ti andasse di venire a Londra, non farti problemi, è
chiaro?” Annuì, ma non la vedevo convinta.
“Io non vado da nessuna parte senza
John, Rob" mi spiegò "Sembra strano, lo so, ma vedi, è un po’ come per te e Jaymes” … Jaymes era il nome che lei aveva
fortemente voluto per sua figlia, come se fosse un nome in codice, una lingua
solo per loro … “lui è la mia vita, e non può essere dove non c’è lui,
condividiamo tutto … nella buona e nella cattiva sorte, hai presente?”.
Non
riuscivo a capire come potesse essere così buona quella donna, io stesso che mi
definisco una persona sostanzialmente zen, dopo un comportamento simile, avevo
accumulato un certo quantitativo di rabbia.
“Ma lui …” mi venne spontaneo ribattere, ma mi riprese all'istante ed io rimasi ad ascoltarla.
“lo so, per te è difficile da capire, soprattutto perché ieri sera
hai visto tua moglie soffrire, per colpa sua, ma non credere che John si sia
divertito” aveva capito cosa
intendessi.
“Non dico questo, ma lui è suo padre, dovrebbe appoggiare sua
figlia, anche se ritiene che le sue non sono scelte giuste, come stai facendo
tu”
“Non è nella sua natura, Rob; però ti prego di non
avercela con lui, cerca
di capirlo, come futuro padre, cerca di fare uno sforzo" Non ci
riuscivo, era più forte di me. Non capivo come potesse ancora a
giustificarlo. Si era letteralmente trasformata in Jules, avvocato
delle cause perse.
"Immagina che tua
figlia, la tua luce, quella che hai passato una vita a coccolare, e che ha per
te una particolare devozione, di punto in bianco stravolga la sua vita.” Ero
rimasto in silenzio, avevo proprio voglia di sentire quali ragioni avanzava per
difendere John, indifendibile a mio modo di vedere, nella sua posizione, e poi
perché era una buona lezione, da poter applicare se il nascituro fosse stato
una femminuccia … oddio, già me la
immagino, bella come la sua mamma … occhioni grandi da cerbiatta e capelli
morbidi, lunghi e profumati … la mia bambina … “Aveva un ragazzo, che ti
aveva portato a casa, e ti eri affezionato a lui, convinto che con lui sarebbe
andata lontano. Di botto lo lascia, fai per chiedere spiegazioni e lei ti dice
che ha un altro, neanche una settimana dopo che ti ha dato la notizia della
separazione da quel ragazzo che vedeva con te le partite di baseball in tv e
che veniva la domenica a fare l’arrosto in giardino con tutta la famiglia …”
chiaramente, ma con molto tatto, stava parlandomi di Michael, l’altro, il
primo. Kris mi aveva più volte accennato che tra lui e suo padre c’era un
legame molto forte, che non era cambiato di una virgola dopo la loro rottura.
Mi diceva sempre che non dovevo prendermela, ed io non l'avevo mai fatto. Le sue parole incominciavano ad
assumere forme e significati più nitidi … forse non aveva tutti i torti
... "… il
ragazzo con cui lei adesso esce è completamente l’opposto
del precedente, più
bello senza ombra di dubbio, più bravo in quel che fa, un
intellettuale, molto
affascinante, ma lontano miglia in educazione ed abitudini dalla tua
bambina,
anche geograficamente le loro case li separano oltre 10 ore di aereo.
Nel
frattempo la noti ogni giorno che passa con lui sempre diversa:
più attenta a
ciò che indossa, a come parla, più matura anche,
nonostante non abbia ancora
nemmeno compiuto vent’anni. Viene poi un giorno e ti annuncia di
aspettare un
bambino da quello che tu consideri uno sconosciuto, e che ha intenzione
di
passarci il resto della vita … come se non bastasse decide di
farlo in un altro
Paese, nel SUO, con un rito tradizionale, come quelli che lei prendeva
in giro
insieme a te fino ad un paio di anni prima" si interruppe un attimo per
prendere fiato e guardarmi più attentamente "… beh, Rob,
se a te capitasse una
cosa simile, come reagiresti?” sul suo volto comparve un viso
furbo, sapeva che in qualche modo, in una piccola parte di me, era
riuscita a farmi cambiare opinione.
Non avevo più parole … touché … si dice in queste occasioni! Mi passai una mano tra i
capelli, come faccio sempre quando sono nervoso: “Beh, probabilmente reagirei
alla stessa maniera, ma è comunque sua figlia e non doveva trattarla in quel
modo. Tu non l’hai fatto” cercai di riprendermi, malamente.
“ No io non l’ho fatto, non l’ho fatto perché mia
figlia sta percorrendo la mia stessa strada, anch’io sono andata via
dall’Australia per stare con mio marito, e poi non potrei dire mai del male
alla tua famiglia, perché ti voglio bene, e voglio bene anche ai tuoi per come
amano Jaymes”
“Che ci fai tu qui?” mi voltai a quella voce quasi tonante: una sagoma come di spettro
apparve all’ingresso della cucina.
ANGOLO DELL'AUTRICE
So che il capitolo è un po' cortino, ma andava unito al
successivo e non mi andava di bruciarmi la storia tutta in una volta,
così vi lascio con la voglia di sapere chi si è
presentato in cucina e cosa succederà soprattutto. Mi dispiace
se la storia sia diventata triste, ma sinceramente, rivedendo anche il
lavoro precedente, avevo bisogno di una svolta drammatica! Era troppo
melenso... così eccomi qui. Dovrete pazientare un po' prima di
vedere un po' di sole...
Passiamo ora ai commenti, che sono ancora pochi...solo 2? forza ragazzi potete fare meglio...
Ringrazio chi segue la storia e chi l'ha inserita tra le seguite e le
preferite (voi invece aumentate sempre di più...grazie
mille!!!)
Alla prossima...spero lunedì...Federica!
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Capitolo 8 *** Mantenere la calma ***
The best day - capitolo 8
ragazze mi dispiace ma oggi vado di fretta proprio e posso solo postare
il capitolo: prometto che la prossima volta risponderò alle
recensioni dei capitoli precedenti anche. un abbraccio e buona
lettura!!! mi raccomando, legegte e commentate in tanti!!!
Capitolo 8
OBIETTIVO NUMERO DUE: MANTENERE LA CALMA - P.O.V. Robert
In abbigliamento da camera, e con le occhiaie che si
ritrovava quel mattino, senza problemi avrebbe potuto prendere parte alla messa
in scena del capolavoro di Dickens nei panni di Ebeniezer Scrooge.
Mi alzai in
piedi di scatto, in segno di rispetto, ma cercai di mostrare sicurezza, quella
che la sera prima mi era decisamente mancata.
“Tesoro, Rob è venuto a salutarci
prima di ripartire per Londra …” cercava di far apparire la mia visita come un
evento di normale cortesia tra genero e suoceri, ma si vedeva da chilometri che Jules era nervosa, come se di
quell’uomo, che era suo marito, lei ne avesse paura … e a ragione!
“Vai via
immediatamente, sei un estraneo in questa casa, per questa famiglia!” mi ordinò, con prepotenza.
“Veramente signore ero venuto per parlare con lei della spiacevole situazione
di ieri sera …" il nostro rapporto era sempre stato molto formale, io gli davo
del lei, lui del tu, ma con disprezzo …
forse dovrei chiedergli di darmi del lei, in fondo mi considera un estraneo …
così almeno siamo pari …
“Non ti aspettare che io ritratti la mia
posizione, e poi pensavo che non avessimo altro da dirci. Avete ottenuto ciò
che volevate, tu e la tua famiglia di …” mia suocera intervenne “Non
ricomincerai di nuovo con questa menata! Sei sfiancante John, basta! Hai già
detto quel che pensavi ieri sera, e mi pare, per come siano andate le cose, che
tu sia stato anche piuttosto convincente …”
“Zitta! Fammi finire” … ma come può permettere che la tratti in quel
modo, ti faccio vedere io, stronzo … “…insomma tu e la tua cara famigliola
ora avete legato mia figlia a voi ”
“Lei non ha capito niente” risposi,
raccogliendo il guanto di sfida. Non potevo credere che la pensasse
davvero così, che per definire l'affetto di sua figlia si
basasse solo sul suo luogo di residenza o le compagnie; continuai
“non creda che io mi senta offeso per le frasi
di affetto e stima riserva sempre alla mia famiglia, non mi
interessano, e
immagino che nemmeno a loro interesserebbero, ma non provi più
usare quel tono
quando parla di MIA MOGLIE!, si sciacqui la bocca prima di farlo,
chiaro? Su
questo non transigo: punto primo perché mia moglie non ha fatto
nulla per
meritarselo e secondo ... secondo perché,
cazzo signore, è sua figlia … ma non prova un minimo disgusto per se stesso per
come l’ha trattata ieri sera … e anche sua moglie???”
Finalmente ero riuscito a
tirar fuori tutto quello che per vergogna, o per paura, mi ero tenuto dentro la
sera precedente; ed avevo deciso di non fare sconti, ed i mezzi termini non
servivano più, né tanto meno essere diplomatici o garbati: ripagare con la
stessa medaglia il torto subìto non faceva parte della mia educazione, ma
risparmiare un uomo del genere non aveva poi molto senso.
“Non cambiare
discorso giovanotto …” si affrettò a rimproverarmi,
scottato dalla sincerità e dalla verità delle mie parole.
“Non sto affatto cambiando discorso, mi sembra invece
che sia lei quello che lo sta facendo … o
non ha le palle per rispondermi, sentiamo!”
“Come mi comporto con la mia
famiglia sono affari miei, e abbassa un po’ la cresta quando parli con me!” era sconvolto,
disarmato, dalla forza e dalla prontezza della mia reazione. Forse non
mi riteneva abbastanza uomo da poter parlare a quel modo.
“Non sono più affari solo suoi, da quando ho sposato
sua figlia. Tecnicamente
faccio anch’io parte di questa famiglia” la sera precedente
avevo creduto il
contrario, ma il troppo dolore e la rabbia che avevo provato, mi fecero
intuire che avrei fatto bene a far sentire anche la mia voce in
capitolo “ una famiglia che lei non è stato capace di
conservare. Mi
dispiace, perché Kris ci teneva a dare il suo nome a nostro
figlio nel caso di
un maschietto … ma a questo punto credo che sarà mio
padre il prescelto …” ero
disposto anche a rompere la tradizione di famiglia, se fosse servito a
rimettere in sesto la situazione, papà e nonno se ne sarebbero
fatti una
ragione.
Feci per andarmene … non
voglio stare un minuto di più in questa casa di matti … lasciando sul tavolo
della cucina una lettera per la mia adorata suocera, l’avevo scritta al mattino
prima di uscire, la volevo spedire perché pensavo di non avere abbastanza forza
per andare a trovarla, ma invece le cose sono andate diversamente … premio cuor di leone dell’anno a Rob
Pattinson … non è riuscito a dire un’acca a sua suocera … così dovetti
affidarmi comunque a quella lettera per far sapere a mia suocera quello che
provavo per lei e per quel lato di famiglia. Avevo lasciato un paragrafo esclusivamente
per mio suocero, perché doveva sapere cosa pensavo di lui.
Prima di aprire la
porta e uscire pensai però che fosse il caso di dire almeno a John a voce quello che
provavo, perché non avesse da ribattere ulteriormente: “ Lo so John che io e lei non siamo
mai andati d’accordo, che lei crede che io sia la causa della rottura tra Kris
e Mike, a cui lei vuole un bene esagerato e ... ed in parte forse è vero, ma
ciò non toglie che se Kris non mi avesse amato davvero ora non saremmo arrivati
fin qui, non ci saremmo mai sposati, non staremmo aspettando un bambino. Mi
dispiace signore che non ci siamo mai capiti e apprezzati reciprocamente … ah,
mi faccia una cortesia in questo tempo che passerà da solo … pensi al suo passato … si ricordi di quando era
giovane … e vedrà che sua figlia non sta
avendo una vita molto diversa da quella che ha avuto lei. Addio!”
Baciai sulla
guancia la mia adorata nonna Stewart, come io e Kris ci divertivamo a chiamarla
in previsione della nascita del bimbo … Kris
… cazzo!!! Si sarà svegliata oramai, sono quasi le dieci!!! … dimenticai
l’apple pie di mia suocera e così fui costretto a passare in pasticceria a
prenderla … meglio così, cosa avrei
raccontato a Kris, non devo riaprirle la ferita …
Tornai a casa e fortunatamente tutto taceva ancora … era
davvero tanto stanca la mia cucciola …
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Capitolo 9 *** The captain of my heart ***
The best day - capitolo 9
Eccomi qui con un nuovo capitolo della storia. Posto oggi perché
nei prossimi giorni non sarò presente solo la sera molto tardi e
molto di fretta e non so se riuscirò più ad aggiornare
come prima. Per questo ho aggiornato i capitoli precedenti molto
velocemente. Come promesso a fine pagina ci sono le risposte alle
recensioni anche del capitolo 7.
Vi avverto fin da ora che questo che state per leggere è un
capitolo piuttosto speciale, sperimentale potrei definirlo,
perché ho provato a fare qualcosa di nuovo, che non avevo mai
aftto prima. Il fatto è che mentre leggevo...beh, lo capirete da
voi leggendo. poi non dimenticate l'angolo dell'autrice così vi
spiego meglio la situazione. Buona lettura e, mi raccomando, recensite,
perchè questa volta ho proprio bisogno di sapere che ne pensate.
Capitolo 9
THE CAPTAIN OF MY HEART - P.O.V. Kristen
Era piacevole
svegliarsi e trovare il sole a farti capolino e dirti buongiorno. Pure in quel
giorno, che non era buono per niente.
Era ancora di più un sollievo se le coperte si erano freddate, perché
mancava la persona che le condivideva con me.
“Rob!” chiamai. Niente, non era
in bagno.
“Rooob!” alzai il tono di voce, avrei avuto qualche possibilità di
farmi sentire, se fosse stato in cucina. Silenzio. Così mi trascinai verso il suo lato del
letto. Il suo odore, almeno quello, era ancora lì. Guardai la sveglia sul
comodino: erano le 9.15; altri cinque minuti a letto non mi avrebbero cambiato
la vita, per quanta me ne fosse ancora rimasta in quell’angolo d’America. Sentii
l’aria mancare. Il vuoto che c’era in quella casa, in quel momento, mi
schiacciava, come un macigno. Avvertivo una morsa allo stomaco ed un bruciore
improvviso risalì fino in gola; la sentivo ardere. Nausea. Corsi in bagno … fortuna che è in stanza … in tempo utile
da non sporcare niente … non sono in vena
di faccende domestiche … voglio solo partire … e basta.
Passai al
lavandino, per darmi una rinfrescata. Chissà che sogni … o incubi … avevano infestato la mia notte, tanto da farmi sudare
in maniera così spropositata. Non devo avergli dato pace, povero Rob! Mentre mi asciugavo non potei fare a meno di notare il fantasma che si
rifletteva allo specchio, al posto del mio volto. Più bianca del solito, capelli
spettinati, borse nere e gonfie sotto gli occhi: non ero certo nella mia forma
migliore. Non volevo svegliarmi, non ancora. Non mi sentivo ancora pronta, dopo
quella sera, ad affrontare di nuovo il mondo. Tornai di nuovo a letto,
trascinandomi più che camminando. No,
decisamente la sveglia per me quella mattina non era ancora suonata. Avrei
aspettato lui … il capitano del mio cuore.
Perché l’avevo
fatto? Perché mi ero svegliata, senza che lui mi fosse accanto. Avevo paura di
aver sbagliato tutto, solo i suoi occhi erano la mia ancora, il mio porto
sicuro … niente dubbi col capitano del mio cuore.
Too long ago
Too long apart
She couldn't wait another day for
The captain
of her heart
Era vecchio quel
ritornello che mi si era fissato in
mente quella mattina, troppo vecchio per poterlo scoprire da sola. Era stato l’
ultimo regalo al mio vecchio, era stata la canzone delle mie scuse, la canzone degli
addii. L’ultima volta che vidi un suo sorriso. Il primo ed ultimo ballo
padre-figlia; il giorno delle mie nozze. Non
potevo aspettare, papà, il capitano del mio cuore, non potevo attendere oltre.
Non ce la facevo! Quando mi chiese perché avessi deciso di sposarlo così
presto gli risposi solo che me l’aveva chiesto ed io avevo accettato; il
bambino non c’entrava. Non ci aveva mai creduto, e forse non ci credevo più
neanch’io, ma non avrei mai saputo dire di no … al capitano del mio cuore. Lui
l’aveva preso e l’aveva fatto salpare …
Not only for
a cruise
Not only for a day
… per il
resto dei miei giorni. A guardare i suoi occhi non avevo incertezze. Ma non
c’erano in quel momento …
...come ridevano
quel giorno quando varcavo la navata, al braccio di mio padre.
C’era tanta di
quella gente, e tanta di quella confusione fuori dalla chiesa, i nostri fan erano
accorsi numerosi, appena la notizia era trapelata. Ma non vedevo e non sentivo
niente, a parte lui. Era così bello. Tante volte lo avevo visto in giaccia e
cravatta, ma era la prima volta che agli occhi mi salivano tutti quei dettagli,
era la prima volta che lo osservavo davvero, in tutto il suo splendore.
Sentivo
le gambe tremare, mentre avanzavo, le braccia non avevano forza, e temevo che
il bouquet potesse cadermi dalle mani da un momento all’altro. Ma non poteva
accadere, se lo sguardo fosse rimasto fisso sul capitano del mio cuore. Mio
padre gli cedette la mia mano ed andammo insieme all’altare. Al nostro fianco,
gli amici di sempre. Tom per lui, Ashley e Nikki per me.
Avrei dovuto
ricambiare i sorrisi di ciascuno di loro, per ringraziarli di essere lì, di
supportarmi e di avermi sopportata in tutti quei momenti di paranoia e sclero durante
i preparativi. Le mie fantastiche wedding planner, Freddie e Kitty avevano
fatto un lavoro magnifico, tutto era perfetto, e l’abito che mi aveva cucito
Olivia, il suo primo lavoro, era degno di una principessa delle fiabe. Avevano
detto che il nostro amore era una favola, meglio di quello che avevamo portato
al cinema, e come tale andava celebrato.
Ma non feci a caso
a nessuno di quei particolari, non avrei potuto farlo finché sarebbe stato lui
lì: il miracolo più
grande di quel giorno erano i suoi occhi. Era come se mi vedessero per la prima
volta, come se davanti a lui ci fosse un angelo, non me, che vedeva tutti i
giorni e che certo non ero il massimo della bellezza che la natura potesse
offrire.
Mi promise il suo amore con decisione, fierezza, devozione assoluta:
sarei stata capace di fare altrettanto? Eppure rimase se stesso: il dolce,
timido ed imbranato Rob, il mio Rob.
Quando arrivò il
momento della mio giuramento, strinsi forte la sua mano e lo fissai attraverso
gli zaffiri incastonati nel suo meraviglioso viso; se anche un piccolo
ripensamento ci fosse mai stato, di certo in quell’istante mi aveva
abbandonata: non ci stavamo sposando per il bambino, non per riparare al danno,
non per far contenti genitori e nonni. Lo stavo sposando perché l’amavo, perché
volevo passare il resto della mia vita con lui. Il resto, tutto il resto, era
una magnifica cornice.
“I Kristen, take
you Robert” pronunciare i nostri nomi bastò per far vacillare la mia voce,
mentre le lacrime iniziavano a sbiadire la vista “ to be … my husband … to have
and to hold … from this day forward, for better and for worse” lo vedevo
sorride, pur nelle lacrime che annebbiavano la mia visuale, e gli occhi
brillavano anche a lui, ma di una grande gioia. Il suo sorriso che tanto amo
era colmo di sorpresa: avevo cercato di imitare, anche se malamente, l’accento
inglese, di cui mi ero innamorata, perché parte di lui. Cercai di trattenere
ancora per un po’ il magone e andai avanti: “ for richer and for poorer, in
sickness and in health, to love and to cherish, ‘till death us do part ” Ce
l’avevo fatta, ero arrivata alla fine del giuramento, ed ero felice come mai
nella mia vita.
Il pastore benedì gli anelli che Tom custodiva e ce li porse.
Toccò per primo a Rob pronunciare la formula di rito. Iniziò ad infilare la
vera al mio anulare sinistro; fu in quel momento che cercò i miei occhi, quasi
a chiedere permesso; sorridendo annuii ed andò avanti : “Kristen I give you
this ring as a sign of our marriage” in lui nessuna esitazione, non era così
sicuro neanche quando aveva un copione scritto davanti a lui “with my body I
honour you, and all that I am I give to you, and all that I have I share with
you” l’anello terminò il percorso lungo il mio dito.
Prese d’improvviso la mia
mano, e la baciò lì dove aveva posato la fede. Arrossii come non mai. Ero
definitivamente in lacrime, eppure felice.
Tutto quello che lui era me lo aveva
donato e tutto quello che possedeva lo aveva condiviso con me: finalmente
completa …
Così spiegai a me
stessa il motivo per cui la sera precedente mi ero comportata in quel modo,
perché avevo mandato a puttane il mio passato ed avevo tagliato i ponti con chi
più mi amava, o che almeno avrebbe dovuto farlo: perché senza di lui avrei
perso parte di me, quella parte che gli avevo donato quel giorno; ma sapevo
anche che rinunciarvi, avrebbe colpito anche lui: in fondo parte di lui era in
me.
Ma tutto
quell’amore valeva un tale sacrificio? Non c’era bisogno di illudersi: non li
avrei più rivisti; mio padre almeno. Io ero lui e lui era me, talmente uguali
da respingerci anziché attrarci. Un legame d’amore giustificava spezzarne uno
di sangue?
Poi capii: non si
trattava di semplice amore, non più. Rob e Kristen non c’erano più: eravamo noi,
una cosa sola; a testimoniarlo il caldo nel mio ventre. Niente dubbi: quell’unicità
era la cosa di cui non avrei mai più potuto fare a meno. Nella buona e nella
cattiva sorte. Se mio padre non poteva soffrire mio marito, come sperava di
poter amare suo nipote. L’avrebbe guardato negli occhi, e lo avrebbe odiato,
perché vi avrebbe rivisto lui. Ne ero certa: maschio o femmina che fosse, la
creatura avrebbe avuto gli occhi di suo padre … il capitano del mio cuore; erano
troppo belli per andare persi. Sentii d’improvviso la serratura dell’ingresso
scattare: bentornato a casa, amore mio! Tirai le coperte fin sopra la mia testa
e mi riaddormentai.
ANGOLO DELL'AUTRICE
Da dove incomincio, vediamo. Allora, innanzi tutto come vi ho
detto questo capitolo è nato come un esperimento. mentre
ascoltavo quest canzone, The captain of her heart,
mi è venuta l'idea di sviluppare un capitolo simile. Mi evoca
bei ricordi, anche se non personalissimi, visto che è nel
filmino del matrimonio dei miei genitori, e quindi mi fa pensare
comunque a sensazioni retrò e malinconiche. ecco dunque che
Kristen riflette su ciò che è accaduto, su ciò che
ha fatto, e perché lo ha fatto. Ho immaginato che questa canzone
fosse il brano scelto da lei per ballare con il padre il giorno del
matrimonio, perché era una canzone di moda negli anni 80 (quando
presumibilmente si sono sposati i genitori di Kristen).
le parti della canzone che ho riportato significano:
Troppo tempo fa, troppo lontano
Non poteva aspettare un giorno in più
Il
capitano del suo cuore
e
Non solo per una crociera
Non solo per un giorno
Poi come avete notato il centro del racconto è occupato dal
ricordo di Kristen del suo matrimonio. Essendo un ricordo, non
può essere un racconto precisissimo degli eventi, ma sicuramente
lei ricorda benissimo le sensazioni provate quel giorno. Notate che le
promesse di matrimonio le ho riportate in inglese con la formula esatta
utilizzata dalla chiesa anglicana, escludendo alcune piccole parti, che
fanno riferimento alla chiesa e che sinceramente disturbavano il
racconto,
COMMENTO ALLE RECENSIONI:
@ledyang: purtroppo non ho
potuto dare una piega felice alla storia come avresti desiderato,
perché altrimenti poi il racconto è troppo corto e non
saprei come portare avanti la storia. non è poi così
interessante se fosse tutto rose e fiori, non ti pare? prometto che la
tenerezza e la tranquillità torneranno però al più
presto...
@Enris: non preoccuparti se
ritardi a recensire, l'importante è che lo fai, perché
sai bene quanto siano importanti per me i tuoi commenti. non puoi
cpaire quanto mi faccia piacere sentirti dire che sono migliorata, ma
se potessi spiegarti meglio, sarebbe magnifico. ad esempio dicendomi
dove posso migliorare.
Vi ringrazio per avere avuto pazienza nel leggere anche quest'altro
papiro e vi ringrazio anche per la costanza con cui mi seguite. Non
dimenticate di recensire questo capitolo in particolare, perché
voglio sapere se l'esperimento è riuscito o se è meglio
che lascio perdere.
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Capitolo 10 *** Due biglietti di sola andata ***
The best day - capitolo 10
Ragazze eccomi ce l'ho fatta finalmente!!!! Non vi garantisco che
potrò postare con regolarità d'ora in avanti, ma la vena
creativa come vedete non è andata persa del tutto. Mi dispiace
avervi fatto aspettare così tanto ma la mia vita ultimamente
è davvero frenetica. Non so se i risultati sono migliori o
peggiori rispetto a prima, ma faccio quel che posso per far rimanere il
livello sempre molto alto. Ho deciso di ricominciare con un capitolo
tranquillo, dove non accade niente di che, e che magari sarà
anche un po' noioso, a dirla tutta. Ma lascio a voi decidere, e mi
raccomando, commentate!!!!
Capitolo 10
DUE BIGLIETTI DI SOLA ANDATA
P.O.V. Richard
“Richard! Richard!”
sentivo in lontananza mia moglie che mi chiamava; io intanto riemergevo dal
sonno.
“Sì? Che c’è Claire?” Non era la solita sveglia del mattino, quella
delicata e dal profumo di tè.
“Il telefono squilla.” Mi voltai verso il
comodino, la sveglia segnava le 5 del mattino.
Una sola persona poteva chiamare
a quell’ora.
Non ricordo bene i miei movimenti, so solo che mi ritrovai, con la
vestaglia infilata e le pantofole ai piedi, a scendere le scale a perdifiato,
fiondandomi come un razzo sull’apparecchio telefonico.
Col fiatone risposi
“Rob?”
Non c’era bisogno di un genio per capire che a
quell’ora si potevano
ricevere solo chiamate da oltreoceano, dove l’orario sarà
stato certamente più
appropriato; ma comunque mi preoccupai, visto che i ragazzi non avevano
mai
disturbato a quell’ora. “Che c’è figliolo, che
è successo?”
“Ciao papà. senti,
potresti passarmi la mamma?” La voce sembrava calma, ma fin
troppo seriosa: era
un attore, poteva darmela a bere con facilità.
“Sei sicuro
Rob? Dimmi che va
tutto bene” continuai con il mio interrogatorio, preoccupandomi ad ogni secondo che passava senza avere una risposta.
“Te l’ho detto papà, va tutto
bene, ma mi passeresti la mamma, ho
bisogno di un favore”
“Ma se va tutto bene perché
chiederlo a quest’ora il favore,
Rob? Non potevi chiamare più tardi? Dimmi che tu stai bene e
Kristen sta bene e
che …” non potevo pensare ad una cosa così brutta
“… e prima che me lo chiedi,
anche il tuo nipote preferito, nonché unico, sta bene”
rispondendomi così,
Robert mi procurò un sospiro di sollievo.
“Ora, me la
passi mamma?” senza dire
una parola, con un pizzico di amaro in bocca, visto che mio figlio
puntava
sempre a sua madre, passai l’apparecchio a Claire, che mi era
rimasta affianco
col fiato sospeso, e se possibile mi aveva fatto salire l’ansia
ancora di più.
“Che c’è tesoro?” Eccola che comincia a fare le fusa a suo figlio: a volte mi
sento geloso di quella intimità; ma d’altronde, io e mio figlio non siamo stati
legati per nove mesi con un cordone.
Ormai certo il sonno perso non poteva
essere recuperato, così mi spostai in cucina, e mia moglie mi seguì a ruota con
il telefono portatile. Iniziò una fitta, nonché interessantissima conversazione
con Robert, fatta di ehm, sì, capisco, certo come no … se avessero usato
l’alfabeto morse, li avrei capiti più facilmente. Almeno Clare aveva avuto il
buon senso di mettersi a preparare la colazione nel frattempo. Accesi la
televisione e passai distrattamente in rivista i canali di notizie.
La mia
attenzione fu poi attirata da una frase di mia moglie “Ma perché? Mi vuoi
spiegare per cortesia cosa è successo?”
Allora qualcosa era successa davvero!
Ma perché Robert non me l’aveva detto, e perché Clare continuava ad essere così
tranquilla. Con la stessa calma di sempre, la telefonata si interruppe con un
“Ci vediamo, buon viaggio” che ovviamente mi insospettì.
“Già di ritorno?”
chiesi, con nonchalance, tentando di celare il mio stato d'animo reale
“ma non dovevano tornare tra 3 settimane?”
“Sì
ma hanno anticipato la
partenza. Kristen aveva bisogno di tornare”
A quelle parole mi si rizzarono le
antenne: volevo troppo bene a mia nuora per poter sopportare che le succedesse
qualcosa di grave; e poi portava il mio nipotino in grembo: una ragione in più
per preoccuparmi. “Ma allora non sta bene? È successo qualcosa al bambino”
“No,
calmati caro, non è successo niente! Non si tratta di questo” Mi innervosii
“E
allora? Santo Iddio, ma perché non mi dici le cose come stanno Claire. Non sono
malato di cuore, se è successo qualcosa di brutto non mi sento male” mi facevo
forza, ma sapevo che era una bugia anche per me.
“Non ti dico niente perché non
è successo niente di grave. Robert mi ha solo chiesto di andare a casa loro, e
dare una sistemata prima di rientrare. E anche di fare un po’ di spesa, perché
il frigo è vuoto, visto che avevano programmato di rimanere via per un mese.”
Mi tranquillizzai definitivamente; Clare non mentiva.
“Ma perché ripartono
subito? Che significa che Kristen aveva bisogno di tornare?”
“Non lo so, non me
l’ha voluto dire. E questo mi sembra strano. Mi ha detto che se voleva, ce
l’avrebbe spiegato lei al ritorno” stavolta però era preoccupata Clare, e lo
ero anch’io.
Tuttavia mi sentivo
felice, fiero, che Kristen avesse scelto di tornare in Inghilterra
così presto. Sicuramente non era così, ma mi piaceva
credere che la nostra compagnia le fosse più
gradita di quella della sua famiglia. Così azzardai ad incoraggiare Clare
“Beh allora tesoro
non preoccuparti; non sarà successo niente di così brutto
poi; magari è la
solita storia con i paparazzi. Sai quanto Kristen e Rob li detestino;
avranno
deciso che la cosa migliore era tornare qui e starsene tranquilli,
prima di
riprendere con il lavoro …”
“ma sì forse
è come dici tu”.
P.O.V. Robert
“Mamma adesso ti
devo lasciare, che sta arrivando Kris …” “Ma perché? Mi vuoi spiegare per
cortesia cosa è successo?” “Mamma, ti prego, ora non posso parlare, te lo dirà
lei quando torniamo, se vuole. Ciao!” mi dispiacque molto riattaccarle il
telefono praticamente in faccia, ma era l’unico modo che avevo per evitare di
rispondere a quella domanda.
Uno perché non volevo parlarne davanti a LEI, non
volevo farla rabbuiare di nuovo e due, perché sinceramente cosa avrei detto a
mia madre per giustificarlo? Più ripensavo a mente fredda a ciò che era
successo, e più mi davo del minchione per non aver saputo trovare un
compromesso ed aver fermato quella catastrofe. Anzi, avevo ulteriormente
peggiorato la situazione con le mie stesse mani.
Stavamo per diventare
genitori, ciò nonostante ci stavamo comportando come dei bambini: scappavamo
dai problemi anziché affrontarli. Ma lei aveva voluto così e sì, lo ammetto,
ero e sono completamente succube di lei, non posso non assecondarla, ogni
volta. Tanto più allora, che era incinta e non volevo che le capitasse niente
di male.
Era andata in bagno
prima di partire, perché durante il volo non si sarebbe mossa dal sedile, o
meglio non avrebbe scrollato via la sua presa dal mio braccio. Gli occhiali
neri e capelli perennemente in disastro mostravano ai paparazzi che ci
ronzavano intorno la solita Kris, ma sapevo che sotto le lenti nascondeva delle
occhiaie profonde e livide. Le avevo detto che se fossimo arrivati troppo
presto in aeroporto avremmo dovuto aspettare ed avremmo certamente attirato l’attenzione,
ma aveva voluto fare di testa sua, aveva voluto abbandonare quella città il
prima possibile, e anche stare a LAX la faceva sentire possibilmente più vicina
alla meta del nostro viaggio.
Avevamo già dei biglietti per il ritorno, previsto
in data molto più lontana, ma non essendo rimborsabili dovetti prenderne altri
due, un volo diretto per Londra, di sola andata.
In attesa di
imbarcarci stavamo sulle panchine come una normalissima coppia, come tante ce
ne erano lì in quel momento. Cercavamo di non dare importanza ai flash che
partivano da ogni parte dell’edificio, probabilmente non avevamo la forza, più
che la voglia, di fermarli in quel momento. Kris teneva la testa appoggiata
alla mia spalla e, tipico segno della gravidanza, tendeva ad avere le gambe
divaricate mentre stava seduta. Di tanto in tanto accarezzava la pancia che,
ormai giunta al quinto mese, non poteva più essere nascosta. Lei ascoltava
musica dall’ iPod, io tentavo di leggere una rivista qualsiasi presa
distrattamente nell’edicola dell’aeroporto, mentre come un tic che le accarezzavo i capelli.
Ma venni distratto facilmente dalla
tenerezza del quadro familiare che io e la mia dolce metà stavamo componendo.
Non resistetti e le stampai un bacio sui capelli profumati.
“Vi amo” sussurrai.
Non ero sicuro che avesse sentito le mie parole, ma sembrò rispondere quando
strinse le sue braccia attorno al mio e mi attirò più a sé.
“Scusa per questo trambusto”
mi disse. Aveva quel maledetto vizio di mantenere le cuffie alle orecchie, nonostante
non ascoltasse nulla; allora aveva davvero sentito le mie parole: ne ero
felice. Sembrava voler dire qualcosa, i
suoi occhi me lo chiedevano, però era incerta, credo soprattutto nei confronti
della mia possibile reazione. Effettivamente non avevamo ancora parlato di ciò
che era accaduto. Io le avevo dato il mio pieno e devoto appoggio, come sempre;
da parte mia non le avevo però rivelato del mio incontro con i suoi quella
mattina stessa.
“Come stai?” le chiesi.
Fraintese la mia domanda: “Bene, non ho
più avuto nausea da stamattina, ed il sonno lo recupero ora che saliamo in
aereo …”
Posai la mia mano libera dalla sua stretta sul suo cuore, per farmi
capire meglio “Come stai, qui?” Un attimo di silenzio. Abbassò lo sguardo: forse
non stava poi così bene come aveva voluto farmi credere. Ed i miei sensi di
colpa presero di nuovo a farsi largo, prepotenti.
“Kris non è tardi per tornare
indietro. Possiamo tornare a casa e sistemare le cose.”
Alzò lo sguardo
implorante ma decisa “Sì Rob io voglio tornare a casa mia! Voglio tornare a
Londra” la speranza che avremmo risolto tutto svanì improvvisa così come era
arrivata.
“Ma non pensi di aver bisogno di loro?” le dissi mentre scuoteva la
testa “di tua madre, almeno? Lei non ha
colpe!”
“Lo so Rob che lei non c’entra. Ed infatti lei farà sempre parte
della mia vita. Ma non potevo dargliela vinta”.
La presi per mano: “Kris
ascolta” non potevo mentirle, non l’avevo mai fatto e non
potevo cominciare
proprio in quel momento “io rispetto e accetto tutte le tue
scelte, ti seguirò ogni
decisione prenderai, però credo che una possibilità
dovresti dargliela. Parlare
non significa gettare la spugna. Si tratta di venirsi incontro. E
magari lui potrebbe capire e …”
“Ssshhhhhhhhh!!!” posò un dito sulle mie
labbra, a zittirmi “lo sai qual è la ragione per cui mi
sono comportata così?
Perché mi sono resa conto che mio padre non è capace di
amarti” sapevo che era così, lo era stavo fin dal
principio, ma non mi ero mai arrabbiato perché in fin dei conti
nessuno ci aveva ostacolati concretamente nei nostri progetti, la sua
avversione era rimasta del piano verbale e non mi dava fastidio
più di tanto.
“Ma questo non
mi importa, col tempo passerà, qui si tratta del vostro rapporto!” Ma lei no, lei si sentiva offesa, presa in giro.
“No, Rob,
no! Noi siamo una cosa sola ormai, se lui odia te odia anche me. Ed odierà alla
stessa maniera anche nostro figlio”
Chiamatemi
pure debole, pollo, ma quando
disse queste parole mi sciolsi totalmente e non fui capace di
controbattere,
gliela diedi vinta, come al solito. Avvolsi con un abbraccio le sue
spalle, e
la feci accoccolare sul mio petto, lei cinse la mia vita con un
abbraccio
abbondante e caldo.
“Ok, va bene ... per ora si fa come vuoi tu.
Tanto si fa sempre come vuoi tu!" dissi sarcastico mentre lei rideva
sotto i suoi baffi da gattina. "Ma promettimi che ci penserai. E che
seguirai il mio consiglio. Si tratta almeno provaci …” Non
potei continuare oltre, perché
le sue labbra si fermarono sulle mie, e mi tolsero il respiro. Dire che
si
fermarono, oltretutto, è una parola grossa …
“Ah, comunque …” mi disse affannata
quando terminammo entrambi l’aria nei polmoni e dovemmo staccarci “Ti amiamo!”
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Capitolo 11 *** Birthday of truth ***
The best day - capitolo 11
Scusate scusate scusate!!!!!!!!!!!!!!! Lo so sono in trmendo ritardo,
ma non so cosa sia successo??? mi sono persa nelle lande desolate della
caranza di ispirazione. Ma ho scritto qualcosa e voglio proporvelo
comunque, anche se non dovesse essere un capolavoro della
letteratura...lo aggiusterò meglio nel tempo, e magari
porovvederò a sostituirlo se dovessi partorirne una versione
migliore. Mi rendo conto che la mia assenza avrà certamente
provocato un calo nel mio "seguito", ma vi garantisco e ribadisco per
l'ennesima volta che non ho alcuna intenzione di chiudere la mia
storia. Vi sono troppo affezionata per non finirla. anche perché
nella mia mente è già tutta scritta. Il problema
arriva quando ho davanti a me la pagina bianca...
comuqnue per farmi perdonare vi posto un capitolo bello lungo. forse
alcune aprti possono essere limate, altre approfondite, ed è per
questo che ho bisogno del vostro aiuto per migliorarla. I vostri
commenti per me saranno preziosissimi, come sempre.
Vi aspetto a fine pagina per la risposta alle recensioni - ho un bel po'
da recuperare anche lì - e con l'angolo dell'autrice
Ho
pubblicato anche una one shot, sempre Robsten, ormai la mia specialità.
Mi farebbe piacere se le desse uno sguardo e la commentaste....QUI
Buona lettura!
Capitolo 11
BIRTHDAY OF TRUTH - P.O.V. Kristen
“Tanti auguri a te!
Tanti auguri a te!
Tanti auguri a
Robert!
Tanti auguri a
teeeee!!!!”
E mentre spegneva
le 24 candeline sulla torta che sua madre aveva preparato per l’occasione, una
pioggia di applausi e grida ricoprivano
il mio festeggiato.
C’era poco da
festeggiare, secondo lui. Di lì a pochi giorni avrebbe dovuto iniziare un nuovo
lavoro, Water for Elephants, il che significava di nuovo aerei da prendere, di
nuovo sedute di trucco e parrucco, di nuovo orde barbariche di ragazzine
appostate ogni giorno ai bordi del set.
Eppure ogni giorno
che passava, ogni giorno che ci portava a separarci, riuscivo a fargli trovare un
motivo per essere positivo e sorridere. Tutto sommato era persino eccitato, sebbene non ci saremmo
visti per 2 mesi, perché significava che i suoi impegni si sarebbero esauriti e
poi si sarebbe potuto concentrare esclusivamente sul cucciolo e su di me. E
questo non poteva che rendermi altrettanto impaziente di trascorrere quei mesi.
“Ma perché non vieni con me? Lo sai che mi fa male
saperti lontana … non potervi proteggere …”
“Cosa potrebbe succedermi, Rob?”
In certi casi, le conversazioni sono migliori se fatte
mentre si è indaffarati in qualcos’altro. Ad esempio, la preparazione dei
bagagli. Non che Robert avesse bisogno di portare con se tutto l’armadio, visto
che usava sempre le solite t-shirt, e lasciava che io tenessi il resto, per
poter avere sempre su di me il suo odore. Ma comunque avere la testa immersa
nei cassetti tra le magliette aveva il suo bel vantaggio: nascondermi dai suoi
occhi, che come calamite irresistibili colgono ogni sfumatura del mio volto,
anche se coperto da una maschera di bronzo.
Alle sue insistenti preghiere di accompagnarlo a Los Angeles cercavo di oppormi
serenamente e risoluta, eppure il dolore fisico che ci avrebbe colti entrambi,
una volta che il suo aereo avesse lasciato il suolo britannico, lo iniziavo ad
avvertire anch’io. Una morsa che chiude lo stomaco, una coltellata che trafigge
l’anima. Silenzio, buio, vuoto.
Ma c’era qualcosa che andava aldilà della tristezza
che avrei provato: non potevo tornare a Los Angeles.
Gli avevo accampato una marea di scuse più o meno
plausibili, come quella del corso preparto, che con una telefonata avrei potuto
benissimo continuare a fare in California, che non volevo lasciare il
ginecologo che mi seguiva a Londra. Ma sapevo che non se n’era bevuta neanche
mezza … tuttavia, finché non mi avesse parlato direttamente dell’argomento, mi
stava bene.
"Amore … guardami” mi prese di scatto mentre ero
intenta a rovistare nel comò, mi girò e prese tra le sue mani caldissime il mio
volto. Fu molto delicato, le sue dite affusolate di pianista erano come soffice
cotone sulla mia pelle. Quando mi amava c’era un non so che di femminile in
lui, mi trattava come un curatore tratta la più preziosa statua del suo museo,
come se fossi la Gioconda del Louvre. “Amore!” ripeté, stavolta con più
decisione, costringendomi ad immergermi nel suo sguardo “Dimmi solo perché” “Lo
sai perché” mi sbrigai a rispondergli, tornando alle sue camicie.
"No. Non lo so perché!” sapevo quanto mettersi contro
di me gli dava fastidio, perché la sua devozione, glielo ripetevo in
continuazione, era arrivata al punto di non ritorno, eppure lo faceva comunque,
perché per lui la cosa più importante era il mio benessere “ e secondo me”
continuò “non lo sai più nemmeno tu”
Ed invece io lo
sapevo eccome. Lo nascondevo, sapevo mentire, sfortunatamente sapevo mentire
benissimo davanti a mio marito, ed è per questo che passavo la notte a piangere
non appena si fosse addormentato, e la mattina il cuscino, o a volte anche la
maglietta che lui usava per dormire, erano umide. Brutti sogni e sudate
notturne erano la versione ufficiale.
Il giardino nelle
prime giornate calde di maggio si riempie di colori e profumi e fu decisamente
generoso il tempo a concederci quella bella giornata per festeggiare il
compleanno di Robert all'aperto. Erano venuti tutti a fargli gli auguri e a festeggiarlo,
persino i nonni dallo Yorkshire.
Eravamo tutti lì a ridere e scherzare con
Richard, il quale era convinto che non si sarebbe lasciato intenerire più di
tanto dal nipotino che stava arrivando. Lo prendevamo tutti in giro, dicendogli
che stava prendendo la patente per il passeggino clandestinamente, e tutte le
battute tipiche del caso.
Sia io che Robert, anche se solo per poche ore,
eravamo riusciti a levarci pensieri cattivi e malinconici dalla mente e ridere
un po’ di gusto.
Il suo telefono
squillò all’improvviso. Certamente qualche amico o collega aveva telefonato per
gli auguri, e siccome i suoi pazzi amici non la smettevano un solo istante di
fare baccano, fu costretto a tornare in casa per avere un po’ di pace durante
la conversazione. Non sapevo chi fosse, ma mi fidavo talmente di lui, che
sinceramente non me ne importava nemmeno. Tuttavia, quella telefonata mi sembrò
durare un po’ troppo, per essere fatta di semplici auguri, così andai dentro a
chiamarlo.
Mi venne
incontro,
sorridente: “Chi era al telefono?”
“Stephanie, la mia pubblicista. Ha attaccato a parlare di lavoro e non la finiva
più, sai che noia!!!”
Quanto mi stava antipatica quella donna, proprio non potevo spiegarlo a
nessuno. Era un qualcosa di viscerale, che non riuscivo a spiegarmi.
Forse
perché non aveva mai voluto aiutare me e Robert quando dovevamo
nasconderci dai
paparazzi, nei primi mesi della nostra storia, al contrario di Nick,
il suo agente, che si è
sempre dimostrato un buon alleato. Forse, perché intimamente ho
compreso che a
lei tutto interessa di Rob, fuorché la sua carriera. Forse,
perché diverse
volte ho visto i suoi occhi avventurarsi furtivi lungo il fondoschiena
del MIO, allora,
ragazzo.
“Ah, ok" Robert sapeva che mi dava profondamente fastidio, e quindi era
un po’
nervoso, forse per la mia reazione. ""Ehi,
tranquillo!!!" lo rincuorai, accarezzandogli la guancia "Guarda che non
ti spello vivo!!! Tanto lei è a Los Angeles …” mi
guardava con degli occhi
dubbiosi, non capivo …. Oddio! ... “perché è a
Los Angeles, vero?” chiesi
impaurita.
Il suo volto esplose in una risata che lo illuminò
come il sole, mi
agganciò a sé prendendomi in vita, cosa che diventava
sempre più difficile per
via del pancione di 6 mesi ormai, mentre era alle mie spalle “Ma
come devo fare
con te??? La mia gelosona!!!” Prese a baciarmi tutta, i capelli,
le tempie, il
collo, finché non ne potevo più, così mi girai
verso di lui e conclusi l’opera
esattamente come ritenevo fosse più opportuno: impossessandomi
delle sue la
labbra.
A sera, rimasti
soli, mi aiutò a sistemare nelle credenze tutte le stoviglie, mentre io pregavo
che la sua sbadataggine si facesse un giro dell’isolato, almeno finché non
avesse messo tutti i bicchieri di cristallo e i piatti di porcellana al loro
posto.
Mentre gli passavo una teglia da forno, che era nel ripiano più alto mi
disse: “… comunque abbiamo lasciato un discorso in sospeso l’altro giorno”
“oh,
non mi sembra proprio di averlo lasciato in sospeso … QUEL discorso” gli
risposi ironica, all'unico di evitare quello di cui lui parlava.
Mi guardava con
occhi che non lasciavano spazio al minimo dubbio o fraintendimento. Stava
tornando di nuovo al discorso di due giorni prima, quello che con un pizzico di
malizia femminile avevo saputo gettare alle nostre spalle. L’avevo distratto
con un discorso, sicuramente più urgente, al quale, generalmente, nessun
individuo maschile sulla faccia della terra sa dire di no. Le sue morbide mani
sul volto me lo avevano ispirato.
Confidavo che il suo non lo
avrebbe più ripreso, invece doveva stargli davvero a cuore.
Scese dalla sedia
che aveva usato a mo’ di scalino, e mi venne vicino. Io abbassai lo sguardo, e
mi rimisi a lucidare l’argenteria. Dovevo solo evitare i suoi occhi, come se
fosse la mia Medusa.
“Devo capire perché
non vuoi venire con me, ora. Tanto dovrai per forza tornare a Los
Angeles in
giugno, per il tour di Eclipse”
Mi si accese la lampadina: voleva
la verità? A
modo mio gliel’avrei concessa.
“Appunto. A giugno abbiamo
la promozione del
film. Avrò qualcosa da fare, lì. Ora come ora mi sento
più utile qui, invece.
La cameretta da arredare, il corredino da sistemare, le visite
ginecologiche e
il corso preparto …”
“Non ricominciare con questa
solfa, Kri …” non cascava più a nessuna delle mie
bugie, e sembrava innervosirsi ogni volta che provavo ad inventarmene
di nuove.
“uffa, fammi
finire! I tuoi nonni mi hanno invitata a stare da loro in campagna per
una
settimana, e voglio andarci ora che tu sarai via … mi farà bene svagarmi
… un po’ d’aria pulita!
Credi che Los Angeles sia così salutare per me? Lo smog e i
paparazzi mi
costringeranno a rimanere chiusa in casa … sai che
divertimento!!! Poi tu sarai
impegnato sul set, quindi stare qui o a L.A. non cambia molto le carte
in
tavola …” speravo che bastasse a convincerlo, ma dovevo
aver reputato mio
marito più ingenuo di quanto fosse, e mi vergognai da morire,
per averlo solo
minimamente pensato.
“Ecco
cos’è! TU NON VUOI RESTARE SOLA. è così, vero? ”
“Sì
è così” Non potevo proprio negarlo, per cui, visto
che l’aveva capito da se,
era inutile continuare ad inventare altre scuse. Poi, non era bello
mentirgli,
mi avrebbe fatto stare ancora di più da schifo, quando saremmo
rimasti soli, io
ed il mio bambino. Lui diceva sempre tutto, mi esprimeva il suo
giudizio su
ogni questione, anche se sapeva che mi avrebbe ferito, ma voleva
giocare a
carte scoperte … la sincerità e la fiducia erano dovevano
essere al primo
posto: questo era l’insegnamento che ci aveva trasmesso sua nonna
Elizabeth, il
giorno delle nozze.
“Sì, è vero amore,
non voglio stare da sola. Mi fa paura. Il silenzio mi fa pensare, ed io non
DEVO pensare. Altrimenti vengono a galla tante cose brutte: sul futuro, sul
bambino, su noi, sulla famiglia …” Mi osservava sereno mentre mi sfogavo.
Dovevo sembrargli una pazza da compatire e, mentre le lacrime completavano la
mia mensile crisi di nervi, lui pazientemente le asciugava con i pollici.
Doveva aver capito tutto sin dal principio. Quindi, sapeva di certo, che in più
c’era qualcos’altro.
“Ti amo” mi disse
semplicemente, come un soffio sfiorando la mia fronte “però non posso lasciarti
qui a tenerti tutto dentro. è per questo che devi tornare a L.A. … prima
risolvi questa situazione, e prima starai bene”
“ma io sto bene. Qui ho tutto
quello che posso desiderare!!! Sono felice, davvero!!! Qui tutti ci amano”
“Ma
qui non ci sono quelli che TU ami. Non tutti, almeno” Sì aveva capito. Non
dovevo fermarlo perché era la verità e sentirmela dire da un’altra persona mi
faceva bene. Eppure io non stavo così male come lui mi stava descrivendo: da
quando eravamo tornati nel Regno Unito avevo trovato un mio equilibrio. Le mie
cognate mi divertivano e con le altre nostre amiche passavamo il tempo tra
shopping e piccoli rinfreschi. Il pranzo dai miei suoceri, la domenica, era
diventato una tradizione irrinunciabile. Le carezze di mia suocera e gli
abbracci di mio suocero mi facevano sentire parte di una grande famiglia, di
nuovo. La mia l’avevo persa, ma ero riuscita a rifarmene un’altra. Tornare al
punto di partenza avrebbe significato riaprire la ferita, e non potevo
permettermelo.
“Ascoltami Kris” mi
disse “c’è qualcosa che ti devo dire, e so sin da ora che non ti farà piacere.
Però devo farlo, come sempre” mi spaventava, ma se lo faceva era solo per il
mio bene. Così annuii: “come sempre” gli confermai.
“è passato un mese
da quando è successo quel casino a casa dei tuoi …" era agitato quanto me, lo
sentivo dalla sua voce, che arrancava, lo vedevo dalle sue mani, che non
riuscivano a stare ferme e continuavano a scorrere tra la seta dei suoi capelli
“e come sai io ho sempre disapprovato il tuo comportamento, anche se ti sono
rimasto vicino …”
“Rob” intervenni “dove vuoi arrivare?”
L'ANGOLO DELL'AUTRICE
Lo so vi lascio con il fiato sospeso, ma è importante per me legarvi alla storia, anche in questo modo...
Ovviamente la parte di testo in grasseto è un flashback, di pochi giorni prima che si svolgano i fatti del
racconto. Vorrei specificare che sebbene nella narrazione mi stia
mantenendo in spazi e tempi presenti, ogni fatto che racconto è
puramnete inventato. anche per forza, perché non ho la sfera di
cristallo per sapere cosa a accadrà il 13 maggio....
ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere il
capitolo, e ne approfitto anche per chiedervi di aiutarmi a scegliere
il nome di questo capitolo, perché sinceramnete non mi esalta
particolarmente.
COMMENTI ALLE RECENSIONI (per praticità rispondo solo all'ultimo capitolo)
@Enris:
sono contenta che il P.O.V. Richard ti abbia colta di sorpresa, vuol
dire che ho colpito nel segno, perché era proprio quello che
volevo.è la storia di una famiglia, quindi limitarmi solo ai due
punti di vista di rob e kristen mi risulta limitante. sappi che sto
pensando di sviluppare anche un altro P.O.V.,utilissimo ai fini della
storia.Sono contentissima che il capitolo "sperimentale" sia stato un
successo.sero di trovare il modo di farne altri in quel modo.
@ledyang: purtroppo
non posso essere presente come vorrei, perché
l'università mi tiene occupata tra lezioni e tirocinio, x
l'intera giornata, e a sera sono troppo stanca per mettermi davanti al
pc a scrivere.però penso sempre a come poter continuare, non ti
preoccupare. tu continua a recensire,mi raccomando.
@Imaginary82: ecco
la latitante...mi chiedevo dove fossi finita??? Be', certo che anch'io
mi difendo bene, da quetso punto di vista...hai ragione, sono
imperdonabile, ma che vuoi, come hai detto tu, oltre alla ff abbiamo
altri impegni che hanno assolutamente la priorità...darò
un'occhiata ai tuoi lavori appena posso, ma tu tieni sott'occhio i miei
sempre, ok? come ti è parso questo??? secondo me la pausa che ho
avuto si è fatta sentire, perché la scrittura, rispetto
al passato non "scivolava", è come se avessi dovuto ricominciare
da zero....
|
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Capitolo 12 *** How will you remind me? ***
The best day - capitolo 12
Ciao a
tutti? come va? Rispetto all'ultimo aggiornamento sono stata molto
più veloce, e questo è sicuramente un buon segno...vuol
dire che ho ritrovato lo stimolo a scrivere. Ma questo
è soprattutto grazie a voi che mi seguite...addirittura 5 recensioni, wow!!!
per me è tanto, ma so che potete fare ancora meglio...quindi non
aspettate oltre ed andate a leggere il capitolo. Buona lettura e ci
vediamo a fine capitolo con l'angolino tutto mio....
Capitolo 12
HOW DO YOU REMIND ME? - P.O.V. John
La mattinata si era
avviata come di routine: colazione, zapping annoiato dei canali tv per le
ultime notizie e passeggiata con i cani per soddisfare i loro “bisogni”.
Nella monotonia
delle giornate gli eventi si ripetevano come se ogni giorno fosse uguale al
precedente e a quello che sarebbe seguito. Nemmeno il lavoro riusciva a
rendere più interessanti le mie ore.
In casa i momenti
di conversazione erano stati ridotti al minimo ed i ragazzi avevano imparato a
fare poche domande. Erano abbastanza grandi e maturi da capire che non potevano
indagare più di ciò che io avevo concesso loro di sapere, e non certo Jules era
disposta ad intervenire al posto mio, come normalmente avrebbe fatto.
Tra di noi litigare
non serviva, il silenzio era più assordante, doloroso e pesante di mille parole
urlate all’altro, in faccia a statue di marmo gelido. Quello stesso silenzio
bastava a ricordarci i pensieri e le opinioni di ciascuno. Lo riconosco, per
mia indole non riesco ad ammettere l’errore mai, neanche quando la verità mi
si para davanti, cristallina. E lei mi vuole troppo bene per dirmelo,
aprendomi gl’occhi, e facendomi star male. Eppure vivevo nel
suo dolore, incrociare il suo sguardo anche solo per un attimo era sufficiente
per entrare nella sua anima.
… tired of living like a
blind man
I'm sick of sight without a sense of feeling
And this is how you remind me
This is how you remind me
Of what I really am …
I cani per fortuna
mi avevano salvato da quella casa di spettri. Loro non sembrano giudicare le
nostre azioni, mai. Loro ci vogliono bene, sempre e comunque; ci amano tutti,
indistintamente. Perché i rapporti umani non potevano essere altrettanto
semplici ???
Decisi di fermarmi
un attimo in un market prima di rientrare in casa, per prendere la birra e
le sigarette. Prima di passare alla cassa mi imbattei per caso nello scaffale
delle riviste. Solitamente evitavo quella parte di negozio, perché consideravo i
paparazzi una piaga da debellare, una pianta velenosa da estirpare.
Eppure quel giorno
mi trovai catapultato lì, come se ci fosse stata una calamita, come se una
sirena mi avesse attirato alle sue rive col suo bel canto.
Posai gli occhi
sullo scaffale della cronaca rosa … così
… distrattamente.
Non mi aspettavo di
trovarla lì … mia figlia.
Non mi aspettavo
che fosse finita in copertina, in mezzo a tanta spazzatura, con suo marito ed
il loro bambino, che lei portava in grembo. Persi un battito. Presi anche una
copia di quel giornale e tornai a casa.
… of what I really am …
Chiuso nello studio
col mio Starbucks fumante, iniziai a sfogliare la rivista. Era un normalissimo
giornale di gossip, solo foto e didascalie poco intelligenti.
Loro, così
riservati, così attenti ad ogni uscita, si erano lasciati trovare dai
paparazzi ed erano rimasti indifferenti davanti a tutti quei flash. Così strano
…
Le foto risalivano
al giorno della loro partenza. Erano a LAX, ed aspettavano il volo come tutte
le altre persone che erano in aeroporto in quel momento … forse i paparazzi
erano l’ultimo dei loro pensieri.
Li osservai meglio:
non erano più i signori snob ed elegantissimi che si erano presentati alla mia
porta, ed erano venuti a cena da me una settimana prima; erano semplicemente Kristen
e Robert, Kris e Rob come gli piaceva chiamarsi tra loro: due ragazzi normali,
i NOSTRI ragazzi.
Ritrovai gli stessi
giovani, dolci, affettuosi, innamorati, poco più che adolescenti che con timore
mi annunciavano mesi prima che sarei diventato nonno, gli stessi che erano
venuti a passare il Ringraziamento in famiglia. Gli stessi che, timidi ed
impacciati, vidi giurarsi amore eterno davanti a Dio.
Eppure in casa mia non li vidi così quella sera. Qualcosa in loro era cambiato.
Ad esser sinceri
ora non so più se davvero fossero loro ad essere cambiati, o se piuttosto sia
cambiato io. Ma non c’era più ciò che amavo di loro. La semplicità, la
giovinezza di spirito. Avevano i corpi di due ventenni, ma erano cresciuti …
erano invecchiati dentro.
Non avrei voluto
vederli in quel modo, non avrei dovuto. Era la mia bambina lei, ma varcata la
soglia di casa, avevo trovato una donna.
Lui era sempre
stato più immaturo di lei, nonostante l’anagrafe dimostrasse il contrario.
Diceva sempre che i loro cervelli si incontravano a metà strada tra i suoi 24
anni ed i 20 di lei. Ma davanti a me
avevo due persone di mezza età. E non per l’abbigliamento, non per il modo di
parlare. Lo sguardo era spento, come quello di che ha già provato tutto e dalla
vita non aspetta altro. Non realizzato, no;
annoiato piuttosto.
Non tolleravo
l’idea di vederli in quel modo. Dovevo intervenire. Così venne fuori la mia sparata
di quella sera. Vani furono i miei tentativi interiori di trattenerla, sia
quelli di mia moglie di mitigarla.
I love you and I swear I
still do
And it must have been so bad
E così fu che
rimasi solo …
… and this is how, you remind me …
… e si fece mattina.
Lui venne a
trovarci. Lui non ci aveva scordati. A lui non interessava minimamente cosa
avessi detto di lui o della sua famiglia.
Aveva solo a cuore
il bene di sua moglie … mia figlia.
Mi aveva urlato
contro, aveva inveito, perso ogni traccia della buona educazione che si
trascinava dietro dal vecchio continente. Vedevo il suo sguardo in fiamme, ma sapevo
che gli faceva male. Perché ha un cuore buono, perché è davvero un bravo
ragazzo.
Non ci ha mai
mancato di rispetto, non ha mai mancato di rispetto Kristen.
Mi ero ostinato a
credere che i bravi ragazzi si trovassero solo nel proprio isolato, che si
conoscessero solo perché li avevi visti crescere e di certo non ti piombassero in casa
da un aereo venuto da Londra. Lui aveva bruciato le tappe, e per questo lo
avevo giudicato male. Un ragazzo moderno con un anima antica: era quello il marito
di mia figlia, l’uomo che lei amava ed aveva scelto, mio genero … mio figlio.
This time I'm mistaken …
… and I've been wrong, i've
been down,
been to the bottom of every bottle…
Ed eccoli lì, tutti
e due, accoccolati, stretti, come tutti gli innamorati di questo mondo, ad
aspettare un volo che me li avrebbe portati via, per sempre.
… It's not like you to say
sorry …
Certo non sarebbero
tornati da soli indietro. Conoscevo troppo bene mia figlia, mi assomiglia
troppo per non sapere che si farà solo quello che vorrà lei. Ma non per
despotismo, no, ma solo perché abbiamo avuto entrambi la fortuna di trovare un
amore assoluto e devoto nella persona che ci è accanto.
Non dovevo mettere nessuno
in mezzo, né mia moglie, né i miei figli. Era mia la colpa ed io dovevo tirarci
fuori da quella situazione.
Se avessi
temporeggiato, cosa sarebbe stato di noi? Cosa sarebbe rimasto? Come mi
avrebbero ricordato? Mi avrebbero ricordato?
All’inizio forse sarei stato il solito ricordo doloroso, una stretta al
cuore che ti porta alta salivazione per la rabbia, e l’umore nero in corpo. Poi
sarei stato un ricordo vago e lontano, non più doloroso, ma fastidioso. Infine
… l’oblio. Non potevo permettermi una fine simile.
Senza neanche
pensarci due volte alzai la cornetta, composi il numero e pregai che nessuno
lasciasse la chiamata senza risposta …
“Pronto?”
“Ciao Rob.”
L'ANGOLO DELL'AUTRICE
No, ragazzi,
tranquilli, non incominciate ad agitarvi. Non avete perso voi nulla,
né io ho lasciato un capitolo per strada. Voglio portarvi piano
piano alla metà, in maniera lenta ... e dolorosa.
Muahahahahah!!!! scherzo! No, diciamo che prima di tornare alla
narrazione principale, per come sto impostando la storia, e nella
direzione che le ho fatto prendere, avevo bisogno di studiare
quest'altro punto di vista. Spero non sia troppo malinconico. Spero che
le ragioni siano sufficienti e la risoluzione sia d'effetto. Le frai si
che trovate qua e là nel testo sono della canzone "How you remind me" dei Nickelback che ho riadattato per l'occasione.
RISPOSTE ALLE RECENSIONI
@ladyang: purtroppo non posso
rispondere alla tua richiesta in questo capitoli e nei prossimi ... non
ne ho la più pallida idea ;-) continua a leggere e vedrai...e
continua anche a recensire, per me è importante che tu mi faccia
sepere che ne pensi
@Imaginary82: miki che bello
riaverti costante nelle recensioni!!! non mi sono fatta pregare
stavolta e così appena ho avuto 5 min ho scritto e postato ( a
dir la verità un intero pomeriggio... XD) ti rispondo qui anche
alla recensione della one-shot. A dir la verità non c'è
un motivo preciso per cui li immagino sempre genitori. In realtà
questa ff ha preso il posto di quella one-shot che doveva essere una
long-fic, ma che per ragioni a me sconosciute non sono riuscita a
continuare. poi è venua fuori per caso Canto di Natale e da
lì questa. riprendendo in mano quei 2 capitoletti ho pensato di
farvi un OS. Oltretutto poi credo che raccontare oggi come si siano
messi insieme Rob e Kris sia veramente scontato...quindi mi porto
avanti col lavoro, se non lo fanno loro!!!
@LaFrancy: che bello!!! la mia
redattrice anche qui sul sito, ma che onore!!! mi raccomando, nella
prossima recensione non scrivere niente che possa annunciare come
andranno avanti le cose, sennò ti lincio e cambio la
storia....ihihihih!!!! continua a seguirmi anche qui!
@Enris: sei sempre molto
generosa con me, ti ringrazio!!! spero abbia trovato il tempo per
leggere l'altra storia. Altrimenti ti rinnovo il mio invito a
farlo...spero che qesto capitolo non ti deluda...
@BabyVery: benvenuta tra i miei
"censori"!!! grazie per le tue belle parole ed i complimenti
immeritati!!! continua a recensire, ma soprattutto a leggere la mia
storia!!!!
A tutti coloro che hanno insierito la mia storia tra i preferiti ed i
seguiti, mando una bacione ed una grosso GRAZIE di cuore!!!
A bientot!!!!!!
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Capitolo 13 *** Getaway ***
The best day-capitolo 13
Eccomi
ragazzi!!! vi avevo promesso che avrei postato a breva e così ho
fatto. Come vi dicevo è stato un periodaccio: un viaggetto a
Lourdes non mi avrebbe fatto male per niente!!! è solo per
questo, e anche per delle feste in famiglia, che non ho avuto tempo di
scrivere e postare. Spero d'ora in avanti di poter fare meglio.
Dopo essere usciti un po'
fuori dalla storia centrale, eccoci oggi di ritorno a casa
Pattinson-Stewart. eravamo rimasti in bilico con la discussione tra i
due...vediamo come si evolve...
vi avverto sin da subito
che è un po' lunghetto come capitolo, rispetto al mio standard,
ma non potevo permettermi alcuno sconto, né potevo dividerlo in
due, visto la delicatezza dell'argomento. spero che le mie scelte vi
siano chiare. Ma per ogni chiarimento come sapete sono sempre a vostra
disposizione nell'angolo dell'autrice alla fine del capitolo. Quindi
leggete e recensite, perché per me è molto importante,
soprattutto per questo capitolo.
Capitolo 13
GETAWAY - P.O.V. Robert
“Rob” mi disse “dove
vuoi arrivare?”
Già, dove volevo
arrivare. Non lo sapevo nemmeno io..
Non so né come, né
perché quelle parole erano venute fuori. E se non le avevo controllate
significava forse che era arrivato il momento di sistemare la questione una
volta per tutte.
Mi permettevo di
farle la morale, continuavo a ripeterle che il suo comportamento nei confronti
dei suoi genitori non mi aveva mai convinto, come sono certo che non avesse mai
convinto neanche lei, ma avevo lasciato le mie parole al vento; rimanevano pur
sempre parole, per quanto potessero essere belle, e necessitavano di essere
marchiate col fuoco dei fatti per poter rimanere.
Oltretutto non è
facile portarsi dietro un peso simile a quello che io mi trascinavo da oltre un
mese e convivere con la paura di poter essere scoperti in ogni momento. Un solo
passo falso, un solo errore e tutta l’impalcatura sarebbe crollata. Prima o poi
sarebbe caduta comunque, perciò era meglio se fosse accaduto col minor danno
per tutti.
Presi un bel
respiro, passai un’ultima volta la mano nei capelli, come a trasferire loro la
mia tensione, ed iniziai.
Rimasi concentrato
il più possibile, per non far tremare la voce, eppure avvertivo un tremolio
alle mani, ed il mio cuore era davvero, come dice il detto, in gola.
Ma non potevo
fallire; non dovevo dimostrarmi debole. Tutti avevano sempre visto in lei colei
che in casa portava i pantaloni, e che sempre lei mi trattava come il suo
cagnolino. Ma nessuno conosce il vero Rob, quello capace anche di alzare la
voce; fosse nemmeno la donna che lo ha sposato.
“Kris …”la voce
indugiava “prima non ero al telefono con Stephanie” eppure era sterile,
completamente priva da ogni intonazione che potesse tradire una mia emozione,
forte o debole che fosse. Non ero diventato una attore invano, allora.
La sua espressione
era dubbiosa, incerta. Chiaramente non era riuscita a capire, da quel po’ che
le avevo detto, quale fosse il nocciolo della questione. Rimaneva sulla
difensiva. E faceva bene. L’urto che avrebbe subìto non sarebbe stato di certo
letale, ma ci mancava davvero poco che lo fosse …
La feci accomodare
ad una delle sedie della cucina e accolsi le sue mani tra le mie, giunte, e
cercai il suo sguardo finché non lasciò il permesso di entrarvi. Che bello
perdersi in quelle vaste praterie e non pensare a nulla …
… ma non era quello
il tempo per lasciarsi prendere da certe fantasie.
Tornai ai suoi
occhi, tornai al suo cuore e tra le se
mani abbandonai il mio: “ Né oggi, né la maggior parte delle volte che ricevo
chiamate dagli Stati Uniti … non era quasi mai per lavoro …”
Vidi per la prima
volta la paura insinuarsi tra le corde del suo essere. Aveva una paura
incredibile di perdermi e di rimanere sola. La solitudine era il suo più grande
fantasma. Ed è per questo che mi ero deciso a compiere quella mossa, che per
troppo tempo era stata da me rimandata.
“E … con chi …
eri?” non c’era angolo della sua anima che riuscisse a non pensare alla
possibilità che io lo a stessi tradendo, lo vedevo dai suoi occhi lucidi che
non la smettevano di agitarsi. Per lei non poteva esserci nessun’altra
spiegazione logica.
Anche perché la sua
piccola autostima le faceva credere che una tale aberrazione potesse essere
possibile. Come se sulla faccia della terra ci fosse qualcun’altra in grado di
rubarmi come aveva fatto lei.
Era così buffa e
dannatamente adorabile che avrei voluto prenderla e stringerla forte al mio
petto, farle sentire come il mio cuore battesse all’unisono col suo e come ogni
singola cellula vivesse esclusivamente in funzione di lei.
Ma non dovevo
cedere. I sentimentalismi li avrei lasciati a quando tutta questa storia ce la
saremmo lasciata alle spalle.
“Ero al telefono
con tuo padre” le dissi, molto semplicemente, come se fosse la cosa naturale
del mondo. Avrei voluto tanto che lo fosse!!!
Vidi il suo volto
cambiare espressione mille volte nell’arco di un millisecondo. Se da un lato
sicuramente era sollevata, perché la sua paura si era rivelata infondata, il
mio richiamare alla sua mante quelle persone era riuscito a far riaffiorare
momenti poco piacevoli e di certo molto dolorosi.
Abbassò lo sguardo,
privandomi così della vista dei suoi splendidi occhi verdi, nascosti dietro
quella ciocca ribelle di capelli, con cui amavo giocherellare.
Ma quello non era
un gioco; era la più cruda realtà, era il
mondo dei grandi, dove non si tiene il broncio come quando si ha 4 anni ed
il regalo non era quello desiderato. Ma è il mondo della discussione, del
confronto, della maturità … quella stessa maturità che scappando via da Los
Angeles avevamo dimostrato di non avere.
“Ma cosa hai fatto?
Perché ti sei abbassato ai suoi livelli? Non capisci che così fai solo il suo
gioco?” mi aspettavo una sua opposizione, quindi non feci attendere la mia
risposta: “Ma quale gioco Kristen? Tuo padre è cambiato, è sinceramente pentito
e vorrebbe provare a ricucire lo strappo che si è creato … risanare la ferita”
Usai le stesse parole con cui John mi aveva supplicato. Speravo tanto che
avessero su di lei lo stesso effetto che ebbero su di me; ma lei era troppo
orgogliosa per lasciarsi commuovere, e non bastarono.
“Ma quale strappo?
Quale ferita? Rob lui è un bravo attore
e sei caduto nella sua trappola solo perché sei troppo buono … tu … tu non lo
conosci” Negli occhi di Kristen vedevo rabbia, furore, ora che aveva rialzato
la testa. La mia leonessa, era così dunque che scendeva in battaglia. Speravo
di non dovermela mai trovare contro; ed invece stava accadendo proprio in quel
momento.
Stava dipingendo
suo padre come l’essere più infimo e meschino sulla faccia della terra. Eppure
le telefonate degli ultimi tempi mi avevano mostrato un uomo completamente
diverso. Non doversi guardare negli occhi durante le nostre conversazioni
probabilmente lo avevano aiutato molto ad aprirsi con me. E dire che non lo
conoscevo era proprio una blasfemia.
“Forse sei tu
che non lo conosci in fondo” le risposi
aspramente “d’altronde non gli hai dato modo di parlarti …”
“Ma stai zitto! Non
dirmi quello che devo, o non devo fare … visto come ti sei comportato non puoi
proprio parlare. Mi avevi promesso che mi avresti sostenuta sempre, ed invece
…” “ ed invece io ti avevo chiesto di ascoltarmi!” Percepivo che si stava
allontanando da me. L’avevo ingannata, ma non avrei potuto fare diversamente.
Un giorno se ne sarebbe pentita, e allora sarebbe stato troppo tardi. Meglio
cogliere l’attimo e sentire un po’ di dolore adesso.
“Vedi” le dissi “
lo stai facendo di nuovo”
“Cosa ?” mi chiese
“Fuggire … non sai fare altro”
La mia era una
leonessa strana: scendeva in battaglia, ma poi batteva in ritirata. Quando le
cose diventavano più grandi di lei, anche se si faceva forza, si lasciava
sopraffare e non accettando aiuto perché troppo, troppo orgogliosa, finiva col
tirarsi indietro e non accetterai mai il confronto diretto.
Mi pentii subito di
quanto le dissi. Anche perché incominciò immediatamente a piangere. In altre
circostanze sarebbe stata più forte, forse, ma nostro figlio piangeva
attraverso di lei ed era lì che mi urlava smettila
papà, smettila di far male alla mamma!!!
È questo che fanno
gli adulti? Litigare fino alle lacrime? … non credo proprio.
Mi avvicinai cauto,
avevo paura di farle male anche solo standole vicino. “Amore ..”
“lasciami” strillò
tra i singhiozzi “ non mi toccare”. Eccola la fine, eccolo lì il dolore: sale
come una fiamma fino al cuore, e lo incenerisce.
Scappò via, di
corsa, su per le scale. Andò in bagno, e si rinfrescò il viso con un po’ d’acqua
e con l’asciugamano tentava di tamponare anche le lacrime che non la smettevano
di irrigarle il volto. Era il momento più giusto per agire. La raggiunsi e
l’afferrai dolcemente da dietro in vita.
“Amore “ le sussurrai all’orecchio.
Sentii il suo corpo tremare “ amore mio “ continuai “ti amo. Ma non posso
vederti così. Tu dici che stai bene, ma io lo so che non è vero. Lo sento che
ti manca qualcosa, perché sento dentro di me un vuoto … e noi viviamo in
simbiosi … lo sai”
Speravo che le mie
parole bastassero a convincerla. Le maniere forti non portano mai a niente di
buono e se poi ero io a metterle in pratica, andava persino peggio.
Eppure la sentivo
rigida, fredda, distante. Come se il brivido che l’aveva percorsa fosse una
risposta fisiologica del suo corpo e non della sua mente. Come se il mio
abbraccio servisse da calmante solo per il bambino che in pancia scalciava
peggio di un cavallo imbizzarrito, e non a lei. Quando il cucciolo si fu
fermato, infatti, si staccò da me e con tono glaciale mi disse: “scusami” e scivolò
via, lasciandomi interdetto.
La ritrovai in
camera, dove l’avevo seguita, intenta a preparare le valigie, le sue valigie.
“E queste?” le
dissi strappandole delle T-shirt dalle mani “dove hai intenzione di andare?”
Non poteva fare sul serio!!!
“Non sono affari
che ti riguardano!” fece lei, duramente.
“Certo che mi riguardano,
ma se per te il fatto che tu sia mia moglie non conta, pensa almeno che quello
che porti in grembo è anche mio figlio e
non voglio che gli capiti niente di male. Per quanto ti possa sembrare
assurdo tutti i padri amano i propri
figli!!!”
A quelle parole
sembrò tentennare e la sua impulsività placarsi. Mi inginocchiai di fronte a
lei ai piedi del letto, dove era crollata in preda alla disperazione.
“Kri, ti chiedo
solo di parlargli. Gli manchi, e so quanto lui manchi anche a te. Basta fare i
bambini!!! … poi se non dovesse andare, pazienza, ma intanto c’hai p rovato.” Si
passò una mano tra i capelli, tenendo l’altra
sulla spalla, gesto che compiva macchinalmente ogni volta che voleva scacciare
via i brutti pensieri, e che in qualche modo aveva acquisito da me.
Tornò di
nuovo seria, non sembrava voler demordere dall’averla vinta. Ma da lei non mi
sarei aspettato niente di diverso. Era anche per la sua tenacia che l’amavo
alla follia. Non avrei cambiato mai quella parte di lei, neanche se ci fosse costata
serate e serate come questa.
Almeno aveva smesso
di togliere i suoi vestiti dagli armadi.
Mi fissò a lungo,
con fare inquisitorio, finché, dopo un lungo sospiro, si decise a parlarmi: “Da
quanto va avanti questa storia? Da quanto lo senti?"
Non mi pareva ci
fosse ragione per mentirle in quel momento allora le raccontai di quando ero
stato dai suoi il giorno dopo la sua lite con il padre e di come l’avevo
mandato a quel paese per come si era comportato. Ma poi, le confidai, che la
telefonata ricevuta - e quelle che seguirono - mi fecero capire quanto anche
lui stesse male lontano dai suoi affetti e che su di noi e su di me si era
rimangiato ogni parola.
Restò in silenzio
tutto il tempo e non riuscii a scrutare dal suo sguardo impassibile cosa le
passasse per la testa e per il cuore. Sorvolando su tutto ciò che le avevo
rivelato, continuò con le sue domande: “E gli altri? Hai sentito anche loro?"
la voce era priva di ogni inclinazione che potesse farmi capire come si
sentisse. Però percepivo che stava subendo una tempesta nell’animo.
“Ho sentito un paio
di volte i tuoi fratelli e beh … tua madre … tutte le sere"
Era basita. Non
poteva credere che le avessi nascosto tutto questo. E come darle torto? Come
avevo potuto farlo? Sei un coglione Rob, un emerito coglione!!!
Ricominciò
nervosamente e convulsamente ad armeggiare tra bagagli e cassetti e capii che
la ferita che le avevo provocato avrebbe impiegato più tempo del previsto per
rimarginarsi.
Era diventata
livida in volto e le lacrime tornarono a scendere copiose. Mi guardò severa e
urlò nel pianto. “Perché? Perché me l’hai tenuto nascosto? Sono tua moglie!!!
Ci siamo promessi fedeltà, ricordi?”
“non ti ho detto nulla
perché sapevo che questa sarebbe stata la reazione. Cercavo il momento più
giusto … aspettavo che fossi più matura. Ed invece sei tornata indietro … non
eri così frignona neanche quando ti ho conosciuta! … e dire che avevi 17 anni”
Stavo esagerando probabilmente, ma non capivo cosa ci fosse di sbagliato nel provare
a far pace con la sua famiglia. Forse io e John, suo padre, avevamo sbagliato a
tenerle nascosto tutto, ma pensavamo che il tempo avrebbe attenuato la sua
rabbi. Invece ci sbagliavamo. La credevo più matura, sinceramente, forse la
gravidanza la rendeva così testarda, ma proprio non comprendevo perché dovesse
impuntarsi a quel modo. Così mi intestardii anch’io e non gliela diedi vinta.
“Cos’è Rob? Hai
fatto il pieno di maleducazione stasera? O forse sei ubriaco? Bell’esempio
sarai per nostro figlio!!! E tu vorresti fare da insegnante a me … tzé! Non
starò a sentire le tue stupidaggini un minuto di più. Esci fuori da questa
stanza, altrimenti finisce che ti prendo a schiaffi!” era totalmente fuori si
sé.
“Capisco gli ormoni
e tutto, ma non vedo perché tu debba fare tutta questa commedia per nulla,
Kris!”
“Per nulla dici, Rob? Primo: hai parlato con l’ultima persona con cui vorrei
avere a che fare e secondo, hai continuato a stare in contatto con MIA MADRE, CON LA PERSONA DI CUI ORA AVREI PIÙ
BISOGNO AL MONDO. E me l’hai tenuto nascosto!!!”
“Se il tuo
comportamento da bambina non fosse venuto fuori non saremmo mai arrivati a
questo punto. Non si può fare sempre e solo quello che vuoi tu!!!"
“Peccato che quello
che fai tu non abbia il minimo rigore logico!” Non ne potevo più di quella
sceneggiata.
“Ti ho detto quello
che ho fatto, ti ho chiesto scusa, ti ho proposto un modo per poter rimediare
ad un qualcosa che tu stessa hai provocato: cosa devo fare ancora?"
Cocciuta come un
mulo mi rispose con insolenza: “Non dovevi farlo, e basta!”
“Mi dispiace, ma il
passato non ho il potere di cambiarlo, quindi tieniti le mie scuse. Anche
perché sono l’ultima cosa mia che ti
resta”
“Cosa?” Accettai le
conseguenze delle mie azioni e, per quello che le avevo fatto mi apprestai a
pagarne le prezzo più alto. A mali estremi, estremi rimedi, pensai. Non potevo
lasciarla andare via, ma al momento era meglio per tutti e due se fossimo stati
lontani per un po’, soprattutto per lei. Doveva rivedere le sue priorità in materia
di affetti.
“Hai detto che ciò
che faccio non ha il minimo rigor di logica, giusto?” esordii “ ed ora te lo
dimostro. Vuoi stare sola ... beh, lo
capisco … ti ho incasinato la vita. Ma non puoi immaginare quanto tu abbia
incasinato la mia col tuo modo di essere, nel bene e nel male. Perciò me ne
vado io. Tu sei incinta, famosa. Perché dovresti chiedere una stanza d’albergo
nel cuore della notte per starvi da sola? Io invece ho un film da girare a Los
Angeles e anticipare il volo per evitare i paparazzi ha molto più senso …”
Presi le mie
valigie che erano già pronte da un pezzo, e mi diressi verso l’ingresso.
Prima che arrivasse
il taxi a prendermi mi sedetti in salotto e mi guardai intorno: tante volte ero
stato in quella stanza, ma aveva un aspetto diverso ai miei occhi quella sera:
mi sormontava. Sul caminetto c’erano le foto di Natale, quelle del matrimonio e
quelle dalla luna di miele. Stavo stravolgendo di nuovo la mia vita, ma
stavolta non c’era nessuno con me a sostenermi e a dirmi che mi amava sempre e
comunque. Lei si era fermata di sopra … ma almeno ero tranquillo che non
sarebbe rimasta sola.
Quando arrivò il
taxi mi accorsi in realtà che era rimasta per tutto il tempo seduta in cima
alle scale. Ad aspettare me. Si alzò in piedi e scese fino a dove ero io. Era
sempre fredda, ma sapevo, o almeno lo speravo, che presto sarebbe passato tutto
e saremmo stati di nuovo insieme, più felici si prima.
Non la baciai
perché, anche se minimamente, le cattiverie che le avevo rivolto, le pensavo.
Tuttavia scesi a baciare il suo pancione, perché lui o lei che fosse aveva una
sola colpa: avere due genitori uno più cretino dell’atro.
Sussurrai sul suo
ombelico“scusaci” e mi avviai alla porta. Prima di
uscire mi voltai un’ultima volta. Era sempre lì.
“Prenditi tutto il
tempo di cui hai bisogno … e non restare sveglia tutta la notte ad aspettarmi,
perché tanto non torno indietro!"
L'ANGOLO DELL'AUTRICE
oggi
non ho molto da spiegare, anche perché immagino che il capitolo
non vi avrà lasciati particolarmente sereni o comunque
soddisfatti. lo so, passiamo dalla padella alla brace, andiamo di male
in peggio. Non so se come la vedete voi, ma io non mi sento convinta
totalmente da Rob, anche se certo, Kris ha un bel po' di difettucci che
farebbe bene a correggere. Ditemi voi come la pensate.
per il resto vi ringrazio
della vostra fedeltà, e della vostra pazienza. ringrazio chi mi
segue e chi mi ha aggiunto tra i preferiti o tra seguiti/ricordati.
commenti alle recensioni
@Enris: ma che scherzi.
è stata bellissima ed apprezzatissima la tua recensione, come
sempre molto tecnica. Ma da te è proprio quello che mi aspetto.
Ti ricordi bene, infatti per me era molto difficile all'inizio scrivere
dei P.O.V. maschili,ma per assurdo ora mi viene quais naturale.
Probabilmente conoscendo meglio i miei personaggi so meglio come
muovermi nei loro caratteri. Ora devo riconcentrarmi un'attimino sulle
donne.
@ledyang: eccomi qua, spero tu
non abbia aspettato troppo. e grazie per esserci ad ogni chap. per me
significa molto!!!lo so che a te piace quando le cose vanno bene, ma
come ho scritto nel capitolo, questa è la vita vera. se fosse
tutto rose e fiori, non ci sarebbe niente di bello da scrivere
@Imaginary82: come hai visto ho
letto la tua ff...che non è per niente schifiction.purtroppo
come ho già detto non ho avuto modo di poter sostare sul sito
per molto tempo in questi giorni, quindi è solo per questo
motivo che non trovi i miei commenti nella tabella delle recensioni.
Noto con piacere che anche a te il punto di vista del padre di Kristen
è piaciuto. Era una sfida, e sono soddisfatta di averla vinta.
@BabyVery: che bello che sei
nei commenti anche nel capitolo precedente. Non dimenticare di
recensire anche questo!!! Non ti ho detto molto di ciò che John
e Rob hanno detto o fatto insieme, ma nell'insieme dovrebbe essersi
capito...
à bientot!!!
Federica
|
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Capitolo 14 *** Lettera dal cuore ***
The best day - capitolo 14
Eccomi
ragazzi. Sì lo so, sono in un ritardo tremendo, ma ho avuto
tanto da fare, e questo capitolo è stato molto difficile da
scrivere. Cosa poteva accadere dopo un evento tanto traumatico?
Sarà una cosa un po' particolare, spero sia all'altezza dei
precedenti, aspetto il vostro giudizio con ansia!
Posso
fare un piccolo appunto prima di passare al capitolo? Me lo concedete?
Votate i Robsten per il best Kiss degli MTV Movie Awards di quest'anno.
Devono vincere ma, soprattutto, devono baciarsi!!!!
Ci vediamo alla fine della vostra lettura con qualche spiegazione e commento nell'angolo dell'autrice.
Capitolo14
LETTERA DAL CUORE - P.O.V. Kristen
Ero stata colta
improvvisamente da una gran voglia di fare. Non avevo aspettato altro che
l’orologio segnasse un orario opportuno per non dare fastidio al vicinato e
iniziai a mettere in ordine casa da cima a fondo.
Non avevo seguito
le sue indicazioni.
Mi aveva chiesto di
non aspettarlo, ma rimasi comunque sveglia, perché speravo ardentemente che
tornasse indietro, dopo aver superato già solo un chilometro di distanza
lontano da noi. Ma sapevo bene che purtroppo stavolta era serio. Più delle
altre volte, molto di più. Lo avevo letto nei suoi occhi, gelidi con me come
non mai. Neanche quando mi aveva confessato di amarmi, a Roma, nel 2008 e gli
avevo detto che l’altro ragazzo, Michael, era una parte troppo importante della
mia vita per poterlo lasciare così, su due piedi. Neanche allora si era
comportato così severamente con me. Erano le quattro del mattino quando mi
arresi al torpore, ma non sognai nulla, né tantomeno ebbi incubi. Fu una notte
vuota, come vuoto era il letto in cui mi ero coricata.
Fortuna che il
bambino non sembrò risentire della lite dei suoi genitori coglioni. Nessuno dei due voleva che
tutto ciò accadesse, ma nessuno dei due aveva potuto, saputo o voluto evitarlo.
Lo aveva salutato,
il suo bambino, gli aveva chiesto scusa, e probabilmente la creatura lo aveva
già perdonato, ma per me non c’era stato nemmeno un “stai attenta” o un “mi
raccomando” … così, per dimostrarmi che ancora ci teneva a me …
Non pretendevo
nulla, né scuse che non meritavo, né abbracci consolatori. Avevo sbagliato, questo
è quanto. Forse lui aveva esagerato, ma come biasimarlo … chissà quanto aveva
accumulato per sbottare a quel modo. In fondo non aveva fatto nulla di male.
Aveva tentato di rimettere insieme i cocci … lo aveva fatto anche per te. E tu
gli hai voltato le spalle … bella stronza!!!
Mi guardai per un
attimo allo specchio della cabina armadio, dove stavo sistemando i vestiti dopo la
sfuriata della sera precedente. Riflessa c’era una persona che non riconoscevo.
Effettivamente ero lievitata parecchio negli ultimi tempi, ma non me ne ero mai
accorta davvero, se non quando lui mi era accanto e vi avvolgeva a fatica con i
suoi abbracci. Di solito avrei pianto in una situazione simile, invece ero
rimasta completamente a secco di lacrime. Gli ormoni questa volta mi aveva
giocato davvero un brutto tiro. Avevo voglia di piangere, sfogarmi, volevo
gridare al mondo che ero stata una stupida ad aver buttato al vento tutto ciò
che di meglio avevo, per seguire la mia testardaggine ed il mio stramaledetto
orgoglio.
Una sola cosa mi
restava: mio figlio. Era davvero diventato grande dentro la mia pancia, veniva
sfori dal mio corpo come un pallone da calcio, però non ero più tanto
sicura che gli facesse piacere stare lì dov’era. Se fosse stato per lui,
probabilmente, avrebbe seguito suo padre.
Mi passai la mano
sul pancione, laddove corre la linea alba. Avrei voluto tanto saper in quel
momento il suo sesso … avrei voluto poterlo chiamare per nome, parlargli, nella
stessa speciale maniera in cui solo suo padre sapeva fare.
“Allora signora” mi disse il ginecologo “ guardi com’è
cresciuto il suo cucciolo!”.
Effettivamente l’ultima volta che lo avevo visto aveva
più o meno le dimensioni di un topolino. Eravamo adesso nel pieno del secondo
trimestre, c’era proprio una bella differenza!
Sentii la mano di Robert che stringeva forte la mia.
La stanza dell’ecografo era buia, per favorire la visione delle immagini,
tuttavia gli occhi luccicanti per le lacrime che stillavano dall’emozione non
avrebbe mai potuto nascondermeli. Anche perché erano molto simili ai miei.
Ci sorridemmo, come se quella fosse l’apoteosi della
felicità, ma entrambi sapevamo bene che niente sarebbe stato paragonabile alla
gioia di tenere in braccio quella creatura, la NOSTRA creatura.
Il battito del suo piccolo cuore rimbombava nella
stanza e si confondeva con i battiti accelerati dei nostri cuori eccitati.
Avrei voluto stringerlo presto tra le mie braccia, avrei voluto accelerare i
tempi, fare in modo che nascesse sano e forte proprio in quell’istante, non
vedevo l’ora di conoscerlo. Prendere le se manine ed i suoi piedini paffuti e
mangiarmeli di baci. Gli occhi poi ... tutte le sere pregavo che fossero quelli di
suo padre. Accadeva sempre così: persa nelle mie fantasie, mi distraevo dalle informazioni che il
ginecologo ci dava sul piccolo, ma sapevo che finché Rob fosse stato lì non mi
sarei dovuta prendere così tanta pena di stare ad ascoltare, perché era sempre
attento. -Sarà un padre meraviglioso!!!-
“Ora devo fare ad entrambi una domanda” mi risvegliai
dai miei sogni ad occhi aperti, temendo qualche brutta notizia “Siamo nel
secondo trimestre, quindi gli organi genitali si sono formati. Il bambino è anche
posizionato bene … volete sapere se è maschio o femmina?”
Non ci fu bisogno di nessuno sguardo né parola di
intesa, entrambi conoscevamo bene la risposta. Sentii che Robert aumentò la
stretta della mia mano, e potei fidarmi di lui, non aveva cambiato idea.
La nostra fu una risposta secca e laconica: “No!”
Ma quella mattina
non era con me. Era partito.
Aveva posto una
condizione per il suo ritorno: sarei dovuta crescere, almeno tornare ad essere
quella che lui amava. Decisi che il momento per riporre via i giochi era
arrivato, e bisognava incominciare a comportarsi da adulti. Niente più lacrime,
niente più capricci, niente più perdite di tempo. Perché quello, per i grandi,
vola. E non volevo averlo troppo lontano da me. Non avevo intenzione di svegliarmi
al mattino e scoprire che erano passati mesi dall’ultima volta che l’avevo visto
o accorgermi di aver dimenticato il suono della sua voce o che la casa avesse perso il
suo odore.
Dovevo dare una
sferzata alla mia vita. Ero l’unica a poterlo fare.
Per cominciare
avrei sistemato casa, poi avrei pensato alla mia testa pazza.
Mentre pulivo il
salotto mi soffermai a guardare le foto sul camino. Il nostro piccolo angolo
dei ricordi. Tutte ritraevano lo stesso soggetto: noi. Il mio cuore si fermò
per un secondo etero, mi manco il fiato e lo stomaco si chiuse in una morsa.
Possibile che già mi mancasse così tanto?
Cercai di non
badarci troppo ed andai avanti. Notai un particolare mentre continuavo a
spolverare: una lettera su una mensola della libreria. C’era scritto: per Kristen.
La grafia l’avrei
riconosciuta tra mille, così disordinata, frettolosa, eppure così particolare
ed affascinante. Unica. Solo le sue lunghe mani da pianista avrebbe permesso
una simile calligrafia. Doveva avergli tremato parecchio la mano mentre scriveva,
perché era parecchio più incasinata del solito.
Spero
proprio che non impiegherai molto a trovare questo biglietto.
Sono in salotto ora e sto aspettando il
taxi; tu sei di sopra.
Dio, non so nemmeno perché ho preso questo pezzo di carta e ti sto scrivendo.
Da te ora mi divide una solo una rampa di scale e potrei raggiungerti
in un attimo, ma non lo faccio. Sto qui, immerso nelle mie paranoie, a scrivere
cose che dovrei dirti guardando nei tuoi splendidi occhi. Eppure non lo faccio,
tu sai dirmi il perché?
Non ci riesco! Perché ti sei scelta un
marito così coglione?
So già che morirò a starti tanto lontano, ma non sto facendo nulla
per evitarlo …
Vorrei cancellare questa distanza che c’è
tra noi,, annullare ogni cattivo pensiero, ogni parola detta. Vorrei restare
con te. Vorrei essere dove sei ora, mentre leggi questo mio messaggio,
abbracciarti, dirti che ti amo, che sei la vita mia, l’unica cosa che per me
conta davvero. Vorrei prenderti tra le braccia, portarti in camera e fare l’amore.
Vorrei perdermi nei tuoi occhi mentre diventano lucidi per il desiderio e lasci
ogni contatto con la realtà. Vorrei impazzire
con te e sentire che sei solo mia. Ma non l’ho fatto e non lo farò.
Come hai visto me ne sono andato, ti ho
lasciata da sola. Perché ti starai chiedendo … non ti sentivo più mia.
Ti farà male leggerlo, lo so, perché
probabilmente non c’è modo più meschino per dirtelo. Ma aspetta, non arrivare a
conclusioni affrettate. Ti conosco ormai, so che è esattamente ciò che faresti.
So che mi ami, ma adesso sei troppo chiusa in te stessa per pensare a me, per
capirmi, per amarmi anche. Ti sto dando un po’ di tempo per pensare … a me, a
noi. So che sei sempre la mia Kris, so che ce la farai, mia leonessa, anche
perché non ti avrei mai lasciata se non fossi stato sicuro che una schiera di
persone accorrerebbe in tuo aiuto, semmai ne avessi bisogno. E poi c’è lui … o
lei, questo non lo so. So che però ti da forza, ti aiuta ad essere quella che
sei, come ha sempre fatto in questi mesi.
Non ho la più pallida idea da dove possano
essere venute fuori queste parole, non so nemmeno come reagirai. Non so nella,
sono perfettamente confuso su tutto, tranne che per una cosa: ti amo.
Tuo
Rob
Qua e là le mie lacrime avevano non solo annebbiato la mia
vista, ma avevano anche sbiadito l’inchiostro sulla carta e la presa malferma e
tremante delle mie mani aveva stropicciato il foglio.
Ero a terra, nemmeno me ne ero accorta. Probabilmente avevo
tentato di sedermi sul divano, ma concentrata com’ero nella lettura, mi ero semplicemente
accasciata al suo fianco.
Presi a baciare quel foglio di carta come fosse una santa
reliquia, a cercare ogni piccolo frammento di lui in quelle poche parole messe
in croce, un particolare, una briciola della sua essenza e, più stavo lì, più i
singhiozzi si facevano insistenti. Tutte le lacrime che fino a quel momento
avevo trattenuto erano esplose finalmente. Mi mancava già, sì, ma ora sapevo
che non se ne era andato per egoismo o per cattiveria. Mi ama.
Ero pronta per ricominciare.
L'angolo dell'autrice
Allora da dove cominciare. Innanzi tutto ringraziandovi per essere
così tanti a leggere e recensire...so però che potete
fare decisamente meglio. ed io con voi sarò come una sorta di
motivatore, come si fa con gli atleti...ahahahah!!!
Veniamo a noi e alla storia.
Ovviamente il titolo si riferisce alla lettera di Rob, una lettera a
cuore aperto, in cui confida tutte le sue paure, le insicurezze. In
questo rispecchia molto me stessa, che sono sempre così
restìa ad aprirmi direttamente con le persone. Non sa bene
nemmeno lui perché si è comportato in quel modo, sa solo
che la ama. e questa notizia tanto basta a kristen.
non volevo un capitolo in cui accadesse molto, perché dopo il
precedente parecchio movimentato, mi sembrava di correre un po' troppo.
Qui si vedono alcune parti del carattere di kristen che la rendono
molto simile a suo padre. non riesce a riconoscere i suoi sbagli molto
facilmente, per orgoglio e testardaggine, ma se lo fa ci sta male e sa
che deve rimediarvi da sola.
spero di aver detto tutto quello che c'era da spiegare, ma per altri questiti sapete come fare per rivolgervi a me.
Un bacio ed un GRAZIE di cuore a chi ha inserito la storia tra i preferiti, tra i seguiti e in quelle da ricordare.
Vi do appuntamento alla prossima volta. Se i nostri protagonisti
faranno i bravi domenica notte, se vinceranno il best kiss e si
baceranno davanti a tutti (cosa che però dubito fortemente)
cercherò di postare il nuovo capitolo lunedì.
Passiamo ora alle recensioni:
@prudence_78 : non so
ancora come evolvere la situazione, ho qualche idea, ma credo che
più o meno sarà come dici tu...ma chissà...never
say never ;-) continua a seguirmi e a
recensire,mi raccomando!
@ledyang : sono contenta
che anche questo di piaccia, però non posso garantirti che
posterò sempre presto, perché ho molti impegni al di
fuori di questo.
Lo so è una brutta situazione, ma si aggiusterà
vedrai ... a me piacciono i lieto fine.
@La Francy : allora che mi dici? te piasa? c'è qualche errore? Vai prof, passa la tua penna rossa anche su questo capitolo!!!
@BabyVery : sì,
come dici tu Kris è molto orgogliosa, ma come hai visto la
batosta è stata davvero forte, anche se davanti a lui non l'ha
data e vedere, ne ha risentito stavolta, e ha capito che se vuole riavere indietro il suo rob deve cambiare. ma
ci vuole tempo: un caratterino del genere non si cambia in un batter
d'occhio.
@Enris : mi fai piangere
con le tue recensioni, sono così belle!!! grazie!!! >.<
forse è la mia età ed il mio vissuto che mi aiutano
a scrivere così realisticamente e senza mitizzare i personaggi.
sono esseri umani, come noi. per le fiabe ci sono altre sezioni in
questo sito. forse hai ragione, rob non doveva comportarsi così, ma hai
letto quanto ci sta male. anche lui per una volta ha seguito l'istinto
e non la razionalità che lo contraddistingue ed
ha pagato pegno.
@sidney90 : non ti
assicuro niente, ma ci proverò. sono troppo affezionata ai
personaggi per volere che stiano separati. però vedi che in
fondo si amano...
@Imaginary82 : certo che
DEVI!!! ahahahah!!! lascia perdere l'idiozia di sti due...meno male che
lentamente se ne stanno accorgendo anche loro...purtroppo la situazione non è facile e credimi,
per esperienza personale, so che quando succedono certe cose basta poco per far saltare ogni certezza ed ogni legame, per
quanto saldo possa essere. ma loro sono una coppia salda. supereranno
anche questa.
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Capitolo 15 *** The Garden of England ***
The best day - capitolo 15
Salve ragazze!!! Lo so, sono in
ritarto, e tremendo pure... ma non è questo il luogo per dirvi i
casini che mi sono capitati e mi hanno fatto passare la voglia di
copiare il capitolo sul pc e pubblicarlo. A parte ovviamente il malore
scaturito dal bacio che i mitici Robsten si sono scambiati (o meglio
che Robert ha dato a Kristen) agli Mtv Movie Awards.
Questo capitolo è un po'
più corto rispetto ai precedenti, ma non mi andava di legarlo a
successivo e bruciarmi la storia e la sua svolta così in breve
tempo. Comunque non vi preoccupate, presto le cose si sistemeranno!!!
Basta avere fiducia in me!!!
Vi avverto che in quetso capitolo
non succede nulla di speciale, è un capitolo di transizione, ma
è importante per farci avvicinare alla risoluzione positiva. Poi
ho riesumato..ahahah...un personaggio dalla storia precedente, curiosi
di sapere di chi sto parlando? Non ve lo dico...andate a leggere...ci
vediamo con le risposte alle recensioni e qualche spiegazione al
capitolo come sempre alla fine, nell'angolo dell'autrice.
Buona lettura!!! ...e recensite, mi raccomando! ;-)
Capitolo 15
THE GARDEN of ENGLAND - P.O.V. Kristen
“E così è partito prima, eh?”
“Sì … be’, sai come sono queste cose per noi,
nonna, almeno ha evitato che i paparazzi gli dessero il loro benvenuto
tutto speciale a Los Angeles …”
Lei si limitò ad annuire.
Nonna Elizabeth non si sarebbe detta esattamente una buona compagnia per un
viaggio, ma sicuramente al momento era la più opportuna.
Le avevo chiesto di accompagnarmi nello Yorkshire, dai genitori di
Richard, suoi consuoceri, Victoria e Thomas, ed aveva accettato di buon
grado, senza fare troppe domande. Quando ero andata ad
invitarla, mi aspettavo di essere sommersa da uno dei suoi più
tipici interrogatori, ma probabilmente aveva letto nei miei occhi che
non era il caso. La discrezione degli inglesi era sicuramente uno dei
pregi che apprezzavo di più in questi momenti.
Certo, qualche domanda se la sarà pur posta e, da donna forte ed
intelligente qual è, di sicuro qualche teoria a proposito
l’avrà pur costruita.
Perché scegliere lei, d’altronde, per passare una
settimana in campagna dai nonni? Lei, così raffinata ed a volte
un po’ snob, con cui i rapporti non erano stati sempre idilliaci.
Perché non scegliere una compagnia più giovane, come le
cognate o le amiche più intime, visto che ad attenderci non
c’erano certamente dei miei coetanei?
Nel silenzio che accompagnava il nostro viaggio questi quesiti
risuonavano forse nella sua testa e, senza alcun dubbio, nella mia.
Fu una decisione presa d’istinto, come tutte quelle che avevano
caratterizzato quegli ultimi miei mesi. Ma riflettendo probabilmente
non era stata un’idea così malvagia. I nostri rapporti
erano notevolmente migliorati dal Natale precedente e poi era
l’unica persona che in quel momento potessi avere vicino, avendo
la certezza che, se le avessi spiegato come stavano realmente le cose,
non mi avrebbe sgridata, biasimata e, cosa che non volevo per niente al
mondo, non se la sarebbe mai presa con Rob.
Già, Rob. Erano quattro giorni che non lo sentivo. Ma non
perché non mi avesse chiamata. C’aveva provato, eccome!
Dal primo istante in cui aveva messo piede a Los Angeles. Da casa
nostra, dal set. Conoscevo tutti i suoi spostamenti, ma io avevo
attivato la segreteria telefonica in casa e staccato il cellulare.
Sinceramente, dopo quanto era accaduto, cosa potevamo ancora dirci?
Dove avremmo trovato le parole per cominciare una conversazione. Lui
sembrava molto più propenso di me a farlo, quindi forse sarebbe
meglio usare il singolare: dove avrei trovato il coraggio per
parlargli di nuovo?
Un altro dei motivi per cui avevo chiesto a nonna Elizabeth di venire
con me era proprio questo: lei per me era Rob in quel momento; lei
sapeva ricordarmelo terribilmente, con i suoi gesti, con i suoi
sguardi, le parole non dette che riecheggiavano nell’anima.
...
Dovevo essermi addormentata durante il viaggio, cullata dalla guida
sicura e gentile della nonna, perché mi risvegliai dal torpore
in un auto che non era più in movimento, ma che certo non era
arrivata a destinazione. Era parcheggiata all’ombra di grandi
alberi, con il cinguettio degli uccelli in sottofondo a farmi da
sveglia, ma anche da ninna nanna, ed in lontananza forse c’era
anche un corso d’acqua, perché lo sentivo scorrere e
sciabordare lungo la mia destra, un po’ distante. In auto ero
sola, così mi alzai di scatto, non pensando ai capogiri che
puntualmente questo gesto mi provocava. Mi portai le mani sulle tempie
e le massaggiai delicatamente.
Potei così avere il tempo di inquadrare meglio il paesaggio.
Eravamo finalmente fuori da ogni agglomerato urbano: niente case, cemento, niente grigio o fumo dei tubi di scarico delle auto.
Il famigerato giardino d’Inghilterra, c’eravamo finalmente!
Il verde era il colore prevalente, ma i raggi del sole gli facevano
assumere mille tonalità diverse. L‘auto era stata
parcheggiata lungo un viale alberato, ma non sapevo distinguere che
tipo fossero: da brava ragazza di città non saprei trovare
differenze nemmeno tra un pino ed un cipresso!!! Tutt’attorno il
prato era vasto e verdeggiante, ma la primavera aveva qua e là
depositato ciuffi di fiori variopinti.
Mi decisi ad uscire, anche perché trovai nonna Elizabeth sopra
un plaid che prendeva il sole e con sé aveva portato il cesto
delle vivande che mia suocera, la perennemente premurosa Claire, aveva
preparato per soddisfare le mie repentine voglie; ed io avevo una fame
in quel momento! Come le mie orecchie avevano intuito, dove lei era
allungata, scorreva un piccolo corso d’acqua e ricordavo, da quei
pochi campeggi fatti da bambina, quanto fosse piacevole rinfrescarvi il
viso. Riempii i polmoni di quell’aria pregna di primavera, di
pascolo, fiori di campo e fieno, vagamente umida, come umido era il
prato dove poggiai i piedi scalzi. Che sollievo!
Era talmente rigenerante quel piccolo angolo di paradiso, che non mi chiesi nemmeno se
quella sosta fosse prevista nel tragitto o se fosse una deviazione
improvvisa.
Mi avvicinai a nonna Elizabeth e dopo essermi refrigerata con la fresca
acqua del ruscello, lei mi fece segno, battendo le mani sul terreno, di
sedermi accanto a lei, per godere del leggero venticello che soffiava.
“Dove siamo?” Le chiesi, beandomi di quel sole pomeridiano,
non così forte da stordirmi, grazie anche alla brezza che
solleticava il viso e scombussolava i capelli. “Qui io e la
buon’anima di mio marito portavamo le bambine a fare i picnic
d’estate. Ma sono passati così tanti anni
… non mi
aspettavo di trovarlo ancora intatto”
Rimanemmo per un po’ in silenzio, anche perché io ero
impegnata a dare da mangiare al mio cucciolotto con i manicaretti di
Claire.
Secca, lei prese di nuovo la parola: “Comunque … ti manda
un bacio e ti raccomanda di non strapazzarti troppo”. Non diede
un soggetto alla frase, ma non c’erano dubbi, sapevo benissimo a
chi si riferisse, soprattutto dal tono di voce che aveva usato. Quasi adorante.
Ciononostante, feci finta di niente.
“Chi?” chiesi. “Mio nipote è un marito particolarmente apprensivo, non è vero Kristen?”
“Beh, porto in grembo suo figlio, è normale … e poi
lo conosci, sai quanto si agiti quando siamo lontani …”
Erano così simili: vederla mentre mi fissava, mi portò
alla mente tutte quelle volte che non riuscivo a mantenere un
segreto con Robert, soprattutto da quando ero rimasta incinta. Lui
diceva sempre che era colpa dei miei occhi. Il suo era uno sguardo
interrogativo, un misto tra lo scettico ed il divertito, che mi fece
capire che aveva intuito la verità ed aspettava solo che mi
confidassi con lei, senza però mettermi fretta o altro.
D’altronde, era una donna troppo intelligente per farsi sfuggire certi particolari.
“Potrai … potrete darla a bere a mia figlia, a Richard,
al resto della famiglia … ma conosco troppo bene il mondo per
non accorgermi che c’è qualcosa che non va”
Sì … qualcosa non andava … avevo solo buttato alle
ortiche la mia famiglia … se questo si può chiamare
qualcosa?! …
Eppure lei aveva ragione: non ricevendo risposte da me, e conoscendo la
sua natura ansiosa e protettiva, Robert si sarà rivolto a tutta la
famiglia per avere mie notizie. E’ un attore, si sarà
inventato un alibi perfetto e confidava certamente che avrei retto il suo gioco
con facilità. E lo avrei fatto, se davanti a me non ci fosse
stata sua nonna, con cui era praticamente cresciuto, e a cui non poteva
mentire. Stette pazientemente in silenzio ad ascoltare la mia storia,
la mia versione dei fatti, con la sua tipica espressione di marmo in
viso, che non lascia trasparire nessuna emozione o alcun giudizio.
Sapevo che sarebbe stata la persona perfetta per passare questi
giorni!!!
Quando ripensai a quanto accaduto, alla parole che gli avevo urlato in
faccia, a quello che lui mi aveva detto e poi all’esatto
contrario, ciò che aveva impresso sulla carta da lettere, non
potevo evitare che un velo di amarezza di sormontasse. La voce tremava,
inevitabilmente, e qualche lacrima appannava la mia vista.
Per la prima volta da quando la conoscevo, la vidi rivolgermi un gesto
materno, tuttavia naturale, anche per una come lei. Mi passò il
braccio attorno alle spalle, ad avvolgermi, ed io appoggiai dolcemente
la mia testa sulla sua spalla. Prese a cullarmi e a placare i miei
singhiozzi, per impedirgli di venire fuori. Dovevo e volevo
combatterli, assieme a lei: in fondo, stavo preparandomi a diventare
adulta, era vietato frignare ad ogni secondo.
“Cosa dovrei fare ora, me lo spieghi?”
“Non sta a me dirtelo, Kris. La vita è tua, la famiglia è la tua …”
“Ma nonna!” mi scostai per guardarla in faccia “ io
in questo momento sono completamente fuori fase, non ce la faccio a
decidere da sola. Ho bisogno di un tuo consiglio, di un tuo aiuto. Non
puoi negarmelo!”
“Non ti nego il mio appoggio, il mio affetto. Ma cosa potrei
consigliarti? Chi sono io per dare consigli? E’ una faccenda
vostra. Io non devo entrarci, come non deve entrarci nessun
altro.” Probabilmente aveva ragione: tutto questo casino era nato
perché qualcuno aveva messo bocca in affari non propri, e noi ci
siamo anche presi la pena di stare ad ascoltare. Ma avevo bisogno di
sentirmi dire qualcosa in quel momento, anche se fossero state
stupidaggini, avevo bisogno di parole che riempissero il silenzio.
Perché il silenzio è meditativo, ma quanto rumore fa
nella mia testa. Troppo stridore di pensieri, che volevo decisamente
evitare.
“Dimmi almeno cosa ne pensi” la implorai “Chi ha ragione secondo te?”
Prese un attimo per pensare, per soppesare bene le parole che mi
avrebbe rivolto. Anche in questo Rob le assomigliava: riflessivo, a
volte anche troppo. Le parole feriscono più della spada, mi
disse lei stessa una volta, quindi preferirei evitare spargimenti di
sangue inutili.
“Qui non si tratta di stabilire chi ha ragione o chi ha torto, tesoro …”
La interruppi con foga, senza aspettare che concludesse la frase, senza
sapere in realtà cosa volesse dirmi: “Non mi starai mica
dicendo che Rob ha fatto bene a lasciarmi sola e per di più
incinta, senza nemmeno provare a discuterne?”
“Non ho detto questo” si precipitò a precisare,
tuttavia tranquilla “non credo che sia stato un gesto molto
nobile da parte sa lasciarti così, di punto in bianco. Ma tu
cosa hai fatto per evitarlo? Quando si litiga in una coppia, la colpa
sta sempre a metà. Quindi è di entrambi il compito di
risistemare le cose”
“E quale sarebbe il modo giusto, sentiamo!” la sfidai e la stimolai ad aiutarmi.
“Vorrei tanto poterti dire che la scelta giusta è quella
che ti rende più felice, ma non lo farò. Non è
così che va il mondo. Bisogna sapersi sacrificare. È
questo che fa una buona madre.”
Il suo sorriso sincero mi disse che lei di sacrifici ne doveva
aver fatti tanti, che doveva aver rinunciato ad essere pienamente
felice in più di un’occasione, ma che alla fine la
felicità altrui l’aveva ripagata delle sue rinunce.
Sarebbe stata dura, ma forse avrei dovuto comportarmi come mi aveva
detto. Non voleva darmi consigli, eppure lo aveva fatto,
implicitamente, o forse perché l’avevo costretta; ma
è stata preziosa come sempre. Sarei diventata presto una madre e
avrei dovuto adeguarmi a questa legge ineluttabile della natura. Eppure
… “E’ ingiusto!" sbottai "Io ho solo 20 anni!!! Sono
rimasta incinta per caso e anche se ho amato mio figlio dal primo
istante questo non significa che io sia pronta. Non potete pretendere
che io sia sempre serena e tranquilla. Lui non può pretendere
che per me sia altrettanto facile come lo è per lui. Nessuno mi aveva
detto che sarebbe stato così ....”
“... difficile?" completò lei la mia frase. Sì,
difficile è proprio la parola più giusta. "Già
… e hai ragione, è ingiusto. Ma purtroppo siamo nate
donne. Le nostre non sono mai scelte facili. ” Mi rivolse fu
un sorriso disincantato. Non stavamo più scherzando.
“Ora” mi disse, rialzandosi o tornando verso l’auto
“visto che sono pur sempre nonna Elizabeth … quella
cattiva … che impartisce ordini a destra e a manca …
“ non potei fare a meno di ridere vedendola recitare la
caricatura di sé stessa “ora tu accenderai quel cellulare
e risponderai ad ogni chiamata che dovesse arrivarti” ovviamente
sapeva che questo avrebbe implicato parlare con Robert.
“Ma cosa dovrei dirgli, scusa … a Robert, intendo.
Come …” “Questi non sono affari miei” fece
spallucce “avrei un paio di giorni per pensarci visto che anche a
lui ho ordinato di non chiamare durante il week-end”.
Avrei avuto solo due giorni per pensare a cosa dirgli.
Due giorni e avrei sentito di nuovo la sua voce.
Due giorni, e gli avrei parlato.
L'angolo dell'autrice
Come
avete potuto notare, questo è un capitolo di transizione. Niente
di particolarmente significativo, ma ho pensato che qualcuno che potesse parlare con la voce dell'esperienza, avrebbe potuto aiutare in
questo momento buio, perché da sola non ne sarebbe mai potuta
uscire appieno. avrebbe, a mio parere, corso il rischio di tenersi
dentro ancora del rancore. Il personaggio che ho voluto riscoprire da
Canto di Natale è nonna Elizabeth. Per chi è nuovo alle
mie storie, gli consiglio di dare uno sguardo alla storia precedente,
per capire che genere di problemi possano avere avuto in passato queste
due donne.
Il titolo del capitolo Garden of England
si riferisce al titolo che gli inglesi danno a questa regione, di cui
il padre di Robert, Richard, è davvero originario. Non credo ci
sia bisogno di dire altro, ma per ogni domanda, sapete come rivolgervi
a me.
risposte alle recensioni
@prudence_78: sì forse
è vero che Kristen è molto più fragile di come lui
la vede, però non è neanche così debole. è
solo vittima degli ormoni e delle paranoie, come tutte le mamme in
attesa.
@BabyVery :grazie, sono contenta che
la lettera ti sia piaciuta, peccato non sono riuscita a metterla qui
col carattere originario con cui l'ho scritta sul pc, avrebbe avuto
più effetto...anch'io la vedo come te per quanto riguarda
robert, ma in questo capitolo ho voluto analizzare meglio le ragioni di
kris, spero di esserci riuscita.dunque la gravidanza è intorno
al 6° mese, quindi il pancione in realtà non è molto
grande, ma kris è magrissima, quindi si vede molto di più
che in una donna rotondetta.è ancora presto per il parto, stai
tranquilla
@sidney90 :grazie mille, sono
contenta che la lettera ti sia piaciuta, è stata una cosa venuta
fuori all'improvviso,non ero sicura della sua riuscita, così
come non sono mai sicura di ogni capitolo che scrivo
@Enris :cos'è,
stavolta ti si è mozzata la lingua? o il capitolo che ho scritto
no ti è piaciuto? scherzo, so che hai da fare come tutti, del
resto, e sarà già stato tanto che tu abbia potuto
recensire. mi aspetto di trovarti di nuovo nella pagina dei commenti,
al presto!!! In realtà credo che il momento clou sarà tra
un po', non era esattemente quello, ma è già un passo
avanti.
Vi aspetto tutti quanti al prossimo capitolo e un bacio a tutti. Come sempre,
à bientot!!!
Federica
p.s.: vi ricordo qui una mia OS che ho scritto tempo fa, se qualcuno a voglia di leggerla Piccolo Grande Amore
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Capitolo 16 *** Quel TI AMO maledetto ***
The best day- capitolo 16
salve
ragazzi! come va? La mia estate va avanti tra alti e bassi. Mi scuso se
non ho postato prima, ma dovevo passarlo dal quaderno al pc ed era
talmente lungo che ogni volta perdevo la voglia...
purtroppo sono di fretta e non posso trattenermi nell'angolo
dell'autrice e non posso risp alle vostre preziosissime recensioni. per
qualsiasi chiarimento sapete dove trovarmi...al prossimo chappy!
ah, buona lettura!!!!
Capitolo 16
Quel TI AMO maledetto - P.O.V Kristen
I due giorni erano scaduti.
Questione di ore, conoscendolo forse questione di minuti e lo avrei sentito.
Mi avrebbe chiamata. Sì, lo avrebbe fatto davvero.
In quei due giorni avevo provato a
riflettere, a pensare a cosa dirgli quando gli avrei parlato. Ma niente
mi sembrava sufficientemente naturale e decisamente troppo preparato.
Frasi fatte e poco consone a noi, al nostro modo d’essere. Anche
per questo ero terribilmente agitata.
Quello che meno volevo era risultare
troppo fredda e distante, ma nemmeno poi così debole. Mi aveva
chiesto di essere me stessa quando era partito … perché
non mi ha lasciata, è semplicemente partito … e
obiettivamente non ricordavo più come si faceva ad essere se
stessi.
Onestamente, poi, ebbi davvero poco
di quel tempo per occuparmi dei miei pensieri, indaffarata
com’ero a godermi quell’angolo di paradiso. Il luccichio
della rugiada al mattino, come anche il forte odore della stalla appena
aperta dopo la notte, avevano su di me un effetto rigenerante. Non
potevo credere che al mondo si potesse vivere ancora in maniera
così semplice ed umile. Io ero lì solo per il week end
ma, come mi era stato spiegato, in campagna in lavoro non si ferma mai,
né per le feste, né per la vecchiaia. Eppure avevano
tutti un’aria così serena …
Il borgo era molto piccolo, i suoi
abitanti erano diminuiti nel corso degli anni richiamati dalle luci e
del lavoro della città. Così, i pochi coraggiosi,
superstiti della grande fuga, erano più o meno anziani e quasi
tutti si conoscevano tra loro. Compagni di gioco prima e di lavoro poi.
Vivevano così lontani da
Londra e li vedevo davvero poco, ma era difficile non affezionarsi e
voler bene ai nonni Pattinson: Victoria e Thomas, insieme da una vita,
forse di più.
Loro identificano quella che
per me
è l’immagine tipica di un nonno: sorriso sempre stampato
sulle labbra, un proverbio da sfoggiare ad ogni problema da risolvere e
la battuta sempre pronta per stemperare i momenti di tensione.
Erano di quei nonni che, a tavola, se
dici che non hai fame, già prevedono deperimenti o malattie
varie e se, al contrario, chiedi il bis di quella pietanza che
più ti piace, si riempiono di gioia e te ne servono tre
porzioni, oppure “basta” vale per un “ancora!”.
Per me erano piuttosto delle figure
ideali, conosciute nelle fiabe che leggevo da bambina, e stentavo a
credere che esistessero anche nella realtà. I miei nonni erano
così diversi: sportivi, moderni, troppo giovani di spirito per
poter passare la giornata davanti ai fornelli o avere doti
da “aggiusta tutto”; qualcuno a volte li scambiava per i miei
genitori o per degli zii di mezza età. Volevo loro un mondo di
bene, così come loro ne volevano a me, da bambina avevo passato
molte merende e tante notti a casa con loro, ma non riuscivo ad avere
quel legame così speciale, quel calore che sa di casa.
I genitori di mamma, poi, abitavano
in Australia, quindi vederli e passare del temo con loro era
l’evento dell’anno per me ed i miei fratelli.
Per assurdo che possa sembrare, nonna
Elizabeth è sta per me una nonna in meno di un anno, più
di quanto lo sia stata nonna Stewart in tutta una vita. Ma forse
è anche colpa mia: a Los Angeles, presa dal lavoro, e
occupata a tenere fuori dalla mia vita i paparazzi, era un
impresa già riuscire a gestire genitori e fidanzato, figuriamoci
passare del tempo con i nonni. In Inghilterra era molto più
facile gestire tutto, o semplicemente ero io ad averne più
voglia, a sentirne più la necessità, come se
l’istinto materno mi avesse detto di avvicinarmi a chi madre lo
è stata prima di me per carpirne i segreti.
Erano le undici di domenica mattina
ed eravamo appena tornate dalla chiesa per il servizio domenicale. Pur
non essendo particolarmente devota, accompagnai volentieri le mie nonne
che, al mio contrario, lo erano. Il bello di queste piccole
comunità è che la domenica viene vista ancora come un
giorno di festa, oltre che come momento di riposo. Le nonne erano tutte
agghindante, come se dovessero partecipare a chissà quale
ricevimento. Io mi limitai ad indossare un abitino premaman che nonna
Beth, come avevo iniziato a chiamarla … sono fiera di essere
l’unica a poter avere questo privilegiooltre il suo
adorato nipote, mio marito, s’intende … mi ha obbligato a mettere in valigia, finalmente capendo
il motivo della sua insistenza. …
Era una calda giornata di fine
maggio, assolata quanto basta da far risaltare i colori dei fiori che
affollavano i giardini dei tipici cottage, che ci ricordava che
l’estate era più vicina.
Il soggiorno in campagna aveva messo
di buon umore anche nonna Elizabeth, che nel grigiore di città,
faceva fatica a distendere il volto in un bel sorriso, anche quando non
era di pessimo umore, tanto che appena varcammo la soglia di casa fece
a nonna Victoria una proposta che difficilmente avrebbe rifiutato.
Dopo aver pranzato e rassettato la
grande cucina rustica, riempirono il grande tavolo degli ingredienti
per cucinare quella che definirono “la crostata del
secolo”. La specialità era dovuta alla confettura di
frutti di bosco che nonna Vic preparava ogni anno con le sue mani.
Vederle collaborare mi dava una strana sensazione: era come mettere
vicine, e far andare d’accordo, la nonnina di Heidi e la
signorina Rottermeyer. Avevano così poco in comune eppure
stavano così bene insieme! Distanti, diametralmente opposte, ma
due metà di un intero che, se combacianti, danno
un’accoppiata vincente.
Dopo aver effettuato il mio ennesimo
pipì-stop … geniale neologismo del mio ancor più
geniale marito … (causa vescica compressa, tipica della
gravidanza), mi attivai per dar loro una mano.
“Io se fossi in te non entrerei
in quella cucina, mi hanno bandito tra minacce ed imprecazioni poco
adatte ad una signora raffinata come la mia consuocera …”
risi a quella battuta. Era la prima volta da quando lo conoscevo che
vedevo nonno Tom seduto sul divano, senza fare niente. Di solito era
sempre affaccendato o, come diceva nonna Victoria, “con le mani
sporche”.
Tentai comunque di farmi strada in
quella cucina: d’altronde tutti conoscevano ed apprezzavano le
mie doti culinarie, in particolare proprio le mie qualità di
pasticcera, quindi non potevo permettere che mi lasciassero fuori a
questo giro … ne va della mia reputazione …
Con la sua voce squillante nonna Vic
mi chiese: “Ti sei lavata le mani, tesoro?” Persi un
po’ di tempo per allacciare il grembiule, a causa della pancia,
ma potei anch’io unirmi a loro.
Come se quella crostata che si
prospettava deliziosa non fosse sufficiente, ebbero la brillante idea
di preparare dei biscotti di pasta frolla, che io e nonna Beth avremmo
portato via con noi, come ricordo della nostra piccola vacanza.
Questo mi ricordò che la giornata stava passando, ma di lui alcuna notizia.
Purtroppo però il mio stato
interessante mi procurò un’amara discriminazione: espulsa
dal tavolo dei dolci, per aver tentato un furto indebito di marmellata
prima e di biscotti appena sfornati poi.
Così, ancora sporca di farina,
col grembiule ai fianchi e le mani inzuccherate di marmellata
rimasì lì, inerme, a guardarle decorare i dolci, insieme
a nonno Tom che ascoltava musica da ballo dalla vecchia radio del
salotto.
Dall’ingresso sentii arrivare
una musica familiare: era Your Song di Elton John, una delle tante
canzoni che componevano la nostra colonna sonora. Schizzai senza
nemmeno pensare a cosa stessi facendo o a cosa stesse accadendo verso
la fonte della canzone. Il mio cellulare.
Eccolo qua, era lui. Ci siamo … pensai.
Quasi avessi corso una maratona risposi ansante al telefono “Rob!”
“Kris” rispose lui
all’istante, quasi all’unisono con me. E subito ci fu
sollievo. Mi sentivo tranquilla, senza quel nodo insopportabile che
avevo in gola da ormai una settimana.
“Come state?” chiese.
Ovviamente chiamava per suo figlio. Prova che come marito sarà pur stato un
completo disastro, ma come padre sarebbe stato perfetto.
“Bene” risposi io,
semplicemente “stiamo benone entrambi, Rob” ci tenevo che
lo sapesse. “Tu piuttosto? Non ti sento bene … hai il mal
di gola per caso? Hai la voce roca …” la voce era come la
ricordavo, anche più bella, bassa, gutturale, calda …
eppure una nota diversa c’era. Mi fu tremendamente facile
parlargli, naturale, come se non avessimo smesso mai, come se una
settimana prima non fosse successo nulla. Probabilmente le parole che
avevo cercato erano sempre state lì, nel mio cuore. E lo stesso,
a quanto pare, valeva per lui “No, tesoro, sto bene …
solo, mi sono appena svegliato …” sorrisi delle sue
parole. Ed io che mi ero fatta tutti quei trip mentali! L’unica
ragione per cui non mi aveva ancora chiamata era perché a Los
Angeles era appena spuntato il sole e poi Rob la domenica è
capace di poltrire a letto fino all’una. Ma facendo due conti,
quella domenica si era svegliato fin troppo presto, e chiamarmi
è stata la prima cosa che aveva fatto.
“Cosa stai facendo? Ti diverti dai nonni?”
Mentre continuavo a parlargli mi
spostai nel portico davanti casa, e mi sedetti sulla panca,
all’ombra, al riparo dal sole cocente del primo pomeriggio.
“Sì ... mi trovo bene qui ... potrei anche pensare di starci per sempre. Sai,
io e le nonne stavamo facendo dei dolci …”
“Tu che cucini?” mi prese
in giro. “Non ti hanno ancora arrestata per attentato alla salute
pubblica?” Non potevo prendermela per le battute di Rob. Era il
primo che lodava i miei piatti e non si faceva mai mancare un bis o un
tris. E dopo ogni pasto riempiva sempre di complimenti molto speciali e
personali la sua "supercuoca".
“Ehi!!! Non incominciare a
prendermi in giro Rob!" gli dissi "Io cucino benissimo, e
lo sai, e mi hanno cacciata via dalla cucina solo perché stavo
finendo la marmellata prima che potesse finire sulla crostata!!! Ma non
è colpa mia … è nonna Vic che la fa troppo
buona!!!”
Lo sentii ridere … Dio quanto
mi è mancata quella risata … rimasi in
silenzio a contemplarla per un po’.
Fu così che diventammo
entrambi muti, aspettando che l’altro aprisse bocca per primo.
Sarebebro potuti passare minuti, ore, stagioni, che non me ne sarei
accorta,
immersa in quello stato di beatitudine totale.
Tutt’a un tratto sentii come
dei singhiozzi strozzati venire dall’apparecchio. “Rob
… Rob, ma tu stai …?” le parole mi si fermarono in
gola. Non potevo concepire che Robert potesse … piangere.
“Mi manchi Kris … non ce la faccio più”
Quelle parole mi uccisero. Chiusi le
palpebre a trattenere le lacrime e strinsi forte il pugno della mano
libera. Mi appoggiai al muro con la schiena per non lasciarmi andare .
Sentivo che stava male. Stava male davvero. Forse più di me, che
mi ero fatta forza per il bambino e per lui, che mi ero risollevata ed
imposta di andare avanti. Ma lui per tutto questo tempo era rimasto da
solo, senza sapere come stavo, senza sapere se lo avrei accettato di
nuovo nella mia vita.
Ma sentendolo, di nuovo crollò
tutto quello che avevo messo un piedi, come una casa di paglia
abbattuta da un alito di vento.
“Shh” gli sussurrai
“non piangere … shh” quasi fosse lui il mio bambino
ed io la sua mamma iniziai a consolarlo “ è tutto finito
... sistemeremo tutto, te lo giuro, tutto andrà a posto, ma non
voglio sentirti piangere …”. Probabilmente quelle parole
servivano più a me che a lui. Avrei voluto prenderlo tra le mie
braccia in quell’attimo, e cullarlo, affondare il mio viso tra la
i suoi capelli e perdermi nel suo profumo.
Sapeva di colonia, ma non amava
mettere profumi addosso: era una fragranza tutta sua, inconfondibile,
ma che non riuscivo a ricordare. Questo mi faceva sentire in colpa.
“Kris?” “Dimmi
Rob” “mi manchi”: me l’aveva già detto,
ma sapevo cosa volesse, capivo che in realtà la sua era una
domanda; sapevo bene come rispondergli: “… anche tu mi
manchi”
“Kri ascolta” lo lasciai
parlare “mando a fanculo tutto qui” aveva incominciato il
suo vulcano di parole; sapevo che avrei dovuto fermarlo, perché
da quelle pazzie da adolescenti non ci avremmo ricavato, ma quel
suo modo di amarmi così matto, così impulsivo,
così anche irresponsabile a volte, mi attraeva e mi sorprendeva
ogni volta.
“Lo sai che del lavoro e della
carriera non me ne frega un cazzo! Venite prima voi. Sempre. Adesso
mollo tutto e vi raggiungo. Ce ne andiamo a Ventnor, dove abbiamo
passato il Capodanno. Ti ricordi amore?”
Come potevo dimenticare. Fu il
veglione più bello della mia vita. Io, lui ed il mare
d’inverno. Avevamo lasciato i suoi amici a dare il benvenuto al
nuovo anno tra sigarette e birra, e noi c’eravamo chiusi nella
nostra stanza, ad ubriacarci l’uno dell’altro.
Sveglia Kris!
“Rob! Rob!” lo frenai
“ non dire e soprattutto non fare stronzate!” Mi imposi a
malincuore di bloccare quel suo impeto adolescenziale “Non serve
che vieni. Vengo io. Dobbiamo … devo sistemare le cose”
“Ma se tu non vuoi non devi
sentirti obbligata …” “No Rob, avevi ragione tu:
così non sto bene ed ogni giorno che passa rischio di peggiorare
le cose. Lascia fare a me. Fidati”
“Mi fido di te” quelle
parole, pronunciate con voce ferma e sicura, ebbero il potere di
calmarmi ed istintivamente sentii il mio volto contrarsi in un sorriso.
Anche lui stava bene ara.
“Scusa amore mio … devo
andare ora. Abbiamo da girare alcune scene in tarda mattinata e la
truccatrice non vuole che la sua materia prima venga
maltrattata!!!”
Risi spontaneamente. Era tornato
tutto normale. Forse non era mai cambiato nulla. Per un attimo ebbi il
dubbio che quanto accaduto una settimana prima fosse stato tutto solo u
bruttissimo sogno.
“Ciao Rob!” “Ciao
Kri … ti ” “No, ti prego!" lo fermai "Non dire
quelle parole” “Ma …?” “Ti prego
..” lo implorai “Come vuoi … ci sentiamo”
Avevo rifiutato che mi dicesse due
semplicissime parole. Me le aveva dette tante volte ed io avevo fatto
altrettanto, magari a volte senza nemmeno prestarci troppa attenzione;
ma se davvero le cose erano tornate come prima, perché avevo
impedito che le pronunciasse?
“Perché l’hai fermato? Perché non hai permesso che te lo dicesse?”
Nonna Elizabeth era sull’uscio della porta d’ingresso.
“Da quanto sei lì?”
“Abbastanza da sapere che tutto
si è risolto per il meglio e sempre abbastanza da non capire
perché non gli hai permesso di dirti che ti ama”
Nel frattempo di era avvicinata a me
ed era venuta a sedersi anche lei sulla panca sotto al pergolato. Mi
cinse i fianchi e continuò: “Allora?”
Non capivo la ragione di tutto questo
suo interesse. Non era stata lei a dirmi che nei miei affari ed in
quelli di mio marito nessuno doveva interferire? Così le risposi
stizzita: “Non sono affari tuoi”
“Certo che non lo sono”
rispose lei, sincera “ma ho capito che da sola non ce la fai.
Quindi fai conto che io sono un po’ come la voce della tua
coscienza”
“Il mio grillo parlante …” “Esattamente!” mi sorrise.
Dunque quella curiosità era solo per il mio bene. Come avevo potuto minimamente pensare che potesse esserci altro?
Tentennai a rispondere perché, sinceramente, una ragione vera che giustificasse il mio gesto non c’era.
“Forse ... non ero pronta. Se
lo avessi lasciato parlare, poi avrei dovuto dirglielo
anch’io. E non mi sento pronta”
“Ma tu lo ami?” “Certo” “E allora perché questi dubbi?”
Lo avevo detto io che le mie scusanti
non erano valide abbastanza. Così mi concentrai e per un attimo
mi chiusi in me stessa cercando di estraniarmi dal quel luogo e da quel
tempo. Pensai di nuovo, obbiettivamente, a ciò che era accaduto
dall’aprile scorso, a cosa avevo perso e a cosa, grazie a quella
settimana passata da sola, stavo ora riottenendo.
Mi protrassi a pensarlo, ad
immaginare i suoi occhi, il suo sorriso anche, ogni più piccola,
minima linea di espressione che si imprimeva nel suo volto mentre mi
diceva “Ti amo”.
Fu allora che compresi.
“Non volevo che accadesse via
telefono. In maniera così banale. Come se mai ci fossimo
separati e nessuno dei due avesse sofferto per l’assenza
dell’altro “Hai paura che lui possa mentirti?”
infierì. No, questo mai … Scossi la testa. Non mi
ero accorta fino a quel momento di quanto fossi di nuovo in preda
all’agitazione. Avevo preso a tremare come una foglia e i miei
piedi battevano nervosamente a terra. La gamba che avevo accavallata
era tutta un fremere.
“Ho bisogno si naufragare ...
sì” sorrisi alla metafora “naufragare nei suoi
occhi; ho bisogno di percepire il suo amore da ogni fibra, ho bisogno
che me lo dica sulle labbra, mentre le assaporo. Devo viverlo,
quell’amore! E lui ha diritto di vivere il mio”
Osservai nonna Elizabeth. Mi sembrava
distante, assorta nelle preoccupazioni. O forse più facilmente,
era infastidita dalle mie considerazioni. Le strinsi la mano.
“Scusa. So che tuo nipote lo vedi ancora come un bambino. Non ho
pensato al fatto che potesse darti fastidio sentirmi parlare
così” Si ridestò, quasi di soprassalto.
“No, tesoro, non c’entra
questo” mi accarezzò la guancia “perdona me se ho
dato questa impressione. A sentire le tue parole mi sono persa nei
ricordi …” Avrebbe voluto confidarsi, aprire il suo cuore;
ma non lo avrebbe fatto, non era da lei, troppo rigida anche con se
stessa.
Batté ritmicamente la mano
sulla mia coscia. “Andiamo!” disse alzandosi in piedi e
tornando all’interno, mentre io la seguivo “bisogna
preparare i bagagli. È ora che tu torni da tuo marito!”.
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Capitolo 17 *** Attese ***
The best day - Capitolo 17
eccomi
qui!!!! mamma che ritardo!!! so che l'attesa è stata lunga
perciò vi lascio al capitolo e vi aspetto all'angolo dell'autrice. Recensite numerosi!!! Buona lettura!!!
Capitolo 17
ATTESE
P.O.V. Robert
“Ciao Kris! … ti …”
“Ciao Robert”
Con un saluto secco, quasi serio e formale: ecco come si era conclusa l’ultima telefonata con mia moglie.
Era stata lei a chiamarmi, di nuovo,
dopo che avevo messo la sveglia presto quella domenica mattina per
poterla chiamare il prima possibile, colmando così il mio cuore
di gioia.
Sembrava che tutto scorresse
per il verso giusto: era felice, lo sentivo, era elettrizzata
all’idea che presto sarebbe tornata negli Stati Uniti. Questo
tuttavia non significava necessariamente che fosse felice di tornare da
me. Mi aveva confessato che le mancavo e, anche se ero stato io ad
indurla a dirmelo, la sua voce era sincera.
Ma allora perché si è
raffreddata così tanto nei miei confronti? Perché mi ha
impedito di dirle “TI AMO”?
Con questi brutti pensieri arrivai a casa dei miei suoceri.
Avevo accettato di buon grado il loro
invito. Primo, i nostri rapporti erano completamente all’opposto
rispetto al passato mese di aprile e secondo, una notizia come quella
dell’arrivo di Kristen non potevo nascondergliela.
Sapevo che lei voleva sistemare
quella brutta e delicata questione, ma non mi aveva ancora messo a
parte dei termini con cui voleva procedere. Né avevo voluto
indagare: mi aveva chiesto di darle fiducia: gliel’avevo
accordata con tutto il cuore e per tutto l’amore che provo
per lei.
Non volevo in ogni caso deludere i
suoi genitori, istillare in loro false speranze, però ritenni
giusto informarli almeno che la situazione tra me e lei si era
ristabilita.
Quando mi videro arrivare a Los
Angeles prima del previsto, infatti, compresero immediatamente che
c’era qualcosa che non andava. Volevo evitargli
quell’ulteriore pena, ma non riuscivo a mentirgli, visto che
sembravo un automa ogni volta che provavo a rintracciare Kristen,
ma lei sembrava volatilizzata nel nulla.
La mia frustrazione a riguardo era
palese e quando spiegai loro come erano andate le cose, finii per
coinvolgere anche loro con il mio malumore, inevitabilmente.
Non era come la vedeva lui, ma John si assunse ogni responsabilità di quello che era accaduto.
Era già stato male per aver
visto sua figlia allontanarsi da lui, aveva pagato già un caro
prezzo per un errore di cui si era ormai assunto ogni
responsabilità e, per quanto mi riguardava non avevo bisogno che
se ne sobbarcasse di ulteriori.
Almeno sul mio fronte volevo
tranquillizzarli, anche se non sapevo esattamente cosa dirgli,
perché io stesso non avevo la minima idea su come sarebbero
andate davvero le cose quando io e Kristen ci saremmo rivisti.
Alla porta venne ad aprire Jules, la mia forte e tenace suocera.
Lei aveva sempre tradito una
predilezione particolare nei miei confronti fin da subito, prima ancora
che entrassi nella vita di sua figlia, quando ancora ero uno dei tanti
colleghi di passaggio. Mi è rimasta affianco anche quando John
difendeva a spada tratta Michael, l’altro, il primo. Questo mi
rendeva felice, ma sapevo con amarezza che le avevo procurato non poche
noie con quel marito che, all’inizio, stentavo a capire, per
quanto mi impegnassi.
Avevo sempre trovato impressa
sul volto di Kristen la fotocopia di suo padre, ma più conoscevo
quella donna e più mi rendevo conto di quanto lei e la mia Kris
fossero simili; caratterialmente soprattutto, ma anche in mille
piccoli particolari, anche insignificanti a volte. Ma per me ciascuno
era speciale, ogni minima smorfia nel volto, ogni broncio e ogni timido
accenno ad un sorriso.
Fu con lo stesso sorriso che io amavo
di Kristen che si presentò davanti a me, che per un attimo
pensai davvero di avere mia moglie di fronte. La lontananza mi faceva
davvero male, come quando hai sete e nel deserto l’arsura provoca
miraggi d’oasi.
“Ciao Rob! Ben arrivato!”
“Grazie Jules!” entrai in casa guardandomi intorno “John non c’è?”
Tra i tanti passi avanti che avevo
fatto non c’era stato quello di considerare i genitori di Kris
anche miei genitori. Volevo molto bene ad entrambi, affetto pienamente
corrisposto, eppure per me erano sempre John e Jules, i signori
Stewart, i genitori di mia moglie, i miei suoceri. A loro non piacevano
tutte quelle formalità, ma avevano dovuto abituarsi, di
più non potevo offrire. Non perché non li amassi
né perché ce l’avevo ancora con loro.
Kristen, al contrario, era entrata
pienamente nello spirito della mia grande famiglia. I miei erano per
lei “mamma Clare e papà Richard” . Ma forse per lei
il discorso era un tantino diverso: lei si era considerata al pari di
un orfana, e la mia famiglia era la sua a tutti gli effetti. Non avevo
obiettato anche se non era d’accordo col suo atteggiamento, e
questo ci aveva portati alle prime divergenze; ai miei faceva
più che piacere, ovviamente, ma la situazione grottesca che si
era creata non aiutava a ricomporre quella famiglia che lei aveva
già.
Sapevo che il dolore più
grande da entrambe le parti era quello per la separazione da chi non
aveva colpa. I fratelli e la madre erano stati coinvolti passivamente e
passivamente avevano dovuto accettare di restarne fuori.
Da futuro genitore potevo immaginare facilmente che per una madre non si tratta di un compromesso, ma di una condanna.
“John è ancora a lavoro, ma tornerà a breve. I ragazzi sono fuori stasera”
“… come tutte le sere, del resto” precisai, con macabra ironia.
I miei cognati non erano stati
così indulgenti come Jules e John nei nostri confronti. Il loro
non era stato un ostracismo in piena regola. Si erano semplicemente
limitati ad ignorarci, nelle settimane che avevamo trascorso a Londra.
Ed il mio ritorno negli Stati Uniti era stato accolto con sguardi duri
e musi lunghi, e serate trascorse fuori con gli amici all’unico
scopo di evitarci.
Neanche quando John aveva iniziato a riavvicinarsi a noi erano stati favorevoli.
Mia suocera era dell’opinione
che Dana e Taylor avessero sofferto abbastanza da piccoli per non aver
avuto una famiglia e vedere il secondo tentativo sgretolarsi in
famiglia e vedere il secondo tentativo sgretolarsi in quel modo doveva
fare davvero male. Infatti il loro disappunto era rivolto anche al loro
stesso padre con cui, a detta di Jules, i rapporti erano notevolmente
difficili. Erano delusi, erano stanchi; a conti fatti, anch’io lo
sarei stato.
L’unico che invece era rimasto
vicino alla famiglia era Cameron, il maggiore. Il mio fratello
americano era l’unico che, come da lui stesso detto, “aveva
cacciato le palle” nel mese precedente. Prima ancora di suo padre
e senza tanti sotterfugi si era rivolto alla sorella. Le aveva
ricordato chi fosse suo padre, cosa avesse fatto per lei, ma
soprattutto le aveva ricordato chi aveva lasciato senza motivo ed in
maniera brutale.
Lei lo aveva respinto, non avendo ancora sbollentato la rabbia; ma almeno lui ci aveva provato.
Quando poi seppe ciò che suo
padre stava organizzando non si rassicurò: prima di tutti aveva
realizzato che Kristen non l’avrebbe digerita; quando vide i
risultati che aveva portato quel tentativo di riappacificazione
mediato, si ammutinò anche lui.
Fu per questo che alla mia
constatazione Jules rispose con un cenno anonimo del capo, annuendo
impotente a quel infelice dato di fatto.
“Bene” le dissi,
spiazzandola del tutto “perché ho bisogno di pararti in
privato … da madre a figlio”
Da buon mammone quale infondo ero, se
fossi stato a casa probabilmente sarei corso a confidarmi con mia madre
in un momento del genere.
Lei si sentì immediatamente sollevata alla mia preghiera, glielo leggevo negli occhi.
Ci dirigemmo in cucina dove ci sedemmo l’uno di fronte all’altra, sugli alti sgabelli della grande cucina ad isola.
“La faccio breve. Stamattina
finalmente ho parlato con Kristen. E questo pomeriggio è stata
lei a chiamarmi. Domani sera sarà qui, Jules” Le si
illuminò il viso all’istante ma subito si scurì
sentendomi parlare a quel modo. D’altronde, non c’era un
minimo di coerenza nel mio tono di voce. Sovraeccitato, ma al contempo
disincantato. E questo non le sfuggì.
Che c’è Rob? Dovresti esserne felice eppure …”
“… eppure non ci sto
capendo un cavolo … non la capisco … sono suo marito e
non ci riesco. Mentre parliamo sembra che non sia mai successo nulla,
che venire qui sia la cosa più naturale del mondo, che non veda
l’ora di vedermi. Ma poi quando ci salutiamo torna ad essere
fredda, severa.”
Quello era il punto.
“Non capisco quale ruolo occupo
nella sua vita. Potrebbe anche non volermi più … il che
non sarebbe poi così anormale, dopo quello che le ho
fatto”
E tutta quella confusione era
devastante. D’improvviso mi colse un forte mal di testa, segno
che stavo per implodere. Poco ancora e la bomba ad orologeria avrebbe
terminato il conto alla rovescia, ed il ticchettio di sarebbe
trasformato in un fragore inaudito.
“Cosa te lo fa pensare?” chiese lei, con tutta la calma del mondo.
Presi a massaggiarmi le tempie, cercando di calmarmi.
“Ogni volta che provavo a dirle
TI AMO lei mi ha respinto. NO TI PREGO mi ha detto. Capisci? Cosa
dovrei pensare io?”
Era paziente lei, era gentile. Si
alzò dal suo posto e mi venne vicino. Appoggiò una sua
mano sulla mia spalla. Esattamente come avrebbero fatto mia madre o mio
padre se fossero stati lì. Esattamente come avrebbe fatto
qualsiasi genitore al mondo.
Eccola la bomba. La sentivo sempre più prossima alla detonazione. Nascosi la testa tra le braccia, conserte sul piano.
Avevo 24 anni. Solo 24 anni. I miei
amici erano chiusi nei pub tutta la notte a sbronzarsi e troppo
impegnati a passare da un letto ad un altro per pensare a cosa fare da
grandi. Io invece dovevo pensare ad un matrimonio in crisi, un figlio
in arrivo, una famiglia sgangherata da rattoppare ed una carriera che
correva veloce come un treno.
Se loro al mattino si fossero
svegliati col mal di testa, sarebbe stato per il gomito troppo alzato
per la sera precedente. Per me era una sola la ragione:
esaurimento nervoso.
“Io credo che tu non debba
preoccuparti …” mi disse mia suocera “ o meglio: io
non mi fascerei la testa prima di essermela rotta. Aspetta di
rivederla, poi giudicherai. D’altronde, mi hai detto che sembrava
entusiasta di partire.”
“Sì” risposi
“così mi è parso … però Jules io non
ci capisco più nulla. Come faccio ad essere un capo famiglia
responsabile”
Jules rise: “Credimi Rob, dopo
25 anni di matrimonio scopro ancora nuovi lati di mio marito, ogni
giorno … non stare lì a tormentarti. Vedrai che
verrà tutto da sé. E se dovesse mai andare storto
qualcosa, imparerai dai tuoi errori”
Io non la capivo, non volevo capirla.
Le stavo dicendo che forse sua figlia mi avrebbe lasciato e lei
rimaneva calma e tranquilla, come se le avessi detto che avevo bruciato
una camicia stirandola.
“E cosa posso imparare da un divorzio? Io amo Kristen e non voglio lasciarla!!!”
La vidi nettamente spazientirsi a
quel mio ultimo sfogo e, energica come sempre, mi si avvicinò
puntandomi il suo indice contro. Ecco di nuovo Kristen di fronte a me.
“Stammi bene a sentire Robert.
Non voglio sentirti parlare ancora da potenziale suicida. Hai
vent’anni dovresti avere voglia di vivere, spirito di iniziativa
… non c’è proprio bisogno di deprimersi!!!”
D’improvviso un sorriso, seppur malinconico si aprì sul
suo volto. La ferita non si era del tutto richiusa, ed ancora non
riuscivo a capacitarmi come avesse potuto restare al fianco di suo
marito in quei primissimi giorni “Perché credi che Kristen
ha deciso di sistemare le cose? Anzi, per chi? … se non lo sai
te lo dico io: per te.”
P.O.V. Kristen
Mettere piede ad LAX mi fece uno strano effetto. Durante i tour promozionali della saga era praticamente la mia seconda casa.
Stavolta invece era come trovarsi alla dogana, dove hai sempre il terrore inconscio di non avere tutte le carte in regola.
Rob mi stava aspettando ed io non
vedevo l’ora di stringermi a lui, potergli finalmente dire ti amo
e leggere nei suoi occhi tutta la felicità del mondo.
Quando mi aveva detto che sarebbe
venuto personalmente a prendermi non avevo opposto alcuna resistenza.
Sapevo che probabilmente saremmo stati accolti da una pioggia di flash
all’uscita, ma dovevo farmi perdonare.
Quando l’avevo zittito al
telefono avevo dal primo momento avvertito di averlo demoralizzato.
Oltretutto affrontare l’orda di macchinette fotografiche sarebbe
stata una passeggiata in confronto a ciò che mi aspettava.
Racimolai i miei bagagli e mi
diressi verso l’uscita, inforcando gli occhiali da sole per
proteggere la mia identità, per quanto possibile ancora.
Frequentare gli aeroporti era come
andare in bicicletta, una volta che hai imparato non lo scordi.
Perciò districarmi tra turisti e uomini d’affari non mi
rubò molto tempo e raggiunsi in fretta la caffetteria dove
c’eravamo dati appuntamento; di solito ci nascondevamo lì in
attesa di imbarcarci. Certamente l’impazienza di rivederlo mi
aveva dato una mano.
Passai in rivista un po’ di gente finché non lo scovai.
Era così alto, ma soprattutto così bello, che era davvero impossibile per lui mimetizzarsi.
Mi presi un attimo in disparte per
calmare il cuore che scalpitava e per riprendere un respiro
decentemente regolare. La mia piccola statura, ed il fatto che lui
fosse intento a guardare una vetrina, mi consentirono di nascondermi ai
suoi occhi.
Quando avevo immaginato il nostro
incontro, durante il viaggio, non avevo minimamente ipotizzato di
trovarmi davanti agli occhi la versione in carne ed possa di una statua
greca. La mia memoria non gli aveva reso giustizia- Era vestito
… chissà se lo aveva fatto apposta … nel modo in
cui più mi faceva impazzire: jeans, t-shirt e felpa col
cappuccio tirato su, sopra l’immancabile cappellino da baseball.
L’espressione assorta e il filo
di barba appena accennata mi fecero ricordare per quale motivo lo
trovavo l’uomo più sexy del pianeta … io ed il
resto del mondo la pensavamo alla stessa maniera, probabilmente.
Mi provocò un leggerissimo
infarto. Si tolse gli occhiali da sole e portò, riflessivo, una delle
stanghette in bocca: inutile dire che avrei voluto essere io al posto
di quegli occhiali.
Non potevo più aspettare. Mi
avvicinai, approfittando della sua distrazione, e sperando
nell’effetto sorpresa. Evidentemente era troppo sovrappensiero e
non mi notò arrivare. Era così bello averlo così
vicino e dovetti sforzarmi per non saltargli addosso, né per non
scoppiargli a ridere in faccia, visto che non si era accorto di avere
la sua panciona accanto.
Intrecciai la mia mano nella sua.
Inevitabilmente sussultò all’istante per quel contatto,
voltandosi verso di me. Il suo splendido volto si illuminò.
“Rob!” sospirai, inebriandomi di lui.
Il suo sorriso esplose.
L'angolo dell'autrice
lo so sono in ritardissimo, ma è stato difficile scrivere questo
capitolo, e questa cosa che ho scritto neanche mi viene voglia di
chiamarla tale...
spero vi sia piaciuto. l'ho intitolato attese, sia perché
entrambe i ragazzi aspettano di incontrarsi, sia per le attese, le
aspettative che robert ha. quando io scrivo, ritengo di non essere del tutto io la fautrice della storia, ma i miei personaggi
vivono, e rob mi ha rotto parecchio le scatole in questi giorni. lui
non si poteva capacitare del comportamento di kristen. per me lui
è un tipo molto cerebrale e per questo ho optato per tutti
questi dubbi. spero di non essere stata troppo pesante.
mi sono inoltre sentita in dovere di spiegare alcune cose che avevo
tralasciato, come le opinioni dei fratelli di kristen ed anche
riscattare Cameron che, nei capitoli iniziali, era venuto fuori come un ubriacone ed un menefreghista.
non ho tempo di rispondere alle vostre recensioni.vi ringrazio ma spero
che il calo delle recensioni sia solo dovuto all'inizio delle vacanze e
non ad un calo di interesse.
comunque voglio rassicurarvi, scrivere questo capitolo mi ha riaperto la
mente e, non appena li avrò corretti e trascritti sul pc,
avrò altri due capitoli da pubblicare nelle prossime 2 settimane.
ci sentiamo presto,
Federica
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Capitolo 18 *** Beyond the ocean beach ***
The best day - capitolo 18
Eccomi,
puntuale, proprio a distanza di una settimana come vi avevo promesso,
col nuovo capitolo della mia storia. Finalmente il capitolo che tutte
quante stavate aspettando è arrivato, questa volta senza scherzi
o interruzioni sul più bello. Perciò non vi rubo altro
tempo, visto che sono convinta che tanto la maggior parte di voi
avrà di sicuro saltato questa mia introduzione per correre a
leggere il capitolo.
Quindi, non mi resta che augurarvi buona lettura, e ricordarvi
dell'angolo dell'autrice, finalmente pieno, come si deve, di
informazioni e delle risposte alle recensioni.
Capitolo 18
BEYOND THE OCEAN BEACH
P.O.V. Robert
Non riuscivo a stare fermo. Arrivai in aeroporto con mezz’ora
d’anticipo rispetto all’orario previsto per
l’atterraggio del volo e passai in rivista tutte le vetrine dei
negozi. Praticamente li conoscevo a memoria ormai.
Quando ero io a viaggiare, per lavoro, non avevo mai il tempo per
vivere quel posto concretamente, considerandolo sempre come un punto di
passaggio, l’ultima terra di nessuno prima di entrare davvero gli
Stati Uniti, o lasciarli.
L’unico posto vagamente familiare era la caffetteria. Capitava a
volte di fermarsi lì prima di andare a prendere il volo. Niente
di particolare, ma Kris adorava letteralmente le ciambelle di quel
locale. Diceva sempre che, quando tornava a casa, non c’era un
benvenuto migliore, assieme ad un tazzone di caffè. Le presi
solo la ciambella, tralasciando quel concentrato di caffeina,
poco salutare per lei, e feci di nuovo avanti e indietro per le
vetrine.
Tutti lì avevano fretta. Anzi, tutti ne avevamo: chi di
partire, chi di tornare a casa, chi come me di rivedere i propri cari;
ovviamente, non vedevo l’ora di riprendere con me le mie gioie,
mia moglie ed il mio bambino, di stringerli tra le braccia ed affondare
il viso nell’incavo del SUO collo.
Per un istante notai un tizio:
era difficile togliergli lo sguardo di dosso, perché era
alquanto comico; teso come una corda di violino, si era fermato davanti
ad una vetrina e sistemava e sistemava come meglio poteva i vestiti ed
i capelli senza sosta, tentando di rendersi il più presentabile
possibile. Tra le mani aveva un bouquet discreto, ma ben agghindato.
Anche lui probabilmente era lì per la mia stessa ragione. Mi
voltai anch’io per un attimo verso il vetro della vetrina che
avevo più vicina e cercai di scorgervi il mio riflesso.
Erano le 18 e 30 del pomeriggio, e la mia immagine riflessa non era poi
così diversa da quella che nello specchio del bagno quella
stessa mattina. L’ansia, le preoccupazioni ed il nuovo progetto
cinematografico mi avevano fatto accumulare un bel po’ di ore di
sonno in arretrato. Non osavo immaginare come sarei stato quando fossi
passati alla produzione concreta del film.
Fisicamente ero il solito sciattone: pantaloni presi alla rinfusa
dall’armadio ed abbinati con la prima maglietta che sbucava,
sgualcita, dal cassetto. A me non era mai importato di apparire
all’ultima moda, di rappresentare un modello per qualcuno
… ad dir la verità, per via del mio status, spero proprio di
essere il meno appariscente possibile … così come nemmeno
Kristen faceva caso a queste formalità, ma per una volta avrei
tanto voluto essere un po’ più presentabile.
Era un’occasione speciale quella.
Tra le mani non avevo niente fiori, né pacchetti regalo.
Però su quel fronte avrei sempre fatto in tempo a rimediare.
Il caso volle che mi specchiai proprio davanti alla vetrina di una
gioielleria. Passai un po’ lo sguardo i vari ripiani, ma tutto
era troppo vistoso per lei: d’altronde, come poteva esserci
qualcosa che potesse essere degno di lei, se lei era la vera stella.
Oltretutto non era nemmeno un’amante dei gioielli. Non ne
indossava mai, a meno che non significassero qualcosa di davvero
importante per lei.
Ricordo benissimo che, per trovare il perfetto anello di fidanzamento,
dovetti girare tutte le migliori gioiellerie di Londra. Non c’era
niente che sembrasse alla sua altezza. Finché poi non lo vidi in
una modesta boutique del paesino dei miei nonni, dimenticata da Dio, e
che sopravviveva solo grazie alle riparazioni dei vecchi preziosi. Quel
piccolissimo diamantino incastonato alla vera d’oro bianco mi
colpì per la sua lucentezza. Pensai al mio scricciolo, a quanto,
per quanto piccola ed indifesa, avesse un’anima immensa ed un
cuore grande, e quanto splendesse di luce propria. Era perfetto per lei.
Perso nei ricordi non badai agli annunci di atterraggio provenienti
dall’altoparlante ed udii vagamente qualcuno che mi chiamava in
lontananza. Sperai con tutto il cuore che non si trattasse dei soliti
fan, perché l’ultima cosa che volevo era un pubblico
astante all’incontro con Kirsten.
Qualcosa, o meglio qualcuno, mi afferrò il braccio destro. Il
suo tocco fu delicato, quasi temesse di spaventarmi, o semplicemente
volesse fare silenzio anche con i gesti.
Non bastò tuttavia quella premura, perché quel tocco mi
fece saltare come una molla, esattamente come quando si è colti
da una scossa.
Mi voltai, un po’ urtato, un po’ incuriosito, verso la fonte di quell’elettricità.
O.Mio.Dio.
La mente si era svuotata di tutto. Non c’era più spazio
per nessun rancore, nessuna rabbia, niente. Era passato tutto.
C’era solo un grande senso di pace.
Ecco il mio sole, finalmente sorgeva; eccola la mia aurora.
Solo avendola davanti potei avere la percezione
esatta di quanto fosse grande il vuoto che in poco più di sette
giorni aveva creato. Solo allora capii quanto mi era mancata.
Mi accorsi di quanto potevo apparire ebete ai suoi occhi quando riuscii
a pronunciare solo un “Hei!” stentato e sottovoce per
rispondere al suo saluto.
“Hei!” rispose lei, divertita. La vedevo serena. Forse mi ero preoccupato per nulla.
Certo era stanca, si vedeva: dodici ore di volo non sono una
passeggiata per nessuno, figurarsi per lei. Eppure era raggiante. Molto
più rotonda di quando la ricordassi, ma quelle rotondità
in più non facevano che renderla più bella; era
dolcissima, me la sarei mangiata di baci seduta stante.
Ma dovevo essere cauto con lei. Dovevo fare attenzione e non
dimenticare delle due telefonate che ci eravamo scambiati ed del misero
sms che mi aveva inviato per annunciarmi che stava per partire. Non
potevo sbagliare di nuovo: per lei, per il nostro bambino … ma
soprattutto per me.
“Cosa stavi facendo?” mi chiese. Dovevo essermi estraniato
abbastanza dalla realtà mentre guardavo la vetrina, e dovevo
averci passato davanti un bel po’ di tempo senza accorgermene,
senza accorgermi di lei.
“A dir la verità” confessai, con un po’ di
titubanza “ stavo cercando qualcosa per te … non mi andava
di presentarmi a mani vuote ... ma non sapevo decidermi e così
mi hai beccato in flagrante” mi uscì una risata nervosa,
che le fece storcere il naso. Era deliziosa quando si comportava da
micina.
“Vabbe’” fece spallucce “tanto lo sai che non
mi piacciono i gioielli” mi disse. Sì, lo sapevo bene, ed
ero stato uno stupido a pensare ad un regalo per genere. Come se lei
fosse una di quelle dive tutte votate alla moda. “E poi”
continuò lei “ non sei a mani vuote” mi fece notare
con un rapido cenno del capo, indicando il sacchettino di Starbucks.
“Ma questa” sorrisi imbarazzato “ è solo una ciambella”
Me la strappo letteralmente dalle mani e prese a divorarla, senza
dimenticare però di apprezzarne il sapore “Mmm …
questo è come oro colato per una donna in stato interezzante.
Non potevi farmi regalo più gradito, fidati”
Ridemmo entrambi, anche perché lo zucchero a velo le aveva
imbrattato tutta la t-shirt nera, oltre al musetto. Era una delle mie
maglie, troppo grandi per lei, ma pregne, a suo dire, del mio odore a
sufficienza, e quindi le aveva confiscate per tenermi, in qualche
modo, sempre con sé. Prima le annodava sempre in vita, ora ne
aveva più bisogno: il pancione le riempiva a sufficienza.
Non sapevo che fare: volevo abbracciarla, farle sentire tutto il calore
e l’amore che avevo dentro, ma temevo la sua reazione, la
reazione di quegli ormoni pazzi che a ruota libera circolavano
indisturbati nel suo organismo come mine vaganti. Come avrebbe reagito se avesse ritenuto
inopportuno anche il mio più impercettibile spostamento?
Mia suocera mi aveva detto che è dagli errori che si impara: ma
commetterne significava comunque agire. Quindi dovevo rischiare:
d’altronde nessuno si aspetta che a vent’anni io possa fare
le scelte giuste a primo colpo. Avevo chiesto a Kristen proprio di
maturare, ma questo ci aveva portato alla deriva e mi ero reso conto
che nemmeno io ero tanto diverso da lei.
Avrei agito, avrei rischiato. Ma non me ne sarei potuto pentire, al di là del risultato: ci avrei provato, almeno.
“Kris …” la bloccai leggermente per il braccio
mentre andava a sedersi su una panchina. Lei si voltò, quasi
preoccupata “… sei bellissima”. Ero senza parole,
perché era davvero stupenda. Mi ero tenuto quel pensiero dentro
fino a quel momento; la maternità l’aveva resa raggiante.
E mi fece impazzire ancora di più quando quel complimento la
fece arrossire. Questo mi fece capire che potevo osare qualcosa di
più.
Non ci pensai due volte e azzardai di nuovo. La strinsi a me,
più forte che potevo senza farle male; il più vicino
possibile, stando attento al bambino. Doveva sentire il mio cuore, il
suo martellare incessante, che era tutto suo.
Con mia infinita gioia non si oppose. Anzi, rincarò la dose,
stringendomi forte in vita anche lei, e allacciando le proprie mani
dietro la mia schiena. Era come se non volesse più staccarsi da
me, come se volesse stare lì per sempre, stretti in quel modo.
Fosse stato per me l’avrei accontentata. Niente tempo, né spazio. Solo noi, nel nostro universo parallelo.
Le presi il volto tra le mani e le baciai la fronte. Delicatamente, ma
con decisione. Avevo ormai capito, dopo il suo abbraccio, che la sua
freddezza non era stata mai una questione di sentimenti, ma di tempi.
Ed i suoi volevo rispettarli. Ci eravamo persi di vista per più
di una settimana, senza parlarci e pensando le cose più brutte e
tristi l’uno dell’altra; ora dovevamo ricomporre la nostra
bolla, ma con calma. Era una bolla parecchio grande, messa su con
fatica, centimetro dopo centimetro, con sacrifici, lacrime; non si
ripara in un baleno. Aveva ragione, come sempre aveva ragione.
Era già un grande passo che non avesse respinto il mio
abbraccio, dunque saremmo andati avanti per gradi ed ogni volta lei
avrebbe aggiunto un qualcosa in più.
A quel punto le sue mani corsero avidamente ai miei capelli ...
mi chiedevo quando lo avrebbe fatto … abbattendo l'ostacolo del cappuccio e del cappello, ma si fermò,
sconcertata, quasi subito. Risi perché sapevo quale fosse la
ragione del suo stupore.
“Mio Dio Robert!” esclamò, enfatizzando la frase e
cercando di urlare, seppur sottovoce “Ma cosa hai fatto ai tuoi
splendidi capelli?”
“Li ho dovuti tagliare … come da copione” risposi “te ne avevo già parlato, ricordi?”
“Sì, ma non pensavo così … tanto!” la sua fu
un’espressione afflitta, quasi mi avessero sfregiato il viso
permanentemente. Non mi rimase che sorridere: non sapevo fare altro
quel pomeriggio.
“Andiamo” le dissi, ancora ridendo, prendendola per mano e la trascinai verso l’uscita.
P.O.V. Kristen
Era andata meglio di quanto sperassi, Senza grandi gesti o parole teatrali avevamo ricostruito la nostra bolla privata.
Avevamo scherzato sul suo nuovo, orribile, taglio di capelli e
bisticciato su chi avesse dovuto guidare l’auto, conoscendo le sue
scarse qualità di pilota.
“In Inghilterra te lo concedo, perché la guida è a destra, e non ne sono capace, ma qui guido io!”
“Non se ne parla nemmeno, sei stanca e non voglio finire in una scarpata per un colpo di sonno!”
Aveva ragione, ero stanca. Avevo il collo indolenzito e le gambe
gonfie. Ma non volevo dargliela vinta: al volante ero più
affidabile io, anche se assonnata, che lui.
“E poi non credere" ribetté "ho fatto pratica in questi giorni!”
Lo ammonii con una linguaccia e mi rassegnai a salire in auto sul sedile del passeggero, alzando gli occhi al cielo.
Era strano vederlo sicuro, disinvolto, al volante di quella
station-wagon immensa della Cadillac, grigia metallizzata. Certamente
l’elettronica piazzata sull’auto avrebbero reso anche un
neopatentato un pilota provetto.
“Ad essere sinceri” esordì “ho avuto
modo di riesumare la mia vecchia BMW dal garage di Nick. La sto facendo
rimettere a nuovo dopo l'inconveniente dell'anno scorso" ... una macchina che prende fuoco nel bel mezzo della strada lui me lo chiama inconveniete … "ma nel frattempo ho preso questa; non è
male, e poi è formato famiglia, proprio quello che ci
serve”
Stetti ad ascoltarlo e mi persi mentre lo guardavo; vidi me stessa
assieme a lui su quell’auto: eravamo il ritratto della tipica
famiglia americana. Per un attimo mi si strinse il cuore perché
di lì a poco un seggiolone avrebbe fatto capolino dallo
specchietto retrovisore, e pensai a quanto eravamo cambiati in meno di
5 mesi.
Gli sorrisi. “Beh … avrei preferito qualcosa di più
piccolo per andare in giro, ma tanto c’è sempre la mia
Mini in garage, vero? O l’hai impegnata per far aggiustare quel
ferro vecchio?” Sapevo che non si sarebbe mai arrabbiato,
perché non era un appassionato di automobili e per lui una
valeva l’altra. Quella BMW forse aveva un qualcosa in più, un
legame col passato, quando era un signor nessuno, e tentava di sfondare
ad Hollywood.
Reclinai la poltroncina e osservai il panorama che scorreva ai nostri
lati, per poco non mi addormentai, mentre le colline assolate della
California da un lato e l’oceano Pacifico dall’altro mi
riaccoglievano tra di loro, cullata dalla playlist che suonava
nell’impianto. Sapevo che non avrei rivisto per un bel pezzo una
goccia di pioggia, né la foschia leggera del primo mattino,
né avrei avuto bisogno di coprirmi per uscire, perché era
già praticamente estate a Los Angeles: non avrei sentito la
mancanza del meteo inglese per un bel po’.
Mi riscossi dal torpore quando, distrattamente, notai un cartellone stradale.
“Fermo fermo fermo!!!” urlai
“Che c’è?” chiese
“Io lo sapevo che stava andando tutto troppo liscio, non dovevo lasciarti guidare!”
“Stai calma, si può sapere che c’è?”
A volte mi domandavo se fosse davvero così stupido, stentavo a trovare una spiegazione logica al suo modo di essere.
“No che non sto calma … per andare a casa, a STONE CANYON LAKE,
bisogna prendere direzione nord e tu stai andando a SUD!!!” mi
agitai. Ero indebolita dal viaggio, ed il jet lag puntualmente mi
aveva rintronata, ed ogni miglio che ci allontanavamo da casa mi sentivo
più spossata e con i nervi a fior di pelle. Solo a pensare al
tempo che avremmo impiegato per tornare indietro mi saliva la febbre.
Mi guardò serenamente, capendo finalmente il perché della
mia ansia e a me balenò in mente che forse aveva sbagliato di
proposito.
“Ma non stiamo andando a casa …” appunto
“… lasciami fare e rilassati, c’è ancora un
po’ un’altra mezz’ora di strada da fare se non ci si
mette il traffico a bloccarci”
Non sapevo dove stavamo andando, ora ero agitata anche per quello, ma
la stanchezza aveva preso il sopravvento e sprofondai nel mondo dei
sogni mentre anche il sole andava lentamente a tuffarsi in mare,
tingendo l’orizzonte di un arancione vellutato e diffuso.
“Kris, tesoro sveglia ... Kris” la dolce voce di Rob che mi
richiamava e mi invitava a svegliarmi fu una sorpresa. Ero ancora in
uno stato confusionale e non avevo ancora realizzato definitivamente
che ero con lui a Los Angeles. Ora che rimettevo in ordine i pezzi del
puzzle non sapevo bene dove mi trovassi. Mi ero fatta convincere dalla
sua voce calda ad appisolarmi in auto mentre mi portava chissà
dove a sud di Los Angeles. Eravamo sotto un porticato elegante, stile
coloniale, e dei ragazzi in divisa andavano avanti e indietro con le
nostre valigie. C’era poco da immaginare, eravamo in un hotel;
anche piuttosto lussuoso, a giudicare dall’ambiente.
“Dove mi hai portato?” gli chiesi, sorreggendomi a lui mentre lasciavo l’abitacolo dell’auto.
“Laguna Beach. Ho pensato che non abbiamo passato insieme il mio
compleanno come si deve” disse facendosi scuro in volto, girando
lo sguardo dall’altra parte per evitare di incrociarlo col mio.
Effettivamente quel 13 di maggio avevamo festeggiato a pranzo con la
sua famiglia, e gli amici, ma la sera, invece di festeggiare da soli,
ci era venuta la brillante idea di metterci a litigare; e poi si sa
com’è andata a finire.
Mentre entravamo nella ampia e raffinatissima hall mi sembrò di
avere un déjà-vu, come se ci fossi già stata. Poi,
muovendomi tra le varie sale, ricollegai a cosa era dovuta la
familiarità di quel luogo: era il Carlton-Ritz Hotel di Laguna,
c’ero stata tante volte tra matrimoni e feste delle mie amiche
più chic. Mai avrei pensato però di passarvi una seconda
luna di miele con mio marito. Perché quello era quel soggiorno:
me ne accorsi mettendo piede in stanza. Una suite che avrebbe
comodamente ospitato una famiglia di quattro persone, con un salotto ed
un piccolo giardino privato che si affacciava direttamente
sull’oceano, vista la posizione strategica dell’albergo,
abbarbicato su di un promontorio, a picco sul mare.
Festeggiavamo il suo compleanno, ma il regalo lo aveva fatto a me.
Mentre Rob dava non so quali disposizioni al personale e distribuiva
laute mance affinché potessimo rimanere il più
indisturbati possibile, io corsi a godermi il panorama, cercando di non
sprecare nemmeno un minuto della nostra permanenza in quel paradiso.
D’un tratto sentii avvolgermi alle spalle. Mi erano mancate le
sue attenzioni, il calore che riusciva a trasmettermi anche con il
più piccolo gesto.
“Per quanto staremo qui?” gli chiesi, conscia che non saremmo rimasti in eterno
“Tutto il tempo che vorrai …” mi rispose,
accarezzandomi i capelli, e lasciando dei piccoli baci sulle tempie.
Sapevo che non sarebbe stato così, che probabilmente il giorno
dopo saremmo già ripartiti, ma al momento era proprio quello che
volevo sentirmi dire, e lasciai fare. Non dovevano esserci pensieri,
affari; solo noi ed il tramonto sull’oceano.
Vedevo che faceva fatica, che cercava di trattenersi da un contatto
più profondo con me. Come biasimarlo? Non mi ero comportata
certo in maniera corretta con lui, e non avevo chiarito ancora,
davvero,la situazione. Mi ero illusa di aver ripristinato la nostra
bolla privata, ma non l’avevo fatto davvero. Mi ero lasciata un
po’ di tempo per parlargli realmente, per dedicargli un po’
di romanticismo. Non volevo essere banale, dichiarandomi in aeroporto.
Avrei lasciato che fossimo in casa, da soli, ma mi aveva portato su una
nuvola, nel posto perfetto, non c’era più bisogno di
aspettare.
Mi voltai verso di lui e gli sorrisi.
“Dammi cinque minuti per rinfrescarmi un po’ e tu cambiati.
Andiamo in spiaggia …” lo trascinai dentro entusiasta per
la mia stessa idea. Lui rimase un attimo interdetto, frastornato dalla
mia verve, così improvvisa, quando sembrava che sarei crollata,
da un momento all’altro, tra le sue braccia, per il sonno.
Mandai mille benedizioni a nonna Beth che mi fece mettere in valigia
praticamente tutto l’armadio, probabilmente già informata
da suo nipote sul programmino che mi attendeva. Indossai un caftano
bianco di lino, abbastanza ampio da non costringere eccessivamente le
mie forme lievitate, sopra al costume da bagno a due pezzi, stupendomi
che riuscissi ancora ad infilarlo ma, ancor di più, che dovetti
usare l’ultimo gancetto per fermare il reggiseno. Sorrisi
maliziosa, pensando che quel particolare mi avrebbe aiutato nella notte
…
Cercai di non svenire quando, uscendo dal bagno, trovai Robert in
tenuta da mare: infradito, bermuda beige e camicia bianca.
Probabilmente non mi sarei mai abituata allo splendore di quel corpo e
alla noncuranza con cui mio marito lo trascinava in giro. Il primo
impatto sarebbe rimasto per sempre dannoso per la mia salute.
Avevamo cercato, mentre scendevamo in spiaggia, di mantenere un basso
profilo, attirando l’attenzione su di noi il meno possibile.
Timore assolutamente infondato, visto che nessuno sembrava interessato
ad una coppietta in villeggiatura. D’altronde ciascuno dei
clienti dell’hotel, estratto conto alla mano, avrebbe avuto i
suoi buoni motivi per reclamare l’attenzione su di sé.
Nonostante fossero quasi le otto di sera e il sole fosse ormai
scomparso all’orizzonte, in cielo fluttuavano ancora dei
riverberi vermigli a bande, mentre le nuvole scorrevano lente nel
cielo, specchio di ciò che accadeva nel mare sotto di loro,
allontanandosi verso ovest, lasciando spazio dietro di loro per una notte
trapunta di stelle. Eravamo a maggio, eppure la California era
già abbastanza calda da far apprezzare i benefici del mare. Non
era certo il tempo per un bagno, ma i piedi potevano tollerare, scalzi,
il refrigerio dei piccoli fiotti d’acqua che si stendevano lungo
la battigia.
Mano nella mano passeggiavamo lenti e muti lungo la spiaggia deserta,
aspettando che qualche gabbiano in lontananza riempisse col suo verso
quel silenzio. Stavamo bene cos’, anche senza parole, tutto era
più facile per entrambi, ma non doveva andare così.
Ancora con la mano intrecciata alla sua mi misi davanti a lui, con lo
sguardo alto a cercare i suoi occhi. Inutile dire quanto fossero belli,
mentre riflettevano gli ultimi sprazzi del tramonto.
“Ho bisogno di parlarti” non volli usare mezzi termini,
lunghi giri di parole, che avrebbero allungato l’agonia di
entrambi.
“Dimmi” disse a voce strozzata, mentre sbiancava, preoccupato davanti a me.
Era sempre così Rob, tendeva a preoccuparsi troppo, ed
inutilmente; faceva drammi e si poneva un sacco di complessi per ogni
minima, piccola cosa. Ed anche per questo lo amo da morire.
Volli rassicurarlo, così gli presi anche l’altra mano e le strinsi tutt’e due forte.
“E meno male che avevi paura di esserti presentato a mani vuote
oggi in aeroporto!” scherzai pensando a quel pomeriggio. Rise
assieme a me, stemperando gli animi.
“È che” mi confessò “ho paura di non
fare mai abbastanza per te. Soprattutto dopo il casino che ho combinato
…” quando tentava di fare il colpevole assumeva sempre una
faccia da cucciolotto indifeso, ed era davvero dolce, che puntualmente
tutta la serietà e l’impegno che mettevo nelle
conversazioni, si andavano sempre a far benedire. Era il suo modo di
ammaliare le persone; magari nemmeno lo faceva apposta, ma ci riusciva
benissimo.
“Innanzi tutto i casini si fanno in due” dissi “e poi
se tutto quello che hai fatto oggi ti sembra poco … a me bastava
che avessi con te il tuo cuore …”.
Detta da me suonava davvero strana una frase melliflua come quella, ma
lui non dovette farci caso, perché con una serietà pari a
quella che mi sforzai di assumere, rispose: “… il mio
cuore è dove sei tu. Su questo non puoi sbagliare …”
Mi alzai in punta di piedi, dimenticando quanto fossero appesantiti i
miei polpacci quella sera, e scontrai la mia fronte con la sua,
immergendo i miei occhi nei suoi.
Finalmente gli sussurrai: “Ti amo”.
Non ci fu risposta migliore che potesse darmi, e che attendessi, se non un suo bacio.
Dapprima fu irruento, appassionato, pieno di una foga che solo giorni e
giorni di lontananza potevano aver accumulato. Pian piano la passione
fu costretta a cedere il passo alla dolcezza, ad un lento riscoprirsi
reciproco, delle nostre mani tra i capelli, le lingue che si sfioravano
e si rincorrevano giocose ed impertinenti.
Nei pochi e brevi istanti in cui le nostre labbra si slegavano, lui
pronunciava il mio nome, intervallandolo con dei ti amo sussurrati,
rendendolo la più dolce canzone d’amore.
Angolo dell'autrice
Eccomi
qui, per spiegare qualche piccolo dettaglio di questo capitolo. Non ho
voluto una riappacificazione plateale, con grandi discorsi o
dichiarazioni di amore eterno. Non è in kristen e robert
comportarsi così. se ben ricordate Canto di Natale, durante la
proposta di matrimonio, loro sono consapevoli che nel matrimonio non
tutto è rose e fiori, e che potrebbe non essere l'unica volta in
cui capiterà di litigare. Lo sanno, come sanno anche di amarsi e
questo va al di là di tutto quanto accade.
Quando Kristen parla della loro casa ho ipotizzato che abitassero in
quel "quartiere" di Los Angeles chiamato appunto Ston Canyon Lake,
perché tempo fa erano uscite delle foto a riguardo del loro nido
d'amore, ed era su un lago vicino los angeles. Ho semplicemente tentato
di fare due più due.
La parte al mare mi venuta in mente pensando ad un gossip che era
venuto fuori pochi giorni dopo il compleanno di Rob quest'anno, secondo
cui i piccioncini sono stati davvero in quell'albergo, che è
questo QUI.
Spero sia stato di vostro gradimento e vi aspetto sabato prossimo o anche prima, per il prossimo capitolo.
Per qualsiasi altra domanda o curiosità abbiate non esitate a
chiedere tramite le recensioni o contattandomi direttamente.
Dopo
aver disertato la risposta alle recensioni per ben due capitoli,
stavolta mi faccio perdonare, sperando che voi siate magnanimi con me e
risponderete con altrettanta solerzia...mamma che
paroloni!!!!ahahahah!!!
@prudence_78: sono contenta che
ti sia piaciuto. avevo un po' di paura per la parte a P.O.V. Kristen
perché è più "leggera" rispetto a quella di Rob. e
sì, effettivamente rob sembra uno che si fa molti problemi per
niente, figuriamoci per una storia come questa.
@La Francy: purtroppo non mi
aspetto che tu dica di Rob che è favoloso, ma almeno piano piano
lo stai iniziando ad apprezzare. Grazie per la recensione...dovresti
farlo più spesso, amore mio!!!
@Enris: effettivamente mi sento
abbastanza maturata come scrittrice, da esplorare con più
decisione i sentimenti e le emozioni dei personaggi, anche con
descrizioni. lo avrai notato nei precedenti capitoli quanto siano
sempre più lunghi. non sono sicura che i risultati siano
d'effetto, ma io intanto ci provo. Per lo sconforto di Rob: non mi era
sembrato giusto accolare tutta la depressione su Kristen, farla passare
per la povera pazza in preda agli ormoni della gravidanza. mi sono
detta: per rob nemmeno dev'essere stata una passeggiata...e poi come ho
già detto sono i personaggi che prendono vita in me, sono loro a
muovere i fili.io riporto solo quello che loro vivono e sperimentano.
@BabyVery: ti arrabbi se ti
dico che il capitolo doveva continuare? ma mi sembrava troppo lungo e
pesante... così ho optato per il finale sospeso, così vi
obbligo a rimanere in attesa...muahahahah!!! lo so sono perfida!!!
Avevo bisogno di reintrodurre la famiglia di kristen, mi sembrava
mancasse qualcosa. soprattutto perché il silenzio degli altri
membri della famiglia era rimasto inesplicato.Jules è
dall'inizio della storia l'unica persona della famiglia Stewart con cui
robert ha un certo feeling. e poi dovevo far riscattare Cameron:
l'avevo fatto sembrare solo un ubriacone nei primi capitoli della
storia.
@sidney90: mi dispiace come ho già detto a Baby non potevo farlo troppo lungo, diventa anche per voi difficile da leggere...
Grazie per la pazienza accordatami fin qui! à bientot!!!
Federica
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Capitolo 19 *** Clair de lune ***
The best day - capitolo 19
Eccomi
qui, puntuale, anzi, con ben due giorni di anticipo, a postare il nuovo
capitolo della storia. Vi chiedo d'ora in avanti di avere un po' di
pazienza perché inizia una nuova fase della storia e non so
quanto tempo impiegherò a scriverla. spero di fare presto, ma
potrei anche postare il nuovo capitolo più tardi di quanto
vorrei. Non vi do una data, un appuntamento a cui risentirci, ma non
abbandono la storia, anzi. Vi chiedo solo di aspettare pazientemente, e
di affacciarvi ogni tanto per vedere se ho aggiornato.
Non so se ve ne siete accorti comunque ho alzato il rating della storia
dal verde a giallo. Avevo detto mentre scrivevo Canto di Natale che non
sarei mai stata esplicita, ma a questo punto qualcosa in più ci
voleva. Nell'angolo dell'autrice ne parlerò più
approfonditamente.
Vi lascio alla lettura.
Recensite!!!
Capitolo 19
CLAIR DE LUNE - P.O.V. Kristen
Riprendere a respirare in maniera regolare non fu per niente facile. Il
caldo si faceva sentire e poi Robert aveva fatto davvero gli
straordinari … forse stare lontani non era poi una cosa
così negativa, se portava quegli effetti benefici alla nostra
intimità.
Il leggero ronzio del condizionatore
non disturbava lo sciabordare delle flutti che si infrangevano lungo la
scogliera in quella notte adamantina. La luna, cortesemente, si
insinuava tra le tende e, con il suo pallido bagliore, argentava la
stanza.
Rob stava allungato a pancia in
giù accanto a me, le nostre mani intrecciate a ricordare la
nostra rinnovata unione, apparentemente addormentato. Mi girai su un
fianco e mi misi ad osservarlo. Era difficile rimanere indifferenti
alla sua bellezza, specialmente se non c’era neanche un
centimetro di stoffa a coprirlo.
Il suo volto era rilassato, le sue
bellissime e sensuali labbra assorte in un sorriso misto tra
felicità e beatitudine: non potei fare a meno di fantasticare
sui sogni che lo stavano rapendo a me in quel momento.
La sua fronte era leggermente
imperlata di sudore, nonostante la stanza fosse rinfrescata
dall’aria condizionata. Mi accorsi solo allora, guardandolo, che anche
io ero coperta da una sottile patina di sudore, quasi certamente di
origine comune: sorrisi al ricorso di quanto accaduto nemmeno
mezz’ora prima. Probabilmente ero anche arrossita perché
mi sentii avvampare le guance ed il cuore prese a battere forte.
Mi appoggiai con la testa sul palmo
della mano, il gomito puntato sul materasso: soffiai leggermente sul
suo viso, per asciugare tutte le goccioline che gli rigavano la fronte.
Quasi all’istante, per via del
leggero solletico che gli avevo provocato, il suo sorriso divenne una
risata furba. In tutto quel tempo mi aveva imbrogliata … allora
mi fiondai su di lui, cercando di non pesargli addosso e di non far
male al bambino, e lo riempii di baci sulla fronte, sulle guance ed
infine mi impadronii della sua bocca. Non si oppose finché non
lasciai un piccolo morso sul labbro inferiore.
Allora, cingendomi i lombi, mi
portò con uno scatto repentino ma attento sotto di sé.
Risi quando, tentando di avvicinarsi a me, dovette fare i conti con il
mio “pancino”.
Nei mesi precedenti avevamo dovuto
abituarci alla presenza del piccolino tra di noi, anche se a volte mi
sentivo in imbarazzo a farlo “partecipe” dei nostri momenti
di intimità. Tuttavia, complice la distanza, eravamo riusciti a
stare insieme in maniera perfetta e completamente naturale.
Prese quelle ciocche ribelli che mi
nascondevano gli occhi, ricordo che ancora mi portavo dietro
dall’estate precedente, e dal set di The Runaways, e le
sistemò dietro le mie orecchie.
Ne approfittai mentre era assorto per
stampargli un bacio sul pomo d’Adamo. Sorrise … fu uno di
quei sorrisi che mi sconvolgevano, che rinfrancano l’anima e che,
al suo confronto, mi facevano sentire nulla. Ma questi complessi
appartenevano al passato: finalmente avevo realizzato che entrambi
avevamo un mucchio di difetti e pertanto non era necessario lasciarsi
andare a paranoie inutili.
Mi restituì il favore che gli
avevo fatto poco prima soffiando sul mio viso e refrigerandomi un
po’. Poi scese lungo il collo e mentre soffiava, tracciava una
scia di baci qua e là, mentre già a quei leggeri tocchi
io perdevo il senso della misura, accelerando il respiro e annaspando
con i battiti. Eppure non avrei mai detto di no a tutto quello, non
sarei mai stancata di amarlo e sentirmi amata alla sua maniera.
Proseguì la discesa, andando ancora più in basso,
poggiando le sue labbra su un seno, mentre con la mano carezzava
l’altro. Mi inarcai leggermente, per favorirlo, e poter godere
appieno dei suoi baci. Venerava le mie forme, non più
così acerbe, e se ne curava con una dolcezza ed una delicatezza
che avevano del maniacale, come un vasaio davanti alla creta grezza sul
tornio, ancora da modellare. Come si poteva averne abbastanza? Non era
mai irruente, sapeva avere pazienza, anche quando avremmo voluto
prenderci senza tante smancerie.
Noi facciamo l'amore, mi ripeteva sempre, il sesso lasciamolo a chi uccide i sentimenti.
Combattuta tra la dolcezza di quegli
attimi, e il desiderio di andare avanti, sentirlo di nuovo mio, fu lui
a decidere per me. Strozzandomi il respiro iniziò a depositare
baci e a muovere le sue mani da pianista sul mio ventre. Le dita,
così lunghe ed affusolate scorrevano sopra di essa come se
stessero suonando una ninna nanna al pianoforte, sfiorando ogni lembo
di pelle dandogli la stessa importanza. Ogni singola cellula parve
gradire, sconvolgendomi con un brivido caldo. Non potei evitare, pur
impegnandomi, i tenui mugolii che di tanto in tanto nascevano in gola e
venivano esalati insieme ad un respiro sempre più disordinato.
I suoi occhi, ormai degli zaffiri
liquefatti, in cui avrei volentieri stemperato tutto il calore che
avevo in corpo , si concentravano, sconcertati, sul grembo, non ancora
avvezzi all’idea che quel miracolo fosse davvero avvenuto grazie a
lui.
Passai una mano tra i suoi capelli,
per ridestarlo dai suoi pensieri e ricordargli che non era solo nella
stanza, reclamando gelosamente la sua attenzione, allacciandomi con le
gambe ancor più stretta al suo corpo.
Rimasi con un leggero amaro in bocca
quando realizzai che dei suoi bellissimi capelli, in cui affondavo le
mani e a cui amavo aggrapparmi come se fossero la mia ancora di
salvezza, la mia forza, era rimasto ben poco.
“Uffa …” sbuffai
“… avresti dovuto interpellarmi prima di fare una cosa del
genere! Io avrei fermato questo scempio!”
I suoi occhi si illuminarono ancora
di più, e risero maliziosi insieme a lui:
“Cos’è? Non ti piaccio più così?
Mezz’ora fa non mi sembrava che mi reputassi così male
…”
Gli tirai un buffetto. “Smettila
scemo … lo sai che non intendevo questo. Ma d’ora in
avanti nei contratti inserirai una clausola per cui io dovrò
essere consultata per ogni tuo cambio di look”
La sua risata avrebbe riecheggiato
per tutta la stanza se non gliel’avessi fermata sul nascere con
un bacio. Lo attirai maggiormente a me e pretesi, egoisticamente, che
trasferisse sulle mie labbra tutta la passione ed il sollievo che aveva
dato finora al mio corpo in fiamme. Le lingue presero a danzare
insieme, non più timide, come stato quel pomeriggio in riva al
mare, ma ben consapevoli di un amore rinvigorito. Lo strinsi più
che potevo, per prendere fino all’ultima goccia del suo odore,
del suo sapore, prima che le nostre essenze si fondessero in
un’unica melodia di sensi.
In quella posizione non fu difficile
trovarci pronti per essere una cosa sola: eravamo già nudi, e le
nostre intimità si cercavano e si scontravano mentre, a fronti
congiunte, davamo vita ad una corrispondenza di sguardi ed un muto
dialogo d’amore. I sospiri ed i baci parlavano per noi.
Entrò in me lentamente,
lasciando che mi abituassi: intrecciammo forte le nostre mani, mentre
lui si era staccato da me, per potersi muovere meglio e non pesare sul
bambino. Io lo favorii a mio modo: inarcandomi leggermente e
protendendo come meglio potevo verso di lui.
Non ero mai stata meglio in vita mia. Ero davvero completa.
C’era stato desiderio, anche urgenza,
nei gesti di entrambi, la prima volta. Non avevamo saputo gestire i
nostri gesti, nella impazienza spasmodica di tornare ad essere una
cosa. Ora avevamo saputo andare oltre; c’era anche tanta
delicatezza, voglia di fermare il tempo e non far trascorrere quella
bellissima notte, solo nostra. Lo amavo, e quel sentimento era talmente
totalizzante da non aver logica e mi sembrava che avrei potuto fare di
tutto per lui, se solo me l’avesse chiesto in nome
di quell’amore. E lui per me.
Eravamo riusciti ad adattare i nostri corpi in maniera perfettamente complementare, senza imposizioni né forzature.
Ci mettemmo a sedere, mentre lui
continuava a spingere delicatamente. Mi aggrappai alle sue spalle e lo
abbracciai come se non lo vedessi da una vita, come se me lo stessero
portando via per sempre. Ogni tanto scostava qualche ciocca di capelli
che si era attaccata al mio viso, madido di sudore. Mi sentivo
rinascere ogni volta che quegli occhi di cielo si posavano su di
me.
“La mia Jaymes” pronunciò, affannato.
Quel nome mi sorprese. Da quando ci eravamo sposati non mi aveva più chiamata in quel modo.
“Che c’è?”
domandò incerto mentre, sostenendo la mia schiena, mi aiutava a
stendermi di nuovo. Tornò di nuovo sopra di me, le bocche a
sfiorarsi e gli occhi a riflettere le iridi dell’altro.
“Niente” sospirai “è solo … che … è da troppo tempo che non usavi quel nome”
“e … te ne dispiace?”
“sì, a dir la
verità … lo so è da stupidi … ma era un
modo speciale … per sentirmi tua”
Mi accarezzò dolcemente la
guancia con il dorso della mano “Non è da stupidi
…” ansimò “… ma tu sei mia …
sempre e comunque … non devi dimenticarlo”
Scossi la testa mentre eliminavo la
distanza, già esigua, tra noi “Mai!” affermai con
determinazione “E tu sei mio”
“Per sempre” ribadì sulle mie labbra.
Sapevo che aveva ragione. Ci
sarebbero state altre liti, musi lunghi, allontanamenti. Ma io ero il
suo porto sicuro e lui il mio rifugio; saremmo sempre tornati indietro.
…
Quando la temperatura della stanza si fu ormai assestata a livelli
più gradevoli Rob ci coprì entrambi con le lenzuola di seta e mi
avvinghiai a lui.
“Aggrappati forte, piccolo koala …” mi sussurrò, carezzandomi i capelli “Come ti senti?”
“Mi sento a casa”
risposi, tracciando delle linee immaginarie sul suo petto “ho
capito che Los Angeles, Londra o qualsiasi altro posto al mondo non
è casa se non ci sei tu”
Rimanemmo entrambi in silenzio per un
po’ ad ascoltare i nostri respiri ed il battito dei nostri cuori.
Fuori dalla stanza il mare si trascinava eternamente verso riva e la
luna stava a vegliare, silenziosa.
“A cosa pensi?” mi chiese, vedendomi intenta a massaggiarmi la pancia.
“Al cucciolo …” risposi “… in questi giorni ho avuto voglia di chiamarlo per nome”
“Effettivamente sarebbe anche ora di sceglierne uno …” rise tra i miei capelli.
“In realtà siamo anche
facilitati” ribattei “dobbiamo scegliere il nome solo nel
caso in cui sia una bambina”
“Non sei obbligata, amore. Possiamo trovare altri mille nomi …”
Naturalmente aveva subito capito a
cosa mi riferissi. Nella sua famiglia il nome del primogenito maschio
era già stabilito di generazione in generazione, scelto con una
logica che avrebbe fatto invidia al più insigne matematico: il
secondo nome del padre ed il primo del nonno del nascituro.
Quando questa regola mi fu spiegata
la trovai sciocca, antiquata … neanche si trattasse di una
famiglia reale … ma faceva parte delle tradizioni della sua,
della mia famiglia e non potevo certo essere la pecora nera.
“Non mi sento obbligata. E poi
Thomas mi piace come nome” esclamai con entusiasmo.
Thomas Richard, per la precisione,
sarebbe stato il nome, se si fosse trattato di un maschietto. Mi
piaceva, era elegante e molto british. E poi conoscevo bene
l’intima speranza che Robert covava: con la scusa del nome,
avrebbe potuto chiedere al suo amico fratello, TomStu, di essere il
padrino del bambino. A dire la verità, Tom era l’ultima
persona al mondo a cui l’avrei affidato, date le pessime
abitudini da scapolone impenitente, ma se gli avesse voluto bene giusto
una briciola di quanto ne voleva a Robert, lo avrebbe amato
immensamente; Rob questo lo sapeva, e a me sembrava la migliore
delle credenziali, perciò non avrei mai detto di
no.
Tuttavia avevo la netta sensazione
che non sarebbe stato un maschietto, non questa volta. Forse anche per
questo avevo sentito la necessità di dare un nome alla
piccolina. Perché Thomas non rispondeva mai quando lo chiamavo.
“E se fosse femmina?” domandai “se fosse una bambina? Hai qualche idea?”
“Se fosse una bambina
…” si fermò a riflettere dandomi il tempo di
voltarmi verso di lui e poterlo guardare negli occhi “mi
piacerebbe qualcosa di diverso, non un nome classico, banale …
in fondo siamo attori di Hollywood”
“No eh!” mi affrettai a
reclamare “non ci provare! Ti conosco bene Robert Thomas
Pattinson, conosco quel sorriso furbo che hai stampato in faccia. Non
appiopperai a mia figlia il nome di un frutto! … Peach o Pear
lasciamoli a chi non ha una fantasia migliore”
Scoppiò in una sonora risata che, per quanto tentassi di reprimere, rimanendo seria, coinvolse anche me.
“Veramente non avevo in mente
niente di particolare …” si precipitò a spiegare
“… solo … pensavo a qualcosa che avesse un
significato particolare …” disse, prendendo tra le dita il
piccolo ciondolo che penzolava dal mio collo, regalo per il mio
compleanno.
“Oddio Rob! Non dovevi!”
“Shhh!”
mi bloccò con un delicato bacio sulle labbra “tu sei
venuta fin qui per festeggiare il compleanno, è il minimo. E
poi, credimi, è una sciocchezza. Davvero!”
Quel sorriso avrebbe condotto all'inferno anche la più onesta delle anime.
Così,
cercando di controllare il tremolio delle mani, aprii la piccola
scatolina di velluto nero. All’interno c’era un ciondolo
d’oro, discreto, legato ad una catenina.
Per quanto fosse bello, e molto delicato, non capivo cosa rappresentasse. Sembrava … un otto?!
Stavo per chiedere spiegazioni, ma lui, leggendo il mio sguardo, evidentemente spaesato, mi precedette.
“Prima che
tu possa dire o chiedere qualsiasi cosa …” mi disse
“… sì, quello è il numero otto. Ma non ti
preoccupare, non ho sbagliato la tua data di nascita”
ridacchiò, timidamente.
“Vedi”
continuò a spiegarmi “ questo numero nella simbologia
orientale è simbolo di eternità. Avevo pensato di
regalarti l’infinito, e ci sto ancora lavorando ma … nel
frattempo potresti accettare questa piccola anteprima”
Era geniale.
Diceva sempre di essere stato un somaro a scuola ma aveva una cultura
immensa, ed ogni piccolo gesto me ne dava la dimostrazione, e sapeva
stupirmi sempre.
Non ci pensai due volte mi buttai a capofitto, con le braccia al suo collo, in un bacio.
“Tu avevi qualche idea?” mi chiese, ridestandomi da quei piacevoli ricordi.
“No, niente” scossi la
testa, sconsolata “ma anch’io credo che non debba essere
banale … in fondo è nostra figlia” dissi con una
punta d‘orgoglio. Sarebbe stata innegabilmente una bambina
speciale. “Mi piacerebbe però che i nomi fossero due. Un
più americano e l’altro più british” dissi
virgolettando.
Ci pensò un attimo e poi intervenne: “Ma perché sei così fissata con l’Inghilterra?”
Non avevo dubbi a riguardo:
“Perché so che le sei legato. E quando sei qui …
cioè la maggior parte del tempo … ti manca. E ora so cosa
significa per te, perché anch’io ora ho quel vincolo
speciale. Voglio che i nostri figli possano averla sempre con loro,
anche nel nome”
“Ti ringrazio … è
un pensiero molto dolce. Ma ti stai sacrificando troppo … e stai
cercando di accontentarmi anche più del dovuto”
Capivo a cosa si riferisse. Prima che
tutto quel casino ebbe inizio avevamo discusso più volte
perché volevo che il bambino nascesse in Inghilterra e ci
crescesse, anche. Per ottenere il suo consenso, anche se sapevo che
dirmi di no gli costava molto, perché era anche un suo
desiderio, dovetti impegnarmi con tutte le mie forze. Quando poi
abbandonai i miei genitori sembrò diventare una scelta piuttosto
ovvia e naturale.
“Una volta una persona mi
disse: le scelte giuste non sono sempre quelle che ci rendono felici.
Stiamo diventando dei genitori, Robert. Bisogna sapersi sacrificare se
questo significa vedere felici i propri figli”
“Credo di sapere chi possa
averti detto una cosa del genere … perciò quando torniamo
a Londra ricordami di ringraziarla!” Ridemmo entrambi.
Effettivamente per arrivare lì
dove eravamo non ero stata solo io a cambiare. Certo ora ero quella che
lui voleva, ero finalmente me stessa, anch’io mi riconoscevo.
Tuttavia entrambi avevamo sacrificato parti importanti di noi stessi,
che nelle difficoltà erano emerse, prepotenti: il nostro
orgoglio, la nostra testardaggine.
Sbadigliai, tenendo a stento gli
occhi aperti dopo una giornata troppo lunga. Rob mi fece accoccolare di
nuovo su di lui e prese a canticchiarmi una nuova melodia. Le ultime
parole che udii, lontane, furono : “Bentornata amore mio”.
Angolo dell'autrice
Innanzi
tutto inizio col dire che spero proprio che il capitolo vi piaccia
perchè è molto importante per me. Ho impiegato tre giorni
per scriverlo e molti di più per idearlo. Comunque,
accetterò ogni critica, positiva e negativa, perché sono
sempre costruttive. Questo capitolo, e la prima scena in particolare,
rappresenta per me "la scena della radura" di Stephenie Meyer. L'ho immaginata
così, con Kristen distesa sul letto, dopo aver fatto l'amore con
Robert. E' già notte fonda nella scena, ho saltato tutta la
parte che va dalla spiaggia alla cena e al loro ritorno in camera, che
vedevo superfluo; spero che la narrazione non abbia subito una
troncatura troppo netta. Forse avrei dovuto descrivere piuttosto la
prima volta invecec che la seconda, ma ho pensato che la seconda fosse
molto più consapevole della prima, che invece c'è
più dettata dagli istinti, dalla voglia di tornare ad
appartenersi.
Mi interessava molto spiegare questa
parte, per il resto c'è solo da notare il flashback di Kristen
che va a trovare Rob a Budapest (ho cercato di dare meno dettagli
possibili perché nella realtà lei non è né
sposata né incinta e mi sarebbe stato difficile gestirlo, in
più si tratta di un ricordo) e la discussione sul nome. L'ho
lasciata in sospeso perché a volte capita nelle conversazioni di
passare da un argomento all'altro e poi il secondo argomento,
l'interesse di kristen per l'inghilterra ed il suo desiderio di far
nascere e crescere il bambino lì, lo riprenderò presto,
contateci.
Come avrete certamente capito, ho
intenzione di far nascere una bambina anziché un bambino, ma
Robert e Kristen rimangono fermamente dell'idea che la sorpresa deve
essere mantenuta fino all'ultimo. Vi chiedo a questo punto di darmi
qualche consiglio sul nome, sulla falsa riga dell'idea dei due nomi di
Kristen. Sarò poi io a fare la mia scelta, rispetto al nome che
ho in mente.
Risposte alle recensioni
@prudence_78:ti ringrazio per la recensione e per le
bellissime parole. Sì ora c'è un rapporto da ricostruire
con i genitori, ed ora inizia per me una nuova sfida, non sarà
facile per niente.
@Bells85:tesoro grazie, i tuoi
complimenti mi lusingano, e spero che avrai voglia di recensire anche
questo capitolo, nonostante le divergenze che abbiamo avuto a riguardo.
@sidney90:postato abbastanza velocemente questa volta, ma non posso assicurarti nulla per il prossimo capitolo.
@La Francy: innanzi tutto,
credo che la tua citazione sull'sdm(capiscimi) non è per nulla
pertinente, specialmente in un capitolo come questo dove Robert
dimostra di essere tutt'altro che un sdm...:-) poi,alle altre
anticipazioni e spoiler ti ho già risp, quindi.... comunque
continua a recensire!!!baci,amore!!!
Ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza di arrivare
fin qui e anche tutti i lettori silenziosi, che mi piacerebbe, per una
volta, lasciassero il loro contributo. è un capitolo molto
importante per me e, anche se vorrete scrivermi di lasciar perdere i
momenti più o meno "lemon", ma anche di lasciar perdere
completamente la fanfiction, perché non fa per me, e di darmi
all'ippica XD, be' accetterò le critiche in maniera molto
democratica. Spero che coloro che hanno saltato il giro delle
recensioni nel capitolo precedente possano farmi sentire la loro voce
questa volta. bacioni, à bientot!
Federica
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Capitolo 20 *** Pensieri a lancette ferme ***
The best day - capitolo 20
scusate per il ritardo, ma questo capitolo, un orrore di capitolo,
mi ha fatto sudare sette camicie!!! non sapevo come partire, non sapevo
cosa scrivere, mi ero completamente arenata, ma ora pare andare meglio
superato questo scoglio. Lasciandovi alla lettura mi premunisco
dicendovi che ho intenzione di rivederlo una volta conclusa la storia.
Ci vediamo a fine capitolo per la risposta alle recensioni.
Capitolo 20
Pensieri a lancette ferme
P.O.V. Jules
Mia figlia è a casa. È a poche miglia di distanza da me.
Non
riuscivo a levarmi questo chiodo fisso dalla testa, nonostante mi fossi
imposta di non pensarci come fosse un mantra, trovando da fare in casa
un mucchio di faccende, in modo da non restare con le mani in mano e
sprofondare nei miei pensieri.
Del resto lei e suo marito avevano
tutti i diritti di restare soli per un po’, dopo la lite e la
separazione che avevano dovuto fronteggiare.
Io stessa avevo
suggerito a Robert di portarla a Laguna Beach, per un paio di giorni.
Lontani da ogni pensiero e preoccupazione.
Mi ero innamorata di
quel posto da ragazza, quando arrivai per la prima volta negli Stati
Uniti; quel tratto di costa, con i suoi tratti a volte selvaggi e
beatamente incontaminati da cemento e progresso, ricordava vagamente la
mia Australia.
In tutti quegli anni era capitato solo in un paio di
occasioni di tornarci tutti insieme, pur avendo quel gioiello della
natura praticamente dietro l’angolo, così pensai che fosse perfetto per
loro.
Se potevo ancora vantarmi di conoscere bene mia figlia come
avrei fatto fin qualche mese indietro, allora se ne sarebbe innamorata
anche lei.
Quando Rob venne a portarmi la notizia che di lì a
ventiquattro ore Kristen sarebbe arrivata, tornando finalmente a casa
dopo quasi due mesi di lontananza, non potevo crederci. L’incubo, che
durava da troppo tempo ormai, stava finalmente per avere la sua giusta
conclusione.
Era oltre un mese e mezzo che, né io, né mio marito, la vedevamo, né sentivamo.
Non
avrei saputo niente di lei, se non fosse stato per Robert, quell’angelo
di ragazzo, che fino all’ultimo ha tentato di venirci incontro, di
mediare, non curandosi di tutte le cattiverie che mio marito poteva
avergli rivolto contro.
Era arrivato al sacrificio più estremo per aiutarci e la stava pagando cara: era ridotto uno straccio.
Diceva che era per il viaggio, il lavoro, ma ad una madre certi particolari non sfuggono.
Questa
brutta storia lo aveva segnato, reso più maturo. Dal di fuori forse
nessuno lo avrebbe notato, ma chi lo conosce bene, e sa cosa ha dovuto
affrontare, può facilmente scorgere una vena malinconica, una vaga
amarezza anche nelle sue battute più stupide e scherzose.
Lui era
stato il primo a dire che bisognava essere realistici e mantenere i
piedi per terra, di non lasciarsi prendere troppo dall’entusiasmo,
perché nemmeno lui sapeva quali fossero le intenzioni di Kristen.
Speravo,
mi ostinavo a credere con tutto il mio cuore di madre, che se Kristen
si fosse decisa a tornare, ed anche con largo anticipo rispetto alle
mie previsioni, non era stato per un caso, e che le cose si sarebbero
risolte per il meglio, ma era corretto non illudersi.
La gioia è tanto maggiore alla fine, quanto più all’inizio il bicchiere ci sembra mezzo vuoto.
Così,
mentre Rob si lasciava andare con me, e mi confidava i suoi timori di
ragazzo innamorato, tornai a vestirmi della mia corazza spessa ed
impenetrabile, per fare forza a me stessa, ma soprattutto agli altri.
Poco importano le mie gioie e i miei sentimenti se vedo musi lunghi
attorno.
Un ragazzo alto, che stava mettendo su anche un corpicino
piuttosto importante, ma che di fronte ad un sentimento così sconfinato
e complicato come l’amore diventava piccolo piccolo. Poco importava
quello che era stato, poco importava in quel momento che aveva sempre
voluto dare di sé l’impressione del ragazzo fiero, orgoglioso e forte.
Poco importava che non avesse mai avuto grande confidenza con noi,
ingessato nelle formalissime buone maniere europee. Aveva un problema
ed io lì ero quella madre che aveva ad oltre 10 ore di viaggio.
Sembrava un cucciolo abbandonato ed indifeso, un micetto a cui non
rifiuti una scodella di latte.
Come avevo sempre fatto con i miei
tre figli maschi cercai di rimanere disincantata ed onesta con lui,
anche se fu davvero difficile. Del resto in ballo c’era anche la
felicità di mia figlia.
Nemmeno mio marito era stato di grande
supporto in quelle ore di attesa. Dapprima sembrò prendere l’annuncio
con grande e matura diplomazia, comprendendo le ragioni che ci
impedivano di andare a prendere noi stessi Kristen all’aeroporto, la
privatezza e l’importanza che acquisiva quell’incontro tra Kris e Rob.
Ma, non appena Rob abbandonò casa nostra dopo cena, iniziò a schizzare
qua e là impaziente e indisponente, nervoso e teso come una corda di
violino, catapultando anche me in quel baratro profondo e buio. I
nostri figli ci trovarono svegli al loro ritorno, alle luci dell’alba,
mentre ci affidavamo all’ennesima camomilla della nottata passata a
rigirarsi nel letto.
Gli orologi di casa aveva iniziato a girare
più lentamente del solito e l’apparecchio telefonico aveva smesso di
funzionare: l’unica telefonata che aspettavamo era quella di Rob che ci
avrebbe portato notizie, e quel suo silenzio rendeva l’attesa più
snervante. Ogni squillo era un sussulto ed ogni falso allarme una
delusione in più ed un tassello d’ansia che si aggiungeva al puzzle
della nostra impazienza. Dovevamo fidarci di lui, e a modo nostro lo
stavamo facendo: la realtà era che non sapevamo più gestire noi stessi.
Intrattabile come poche volte lo era stato in vita sua, John non
lasciava che qualcuno lo contraddisse in qualsiasi cosa dicesse o
facesse. Avevo provato in tutti i modi a renderlo partecipe delle mie
attività anti-stress, ma mi ritrovavo con un pugno di mosche e di
parole poco gentili in mano. Non riuscivo a prendermela, però: sapevo
quale fosse il motivo di quella luna storta.
Passata quella nottata,
e l’intero giorno del ritorno, sapevo che arrivare alla sera di quel
nuovo giorno sarebbe stata un’impresa titanica. Conoscevo la tabella di
marcia dei ragazzi; sapevo che non si sarebbero trattenuti a Laguna
Beach più di una notte, e Robert mi avrebbe chiamata non appena fossero
rientrati in casa.
John aveva proibito ai figli qualsiasi uso
dell’apparecchio fin dalle prime ore della giornata e, come sempre
quando è in tensione, si chiuse nel suo studio senza voler parlare con
nessuno e senza toccare cibo. Non avevo idea di cosa potesse combinare
chiuso tutto il tempo in quella stanza, al buio e con l’odore di aria
viziata che inevitabilmente si spandeva nella stanza. Unico beneficio
di quel confino volontario, fu che riuscii a rimanere tranquilla per
l’intera giornata.
L’unico contatto con la famiglia era l’interfono
che puntualmente sentivo richiudermi in faccia. L’unico ad avere
accesso nella stanza con lui era Max, il gatto di sua figlia; Jella,
come lo chiamava lei. Dopo le nozze Kristen non era riuscito a portarlo
con se a Londra, pigro com’era e restio ad ogni viaggio ad alta quota.
L’aveva lasciato a suo padre, che se ne occupava come fosse Kristen
stessa.
Quando l’imbrunire colorava il cielo di rosso verso il mare,
a tarda serata, quando eravamo rimasti soli in casa, vidi uscire dal
suo antro mio marito John.
“Noto con piacere che sei ancora vivo!”
mi azzardai ad esclamare, seppur scherzosamente, mentre entravo nello
studio ad aprire le finestre per mandare via il cattivo odore di fumo e
caffè che si era impregnato anche tra i libri negli scaffali.
Non rispose. Mi voltai e non c’era. Probabilmente era salito in
camera, perché sentivo dei rumori provenire dal piano di sopra.
Me
lo ritrovai una decina di minuti dopo in cucina, profumato e vestito di
tutto punto, mentre stringeva tra le mani un mazzo di chiavi. Tra loro,
anche quella della sua auto.
“Dove vai?” gli chiesi, con timore,
avendone un vago sospetto. Speravo tanto che per una volta il mio sesto
senso femminile mi portasse sulla strada sbagliata.
“Da mia figlia” rispose, laconico. Ovviamente avevo avuto ragione.
“John, non incominciare, ti prego. Rob non ha ancora chiamato e
…” “… ed io non ce la faccio ad aspettare una
chiamaMia figlia è a casa. È a poche miglia di distanza da me.
Non
riuscivo a levarmi questo chiodo fisso dalla testa, nonostante mi fossi
imposta di non pensarci come fosse un mantra, trovando da fare in casa
un mucchio di faccende, in modo da non restare con le mani in mano e
sprofondare nei miei pensieri.
Del resto lei e suo marito avevano
tutti i diritti di restare soli per un po’, dopo la lite e la
separazione che avevano dovuto fronteggiare.
Io stessa avevo
suggerito a Robert di portarla a Laguna Beach, per un paio di giorni.
Lontani da ogni pensiero e preoccupazione.
Mi ero innamorata di
quel posto da ragazza, quando arrivai per la prima volta negli Stati
Uniti; quel tratto di costa, con i suoi tratti a volte selvaggi e
beatamente incontaminati da cemento e progresso, ricordava vagamente la
mia Australia.
In tutti quegli anni era capitato solo in un paio di
occasioni di tornarci tutti insieme, pur avendo quel gioiello della
natura praticamente dietro l’angolo, così pensai che fosse perfetto per
loro.
Se potevo ancora vantarmi di conoscere bene mia figlia come
avrei fatto fin qualche mese indietro, allora se ne sarebbe innamorata
anche lei.
Quando Rob venne a portarmi la notizia che di lì a
ventiquattro ore Kristen sarebbe arrivata, tornando finalmente a casa
dopo quasi due mesi di lontananza, non potevo crederci. L’incubo, che
durava da troppo tempo ormai, stava finalmente per avere la sua giusta
conclusione.
Era oltre un mese e mezzo che, né io, né mio marito, la vedevamo, né sentivamo.
Non
avrei saputo niente di lei, se non fosse stato per Robert, quell’angelo
di ragazzo, che fino all’ultimo ha tentato di venirci incontro, di
mediare, non curandosi di tutte le cattiverie che mio marito poteva
avergli rivolto contro.
Era arrivato al sacrificio più estremo per aiutarci e la stava pagando cara: era ridotto uno straccio.
Diceva che era per il viaggio, il lavoro, ma ad una madre certi particolari non sfuggono.
Questa
brutta storia lo aveva segnato, reso più maturo. Dal di fuori forse
nessuno lo avrebbe notato, ma chi lo conosce bene, e sa cosa ha dovuto
affrontare, può facilmente scorgere una vena malinconica, una vaga
amarezza anche nelle sue battute più stupide e scherzose.
Lui era
stato il primo a dire che bisognava essere realistici e mantenere i
piedi per terra, di non lasciarsi prendere troppo dall’entusiasmo,
perché nemmeno lui sapeva quali fossero le intenzioni di Kristen.
Speravo,
mi ostinavo a credere con tutto il mio cuore di madre, che se Kristen
si fosse decisa a tornare, ed anche con largo anticipo rispetto alle
mie previsioni, non era stato per un caso, e che le cose si sarebbero
risolte per il meglio, ma era corretto non illudersi.
La gioia è tanto maggiore alla fine, quanto più all’inizio il bicchiere ci sembra mezzo vuoto.
Così,
mentre Rob si lasciava andare con me, e mi confidava i suoi timori di
ragazzo innamorato, tornai a vestirmi della mia corazza spessa ed
impenetrabile, per fare forza a me stessa, ma soprattutto agli altri.
Poco importano le mie gioie e i miei sentimenti se vedo musi lunghi
attorno.
Un ragazzo alto, che stava mettendo su anche un corpicino
piuttosto importante, ma che di fronte ad un sentimento così sconfinato
e complicato come l’amore diventava piccolo piccolo. Poco importava
quello che era stato, poco importava in quel momento che aveva sempre
voluto dare di sé l’impressione del ragazzo fiero, orgoglioso e forte.
Poco importava che non avesse mai avuto grande confidenza con noi,
ingessato nelle formalissime buone maniere europee. Aveva un problema
ed io lì ero quella madre che aveva ad oltre 10 ore di viaggio.
Sembrava un cucciolo abbandonato ed indifeso, un micetto a cui non
rifiuti una scodella di latte.
Come avevo sempre fatto con i miei
tre figli maschi cercai di rimanere disincantata ed onesta con lui,
anche se fu davvero difficile. Del resto in ballo c’era anche la
felicità di mia figlia.
Nemmeno mio marito era stato di grande
supporto in quelle ore di attesa. Dapprima sembrò prendere l’annuncio
con grande e matura diplomazia, comprendendo le ragioni che ci
impedivano di andare a prendere noi stessi Kristen all’aeroporto, la
privatezza e l’importanza che acquisiva quell’incontro tra Kris e Rob.
Ma, non appena Rob abbandonò casa nostra dopo cena, iniziò a schizzare
qua e là impaziente e indisponente, nervoso e teso come una corda di
violino, catapultando anche me in quel baratro profondo e buio. I
nostri figli ci trovarono svegli al loro ritorno, alle luci dell’alba,
mentre ci affidavamo all’ennesima camomilla della nottata passata a
rigirarsi nel letto.
Gli orologi di casa aveva iniziato a girare
più lentamente del solito e l’apparecchio telefonico aveva smesso di
funzionare: l’unica telefonata che aspettavamo era quella di Rob che ci
avrebbe portato notizie, e quel suo silenzio rendeva l’attesa più
snervante. Ogni squillo era un sussulto ed ogni falso allarme una
delusione in più ed un tassello d’ansia che si aggiungeva al puzzle
della nostra impazienza. Dovevamo fidarci di lui, e a modo nostro lo
stavamo facendo: la realtà era che non sapevamo più gestire noi stessi.
Intrattabile come poche volte lo era stato in vita sua, John non
lasciava che qualcuno lo contraddisse in qualsiasi cosa dicesse o
facesse. Avevo provato in tutti i modi a renderlo partecipe delle mie
attività anti-stress, ma mi ritrovavo con un pugno di mosche e di
parole poco gentili in mano. Non riuscivo a prendermela, però: sapevo
quale fosse il motivo di quella luna storta.
Passata quella nottata,
e l’intero giorno del ritorno, sapevo che arrivare alla sera di quel
nuovo giorno sarebbe stata un’impresa titanica. Conoscevo la tabella di
marcia dei ragazzi; sapevo che non si sarebbero trattenuti a Laguna
Beach più di una notte, e Robert mi avrebbe chiamata non appena fossero
rientrati in casa.
John aveva proibito ai figli qualsiasi uso
dell’apparecchio fin dalle prime ore della giornata e, come sempre
quando è in tensione, si chiuse nel suo studio senza voler parlare con
nessuno e senza toccare cibo. Non avevo idea di cosa potesse combinare
chiuso tutto il tempo in quella stanza, al buio e con l’odore di aria
viziata che inevitabilmente si spandeva nella stanza. Unico beneficio
di quel confino volontario, fu che riuscii a rimanere tranquilla per
l’intera giornata.
L’unico contatto con la famiglia era l’interfono
che puntualmente sentivo richiudermi in faccia. L’unico ad avere
accesso nella stanza con lui era Max, il gatto di sua figlia; Jella,
come lo chiamava lei. Dopo le nozze Kristen non era riuscito a portarlo
con se a Londra, pigro com’era e restio ad ogni viaggio ad alta quota.
L’aveva lasciato a suo padre, che se ne occupava come fosse Kristen
stessa.
Quando l’imbrunire colorava il cielo di rosso verso il mare,
a tarda serata, quando eravamo rimasti soli in casa, vidi uscire dal
suo antro mio marito John.
“Noto con piacere che sei ancora vivo!”
mi azzardai ad esclamare, seppur scherzosamente, mentre entravo nello
studio ad aprire le finestre per mandare via il cattivo odore di fumo e
caffè che si era impregnato anche tra i libri negli scaffali.
Non rispose. Mi voltai e non c’era. Probabilmente era salito in
camera, perché sentivo dei rumori provenire dal piano di sopra.
Me
lo ritrovai una decina di minuti dopo in cucina, profumato e vestito di
tutto punto, mentre stringeva tra le mani un mazzo di chiavi. Tra loro,
anche quella della sua auto.
“Dove vai?” gli chiesi, con timore,
avendone un vago sospetto. Speravo tanto che per una volta il mio sesto
senso femminile mi portasse sulla strada sbagliata.
“Da mia figlia” rispose, laconico. Ovviamente avevo avuto ragione.
“John,
non incominciare, ti prego. Rob non ha ancora chiamato e …” “… ed io
non ce la faccio ad aspettare una chiamata che chissà quando arriverà,
non sono bravo come te a rigirarmi i pollici”
Non mi lasciò finire
e dovetti ingoiare anche quest’altro boccone amaro. Lo conoscevo bene
da non prendermene troppa pena, sapevo che quando si fosse calmato
sarebbe corso come un razzo a chiedermi scusa.
“Se non hanno ancora chiamato vuol dire che non sono ancora tornati, abbi un po’ di pazienza, John”
“non ce la faccio, Jules. Vorrà dire che li aspetterò davanti casa”
Non
mi diede il tempo di ribattere che, voltandomi per fermarlo, non lo
trovai più. Dall’esterno, il rumore di un’auto che si allontanava.ta che chissà quando arriverà, non sono bravo come te a rigirarmi i pollici”
Non
mi lasciò finire e dovetti ingoiare anche quest’altro boccone amaro. Lo
conoscevo bene da non prendermene troppa pena, sapevo che quando si
fosse calmato sarebbe corso come un razzo a chiedermi scusa.
“Se non hanno ancora chiamato vuol dire che non sono ancora tornati, abbi un po’ di pazienza, John”
“non ce la faccio, Jules. Vorrà dire che li aspetterò davanti casa”
Non
mi diede il tempo di ribattere che, voltandomi per fermarlo, non lo
trovai più. Dall’esterno, il rumore di un’auto che si allontanava.
P.O.V. John
Neanche la musica del buon vecchio Bob Dylan riusciva a
tranquillizzarmi quel pomeriggio. Percepivo da me che la mia guida era
abbastanza irrequieta e solo la mia buona stella mi impedì di
non avere incidenti o farmi beccare dalla polizia a commettere qualche
infrazione. Una multa sarebbe stata corretta, ma forse avrei peggiorato
le cose. Decisamente avrei dovuto farmi un promemoria: mai più
di 2 caffè al giorno.
Avevo sempre avuto seri problemi d’orientamento, soprattutto in
una città come Los Angeles che cambia volto ogni giorno, ma
trovare la villetta di Kristen e Robert era impossibile da
rintracciare. Mio figlio Dana l’aveva ribattezzata casa Cullen,
per via della sua completa immersione nella natura e la sua
architettura contemporanea. Per scovarla ci misero un bel po’, ma
assolveva al suo compito di rifugio segreto in maniera impeccabile.
Arrivando notai con piacere che l’auto di Robert era già
parcheggiata nello spazio antistante l’ingresso e mio genero era
lì che scaricava le valigie dall’auto. Mi lasciai andare
ad una risata mentre, guardandolo con attenzione, finalmente capii cosa
intendeva Kristen quando diceva che Rob avrebbe potuto fare il clown
nella vita. Era tremendamente goffo e totalmente scoordinato, il suo
modo di camminare strano e non adeguato ad un ragazzo esile come lui.
Forse questo riusciva a renderlo appetibile a tutte quelle ragazze che
gli corrono appresso, insieme quella sua espressione da eterno cane
bastonato mista ad una non meglio identificata sensualità che
aveva fatto capitolare tutte, e dico proprio tutte, le donne della mia
famiglia.
Si voltò quando si accorse della mia presenza e mi salutò con un ampio movimento del braccio.
Eccola di nuovo l’ansia, andava anche peggio di prima. Ma perché avevo avuto quella brillante idea?
Che cosa le avrei detto?
Scesi incerto dall’auto mentre Rob a grandi falcate mi si
avvicinava. Tese il braccio verso di me e ci salutammo meglio. Ero
contento, davvero, che avesse dimenticato tutto quello che gli avevo
detto. Quasi per miracolo, lui sembrò non essersela mai davvero
presa, capendo le ragioni che mi avevano spinto a trattarli con quel
disprezzo immeritato.
“Siamo appena tornati” mi disse “una decina di minuti al massimo e vi avrei chiamati”
“Stai tranquillo Rob, va bene così. Non riuscivo a
starmene a casa senza far niente così ho pensato di venire a
salutarvi, ma ora non sono più sicuro che sia la cosa migliore.
Vi lascio riposare …” cercai di svincolarmi e tornare
all’auto, ma Rob con un gesto repentino riuscì a
riprendermi e trattenermi.
“No, no!!!” si oppose, scherzosamente “ora sei qui e
le parli. È di ottimo umore e vuole vederti, vedrai che
andrà tutto bene”
“Ma cosa le dico?”
Ero completamente nel pallone; non avrei saputo come attaccare il
discorso, né come dirle che ero decisamente dispiaciuto per
quanto accaduto e volevo cominciare con lei un nuovo capitolo. Non mi
illudevo di certo di poter tornare indietro, sperando che dimenticasse;
ma almeno andare avanti … lesson learned …
Non sono mai stato bravo nei discorsi, non avrei saputo trovare le
parole, ne ero certo; tanto più se una cosa mi sta
particolarmente a cuore.
“Sei suo padre, no? Le parole ti verranno, ne sono sicuro. E poi,
per una volta che puoi giocare sull’effetto sorpresa e
ritrovartela ammutolita …”mi strizzò
l’occhio, sorridendo a quell’eventualità.
Risi insieme a lui “dici che non mi interromperà?”
“Ci puoi scommettere!” rispose strizzandomi l’occhio.
Avevo proprio bisogno di quella nuova complicità con Robert.
Avevo avuto troppi pregiudizi nei suoi confronti sin dal principio, ed
il mio affetto per Mike aveva peggiorato le cose, impedendomi di agire
con imparzialità.
Non era un figlio, né un amico. Il nostro era un rapporto
talmente speciale da non poter essere etichettato. Dopo le parole
sputate in faccia all’altro senza ritegno non avremmo più
avuto occasione di litigare, ma non sarebbe mai corso da me per un
problema né, per indole, io avrei chiesto a lui di confidarsi
con me. Ci volevamo bene, sinceramente, con rispetto, senza tanti
fronzoli e tanto bastava ad entrambi.
Mi fece ancora un cenno di incoraggiamento ad entrare. Presi un respiro profondo e mi diressi all’interno.
L'ANGOLO DELL'AUTRICE
Premetto che questo capitolo non sarebbe
nemmeno degno di essere pubblicato, ma rob e kris hanno avuto una notte
estenuante, dovevano riposare. ihihihih!!!
Il titolo di questo capitolo
è molto particolare; con il termine lancette ferme mi riferisco
essenzialmente al fatto che per John e Jules il tempo sembra essersi
fermato in attesa che Kristen si riaffacci alla loro porta.
Non ci sono grandi avvenimenti nel
capitolo, hio solo deciso che avevo bisogno di una pausa mentale, anche
per esprimere quei due tre pensieri insepressi dal punto di vista di
questi personaggi così importanti nella storia.
Vorrei ringraziare tutte le persone che
hanno recensito il capitolo, non ho mai ricevuto tante recensioni.
credo non succederà ancora, ma spero di poter continuare ad
avervi numerosi.
Mi dispiace non poter rispondere a tutti
perché ho poco tempo, per cui mi dedico solo a chi mi ha posto
qualche domanda o ha fatto delle riflessioni un po' più
dettagliate, non dimenticando però di ringraziare coloro che
anche con un semplice commento hanno fatto sentire la loro presenza. :-)
Io mi prendo un paio di settimane
di stop perché vado in vacanza, ci sentiamo presto con il
prossimo capitolo. RECENSITE NUMEROSI!!!
@prudence_78 : grazie
per i consigli sui nomi, a dir la verità preferirei evitare
Elizabeth perché già la sorella di Rob si chiama
così e poi per il continuo della storia ho bisogno di una nome
che abbia un significato particolare. Ti ringrazio per la fiducia sulla
scena lemon. Per quanto riguarda il club della moda, be' cn loro penso
di fare un discorsetto quando torneranno a Londra, tra un po' di tempo,
speriamo bene.
@dorel:
vedo che il fiocco rosa va per la maggiore. non posso anticiparvi
nulla, però. come avrai notato la mia scena lemon non si
è spinta fino alla fine, per non esagerare e non risultare
banale o volgare.
@enris:
a te la risposta la devo anche se sei stata di poche parole per la
devozione che hai nei confronti di questa storia, e non posso far altro
che ringraziati. spero continuerai a seguirla anche con capitoli
orribili come questo.
@La Francy:amore
mio,non ti allargare, una cosa per volta!!! ti ho promesso una parte
nella storia e l'avrai, ma con calma. ti ringrazio per il supporto che
mi offri in goni fase della scrittura e per i tuoi consigli. Meno male
che c'eri tu, sennò il cap lemon veniva stravolto
@BabyVery:sì,
come nome Thomas Richard è molto carino, però non so se
sarà un maschio sai. Ho voglia di vedere un rob compleatmente
innamorato della sua piccola bambina, ma non è detta l'ultima
parola.
@struppi: grazie
per il tour de force!!! be', come dici tu c'è bisogno di
bilanciare il dramma con la commedia, ma la storia a volta mi prende e
calco troppo la mano nella parte più seria. sono acnora alle
prime armi, è difficile gestire tutti i personaggi che vogliono
emergere e tutte le idee che ho in testa, che sono veramente tante, Per
quanto riguarda la tua recensione in Canto di Natale, ammetto l'errore
che ho commesso a suo tempo Non ho ancora avuto modo di rivedere la
storia, ma non appena concludo questa serie vorrei partire col
revisionare il tutto.Purtroppo mi sono lasciata ingannare dal nome, ma
se hai notato le note post storia, ho anche corretto.Si nota che sei
una fan informata e questo non è che un bene.
à bientot!!!
Federica
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Capitolo 21 *** Ragione e Sentimento ***
Capitolo 21 - Ragione e sentimento
Ciao
a tutti!!!! finalmente ci siamo, ecco qui il capitolo che tutti stavate
aspettando. Avevo voglia di tenervi ancora un poì sulle spine,
ma siccome so che avrei rischiato il linciaggio mi sono data da fare ed
ho sfornato il capitolo.
Vi lascio alla lettura e vi aspetto al mio solito angoletto per precisazioni e saluti di rito.
RECENSITE!!!!
Capitolo 21
RAGIONE E SENTIMENTO - P.O.V. Kristen
Di solito, rimettere piede in casa propria, dopo essere stati via per
parecchio tempo, lascia addosso una strana sensazione, come se fosse
qualcosa di nuovo o fuori posto. Complice probabilmente la presenza di
Robert nei giorni precedenti, questo senso insolito lo percepivo in
maniera minore. Certamente, il fattore sollievo era molto più
pesante.
Il mio ingresso in quella casa significava aver aggiunto un altro
tassello alla ricostruzione della mia intera vita, nuove fondamenta per
il futuro della mia famiglia. Sentivo che le cose stavano tornando nel
loro ordine naturale e prestabilito, con una facilità
disarmante. Troppo facilmente, forse.
Ogni tanto balenava nella mia mente il brutto pensiero che forse questa
corsa senza ostacoli sarebbe potuta interrompersi in maniera brusca, ed
io avrei potuto farmi male. Avevo una paura matta di ciò che
sarebbe
potuto succedere se non fossi rimasta accorta, ma al contempo non
volevo pensarci. Vivere alla giornata e prendere tutto ciò che
viene era il mio nuovo credo, buono e cattivo, sapendo coglierne sempre
i benefici.
Diedi una sbirciata nelle varie stanze, per rinfrescare la memoria e
forse far riaffiorare nell’intimo la familiarità di quelle
mura. La cucina era pulita a specchio, come l’avevo lasciata
prima di partire, e probabilmente nel frigo c’erano solo
bottiglie di birra, a testimoniare la poca intraprendenza di Robert ai
fornelli, non tanto per incapacità … se ci si mette
riesce anche piuttosto bene … quanto per pigrizia. Aprii
per curiosità i vari sportelli delle credenze e notai che tutto
era pieno di cibo di prima qualità e persino nel frigorifero
c’era qualcosa che non fossero bevande alcoliche.
Mi vergognai di aver solo avuto una così bassa considerazione
per mio marito e sogghignai divertita dalla sua trasformazione in
marito e futuro padre modello.
Probabilmente mi vide inebetita davanti agli scaffali e mi richiamò alla sua attenzione.
“Da quando sei diventato un casalingo?” gli chiesi, curiosa.
Lui rise; evidentemente il mio primo pensiero davanti alla cucina non era poi così lontano dalla realtà.
“Ho solo chiesto alla signora delle pulizie di fare la spesa per
il nostro rientro; non puoi rimanere senza mangiare! E poi ho voglia di
qualche delizia del mio superchef!!!” rise sornione … e ti
pareva! …
Si allontanò con valigie e borsoni in spalla e salì le
scale per depositare tutto in stanza. Non mi soffermai molto nel
salotto, così moderno e asettico, troppo da coppietta alle prime
armi. D’altronde quella doveva essere la mia casa da single, riadattata in
fretta e furia in un “nido” per me e Robert. A quei tempi,
troppo impegnati tra promozioni di film e set, non avevamo avuto
nemmeno il tempo di incorniciare qualche nostra foto insieme.
Al contrario la nostra casa di Londra era perfetta in questo: ogni suo
angolo raccontava qualcosa di noi, della strada che avevamo fatto per
arrivare fin lì e persino le bricioline che ci conducevano al
nostro futuro. Nella camera che avevamo destinato al bambino infatti
avevamo costruito una piccola bacheca non le foto delle ecografie; una
sorta di diario della gravidanza.
Ma la mia vita era anche lì, dunque avrei dovuto provvedere alla svelta.
Salii al piano di sopra, mentre Rob come una furia era già tornato fuori a prendere gli ultimi bagagli.
Entrai in camera, dove la grande parete finestrata mi mostrava il
paesaggio, insolito per una metropoli come Los Angeles, di Stone Canyon
Lake. Avevo scelto quel luogo per noi, pieno di verde, perché potesse rapararci e rilassarci
dopo le fatiche del lavoro ed avere un po’ di tranquillità
e di silenzio. Protezione da occhi indiscreti ed invidiosi di paparazzi
e fan, schiumanti come iene ed avidi come sciacalli.
Entrando ebbi come un flash: ritrovai quella sensazione di nausea e
tedio che ebbi il giorno dopo la lite con i miei, quando con tutta
fretta pretesi di partire e andare via dagli Stati Uniti. Ricordai
tutto il disgusto per quella città così inospitale ed
ostica, riversando su quelle quattro mura tutte le mie frustrazioni,
souvenir di un passato che non mi apparteneva più ed un presente
che mi stava più che mai stretto.
Superai la pila di valigie e mi gettai a peso morto sul letto, tra i
morbidi cuscini e le bianche coltri. Un odore intenso di colonia mi
riempì i polmoni in una folata d’aria, alzata dal mio
movimento.
Era il suo odore, lo avrei riconosciuto tra mille, non avrei potuto
sbagliare. Mi dava sempre calma interiore e forza allo stesso tempo.
Rimasi ad occhi chiusi per qualche istante, per rimettere in ordine le
idee, ed ebbi modo di riflettere su ciò che da allora non era
affatto cambiato: lui, Rob, c’era ancora, era lì con me, e
sarebbe rimasto per sempre al mio fianco, a qualsiasi condizione.
Forse non lo meritavo, per come mi ero comportata, ma egoisticamente, e con blanda modestia, gioii a quella certezza.
Sentii dei passi avvicinarsi lenti al letto, per via dei leggeri
cigolii del parquet: probabilmente Rob credeva che mi fossi appisolata.
“Non ti preoccupare, sono sveglia!” lo rassicurai
“avevo solo bisogno di un attimo per ricaricare la batteria
…” ridacchiai.
“Bene … perché non avrei mai voluto svegliarti”
La voce non era certamente quella di Rob. Andai nel panico perché tuttavia la conoscevo: calda, dolce, vissuta. John, mio padre.
Per qualche miracolo o strano gioco del destino era lì, era venuto da me ed ora avrei potuto parlargli.
“Sei bellissima ad occhi chiusi, sembri tornare bambina” mi confessò, teneramente intimorito.
Il suo tono era dolce, affettuoso; infinitamente diverso, e
fortunatamente migliore, rispetto a quello spiritato, pazzo, irascibile
uomo egoista a cui avevo detto addio diverse settimane prima. Lo
scrutai attentamente ed appena si accorse del mio sguardo suo di lui
abbassò il suo e si girò verso la grande vetrata, dandomi
le spalle.
Mi alzai dal letto e lo raggiunsi. Era tornato ad essere la persona che
conoscevo, lo schivo, riflessivo, dolce, a volte un po’ matto
papaStew, l’unico uomo al mondo che avrei mai potuto dire di
amare, oltre il mio Robert.
Fuggendo sempre il mio sguardo sembrava scrutare qualcosa di indefinito all’orizzonte.
“È … è una bellissima giornata ed il sole
non è più così alto … ”
affermò sommessamente “ … perché non andiamo
a prendere un po’ d’aria in giardino?” propose.
Lo seguii, senza dire una parola, senza un gesto o uno sguardo di troppo.
Nella mia testa avevo un mucchio di interrogativi e mille paure. Mentre
attraversavo il salotto per uscire ed andare nel giardino retrostante,
intravidi Robert dietro di me, appoggiato allo stipite
dell’ingresso della cucina, con una bottiglia di birra in mano.
Istintivamente mi voltai verso di lui e protesi la mano: lo volevo con
me, ne avevo bisogno come calmante naturale. Ma lui mi incoraggiò con un gesto ad andare da sola.
“È una cosa tra te e tuo padre.
Vai, non avere paura” mi sostenne “andrà tutto
bene” … e se me lo dice così, deve andare bene per
forza … strizzò complice l’occhio e il mio cuore
completò la carpiatura del tuffo prima di riprendere a battere
sempre all’impazzata, ma almeno regolare.
Mio padre stava fermo dietro di me sull’uscio della porta
finestra che da’ sul giardino. Anche lui rivolse uno sguardo ed
un sorriso sereni verso Robert, ed in quegli occhi si poteva facilmente
distinguere riconoscenza.
“Grazie” mimò sulle labbra, rivolgendosi al genero, malamente evitando di farsi sentire da me.
Questo nuovo rapporto tra i due mi stupiva, e al contempo mi riempiva
di una gioia enorme. Sapere che tra loro le cose andavano bene mi
infondeva speranza e mi diceva che forse con mio padre avrei potuto
ricomporre quel legame tutto speciale che ci contraddistingueva.
In giardino mi stesi su uno dei lettini in vimini sul bordo della
piccola piscina che avevamo fatto impiantare apposta: le spiagge
affollate sono bandite dalle liste dei luoghi di villeggiatura per
gente come noi.
Mio padre si sistemò accanto a me, ai piedi di un altro lettino, ben attento a non rivolgermi lo sguardo.
Lo capivo, sapevo bene quanto fosse difficile per lui spiegarsi, dire
certe cose a quattr’occhi, anche solo cominciare il discorso.
Avrei voluto potergli dire quanto io stessa mi stavo trovando a provare
le stesse sensazioni, quanto eravamo simili, ma proprio per quella
similitudine entrambi sembravamo colti da una paralisi fisica e mentale.
Mi rivolse una piccola occhiata, rivolgendo la sua attenzione verso la
pancia. Ricordai solo allora che doveva apparigli davvero enorme, visto
che erano passate otto settimane, più o meno, da quando ci
eravamo visti l’ultima volta.
“Ne è passato di tempo … la tua pancia è cresciuta parecchio”
“Otto settimane” risposi, telegrafica “ … ed il bambino cresce in fretta”
“Già” annuì
“Già” risposi anch’io.
Speravo di non risultare acida, dando l’impressione contraria di
quella che desideravo. La verità era che non ci stavo capendo
nulla, dentro di me mille emozioni sensazioni e sentimenti si
contrastavano. La ragione mi diceva di stare attenta, cauta,
perché già una volta mi ero scottata; ma il cuore, lui
correva all’impazzata, ed agognava il momento in cui John mi
avrebbe stretto tra le sue braccia di padre.
Da un lato ero conscia perfettamente di quanto ci volessimo bene,
perché se così non fosse stato, non saremmo mai arrivati
a quel faccia a faccia. Ma bisognava riconquistare familiarità,
fiducia, calore costruiti in una vita e strappati in una notte, che
certo non possono ricucirsi in un attimo.
“Rob ci aveva promesso che ci avrebbe chiamati non appena foste
tornati a casa, ma io non ho resistito e sono venuto senza preavviso
… voleva venire anche tua madre, ma l’ho lasciata a casa:
ho pensato che meno persone si fossero immischiate, meglio sarebbe
stato” sorrisi perché evidentemente lui e Rob erano dello
stesso avviso.
Continuò: “Probabilmente a quest’ora tua madre
è davanti al telefono, crogiolandosi nel dubbio se chiamare o
meno, la conosci ….”
Risi spontaneamente, e lui con me. Mamma era così dannatamente
cerebrale e sensibile che analizzava ogni aspetto della sua vita nel
più piccolo dettaglio; non agiva quasi mai per istinto, al
contrario di papà: per lui la passione, il cuore erano al primo
posto, sempre.
Spesso litigano, si confrontano, come usavano dire a noi bambini anni
addietro, ma gli opposti si attraggono, è una legge fisica.
Io, si può dire, sono un perfetto mix dei due, probabilmente un
po’ più tendente ad essere come papà; per questo le
liti anche tra noi sono quasi all’ordine del giorno.
“Oh al diavolo!” sbraitò, tutt’a un
tratto, alzandosi dal lettino. Entrambi eravamo infatti rimasti in silenzio,
combattuti ed intimoriti dall'idea di prendere la parola per prima, pur
volendo entrambi che la questione si definisse una volta per tutte. Io
mi misi a sedere meglio, per poterlo
guardare. Si muoveva avanti e indietro per un paio di metri attorno a
me, sfregandosi le mani nervosamente, probabilmente per cercare le
parole giuste. Non ci impiegò molto e, fermandosi di scatto, mi
guardò finalmente negli occhi “è inutile fare tutti
questi convenevoli e
girarci attorno all’infinito”
Mio padre era così, repentino fino all’osso. Si
avvicinò a me, e tornò a sedersi, stavolta di fronte a me.
“Mi dispiace Kristen per quello che è successo”
disse tutto d’un fiato “mi sono comportato malissimo nei
vostri confronti, non volevo, ed ho quasi rischiato di generare
conseguenze ben peggiori” ribadì riferendosi certamente
alla lite tra me e Rob.
“Papà” pronunciai per la prima volta dopo tanto
tempo, mi era mancata persino l'idea di quell'appellativo “se c’è una cosa che ho imparato in
quest’ultimo periodo è che gli errori si fanno in due, e
la verità sta sempre al centro. Anch’io ho la mia parte di
colpe, e mi scuso per le cattiverie che ti ho urlato contro e per aver
messo in mezzo persone che non c’entravano niente col mio
comportamento. In qualche modo tu avevi ragione, io non sono quella
caricatura che si era presentata a casa tua, non completamente almeno
…”
“ Tu sei cresciuta, avevi ragione, devo prenderne atto. Non sto
nemmeno a spiegarti le mie ragioni di allora: erano completamente
folli, lo so, ma pensavo che fossero giuste per il tuo bene”
“Papà, a me non interessa quello che è stato, io ho
perfino quasi dimenticato i motivi per cui abbiamo litigato allora
…” gli confessai. Effettivamente la rabbia aveva
annebbiato tutti i fatti di quella sera, accecandomi. Ho continuato a
sentire il rancore per diverso tempo, ma era un sentimento opaco,
protratto più che altro dalla voglia di prevalere.
“Una cosa però vorrei chiedertela” ripresi.
“Tutto ciò che vuoi” mi disse.
“Io quella sera ti chiesi perché, se eri così
contrario alle mie nozze, avevi permesso che avvenissero. O anche
prima, quando io e Rob ci siamo messi insieme. Tu non mi hai risposto
…”
“Piccola mia … nella rabbia si dicono cose che non si
pensano, dovresti averlo imparato. Comunque io non ho mai obiettato
alla tua relazione con Robert. Certo, non lo vedevo di buon occhio,
soprattutto all’inizio … per via di … ” si interruppe, incerto se continuare o meno.
“ … Mike” pronunciai io quel nome che lui stentava a
dire, probabilmente imbarazzato. Ma per me era ormai un capitolo chiuso
della mia vita, dolce amaro certo, ma passato; non avevo più
problemi a ricordarlo.
“Già!”annuì “all’inizio pensavo
che la tua fosse solo un’infatuazione. Che ti sarebbe passata e
avresti capito chi era la persona giusta per te. Ma più passava
il tempo e più capivo che mi sbagliavo. E più mi rendevo
conto dello sbaglio, più mi ostinavo, per gelosia, a rifiutare
l’estraneo. Quando mi hai dato la notizia del matrimonio e della
gravidanza ero felice per voi, davvero, ma inconsciamente provavo del
risentimento, per quel ragazzo che ti stava portando via da me”
“Ma ora è tutto passato vero?” chiesi.
Mio padre si voltò verso casa, ed io con lui, di rimando. Mi
disse: “Rob è un ragazzo eccezionale. Non fartelo
scappare!”
“Non ne ho la minima intenzione …” sorrisi.
Mi diede un pizzicotto sulla guancia, ed io strinsi la sua mano, baciandone il palmo. Era il
nostro gesto, il nostro modo per dirci quanto siamo speciali per
l’altro. Avevamo fatto pace, ma era solo l’inizio, il collante, ora bisognava rimettere insieme tutti i cocci.
“Mi perdoni?” chiese, titubante.
“L’ho già fatto” risposi, sincera. Lui
sorrise, soddisfatto. Doveva aver penato parecchio nelle settimane
precedenti: i suoi occhi erano gli stessi, anche il suo sorriso timido,
ma lo vedevo che era stanco, forse anche leggermente invecchiato.
“Dimenticherai?” domandò ancora. Non mi davano
fastidio quelle domande, erano assolutamente leggittime e pertinenti.
“No” dissi, fermamente. Vidi una ruga nella sua fronte
accentuarsi per la preoccupazione. Sospirai divertita “Non
dimenticherò, perché non voglio correre il rischio di
fare lo stesso errore due volte”. Sorrise per la verità
delle mie parole. No, non dovevo dimenticare, non avrei fatto finta che
non fosse successo nulla, quell'esperienza doveva restare come monito
per entrambi; non per vendetta, rancore solo per proteggerci da
noi stessi e dai nostri pessimi caratteri.
“Sei forte Kris!” mi disse “tanto forte, e
sarai un’ottima madre” portò la mano sul mio ventre;
delicatamente prese ad accarezzarlo, ed avvicinò il suo volto.
Era poco sentimentale, non era mai stato l'uomo dalle grandi
dimostrazioni d'affetto, ma per lui ogni singolo gesto ha un peso
specifico e i suoi abbracci, le sue carezze, le sue parole gentili sono
gioielli preziosi. Anche quel lucchichio degli occhi, lacrime che
imponeva a se stesso di non versare, erano come diamanti.
“Ciao piccolino!!! Sono il tuo nonno, nonno John! Lo so …
sembro troppo giovane per essere il tuo nonno … ma che ci posso
fare io se la tua mamma ed il tuo papà si vogliono troppo
bene!!!”
Ridemmo entrambi di gusto e fu allora che con dei leggeri colpi di
tosse Robert di intromise nella conversazione, avvicinandosi. Aveva in
mano una
bottiglia di spumante italiano e tre flute. Per tutto quel tempo era
rimasto in disparte, allungato sul divano ad ascoltare musica e leggere
un giornale, facendo finta di essere preso da altro, ma non vegliandoci
come una sentinella di guardia.
“Ehi!” lo rimproverai “non ti sembra di star esagerando con tutte queste bollicine?”
“E a te non sembra che ci sia qualcosa che valga la pena di
essere festeggiato?” disse rivolgendo uno sguardo di approvazione
a me e mio padre, soddisfatto di aver portato a termine la sua
missione. Aveva votato tutto se stesso per quella riappacificazione,
aveva anche deciso di starmi lontano per darmi la possibilità di
riflettere. Era una vittoria anche sua infondo.
“Aspettate!!!” intervenne mio padre “stasera venite a
cena da noi!!! Tua madre si arrabbierà con me perché non
le ho dato il tempo di organizzare una cena degna del Presidente ma
qualcosa attrezzeremo … e la bottiglia la stappiamo stasera tutti insieme”
Non mi rimase che annuire, felice; avevo voglia di vedere mia madre,
riabbracciarla e anche di sentirla parlare logorroica per ore di cose
che non mi interessano minimamente, divertendo i miei fratelli mentre
annuisco passivamente a tutti i suoi discorsi.
Salutai quasi con le lacrime agli occhi mio padre che si allontanava,
imprecando contro una brezza inesistente per il bruciore agli occhi.
Rob mi avvolse le spalle con il suo abbraccio.
“Grazie” gli dissi.
“Perché?” domandò; quasi mi stupii che
davvero mi chiedesse il motivo. Ma era umile, sempre, e non riusciva
mai ad ammettere di avere merito in qualcosa.
“Se non fosse stato per te …” non lasciò che
terminassi la frase, posandomi l’indice destro sulle labbra.
“Goditi il momento, non pensare ad altro!” mi
sussurrò al mio orecchio, scostando i capelli e baciandomi
le tempie, delicatamente.
Mi voltai verso di lui e lo abbracciai forte, in preda ad un entusiasmo travolgente, finalmente
esplodendo in una risata incontenibile. Non c’era più spazio per le
lacrime, nemmeno per quelle di gioia.
Angolo dell'autrice
eccomi qui a spiegare un po' questo capitolo. Innanzi tutto partirei dal titolo.
Provvederò quanto prima ad aggiornare anche gli altri capitoli dove ne faccio riferimento.Ragione
e Sentimento è un riferimento sono sono al romanzo, ma anche
alla situazione di conflitto interiore che Kristen vive in questo
momento, ed in un passaggio kristen esprime la sua sua confusione molto
esplicitamente. Essendo molto simili, è una confusione che
probabilmente coinvolge anche John , suo padre, che però come si
evince è più portato all'istinto.
Ho scelto di non dilungarmi troppo nel dialogo tra i due,
concentrandomi piuttosto sul prima,su quella tensione che doveva
sbloccarsi. Ho immaginato il rapporto padre figlia in maniera molto
simile a quello tra Charlie e Bella in Twilight. Poche parole, ma molti
fatti.
Infine Rob, defilato in questo capitolo, ma si conferma il vero perno
della situazione, facendo le scelte giuste e rispettando i tempi di chi
lo circonda. In più ho decisamente evitato le lacrime,
perché era un capitolo troppo felice e non volevo rovinarlo con
lacrime inutili. Quasi dimenticavo: a
seguito delle foto uscite su internet nelle corse settimane, ho deciso
di cambiare il nome della località dove, secondo le fonti
giornalistiche, i Robsten dovrebbero abitare a Los Angeles, cioè a
Stone Canyon Lake, nel quartiere residenziare di Bel Air, a Los Angeles.
Vorrei
ora chiedere scusa per la bruttura della seconda merà del
capitolo, secondo me troppo frettoloso. Purtroppo quando si tratta di
concentrare dei dialoghi così lunghi, mi perdo e non riesco a
bilanciare con la prosa. Si accettano suggerimenti.
Ringrazio per i consensi e le ancora numerose recensioni. Spero che per
un capitolo così decisivo possiamo abbattere il mio record
personale delle 10 recensioni e stabilirne uno nuovo ;-) sapete
benissimo come la penso: io apprezzo tutte le critiche, anche quelle
negative, purché civili, ovviamente.
ora rispondo alle recensioni dello scorso capitolo, come al solito
quelle più prolisse, ringraziando che lascia anche solo un breve
saluto.
marty13__:sono contenta che la descrizione di Rob ti sia
piaciuta, ho notato che non sei stata l'unica e ti ringrazio per la
gentilezza sul capitolo. continua a scrivere recensioni
Enris:devo essere sincera; c'ho
messo un po' per leggere questa recensione, ma l'ho adorata. per me,
è la perla del capitolo. :D credimi quando ho bisogno di
incoraggiamento per la scrittoura corro sempre a rileggere le tue
recensioni. Grazie per la correzione, ho provveduto ad aggiungere la T
mancante alla parola ratti....purtroppo vado come un treno sulla
tastiera e a volte lascio pezzi per la strada e devo ricorreggere il
capitolo due o tre volte. Il pov John è nato per caso, diciamo
che in un certo senso John ha preso vita da se, prepotente come lo hai
"letto" nel capitolo e così siamo arrivati a casuccia Robsten.
La scleta di descrivere la goffacine di rob è stata dettata
soprattutto con l'intento di stemperare la tensione che si era creata,
ed anche perché, personalmente, adoro il modo in cui robert
è davvero, e volevo descriverlo. ma una donna non avrebbe saputo
essere realistica quanto un uomo come john e poi anche lui preso da
tanti pensieri riesce per un attimo a distrarsi..spero ti piaccia anche
questo capitolo
La Francy: grazie amore mio per
esserci sempre, anche se sotto mie minacce personali. XD La crisi come
avrai letto non c'è stata, ma di sicuro tanta emozione.
prudence_78: come dici tu il
rapporto con Robert è facile da ricostruire, però
avverrà lentamente, anche se all'apparenza è tutto rose e
fiori. forse con questo capitolo ti ho un po' delusa, visto che maari
immaginavi qualcosa di più pepato. ma entrambi sono consci dei
propri errori ed avevano voglia di girare pagina, iniziare un nuovo
capitolo. spero di aver rinnovato la tua fiducia e la tua passione per
questa storia.
BabyVery: lo so che tutti
volete che la storia vada avanti il più in fretta possibile,
anch'io da lettrice ragione così, ma capite che non posso
giocarmi tutto in una sola volta. anche perché c'è tanto
da dire, da scrutare nelle menti di ogni personaggio. Tornando al
capitolo precendente, credo che Jules sappia bene com 'è suo
marito visto che sono sposati da oltre 25 anni. sa che non deve
prendersela, ed infatti lo perdona, anche nelle cose più gravi.
e poi c'è una cosa molto più importante che li unisce:
l'amore.
Per i prossimi capitoli, escluso il prossimo, ci sarà una grande
pausa mentale. Ho intenzione di creare una serie, non so ben preciso
quanti, di capitoli di transizione, che mi permetteranno di
approfondire cose che aveva lasciato per strada, come la questione
Londra o come quei piccoli momenti tipici di una gravidanza, come i
calci in pancia o le voglie.
à bientot!
Federica
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Capitolo 22 *** Un ponte tra il vecchio e il nuovo mondo ***
The best day - capitolo 22
La
fretta non mi permette di introdurvi il capitolo come vorrei,
perciò inizio semplicemente scusandomi per l'immane ritardo e
lasciandovi un capitolo un po' più lungo del solito, come
rimborso. Vi lascio alla lettura del capitolo e vi ricordo del'angolo
dell'autrice a fine capitolo. Buona lettura!!!
Capitolo 22
UN PONTE TRA IL VECCHIO ED IL NUOVO MONDO - P.O.V. Kristen
Avevo la sensazione di aver
rimesso le lancette indietro ed essere tornati a quasi due mesi prima.
Come in un rewind Rob mi aveva portata a casa dei miei genitori, come
quella sera, e come quella sera ero davanti alla porta
d’ingresso, in attesa che qualcuno venisse ad aprirci.
Riponevo molte speranze in quella cena, come allora, ma diversamente
avevo la certezza che stavolta non sarebbero state disattese.
Perché avrei trovato con tutte le mie forze un punto d’incontro, perché eravamo tutti cambiati, molto.
Al contempo però avevo intenzione di ribadire un concetto: io
non ero più la stessa, le esperienze che avevano riguardato la
mia vita, privata e lavorativa, inevitabilmente mi avevano plasmata,
rendendomi diversa. D’altronde non si può rimanere sempre
uguali, guai se così non fosse.
Tuttavia, per quieto vivere, mi ero sforzata di trovare un compromesso,
una situazione che fosse gradita a tutti, e forse c’ero riuscita,
conciliando la piccola Kris, il maschiaccio, con la signora Pattinson,
quella elegante e mai inopportuna. A volte mi
trovavo stretta nei miei stessi nuovi, eleganti panni, tuttavia volevo che in
quelle nuove vesti, anche gli altri trovassero dei pregi, come io avevo fatto.
Venne ad aprirci papà, con un sorriso enorme stampato in viso,
come non gliene vedevo uno da anni. Doveva averlo soddisfatto parecchio
la nostra conversazione pomeridiana, soprattutto perché eravamo
riusciti a sbrogliarcela da soli. Per il nostro intimo orgoglio, era
davvero un toccasana.
In più, già solo a vista, lo avevamo rassicurato.
Eravamo rimasti sull’informale, e così ci eravamo
adeguati. Non poteva che farmi piacere: con la pancia che cresceva,
costringermi in abiti eleganti era un supplizio infernale.
Un bel camicione lungo e largo per me, camicia a quadri e jeans per
Rob: capii che quelli erano i figli che mio padre amava accogliere in
casa. E in quel mondo io anche mi ritrovavo.
Ma anche l’altro non mi dispiaceva: forse perché mi
divertiva, come un giocattolo nuovo; mi dava importanza perché,
anche se inconsciamente, tutti noi attori soffriamo di manie di
protagonismo.
Mentre mi distraevo in queste elucubrazioni mio padre ci fece entrare e
Robert dovette richiamarmi più volte prima di avere la mia
attenzione. Mi morsi il labbro dalla vergogna ed arrossii, ma mio padre
lasciò scivolare via avvolgendomi le spalle con un suo abbraccio.
Vidi Rob dirigersi automaticamente in cucina, come fosse uno di
famiglia, come se quella fosse la casa in cui lui era cresciuto, non io.
Ero contenta di quella nuova atmosfera, ma lo invidiavo perché
mi sentivo d’impaccio e sapevo che riappropriarmi di quegli spazi
sarebbe stata un’impresa titanica.
Non gliel’avevo confidato, eppure immaginavo che lui
l’avesse intuito, ma mi sentivo profondamente a disagio ad andare
a cena dai miei: volevo farlo, dovevo farlo, ma come avrei rivolto la
parola a mia madre? Come avrei convinto i miei fratelli che era tutto
finito, e che mi dispiaceva un mondo averli feriti?
Quasi avesse udito i miei pensieri, Rob tornò dalla cucina,
mentre mio padre mi incoraggiava ad entrarvi. Dall’odore intuivo
che mia madre era lì, ed aveva messo in piedi la cena con tutte
le mie pietanze preferite. L’adoravo per essere sempre
così puntuale e reattiva agli eventi. Di sicuro avrà
inveito contro mio padre per mezz’ora per averle messo in piedi
una serata all’improvviso, ma conoscendola avrà reagito
in una frazione di secondo, ricomponendosi e rimboccandosi le maniche.
In questo anche eravamo molto simili.
Cosa le avrei detto una volta entrata? Le avevo promesso che non
l’avrei dimenticata, che non l’avrei abbandonata, invece
era proprio ciò che avevo fatto, e me ne vergognavo a morte.
Come avrei potuto essere una buona madre senza essere prima una buona figlia?
Rob mi prese per mano e mi condusse verso la cucina. Mia madre era alle
prese, ovviamente, con piatti e padelle, con l’immancabile
grembiulino e occhiali inforcati per leggere le ricette. Non che ne
avesse bisogno, ma era una maniaca della perfezione e controllava ogni
dettaglio cento volte prima di essere convinta, in qualsiasi cosa.
Si voltò a guardarmi e mi sorrise, pacatamente. A differenza di
papà lei non era cambiata affatto, sembrava non essere stata
scalfita dal corso degli eventi. Certo, solo due mesi erano trascorsi
da quando ci eravamo separati, ma a volte sono sufficienti per provare
una persona anche fisicamente. Ma lei no, lei era la parte forte,
quella tosta, che in casa porta i pantaloni e manda avanti
concretamente la baracca. Dove sarebbe a quest’ora papà se
non avesse avuto alle spalle una personalità forte come mamma.
Si affrettò ad abbassare la fiamma dei fornelli e mi venne
incontro. Io non riuscivo a dire nulla, nemmeno a fare un passo in
avanti. Aspettavo che fosse lei a parlare. Tuttavia, appena me la
ritrovai davanti un sussurro mi partì spontaneo:
“Mamma!” era piuttosto flebile, ma ero sicura che
l’avesse sentito perché portò la mano sulla mia
guancia, per accarezzarmi. A quel contatto, la mia pelle si
infuocò, per lo stupore e l’emozione che quel così
semplice gesto mi provocava. Ero abituata alle sue attenzioni, un
tempo. Ritrovarle fu una sorpresa positiva e negativa allo stesso
tempo. D’altronde, sapere che dimostrazioni d’affetto come
quella a lungo andare diventano banali e quasi non ce ne curiamo lascia
un pizzico d’amaro in bocca, specialmente se ne hai dovuto fare a
meno per un lungo periodo. Non avrei mai più lasciato al caso
nulla, neanche il più piccolo gesto.
“Piccolina” sussurrò anche lei, distendendo sul suo
volto il più serafico dei sorrisi, soffermando le sue dita
nell’accarezzare le mie guance rosee ed ormai paffute. …
Sì mamma, sono qui, con te, in carne ed ossa. Non sono un sogno
…
“Be’, non più tanto piccolina” constatò, ridendo. Risi anche io con lei, spontaneamente.
Rob e papà erano ancora lì, alle mie spalle, ad osservare in silenzio la scena.
“Credo che sia ora di prenderci un drink noi due, vero Rob?”
Un ottimo tempismo. Così come Rob aveva lasciato a noi spazio e
tempo per conversare, da soli, quel pomeriggio, ora mio padre stava
offrendo a me e alla mamma questa opportunità. Sinceramente
avrei preferito continuare la nostra conversazione in maniera pubblica,
con la semplicità con cui l’avevamo iniziata. Ma
c’era altro da dirsi, tanto altro da condividere tra sole donne e
papà aveva da scusarsi con la mamma per tutte quelle settimane
trascorse, che io sembravo una sorta di risarcimento. Non me ne ebbi a
male.
Lei nel frattempo era tornata ai fornelli ed io la seguii, aiutandola come potevo.
“Allora …” mi disse “che mi racconti? Che si dice a Londra? I tuoi suoceri, tutto bene?”
“Mamma!” la freddai. Non volevo che la conversazione fosse
rimandata, né del tutto annullata. Dovevo chiarire, chiederle
scusa e farle sapere che anche se non gliel’avevo dimostrato, ci
tenevo davvero tanto a lei e papà. “Mi sei mancata
tanto!!!” e così dicendo me l’abbracciai con tutta
la forza che avevo in corpo, di certo prendendola alla sprovvista e
lasciandola quasi certamente senza fiato per la veemenza che usai. Mi
sentii tanto fortunata e pienamente felice quando mi accorsi che stava
rispondendo all’abbraccio. Sentivo dei lucciconi pungermi negli
occhi, e reclamavano prepotentemente di poter solcare le mie guance, ma
avevo deciso che le lacrime le avrei lasciate solo ai momenti tristi, e
così come erano venute le ricacciai, soddisfatta di me stessa e
del mio nuovo autocontrollo.
“Oh tesoro!!! Mi sei mancata tanto anche tu, ma ora è
finito tutto, è finito tutto davvero … mi sembra un
sogno!!!”
“Non lo so perché non ti ho chiamata per tutto questo
tempo, perché mi ero imposta di cancellarvi tutti
…”
“Shh tesoro, shh!!! A me non interessa … io ti rivolevo a
casa e volevo che fossi in pace con papà, il resto non
conta”
Quelle parole mi scombussolarono dentro. Sarei diventata madre a breve
e ancora mi stupivo del comportamento istintivo e naturale più
antico del mondo. Non voleva sentire ragioni o scuse da me, pretendeva
solo che io stessi con lei e non comprendevo come ciò fosse
possibile. Ma presto capii che il segreto stava in due paroline,
magiche: amore incondizionato. Ciò di cui solo un genitore
può essere capace e anche se non vogliamo ammetterlo, anche se
vogliamo porre condizioni e paletti, alla fine torna sempre prepotente
davanti ai nostri occhi. Perché qualsiasi cosa faccia, anche il
più efferato delitto, una madre guarderà sempre suo
figlio con gli occhi amorevoli e protettivi con cui l’ha donato
al mondo.
“Allora” prese lei la parola tornando di nuovo alla sua
attività “siamo diventate belle ingombranti, eh
Jaymes!” mi prese in giro, scherzosamente. C'erano solo due
persone al mondo che mi chiamavano così: una era in salotto a
prendere un aperito, latra era lì accanto a me; il suono di quel
nome, sulle loro labbra assumeva toni che colpivano le mie corde
più intime scombussolandomi, ogni volta. Mentre
frettolosamente scorrazzava da una parte all’altra della cucina,
lasciandomi seduta allo sgabello dell’isola con le mani in mano a
sorseggiare un succo, mia madre si puliva furtivamente il viso da
piccole lacrime
che scendevano.
“Mamma non me ne parlare” cercai di non dare peso e di
smorzare l’atmosfera, facendola rilassare, com’era nelle
sue intenzioni “a volte sento che sto per scoppiare”
“Ma se non sei ancora entrata nel settimo mese!!!!”
Rimanemmo ancora per un po’ a parlare del più e del meno
per riprendere quel rapporto di naturale confidenza ed affettuosa
civetteria tra madre e figlia. Lasciai che gli eventi ed i pettegolezzi
di famiglia scivolassero nella nostra conversazione fin quando non fu
lei a riprendere i discorso.
“Stasera ci saranno anche i tuoi fratelli a cena” mi
annunciò “loro non saranno altrettanto indulgenti con te e
Robert come lo siamo stati io e papà”. Capivo cosa volesse
dire, e sapevo bene come stavano le cose. Quando avevo abbandonato gli
States dovetti affrontare l’ira del maggiore dei miei fratelli,
Cameron, ma soprattutto la fredda ed ostile indifferenza dei miei
fratelli, fatto che mi intristiva ed urtava ancora di più. Non
c’è cosa che io possa odiare di più al mondo
dell'indifferenza, più della collera. A quella puoi rispondere,
a seconda della tua indole, con altra violenza
o porgendo l’altra guancia. Come puoi rispondere a chi decide di
spontanea volontà di estrometterti dalla sua vita? Per me le
cose si complicavano ulteriormente perché era stato il mio
comportamento a indurli ad agire in quel modo.
Mia madre continuò a parlare, spiegandomi le ragioni del loro
comportamento, ma io facevo poca attenzione alle sue parole, presa
com’ero dalle mie preoccupazioni.
“Ho parlato con tutti e tre in questi giorni, ho spiegato loro la situazione e li ho convinti a venire qui stasera”
“Come l’hanno presa?” ero preoccupata sinceramente
della loro reazione, perché tutto dipendeva da loro a questo
punto.
“Li conosci meglio di me. Dana e Cameron hanno due caratteri
opposti, ma comunque entrambe non riescono a tenere il broncio per
troppo a lungo …” Già. Il mio fratellone burbero,
sempre pronto a fare a cazzotti e litigare, ma solo se c’è
da difendere qualcuno. Una corazza fatta di tatuaggi per un cuore tutto
di marzapane. Dana invece era davvero un pezzo di pane, buono dalla
testa ai piedi e capace di distinguere davvero il giusto dallo
sbagliato. Di lui ho sempre apprezzato il senso della misura,
l’abilità di riconoscere quando un gioco è durato
troppo a lungo e bisogna terminarlo. Probabilmente per lui era arrivato
quel momento anche con me.
“… ma Taylor …” mamma strozzò le sue parole in gola mentre pronunciava quel nome.
Pur non essendo mio fratello di sangue, pur avendo iniziato a vivere
insieme quando avevamo 6 anni, provavo per lui l’affetto
più grande e a lui avevo sempre riservato le maggiori attenzioni
e coccole. Perché in fondo eravamo come gemelli, nati ad un solo
giorno di differenza l’uno dall’altra e con gli anni
avevamo affinato anche una certa somiglianza fisica. Preferiva
confidarsi con me lui, anziché con i nostri fratelli maggiori, e
per me aveva la sensibilità di una sorella, tanto che quando
ancora avevo problemi di cuore era lui il primo a saperlo.
Lo sapevo, avevo tradito la sua fiducia, l’onestà eterna che
c’eravamo giurati da ragazzini, quando si giocava a football o
facevamo a gara di tuffi bomba in piscina nel grande giardino dietro
casa e mamma ci sgridava perché rompevamo puntualmente qualche
vaso o con gli spruzzi d’acqua clorata sporcavamo tutti i vetri
del salotto.
“Ma Taylor, mamma?” la incalzai, anche se quello che mi avrebbe detto lo sapevo già da me.
Non ci fu bisogno che continuasse perché proprio in
quell’istante si aprì la porta di ingresso e sentii dal
vociare che i tre moschettieri di casa Stewart erano rientrati.
Cameron, il diavolo della Tasmania, come lo chiamava mamma da piccolo,
corse come un tornado in cucina e prima che aprissi bocca mi ritrovai
tra le sue braccia, in uno dei rarissimi abbracci che concedeva in vita
sua. Era così restio alle dimostrazioni d’affetto,
esattamente come me e papà, ma questo permetteva di apprezzarne
ogni singolo gesto.
“Camerooooon!!!” urlai abbracciandolo di rimando. Sentii
per un attimo la terra mancarmi sotto i piedi, ma mingherlino
com’era, Cam non riuscì a tenermi per aria per più
di due secondi.
“Dio Kris, ma quanto sei ingrassata!!!” si lamentò.
“Ma quanto sei gentile Cameron!!! Ho messo su i chili necessari
… tuo nipote ha fatto il resto!!! Semmai la colpa è
tua!” protestai “passi le giornate in palestra, ma non
metti su una libbra di muscoli … la verità è
che secondo me ci vai solo per le donne!!!” Sfoderammo una bella
linguaccia ciascuno, come due bambini. Era così bello provare di
nuovo quell’affetto genuino e naturale tra fratelli, che permette
di ridere e scherzare nonostante le continue schermaglie e litigi.
Intravidi mia madre con la coda dell’occhio che ci guardava
stralunata, come se non si rendesse conto che la sua famiglia era tornata
ad essere unita.
Molto più timidamente si fece aventi Dana, il riflessivo, il
secchione, che senza grandi parole o gesti mi diede il suo saluto.
“Bentornata piccola Stewie!!!” era introverso e
schivo più di me, avrei dovuto farmelo bastare. Lo salutai
timidamente, così come altrettanto timidamente abbassammo gli
sguardi. Tra di noi era così, non me ne presi tanta pena.
Anche perché la mia attenzione era stata rivolta dal vociare
convulso e confuso che proveniva dall’ingresso di casa. Era tutte
voci maschili. Mentre Dana era rimasto a salutare mamma in cucina, Cam
era accorso anche lui in quella piccola masnada. C’erano tutti:
papà, Rob … anche Taylor. Probabilmente erano tutti
immersi nell’impresa di convincerlo a parlarmi. Cosa che, a
quanto sembrava, non volesse. Rivederlo mi causò un tuffo al
cuore, tanto che non mi capii di come avevo potuto lasciare tutto senza
dare troppe spiegazioni quel giorno di un paio di mesi prima. Lui era
l’ultima persona, insieme alla mamma, a cui avrei voluto e dovuto
riservare quel trattamento e pure non me ne curai. E lo ferii,
ovviamente. Vederlo opporsi alle richiesti di mio padre, mi faceva
ancora più male, perché gli voleva un bene pazzo. Aveva
sempre trovato la nostra famiglia un motivo di vanto, perché
laddove c’erano divorzi, battaglie legali, piatti rotti nei
litigi, noi restavamo uniti.
“Tay!” lo chiamai.
Lui con gli altri si voltarono verso di me. “Vieni, per
favore” lo supplicai, e con la testa gli feci cenno di seguirmi,
verso quella che era stata la mia camera da letto. Entrai e mi
sembrò di entrare in un mondo lontano, diverso, eppure non era
passato neanche un anno e mezzo dall’ultima volta che vi avevo
dormito. Presi tra le mie braccia Jella, io mio gattone, che avevo
trovato in cima alle scale, esigente come non mai di un abbraccio da
quella che, ancora, considerava la sua padroncina.
Mentre mi soffermavo a guardare i ricordi che la mia stanza conteneva,
aspettando e sperando che Taylor si decidesse a salire, le sussurrai:
“ Non dovresti abituarti troppo alle mie coccole Jella …
lo sai che non rimarrò per sempre ..." sospirai "... e tu sei troppo
attaccata a queste quattro mura per venire con me”. Max era un
gatto come gli altri, affettuoso sì, ma egoista ed anche
ruffiano, pronto a farti le coccole se hai qualcosa in cambio, ma anche
pronto a tradirti se i suoi interessi vengono meno.
Sentii scattare la serratura e pregai il Paradiso che non fosse
mamma, Rob, o qualcun altro della famiglia, venuto a dirmi che Taylor se
n’era andato.
Ed invece Taylor era lì: forse una speranza c’era ancora.
Senza badare a me si sedette sulla sedia della scrivania ed io,
abbandonate le scarpe a terra, mi lasciai sedere sul letto, a gambe
incrociate, col pancione che sbucava e quel poco spazio che rimaneva
tra le mie gambe riempito da Jella che si muoveva come un ossesso,
nella ricerca di una posizione comoda. Iniziai a carezzargli la nuca,
più per tranquillizzare me che per lei.
Non so dove trovai lo spirito di iniziativa che mi condusse in quella
stanza faccia a faccia con mio fratello, ma dovevo prenderne più
che potevo ora, prima che si volatilizzasse ed io potessi pentirmi di
ciò che stavo facendo.
“Che sei venuta a fare?” mi chiese, con lo sguardo volto alla finestra, voce sprezzante.
“Voglio rimettere a posto le cose” risposi, onestamente. La
voce mi tremava, avrei potuto essere più convincente, ma era il
meglio che potessi fare.
“Mi prendi in giro, ma non sperare che me la beva come hai fatto
con loro, io ti conosco meglio di tutti loro messi insieme” era
vero, lui mi conosceva meglio di chiunque altro, ma non avrei mai preso
in giro qualcuno in una situazione del genere, tantomeno lui.
“Perché dovrei prenderti in giro?”chiesi, rattristata dalle sue parole.
“Forse ora le cose si sistemeranno, e forse anche tu ci credi, ma
quanto tempo passerà prima che si ritorni di nuovo punto e a
capo”. Scossi la testa, non riuscivo a seguire la logica del suo
discorso.
“Andrai di nuovo via vero?" mi chiese "non resterai qui?”. Ecco qual era il nocciolo della questione.
“No” risposi sincera “ Presto il bambino
nascerà e il mio ginecologo e l’ostetrica che mi seguono
sono a Londra. Dovrò tornare lì. Ma non vado via
subito” mi affrettai a precisare, per rincuorarlo “anzi
resterò più del previsto, considerando che sono
arrivata con largo anticipo!”
“Kris tu lo capisci cosa hai fatto vero? Ti sei resa conto di
quanto c’hai fatto male, specialmente a Dana e a me”. Si
vedeva che voleva aumentarmi i sensi di colpa, ma non me ne preoccupai.
Era del tutto comprensibile. D’altronde loro non avevano avuto
una famiglia normale dalla nascita e per i prima anni della loro vita
avevano vissuto in istituto. Non doveva essere bello vivere di
nuovo l’esperienza di una famiglia spezzata.
“Lo capisco Tay, so che cosa ti ho fatto, e sono sinceramente
pentita di tutto, come lo è anche papà" volli
spezzare una lancia a suo favore; sapevo che tra loro i rapporti non
erano "idilliaci", per usare un eufemismo. "Quindi
adesso basta, ti prego”
Si alzò in piedi, iniziando a blaterare per la stanza. Mi ricordava papà quando faceva così.
“Basta cosa? Uno strappo come questo lascia cicatrici Kristen,
è inutile che fai finta di niente. Ci hai bistrattati preferendo
una famiglia all’altra e continui a farlo. E come se non bastasse
mamma e pure papà ora ti danno ragione!!!”
Reagii, perché i suoi non erano ragionamenti tollerabili da
parte di un ragazzo di vent'anni. “Io non faccio preferenze, non
ne ho mai fatte e mai ne
farò. Certo è difficile mantenere l’equilibrio, ma
in qualche modo faremo. Credi che la famiglia di Rob sarebbe contenta
se noi restassimo qui per sempre? Se per fare contenti voi passassimo
qui tutte le feste e ci dimenticassimo di loro? Quella è una
famiglia di serie B, Tay? Non merita le stesse attenzioni che meritate
tutti voi? Non devi essere così egoista!” mi dispiacque
molto rivolgermi a lui con quel tono, toccando note dolenti e personali
come quelle, ma dovevo fargli capire che lui avanzava pretese scorrette.
“Non lo so se sto facendo la cosa giusta Tay” continuai,
sfogandomi con lui come facevo da ragazzina “ma ce la sto
mettendo tutta e ho bisogno del supporto di tutti voi per farcela!
Anche il tuo!”mi sforzavo di rivolgergli sempre lo sguardo, nella
speranza che lui rivolgesse a me il suo e potesse vedere quanto di vero
ci fosse nelle mie parole.
Rimase fermo, immobile a fissare le foto sul comò. Era
leggermente rivolto verso di me, e potevo vedere il suo volto.
Sorrideva, questo mi lasciava ben sperare.
“E così siamo cresciuti, eh piccola Kris? Ognuno per la sua strada?”
Mi ricordai allora della promessa fatta da bambini e del piccolo motto che lui aveva inventato come giuramento.
“Sì. Ognuno per la sua strada, senza perderci mai di
vista!” gli sorrisi, perché finalmente si era voltato
verso di me e doveva vedere quanto ero felice di essere lì con
lui in quel momento. Forse non ero stata così felice nemmeno nel
pomeriggio, quando avevo rivisto papà e sistemato le cose con
lui, eppure mi premeva tanto, perché sapevo che quelle erano
solo le pendici della salita. Ora c’era la discesa, e non mi
sembrava vero.
Tornammo in sala da pranzo dove gli altri, angosciati, ci stavano
aspettando. Appena ci videro trattennero il fiato per poi scoppiare in
un fragoroso applauso quando capirono che ero riuscita a far ragionare
quello zuccone del mio fratellino “quasi gemello”. Rob
corse ad abbracciarmi e mi lasciai baciare con una foga che davanti ai
miei non c’eravamo mai concessi, segno di una liberazione
completa da ogni formalismo e giudizio. I fischi dei miei fratelli e le
risate dei miei genitori lasciavano intendere che avremmo potuto essere
quella famiglia che prima era solo una facciata ben decorata, anche ai
miei occhi.
Eravamo maturi abbastanza per sapere che le nostre scelte e
le nostre vite appartenevano a noi stessi, ma probabilmente una parte
di noi sarebbe sempre rimasta bambina, legata a quei ricordi e quelle
stanze; tuttavia senza quella parte non saremmo mai stati capaci di
lottare, ognuno a suo modo, per restare insieme.
Angolo dell'autrice
Purtroppo non ho molto tempo da dedicarvi oggi e le risposte alle
recensioni che vedete le avevo pronte già da un po',
perciò vi chiedo vi scusarmi se non lascio grandi spiegazioni,
anche perché non credo che a questo punto della storia ne
servano molte. Comunque, per qualsiasi chiarimento sapete dove trovarmi
e sapete che, se posso, rispondo sempre alle vostre recensioni o
richieste. Ora che si siamo buttati alle spalle questa brutta faccenda
ho deciso di postare due o tre capitoli più tranquilli, di
transizione, che ci condurranno a quello che è l'altro evento
principale della storia. Il vesto e proprio "best day". inutile dirvi
quale sia...
Credo abbiate notato il cambiamento della grafica e l'aggiunta di un
piccolo banner fatto me. In giro ci sono dei veri capolavori ed io sono
proprio un disastro a confronto. Mi farebbe piacere se lasciaste un
commento anche per questo. Vi ringrazio per l'assiduità con
cui mi seguite e spero di riavervi numerosi anche questa volta.
prudence_78:
prima di tutto vorrei ringraziarti per il favore accordatomi ed anche
per il tuo farmi da sponsor, è bellissimo sapere che ci si passa
la voce ed anche la mia FF è degna di essere consigliata alle
amiche.mi da grande stimolo ad andare avanti. poi c'è una cosa
che vorrei precisare. Forse la lettere che a suo tempo io, o meglio Rob
ha scritto, non sono riuscita a far passare bene il messaggio. Non
volevo dire che per lui Kristen non è più la stessa donna
di cui si è innamorato, anzi non smette mai di ripeterle quanto
la ama. Lui le dice invece che non sente più, da parte di lei,
quell'attenzione che aveva prima, come se lei, presa dalle sue facende
e facezie, avesse perso la bussola. Invece se ti riferivi a quanto
detto nella lite, kristen è ben consia che quelle parole, dette
in un momento di rabbia, non hanno alcun valore. Come hai detto tu,
c'è tanto da ricostruire, ma io credo che poco debba essere
fatto in questo matrimonio tranne una cosa: lasciare che siano loro ad
occuparsene.
ledyang, Bells85, sidney90, bellsblack
: a voi do un grazie di cuore perché, anche se con poche parole,
mi dimostrate di esserci sempre e di tenere così alla mia
storia. Un benvenuto speciale a bbelsblack per la sua prima recensione
alla mia storia:mi auguro che ne potranno seguire altre. Vi
complimentate sempre per l'esattezza e la precisione nella scrittura.
Credo, che oltre il contenuto, la forma sia il primo elemento che mette
in risalto una storia, quindi è necessario curare sia la
presentazione che il lessico e la grammatica. Ammetto che a volte la
frett gioca brutti scherzi e sono costretta a modificare un capitolo 4
o 5 volte prima che perda tutti gli errori. Ma errare è umano...
La Francy: amore mio, sai
benissimo che la tua riappacificazione "catastrofica" non potevo
attuarla. Primo perché nella vita le cose di solito si svolgono
leggermente meglio, ed io cerco di rappresentare la realtà
quanto più possibile, anche nei dettagli più piccoli, pur
rimanendo questo un mero racconto di fantasia. Poi perché, come
ti ho già spiegato, la "tragedia" preferisco riservarla al
gran finale.
BabyVery: come dici giustamente
tu, è proprio l'orgoglio che entrambi hanno a scatenare
l'imbarazzo ed il silenzio all'inizio della conversazione. Ma non
perché non riconoscano le proprie colpe, anzi. C'+ solo la
difficoltà, la ritrosìa, a mostrarle pubblicamente. Ma
altrettanto bene sanno, sia John che Kristen, che in mallo c'è
molto di più dell'onore personale, così mettono da parte
ogni stupido atteggiamento e si fanno forza, sperimentando quanto in
realtà sia facile dirsi "ti voglio bene, voltiamo pagina". Il
difficile è poi ridarsi fiducia a vicenda, ma è una cosa
che viene da sé, col tempo.
Enris: mi spiazzi, ogni volta,
davvero. Vorrei aggiungere, precisare qualcosa, ai tuoi commenti, ma
non posso farlo mai. Sempre esatta, puntuale, comprendi il capitolo con
una sensinsilità che pochi hanno, attribuendo un valore alla
storia che va al di là del semplice racconto della vita
complicata di due attori. E di questo sono felice, perché io do
l'anima per scrivere, e per me questo è molto di più di
un racconto su Robert e Kristen, perché i loro gesti e i loro
pensieri potrei rapportarli a due nomi qualunque, e la storia
prenderebbe vita comunque. Grazie per il tuo sostegno!!!
Imaginary_82:stavo per
postare quando mi sono accorta delle tue recensioni,così mi sono
fermata un attimo e ti rispondo.Innanzi tutto è comico il modo
in cui riesci sempre a recensire prima che io posti un capitolo,in modo
che io debba rivedere le recensioni XD. Ti ringrazio per lo sforzo
immane che hai fatto nel recensire tutti capitoli, bastava che
recensissi l'ultimo, e quindi ti ringrazio mille volte!!! Per quanto
riguarda il capitolo 20 vorrei precisare che non ho intenzione di
lasciarlo in quel modo, sarà il primo ad essere revisionato una
volta terminata la storia, forse anche prima. Però era un
problema che facilmente poteva venir fuori dal momento che è un
capitolo altamente introspettivo. Ti aspetto alla prossima!!!
ricordandovi di recensire, per farmi sapere che ne pensate, o anche solo un saluto per me è
importante, vi lascio anche il link del mio account twitter dove da qui
in avanti ho deciso di scrivere qualche piccola anticipazione ai
prossimi capitoli Crazyfred
à bientot,
Federica
|
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Capitolo 23 *** Family Portrait ***
The best day - capitolo 23
Ragazzi miei, carissimi lettori, mi
rimangio tutto quello che vi avevo annunciato nell'anteprima del
capitolo, e vi dico e il capitolo è pronto e lo posto
subitissimo. Nelle prossime settimane comunque non avrò modo di
essere particolarmente presente si EFP perché torno in ospedale
a fare tirocinio, e poi ad ottobre ricomincio anche con le lezioni
quindi poi sarò fuori tutto il giorno. Spero nelle prossime due
settimane di poter scrivere abbastanza per potermi portare avanti. Vi
dico già che penso di concludere la storia sui 30 capitoli, devo
ancora stabilire se questi 30 prevedono anche l'epilogo o meno.
Comunque una volta conclusa questa mia fatica, sono lieta di
annunciarvi che, oltre ad una pausa, spero breve, darò il via ad
una raccolta di One Shotm che racchiuderà tutti i momenti
che vanno dalla fine di questa serie fino all'epilogo, ma potrebbe
anche trattarsi di qualche prequel o sequel, come dicono gli inglesi.
Bando alle ciance, vi lascio alla lettura del capitolo.
Buona lettuta e ci vediamo all'angolo dell'autrice, a fine capitolo.
E mi raccomando. RECENSITE!!!
vi ricordo il mio TWITTER per seguire aggiornamenti. sto aprendo un gruppo anche su FB per gli aggiornamenti, vi basterà seguire il link per iscrivervi.
Capitolo 23
FAMILY PORTRAIT - P.O.V. Robert
Un pantofolaio di
mezza età: ecco cos'ero diventato. Mi atteggiavo a nuova stella di Hollywood,
sex symbol di fama internazionale ... o meglio gli altri mi dipingevano così
... eppure non c'era cosa al mondo, nell'ultimo periodo, che desiderassi
fare, se non chiudermi in casa dopo il lavoro e, dopo cena, stendermi sul
divano o nel letto a vedere un film o a leggere un buon libro, sciogliendomi
come neve al sole, magari abbracciato alla mia signora e facendo le coccole a
lei e al nostro pancione. Lo portava lei, con grande orgoglio e disinvoltura,
il che la rendeva ancor più meravigliosa, ma era nostro ... in fondo il mio
contributo l'avevo dato ...
Lei prendeva in giro le mie nuove abitudini casalinghe, ma la verità è che
c'erano delle giustificazioni ben specifiche e del tutto ragionevoli alla mia
inspiegabile, fino a qualche mese prima, pigrizia serale.
Il set mi stava uccidendo. Ero entrato nei meccanismi delle grandi produzioni
cinematografiche hollywoodiane, levatacce mattutine e turni di riprese
estenuanti fino a tarda sera, a volte anche in notturna, oltre a sforzi fisici
fuori dal mio ordinario. Non facevano per me; o meglio, io non ero fatto per
loro. Il mio preparatore atletico, che prima e durante le riprese di ogni film
ha il compito di fammi smaltire la tradizionale pancetta da birra di noi
giovani attori inglesi, si sforzava di farmi lavorare alla panca e ai vari
attrezzi per aumentare la massa muscolare ma, come da lui stesso ammesso, il
mio corpo si rifiutava categoricamente e perentoriamente di collaborare. A dir
la verità pochi sprazzi di luce alla fine del tunnel si potevano scorgere:
senza neanche nascondere fin troppo la mia soddisfazione per questo, mi sono
scoperto finalmente capace di compiere molti quei lavori che avrebbero
richiesto uno stuntman al posto mio e, finalmente, avevo affinato anche la mia
tecnica nella corsa. Al mattino, davanti allo specchio della mia roulotte,
mentre mi preparavo ad entrare nei panni di Jacob, del tutto involontariamente,
mi sono scoperto più di una volta a fissare sconcertato le spalle e i
pettorali sviluppati. Probabilmente la mia stima era oltremodo ed
eccessivamente su di giri, ma come non esserlo se anche la propria moglie
rimane senza fiato ogni qual volta girassi per casa senza maglietta.
Purtroppo Kristen non era tipa da darmi soddisfazione in questo senso, diceva
che se lo avesse fatto mi avrebbe danneggiato, ed anche con un fisico
simil-palestrato sarei rimasto sempre il suo Flippy, dalla camminata strana e
con i comportamenti tipici di un bambino di 5 anni. Ma le bugie hanno le gambe
corte e non mancavo di farle ammettere il contrario quando si era impegnati in
un altro genere di attività fisica ....
Mi piaceva stare in casa, soprattutto da quando Kristen aveva deciso di
risistemare il nostro rifugio di Los Angeles, e renderlo più accogliente.
Finalmente, oltre al mobilio da catalogo e gli accessori costosissimi da fiera
del lusso, iniziavo a vedere piccole cornici con le nostre foto spuntare per
casa come funghi, ed ogni tanto ero costretto ad armarmi con martello e chiodi
per appenderne di nuove alle pareti.
"Qualche giorno questa casa crollerà per tutti i buchi che le stiamo
facendo!!!" mi lamentavo con lei, ridendo. Lei, puntualmente sbuffava.
Effettivamente era troppo asettica prima, ma non avevamo avuto il tempo di
renderla davvero nostra; ora era degna di essere vissuta, sporcata e messa in
disordine.
Dunque ero ormai
ben acclimatato alla vita familiare, e tanto mi ci trovavo bene che neanche la
Soho House di Los Angeles ed i suoi fantastici cocktail erano più invitanti per
me. Kristen voleva che uscissi perché, diceva, non avrebbe mai permesso che io
potessi in alcun modo rimpiangere di non aver sfruttato al meglio quell'ultimo
periodo di libertà, quando saremmo stati confinati in casa tra biberon,
pannolini e pappette. Le ripetevo sempre che per me non era un grande
sacrificio, anzi. Oltretutto lasciarla sola a casa non mi sembrava il
comportamento di un marito e padre responsabile. Lei non accettava, ma era la
verità. Al contrario, per me quello era un periodo talmente speciale, che non
avrei voluto perdermene neanche un nano-secondo.
La cosa che mi divertiva di più in assoluto era vedere il bambino muoversi in
pancia. Le prime volte, attorno al quinto mese, erano state dei piccoli traumi
per entrambi: la sorpresa di quel passo avanti, lo stupore da parte mia per
aver realizzato finalmente che dentro quella pancia c'era davvero mio figlio,
ma anche un pizzico di apprensione; non tanto quando, all'inizio, con dei
piccoli calci il cucciolo ci ricordava della sua presenza, quanto invece più in
là, quando la pancia era diventata più grande ed il bambino incominciava,
seppur lentamente, a posizionarsi per il parto. Povero il mio amore, non avrei
mai voluto essere nei suoi panni: io come minimo sarei morto d'infarto! Avete
presente quei film di fantascienza, tipo Alien, dove il mostro di turno si
contorce in un bozzolo prima di venire al mondo? Beh, il movimento di mio
figlio dentro la pancia di Kristen si avvicinava molto ad una di quelle
immagini poco piacevoli. Ed in certi momenti era irrefrenabile; Kris allora era
costretta ad allungarsi e lasciare che il piccolo si sfogasse, concedendogli
quelle coccole e quelle attenzioni che reclamava con il suo scalciare. Movimenti
tellurici li avevamo ribattezzati. Voi capite che non potevo, e non volevo,
perdermene nemmeno uno: a volte assumeva posizioni talmente contorte che nella
notte mi trovavo un gomito del piccolo piantato nel fianco, solo perché Kris
nel sonno, come d'abitudine, mi abbracciava; o altre volte, da quel cupolone,
vedevamo spuntare piedini o manine. A volte sembravamo due scemi a fissare
quella pancia tutto il giorno, riprendendola con la telecamera e facendo vocine
strane per chiamare il piccolo. Ma così va il mondo …
Non eravamo futuri genitori apprensivi e ansiosi, ma da quando in casa mia
erano entrati due o tre guide prenatali e manuali di puericultura era stata la
fine; non pensavo soprattutto che Kristen potesse diventare tanto petulante.
Dallo stop al fumo, anche da parte mia –
per fortuna sul set potevo concedermi tutte le sigarette che volevo – alle
più stupide regole di comportamento da seguire per non far traumatizzare il
bambino durante la gestazione. Ma roba da matti!!! Le ripetevo
sempre che tutte queste stronzate spilla-quattrini non esistevano quando siamo
nati noi, eppure siamo venuti su benissimo.
Una mattina, una delle rare occasioni in cui avevo potuto alzarmi tardi grazie
al giorno libero, mi alzai guidato puramente dall'olfatto, andando in cucina,
da dove provenivano le migliori fragranze mangerecce di questo mondo. Ancora in
maglietta e boxer, nemmeno mi curai di passare in bagno a darmi una sistemata;
ormai il mio nuovo taglio di capelli non mi dava più problemi come un tempo.
Fosse stato per me, lo avrei tenuto in eterno.
Scesi in cucina e trovai Kristen ai fornelli, ovviamente.
"'giorno!" riuscii a dire, con la voce ancora impastata dal sonno e
tutto dolorante. Mi arresi all’evidenza di un invecchiamento precoce. La sera prendevo
sonno nonappena mi allungassi sul letto e al mattino era sempre come se un
camion mi fosse passato addosso, stritolandomi tutte le ossa. La dovevo
smettere di pretendere di essere un'atleta provetto sul set!!! Gli stuntman
esistono proprio per questo!
"ehi, zombie!!!" Kristen non perdeva occasione per prendermi in giro
"per due addominali in più che fai, ti lamenti pure???"
Non la stetti nemmeno a sentire ed mi sedetti a tavola, nascondendo la testa
tra le braccia conserte per dormire altri cinque minuti.
Ed era in quei momenti di mio disfacimento totale che Kristen dava il meglio di
sé, sfoderando il lato materno che si stava inoltrando in lei. Diventando
dolce, direte voi. Diventando isterica, dico io!
"Robert!!!" sbraitò "ma se dovevi dormire potevi stare a letto,
nessuno ti ha chiamato!!!"
"Eddai Kris,
fai silenzio che ho sonno!!!" mi lamentai, come un bimbo che non vuole
andare a scuola.
"Eddai Kris un corno!!!" continuava a blaterare, mentre il mio
mal di testa post risveglio incalzava prepotentemente "la tavola è apparecchiata,
vedi di non far cadere i capelli sul cibo!!!"
Sembravamo una di quelle coppie sposate da cinquant'anni, e scoppiammo entrambi
a ridere, come sempre dopo questi battibecchi assurdi.
Mi sarebbe piaciuto sapere come saremmo stati cinquant'anni, con i capelli
bianchi, figli grandi e nipotini che ci scorrazzano intorno. Se ci pensavo, la
mia mente correva ai miei genitori.
"Rob!" mi chiamò, scuotendomi da un sonno ormai irrimediabilmente
perso, a causa delle sue chiacchiere. Le risposi con un verso, non propriamente
umano, e molto più simile ad un lamento di un animale in agonia "stavo
leggendo una ... cosa ....mmm... imteressamtissima!!!" mi voltai e mi
accorsi che stava sgranocchiando una fetta di pane tostato con burro e
marmellata. Stava lì, davanti fornelli, con quel pancione che io adoravo ben in
evidenza, grazie ad una vestaglietta allacciata sotto il seno, persa a leggere
uno di quei suoi libri sulla gravidanza.
"qui dice che nel padre in attesa si risveglia una componente
energetica creativa, contenitiva e protettiva; suo compito è divenire un
secondo utero, abbracciare madre e piccolo.
Si avvia un processo di “maternalizzazione” che esalta le sue componenti
femminili legate all’affettività, alla sensibilità, all’intuizione, alla
capacità di entrare in contatto empatico con la compagna e con il figlio. Amore
stai diventando una femminuccia!!!!!!!!!!" mi canzonò e scoppiò a ridermi
in faccia.
" Ma la vuoi fare finita una volta per tutte con queste stronzate???"
mi ero rifiutato persino di stare a sentire tutto quel filosofeggiare e teorizzare
su un evento così personale e sacro come l’arrivo di mio figlio. Ragion per cui
non badai nemmeno se quello che Kris stava leggendo potesse avere un senso
logico.
"E non dire le parolacce" mi rimproverò "vuoi che tuo figlio
diventi un piccolo teppista. Non vogliamo diventare dei teppistelli, vero
amore?" e nel frattempo si mise a parlare con suo figlio, carezzando la
pancia e sfoderando la vocetta stridula. Non era ancora nato e vedevo già
sminuire il mio ruolo di padre. Era una cosa davvero frustrante.
Mi avvinai a lei, presi il libro tra le mani e lo lanciai via: "leggi
leggi, che poi ti si brucia il dolce nel forno..."
"Oddio!!!" urlò. Stava facendo la crostata che tanto le piaceva, con
le nespole giapponesi, di cui la sua famiglia aveva un albero in giardino. E il
suo lavoro stava per andare in fumo per colpa di uno stupido libro. "Uh!
Salvata giusto in tempo! Grazie amoreee!!!" mi cantilenò, un po' grata per
il salvataggio, un po' in colpa per non avermi dato retta.
Lasciai correre, tanto quel suo caratterino un po’ matto e tanto lunatico non
l'avrei mai cambiato, e neanche mi interessava farlo; feci spallucce e attesi
che mi ricompensasse con un bacio.
Poi la presi per mano e la feci sedere, inginocchiandomi davanti a lei.
"Senti amore" le dissi "ti ricordi cosa ci ha detto il
ginecologo appena abbiamo scoperto che eri incinta e tu hai iniziato a fare
tutte quelle domande?". Non aspettai che rispondesse:" ci disse che
ogni gravidanza è diversa dall'altra, quindi a mio parere non serve che esperti
di chissà cosa vengano a dirci cosa fare". Portai le mie mani sul suo
ventre, cercando di poterne toccare più superficie possibile; era caldo e, per
una volta, tutto taceva. "è un fatto istintivo, sapremo come comportarci e
non mi sembra che finora ce la siamo cavati poi così male, anche senza tutta quella
carta da macero...!" Alzai un sopracciglio, sperando che recepisse il mio
messaggio.
Annuì, sospirando e arrendendosi, ne fui felice. Era così matura a volte, che
mi era difficile ricordarmi che aveva da poco compiuto vent'anni. L'arrivo del
bambino aveva sconvolto me, figurarsi lei che, in fondo, era ancora una
bambina.
L'abbracciai forte, per farle sentire il mio supporto, che non avrei mai
mancato di darle, ma fummo interrotti dal suono del campanello.
Corsi su in camera a vestirmi con i primi stracci che avevo trovato in camera e
rendermi quantomeno presentabile, mentre Kristen, già pronta dall’alba,
rispondeva al citofono. Chissà chi poteva essere a quell'ora? Erano solo le
otto? La cosa non mi piacque.
Scesi nella zona giorno e Kristen era di fronte alla porta, aperta. "è un
fattorino" mi disse, stupita, come del resto ero anch'io.
Lasciate le firme di ricevuta ed evitando di alterarmi e protestare per
l'entusiasmo che il pony express aveva avuto nell'entrare nel nostro giardino, constatando
chi fossero i proprietari dell’abitazione, andammo in cucina ad aprire il pacco
proveniente, a quanto pareva, da Londra.
"Oddio!!!" esclamò Kristen. Ero più stupito di lei. Mia madre, lei
era la responsabile, ci aveva mandato un vassoio di scones, piccoli panini dolci,
ed aveva avuto il tempismo pazzesco, tipico di mia madre, di mandarceli per la
colazione.
Kristen si mise a ridere, nervosamente. "è colpa mia" confessò, con
una piccola smorfia, ma io non capii e la guardai interdetto.
"L'altro giorno l’ho chiamata e da loro erano le cinque e stava prendendo
il thé con le ragazze" le comari di Windsor, ti pareva che non c'era il
loro zampino!!! "e insomma mi ha detto che aveva fatto gli scones. Io per
scherzare le ho detto che mi aveva fatto venire voglia, non pensavo che mi
avrebbe presa sul serio!!!"
"Tesoro, devi stare attenta! Mia madre ha il maledetto vizio di prendere
tutto sul serio!" era stata persino capace di credere che, durante le
riprese di Remember Me, mi fossi davvero tatuato il nome Michael su petto. Di
tutti i nomi, Michael poi!!!! Quindi, le voglie di mia moglie incinta erano in fondo
la cosa minore.
Tuttavia dovetti dargliene atto: non so come fece, ma erano più buoni di quando
a Londra li mangiavo appena sfornati. E stavolta erano ancora più buoni perché
al posto dell'uvetta aveva messo le scaglie di cioccolato, perché sapeva che
Kris li preferiva così.
Non persi tempo e li inzuppai nel thé. Mamma che goduria!!!
Kristen iniziò a ridere, mentre anche lei si dava il suo bel da fare a far
fuori i dolci da quel vassoio.
"Che c'è?" protestai.
"No niente" disse ed intanto continuava a sghignazzare "... e
meno male che sono io la donna incinta!!!"
L'ANGOLO DELL'AUTRICE
Eccomi
qui per parlare un po' del capitolo. Dopo tutti gli eventi che si sono
succeduti nei capitoli scorsi, ho deciso che era il caso di prenderci
una piccola pausa, di almeno 3 capitoli di transizione, per riposare un
attimo, e approfondire altre tematiche che comunque riguardano la
storia. Anche per questo i capitoli sono più brevi dei
precedenti. In questo caso, la maternità, vissuta adesso dal di
fuori. e quindi anche la paternità. Non so se i personaggi sono
descritti coerentemente rispetto al resto del racconto, diciamo che ho
immaginato così una coppia di ragazzi alle armi con qualcosa che
è inevitabilmente più grande di loro. Volevo essere
divertente, raccontando quella che è un po' la vita in casa
Pattinson-Stewart, non dimenticando però di dare una
collocazione temporale alla vicenda. Qui siamo, teoricamente alla fine
di maggio e Robert ha iniziato le riprese di Water for Elephants,
mentre Kristen è in casa a godersi le gioie della gravidanza.
Vi anticipo già che ho intenzione di dedicare il prossimo
capitolo alla presentazione di Eclipse e sarà un capitolo un po'
speciale.Non ho ancora nessuno spoiler da proporvi perché
è tutto nella mia testa.
Ringrazio come sempre per le bellissime e sempre numerosissime
recensioni che mi lasciate, spero vada sempre così e meglio.
Purtroppo non ho il tempo di rispondere, ma vi ricordo che per
qualsiasi domande, opinione sia positiva che negativa io sono qui e certo non me la prendo se qualcosa non dovesse piacervi.
à bientot,
|
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Capitolo 24 *** Total Eclipse of the Heart ***
The best day-capitolo 24
Eccomi qui, ce l'ho fatta a tornare.
Pensavo di non riuscire a pubblicare nemmeno per oggi, ed invece...
meglio così, no?!
Vi lascio alla lettura e per i dettagli ci vediamo, come al solito alal
fine del capitolo. Buona lettura e, come al solito, mi raccomando, RECENSITE!!!
Capitolo 24
Total Eclipse of the Heart - P.O.V. Kristen
Non mi sono mai lamentata del fenomeno Twilight, sarei
un'ipocrita a farlo, e di tutto il clamore ma soprattutto il business che gli è stato
costruito attorno, ma non c'era cosa che odiassi di più al
mondo, almeno per quanto riguardava il lavoro, che presentare il film
in giro per il mondo.
Mi vergognavo da morire a salire su quei palchi, di fronte a orde di
ragazzine urlanti, posare davanti agli obiettivi dei fotografi con
sorrisi smaglianti anche quando le scarpe con i tacchi ti hanno
distrutto i piedi e sei al limite e soprattutto, durante le conferenze
stampa, ripetere all'infinito gli stessi concetti, davanti a
giornalisti annoiati che sono lì solo perché sei il
fenomeno da baraccone del momento e non credono minimamente in
ciò che fai; anzi, sono gli stessi che se possono, alla prima
occasione, sono ben felici di troncarti le gambe e distruggerti.
Finché con me ci fosse stato Robert avrei avuto la mia
consolazione, e avrei potuto sopportare anche di peggio, perché
avrei saputo che ci sarebbe stato lui lì, a sostenermi, anche
solo con uno sguardo, un dolce sorriso dei suoi; ma in quell'occasione,
per il tour promozionale di Eclipse, era
rimasto a Los Angeles, per il suo nuovo lavoro e non potevo chiedergli
di partire comunque perché avrebbe significato protrarre le
riprese e non avrei mai corso il rischio di non averlo con me quando la
gravidanza fosse atrivata al termine.
Dal canto suo Rob mi aveva pregata, scongiurata fino all'esasperazione di non partire: era
infatti terrorizzato all'idea che io potessi prendere così alla
leggere un numero spropositato di aerei per voli interminabili in un
lasso di tempo tanto breve. Ipocondriaco com'era, il ginecologo non
ebbe tanta difficoltà a convincerlo che le differenze di
pressione ed altre complicate faccende fisiche mi avrebbero potuto
danneggiare, ma io ero sicura che finché avessi sentito il
piccolo scalciare dentro di me, tutto sarebbe andato a meraviglia. E
poi una madre certe cose le sente...
La mia gravidanza procedeva magnificamente, niente all'orizzonte che
potesse compromettere qualsiasi attività lavorativa: avere 20
anni aveva pure i suoi benefici...
Così partii insieme a Taylor e al mio "senza nome": non mi
piaceva, ma ormai mi ero rassegnata all'idea che avremmo scelto il nome
solo quando l'infermiera me l'avesse messo in braccio per la prima volta.
Taylor dal canto suo era un buon
amico, un fratello minore che non ho mai avuto, di cui prendermi cura,
ma non poteva sopperire al vuoto che Robert lasciava dietro di sé.
Era difficile non averlo al mio
fianco, soprattutto quando, di fronte
ai giornalisti, dovevo inventare delle scuse o trovare delle scappatoie
per non parlare della mia vita privata, o quando i fan, nei raduni, mi
chiedevano di lui. Ecco, lì il magone saliva ancora più forte.
Ma il momento peggiore era a
sera, quando ad attendermi c'era un letto vuoto e freddo. Neanche
potevo chiamarlo perché il fuso orario, soprattutto nelle tappe
orientali, sfasava completamente le
nostre attività, portandoci a lavorare mentre l'altro dormiva, e
viceversa.
Rientrati finalmente, un po' stanchi, negli States, era il turno della
Press Junket ufficiale, a Los Angeles; forse la sfida più ardua.
Ci aspettavano tre giorni intensi di conferenze stampa, interviste con
i giornalisti di mezzo mondo e gli immancabili photocall. Come se tutto
questo non bastasse, in agenda c'era pure il bagno di folla alla
Twilight Convention.
Stavolta il trio si era ricostituito, insieme al resto del cast, anche
se la casa di produzione aveva stabilito che durante le interviste
fossimo tutti separati.
Ma a noi, in fondo, stava bene così: doveva essere
pubblicizzato il film, non il nostro matrimonio o la mia gravidanza.
Certo eravamo ormai una coppia più che ufficiale, ma non avevamo
la minima intenzione di trasformare la nostra vita in un reality show
come quelli che passano sulle tv americane, che danno da mangiare a
migliaia di persone.
Tra le tante testate giornalistiche e televisive più o meno
accreditate, ce n'era una che da sempre aveva avuto per noi un occhio
di riguardo e grande tatto nell'affrontare determinati argomenti. E
questo noi non lo abbiamo mai dimenticato.
Davanti a me si presento infatti Shaun Robinson di Access Hollywood.
Lei è stata la prima con cui abbiamo parlato, sia io che Robert,
con grande tranquillità dei nostri sentimenti e sensazioni, tuttavia senza mai toccare l'argomento Robsten in maniera
diretta.
Appena parte la registrazione dell'intervista mi saluta come si
conviene e con i soliti complimenti che tutte le donne incinte ricevono.
"Hei Kristen!!! Ma quanto sei bella???"
"Hei!" risposi io imbarazzata, percependo già le mie guance imporporarsi.
"Ti trovo in ottima forma e lasciatelo dire: la gravidanza ti dona. Dovrò fare i
complimenti a Robert per il lavoro ben fatto!!" scherzò lei.
Io non potei far altro che ringraziare e annuire, timidamente, ma divertita al tempo stesso.
Per quanto cercassi di rimanere il più professionale e
distaccata possibile, non riescii a trattenere un sorriso pensando a Rob
e alle sue reazioni, di sicuro una più pazza dell'altra, a
questo genere di domande.
Gli avevo intimato, prima di iniziare le interviste, di chiudersi
quella boccaccia e non creare casini, come al suo solito, con doppi
sensi e battute che poco lasciano all'immaginazione. Mi fidavo di lui,
ma una
rinfrescatina alla mente non fa mai male.
Con Shaun, a seguire ovviamente parlammo del film, della lavorazione, del
cambiamento del mio personaggio, scherzando e forzando un po' la mano
sulla sua indecisione di Bella tra Edward e Jacob.
"A proposito di scelte" prosegue Shaun "credo che ultimamente tu ne
abbia affrontate parecchie. Mi chiedevo cosa ti avesse spinto a
prendere delle decisioni invece che altre..."
"sii più precisa" la spronai. Era una domanda intelligente che,
pur strizzando l'occhio alla mia vita privata, meritava una
risposta altrettanto intelligente.
"Bella decide di lasciare la sua vita da umana per quella immortale da
vampira" ribatte lei "A quanto ne so tu hai deciso di lasciare gli Stati Uniti per
vivere a Londra. Mi chiedevo cosa ti avesse spinto a prendere questa
decisione?"
Naturalmente, non poteva scegliere un tema migliore per spulciare nei
meandri della mia vita personale. Le voci ad Hollywood, nonostante non
sia una realtà poi così piccola, si rincorrono veloci e il passo dalla
voce alle copertine dei tabloids è davvero breve.
Non so bene come era venuta fuori la notizia né chi, probabilmente qualcuno nella redazione dove
lavorava mio padre, aveva spifferato del periodo di maretta che la
nostra famiglia aveva attraversato e si fa davvero in fretta a
trasformare un gossip in un dato di fatto. Volevo perciò
togliere ogni dubbio non solo, e non tanto, alla giornalista, quanto
piuttosto a quelle malelingue che non fanno altro che tirarci i piedi,
sperando che il tracollo della vita privata possa influenzare anche
quella lavorativa. Normale amministrazione per una celebrità di
Hollywood, celebrità che io mi rifiutavo categoricamente di
essere.
Rimasi per un po' in silenzio a pensare alla risposta più
opportuna da dare, cercando il modo per parlare nel frattempo anche del
film, che era del resto il motivo principale, se non unico, del nostro
incontro.
"Vedi" iniziai, molto lentamente, pesando le parole, per evitare errori
ed incomprensioni che avrebbero potuto nuocermi "Bella alla fine
della storia capisce che qualsiasi scelta lei faccia dovrà
sacrificare qualcosa, perché i due poli che lei cerca di
conciliare, Edward e Jacob, il mondo umano e quello sovrannaturale, non esistono insieme, sono opposti e allo stesso
tempo
identici, si contrastano anziché attrarsi. E questo è un po'
quello che ho dovuto fare io; e come lei senza amarezza, né
rimpianti".
All'inizio certo era stata dura convincersi a lasciare
casa, soprattutto all'idea di essere tanto lontana dai miei genitori.
Ma poi capii che non avrei potuto fare altrimenti.
"Come dico sempre" proseguii "la mia vita non è più mia.
Ora c'è qualcun altro" dissi tamburellando sul pancione "che
conta più di me stessa, le cui necessità devo anteporre
alle mie" con un filo di incertezza avrei voluto terminare la frase
aggiungendo una piccola nota, chiedendomi se fosse una scelta opportuna. Ma presi coraggio
e proseguii, sorridendo a volto basso, quasi di nascosto: "... e lo stesso
vale anche per Robert."
Essenzialmente per pudore, per rispetto preciproco, non riuscivamo
a parlare tanto in pubblico l'uno dell'altro, oltre che per la ormai
ben
nota riservatezza che ci contraddistingue sin dall'inizio della nostra
storia quando, pur davanti all'evidenza, negavamo la verità.
"E quali sarebbero queste necessità che qui a Los Angeles non
potrebbe soddisfare?" mi chiese la giornalista, con una punta di sfida
nelle corde della sua voce "e cosa c'è di più
facile...anche per voi. Voglio dire, qui avete la vostra carriera..."
Quello che diceva non era sbagliato, anzi. Robert nei primi mesi di
gravidanza, quando affrontavo l'argomento Londra, non faceva altro che
ripetermi queste stesse identiche parole. Aveva troppo a cuore la mia
carriera ed il mio futuro, più che per se stesso, e non voleva
che rinunciassi a niente. Però non è così che
vanno le cose.
"Mi chiedi cosa non avrebbe qui..." la interrompo, accennando un sorriso sarcastico "...una vita. So che
questa pazzia che ci circonda non finirà certo domani, neanche se
dovessi implorare in ginocchio pubblicamente, neanche se dovessi
confessare tutti i particolari delle mia vita. Come già una volta ti accennai ne vorranno sempre di
più. E mio figlio non deve vivere in questo mondo."
E fu così che la mia fantasia spiccò il volo: "Mi
piacerebbe portarlo a passeggiare al parco o a fare shopping per lui con le
mie amiche senza
dover scappare, inseguita da decine e decine di paparazzi che sbucano fin
dal più piccolo vicolo, mi piacerebbe ..." e qui, senza volerlo,
mi ritrovo a sorridere come un ebete, al solo pensiero " ... mi
piacerebbe che mio figlio potesse
andare a scuola a piedi al mattino e che gli amici lo trattassero per
quello che è e non per essere il figlio di. E questo qui non
è possibile, forse voi non ve ne rendete conto, ma per noi
è così"
Era la prima volta che davo veramente parola alle mie idee, che mi
esprimevo così apertamente sulla questione. Probabilmente non ci
avevo nemmeno mai pensato seriamente ad un'ipotesi simile e fui
abbastanza orgogliosa di me stessa. Era quello il motivo principale per
cui volevo andarmene da Los Angeles e dalla sua frenesia. Volevo
tornare ad essere una persona qualunque nella città più
riservata del mondo, dove dal netturbino fino ad un principe della
famiglia reale, si è tutti uguali ed ognuno è talmente
perso nei suoi affari che non c'è tempo nemmeno per segnalare su
internet la presenza di questo o quell'altro VIP. Volevo provare a
vivere quella vita tranquilla e anche noiosa a volte che in California
non puoi permetterti, volevo rinchiudermi in casa nei pomeriggi piovosi
o guardare le strade vuote la domenica mattina.
Per me e la mia famiglia non desideravo altro che la vita normale che
Rob mi raccontava dai suoi ricordi di infanzia, che a modo mio non
avevo vissuto.
Finite le interviste, usciti in edicola i giornali e mandati in onda i
servizi in tv, a distanza di una settimana da quel tour de force ci
preparammo per la prova del fuoco: la première.
I fan più accaniti, sarebbe meglio dire drogati, si erano
accampati davanti al Nokia Theatre di Los Angeles ben tre giorni prima
dell'evento, per riuscire ad ottenere una foto sfocata e uno
scarabocchio, più che un autografo, sulla loro copia del libro.
Per noi era qualcosa di più: sarebbe stata la prima occasione in
cui ci presentavamo insieme ad un evento pubblico. In più
sarebbe stato il mio personale arrivederci agli States. Avevo
previsto infatti di tornare in Inghilterra prima che il film uscisse
nelle sale, per poter partecipare anche alla première londinese
e poi dedicarmi completamente ai preparativi per il lieto evento.
Per l'occasione, neanche si trattasse di un matrimonio, le nostre
rispettive famiglie erano al gran completo. La famiglia di Rob ed i
suoi amici avevano quasi riempito un intero aereo da Londra per esserci
vicini.
Casa nostra, quel pomeriggio, era un inferno. Mia madre era venuta a
casa mia mia ad assistermi nella preparazione e le mie cognate, insieme
ad una delle cugine, Suki, erano accorse per truccarsi e acconciare i
capelli, parola di Rob, a scrocco. Come se non bastasse anche mia
suocera, alla fine, si era presentata in casa mia, accompagnata dal
immancabile trio modaiolo, Kitty Olivia e Freddie. Quando arrivarono,
non sapendo di chi si trattasse, ero così nervosa che mi diressi
verso l'ingresso di casa per cacciare via i nuovi arrivati. Ero in cima
alle scale quando le vidi, tutte già perfettamente agghindate e
quando i nostri sguardi si incrociarono ci parti all'unisono un urlo
acuto degno del miglior soprano. Corseso su per le scale ad
abbracciarmi, nonostante ciascuna di loro indossasse 15 cm di tacco.
Non riuscivo a spiegarmi come potessero sopportarli così
egregiamente. Probabilmente la mia "allergia" ai tacchi era solo dovuto
alla gravidanza e mi consolai con questa scusa.
In cucina, inoltre, fu letteralmente allestita una zona catering da mia
madre, con caffé, thé e pasticcini, dove nell'attesa
tutti gli ospiti, nessuno dei quali era mai stato formalmente invitato,
aveva potuto rifocillarsi.
Quando finalmente pronta mi accinsi a cendere le scale, tutti i parenti
mi attendavano nell'atrio d'ingresso, proprio come nel giorno del mio
matrimonio, quando scesi la grande scalinata del castello nello
Yorkshire dove avevamo organizzato il ricevimento. Rob era dietro di
me, nervoso e stretto nel suo abito di Gucci, che aveva nascosto alla
mia vista per tutto quel tempo ... diceva che era una sorpresa. E ti
credo ... guarda che colore!
"Ma che colore è?" gli domandai, sconcertata.
"Ehm ... rosso?!" mi rispose, divertito.
Non che gli stesse male, solo non era di un colore che convince a colpo
d'occhio. Sperai che a forza di guardarlo mi sarebbe stato a genio.
Poi mi porse il braccio, per aiutarmi a scendere le scale e
avvicinandosi al mio orecchio mi sussurrò: "Sei stupenda!"
Arrossii immediatamente alle sue parole, vuoi per il loro stretto
significato, vuoi per la sensualità del tono che aveva usato:
era decisamente troppo per il mio povero cuore, che ora doveva lavorare
per due.
"Non è niente di speciale" gli dissi, confusa ancora dalle sue parole.
"Forse non ti sei vista allo specchio" mi disse, mentre scendevamo le
scale ed mi ricordai che effettivamente, per la fretta e la confusione
che c'era intorno a me quel giorno, non mi ero avvicinata più ad
uno specchio dopo la sessione di trucco, per cui potevo solo immaginare
quale fosse il risultato finale.
Una volta arrivati in fondo alla scalinata mio suocero, il mio adorato
suocero Richard mi venne incontro e credendo che volesse stringermi la
mano gliela porsi; finché non mi accorsi che era il solito
trucco, che con me gli usciva alla perfezione ogni volta, ed io non
riuscivo mai a smascherarlo: portò la mia mano verso la sua bocca e vi
posò un bacio delicato, sorridendomi con una dolcezza che solo
lui sapeva sprigionare da quegli occhi azzurri e vispi, che aveva
lasciato in eredità a suo figlio. "Meravigliosa..."
sussurrò anche lui, con un velo di commozione.
In mezzo a tutti gli amici che ci salutavano e si complimentavano,
neanche fossimo davvero in procinto di sposarci, scorsi mio padre e mia
madre:
lui
si allontanava per nascondere le lacrime che altrimenti sarebbero
scese, e sorrisi al suo perenne vizio di nascondere le emozioni ,
mentre lei con un fazzoletto asciugava i goccioloni che altrimenti
sarebbero caduti.
Nick Stephanie e Ruth, i nostri menager, tentavano con tutte le loro forze ma invano di sottrarci all'attenzione di quella
piccola folla privata e, quando finalmente ci riuscirono, potei guardare
il mio riflesso su una delle porte finestre che avevamo in casa e che,
opacizzate per proteggerci da sguardi indiscreti, erano dei veri e
propri specchi.
Rimasi imbambolata davanti ad una figura sconosciuta. Quella non ero
io: la truccatrice aveva fatto un miracolo e le sarte di Elie Saab erano riuscite ad
aggiustare il mio abito in modo che diventasse uno spendido minidress
prémaman. Quando l'avevo visto ero rimasta incantata dallo spacco
dietro la schiena e il simpatico gioco del monospalla. Era stato
leggermente allungato, per evitare che il gonfiore delle mie gambe
venisse troppo fuori e fu arrangiata una vita stile impero per lasciare
ampio spazio al pancione. Le scarpe, Christian Laboutine, erano di uno
scomodo allucinante, ma non avevo certo intenzione di tenerle per
tutta la serata. Avevo infatti affidato a Ruth un borsone con il mio
cambio d'abito e delle scarpette basse e comode.
Una volta arrivati a destinazione l'ansia mi strinse lo stomaco in una
morsa e la tensione si approprio delle mie gambe, mai instabili come
allora. Strinsi forte la mano di Rob mentre ancora eravamo in auto ed
implorai l'autista di lasciarci ancora qualche minuto di
tranquillità nell'abitacolo dai vetri oscurati e isonorizzato.
"Ho paura!" gli confidai, senza timore di sembrargli stupida.
Lui mi accarezzò una guancia, soffermandosi con i suoi splendidi occhi sul mio volto. Già quello bastò a
tranquillizzarmi. Probabilmente anche lui era nervoso, non aveva smesso
un'attimo di passare le mani tra i capelli e aggiustarsi il vestito, ma
davanti a me non voleva darlo a vedere.
"Non devi, lo sai che ti adorano ... e non vedono l'ora di vederci
insieme posare per le foto" era proprio quello che mi spaventava
maggiormente "e poi io sono con te!" dichiarò, sorridendo, e
allora non ebbi più paura.
"Me ne ricorderò..." affermai, con sicurezza, alzando la mia
testa in segno di sfida. Entrambi ci lasciammo andare ad una risata.
Rob aprì leggermente la portiera per uscire, ma prima che io
aprissi la mia mi bloccò "Aspetta" disse. Lo guardai, stranita.
Mi lasciò un bacio a fior di labbra e lasciò l'auto,
accolto da un boato assordante, ma del tutto naturale date le
circostanze. Poco dopo il mio sportello si aprì e ad aspettarmi
trovai Robert, impeccabile, che da vero gentleman mi porgeva la mano
per scendere dall'auto. "Madame ..." pronunciò. Sfoderai il mio
miglior sorriso per entrare in scena, ma se lui fosse rimasto vicino a
me sarebbe rimasto perfettamente autentico. Insieme ci incamminammo
verso il tappeto, mentre una pioggia di flash e uno stormo di ragazze
impazzite gridando convulsamente ci dava il benvenuto.
L'ANGOLO DELL'AUTRICE
Eccomi
qui con voi a raccontare un po' di questo nuovo capitolo. Ho preferito
raccontare altro, rispetto a ciò che tutti immaginano quando si
parla della Premiere di Eclipse. Spero di avervi interessate. La
giornalista che cito esiste veramente, ed è quella che chiede
sempre a Robert di toccare i suoi capelli; personalmente la ritengo
molto simpatica e mi sono permessa di rivedere la sua intervista
un po' diversa, diciamo pure del tutto, da quella originale.
Mi sembrava un buon modo di far parlare kristen, farle aprire il
cuore a proposito delle sue decisioni. Lei inondo è nata
nel mondo dello spettacolo, ed ha esordito da piccola al cinema,
quindi la sua vita non è mai stata, per come la vedo io, e per
come mi è sembrato di capire, del tutto normale.
La seconda parte non credo abbia bisogno di molte spiegazione ma, come
al solito vi aspetto nell'angolo delle recensioni per qualsiasi
domanda, a cui come sapete, risponderò molto volentieri, se
posso.
Purtroppo state diventando sempre di più, e questo non
può che farmi piacere, ma non posso più rispondervi
personalmente alle recensioni. Mi ha fatto molto piacere sapere che il
capitolo precedente vi ha divertiti, perché non mi apsettavo che
l'effetto fosse talmente esilarante. probabilmente scriverlo fa perdere
tutta l'allegria.
Mi auguro che possiate suggerirmi qualcosa per modificare questo
capitolo perché ho come la sensazione che manchi qualcosa,
è molto insipido a mio parere. Spero però che possiate
confutare la mia tesi :-)
Vi saluto e vi do appuntamento, alla prossima, spero molto presto; ma tutto dipende da madama ispirazione.
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Federica
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Capitolo 25 *** I love party for the baby ***
The best day - capitolo 25
Eccomi
qui, finalmente ce l'ho fatta a pubblicare. Ho avuto un po' di
difficolta a cominciare il capitolo, ma alla fine è scivolato
via nella stesura abbastanza agilmente.
Spero di non avervi annoiato troppo nei capitolo precedenti di
transizione, ma con questo si ritorna a fare sul serio quindi
preparatevi. Vi lascio alla lettura e vi aspetto alal fine del capitolo
con le solite spiegazioni di rito.
BUONA LETTURA e, mi raccomando, RECENSITE!!!!!
CAPITOLO 25 – I love party for the baby
P.O.V. Kristen
In un certo senso mi era mancata.
Nonostante avessi avuto parecchie cose da fare in California, rimettere
in ordine senza lasciare niente in sospeso, tra lavoro e vita privata,
ogni tanto il mio pensiero non poteva fare altro che correre a questa
città che, nonostante tutto, era ormai parte di me.
Vederla sotto di me dall’aereo, girare per le vie del centro nel
taxi nero e guardare i palazzi antichi ed eleganti dava davvero la
sensazione di essere in un mondo completamente diverso da quello che
avevo lasciato negli States; forse ero stata catapultata addirittura in
un’altra epoca o, perché no, in un universo parallelo.
Fermi nel traffico guardavo estasiata fuori dal finestrino, come un
turista curioso e meravigliato, come un bambino nella città dei
balocchi. Milioni di facce diverse per colore della pelle, cultura,
estrazione sociale ma tutti uniti in un unico grande calderone.
È questo che amo di Londra: nessuno è mai davvero
straniero qui.
Il sole avrebbe dovuto essere già bello alto in cielo data
l’ora, ma le nuvole, come sempre, lo rendevano invisibile e
nonostante luglio fosse ormai alle porte l’abbigliamento da
spiaggia non era contemplato.
Rob, al mio fianco, era indifferente alla vista di Londra, dei suoi
grandi centri commerciali in pieno centro p dei suoi monumenti,
evidentemente annoiato dal traffico. Lui vi aveva trascorso del resto i
suoi anni migliori, la conosce come le sue tasche, è casa sua,
non poteva esserne strabiliato più di tanto. Anche in questo
è molto british: ha perennemente nostalgia di casa quando
è fuori, ma quando ci torna, finalmente, non lo da mai a vedere.
All’inizio ammetto che mi dava piuttosto sui nervi, ma ho dovuto
imparare a convivere anche con questo suo lato un po’ strambo.
Gli strinsi la mano, ed egli ricambiò il mio gesto sorridendo,
affaticato … erano quasi 48 ore che non dormiva: il lavoro sul
set prima, il volo preso senza nemmeno riposarsi ed infine la
turbolenza in aereo non gli avevano permesso di chiudere un attimo gli
occhi. Aveva deciso infatti di riaccompagnarmi a Londra, non mi avrebbe
mai permesso di prendere il volo da sola e per questo aveva dovuto fare
dei turni straordinari e infiniti sul set per ottimizzare la tabella di
marcia il più possibile. In più, quel birbante di nostro
figlio aveva avuto la brillante idea di mettersi ai posti di manovra
proprio durante il volo, creando ulteriore agitazione a noi e agli
assistenti di volo; non so dove abbiano trovato la forza di sorriderci
ancora le hostess nel congedarci alla fine del volo.
Finalmente arrivammo a casa, dopo essere rimasti imbottigliati nel
traffico cittadino per oltre un’ora e mezza. Era il trenta
giugno, e negli Stati Uniti di lì a poche ore sarebbe uscito
Eclipse al cinema. Per i grandi capi era un giorno importante, per noi
uno dei tanti che compongono il calendario.
All’ingresso di casa trovai immancabili e puntuali i miei suoceri
che corsero a darci una mano, gentili e disponibili come sempre, con le
valigie.
“Oh ragazzi, bentornati!!! Come state??? Dio Kristen hai un
faccino!!!” mia suocera mi venne incontro abbracciandomi ed io
corsi volentieri tra le sue braccia perché, benché fino a
quel momento non me ne fossi resa conto, avevo davvero bisogno di
qualcuno che mi sorreggesse. Ma forse Robert ne aveva bisogno
più di me. Sorrisi, senza alcuna malizia, nel vederlo ridotto
come uno straccio, con delle occhiaie nere e pronunciate, lo sguardo
spento e completamente privo di forze e mi dispiacque sapere che, in
qualche modo, era per colpa mia.
Mia suocera ci condusse in casa.
Era strano passare da una casa all’altra, soprattutto quando
incominci a non avere più un riferimento preciso su quale sia
quella vera, quella che chiami CASA TUA. Avevo messo a nuovo la villa
di Los Angeles, personalizzandola e dandole un’anima, rendendola
degna di essere vissuta. Ma questa doveva essere LA casa, quella in cui
avrei, volente o nolente, passato la maggior parte del tempo. Ero stata
via un po’ troppo tempo, era solo quello il problema: una bella
dormita tra le lenzuola pulite e profumate mi avrebbe sicuramente
aiutata a ritrovarmi.
Nella confusione delle valige ed il trambusto provocato dalla
stanchezza e dal fuso orario, non feci caso a molte cose, come i fiori
che mia suocera aveva posizionato sul tavolino a muro
dell’ingresso o il profumo di caffè e i dolci in
quantità industriale che erano sul tavolo della cucina. Storsi
il naso quando tutti quei particolari mi salirono all’occhio,
evidentemente coadiuvati dal fatto che la porta del salone, sulla
sinistra, era chiusa e dentro sembrava esserci un vociare confuso,
seppur flebile. Feci per aprire la porta ma mio suocero mi fermò
sul filo del rasoio: “No!” mi intimò, poderoso ma
timido, allo stesso tempo, quasi avesse paura di potermi far male solo
con le parole. C’era dipinto sul suo volto un ghigno divertito e
furbo come di chi, certamente, nasconde qualcosa. Guardai in direzione
di mia suocera, che in cucina era intenta a passare l’acqua calda
dal bollitore alla teiera. Lei fulminò suo marito con lo sguardo
e gli blaterò qualcosa che noi udii perché in labiale e
non distinsi perché la stanchezza mi aveva persino annebbiato la
vista.
“Adesso vai di sopra cara” continuò gentile mio
suocero “ti dai una rinfrescata e poi ci raggiungi assieme a
Robert in salotto che prendiamo un thé insieme, che ne dici?
Mh?”
Annuii, non avevo la forza nemmeno per parlare, ero ridotta davvero male …
In stanza trovai Robert che ronfava già sul letto, a pancia in
giù e mancava davvero poco che un rivolo di bava non uscisse
dalla bocca leggermente dischiusa. Era troppo dolce, e davanti a quel
ritratto di beatitudine non potei fare a meno di allungarmi vicino a
lui per qualche minuto, quel letto si mostrava parecchio invitante, e
rilassarmi. Ma mi accorsi presto che quel riposo di pochi secondi si
sarebbe potuto trasformare in men che non si dica in un sonno di una
decina di ore così imposi a me stessa, facendo uno sforzo
immane, di lasciare quel ghirotto al suo pisolino ed io andai a farmi
una doccia.
Quando, quasi un’ora dopo, riuscii a scuoterlo dal suo torpore
quasi comatoso e lo resi vagamente presentabile scendemmo in salotto.
In casa sembrava finalmente sparito ogni rumore sospetto, ma al
contempo parevano essere spariti tutti: mancavano i dolci sul tavolo e
sul piano della cucina, la teiera ed il mio bellissimo servizio da
thé era spariti ed il bollitore era vuoto.
La porta del soggiorno, tuttavia, era ancora serrata. Pensai che,
qualsiasi cosa ci fosse al suo interno, doveva aver risucchiato tutto
quello che stavo cercando, compresi i miei suoceri.
Nell’abbassare la maniglia anche Rob mi fermò prima che potessi aprire la porta.
“Aspetta!”mi disse, a bassissima voce.
“Uffaaaa!!!” protestai, mimando il suo tono, sebbene non
comprendendone il motivo “prima tuo padre, ora tu: ma cosa ci
sarà mai qui dentro che nessuno vuole lasciarmi aprire questa
porta, si può sapere???”
“Lo scoprirai presto” mi rispose, candidamente, con quella
faccia da schiaffi che si ritrovava “ma prima promettimi che mi
perdoni ….”
“che cosa … che cosa dovrei fare io?” chiesi,
lasciando perdere il basso volume, naturalmente disorientata dalla sua
richiesta.
“fidati, perdonami … poi capirai perché … credimi, non sono riuscito a dirgli di no”
“E va bene!” mi arresi, stufa di essere l’ultima a
sapere cosa stesse accadendo in casa mia “ti perdono, ma ora
voglio proprio sapere cosa …” e pronunciai queste ultime
parole mentre finalmente aprivo la porta e nessuno obbiettava. Una
serie di festoni agghindava il soggiorno e la sala da pranzo, che erano
comunicanti in quella parte dell’edificio. Tanti palloncini erano
appuntati agli angoli delle stanze, tutti raffiguranti ciucciotti,
pargoli stilizzati e cicogne in volo.
“Sorpreesaaaaaaaaaaaaaa!!!” gridarono all’unisono
tutti i convenuti. Mi avevano organizzato un baby shower!!! Non potevo
crederci! Era … era … pazzesco!
Non avrei mai pensato di desiderare per me ed il mio bambino una cosa
del genere ma, sarà stato per gli ormoni, sinceramente mi
piaceva tutta quella “doccia” di regali e affetto che mi
veniva riversata addosso. Mi voltai verso Robert, che era rimasto
appoggiato, ancora vagamente sonnecchiante, allo stipite della porta,
che rideva sotto i baffi, o meglio sotto la sua leggera peluria bionda,
per essere riuscito, forse per la prima volta in vita sua, a mantenere
un segreto.
C’erano proprio tutti, tutti quelli che avrei voluto avere con me
in un giorno tanto speciale. C’erano i miei suoceri ovviamente,
ma anche le mie cognate, che contavano i giorni che le separavano dal
tenere in braccio il loro primo nipote. Poi c’erano le mie
migliori amiche inglesi, le matte, strampalate e sempre alla moda
Olivia Kitty e Freddie, che dal Garden Party della regina alle maratone
di vodka liscia organizzate dal più squallido pub, non avrebbero
perso un solo evento che riguardasse Londra. Erano loro le persone
giuste da conoscere qui in città, le ragazze di cui ti conviene
sempre avere il numero a portata di mano, se vuoi ritrovarti in lista
nei locali più in. Ma ovviamente non era più una vita che
si confacesse ad una donna delle mie dimensioni, ormai; in più, quello non era mai stato il mio stile di vita. Poi
c’erano gli amici di Rob, venuti più che altro per
accontentare le proprie ragazze e la sorella di Tom e scolarsi qualche
birra che mio marito aveva l’abitudine di lasciare in casa come
scorta. Nettie, Laura, Matilda ed io non eravamo particolarmente
legate, ma erano state di ottima compagnia in quelle poche occasioni
che avevamo trascorso tutti insieme, come il Capodanno o i concerti dei loro fidanzati e sarebbero state come delle zie per il
piccolo. Come se di zii non ne avesse già a sufficienza …
C’erano gli zii e le zie di Rob, le cugine e i nonni di Rob,
venuti dallo Yorkshire. Senza pensarci due volte mi diressi da
un’altra delle donne invitate alla festa. L’abbracciai,
nonostante sapessi bene che lei odiava certe manifestazioni
d’affetto in pubblico, non amava certo ostentare i suoi
sentimenti … era inglese, lei. Ma dopo quello che aveva fatto
per noi, una stretta di mano ed un bacio misero e formale non potevano
bastare.
“Nonna Beth!” la strinsi a me, e per fortuna non si oppose
“grazie!” le sussurrai. Lei mi corrispose e mi
lasciò solo quando anche Rob le si avvicinò per
ringraziarla, di tutto. Era commossa, a sento riuscì a tenere le
lacrime dentro. Io e Rob ci scambiammo uno sguardo fugace e sorridemmo
entrambe pensando a quanto fosse tutta matta la nostra famiglia.
Freddie mi corse incontro, tentennando però al momento di
parlare. Risolsi intervenendo personalmente: "Devi dirmi qualcosa
Fedy?" questo era il nomignolo strano con cui la chiamava Robert; mi
spiegarono che risaliva ai tempi di Little Ashes, perché nel
copione Salvador Dalì, il suo personaggio, chiamava così
Federico Garcia Lorca, e Federica aiutò molto Robert nella
pronuncia di alcune parole latine.
"Ehm, sì Kris ... però promettimi che non ti arrabbierai..." anche lei?! Ma cosa avevano tutti oggi???
"No, non mi arrabbio, ma che c'è?"
"C'è che devo presentarti una persona, una mia amica" mi
rispose. Stavo sinceramente per perdere la pazienza, ecco il
perché di quella promessa. Ma tentai di rilassarmi, d'altronde
mi ero impegnata a non scompormi.
Si fece avanti una ragazza minuta, bionda e ricciolina, che molto
timidamente tento di presentarsi a me con uno stentato inglese,
imbarazzata forse più dall'incapacita di comunicare, che dalla
mia presenza.
"Ciao Kristen io ... io sono Francesca" si presentò, finalmente.
"Ciao piacere di conoscerti" "Anche per me" sorrise, leggermente più rilassata.
"Francesca viene dall'Italia, è qui per le vacanze e non potevo
lasciarla sola, tu capisci ..." si affrettò a giustificarsi
Federica, dispiaciuta e preoccupata per avermi recato disturbo.
"Non ti preoccupare Fedy, è tutto apposto. Solo ..." mi lasciai
sfuggire, ironica " ... tienila lontana da Rob, non vorrei assistere a
senimenti improvvisi ..." anche lei rise con me.
"su questo non devi proprio temere nulla ... "mi rispose e prosegui a
bassa voce, avvicinandosi al mio orecchio per farsi sentire meglio nel
frastuono della stanza "ti svelo un segreto ... è Team Jacob!!!"
Non che temessi mio marito, ma una fan in casa poteva essere un pericolo per molti altri motivi. Una volta rilassati i nervi, non potemmo evitare di ridere tutte insieme.
Mi fu offerto un succo d’arancia ed un piatto con il brunch che
era stato allestito a buffet sul tavolo della sala da pranzo. Mentre
scorrevo tra gli invitati per salutarli e riabbracciarli uno ad uno,
specialmente coloro che non erano potuti venire a Los Angeles, osservai
meglio tutti i dettagli delle decorazioni. Su un festone c’era la
scritta “W LA MAMMA PIU’ SEXY!”; su un altro
cartellone invece,
più nascosto rispetto agli altri, di sicuro fatto dai compari di
Rob, compariva la scritta “GRAN BEL COLPO AMICO!”: appena
lo intravidi mi fu inevitabile storcere il naso, ma a guardarli, quei
quattro pazzi sciroccati, ogni nuvola scura si dissipò
immediatamente ed insieme a Robert esplodemmo in una grassa risata
assieme alla ciurma. Sul
tavolo del buffet erano stati sparpagliati qua e la confetti azzurri e
rosa, proprio perché non volevamo sapere assolutamente quale
fosse il sesso del bambino.
Su un tavolino all’angolo, invece, era stata allestita la
postazione regali. Non volevo ci fossero, ma purtroppo la tradizione li
imponeva e, sinceramente, chi ero io per oppormi alla tradizione? E poi
morivo dalla voglia di scoprire cosa ci fosse dentro quelle confezioni
colorate ben rifinita.
Non appena venni vista davanti a quella montagna di pacchi il trio
della moda si fiondò su di me, per darmi le opportune
spiegazioni.
“Lo so che non avremmo dovuto impicciarci, perché il bimbo
lo stai aspettando tu” esordì Kitty, come sempre a capo
delle operazioni e vera mente diabolica del trio “ma la festa era
alla porte e tu non l’avevi organizzata ancora, e così ci
abbiamo pensato noi. Ma devi stare tranquilla, ha pensato a tutto
Olivia!!!”
“Fermi tutti!!!” mi imposi “cos’è che non avrei organizzato?”
“Ma la lista baby, Kris, che domande?” mi rispose Freddie,
come se stessi mancando di capire un’ovvietà.
“Ho pensato a tutto io, Kris, devi stare tranquilla! Sai che conosco i tuoi gusti meglio di te!”
Aveva ragione, conosceva i miei gusti, ma cosa ne sapeva su come ero
fatta, su quali fossero i miei desideri? Non volevo essere sgarbata con
loro, ma parlargli, civilmente, faceva parte del progetto di ripristino
della mia vita. Non dovevo lasciare niente di incompiuto.
“Mi dispiace ragazze … so che avete faticato molto per
mettere in piedi tutto questo” dissi indicando la sala “ e
quanti tempo ti abbia portato via scegliere ogni oggetto per la lista
Olivia, ma vedete … queste sono cose che avrei dovuto fare io
…”
Quasi con le lacrime agli occhi, Olivia prese la parola “ed ora
hai intenzione di non accettare i regali che ti hanno fatto?”
“No, no tesoro” le accarezzai la guancia, per
tranquillizzarla. Ero nervosa, non volevo ferirle, così mi
passai una mano tra i capelli e porsi l’altra sul fianco, quasi a
sorreggere la pancia “ma vedete, mi piacerebbe che non
interferiste più nella mia vita in questo modo. Sono sicura che
sarà tutto splendido ma IO avrei dovuto sfogliare il catalogo
delle carrozzine e dei lettini, IO avrei dovuto litigare con Rob
perché lui avrebbe scelto la carrozzina hi-tech mentre io adoro
per quelle classiche …”
“che ti avevo detto io!!!” mi interruppe Freddie, mentre si
rivolgeva con un batti – cinque ad Olivia “lo sapevo!!! Ops
… scusaci Kris continua pure” mi lasciò continuare,
imbarazzata.
“Così mi avete levato tutto il divertimento!!! … io ci
tengo a voi, vi voglio bene, mi avete aiutata tantissimo ad ambientarmi
qui, ma è ora che io cammini da sola, lo capite vero?”
Meste annuirono tutt’e tre, e ci abbracciammo, con la promessa
che non avrebbero più interferito nelle mie decisioni ed io
avrei vissuto la mia vita senza condizionamenti, libera da ogni
giudizio.
“Ok” disse Kitty, quasi annoiata da tutto
quell’affetto, “ma ora apri i tuoi regali, gli ospiti non
aspettano altro”
Alzai gli occhi al cielo mentre Rob mi si avvicinava per darmi
una mano con gli scatoloni e tutta quella carta da regalo. Doveva aver
udito la mia conversazione con le ragazze di poco prima, perché
la prima cosa che mi sussurrò all’orecchio non appena mi
raggiunse fu: “sono molto fiero di te”. Inutile dire che
divenni immediatamente paonazza.
Capii poi l’euforia di Freddie e Olivia e la loro
complicità quando scartai il regalo dei miei suoceri, una
bellissima carrozzina classica inglese rigida, elegante nel suo tessuto blu notte e bianco, di manifattura
artigianale. Ovviamente avevano recepito i miei gusti: io e Rob ci
scambiammo divertiti una linguaccia, per ora avevo vinto io; la carrozzina hi-tech
l’avremmo lasciata a quando il mio cervello sarebbe stato
abbastanza fuso da farmi perdere il lume della ragione. Ma non contai
che Rob ottenne la sua personale rivincita grazie ai suoi amici, i quali
regalarono al piccolo un passeggino sportivo, dai colori piuttosto neutri (si erano
davvero salvati in calcio d’angolo) adatto per delle scampagnate
all’aria aperta che, obiettivamente, non avremmo mai fatto. Per
il resto un mucchio di elettrodomestici per biberon e tutine e
completino neutri.
Ad un certo punto mia suocera richiamò la nostra attenzione, ed
un coro di oooooh fece eco nella stanza. Reggeva su un vassoio una
enorme torta bianca, con tanta glassa e tanta panna colorata rosa e azzurra
nelle decorazioni.
“è una mille foglie Kris, come piace a te” mi disse
compiaciuta mia suocera, sapendo che aveva realizzato una delle mie
maggiori voglie.
Mentre tutti applaudivano al passaggio della torta, che mia suocera
andò prontamente a sistemare sul tavolo del salone, io e Rob
andammo dietro di lei, per fare le ennesime foto della giornata, alle
quali , sinceramente, non mi dispiaceva sottopormi.
All’improvviso una fitta mi colpì nel basso ventre,
all’altezza dell’utero, lasciandomi senza fiato. Avevo già avuto esperienza
con delle prime, leggere contrazioni, ma nessuna era paragonabile a
questa. Questa era … l’inferno. Una morsa che leva il
fiato, improvvisa, persistente, dolorosa.
Forse per la stanchezza, forse per il colpo deciso che mi venne
inferto, mi ritrovai costretta ad accasciarmi a terra, con le mie mani
che corsero immediatamente sul ventre e mille altre che
tentavano di sorreggermi per attutire il colpo sul pavimento. Mi
sentii
d’improvviso bagnata, come se avessi fatto la pipì, ma era
liquido più viscido, fluido e più chiaro. Ripresi
lucidità in un baleno, non appena la fitta scomparve e mi
rialzai di botto, riacquistando le forze e iniziando a realizzare cosa
potesse star accadendo. Ed avevo sinceramente paura.
Rob che mi era di fronte guardava me e la pozza che si stava creando ai miei piedi, raggelato.
Angolo dell'autrice
Carissime, ok ci siamo, state calme ed andrà tutto per il
meglio! A parte gli scherzi, ci terrei a precisare che io non sono
un'ostetrica ma una semplice futura infermiera, quindi sdi ostetricia e
ginecologia ne so davvero poco. Ho chiesto aiuto ad una mia amica, per
quanto possibile, ma per alcune cose ho dovuto lavorare di fantasia,
specialmente per adatttarmi al racconto. Sappiate però che, di
norma, la rottura delle acque non si accompagna ad una contrazione. Vi
starete certamente chiedendo ora se si tratta di un parto prematuro.
Ebbene sì, lo è, nel prossimo capitolo spiegherò
le cause che l'hanno provocato e tutto il resto. Ma state tranquille,
io amo i lieto fine.
Per il resto, dedico alla mia lettrice numero 1, La Francy, questo
capitolo, nella quale sono riuscita a farle fare una piccola
comparsata. Spero, per il resto, che il capitolo scivoli via con
facilità e vi sia piaciuto nel complesso.
Alla prossima, che purtroppo non posso divi quando sarà
perché lunedì rincomincio tirocinio e lezioni, quindi
sarò pochissimo a casa.
Vi ringrazio per il vostro supporto e il vostro sostegno e spero le
recensioni aumenteranno di nuovo, in questi capitoli che ci conducono
alla fine della storia, e che sono così cruciali ed importanti.
Adesso rispondo alle recensioni e poi alla fine della pagina ho da fare qualche annuncio importante.
La Francy: tesoro mio, hai
visto che alla fine sono riuscita ad inserirti? spero che questa
comparsata ti soddisfi!!!Siccome non amo mettere le fotografie degli
abiti e non ho molto tempo per cercarne su internet, ho pensato di
modificare giusto un po' le cose che sono accadute veramente, e poi,
davvero, quelle scarpe erano favolose. E non criticare Rob, che il
vestito era fantastico!!!! (su di lui,almeno). Il lupacchioto è
venuto lì naturale, non è che avessi proprio pensato
a te in quel momento ...XD alla prossima
prudence_78: be' ormai ci siamo
e penso che non sia il caso di dirtelo perché lo scoprirai
presto, spero ti piacerà. comunque, non è Joy,
perché nella mia storia il nome ha un significato forse ancora
più particolare, poi leggerai. Sì, effettivamente
è un capitolo di critica questo, credo fosse necessario, anche
di protesta personale nei confronti dei paparazzi, che odio.
Effettivamente ho cercato di immedesimarmi il più possibile in
Kristen in questo capitolo, cercando di capire come ragiona e simulando
quets'intervista. Alla prossima e grazie epr le tue recensioni
sydney_90: grazie per il tuo
supporto costante, spero non mancherai di recensiore ora che la storia
entra nel vivo. Rob è così, semplicemente paranoico,
quindi non poteva esimersi adesso e lo vedrai ora che la storia
continua...
baby_Very: per il nome come ho
già detto non dovrai attendere molto, si solo tratta di farla
partorire...come ho già detto io adoro quella giornalista. certo
le sue domande sono sempre rivolte al personale, ma si tratta del loro
lavoro e finché se ne stanno buoni e tranquilli io li rispetto;
al contrario odio i paparazzi, ma questo si deve essere capito nel
corso della storia.
marty13__: kristen sono
convinta che se leggesse questa storia condividerebbe l'idea al cento
per cento. ho visto talmente tante sue interviste che posso dire di
conoscerla abbastanza, o almeno conosco un lato di lei perché si
sa che lei è abbastanza protettiva nei riguardi della sua vita
privata; ma come è giusto che sia, del resto. Alla prossima
Ora vorrei per finire ricordarvi i miei contatti
FACEBOOK
(ho avuto dei problemi in settimana, per cui l'indirizzo è
cambiato rispetto a quello che avevo pubblicato precedentemente)
TWITTER
dove troverete, spoiler, link e discussioni. In più, nella
pagina di FB troverete, in area discussioni, un piccolo concorso a cui
vorrei partecipaste.
D'ora in avanti vorrei scrivere esclusivamente in POV Kristen, spero la cosa non vi dispiaccia, fatemi sapere che ne pensate.
Alla prossima,
Federica
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Capitolo 26 *** Alfa & Omega ***
Eccomi qui!!! Sono tornata,
puntuale come tutti i week end, con il nostro appuntamento. Il nuovo
capitolo è pronto e sono convinta che pochi di voi avranno la
bontà e la pazienza di leggere questa introduzione percui, bando
alle ciance, e vi offro il nuovo capitolo. Vi ricordo dell'angolo
dell'autrice e, mi raccomando, RECENSITE!!!!
CAPITOLO 26
Alfa & Omega - P.O.V. Kristen
Mi
ritrovai su un letto d’ospedale quasi senza rendermene conto. La
chiamano corsa contro il tempo, ora capisco cosa significa.
Più che un viaggio in auto, infatti, il mio fu un flash.
Robert mi prese in braccio, e mi caricò sull’auto talmente
rapidamente che non ebbi nemmeno modo di oppormi o ribellarmi: la
verità è che non avevo la minima intenzione di farlo; le
mie cognate nel frattempo volarono letteralmente in camera mia, a
preparare una borsa di biancheria improvvisata , dato l’arrivo
pretermine dell’evento.
In macchina con noi salirono solo mio suocero, dalla guida più
salda e sicura e Freddie, la cui assistenza, per quanto di base.
Servì più ai nervi di Robert che alle mie contrazioni.
Il tragitto da casa al St Mary’s Hospital si rivelò
più tranquillo di quanto io stessa sperassi e prevedessi, al di
fuori delle imprecazioni di mio marito rivolte al traffico londinese,
che di fece percorrere un percorso di venti minuti in oltre tre quarti
d’ora. Di contrazioni ne contammo tre piuttosto costanti per
durata, intensità e distanza le une dalle e altre. Arrivai in
ospedale e mi visitarono per la prima volta.
Erano le 14.15 del 30 giugno, ed io ero ufficialmente in travaglio.
Finalmente, una volta tranquillizzato Robert, fatti uscire dalla stanza
che mi avevano assegnato tutti i parenti che ci corsero appresso, mi
ritrovai sola insieme a Rob.
Venni attaccata ad un’attrezzatura, il cardiotocografo, che
registrava i battiti della creatura e monitorava le contrazioni.
Sentire dalle casse di quell’attrezzo il cuore di mio figlio mi
rilassava, e per un attimo ebbe il potere di svuotare la mia mente e
farle dimenticare che stavo partorendo nel bel mezzo del settimo mese.
Tuttavia continuavo ad avere paura; fino ad allora ero sicura che avrei
potuto mantenere la calma, ma ora non ero più sicura di niente.
Ero convinta che avrei dovuto aspettare altri due mesi per conoscere il
mio bambino, e con impazienza aspettavo quel giorno. Ora invece non
facevo altro che temere il peggio. Non avevo frequentato
sufficientemente il corso preparto, non avevo imparato a respirare
correttamente e Robert non sapeva nulla su come si sta accanto ad una
partoriente. Avevo letto troppi libri, o forse troppo pochi e la mia
testa era un groviglio di nozioni che stentavano a mettersi in ordine e
mi annebbiavano la ragione completamente.
Ma più che per me stessa, ero terrorizzata per il bambino: ero
alla 33esima settimana, ero perfettamente conscia del fatto che non
fosse pronto; non ne conoscevo i dettagli, ma immaginavo che se i
bambini di solito nascono al nono mese, un motivo ci dovrà pur
essere...
A queste preoccupazioni aggiunsi anche lo stress di sapere mia madre e
tutta la mia famiglia lontana e forse nessuno ancora i aveva avvertiti,
troppo presi a correre in ospedale.
“Mamma, Rob, devi chiamare mamma!!!” gli urlai concitata,
prendendolo per la manica del camicie verde che gli avevano fatto
indossare.
“Tesoro tranquilla” disse accarezzandomi i capelli, che
iniziarono ad inumidirsi per il sudore “ho lasciato a Vicky il
compito di occuparsene … sono sicuro che tua madre e gli altri
sono già in aeroporto a Los Angeles, se non addirittura in
volo” Annuii, sollevata. La sua voce era ferma, serena, e mi fece
capire che non mi stava mentendo e che mia madre starebbe stata da me,
anche se forse sarebbe arrivata a cose ormai fatte; continuò:
“… però tu ora devi stare tranquilla e pensare a
conservare le forze per dopo”. Dopo … cavoli!!!
Provavo già un dolore atroce solo con delle contrazioni innocue
e preparatorie, non potevo immaginare che ci potesse essere qualcosa di
peggio. Sarei svenuta, ne ero certa.
Finalmente entrarono la mia ostetrica, per fortuna in turno proprio
quel pomeriggio ed il mio ginecologo. Dietro di loro Federica, in
divisa anche lei.
“Loro si occuperanno di te, Kris” mi disse,
professionale, e al contempo giocosa “ed io del futuro
papà!. Stai
attento a non svenire signor Pattinson, perché non credo di
essere in grado di reggerti!!!” sorrise verso Rob. Entrambi,
messi a nostro agio dalla sua ironia, ci lasciammo andare per un attimo
ad un sorriso, seppur sommesso.
Ripresi il controllo della situazione quando il medico prese parola, avendo concluso la sua valutazione sulla situazione.
“Allora Kristen” mi disse, imperturbabile “come ti ho
già spiegato il tuo sarà un parto abbastanza lungo, non
mi va di mentirti. Sei al primo bambino e quindi avrai più
difficoltà in tutte le fasi”.
Mi fidavo del dottor Braine. Era un medico con una certa esperienza,
aveva assistito minimo un migliaio di donne prima di me, e la sua
capigliatura grigia lo supportava nella testimonianza di una carriera
florida; era pacato e piuttosto tradizionale nell’applicazione
della medicina. Amava avere un rapporto diretto e sincero con le sue
pazienti, e per me questo era fondamentale. Fu per questo che non
temetti di rivolgergli la fatidica domanda: "Dottore, la prego, mi dica
la verità. Perché?”
Non ebbi bisogno di spiegarmi oltre, perché chissà quante
altre volte aveva vissuto questa situazione e sapeva leggere le parole
non dette nel mio sguardo terrorizzato.
“Kristen ...” si fermò, prendendo un gran respiro e
alternando la sua espressione da seria e professionale a greve.
“Quando accadono eventi del genere la causa non è mai una
sola. Sapevamo sin dall’inizio che avresti fatto bene a
riguardarti, perché la giovane età non è mai una
garanzia; anzi, nel tuo caso non lo è per nulla”
Ricordai allora di quanto accaduto nella prima visita quando,
controllando il mio peso ed il girovita, mi disse di stare
particolarmente attenta perché ero leggermente sottopeso e la
mia vita troppo stretta avrebbe potuto rallentare se non fermare la
crescita del feto, favorendo un parto prematuro.
“In più” proseguì “potresti aver subito
le conseguenze di un periodo intenso di stress … anche
emotivo”
Riepilogai in un rewind accelerato tutti gli ultimi mesi della mia
vita, che scorrevano in fretta davanti ai miei occhi. Mi rivolsi verso
Robert, serio, di fronte al discorso del medico: era la prima volta che
lo vedevo così attento in vita sua, bianco in viso e con gli
occhi fermi e fissi nel vuoto.
Pensai allora a tutte quelle volte che mi aveva pregata, implorata
quasi di riguardarmi e starmi attenta. Ma io testarda avevo voluto fare
di testa mia per l’ennesima volta, e per l’ennesima volta
per la mia presunzione stavo rischiando di buttare alle ortiche tutta
la mia vita, non conoscendo mai mio figlio. Quella ipotesi mi
gelò il sangue che avevo in circolo e presi a sudare freddo.
“Rob!” strinsi forte la sua mano che era incollata alla mia
dal primo minuto che avevo messo piede in quell’ospedale,
disperata nel tentativo di assicurarmi ancora che mi amasse e che
quello non fosse solo un gesto impulsivo, un riflesso incondizionato,
dettato più dall’abitudine che dall’amore.
“È tutta colpa mia!!! Perdonami” lo implorai,
arrivando quasi alle lacrime “io … io … avrei
dovuto ascoltarti … sono un’irresponsabile!!!”
“Shhhh!!!” mi sussurrò, quasi soffiando, baciandomi
dolcemente la tempia sinistra. Si chinò su di me, prendendo il
mio volto tra le sue grandi e lunghe mani calde e fece scontrare i
nostri sguardi “Kri, ascoltami bene” proseguì,
scandendo ogni parola, modulando il tono della voce, commossa, cercando
di trattenere l’uragano di emozioni positive e negative che i
suoi occhi, troppo lucidi, non potevano celarmi “ora sapere chi
ha torto e chi ha ragione è proprio l’ultima cosa che
conta. Pensiamo solo al bambino, e soprattutto a farlo nascere
sano”.
“Rob .. ho bisogno … ho bisogno di sapere e che mi ami
… e che mi perdoni!!!” continuai, in preda ad un delirio
emotivo.
“Amore … amore” cantilenò, stringendo ancora
il mio volto tra le sue mani, carezzandomi e sorridendomi a stento,
perché niente ci permetteva di sorridere, se non la
volontà di mascherare reciprocamente il nostro terrore “tu
sei tutta la mia vita, tu e questo bambino che sta per nascere. Io non
sono niente senza di voi … niente!” Si avvicino alla mia
fronte, stampandole un bacio lungo, intenso, di
un’intimità disarmante. Mi ancorai al suo collo con le mie
braccia, mentre una nuova contrazione mi troncava il respiro in un
gemito strozzato.
Aveva ragione Robert. Non era più il tempo delle recriminazioni
e del cilicio come punizione. Quello era il tempo di ritrovare e
radunare le forze, concentrandomi per far venire il mio piccolo angelo
al mondo. Al resto avrei, semmai, pensato dopo.
Tra urla, incitamenti ed indicazioni varie le contrazioni, sempre
più ravvicinate e sempre più dolorose, si susseguirono e
permisero al collo dell’utero di dilatarsi sufficientemente per
consentire il passaggio del bambino: l’ostetrica già ne
intravedeva la testa.
Eravamo stati fortunati che già fosse in posizione,
perché un parto podalico in queste condizioni avrebbe peggiorato
la situazione già di per sé critica, lo sapevamo tutti,
anche se nessuno lo avrebbe mai detto ad alta voce.
Malgrado tutto, malgrado del resto avessi voluto godermi ancora un altro
po’ l’aura
di beatitudine che mi circondava in gravidanza, ero felice che presto avrei potuto stringere tra le mie
braccia la mia creatura, quella che per quasi otto mesi era stata al
caldo nel mio ventre: ero eccitata all’idea di scoprire che
faccia avesse, e soprattutto da chi avesse preso gli occhi; il sesso
non mi interessava, solevo solo scoprire i suoi occhi, e capire, con i
miei di madre, che era tutto apposto, e che aveva solo avuto fretta di
conoscere la sua mamma ed il suo papà.
Finalmente era arrivato il momento di spingere; per tutto il tempo che
ero rimasta in quel letto … ormai non avevo più idea di
quanto tempo fosse trascorso … ore, minuti, non aveva importanza
… avevo dovuto trattenere l’impulso naturale di
accompagnare il piccolo verso l’esterno con le mie spinte.
Robert era sempre là, stoico, attento, dolce ed io più
che mai mi aggrappai a lui, tentando di attingere alla grande forza e
al coraggio che stava dimostrando di avere. Lo amavo, ancora una volta
me ne resi conto, e come forse non avevo mai fatto prima, finalmente
con la consapevolezza di una donna matura ed adulta e non con
l’entusiasmo volubile di una ragazzina.
“Amore mio stai andando benissimo” mi incoraggiò
ulteriormente “resisti ancora per poco, ci siamo quasi
…”
Strinsi forte la sua mano e con le ultime forze che aveva in
corpo
portai a termine quelle 3 spinte che mi portarono alla fine di quel
tunnel che sembrava ormai non avere più fine, quell'inferno di
dolore che invece di diminuire aumentava senza mai raggiungere un picco
massimo. Sentii il pianto a
squarciagola di un neonato salire fino ai miei timpani, mentre uno
sciame di voci confuse si rincorrevano a richiamare la mia attenzione,
senza che io, in trance, comprendessi una parola. Robert si sporse
verso di me, ad abbracciarmi e baciarmi, finalmente liberandosi in quel
pianto che avrebbe voluto concedersi chissà da quanto. Io,
ancora intontita, sulle prime non mi rendevo conto di cosa fosse
accaduto, che quello che immaginavo fosse davvero accaduto,
finché non vidi l’ostetrica avvicinarsi, con un
fagottino verde tra le sue braccia.
Eccoli di nuovo i vagiti, sempre più acuti e prepotenti. Ora li sentivo distintamente e
mi sembrava di conoscerli da sempre, come se quella creatura non potesse avere un timbro diverso. Chi li emanava era il vero eroe, la vera stella: quella era la voce di mio figlio.
Mi venne appoggiato delicatamente sul seno e subito sembrò
calmarsi, riconoscendo il mio odore forse, per un istinto primordiale, ed unificando di nuovo i nostri battiti, come
quando eravamo una sola cosa.
“È una bambina” sospirò Robert,
completamente
in adorazione, mentre delicatamente provava ad accarezzarle la
testolina ancora sporca di sangue e residui di liquido amniotico e
placenta. Ancora stentava a credere che fosse davvero successo; io
invece ero sicura che fosse tutto vero, però il tempo era
trascorso troppo velocemente, che neanche me ne accorsi quando il
ginecologo ci annunciò la nascita di una femminuccia.
Una bambina. La MIA bambina. Il suo cuoricino batteva
all’impazzata ed io la stringevo a me incurante del resto del
mondo.
Avevo dimenticato tutto: i dolori del parto erano svaniti e non avevo
più memoria di quanto accaduto fino a qualche istante prima.
Provavo solo grande gioia, completa, pura. Il mondo sarebbe anche potuto crollare che io non me ne sarei mai accorta.
Ma in un lampo due mani di donna, rugose, con un impeto severo e gretto la strapparono via da me.
“La mia bambina!” mi riscossi dalla mia bolla con veemenza,
reclamando l’attenzione alzando il volume della voce. Mi girai
verso Robert, allarmata “dove la stanno portando?”
“non ti preoccupare Kristen” una mano guantata di bianco,
si posò delicata sulla mia spalla ed in quella voce rassicurante
riconobbi Federica “devono farle dei controlli di routine nei
primissimi minuti di vita, è fondamentale. E poi vuoi che
rimanga così sporca?" rise "Le faranno un bagnetto e se è tutto
apposto la riporteranno qui appena le mie colleghe avranno finito con te
…”. Mi rispose tranquilla, talmente sicura che sulle prime non esitai a darle fiducia.
Tutt'a un tratto, con il ventre e le braccia vuoti ebbi una vertigine,
come se tutta la stanchezza di quel giorno, durato decisamente troppo, fosse di botto crollata
sulle mie spalle. Ero stanca, davvero, e mi abbandonai sullo schienale
del letto, mentre le altre infermiere accorse mi aiutavano a
risistemarmi nel letto e Robert ancora accanto a me mi contemplava,
quasi fosse una dea lontana.
Le parole di Freddie mi ronzavano ancora in mente … e se è tutto apposto la riporteranno qui … come una mosca fastidiosa, ma lasciai che il sonno si impossessasse di me e sbiadisse suoni e colori intorno.
L'ANGOLO DELL'AUTRICE
Allora,
che ve
ne pare? Vi prego recensite, perché per me è davvero
importante conoscere la vostra opinione su un capitolo così
cruciale. Innanzi tutto è mio dovere spiegare il titolo. Alfa ed
Omega come certo saprete sono la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto
greco. Con questo ho voluto segnalare che, in qualche modo, questo
è il giro di boa della storia, forse non è il best day
del titolo, ma è comunque un giorno cruciale. L'inizio della
nuova vita ed ovviamente la fine della gravidanza. La fine della vita a
due di coppia per Rob e Kris, l'inizio della vita a 3 della famiglia
Pattinson. La fine della vita da ragazza e l'inizio della vita da donna
e madre per Kristen.
Non mi andava di raccontare tutto nei minimi dettagli
perché non sono espertissima nel settore e poi perché a
volte troppi dettagli possono annoiare. Spero altresì di non
essere stata troppo frettolosa in alcuni passaggi che magari meritavano
maggiore attenzione da parte mia.
Mi sembra di non aver dimenticato nulla nei miei punti da trattare. ma
per qualsiasi domanda io sono qui a rispondere, lo sapete. Per cui
recensite!!! XD XD XD
Do ora spazio alle risposte alle vostre recensioni:
@La Francy: ecco scoperto
l'arcano, è una bimba!!! certo che ti ho descritto
perfettamente, sono una grande scrittrice,non lo sapevi...ihiihihi!!!!
apparte gli scherzi, volevo che fossi davvero tu e ho cercato di
descriverti al meglio delle mie possibilità, come ti vedo io.
@marty13__: lo sai che io sono sadica e mi piace farvi penare per una settimana intera...muahahah!!! eccoti servita, spero ti sia piaciuto
@prudence_78: lo so, nella vita
magari le cose sarebbero andate diversamente, ma nella storia dovevo
mettere qualche elemento di brio, così il felici e contenti
suona meglio. ti ho detto che mi piacciono i lieto fine, ma questo non
significa che sarà facile ottenerli. Per scrivere il discorso ad
olivia e alle altre ragazze sappi che ho pensato a te e alle tue
recensioni precedenti, mi sono state davvero d'aiuto, grazie!
@BabyVery: il baby shower, come
molte cose che sono nel racconte sono delle idee che ho preso da una
delle mie scrittrici contemporanee preferite, Sophie Kinsella, la
scrittrice di I love Shopping. Volevo proprio che ci fosse,poi, mentre
scrivo, come al solito, gli eventi diventano più grandi di me e
accadono senza che io gli dia il permesso.
@sydney90: come detto da altri
il parto prematuro non è dovuto solo dallo stress. del resto io
e mio fratello siamo entrambi nati prematuri dopo anni e anni di
distanze e il ginecologo non si è mai spiegato come mai. eppure
siamo qui!!! =) quindi ho ricreato una serie di fattori che potessero
essere plausibili.
@ledyang: io cerco di essere
sempre puntuale, per quanto mi è possibile. non mancare a questi
ultimi capitoli che sono importantissimi.
@enris: come sai ho letto e ho
molto apprezzato la tua recensioni via email. e ti ringrazio per i
salti mortali che fai per recensire tutti i capitoli. sono contenta che
ti sia piaciuto il capitolo, ma sono altresì contenta che tu mi
dica anche quello che non va perché sono in pochi ad essere
sinceri. questo lo apprezzo molto. alla prossima
Vi lascio alcuni indirizzi utili, dove potete seguirmi.
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Alla prossima settimana con il nuovo capitolo dove conosceremo lo scricciolo di casa Pattinson... ^.^
à bientot
Federica
|
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Capitolo 27 *** Monkeys and little rabbits ***
The best day - capitolo 27
Sono desolata se venerdì ho saltato la pubblicazione del capitolo, ma
purtroppo ho avuto un guasto tecnico al computer e non ho potuto
scrivere, ed ero così di cattivo umore che se anche l'avessi
fatto sul mio quaderno di scrittura sarebbe venuto fuori un disastro.
ma bando alle ciance. buona lettura e mi raccomando alle recensioni.
vi aspetto come sempre alla fine del capitolo nell'angolo dell'autrice.
CAPITOLO 27 - Monkeys and little rabbits
P.O.V. Kristen
Ero
stanca, come se avessi fatto il giro del mondo a piedi senza mai
fermarmi, ma paradossalmente sentivo che avevo dormito abbastanza per i
miei ritmi, ed il mio corpo premeva per restare sveglio e rimettersi in
moto al più presto.
Aprii dunque gli occhi e mi ritrovai in una stanza d'ospedale, con un
ago conficcato nel mio braccio sinistro ed una flebo di chissà
cosa collegata ad esso. Ovviamente ricordai in un istante perché
fossi lì; mi senti immediatamente meglio e le mie labbra si
distesero in un sorriso astatico e beato, e tutte le mie ossa a quel
pensiero ripresero vigore. Volevo, anzi dovevo vederla.
La mia creatura era nata, ed era una splendida bambina.
A dir la verità, non è che la ricordassi nitidamente.
L'avevo vista e avuta tra le mie braccia per pochi, brevi istanti,
giusto il tempo necessario a realizzare che quello non era un sogno, ma
la più bella delle realtà, ed il mio ventre sgonfio ora
ne era una prova inconfutabile; ma poi, altrettanto rapidamente me
l'avevano portata via, quasi con violenza, ai miei occhi, per i
controlli dei primi minuti. Non ebbi la forza di protestare, sfinita
dalla fatica del parto, soprattutto se quei controlli erano davvero
importanti per la sua salute, ma ero rimasta interdetta e contrariata
dal modo in cui presero la piccola, quasi strappandola al nostro
momento madre-figlia. Sapevo che avremmo avuto tutta una vita davanti
per recuperare, ma era un momento così speciale quello, il primo
tutto nostro, che sprecarlo mi sembrò una blasfemia.
Ma dovevo essermi addormentata prima che me la portassero di nuovo e
quindi, per consentire un riposo migliore e una ripresa più
rapida da parte mia, avranno pensato che fosse il caso di lasciarla nel
nido, insieme agli altri neonati; voltandomi, infatti, non trovai la
culletta come avevo visto, durante le mie visite, nelle altre stanze
del reparto.
L'avevo vista per pochi secondi e tutto ciò che ricordavo di lei
era un batuffolino piccolo e paffuto avvolto in un telino verde, tutta
sporca e già con delle guanciotte leggermente arrossate. Le
manine erano chiuse a pugno, quasi a voler protestare per tutto il
trambusto ed il baccano che l’avevano accolta, e gli occhietti
chiusi, serrati mentre piangeva, accecati dalla luce dei neon che erano
accesi nella stanza. Persino quando l’appoggiarono al mio petto,
nella tranquillità che i battiti del mio cuore le infondevano,
aveva continuato a tenere chiuse le palpebre, seppur rilassate, la mia
piccola dispettosa. Non avevo quindi potuto vedere quale fosse il
colore dei suoi occhi, la cosa che prima di tutte avrei voluto
conoscere di lei. Probabilmente si era divertita a nasconderli,
perché tante volte le avevo confidato, mentre eravamo da sole,
che avrei voluto vedere sua padre nei suoi occhi, e l’avevo
spronata a impegnarsi in questo. O chissà, lei e suo padre forse
si erano già alleati contro di me, ed aveva i miei occhi.
Ora che la parte più dura era passata avrei dovuto pensare ad un
nome da darle: l’avevo tenuta con me talmente poco, che i miei
vaghi ricordi di lei non potevano aiutarmi a trovare un nome che le si
addicesse. Ero sicura, inoltre, che avrei dovuto tenere a bada Robert
che, preso dall’euforia del momento, avrebbe potuto sfoderare, ne
ero certa, i nomi più strampalati ed improponibili. Ecco
perché dovevo assolutamente vederla.
Già, Robert. Era lì accanto a me, accucciato e appisolato
in una poltroncina di pelle, di fianco al mio letto. Dalla luce che
filtrava nella stanza dalla finestra, si poteva indovinare che era una
mattina calda ed assolata a Londra, e dunque Robert era rimasto tutta
la notte accanto a me, perché ancora indossava gli abiti con cui
mi aveva accompagnata in ospedale, e aveva un faccino a dir poco
sbattuto. Le occhiaie erano decisamente marcate, la barba incolta ed
ispida era ancor più accentuata dalle righe che, a causa della
cerniera del cuscino, gli erano rimaste stampate sulla guancia. Dormiva
profondamente, con la bocca leggermente aperta, raggomitolato su una
poltroncina troppo piccola per lui, e immaginavo che si era opposto con
tutte le sue forze alle palpebre che scendevano sui suoi occhi a
chiudersi, perché nei suoi sogni di futuro padre c’era
quello di non perdersi un minuto di quella veglia, ma soprattutto del
mio risveglio, quando sarebbe stato lì ad accogliermi, magari un
po’ assonnato, ma sorridente. Avrei rispettato questo suo piccolo
desiderio, e avrei fatto attenzione a farmi trovare con gli occhi
chiusi, ad un suo minimo accenno di risveglio.
Sul comodino la radiosveglia segnava le 9 del mattino di giovedì primo luglio 2010.
Ricordavo vagamente il ginecologo annunciare la nascita della piccola,
la sera prima, avvenuta alle 23.45. La mia piccola ci aveva giocato un
bello scherzo: era nata agli sgoccioli del 30 giugno, il giorno in cui
Eclipse usciva nelle sale. I fan, ne ero sicura, sarebbero andati nel
delirio più totale. Avevo dormito per nove ore di fila e per
tutto quel tempo Robert era rimasto al mio fianco. Non mi stupì
che avesse un’espressione tanto sbattuta.
Nel frattempo, per non fare rumore e rischiare di svegliarlo, diedi uno
sguardo veloce ma attento alla stanza. Non era fredda e asettica come
tutte le degenze ospedaliere, bianche e spoglie, ma, al contrario, era
calda ed accogliente, le pareti dipinte di fresco con un rosa salmone,
quasi arancio ed il mobilio nuovo e familiare. Avevo scelto quella
struttura proprio perché, oltre alla professionalità del
suo personale e alla grande riservatezza, garantiva anche
quell’atmosfera serena ed informale, che sembra di essere in casa
anziché in una clinica, seppur extralusso.
Alla mia sinistra, sul lato di ingresso nella stanza, su di un
comò sobrio ed elegante in legno, erano stati posizionati
diversi vasi con bouquet di fiori coloratissimi, degni
dell’estate inoltrata ed alcuni peluche di orsacchiotti e
paperotti sbucavano qua e là, nel poco spazio che era rimasto
per loro sul ripiano; erano uno più dolce dell’altro, e
già immaginavo la mia bambina giocarci ed io davanti a lei come
la più tipica mamma isterica attenta perché li mettesse
in bocca.
Notai poi che all’angolo tra il letto ed il mobile c’erano
dei palloncini ad elio colorati, a forma di cuore; probabilmente alcuni
erano stati portati da casa mia dove la festa era stata interrotta
proprio sul più bello, altri invece erano nuovi di zecca: oltre
ai classici AUGURI, W LA MAMMA, BENVENUTA ce n’era uno, che
settava sugli altri, ed era stato messo in prima linea: TI AMO,
c’era scritto. Una sola persona poteva averlo portato, ed in quel
momento era lì accanto a me.
A seguito della nascita della piccola, avevo scoperto, con mia enorme
sorpresa, quanto il cuore di una donna, possa essere colmo
d’amore. Non avevo, infatti, diviso il mio amore tra lei ed mio
marito. Al contrario, invece, questo amore si era raddoppiato,
triplicato anche, e sentivo che il cuore poteva contenerne tanto altro.
Amavo la mia bambina pur avendola vista anche solo pochi secondi, ed
amavo Robert, perché nelle sue paranoie, nelle sue paure, nei
suoi complessi, era sempre al mio fianco, sempre.
“Kris …” un debole sussurro alla mia destra mi fece capire che Robert si era risvegliato.
Mi voltai verso di lui e notai che da sveglio sembrava ancor
più stanco di quando era addormentato. In più, sul suo
volto, notai una vena di preoccupazione che, calmo, non aveva nel
riposo. Allungai verso di lui il mio braccio destro, che non era
braccato dal deflussore della flebo, con quel poco di forza che i
muscoli mi offrivano, e lui non si fece attendere più tanto; mi
strinse forte la mano con le sue, sempre calde e delicate, attente a me
come fossi un prezioso vaso di porcellana francese. Si alzò
dalla poltrona e si portò a sedere sul letto, di fronte a me.
Sempre tenendo con una mano la mia, portò l’altra sulla
mia guancia, riscaldandomi con una sua carezza fin dentro
l’anima; con un suo sguardo, struggente e profondo, attento al
più piccolo dettaglio del mio volto, uccise le ultime forze che
avevo. Era possibile che non abituarsi mai al suo modo straordinario di
prendersi cura di me, alla sua maniera gentile e sensuale di amarmi
ogni secondo? Sì, scoprii decisamente che lo era.
Era rimasto in silenzio, mentre mi scrutava, e finalmente, seppur
flebile e quasi strozzato da singulti interiori, che i suoi occhi non
potevano celare, mi disse: “Amore mio … sei
bellissima!”
Io arrossii immediatamente alla sua dichiarazione, sconvolta dalla
commozione che l’aveva accompagna, e scostai il mio viso per
nascondere la vergogna ed il rossore, ed anche le lacrime che
iniziavano a venire fuori. La sua era certamente un’opinione di
parte, in più era stato sicuramente indulgente perché
l’equilibrio emotivo post-partum di una donna è
notoriamente precario, ma sapevo perfettamente quanto fosse menzognero.
Mi ero vista poco prima, seppur di sfuggita, nel piccolo specchio da
toeletta che avevano messo su comodino di fianco al letto, e avevo
visto riflessa la peggiore delle Kristen mattutine: alone nerastro
sotto gli occhi, puntini lentigginosi tutt’attorno le guance e
sul naso e la punta del naso e le narici rosse come se avessi una
brutta febbre da fieno.
“No, non è vero!” mugugnai, lamentandomi scherzosamente della sua bugia.
Lui sembrò divertito dalla situazione e continuò ad
accarezzare il mio volto, scendendo fino al collo e aprendosi
finalmente in un sorriso più rilassato. “È
così … davvero … sei bellissima!!!” non
potei in alcun modo protestare, e sinceramente nemmeno mi interessava
tanto, perché si avventò con foga sulle mie labbra, a
dover sfogare una tensione inspiegabile, repressa per troppo tempo. Non
capii. Quasi si allungò su me, cingendo i miei fianchi ed il mio
fisico, ricordandomi che avevo partorito da poche ore, protestò
con una fitta sul ventre. “mmmh! Noo!!” fui costretta a
lamentarmi, con un fremito strozzato in gola dalle sue labbra che
premevano ancora sulle mie. Si staccò repentinamente,
guardandomi con timore di aver commesso chissà quale grave
errore.
“Come stai?” si rivolse a me, preoccupato.
“Sto bene” risposi, con sollievo, per il dolore scomparso rapidamente.
“Sicuro?” non mi credeva, sapeva che tante volte per non
preoccuparlo avevo celato i miei malesseri. Non avevo però
motivo di mentirgli e dunque risposi, onestamente: “Sì.
Stanca, ma bene!” restammo immobili per alcuni secondi, a
guardarci negli occhi. I suoi erano ancora agitati, sconvolti dalla
grandezza dell’evento e cercai con i miei di rassicurarlo; non
c’era ragione per avere paura, se restavamo uniti.
“Tu come stai?” gli domandai, retoricamente, ma non lasciai
che mi rispondesse continuando a parlare “mi dispiace essermi
svegliata prima di te ed aver rovinato il tuo sogno”.
Sorrise, mi aveva capita al volo, come sempre; fece spallucce
“oh, figurati, era solo una stupida fantasia …”.
Sapevo che per lui era qualcosa di più: una dimostrazione,
piuttosto, del suo amore per me, lui che amava stupirmi e dimostrarmi
il suo sentimento nei suoi più minimi particolari, come i
pittori manieristi nelle loro opere. Forse era al limite della mania,
ma io lo amavo anche per questo.
“Mi dispiace anche che tu sia dovuto rimanere qui tutta la notte,
potevi lasciare che fosse tua madre ad assistermi, so che ci teneva, e
tu tornare a casa a riposare …”
“no, non potevo” mi interruppe, tornando serio.
Proseguì: “ho rimandato tutti a casa perché qui non
c’era molto da fare per loro, poi con i tuoi in arrivo volevo che
ci fosse qualcuno ad accoglierli …”
“I miei sono qui?” domandai, felice.
“Sono in albergo ora, sono arrivati alle otto e sono corsi
direttamente qui ma tu dormivi ancora così li ho mandati via
… torneranno al prossimo turno visite” mi rispose
tranquillo “tua madre, lo sai com’è fatta, voleva
darmi il cambio con te, ma non potevo, non dopo stanotte …”
“Stanotte? Che ho combinato stanotte?” chiesi, più
scherzosa che altro; tuttavia Robert non sembrava altrettanto
divertito. Mi fissò negli occhi, tornando a sedersi alla
poltroncina, con un espressione grave e di nuovo preoccupata “non
è per te che ho passato la notte in bianco, Kris …”
mi freddò.
Mi rifiutavo di comprendere, di realizzare ciò che il mio
istinto materno aveva già elaborato. Cercai di tirarmi almeno a
sedere sul letto, e Rob si precipitò ad alzarmi lo schienale. Lo
bloccai immediatamente per un braccio e i nostri occhi si scontrarono
per pochi secondi, perché lui distolse in fretta il suo sguardo,
ma furono sufficienti quei brevi istanti a comprendere che i miei
timori erano fondati.
“La bambina Rob? La bambina?” mi ritrovai, senza volerlo,
ad alzare il tono di voce contro di lui. Robert non poté altro
che annuire, passivamente ed esausto, prostrato per aver dovuto
affrontare quella notte, terribile a quanto sembrava, da solo.
“Cos’ha la bambina?” la mia voce era rotta, mentre
urlavo dei singhiozzi avevano infatti iniziato a spezzare il mio
respiro in gola e, per quanto cercassi di respingerlo, il pianto si
faceva prorompente ad ogni secondo che passava.
“Subito dopo la nascita ha avuto una crisi respiratoria … i suoi polmoni sono ancora immaturi …”
Non potevo crederci. Sapevo che sarebbe stata piccolina e sicuramente
più debole del normale, dato il parto prematuro, ma non
immaginavo che le condizioni potessero essere tanto peggiori. Dio, che
madre ero da non essere riuscita a crescere mia figlia nel mio grembo?
Perché non ero stata attenta quando il medico non aveva fatto
altro che raccomandarsi? Perché, Dio, perché?
Non ero mai stata una persona dalla fede solida e praticante eppure non
riuscivo a fare altro che interpellare a Dio sul perché di
quella sofferenza, di quel dolore tanto grande inflitto ad una creatura
così piccola ed indifesa; se mi ero comportata male,
perché allora non aveva punito me, e si era invece accanito
sulla mia creatura?
Non conoscevo l’entità della crisi, né le
conseguenze, ma i pensieri più brutti affollarono in un istante
la mia mente, portandomi quasi uno stato di shock, ma sicuramente ad
una crisi di pianto e nervi.
Iniziai ad urlare: “Voglio vederla Rob! Fammela vedere! Voglio
vedere la mia bambina!!!” lui, impotente, tratteneva a stento
delle lacrime che per pietà, amore e frustrazione condivideva
con me e tentava di calmarmi come meglio poteva. “Calma
Kris, devi stare calma, sei ancora molto debole!” Nei suoi occhi
rividi le mie paure, il mio smarrimento, le stesse domande che stavano
affollando la mia mente, e capii che davvero era impotente in tutta la
questione e che, se avesse potuto, avrebbe dato se stesso per far
terminare quell’inferno. Ma non riuscivo a darmi pace.
Una piccola equipe medica e paramedica entrò nella stanza di
corsa a tentare di calmarmi e solo dopo mille preghiere e carezze di
Robert riuscii a placarmi ed evitare dei tranquillanti che avevano
già preparato da introdurre direttamente in vena. Sarebbero
stati un biglietto di sola andata direttamente per il mondo dei sogni e
non volevo assolutamente che accadesse; dovevo accertarmi con i miei
occhi che la situazione, come sostenevano i medici, non fosse poi
così grave, dovevo vedere mia figlia.
Mi aiutarono a salire su una sedia a rotelle, i miei muscoli non erano
ancora così rinvigoriti da permettermi di camminare da sola, per
lunghi tratti e venni accompagnata, da un infermiera, insieme a Robert,
nel reparto di neonatologia dell’ospedale. Mi fecero indossare un
camice e la cuffietta per i capelli. Mentre entravo nel piccolo
reparto, seduta in carrozzella, scorgevo a malapena, dalla mia altezza,
tutte le culle termiche che contenevano tutti quegli scriccioli. Erano
uno più piccolo dell’altro e sembravano così beati
mentre riposavano, ma la loro quiete e innocenza celava la malattia, la
sofferenza, il dolore. Mi chiedevo se nelle loro memorie sarebbe
rimasto un ricordo, seppur inconscio di quei momenti; speravo
ardentemente che fosse l’oblio ad occuparsi di quei giorni.
Ci fermammo davanti ad una culla, e sul lato c’era scritto baby
Pattinson – Stewart. Non aveva un nome, e non volevo che fosse la
fretta e il terrore di perderla a costringerci a sceglierne uno: baby
Pattinson - Stewart suonava bene, al momento. Volli alzarmi, testarda,
per poterla vedere meglio e Robert mi aiutò, cingendomi i
fianchi ed io mi sorressi sulle sue grandi spalle.
Eccolo il mio angelo. Era sveglia, e sperai che lo fosse perché
in attesa di rivedere la sua mamma. I suoi grandi occhioni era
finalmente aperti, sgranati ed erano blu. Blu, come l’oceano
più profondo, come gli zaffiri più rari. Dio ti
ringrazio! Almeno questo regalo me l’hai fatto …
Rapita da quello sguardo così sveglio, vispo ed anche
ammaliante, così simile a quello di suo padre, quasi non mi
curai del resto. Ma fui costretta a far fronte alla realtà
più cruda. A parte il pannolino,e la medicazione che le copriva
il moncone del cordone ombelicale, la bimba era completamente nuda, e
sul suo petto, così piccolo, che si alzava e si abbassava con
grande rapidità, come se avesse fame d’aria, erano stati
attaccati tre piccoli elettrodi che controllavano i battiti del suo
cuoricino. Ad uno dei piedini un altro cerottino collegava la bimba ad
un’altra apparecchiatura ed, al suo nasino, erano stati posti i
tubicini per l’ossigeno.
Eppure non si lamentava, sopportava in silenzio tutte quelle torture ed
i suoi occhietti, così giovani, ma già così
intelligenti, mi imploravano solo di porre fine a tutto questo.
Si avvicino a noi un medico, che supposi essere il neonatologo che si
occupava della piccola, dal modo in cui Robert si era approcciato a lui.
“Dottore, lei è mia moglie …” gli comunicò.
Senza battere ciglio, mi si avvicino e con un gran sorriso, che non mi
aspettavo date le circostanze, mi posò un braccio sulla spalla,
accarezzandomi leggermente la schiena, a darmi coraggio.
“Lo capisco signora, che vedere la piccola così le fa
paura … o comunque le fa male, ma se le dicessi che la sua
bambina è quella che sta meglio, mi crederebbe?” restai
interdetta dalle sue parole, non potevo credere che la bambina non
fosse poi così grave. Allora perché aveva tutti quei
macchinari addosso? Certo, mi faceva male saperla costretta
lì, e non tra le mie braccia, e sapevo che faceva male anche a
lei stare lontana dalle braccia dei suoi genitori.
“ma … la crisi?”
“La crisi respiratoria l’abbiamo gestita molto bene, ma del
resto eravamo preparati ad un’eventualità simile. È
troppo piccola ed i suoi polmoni non erano completamente maturi,
nonostante fossero ormai formati. Comunque ora l’emergenza
è rientrata; stiamo sottoponendo vostra figlia ad una terapia
con il Surfactante, una sostanza che permette ai polmoni di lavorare e
che lei non produce ancora in quantità sufficienti. Ma presto lo
farà …” sorrise, guardando la piccola “e
siamo abbastanza fortunati perché la sua bambina è anche
più grande del normale per la sua età gestazionale,
è 2 chili e 100 grammi, una rarità per un neonato di
sette mesi. Questo ci fa ben sperare per una sua ripresa precoce”
Mi sentii come svuotata da un macigno e quasi mi sarei stesa per terra
se Robert non mi avesse sostenuta da dietro. Non che avessi capito
molto dei grandi e troppo tecnici paroloni che il medico aveva usato,
ma alcune di quelle cose mi erano rimaste impresse nelle mente e non
facevano altro che riecheggiare rimbombanti ed io non potevo che
aggrapparmi a quelle a più non posso, sperando con tutta me
stessa che non fosse un sogno.
“Ehi, tesoro, stai bene? Vuoi sederti un po’?” si
affrettò a chiedermi Robert, concitato, tenendomi stretta a
sé più che poteva.
“Sto bene, sto bene. Sono tutte queste emozioni tutte insieme … adesso mi passa”
Mi rimisi in piedi correttamente e da sola, con Robert che mi vegliava
e mi stava vicino. Mi avvicinai più che potevo alla culla
termica finché il freddo del vetro non mi ricordo che oltre quel
limite non potevo andare. Vedere mia figlia così vicina, ma
così fragile da non poter nemmeno toccarla, e questo
chissà per quanto tempo, mi fece sprofondare di nuovo nella
disperazione. Sarebbe andato tutto bene, me l’avevano assicurato,
ma io non avrei tollerato quella situazione troppo a lungo. Appoggiai
la mia fronte sul vetro dell’incubatrice. L’infermiera, che
per tutto quel tempo era rimasta con noi mi si avvicinò
discreta. Ho sempre pensato che fossero loro i veri angeli in ospedale:
stanno nelle retrovie, non si prendono mai il merito per il loro
lavoro, ma ci sono sempre quando hai bisogno di loro. Senza grandi
gesti, né parole, aprì due piccoli oblò nella
culla e mi invitò ad introdurvi le braccia. Avrei potuto
stringere la mia piccola, almeno finché il mondo esterno non
fosse stato abbastanza caldo per lei, e mantenere la temperatura del
ventre materno non fosse più così importante.
La vedevo con i miei occhi, era piccolissima, al massimo 45 cm, eppure
prendendo le sue manine tra le mie mi resi davvero conto di quanto
fosse piccina. Con le mie mani, facendo attenzione più che
potevo accarezzai la testolina e lei, a quel contatto, chiuse gli
occhi, aprendo la boccuccia in uno sbadiglio, troppo grande per il suo
visino minuto. Aveva una leggera peluria, che sapevo ben presto sarebbe
caduta per far posto ai capelli veri, di certo biondi come quelli del
suo papà.
“Ciao amore della mamma!” le sussurrai, cantilenando, come
in una ninna-nanna “ma come sei bella amore mio!”
nonostante fosse davvero piccola era davvero bella, ed immaginai che
appena avesse preso un po’ di peso sarebbe diventata stupenda, la
più bella bambina del pianeta.
Al suo della mia voce si ridestò dal sonno che stava per rapirla
e sbarrò di nuovo gli occhi, come se volesse prolungare il
più possibile il contatto con la mamma, che in quella prima
notte della sua vita, le era mancato.
“Guarda che occhioni!!!” esclamò Robert, incantato davanti a sua figlia.
“Che ti avevo detto che sarebbero stati come i tuoi?”
incalzai io, in un’atmosfera decisamente più rilassata.
“L’hai corrotta per sette mesi e mezzo, non vale!!!”
scherzò lui, divertito “… la mia
scimmietta!!!”.
Mi voltai di scatto verso di lui, esterrefatta. Sapevo che ne era
capace, ma non potevo tollerare che mia figlia ricevesse quel
soprannome, soprattutto da suo padre.
“Come l’hai chiamata scusa?” gli chiesi.
“Scimmietta” rispose lui, senza mezzi termini, convinto
della sua posizione; certamente non aveva capito con chi aveva a che
fare.
“Tu mia figlia non la chiami scimmietta!!!” gli intimai
“al posto suo mi sentirei offesa, non è vero
piccola?” continuai, stringendole le manine, chiedendole un
appoggio che ero certa non mi avrebbe rifiutato, nel nome della
complicità femminile. Speravo non avesse avuto già un
incontro ben ravvicinato con suo padre, innamorandosene come accade a
tutte le donne, perché altrimenti non l’avrei avuta vinta
così facilmente. Lei continua a guardarci, sicuramente spaesata,
ma felice e serena, così come i macchinari ci dicevano con i
loro beep costanti.
“E come vorresti che la chiamassi, sentiamo?” mi
sfidò Robert, appoggiato col braccio sul tettuccio
dell’incubatrice, in posizione di sfida.
Ci pensai un attimo, guardando attentamente la piccola che sotto le mie
carezze andava lentamente addormentandosi. Si era girata su un fianco,
leggermente rannicchiata, per quanto gioco le concedessero tutti quei
fili.
“Be’” risposi “a me ricorda piuttosto un
coniglietto … e poi i conigli sono anche più dolci delle
scimmie”
“Sarà …” continuò Rob, scettico,
tuttavia arrendendosi alla mia scelta, nascondendo poco velatamente la
delusione per la sconfitta “ma a me ricorda più una
scimmietta …”
La piccola si era finalmente addormentata, nonostante il battibecco,
seppur scherzoso e a bassa voce, che io e Robert avevamo avuto. Era ora
di andare, anche se avrei voluto mettere le radici in quella stanza e
non andarmene finché non l’avesse lasciata anche lei, ma
le regole erano ferree anche per noi genitori e, finché non
avessi iniziato ad allattarla e le sue condizioni fossero rimaste
tranquille e stazionarie quali, per fortuna, erano.
Prima di andarmene lasciai all’infermiera un cappellino leggero
di cotone, che aveva delle orecchie in punta, da farle indossare.
Capivo che la tutina potesse essere scomoda per il lavoro degli
infermieri intorno a lei ma, almeno un cappellino, un qualcosa che
avevo preparato per lei, volevo lo avesse.
Uscendo dalla sala, lanciai un’ultima occhiata verso la vetrata
del corridoio, da dove si vedevano tutte le cullette. Nonostante la
cameretta fosse leggermente in penombra distinsi immediatamente il
nostro scricciolo: dormiva, paffuta, beata, come un piccolo angelo
assopito. Il suo braccino era proteso verso il vetro, e immaginai,
sperai, che stesse sognando la sua mamma ed il suo papà, ancora
lì con lei, dall’altro lato dell’oblò. Ero
felice, nonostante tutto, e la sua serenità mi aveva ridato
forza.
Sarebbe andato tutto bene.
ANGOLO DELL'AUTRICE
Allora, da dove cominiciare. Be', innanzi tutto scusandomi per il ritardo, ma ho avuto un bel week end impegnato.
Poi ringraziandovi per il seguito sempre numeroso, anche se mi
piacerebbe davvero che e recensire foste molti di più. Sono
curiosa di leggere pareri, sia negativi che positivi, di coloro che mai
hanno recensito. Soprattutto perché questi capitoli, che come vi
ho già detto sono i finali di questa storia, per me sono di
fondamentale importanza.
Mi dispiace davvero non aver svelato il nome della piccola in questo
capitolo, ma sarebbe stato troppo lungo se lo avessi fatto, per cui vi
chiedo solo di avere un po' di pazienza,
Non credo ci sia molto da spiegare in questo capitolo, a parte che, per
le parti mediche e infermieristiche ho cercato di mantenermi in un
linguaggio più facile possibile, per far si che tutti possiate
comprendere. Anche il modo di esprimersi di Kristen riguardo ad alcune
parole di gergo medico ho voluto lasciarle su vago, come ad esempio per
la flebo (che è semplicemente per reintegrare i sali persi) e
tutti i "cavi" e i "tubicini" che lei vede attaccati alla bimba; ognuno
ha un nome specifico, ma se stessi qui a spiegarvelo avrei scritto un
capitolo di 12 pagine di Word. E a me non è questo che
interessa. Voglio far passare le emozioni dei protagonisti. In questo
momento e Kristen quella che le esprime più prepotentemente, ma
ho deciso che nel penultimo capitolo lascerò spazio anche a
Robert, eroe silenzioso degli ultimi 2 o 3 capitoli. Per qualsiasi
domanda sono qui a vostra disposizione, lo sapete.
Passiamo ora, come sempre, alle risposte alle vostre recensioni:
rmarta: l'avete conosciuta ora la piccola, abbiate un po' di pazienza e avrete anche il nome. alla prossima
marty13__: mi dispiace che
abbiate dovuto attendere così tanto, ma non è dipeso da
me. Sì, è una bambina, e come vedi già è
l'amore della sua mamma, ma soprattutto del suo papà tutto
matto. personalmente non vedo l'ora di vedere BD per vedere come si
comporteranno Rob e Kristen con una bambina tra le braccia, anche se
aspetto con ansia il giorno in cui avranno, si spera un bambino tutto
loro.
sidney90: era facile da
immaginare il sesso della piccola, un po' di meno il suo nome, ma
sapete che io adoro farvi tribolare, anche se forse a volte sbaglio.
Robert io lo vedo così, e secondo me un po' ci ho preso. Fa il
simpatico, il fifone a volte, ma nasconde una corazza bella forta che
tira fuori solo nei momenti più importanti e al di là di
ciò che si dice è quello che porta i pantaloni i casa
Robsten.
prudence_78: Rob l'ama troppo
per prendersela con lei, e ormai non sono più dei bambini, sanno
distinguere bene l'entità delle cose, quindi Robert non potrebbe
mai prendersela con Kristen per ciò che è successo, sa
bene che non è colpa sua. Kristen è arrivata solo ora a
maturare definitivamente, ed ha pagato un prezzo bello alto, ma si
risolve tutto, stai tranquilla. e nn mi sento affatto di condannarla
per le sue scelte, anch'io le avrei fatte. come dici tu fanno casino in
due figurarsi in tre: è proprio per questo che per spezzare un
ritmo così drammatico ho scelto la scenetta dei soprannomi in
questo capitolo, spero non sia troppo breve.
La Francy: non ti perdono...sei
stata tra le prima a leggere e quasi l'ultima a recensire...come non ti
vergogni??? scherzo!!! sono contenta che ti sia piaciuto, ma a te posso
dire poco visto che quasi sempre sai cosa accade, prima che lo
pubblico, anche se ora ti lascio anche a te parecchio nascoste le
idee... robert parlerà presto, stai tranquilla
Enris: c'ho dovuto pensare
parecchio a questo titolo, non volevo niente di scontato, niente di
troppo tradizionale ed ecco che spuntano fuori quelle due lettere
dell'alfabeto greco...principio e fine, nella spiritualità...be'
i dubbi sono legittimi, servono a portarti in questo capitolo. ti
ringrazio per la recensione dettagliata e per la tua
costanza...meriteresti un premio per questo!!!
Vi lascio come sempre i contatti dove trovarmi (fatevi sentire siete sempre così poche!!!)
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Capitolo 28 *** What's in a name? ***
The best day - capitolo 28
Salve
a tutte!!! Come state? Io bene, più o meno. Ho saltato
l'appuntamento con la vostra, spero, FF preferita lo scorso week-end
perché sono stata particolarmente impegnata, ed il tempo per
scrivere l'ho trovato solo la sera scorsa. Ed eccomi qui a pubblicare
un capitolo nuovo. Finalmente, direte voi!
Non vi lascio penare oltre e vi
ricordo, dopo la lettura, di passare a dare una sbirciatina all'angolo
dell'autrice a fondo pagina e agli indirizzi che vi do ogni volta.
Mi raccomando RECENSITE!!!! e, come sempre, BUONA LETTURA!!!!
CAPITOLO 28
WHAT'S IN A NAME? - P.O.V. Kristen
Che cos'è un nome? Quella che chiamiamo "rosa" anche con un altro nome avrebbe il suo profumo.
(William Shakespeare, Romeo e Giulietta)
Rientrati in stanza mi
risistemai per bene sul letto. Odiavo starci perché non era il
mio, era piccolo e scomodo ma soprattutto perché le lenzuola non
profumavano di Rob. Nonostante tutto non potevo lamentarmi: era
lì, vicino a me. Dopo avermi messo a letto si era seduto di
nuovo sulla poltroncina accanto al letto, certamente più
rilassato di quanto fosse al mio risveglio, potendo condividere il
fardello della piccola con me.
Era stanchissimo, glielo leggevo in
ogni poro della sua pelle, in ogni espressione, in ogni sguardo che a
fatica tentava di rimanere vigile ed attento.
Buttò la testa
all’indietro e chiuse gli occhi, coprendoli alla luce che entrava
nella stanza con gli occhi. Era rimasto sveglio troppo a lungo, ormai
erano quasi 48 ore che non vedeva un letto e non potevo tollerarlo.
“Vai a casa!” lo spronai,
ma lui, imperterrito, scosse la testa e rivolse di nuovo a me il suo
sguardo e le sue attenzioni “Tu e la bambina venite prima di
tutto” mi disse “il resto può aspettare.”
Non potei che essergli grata per
quelle parole, mi facevano capire una volta di più quanto ero
stata fortunata ad averlo, e quanto sarebbe stata fortunata la
nostra bambina ad averlo come padre: sempre presente, attento,
premuroso; il meglio che si possa chiedere.
“Ma cosa me ne faccio io di un
marito accanto a me, se si addormenta in piedi?! E cosa se ne fa la
piccola …” ribattei. Non volevo cedere; così come a
lui io stavo a cuore, così io tenevo a lui, nella stessa misura.
Doveva staccare la spina per un po’ di ore, lasciarsi i problemi
alle spalle, e tornare ad una vita più facile, almeno
nell’universo onirico.
Ma lui era un mulo, non si arrendeva
così facilmente. E se non avessi lasciato correre, probabilmente
saremmo andati avanti con quella discussione per ore. Anche
perché, forse, egoisticamente, volevo saperlo lì al mio
fianco, anche appisolato. Lui era la mia roccia, anche con i suoi
difetti, anche con le sue paranoie o i suoi momenti di totale follia.
Ma a lui, e a lui solo potevo appoggiarmi, nessuno mi avrebbe capito e
sostenuto come lui. Nessuno.
A tutto questo aggiunse una
giustificazione che mi sembrò essere anche abbastanza valida:
“Non posso andarmene ora. Abbiamo così tanto da fare! Ti
ricordo che nostra figlia non ha ancora un nome …”
Con tutta la confusione del mattino,
le cattive notizie, le crisi, le lacrime ed infine la speranza, non
avevo potuto, né obbiettivamente voluto, ritagliarmi un
momento tutto per me, in cui stare in silenzio, pensare a lei, e
trovare il nome che più me la ricordasse.
Ora che l’avevo conosciuta,
l’avevo stretta a me, seppur attraverso un vetro freddo, non
c’era nessun nome che trovassi adatto, nessuno che parlasse di
lei.
Tutti i nomi che avevo letto nei
libri per settimane, sembravano essere obsoleti, ovvi, troppo comuni.
Volevo fosse speciale, volevo fosse unico, come lei lo era per noi.
“Non lo so Rob, non ho alcuna
idea, non c’è niente che mi convinca davvero …
penso e ripenso a tutti i nomi che avevamo vagliato, ma nessuno sembra
abbastanza bello per lei!”
“Per forza Kris” rise Rob
“ti assomiglia così tanto che niente è bello se
paragonato a voi!!!”
Arrossii miseramente. I miei ormoni
erano già abbastanza in subbuglio, anche senza il suo intervento
… ora, aiutati da quel sorriso mozzafiato, erano proprio partiti
per la tangente. Ogni volta che si lanciava in quei complimenti
così innocenti e al tempo stesso sensuali, grazie alle sua voce
intensa, roca e profonda, mi sembrava di tornare indietro di secoli,
quando si divertiva a destabilizzarmi con commenti piccanti ed
impertinenti davanti al mio allora fidanzato Michael. Io non potevo
fare a meno di arrossire e iniziare a fantasticare su lui, Michael
andava su tutte le furie, e lui, divertito, sogghignava sotto i baffi
per gli affondi per riusciti.
Tornata al mondo reale risposi al suo
affondo, cercando di non far trasparire quanto mi aveva colpito
ciò che aveva appena detto. “E comunque” gli dissi,
evitando di ammiccare troppo spudoratamente “gli occhi sono tutti
del suo papà … quindi sappiamo chi incolpare se le
persone inizieranno a cadere ai suoi piedi ammaliati”. Colpito e
affondato, pensai, lui che aveva sempre sostenuto che il piccolo
avrebbe avuto i miei occhi.
“Non è detta
l’ultima parola” rispose, in tono di sfida “è
noto che i bimbi alla nascita hanno gli occhi di una tonalità
molto simile al blu … poi cambiano nel corso delle settimane.
Quindi non mi sorprenderei se una mattina svegliandoci la trovassimo a
sorriderci con dei bellissimi occhi verdi”
Aveva sempre detto che leggere quei
libri sulla gravidanza era solo uno spreco di tempo e denaro, eppure
dimostrava ogni giorno di più di essere molto più
preparato di me sull’argomento. Ne ero vagamente gelosa, ma poi
pensai che lui non poteva contare su qualcosa che a me veniva
direttamente dal corredo genetico: l’istinto materno. Ed è
per questo, probabilmente, che voleva rimanere al mio passo,
compensando con quanto il mondo aveva da offrirgli.
Lo guardai di sottecchi,
dimostrandogli che avevo capito delle sue letture clandestine di
manuali sui bambini, ma la verità è che questo suo lato
da mammo, mi faceva morir dal ridere.
In ogni caso, l’immagine che
aveva evocato, mi sciolse completamente il cuore, e gli ultimi ormoni
che mi erano rimasti, ancora convalescenti dalle battaglie perse col
suo charme, alzarono bandiera bianca e chiesero clemenza. Tuttavia,
nella mia mente l’immagine era un tantino differente: al mare, in
una calde estate mediterranea. Immaginavo lui che stringeva tra le
braccia la nostra creatura, ormai di 6 o 7 mesi, mentre la dondolava
dolcemente tra le onde rade e leggere della riva, con l’ acqua
limpida e fresca che le bagnava i piedini e lei ad ogni contatto con la
spuma del mare dimenava i piedini, un po’ felice e curiosa, un
po’ spaventata dalla novità. E poi arrivo io, dalla
battigia, e Rob che le dice: “Amore, guarda chi
c’è?! La mamma!”. Lei alza il suo visino paffuto, le
guanciotte rosse per il sole ed il calore, riccioli biondi che le
incorniciano un volto senza difetti. E lì il miracolo più
bello: non appena mi riconosce, tra la folla della spiaggia, si apre in
un sorriso come non ce ne sono altri al mondo, le sue manine corrono
verso di me, impazienti di ritrovarsi tra le mie braccia ed i suoi
occhi che sorridono con lei. I suoi occhi, di un azzurro limpido come
il mare ed esattamente identici a quelli di suo padre.
“Staremo a vedere …” replicai, cacciandogli una bella linguaccia. Avrei vinto io, ne ero sicura.
“Rob” gli dissi
poi, seria “vorrei che tu sapessi quanto mi dispiace di aver
creato questa situazione”. Volevo lo sapesse; forse più
per me stessa che per lui, per liberarmi da quel peso che mi opprimeva
dentro, e scaricarmi dalla colpa, per poter iniziare il mio cammino di
buona madre senza la macchia del giorno in cui ho messo al mondo la mia
bambina. Lui, al contrario sembrava non capire.
“Avrei dovuto stare attenta,
sentire le tue raccomandazioni, seguire le indicazioni del medico. Non
so cosa mi sia preso. Forse … forse pensavo che a fare di testa
mia non avrei cambiato nulla, ed invece …” nel frattempo,
senza che potessi fare qualcosa per controllarle, le lacrime avevano
iniziato a rigare il mio volto, dapprima lentamente, via via sempre
più copiose, e la voce di fece sempre più alterata,
strozzata da singhiozzi che volevo ricacciare dentro, ma invano.
Perché mi dimostravo sempre maledettamente debole e piccola di
fronte a lui? Perché davanti a lui tutte le mie miserie venivano
fuori, prepotenti? Non ero io, secondo tutti, l’uomo di casa?
No, ognuno rispettava i suoi ruoli,
con i pro e i contro di ogni situazione. E non mi vergognavo di essere
così davanti a lui, era l’unico per me, l’unico a
cui avessi aperto il mio cuore e mostrato la mia anima, l’unico
che le avrebbe custodite. Non potevo vergognarmi davanti a lui.
Si avvicinò a me, con la
pazienza di un santo, si sedette sul letto, di fronte a me, prendendo
tra le sue mani il mio volto, e asciugando quelle lacrime con i pollici
delle sue mani. Mi gettai a capofitto sul suo petto, la mia roccia, il
mio appiglio,e lasciai che si prendesse cura di me, perché
volevo ancora essere solo la sua piccola donna, oltre che la madre di
sua figlia.
“Shhh …” mi
sussurrava all’orecchio, accarezzando i miei capelli, e
stringendomi forte a sé, lasciando che, nonostante il caldo di
un assolato luglio, il suo cuore riscaldasse il mio, ed i suoi battiti
mi tranquillizzassero con il loro ritmo costante.
“Quello che è successo,
non è colpa di nessuno” mi disse, sincero e tranquillo
“si vede che doveva andare così e basta, è inutile
pensarci ancora … e poi ora si sistemerà tutto, hai
sentito anche tu il medico cosa ha detto il medico, basterà
avere solo un po’ di pazienza”.
Lasciai che continuasse a cullarmi,
nulla poteva calmarmi più di lui, nonostante intimamente
temessi, come un’ombra perenne, che le sue fossero solo parole di
contento.
Passammo il resto della mattinata
tranquilli, in attesa di ricevere le visite di orde barbariche di
parenti ed amici, godendoci quelle poche ore di silenzio attorno a noi.
Lasciai che Robert durante il nostro parlare senza sosta si
appisolasse, e senza dargli troppo peso, riprendevamo non appena i suoi
occhi tornavano su di me.
Nella fatidica ora in cui le porte
del reparto vennero aperte ai visitatori, la mia camera si riempi di
gente e rumore, risate e chiacchiere confuse. La pila di pacchetti
regalo andò innalzandosi sul tavolino ed i fiori e i peluche
oramai non sapevamo più dove metterli. Ogni più piccola
ombra era stata spazzata via dalla gioia che i nostri amici avevano
portato e dalle attenzioni che i miei genitori mi donavano, celando
ogni preoccupazione con una inaudita maestria. Ciascuno di loro
dissimulava con grande abilità l’ansia per le condizioni
della creatura con sorrisi assolutamente gratuiti e con le chiacchiere
ed i pettegolezzi più futili.
"Mamma!!!" urlai di gioia, tendendole le mie braccia per lasciarmi
abbracciare. "Tesoro mio!" contraccambiò lei. Ero diventata
madre, ma per un attimo volli sentirmi ancora figlia, protetta nel suo
abbraccio, sicura nel suo petto. Non smise di stringermi a sé,
di accarezzarmi, baciarmi i capelli, nemmeno quando mio padre ed i miei
fretelli si avvicinarono. Avrebbe voluto essere con me durante il
parto, mi disse, o almeno in sala d'attesa. Anch'io avrei voluto
saperla lì. Ma la piccola dispettosa aveva voluto diversamente
ed ormai i giochi erano fatti, e ci godevamo quel dolce momento
d'intimita, in una piccola bolla privata nella baraonda che affollava
la stanza.
Mio padre riuscì a restarmi vicino solo dopo aver sfogato la sua
razione di lacrime, per 5 sani minuti, fuori dalla stanza. L'avevo
visto entrare, infatti, ma, dopo esserci scambiati un sorriso lo vidi
cambiare espressione velocemente, per poi dileguarsi, senza che io
potessi accorgermene, distratta degli scherzi e dalle battute dei miei
fratelli. Finché non tornò accanto a me Robert e Taylor,
mio fratello, si posero al mio fianco come una cinta muraria, uno
abbracciandomi e l'altro stringendo e carezzando fraternamente la mia
mano.
Erano tutti curiosi di vedere
la piccola, nonostante l’unica foto che Rob era riuscito a farle
prima che venisse trasferita in Neonatologia, avesse fatto il giro di
tutti i cellulari in meno di un’ora probabilmente. Aiutati forse
dal nostro cognome, o da un assegno a mo’ di donazione, questo
non lo seppi mai, riuscimmo a fare uno strappo alla regola, e a
concedere ad uno sparuto numero di famigliari, i più stretti, di
vedere la piccola da vicino. Gli altri avrebbero dovuto accontentarsi
di vederla dalla vetrata nel corridoio, lontana.
Mi rendo conto solo ora di quanta
forza dovemmo munirci tutti i quei giorni, per riuscire a rimanere
sereni di fronte a quella culla, con la piccolina attaccata a tutti
quei monitor e ad un supporto per la respirazione. Avevamo tutti la
perenne sensazione che tutto fosse sospeso, come in un sogno, e che
presto ci saremmo svegliati, e la bambina sarebbe stata in una culla
normale, nel nido, insieme a tutti gli altri bimbi. Ed invece lei era
lì, insieme a tutti quegli altri piccoli guerrieri.
La rividi per la seconda volta quel
giorno, ed era come se fosse la prima volta. Scoprii di lei altri
particolari, altre piccole tratti peculiari che la rendevano sempre
più nostra, la piccola baby Pattinson.
“Allora, che ve ne pare?”
chiese Rob ai miei suoceri, un tantino frastornati.
“È una bambina bellissima” intervenne per
primo mio suocero, abbozzando un sorriso, che tuttavia parve onesto
“ siete stati molto bravi”
“... ed proprio vostra figlia” concluse per lui mia suocera “caparbia e tenace. Una piccola leonessa”.
Già una piccola leonessa,
cacciatrice di professione, una combattente tutta artigli che si
aggrappava alla vita con tutte le sue forze; noi l’avremmo
sostenuta nella sua battaglia, sempre.
Mentre gli altri erano già
usciti fuori, e noi ultimavamo l’aggiornamento dal neonatologo,
nello stretto corridoio del reparto, davanti alla vetrata che separava
la camera con le incubatrici ed il mondo esterno, una piccola figura
stava ritta, con una mano appoggiata al cornicione del vetro: nonna
Victoria, la nonna paterna di Rob. Guardava verso la bambina con amore,
ma i suoi occhi mostravano, noncuranti ma almeno onesti, la tristezza
che tutti gli altri mi avevano celato. Eppure trovavano ancora il posto
per la speranza, perché non si staccavano un attimo da quella
culla, e sembravano urlare, disperati “forza piccola! Continua a
lottare!”
Mi avvicinai a lei, guardando ancora verso la mia bambina. Robert mi seguiva, sostituendo la mia ombra.
“È un gioiello, piccola
Kristen. È il vostro gioiello più prezioso, Robert
caro” si rivolse ad entrambi “e come tale dovrete
trattarla. Richiede attenzioni particolari, precise. È la
più fragile, e quindi dovrete porre molta cura in lei, e dovrete
stare particolarmente attenti ma, statene certi, sarà la vostra
gioia, il vostro motivo di vanto. Tutti ve la invidieranno e faranno la
fila per goderne almeno un po’…”
Ero commossa, perché aveva
rivolto il più dolce augurio alla mia bambina e ne aveva fatto
il ritratto che era nella mia mente da sempre. Poi capii: era davvero
lei, non poteva essere altrimenti.
“She’s not a jewel” dissi, mentre lei e Robert mi guardavano, stralunati “She’s Jewell!” risposi ai loro interrogativi muti.
“Jewell? È così
che vuoi chiamarla?” mi chiese Rob, ancora spaesato dalla mia
decisione così repentina.
“Sì Rob” gli
risposi “sono sicura che è quello giusto, è lei, il
nostro gioiello più prezioso!!!”. Era stata una scelta
improvvisa, dettata dall’istinto più che da una decisione
posata, riflessiva. Ma avevo imparato a mie spese che gli eventi
più importanti della mia vita erano un susseguirsi di
improvvisazioni e momenti di puro istinto. Non avrei agito
diversamente, neanche quella volta.
“Veramente io …”
intervenne Rob, timidamente “avevo in mente un altro nome. Non
che Jewell non mi piaccia” si affrettò a concludere
“ma avevamo detto che sarebbero stati due, quindi pensavo
potrebbe starci bene insieme …”
“E sarebbe?” gli
domandai. In quel momento di sana euforia personale forse non era il
caso di lasciar scegliere a Robert il secondo nome della piccola,
perché avrei potuto accordargli di tutto.
“Io … io veramente avrei
pensato a Catherine. suggerì, timidamente, temondo forse che io
potessi rigettare la sua idea "Ho letto da qualche parte che significa
pura e poi … c’è una persona a cui vorrei
dedicarlo, senza la quale non sarei la persona che sono oggi, non avrei
te, non avrei lei. È un modo per dirle grazie …”
Capivo benissimo a chi si riferisse.
Cath, la nostra regista tutta matta, la donna che ci aveva scelti,
anche solo per un film, fatti incontrare e, suo malgrado, fatti
innamorare. Aveva ragione Rob, senza di lei, non saremmo stati mai
quello che siamo; a lei dovevamo tutto, c’era poco da discutere
su questo. E poi Catherine mi piaceva, era un nome molto nobile,
elegante e decisamente inglese.
“E poi sono convinta che appena
lo saprà inizierà a dare di matto, come al suo solito
…” gli dissi, ridendo.
“Allora Jewell Catherine
Pattinson? Giusto?” mi chiese Rob; io annuii sicura. “Suona
bene, mi piace” rispose Rob, con orgoglio, altrettanto convinto
che fosse la scelta giusta. Finalmente la piccola aveva un nome; ce ne
avevamo messo di tempo ma ne avevamo trovato uno davvero bello.
“Ciao piccola Jew!”
sentii salutare da Rob mentre uscivamo dal corridoio, rivolto per
l’ennesima volta verso la vetrata, verso il nostro piccolo
gioiello prezioso.
All’uscita trovammo tutti i
nostri parenti ed amici ad aspettarci. Probabilmente era passato un bel
po’ di tempo da quando erano usciti, senza che ce ne accorgessimo
e dovevano essersi preoccupati per il nostro ritardo.
“Allora, novità?”
chiese mio padre, come portavoce, con un’espressione ansiosa, che
del resto lo accomunava a tutti i presenti.
Io e Rob ci scambiammo uno sguardo
d’intesa e, rivolgendomi a mio padre, gli dissi, sorridendo :
“Abbiamo un nome! … anzi no, due!”
L'ANGOLO DELL'AUTRICE
Innanzi
tutto, mi preme spiegare che questo capitolo, nato piuttosto dal nulla,
doveva originariamente essere collocato alla fine del capitolo
precedente. Tuttavia, ho ritenuto più giusto dedicare un
capitolo a sé alla scelta del nome, parte fondante dell'identita
di una persona. Forse alcuni di voi rimarranno male per il fatto che mi
sono discostata dal trend degli ultimi tempi, che vuole "Joy" come nome
della piccola baby-Pattinson. Non che non mi piaccia, anzi. Il suo
significato è molto profondo, e non nego che c'ho pensato, ma
Jewell è sempre il nome che ho immaginato per lei, sin dagli
inizi, ed era giusto portarlo avanti. Per chi non sapesse pronunciarlo,
si legge "Giu-uell", più o meno XD.In inglese significa
gioiello, solo che il nome ha una L in più rispetto al
sostantivo, e non è un caso che io abbia voluto scriverlo in
inglese per far notare la differenza. Per quanto riguarda il secondo
nome, se ricordate avevo detto, in un capitolo precedente, che Kristen
voleva un nome un po' più classico e British, accanto ad uno
più moderno e particolare. Guardando gli MTV Movie Awards tempo
fa, quando Rob ringraziò ancora la regista di Twilight,
anziché il regista di New Moon, mi è venuta in mente
questa idea. In fondo loro devono molto a Catherine Hardwicke, davvero.
Avrei voluto farla comparire nel capitolo, ma mi sembrava che avrebbe
stonato poi con il resto della storia. Allora, cosa dite, vi piacciono
i nomi?
Ah, un'altra cosa. ad un certo punto ho inserito una fantasia che
Kristen ha sulla bambina: vorrei chiarire che non si tratta di un flash
forward, ossia di una scena ambientata nel futuro. infatti la piccola
è nata il 30 giugno, quindi Kirsten non può immaginarla
al mare, nel mediterraneo, a 6/7 mesi. è solo una fantasia di
mamma. spero mi concediate un minimo di "licenza poetica" XD.
Poi, un altro argomento che mi sta a cuore: noterete che l'umore di
Kristen è alquanto ballerino negli ultimi capitoli. Questo suo
comportamento non ha nulla di strano, bensì ha delle basi
specifiche ed un nome ben preciso:depressione post-partum. Adesso
è solo un ombra, nei prossimi capitolil quelli che ci separano
dall'epilogo, vedrò di affrontarla in maniera più seria
ed approfondità.
@marty13__: ti giuro, non avevo
idea che il soprannome scimmietta potesse essere così
gettonato.sono contenta che ti sia piaciuto e mi auguro che anche i
nomi ti siano piaciuti. continua a seguirmi e a dimostrarmi il supporto
con i tuoi commenti. alla prossima =)
@BabyVery: sentire le tue
parole mi ha commossa. Far emozionare ci può stare, ma fino alle
lacrime...non credevo fosse possibile. Sono contenta che le mie
emozioni sia diventate anche le vostre, che ciò che volevo
trasmettere vi sia arrivato. Purtroppo non sono immagini felici quelle
che vi ho raccontato, ma cerco di farlo con la sensibilità di
chi sa di cosa sta parlando; io conosco bene certe realtà di sofferenza, e so bene quanta forza ci vuole. So che è necessario
a volte mascherarla e addolcirla anche con una battuta o uno scherzo.
spero tutto questo sia sta compreso. alla prossima =)
@rmarta: sono felice che tu sia
continuando a recensire, significa tanto per me, al di là dei lunghi papiri o delle grandi considerazioni. ognuno mi da quel che
può, e se lo fa col cuore, anche il poco basta ed è
gradito. non amo perdermi troppo nei dettagli, anche se una buona
descrizione è necessaria per farvi capire lo spazio in cui ci si
trova, però bisogna, come in tutte le cose saper trovare equilibrio. spero, soprattutto per voi che leggete, che io ci stia
riuscendo. credimi, dispiace anche a me che la storia stia
finendo, non posso fare altrimenti, ma tu continua a seguirmi.
alla prossima =)
@prudence_78: è
bello che tu abbia notato, forse la sola, anche quella parte:è
vero ora sono in tre, ma non si smette mai del tutto di essere coppia.
Mi piace tantissimo quando la costanza della lettura ci porta ad avere,
tra lettori e autori, un rapporto tanto speciale. io vi sto raccontando
una storia e, visto che è in prima persona, è come se vi
facessi una confidenza, come se vi raccontassi un segreto. il tuo
chiamarmi tesoro sa tanto di amicizia, una amicizia che voglio onorare
migliorando sempre la qualità del mio lavoro. credo, e spero, di
riuscirci. ma senza il vostro supporto non potrei mai. grazie, alla
prossima =)
@La Francy: ho tanto da farmi
perdonare e tanto per cui ringraziarti. Vorrei dedicarti questo
capitolo, in particolare la frase che nonna pattinson usa per
descrivere la piccolina. Perché anche l'amicizia, in fondo, è un gioiello prezioso. Ti voglio bene =). kiss kiss
@sidney90: non ho voluto
appesantire il capitolo con troppa tristezza e così p nata la
scaramuccia tra i due per il soprannome, e mi fa piacere che sia stata
gradita da tutti. Il momento in cui Kris vede la figlia per la prima
volta mi ha dato modo di riflettere molto, soprattutto per il modo in
cui dovevo presentarvelo, Nella realtà non poche persone
soffrono un'esperienza simile, ho cerceto per quanto possibile di
rifarmi al mio vissuto, alle mie esperienza. In fondo, in questa
storia, c'è molto di me, più di quanto si possa credere.
alla prossima =)
@twilighter97: siccome è
la prima volta che recensisci, benvenuta!!! sono contenta che tu abbia
letto anche Canto di Natale. Spero ti sia piaciuta, anche se il livello
è molto più basso rispetto a questa storia, per
tanti motivi. Mi hai chiesto come faccio? Leggo tanto, scrivo e
riscrivo fin quando non mi convince del tutto, e a volte non lo sono
mai e sono costretta a pubblicare comunque. Ma è soprattutto una
questione di cuore,il resto viene con l'esperienza. continua a
seguirmi. Alla prossima =)
Non credo ci sia molto altro da dire, spero di essere riuscita a
comunicare ciò che volevo dire, senza annoiarvi ma senza nemmeno
essere troppo sbrigativa. Per qualsiasi domanda sono qui, ormai lo
sapete.
vi rinnovo l'invito a raggiungermi su
FACEBOOK
TWITTER
Non vi do appuntamento ad una data ben precisa, perché anche il
prossimo week-end sarà particolarmente impegnativo per me. oltre
agli impegni quotidiani con l'università ed il tirocinio.
A bientot!
Federica
|
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Capitolo 29 *** Confusione ***
The best day - capitolo 29
salve ragazze!!!! Come va? A me bene, è stato un periodo
abbastanza movimentato tra feste, eventi più o meno felici e poi
le settimane lavorative che non mi ha permesso di postare. Oggi
non
dovrei essere nemmeno qui a postare il capitolo ma siccome mi e vi
voglio bene, ho pensato di farci tutti un bel regalo (seppur in
ritardo) con il nuovo
capitolo.
Direi dunque di passare direttamente al capitolo. Purtroppo non
ho il tempo per l'angolo dell'autrice al momento, per cui nei prossimi
passate di nuovo perché potreste trovare modifiche alla pagina,
anche per le risposte alle recensioni che oggi non ho il tempo di
darvi, mi dispiace...
RECENSITE LO STESSO NUMEROSI!!!!
CAPITOLO 29 - Confusione
P.O.V. Kristen
Erano
trascorsi ormai 5 giorni da quando ero diventata madre di Jewell
Catherine, la piccola Jew, come suo padre non smetteva un'attimo di
chiamarla, un coniglietto dolcissimo e piccolissimo, eppure forte come un
gigante, che mi aveva resa la persona più felice del mondo. Eppure di questa
felicità e di tutta l'atmosfera speciale della maternità ne percepivo davvero
una minima parte. Mi dicevano, e di conseguenza mi autoconvincevo, che il mio
malessere fosse dovuto al fatto che non tenevo la piccola mai davvero con me,
per la gran parte del tempo era chiusa nella sua cullettta termica con gli
occhialini per l'ossigeno perennemente posizionati alle narici e i monitoraggi
ben ancorati al resto del corpo.
Avevo iniziato anche a darle da mangiare; finalmente,
nonostante il mio seno non fosse particolarmente florido, avevo cominciato a
produrre latte sufficiente per lei, e fondamentale per la sua crescita. Tutti
erano in pensiero perché il parto prematuro limita le possibilità della donna a
produrre latte, ed invece li avevo sbalorditi tutti. Rob ripeteva
in continuazione che sia io che SUA figlia eravamo delle campionesse,
galvanizzando oltremodo il mio ego che, nelle ultime settimane, era stato
leggermente sotterrato.
Tuttavia, anche questo rituale, che avrebbe dovuto
forgiare e saldare il nostro già speciale legame, era falsato dalla necessitò
di tenere la bimba sempre al caldo e controllata da quei maledetti macchinari.
Ero costretta dunque, per alimentarla, ad usare il tira.latte e poi ad allattarla
con il biberon. Nonostante tutto, Jewell si rivelò essere una bimba obbediente
e tranquilla sin dai primi attimi di vita, non protestando mai a qualsiasi
intervento del personale e dimostrando di essere una mangiona, con una voglia
matta di aumentare il peso e fortificarsi. Infatti, dopo il calo fisiologico
post-partum, non era scesa al di sotto dei 2 kg, e ben presto, secondo le stime
dei medici, avrebbe raggiunto i 2.5 kg.
Speravo sinceramente che questo traguardo potesse
consentire alla situazione, al momento di una gravità stazionaria, di
stabilizzarsi positivamente, e le permettesse di liberarsi dall'ossigeno, e
poter quindi tenerla finalmente tra le mie braccia, oltre a stringere le
manine ed i piedini, o accarezzarle la testolina.
Sinceramente volevo di più.
Volevo poterla stringere a me, respirare il suo dolce
profumo e poter lasciare bacetti e pernacchie sul suo pancino, magari facendola
sorridere, almeno un po'.
Non mi era permesso nemmeno di provare a cambiarle un
pannolino, per via del groviglio di cavetti e tubicini che la circondavano. Ora
avevano anche aggiunto un piccolo aghetto sulla fronte, la corsa che più non
riuscivo a tollerare e mi facevamale ogni volta che lo sguardo cadeva sulla
minuscola medicazione. Mi avevano detto che era necessario per l'infusione di
farmaci e per prelevare il sangue, ma non potevo credere che non ci fosse una
sede meno invasiva di quella. Eppure, a quanto pareva, era proprio così.
Ed io aspettavo con impazienza dunque il giorno in
cui ci saremmo liberate entrambe da quella prigionia forzata.
Rob dal canto suo, nonostante avesse un film ancora
in sospeso a Los Angeles, aveva deciso di restarmi vicino. Voi venite sempre
prima di tutto, ripeteva sempre, e non c'era modo di controbattere. Ma io,
egoisticamente, volevo che rimanesse al mio fianco. Era il mio calmante
naturale, il fazzoletto per le mie lacrime, la roccia a cui aggrapparmi quando
sentivo le forze venir meno. Ma non potevo sperare che rimanesse con noi in
eterno, e non dovevo nemmeno permetterlo se ci tenevo davvero a lui. Aveva
degli obblighi contrattuali da ottemperare e non avrebbero aspettato in eterno
ad Hollywood. Sapevo bene, anche se cercavo di non pensarci, che sarebbe
arrivata la mattina in cui l'avrei trovato con le valigie all'ingresso di casa
nostra pronto a partire e sapevo anche che sarei rimasta sola, con la bambina,
con la sola consolazione di una conversazione tramite webcam ad orari assurdi
per via del fuso orario. Sapevo bene che neanche per lui sarebbe stato facile,
del resto la piccola era nata con 2 mesi d'anticipo, ed avevamo programmato i
nostri impegni in maniera diversa, ma non era colpa di nessuno e dovevamo
affrontare la situazione da persone mature, anche se non ne avevo proprio
voglia.
Durante la visita medica, quel giorno, mi venne data
una notizia, che mi colpì come un fulmine a ciel sereno.
"Signora" mi disse il primario "direi
proprio che non ha più alcun motivo per rimanere ancora qui in ospedale".
Sì che ce l'avevo, pensai tra me e me. Il motivo era mia figlia, e non
comprendevo come potessero pensare di mandare a casa me, e lasciare lei nella
terapia intensiva neonatale, da sola.
"Come prego?" chiesi, accertandomi di aver
udito bene. "Domani mattina potrà tornare a casa signora" mi rispose
uno specializzando "non è contenta?"
Come potevo esserlo? La mia bambina in ospedale
a combattere da sola la sua battaglia ed io a casa, a riprendere la mia
vita come se niente fosse, come se lei non fosse mai nata, come se lei non
fosse mai esistita.
Ma lei c'era e non avrei permesso a niente e nessuno
di frapporsi tra noi. "Ma la bambina?" chiesi, forse sperando
ingenuamente che con un sorriso smagliante mi avrebbero detto che sarebbe
venuta via con me e che avevano solo dimenticato di comunicarmelo.
"La bambina rimarrà qui in ospedale ancora per
qualche tempo" mi rispose uno dei medici che componeva quella processione
di camici bianchi "è ancora troppo piccola, e debole, per pensare di
portarla a casa. Ma al di là del peso e delle dimensioni, sua figlia signora ha
avuto dei problemi respiratori importanti, seppur nella norma per la sua età
gestazionale e e seppur ben gestiti dalla nostra equipe. Dobbiamo controllare
la sua funzionalità respiratoria aiutandola sempre di meno con farmaci e
supporti ventilatori, ma il passaggio alla respirazione autonoma deve essere
molto graduale." si fermò un attimo, dopo la sfilza di paroloni tecnici e
altisonanti che aveva infilato in quella frase e, forse preoccupato che io non
avessi capito, forse per l'espressione di sfiducia e panico che avevo stampata
sul mio volto, mi fissò, in silenzio e, quando arrivò ad incrociare il mio
sguardo, non poté altro che abbassare la testa e affermare, sommessamente:
"Mi dispiace".
Un piccolo gesto di umanità, dai quei grandi
professori che, se non fossi stata una paziente strapagante e strafamosa, non
avrebbero nemmeno saputo il mio nome. Ebbero la decenza di lasciarmi da sola, e
continuare il loro giro per le stanze. Mentre, lasciando la mia stanza,
aprirono la porta rivolta alla corsia del reparto, notai una coppia, con un
carrozzino che andava via, ed erano felici, come anch'io e Robert avevamo il
diritto di essere, con il nostro piccolo gioiello.
Intravidi, in quell'attimo di amarezza, una figura
tutta bianca affacciarsi alla porta della mia stanza, e con un sorriso illuminò
il suo volto, e di riflesso il mio.
"Freddie!!!" la chiamai, andando verso di
lei tendendole le mie braccia. Non ero più debole fortunatamente come i primi
giorni, ero stata fortunata a non perdere troppo sangue durante e dopo il
parto, ed avevo ripreso in fretta le forze, anche imponendomi di
mangiare quando le preoccupazioni mi chiudevano lo stomaco con una morsa.
Lei mi fece riaccomodare sul letto, sedendosi
affianco a me sul materasso.
"Che ci fai qui?" le domandai. "Oh,
niente di che. Sono venuta a portare una paziente per una consulenza, e ho
pensato di venire a salutarti!" rispose con un occhiolineìo che parlava di
più della sua lingua. Non c'era nessuna paziente, ovviamente; ma mi stava bene
così, ed ammiccai in risposta con un sorriso stentato, il massimo che il
mio umore potesse concedere. Le ero grata per le attenzioni e le premure che mi
aveva dedicato nei giorni precedenti. Con la scusa di qualche farmaco o altro
materiale per il suo reparto, non aveva mai perso l'occasione per venirmi a
trovare; poi al termine del turno, e poi a sera, con le ragazze. Era un'amica
sincera, e poi il suo essere del mestiere mi aiutava a capire molte cose, a
vederle sotto un'altra luce e non temerle. L'avevo portata con me dalla
bambina, e non sembrava provare paura, apprensione o semplicemente pena, per
lei che era in quelle condizione, e per noi che dovevamo vederla il quello
stato, come avevano fatto molti. Lei l'aveva toccata, accarezzata, c'aveva
giocato, esattamente come avrebbe fatto con qualsiasi bimbo al parco. E sapevo
che in quel momento lei poteva essermi d'aiuto; mi avrebbe capita, mi avrebbe
anche solo ascoltata: del resto da sola non ce la potevo fare, volevo essere
forte, ma a cosa sarebbe servito fingere e celare il mio disappunto e la mia
tristezza, in una giornata che doveva essere di sollievo.
Forse i miei pensieri andavano di pari passo con le
mie espressioni facciali, perché la vidi incupirsi ed iniziò a squadrarmi,
indagando sul mio malumore: "ohoh! cos'è questo faccino scuro scuro
Kris?" mi domando, carezzandomi lievemente la guancia con il dorso della
mano "che è successo?". D'improvviso si allarmò visibilmente, perché
dovevo sembrare davvero ditrutta, senza accorgermene dovevo aver tirato
fuori anche qualche lacrima; forse il suo pensiero era corso direttamente alla
bambina.
"No tranquilla, niente di grave" mi sbrigai
a tranquillizzarla. Infatti, anche se in maniera velata, la vidi prendere un
bel sospiro di sollievo. "...solo che ..." proseguii "domani mi
dimettono".
"E allora?" subito torno lei all'attacco,
rimproverandomi giocosamente "non sei contenta?"
Possibile che nenahce lei capisse? Ah, già, è vero.
Lei non era madre. "Ma non capisci, possibile che nessuno capisca?"
mi lamentai con lei, senza sapere nemmeno cosa dicevo "Io torno a casa,
sì, ma non la mia bambina. Ora la lascio sola, e non potrò vederla!!!"
Si lasciò sfuggire una piccola risata, ripresa
immediatamente con un tono più serio, seppur sereno. "E secondo te
lasciano che la bimba sia qua da sola, senza la sua mamma? Siamo in ospedale
Kris, non in carcere!!! Stai tranquilla " mi disse, appoggiando la mano
sulla mia spalla, massaggiandomela. Era un'infermiera, non una massaggiatrice,
né una fisioterapista, ma con quel piccolo ondeggiare della sua mano, mi aveva calmato
quasi all'istante.
"Dici davvero?" la implorai "non è che
me lo dici solo per rincuorarmi e farmi stare buona?"
"Ma no tesoro, no. Che cosa dici? Non avrebbe
senso mentirti!!" mi sorrise, e capii che per fortuna era sincera.
"Avrai un permesso come tutti i genitori dei piccoli pazienti della
neonatologia. Potrai stare lì quando e quanto di pare, tranne di notte. L'unica
precauzione sarà indossare il camice, cuffiette e calzari. Ma per il resto
potrai stare con lei praticamente sempre"
Tanto rumore per nulla, come sempre nella mia vita.
Ma ero felice che fosse andata così. Non avrei sopportato di stare troppo
lontana da lei e troppo a lungo sola in casa. Sapevo infatti che il mio ritorno
alla normalità avrebbe riportato Rob a Los Angeles e al suo film. Non potevo
impedirglielo, ma non volevo accadesse così presto.
In un misto tra serenità e frustrazione: felice in
fondo per il ritorno alla normalità, finalmente all'aria profumata di casa mia
e lontana dalla monotonia, seppur lussuosa e confortevole di quella stanza
d'ospedale; ma triste perché sarei rimasta sola. Rob, secondo le mie
previsioni, sarebbe partito nonappena la situazione si fosse stabilizzata ed io
fossi tornata perfettamente padrona dei miei spazi. Mi ripeteva sempre che
anche lui non voleva che ci separassimo di nuovo, che non avrebbe resisto
neanche la durata del volo Londra-Los Angeles lontano da sua figlia e da me;
eppure non me lo dimostrava mai, neanche vagamente, e non sembrava intenzionato
a farlo. Ma d'altronde, che se ne faceva di una moglie piagnucolona, che non
era stata capace di darle un figlio sano, e di era dovuto accontentare di una
figlia malata, che nemmeno poteva prendere tra le sue braccia. Che se ne faceva
di due pesi come noi, uno spirito libero come lui?
Mentre preparavo le valigie insieme a lui, che aveva
insistito per non lasciarmi sola un attimo, non potevo far altro che pensare e
ripensare alle cattive considerazione che avevo lasciato si infiltrassero nella
mia mente in quell'ultima notte di degenza. Mi ero alzata come uno straccio per
via degli incubi ed ora sentivo che questi fantasmi stavano per concretizzarsi.
Lui continuava a trattarmi con lo stesso amore di sempre, la stessa premura
maniacale, lo stesso sguardo attento: eppure perché non riusciva a capire come
mi sentissi davvero? Se era così innamorato di me, perché non riusciva a
leggermi dentro?
Mi accascia sul letto, portando le mani al volto,
grondante di lacrime.
"Amore!" urlò Robert, rendendosì finalmente
conto della mia crisi "che c'è? perché piangi?"
Mi venne di fronte e si accucciò davanti a me. Il suo
sguardo era preoccupato, perso nel mio alla ricerca di uno spiraglio, un
indizio che gli facesse capire cosa avessi. E non trovava niente. Eppure stava
tutto lì!!!
"non voglio tornare a casa!" lamentai,
stringendo le mie braccia al suo collo, nel tentativo disperato di scrollarlo e
svegliarlo un po'.
"Ma come? Amore perché dici così? Non vuoi
tornare a casa nostra?" perché per tutti era così difficile da capire,
eppure era così elementare, così naturale ed istintiva la mia esigenza.
"Io non voglio tornare a casa senza
Jewell!!!"
"amore mio" mi prese le mani "...eh!
guarda, è diventata un fazzoletto!!!" a forza di stringerla e di asciugarmi
le lacrime la canotta si era tutta bagnata e sgualcita. Ridemmo entrambe per la
semplicità di quel momento: avrei voluto che la nostra vita fosse un eterno
momento felice e semplice. Perché non era possibile?
"Amore mio" ripeté "la piccola tornerà
a casa, prestissimo vedrai, ma devi capire che è per il suo bene!!! E vedrai
che quando l'avremo con noi tutto questo sarà solo un brutto sogno!!!"
"Ma io sarò da sola!!! voglio averla con
me!!!" "E l'avrai amore mio, starai sempre qui, con lei!!!"
"Ma io voglio anche te!!!"
Mi liberai del masso più grande forse, quello più
difficile da ammettere. Avevo bisogno di lui, solo di lui. Anche se me
l'avevano proibito per i primi tempi, avrei tanto voluto fare l'amore con lui
ogni notte, ed invece mi sarei ritrovata da sola nel letto di lì a poco. E non
potevo farci nulla.
"Sarà solo per 3 settimane, Kris, e ci sentiremo
sempre" mi promise, sperando non fossero promesse presto fatte e presto dimenticate
"e quando tornerò verremo dalla piccola tutti i giorni e poi la porteremo
a casa. Te lo giuro!"
Rob non avrebbe ma
i giurato. Sapevo quindi che
avrebbe tenuto fede a quanto detto. Ora ero più tranquilla.
P.O.V. Robert
Sapevo fin dall'inizio che l'idea di lasciarla sola
per 3 settimane era la più insensata che potesse venirmi in mente, degna di un
cazzone come Robert Pattinson. Ma non potevo fare altrimenti. Avrei voluto
essere a Londra per quando la piccola Jew sarebbe stata dimessa dall'ospedale,
dunque dovevo finire quelle riprese una volta per tutte, e al più presto
possibile. Avevo accettato di buon grado di fare quel film, eppure si era
trasformato in una spina nel fianco. Mi avrebbe garantito la realizzazione di
un sogno chiamato Hollywood, ma al momento vedevo solo l'incubo interminabile
di una lontananza forzata, che faceva male a tutti e tre. A me, alla mia Kris e
alla nostra bambina.
Dio, non potevo quantificare la mia gioia, non ci
riuscivo proprio. Il primo ruolo importante, il primo premio, la prima premiere
con fans urlanti non erano niente a confronto della gioia di essere padre.
Quando ho realizzato che quel batuffolino, la mia scimmiettia, era davvero mia,
era parte di me, non capii più nulla. E a poco servivano le parole preoccupate
dei medici e tutti quei macchinari che la circondavano, e ci ricordavano che non
stava proprio bene; la mia Catherine sarebbe stata in eterno la mia bambina, la
mia gioia più grande.
Ed anche se Kris stentava ad ammetterlo, aveva fatto
davvero un buon lavoro: per quanto piccola e minuta, magrolina e debole, era la
bimba più bella che io avessi mai visto. I suoi occhi erano i miei e sapevo
che, come diceva anche Kristen, le mie speranze di vedere il completo ritratto
di sua madre in lei erano mal riposte; Kris diceva che era giusto così ed aveva
vinto la scommessa, ed in fondo, la cosa mi inorgogliva.
bipbip...bipbip
"Ma di chi diavolo è questo telefono che
squilla!!!"
"Scusate scusate!!" mi affrettai a
controllare, correndo dal set dove stavamo girando, fino alle nostre sedie dove
avevo lasciato il telefono "è colpa mia! aspettavo una chiamata
importante!!!"
Il regista levò gli occhi al cielo, ormai abituato
alla mia risposta: avevo interrotto chissà quanti altri ciack in quelle
settimane per un messaggio o per una telefonata.
Era stato difficile tornare al lavoro: non un attimo
senza che la mia mente corresse a Londra.
Avevo preso le migliori sgridate dal registe, ed il
resto del cast cominciava a spazientirsi, ma nessuno di loro poteva capire,
nessuno avrebbe mai pienamente compreso.
Non potevo stare senza sentirla, senza vederla. Era già
una tortura non poter fare niente per loro quando eravamo insieme, figuriamoci
non poterle nemmeno vedere.
God bless SmartPhone: era una email, l'ennesima di
una lunga serie, tutte con le foto della piccina, a dire il vero sempre più
grande, sempre più bella, ma soprattutto sempre più in salute.
La mia gioia schizzò alle stelle quando tra le foto
ne scorsi una, probabilmente scattata da mia suocera, che non ne aveva voluto
sapere di lasciare sola sua figlia ... e meno male ... con la piccola in
braccio a Kristen PER LA PRIMA VOLTA.
Il cuore mi si riempì di gioia, e dovetti impiegare
non poca fatica per ricacciare indietro le lacrime ed evitare di rovinare il
trucco abbronzante di Jacob.
Ero più che felice: la piccola stava iniziando a
respirare da sola, non aveva più nessun cavo a costringerla nella sua
culla termica e secondo Kristen presto avrebbe provato a dormire in un lettino
normale, assieme agli altri bimbi del nido.
Ma probabilmente la gioia più grande era tutta per la
mia Kris. Vederla con sua figlia in braccio, finalmente, dopo 3 interminabili
settimane, significava aver riportato il sorriso sul suo splendido viso ed i
suoi occhi, avevano di nuovo la luce viva e ardente dentro di loro.
Avrei voluto indubbiamente essere lì con loro, e non
mancavo di mostrarle il mio supporto in qualsiasi modo mi fosse possibile.
Ero estasiato dal vederla finalmente
felice, viva e pienamente madre. L'avevo lasciata da sola con il fantasma
della depressione che si insinuava già tra di noi: prima di partire mi aveva criticato,
mi aveva quasi accusato di non essere un buon marito ed un buon padre, ma
considerai meno di niente le sue parole, comprendendo che era solo una crisi
emotiva, e che le sarebbe passata, nonappena avesse sperimentato concretamente
il suo ruolo di madre.
Unico rammarico rimaneva per me ogni giorno di più
l'esserle lontano, poterla sentire solo in alcune ore del giorno e non poterla
stringere a me quando le lacrime scendevano a rigarle quel volto perfetto.
Sapevo da sua madre, che era preoccupata, ma in silenzio, dei suoi continui
cambi d'umore, di come non volesse nemmeno entrare nella stanza della piccola,
di come rifiutava di vedersi allo specchio.
Avevo il dovere di essere con lei, eppure avevo
lasciato che la macchina del cinema mi risucchiasse e senza forza non avevo
saputo, o forse, per comodità, voluto oppormi. Ero troppo debole per capire
cosa le stesse accadendo, troppo pauroso per restarle accanto e sorreggerla.
Eppure, forse, non avrebbe avuto bisogno d'altro.
Se solo non fossi stato così coniglio...se prima il
loro pensiero mi distraeva dal lavoro, ora pensarle mi avrebbe dovuto spronare,
perché lo sentivo: era ora di tornare a casa.
L'angolo dell'autrice
Vi
prego, calme! restate tutte calme! Non è come sembra: Rob e Kris
non hanno nessuna crisi di coppia, ve lo garantisco. Come dice lo
stesso titolo del capitolo Kristen ha una gran confusione nella sua
testa, frutto di continui e fastidiosi stimoli dall'esterno. capita a
tutti quando la vita è un treno di fermarsi un attimo e trovare
tutto ciò che è capitato che d'improvviso di crolla
praticamente addosso. Kristen ha quella che si definisce depressione
post-partum, è naturale e presto passerà. è per
questo che Rob non vede l'ora di tornare a casa: per starle vicino, per
sostenerla e aiutarla con la bambina. Mi dispiace se il capitolo in
sé risulta mal organizzato e abbastanza incasinato, soprattutto
nella parte di Rob, ma ho intenzione di rivedere al più presto
questo capitolo, magari ripensandolo completamente.
Mi
dispiace saltare le recensioni ma il tempo a mia disposizione è
davvero poco. Volevo ringraziarvi per il vostro sostegno e per non
avermi abbandonata nonostante la mia assenza prolungata da EFP. Sono
contentissima che il nome della piccola vi piaccia, credevo che ormai
Joy fosse così radicato che mi avreste presa a pomodori in
faccia per averlo cambiato.
Vi
aspetto al prossimo appuntamento e vi ricordo che per qualsiasi domanda
potete scrivermi sulle recensioni oppure nei 2 indirizzi che come
sempre lascio a vostra disposizione
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à bientot!!!
Federica
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Capitolo 30 *** When we're apart ***
The best day - capitolo 30
Finalmente
ce l'ho fatta, ho partorito l'ennesimo capitolo, il trentesimo e ultimo
di questa fatica letteraria. Non temete però, non ho intenzione
di chiudere così la storia. Ci sarà l'epilogo, e poi un
paio di capitoli extra. Chiedo scusa di nuovo per il ritardo, ma tra la
poca voglia di scrivere e il computer rotto, ecco spiegato il mio
ritardo. Oggi non ho tempo per l'angolo dell'autrice, ma per qualsiasi
domanda sarò bene felice di rispondervi attraverso la risposta
alle vostre, spero, numerosissime recensioni.
Vi aspetto dunque numerosi!!!! BUONA LETTURA!!!!
CAPITOLO 30 - When we're apart
P.O.V. Kristen
Avrei
preferito mille volte una solitudine assordante piuttosto che la
compagnia silenziosa di quelle persone, su tutte mia madre, che
cercavano di intrattenermi; pensavano davvero che bastasse così
poco per sostituire Rob?
Era partito da due settimane e mi mancava da morire. Nonostante fossimo
in estate piena, il nostro letto a sera era estremamente freddo, ma
più che altro vuoto. Mi mancava la sua risata, la sua
sbadataggine e anche tutte le sue paranoiche attenzioni. Attorno
a me, senza il suo sguardo furtivamente vigile, era come se mi mancasse
l'ossigeno.
Mi chiamava, questo sì, ed anche in maniera piuttosto assidua,
ma non era certo la stessa cosa... per niente. L'immagine della web cam
non era nitida, il suo della sua voce metallizzato attraverso le casse
del PC: senza la sua intera presenza attorno a me, senza il suo sguardo
furtivamente vigile, era cose se mi mancasse l'ossigeno. I suoi
abbracci, le sue carezze, i giohi e gli scherzi tra noi, ma potrei
continuare l'elenco all'inifnito. Dio ... quanto mi mancava!"
Nei giorni precedenti alla sua partenza, quando dovetti affrontare la
"separazione" da mia figlia, ancora ricoverata in ospedale, avevo messo
in dubbio che tutte le neo-madri hanno: sarei stata ancora donna? Sarei
stata più desiderabile per mio marito, abbastanza interessanta
da non farlo correre dietro alla prima attricetta che gli avrebbero
affiancato nelle sue pellicole?
La verità è che sono solo una stupida. Robert me ne diede
dimostrazione ancora una volta. Lui mi amava, c'era poco da discutere
su questo, allo stesso modo straordinario e travolgente in cui io amavo
lui e non sarebbero bastate due tette rifatte a portarmelo via. Le due
settimane che seguirono alla sua partenza me ne diedero dimostrazione.
Mai una telefonata mancata, ore di sonno buttate al vento per parlarmi,
o semplicemente starmi a sentire, rimanendo lì a fissarmi
attraverso l'obiettivo della web-cam, interessato ed estasiato alla
medesima maniera dei nostri primi appuntamenti, quando finivamo col
ridere invece che dedicarci a smancerie romantiche, troppo presi
dall'assurdità delle situazione. E a volte notavo nello
schermo del portatile la sua testa penzoloni, o le palpebre che
faticavano a restare aperte, ma continuava a ripetermi che andava tutto
bene, e finché mi fosse andato di parlare lui ci sarebbe stato.
Sì, assolutamente, se tra i due c'era qualcuno che aveva qualche
rotella fuori posto beh, quella ero di sicuro io! Ma non perché
non l'amassi più, anzi, ma perché riuscivo a trovare lati
negativi, e a fissarmi su di essi, anche laddove non ve ne fossero. Su
me stessa e sugli altri.
Diventata pericolosamente volubile, vittima degli ormoni peggio che in
gravidanza, alternavo momenti di euforia e gioia piena a momenti di
depressione e malinconia totali, attimi di calma piatta ad altri di
completa schizofrenia dei miei nervi, e guai a trovarsi nei miei
paraggi allora.
E mia madre restava lì, ad osservare, sileziosa. Ero certa che
avrebbe riferito tutto a Robert e non glielo impedivo, non rimostravo
alla sua veglia perché, nei pochi sprazzi di lucidità
mentale che ancora conservavo, capivo che fosse un bene che lui
sapesse, non per fargli scontare una sorta di penitenza per essere partito, ma
per renderlo ulteriormente partecipe, come era del resto nelle sue
intenzioni, sin dall'inizio, anche nella distanza.
Avrebbe voluto trattenersi, se fosse stato per lui i produttori del suo
film avrebbero potuto trovare anche un nuovo protagonista maschile, che
lui non avrebbe levato le tende da Londra, perché non era
stupido, ed aveva intuito che qualcosa non andava; ma con i pochi
neuroni sani che mi rimanevano avevo raccolto tutte le mie forze ed il
poco coraggio che mi rimaneva ed avevo insistito con lui
affinché adempisse al suo lavoro, che io mi sarei fatta forza, e
tornasse da me per quando la piccola fosse tornata a casa. Lì
doveva esserci. Non se lo fece ripetere due volte: partì,
sebbene col malincuore di entrambi, e promise che Jew, come ormai aveva
preso abitudine di chiamarla, l'avremmo portata a casa insieme; sapevo
che sarebbe stato così.
Eppure avevo così maledettamente bisogno di lui: al mio rientro
a casa, infatti, avevo subito dei piccoli traumi, degli shock che, per
quanto minimi, andavano a minare il mio già precario stato di
sanità mentale. Prima di tutto trovai la camera da letto della
piccola tutta arredata.
Sapevo dalla festa che avevano organizzato le mie amiche che sarebbe
stato un regalo dei nostri nonni inglesi, e ne avevo visto una foto dal
catalogo perché nessuno mai, per scaramanzia, si sarebbe mai
azzardato a montarla prima della nascita. Probabilmente il parto
prematuro aveva fatto accelerare i tempi di consegna, ma non ero ancora
pronta per tutto quel candore.
Dovevo riconoscerlo, era la cameretta dei sogni di ogni madre per le
proprie creature. Dai toni chiari, bianco e panna su tutti, i mobili in
legno molto chiaro e di prima qualità, era molto luminosa,
grazie anche alla posizione strategica della stanza, la più
esposta ai raggi del sole dell'interno edificio. Qua e là era
stata impreziosita - di sicuro decisione dell'ultimo minuto - con punti
di rosa, dal raso delle tendine nella culla alle pareti, dipinte con
degli orsacchiotti e tanti palloncini. Non avevo la più pallida
idea di quando avessero avuto il tempo di sistemarla, probabilmenti gli
imbianchini ed i mobilieri avevano lavorato giorno e notte dentro
quella stanza per ultimarla, le pareti infatti profumavano ancora di
vernice fresca, e le finestre erano spalancate, nonostante il
condizionatore, per smaltire l'odore acre e pesante delle tintura.
Tuttavia, vedere quella stanza pronta, senza che nessuno potesse
dormire tra le lenzuola ricamate del suo corredino, tutta perfetta come
in un esposizione da fiera del mobile, non potevo tollerarlo, non
volevo ricordar che la mia bambina era lontana da casa sua, dalla sua
mamma ed ancora di più dal suo papà. Così, una
volta partito Robert, non ci misi molto a prendere la decisione di
chiudermi alle spalle quella stanza e serrarne la porta a doppia
mandata, rimandando la sua apertura ed inaugurazione a quando la sua
legittima inquilina sarebbe arrivata ad abitarla e a renderla
finalmente viva. Presi il trenino di legno con le lettere J E W E
L L sui suoi vagoncini che campeggiava a lettere cubitali sulla
porta d'ingresso di quella stanza e lasciai che mia madre lo
nascondesse dove non avessi mai potuto trovaro. Mi ero sforzata di
apparire entusiasta e sorridere quando Rob, prima di partire, tornando
a casa un pomeriggio, mi diede questo pacchettino tutto colorato da
Hamleys, e propose di appenderlo insieme. Lo accontentai, ricacciando
indietro ogni forma di protesta, perché stava davvero
impegnandosi a far sembrare tutto semplice e naturale, e se io non
fossi stata così spostata sarebbe stato tutto magnifico e
perfetto.
Lui non doveva sapere, anche se ovviamente intuii che non gli erano
passati inosservati molti mei atteggiamenti ma, cosa più
importante, non doveva essere coinvolto dalle mie paranoie di madre in
depressione; aveva tutto il diritto di vivere la paternità in
modo sereno e per quanto potevo, dovevo aiutarlo ed incoraggiarlo ad
essere "parte del gioco".Per quanto consentissero le ore di differenza
ed i mezzi a nostra disposizione, mi era rimasto vicino, come aveva
sempre fatto; tuttavia, i risultati questa volta non sembravano
arrivare, non velocemente come accadeva di solito. Ero decisamente io
ad avere qualcosa che non andava: loi volevo, lo desideravo, lo amavo
nella maniera più completa, totalizzante e matura da quando
stavamo insieme, eppure non riuscivo ad arrossire e ad essere
felice per le sue adulazioni: mi sentovo ancora un mostro, ancor di
più visto che il mio ventre, ancora leggermente gonfio ma
flaccido e sotto tono, lasciava tracce quasi indelebili di un parto
sofferto e prematuro, che niente aveva portato di buono, se non una
bimba ancora ricoverata in ospedale e che non scorgeva ancora speranze
di dimissioni. Odiavo me stessa, ecco qual era il punto, ed il corpo
che non le aveva permesso di venire al mondo in maniera normale.
Il momento peggiore della mia giornata era il mattino, quando, davanti
allo specchio, il riflesso del mio corpo svuotato si ripresentava
meschino, prepotente e doloroso, come uno schiaffo dato per pura
violenza.
"Tua figlia è viva! è in ospedale, è lì che
aspetta la sua mamma!!!" ripetevo a me stessa, come se fosse la
preghiera del mattino che si impara a memoria da piccoli, cercando di
modulare il respiro, che annaspava ogni volta per la crisi di nervi che
puntualmente mi coglieva.
Eppure la realtà dei fatti era un'altra. Il ventre era vuoto, ma
io non avevo nessuno da tenere in braccio, nessuno per cui passare le
notti in bianco o da sfamare a tutte le ore. Avrei dannato l'anima per
poter essere impegnata ed esaurita fin sopra la cima dei capelli per
una casa sottosopra e una figlia da accudire, ma sana e serena nella
sua culla, piuttosto che tranquilla ma fondamentalmente depressa,
sconvolta dalla spola quotidiana tra casa ed ospedale per
l'allattamento e l'aggiornamento dai medici, che ogni volta era una
piaga rinnovata, visto che di aggiornamenti veri e proprio non ce
n'erano mai.
Potevo sorridere almeno per un motivo, il più insignificante di
tutti: continuando a quei ritmi, avrei ben presto perso i chili
accumulati durante la gestazione e il mio corpo sarebbe tornato tonico
come quello di tutte le ventenni, e la "cicatrice" dei miei errori
sarebbe sparita, se non dai pensieri, almeno dal mio corpo, e la
mancanza di appetito mi avrebbe sicuramente favorita. Mia madre mi
stava dietro come ad una adolescente che decide di dimagrire, invocando
i miei doveri di madre. Avevo una voglia matta di ricordarle che avevo
solo 20 anni, e scusate tanto se non so nemmeno l'ABC dell'essere
madri!!! Ma aveva ragione lei e nel momento in cui avevo deciso che mai
nessuno mi avrebbe privato di quel figlio, del più prezioso dono
della MIA STORIA D'AMORE, figlio dell'uomo che amo più di me
stessa, da quel preciso istante avevo deciso di diventare donna e
buttarmi alle spalle ogni attegiamento infantile.
Forse per puro egoismo, o più semplicemente per paura,
avevo deciso che per me era più comodo rifiutare il mio ruolo di
madre.
Ma, prendendo un respiro profondo, incominciai quella mattina come ogni
mia giornata da un mese a quella parte ed affrontai il mondo,
inforcando un bel paio di occhiali scuri, che mi proteggevano dal sole e dagli sciacalli pronti a sputare fango su me e la mia famiglia.
sto andando dalla piccola. vorrei fossi con me
Capii
che non dovevo avere paura di esternare i miei sentimenti con Robert,
tanto non avrei mai potuto nascondergli nulla, nemmeno volendo ed
impegnandomi seriamente; doveva sapere cosa provavo,
perché era mio marito e si era impegnato a condividere con me
soprattutto i momenti di difficoltà. Avrebbe saputo aiutarmi,
anche se a volte ero così ottusa da non ritenerlo possibile.
dalle un bacione dal suo papà. mi mancate da morire
Non
poteva essere diversamente, d'altronde il mio cellulare squillava quasi
ogni minuto e non riuscivo mai a rispondere ai suoi sms, che subito me
ne arrivava un altro. Rimanevo sempre stupita ed interdetta di fornte
alla sua immensa forza interiore, che riusciva a trasmettermi anche via
internet, con una sorriso sulle labbra, smagliante e sconvolgente,
nonostante la stanchezza delle due di notte, ed il lavoro sempre
più stressante.
Anche le parole più semplici, o un piccolo smile dal cellulare
riuscivano ad infondermi calore dritto al cuore e mi aiutavano ad
affrontare giornate, altrimenti impossibili.
Varcando l'ingresso dell'ospedale venni invasa ed impregnata in ogni
centimetro della mia pelle da quel terribile odore che è tipico
dei nosocomi, odore di disinfettanti, medicinali e materiali sterili,
che mi ha sempre dato la nausea, si da quando, da bambina, andavo
nell'ambulatorio del mio pediatra per le semplici vaccinazioni di
routine. Mi accorsi però che, per quanto mi desse fastidio,
stava diventando sempre di più un profumo familiare, in cui,
nonostante il rifiuto per la situazione generale, ero riuscita a
ritagliare un angolo dove stare bene, ed ero molto più serena
rispetto ai primi giorni dopo il parto, quando i macchinari della
terapia intensiva e l'estrema professionalità del personale mi
dava l'impressione di essere fuori luogo e poco gradita, persio di
fronte all'incubatrice dove riposava mia figlia.
Ma ormai non temevo più i suoni delle apparecchiature ed avevo
persino imparato a distinguere i beep buoni da quelli per i quali era
necessario allarmarsi. Gli infermieri erano costantemente al fianco di
noi genitori che, per quanto possibile, ci sostenevamo a vicenda; il
rapporto con quegli angeli, le nostre ombre buone, era diventato
amichevole e quasi confidenziale, tanto da riuscire a strappare loro
favori molto più di frequente.
Mia madre, i miei suoceri e le mie cognate erano riusciti a farmi
compagnia più di una volta, durante l'arco della giornata,
mentre stavo con la mia Jew. Avevamo ormai attrezzato, grazie alla
bravura di mia madre nella fotografia, un piccolo book: ogni secondo
era testimoniato da uno scatto: non c'era sbadiglio o smorfia che non
venisse immortalata dalla sua fotocamera.
Non volevamo assolutamente che Rob perdesse un'istante della crescita
della sua scimmietta - ormai mi ero arresta a lasciargli usare
quell'orribile e stupido soprannome - per cui a volte nemmeno aspettavo
il ritorno a casa per spedirgli le foto via email. Mi bastava la camera
del cellulare e, sorvolando bellemente, sulle proteste e lo storcere
continuo dei nasi degli infermiei, scattavo mille foto alla mia piccola.
Piccola che ormai non era più tanto minuscola. Il mio latte lo
sopportava alla grande, ed infatti il suo peso era quasi arrivato ai
tre chili e le sue guanciotte erano diventato ormai paffute e rosee
come avrebbero dovuto essere fin dall'inizio.
Quella mattina, arrivando in reparto, indossai camice, calzari e
cuffietta come da routine e mi sentii stranamente osservata, e qua e
là trovai persone che sorridevano al mio passaggio. Capivo che
ormai la mia presenza tra di loro era naturale, ma non era come gli
altri giorni, e mi insospetti. Mia madre, che era con me, mi
suggerì di andare dentro lo stanzone con le culle, e controllare
di persona.
"Buondì!" salutai tutti. Ero di buon umore anch'io, era una
bella giornata e mi sentivo energia positiva scaturire da tutti i
pori della mia pelle.
"Buongiorno Kristen!" mi salutò il neonatologo che si occupava
della mia cucciola "Vieni!" mi disse, anche lui raggiante. Ma che
avevano tutti quella mattina? Poi ricordai: mi era stato anticipato che
avrebbero tolto la piccola dall'incubatrice, perché ormai il
peso ideale era stato raggiunto e avrebbe tollerato tranquillamente al
temperatura esterna. Ma io, troppo impegnata con le mie paranoie, non
avevo minimamente fatto attenzione a quando questo evento sarebbe
avvenuto. Dunque il giorno era arrivato, ed io non avevo preparato
nemmeno un completino per farla vestire. Vi voltai verso mia madre
disperata, ma lei, più accorta di me, ciondolava dalla mano una
bustina rigida, con dentro le tutine per Jewell.
"Come farei senza di te?" le chiesi, davvero grata che fosse lì con me. Lei fece spallucce.
Ero felice, vedevo tutto rosa, e nessuno mi avrebbe potuto rovinare quella giornata.
Mi avvicinai all'incubatrice, con l'operatrice che stava ultimando la
medicazione del moncone ombelicale e, nonappena mi vide, mi fece cenno
di avvicinarmi.
"buongiorno kristen!!! Gran bella mattina vero? Vieni, vestila tu!"
Mia madre mi porse la busta e presi, tutta tremante, la tutina a body
che la mamma aveva preparato. Era una tutina verde e panna, con delle
farfalle rosse e dei fiori disegnati, ed aveva sul bacino delle balze
che formavano una gonnellina. Ero terribilmente impacciata, le mani non
la smettevano di tremare e nonostante fossimo in pieno luglio, quasi
agosto, erano talmente fredde che la piccola, nonappena la sfiorai, si
dimenò per il contatto col la mia pelle ghiacciata. L'avevo
sempre vista dal vetro che quel contatto, il più ravvicinato da
quando era nata, mi sembrava frutto di un mio sogno notturno e chiesi
ripetutamente di essere svegliata. Ma mia madre, e tutto il personale
presente in quel momento, ridendo mi disse di andare avanti
perché non era un sogno, era la più meravigliosa delle
realtà. Avevo una paura matta di farle male, l'avevo sempre
vista fragile e piccola e non volevo spaventarla.
"Ehi piccolina!!!" le sussurrai, mentre si lasciava infilare le
braccine nelle fessure del body smanicato "tranquilla tesoro, sono la
mamma!!! ci stiamo facendo belle, stiamo andando nel lettino nuovo,
insieme agli altri bimbi, perché non c'è più
bisogno che stai al caldo, fa già tanto caldo fuori..." le
sistemai il body con un po' di fatica a causa del pannolino "...e
presto amore andremo a passeggio fuori di qui, te lo prometto, e ti
farò vedere le farfalline e i fiorellini....sì amore
mio...come quelli che ci sono qui sul vestitino che ti ha portato la
nonna!!!"
Era passato tutto, l'incubo delle settimane precedenti non era che un
ricordo, e presto non sarebbe rimasto neanche quello. C'era solo mia
piccola, nel suo tutù e con una fascia sulla fronte con una
farfallina, che le avevo messo più per vezzo che per ternerle
indietro quei quattro capelli che aveva in testa.
"Ora prendila in braccio!" mi disse qualcuno, e non badai nemmeno a
vedere chi fosse, troppo presa nella mia bolla privata con il mio
coniglietto.
Non me lo feci ripetere due volte, perché non volevo che quel
qualcuno potesse cambiare idea. Ero impacciata nei movimenti, ma
nessuno sembrò volermi correggere, tutti probabilmente avevano
capito che in quel momento non avrei dato retta a nessuno e che le
mosse e la gestualità le avrei migliorate da sola, con
l'esperienza.
Sorreggendole la testolina come meglio potevo, imitando le altre
mamme e le infermiere, la portai al mio petto e la strinsi a me,
più che potevo, immergendomi in lei e nel suo dolce profumo,
beandomi di quell'attimo. Sapeva di latte e bucato appena steso, di
pulito e di casa. Sapeva di Jewell.
Non c'era più spazio né tempo, c'eravamo solo io e lei, e
anche se qualcuno avrebbe certamente obbiettato, per me eravamo tornate
ad essere una cosa sola.
Sentii un flash colpirmi, nonostante avessi gli occhi chiusi, per
inebriarmi ulteriormente e godermi l'attimo; mia madre non aveva perso
tempo ed aveva già fatto in modo che quel momento non potesse
più essere cancellato dalle nostre memorie. Mi diedero una
sedia e mi accomodai per far stare la bimba allungata meglio tra le mie
braccia e guardarla negli occhi, vicina come mai prima d'allora.
"Amore mio!!!" non riuscivo a formulare altre parole che avessero un
senso compiuto, a parte mugugnare dei versetti che potessero esserle
familiari, abbagliata com'ero dalla sua bellezza folgorante. Era
davvero il ritratto di suo padre: non tanto per i tratti somatici, che
dovetti ammetterlo, con una punta di orgoglio, erano in gran parte
miei, ma per quella straordinaria capacità che aveva di
affascinare chiunque la guardasse o le girasse intorno. E poi quegli
occhi: non erano cambiati di una virgola da quando era nata,
assolutamente azzurri come quelli del suo papà, che lei non
praticamente non conosceva, ma che avrebbe amato come nessun altro uomo
al mondo, nonappena lui avesse fatto capolino alla sua culla e le
avesse sorriso. Non mancavo
mai di parlarle di lui, anche quando era immersa nei sogni, come in
quel momento, e sembrava sorridere di quando in quando, e speravo che
in quel momento stesse sognando il suo papà, mentre le fa delle
piccole pernacchie sul pancino o la fa volare in aria. Sarebbe stato
amore a prima vista, e non vedevo l'ora che potesse accadere.
Mia madre di tanto in tanto tornava
all'attacco con le sue fotografie ma ero troppo felice per potermi
rifiutare, soprattutto perché Robert le avrebbe viste, di
lì a poche ore. Ero troppo felice, ed il sorriso si apriva
spontaneo appena mia madre chiamava il mio nome e mi puntava addosso
quell'obbiettivo.
La giornata più bella delle
mia vita si era conclusa troppo in fretta, ma come quella, pensai, ce
ne sarebbero state infinite altre d'ora in poi. Lasciai la piccola in
ospedale, sapendo che i giorni di attesa stavano finendo e presto
seremmo stati tutti e tre a casa insieme. Prima sembravano un miraggio,
ora erano un piacevole traguardo da raggiungere.
Mentre il cielo di imbruniva nella
tarda serata londinese spedii le foto a Robert e mi addormentai, stanca
per una giornata piena e vissuta, e per tutte quelle notti che, in
preda all'ansia e alla depressione, erano passate insonni.
DUE SETTIMANE DOPO
"Rob potresti evitare di prendere
tutti i tombini e le buche per cortesia!!!" imprecai per l'ennesimo
sussulto dell'auto sull'asfalto.
"Tesoro mio, lamentati col comune di Londra, non con me, io non c'entro!!!"
La guida di mio marito non era
affatto migliorata come amava vantarsi in giro e siccome era una
giornata di festa non persi tempo ad arrabbiarmi per quello così
lo ripresi per il male minore. La piccola, al mio fianco, dormiva beata
tra le coltri del suo carrozzino che avevamo sistemato nei sedili
posteriori dell'auto. Rob ci scrutava, sorridente, dallo specchietto
retrovisore ed io, di rimando, gli lasciavo dei baci sul collo, di
tanto in tanto.
"Signora!!!" mi richiamò, sogghignando "non si disturba l'autista mentre guida!!!"
"Mi scusi....ma l'autista dovrebbe evitare di essere dannatamente sexy!!!"
Non c'era stato bisogno di
discussioni, né di particolari chiarimenti e riappacificazioni
al suo rientro, solo di un profondo ed eterno abbraccio. Io ero solo
per lui, e lui era solo per me, due poli di una calamita che si
sarebbero sempre attratti, fatti per essere ancorati all'altro.
"Dorme?" mi chiese, senza bisogno di
pronomi, tanto era fin troppo semplice capire a chi si riferisse. Al
suo ritorno aveva preso seriamente in considerazione l'idea di rapirla
e riportarla a casa anche senza il consenso dei medici, sebbene fosse
davvero questione di ore. La scintilla tra loro era scattata senza
tante difficoltà e si era dimostrato da subito un padre modello,
attento, premuroso, innamorato pazzo della sua bambina.
Dio come avrei voluto fermare il
tempo in quel preciso istante, di fronte a quel semaforo. Noi tre,
un'auto, dei pasticcini e la musica di Van Morrison in sottofondo;
tanto mi bastava per essere felice.
Arrivammo a casa e nel giardino
d'ingresso era radunata una folla astante, pronta a dare il benvenuto
alla nostra piccola combattente: avrebbero fatto rumore e schiamazzi,
la piccola sarebbe passata in braccia in braccia, strattonata
bonariamente e sballottata di qua e di là, e per farla
tranquillizzare non sarebbero bastate tutte le ninna nanne del mio
repertorio. E la coda di persone che avrebbero voluto vederla e
conoscerla era solo iniziata, così come il mio esaurimento per
stare dietro a lei e alla casa. Ma non potevo desiderare di meglio.
Caneron che assieme a mio padre e
agli altri miei fratelli era tornato a Londra con Robert si
avvicinò all'auto con la telecamera e sembrava fare una specie
di telecronaca di tutto ciò che stavamo facendo. Io e Robert
uscimmo dall'auto, accompagnati dal fragore degli applausi che la
piccola folla, familiare ed amata, ci stava riservando. Qualcuno
piangeva, altri ridevano, ma tutti erano felici.
Mentre io mi occupai dei vassoi di
pasticcini che avevamo ritirato dalla pasticceria e mia suocera mi
venne incontro per aiutarmi, Rob si diede da fare per slacciare la
culla della carrozzina dai cinghie che la tenevano assicurata all'auto.
Mentre apriva la portiera dell'auto, una berlina elegante, prestito di
mio suocero Richard, mio fratello non poté astenersi dal
commentare, patito com'era di belle auto: "Ecco il padre....che mostra
una porta...e da uno schiaffo morale a tutti!!!"
"Ma smettila cretino!!!"
sghignazzò Robert, mentre ancora si affaticava per sganciare la
piccola dall'auto. Di quel passo la bimba sarebbe uscita dall'auto con
le proprie gambe....
"Rob!!!" blaterai, tra le risate
generali "non dire certe cose davanti alla piccola!!! E sbrigati che
qui tutti sono affamatissimi e i dolci vorrei assaggiarli anch'io!!!"
"Ma cretino non è una
parolaccia!" si difese "nei confronti di tuo fratello è
più che altro un dato di fatto" mi sorrise, sbucando
dall'abitacolo un po' affannato e sudaticcio per la fatica fatta e con
Jewell tra le braccia.
Non potevo crederci! Mezz'ora e non c'era riuscito....non sarebbe cambiato mai!!!
"E il carrozzino? Dove la mettiamo se si addormenta?" gli chiesi, ancora incredula e completamente senza speranze.
"Se si addormenta la portiamo di
sopra ..." rispose sicuro "e poi fidati se ti dico che senza il
carrozzino non ce la ruberà nessuno!" e mi strizzò
l'occhio con quel fare tipico di chi ha in mente qualcosa, un qualcosa
di piuttosto perfido.
Ed infatti il suo diabolico piano
funzionò a meraviglia. Nessuno gliela strappò dalle mani,
nemmeno per un'istante, grazie al marsupio in cui l'aveva adagiata e
che gli consentiva di tenersela bella stretta per tutto il tempo. Mi
aveva detto, quando era tornato, che non aveva intenzione di lasciarla
più, ma conoscendo sua madre avrei dovuto sospettare che avrei
dovuto prenderlo alla lettera. Erano dolcissimi insieme, non avrei
smesso mai di starli a guardare. Lei si era perfettamente accucciata
nel grande e forte petto di suo padre, ed i battiti del suo cuore erano
la migliore ninna nanna .... aveva già capito tutto la piccolina
.... e lui non smetteva di coccolarla, talora con un bacio sulla
fronte, o una carezza, o stringendola un po' più forte.
Sommersi dall'affetto dei familiari
ebbi poco tempo da dedicare ad entrambi, ma era giusto così:
dovevano ritrovarsi, avevano bisogno di un attimo tutto per loro. Ma io
mi divertivo a sorvegliarli, osservarli di sottecchi di tanto in tanto.
E Rob, sentendosi osservato, ricambiava con i miei stessi sguardi
attenti e premurosi. I suoi occhi brillavano della mia stessa
felicità. Avrei potuto scrivere la parola fine a tutto quello
che di brutto ci era capitato, ma sapevo che quel giorno era solo
l'inizio di una grandissima avventura, quella della nostra famiglia.
Finché Rob e Jew fossero rimasti con me, non mi sarei tirata indietro dall'affrontarla.
Lui era la mia forza, il mio
coraggio, il mio cuore, il mio respiro: fratello, amico, compagno,
amante, marito; tutto in una sola persona, la più importante
della mia vita. In una sola parola: ROB.
Lei era parte di me, straordinario futuro, prova d'amore: mia figlia, Jewell.
Erano una benedizione, la mia benedizione. E sarebbero stati con me, per sempre.
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Capitolo 31 *** Epilogo ***
epilogo
Devo dirvi
la verità, potrei scoppiare in lacrime da un momento all'altro
al solo pensiero che questo è l'ultimo scritto che
posterò su The Best Day. Insieme a Rob e Kristen ho affrontato
un percorso tortuoso, fatto di momenti belli e brutti, romantici e non,
risate ma anche molte lacrime. E in questo percorso ho incontrato
persone come voi, che mi avete supportata e pazientemente aspettata
ogni volta che pubblicavo con ritardo. Mi dispiace concluderla qui, ma
voglio evitare di arrivare ad una storia sterile, che non è
capace di emozionare più né me, ne quindi tantomeno voi.
Spero vi piacerà il finale e vi do l'appuntamento qua e
là per delle shot che sicuramente scriverò ancora su
questa magnifica coppia, a cui auguro di poterci donare ancora emozioni
e momenti indimenticabili. Tanto per loro, quanto per noi. Per cui
state all'erta, controllate le pagine che come sempre vi metto a
disposizione, qui sul sito su FB e su Twitter, perché potrei
tornare da un momento all'altro.
Per ora vi lascio ad un lungo epilogo. BUONA LETTURA!!!!!
EPILOGO
Dietro le
quinte del teatro della nostra scuola il via vai di studenti e
professori era continuo e disordinatamente chiassoso. Le mie compagne
erano troppo preoccupate per le sbavature del trucco o dall'orlo dei
costumi che, durante le prove generali, potevano essersi scuciti, da
badare a me.
La recita di fine anno all'Harrodian Private School era cominciata da poco e l'agitazione era
palpabile. La vetrina di presentazione della scuola, in cui dimostrare
il lustro ed il proprio prestigio alle famiglie degli iscritti. Le mie
compagne, quelle più vanitose e maniache di protagonismo,
attendevano e si preparavano a quell'evento nei nove mesi che lo
precedevano, progettando ogni minimo dettaglio fin dai primi giorni di
scuola in Settembre, neanche fosse la première dello spettacolo
del secolo al Royal Albert Hall davanti alla famiglia reale.
Per me era quello che doveva essere: uno stupido spettacolo scolastico,
fatto per appagare l'egocentrismo dei nostri insegnanti e soddisfare
i genitori che sborsavano cifre esorbitanti per mantenerci agli studi
in una delle scuole più in della città. Uno spettacolo il
cui scopo, tra gli altri, era quello di riempire la memoria di qualche
DVD imbarazzante, da rivedere tutti insieme in famiglia del giorno di
Natale, compiacendo i parenti e lasciando che i protagonisti andassero a
sotterrarsi da qualche parte per la vergogna.
Ero abituata a ben altri palcoscenici e la platea di un liceo mi
passava davanti indifferente, tuttavia ci tenevo a fare bella figura davanti
ai miei.
E proprio per questo, seduta su un baule vuoto di strumenti di scena
dietro le quinte, me ne stavo, gambe a penzoloni, a fissare
spaesata e ormai senza speranza un foglio immacolato.
Oltre alla canzone che avrei cantato, volevo dare un tocco di
originalità alla mia performance con un breve discorso di
chiusura. Mi ero detta, sulle prime, quando, abbozzando un discorso, la
mia mente era completamente vuota, che ci avrei pensato all'ultimo
minuto, aiutata dalle emozioni del palcoscenico. Invece l'unica
emozione che provavo era l'ansia, per la prima volta in vita mia, e di
certo non mi era d'aiuto.
Ero sempre stata abituata a stare al centro dell'attenzione, mio
malgrado, fin da quando me la facevo ancora addosso nel pannolino. La
mia nascita era stata salutata dalle prime pagine dei giornali di mezzo
mondo e, per una mia foto, alcune riviste scandalistiche sono arrivate
ad offrire mezzo milione di dollari per moltissimi anni. Fin da
piccola, ed in parte per una sorta di emulazione di mamma
e papà, avevo partecipato a spettacoli scolastici, ma sempre
interpretando qualcun'altro, generalmente nascondendo me stessa dietro
una maschera. Questa volta, per la prima volta, mi era stato chiesto
di essere semplicemente me stessa; di mostrare, al pubblico astante,
ciò a cui tenessi davvero e di farlo nella maniera che ritenessi
migliore.
C'era una sola cosa al mondo a cui tenessi veramente, una sola che
veniva prima di tutto il resto: la mia famiglia, quella pazza e grande
tribù a cui appartenevo.
D'un tratto mi sentii tirare prer un braccio quasi venendo sbalzata giù dal baule.
"Dai Jew!"
Mio fratello Tom. Era la star della scuola, il ragazzo con cui tutte
volevano uscire, l'amico che tutti si contendevano, l'aggancio giusto
per le feste, la corsia preferenziale per la popolarità tra le
quattro mura di quel liceo; eppure sembrava l'unico che non ne fosse a
conoscenza, o semplicemente se ne fregava altamente della sua
reputazione. L'unica cosa che per lui aveva davvero valore era la sua
chitarra, sempre la stessa, quella che aveva ricevuto in regalo per il
suo decimo compleanno. La trattava come fosse fatta d'oro, come se
fosse una reliquia o un reperto archeologico da trattare con cura.
"Muoviti da lì tocca a noi!"
Ebbi un tuffo al cuore, che inciampò nei battiti e riprese la sua corsa, sempre più veloce.
Il nostro momento era arrivato e non avevo idea di cosa dire una volta
sul palco, alla fine dell'esibizione. AVrei fatto una figura del
cavolo, ne ero sicura. Sapevo che non avrei mai deluso i miei, ma avrei
sopportato di deludere me stessa? Non credo proprio...
Così, senza troppe smancerie, venni catapultata sul palco dalla
prof di musica e venni investita dritta negli occhi da un faro
accecante, puntato direttamente su di me, e da uno scroscio di mani
battenti.
Probabilmente ci avevano anche annunciati ma c'era talmente tanto chiasso nella mia mente, che non ebbi modo di accorgermene.
Andai verso il microfono al centro del palco, ma sembrava piuttosto che
mi stessi avvicinando sempre più inesorabilmente verso un
patibolo, data la mia lentezza, una spada di Damocle puntata giusto
sulla mia testa.
Un ultimo sguardo d'intesa verso mio fratello che, poco più
indietro, alle mie spalle, si sistemava sullo sgabello assieme alla
chitarra. Non era mai stato un problema per noi lavorare assieme,
l'esigua differenza d'età infatti ci aveva fatti crescere
praticamente come gemelli, a parte le naturali schermaglie
adolescenziali tra fratello e sorella; mi veniva persino difficile
considerarlo un fratello minore, talvolta, visto che mi superava
tranquillamente di una spanna in altezza, ed i suoi tratti somatici
assomigliavano di più a quelli di un giovane uomo che a quelli
di una ragazzino di 16 anni.
Alla chitarra Tom era un piccolo virtuoso, aveva imparato da piccolo a
suonarla, ed in pochissimo tempo, eppure si era sempre rifiutato di
proseguire con degli studi più approfonditi, svogliato com'era.
Nonna diceva sempre che nascere di domenica, giorno universalmente
dedicato al riposo, aveva influito sul suo carattere. Mamma, invece,
sosteneva che era semplicemente figlio di suo padre, e dunque non
bisognava stupirsi troppo, né dei suoi pregi, né dei suoi
difetti.
Un bel respiro prima di iniziare e poi via, le parole e le note
scivolavano via senza paura, e finalmente anch'io ripresi quel naturale
contegno che sul palco mi aveva sempre contraddistinta.
Avevo scelto una vecchia melodia, che aveva persino di più dei
miei 17 anni, ma che suonava vagamente familiare, tornata a galla da
ricordi di bambina.
Nei giorni di ricerca della canzone ideale e altro materiale per lo
spettacolo mi imbattei, infatti, in uno scatolone tutto impolverato e
nascosto nei meandri della nostra soffitta. A lettere cubitali c'era
scritto il nome Jaymes, che sapevo essere il secondo nome di mia madre,
ma non capivo per quale motivo fosse stato scelto come intestazione.
Sapevo che probabilmente si sarebbe arrabbiata come una bestia feroce
se mi avesse beccata in flagrante a frugare tra le sue cose, possessiva
e gelosa com'era, per giunta dei ricordi, ma dovevo farlo ... causa di
forza maggiore.
Così decisi di non indugiare oltre e mi risolsi di aprire la
scatolae terminare quel lavoro "sporco" il prima possibile. C'erano un
mucchio di oggetti tipicamente da ragazzina, come peluches o cuoricini
che si ragalano tra fidanzatini, e alcuni quaderni, che riconobbi
essere dei diari di mia madre. Non volli aprirli, perché
rispettavo profondamente la sua vita privata, anche se passata. E poi
... non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
Tra le altre cose scovai un CD, Fearless. Doveva essere un regalo di
papà, perché all'interno della copertina c'era un
biglietto con la sua calligrafia.
Mi piacerebbe poter dire che la nostra storia e le nostre canzoni sono tutte racchiuse qui.
Ma non abbiamo una storia, né una canzone tutta nostra.
Ascoltale bene però, una ad
una, perché, per quanto possa sembrare strano, c'è un po
di noi tra queste note.
Lo sai che ti amo, per sempre tuo
Rob
Con un sorriso ebete stampato sulla faccia richiusi la scatola e tornai
nella mia stanza, per cercare le canzoni di quell'album su internet,
per studiarne testo e note, e trovare anche gli accordi per Thom, che
si era offerto di accompagnarmi con la chitarra, all'unico scopo di
risparmiarsi un lavoro da solo. Come al suo solito, il massimo
risultato con il minimo sforzo.
Ascoltando le varie tracce la mia faccia scema non poté fare
altro che aumentare, sconvolta dal quel romanticismo e dall''infinita
dolcezza, insospettabili in mio padre.
Che lui e mamma si amassero ancora come il primo giorno, se non di
più, dopo quasi 18 anni di matrimonio e 4 figli, non l'avevo mai
messo in dubbio, ma immaginarli carini e coccolosi mi riusciva davvero
troppo difficile. Dovetti imparare però, in quelle settimane di
preparazione, che con i miei niente è scontato. Da allora,
infatti, iniziai a notare tanti piccoli dettagli ... sguardi, gesti,
parole non dette o semplicemente soffiate all'orecchio dell'altro ... a
cui fino a quel momento non avevo mai dato troppa importanza, che mi
fecero capire che non erano cambiati poi così tanto, da quando
erano due più che ragazzini, e solo per la grande gelosia che
avevano del loro amore, non amavano mostrarlo agli altri. Bolla privata
la chiamavano i giornalisti: finalmente ne capii il significato.
E dunque la canzone che avevo scelto e che stavo cantando proprio in quel preciso istante era proprio presa da quel CD.
Presa sicurezza dopo le battute iniziali, sfilai il microfono dall'asta
e iniziai a muovermi sul palco, con le luci che mi seguivano e il
pubblico sempre in silenzio ad ascoltarmi, avvicinandomi a Tom che
continuava a suonare sicuro, come al solito menefreghista dell'intera
situazione, totalmente rapito dalla musica. Appoggiandomi allo
schienale del suo sgabello per non perdere l'equilibrio, chiusi gli
occhi per un'istante e le parole della canzone, le scene che i suoi
versi evocavano, presero vita nella mia mente. Piccoli affreschi di
vita quotidiana, ricordi in parte sbiaditi dal tempo, ma vivi nella mia
mente e caldi nel mio cuore.
I'm five years old, it's getting cold, I've got my big coat on
I hear your laugh and look up smiling at you, I run and run
Past the pumpkin patch and the tractor rides, look now, the sky is gold
I hug your legs and fall asleep on the way home
Non
c'era una stagione ideale, né un motivo ben preciso, ma durante
l'anno era d'obbligo una settimana di relax e divertimento in campagna,
nella casa dei tuoi nonni papà. La cosa più bella erano i
colori, e nel passare per le stradine sterrate era facile vedere come
cambiavano, di giorno in giorno, per diventare sempre più
brillanti, o sempre più scuri. Attaccati al cristallo dei
finestrini guardavamo il paesaggio senza fiatare, e tu ci dicevi di
guardare di qua e di là, e non sapevamo più dove mettere
gli occhi, tanto lo stupore sempre nuovo per ogni cosa che ci
circondava. Era per noi l'età dei perché, con cui noi
bambini riempivamo la vostra testa di domande, stupiti da tutto
ciò che non fosse tecnologico o che, semplicemente, faceva parte
della natura che noi, figli della fumosa Londra, non vedevamo se non
nei libri delle favole. E ci sembrava davvero di vivere una favola,
seppur per pochi giorni, perché voi finalmente eravate lì
con noi, lontani dal vostro lavoro, e perché il cottage dei
bisnonni sembrava davvero la casetta nel bosco dei racconti della buona
notte e nonna Victoria era la fata Smemorina, capelli bianchi e voce
squillante, sempre sorridente buona e generosa con noi "piccini", come
ci chiamava lei. Le corse nei prati e l'aria fresca ci toglievano il
freno che la città imponeva e voi eravate sicuri nel lasciarci
liberi e a sera, puntuali, non si finiva nemmeno di mangiare che si
crollava tra le vostre braccia.
I'm thirteen now and don't know how my friends could be so mean
I come home crying and you hold me tight and grab the keys
And we drive and drive until we found a town far enough away
And we talk and window shop 'til I've forgotten all their names
Ma il vostro lavoro vi portava sempre lontani e per non lasciarci da
soli eravate costretti a selezionare il vostro lavoro, separandovi,
così da non lasciarci mai senza uno di voi. Ma separare voi era
troppo e, anche se non lo davate a vedere, vi ho visti piangere
più di una volta davanti allo schermo del pc, più di una
volta a notte fonda, vi ho sentiti sussurrare "mi manchi" alla cornetta
del telefono. E così ce ne siamo andati da Londra, alla
conquista della California che, per noi, era da sempre sinonimo di
vacanze estive dai nonni e tacchino arrosto nel giorno del
Ringraziamento. "Andiamo in un posto dove c'è sempre il sole"
avete detto ai più piccoli, ma io e Tom, già abbastanza
grandi, sapevamo che sarebbe stato più nuvoloso
dell'Inghilterra. "Arrivano i Lord" ci dicevano a scuola, e nessuno la
smetteva di prenderci in giro per il nostro accento, forse invidiosi
della nostra educazione e della nostra migliore preparazione
scolastica. Eravamo considerati da tutti dei raccomandati, figli snob e
spocchiosi di due celebrità di Hollywood, ma nessuno capiva che
ci mancavano solo i nostri vecchi amici, le nostre divise da
personalizzare, le attese dell'autobus passate sotto l'ombrello insieme
ai propri amici, sperando che le macchine non ci bagnassero.
Così Tom si è sempre più chiuso nella sua stanza a
suonare la chitarra ed io ho iniziato a piangere e l'unica spalla che
avevo a disposizione era la tua, mamma. Hai preso le chiavi della tua
vecchia mini, che usavi per le strade della tua vecchia Los Angeles, e
mi hai portata a fare shopping e a prendere il mio primo caffé
da Starbuck. Mi hai fatta ridere, divertire come non mi succedeva da
tanto. A sera, quando il sole spariva nell'oceano, mi hai detto: "Si
torna a casa". E siamo tornati a casa, a Londra, e ci hai protetti di
nuovo, e ci hai ridato il sorriso.
I have an excellent father, his strength is making me stronger
God smiles on my little brother, inside and out, he's better than I am
I grew up in a pretty house and I had space to run
And I had the best days with you
Ho
il padre migliore del mondo, e riempiti pure d'orgoglio papà,
perché è davvero così che ti vedo. Non l'amico che
vorresti essere, combinando guai a non finire, ma un genitore speciale.
Il tuo sorriso, il tuo sguardo protettivo su di noi, la tua presa
sicura è tutto ciò di cui ho bisogno per affrontare il
mondo. Sei la mia roccia, le mie radici, non potrò mai fare a
meno di te.
Thomas (Richard, come di tradizione) è il mio quasi fratello
gemello, nato un anno dopo la mia nascita, ed ero troppo piccola per
poter capire cosa fosse la gelosia. Ma in braccio a mamma e papà
finivamo sempre per strapparci i giocattoli di mano, o prenderci a
pizze in faccia, per il puro gusto di farlo o rivendicare la
proprietà esclusiva dei nostri genitori. "MIO MIO" ripetevo in
continuazione quando il piccolo Tom aveva imparato ad afferrare gli
oggetti soprattutto i miei giocattoli, troppo belli e colorati per
passare inosservati.
E casa nostra, la grande e antica casa di Barnes, divenne negli anni
sempre più stretta e confusionaria, man mano che la famiglia si
allargava. Prima Julie (Juliet Mary) e poi Chris (Christopher John).
Con loro il legame è stato più difficile, data la
differenza d'età più grande, rispettivamente più
piccoli di me di 5 e 6 anni, ma quando è stato possibile sono
sempre stati dei buoni compagni di giochi, ed io per loro una sorta di
guida, un'orgogliosa e sempre disponibile e affettuosa sorella
maggiore, a parte quando i miei primi trucchi e i poster che cercavo di
appendere in camera venivano macchiati dai loro pennarelli
impertinenti. Difficile raccontare dei segreti a chi è
più piccolo di te, confidarsi quando non ti possono capire, ma
è bello poter ascoltare la mia piccola Julie ora e sperare che,
magari più in là, lei potrà farlo con me.
La nostra casa, con il discreto giardino e la sua piccola torretta
rifiugio è sempre stata la nostra sicurezza, il posto in cui
tornare a sera quando è tardi, dove trovare sempre il frigo
pieno o il forno caldo di leccornie della mamma.
Con voi ho davvero vissuto i miei giorni migliori!
And Daddy's smart and you're the prettiest lady in the whole wide world
E quando ci sono le
premiazioni in tv ci piace starvi a guardare, contenti che non ci
abbiate portati con voi. Ti vediamo bella come sei mamma, e ridiamo per
le facce buffe e le frasi sconnesse che papà dice durante le
interviste. Forse non lo sapete, ma anche Tom vede e vostre interviste.
L'ho beccato in camera una volta, mentre guardava per conto suo gli MTV
Movie Awards: mi ha detto che era per un cantante, ma l'ho sentito
urlare di gioia, mamma, mentre dicevano che avevi vinto.
And now I know why the all the trees change in the fall
I know you were on my
side even when I was wrong
And I love you for giving me your eyes
For
staying back and watching me shine
And I didn't know if you knew, so I'm
takin' this chance to say
That I had the best day with you today
"Ora conosco tanto di
questo mondo" le parole uscirono incontrollate dalle mie labbra, prima
che un'azione volontaria potesse fermarle. Mio fratello astutamente,
continuò l'arpeggio con le sue corde liddove stava per
terminare.
"So perché gli alberi cambiano in autunno e so
perché tra Americani ed Inglesi a volte non scorre buon sangue"
e qui un leggero sorriso si impose sulle mie labbra. Riconobbi nella
platea la sagoma di mio padre, e la sua risata spontanea e, di fianco a
lui, quella timida e minuta di mia madre, imbarazzata ma al contempo
divertita.
"Conosco tutte quelle parole che da bambina non riuscivo a pronunciare,
ed ho anche imparato a distinguere gli amici dagli approfittatori. Ma
ci sono tante cose che ancora non so, e tante altre che forse non
imparerò mai, ma una cosa la so con certezza: che voi sarete
lì, mamma e papà, magari dietro la cortina di un palco, o
nascosti all'angolo
di una parete di un'aula, e sarete pronti a venirci in aiuto. Ci avete
insegnato a
rialziarci, ma sarete i primi a tenderci una mano. Abbiamo avuto per
anni i vostri piedi per camminare, le vostre mani per prendere gli
oggetti più in alto, i vostri occhi per vedere il mondo nella
maniera più bella e semplice. Ed è per questo che oggi vi
dico grazie, per avermi ... averci fatti così come siamo,
insegnandoci l'umiltà, il sacrificio, doti che ho sempre
riconosciuto come vostre. Because my best day is YOU, today"
ANGOLO DELL'AUTRICE
Eccomi pronta a scrivere
l'ultimo angolo dell'autrice. Non scrivo grandi spiegazioni
perché non credo che ce ne sia bisogno. Spero vivamente di non aver rovinato la storia con l'epilogo,
ma volevo dare spazio anche alla piccola Jew, che tanto piccola ora non
lo è più.
Colgo l'occasione per dirvi grazie e mandarvi un bacio ed un abbraccio virtuali.
Ho un desiderio per quest'ultima parte della storia: che possiate
salutarmi tutte attraverso le recensioni dicendomi qual è il
vostro capitolo preferito, perché, cosa vi è piaciuto e
cosa no.
Comunque non disperate rivedremo tutta questa bella e ormai grande
famiglia al più presto non appena avrò un po' di tempo e
di ispirazione per scrivere. Poi mi piacerebbe anche scrivere dei
Robsten come li conosciamo ora, giovani e innamorati.
Ho in mente una raccolta di one shot o forse due. Una si
chiamerà sicuramente "And so they kissed" per cui state sempre
all'erta perché potrei tornare da un momento all'altro.
à bientot
Federica
|
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Capitolo 32 *** Extra 1 ***
The best day - extra 1
Lo
so...probabilmente vi state chiedendo se questo non sia un sogno... ma
invece è una bellissima realtà. sono tornata su questa
storia con un nuovissimo extra. Non so quanti ne farò, né
se a questi ne seguiranno altri, ma sentivo che qualcosa mancava e
poteva essere aggiunto. Se c'è qualcosa che credete possa essere
approfondito, non esitate a dirmelo. Approfitto per ringraziarvi delle
recensioni all'epilogo di questa storia, e mi auguro non ne farete
mancare nemmeno qui.
Vi lascio alla lettura...
Extra 1
La prima notte - P.O.V. Robert
Dio sono padre!!! Sono un papà!!!
Non riuscivo a spiegarmi come fosse
possibile. Ero passato come in un flash dall'essere un scapolone
impenitente ad essere un padre. Nel mezzo del flash c'erano una moglie
fantastica, un matrimonio e un batuffolino tutto rosso e piangente che
era appena uscito dalla sua pancia.
Certo aveva fatto parecchio casino
per venire al mondo. Ha rovinato la festa che tutti stavamo facendo in
suo onore ... o semplicemente aveva deciso di voler partecipare anche
lei ai festeggiamenti e diventare la guest star dell'evento.
Decisamente aveva già un spiccato senso dell'umorismo noir,
così tipico di noi inglesi, nonostante i pochi minuti di vita,
che non mi sarei insospettito più di tanto se il semplice latte
materno non le fosse bastato. Le avrei fatto provare del té e,
perché no, un goccio di Lager che non ha mai fatto male a
nessuno e mette tutti di buon umore.
Mentre lo staff della sala parto
aiutava Kristen nella fase post-parto e visitavano la piccola per la
prima volta decisi che era arrivato il momento di tirare il fiato un
attimo dopo la corsa delle ultime ore e andare ad annunciare la nascita
della piccola alla mia famiglia. Mi disfai di tutto quell'abbigliamento
verde, che faceva tanto stile E.R., mi diressi in sala d'attesa.
Feci appena in tempo ad aprire la
porta a spinta con una spalla, che mi trovai in mezzo alla calca di
parenti che non c'era stato verso di rimandare a casa e che avevano
letteralmente trasferito il baby shower da casa mia al reparto di
Ginecologia-Ostetricia del St. Mary's Hospital. Mia madre, mio padre e
le mie sorelle erano in prima fila e, accavallandosi nella
conversazione l'un l'altro, non capii una delle domande che mi
rivolgevano.
"Sshhhhhh!!!" fui costretto a blaterare a grandi gesti per farli tacere.
Finalmente intorno a me si
creò un varco abbastanza largo sufficiente, da consentire a
tutti di sentirmi e a me di respirare.
"è una bambina!" esclamai
felice e sollevato come se mi fosse stato levato di dosso un macigno.
Lasciai che si impossessassero (sarebbe meglio usare l'espressione
estirpare con violenza) del mio cellulare con cui, furtivamente, ero
riuscito a scattare una foto della piccola prima che ce la portassero
via. Se non me l'avessero restituito poco male ... non avevo voglia
proprio di sentire nessuno per successive ventiquattro ore.
Effettivamente lo stress accumulato
durante quelle ore, che erano passate senza quasi accorgemene, si
faceva sempre più pressante: infatti era ormai sera, anzi notte
avanzata, ed ora mi sentivo decisamente stanco. Ma non avrei lasciato
Kristen da sola per tutto l'oro del mondo; era la nostra prima notte da
genitori, dovevamo trascorrerla insieme. Perciò, sarei stato
comodo anche su una poltroncina, nella stanza che le avrebbero
destinato.
Dopo le congratulazioni, gli abbracci
e i baci reciproci, un'infermiera venne ad informarci che avevano
portato Kristen in stanza, probabilmente da una via secondaria,
certamente più consona visto che altrimenti sarebbe stata
aggredita da tutto il parentado in attesa. Così, con mio grosso
piacere, tutta quella marmaglia di parenti ed amici fu costretta a
tornarsene a casa, a bocca asciutta, e permisi solo a mia madre di
restare, per aiutarmi a sistemare la biancheria di Kristen e tutti i
festoni che quegli scalmanati avevano depositato in sala d'attesa.
"Allora ..." mi sussurrò,
avvolgendomi le spalle e appoggiandosi a me, mentre ci incamminavamo
nella corsia buia e silenziosa del reparto. Tutte le neo mamme
riposavano e noi ci godevamo un po' quel silenzo per assaporare meglio
la gioia del momento "... com'è?"
Non avevo dubbi sul significato della
domanda. Era impaziente di conoscere sua nipote e francamente non
vedevo l'ora anch'io di conoscerla meglio. Non sapevo proprio cosa
rispondere alla sua domanda, perché l'avevo vista talmente di
sfuggita che non avevo fatto in tempo a fissare nella mia mente il suo
volto. Ricordo un batuffolino tutto rosso, sporco di sangue e rimasugli
placentari, avvolto in un telino verde e che l'ostetrica, per tenerla
stretta a sé, aveva dovuto chiudere bene le braccia altrimenti
sarebbe caduta. Sapevo solo una cosa e non esitai a dirgliela:
"è proprio piccola!"
Entrambi ci lasciammo andare ad un sorriso pacato e sereno.
Purtroppo non potevo dire altro: non
ero mai stato abile nel descrivere le persone, figuriamoci farlo dopo
averla vista per un nano secondo. Il cellulare era morto nel frattempo
e lei non aveva potuto vedere la piccola foto tutta tremolante che le
avevo fatto: per l'emozione non ero stato in grado di tenere il
telefono ben fermo e l'obiettivo non aveva messo bene a fuoco la
bambina.
Non avevo idea di che colore fossero
i suoi occhi, chiusi stretti stretti a causa della luce accecante che
l'aveva accolta in sala parto, non avevo potuto cogliere cenni di
somiglianza nel suo volto perché aveva stretto contro il viso i
suoi pugnetti e li sfregava contro il piccolo nasino. Avrei dovuto
cogliere la possibilità di vederla meglio mentre era tra le
braccia di Kristen, ma le lacrime involontariamente iniziarono a
rigarmi il volto e ad offuscare la mia visuale.
Ero padre ed era la sensazione più bella del mondo.
Entrammo quietamente in stanza,
Kristen era già profondamente addormentata e non mi presi la
pena di svegliarla o distrurbarla. Aveva davvero faticato tanto e per
un attimo mi presi la briga ringraziare il "Signore del piano di sopra"
per aver lasciato alle donne un'incombenza simile ed avermi fatto
nascere uomo. Conoscendomi non avrei resistito più di cinque
minuti al dolore e avrei costretto i medici a farmi l'epidurale o
passare direttamente al taglio cesareo.
Ma nonostante tutta la fatica non
aveva perso quella sua bellezza naturale, quei tratti di ragazzina un
po' ingenua tuttavia non più così acerba, un piccola
donna alla scoperta del mondo. La sua femminilità stava venendo
fuori sempre di più e mi resi conto che ogni giorno amavo una
donna diversa eppure costantemente meravigliosa. Mia madre e mi
lasciò sederle accanto per un po', occupandosi lei del riordino,
e mi fermai un attimo a guardarla, beandomi del silenzio e della semi
oscurità.
Ma si sa che la calma non è fatta per durare a lungo, specialmente quando le cose vanno tanto bene, come in quella notte.
"Signor Pattinson?" una voce
accompagnò l'ombra che si era avvicinata alla porta della
stanza. La penombra che avevamo creato per meglio far riposare Kristen
e la luce dei neon del corridoio creava un dislivello nella visuale che
non mi permetteva di distinguere bene il mio interlocutore.
"Sì?" domandai di rimando. Fui costretto ad alzarmi e
raggiungere sull'uscio quello che sembrava un dottore; oltretutto non
fece alcun tentativo di avvicinamento, rispettando il riposo di mia
moglie. Era un'uomo sulla trentina: capelli castani, aspetto
tremendamente ordinato ed elegante, nonostante avessimo superato la
mezzanotte e di solito a quest'ora anche negli ospedali ci si lascia
andare a piccole pennichelle. Lo seguii titubante, sotto lo sguardo
attento e ansioso di mia madre, mentre mi faceva strada verso il
corridoio, portandomi in disparte, compresi, dalle orecchie di mia
madre.
"Sono il dottor Martin,
specializzando del reparto di Neonatologia ..." strinsi di rimando la
sua mano, non capendo cosa stesse accadendo. Il suo saluto mi
sembrò troppo formale per essere quello rivolto ad un
neo-papà, e di solito tutti erano ben più affabili in
tali circostanze. "Sono stato incaricato dal dottor Couney di venire
qui da lei. Al momento è lui che si sta occupando di sua figlia.
Ma non si preoccupi, è in più che ottime mani"
Aspettate un momento. Mia figlia? Cosa c'è che non va?
"Non...non capisco. Mi può
spiegare cosa è successo?" chiesi, ma non riuscii a nascondere
la leggera flessione nervosa della mia voce.
"Sua figlia è nata pre-termine
signor Pattinson" mi rispose quel medicuccio, dal fare un po'
sufficiente, come se dietro a quelle sue parole ci fosse la cosa
più scontata del mondo da capire. Ci misi poco effettivamente a
capire quell'ovvietà, il passaggio che avevo perso, e ricollegai
il terrore di Kristen in sala parto. La piccola era nata alla 33esima
settimana di gestazione, mancavano ancora 7 settimane al termine
naturale della gravidanza, tutte estremamente importanti per la sua
salute e, come ci era stato spiegato nei mesi precedenti, più il
parto avveniva in anticipo, più ogni settimana era decisiva per
la sopravvivenza del nascituro.
Sopravvivenza.
Mi sentii le gambe cedere, come se
tutto lo stress e la stanchezza che accumulavo da giorni - riprese,
viaggio e parto senza chiudere occhio che per un paio d'ore in tutto -
si fossero coalizzati contro di me e avesse deciso di schiacciarmi,
stritolarmi e soffocarmi in quell'istante. Mi appoggiai stremato alla
parete del corridoio, scorrendo una mano sul mio viso. Non era finito
niente. Anzi il peggio era appena iniziato.
Vidi, con la coda dell'occhio, mia
madre affacciata dalla porta della stanza che ci osservava in
apprensione. Anche il dottore se ne accorse e concordammo che fosse il
caso di salire in reparto e controllare la situazione.
"Stai con lei" dissi a mia madre,
afferrandole forte le mani. Avevo bisogno di tutta la forza che poteva
darmi. "Ma cosa è successo?" domandò. Non ebbi né
il tempo né la forza di rispondere.
Salii le scale accanto al Dr. Martin
rivolgendogli tutte le domande che a cascata filtravano dalla mia
mentre alla mia bocca, senza nemmeno aspettare che mi rispondesse e
varcammo la soglia della neonatologia nello stesso turbine di
iperattività che mi circondò appena capii quali potessero
essere le condizioni di mia figlia. Mentre, in una zona filtro, mi
preparavano nuovamente ad entrare in una zona quanto più sterile
possibile, il dr. Couney, strutturato di Neonatologia, prese il posto
della giovane recluta e decise finalmente che era il caso che io
sapessi qualcosa di più sulla salute ma soprattutto sulla vita
di mia figlia.
"Signor Pattinson" mi spiegò
senza tanti giri di parole "sua figlia ha dei polmoni poco sviluppati
che non le permettono di respirare come dovrebbe."
Rimasi di sasso. Non mi diede il
tempo di proferire parola che subito continuò con la sua
spegazione. Oltretutto non avevo proprio forza di dire nulla.
"Senza entrare nel dettaglio o
spiegarle cose che comunque sono troppo tecniche sua figlia al momento
non produce una proteina che è fondamentale per il corretto
funzionamento dei polmoni. Di conseguenza la piccola si trova in una
situazione di insufficienza respiratoria che porta scompensi all'intero
organismo"
Non ero un luminare di medicina, ma
quelle poche parole chiave che estrapolai dall'intero discorso
bastarono per mettermi in allarme. Più che in allarme. Eppure
non riuscivo a pensare a nulla, a niente che fosse bello o brutto,
avvertivo solo tanto vuoto e buio intorno a me. Mi sentivo
completemente svuotato, eppure con un macigno sulle spalle. Morire
sarebbe stato un sollievo che avrei tanto voluto concedermi o almeno
svenire e lasciare che tutto accadesse a mia insaputa. Avrei perso la
mia piccola? Le avevo dato la vita e avrei dovuto dirle addio? Erano
gli unici interrogativi che ronzavano come vespe velenose nella mia
mente e pungevano al cuore indebolendolo battito dopo battito. No, mi
sforzai di rispondere a me stesso, nel ventunesimo secolo i padri non
seppelliscono i propri figli e non certo accadrà a me.
"Posso vederla?" chiesi in un lampo
di lucidità. Mantenendo un rispettoso silenzio mi lasciarono
entrare nella grande stanza dov'era la mia cucciola.
Non ero mai stato in stanze simili
prima di allora ma dai pochi telefilm ospedalieri che avevo visto aveva
tutta l'aria di essere una specie di terepia intensiva in miniatura. Al
posto dei letti c'erano una serie di incubatrici ed i pazienti che li
ospitavano erano uno più piccolo dell'altro. Perché tanto
dolore? La nascita è la cosa più bella che possa esistere
al mondo; perché deve essere oscurata dalla malattia? Cos'hanno
fatto questi piccoli da essere già puniti col dolore, a
poche ore di distanza dalla loro nascita?
Camminavo tra quelle piccole cullette
termine alla ricerca di una in particolare, senza sapere esattamente
cosa cercare. Sapevo che dovevo andare da mia figlia, eppure quegli
esserini sembravano tutti uguali e la sofferenza li rendeva in un certo
senso tutti figli miei: avrei voluto stringerli tutti, portarli tutti
con me, via dal dolore e dalla sofferenza.
"Da questa parte" una voce femminile,
dolce, giovane e squillante, mi indicò una culletta in fondo
alla stanza, dov'era adagiata una bimba. Il cartellino sull'incubatrice
portava la scritta Baby Pattinson. Eccola.
Il mio cuore fu preso d'assalto da
fiamme che divamparono in pochi secondi, eppure non c'era niente che le
domasse; fu così che venne ridotto a brandelli. Era la mia
bambina, e non potevo sopportare di assistere a quella scena. Era in
un'incubatrice, attaccata ad una serie di fili e tubicini che
controllavano i suoi parametri vitali e l'aiutavano a respirare.
Dormiva, apparentemente beata: non era certo l'immagine di una bambina
malata, al di là delle sue piccole dimensioni.
"Ci scusi" mi disse la piccola
infermierina bionda che mi accompagnava "ma non sapevamo che nome
avevate scelto per la bambina, così ci siamo limitati a scrivere
il cognome"
Già, nella fretta non l'avamo
deciso, ed in quel momento mi sembrava l'ultima delle priorità.
"è proprio necessario?" le chiesi, senza staccare gl'occhi
dall'incubatrice. "No, non per il momento ..." mi disse. Non volli
assolutamente indagare il significato che quella sua frase potesse
avere e mi limitai a dirle, gentilmente, che poteva lasciare la scritta
che c'era, aggiungendo però anche il cognome di Kristen.
L'avevamo fatta in due, era giusto che ci fosse anche lei, e se il
diritto non ci consentiva il doppio cognome, nei nostri cuori sapevamo
che lei era la perfetta congiunzione dei nostri interi. Ed anche il
nome l'avremmo scelto insieme.
Allora pensai che Kristen era
completamente all'oscuro di quanto stesse accadendo e mi faceva ancor
più male pensare a cosa avrei dovuto dirle al suo risveglio e
come avrei dovuto farlo. Mi si spezzava già il cuore ad
immaginare la sua reazione, e ancora di più mi uccideva sapere
di doverle infliggere un nuovo dolore.
Ma ogni cosa a suo tempo e quello era
il momento da dedicare alla nostra creatura. A Kris avrei pensato al
mattino, al suo risveglio.
Come facevo a non ricordare quel
volto d'angelo. Nonostante fosse piccola e anche abbastanza gracilina,
era l'identico ritratto di sua madre anche se, probabilmente, il biondo
della mia famiglia aveva avuto il sopravvento, visto che di capelli non
ne aveva nemmeno l'ombra. Avrei voluto svegliarla per vedere i suoi
occhi, ma aveva bisogno di riposare.
In quel momento tutti avevano bisogno
di riposare, tutti tranne me, evidentemente. Ero completamente solo.
Anche in quella stanza ero stato lasciato solo. Un moto di rabbia e di
sconforto mi montò da dentro e dovetti frenarlo come meglio
potevo perché non era né il momento né il luogo
per farsi prendere da certi raptus. Mi aggrappai a quella culla con le
mie mani, lascia che le unghia sfogassero senza fare danni la mia
frustrazione sul plexiglass per poi battervi contro con un leggero
pugno.
Un beep intermittente mi permise di
riavermi da quello stato di trance e mi fece rendere conto che col mio
leggero movimento avevo, non solo svegliato la bambina, ma avevo anche
scatenato una reazione negativa nel suo piccolo cuoricino.
"Signor Pattinson ma cosa ha fatto?"
mi chiese l'infermiera di guardia, accompagnata dal medico di turno,
che immediatamente controllò le condizioni della mia cucciola.
Mi feci da parte e mi sentii piccolo piccolo, nulla in confronto a
ciò che mi circondava, un pericolo nella misura in cui le avevo
fatto del male. Avrei dovuto difendermi dalla accusa che mi era stata
rivolta, reagire di fronte a quella crisi d'impontenza che aveva preso
il sopravvento, dimostrare che ero un uomo fatto e finito, ormai pronto
ad assumersi le proprie responsabilità. Invece non fui capace di
fare altro che abbassare il capo, sommessamente, e lasciar svolgere il
proprio lavoro a chi ne sapeva più di me.
Mi diressi fuori dalla sala e, nella
zona filtro, scatenai la furia che avevo represso poco prima, gettando
a terra tutto quello che mi passava per le mani e tirando calci agli
armadietti del personale. Se avessi trattenuto le lacrime probabilmente
sarei stato più uomo, ma avevo bisogno che qualcuno si
accorgesse di me, che mi stesse a sentire, che mi dicesse qualcosa.
Tutti si aspettavano qualcosa da me, una risposta, ma non ero in grado
di fare niente e quella era l'unica reazione possibile. Non ce la
facevo più. Mi accasciai a terra, le mani a coprire il volto.
Dopo pochi istanti udii un rumore di
passi intorno a me e un corpo venne ad accovacciarsi al mio fianco.
Riconobbi la sagoma matura e importante del dr. Couney; assomigliava a
Dean, la mia guardia del corpo.
Lo guardai e mi guardai intorno: certo che avevo combinato un macello.
"mi scusi dottore" mi affrettai a
scusarmi, con riacquistata lucidità "ripagherò tutti i
danni che ho fatto, stia tranquillo ..."
"Oh lo credo bene!" rispose lui, con
un leggero sorriso stampato sulle sue labbra. "Sa come faccio a vivere
ancora?" mi chiese "come faccio a fare ancora questo lavoro dopo 20
anni, a sorridere ancora quando entro qui dentro e vedo questi piccoli,
mentre a casa o due bambini che scoppiano di salute?". Lo guardai,
perplesso, e scossi la testa. Era un'uomo estremamente colto eppure
così umile, che si era abbassato al mio livello, condividendo e
confessando una parte così intima di sé. "Perché
spero e credo" continuò "che tutti i bambini che sono di
là diventeranno grandi e forti come i miei figli e perché
queste lacrime che vedo in lei e in tutti gli altri padri, mi creda,
domani si trasformeranno in un sorriso. Stia tranquillo, sua figlia
starà bene ... e ora torni da lei. La sta aspettando ad occhi
sgranati"
Non me lo feci ripetere due volte ed
entrai con grinta e sperenza in quella sala. La stanchezza sembrava
essere svanita con le lacrime che mi avevano rigato il volto. Tornai
dalla mia creatura e la vidi che mi guardava, bella come sua madre il
giorno che ci siamo incontrati, con dei grandi occhi che mi scrutavano,
domandandosi e domandandomi cos'erano quegli occhi rossi ed ancora un
po' lucidi che avevo. E i miei occhi erano finiti sul suo piccolo volto
e sembravano dirmi: tranquillo papà, sono forte.
"Sei forte davvero piccola mia"
sussurrai al vetro freddo, baciandolo come se potessi arrivare alle sue
guance. Allora, solo avvicinandomi bene, intravidi i segni della
malattia: il fiato corto, il viso un po' cianotico. Ma al contempo mi
confortava sapere che erano leggermente visibili, a riprova del fatto
che il peggio era passato e non poteva che andare meglio.
"La stiamo aiutando con la
respirazione" mi disse il dottor Couney "ed abbiamo iniziato la terapia
con il Surfactante, la proteina che le manca. Il suo peso ci conforta
abbastanza: è piccola, ma c'è di peggio, e se
sopporterà il latte materno non credo che ci vorrà molto
per toglierla dalla culla termica"
Non volli chiedere altro; non volli
sapere per quanto ne avremmo avuto e i dettagli di terapie o analisi.
Per il momento mi bastava sapere che sarebbe andato tutto a posto e che
la piccola sarebbe tornata a casa con noi. Quando, era proprio
irrilevante.
Stessi a guardarla un altro po'
mentre si addormentava, provando a canticchiarle una melodia a caso, e
non potei fare a meno di innamorarmi di lei e dei suoi grandi occhi
color del mare. Era scritto nel mio destino, innamorarmi di donne dagli
occhi grandi e belli come la luna.
Erano quasi le 4 del mattino, era
trascorso molto più tempo di quanto ne avessi percepito scorrere
addosso. Lasciai il reparto e tornai da Kristen. Mi sentivo ... non lo
so più come mi sentivo. Stanco? Forse.
Mia madre mi venne incontro quando
varcai la porta della stanza e capii che doveva essersi informata
perché iniziò a rivolgermi mille domande e accanto a lei
c'era mio padre. Non la sentii e mi rivolsi a lui, che era rimasto in
silenzio, sulla poltrona, accanto a Kristen. "Dorme?" gli chiesi,
mentre si alzava. Chissà quante ne aveva sopportate in silenzio
e discrezione negli anni, quante cose si era tenuto dentro e per
quante, di nascosto, aveva pianto. Gli avevo sempre voluto bene, lo
avevo sempre stimato, ma mi trovai a provare per lui un nuovo rispetto.
Mi arpionai al suo collo con le braccia, avevo bisogno di sentirlo
vicino. Mi diede delle leggere pacche sulla spalla e mi fece accomodare
sulla poltrona. Notai di sfuggita, nonostante la leggera
oscurità, le sue guance di porpora e gli occhi luccicanti.
"Accomodati figliolo, riposa un po'" feci come mi aveva detto.
"Dovresti andare a casa, e dormire
per almeno mezza giornata" mi rimproverò mia madre "sto io con
Kristen, lo sai che mi fa piacere"
"Lo so" le risposi, chiudendo
gl'occhi e lasciandomi andare un po' "ma non ci penso nemmeno, le devo
essere accanto quando si sveglia. Andate voi."
"Come sta?" mia madre non riuscì a trattenersi. "Non sta bene mamma" fui realista "ma è forte e guarirà".
Lei e mio padre si scambiarono una
serie di occhiate e compresi che lui aveva capito la situazione senza
tante spiegazioni. Presero quelle quattro cianfrusaglie che dovevano
riportare a casa e mi lasciarono solo.
Da lontano il Big Ben segnava le 4 e
mezza e lasciai che il respiro di mia moglie fosse l'ultimo rumore
prima di sprofondare nei sogni.
à bientot
Federica
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