You have an eternity to forgive me

di JoeyPotter90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno: Contro tutti ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due: Imprevedibile ***
Capitolo 3: *** Capito Tre: una visita ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno: Contro tutti ***


Capitolo Uno: Contro tutti

Arrivammo all’aeroporto senza che nemmeno me ne rendessi conto. Per me il tempo, dopo aver lasciato l’isola Esme, era passato in maniera strana e discontinua tra ore troppo lente e minuti troppi lunghi, mentre mi perdevo nei miei pensieri irrazionali. L’agitazione di Edward non mi aiutava a capirne lo scorrere. Sapevo di essere un peso, non adatta ai suoi ritmi frenetici di quel momento, troppo veloci perché io riuscissi a prestarci davvero attenzione, costretta a fermarmi ogni due per tre in bagno ma lui si fingeva paziente per evitare di agirmi, ma non riuscì ad ingannarmi…
Conoscevo bene ogni parte del suo viso come se fosse stata mia ed ormai ero brava a leggere i suoi occhi e non riuscivo a comprendere fino in fondo quel lieve terrore che ci riuscivo a leggere.
Io non ero agitata o spaventata… Ero solo preoccupata.
Ormai avevo accettato l’idea di essere incinta, di aspettare un figlio da Edward: l’immagine della sua bellissima copia in miniatura tra le mie braccia era ancora vivida nella mia memoria e richiedeva attenzione, non che io volessi allontanarla.
Questo pensiero – quello di diventare madre – si era radicato in me diventando una parte fondamentale per continuare a vivere e per questo avrei lottato. Lo sentivo muoversi dentro di me, dando prova della sua esistenza, come a volermi pregare di non lasciarlo nelle mani di Carlisle.
Forse avvertiva la mia paura che mano a mano che ci avvicinavamo alla sua famiglia mi attanagliava fino a impedirmi di respirare regolarmente. Era possibile che già da lì dentro, così presto, percepisse quello che mi stava succedendo? Non lo sapevo. Ma se così fosse stato non me ne sarei sorpresa: avevo visto così tante cose in questi ultimi anni da capire che più niente avrebbe potuto sorprendermi.
Ripensai alle parole di Edward: lui era stato chiaro, conciso e il suo tono non ammetteva repliche. “Dobbiamo tirare fuori quella cosa prima che ti faccia del male. Non temere. Non permetterò che ti faccia del male.”
Come se mi interessasse qualcosa di me. Perché non capiva? Prima di allora non avevo mai pensato a questa eventualità. Diventare madre... Da sempre ripetevo tra me che ero davvero troppo giovane sia per il matrimonio che per diventare mamma. Non che i bambini mi fossero mai piaciuti, anzi… Li trovavo fastidiosi per la maggior parte delle volte. Eppure nessun mi aveva mai parlato della sensazione che si provava sentirlo dentro di se, percepirlo mentre si muove e sorridere sfiorando il rigonfiamento sotto la mia pelle…
Ora Edward mi aveva finalmente dato quell’occasione – dopo di questo sapevo di non voler affrontare altre esperienze umane perché ormai le principali le avevo vissute tutte – e io non l’avrei certo sprecata. Non ne avrei avuta un’altra, mai più.
Ce l’avrei fatta? Sarei stata abbastanza forte per me e per il mio piccolo? Lo speravo.
Un attacco di paura mi paralizzò e mi lasciai trascinare da Edward senza che lui si accorgesse del cambiamento, troppo preso nel cercare la sua famiglia. E se mi avessero obbligata? Edward avrebbe osato? Si, se sospettava che per me fosse stato un pericolo. Ne ero certa. E sapevo bene che lo era, ma non mi importava. La mia vita e tutto quello che ad essa era collegata sbiadiva di fronte alla prospettiva di dare alla luce il figlio di Edward…
Quindi dovevo preoccuparmi e trovare un modo per affrontare quella che un giorno sarebbe diventata la mia famiglia? Non ero sicura di esserne in grado… Emmett da solo avrebbe potuto bloccare ogni mia minima protesta, in caso Edward non ne fosse stato capace. Ma non era forse per questo motivo che avevo chiamato Rosalie, pregandola di aiutarmi? Certo che sì. Sapevo bene che non potevo affrontarli da sola, troppi forti per una semplice umana quale ero io. Eppure con Rosalie dalla mia parte, ben disposta ad assecondare i miei desideri, avevo guadagnato un bel vantaggio. E, se mi andava bene, anche Emmett si sarebbe schierato con noi. Del resto lui seguiva sempre Rosalie qualunque cosa lei facesse, che fosse giusta o sbagliata. Perché sarebbe dovuta andare diversamente in questo caso?
Il mi brontolone mi diede un calcetto facendomi più male del previsto, ma non mi lamentai. Sorrisi, invece, portandomi una mano alla pancia, sentendola più gonfia di quella mattina. Possibile che fosse cresciuto così in fretta? Certo, questa non era una gravidanza normale, ormai lo avevo capito bene. Sarebbe durata anche meno di nove mesi quindi, se anche fosse stata davvero pericolosa per me, benchè stentassi a crederci, non avrei sofferto per molto tempo… Un mese probabilmente, forse qualche giorno di più, ma niente altro…
Un mese cos’era in fin dei conti? Ero sopravvissuta a peggior cose. Il dolore che avevo provato quando Edward mi aveva lasciata non poteva nemmeno essere paragonato a quello che poteva portare quella gravidanza.
La mia attenzione si spostò su quello che sarebbe successo di lì a poco. Ce l’avrei fatta a non farmi scoprire da Edward? Se l’avesse anche solo intuito, probabilmente mi avrebbe tenuto alla larga da sua sorella e io avrei detto alla mia ancora di salvezza, perdendo ogni speranza in un velocissimo battito di ciglia. Chissà se Rosalie ci aveva pensato. Doveva concentrarsi su altro, almeno per i primi secondi, fino a che io mi fossi trovata vicino a lei. Mi convinsi che aveva pensato a tutto nei minimi dettagli, desiderosa come me che tutto filasse come volevamo noi. Mi tornò in mente la sua voce piena di soddisfazione e ricostruì mentalmente la nostra conversazione al telefono quella mattina:
-Pronto?- rispose una voce simile al suono di campane dorate.
-Rosalie?- sussurrai. –Sono Bella. Ti prego. Devi aiutarmi-
Parlavo piano e velocemente mentre cercavo di non farmi ascoltare da lui, sapendo bene che Rosalie sarebbe riuscita a capirmi perfettamente. Vidi Edward attraversare il giardino diretto verso il posto dove avevamo ormeggiato la barca, sicura che fino a lì non mi avrebbe sentito.
-Bella?- chiese sorpresa. –Che succede?-
-Rosalie, io…- provai. Sentivo il panico salirmi in gola e bruciarmi gli occhi mentre altre lacrime si facevano spazio sul mio viso. E se non avesse accettato? –Devi aiutarmi. Edward dice che non mi faranno tenere il bambino…-
-Lo so, Bella-
-Rosalie, io voglio tenerlo- esclamai la voce tremante. –Devi aiutarmi. Da sola non posso farcela- Edward stava tornando, dovevo muovermi.
-Si, lo so. Ti aiuterò io. Ci vediamo all’aeroporto. Ti vengo a prendere con Carlisle ed Esme-
-Non dire niente a loro!- esclamai nel panico.
-Certo che no- Tratteneva a stento la felicità e fece sorridere anche a me.
-A dopo, allora- salutai –Grazie, Rosalie-
-Di niente, Bella- Avevo appena riattaccato quando sentì la porta sbattere. Dopo pochi secondi lui era accanto a me e il cellulare esattamente dove l’aveva lasciato prima.
Finalmente li vidi, in un angolo semi nascosto in modo da non passare troppo nell’occhio, anche se non molti avrebbero prestato attenzione a loro, così frettolosi di riuscire a prendere il loro volo all’ultimo minuto. Carlisle, davanti a tutti con Esme, ci fece un segno ed Edward mi condusse verso di loro. Con il panico che cresceva cercai Rosalie con lo sguardo e la vidi poco dietro ad Esme che mi fissava, concentrata. Chissà a cosa pensava. Accanto a lei, Emmett la teneva per la mano, non riuscendo a interpretare quello sguardo, capendo male, molto probabilmente. Alice e Jasper erano ancora più indietro ed notai con terrore che Alice aveva gli occhi chiusi. Aveva forse visto la mia decisione? Forse non dovevo nemmeno chiedermelo…
Eravamo abbastanza vicini alla mia famiglia di vampiri perché io potessi azzardare a muovermi. Sciolsi la presa di Edward sulla mia mano che, troppo sorpreso, non oppose resistenza.
Con pochi passi mi trovai tra le braccia di Rosalie che lei aveva teso verso di me pronta ad accogliermi.
-Oh, Rosalie!- sussurrai con la voce tremante.
-Shhh, Bella. da ora in poi andrà tutto bene. Te lo prometto-
La sua voce era così piena di sincerità che non potei dubitarne. Come facevo se il suo desiderio più profondo era uguale al mio? Con timidezza Rosalie portò la mano sulla mia pancia, sotto la maglietta. Il tocco freddo mi fece venire un brivido ma proprio in quel momento il mio brontolone scalciò e io vidi con chiarezza i suoi occhi illuminarsi. Mi rivolse un sorriso, estasiata e io le risposi un po’ più timida, aggrappandomi ancora di più a lei.
-Bella, cosa…?- chiese Edward, disorientato. Con il viso sepolto nei capelli perfetti e lucidi di Rosalie potevo immaginalo fissare Alice e vedere quello che lei aveva appena scoperto… Cosa vedeva? Io e Rosalie che lottavamo contro tutti? Lei che stringeva un bambino così bello da togliere il fiato mentre io ero morta? Probabile ma di nuovo non mi importò granché.
-Bella!- mi chiamò come a volermi rimproverare. In un secondo fu vicino a me e cercò di strapparmi dalle braccia di Rosalie. Lei emise un sibilo e rafforzò un po’ la presa per evitare che Edward si avvicinasse troppo. Io mi mossi piano, facendole capire che volevo affrontarlo e si allontanò di un passo, mentre Edward mi voltò verso di lui e mi prese il viso tra le mani.
-No. Sei pazza?- mi chiese, la voce piena di un tormento che mai avrei voluto associare a lui.
-No. Tu non capisci- mi difesi. –Non ti permetterò di fargli del male-
-Io non permetterò a quella cosa di fare del male a te-
-Non mi farà del male!- ribattei non del tutto sicura delle mie parole e offesa per il modo in cui lo chiamava.
-Bella, per favore…-
Carlisle si avvicinò a noi e mise una mano sulla spalla del figlio per ricordargli dove eravamo.
-Non qui- disse e mi guardò in modo strano, come mai era successo in vita mia. Stava pensando il modo migliore per costringermi a fare quello che io con tutte le mie forze non volevo?
-Continueremo a casa- disse Esme e nei suoi occhi vidi qualcosa che mi sorprese: una lieve ombra di compiacenza, eco della mia e di quella di Rosalie, molto più debole perché forse capiva meglio il rischio che correvo.
Annuì e mi allontanai da Edward, cercando Rosalie che fu subito al mio fianco. Mi strinse a se e ci incamminammo fuori diretti verso le due macchine che ci avrebbero riportato alla grande casa bianca.

Io salì in macchina con Emmett e Rosalie. Dietro di noi Edward ci seguiva. Non volevo guardarlo negli occhi, non volevo osservare la sua espressione, ferita o determinata a seconda delle sue intenzioni.
Rosalie mi aprì la portiera posteriore e io mi infilai, aspettando che Edward mi seguisse, invece andò a sedersi davanti accanto ad Emmett che salì rigido sulla macchina e mi fissava in continuazione mentre accendeva l’auto il cui motore fece delle fusa delicate. Fissai per un secondo Edward, immobile come una statua, sospirando. Spostai lo sguardo verso il finestrino, lasciando che le mani di Rosalie mi accarezzassero i capelli.
La guida di Emmett mi agitava, troppo veloce, troppo frenetica. Il mio stomaco protestò e io mi agitai, irrequieta.
-Emmett, ti prego! Fermati!- mi lamentai, portando una mano davanti alla bocca.
Lui obbedì immediatamente, trovando uno spiazzo adatto. Saltai giù di corsa per evitare di vomitargli in macchina e, aggirandola, vomitai su uno spiazzo di erba poco lontano.
Le mani di Edward corsero alla mia fronte, tenendomi i capelli, mentre un altro conato di vomito mi costrinse a piegarmi in due.
-Bella?- mi chiamò la voce di Carlisle.
Non risposi, aspettando che finisse e solo quando fui sicura di poter parlare senza alcun rischio, mi alzai, appoggiandomi ad Edward sentendomi terribilmente stanca.
-Bella?- mi chiamò di nuovo Carlisle, preoccupato.
-Sto bene- risposi, la voce roca. Avevo bisogno di lavarmi i denti per togliermi quel saporaccio dalla bocca. –E’ passato tutto. Solo… Emmett… Potresti guidare un po’ più piano?-
Nessuno rise, come forse avrei voluto. Emmett annuì rigido e fu il primo a muoversi per tornare in macchina. Piano piano anche gli altri lo seguirono e questa volta Edward si sedette dietro con me, sostituendo le braccia di Rosalie. Sentivo l’elettricità che correva tra i loro corpi e le continue occhiatacce che si lanciavano. Volevo dire a entrambi di smetterla ma non ne avevo la forza. Così chiusi gli occhi e lasciai che i miei sensi si rilassassero.

Mi trovavo su un divano bianco, circondata da cuscini morbidi, senza ricordarmi come ci ero finita.
Non ricordavo nemmeno di essere entrata nella casa, probabilmente mi ero addormentata prima.
Sentivo un po’ di dolore alla pancia, senza riuscirne a capire il motivo. Mi preoccupai e aprì gli occhi, facendo correre le mani al ventre per assicurarmi che tutto fosse a posto. Sorrisi, sentendo il gonfiore così resistente sotto le mie dita.
Tutti nella stanza si accorsero del movimento e Rosalie si mise in ginocchio accanto a me.
-Che succede?-
Sorrisi. –Niente, Rosalie. Tutto bene-
Edward era ai piedi del divano e mi fissava con sguardo perso nel vuoto, lontano come se non fosse presente. Come se si fosse arreso. Lo avevo distrutto prendendo quella decisione non ancora ufficializzata? Si, il suo sguardo me lo suggeriva. Probabilmente mi odiava. Ma quando tutto si sarebbe risolto – perché in un modo o nell’altro sarebbe andato bene, me lo sentivo – avrebbe avuto l’eternità per perdonarmi. L’avrebbe fatto, ne ero certa.
-Bella- Carlisle cercò di attirare la mia attenzione. La sua voce mi diceva che non l’avevo ancora avuta vinta e che solo la presenza di Rosalie aveva impedito che agissero come loro volevano, come loro credevano che fosse giusto. Ma in realtà non era giusto, per niente. Questo bambino aveva diritto di nascere e io ce l’avrei fatta. Ne ero certa.
-Sto bene- dissi, in mia difesa. Era necessario che lo capissero. Vidi Edward scuotere la testa e portarsi una mano sul viso. Da li non si mosse più. Sbiancai. Non sopportavo vederlo così fragile, debole. Non era il mio Edward, quello che conoscevo io, che amavo. Quello per cui stavo lottando quello che mi aveva cocesso questo bambino, il frutto dell’amore immenso che provavo per lui. -No, Bella, non stai bene- mi contraddisse il dottore. –Hai passato tutto il tempo a contorcerti nel sonno e lamentarti-
-Parlo sempre nel sonno-
Lui rimase in silenzio, spostando lo sguardo su suo figlio, nella stessa posizione. Fu Alice ad intervenire: -Bella, è una pazzia. Finirai male, io l’ho visto-
-Non finirà male. Quello che hai visto può cambiare, e tu lo sai-
-Può cambiare solo se tu cambi idea…- mi corresse Alice. –Da quando desideri morire così?-
-Non morirò- sentenzia, sicura di me. –Ho un piano-
-Che piano?- chiese Emmett.
-Insomma, so quello che questa gravidanza mi provocherà. Conosco quelle leggende e fin’ora tutte quelle che hanno fatto parte della mia vita si sono avverate. Ricordo ogni vostra storia. Ognuno di voi non era in buone condizioni, no? Edward ha detto che Carlisle trasforma per salvare le vite non porre fine all’esistenza umana… E se qualcosa dovesse andare storto dopo che lui sarà nato, Edward può trasformarmi. O può farlo Carlisle se lui non se la sente. Funzionerà, davvero-
-Certo che funzionerà. Bell’idea Bella. non ci avevo pensato- sospirò Rosalie accarezzandomi i capelli e sorridendomi. Ricambiai il sorriso, spostando poi lo sguardo verso tutti gli altri che mi fissavo con espressioni indecifrabili.
Edward aveva cambiato espressione e ora fissava sua madre. I suoi occhi arsero di una nuova luce, prima che parlasse: -Esme… no…-
Carlisle si voltò verso sua moglie e lei abbassò lo sguardo, mortificata. –Bella, devi scusarmi- disse rivolta a me, la voce così bassa da sorprendermi di riuscire ad ascoltarla.
-E’ sbagliato e innaturale…- si pronunciò Edward fissando Esme, come se si sentisse tradito. Io lo fissai incredula: il mio brontolone non era per niente una cosa innaturale. Anzi… Come avrei potuto farglielo capire?
-Mi sento così egoista…- riprese Esme, sfuggendo allo sguardo di Edward per incatenare i suoi occhi dorati ai miei. –Ma questo tuo… piano… può essere una soluzione… credo…-
-Grazie Esme- le sorrisi e mi tornarono in mente le parole di Rosalie qualche mese prima: “Esme si è accontenta di noi come figli…” Quel suo desiderio nascosto, che l’adozione di tutti i Cullen non aveva colmato in pieno, sembrava aver avuto la meglio su di lei. Non la incolpavo, anzi le ero grata in una maniera incredibile. Perché così come sapevo che Emmett avesse appoggiato Rosalie, nello stesso modo sapevo che Carlisle non sarebbe mai andato contro Esme. Avevo vinto, in un modo che non riuscivo ancora a capire. Ed Edward lo sapeva. Si alzò in un movimento fulmineo e se ne andò. Sentì i miei occhi bruciare e lacrime di frustrazione uscirono dai miei occhi. Rosalie si premurò di asciugarmele. Stupidamente mi lasciai sfuggire un singhiozzo e seppellì la testa nelle ginocchia che portai al mio petto sorprendendomi del modo in cui la pancia era cresciuta in quelle poche ore di sonno.
Delle mani fredde mi accarezzarono la testa e mi costrinsero ad alzare il viso. Sapevo che era Edward, ne percepivo il profumo meraviglioso che mai avrei confuso.
-Ti prego, non piangere- mi disse. Chiuse gli occhi e quando li riaprì sembrò meno disperato. Respirai a fondo, seguendo il suo consiglio e ascoltando il suo respiro per regolare il mio. Un calcio in pancia mi fece sussultare e io ignorai il dolore… Non lo ricordavo così forte…
Chiuse gli occhi di nuovo e quando parlò non li riaprì. –Ti prego, ragiona Bella. E’ una pazzia-
-Forse- risposi e sorrisi sfiorando la pancia con la mano. –Andrà tutto bene. Ti fidi di me?-
-No- sospirò con voce così bassa da non essere sicura di aver sentito bene. Sospirai anche io e gli accarezzai la guancia cercando di tranquillizzarlo. Rimase immobile, con gli occhi di nuovo fissi nei miei. Li distolse poco dopo.
-Rosalie?- chiamai distogliendo lo sguardo da lui per guardare la vampira accanto a mer. –Mi accompagni in bagno che devo fare pipi?-
-Certo- mi aiutò ad alzarmi sotto gli occhi di tutti e ci avviammo al bagno. Arrivata al grande specchio che rifletteva tutta la mia immagine mi guardai e stentai a riconoscermi. Ero dimagrita ma non me ne preoccupai molto e i capelli, legati nella stessa coda che li aveva caratterizzati nel viaggio di ritorno, erano spenti e sfibrati. La maglietta, abbastanza attillata, metteva in risalto la pancia che in una gravidanza normale sarebbe appartenuta al quarto mese abbondante e non al quinto giorno.
-E’ bellissima- mi disse con voce dolce, fissando quel gonfiore.
-Tu credi?-
-Assolutamente si- mi rispose fissandomi allo specchio. Accanto a lei, in quelle condizioni, risultavo ancora più insignificante. Non me ne preoccupai, consapevole che la mia condizione umana sarebbe durata ancora per poco. –Non avere dubbi, Bella. Non ora. Ce la faremo, vedrai-
Le sorrisi, di nuovo, grata per quello che stava facendo. Mi sembrava impossibile che fosse stato così facile coinvolgerla in tutto quello. Ricordavo come non potevamo sopportarci, prima. Ma il suo desiderio, forte come il mio, aveva messo da parte il risentimento e l’aveva portata a combattere al mio fianco come nessun’altro poteva fare. Se davvero il mio piano fosse riuscito, le sarei stata grata per sempre, per l’eternità.
-Sai- mi disse quando uscimmo dal bagno ed entrammo nel salone dove tutti ci stavano pensando. –Tra un po’ quella maglietta sarà piccola. Forse dovremmo farci dare una felpa da Emmett che è bella grande-
-Si, forse dovremmo- le risposi, sedendomi accanto ad Edward sul divano.
La mia mano andò a cercare la sua ma lui non mi restituì la stretta.
-Bella, almeno lascia che ti dia un’occhiata per capire come dobbiamo affrontare la situazione- mi pregò Carlisle indicandomi le scale che portavano al suo ufficio.
Io fissai Rosalie come per chiedere consiglio e prima che lei potesse parlare fu Edward ad attirare l’attenzione e il mio sguardo corse sul suo viso, duro e freddo. –Non ti farà niente che non vuoi. Rosalie , se vuole, può venire a tenerci d’occhio, se è quello che vuoi. Bella devi essere controllata, almeno quello-
-Puoi scommetterci che ti tengo d’occhio- ringhiò Rosalie al mio fianco. Io fissai Carlisle e poi, dopo averci pensato un po’ dissi: -Va bene. Sono pronta- e mi lasciai portare su da Rosalie con Carlisle ed Edward dietro di noi ignorando il magone che le parole di Edward avevano portato.

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Capitolo 2
*** Capitolo Due: Imprevedibile ***



Vorrei ringraziare di cuore manuelitas per aver commentato. Sono davvero contenta che ti sia piaciuta l'idea. Spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento.
Buona lettura!

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CAPITOLO DUE: Imprevedibile

Dieci minuti dopo Carlisle aveva ricostruito un piccolo ospedale nel suo studio, posizionando tutti i mobili contro la parete con l’aiuto di Emmett e Jasper e ora io mi trovavo su un lettino. Alla sua destra Carlisle sistemava alcune macchine mentre Rosalie mi teneva la mano sorridendomi ogni tanto. Edward era nell’angolo, contro il muro, e fissava noi ma non ero del tutto sicura che ci vedesse davvero. Il suo sguardo era così perso e vuoto…
-Va bene, Bella- mi disse Carlisle. –Vediamo cosa possiamo fare-
Io sollevai la maglietta e per un momento tutti rimanemmo immobili. Non ero pronta a quello che vidi, come nemmeno i tre vampiri presenti nella stanza. Non mi ero nemmeno resa conto che Edward si era catapultato vicino a noi per osservare da vicino: la mia pancia era coperta di macchie blu e viola, lividi appena provocati o che comunque non avevano più di qualche ora. Ecco perché il dolore era più forte del solito, in quelle ultime ore. Semplicemente stava diventando più forte, più forte di me. Non era una novità, lo sapevamo tutti che sarebbe successo, vero? Allora perché Edward non la smetteva di guardarmi con quegli occhi sconvolti?
-Sta crescendo, sta diventando forte…- sussurrai portando le mie mani verso la pancia, nel banale tentativo di proteggerlo. Non volevo guardare Edward… In poco più di un secondo tutto si sarebbe potuto concludere e io lo sapevo bene. Bastava poco, Edward si sarebbe impuntato come non mai finendo anche a litigare con sua sorella.
-E’ vero, sarà un bambino molto forte- confermò Rosalie, con una voce dolce e delicata come il miele. Io sorrisi, involontariamente. Non era necessario preoccuparsi, non ancora.
Il ruggito basso e gutturale di Edward arrivò alle mie orecchie e io ritornai alla realtà, alla brutale realtà in cui lui non era d’accordo in tutto questo.
Carlisle guardò prima me, poi Rosalie e fece per dire qualcosa. Sembrò ripensarci all’ultimo secondo e prese uno strumento che mise sulla mia pancia dopo avermi spalmato sopra un gel con mano delicata.
Vidi la sua faccia incupirsi più i minuti passavano e mentre continuavano a passarmi quell’oggetto sulla pancia.
-Qual è il problema?- chiese Rosalie.
Carlisle non rispose, fissando uno schermo che rimase scuro. Poi mise giù quello che aveva in mano e posò le sue mani sulla pancia, tastandomela. Il mio brontolone diede un colpo e io sussultai. Un nuovo livido si formò sulla parte destra della pancia, dove Carlisle aveva poggiato la sua mano fredda. Cercai di trattenere un gemito di dolore e respirai a fondo.
-Carlisle?- chiamò Edward.
-Io…- si staccò da me e si allontanò di pochi passi, voltandosi verso le macchine. –E’ una cosa che io non ho mai visto in tutti i miei anni da vampiro. La membrana che lo ricopre è così robusta che la sonda non riesce a vedere quello che contiene… E’ come andare alla cieca, fare qualcosa che non si è mai fatto senza alcun indizio… Io non so se ha senso continuare con tutto questo…-
-Certo che ha senso- risposi io, riuscendo a sentire ogni loro parola.
-No, non ne ha- mi rispose Edward senza guardarmi –Non sappiamo nulla, non possiamo sapere nulla. Né di come crescerà, né di quello che potrebbe farti… E’ completamente e totalmente imprevedibile. E tu non puoi, anzi non devi, rischiare così tanto…-
-Avevi detto che non mi avreste fatto niente che non volevo, giusto?-
-Non pensavo che la situazione fosse così critica…- sussurrò Edward, abbassando lo sguardo. Il ringhio di Rosalie arrivò forte e chiaro ma Edward finse di non sentirlo.
-Andrà tutto bene, me lo sento-
-Come puoi dirlo? Non eri tu quella che voleva andare al college? Passare ancora un po’ più di anni da umana?-
-Non pensavo che portare in grembo tuo figlio fossi così bello… Edward andrà tutto come voglio io, te lo giuro…-
Lui scosse la testa freneticamente come a voler negare quella realtà. –Non deve andare per forza così-
-Non vedo altra soluzione- feci notare io. Sapevo dove voleva arrivare, ma io e Rosalie non glielo avremmo permesso, ne ero certa. Avevo bisogno di esserne certa.
-Puoi lasciar fare a me e Carlisle e decidere di vivere la tua vita da umana per altri due anni… Poi ti trasformerò io stesso, te lo giuro-
-Edward- bisbigliai accarezzando la sua guancia con un sospiro. –Non fare promesse che tanto non manterrai. Ogni giorno cerchi una nuova scusa per allontanare l’inevitabile. Non hai capito che io ho scelto anni fa, la prima volta che ti ho incontrato?-
-E avevi già scelto che andasse così?- chiese, con un filo di voce.
-No, certo che no. Mai avrei immagino che sarebbe andata così bene-
-Così bene…- ripeté lui e parve suonare quasi come un insulto. –Niente sta andando bene…-
-Lo accetterai- assicurai io. Se solo avesse capito cosa significava per me tutto questo, forse si sarebbe arreso al mio volere e l’avrebbe accettato senza dover sprecare ogni singolo minuto a cercare un modo per convincermi che era sbagliato. Come se una cosa così magnifica potesse mai essere sbagliata…
-Come posso accettare qualcosa che ti fa del male?-
-Non mi fa del male. Sta solo crescendo…-
Restammo in silenzio, guardandoci negli occhi e lui lasciò che io ci leggessi tutto il suo dispiacere. No, quello non era dispiacere, ne ero certa. Era qualcosa di più. Soffriva, soffriva per colpa mia perché mi ero intestardita su qualcosa che lui non voleva. Ma ne sarebbe stato felice, alla fine. Anche se non mi avrebbe più avuto al suo fianco, una parte di me sarebbe rimasta accanto a lui. Mi costrinsi a pensare che nostro figlio lo avrebbe indotto a non tornare dai Volturi per farsi uccidere come già una volta aveva fatto… Forse si sarebbe reso conto che sarebbe stato necessario e così avrebbe vissuto. Non potevo chiedere di meglio, davvero… Durante quella conversazione non avevo dimenticato gli altri due vampiri presenti nella stanza e i sibili di Rosalie arrivavano regolari alle mie orecchie in segno di protezione.
Fissai ancora per un po’ Edward, ma poco dopo distolse lo sguardo, incapace di fissarmi ancora a lungo e io mi voltai verso Carlisle. –Abbiamo finito? Mi sento un po’ stanca-
-Volevo solo prenderti delle misure…-
Così prese un metro e lo mise intorno alla mia pancia rigonfia e tumefatta e corrugò la fronte poco dopo. –E’ come se fosse ormai al quinto mese… Questo vuol dire che…-
-… che tra poco più di due settimane tutto sarà finito-
La voce di tomba di Edward raggiunse le mie orecchie. Lo capivo, in parte. Sapevo che lui con quel tutto intendeva la mia vita, ma si sbagliava. Ne sarebbe incominciata una nuova, con mio marito e mio figlio al fianco. Cosa potevo desiderare d’altro? Non sarebbe stato una fine o un addio, niente di tutto ciò. Ma qualcosa di nuovo e meraviglioso che ero pronta e desiderosa di esplorare.
-La data è così vicina- disse Rosalie con la voce trillante. Vidi di sfuggita Edward abbassare lo sguardo e distoglierlo da noi mentre con una mano correvo ad accarezzare la pancia. –Si, sarà bellissimo-
-Ne sono convinta- sussurrò Rosalie ignorando il fratello. –Meglio andare a sdraiarti. Dico ad Emmett di prenderti una felpa, così starai più comoda e magari io ho dei pantaloni più comodi…-
-Magari solo i pantaloni, Rosalie, la felpa non ancora- sussurrai e mi lasciai condurre verso la porta. Arrivata all’inizio della rampa la testa mi girò forte e io persi l’equilibrio, rischiando di cadere. La mano fredda della vampira al mio fianco strinse il mio polso e mi trattenne senza difficoltà.
-Lascia che ti porti io- sussurrò prendendomi in braccio.
Io la lasciai fare senza riuscire a replicare in alcun modo perché un nuovo calcio del bambino mi aveva tolto il fiato.
La mamma sta bene, tu starai bene… Andrà tutto bene…

La mia situazione peggiorava. Lo sapevo anche senza controllare il mio corpo: lo sguardo di Edward, l’angoscia che, giorno dopo giorno, si radicava nei suoi occhi era in relazione con il mio stato di salute.
Non sapevo come bloccare il tutto, come ottenere un modo per cercare di trovare un modo per risollevare lui e di conseguenza me.
Importava qualcosa che io stavo male o che mi indebolivo? No. Lui doveva capirlo, era necessario. Il secondo giorno in casa Cullen feci fatica ad alzarmi e da allora rimasi seduta sul divano, incapace di fare altro se non dormire e sussultare di dolore ad ogni calcio. Andavo avanti ripetendomi che non mi importava quanto soffrivo, presto sarebbe finita.
Ormai non mangiavo più, non di certo perché io mi impuntavo. Carlisle diceva che il feto era incompatibile con me e che ogni cosa che io mandavo giù lui la rifiutava facendomi vomitare. Non sapevo quanti kili avessi perso, ma guardavo il mio braccio troppo magro e stentavo a riconoscerlo mio. Di nuovo anche di questo, cosa importava? Ero solo preoccupata per lui… Sapevo dalla poca esperienza che avevo di gravidanze – imparate attraverso i telefilm che propinavano in televisione – che di solito bisognava mangiare il doppio perché il bambino aveva bisogno di crescere. E se il mio brontolone fosse morto di fame o perché il mio corpo non era in grado di contenerlo e sostenerlo come aveva giustamente bisogno? Non aveva senso, davvero… Il solo pensiero di perderlo era mostruosamente sbagliato… Io dovevo essere abbastanza forte per entrambi.
Il terzo giorno da quando eravamo tornati Charlie chiamò a casa Cullen. Senza sapere come, né da chi, aveva saputo che ero a casa e ovviamente desiderava parlarmi per sapere come stavo.
-Pronto?- disse la voce di Carlisle quella mattina prendendo il telefono subito dopo il primo squillo. –Buongiorno, Charlie. Si, si, è tornata… Charlie, io…-
Rimase in silenzio in ascolto e io fissai Edward con occhi confusi, mentre lui osservava il padre, perso nei suoi pensieri con lo stesso sguardo assente che da giorni lo caratterizzava.
-No, Charlie. È malata-
Sussultai. In effetti non era proprio un a bugia e capivo il motivo per cui Carlisle stava creando una bugia. Cosa avrebbe pensato se avesse visto la mia pancia? Lui doveva rimanere all’oscuro di tutto o avrebbe rischiato troppo, ne ero consapevole. Ma del resto mantenere un tale segreto non mi faceva piacere. Dovevo abituarmici, no? Era quello che mi attendeva in futuro, quello a cui stavo costringendo le persone che amavo. Niente visite. Forse avrei potuto inventare – e sicuramente Carlisle ci stava già pensando – che sarei dovuta andare in un ospedale lontano, in Alaska, dove per lui sarebbe stato impossibile venire a trovarmi.
-Ha preso un virus in Sud America. È molto contagioso, Charlie. Non posso permettere che tu la veda e che rischi di prenderlo-
Sentivo, con fatica, la voce di mio padre alzarsi di qualche ottava, protestando per quelle disposizioni.
-E’ in quarantena. Cerca di capire la mia situazione- lo pregò Carlisle con un sospiro.
Restammo tutti in silenzio e io mi limitavo a fissare con occhi imploranti il viso di Edward, sperando che lui capisse il mio desiderio, che gli arrivasse. Comprendevo l’esigenza di non vedere mio padre, era inevitabile se quello che volevo era tenere questo bambino. Però credevo che almeno parlare con lui…
La voce di Carlisle mi riportò alla realtà: -No, non posso transigere, Charlie. Non ha senso che tu rischi il contagio per niente-
Rimase ancora un po’ in silenzio e quando parlò di nuovo la sua voce si fece dura, di ghiaccio. –Importa a me. È già difficile prendersi cura di lei. Charlie, io… Voglio essere sincero con te… E’ molto grave. Ma ti garantisco che sto facendo il possibile-
Non ce la facevo più: dovevo parlarlgli, tranquillizzarlo. Non sopportavo saperlo così in ansia, non era giusto. Con un movimento attirai l’attenzione di Edward i cui occhi, insieme a quelli di Rosalie che mi teneva la mano al mio fianco, saettarono verso di me.
-Ti prego…- sussurrai, la voce roca. Cercai di schiarirmela inutilmente. Ci fissammo per quella che parve un’eternità e probabilmente lui ci lesse qualcosa che sfuggiva a me, inconsciamente. Annuì debolmente.
-Carlisle- chiamò, la voce spenta. –Forse se gli parlasse lei… Forse…-
-Edward, io non so se…- cercò di rifiutarsi spostando il ricevitore dalla sua bocca in modo che mio padre non sentisse.
-Ti prego, Carlisle, solo dieci minuti… Te ne prego…-
Il dottore annuì e riprese a parlare con mio padre. –Posso concederti una chiamata, nulla di più. Ora è sveglia. Se vuoi te la passo-
Con un passo fulmineo fu al mio fianco e mi porse il ricevitore. Mi tremavano le mani e io cercai di schiarirmi la gola, provando a fare sembrare la mia voce più naturale possibile. Fu tutto inutile: quando risposi sembravo rauca, terribilmente malata, come effettivamente aveva detto Carlisle. –Papà?-
-Bella!- la voce ansiosa di mio padre mi colpì con tanta intensità da farmi mancare il fiato. Quanto era stato in pensiero per me? Da quanto aspettava di sapere se ero tornata?
-Ciao, papà. Non ti devi preoccupare. Io sto bene- La mia voce, bassa e roca, però sembrava dire il contrario e forse se ne accorse pure lui.
-Carlisle non dice esattamente questo- protestò lui, il tono cupo.
-Sai com’è Carlisle, no? Esagera sempre…-
-Carlisle non ha mai esagerato, Bella-
Cosa dovevo rispondere ora?
Lo so, papà, hai ragione. Carlisle ha dannatamente ragione, sempre. Tra due settimane diventerò un vampiro e tu non mi vedrai più.

No, decisamente non era la risposta migliore.
-Papà starò bene. Non ti devi preoccupare-
-Non ci riesco… Come è successo?-
-Non lo so… Eravamo sull’isola Esme – sai che Carlisle ha regalato un’isola a Esme? – e due settimane dopo ho cominciato a sentirmi male. Così abbiamo deciso di tornare a casa e…-
-Doveva prestarti più attenzione- Charlie accusò Edward con voce piena di disperazione, come se quello fosse l’unico modo per sentirsi meglio. –Pensavo che fossi in buone mani con lui-
-Papà, smettila- lo rimproverai andando ad accarezzare i capelli di Edward che aveva sepolto il viso tra le coperte che mi avevano messo addosso per scaldarmi. –Non è colpa di Edward. Non è colpa di nessuno, se non mia. È successo, punto. Non prendertela con Edward-
-Bells, non sai quanto mi manchi…- La sua voce si incrinò e percepì il suo dolore e dispiacere invadermi, facendomi tremare e una lacrima mi rigò il viso.
-Anche tu mi manchi, papà- risposi, la voce rotta dal pianto silenzioso. –Ti voglio bene-
-Anche io. Ti chiamo presto-
Riattaccai prima che la mia disperazione, specchio della sua, si rivelasse troppo e richiusi gli occhi, incredibilmente stanca. Non volevo saperne più di niente, almeno per un po’.

Un colpo violento nel mio addome mi svegliò e mi fece sussultare.
-Bella?- chiamò una voce cristallina.
Io respirai a fondo, chiudendo di nuovo gli occhi e mordendomi il labbro per evitare di urlare dal dolore. Questo se ne andò lentamente fino a scomparire e io portai una mano sulla pancia per tranquillizzare il mio brontolone: va tutto bene, va tutto bene…
-Sto bene- dissi e feci per alzarmi ma dovetti arrendermi quando capì che avevo troppo poche forze. Rosalie, intuendo quello che volevo fare, mi aiutò ad alzarmi ed Esme mi mise un altro cuscino sotto la schiena per farmi appoggiare più comodamente. Avevo il fiatone e sentivo il mio cuore battere in maniera strana, irregolare.
-Bella, come ti senti?- Guardai Carlisle ma prima di rispondergli lasciai correre il mio sguardo per tutta la stanza. Esme e Rosalie erano accanto a me, come avevo intuito. Carlisle era dietro il divano e mi fissava con lo sguardo clinico da dottore. Emmett, Jasper e Alice erano ai piedi delle scale che portavano al piano di sopra persi nei loro pensieri. Vidi Alice seduta sui primi scalini con la testa tra le mani. Chissà cosa le succedeva… Corrugai le sopraciglia cercando di capire quale potesse essere davvero il problema… Era il caso di preoccuparmi? Immaginai di no… Se era necessario Jasper sarebbe stato il primo ma lui sembrava tranquillo mentre fissava senza espressione davanti a se dove sapevo avrei trovato Edward che mi dava le spalle.
-Sai che c’è, Carlisle?- chiesi io, sorridendo. –Ho un po’ fame. Posso provare a mangiare qualcosa?-
-Si, certo Bella. vado a prepararti qualcosa- mi propose, sorridendomi di rimando, un po’ teso.
-No, fermo Carlisle- lo bloccò Edward, voltandosi verso tutti noi. –Me ne occupo io- Suo padre annuì e io lo fissai implorante. Odiavo non poter avere un contatto con lui. Quella era l’unica pecca in tutta quella situazione. Era importante il suo appoggio, lo era sempre stato, anche se non erano molte le volte che me lo aveva dato… Sarebbe stato diverso se lui fosse stato d’accordo…
Lo vidi allontanarsi rivolgendomi solo una fugace occhiata, troppo veloce per capire qualcosa del suo stato d’animo, ma immaginavo che potesse solo essere peggiorato.
Mi guardai la pancia. Dio, era enorme! Possibile che fosse cresciuta così tanto? La maglietta stava diventando davvero troppo piccola e probabilmente la felpa di Emmett iniziava a diventare indispensabile.
-Emmett?- chiamai.
-Si?- mi rispose e venne vicino a me così che io potessi vederlo.
-Rosalie mi ha detto che volendo tu avresti una felpa da prestarmi. Credo che ormai tutti i miei vestiti siano un po’ troppo piccoli… Cresce così in fretta…-
-E’ vero- confermò Rosalie –Sarà cresciuta di almeno altri cinque centimetri…-
Sorrisi, accarezzandola mentre Emmett volava di sopra per fare quello che gli avevo chiesto. Pochi secondi dopo era di nuovo davanti a me con tra le mani una scolorita felpa grigia.
-Rose mi dai una mano?- chiesi. Lei mi sorrise e un secondo dopo le sue mani erano sulla mia pelle e mi avevano già tolto la maglietta. Con disinvoltura accarezzò il rigonfiamento e il mio brontolone scalciò. Io ansimai, osservando un nuovo livido formarsi. Ignorai gli sguardi di tutti, forse scandalizzati, da quanto vedevano e lasciai che Rosalie mi aiutasse a mettere la felpa di Emmett così da essere più comoda.
Edward entrò poco dopo e l’odore di pancetta e pane tostato riempì l’aria. Il mio stomacò brontolò, affamato, ed Edward posò il vassoio sul tavolo accanto al divano.
Mi feci aiutare da Rosalie a sedermi e presi la forchetta riempiendola di cibo e portandola con foga alla bocca. Masticai e mandai giù in fretta. Tutti mi fissavano, aspettavano l’urto di vomito che doveva cogliermi. Ma non arrivò e io sorrisi.
-Riesci a tenerlo giù?- chiese Carlisle.
Feci per rispondere ma avevamo parlato troppo presto. Scossi la testa e feci per alzarmi ma la mano di Edward mi bloccò e mi mise una bacinella sotto al mento, dentro cui io vomitai con un rantolo.
-Mi dispiace, io…- dissi quando mi fui ripresa.
-Carlisle, non possiamo lasciare che muoia di fare…- protestò Edward a bassa voce.
-Lo so- rispose Carlisle pensieroso e preoccupato. -Potrei alimentarla con una flebo…-
-No!- lo supplicai. –No, Carlisle, non è necessario. Posso resistere ancora un po’, non è necessario, non ancora-
-Non ancora?- sibilò Edward con un basso ringhio.
-No, alla fine non ho molta fame…-
-Prima avevi detto di si- mi contraddisse lui.
-Era solo un capriccio, davvero- risposi nel tentativo di rassicurarlo.
Lui abbassò gli occhi e io gli accarezzai la guancia, senza nessuna reazione da parte sua.
-Bella?- mi chiamò Esme. Fissò Carlisle prima di parlare e continuò solo quando lui annuì –Prima, mentre dormivi, ha chiamato tua madre… Gli abbiamo detto che dormivi e non ha voluto che ti svegliassimo… Però ti ha lasciato un numero di telefono, così se vuoi chiamarla…-
-Grazie, Esme-
Rosalie mi porse il cordless e un foglietto con scritto un numero, probabilmente quello di casa di Phil. Guardai l’orologio: erano le 9 e mezza del mattino e sicuramente era sveglia. Sperai solo di trovarla in casa.
Rispose al secondo squillo, ansiosa. –Bella?-
-Si, mamma. Sono io-
-Piccola mia! Come stai? Charlie ha detto che stai male, un virus sud americano. Dice che sei contagiosa e che non te lo fanno vedere…-
-Si… Io…- Ma non mi lasciò parlare. –Ho cercato di parlare con Esme per provare a convincere almeno lei. Me è irremovibile. È così grave?-
-Un po’- confessai io. –Ma sono in buone mani, davvero-
-Si, me l’ha detto anche Charlie- mi rispose, ma non ne sembrava molto tranquilla.
-Mamma, stai tranquilla. Davvero, andrà tutto bene-
-Ci credo-
-Come sta Phil?- chiesi dopo un minuto di silenzio. -Meglio. Ha tolto il gesso- mi rispose e fui compiaciuta di essere riuscita a distrarla un po’.
-Sono contenta- le risposi, sincera. –Così potrà riprendere a giocare-
Rimase in silenzio per un po’ e mi preoccupai che qualcosa nelle mie parole l’avessero turbata, anche se non riuscivo a capire cosa. –Tu sai che puoi contare su di me, vero?-
-Si, certo, ma…-
Non mi lasciò finire: -Non voglio che tu pensi che per Phil io non ti sono abbastanza vicina…-
-Non lo penso. Prenditi cura di lui, ha una carriera da mandare avanti e ha bisogno di te-
-Anche tu hai bisogno di me- mi contraddisse, la voce bassa quasi quanto la mia.
-No, io sono in buone mani. Andiamo, non ti fidi di Carlisle? L’hai conosciuto, sai che bravo medico è-
-Si, si è un bravo medico-
-Appunto. Promettimi che non starai in pensiero-
-Ma…- tentò lei ma questa volta fu il mio turno bloccarla.
-Mamma, ti prego. Fidati di me-
-Va bene, Bella. Ti richiamo appena posso-
-Certo. Ti voglio bene-
-Anch’io- risposi e riattaccai. Lasciai andare il telefono sul divano e mi rivolsi alla vampira bionda.
-Rose… Dovrei andare in bagno-
-Certo- rispose pronta. Cercò di aiutarmi ad alzarmi ma quando capì che ero troppo debole mi prese in braccio e mi condusse lei. Mi fissai un solo secondo allo specchio, prima di distogliere lo sguardo: avevo occhiaie scure che risaltavano sul volto dimagrito. Gli occhi erano vacui, spenti, quasi come quelli di Edward e i capelli ancora più sfibrati di qualche giorno fa. Non era difficile chiedersi perché mi mancassero in questo modo le forze. La pancia però era bella gonfia e mi dissi che forse ne avevo preso più di cinque. Forse dieci. Cresceva così in fretta, così rapidamente…
Il telefono squillò e io lo percepì di sfuggita dalla porta aperta. Non mi diedi molta fretta: sapevo già che l’unico che poteva essere era mio padre.
Non seppi spiegare né perché né per come ma, proprio mentre il mio brontolone diede un colpo da mozzarmi il fiato, mi venne in mente Jacob, il mio ex migliore amico. Non lo vedo da così tanto tempo e il nostro ultimo addio non era stato uno dei migliori. Avevo accantonato il pensiero come mi ero ripromessa per evitare che Edward si accollasse anche quello. Però immaginavo che ormai le cose fossero cambiate. Desideravo vederlo, almeno un’ultima volta prima di diventare vampira, prima di diventare qualcosa che lui avrebbe disprezzato con tutto se stesso. Rabbrividì a quel pensiero. Quanto mi sarebbe mancato? Senza di lui sentivo che non potevo essere completa, che niente sarebbe stato perfetto come desideravo, che la mia famiglia non era al completo. Forse potevo chiedere ad Edward di cercarlo per me e portarmelo. Sarebbe venuto? Non lo sapevo. Seppi solo che se mi avesse mandato a quel paese avrebbe fatto bene e io non mi sarei lamentata. Sarebbe stato più facile per entrambi evitare di vederci. Inoltre nessuno mi assicurava la sua reazione per la novità: probabilmente avrebbe provato ribrezzo, si sarebbe opposto in qualunque modo, ne ero certa. Allora forse era meglio così, era meglio non vederlo. Dimenticarsi l’uno dell’altra. Forse lui ci era già riuscito. Glielo auguravo.
Quando tornammo in salotto, io appoggiata a Rosalie pronta a sostenermi se fossi caduta, Carlisle mi passò il telefono.
-Charlie- disse solamente.
-Pronto?-
-Ciao Bella. Come stai?- mi chiese, ansioso. La mia voce probabilmente non l’aveva tranquillizzato.
-Bene, papà, non ti…-
Trasalì, incapace di trattenere un gemito ad un nuovo calcio. La voce di mio padre mi arrivava preoccupata all’orecchio ma faticavo a riprendere fiato. Qualcuno mi strappò il telefono di mano e parlò per me mentre Edward mi accarezzava la fronte, spazzando via un lieve strato di sudore.
-Bella…- mi chiamò, straziato.
-Non ti preoccupare- gli dissi e lo vidi seppellire di nuovo il volto tra le mie gambe, disperato. –E’ passato. Passami Charlie-
Fu Carlisle a ridarmi il telefono.
-Papà, perdonami- mi scusai passando le mie dita tra i capelli di bronzo di mio marito.
-Cos’è successo?- Avevo mai sentito mio padre così ansioso? Se la risposa era si, io non me lo ricordavo…
-Si, si. È solo questo virus, tutto a posto. Mi ha chiamato mamma, prima-
-So che forse non avrei dovuto dirglielo, ma ho pensato che a te sarebbe potuto piacere sentirla-
-Hai fatto bene, davvero- risposi ed improvvisamente mi sentì di nuovo stanca così lo salutai e m voltai verso Edward, ancora con il volto nascosto, fissandolo a lungo per cercare di capire quello che potevo fare per lui, trovare una soluzione a quel suo tormento che gli causavo io. Buffo come la cosa che lo distruggeva, rendeva felice me. Forse non era mai successa una cosa del genere da quando l’avevo conosciuto.
Sentendosi osservato alzò il viso e, dopo un po’, capì che stavo crollando e mi aiutò a stendermi sul divano così che io mi addormentai con il suo tocco freddo sul viso.

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Capitolo 3
*** Capito Tre: una visita ***


RIngrazio di cuore manuelitas visto che spreca il tempo a commentare questa storia! XD Sono contenta che ti piaccia sempre di più, davvero. E qui c'è un inizio con Jacob. Volevo fare come ha fatto la Meyer e riservare tutto il capitolo dopo alla conversazkione con bella. spero che comunque ti piaccia! Grazie ancora! Buona lettura!

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CAPITOLO TRE: Una visita Un bambino bellissimo con la pelle bianca quanto il marmo e i capelli di bronzo era tra le mie braccia. Mi guardava con quei suoi occhioni verdi smeraldo pieni di terrore. Il mio brontolone era spaventato senza che io ne conoscessi il motivo. La cosa non mi piaceva per niente. Emisi un sibilo che si trasformò in un ringhio non appena percepì il pericolo che il mio bambino aveva avvertito prima di me e sentì il veleno inondarmi la gola, pronta all’attacco. Lasciai che il mio bambino, la coppia di Edward in miniatura, si arrampicò sulle mie spalle dove si strinse forte a me in modo da potermi muovermi più liberamente. Mi misi in posizione di attacco, piegando leggermente le ginocchia, pronta a difendere il mio bambino col mio stesso corpo, se necessario. Mi sentivo forte, indistruttibile, esattamente come una vampira che ha poco più di qualche giorno.
Fissai davanti a me il pericolo imminente e la sorpresa bloccò ogni mio muscolo. Edward, Alice e Jasper era lì, pronti ad attaccare e i loro occhi erano neri come la pece, in contrasto con i miei, rosso cremisi. Poco dietro di loro, Carlisle ed Esme ci fissavano indecisi su che posizione prendere. Accanto a me Rosalie ringhiava nel mio stesso modo profondo ed Emmett era pochi passi più avanti a noi pronto a difenderci, a difendere Rosalie.
A questo non era pronta. Non potevo battermi con Edward. Nemmeno con Alice. Volevo troppo bene ad entrambi. Ma la cosa che più lasciò sconcertata fu l’enorme lupo rossiccio che si scambiò uno sguardo di intesa con Edward che annuì tornando a guardare noi.
Cosa dovevo aspettarmi? Avrebbero attaccato loro per primi o avremmo dovuto pensarci noi? Il bimbo dietro di me si agitò irrequieto… Anche a lui non piaceva l’idea di attaccare suo padre? Perché era impossibile non capire che fosse Edward per lui… Erano così simili…
Poi, qualcosa nella scena cambiò e tutti noi, amici o nemici, fummo accerchiati da mantelli neri. Improvvisamente Edward fu al mio fianco, guardingo che ringhiava contro la mantella nera di quella che ero certa fosse Jane.
Ringhiai anche io a mia volta e seppi, senza comprendere il perché, come stesso accade nei sogni, che loro volevano il mio bambino. Ma non l’avrei permesso. E di nuovo senza immaginare il motivo, sapevo che Edward e tutti i Cullen si sarebbero schierati dalla mia parte.
Contemporaneamente Jane, Alec e Demetri si mossero e puntarono su di noi.
Mi svegliai di soprassalto con le lacrime che mi rigavano gli occhi e scossa da singhiozzi di paura. Si, ero terrorizzata da quello che mi aspettava perché non sapevo se ero in grado di garantire a mio figlio – il figlio di Edward – il futuro che meritava.
-Bella- sospirò la voce di Edward, angosciato, al mio fianco.
-Sto bene- dissi, la voce più roca del solito. Ero peggiorata ulteriormente? Guardai il viso di Edward. Si, stavo peggio. Ma non importava, davvero.
-Sta male?- mi chiese Rosalie. Io portai una mano sul ventre e ansimai quando diede un piccolo calcetto.
-No no… Lui sta bene…-
-Qual è il problema?- mi chiese Edward, fissandomi con occhi vitrei.
-Niente- risposi con un respiro profondo, cercando di convincere me e il mio brontolone che andava tutto bene…
Il telefono squillò nell’altra stanza ed Esme si affrettò a rispondere.
-Si è appena svegliata- disse con la voce trillante.
-E’ Charlie?- chiesi.
Edward annuì solamente distogliendo lo sguardo da me. Esme, percependo il mio desiderio di parlargli, me lo passò.
-Ciao papà-
-Bella, tesoro? Come stai? Sembri peggiorata…-
-No, papà. Meno di quanto credi tu comunque. Carlisle dice che prima di guarire devo sviluppare il virus in tutte le forme…-
Sentivo lo sguardo addosso di Edward, confuso e penetrante. Una cosa di tutta quella faccenda mi era chiara; non ero pronta per salutare definitivamente mio padre. Sapevo che era inevitabile ma era l’ultima cosa che volevo. Con mia madre era diverso. Lei aveva Phil e ormai avevo passato due anni lontana da lei. Mio padre invece non aveva nessuno ed era abituato alla mia presenza. Dovevo dargli il tempo di accettare la cosa gradualmente. E sapevo perfettamente come fare.
-Quindi secondo Carlisle guarirai- sperò mio padre.
-Si, certo papà. Vedrai che tra una settimana starò meglio-
-Me lo auguro Bells. Poi almeno potrò venire a trovarti?-
-Non lo so. Questo lo decide Carlisle, non io- gli ricordai.
-Si, è vero-
Sospirai e lui riuscì a sentirlo. -Sei stanca?- mi chiese, premuroso.
-Un po’-
-Allora vai a riposarti…-
-Si, d’accordo. Stai tranquillo, papà- lo pregai. –E di alla mamma di non agitarsi troppo. Dille che le voglio bene-
-Va bene, Bells. A dopo-
Riattaccai per prima e cercai di ignorare il silenzio che era calato nella stanza e gli occhi puntati su di me. Giocherellai con la fede del mio matrimonio, troppo larga per le mie dita ormai.
-Bella- mi chiamò Alice –Quali sono le tue intenzioni?-
-Non capisco quello che vuoi dire…-
-Sta parlando di Charlie, Bella- intervenne Jasper.
-Continuo a non capire- Dovevo ammetterlo: ero brava a fare la finta tonta.
-Perché hai detto a Charlie che guarirai?- mi chiese Edward, con voce così bassa da meravigliarmi di riuscire a sentirlo.
-Perché è quello che succederà-
-Non come ti ricorda lui- mi fece notare Emmett.
-Si, lo so-
-Allora non ha senso!- protestò Edward, alzandosi infastidito. –E’ una pazzia. Tutta questa storia lo è!-
-No- protestai io con in sottofondo il ringhio di Rosalie.
-Qual è il tuo piano, allora?- mi chiese Esme avvicinandosi a me e Rosalie.
-Bhè, pensavo… Non devo necessariamente guarire subito… Insomma, potremmo dire a mio padre che è stato necessario portarmi in un ospedale in Alaska. Il biglietto per arrivarci è così caro che non potrebbe venire ad indagare. E del resto le mie pochissime visite sarebbero giustificate, oltre che dalla malattia, anche dal costo del viaggio. Nessuno dei due ha così tanti soldi-
-Continua a non avere senso- protestò Emmett. –Non era meglio evitare di illuderlo?-
I miei si riempirono di lacrime e io distolsi lo sguardo. –No, sono sicura che questo è il modo migliore-
-Va bene- sussurrò Edward, avvicinandosi a me con lo sguardo di nuovo spento. –Se è quello che vuoi, faremo così-
-Grazie- bisbigliai prima di sprofondare di nuovo in un sogno agitato.

Un rombo del motore di una moto mi fece sussultare e la testa di Rosalie scattò verso la porta ringhiando debolmente.
Sapevo chi era e il mio viso si aprì un sorriso leggero. Non avevo bisogno di conferme ma quando il motore si spense le chiesi comunque, per riempire il silenzio che si era creato.
-Chi è?-
-E’ Jacob- mi rispose Carlisle. –Ma ne occupo io-
Perché adesso bisognava occuparcene? Doveva rimanere anche lui all’oscuro di tutto? Non aveva senso… Lui non era come mio padre, umano e costretto a rimanere all’oscuro… Lui era un licantropo. Faceva parte dello stesso mondo fantastico di Edward e di tutti loro. Un po’ anche come ne facevo parte anche io. Dopo tutto mi fu chiaro il motivo per cui era venuto e in parte me lo sarei dovuto aspettare. Doveva aver saputo da suo padre, che l’aveva saputo da Charlie senza ombra di dubbio, che io ero tornata a Forks e che ero malata. Così malata da evitare ogni visita addirittura quella di mio padre. Aveva pensato che potesse essere una scusa abbastanza ragionevole per giustificare quello che ero destinata a diventare? Probabilmente si. Sapevo cosa significava tutto questo per lui. Ricordavo, anche se mi sembrava una vita fa, il modo in cui aveva temuto il giorno del mio diploma perché da lì a poco sarei diventata una Cullen. Poi il matrimonio aveva ritardato tutto, mi ero attenuta alla richiesta di Edward. Era venuto a controllare che fossi viva e profumata come un’umana?
-Ciao Jacob- disse Carlisle, fintamente tranquillo. –Come va?-
Sentirlo così calmo mi fece venire la nausea. Era evidente che stava cercando un modo di allontanare Jacob, evitare che mi vedesse. Ma conoscevo quello che era stato il mio migliore amico – quello che era il mio migliore amico – e sapevo che non si sarebbe arreso molto facilmente se vedere come stato era il suo desiderio. Rimase un po’ in silenzio, un po’ troppo per i canoni di una conversazione amichevole e normale.
-Ho sentito che Bella è sana e salva- disse, quasi distaccato, come se la cosa non lo interessasse.
-Ehm, Jacob, non è il momento. Possiamo occuparcene dopo?-
-Perché no?- intervenni io, cercando di far risultare più chiara e pulita la mia voce. –Abbiamo dei segreti anche per Jacob? Che motivo c’è?-
Osservai Edward, davanti a me con gli occhi bassi che fissava il divano, cercando qualcosa in grado di farmi cambiare idea, ma non lo trovai. Respirai a fondo e provai il forte desiderio di sfiorarlo, per alleviare il suo dolore, inutile. Come sapevo che sarebbe stato quello di Jacob. –Jacob, entra pure- lo invitai, dopo pochi attimi di silenzio.
Mi rannicchiai ancora di più sul divano, stringendo le gambe magre tra le mie braccia, sentendo la pancia gonfissima sotto di me. Percepivo la presenza di Rosalie costante, accanto alla mia testa, pronta a difendermi se ce ne fosse stato necessario. Non c’era bisogno di essere così protettivi, lo sapevo bene, ma evitarlo era un’impresa molto ardua.
Con un gesto impercettibile sfiorai il braccio di Rosalie e lei mi porse la bacinella dove io vomitai dentro, maledicendomi per dover costringere Jacob a quella scena.
Edward si avvicinò con passo incerto a noi, ma vidi di sfuggita Rosalie bloccarlo, lasciando che l’urto di vomito mi concedesse di respirare.
-Scusami tanto- gli sussurrai a Jacob, sincera.
Sentì Edward lamentarsi debolmente e affondò la testa tra le mie ginocchia. In un riflesso involontario, la mia mano corse alla sua guancia di marmo, per cercare di calmare il suo tormento.
Jacob fece per avvicinarsi ma Rosalie, onnipresente, si materializzò tra me e lui, nascondendomelo e ringhiandogli contro. Sentivo la tensione dei due e cercai disperatamente un modo per calmare la situazione, sapendo bene che dipendeva solo da ma.
-Rose, no- le dissi, cercando di tranquillizzarla. –Va tutto bene-
Lei mi obbedì e si allontanò, rivolgendogli un’occhiataccia, prima di accucciarsi al mio fianco, pronta ad intervenire. Sospirai. Alla fine di tutta questa storia – se fosse finita come desideravo io – quanto dovevo ringraziare Rosalie? Se questo bambino fosse mai nato, ero gran parte merito suo…
-Bella…- Jacob mi riportò alla realtà. –Cosa ti è successo?-
Si inginocchiò al mio fianco e il suo calore mi colpì in modo tremendamente piacevole, facendomi sorridere. Prese una mia mano e il colore pallido della mia pelle risultò anche più del solito contro la sua, scura. –Stai bene?-
Non risposi, del resto era anche inutile. Un “bene” come replica non l’avrebbe mai accettata. Anzi, l’avrebbe solo fatto arrabbiare e io volevo evitare.
Edward sembrava indifferente ai suoi pensieri e un po’ mi dispiacque. Ero curiosa di capire quello che pensava, ma dalla sua espressione sembrava non essere pienamente consapevole di quello che mi era successo benché fosse chiaro che non stavo bene, o almeno non ero nella mia forma smagliante.
-Sono felice che tu sia venuto a trovarmi, Jacob-
Edward si agitò di nuovo e gli passai le dita tra i capelli, aspettando che si calmasse.
-Cosa c’è, Bella?-
L’unico modo per farglielo capire del resto era solo quello di mostrarglielo. Così mi rivolsi a Rosalie: -Rose, mi aiuti?-
Ma lei ringhiò verso Jacob. Il messaggio era chiaro: o se ne andava, o se ne andava. Nessuna alternativa.
-Ti prego, Rose- Lei arricciò il naso ma si piegò comunque su di me. Avevo dimenticato il modo in cui i vampiri credessero che i licantropi puzzassero… A me non era mai sembrato, comunque.
La voce di Jacob si diffuse di nuovo, più bassa del necessario. –No. Non alzarti-
-Sto rispondendo alla tua domanda- gli risposi, scontrosa, con una piccola smorfia di dolore.
Quando Rosalie mi mise in piedi, con delicatezza e sorreggendomi in caso io fossi caduta, mi persi a fissare tutte le reazioni che nascevano sul viso di Jacob. All’inizio la confusione regnò sovrana, come se non fosse in grado di comprendere quello che mi era successo. Mi portai le mani sulla panciona, cresciuta ulteriormente in poche ore. Allora lui capì, ma era evidente che stentava a crederci. Dopo tutto per chiunque sembrava impossibile visto che ormai ero al sesto mese abbondante e che ero incinta solo da una settimana. Eppure lui era in grado di capirlo. Aveva visto abbastanza cose per comprendere anche quello, ne ero certa.
Jacob mi stava ancora fissando, forse rimuginando su quanto Edward mi avesse fatto del male. Ma non era così… Dovevo spiegarlo anche a lui? No, non avevo voglia di sprecare altro fiato per chiarire una cosa che tanto lui non avrebbe mai accattato. La testa di Edward si alzò di scatto e attirò la mia attenzione. Finalmente uno scintillio di vita in quegli occhi neri come la pece… Doveva andare a caccia… Da quanto tempo non ci andava? Troppo… Dovevo convincerlo a lasciarmi anche solo per un’oretta… Ero in buone mani, con Rosalie al mio fianco.
-Usciamo, Jacob-
A cosa era dovuta questa reazione? Forse aveva letto qualche pensiero così crudele – ed ero sicura che i pensieri di Jacob in quel momento fossero orribili – da spingerlo a battersi in un incontro? No, no, no… Era sbagliato, senza senso ed era l’ultima cosa che volevo…
-No- lo pregai io, cercando di afferrarlo per un braccio ma mi sfuggì e io barcollai in avanti. Rosalie mi prese ancora prima che il pericolo si presentasse. Edward mi si avvicinò e mi sfiorò impercettibilmente. -Devo solo parlargli. Riposati, per favore. Fra qualche minuto saremo di ritorno.
Lo fissai, valutando le sue intenzioni. No, non gli avrebbe fatto del male, lo sapevo. Perché così era consapevole che avrebbe ferito anche me ed era l’ultima cosa che volevo. Così mi lasciai andare sul divano, tra i cuscini. Del resto se ero sicura di Edward, non lo ero tanto di Jacob. Lo fissai e vidi il suo sguardo pieno do collera tutta per Edward. Mi sentì mancare, ma finsi di non averci fatto caso, spostando di poco lo sguardo. –Fate i bravi. E poi tornate qui-
Li vidi uscire, prima Edward poi Jacob, sospirando di nuovo.


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