Marlowe - Intrecci

di lames76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



Era una giornata come tante a prima vista. Una di quelle giornate in cui svegliandoti hai l'impressione di non dover andare a lavorare perche' capiteranno solo guai. E' solo una sensazione, nulla di piu', ma nella maggior parte delle volte ha ragione lei.
Purtroppo la gente non da' retta alle sensazioni ed io, purtroppo, faccio parte della gente.
Mi svegliai presto e mi sbarbai, mi preparai un bel caffe' nero e bollente.
Arrivai in ufficio puntuale e mi stupii di trovare nella sala d'aspetto due persone. Il primo era un uomo, alto un metro ed ottanta circa e robusto come un gorilla che aveva esagerato con gli esercizi fisici. Avra' avuto una trentina d'anni circa. Viso squadrato ed occhi neri che scrutavano in giro con aria spietata. Indossava un vestito da damerino che stonava addosso a lui. Giacca, pantaloni neri e camicia bianca. Nessun fazzoletto spuntava dal taschino, ed un leggero rigonfiamento sotto il braccio mi diceva che i muscoli non erano la sola arma a sua disposizione.
La seconda era una donna, di una trentina d'anni e portati d’incanto. Aveva i capelli lunghi di un biondo ramato che le ricadevano sulle spalle come una cascata di luccicanti rubini. Occhi azzurri attenti e pronti a rubarti l'anima. Indossava una gonna stretta color crema, una camicia bianca ed una giacchetta beige; anche se i vestiti non erano esageratamente aderenti, non nascondevano le curve del suo corpo. In testa indossava un cappellino con tanto di veletta, uno di quegli affari che nelle vetrine delle boutique sembrano dei polli spennati, ma su quella particolare testa sembrava una freccia pronta ad indicare: qui c’e' una donna.
E che donna.
L’unica cosa che stonava, nel suo abbigliamento, era il paio di guanti bianchi che portava sulle mani e che non mi permettevano di vedere le sue dita.
– Lei e' Philip Marlowe, l'investigatore? – chiese l’uomo con voce imperiosa.
Risposi: – Cosi' dice la mia carta d'identita'.
La donna sorrise ma non nascose la bocca come fanno le altre donne. Aveva dei bei denti curati.
– Vorremmo ingaggiarla per un lavoro – disse alzandosi e mettendosi di fronte a me.
Aprii la porta e li feci accomodare nel mio studio privato, quattro schedari da ufficio di cui tre pieni solo d’aria, una scrivania di finta noce, tendine che avrebbero avuto bisogno di una lavata e due poltroncine. Mentre aprivo le persiane si sedettero sui due divanetti di fronte alla mia scrivania. Anche in questo la donna agi' diversamente da tutte le altre femmine che erano entrate nel mio ufficio. Si sedette infatti comodamente, mentre le altre, di solito, usavano solo pochi centimetri del sedile, forse per paura che fosse sporco.
In effetti avevano ragione, prima o poi dovro' dare una bella ripulita a questo immondezzaio.
Mi sedetti a mia volta e presi la mia pipa tra le mani, poi spinsi un pacchetto di sigarette verso i miei ospiti.
– Grazie ma non fumiamo – si scuso' la mia interlocutrice.
Le lanciai un’occhiata mentre caricavo la pipa con il mio tabacco preferito, poi, molto lentamente, la accesi con un fiammifero.
– Cosa posso fare per voi – chiesi infine.
– Ho bisogno che lei mi trovi una persona – prese dalla sua borsetta una foto e me la passo'.
Ritraeva un uomo sulla quarantina, capelli biondi piuttosto lunghi e trasandati, occhi scuri, occhiali da quattro soldi. Si vedeva solo il torso e neanche bene, ma si poteva intuire che non era una persona particolarmente atletica. Anzi doveva essere abbastanza gracile.
– E perche' lo cercate, signora... – lasciai cadere il discorso, ero curioso di sentire il suo nome.
– Cynnos, Beverly Cynnos – si presento' lei – e lui e' Antony Krily – disse indicando l’uomo – La mia guardia personale. Ho fondato, proprio al centro di Los Angeles, una societa'... pero' l’ho fatto assieme a quell’uomo, Edward Milles. Ora ho la possibilita' di vendere la maggioranza delle azioni ad un ricco uomo d’affari del Texas, ma ho bisogno della firma di tutti e due i soci.
– E questo signor Milles e' sparito, vero? – intervenni. La donna annui' muovendo la sua bella testolina.
– Sappiamo solo che e' scomparso dal suo alloggio da alcune settimane, niente di piu' – disse ancora – Crede di poterlo trovare entro non molto? – mi chiese sbattendo le ciglia.
Misi le cose in chiaro subito – Non ho molti elementi su cui indagare e non posso promettervi nulla, ma faro' il possibile. Il mio costo sono trentacinque dollari al giorno piu' le spese.
– Vanno bene cento dollari come acconto? – mi chiese ed io li accettai come manna dal cielo, poi le feci firmare la ricevuta. Non era stato un buon periodo ed il mio conto in banca boccheggiava come una carpa in un fiume in secca.
Li salutai e li scortai all’uscita dicendo loro che mi sarei fatto sentire non appena avessi scoperto qualcosa.
Mi sedetti di nuovo alla mia scrivania. Avevo pochi elementi a mia disposizione ma alcuni amici in varie societa' di trasporti forse mi avrebbero potuto aiutare. Rimasi per un certo tempo a riflettere su come muovermi e come agire. Il telefono pero' squillo' prima che potessi decidermi.
– Signor Marlowe? – disse una voce strascicata dall’altra parte della cornetta. – Sono io – risposi.
– Vorrebbe guadagnare cinque bigliettoni da mille dollari senza fare nulla? – mi disse.
Sorrisi tra me e' me – Vorrei anche volare ma non ho le ali – risposi.
– Non faccia lo spiritoso – mi ringhio' contro l’altro – La nostra offerta e' questa: non accetti nessun caso e receda da quelli che ha stipulato ed entro un mese avra' la sua paga. Un affare onesto.
Rimasi in silenzio a pensare poi parlai – E chi devo ringraziare per questo? – chiesi.
– Non e' affar suo – rispose il mio interlocutore – Faccia il bravo e ricevera' dei soldi, non lo faccia e ricevera' del piombo caldo – fini' e chiuse la comunicazione.
Sospirai e mi versai da bere da una bottiglia di whisky che tenevo nel cassetto della scrivania. Possibile che non si possa mai fare un lavoro pulito? Feci le mie telefonate per sapere qualcosa sull’uomo scomparso, ma nessuno dei miei contatti aveva mai sentito parlare di Edward Milles. Forse aveva usato un nome falso per sparire dalla mia citta'. La giornata fini' che non avevo scoperto nulla di nuovo, tranne che i cinquemila dollari mi erano stati offerti per non trovare Milles. Infatti nessun altro era venuto a chiedere i miei servigi e percio' si poteva ragionevolmente credere che non volessero che ritrovassi lui.
C'era qualcosa sotto, ma non riuscivo a capire bene cosa.
Chiusi le luci e l’ufficio e scoprii che qualcuno aveva infilato sotto la porta della sala d’aspetto una busta senza mittente. La aprii, vi trovai dentro una banconota da mille dollari ed un biglietto. Lo lessi: ‘Bel lavoro. Continua cosi' e ne avrai altri quattro’. Rimisi i soldi nella busta e me la infilai in tasca, poi tornai nel mio ufficio e composi il numero della centrale di polizia, dopo di che mi feci passare il mio amico Bernie Ohls, il capo della squadra omicidi. Dopo che ci fummo amichevolmente insultati a vicenda gli chiesi se sapeva qualcosa di un certo Edward Milles e quando mi disse di no glielo descrissi. Ottenni un bel buco nell’acqua e qualche parolaccia per l’ora tarda.
Con tutti quegli elementi mi diressi a casa.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La mattina dopo mi capito' il classico colpo di fortuna. Almeno cosi' lo interpretai io.
Arrivai in ufficio presto ed aprii le persiane facendo fluire all’interno la luce. Un grosso moscone continuava a sbattere il suo capo contro il vetro ed io lo aiutai ad uscire. Mentre ero intento in quell’opera francescana, la porta si apri' ed entro' un tipetto strano. Era basso, portava due baffoni alla Charlie Chan neri ed i suoi capelli unti erano appiccicati alla testa. Era brutto ma questo non mi spavento, mi spavento' molto di piu' la sua pistola che non mi guardava con affetto.
– Marlowe, lei non ha capito il messaggio – disse chiudendosi alle spalle la porta e sedendosi sulla poltrona dei clienti facendomi segno di accomodarmi a mia volta.
– Con chi ho l’onore di parlare? – chiesi appoggiando e mani sulle mie ginocchia.
L’altro sorrise, i suoi denti non incontravano un dentista da parecchio tempo, – Non e' importante, sono solo un ambasciatore. Lei ha intascato i nostri mille dollari ma ha fatto delle domande in giro. Non erano questi gli accordi.
Misi la mano in tasca e gli lanciai la busta, – Ecco i suoi soldi, non li ho toccati – gli dissi e con l’altra mano impugnai da sotto il tavolo la mia ’38, – Ed in piu' le voglio dire che il vostro accordo non mi interessa.
– Non e' nella situazione di poter rifiutare Marlowe – disse sorridendo ed intascandosi i soldi, – Potrei ucciderla e non verrei mai arrestato.
– Io potrei ucciderla e non verrei arrestato. Chi arresta l’uccisore di uno scarafaggio? – risposi sorridendo. Una goccia di sudore scese lungo la tempia dell’uomo.
– Sta bluffando, e' disarmato – disse, ma la sua voce non era piu' tanto ferma.
– La mia ’38 che impugno sotto la scrivania non la pensa cosi' – gli risposi sorridendo a mia volta – E’ un’arma piuttosto pesante una ’38, a questa distanza potrebbe farle un buco in pancia ed il proiettile finirebbe nella stanza accanto. Sicuramente verrebbe sbattuto contro il muro con violenza, ma non penso che se ne accorgerebbe.
– E va bene – disse lui cercando di rimanere calmo e posando la sua pistola sul piano della scrivania.
Io mi alzai lentamente ed impugnai la sua arma, e poi gli legai le mani con una corda.
Mi dovevano aver preso per un sempliciotto se mi mandavano un pesce piccolo a spaventarmi. Tra l’altro un pesce cosi' piccolo che mi era bastato parlargli per disarmarlo. Gli sfilai il portafogli dalla tasca dei pantaloni. Era un oggetto da poco, e puzzava di nuovo. All’interno c’era solo una banconota da cinque dollari spiegazzata.
– Devo pensare a cosa fare con te – gli dissi ripugnato, poi lo sbattei nel piccolo bagno annesso al mio ufficio e lo chiusi dentro. Uscii dallo stabile e mi infilai nel bar sottostante a far colazione. Mentre aspettavo di essere servito misi due gettoni nel telefono del locale e composi un numero. Pochi istanti dopo mi rispose una voce femminile che bene conoscevo.
– Anna sono io – dissi semplicemente.
Sentii come uno sbuffo dall’altra parte, – Scommetto che mi hai chiamato perche' hai bisogno di aiuto per un tuo caso – mi disse – Mi chiami solo per quello – lascio' cadere la frase ed io feci finta di niente, anche perche' aveva ragione.
Anna Riordan l’avevo conosciuta qualche tempo prima mentre mi occupavo di uno spinoso caso di ricatti e strani furti. Al nostro primo incontro, l’avevo considerata solo una stupida ficcanaso che scriveva articoli insulsi per giornali scandalistici, ma poi l’avevo conosciuta meglio. Era la figlia di un poliziotto che era stato costretto a dimettersi per essersi messo contro dei colleghi corrotti ed era estremamente in gamba. Ogni volta che pensavo ad una possibile signora Marlowe, cosa che accadeva assai di rado, vedevo lei. Forse proprio per questo evitavo accuratamente di frequentarla troppo spesso. Se l’avessi sposata, sarebbe stata la perfetta moglie di un poliziotto... ma a me non piacciono le mogli dei poliziotti.
– In quanto riesci ad arrivare da me? – chiesi.
Sbuffo' di nuovo – Se parto subito in quindici minuti, penso – rispose.
– Bene allora fallo – le dissi – Quando arrivi sotto il mio ufficio non salire ma telefonami. Poco dopo vedrai uscire dal mio stabile un tipo basso, baffi alla Charlie Chan, capelli neri unti, vestito con un completo grigio perla. Dovresti seguirlo e poi dirmi dove e' stato – mi fermai a fare mente locale cercando di capire se avevo dimenticato qualcosa, poi aggiunsi – Stai attenta, lui non e' tanto pericoloso ma i suoi compari si.
Lei rise, aveva come sempre una risata cristallina che ti faceva venire voglia di sentirla per sempre, – Ti ho gia' aiutata, non ti deludero'.
– Stai attenta, i suoi soci sono tipi che non scherzano e non ci penserebbero due volte ad ucciderti – le dissi, lei mi rassicuro' ancora e chiuse la comunicazione dicendo che sarebbe partita subito.
Io mi sedetti e mangiai la mia colazione con la netta impressione di aver fatto una cosa sbagliata.

Dieci minuti dopo lasciai i soldi sul mio tavolino del bar e tornai in ufficio. Da dietro la porta del bagno continuavano a giungere dei mugolii. Avevo fatto proprio bene ad imbavagliarlo, almeno non dovevo sentire le sue imprecazioni. Cinque minuti dopo il mio telefono squillo' e la calma voce di Anna Riordan mi avviso' che era pronta. Misi giu' la cornetta, e sbirciai dalla finestra. C’era parecchia gente in strada e non riuscii a notare Anna. Doveva essersi messa uno dei suoi insulsi cappellini, solo cosi' non sarei riuscito a scorgere i suoi capelli castano–rossicci.
Aspettai ancora qualche minuto e poi aprii la porta del bagno. Il mio amico era sempre nella stessa posizione e mi guardava con negli occhi un profondo odio. Non ci feci caso e lo feci alzare di peso, cosa che mi riusci' facile visto che era proprio piccolo.
Mentre lo slegavo gli dissi: – Ho deciso cosa fare di te – lui si massaggio' i polsi e mi guardo' con paura – Ti lascero' andare, voglio che tu riferisca al tuo capo che se vuole propormi un accordo o anche solo parlarmi, deve venire di persona – gli sorrisi e gli ridiedi la sua pistola. Ero tranquillo, l’avevo scaricata e lui avrebbe potuto usarla solo come arma contundente. Dimostro' intelligenza non facendo nulla ma andandosene, non si prese neanche la briga di insultarmi. Io mi sedetti alla mia scrivania ed accesi la pipa, poi aspettai.

Aspettai per piu' di un’ora ed inizia a preoccuparmi. Non era la prima volta che utilizzavo Anna come pedinatrice ma, in questo caso, sentivo di aver sbagliato. Non avevo che qualche tassello del mosaico, ma quello che sapevo mi faceva sentire a disagio. Il telefono squillo' in quel momento risvegliandomi da quei foschi pensieri. Sollevai la cornetta meccanicamente.
– Phil sono io – la voce di Anna non mi sarebbe parsa piu' bella – L’ho seguito fino al porto poi mi e' sfuggito... – fece una pausa come riprendendo fiato – Ma ho scoperto che ha preso un taxi che l’ha riportato in citta'. Ho l’indirizzo dello stabile in cui e' entrato!
Sospirai, come al solito aveva svolto il suo compito meglio di quanto potessi sperare, – Bravissima, ora torna qui cosi' possiamo andare a pranzo – le dissi sorridendo tra me e me.
– Questa volta me lo sono proprio meritato – aggiunse lei prima di chiudere la comunicazione.
Chiamai la mia committente ma sfortunatamente trovai solo il suo gorilla. Riferii che non avevo novita' salvo la visita che avevo avuto quella mattina. Tralasciai il fatto che l’avevo fatto seguire.
Poi chiusi la comunicazione e scesi per pranzare.

Fu un buon pranzo e passato in buona compagnia. Anna fu felice del fatto che mi era stata molto utile. Terminato il pasto riuscii, con un’impresa titanica, a convincerla a tornare a casa. Non volevo coinvolgerla piu' del necessario. Forse perche' non volevo abituarmi ad averla per troppo tempo attorno. Quando ci si abitua ad un sogno, si potrebbe anche decidere di non lasciarlo piu' andare. Lei entro' nella sua auto e poi si allontano' con la mia promessa che l’avrei chiamata per altri lavori eventuali...
Quando entrai dentro la mia sala d’aspetto trasalii.
Seduta in attesa c’era un angelo.
Beverly si alzo' e mi si avvicino'. Pareva agitata.
– Sta bene? – la sua voce era concitata – Sono venuta appena ho saputo.
Capii che aveva bisogno di qualcosa, cosi' aprii la porta del mio studio e la feci entrare e sedere sulla poltroncina.
Mentre armeggiavo con la bottiglia dello Scotch lei si alzo' ed inizio' a camminare avanti ed indietro nervosamente, facendo ticchettare i tacchi sul pavimento.
– Non pensavo potesse essere pericoloso – inizio' preoccupatamene a balbettare – Io... non volevo... credevo fosse facile... che non ci fossero altri coinvolti... che fosse fuggito per...
Era giunta al limite e c’e' solo una cosa da fare quando succede.
Mi spostai vicino a lei afferrandola per le braccia e la baciai. All’inizio si irrigidi' poi si lascio' andare.
Baciava bene.
Quando ci staccammo lei torno' a sedersi sulla poltroncina afferrando con due mani il bicchiere mezzo pieno di scotch che le avevo messo davanti. Poi fece una sciocca risatina imbarazzata.
Io tornai sulla mia poltrona e decisi di rompere il ghiaccio.
– Non deve preoccuparsi – afferrai la pipa per istinto e la soppesai accuratamente nella mia mano – Di cose del genere me ne sono capitata parecchie, quel tipo non mi ha colpito.
Lei bevve un lungo sorso con le mani che le tremavano e che causarono la tracimazione del liquido che bagno' i suoi guanti. Ma dopo il sorso riprese un po’ di colore.
– Se vuole abbandonare il caso...
– Non se ne parla, ho preso un incarico e lo portero' a termine.
Lei sorrise e si alzo' facendo frusciare la gonna.
Io la accompagnai fino all’uscio.
– E’ stato molto gentile – mi disse prima di salutarmi – E mi scusi, non sono solito lasciarmi andare cosi'.
– Non l’ho mai pensato – lei mi sorrise mostrando i suoi splendidi denti bianchi – E non si preoccupi per il caso. Oggi ho intenzione di andare a trovare il nostro gangster da strapazzo...
Nei suoi occhi comparve un lampo di paura.
– Stia tranquilla – le dissi con calma – Non e' riuscito a farmela una volta e non ci riuscira' certo ora.
Lei mi regalo' un ultimo sorriso che avrebbe risvegliato un morto e poi se ne ando'.

Meno di un’ora dopo ero in strada pronto a prende la mia Olds. Fui fortunato, con il traffico ed in meno di quindici minuti giunsi nell’isolato del mio mancato “persuasore”. Parcheggiai la macchina in un vicolo e mi avviai a piedi verso lo stabile che Anna mi aveva indicato.
Stavo per attraversare la strada per raggiungerlo quando vidi il mio uomo. Camminava tranquillamente lungo il marciapiede di fronte al mio. Io mi misi a seguirlo. Lui continuo' per la sua strada e poi fece per attraversare. Stava venendo diritto verso di me.
Improvvisamente un’auto nera sbuco' da un vicolo facendo stridere le gomme ed accelero' verso di lui.
L’impatto fu secco e la macchina, dopo aver sbandato, accelero' e si dileguo' svoltando in una strada laterale.
Io corsi al capezzale dell’uomo solo per scoprire che era gia' passato dall’altra sponda. Velocemente lo perquisii e intascai il suo portafoglio. Alcune persone si erano avvicinate per guardare.
Io mi voltai verso di loro: – Vado a chiamare un’ambulanza! – dissi e mi allontanai.
Raggiunsi un telefono pubblico e controllai il portafogli.
Non c’era fretta di chiamare i medici, quell’uomo non sarebbe andato da nessuna parte.
Controllai con calma ed alla fine, quando ebbi soddisfatto la mia curiosita', chiamai gli aiuti.
All’interno trovai indicato il suo nome, Kurt Steiner, e l’indirizzo di residenza indicava lo stabile che conoscevo. Trovai anche dieci dollari che lasciai nel cappello di un barbone.
Mentre io mi infilavo nello stabile, sentii le sirene dei soccorsi.

Quando giunsi sul pianerottolo indicato dal suo indirizzo, dopo aver abilmente schivato il custode dello stabile, rimasi per un attimo allibito.
Sulla porta era stampigliata in lettere chiare la frase: “Kurt Steiner – Investigatore Privato”. Devo dire che reagii alla notizia come un pesce impagliato reagisce ad un’esca.
Forzai la serratura ed entrai. Lo studio era molto piu' accogliente del mio ed anche molto piu' pulito.
Controllai in fretta gli schedari ed i cassetti della scrivania.
Trovai solo alcuni appunti nella sua agenda:
19 febbraio: ricevuto incarico da B.M. – 500$ Anticipo + 2000$ di esca.
21 febbraio: visita a Marlowe.
23 febbraio: riscuotere il compenso – 500$.
Evidentemente non sarebbe riuscito a riscuotere il resto del suo compenso.
Non pensavo fosse prudente fermarmi oltre, probabilmente la polizia stava iniziando a fare domande e non ci avrebbero messo molto ad arrivare in questo ufficio.
Cosi' uscii, chiamai un taxi e me la filai.

Giunsi in ufficio piu' confuso che mai.
Poteva essere una coincidenza che la visita che Steiner mi aveva fatto, fosse tra un anticipo ed il suo saldo completo. Pero' io non credo alle coincidenze.
Qualcuno l’aveva pagato per fingersi un gangster e per spaventarmi, inducendomi a non indagare sul caso Edward Milles. Il punto era, chi lo aveva fatto?
Sicuramente la stessa persona che l’aveva eliminato... ma l’aveva eliminato solo per eliminare un testimone scomodo oppure per impedirgli di essere scoperto da me? Ed in questo secondo caso, come poteva il mandante sapere che avevo scoperto il suo recapito?
L’unica risposta era che avessero visto e seguito Anna quando aveva, a sua volta, seguito Steiner.
Si' era l’unica spiegazione.
A dire il vero ce n’era un’altra... ma non mi piaceva per niente!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Quella sera mi rigirai nel letto piu' volte non riuscendo a prendere sonno. Troppi pensieri mi affollavano la mente e non era una cosa a cui ero abituato. Cosi' mi alzai dalla mia cuccia, indossai il mio solito abito e mi preparai una tazza di caffe' nero.
Mentre ero intento nel titanico compito di capire cosa fare dopo il caffe', il mio telefono squillo'.
Sollevai la cornetta ed immediatamente una voce di donna che ben conoscevo inizio' a parlare: – Philip per favore... e’ successa una cosa terribile... io... io... Sembrava sul punto di scoppiare a piangere, io la rassicurai che l’avrei raggiunta entro pochi minuti.
Uscii ed incredibilmente ritrovai la mia macchina, nonostante il sonno, cosi' che, giunsi alla casa della mia cliente precisamente tredici minuti dopo. Entrai nella grande magione e bussai alla porta.
Beverly mi venne ad aprire tremante e praticamente mi cadde tra le braccia. – E’ terribile... – mormoro' con un filo di voce.
Per la prima volta da quando l’avevo conosciuta non indossava i guanti, l’anulare della mano sinistra era stranamente arrossato ma per il resto, aveva delle belle mani.
Io la sollevai in braccio e la riportai dentro, chiudendo alle mie spalle la porta. La adagiai su un divanetto e gli versai un’abbondante dose di whisky prendendolo da un mobile bar li' vicino.
Lei bevve avidamente e riprese un po’ del suo colorito.
– Raccontami cosa e’ successo – le dissi.
Le bevve ancora un sorso e poi parlo': – Mi ha telefonato un uomo... poco prima che ti chiamassi... mi ha detto... ha detto...
Io mi avvicinai a lei e la presi tra le braccia per rassicurarla: – Vai avanti – la esortai.
– Mi ha detto che hanno rapito Edward! – fece un lungo sospiro – Hanno detto che visto che non ho risposto alla loro richiesta di riscatto l’avrebbero ucciso! Ma io non ho ricevuto nessuna richiesta! L’ho detto, ma loro hanno risposto che non mi credevano e poi... poi... – tremo' violentemente ed io dovetti stringerla piu' forte – Poi... ho sentito la voce di Edward che urlava e poi ho udito uno sparo...
Parve come crollare tra le mie braccia. La cullai per un lungo istante: – Non ti hanno detto altro?
– Si... mi hanno detto che... che avrei trovato... il corpo... al magazzino 15, molo ovest... – mormoro'.
Mi disse anche che aveva chiamato Antony Krily dopo di me chiedendo aiuto e la sua guardia del corpo sarebbe giunta entro breve... quella sera era la sua serata libera e per quello non era con lei. Attesi che si fosse ripresa e, quando lui giunse, la lasciai e mi diressi verso il porto.
Arrivai in quindici minuti e trovai il magazzino cinque minuti dopo.
Entrai con circospezione ma appena lanciai un’occhiata dentro capii che non era necessaria. Lo spazio era completamente sgombro a parte una sedia a cui era legato un uomo, un tavolo ed un’altra sedia.
Lo raggiunsi senza fretta, da come teneva il capo capii che oramai non sarebbe piu' andato da nessuna parte.
Era indiscutibilmente Edward Milles, o almeno lo era stato.
Aveva le mani legate dietro lo schienale della sedia e le gambe alle gambe. Un grande pezzo di nastro adesivo era appiccicato sulla sua bocca. Un ancora piu' grande, foro di proiettile gli ornava con una macchia rossa, il petto, come un sinistro fiore all’occhiello della camicia. Le mani erano escoriate cosi' come i polsi, probabilmente aveva cercato di forzare le corde. Le dita erano orribilmente ferite.
Mi guardai attorno.
Vicino c’era il grande tavolo completamente sgombro cosi' come l’altra sedia.
Toccai il cadavere, era freddo come un pezzo di ghiaccio.
Con passo veloce uscii e mi diressi verso un telefono per chiamare gli sbirri.

Quando raggiunsi l’apparecchio, dall’altro capo del molo mi fermai ed invece della polizia composi il numero della mia cliente.
– Beverly c’e’ un problema – le dissi quando sentii la sua voce rispondere.
– Hai trovato il suo cadavere? – chiese con un filo di voce la donna.
– No e’ proprio questo il problema – mentii – Non ho trovato nessun cadavere!
Ci fu un attimo di silenzio: – Ne sei sicuro? – mi chiese con un filo di voce – Sei sicuro di essere nel posto giusto?
– Magazzino 15, molo ovest... niente di niente a parte la puzza di pesce – risposi.
– Aspettaci li'... arriveremo subito... – chiuse la comunicazione.
Senza rendermene conto presi una sigaretta d’in tasca e la accesi. Nonostante fosse di buon tabacco sentii le boccate amare come non mai, cosi' mi affrettai a gettarla in mare.
Tutta quella faccenda era disgustosa e troppo complessa e morbosa per essere vera. Dovevo concludere tutto in fretta... e se le mie supposizioni erano giuste non ci avrei messo molto.

Giunsero presto, ma impiegarono piu' tempo di quanto avessi pensato. Fermarono la grande auto a pochi metri dalla porta del magazzino e scesero.
Io li aspettavo all’interno, vicino al mio, poco loquace, nuovo amico.
Quando entrarono Beverly si blocco' per un istante inorridita, si strofino' le mani nervosamente, poi entrambi avanzarono con passo deciso fino a trovarsi di fronte a me.
– Cosa significa tutto questo? – mi chiese lei con voce roca – Perche' mi hai detto che non c’era niente... mi hai mentito!
Io mi spostai alle spalle del cadavere appoggiando le mie mani sulle sue spalle.
– Anche tu mi hai mentito – appoggiai le mani sulle spalle del morto – Ad esempio non mi hai detto che eri sposata...
Lei trasali' per un attimo poi parlo': – Come l’hai capito? – chiese.
– Portavi sempre i guanti... l’unica volta che ti sei fatta vedere senza avevi il segno della vera sul dito... – mi spostai dietro il cadavere – ... e se posso azzardare un’ipotesi questo e’ tuo marito... o almeno lo era... –
Notai che Krily aveva impugnato una pistola e me la stava puntando contro.
– Lasciatemi indovinare – dissi cercando di non farmi vedere troppo impressionato – Aveva scoperto che tra di voi due c’era una storia e cosi' l’avete freddato... poi avete escogitato un piano. Avreste assunto un investigatore privato per ritrovare questa persona, l’avreste imbambolato bene con delle frottole, gli avreste fatto credere che lo scomparso era stato rapito da una banda di gangster fino all’apoteosi con il ritrovamento del cadavere qui al molo... – sorrisi – ...e l’investigatore in questione avrebbe giurato, di fronte agli sbirri, che i gangster fossero i responsabili – scossi il capo – Un buon piano, anche se troppo arzigogolato, ma purtroppo per voi avete assunto il solo investigatore privato di LA che sa ancora fare il suo lavoro –
– Quasi tutto giusto... dove abbiamo sbagliato? – chiese Beverly. Ora non sembrava piu' scossa, anzi il suo viso si era teso in una maschera di crudelta' che non la faceva piu' sembrare cosi' bella.
– Avete assunto un incompetente per fare finta di essere un gangster, in piu' ti sei lanciata troppo fra le mie braccia ma soprattutto, mi hai raccontato di aver “assistito”, via telefono, all’uccisione di Edward ma il telefono piu' vicino e’ dall’altro lato del porto... – risposi.
Anton Krily inizio' a ridere: – L’avevo detto che era troppo furbo – ruggi' – Avrei dovuto investire te invece dell’altro investigatore –
– Si avresti dovuto – mormorai senza scompormi – Ma poi avreste dovuto tentare di far abboccare un altro gonzo –
– Uccidilo – disse distrattamente Beverly – Cambieremo la versione. Lui ci ricattava dopo aver rapito il mio caro marito. Quando sei arrivato qui lui l’aveva gia' ucciso ma tu, per fortuna, sei riuscito a sparargli prima che fuggisse –
L’uomo sorrise in maniera feroce e poi torno' a fissarmi. La mano sull’arma si preparo' a farmi salire tra le celesti schiere.
– Getta la pistola! – la voce del mio amico Bernie Ohls mi parve far parte di un coro di angeli – Siete in arresto per l’omicidio di Edward Milles e quello di Kurt Steiner –
Da dietro gli scatoloni sparsi per il magazzino sbucarono i suoi uomini. Devo dire che, da quando facevo quel lavoro, non ho mai apprezzato la polizia tanto quanto quel momento.
Ancora un po’ e mi sarei messo ad applaudirli.

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