All the small things di Sorella_Erba (/viewuser.php?uid=18628)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. And I thought to myself “Man, I wish I had those pants!”. ***
Capitolo 2: *** 2. A dog that will fetch a bone, will carry a bone. ***
Capitolo 3: *** 3. Maybe - Merlin, you know that conversation we had about knocking... ***
Capitolo 1 *** 1. And I thought to myself “Man, I wish I had those pants!”. ***
All the
small things.
{ Tanti, troppi
diversi modi per provarci.
- And
I thought to myself “Man, I wish I had those
pants!”.
Era
entrato nella camera, turbolento, sorprendendo l’inserviente
che era trasalito
per l’improvvisa incursione. Via la casacca, via la maglia,
gettate alla
rinfusa sul letto.
«Li
vedi
questi?». Batté le mani sulle cosce, sorridendo
maligno.
Merlin
fece l’espressione più stanca che i suoi
lineamenti gli permettessero; ma
Arthur non era mai stato un tipo accondiscendente, né dal
cuore friabile e
dall’animo sensibile.
«Sono
sporchi. Umidi». Fece una pausa che lasciò Merlin
perplesso. «Bagnati, non
so se mi spiego».
«Credo
di
sì, sire, ma…».
Arthur
si
avvicinò, con passi misurati, attenti, il ghigno
perennemente sulle labbra.
Intrappolò quel corpo gracile con estrema
facilità, come un predatore con il
suo pasto.
«Bene.
Toglimeli».
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Capitolo 2 *** 2. A dog that will fetch a bone, will carry a bone. ***
2. A dog that will fetch a bone, will
carry a bone.
«
Domattina si va a caccia, Merlin », aveva detto Arthur, tutto
esaltato, entrando nelle sue stanze e posando sul tavolo spada e scudo.
« Vedi
di non romperti l’osso del collo inciampando in qualche
radice ».
«
Non lo farò, sire ». E come al suo solito, Merlin
aveva ribattuto
con la risposta sbagliata. O meglio, sbagliata in rapporto a
ciò che pensava
realmente. Se fosse stato un suo maledetto pari, gli avrebbe di certo
risposto
di star attento al suo, di collo.
Anche
se, per quello, c’era già lui.
All’inizio
era sembrato tutto fin troppo stravagante e
Merlin si era sentito completamente estraneo alla situazione: trovarsi
da solo,
in una camera in compagnia di Arthur – proprio lui, quel
principe ereditario sfrontato
e presuntuoso che non riusciva a stimare come proprio destino
– lo aveva gettato nella più profonda confusione,
avendo
sentito montare nel petto una sensazione di disagio che gli aveva
pervaso tutto
il corpo fino a bloccargli i muscoli. Ogni movimento, anche il
più semplice, era
risultato essere arduo, e puntualmente Merlin aveva finito per
rovesciare
qualcosa sul pavimento. E questo, aveva mandato il principe fuori dai
gangheri per
un numero infinito di volte.
Ripiegò
con un sospiro l’ultima maglia e la pose sulla
pila che aveva ordinatamente messo su quel pomeriggio, dentro
l’armadio, dopo
aver sgombrato la tavola dai resti del pranzo, rassettato il letto,
spazzato il
pavimento, spogliato il principe dell’armatura e portatogli
la cena.
Ora,
era diverso – lievemente diverso, ma pur sempre costituiva
un passo avanti. Le cose erano cambiate e il loro rapporto era
migliorato. Se
prima c’erano state unicamente parole taglienti sulle loro
lingue e scontrosità
nei loro sguardi, adesso almeno riuscivano a convivere per
l’intero arco di
tempo in cui Merlin doveva svolgere i suoi compiti da servitore, senza
troppe
discussioni. Anche se Arthur, forte della sua posizione preminente,
spesso
stuzzicava il suo servo con battutine sferzanti, e l’unica
cosa che Merlin
poteva fare era mordersi la lingua per non ribattere pesantemente.
Circostanze,
quelle, molto simili all’attuale.
«
Avrei finito con le vostre vesti », informò
Merlin, chiudendo
l’armadio e voltandosi a fronteggiare il principe.
Arthur,
seduto sul seggio davanti al camino, a contemplare
le fiamme, un bicchiere di vino stretto in mano, annuì col
capo. « Bene ».
Merlin
asserì a sua volta, scuotendo la testa e
mugugnando. « Be’, col vostro permesso, vorrei
ritornare da Gaius… ».
«
Ma certo, va’ ».
Merlin
batté le mani e sorrise, sospirando di sollievo. «
Perfetto, buonanotte sire ».
Non
attendeva risposta, tant’è che si era lanciato
verso
la porta veloce come una saetta. Stava per chiudersela alle spalle,
degustando
già il piacere di un pasto caldo e di un buon bagno, quando
Arthur lo richiamò.
Merlin trattenne un’imprecazione a stento, alzando gli occhi
al soffitto prima
di immettere la testa scarmigliata nell’apertura fra la porta
e l’asse.
«
Sì? ».
Arthur
spostò lo sguardo dal camino per adocchiarlo; per
un momento, Merlin vide baluginare nei suoi occhi una strana scintilla.
«
Domani staremo tutta la giornata fuori », avvisò
il
principe. « Tutta. Ho qualcuno da presentarti, non so se hai
avuto già il
piacere di conoscerlo ».
Merlin
aggrottò la fronte, confuso, non capendo dove
volesse andare a parare Arthur con quella discussione.
«
Ah, vattene a dormire ».
Merlin
sospirò stancamente, la mano ancora stretta attorno
al pomello della porta.
Se
n’era andato. Chiaro l’avesse fatto, visto che la
stanza era vuota, silenziosa e pure sottosopra. Al solito, giubbe di
diverso
colore erano state accatastate sopra le lenzuola disordinate del letto
e i
resti del cibo della sera precedente erano stati dispersi sulla
superficie
dell’intero tavolo – e il tavolo,
c’è da dire, era abbastanza spazioso. Arthur
non mostrava mai quel decoro che era solito esibire durante i
ricevimenti o le
cene in compagnia del sovrano, mai, e il suo comportamento da padrone
pretenzioso
significava solo lavoro in più per Merlin… per
quanto Merlin si potesse
affaccendare come un ossesso. Bastava solo che il principe si
allontanasse per
qualche ora che lui riusciva a finire lavori di lunga durata in poco
più di una
manciata di minuti.
Merlin
tese una mano nel vuoto della stanza e mormorò
parole incomprensibili in una lingua sconosciuta ai più: le
vesti si
riordinarono compostamente nell’armadio, le lenzuola
avvolsero il letto, senza
pieghe, e i resti del cibo si raccolsero sul vassoio che, al ritorno,
Merlin
avrebbe sceso nelle cucine. Soddisfatto, chiuse la porta e
ritornò indietro,
scendendo le scale e portandosi al cortile. Arthur senza dubbio si
trovava
nelle stalle, sbuffando in attesa del cavallo pronto e con la solita
cricca di
compagni che l’avrebbero accompagnato in quella divertente esperienza. Ma arrivato
giù alle scuderie, Merlin stentò
a credere a quel che aveva davanti: Arthur aveva già sellato
ed imbrigliato il suo
bianco stallone e ora stava gli strigliando la criniera; dei cavalieri
di
Arthur, peraltro, non c’era l’ombra.
«
Ma… », cominciò Merlin, dubbioso.
Arthur lo interruppe
col solo sguardo.
«
Meglio tardi che mai ».
«
Non sono stato avvisato dei vostri spostamenti
improvvisi, sire ».
Arthur
sbuffò con voce acuta e Merlin udì, seppur non
distintamente, le parole ‘spostamenti improvvisi’
ripetute a mo’ di presa in
giro.
«
Procurati un cavallo, Merlin. S’è fatto tardi
».
Merlin
assentì silenziosamente all’ordine e si
allontanò
in direzione di un box.
«
I vostri compagni…? », domandò,
accarezzando il puledro
scuro e sistemandogli le briglie attorno alla testa.
«
Non sono affari tuoi, questi, o sbaglio? », fu la
risposta del giovane Pendragon, che gli arrivò smorzata per
via della distanza
e delle pareti.
Merlin
alzò gli occhi al cielo e, redini in mano, condusse
in cavallo fuori dalla stalla.
«
Ricordi cosa ti ho detto ieri sera? ».
L’inserviente
sollevò lo sguardo dal suo lavoro, fermando
la striglia sul manto del puledro. Arthur lesse curiosità
nei suoi occhi e
manco poco che gli scoppiasse a ridere in faccia.
«
Dovevo presentarti qualcuno ».
Il
principe lanciò un fischio breve ed acuto e Merlin
guardò insicuro il sorriso che, in seguito, era spuntato
sulla bocca di Arthur.
Da fuori la stalla provenne un latrato inferocito e nel giro di pochi
secondi
Merlin dovette cercare qualcosa, un qualsiasi cosa gli permettesse di
stare a
qualche metro da terra.
Un
cane, e non un cane normale
– un piccolo, innocuo cagnolino – bensì
un enorme Harrier, accorse al fischio
di Arthur e si piantò davanti a Merlin mostrando i denti in
una maniera che il
ragazzo definì crudele.
«
Questo è Brutus », ghignò allegro
Arthur, le nocche
poggiate ai fianchi e il petto in fuori, portandosi accanto
all’animale.
E ti
renderà la
caccia un inferno, Merlin.
Durante
la cavalcata in direzione della foresta, Merlin
ringraziò mentalmente Dio per la geniale idea di creare i
cavalli, mezzo di
trasporto sicuro che sapeva tenere alla larga bestie ingrate quali i
cani della
stazza di quel Brutus.
Da
parte sua, Arthur, qualche metro più avanti di Merlin,
non poteva far altro che spassarsela più o meno apertamente:
le espressioni del
suo servitore, ogniqualvolta Brutus gli si avvicinava, erano da
riportare su
una tela per timore di dimenticarle.
Cosa
che infastidiva alquanto Merlin – Arthur non faceva
nulla per allontanare la bestia dall’inserviente. Piuttosto,
faceva
apprezzamenti sulle sue qualità di cattura, e Merlin non
riusciva a trattenere
brividi di terrore e disgusto.
«
Ha un fiuto speciale per una specie altrettanto
particolare, sai? », gli aveva detto Arthur, i capelli
indorati dai colori
dell’alba.
«
Oh, davvero? E quale specie? ».
Il
ghigno che gli si era allargato sul viso non aveva nulla,
nulla di rassicurante.
«
Lo scoprirai da te ».
Ora
che erano arrivati, Merlin non se la sentiva proprio,
di scendere. Arthur, con un balzo aggraziato, smontò dal suo
cavallo e cercò un
posto adeguato dove legarlo.
«
Non scendi? », fece divertito al servo.
«
Se magari teneste a bada… ». Merlin si
pizzicò il labbro
inferiore con gli incisivi ed indicò con un movimento della
testa Brutus,
accovacciato vicino alle radici di un albero.
«
Oh, santo cielo, Merlin
».
Merlin
mugolò un momento prima di simulare l’atto di
scendere. A quella mossa, il corpo di Brutus scattò
repentino sulle zampe
anteriori, ponendosi in posizione di attacco.
«
Ce l’ha con me, quell’affare ».
Arthur,
allontanatosi per legare lo stallone, ritornò sui
suoi passi sbuffando. Con entrambe le mani tenne fermo Brutus per il
collare,
mentre Merlin smontava dal puledro e andava a legarlo vicino al cavallo
di
Arthur. E mentre armeggiava con le briglie, tentando di allacciare un
nodo, udì
chiaramente il suono delle zampe di quel dannato cane, attutito dalle
foglie
secche sparse sul terriccio, e il suo fiato appesantito dalla corsa.
Non riuscì
a non urlare ai quattro venti un’imprecazione quando Brutus
gli si gettò
addosso di peso, scaraventandolo malamente a terra, percorrendo di
schiena una
distanza considerevole dal punto in cui era fermo prima.
La
risata di Arthur fu il sottofondo meno appropriato per
quella dolorosa scena.
Gli
stivali del principe apparvero improvvisamente alla
destra di Merlin, rosso in viso, mentre tentava di togliersi di dosso
il peso
di Brutus, invano.
«
Calma, bello, calma ». Il tono della voce di Arthur era
parecchio divertito. « Va’ a farti un giro, ora
».
Quel
che aveva fatto Arthur e quello che, poi, fece Brutus
lasciarono Merlin esterrefatto. Toccandosi con mani tremanti il petto
ora
libero di alzarsi ed abbassarsi ampiamente, il ragazzo
guardò il suo padrone
con sguardo allibito.
«
Avete lasciato che- ».
Arthur
si chinò su di lui e portò un indice alla bocca,
sgranando teatralmente gli occhi e riducendo la bocca ad una morbida
fessura
tondeggiante.
«
Sai qual è la specie preferita da Brutus? ».
Merlin
continuò ad osservarlo incredulo con una smorfia
sul viso.
«
Quella degli idioti. Pronto a sopportare un altro peso
addosso? ».
N/A.
Perdonatemi
eventualmente se troverete degli errori, vado di fretta xD Vi ringrazio
per le vostre righe, avete fatto la mia giuoia.
tinebrella
– Iiiiooo,
iooo! *O* Ormai lo sai
anche meglio di me: ispirano proprio scene ridicole e sporcellose,
questi due
xD Ti adoro <3
harderbetterfasterstronger
–
Aw, grazie mille! Spero che quest’episodio sia stato
altrettanto
allettante del precedente xD
cainhx
–
Guarda,
questa raccolta è stata scritta principalmente per
soddisfare il mio schifoso
desiderio di vedere Arthur che, nelle situazioni meno adatte, stuzzica
l’appetito sessuale di Merlin. Sono un disastro, lo ammetto,
ma che vogliamo
farci. Saranno tutte così xD
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Capitolo 3 *** 3. Maybe - Merlin, you know that conversation we had about knocking... ***
- Maybe - Merlin, you know that conversation we
had about knocking...
Double-drabble
(215
words).
«Oh».
La
prima cosa che avrebbe voluto (e forse dovuto) fare, era piantarsi due
dita
negli occhi. Già.
Non
che mai avesse creduto (e forse pensato… o immaginato) che
Arthur, Arthur Pendragon, non
provasse un
bisogno simile.
Era
mattina, e si sa che la mattina è naturale ritrovarsi in
fastidiose condizioni di
visibile ardore. E il principe era umano, per quanto si sforzasse di
mostrarlo il
meno possibile. Un ragazzo. Come lui.
Poteva
perfettamente capire.
«Mer…
Merlin».
Solo
che in quel momento era disteso fra le lenzuola scomposte, senza fiato
(e forse
non solo per via del suo non così
inaspettato
ingresso); aveva le guance umide e rosse, gli occhi lucidi e ancora sul
viso
impressa l’espressione stordita di chi
s’è totalmente abbandonato alle proprie
fantasie. E ragionare e capire diventava una vera sfida.
Merlin
boccheggiò e tentennò un istante, prima di
correre letteralmente fuori e lasciarsi
Arthur dietro alle porte delle sue stanze.
«Non
volevo. Mi dispiace».
Stranamente
la cena, quella sera, sembrava avere un sapore gradevole. O forse era
la
situazione a rendere gradevolmente saporita la brodaglia preparata da
Merlin.
«Se
ti prendessi la briga di bussare… Ne abbiamo discusso molte,
molte volte».
«Vedete,
io… io non ho una buona memoria».
«Oh.
Ho appena trovato il modo per fartelo ricordare».
Quel
maledetto ghigno.
A
Val, che mi manca tanto.
N/A.
Io…
mh. Mi dispiace. Davvero ;_; Non ho scuse e perciò mi sto
zitta, sperando che
questo affarino (ispirato dalla battuta di Arthur nell’ultimo
episodio della
prima serie – Merlin, you know that
conversation we had about knocking – usata anche
nel titolo) riesca a far
breccia e a farmi perdonare. Non so se ritornerò ad
aggiornare con la stessa
costanza (?) di un tempo: secondo trimestre, e gli esami di
maturità si fanno
sempre più vicini.
Ringrazio
chi ha commentato la one-shot precedente e fuggo <3 Bacione!
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