Fly Little Wagtail di SakiJune (/viewuser.php?uid=25189)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** Chapter One. ***
Capitolo 3: *** Chapter Two. ***
Capitolo 4: *** Chapter Three. ***
Capitolo 5: *** Chapter Four. ***
Capitolo 6: *** Chapter Five. ***
Capitolo 7: *** Chapter Six. ***
Capitolo 8: *** Chapter Seven. ***
Capitolo 9: *** Epilogue. ***
Capitolo 1 *** Prologue. ***
Veterani del fandom, nuovi lettori, voi che siete capitati qui per
sbaglio, salve.
Questa storia nasce senza nulla di scontato: la trama era delineata in
modo da poter essere contenuta in mille parole, o anche meno; ma poi
nuove sottotrame si sono aggiunte e sto ancora cercando di venire a
capo con il finale. Spero di riuscirci.
In questo fandom è arduo stabilire cosa sia fanon e cosa canon, perciò
cercherò di fare un po' di chiarezza man mano che i personaggi vengono
fuori... Clarissant è assolutamente canon, ma la caratterizzazione è
mia, ed è molto diversa da quella di altre fanwriter.
Mi attengo principalmente alla linea di Malory, ma non disdegno qua e
là accenni alle Nebbie di Avalon o altri spunti presi qua e là in Rete,
e soprattutto IMMAGINANDO. La grafia dei nomi è varia e si riferisce al
mio gusto personale. "Morgana" è in italiano, per esempio, ma "Arthur"
in inglese. Perdonate questo capriccio.
E chiedo scusa in anticipo anche per eventuali anacronismi, sono molto
ignorante in questo. Spero di non aver inserito patate o pomodori da
nessuna parte.
Saki
FLY LITTLE WAGTAIL
PROLOGO.
Storia,
che così presto ti trasformi in leggenda! E tu, leggenda, che come
l'edera svelta ti abbarbichi sulla realtà passata... per nasconderla?
Camuffarla? Rendere sopportabile la sua vista agli occhi degli uomini nuovi?
Forse. Io però non credo che la gente di quest'era sia migliore, o che
creda ancora al Bene e al Male come entità di potere. Da sempre ogni
uomo ha in sé un'anima generosa e un'anima crudele, ed è dalle sue
scelte, consapevoli o no, che si dipanano gli eventi. La magia, che
oggi nessuno sa più incatenare e sfruttare per sé, aleggia sugli stagni
come nebbia o si addensa, multiforme, nei boschi non ancora spazzati
via dalla furia distruttrice del progresso.
Si narra che un tempo lontano, nelle isole Orkney, verdi e fredde ed
echeggianti di richiami d'uccelli marini, vivesse un sovrano
altrettanto gelido, spietato e calcolatore. Il suo nome era Lot, figlio
di Thorfinn, e un tempo il suo dominio si estendeva su Gododdin, la
terra che oggi si chiama Scozia e che in suo onore fu ribattezzata
Lothian.
Lot sognava di conquistare la Britannia, strappandola al suo legittimo
re Uther Pendragon nonché agli invasori sassoni che già avevano preso
possesso di vasti territori. Ma gli alleati di Uther erano pericolosi,
e decise di mantenere un basso profilo per accattivarsi la sua fiducia:
ricevette in verità un dono da Uther, oscuro e prezioso, che gli
permise di entrare a pieno diritto nella leggenda, cosa che solo con la
sua ambizione non avrebbe raggiunto.
Quel dono aveva un volto, e un ventre, e un nome: Morgause, primogenita
del defunto duca Gorlois, che fu sua sposa e madre dei suoi molti figli.
Era una donna creata a sua somiglianza, si sarebbe detto, al pari di
lui glaciale e crudele. Quando la follia lo spinse infine a sfidare
Arthur, legittimo erede di Uther, fu sconfitto e privato delle terre
del Lothian, e infine ucciso nella battaglia di Terrabel. Ella gli
sopravvisse di buon grado.
Un episodio, giunto da testimonianze antichissime, racconta che una sua
figlia rimase incinta senza aver marito, ed egli, considerandolo un
disonore troppo grande, la scagliò dalla finestra.
Non sono qui ora per intessere le lodi di questo sovrano, che non lo
merita affatto. Ma di fronte ad un così arbitrario tentativo di
distorcere i fatti, ben più nobili e delicati, non posso che prendere
la penna e tentare di raccontarvi ciò che realmente accadde alla
principessa di Orkney, che fu prima sposa fedele di un cavaliere
cristiano, e poi regina delle sue isole; e che mai recò in sé un frutto
d'amore, ma fu madre nel cuore e nelle azioni, fino alla fine.
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Capitolo 2 *** Chapter One. ***
CAPITOLO UNO.
Dove incontriamo la nostra
protagonista, ed ella incontra una persona sgradita che le ordina di
tacere sul vero assassino di sua madre.
Clarissant di Orkney era solita classificare ogni persona che la
circondasse con una specie diversa di volatile.
Quando
era piccola, sua madre teneva nel parco alcune pavoncelle. Come
resistessero a quel clima, era piuttosto insolito; comunque il
divertimento più grande per lei e Gareth, in quei tempi spensierati,
era rincorrerle fino alle soglie del bosco, o finché la cugina Morvydd
non li richiamava a gran voce sguinzagliando i servi a recuperare i
pennuti.
- Non date dispiaceri a vostra madre, non ne ha proprio
bisogno - tagliava corto con lei, soffermandosi invece ad accarezzare i
riccioli di Gareth. Tutti adoravano suo fratello.
Lui era lo scricciolo, pensava. Lei la ballerina gialla,
con quello stupido vestito di lana che Morvydd le faceva sempre
indossare.
Morvydd era un'allodola che non sembrava sentire affatto la nostalgia
di casa, nonostante il castello di re Uriens fosse tanto lontano. E sua
madre era...
Era.
I tempi belli erano finiti, Gareth era partito per Camelot, come i suoi
fratelli prima di lui
(Il
falco, Gawain. Lo spioncello, Mordred. il pulcinella di mare, Gaheris.
E il gabbiano, Agravain, con le sue strida di folle dispetto)
e la primavera successiva un cavaliere sconosciuto con lo stemma
azzurro e bianco sul petto aveva cominciato le sue visite.
- Sssst - le dicevano quando si sentiva arrivare un cavallo, e la
spedivano nella sua stanza.
Morvydd
era strana, in quel periodo. Borbottava da sola e progettava di tornare
a casa, perché "Tanto la signora è tale e quale alla mia". Voleva
dire che Morgause e Morgana si somigliavano, ma Clarissant non capiva
cosa ci fosse di male. E poi non era vero, zia Morgana era più bassa e
più magra.
Un'uria che vola sulla superficie del mare e sa già su quale pesce
tuffarsi.
Clarissant
aveva smesso di salutare al mattino la Piccola Sconosciuta, l'isoletta
che si ergeva verdissima di fronte al golfo. E non trovava più gusto a
rincorrere le pavoncelle, sola com'era. Il
cavaliere misterioso occupava tutta la sua fantasia; d'altronde non
aveva molto a cui pensare, se non a come se la cavasse lo scricciolo
Gareth "laggiù". Sotto le ali del falco Gawain, probabilmente.
Morvydd
era rimasta a filare ininterrottamente per una settimana, cosa che
faceva soltanto quando era inquieta, dopodiché Clarissant l'aveva vista
consegnare una lettera ad un servo che era partito immediatamente per
la terraferma. Non aveva dimenticato quell'episodio, e non si stupì
quando, durante una delle visite del cavaliere azzurro, aveva udito un
altro rumore di zoccoli al galoppo. Un altro stemma celeste, tra
l'altro, aveva notato. Ma le due strisce bianche non erano dritte,
bensì incrociate...
- Gaheris! - aveva gridato, correndo
incontro al fratello. Era felice di rivederlo, c'erano così tante cose
che doveva chiedergli... sul suo scricciolo, naturalmente, e
sul pulcino di falco, Gingalain, che era nato l'anno prima.
Ma
Gaheris era smontato da cavallo, armato, e non l'aveva degnata di uno
sguardo, entrando dal portone con un viso così feroce che Clarissant ne
tremò tutta. Lo scudiero, che aveva ben pochi anni più di lei, fu
invece cordiale e rispose a tutte le sue domande: Gareth non lavorava
più nelle cucine della reggia, era sopravvissuto alle angherie del
terribile Sir Kay (una poiana, fu il verdetto della bambina) e il Re
gli aveva già affidato un'importante missione, salvare una damigella al
Castello Periglioso. Agravain e Mordred erano sempre imbronciati e
cupi, e la moglie di Gawain attendeva un altro bambino. Era
incredibile
quante chiacchiere circolassero a Camelot, pensò. Ma
l'espressione di Gaheris di poco prima le era rimasta impressa così
vivamente che, esaurita la curiosità, aveva deciso di cercarlo in
casa...
In
quel momento il cavaliere misterioso era uscito dal portone correndo
come se fosse inseguito da una belva. Indossava il mantello a rovescio
ed era scalzo: nell'insieme le era parso divertente, ma sapeva pur fare
due più due e aveva intuito che doveva aver avuto un qualche scontro
con il pulcinella di mare.
Nell'ingresso non c'era nessuno, però.
E per quanto fosse ormai quasi abituata alla solitudine e alla
tranquillità, c'era davvero troppo silenzio.
-
Fratello? - aveva chiamato piano, affacciandosi ad uno dei cortili
interni. Gaheris era lì. Era smagrito, nervoso, ed aveva sussultato
quando si era accorto della sua presenza, ma senza voltarsi. Stava in
piedi davanti alla fontana, e teneva la spada sotto il getto
dell'acqua; i suoi vestiti erano macchiati di sangue.
- Siete
ferito? - aveva avuto il tempo di chiedere, prima di udire le urla di
sua cugina e di essere strattonata via dalla nutrice, raggiungendo
il secondo piano e poi la sua stanza a grida e spintoni, perché ormai
aveva capito che era accaduto qualcosa di tremendo e voleva sapere che
cosa.
Dalle sbarre
della finestra, quando ebbe smesso di piangere (e si era fatta ormai
sera) intravide un drappello di cavalieri in arrivo, tra cui riconobbe
Mordred e Agravain.
Il giardino era sporco di sangue e piume.
Gaheris aveva sterminato le pavoncelle, decapitandole una ad una,
e ricordava di essersi chiesta perché mai avesse lavato la spada prima
di compiere una simile strage.
Il mattino dopo si era svegliata
stordita e più stanca che mai. Non ricordava di essersi messa a
letto, ma qualcuno doveva avercela portata.
Aveva anche fame.
Provò
ad aprire la porta e ci riuscì. Sentì delle voci, alcune conosciute,
altre mai udite prima. Non aveva finito di scendere le scale quando un
uomo era sbucato dal salone e aveva alzato gli occhi a guardarla.
- Torna di sopra, bambina - le aveva detto, brusco.
Era
alto, più alto di qualsiasi uomo delle isole, e vecchio almeno quanto
Gawain. Se fosse bello o brutto, questo non lo sapeva
dire; aveva corti capelli rossicci, la barbetta a punta
e occhi penetranti. Portava abiti di colori vivaci e il suo
stemma era rosso, ma il suo viso era triste e tirato.
- Non sono
una bambina, signore, sono Clarissant di Orkney, e vi trovate nel mio
castello - rispose con aria altezzosa, imitando sua madre,
consapevolmente o no.
L'uomo aveva accennato ad un inchino, non tanto di rispetto quanto di
pietà:
- Sir Bedivere, cavaliere della Tavola Rotonda e duca di Neustria, per
servirvi.
Con sorpresa notò che non aveva la mano sinistra.
- Non ve l'ha tagliata mio fratello Gaheris, quella, spero.
-
Ques... oh! - Il duca sembrava turbato dall'innocente franchezza di
Clarissant. Gli era venuto in mente che la bambina potesse aver visto
qualcosa: in realtà aveva creduto a ben poco di ciò che
Gaheris aveva raccontato la sera prima. - Certo che no. Avrete
forse sentito parlare della battaglia di Mont-Saint-Michel... ma
ditemi, perché avrebbe dovuto?
Clarissant
lo condusse in giardino e gli mostrò i cadaveri delle pavoncelle
irrigiditi al sole del mattino, freddo ma abbagliante.
- Ma sapete, la sua spada era già sporca. Prima.
Il
duca socchiuse gli occhi e annuì. Si aspettava una cosa del genere, per
quanto non gli facesse piacere che i suoi dubbi diventassero certezze
in modo così brusco.
-
Non ditelo a nessuno. Qualsiasi cosa vi chiedano, non raccontatelo a
nessuno, o questo castello crollerà nell'oblio del disonore, peggio di
quanto lo sia già.
Clarissant parve studiare le mura solide del
maniero, che contraddicevano qualsiasi nera profezia. Ma ciò che
restava della
sua famiglia non era là, in quel momento.
- Potrebbero fare del male a Gareth?
Lui
alzò un sopracciglio, come se avesse avuto un'intuizione, e capì che
era necessario mentire. - Potrebbero. - Ma fu con lingua sincera che
continuò, rinfrancandosi nell'affermare una candida verità: - E sarebbe
un peccato, perché è il ragazzo più gentile e buono d'animo
che abbia mai varcato la soglia di Camelot.
Rabbia le salì dallo
stomaco, sebbene non sapesse a chi fosse diretta: se al cavaliere
scalzo, a Gaheris o all'uomo che le stava davanti. Perché nessuno le
aveva mai parlato con tanta gravità. Era il volto dell'impotenza,
quello del duca di Neustria, il volto della morte. La sua fantasia di
bambina delle isole decretò: era un corvo fatto e finito.
Ma la ballerina gialla aveva paura, paura per il suo scricciolo.
Così si tenne dentro un segreto che quasi non conosceva, e che più
tardi volle far finta di non conoscere.
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Capitolo 3 *** Chapter Two. ***
Buongiorno.
Visto che negli ultimi tre giorni ho scritto più di due righe in tutto,
posso dirmi ottimista.
Siccome non vedo nessuno all'orizzonte, preferisco aggiornare, non sia
mai che non mi venga voglia di scrivere QUATTRO righe alla settimana
per non restare troppo indietro!
Le solite precisazioni:
Morvydd e Ywain (o Uwain, o Uwaine, come vi piace) sono gemelli e
accreditati come figli di Uriens nelle leggende gallesi. Non ricordo di
aver letto da nessuna parte (o può darsi che me lo sia sognato,
ultimamente mi succede anche questo) che Ywain muoia durante la Cerca,
anzi è più probabile che fosse tra gli eroi di Camlann, ma ho preferito
così. Chiamatelo bashing XD E il pairing Colgrevance/Morvydd è canon,
anche se non credo che i gallesi se lo fossero immaginato così
ingarbugliato.
Grazie a Caillean per aver messo questa storia tra i preferiti.
Saki
CAPITOLO DUE.
Dove Clarissant deve fare i conti con
nuovi luoghi, strani parenti e brutti incontri.
Non
c'era nessun motivo per cui Morvydd restasse sulle isole, aveva deciso
Morgana. Clarissant dovette seguirla, perché Gawain non voleva saperne
di tenerla a corte, e ben presto l'atmosfera tetra nel castello di re
Uriens aveva pesato sui nervi della bambina in modo irreparabile.
C'erano stanze dove non si doveva entrare, naturalmente, e parole che
non andavano pronunciate, e il cugino Ywain le era così ostile da
piantarle gli occhi addosso e sibilare: - Via, fuggite! - ogni volta
che la
incontrava.
Aveva riferito questo comportamento così spiacevole a
Morvydd, e le fu risposto con disinvoltura che non doveva considerarlo
un insulto, ma un buon consiglio.
- Ma lui mi odia! E anche voi mi
odiate, se parlate così! Oh, cugina, siete mai stata trattata così a
Orkney? Mia madre vi fece mai mancare nulla? Che cos'ho fatto per
meritarmi questo?
Morvydd sospirò. - Clarissant, mia madre è una
persona orribile. È lei, in pratica, a governare Gore. E quando è a
Camelot riesce a influenzare anche le decisioni di nostro zio...
credimi, Ywain
vuole il tuo e il mio bene, ma presto partirà. - Aveva l'aria
scoraggiata, ma non abbattuta. - Se riuscissi a sposarmi presto! Vi
porterei con me, ve lo giuro!
- E chi vorreste sposare? -
Clarissant era nell'età in cui l'universo maschile iniziava a prendere
una forma definita. - Siete innamorata?
Morvydd era innamorata,
eccome. Il cavaliere che aveva rapito il suo cuore si chiamava Sir
Colgrevance. Re Uriens sembrava tenerlo in grande considerazione, ma
Morgana aveva deciso che sua figlia non avrebbe sposato "uno di quei
fanatici della croce". Già Ywain l'aveva delusa informandola che
avrebbe partecipato ad una missione sacra, ma stranamente non aveva
protestato: sembrava addirittura felice che se ne andasse da Gore.
- Vostra madre teme Ywain, come lui se sapesse qualcosa su di lei.
Morvydd scrollò le spalle e rispose che sì, era possibile, ma non le
importava nulla.
-
E se vi facessero sposare qualcun altro? - azzardò una volta, ma non ci
provò più. Morvydd le disse che era una bambina stupida e ignorante e
che non doveva immischiarsi negli affari degli adulti. Non era più la
sua allodola, non cantava e non sorrideva... era diventata un'altra
persona, sotto l'influenza della madre.
Gli uccelli di Gore erano diversi, troppo diversi da quelli delle
isole. Nondimeno imparò a conoscerli.
Gareth si sposò. Quando Lady Lyonors,
la famosa damigella del Castello Periglioso, le scrisse che avrebbe
tanto desiderato averla con sé, Clarissant vide la luce dopo tanto
tempo. Le dispiace un poco separarsi da Morvydd, ma d'altra parte la
cugina era diventata così cupa e scostante...
Lyonors era
bellissima, e gentile, e affettuosa! E Gareth... era cambiato, sì, ma
era rimasto sempre il suo scricciolo. Le disse di essere dispiaciuto
per tutto ciò che aveva dovuto sopportare, ma che da quel momento in
poi la sua vita sarebbe stata diversa.
Gawain aveva regalato agli
sposi una residenza non lontana da Carlisle, e la prima cosa che
Clarissant notò fu che non c'era il mare. Non le sembrava possibile
vivere in un luogo dove, affacciandosi alla finestra, non si vedono
onde e scogli e gabbiani
(Agravain, già. Si era sposato anche lui, ma fu contenta che non
l'avesse invitata)
e la notte ha un rumore sconosciuto.
Criiii-criii.
Mi abituerò anche a questo, si disse.
Fu
il primo incontro con Lady Lynette a segnare definitivamente il suo
ingresso nel mondo degli adulti. Non era stato l'assassinio di sua
madre, né il soggiorno nel tetro castello di Gore, ma proprio la
conoscenza di quella dama arguta e fiera.
Anche lei era gentile, ma il pensiero che fosse la moglie di Gaheris la
faceva rabbrividire.
Rivedeva le pavoncelle sul prato, bianco rosso verde
e la spada sotto il filo dell'acqua
e il volto serio di Sir Bedivere: - Non ditelo a nessuno.
Non le disse che forse Gaheris aveva ucciso la loro madre, che il
cavaliere misterioso non aveva fatto niente di male
(o quasi niente)
eppure, alla fine, aveva pagato con la vita.
Non
le chiese nemmeno, con la consueta curiosità infantile, se fosse
davvero innamorata di suo fratello. Intuiva che lo era, e tanto le
bastava per non causarle dolore.
Questo significò per lei diventare donna: non soltanto custodire un
segreto, ma farlo in piena consapevolezza.
La
seconda moglie di Gawain aveva avuto un altro maschio, Florence. L'anno successivo,
morì dando alla luce Lovell. Il falco non sembrò portare il lutto in
maniera ostentata, anzi sembrava sereno e soprattutto occupatissimo con
gli affari di corte. Tempo dopo si risposò, ma non fu un'unione felice.
Quando
Clarissant aveva ormai compiuto i sedici anni, a Carlisle fu indetto un
torneo in occasione del compleanno della regina. Fu una settimana
festosa, ma che venne presto guastata da due spiacevoli incidenti.
Durante
il sorteggio degli sfidanti, Gaheris fu scelto per duellare con Sir
Bedivere. Clarissant provò un brutto presentimento, e alla prima
occasione si avvicinò al duca e gli espresse la propria preoccupazione.
-
Per chi mi avete preso, signora? Ciò che sappiamo non mi porterà certo
a smascherarlo in pubblico dopo tanti anni. Vincerà il migliore e in
questo momento, per me, lui è un mio fratello in armi come tutti gli
altri. È un periodo di festa, ricordate?
Clarissant fu un poco
rincuorata dalle sue parole, ma nondimeno non se la sentiva di seguire
la sfida. Finse un lieve malessere e si rifugiò in una delle tende
montate nel parco. Quale sorpresa fu trovarsi faccia a faccia con
Morvydd, l'allodola dei suoi giorni d'infanzia, la triste principessa
di Gore!
Fu felice di rivederla, ma trovò alquanto strano che se ne stesse là
tutta sola e non seguisse il torneo.
- Aspetto un figlio - le rivelò la cugina, brusca.
Re Uriens aveva acconsentito al suo matrimonio con Sir Colgrevance, e
le
era sembrato di toccare il cielo con un dito. Erano stati molto vicini,
le fece capire, e avevano finito con l'affrettare i tempi... Morgana
aveva capito tutto e le aveva fatto il peggior dispetto che la sua
anima perversa potesse mai escogitare: aveva rivelato al futuro genero
come non ci fosse traccia di fede cristiana a Gore, e che Morvydd
stessa seguisse le sue orme nella pratica della Vecchia Religione.
Orripilato
al pensiero di aver commesso un peccato doppiamente terribile,
Colgrevance aveva rotto la sua promessa, e Uriens, furibondo, aveva
alzato le armi contro di lui, avendo la peggio.
Ora Morgana
regnava con grande soddisfazione e lei era fuggita,
disperata e furiosa, ma decisa a non tornare mai più a Gore.
- Sir Colgrevance vi ha fatto un torto - dichiarò Clarissant - Avrebbe
dovuto ascoltarvi!
-
Lui non ha colpa, non ha colpa! È stato mio padre ad aggredirlo...
ed è stata mia madre a convincerlo ad abbandonarmi! E io non posso
certo fingere e vantarmi di essere cristiana, quando mio fratello è
rimasto
ucciso mentre cercava una stupida reliquia per innalzare la gloria di
Arthur Pendragon agli occhi del Papa!
Le parole di Morvydd non le
fecero granché impressione; aveva vissuto a Gore abbastanza per non
scandalizzarsi. Le promise che avrebbe parlato a Gareth e Lyonors, e
avrebbero trovato una soluzione.
Dopo la cena, però, le accadde
di rimanere sola con Gaheris. L'espressione ostile negli occhi del
fratello aveva una sola spiegazione: aveva origliato la conversazione
tra lei e il duca.
L'avrebbe uccisa.
Era la fine.
- Quanto sapete? - Senza giri di parole, così, l'aveva spiazzata. - Non
mentitemi, sorella, o sarà peggio per voi.
Clarissant
scoppiò in singhiozzi. - Non conta: non lo sa nessun altro. E Sir
Bedivere è il
primo a desiderare che il vostro segreto rimanga sepolto.
Gaheris
notò la coincidenza e non mancò di farla apprezzare anche a Clarissant:
poco prima, durante lo scontro, gli sarebbe bastato così poco per
assicurarsi il silenzio del suo sfidante!
- Sir Bedivere è molto
legato al re nostro zio, lo sapete meglio di me. Non vorrete incorrere
nella sua ira... pensate a Lynette! Non l'amate quanto lei ama voi? -
Indietreggiò, quando vide che la mano del fratello era corsa alla spada.
Incredibile, si preoccupava più per il corvo
che per se stessa? O cercava di sviare l'assassino che aveva di fronte
dal suo proposito più immediato? In quel caso, fu tutto inutile.
-
Voi non sapete nulla, lo credete
soltanto. Avete un'immaginazione fuori
dall'ordinario. Ragazzina sciocca, avrei dovuto uccidervi già allora...
- Cosa succede qui? Sir Gaheris!
Il re era tornato nel salone, accompagnato da alcuni dei cavalieri a
lui più intimi. Il duca era tra loro.
Nonostante
avesse appena assicurato al fratello che non avrebbe rivelato nulla, la
presenza del re le diede l'impressione che se non l'avesse fatto
sarebbe morta, se non quel giorno, in un'altra occasione.
Addio, ballerina gialla.
- Mia sorella è impazzita, farnetica. Levatemela di torno - improvvisò
Gaheris, ma spostò la mano dall'elsa della spada.
Clarissant si gettò in ginocchio davanti al re:
- Maestà, vi prego di credere alle mie parole: non sono folle, e sono
realmente in pericolo.
-
È la verità - confermò Sir Bedivere. - Credo sia opportuno che vostra
maestà convochi una seduta speciale. Non avrei mai desiderato rimestare
nel fango né procurarvi un dispiacere, ma non desidero si sparga altro
sangue innocente.
Lei si voltò a guardarlo con gratitudine, chiedendosi però quali
sarebbero state le conseguenze di quanto stava accadendo.
- Ha detto che voleva uccidere anche voi...
Udì
la propria voce echeggiare, come se non fosse stata sua; desiderò che
lui l'abbracciasse e la sostenesse, perché si sentiva tutt'a un tratto
tanto debole...
Tutto
fu buio e quando riprese conoscenza non era in un letto, ma
semplicemente distesa su un divano della sala e Gawain se ne stava
seduto al suo fianco con la testa tra le mani.
- Non dovete spiegarmi nulla, Sir Bedivere si è preso ogni
responsabilità sul vostro silenzio.
Certo, lui fa e disfa,
pensò con disappunto, ignorando i sentimenti così squisitamente
femminili a cui poco prima aveva avuto la debolezza di abbandonarsi.
-
Ma siete arrabbiato ugualmente - mormorò Clarissant, allungando una
mano. Gawain non si lasciò toccare e si alzò in piedi, con quella
fierezza scostante mista ad un malinconico rimorso che
sempre accompagnò la
sua esistenza.
- Abbiamo pur sulle spalle la morte di Sir Lamorak.
- Era l'amante di nostra madre... - gli ricordò Clarissant, rischiarata
da una nuova, feroce consapevolezza.
-
In questo momento assomigliate a nostro fratello Mordred, lo sapete? -
fu la risposta di Gawain, ancora più feroce. Da pari a pari, per quanto
lei fosse tanto più giovane e per di più una donna - perché il loro
sangue era lo stesso, tormentato e vendicativo, per quanto non malvagio.
Ma rendersene conto non era di per sé un vantaggio?
Gaheris
fu bandito da Camelot a tempo indefinito, e per uno strano scherzo del
destino Clarissant andò sposa a Sir Colgrevance. Non poté rifiutare; il
re e Gawain avevano imbastito quell'unione da tempo, l'uno spinto da
Morgana, desiderosa di intralciare i piani della figlia, l'altro forse
da sincera stima nei confronti del suo compagno in armi.
Scrisse
comunque a Morvydd, che una titubante Lady Lyonors aveva accettato di
ospitare presso di
sé, esprimendo il suo rammarico e augurandosi
che non le portasse odio.
Cara cugina,
vi rispondo brevemente per
rassicurarvi.
Non
provo la minima ostilità verso di voi, sia per l'affetto che ci ha
sempre legate, sia perché non avrei comunque potuto occupare il vostro
posto in questo momento.
Primo, è stato vostro marito a
rompere il fidanzamento; secondo, non vorrei comunque vivere
accanto
all'uomo che ha ucciso mio padre, anche se in tutta onestà credo che
sia stato solo costretto a difendersi... e non avrebbe potuto far altro
che vincere il duello, in quanto io stessa resi la sua spada
invincibile.
Ma poiché lo conosco, e l'ho amato,
so che renderà felice voi.
Morvydd, principessa di Gore, che non
ha dimenticato gli uccelli delle vostre isole
E
la fanciulla, che ora conosceva la paura ma non la malvagità (Gaheris
non era un mostro, soltanto un perdente, solo questo), non capì il
crudele sarcasmo di
quelle parole così ben scelte. Fu anzi felice della fiducia che Morvydd
le dimostrava confessando un segreto tanto compromettente. Le lesse
come una benedizione e andò incontro ad una vita nuova e serena, al
fianco di quel cavaliere biondo a cui, già lo sapeva, avrebbe voluto
bene.
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Capitolo 4 *** Chapter Three. ***
Cynon è il nome di Sir Colgrevance nelle leggende gallesi, e in teoria
lo è anche qui... ma in questa fic si riferisca a suo figlio. Nessuna
stranezza, se esiste Bors figlio di Bors, può esserci anche Cynon
figlio di Cynon :)
A me intrigano i nomi in generale. In questo fandom dove le varianti
sono numerosissime, mi piace pensare che alcune possano coesistere; che
un cavaliere possa avere sia un nome di battesimo, perlopiù gaelico, e
un altro, anglicizzato, da sbandierare a corte.
Ieri, mentre "aggiustavo" il capitolo con Malory alla mano, mi sono
resa conto che non posso
seguire la cronologia e la dinamica degli avvenimenti senza forzare e
falsare la storia che sto raccontando. Quindi via al what if,
freghiamocene altamente di luoghi, tempi e persone. Che vi sia gradito.
@Ilakey_chan: Sto scrivendo questa storia pensando a te e sperando di
farti felice. Perciò mi fa davvero piacere che tu riesca a cogliere
certe sfumature. Mi piacerebbe molto postare nella tua community, mi
sono iscritta ma ho davvero paura di fare pasticci tra etichette e
altro...
CAPITOLO TRE.
Dove conosciamo Branwen, figlia di
Gawain, e nel castello di Sir Colgrevance si riunisce una losca
congrega.
Non
fu facile, dapprincipio, convivere con le circostanze che avevano
condotto al loro matrimonio, con il fatto che Colgrevance avesse
abbandonato Morvydd e ucciso il padre di lei. Ma con il tempo,
Clarissant giunse a comprendere due importanti verità: egli anteponeva
la sua fede ai moti del cuore ed ogni sua azione, per quanto istintiva
e crudele, era paradossalmente dettata dalle più pure intenzioni;
Morvydd era la degna figlia di Morgana, e a lei legata, malgrado se
stessa, da qualcosa di oscuro e inevitabile... a Clarissant parve
solo allora di conoscerla davvero - una civetta mascherata da allodola.
La cugina non aveva prolungato più del necessario la sua
permanenza presso Lady Lyonors (che ne fu sollevata) ed era infine
tornata a Gore, perché a questo era destinata.
Clarissant
si trovo
così a crescere il piccolo Cynon, che per beffa e per fortuna portava
il nome del
padre; Lyonors ne aveva tratto la conclusione che Morvydd aveva
rinunciato al bambino per
sempre, senza lasciargli alcun marchio. Una volta messo al corrente
della
situazione, Colgrevance non si era tirato indietro nel riconoscere il
proprio
figlio naturale: fu una scelta saggia, perché non ci furono altri
eredi, né
maschi né femmine. Rassicurò la moglie che non intendeva fargliene
una colpa, e che non avrebbe rinunciato a lei. L'esempio del re, che
pure non aveva avuto figli dalla regina Ginevra e tuttavia l'amava con
tutto il cuore, doveva averlo ispirato, o forse era convinto dentro di
sé che fosse stata proprio la sua vecchia fidanzata a maledire la sua
famiglia; in ogni caso fu sempre cortese e
generoso nei suoi confronti, accordandole fiducia e libertà.
Che una simile disgrazia fosse opera di magia nemica o soltanto del
destino, Clarissant dovette ammettere che nonostante tutto il suo nido
non fu mai vuoto. Qualche tempo dopo l'arrivo di Cynon, giunse un altro
dolce fardello che la conquistò completamente. Gawain aveva ripudiato
la
sua ultima moglie, e le sue ragioni dovevano essere ben gravi, perché
dichiarò di non voler avere nulla a che fare con la bimba nata da quel
matrimonio. "Somiglia a sua madre in modo insopportabile" era tutto ciò
che gli si riusciva a tirar fuori sull'argomento, e tanto bastò alla
sorella per accoglierla tra le braccia.
- È la creatura più
deliziosa che abbia mai visto - commentò Gareth quando la vide per la
prima volta, durante una delle sue frequenti visite. - E somiglia a
Gawain più di quanto lui stesso voglia ammettere. Come si chiama?
Clarissant ridacchiò. - Il suo nome è Branwen, e so che cosa state per
dirmi...
-
"Bellissimo corvo"? Sembra calzare a pennello con la vostra fissazione
per gli uccelli. - Il suo sorriso sereno e innocente era qualcosa che
non sarebbe mai cambiato nel tempo. - Non ho dimenticato i nostri
giochi, sorella... io ero lo scricciolo, voi la ballerina gialla, e poi?
- E poi... tante, tante sciocchezze, Gareth. Ma il corvo era già stato
preso, vedete.
Proprio
mentre ammetteva che i suoi ricami infantili fossero così sciocchi,
Clarissant era arrossita in modo così vistoso che Lyonors credette che
si sentisse male.
Lui c'è sempre quando accade qualcosa
di brutto.
Lui. Non è cambiato nulla, lo odio
come un tempo.
Crescendo,
Branwen non deluse le aspettative di Clarissant. Era una bambina
sana e robusta dai capelli neri - forse da questo aveva avuto il suo
nome - e gli
occhi particolarmente grandi, il che le dava un'espressione di eterna
curiosità. La sua indole era docile, a volte passiva, e seguiva la zia
per ogni dove. Ma sotto quell'aspetto così mite si nascondeva un enorme
bisogno di verità e di affetto.
Nonostante suo padre evitasse di incontrare la figlioletta, ciò non
era sempre possibile. E Clarissant aveva raccontato a Branwen tutte le
imprese compiute da Gawain di cui era a conoscenza, tralasciando
l'inutile vendetta su Sir Lamorak, che non faceva proprio onore a
nessuno. Non c'era da stupirsi che ella fosse cresciuta adorandolo
senza speranza, sentendosi sempre più rifiutata e indegna del suo amore.
L'infanzia
finì presto per Cynon, che divenne scudiero di Sir Lionel e partì
da casa con grande entusiasmo. Clarissant credette di scorgere nella
nipote la stessa tristezza che lei aveva provato in una simile
occasione, quando Gareth aveva abbandonato le isole, ma il loro legame
di sangue era troppo debole e i loro caratteri troppo diversi. Semmai,
aveva sofferto della separazione da Lovell, che aveva servito
per qualche tempo Sir Colgrevance prima di ricevere l'investitura. Il
ragazzo sembrava sinceramente affezionato alla sorella e aveva più
volte
supplicato il padre di rivolgerle un poco di attenzione, ma invano.
Anche lui e Florence, d'altronde, con il tempo si fecero trasportare da
facili compagnie - anche all'interno della famiglia - che Gawain non
gradiva affatto: Camelot non era quella
cittadella di virtù che tanti bardi decantavano.
Gli anni passavano, e
ancora Branwen pensava sempre e soltanto ad escogitare un modo perché
il padre si accorgesse di lei e invidiava i tre fratelli maggiori.
Domande come: "Se io fossi un ragazzo, lui mi amerebbe?" e "Non sono
abbastanza buona?" imbarazzavano Clarissant oltre ogni dire.
-
Ma che dite! I vostri fratelli non sono in una posizione migliore della
vostra. - si spazientì un giorno, cercando di chiarire la situazione
una volta per tutte. - Egli li tratta come compagni d'armi, né più né
meno, tranne
quando si tratta di dar loro ordini. Gingalain è stato costretto ad
un matrimonio assurdo, e si strugge d'amore per questa fanciulla di
nome... oh, non ricordo! Lovell ci racconterà i dettagli stasera,
penso.
- Viene a trovarci, davvero? - A Branwen brillavano gli occhi, ma
Colgrevance zittì subito il chiacchericcio delle due donne.
-
Moglie, non mi pare che sposare la regina del Galles si possa
considerare assurdo. E mi spiace deludere la vostra curiosità su simili
sciocchezze, ma questa sera ci
sarà una riunione molto delicata... i panni sporchi di Camelot si
lavano
in casa nostra, vedete - concluse amaro.
Il marito aveva perso il buonumore già da
qualche tempo, e rischiava di farlo inquietare chiedendogli
spiegazioni. Nondimeno, in capo a una settimana, domandando alle
persone giuste, ebbe le risposte che cercava e furono peggiori di
quanto si aspettasse.
A corte stava per scoppiare uno scandalo: voci insistenti sostenevano
che Sir Lancelot, il prediletto del re
nonché la persona che Gareth ammirava di più al mondo, avesse una
tresca
con la regina, e che Colgrevance fosse tra coloro che desideravano
smascherare il tradimento.
La prima reazione di Clarissant fu: "Di nuovo?"
Di
nuovo segreti? Di nuovo odio? No, non doveva accadere. Sir Lamorak
era morto, eppure Gaheris era stato riammesso a Camelot e sedeva alla
stessa tavola di Sir Tor, che pure avrebbe volentieri sterminato tutta
la loro famiglia.
Gaheris, che l'aveva minacciata di
morte...
Non
fu sorpresa quando scoprì che l'istigatore delle voci era nientemeno
che Mordred. Si aspettava però che agisse allo scoperto, eppure
non aveva partecipato alla riunione segreta: aveva mandato Agravain,
un altro bell'esemplare di tatto e finezza. Si chiese
cosa pensasse Gawain di tutta la faccenda, ma non osò
intromettersi, sperando in cuor suo che alla fine il buon senso avrebbe
prevalso.
Quando i cospiratori tornarono, erano più numerosi di prima. Cavalieri
del Lothian, uomini di fiducia. Ma dov'erano il viscido Melehan, il
pavido Melou? Perché Mordred non rischiava il suo sangue, se davvero si trattava
di un'impresa semplice e onorevole?
L'indomani,
poco dopo l'alba, si udì un gran trambusto nelle cucine, e una serva
corse a chiamarla con una strana eccitazione sul viso: Branwen e Lovell
stavano discutendo, e in modo piuttosto animato.
Il ragazzo doveva
averle accennato a come si sentisse fiero di far parte di una simile
spedizione, abituato com'era a
fidarsi della riservatezza della sorella. Ma non si aspettava che,
sotto le spoglie di un'innocua damigella, si nascondesse la sua stessa
tempra.
Era o non era la figlia del falco? Aveva o no un becco forte e affilato?
-
Cosa vi fa credere che nostro padre sia contrario? Egli per primo non
desidera che il re venga ingannato. La verità deve venire alla luce, il
mio signore ha ragione... o non avete fiducia in zio Agravain e zio
Mordred?
- Cosa
me lo fa credere, chiedete? Voi non sapete mentirmi, questo vi dico. Il
vostro sguardo evita il mio, proprio adesso, e ora sono io a chiedere a
voi, fratello, chi è il vostro signore! Non siete più al servizio di
Sir Colgrevance, ricordate? Né siete costretto ad obbedire a zio
Mordred o a chicchessia!
- Ma Gingalain...
- Gingalain soffre!
L'avete detto voi! Farebbe qualsiasi cosa per dimenticare il suo amore,
si getterebbe in battaglia senz'armi, o nel fuoco, per placare la sua
passione... o screditare quella altrui!
- Dunque voi conoscete la passione?
Questa frase pungente era riuscita a far ammutolire Branwen. Si
voltarono a guardare la zia che li aveva ascoltati in silenzio.
-
Se fossi uomo, saprei dimostrargli obbedienza - fu tutto ciò
che riuscì ancora a dire la ragazza. Le sue guance erano infuocate, i
capelli erano sfuggiti all'acconciatura. Se qualcuno le avesse teso uno
specchio, non si sarebbe riconosciuta, cercando il volto della bambina
che
era stata.
- Lovell, per quanto porti stima a mio marito, questa
è una decisione grave e triste... lasciate che siano uomini più vecchi
di voi a commettere una tale imprudenza. Sento che non ne verrà nulla
di buono - dichiarò Clarissant.
Lo sentiva, e fortemente. Quel
gesto avrebbe messo in pericolo le loro esistenze, avrebbe fatto
crollare ogni certezza e disciolto ogni legame.
Le loro parole non servirono a nulla.
La
congrega
partì qualche ora dopo, lasciando due donne inermi ad attendere il
destino. Andò Colgrevance, l'uomo gentile e devoto che Clarissant aveva
sposato, andarono i fratelli di Branwen, tanto giovani e già con troppe
idee in testa, e andò con loro persino Sir Gromer, il burbero gigante
di Inglewood, che in altre occasioni non avrebbe mosso un passo senza
l'approvazione di Gawain. L'epoca della cortesia e dell'onore era
conclusa per sempre.
E quando si fece di nuovo giorno, e udì un galoppo in
lontananza, Clarissant sapeva già chi
si sarebbe trovata di fronte, ad
annunciarle sventura e distruzione.
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Capitolo 5 *** Chapter Four. ***
Vorrei precisare una cosa. Da questo capitolo in poi il pairing nella
storia comincia a delinearsi, e a qualcuno potrebbe dare fastidio la
notevole differenza d'età tra i due personaggi. Se è così, siete liberi
di non leggere, ma stiamo parlando di un'epoca in cui tale divario non
suscitava nessuno scandalo.
Ciò detto, buona lettura.
CAPITOLO QUATTRO.
Dove si piangono i morti e il loro
onore perduto, e la piccola Branwen si innamora.
Sir
Bedivere cavalcava davanti
a loro, in silenzio.
La strada verso Carlisle, luogo un tempo festoso e ameno e ora teatro
di morte,
sembrò fin troppo breve a chi non aveva fretta di scendere a patti con
la
realtà.
Clarissant teneva la testa china, pensando a come il marito fosse morto
con
disonore. Sir Lancelot era disarmato davanti ai suoi aggressori, ed era
stata
la spada di Sir Colgrevance che aveva usato per sterminarli, dopo
averlo
ucciso.
"...
e non avrebbe potuto far altro che vincere il duello, in quanto io
stessa resi la sua spada invincibile..."
Per quanto gli anni del suo matrimonio fossero stati sereni e
piacevoli, non riusciva a versare una sola lacrima per il marito. La
morte dei suoi nipoti era
tutt'altra
cosa, però. Sapeva di aver fatto tutto il possibile per dissuadere
Lovell, e se
né le sue parole dure né quelle accese di Branwen avevano sortito
effetto,
ecco... non poteva darsi alcuna colpa. Ciò non diminuiva il suo dolore
di un
briciolo, naturalmente.
Branwen invece guardava davanti a sé, i grandi occhi scuri spalancati e
fissi
sulle spalle dell'uomo che aveva portato loro una notizia tanto
orribile,
quanto preannunciata dagli incubi della notte precedente. Erano un poco
curve,
ma robuste; c'era nobiltà nella sua figura e forza nella mano che
reggeva le
redini.
Quando Sir Bedivere si voltò a chiedere alle due donne se
necessitassero di
bere o mangiare o fermarsi un poco, la ragazza sentì una nota di
limpida
amicizia vibrare in quella voce, diversa da tutte le altre che aveva
udito fino
a quel giorno.
- Affrettiamoci, invece - rispose, mentre si asciugava le lacrime
raffreddatesi
sulle guance. - Desidero essere accanto a mio padre, adesso più che mai.
Inchini
accompagnarono il loro
ingresso al castello, ma nessun sorriso. Branwen, scesa da cavallo, si
sentì di
colpo spossata dal viaggio e dall’emozione, e Sir Bedivere le porse il
braccio
per impedirle di cadere: aggrappandosi a lui, nel torpore che
minacciava di
farla scivolare nell’incoscienza, incontrò il suo sguardo chiaro e
sincero e
sentì un inspiegabile calore che la rianimò.
- Lasciatela! Avete fatto abbastanza, duca – Sir Bedivere si voltò e
lesse
tutto il disprezzo negli occhi della principessa di Orkney, ora
vedova e dama altera e irraggiungibile. Si era già chiesto in
precedenza cosa poteva aver compiuto di tanto ignobile da meritare
quell’odio
profondo e
imbarazzante, e si era ripromesso di chiedere consulto a Lucan – che di
donne se
ne intendeva un poco di più.
Ma c'era qualcos'altro ora. Un'altra donna. Quasi una bambina, su cui
non aveva il diritto di posare gli occhi...
Le due donne furono rifocillate e fu preparata loro una camera per
riposare. Clarissant si domandava, nel dormiveglia, quanto fossero
vicine al
luogo del massacro,
(quale corridoio, quale porta schizzata di sangue, il loro stesso
sangue?)
e finalmente ripensò all'uomo che aveva amato, senza più rimurginare
sulle sue colpe, e lo rimpianse sinceramente.
L'indomani
tutti sarebbero partiti per Camelot. Il Consiglio si sarebbe riunito
per decidere il da farsi, a porte sigillate, occupando ormai solo
metà della Tavola Rotonda.
Sir
Lancelot aveva già dalla
sua parte un gran numero di cavalieri: i figli superstiti di re
Pellinore, in primo luogo, avevano sentito risvegliarsi in loro
l'antico rancore contro il clan di Orkney e lo consideravano un motivo
più che sufficiente. Altri, comunque, avevano compiuto tale scelta
perché affezionati a Lancelot e davvero preoccupati per la sorte della
regina Ginevra, in quanto
Arthur Pendragon si era dimostrato fino ad allora un sovrano tanto
saggio quanto inflessibile con i traditori. Sir Lionel era tra
questi, e con un brivido Clarissant pensò che Cynon, in quanto suo
scudiero, era senza dubbio con loro.
Intuendo che sarebbe
stato difficile avere un colloquio con Gawain il giorno successivo, si
chiese se l'avrebbe fatto adirare presentandosi a lui durante la notte,
unendosi alla veglia per i cavalieri caduti nel loro stesso agguato.
Si
alzò, si rivestì e mentre chiudeva la porta si trovò davanti Branwen,
svegliata dai suoi pur lievi passi e decisa ad accompagnarla.
L'alba
non era ancora spuntata quando, alzando gli occhi asciutti, Sir Gawain
vide la sorella e la figlia entrare in quella camera di morte e
avvicinarsi a lui.
- Una parola, fratello, se voi e Iddio me la concederete - sussurrò
Clarissant.
- Non qui - rispose Gawain con voce roca. - Seguitemi.
Dall'ombra,
un'altra figura si alzò e uscì con loro alla fioca luce delle torce nel
corridoio. A differenza del fratello maggiore, Gareth aveva pianto.
Combattuto
tra la lealtà al suo re e al profondo affetto che lo legava a Sir
Lancelot, l'uomo che gli aveva insegnato a combattere e che aveva
creduto in lui sin dal suo arrivo a Camelot, sembrava prosciugato da
ogni certezza.
Raggiunsero
una sala, anch'essa debolmente rischiarata, e i tre adulti si
sedettero; ma Branwen si inginocchiò ai piedi del padre e là rimase,
mentre essi discutevano, attendendo invano una carezza.
- E dunque?
Non
solo il Consiglio reale era diviso in modo irrimediabile, ma la loro
stessa famiglia. In quella stanza semibuia erano in quattro, così
diversi l'uno dall'altra eppure uniti nelle intenzioni: Gawain, Gareth,
Clarissant e Branwen. Non venne Gaheris, a cui pure il re aveva
perdonato il suo crimine e le sue menzogne, né Mordred, che con le sue
parole flautate e subdole aveva condotto al massacro quattro cavalieri
del suo sangue.
- La spada che Sir Lancelot ha usato per compiere la strage...
-
Sorella, non avete colpe per le azioni di vostro marito. - sbottò
Gawain. Per lui era naturale e necessario interromperla, non solo
perché era una donna; era abituato a sentirsi piagnucolare addosso e
respingeva in anticipo questo genere di seccature. Ma siccome
Clarissant aveva al contrario bisogno di chiarire fatti importanti,
riprese il discorso senza badare alla sua freddezza:
-
Fu nostra cugina Morvydd ad incantarla. Sir Lancelot non poteva
saperlo, ma è dotata di vita propria... non meno di quella del re.
Gli
occhi di Gareth si accesero ed esclamò con foga: - Vedete! Io lo
sapevo, ve lo dissi! Non voleva far del male ad anima viva, lui è
innocente!
- Non ho mai detto di desiderare vendetta contro Sir
Lancelot, Gareth. - fu la risposta. - So cos'è l'onore, e ahimé, i miei
figli non ne hanno dimostrato. Cosa si aspettavano? Cosa credevano di
essere? A chi dovevano obbedienza, a me o a quello stolto,
stolto... oh, basta! Che fate, voi?
Aveva abbassato gli occhi,
svanita la foga, per decifrare il balbettio della figlia che si
aggrappava alle sue vesti, bagnandole di lacrime.
- Ho ten-tato... di dis-suadere Lovell... se l'aves-si fermato, f-f...
-
È la verità - confermò Clarissant. - Abbiamo fatto appello alla
prudenza e al rispetto verso di voi, ma credo fossero tutti davvero
convinti di agire per il meglio.
- Agire per il meglio!
Rendendo tutti quanti infelici! - Gareth aveva pronunciato quella
parola come se
avesse avuto un cattivo sapore. - Avrei parlato io stesso a Sir
Lancelot! Tutto questo si sarebbe evitato...
Caro, ingenuo
Gareth. Era l'unico a non essere mai stato sfiorato da invidie,
gelosie, macchinazioni, segreti. Per quanto ammirasse Gawain, la sua
forza e il suo valore, nel cuore di Clarissant non c'era affetto più
grande di quello che provava per lui.
- Se il mondo vi somigliasse... - mormorò la donna. Gareth le sorrise,
commosso.
Gawain
tentò di alzarsi, ma Branwen sembrava non avere intenzione di muoversi
dalle sue ginocchia. - Serbate le smancerie per tempi meno cupi.
Chiederò al re di mostrare clemenza verso Sir Lancelot, e lo farò in
nome dei suoi meriti - che non mi sono sconosciuti né sono svaniti
dalla mia memoria. E siano maledetti gli incantesimi di Morvydd e di
sua madre!
"Ma
poiché lo conosco, e l'ho amato, so che renderà felice voi"
No,
nemmeno Morvydd aveva colpa per ciò che era accaduto. Erano tutti
manovrati da qualcosa di più grande e terribile, a cui non potevano
sottrarsi.
C'era una ragione per tutto, ma non serviva a nulla cercarla, poiché
non apparteneva a questo mondo.
E tuttavia c'era.
Branwen
fu accolta dall'accecante sfarzo di Camelot e a sua volta l'accolse con
timida curiosità. Mai si era trovata davanti a tanti sconosciuti;
cavalieri, paggi e servitori, voci gravi e preoccupate, sguardi truci,
ma soprattutto nessuno che si occupasse di lei. Clarissant era intenta,
con Lady Lyonors, a consolare Gareth: l'ordine di assistere
all'esecuzione della regina era per lui una follia disumana, ma avrebbe
obbedito. Gawain sì, che aveva potuto rifiutarsi, ma era una cosa
ovvia: il re lo teneva in così gran conto da accordargli ogni
privilegio, e ancor di più adesso che Sir Lancelot era caduto in
disgrazia!
Passeggiava, dunque, con ancora sul cuore il peso della perdita dei
fratelli, ed esplorava corridoi e giardini come in sogno.
Non
aveva più incontrato Sir Bedivere da quando avevano lasciato Carlisle,
ma in un'occasione aveva udito la sua voce provenire da una porta
aperta. Non poté proprio trattenersi dall'ascoltare: sin dalla prima
frase, si sentì chiamata in causa.
- Chi ha mai
messo in dubbio le sue virtù? Ma quando afferma di non avere più figli,
vorrei ricordargli che non è del tutto vero; sembra indifferente al
futuro di quella fanciulla che pure ha generato!
- Dite che non ha anima? Sbagliate, lo conosco bene anch'io, se
permettete. - L'altro uomo aveva una voce stentorea e, anche se non
riusciva a vederlo, immaginò un fisico esuberante e un animo di
fanciullo. Quando ebbe occasione di conoscerlo, prima della guerra, non
ebbe bisogno di ricredersi sul suo conto. - Egli piange, ma solo quando
non ha nessuno attorno; sa
provare pietà e rabbia, tenerezza e rimpianto, ma l'orgoglio gli
impedisce di dimostrarlo. Io lo stimo, e lo ammiro...
- Fraintendete, come sempre! Chi
non lo stima? Chi può
muovergli un'accusa? Ma se ha sentimenti, perché non li rivela
all'unico bene che gli è rimasto?
- La desiderate,
fratello, ammettetelo. - La risata amara che seguì quelle parole le
diede un brivido di dispetto. - Perché non la chiedete in sposa? Se,
come credete, Gawain non si interessa di lei, non esiterà a
concedervela.
- Lucan, non cambierete mai, svergognato! Dovrei pensare a prender
moglie,
quando la nostra regina sarà messa a morte? Se qualcuno vi
sentisse...
Era successo tutto in un istante: Sir Bedivere si era
voltato, i loro occhi si erano incrociati e lei era fuggita, le guance
che scottavano, il cuore che batteva forte, e qualcos'altro che
non sapeva spiegare le si agitava dentro...
Parlavano di lei, di lei!
Non
credeva di essere già in età da marito, non si era mai chiesta come gli
uomini guardassero a lei. Sapeva che un giorno, confusamente lontano,
sarebbe diventata moglie di qualcuno oppure monaca in un convento,
se suo padre avesse stabilito così, e non considerava uno di questi due
destini migliore dell'altro.
Ma adesso...
Ricordò le ultime parole che Lovell le aveva rivolto: "Dunque voi conoscete la passione?"
E con una lacrima diede l'addio alla sua infanzia.
Avrebbe
avuto tempo di riflettere su questo ed altri misteri durante la guerra,
nel freddo, vuoto maniero dei suoi antenati. Dove ogni mattina i
richiami degli
uccelli marini sarebbero giunti puntuali a destarla da un sonno che
avrebbe
voluto durasse per sempre.
Quando non ci sarebbe stato ormai più nulla da attendere o sperare.
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Capitolo 6 *** Chapter Five. ***
Siamo quasi alle ultime battute e si sente.
Non c'è molto da dire perché mi sembra di parlare alle scogliere
insanguinate di Dover, che per carità, è meglio che niente. Giusto il
fantasma di Gawain, eccu.
Perciò mi rivolgo all'unico non-fantasma, Ilakey-chan:
Io detesto i "graalosi" e quindi se noti non ho approfondito affatto il
personaggio di Colgrevance. Per me è "un pezzo di carne con gli occhi",
come diceva mia nonna. In questo capitolo vedrai Cynon-figlio, ma
giusto per la cronaca, perché non amo neanche lui.
La terza moglie di Gawain... oops, non ho inventato neanche un nome,
per lei XD Temo che la tua curiosità rimarrà insoddisfatta, ma non
temere: puoi sempre scrivere tu la "storia non raccontata"! Ci sono
infinite possibilità di missing moments qui *va a nascondersi* Comunque
l'idea è che avesse un amante, nulla di che.
Come giustamente hai notato, non è tutta colpa di Mordred; è anche
colpa di Agravaine e soprattutto del re che ha avallato la congiura. E
ovviamente di quella spada maledetta... che spiega molte cose, tra cui
il fatto che non si possono ammazzare una dozzina di persone mentre ci
si difende con un'arma normale -.- O la spada è avvelenata o è magica,
punto XD
QUINTO CAPITOLO.
Dove Clarissant regna su Orkney, ed
evita un imbarazzante matrimonio alla nipote.
Che
Gawain non avesse mai ambito al trono di Orkney, nonostante gli
spettasse di diritto, era cosa vera e risaputa. Ma che non si occupasse
di ciò che accadeva lassù, che avesse
lasciato il maniero in decadenza e gli abitanti delle isole alla fame,
era una menzogna, una sporca menzogna uscita dalla lingua avvelenata di
Mordred.
Clarissant
se ne rese conto non appena vide le fiaccole accese che sembravano
darle il bentornato, mentre la nave attendeva la luce del giorno per
attraccare. Tanto vicina da far temere per la carena, la Piccola
Sconosciuta parve sorriderle, nera nel buio ma fertile nel ricordo: si
chiese se quel verde scoglio, l'isoletta di pastori che lei e Gareth
salutavano ogni mattina
dalla finestra, avesse mai avuto un nome...
Quando
venne l'alba, non furono più soltanto luci e luoghi ad accogliere lei e
Branwen, ma voci e inchini: erano a casa. L'unica vera casa che
potessero avere al mondo. Non Camelot, né Carlisle, né Gore; non il
castello dove aveva vissuto con il marito, né quello dove ora
Lady Lyonors si strappava ancora i capelli dal dolore.
Non lascerò mai
più la mia terra, promise a se stessa, nonché agli uomini
che la guardavano come se fosse una dea portata dal mare.
Né
il sangue che aveva intriso gli scogli di Dover, né i rantoli d'agonia
che erano echeggiati a Camlann erano giunti a lambire le coste di
Orkney, ma le notizie arrivavano ugualmente; prima che l'ultimo
degli alleati di Mordred sul suolo di Britannia fosse stato annientato,
il popolo delle isole aveva pianto la morte di Gawain e
salutato Clarissant come loro regina.
Saggi erano i nobili dell'Isola Grande, dura e sincera la lingua che
non aveva dimenticato.
Aveva
imparato ad essere egoista, e non lo avrebbe creduto possibile; si rese
conto che ciò era potuto accadere non solo per aver abitato in luoghi
diversi e vissuto situazioni difficili, ma perché aveva perduto tutto
quello che negli anni aveva temuto di perdere. Come chi possiede uno
scrigno di gemme, e le contempla ogni giorno e veglia inutilmente ogni
notte affinché non le rubino, ma quando esso infine vuoto nota sul
fondo una pietra opaca, insignificante, che ad un occhio attento si
rivela la più preziosa di tutte.
Non era rimasto nulla di ciò che
credeva di aver acquisito lungo il cammino, ma come il sole aveva
svelato al suo sguardo il castello dei suoi antenati, il presente le
aveva restituito più di quanto aveva lasciato indietro.
Clarissant aveva amato con tutto il cuore solo tre persone al mondo:
Gareth, Gawain e se stessa. Dire che voleva bene anche a Branwen non è
esatto, poiché non la considerava una persona diversa da sé. Era il suo
riflesso, la sua ombra e la sua scintilla di giovinezza e candore.
- Siamo rimaste sole - balbettava la ragazza, incredula e scioccata, ma
la zia negava e la correggeva: - Siamo rimaste insieme.
- Erano davvero le ultime della stirpe reale di Orkney, due donne. Lei
era sterile e aveva trentasette anni, ma Branwen era sana e graziosa;
era sicura di trovare, tra gli uomini della piccola corte, un marito
degno di lei.
Un
nuovo re era salito sul trono di Britannia, e il suo nome era
Constantine, figlio di Cador. Era saggio e prudente, e mandò quasi
subito un cavaliere della sua
corte per assicurarsi che la regina di Orkney rispettasse il suo ruolo
e i suoi domini: quale sorpresa fu per Clarissant riconoscere nel
giovane messaggero il suo figliastro, Cynon! Il ragazzo aveva
accompagnato il suo
signore, Sir Lionel, al seguito di Lancelot; dopo la battaglia di
Camlann aveva combattuto contro gli ultimi alleati di Mordred ed aveva
giurato fedeltà a re Constantine.
Non capì subito quali fossero le
sue vere intenzioni, era ancora confusa sui suoi sentimenti verso di
lui. Considerava ancora la strage di Carlisle un terribile errore, ma
non per questo accettava le sue scelte. Almeno, non dopo la morte di
Gareth.
Viviamo in una contraddizione continua, pensò. Questa non è che una
delle mille svolte sulla nostra via.
-
Desideriamo esservi amici, Cynon. Il mio esercito ha funzione puramente
difensiva e non sbarcherà sul suolo di Britannia se non per recarvi
aiuto. Non
rivendichiamo alcun territorio nel Lothian, né in nessun'altra terra
che mio padre possedeva prima di ribellarsi al compianto sovrano Arthur
Pendragon.
- Signora...
- C'è forse dell'altro?
Cynon aveva notato come ella parlasse di sé al plurale, ma seppe
vincere la propria curiosità.
- Il mio re vi chiede riguardo alla foresta di Inglewood. Afferma che
ora vi appartiene.
-
Re Constantine si sbaglia. - Clarissant si era fatta pensosa. - Mio
fratello
Gawain aveva ceduto quelle terre a suo cognato, Sir Gromer, e quindi
sarebbero andate in eredità a mio nipote Gingalain. - Sospirò,
riflettendo come nessuna delle persone sinora menzionate fosse ancora
in vita. - La proprietà è passata a sua moglie, la regina del Galles. E
con questo credo sia tutto.
"La moglie che Gingalain non voleva..."
Cynon
si trattenne qualche giorno, non sembrava avere la minima fretta di
ripartire. Fece mille moine intorno a Branwen, che sebbene fosse felice
di rivederlo non si dimostrò molto espansiva. Clarissant non poteva
darle torto, e finì per ammonire il giovane:
- Che cosa pretendete
da lei? Il vostro re vi ha mandato qui per assicurarsi la nostra
amicizia, o la
vostra è un'iniziativa matrimoniale? Oppure tutte e due le cose? Mia
nipote
non è in vendita, questo dev'essere chiaro. Vi ho voluto bene come un
figlio, ma non ci penserò due volte a farvi cacciare da questa corte!
Frasi così aspre turbarono Cynon, in parte perché in esse c'era molto
di vero. Ma egli era innocente, e meritava di capire; disprezzarlo
gratuitamente non sarebbe stato di nessuna utilità.
Somiglio a mia madre. Sono identica a
lei, maledizione!
Così riprese: -
Perdonatemi, Cynon. Vi ho voluto bene e amavo vostro padre, lo
sapete. Ma la donna che vi diede la vita ha giocato con la stregoneria,
proprio come vostra nonna Morgana... e se non ho più una famiglia lo
devo in gran parte al sentimento che legava i vostri genitori... non
solo alle trame di mio fratello Mordred.
- Io sono un cavaliere cristiano! - ribatté il giovane con fierezza. -
Non ho niente a che spartire con la gente di Avalon o...
-
Certo, certo. Avete scelto la vostra strada. Ma è giusto che vi tenga a
parte di ciò che è accaduto prima che nasceste - sospirò Clarissant.
E si apprestò a raccontare tanto le colpe di Morvydd quanto le proprie.
Branwen
pregava, pregava che sua zia non acconsentisse al matrimonio, perché
sentiva che era sbagliato, e la cosa buffa era che non sapeva Chi
pregava. Non esistevano né Dio né la Dea, lassù, solo antiche vestigia
degli adoratori del Sole. Per lei era un mondo
nuovo, dove il freddo rendeva la purezza a persone e cose... com'era
ingenua! L'acqua della fontana nel
cortile era limpida e trasparente, ma Clarissant vi vedeva ancora il
sangue della regina Morgause che gocciolava dalla spada di Gaheris, a
scandire la sua prima orrenda consapevolezza del Male.
Si
sarebbe
rassegnata a unirsi ad un uomo delle isole, sì, l'avrebbe fatto per la
donna che l'aveva cresciuta e amata. Ma non Cynon. Per lei era stato un
fratello esattamente come Lovell e Florence, provava solo nausea al
pensiero di diventare sua moglie... e di ingannarlo, anche.
Un
uomo vecchio e brutto, uno di quei nobili di Norvegia dai capelli
lunghi e l'espressione gelida. Ecco. Che non pretenda amore, perché ho
consacrato questa parola ad una persona soltanto.
Si
era innamorata perdutamente, sulla strada per Carlisle, come per una
magia o una malattia. Si era innamorata del profilo assorto di Sir
Bedivere, poi del suo sguardo preoccupato e del braccio che la
sorreggeva, e infine delle parole, rivolte a Sir Lucan, con cui aveva
dimostrato di capirla più di ogni altro.
Ma era sicura che fosse rimasto ucciso a Camlann, e tanto le bastava
per rassegnarsi a non aprire più il suo cuore.
-
Ma perché, se sapevate che la spada di mio padre era invincibile, avete
lasciato che Sir Gawain convincesse re Arthur a muoverci guerra? -
Cynon aveva quasi gridato, incredulo davanti a un cumulo di certezze in
frantumi e ad una matassa di colpe e menzogne più intricata di quanto
il suo animo semplice potesse investigare.
- Giurate... giurate che vendicherete
Gareth! Voi ucciderete Sir Lancelot!
- Lo giuro, sorella.
- E convincerete gli altri a seguirvi.
- Nostro zio non potrà negarmelo.
- Perché tutti l'amavano. Perché
Lancelot lo amava, ma l'ha dimenticato.
- E l'amore sarà più forte di
qualsiasi incantesimo Morvydd abbia infuso in quella spada.
- Così sia, Gawain, così sia.
Ma così non era stato.
"Non ho solo lasciato che accadesse,
ahimé! L'ho spinto a cercare vendetta", ricordò lei con
amarezza, ma rispose con voce ferma:
-
Perché, mio piccolo Cynon, io guardavo a Gawain con occhi incantati;
così come
Gareth vedeva Lancelot, o come Lovell vedeva vostro padre... forse come
voi vedevate Sir Lionel...
L'ultima parte della frase era simile ad una domanda, e Cynon chinò il
capo.
-
Lo credevo indistruttibile, eterno... e ora potrei dire che non
perdonerò mai a me stessa di aver lasciato vincere la rabbia e il
dolore sul raziocinio, ma a che servirebbe? La mia terra non ha bisogno
di una regina folle e malinconica.
- Ammiro la vostra forza d'animo -
dichiarò inaspettatamente il ragazzo, tra il sarcasmo e la delusione. -
Riferirò a re Constantine che sarete un'alleata preziosa negli anni a
venire.
L'incontro era concluso; Cynon sarebbe tornato in Britannia, se non a
mani vuote, senza ciò che sperava.
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Capitolo 7 *** Chapter Six. ***
Penultimo sofferto (e sofferente) capitolo per questo garbuglio
garbuglioso XD
Il luogo descritto in questo capitolo è il cerchio di Brodgar (potete
trovare informazioni qui)
che in realtà si trova un po' lontanuccio dalla presunta posizione del
castello, ma spero non siate pignoli! *si sente sempre più una
particella di sodio*
CAPITOLO SEI.
Dove si racconta dello struggimento
d'amore di Branwen, e di come Sir Bedivere viene aspramente accolto
dalla regina di Orkney.
Al
centro del cerchio, una figura inginocchiata. Una melodia triste dalle
labbra chiuse. Il vento che sbuffava come una massaia che scaccia le
galline dalla soglia di casa, come un puledro memore della sferza ma
con le narici frementi d'impazienza.
- Vostra zia sarà adirata per la vostra fuga, madamigella Branwen.
- Tornate indietro, farà molto freddo verso sera. Potrebbe anche
piovere...
Non
era la prima volta che Branwen scappava dal castello e si avventurava
per l'Isola Grande, scortata da una o due fantesche timorose, ma non si
era spinta mai così lontano.
Oltre il lago, le pietre disposte in tondo svettavano verso il cielo.
Troppi mesi erano ormai passati dalla battaglia di Camlann, non c'era
in lei la più tenue speranza di rivederlo.
Lui, che le aveva aperto gli occhi, senza nemmeno saperlo!
Lui che la credeva degna dell'amore di suo padre! E forse anche del
suo...
Si aggrappava a quel ricordo, non perché si illudesse che servisse a
qualcosa, no. Ma
per quanto doloroso fosse, riusciva un poco a scacciare dai suoi
pensieri tutto quanto era accaduto dopo la partenza dell'esercito per
il continente: le voci spaventose che annunciavano la morte del re, a
cui Sir Mordred sembrava credere senza cercar conferme; le
avances non gradite di
suo cugino Melehan, l'esatto opposto di un
gentiluomo; la fuga della regina e la decisione della zia di lasciare
Camelot prima che fosse troppo tardi...
Le gambe le si
erano intorpidite dal freddo, e il sole iniziava ormai a calare; era
tempo di tornare a casa, come sempre.
Un tuono spaventò i cavalli e la convinse ad affrettarsi.
Clarissant non
attendeva visite importanti per quella settimana, e aveva programmato
di discutere con il siniscalco e gli artigiani di corte su come rendere
il castello più accogliente, ma anche compiere particolari modifiche.
Ad esempio, aveva chiesto di chiudere l'accesso all'ala più
antica... alle stanze che erano appartenute a sua madre Morgause. Non
doveva restare nulla del male e della sofferenza inflitti tra quelle
mura. Aveva ormai compreso che, come Morvydd aveva affermato una volta,
sua madre e Morgana si somigliavano, e non era la devozione per la Dea
ad unirle - ma la ferocia, la follia, quel loro giocare con le vite
degli altri. Al principio Morvydd era rimasta ad osservare sulla soglia
di quel mondo di oscurità,
ma la sua iniziazione era infine avvenuta: forse in seguito
all'abbandono di Sir Colgrevance, ma più probabilmente già lassù, a
Orkney. Quando aveva mandato quella lettera per informare i suoi cugini
della relazione tra Morgause e Sir Lamorak.
Era dunque molto indaffarata, tanto da non accorgersi che
Branwen era uscita senza permesso per l'ennesima volta, e da rifiutare
di ricevere colui che, a detta del maggiordomo, era solo un vagabondo,
forse un pazzo. Aveva comunque dato ordine di sfamarlo e farlo riposare.
Le
era sempre piaciuto organizzare gli affari domestici. Lyonors e Lynette
erano solite ripeterle che era davvero un'ottima padrona di casa, e ne
andava fiera. Credeva anche di essere stata una moglie rispettosa e
dolce, almeno quanto lo era stato Sir Colgrevance con lei... eppure si
era dimostrato debole e sciocco, fino a dare la sua vita per una
causa futile e crudele...
- Ora concederete un colloquio a quell'uomo? - le fu ricordato, quando
i dettagli dei lavori furono stabiliti. Sospirò: era ormai molto
tardi. Strinse le
spalle, a testa alta: non aveva nulla da temere e non voleva smentire
così
presto la sua fama di sovrana generosa e ospitale.
Quando lo vide comparire zoppicando nella sala, così smagrito e
pallido, sulle prime
non lo riconobbe... ma quello sguardo le era familiare, e mentre le
veniva incontro notò la sua menomazione e non ebbe più alcun dubbio.
- Voi! Qui... voi, vivo...
Dentro di lei si mescolarono stupore, confusione, rabbia, e
quest'ultima prevalse.
Ogni loro incontro aveva segnato una grande perdita per lei... l'aveva
chiamato corvo, iettatore, araldo della morte, e proprio lui era
sopravvissuto a Camlann! Osava presentarsi nel suo regno, per adempiere
al suo compito di eterno rammemoratore!
Quasi sperò si trattasse di uno spettro, ma non lo era. Assurdo.
Completamente assurdo.
- Mia signora.
Si era inginocchiato davanti a lei con fare umile e commovente - o
almeno, avrebbe commosso chiunque altro.
- Non siate sciocco, duca, alzatevi.
-
Non mi appartiene più alcun titolo, signora. Vengo a voi come un servo,
un messaggero, come un relitto del mondo che fu e che mai più sarà.
- Come debbo chiamarvi, dunque?
- Bedwyr, se vi fa piacere. - Aveva usato il suo nome in gaelico, come
gli suggeriva l'atmosfera antica che lo circondava. Come se fosse morto
davvero, in guerra, e risorto in un tempo più fertile e ragionevole. -
Amico, se mi concedete questo onore.
Amico. E da quando, tanta
confidenza? - Giusto, Bedwyr Bedrydant. - Era un appellativo che
l'aveva sempre fatta sorridere. Ma non sorrideva, anche se i suoi denti
erano scoperti in una smorfia.
- Quale altra funesta notizia siete venuto a
portarmi? - L'ironia risuonava nelle sue parole, spietata, eretta a
difesa del suo animo di donna.
-
Che cosa credete che io sia? Non capite che cosa significate per me? La
fedeltà che accordai con tutto il mio essere ad Arthur Pendragon e a
vostro fratello, ora vi appartiene. Se mai vi ferii, se mai vi causai
un dispiacere...
-
Mai? Sempre! Dal primo giorno in cui metteste piede qui, non mi avete
annunciato che sventura e terrore! Perché questa volta dovrebbe essere
diverso? Mi obbligaste a mentire, e poi rivelaste voi stesso la verità
su Gaheris...
- Per salvarvi la vita! Non volli mai null'altro che il vostro bene! -
Perché non capiva? Egli era davvero
un fantasma, l'incarnazione delle ultime volontà di Gawain. Non sperava
né desiderava vivere più a lungo, ma non si era aspettato un benvenuto
così gelido.
Clarissant distolse lo sguardo dai suoi occhi
lucidi e febbricitanti. Sapeva di non avere una vera ragione per
mostrargli una tale ostilità... ma i suoi sentimenti non erano
cambiati: quell'uomo la disturbava. La sconvolgeva.
D'altra parte,
non poteva essere accaduto nient'altro di terribile, ormai. Se era
davvero là per consegnare un messaggio, perché mai esitava tanto?
Che si sbrigasse, e ripartisse al più presto!
- Non vi perdete in moine e parlate - riformulò, spazientita. Si
massaggiò la tempia, dove avvertiva un lieve dolore pulsante.
Era
accaduto sulla barca, raccontò. Gawain non sembrava essersi davvero
ripreso dai due scontri con Lancelot, e sebbene facesse di tutto per
non dare a vedere che soffriva, non era riuscito ad ingannarlo.
-
Non combatterete, è una follia nelle vostre condizioni! - l'aveva
implorato, minacciando di avvertire il re... ma Gawain l'aveva fermato.
-
Se avete pietà di me, se considerate il mio onore più importante della
misera vita che, lo sento, mi sta abbandonando, mi lascerete morire in
battaglia contro il traditore, non per i colpi ricevuti in una guerra
fratricida. Sir Bedivere! Giurate!
Come poteva ignorare quella
preghiera? O tutto il resto... tutto ciò che gli avrebbe confidato quel
giorno, mostrandogli quel tesoro che aveva tenuto nascosto per tutta
una vita proprio là, dentro il suo cuore?
- Sento... so che voi
vivrete. Non chiedetemi... non so spiegarlo. Non posso tornare indietro
e cancellare i miei errori, ma voi ci sarete anche per me. Là, là dove
desiderate essere anche ora...
- Vi disse che ci avreste trovate
qui? - Il mal di testa era peggiorato, tanto che era stata costretta a
sedersi. Il lieve pallore sul suo volto la rendeva più umana, più
fragile, e Sir Bedivere ne fu compiaciuto; fu un istante folle, in cui
si
sentì di nuovo uomo.
Annuì. - Mi spiegò che se fosse accaduto
qualcosa di irreparabile, che avesse pregiudicato la vostra sicurezza,
avreste dovuto rifugiarvi qui fino... al nostro ritorno... aveva
dato disposizioni precise.
-
Già. La situazione a Camelot era diventata insostenibile, e siamo state
ben liete di partire. Ora, sono stanca... non vedo perché prolungare
questa conversazione.
L'uomo portò la mano al petto e sfilò qualcosa da sotto gli abiti.
-
Con la morte di re Arthur si è dissolta la mia ragione di vivere in
mezzo agli uomini - dichiarò, porgendole una busta sigillata, sporca e
macchiata di sangue. - Per mesi le ferite ricevute a Camlann mi hanno
tenuto sullo stretto ciglio tra la vita e la morte... e sempre,
nella sofferenza e nel delirio, vostro fratello Gawain mi è
apparso in sogno, incitandomi a combattere quest'ultima battaglia, a
sopravvivere per rivedervi e consegnarvi le sue parole. Questo è tutto.
La carta
pareva scottare sotto le sue dita, ma Clarissant non aprì la busta.
Strinse le palpebre, e quasi non udì le frasi di cortesia con cui il
suo ospite si congedava:
- Non che io tenga alla mia vita, ma
non sono solo sulla nave... chiedo il vostro permesso di
trascorrere la notte nei pressi del porto, e partire domattina. Il
tempo è assai inclemente.
Lui parve voler dire qualcos'altro, ma abbassò gli occhi e tacque
quando la
vide annuire con fare assente e allungare una mano in un gesto stizzito.
Il
rumore della porta che si chiudeva tra loro mise fine a quell'agonia.
Mentre il dolore allentava la sua stretta, Clarissant sentì il rumore
della
pioggia che ormai scrosciava, riportando
l'urgenza della realtà a vincere su quei frammenti di passato che
ancora infestavano la sua vita:
- Mandate a chiamare mia nipote,
subito. - La servetta che passava in quel momento nel corridoio
sussultò e arrossì, quasi fosse stata colta in flagrante nell'atto di
rubare o mancare gravemente ai propri doveri. Tale reazione non suscitò
in lei alcuna curiosità.
Branwen era riuscita a sgattaiolare inosservata nel castello per
l'ennesima e ultima volta, poco prima che scoppiasse il temporale. Si
stava riscaldando accanto al camino
del salone, fissando le scintille che scomparivano. Non poté fare a
meno di paragonarle ai soldati uccisi a decine, a centinaia, in quella
guerra alimentata da un fuoco di odio atroce... e cosa era rimasto?
Tizzoni spenti, cenere fredda, buio. Sapeva che era inutile continuare
così, cercando in quel cerchio di pietre significati sepolti da secoli,
quando il santuario del suo cuore recava scolpita la figura così chiara
del suo desiderio!
- Madamigella, grazie a Dio siete tornata. - udì sussurrare una voce
ansante. - Vostra zia vuole vedervi!
- Mi ha scoperta, allora! Lo sapevo... - Scattò in piedi e prese a
mordicchiarsi un dito. - È meglio togliersi il pensiero.
Quando entrò nella stanza, già aveva pronte parole di scusa e rammarico,
- Entrate, cara, sedete.
ma comprese di essersi sbagliata. Esisteva qualcosa di peggio di un
rimprovero: ed erano i giorni andati che come onde tornavano a
scontrarsi con
gli scogli eretti dalla sua anima. Il mare che s'insinua
dovunque,
infido e salato come le lacrime, o le acque di due laghi
che straripano e si mescolano tra loro, sommergendola mentre sogna al
centro del cerchio.
-
Ci hanno portato una lettera di vostro padre. La scrisse sulla nave che
lo riportava in Britannia, mentre l'esercito si preparava a scontrarsi
con Mordred e l'esercito sassone.
Sorella mia, figlia mia,
Ho
trascinato il mio re in una guerra inutile, ho usato il suo affetto per
i miei scopi, e me ne vergogno. Ma soprattutto, ora vi abbandono,
poiché sento che ogni minuto mi avvicina alla fine... e non ho mai
avuto un sorriso per voi due, che siete ormai tutta la mia famiglia,
tutto
ciò che mi resta e di cui m'importa.
Clarissant, conosco la vostra forza e
non ho dubbi nell'affidarvi il regno di nostro padre.
Piccola
Branwen, vi chiedo perdono per avervi fatto credere di odiarvi, ma ci
sono sentimenti che un uomo riesce a comprendere solo quando è troppo
tardi. Forse pensate che io non sappia nulla di voi, ma non è così. So
che siete virtuosa e degna e sono orgoglioso di voi.
Non
avete mai riflettuto sul perché vi abbia fatto crescere lontana sia
dalla lussuria di vostra madre, che dagli intrighi di Camelot? E in tal
senso, come avrei mai potuto raggiungere lo scopo di conservarvi
innocente e sincera, se aveste conosciuto i miei stessi peccati ed
intemperanze?
Branwen si era animata tutta, e quasi si era lasciata alle spalle le
sue pene, perché
una forma più grande di amore la avvolgeva man mano che andava avanti
nella lettura...
Ma poi si fermò a queste parole:
Se state
leggendo queste righe, significa che il nostro buon amico, Sir
Bedivere, è sano e salvo, ed è con voi. Possiate trovare gioia, sempre.
Aveva spalancato gli occhi, ed erano così avidi e colmi di
speranza...
- Lui è stato qui? È possibile? Ditemi! - supplicò, giungendo ad
aggrapparsi
alle sue vesti, come quando era piccola e chiedeva alla nutrice di
raccoglierle le ciliegie dall'albero in giardino.
Clarissant finse di scandalizzarsi a quel contegno così poco
rispettoso, ma la sua mente era troppo occupata a cercare di
comprendere: a chi si riferiva Branwen? A Gawain? Si illudeva dunque
che il padre non fosse morto, nonostante la premessa che le aveva fatto
prima di consegnarle la lettera?
- Mia cara, cosa volete dire? Calmatevi!
- Il duca è stato qui? - ripeté la ragazza. sull'orlo dell'isteria. -
Vi prego, non fatemi impazzire!
Portando
le mani alla bocca, Clarissant la guardò come se fosse la prima volta.
La pioggia fitta come una cascata, il vento gelido, la forza
distruttiva del rancore che albergava nel loro
sangue da generazioni ruggirono ad un tempo e si placarono
improvvisamente.
In un istante dilatato all'infinito la sua mente tremò, per rinascere
di una consapevolezza bruciante e di disarmata abnegazione.
- Voi... l'amate! Bambina, bambina mia, voi amate l'uomo che finora ho
giurato di odiare!
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Capitolo 8 *** Chapter Seven. ***
Piano. Mi fa male parlare. Mi fa male scrivere, ma è un male necessario.
Questo è l'ultimo capitolo "numerato" della storia, a breve pubblicherò
il prologo (che precederà il capitolo 1) e l'epilogo (che... indovinate
dove sarà XD).
L'ultima frase è venuta fuori ora, senza che avessi mai pensato prima
alla sorte di Morvydd e Morgana, giuro. Comincio a credere alla teoria
di King sulle storie che non vanno inventate, solo trascritte :)
Ho inserito qualche nome antico di località, tanto per creare
l'atmosfera: Hrossey = Mainland, Gareksey = Gairsay, Gallaibh =
Caithness. E sì, credo VERAMENTE che Gareksey prenda il nome da LUI,
anche se le fonti non lo confermano :)
@Ila: Sì, ho altro in cantiere, ma per ora nessuna storia così lunga.
Conosci questo sito?
C'è tutto e di più per scatenare l'immaginazione. Mi aiuta moltissimo.
Lieto fine? Sì, suppongo che lo sia, per ora *ghigno*
Io in una storia non mi pongo la questione slash-non slash, i "miei"
personaggi non hanno sesso ma pura-carica-emotiva. Per me la threesome
che scrissi tempo fa è altrettanto verosimile di questa lunga fiaba
het. E il Bedivere che ama Branwen è lo stesso che ama Arthur, anzi:
dentro di me riesco a far rientrare entrambe le storie nella stessa
catena di eventi.
CAPITOLO SETTE.
Dove uno spettro cambia il destino
dei nostri amici, e ogni rancore viene spento, nell'amore o nel sangue.
- Che cosa sono quelle luci?
Le guardie del castello avevano avuto l'ordine di scortarlo per
gentilezza, e anche a causa della vecchia superstizione secondo cui il
fantasma di un cane infernale si aggirasse nottetempo nelle campagne di
Hrossey. Ma per Bedivere, già spezzato dal contegno della regina, si
sentiva un prigioniero condotto verso l'esilio.
-
Laggiù a Gareksey, volete dire? Sono i falò dei pastori, che
trascorrono la notte riparati, si fa per dire,
nelle grotte naturali dell'isoletta, insieme alle greggi. Non li
invidio, a volte finisce con il piovere anche dentro. Di stravento,
sapete. Ma guardate, ha già smesso!
- Gareksey. - Assaporò quella parola con curiosità, ma ben poco stupore.
-
Aye, signore, la nostra buona regina l'ha chiamata così: l'isola di
Gareth. Prima non aveva un nome. Ma se mi è concesso
chiederlo, perché andate via così presto? Non siete stato invitato
a
rimanere a corte?
-
Non sono una persona gradita, temo. E ho compiuto la missione che mi
era stata affidata, posso tornare al mio rifugio e attendere la
pace.
Ma
già sapeva che non gli sarebbe più bastata la pace, né la morte, né il
Paradiso: da quando, ancora convalescente, era partito dal suo eremo
per compiere quell'ultima missione, aveva inconsciamente compiuto un
passo per riunirsi alla vita.
Aveva continuato a voltarsi indietro, per il breve tragitto che lo
riconduceva al porto, come se sperasse che Clarissant potesse cambiare
idea e richiamarlo al castello. Non voleva... non voleva partire.
Ricordava il sentimento fresco, dolce, che l'aveva accompagnato e a
volte spinto, trascinato, attraverso quei mesi bui. Ma era un amore
disinteressato, e mai avrebbe rivelato alla piccola Branwen che il suo
cuore le apparteneva. Si sentiva troppo vecchio, se non per amare, per
essere
amato; e gli incubi che ancora lo scuotevano nel sonno erano un
tormento da non condividere con alcuno.
Fermò il cavallo. Sentì su di sé gli sguardi dei
suoi accompagnatori,
ma non li ricambiò. Lentamente smontò, con i gesti cauti di chi ha le
ossa fragili, ma la sua voce suonò brusca:
- Se non vi reco incomodo, preferirei proseguire solo. Non ho paura dei
cani del diavolo.
Lo stupore attorno a lui fu grande, e altrettanta la preoccupazione, ma
nessuno osò negargli il diritto alla solitudine. Erano al limitare di
un
bosco di sempreverdi, nero e umido, e le guardie erano uomini semplici
che forse non temevano archi e spade, ma in quanto ai fantasmi...
In quanto a me,
i miei occhi di brace si spengono al tuo passaggio.
Le mie impronte insanguinate svaniranno dal sentiero -
Non mi vedrai mentre ti fai strada tra gli alberi,
non ti spaventerò, poiché non desidero vederti alzare le vele:
sarò il vento contrario che soffierà domattina
per sussurrarti di non andare.
L'aria umida della notte non aveva certo giovato alle sue cicatrici, e
fu con fatica che Bedivere si alzò dal giaciglio per guardare fuori. Un
sole opaco, a cui il forte vento aveva aperto una breccia tra le nuvole
spossate, depositava ombre chiare e una fioca luce di inizio autunno.
- Non andremo da nessuna parte, stamane - borbottava l'equipaggio.
- Potrebbe cambiare dopo mezzogiorno...
- Oppure è un segno. Dio lo voglia - mormorò lui.
Gli uomini, che avevano famiglia a Gallaibh, fecero gli scongiuri ma
non osarono contraddire il cavaliere stanco.
Respirò a fondo quell'aria salmastra e ascoltò i richiami degli uccelli
sulla spiaggia farsi sempre più acuti e insistenti.
Aveva sognato il letto insanguinato di Morgause, vuoto. Ai piedi del
letto c'era un cane dagli occhi rossi, che pareva malato di rabbia. Ma
d'improvviso aveva agitato la coda e si era accucciato, addormentandosi
e svanendo ai suoi occhi. Non poteva considerarlo un incubo, perché non
si era svegliato di soprassalto né provava paura ora, nel ricordare.
Scese al porto, dove già alcune barche erano tornate dalla pesca, e
sperimentò il sapore di un'attesa quasi infantile. Ma non era
nell'orizzonte, che pure fissava intensamente, che sperava; l'unica
vita ancora possibile era dietro le sue spalle. Tese l'orecchio più
volte, mentre la decisione di trascorrere i suoi ultimi anni da eremita
gli sembrava sempre più stridente e folle. Non voleva davvero
rinunciare a ciò che di giusto e bello era rimasto al mondo.
"Basta non fermarsi alle apparenze, perché questo non è fuoco da cui
fuggire, o maschera così incollata ad un volto da non poter essere
tolta. Questa terra mi accarezza, non mi respinge. Ci vorrà solo un po'
di tempo."
Lo capì ancor prima di sentire i cavalli in arrivo. Erano le guardie
che tornavano con un messaggio.
"Non lascerò morire di dolore la
persona che amo di più, solo
per alimentare il mio sciocco risentimento. Perdonatemi se potete, e
tornate... fatelo per lei."
Era valsa la pena aspettare. Era valsa la pena che il vento avesse
cambiato direzione quella notte...
Branwen tremò quando lo vide, e né l'etichetta né
la presenza della zia poterono frenarla dall'esprimere appieno la
propria gioia.
Non servì nemmeno ricordarle, come ultima titubanza, l'abisso della
differenza di età che si ergeva tra loro; e quando si furono scambiati
per la prima volta le caste carezze riservate agli innamorati, fu
semplice fingere che tale divario non esistesse. Era decisa a
intrecciare la propria vita con la sua, donargli giorni di pace e baci
delicati, calore e figli e il suo amore ingenuo, cinguettante, senza
compromessi.
Bedivere parlò della straordinaria coincidenza di eventi che l'avevano
condotto lassù: come aveva potuto Gawain sapere per certo che lui si
sarebbe salvato?
Lo sperava, forse; quando non esistono più certezze, la speranza è
l'unica certezza che rimane. Ma c'era di più. Lui sapeva dei sentimenti
dell'amico per la figlia. È probabile che Sir Lucan non avesse
trattenuto la sua lingua, non c'era da meravigliarsi.
No, non
era stata una coincidenza, avrebbe convenuto con Clarissant quando
tutto il disprezzo riservatogli fino ad allora si fosse mostrato per
ciò che era: il rifiuto di guardarsi allo specchio, di riconoscere un
proprio simile. Lui l'aveva salvata due volte, la prima con una
menzogna e la seconda con la verità, dall'ira colpevole di Gaheris. Ma
poiché ammettere che il Male si annidasse in famiglia non era nello
stile dei figli di Lot, era stato ben più facile per lei portare
rancore ad un estraneo per una colpa inesistente. Ugualmente cieco,
Gawain era corso in Francia a
sfidare Lancelot, piuttosto che cercare di capire perché Mordred avesse
messo tanto zelo a svelare lo scandalo di corte.
È
stato un suicidio, ora me ne rendo conto, e prego Iddio di perdonarmi.
Spero di combattere, domani, ed espiare la mia presunzione con il
sangue e l'estrema fedeltà al mio re, Arthur Pendragon.
Branwen sfiorò
ancora una volta quelle parole sulla carta e le fece scivolare dentro
di sé, dove risiedeva ormai la sicurezza che suo padre l'aveva sempre
amata.
- Voi non c'entravate nulla. Eravate uno spettatore impotente delle mie
disgrazie, e vi ho scambiato per un nemico... la fantasia e la realtà
si sono confuse in me, e non posso rimediare altrimenti che chiedendo
il vostro perdono.
- Vi sono devoto, signora, e
peccherei di presunzione concedendo un giudizio che non mi appartiene.
Iddio perdona, io amo. - Pronunciò queste parole con gli occhi negli
occhi di Branwen, mentre attendevano il chierico che avrebbe celebrato
il loro matrimonio.
Clarissant era serena per essersi rappacificata con lui, ma ancora
sentiva lo stomaco chiudersi pensando che mai più avrebbe vissuto
quella felicità.
Era
invidia? Sì, un poco, non quell'invidia cattiva e sterile che
distrugge i rapporti e congela l'anima,
semplicemente si rendeva conto che la nipote era più fortunata di
quanto
lo fosse stata lei, null'altro. Ma a ben guardare, ora erano entrambe
fortunate ad averlo accanto; poiché lei e Branwen erano davvero le due
facce di una moneta, i due volti della luna. Benedisse la loro unione,
ed infine pianse di gioia.
Alla
fine dell'anno seguente, prima che nascesse Amren - futuro sovrano di
Orkney
e di Norvegia - appresero della morte di Melehan e di suo fratello
Melou per mano di re
Constantine.
La
spada di Sir Colgrevance andò perduta per sempre. Si narra che
Lancelot, giunto in Britannia dopo la grande battaglia, aveva provato
vergogna del sangue che tale strumento aveva versato per sua mano e
l'aveva distrutta. E in quello stesso istante, in un castello di Gore
una donna era scoppiata a ridere - e quando la vecchia madre le aveva
chiesto perché, ella l'aveva uccisa.
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Capitolo 9 *** Epilogue. ***
Lindsey è effettivamente una delle zone della Britannia orientale, ma
che appartenga alla famiglia di Sir Bedivere è tratta dagli appunti per
un GdR scovati in Rete (qui).
Amren ed Eneuawc (si pronuncia Enefog) sono davvero i suoi figli :)
La doppia grafia del nome di B., come già ribadito in precedenza, non è
un errore ma un mio personale capriccio che non so spiegare in due
righe.
Ho elaborato questo secondo finale all'ultimo momento, mentre tornavo
dallo sciopero (Saki è una testa rossa, vi sia gradito o meno): è stata
una rivelazione anche per me, ma credo di poter far risalire quest'idea
alla recente lettura della serie della Torre Nera di Stephen King. Non
aggiungo altro, per non spoilerarvi né la suddetta opera né
quest'ultimo capitolo.
@Ila: il prologo è in cima alla storia, dove prima c'era il capitolo
uno. Grazie per aver seguito questa fic! Come vedi anche a me piace
cambiare il tempo e il destino...
EPILOGO.
Amren
non era stato un bel bambino e non sarebbe mai diventato un bell'uomo,
ma non aveva motivo di crucciarsene. Era nato per diventare re, un
proposito che non gli era stato mai nascosto. Abbandonati i giochi con
la sorellina - che da parte sua aveva sempre preferito la musica alle
bambole - anno dopo anno si faceva sempre più bravo con la
spada, grazie all'allenamento quotidiano ma anche ad un talento
naturale, che il padre aveva saputo riconoscere ed incoraggiare. Erano
una famiglia felice, che governava un popolo sereno. Il
tempo sembrava essersi fermato, come un fiore che dimentica di
chiudersi al tramonto, o un tramonto che non giunge, perché così erano
le notti estive a Hrossey - un lungo, subdolo crepuscolo.
Un esercito preparato ad attaccare non ama la Patria, guarda solo
avanti, calpestando le macerie di ciò che ha appena conquistato e
distrutto. Ma gli ufficiali di Orkney erano come madri che proteggevano
le isole - bambine altrimenti indifese. Clarissant era stata
lungimirante... abbastanza da assicurare alla sua terra un lungo
periodo di pace, ma non abbastanza perché tale pace potesse durare
all'infinito. E chi avrebbe potuto?
I mercanti dell'est, che un tempo suscitavano curiosità e meraviglia ed
erano sempre stati i benvenuti, si erano trasformati in feroci
saccheggiatori.
Quando le navi dalle vele rosse giungevano in vista, le sentinelle dai
promontori suonavano i corni, e i cavalli dei soldati
galoppavano fino alla spiaggia, le frecce volavano sull'acqua, e a
volte bastava per farli desistere. Ma non sempre.
Anche se Branwen avesse sposato Cynon, non avrebbero comunque ricevuto
soccorso dalla Britannia. La guerra civile aveva distrutto il sogno dei
Pendragon: a Constantine era succeduto Aurelius, poi Gartbuir e Maelgwn
Hir, e infine i Sassoni avevano avuto la meglio.
Dunque era giusto così. Era bello, anche in quei tempi difficili.
Erano soli, soli nel mare, soli con l'amore a tenerli uniti.
E venne il giorno in cui non si riuscì ad impedire una nuova scorreria,
perché questa volta i nemici avevano organizzato l'attacco con grande
precisione e dovizia di risorse; essi sbarcarono, armati di lance e
asce, ma invece di avanzare in massa si sparpagliarono per l'isola,
creando scompiglio e panico nei villaggi. Gli uomini del castello erano
accorsi all'allarme, e questa volta Amren si era unito a loro.
Aveva compiuto da poco quindici anni, e avrebbe dovuto provare emozione
e orgoglio al pensiero di essere finalmente considerato degno di una
missione importante: ma così non fu. Quel giorno sentì tutto il peso di
essere uomo, la serietà della situazione e un senso di responsabilità
che annientò nel suo animo ogni traccia di spensieratezza. Cavalcava al
fianco di suo padre, cercando di captare la presenza dei nemici con un
istinto che non aveva ancora avuto il tempo di affinare... ad ogni
svolta della strada tratteneva il respiro, dietro ogni albero si
nascondeva forse un'ombra...
Clarissant era affacciata alla finestra.
Non era scesa strillando come Branwen, non aveva pianto in silenzio
come la piccola Eneuawc.
Era rimasta a guardare il cortile affollarsi e poi quella folla
dividersi in due, per lasciar passare il ragazzo in sella e il suo
fardello insanguinato. Sei braccia avevano deposto il corpo sulla terra
nuda. Gli occhi di lui erano aperti e spenti, un frammento di lancia
gli spuntava ancora dal fianco.
Ricordate quando credevo di
detestarvi?
Amren alzò la testa, e lei gli lesse in volto una sola parola:
vendetta. Nulla era cambiato, l'orgoglio di famiglia non aveva saltato
nemmeno questa generazione.
Ricordate perché?
- Onore a Bedwyr, figlio di Corneus, eroe di Camlann e martire di
Orkney! - La sua voce era arrochita e stridula, quasi un incantesimo
l'avesse fatta invecchiare di colpo.
Io no, il passato è così confuso.
Come la nebbia che talvolta nasconde Gareksey al mattino.
- E onore ad Amren, figlio di Bedwyr, re di queste isole!
Il giovane si irrigidì, sconvolto dalle sue parole. La videro sporgersi
e poi cadere, ma qualcuno giurò che era morta prima di toccare terra.
Aprì gli occhi sul soffitto della sala da pranzo di Carlisle. Quando
incrociò lo sguardo di Gawain, si sentì sollevata. Le era parso per un
momento di avere non sedici, ma cinquant'anni e più; ma ora il tempo ed
i pensieri tornavano a scorrere al ritmo giusto.
- Re Uriens è morto - disse d'un tratto, spezzando il silenzio in tono
macabro.
Gawain le sfiorò la fronte in un gesto che pareva affettuoso, ma
Clarissant sapeva che si prendeva gioco di lei. - Chi vi ha detto una
cosa simile? Delirate, sorella.
- No! Me l'ha detto Morvydd! Era nella tenda, mi ha detto ogni cosa -
ella ribatté, ma sentiva quel ricordo perdere forza e verosimiglianza.
Il falco scosse la testa: - Morvydd è nata per recitare in una tragedia
greca. Credo l'abbiate fraintesa. È vero che suo padre e Sir
Colgrevance hanno avuto una brutta discussione, ma... ne sono usciti
con qualche scalfittura. Davvero. Se nostra cugina abiurerà la vecchia
religione, è possibile persino che le nozze non vadano a monte.
Clarissant l'ascoltava a bocca spalancata. - Ma...
- Oh, via, l'avete scampata bella, e avete tenuto testa a Gaheris, che
Dio lo maledica! Ma sarò più tranquillo quando anche voi sarete
sistemata. Credevo proprio che Colgrevance fosse un gran bel partito
per voi, sapete? Ma ora dovrò ripiegare su qualcun altro. D'altronde...
Sorrise.
- Sir Bedivere mi ha chiesto la vostra mano, e credo di non aver
sbagliato ad accettare. Mi siete sembrata molto affezionata a lui, da
come vi siete comportata poc'anzi.
Clarissant non rispose e per un po' rimase ad ascoltare il battito del
proprio cuore. Come se potesse trovarvi la risposta.
La verità fa paura, ed il corvo è un
messaggero di verità. Posso continuare a fingere di odiarlo, oppure...
ammettere che Dio ha unito le nostre vite già in quel triste giorno di
sangue.
Gawain riprese, quasi intimorito dal suo silenzio: - Lindsey è un luogo
bellissimo in qualsiasi stagione, vedrete. Credo che sarete felice;
Gareth mi dice spesso che vi manca il mare!
Clarissant pensò alle onde che ingoiano la spiaggia, e al tramonto
sembrano dense come miele. Pensò agli uccelli quando si alzano in volo
ed era proprio un'onda a passarle sullo stomaco in quel momento, ed era
un frullio d'ali che sentiva in petto,
ed era amore.
FINE
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Piccola nota sciupa-fic: verrà spontaneo chiedersi se tutto quanto è
successo dal torneo di Carlisle in poi sia stato davvero soltanto un
sogno.
Dal momento che i Vichinghi non iniziarono le loro allegre invasioni
fino all'800, viene proprio da dire di sì. Ma allo stesso tempo potete
interpretare quanto accaduto come dimensioni parallele, viaggio nel
tempo, intercessione divina... insomma come preferite, davvero. Per me
l'importante è che Clarissant ammettesse i suoi sentimenti *Cupid mode:
on*
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