Fly Little Wagtail

di SakiJune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** Chapter One. ***
Capitolo 3: *** Chapter Two. ***
Capitolo 4: *** Chapter Three. ***
Capitolo 5: *** Chapter Four. ***
Capitolo 6: *** Chapter Five. ***
Capitolo 7: *** Chapter Six. ***
Capitolo 8: *** Chapter Seven. ***
Capitolo 9: *** Epilogue. ***



Capitolo 1
*** Prologue. ***


Veterani del fandom, nuovi lettori, voi che siete capitati qui per sbaglio, salve.
Questa storia nasce senza nulla di scontato: la trama era delineata in modo da poter essere contenuta in mille parole, o anche meno; ma poi nuove sottotrame si sono aggiunte e sto ancora cercando di venire a capo con il finale. Spero di riuscirci.
In questo fandom è arduo stabilire cosa sia fanon e cosa canon, perciò cercherò di fare un po' di chiarezza man mano che i personaggi vengono fuori... Clarissant è assolutamente canon, ma la caratterizzazione è mia, ed è molto diversa da quella di altre fanwriter.
Mi attengo principalmente alla linea di Malory, ma non disdegno qua e là accenni alle Nebbie di Avalon o altri spunti presi qua e là in Rete, e soprattutto IMMAGINANDO. La grafia dei nomi è varia e si riferisce al mio gusto personale. "Morgana" è in italiano, per esempio, ma "Arthur" in inglese. Perdonate questo capriccio.
E chiedo scusa in anticipo anche per eventuali anacronismi, sono molto ignorante in questo. Spero di non aver inserito patate o pomodori da nessuna parte.

Saki





FLY LITTLE WAGTAIL

PROLOGO.

Storia, che così presto ti trasformi in leggenda! E tu, leggenda, che come l'edera svelta ti abbarbichi sulla realtà passata... per nasconderla? Camuffarla? Rendere sopportabile la sua vista agli occhi degli uomini nuovi?
Forse. Io però non credo che la gente di quest'era sia migliore, o che creda ancora al Bene e al Male come entità di potere. Da sempre ogni uomo ha in sé un'anima generosa e un'anima crudele, ed è dalle sue scelte, consapevoli o no, che si dipanano gli eventi. La magia, che oggi nessuno sa più incatenare e sfruttare per sé, aleggia sugli stagni come nebbia o si addensa, multiforme, nei boschi non ancora spazzati via dalla furia distruttrice del progresso.
Si narra che un tempo lontano, nelle isole Orkney, verdi e fredde ed echeggianti di richiami d'uccelli marini, vivesse un sovrano altrettanto gelido, spietato e calcolatore. Il suo nome era Lot, figlio di Thorfinn, e un tempo il suo dominio si estendeva su Gododdin, la terra che oggi si chiama Scozia e che in suo onore fu ribattezzata Lothian.
Lot sognava di conquistare la Britannia, strappandola al suo legittimo re Uther Pendragon nonché agli invasori sassoni che già avevano preso possesso di vasti territori. Ma gli alleati di Uther erano pericolosi, e decise di mantenere un basso profilo per accattivarsi la sua fiducia: ricevette in verità un dono da Uther, oscuro e prezioso, che gli permise di entrare a pieno diritto nella leggenda, cosa che solo con la sua ambizione non avrebbe raggiunto.
Quel dono aveva un volto, e un ventre, e un nome: Morgause, primogenita del defunto duca Gorlois, che fu sua sposa e madre dei suoi molti figli.
Era una donna creata a sua somiglianza, si sarebbe detto, al pari di lui glaciale e crudele. Quando la follia lo spinse infine a sfidare Arthur, legittimo erede di Uther, fu sconfitto e privato delle terre del Lothian, e infine ucciso nella battaglia di Terrabel. Ella gli sopravvisse di buon grado.
Un episodio, giunto da testimonianze antichissime, racconta che una sua figlia rimase incinta senza aver marito, ed egli, considerandolo un disonore troppo grande, la scagliò dalla finestra.
Non sono qui ora per intessere le lodi di questo sovrano, che non lo merita affatto. Ma di fronte ad un così arbitrario tentativo di distorcere i fatti, ben più nobili e delicati, non posso che prendere la penna e tentare di raccontarvi ciò che realmente accadde alla principessa di Orkney, che fu prima sposa fedele di un cavaliere cristiano, e poi regina delle sue isole; e che mai recò in sé un frutto d'amore, ma fu madre nel cuore e nelle azioni, fino alla fine.




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Capitolo 2
*** Chapter One. ***






CAPITOLO UNO.

Dove incontriamo la nostra protagonista, ed ella incontra una persona sgradita che le ordina di tacere sul vero assassino di sua madre.




Clarissant di Orkney era solita classificare ogni persona che la circondasse con una specie diversa di volatile.
Quando era piccola, sua madre teneva nel parco alcune pavoncelle. Come resistessero a quel clima, era piuttosto insolito; comunque il divertimento più grande per lei e Gareth, in quei tempi spensierati, era rincorrerle fino alle soglie del bosco, o finché la cugina Morvydd non li richiamava a gran voce sguinzagliando i servi a recuperare i pennuti.
- Non date dispiaceri a vostra madre, non ne ha proprio bisogno - tagliava corto con lei, soffermandosi invece ad accarezzare i riccioli di Gareth. Tutti adoravano suo fratello.
Lui era lo scricciolo, pensava. Lei la ballerina gialla, con quello stupido vestito di lana che Morvydd le faceva sempre indossare. Morvydd era un'allodola che non sembrava sentire affatto la nostalgia di casa, nonostante il castello di re Uriens fosse tanto lontano. E sua madre era...

Era.

I tempi belli erano finiti, Gareth era partito per Camelot, come i suoi fratelli prima di lui

(Il falco, Gawain. Lo spioncello, Mordred. il pulcinella di mare, Gaheris. E il gabbiano, Agravain, con le sue strida di folle dispetto)

e la primavera successiva un cavaliere sconosciuto con lo stemma azzurro e bianco sul petto aveva cominciato le sue visite.

- Sssst - le dicevano quando si sentiva arrivare un cavallo, e la spedivano nella sua stanza.

Morvydd era strana, in quel periodo. Borbottava da sola e progettava di tornare a casa, perché "Tanto la signora è tale e quale alla mia". Voleva dire che Morgause e Morgana si somigliavano, ma Clarissant non capiva cosa ci fosse di male. E poi non era vero, zia Morgana era più bassa e più magra.
Un'uria che vola sulla superficie del mare e sa già su quale pesce tuffarsi.

Clarissant aveva smesso di salutare al mattino la Piccola Sconosciuta, l'isoletta che si ergeva verdissima di fronte al golfo. E non trovava più gusto a rincorrere le pavoncelle, sola com'era. Il cavaliere misterioso occupava tutta la sua fantasia; d'altronde non aveva molto a cui pensare, se non a come se la cavasse lo scricciolo Gareth "laggiù". Sotto le ali del falco Gawain, probabilmente.

Morvydd era rimasta a filare ininterrottamente per una settimana, cosa che faceva soltanto quando era inquieta, dopodiché Clarissant l'aveva vista consegnare una lettera ad un servo che era partito immediatamente per la terraferma. Non aveva dimenticato quell'episodio, e non si stupì quando, durante una delle visite del cavaliere azzurro, aveva udito un altro rumore di zoccoli al galoppo. Un altro stemma celeste, tra l'altro, aveva notato. Ma le due strisce bianche non erano dritte, bensì incrociate...

- Gaheris! - aveva gridato, correndo incontro al fratello. Era felice di rivederlo, c'erano così tante cose che doveva chiedergli... sul suo scricciolo, naturalmente, e sul pulcino di falco, Gingalain, che era nato l'anno prima.

Ma Gaheris era smontato da cavallo, armato, e non l'aveva degnata di uno sguardo, entrando dal portone con un viso così feroce che Clarissant ne tremò tutta. Lo scudiero, che aveva ben pochi anni più di lei, fu invece cordiale e rispose a tutte le sue domande: Gareth non lavorava più nelle cucine della reggia, era sopravvissuto alle angherie del terribile Sir Kay (una poiana, fu il verdetto della bambina) e il Re gli aveva già affidato un'importante missione, salvare una damigella al Castello Periglioso. Agravain e Mordred erano sempre imbronciati e cupi, e la moglie di Gawain attendeva un altro bambino. Era incredibile quante chiacchiere circolassero a Camelot, pensò. Ma l'espressione di Gaheris di poco prima le era rimasta impressa così vivamente che, esaurita la curiosità, aveva deciso di cercarlo in casa...
In quel momento il cavaliere misterioso era uscito dal portone correndo come se fosse inseguito da una belva. Indossava il mantello a rovescio ed era scalzo: nell'insieme le era parso divertente, ma sapeva pur fare due più due e aveva intuito che doveva aver avuto un qualche scontro con il pulcinella di mare.
Nell'ingresso non c'era nessuno, però.
E per quanto fosse ormai quasi abituata alla solitudine e alla tranquillità, c'era davvero troppo silenzio.
- Fratello? - aveva chiamato piano, affacciandosi ad uno dei cortili interni. Gaheris era lì. Era smagrito, nervoso, ed aveva sussultato quando si era accorto della sua presenza, ma senza voltarsi. Stava in piedi davanti alla fontana, e teneva la spada sotto il getto dell'acqua; i suoi vestiti erano macchiati di sangue.
- Siete ferito? - aveva avuto il tempo di chiedere, prima di udire le urla di sua cugina e di essere strattonata via dalla nutrice, raggiungendo il secondo piano e poi la sua stanza a grida e spintoni, perché ormai aveva capito che era accaduto qualcosa di tremendo e voleva sapere che cosa.

Dalle sbarre della finestra, quando ebbe smesso di piangere (e si era fatta ormai sera) intravide un drappello di cavalieri in arrivo, tra cui riconobbe Mordred e Agravain.
Il giardino era sporco di sangue e piume. Gaheris aveva sterminato le pavoncelle, decapitandole una ad una, e ricordava di essersi chiesta perché mai avesse lavato la spada prima di compiere una simile strage.

Il mattino dopo si era svegliata stordita e più stanca che mai. Non ricordava di essersi messa a letto, ma qualcuno doveva avercela portata.
Aveva anche fame.
Provò ad aprire la porta e ci riuscì. Sentì delle voci, alcune conosciute, altre mai udite prima. Non aveva finito di scendere le scale quando un uomo era sbucato dal salone e aveva alzato gli occhi a guardarla.
- Torna di sopra, bambina - le aveva detto, brusco.
Era alto, più alto di qualsiasi uomo delle isole, e vecchio almeno quanto Gawain. Se fosse bello o brutto, questo non lo sapeva dire; aveva corti capelli rossicci, la barbetta a punta e occhi penetranti. Portava abiti di colori vivaci e il suo stemma era rosso, ma il suo viso era triste e tirato.
- Non sono una bambina, signore, sono Clarissant di Orkney, e vi trovate nel mio castello - rispose con aria altezzosa, imitando sua madre, consapevolmente o no.
L'uomo aveva accennato ad un inchino, non tanto di rispetto quanto di pietà:
- Sir Bedivere, cavaliere della Tavola Rotonda e duca di Neustria, per servirvi.
Con sorpresa notò che non aveva la mano sinistra.
- Non ve l'ha tagliata mio fratello Gaheris, quella, spero.
- Ques... oh! - Il duca sembrava turbato dall'innocente franchezza di Clarissant. Gli era venuto in mente che la bambina potesse aver visto qualcosa: in realtà aveva creduto a ben poco di ciò che Gaheris aveva raccontato la sera prima. - Certo che no. Avrete forse sentito parlare della battaglia di Mont-Saint-Michel... ma ditemi, perché avrebbe dovuto?
Clarissant lo condusse in giardino e gli mostrò i cadaveri delle pavoncelle irrigiditi al sole del mattino, freddo ma abbagliante.
- Ma sapete, la sua spada era già sporca. Prima.
Il duca socchiuse gli occhi e annuì. Si aspettava una cosa del genere, per quanto non gli facesse piacere che i suoi dubbi diventassero certezze in modo così brusco.
- Non ditelo a nessuno. Qualsiasi cosa vi chiedano, non raccontatelo a nessuno, o questo castello crollerà nell'oblio del disonore, peggio di quanto lo sia già.
Clarissant parve studiare le mura solide del maniero, che contraddicevano qualsiasi nera profezia. Ma ciò che restava della sua famiglia non era là, in quel momento.
- Potrebbero fare del male a Gareth?
Lui alzò un sopracciglio, come se avesse avuto un'intuizione, e capì che era necessario mentire. - Potrebbero. - Ma fu con lingua sincera che continuò, rinfrancandosi nell'affermare una candida verità: - E sarebbe un peccato, perché è il ragazzo più gentile e buono d'animo che abbia mai varcato la soglia di Camelot.

Rabbia le salì dallo stomaco, sebbene non sapesse a chi fosse diretta: se al cavaliere scalzo, a Gaheris o all'uomo che le stava davanti. Perché nessuno le aveva mai parlato con tanta gravità. Era il volto dell'impotenza, quello del duca di Neustria, il volto della morte. La sua fantasia di bambina delle isole decretò: era un corvo fatto e finito.
Ma la ballerina gialla aveva paura, paura per il suo scricciolo.
Così si tenne dentro un segreto che quasi non conosceva, e che più tardi volle far finta di non conoscere.

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Capitolo 3
*** Chapter Two. ***


Buongiorno.
Visto che negli ultimi tre giorni ho scritto più di due righe in tutto, posso dirmi ottimista.
Siccome non vedo nessuno all'orizzonte, preferisco aggiornare, non sia mai che non mi venga voglia di scrivere QUATTRO righe alla settimana per non restare troppo indietro!
Le solite precisazioni:
Morvydd e Ywain (o Uwain, o Uwaine, come vi piace) sono gemelli e accreditati come figli di Uriens nelle leggende gallesi. Non ricordo di aver letto da nessuna parte (o può darsi che me lo sia sognato, ultimamente mi succede anche questo) che Ywain muoia durante la Cerca, anzi è più probabile che fosse tra gli eroi di Camlann, ma ho preferito così. Chiamatelo bashing XD E il pairing Colgrevance/Morvydd è canon, anche se non credo che i gallesi se lo fossero immaginato così ingarbugliato.

Grazie a Caillean per aver messo questa storia tra i preferiti.

Saki




CAPITOLO DUE.

Dove Clarissant deve fare i conti con nuovi luoghi, strani parenti e brutti incontri.




Non c'era nessun motivo per cui Morvydd restasse sulle isole, aveva deciso Morgana. Clarissant dovette seguirla, perché Gawain non voleva saperne di tenerla a corte, e ben presto l'atmosfera tetra nel castello di re Uriens aveva pesato sui nervi della bambina in modo irreparabile. C'erano stanze dove non si doveva entrare, naturalmente, e parole che non andavano pronunciate, e il cugino Ywain le era così ostile da piantarle gli occhi addosso e sibilare: - Via, fuggite! - ogni volta che la incontrava.
Aveva riferito questo comportamento così spiacevole a Morvydd, e le fu risposto con disinvoltura che non doveva considerarlo un insulto, ma un buon consiglio.
- Ma lui mi odia! E anche voi mi odiate, se parlate così! Oh, cugina, siete mai stata trattata così a Orkney? Mia madre vi fece mai mancare nulla? Che cos'ho fatto per meritarmi questo?
Morvydd sospirò. - Clarissant, mia madre è una persona orribile. È lei, in pratica, a governare Gore. E quando è a Camelot riesce a influenzare anche le decisioni di nostro zio... credimi, Ywain vuole il tuo e il mio bene, ma presto partirà. - Aveva l'aria scoraggiata, ma non abbattuta. - Se riuscissi a sposarmi presto! Vi porterei con me, ve lo giuro!

- E chi vorreste sposare? - Clarissant era nell'età in cui l'universo maschile iniziava a prendere una forma definita. - Siete innamorata?

Morvydd era innamorata, eccome. Il cavaliere che aveva rapito il suo cuore si chiamava Sir Colgrevance. Re Uriens sembrava tenerlo in grande considerazione, ma Morgana aveva deciso che sua figlia non avrebbe sposato "uno di quei fanatici della croce". Già Ywain l'aveva delusa informandola che avrebbe partecipato ad una missione sacra, ma stranamente non aveva protestato: sembrava addirittura felice che se ne andasse da Gore.
- Vostra madre teme Ywain, come lui se sapesse qualcosa su di lei.
Morvydd scrollò le spalle e rispose che sì, era possibile, ma non le importava nulla.

- E se vi facessero sposare qualcun altro? - azzardò una volta, ma non ci provò più. Morvydd le disse che era una bambina stupida e ignorante e che non doveva immischiarsi negli affari degli adulti. Non era più la sua allodola, non cantava e non sorrideva... era diventata un'altra persona, sotto l'influenza della madre.

Gli uccelli di Gore erano diversi, troppo diversi da quelli delle isole. Nondimeno imparò a conoscerli.


Gareth si sposò. Quando Lady Lyonors, la famosa damigella del Castello Periglioso, le scrisse che avrebbe tanto desiderato averla con sé, Clarissant vide la luce dopo tanto tempo. Le dispiace un poco separarsi da Morvydd, ma d'altra parte la cugina era diventata così cupa e scostante...
Lyonors era bellissima, e gentile, e affettuosa! E Gareth... era cambiato, sì, ma era rimasto sempre il suo scricciolo. Le disse di essere dispiaciuto per tutto ciò che aveva dovuto sopportare, ma che da quel momento in poi la sua vita sarebbe stata diversa.
Gawain aveva regalato agli sposi una residenza non lontana da Carlisle, e la prima cosa che Clarissant notò fu che non c'era il mare. Non le sembrava possibile vivere in un luogo dove, affacciandosi alla finestra, non si vedono onde e scogli e gabbiani

(Agravain, già. Si era sposato anche lui, ma fu contenta che non l'avesse invitata)

e la notte ha un rumore sconosciuto.

Criiii-criii.

Mi abituerò anche a questo, si disse.

Fu il primo incontro con Lady Lynette a segnare definitivamente il suo ingresso nel mondo degli adulti. Non era stato l'assassinio di sua madre, né il soggiorno nel tetro castello di Gore, ma proprio la conoscenza di quella dama arguta e fiera.
Anche lei era gentile, ma il pensiero che fosse la moglie di Gaheris la faceva rabbrividire.
Rivedeva le pavoncelle sul prato, bianco rosso verde
e la spada sotto il filo dell'acqua
e il volto serio di Sir Bedivere: - Non ditelo a nessuno.

Non le disse che forse Gaheris aveva ucciso la loro madre, che il cavaliere misterioso non aveva fatto niente di male

(o quasi niente)

eppure, alla fine, aveva pagato con la vita.

Non le chiese nemmeno, con la consueta curiosità infantile, se fosse davvero innamorata di suo fratello. Intuiva che lo era, e tanto le bastava per non causarle dolore.
Questo significò per lei diventare donna: non soltanto custodire un segreto, ma farlo in piena consapevolezza.

La seconda moglie di Gawain aveva avuto un altro maschio, Florence. L'anno successivo, morì dando alla luce Lovell. Il falco non sembrò portare il lutto in maniera ostentata, anzi sembrava sereno e soprattutto occupatissimo con gli affari di corte. Tempo dopo si risposò, ma non fu un'unione felice.

Quando Clarissant aveva ormai compiuto i sedici anni, a Carlisle fu indetto un torneo in occasione del compleanno della regina. Fu una settimana festosa, ma che venne presto guastata da due spiacevoli incidenti.
Durante il sorteggio degli sfidanti, Gaheris fu scelto per duellare con Sir Bedivere. Clarissant provò un brutto presentimento, e alla prima occasione si avvicinò al duca e gli espresse la propria preoccupazione.
- Per chi mi avete preso, signora? Ciò che sappiamo non mi porterà certo a smascherarlo in pubblico dopo tanti anni. Vincerà il migliore e in questo momento, per me, lui è un mio fratello in armi come tutti gli altri. È un periodo di festa, ricordate?
Clarissant fu un poco rincuorata dalle sue parole, ma nondimeno non se la sentiva di seguire la sfida. Finse un lieve malessere e si rifugiò in una delle tende montate nel parco. Quale sorpresa fu trovarsi faccia a faccia con Morvydd, l'allodola dei suoi giorni d'infanzia, la triste principessa di Gore!
Fu felice di rivederla, ma trovò alquanto strano che se ne stesse là tutta sola e non seguisse il torneo.
- Aspetto un figlio - le rivelò la cugina, brusca.
Re Uriens aveva acconsentito al suo matrimonio con Sir Colgrevance, e le era sembrato di toccare il cielo con un dito. Erano stati molto vicini, le fece capire, e avevano finito con l'affrettare i tempi... Morgana aveva capito tutto e le aveva fatto il peggior dispetto che la sua anima perversa potesse mai escogitare: aveva rivelato al futuro genero come non ci fosse traccia di fede cristiana a Gore, e che Morvydd stessa seguisse le sue orme nella pratica della Vecchia Religione.
Orripilato al pensiero di aver commesso un peccato doppiamente terribile, Colgrevance aveva rotto la sua promessa, e Uriens, furibondo, aveva alzato le armi contro di lui, avendo la peggio.
Ora Morgana regnava con grande soddisfazione e lei era fuggita, disperata e furiosa, ma decisa a non tornare mai più a Gore.
- Sir Colgrevance vi ha fatto un torto - dichiarò Clarissant - Avrebbe dovuto ascoltarvi!
- Lui non ha colpa, non ha colpa! È stato mio padre ad aggredirlo... ed è stata mia madre a convincerlo ad abbandonarmi! E io non posso certo fingere e vantarmi di essere cristiana, quando mio fratello è rimasto ucciso mentre cercava una stupida reliquia per innalzare la gloria di Arthur Pendragon agli occhi del Papa!
Le parole di Morvydd non le fecero granché impressione; aveva vissuto a Gore abbastanza per non scandalizzarsi. Le promise che avrebbe parlato a Gareth e Lyonors, e avrebbero trovato una soluzione.

Dopo la cena, però, le accadde di rimanere sola con Gaheris. L'espressione ostile negli occhi del fratello aveva una sola spiegazione: aveva origliato la conversazione tra lei e il duca.
L'avrebbe uccisa.
Era la fine.
- Quanto sapete? - Senza giri di parole, così, l'aveva spiazzata. - Non mentitemi, sorella, o sarà peggio per voi.
Clarissant scoppiò in singhiozzi. - Non conta: non lo sa nessun altro. E Sir Bedivere è il primo a desiderare che il vostro segreto rimanga sepolto.
Gaheris notò la coincidenza e non mancò di farla apprezzare anche a Clarissant: poco prima, durante lo scontro, gli sarebbe bastato così poco per assicurarsi il silenzio del suo sfidante!
- Sir Bedivere è molto legato al re nostro zio, lo sapete meglio di me. Non vorrete incorrere nella sua ira... pensate a Lynette! Non l'amate quanto lei ama voi? - Indietreggiò, quando vide che la mano del fratello era corsa alla spada.
Incredibile, si preoccupava più per il corvo che per se stessa? O cercava di sviare l'assassino che aveva di fronte dal suo proposito più immediato? In quel caso, fu tutto inutile.
- Voi non sapete nulla, lo credete soltanto. Avete un'immaginazione fuori dall'ordinario. Ragazzina sciocca, avrei dovuto uccidervi già allora...

- Cosa succede qui? Sir Gaheris!
Il re era tornato nel salone, accompagnato da alcuni dei cavalieri a lui più intimi. Il duca era tra loro.
Nonostante avesse appena assicurato al fratello che non avrebbe rivelato nulla, la presenza del re le diede l'impressione che se non l'avesse fatto sarebbe morta, se non quel giorno, in un'altra occasione.
Addio, ballerina gialla.
- Mia sorella è impazzita, farnetica. Levatemela di torno - improvvisò Gaheris, ma spostò la mano dall'elsa della spada.
Clarissant si gettò in ginocchio davanti al re:
- Maestà, vi prego di credere alle mie parole: non sono folle, e sono realmente in pericolo.
- È la verità - confermò Sir Bedivere. - Credo sia opportuno che vostra maestà convochi una seduta speciale. Non avrei mai desiderato rimestare nel fango né procurarvi un dispiacere, ma non desidero si sparga altro sangue innocente.
Lei si voltò a guardarlo con gratitudine, chiedendosi però quali sarebbero state le conseguenze di quanto stava accadendo.
- Ha detto che voleva uccidere anche voi...
Udì la propria voce echeggiare, come se non fosse stata sua; desiderò che lui l'abbracciasse e la sostenesse, perché si sentiva tutt'a un tratto tanto debole...
Tutto fu buio e quando riprese conoscenza non era in un letto, ma semplicemente distesa su un divano della sala e Gawain se ne stava seduto al suo fianco con la testa tra le mani.
- Non dovete spiegarmi nulla, Sir Bedivere si è preso ogni responsabilità sul vostro silenzio.
Certo, lui fa e disfa, pensò con disappunto, ignorando i sentimenti così squisitamente femminili a cui poco prima aveva avuto la debolezza di abbandonarsi.
- Ma siete arrabbiato ugualmente - mormorò Clarissant, allungando una mano. Gawain non si lasciò toccare e si alzò in piedi, con quella fierezza scostante mista ad un malinconico rimorso che sempre accompagnò la sua esistenza.
- Abbiamo pur sulle spalle la morte di Sir Lamorak.
- Era l'amante di nostra madre... - gli ricordò Clarissant, rischiarata da una nuova, feroce consapevolezza.
- In questo momento assomigliate a nostro fratello Mordred, lo sapete? - fu la risposta di Gawain, ancora più feroce. Da pari a pari, per quanto lei fosse tanto più giovane e per di più una donna - perché il loro sangue era lo stesso, tormentato e vendicativo, per quanto non malvagio.

Ma rendersene conto non era di per sé un vantaggio?


Gaheris fu bandito da Camelot a tempo indefinito, e per uno strano scherzo del destino Clarissant andò sposa a Sir Colgrevance. Non poté rifiutare; il re e Gawain avevano imbastito quell'unione da tempo, l'uno spinto da Morgana, desiderosa di intralciare i piani della figlia, l'altro forse da sincera stima nei confronti del suo compagno in armi.
Scrisse comunque a Morvydd, che una titubante Lady Lyonors aveva accettato di ospitare presso di sé, esprimendo il suo rammarico e augurandosi che non le portasse odio.

Cara cugina,
vi rispondo brevemente per rassicurarvi.
Non provo la minima ostilità verso di voi, sia per l'affetto che ci ha sempre legate, sia perché non avrei comunque potuto occupare il vostro posto in questo momento.
Primo, è stato vostro marito a rompere il fidanzamento; secondo, non vorrei comunque vivere accanto all'uomo che ha ucciso mio padre, anche se in tutta onestà credo che sia stato solo costretto a difendersi... e non avrebbe potuto far altro che vincere il duello, in quanto io stessa resi la sua spada invincibile.
Ma poiché lo conosco, e l'ho amato, so che renderà felice voi.

Morvydd, principessa di Gore, che non ha dimenticato gli uccelli delle vostre isole

E la fanciulla, che ora conosceva la paura ma non la malvagità (Gaheris non era un mostro, soltanto un perdente, solo questo), non capì il crudele sarcasmo di quelle parole così ben scelte. Fu anzi felice della fiducia che Morvydd le dimostrava confessando un segreto tanto compromettente. Le lesse come una benedizione e andò incontro ad una vita nuova e serena, al fianco di quel cavaliere biondo a cui, già lo sapeva, avrebbe voluto bene.


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Capitolo 4
*** Chapter Three. ***


Cynon è il nome di Sir Colgrevance nelle leggende gallesi, e in teoria lo è anche qui... ma in questa fic si riferisca a suo figlio. Nessuna stranezza, se esiste Bors figlio di Bors, può esserci anche Cynon figlio di Cynon :)
A me intrigano i nomi in generale. In questo fandom dove le varianti sono numerosissime, mi piace pensare che alcune possano coesistere; che un cavaliere possa avere sia un nome di battesimo, perlopiù gaelico, e un altro, anglicizzato, da sbandierare a corte.
Ieri, mentre "aggiustavo" il capitolo con Malory alla mano, mi sono resa conto che non posso seguire la cronologia e la dinamica degli avvenimenti senza forzare e falsare la storia che sto raccontando. Quindi via al what if, freghiamocene altamente di luoghi, tempi e persone. Che vi sia gradito.

@Ilakey_chan: Sto scrivendo questa storia pensando a te e sperando di farti felice. Perciò mi fa davvero piacere che tu riesca a cogliere certe sfumature. Mi piacerebbe molto postare nella tua community, mi sono iscritta ma ho davvero paura di fare pasticci tra etichette e altro...





CAPITOLO TRE.

Dove conosciamo Branwen, figlia di Gawain, e nel castello di Sir Colgrevance si riunisce una losca congrega.


Non fu facile, dapprincipio, convivere con le circostanze che avevano condotto al loro matrimonio, con il fatto che Colgrevance avesse abbandonato Morvydd e ucciso il padre di lei. Ma con il tempo, Clarissant giunse a comprendere due importanti verità: egli anteponeva la sua fede ai moti del cuore ed ogni sua azione, per quanto istintiva e crudele, era paradossalmente dettata dalle più pure intenzioni; Morvydd era la degna figlia di Morgana, e a lei legata, malgrado se stessa, da qualcosa di oscuro e inevitabile... a Clarissant parve solo allora di conoscerla davvero - una civetta mascherata da allodola. La cugina non aveva prolungato più del necessario la sua permanenza presso Lady Lyonors (che ne fu sollevata) ed era infine tornata a Gore, perché a questo era destinata.
Clarissant si trovo così a crescere il piccolo Cynon, che per beffa e per fortuna portava il nome del padre; Lyonors ne aveva tratto la conclusione che Morvydd aveva rinunciato al bambino per sempre, senza lasciargli alcun marchio. Una volta messo al corrente della situazione, Colgrevance non si era tirato indietro nel riconoscere il proprio figlio naturale: fu una scelta saggia, perché non ci furono altri eredi, né maschi né femmine. Rassicurò la moglie che non intendeva fargliene una colpa, e che non avrebbe rinunciato a lei. L'esempio del re, che pure non aveva avuto figli dalla regina Ginevra e tuttavia l'amava con tutto il cuore, doveva averlo ispirato, o forse era convinto dentro di sé che fosse stata proprio la sua vecchia fidanzata a maledire la sua famiglia; in ogni caso fu sempre cortese e generoso nei suoi confronti, accordandole fiducia e libertà.
Che una simile disgrazia fosse opera di magia nemica o soltanto del destino, Clarissant dovette ammettere che nonostante tutto il suo nido non fu mai vuoto. Qualche tempo dopo l'arrivo di Cynon, giunse un altro dolce fardello che la conquistò completamente. Gawain aveva ripudiato la sua ultima moglie, e le sue ragioni dovevano essere ben gravi, perché dichiarò di non voler avere nulla a che fare con la bimba nata da quel matrimonio. "Somiglia a sua madre in modo insopportabile" era tutto ciò che gli si riusciva a tirar fuori sull'argomento, e tanto bastò alla sorella per accoglierla tra le braccia.

- È la creatura più deliziosa che abbia mai visto - commentò Gareth quando la vide per la prima volta, durante una delle sue frequenti visite. - E somiglia a Gawain più di quanto lui stesso voglia ammettere. Come si chiama?
Clarissant ridacchiò. - Il suo nome è Branwen, e so che cosa state per dirmi...
- "Bellissimo corvo"? Sembra calzare a pennello con la vostra fissazione per gli uccelli. - Il suo sorriso sereno e innocente era qualcosa che non sarebbe mai cambiato nel tempo. - Non ho dimenticato i nostri giochi, sorella... io ero lo scricciolo, voi la ballerina gialla, e poi?
- E poi... tante, tante sciocchezze, Gareth. Ma il corvo era già stato preso, vedete.
Proprio mentre ammetteva che i suoi ricami infantili fossero così sciocchi, Clarissant era arrossita in modo così vistoso che Lyonors credette che si sentisse male.

Lui c'è sempre quando accade qualcosa di brutto.
Lui. Non è cambiato nulla, lo odio come un tempo. 


Crescendo, Branwen non deluse le aspettative di Clarissant. Era una bambina sana e robusta dai capelli neri - forse da questo aveva avuto il suo nome - e gli occhi particolarmente grandi, il che le dava un'espressione di eterna curiosità. La sua indole era docile, a volte passiva, e seguiva la zia per ogni dove. Ma sotto quell'aspetto così mite si nascondeva un enorme bisogno di verità e di affetto.
Nonostante suo padre evitasse di incontrare la figlioletta, ciò non era sempre possibile. E Clarissant aveva raccontato a Branwen tutte le imprese compiute da Gawain di cui era a conoscenza, tralasciando l'inutile vendetta su Sir Lamorak, che non faceva proprio onore a nessuno. Non c'era da stupirsi che ella fosse cresciuta adorandolo senza speranza, sentendosi sempre più rifiutata e indegna del suo amore.
L'infanzia finì presto per Cynon, che divenne scudiero di Sir Lionel e partì da casa con grande entusiasmo. Clarissant credette di scorgere nella nipote la stessa tristezza che lei aveva provato in una simile occasione, quando Gareth aveva abbandonato le isole, ma il loro legame di sangue era troppo debole e i loro caratteri troppo diversi. Semmai, aveva sofferto della separazione da Lovell, che aveva servito per qualche tempo Sir Colgrevance prima di ricevere l'investitura. Il ragazzo sembrava sinceramente affezionato alla sorella e aveva più volte supplicato il padre di rivolgerle un poco di attenzione, ma invano. Anche lui e Florence, d'altronde, con il tempo si fecero trasportare da facili compagnie - anche all'interno della famiglia - che Gawain non gradiva affatto: Camelot non era quella cittadella di virtù che tanti bardi decantavano.

Gli anni passavano, e ancora Branwen pensava sempre e soltanto ad escogitare un modo perché il padre si accorgesse di lei e invidiava i tre fratelli maggiori. Domande come: "Se io fossi un ragazzo, lui mi amerebbe?" e "Non sono abbastanza buona?" imbarazzavano Clarissant oltre ogni dire.
- Ma che dite! I vostri fratelli non sono in una posizione migliore della vostra. - si spazientì un giorno, cercando di chiarire la situazione una volta per tutte. - Egli li tratta come compagni d'armi, né più né meno, tranne quando si tratta di dar loro ordini. Gingalain è stato costretto ad un matrimonio assurdo, e si strugge d'amore per questa fanciulla di nome... oh, non ricordo! Lovell ci racconterà i dettagli stasera, penso.
- Viene a trovarci, davvero? - A Branwen brillavano gli occhi, ma Colgrevance zittì subito il chiacchericcio delle due donne.
- Moglie, non mi pare che sposare la regina del Galles si possa considerare assurdo. E mi spiace deludere la vostra curiosità su simili sciocchezze, ma questa sera ci sarà una riunione molto delicata... i panni sporchi di Camelot si lavano in casa nostra, vedete - concluse amaro.
Il marito aveva perso il buonumore già da qualche tempo, e rischiava di farlo inquietare chiedendogli spiegazioni. Nondimeno, in capo a una settimana, domandando alle persone giuste, ebbe le risposte che cercava e furono peggiori di quanto si aspettasse.

A corte stava per scoppiare uno scandalo: voci insistenti sostenevano che Sir Lancelot, il prediletto del re nonché la persona che Gareth ammirava di più al mondo, avesse una tresca con la regina, e che Colgrevance fosse tra coloro che desideravano smascherare il tradimento.
La prima reazione di Clarissant fu: "Di nuovo?"
Di nuovo segreti? Di nuovo odio? No, non doveva accadere. Sir Lamorak era morto, eppure Gaheris era stato riammesso a Camelot e sedeva alla stessa tavola di Sir Tor, che pure avrebbe volentieri sterminato tutta la loro famiglia.

Gaheris, che l'aveva minacciata di morte...

Non fu sorpresa quando scoprì che l'istigatore delle voci era nientemeno che Mordred. Si aspettava però che agisse allo scoperto, eppure non aveva partecipato alla riunione segreta: aveva mandato Agravain, un altro bell'esemplare di tatto e finezza. Si chiese cosa pensasse Gawain di tutta la faccenda, ma non osò intromettersi, sperando in cuor suo che alla fine il buon senso avrebbe prevalso.

Quando i cospiratori tornarono, erano più numerosi di prima. Cavalieri del Lothian, uomini di fiducia. Ma dov'erano il viscido Melehan, il pavido Melou? Perché Mordred non rischiava il suo sangue, se davvero si trattava di un'impresa semplice e onorevole?
L'indomani, poco dopo l'alba, si udì un gran trambusto nelle cucine, e una serva corse a chiamarla con una strana eccitazione sul viso: Branwen e Lovell stavano discutendo, e in modo piuttosto animato.
Il ragazzo doveva averle accennato a come si sentisse fiero di far parte di una simile spedizione, abituato com'era a fidarsi della riservatezza della sorella. Ma non si aspettava che, sotto le spoglie di un'innocua damigella, si nascondesse la sua stessa tempra.
Era o non era la figlia del falco? Aveva o no un becco forte e affilato?

- Cosa vi fa credere che nostro padre sia contrario? Egli per primo non desidera che il re venga ingannato. La verità deve venire alla luce, il mio signore ha ragione... o non avete fiducia in zio Agravain e zio Mordred?
- Cosa me lo fa credere, chiedete? Voi non sapete mentirmi, questo vi dico. Il vostro sguardo evita il mio, proprio adesso, e ora sono io a chiedere a voi, fratello, chi è il vostro signore! Non siete più al servizio di Sir Colgrevance, ricordate? Né siete costretto ad obbedire a zio Mordred o a chicchessia!
- Ma Gingalain...
- Gingalain soffre! L'avete detto voi! Farebbe qualsiasi cosa per dimenticare il suo amore, si getterebbe in battaglia senz'armi, o nel fuoco, per placare la sua passione... o screditare quella altrui!
- Dunque voi conoscete la passione?
Questa frase pungente era riuscita a far ammutolire Branwen. Si voltarono a guardare la zia che li aveva ascoltati in silenzio.

- Se fossi uomo, saprei dimostrargli obbedienza - fu tutto ciò che riuscì ancora a dire la ragazza. Le sue guance erano infuocate, i capelli erano sfuggiti all'acconciatura. Se qualcuno le avesse teso uno specchio, non si sarebbe riconosciuta, cercando il volto della bambina che era stata.

- Lovell, per quanto porti stima a mio marito, questa è una decisione grave e triste... lasciate che siano uomini più vecchi di voi a commettere una tale imprudenza. Sento che non ne verrà nulla di buono - dichiarò Clarissant.

Lo sentiva, e fortemente. Quel gesto avrebbe messo in pericolo le loro esistenze, avrebbe fatto crollare ogni certezza e disciolto ogni legame.

Le loro parole non servirono a nulla.
La congrega partì qualche ora dopo, lasciando due donne inermi ad attendere il destino. Andò Colgrevance, l'uomo gentile e devoto che Clarissant aveva sposato, andarono i fratelli di Branwen, tanto giovani e già con troppe idee in testa, e andò con loro persino Sir Gromer, il burbero gigante di Inglewood, che in altre occasioni non avrebbe mosso un passo senza l'approvazione di Gawain. L'epoca della cortesia e dell'onore era conclusa per sempre.

E quando si fece di nuovo giorno, e udì un galoppo in lontananza, Clarissant sapeva già chi si sarebbe trovata di fronte, ad annunciarle sventura e distruzione.


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Capitolo 5
*** Chapter Four. ***


Vorrei precisare una cosa. Da questo capitolo in poi il pairing nella storia comincia a delinearsi, e a qualcuno potrebbe dare fastidio la notevole differenza d'età tra i due personaggi. Se è così, siete liberi di non leggere, ma stiamo parlando di un'epoca in cui tale divario non suscitava nessuno scandalo.
Ciò detto, buona lettura.








CAPITOLO QUATTRO.

Dove si piangono i morti e il loro onore perduto, e la piccola Branwen si innamora.





Sir Bedivere cavalcava davanti a loro, in silenzio.
La strada verso Carlisle, luogo un tempo festoso e ameno e ora teatro di morte, sembrò fin troppo breve a chi non aveva fretta di scendere a patti con la realtà.
Clarissant teneva la testa china, pensando a come il marito fosse morto con disonore. Sir Lancelot era disarmato davanti ai suoi aggressori, ed era stata la spada di Sir Colgrevance che aveva usato per sterminarli, dopo averlo ucciso.

"... e non avrebbe potuto far altro che vincere il duello, in quanto io stessa resi la sua spada invincibile..."

Per quanto gli anni del suo matrimonio fossero stati sereni e piacevoli, non riusciva a versare una sola lacrima per il marito. La morte dei suoi nipoti era tutt'altra cosa, però. Sapeva di aver fatto tutto il possibile per dissuadere Lovell, e se né le sue parole dure né quelle accese di Branwen avevano sortito effetto, ecco... non poteva darsi alcuna colpa. Ciò non diminuiva il suo dolore di un briciolo, naturalmente.

Branwen invece guardava davanti a sé, i grandi occhi scuri spalancati e fissi sulle spalle dell'uomo che aveva portato loro una notizia tanto orribile, quanto preannunciata dagli incubi della notte precedente. Erano un poco curve, ma robuste; c'era nobiltà nella sua figura e forza nella mano che reggeva le redini.
Quando Sir Bedivere si voltò a chiedere alle due donne se necessitassero di bere o mangiare o fermarsi un poco, la ragazza sentì una nota di limpida amicizia vibrare in quella voce, diversa da tutte le altre che aveva udito fino a quel giorno.
- Affrettiamoci, invece - rispose, mentre si asciugava le lacrime raffreddatesi sulle guance. - Desidero essere accanto a mio padre, adesso più che mai.

Inchini accompagnarono il loro ingresso al castello, ma nessun sorriso. Branwen, scesa da cavallo, si sentì di colpo spossata dal viaggio e dall’emozione, e Sir Bedivere le porse il braccio per impedirle di cadere: aggrappandosi a lui, nel torpore che minacciava di farla scivolare nell’incoscienza, incontrò il suo sguardo chiaro e sincero e sentì un inspiegabile calore che la rianimò.
- Lasciatela! Avete fatto abbastanza, duca – Sir Bedivere si voltò e lesse tutto il disprezzo negli occhi della principessa di Orkney, ora vedova e dama altera e irraggiungibile. Si era già chiesto in precedenza cosa poteva aver compiuto di tanto ignobile da meritare quell’odio profondo e imbarazzante, e si era ripromesso di chiedere consulto a Lucan – che di donne se ne intendeva un poco di più.
Ma c'era qualcos'altro ora. Un'altra donna. Quasi una bambina, su cui non aveva il diritto di posare gli occhi...


Le due donne furono rifocillate e fu preparata loro una camera per riposare. Clarissant si domandava, nel dormiveglia, quanto fossero vicine al luogo del massacro,

(quale corridoio, quale porta schizzata di sangue, il loro stesso sangue?)

e finalmente ripensò all'uomo che aveva amato, senza più rimurginare sulle sue colpe, e lo rimpianse sinceramente.


L'indomani tutti sarebbero partiti per Camelot. Il Consiglio si sarebbe riunito per decidere il da farsi, a porte sigillate, occupando ormai solo metà della Tavola Rotonda.
Sir Lancelot aveva già dalla sua parte un gran numero di cavalieri: i figli superstiti di re Pellinore, in primo luogo, avevano sentito risvegliarsi in loro l'antico rancore contro il clan di Orkney e lo consideravano un motivo più che sufficiente. Altri, comunque, avevano compiuto tale scelta perché affezionati a Lancelot e davvero preoccupati per la sorte della regina Ginevra, in quanto Arthur Pendragon si era dimostrato fino ad allora un sovrano tanto saggio quanto inflessibile con i traditori. Sir Lionel era tra questi, e con un brivido Clarissant pensò che Cynon, in quanto suo scudiero, era senza dubbio con loro.
Intuendo che sarebbe stato difficile avere un colloquio con Gawain il giorno successivo, si chiese se l'avrebbe fatto adirare presentandosi a lui durante la notte, unendosi alla veglia per i cavalieri caduti nel loro stesso agguato.
Si alzò, si rivestì e mentre chiudeva la porta si trovò davanti Branwen, svegliata dai suoi pur lievi passi e decisa ad accompagnarla.
L'alba non era ancora spuntata quando, alzando gli occhi asciutti, Sir Gawain vide la sorella e la figlia entrare in quella camera di morte e avvicinarsi a lui.

- Una parola, fratello, se voi e Iddio me la concederete - sussurrò Clarissant.
- Non qui - rispose Gawain con voce roca. - Seguitemi.
Dall'ombra, un'altra figura si alzò e uscì con loro alla fioca luce delle torce nel corridoio. A differenza del fratello maggiore, Gareth aveva pianto. Combattuto tra la lealtà al suo re e al profondo affetto che lo legava a Sir Lancelot, l'uomo che gli aveva insegnato a combattere e che aveva creduto in lui sin dal suo arrivo a Camelot, sembrava prosciugato da ogni certezza.
Raggiunsero una sala, anch'essa debolmente rischiarata, e i tre adulti si sedettero; ma Branwen si inginocchiò ai piedi del padre e là rimase, mentre essi discutevano, attendendo invano una carezza.

- E dunque?

Non solo il Consiglio reale era diviso in modo irrimediabile, ma la loro stessa famiglia. In quella stanza semibuia erano in quattro, così diversi l'uno dall'altra eppure uniti nelle intenzioni: Gawain, Gareth, Clarissant e Branwen. Non venne Gaheris, a cui pure il re aveva perdonato il suo crimine e le sue menzogne, né Mordred, che con le sue parole flautate e subdole aveva condotto al massacro quattro cavalieri del suo sangue.

- La spada che Sir Lancelot ha usato per compiere la strage...
- Sorella, non avete colpe per le azioni di vostro marito. - sbottò Gawain. Per lui era naturale e necessario interromperla, non solo perché era una donna; era abituato a sentirsi piagnucolare addosso e respingeva in anticipo questo genere di seccature. Ma siccome Clarissant aveva al contrario bisogno di chiarire fatti importanti, riprese il discorso senza badare alla sua freddezza:
- Fu nostra cugina Morvydd ad incantarla. Sir Lancelot non poteva saperlo, ma è dotata di vita propria... non meno di quella del re.

Gli occhi di Gareth si accesero ed esclamò con foga: - Vedete! Io lo sapevo, ve lo dissi! Non voleva far del male ad anima viva, lui è innocente!

- Non ho mai detto di desiderare vendetta contro Sir Lancelot, Gareth. - fu la risposta. - So cos'è l'onore, e ahimé, i miei figli non ne hanno dimostrato. Cosa si aspettavano? Cosa credevano di essere? A chi dovevano obbedienza, a me o a quello stolto, stolto... oh, basta! Che fate, voi?
Aveva abbassato gli occhi, svanita la foga, per decifrare il balbettio della figlia che si aggrappava alle sue vesti, bagnandole di lacrime.
- Ho ten-tato... di dis-suadere Lovell... se l'aves-si fermato, f-f...

- È la verità - confermò Clarissant. - Abbiamo fatto appello alla prudenza e al rispetto verso di voi, ma credo fossero tutti davvero convinti di agire per il meglio.

- Agire per il meglio! Rendendo tutti quanti infelici! - Gareth aveva pronunciato quella parola come se avesse avuto un cattivo sapore. - Avrei parlato io stesso a Sir Lancelot! Tutto questo si sarebbe evitato...

Caro, ingenuo Gareth. Era l'unico a non essere mai stato sfiorato da invidie, gelosie, macchinazioni, segreti. Per quanto ammirasse Gawain, la sua forza e il suo valore, nel cuore di Clarissant non c'era affetto più grande di quello che provava per lui.
- Se il mondo vi somigliasse... - mormorò la donna. Gareth le sorrise, commosso.

Gawain tentò di alzarsi, ma Branwen sembrava non avere intenzione di muoversi dalle sue ginocchia. - Serbate le smancerie per tempi meno cupi. Chiederò al re di mostrare clemenza verso Sir Lancelot, e lo farò in nome dei suoi meriti - che non mi sono sconosciuti né sono svaniti dalla mia memoria. E siano maledetti gli incantesimi di Morvydd e di sua madre!

"Ma poiché lo conosco, e l'ho amato, so che renderà felice voi"

No, nemmeno Morvydd aveva colpa per ciò che era accaduto. Erano tutti manovrati da qualcosa di più grande e terribile, a cui non potevano sottrarsi.
C'era una ragione per tutto, ma non serviva a nulla cercarla, poiché non apparteneva a questo mondo.
E tuttavia c'era.


Branwen fu accolta dall'accecante sfarzo di Camelot e a sua volta l'accolse con timida curiosità. Mai si era trovata davanti a tanti sconosciuti; cavalieri, paggi e servitori, voci gravi e preoccupate, sguardi truci, ma soprattutto nessuno che si occupasse di lei. Clarissant era intenta, con Lady Lyonors, a consolare Gareth: l'ordine di assistere all'esecuzione della regina era per lui una follia disumana, ma avrebbe obbedito. Gawain sì, che aveva potuto rifiutarsi, ma era una cosa ovvia: il re lo teneva in così gran conto da accordargli ogni privilegio, e ancor di più adesso che Sir Lancelot era caduto in disgrazia!
Passeggiava, dunque, con ancora sul cuore il peso della perdita dei fratelli, ed esplorava corridoi e giardini come in sogno.
Non aveva più incontrato Sir Bedivere da quando avevano lasciato Carlisle, ma in un'occasione aveva udito la sua voce provenire da una porta aperta. Non poté proprio trattenersi dall'ascoltare: sin dalla prima frase, si sentì chiamata in causa.

- Chi ha mai messo in dubbio le sue virtù? Ma quando afferma di non avere più figli, vorrei ricordargli che non è del tutto vero; sembra indifferente al futuro di quella fanciulla che pure ha generato!
- Dite che non ha anima? Sbagliate, lo conosco bene anch'io, se permettete. - L'altro uomo aveva una voce stentorea e, anche se non riusciva a vederlo, immaginò un fisico esuberante e un animo di fanciullo. Quando ebbe occasione di conoscerlo, prima della guerra, non ebbe bisogno di ricredersi sul suo conto. - Egli piange, ma solo quando non ha nessuno attorno; sa provare pietà e rabbia, tenerezza e rimpianto, ma l'orgoglio gli impedisce di dimostrarlo. Io lo stimo, e lo ammiro...
- Fraintendete, come sempre! Chi non lo stima? Chi può muovergli un'accusa? Ma se ha sentimenti, perché non li rivela all'unico bene che gli è rimasto?
- La desiderate, fratello, ammettetelo. - La risata amara che seguì quelle parole le diede un brivido di dispetto. - Perché non la chiedete in sposa? Se, come credete, Gawain non si interessa di lei, non esiterà a concedervela.
- Lucan, non cambierete mai, svergognato! Dovrei pensare a prender moglie, quando la nostra regina sarà messa a morte? Se qualcuno vi sentisse...

Era successo tutto in un istante: Sir Bedivere si era voltato, i loro occhi si erano incrociati e lei era fuggita, le guance che scottavano, il cuore che batteva forte, e qualcos'altro che non sapeva spiegare le si agitava dentro...
Parlavano di lei, di lei!
Non credeva di essere già in età da marito, non si era mai chiesta come gli uomini guardassero a lei. Sapeva che un giorno, confusamente lontano, sarebbe diventata moglie di qualcuno oppure monaca in un convento, se suo padre avesse stabilito così, e non considerava uno di questi due destini migliore dell'altro.
Ma adesso...
Ricordò le ultime parole che Lovell le aveva rivolto: "Dunque voi conoscete la passione?"
E con una lacrima diede l'addio alla sua infanzia.


Avrebbe avuto tempo di riflettere su questo ed altri misteri durante la guerra, nel freddo, vuoto maniero dei suoi antenati. Dove ogni mattina i richiami degli uccelli marini sarebbero giunti puntuali a destarla da un sonno che avrebbe voluto durasse per sempre.
Quando non ci sarebbe stato ormai più nulla da attendere o sperare.



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Capitolo 6
*** Chapter Five. ***


Siamo quasi alle ultime battute e si sente.
Non c'è molto da dire perché mi sembra di parlare alle scogliere insanguinate di Dover, che per carità, è meglio che niente. Giusto il fantasma di Gawain, eccu.
Perciò mi rivolgo all'unico non-fantasma, Ilakey-chan:
Io detesto i "graalosi" e quindi se noti non ho approfondito affatto il personaggio di Colgrevance. Per me è "un pezzo di carne con gli occhi", come diceva mia nonna. In questo capitolo vedrai Cynon-figlio, ma giusto per la cronaca, perché non amo neanche lui.
La terza moglie di Gawain... oops, non ho inventato neanche un nome, per lei XD Temo che la tua curiosità rimarrà insoddisfatta, ma non temere: puoi sempre scrivere tu la "storia non raccontata"! Ci sono infinite possibilità di missing moments qui *va a nascondersi* Comunque l'idea è che avesse un amante, nulla di che.
Come giustamente hai notato, non è tutta colpa di Mordred; è anche colpa di Agravaine e soprattutto del re che ha avallato la congiura. E ovviamente di quella spada maledetta... che spiega molte cose, tra cui il fatto che non si possono ammazzare una dozzina di persone mentre ci si difende con un'arma normale -.- O la spada è avvelenata o è magica, punto XD






QUINTO CAPITOLO.

Dove Clarissant regna su Orkney, ed evita un imbarazzante matrimonio alla nipote.



Che Gawain non avesse mai ambito al trono di Orkney, nonostante gli spettasse di diritto, era cosa vera e risaputa. Ma che non si occupasse di ciò che accadeva lassù, che avesse lasciato il maniero in decadenza e gli abitanti delle isole alla fame, era una menzogna, una sporca menzogna uscita dalla lingua avvelenata di Mordred.
Clarissant se ne rese conto non appena vide le fiaccole accese che sembravano darle il bentornato, mentre la nave attendeva la luce del giorno per attraccare. Tanto vicina da far temere per la carena, la Piccola Sconosciuta parve sorriderle, nera nel buio ma fertile nel ricordo: si chiese se quel verde scoglio, l'isoletta di pastori che lei e Gareth salutavano ogni mattina dalla finestra, avesse mai avuto un nome...

Quando venne l'alba, non furono più soltanto luci e luoghi ad accogliere lei e Branwen, ma voci e inchini: erano a casa. L'unica vera casa che potessero avere al mondo. Non Camelot, né Carlisle, né Gore; non il castello dove aveva vissuto con il marito, né quello dove ora Lady Lyonors si strappava ancora i capelli dal dolore.

Non lascerò mai più la mia terra, promise a se stessa, nonché agli uomini che la guardavano come se fosse una dea portata dal mare.



Né il sangue che aveva intriso gli scogli di Dover, né i rantoli d'agonia che erano echeggiati a Camlann erano giunti a lambire le coste di Orkney, ma le notizie arrivavano ugualmente; prima che l'ultimo degli alleati di Mordred sul suolo di Britannia fosse stato annientato, il popolo delle isole aveva pianto la morte di Gawain e salutato Clarissant come loro regina.

Saggi erano i nobili dell'Isola Grande, dura e sincera la lingua che non aveva dimenticato.


Aveva imparato ad essere egoista, e non lo avrebbe creduto possibile; si rese conto che ciò era potuto accadere non solo per aver abitato in luoghi diversi e vissuto situazioni difficili, ma perché aveva perduto tutto quello che negli anni aveva temuto di perdere. Come chi possiede uno scrigno di gemme, e le contempla ogni giorno e veglia inutilmente ogni notte affinché non le rubino, ma quando esso infine vuoto nota sul fondo una pietra opaca, insignificante, che ad un occhio attento si rivela la più preziosa di tutte.
Non era rimasto nulla di ciò che credeva di aver acquisito lungo il cammino, ma come il sole aveva svelato al suo sguardo il castello dei suoi antenati, il presente le aveva restituito più di quanto aveva lasciato indietro.

Clarissant aveva amato con tutto il cuore solo tre persone al mondo: Gareth, Gawain e se stessa. Dire che voleva bene anche a Branwen non è esatto, poiché non la considerava una persona diversa da sé. Era il suo riflesso, la sua ombra e la sua scintilla di giovinezza e candore.
- Siamo rimaste sole - balbettava la ragazza, incredula e scioccata, ma la zia negava e la correggeva: - Siamo rimaste insieme. - Erano davvero le ultime della stirpe reale di Orkney, due donne. Lei era sterile e aveva trentasette anni, ma Branwen era sana e graziosa; era sicura di trovare, tra gli uomini della piccola corte, un marito degno di lei.

Un nuovo re era salito sul trono di Britannia, e il suo nome era Constantine, figlio di Cador. Era saggio e prudente, e mandò quasi subito un cavaliere della sua corte per assicurarsi che la regina di Orkney rispettasse il suo ruolo e i suoi domini: quale sorpresa fu per Clarissant riconoscere nel giovane messaggero il suo figliastro, Cynon! Il ragazzo aveva accompagnato il suo signore, Sir Lionel, al seguito di Lancelot; dopo la battaglia di Camlann aveva combattuto contro gli ultimi alleati di Mordred ed aveva giurato fedeltà a re Constantine.
Non capì subito quali fossero le sue vere intenzioni, era ancora confusa sui suoi sentimenti verso di lui. Considerava ancora la strage di Carlisle un terribile errore, ma non per questo accettava le sue scelte. Almeno, non dopo la morte di Gareth.
Viviamo in una contraddizione continua, pensò. Questa non è che una delle mille svolte sulla nostra via.

- Desideriamo esservi amici, Cynon. Il mio esercito ha funzione puramente difensiva e non sbarcherà sul suolo di Britannia se non per recarvi aiuto. Non rivendichiamo alcun territorio nel Lothian, né in nessun'altra terra che mio padre possedeva prima di ribellarsi al compianto sovrano Arthur Pendragon.
- Signora...
- C'è forse dell'altro?
Cynon aveva notato come ella parlasse di sé al plurale, ma seppe vincere la propria curiosità.
- Il mio re vi chiede riguardo alla foresta di Inglewood. Afferma che ora vi appartiene.
- Re Constantine si sbaglia. - Clarissant si era fatta pensosa. - Mio fratello Gawain aveva ceduto quelle terre a suo cognato, Sir Gromer, e quindi sarebbero andate in eredità a mio nipote Gingalain. - Sospirò, riflettendo come nessuna delle persone sinora menzionate fosse ancora in vita. - La proprietà è passata a sua moglie, la regina del Galles. E con questo credo sia tutto.
"La moglie che Gingalain non voleva..."

Cynon si trattenne qualche giorno, non sembrava avere la minima fretta di ripartire. Fece mille moine intorno a Branwen, che sebbene fosse felice di rivederlo non si dimostrò molto espansiva. Clarissant non poteva darle torto, e finì per ammonire il giovane:
- Che cosa pretendete da lei? Il vostro re vi ha mandato qui per assicurarsi la nostra amicizia, o la vostra è un'iniziativa matrimoniale? Oppure tutte e due le cose? Mia nipote non è in vendita, questo dev'essere chiaro. Vi ho voluto bene come un figlio, ma non ci penserò due volte a farvi cacciare da questa corte!

Frasi così aspre turbarono Cynon, in parte perché in esse c'era molto di vero. Ma egli era innocente, e meritava di capire; disprezzarlo gratuitamente non sarebbe stato di nessuna utilità.

Somiglio a mia madre. Sono identica a lei, maledizione!

Così riprese: - Perdonatemi, Cynon. Vi ho voluto bene e amavo vostro padre, lo sapete. Ma la donna che vi diede la vita ha giocato con la stregoneria, proprio come vostra nonna Morgana... e se non ho più una famiglia lo devo in gran parte al sentimento che legava i vostri genitori... non solo alle trame di mio fratello Mordred.

- Io sono un cavaliere cristiano! - ribatté il giovane con fierezza. - Non ho niente a che spartire con la gente di Avalon o...

- Certo, certo. Avete scelto la vostra strada. Ma è giusto che vi tenga a parte di ciò che è accaduto prima che nasceste - sospirò Clarissant.

E si apprestò a raccontare tanto le colpe di Morvydd quanto le proprie.



Branwen pregava, pregava che sua zia non acconsentisse al matrimonio, perché sentiva che era sbagliato, e la cosa buffa era che non sapeva Chi pregava. Non esistevano né Dio né la Dea, lassù, solo antiche vestigia degli adoratori del Sole. Per lei era un mondo nuovo, dove il freddo rendeva la purezza a persone e cose... com'era ingenua! L'acqua della fontana nel cortile era limpida e trasparente, ma Clarissant vi vedeva ancora il sangue della regina Morgause che gocciolava dalla spada di Gaheris, a scandire la sua prima orrenda consapevolezza del Male.
Si sarebbe rassegnata a unirsi ad un uomo delle isole, sì, l'avrebbe fatto per la donna che l'aveva cresciuta e amata. Ma non Cynon. Per lei era stato un fratello esattamente come Lovell e Florence, provava solo nausea al pensiero di diventare sua moglie... e di ingannarlo, anche.
Un uomo vecchio e brutto, uno di quei nobili di Norvegia dai capelli lunghi e l'espressione gelida. Ecco. Che non pretenda amore, perché ho consacrato questa parola ad una persona soltanto.
Si era innamorata perdutamente, sulla strada per Carlisle, come per una magia o una malattia. Si era innamorata del profilo assorto di Sir Bedivere, poi del suo sguardo preoccupato e del braccio che la sorreggeva, e infine delle parole, rivolte a Sir Lucan, con cui aveva dimostrato di capirla più di ogni altro.
Ma era sicura che fosse rimasto ucciso a Camlann, e tanto le bastava per rassegnarsi a non aprire più il suo cuore.



- Ma perché, se sapevate che la spada di mio padre era invincibile, avete lasciato che Sir Gawain convincesse re Arthur a muoverci guerra? - Cynon aveva quasi gridato, incredulo davanti a un cumulo di certezze in frantumi e ad una matassa di colpe e menzogne più intricata di quanto il suo animo semplice potesse investigare.

- Giurate... giurate che vendicherete Gareth! Voi ucciderete Sir Lancelot!
- Lo giuro, sorella.
- E convincerete gli altri a seguirvi.
- Nostro zio non potrà negarmelo.
- Perché tutti l'amavano. Perché Lancelot lo amava, ma l'ha dimenticato.
- E l'amore sarà più forte di qualsiasi incantesimo Morvydd abbia infuso in quella spada.
- Così sia, Gawain, così sia.
Ma così non era stato.

"Non ho solo lasciato che accadesse, ahimé! L'ho spinto a cercare vendetta", ricordò lei con amarezza, ma rispose con voce ferma:

- Perché, mio piccolo Cynon, io guardavo a Gawain con occhi incantati; così come Gareth vedeva Lancelot, o come Lovell vedeva vostro padre... forse come voi vedevate Sir Lionel...
L'ultima parte della frase era simile ad una domanda, e Cynon chinò il capo.
- Lo credevo indistruttibile, eterno... e ora potrei dire che non perdonerò mai a me stessa di aver lasciato vincere la rabbia e il dolore sul raziocinio, ma a che servirebbe? La mia terra non ha bisogno di una regina folle e malinconica.

- Ammiro la vostra forza d'animo - dichiarò inaspettatamente il ragazzo, tra il sarcasmo e la delusione. - Riferirò a re Constantine che sarete un'alleata preziosa negli anni a venire.

L'incontro era concluso; Cynon sarebbe tornato in Britannia, se non a mani vuote, senza ciò che sperava.


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Capitolo 7
*** Chapter Six. ***


Penultimo sofferto (e sofferente) capitolo per questo garbuglio garbuglioso XD
Il luogo descritto in questo capitolo è il cerchio di Brodgar (potete trovare informazioni qui) che in realtà si trova un po' lontanuccio dalla presunta posizione del castello, ma spero non siate pignoli! *si sente sempre più una particella di sodio*





CAPITOLO SEI.

Dove si racconta dello struggimento d'amore di Branwen, e di come Sir Bedivere viene aspramente accolto dalla regina di Orkney.



Al centro del cerchio, una figura inginocchiata. Una melodia triste dalle labbra chiuse. Il vento che sbuffava come una massaia che scaccia le galline dalla soglia di casa, come un puledro memore della sferza ma con le narici frementi d'impazienza.

- Vostra zia sarà adirata per la vostra fuga, madamigella Branwen.
- Tornate indietro, farà molto freddo verso sera. Potrebbe anche piovere...

Non era la prima volta che Branwen scappava dal castello e si avventurava per l'Isola Grande, scortata da una o due fantesche timorose, ma non si era spinta mai così lontano.
Oltre il lago, le pietre disposte in tondo svettavano verso il cielo.

Troppi mesi erano ormai passati dalla battaglia di Camlann, non c'era in lei la più tenue speranza di rivederlo.
Lui, che le aveva aperto gli occhi, senza nemmeno saperlo!
Lui che la credeva degna dell'amore di suo padre! E forse anche del suo...

Si aggrappava a quel ricordo, non perché si illudesse che servisse a qualcosa, no. Ma per quanto doloroso fosse, riusciva un poco a scacciare dai suoi pensieri tutto quanto era accaduto dopo la partenza dell'esercito per il continente: le voci spaventose che annunciavano la morte del re, a cui Sir Mordred sembrava credere senza cercar conferme; le avances non gradite di suo cugino Melehan, l'esatto opposto di un gentiluomo; la fuga della regina e la decisione della zia di lasciare Camelot prima che fosse troppo tardi...

Le gambe le si erano intorpidite dal freddo, e il sole iniziava ormai a calare; era tempo di tornare a casa, come sempre.

Un tuono spaventò i cavalli e la convinse ad affrettarsi.



Clarissant non attendeva visite importanti per quella settimana, e aveva programmato di discutere con il siniscalco e gli artigiani di corte su come rendere il castello più accogliente, ma anche compiere particolari modifiche. Ad esempio, aveva chiesto di chiudere l'accesso all'ala più antica... alle stanze che erano appartenute a sua madre Morgause. Non doveva restare nulla del male e della sofferenza inflitti tra quelle mura. Aveva ormai compreso che, come Morvydd aveva affermato una volta, sua madre e Morgana si somigliavano, e non era la devozione per la Dea ad unirle - ma la ferocia, la follia, quel loro giocare con le vite degli altri. Al principio Morvydd era rimasta ad osservare sulla soglia di
quel mondo di oscurità, ma la sua iniziazione era infine avvenuta: forse in seguito all'abbandono di Sir Colgrevance, ma più probabilmente già lassù, a Orkney. Quando aveva mandato quella lettera per informare i suoi cugini della relazione tra Morgause e Sir Lamorak.

Era dunque molto indaffarata, tanto da non accorgersi che Branwen era uscita senza permesso per l'ennesima volta, e da rifiutare di ricevere colui che, a detta del maggiordomo, era solo un vagabondo, forse un pazzo. Aveva comunque dato ordine di sfamarlo e farlo riposare.
Le era sempre piaciuto organizzare gli affari domestici. Lyonors e Lynette erano solite ripeterle che era davvero un'ottima padrona di casa, e ne andava fiera. Credeva anche di essere stata una moglie rispettosa e dolce, almeno quanto lo era stato Sir Colgrevance con lei... eppure si era dimostrato debole e sciocco, fino a dare la sua vita per una causa futile e crudele...

- Ora concederete un colloquio a quell'uomo? - le fu ricordato, quando i dettagli dei lavori furono stabiliti. Sospirò: era ormai molto tardi. Strinse le spalle, a testa alta: non aveva nulla da temere e non voleva smentire così presto la sua fama di sovrana generosa e ospitale.

Quando lo vide comparire zoppicando nella sala, così smagrito e pallido, sulle prime non lo riconobbe... ma quello sguardo le era familiare, e mentre le veniva incontro notò la sua menomazione e non ebbe più alcun dubbio.

- Voi! Qui... voi, vivo...

Dentro di lei si mescolarono stupore, confusione, rabbia, e quest'ultima prevalse.
Ogni loro incontro aveva segnato una grande perdita per lei... l'aveva chiamato corvo, iettatore, araldo della morte, e proprio lui era sopravvissuto a Camlann! Osava presentarsi nel suo regno, per adempiere al suo compito di eterno rammemoratore!
Quasi sperò si trattasse di uno spettro, ma non lo era. Assurdo. Completamente assurdo.

- Mia signora.
Si era inginocchiato davanti a lei con fare umile e commovente - o almeno, avrebbe commosso chiunque altro.

- Non siate sciocco, duca, alzatevi.
- Non mi appartiene più alcun titolo, signora. Vengo a voi come un servo, un messaggero, come un relitto del mondo che fu e che mai più sarà.
- Come debbo chiamarvi, dunque?
- Bedwyr, se vi fa piacere. - Aveva usato il suo nome in gaelico, come gli suggeriva l'atmosfera antica che lo circondava. Come se fosse morto davvero, in guerra, e risorto in un tempo più fertile e ragionevole. - Amico, se mi concedete questo onore.
Amico. E da quando, tanta confidenza? - Giusto, Bedwyr Bedrydant. - Era un appellativo che l'aveva sempre fatta sorridere. Ma non sorrideva, anche se i suoi denti erano scoperti in una smorfia.
- Quale altra funesta notizia siete venuto a portarmi? - L'ironia risuonava nelle sue parole, spietata, eretta a difesa del suo animo di donna.
- Che cosa credete che io sia? Non capite che cosa significate per me? La fedeltà che accordai con tutto il mio essere ad Arthur Pendragon e a vostro fratello, ora vi appartiene. Se mai vi ferii, se mai vi causai un dispiacere...
- Mai? Sempre! Dal primo giorno in cui metteste piede qui, non mi avete annunciato che sventura e terrore! Perché questa volta dovrebbe essere diverso? Mi obbligaste a mentire, e poi rivelaste voi stesso la verità su Gaheris...
- Per salvarvi la vita! Non volli mai null'altro che il vostro bene! - Perché non capiva? Egli era davvero un fantasma, l'incarnazione delle ultime volontà di Gawain. Non sperava né desiderava vivere più a lungo, ma non si era aspettato un benvenuto così gelido.
Clarissant distolse lo sguardo dai suoi occhi lucidi e febbricitanti. Sapeva di non avere una vera ragione per mostrargli una tale ostilità... ma i suoi sentimenti non erano cambiati: quell'uomo la disturbava. La sconvolgeva.
D'altra parte, non poteva essere accaduto nient'altro di terribile, ormai. Se era davvero là per consegnare un messaggio, perché mai esitava tanto? Che si sbrigasse, e ripartisse al più presto!

- Non vi perdete in moine e parlate - riformulò, spazientita. Si massaggiò la tempia, dove avvertiva un lieve dolore pulsante.

Era accaduto sulla barca, raccontò. Gawain non sembrava essersi davvero ripreso dai due scontri con Lancelot, e sebbene facesse di tutto per non dare a vedere che soffriva, non era riuscito ad ingannarlo.
- Non combatterete, è una follia nelle vostre condizioni! - l'aveva implorato, minacciando di avvertire il re... ma Gawain l'aveva fermato.
- Se avete pietà di me, se considerate il mio onore più importante della misera vita che, lo sento, mi sta abbandonando, mi lascerete morire in battaglia contro il traditore, non per i colpi ricevuti in una guerra fratricida. Sir Bedivere! Giurate!
Come poteva ignorare quella preghiera? O tutto il resto... tutto ciò che gli avrebbe confidato quel giorno, mostrandogli quel tesoro che aveva tenuto nascosto per tutta una vita proprio là, dentro il suo cuore?
- Sento... so che voi vivrete. Non chiedetemi... non so spiegarlo. Non posso tornare indietro e cancellare i miei errori, ma voi ci sarete anche per me. Là, là dove desiderate essere anche ora...

- Vi disse che ci avreste trovate qui? - Il mal di testa era peggiorato, tanto che era stata costretta a sedersi. Il lieve pallore sul suo volto la rendeva più umana, più fragile, e Sir Bedivere ne fu compiaciuto; fu un istante folle, in cui si sentì di nuovo uomo.
Annuì. - Mi spiegò che se fosse accaduto qualcosa di irreparabile, che avesse pregiudicato la vostra sicurezza, avreste dovuto rifugiarvi qui fino... al nostro ritorno... aveva dato disposizioni precise.
- Già. La situazione a Camelot era diventata insostenibile, e siamo state ben liete di partire. Ora, sono stanca... non vedo perché prolungare questa conversazione.
L'uomo portò la mano al petto e sfilò qualcosa da sotto gli abiti.
- Con la morte di re Arthur si è dissolta la mia ragione di vivere in mezzo agli uomini - dichiarò, porgendole una busta sigillata, sporca e macchiata di sangue. - Per mesi le ferite ricevute a Camlann mi hanno tenuto sullo stretto ciglio tra la vita e la morte... e sempre, nella sofferenza e nel delirio, vostro fratello Gawain mi è apparso in sogno, incitandomi a combattere quest'ultima battaglia, a sopravvivere per rivedervi e consegnarvi le sue parole. Questo è tutto.
La carta pareva scottare sotto le sue dita, ma Clarissant non aprì la busta. Strinse le palpebre, e quasi non udì le frasi di cortesia con cui il suo ospite si congedava:
- Non che io tenga alla mia vita, ma non sono solo sulla nave... chiedo il vostro permesso di trascorrere la notte nei pressi del porto, e partire domattina. Il tempo è assai inclemente.
Lui parve voler dire qualcos'altro, ma abbassò gli occhi e tacque quando la vide annuire con fare assente e allungare una mano in un gesto stizzito.
Il rumore della porta che si chiudeva tra loro mise fine a quell'agonia.

Mentre il dolore allentava la sua stretta, Clarissant sentì il rumore della pioggia che ormai scrosciava, riportando l'urgenza della realtà a vincere su quei frammenti di passato che ancora infestavano la sua vita:
- Mandate a chiamare mia nipote, subito. - La servetta che passava in quel momento nel corridoio sussultò e arrossì, quasi fosse stata colta in flagrante nell'atto di rubare o mancare gravemente ai propri doveri. Tale reazione non suscitò in lei alcuna curiosità.


Branwen era riuscita a sgattaiolare inosservata nel castello per l'ennesima e ultima volta, poco prima che scoppiasse il temporale. Si stava riscaldando accanto al camino del salone, fissando le scintille che scomparivano. Non poté fare a meno di paragonarle ai soldati uccisi a decine, a centinaia, in quella guerra alimentata da un fuoco di odio atroce... e cosa era rimasto? Tizzoni spenti, cenere fredda, buio. Sapeva che era inutile continuare così, cercando in quel cerchio di pietre significati sepolti da secoli, quando il santuario del suo cuore recava scolpita la figura così chiara del suo desiderio!
- Madamigella, grazie a Dio siete tornata. - udì sussurrare una voce ansante. - Vostra zia vuole vedervi!
- Mi ha scoperta, allora! Lo sapevo... - Scattò in piedi e prese a mordicchiarsi un dito. - È meglio togliersi il pensiero.
Quando entrò nella stanza, già aveva pronte parole di scusa e rammarico,

- Entrate, cara, sedete.

ma comprese di essersi sbagliata. Esisteva qualcosa di peggio di un rimprovero: ed erano i giorni andati che come onde tornavano a scontrarsi con gli scogli eretti dalla sua anima.
Il mare che s'insinua dovunque, infido e salato come le lacrime, o le acque di due laghi che straripano e si mescolano tra loro, sommergendola mentre sogna al centro del cerchio.
- Ci hanno portato una lettera di vostro padre. La scrisse sulla nave che lo riportava in Britannia, mentre l'esercito si preparava a scontrarsi con Mordred e l'esercito sassone.

Sorella mia, figlia mia,
Ho trascinato il mio re in una guerra inutile, ho usato il suo affetto per i miei scopi, e me ne vergogno. Ma soprattutto, ora vi abbandono, poiché sento che ogni minuto mi avvicina alla fine... e non ho mai avuto un sorriso per voi due, che siete ormai tutta la mia famiglia, tutto ciò che mi resta e di cui m'importa.
Clarissant, conosco la vostra forza e non ho dubbi nell'affidarvi il regno di nostro padre.
Piccola Branwen, vi chiedo perdono per avervi fatto credere di odiarvi, ma ci sono sentimenti che un uomo riesce a comprendere solo quando è troppo tardi. Forse pensate che io non sappia nulla di voi, ma non è così. So che siete virtuosa e degna e sono orgoglioso di voi.
Non avete mai riflettuto sul perché vi abbia fatto crescere lontana sia dalla lussuria di vostra madre, che dagli intrighi di Camelot? E in tal senso, come avrei mai potuto raggiungere lo scopo di conservarvi innocente e sincera, se aveste conosciuto i miei stessi peccati ed intemperanze?

Branwen si era animata tutta, e quasi si era lasciata alle spalle le sue pene, perché una forma più grande di amore la avvolgeva man mano che andava avanti nella lettura...
Ma poi si fermò a queste parole:

Se state leggendo queste righe, significa che il nostro buon amico, Sir Bedivere, è sano e salvo, ed è con voi. Possiate trovare gioia, sempre.

Aveva spalancato gli occhi, ed erano così avidi e colmi di speranza... - Lui è stato qui? È possibile? Ditemi! - supplicò, giungendo ad aggrapparsi alle sue vesti, come quando era piccola e chiedeva alla nutrice di raccoglierle le ciliegie dall'albero in giardino.
Clarissant finse di scandalizzarsi a quel contegno così poco rispettoso, ma la sua mente era troppo occupata a cercare di comprendere: a chi si riferiva Branwen? A Gawain? Si illudeva dunque che il padre non fosse morto, nonostante la premessa che le aveva fatto prima di consegnarle la lettera?
- Mia cara, cosa volete dire? Calmatevi!
- Il duca è stato qui? - ripeté la ragazza. sull'orlo dell'isteria. - Vi prego, non fatemi impazzire!
Portando le mani alla bocca, Clarissant la guardò come se fosse la prima volta. La pioggia fitta come una cascata, il vento gelido, la forza distruttiva del rancore che albergava nel loro sangue da generazioni ruggirono ad un tempo e si placarono improvvisamente.
In un istante dilatato all'infinito la sua mente tremò, per rinascere di una consapevolezza bruciante e di disarmata abnegazione.
- Voi... l'amate! Bambina, bambina mia, voi amate l'uomo che finora ho giurato di odiare!


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Capitolo 8
*** Chapter Seven. ***


Piano. Mi fa male parlare. Mi fa male scrivere, ma è un male necessario.
Questo è l'ultimo capitolo "numerato" della storia, a breve pubblicherò il prologo (che precederà il capitolo 1) e l'epilogo (che... indovinate dove sarà XD).
L'ultima frase è venuta fuori ora, senza che avessi mai pensato prima alla sorte di Morvydd e Morgana, giuro. Comincio a credere alla teoria di King sulle storie che non vanno inventate, solo trascritte :)
Ho inserito qualche nome antico di località, tanto per creare l'atmosfera: Hrossey = Mainland, Gareksey = Gairsay, Gallaibh = Caithness. E sì, credo VERAMENTE che Gareksey prenda il nome da LUI, anche se le fonti non lo confermano :)

@Ila: Sì, ho altro in cantiere, ma per ora nessuna storia così lunga.
Conosci questo sito? C'è tutto e di più per scatenare l'immaginazione. Mi aiuta moltissimo.
Lieto fine? Sì, suppongo che lo sia, per ora *ghigno*
Io in una storia non mi pongo la questione slash-non slash, i "miei" personaggi non hanno sesso ma pura-carica-emotiva. Per me la threesome che scrissi tempo fa è altrettanto verosimile di questa lunga fiaba het. E il Bedivere che ama Branwen è lo stesso che ama Arthur, anzi: dentro di me riesco a far rientrare entrambe le storie nella stessa catena di eventi.





CAPITOLO SETTE.

Dove uno spettro cambia il destino dei nostri amici, e ogni rancore viene spento, nell'amore o nel sangue.




- Che cosa sono quelle luci?
Le guardie del castello avevano avuto l'ordine di scortarlo per gentilezza, e anche a causa della vecchia superstizione secondo cui il fantasma di un cane infernale si aggirasse nottetempo nelle campagne di Hrossey. Ma per Bedivere, già spezzato dal contegno della regina, si sentiva un prigioniero condotto verso l'esilio.
- Laggiù a Gareksey, volete dire? Sono i falò dei pastori, che trascorrono la notte riparati, si fa per dire, nelle grotte naturali dell'isoletta, insieme alle greggi. Non li invidio, a volte finisce con il piovere anche dentro. Di stravento, sapete. Ma guardate, ha già smesso!
- Gareksey. - Assaporò quella parola con curiosità, ma ben poco stupore.
- Aye, signore, la nostra buona regina l'ha chiamata così: l'isola di Gareth. Prima non aveva un nome. Ma se mi è concesso chiederlo, perché andate via così presto? Non siete stato invitato a rimanere a corte?
- Non sono una persona gradita, temo. E ho compiuto la missione che mi era stata affidata, posso tornare al mio rifugio e attendere la pace.
Ma già sapeva che non gli sarebbe più bastata la pace, né la morte, né il Paradiso: da quando, ancora convalescente, era partito dal suo eremo per compiere quell'ultima missione, aveva inconsciamente compiuto un passo per riunirsi alla vita.

Aveva continuato a voltarsi indietro, per il breve tragitto che lo riconduceva al porto, come se sperasse che Clarissant potesse cambiare idea e richiamarlo al castello. Non voleva... non voleva partire.
Ricordava il sentimento fresco, dolce, che l'aveva accompagnato e a volte spinto, trascinato, attraverso quei mesi bui. Ma era un amore disinteressato, e mai avrebbe rivelato alla piccola Branwen che il suo cuore le apparteneva. Si sentiva troppo vecchio, se non per amare, per essere amato; e gli incubi che ancora lo scuotevano nel sonno erano un tormento da non condividere con alcuno.

Fermò il cavallo. Sentì
su di sé gli sguardi dei suoi accompagnatori, ma non li ricambiò. Lentamente smontò, con i gesti cauti di chi ha le ossa fragili, ma la sua voce suonò brusca:
- Se non vi reco incomodo, preferirei proseguire solo. Non ho paura dei cani del diavolo.
Lo stupore attorno a lui fu grande, e altrettanta la preoccupazione, ma nessuno osò negargli il diritto alla solitudine. Erano al limitare di un bosco di sempreverdi, nero e umido, e le guardie erano uomini semplici che forse non temevano archi e spade, ma in quanto ai fantasmi...

In quanto a me,
i miei occhi di brace si spengono al tuo passaggio.
Le mie impronte insanguinate svaniranno dal sentiero -
Non mi vedrai mentre ti fai strada tra gli alberi,
non ti spaventerò, poiché non desidero vederti alzare le vele:
sarò il vento contrario che soffierà domattina
per sussurrarti di non andare.


L'aria umida della notte non aveva certo giovato alle sue cicatrici, e fu con fatica che Bedivere si alzò dal giaciglio per guardare fuori. Un sole opaco, a cui il forte vento aveva aperto una breccia tra le nuvole spossate, depositava ombre chiare e una fioca luce di inizio autunno.
- Non andremo da nessuna parte, stamane - borbottava l'equipaggio.
- Potrebbe cambiare dopo mezzogiorno...
- Oppure è un segno. Dio lo voglia - mormorò lui.
Gli uomini, che avevano famiglia a Gallaibh, fecero gli scongiuri ma non osarono contraddire il cavaliere stanco.

Respirò a fondo quell'aria salmastra e ascoltò i richiami degli uccelli sulla spiaggia farsi sempre più acuti e insistenti.
Aveva sognato il letto insanguinato di Morgause, vuoto. Ai piedi del letto c'era un cane dagli occhi rossi, che pareva malato di rabbia. Ma d'improvviso aveva agitato la coda e si era accucciato, addormentandosi e svanendo ai suoi occhi. Non poteva considerarlo un incubo, perché non si era svegliato di soprassalto né provava paura ora, nel ricordare.

Scese al porto, dove già alcune barche erano tornate dalla pesca, e sperimentò il sapore di un'attesa quasi infantile. Ma non era nell'orizzonte, che pure fissava intensamente, che sperava; l'unica vita ancora possibile era dietro le sue spalle. Tese l'orecchio più volte, mentre la decisione di trascorrere i suoi ultimi anni da eremita gli sembrava sempre più stridente e folle. Non voleva davvero rinunciare a ciò che di giusto e bello era rimasto al mondo.

"Basta non fermarsi alle apparenze, perché questo non è fuoco da cui fuggire, o maschera così incollata ad un volto da non poter essere tolta. Questa terra mi accarezza, non mi respinge. Ci vorrà solo un po' di tempo."
Lo capì ancor prima di sentire i cavalli in arrivo. Erano le guardie che tornavano con un messaggio.

"Non lascerò morire di dolore la persona che amo di più, solo per alimentare il mio sciocco risentimento. Perdonatemi se potete, e tornate... fatelo per lei."

Era valsa la pena aspettare. Era valsa la pena che il vento avesse cambiato direzione quella notte...



Branwen tremò quando lo vide, e né l'etichetta né la presenza della zia poterono frenarla dall'esprimere appieno la propria gioia.
Non servì nemmeno ricordarle, come ultima titubanza, l'abisso della differenza di età che si ergeva tra loro; e quando si furono scambiati per la prima volta le caste carezze riservate agli innamorati, fu semplice fingere che tale divario non esistesse. Era decisa a intrecciare la propria vita con la sua, donargli giorni di pace e baci delicati, calore e figli e il suo amore ingenuo, cinguettante, senza compromessi.

Bedivere parlò della straordinaria coincidenza di eventi che l'avevano condotto lassù: come aveva potuto Gawain sapere per certo che lui si sarebbe salvato?
Lo sperava, forse; quando non esistono più certezze, la speranza è l'unica certezza che rimane. Ma c'era di più. Lui sapeva dei sentimenti dell'amico per la figlia. È probabile che Sir Lucan non avesse trattenuto la sua lingua, non c'era da meravigliarsi.
No, non era stata una coincidenza, avrebbe convenuto con Clarissant quando tutto il disprezzo riservatogli fino ad allora si fosse mostrato per ciò che era: il rifiuto di guardarsi allo specchio, di riconoscere un proprio simile. Lui l'aveva salvata due volte, la prima con una menzogna e la seconda con la verità, dall'ira colpevole di Gaheris. Ma poiché ammettere che il Male si annidasse in famiglia non era nello stile dei figli di Lot, era stato ben più facile per lei portare rancore ad un estraneo per una colpa inesistente. Ugualmente cieco, Gawain era corso in Francia a sfidare Lancelot, piuttosto che cercare di capire perché Mordred avesse messo tanto zelo a svelare lo scandalo di corte.

È stato un suicidio, ora me ne rendo conto, e prego Iddio di perdonarmi. Spero di combattere, domani, ed espiare la mia presunzione con il sangue e l'estrema fedeltà al mio re, Arthur Pendragon.

Branwen sfiorò ancora una volta quelle parole sulla carta e le fece scivolare dentro di sé, dove risiedeva ormai la sicurezza che suo padre l'aveva sempre amata.


- Voi non c'entravate nulla. Eravate uno spettatore impotente delle mie disgrazie, e vi ho scambiato per un nemico... la fantasia e la realtà si sono confuse in me, e non posso rimediare altrimenti che chiedendo il vostro perdono.
- Vi sono devoto, signora, e peccherei di presunzione concedendo un giudizio che non mi appartiene. Iddio perdona, io amo. - Pronunciò queste parole con gli occhi negli occhi di Branwen, mentre attendevano il chierico che avrebbe celebrato il loro matrimonio.
Clarissant era serena per essersi rappacificata con lui, ma ancora sentiva lo stomaco chiudersi pensando che mai più avrebbe vissuto quella felicità.
Era invidia? Sì, un poco, non quell'invidia cattiva e sterile che distrugge i rapporti e congela l'anima, semplicemente si rendeva conto che la nipote era più fortunata di quanto lo fosse stata lei, null'altro. Ma a ben guardare, ora erano entrambe fortunate ad averlo accanto; poiché lei e Branwen erano davvero le due facce di una moneta, i due volti della luna. Benedisse la loro unione, ed infine pianse di gioia.



Alla fine dell'anno seguente, prima che nascesse Amren - futuro sovrano di Orkney e di Norvegia - appresero della morte di Melehan e di suo fratello Melou per mano di re Constantine.
La spada di Sir Colgrevance andò perduta per sempre. Si narra che Lancelot, giunto in Britannia dopo la grande battaglia, aveva provato vergogna del sangue che tale strumento aveva versato per sua mano e l'aveva distrutta. E in quello stesso istante, in un castello di Gore una donna era scoppiata a ridere - e quando la vecchia madre le aveva chiesto perché, ella l'aveva uccisa.

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Capitolo 9
*** Epilogue. ***


Lindsey è effettivamente una delle zone della Britannia orientale, ma che appartenga alla famiglia di Sir Bedivere è tratta dagli appunti per un GdR scovati in Rete (qui).
Amren ed Eneuawc (si pronuncia Enefog) sono davvero i suoi figli :)
La doppia grafia del nome di B., come già ribadito in precedenza, non è un errore ma un mio personale capriccio che non so spiegare in due righe.
Ho elaborato questo secondo finale all'ultimo momento, mentre tornavo dallo sciopero (Saki è una testa rossa, vi sia gradito o meno): è stata una rivelazione anche per me, ma credo di poter far risalire quest'idea alla recente lettura della serie della Torre Nera di Stephen King. Non aggiungo altro, per non spoilerarvi né la suddetta opera né quest'ultimo capitolo.
@Ila: il prologo è in cima alla storia, dove prima c'era il capitolo uno. Grazie per aver seguito questa fic! Come vedi anche a me piace cambiare il tempo e il destino...





EPILOGO.


Amren non era stato un bel bambino e non sarebbe mai diventato un bell'uomo, ma non aveva motivo di crucciarsene. Era nato per diventare re, un proposito che non gli era stato mai nascosto. Abbandonati i giochi con la sorellina - che da parte sua aveva sempre preferito la musica alle bambole - anno dopo anno si faceva sempre più bravo con la spada, grazie all'allenamento quotidiano ma anche ad un talento naturale, che il padre aveva saputo riconoscere ed incoraggiare. Erano una famiglia felice, che governava un popolo sereno. Il tempo sembrava essersi fermato, come un fiore che dimentica di chiudersi al tramonto, o un tramonto che non giunge, perché così erano le notti estive a Hrossey - un lungo, subdolo crepuscolo.

Un esercito preparato ad attaccare non ama la Patria, guarda solo avanti, calpestando le macerie di ciò che ha appena conquistato e distrutto. Ma gli ufficiali di Orkney erano come madri che proteggevano le isole - bambine altrimenti indifese. Clarissant era stata lungimirante... abbastanza da assicurare alla sua terra un lungo periodo di pace, ma non abbastanza perché tale pace potesse durare all'infinito. E chi avrebbe potuto?
I mercanti dell'est, che un tempo suscitavano curiosità e meraviglia ed erano sempre stati i benvenuti, si erano trasformati in feroci saccheggiatori.
Quando le navi dalle vele rosse giungevano in vista, le sentinelle dai promontori suonavano i corni, e i cavalli dei soldati galoppavano fino alla spiaggia, le frecce volavano sull'acqua, e a volte bastava per farli desistere. Ma non sempre.
Anche se Branwen avesse sposato Cynon, non avrebbero comunque ricevuto soccorso dalla Britannia. La guerra civile aveva distrutto il sogno dei Pendragon: a Constantine era succeduto Aurelius, poi Gartbuir e Maelgwn Hir, e infine i Sassoni avevano avuto la meglio.
Dunque era giusto così. Era bello, anche in quei tempi difficili.
Erano soli, soli nel mare, soli con l'amore a tenerli uniti.

E venne il giorno in cui non si riuscì ad impedire una nuova scorreria, perché questa volta i nemici avevano organizzato l'attacco con grande precisione e dovizia di risorse; essi sbarcarono, armati di lance e asce, ma invece di avanzare in massa si sparpagliarono per l'isola, creando scompiglio e panico nei villaggi. Gli uomini del castello erano accorsi all'allarme, e questa volta Amren si era unito a loro.
Aveva compiuto da poco quindici anni, e avrebbe dovuto provare emozione e orgoglio al pensiero di essere finalmente considerato degno di una missione importante: ma così non fu. Quel giorno sentì tutto il peso di essere uomo, la serietà della situazione e un senso di responsabilità che annientò nel suo animo ogni traccia di spensieratezza. Cavalcava al fianco di suo padre, cercando di captare la presenza dei nemici con un istinto che non aveva ancora avuto il tempo di affinare... ad ogni svolta della strada tratteneva il respiro, dietro ogni albero si nascondeva forse un'ombra...



Clarissant era affacciata alla finestra.
Non era scesa strillando come Branwen, non aveva pianto in silenzio come la piccola Eneuawc.
Era rimasta a guardare il cortile affollarsi e poi quella folla dividersi in due, per lasciar passare il ragazzo in sella e il suo fardello insanguinato. Sei braccia avevano deposto il corpo sulla terra nuda. Gli occhi di lui erano aperti e spenti, un frammento di lancia gli spuntava ancora dal fianco.

Ricordate quando credevo di detestarvi?

Amren alzò la testa, e lei gli lesse in volto una sola parola: vendetta. Nulla era cambiato, l'orgoglio di famiglia non aveva saltato nemmeno questa generazione.

Ricordate perché?

- Onore a Bedwyr, figlio di Corneus, eroe di Camlann e martire di Orkney! - La sua voce era arrochita e stridula, quasi un incantesimo l'avesse fatta invecchiare di colpo.

Io no, il passato è così confuso. Come la nebbia che talvolta nasconde Gareksey al mattino.

- E onore ad Amren, figlio di Bedwyr, re di queste isole!

Il giovane si irrigidì, sconvolto dalle sue parole. La videro sporgersi e poi cadere, ma qualcuno giurò che era morta prima di toccare terra.



Aprì gli occhi sul soffitto della sala da pranzo di Carlisle. Quando incrociò lo sguardo di Gawain, si sentì sollevata. Le era parso per un momento di avere non sedici, ma cinquant'anni e più; ma ora il tempo ed i pensieri tornavano a scorrere al ritmo giusto.
- Re Uriens è morto - disse d'un tratto, spezzando il silenzio in tono macabro.
 Gawain le sfiorò la fronte in un gesto che pareva affettuoso, ma Clarissant sapeva che si prendeva gioco di lei. - Chi vi ha detto una cosa simile? Delirate, sorella.
- No! Me l'ha detto Morvydd! Era nella tenda, mi ha detto ogni cosa - ella ribatté, ma sentiva quel ricordo perdere forza e verosimiglianza.
Il falco scosse la testa: - Morvydd è nata per recitare in una tragedia greca. Credo l'abbiate fraintesa. È vero che suo padre e Sir Colgrevance hanno avuto una brutta discussione, ma... ne sono usciti con qualche scalfittura. Davvero. Se nostra cugina abiurerà la vecchia religione, è possibile persino che le nozze non vadano a monte.
Clarissant l'ascoltava a bocca spalancata. - Ma...
- Oh, via, l'avete scampata bella, e avete tenuto testa a Gaheris, che Dio lo maledica! Ma sarò più tranquillo quando anche voi sarete sistemata. Credevo proprio che Colgrevance fosse un gran bel partito per voi, sapete? Ma ora dovrò ripiegare su qualcun altro. D'altronde...
Sorrise.
- Sir Bedivere mi ha chiesto la vostra mano, e credo di non aver sbagliato ad accettare. Mi siete sembrata molto affezionata a lui, da come vi siete comportata poc'anzi.
Clarissant non rispose e per un po' rimase ad ascoltare il battito del proprio cuore. Come se potesse trovarvi la risposta.

La verità fa paura, ed il corvo è un messaggero di verità. Posso continuare a fingere di odiarlo, oppure... ammettere che Dio ha unito le nostre vite già in quel triste giorno di sangue.

Gawain riprese, quasi intimorito dal suo silenzio: - Lindsey è un luogo bellissimo in qualsiasi stagione, vedrete. Credo che sarete felice; Gareth mi dice spesso che vi manca il mare!
Clarissant pensò alle onde che ingoiano la spiaggia, e al tramonto sembrano dense come miele. Pensò agli uccelli quando si alzano in volo ed era proprio un'onda a passarle sullo stomaco in quel momento, ed era un frullio d'ali che sentiva in petto,
ed era amore.




FINE




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Piccola nota sciupa-fic: verrà spontaneo chiedersi se tutto quanto è successo dal torneo di Carlisle in poi sia stato davvero soltanto un sogno.
Dal momento che i Vichinghi non iniziarono le loro allegre invasioni fino all'800, viene proprio da dire di sì. Ma allo stesso tempo potete interpretare quanto accaduto come dimensioni parallele, viaggio nel tempo, intercessione divina... insomma come preferite, davvero. Per me l'importante è che Clarissant ammettesse i suoi sentimenti *Cupid mode: on*

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