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-Non sei stato
intelligente a lasciare indietro Brom.-
-È stata una sua scelta.
Non ha voluto seguirmi.-
-E tu sei stato così
bravo da non chiedergli niente su Gil’ead.-
-Ci arrangeremo.-
-Sì, certo, ma come
facciamo ad entrare nelle prigioni? Non possiamo certo andare dalle guardie e
chiedere:”Scusate, potreste indicarci la cella di
Arya? Sapete, dobbiamo liberarla perché ci è apparsa
in sogno e ce l’ha chiesto”!-
-Arlin, non essere
pessimista.-
-Ah no?- La ragazza
si guardò intorno, il volto nascosto dal cappuccio del mantello. -In ogni caso,
ti ricordi quel tipo a Daret? Quello strano che continuava a fissarci.-
-Quello che abbiamo
visto prima di entrare dall’indovina?-
-Proprio lui. -
-È qui? -
-Non lo so, ma mi
sento osservata.-
-Come al solito.-
-Che cos’hai detto, scusa?-
-Niente.-
Arlin sbuffò.
Entrarono in una
sala di pietra, guardandosi indietro circospetti.
Una figura scura
seguì le due sagome dentro il castello. I suoi passi non erano udibili alle
orecchie di nessuno, anche un elfo avrebbe avuto
difficoltà nel sentirli.
Vide i due scendere
rapidi delle scale, e anche lui gli andò dietro.
-Eragon,
sei certo che è per di qua?-
-Proviamo, Arlin, di
sicuro è in una di queste celle.-
-Ma non abbiamo
molto tempo, la notte è corta.-
-Arlin, per favore!
Adesso basta.-
La ragazza abbassò il capo mortificata e rimase in silenzio. Era agitata, e
quando stava in quello stato non smetteva mai di parlare. Eragon lo sapeva, era
il suo migliore amico, e la sopportava. Ma ora anche
lui non era tranquillo, e si concentrava cercando di sentire la presenza
dell’elfa nelle celle davanti a loro. Arlin sentiva però anche altre presenze,
e ciò l’agitava ancora di più, e faceva guizzare gli
occhi in tutte le direzioni.
-Trovata!- mormorò
all’improvviso Eragon. Si diresse deciso verso una porta di legno e fece
scattare i meccanismi interni della serratura. La porta si aprì, mostrando una
ragazza sdraiata su una tavola di pietra. Era vestita con degli
abiti oro, i capelli biondi rossicci raccolti, la pelle pallida e le
orecchie rotonde. Doveva trovarsi di un'elfa, perchè i suoi
lineamenti erano diversi da quelli di un comune essere umano. Voltò la
testa verso i visitatori, e fissò i due occhi azzurri su Eragon. -Non dovreste
essere qui! Andate via!-
-Troppo tardi.- disse una voce all’esterno della cella.
Eragon e Arlin si
voltarono, e videro un uomo alto, vestito di nero, con lunghi capelli rossi e
gli occhi azzurri quasi bianchi.
Arlin s’irrigidì. -Eragon…è…-
-Uno Spettro.-
completò lui, spaventato.
Lo Spettro sorrise.
-È un piacere incontrarti, Cavaliere. Anche se, a dir
la verità, mi aspettavo qualcosa di più di un semplice…contadino.-
Eragon arricciò le
labbra e si parò davanti ad Arlin. -Prendi Arya e andatevene.-
Arlin si fece seria.
-Non ti lascio solo.-
-E invece devi, se
vuoi salva la vita!-
La ragazza guardò lo
Spettro proprio mentre lui alzava un braccio e delle
lance si staccavano dal muro. Lo Spettro le scagliò contro i due ragazzi.
-Eragon!- urlò
Arlin.
Eragon alzò il palmo
destro. -Jierda!-
Le lance si
spezzarono a metà, e i loro resti caddero a terra. Eragon si sentì stanco. Brom
gli aveva detto che più si era lontani dal bersaglio,
più si utilizzavano energie.
-Ti senti prosciugare le forze, vero?- disse lo Spettro. Con il
braccio sollevato, librò a mezz’aria una lancia intatta. -Dicono
che quando un Cavaliere muore si possono sentire i ruggiti disperati del suo
drago.- Sorrise. -Vediamo se è vero.- La lancia fu scagliata
di nuovo contro di loro.
All’ultimo momento,
qualcuno saltò davanti ad Eragon e Arlin e lo colpì in pieno petto. Il mantello
gli scese dal capo e scoprì il volto di Brom, teso in una smorfia di dolore, e
il suo corpo ricadde a terra. Gli occhi di Arlin si
velarono di lacrime e la ragazza s’inginocchiò accanto al vecchio, mettendogli
delicatamente la testa sulle sue gambe.
Eragon si sfilò
l’arco e incoccò una freccia. Con una precisione che stupì
anche se stesso, la freccia colpì lo Spettro in mezzo agli occhi. Con un
sorriso, lo Spettro svanì. Il ragazzo si voltò, e vide Arlin china su Brom, che
respirava forte. -Come sta?- chiese infuriato.
-Male.- rispose lei,
la voce rotta dal pianto.
Il soffitto si ruppe
con un rombo sordo mentre Saphira lo sfondava e
atterrava vicino ad Eragon.
In breve, i quattro
furono circondati dai soldati che avevano sentito il trambusto.
Arlin spostò il
corpo di Brom sulla fredda pietra, e si slacciò il mantello.
-Che cosa vuoi fare,
Arlin?- chiese preoccupato Eragon.
La ragazza alzò il
viso, con gli occhi arrossati. -Vendicare Brom.-
-Ci ho già pensato
io, Arlin non fare pazzie!-
Arlin sorrise, quel
suo sorriso che compariva quando stava per fare
qualcosa di pericoloso. Estrasse veloce la sua spada, un’arma leggera
regalatale da Brom all’inizio del loro viaggio.
-Arlin, no!-
Ma che cosa fa?, chiese Saphira.
Vuole affrontare
tutti questi soldati da sola!
E tu la lasci fare?
Eragon guardò la
dragonessa. No. Anche lui estrasse Zar’roc, e si affiancò all’amica.
La battaglia iniziò
con un feroce urlo di Arlin, che si gettò sui soldati.
Nella confusione che si creò, molti soldati andarono contro la ragazza,
credendo che fosse debole come un insetto. Ma Arlin era agile, si muoveva come
un gatto, e tutti quelli che le si avvicinavano
assaggiavano la lama della sua spada. Ma rimase scoperta
mentre infilzava un nemico, e un altro era pronto a colpirla alla
schiena.
Qualcosa le sfiorò
il viso candido.
Paralizzata, la
ragazza si voltò quando sentì un tonfo, e vide una
freccia conficcata nel petto del soldato, a livello del cuore. Fissò alcuni
secondi quel corpo immobile, mentre sentiva lo stomaco che si ribellava. Si
rigirò e alzò il capo, in direzione della provenienza della freccia. Il suo
salvatore era in piedi al bordo del buco lasciato da Saphira, il cappuccio
calato sul volto. Teneva un grande arco, alto quasi quanto lui, davanti a sé,
pronto a scoccare un’altra freccia. I loro occhi si incontrarono,
poi lui scoccò la freccia, che colpì un altro soldato. Si abbassò il cappuccio.
-Vi conviene andarvene, alla svelta!- gridò.
Arlin guardò il
volto del ragazzo, e riconobbe la stessa persona di Daret.
Il misterioso
ragazzo fissò la giovane che si inginocchiava accanto
ad un cadavere, ripuliva la sua spada e la rinfoderava. La vide rialzarsi e
correre verso il suo amico, gli disse qualcosa, e insieme caricarono
il vecchio sulla sella del drago azzurro. Poi andarono dentro una cella e ne
uscirono poco dopo, reggendo un’elfa. La aiutarono a salire dietro il vecchio e
la ragazza si arrampicò sulla sella, seguita dall’altro ragazzo.
-Vai!-
urlò
quest’ultimo.
Il drago si alzò in
volo, mentre una pioggia di frecce si alzava dal castello.
Lo sconosciuto vide
la ragazza chinare il capo, il volto pallido. I loro sguardi s’incontrarono di
nuovo, poi il drago e suoi passeggeri sparirono nell’oscurità della notte.
-Brom, mi dispiace.-
-Bah! Era mio
dovere.-
-Era mio dovere
ascoltarti. Se l’avessi fatto, tu non saresti ridotto così.-
Il vecchio lo
guardò. -È questo che mi piace di te, Eragon: una parte di prodezza
e tre di stoltezza. Non mi avresti ascoltato lo stesso, avresti fatto
quello che ti passava per la testa.-
Eragon sorrise a
fatica e alzò lo sguardo. Arlin stava coprendo Arya, addormentata. -Non devi
morire, Brom. Non per un mio errore, ti prego!-
-Nessuno ha commesso
errori qui, se non io, che dovevo insistere di più.-
-Non dire così.- disse Arlin, avvicinandosi. -E io?
Ho seguito Eragon nonostante tu non lo volessi.-
-Arlin, tu sei anche
più testarda di Eragon, per questo andate d’accordo:
siete determinati e quando siete insieme non vi ferma più nessuno. Se rimarrete
uniti, ciascuno si prenderà cura dell’altro e non
rischierete di vacillare. Ora che Eragon è un Cavaliere, Arlin, devi essere più
prudente: non appena lui ti lascerà indietro, qualcuno di più potente può
usarti, sfruttarti, per arrivare a Eragon. Ciò non
deve accadere, perché tu non sopporteresti le torture, per quanto forte tu
possa essere.-
Arlin esitò un
attimo, messa a disagio da quelle parole. -Ti riferisci a Galbatorix?-
Brom annuì
debolmente. -Sì, proprio lui. Mi prometti che starai in guardia?-
Arlin sorrise. -Certo,
Brom. Quando mai non lo sono stata?-
Il vecchio ricambiò il sorriso, poi si rivolse ad Eragon. -E tu, Cavaliere, fatti onore. Sii deciso nelle tue scelte,
e valuta i pro e i contro delle offerte che ti saranno fatte. Non essere
precipitoso, rifletti prima. Non sottovalutare mai il tuo
nemico, mai. Questo sì che sarebbe un
errore imperdonabile.- Guardò i due ragazzi. -Volete accettare la mia
benedizione?-
Eragon e Arlin
annuirono e si chinarono sul vecchio, che mise la mani
sulle loro teste. -Ebbene, questa è la mia
benedizione: che la vostra vita possa essere felice, vi auguro tutto il bene
possibile.- Levò le mani e sospirò. -Ora devo riposare.-
Il mattino dopo,
Brom morì. Arlin aveva vegliato su di lui tutta la notte, e all’alba il vecchio
Cavaliere aveva spirato.
Eragon sistemò
l’ultima pietra e indietreggiò. Arlin e Arya erano al suo fianco, la prima
sulla sua destra. Saphira si avvicinò alla catasta di
pietre, la tomba di Brom.
Questo è tutto
quello che posso fare per lui,disse. Sfiorò appena
le pietre col naso, e subito quelle diventarono cristalli. Così il tempo non
lo consumerà.
Col morale a pezzi,
tornarono al loro accampamento, e mentre sistemavano le coperte, Arya si
accasciò a terra.
-Arya!- Eragon e
Arlin accorsero e la fecero sdraiare sul terreno.
-Che cosa le succede, Arlin?- chiese Eragon.
-Non saprei...di
sicuro è veleno, i sintomi sono quelli...però non ho
mai visto niente del genere.- Arlin slacciò la
camicia dell'elfa e scoprì una macchia grigia sul petto, che si allargava
sempre di più.
I due ragazzi si
guardarono con gli occhi sgranati.
Saphira si alzò in
volo all'improvviso, ringhiando, ma Eragon e Arlin non le badarono.
La ragazza stava
osservando la macchia grigia, quando qualcuno le piombò davanti, rotolando,
come se fosse stato gettato da un essere più alto. Arlin si voltò e vide
Saphira atterrare.
Ci stava seguendo, disse ad Eragon. Il
ragazzo estrasse Zar’roc.
Lo sconosciuto si
alzò in piedi ridendo. –Sogno draghi da quando sono
nato!- disse. Guardò meglio con chi aveva a che
fare: un ragazzo, il Cavaliere, una ragazzina, non più di diciassette anni, e
un'elfa, svenuta tra le braccia della ragazzina.
Arlin rimase
immobile, ritta sulla schiena. Quel ragazzo era lo stesso di Daret e di
Gil'ead. Era alto e con spalle larghe, aveva i capelli neri poco più sopra
delle spalle e un paio di occhi azzurri profondi.
Indossava degli abiti da viaggio scuri, una veste che li ricopriva verde scuro,
e un mantello nero. Doveva avere qualche anno più di Eragon.
Lo sconosciuto prese
il grande arco che gli era caduto, e rimase in silenzio, spostando gli occhi da
Arlin a Eragon.
La ragazza prese un
braccio di Eragon e lo tirò giù, portandosi il suo
orecchio vicino alle labbra. -Eragon! Quello di Daret è lo stesso che mi ha salvata ieri! E' lui!- sussurrò.
Eragon lo osservò a
lungo. –Chi sei? E perchè ci
stavi seguendo?- chiese rialzandosi.
Arlin appoggiò Arya
a terra e si alzò.
Murtagh guardò la
ragazza e capì che l'aveva riconosciuto, ma non si scompose. –Sono Murtagh, e
hai bisogno di me, Cavaliere.-
-Grazie, ma starò
bene anche senza.- ribattè, rinfoderando Zar’roc.
-Tu cerchi i
Varden.-
Eragon e Arlin non
dissero nulla, si limitarono a fissarlo, confusi.
-Conosco questi
monti, ogni valle e ruscello. Soffrirà se ti smarrirai.- aggiunse
accennando ad Arya.
-Perché rischi la tua vita per noi?- domandò il Cavaliere.
-La mia famiglia è stata uccisa, per ordine del re, ero un bambino ancora. Ho
sentito delle voci, che parlavano di un Cavaliere. Poi, dal nostro primo
incontro...-
-Secondo.- intervenne
Arlin.
Murtagh continuò a
sorridere. -...secondo incontro a Gil'ead, non vi ho persi di vista. Sapevo che
presto vi sareste trovati in difficoltà, che vi sarebbe servita una guida in
queste terre, così...-
Eragon, dobbiamo andare, disse Saphira ad
Eragon.
Lui diede le spalle a
Murtagh e parlò con Arlin. -Che cosa facciamo?-
-Non ne ho idea, ma
mi sembra sincero. E poi tieni conto anche del fatto che mi ha salvata.-
Eragon arricciò le
labbra. -Allora dovremmo portarcelo dietro?-
-Non vi sarò di alcun peso.- disse Murtagh. Eragon si voltò. -E poi, se
già viaggi con una ragazzina che non si sa guardare le spalle, di me non sentiresti
nemmeno la presenza.-
Arlin strinse gli
occhi e si trattenne dal prenderlo a botte. -Primo: io non sono una ragazzina,
ho sedici anni. E secondo, so badare benissimo a me stessa, è stata inutile la
tua freccia, sarei stata capacissima di uccidere quel soldato da sola.- Arlin
sapeva che non era vero, perchè se non ci fosse stato
Murtagh lei a quest'ora era morta e sepolta come Brom.
Infatti, Murtagh inarcò un
sopracciglio. -Ma davvero? La prossima volta allora
lascerò che ti uccidano, ragazzina.-
Arlin avanzò
minacciosa verso di lui. -Adesso basta! Ma chi ti credi
di essere, eh? Mi hai salvato la vita, d'accordo, e ti ringrazio, ma non è il
caso che mi provochi così!- La ragazza gli arrivò a
pochi centimetri. La sua testa era ad altezza spalle, e il ragazzo la guardava
con il capo leggermente chino.
-E chissà quante
volte dovrò farlo ancora, se rimango con voi.- disse a
bassa voce lui.
Arlin serrò la
mascella e gli saltò addosso.
Eragon cercò di
fermarli, ma la sua amica aveva buttato di nuovo a
terra Murtagh e i due rotolavano avvinghiati in una lotta senza armi.
Lasciala fare,
Eragon. In fondo Murtagh se l'è cercata, disse Saphira,
accucciandosi e tenendo i grandi occhi azzurri fissi sui due contendenti.
Eragon, preoccupato, andò da Arya e pregò che quei due la finissero presto.
Arlin cercò di
sferrare un pugno in pieno viso di Murtagh. Il ragazzo, sopra di lei a
cavalcioni, le stringeva i fianchi con le ginocchia, e fermò il colpo della
ragazza con una mano. Urlando di rabbia, Arlin provò con l'altro, e lo colpì
sulla guancia. Le sue nocche si sbucciarono e gli bruciarono, ma immaginò che
cosa dovesse provare ora Murtagh. Non si sentiva in colpa, quasi soddisfatta.
La ragazza allora cercò di rotolare, così che fosse
lei sopra Murtagh. Ma lui si riprese un attimo e la
fece girare ancora sorridendo, con un piccolo taglio sul volto. Continuarono
così per molto tempo, alzando nuvole di terra color sabbia, poi Arlin, stanca,
si fermò.
Era di nuovo con le
spalle a terra, ansante, Murtagh sopra di lei che le teneva le mani saldamente
inchiodate a terra.
Il ragazzo era
soddisfatto. Non pensava che una ragazzina potesse essere tanto resistente, e
si divertiva nel vedere Arlin impegnarsi per dargli una lezione. Ma lei non sarebbe mai riuscita a metterlo con le spalle al
muro, qualunque cosa facesse. Il petto della ragazza si alzava e si abbassava
velocemente sotto di lui, i loro volti erano vicinissimi.
Arlin approfittò di
quel momento di stasi. Le aveva provate tutte, tranne una, la
più scorretta. Ma se l'avesse messa in atto, almeno
Murtagh avrebbe capito chi aveva di fronte. Tutte le sue parti del corpo erano
bloccate, tranne due: le gambe. Arlin gli tirò una ginocchiata in mezzo alle
cosce, e il colpo andò a segno.
Murtagh lasciò libera la ragazza e si mise ad urlare dal dolore.
Subito,
Eragon accorse e aiutò l'amica ad alzarsi. -Arlin, che cosa gli
hai fatto?-
-Quello che avrebbe
fatto chiunque fosse stato nella mia situazione.- rispose
lei riprendendo fiato.
-Hai esagerato,
però.-
La ragazza si ripulì
dalla terra, non badando alle nocche. -Lo sai che non sopporto le provocazioni,
specie da uno sconosciuto. Anche se lui mi ha salvato la vita, non sono
obbligata a sorridergli anche quando mi prende per una ragazzina
irresponsabile.-
Murtagh rise. -Ha un bel caratterino la tua amica.- disse rialzandosi. -Non
la vorrei mai avere come nemica.-
Il volto di Arlin s'indurì. La stava forse ancora provocando?
-D'accordo, Murtagh,
adesso basta. Se vuoi rimanere con noi, devi imparare che nel gruppo c'è anche
una ragazza, e sottolineo la parola ragazza. Arlin
è piuttosto irascibile...-
-L'ho notato.-
Arlin lo fulminò con
lo sguardo.
Eragon fece finta di
non averlo sentito e continuò. -...quindi devi stare attento a quello che dici.
Arlin sa badare a se stessa, ma un po’ di protezione è sempre accettata.-
Arlin trattenne il
fiato e spostò lo sguardo infuriato su di lui. Murtagh non
potè fare a meno di sogghignare. Eragon si strinse nelle spalle.
-Non dimentichiamoci dell'elfa.- disse Murtagh.
Dopo aver sistemato
le ultime cose su Saphira e sui cavalli, i tre ripartirono. Murtagh aspettò che
Arlin fosse salita sulla sella di Cadoc prima di partire, guardandola con un
sorrisetto, cosa che la fece irritare di nuovo.
Perdonate il ritardo, ma ho avuto dei problemi con la connessione
Perdonate il
ritardo, ma ho avuto dei problemi con la connessione...Buona lettura!!
Racconti
Cavalcavano
in silenzio attraverso la verde pianura. Eragon, Cavaliere di Draghi; Arlin,
esperta di erbe e tutto ciò che le riguarda; e
Murtagh, un ragazzo sconosciuto. Saphira volava sopra di loro con Arya legata
sulla sella.
In un
futuro non molto lontano, i due ragazzi si sarebbero trovati di fronte ad una
scelta che avrebbe cambiato la loro vita per sempre. Eragon aveva già deciso:
schierarsi dalla parte dei Varden. Ma l'altro non
sapeva ancora di essere destinato a fare grandi cose.
Murtagh
voltò appena lo sguardo per osservare la ragazza: aveva i capelli
castani mossi lunghi fino a tre quarti di schiena, color della quercia, scuri che quasi parevano neri; gli occhi verde smeraldo. Il viso
da adolescente, leggermente abbronzato, era chino per proteggersi dall'aria mentre i capelli si agitavano violentemente. Indossava
abiti semplici da caccia, delle brache e delle maglie verde scuro con un
mantello nero. I pantaloni erano infilati dentro ad alti stivali marroni che le arrivavano alle ginocchia. Cavalcava vicino a
lui, dopo che aveva impegnato Cadoc in una staccata
per raggiungerlo.
Appena
erano partiti, Arlin aveva notato gli sguardi provocanti dello sconosciuto, e
non aveva voluto rimanere indietro. Incitato Cadoc, aveva raggiunto Murtagh, e
lui le aveva sorriso, come se avesse voluto dirle: "Era ora! Sei lenta,
ragazzina!"Arlin però non lo guardava,
teneva lo sguardo fisso sul terreno sotto di lei.
Eragon
osservava la scena davanti a lui con poco entusiasmo: Murtagh, ragazzo
insistente, continuava a lanciare occhiate di sfida ad Arlin, che le evitava
cercando di tenere il suo passo. Continueranno ancora per molto?, chiese a
Saphira.
Speriamo.
Io mi diverto!
Eragon
sbuffò. Io invece no. E' mai possibile che Arlin si metta in competizione
con il primo straniero che incontriamo?
Non è che sei geloso?
Geloso
io?La conosco da dieci anni, è normale che mi preoccupo per lei, tutto qui!
Guarda
il lato positivo: almeno potremmo scoprire se Murtagh
è degno della nostra fiducia.
E'
vero, anche se avremmo tutto il tempo per capirlo.
Un corno
suonò in lontananza, dalla parte da cui il piccolo gruppo era partito. Tutti e
tre fermarono i cavalli.
-Eragon,
chi sono?- domandò Arlin, voltandosi verso di lui.
-Urgali.-
rispose Murtagh.
-Non
l'ho chiesto a te.- ribattè seccata.
-Forse
lui non ha riconosciuto quel corno perchè non lo ha mai sentito in vita sua, o
sbaglio?-
-Ha
ragione, Arlin. Ma credo che ci sarei arrivato che non
erano amici.- Saphira, alzati di quota, non voglio che ti vedano.
Tanto
ormai lo sanno, Eragon. E' inutile nascondersi.
Brom
nel suo elenco dei testardi si è dimenticato di te.
La
dragonessa sbuffò fumo dalle narici e si alzò di pochi metri.
-Riprendiamo?-
chiese Arlin. Il suo tono di voce sottintendeva che non voleva trovarsi di
fronte ad un altra battaglia.
-Muoviamoci.- disse Eragon.
Con Murtagh in testa
al gruppo, i ragazzi ripartirono al galoppo, pregando che gli Urgali rimanessero molto tempo ad esaminare le loro tracce ancora
fresche.
Non si
fermarono mai, cercando di guadagnare tempo sugli inseguitori. Gli Urgali
procedevano lentamente, così che i tre poterono guadagnare tempo sui mostri. Quando il sole calò, rallentarono l'andatura dei cavalli
esausti, ma proseguirono ugualmente. Arlin era in coda al gruppo, le gambe
indolenzite e il fondoschiena quadrato, ed Eragon era affiancato a Murtagh
davanti a lei. La ragazza alzò il volto: Saphira volava in circolo sopra di
loro, invisibile a chi non fosse nella loro posizione.
-Ci fermiamo, direi.- disse stancamente Murtagh.
Eragon
si voltò verso l'amica. Gli bastò dare uno sguardo alla faccia di Arlin per annuire.
Prepararono
una cena fredda, e la ragazza fu contenta di smontare da Cadoc.
Eragon
si addormentò presto, stanco morto, e Saphira gli si accucciò di fianco.
Rimasero
svegli solo Murtagh e Arlin. In silenzio, la ragazza si guardava intorno,
stringendo il mantello. Murtagh era vicino a lei, intento ad incordare l'arco.
-Mi è
parso di vedere che tu ed Eragon siete molto amici.-
disse il ragazzo.
Arlin
non lo guardò. -Sì.-
-Posso
sapere qualcosa di più?-
-Su di me o su di lui?-
-Entrambi.
Ma preferisco che parti dalla prima opzione.-
Arlin
esitò. -Non sono nata a Carvahall,
i miei genitori vivevano a Teirm. Mio padre,
Lodark, era un ufficiale dell'Impero, e mia madre lavorava al mercato. Appena poteva, mio padre tornava da noi, ma rimaneva un
giorno o due giorni. In quel poco tempo, mi insegnava
ad usare le armi, solamente bastoni, e soprattutto a tirare con l'arco. Poi,
quando ripartiva, mi esercitavo da sola, cosicché la volta dopo che ci saremmo rivisti,
sarei stata già brava.- Il suo volto si oscurò. -Avevo sei anni
quando una truppa dell'Impero venne da me e da mia madre. Io non capivo,
ma mia madre mi riempì uno zaino di vestiti e provviste e mi fece
allontanare da casa. Mi disse di fuggire, di andare lontano, e che mi avrebbe
voluto bene per sempre. Io invece mi nascosi sul retro perchè volevo capire.
Poco dopo mi dissi che aveva ragione mia madre: sentii
uno dei soldati dire che mio padre era morto perchè aveva dei contatti con i
Varden, che era una spia. Mia madre non lo negò. I soldati la catturarono e la
portarono via, ma prima mi cercarono per tutta l'abitazione. Io allora fuggii,
e mi persi nelle vie della città. Mi trovò Merlock,
un errante. Mi curò e mi ospitò, chiedendomi dov'erano i miei genitori. Ero una
bambina, sconvolta per di più, e gli raccontai tutto. Lui mi disse
che mi avrebbe protetta, che non appena fossimo arrivati a Carvahall,
la sua destinazione, mi avrebbe lasciata lì. L'Impero non avrebbe mai saputo
dov'ero, e presto se ne sarebbero dimenticati. Mi disse
che qualcuno si sarebbe preso cura di me, la gente di Carvahall
era buona.- Fece una pausa. -Dopo pochi giorni, un inverno, arrivammo a Carvahall. Appena scesi dal carro, si fece avanti un
bambino. Merlock lo salutò e me lo presentò.-
-Era
Eragon?-
-Sì.
Conoscevo tutta la storia sui Cavalieri, mio padre me la raccontava spesso, e
mi stupii sentendo quel nome. Non sapevo però che lui
non ne conosceva il significato, così non dissi nulla. Da quel giorno, io ed
Eragon ci vedevamo sempre, lui veniva al paese per
trovarmi. Mi portava sulla Grande Dorsale, e mi spiegava tutto quello che
sapeva. Mi fece conoscere suo cugino Roran, il suo povero zio Garrow, Brom e
Gertrude. Appena gli erranti ripartirono, Merlock
mantenne la parola: mi lasciò a Carvahall e ripartì.-
-E tu?- chiese Murtagh incuriosito, fissando la ragazza.
-Gertrude mi prese in simpatia. Era la levatrice, e io iniziai a studiare da
lei. Al mattino rimanevo con lei in negozio. Mi spiegava tutti gli impasti che
si potevano fare con le erbe più semplici per guarire anche le ferite più
gravi. Al pomeriggio andavo da Brom che mi insegnava a
leggere e approfondire le mie tecniche in combattimento. Solo sul tardi della giornata ero libera, e andavo a trovare
Eragon. Spesso mi fermavo da lui per la notte.
-Passarono
gli anni, e man mano che crescevo, cresceva anche
l'amicizia che legava Eragon e me. Appena potevamo, andavamo a caccia nei
boschi, sulla Grande Dorsale, dove pochi si spingevano. Fu durante una di
quelle escursioni che trovammo l'uovo di Saphira.-
-Avevate
scoperto subito che era un uovo?-
-No. Pensavamo fosse una pietra, anche se era
troppo perfetta per esserlo. La lasciai ad Eragon, perchè era
stato lui a vederla per primo.
-Dopo un
po’ di tempo quasi me la scordai, ma quando il comportamento di
Eragon cambiò, mi misi a fare delle ricerche. Sui libri di Brom scoprì
che le uova di drago erano di forma ovale, e il colore dipendeva dal drago. Mentre rimettevo a posto il libro su cui era scritto, dalle
pagine cadde un foglietto di pergamena. Lo raccolsi, e vidi che disegnato c'era
proprio un uovo di drago. La calligrafia era quella di Brom, e il disegno era
identico alla pietra che avevamo trovato.
-Eccitata
dalla mia scoperta, corsi a cercare Eragon, ma mi imbattei
nei Ra'zac.-
Murtagh
si stupì. -Che cosa ci facevano i Ra'zac a Carvahall?-
-Non lo
so, ma il mio pensiero corse subito a Eragon. Non
sapevo ancora chi fossero i Ra'zac, ma appena mi passarono davanti capii che non
erano umani. La mia eccitazione si trasformò in paura. Corsi ancora più veloce,
ma quando arrivai a casa sua era troppo tardi: trovai Garrow
morto.
-Eragon
arrivò poco dopo con Saphira. Mi rivelò tutto, e mi mostrò anche il suo gedwey
ignasia. Coprimmo Garrow, e stavamo per seppellirlo quando arrivò Brom. Vide quello che era
successo, ci portò fuori di casa e ci fece salire sui cavalli. Poi bruciò
tutto.-
Tra i
due calò un momento di silenzio. Arlin aveva gli occhi lucidi ricordando quelle
immagini. -Da qui in avanti dovresti immaginarti com'è andata: siamo arrivati a
Daret e ci siamo incrociati. Poi ad Eragon è apparsa
in sogno Arya, e ha insistito per andarla a salvare. Brom non voleva, diceva che con una mossa avventata il nostro viaggio sarebbe
andato a rotoli. Io non sapevo che cosa fare, e alla fine sono salita su
Saphira.
-A Gil'ead ci siamo imbattuti in uno Spettro,
ma Eragon è riuscito a farlo scomparire, dopo che lui aveva colpito a
morte Brom.- Si voltò per guardare Murtagh. -Poi sei arrivato tu.-
Il
ragazzo abbozzò un sorriso.
-Brom è morto questa mattina.- Arlin distolse lo sguardo. -Gli
Urgali avranno trovato la sua tomba.-
Altro
momento di silenzio.
Solo ora
la ragazza si accorse di aver raccontato la storia della sua vita ad uno
sconosciuto, un impertinente, fra l'altro. Solamente un'altra persona l'aveva
ascoltata come aveva fatto Murtagh adesso: Eragon. Non sapeva perchè era
successo, ma ora si sentiva come se le fosse stato tolto un peso dal cuore.
-Una
vita poco movimentata.- commentò Murtagh.
Lei non
rispose. -Vado a dormire.-
-D'accordo.
Il primo turno di guardia lo farò io.-
Arlin si
distese accanto a lui e si addormentò.
Murtagh
la guardò a lungo, poi appoggiò la schiena contro il tronco di un albero, non
sapendo che Saphira aveva ascoltato tutto il racconto della ragazza.
-Io
volerò con Saphira oggi, così potremmo vedere quanto siamo lontani dagli
Urgali.-
-Quanto siamovicini, semmai.- disse Arlin.
-Vai
pure. Controllerò io la tua amica.-
Arlin
guardò di traverso Murtagh.
-Fate attenzione, tutti e due.- Eragon si arrampicò sul dorso di Saphira.
La dragonessa, con un potente balzo, spiccò subito il volo.
Murtagh spronò Tornac al galoppo e Arlin, con Fiammabianca legato dietro la
sella di Cadoc, lo seguì.
Non è
fantastico?
Volare?
Anche. Guarda giù.
Eragon
abbassò il capo e vide le chiome verdi passare veloci sotto di lui, interrotte
da uno stretto sentiero marrone. Su di esso, due
cavalieri cavalcavano più veloci che potevano. Murtagh e Arlin.
Già.
Dovevi sentirli ieri sera come parlavano!
Li
hai origliati?
No!
Ero sveglia e non ho potuto fare a meno di ascoltarli.
Eragon
esitò. Che cosa si sono detti?, chiese dopo un attimo.
Saphira
emise quegli strani versi che dovevano essere delle risa. Lo dicevo io che sei geloso!
E io ripeto che non lo sono! Avanti, che cosa si sono detti?
Niente
di che. Murtagh le ha chiesto di parlargli un po’ di
voi due, e lei gli ha raccontato la sua storia, in cui c’eri anche tu.
Arlin
gli ha parlato anche di Teirm?
Sì.
Dell’Impero?
Sì.
Di
quando abbiamo trovato il tuo uovo?
Sì.
Di Arya?
Sì.
Ha detto che Brom era un Cavaliere?
Saphira
ci pensò. No, non lo ha detto. Mi sa che le è sfuggito.
Eragon
sospirò. Meglio così. Conosciamo ancora troppo poco Murtagh, non capisco
perché gli ha raccontato la sua storia.
Forse
perché aveva bisogno di parlare con qualcuno, e appena ne ha avuto l’occasione
l’ha fatto.
Ma Arlin difficilmente si confida, anche con me ci ha messo del tempo.
Non
lo so. Chissà, forse ha trovato in Murtagh un amico.
Un
amico? Li hai visti ieri, no? Se le sono date alla
grande.
Era
solo un’ipotesi. Se sei preoccupato, chiedilo
direttamente a lei.
Eragon
la guardò dall’alto, i suoi lunghi capelli al vento. Appena troverò un po’
di tempo lo farò.
Non
aspettare troppo, però.
-Vuoi
passare a me Fiammabianca?-
-No, non
mi rallenta.-
-Sicura?-
-Non
insistere.-
-Come vuoi.-
Cavalcarono in silenzio, poi Murtagh fermò Tornac. -Da qui si procede a piedi.- disse smontando.
Arlin lo
imitò, e i due procedettero sullo stretto sentiero a piedi. La ragazza si voltava di continuazione per controllare Fiammabianca, poi
all’improvviso Saphira atterrò davanti a Murtagh e Arlin, facendo
nitrire i cavalli nervosamente.
-Gli
Urgali!- urlò Eragon balzando giù dalla dragonessa.
Arlin si
voltò l’ennesima volta e vide una macchia scura avvicinarsi. -Ma come hanno fatto?- esclamò.
-Non lo
so, ma è meglio correre!- disse Murtagh.
Saphira
si alzò in volo, e i tre ragazzi iniziarono una corsa disperata, intralciata
dai cavalli.
-Lasciateli
qui, gli Urgali non li troveranno.- Murtagh voltò a
destra, e nascose Tornac in una radura circondata da una fitta vegetazione.
Arlin ed Eragon lasciarono Cadoc e Fiammabianca con malinconia, poi uscirono
dalla radura e ripresero a correre. Si fermarono bruscamente poco dopo: erano
di fronte ad una cascata, che alzava del vapore azzurrognolo.
-L’entrata
per il nascondiglio dei Varden è qui, nei ricordi di Arya
c’era questa stessa cascata.-
Ad un
tratto, Murtagh estrasse veloce Zar’ Roc dal fodero di Eragon
e ruotò su sé stesso.
Un
Urgali cadde privo di vita ai loro piedi.
-Grazie.-
disse Eragon.
Murtagh
rinfoderò la spada. -Di nulla.-
Arlin si
riscosse. -Eragon, che cosa dobbiamo fare adesso?-
Il
ragazzo si slacciò il mantello. -Mi sembra ovvio: tuffarci.-
Non
diede nemmeno il tempo ad Arlin di ribattere: prese la rincorsa e si tuffò.
-Credo
che dobbiamo imitarlo.- Murtagh si tolse il mantello.
-Muoviti, questa volta non rimarrò a salvarti ancora.-
Arlin
indietreggiò dalla sporgenza. -No…io da qui non mi butto.-
Murtagh
sorrise. -Non dirmi che hai paura.-
-No, non
ho paura…- Ma il suo tono la ingannò. -È solo che è troppo alto.-
-Avanti,
se hai cavalcato un drago più di una volta non
dovresti avere paura di un salto così.-
Arlin fu
sicura che Murtagh aveva parlato in tono sincero. -Non
c’entra niente…-
-Invece sì. Preferisci che gli Urgali ti facciano a pezzi?-
Arlin lo
fulminò con lo sguardo. -No.-
-Allora
preparati. Andiamo giù insieme.-
La
ragazza sapeva che non rimaneva molto tempo. Chiuse gli occhi, facendo un
respiro profondo. Questo servì solo a farla agitare ancora di più. Con mani
tremanti, slacciò il mantello e Murtagh la prese per
un braccio. -Pronta?-
-No, ma
vai prima che cambio idea.-
-Dopo
però non prendertela con me.-
-VAI!- gridò.
Murtagh indietreggiò per prendere la rincorsa, poi partì. Arlin non fece niente, era Murtagh a guidarla.
Poi non
sentì più la roccia sotto i piedi.
L’acqua
le colpì il viso con una forza da mozzarle il fiato. Arlin aprì gli occhi: era
circondata da piccole bollicine provocate dal suo tuffo. La pressione la
trascinava verso il fondo, ma una mano le prese l’esile braccio e la tirò su.
La sua testa andò a sbattere contro un petto, e la ragazza alzò il viso. Vide
Murtagh nuotare con le guance gonfie per trattenere l’aria.
Murtagh
perse la presa del braccio di Arlin e si fermò: un
piede della ragazza si era impigliato in un’alga, e lei cercava di liberarlo
senza successo.
Perché
tutte a me devono capitare!, pensò infuriata.
Proprio
mentre Murtagh le andava incontro, Arlin estrasse un coltello dallo stivale e
tagliò l’alga con un colpo secco. Lo rimise al suo posto, e il ragazzo la
trascinò via in malo modo, sentendo che il fiato iniziava a venirgli meno.
Passarono sotto la cascata, ma ancora non si vedeva la fine di quel fiume
sotterraneo. Sentì una mano che gli stringeva la camicia. Arlin era diventata rossa, le nocche delle mani erano bianche. Le
strinse il braccio, sperando che resistesse fino alla fine. Non doveva mancare
molto…
La
stretta alla sua camicia si allentò sempre più. Murtagh guardò terrorizzato la
ragazza, e vide che i suoi occhi si chiudevano. Maledizione, no!, pensò. Si
fermò e alzò il corpo di Arlin davanti a sé, che aveva
già gli occhi chiusi. I suoi lunghi capelli brillavano
sott’acqua, con la debole luce del sole erano bellissimi. Possibile
che debba essere sempre io a tirarla fuori dai guai e
rischiare che non muoia?, si disse mentre la avvicinava. Ma da una parte
era meglio così che fosse lui e non qualcun altro. I
loro volti erano sempre più vicini, poi Murtagh la baciò.
Non era un bacio vero e proprio, serviva solo per darle un po’ d’ossigeno.
D’altra parte non c’erano altri modi, Arlin sarebbe
morta ora che arrivavano all’uscita.
Lentamente,
la ragazza riaprì gli occhi e le due iridi verdi si puntarono subito su di lui.
Murtagh si separò da lei e alzò le spalle. Scuotendo la testa seccata, Arlin si
voltò e nuotò veloce. Con un sorriso malizioso, il ragazzo la seguì.
Quando l’aria gli stava per finire, videro dei nuovi raggi di sole davanti
a loro. Con rinnovata speranza, i due aumentarono la velocità e finalmente
uscirono dall’acqua.
Tossendo
forte, Arlin si accasciò su Murtagh, che la sorresse guardandosi intorno
spaventato.
Di
fianco a loro c’era Eragon, ma tutti e tre erano circondati da lance puntategli
contro.
-Era
ora! Ma quanto ci avete messo?- disse Eragon a fil di
labbra.
-Abbiamo avuto dei contrattempi.- rispose Murtagh sarcastico.
Arlin si
rialzò, rimanendo aggrappata al ragazzo. Si strinse a lui
quando vide le lance.
-Venite avanti, con calma.- disse una voce.
Esitanti,
i tre ragazzi eseguirono, e i soldati si fecero da
parte per lasciarli passare, con le lance sollevate. Si fermarono
quando furono di fronte ad un uomo alto, dalla carnagione scura, con i
capelli lunghi e gli occhi neri. Di fianco a lui c’era un tizio più basso, con
i capelli biondi e gli occhi azzurri. Entrambi erano
soldati, lo si capiva dalle loro armature, ma c’era qualcosa nel loro aspetto
che incuteva un misto di timore e rispetto nei ragazzi.
-Quale
di voi è il Cavaliere?- chiese subito l’uomo alto.
Eragon si
fece avanti. -Eccomi. Il mio nome è Eragon.-
Quello lo
squadrò. –Io sono Ajihad, capo dei Varden. Se tu sei il Cavaliere, dì alla tua bestia
di entrare.-
-E se attaccherà, tu morirai per primo.- aggiunse l’ometto basso, minaccioso.
Eragon guardò
prima l’uomo alto poi quello accanto a lui.
Saphira vieni. Ma sii cauta.
L’acqua
della cascata si aprì e la dragonessa le passò attraverso. Atterrò di fianco ai
ragazzi e avanzò tra le fila dei soldati intorno, che la guardarono ammirati
dal suo passo fiero. Persino gli occhi di Ajihad
brillarono.
Eragon le
andò incontro. –E’ stato uno spettro, l’ha avvelenata.-
disse indicando Arya, sulla sella di Saphira.
-I
nostri curatori la guariranno.- commentò Ajihad.
Un paio di uomini andarono incontro alla dragonessa.
-Vigila
su Arya.- disse Eragon a Saphira. Ma stai attenta.
Tu stai attento. Mantenendo la
postura orgogliosa, la dragonessa uscì.
Una sentinella
sussurrò qualcosa nell’orecchio del biondo, che a sua volta si rivolse ad
Ajihad. –Urgali. Battono le montagne in questo momento.-
Il capo
dei Varden guardò Eragon. –Il tempo corre, devo sapere se siete con noi. Saremo
inferiori di numero.-
Il Cavaliere
si girò verso Arlin, che annuì. Murtagh teneva lo sguardo voltato da un’altra
parte. Poi tornò a guardare Ajihad. –Siamo qui per unirci a voi.-
Il capo
dei Varden sospirò sollevato. Spostò la sua attenzione su Arlin. -Qual è il tuo
nome?- le chiese.
La
ragazza alzò la testa, lievemente confusa. -Arlin.-
Per un
attimo, gli occhi dell’uomo luccicarono. -E quello dei tuoi genitori?-
Era
passato molto tempo, ma lei se li ricordava bene. -Lodark e Ialia.-
L’uomo
sorrise, malinconico. -Lo immaginavo. Hai gli stessi occhi vivaci di tuo padre
e il volto di tua madre. Mi dispiace che siano morti…-
-Anche mia madre?- Arlin si aspettava, un giorno o l’altro, di sentire la
risposta alla sua domanda, e sapeva anche quale sarebbe stata. Ma una piccola parte di lei ancora sperava di poter rivedere
sua madre ancora in vita.
-Sì. È
resistita alle torture di Galbatorix, ma nove anni fa
ha ceduto.-
-Un anno
di torture?- chiese sconvolta.
-Nessuno
si aspettava che avrebbe resistito per così tanto
tempo, essendo una donna, ma Ialia si è dimostrata ancora più coraggiosa di
quanto già non fosse.-
Arlin chinò
il capo, malinconica.
Lo
sguardo di Ajihad si fermò poi su Murtagh. Per molto
tempo, nessuno disse niente. Arlin si voltò verso il ragazzo e solo allora vide
che stava tremando leggermente, ma non seppe dire se per il freddo o per la
paura, e il suo sguardo cercava in tutti i modi di sfuggire a quello inquisitore del capo dei Varden. Quest’ultimo lo
squadrò, come se si trovasse di fronte ad un ibrido. All’improvviso schioccò le
dita. -Prendetelo.-
-NO!-
urlò Arlin, parandosi davanti al ragazzo.
Eragon estrasse
Zar’roc. –Sta con noi.-
-E mi ha salvato la vita.- aggiunse seria Arlin.
I
soldati che avanzavano verso di lui si fermarono.
-E’ il
figlio di Morzan, il traditore.- rivelò Ajihad, duramente.
Si levarono
dei mormorii.
Eragon si
voltò per guardare l’altro ragazzo. –E’ così?- chiese, con voce addolorata.
Murtagh represse
l’ira. –Un figlio non sceglie il padre.- si voltò e
alzò la tunica, rivelando sulla schiena una lunga cicatrice rossa.
Arlin restò
di sasso, pensando a quanto dolore doveva aver provato. Gli occhi le divennero
lucidi.
-Questa
è l’unica cosa che mi ha lasciato.- continuò lui,
tirandosi giù la tunica e voltandosi di nuovo per guardare Ajihad. –Finché non
è morto ho continuato ad odiarlo.-
-Imprigionatelo.
E se tenta la fuga, uccidetelo.- ordinò di nuovo il
capo dei Varden, senza scomporsi.
Gli uomini
provarono una seconda volta ad avvicinarsi.
-Solo
perché è il figlio di uno dei Rinnegati non ci è dato
sapere se è tale e quale a suo padre!- li fermò di nuovo Arlin, assumendo un
tono più controllato.
-Arlin,
non t’intromettere.- sussurrò Eragon.
-Arlin, lascia…- provò Murtagh.
-Nha,
stai zitto, tu!- ribattè lei rivolta a Murtagh.
Ajihad
la guardò. –Non ho tempo di correre rischi.- disse
calmo. -Fino a quel momento, è opportuno che rimanga isolato.- Diede il segno ai suoi uomini di proseguire.
I
soldati superarono Arlin e presero Murtagh per le braccia. La ragazza si voltò
appena.
-Non
preoccuparti per me. Saprò badare a me stesso.- sussurrò lui con un debole
sorriso, ripentendo le sue parole.
Un attimo prima che i soldati lo portavano fuori dalla stanza,
vide una lacrima scendere dagli occhi verdi di Arlin.
Vorrei ringraziare Ludo91 e Pikky per le recensioni
Vorrei ringraziare Ludo91 e Pikky
per le recensioni. Ovviamente anche i nuovi arrivati, Valerie,
Eleuthera, Kessachan ed
Erica!! Ringrazio anche tutti gli altri che leggono ma non recensiscono...GRAZIE 1000!!!!!!
Preparativi
Indossò
i vestiti che le avevano portato, molto simili ai suoi: dei pantaloni neri in
pelle, che infilò negli stivali marroni; un corpetto
dello stesso materiale e colore, con bottoni color argento, e una fascia per
tenersi indietro i lunghi capelli castani. Si allacciò la spessa cintura di
Garjzla in vita e si assicurò arco e faretra sulle spalle.
Arlin si
diede un’ultima controllata allo specchio: aveva il viso tirato, stanco dopo
quel lungo viaggio. Ma i suoi occhi, come aveva detto
Ajihad, rimanevano vivaci e svegli. Gli sarebbero serviti, quella sera più che
mai.
La
mia prima battaglia. Forse anche l’ultima.
Se inizi
così, mia cara, sarai un facile bersaglio per tutti e cadrai
quando meno te l’aspetti, le avrebbe detto Brom.
Ma purtroppo Brom non era lì con lei, era morto.
Perché devo essere destinata a perdere tutte le
persone a me care?
I suoi
genitori, Brom…la sua unica famiglia ora era il suo
migliore amico, un Cavaliere per giunta. Ma a lui
sarebbero toccate le sofferenze più terribili: avrebbe visto morire i suoi
compagni e amici mentre lui sarebbe sopravvissuto, e avrebbe visto anche lei
lasciare questo mondo.
Tutti i
suoi progetti che aveva fatto dopo la morte dei
genitori erano svaniti con la scoperta dell’uovo di drago.
Arlin
avrebbe combattuto. Quel pensiero la innervosiva, ma era la verità. Lei sarebbe
stata sempre al fianco di Eragon, anche nei momenti
più difficili. Non lo avrebbe mai abbandonato.
Sospirando,
la ragazza uscì dalla stanza.
Quando passò davanti ad una gabbia, qualcuno tossì.
Arlin si
voltò. Di fianco a lei c’era una gabbia con aste di legno, sorvegliata da due
soldati Varden. Nell’oscurità della prigione s’intravedeva una sagoma che si
muoveva appena, seduta.
La ragazza
gli andò incontro. -Lasciatemi passare, devo parlare con
lui.- Indicò con la testa l’interno della gabbia. -Mi manda Eragon.-
Le
sentinelle non si mossero.
Arlin
roteò gli occhi. -E Arya.-
Quelle
prima esitarono, poi aprirono la porta e lasciarono passare la ragazza. Lei avanzò ma si fermò dopo pochi passi. L’oscurità era l’unica
cosa che si riusciva a distinguere chiaramente.
-Chi si
vede…qual buon vento ti porta qui?- chiese qualcuno nascosto dal buio.
-Non è
un vento buono. Gli Urgali ci stanno per attaccare.- rispose
lei.
-Allora
ti sei schierata dalla parte di questi ribelli?-
-Tu no?-
La
figura non rispose.
La
ragazza gli si inginocchiò di fronte. -Sei davvero chi
ha detto Ajihad?- chiese.
-Sì.-
Murtagh rispose deciso, ma con una impercettibile nota
di tristezza.
Arlin
distolse lo sguardo.
-Davvero
ti hanno mandato Eragon e Arya?-
Lei
sorrise forzatamente. -Certo che no. Eragon è troppo impegnato, e Arya si sta
preparando. Stavo passando di qua per andare alla mia postazione, così…-
Abbassò il capo e strinse i pugni sul grembo.
Una mano
robusta si posò sulla sua, piccola ed esile. Rialzò la testa: Murtagh era uscito
dall’ombra e le sorrideva. -Prima volta in guerra?-
Arlin
annuì.
-Allora
ascoltami attentamente: non devi essere nervosa, devi
stare tranquilla e concentrarti solo sul tuo nemico. Ci siete solamente voi
due, tu e il tuo avversario. Non farti prendere dalla rabbia, sarà inutile, sprecherai in fretta energie preziose.- Vide l’arco e la
faretra. -Arciere. Per un po’ di tempo sarai al sicuro, poi
però dovrete anche voi usare la spade. Colpisci il nemico e non fermarti
a guardarlo. Sarebbe una visione troppo scioccante per una principiante. Hai
già combattuto alcune battaglie, ma ti assicuro che non sarà come Gil’ead. Sarà
un massacro.-
-Perché
mi dici tutte queste cose?- domandò piano Arlin.
-Io non
ci sarò a coprirti le spalle, quindi devi sapertela
cavare da sola. Hai detto di essere in grado di farlo.- Fece
una pausa, ma non abbassò lo sguardo. -Vedi di tornare viva. Ti aspetto.-
La
ragazza rimase ferma dov’era, incatenando il suo sguardo con quello di lui.
Poi un
corno risuonò nella montagna.
Arlin si
riscosse e guardò terrorizzata da quella parte.
-Vai, ora.- mormorò Murtagh. La trascinò verso di sé e la strinse.
La
ragazza rimase un attimo interdetta, e l’immagine di
lei e Murtagh sott’acqua le ritornò in mente. Si abbondò all’abbraccio,
chiudendo gli occhi. La sua reazione la stupì. Non era arrabbiata… perché le
serviva proprio, in quel momento, una persona su cui contare ora che Eragon si
stava allontanando da lei. Ma non aveva creduto
possibile che quella persona fosse Murtagh. Si sentiva legata a lui. -Tornerò.
Non stare in pensiero.- Si separò e lo guardò. Forse invece è l’ultima volta
che ci vediamo, pensò con un sorriso amaro. Si
sporse e gli diede un breve bacio sulla guancia.
Lui
ricambiò il sorriso. -Come faccio a non stare in pensiero per una ragazzina?-
-Non
devi. La ragazzina tornerà e poi te la vedrai con lei.-
Un
secondo corno la fece agitare ancora di più.
-Devo scappare.- disse lei frettolosa.
-Ricorda
quello che ti ho detto.-
La
ragazza si alzò e si accorse che le gambe tremavano. Cercò di sorridere, rassicurante.
-Grazie.- Si voltò, e appena fuori dalla gabbia si
mise a correre.
Murtagh
si sentì di nuovo solo quando Arlin lasciò la sua
prigione.
Sembrava
proprio una guerriera provetta con tutte quelle armi addosso e quell’aria sicura che solo lei aveva. Il ragazzo sorrise tra
sé e si accarezzò la guancia, quella dove Arlin l’aveva baciato. Era più che
sicuro che lei aveva ripensato alla scena della
cascata, e si era meravigliato che la ragazza non l’avesse preso a schiaffi. In
fin dei conti, l’aveva baciata.
Forse
stava iniziando a provare qualcosa per lui…
No, non
doveva succedere. Murtagh era il figlio di Morzan, ultimo dei Rinnegati. Arlin
sarebbe stata in grave pericolo se Galbatorix avesse saputo di lei, e Murtagh
non avrebbe sopportato se lui le avesse fatto del
male.
Ma non poteva negare che tutte le volte che la vedeva si sentiva
stringere le viscere e il cuore iniziava a battere più forte. Anche quando lei si arrabbiava. Era lo stesso anche per
Arlin?
Lei non se n’era accorta. Era stato addestrato a nascondere le sue
emozioni, a coprirle con una maschera impassibile. Ma
quella maschera si stava lentamente sciogliendo.
Chissà
se Arlin sarebbe tornata davvero da lui.
Le aveva
detto quello che sapeva, ora era tutto nelle sue mani.
Guardò la direzione in cui la ragazza era sparita. Alzò poco il volto e la
vide: era girata di schiena, in mezzo agli arcieri Varden, pronti con gli archi
in mano e le frecce già incoccate. Stavano tutti su un ponte,
una sola freccia infuocata nemica l’avrebbe bruciato.
Sospirò, e nel
silenzio del luogo gli parve di sentire solamente il suo sospiro.
Un
tamburo ruppe il silenzio e il suono rimbombò nella montagna.
Arlin
strinse l’arco. Le freccia era già incoccata,
aspettava solo un bersaglio da colpire. Ajihad e Nasuada erano al suo fianco,
le spade che pendevano dal fodero della cintura. Nasuada doveva essere poco più
grande di lei, ma sembrava aver combattuto molte battaglie. Era identica al
padre: carnagione scura, occhi e capelli neri, e la sua stessa espressione
tranquilla e decisa sul volto.
Eragon
era con Saphira in una caverna in alto che osservavano
la scena, e Arya era con gli arcieri elfi.
Arlin
tornò a guardare il portone di pietra.
Un
secondo, potente tamburo non si fece attendere. Un attimo dopo, un rumore sordo
anticipò l’esplosione del grande portone di pietra e
si alzò una densa polvere grigia. Poi fu il turno delle grida animalesche degli
Urgali che emersero dal polverone con gli spadoni in aria.
Arlin si
accorse di avere le mani sudate, ma cercò di calmarsi. Devi stare tranquilla
e concentrarti solo sul tuo nemico, aveva detto
Murtagh.
Facile
dirlo quando si è in una gabbia, lontano dal campo di battaglia.
Sarà un
massacro.
Ajihad
levò la mano. -Arcieri!- urlò.
Arlin
guardò gli Urgali che si avvicinavano di corsa verso di loro. Erano tantissimi, sembravano non finire mai.
Si
ricordò gli insegnamenti di Brom. Devi diventare l’arco e
la freccia, devi fonderti con loro. Quando
ti senti pronta, quando il tuo avversario è sotto tiro, colpisci. Il colpo non
fallirà.
La
ragazza fissò la freccia, che aveva smesso di tremare. Era pronta. Aspettò
l’ordine di Arya.
-Tirate!-
Subito,
le frecce partirono e tagliarono l’aria con forti sibili.
Gli
arcieri caricarono di nuovo gli archi mentre le loro
frecce colpivano molti Urgali.
Andarono
avanti così per due volte, poi Ajihad diede l’ordine
che fece accapponare la pelle ad Arlin. -Alle spade! Tutti alle spade!-
Nervosa,
abbandonò arco e faretra e corse via dal ponte insieme agli
altri. In quel momento arrivò Saphira, Eragon sulla sua sella, e iniziò a
sputare fuoco contro i nemici. Arlin continuò a correre, scese i gradini e si
precipitò tra i soldati.
Ajihad
prese Arlin per un braccio e la portò in prima fila. Spaventata, la ragazza
guardò i mostri a pochi metri da loro.
-Tuo
padre era sempre in prima fila, alla mia destra.- disse.
Ma questo non significa che io devo fare come lui, pensò lei, ma poi
si vergognò.
-So che
sei terrorizzata. Resta vicina a me.-
Arlin
annuì debolmente, grata ad Ajihad.
Comandati
dal re, i Varden si lanciarono sui nemici, urlando.
Un
Urgali corse verso Arlin, gridando col suo ghigno animalesco. La ragazza prima deglutì, poi strinse l’elsa di Garjzla con entrambe le mani.
Non poteva scappare e farsi proteggere da qualcuno. Murtagh aveva detto che l’avrebbe aspettata. Ma
lei doveva combattere, non poteva permettersi di comportarsi come un coniglio.
I suoi genitori sapevano che cosa stavano facendo aiutando i Varden. Si erano
sacrificati per la figlia, e lei doveva prendere il
loro posto. Forse non sarebbe stata valorosa come suo padre, ma era più che
decisa a rovesciare il potere di Galbatorix, colui che
aveva tolto di mezzo i suoi genitori. Non poteva passarla liscia. Gliel’avrebbe
fatta pagare.
Urlando,
andò verso l’Urgali, si piegò e gli tagliò la gola con un colpo aggraziato. Un
altro prese il suo posto e atterrò Arlin con un
calcio. La spada le scivolò di mano, e per un attimo vide
tutto buio. Grazie al duro allenamento di Brom, riuscì a sentire che l’Urgali
si preparava a colpirla. Rotolò di fianco e andò a sbattere contro qualcosa. Riuscì a tirarsi in piedi e sentì sulla bocca
sapore di sangue, il suo. Lo pulì velocemente con la manica, mentre la vista
tornava, e l’Urgali le andò incontro, reggendo il suo spadone. Arlin vide
Garjzla, ma era troppo lontana.
L’Urgali
ormai le era addosso. Quando credeva di non aver più
speranze, la ragazza si abbassò ed estrasse il coltello dallo stivale. Lo
infilzò nella dura coscia del mostro e si dileguò. L’Urgali urlò, si tolse il
coltello e lo gettò via. Arlin intanto aveva recuperato la sua spada e si
preparava per un altro scontro. L’Urgali fece per colpirla sulla testa, e la
ragazza parò il colpo.
Ci
siete solamente voi due, tu e il tuo avversario.
Arlin
roteò Garjzla e gli fece un affondo a livello del fianco. Il mostro si difese
con facilità e le fece uno sgambetto.
Non
farti prendere dalla rabbia, sarà inutile, sprecherai in fretta energie
preziose.
La spada
cadde di nuovo alla ragazza e il mostro infilzò la sua nel suo braccio destro.
Arlin urlò di dolore.
-Fatemi uscire!- urlava Murtagh.
La
guerra era appena iniziata, il caos era totale. Davanti alla sua gabbia le
sentinelle erano state uccise, ma i loro corpi erano troppo lontani per poter prendere le chiavi.
-Fatemi
uscire! Fatemi uscire da qui-
Nessuno
però gli dava retta.
-Fa…-
Un
grosso Urgali sfondò la sua prigione, e Murtagh indietreggiò.
Quello
si rialzò e lo guardò con ira. Il ragazzo si aggrappò al
tetto della gabbia e con i due piedi sollevati da terra lo colpì in
pieno petto. L’Urgali cadde all’indietro e finì nel fuoco.
Murtagh
uscì. Libero. Finalmente.
Un
pensiero più preoccupante gli attraversò la mente. Arlin. Doveva
trovarla, anche se non sarebbe stato facile tra tutta quella confusine.
Si
guardava intorno quando sentì un grido.
Sgranò
gli occhi. Era la voce di una ragazza, e sapeva anche quale.
Corse
più veloce che poteva in quella direzione.
Eragon
camminava verso Saphira, barcollando. Era stanco, dopo aver impiegato molte
energie nello scontro con Durza. Ma alla fine ce l'aveva
fatta. Aveva vinto lui.
I suoi
piedi inciamparono in un cadavere, e il Cavaliere cadde. Guardò in viso la
persona che gli aveva intralciato il cammino: Arya giaceva immobile accanto a
lui, ma al momento i suoi pensieri andavano tutti alla sua
dragonessa.
Morto
un elfo se ne fa un altro, pensò, non rendendosi conto di quello che si
diceva.
Si
rialzò a fatica e barcollò verso Saphira.
(N.B.
Questa è cattiva...)
L’Urgali
la sovrastava. La guardava con un ghigno che doveva essere di felicità perché
estrasse la sua arma dall’esile braccio di Arlin. La
ragazza lo vide atterrita levare lo spadone in aria. Rotolò di nuovo sul
fianco, e con difficoltà si alzò. L’Urgali la prese per i capelli. Arlin urlò
ancora e cercò con il braccio sano di fargli mollare la presa tirandogli
gomitate nello stomaco. Ma era tutto inutile.
Disperata,
cercò nella sua memoria le lezioni di Brom, cosa gli diceva
quando era in quella situazione.
C’era
solo una cosa da fare. Strappò lo spadone dalle mani del mostro, mentre lui era
distratto da una freccia lanciata da un arciere Varden che
però lo mancò, poi lei si voltò e, rapida, gli tagliò la testa.
Colpisci
il nemico e non fermarti a guardarlo.
Arlin
chiuse gli occhi, ansante. La cute le doleva, ma il dolore al braccio copriva
tutti gli altri mali.
Si stava
per allontanare, quando un sibilo le passò ad un soffio dal viso. Subito sentì
un gemito e un tonfo. Come Gil’ead.
Alzò lo
sguardo e vide Murtagh. Reggeva un arco, forse il suo.
Le forze
la abbandonavano. Cadde in ginocchio mentre Murtagh
lanciava un’altra freccia. Poi il ragazzo la soccorse.
-Arlin, che ti succede?- Vide ferita al braccio che
sanguinava copiosamente. -Ti aiuto.- La fece alzare e
la portò vicino ad un carro.
La
ragazza guardò il cielo. -Saphira…dov’è Saphira?- chiese
a bassa voce.
-Non lo so, starà combattendo. Eragon sta bene,
vedrai.- La fece sedere a terra.-Fammi vedere,
dai.-
Lontano,
Arlin scorse una luce bianca. Eragon.
Era
chino su qualcosa di gigantesco. Saphira.
-ERAGON!-
urlò. Provò ad alzarsi, ma era troppo debole.
-Arlin,
sei ferita, fatti almeno aiutare.-
-Devo
andare là! Saphira sta male!- Con fatica, Arlin riuscì
a tirarsi in piedi con la forza della disperazione.
Murtagh
guardò la dragonessa e il ragazzo, ma quando si voltò verso Arlin, la ragazza
non c’era più. La vide correre verso l’amico.
-ARLIN!-
Un
Urgali l’aveva vista, una ragazzina ferita e disarmata che a stento stava in
piedi, e andava verso di lei.
Maledizione,
perché è così cocciuta?!, pensò. Incoccò
l’arco, e la freccia colpì l’Urgali precisa al cuore.
Arlin
continuava a correre, ignara di quello che le accadeva intorno.
-Eragon…-
ansimò.
Il
ragazzo si era lasciato cadere sul collo Saphira. Sembrava morto. Tutti e due sembravano morti.
Gli
occhi di Arlin si velarono di lacrime e sbattè più
volte le palpebre per ricacciarle dentro. Non poteva essere
morto, non doveva. Provò a scuotere il Cavaliere, ma non cambiò
nulla. La ragazza si voltò. -MURTAGH!-
Eragon
aprì lentamente gli occhi: qualcuno gli era di fianco, seduto con un gomito
sulla gamba. Presto i suoi contorni divennero chiari. Il Cavaliere si tirò su a
sedere di scatto, ma la testa gli girò terribilmente e fece una smorfia.
-Ah ah ah, piano, Cavaliere.- disse piano Murtagh.
Eragon
aveva un sacco di domande da fare. -Arya?-
-Alcuni
elfi l’hanno trovata morta. Un Urgali l’ha colpita a tradimento e lei non se
n’è accorta. Mi dispiace.-
Il
Cavaliere non disse nulla per un po’. -Arlin! Dov’è? Sta
bene? È ferita?-
-Calmati!-
Murtagh rise. -Sta benone.- Gli
indicò oltre le sue spalle.
Eragon
si voltò: Arlin era a pochi centimetri da lui, addormentata. Indossava ancora
le vesti della battaglia, una fascia sporca di sangue legata al braccio destro.
-I
guaritori ci hanno messo alcune ore a fermarle l’emorragia, ma alla fine ce l’hanno fatta. È da poche ore che dorme, ho vegliato io
su voi due.-
-Ha rischiato
di morire, non è vero?- domandò Eragon pacato.
-Bè…-
Murtagh esitò. Cosa doveva dirgli? In guerra tutti
rischiavano la vita, Arlin compresa. Sospirò. -Sì, ma se l’è cavata. Come vedi è viva.-
-L’ho
portata io qui.-
-Da
quello che ho capito, è stata lei a seguirti. Non hai da rimproverarti nulla.-
-Non
doveva succedere comunque. Arlin non è fatta per
queste cose.-
-Davvero?
A me è parso il contrario, Eragon. È vero, la guerra è una cosa brutta, ma la
ragazzina ci sa fare. Penso che tu la sottovaluti troppo.-
Prima
Saphira gli dice che è geloso, ora Murtagh che la
sottovaluta. Si erano messi d’accordo? -Mi preoccupo per
lei.- ripeté.
-Non è
tua sorella.- ribattè Murtagh con un sorrisetto.
-Ma è la mia migliore amica. Se le accadesse qualcosa, non me lo
perdonerei.-
Più o meno la stessa cosa che avevo pensato io, si disse Murtagh.
-Non le accadrà niente se rimarrà qui.-
-Dici?
Ora l’Impero sa dove si trovano i Varden, non esiteranno a mandare un altro
esercito.-
-Galbatorix
sarà andato su tutte le furie per questa sconfitta, non credo che rischierà
ancora.-
-Non
adesso, forse. Ma fra qualche mese?-
-Arlin
sarà ben addestrata. Ho sentito Ajihad che ne parlava con qualcuno, volevano
continuare quello che Brom e suo padre avevano
iniziato con lei.-
Eragon
non seppe cosa rispondere. C’era qualcosa negli occhi di Murtagh che solo ora
vedeva, che forse era comparso da poco.
Si
preoccupa molto per Arlin. Le ha salvato la vita una volta,
lei non l’ha dimenticato.
-Eragon!-
La ragazza si era svegliata. Gli mise subito le braccia al collo e lui
ricambiò.
Da sopra
la spalla dell’amico, Arlin vide Murtagh distogliere lo sguardo.
-Sono felice di vedere che stai bene.- disse Eragon
allontanandosi.
Arlin
sorrise. -Anch’io.-
-Non vi
dimenticate di qualcuno?- chiese Murtagh.
Eragon e
Arlin si guardarono. -Saphira!-
Eragon
guardò Murtagh in modo interrogativo, ma lui aveva abbassato
il capo. –Ci sono amici che fa male perdere…-
No, non può essere vero, pensò Eragon.
Arlin
teneva lo sguardo incredulo fisso su Murtagh.
All’improvviso,
l’acqua della caverna dove si trovavano si aprì e comparve Saphira.
Murtagh
rialzò la testa, ridendo. -Ma non è successo, fortunatamente.-
Eragon
si alzò e corse verso la dragonessa. –Saphira! Non credevo di riuscirci!-
Non avresti dovuto, è
stata un’imprudenza. Ma sono felice che tu l’abbia
fatto, gli
disse Saphira, orgogliosa di lui.
-Non fu
un vecchio saggio che disse: una parte di prodezza e tre di stoltezza?-
Brom, sarebbe fiero di te.
Eragon appoggiò
il capo sul muso di Saphira. Di noi.
Arlin
guardò di traverso Murtagh. -Ti sembrano scherzi da fare?- chiese
burbera.
Il ragazzo
si strinse nelle spalle. -Oh, avanti! Volevo vedere che faccia avresti fatto.-
-E non
hai pensato allo spavento che si sarebbe preso Eragon?-
-Credevo
che lo sapesse.-
Arlin
sbuffò.
-E
riguardo a te, hai mantenuto la tua promessa.-
-Che promessa?-
-Che saresti tornata.-
La ragazza
arrossì e abbassò il capo. -È stata solo fortuna.- mormorò.
-Ti
sbagli.-
-Arlin!-
la chiamò Eragon. -Saphira ed io andiamo alla tomba di
Brom. Vieni anche tu?-
Arlin si
alzò. -Subito.-
Eragon
annuì e sellò la dragonessa.
Anche Murtagh si era alzato. -Allora a dopo.-
-A
dopo.- Arlin lo guardò un attimo, e diede una rapida occhiata ad Eragon per
controllare che non la vedesse. Poi si avvicinò a Murtagh e gli appoggiò le
labbra sulle sue. Non aveva la minima idea del perché lo stesse facendo, si era
ritrovata lì, a poca distanza da lui…
Si
divise appena lui provò a schiudere le labbra, e tenne lo sguardo basso. Non
aveva il coraggio di guardarlo.
-Arlin, siamo pronti.- disse Eragon.
-Arrivo.-
Alzò timidamente la testa e sorrise a Murtagh, poi si diresse verso Eragon e
salì sulla sella di Saphira.
Quando la dragonessa si librò in aria, Murtagh alzò un braccio per
salutarli, ma teneva lo sguardo fisso su Arlin. Non era
arrabbiato, sembrava…soddisfatto?
I due
ragazzi gli sorrisero, e Arlin lo guardò fino a quando
Saphira non fu troppo lontana da non renderlo più visibile. Si sentì triste
pensando che Murtagh era di nuovo solo.
Poche
ore dopo arrivarono alla tomba di diamante. Eragon e Arlin scesero dalla
dragonessa e si avvicinarono al monumento.
-Mi
manca.- disse Arlin.
-È stato
molto importante per noi.-
-Che cosa credi che ci accadrà ora? Ci divideranno?- chiese lei dopo un
attimo.
-Spero
di no. Da sola saresti in pericolo.-
-Se rimango
con i Varden c’è Ajihad.-
-Ma non ci sarà per sempre.-
-Nemmeno
tu.- Arlin gli sorrise.
-Ma vivrò più a lungo. Posso proteggerti.-
-Fino a
quando sarò vecchia e decrepita? No, Eragon. Troverò una sistemazione.-
-Ma non adesso. È troppo rischioso, per entrambi. Ti ricordi quello che
ha detto Brom? Se rimarremo uniti ci prenderemo cura a
vicenda. Appena io ti lascerò indietro, qualcuno di più potente potrà
torturarti per arrivare a me. È questo che vuoi?-
-Lo
voglio quanto te, Eragon. Ma non posso sempre starti tra i piedi.-
-Non mi
sei d’intralcio.-
-Smettila.
Non sarò mai al tuo livello, ed è ovvio che ti darò fastidio.-
-No. Ci alleneremo, e…-
-Basta.
È ridicolo: tu sei il Cavaliere, tu! Non io, Eragon! Io sono solo tua
amica, ti ho seguito fino a qui, è vero, ma adesso devo sapermela cavare da
sola. E tu devi andare per la tua strada.- Per Arlin
l’ultima frase fu uno sforzo terribile. Anche per lei
era difficile accettare la realtà, ma il destino non si poteva cambiare.
Eragon
si rassegnò. -Hai vinto tu. Ma sappi che anche se sarò lontano, di qualunque cosa
tu abbia bisogno io ci sarò.-
-Così va
meglio.-
Dal prossimo capitolo inizierà Eldest…per
chiunque non avesse letto il libro consiglio di fermarsi qui, non voglio
anticipare nulla!! Grazie
tantissimo a tutti quelli che recensiscono, spero che il mio racconto sia scritto bene!!!XD
A sera
inoltrata i ragazzi e la dragonessa tornarono dai Varden.
Saphira
atterrò nella caverna, ma lì non c’era nessuno.
Dov’è Murtagh?, si chiese Arlin scendendo dalla sella.
Anche Eragon si guardava intorno. Vide lo sguardo teso dell’amica. -Sarà
con Ajihad. Siamo stati via tutto il giorno, si sarà
stufato di aspettarci.- disse intuendo i suoi pensieri.
La
ragazza annuì poco convinta.
Sentirono dei passi affrettati poi qualcuno entrò nella stanza. Arlin
si voltò di scatto, ma non era la persona che si aspettava.
-Bentornati.
Mio padre deve mostrarvi una cosa urgentemente.- annunciò
ansante Nasuada.
I due la
seguirono attraverso lunghi corridoi per poi sbucare in un’altra stanza. Il
soffitto era alto, le pareti di pietra. Al centro stava un tavolo di legno
scuro, e dietro quello due uomini: Ajihad e il nano,
Rothgar. Avevano entrambi uno sguardo triste, ma non troppo.
-Salve,
Eragon Ammazzaspettri e Arlin. Prego, avvicinatevi.- disse
Ajihad.
Arlin
cercò lo sguardo di Nasuada, ma non lo trovò. Seguì Eragon,
il cuore le batteva all’impazzata.
Si fermò quando era ancora distante dal tavolo, ma riuscì a
vedere cosa c’era sopra: un pezzo di tunica, sporco di sangue, e dei guanti in
pelle. Li avrebbe riconosciuti dovunque. Trattenne il
respiro e soffocò un gemito.
Nessuno
parlò per molto tempo, poi Eragon chiese: -Dove…dove li avete trovati?-
-In uno
dei cunicoli sotterranei.-
Arlin
arrivò lentamente al bordo del tavolo e prese tra le mani il
pezzo di tunica di Murtagh. Una lacrima vi lasciò un segno sopra, ma lei cercò
di trattenersi. Murtagh l’aveva salvata più di una volta, e lei non era
riuscita a fare lo stesso con lui. Si maledì e ripensò a Daret, a Gil’ead, alla
cascata dei Varden, alla conversazione che avevano avuto nella gabbia e infine
al loro saluto prima che lei andasse via con Eragon. Al loro ultimo saluto.
Sbattè
con rabbia il brandello della tunica sul tavolo e uscì di
corsa. Si appoggiò al muro fuori dalla stanza e si
lasciò scivolare fino a quando non toccò terra, piangendo.
Eragon
probabilmente l’aveva seguita perché si sentì
stringere. Non alzò il capo e non si dissero nulla, mentre Arlin piangeva per
l’unica persona con cui era riuscita a confidarsi apertamente.
************
Se ne
stava sdraiata sul suo giaciglio, immobile. Sembrava morta,
nemmeno le palpebre si muovevano. E da una parte avrebbe voluto che fosse stato così.
Murtagh era morto, non poteva accettarlo. Non ci riusciva.
Eragon
sbirciò nella stanza. -Arlin?- chiamò.
La
ragazza non rispose, non aveva più voglia di parlare.
Le sembrava che la voce le fosse andata via insieme a Murtagh.
Il Cavaliere
entrò piano nella stanza. -Neanche questa volta ha mangiato. Non puoi continuare
così, devi riprenderti.-
Ancora
nessuna risposta.
Eragon
si rattristò ulteriormente vedendo uno sguardo perso, vuoto, negli occhi vivaci
di Arlin. La scomparsa di Murtagh l’aveva sconvolta,
più di quanto avesse immaginato. Ma
avrebbe dovuto aspettarselo: aveva visto il bacio che lei gli aveva dato prima
che andassero alla tomba di Brom, e lui aveva ricambiato.
Arlin
non era una stupida, e se l’aveva fatto ci doveva essere stato un motivo. Si fidava di Murtagh, per lei bastava.
Erano
passati tre giorni, ma la ragazza non accennava a miglioramenti.
-Il
Consiglio ha deciso di mandarci ad Ellesméra.- disse
Eragon.
-Tu e
Saphira?-
-Saphira,
io e te.-
-Che c’entro io?- Arlin non era seccata, solo non voleva lasciare
quei luoghi.
-Devi
allontanarti da qui per un po’. Ajihad ed io crediamo
che dagli elfi tu possa migliorarti nelle tue arti curative, intanto che…-
-…possa
dimenticare Murtagh?- completò lei, col solito sguardo perso.
Eragon
sospirò. -È per il tuo bene, credimi.-
Arlin
sorrise e lo guardò. -Lo so.- Si tirò su a sedere.
Lui le
s’inginocchiò di fronte. -Il dolore non è eterno. Non potrai dimenticare
Murtagh, ma vedrai che col tempo ti passerà.-
-A te
non manca?- gli chiese.
-Sì,
Arlin. Ma dobbiamo andare avanti. Conoscerai altre
persone che ti vorranno bene…-
-Ma io non gliene vorrò come a lui.-
Eragon
sospirò di nuovo. -Dici così perché sei sconvolta. Partiremo questa sera, prepara le tue cose.- Si rialzò e uscì dalla stanza.
Arlin
aspettò un attimo, poi si alzò e si affacciò alla finestra, guardando all’esterno malinconica.
Il
Cavaliere si diresse verso la bacinella. Non c’era nessuno in
circolazione, era solo. Non una novità, ma gli andava bene così.
Galbatorix
era impegnato col suo drago, Castigo. L’uovo si era schiuso da appena un giorno
per lui, e il drago rosso si era subito dimostrato agguerrito.
Il Cavaliere
mise le mani sull’acqua. -Draumrkopa!-
pronunciò.
L’acqua
tremolò, poi una luce comparve nel centro, mostrando la persona che il
Cavaliere desiderava vedere.
Arlin.
Murtagh
si sentì stringere le viscere, cosa che accadeva tutte le volte che la vedeva. Ma questa volta era diverso: lei era lontana, distante
chilometri da lui. Forse lo credeva morto, per questo aveva
quell’aria così affranta. I capelli castani gli parevano lunghissimi, sembrava
una vita che non la vedeva così vicina ai suoi occhi.
Ad un
tratto, un'altra persona comparve nel suo campo visivo: era Ajihad, che si era
affiancato alla ragazza, ma lei non aveva mosso un muscolo.
Murtagh
lottò con le sue forse per mantenere le immagini della ragazza e del re dei Varden vive nell’acqua.
Sapeva
come sarebbe andata a finire, aveva cercato di mandar via i sentimenti che
provava per Arlin, ma quando lei l’aveva baciato, aveva ceduto. Nonostante tutto non si pentiva, troppo orgoglioso e testardo per
farlo. Voleva bene ad Arlin, e per ora Galbatorix non aveva scoperto di
lei. Ma presto l’avrebbe saputo, e gli avrebbe chiesto cose che non era in grado di fare.
Sentì
dei passi provenire dalla stanza adiacente e lasciò svanire Arlin e Ajihad.
Subito dopo la porta si spalancò.
-Ah, ti ho trovato.- disse Galbatorix vedendolo.
Murtagh
si voltò. -Mi stava cercando?-
-Castigo
si è addormentato. Tra qualche giorno gli praticherò l’incantesimo per farlo
crescere più in fretta, intanto tu ti allenerai.-
-Chi mi
farà da maestro?-
Galbatorix
sorrise. -Io, ovviamente. Ti eserciterai sia con le armi che
con la magia. In breve diventerai molto potente.-
Murtagh
annuì, per niente entusiasta.
Mentre seguiva Galbatorix verso l’arena del castello, il re continuava a
parlare. -Sto riunendo le truppe, fra un po’ attaccheremo i Varden.-
Il ragazzo
s’irrigidì. -Quando?-
-Di
preciso non lo so, ma voglio aspettare che anche tu e Castigo siate pronti.-
Murtagh
si costrinse a non pensare a Eragon e Arlin. Se davvero erano quelle le intenzioni di Galbatorix, lui non
aveva altra scelta: doveva ubbidirgli.
L’altro
notò il suo silenzio. -Non devi preoccuparti per il tuo amico. Ex,
amico. Ora è tuo nemico, così come tutti gli altri.-
-Proprio
tutti?-
Galbatorix
lo guardò per un attimo. -So di quella ragazza, Arlin. Ho un compito di
affidarti, che riguarda sia lei sia Eragon.-
-Qualunque
cosa sia non posso farla. La faccia fare a qualcun altro,
di certo non rifiuterà.- disse velocemente. Non voleva
sentire il resto.
-Nemmeno
tu puoi rifiutare, Murtagh. Devi eseguire tutti i miei
ordini, non puoi tirarti indietro.
-E comunque non è adesso il momento. Vedremo come andrà la
guerra, poi deciderò che cosa fare. Tu intanto farai
tutto, e dico tutto, quello che ti ordinerò. Sono stato chiaro?-
Chiedo infinitamente scusa a tutti i lettori per il ritardo…
Chiedo infinitamente scusa a tutti i lettori per
il ritardo….
Per Susanna: certo che scriverò ancora di murtagh
e arlin, non preoccuparti!!^^
E per Oby One k Noby, ti consiglio di rileggerti
le righe d’introduzione, mi sa che devi dargli un’occhiata…
Buona lettura!!^^
Un incontro inaspettato
Arlin seguiva Ajihad in silenzio. Le aveva detto che doveva farle conoscere una persona prima che lei
partisse, e sembrava piuttosto agitato. Lei invece era tranquilla, ormai più
nulla la metteva in agitazione. Tornarono nella stanza del giorno prima, e
Arlin ricordò ogni evento nei particolari, reprimendo le lacrime. Poi vide
altre persone: il nano Rothgar, Eragon, Nasuada e un'altra ragazza. Arlin
trattenne il fiato e sgranò gli occhi: le parve di vedersi allo specchio. Si riscosse quando Ajihad andò incontro al gruppo e lo seguì.
In tutta la stanza regnava il silenzio, nessuno osava
spiccare parola.
Arlin fissò l'altra ragazza: aveva i capelli
castani lisci, più chiari dei suoi, e due occhi verdi chiarissimi. Era alta
come lei, il suo fisico esile nascondeva una grande
forza interna, e l'aria seria facevano capire che doveva trattarsi di una
guerriera.
Come lei.
Nonostante tutto era molto
graziosa, e notò lo sguardo curioso di Eragon. Sorrise tra sè.
-Arlin, avvicinati.- disse Ajihad fermandosi di
fronte alla misteriosa ragazza.
Arlin eseguì.
-Lei è Areais. Areais, ti presento Arlin.-
Ci fu un momento di pausa di cui Arlin non ne capì
il motivo.
-Tua sorella gemella.-
Arlin rimase immobile.
Sua sorella gemella? Nella sua mente non trovava un minimo ricordo di
una sorella sparsa per Alagaesia, eppure non poteva negarlo: Areais era
identica a lei, aveva gli stessi occhi. Teneva lo sguardo alto, come se non
avesse paura di quella sorella di cui nemmeno lei ne conosceva l'esistenza, e
che per di più era la migliore amica di un Cavaliere di Draghi. Ma la guardava intensamente.
-Come...-
-E' giusto che non ricordi
nulla, eri troppo piccola per farlo. I vostri genitori dovevano decidere: una
figlia sarebbe stata allevata qui, dai Varden, al sicuro dal mondo esterno e
dall'Impero. Ma l'altra avrebbe rischiato, allenandosi
con Lodark.- spiegò Ajihad.
-Ma perchè non hanno portato anche a me qui?-
-Un bambino è facile da nascondere, ma se
spariscono tutti e due i figli è difficile da spiegare
agli altri. Ialia partorì sola con una levatrice, Angela, e poi tenne nascosta
Areais, che era nata prima, per alcune settimane. Poi la affidò ad Angela e lei
la portò qui. Tutta Teirm seppe che Ialia aveva avuto solo una figlia, Arlin, e
non venne mai a conoscenza dell'altra, Areais. Fu una decisione difficile, ma necessaria.
-Poi successe quello che successe, e Brom ci informò del tuo arrivo a Carvahall, visto che avevamo
perso le tue tracce.-
-E Areais non sapeva nulla?- chiese esitante Arlin.
-No.-
Le due gemelle si fissarono.
-Bene, vi lasciamo sole, avrete
molte cose di cui parlare.- disse Ajihad.
Il re dei Varden, Rothgar ed Eragon uscirono dalla
stanza, e la porta si richiuse con un tonfo.
-Tu...hai mai rivisto mamma o...papà?- chiese
Arlin dopo un attimo.
-Ne so quanto te su di loro, e non abbiamo più
avuto notizie da quando si è saputa la morte di
Ialia.- La sua voce era delicata, tranquilla, contrariamente a quella della
gemella.
-Ti...ti sei trovata bene qui?-
-Sì, Ajihad mi ha sempre trattata
come una figlia. E tu? Con chi hai
vissuto?-
Arlin credeva che Areais fosse stata informata
delle sue vicende, ma il suo tono era sinceramente
curioso, e lei si sentiva a disagio. -Io...sono scappata a Carvahall e lì ho
conosciuto Eragon. Siamo diventati molto amici, e ho
studiato per diventare guaritrice. Ho imparato anche a leggere, scrivere,
tirare con l'arco e usare la spada. Poi nel bosco abbiamo trovato l'uovo di
Saphira. Brom ci ha condotti lontano da Carvahall, poi è morto a Gil'ead, Durza
l'ha ucciso. Abbiamo incontrato Murtagh e...- Abbassò il capo. - ci ha condotti
fino a qui. Il resto dovresti conoscerlo.-
-Mi avevano detto che era
arrivato un Cavaliere con una sua amica, ma non pensavo che fossi tu.-
Arlin rimase zitta per un pò. Come doveva comportarsi
con lei? Era sua sorella gemella, però ne aveva
scoperto l'esistenza da pochissimo tempo. Si sentiva ridicola.
-Com'è il mondo di fuori?- chiese inaspettatamente
Areais.
-Come scusa?-
-Ho sempre vissuto chiusa qui
dentro il Farthen Dûr, Ajihad non ha mai voluto farmi uscire. Come sono le città? Tu hai viaggiato molto,
da quello che ho capito, e ne avrai viste tante. Parlamene un pò.- disse sorridendo.
-Io...inizio da Carvahall.-
Arlin raccontò tutto nei minimi particolari alla
gemella, che l'ascoltava in silenzio. Descrisse Carvahall, Daret e Gil'ead, le
uniche città dove era stata. Cercò di non pensare alle persone che aveva incontrato ma le fu impossibile e la sua voce s'incrinò.
Parlò incessantemente per alcuni minuti.
Arlin voleva rimanere con lei, scoprire qualcosa
sul suo conto, ma non ne ebbe la possibilità. Una
guardia entrò nella stanza e chiese ad Areais di seguirlo
perchè avevano bisogno di lei urgentemente.
Arlin e Areais si separarono, e mentre andava
nella sua stanza, ad Arlin parve di avere un nuovo motivo per continuare a
combattere. Aveva scoperto di avere una sorella. Una famiglia. Doveva
combattere per lei e per tutte quelle persone care che erano cadute per
difenderla, e non si riferiva soltanto a Murtagh. Anche a Brom e ai suoi genitori,
perchè sapeva che da qualche parte quelle persone le
erano vicine, ora più che mai.
Prima
dell’alba venne una guardia per svegliarla, ma trovò Arlin già in piedi,
vestita con i suoi abiti da viaggio e il mantello nero addosso.
-Signora,
Eragon Ammazzaspettri mi manda a dirle che è tutto
pronto.-
La
ragazza si voltò. Non disse nulla, prese lo zaino che era appoggiato sulla
branda, si sistemò l’arco e la faretra sulle spalle e seguì la guardia.
L’aria era leggermente fresca, adatta per svegliare le persone
mezze addormentate. Il sole doveva ancora sorgere, sembrava
notte fonda. Le montagne intorno a loro erano delle sagome scure che parevano
toccare il cielo blu intenso. Anche il Farthen Dur era
ancora assopito, le uniche anime vive erano le sentinelle che marciavano sulle
torri e qualche uomo che sistemava le cose da esporre al mercato. Tutti
chinavano leggermente il capo quando vedevano Arlin e
la sua scorta, e lei rispondeva sorridendo.
Arrivarono
in una piazzetta dove c’erano Eragon, Saphira, Ajihad, Nasuada e Rothgar. Arlin
cercò con gli occhi Areais, ma non la vide. Sospirando dentro di sé, si
avvicinò al gruppo.
-Buongiorno,
Arlin.- salutò Eragon.
-Ci
siamo tutti, allora.-disse
Ajihad.
No,
non tutti, pensò Arlin.
-È
giunto il momento.- continuò il re dei Varden.
Non ci
misero molto a salutare tutti gli altri, e quando Arlin stava per salire sulla
sella di Saphira, qualcuno la chiamò.
-ARLIN!-
La
ragazza si voltò: Areais correva verso di loro, senza nessun mantello sulle
spalle. Indossava dei semplici pantaloni scuri e una camicia bianca, come se si
fosse appena alzata dal letto. Reggeva un pacco tra le braccia.
Arlin si
allontanò dalla dragonessa.
-Ho fatto tardi, perdonami. Vi ho visti dalla
finestra...- ansimò Areais.
-Tranquilla,
non siamo ancora partiti.-
Le due
gemelle si fissarono.
-Ti ho
portato questo. Ajihad dice che apparteneva a nostra
madre. Preferisco che lo tenga tu.- Areais allungò il
pacco.
-Che cos'è?- chiese Arlin prendendolo.
La
sorella sorrise. -Aprilo quando sarai arrivata dagli
elfi. Non è fragile, ma trattalo con cura.-
Anche Arlin sorrise. -Grazie infinite. Non sai quanto mi fa piacere che tu
sia venuta.-
Areais
abbassò il capo. -Ho appena scoperto di avere una sorella e non ho nemmeno
avuto il tempo per conoscerla.-
Quelle
parole fecero rattristare Arlin più di quanto già non fosse. -Areais, ne avremmo tantissimo al mio ritorno. Non è stata una mia
scelta partire, lo sai.-
L'altra
rialzò il capo. -Hai ragione, scusa. Ma promettimi di tornare.-
Le
lacrime s'impadronirono degli occhi di Arlin.
Perchè
continui a tormentarmi!
Quella
frase, detta con lo stesso tono, era già stata pronunciata da un'altra persona,
che procurava troppo dolore per lei. -A presto, Areais.- mormorò. Strinse il
pacco al petto, sorrise alla sorella e si dileguò. Non ebbe esitazioni nel
salire in sella a Saphira.
Eragon
osservò a lungo Areais: era bella, con quella sua aria da soldato. Diversa da
tutte le ragazze che conosceva, esclusa Arlin, aveva catturato la sua
attenzione proprio per quel motivo. E il fatto che fosse la sorella della sua
migliore amica ne aumentava l'importanza per lui. Non voleva lasciare i Varden, voleva rimanere per combattere
Galbatorix e per continuare a vedere Areais. Ma il
dovere di Cavaliere era più importante, non poteva concedersi il lusso di un
vizio come quello. Una volta tornato, avrebbe deciso
se impegnarsi in una relazione oppure no. Lui e Areais erano soldati,
rischiavano la vita ogni giorno. Forse lei ci era
abituata, visto che viveva nel Farthen Dur da quando era nata, ma lui no.
Nessuno poteva sapere chi sarebbe sopravvissuto alle continue guerre e chi no.
Diede a Saphira il comando di partenza, e facendo leva sulle zampe
posteriori, la dragonessa spiccò il volo.
Presto
tutte le persone rimaste a terra diventarono dei punti neri
confondibili con la notte, poi sparirono dalla vista dei due ragazzi.
************
Arrivarono
nella Capitale degli Elfi dopo quasi un mese di viaggio.
Dopo
aver attraversato tutta la parte est di Alagaësia,
erano giunti ai margini della Du Weldenvarden, dove avevano incontrato una
scorta di elfi che li aveva condotti fino ad Ellesméra: Lifaen, l’unico elfo
dai capelli neri, Edurna, Celdin e Narì dai capelli biondi.
La città
elfa era completamente diversa dalle altre umane: le case erano dei
rigonfiamenti dei tronchi degli alberi, e le piante
erano immense ed alte, che coprivano il cielo. Il popolo degli elfi fu timido a
farsi vedere, ma quando venne allo scoperto il gruppetto di visitatori rimase
stupefatto: gli uomini e le donne erano bellissimi, ma dei bambini neanche
l’ombra.
Lifaen
li condusse su di un sentiero che serpeggiava tra i cespugli per poi
attraversare un ruscello, mentre gli elfi iniziavano a cantare intorno a loro.
Il sentiero si fermava all’improvviso, sostituito da un intrico di fitte radici
che formavano dei gradini.
I
battenti del portone in cima a queste scale si aprirono
apparentemente da soli, poi Lifaen li salì.
Arlin
guardò Eragon, e nei suoi occhi poteva leggere la sua
stessa agitazione. Infine, i ragazzi salirono insieme i gradini che conducevano
all’interno del palazzo.
La
stanza in cui si ritrovarono aveva il soffitto formato dai rami degli alberi, e
sulle pareti c’ erano dodici scranni su cui erano seduti degli elfi
dall’aspetto regale. In fondo alla stanza c’era un padiglione
bianco, dove all’interno, sul trono di rami, vi era seduta la regina
Islanzadi. Seria e orgogliosa, aveva lunghissimi capelli corvini così come le
sopracciglia. Indossava un diadema e una veste cremisi, con una cintura di
filigrana color oro. Accanto al trono c’era un trespolo dove se ne stava
appollaiato un corvo bianco.
Lifaen avanzò per primo e s’inchinò sul pavimento ricoperto di muschio
verde. Eragon, Arlin, il nano Orik, mandato da Rothgar, e Narí
lo imitarono, e anche Saphira s’inchinò per la prima
volta.
La
regina si alzò e li raggiunse, mentre lo strascico del suo mantello la seguiva.
Appena gli fu arrivata di fronte, Eragon iniziò la procedura che gli aveva
insegnato Lifaen. Si toccò le labbra e torse la mano
destra, portandosela al petto. –Islanzadi Dröttning.
Atra esterníonothelduin.-
La
regina parve stupita. –Atra du evarínyaonovarda.-
-Un atramor’ranrlífauninhjartaonr.-
Dopo fu
la volta di Arlin. La ragazza non aveva mai parlato
nell’antica lingua, e sentì che ogni tanto la sua voce
tremolava, ma continuava lo stesso.
Poi
Islanzadi chiese il nome della dragonessa, e Saphira rispose cortesemente.
Quando
invece Eragon rivelò il proprio, gli elfi sugli scranni mormorarono.
La
regina infine salutò Orik, dopo di che tornò a sedersi sul trono, e li guardò
uno ad uno. –Ditemi, dov’è mia figlia Arya?-
Il
Cavaliere deglutì. Proprio la domanda a cui sperava di non poter rispondere, ma
purtroppo doveva farlo. Lanciò un’occhiata ad Arlin, e scoprì che anche lei lo
stava guardando nervosamente. L’amica annuì impercettibilmente col capo, ed
Eragon voltò gli occhi verso Islanzadi. –Signora, vostra figlia è morta, è caduta durante la battaglia nel Farthen Dur.-
disse tutto d’un fiato. Odiava dare notizie del
genere, per di più ad una regina…chissà come avrebbe reagito.
La
regina rimase immobile. –Com’è successo?- chiese cercando di tenere un tono
fermo.
-Urgali.
L’hanno colpita a tradimento.-
Islanzadi
e tutti gli altri non parlarono.
-La morte non ci toglie completamente la
persona amata, rimane sempre la sua opera che ci aiuta a continuare.- disse il corvo bianco rompendo il silenzio.
Islanzadi si voltò verso di lui, con gli occhi neri velati di
lacrime. –Blagden ha ragione. Arya ha
rubato l’uovo di Saphira a Galbatorix, questo nessuno lo dimenticherà
mai. E noi per questo motivo dobbiamo continuare a lottare per non rendere vani
i suoi sacrifici.-
-Mia signora, se posso chiederlo.- disse Eragon in tono sommesso.
–Sappiamo tutti che siete addolorata per la perdita di
vostra figlia, ma i Varden hanno bisogno del vostro aiuto.-
La regina si voltò per guardarlo. –Poco prima
che voi arrivaste è giunto qui un messaggio dai Varden: sono stati attaccati,
alcuni giorni fa, e Ajihad è scomparso. Ora è Nasuada a guidarli, e al vostro
ritorno si aspetterà un giuramento da parte tua, Eragon Ammazzaspettri.-
Eragon non disse nulla, e Arlin rimase rigida.
Islanzadi chiese qualche informazione in più su Arlin, e la
ragazza era evidentemente agitata. Non si era mai trovata di fronte ad una
regina, con Ajihad aveva avuto rapporti informali, visto che aveva
conosciuto i suoi genitori. Ma con Islanzadi era diverso: si trovavano in mezzo
agli elfi, un popolo leggendario, che pochi avevano
visto.
Dopo la ragazza, la regina passò ad interrogare Orik, che
le porse i saluti di re Rothgar.
-Basta così, ora. Voi sarete stanchi, e noi dobbiamo
festeggiare l’arrivo del nuovo Cavaliere.- Islanzadi si alzò nuovamente e batté
le mani. Dagli scranni e dal padiglione piovvero petali di rose e gigli, e la
stanza si riempì del loro profumo.
Islanzadi chiamò Blagden, che le volò
sulla spalla, e la regina attraversò la sala mentre
tutti gli elfi s’inchinavano al suo passaggio. Lifaen,
Narí e gli altri la seguirono.
Arrivarono su una collinetta, dove era stato preparato un lungo
tavolo. La regina si sedette su una sedia dall’alto schienale, e ad un suo
secondo battito di mani arrivarono quattro elfi che iniziarono a cantare e
suonare.
Arlin vide Eragon e Saphira essere sommersi da una marea di elfi che volevano conoscerli, e si sentì esclusa da
quell’aria gioiosa. Prese posto lontano da loro.
-Va tutto bene?- le chiese qualcuno dopo un attimo.
La ragazza si voltò: un elfo dai lunghi capelli neri e gli occhi
color ambra le si era avvicinato. Indossava una lunga
tunica verde scuro bordata di marrone con dei gambali
chiari. Cercò di sorridergli. –Sì, sì, tutto bene.-
-Siamo elfi, capiamo subito quando c’è
qualcosa che non va.- L’elfo si sedette accanto a lei.
Arlin lo guardò confusa.
-Perdonami, non mi sono nemmeno
presentato. Il mio nome è Litiën, del Casato di Rílvenar.
Hai già conosciuto mio fratello.-
-Tuo fratello?-
-Lifaen.-
Arlin lo fissò attentamente: non si era ancora abituata a
distinguere gli elfi, le parevano tutti identici. Ma guardandolo meglio, poteva
notare che aveva gli stessi occhi allegri di Lifaen,
come anche alcuni caratteri del volto apparentemente senza alcuna
imperfezione. –Oh, scusami.-
-E di cosa? In ogni caso, perché non sei con lui?- chiese l’elfo indicando Eragon col capo.
Arlin nemmeno guardò l’amico. –Ora ha altre priorità.-
-E quali? L’amicizia viene prima di tutto, ricordatelo.-
-Lo so. Ma Eragon… è un Cavaliere. E’
venuto qui perché doveva essere addestrato da voi
elfi, mentre a me mi ci ha portato per un motivo che nemmeno io conosco di
preciso.-
-Dicono che sei una guaritrice.-
-Non a tutti gli effetti.-
-Appunto. Studierai con me e il mio maestro, Daryn Ghottïnuil.-
Arlin s’irrigidì. –Daryn Ghottïnuil?-
ripeté a bassa voce.
Litiën annuì. –Proprio lui. Ne hai mai sentito parlare?-
-Certo.- rispose lei, distratta. La mente la riportò a dieci anni
prima.
************
La piccola Arlin se ne stava seduta su un ramo di un albero del
giardino di casa sua, e si rigirava tra le mani una
foglia.
Sua madre Ialia uscì dall’abitazione. –Arlin! Dai, tesoro, vieni
adesso!-
-Arrivo, mamma!- La bambina mise nella bisaccia la foglia e balzò
giù dal ramo, che non era molto distante da terra. Poi raggiunse la madre sulla
soglia della porta. –Il signore del mercato mi ha dato
un’altra foglia!- esclamò eccitata.
Sua madre le sorrise. –Davvero? Questa sera me la farai vedere.- accompagnò la figlia dentro casa.
-Papà viene oggi?-
-No tesoro.- Ialia evitò di aggiungere “forse domani”.
-Peccato. Volevo fargliela vedere anche a lui.-
Ialia decise di cambiare discorso. –Arlin, com’è questo signore
che ti regala le foglie?-
-E’ molto vecchio, ma ha pochissime rughe. Ha i capelli bianchi e non
ha la barba, sembra uno stregone, ma è simpatico con me!-
-Tesoro, lo sai che non devi parlare con gli sconosciuti. Sei
ancora una bambina.- la rimproverò Ialia mentre
iniziava a preparare la cena.
Arlin intanto si sedette su una sedia di fronte al tavolo ed
estrasse la sua foglia. –Mamma, mi racconta un sacco di storie interessanti
sugli elfi e mi insegna quali sono le piante velenose e
quali no. Poi me le fa anche vedere sui libri!-
Ialia sospirò. –D’accordo, d’accordo.-
-Domani posso venire con te in città? Così andrò a trovarlo
ancora!-
-Non si stancherà di avere intorno tutti
i giorni una bambina che parla ininterrottamente?- scherzò la donna.
La bambina la guardò
torva. –Mamma!-
Ialia rise. –Va bene, vieni pure. Ma
almeno dimmi come si chiama il tuo amico.-
-Daryn Ghottïnuil.-
************
-Come fai a conoscerlo?- chiese Litiën curioso.
Arlin si riscosse. –Una volta era venuto a Teirm,
dove vivevo quando ero piccola, e avevamo fatto
amicizia. L’avevo visto che portava tantissimi libri da un carro ad una
casetta, così decisi di aiutarlo, vista la sua età.
Non immaginavo nemmeno lontanamente che fosse un elfo, e mi ci affezionai. Dopo
tre mesi lui partì, e poco tempo dopo ricevetti la
visita dei soldati dell’Impero che misero a ferro e fuoco la mia casa.- disse
assorta.
Litiën sorrise. –Da come ne parli sembra quasi che tu lo adoravi.-
-In un certo senso sì. Io avevo sei anni, e lui sapeva tante cose.
Mio padre era sempre assente e mia madre era impegnata
col lavoro fino a tardi. E’ stato lui che mi ha fatto venire la passione per le
arti curative.- sorrise al ricordo.
-Bè, sono felice che tu lo abbia incontrato
quando eri così giovane. Se vuoi, domani potremmo andare da lui a
trovarlo.-
Arlin lo guardò. –Non è qui?-
L’elfo scosse la testa. –No, Il maestro Daryn Elda non ama le
feste. Preferisce la solitudine.-
-Su questo aspetto non è cambiato,
allora.-
-No?-
-No. Il tuo maestro parlava solamente
con me, con gli altri solo il minimo indispensabile.-
Litiën rise.
La ragazza lo guardò. Quanto le sarebbe piaciuto
tornare a ridere così, senza pensare a Murtagh. Ma
forse lì ad Ellesméra avrebbe superato il dolore del suo passato.
Questo è l’ultimo che pubblicherò, nel senso che
per due settimane non ci sarò perché parto e pubblicherò appena torno!!!
Spero che vi piaccia!!!
Nuove conoscenze
La
mattina dopo, Arlin si svegliò presto, quando il sole stava per sorgere.
La sera prima l’aveva trascorsa in
compagnia di Litiën, ma lui non le aveva raccontato molte cose su Daryn Ghottïnuil: diceva che avrebbe scoperto tutto l’indomani, e lei
non aveva insistito. Litiën le aveva raccontato invece di lui e suo fratello: Lifaen era da sempre stato un
soldato a guardia della foresta, e il più del tempo era fuori da Ellesméra.
Come loro padre, lui aveva fatto la scelta d’intraprendere la carriera
militare, al contrario del fratellino. Litiën preferiva prendersi cura di chiunque avesse bisogno
d’aiuto, per questo motivo aveva iniziato a studiare dal maestro Ghottïnuil.
Arlin, con sua sorpresa, aveva
scoperto che Lifaen e
Litiën non erano tanto vecchi, considerati tra i più giovani elfi di Ellesméra: il primo aveva quasi quarant’anni, mentre il secondo
venti. Ma Litiën non aveva
chiesto l’età alla ragazza, siccome non era buona educazione.
Inevitabilmente, Arlin si era
ritrovata a parlare di Areais,
e aveva confidato a Litiën tutta la storia, e lui le aveva giurato nell’antica
lingua di non rivelare niente a nessuno.
Arlin si alzò dal morbido giaciglio e
vide, all’entrata, dei vassoi ripieni di frutta e alcuni indumenti. Li portò
sul letto, si sedette e mentre mangiava osservava gli abiti. Erano due vesti,
una verde e l’altra rossa, più elegante, simile a quella della regina
Islanzadi, ma senza la cintura di filigrana d’oro. Guardando gli abiti, si
ricordò del pacco di Areais.
Di scatto si rialzò in piedi e raggiunse il luogo dove erano state deposte le
sue cose. Trovò l’oggetto e lo aprì, curiosa.
Meravigliata, si ritrovò tra le mani
una bellissima veste azzurra, con le maniche larghe trasparenti. Aveva i bordi
d’oro, con una striscia di tessuto intorno alla vita dello stesso colore delle
rifiniture. Arlin rimase a bocca aperta, poi decise di indossarlo per vedere
come le stava.
Apparteneva a nostra madre. Preferisco che lo
tenga tu, le aveva detto sua sorella.
Arlin si mise davanti allo specchio dopo che ebbe
indossato il vestito: era piuttosto lungo, poiché le copriva per buona parte i
piedi, ma era stupendo. La ragazza fece un giro su sé stessa, ridendo, e non si accorse dell’arrivo di
Eragon.
-Finalmente ti sento ridere!-
Arlin si fermò e lo guardò, per un attimo spaventata. –Eragon, ma che…che ci fai qui?-
-Scusa, forse
avrei dovuto bussare.-
Il Cavaliere se ne stava appoggiato allo stipite della porta scorrevole con le
braccia conserte.
-Già, forse.- ribattè lei un po’ scocciata.
Eragon sorrise e la raggiunse. –Ti sta benissimo.- disse.
La ragazza sorrise a sua volta. –Grazie.-
-Quell‘elfo, Litiën, è giù da basso. Ti sta aspettando?-
Arlin s’irrigidì sentendo quel nome. –Oh no, sono in ritardo!- esclamò. Si voltò
e corse verso il letto. Poi guardò l’amico. –Tu girati!-
-D’accordo!- Eragon alzò le spalle e fece come Arlin gli aveva detto. –Ma chi è?-
-Il…fratello di Lifaen. Mi deve accompagnare da Daryn Ghottïnuil,
il suo maestro.-
Il ragazzo sentiva che l’amica si
sfilava il vestito e ne indossava un altro. -Daryn Ghottïnuil?-
-Non ne hai mai sentito parlare? E’ il
più grande maestro che esista
in fatto di erbe medicinali e arti curative. A quanto pare sarò sua allieva.- disse agitata.
–Adesso puoi rigirarti.-
Eragon eseguì. –Allora ti conviene non
farlo aspettare. Dai qui sistemo io!-
La ragazza lo guardò grata. –Di nuovo,
Eragon.- gli diede un veloce bacio sulla guancia e si dileguò.
************
-Scusami se ti ho fatto aspettare!-
Una voce ansante alle sue spalle fece
voltare Litiën. –Stai tranquilla, non sono qui da molto.-
Arlin sorrise. Aveva messo l’abito
verde che le avevano portato
quella mattina, con i suoi soliti stivali marroni.
Litiën portava gli stessi abiti della
sera prima. –Dai, seguimi.-
I due s’incamminarono per le vie
silenziose di Ellesméra, ma
videro che altri elfi erano già svegli. Alcuni riconobbero Arlin e
s’inchinarono leggermente, cosa che la ragazza ricambiò.
-Ma perché s’inchinano quando passo? Insomma, non sono un Cavaliere!- sussurrò a
Litiën.
-No, non lo sei. Ma sei amica di Eragon Ammazzaspettri e Saphira Bjartskular, e questo fatto non è
poco rilevante. Quindi tutti quanti ti rispettano
come rispettano loro.- rispose guardandola.
-Ma non ho fatto nulla per meritarmi il
loro rispetto e la loro fiducia. Eragon ha ucciso uno Spettro, ma io? Niente.-
-Verrà anche il tuo momento, Arlin
Elda, non avere fretta.-
La ragazza non ribattè. Un elfo che le
assegnava un appellativo come “Elda”? Proprio a lei? Non sapeva se sentirsi
lusingata o spaventata da tanta onorificenza. Ma dentro di sé sentiva che Litiën percepiva la sua
confusione, perciò cambiò argomento.
-Salve, Litiën.- disse qualcuno.
Litiën e Arlin si fermarono. Un elfo
dai lunghi capelli neri, vestito con una tunica color ruggine, avanzava verso
di loro. Di nuovo la procedura dei saluti nell’antica lingua, e questa volta fu
Litiën ad iniziare.
Poi il nuovo arrivato guardò Arlin, e
la ragazza ripeté tutto quanto.
-Il mio nome è Vanir, del Casato di Haldthin.-
-Io sono Arlin.-
-Lo so.-
-Arlin, Vanir sarà colui che allenerà Eragon nell’arte dello scherma.-
disse Litiën.
Vanir non smetteva di fissare Arlin
con i suoi occhi azzurri, e la ragazza era a disagio. –Scommetto che Eragon
avrà un degno avversario.- disse
infine, tenendo lo sguardo basso.
-Gli farò mangiare la polvere.- ribattè calmo l’altro.
Arlin non rispose.
-Scusaci, Vanir Elda, ma noi dobbiamo
andare.- intervenne Litiën.
-La tua faccia quando Vanir ti ha detto che spera di rivederti!-
farfugliò lui.
-Perché, che faccia ho fatto?- domandò lei.
-Eri…-
la fissò,
smettendola di ridere. – diventata rossa come un pomodoro!- e ricominciò.
La ragazza neanche se n’era accorta,
ma aveva provato un certo imbarazzo nel sentire quella frase. –Adesso basta,
Litiën! Per favore!- disse sbuffando.
-Sì, perdonami. Adesso però andiamo.-
-E’ meglio.-
L’elfo ridacchiò, poi i due ripresero
il sentiero verso i margini di Ellesméra.
************
************
Ringraziamenti a
angie83:e chi
lo sa…nei prossimi capitoli ci saranno molti colpi di scena ^^!!!
Eccolo qui, il nuovo capitolo!!!Spero che
questo periodo di attesa sia ben compensato e che questa nuova parte vi
piaccia…
Buona lettura!!!
Rapimento
Rabbia.
Rabbia e frustrazione.
Perchè toccava proprio a lui fare una cosa del genere?
Rapire Arlin...
Non credo di averne il coraggio, disse a Castigo.
Invece devi averne,
Murtagh. Non oso pensare a che cosa ci farà Galbatorix se falliamo...
Io lo immagino eccome.
Il drago rosso sbuffò fumo dalle narici, ma non rispose al suo
Cavaliere.
Arrivarono in vista dell'accampamento dei Varden quella sera stessa.
I ribelli si stavano stabilendo nel Surda, e ciò facilitava la missione di
Murtagh. Eragon e Arlin erano di certo con loro, non c'erano dubbi.
Murtagh aveva già in mente un piano per non farsi riconoscere subito
dalla ragazza e ritardare il più a lungo possibile la scoperta della sua
scomparsa: Galbatorix gli aveva insegnato un incantesimo con cui avrebbe
ricreato un'immagine astratta di Arlin, che sarebbe
durata però solo poche ore. Quando l'incantesimo sarebbe svanito, Eragon e gli
altri avrebbero capito l'inganno, ma lei e Murtagh sarebbero
già stati lontani, irraggiungibili anche per Eragon.
Atterriamo laggiù. Murtagh notò delle rocce al confine
dell'accampamento, perfette per attendere l'arrivo della notte.
************
-Areais, ti senti pronta per il tuo incarico?-
La ragazza sorrise. -Certo.-
-Spero che Nasuada abbia fatto la scelta giusta affidandoti un
compito del genere.- borbottò Rothgar.
-Non dovete diffidare di lei. Sono certa che non fallirà.- Nasuada si
rivolse al nano tranquillamente, mascherando il suo
dolore.
Ajihad, suo padre, Re dei Varden, era morto, assassinato da una
pattuglia di Urgali penetrati nel Farthen Dur. Il Consiglio aveva eletto lei suo successore,
nonostante la giovane età. Nasuada era onorata di avere quel ruolo: ora era lei
a comandare i Varden, gli unici che potevano detronizzare
Galbatorix. E Nasuada avrebbe vendicato suo padre, che
era stato la guida della resistenza dell'Impero così a lungo. Ajihad non
meritava di morire in quel modo, e Nasuada avrebbe fatto
qualsiasi cosa pur di togliere di mezzo quel pazzo di un tiranno.
-Me lo auguro: la sua missione è pericolosa quanto lo è stata quella di Arya.- ribattè Rothgar.
-Suvvia! Sono sicura che Areais ha un asso nella manica.- disse Nasuada voltandosi verso di lei.
Areais fece un sorriso forzato. No che non ce l'ho,
non ho nemmeno pensato a come entrare ad Uru'baen!,
pensò. -Non si preoccupi, mia signora. Recupererò l'ultimo uovo di drago dalle
grinfie di Galbatorix.-
Finalmente il sole tramontò, e il cielo si tinse prima di rosso, poi
di un blu scurissimo; nell'accampamento dei Varden si
accesero qua e là delle fiaccole.
Murtagh fece capolino da una roccia aguzza.
Tu rimani qui e aspettami. Se ho bisogno, ti
chiamo, disse
a Castigo.
Ti tengo d'occhio dall'alto.
Murtagh gli lanciò un'occhiata severa, ma non aveva per niente voglia di discutere. Si alzò e si avvicinò all'accampamento
nemico, balzando agile da una roccia all'altra. A pochi metri dalla meta, si
fermò: una sentinella faceva avanti e indietro davanti all'ingresso, ed era
bene armata.
Il Cavaliere sfilò l'arco dalle spalle e incoccò una freccia nera. La
puntò sulla guardia. Quando fu pronto la scoccò, e
quella colpì il bersaglio precisa e silenziosa al cuore.
L'uomo cadde a terra senza gemiti.
Murtagh risistemò l'arco e corse velocemente verso il cadavere. Gli
sfilò la freccia, la pulì e la mise nella faretra. Poi, dopo aver controllato
che nessuno lo avesse visto, trascinò il corpo senza vita della sentinella
contro la ruota di un carro, e lo appoggiò lì come se fosse addormentato. Per
far sì che nessuno vedesse sangue, gli praticò
l'incantesimo di guarigione, ben sapendo che ormai per l'uomo era troppo tardi.
Murtagh si mise in piedi e alzò il capo: scorse Castigo
volare silenzioso in circolo sull'accampamento, ma pericolosamente vicino a
lui. Un soldato nemico che per sbaglio avesse alzato lo sguardo, lo avrebbe
visto.
Castigo, alzati di più!
Vide il drago rosso eseguire riluttante il suo comando.
Murtagh si nascose dietro una tenda e si sporse. Proprio in quel
momento passava una pattuglia Varden, che però non
notò il compagno morto. Il Cavaliere sorrise maligno e non appena ebbe la
strada libera, uscì dal suo nascondiglio e si riparò dietro ad un'altra tenda.
-Va a riferire a Nasuada che domani ho intenzione di fare due tiri di
spada, sarò occupata.-
-Si, signora.-
Murtagh si sporse di nuovo: un soldato si allontanava di corsa da una
ragazza, vestita come uno di loro.
Il Cavaliere smise di respirare. Davanti a lui, che entrava nel suo
alloggio, c'era Arlin. I capelli chiari erano più corti del solito, legati con
un nastro nero, e il viso era più stanco, tirato.
Con un pò di diffidenza, Murtagh controllò
che non ci fosse nessuno, poi si diresse verso la tenda di Arlin.
Si nascose dietro a dei barili, e attese che i rumori all'interno avessero
smesso di farsi sentire.
Dopo pochi minuti, il Cavaliere agì: scivolò nella tenda e si fermò
un attimo per guardare la ragazza. Era profondamente addormentata, e ciocche di
capelli castani le ricadevano sul viso.
Ma c'era qualcosa di diverso in lei, nella sua
espressione e nel suo aspetto esteriore che non convinceva molto il Cavaliere.
Castigo, preparati. Non mi manca molto, disse al suo drago.
Va bene. Sbrigati, rispose l'altro preoccupato.
Murtagh decise che non c'era tempo per i pensieri, così si avvicinò
silenzioso alla ragazza. La osservò a lungo, definendo i suoi contorni precisi
nella mente, anche se lui li aveva già chiari come la luce del giorno. Tese il
palmo destro verso di lei, e pronunciò l'incantesimo.
Un bagliore illuminò la stanza per un secondo, poi svanì, e davanti
al Cavaliere comparve una copia della ragazza, riuscita alla perfezione. Murtagh sorrise soddisfatto, poi si chinò sulla ragazza
addormentata e avvicinò di nuovo il palmo. -Slytha.-
mormorò. Vide i muscoli di lei rilassarsi, e capì che
la seconda fase del piano era completata.
Murtagh la prese delicatamente tra le braccia e uscì in fretta dalla
tenda, mentre la copia si metteva sul giaciglio nella stessa posizione della
rapita. Castigo!, chiamò lui.
L'aria divenne pesante, e all'improvviso il drago rosso atterrò alle
spalle del suo Cavaliere. Sbrighiamoci, altrimenti ci scopriranno, disse nervoso.
Murtagh gli salì sulla sella, impacciato nei
movimenti a causa del corpo inerme, poi Castigo si alzò in volo
velocemente.
Il Cavaliere stinse a sè la ragazza,
cercando di proteggerla dalla fredda aria notturna.
************
Non ci misero molto ad arrivare a destinazione.
Il castello di Uru'baen
si stagliava nitido anche nell'oscurità della notte, le sue alte torri nere
s'innalzavano come le braccia di un enorme mostro che si preparava ad attaccare
la sua preda. A suo confronto, Castigo sembrava una formica.
Il drago atterrò nel cortile sul retro del castello. Subito, alcuni soldati andarono incontro al Cavaliere.
-Così presto?- chiese uno, il capitano.
-Sì. Non ho avuto problemi.- rispose Murtagh
scendendo. Il corpo della ragazza gli cadde fra le braccia.
Il capitano la guardò meravigliato. -Ma...ma...non...non
l'hai legata?- balbettò.
Il Cavaliere alzò le spalle. -E perchè? Non
sa usare la magia e io l'ho addormentata, è innocua.-
-Sì, ma Re Galbatorix...-
-Galbatorix mi ha detto di portalaviva,
non viva e legata. Ho ritenuto saggio così.- tagliò
corto Murtagh. -E ora, se non vi dispiace, la porterei
nella sua cella.- Raggirò i soldati ed entrò nel castello. Castigo lo seguì,
sbuffando nuvolette di fumo contro le sentinelle nell'Impero che s'irrigidirono
e si scansarono.
Sceso nei sotterranei, Murtagh si fece aprire la cella che Galbatorix
aveva assegnato alla ragazza. La depositò sul giaciglio e,
dopo averle dato un ultimo sguardo, tornò dal suo drago.
************
Areais si svegliò con un forte dolore alla schiena, e non ci mise
molto a realizzare che non si trovava più nella sua
tenda. Intorno a lei c'erano delle mura sporche di umidità,
e una fievole luce entrava dalle sbarre dell'apertura della porta.
La ragazza si sedette sul giaciglio duro come la pietra e aspettò che
gli occhi si abituassero al buio. Poi si alzò e sbirciò fuori
dalla finestrella della porta: c'era un corridoio illuminato da delle
torce appese al muro, e una sentinella mezza addormentata sorvegliava la sua
cella, seduta su uno sgabello scricchiolante.
Areais osservò attentamente tutti i particolari all'esterno della
cella, e non perse tempo: cercò subito di forzare la serratura della porta con
il coltello che aveva nello stivale, mainvana. Proprio quando stava per imprecare ad alta voce, si
bloccò con il coltello a mezz'aria.
-Fammi entrare, Galbatorix vuole che la interroghi.- disse una voce da uomo.
Areais rinfilò velocemente il coltello al
suo posto e corse al giaciglio, come se niente fosse.
Subito dopo, la porta si aprì, e una figura alta
entrò nella cella.
Areais distolse lo sguardo per non rimanere accecata, poi tornò a
guardare il nuovo arrivato quando la porta si fu
richiusa. Era un giovane soldato, con i capelli neri disordinati. Nonostante l'aspetto esteriore, dimostrava uno strano senso
di potere.
Il soldato le sorrise, e Areais deglutì. Poi
lui avanzò. -Arlin, temevo che Galbatorix mi ordinasse di ucciderti.-
Areais rimase interdetta, ma non ebbe il tempo di chiedere
spiegazioni.
Il giovane si chinò su di lei e, avvicinandosi pericolosamente al suo
viso, la baciò.
************
************
Ringraziamenti:
angie83:tranquilla
non sei matta!!Comunque ti ringrazio tanto per i tuoi complimenti, e riguardo a
Murtagh…bè, eccolo qua!!^_^
Gaia:wow, davvero la mia fanfic
ti causa tutte quelle reazioni??Bè,
quando c’è qualcosa che va storto devo pur scrivere qualcosa di allegro!!^^
sarasusy9: si
lo so che sono già passate due settimane, ma volevo finire di scrivere il
capitolo più avanti…E adesso eccoti accontentata!!^_^
Grazie ancora a tutti,
continuate a recensire, mi raccomando!!!
Eccomi un po’ tardi
con il nuovo capitolo!!! Un
po’ corticino…
Vecchie conoscenze
La casa di Daryn Ghottïnuil era isolata dalle altre, ma era molto graziosa:
l‘abitazione si trovava a qualche metro da terra, e una scala a chiocciola
girava intorno al tronco del grande pino. In alto vi
era una piccola porta chiusa. Sotto l’albero si poteva ammirare un grande giardino, dove c’erano un’infinità di piante di
genere e colore diverso.
Arlin rimase folgorata da quella
visione di mille colori, mai aveva visto una cosa simile.
-Avanti, seguimi.- disse piano Litiën,
come se avesse avuto timore a parlare con un tono di voce normale. L’elfo si
avviò verso la scala a chiocciola e iniziò a salirla, seguito dalla giovane.
Arrivati davanti alla porta, Litiën guardò Arlin: vide
che dai suoi occhi traspariva un’evidente emozione mista a curiosità. Sorrise e
bussò tre volte.
Dopo qualche secondo di silenzio la porta si aprì, e la
ragazza trasalì, non avendo sentito nemmeno i passi all’interno.
Subito, Litiën s’inginocchiò come se si fosse trovato
davanti Islanzadi in persona, e Arlin si affrettò ad imitarlo.
-Daryn Ghottïnuil. Atra esterníonothelduin.- disse
Litiën.
–Atra du evarínyaonovarda.- rispose l’altro.
-Un atramor’ranrlífauninhjartaonr.-
Tremando dall’emozione, Arlin ripeté tutto, tenendo il capo
abbassato.
Al di là di tutto ciò che si era immaginata, Daryn
iniziò a ridere, e la ragazza alzò il capo guardando il vecchio elfo
sconcertata.
-Non ci posso credere che tu sia qui, Arlin!- esclamò
Daryn.
La ragazza non credeva proprio che l’elfo si sarebbe ricordato di
lei, ma quell’affermazione la rese felice, e sorrise.
–Mi fa piacere rivederla, Daryn Ebrithil.-
disse.
Lui la aiutò ad alzarsi porgendole la mano, e lei accettò l’aiuto. –Prego, entrate!- L’elfo condusse i due ragazzi all’interno
della casa, tenendo per mano Arlin.
Dentro vi erano solamente due stanze: la sala d’entrata dove vi era
un tavolino rotondo e alcune sedie, tutto fatto di radici e collegato al
pavimento. Su di una parete c’erano degli scaffali dove vi erano riposte
tantissime boccette contenenti liquidi di colore differente uno dall’altro.
Sull’altra parte era appeso un faithr, dove era
rappresentato un grande drago d’oro con ai piedi delle
sue zampe un elfo dai lunghi capelli argentei, vecchissimo. Dal lato opposto a
loro vi era una porta, che probabilmente conduceva alla stanza di Daryn.
-Quanto tempo è passato?- chiese il Maestro
sedendosi al tavolino.
Era chiaro che sottintendeva “dall’ultima
volta che ci siamo visti, Arlin”. –Dieci anni, Daryn Ebrithil.-
rispose lei.
-Dieci anni…a me sembra l’altro giorno quando
tu venivi a chiamarmi a casa mia a Teirm con la tua vocetta stridula…- disse lui, ripensando al passato.
-Già.- Arlin sorrise. –Mi ha stupito molto la notizia di Litiën quando mi ha detto che tu…lei era un elfo.-
-Bè, eri troppo piccola per venire a conoscenza
della mia vera identità. Ti ho rivelato solo il mio nome, e questo bastava. Se ti avessi detto che ero
un elfo, la voce si sarebbe sparsa, poiché, senza offesa per te, i bambini sono
tutti uguali e l’impero mi avrebbe catturato.-
-Capisco, Daryn Ebrithil. Ero rimasta malissimo quando ho saputo della sua partenza, non mi aveva
detto nulla…-
Litiën intanto rimaneva paziente dietro ad Arlin, interessato alla
conversazione. Almeno adesso aveva una opportunità per
conoscere qualcosa del passato della ragazza.
-Sì, e mi è dispiaciuto non avvertirti, mi ero affezionato a te. Ma
avevo sentito dire in giro che qualcuno aveva dei sospetti riguardo un elfo in città, così ho preferito levare le tende di
corsa. Speravo però un giorno di rivederti.- disse
l’ultima frase sorridendo, guardando Arlin negli occhi verdi.
-E così è successo, a quanto pare.-
intervenne Litiën.
-Infatti. E sono fiero
di te, Arlin, perché nonostante io non ci fossi più tu hai continuato a
coltivare la passione per le arti curative. Brava.-
-Tutto merito vostro, Ebrithil.- rispose
lei sorridente.
Anche Litiën sorrise. Ora era consapevole
che avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche, perché aveva di fronte una degna
avversaria.
************
************
angie 83: grazie moltissimo per i tuoi
complimenti!!Continua a recensire, mi raccomando! ^_^
Pikky91: Già, finalmente ci siamo arrivati…ahah!!!!!!!!!!(risata
malefica XD!!!) grazie per i tuoi commenti, gemel!!!^^tvttttb!
Gaelle: bè, è ovvio che Areais è rimasta un po’ confusa… vedere uno sconosciuto che
ti bacia all’improvviso fa un po’ senso, diciamo…^_^ comunque grazie anche a te
per le tue recensioni!!!!bacioni
angie83:non so, se continuo a dirti
grazie mi sembra di essere monotona… ^^ sono permanete felicissima che ti
piaccia la mia ff!!
Gaia:la tua
curiosità verrà soddisfatta
adesso!!!spero che questo capitolo un po’….boh, così,
ti piaccia ^_^
Silvietta:ahah, poi lo scoprirai cosa farà… ma
più che altro non sarà la sua reazione, ma quella di un’altra persona….AHH non devo anticipare niente!!(sono un
po’ pazza, lo so^^)
Buona lettura!!!!
L’imbroglio
Areais
spinse lontano il soldato. –Ma che diavolo fai?- urlò.
-Stai zitta!- disse l’altro con voce alterata. –Vuoi che mi
scoprano?-
-Non ti
ha mandato Galbatorix?- chiese lei confusa.
-Certo
che no, il re non vuole nemmeno che ti guardi.- rispose
seccato.
-E perché?-
-Perché tu sei la sua arma.-
-Ascoltami
bene: io non sono e sarò mai l’arma di nessuno, chiaro?-
-Dicono
tutti così. Anche io ripetevo che non sarei mai stato dalla parte di
Galbatorix, invece adesso sono il suo burattino.- ribattè con un po’ di amarezza Murtagh.
-Come
tuo padre.- disse gelida Areais.
Murtagh
la trafisse con lo sguardo. –Non riprovare a paragonarmi a mio padre, Arlin.-
Areais
sospirò. –Non sono Arlin!-
-Ah no?
E allora chi saresti, il suo alter ego?- chiese
divertito il Cavaliere.
-No,
sono sua sorella gemella.-
-Oh ma certo, peccato che Arlin non ha sorelle. Ha detto di essere figlia unica.-
-Ci
hanno separate alla nascita, nemmeno lei lo sapeva.-
-Non
raccontarmi frottole! Seguimi, prima che a Galbatorix venga qualche strana
idea.-
-Perché, che idee dovrebbero venirgli in mente?- chiese Areais, stringendo
un pugno.
-La più ovvia, per esempio: torturati per cavarti tutte le
informazioni possibili su di Eragon, , visto che sei la sua migliore amica.-
rispose Murtagh prendendola per mano e facendo per uscire dalla cella.
Areais però
non si schiodava da dov’era. –Ancora con questa storia! Te l’ho
detto prima, non sono Arlin!- ribattè seccata.
Murtagh
l’attirò a sé con forza. –E io ti ripeto di smetterla.
Adesso ti porto via da qui.-
-Ma
quanto sei cocciuto, io…- Areais si bloccò. Se Murtagh
era convinto di trovarsi si fronte ad Arlin, poteva
girare la cosa a suo favore: il ragazzo la voleva far scappare, ed era già cosa
buona. Ma lei aveva studiato le cartine dei Varden sul castello di Uru’baen a memoria, sapeva
perfettamente dove andare. L’unico problema era come uscire dalla cella, visto
che non lo aveva programmato, e passare per il primo tratto
inosservata, ma a questo ci stava pensando Murtagh.
Prima
però avrebbe dovuto fare tappa in un’altra stanza.
La
ragazza abbassò il capo, con finta rassegnazione. –Hai
ragione tu, sono Arlin.- disse.
Murtagh
sorrise. –Lo sapevo. Dai seguimi.-
Ad
Areais venne quasi da ridere, ma si trattenne e si lasciò guidare da lui fuori dalla cella. La sentinella era in piedi al suo posto,
ma i suoi occhi erano vuoti. La ragazza la guardò stupita, probabilmente Murtagh le aveva fatto qualche
strana magia.
Attraversarono
il silenzioso corridoio delle prigioni, cercando di fare il minor rumore
possibile. Areais non parlava, si stava concentrando e aspettava il momento più
opportuno per agire.
Salirono delle scale di pietra, e Murtagh con la mano libera sollevò una botola di
legno. Areais per un attimo parve disorientata. Quelle scale non erano segnate
nelle cartine dei Varden, forse era un passaggio che solo Murtagh conosceva.
La
stanza in cui si ritrovarono aveva un letto a baldacchino appoggiato al muro
verso ovest, con delle lunghe tende rosse. Sulla parete opposta vi era un
grande armadio di legno ben lavorato, con uno scrittoio accanto. Ai piedi del
letto sottostava un grande tappeto cremisi con dei
disegni marroni e neri. Areais rimase a bocca aperta. C’era una sola finestra
in quella stanza, una grande fessura ad arco nella
parete accanto a quella del letto.
-Ma dove siamo finiti?-
-Nella
mia camera. Ho scoperto quelle scale poco tempo fa e le ho
tenute nascoste a tutti, altrimenti Galbatorix ne sarebbe venuto a conoscenza.-
spiegò Murtagh richiudendo la botola.
Areais
cercò velocemente nella sua mente la posizione degli alloggi, che scoprì non
essere molto lontana dalla sua meta.
Perfetto,
mi ha facilitato ancora di più il compito, pensò sorridendo dentro di sé.
-Adesso
però devo portarti via da qui prima che vedano la cella vuota.- disse Murtagh aprendo un’anta dell’armadio e frugando
frettoloso tra le sue cose. Prese un mantello nero e lo lanciò ad Areais,
mentre lui chiudeva l’anta.
La
ragazza prese al volo il mantello.
-Mettitelo.
Se qualcuno ci vede potranno scambiarti per uno dei
nostri. Andiamocene ora.-
Areais
se lo mise addosso velocemente, calandosi il largo cappuccio sul volto. Mentre Murtagh si voltava per aprire la porta, Areais si
chinò ed estrasse silenziosa il coltello dallo stivale. Si avvicinò furtiva
alla sua schiena e alzò il braccio, roteando il pugnale. Proprio mentre stava
calando l’arma, Murtagh si girò, ma la ragazza non si fermò.
Lo colpì
sotto la nuca con l’elsa del coltello, e lui cadde a terra.
-Te
l’avevo detto che non sono Arlin.- disse severa.
Murtagh
la osservò, e doveva darle ragione: solo ora non riconosceva Arlin, lei non
aveva quello sguardo così duro e serio che aveva quella misteriosa ragazza che
le assomigliava in quel modo spaventoso.
Mormorando
un “maledizione”, il ragazzo perse i sensi.
************
Areais
rimase un attimo a fissare il corpo inerme di Murtagh, indecisa sul da farsi:
lasciarlo lì, sdraiato a terra, oppure metterlo sdraiato
sul letto per non destare sospetti.
Alla
fine optò per la seconda. Rinfilò
il coltello nello stivale e spinse il corpo fino a metterlo supino. Gli fece
passare le braccia sotto le ascelle e lo trascinò fino ai piedi del letto.
-A
quanto pare Galbatorix tratta molto bene i suoi
protetti.- commentò riprendendo fiato. Non era facile trascinare un peso morto,
anche se per pochi metri.
Lo mise
parallelo al bordo del letto, e tirò su prima le gambe, mettendole sul
materasso, poi sollevò piano l’altra parte del corpo
con lo stesso metodo che aveva usato per trascinarlo, ma stava comunque attenta
alle gambe.
A lavoro
terminato, Areais si fermò: Murtagh sembrava proprio addormentato, con la testa
sul cuscino che lentamente si sporcava di sangue a causa della ferita ancora
fresca. Dopo aver fatto una piccola pausa, la ragazza uscì
dalla stanza.
Il
corridoio era silenzioso.
Con
cautela Areais chiuse la porta e corse tenendo una mano appoggiata al muro. Per
sua fortuna non incontròalcuna resistenza, anche se la cosa era molto strana. Troppo
strana.
Rimanendo
sempre all’erta, la ragazza percorse alcuni corridoi e salì molte rampe di
scale, fino ad arrivare di fronte ad un immenso portone chiuso da almeno cinque
serrature. Ai lati del portone c’erano due guardie, di certo non addormentate.
Areais si riparò in fretta, poi si sporse di poco per osservare meglio la
situazione: la distanza fra lei e le sentinellenon era molta, ma se avesse eliminato
una guardia, l’altra avrebbe chiamato rinforzi. Areais aveva solo un’arma con
sé, e cercare la sala d’armi era fuori discussione. Anche
tornare indietro nella stanza di Murtagh era troppo rischioso.
L’unica
soluzione era quella di uccidere un soldato e successivamente
colpire velocissima l’altro, prima che dicesse qualcosa. Areais si fece coraggio ed estrasse il pugnale, doveva aver fiducia in
sé stessa. Nasuada e i Varden dipendevano da lei, non poteva deluderli.
Rimanendo
nell’ombra, la ragazza uscì dal suo nascondiglio, prese la mira e lanciò il
coltello dritto al cuore di una guardia. Appena l’arma fu uscita dalla sua
mano, Areais corse dietro la scia del pugnale, e lo estrasse dopo che quello
aveva centrato il bersaglio. La seconda sentinella, come previsto, stava per
urlare che erano stati attaccati, ma Areais fu più rapida di lui e lo infilzò
alla gola. Dopo vari gorgoglii e sputi di sangue, anche quel soldato morì.
La
ragazza pulì il coltello e lo rimise a posto. Non si fermò a
guardare i due cadaveri, odiava dover uccidere. Ma
se era necessario non aveva scelta. Cercò tra i loro abiti il mazzo di chiavi
del portone, e lo trovò sotto la casacca del primo. Con le mani leggermente
tremanti le provò tutte, e dopo alcuni minuti le serrature si aprirono con uno
scatto che rimbombò nel corridoio. Areais si voltò e ascoltò se qualcuno aveva
sentito il rumore e si stava avvicinando.
Ma non venne nessuno, così sgusciò dentro la stanza enorme.
La
ragazza si chiese come mai
Galbatorix tenesse il terzo ed ultimo uovo di drago così
isolato rispetto alle sue stanze.
Guardandosi
intorno nervosa, Areais attraversò la camera: alta e
buia, il soffitto era fatto a cupola. Aveva una forma rotonda, completamente
diversa dalle altre stanze del castello. Dalla fessurina
al centro della cupola entrava un fascio della luce lunare che illuminava una
pietra verde dalle venature banche.
Il
terzo uovo di drago.
Galbatorix
lo aveva fatto mettere su di un piedistallo alto circa mezzo metro, appoggiato
a dei morbidi cuscini di velluto rosso con rifiniture oro.
Senza
perdere tempo Areais lo avvolse nel foulard nero che pendeva dal piedistallo, e
lo strinse al petto. Uscì frettolosa dalla stanza e corse verso la camera di
Murtagh: da lì poi sarebbe scesa nelle prigioni e avrebbe preso un corridoio sotterraneo
che conduceva fuori Uru’baen. Mentre
stava per riaprire la porta della camera del ragazzo, si sentì un trambusto
provenire dai piani inferiori.
-La
prigioniera! Trovate la prigioniera!- urlavano.
Fantastico,
mi hanno scoperta!, pensò.
Entrò
nella stanza. Murtagh era ancora nella posizione in cui l’aveva lasciato.
Col
fagotto stretto a sé, Areais s’affacciò alla finestra, ma deglutì. Era troppo alto da lì per potersi buttare, si sarebbe
uccisa. Ma nemmeno poteva tornare giù per la botola, i
soldati la stavano cercando e le misure di sicurezza e di controllo nel
castello erano rigidissime. Non avrebbe potuto farsi passare per un soldato
dell’Impero.
Era in
trappola.
Qualcuno
bussò alla porta, e Areais si voltò di scatto.
-Murtagh!
Murtagh, apri!- urlarono da fuori.
Sdraiato
sul letto, il ragazzo iniziò a muoversi.
Areais
sgranò gli occhi e guardò di nuovo giù dalla finestra. E’
l’unica soluzione, si ripeteva.
-Murtagh,
sei lì?- urlò la stessa persona all’esterno.
Adesso
Murtagh si stava per svegliare.
Areais
salì sul davanzale. Una brezza d’aria notturna le accarezzò il viso, come per
infonderle coraggio, e lei strinse più forte l’uovo con entrambe
le braccia mentre inspirava profondamente e chiudeva gli occhi.
-Murtagh!
Sfondiamo la porta se non apri!-
-NO!-
Areais
capì che il ragazzo si era ripreso, così, senza pensarci ulteriormente, si
buttò.
************
Murtagh
si alzò velocemente dal letto e corse alla finestra. Un’ombra incappucciata si
era appena lanciata fuori. Vide il corpo rannicchiato che nella caduta si
girava, in modo che se sarebbe caduto avrebbe prima
toccato terra con la schiena.
Quella
è tutta matta! Perché si è buttata? Così si ucci…
I
pensieri di Murtagh s’interruppero. Il ragazzo notò che l’alter ego di Arlin stringeva qualcosa tra le braccia.
La
sua missione è compiuta.
L’unica
cosa che non capiva era perché la spia Varden aveva deciso di morire e mandare
in fumo il suo scopo primario. Una volta morta il suo tentativo sarebbe stato
inutile, la sua scomparsa vana.
Poi la
ragazza sparì nelle tenebre.
************
Le
mancava l’aria.
Stava cadendo da pochi secondi, aspettava solo la fine e
schiantarsi a terra.
Areais
si era girata, così da poter vedere il cielo blu intenso stellato.
Un’ultima
volta.
Sapeva
di non sopravvivere ad una caduta di quasi trenta metri, era impossibile.
Strinse
l’uovo di drago, prima di scorgere una grande sagoma
nera simile ad un gigantesco pipistrello che si stagliava nitida contro la
luna, grande e bianca. Poi quella le volò incontro.
Areais
non ebbe modo nemmeno di provare paura, poiché perse i sensi non appena sbattè
contro ad un materiale duro che sembrava una sella.
Chiedo immensamente scusa per l’enorme ritardo, ma tra i vari problemi,
si sono aggiunti i miei genitori che non mi vogliono far usare il computer…
vabbè, comunque adesso eccomi qui
Chiedo immensamente scusa per l’enorme ritardo, ma
tra i vari problemi, si sono aggiunti i miei genitori che non mi vogliono far
usare il computer… vabbè, comunque
adesso eccomi qui!
Buona lettura
Incarico
Erano ormai due settimane che Eragon, Arlin e Saphira stavano ad
Ellesméra. Il Cavaliere e la dragonessa avevano conosciuto i loro maestri,
Oromis, e il suo possente drago oro Glaedr. Il loro
addestramento era piuttosto duro ed impegnativo, ma
Eragon e Saphira se la sapevano cavare egregiamente.
Anche Arlin imparava in fretta, grazie agli
insegnamenti di Daryn e ai preziosi consigli di Litiën.
La ragazza si accorgeva che più i giorni passavano più Eragon
assomigliava ad un giovane elfo: i suoi lineamenti si facevano più affilati, e
le orecchie stavano prendendo una forma a punta.
Lei invece rimaneva umana a tutti gli effetti:
lineamenti delicati del viso da adolescente e orecchie rotonde. Oramai ci stava
facendo l’abitudine a vivere in mezzo agli elfi, ed essendo lei l’unico essere
umano si sentiva un’estranea.
************
Il maestro l’aveva incaricata di andare a cercare la Silthyas,
una pianta molto rara nella foresta, ma presente.
L’avrebbe accompagnata Litiën, che conosceva la Du Wendelvarden
e le avrebbe impedito di perdersi.
Per l’occasione gli elfi le avevano
preparato dei pantaloni e una giacca dei colori della foresta. Messa a tracolla
portava una piccola bisaccia, dove in seguito avrebbe depostole
erbe.
Arlin camminava al fianco di Litiën, silenziosa. Era emozionata per
il suo primo incarico affidatole dal maestro, e sapere l’elfo vicino la
tranquillizzava di poco. Litiën, da parte sua, la capiva e restava anche lui in
silenzio.
Alcuni elfi che li incrociavano s’inchinavano leggermente, i due
ricambiavano il saluto, Arlin un po’ impacciata. Si era abituata a tutto, ma
ancora faceva fatica ad accettare al fatto che in quella città era una persona
di rango piuttosto elevato. Lei che era nata come piccola guaritrice in un
altrettanto piccolo villaggio ai margini di Alagaësia…nemmeno
nei suoi sogni più remoti aveva immaginato di poter passare una parte della sua
movimentata vita nella capitale degli elfi. Ed ora invece si ritrovava a
camminare per le vie di Ellesméra in un elfo.
Arlin sorrise. Forse ora stava iniziando a recuperare il suo buon
umore, anche se Eragon non poteva confermarlo, impegnato com’era nei suoi
allenamenti con Oromis e Vanir.
Con malinconia ricordò il loro discorso fatto tempo fa sulla tomba di
Brom alla fine della battaglia del Farthen Dur. Lui le avrebbe promesso che sarebbero sempre stati
insieme, ma lei gli diceva che era poco probabile,
visto che lui era un Cavaliere e lei nessuno. E
inevitabilmente le tornarono alla mente le immagini del loro ritorno nel Farthen
Dur e la scoperta della scomparsa di Murtagh.
Arlin strinse un pugno.
Le mancava, le mancava da morire… nessuno
avrebbe mai preso il suo posto, era sicuro.
Ricordò i suoi occhi azzurri, che la guardavano comprensivi poco
prima della battaglia, e il suo bacio che gli aveva dato prima di andare alla
tomba di Brom. Sorrise al ricordo della litigata al loro primo incontro,
sembrava passata una vita da quel giorno. In quel momento non l’aveva nemmeno
sfiorata il pensiero che alla fine si sarebbe innamorata di quel misterioso
ragazzo dai capelli color della pece, il figlio di Morzan per di più.
Ma dentro di sé Arlin sapeva che Murtagh non era
come suo padre. O meglio, non era stato come
suo padre.
Sospirò.
-Basta vivere nei ricordi.- disse all’improvviso Litiën.
Arlin si voltò a guardarlo. L’elfo però teneva lo sguardo avanti. –Cosa?-
-Ho capito a chi stai pensando, ma devi
cercare di guardare avanti. La cosa più importante ora è il futuro, non il
passato.-
-Ma nel passato ci sono ricordi felici.-
-Non nel tuo caso, almeno per la maggior parte delle tue memorie.-
Arlin si fece seria. –Per me Murtagh è un ricordo felice. Il fatto
che sia scomparso è triste, certo, però quello che abbiamo
passato insieme non potrò mai dimenticarlo.-
-Nessuno ti ha detto di farlo. Devi solo imparare a conviverci.-
-Ma io…-
-Non è facile, lo so. Vuoi bene a questo
ragazzo?-
-Io… sì certo.- Arlin era un po’ spiazzata.
Litiën sorrise. –Allora sono sicuro che dovunque sia, anche lui starà
pensando a te e che muore dalla voglia di rivederti.-
-Sempre se è ancora vivo.-
-Devi crederlo veramente. Sono sicuro che un giorno vi rincontrerete.-
In un’altra vita forse, pensò amaramente la ragazza.
Arlin non rispose. Il suo cuore diceva che
l’elfo aveva ragione, ma la sua mente raccomandava di non farsi illusioni e
pensare al presente.
Poi sentirono uno sfregare di lame.
-Muovi quelle gambe! Devi essere più rapido nei movimenti, quanto
volte ancora devo dirtelo?- disse una voce conosciuta.
Arlin e Litiën avanzarono fino a raggiungere l’arena dei duelli di Ellesméra. Al centro di essa,
che duellavano, c’erano Eragon e Vanir. Il primo cercava, invano, di colpire
l’agile elfo con Zar’roc, mentre Vanir parava con
estrema facilità i suoi colpi, potenti ma lenti.
Probabilmente Vanir percepì di essere osservato, perché si voltò e
vide i due apprendisti di Daryn Ghottïnuil. Sorrise ad Arlin, senza fermarsi per
difendersi da Eragon. Quest’ultimo forse era molto concentrato da non
accorgersi nemmeno che il suo avversario aveva lo sguardo voltato da un’altra
parte. La sua fronte era imperlata di gocce di sudore che brillavano alla luce
del sole.
Sempre col capo girato da un’altra parte, Vanir lo colpì
alla mano, facendogli cadere Zar’roc, e puntò la sua spada alla gola del
Cavaliere, che si fermò ansante e guardando l’elfo pieno di rabbia.
-Ti ho battuto anche se non
stavo guardando te, Cavaliere.- disse Vanir serio, tornando a fissarlo
impassibile.
-E chi
stai guardando allora?- chiese Eragon, cercando di trattenersi dal strozzarlo
all’istante.
Vanir indicò con la testa in direzione di Litiën e Arlin.
Eragon seguì lo sguardo dell’elfo, e anche lui notò
l’amica accanto all’altro apprendista di Daryn Ghottïnuil.
–Arlin!- Il Cavaliere si allontanò da un alquanto seccato Vanir, e arrivò di
fronte alla ragazza. –Cosa fate qui?-
-Stiamo andando a svolgere un compito che mi ha affidato
il maestro nella foresta.- rispose lei.
Il volto sorridente di Eragon
s’incupì. –Ah… e per quanto starete via?-
Era chiaro che al Cavaliere interessava
più sapere di Arlin.
-Il tempo necessario.- intervenne Litiën.
Eragon lo guardò torvo. –D’accordo. A presto
allora.-
-A presto, Eragon.- salutò Arlin.
I due fecero per andarsene, ma il Cavaliere li fermò.
–Arlin, posso parlarti un attimo?-
Lei si voltò e lo guardò un po’ confusa. –Sì, certo.-
Eragon e Arlin si allontanarono da Litiën, che aspettò
che la compagna tornasse.
-Senti, lo so che in questo periodo non abbiamo avuto
occasioni per stare un po’ insieme, e ne sono desolato. Ti prometto che appena
tornerai chiederò ad Oromis un giorno di pausa e ce ne andremo
a fare una gita con Saphira, che dici?-
La sua voce era eccitata, Arlin sorrise. –Dico che sarebbe fantastico, ma non puoi permetterti di
saltare anche solo un giorno di addestramento.-
-Suvvia, per una volta…- sbuffò Eragon.
-Non devi prenderla alla leggera. Da quello che ho
sentito prima o poi ci sarà una guerra, e tu ancora
non sei pronto. Ricordati Eragon: prima il dovere, poi il piacere.-
-Ma il
dovere mi sta togliendo il tempo da passare con la mia migliore amica.- ribattè
amaramente lui.
-Non ha importanza. Alagaësia e i Varden sono più
importanti di me.-
Quelle parole non facevano male solo a lui, ma anche a
lei.
-Non è vero.
-Invece sì.-
-ARLIN!- Litiën.
-Troveremo il tempo, vedrai. Adesso
devo proprio andare.- La ragazza lo abbracciò forte, poi gli
sorrise e se ne andò.
Eragon rimase in piedi a fissare Arlin che si
allontanava.
Di nuovo immensamente scusa… ma spero proprio che questo lungo capitolo
compensi con la vostra attesa
Di nuovo immensamente scusa… ma spero proprio che questo lungo capitolo
compensi con la vostra attesa.. ^^’’…
Né elfa né umana
Litiën e Arlin tornarono dopo due giorni, a missione
compiuta.
Appena arrivarono dal maestro, il vecchio esaminò con
occhio esperto le erbe che Arlin gli aveva poso, per
poi concludere che la ragazza aveva passato la prima parte dell’esame. La
seconda parte era teorica.
Arlin ripassò tutto quello che aveva studiato da quando si trovava ad Ellesméra, e dopo tre giorni Daryn
la convocò a casa sua.
Le diede tre fogli di pergamene da completare in due ore.
All’inizio la ragazza temeva di non farcela, le pergamene
erano scritte davanti e dietro con una calligrafia minuta, ci avrebbe impiegato più di due ore.
Ma dopo
un’ora e mezza aveva già finito.
Non credendolo possibile aveva ricontrollato il tutto più
volte, occupando così l’ultima mezz’ora.
Ora Arlin si stava preparando per andare dal maestro, che
le avrebbe comunicato l’esito. La ragazza si legò i
lunghi capelli con un nastro nero e indossò l’abito verde foresta, il suo
preferito tra quelli che le avevano dato gli elfi. Le
cadde l’occhio in un angolo della stanza, ove era ben riposto l’abito azzurro
donatole da Areais.
Lo metterò questa sera, pensò felice.
Quella sera ci sarebbe stato l’Agaetí Blödhren, la
cerimonia attraverso la quale gli elfi donavano ad Eragon le loro capacità.
Così le aveva spiegato Litiën.
Arlin finì di prepararsi , poi
uscì velocemente dal suo alloggio.
La brezza mattutina la investì all’improvviso, facendola
rabbrividire.
E per di più doveva pensare alla sua creazione da portare
alla Celebrazione.. niente magia.
Bè, in qualunque caso lei non la praticava.
Forse qualcosa che era in grado di creare con le erbe.. una nuova pozione? Nah, banale.
Una canzone? Ma cosa avrebbe
cantato? La sua storia? Di una semplice montanara che ha lasciato il proprio
villaggio? Banale anche questo.
Sospirando, la ragazza si richiuse la
porta alle spalle.
************
La foresta la sera della vigilia era decorata di festoni
e lanterne, gli elfi erano eccitati all’idea che presto si sarebbe svolto
l’Agaetí Blödhren. Ma glie abitanti di Ellesméra non erano
gli unici: Arlin vedeva anche altri visi mai visti, elfi che provenivano
dalle altre città della foresta.
La ragazza si trovava nei pressi dell’albero di Menoa,
insieme all’ormai inseparabile Litiën. Nonostante ci
fosse una moltitudine di gente, riuscì a scorgere Eragon, accanto a Saphira.
Per un attimo sorrise. Vide anche Orik accanto a loro.
-Litiën..ti dispiace?- chiese esitante all’elfo, mentre indicava col
capo in direzione del Cavaliere. Da quando era tornata dalla missione
non aveva più avuto modo di parlare con lui. E ora finalmente ne aveva l’occasione.
Litiën la osservò per qualche secondo,
poi le sorrise comprensivo e annuì. –Vai pure. Se
hai bisogno, io sono qui.- rispose, con il suo tono gentile.
Arlin sorrise a sua volta. –Grazie.- poi si allontanò
velocemente e raggiunse di corsa Eragon, zigzagando tra la folla. Si sbracciò e
urlò un paio di volte il suo nome, e alcuni elfi intorno a lei si voltarono e
alcuni la guardarono male mentre scuotevano lievemente
il capo, altri invece sorrisero e ridacchiarono divertiti. Quei gesti da
mercato non sfuggirono al Cavaliere, che nel vederla iniziò a ridere anche lui.
Intanto Arlin gli arrivò di fronte. –Ebbene, che c’è
da ridere tanto? C’è un sacco di gente qui, magari nemmeno mi vedevi.- sbottò seccata.
Lui sogghignò. –Sì certo, ma non era il caso di farti
notare così, già non passi inosservata comunque.-
rispose lui, tornando serio.
Arlin si scurì in volto ancora di più. –E con ciò cosa
vorresti dire?-
Eragon la osservò da capo a piedi: indossava un vestito
azzurro, la gonna ricoperta di un velo azzurrino trasparente. Non aveva ricami particolari, era una semplice veste bellissima.
Le maniche erano svasate, dello stesso tessuto trasparente della gonna. La
scollatura non era provocante, era perfetta per una ragazza con il suo fisico;
all’altezza della vita era cucita una striscia d’orata. I capelli castani color
quercia, mossi proprio come al solito, ormai avevano
superato il limite di crescita umano: con i capelli lunghi fino al posteriore
sembrava un’elfa, alcuni fiori erano ben assicurati tra i sottili capelli e due
ciocche erano ben legate dietro il capo e gli occhi verde smeraldo brillanti,
anche se ora socchiusi dall’irritazione. –Bè, quel vestito qui ti dona.- Eragon
le sorrise, come per scusarsi.
Arlin fece una smorfia di arresa.
–Sì, sì, d’accordo.- Fece una pausa, mentre lo guardava. –Comunque
grazie.-
Eragon e Arlin passarono la serata insieme, Orik si
allontanò appena scorse Rhunön, una sua simile, e si
mise a discorrere con lei.
Il Cavaliere le presentò Oromis, il suo maestro vestito in rosso e nero, e il suo drago oro Glaedr. Al contrario,
Arlin non potè fargli conoscere Daryn Ghottïnuil,
assente in quel momento.
Attesero la mezzanotte, Islanzadi se
ne stava sopra a tutti, seduta su di una radice rialzata
dell’albero di Menoa, Blagden tranquillamente
appollaiato su una sua spalla.
Eragon tra la folla scorse Lifaen
e Narì, e appena vide anche Vanir sbuffò
mentre Arlin sogghignava.
Ad un certo punto, Islanzadi alzò un braccio, indicando
l’alta luna nel cielo scuro. La luce che emettevano le
lanterne sulla chioma dell’albero s’addensarono in un punto solo, ovvero sul
palmo della mano della regina. Islanzadi scese dalla sua radice e posò la sfera
in una cavità nella corteccia.
-E’ cominciata?- chiese sottovoce il Cavaliere ad Arlin.
-Credo..-
-Sì, è cominciata.- intervene una voce, e nell’udirla
Eragon roteò gli occhi, Arlin lo guardò e si trattenne dal ridere.
-Buonasera, Vanir Finiarel.-
salutò Eragon cercando di essere gentile, voltandosi
verso di lui. L’amica lo imitò con un mezzo sorriso.
L’elfo la guardò intensamente, ma lei non battè ciglio.
–Arlin.- disse lui chinando il capo.
La ragazza fece lo stesso, senza però parlare. Vanir
spostò lo sguardo su Eragon. –Spero che ti diverta stasera,
Cavaliere di Draghi.- sorrise divertito.
Saphira, dietro Eragon digrignò i denti.
Il Cavaliere si limitò a rimanere serio. –Anche tu, Vanir.- disse atono.
L’elfo s’inchinò di nuovo, e lanciando
un’ultima occhiata ad Arlin, si confuse tra la folla.
************
Arlin si stava
allontanando dalla festa. Non che non le piacesse,
anzi, si stava divertendo.. Eragon aveva mostrato la sua opera, e lei la sua:
era riuscita a creare una cornice, fatta solo con erbe e radici, e Islanzadi
aveva dichiarato che quella avrebbe racchiuso il poema di Eragon. Ma il vero segreto della cornice era un altro. Arlin aveva
usato un’erba speciale che avrebbe dato una certa sicurezza al manoscritto del
Cavaliere, oltre che una luce splendente.
La ragazza sorrise. Chissà che faccia avrebbe fatto il suo maestro se avesse visto la
scena. Era orgogliosa di sé stessa, per il
risultato ottenuto: dunque il soggiorno a Ellésmera era servito a qualcosa.
La ragazza arrivò ad
un pino e poggiò la schiena al tronco, alzando il volto e osservando le stelle.
Nel cielo scuro brillavano intensamente, sembravano tanto vicine.. rendevano la serata ancora più speciale. Sospirò,
ricordando le serate passate sdraiata sulla morbida erba della Grande Dorsale a
scherzare con Eragon. Bei tempi quelli, che parevano così
lontani, quasi appartenenti ad un’altra vita.
Arlin udì dei passi,
leggeri e cauti, avvicinarsi. Temendo fosse Vanir, la
ragazza indurì lo sguardo e si preparò un discorso duro ma non offensivo da
fargli. Era un elfo prepotente e cafone, non lo voleva
tra i piedi un minuto di più. Ma anziché Vanir, Arlin
si ritrovò di fronte Litiën. Lasciò andare il fiato che aveva trattenuto. –Ah,
sei tu.-
-Mi credevi qualcun
altro?-
Per la verità sì, pensò. –No, tranquillo,
è tutto a posto.-
-Sai perché non ho
mostrato la mia opera prima?- venne subito al sodo
l’altro.
Arlin parve
disorientata. –No..-
-Perché te lo
mostrerò adesso.-
Ancora più
disorientata. –Litiën non capisco.-
L’elfo alzò una mano
avanti a sé, e un globo argenteo librò sul suo palmo. –E’ questa.-
Arlin avanzò
esitante, fissando la strana sfera. –E cosa sarebbe?-
Non aveva mai visto niente del genere, nemmeno sui libri elfici, almeno non
quelli che aveva letto lei, ossia quasi tutti.
Litiën sorrise. -Fra
poco lo vedrai. Ma devi essere tu a darmi il permesso,
Arlin.-
-E’ così
importante?-
-Per la tua vita
futura sì. Da questo momento la tua vita potrebbe cambiare.-
La ragazza deglutì,
guardando l’elfo negli occhi. Poi spostò l’attenzione sulla sferetta.
All’apparenza così piccola e innocente.. davvero era
in grado di influenzare la sua vita in un modo che sembrava così straordinario?
Neanche sapeva se la cosa era positiva oppure no.
-Cosa mi succederà?-
chiese con una voce assente.
-E’ complicato da
spiegare. Ti basti sapere che possederai le capacità di un elfo.-
Arlin lo guardò
stralunata. –Le capacità di un elfo? Intendi l’udito fine, l’agilità nei
movimenti, queste?-
-Esatto. Poi
dovrebbe cambiare anche qualche tratto fisico, ma non ne sono
certo. Sicuramente però diventerai mezzo elfo e mezzo umano.-
-Una specie di mezzelfo quindi?- Mai in Alagaësia si erano visti mezzelfi, gli umani e gli elfi non si erano mai mischiati
tra loro. Almeno per quanto ne sapeva lei.
-Sì, qualcosa del
genere. Esteriormente resterai umana, interiormente elfo.-
-Sarò vegetariana?-
Litiën scoppiò a
ridere. –No! Puoi mangiare quanta carne vorrai, sempre in un certo contegno
però. Sarai pur sempre mezza elfa.- sorrise comprensivo.
-Sembri sicuro di
te. Lo hai già provato su qualcuno?-
L’elfo non rispose,
e Arlin sospirò. –Sei almeno sicuro che funzioni?-
-Non ti fidi di me?-
-Di te sì. Della
magia no.-
-Risposta
intelligente. Allora, vuoi rischiare?-
La ragazza fissò a
sfera. Valutò tutti i possibili vantaggi e svantaggi. Rischiava di rovinarsi se
l’incantesimo di Litiën non avesse funzionato, ma se avesse avuto successo… sarebbe diventata più forte. Più utile per Eragon. Gli restava solo lui, avrebbe fatto di tutto pur di seguirlo.
Guardo Litiën dritto
negli occhi ambrati. –Accetto il tuo dono.-
-Ne sei convinta?-
-Sì.-
-Non potrai tornare
indietro.-
-Ho detto di sì.-
Non c’era nessuna esitazione nella voce di lei.
L’elfo annuì.
–D’accordo.- Alzò la mano che sorreggeva la sferetta, che iniziò a brillare più
intensamente. Arlin chiuse gli occhi, preferendo non assistere alla scena. Non
sapeva cosa sarebbe successo… adesso vedeva solo buio.
Sentì
Litiën esitare un istante, poi le avvicinò la sfera al petto, all’altezza del
cuore.
Una luce si
sprigionò dal corpo di Arlin appena la sfera venne
completamente assorbita.
Poi la ragazza
ricadde esanime tra le braccia di Litiën.
************
Riprese conoscenza
qualche minuto dopo, e si accorse di trovarsi ancora sotto lo stesso albero
dove aveva incontrato Litiën. Arlin si rialzò e si guardò intorno, spaesata.
Era sola. Si rannicchiò, e strinse forte le ginocchia contro al petto, ma nel
fare quel movimento rimase turbata. Era come se percepisse meglio ogni suo
gesto. Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi, non sapendo nemmeno su cosa.
Eragon una volta le aveva raccontato delle sue ore di
concentrazione in solitudine nella foresta. Diceva di restare fermo ad ascoltare gli animali che gli erano intorno.
Bè,
per provare se davvero Litiën l’avesse trasformata in mezzelfa
decise di tentare. Riuscì a sentire la presenza di migliaia di esseri,
e anche se il suo raggio di visione era piuttosto limitato, le bastò come
risposta alla sua domanda.
Riaprì gli occhi.
Sei sentiva diversa,
come se fosse rinata una nuova Arlin.
Litiën ce l’aveva fatta: ora era una mezzelfa.
************
************
Silvietta: ecco il nuovo capitolo..
scusa davvero tanto se ci ho messo mesi, ma word mi fa scherzi e devo per forza
usare un altro computer molto più lento.. comunque, eh, lo vedrai quando si
rincontreranno.. ma ti anticipo solo che non manca molto ;) Grazie di recensirmi!!!
E per problemi con Word
sono costretta a pubblicare questo capitolo in due parti…
Buona lettura!!
che Galbatorix non ti
toccherrpitolo sono scostretta Partenza
Arlin
moriva dalla voglia di dire tutto ad Eragon.
Voleva
che fosse lui il primo a sapere che ora possedeva le capacità di un elfo, anche
se ancora non le aveva sperimentate tutte. Sapeva di avere l’udito più
affinato, e le sembrava che anche la vista fosse migliorata. Non che prima non
ci vedesse, solo che le sembrava di vedere anche più lontano del normale. E stava
correndo più veloce del solito. La ragazza sorrise, e in breve giunse sotto
l’albero di Menoa, ove erano radunati tutti gli elfi, un’area sgombra nel
mezzo. Lungo il perimetro erano conficcati dei pali da cui pendevano delle
lanterne, Eragon e Oromis erano seduti sul bordo, i loro draghi posizionati
dietro i propri Cavalieri.
Arlin
si fece largo tra la folla e giunse in prima fila, dove si ritrovò al fianco di
Litiën. L’elfo la guardò compiaciuto, e lei annuì felice.
Quando
la folla si calmò, si fecero avanti due elfe, dandosi la schiena: erano
certamente gemelle, i loro tratti fisici erano uguali, eccetto per i capelli.
Una li aveva mori, l’altra argentei.
-Chi
sono?- sussurrò Arlin.
-Le
Custodi, Iduna e Nëya.-
Le
elfe si tolsero i mantelli, scoprendo i loro corpi su cui era tatuato un
iridescente drago. Questo iniziava con la coda avvolta alla caviglia di Iduna,
le risaliva lungo il polpaccio e la coscia, passava attorno al busto e
continuava sulle spalle di Nëya, terminando sul suo petto, dove era dipinta la
testa del drago. Ogni sua squama era di un colore diverso.
Le
Custodi intrecciarono mani e braccia, alzando un piede e pestandolo sul terreno
con un thump.
Al
terzo thump i musici iniziarono a
suonare, finché tutti gli strumenti si aggiunsero nella melodia, mentre le
gemelle danzavano prima lentamente, poi sempre più veloci. Giravano in tondo,
quasi pareva che fosse il drago a muoversi.
Ad
un tratto, un lampo di luce attraversò il tatuaggio, e il drago si risvegliò.
Arlin
rimase a bocca aperta, non credendo possibile una cosa del genere. Il drago
dispiegò le ali e una vampa di fuoco uscì dalle sue fauci, mentre si librava in
aria staccandosi dalla pelle delle due elfe. Solo la punta della coda rimase
attaccata.
La
creatura ruggì, un ruggito diverso da quello di qualsiasi altro drago che Arlin
avesse mai sentito. Il drago scrutò la folla, e volò in circolo su tutti gli
elfi, sfiorandoli con le sue ali. Si fermò infine di fronte ad Eragon, e Arlin
trattenne il fiato quando il Cavaliere alzò la mano destra. Il drago toccò con
il muso il centro del suo gedwëy ignasia, e una scintilla sprizzò fra di loro.
Arlin
chiuse istintivamente gli occhi, e quando li riaprì vide Eragon privo di sensi.
Trovò
Eragon nella sua stanza, che si stava rimettendo un paio di stivali di stoffa.
Il
Cavaliere alzò di scatto lo sguardo e fissò interdetto Arlin che apriva la
porta e sbirciava dentro. L’aveva sentita arrivare all’ultimo momento, non
prima. Nemmeno un passo.
-Eragon!
Grazie al cielo stai bene.- esclamò lei appena lo vide, richiudendosi la porta
alle spalle.
-Sì,
è tutto a posto, tranquilla.- Il ragazzo la squadrò. –Arlin, va tutto bene?-
L’altra
fece una faccia confusa. –Sì, perché?-
-Che
ti è successo?-
Arlin
sgranò gli occhi e rimase per un attimo paralizzata. Ricordò le parole di
Litiën sul suo aspetto fisico. Corse allo specchio e si guardò: i lineamenti
del viso si erano leggermente affinati, mantenendo però alcuni tratti umani.
Gli occhi erano sempre gli stessi, la forma lievemente a mandorla e il loro
verde reso più intenso e brillante. Si toccò i capelli, e li sentì morbidi come
seta. La ragazza sorrise e si voltò. –Allora, che te ne pare?- chiese con fare
di chi la sa lunga.
L’amico
prima restò interdetto, poi sul suo volto si dipinse un sorriso. –Cadranno
tutti ai tuoi piedi.- rispose malizioso.
-Così
mi lusinghi.- ribattè lei. –E tu? Vedo che anche a te hanno apportato delle
modifiche.- scherzò.
-Già.
Sono onorato del loro dono.-
Arlin
gli sorrise.
-A
te chi ti ha “trasformata”?-
-Litiën.
Ha detto che era il suo dono per me per questa serata.-
-Capisco.
Bè, Litiën mi sembra molto gentile nei tuoi confronti. Per arrivare addirittura
a farti quasi diventare un’elfa…-
-Sì,
hai ragione.- Arlin osservò Eragon, gli occhi stretti. –So a cosa stai
pensando. E ti risponderò subito: no. Litiën sarà anche l’elfo più gentile e
affascinante che io abbia mai conosciuto, però…- Abbassò lo sguardo.
Eragon
la guardò comprensivo, e le mise una mano sulla spalla. –Però nel tuo cuore c’è
Murtagh.-
-Mi
dispiace, ma non riesco a darmi pace. E non riesco a vedere nessun altro al suo
posto. Credevo di odiarlo, invece ho scoperto troppo tardi di volergli bene.-
Strinse un pugno dietro la schiena.
Eragon
l’attirò a sé, stringendola forte, come un fratello nel consolare la sorella.
–Lo immagino, Arlin. Vedrai, supereremo anche questa, insieme.-
Arlin
s’aggrappò a lui. –Ti voglio bene.-
-Anch’io.
Ti sarò sempre accanto.-
-Grazie.-
riuscì a dire, commossa, con un filo di voce. Quella volta non ribattè le sue
parole, perché sapeva di avere le capacità per sopportare gli stessi ostacoli
che avrebbe incontrato Eragon, anche se non era certa di poterli superare. Ma
ce l’avrebbe fatta, tutto pur di restare con l’unica persona a cui voleva bene
come ad un fratello.
Il pensiero della sorella si fermò per qualche
istante nella mente di Arlin.. come stava? Dov’era? Cosa stava facendo?
..Stava bene?
Eragon e Arlin restarono ancora qualche
minuto abbracciati, poi uscirono tra i festeggiamenti.
************
Passarono i giorni, Eragon aveva ripreso i suoi
allenamenti dopo un paio di giorni dal termine dell’Agaetí
Blödhren, e Arlin lo aveva imitato,
con anche l’aggiunta di allenamenti con le armi
insieme a Vanir. La ragazza imparava in fretta: l’elfo all’inizio le aveva fatto usare un bastone, anche se Arlin aveva già impugnato
un’arma prima d’ora, ma mai aveva duellato contro un elfo. Aveva deciso di
chiedere aiuto a Vanir per approfondire la sua tecnica, già iniziata da Brom.
Dopo due settimane erano passati alle spade, e la
ragazza era gioiosa di rimpugnare Garjzla dopo tanto tempo. Anche se non
l’aveva usata fino ad ora, si era comunque presa cura
dell’arma, e ogni sera la controllava e ogni tanto portava a riaffilare la
lama. Brom le aveva rivelato che quella spada era
molto più potente se la lama era ben curata, e Arlin aveva intenzione di
sfruttare le abilità dell’arma a pieno.
Vanir all’inizio era rimasto sorpreso dall’abilità di lei, resa ancora più veloce e poco più potente
dall’incantesimo di Litiën. E anche se non era ancora
riuscita a sconfiggerlo, Vanir era convinto che promettesse bene, se
avesse continuato ad allenarsi.
Una mattina Arlin stava camminando per le vie di Ellesmera. Indossava un abito color
della sabbia bagnata, i soliti stivali, in vita portava la cintura col
fodero di Garjzla. Non aveva intenzione di duellare con
Vanir, solo voleva fare una passeggiata. Decise di andare al Palazzo di
Tialdarì. Si stava guardando intorno, gli alti alberi nascondevano l’albeggiante sole.
Sentì un paio di voci molto familiari, poi vide
Eragon e Orik che parlavano. Il Cavaliere si voltò per andarsene, ma si fermò
nel riconoscere Arlin.
-Eragon… come mai sveglio già a quest’ora?- lo
anticipò la ragazza.
-Saphira, io e Orik partiamo
per il Surda.-
-Ci sono problemi?-
-Sì, e hanno bisogno di noi. Tu cosa vuoi fare?- chiese schietto lui.
Arlin per un attimo non parlò. In gioco c’erano il
suo addestramento con Daryn e la sua inutilità sul
campo di battaglia.
Ma scelse la seconda opzione.
-Vengo.-
-Sicura?-
Lei roteò gli occhi. –Sì. D‘altronde, hai detto che staremo sempre insieme, no?- La mise sul ridere.
Eragon sforzò un sorriso. –Va bene, come vuoi.
Appena sei pronta ci troviamo al campo.-
-D’accordo. Preparo le mie cose e lo vado a dire
al maestro.- A cui non piacerà la notizia.
************
Arlin arrivò un’ora dopo al campo. Aveva preparato
le sue cose in fretta e furia, poi era andata a salutare Daryn, e in casa sua
aveva incontrato anche Litiën. Già loro sapevano dei problemi del Surda, e si
aspettavano che lei sarebbe partita con Eragon, così le avevano preparato dei doni. Daryn le aveva consegnato una piccola
boccetta contenente una pozione che avrebbe curato persino le ferite più
impossibili da guarire, insieme ad un paio di Sai: le
lame lucidissime, dove si poteva persino specchiare, e l’elsa d’orata con dei
rubini incastrati all’interno. Litiën invece le aveva dato
uno stiletto, un piccolo pugnale dalla lama lunga e sottile, l’elsa nera
lavorata a spirale. Ma il suo regalo più grande
lo aveva già fatto.
La regina le aveva donato un arco simile a quello di Eragon, fatto con albero di tasso, decorato sulle punte e
sull’impugnatura dell’arco con intarsi di smeraldo, insieme ad una faretra
colma di frecce.
Si era rifornita di armi.
Raggiunti i compagni di viaggio, Eragon legò il
suo zaino dietro alla sella, accanto a quello di Orik.
Il nano si lamentò per il fatto che non sarebbe riuscito a salire sulla sella
della dragonessa. Quest’ultima quindi si distese e allungò la zampa posteriore
destra, in modo che Orik riuscisse ad arrampicarsi. Poi fu il turno di Arlin, che però ormai si era abituata a salire sulla
dragonessa. Eragon salì dopo di lei, posizionandosi
dietro. Per impedire a tutti di cadere durante le evoluzioni di Saphira allentò le cinghie che servivano per legare le braccia e le
fece passare sopra alle gambe del nano e della ragazza.
-Ma non ha troppo peso?- chiese preoccupata Arlin.
-No, stai tranquilla. Si è irrobustita in questi
mesi di allenamento con Glaedr.- rispose rassicurante
il Cavaliere.
Lei lo guardò tesa. –Se lo dici
tu…-.
Gli elfi sciamarono intorno alla dragonessa che
sollevava le ali translucide per alzarsi in volo. Poi, con una rapida spinta,
Saphira si lanciò verso il cielo. Volò in circolo, per
guadagnare quota ad ogni spirale, poi si diresse a sud, verso il deserto
di Hadarac.
************
************
Picci93: ecco, ho sistemato i capitoli =) spero che
continuerai a leggere!! Baci
Bilu_emo: sono
contenta che ti piaccia così tanto la mia ff!! Comunque può darsi che si rincontrino =P
pazzerella_92: hihi okok…comunque no, non sbagli
XD…continua a leggere e recensire, ci conto ;)
totta91: grazie!! Me felice *.*..
comunque, ecco qui il seguito =)
niehal65: U.U addirittura a Paolini??Non esageriamo…XD…Comunque
grazie, mi fa piacere sentirmi dire una cosa del genere =D =D!! Continua a
seguire, mi raccomando!!
Il
quarto giorno da quando avevano lasciato Ellesméra giunsero ad Aberon, la
capitale del Surda, nel tardo pomeriggio. Lì il siniscalco di re Orrin, Dahwar,
aveva riferito loro che Nasuada e i Varden li attendevano per la guerra. Essi
si trovavano nelle Pianure Ardenti, e dopo aver fatto
rifornimento di cibo, ripartirono.
A
tarda mattina del giorno successivo giunsero a destinazione.
I
vapori acri bruciavano agli occhi, e Arlin dovette asciugarsi infinite volte
gli occhi che lacrimavano. Scendendo di quota, l’aria si fece più limpida e
permise di avere una visuale del paesaggio: tutto era avvolto da una strana
luce arancione, causata dal fumo nero e rosso che filtrava i raggi del sole.
Persino l’acqua del fiume Jiet, che scorreva gonfio e sinuoso avanti a loro,
sembrava opaca anche a contatto con la luce.
Lungo
la riva orientale erano schierati due eserciti. A sud i Varden e il Surda, che
nonostante apparissero forti venivano nettamente
superati dall’enormità dell’esercito di Galbatorix.
Saphira
puntò veloce verso l’accampamento dei Varden, ma alcune
sentinelle che non avevano mai visto la dragonessa si accorsero di loro e iniziarono
a scagliare frecce.
-Eragon!-
urlò Arlin, tenendosi forte alla sella.
-Letta
orya thorna!- pronunciò il ragazzo, e le frecce vennero
deviate verso la terra di nessuno, quella fra i due accampamenti.
A
pochi metri da terra Saphira dispiegò le ali, atterrando in mezzo alle tende
dei Varden.
Orik
fu il primo a scendere, seccato dall’atterraggio di Saphira, poi smontò il
Cavaliere, che aiutò l’amica prendendola per la vita.
-Sono capace.- borbottò lei una volta a terra.
-Un grazie mai, eh?- scherzò Eragon.
Arlin
rispose con una smorfia.
Il
primo ad accoglierli fu un uomo barbuto, Fredric, il maestro d’armi dei Varden
nel Farthen Dûr. Costui si scusò subito per l’aggressione subita, ed Eragon
volle farsi condurre da coloro che Fredric aveva
decretato fossero fatti frustare.
Arlin
guardò stupita Eragon, e lo trattenne per un braccio. –Eragon..-
-E’
tutto a posto, Arlin.-
-Vengo
con te.-
-No,
cerca Areais.-
Arlin
esitò. –Eragon…-
-Ci
vediamo più tardi.- Il Cavaliere le sorrise, le scoccò
un bacio sulla fronte e se ne andò, seguendo Fredric. Saphira le passò accanto,
e la ragazza sentì le sue iridi zaffiro su di lei. Sospirando, Arlin attese di
veder sparire Eragon e Saphira dalla sua vista, poi si voltò. –Orik, vado a
cercare mia sorella.-
Il
nano annuì e la ragazza lo superò, iniziando a vagare per l’accampamento.
Probabilmente
nessuno la notò, ricevette soltanto un’occhiata dai
più curiosi. Le orecchie leggermente a punta erano ben nascoste dalla folta
chioma di capelli quasi mori.
Non
facendoci caso, Arlin adocchiò un soldato piuttosto
giovane, forse uno scudiero, impegnato a lucidare uno spadone.
-Scusa…-
iniziò lei.
Il
giovane alzò la testa e la osservò, gli occhi color della pece stupiti. –Mi
dica, signora.-
Non
badando al nominativo con cui l’aveva chiamata, Arlin
proseguì. –Sai per caso dove si trova Areais?-
-Areais?-
il suo volto era ancora più stupito. –Signora, siete per caso Arlin, compagna di Eragon Ammazzaspettri?-
-Non
sono sua compagna. Solo la migliore amica.- precisò lei, cercando di mantenere
la calma. Chi diavolo aveva messo in giro la voce che lei era la compagnadi Eragon?
-Ah.. in ogni caso, Areais..- abbassò lo sguardo. –Non lo
sapete?-
Il
cuore di Arlin si fermò. –Cosa?-
chiese quasi in un sussurro. –Cosa le è successo?-
-Bè..- esitò. –Qualche tempo fa. E’ stata rapita, e non si
hanno più notizie di lei.-
Fu
come se un baratro si aprisse all’improvviso sotto ai suoi
piedi e lei ci sprofondasse, senza possibilità di salvezza. Era un deja vu.
Lo
scudiero vide la reazione di Arlin, così si affrettò a
proseguire. –Ma.. signora, la stanno cercando
dappertutto. Dicono che si stanno muovendo persino le
spie ad Urû’baen.. ma potete andare a cercare Lady Nasuada, lei ne sa
certamente di più di me…-
-Grazie.-
fu la rapida e secca risposta della ragazza, che si allontanò in fretta,
diretta con passi nervosi verso la grossa tenda della regina, un grosso padiglione rosso su cui sventolava uno stendardo
ricamato con uno scudo nero su due spade incrociate. Un soldato esitò un
attimo, accanto al lembo della tenda d’ingresso.
-Arlin.-
L’altro
annuì, e scostò il lembo.
Nasuada
si trovava in piedi all’estremità di un grande tavolo,
dall’altro lato un uomo, probabilmente un ufficiale dell’esercito dei Varden.
Erano vestiti entrambi da battaglia.
Nasuada
la vide, e la osservò. –Arlin!- esclamò.
La
ragazza, col volto serio, ruotò il polso e si portò la mano al petto, nel gesto
di fedeltà degli elfi che le aveva insegnato Eragon.
–Per servirti.-
-Arlin!
Come mai…- la regina dei Varden la scrutò meglio, e la sua gioia nel rivedere
la migliore amica di Eragon Ammazzaspettri si
trasformò in ansia vedendo l’espressione cupa dell’altra. -…come mai tutta
questa serietà?-
-Dov’è?-
sibilò.
-Chi?-
-Dov’è??- Arlin si trattenne dall’urlare.
-Lady
Nasuada…- s’intromise l’altro, avanzando verso la sua signora.
Quest’ultima
alzò un braccio, senza però staccare gli occhi scuri da Arlin, poco più bassa
di lei. –Va pure fuori, Joel. Lasciaci sole.-
Contrariato,
l’uomo lanciò un’occhiata torva ad Arlin, che non gli diede peso, e uscì dal
padiglione.
Nasuada
sospirò. –Deduco che tu abbia saputo.-
-Dov’-è mia so-rel-la?- Arlin scandì bene le parole. Dai suoi
occhi verdi poteva ben trasparire una rabbia che stava per scoppiare.
-Era
qui, nell’accampamento. E’ sparita durante una notte, poco dopo la vostra
partenza. Nessuno l’ha vista né sentita. L’ultima volta che l’hanno vista è stata
poco prima che lei si ritirasse.-
-Chi
è stato l’ultimo a vederla?- domandò fredda la
ragazza.
-Lo
scudiero di Joel. Nessuno ha sentito niente.. non un
rumore, non un lamento. Niente. Però…-
-Però?-
-Una
sentinella mi ha confidato che gli è parso di vedere
l’ombra di un drago.-
Arlin
sgranò gli occhi. –Un.. un drago? Gli unici draghi che
ci sono, sono Saphira e quello di Galbatorix…-
-A
meno che un altro uovo si sia schiuso.- Nasuada
sospirò. –La mattina dopo il suo rapimento, Areais sarebbe dovuta partire per Urû’baen. Le avevo affidato una missione di primaria
importanza…-
-Che
tipo di missione?- di nuovo la diffidenza nello sguardo di Arlin.
-Recuperare
le uova di Galbatorix. Ma qualcuno ha rapito lei.-
-Pensi
ci siano spie?-
-Non
ne dubito.-
Arlin
deglutì. –Credi… che sia morta?-
-No.
Areais ne ha superate di peggio. Non preoccuparti,
quando meno te l’aspetti tornerà.- Nasuada le mise una
mano sulla spalla, e la guardò con occhi rassicuranti.
Arlin
stava per aprire la bocca e ribattere, quando il lembo della tenda si aprì ed
entrarono Eragon ed Orik.
************
************
niehal65:ancora grazie milleee!!! =) Kisso
Bilu_emo: sono
contenta che tu sia contenta che io sono contenta XD ok la smetto… comunque continua a recensire!! Baci
Picci93: Meno male che
Arlin sta simpatica… ^.^” Grazie anche a te, continua a recensire!! Kiss
totta91: Eccolo qui il seguito!! =) Spero che piaccia anche
questo capitolo U.U.. Bacii
Più che un vero capitolo, questo è una specie di riassunto prima della
guerra =) In alcune parti, come già successo in precedenza, ho preso spunto da
Eldest originale, quindi non stupitevi se troverete frasi simili XD
Più che
un vero capitolo, questo è una specie di riassunto prima della guerra =) In
alcune parti, come già successo in precedenza, ho preso spunto da Eldest
originale, quindi non stupitevi se troverete frasi simili XD
E ora,
buona lettura!
Nar Garzhvog
Dopo alcuni giorni furono nuovamente convocati nel
padiglione di Nasuada.
L’aria era tesissima, si percepivano benissimo
venti di guerra, e l’attesa era snervante. Per questo motivo Arlin passava
tutto il tempo o nell’arena ad esercitarsi con la spada, o a pulire Garjzla e
rifare la punta alle belle frecce regalatele da Islanzadi, oppure rinchiusa nella sua
tenda a fare pozioni curative da consegnare poi ai curatori del campo. Le sue
doti erano molto migliorate da quando era stata addestrata da Daryn.
Poteva fare
qualsiasi cosa, basta che non si fermasse. Se lo faceva,
tutti i problemi e pensieri più tristi le ritornavano alla mente. Dalla
scoperta della sparizione della sorella a quella che Eragon non stava mai con
lei, anche se ci aveva fatto l’abitudine a Ellesméra, a Murtagh… al fatto che
fra poco ci sarebbe stata una guerra.
Ancora peggiore
rispetto a quella nel Farthen Dûr.
Sospirando, la ragazza continuò ad avanzare verso il
padiglione. Intravide l’enorme sagoma di Saphira, Eragon che stava per entrare
nella tenda di Nasuada. Il Cavaliere si accorse dell’amica e la salutò. Arlin
sforzò un sorriso, diretto anche alla dragonessa, e senza guardare in faccia
nessuno, entrò per prima nel padiglione.
Nasuada riferì che un gruppo di Kull, una specie
di Urgali ancora più potenti, richiedevano un’udienza con lei, portando una
bandiera bianca.
Eragon era contrario, preferiva sterminarli,
poiché era pericoloso. Anche Jörmundur, ufficiale di Nasuada, era d’accordo con
Eragon, ma la regina dei Varden restava della sua idea.
Arlin taceva. Restava in disparte, seguendo il
discorso come un incontro di volano. Sentiva lo sguardo di Elva, la bambina la
cui benedizione impostale da Eragon si era rivelata essere una maledizione, su
di lei, ma faceva finta di esserne indifferente.
Alla fine della discussione ebbe la meglio
Nasuada.
Le guardie sollevarono i lembi dell’ingresso,
mentre il capo dei Varden si sedeva sull’alto scranno. Jörmundur e altri
comandanti si disposero in due file parallele davanti a lei, Eragon restò alla
sua destra ed Elva alla sinistra. Arlin accanto ad Eragon.
Poi comparve un Kull solitario, che teneva la
testa alta mostrando le zanne gialle. Alto più di otto piedi, dai lineamenti
forti ed orgogliosi, ma nello stesso tempo grotteschi. Le corna si ritorcevano
ai lati del capo, la muscolatura era possente.
Il Kull disse di chiamarsi Nar Garzhvog,
della tribù dei Bolvek. Iniziò a raccontare la sua storia,
del voltamento di spalle da parte di Galbatorix. Nar Garzhvog chiese di potersi
unire ai Varden, in cambio del sangue di Galbatorix.
Dopo alcuni minuti il dibattito finì. Gli Urgali
vennero fatti accampare lungo il lato orientale dell’esercito e per ordine di
Nasuada, chiunque avesse attaccato uno di loro sarebbe stato punito come se
avesse attaccato un compagno. Il Kull si allontanò, e nel padiglione fece il
suo ingresso Re Orrin, tutto trafelato. –Nasuada! E’ vero che ti sei incontrata
con un Urgali? Che cosa intendevi fare, e perché non sono stato avvertito
prima? Io non…-
Fu però interrotto da una sentinella. –Un uomo a
cavallo, mandato dall’Impero!- gridò.
Nasuada corse all’avanguardia dell’esercito,
seguita da un centinaio di soldati, senza badare alle proteste di Orrin. Eragon
montò su Saphira, poi guardò Arlin. –Sbrigati!-
La ragazza montò agile dietro al Cavaliere.
Saphira volò a destinazione e fermandosi vicino al terrapieno, le trincee e le
file di pali acuminati che proteggevano la prima linea dei Varden, i tre videro
un soldato su di un destriero nero avanzare al galoppo nella terra di nessuno,
fermandosi a una certa distanza dai Varden. Costui riferì che, siccome i Varden avevano rifiutato la proposta di resa di
Galbatorix fatta alcuni giorni prima, non ci sarebbero più stati negoziati.
Nessuno sarebbe sopravvissuto, nonostante il re fosse molto dispiaciuto. Poi
estrasse dalla sacca che portava al fianco una testa mozzata. La lanciò fra i
Varden, poi tornò sui suoi passi.
Eragon era infuriato e chiese a Nasuada se potesse
ucciderlo, ma il capo dei ribelli non glielo permise. All’improvviso Saphira
s’impennò piantando le zampe davanti sulla terra. Eragon dovette aggrapparsi al
suo collo per non cadere di sella, Arlin si strinse a lui. La dragonessa lanciò
un profondo e potente ruggito: un segno di sfida ai suoi nemici.
Il suono della sua voce giunse persino alle
orecchie del messaggero dell’Impero, il cui cavallo si spaventò, scivolando sul
terreno bollente. Il soldato, sbalzato a terra, finì su una vampa di fuoco
verde che eruttava proprio in quel momento. Il grido che lanciò, orribile, fece
accapponare la pelle a tutti.
Ma Arlin si lasciò sfuggire un
sorrisetto.
I Varden poi acclamarono Saphira, e anche Nasuada
sorrise. Battè le mani. –Attaccheranno all’alba, suppongo. Eragon, riunisci il
Du Vrangr Gata e preparati all’azione. Ti farò avere ordini entro un’ora.-
disse. Poi si allontanò con re Orrin per discutere sul piano.
Arlin tornò a fissare la terra di nessuno. Presto
quel luogo sarebbe stato coperto da tanti cadaveri. E solo allora si accorse di
quanto fosse cambiata la sua vita. Mentre viveva a Teirm, o a Carvahall, mai
aveva immaginato che si sarebbe unita ai Varden, dei quali avevano fatto anche
parte i suoi genitori. Ed ora si ritrovava invischiata in quella storia.
Sarebbe potuta andare via da lì quando voleva e dimenticare tutto e tutti. Ma
non poteva. Lodark e Ialia l’avevano protetta e addestrata, erano morti per non
tradire un loro ideale. Lei era destinata a diventare una spia Varden.
Ma è
davvero quello che voglio?
************
Arlin non riusciva a prendere sonno. Era riuscita
a riposare per un’ora, poi le era sembrato che la tenda fosse una prigione,
così si alzò dal giaciglio e decise di prepararsi per la guerra. Indossò le
stesse vesti che aveva portato anche nella battaglia nel Farthen Dûr: i
pantaloni in pelle neri con gli stivali marrone scuro e il corpetto nero che
lasciava nude le braccia. Ai polsi aveva dei bracciali in metallo leggero, che
l’avrebbero protetta da alcuni colpi. In vita indossava la spessa cintura con
il fodero di Garjzla che pendeva dal fianco sinistro, mentre da quello destro e
accanto alla spada portava i Sai regalati da Daryn, e nascosto nello stivale destro portava lo
stiletto di Litiën. I lunghissimi capelli erano legati in un’alta coda di
cavallo, solo due ciocche più corte ricadevano in morbide onde ai lati del
pallido viso.
Aveva rifiutato qualsiasi armatura le era stata
offerta: quando combatteva doveva essere libera nei movimenti, in più doveva
tenere sotto controllo la sua capacità di leggere nei pensieri altrui.
All’inizio le dava fastidio, le dava l’impressione d’invadere l’intimità della
gente. Ora stava imparando a controllare quell’abilità.
Arlin uscì dalla tenda, e iniziò a vagabondare per
l’accampamento.
Vide Eragon impegnato a trasferire l’energia nella
cintura che gli aveva donato il suo maestro Oromis, circondato da alcuni nani e
Urgali. La ragazza proseguì nel suo vagare, ma il Cavaliere la vide e la
chiamò. Arlin si voltò lentamente.
Mentre Eragon forzava un sorriso, lei non ci
provava nemmeno. Il suo volto restava serio.
-Arlin! Non dovresti essere a dormire?- chiese
lui.
-Non ci riesco. E poi, nemmeno tu ti stai
riposando.- ribattè l’altra, sedendogli vicino.
Eragon sogghignò. –Per il tuo stesso motivo.- la
osservò. –Stai bene?-
La ragazza non volle incrociare il suo sguardo.
–No, come tutti penso. Fra poche ore ci sarà una guerra.-
Il Cavaliere annuì e guardò il cielo notturno.
Capiva che c’era qualcos’altro turbava l’amica, ma non insistette. Se si fosse
mostrato preoccupato, Arlin si sarebbe infuriata. Ormai la conosceva talmente
tanto bene da poter prevedere le sue reazioni.
Devi
essere paziente, Eragon. Ha saputo che sua sorella è sparita, e fra poco ci
sarà una guerra. Ha i nervi tesi, come tutti, gli disse Saphira, dietro di lui.
Già. Ma
mi sento impotente. Non so come aiutarla, e mi sento anche in colpa. Non avrei
mai dovuto permetterle divenire con me quella notte a caccia… non avrebbe visto il tuo
uovo e non si sarebbe messa a far ricerche. Non sarebbe stata coinvolta.
Non dire
così piccolo mio. Senza di te, Arlin non avrebbe mai
incontrato Areais.
Ma non
avrebbe conosciuto nemmeno Murtagh, non sarebbe mai venuta in guerra, non le
avrei fatto correre rischi mortali inutili…
Non
avrebbe studiato da Daryn e non sarebbe diventata quello che è ora…
Eragon esitò un attimo. Tu vedi sempre la faccia migliore della medaglia.
E tu
sempre quella peggiore.
************
Arrivò l’alba, e con essa le urla di dolore che
Angela e Arlin aspettavano. Dopo che l’indovina ebbe spiegato ciò che avevano
fatto con il permesso di Nasuada, Orik s’infuriò con le due. Non lo riteneva un
gesto leale, avvelenare cibo e acqua degli avversari.
-Perché non me lo hai detto?- chiese Eragon
all’amica. Ora capiva il motivo della freddezza di lei.
-Era una missione segreta. Se l’avessimo rivelata
a qualcuno avremmo corso il rischio che la notizia giungesse alle orecchie
delle spie.- spiegò lei.
-Nasuada non si fida di me forse?- domandò il
Cavaliere.
-Non è questo il punto. Se te lo avessi detto, qualche spia avrebbe potuto sentirci. Capisci?-
-Sì, ma Saphira avrebbe potuto controllare che
fossimo soli.-
Arlin sbuffò. –In ogni caso, quel che è fatto è
fatto. Angela mi ha chiesto se ero in grado di preparare diversi veleni, e mi
ha spiegato il piano che aveva elaborato con Nasuada. Così l’ho fatto. E la
notte scorsa…-
-Quando abbiamo visto lei arrivare
dall’accampamento dell’Impero?- chiese il nano indicando col capo Angela.
-Esatto. Poco prima ero andata io ad infiltrarmi.
Ho somministrato la belladonna e altre tossine agli ufficiali perché abbiano
delle allucinazioni in battaglia.-
-E perché non ti abbiamo vista?-
La giovane sorrise. –Ho i miei metodi per non farmi vedere.-
Eragon e Orik non dissero nulla.
I lamenti dei soldati crescevano, e le Pianure
Ardenti echeggiavano delle grida penose degli uomini morenti.
Ecco
qui il nuovo capitolo!! La guerra dunque è iniziata..
Buona
lettura!!
Tempesta
Arlin era andata con Nasuada.
Eragon e Orik erano rimasti con i
nani e i Kull. I primi raggi illuminavano le pianure quando Tiranna, la guida
del Du Vrangr Gata, avvisò il Cavaliere che era giunto il momento.
I Varden avanzavano in ranghi
serrati, con corazze e armi avvolte in stracci affinché non fosse udito nessun
rumore dall’Impero. Saphira ed Eragon si unirono al corteo quando comparvero
Nasuada, in sella ad un roano, affiancata da Arlin e Tiranna. I cinque si
lanciarono occhiate d’intesa.
Riuscirono ad avanzare indisturbati
fino a tre quarti della terra di nessuno, poi le sentinelle dell’Impero
suonarono i corni di allarme. A quel punto Nasuada urlò. –Eragon, ora! Di’ a
Orrin di attaccare. Varden, a me! Combattete per riprendervi la vostra terra!
Combattete per salvare le vostre mogli e i vostri figli! Combattete per
sconfiggere Galbatorix! Attaccate, e bagnate le vostre lame col sangue dei
nostri nemici! Carica!- spronato il cavallo, trottò veloce verso l’esercito
dell’Impero, e fu seguita dai suoi uomini.
Attaccò anche Orrin con la sua
cavalleria e i Kull ai fianchi dell’Impero, respingendo i soldati verso il fiume
Jet. Poi gli schieramenti si scontrarono, e ognuno cozzò contro l’avversario.
Mentre Arlin, scesa da cavallo, combatteva al fianco di Nasuada, Eragon era
impegnato prima a trovare ed eliminare gli stregoni di Galbatorix poi a
distruggere le catapulte nemiche.
Nasuada venne ferita ad una coscia,
e Arlin udì il suo urlo. Corse verso di lei, e infilzò alla schiena, a livello
del cuore, il soldato che l’aveva colpita. Quello crollò a terra.
-Grazie, Arlin. Vieni con me ora.-
Nasuada fece voltare il suo cavallo.
-Ma, mia signora…-
-Coprimi mentre parlo con Eragon!-
La giovane annuì e andò a
recuperare il suo destriero, dopodichè precedette il
capo dei Varden, aprendogli strada fra i soldati fino ad Eragon e Saphira. Con
la coda dell’occhio la ragazza vedeva che Nasuada faceva fatica persino a
parlare, e mentre lei diceva qualcosa al Cavaliere, Arlin teneva a bada un paio
di soldati che l’avevano presa di mira. Schivò l’attacco di uno, facendo una
piroetta verso destra, e colpì alla gola l’altro soldato. Quello che l’aveva
attaccata per primo si gettò contro di lei, ma Arlin parò facilmente il colpo.
Gli fece un paio di finte alte, successivamente lo colpì allo stomaco. Si
allontanò, lasciandolo agonizzante a terra. Ma venne assalita ancora da altri
due. Fece in tempo a vedere però Saphira ed Eragon, circondati da nani e Kull,
che si facevano largo verso la prima linea. Erano una sola identità.
Ma l’Impero stava avanzando, i
Varden venivano respinti verso l’accampamento.
Arlin ed Eragon s’incontrarono sul
campo di battaglia.
-Arlin! Sei
ferita?- le chiese lui, mentre combattevano schiena contro schiena.
-No! Sono riuscita a farmi degli
incantesimi di protezione, non sono una sprovveduta.- ribattè lei mentre
abbatteva un nemico.
-Bene! Non vorrei mai che ti
succedesse qualcosa…-
-Eragon! Quante volte ti devo dire
che so badare a me stessa?-
-D’accordo… l’importante è che sei
sicura tu.- infilzò un uomo con Zar’roc. –Visto che non ti sei mai fidata molto
della magia.-
-Ci sto prendendo la mano.- girarono, e il Cavaliere parò un colpo destinato
alla ragazza. Ruotando nuovamente, Arlin mozzò la
testa al nemico. –E poi riesco soltanto gli incantesimi minori, come quelli di
protezione e quelli di guarigione. Di più non riesco a fare.-
-Bene… ma stai attenta. Devi capire
il tuo limite.-
-Già fatto, non preoccuparti.-
I due amici si guardarono.
-In bocca al lupo, Arlin.-
-Fate attenzione, tu e Saphira.-
Lui annuì, e si allontanò con la
dragonessa e la loro scorta. Arlin non potè permettersi di fermarsi a guardarli
andarsene, e dovette tornare da Nasuada.
************
Il sole stava iniziando a calare
quando a est risuonò uno squillo di tromba.
-I nani sono qui! I nani sono qui!- gridò re Orrin.
Eragon si alzò in volo su Saphira,
e vide il grande esercito di nani, guidato da re Rothgar che alzò la sua mazza
da guerra, Volund, quando vide il Cavaliere e la dragonessa. Eragon ululò e
sventolò Zar’roc in aria.
Poi però il Cavaliere si allontanò.
Una
nave si sta avvicinando. Se appartiene a Galbatorix la affonderemo, le comunicò mentalmente il Cavaliere all’amica.
D’accordo,
fu la breve risposta di lei,
impegnata con altri due soldati dell’Impero.
Arlin si gettò su un altro gruppo
di soldati, colpendone uno alla schiena. Con l’agilità di una gatta, la ragazza
si scansò evitando la lama di un soldato, piegandosi e provocando un taglio
sulle gambe di un altro. Si rialzò, e dovette tenere a bada due uomini
contemporaneamente. Le risultò difficile, ma doveva farcela.
Uno dei due la colpì al polso, e
Garjzla le scivolò dalla mano. Veloce, la ragazza estrasse i Sai e parò i colpi
successivi. Vide la faccia stupida dei due, e lei gli
sorrise. –Addio.- roteò le armi, e tagliò la gola ad entrambi.
Ripulì le lame dei Sai e anche
quella di Garjzla, anche se sapeva che si sarebbe sporcata nuovamente di
sangue.
Più tardi, vide che Eragon stava
tornando, in sella a Saphira.
Eragon,
chi sono?
Il Cavaliere non rispose.
ERAGON!
Arlin…
Eragon,
cos’hai?, chiese lei, seriamente preoccupata, tagliando un
braccio ad un nuovo avversario.
Nulla,
è che…sulla nave, c’è tutta Carvahall.
-Carvahall?- esclamò la ragazza, mentre le si parava davanti
l’ennesimo soldato dell’Impero.
Quest’ultimo, credendo che la
giovane ce l’avesse con lui, fece una faccia confusa.
Senza badarci, Arlin si piegò e lo
colpì dal basso verso l’alto.
Carvahall??
Già…ne
parliamo dopo.
Ok.
L’arrivo dei nani favorì i Varden:
l’impero venne respinto, aiutato anche dagli effetti dei veleni di Arlin e
Angela.
Il sole intanto scivolava verso gli
smaglianti colori del pomeriggio.
All’improvviso echeggiò un corno
dalla retroguardia dell’Impero. Fu poi il turno di un tamburo. Il campo era
immobile, tutti si voltavano verso la fonte del rumore. Una figura si staccò
per levarsi livida nel cielo delle Pianure Ardenti. Non si capì cosa fosse,
fino a quando un raggio di luce trapassò le nubi, illuminando di lato la
figura: un drago rosso, le cui membrane delle ali erano di un colore simile al
vino visto in controluce. Artigli, zanne e le punte dorsali erano color
vermiglio.
La sorpresa di Eragon e Arlin venne
ben presto sostituita da terrore quando il nuovo Cavaliere alzò la mano
sinistra, da cui partì un fulmine di energia rossa che colpì Rothgar in pieno
petto. Anche gli stregoni intorno a lui cedettero nel tentativo di proteggere
il loro re, e caddero a terra, morti.
Arlin non si mosse, ma sentì salire
la rabbia, e urlando con tutto il fiato che aveva in petto eliminò con un colpo
secco un soldato che provò ad attaccarla. Vide Eragon salire in sella e andare
contro il drago rosso.
ERAGON!!
Il Cavaliere si voltò e la guardò.
Arlin lesse la sua indecisione, se andare da lei oppure andare a combattere
senza salutarla, ma la ragazza gli corse incontro, e lui l’aspettò, smontando
da Saphira.
-Eragon…- senza dargli il tempo di
dire e fare nulla, Arlin gli gettò le braccia al collo.
Lui ricambiò. –Andrà tutto bene.-
-Ti prego…-
-Arlin, questa volta sono io a
dirti di non preoccuparti. Tu resta concentrata sulla battaglia. Nasuada ha
bisogno di te.- disse lui con voce atona.
I due si separarono. Lei aveva gli
occhi lucidi, e lui le accarezzò una guancia. –Ci vediamo dopo.- la baciò in
fronte, poi si voltò e salì sulla sua dragonessa.
Arlin avrebbe voluto dirgli che
Nasuada aveva bisogno anche di lui…soprattutto di lui. Ma tacque, e restò a
guardare rassegnata Eragon.
Era quella la sua vita, non poteva
farci nulla.
Ma lo aveva sempre saputo.
La ragazza guardò Saphira, e la
dragonessa ricambiò lo sguardo.
Arlin…, Saphira si fece largo nella sua mente.
Saphira
ti prego, fate attenzione.
Baderò
io a Eragon. Non permetterò che gli accada qualcosa.
Bada
anche a te però.
Gli occhi zafferei di Saphira si
addolcirono, forse solo per tranquillizzarla, poi la dragonessa spiccò il volo,
diretta verso il nuovo drago.
Arlin però non potè restare ferma
per tanto, perché un gruppo di soldati dell’Impero la circondarono. Prima lei
li guardò spaesata, poi con aria di sfida. –Avanti, chi si fa sotto per primo?-
chiese spavalda, facendo roteare minacciosa Garjzla al
fianco.
Le
avevano detto per qualche tempo di combattere per qualche tempo di combattere
nella fila del DuVrangrGata. Nonostante sapesse poco niente di magia, Arlin aveva
ora anche del sangue elfico nelle vene, la magia le usciva spontanea così come
le parole.
Dopo
alcuni minuti la ragazza, aiutata da Trianna, riuscì
ad abbattere prima uno stregone che ne aveva eliminato già uno di quelli dei
Varden, poi un secondo.
Arlin
sospirò. Sentiva che ormai stava per esaurire le forze. Nemmeno ad Ellesméra aveva dovuto sopportare un simile sforzo mentale
e fisico.
Sentì
una presenza accanto a lei e vide Nasuada, il volto stanco e provato. I
guaritori avevano provveduto a curarle la ferita alla coscia. –I miei
complimenti, Arlin. Sei molto migliorata con l’addestramento degli elfi.-
-Tutto
merito loro.- Già le aveva detto dell’incantesimo di Litiën e del fatto che
quindi possedeva alcune fra le principali capacità elfiche.
Il
capo dei Varden sorrise. –Meglio per noi. Abbiamo un altro asso nella manica.-
forzò un sorriso.
La
ragazza invece non sorrise. Continuò ad osservare la battaglia. –Mia signora,
posso andare sul campo? Qui il pericolo maggiore è risolto. Il DuVrangrGata
ora è in grado di cavarsela da solo.- disse calma. Non ce la faceva a stare
ferma per troppo tempo. Preferiva togliere di mezzo i soldati dell’Impero che
stare ferma ad individuare menti di stregoni avversari e sfondare le loro
barriere magiche.
-Va
bene, hai ragione. Và pure.-
Arlin
annuì, estraendo Garjzla dal fodero, e non appena si voltò le cadde lo sguardo
nel luogo dove stavano combattendo i due Cavalieri. Vide Eragon scivolare e
cadere, ma rialzarsi un attimo dopo e andare addosso all’altro Cavaliere.
Quest’ultimo però gli fece volare via Zar’roc con una semplice torsione di polso.
Arlin
non pensò, fece solo quello che le disse l’istinto. Forse Nasuada capì le sue
intenzioni, forse tentò di fermarla, ma la ragazza non si fermò. Continuò a
correre verso Eragon, una corsa disperata, spingendo bruscamente di lato
chiunque le intralciasse la strada.
Sto arrivando,
resisti…resisti…
Nel
mentre, Eragon aveva ripreso Zar’roc e stava bloccando la sua spada con quella
a una mano e mezza dell’altro fra i loro corpi. Proprio quando la ragazza
giunse ad una decina di metri dai due, Eragon strappò l’elmo dalla testa
dell’avversario.
Arlin
sentì il cuore fermarsi, tutto il corpo ebbe un debole spasimo e all’improvviso
si sentì senza forze, come se una ventata gelida le avesse portato via l’anima.
Garjzla per poco non le scivolò dalla mano.
Al
centro del pianoro, ai margini delle Pianure Ardenti di Alagaësia, c’era
Murtagh.
************
Colui
che era morto.
Lo sapevo che non era
morto!! Aveva ragione Litiën quando diceva di credere veramente che fosse vivo,
che un giorno ci saremmo rincontrati…
Ora
era lì, davanti a lei, che lanciava un incantesimo su Eragon, che venne
sbalzato indietro di circa venti iarde.
Non
capiva. E forse nemmeno voleva farlo. La cosa più importante, per lei, era che
lui fosse vivo. Era già qualcosa.
Non
riuscì a sentire il racconto che fece Murtagh a Eragon, visto che si fecero
avanti una decina di soldati. La ragazza tornò in sé, ma non del tutto. Un
misto di collera, confusione e felicità la pervadevano.
Murtagh
era vivo, certo… ma stava dalla parte di Galbatorix.
Perché ci hai traditi??
Arlin
colpì con foga un soldato, e tagliò rapida la gola ad un altro.
Era
stanca di combattere, non ce la faceva più. Ma aveva ancora otto avversari da
stendere. Li guardò uno per uno, lanciando scintille assassine dagli occhi, e
uno di loro le si avventò contro. Così la ragazza ricominciò una lotta simile
ad una danza, muovendo piccoli passi ma rapidi, per risparmiare le forze.
Doveva
andare ad aiutare Eragon… Murtagh restava in ogni caso un nemico.
Con
la coda dell’occhio riuscì a vedere che l’amico veniva incatenato a terra da un
altro incantesimo, successivamente anche Saphira venne imprigionata da una
magia.
Murtagh
era davvero diventato forte.
Arlin
uccise anche l’ultimo soldato, e si fermò ansante.
Mai
aveva ucciso tante persone. Che magari avevano una famiglia… magari erano state
obbligate a combattere per Galbatorix, e lei le aveva uccise.
Scosse
la testa, come per scacciare quei pensieri, e si voltò.
Proprio
in quel momento si voltava anche Murtagh. Inequivocabilmente i loro sguardi
s’incrociarono.
Il
Cavaliere restò per un istante impietrito.
Arlin.
La
sua Arlin.
Ma è ancora tua?
Murtagh
non poté fare a meno di non squadrarla: bella come se la ricordava, forse anche
di più, con i capelli scuri raccolti dietro la nuca, che le accentuava la forma
del viso piccolo e pallido. Le vesti nere erano sporche di terra e sangue, così
come la lama della spada che reggeva in mano. In vita vide che portava due armi
nuove, due Sai.
Prima
non li aveva.
E
intravide l’elsa ben lavorata di uno stiletto che usciva dallo stivale destro.
Quella
era la vera Arlin, anche se molto cambiata.
I
suoi lineamenti erano poco più raffinati, simili a quelli di Eragon, e le
orecchie ben visibili lasciavano scoperte le punte leggermente appuntite.
Non
era una trasformazione completa come quella di Eragon.
La
ragazza, da parte sua, era indecisa. Ascoltare l’istinto che le diceva di
abbracciarlo, lasciarsi andare alla felicità dell’averlo ritrovato… oppure
sfidarlo, rispettando i suoi doveri di guerriera Varden. Non sapeva nemmeno
cosa pensare, mentre anche il Cavaliere la osservava.
-ARLIN!!
VATTENE SUBITO!!- Eragon.
La
ragazza però non si mosse, era come in uno stato di semi coscienza.
Anche
Saphira ringhiò. Eragon, non riesce a
sentirci!
-ARLIN!!!-
ruggì, in preda dal panico.
Ma
che stava facendo? Perché restava immobile?
Poi
vide una cosa che non si sarebbe aspettato: gli occhi di Arlin divennero
lucidi, e lasciò andare Garjzla per correre incontro a Murtagh.
I
due si abbracciarono, scorse una piccola lacrima attraversare la guancia della
ragazza per poi finire sulla spalla dell’altro.
-Murtagh…lo
sapevo…- Arlin lo strinse forte, sentendo il suo odore, che tanto le era
mancato.
-Arlin…ti
prego, perdonami.- la sua voce era atona.
La
ragazza si separò, guardandolo in volto: non era cambiato, aveva gli stessi
occhi azzurri color del ghiaccio, forse ora più freddi e duri… e gli stessi
capelli neri, un po’ più lunghi di quanto se li ricordasse. –Che ti è successo?
Perché.. sei dalla parte di Galbatorix?-
-Ti
spiegherà tutto Eragon. Arlin, c’è una cosa che devi sapere. Riguarda tua
sorella.-
Arlin
s’irrigidì. E la sua felicità sparì. Guardò infuriata Murtagh. –Sei stato tu a
rapirla?- domandò a denti stretti.
-Sì.
Mi era stato ordinato di rapire te. Non pensavo che avessi una sorella…-
Arlin
balzò indietro, facendo sobbalzare Murtagh. Estrasse i Sai.
-Calmati,
per favore!-
-Calmarmi?
Come faccio a calmarmi?! Hai rapito mia sorella!!-
-Sono
io, Murtagh. Colui che hai baciato nel Farthen Dûr.- ribatté calmo lui.
Arlin
non si scompose. Certo, forse lo aveva baciato. Ma le cose erano cambiate.
–Già. Ma tu ora servi l’Impero. Io i Varden. Sei da principio un mio nemico.-
-La
pensi davvero così?-
-Come
dovrei pensarla allora?- La ragazza si preparò ad attaccare. La furia ormai la
stava accecando. –Dove l’hai portata?-
-Prima
ad Urû’baen. Poi credendo che fossi tu ho tentato di farla evadere, ma le
guardie l’hanno scoperta e lei si è gettata da una finestra. Con l’ultimo uovo
di drago.-
La
ragazza restò immobile. Era dunque riuscita a prenderlo? Sua sorella era
davvero fenomenale. Ma la seconda parte… -Gettata?-
-Sì.
Ma ho mandato in tempo Castigo a recuperarla. Ora si trova a Dras-Leona.-
Arlin
sospirò. Almeno era viva. Forse una cosa buona Murtagh l’aveva fatta. –Ben gli
sta al tuo re. Gli ha sottratto l’uovo da sotto il naso.- disse sfacciata,
trattenendo un sorriso.
-Non
riderai più quando sentirai il resto.-
-Ossia?-
-Prova
ad arrivarci. Credevo fossi tu. Indovina cosa sia potuto accadere.- Dal volto
di Murtagh non traspariva nessuna espressione.
Arlin
si bloccò. E vide tutto chiaro. –No…-
-L’ho
baciata.-
-MALEDETTO
TRADITORE INFAME!!- La ragazza si gettò contro di lui, attaccando con i Sai.
Murtagh
si difese facilmente con Zar’roc, come se si stesse allenando. Non faceva il
minimo sforzo, e Arlin lo capì. Ma era stanca, era tutto il giorno che non
faceva altro che combattere. Era esausta.
Tentò
di risparmiare energie, parando i colpi dell’avversario piuttosto che evitarli,
ma non servì a nulla. Sentiva il braccio pesante, stava per cedere.
Murtagh
però non la colpiva. Si vedeva, non combatteva sul serio.
Non
voleva ferirla.
Arlin
s’irritò leggendogli la cosa negli occhi, così si piegò e gli fece uno
sgambetto.
-Letta!-
pronunciò Murtagh.
-Brisingr!-
ringhiò Arlin, puntando il palmo destro verso di lui.
Straordinariamente,
il fuoco argentato della ragazza ebbe la meglio, e l’incantesimo colpì in pieno
petto Murtagh.
La
parte buona di Arlin avrebbe voluto subito soccorrere il Murtagh che urlava di
dolore.
La
parte vendicativa invece prevalse, e la ragazza restò in piedi, ad osservare
l’armatura del Cavaliere che si sporcava di bruciato, lo sguardo freddo.
Non
sapeva come aveva fatto a colpire Murtagh, visto che lui aveva molte più
energie di lei, in quel momento. Le venne ancora alla mente il fatto che forse
si era lasciato colpire. Arlin si morse un labbro, e Murtagh smise di urlare.
-Ti
è bastata come lezione?- gli chiese pacata.
Il
Cavaliere la guardò. Non la riconosceva più… ma doveva capirla. Le aveva fatto
molto male, anche se non l’aveva fatto apposta. Se lo meritava, per questo non
opponeva resistenza, solo quella poca necessaria per non restarci secco. Arlin
faceva sul serio, se si fosse distratto anche per un solo istante lo avrebbe
fatto fuori. Non rispose alla sua domanda.
Con
un rapido movimento, Murtagh afferrò Zar’roc e balzò in piedi, di fronte ad
Arlin, puntandole la lama rossa alla gola.
-Non
puoi sconfiggermi, Arlin. Nessuno può farlo.-
-Sei
un presuntuoso se pensi di aver vinto.-
-Ma
ho vinto.-
-Per
ora. Goditi questi momenti, perché non torneranno.- Arlin sputò fuori quelle
parole.
Murtagh
non disse nulla. Si limitò ad abbassare la spada, la rinfoderò e salì in groppa
a Castigo. Non si voltò una volta mentre si allontanava in volo sul suo drago
rosso.
Erano
passati due giorni dalla fine della guerra, ed erano due giorni che Arlin non
usciva dalla sua tenda. Le avevano portato da mangiare, ma lei non aveva
toccato cibo. Le avevano persino mandato Eragon e poi Angela, una volta anche Nasuada
stessa. Nessuno era riuscito a concludere qualcosa, Arlin aveva lo stomaco
chiuso.
Sentiva
che se avesse mangiato qualcosa sarebbe stata male.
Era
pallida come un cadavere, gli occhi gonfi e arrossati con profonde occhiaie
scure.
Non
dormiva, non mangiava e non parlava.
Arlin
osservò con sguardo spento il cielo coperto dalla solita nebbiolina delle
Pianure Ardenti. Eragon sarebbe partito quel giorno.
La
ragazza avanzò nell’accampamento fino a raggiungere l’arena. Si sentiva un
fantasma fuori posto.
Roran
era già nel punto di ritrovo impaziente. Presto la sua Katrina sarebbe tornata
fra le sue braccia, in salvo.
Roran
alzò la testa e la vide. Le fece cenno di avvicinarsi con un’evidente
espressione sollevata nel vedere Arlin all’aria aperta. Dopo un attimo la
ragazza gli andò incontro.
-Arlin!-
Roran l’abbracciò. –Sono contento di vederti.- aggiunse separandosi.
Lei non
sorrise, non ci riuscì. Non parlò nemmeno, e lo sguardo del ragazzo si
rattristò. –Ti ricordi quella volta che Eragon ti aveva rubato il ciondolo che
ti aveva regalato Brom?-
Arlin
si limitò a fissarlo. Il ciondolo di cui parlava era quello che indossava
sempre, una mezzaluna d’argento.
“Quando sei arrivata a Carvahall nel
cielo c’era una mezzaluna”, le
aveva detto Brom.
Arlin
aveva nostalgia di quei tempi, quando le sue uniche preoccupazioni erano la
spada e le erbe. Ora doveva fare i conti con la guerra, il suo obiettivo era
restare in vita.
-Non
gli hai parlato per due giorni. Poi appena te lo ha ridato è tornato tutto come
prima.-
-Eravamo
bambini.-
Erano
le prime parole che diceva. La sua voce era bassa, roca dal troppo pianto.
Secondo la teoria di Roran, Eragon avrebbe dovuto riportargli Murtagh…
Sono fratelli.
Arlin
rabbrividì.
-Lo so.
Ma lo sai lui quanto ci era rimasto male quella volta?-
-Non mi
ha mai chiesto scusa.-
-Però
te lo ha ridato.-
La
ragazza sospirò, trattenendo le lacrime. Credeva di averle terminate. –Io…-
-Quello
che voglio dirti è che Eragon è disposto a fare tutto pur di vederti sorridere.
E lo voglio anche io. Concedigli un po’ della tua fiducia, e vedrai che
riuscirà a sistemare ogni cosa.-
-Sono
innamorata di suo fratello, colui che ha tradito i Varden e me. Sono un
completo fallimento.-
-Smettila
di commiserarti! Nasuada conta su di te per molte cose, e da quello che ho
capito dagli elfi sei diventata molto più forte. Sono sicuro che Murtagh si
ricrederà, prima o poi.-
Arlin lo
guardò con gratitudine.
-Arlin.-
La
ragazza si voltò, vedendo Eragon e Saphira alle sue spalle.Abbozzò un sorriso che assomigliava tanto ad una smorfia.
Il
Cavaliere le andò vicino. –Come ti senti?-
-Tu come
mi vedi?-
Lui non
rispose.
-Ho
avuto il mio attimo di debolezza, Eragon, ma credo di essere giunta ad una
conclusione.- lo guardò negli occhi. –Non m’importa un accidente se sei figlio
di Morzan, io ti conosco come Eragon figlio di Garrow e tale resterai. Solo…-
la sua voce s’incrinò. –Devo farti promettere una cosa.-
-Dimmi.-
-Non
dovrai mai uccidere Murtagh. Promettilo.-
-Arlin,
lo so cosa provi e anche io non sono allegro all’idea di affrontarlo, ma se…-
-So che
anche lui la pensa così e non avrà mai la forza di volontà sufficiente per
eliminare suo fratello. Ti prego, promettimelo.-
Eragon
la osservò. Nella sua fragilità, Arlin sapeva come essere convincente
sfruttando il suo aspetto trasandato che faceva una gran pena. Il Cavaliere
sospirò. –D’accordo, Arlin. Ma ricorda, se mi dovessi trovare in una situazione
critica e non avessi altra scelta, dovrò farlo.-
-Non lo
faresti comunque.-
-Perché?-
-Perché
sai cosa provo per lui.-
Eragon
tacque.
E’ ora di andare, disse Saphira.
-Fate
attenzione.- raccomandò Arlin mentre la dragonessa permetteva al Cavaliere e
suo cugino di salirle in groppa. Roran era terrorizzato all’idea di volare,
Eragon gli lanciava delle occhiate ridendo sotto i baffi. Una volta che si
furono sistemati in sella, Eragon la salutò con una mano, Roran si limitò ad un
cenno del capo avendo le mani allacciate alla vita del cugino.
Non lasciare che il passato
s’impadronisca della tua mente. Guarda al futuro.
Grazie, Saphira. Sii cauta.
Lo farò.
La
dragonessa fece leva sulle zampe posteriori e si lanciò verso l’alto, alzando
una nube di terra che si mischiò a quella dell’umidità.
Dopo già
qualche minuto, la sua sagoma era un vago puntino nero nell’immensità, l’urlo
di Roran che rompeva la quiete dell’accampamento.
Bene, gentili lettori e lettrici,
innanzitutto chiedo per l’ennesima volta scusa per l’enorme ritardo e per la
brevità di questo capitolo…
Dal prossimo inizierà Brisingr, che non
ha quasi niente a che vedere con quello scritto da Paolini, visto che avevo
pensato a come sviluppare il mio racconto prima che lo pubblicasse ^.^”
Vi prego di recensire, anche se i
capitoli non sono di vostro gradimento.. (ci penserò poi io muhaha..scherzo,
ovviamente ^.^)
Come già avevo premesso alla
fine del capitolo precedente, da questo inizia Brisingr-Empire secondo la mia
fantasia. Se prima avevo seguito i libri di Paolini, da qui in poi sarà tutto
di mia invenzione.
E’ il mio turno
La Bugola era pronta per essere
travasata, il processo di macerazione era completo. Aveva lasciato la pianta
immersa in un particolare olio elfico, adatto per creare un medicinale.
Preferiva avere qualche boccetta di
riserva, per ogni evenienza, e non appena aveva un po’ di tempo libero ne
preparava qualcuna. Era anche un modo per tenersi in esercizio.
Filtrò la sostanza in una delle
boccette, per separare i grumi dalla parte che sarebbe stata usata per curare
le ferite. Buttò lo scarto e chiuse il piccolo contenitore, mettendolo da parte
insieme agli altri. Li guardò, soddisfatta del proprio lavoro, dopo di che
prese un’altra boccettina contente un liquido denso dorato e uscì dalla sua
tenda.
Eragon, Saphira e Roran erano partiti da
un po’ di giorni, e non si avevano ancora notizie. Probabilmente non ne
avrebbero avute fino al loro ritorno.
Arlin alzò lo sguardo ma non vide il
cielo, perennemente coperto dalla fitta nebbiolina caratteristica delle Pianure
Ardenti.
Come sempre l’accampamento era in
subbuglio, i paggi correvano in ogni direzione pronti a compiere gli incarichi
affidati dai loro superiori. Non c’erano solo uomini, ma anche Kull. Ne vedeva
alcuni, solitari, guardarsi intorno con aria spaesata.
Le sembrava di rivedersi ad Ellesméra,
l’unico essere umano tra gli elfi. Loro erano pochi Kull tra gli esseri umani.
Loro però vivevano col pregiudizio di essere stati alleati di Galbatorix,
continuamente giudicati dagli sguardi sospettosi dei Varden.
Alcuni credevano che fosse tutto un
piano ben organizzato, che i Kull in verità non si erano mai ribellati a
Galbatorix e aspettavano solo l’occasione giusta per poterli attaccare.
Tutte fantasie per i più scettici.
Arlin si diresse verso la tenda di
Angela, reggendo il boccettino.
Per strada incrociò Fredric, il maestro d’armi,
che accennò un segno del capo. Arlin ricambiò e proseguì.
Presto entrò nella tenda di Angela. –E’
premesso?-
-Ormai sei già dentro.-
-Ti ho portato questo.- la ragazza tese
alla donna ciò che portava.
Angela se ne stava seduta al tavolino
dove leggeva il futuro dei soldati, Solembum accoccolato in un angolo della
tenda. –Che cos’è?-
-Olio curativo elfico. Ho pensato che ti
avesse fatto piacere averne un po’.-
L’indovina prese la boccetta,
rigirandosela davanti agli occhi. –Ti trattava bene il tuo maestro, eh?-
-Solo se gli davo soddisfazioni e facevo
il mio dovere.-
Angela sorrise. –Ti ringrazio.-
-Di nulla.- Arlin si voltò e fece per
uscire.
-Stanno bene.-
-Per ora.-
Angela restò in silenzio per qualche
secondo. –Da quando sei diventata così pessimista, Arlin?-
-Non sono pessimista, solo realista. Ho
capito che la vita riserva molte sorprese, spesso inaspettate. Potrai predire
il futuro quanto ti pare, ma non si è mai pronti ad accettarlo.-
-Alcuni lo accettano.-
Arlin fissò Angela.
-Vuoi che legga il futuro per te?-
Arlin scosse la testa e uscì.
Si ritrovò di nuovo all’esterno, in
mezzo al via vai dei soldati.
Decise di far ritorno all’arena, luogo
da cui erano partiti Eragon e Saphira con Roran. Nel centro, Fredric aveva
iniziato ad allenare delle reclute, contadini che si univano ai Varden nella
convinzione di sconfiggere Galbatorix.
In fondo, anche lei era cresciuta in un
villaggio di contadini. Ma suo padre era stata una spia Varden, sua madre una
sostenitrice. Il suo migliore amico era una Cavaliere di Draghi. Lei la
curatrice mezzelfa dei Varden.
Non era una ragazza comune, aveva
accettato la cosa. In fondo le piaceva.
Non era più nessuno, ma era diventata qualcuno.
Girò sui tacchi e si allontanò
dall’accampamento. Aveva trovato un posto tranquillo ai margini del campo, un
punto in cui delle rocce ammassate formavano una piccola collina che dava sulle
intere Pianure. Erano puntate verso Ovest, dove il sole tramontava. Quella era
la parte migliore della giornata in cui recarsi in quel luogo, quando i pochi
raggi che riuscivano a oltrepassare la nebbia battevano sulla calda distesa,
creando piccoli puntini gialli sulla terra rossa.
Vederli svanire lentamente era
tranquillizzante.
Arlin si ritrovò proprio quelle immagini
di fronte, quando giunse in cima alla piccola collina di rocce. Lasciò che
l’aria calda la investisse, anche se non era molto piacevole.
Vide una figura che si stagliava contro
il sole, girata di mezzo busto. Un occhio era puntato verso di lei, segno che
l’aveva vista e la stava osservando.
E la stava aspettando.
Si trattava di un ragazzo senza ombra di
dubbio, le spalle larghe e la tunica cremisi dell’Impero glielo fecero capire.
Anche se era controluce e il suo viso era in ombra, Arlin lo riconobbe.
I capelli mori dell’altro erano come se
li ricordava, sbarazzini a causa del vento. Teneva una mano sull’elsa di una
spada dalla lama rossa.
Arlin non si spaventò, sapeva che quel
momento prima o poi sarebbe arrivato. Strinse gli occhi, senza cambiare
espressione.
-E’ il mio turno?-
************
************
pazzerella_92:eccolo qui! Comunque sì, Brisingr è bello bello..speriamo
esca presto l’ultimo libro ù.ù baci!
Eowyn 1:grazie tante per i complimenti *me diventa rossa* =) sono contenta che
Arlin ti stia simpatica e che ce la vedi bene con Murtagh…
Dras-Leona sorgeva sulle rive del lago
di Leona, una delle città più grandi di Alagaësia.
Le case in legno scuro, ammassate le une
sulle altre,impedivano al sole di illuminare i cunicoli stretti e contorti. Le abitazioni
non erano costruite in modo simmetrico, ma completamente alla rinfusa.
Roran sbuffò. -Perché siamo dovuti
entrare in città? Non bastava restare fuori e andare direttamente
sull’Helgrid?-
-Helgrind.- lo corresse Eragon, al suo
fianco. –No, prima voglio cercare di capire se Murtagh è lassù.-
-Hai paura che ci stia aspettando?-
-Non lo so, ma è più sicuro considerare
questa ipotesi ed essere preparati a ogni evenienza. Non vorrei mai che tu o
Katrina vi trovaste in mezzo ad un nostro possibile scontro.-
Roran annuì col capo. –Va bene, cugino.
Ma facciamo in fretta.-
Eragon si guardò intorno. La gente
sembrava non essersi accorta dei due stranieri che avanzavano ricoperti da
mantelli scuri, i cappucci calati per nascondere i loro volti. Eragon sarebbe
stato subito notato, con il suo aspetto da elfo.
Roran teneva il cappuccio per sicurezza,
si sentiva più a suo agio in un luogo in cui dominava l’Impero.
Raggiunsero il centro della città,
circondato da un muro opaco e fangoso, dove, incontrasto con il resto della città, si ergeva una sontuosa cattedrale.
Brom aveva detto che lì abitava il governatore Marcus Tàbor.
-Non voltarti, ma c’è qualcuno che ci
sta seguendo.- disse Eragon al cugino, abbassando il tono della voce.
Roran non si mosse. –Murtagh?-
-No, non si farebbe scoprire così.
Seguimi e preparati, ho un piano.-
************
C’era una terza figura incappucciata tra
le chiassose vie di Dras-Leona.
In città solo gli stranieri portavano
mantelli, così aveva iniziato a seguirli. Non sapeva bene che cosa ne avrebbe
potuto ottenere, magari qualche informazione utile.
Sarebbe potuta andare quando voleva da
Dras-Leona, ma le cose si erano complicate.
Non era più sola e doveva badare anche
all’altro.
I due che stava seguendo erano
sicuramente uomini. Uno era un po’ più alto dell’altro e più robusto, l’altro
più esile ma non per quello lo sottovalutava. Glielo avevano insegnato.
Mai
sottovalutare il nemico.
E se non erano nemici?
Continuò a seguirli, nascondendosi
all’ombra delle case. Arrivati al centro della città i due si fermarono.
Osservarono per qualche secondo la cattedrale, poi presero un vicolo buio a
sinistra.
Andò dietro loro, controllando che non
facessero mosse improvvise.
Furono però avvantaggiati dall’oscurità,
perché non li vide più.
Si fermò, facendo andare gli occhi da
ogni parte. Sentì la presa all’ultimo momento, quando ormai avevano le bloccato
le braccia e tappato la bocca. Provò a gridare di lasciarla andare, ma non ci
riuscì. La mano che affievoliva la sua voce era callosa e ruvida, una mano da
contadino.
Il secondo uomo venne in avanti,
puntandole contro una spada. –Allora sei tu che ci seguivi.- disse. Si avvicinò
e le abbassò il cappuccio. Strabuzzò gli occhi e fece un passo indietro,
sorpreso. –Areais!-
Roran abbassò di scatto la mano e la
lasciò andare. -Era anche ora.- borbottò lei, guardandolo di traverso.
-Perdonaci, non sapevamo che eri tu.-
disse Eragon abbassandosi il cappuccio mentre Roran la liberava.
-Non importa.- La ragazza squadrò i due,
fermando il suo sguardo su Roran, che si scopriva il capo.
-Lui è Roran, mio cugino. Ci ha aiutati
nella guerra contro l’Impero nelle Pianure Ardenti, ha ucciso i Gemelli.-
Areais sembrò sollevata nell’udire le
ultime parole. –Meno male che qualcuno è riuscito a eliminarli.- Aveva saputo
della battaglia, in città non si era parlato d’altro in quegli ultimi tempi.
Nessuno però sapeva che l’ultimo uovo di drago era stato sottratto a
Galbatorix.
Roran era scettico. –Eragon, ma è la
fotocopia di…-
-Arlin. E’ la sua gemella.-
-Ah.- Roran restò a bocca aperta.
Areais sorrise. –Areais Lodarkson,
piacere.-
Roran le strinse la mano che la ragazza
gli aveva teso, poi i suoi occhi tornarono su Eragon. –Mia sorella come sta?-
Sembrava tesa, Eragon lo percepì. Forse perché immaginava che Arlin avesse
saputo quello che era successo con Murtagh.
-E’ all’accampamento dei Varden.-
-Come sta?-
-Si sta riprendendo.-
Areais non ribatté, ma preferì cambiare
discorso. –Devo rivelarvi una cosa importantissima. Siete i primi a saperlo.-
I due ragazzi attesero.
-Come immagino sappiate, ero stata
scelta per andare a recuperare l’ultimo uovo di drago, ma Murtagh mi ha presa
prima.- fece una pausa, sentendo gli sguardi tesi dei due ragazzi. -Lui credeva
fossi Arlin, e ha tentato di farmi fuggire. Ho colto l’occasione al volo e l’ho
tramortito. Sono andata nella stanza dove custodivano l’uovo e sono riuscita a
prenderlo, ma i soldati si sono accorti che qualcosa non andava. Sono tornata
nella stanza di Murtagh, lui era ancora svenuto. Non avendo più vie di fuga, così
mi sono gettata dalla finestra...- Eragon trattenne il fiato. -…ma Castigo mi
ha presa prima che potessi schiantarmi al suolo.- Il Cavaliere riprese a
respirare. -Mi sono sentita mettere su un carro da alcuni uomini. Se mi
svegliavo, qualcuno mi riaddormentava con un sonnifero. Mi hanno portata qui
con l’uovo, e mi hanno lasciata in mezzo alla strada. Ho trovato una stanza in
una taverna isolata e l’ho affittata. Quella sera, è successa una cosa.- La
ragazza alzò la mano destra, quella che teneva ancora sotto il mantello, e mise
il palmo davanti agli occhi di Eragon e Roran. I ragazzi restarono immobili,
incapaci persino di sbattere le palpebre.
Non glielo aveva detto che la stava portando lì, ma
Arlin lo sapeva. D’altra parte, era logico: l’aveva rapita ed era l’unico posto
dove rinchiuderla.
No, non l’aveva rapita.
Era lei che aveva scelto di andare con lui. Anche se
avesse provato ad opporsi sarebbe stato inutile. Lui avrebbe vinto in ogni
caso, era troppo forte.
Castigo era accucciato dietro di lei, teneva le
iridi rubino sulla ragazza rannicchiata. La controllava, ma il suo sguardo non
era ostile, tutt’altro. Sembrava quasi incuriosito.
Arlin fissava la schiena del ragazzo voltato di
spalle rispetto a lei. Stava stendendo una coperta. Quando fece per voltarsi,
Arlin guardò il terreno arido. Mossa infantile, era un riflesso involontario.
Dentro di lei, odio e amore lottavano per avere uno
il sopravvento sull’altro.
Il ragazzo però non la guardò. Si limitò a sedersi
sulla coperta in silenzio.
Ripensò a quando erano partiti.
L’aveva
fatta salire, non sorpreso del fatto che sapesse andare sul dorso di un drago
così agilmente. Era più turbato dal suo aspetto, per alcuni tratti elfici. Non
la guardava, teneva i severi occhi azzurri vaganti nelle vicinanze, cercando di
sentire qualche altra presenza e prepararsi ad un eventuale attacco.
Quando
la ragazza si era posizionata sulla sella, il Cavaliere le era salito dietro.
Castigo era partito con un balzo, e lei era stata sbalzata all’indietro. La sua
schiena era stata in contatto con il petto di lui, e per un attimo Arlin non
aveva respirato sia per la momentanea mancanza d’aria, sia per la sorpresa.
Era
la prima volta che volava insieme a Murtagh.
Preferiva
non pensare al luogo dove la stava conducendo, oppure la tentazione di saltare
giù sarebbe aumentata, anche se l’altezza era troppa e il Cavaliere era
sicuramente pronto ad ogni mossa improvvisa di lei.
La
sua coscienza, però, le diceva che non si sarebbe mai azzardata a tanto.
Volavano
sopra le Pianure coperte dalla sottile nebbia, vedendo in lontananza lo stesso
paesaggio per miglia e miglia.
Uno scalpiccio di zoccoli la fece tornare in sé.
Anche il Cavaliere se n’era accorto, e guardavano
tutti e tre nella stessa direzione.
Erano ancora lontani, ma l’udito più fine della
norma glieli aveva fatti sentire presto.
Probabilmente il ragazzo aveva detto qualcosa al suo
drago, perché quest’ultimo diede un leggero colpo alla schiena della ragazza.
Lei si voltò e lo guardò contrariata, non capendo.
-Sali su Castigo e allontanatevi.- disse Murtagh,
alzandosi e mettendosi Zar’roc al fianco.
Da quando erano partiti quella era la prima volta che
le rivolgeva la parola. La sua voce era fredda e autoritaria, che non ammetteva
repliche.
-Ma…-
-Fa come ho detto.- Il Cavaliere tornò a sedersi,
senza guardarla, e fissò il punto da cui sarebbero dovuti comparire i cavalli.
Arlin lo fulminò con lo sguardo e strinse un pugno,
poi si voltò e salì sulla sella di Castigo per la seconda volta, arrampicandosi
sulla zampa posteriore. Il drago rosso cresceva ogni giorno di più, la ragazza
si chiese come facesse a farlo così velocemente. Forse, una volta giunti a Urû'baen
lo avrebbe scoperto, se non fosse morta prima.
Arlin impugnò più forte che poté le estremità della
sella, e quando Castigo si sollevò le parve che lo facesse con meno foga della
prima volta.
Arrivarono in alto abbastanza da essere scorti
appena da terra. Arlin riusciva a distinguere tre uomini a cavallo di destrieri
marroni, il quarto nero. Probabilmente era il capo, visto che era anche il più
grasso. Castigo continuava a volare in circolo sopra di loro, come una
sentinella silenziosa. Arlin teneva lo sguardo puntato su Murtagh, l’unica
figura rossa in mezzo a tutto quel grigiore.
************
Mantenne
un’espressione neutra quando i quattro gli si avvicinarono. Notò la loro
espressione feroce sul volto, sicuramente erano dei predoni del deserto alla
ricerca di schiavi.
Lui, però,
era già schiavo di Galbatorix.
-Guardate
un po’ chi abbiamo qui, un ragazzino!- esclamò uno.
Forse non
lo vedevano bene in faccia. Murtagh restò immobile. –Cosa volete?-
-Bè,
vediamo…- il capo smontò dal suo cavallo. Il Cavaliere immaginò che l’animale
doveva sentirsi sollevato nel liberarsi da tutto quel peso, poi riportò
l’attenzione sull’uomo che avanzava pensoso verso di lui. -…prima ci darai i
suoi averi, dopo potrai venire con noi al mercato. Che ne dici?-
-Dico che
siete dei poveri illusi se pensate di mettermi le mani addosso.-
L’uomo
sogghignò. –Non fare tanto lo spiritoso, o ti daremo una bella lezione.-
-E se
invece la dessi io a voi?- strinse l’elsa di Zar’roc.
I tre
scagnozzi dell’uomo grasso lo circondarono, ma il Cavaliere non si scompose.
-Prima
vorrei che mi togliessi una curiosità.- disse l’uomo mentre estraeva la sua
arma, una pesante sciabola. I suoi uomini lo imitarono, avevano le stesse armi.
–Cosa ci fai qui, solo, in mezzo al deserto senza nemmeno una cavalcatura?-
-La mia
cavalcatura è lassù.- rispose calmo l’altro, indicando il cielo.
I quattro
alzarono gli occhi e videro un uccello nero. -Ma che…- Non ebbero il tempo di
dire altro, perché la lama di Zar’roc trapassò il collo del capo.
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Vide
Murtagh uccidere prima il capo dei quattro, che crollò a terra come un
fuscello.
Gli altri
tre prima restarono sbigottiti dal gesto e dalla splendente arma
dell’avversario, dopo di che fecero per darsela a gambe, tornando di corsa ai
cavalli.
Murtagh
pulì la lama sui vestiti del cadavere e la rinfoderò, con tutta la calma che si
poteva immaginare. Alzò il palmo destro in direzione degli uomini che stavano
facendo voltare i cavalli e mormorò alcune parole nell’antica lingua.
I tre
vennero avvolti da catene invisibili, che li fecero disarcionare a causa della
stretta. Gli animali proseguirono nella loro corsa nel deserto, soli ma liberi.
Le catene
stringevano sempre di più i predoni, fino a quando il fiato iniziò a mancargli
e chiesero pietà. In tutta risposta, Murtagh serrò la presa ulteriormente.
Fu fatale
per i tre.
Le catene
invisibili ruppero molte costole, e non riuscendo più a respirare morirono
soffocati.
Quando
vide i loro corpi smettere di agitarsi e restare immobili, Murtagh abbassò la
mano e nello stesso istante Castigo gli planò al fianco. Arlin non disse nulla,
si limitò a smontare dal dorso del drago. Guardò il Cavaliere mentre recuperava
la coperta che aveva steso pochi minuti prima.