I tre Cavalieri

di Dubhe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gil'ead ***
Capitolo 2: *** Murtagh ***
Capitolo 3: *** Racconti ***
Capitolo 4: *** Fuga ***
Capitolo 5: *** I Varden ***
Capitolo 6: *** Preparativi ***
Capitolo 7: *** Guerra ***
Capitolo 8: *** Fine ***
Capitolo 9: *** Avvisi di partenza ***
Capitolo 10: *** Obblighi ***
Capitolo 11: *** Un incontro inaspettato ***
Capitolo 12: *** Ellesméra ***
Capitolo 13: *** Nel palazzo ***
Capitolo 14: *** Nuove conoscenze ***
Capitolo 15: *** Rapimento ***
Capitolo 16: *** Vecchie Conoscenze ***
Capitolo 17: *** L'imbroglio ***
Capitolo 18: *** Incarico ***
Capitolo 19: *** Nè elfa nè umana ***
Capitolo 20: *** Partenza [ 1ª parte ] ***
Capitolo 21: *** Partenza [ 2ª parte ] ***
Capitolo 22: *** Il Surda ***
Capitolo 23: *** Nar Garzhvog ***
Capitolo 24: *** Tempesta ***
Capitolo 25: *** Rivelazioni ***
Capitolo 26: *** Promesse ***
Capitolo 27: *** E' il mio turno ***
Capitolo 28: *** Dras-Leona ***
Capitolo 29: *** Viaggio ***



Capitolo 1
*** Gil'ead ***


Eragon

Eragon

Gil’ead

-Non sei stato intelligente a lasciare indietro Brom.-

-È stata una sua scelta. Non ha voluto seguirmi.-

-E tu sei stato così bravo da non chiedergli niente su Gil’ead.-

-Ci arrangeremo.-

-Sì, certo, ma come facciamo ad entrare nelle prigioni? Non possiamo certo andare dalle guardie e chiedere:”Scusate, potreste indicarci la cella di Arya? Sapete, dobbiamo liberarla perché ci è apparsa in sogno e ce l’ha chiesto”!-

-Arlin, non essere pessimista.-

-Ah no?- La ragazza si guardò intorno, il volto nascosto dal cappuccio del mantello. -In ogni caso, ti ricordi quel tipo a Daret? Quello strano che continuava a fissarci.-

-Quello che abbiamo visto prima di entrare dall’indovina?-

-Proprio lui. -

-È qui? -

-Non lo so, ma mi sento osservata.-

-Come al solito.-

-Che cos’hai detto, scusa?-

-Niente.-

Arlin sbuffò.

Entrarono in una sala di pietra, guardandosi indietro circospetti.

Una figura scura seguì le due sagome dentro il castello. I suoi passi non erano udibili alle orecchie di nessuno, anche un elfo avrebbe avuto difficoltà nel sentirli.

Vide i due scendere rapidi delle scale, e anche lui gli andò dietro.

-Eragon, sei certo che è per di qua?-

-Proviamo, Arlin, di sicuro è in una di queste celle.-

-Ma non abbiamo molto tempo, la notte è corta.-

-Arlin, per favore! Adesso basta.-

La ragazza abbassò il capo mortificata e rimase in silenzio. Era agitata, e quando stava in quello stato non smetteva mai di parlare. Eragon lo sapeva, era il suo migliore amico, e la sopportava. Ma ora anche lui non era tranquillo, e si concentrava cercando di sentire la presenza dell’elfa nelle celle davanti a loro. Arlin sentiva però anche altre presenze, e ciò l’agitava ancora di più, e faceva guizzare gli occhi in tutte le direzioni.

-Trovata!- mormorò all’improvviso Eragon. Si diresse deciso verso una porta di legno e fece scattare i meccanismi interni della serratura. La porta si aprì, mostrando una ragazza sdraiata su una tavola di pietra. Era vestita con degli abiti oro, i capelli biondi rossicci raccolti, la pelle pallida e le orecchie rotonde. Doveva trovarsi di un'elfa, perchè i suoi lineamenti erano diversi da quelli di un comune essere umano. Voltò la testa verso i visitatori, e fissò i due occhi azzurri su Eragon. -Non dovreste essere qui! Andate via!-

-Troppo tardi.- disse una voce all’esterno della cella.

Eragon e Arlin si voltarono, e videro un uomo alto, vestito di nero, con lunghi capelli rossi e gli occhi azzurri quasi bianchi.

Arlin s’irrigidì. -Eragon…è…-

-Uno Spettro.- completò lui, spaventato.

Lo Spettro sorrise. -È un piacere incontrarti, Cavaliere. Anche se, a dir la verità, mi aspettavo qualcosa di più di un semplice…contadino.-

Eragon arricciò le labbra e si parò davanti ad Arlin. -Prendi Arya e andatevene.-

Arlin si fece seria. -Non ti lascio solo.-

-E invece devi, se vuoi salva la vita!-

La ragazza guardò lo Spettro proprio mentre lui alzava un braccio e delle lance si staccavano dal muro. Lo Spettro le scagliò contro i due ragazzi.

-Eragon!- urlò Arlin.

Eragon alzò il palmo destro. -Jierda!-

Le lance si spezzarono a metà, e i loro resti caddero a terra. Eragon si sentì stanco. Brom gli aveva detto che più si era lontani dal bersaglio, più si utilizzavano energie.

-Ti senti prosciugare le forze, vero?- disse lo Spettro. Con il braccio sollevato, librò a mezz’aria una lancia intatta. -Dicono che quando un Cavaliere muore si possono sentire i ruggiti disperati del suo drago.- Sorrise. -Vediamo se è vero.- La lancia fu scagliata di nuovo contro di loro.

All’ultimo momento, qualcuno saltò davanti ad Eragon e Arlin e lo colpì in pieno petto. Il mantello gli scese dal capo e scoprì il volto di Brom, teso in una smorfia di dolore, e il suo corpo ricadde a terra. Gli occhi di Arlin si velarono di lacrime e la ragazza s’inginocchiò accanto al vecchio, mettendogli delicatamente la testa sulle sue gambe.

Eragon si sfilò l’arco e incoccò una freccia. Con una precisione che stupì anche se stesso, la freccia colpì lo Spettro in mezzo agli occhi. Con un sorriso, lo Spettro svanì. Il ragazzo si voltò, e vide Arlin china su Brom, che respirava forte. -Come sta?- chiese infuriato.

-Male.- rispose lei, la voce rotta dal pianto.

Il soffitto si ruppe con un rombo sordo mentre Saphira lo sfondava e atterrava vicino ad Eragon.

In breve, i quattro furono circondati dai soldati che avevano sentito il trambusto.

Arlin spostò il corpo di Brom sulla fredda pietra, e si slacciò il mantello.

-Che cosa vuoi fare, Arlin?- chiese preoccupato Eragon.

La ragazza alzò il viso, con gli occhi arrossati. -Vendicare Brom.-

-Ci ho già pensato io, Arlin non fare pazzie!-

Arlin sorrise, quel suo sorriso che compariva quando stava per fare qualcosa di pericoloso. Estrasse veloce la sua spada, un’arma leggera regalatale da Brom all’inizio del loro viaggio.

-Arlin, no!-

Ma che cosa fa?, chiese Saphira.

Vuole affrontare tutti questi soldati da sola!

E tu la lasci fare?

Eragon guardò la dragonessa. No. Anche lui estrasse Zar’roc, e si affiancò all’amica.

La battaglia iniziò con un feroce urlo di Arlin, che si gettò sui soldati. Nella confusione che si creò, molti soldati andarono contro la ragazza, credendo che fosse debole come un insetto. Ma Arlin era agile, si muoveva come un gatto, e tutti quelli che le si avvicinavano assaggiavano la lama della sua spada. Ma rimase scoperta mentre infilzava un nemico, e un altro era pronto a colpirla alla schiena.

Qualcosa le sfiorò il viso candido.

Paralizzata, la ragazza si voltò quando sentì un tonfo, e vide una freccia conficcata nel petto del soldato, a livello del cuore. Fissò alcuni secondi quel corpo immobile, mentre sentiva lo stomaco che si ribellava. Si rigirò e alzò il capo, in direzione della provenienza della freccia. Il suo salvatore era in piedi al bordo del buco lasciato da Saphira, il cappuccio calato sul volto. Teneva un grande arco, alto quasi quanto lui, davanti a sé, pronto a scoccare un’altra freccia. I loro occhi si incontrarono, poi lui scoccò la freccia, che colpì un altro soldato. Si abbassò il cappuccio. -Vi conviene andarvene, alla svelta!- gridò.

Arlin guardò il volto del ragazzo, e riconobbe la stessa persona di Daret.

Il misterioso ragazzo fissò la giovane che si inginocchiava accanto ad un cadavere, ripuliva la sua spada e la rinfoderava. La vide rialzarsi e correre verso il suo amico, gli disse qualcosa, e insieme caricarono il vecchio sulla sella del drago azzurro. Poi andarono dentro una cella e ne uscirono poco dopo, reggendo un’elfa. La aiutarono a salire dietro il vecchio e la ragazza si arrampicò sulla sella, seguita dall’altro ragazzo.

-Vai!- urlò quest’ultimo.

Il drago si alzò in volo, mentre una pioggia di frecce si alzava dal castello.

Lo sconosciuto vide la ragazza chinare il capo, il volto pallido. I loro sguardi s’incontrarono di nuovo, poi il drago e suoi passeggeri sparirono nell’oscurità della notte.

-Brom, mi dispiace.-

-Bah! Era mio dovere.-

-Era mio dovere ascoltarti. Se l’avessi fatto, tu non saresti ridotto così.-

Il vecchio lo guardò. -È questo che mi piace di te, Eragon: una parte di prodezza e tre di stoltezza. Non mi avresti ascoltato lo stesso, avresti fatto quello che ti passava per la testa.-

Eragon sorrise a fatica e alzò lo sguardo. Arlin stava coprendo Arya, addormentata. -Non devi morire, Brom. Non per un mio errore, ti prego!-

-Nessuno ha commesso errori qui, se non io, che dovevo insistere di più.-

-Non dire così.- disse Arlin, avvicinandosi. -E io? Ho seguito Eragon nonostante tu non lo volessi.-

-Arlin, tu sei anche più testarda di Eragon, per questo andate d’accordo: siete determinati e quando siete insieme non vi ferma più nessuno. Se rimarrete uniti, ciascuno si prenderà cura dell’altro e non rischierete di vacillare. Ora che Eragon è un Cavaliere, Arlin, devi essere più prudente: non appena lui ti lascerà indietro, qualcuno di più potente può usarti, sfruttarti, per arrivare a Eragon. Ciò non deve accadere, perché tu non sopporteresti le torture, per quanto forte tu possa essere.-

Arlin esitò un attimo, messa a disagio da quelle parole. -Ti riferisci a Galbatorix?-

Brom annuì debolmente. -Sì, proprio lui. Mi prometti che starai in guardia?-

Arlin sorrise. -Certo, Brom. Quando mai non lo sono stata?-

Il vecchio ricambiò il sorriso, poi si rivolse ad Eragon. -E tu, Cavaliere, fatti onore. Sii deciso nelle tue scelte, e valuta i pro e i contro delle offerte che ti saranno fatte. Non essere precipitoso, rifletti prima. Non sottovalutare mai il tuo nemico, mai. Questo sì che sarebbe un errore imperdonabile.- Guardò i due ragazzi. -Volete accettare la mia benedizione?-

Eragon e Arlin annuirono e si chinarono sul vecchio, che mise la mani sulle loro teste. -Ebbene, questa è la mia benedizione: che la vostra vita possa essere felice, vi auguro tutto il bene possibile.- Levò le mani e sospirò. -Ora devo riposare.-

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Capitolo 2
*** Murtagh ***


2

Murtagh

Il mattino dopo, Brom morì. Arlin aveva vegliato su di lui tutta la notte, e all’alba il vecchio Cavaliere aveva spirato.

Eragon sistemò l’ultima pietra e indietreggiò. Arlin e Arya erano al suo fianco, la prima sulla sua destra. Saphira si avvicinò alla catasta di pietre, la tomba di Brom.

Questo è tutto quello che posso fare per lui, disse. Sfiorò appena le pietre col naso, e subito quelle diventarono cristalli. Così il tempo non lo consumerà.

Col morale a pezzi, tornarono al loro accampamento, e mentre sistemavano le coperte, Arya si accasciò a terra.

-Arya!- Eragon e Arlin accorsero e la fecero sdraiare sul terreno.

-Che cosa le succede, Arlin?- chiese Eragon.

-Non saprei...di sicuro è veleno, i sintomi sono quelli...però non ho mai visto niente del genere.­- Arlin slacciò la camicia dell'elfa e scoprì una macchia grigia sul petto, che si allargava sempre di più.

I due ragazzi si guardarono con gli occhi sgranati.

Saphira si alzò in volo all'improvviso, ringhiando, ma Eragon e Arlin non le badarono.

La ragazza stava osservando la macchia grigia, quando qualcuno le piombò davanti, rotolando, come se fosse stato gettato da un essere più alto. Arlin si voltò e vide Saphira atterrare.

Ci stava seguendo, disse ad Eragon. Il ragazzo estrasse Zar’roc.

Lo sconosciuto si alzò in piedi ridendo. –Sogno draghi da quando sono nato!­- disse. Guardò meglio con chi aveva a che fare: un ragazzo, il Cavaliere, una ragazzina, non più di diciassette anni, e un'elfa, svenuta tra le braccia della ragazzina.

Arlin rimase immobile, ritta sulla schiena. Quel ragazzo era lo stesso di Daret e di Gil'ead. Era alto e con spalle larghe, aveva i capelli neri poco più sopra delle spalle e un paio di occhi azzurri profondi. Indossava degli abiti da viaggio scuri, una veste che li ricopriva verde scuro, e un mantello nero. Doveva avere qualche anno più di Eragon.

Lo sconosciuto prese il grande arco che gli era caduto, e rimase in silenzio, spostando gli occhi da Arlin a Eragon.

La ragazza prese un braccio di Eragon e lo tirò giù, portandosi il suo orecchio vicino alle labbra. -Eragon! Quello di Daret è lo stesso che mi ha salvata ieri! E' lui!- sussurrò.

Eragon lo osservò a lungo. –Chi sei? E perchè ci stavi seguendo?- chiese rialzandosi.

Arlin appoggiò Arya a terra e si alzò.

Murtagh guardò la ragazza e capì che l'aveva riconosciuto, ma non si scompose. –Sono Murtagh, e hai bisogno di me, Cavaliere.-

-Grazie, ma starò bene anche senza.- ribattè, rinfoderando Zar’roc.

-Tu cerchi i Varden.-

Eragon e Arlin non dissero nulla, si limitarono a fissarlo, confusi.

-Conosco questi monti, ogni valle e ruscello. Soffrirà se ti smarrirai.- aggiunse accennando ad Arya.

-Perché rischi la tua vita per noi?- domandò il Cavaliere.

-La mia famiglia è stata uccisa, per ordine del re, ero un bambino ancora. Ho sentito delle voci, che parlavano di un Cavaliere. Poi, dal nostro primo incontro...-

-Secondo.- intervenne Arlin.

Murtagh continuò a sorridere. -...secondo incontro a Gil'ead, non vi ho persi di vista. Sapevo che presto vi sareste trovati in difficoltà, che vi sarebbe servita una guida in queste terre, così...-

Eragon, dobbiamo andare, disse Saphira ad Eragon.

Lui diede le spalle a Murtagh e parlò con Arlin. -Che cosa facciamo?-

-Non ne ho idea, ma mi sembra sincero. E poi tieni conto anche del fatto che mi ha salvata.-

Eragon arricciò le labbra. -Allora dovremmo portarcelo dietro?-

-Non vi sarò di alcun peso.- disse Murtagh. Eragon si voltò. -E poi, se già viaggi con una ragazzina che non si sa guardare le spalle, di me non sentiresti nemmeno la presenza.-

Arlin strinse gli occhi e si trattenne dal prenderlo a botte. -Primo: io non sono una ragazzina, ho sedici anni. E secondo, so badare benissimo a me stessa, è stata inutile la tua freccia, sarei stata capacissima di uccidere quel soldato da sola.- Arlin sapeva che non era vero, perchè se non ci fosse stato Murtagh lei a quest'ora era morta e sepolta come Brom.

Infatti, Murtagh inarcò un sopracciglio. -Ma davvero? La prossima volta allora lascerò che ti uccidano, ragazzina.­-

Arlin avanzò minacciosa verso di lui. -Adesso basta! Ma chi ti credi di essere, eh? Mi hai salvato la vita, d'accordo, e ti ringrazio, ma non è il caso che mi provochi così!- La ragazza gli arrivò a pochi centimetri. La sua testa era ad altezza spalle, e il ragazzo la guardava con il capo leggermente chino.

-E chissà quante volte dovrò farlo ancora, se rimango con voi.- disse a bassa voce lui.

Arlin serrò la mascella e gli saltò addosso.

Eragon cercò di fermarli, ma la sua amica aveva buttato di nuovo a terra Murtagh e i due rotolavano avvinghiati in una lotta senza armi.

Lasciala fare, Eragon. In fondo Murtagh se l'è cercata, disse Saphira, accucciandosi e tenendo i grandi occhi azzurri fissi sui due contendenti. Eragon, preoccupato, andò da Arya e pregò che quei due la finissero presto.

Arlin cercò di sferrare un pugno in pieno viso di Murtagh. Il ragazzo, sopra di lei a cavalcioni, le stringeva i fianchi con le ginocchia, e fermò il colpo della ragazza con una mano. Urlando di rabbia, Arlin provò con l'altro, e lo colpì sulla guancia. Le sue nocche si sbucciarono e gli bruciarono, ma immaginò che cosa dovesse provare ora Murtagh. Non si sentiva in colpa, quasi soddisfatta. La ragazza allora cercò di rotolare, così che fosse lei sopra Murtagh. Ma lui si riprese un attimo e la fece girare ancora sorridendo, con un piccolo taglio sul volto. Continuarono così per molto tempo, alzando nuvole di terra color sabbia, poi Arlin, stanca, si fermò.

Era di nuovo con le spalle a terra, ansante, Murtagh sopra di lei che le teneva le mani saldamente inchiodate a terra.

Il ragazzo era soddisfatto. Non pensava che una ragazzina potesse essere tanto resistente, e si divertiva nel vedere Arlin impegnarsi per dargli una lezione. Ma lei non sarebbe mai riuscita a metterlo con le spalle al muro, qualunque cosa facesse. Il petto della ragazza si alzava e si abbassava velocemente sotto di lui, i loro volti erano vicinissimi.

Arlin approfittò di quel momento di stasi. Le aveva provate tutte, tranne una, la più scorretta. Ma se l'avesse messa in atto, almeno Murtagh avrebbe capito chi aveva di fronte. Tutte le sue parti del corpo erano bloccate, tranne due: le gambe. Arlin gli tirò una ginocchiata in mezzo alle cosce, e il colpo andò a segno.

Murtagh lasciò libera la ragazza e si mise ad urlare dal dolore.

Subito, Eragon accorse e aiutò l'amica ad alzarsi. -Arlin, che cosa gli hai fatto?-

-Quello che avrebbe fatto chiunque fosse stato nella mia situazione.- rispose lei riprendendo fiato.

-Hai esagerato, però.-

La ragazza si ripulì dalla terra, non badando alle nocche. -Lo sai che non sopporto le provocazioni, specie da uno sconosciuto. Anche se lui mi ha salvato la vita, non sono obbligata a sorridergli anche quando mi prende per una ragazzina irresponsabile.-

Murtagh rise. -Ha un bel caratterino la tua amica.- disse rialzandosi. -Non la vorrei mai avere come nemica.-

Il volto di Arlin s'indurì. La stava forse ancora provocando?

-D'accordo, Murtagh, adesso basta. Se vuoi rimanere con noi, devi imparare che nel gruppo c'è anche una ragazza, e sottolineo la parola ragazza. Arlin è piuttosto irascibile...-

-L'ho notato.-

Arlin lo fulminò con lo sguardo.

Eragon fece finta di non averlo sentito e continuò. -...quindi devi stare attento a quello che dici. Arlin sa badare a se stessa, ma un po’ di protezione è sempre accettata.-

Arlin trattenne il fiato e spostò lo sguardo infuriato su di lui. Murtagh non potè fare a meno di sogghignare. Eragon si strinse nelle spalle.

-Non dimentichiamoci dell'elfa.- disse Murtagh.

Dopo aver sistemato le ultime cose su Saphira e sui cavalli, i tre ripartirono. Murtagh aspettò che Arlin fosse salita sulla sella di Cadoc prima di partire, guardandola con un sorrisetto, cosa che la fece irritare di nuovo.

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Capitolo 3
*** Racconti ***


Perdonate il ritardo, ma ho avuto dei problemi con la connessione

Perdonate il ritardo, ma ho avuto dei problemi con la connessione...Buona lettura!!

Racconti

Cavalcavano in silenzio attraverso la verde pianura. Eragon, Cavaliere di Draghi; Arlin, esperta di erbe e tutto ciò che le riguarda; e Murtagh, un ragazzo sconosciuto. Saphira volava sopra di loro con Arya legata sulla sella.

In un futuro non molto lontano, i due ragazzi si sarebbero trovati di fronte ad una scelta che avrebbe cambiato la loro vita per sempre. Eragon aveva già deciso: schierarsi dalla parte dei Varden. Ma l'altro non sapeva ancora di essere destinato a fare grandi cose.

Murtagh voltò appena lo sguardo per osservare la ragazza: aveva i capelli castani mossi lunghi fino a tre quarti di schiena, color della quercia, scuri che quasi parevano neri; gli occhi verde smeraldo. Il viso da adolescente, leggermente abbronzato, era chino per proteggersi dall'aria mentre i capelli si agitavano violentemente. Indossava abiti semplici da caccia, delle brache e delle maglie verde scuro con un mantello nero. I pantaloni erano infilati dentro ad alti stivali marroni che le arrivavano alle ginocchia. Cavalcava vicino a lui, dopo che aveva impegnato Cadoc in una staccata per raggiungerlo.

Appena erano partiti, Arlin aveva notato gli sguardi provocanti dello sconosciuto, e non aveva voluto rimanere indietro. Incitato Cadoc, aveva raggiunto Murtagh, e lui le aveva sorriso, come se avesse voluto dirle: "Era ora! Sei lenta, ragazzina!" Arlin però non lo guardava, teneva lo sguardo fisso sul terreno sotto di lei.

Eragon osservava la scena davanti a lui con poco entusiasmo: Murtagh, ragazzo insistente, continuava a lanciare occhiate di sfida ad Arlin, che le evitava cercando di tenere il suo passo. Continueranno ancora per molto?, chiese a Saphira.

Speriamo. Io mi diverto!

Eragon sbuffò. Io invece no. E' mai possibile che Arlin si metta in competizione con il primo straniero che incontriamo?

Non è che sei geloso?

Geloso io?La conosco da dieci anni, è normale che mi preoccupo per lei, tutto qui!

Guarda il lato positivo: almeno potremmo scoprire se Murtagh è degno della nostra fiducia.

E' vero, anche se avremmo tutto il tempo per capirlo.

Un corno suonò in lontananza, dalla parte da cui il piccolo gruppo era partito. Tutti e tre fermarono i cavalli.

-Eragon, chi sono?- domandò Arlin, voltandosi verso di lui.

-Urgali.- rispose Murtagh.

-Non l'ho chiesto a te.- ribattè seccata.

-Forse lui non ha riconosciuto quel corno perchè non lo ha mai sentito in vita sua, o sbaglio?-

-Ha ragione, Arlin. Ma credo che ci sarei arrivato che non erano amici.- Saphira, alzati di quota, non voglio che ti vedano.

Tanto ormai lo sanno, Eragon. E' inutile nascondersi.

Brom nel suo elenco dei testardi si è dimenticato di te.

La dragonessa sbuffò fumo dalle narici e si alzò di pochi metri.

-Riprendiamo?- chiese Arlin. Il suo tono di voce sottintendeva che non voleva trovarsi di fronte ad un altra battaglia.

-Muoviamoci.- disse Eragon.

Con Murtagh in testa al gruppo, i ragazzi ripartirono al galoppo, pregando che gli Urgali rimanessero molto tempo ad esaminare le loro tracce ancora fresche.

Non si fermarono mai, cercando di guadagnare tempo sugli inseguitori. Gli Urgali procedevano lentamente, così che i tre poterono guadagnare tempo sui mostri. Quando il sole calò, rallentarono l'andatura dei cavalli esausti, ma proseguirono ugualmente. Arlin era in coda al gruppo, le gambe indolenzite e il fondoschiena quadrato, ed Eragon era affiancato a Murtagh davanti a lei. La ragazza alzò il volto: Saphira volava in circolo sopra di loro, invisibile a chi non fosse nella loro posizione.

-Ci fermiamo, direi.- disse stancamente Murtagh.

Eragon si voltò verso l'amica. Gli bastò dare uno sguardo alla faccia di Arlin per annuire.

Prepararono una cena fredda, e la ragazza fu contenta di smontare da Cadoc.

Eragon si addormentò presto, stanco morto, e Saphira gli si accucciò di fianco.

Rimasero svegli solo Murtagh e Arlin. In silenzio, la ragazza si guardava intorno, stringendo il mantello. Murtagh era vicino a lei, intento ad incordare l'arco.

-Mi è parso di vedere che tu ed Eragon siete molto amici.- disse il ragazzo.

Arlin non lo guardò. -Sì.-

-Posso sapere qualcosa di più?-

-Su di me o su di lui?-

-Entrambi. Ma preferisco che parti dalla prima opzione.-

Arlin esitò. -Non sono nata a Carvahall, i miei genitori vivevano a Teirm. Mio padre, Lodark, era un ufficiale dell'Impero, e mia madre lavorava al mercato. Appena poteva, mio padre tornava da noi, ma rimaneva un giorno o due giorni. In quel poco tempo, mi insegnava ad usare le armi, solamente bastoni, e soprattutto a tirare con l'arco. Poi, quando ripartiva, mi esercitavo da sola, cosicché la volta dopo che ci saremmo rivisti, sarei stata già brava.- Il suo volto si oscurò. -Avevo sei anni quando una truppa dell'Impero venne da me e da mia madre. Io non capivo, ma mia madre mi riempì uno zaino di vestiti e provviste e mi fece allontanare da casa. Mi disse di fuggire, di andare lontano, e che mi avrebbe voluto bene per sempre. Io invece mi nascosi sul retro perchè volevo capire. Poco dopo mi dissi che aveva ragione mia madre: sentii uno dei soldati dire che mio padre era morto perchè aveva dei contatti con i Varden, che era una spia. Mia madre non lo negò. I soldati la catturarono e la portarono via, ma prima mi cercarono per tutta l'abitazione. Io allora fuggii, e mi persi nelle vie della città. Mi trovò Merlock, un errante. Mi curò e mi ospitò, chiedendomi dov'erano i miei genitori. Ero una bambina, sconvolta per di più, e gli raccontai tutto. Lui mi disse che mi avrebbe protetta, che non appena fossimo arrivati a Carvahall, la sua destinazione, mi avrebbe lasciata lì. L'Impero non avrebbe mai saputo dov'ero, e presto se ne sarebbero dimenticati. Mi disse che qualcuno si sarebbe preso cura di me, la gente di Carvahall era buona.- Fece una pausa. -Dopo pochi giorni, un inverno, arrivammo a Carvahall. Appena scesi dal carro, si fece avanti un bambino. Merlock lo salutò e me lo presentò.-

-Era Eragon?-

-Sì. Conoscevo tutta la storia sui Cavalieri, mio padre me la raccontava spesso, e mi stupii sentendo quel nome. Non sapevo però che lui non ne conosceva il significato, così non dissi nulla. Da quel giorno, io ed Eragon ci vedevamo sempre, lui veniva al paese per trovarmi. Mi portava sulla Grande Dorsale, e mi spiegava tutto quello che sapeva. Mi fece conoscere suo cugino Roran, il suo povero zio Garrow, Brom e Gertrude. Appena gli erranti ripartirono, Merlock mantenne la parola: mi lasciò a Carvahall e ripartì.-

-E tu?- chiese Murtagh incuriosito, fissando la ragazza.

-Gertrude mi prese in simpatia. Era la levatrice, e io iniziai a studiare da lei. Al mattino rimanevo con lei in negozio. Mi spiegava tutti gli impasti che si potevano fare con le erbe più semplici per guarire anche le ferite più gravi. Al pomeriggio andavo da Brom che mi insegnava a leggere e approfondire le mie tecniche in combattimento. Solo sul tardi della giornata ero libera, e andavo a trovare Eragon. Spesso mi fermavo da lui per la notte.

-Passarono gli anni, e man mano che crescevo, cresceva anche l'amicizia che legava Eragon e me. Appena potevamo, andavamo a caccia nei boschi, sulla Grande Dorsale, dove pochi si spingevano. Fu durante una di quelle escursioni che trovammo l'uovo di Saphira.-

-Avevate scoperto subito che era un uovo?-

-No. Pensavamo fosse una pietra, anche se era troppo perfetta per esserlo. La lasciai ad Eragon, perchè era stato lui a vederla per primo.

-Dopo un po’ di tempo quasi me la scordai, ma quando il comportamento di Eragon cambiò, mi misi a fare delle ricerche. Sui libri di Brom scoprì che le uova di drago erano di forma ovale, e il colore dipendeva dal drago. Mentre rimettevo a posto il libro su cui era scritto, dalle pagine cadde un foglietto di pergamena. Lo raccolsi, e vidi che disegnato c'era proprio un uovo di drago. La calligrafia era quella di Brom, e il disegno era identico alla pietra che avevamo trovato.

-Eccitata dalla mia scoperta, corsi a cercare Eragon, ma mi imbattei nei Ra' zac.-

Murtagh si stupì. -Che cosa ci facevano i Ra' zac a Carvahall?-

-Non lo so, ma il mio pensiero corse subito a Eragon. Non sapevo ancora chi fossero i Ra' zac, ma appena mi passarono davanti capii che non erano umani. La mia eccitazione si trasformò in paura. Corsi ancora più veloce, ma quando arrivai a casa sua era troppo tardi: trovai Garrow morto.

-Eragon arrivò poco dopo con Saphira. Mi rivelò tutto, e mi mostrò anche il suo gedwey ignasia. Coprimmo Garrow, e stavamo per seppellirlo quando arrivò Brom. Vide quello che era successo, ci portò fuori di casa e ci fece salire sui cavalli. Poi bruciò tutto.-

Tra i due calò un momento di silenzio. Arlin aveva gli occhi lucidi ricordando quelle immagini. -Da qui in avanti dovresti immaginarti com'è andata: siamo arrivati a Daret e ci siamo incrociati. Poi ad Eragon è apparsa in sogno Arya, e ha insistito per andarla a salvare. Brom non voleva, diceva che con una mossa avventata il nostro viaggio sarebbe andato a rotoli. Io non sapevo che cosa fare, e alla fine sono salita su Saphira.

-A Gil'ead ci siamo imbattuti in uno Spettro, ma Eragon è riuscito a farlo scomparire, dopo che lui aveva colpito a morte Brom.- Si voltò per guardare Murtagh. -Poi sei arrivato tu.-

Il ragazzo abbozzò un sorriso.

-Brom è morto questa mattina.- Arlin distolse lo sguardo. -Gli Urgali avranno trovato la sua tomba.-

Altro momento di silenzio.

Solo ora la ragazza si accorse di aver raccontato la storia della sua vita ad uno sconosciuto, un impertinente, fra l'altro. Solamente un'altra persona l'aveva ascoltata come aveva fatto Murtagh adesso: Eragon. Non sapeva perchè era successo, ma ora si sentiva come se le fosse stato tolto un peso dal cuore.

-Una vita poco movimentata.- commentò Murtagh.

Lei non rispose. -Vado a dormire.-

-D'accordo. Il primo turno di guardia lo farò io.-

Arlin si distese accanto a lui e si addormentò.

Murtagh la guardò a lungo, poi appoggiò la schiena contro il tronco di un albero, non sapendo che Saphira aveva ascoltato tutto il racconto della ragazza.

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Capitolo 4
*** Fuga ***


Fuga

Fuga

-Io volerò con Saphira oggi, così potremmo vedere quanto siamo lontani dagli Urgali.-

-Quanto siamo vicini, semmai.- disse Arlin.

-Vai pure. Controllerò io la tua amica.-

Arlin guardò di traverso Murtagh.

-Fate attenzione, tutti e due.- Eragon si arrampicò sul dorso di Saphira. La dragonessa, con un potente balzo, spiccò subito il volo.

Murtagh spronò Tornac al galoppo e Arlin, con Fiammabianca legato dietro la sella di Cadoc, lo seguì.

Non è fantastico?

Volare?

Anche. Guarda giù.

Eragon abbassò il capo e vide le chiome verdi passare veloci sotto di lui, interrotte da uno stretto sentiero marrone. Su di esso, due cavalieri cavalcavano più veloci che potevano. Murtagh e Arlin.

Già. Dovevi sentirli ieri sera come parlavano!

Li hai origliati?

No! Ero sveglia e non ho potuto fare a meno di ascoltarli.

Eragon esitò. Che cosa si sono detti?, chiese dopo un attimo.

Saphira emise quegli strani versi che dovevano essere delle risa. Lo dicevo io che sei geloso!

E io ripeto che non lo sono! Avanti, che cosa si sono detti?

Niente di che. Murtagh le ha chiesto di parlargli un po’ di voi due, e lei gli ha raccontato la sua storia, in cui c’eri anche tu.

Arlin gli ha parlato anche di Teirm?

Sì.

Dell’Impero?

Sì.

Di quando abbiamo trovato il tuo uovo?

Sì.

Di Arya?

Sì.

Ha detto che Brom era un Cavaliere?

Saphira ci pensò. No, non lo ha detto. Mi sa che le è sfuggito.

Eragon sospirò. Meglio così. Conosciamo ancora troppo poco Murtagh, non capisco perché gli ha raccontato la sua storia.

Forse perché aveva bisogno di parlare con qualcuno, e appena ne ha avuto l’occasione l’ha fatto.

Ma Arlin difficilmente si confida, anche con me ci ha messo del tempo.

Non lo so. Chissà, forse ha trovato in Murtagh un amico.

Un amico? Li hai visti ieri, no? Se le sono date alla grande.

Era solo un’ipotesi. Se sei preoccupato, chiedilo direttamente a lei.

Eragon la guardò dall’alto, i suoi lunghi capelli al vento. Appena troverò un po’ di tempo lo farò.

Non aspettare troppo, però.

-Vuoi passare a me Fiammabianca?-

-No, non mi rallenta.-

-Sicura?-

-Non insistere.-

-Come vuoi.-

Cavalcarono in silenzio, poi Murtagh fermò Tornac. -Da qui si procede a piedi.- disse smontando.

Arlin lo imitò, e i due procedettero sullo stretto sentiero a piedi. La ragazza si voltava di continuazione per controllare Fiammabianca, poi all’improvviso Saphira atterrò davanti a Murtagh e Arlin, facendo nitrire i cavalli nervosamente.

-Gli Urgali!- urlò Eragon balzando giù dalla dragonessa.

Arlin si voltò l’ennesima volta e vide una macchia scura avvicinarsi. -Ma come hanno fatto?- esclamò.

-Non lo so, ma è meglio correre!- disse Murtagh.

Saphira si alzò in volo, e i tre ragazzi iniziarono una corsa disperata, intralciata dai cavalli.

-Lasciateli qui, gli Urgali non li troveranno.- Murtagh voltò a destra, e nascose Tornac in una radura circondata da una fitta vegetazione. Arlin ed Eragon lasciarono Cadoc e Fiammabianca con malinconia, poi uscirono dalla radura e ripresero a correre. Si fermarono bruscamente poco dopo: erano di fronte ad una cascata, che alzava del vapore azzurrognolo.

-L’entrata per il nascondiglio dei Varden è qui, nei ricordi di Arya c’era questa stessa cascata.-

Ad un tratto, Murtagh estrasse veloce Zar’ Roc dal fodero di Eragon e ruotò su sé stesso.

Un Urgali cadde privo di vita ai loro piedi.

-Grazie.- disse Eragon.

Murtagh rinfoderò la spada. -Di nulla.-

Arlin si riscosse. -Eragon, che cosa dobbiamo fare adesso?-

Il ragazzo si slacciò il mantello. -Mi sembra ovvio: tuffarci.-

Non diede nemmeno il tempo ad Arlin di ribattere: prese la rincorsa e si tuffò.

-Eragon!- urlò, vedendo l’amico sparire sott’acqua.

-Credo che dobbiamo imitarlo.- Murtagh si tolse il mantello. -Muoviti, questa volta non rimarrò a salvarti ancora.-

Arlin indietreggiò dalla sporgenza. -No…io da qui non mi butto.-

Murtagh sorrise. -Non dirmi che hai paura.-

-No, non ho paura…- Ma il suo tono la ingannò. -È solo che è troppo alto.-

-Avanti, se hai cavalcato un drago più di una volta non dovresti avere paura di un salto così.-

Arlin fu sicura che Murtagh aveva parlato in tono sincero. -Non c’entra niente…-

-Invece sì. Preferisci che gli Urgali ti facciano a pezzi?-

Arlin lo fulminò con lo sguardo. -No.-

-Allora preparati. Andiamo giù insieme.-

La ragazza sapeva che non rimaneva molto tempo. Chiuse gli occhi, facendo un respiro profondo. Questo servì solo a farla agitare ancora di più. Con mani tremanti, slacciò il mantello e Murtagh la prese per un braccio. -Pronta?-

-No, ma vai prima che cambio idea.-

-Dopo però non prendertela con me.-

-VAI!- gridò.

Murtagh indietreggiò per prendere la rincorsa, poi partì. Arlin non fece niente, era Murtagh a guidarla.

Poi non sentì più la roccia sotto i piedi.

L’acqua le colpì il viso con una forza da mozzarle il fiato. Arlin aprì gli occhi: era circondata da piccole bollicine provocate dal suo tuffo. La pressione la trascinava verso il fondo, ma una mano le prese l’esile braccio e la tirò su. La sua testa andò a sbattere contro un petto, e la ragazza alzò il viso. Vide Murtagh nuotare con le guance gonfie per trattenere l’aria.

Murtagh perse la presa del braccio di Arlin e si fermò: un piede della ragazza si era impigliato in un’alga, e lei cercava di liberarlo senza successo.

Perché tutte a me devono capitare!, pensò infuriata.

Proprio mentre Murtagh le andava incontro, Arlin estrasse un coltello dallo stivale e tagliò l’alga con un colpo secco. Lo rimise al suo posto, e il ragazzo la trascinò via in malo modo, sentendo che il fiato iniziava a venirgli meno. Passarono sotto la cascata, ma ancora non si vedeva la fine di quel fiume sotterraneo. Sentì una mano che gli stringeva la camicia. Arlin era diventata rossa, le nocche delle mani erano bianche. Le strinse il braccio, sperando che resistesse fino alla fine. Non doveva mancare molto…

La stretta alla sua camicia si allentò sempre più. Murtagh guardò terrorizzato la ragazza, e vide che i suoi occhi si chiudevano. Maledizione, no!, pensò. Si fermò e alzò il corpo di Arlin davanti a sé, che aveva già gli occhi chiusi. I suoi lunghi capelli brillavano sott’acqua, con la debole luce del sole erano bellissimi. Possibile che debba essere sempre io a tirarla fuori dai guai e rischiare che non muoia?, si disse mentre la avvicinava. Ma da una parte era meglio così che fosse lui e non qualcun altro. I loro volti erano sempre più vicini, poi Murtagh la baciò. Non era un bacio vero e proprio, serviva solo per darle un po’ d’ossigeno. D’altra parte non c’erano altri modi, Arlin sarebbe morta ora che arrivavano all’uscita.

Lentamente, la ragazza riaprì gli occhi e le due iridi verdi si puntarono subito su di lui. Murtagh si separò da lei e alzò le spalle. Scuotendo la testa seccata, Arlin si voltò e nuotò veloce. Con un sorriso malizioso, il ragazzo la seguì.

Quando l’aria gli stava per finire, videro dei nuovi raggi di sole davanti a loro. Con rinnovata speranza, i due aumentarono la velocità e finalmente uscirono dall’acqua.

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Capitolo 5
*** I Varden ***


I Varden

I Varden

Tossendo forte, Arlin si accasciò su Murtagh, che la sorresse guardandosi intorno spaventato.

Di fianco a loro c’era Eragon, ma tutti e tre erano circondati da lance puntategli contro.

-Era ora! Ma quanto ci avete messo?- disse Eragon a fil di labbra.

-Abbiamo avuto dei contrattempi.- rispose Murtagh sarcastico.

Arlin si rialzò, rimanendo aggrappata al ragazzo. Si strinse a lui quando vide le lance.

-Venite avanti, con calma.- disse una voce.

Esitanti, i tre ragazzi eseguirono, e i soldati si fecero da parte per lasciarli passare, con le lance sollevate. Si fermarono quando furono di fronte ad un uomo alto, dalla carnagione scura, con i capelli lunghi e gli occhi neri. Di fianco a lui c’era un tizio più basso, con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Entrambi erano soldati, lo si capiva dalle loro armature, ma c’era qualcosa nel loro aspetto che incuteva un misto di timore e rispetto nei ragazzi.

-Quale di voi è il Cavaliere?- chiese subito l’uomo alto.

Eragon si fece avanti. -Eccomi. Il mio nome è Eragon.-

Quello lo squadrò. –Io sono Ajihad, capo dei Varden. Se tu sei il Cavaliere, dì alla tua bestia di entrare.-

-E se attaccherà, tu morirai per primo.- aggiunse l’ometto basso, minaccioso.

Eragon guardò prima l’uomo alto poi quello accanto a lui.

Saphira vieni. Ma sii cauta.

L’acqua della cascata si aprì e la dragonessa le passò attraverso. Atterrò di fianco ai ragazzi e avanzò tra le fila dei soldati intorno, che la guardarono ammirati dal suo passo fiero. Persino gli occhi di Ajihad brillarono.

Eragon le andò incontro. –E’ stato uno spettro, l’ha avvelenata.- disse indicando Arya, sulla sella di Saphira.

-I nostri curatori la guariranno.- commentò Ajihad.

Un paio di uomini andarono incontro alla dragonessa.

-Vigila su Arya.- disse Eragon a Saphira. Ma stai attenta.

Tu stai attento. Mantenendo la postura orgogliosa, la dragonessa uscì.

Una sentinella sussurrò qualcosa nell’orecchio del biondo, che a sua volta si rivolse ad Ajihad. –Urgali. Battono le montagne in questo momento.-

Il capo dei Varden guardò Eragon. –Il tempo corre, devo sapere se siete con noi. Saremo inferiori di numero.-

Il Cavaliere si girò verso Arlin, che annuì. Murtagh teneva lo sguardo voltato da un’altra parte. Poi tornò a guardare Ajihad. –Siamo qui per unirci a voi.-

Il capo dei Varden sospirò sollevato. Spostò la sua attenzione su Arlin. -Qual è il tuo nome?- le chiese.

La ragazza alzò la testa, lievemente confusa. -Arlin.-

Per un attimo, gli occhi dell’uomo luccicarono. -E quello dei tuoi genitori?-

Era passato molto tempo, ma lei se li ricordava bene. -Lodark e Ialia.-

L’uomo sorrise, malinconico. -Lo immaginavo. Hai gli stessi occhi vivaci di tuo padre e il volto di tua madre. Mi dispiace che siano morti…-

-Anche mia madre?- Arlin si aspettava, un giorno o l’altro, di sentire la risposta alla sua domanda, e sapeva anche quale sarebbe stata. Ma una piccola parte di lei ancora sperava di poter rivedere sua madre ancora in vita.

-Sì. È resistita alle torture di Galbatorix, ma nove anni fa ha ceduto.-

-Un anno di torture?- chiese sconvolta.

-Nessuno si aspettava che avrebbe resistito per così tanto tempo, essendo una donna, ma Ialia si è dimostrata ancora più coraggiosa di quanto già non fosse.-

Arlin chinò il capo, malinconica.

Lo sguardo di Ajihad si fermò poi su Murtagh. Per molto tempo, nessuno disse niente. Arlin si voltò verso il ragazzo e solo allora vide che stava tremando leggermente, ma non seppe dire se per il freddo o per la paura, e il suo sguardo cercava in tutti i modi di sfuggire a quello inquisitore del capo dei Varden. Quest’ultimo lo squadrò, come se si trovasse di fronte ad un ibrido. All’improvviso schioccò le dita. -Prendetelo.-

-NO!- urlò Arlin, parandosi davanti al ragazzo.

Eragon estrasse Zar’roc. –Sta con noi.-

-E mi ha salvato la vita.- aggiunse seria Arlin.

I soldati che avanzavano verso di lui si fermarono.

-E’ il figlio di Morzan, il traditore.- rivelò Ajihad, duramente.

Si levarono dei mormorii.

Eragon si voltò per guardare l’altro ragazzo. –E’ così?- chiese, con voce addolorata.

Murtagh represse l’ira. –Un figlio non sceglie il padre.- si voltò e alzò la tunica, rivelando sulla schiena una lunga cicatrice rossa.

Arlin restò di sasso, pensando a quanto dolore doveva aver provato. Gli occhi le divennero lucidi.

-Questa è l’unica cosa che mi ha lasciato.- continuò lui, tirandosi giù la tunica e voltandosi di nuovo per guardare Ajihad. –Finché non è morto ho continuato ad odiarlo.-

-Imprigionatelo. E se tenta la fuga, uccidetelo.- ordinò di nuovo il capo dei Varden, senza scomporsi.

Gli uomini provarono una seconda volta ad avvicinarsi.

-Solo perché è il figlio di uno dei Rinnegati non ci è dato sapere se è tale e quale a suo padre!- li fermò di nuovo Arlin, assumendo un tono più controllato.

-Arlin, non t’intromettere.- sussurrò Eragon.

-Arlin, lascia…- provò Murtagh.

-Nha, stai zitto, tu!- ribattè lei rivolta a Murtagh.

Ajihad la guardò. –Non ho tempo di correre rischi.- disse calmo. -Fino a quel momento, è opportuno che rimanga isolato.- Diede il segno ai suoi uomini di proseguire.

I soldati superarono Arlin e presero Murtagh per le braccia. La ragazza si voltò appena.

-Non preoccuparti per me. Saprò badare a me stesso.- sussurrò lui con un debole sorriso, ripentendo le sue parole.

Un attimo prima che i soldati lo portavano fuori dalla stanza, vide una lacrima scendere dagli occhi verdi di Arlin.

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Capitolo 6
*** Preparativi ***


Vorrei ringraziare Ludo91 e Pikky per le recensioni

Vorrei ringraziare Ludo91 e Pikky per le recensioni. Ovviamente anche i nuovi arrivati, Valerie, Eleuthera, Kessachan ed Erica!! Ringrazio anche tutti gli altri che leggono ma non recensiscono...GRAZIE 1000!!!!!!

Preparativi

Indossò i vestiti che le avevano portato, molto simili ai suoi: dei pantaloni neri in pelle, che infilò negli stivali marroni; un corpetto dello stesso materiale e colore, con bottoni color argento, e una fascia per tenersi indietro i lunghi capelli castani. Si allacciò la spessa cintura di Garjzla in vita e si assicurò arco e faretra sulle spalle.

Arlin si diede un’ultima controllata allo specchio: aveva il viso tirato, stanco dopo quel lungo viaggio. Ma i suoi occhi, come aveva detto Ajihad, rimanevano vivaci e svegli. Gli sarebbero serviti, quella sera più che mai.

La mia prima battaglia. Forse anche l’ultima.

Se inizi così, mia cara, sarai un facile bersaglio per tutti e cadrai quando meno te l’aspetti, le avrebbe detto Brom.

Ma purtroppo Brom non era lì con lei, era morto.

Perché devo essere destinata a perdere tutte le persone a me care?

I suoi genitori, Brom…la sua unica famiglia ora era il suo migliore amico, un Cavaliere per giunta. Ma a lui sarebbero toccate le sofferenze più terribili: avrebbe visto morire i suoi compagni e amici mentre lui sarebbe sopravvissuto, e avrebbe visto anche lei lasciare questo mondo.

Tutti i suoi progetti che aveva fatto dopo la morte dei genitori erano svaniti con la scoperta dell’uovo di drago.

Arlin avrebbe combattuto. Quel pensiero la innervosiva, ma era la verità. Lei sarebbe stata sempre al fianco di Eragon, anche nei momenti più difficili. Non lo avrebbe mai abbandonato.

Sospirando, la ragazza uscì dalla stanza.

Quando passò davanti ad una gabbia, qualcuno tossì.

Arlin si voltò. Di fianco a lei c’era una gabbia con aste di legno, sorvegliata da due soldati Varden. Nell’oscurità della prigione s’intravedeva una sagoma che si muoveva appena, seduta.

La ragazza gli andò incontro. -Lasciatemi passare, devo parlare con lui.- Indicò con la testa l’interno della gabbia. -Mi manda Eragon.-

Le sentinelle non si mossero.

Arlin roteò gli occhi. -E Arya.-

Quelle prima esitarono, poi aprirono la porta e lasciarono passare la ragazza. Lei avanzò ma si fermò dopo pochi passi. L’oscurità era l’unica cosa che si riusciva a distinguere chiaramente.

-Chi si vede…qual buon vento ti porta qui?- chiese qualcuno nascosto dal buio.

-Non è un vento buono. Gli Urgali ci stanno per attaccare.- rispose lei.

-Allora ti sei schierata dalla parte di questi ribelli?-

-Tu no?-

La figura non rispose.

La ragazza gli si inginocchiò di fronte. -Sei davvero chi ha detto Ajihad?- chiese.

-Sì.- Murtagh rispose deciso, ma con una impercettibile nota di tristezza.

Arlin distolse lo sguardo.

-Davvero ti hanno mandato Eragon e Arya?-

Lei sorrise forzatamente. -Certo che no. Eragon è troppo impegnato, e Arya si sta preparando. Stavo passando di qua per andare alla mia postazione, così…- Abbassò il capo e strinse i pugni sul grembo.

Una mano robusta si posò sulla sua, piccola ed esile. Rialzò la testa: Murtagh era uscito dall’ombra e le sorrideva. -Prima volta in guerra?-

Arlin annuì.

-Allora ascoltami attentamente: non devi essere nervosa, devi stare tranquilla e concentrarti solo sul tuo nemico. Ci siete solamente voi due, tu e il tuo avversario. Non farti prendere dalla rabbia, sarà inutile, sprecherai in fretta energie preziose.- Vide l’arco e la faretra. -Arciere. Per un po’ di tempo sarai al sicuro, poi però dovrete anche voi usare la spade. Colpisci il nemico e non fermarti a guardarlo. Sarebbe una visione troppo scioccante per una principiante. Hai già combattuto alcune battaglie, ma ti assicuro che non sarà come Gil’ead. Sarà un massacro.-

-Perché mi dici tutte queste cose?- domandò piano Arlin.

-Io non ci sarò a coprirti le spalle, quindi devi sapertela cavare da sola. Hai detto di essere in grado di farlo.- Fece una pausa, ma non abbassò lo sguardo. -Vedi di tornare viva. Ti aspetto.-

La ragazza rimase ferma dov’era, incatenando il suo sguardo con quello di lui.

Poi un corno risuonò nella montagna.

Arlin si riscosse e guardò terrorizzata da quella parte.

-Vai, ora.- mormorò Murtagh. La trascinò verso di sé e la strinse.

La ragazza rimase un attimo interdetta, e l’immagine di lei e Murtagh sott’acqua le ritornò in mente. Si abbondò all’abbraccio, chiudendo gli occhi. La sua reazione la stupì. Non era arrabbiata… perché le serviva proprio, in quel momento, una persona su cui contare ora che Eragon si stava allontanando da lei. Ma non aveva creduto possibile che quella persona fosse Murtagh. Si sentiva legata a lui. -Tornerò. Non stare in pensiero.- Si separò e lo guardò. Forse invece è l’ultima volta che ci vediamo, pensò con un sorriso amaro. Si sporse e gli diede un breve bacio sulla guancia.

Lui ricambiò il sorriso. -Come faccio a non stare in pensiero per una ragazzina?-

-Non devi. La ragazzina tornerà e poi te la vedrai con lei.-

Un secondo corno la fece agitare ancora di più.

-Devo scappare.- disse lei frettolosa.

-Ricorda quello che ti ho detto.-

La ragazza si alzò e si accorse che le gambe tremavano. Cercò di sorridere, rassicurante. -Grazie.- Si voltò, e appena fuori dalla gabbia si mise a correre.

Murtagh si sentì di nuovo solo quando Arlin lasciò la sua prigione.

Sembrava proprio una guerriera provetta con tutte quelle armi addosso e quell’aria sicura che solo lei aveva. Il ragazzo sorrise tra sé e si accarezzò la guancia, quella dove Arlin l’aveva baciato. Era più che sicuro che lei aveva ripensato alla scena della cascata, e si era meravigliato che la ragazza non l’avesse preso a schiaffi. In fin dei conti, l’aveva baciata.

Forse stava iniziando a provare qualcosa per lui…

No, non doveva succedere. Murtagh era il figlio di Morzan, ultimo dei Rinnegati. Arlin sarebbe stata in grave pericolo se Galbatorix avesse saputo di lei, e Murtagh non avrebbe sopportato se lui le avesse fatto del male.

Ma non poteva negare che tutte le volte che la vedeva si sentiva stringere le viscere e il cuore iniziava a battere più forte. Anche quando lei si arrabbiava. Era lo stesso anche per Arlin?

Lei non se n’era accorta. Era stato addestrato a nascondere le sue emozioni, a coprirle con una maschera impassibile. Ma quella maschera si stava lentamente sciogliendo.

Chissà se Arlin sarebbe tornata davvero da lui.

Le aveva detto quello che sapeva, ora era tutto nelle sue mani. Guardò la direzione in cui la ragazza era sparita. Alzò poco il volto e la vide: era girata di schiena, in mezzo agli arcieri Varden, pronti con gli archi in mano e le frecce già incoccate. Stavano tutti su un ponte, una sola freccia infuocata nemica l’avrebbe bruciato.

Sospirò, e nel silenzio del luogo gli parve di sentire solamente il suo sospiro.

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Capitolo 7
*** Guerra ***


Guerra

Guerra

Un tamburo ruppe il silenzio e il suono rimbombò nella montagna.

Arlin strinse l’arco. Le freccia era già incoccata, aspettava solo un bersaglio da colpire. Ajihad e Nasuada erano al suo fianco, le spade che pendevano dal fodero della cintura. Nasuada doveva essere poco più grande di lei, ma sembrava aver combattuto molte battaglie. Era identica al padre: carnagione scura, occhi e capelli neri, e la sua stessa espressione tranquilla e decisa sul volto.

Eragon era con Saphira in una caverna in alto che osservavano la scena, e Arya era con gli arcieri elfi.

Arlin tornò a guardare il portone di pietra.

Un secondo, potente tamburo non si fece attendere. Un attimo dopo, un rumore sordo anticipò l’esplosione del grande portone di pietra e si alzò una densa polvere grigia. Poi fu il turno delle grida animalesche degli Urgali che emersero dal polverone con gli spadoni in aria.

Arlin si accorse di avere le mani sudate, ma cercò di calmarsi. Devi stare tranquilla e concentrarti solo sul tuo nemico, aveva detto Murtagh.

Facile dirlo quando si è in una gabbia, lontano dal campo di battaglia.

Sarà un massacro.

Ajihad levò la mano. -Arcieri!- urlò.

Arlin guardò gli Urgali che si avvicinavano di corsa verso di loro. Erano tantissimi, sembravano non finire mai.

Si ricordò gli insegnamenti di Brom. Devi diventare l’arco e la freccia, devi fonderti con loro. Quando ti senti pronta, quando il tuo avversario è sotto tiro, colpisci. Il colpo non fallirà.

La ragazza fissò la freccia, che aveva smesso di tremare. Era pronta. Aspettò l’ordine di Arya.

-Tirate!-

Subito, le frecce partirono e tagliarono l’aria con forti sibili.

Gli arcieri caricarono di nuovo gli archi mentre le loro frecce colpivano molti Urgali.

Andarono avanti così per due volte, poi Ajihad diede l’ordine che fece accapponare la pelle ad Arlin. -Alle spade! Tutti alle spade!-

Nervosa, abbandonò arco e faretra e corse via dal ponte insieme agli altri. In quel momento arrivò Saphira, Eragon sulla sua sella, e iniziò a sputare fuoco contro i nemici. Arlin continuò a correre, scese i gradini e si precipitò tra i soldati.

Ajihad prese Arlin per un braccio e la portò in prima fila. Spaventata, la ragazza guardò i mostri a pochi metri da loro.

-Tuo padre era sempre in prima fila, alla mia destra.- disse.

Ma questo non significa che io devo fare come lui, pensò lei, ma poi si vergognò.

-So che sei terrorizzata. Resta vicina a me.-

Arlin annuì debolmente, grata ad Ajihad.

Comandati dal re, i Varden si lanciarono sui nemici, urlando.

Un Urgali corse verso Arlin, gridando col suo ghigno animalesco. La ragazza prima deglutì, poi strinse l’elsa di Garjzla con entrambe le mani. Non poteva scappare e farsi proteggere da qualcuno. Murtagh aveva detto che l’avrebbe aspettata. Ma lei doveva combattere, non poteva permettersi di comportarsi come un coniglio. I suoi genitori sapevano che cosa stavano facendo aiutando i Varden. Si erano sacrificati per la figlia, e lei doveva prendere il loro posto. Forse non sarebbe stata valorosa come suo padre, ma era più che decisa a rovesciare il potere di Galbatorix, colui che aveva tolto di mezzo i suoi genitori. Non poteva passarla liscia. Gliel’avrebbe fatta pagare.

Urlando, andò verso l’Urgali, si piegò e gli tagliò la gola con un colpo aggraziato. Un altro prese il suo posto e atterrò Arlin con un calcio. La spada le scivolò di mano, e per un attimo vide tutto buio. Grazie al duro allenamento di Brom, riuscì a sentire che l’Urgali si preparava a colpirla. Rotolò di fianco e andò a sbattere contro qualcosa. Riuscì a tirarsi in piedi e sentì sulla bocca sapore di sangue, il suo. Lo pulì velocemente con la manica, mentre la vista tornava, e l’Urgali le andò incontro, reggendo il suo spadone. Arlin vide Garjzla, ma era troppo lontana.

L’Urgali ormai le era addosso. Quando credeva di non aver più speranze, la ragazza si abbassò ed estrasse il coltello dallo stivale. Lo infilzò nella dura coscia del mostro e si dileguò. L’Urgali urlò, si tolse il coltello e lo gettò via. Arlin intanto aveva recuperato la sua spada e si preparava per un altro scontro. L’Urgali fece per colpirla sulla testa, e la ragazza parò il colpo.

Ci siete solamente voi due, tu e il tuo avversario.

Arlin roteò Garjzla e gli fece un affondo a livello del fianco. Il mostro si difese con facilità e le fece uno sgambetto.

Non farti prendere dalla rabbia, sarà inutile, sprecherai in fretta energie preziose.

La spada cadde di nuovo alla ragazza e il mostro infilzò la sua nel suo braccio destro. Arlin urlò di dolore.

-Fatemi uscire!- urlava Murtagh.

La guerra era appena iniziata, il caos era totale. Davanti alla sua gabbia le sentinelle erano state uccise, ma i loro corpi erano troppo lontani per poter prendere le chiavi.

-Fatemi uscire! Fatemi uscire da qui-

Nessuno però gli dava retta.

-Fa…-

Un grosso Urgali sfondò la sua prigione, e Murtagh indietreggiò.

Quello si rialzò e lo guardò con ira. Il ragazzo si aggrappò al tetto della gabbia e con i due piedi sollevati da terra lo colpì in pieno petto. L’Urgali cadde all’indietro e finì nel fuoco.

Murtagh uscì. Libero. Finalmente.

Un pensiero più preoccupante gli attraversò la mente. Arlin. Doveva trovarla, anche se non sarebbe stato facile tra tutta quella confusine.

Si guardava intorno quando sentì un grido.

Sgranò gli occhi. Era la voce di una ragazza, e sapeva anche quale.

Corse più veloce che poteva in quella direzione.

Eragon camminava verso Saphira, barcollando. Era stanco, dopo aver impiegato molte energie nello scontro con Durza. Ma alla fine ce l'aveva fatta. Aveva vinto lui.

I suoi piedi inciamparono in un cadavere, e il Cavaliere cadde. Guardò in viso la persona che gli aveva intralciato il cammino: Arya giaceva immobile accanto a lui, ma al momento i suoi pensieri andavano tutti alla sua dragonessa.

Morto un elfo se ne fa un altro, pensò, non rendendosi conto di quello che si diceva.

Si rialzò a fatica e barcollò verso Saphira.

(N.B. Questa è cattiva...)

L’Urgali la sovrastava. La guardava con un ghigno che doveva essere di felicità perché estrasse la sua arma dall’esile braccio di Arlin. La ragazza lo vide atterrita levare lo spadone in aria. Rotolò di nuovo sul fianco, e con difficoltà si alzò. L’Urgali la prese per i capelli. Arlin urlò ancora e cercò con il braccio sano di fargli mollare la presa tirandogli gomitate nello stomaco. Ma era tutto inutile.

Disperata, cercò nella sua memoria le lezioni di Brom, cosa gli diceva quando era in quella situazione.

C’era solo una cosa da fare. Strappò lo spadone dalle mani del mostro, mentre lui era distratto da una freccia lanciata da un arciere Varden che però lo mancò, poi lei si voltò e, rapida, gli tagliò la testa.

Colpisci il nemico e non fermarti a guardarlo.

Arlin chiuse gli occhi, ansante. La cute le doleva, ma il dolore al braccio copriva tutti gli altri mali.

Si stava per allontanare, quando un sibilo le passò ad un soffio dal viso. Subito sentì un gemito e un tonfo. Come Gil’ead.

Alzò lo sguardo e vide Murtagh. Reggeva un arco, forse il suo.

Le forze la abbandonavano. Cadde in ginocchio mentre Murtagh lanciava un’altra freccia. Poi il ragazzo la soccorse. -Arlin, che ti succede?- Vide ferita al braccio che sanguinava copiosamente. -Ti aiuto.- La fece alzare e la portò vicino ad un carro.

La ragazza guardò il cielo. -Saphira…dov’è Saphira?- chiese a bassa voce.

-Non lo so, starà combattendo. Eragon sta bene, vedrai.- La fece sedere a terra. -Fammi vedere, dai.-

Lontano, Arlin scorse una luce bianca. Eragon.

Era chino su qualcosa di gigantesco. Saphira.

-ERAGON!- urlò. Provò ad alzarsi, ma era troppo debole.

-Arlin, sei ferita, fatti almeno aiutare.-

-Devo andare là! Saphira sta male!- Con fatica, Arlin riuscì a tirarsi in piedi con la forza della disperazione.

Murtagh guardò la dragonessa e il ragazzo, ma quando si voltò verso Arlin, la ragazza non c’era più. La vide correre verso l’amico.

-ARLIN!-

Un Urgali l’aveva vista, una ragazzina ferita e disarmata che a stento stava in piedi, e andava verso di lei.

Maledizione, perché è così cocciuta?!, pensò. Incoccò l’arco, e la freccia colpì l’Urgali precisa al cuore.

Arlin continuava a correre, ignara di quello che le accadeva intorno.

-Eragon…- ansimò.

Il ragazzo si era lasciato cadere sul collo Saphira. Sembrava morto. Tutti e due sembravano morti.

Gli occhi di Arlin si velarono di lacrime e sbattè più volte le palpebre per ricacciarle dentro. Non poteva essere morto, non doveva. Provò a scuotere il Cavaliere, ma non cambiò nulla. La ragazza si voltò. -MURTAGH!-

Lui le fu subito accanto.

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Capitolo 8
*** Fine ***


Fine

Fine

Eragon aprì lentamente gli occhi: qualcuno gli era di fianco, seduto con un gomito sulla gamba. Presto i suoi contorni divennero chiari. Il Cavaliere si tirò su a sedere di scatto, ma la testa gli girò terribilmente e fece una smorfia.

-Ah ah ah, piano, Cavaliere.- disse piano Murtagh.

Eragon aveva un sacco di domande da fare. -Arya?-

-Alcuni elfi l’hanno trovata morta. Un Urgali l’ha colpita a tradimento e lei non se n’è accorta. Mi dispiace.-

Il Cavaliere non disse nulla per un po’. -Arlin! Dov’è? Sta bene? È ferita?-

-Calmati!- Murtagh rise. -Sta benone.- Gli indicò oltre le sue spalle.

Eragon si voltò: Arlin era a pochi centimetri da lui, addormentata. Indossava ancora le vesti della battaglia, una fascia sporca di sangue legata al braccio destro.

-I guaritori ci hanno messo alcune ore a fermarle l’emorragia, ma alla fine ce l’hanno fatta. È da poche ore che dorme, ho vegliato io su voi due.-

-Ha rischiato di morire, non è vero?- domandò Eragon pacato.

-Bè…- Murtagh esitò. Cosa doveva dirgli? In guerra tutti rischiavano la vita, Arlin compresa. Sospirò. -Sì, ma se l’è cavata. Come vedi è viva.-

-L’ho portata io qui.-

-Da quello che ho capito, è stata lei a seguirti. Non hai da rimproverarti nulla.-

-Non doveva succedere comunque. Arlin non è fatta per queste cose.-

-Davvero? A me è parso il contrario, Eragon. È vero, la guerra è una cosa brutta, ma la ragazzina ci sa fare. Penso che tu la sottovaluti troppo.-

Prima Saphira gli dice che è geloso, ora Murtagh che la sottovaluta. Si erano messi d’accordo? -Mi preoccupo per lei.- ripeté.

-Non è tua sorella.- ribattè Murtagh con un sorrisetto.

-Ma è la mia migliore amica. Se le accadesse qualcosa, non me lo perdonerei.-

Più o meno la stessa cosa che avevo pensato io, si disse Murtagh. -Non le accadrà niente se rimarrà qui.-

-Dici? Ora l’Impero sa dove si trovano i Varden, non esiteranno a mandare un altro esercito.-

-Galbatorix sarà andato su tutte le furie per questa sconfitta, non credo che rischierà ancora.-

-Non adesso, forse. Ma fra qualche mese?-

-Arlin sarà ben addestrata. Ho sentito Ajihad che ne parlava con qualcuno, volevano continuare quello che Brom e suo padre avevano iniziato con lei.-

Eragon non seppe cosa rispondere. C’era qualcosa negli occhi di Murtagh che solo ora vedeva, che forse era comparso da poco.

Si preoccupa molto per Arlin. Le ha salvato la vita una volta, lei non l’ha dimenticato.

-Eragon!- La ragazza si era svegliata. Gli mise subito le braccia al collo e lui ricambiò.

Da sopra la spalla dell’amico, Arlin vide Murtagh distogliere lo sguardo.

-Sono felice di vedere che stai bene.- disse Eragon allontanandosi.

Arlin sorrise. -Anch’io.-

-Non vi dimenticate di qualcuno?- chiese Murtagh.

Eragon e Arlin si guardarono. -Saphira!-

Eragon guardò Murtagh in modo interrogativo, ma lui aveva abbassato il capo. –Ci sono amici che fa male perdere…-

No, non può essere vero, pensò Eragon.

Arlin teneva lo sguardo incredulo fisso su Murtagh.

All’improvviso, l’acqua della caverna dove si trovavano si aprì e comparve Saphira.

Murtagh rialzò la testa, ridendo. -Ma non è successo, fortunatamente.-

Eragon si alzò e corse verso la dragonessa. –Saphira! Non credevo di riuscirci!-

Non avresti dovuto, è stata un’imprudenza. Ma sono felice che tu l’abbia fatto, gli disse Saphira, orgogliosa di lui.

-Non fu un vecchio saggio che disse: una parte di prodezza e tre di stoltezza?-

Brom, sarebbe fiero di te.

Eragon appoggiò il capo sul muso di Saphira. Di noi.

Arlin guardò di traverso Murtagh. -Ti sembrano scherzi da fare?- chiese burbera.

Il ragazzo si strinse nelle spalle. -Oh, avanti! Volevo vedere che faccia avresti fatto.-

-E non hai pensato allo spavento che si sarebbe preso Eragon?-

-Credevo che lo sapesse.-

Arlin sbuffò.

-E riguardo a te, hai mantenuto la tua promessa.-

-Che promessa?-

-Che saresti tornata.-

La ragazza arrossì e abbassò il capo. -È stata solo fortuna.- mormorò.

-Ti sbagli.-

-Arlin!- la chiamò Eragon. -Saphira ed io andiamo alla tomba di Brom. Vieni anche tu?-

Arlin si alzò. -Subito.-

Eragon annuì e sellò la dragonessa.

Anche Murtagh si era alzato. -Allora a dopo.-

-A dopo.- Arlin lo guardò un attimo, e diede una rapida occhiata ad Eragon per controllare che non la vedesse. Poi si avvicinò a Murtagh e gli appoggiò le labbra sulle sue. Non aveva la minima idea del perché lo stesse facendo, si era ritrovata lì, a poca distanza da lui…

Si divise appena lui provò a schiudere le labbra, e tenne lo sguardo basso. Non aveva il coraggio di guardarlo.

-Arlin, siamo pronti.- disse Eragon.

-Arrivo.- Alzò timidamente la testa e sorrise a Murtagh, poi si diresse verso Eragon e salì sulla sella di Saphira.

Quando la dragonessa si librò in aria, Murtagh alzò un braccio per salutarli, ma teneva lo sguardo fisso su Arlin. Non era arrabbiato, sembravasoddisfatto?

I due ragazzi gli sorrisero, e Arlin lo guardò fino a quando Saphira non fu troppo lontana da non renderlo più visibile. Si sentì triste pensando che Murtagh era di nuovo solo.

Poche ore dopo arrivarono alla tomba di diamante. Eragon e Arlin scesero dalla dragonessa e si avvicinarono al monumento.

-Mi manca.- disse Arlin.

-È stato molto importante per noi.-

-Che cosa credi che ci accadrà ora? Ci divideranno?- chiese lei dopo un attimo.

-Spero di no. Da sola saresti in pericolo.-

-Se rimango con i Varden c’è Ajihad.-

-Ma non ci sarà per sempre.-

-Nemmeno tu.- Arlin gli sorrise.

-Ma vivrò più a lungo. Posso proteggerti.-

-Fino a quando sarò vecchia e decrepita? No, Eragon. Troverò una sistemazione.-

-Ma non adesso. È troppo rischioso, per entrambi. Ti ricordi quello che ha detto Brom? Se rimarremo uniti ci prenderemo cura a vicenda. Appena io ti lascerò indietro, qualcuno di più potente potrà torturarti per arrivare a me. È questo che vuoi?-

-Lo voglio quanto te, Eragon. Ma non posso sempre starti tra i piedi.-

-Non mi sei d’intralcio.-

-Smettila. Non sarò mai al tuo livello, ed è ovvio che ti darò fastidio.-

-No. Ci alleneremo, e…-

-Basta. È ridicolo: tu sei il Cavaliere, tu! Non io, Eragon! Io sono solo tua amica, ti ho seguito fino a qui, è vero, ma adesso devo sapermela cavare da sola. E tu devi andare per la tua strada.- Per Arlin l’ultima frase fu uno sforzo terribile. Anche per lei era difficile accettare la realtà, ma il destino non si poteva cambiare.

Eragon si rassegnò. -Hai vinto tu. Ma sappi che anche se sarò lontano, di qualunque cosa tu abbia bisogno io ci sarò.-

-Così va meglio.-

Dal prossimo capitolo inizierà Eldest…per chiunque non avesse letto il libro consiglio di fermarsi qui, non voglio anticipare nulla!! Grazie tantissimo a tutti quelli che recensiscono, spero che il mio racconto sia scritto bene!!!XD

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Capitolo 9
*** Avvisi di partenza ***


Eldest

Eldest

 

Avvisi di partenza

 

 

A sera inoltrata i ragazzi e la dragonessa tornarono dai Varden.

Saphira atterrò nella caverna, ma lì non c’era nessuno.

Dov’è Murtagh?, si chiese Arlin scendendo dalla sella.

Anche Eragon si guardava intorno. Vide lo sguardo teso dell’amica. -Sarà con Ajihad. Siamo stati via tutto il giorno, si sarà stufato di aspettarci.- disse intuendo i suoi pensieri.

La ragazza annuì poco convinta.

Sentirono dei passi affrettati poi qualcuno entrò nella stanza. Arlin si voltò di scatto, ma non era la persona che si aspettava.

-Bentornati. Mio padre deve mostrarvi una cosa urgentemente.- annunciò ansante Nasuada.

I due la seguirono attraverso lunghi corridoi per poi sbucare in un’altra stanza. Il soffitto era alto, le pareti di pietra. Al centro stava un tavolo di legno scuro, e dietro quello due uomini: Ajihad e il nano, Rothgar. Avevano entrambi uno sguardo triste, ma non troppo.

-Salve, Eragon Ammazzaspettri e Arlin. Prego, avvicinatevi.- disse Ajihad.

Arlin cercò lo sguardo di Nasuada, ma non lo trovò. Seguì Eragon, il cuore le batteva all’impazzata.

Si fermò quando era ancora distante dal tavolo, ma riuscì a vedere cosa c’era sopra: un pezzo di tunica, sporco di sangue, e dei guanti in pelle. Li avrebbe riconosciuti dovunque. Trattenne il respiro e soffocò un gemito.

Nessuno parlò per molto tempo, poi Eragon chiese: -Dove…dove li avete trovati?-

-In uno dei cunicoli sotterranei.-

Arlin arrivò lentamente al bordo del tavolo e prese tra le mani il pezzo di tunica di Murtagh. Una lacrima vi lasciò un segno sopra, ma lei cercò di trattenersi. Murtagh l’aveva salvata più di una volta, e lei non era riuscita a fare lo stesso con lui. Si maledì e ripensò a Daret, a Gil’ead, alla cascata dei Varden, alla conversazione che avevano avuto nella gabbia e infine al loro saluto prima che lei andasse via con Eragon. Al loro ultimo saluto.

Sbattè con rabbia il brandello della tunica sul tavolo e uscì di corsa. Si appoggiò al muro fuori dalla stanza e si lasciò scivolare fino a quando non toccò terra, piangendo.

Eragon probabilmente l’aveva seguita perché si sentì stringere. Non alzò il capo e non si dissero nulla, mentre Arlin piangeva per l’unica persona con cui era riuscita a confidarsi apertamente.

 

************

 

Se ne stava sdraiata sul suo giaciglio, immobile. Sembrava morta, nemmeno le palpebre si muovevano. E da una parte avrebbe voluto che fosse stato così.

Murtagh era morto, non poteva accettarlo. Non ci riusciva.

Eragon sbirciò nella stanza. -Arlin?- chiamò.

La ragazza non rispose, non aveva più voglia di parlare. Le sembrava che la voce le fosse andata via insieme a Murtagh.

Il Cavaliere entrò piano nella stanza. -Neanche questa volta ha mangiato. Non puoi continuare così, devi riprenderti.-

Ancora nessuna risposta.

Eragon si rattristò ulteriormente vedendo uno sguardo perso, vuoto, negli occhi vivaci di Arlin. La scomparsa di Murtagh l’aveva sconvolta, più di quanto avesse immaginato. Ma avrebbe dovuto aspettarselo: aveva visto il bacio che lei gli aveva dato prima che andassero alla tomba di Brom, e lui aveva ricambiato.

Arlin non era una stupida, e se l’aveva fatto ci doveva essere stato un motivo. Si fidava di Murtagh, per lei bastava.

Erano passati tre giorni, ma la ragazza non accennava a miglioramenti.

-Il Consiglio ha deciso di mandarci ad Ellesméra.- disse Eragon.

-Tu e Saphira?-

-Saphira, io e te.-

-Che c’entro io?- Arlin non era seccata, solo non voleva lasciare quei luoghi.

-Devi allontanarti da qui per un po’. Ajihad ed io crediamo che dagli elfi tu possa migliorarti nelle tue arti curative, intanto che…-

-…possa dimenticare Murtagh?- completò lei, col solito sguardo perso.

Eragon sospirò. -È per il tuo bene, credimi.-

Arlin sorrise e lo guardò. -Lo so.- Si tirò su a sedere.

Lui le s’inginocchiò di fronte. -Il dolore non è eterno. Non potrai dimenticare Murtagh, ma vedrai che col tempo ti passerà.-

-A te non manca?- gli chiese.

-Sì, Arlin. Ma dobbiamo andare avanti. Conoscerai altre persone che ti vorranno bene…-

-Ma io non gliene vorrò come a lui.-

Eragon sospirò di nuovo. -Dici così perché sei sconvolta. Partiremo questa sera, prepara le tue cose.- Si rialzò e uscì dalla stanza.

Arlin aspettò un attimo, poi si alzò e si affacciò alla finestra, guardando all’esterno malinconica.

 

 

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Capitolo 10
*** Obblighi ***


Obblighi

Obblighi

Il Cavaliere si diresse verso la bacinella. Non c’era nessuno in circolazione, era solo. Non una novità, ma gli andava bene così.

Galbatorix era impegnato col suo drago, Castigo. L’uovo si era schiuso da appena un giorno per lui, e il drago rosso si era subito dimostrato agguerrito.

Il Cavaliere mise le mani sull’acqua. -Draumr kopa!- pronunciò.

L’acqua tremolò, poi una luce comparve nel centro, mostrando la persona che il Cavaliere desiderava vedere.

Arlin.

Murtagh si sentì stringere le viscere, cosa che accadeva tutte le volte che la vedeva. Ma questa volta era diverso: lei era lontana, distante chilometri da lui. Forse lo credeva morto, per questo aveva quell’aria così affranta. I capelli castani gli parevano lunghissimi, sembrava una vita che non la vedeva così vicina ai suoi occhi.

Ad un tratto, un'altra persona comparve nel suo campo visivo: era Ajihad, che si era affiancato alla ragazza, ma lei non aveva mosso un muscolo.

Murtagh lottò con le sue forse per mantenere le immagini della ragazza e del re dei Varden vive nell’acqua.

Sapeva come sarebbe andata a finire, aveva cercato di mandar via i sentimenti che provava per Arlin, ma quando lei l’aveva baciato, aveva ceduto. Nonostante tutto non si pentiva, troppo orgoglioso e testardo per farlo. Voleva bene ad Arlin, e per ora Galbatorix non aveva scoperto di lei. Ma presto l’avrebbe saputo, e gli avrebbe chiesto cose che non era in grado di fare.

Sentì dei passi provenire dalla stanza adiacente e lasciò svanire Arlin e Ajihad. Subito dopo la porta si spalancò.

-Ah, ti ho trovato.- disse Galbatorix vedendolo.

Murtagh si voltò. -Mi stava cercando?-

-Castigo si è addormentato. Tra qualche giorno gli praticherò l’incantesimo per farlo crescere più in fretta, intanto tu ti allenerai.-

-Chi mi farà da maestro?-

Galbatorix sorrise. -Io, ovviamente. Ti eserciterai sia con le armi che con la magia. In breve diventerai molto potente.-

Murtagh annuì, per niente entusiasta.

Mentre seguiva Galbatorix verso l’arena del castello, il re continuava a parlare. -Sto riunendo le truppe, fra un po’ attaccheremo i Varden.-

Il ragazzo s’irrigidì. -Quando?-

-Di preciso non lo so, ma voglio aspettare che anche tu e Castigo siate pronti.-

Murtagh si costrinse a non pensare a Eragon e Arlin. Se davvero erano quelle le intenzioni di Galbatorix, lui non aveva altra scelta: doveva ubbidirgli.

L’altro notò il suo silenzio. -Non devi preoccuparti per il tuo amico. Ex, amico. Ora è tuo nemico, così come tutti gli altri.-

-Proprio tutti?-

Galbatorix lo guardò per un attimo. -So di quella ragazza, Arlin. Ho un compito di affidarti, che riguarda sia lei sia Eragon.-

-Qualunque cosa sia non posso farla. La faccia fare a qualcun altro, di certo non rifiuterà.- disse velocemente. Non voleva sentire il resto.

-Nemmeno tu puoi rifiutare, Murtagh. Devi eseguire tutti i miei ordini, non puoi tirarti indietro.

-E comunque non è adesso il momento. Vedremo come andrà la guerra, poi deciderò che cosa fare. Tu intanto farai tutto, e dico tutto, quello che ti ordinerò. Sono stato chiaro?-

Murtagh esitò. -Sì, signore.-

Galbatorix annuì e lo condusse all’armeria.

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Capitolo 11
*** Un incontro inaspettato ***


Chiedo infinitamente scusa a tutti i lettori per il ritardo…

Chiedo infinitamente scusa a tutti i lettori per il ritardo….

Per Susanna: certo che scriverò ancora di murtagh e arlin, non preoccuparti!!^^

E per Oby One k Noby, ti consiglio di rileggerti le righe d’introduzione, mi sa che devi dargli un’occhiata

Buona lettura!!^^

Un incontro inaspettato

Arlin seguiva Ajihad in silenzio. Le aveva detto che doveva farle conoscere una persona prima che lei partisse, e sembrava piuttosto agitato. Lei invece era tranquilla, ormai più nulla la metteva in agitazione. Tornarono nella stanza del giorno prima, e Arlin ricordò ogni evento nei particolari, reprimendo le lacrime. Poi vide altre persone: il nano Rothgar, Eragon, Nasuada e un'altra ragazza. Arlin trattenne il fiato e sgranò gli occhi: le parve di vedersi allo specchio. Si riscosse quando Ajihad andò incontro al gruppo e lo seguì. In tutta la stanza regnava il silenzio, nessuno osava spiccare parola.

Arlin fissò l'altra ragazza: aveva i capelli castani lisci, più chiari dei suoi, e due occhi verdi chiarissimi. Era alta come lei, il suo fisico esile nascondeva una grande forza interna, e l'aria seria facevano capire che doveva trattarsi di una guerriera.

Come lei.

Nonostante tutto era molto graziosa, e notò lo sguardo curioso di Eragon. Sorrise tra sè.

-Arlin, avvicinati.- disse Ajihad fermandosi di fronte alla misteriosa ragazza.

Arlin eseguì.

-Lei è Areais. Areais, ti presento Arlin.-

Ci fu un momento di pausa di cui Arlin non ne capì il motivo.

-Tua sorella gemella.-

Arlin rimase immobile.

Sua sorella gemella? Nella sua mente non trovava un minimo ricordo di una sorella sparsa per Alagaesia, eppure non poteva negarlo: Areais era identica a lei, aveva gli stessi occhi. Teneva lo sguardo alto, come se non avesse paura di quella sorella di cui nemmeno lei ne conosceva l'esistenza, e che per di più era la migliore amica di un Cavaliere di Draghi. Ma la guardava intensamente.

-Come...-

-E' giusto che non ricordi nulla, eri troppo piccola per farlo. I vostri genitori dovevano decidere: una figlia sarebbe stata allevata qui, dai Varden, al sicuro dal mondo esterno e dall'Impero. Ma l'altra avrebbe rischiato, allenandosi con Lodark.- spiegò Ajihad.

-Ma perchè non hanno portato anche a me qui?-

-Un bambino è facile da nascondere, ma se spariscono tutti e due i figli è difficile da spiegare agli altri. Ialia partorì sola con una levatrice, Angela, e poi tenne nascosta Areais, che era nata prima, per alcune settimane. Poi la affidò ad Angela e lei la portò qui. Tutta Teirm seppe che Ialia aveva avuto solo una figlia, Arlin, e non venne mai a conoscenza dell'altra, Areais. Fu una decisione difficile, ma necessaria.

-Poi successe quello che successe, e Brom ci informò del tuo arrivo a Carvahall, visto che avevamo perso le tue tracce.-

-E Areais non sapeva nulla?- chiese esitante Arlin.

-No.-

Le due gemelle si fissarono.

-Bene, vi lasciamo sole, avrete molte cose di cui parlare.- disse Ajihad.

Il re dei Varden, Rothgar ed Eragon uscirono dalla stanza, e la porta si richiuse con un tonfo.

-Tu...hai mai rivisto mamma o...papà?- chiese Arlin dopo un attimo.

-Ne so quanto te su di loro, e non abbiamo più avuto notizie da quando si è saputa la morte di Ialia.- La sua voce era delicata, tranquilla, contrariamente a quella della gemella.

-Ti...ti sei trovata bene qui?-

-Sì, Ajihad mi ha sempre trattata come una figlia. E tu? Con chi hai vissuto?-

Arlin credeva che Areais fosse stata informata delle sue vicende, ma il suo tono era sinceramente curioso, e lei si sentiva a disagio. -Io...sono scappata a Carvahall e lì ho conosciuto Eragon. Siamo diventati molto amici, e ho studiato per diventare guaritrice. Ho imparato anche a leggere, scrivere, tirare con l'arco e usare la spada. Poi nel bosco abbiamo trovato l'uovo di Saphira. Brom ci ha condotti lontano da Carvahall, poi è morto a Gil'ead, Durza l'ha ucciso. Abbiamo incontrato Murtagh e...- Abbassò il capo. - ci ha condotti fino a qui. Il resto dovresti conoscerlo.-

-Mi avevano detto che era arrivato un Cavaliere con una sua amica, ma non pensavo che fossi tu.-

Arlin rimase zitta per un pò. Come doveva comportarsi con lei? Era sua sorella gemella, però ne aveva scoperto l'esistenza da pochissimo tempo. Si sentiva ridicola.

-Com'è il mondo di fuori?- chiese inaspettatamente Areais.

-Come scusa?-

-Ho sempre vissuto chiusa qui dentro il Farthen Dûr, Ajihad non ha mai voluto farmi uscire. Come sono le città? Tu hai viaggiato molto, da quello che ho capito, e ne avrai viste tante. Parlamene un pò.- disse sorridendo.

-Io...inizio da Carvahall.-

Arlin raccontò tutto nei minimi particolari alla gemella, che l'ascoltava in silenzio. Descrisse Carvahall, Daret e Gil'ead, le uniche città dove era stata. Cercò di non pensare alle persone che aveva incontrato ma le fu impossibile e la sua voce s'incrinò.

Parlò incessantemente per alcuni minuti.

Arlin voleva rimanere con lei, scoprire qualcosa sul suo conto, ma non ne ebbe la possibilità. Una guardia entrò nella stanza e chiese ad Areais di seguirlo perchè avevano bisogno di lei urgentemente.

Arlin e Areais si separarono, e mentre andava nella sua stanza, ad Arlin parve di avere un nuovo motivo per continuare a combattere. Aveva scoperto di avere una sorella. Una famiglia. Doveva combattere per lei e per tutte quelle persone care che erano cadute per difenderla, e non si riferiva soltanto a Murtagh. Anche a Brom e ai suoi genitori, perchè sapeva che da qualche parte quelle persone le erano vicine, ora più che mai.

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Capitolo 12
*** Ellesméra ***


Ellesméra

Ellesméra

Prima dell’alba venne una guardia per svegliarla, ma trovò Arlin già in piedi, vestita con i suoi abiti da viaggio e il mantello nero addosso.

-Signora, Eragon Ammazzaspettri mi manda a dirle che è tutto pronto.-

La ragazza si voltò. Non disse nulla, prese lo zaino che era appoggiato sulla branda, si sistemò l’arco e la faretra sulle spalle e seguì la guardia.

L’aria era leggermente fresca, adatta per svegliare le persone mezze addormentate. Il sole doveva ancora sorgere, sembrava notte fonda. Le montagne intorno a loro erano delle sagome scure che parevano toccare il cielo blu intenso. Anche il Farthen Dur era ancora assopito, le uniche anime vive erano le sentinelle che marciavano sulle torri e qualche uomo che sistemava le cose da esporre al mercato. Tutti chinavano leggermente il capo quando vedevano Arlin e la sua scorta, e lei rispondeva sorridendo.

Arrivarono in una piazzetta dove c’erano Eragon, Saphira, Ajihad, Nasuada e Rothgar. Arlin cercò con gli occhi Areais, ma non la vide. Sospirando dentro di sé, si avvicinò al gruppo.

-Buongiorno, Arlin.- salutò Eragon.

-Ci siamo tutti, allora.- disse Ajihad.

No, non tutti, pensò Arlin.

-È giunto il momento.- continuò il re dei Varden.

Non ci misero molto a salutare tutti gli altri, e quando Arlin stava per salire sulla sella di Saphira, qualcuno la chiamò.

-ARLIN!-

La ragazza si voltò: Areais correva verso di loro, senza nessun mantello sulle spalle. Indossava dei semplici pantaloni scuri e una camicia bianca, come se si fosse appena alzata dal letto. Reggeva un pacco tra le braccia.

Arlin si allontanò dalla dragonessa.

-Ho fatto tardi, perdonami. Vi ho visti dalla finestra...- ansimò Areais.

-Tranquilla, non siamo ancora partiti.-

Le due gemelle si fissarono.

-Ti ho portato questo. Ajihad dice che apparteneva a nostra madre. Preferisco che lo tenga tu.- Areais allungò il pacco.

-Che cos'è?- chiese Arlin prendendolo.

La sorella sorrise. -Aprilo quando sarai arrivata dagli elfi. Non è fragile, ma trattalo con cura.-

Anche Arlin sorrise. -Grazie infinite. Non sai quanto mi fa piacere che tu sia venuta.-

Areais abbassò il capo. -Ho appena scoperto di avere una sorella e non ho nemmeno avuto il tempo per conoscerla.-

Quelle parole fecero rattristare Arlin più di quanto già non fosse. -Areais, ne avremmo tantissimo al mio ritorno. Non è stata una mia scelta partire, lo sai.-

L'altra rialzò il capo. -Hai ragione, scusa. Ma promettimi di tornare.-

Le lacrime s'impadronirono degli occhi di Arlin.

Perchè continui a tormentarmi!

Quella frase, detta con lo stesso tono, era già stata pronunciata da un'altra persona, che procurava troppo dolore per lei. -A presto, Areais.- mormorò. Strinse il pacco al petto, sorrise alla sorella e si dileguò. Non ebbe esitazioni nel salire in sella a Saphira.

Eragon osservò a lungo Areais: era bella, con quella sua aria da soldato. Diversa da tutte le ragazze che conosceva, esclusa Arlin, aveva catturato la sua attenzione proprio per quel motivo. E il fatto che fosse la sorella della sua migliore amica ne aumentava l'importanza per lui. Non voleva lasciare i Varden, voleva rimanere per combattere Galbatorix e per continuare a vedere Areais. Ma il dovere di Cavaliere era più importante, non poteva concedersi il lusso di un vizio come quello. Una volta tornato, avrebbe deciso se impegnarsi in una relazione oppure no. Lui e Areais erano soldati, rischiavano la vita ogni giorno. Forse lei ci era abituata, visto che viveva nel Farthen Dur da quando era nata, ma lui no. Nessuno poteva sapere chi sarebbe sopravvissuto alle continue guerre e chi no.

Diede a Saphira il comando di partenza, e facendo leva sulle zampe posteriori, la dragonessa spiccò il volo.

Presto tutte le persone rimaste a terra diventarono dei punti neri confondibili con la notte, poi sparirono dalla vista dei due ragazzi.

************

Arrivarono nella Capitale degli Elfi dopo quasi un mese di viaggio.

Dopo aver attraversato tutta la parte est di Alagaësia, erano giunti ai margini della Du Weldenvarden, dove avevano incontrato una scorta di elfi che li aveva condotti fino ad Ellesméra: Lifaen, l’unico elfo dai capelli neri, Edurna, Celdin e Narì dai capelli biondi.

La città elfa era completamente diversa dalle altre umane: le case erano dei rigonfiamenti dei tronchi degli alberi, e le piante erano immense ed alte, che coprivano il cielo. Il popolo degli elfi fu timido a farsi vedere, ma quando venne allo scoperto il gruppetto di visitatori rimase stupefatto: gli uomini e le donne erano bellissimi, ma dei bambini neanche l’ombra.

Lifaen li condusse su di un sentiero che serpeggiava tra i cespugli per poi attraversare un ruscello, mentre gli elfi iniziavano a cantare intorno a loro. Il sentiero si fermava all’improvviso, sostituito da un intrico di fitte radici che formavano dei gradini.

I battenti del portone in cima a queste scale si aprirono apparentemente da soli, poi Lifaen li salì.

Arlin guardò Eragon, e nei suoi occhi poteva leggere la sua stessa agitazione. Infine, i ragazzi salirono insieme i gradini che conducevano all’interno del palazzo.

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Capitolo 13
*** Nel palazzo ***


Nel palazzo

Nel palazzo

La stanza in cui si ritrovarono aveva il soffitto formato dai rami degli alberi, e sulle pareti c’ erano dodici scranni su cui erano seduti degli elfi dall’aspetto regale. In fondo alla stanza c’era un padiglione bianco, dove all’interno, sul trono di rami, vi era seduta la regina Islanzadi. Seria e orgogliosa, aveva lunghissimi capelli corvini così come le sopracciglia. Indossava un diadema e una veste cremisi, con una cintura di filigrana color oro. Accanto al trono c’era un trespolo dove se ne stava appollaiato un corvo bianco.

Lifaen avanzò per primo e s’inchinò sul pavimento ricoperto di muschio verde. Eragon, Arlin, il nano Orik, mandato da Rothgar, e Narí lo imitarono, e anche Saphira s’inchinò per la prima volta.

La regina si alzò e li raggiunse, mentre lo strascico del suo mantello la seguiva. Appena gli fu arrivata di fronte, Eragon iniziò la procedura che gli aveva insegnato Lifaen. Si toccò le labbra e torse la mano destra, portandosela al petto. –Islanzadi Dröttning. Atra esterní ono thelduin.-

La regina parve stupita. –Atra du evarínya ono varda.-

-Un atra mor’ranr lífa unin hjarta onr.-

Dopo fu la volta di Arlin. La ragazza non aveva mai parlato nell’antica lingua, e sentì che ogni tanto la sua voce tremolava, ma continuava lo stesso.

Poi Islanzadi chiese il nome della dragonessa, e Saphira rispose cortesemente.

Quando invece Eragon rivelò il proprio, gli elfi sugli scranni mormorarono.

La regina infine salutò Orik, dopo di che tornò a sedersi sul trono, e li guardò uno ad uno. –Ditemi, dov’è mia figlia Arya?-

Il Cavaliere deglutì. Proprio la domanda a cui sperava di non poter rispondere, ma purtroppo doveva farlo. Lanciò un’occhiata ad Arlin, e scoprì che anche lei lo stava guardando nervosamente. L’amica annuì impercettibilmente col capo, ed Eragon voltò gli occhi verso Islanzadi. –Signora, vostra figlia è morta, è caduta durante la battaglia nel Farthen Dur.- disse tutto d’un fiato. Odiava dare notizie del genere, per di più ad una regina…chissà come avrebbe reagito.

La regina rimase immobile. –Com’è successo?- chiese cercando di tenere un tono fermo.

-Urgali. L’hanno colpita a tradimento.-

Islanzadi e tutti gli altri non parlarono.

-La morte non ci toglie completamente la persona amata, rimane sempre la sua opera che ci aiuta a continuare.- disse il corvo bianco rompendo il silenzio.

Islanzadi si voltò verso di lui, con gli occhi neri velati di lacrime. –Blagden ha ragione. Arya ha rubato l’uovo di Saphira a Galbatorix, questo nessuno lo dimenticherà mai. E noi per questo motivo dobbiamo continuare a lottare per non rendere vani i suoi sacrifici.-

-Mia signora, se posso chiederlo.- disse Eragon in tono sommesso. –Sappiamo tutti che siete addolorata per la perdita di vostra figlia, ma i Varden hanno bisogno del vostro aiuto.-

La regina si voltò per guardarlo. –Poco prima che voi arrivaste è giunto qui un messaggio dai Varden: sono stati attaccati, alcuni giorni fa, e Ajihad è scomparso. Ora è Nasuada a guidarli, e al vostro ritorno si aspetterà un giuramento da parte tua, Eragon Ammazzaspettri.-

Eragon non disse nulla, e Arlin rimase rigida.

Islanzadi chiese qualche informazione in più su Arlin, e la ragazza era evidentemente agitata. Non si era mai trovata di fronte ad una regina, con Ajihad aveva avuto rapporti informali, visto che aveva conosciuto i suoi genitori. Ma con Islanzadi era diverso: si trovavano in mezzo agli elfi, un popolo leggendario, che pochi avevano visto.

Dopo la ragazza, la regina passò ad interrogare Orik, che le porse i saluti di re Rothgar.

-Basta così, ora. Voi sarete stanchi, e noi dobbiamo festeggiare l’arrivo del nuovo Cavaliere.- Islanzadi si alzò nuovamente e batté le mani. Dagli scranni e dal padiglione piovvero petali di rose e gigli, e la stanza si riempì del loro profumo.

Islanzadi chiamò Blagden, che le volò sulla spalla, e la regina attraversò la sala mentre tutti gli elfi s’inchinavano al suo passaggio. Lifaen, Narí e gli altri la seguirono.

Arrivarono su una collinetta, dove era stato preparato un lungo tavolo. La regina si sedette su una sedia dall’alto schienale, e ad un suo secondo battito di mani arrivarono quattro elfi che iniziarono a cantare e suonare.

Arlin vide Eragon e Saphira essere sommersi da una marea di elfi che volevano conoscerli, e si sentì esclusa da quell’aria gioiosa. Prese posto lontano da loro.

-Va tutto bene?- le chiese qualcuno dopo un attimo.

La ragazza si voltò: un elfo dai lunghi capelli neri e gli occhi color ambra le si era avvicinato. Indossava una lunga tunica verde scuro bordata di marrone con dei gambali chiari. Cercò di sorridergli. –Sì, sì, tutto bene.-

-Siamo elfi, capiamo subito quando c’è qualcosa che non va.- L’elfo si sedette accanto a lei.

Arlin lo guardò confusa.

-Perdonami, non mi sono nemmeno presentato. Il mio nome è Litiën, del Casato di Rílvenar. Hai già conosciuto mio fratello.-

-Tuo fratello?-

-Lifaen.-

Arlin lo fissò attentamente: non si era ancora abituata a distinguere gli elfi, le parevano tutti identici. Ma guardandolo meglio, poteva notare che aveva gli stessi occhi allegri di Lifaen, come anche alcuni caratteri del volto apparentemente senza alcuna imperfezione. –Oh, scusami.-

-E di cosa? In ogni caso, perché non sei con lui?- chiese l’elfo indicando Eragon col capo.

Arlin nemmeno guardò l’amico. –Ora ha altre priorità.-

-E quali? L’amicizia viene prima di tutto, ricordatelo.-

-Lo so. Ma Eragon… è un Cavaliere. E’ venuto qui perché doveva essere addestrato da voi elfi, mentre a me mi ci ha portato per un motivo che nemmeno io conosco di preciso.-

-Dicono che sei una guaritrice.-

-Non a tutti gli effetti.-

-Appunto. Studierai con me e il mio maestro, Daryn Ghottïnuil.-

Arlin s’irrigidì. –Daryn Ghottïnuil?- ripeté a bassa voce.

Litiën annuì. –Proprio lui. Ne hai mai sentito parlare?-

-Certo.- rispose lei, distratta. La mente la riportò a dieci anni prima.

************

La piccola Arlin se ne stava seduta su un ramo di un albero del giardino di casa sua, e si rigirava tra le mani una foglia.

Sua madre Ialia uscì dall’abitazione. –Arlin! Dai, tesoro, vieni adesso!-

-Arrivo, mamma!- La bambina mise nella bisaccia la foglia e balzò giù dal ramo, che non era molto distante da terra. Poi raggiunse la madre sulla soglia della porta. –Il signore del mercato mi ha dato un’altra foglia!- esclamò eccitata.

Sua madre le sorrise. –Davvero? Questa sera me la farai vedere.- accompagnò la figlia dentro casa.

-Papà viene oggi?-

-No tesoro.- Ialia evitò di aggiungere “forse domani”.

-Peccato. Volevo fargliela vedere anche a lui.-

Ialia decise di cambiare discorso. –Arlin, com’è questo signore che ti regala le foglie?-

-E’ molto vecchio, ma ha pochissime rughe. Ha i capelli bianchi e non ha la barba, sembra uno stregone, ma è simpatico con me!-

-Tesoro, lo sai che non devi parlare con gli sconosciuti. Sei ancora una bambina.- la rimproverò Ialia mentre iniziava a preparare la cena.

Arlin intanto si sedette su una sedia di fronte al tavolo ed estrasse la sua foglia. –Mamma, mi racconta un sacco di storie interessanti sugli elfi e mi insegna quali sono le piante velenose e quali no. Poi me le fa anche vedere sui libri!-

Ialia sospirò. –D’accordo, d’accordo.-

-Domani posso venire con te in città? Così andrò a trovarlo ancora!-

-Non si stancherà di avere intorno tutti i giorni una bambina che parla ininterrottamente?- scherzò la donna.

La bambina la guardò torva. –Mamma!-

Ialia rise. –Va bene, vieni pure. Ma almeno dimmi come si chiama il tuo amico.-

-Daryn Ghottïnuil.-

************

-Come fai a conoscerlo?- chiese Litiën curioso.

Arlin si riscosse. –Una volta era venuto a Teirm, dove vivevo quando ero piccola, e avevamo fatto amicizia. L’avevo visto che portava tantissimi libri da un carro ad una casetta, così decisi di aiutarlo, vista la sua età. Non immaginavo nemmeno lontanamente che fosse un elfo, e mi ci affezionai. Dopo tre mesi lui partì, e poco tempo dopo ricevetti la visita dei soldati dell’Impero che misero a ferro e fuoco la mia casa.- disse assorta.

Litiën sorrise. –Da come ne parli sembra quasi che tu lo adoravi.-

-In un certo senso sì. Io avevo sei anni, e lui sapeva tante cose. Mio padre era sempre assente e mia madre era impegnata col lavoro fino a tardi. E’ stato lui che mi ha fatto venire la passione per le arti curative.- sorrise al ricordo.

-Bè, sono felice che tu lo abbia incontrato quando eri così giovane. Se vuoi, domani potremmo andare da lui a trovarlo.-

Arlin lo guardò. –Non è qui?-

L’elfo scosse la testa. –No, Il maestro Daryn Elda non ama le feste. Preferisce la solitudine.-

-Su questo aspetto non è cambiato, allora.-

-No?-

-No. Il tuo maestro parlava solamente con me, con gli altri solo il minimo indispensabile.-

Litiën rise.

La ragazza lo guardò. Quanto le sarebbe piaciuto tornare a ridere così, senza pensare a Murtagh. Ma forse lì ad Ellesméra avrebbe superato il dolore del suo passato.

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Capitolo 14
*** Nuove conoscenze ***


Ecco il nuovo capitolo…

Ecco il nuovo capitolo…

Questo è l’ultimo che pubblicherò, nel senso che per due settimane non ci sarò perché parto e pubblicherò appena torno!!!

Spero che vi piaccia!!!

Nuove conoscenze

La mattina dopo, Arlin si svegliò presto, quando il sole stava per sorgere.

La sera prima l’aveva trascorsa in compagnia di Litiën, ma lui non le aveva raccontato molte cose su Daryn Ghottïnuil: diceva che avrebbe scoperto tutto l’indomani, e lei non aveva insistito. Litiën le aveva raccontato invece di lui e suo fratello: Lifaen era da sempre stato un soldato a guardia della foresta, e il più del tempo era fuori da Ellesméra. Come loro padre, lui aveva fatto la scelta d’intraprendere la carriera militare, al contrario del fratellino. Litiën preferiva prendersi cura di chiunque avesse bisogno d’aiuto, per questo motivo aveva iniziato a studiare dal maestro Ghottïnuil.

Arlin, con sua sorpresa, aveva scoperto che Lifaen e Litiën non erano tanto vecchi, considerati tra i più giovani elfi di Ellesméra: il primo aveva quasi quarant’anni, mentre il secondo venti. Ma Litiën non aveva chiesto l’età alla ragazza, siccome non era buona educazione.

Inevitabilmente, Arlin si era ritrovata a parlare di Areais, e aveva confidato a Litiën tutta la storia, e lui le aveva giurato nell’antica lingua di non rivelare niente a nessuno.

Arlin si alzò dal morbido giaciglio e vide, all’entrata, dei vassoi ripieni di frutta e alcuni indumenti. Li portò sul letto, si sedette e mentre mangiava osservava gli abiti. Erano due vesti, una verde e l’altra rossa, più elegante, simile a quella della regina Islanzadi, ma senza la cintura di filigrana d’oro. Guardando gli abiti, si ricordò del pacco di Areais. Di scatto si rialzò in piedi e raggiunse il luogo dove erano state deposte le sue cose. Trovò l’oggetto e lo aprì, curiosa.

Meravigliata, si ritrovò tra le mani una bellissima veste azzurra, con le maniche larghe trasparenti. Aveva i bordi d’oro, con una striscia di tessuto intorno alla vita dello stesso colore delle rifiniture. Arlin rimase a bocca aperta, poi decise di indossarlo per vedere come le stava.

Apparteneva a nostra madre. Preferisco che lo tenga tu, le aveva detto sua sorella.

Arlin si mise davanti allo specchio dopo che ebbe indossato il vestito: era piuttosto lungo, poiché le copriva per buona parte i piedi, ma era stupendo. La ragazza fece un giro su stessa, ridendo, e non si accorse dell’arrivo di Eragon.

-Finalmente ti sento ridere!-

Arlin si fermò e lo guardò, per un attimo spaventata. –Eragon, ma che…che ci fai qui?-

-Scusa, forse avrei dovuto bussare.- Il Cavaliere se ne stava appoggiato allo stipite della porta scorrevole con le braccia conserte.

-Già, forse.- ribattè lei un po’ scocciata.

Eragon sorrise e la raggiunse. –Ti sta benissimo.- disse.

La ragazza sorrise a sua volta. –Grazie.-

-Quell‘elfo, Litiën, è giù da basso. Ti sta aspettando?-

Arlin s’irrigidì sentendo quel nome. –Oh no, sono in ritardo!- esclamò. Si voltò e corse verso il letto. Poi guardò l’amico. –Tu girati!-

-D’accordo!- Eragon alzò le spalle e fece come Arlin gli aveva detto. –Ma chi è?-

-Il…fratello di Lifaen. Mi deve accompagnare da Daryn Ghottïnuil, il suo maestro.-

Il ragazzo sentiva che l’amica si sfilava il vestito e ne indossava un altro. -Daryn Ghottïnuil?-

-Non ne hai mai sentito parlare? E’ il più grande maestro che esista in fatto di erbe medicinali e arti curative. A quanto pare sarò sua allieva.- disse agitata. –Adesso puoi rigirarti.-

Eragon eseguì. –Allora ti conviene non farlo aspettare. Dai qui sistemo io!-

La ragazza lo guardò grata. –Di nuovo, Eragon.- gli diede un veloce bacio sulla guancia e si dileguò.

************

-Scusami se ti ho fatto aspettare!-

Una voce ansante alle sue spalle fece voltare Litiën. –Stai tranquilla, non sono qui da molto.-

Arlin sorrise. Aveva messo l’abito verde che le avevano portato quella mattina, con i suoi soliti stivali marroni.

Litiën portava gli stessi abiti della sera prima. –Dai, seguimi.-

I due s’incamminarono per le vie silenziose di Ellesméra, ma videro che altri elfi erano già svegli. Alcuni riconobbero Arlin e s’inchinarono leggermente, cosa che la ragazza ricambiò.

-Ma perché s’inchinano quando passo? Insomma, non sono un Cavaliere!- sussurrò a Litiën.

-No, non lo sei. Ma sei amica di Eragon Ammazzaspettri e Saphira Bjartskular, e questo fatto non è poco rilevante. Quindi tutti quanti ti rispettano come rispettano loro.- rispose guardandola.

-Ma non ho fatto nulla per meritarmi il loro rispetto e la loro fiducia. Eragon ha ucciso uno Spettro, ma io? Niente.-

-Verrà anche il tuo momento, Arlin Elda, non avere fretta.-

La ragazza non ribattè. Un elfo che le assegnava un appellativo come “Elda”? Proprio a lei? Non sapeva se sentirsi lusingata o spaventata da tanta onorificenza. Ma dentro di sé sentiva che Litiën percepiva la sua confusione, perciò cambiò argomento.

-Salve, Litiën.- disse qualcuno.

Litiën e Arlin si fermarono. Un elfo dai lunghi capelli neri, vestito con una tunica color ruggine, avanzava verso di loro. Di nuovo la procedura dei saluti nell’antica lingua, e questa volta fu Litiën ad iniziare.

Poi il nuovo arrivato guardò Arlin, e la ragazza ripeté tutto quanto.

-Il mio nome è Vanir, del Casato di Haldthin.-

-Io sono Arlin.-

-Lo so.-

-Arlin, Vanir sarà colui che allenerà Eragon nell’arte dello scherma.- disse Litiën.

Vanir non smetteva di fissare Arlin con i suoi occhi azzurri, e la ragazza era a disagio. –Scommetto che Eragon avrà un degno avversario.- disse infine, tenendo lo sguardo basso.

-Gli farò mangiare la polvere.- ribattè calmo l’altro.

Arlin non rispose.

-Scusaci, Vanir Elda, ma noi dobbiamo andare.- intervenne Litiën.

-Certamente. Spero di rivederti presto, Arlin Elda.- salutò l’elfo inchinandosi leggermente.

-A…altrettanto.- balbettò la ragazza.

Poi Vanir continuò per la sua strada.

Arlin sospirò e Litiën scoppiò a ridere.

-Che c’è?-

-La tua faccia quando Vanir ti ha detto che spera di rivederti!- farfugliò lui.

-Perché, che faccia ho fatto?- domandò lei.

-Eri…- la fissò, smettendola di ridere. – diventata rossa come un pomodoro!- e ricominciò.

La ragazza neanche se n’era accorta, ma aveva provato un certo imbarazzo nel sentire quella frase. –Adesso basta, Litiën! Per favore!- disse sbuffando.

-Sì, perdonami. Adesso però andiamo.-

-E’ meglio.-

L’elfo ridacchiò, poi i due ripresero il sentiero verso i margini di Ellesméra.

************

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Ringraziamenti a

angie83: e chi lo sa…nei prossimi capitoli ci saranno molti colpi di scena ^^!!!

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Capitolo 15
*** Rapimento ***


Eccolo qui, il nuovo capitolo

 

Eccolo qui, il nuovo capitolo!!!Spero che questo periodo di attesa sia ben compensato e che questa nuova parte vi piaccia…

Buona lettura!!!

 

Rapimento

 

 

Rabbia.

Rabbia e frustrazione.

Perchè toccava proprio a lui fare una cosa del genere?

Rapire Arlin...

Non credo di averne il coraggio, disse a Castigo.

Invece devi averne, Murtagh. Non oso pensare a che cosa ci farà Galbatorix se falliamo...

Io lo immagino eccome.

Il drago rosso sbuffò fumo dalle narici, ma non rispose al suo Cavaliere.

Arrivarono in vista dell'accampamento dei Varden quella sera stessa. I ribelli si stavano stabilendo nel Surda, e ciò facilitava la missione di Murtagh. Eragon e Arlin erano di certo con loro, non c'erano dubbi.

Murtagh aveva già in mente un piano per non farsi riconoscere subito dalla ragazza e ritardare il più a lungo possibile la scoperta della sua scomparsa: Galbatorix gli aveva insegnato un incantesimo con cui avrebbe ricreato un'immagine astratta di Arlin, che sarebbe durata però solo poche ore. Quando l'incantesimo sarebbe svanito, Eragon e gli altri avrebbero capito l'inganno, ma lei e Murtagh sarebbero già stati lontani, irraggiungibili anche per Eragon.

Atterriamo laggiù. Murtagh notò delle rocce al confine dell'accampamento, perfette per attendere l'arrivo della notte.

 

************

 

-Areais, ti senti pronta per il tuo incarico?-

La ragazza sorrise. -Certo.-

-Spero che Nasuada abbia fatto la scelta giusta affidandoti un compito del genere.- borbottò Rothgar.

-Non dovete diffidare di lei. Sono certa che non fallirà.- Nasuada si rivolse al nano tranquillamente, mascherando il suo dolore.

Ajihad, suo padre, Re dei Varden, era morto, assassinato da una pattuglia di Urgali penetrati nel Farthen Dur. Il Consiglio aveva eletto lei suo successore, nonostante la giovane età. Nasuada era onorata di avere quel ruolo: ora era lei a comandare i Varden, gli unici che potevano detronizzare Galbatorix. E Nasuada avrebbe vendicato suo padre, che era stato la guida della resistenza dell'Impero così a lungo. Ajihad non meritava di morire in quel modo, e Nasuada avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di togliere di mezzo quel pazzo di un tiranno.

-Me lo auguro: la sua missione è pericolosa quanto lo è stata quella di Arya.- ribattè Rothgar.

-Suvvia! Sono sicura che Areais ha un asso nella manica.- disse Nasuada voltandosi verso di lei.

Areais fece un sorriso forzato. No che non ce l'ho, non ho nemmeno pensato a come entrare ad Uru'baen!, pensò. -Non si preoccupi, mia signora. Recupererò l'ultimo uovo di drago dalle grinfie di Galbatorix.-

 

 

Finalmente il sole tramontò, e il cielo si tinse prima di rosso, poi di un blu scurissimo; nell'accampamento dei Varden si accesero qua e là delle fiaccole.

Murtagh fece capolino da una roccia aguzza.

Tu rimani qui e aspettami. Se ho bisogno, ti chiamo, disse a Castigo.

Ti tengo d'occhio dall'alto.

Murtagh gli lanciò un'occhiata severa, ma non aveva per niente voglia di discutere. Si alzò e si avvicinò all'accampamento nemico, balzando agile da una roccia all'altra. A pochi metri dalla meta, si fermò: una sentinella faceva avanti e indietro davanti all'ingresso, ed era bene armata.

Il Cavaliere sfilò l'arco dalle spalle e incoccò una freccia nera. La puntò sulla guardia. Quando fu pronto la scoccò, e quella colpì il bersaglio precisa e silenziosa al cuore.

L'uomo cadde a terra senza gemiti.

Murtagh risistemò l'arco e corse velocemente verso il cadavere. Gli sfilò la freccia, la pulì e la mise nella faretra. Poi, dopo aver controllato che nessuno lo avesse visto, trascinò il corpo senza vita della sentinella contro la ruota di un carro, e lo appoggiò lì come se fosse addormentato. Per far sì che nessuno vedesse sangue, gli praticò l'incantesimo di guarigione, ben sapendo che ormai per l'uomo era troppo tardi. Murtagh si mise in piedi e alzò il capo: scorse Castigo volare silenzioso in circolo sull'accampamento, ma pericolosamente vicino a lui. Un soldato nemico che per sbaglio avesse alzato lo sguardo, lo avrebbe visto.

Castigo, alzati di più!

Vide il drago rosso eseguire riluttante il suo comando.

Murtagh si nascose dietro una tenda e si sporse. Proprio in quel momento passava una pattuglia Varden, che però non notò il compagno morto. Il Cavaliere sorrise maligno e non appena ebbe la strada libera, uscì dal suo nascondiglio e si riparò dietro ad un'altra tenda.

-Va a riferire a Nasuada che domani ho intenzione di fare due tiri di spada, sarò occupata.-

-Si, signora.-

Murtagh si sporse di nuovo: un soldato si allontanava di corsa da una ragazza, vestita come uno di loro.

Il Cavaliere smise di respirare. Davanti a lui, che entrava nel suo alloggio, c'era Arlin. I capelli chiari erano più corti del solito, legati con un nastro nero, e il viso era più stanco, tirato.

Con un di diffidenza, Murtagh controllò che non ci fosse nessuno, poi si diresse verso la tenda di Arlin. Si nascose dietro a dei barili, e attese che i rumori all'interno avessero smesso di farsi sentire.

Dopo pochi minuti, il Cavaliere agì: scivolò nella tenda e si fermò un attimo per guardare la ragazza. Era profondamente addormentata, e ciocche di capelli castani le ricadevano sul viso.

Ma c'era qualcosa di diverso in lei, nella sua espressione e nel suo aspetto esteriore che non convinceva molto il Cavaliere.

Castigo, preparati. Non mi manca molto, disse al suo drago.

Va bene. Sbrigati, rispose l'altro preoccupato.

Murtagh decise che non c'era tempo per i pensieri, così si avvicinò silenzioso alla ragazza. La osservò a lungo, definendo i suoi contorni precisi nella mente, anche se lui li aveva già chiari come la luce del giorno. Tese il palmo destro verso di lei, e pronunciò l'incantesimo.

Un bagliore illuminò la stanza per un secondo, poi svanì, e davanti al Cavaliere comparve una copia della ragazza, riuscita alla perfezione. Murtagh sorrise soddisfatto, poi si chinò sulla ragazza addormentata e avvicinò di nuovo il palmo. -Slytha.- mormorò. Vide i muscoli di lei rilassarsi, e capì che la seconda fase del piano era completata.

Murtagh la prese delicatamente tra le braccia e uscì in fretta dalla tenda, mentre la copia si metteva sul giaciglio nella stessa posizione della rapita. Castigo!, chiamò lui.

L'aria divenne pesante, e all'improvviso il drago rosso atterrò alle spalle del suo Cavaliere. Sbrighiamoci, altrimenti ci scopriranno, disse nervoso.

Murtagh gli salì sulla sella, impacciato nei movimenti a causa del corpo inerme, poi Castigo si alzò in volo velocemente.

Il Cavaliere stinse a la ragazza, cercando di proteggerla dalla fredda aria notturna.

 

************

 

Non ci misero molto ad arrivare a destinazione.

Il castello di Uru'baen si stagliava nitido anche nell'oscurità della notte, le sue alte torri nere s'innalzavano come le braccia di un enorme mostro che si preparava ad attaccare la sua preda. A suo confronto, Castigo sembrava una formica.

Il drago atterrò nel cortile sul retro del castello. Subito, alcuni soldati andarono incontro al Cavaliere.

-Così presto?- chiese uno, il capitano.

-Sì. Non ho avuto problemi.- rispose Murtagh scendendo. Il corpo della ragazza gli cadde fra le braccia.

Il capitano la guardò meravigliato. -Ma...ma...non...non l'hai legata?- balbettò.

Il Cavaliere alzò le spalle. -E perchè? Non sa usare la magia e io l'ho addormentata, è innocua.-

-Sì, ma Re Galbatorix...-

-Galbatorix mi ha detto di portala viva, non viva e legata. Ho ritenuto saggio così.- tagliò corto Murtagh. -E ora, se non vi dispiace, la porterei nella sua cella.- Raggirò i soldati ed entrò nel castello. Castigo lo seguì, sbuffando nuvolette di fumo contro le sentinelle nell'Impero che s'irrigidirono e si scansarono.

Sceso nei sotterranei, Murtagh si fece aprire la cella che Galbatorix aveva assegnato alla ragazza. La depositò sul giaciglio e, dopo averle dato un ultimo sguardo, tornò dal suo drago.

 

************

 

Areais si svegliò con un forte dolore alla schiena, e non ci mise molto a realizzare che non si trovava più nella sua tenda. Intorno a lei c'erano delle mura sporche di umidità, e una fievole luce entrava dalle sbarre dell'apertura della porta.

La ragazza si sedette sul giaciglio duro come la pietra e aspettò che gli occhi si abituassero al buio. Poi si alzò e sbirciò fuori dalla finestrella della porta: c'era un corridoio illuminato da delle torce appese al muro, e una sentinella mezza addormentata sorvegliava la sua cella, seduta su uno sgabello scricchiolante.

Areais osservò attentamente tutti i particolari all'esterno della cella, e non perse tempo: cercò subito di forzare la serratura della porta con il coltello che aveva nello stivale, ma invana. Proprio quando stava per imprecare ad alta voce, si bloccò con il coltello a mezz'aria.

-Fammi entrare, Galbatorix vuole che la interroghi.- disse una voce da uomo.

Areais rinfilò velocemente il coltello al suo posto e corse al giaciglio, come se niente fosse.

Subito dopo, la porta si aprì, e una figura alta entrò nella cella.

Areais distolse lo sguardo per non rimanere accecata, poi tornò a guardare il nuovo arrivato quando la porta si fu richiusa. Era un giovane soldato, con i capelli neri disordinati. Nonostante l'aspetto esteriore, dimostrava uno strano senso di potere.

Il soldato le sorrise, e Areais deglutì. Poi lui avanzò. -Arlin, temevo che Galbatorix mi ordinasse di ucciderti.-

Areais rimase interdetta, ma non ebbe il tempo di chiedere spiegazioni.

Il giovane si chinò su di lei e, avvicinandosi pericolosamente al suo viso, la baciò.

 

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Ringraziamenti:

angie83: tranquilla non sei matta!!Comunque ti ringrazio tanto per i tuoi complimenti, e riguardo a Murtagh…bè, eccolo qua!!^_^

Gaia: wow, davvero la mia fanfic ti causa tutte quelle reazioni??Bè, quando c’è qualcosa che va storto devo pur scrivere qualcosa di allegro!!^^

sarasusy9: si lo so che sono già passate due settimane, ma volevo finire di scrivere il capitolo più avanti…E adesso eccoti accontentata!!^_^

Grazie ancora a tutti, continuate a recensire, mi raccomando!!!

 

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Capitolo 16
*** Vecchie Conoscenze ***


Eccomi un po’ tardi con il nuovo capitolo

Eccomi un po’ tardi con il nuovo capitolo!!! Un po’ corticino

 

Vecchie conoscenze

 

 

La casa di Daryn Ghottïnuil era isolata dalle altre, ma era molto graziosa: l‘abitazione si trovava a qualche metro da terra, e una scala a chiocciola girava intorno al tronco del grande pino. In alto vi era una piccola porta chiusa. Sotto l’albero si poteva ammirare un grande giardino, dove c’erano un’infinità di piante di genere e colore diverso.

Arlin rimase folgorata da quella visione di mille colori, mai aveva visto una cosa simile.

-Avanti, seguimi.- disse piano Liti­ën, come se avesse avuto timore a parlare con un tono di voce normale. L’elfo si avviò verso la scala a chiocciola e iniziò a salirla, seguito dalla giovane.

Arrivati davanti alla porta, Litiën guardò Arlin: vide che dai suoi occhi traspariva un’evidente emozione mista a curiosità. Sorrise e bussò tre volte.

Dopo qualche secondo di silenzio la porta si aprì, e la ragazza trasalì, non avendo sentito nemmeno i passi all’interno.

Subito, Litiën s’inginocchiò come se si fosse trovato davanti Islanzadi in persona, e Arlin si affrettò ad imitarlo.

-Daryn Ghottïnuil. Atra esterní ono thelduin.- disse Litiën.

–Atra du evarínya ono varda.- rispose l’altro.

-Un atra mor’ranr lífa unin hjarta onr.-

Tremando dall’emozione, Arlin ripeté tutto, tenendo il capo abbassato.

Al di là di tutto ciò che si era immaginata, Daryn iniziò a ridere, e la ragazza alzò il capo guardando il vecchio elfo sconcertata.

-Non ci posso credere che tu sia qui, Arlin!- esclamò Daryn.

La ragazza non credeva proprio che l’elfo si sarebbe ricordato di lei, ma quell’affermazione la rese felice, e sorrise. –Mi fa piacere rivederla, Daryn Ebrithil.- disse.

Lui la aiutò ad alzarsi porgendole la mano, e lei accettò l’aiuto. –Prego, entrate!- L’elfo condusse i due ragazzi all’interno della casa, tenendo per mano Arlin.

Dentro vi erano solamente due stanze: la sala d’entrata dove vi era un tavolino rotondo e alcune sedie, tutto fatto di radici e collegato al pavimento. Su di una parete c’erano degli scaffali dove vi erano riposte tantissime boccette contenenti liquidi di colore differente uno dall’altro. Sull’altra parte era appeso un faithr, dove era rappresentato un grande drago d’oro con ai piedi delle sue zampe un elfo dai lunghi capelli argentei, vecchissimo. Dal lato opposto a loro vi era una porta, che probabilmente conduceva alla stanza di Daryn.

-Quanto tempo è passato?- chiese il Maestro sedendosi al tavolino.

Era chiaro che sottintendeva “dall’ultima volta che ci siamo visti, Arlin”. –Dieci anni, Daryn Ebrithil.- rispose lei.

-Dieci anni…a me sembra l’altro giorno quando tu venivi a chiamarmi a casa mia a Teirm con la tua vocetta stridula…- disse lui, ripensando al passato.

-Già.- Arlin sorrise. –Mi ha stupito molto la notizia di Litiën quando mi ha detto che tu…lei era un elfo.-

-Bè, eri troppo piccola per venire a conoscenza della mia vera identità. Ti ho rivelato solo il mio nome, e questo bastava. Se ti avessi detto che ero un elfo, la voce si sarebbe sparsa, poiché, senza offesa per te, i bambini sono tutti uguali e l’impero mi avrebbe catturato.-

-Capisco, Daryn Ebrithil. Ero rimasta malissimo quando ho saputo della sua partenza, non mi aveva detto nulla…-

Liti­ë­n intanto rimaneva paziente dietro ad Arlin, interessato alla conversazione. Almeno adesso aveva una opportunità per conoscere qualcosa del passato della ragazza.

-Sì, e mi è dispiaciuto non avvertirti, mi ero affezionato a te. Ma avevo sentito dire in giro che qualcuno aveva dei sospetti riguardo un elfo in città, così ho preferito levare le tende di corsa. Speravo però un giorno di rivederti.- disse l’ultima frase sorridendo, guardando Arlin negli occhi verdi.

-E così è successo, a quanto pare.- intervenne Liti­ën.

-Infatti. E sono fiero di te, Arlin, perché nonostante io non ci fossi più tu hai continuato a coltivare la passione per le arti curative. Brava.-

-Tutto merito vostro, Ebrithil.- rispose lei sorridente.

Anche Litiën sorrise. Ora era consapevole che avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche, perché aveva di fronte una degna avversaria.

 

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angie 83: grazie moltissimo per i tuoi complimenti!!Continua a recensire, mi raccomando! ^_^

Pikky91: Già, finalmente ci siamo arrivati…ahah!!!!!!!!!!(risata malefica XD!!!) grazie per i tuoi commenti, gemel!!!^^tvttttb!

Gaelle: bè, è ovvio che Areais è rimasta un po’ confusa… vedere uno sconosciuto che ti bacia all’improvviso fa un po’ senso, diciamo…^_^ comunque grazie anche a te per le tue recensioni!!!!bacioni

 

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Capitolo 17
*** L'imbroglio ***


Eccomi

Eccomi!!!

Allora, inizio subito a ringraziare:

angie83: non so, se continuo a dirti grazie mi sembra di essere monotona… ^^ sono permanete felicissima che ti piaccia la mia ff!!

Gaia: la tua curiosità verrà soddisfatta adesso!!!spero che questo capitolo un po’….boh, così, ti piaccia ^_^

Silvietta: ahah, poi lo scoprirai cosa farà… ma più che altro non sarà la sua reazione, ma quella di un’altra persona….AHH non devo anticipare niente!!(sono un po’ pazza, lo so^^)

Buona lettura!!!!

 

L’imbroglio

 

 

Areais spinse lontano il soldato. –Ma che diavolo fai?- urlò.

-Stai zitta!- disse l’altro con voce alterata. –Vuoi che mi scoprano?-

-Non ti ha mandato Galbatorix?- chiese lei confusa.

-Certo che no, il re non vuole nemmeno che ti guardi.- rispose seccato.

-E perché?-

-Perché tu sei la sua arma.-

-Ascoltami bene: io non sono e sarò mai l’arma di nessuno, chiaro?-

-Dicono tutti così. Anche io ripetevo che non sarei mai stato dalla parte di Galbatorix, invece adesso sono il suo burattino.- ribattè con un po’ di amarezza Murtagh.

-Come tuo padre.- disse gelida Areais.

Murtagh la trafisse con lo sguardo. –Non riprovare a paragonarmi a mio padre, Arlin.-

Areais sospirò. –Non sono Arlin!-

-Ah no? E allora chi saresti, il suo alter ego?- chiese divertito il Cavaliere.

-No, sono sua sorella gemella.-

-Oh ma certo, peccato che Arlin non ha sorelle. Ha detto di essere figlia unica.-

-Ci hanno separate alla nascita, nemmeno lei lo sapeva.-

-Non raccontarmi frottole! Seguimi, prima che a Galbatorix venga qualche strana idea.-

-Perché, che idee dovrebbero venirgli in mente?- chiese Areais, stringendo un pugno.

-La più ovvia, per esempio: torturati per cavarti tutte le informazioni possibili su di Eragon, , visto che sei la sua migliore amica.- rispose Murtagh prendendola per mano e facendo per uscire dalla cella.

Areais però non si schiodava da dov’era. –Ancora con questa storia! Te l’ho detto prima, non sono Arlin!- ribattè seccata.

Murtagh l’attirò a sé con forza. –E io ti ripeto di smetterla. Adesso ti porto via da qui.-

-Ma quanto sei cocciuto, io…- Areais si bloccò. Se Murtagh era convinto di trovarsi si fronte ad Arlin, poteva girare la cosa a suo favore: il ragazzo la voleva far scappare, ed era già cosa buona. Ma lei aveva studiato le cartine dei Varden sul castello di Uru’baen a memoria, sapeva perfettamente dove andare. L’unico problema era come uscire dalla cella, visto che non lo aveva programmato, e passare per il primo tratto inosservata, ma a questo ci stava pensando Murtagh.

Prima però avrebbe dovuto fare tappa in un’altra stanza.

La ragazza abbassò il capo, con finta rassegnazione. –Hai ragione tu, sono Arlin.- disse.

Murtagh sorrise. –Lo sapevo. Dai seguimi.-

Ad Areais venne quasi da ridere, ma si trattenne e si lasciò guidare da lui fuori dalla cella. La sentinella era in piedi al suo posto, ma i suoi occhi erano vuoti. La ragazza la guardò stupita, probabilmente Murtagh le aveva fatto qualche strana magia.

Attraversarono il silenzioso corridoio delle prigioni, cercando di fare il minor rumore possibile. Areais non parlava, si stava concentrando e aspettava il momento più opportuno per agire.

Salirono delle scale di pietra, e Murtagh con la mano libera sollevò una botola di legno. Areais per un attimo parve disorientata. Quelle scale non erano segnate nelle cartine dei Varden, forse era un passaggio che solo Murtagh conosceva.

La stanza in cui si ritrovarono aveva un letto a baldacchino appoggiato al muro verso ovest, con delle lunghe tende rosse. Sulla parete opposta vi era un grande armadio di legno ben lavorato, con uno scrittoio accanto. Ai piedi del letto sottostava un grande tappeto cremisi con dei disegni marroni e neri. Areais rimase a bocca aperta. C’era una sola finestra in quella stanza, una grande fessura ad arco nella parete accanto a quella del letto.

-Ma dove siamo finiti?-

-Nella mia camera. Ho scoperto quelle scale poco tempo fa e le ho tenute nascoste a tutti, altrimenti Galbatorix ne sarebbe venuto a conoscenza.- spiegò Murtagh richiudendo la botola.

Areais cercò velocemente nella sua mente la posizione degli alloggi, che scoprì non essere molto lontana dalla sua meta.

Perfetto, mi ha facilitato ancora di più il compito, pensò sorridendo dentro di sé.

-Adesso però devo portarti via da qui prima che vedano la cella vuota.- disse Murtagh aprendo un’anta dell’armadio e frugando frettoloso tra le sue cose. Prese un mantello nero e lo lanciò ad Areais, mentre lui chiudeva l’anta.

La ragazza prese al volo il mantello.

-Mettitelo. Se qualcuno ci vede potranno scambiarti per uno dei nostri. Andiamocene ora.-

Areais se lo mise addosso velocemente, calandosi il largo cappuccio sul volto. Mentre Murtagh si voltava per aprire la porta, Areais si chinò ed estrasse silenziosa il coltello dallo stivale. Si avvicinò furtiva alla sua schiena e alzò il braccio, roteando il pugnale. Proprio mentre stava calando l’arma, Murtagh si girò, ma la ragazza non si fermò.

Lo colpì sotto la nuca con l’elsa del coltello, e lui cadde a terra.

-Te l’avevo detto che non sono Arlin.- disse severa.

Murtagh la osservò, e doveva darle ragione: solo ora non riconosceva Arlin, lei non aveva quello sguardo così duro e serio che aveva quella misteriosa ragazza che le assomigliava in quel modo spaventoso.

Mormorando un “maledizione”, il ragazzo perse i sensi.

 

************

 

Areais rimase un attimo a fissare il corpo inerme di Murtagh, indecisa sul da farsi: lasciarlo lì, sdraiato a terra, oppure metterlo sdraiato sul letto per non destare sospetti.

Alla fine optò per la seconda. Rinfilò il coltello nello stivale e spinse il corpo fino a metterlo supino. Gli fece passare le braccia sotto le ascelle e lo trascinò fino ai piedi del letto.

-A quanto pare Galbatorix tratta molto bene i suoi protetti.- commentò riprendendo fiato. Non era facile trascinare un peso morto, anche se per pochi metri.

Lo mise parallelo al bordo del letto, e tirò su prima le gambe, mettendole sul materasso, poi sollevò piano l’altra parte del corpo con lo stesso metodo che aveva usato per trascinarlo, ma stava comunque attenta alle gambe.

A lavoro terminato, Areais si fermò: Murtagh sembrava proprio addormentato, con la testa sul cuscino che lentamente si sporcava di sangue a causa della ferita ancora fresca. Dopo aver fatto una piccola pausa, la ragazza uscì dalla stanza.

Il corridoio era silenzioso.

Con cautela Areais chiuse la porta e corse tenendo una mano appoggiata al muro. Per sua fortuna non incontrò alcuna resistenza, anche se la cosa era molto strana. Troppo strana.

Rimanendo sempre all’erta, la ragazza percorse alcuni corridoi e salì molte rampe di scale, fino ad arrivare di fronte ad un immenso portone chiuso da almeno cinque serrature. Ai lati del portone c’erano due guardie, di certo non addormentate. Areais si riparò in fretta, poi si sporse di poco per osservare meglio la situazione: la distanza fra lei e le sentinelle non era molta, ma se avesse eliminato una guardia, l’altra avrebbe chiamato rinforzi. Areais aveva solo un’arma con sé, e cercare la sala d’armi era fuori discussione. Anche tornare indietro nella stanza di Murtagh era troppo rischioso.

L’unica soluzione era quella di uccidere un soldato e successivamente colpire velocissima l’altro, prima che dicesse qualcosa. Areais si fece coraggio ed estrasse il pugnale, doveva aver fiducia in sé stessa. Nasuada e i Varden dipendevano da lei, non poteva deluderli.

Rimanendo nell’ombra, la ragazza uscì dal suo nascondiglio, prese la mira e lanciò il coltello dritto al cuore di una guardia. Appena l’arma fu uscita dalla sua mano, Areais corse dietro la scia del pugnale, e lo estrasse dopo che quello aveva centrato il bersaglio. La seconda sentinella, come previsto, stava per urlare che erano stati attaccati, ma Areais fu più rapida di lui e lo infilzò alla gola. Dopo vari gorgoglii e sputi di sangue, anche quel soldato morì.

La ragazza pulì il coltello e lo rimise a posto. Non si fermò a guardare i due cadaveri, odiava dover uccidere. Ma se era necessario non aveva scelta. Cercò tra i loro abiti il mazzo di chiavi del portone, e lo trovò sotto la casacca del primo. Con le mani leggermente tremanti le provò tutte, e dopo alcuni minuti le serrature si aprirono con uno scatto che rimbombò nel corridoio. Areais si voltò e ascoltò se qualcuno aveva sentito il rumore e si stava avvicinando.

Ma non venne nessuno, così sgusciò dentro la stanza enorme.

La ragazza si chiese come mai Galbatorix tenesse il terzo ed ultimo uovo di drago così isolato rispetto alle sue stanze.

Guardandosi intorno nervosa, Areais attraversò la camera: alta e buia, il soffitto era fatto a cupola. Aveva una forma rotonda, completamente diversa dalle altre stanze del castello. Dalla fessurina al centro della cupola entrava un fascio della luce lunare che illuminava una pietra verde dalle venature banche.

Il terzo uovo di drago.

Galbatorix lo aveva fatto mettere su di un piedistallo alto circa mezzo metro, appoggiato a dei morbidi cuscini di velluto rosso con rifiniture oro.

Senza perdere tempo Areais lo avvolse nel foulard nero che pendeva dal piedistallo, e lo strinse al petto. Uscì frettolosa dalla stanza e corse verso la camera di Murtagh: da lì poi sarebbe scesa nelle prigioni e avrebbe preso un corridoio sotterraneo che conduceva fuori Uru’baen. Mentre stava per riaprire la porta della camera del ragazzo, si sentì un trambusto provenire dai piani inferiori.

-La prigioniera! Trovate la prigioniera!- urlavano.

Fantastico, mi hanno scoperta!, pensò.

Entrò nella stanza. Murtagh era ancora nella posizione in cui l’aveva lasciato.

Col fagotto stretto a sé, Areais s’affacciò alla finestra, ma deglutì. Era troppo alto da lì per potersi buttare, si sarebbe uccisa. Ma nemmeno poteva tornare giù per la botola, i soldati la stavano cercando e le misure di sicurezza e di controllo nel castello erano rigidissime. Non avrebbe potuto farsi passare per un soldato dell’Impero.

Era in trappola.

Qualcuno bussò alla porta, e Areais si voltò di scatto.

-Murtagh! Murtagh, apri!- urlarono da fuori.

Sdraiato sul letto, il ragazzo iniziò a muoversi.

Areais sgranò gli occhi e guardò di nuovo giù dalla finestra. E’ l’unica soluzione, si ripeteva.

-Murtagh, sei lì?- urlò la stessa persona all’esterno.

Adesso Murtagh si stava per svegliare.

Areais salì sul davanzale. Una brezza d’aria notturna le accarezzò il viso, come per infonderle coraggio, e lei strinse più forte l’uovo con entrambe le braccia mentre inspirava profondamente e chiudeva gli occhi.

-Murtagh! Sfondiamo la porta se non apri!-

-NO!-

Areais capì che il ragazzo si era ripreso, così, senza pensarci ulteriormente, si buttò.

 

************

 

Murtagh si alzò velocemente dal letto e corse alla finestra. Un’ombra incappucciata si era appena lanciata fuori. Vide il corpo rannicchiato che nella caduta si girava, in modo che se sarebbe caduto avrebbe prima toccato terra con la schiena.

Quella è tutta matta! Perché si è buttata? Così si ucci

I pensieri di Murtagh s’interruppero. Il ragazzo notò che l’alter ego di Arlin stringeva qualcosa tra le braccia.

La sua missione è compiuta.

L’unica cosa che non capiva era perché la spia Varden aveva deciso di morire e mandare in fumo il suo scopo primario. Una volta morta il suo tentativo sarebbe stato inutile, la sua scomparsa vana.

Poi la ragazza sparì nelle tenebre.

 

************

 

Le mancava l’aria.

Stava cadendo da pochi secondi, aspettava solo la fine e schiantarsi a terra.

Areais si era girata, così da poter vedere il cielo blu intenso stellato.

Un’ultima volta.

Sapeva di non sopravvivere ad una caduta di quasi trenta metri, era impossibile.

Strinse l’uovo di drago, prima di scorgere una grande sagoma nera simile ad un gigantesco pipistrello che si stagliava nitida contro la luna, grande e bianca. Poi quella le volò incontro.

Areais non ebbe modo nemmeno di provare paura, poiché perse i sensi non appena sbattè contro ad un materiale duro che sembrava una sella.

 

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************

 

Anche altre recensioni sono bene accette!!!^^

 

 

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Capitolo 18
*** Incarico ***


Chiedo immensamente scusa per l’enorme ritardo, ma tra i vari problemi, si sono aggiunti i miei genitori che non mi vogliono far usare il computer… vabbè, comunque adesso eccomi qui

Chiedo immensamente scusa per l’enorme ritardo, ma tra i vari problemi, si sono aggiunti i miei genitori che non mi vogliono far usare il computer… vabbè, comunque adesso eccomi qui!

Buona lettura

 

Incarico

 

 

Erano ormai due settimane che Eragon, Arlin e Saphira stavano ad Ellesméra. Il Cavaliere e la dragonessa avevano conosciuto i loro maestri, Oromis, e il suo possente drago oro Glaedr. Il loro addestramento era piuttosto duro ed impegnativo, ma Eragon e Saphira se la sapevano cavare egregiamente.

Anche Arlin imparava in fretta, grazie agli insegnamenti di Daryn e ai preziosi consigli di Litiën.

La ragazza si accorgeva che più i giorni passavano più Eragon assomigliava ad un giovane elfo: i suoi lineamenti si facevano più affilati, e le orecchie stavano prendendo una forma a punta.

Lei invece rimaneva umana a tutti gli effetti: lineamenti delicati del viso da adolescente e orecchie rotonde. Oramai ci stava facendo l’abitudine a vivere in mezzo agli elfi, ed essendo lei l’unico essere umano si sentiva un’estranea.

 

************

 

Il maestro l’aveva incaricata di andare a cercare la Silthyas, una pianta molto rara nella foresta, ma presente. L’avrebbe accompagnata Litiën, che conosceva la Du Wendelvarden e le avrebbe impedito di perdersi.

Per l’occasione gli elfi le avevano preparato dei pantaloni e una giacca dei colori della foresta. Messa a tracolla portava una piccola bisaccia, dove in seguito avrebbe depostole erbe.

Arlin camminava al fianco di Litiën, silenziosa. Era emozionata per il suo primo incarico affidatole dal maestro, e sapere l’elfo vicino la tranquillizzava di poco. Litiën, da parte sua, la capiva e restava anche lui in silenzio.

Alcuni elfi che li incrociavano s’inchinavano leggermente, i due ricambiavano il saluto, Arlin un po’ impacciata. Si era abituata a tutto, ma ancora faceva fatica ad accettare al fatto che in quella città era una persona di rango piuttosto elevato. Lei che era nata come piccola guaritrice in un altrettanto piccolo villaggio ai margini di Alagaësia…nemmeno nei suoi sogni più remoti aveva immaginato di poter passare una parte della sua movimentata vita nella capitale degli elfi. Ed ora invece si ritrovava a camminare per le vie di Ellesméra in un elfo.

Arlin sorrise. Forse ora stava iniziando a recuperare il suo buon umore, anche se Eragon non poteva confermarlo, impegnato com’era nei suoi allenamenti con Oromis e Vanir.

Con malinconia ricordò il loro discorso fatto tempo fa sulla tomba di Brom alla fine della battaglia del Farthen Dur. Lui le avrebbe promesso che sarebbero sempre stati insieme, ma lei gli diceva che era poco probabile, visto che lui era un Cavaliere e lei nessuno. E inevitabilmente le tornarono alla mente le immagini del loro ritorno nel Farthen Dur e la scoperta della scomparsa di Murtagh.

Arlin strinse un pugno.

Le mancava, le mancava da morire… nessuno avrebbe mai preso il suo posto, era sicuro.

Ricordò i suoi occhi azzurri, che la guardavano comprensivi poco prima della battaglia, e il suo bacio che gli aveva dato prima di andare alla tomba di Brom. Sorrise al ricordo della litigata al loro primo incontro, sembrava passata una vita da quel giorno. In quel momento non l’aveva nemmeno sfiorata il pensiero che alla fine si sarebbe innamorata di quel misterioso ragazzo dai capelli color della pece, il figlio di Morzan per di più.

Ma dentro di sé Arlin sapeva che Murtagh non era come suo padre. O meglio, non era stato come suo padre.

Sospirò.

-Basta vivere nei ricordi.- disse all’improvviso Litiën.

Arlin si voltò a guardarlo. L’elfo però teneva lo sguardo avanti. –Cosa?-

-Ho capito a chi stai pensando, ma devi cercare di guardare avanti. La cosa più importante ora è il futuro, non il passato.-

-Ma nel passato ci sono ricordi felici.-

-Non nel tuo caso, almeno per la maggior parte delle tue memorie.-

Arlin si fece seria. –Per me Murtagh è un ricordo felice. Il fatto che sia scomparso è triste, certo, però quello che abbiamo passato insieme non potrò mai dimenticarlo.-

-Nessuno ti ha detto di farlo. Devi solo imparare a conviverci.-

-Ma io…-

-Non è facile, lo so. Vuoi bene a questo ragazzo?-

-Io… sì certo.- Arlin era un po’ spiazzata.

Litiën sorrise. –Allora sono sicuro che dovunque sia, anche lui starà pensando a te e che muore dalla voglia di rivederti.-

-Sempre se è ancora vivo.-

-Devi crederlo veramente. Sono sicuro che un giorno vi rincontrerete.-

In un’altra vita forse, pensò amaramente la ragazza.

Arlin non rispose. Il suo cuore diceva che l’elfo aveva ragione, ma la sua mente raccomandava di non farsi illusioni e pensare al presente.

Poi sentirono uno sfregare di lame.

-Muovi quelle gambe! Devi essere più rapido nei movimenti, quanto volte ancora devo dirtelo?- disse una voce conosciuta.

Arlin e Litiën avanzarono fino a raggiungere l’arena dei duelli di Ellesméra. Al centro di essa, che duellavano, c’erano Eragon e Vanir. Il primo cercava, invano, di colpire l’agile elfo con Zar’roc, mentre Vanir parava con estrema facilità i suoi colpi, potenti ma lenti.

Probabilmente Vanir percepì di essere osservato, perché si voltò e vide i due apprendisti di Daryn Ghottïnuil. Sorrise ad Arlin, senza fermarsi per difendersi da Eragon. Quest’ultimo forse era molto concentrato da non accorgersi nemmeno che il suo avversario aveva lo sguardo voltato da un’altra parte. La sua fronte era imperlata di gocce di sudore che brillavano alla luce del sole.

Sempre col capo girato da un’altra parte, Vanir lo colpì alla mano, facendogli cadere Zar’roc, e puntò la sua spada alla gola del Cavaliere, che si fermò ansante e guardando l’elfo pieno di rabbia.

-Ti ho battuto anche se non stavo guardando te, Cavaliere.- disse Vanir serio, tornando a fissarlo impassibile.

-E chi stai guardando allora?- chiese Eragon, cercando di trattenersi dal strozzarlo all’istante.

Vanir indicò con la testa in direzione di Litiën e Arlin.

Eragon seguì lo sguardo dell’elfo, e anche lui notò l’amica accanto all’altro apprendista di Daryn Ghottïnuil. –Arlin!- Il Cavaliere si allontanò da un alquanto seccato Vanir, e arrivò di fronte alla ragazza. –Cosa fate qui?-

-Stiamo andando a svolgere un compito che mi ha affidato il maestro nella foresta.- rispose lei.

Il volto sorridente di Eragon s’incupì. –Ah… e per quanto starete via?-

Era chiaro che al Cavaliere interessava più sapere di Arlin.

-Il tempo necessario.- intervenne Litiën.

Eragon lo guardò torvo. –D’accordo. A presto allora.-

-A presto, Eragon.- salutò Arlin.

I due fecero per andarsene, ma il Cavaliere li fermò. –Arlin, posso parlarti un attimo?-

Lei si voltò e lo guardò un po’ confusa. –Sì, certo.-

Eragon e Arlin si allontanarono da Litiën, che aspettò che la compagna tornasse.

-Senti, lo so che in questo periodo non abbiamo avuto occasioni per stare un po’ insieme, e ne sono desolato. Ti prometto che appena tornerai chiederò ad Oromis un giorno di pausa e ce ne andremo a fare una gita con Saphira, che dici?-

La sua voce era eccitata, Arlin sorrise. –Dico che sarebbe fantastico, ma non puoi permetterti di saltare anche solo un giorno di addestramento.-

-Suvvia, per una volta…- sbuffò Eragon.

-Non devi prenderla alla leggera. Da quello che ho sentito prima o poi ci sarà una guerra, e tu ancora non sei pronto. Ricordati Eragon: prima il dovere, poi il piacere.-

-Ma il dovere mi sta togliendo il tempo da passare con la mia migliore amica.- ribattè amaramente lui.

-Non ha importanza. Alagaësia e i Varden sono più importanti di me.-

Quelle parole non facevano male solo a lui, ma anche a lei.

-Non è vero.

-Invece sì.-

-ARLIN!- Litiën.

-Troveremo il tempo, vedrai. Adesso devo proprio andare.- La ragazza lo abbracciò forte, poi gli sorrise e se ne andò.

Eragon rimase in piedi a fissare Arlin che si allontanava.

La sto perdendo.

 

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Capitolo 19
*** Nè elfa nè umana ***


Di nuovo immensamente scusa… ma spero proprio che questo lungo capitolo compensi con la vostra attesa

Di nuovo immensamente scusa… ma spero proprio che questo lungo capitolo compensi con la vostra attesa.. ^^’’…

elfa né umana

Litiën e Arlin tornarono dopo due giorni, a missione compiuta.

Appena arrivarono dal maestro, il vecchio esaminò con occhio esperto le erbe che Arlin gli aveva poso, per poi concludere che la ragazza aveva passato la prima parte dell’esame. La seconda parte era teorica.

Arlin ripassò tutto quello che aveva studiato da quando si trovava ad Ellesméra, e dopo tre giorni Daryn la convocò a casa sua.

Le diede tre fogli di pergamene da completare in due ore.

All’inizio la ragazza temeva di non farcela, le pergamene erano scritte davanti e dietro con una calligrafia minuta, ci avrebbe impiegato più di due ore.

Ma dopo un’ora e mezza aveva già finito.

Non credendolo possibile aveva ricontrollato il tutto più volte, occupando così l’ultima mezz’ora.

Ora Arlin si stava preparando per andare dal maestro, che le avrebbe comunicato l’esito. La ragazza si legò i lunghi capelli con un nastro nero e indossò l’abito verde foresta, il suo preferito tra quelli che le avevano dato gli elfi. Le cadde l’occhio in un angolo della stanza, ove era ben riposto l’abito azzurro donatole da Areais.

Lo metterò questa sera, pensò felice.

Quella sera ci sarebbe stato l’Agaetí Blödhren, la cerimonia attraverso la quale gli elfi donavano ad Eragon le loro capacità. Così le aveva spiegato Litiën.

Arlin finì di prepararsi , poi uscì velocemente dal suo alloggio.

La brezza mattutina la investì all’improvviso, facendola rabbrividire.

E per di più doveva pensare alla sua creazione da portare alla Celebrazione.. niente magia.

Bè, in qualunque caso lei non la praticava.

Forse qualcosa che era in grado di creare con le erbe.. una nuova pozione? Nah, banale.

Una canzone? Ma cosa avrebbe cantato? La sua storia? Di una semplice montanara che ha lasciato il proprio villaggio? Banale anche questo.

Sospirando, la ragazza si richiuse la porta alle spalle.

************

La foresta la sera della vigilia era decorata di festoni e lanterne, gli elfi erano eccitati all’idea che presto si sarebbe svolto l’Agaetí Blödhren. Ma glie abitanti di Ellesméra non erano gli unici: Arlin vedeva anche altri visi mai visti, elfi che provenivano dalle altre città della foresta.

La ragazza si trovava nei pressi dell’albero di Menoa, insieme all’ormai inseparabile Litiën. Nonostante ci fosse una moltitudine di gente, riuscì a scorgere Eragon, accanto a Saphira. Per un attimo sorrise. Vide anche Orik accanto a loro.

-Litiën..ti dispiace?- chiese esitante all’elfo, mentre indicava col capo in direzione del Cavaliere. Da quando era tornata dalla missione non aveva più avuto modo di parlare con lui. E ora finalmente ne aveva l’occasione.

Litiën la osservò per qualche secondo, poi le sorrise comprensivo e annuì. –Vai pure. Se hai bisogno, io sono qui.- rispose, con il suo tono gentile.

Arlin sorrise a sua volta. –Grazie.- poi si allontanò velocemente e raggiunse di corsa Eragon, zigzagando tra la folla. Si sbracciò e urlò un paio di volte il suo nome, e alcuni elfi intorno a lei si voltarono e alcuni la guardarono male mentre scuotevano lievemente il capo, altri invece sorrisero e ridacchiarono divertiti. Quei gesti da mercato non sfuggirono al Cavaliere, che nel vederla iniziò a ridere anche lui. Intanto Arlin gli arrivò di fronte. –Ebbene, che c’è da ridere tanto? C’è un sacco di gente qui, magari nemmeno mi vedevi.- sbottò seccata.

Lui sogghignò. –Sì certo, ma non era il caso di farti notare così, già non passi inosservata comunque.- rispose lui, tornando serio.

Arlin si scurì in volto ancora di più. –E con ciò cosa vorresti dire?-

Eragon la osservò da capo a piedi: indossava un vestito azzurro, la gonna ricoperta di un velo azzurrino trasparente. Non aveva ricami particolari, era una semplice veste bellissima. Le maniche erano svasate, dello stesso tessuto trasparente della gonna. La scollatura non era provocante, era perfetta per una ragazza con il suo fisico; all’altezza della vita era cucita una striscia d’orata. I capelli castani color quercia, mossi proprio come al solito, ormai avevano superato il limite di crescita umano: con i capelli lunghi fino al posteriore sembrava un’elfa, alcuni fiori erano ben assicurati tra i sottili capelli e due ciocche erano ben legate dietro il capo e gli occhi verde smeraldo brillanti, anche se ora socchiusi dall’irritazione. –Bè, quel vestito qui ti dona.- Eragon le sorrise, come per scusarsi.

Arlin fece una smorfia di arresa. –Sì, sì, d’accordo.- Fece una pausa, mentre lo guardava. –Comunque grazie.-

Eragon e Arlin passarono la serata insieme, Orik si allontanò appena scorse Rhunön, una sua simile, e si mise a discorrere con lei.

Il Cavaliere le presentò Oromis, il suo maestro vestito in rosso e nero, e il suo drago oro Glaedr. Al contrario, Arlin non potè fargli conoscere Daryn Ghottïnuil, assente in quel momento.

Attesero la mezzanotte, Islanzadi se ne stava sopra a tutti, seduta su di una radice rialzata dell’albero di Menoa, Blagden tranquillamente appollaiato su una sua spalla.

Eragon tra la folla scorse Lifaen e Narì, e appena vide anche Vanir sbuffò mentre Arlin sogghignava.

Ad un certo punto, Islanzadi alzò un braccio, indicando l’alta luna nel cielo scuro. La luce che emettevano le lanterne sulla chioma dell’albero s’addensarono in un punto solo, ovvero sul palmo della mano della regina. Islanzadi scese dalla sua radice e posò la sfera in una cavità nella corteccia.

-E’ cominciata?- chiese sottovoce il Cavaliere ad Arlin.

-Credo..-

-Sì, è cominciata.- intervene una voce, e nell’udirla Eragon roteò gli occhi, Arlin lo guardò e si trattenne dal ridere.

-Buonasera, Vanir Finiarel.- salutò Eragon cercando di essere gentile, voltandosi verso di lui. L’amica lo imitò con un mezzo sorriso.

L’elfo la guardò intensamente, ma lei non battè ciglio. –Arlin.- disse lui chinando il capo.

La ragazza fece lo stesso, senza però parlare. Vanir spostò lo sguardo su Eragon. –Spero che ti diverta stasera, Cavaliere di Draghi.- sorrise divertito.

Saphira, dietro Eragon digrignò i denti.

Il Cavaliere si limitò a rimanere serio. –Anche tu, Vanir.- disse atono.

L’elfo s’inchinò di nuovo, e lanciando un’ultima occhiata ad Arlin, si confuse tra la folla.

************

Arlin si stava allontanando dalla festa. Non che non le piacesse, anzi, si stava divertendo.. Eragon aveva mostrato la sua opera, e lei la sua: era riuscita a creare una cornice, fatta solo con erbe e radici, e Islanzadi aveva dichiarato che quella avrebbe racchiuso il poema di Eragon. Ma il vero segreto della cornice era un altro. Arlin aveva usato un’erba speciale che avrebbe dato una certa sicurezza al manoscritto del Cavaliere, oltre che una luce splendente.

La ragazza sorrise. Chissà che faccia avrebbe fatto il suo maestro se avesse visto la scena. Era orgogliosa di stessa, per il risultato ottenuto: dunque il soggiorno a Ellésmera era servito a qualcosa.

La ragazza arrivò ad un pino e poggiò la schiena al tronco, alzando il volto e osservando le stelle. Nel cielo scuro brillavano intensamente, sembravano tanto vicine.. rendevano la serata ancora più speciale. Sospirò, ricordando le serate passate sdraiata sulla morbida erba della Grande Dorsale a scherzare con Eragon. Bei tempi quelli, che parevano così lontani, quasi appartenenti ad un’altra vita.

Arlin udì dei passi, leggeri e cauti, avvicinarsi. Temendo fosse Vanir, la ragazza indurì lo sguardo e si preparò un discorso duro ma non offensivo da fargli. Era un elfo prepotente e cafone, non lo voleva tra i piedi un minuto di più. Ma anziché Vanir, Arlin si ritrovò di fronte Litiën. Lasciò andare il fiato che aveva trattenuto. –Ah, sei tu.-

-Mi credevi qualcun altro?-

Per la verità sì, pensò. –No, tranquillo, è tutto a posto.-

-Sai perché non ho mostrato la mia opera prima?- venne subito al sodo l’altro.

Arlin parve disorientata. –No..-

-Perché te lo mostrerò adesso.-

Ancora più disorientata. –Litiën non capisco.-

L’elfo alzò una mano avanti a sé, e un globo argenteo librò sul suo palmo. –E’ questa.-

Arlin avanzò esitante, fissando la strana sfera. –E cosa sarebbe?- Non aveva mai visto niente del genere, nemmeno sui libri elfici, almeno non quelli che aveva letto lei, ossia quasi tutti.

Litiën sorrise. -Fra poco lo vedrai. Ma devi essere tu a darmi il permesso, Arlin.-

-E’ così importante?-

-Per la tua vita futura sì. Da questo momento la tua vita potrebbe cambiare.-

La ragazza deglutì, guardando l’elfo negli occhi. Poi spostò l’attenzione sulla sferetta. All’apparenza così piccola e innocente.. davvero era in grado di influenzare la sua vita in un modo che sembrava così straordinario? Neanche sapeva se la cosa era positiva oppure no.

-Cosa mi succederà?- chiese con una voce assente.

-E’ complicato da spiegare. Ti basti sapere che possederai le capacità di un elfo.-

Arlin lo guardò stralunata. –Le capacità di un elfo? Intendi l’udito fine, l’agilità nei movimenti, queste?-

-Esatto. Poi dovrebbe cambiare anche qualche tratto fisico, ma non ne sono certo. Sicuramente però diventerai mezzo elfo e mezzo umano.-

-Una specie di mezzelfo quindi?- Mai in Alagaësia si erano visti mezzelfi, gli umani e gli elfi non si erano mai mischiati tra loro. Almeno per quanto ne sapeva lei.

-Sì, qualcosa del genere. Esteriormente resterai umana, interiormente elfo.-

-Sarò vegetariana?-

Litiën scoppiò a ridere. –No! Puoi mangiare quanta carne vorrai, sempre in un certo contegno però. Sarai pur sempre mezza elfa.- sorrise comprensivo.

-Sembri sicuro di te. Lo hai già provato su qualcuno?-

L’elfo non rispose, e Arlin sospirò. –Sei almeno sicuro che funzioni?-

-Non ti fidi di me?-

-Di te sì. Della magia no.-

-Risposta intelligente. Allora, vuoi rischiare?-

La ragazza fissò a sfera. Valutò tutti i possibili vantaggi e svantaggi. Rischiava di rovinarsi se l’incantesimo di Litiën non avesse funzionato, ma se avesse avuto successo… sarebbe diventata più forte. Più utile per Eragon. Gli restava solo lui, avrebbe fatto di tutto pur di seguirlo.

Guardo Litiën dritto negli occhi ambrati. –Accetto il tuo dono.-

-Ne sei convinta?-

-Sì.-

-Non potrai tornare indietro.-

-Ho detto di sì.- Non c’era nessuna esitazione nella voce di lei.

L’elfo annuì. –D’accordo.- Alzò la mano che sorreggeva la sferetta, che iniziò a brillare più intensamente. Arlin chiuse gli occhi, preferendo non assistere alla scena. Non sapeva cosa sarebbe successo… adesso vedeva solo buio.

Sentì Litiën esitare un istante, poi le avvicinò la sfera al petto, all’altezza del cuore.

Una luce si sprigionò dal corpo di Arlin appena la sfera venne completamente assorbita.

Poi la ragazza ricadde esanime tra le braccia di Litiën.

************

Riprese conoscenza qualche minuto dopo, e si accorse di trovarsi ancora sotto lo stesso albero dove aveva incontrato Litiën. Arlin si rialzò e si guardò intorno, spaesata. Era sola. Si rannicchiò, e strinse forte le ginocchia contro al petto, ma nel fare quel movimento rimase turbata. Era come se percepisse meglio ogni suo gesto. Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi, non sapendo nemmeno su cosa. Eragon una volta le aveva raccontato delle sue ore di concentrazione in solitudine nella foresta. Diceva di restare fermo ad ascoltare gli animali che gli erano intorno.

Bè, per provare se davvero Litiën l’avesse trasformata in mezzelfa decise di tentare. Riuscì a sentire la presenza di migliaia di esseri, e anche se il suo raggio di visione era piuttosto limitato, le bastò come risposta alla sua domanda.

Riaprì gli occhi.

Sei sentiva diversa, come se fosse rinata una nuova Arlin.

Litiën ce l’aveva fatta: ora era una mezzelfa.

************

************

Silvietta: ecco il nuovo capitolo.. scusa davvero tanto se ci ho messo mesi, ma word mi fa scherzi e devo per forza usare un altro computer molto più lento.. comunque, eh, lo vedrai quando si rincontreranno.. ma ti anticipo solo che non manca molto ;) Grazie di recensirmi!!!

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Capitolo 20
*** Partenza [ 1ª parte ] ***


19

Chiedo di nuovo scusa per il ritardo…

E per problemi con Word sono costretta a pubblicare questo capitolo in due parti…

Buona lettura!!

che Galbatorix non ti toccherrpitolo sono scostretta Partenza

Arlin moriva dalla voglia di dire tutto ad Eragon.

Voleva che fosse lui il primo a sapere che ora possedeva le capacità di un elfo, anche se ancora non le aveva sperimentate tutte. Sapeva di avere l’udito più affinato, e le sembrava che anche la vista fosse migliorata. Non che prima non ci vedesse, solo che le sembrava di vedere anche più lontano del normale. E stava correndo più veloce del solito. La ragazza sorrise, e in breve giunse sotto l’albero di Menoa, ove erano radunati tutti gli elfi, un’area sgombra nel mezzo. Lungo il perimetro erano conficcati dei pali da cui pendevano delle lanterne, Eragon e Oromis erano seduti sul bordo, i loro draghi posizionati dietro i propri Cavalieri.

Arlin si fece largo tra la folla e giunse in prima fila, dove si ritrovò al fianco di Litiën. L’elfo la guardò compiaciuto, e lei annuì felice.

Quando la folla si calmò, si fecero avanti due elfe, dandosi la schiena: erano certamente gemelle, i loro tratti fisici erano uguali, eccetto per i capelli. Una li aveva mori, l’altra argentei.

-Chi sono?- sussurrò Arlin.

-Le Custodi, Iduna e Nëya.-

Le elfe si tolsero i mantelli, scoprendo i loro corpi su cui era tatuato un iridescente drago. Questo iniziava con la coda avvolta alla caviglia di Iduna, le risaliva lungo il polpaccio e la coscia, passava attorno al busto e continuava sulle spalle di Nëya, terminando sul suo petto, dove era dipinta la testa del drago. Ogni sua squama era di un colore diverso.

Le Custodi intrecciarono mani e braccia, alzando un piede e pestandolo sul terreno con un thump.

Al terzo thump i musici iniziarono a suonare, finché tutti gli strumenti si aggiunsero nella melodia, mentre le gemelle danzavano prima lentamente, poi sempre più veloci. Giravano in tondo, quasi pareva che fosse il drago a muoversi.

Ad un tratto, un lampo di luce attraversò il tatuaggio, e il drago si risvegliò.

Arlin rimase a bocca aperta, non credendo possibile una cosa del genere. Il drago dispiegò le ali e una vampa di fuoco uscì dalle sue fauci, mentre si librava in aria staccandosi dalla pelle delle due elfe. Solo la punta della coda rimase attaccata.

La creatura ruggì, un ruggito diverso da quello di qualsiasi altro drago che Arlin avesse mai sentito. Il drago scrutò la folla, e volò in circolo su tutti gli elfi, sfiorandoli con le sue ali. Si fermò infine di fronte ad Eragon, e Arlin trattenne il fiato quando il Cavaliere alzò la mano destra. Il drago toccò con il muso il centro del suo gedwëy ignasia, e una scintilla sprizzò fra di loro.

Arlin chiuse istintivamente gli occhi, e quando li riaprì vide Eragon privo di sensi.

Trovò Eragon nella sua stanza, che si stava rimettendo un paio di stivali di stoffa.

Il Cavaliere alzò di scatto lo sguardo e fissò interdetto Arlin che apriva la porta e sbirciava dentro. L’aveva sentita arrivare all’ultimo momento, non prima. Nemmeno un passo.

-Eragon! Grazie al cielo stai bene.- esclamò lei appena lo vide, richiudendosi la porta alle spalle.

-Sì, è tutto a posto, tranquilla.- Il ragazzo la squadrò. –Arlin, va tutto bene?-

L’altra fece una faccia confusa. –Sì, perché?-

-Che ti è successo?-

Arlin sgranò gli occhi e rimase per un attimo paralizzata. Ricordò le parole di Litiën sul suo aspetto fisico. Corse allo specchio e si guardò: i lineamenti del viso si erano leggermente affinati, mantenendo però alcuni tratti umani. Gli occhi erano sempre gli stessi, la forma lievemente a mandorla e il loro verde reso più intenso e brillante. Si toccò i capelli, e li sentì morbidi come seta. La ragazza sorrise e si voltò. –Allora, che te ne pare?- chiese con fare di chi la sa lunga.

L’amico prima restò interdetto, poi sul suo volto si dipinse un sorriso. –Cadranno tutti ai tuoi piedi.- rispose malizioso.

-Così mi lusinghi.- ribattè lei. –E tu? Vedo che anche a te hanno apportato delle modifiche.- scherzò.

-Già. Sono onorato del loro dono.-

Arlin gli sorrise.

-A te chi ti ha “trasformata”?-

-Litiën. Ha detto che era il suo dono per me per questa serata.-

-Capisco. Bè, Litiën mi sembra molto gentile nei tuoi confronti. Per arrivare addirittura a farti quasi diventare un’elfa…-

-Sì, hai ragione.- Arlin osservò Eragon, gli occhi stretti. –So a cosa stai pensando. E ti risponderò subito: no. Litiën sarà anche l’elfo più gentile e affascinante che io abbia mai conosciuto, però…- Abbassò lo sguardo.

Eragon la guardò comprensivo, e le mise una mano sulla spalla. –Però nel tuo cuore c’è Murtagh.-

-Mi dispiace, ma non riesco a darmi pace. E non riesco a vedere nessun altro al suo posto. Credevo di odiarlo, invece ho scoperto troppo tardi di volergli bene.- Strinse un pugno dietro la schiena.

Eragon l’attirò a sé, stringendola forte, come un fratello nel consolare la sorella. –Lo immagino, Arlin. Vedrai, supereremo anche questa, insieme.-

Arlin s’aggrappò a lui. –Ti voglio bene.-

-Anch’io. Ti sarò sempre accanto.-

-Grazie.- riuscì a dire, commossa, con un filo di voce. Quella volta non ribattè le sue parole, perché sapeva di avere le capacità per sopportare gli stessi ostacoli che avrebbe incontrato Eragon, anche se non era certa di poterli superare. Ma ce l’avrebbe fatta, tutto pur di restare con l’unica persona a cui voleva bene come ad un fratello.

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Capitolo 21
*** Partenza [ 2ª parte ] ***


Seguito da Areais

Seguito da Areais.

Il pensiero della sorella si fermò per qualche istante nella mente di Arlin.. come stava? Dov’era? Cosa stava facendo? ..Stava bene?

Eragon e Arlin restarono ancora qualche minuto abbracciati, poi uscirono tra i festeggiamenti.

************

Passarono i giorni, Eragon aveva ripreso i suoi allenamenti dopo un paio di giorni dal termine dell’Agaetí Blödhren, e Arlin lo aveva imitato, con anche l’aggiunta di allenamenti con le armi insieme a Vanir. La ragazza imparava in fretta: l’elfo all’inizio le aveva fatto usare un bastone, anche se Arlin aveva già impugnato un’arma prima d’ora, ma mai aveva duellato contro un elfo. Aveva deciso di chiedere aiuto a Vanir per approfondire la sua tecnica, già iniziata da Brom.

Dopo due settimane erano passati alle spade, e la ragazza era gioiosa di rimpugnare Garjzla dopo tanto tempo. Anche se non l’aveva usata fino ad ora, si era comunque presa cura dell’arma, e ogni sera la controllava e ogni tanto portava a riaffilare la lama. Brom le aveva rivelato che quella spada era molto più potente se la lama era ben curata, e Arlin aveva intenzione di sfruttare le abilità dell’arma a pieno.

Vanir all’inizio era rimasto sorpreso dall’abilità di lei, resa ancora più veloce e poco più potente dall’incantesimo di Litiën. E anche se non era ancora riuscita a sconfiggerlo, Vanir era convinto che promettesse bene, se avesse continuato ad allenarsi.

Una mattina Arlin stava camminando per le vie di Ellesmera. Indossava un abito color della sabbia bagnata, i soliti stivali, in vita portava la cintura col fodero di Garjzla. Non aveva intenzione di duellare con Vanir, solo voleva fare una passeggiata. Decise di andare al Palazzo di Tialdarì. Si stava guardando intorno, gli alti alberi nascondevano l’albeggiante sole.

Sentì un paio di voci molto familiari, poi vide Eragon e Orik che parlavano. Il Cavaliere si voltò per andarsene, ma si fermò nel riconoscere Arlin.

-Eragon… come mai sveglio già a quest’ora?- lo anticipò la ragazza.

-Saphira, io e Orik partiamo per il Surda.-

-Ci sono problemi?-

-Sì, e hanno bisogno di noi. Tu cosa vuoi fare?- chiese schietto lui.

Arlin per un attimo non parlò. In gioco c’erano il suo addestramento con Daryn e la sua inutilità sul campo di battaglia.

Ma scelse la seconda opzione.

-Vengo.-

-Sicura?-

Lei roteò gli occhi. –Sì. D‘altronde, hai detto che staremo sempre insieme, no?- La mise sul ridere.

Eragon sforzò un sorriso. –Va bene, come vuoi. Appena sei pronta ci troviamo al campo.-

-D’accordo. Preparo le mie cose e lo vado a dire al maestro.- A cui non piacerà la notizia.

************

Arlin arrivò un’ora dopo al campo. Aveva preparato le sue cose in fretta e furia, poi era andata a salutare Daryn, e in casa sua aveva incontrato anche Litiën. Già loro sapevano dei problemi del Surda, e si aspettavano che lei sarebbe partita con Eragon, così le avevano preparato dei doni. Daryn le aveva consegnato una piccola boccetta contenente una pozione che avrebbe curato persino le ferite più impossibili da guarire, insieme ad un paio di Sai: le lame lucidissime, dove si poteva persino specchiare, e l’elsa d’orata con dei rubini incastrati all’interno. Litiën invece le aveva dato uno stiletto, un piccolo pugnale dalla lama lunga e sottile, l’elsa nera lavorata a spirale. Ma il suo regalo più grande lo aveva già fatto.

La regina le aveva donato un arco simile a quello di Eragon, fatto con albero di tasso, decorato sulle punte e sull’impugnatura dell’arco con intarsi di smeraldo, insieme ad una faretra colma di frecce.

Si era rifornita di armi.

Raggiunti i compagni di viaggio, Eragon legò il suo zaino dietro alla sella, accanto a quello di Orik. Il nano si lamentò per il fatto che non sarebbe riuscito a salire sulla sella della dragonessa. Quest’ultima quindi si distese e allungò la zampa posteriore destra, in modo che Orik riuscisse ad arrampicarsi. Poi fu il turno di Arlin, che però ormai si era abituata a salire sulla dragonessa. Eragon salì dopo di lei, posizionandosi dietro. Per impedire a tutti di cadere durante le evoluzioni di Saphira allentò le cinghie che servivano per legare le braccia e le fece passare sopra alle gambe del nano e della ragazza.

-Ma non ha troppo peso?- chiese preoccupata Arlin.

-No, stai tranquilla. Si è irrobustita in questi mesi di allenamento con Glaedr.- rispose rassicurante il Cavaliere.

Lei lo guardò tesa. –Se lo dici tu…-.

Gli elfi sciamarono intorno alla dragonessa che sollevava le ali translucide per alzarsi in volo. Poi, con una rapida spinta, Saphira si lanciò verso il cielo. Volò in circolo, per guadagnare quota ad ogni spirale, poi si diresse a sud, verso il deserto di Hadarac.

************

************

Picci93: ecco, ho sistemato i capitoli =) spero che continuerai a leggere!! Baci

Bilu_emo: sono contenta che ti piaccia così tanto la mia ff!! Comunque può darsi che si rincontrino =P

pazzerella_92: hihi okok…comunque no, non sbagli XD…continua a leggere e recensire, ci conto ;)

totta91: grazie!! Me felice *.*.. comunque, ecco qui il seguito =)

niehal65: U.U addirittura a Paolini?? Non esageriamo…XD…Comunque grazie, mi fa piacere sentirmi dire una cosa del genere =D =D!! Continua a seguire, mi raccomando!!

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Capitolo 22
*** Il Surda ***


Il Surda

Il Surda

 

Il quarto giorno da quando avevano lasciato Ellesméra giunsero ad Aberon, la capitale del Surda, nel tardo pomeriggio. Lì il siniscalco di re Orrin, Dahwar, aveva riferito loro che Nasuada e i Varden li attendevano per la guerra. Essi si trovavano nelle Pianure Ardenti, e dopo aver fatto rifornimento di cibo, ripartirono.

A tarda mattina del giorno successivo giunsero a destinazione.

I vapori acri bruciavano agli occhi, e Arlin dovette asciugarsi infinite volte gli occhi che lacrimavano. Scendendo di quota, l’aria si fece più limpida e permise di avere una visuale del paesaggio: tutto era avvolto da una strana luce arancione, causata dal fumo nero e rosso che filtrava i raggi del sole. Persino l’acqua del fiume Jiet, che scorreva gonfio e sinuoso avanti a loro, sembrava opaca anche a contatto con la luce.

Lungo la riva orientale erano schierati due eserciti. A sud i Varden e il Surda, che nonostante apparissero forti venivano nettamente superati dall’enormità dell’esercito di Galbatorix.

Saphira puntò veloce verso l’accampamento dei Varden, ma alcune sentinelle che non avevano mai visto la dragonessa si accorsero di loro e iniziarono a scagliare frecce.

-Eragon!- urlò Arlin, tenendosi forte alla sella.

-Letta orya thorna!- pronunciò il ragazzo, e le frecce vennero deviate verso la terra di nessuno, quella fra i due accampamenti.

A pochi metri da terra Saphira dispiegò le ali, atterrando in mezzo alle tende dei Varden.

Orik fu il primo a scendere, seccato dall’atterraggio di Saphira, poi smontò il Cavaliere, che aiutò l’amica prendendola per la vita.

-Sono capace.- borbottò lei una volta a terra.

-Un grazie mai, eh?- scherzò Eragon.

Arlin rispose con una smorfia.

Il primo ad accoglierli fu un uomo barbuto, Fredric, il maestro d’armi dei Varden nel Farthen Dûr. Costui si scusò subito per l’aggressione subita, ed Eragon volle farsi condurre da coloro che Fredric aveva decretato fossero fatti frustare.

Arlin guardò stupita Eragon, e lo trattenne per un braccio. –Eragon..-

-E’ tutto a posto, Arlin.-

-Vengo con te.-

-No, cerca Areais.-

Arlin esitò. –Eragon…-

-Ci vediamo più tardi.- Il Cavaliere le sorrise, le scoccò un bacio sulla fronte e se ne andò, seguendo Fredric. Saphira le passò accanto, e la ragazza sentì le sue iridi zaffiro su di lei. Sospirando, Arlin attese di veder sparire Eragon e Saphira dalla sua vista, poi si voltò. –Orik, vado a cercare mia sorella.-

Il nano annuì e la ragazza lo superò, iniziando a vagare per l’accampamento.

Probabilmente nessuno la notò, ricevette soltanto un’occhiata dai più curiosi. Le orecchie leggermente a punta erano ben nascoste dalla folta chioma di capelli quasi mori.

Non facendoci caso, Arlin adocchiò un soldato piuttosto giovane, forse uno scudiero, impegnato a lucidare uno spadone.

-Scusa…- iniziò lei.

Il giovane alzò la testa e la osservò, gli occhi color della pece stupiti. –Mi dica, signora.-

Non badando al nominativo con cui l’aveva chiamata, Arlin proseguì. –Sai per caso dove si trova Areais?-

-Areais?- il suo volto era ancora più stupito. –Signora, siete per caso Arlin, compagna di Eragon Ammazzaspettri?-

-Non sono sua compagna. Solo la migliore amica.- precisò lei, cercando di mantenere la calma. Chi diavolo aveva messo in giro la voce che lei era la compagna di Eragon?

-Ah.. in ogni caso, Areais..- abbassò lo sguardo. –Non lo sapete?-

Il cuore di Arlin si fermò. –Cosa?- chiese quasi in un sussurro. –Cosa le è successo?-

-Bè..- esitò. –Qualche tempo fa. E’ stata rapita, e non si hanno più notizie di lei.-

Fu come se un baratro si aprisse all’improvviso sotto ai suoi piedi e lei ci sprofondasse, senza possibilità di salvezza. Era un deja vu.

Lo scudiero vide la reazione di Arlin, così si affrettò a proseguire. –Ma.. signora, la stanno cercando dappertutto. Dicono che si stanno muovendo persino le spie ad Urû’baen.. ma potete andare a cercare Lady Nasuada, lei ne sa certamente di più di me…-

-Grazie.- fu la rapida e secca risposta della ragazza, che si allontanò in fretta, diretta con passi nervosi verso la grossa tenda della regina, un grosso padiglione rosso su cui sventolava uno stendardo ricamato con uno scudo nero su due spade incrociate. Un soldato esitò un attimo, accanto al lembo della tenda d’ingresso.

-Arlin.-

L’altro annuì, e scostò il lembo.

Nasuada si trovava in piedi all’estremità di un grande tavolo, dall’altro lato un uomo, probabilmente un ufficiale dell’esercito dei Varden. Erano vestiti entrambi da battaglia.

Nasuada la vide, e la osservò. –Arlin!- esclamò.

La ragazza, col volto serio, ruotò il polso e si portò la mano al petto, nel gesto di fedeltà degli elfi che le aveva insegnato Eragon. –Per servirti.-

-Arlin! Come mai…- la regina dei Varden la scrutò meglio, e la sua gioia nel rivedere la migliore amica di Eragon Ammazzaspettri si trasformò in ansia vedendo l’espressione cupa dell’altra. -…come mai tutta questa serietà?-

-Dov’è?- sibilò.

-Chi?-

-Dov’è??- Arlin si trattenne dall’urlare.

-Lady Nasuada…- s’intromise l’altro, avanzando verso la sua signora.

Quest’ultima alzò un braccio, senza però staccare gli occhi scuri da Arlin, poco più bassa di lei. –Va pure fuori, Joel. Lasciaci sole.-

Contrariato, l’uomo lanciò un’occhiata torva ad Arlin, che non gli diede peso, e uscì dal padiglione.

Nasuada sospirò. –Deduco che tu abbia saputo.-

-Dov’-è mia so-rel-la?- Arlin scandì bene le parole. Dai suoi occhi verdi poteva ben trasparire una rabbia che stava per scoppiare.

-Era qui, nell’accampamento. E’ sparita durante una notte, poco dopo la vostra partenza. Nessuno l’ha vista né sentita. L’ultima volta che l’hanno vista è stata poco prima che lei si ritirasse.-

-Chi è stato l’ultimo a vederla?- domandò fredda la ragazza.

-Lo scudiero di Joel. Nessuno ha sentito niente.. non un rumore, non un lamento. Niente. Però…-

-Però?-

-Una sentinella mi ha confidato che gli è parso di vedere l’ombra di un drago.-

Arlin sgranò gli occhi. –Un.. un drago? Gli unici draghi che ci sono, sono Saphira e quello di Galbatorix…-

-A meno che un altro uovo si sia schiuso.- Nasuada sospirò. –La mattina dopo il suo rapimento, Areais sarebbe dovuta partire per Urû’baen. Le avevo affidato una missione di primaria importanza…-

-Che tipo di missione?- di nuovo la diffidenza nello sguardo di Arlin.

-Recuperare le uova di Galbatorix. Ma qualcuno ha rapito lei.-

-Pensi ci siano spie?-

-Non ne dubito.-

Arlin deglutì. –Credi… che sia morta?-

-No. Areais ne ha superate di peggio. Non preoccuparti, quando meno te l’aspetti tornerà.- Nasuada le mise una mano sulla spalla, e la guardò con occhi rassicuranti.

Arlin stava per aprire la bocca e ribattere, quando il lembo della tenda si aprì ed entrarono Eragon ed Orik.

 

************

************

 

niehal65: ancora grazie milleee!!! =) Kisso

Bilu_emo: sono contenta che tu sia contenta che io sono contenta XD ok la smetto… comunque continua a recensire!! Baci

Picci93: Meno male che Arlin sta simpatica… ^.^” Grazie anche a te, continua a recensire!! Kiss

totta91: Eccolo qui il seguito!! =) Spero che piaccia anche questo capitolo U.U.. Bacii

 

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Capitolo 23
*** Nar Garzhvog ***


Più che un vero capitolo, questo è una specie di riassunto prima della guerra =) In alcune parti, come già successo in precedenza, ho preso spunto da Eldest originale, quindi non stupitevi se troverete frasi simili XD

Più che un vero capitolo, questo è una specie di riassunto prima della guerra =) In alcune parti, come già successo in precedenza, ho preso spunto da Eldest originale, quindi non stupitevi se troverete frasi simili XD

E ora, buona lettura!

Nar Garzhvog

Dopo alcuni giorni furono nuovamente convocati nel padiglione di Nasuada.

L’aria era tesissima, si percepivano benissimo venti di guerra, e l’attesa era snervante. Per questo motivo Arlin passava tutto il tempo o nell’arena ad esercitarsi con la spada, o a pulire Garjzla e rifare la punta alle belle frecce regalatele da Islanzadi, oppure rinchiusa nella sua tenda a fare pozioni curative da consegnare poi ai curatori del campo. Le sue doti erano molto migliorate da quando era stata addestrata da Daryn.

Poteva fare qualsiasi cosa, basta che non si fermasse. Se lo faceva, tutti i problemi e pensieri più tristi le ritornavano alla mente. Dalla scoperta della sparizione della sorella a quella che Eragon non stava mai con lei, anche se ci aveva fatto l’abitudine a Ellesméra, a Murtagh… al fatto che fra poco ci sarebbe stata una guerra.

Ancora peggiore rispetto a quella nel Farthen Dûr.

Sospirando, la ragazza continuò ad avanzare verso il padiglione. Intravide l’enorme sagoma di Saphira, Eragon che stava per entrare nella tenda di Nasuada. Il Cavaliere si accorse dell’amica e la salutò. Arlin sforzò un sorriso, diretto anche alla dragonessa, e senza guardare in faccia nessuno, entrò per prima nel padiglione.

Nasuada riferì che un gruppo di Kull, una specie di Urgali ancora più potenti, richiedevano un’udienza con lei, portando una bandiera bianca.

Eragon era contrario, preferiva sterminarli, poiché era pericoloso. Anche Jörmundur, ufficiale di Nasuada, era d’accordo con Eragon, ma la regina dei Varden restava della sua idea.

Arlin taceva. Restava in disparte, seguendo il discorso come un incontro di volano. Sentiva lo sguardo di Elva, la bambina la cui benedizione impostale da Eragon si era rivelata essere una maledizione, su di lei, ma faceva finta di esserne indifferente.

Alla fine della discussione ebbe la meglio Nasuada.

Le guardie sollevarono i lembi dell’ingresso, mentre il capo dei Varden si sedeva sull’alto scranno. Jörmundur e altri comandanti si disposero in due file parallele davanti a lei, Eragon restò alla sua destra ed Elva alla sinistra. Arlin accanto ad Eragon.

Poi comparve un Kull solitario, che teneva la testa alta mostrando le zanne gialle. Alto più di otto piedi, dai lineamenti forti ed orgogliosi, ma nello stesso tempo grotteschi. Le corna si ritorcevano ai lati del capo, la muscolatura era possente.

Il Kull disse di chiamarsi Nar Garzhvog, della tribù dei Bolvek. Iniziò a raccontare la sua storia, del voltamento di spalle da parte di Galbatorix. Nar Garzhvog chiese di potersi unire ai Varden, in cambio del sangue di Galbatorix.

Dopo alcuni minuti il dibattito finì. Gli Urgali vennero fatti accampare lungo il lato orientale dell’esercito e per ordine di Nasuada, chiunque avesse attaccato uno di loro sarebbe stato punito come se avesse attaccato un compagno. Il Kull si allontanò, e nel padiglione fece il suo ingresso Re Orrin, tutto trafelato. –Nasuada! E’ vero che ti sei incontrata con un Urgali? Che cosa intendevi fare, e perché non sono stato avvertito prima? Io non…-

Fu però interrotto da una sentinella. –Un uomo a cavallo, mandato dall’Impero!- gridò.

Nasuada corse all’avanguardia dell’esercito, seguita da un centinaio di soldati, senza badare alle proteste di Orrin. Eragon montò su Saphira, poi guardò Arlin. –Sbrigati!-

La ragazza montò agile dietro al Cavaliere. Saphira volò a destinazione e fermandosi vicino al terrapieno, le trincee e le file di pali acuminati che proteggevano la prima linea dei Varden, i tre videro un soldato su di un destriero nero avanzare al galoppo nella terra di nessuno, fermandosi a una certa distanza dai Varden. Costui riferì che, siccome i Varden avevano rifiutato la proposta di resa di Galbatorix fatta alcuni giorni prima, non ci sarebbero più stati negoziati. Nessuno sarebbe sopravvissuto, nonostante il re fosse molto dispiaciuto. Poi estrasse dalla sacca che portava al fianco una testa mozzata. La lanciò fra i Varden, poi tornò sui suoi passi.

Eragon era infuriato e chiese a Nasuada se potesse ucciderlo, ma il capo dei ribelli non glielo permise. All’improvviso Saphira s’impennò piantando le zampe davanti sulla terra. Eragon dovette aggrapparsi al suo collo per non cadere di sella, Arlin si strinse a lui. La dragonessa lanciò un profondo e potente ruggito: un segno di sfida ai suoi nemici.

Il suono della sua voce giunse persino alle orecchie del messaggero dell’Impero, il cui cavallo si spaventò, scivolando sul terreno bollente. Il soldato, sbalzato a terra, finì su una vampa di fuoco verde che eruttava proprio in quel momento. Il grido che lanciò, orribile, fece accapponare la pelle a tutti.

Ma Arlin si lasciò sfuggire un sorrisetto.

I Varden poi acclamarono Saphira, e anche Nasuada sorrise. Battè le mani. –Attaccheranno all’alba, suppongo. Eragon, riunisci il Du Vrangr Gata e preparati all’azione. Ti farò avere ordini entro un’ora.- disse. Poi si allontanò con re Orrin per discutere sul piano.

Arlin tornò a fissare la terra di nessuno. Presto quel luogo sarebbe stato coperto da tanti cadaveri. E solo allora si accorse di quanto fosse cambiata la sua vita. Mentre viveva a Teirm, o a Carvahall, mai aveva immaginato che si sarebbe unita ai Varden, dei quali avevano fatto anche parte i suoi genitori. Ed ora si ritrovava invischiata in quella storia. Sarebbe potuta andare via da lì quando voleva e dimenticare tutto e tutti. Ma non poteva. Lodark e Ialia l’avevano protetta e addestrata, erano morti per non tradire un loro ideale. Lei era destinata a diventare una spia Varden.

Ma è davvero quello che voglio?

************

Arlin non riusciva a prendere sonno. Era riuscita a riposare per un’ora, poi le era sembrato che la tenda fosse una prigione, così si alzò dal giaciglio e decise di prepararsi per la guerra. Indossò le stesse vesti che aveva portato anche nella battaglia nel Farthen Dûr: i pantaloni in pelle neri con gli stivali marrone scuro e il corpetto nero che lasciava nude le braccia. Ai polsi aveva dei bracciali in metallo leggero, che l’avrebbero protetta da alcuni colpi. In vita indossava la spessa cintura con il fodero di Garjzla che pendeva dal fianco sinistro, mentre da quello destro e accanto alla spada portava i Sai regalati da Daryn, e nascosto nello stivale destro portava lo stiletto di Litiën. I lunghissimi capelli erano legati in un’alta coda di cavallo, solo due ciocche più corte ricadevano in morbide onde ai lati del pallido viso.

Aveva rifiutato qualsiasi armatura le era stata offerta: quando combatteva doveva essere libera nei movimenti, in più doveva tenere sotto controllo la sua capacità di leggere nei pensieri altrui. All’inizio le dava fastidio, le dava l’impressione d’invadere l’intimità della gente. Ora stava imparando a controllare quell’abilità.

Arlin uscì dalla tenda, e iniziò a vagabondare per l’accampamento.

Vide Eragon impegnato a trasferire l’energia nella cintura che gli aveva donato il suo maestro Oromis, circondato da alcuni nani e Urgali. La ragazza proseguì nel suo vagare, ma il Cavaliere la vide e la chiamò. Arlin si voltò lentamente.

Mentre Eragon forzava un sorriso, lei non ci provava nemmeno. Il suo volto restava serio.

-Arlin! Non dovresti essere a dormire?- chiese lui.

-Non ci riesco. E poi, nemmeno tu ti stai riposando.- ribattè l’altra, sedendogli vicino.

Eragon sogghignò. –Per il tuo stesso motivo.- la osservò. –Stai bene?-

La ragazza non volle incrociare il suo sguardo. –No, come tutti penso. Fra poche ore ci sarà una guerra.-

Il Cavaliere annuì e guardò il cielo notturno. Capiva che c’era qualcos’altro turbava l’amica, ma non insistette. Se si fosse mostrato preoccupato, Arlin si sarebbe infuriata. Ormai la conosceva talmente tanto bene da poter prevedere le sue reazioni.

Devi essere paziente, Eragon. Ha saputo che sua sorella è sparita, e fra poco ci sarà una guerra. Ha i nervi tesi, come tutti, gli disse Saphira, dietro di lui.

Già. Ma mi sento impotente. Non so come aiutarla, e mi sento anche in colpa. Non avrei mai dovuto permetterle di venire con me quella notte a caccia… non avrebbe visto il tuo uovo e non si sarebbe messa a far ricerche. Non sarebbe stata coinvolta.

Non dire così piccolo mio. Senza di te, Arlin non avrebbe mai incontrato Areais.

Ma non avrebbe conosciuto nemmeno Murtagh, non sarebbe mai venuta in guerra, non le avrei fatto correre rischi mortali inutili…

Non avrebbe studiato da Daryn e non sarebbe diventata quello che è ora…

Eragon esitò un attimo. Tu vedi sempre la faccia migliore della medaglia.

E tu sempre quella peggiore.

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Arrivò l’alba, e con essa le urla di dolore che Angela e Arlin aspettavano. Dopo che l’indovina ebbe spiegato ciò che avevano fatto con il permesso di Nasuada, Orik s’infuriò con le due. Non lo riteneva un gesto leale, avvelenare cibo e acqua degli avversari.

-Perché non me lo hai detto?- chiese Eragon all’amica. Ora capiva il motivo della freddezza di lei.

-Era una missione segreta. Se l’avessimo rivelata a qualcuno avremmo corso il rischio che la notizia giungesse alle orecchie delle spie.- spiegò lei.

-Nasuada non si fida di me forse?- domandò il Cavaliere.

-Non è questo il punto. Se te lo avessi detto, qualche spia avrebbe potuto sentirci. Capisci?-

-Sì, ma Saphira avrebbe potuto controllare che fossimo soli.-

Arlin sbuffò. –In ogni caso, quel che è fatto è fatto. Angela mi ha chiesto se ero in grado di preparare diversi veleni, e mi ha spiegato il piano che aveva elaborato con Nasuada. Così l’ho fatto. E la notte scorsa…-

-Quando abbiamo visto lei arrivare dall’accampamento dell’Impero?- chiese il nano indicando col capo Angela.

-Esatto. Poco prima ero andata io ad infiltrarmi. Ho somministrato la belladonna e altre tossine agli ufficiali perché abbiano delle allucinazioni in battaglia.-

-E perché non ti abbiamo vista?-

La giovane sorrise. –Ho i miei metodi per non farmi vedere.-

Eragon e Orik non dissero nulla.

I lamenti dei soldati crescevano, e le Pianure Ardenti echeggiavano delle grida penose degli uomini morenti.

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Capitolo 24
*** Tempesta ***


Ecco qui il nuovo capitolo

Ecco qui il nuovo capitolo!! La guerra dunque è iniziata..

Buona lettura!!

Tempesta

Arlin era andata con Nasuada.

Eragon e Orik erano rimasti con i nani e i Kull. I primi raggi illuminavano le pianure quando Tiranna, la guida del Du Vrangr Gata, avvisò il Cavaliere che era giunto il momento.

I Varden avanzavano in ranghi serrati, con corazze e armi avvolte in stracci affinché non fosse udito nessun rumore dall’Impero. Saphira ed Eragon si unirono al corteo quando comparvero Nasuada, in sella ad un roano, affiancata da Arlin e Tiranna. I cinque si lanciarono occhiate d’intesa.

Riuscirono ad avanzare indisturbati fino a tre quarti della terra di nessuno, poi le sentinelle dell’Impero suonarono i corni di allarme. A quel punto Nasuada urlò. –Eragon, ora! Di’ a Orrin di attaccare. Varden, a me! Combattete per riprendervi la vostra terra! Combattete per salvare le vostre mogli e i vostri figli! Combattete per sconfiggere Galbatorix! Attaccate, e bagnate le vostre lame col sangue dei nostri nemici! Carica!- spronato il cavallo, trottò veloce verso l’esercito dell’Impero, e fu seguita dai suoi uomini.

Attaccò anche Orrin con la sua cavalleria e i Kull ai fianchi dell’Impero, respingendo i soldati verso il fiume Jet. Poi gli schieramenti si scontrarono, e ognuno cozzò contro l’avversario. Mentre Arlin, scesa da cavallo, combatteva al fianco di Nasuada, Eragon era impegnato prima a trovare ed eliminare gli stregoni di Galbatorix poi a distruggere le catapulte nemiche.

Nasuada venne ferita ad una coscia, e Arlin udì il suo urlo. Corse verso di lei, e infilzò alla schiena, a livello del cuore, il soldato che l’aveva colpita. Quello crollò a terra.

-Grazie, Arlin. Vieni con me ora.- Nasuada fece voltare il suo cavallo.

-Ma, mia signora…-

-Coprimi mentre parlo con Eragon!-

La giovane annuì e andò a recuperare il suo destriero, dopodichè precedette il capo dei Varden, aprendogli strada fra i soldati fino ad Eragon e Saphira. Con la coda dell’occhio la ragazza vedeva che Nasuada faceva fatica persino a parlare, e mentre lei diceva qualcosa al Cavaliere, Arlin teneva a bada un paio di soldati che l’avevano presa di mira. Schivò l’attacco di uno, facendo una piroetta verso destra, e colpì alla gola l’altro soldato. Quello che l’aveva attaccata per primo si gettò contro di lei, ma Arlin parò facilmente il colpo. Gli fece un paio di finte alte, successivamente lo colpì allo stomaco. Si allontanò, lasciandolo agonizzante a terra. Ma venne assalita ancora da altri due. Fece in tempo a vedere però Saphira ed Eragon, circondati da nani e Kull, che si facevano largo verso la prima linea. Erano una sola identità.

Ma l’Impero stava avanzando, i Varden venivano respinti verso l’accampamento.

Arlin ed Eragon s’incontrarono sul campo di battaglia.

-Arlin! Sei ferita?- le chiese lui, mentre combattevano schiena contro schiena.

-No! Sono riuscita a farmi degli incantesimi di protezione, non sono una sprovveduta.- ribattè lei mentre abbatteva un nemico.

-Bene! Non vorrei mai che ti succedesse qualcosa…-

-Eragon! Quante volte ti devo dire che so badare a me stessa?-

-D’accordo… l’importante è che sei sicura tu.- infilzò un uomo con Zar’roc. –Visto che non ti sei mai fidata molto della magia.-

-Ci sto prendendo la mano.- girarono, e il Cavaliere parò un colpo destinato alla ragazza. Ruotando nuovamente, Arlin mozzò la testa al nemico. –E poi riesco soltanto gli incantesimi minori, come quelli di protezione e quelli di guarigione. Di più non riesco a fare.-

-Bene… ma stai attenta. Devi capire il tuo limite.-

-Già fatto, non preoccuparti.-

I due amici si guardarono.

-In bocca al lupo, Arlin.-

-Fate attenzione, tu e Saphira.-

Lui annuì, e si allontanò con la dragonessa e la loro scorta. Arlin non potè permettersi di fermarsi a guardarli andarsene, e dovette tornare da Nasuada.

************

Il sole stava iniziando a calare quando a est risuonò uno squillo di tromba.

-I nani sono qui! I nani sono qui!- gridò re Orrin.

Eragon si alzò in volo su Saphira, e vide il grande esercito di nani, guidato da re Rothgar che alzò la sua mazza da guerra, Volund, quando vide il Cavaliere e la dragonessa. Eragon ululò e sventolò Zar’roc in aria.

Poi però il Cavaliere si allontanò.

Una nave si sta avvicinando. Se appartiene a Galbatorix la affonderemo, le comunicò mentalmente il Cavaliere all’amica.

D’accordo, fu la breve risposta di lei, impegnata con altri due soldati dell’Impero.

Arlin si gettò su un altro gruppo di soldati, colpendone uno alla schiena. Con l’agilità di una gatta, la ragazza si scansò evitando la lama di un soldato, piegandosi e provocando un taglio sulle gambe di un altro. Si rialzò, e dovette tenere a bada due uomini contemporaneamente. Le risultò difficile, ma doveva farcela.

Uno dei due la colpì al polso, e Garjzla le scivolò dalla mano. Veloce, la ragazza estrasse i Sai e parò i colpi successivi. Vide la faccia stupida dei due, e lei gli sorrise. –Addio.- roteò le armi, e tagliò la gola ad entrambi.

Ripulì le lame dei Sai e anche quella di Garjzla, anche se sapeva che si sarebbe sporcata nuovamente di sangue.

Più tardi, vide che Eragon stava tornando, in sella a Saphira.

Eragon, chi sono?

Il Cavaliere non rispose.

ERAGON!

Arlin…

Eragon, cos’hai?, chiese lei, seriamente preoccupata, tagliando un braccio ad un nuovo avversario.

Nulla, è che…sulla nave, c’è tutta Carvahall.

-Carvahall?- esclamò la ragazza, mentre le si parava davanti l’ennesimo soldato dell’Impero.

Quest’ultimo, credendo che la giovane ce l’avesse con lui, fece una faccia confusa.

Senza badarci, Arlin si piegò e lo colpì dal basso verso l’alto.

Carvahall??

Già…ne parliamo dopo.

Ok.

L’arrivo dei nani favorì i Varden: l’impero venne respinto, aiutato anche dagli effetti dei veleni di Arlin e Angela.

Il sole intanto scivolava verso gli smaglianti colori del pomeriggio.

All’improvviso echeggiò un corno dalla retroguardia dell’Impero. Fu poi il turno di un tamburo. Il campo era immobile, tutti si voltavano verso la fonte del rumore. Una figura si staccò per levarsi livida nel cielo delle Pianure Ardenti. Non si capì cosa fosse, fino a quando un raggio di luce trapassò le nubi, illuminando di lato la figura: un drago rosso, le cui membrane delle ali erano di un colore simile al vino visto in controluce. Artigli, zanne e le punte dorsali erano color vermiglio.

La sorpresa di Eragon e Arlin venne ben presto sostituita da terrore quando il nuovo Cavaliere alzò la mano sinistra, da cui partì un fulmine di energia rossa che colpì Rothgar in pieno petto. Anche gli stregoni intorno a lui cedettero nel tentativo di proteggere il loro re, e caddero a terra, morti.

Arlin non si mosse, ma sentì salire la rabbia, e urlando con tutto il fiato che aveva in petto eliminò con un colpo secco un soldato che provò ad attaccarla. Vide Eragon salire in sella e andare contro il drago rosso.

ERAGON!!

Il Cavaliere si voltò e la guardò. Arlin lesse la sua indecisione, se andare da lei oppure andare a combattere senza salutarla, ma la ragazza gli corse incontro, e lui l’aspettò, smontando da Saphira.

-Eragon…- senza dargli il tempo di dire e fare nulla, Arlin gli gettò le braccia al collo.

Lui ricambiò. –Andrà tutto bene.-

-Ti prego…-

-Arlin, questa volta sono io a dirti di non preoccuparti. Tu resta concentrata sulla battaglia. Nasuada ha bisogno di te.- disse lui con voce atona.

I due si separarono. Lei aveva gli occhi lucidi, e lui le accarezzò una guancia. –Ci vediamo dopo.- la baciò in fronte, poi si voltò e salì sulla sua dragonessa.

Arlin avrebbe voluto dirgli che Nasuada aveva bisogno anche di lui…soprattutto di lui. Ma tacque, e restò a guardare rassegnata Eragon.

Era quella la sua vita, non poteva farci nulla.

Ma lo aveva sempre saputo.

La ragazza guardò Saphira, e la dragonessa ricambiò lo sguardo.

Arlin…, Saphira si fece largo nella sua mente.

Saphira ti prego, fate attenzione.

Baderò io a Eragon. Non permetterò che gli accada qualcosa.

Bada anche a te però.

Gli occhi zafferei di Saphira si addolcirono, forse solo per tranquillizzarla, poi la dragonessa spiccò il volo, diretta verso il nuovo drago.

Arlin però non potè restare ferma per tanto, perché un gruppo di soldati dell’Impero la circondarono. Prima lei li guardò spaesata, poi con aria di sfida. –Avanti, chi si fa sotto per primo?- chiese spavalda, facendo roteare minacciosa Garjzla al fianco.

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Capitolo 25
*** Rivelazioni ***


Rivelazioni

 

 

Le avevano detto per qualche tempo di combattere per qualche tempo di combattere nella fila del Du Vrangr Gata. Nonostante sapesse poco niente di magia, Arlin aveva ora anche del sangue elfico nelle vene, la magia le usciva spontanea così come le parole.

Dopo alcuni minuti la ragazza, aiutata da Trianna, riuscì ad abbattere prima uno stregone che ne aveva eliminato già uno di quelli dei Varden, poi un secondo.

Arlin sospirò. Sentiva che ormai stava per esaurire le forze. Nemmeno ad Ellesméra aveva dovuto sopportare un simile sforzo mentale e fisico.

Sentì una presenza accanto a lei e vide Nasuada, il volto stanco e provato. I guaritori avevano provveduto a curarle la ferita alla coscia. –I miei complimenti, Arlin. Sei molto migliorata con l’addestramento degli elfi.-

-Tutto merito loro.- Già le aveva detto dell’incantesimo di Litiën e del fatto che quindi possedeva alcune fra le principali capacità elfiche.

Il capo dei Varden sorrise. –Meglio per noi. Abbiamo un altro asso nella manica.- forzò un sorriso.

La ragazza invece non sorrise. Continuò ad osservare la battaglia. –Mia signora, posso andare sul campo? Qui il pericolo maggiore è risolto. Il Du Vrangr Gata ora è in grado di cavarsela da solo.- disse calma. Non ce la faceva a stare ferma per troppo tempo. Preferiva togliere di mezzo i soldati dell’Impero che stare ferma ad individuare menti di stregoni avversari e sfondare le loro barriere magiche.

-Va bene, hai ragione. Và pure.-

Arlin annuì, estraendo Garjzla dal fodero, e non appena si voltò le cadde lo sguardo nel luogo dove stavano combattendo i due Cavalieri. Vide Eragon scivolare e cadere, ma rialzarsi un attimo dopo e andare addosso all’altro Cavaliere. Quest’ultimo però gli fece volare via Zar’roc con una semplice torsione di polso.

Arlin non pensò, fece solo quello che le disse l’istinto. Forse Nasuada capì le sue intenzioni, forse tentò di fermarla, ma la ragazza non si fermò. Continuò a correre verso Eragon, una corsa disperata, spingendo bruscamente di lato chiunque le intralciasse la strada.

Sto arrivando, resisti…resisti…

Nel mentre, Eragon aveva ripreso Zar’roc e stava bloccando la sua spada con quella a una mano e mezza dell’altro fra i loro corpi. Proprio quando la ragazza giunse ad una decina di metri dai due, Eragon strappò l’elmo dalla testa dell’avversario.

Arlin sentì il cuore fermarsi, tutto il corpo ebbe un debole spasimo e all’improvviso si sentì senza forze, come se una ventata gelida le avesse portato via l’anima. Garjzla per poco non le scivolò dalla mano.

Al centro del pianoro, ai margini delle Pianure Ardenti di Alagaësia, c’era Murtagh.

 

************

Colui che era morto.

Lo sapevo che non era morto!! Aveva ragione Litiën quando diceva di credere veramente che fosse vivo, che un giorno ci saremmo rincontrati…

Ora era lì, davanti a lei, che lanciava un incantesimo su Eragon, che venne sbalzato indietro di circa venti iarde.

Non capiva. E forse nemmeno voleva farlo. La cosa più importante, per lei, era che lui fosse vivo. Era già qualcosa.

Non riuscì a sentire il racconto che fece Murtagh a Eragon, visto che si fecero avanti una decina di soldati. La ragazza tornò in sé, ma non del tutto. Un misto di collera, confusione e felicità la pervadevano.

Murtagh era vivo, certo… ma stava dalla parte di Galbatorix.

Perché ci hai traditi??

Arlin colpì con foga un soldato, e tagliò rapida la gola ad un altro.

Era stanca di combattere, non ce la faceva più. Ma aveva ancora otto avversari da stendere. Li guardò uno per uno, lanciando scintille assassine dagli occhi, e uno di loro le si avventò contro. Così la ragazza ricominciò una lotta simile ad una danza, muovendo piccoli passi ma rapidi, per risparmiare le forze.

Doveva andare ad aiutare Eragon… Murtagh restava in ogni caso un nemico.

Con la coda dell’occhio riuscì a vedere che l’amico veniva incatenato a terra da un altro incantesimo, successivamente anche Saphira venne imprigionata da una magia.

Murtagh era davvero diventato forte.

Arlin uccise anche l’ultimo soldato, e si fermò ansante.

Mai aveva ucciso tante persone. Che magari avevano una famiglia… magari erano state obbligate a combattere per Galbatorix, e lei le aveva uccise.

Scosse la testa, come per scacciare quei pensieri, e si voltò.

Proprio in quel momento si voltava anche Murtagh. Inequivocabilmente i loro sguardi s’incrociarono.

Il Cavaliere restò per un istante impietrito.

Arlin.

La sua Arlin.

Ma è ancora tua?

Murtagh non poté fare a meno di non squadrarla: bella come se la ricordava, forse anche di più, con i capelli scuri raccolti dietro la nuca, che le accentuava la forma del viso piccolo e pallido. Le vesti nere erano sporche di terra e sangue, così come la lama della spada che reggeva in mano. In vita vide che portava due armi nuove, due Sai.

Prima non li aveva.

E intravide l’elsa ben lavorata di uno stiletto che usciva dallo stivale destro.

Quella era la vera Arlin, anche se molto cambiata.

I suoi lineamenti erano poco più raffinati, simili a quelli di Eragon, e le orecchie ben visibili lasciavano scoperte le punte leggermente appuntite.

Non era una trasformazione completa come quella di Eragon.

La ragazza, da parte sua, era indecisa. Ascoltare l’istinto che le diceva di abbracciarlo, lasciarsi andare alla felicità dell’averlo ritrovato… oppure sfidarlo, rispettando i suoi doveri di guerriera Varden. Non sapeva nemmeno cosa pensare, mentre anche il Cavaliere la osservava.

-ARLIN!! VATTENE SUBITO!!- Eragon.

La ragazza però non si mosse, era come in uno stato di semi coscienza.

Anche Saphira ringhiò. Eragon, non riesce a sentirci!

-ARLIN!!!- ruggì, in preda dal panico.

Ma che stava facendo? Perché restava immobile?

Poi vide una cosa che non si sarebbe aspettato: gli occhi di Arlin divennero lucidi, e lasciò andare Garjzla per correre incontro a Murtagh.

I due si abbracciarono, scorse una piccola lacrima attraversare la guancia della ragazza per poi finire sulla spalla dell’altro.

-Murtagh…lo sapevo…- Arlin lo strinse forte, sentendo il suo odore, che tanto le era mancato.

-Arlin…ti prego, perdonami.- la sua voce era atona.

La ragazza si separò, guardandolo in volto: non era cambiato, aveva gli stessi occhi azzurri color del ghiaccio, forse ora più freddi e duri… e gli stessi capelli neri, un po’ più lunghi di quanto se li ricordasse. –Che ti è successo? Perché.. sei dalla parte di Galbatorix?-

-Ti spiegherà tutto Eragon. Arlin, c’è una cosa che devi sapere. Riguarda tua sorella.-

Arlin s’irrigidì. E la sua felicità sparì. Guardò infuriata Murtagh. –Sei stato tu a rapirla?- domandò a denti stretti.

-Sì. Mi era stato ordinato di rapire te. Non pensavo che avessi una sorella…-

Arlin balzò indietro, facendo sobbalzare Murtagh. Estrasse i Sai.

-Calmati, per favore!-

-Calmarmi? Come faccio a calmarmi?! Hai rapito mia sorella!!-

-Sono io, Murtagh. Colui che hai baciato nel Farthen Dûr.- ribatté calmo lui.

Arlin non si scompose. Certo, forse lo aveva baciato. Ma le cose erano cambiate. –Già. Ma tu ora servi l’Impero. Io i Varden. Sei da principio un mio nemico.-

-La pensi davvero così?-

-Come dovrei pensarla allora?- La ragazza si preparò ad attaccare. La furia ormai la stava accecando. –Dove l’hai portata?-

-Prima ad Urû’baen. Poi credendo che fossi tu ho tentato di farla evadere, ma le guardie l’hanno scoperta e lei si è gettata da una finestra. Con l’ultimo uovo di drago.-

La ragazza restò immobile. Era dunque riuscita a prenderlo? Sua sorella era davvero fenomenale. Ma la seconda parte… -Gettata?-

-Sì. Ma ho mandato in tempo Castigo a recuperarla. Ora si trova a Dras-Leona.-

Arlin sospirò. Almeno era viva. Forse una cosa buona Murtagh l’aveva fatta. –Ben gli sta al tuo re. Gli ha sottratto l’uovo da sotto il naso.- disse sfacciata, trattenendo un sorriso.

-Non riderai più quando sentirai il resto.-

-Ossia?-

-Prova ad arrivarci. Credevo fossi tu. Indovina cosa sia potuto accadere.- Dal volto di Murtagh non traspariva nessuna espressione.

Arlin si bloccò. E vide tutto chiaro. –No…-

-L’ho baciata.-

-MALEDETTO TRADITORE INFAME!!- La ragazza si gettò contro di lui, attaccando con i Sai.

Murtagh si difese facilmente con Zar’roc, come se si stesse allenando. Non faceva il minimo sforzo, e Arlin lo capì. Ma era stanca, era tutto il giorno che non faceva altro che combattere. Era esausta.

Tentò di risparmiare energie, parando i colpi dell’avversario piuttosto che evitarli, ma non servì a nulla. Sentiva il braccio pesante, stava per cedere.

Murtagh però non la colpiva. Si vedeva, non combatteva sul serio.

Non voleva ferirla.

Arlin s’irritò leggendogli la cosa negli occhi, così si piegò e gli fece uno sgambetto.

-Letta!- pronunciò Murtagh.

-Brisingr!- ringhiò Arlin, puntando il palmo destro verso di lui.

Straordinariamente, il fuoco argentato della ragazza ebbe la meglio, e l’incantesimo colpì in pieno petto Murtagh.

La parte buona di Arlin avrebbe voluto subito soccorrere il Murtagh che urlava di dolore.

La parte vendicativa invece prevalse, e la ragazza restò in piedi, ad osservare l’armatura del Cavaliere che si sporcava di bruciato, lo sguardo freddo.

Non sapeva come aveva fatto a colpire Murtagh, visto che lui aveva molte più energie di lei, in quel momento. Le venne ancora alla mente il fatto che forse si era lasciato colpire. Arlin si morse un labbro, e Murtagh smise di urlare.

-Ti è bastata come lezione?- gli chiese pacata.

Il Cavaliere la guardò. Non la riconosceva più… ma doveva capirla. Le aveva fatto molto male, anche se non l’aveva fatto apposta. Se lo meritava, per questo non opponeva resistenza, solo quella poca necessaria per non restarci secco. Arlin faceva sul serio, se si fosse distratto anche per un solo istante lo avrebbe fatto fuori. Non rispose alla sua domanda.

Con un rapido movimento, Murtagh afferrò Zar’roc e balzò in piedi, di fronte ad Arlin, puntandole la lama rossa alla gola.

-Non puoi sconfiggermi, Arlin. Nessuno può farlo.-

-Sei un presuntuoso se pensi di aver vinto.-

-Ma ho vinto.-

-Per ora. Goditi questi momenti, perché non torneranno.- Arlin sputò fuori quelle parole.

Murtagh non disse nulla. Si limitò ad abbassare la spada, la rinfoderò e salì in groppa a Castigo. Non si voltò una volta mentre si allontanava in volo sul suo drago rosso.

 

 

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Capitolo 26
*** Promesse ***


Promesse

 

 

Erano passati due giorni dalla fine della guerra, ed erano due giorni che Arlin non usciva dalla sua tenda. Le avevano portato da mangiare, ma lei non aveva toccato cibo. Le avevano persino mandato Eragon e poi Angela, una volta anche Nasuada stessa. Nessuno era riuscito a concludere qualcosa, Arlin aveva lo stomaco chiuso.

Sentiva che se avesse mangiato qualcosa sarebbe stata male.

Era pallida come un cadavere, gli occhi gonfi e arrossati con profonde occhiaie scure.

Non dormiva, non mangiava e non parlava.

Arlin osservò con sguardo spento il cielo coperto dalla solita nebbiolina delle Pianure Ardenti. Eragon sarebbe partito quel giorno.

La ragazza avanzò nell’accampamento fino a raggiungere l’arena. Si sentiva un fantasma fuori posto.

Roran era già nel punto di ritrovo impaziente. Presto la sua Katrina sarebbe tornata fra le sue braccia, in salvo.

Roran alzò la testa e la vide. Le fece cenno di avvicinarsi con un’evidente espressione sollevata nel vedere Arlin all’aria aperta. Dopo un attimo la ragazza gli andò incontro.

-Arlin!- Roran l’abbracciò. –Sono contento di vederti.- aggiunse separandosi.

Lei non sorrise, non ci riuscì. Non parlò nemmeno, e lo sguardo del ragazzo si rattristò. –Ti ricordi quella volta che Eragon ti aveva rubato il ciondolo che ti aveva regalato Brom?-

Arlin si limitò a fissarlo. Il ciondolo di cui parlava era quello che indossava sempre, una mezzaluna d’argento.

“Quando sei arrivata a Carvahall nel cielo c’era una mezzaluna”, le aveva detto Brom.

Arlin aveva nostalgia di quei tempi, quando le sue uniche preoccupazioni erano la spada e le erbe. Ora doveva fare i conti con la guerra, il suo obiettivo era restare in vita.

-Non gli hai parlato per due giorni. Poi appena te lo ha ridato è tornato tutto come prima.-

-Eravamo bambini.-

Erano le prime parole che diceva. La sua voce era bassa, roca dal troppo pianto. Secondo la teoria di Roran, Eragon avrebbe dovuto riportargli Murtagh…

Sono fratelli.

Arlin rabbrividì.

-Lo so. Ma lo sai lui quanto ci era rimasto male quella volta?-

-Non mi ha mai chiesto scusa.-

-Però te lo ha ridato.-

La ragazza sospirò, trattenendo le lacrime. Credeva di averle terminate. –Io…-

-Quello che voglio dirti è che Eragon è disposto a fare tutto pur di vederti sorridere. E lo voglio anche io. Concedigli un po’ della tua fiducia, e vedrai che riuscirà a sistemare ogni cosa.-

-Sono innamorata di suo fratello, colui che ha tradito i Varden e me. Sono un completo fallimento.-

-Smettila di commiserarti! Nasuada conta su di te per molte cose, e da quello che ho capito dagli elfi sei diventata molto più forte. Sono sicuro che Murtagh si ricrederà, prima o poi.-

Arlin lo guardò con gratitudine.

-Arlin.-

La ragazza si voltò, vedendo Eragon e Saphira alle sue spalle. Abbozzò un sorriso che assomigliava tanto ad una smorfia.

Il Cavaliere le andò vicino. –Come ti senti?-

-Tu come mi vedi?-

Lui non rispose.

-Ho avuto il mio attimo di debolezza, Eragon, ma credo di essere giunta ad una conclusione.- lo guardò negli occhi. –Non m’importa un accidente se sei figlio di Morzan, io ti conosco come Eragon figlio di Garrow e tale resterai. Solo…- la sua voce s’incrinò. –Devo farti promettere una cosa.-

-Dimmi.-

-Non dovrai mai uccidere Murtagh. Promettilo.-

-Arlin, lo so cosa provi e anche io non sono allegro all’idea di affrontarlo, ma se…-

-So che anche lui la pensa così e non avrà mai la forza di volontà sufficiente per eliminare suo fratello. Ti prego, promettimelo.-

Eragon la osservò. Nella sua fragilità, Arlin sapeva come essere convincente sfruttando il suo aspetto trasandato che faceva una gran pena. Il Cavaliere sospirò. –D’accordo, Arlin. Ma ricorda, se mi dovessi trovare in una situazione critica e non avessi altra scelta, dovrò farlo.-

-Non lo faresti comunque.-

-Perché?-

-Perché sai cosa provo per lui.-

Eragon tacque.

E’ ora di andare, disse Saphira.

-Fate attenzione.- raccomandò Arlin mentre la dragonessa permetteva al Cavaliere e suo cugino di salirle in groppa. Roran era terrorizzato all’idea di volare, Eragon gli lanciava delle occhiate ridendo sotto i baffi. Una volta che si furono sistemati in sella, Eragon la salutò con una mano, Roran si limitò ad un cenno del capo avendo le mani allacciate alla vita del cugino.

Non lasciare che il passato s’impadronisca della tua mente. Guarda al futuro.

Grazie, Saphira. Sii cauta.

Lo farò.

La dragonessa fece leva sulle zampe posteriori e si lanciò verso l’alto, alzando una nube di terra che si mischiò a quella dell’umidità.

Dopo già qualche minuto, la sua sagoma era un vago puntino nero nell’immensità, l’urlo di Roran che rompeva la quiete dell’accampamento.

 

 

Bene, gentili lettori e lettrici, innanzitutto chiedo per l’ennesima volta scusa per l’enorme ritardo e per la brevità di questo capitolo…

Dal prossimo inizierà Brisingr, che non ha quasi niente a che vedere con quello scritto da Paolini, visto che avevo pensato a come sviluppare il mio racconto prima che lo pubblicasse ^.^”

Vi prego di recensire, anche se i capitoli non sono di vostro gradimento.. (ci penserò poi io muhaha..scherzo, ovviamente ^.^)

Grazie per la pazienza.

 

 

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Capitolo 27
*** E' il mio turno ***


Brisingr-Empire

 

Come già avevo premesso alla fine del capitolo precedente, da questo inizia Brisingr-Empire secondo la mia fantasia. Se prima avevo seguito i libri di Paolini, da qui in poi sarà tutto di mia invenzione.

 

E’ il mio turno

 

La Bugola era pronta per essere travasata, il processo di macerazione era completo. Aveva lasciato la pianta immersa in un particolare olio elfico, adatto per creare un medicinale.

Preferiva avere qualche boccetta di riserva, per ogni evenienza, e non appena aveva un po’ di tempo libero ne preparava qualcuna. Era anche un modo per tenersi in esercizio.

Filtrò la sostanza in una delle boccette, per separare i grumi dalla parte che sarebbe stata usata per curare le ferite. Buttò lo scarto e chiuse il piccolo contenitore, mettendolo da parte insieme agli altri. Li guardò, soddisfatta del proprio lavoro, dopo di che prese un’altra boccettina contente un liquido denso dorato e uscì dalla sua tenda.

Eragon, Saphira e Roran erano partiti da un po’ di giorni, e non si avevano ancora notizie. Probabilmente non ne avrebbero avute fino al loro ritorno.

Arlin alzò lo sguardo ma non vide il cielo, perennemente coperto dalla fitta nebbiolina caratteristica delle Pianure Ardenti.

Come sempre l’accampamento era in subbuglio, i paggi correvano in ogni direzione pronti a compiere gli incarichi affidati dai loro superiori. Non c’erano solo uomini, ma anche Kull. Ne vedeva alcuni, solitari, guardarsi intorno con aria spaesata.

Le sembrava di rivedersi ad Ellesméra, l’unico essere umano tra gli elfi. Loro erano pochi Kull tra gli esseri umani. Loro però vivevano col pregiudizio di essere stati alleati di Galbatorix, continuamente giudicati dagli sguardi sospettosi dei Varden.

Alcuni credevano che fosse tutto un piano ben organizzato, che i Kull in verità non si erano mai ribellati a Galbatorix e aspettavano solo l’occasione giusta per poterli attaccare.

Tutte fantasie per i più scettici.

Arlin si diresse verso la tenda di Angela, reggendo il boccettino.

Per strada incrociò Fredric, il maestro d’armi, che accennò un segno del capo. Arlin ricambiò e proseguì.

Presto entrò nella tenda di Angela. –E’ premesso?-

-Ormai sei già dentro.-

-Ti ho portato questo.- la ragazza tese alla donna ciò che portava.

Angela se ne stava seduta al tavolino dove leggeva il futuro dei soldati, Solembum accoccolato in un angolo della tenda. –Che cos’è?-

-Olio curativo elfico. Ho pensato che ti avesse fatto piacere averne un po’.-

L’indovina prese la boccetta, rigirandosela davanti agli occhi. –Ti trattava bene il tuo maestro, eh?-

-Solo se gli davo soddisfazioni e facevo il mio dovere.-

Angela sorrise. –Ti ringrazio.-

-Di nulla.- Arlin si voltò e fece per uscire.

-Stanno bene.-

-Per ora.-

Angela restò in silenzio per qualche secondo. –Da quando sei diventata così pessimista, Arlin?-

-Non sono pessimista, solo realista. Ho capito che la vita riserva molte sorprese, spesso inaspettate. Potrai predire il futuro quanto ti pare, ma non si è mai pronti ad accettarlo.-

-Alcuni lo accettano.-

Arlin fissò Angela.

-Vuoi che legga il futuro per te?-

Arlin scosse la testa e uscì.

Si ritrovò di nuovo all’esterno, in mezzo al via vai dei soldati.

Decise di far ritorno all’arena, luogo da cui erano partiti Eragon e Saphira con Roran. Nel centro, Fredric aveva iniziato ad allenare delle reclute, contadini che si univano ai Varden nella convinzione di sconfiggere Galbatorix.

In fondo, anche lei era cresciuta in un villaggio di contadini. Ma suo padre era stata una spia Varden, sua madre una sostenitrice. Il suo migliore amico era una Cavaliere di Draghi. Lei la curatrice mezzelfa dei Varden.

Non era una ragazza comune, aveva accettato la cosa. In fondo le piaceva.

Non era più nessuno, ma era diventata qualcuno.

Girò sui tacchi e si allontanò dall’accampamento. Aveva trovato un posto tranquillo ai margini del campo, un punto in cui delle rocce ammassate formavano una piccola collina che dava sulle intere Pianure. Erano puntate verso Ovest, dove il sole tramontava. Quella era la parte migliore della giornata in cui recarsi in quel luogo, quando i pochi raggi che riuscivano a oltrepassare la nebbia battevano sulla calda distesa, creando piccoli puntini gialli sulla terra rossa.

Vederli svanire lentamente era tranquillizzante.

Arlin si ritrovò proprio quelle immagini di fronte, quando giunse in cima alla piccola collina di rocce. Lasciò che l’aria calda la investisse, anche se non era molto piacevole.

Vide una figura che si stagliava contro il sole, girata di mezzo busto. Un occhio era puntato verso di lei, segno che l’aveva vista e la stava osservando.

E la stava aspettando.

Si trattava di un ragazzo senza ombra di dubbio, le spalle larghe e la tunica cremisi dell’Impero glielo fecero capire. Anche se era controluce e il suo viso era in ombra, Arlin lo riconobbe.

I capelli mori dell’altro erano come se li ricordava, sbarazzini a causa del vento. Teneva una mano sull’elsa di una spada dalla lama rossa.

Arlin non si spaventò, sapeva che quel momento prima o poi sarebbe arrivato. Strinse gli occhi, senza cambiare espressione.

-E’ il mio turno?-

 

 ************

************

 

pazzerella_92: eccolo qui! Comunque sì, Brisingr è bello bello..speriamo esca presto l’ultimo libro ù.ù baci!

Eowyn 1: grazie tante per i complimenti *me diventa rossa* =) sono contenta che Arlin ti stia simpatica e che ce la vedi bene con Murtagh…

Grazie ancora per la recensione!

 

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Capitolo 28
*** Dras-Leona ***


Dras-Leona

 

Dras-Leona sorgeva sulle rive del lago di Leona, una delle città più grandi di Alagaësia.

Le case in legno scuro, ammassate le une sulle altre,impedivano al sole di illuminare i cunicoli stretti e contorti. Le abitazioni non erano costruite in modo simmetrico, ma completamente alla rinfusa.

Roran sbuffò. -Perché siamo dovuti entrare in città? Non bastava restare fuori e andare direttamente sull’Helgrid?-

-Helgrind.- lo corresse Eragon, al suo fianco. –No, prima voglio cercare di capire se Murtagh è lassù.-

-Hai paura che ci stia aspettando?-

-Non lo so, ma è più sicuro considerare questa ipotesi ed essere preparati a ogni evenienza. Non vorrei mai che tu o Katrina vi trovaste in mezzo ad un nostro possibile scontro.-

Roran annuì col capo. –Va bene, cugino. Ma facciamo in fretta.-

Eragon si guardò intorno. La gente sembrava non essersi accorta dei due stranieri che avanzavano ricoperti da mantelli scuri, i cappucci calati per nascondere i loro volti. Eragon sarebbe stato subito notato, con il suo aspetto da elfo.

Roran teneva il cappuccio per sicurezza, si sentiva più a suo agio in un luogo in cui dominava l’Impero.

Raggiunsero il centro della città, circondato da un muro opaco e fangoso, dove, in  contrasto con il resto della città, si ergeva una sontuosa cattedrale. Brom aveva detto che lì abitava il governatore Marcus Tàbor.

-Non voltarti, ma c’è qualcuno che ci sta seguendo.- disse Eragon al cugino, abbassando il tono della voce.

Roran non si mosse. –Murtagh?-

-No, non si farebbe scoprire così. Seguimi e preparati, ho un piano.-

 

************

 

C’era una terza figura incappucciata tra le chiassose vie di Dras-Leona.

In città solo gli stranieri portavano mantelli, così aveva iniziato a seguirli. Non sapeva bene che cosa ne avrebbe potuto ottenere, magari qualche informazione utile.

Sarebbe potuta andare quando voleva da Dras-Leona, ma le cose si erano complicate.

Non era più sola e doveva badare anche all’altro.

I due che stava seguendo erano sicuramente uomini. Uno era un po’ più alto dell’altro e più robusto, l’altro più esile ma non per quello lo sottovalutava. Glielo avevano insegnato.

Mai sottovalutare il nemico.

E se non erano nemici?

Continuò a seguirli, nascondendosi all’ombra delle case. Arrivati al centro della città i due si fermarono. Osservarono per qualche secondo la cattedrale, poi presero un vicolo buio a sinistra.

Andò dietro loro, controllando che non facessero mosse improvvise.

Furono però avvantaggiati dall’oscurità, perché non li vide più.

Si fermò, facendo andare gli occhi da ogni parte. Sentì la presa all’ultimo momento, quando ormai avevano le bloccato le braccia e tappato la bocca. Provò a gridare di lasciarla andare, ma non ci riuscì. La mano che affievoliva la sua voce era callosa e ruvida, una mano da contadino.

Il secondo uomo venne in avanti, puntandole contro una spada. –Allora sei tu che ci seguivi.- disse. Si avvicinò e le abbassò il cappuccio. Strabuzzò gli occhi e fece un passo indietro, sorpreso. –Areais!-

Roran abbassò di scatto la mano e la lasciò andare. -Era anche ora.- borbottò lei, guardandolo di traverso.

-Perdonaci, non sapevamo che eri tu.- disse Eragon abbassandosi il cappuccio mentre Roran la liberava.

-Non importa.- La ragazza squadrò i due, fermando il suo sguardo su Roran, che si scopriva il capo.

-Lui è Roran, mio cugino. Ci ha aiutati nella guerra contro l’Impero nelle Pianure Ardenti, ha ucciso i Gemelli.-

Areais sembrò sollevata nell’udire le ultime parole. –Meno male che qualcuno è riuscito a eliminarli.- Aveva saputo della battaglia, in città non si era parlato d’altro in quegli ultimi tempi. Nessuno però sapeva che l’ultimo uovo di drago era stato sottratto a Galbatorix.

Roran era scettico. –Eragon, ma è la fotocopia di…-

-Arlin. E’ la sua gemella.-

-Ah.- Roran restò a bocca aperta.

Areais sorrise. –Areais Lodarkson, piacere.-

Roran le strinse la mano che la ragazza gli aveva teso, poi i suoi occhi tornarono su Eragon. –Mia sorella come sta?- Sembrava tesa, Eragon lo percepì. Forse perché immaginava che Arlin avesse saputo quello che era successo con Murtagh.

-E’ all’accampamento dei Varden.-

-Come sta?-

-Si sta riprendendo.-

Areais non ribatté, ma preferì cambiare discorso. –Devo rivelarvi una cosa importantissima. Siete i primi a saperlo.-

I due ragazzi attesero.

-Come immagino sappiate, ero stata scelta per andare a recuperare l’ultimo uovo di drago, ma Murtagh mi ha presa prima.- fece una pausa, sentendo gli sguardi tesi dei due ragazzi. -Lui credeva fossi Arlin, e ha tentato di farmi fuggire. Ho colto l’occasione al volo e l’ho tramortito. Sono andata nella stanza dove custodivano l’uovo e sono riuscita a prenderlo, ma i soldati si sono accorti che qualcosa non andava. Sono tornata nella stanza di Murtagh, lui era ancora svenuto. Non avendo più vie di fuga, così mi sono gettata dalla finestra...- Eragon trattenne il fiato. -…ma Castigo mi ha presa prima che potessi schiantarmi al suolo.- Il Cavaliere riprese a respirare. -Mi sono sentita mettere su un carro da alcuni uomini. Se mi svegliavo, qualcuno mi riaddormentava con un sonnifero. Mi hanno portata qui con l’uovo, e mi hanno lasciata in mezzo alla strada. Ho trovato una stanza in una taverna isolata e l’ho affittata. Quella sera, è successa una cosa.- La ragazza alzò la mano destra, quella che teneva ancora sotto il mantello, e mise il palmo davanti agli occhi di Eragon e Roran. I ragazzi restarono immobili, incapaci persino di sbattere le palpebre.

Areais aveva il gedwey ignasia.

-L’uovo si è schiuso per me.-

 

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Capitolo 29
*** Viaggio ***


Viaggio

    

Urû'baen non si vedeva ancora.

Non glielo aveva detto che la stava portando lì, ma Arlin lo sapeva. D’altra parte, era logico: l’aveva rapita ed era l’unico posto dove rinchiuderla.

No, non l’aveva rapita.

Era lei che aveva scelto di andare con lui. Anche se avesse provato ad opporsi sarebbe stato inutile. Lui avrebbe vinto in ogni caso, era troppo forte.

Castigo era accucciato dietro di lei, teneva le iridi rubino sulla ragazza rannicchiata. La controllava, ma il suo sguardo non era ostile, tutt’altro. Sembrava quasi incuriosito.

Arlin fissava la schiena del ragazzo voltato di spalle rispetto a lei. Stava stendendo una coperta. Quando fece per voltarsi, Arlin guardò il terreno arido. Mossa infantile, era un riflesso involontario.

Dentro di lei, odio e amore lottavano per avere uno il sopravvento sull’altro.

Il ragazzo però non la guardò. Si limitò a sedersi sulla coperta in silenzio.

Ripensò a quando erano partiti.

L’aveva fatta salire, non sorpreso del fatto che sapesse andare sul dorso di un drago così agilmente. Era più turbato dal suo aspetto, per alcuni tratti elfici. Non la guardava, teneva i severi occhi azzurri vaganti nelle vicinanze, cercando di sentire qualche altra presenza e prepararsi ad un eventuale attacco.

Quando la ragazza si era posizionata sulla sella, il Cavaliere le era salito dietro. Castigo era partito con un balzo, e lei era stata sbalzata all’indietro. La sua schiena era stata in contatto con il petto di lui, e per un attimo Arlin non aveva respirato sia per la momentanea mancanza d’aria, sia per la sorpresa.

Era la prima volta che volava insieme a Murtagh.

Preferiva non pensare al luogo dove la stava conducendo, oppure la tentazione di saltare giù sarebbe aumentata, anche se l’altezza era troppa e il Cavaliere era sicuramente pronto ad ogni mossa improvvisa di lei.

La sua coscienza, però, le diceva che non si sarebbe mai azzardata a tanto.

Volavano sopra le Pianure coperte dalla sottile nebbia, vedendo in lontananza lo stesso paesaggio per miglia e miglia.

Uno scalpiccio di zoccoli la fece tornare in sé.

Anche il Cavaliere se n’era accorto, e guardavano tutti e tre nella stessa direzione.

Erano ancora lontani, ma l’udito più fine della norma glieli aveva fatti sentire presto.

Probabilmente il ragazzo aveva detto qualcosa al suo drago, perché quest’ultimo diede un leggero colpo alla schiena della ragazza. Lei si voltò e lo guardò contrariata, non capendo.

-Sali su Castigo e allontanatevi.- disse Murtagh, alzandosi e mettendosi Zar’roc al fianco.

Da quando erano partiti quella era la prima volta che le rivolgeva la parola. La sua voce era fredda e autoritaria, che non ammetteva repliche.

-Ma…-

-Fa come ho detto.- Il Cavaliere tornò a sedersi, senza guardarla, e fissò il punto da cui sarebbero dovuti comparire i cavalli.

Arlin lo fulminò con lo sguardo e strinse un pugno, poi si voltò e salì sulla sella di Castigo per la seconda volta, arrampicandosi sulla zampa posteriore. Il drago rosso cresceva ogni giorno di più, la ragazza si chiese come facesse a farlo così velocemente. Forse, una volta giunti a Urû'baen lo avrebbe scoperto, se non fosse morta prima.

Arlin impugnò più forte che poté le estremità della sella, e quando Castigo si sollevò le parve che lo facesse con meno foga della prima volta.

Arrivarono in alto abbastanza da essere scorti appena da terra. Arlin riusciva a distinguere tre uomini a cavallo di destrieri marroni, il quarto nero. Probabilmente era il capo, visto che era anche il più grasso. Castigo continuava a volare in circolo sopra di loro, come una sentinella silenziosa. Arlin teneva lo sguardo puntato su Murtagh, l’unica figura rossa in mezzo a tutto quel grigiore.

 

************

 

Mantenne un’espressione neutra quando i quattro gli si avvicinarono. Notò la loro espressione feroce sul volto, sicuramente erano dei predoni del deserto alla ricerca di schiavi.

Lui, però, era già schiavo di Galbatorix.

-Guardate un po’ chi abbiamo qui, un ragazzino!- esclamò uno.

Forse non lo vedevano bene in faccia. Murtagh restò immobile. –Cosa volete?-

-Bè, vediamo…- il capo smontò dal suo cavallo. Il Cavaliere immaginò che l’animale doveva sentirsi sollevato nel liberarsi da tutto quel peso, poi riportò l’attenzione sull’uomo che avanzava pensoso verso di lui. -…prima ci darai i suoi averi, dopo potrai venire con noi al mercato. Che ne dici?-

-Dico che siete dei poveri illusi se pensate di mettermi le mani addosso.-

L’uomo sogghignò. –Non fare tanto lo spiritoso, o ti daremo una bella lezione.-

-E se invece la dessi io a voi?- strinse l’elsa di Zar’roc.

I tre scagnozzi dell’uomo grasso lo circondarono, ma il Cavaliere non si scompose.

-Prima vorrei che mi togliessi una curiosità.- disse l’uomo mentre estraeva la sua arma, una pesante sciabola. I suoi uomini lo imitarono, avevano le stesse armi. –Cosa ci fai qui, solo, in mezzo al deserto senza nemmeno una cavalcatura?-

-La mia cavalcatura è lassù.- rispose calmo l’altro, indicando il cielo.

I quattro alzarono gli occhi e videro un uccello nero. -Ma che…- Non ebbero il tempo di dire altro, perché la lama di Zar’roc trapassò il collo del capo.

 

************

 

Vide Murtagh uccidere prima il capo dei quattro, che crollò a terra come un fuscello.

Gli altri tre prima restarono sbigottiti dal gesto e dalla splendente arma dell’avversario, dopo di che fecero per darsela a gambe, tornando di corsa ai cavalli.

Murtagh pulì la lama sui vestiti del cadavere e la rinfoderò, con tutta la calma che si poteva immaginare. Alzò il palmo destro in direzione degli uomini che stavano facendo voltare i cavalli e mormorò alcune parole nell’antica lingua.

I tre vennero avvolti da catene invisibili, che li fecero disarcionare a causa della stretta. Gli animali proseguirono nella loro corsa nel deserto, soli ma liberi.

Le catene stringevano sempre di più i predoni, fino a quando il fiato iniziò a mancargli e chiesero pietà. In tutta risposta, Murtagh serrò la presa ulteriormente.

Fu fatale per i tre.

Le catene invisibili ruppero molte costole, e non riuscendo più a respirare morirono soffocati.

Quando vide i loro corpi smettere di agitarsi e restare immobili, Murtagh abbassò la mano e nello stesso istante Castigo gli planò al fianco. Arlin non disse nulla, si limitò a smontare dal dorso del drago. Guardò il Cavaliere mentre recuperava la coperta che aveva steso pochi minuti prima.

La pausa era finita.

 

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