Tha Sixth

di Ray
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part 01 - Awakening ***
Capitolo 2: *** Part 02 - Make a Wish ***
Capitolo 3: *** Part 03 - Fallen God ***
Capitolo 4: *** Part 04 - Lost People ***
Capitolo 5: *** Part 05 - Last Hope ***
Capitolo 6: *** Part 06 - Ascension ***
Capitolo 7: *** Part 07 - Second Chance ***
Capitolo 8: *** Note dell'autore ***



Capitolo 1
*** Part 01 - Awakening ***


Note iniziali assortite

Dragon Ball e tutti i personaggi relativi sono proprietà di Akira Toriyama; i personaggi introdotti in The Sixth sono di mia proprietà.

Questa fanfiction è stata scritta per divertimento personale senza fini di lucro; chiunque voglia pubblicarla sul proprio sito è invitato a chiedermi il permesso prima (ilray@hotmail.com). Chi riceve la mia autorizzazione a pubblicarne anche solo una parte ha il permesso implicito di pubblicare anche le altre, a meno che io stesso non specifichi diversamente; in ogni caso, la fanfiction deve essere pubblicata integralmente, incluse queste note iniziali, e senza alcuna modifica (sarei comunque grato a chiunque mi segnalasse errori grammaticali e/o di battitura, in modo che io stesso possa provvedere alla correzione). Indipendentemente da qualsiasi circostanza, la fanfiction resta di mia proprietà e mi riservo il diritto di chiederne e concederne la pubblicazione a qualsiasi sito (o altro mezzo di comunicazione) io ritenga opportuno. Il permesso di pubblicare The Sixth è automaticamente negato a qualsiasi sito (o altro mezzo di comunicazione) che richieda ai propri autori l’esclusiva sulle fanfiction pubblicate. So benissimo che questa precisazione può dare l’idea che io sia uno che se la tira, ma capitemi: mi piace pensare che il frutto della mia opera sia gestito da me. Sono convinto che chiunque scriva fanfiction mi possa capire perfettamente.

Se il sito prevede una breve introduzione alla storia, questo passo dell’Apocalisse di Giovanni può andare bene per dare un’idea di quello che accadrà e creare una certa aspettativa:

"Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce: ‘Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia vendicando il nostro sangue sugli abitanti della Terra?’"

La storia si svolge otto anni dopo la fine di Dragon Ball Z e può essere considerata come una versione alternativa di Dragon Ball GT; potete quindi immaginarvi i personaggi così come compaiono nell’ultima serie animata (Goku è adulto e Vegeta non ha i baffi). Le età dei protagonisti sono basate su calcoli miei, che, essendo esatti, non coincidono necessariamente con la cronologia ufficiale. Quindi, facendo un breve riepilogo:

Goku e Chichi: 53 anni

Bulma e Vegeta: 58 anni (Bulma dovrebbe essere più giovane di un anno di Vegeta, ma, come notavo sopra, la cronologia ufficiale è errata in più punti)

Gohan e Videl: 34 anni

Trunks: 26 anni

Goten: 25 anni

Crilin: 54 anni

Pan: 12 anni

Questo per quanto riguarda le età note. Ho arbitrariamente deciso che Marron abbia 23 anni (non ho trovato informazioni in merito, ma mi sembra plausibile) e che Bra ne abbia 15. So benissimo che, secondo la cronologia ufficiale, la figlia di Vegeta avrebbe un anno meno di Pan, ma mi sembra un controsenso rispetto a quanto si vede nei cartoni animati; in questo caso, ho preferito affidarmi al buon senso, piuttosto che a Toriyama. In fin dei conti, l’idea che abbia 7 anni alla fine di Dragon Ball Z mi pare credibile.

Fine delle precisazioni, cominciamo lo spettacolo.

Ray’s

The Sixth

Part 01 – Awakening

 

Il professore guardò pensosamente il ragazzo seduto davanti a lui e sospirò. Si pulì gli occhiali con calma, mentre la luce del sole, che entrava dalle ampie vetrate della sala dell’università della Città dell’Ovest si rifletteva sul suo capo glabro. Alzò lo sguardo dalle lenti e puntò nuovamente gli occhi sul giovane. Era convinto che quel ragazzo sapesse benissimo come stavano le cose. E allora perché sorrideva? Il docente decise di mettere subito in chiaro la situazione: "Mi dispiace, signor Son Goten" disse mentre i suoi incisivi sporgenti sembravano voler schizzare fuori dalle labbra "Credo che dovremo vederci tra un paio di mesi". "Ancora?" domandò Goten mentre un’espressione di disappunto gli si dipingeva in viso. "Capisco che la cosa possa seccarla," replicò il professore sistemando le bacchette degli occhiali sulle sue orecchie vagamente a punta "ma lei deve essere consapevole che non posso farle passare questo esame con la sua preparazione attuale. Studi di più e si ripresenti qui al prossimo appello". Sospirando, Goten si alzò dalla sedia e fece per dirigersi verso l’uscita della sala. Poi, si arrestò all’improvviso e si girò verso il professore. "Sì?" chiese l’uomo "C’è qualcosa che vuole dirmi?". "Una cosa ci sarebbe" rispose Goten assumendo un’espressione pensosa "Lei ha mai fatto cinema?"

"Io?" domandò il professore sorpreso per una domanda simile "No, perché?"

"Niente. È che mi sembrava di averla vista in un film"

"Davvero?" il docente sapeva di non essere un bell’uomo e voleva crogiolarsi almeno un po’ nell’idea di venire paragonato a un attore "E quale?"

"Nosferatu"

Il professore balzò in piedi e batté le mani sulla scrivania: "Fuori di qui!" gridò con gli occhi che sembravano schizzargli fuori dalle orbite "E si auguri di trovarmi di buon umore al suo prossimo appello!".

Sogghignando, Goten riprese a trotterellare verso l’uscita.

Sorridendo a propria volta per la battuta, Goku si alzò dal banco sul quale si era accomodato e seguì il figlio: "Allora?" gli chiese "Andiamo in quella gelateria che abbiamo visto venendo qui?" "Certo!" replicò Goten; un attimo dopo, un fastidioso suono intermittente interruppe i due. "Pronto?" disse Goten rispondendo al cellulare "Oh, sei tu, Palace… Sì, sono in città. L’esame? Ehm… Lasciamo perdere. Senti, io sto andando in gelateria con mio padre, raggiungici lì, così…". Il giovane non riuscì a terminare la frase: sentì una specie di pinza afferrarlo per l’orecchio destro e tirarlo verso il basso. Spostando lo sguardo verso la fonte del dolore, incontrò il volto irato di sua madre. Non gli ci volle molto per vedere che anche Goku aveva subito lo stesso trattamento. Tenendo i due uomini per le orecchie, Chichi ringhiava minacciosamente. "Goku," chiese spostando lo sguardo sul suo intimorito consorte "hai idea di quanto tempo sia che tuo figlio è fuori corso? E poi, quando gli va male l’ennesimo esame, non ha altro di meglio da fare che prendere in giro il professore!". "Non mi sembra un grosso problema…" balbettò Goku cercando di calmare sua moglie "Tanto può rifare l’esame tra due mesi, no?" "Questa storia, va avanti da troppo tempo!" sbottò la donna, quasi sull’orlo di una crisi isterica; poi, rivolgendosi a suo figlio: "Se non hai voglia di studiare, trovati un lavoro! Non sai quanto possa essere appagante lavorare duramente tutto il giorno!"

Trunks starnutì violentemente. Tirando su con il naso, si sistemò gli occhiali. Non gli sembrava di essere raffreddato. Ma il problema principale, adesso, era che aveva starnutito sulle pratiche che stava esaminando sulla sua scrivania. Già, le pratiche. Lavorare tutto il giorno non era per niente divertente, tanto più quando si era il presidente della Capsule Corporation, una multinazionale che richiedeva attenzione costante. Meno male che era venerdì: ancora un paio d’ore di ufficio, e poi via per il week end: aveva un bel programmino in mente. Sorridendo e chiudendo gli occhi, appoggiò il mento sulle mani puntellando i gomiti sulla scrivania… Sognare a occhi aperti, certe volte, era l’unico modo per sfuggire alla routine quotidiana di un lavoro noioso. Quasi non si accorse che la sua segretaria era appena entrata nell’ufficio. "Signor presidente…" disse abbassando il capo fino all’altezza di quello di lui "Si svegli, signor presidente… Si svegli… Si svegli!"

Stava dormendo da tanto tempo. Troppo. Aprì lentamente gli occhi e quello che vide fu un sudario di oscurità che lo avvolgeva. Non ricordava quanto tempo fosse passato da quando si era addormentato. Secoli, forse millenni; sapeva solo che era ormai il momento di svegliarsi e non solo per lui. Sapeva di avere un lavoro da fare, ma non sapeva perché. Sapeva di dover adempiere il proprio compito prima di dire che la sua vita fosse completa. Fece per alzare un braccio, ma non riuscì a stenderlo completamente: il sepolcro nel quale era rinchiuso glielo impediva. Ma non era una barriera che potesse durare. Spinse di lato il pesante coperchio di pietra del sarcofago e si mise a sedere. Buio. Ne aveva avuto il sentore già prima di svegliarsi, ma ora era una certezza: era successo qualcosa in quel posto. Non era come se lo ricordava. Nonostante i suoi occhi potessero vedere anche nell’oscurità, il fatto che quel luogo, normalmente illuminato a giorno, fosse avvolto nelle tenebre era strano. Ma tutto questo non aveva molta importanza: la missione andava compiuta comunque.

‘Quando l’Agnello sciolse il primo dei Sette Sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri che gridava con voce tonante: "Vieni!", ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora’

Dende alzò il capo istintivamente. Aveva percepito qualcosa di strano. Sapeva benissimo che guardarsi intorno sarebbe stato inutile, anche se provò il desiderio irrazionale di farlo: non c’era niente da vedere nella buia stanza del santuario di Dio nella quale sedeva in meditazione. E poi, quella strana sensazione veniva da fuori. "Mr. Popo?" chiamò il namekiano sapendo che non avrebbe dovuto aspettare molto. Silenzioso in maniera inquietante, come era suo solito, l’attendente di Dio fu pronto ad accorrere al fianco del suo diretto superiore: "Sì, signor Dende?". "Dov’è Piccolo?"

"È andato ad allenarsi qui vicino. Devo chiamarlo?"

"Sì, è proprio il caso. Anzi, forse dovremmo chiedere anche a Goku e gli altri di venire qui"

Se il volto di Mr. Popo avesse potuto tradire una qualche emozione, probabilmente sarebbe stato sorpreso: "La situazione è così grave?"

"Non lo so ancora" sospirò Dende "Ma preferirei non correre rischi. Avrai avvertito anche tu l’aura che è appena comparsa, no? Il problema è che non riesco a capire a chi appartenga"

"Non si preoccupi: anche Piccolo se ne sarà accorto"

Il rombo delle acque della cascata, che si infrangevano nel lago sottostante dopo un salto nel vuoto di più di trenta metri, non impedì a Piccolo di accorgersi che non era solo. Anche se non avesse avuto la capacità di percepire le aure altrui, ci sarebbe arrivato comunque: veniva a meditare davanti a quella cascata da più di tempo di quanto gli importasse di ricordare e ormai aveva una simbiosi quasi completa con l’ambiente circostante. Conosceva lo stato di salute delle popolazioni di pesci che vivevano nel lago; sapeva quanto impiegava una goccia d’acqua che cadeva dalla cascata a toccare le acque sottostanti; sapeva esattamente dove i grandi dinosauri dal becco d’anatra andavano a deporre le uova e sapeva quanti giovani nascevano ogni anno; sapeva quanti di quei giovani non sarebbero arrivati all’età adulta, stroncati dalle malattie, da un incidente o dalle fauci di un tirannosauride. E sapeva che adesso c’era qualcosa di strano dietro la cascata. Senza abbandonare la sua abituale posizione di meditazione, estese la propria aura dietro di sé, come a scandagliare le acque che scendevano dietro la sua schiena. La risposta non si fece aspettare. Un paio di mani si protese dalla cascata, passando attraverso l’acqua quasi fosse stata inesistente. Piccolo sapeva esattamente che quelle mani erano ormai a pochi centimetri dal suo volto, ma rimase immobile: aveva la netta sensazione che, se davvero il proprietario delle mani avesse voluto ucciderlo, lui non avrebbe potuto farci niente. Una goccia di sudore gli scivolò lungo la fronte Quasi furtivamente, senza girare la testa, spostò lo sguardo quanto più indietro poté, sopra la sua spalla sinistra. Ora vedeva una delle mani: calzava un guanto metallico bianco; le dita, sproporzionatamente lunghe, erano dotate di minacciosi artigli. Piccolo sentì il proprio battito cardiaco aumentare all’impazzata. Odiava l’idea di perdere il controllo: gli dava l’impressione di essere un incapace. Si costrinse a restare immobile mentre le dita gli premevano contro la pelle del viso, passandoci sopra senza ferirla, nonostante fossero affilate come rasoi. Poi accadde. La mani si ritrassero improvvisamente e il corso d’acqua della cascata sembrò interrompersi quando una figura umana infranse la barriera liquida e uscì finalmente all’aperto. Quando il nuovo arrivato fu uscito dalla cascata, Piccolo era già balzato diversi metri più avanti, giratosi verso il suo misterioso assalitore. Il namekiano squadrò l’uomo con un misto di curiosità e stupore. Perché quello che lo aveva minacciato così apertamente era senz’altro un uomo. Un uomo la cui armatura bianca proteggeva il torace, le spalle, gli avambracci e le gambe dalle ginocchia in giù. La corazza sul petto sembrava essere composta di tre strati, i più profondi dei quali sporgevano man mano che l’armatura andava verso il centro del petto; le protezioni sulle spalle erano costituite ciascuna da una piccola placca metallica, da sotto la quale ne spuntava una più lunga. Un corto mantello bianco, dal bordo frastagliato e nero, pendeva da quelle protezioni. Un panno anch’esso bianco, anch’esso dal bordo nero, scendeva invece dalla cintura metallica, coprendo dei pantaloni anch’essi immacolati. Il viso dell’uomo, la cui età non si sarebbe potuta dire, era coperto, nella parte sinistra, da una placca metallica che sembrava mimare le fattezze del proprietario e che pareva quasi essere inchiodata alla faccia. Una chioma di arruffati capelli neri, interrotti nel centro da una striscia inspiegabilmente bianca, scendeva fino alla nuca; due lunghi ciuffi immacolati si protendevano sopra la faccia, fin quasi a toccare il mento. E poi c’erano i guanti. Quei guanti metallici dagli artigli lunghissimi, che mimavano le dita umane in un’assurda e grottesca parodia.

Piccolo si sentì fastidiosamente disorientato a quella vista. Non sapeva perché, ma gli sembrava che quell’uomo, che ora levitava davanti alla cascata, solo pochi metri di fronte a lui, avesse un’aria completamente aliena. Eppure, a parte quegli strani capelli bianchi, non c’era niente di strano in lui. "Chi sei?" chiese il namekiano accigliandosi anche più del solito. Il nuovo arrivato alzò il capo verso il suo interlocutore: "Dovrei essere io a chiederlo" rispose con un sogghigno "L’ultima volta che sono stato qui, non c’era gente con la pelle verde, quattro dita per mano e le orecchie a punta". Era già stato lì? Ma quando? Quello era il posto i cui Piccolo si allenava da più di trent’anni, come era possibile che qualcuno fosse stato lì senza che lui se ne fosse accorto? Il namekiano finse di non essere sorpreso per la domanda: "Forse dovresti chiedermelo tu," ammise "però te l’ho chiesto prima io. Allora, chi sei?". "Mi chiamo Mesembria" fu la risposta, mentre i suoi occhi neri e inquietanti si posavano sul guerriero dalla pelle verde "E tu?". "Piccolo" rispose questi senza scomporsi. L’uomo che aveva detto di chiamarsi Mesembria si guardò intorno. "Già," considerò riportando lo sguardo sul suo interlocutore "questo posto è davvero cambiato. Tu cosa sei esattamente?"

"Continui a farmi domande che dovrei porti io…"

"E tu continui a darmi risposte che non mi soddisfano. Ma non sono qui per soddisfare la mia curiosità, in fin dei conti. Allora, combattiamo?"

Piccolo restò un po’ spiazzato per quella proposta tanto esplicita. Certo, si era aspettato che quel tale lo avrebbe attaccato, ma non che gli avrebbe chiesto di combattere senza apparente motivo. Eppure, benché la sua sensazione di impotenza non fosse diminuita, decise che sarebbe stato un buon modo per valutare le capacità di quell’individuo: "D’accordo, sono pronto". Senza aspettare una sola frazione di secondo, Mesembria volò verso il nemico con una velocità straordinaria; in un attimo, Piccolo si trovò sommerso in una scintillante tempesta di artigli che gli turbinavano intorno apparentemente a caso. Eppure, sottovalutare uno solo di quei colpi si sarebbe potuto rivelare fatale. Finché, l’ennesimo colpo di Mesembria colpì il vuoto. Davanti a lui non c’era più nessuno. Ma non era una sorpresa: con una rapida rotazione, il guerriero si voltò, appena in tempo per ribattere un Makanko Sappo che altrimenti gli avrebbe trapassato il corpo. Mentre il colpo di Piccolo andava a infrangersi contro una montagna, tagliandola letteralmente in due, Mesembria alzò lo sguardo verso il suo avversario. Si era spostato con una rapidità incredibile, quasi in un movimento istantaneo. Mesembria sorrise. Poi diede le spalle a Piccolo e cominciò a volare verso oriente, apparentemente intenzionato a lasciare il luogo dello scontro. "Aspetta!" esclamò il namekiano "Il nostro combattimento non è ancora finito!". "Invece sì" replicò Mesembria senza voltarsi "Durante il nostro scontro io ho lanciato contro di te ottantasette colpi d’artiglio, ma tu ne hai visto solo ottantacinque. Gli altri due ti hanno preso". "È vero ammise piccolo mentre il taglio sul suo bicipite destro e quello sulla sua coscia destra cominciavano a bruciare "ma non ti illudere che basti questo per uccidermi". L’uomo uscito dalla cascata sogghignò: "Ma io non ho mai detto di volerti uccidere. Anzi, uccidere è contrario ai miei principi. Va bene così, non ti preoccupare"

Un’esplosione assordante di energia dorata squarciò l’oscurità della notte; le distese rocciose furono polverizzate quasi all’istante dalla deflagrazione scintillante. Mentre un gruppo di uomini e donne dai capelli neri scrutava con apprensione i filamenti quasi solidi di energia spirituale e le scariche elettriche che saturavano l’aria, nell’ormai morente esplosione dorata si stagliò la figura di un individuo dai capelli brillanti. Il viso del Super Saiyan, che avanzava lento e inesorabile verso i suoi simili più deboli, era a malapena visibile, ma un particolare di quel volto era chiaro a tutti gli astanti: il sadico ghigno di trionfo che contorceva quelle labbra parlava della soddisfazione di chi aveva appena massacrato centinaia, forse migliaia di suoi simili, ebbro per la forza mostruosa che l’improvvisa trasformazione gli aveva donato. Alzando il capo, il Super Saiyan guardò minaccioso le persone che stavano ormai aspettando solo la propria fine, consapevoli di essere ormai a un passo dall’abisso. Quando il superguerriero lanciò il suo urlo di battaglia, un’altra esplosione dorata devastò la superficie del pianeta.

"Ma è davvero andata così?" chiese Bra sporgendosi verso il sedile sinistro della macchina, dove suo padre stava guidando verso casa. "Questo è quello che mi ha raccontato mio padre" rispose Vegeta "Ma nemmeno lui era nato quando comparve il primo Super Saiyan". Bra non sembrava completamente soddisfatta dalla spiegazione: "E dopo cosa accadde?". "La civiltà Saiyan su quel pianeta fu completamente distrutta dal Super Saiyan. Fu allora che i nostri antenati migrarono nella spazio alla ricerca di una nuova casa. Arrivarono su di un mondo chiamato Plant, sterminarono la popolazione locale e chiamarono quel pianeta Vegeta, in onore di mio padre, che aveva guidato gli attacchi contro gli autoctoni"

"Ma dove si trovava il pianeta originariamente abitato dai Saiyan? Esiste ancora?"

"Non lo so. Quel mondo era diventato inabitabile a causa del Super Saiyan e probabilmente fu completamente distrutto"

Questo era uno dei rari momenti in cui Vegeta parlava senza infilare un’imprecazione ogni tre parole: nonostante avesse raccontato questa storia a sua figlia già diverse volte, lei continuava a chiedergli nuovi particolari in merito. E a Vegeta piaceva sempre poter narrare qualcosa sulla sua razza; soprattutto, lo confortava l’idea che ci fosse almeno un Saiyan che avesse un qualche interesse per i propri antenati. Gli piaceva ripetere quel racconto a Bra, anche se si sarebbe fatto passare un furgone su un piede piuttosto che ammetterlo. All’idea che il pianeta dei Saiyan potesse ancora esistere, la ragazza si lasciò trascinare dall’entusiasmo: "Non credi che potremmo chiedere alla mamma di costruire un’astronave e andare a cercare questo pianeta? Potrebbero esserci dei Saiyan superstiti, no? E poi, non trovi che sarebbe divertente? E poi, io potrei saltare qualche giorno di scuola! E poi, forse ci sarebbe qualcuno che potrebbe riconoscerti come re, e di conseguenza io sarei una principessa… Non ti piace l’idea?". Ecco, questo era qualcosa di sua figlia che Vegeta detestava: quando cominciava a parlare a vanvera, fermarla era praticamente impossibile. Quando usciva per farsi un giro in macchina, aveva sempre il timore che Bra si accomodasse su uno dei sedili e decidesse di accompagnarlo, costringendolo puntualmente a interminabili sessioni di shopping per i centri commerciali della città. Più volte Vegeta aveva cercato di convincere sua moglie a confiscare le carte di credito di Bra, armi che, in mano all’adolescente più ricca del mondo, avevano un potenziale letale. E invece, Bulma si era sempre rifiutata, sostenendo che le uscite per lo shopping erano un momento di aggregazione tra padre e figlia di cui c’era bisogno, considerato che il principe dei Saiyan passava buona parte della giornata ad allenarsi nella gravity room.

L’auto si fermò davanti all’enorme edificio a cupola che era la Capsule Corporation; Bra fu la prima a scendere, scaricando velocemente una mezza dozzina di pacchi che quasi traboccavano dal bagagliaio. Un attimo dopo, Vegeta premette un piccolo tasto sul fianco della macchina: in un’esplosione di fumi rosati, l’auto sparì per lasciare il posto a una piccola capsula.

"Mamma!" esclamò Bra, le braccia ingombre di scatole assortite, facendo per spalancare la porta con un piede "Siamo a casa!". "Era ora!" replicò Bulma aiutando la figlia ad aprire. "Ciao!" disse Goku salutando la ragazza con un cenno della mano. "Oh, sei qui anche tu, Kakaroth?" chiese Bra poggiando i pacchi sul divano, proprio vicino a dove era seduta Chichi. ‘Kakaroth’ sospirò: erano anni che cercava di convincere Bra a chiamarlo Goku, ma non c’era stato verso di farle cambiare abitudini. Da piccola aveva sentito suo padre chiamarlo Kakaroth e da allora lo aveva etichettato con quel nome. Pratica che Vegeta non aveva cercato di scoraggiare in alcun modo. Il principe dei Saiyan entrò proprio in quel momento: "Cosa ci fai qui?" domandò acido appena vide Goku, praticamente senza prestare la minima attenzione a Chichi. Prima che l’altro Saiyan potesse rispondere, Bulma si frappose fra lui e il marito: "Erano qui per assistere a un esame di Goten e sono passati a trovarci. Naturalmente, li ho invitati a restare per cena". Vegeta sbuffò, poi spostò sua moglie di lato e si rivolse a Goku: "Se proprio hai voglia di restare qui, almeno renditi utile. Andiamo nella gravity room". "Molto volentieri" rispose l’ospite sorridendo. Aveva rinunciato ad accompagnare Goten alla gelateria proprio nella speranza che Vegeta gli offrisse un combattimento. Senza contare che, in un inspiegabile quanto insolito impeto di tatto, aveva pensato che la sua presenza potesse essere importuna tra suo figlio e la sua ragazza.

Quando i due uomini arrivarono alla gravity room e iniziarono gli esercizi di riscaldamento, entrambi sapevano cosa aspettarsi. Sin da quando si erano conosciuti per la prima volta, circa trent’anni prima, Goku e Vegeta erano stati rivali. Si erano battuti in un paio di occasioni e avevano sempre cercato di superarsi a vicenda. Ciascuno di loro sapeva di poter trovare nell’altro un degno avversario. "Regolo la camera a 300 G" dichiarò Vegeta senza aspettarsi una risposta: quando combattevano lì dentro, quella era la gravità abituale. I due Saiyan si misero uno di fronte all’altro e si squadrarono in attesa dello scontro.

‘Quando l’Agnello aprì il Secondo Sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: "Vieni!". Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. Al colui che lo cavalcava fu dato il potere di togliere la pace dalla Terra, affinché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada’

Ordine: Ornitischia; sottordine: Ceratopsia; famiglia: Ceratopsidae; genere: Triceratops; specie: horridus. Specie comune nella parte centro meridionale del continente, mentre le due specie T. prorsus e T. ingens, più piccole e più rare, erano rispettivamente tipiche della zona più occidentale e di quella più orientale. Un maschio adulto di triceratopo poteva raggiungere i nove metri di lunghezza e avere un aspetto abbastanza temibile da mettere in fuga qualsiasi predatore. Le migrazioni stagionali coprivano uno schema fisso che portava le mandrie di questi dinosauri cornuti a spostarsi dalle pianure centrali, solitamente occupate nei mesi caldi, alla punta meridionale, poco più a sud del luogo dove, molti anni prima, Gohan si era allenato sotto la guida di Piccolo. Un triceratopo maschio che raggiungesse l’età adulta veniva immediatamente espulso dal branco dall’esemplare dominante: si sarebbe dovuto guadagnare il proprio harem di femmine combattendo contro i propri simili con le corna affilate. Data l’aggressività naturale di questi animali, pochi esseri umani osavano avvicinarsi alle mandrie di triceratopi; e anche quelli ne restavano bene alla larga, conoscendo l’abitudine di questi dinosauri di caricare qualsiasi cosa entrasse nel loro territorio. Grossi, ben armati e resistenti: c’erano davvero poche cose di cui i triceratopi avessero paura, anche perché, non essendo molto intelligenti, non avevano schemi comportamentali che permettessero loro di reagire diversamente dal caricare qualsiasi cosa li intimorisse. Però, c’era qualcosa che era in grado di spaventarli: il vulcano attivo che sovrastava la vallata eruttava lapilli e lava, vomitava una maledizione rovente in grado di mettere in pericolo persino i grossi dinosauri cornuti. Quando il vulcano quasi esplose in una festa mortale di scintille scarlatte, tutti i triceratopi si diedero alla fuga. Per loro, quella era la nemesi per antonomasia. Era ciò da cui non si potevano difendere. Il vulcano era come un dio iracondo che scagliasse la sua furia casuale e terribile contro creature incolpevoli. Il cervello di un triceratopo non era in grado di comprendere un concetto complesso come un condizionale; se avesse potuto, però, avrebbe pensato che nessun essere vivente sarebbe potuto sopravvivere a un’eruzione vulcanica.

Era già noto da diverso tempo il potenziale distruttivo di un’eruzione: la sua forza poteva scagliare le pietre che il vulcano sputava nella stratosfera; una bomba nucleare non poteva eguagliare la potenza di questo fenomeno naturale. Eppure, nel bel mezzo della colonna di lava incandescente che ora si levava dal vulcano, c’era una figura umana. Sembrava levitare proprio sulla bocca del cratere, sembrava esporsi all’eruzione come se fosse stata una doccia rinfrescante. Quando la lava, esaurito il suo sfogo momentaneo, si arrese alla gravità, rivelò una figura umana sospesa in aria, impassibile e immobile. L’uomo, un gigantesco individuo dalla muscolatura quasi sproporzionata, indossava un’armatura rosso scarlatto. Su ciascuna spalla, campeggiavano due protezioni bombate che ripiegavano verso il petto, le più interne delle quali giravano appena sotto il collo taurino, andando a posarsi sulle due piastre pettorali che difendevano il torace. Gli avambracci e le mani erano protetti da un paio di guanti metallici che coprivano però solo l’ultima falange di ciascun dito; dalle ginocchia in già, i gambali rossi dalle ginocchiere rotonde non facevano che accentuare la massa muscolare delle cosce scoperte. Dalla cintura metallica pendeva un corto panno arancione dal bordo frastagliato, mentre quella che sembrava essere una pesante collana di grossi pezzi di granito sferici uniti da uno spesso cavo di ferro cingeva il collo. I capelli, arruffati e con la riga in mezzo, erano tenuti in alto da una fascia anch’essa arancione, che spiccava immediatamente sopra le sopracciglia cespugliose. Il naso piccolo e il doppio mento non facevano che aggiungere ulteriore solennità a un volto già abbastanza truce di per sé. Un volto sul quale spiccavano quegli strani capelli neri con una striscia bianca in mezzo. L’uomo che aveva sopraffatto il vulcano si guardò intorno nel tentativo di capire dove si trovasse. Il posto era nuovo. O comunque era cambiato parecchio rispetto a quando l’aveva visto l’ultima volta. Ma tutto questo era secondario: ora doveva raggiungere il luogo concordato.

Il silenzio era calato nella palestra. Nessuno osava muoversi. Nessuno alzò un dito, nessuno osò fiatare: il Campione Mondiale di Arti Marziali, il grande Mr. Satan, era appena salito sulla pedana dei combattimenti. Per una palestra della Città dell’Ovest era un onore avere per ospite il grande Mr. Satan, che normalmente non si muoveva da Satan City. L’uomo che aveva sconfitto Cell era l’idolo delle folle. Colui che aveva salvato il mondo dal mostro che aveva minacciato di distruggerlo. C’era addirittura chi sussurrava che fosse stato lui, molti anni prima dell’arrivo di Cell, a battere il Grande Mago Piccolo. Era solo una voce non confermata, alla domande in merito alla quale, Satan aveva sempre risposto con un "no comment"; chi lo conosceva bene, però, era pronto a giurare che sapesse quale fosse la verità in proposito. In questo momento, Mr. Satan stava alzando le braccia al pubblico, gli allievi della palestra seduti tutt’intorno a lui, che lo sommergevano con la solita dose di applausi. "Grazie!" esclamò Satan sfoggiando il suo solito sorriso a trentaquattro denti, mentre il suo mantello, mosso da un ventilatore posto in posizione strategica, svolazzava alle sue spalle per creare l’effetto scenico "Vi ringrazio per il vostro affetto! Se vi allenerete con costanza, un giorno, diventerete forti quanto me! Ma non illudetevi: il campione sono io e dovrete fare parecchia fatica per…" non fece in tempo a concludere la frase: un energumeno grande e grosso, con indosso il tipico gi da arti marziali, era salito sulla pedana. Il tizio puntò contro il campione un indice accusatore: "Io non credo che tu sia così forte! Sono convinto di poterti battere, anche se tutti dicono che tu sia invincibile!". Quasi per enfatizzare le proprie parole, l’uomo picchiò un pugno sulla pedana, sfondando diverse delle piastrelle che la ricoprivano. Mr. Satan scoppiò a ridere. Parecchi anni prima, vedendolo in una situazione simile quando si era trovato a dover combattere con il piccolo Trunks, Gohan si era chiesto se quella risata fosse semplicemente riso isterico o se dipendesse dal fatto che Satan non comprendeva quello a cui si trovava di fronte. La verità era tutt’altra. In genere, quando Mr. Satan rideva così sguaiatamente di fronte a un avversario, significava che stava pensando a come evitare il combattimento. Significava che se la stava quasi facendo addosso per la paura, che sapeva di non potercela fare. Ma che sapeva anche di essere il Campione Mondiale e non aveva la minima voglia di perdere il titolo. Stavolta fu Mr. Satan a puntare un dito verso l’uomo: "Perché mai dovrei abbassarmi a combattere contro uno come te? La tua forza è talmente inferiore alla mia, che posso anche affidare un compito simile al più debole dei miei allievi! Aspetta un attimo, eh?". Satan frugò freneticamente tra le tasche del suo costume, fino a estrarne un telefonino cellulare. Con le dita che scivolavano sui tasti per il sudore freddo, compose velocemente un numero. All’altro capo del telefono, qualcuno rispose: "Pronto?". "Gohan?" chiese Satan "Senti, avrei bisogno che mi facessi un favore. Potresti venire un attimo qui? Adesso ti do l’indirizzo…" "No, scusa," lo interruppe il suo genero "in questo momento sono in riunione. È importante, davvero. Ti richiamo io appena finisco, d’accordo?". Satan sentì il sudore scendergli lungo la fronte: "Ve bene," disse poi "proverò a chiamare tuo padre" "Non credo sia a casa" rispose Gohan "Che io sappia, oggi mio fratello aveva un esame e i miei genitori volevano andare a vederlo. Però, a quest’ora dovrebbe avere finito: forse trovi Goten sul cellulare e mio padre potrebbe essere con lui". Mr. Satan riattaccò. Ora cominciava a preoccuparsi veramente. Lanciò un’occhiata al suo avversario, che aveva incominciato a spazientirsi e stava piegando un paio di sbarre di ferro pieno (contemporaneamente) per passare il tempo: "Un momento solo!" disse, quasi a scusarsi. Si portò di nuovo il cellulare alle dita e compose un altro numero: "Goten?" disse appena sentì qualcuno rispondere, senza nemmeno aspettare che l’altro dicesse qualcosa. "Sei tu, Satan?" domandò il giovane, quasi spaventato per il tono trafelato del campione. "Tuo padre è con te?"

"No, ci siamo lasciati una mezz’oretta fa, perché?"

"Oh, non fa niente. Senti, dovresti farmi un favore"
"No, guarda, adesso non posso proprio…"
"Ma come sarebbe a dire? Io sono in pericolo di vita!"

"Anch’io: se dovessi lasciarla nel bel mezzo dell’appuntamento, Palace non mi perdonerebbe mai! Ora scusa, eh?". Goten riattaccò. La situazione si stava facendo davvero tragica. Satan stava cominciando a pensare che non sarebbe sopravvissuto per un’altra mezz’ora. Pensò a un’ultima risorsa. Non voleva comporre quel numero. Chiamare quel tizio significava sfidare la morte. Avrebbe messo la propria vita ancor più in pericolo, se si fosse rivolto a quel tale. Ma la disperazione lo spinse a premere sui tasti fatali. "Pronto?" chiese Bulma all’altro capo del telefono. "Sono Satan" disse il campione "Vegeta è in casa?". Non riusciva a credere a quello che stava facendo: chiedere aiuto a Vegeta era come buttarsi in una fossa piena di coccodrilli da tremila metri, senza paracadute, legati e imbavagliati e con il corpo cosparso di sangue di capra.

"Sì, ma si sta allenando. Quando si chiude nella gravity room, non vuole essere disturbato per nessun motivo"

"Ma è un’emergenza!"

"Lo diventerebbe davvero se Vegeta venisse interrotto durante gli allenamenti!"

Niente da fare. Satan pensò costernato che nessuno si rendeva conto della gravità della situazione. Deglutì vistosamente, mentre il suo avversario si avvicinava a grandi passi: "Allora?" domandò l’uomo guardando il campione dall’alto in basso "Non sono ancora arrivati i tuoi allievi? Puoi anche chiamarli tutti, tanto li massacrerò dal primo all’ultimo! Però farebbero meglio a sbrigarsi, o potrebbe venirmi voglia di passare direttamente a te!". Proprio mentre l’energumeno stava per alzare una mano minacciosa su un annichilito Satan, una voce lo interruppe improvvisamente: "Facciamola finita con questa farsa!". Irritato per l’imprevisto, l’uomo si girò verso il punto da cui era arrivata la voce. Con le braccia conserte e uno sguardo truce puntato sui due uomini, una ragazzina stava sulla pedana, con un’impazienza che risultava evidente da come la punta del suo piede tamburellava per terra. "No, Pan!" gridò Satan "Stanne fuori! Questo tipo è pericoloso!". L’avversario del campione squadrò Pan divertito: "Non ci posso credere! Il Campione Mondiale che si nasconde dietro una ragazzina!". "Io non sono una bambina!" esclamò Pan. "Non vorrai che io mi batta contro di lei, vero, Satan?" chiese l’uomo ignorando la giovane "Guarda che io sono un professionista, non ho tempo da perdere con una bambina che ha voglia di giocare a fare l’esperta di arti marziali!". Pan stava ribollendo: "Ho detto che non sono una bambina! Nonno, fatti da parte! Questo qui lo sistemo io in dieci secondi!" "Nonno?" stavolta si sentiva chiaramente che nella voce dell’energumeno c’era un’ironia nemmeno troppo celata "E quindi questa sarebbe tua nipote? Certo che questa bambina è proprio spavalda come te! Sei proprio caduto in basso se ti fai proteggere dalla tua nipotina! Andiamo, è solo una bambina!". Era troppo. In una frazione di secondo, con un movimento che nessuno riuscì a vedere, Pan scattò in avanti; lo sfidante se la trovò sotto il naso praticamente senza accorgersene; un attimo dopo, vide tutta la palestra che gli turbinava attorno come se fosse stata una lavatrice in piena centrifuga. Un attimo dopo, tutto si fermò. Un attimo dopo, il proprietario della palestra pensò che sarebbe stato parecchio difficile estrarre quel tizio dal muro.

"Ti se fatta male, Pan?" chiese Mr. Satan mentre si avvicinava a sua nipote, che, più che ferita, sembrava seccata e annoiata a morte. "Come potevo farmi male?" sbottò la ragazza visibilmente irritata per quella domanda "Comunque, io non ho intenzione di restare qui un minuto di più. Questo posto è troppo noioso e io ho altro da fare!". Tra lo stupore generale degli astanti, Pan si alzò in volo e fluttuò fuori dalla finestra. Mr. Satan seguì con lo sguardo sua nipote mentre se ne andava come se niente fosse. Poi, si girò verso gli allievi della palestra: "Avete visto?" disse "Sono stato io ad allenare mia nipote! Se quel tizio non è riuscito nemmeno a battere lei, cosa avrebbe potuto fare contro di me?". Prorompendo in una risata sguaiata, pensò che, una volta tornato a casa, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata dare a Mr. Bu un cellulare personale.

Atterrando sul marciapiede, Pan pensò che seguire suo nonno in quella visita alla palestra fosse stato un errore. I tizi che la frequentavano non erano certo molto forti, ma non era solo questo il punto… Il fatto era che, da qualche tempo, Pan stava cominciando a perdere interesse per le arti marziali. Sentiva le sue compagne di classe che parlavano solo di ragazzi e lei aveva l’impressione di essersi persa qualcosa avendo passato tutta la propria vita con la famiglia, ad allenarsi con suo nonno Goku. Aveva deciso che si sarebbe trovata un ragazzo prima delle sue amiche, ma come fare? Dopo aver ponderato a lungo, era giunta a una conclusione: avrebbe dovuto chiedere consiglio a qualcuno che avesse più esperienza di lei. Ma chi? Non certo sua madre: anche se le era molto affezionata, sapeva che chiederle come muoversi in una situazione del genere avrebbe messo in imbarazzo entrambe. E non poteva chiedere nemmeno a sua nonna, che, essendo mostruosamente tradizionalista, non la avrebbe mai capita. Poi, durante una visita alla Kame House insieme a suo nonno, aveva incontrato la persona che aveva deciso di prendere come modello: Marron. Già, chi meglio di lei? La figlia di Crilin sembrava proprio una persona dotata dell’esperienza di cui Pan aveva bisogno.

‘Quando l’Agnello aprì il Terzo Sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: "Vieni!". Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia’

L’uomo trascinò faticosamente il forziere sulla spiaggia. Aveva passato le settimane precedenti in un ingrato lavoro di ricerca, aveva speso tutti i risparmi faticosamente guadagnati per affittare il sottomarino, ma ora, finalmente, aveva raggiunto il proprio scopo. Si era immerso nei mari sud orientali alla ricerca del favoloso tesoro nascosto in tempi lontani dai pirati e l’aveva trovato. Il baule che ora stava trascinando con tanta fatica conteneva gioielli antichi di valore incalcolabile: vendendoli, avrebbe finalmente messo fine alla propria povertà. Ovviamente, per evitare di attirare l’attenzione, aveva preferito non ormeggiare in un porto; si era fermato vicino a una spiaggia deserta, aveva messo il sommergibile in una capsula e si era accertato che nessuno si rendesse conto di quello che stava facendo. Si fermò per un attimo e rimirò il forziere. Lo aprì lentamente, quasi temesse che potesse sparirgli da sotto gli occhi da un momento all’altro. E invece, quando il baule fu spalancato, i gioielli erano ancora lì. Finalmente, avrebbe finito di fare la fame. La fame… Improvvisamente, un boato distolse l’attenzione dell’uomo dal tesoro; si girò freneticamente verso il mare, appena in tempo per vedere un gorgo che si stava formando tra i flutti. L’acqua salmastra sembrava venire trascinata verso il centro del mulinello con violenza inaudita, come se una bocca famelica fosse stata intenta a bere tutto l’oceano. Poi, veloce come un proiettile, la sagoma di un uomo emerse dalle acque. Levitando proprio sopra il centro del gorgo, il nuovo arrivato lanciò un’occhiata al cacciatore di tesori. Lo strano individuo uscito dal mulinello era piuttosto basso, anche perché teneva la testa vistosamente piegata verso terra. La sua armatura blu cupo gli copriva il petto, gli avambracci e le gambe, ma i suoi lunghi capelli neri e lisci, con una inquietante striscia bianca in mezzo, scendevano pigramente sul suo viso e sul suo corpo, coprendone buona parte. Le protezioni per le spalle, coperta da un panno nero avvolto attorno al collo a mo’ di sciarpa, erano composte ciascuna di due piastre che si allungavano verso l’esterno; i guanti metallici, che coprivano gli avambracci e l’ultima falange di ciascun dito, erano quasi completamente celati sotto le pieghe di un lungo mantello nero che ondeggiava fino a coprire buona parte della figura anche frontalmente. Un panno bianco scendeva dalla cintura metallica fin sotto le ginocchia, ma non copriva comunque le protezioni per le gambe: sia le ginocchiere che le piastre poste a difesa delle cosce erano rivolte verso l’alto e sotto di esse si potevano vedere i pantaloni neri che il nuovo arrivato indossava. L’uomo uscito dal gorgo levitò lentamente, fino ad atterrare di fronte al cacciatore di tesori. Attraverso i suoi lunghi capelli, il suo viso pallido e cadaverico sembrava minaccioso come nessun altro. L’uomo dai capelli neri e bianchi squadrò l’altro e sorrise: "Ci siamo già visti, vero?" domandò. "No" replicò l’avventuriero difendendo istintivamente il forziere con il proprio corpo. "Ma sì" insisté l’altro "Altrimenti, perché saresti interessato più a proteggere quel tesoro che alla tua vita? Non ti ricordi di me? Io sono il vecchio Anaton…"

"Non ti ho mai sentito nominare" l’uomo sembrava essere a un passo dalla crisi isterica, mentre Anaton gli si avvicinava sempre più "E adesso vattene!"

"Eppure, io sono convinto che tu mi conosca già. Anche se forse mi hai sempre chiamato con un altro nome. Forse mi chiamavi Fame"

"Non ti avvicinare!" frugando freneticamente tra le sue tasche, l’uomo estrasse una pistola e la puntò sul suo inquietante interlocutore.

"Ma cosa fai? Non puoi sconfiggere la Fame con dei proiettili… Non ti rendi conto che il tuo corpo sta già cedendo? Sei già troppo debole per sparare"

Il cacciatore di tesori deglutì. Era vero, si stava sentendo sempre più debole. Provò a premere il grilletto, ma ormai gli sembrava come una pietra inamovibile. E sentiva lo stomaco che lo tormentava. Era sempre stato povero, aveva passato la vita a combattere i morsi della fame. Ma non erano mai stati così acuti. Mentre il sudore gli colava copioso lungo la fronte, fece per scagliare rabbiosamente a terra la pistola, ma non aveva abbastanza forza nemmeno per quell’azione. Anaton fece un altro passo avanti. Stavolta, l’uomo crollò a terra premendosi lo stomaco. Un attimo dopo, senza nemmeno accorgersene, era morto.

C’erano momenti della sua vita in cui Marron si pentiva di essere così chiacchierona. Era una ragazza espansiva (tutto il contrario di sua madre, si sarebbe detto), si divertiva a stare con gli altri e a parlare di qualsiasi cosa le passasse per la mente, soprattutto di ciò che le piaceva o che le procurava un qualche tipo di felicità. Per esempio, quando uno dei suoi esami all’università andava bene, non poteva fare a meno di spendere un’enormità in telefonate per avvisare tutti i suoi amici. E poi, le piaceva parlare del suo ragazzo. Lei e Trunks si frequentavano già da qualche anno e Marron non perdeva occasione per decantare le qualità del giovane presidente della Capsule Corporation, mettendolo puntualmente in imbarazzo di fronte a chiunque la stesse ascoltando. Descritto da Marron, infatti, Trunks era il tipico principe azzurro bello, ricco e intelligente (tra l’altro, prestando fede a quanto diceva Vegeta, lui era effettivamente un principe); nemmeno lei, però, poteva negare quanto fosse imbranato nei rapporti sociali. Se non fosse stato per lei, la loro relazione sarebbe probabilmente rimasta un’ipotesi per l’eternità. Tuttavia, quando parlava di Trunks, Marron faceva sempre in modo di esaltarne i pregi e minimizzarne i difetti e c’erano dei momenti in cui questo le riusciva fin troppo bene. Forse era proprio per questo motivo che ora era costretta a fare da baby sitter a una ragazzina di dodici anni. Dopo averla sentita parlare della sua storia con Trunks, Pan si era fatta l’idea che Marron fosse abilissima nel trovarsi dei buoni partiti; una specie di cacciatrice di uomini. Così, quando l’aveva incontrata per caso quel giorno, insieme ai suoi genitori, per le strade della Città dell’Ovest, Pan le si era subito accodata. Cosa questa che sembrava divertire molto Crilin ma che piaceva decisamente meno alla giovane. "Senti un po’," le chiese Pan per l’ennesima volta "ma come si fa a trovare il ragazzo giusto?". Marron sospirò: "Non è che lo si possa cercare e trovarlo… Succede, punto e basta. Credo sia questione di fortuna"

"E tu pensi che Trunks sia il ragazzo giusto?"

"Certo che lo è! Non solo è molto carino, ma è anche il presidente della società più potente del mondo. E poi è molto intelligente. Ed è anche un Super Saiyan, quindi potrebbe proteggermi contro qualsiasi pericolo. È perfetto!"

Pan rimuginò tra sé e sé poco convinta. Trunks le era sempre sembrato perfetto, sì. Un perfetto imbecille. Come era possibile che a Marron piacesse un uomo che arrossiva quando una ragazza lo guardava e che non era capace di spiccicare due parole di fila davanti a un’esponente dell’altro sesso? A quelle considerazioni, la stima di Pan verso la figlia di Crlin subì il primo scossone. Il secondo arrivò quando Marron, guardandola palesemente dall’alto in basso, le disse: "Senti, a proposito di Trunks… Lui ormai dovrebbe quasi aver finito di lavorare ed eravamo d’accordo che io sarei andata a prenderlo fuori dall’ufficio, così dopo saremmo potuti partire direttamente. Sai, avevamo in programma di passare il week end fuori e vorremmo restare da soli… Non ti offendere, eh?". Pan non si offese, ma poco ci mancò: a quanto pareva, anche Marron la considerava una bambina. "E va bene!" sbottò. In fin dei conti, non era poi così sicura che Marron fosse un buon modello da seguire. Molto meglio fare da sé.

‘Quando l’Agnello aprì il Quarto Sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: "Vieni!". Ed ecco mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e dietro gli veniva l’Inferno’

L’uomo camminò tra i resti del laboratorio guardandosi attorno incuriosito. Era sorpreso da come quel posto fosse cambiato mentre lui era stato addormentato. Resti di enormi computer e cilindri di vetro giacevano tutt’intorno; benché l’uomo non fosse in grado di comprendere l’utilizzo di tutte quelle apparecchiature, capiva che erano servite a creare delle forme di vita artificiali e che non venivano utilizzate ormai da decenni. I progetti laceri e divorati dal tempo che ancora giacevano tra la polvere e le macerie spiegavano come integrare componenti meccaniche con tessuto vivente. Spiegavano come progettare l’organismo più potente dell’universo e quali cellule ci volessero per conferirgli un corpo perfetto e invincibile. Chiunque fosse stato a preparare quei progetti, sicuramente aveva voluto tenerli segreti: altrimenti, perché nascondere il proprio laboratorio tra le granitiche montagne del nord? Perché costruire un centro di ricerche così attrezzato dove nessuno avrebbe potuto trovarlo? Ma, tutto sommato, all’uomo queste cose non interessavano; con un gesto quasi istintivo, si avvolse nel proprio lungo mantello lacero e verdastro. Il suo volto quasi scheletrico sembrava ora buffo, con i capelli neri, che avevano una striscia bianca in mezzo, sparati verso l’alto. Il mantello, che si ripiegava abbondantemente attorno al collo e al torace, quasi copriva le piastre pettorali dell’armatura color verde cupo e celava i rossi guanti metallici Anche le protezioni delle spalle erano rosse: la destra era costituita da due piccole piastre metalliche sovrapposte, mentre la sinistra era una singola copertura con un paio di borchie. Un panno dello stesso colore verdastro del mantello pendeva dalla cintura e una fascia anch’essa lacera passava sopra la spalla sinistra e sotto l’ascella destra. Camminando, l’individuo colpiva il terreno con una lunga falce dalla lama seghettata, la cui asta sembrava fatta di ossa allungate fissate una dietro l’altra. Il nome dello strano tipo era Arton, o almeno così gli pareva di ricordare. E ricordava anche di avere una missione da compiere. Doveva uscire da quel posto. Però, mentre lasciava quel bizzarro laboratorio, mentre guardava i grossi feretri meccanici che avevano evidentemente contenuto dei corpi umani (uno dei quali decisamente grosso) e che riportavano numeri da 16 a 20, non poté fare a meno di notare l’ironia della sorte. Lui era stato sepolto proprio nel posto dove, moltissimo tempo dopo, qualcuno aveva costruito quel centro di ricerche. Era una bizzarra trama del destino, ma non c’era tempo per preoccuparsene.

In tutta la Città dell’Ovest, Bulma era probabilmente l’unica persona che potesse permettersi di mantenere una famiglia di Saiyan; due, però, erano troppe anche per lei. Mentre guardava suo marito e sua figlia che si abbuffavano senza ritegno, non poteva che essere contenta che Trunks fosse fuori casa per il week end. Anche perché Goku e Goten compensavano ampiamente la sua presenza. Lei e Chichi si scambiarono un’occhiata piena di comprensione reciproca: entrambe sapevano cosa significava dare da mangiare a degli esponenti della razza più vorace dello spazio. La cena che la ex presidentessa della Capsule Corporation aveva offerto ai suoi amici si stava velocemente trasformando in un caotico banchetto in cui solo il più affamato poteva permettersi di sottrarre del cibo dalle fauci dei Saiyan. Però, tutto sommato, a Bulma tutto questo non dispiaceva affatto, anzi. All’età di cinquantotto anni, poteva dire di essere soddisfatta della propria vita. Aveva vissuto più avventure di quante fosse possibile immaginare e ne era sempre uscita intera; anche quando era morta, uccisa da Majin Bu, era stata resuscitata; aveva sposato un uomo che, pur essendo un singolare esempio di mente contorta e di orgoglio autolesionista, aveva dimostrato di essere pronto a dare la vita per lei; aveva due figli dei quali era molto felice; aveva degli amici che le erano cari quasi quanto la sua famiglia. Si riteneva fortunata. Quando poteva assistere a delle scene come quella che si stava verificando in quel preciso momento sotto i suoi occhi, l’unica sua paura era che tutto questo potesse finire.

‘Fu dato loro il potere sulla quarta parte della Terra, per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della Terra. Quando l’Agnello aprì il Quinto Sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce: "Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia vendicando il nostro sangue sugli abitanti della Terra?"’

Il vento sferzava impietoso sull’altipiano di Yunzabit. Tra tutti posti della Terra, quello era uno dei più impervi; la cima dell’altipiano era una vetta gelida e inospitale, dove gli uomini non osavano avvicinarsi. Nessuno sapeva che, moltissimi anni prima, proprio in quel posto era arrivato un alieno che sarebbe poi diventato Dio. Nessuno sapeva che, ancora prima di allora, proprio quel posto era stato il centro di una civiltà della quale non restava nemmeno il ricordo. Nessuno sapeva che, quel giorno, proprio quel posto era il luogo di riunione di cinque uomini dai capelli neri e bianchi. Uno di essi aveva una falce. Uno di essi aveva degli artigli metallici. Uno di essi era enorme, indossava un’armatura rossa. Uno di essi, piccolo e gracile, aveva il volto quasi completamente celato dai capelli. Questi quattro, inginocchiati davanti al quinto, che volgeva loro le spalle, non osavano alzare lo sguardo. Il quinto si girò. I suoi capelli, anch’essi neri con una striscia bianca in mezzo, superavano di poco la nuca. La sua armatura, sul petto, sugli avambracci e sulle gambe dalle ginocchia in giù, era viola cupo. Da ciascuna delle coperture sulle spalle spuntavano tre aculei rivolti verso l’esterno, una davanti, una sopra e un dietro. I guanti metallici coprivano solo l’ultima falange di ciascun dito. Sotto le ginocchiere triangolari, rivolte verso il basso, da ciascun gambale spuntavano due piccoli aculei rivolti verso l’alto. I bicipiti dell’uomo erano avvolti da due larghe maniche nere fluttuanti, mentre un lungo panno bianco scendeva dalla cintura metallica, al centro della quale, due piccole spine si curvavano verso l’alto. L’uomo aveva in viso un trucco pesante, completamente nero: due larghi segni a V sulla fronte; due piccoli segni a forma di V rovesciata sul naso; Tre linee che si appuntivano salendo dal mento al labbro inferiore; sotto ciascun occhio, un segno simile a una lacrima, che scendeva descrivendo la linea dell’ovale per poi piegarsi verso l’alto nella parte finale. Ma ciò che più impressionava gli altri quattro convenuti erano gli occhi. Completamente neri, con solo una piccola linea verticale rossa in ciascuno di essi a denotare una traccia di vita.

Il primo a parlare fu l’uomo con gli artigli: "Tu sei Adam, vero?" domandò al misterioso individuo con l’armatura viola. "Sì" fu la risposta "E voi dovete essere i quattro che mi erano stati promessi". Lo sguardo di Adam si puntò sull’uomo con la falce: "Arton!" lo chiamò. Arton si alzò e fissò Adam in viso. Poi, spostò gli occhi su quello che aveva parlato: "Mesembria!" disse. Mesembria si alzò a propria volta. Adam girò lo sguardo verso quello che indossava l’armatura rossa: "Disi!" esclamò. Disi si sollevò sulle gambe. Infine, il guerriero in viola posò la vista sull’ultimo, quello magro e basso: "Anaton!". Anaton si mise in piedi. Adam incrociò le braccia: "Credo che si possa cominciare" disse spaziando con lo sguardo tra tutti i suoi collaboratori "La prima cosa da fare è occuparsi di questo pianeta". Mesembria fece un passo avanti: "Questo non è un problema" annunciò senza perdere la consueta espressione impassibile "Ho già provveduto a informarmi e tra poco avremo il mezzo per sistemare questa faccenda in maniera che ci sia utile".

‘Allora venne data a ciascuno di loro una vesta candida e fu detto loro di pazientare ancora per un po’, finché non fosse stato completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro. Quando l’Agnello aprì il Sesto Sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come un sacco di crine, la luna si fece simile a sangue, le stelle del cielo si abbatterono sulla Terra, come quando un fico, percosso dalla bufera, lascia cadere i fichi acerbi. Il cielo si arrotolò come un volume che si arrotolasse e tutte le montagne e le isole furono smosse dal proprio posto. Allora i re della Terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti. E dicevano ai monti e alle rupi: "Cadete sopra di noi e nascondeteci alla faccia di Colui che siede sul Trono e dall’ira dell’Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira e chi vi può resistere?"’

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Capitolo 2
*** Part 02 - Make a Wish ***


Ray’s

The Sixth

Part 02 - Make a Wish

Piccolo atterrò al Santuario di Dio, il suo mantello immacolato che svolazzava al vento contro il cielo notturno. Si guardò intorno come se arrivasse lì per la prima volta, ma in realtà conosceva già fin troppo bene quel posto dove il suo alter ego, ora fuso con il suo corpo, era vissuto per secoli. "Piccolo!" esclamò Dende correndo incontro al guerriero verde seguito da Mr. Popo a breve distanza. "Ero preoccupato per te! Ho avuto un brutto presentimento mentre ero in meditazione e temevo fosse successo qualcosa di grave.. Forse l’aura che ho sentito comparire all’improvviso era solo una mia impressione?". Piccolo non rispose. Fece qualche passo avanti, come se stesse saggiando il terreno sotto i suoi piedi. "Sì," disse poi "credo sia successo qualcosa di grave". "Davvero?" il giovane namekiano spalancò gli occhi "Pensi sia il caso di chiamare anche Goku e gli altri?". Nonostante fosse il Dio della Terra, Dende continuava a provare un grande rispetto per quello che considerava essere il suo tutore e preferiva avere la sua approvazione qualunque decisione prendesse. "No," replicò Piccolo "non ancora. Anzi, è meglio che loro non abbiano niente a che fare con questa storia. Dobbiamo sistemare il problema in maniera più pulita. Dove sono le Sfere del Drago?". Dende esitò: c’era qualcosa che non lo convinceva nel comportamento di Piccolo. Aveva ammesso l’esistenza di un problema, ma non voleva parlarne. E riteneva che fosse così grave da dover usare le Sfere del Drago.

Era passato molto tempo dall’ultima volta che le Sfere del Drago erano state utilizzate, quasi vent’anni. Dopo la sconfitta di Majin Bu, Dende aveva deciso che erano troppo pericolose per essere lasciate sulla Terra; aveva chiesto a Piccolo di ritrovarle e portarle al Santuario, in modo che potessero esservi custodite finché non si fosse veramente presentata una situazione di emergenza. I due namekiani aveva discusso a lungo in proposito: troppe volte, in passato, le Sfere erano state nelle mire di individui che volevano sfruttarle per i loro fini, non ultimo lo stesso Piccolo. Era molto meglio che gli abitanti della terra dimenticassero della loro esistenza e che restassero custodite nel posto più sicuro del mondo. Non doveva più accadere che una ragazzina ne trovasse per caso una nella cantina di casa e decidesse di cercare le altre per avere qualcosa da fare durante le vacanze. Le Sfere del Drago non dovevano più essere usate per motivi personali. Fu per questo motivo che Dende si insospettì: possibile che Piccolo gliele chiedesse senza nemmeno spiegargliene la ragione? Il giovane alieno si mise direttamente davanti il suo compagno più vecchio: "Cosa significa che dobbiamo sistemare le cose in maniera pulita? Perché ti servono le Sfere del Drago?". Piccolo sembrò risentirsi: "Non devo rendertene conto! Dimmi dove sono e basta!". Adesso Dende era certo che ci fosse qualcosa di strano: quello non era Piccolo, poco ma sicuro. Mr. Popo, anch’egli visibilmente atterrito (il che era notevole, considerata la sua consueta mancanza di espressività), faceva correre lo sguardo da un namekiano all’altro, in attesa che qualcuno dicesse qualcosa che potesse sbloccare la situazione. A sbloccare la situazione fu la mano di Piccolo che gli si serrò sulla gola senza che lui nemmeno potesse vederne il movimento. Sollevando da terra il basso uomo nero senza apparente sforzo, Piccolo puntò lo sguardo su Dende: "Portami immediatamente le Sfere del Drago, se non vuoi che il tuo amico faccia una brutta fine!" sibilò mentre una luce omicida gli balenava negli occhi. Il giovane arretrò di qualche passo: "Chi sei? Tu non puoi essere Piccolo!". "Chi io sia non ti deve interessare! Portami quelle Sfere senza fare storie". Quasi a enfatizzare le proprie parole, Piccolo strinse la gola di Mr. Popo, estraendone un rantolo di agonia. "E va bene!" cedette Dende "Adesso vado a prenderle!". Il Dio della Terra scomparve tra le colonne del Santuario, mentre si inoltrava nell’edificio principale. Per espressa richiesta di Piccolo, era meglio che solo Dende, e nessun altro, conoscesse l’esatta posizione delle Sfere: nessuno lo avrebbe ucciso per impadronirsene, perché la sua morte sarebbe stata la fine delle Sfere del Drago. Mentre il giovane namekiano percorreva i labirintici complessi di corridoi e scale che costituivano l’interno del Santuario, pensò che il suo brutto presentimento si era avverato nella maniera peggiore possibile. Piccolo doveva essere posseduto da un qualche tipo di agente esterno, non c’era altra spiegazione per il suo comportamento. Fortunatamente, Dende sapeva a chi rivolgersi.

"Manca ancora molto?" chiese Marron cominciando a spazientirsi. "Ci siamo quasi" la tranquillizzò Trunks. Quel viaggio in macchina era un po’ troppo lungo per i gusti della ragazza. Stava incominciando a chiedersi seriamente se Trunks non si fosse perso. Erano partiti da circa un’ora dalla Città dell’Ovest e Trunks si era vantato di conoscere un ristorante come non se ne potevano immaginare a poca distanza dal centro abitato. Eppure, non erano ancora arrivati. Stavano viaggiando ormai da un pezzo su di una ampia strada di periferia, incrociando altre auto solo di tanto in tanto. Tutto ciò che c’era da vedere nel paesaggio erano degli enormi campi coltivati. Tanto più che il giovane presidente della Capsule Corporation non era esattamente un brillante conversatore e, nonostante fosse abituata a negarli di fronte a tutti, c’erano dei momenti in cui Marron doveva ammettere i suoi difetti almeno con se stessa. Quando riusciva a venire a patti con la propria testardaggine, cercava di compensare alle carenze del suo ragazzo. "Com’è andata sul lavoro?" gli chiese per rompere l’irritante silenzio che stava diventando intollerabile. Trunks si girò verso Marron quasi sorpreso: ma quando mai lei si era interessata al suo lavoro? "Oh, niente di che" rispose con distacco. Marron sospirò: la conversazione languiva, come al solito. Nonostante si vantasse sempre del suo ragazzo, certe volte le veniva da chiedersi perché stessero insieme. Certo, perché era stata lei a farsi avanti per prima: se avesse aspettato lui, avrebbe fatto in tempo a invecchiare. Ma valeva davvero la pena di portare avanti una storia simile? I suoi pensieri furono interrotti dalla brusca frenata dell’auto, che la fece quasi andare a sbattere contro il cruscotto. "Ehi!" gridò sollevando la faccia e lanciando un’occhiata di rimprovero a Trunks "Sta’ più attento, per poco…". Non fece in tempo a finire la frase: vide il motivo per cui Trunks aveva inchiodato. Un uomo dal lungo mantello nero, con un’armatura blu cupo a proteggergli il corpo, stava levitando a pochi metri da terra proprio davanti a loro.

"Non vale la pena di andare avanti!" sentenziò Chichi sporgendosi dal sedile posteriore dell’auto e afferrando Goten per un orecchio "È inutile che tu continui ad andare all’università se non hai voglia di studiare!". "Ma dai," la tranquillizzò Goku dal posto di guida "in fondo, si tratta solo di aspettare un paio di mesi! Non mi sembra una tragedia se questo esame gli è andato male!" "Tu sta’ zitto!" lo rimproverò la moglie "Non è solo per questo esame! Cosa mi dici di tutti gli altri? E poi, perché prendi sempre le sue difese quando lo sgrido?". Goku si trovò spiazzato. Era il guerriero più forte dell’universo, eppure, quando si trovava a litigare con sua moglie, provava l’irrefrenabile desiderio di sparire. Voleva una scusa per potersene andare. E la scusa arrivò. La voce di Dende gli risuonò nella testa: "Goku! C’è un’emergenza! Ho bisogno di te qui, subito!". L’auto frenò bruscamente, mentre le parole di Chichi si perdevano nel rumore delle ruote che stridevano sull’asfalto. "Prendi tu il volante" disse Goku rivolto a Goten "Io ho una cosa urgente da fare". Un attimo dopo, era scomparso.

Dende si avvicinò a Piccolo porgendogli un grosso fagotto grigiastro. Il namekiano più anziano buttò sprezzantemente a terra Mr. Popo e avvicinò cautamente una mano al fagotto. Spostando delicatamente alcuni lembi del panno, ne scoprì il contenuto. Le sette Sfere del Drago, le stelle scarlatte che brillavano debolmente nell’involucro arancione, erano tra le mani del Dio della Terra. Riavvolgendo il fagotto, Piccolo se le mise sotto braccio e si girò per andarsene. Non aveva ancora preso il volo, che una figura familiare si materializzò come dal nulla davanti a lui. "Allora?" domandò Goku all’amico "Cosa sta succedendo?". Piccolo non impiegò molto a capire perché il Saiyan fosse lì. Si girò verso Dende: "Hai cercato di fregarmi, eh?". "Goku!" esclamò il giovane namekiano "Piccolo è impazzito! Vuole rubare le Sfere del Drago!". Goku si voltò il capo verso il guerriero dal mantello bianco: "Cosa significa?" domandò. L’unica risposta che ricevette fu una ginocchiata nello stomaco che lo fece volare lungo disteso. Rialzandosi a fatica, guardò quello che era stato il suo mortale nemico e uno dei suoi amici più fidati: "Ho capito…" disse "Sei posseduto da qualcuno o qualcosa, no? Un po’ come è successo a Vegeta quando era sotto il controllo di Babidy, vero?". Un attimo dopo, i capelli di Goku esplosero verso l’alto in un lampo di luce dorata: "Vediamo se riesco a farti rinsavire". Lasciando dietro di sé qualche piastrella infranta e un gran polverone, il Super Saiyan si lanciò sull’avversario; Piccolo lasciò cadere a terra le Sfere del Drago, mentre bloccava uno dopo l’altro le moltitudini di colpi che il suo opponente gli stava tirando. Sapeva bene che Goku non stava combattendo sul serio: il suo scopo doveva essere solo quello di immobilizzarlo per poi trovare un modo per poi riportarlo alla ragione. Pur rendendosi conto del proprio stato anomalo, però, il namekiano non aveva la minima intenzione di tornare ‘normale’. Ma questo non toglieva che la forza del Saiyan era superiore alla sua: non sarebbe stato facile sfuggirgli. Doveva inventarsi qualcosa.

Goku lasciò partire un pugno diretto al viso; Piccolo lo bloccò al volo con la mano e lo strinse tra le dita. Poi, con una rapido movimento, fletté il braccio alle proprie spalle. L’arto del namekiano si allungò per diversi metri, portandosi con sé la mano imprigionata del Saiyan, che si trovò improvvisamente sollevato dal suolo. Non che la cosa lo preoccupasse più di tanto, ma non capiva il perché di quella manovra. Gli risultò chiaro solo quando la mano di Piccolo lasciò la sua. Il namekiano si chinò a raccogliere il fagotto con le Sfere del Drago e balzò giù dalla piattaforma che sorreggeva il Santuario di Dio. Già, Piccolo aveva voluto scappare; Goku non aveva dubbi in merito, mentre si lanciava al suo inseguimento volando a tutta velocità. Lo raggiunse quasi subito, ma, quando lo vide atterrare, fu tutt’altro che sollevato. La enorme velocità che i due avevano tenuto durante il volo aveva permesso loro di percorrere centinaia di chilometri in meno di un minuto; ora si trovavano molto più a nord, in un territorio di densa vegetazione di aghifoglie e di imponenti formazioni rocciose. All’insaputa di entrambi, non molto lontano di lì, molti anni prima, un mostro di nome Cell si era rifugiato sotto terra per completare la propria metamorfosi dopo aver compiuto un viaggio a ritroso nel tempo. Goku e Piccolo, ciascuno con i piedi su di un piccolo affioramento di roccia, si fronteggiavano in silenzio. "Cosa ti è successo?" domandò il Saiyan, che non riusciva a scrollarsi di dosso una sensazione di disagio opprimente, come se qualcosa di terribile fosse sul punto di accadere. Era più o meno la stessa cosa che aveva provato combattendo contro Freezer e Cell, ma, in quel preciso momento, non aveva senso. La paura euforica che lo attanagliava quando poteva combattere contro un avversario più forte di lui gli sembrava completamente fuori luogo in questa situazione. Non perché dubitasse della forza di Piccolo, ma perché era un suo amico. Non era affatto contento di combatterci insieme e non riusciva nemmeno ad avere veramente paura di lui. Si rivolse di nuovo al guerriero dalla pelle verde: "Perché ti comporti così? Piccolo, non mi riconosci più?". Non fu il namekiano a rispondere, ma una risposta arrivò: "Lui ti riconosce. È per questo che si comporta così". Una figura umana enorme era comparsa dietro Piccolo. La sua muscolatura imponente sembrava schizzare fuori dall’armatura scarlatta che indossava; i suoi bizzarri capelli neri con una striscia bianca in mezzo esercitavano uno strano contrasto stagliandosi contro la luna piena, quella stessa luna che era stata distrutta due volte e che due volte era stata ripristinata da Dio. "Chi sei?" domandò Goku rivolto al nuovo arrivato. Ma, almeno in parte, conosceva già la risposta. Era stato lui a causargli quella sensazione. L’aura di quel tipo, benché fosse trattenuta, sembrava essere semplicemente mostruosa. "Mi chiamo Disi" rispose il colosso mettendosi davanti a Piccolo e facendo un cenno con la mano al namekiano, che spiccò il volo verso nord. Goku sapeva benissimo che inseguirlo sarebbe stato inutile: quel tizio non glielo avrebbe mai permesso. "Cosa volevi dire poco fa?" gli chiese accigliandosi. "Semplice!" ribatté Disi "Il tuo amico è stato colpito dall’artiglio della Guerra Civile. Ora la sua natura è quella di rivoltarsi contro i suoi amici a vantaggio dei loro nemici ed è esattamente ciò che sta facendo…". Goku restò per un attimo sbalordito: Cos’era questa storia? L’artiglio della Guerra Civile? Ma cosa significava? Stavolta, non ci fu il tempo per una risposta: Disi caricò il nemico senza ulteriori indugi.

Piccolo atterrò sull’altipiano di Yunzabit. Davanti a lui, due figure umane lo stavano aspettando. Uno era Mesembria, colui che lo aveva colpito, colui che lo aveva indotto a rivelargli ogni segreto delle Sfere del Drago e ad andarle a rubare. L’altro era per Piccolo un completo estraneo. Eppure, fu lui a porgere il palmo teso verso il namkiano, come se si aspettasse di ricevere qualcosa. "Avanti," lo incitò Mesembria con voce suadente "consegna le Sfere ad Adam". Adam. Ecco come si chiamava. Piccolo obbedì e porse il fagotto all’uomo dall’armatura viola, che lo afferrò avidamente. Ne spostò qualche lembo e fu confortato al contare sette sfere. Fece un cenno con il capo a Mesembria. "Grazie mille" disse l’uomo dall’armatura bianca avvicinandosi al namekiano, la piastra metallica sul suo viso che scintillava minacciosa alla luce lunare. Un attimo dopo, senza nemmeno vedere quel movimento, Piccolo sentì uno degli artigli di Mesembria che gli squarciava il petto. Avvertì come una folata di aria gelida trapassarlo da parte a parte e capì che le unghie metalliche del suo nemico gli erano uscite dalla schiena. Quando il suo corpo fu gettato tra le voragini dell’altipiano, lui era già sprofondato nell’oblio; l’ultimo pensiero che gli passò per la testa era che il guerriero dall’armatura bianca aveva detto che uccidere era contrario ai suoi principi. E quasi si stupì che fosse una menzogna.

Goku saltò verso l’alto, evitando per un pelo la carica furiosa del suo avversario. Da quando il combattimento era iniziato, Disi era diventato una macchina di distruzione inarrestabile: avanzava senza riguardo, bucando il terreno a ogni passo, sradicando alberi ogni volta che dimenava le mani. Buona parte della foresta di sempreverdi era stata rasa al suolo. Disi si girò rapidamente, seguendo il salto del suo avversario e sputando una raffica di energia scarlatta dalla bocca; intrecciando le dita, Goku respinse il colpo centrandolo al volo con entrambe le mani. Un attimo dopo, il suo avversario era a una manciata da centimetri dalla sua faccia. Mentre sentiva il proiettile di energia che aveva appena deviato infrangersi tra gli alberi, un pugno di potenza inaudita lo colpì al ventre. Il Saiyan si sentì sbalzato all’indietro come mai prima; il suo corpo impattò contro diversi tronchi d’albero in sequenza, abbattendoli uno dopo l’altro; quando, con un colpo di reni, Goku si rimise in piedi, Disi era esattamente davanti a lui. Balzò verso l’alto per evitare un nuovo pugno, ma vide quasi subito che il suo avversario se ne era accorto e stava già alzando l’altra mano per afferrarlo al volo per la caviglia. Con la freddezza che gli era derivata da anni di combattimento, Goku capì che non poteva permetterselo: era fondamentale aumentare la velocità di spostamento per evitare quella presa. La mano di Disi afferrò solo l’aria: non era stato preparato a quell’improvviso incrementò di rapidità. Quando il gigantesco guerriero si girò verso il suo avversario, vide che qualcosa era cambiato. I suoi capelli erano ancora più sparati verso l’alto e il suo corpo sembrava immerso in un turbinare di scariche di energia volante.

Goku sogghignò: era un pezzo che non si trasformava in Super Saiyan 2 e gli faceva piacere incontrare un nemico che lo costringesse a questo. "Cominciamo il secondo round?" domandò. Non ricevette risposta, ma non fece in tempo ad accorgersene: il tacco di Disi lo colpì in piena mandibola, letteralmente ribaltandolo e mandandolo di nuovo a terra. Senza nemmeno vederlo, il Saiyan avvertì istintivamente che un pugno stava piombando su di lui, un tentativo di schiacciarlo al suolo. Il colpo di Disi centrò solo il terreno, mandando zolle di terra in aria, mentre il suo bersaglio iniziale saltava in alto e giungeva le mani piegando il busto: "Ka… Me". Disi saltò a propria volta verso l’avversario. "Ha… Me". Il gigantesco guerriero vibrò nuovamente il proprio pugno sul nemico; e di nuovo trapassò solo l’aria: con un teletrasporto istantaneo, Goku si riportò a terra, esattamente dietro il combattente dall’armatura scarlatta. "Ha!". Un’ondata di energia azzurrina eruppe dalle mani di Goku, andando a schiantarsi contro il suo avversario. L’impressione che Goku ebbe di quella scena fu che l’Onda Kamehameha si fosse infranta contro un muro. Là dove il corpo di Disi si sarebbe dovuto trovare, l’energia del colpo deviava vistosamente, formando una pioggia di scie azzurrine che si espandevano in aria. Senza darsi per vinto, il Saiyan impresse più potenza all’Onda, seguendo con le mani la traiettoria discendente che portava il gigante a posarsi a terra, esattamente davanti a lui. Quando vide quello che stava accadendo, il Super Saiyan fu sul punto di terminare in anticipo il proprio colpo per lo stupore. Disi stava avanzando muovendosi in senso direttamente contrario a quello dell’Onda. Praticamente, la stava infrangendo andandoci addosso con il proprio corpo. Non era la prima volta che l'Onda Kamehameha si dimostrava inefficace, ma nessun avversario prima l’aveva affrontata sfondandola in quel modo. O meglio, Freezer aveva fatto qualcosa di simile, ma si era prima ricoperto con una barriera e poi aveva lasciato il centro dell’Onda quando questa si era fatta troppo potente. Fu principalmente lo stupore che impedì a Goku di difendersi dal calcio con cui Disi lo centrò in pieno stomaco, spedendolo a diversi metri in aria. Il guerriero in rosso guardò verso l’alto, aspettando con impazienza la caduta del suo avversario per potergli dare il colpo di grazia. Ma le cose dovevano andare diversamente. Goku era atterrato sul ramo di un alto albero e stava guardando il suo avversario dall’alto in basso: "E va bene!" esclamò "Se proprio vuoi che faccia sul serio, ti accontento subito!". Un attimo dopo, un’esplosione di luce dorata frantumò l’albero; quando finalmente fu nuovamente possibile vedere il Saiyan, qualcosa in lui era cambiato. Le sopracciglia erano scomparse e i capelli erano diventati molto più lunghi. Il Super Saiyan 3, non avendo più alcun supporto sul quale appoggiarsi, stava ora levitando a mezz’aria; le ondate di energia che aveva sprigionato avevano dato fuoco agli alberi in un raggio di chilometri e, quando Goku toccò terra, i due combattenti si trovarono circondati da una minacciosa danza di fiamme ruggenti. "Confesso che, prima di te, solo Majin Bu mi aveva costretto a impegnarmi fino a questo punto" ammise il Saiyan "Però adesso è ora di finirla". Con uno scatto in avanti, Goku volò contro il suo avversario, spingendo nel suo pugno destro tutta la propria forza. Anche stavolta, il gigantesco guerriero fu capace di spiazzarlo: si mise a correre verso di lui a propria volta. Quando i due avversari furono a una decina di centimetri uno dall’altro, Goku colse la follia omicida negli occhi del suo nemico. Quello di Disi non era odio, né rancore: era pura e semplice pazzia. Si muoveva in maniera praticamente automatica, travolgendo tutto quello che incontrava; non aveva alcuna tecnica, solo pura potenza. Una frazione di secondo dopo, il pugno del Saiyan si abbatté sul volto del guerriero in rosso; per un attimo, il difensore della Terra sorrise, convinto che il nemico avesse accusato il colpo. Ma la sua soddisfazione divenne quasi panico, quando il suo braccio si piegò sotto la pressione del volto di Disi: stava spingendo in direzione contraria al pugno e stava avendo la meglio. Un po’ per lo stupore, un po’ per la velocità del movimento, Goku non riuscì a difendersi quando il braccio del suo avversario lo centrò in pieno collo, spezzandogli il respiro e spedendolo contro uno degli affioramenti rocciosi. Mentre sentiva pietre e detriti franargli addosso, Goku avvertì chiaramente la presenza del suo nemico pochi metri davanti a lui: aveva intenzione di caricare direttamente tra le rocce che l’impatto con il corpo del Saiyan aveva frantumato, consapevole che non avrebbero potuto fermarlo; voleva venirsi a prendere il suo avversario senza lasciargli il tempo di reagire. Con uno scatto che stupì anche se stesso, Goku balzò fuori dalle macerie, stagliandosi contro la luna piena, mentre sotto di lui la foresta bruciava. Non riuscì a reprimere un senso di colpa vedendo quello che aveva fatto al pianeta che amava tanto, ma non era il momento di lasciarsi prendere dai sentimentalismi. Di nuovo, il Saiyan giunse le mani, di nuovo iniziò a cantilenare quella formula che tante volte gli aveva salvato la vita: "Ka… Me… Ha… Me…". Non sapeva a cosa potesse servire un colpo che si era già dimostrato inefficace; stava solo tentando il tutto per tutto, ma era evidente che il suo avversario non fosse qualcuno che si potesse fregare due volte nello stesso modo. Tanto più che l’Onda Kamehameha non aveva funzionato nemmeno la prima volta. Poi, tutto accadde troppo velocemente perché Goku potesse rendersene conto. Quando lanciò le mani in avanti e terminò il colpo con il consueto "Ha!", Disi era già di fronte a lui, spostatosi con una rapidità mai vista, il suo pugno destro che turbinava in un vortice di energia scarlatta. Il colpo si abbatté esattamente tra le mani di Goku, proprio nel punto da cui l’Onda stava per partire; il Super Saiyan 3 fece solo in tempo a sentirne il nome, mentre Disi lo gridava con voce tonante: "Giga-Quake!". Un attimo dopo, le sue mani si separarono forzatamente e la sua guardia fu infranta da un’esplosione di energia rossa, come un terremoto che si abbattesse su tutto l’universo.

Trunks deglutì vistosamente, mentre il tizio con l’armatura blu e il mantello nero levitava verso il basso, fino a posarsi delicatamente sulla strada. Poteva avvertire chiaramente la sua aura e questo lo rendeva nervoso. Scese dalla macchina e mosse qualche passo verso il nuovo arrivato. "Va’ via, Marron" disse senza nemmeno girarsi. "Aspetta un attimo!" protestò la ragazza "Chi è quello?". "Non lo so," replicò il giovane presidente "ma è meglio che me ne occupi io. Tu prendi la macchina e torna a casa". Marron aveva già capito che quel tipo non era normale; d’altra parte, il concetto di normalità era piuttosto elastico per una giovane che, fin da piccola, aveva sempre visto i suoi genitori volare senza difficoltà. Ma l’uomo dal mantello nero era strano. Attorno a lui c’era un’aura di angoscia quasi palpabile; Trunks doveva avere avvertito all’istante la tacita minaccia che il nuovo arrivato si portava dietro. Marron capì che andarsene era la decisione migliore: non le piaceva l’idea di dover abbandonare il suo ragazzo, ma si rendeva conto che, restando lì, lo avrebbe costretto a proteggerla e sarebbe stata solo d’intralcio. Perché, anche se non riusciva a spiegarselo, sapeva che, di lì a poco, sarebbe cominciato un combattimento. Si mise al posto di guida e avviò il motore: "Sta’ attento" mormorò, più a se stessa che a Trunks.

Mentre sentiva il rumore della macchina che si allontanava, il giovane mezzo Saiyan tirò un sospiro di sollievo: in realtà, quella mancanza di testardaggine non era da Marron. Ma era meglio così. Aveva intuito subito che l’uomo in armatura aveva intenzioni ostili, nonostante sul suo viso, quasi completamente nascosto dai lunghi capelli, campeggiasse un inquietante sorriso. "Chi sei?" domandò Trunks ostentando una calma che non aveva. "Sono Anaton, la Fame. Ti stavo cercando, sai?". "Ne sono lusingato" rispose il giovane con sarcasmo "E posso sapere perché?". Anaton fece spallucce: "A dire la verità, ero in viaggio per fare tutt’altro, ma ho avvertito la tua aura e volevo accertarmi di una cosa". Un attimo dopo, l’uomo dai capelli neri e bianchi era scattato in avanti, in u attacco dalla velocità inaudita. Per qualche secondo, Trunks non poté fare altro che parare una raffica di calci e pugni che in più occasioni rischiò di infrangere la sua guardia; quando i due si divisero, il giovane presidente restò dominato dalla consapevolezza che il suo avversario non aveva usato che una frazione della propria forza. Lo aveva capito chiaramente, nonostante la breve durata dello scontro. E aveva capito anche di non avere speranze. Doveva trovare un modo per disimpegnarsi e soprattutto per avvertire i suoi amici di questo pericolo. Levitò fino a una ventina di metri di altezza e si guardò attorno. In ogni direzione, immensi campi coltivati si stendevano per chilometri. Il posto era isolato, ma quello non era un problema: suo padre e Goku avrebbero sicuramente avvertito la sua aura. Quello che preoccupava Trunks era altro: sarebbe sopravvissuto fino al loro intervento? E loro avrebbero potuto farci qualcosa? Sempre con quel suo irritante sorriso sulle labbra, Anaton levitò a propria volta fino alla stessa altezza alla quale Trunks si era fermato. Solo allora il giovane si rese conto di quanto poco minaccioso apparisse il suo avversario: lui non era alto (almeno in questo, somigliava a suo padre), ma quel tizio era anche più basso. E poi era esile, apparentemente gracile. Ma la potenza dei suoi attacchi non aveva niente a che fare con il suo aspetto. Trunks decise che fosse meglio attaccare per primi: non ci sperava molto, ma voleva provare a contare sull’effetto sorpresa. D’altra parte, c’era un solo modo per avere qualche speranza di colpire quel tizio almeno una volta. In un secondo, un lampo di luce dorata squarciò l’aria e il rumore tonante dell’energia del Super Saiyan si sprigionò dal corpo di Trunks. Mentre i suoi capelli scintillanti si alzavano verso l’alto, il giovane si lanciò sul nemico. Il suo primo pugno andò a vuoto: Anaton afferrò la volo il suo braccio e Trunks vide il mondo che cominciava a girargli vorticosamente attorno. Quando l’uomo dal manto nero lo lasciò andare, si sentì scaraventato con violenza nel bel mezzo di un campo, mentre attorno a lui si alzava un polverone che oscurava la vista. Cosa che gli sarebbe potuta tornare utile.

Dalla sua posizione in alto, Anaton osservava divertito la polvere che si era alzata quando il corpo del suo avversario si era schiantato al suolo. Il suo divertimento fu ancora maggiore quando vide una raffica di sfere di energia dorate saettare fuori dal polverone dirette contro di lui: davvero il ragazzino aveva pensato di fregarlo in quel modo? Anaton non si degnò nemmeno di pararle: spalancando le braccia con un grido, espanse la propria aura attorno a sé e guardò ogni colpo che si infrangeva in una pioggia di scintille morenti contro la sua invisibile barriera. Poi, si accorse che il tizio dai capelli che cambiavano colore si era spostato sul suo fianco sinistro muovendosi a ipervelocità: l’uomo dal mantello nero parò con disinvoltura il calcio del suo avversario usando il braccio sinistro e rispose liberando una sfera di energia bluastra dal palmo della mano destra; il colpo centrò il giovane in pieno petto, spedendolo a sbattere contro uno dei pali della luce che costeggiavano la strada. Trunks cadde a terra, seguito a ruota dal palo. Si rimise in piedi, pronto a contrattaccare, ma il suo avversario era sparito. "Cerchi qualcuno?" gli chiese Anaton mettendogli una mano sulla spalla. Trunks rimase paralizzato dallo stupore per un attimo: il suo avversario era dietro di lui. Ma questa sua eccessiva fiducia in se stesso poteva trasformarsi in un’occasione che sarebbe stato imperdonabile perdere. Girandosi in un lampo, il presidente della Capsule Corporation tentò di colpire il nemico con un movimento del braccio, ma non fece che fendere l’aria. Anaton era già a una decina di metri di distanza. E sorrideva ancora. "Come pensavo" disse "Non mi ero sbagliato a valutare la tua aura. Tu non sei uno della stirpe dei Lilim, sei un Malkut. E senza sigillo, per di più. Non pensavo che ne esistessero ancora, credevo si fossero distrutti da soli… Ma possiamo rimediare subito"

Marron non era un’esperta in fatto di combattimenti: non le era mai interessato imparare le arti marziali, sebbene entrambi i suoi genitori fossero stati ben disposti a insegnarle qualcosa. Eppure, nonostante riconoscesse la propria ignoranza in merito, non faceva fatica a interpretare i clamori che sentiva e i bagliori che vedeva nello specchietto retrovisore come un segno del fatto che Trunks fosse in pericolo. "Così non va bene" disse senza nemmeno muovere le labbra. Non aveva mosso le labbra? Ma come aveva potuto parlare senza muovere le labbra? Non era stata lei a parlare! Ma chi altri, allora? Attraverso lo specchietto retrovisore, vide il bagagliaio aprirsi. Spaventata, inchiodò con l’auto e fu sbalzata in avanti. Un attimo dopo, il sibilo dell’airbag che si gonfiava, prima ancora di constatare la propria condizione, le disse che era illesa. Ma ci fu un’altra cosa che la sorprese. Sul sedile accanto al suo, scagliata in avanti dalla frenata improvvisa, c’era Pan. Marron spalancò gli occhi: "Ma cosa ci fai qui?". La ragazzina frugò freneticamente nella propria testa, alla ricerca di una scusa plausibile. Non la trovò e decise di dire la verità: "Avevo bisogno di documentarmi. Volevo vedere cosa faceste tu e Trunks quando stavate insieme…". "Come ti sei permessa?" Marron sembrò per un attimo dimentica della situazione "Ti rendi conto di quanto tu sia stata maleducata? Ti sei nascosta nel bagagliaio per spiarci e…". La ragazza si fermò improvvisamente vedendo Pan che, apparentemente inconsapevole delle maledizioni che le venivano lanciate, faceva cenno di smettere con la mano. "L’aura di Trunks sta diventando sempre più debole" spiegò "Non può andare avanti così". "Cosa sta succedendo?" domandò Marron in preda all’apprensione, afferrando Pan per il colletto della maglietta. "Non ti preoccupare," rispose la nipote di Goku "adesso vado io a salvarlo!". "Aspetta un attimo!" obiettò la ragazza bionda "Se non ce la fa Trunks, che è un Super Saiyan, tu non hai alcuna speranza". Pan trovò difficile ribattere a quell’ipotesi, ma ricacciò in u angolo nascosto del proprio cervello qualsiasi considerazione assennata. Quello era il momento di uscirsene con un discorso eroico: "Sarà anche vero, ma non posso abbandonare un amico in pericolo – Pan non aveva mai avuto una grossa considerazione di Trunks, ma fece finta di interessarsi a lui – Devo andare per il bene di Trunks e dell’umanità intera!". Sorrise soddisfatta, compiaciuta da quella tirata che le ricordava tanto i racconti di suo padre sulle gesta del nonno Goku (che non aveva mai fatto discorsi simili, ma questo era secondario). Un attimo dopo, si era già levata in volo.

Trunks si rimise faticosamente in piedi; i colpi di quel tizio erano mostruosi. La forza del tale che aveva detto di chiamarsi Anaton era semplicemente al di fuori di qualsiasi parametro. Sapeva di non potercela fare, lo aveva saputo fin dall’inizio. Mentre vedeva Anaton che si avvicinava a lui con passo misurato, il nero mantello che svolazzava sospinto dalle raffiche di vento che avevano cominciato a vessare la pianura, gli venne in mente qualcosa che era accaduto molto tempo prima. Ricordò di quando suo padre aveva sacrificato la propria vita per sconfiggere Majin Bu, un tentativo inutile ma che, nell’ottica di Vegeta, era stata l’unica soluzione possibile. E adesso? Quel tale non sembrava in grado di rigenerarsi: forse il trucco dell’esplosione avrebbe funzionato con lui. Trunks sospirò. Sapeva che, sacrificandosi per la vittoria, avrebbe causato dolore a tante persone. Sua madre avrebbe pianto per lui. Anche sua sorella. Anche la sua ragazza. E il suo amico Goten. E tutti gli altri compagni di avventure che conosceva praticamente da quando era nato. E anche suo padre. Chissà perché, faceva fatica a pensare a lui in un momento simile. Forse, una parte del suo cervello temeva ancora che Vegeta potesse essere davvero incurante come sembrava, che veramente non gli importasse di suo figlio. Trunks fu quasi sul punto di ridere di sé: fino a quel momento era stato sicuro che ogni suo dubbio in merito all’affetto che suo padre nutriva per lui fosse stato fugato nel vederlo rinunciare alla vita per amore della propria famiglia. Eppure, in quell’attimo fatale, le sue paure infantili stavano riaffiorando. Forse non si era mai sentito completamente approvato da suo padre; forse il fatto di avere sempre cercato di dimostrarsi forte ai suoi occhi lo aveva in realtà reso vulnerabile. Ma non voleva credere di essere solo un figlio nato per caso; non voleva credere di non avere la considerazione del suo genitore. Non ci aveva mai pensato molto prima di allora; non consciamente, almeno. E invece, adesso che sapeva di essere sul punto di morire, queste considerazioni stavano diventando pesanti come macigni. Sospirò e si preparò a raccogliere quello che restava delle sue energie.

Anaton si fermò a circa cinque metri di distanza da Trunks. Sempre con il suo sorrisetto irritante sulle labbra, puntò il palmo della mano destra verso il proprio avversario. "Sai cos’è questa?" domandò. "È la mia mano, ovviamente" continuò senza attendere una risposta "Questa mano sarà l’ultima cosa che vedrai, perché la userò per lanciarti contro il mio colpo più divertente. Si chiama Eternal Hunger e consiste nel far morire di fame l’avversario nel giro di qualche secondo. Con i Lilims, posso farlo solo con la forza del pensiero, ma l’aura di un Malkut senza sigillo è troppo forte per essere superata in questo modo: in breve, perché il mio colpo faccia effetto, ti devo toccare. Se ora vorrai avere la gentilezza di porgermi la tua mano, potremo sistemare la questione più velocemente, il che verrebbe a vantaggio di entrambi". Trunks sospirò: le cose stavano andando anche meglio del previsto, ma non riusciva a esserne contento. Avanzando di qualche passo e tendendo la mano verso Anaton, pensò a tutte le persone che aveva conosciuto. Gli sarebbe piaciuto almeno salutarle prima di morire. Poi, si fermò all’improvviso. La foga della battaglia gli aveva impedito di pensarci fino a quel momento, ma adesso si stava chiedendo cosa significassero i termini ‘Malkut’ e ‘Lilim’ che Anaton aveva usato. E cosa poteva essere il ‘sigillo’ al quale aveva accennato? Prima che potesse pensarci ulteriormente, la mano del guerriero in blu fu sul punto di toccare la sua. Era il momento: Trunks afferrò il polso di Anaton e lo tirò violentemente verso di sé; passando alle spalle dell’avversario, lo avvinghiò tra le proprie braccia e cominciò a espandere la propria aura più che poteva. "Cosa speri di fare?" lo schernì l’uomo dai capelli neri e bianchi senza nemmeno tentare di liberarsi "Vuoi fare esplodere la tua aura per annientarmi? Fai pure, ma ti avverto che sarà inutile!". Trunks aveva considerato questa possibilità, ma, arrivati a quel punto, sarebbe morto comunque: tanto valeva tentare tutto il possibile. Alzò lo sguardo al cielo per trarre un profondo respiro, l’ultimo della sua vita. E vide Pan che volava verso di loro. Maledizione! Non poteva usare la tecnica che stava preparando, o avrebbe coinvolto anche lei! Prima ancora che Trunks finisse di formulare questo pensiero, la mano di Anaton lo raggiunse, afferrandolo per i capelli e scagliandolo una decina di metri davanti a sé. Pan atterrò proprio tra i due. "Ma guarda!" esclamò Anaton sempre più divertito "Adesso combattono anche i bambini!". "Non sono una bambina!" gridò Pan lanciandosi in un attimo contro l’avversario. Anaton si spostò di lato in una frazione di secondo; la ragazza finì con la testa tra le nere volute del mantello. Dando un deciso strattone, il proprietario del mantello stesso la scagliò in aria; un attimo dopo, la colpì con un pugno che la mandò a sbattere contro Trunks, che si era appena rialzato. Quando il giovane presidente riuscì a rimettersi in piedi, vide Anaton levitare a qualche metro sopra di lui. Fu distratto per un attimo da Pan, che si stava rialzando a propria volta, ma le parole del guerriero ammantato riportarono l’attenzione generale su di lui: "Questa inutile faccenda sta andando troppo per le lunghe. Non ho più voglia di usare l’Eternal Hunger, preferisco farvi fuori più velocemente. Un attimo dopo, una sfera di energia bluastra comparve sul palmo della sua mano. Con un rumore sibilante, partì verso il bersaglio. Mentre Trunks e Pan venivano inondati dalla luce che la sfera, in corsa verso di loro, emanava abbagliante, entrambi pensarono che morire in quel modo fosse davvero misero. Poi, come se qualche divinità avesse ascoltato i loro pensieri, qualcosa accadde. Una raffica di energia dorata centrò in pieno il colpo assassino, deviandone la traiettoria e mandandolo a infrangersi tra i campi. Istintivamente, tutti si girarono nella direzione da cui quell’energia era venuta. In piedi su di un lampione, i capelli biondi dritti all’insù e scariche di energia che crepitavano attorno al suo corpo, Vegeta guardava la scena con il suo abituale sorrisetto, quasi più irritante di quello di Anaton. "Che miserabile!" sogghignò il Principe dei Saiyan "Ti diverti a massacrare dei ragazzini? Perché non fai un po’ di esercizi di riscaldamento con me?". Pan non trovò opportuno ricordargli che lei NON era una bambina.

Vegeta toccò terra tra suo figlio e Pan, a pochi metri da Anaton, che ormai aveva spostato tutta la sua attenzione su di lui. "Un altro Malkut senza sigillo?" commentò l’uomo dall’armatura blu "Ma quanti ce ne sono?". "Non so di cosa tu stia parlando" replicò Vegeta mettendosi in posizione di guardia; poi, rivolgendosi a Trunks: "Vattene, mi sei solo d’intralcio. E portati dietro anche la ragazzina". Trunks sorrise per un attimo. Suo padre era arrivato ad aiutarlo, anche se era sicuro che lui non lo avrebbe mai ammesso. Poi, tornò alla realtà: "Aspetta, papà, combattiamo insieme". "No" sbottò Vegeta testardo "Questo qui lo sconfiggo io. Non osare intervenire, anzi, vattene!". "Non se ne parla!" protestò il giovane presidente "Forse in due riusciremmo a batterlo, ma da soli non abbiamo speranza!". Vegeta si fermò per un attimo, studiando l’avversario con occhio critico. Non gli ci volle molto per capire che non ce l’avrebbero fatta nemmeno in due: l’aura di quel tizio era mostruosa. Inoltre, era già da un po’ che stava avvertendo due potenti forze combattive scontrarsi non molto lontano da lì. Uno era sicuramente Kakaroth, alla massima potenza, per di più; l’altro doveva essere un amico del tizio che ora si trovava di fronte, perché le loro aure erano sorprendentemente simili, sia per il tipo di energia che emanavano, sia per la loro forza. E Kakaroth stava diventando sempre più debole. Stava avendo la peggio. Vegeta sospirò e si girò verso suo figlio: "Vattene" ripeté, stavolta senza il suo solito tono di rimprovero. "No!" ribatté Trunks sempre più deciso. "Ti ho detto di andartene!" esclamò Vegeta; ora la sua voce era ritornata a essere dura come sempre, il solito timbro che non ammetteva repliche. In quel momento, Trunks si rese conto di quanto raramente suo padre usasse quel tono con lui. "Non combatterò" si arrese infine "Ma resterò qui a vedere". Poi, rivolgendosi verso Pan: "È meglio che tu ti metta al sicuro". "Ma no!" si lamentò la ragazza "Posso essere d’aiuto anch’io, davvero!". Senza una parola, Vegeta riportò la propria attenzione su Anaton. Una frazione di secondo più tardi scattò verso di lui, mentre l’asfalto sotto i suoi piedi si spezzava per la pressione del salto. Anaton parò senza difficoltà il pugno del Principe dei Saiyan, ma Vegeta non si fermò: aveva previsto quella reazione, il suo primo attacco era servito solo per saggiare l’avversario. Mentre il Super Saiyan continuava a tempestarlo di calci e pugni, Anaton non sembrava curarsi di quei colpi che riusciva a fermare con disinvoltura disarmante. Finché non decise che si era stancato. Con un movimento che nessuno riuscì a seguire, con un fluttuare del suo mantello nero, l’uomo dai capelli di due colori si sollevò in volo. Fino ad allora, non aveva fatto che indietreggiare, eppure era evidente che non si trovava in difficoltà: Vegeta si stava stancando rapidamente; la trasformazione in Super Saiyan 2 e il ritmo dei suoi attacchi stavano già chiedendo un pesante tributo alla sua resistenza. Al contrario, Anaton sembrava ancora fresco e riposato come quando aveva incontrato Trunks. Senza perdersi d’animo, il Principe dei Saiyan seguì il suo avversario, ostentando sicurezza: non doveva permettergli di capire in quale posizione di svantaggio si trovasse. Vegeta tirò un pugno con tutta la velocità di cui era capace, ma il suo attacco trapassò solo l’aria. Apparentemente senza nemmeno farci caso, l’uomo in blu si era spostato di lato e aveva afferrato al volo il braccio del suo avversario. Avvicinando pericolosamente il proprio volto a quello di Vegeta, Anaton gli sorrise beffardo: "Perché continui a trattenerti? Guarda che ho capito che non ti stai impegnando veramente". Un attimo dopo, Vegeta si sentì scagliare a terra. Quando Trunks vide il corpo di suo padre schiantarsi tra i campi, capì che era finita. Se non ce l’aveva fatta nemmeno lui, significava che quell’avversario era davvero imbattibile. Eppure, Anaton non sembrava aver distratto l’attenzione dal suo avversario, nonostante paresse battuto. Trunks non impiegò molto ad accorgersi del motivo: l’aura di Vegeta stava aumentando sempre di più, stava crescendo in potenza come non sembrava nemmeno possibile. Da dove il corpo del Principe dei Saiyan era caduto, una colonna di luce abbagliante si levò verso il cielo, un inno dorato che salutava l’arrivo di un guerriero molto diverso da quello che era appena stato sconfitto. Grandi nuvole di polvere, sollevate dalle ondate di energia, fluttuarono in tutte le direzioni. Quando il polverone si dileguò, Vegeta era lì, in piedi dove era caduto, i capelli dorati che scendevano oltre la cintola e le sopracciglia scomparse dal volto. "Avevo detto che quello era solo il riscaldamento, no?" sogghignò rivolto al suo avversario "Adesso si fa sul serio". Con una velocità che definire fulminea sarebbe stato riduttivo, il Super Saiyan 3 si lanciò sul nemico. Forse sorpreso da quell’improvviso aumento di potenza, Anaton non poté fare a meno di prendersi una ginocchiata in pieno stomaco; nonostante le piastre dell’armatura che lo proteggevano, non riuscì a non piegarsi. Una frazione di secondo dopo, le mani intrecciate di Vegeta gli si abbatterono sulla nuca, mandandolo a sbattere violentemente sull’asfalto, allargando grandi crepe sul manto stradale. Il Saiyan non fece nemmeno in tempo a sorridere: il suo avversario volò immediatamente alla sua stessa altezza. Con quel suo tipico sogghigno, Anaton puntò un dito verso il nemico: "Mi sembra giusto. È vero, avevamo detto che quello era solo il riscaldamento. Adesso farò sul serio anch’io, va bene?". Vegeta assunse la sua posizione d’attacco. In quel momento, l’aura del suo opponente stava crescendo in maniera spaventosa. Nonostante il suo orgoglio per essere riuscito a diventare Super Saiyan 3, aveva la certezza di non potercela fare. Ma non voleva scappare. Voleva combattere. Il suo sangue di Saiyan ribolliva all’idea di poter affrontare un nemico tanto forte, ma non poteva evitare di provare una punta di paura. Anaton aprì le braccia in un gesto teatrale: "Arrivo!" esclamò preparandosi a caricare. La fronte di Vegeta era ora imperlata di sudore; vedeva il suo nemico sempre più vicino, lo vedeva volare verso di lui con le mani protese, pronto a ghermirlo in una morsa fatale. Si sentiva quasi paralizzato dalla mera potenza dell’aura del suo avversario. Poi, all’improvviso, Anaton si bloccò e lanciò un’occhiata oltre le sue spalle. "Cosa ci fai qui?" domandò all’uomo che era appena comparso, in piedi a braccia conserte sopra un lampione. Il nuovo arrivato, un tizio dall’armatura viola e il cui volto era nascosto da un pesante trucco, replicò: "Non è il caso di perdere tempo con questi Malkut. Il fatto che ce ne siano ancora non fa differenza, tanto è ovvio che non possono impensierirci". "Sì, ma…" tentò di protestare Anaton. "Non discutere!" sbottò l’altro irritato "Sono venuto a chiamarti: torniamo immediatamente a Yunzabit, ormai abbiamo i mezzi per realizzare il nostro obiettivo". Anaton sembrava essere in soggezione di fronte a quel tale: "Ma… e la faccenda per la quale sono partito?". L’uomo dall’armatura viola sbuffò: "Se non ti fossi fermato a perdere tempo con questi Malkut, l’avresti già risolta da un pezzo! Comunque, ormai non è più necessario che tu faccia quella cosa; torniamo indietro". Nel frattempo, percependo il pericolo, Trunks era volato accanto a suo padre, pronto a combattere se ce ne fosse stato bisogno: "Chi sei?" domandò, forse nella speranza di prendere tempo. Il nuovo arrivato sembrò accorgersi in quel momento della sua presenza. Squadrando il giovane Saiyan con i suoi occhi completamente neri, in cui una linea verticale scarlatta sostituiva le pupille, rispose: "Mi chiamo Adam. E voi adesso potete anche andarvene all’inferno!". Adam sollevò il pollice, l’indice e il medio verso i due Saiyan: "Tabris Blaster!". L’ultima cosa che Vegeta e Trunks videro fu un’ondata di energia violacea che li investiva in pieno.

Adam e Anaton impiegarono solo pochi minuti a raggiungere di nuovo l’altipiano di Yunzabit. Disi, Arton e Mesembria li aspettavano lì. Appena Adam toccò terra, Mesembria gli porse il fagotto che conteneva le Sfere del Drago. Il guerriero dalla corazza viola fece qualche passo, finché non si trovò davanti alla luna piena, alta e splendente. Sorridendo, alzò il fagotto e, con un gesto quasi rabbioso, scagliò in aria le Sfere del Drago. In quel momento, Mesembria fece un passo avanti e pronunciò l’evocazione, così come l’aveva estorta a Piccolo: "Vieni, Dio Drago! Esaudisci il nostro desiderio!". Prima ancora di toccare terra, le Sfere cominciarono a brillare; contemporaneamente, la notte si fece ancora più buia. Le sette Sfere iniziarono a turbinare vorticosamente in aria, girando su se stesse e avvinghiandosi su di un inesistente pilastro invisibile, formando una struttura che ricordava in maniera inquietante la doppia elica del DNA. Poi, sembrarono sparire nella luce, mentre nubi tempestose si addensavano sull’altipiano. Infine, fu tutto silenzio. Adam si guardò in giro. Secondo quanto Mesembria si era fatto dire dal tizio dalla pelle verde, a quel punto sarebbe dovuto apparire un drago. Ma dov’era? Proprio mentre stava per chiedere spiegazioni, le spire verdastre di un’enorme creatura serpentina comparvero tra le nubi. Poi, l’enorme testa del Dio Drago fece capolino, portandosi dietro il suo corpo sterminato. La creatura divina sembrò rivolgersi ad Adam: "Dimmi quali sono i tuoi desideri. Ne esaudirò tre qualsiasi". "Addirittura tre?" domandò Adam sorpreso "Ebbene, comincia a esaudire questo: voglio che, a partire da ora, la luna di questo pianeta incominci a muoversi in modo che si schianti contro la Terra fra due giorni esatti". Gli occhi del Dio Drago brillarono: "Desiderio esaudito. La luna ha cominciato ad avvicinarsi alla Terra e la collisione avverrà fra quarantott’ore esatte". "Bene" sogghignò Adam "Però, mi sono reso conto che sulla Terra ci sono guerrieri che potrebbero distruggere la luna prima dell’impatto… Allora, questo è il mio secondo desiderio: fai in modo che la luna diventi indistruttibile!". "Non posso farlo" replicò il Dio Drago "I combattenti che potrebbero distruggere la luna sono più forti di me, quindi non sono in grado di creare un effetto capace di contrastare i loro colpi". Adam sbuffò seccato. "Va bene, allora facciamo così: rendi la luna immateriale fino al momento dell’impatto con la Terra. In questo modo, i colpi che le venissero lanciati ci passerebbero attraverso senza danneggiarla. E se qualcuno la distruggesse all’ultimo momento, annienterebbe anche questo pianeta". Gli occhi della bestia divina scintillarono di nuovo di una luce rossastra: "Desiderio esaudito. Dimmi qual è l’ultimo". Il guerriero dal volto truccato si grattò il capo. "Mah, non saprei" rispose "Direi che può andare bene così. Non mi serve altro". "E sia!" rispose il Dio Drago "Addio!". Un attimo dopo, le Sfere ricomparvero, per poi volare improvvisamente verso il cielo, dove le nubi erano sparite. Mentre il corpo del drago si smaterializzava, Adam vide le Sfere disperdersi in sette diverse direzioni. Poi, si girò verso i suoi compagni: "Bene, il più è fatto. Adesso possiamo passare alla seconda fase del piano".

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Capitolo 3
*** Part 03 - Fallen God ***


Ray’s

The Sixth

Part 03 – Fallen God

Karin capì all’istante che qualcosa non andava. Quel gatto che racchiudeva in sé la sapienza di secoli aveva imparato a conoscere profondamente i cicli della Terra e l’anomalia nella luna non sfuggì al suo occhio. Il pallido satellite era diventato rosso sangue e, soprattutto, sembrava sempre più vicino ogni momento che passava. "Allora?" domandò Yajirobei portandosi al fianco di Karin e osservando la luna a propria volta "Cosa ci sarà mai da guardare? Quella è solo la luna, non vedi?". Il gatto spostò il capo per lanciare un’occhiata di disapprovazione al rozzo guerriero. Nonostante i suoi modi non esattamente educati, Karin aveva imparato ad apprezzarne la compagnia; se non altro, attenuava la sua solitudine. Il Maestro riportò lo sguardo sulla luna: "Possibile che tu non te ne accorga? La luna ha qualcosa di strano, anche se non riesco a capire cosa… Però…". "Però?" domandò Yajirobei incuriosito. Karin scosse la testa: "Molto tempo fa, quando ancora non abitavo in cima alla Torre di Karin, ho sentito delle storie… Erano delle profezie che riguardavano la fine del mondo e vi si diceva che, quando fosse mancato poco alla distruzione di questo pianeta, la luna sarebbe diventata rosso sangue". Il selvaggio scoppiò a ridere: "Ma dai! Non dirmi che credi veramente a tutte queste storie sull’Apocalisse! E poi, ti ricordo che la Terra è già stata distrutta una volta da Majin Bu, e allora la luna non era diventata rossa!". "È diverso" rispose Karin "Quelle a cui mi riferivo erano profezie riguardanti il ritorno del Dio che creò questo pianeta. Si dice che un giorno verrà per riprendersi ciò che è suo". Proprio mentre Yajirobei stava per replicare, una figura sconosciuta atterrò nel Santuario di Karin. Era una ragazzina ansimante e visibilmente scossa, il volto segnato dalla fatica e dalla paura. La prima cosa che Karin pensò fu che era incredibile che fosse riuscita a volare fin lì; quella non era certo una bambina qualsiasi. Il suo secondo pensiero fu di farle una semplice domanda: "E tu chi sei?". La ragazzina si fermò un attimo a riprendere fiato: "Mi chiamo Pan" rispose infine "Tu conosci mio nonno Son Goku, vero? È stato lui a raccontarmi di questo posto". "Ma guarda!" esclamò Yajirobei con un sorriso "La nipotina di Goku! Chi l’avrebbe mai detto?" così dicendo, le si avvicinò e le batté una mano su di una spalla. Pan era troppo stanca per ricordargli che lei non era una bambina; si rivolse direttamente a Karin: "Mio nonno mi ha raccontato che tu coltivi delle piante magiche in grado di guarire le ferite" la ragazza era disperata fin quasi alle lacrime "Ti prego, dammi quelle piante. Due miei amici stanno morendo e devo salvarli!". Il gatto squadrò la giovane da capo a piedi. Non poté fare a meno di tradirsi con un sorriso: aveva visto Goku da bambino, aveva visto il suo primo figlio e ora vedeva sua nipote. Gli piaceva guardare le nuove generazioni, ma questo non era il momento per i sentimentalismi. Frugò nella sua pelliccia e ne estrasse un sacchetto. Lo aprì e ne tirò fuori un fagiolo. "Guarda," disse a Pan "questo è il Senzu. Basterà che i tuoi amici ne mangino uno e si riprenderanno, per gravi che possano essere le loro ferite. Ma bada, non è in grado di resuscitare i morti. A proposito, chi sono i tuoi amici in pericolo?". Pan afferrò il sacchetto e si alzò in volo: "Vegeta e Trunks!" rispose mentre partiva di nuovo a tutta velocità. "Vegeta?" si chiese Yajirobei mentre guardava la nipote di Goku che si allontanava "Be’, non mi sorprende che sia in fin di vita… Gli si deve essere aperta di nuovo la ferita che gli feci quando lo sconfissi… Eh, già, io sono buono e caro, ma è meglio non farmi arrabbiare!". "Ma sta’ zitto!" sibilò Karin seccato.

Bulma non riusciva a calmarsi; continuava a camminare avanti e indietro per il salotto di casa, mentre Marron, seduta sulla poltrona davanti a lei, era visibilmente a disagio. In piedi appoggiata al muro, a braccia conserte, in una posa che ricordava incredibilmente suo padre, Bra sembrava aspettare la reazione della madre. Appena Trunks le aveva chiesto di andarsene, Marron, sapendo di non poterci fare niente, aveva guidato fino alla Capsule Corporation per avvertire Vegeta, solo per trovare una Bulma preoccupatissima e per apprendere che il Principe dei Saiyan era già uscito di casa. La ex presidentessa, che sembrava sull’orlo di una crisi di nervi, le aveva raccontato che il marito era uscito improvvisamente, senza dire una parola. Non era strano che Vegeta se ne andasse senza avvertire, ma era strano che lo facesse nel cuore della notte, volando e trasformandosi in Super Saiyan un attimo dopo il decollo. Dopo il racconto di Marron, Bulma era rimasta ancora più angosciata: non aveva impiegato molto a capire che Vegeta doveva avere avvertito l’aura di suo figlio che combatteva. Adesso non riusciva a decidersi. Se questo fosse accaduto qualche anno prima, quando era stata più giovane, non ci avrebbe pensato due volte a montare in macchina e andare a vedere. Però, se stare con Vegeta le aveva insegnato qualcosa, questo qualcosa era la temperanza: per avere a che fare con il lunatico Principe dei Saiyan bisognava avere una pazienza fuori dal comune e questa dote acquisita aveva permesso alla donna di non buttarsi a capofitto in una situazione che si sarebbe potuta rivelare deleteria. E poi, aveva pensato a Bra, che sarebbe sicuramente voluta andare con lei, mettendosi così in pericolo. L’unica cosa che poteva fare era aspettare, sebbene quell’attesa la preoccupasse. Quando sentì che qualcuno suonava al campanello, praticamente si precipitò alla porta. Fu stupita, e un po’ delusa, di vedere Goten e Chichi. "Possiamo entrare?" domandò la donna con aria preoccupata. "Oh, certo!" rispose Bulma riprendendosi dalla sorpresa e spostandosi dalla porta per lasciarli passare. Non le era sfuggita l’assenza di Goku e non le servì un grosso sforzo per immaginare dove fosse. "Pare ci sia stata un’emergenza" disse Goten non appena si fu seduto su di una poltrona. "Lo sappiamo già" rispose Bra "Mio padre è uscito di fretta e sembra che Trunks sia stato attaccato". "Già," annuì il figlio di Goku "ho sentito le aure di Trunks e Vegeta che combattevano, ma… " Goten fu sul punto di dire ‘sono scomparse all’improvviso’, ma non gli sembrò che quello fosse il pubblico adatto; si corresse all’ultimo momento: "Ma non ne so nulla di più. Comunque, ho già telefonato a Gohan e abbiamo stabilito di riunirci a casa nostra domani mattina. Sembra che questa emergenza sia anche peggiore di quanto pensassimo" "Perché?" domandò Bulma incuriosita "Che altro è successo?". "Non lo so con precisione, ma Goku è andato chissà dove senza dirci niente. Quando tornerà indietro, mi sentirà! Non si lascia così la propria famiglia, senza spiegazioni" Chichi era abilissima nell’ostentare le lacrime, ed era proprio quanto stava facendo "Forse ha trovato un’altra donna più giovane di me ed è scappato con lei! Mio Dio!". Goten era abituato a queste scene: sua madre fingeva di piangere e Bulma fingeva di consolarla. Era una specie di rituale. Comunque, considerata l’instabilità emotiva di Chichi, pensò di aver fatto bene a non dirle niente dell’enorme aura che aveva percepito combattere contro suo padre. E che sembrava avere avuto la meglio. All’improvviso, avvertì l’avvicinarsi di tre presenze familiari; quasi in risposta alle sue percezioni, nel giro di qualche secondo, Vegete, Trunks e Pan entrarono nel salotto. Padre e figlio sembravano illesi, ma i loro vestiti erano ridotti a brandelli. Marron fu sul punto di balzare dalla poltrona, ma fu trattenuta dall’uscita della padrona di casa. "Mio Dio!" esclamò Bulma correndo loro incontro "Ma cosa vi è successo?" "Niente" sibilò Vegeta respingendo la mano della moglie e infilando la porta per il corridoio. Bulma lo guardò per un attimo allontanarsi, poi si girò verso Trunks con aria interrogativa. "Dammi il tempo di riprendermi" la anticipò il giovane sedendosi accanto alla sua ragazza. Il presidente della Capsule Corporation si appoggiò contro lo schienale della poltrona e respirò profondamente. Non era stanco, ma sembrava psicologicamente provato. Stranamente, Pan taceva.

Il racconto di Trunks non stupì Goten più di tanto: le aure che aveva percepito gli avevano fatto intuire quello che era successo. Dopo la sconfitta di Majin Bu, però sembrava che la pace fosse definitivamente tornata sulla Terra e la comparsa di nuovi nemici, a quanto pareva ancor più terribili dei precedenti, aveva scosso un po’ tutti. Eppure, Goten a parte, tutti i presenti sembravano fiduciosi che Goku avrebbe risolto la situazione come sempre. Evidentemente, Trunks era stato troppo preso dal combattimento per avvertire l’aura del Saiyan più forte dell’universo che veniva sconfitto. Fu Bulma la prima a dire qualcosa di chiaramente discernibile nel vociare che si era formato rapidamente attorno all’argomento della conversazione: "Goten, telefona a Gohan e digli che la riunione si farà qui; ovviamente, tu e tua madre sarete miei ospiti per stanotte". Si girò verso Marron: "Resti anche tu, vero? Forse è meglio che tu avvisi i tuoi genitori di quello che è successo: avranno sentito le aure di Trunks e Vegeta e saranno preoccupati". La ragazza annuì e si alzò per andare a telefonare, mentre Bulma continuava: "Coraggio, state tranquilli! Sono sicura che risolveremo anche questo problema!" "Non lo so" la interruppe Trunks. Tutti i visi si voltarono verso di lui. "Stavolta la vedo davvero difficile" continuò il giovane "Papà si era trasformato in Super Saiyan 3, eppure quel tizio ha sprigionato una potenza superiore… Forse solo Goku potrebbe farcela…" Quasi fosse stato evocato dalle parole del figlio di Vegeta, il Saiyan cresciuto sulla Terra comparve improvvisamente nella stanza. Si vedeva chiaramente che era ridotto male: i vestiti erano laceri e il suo corpo pieno di lividi. "Pan è qui, vero?" domandò respirando affannosamente, mentre il sangue gli gocciolava ancora dalla bocca "Sono stato dal Maestro Karin e mi ha detto di averle dato i Senzu…". Un attimo dopo, Goku crollò a terra.

Marron non riusciva a dormire. Era rimasta in salotto, quasi sdraiata sul divano, con la luce spenta, mentre solo il televisore diffondeva per l’ampia stanza la sua luce bluastra. Sullo schermo, un vecchio film horror narrava l’avventura di un gruppo composto da due militari, una donna incinta e il suo uomo che si nascondevano in un centro commerciale per sfuggire a un’orda di morti viventi. "Quando non c’è più posto all’inferno, i morti camminano sulla terra" aveva detto un prete con una gamba di legno all’inizio della pellicola, presagendo un’apocalisse che sembrava verificarsi in quegli stessi attimi. Di solito, i film horror non piacevano a Marron, soprattutto quelli vecchi: spesso erano un inutile sfoggio di sangue e scene violente, senza che ci fosse una vera trama a sostenere quello che succedeva. Infatti, non stava veramente guardando il film nemmeno stavolta. Stava pensando. Circa un’ora prima, dopo aver telefonato a casa, era tornata in salotto. Trunks le si era avvicinato dicendo qualcosa del tipo: "Mi dispiace che il nostro programma sia saltato". Ovviamente, lei gli aveva risposto con un diplomatico "Non è stata colpa tua". A quel punto, si erano scambiati uno sguardo che le aveva lasciato credere che lui l’avrebbe baciata. Cosa che non era successa. Le era sembrato che il suo ragazzo si fosse guardato attorno e avesse rinunciato all’idea una volta visto che gli occhi di tutti erano puntati su di loro. Ma lui si vergognava forse che stessero insieme? Che problemi aveva a baciarla in pubblico? Sbuffò e si lasciò andare a una smorfia di disgusto mentre, sullo schermo del televisore, un tizio che cercava di passare da un camion a un altro attraverso le portiere veniva azzannato alla gamba da uno zombi. Che idiozia! Ma chi poteva credere a una storia balorda come quella degli zombi? Marron non aveva ancora finito di formulare il pensiero, quando sentì qualcosa che le strisciava sulla spalla. Cacciando un grido stridulo, balzò in piedi e si girò. Quasi arrossì per l’imbarazzo quando si trovò di fronte Bulma. "Non riesci a dormire?" chiese la donna più anziana "Sei preoccupata per quello che è successo?". La ragazza sospirò: "Veramente, stavo pensando ad altro…" "Ah sì?" Bulma si sedette sul divano e fece cenno alla giovane di mettersi accanto a lei "E a cosa, precisamente?". "Be’," Marron si accomodò ma distolse lo sguardo "a Trunks. Voglio dire, lo ha visto stasera, no? Mi chiedo perché sia sempre così freddo quando c’è qualcuno! Certe volte non lo capisco proprio!". Bulma sorrise: "Io potrei dire ‘tale padre, tale figlio’, ma dubito che questo ti sarebbe di qualche consolazione… Comunque, non devi preoccuparti troppo di capirlo: Trunks è fondamentalmente un bravo ragazzo, ma ha una mentalità contorta almeno quanto quella di Vegeta. Il fatto che non ostenti spesso i suoi sentimenti non significa che non tenga a te". "Sì, ma," Marron sembrava a disagio, ma ora guardava la sua interlocutrice dritto negli occhi "il fatto che ci sia qualcosa di lui che mi sfugge non mi piace proprio! Insomma, io pensavo che in una coppia bisognasse condividere tutto e invece…"

"Sai, penso che il motivo principale per cui tante coppie si separano al giorno d’oggi sia che tutti si aspettano qualcosa da qualcuno. Ho letto da qualche parte che gli uomini cercano una donna che li accudisca, mentre le donne cercano un uomo che le protegga… Non ti sembra un’assurdità?"

"Perché? Penso che sia piuttosto naturale"

"Non intendevo questo. Volevo dire che nessuna donna può accudire sempre e comunque il proprio uomo e nessun uomo può proteggere sempre e comunque la propria donna. Non è possibile capire veramente una persona fino in fondo, perché la vita di ciascuno è unica. Bisognerebbe mettersi con qualcuno con l’idea di voler fare qualcosa per questo qualcuno, piuttosto che di trarne un qualche vantaggio". Bulma fu sul punto di scoppiare a ridere: se qualcuno dei suoi amici l’avesse sentita fare un discorso tanto vissuto, non l’avrebbe riconosciuta.

"Quindi, secondo lei, io dovrei chiedermi cosa posso fare per Trunks e basare il mio rapporto con lui su questo?"

"Sì, più o meno… Ma adesso è meglio che andiamo a dormire, no?"

Dietro il divano, Pan aveva praticamente esaurito il suo taccuino per gli appunti.

Era mattina alla Città del Sud. Come tutte le mattine, alle prime luci dell’alba, uno dei più grandi centri urbani del pianeta stava cominciando ad animarsi. La Città del Sud era sempre stato uno dei posti più importanti del pianeta: era lì che si teneva il Torneo Tenkaichi e buona parte dell’economia del posto si basava sul turismo; il clima, che era sempre caldo e soleggiato, garantiva un buon afflusso di gente in qualsiasi stagione: le spiagge di sabbia immacolata e l’intensa vita notturna la rendevano una specie di terra promessa per tutte le età. Ma c’era qualcuno che aveva dei progetti ben precisi per questo posto. Squadrandolo dall’alto di un enorme grattacielo, in piedi sulla sua cima, Arton non poté fare a meno di constatare quanto il mondo fosse cambiato rispetto a come se lo ricordava. Certo, anche ai suoi tempi c’erano state città, e anche più grandi di questa; ma lo stile dell’architettura e la gente che ci era vissuta erano stati completamente diversi. Mentre soppesava inconsciamente la propria falce, che teneva appoggiata mollemente sulla spalla destra, il guerriero dal mantello lacero pensò che non sarebbe stata una grande perdita, dopotutto. Bisognava cominciare. Con un sogghigno, Arton aprì il suo manto verdastro, in un gesto teatrale ma necessario. Aveva passato la notte precedente a rovistare tra ciò che restava di luoghi che gli erano stati familiari, alla disperata ricerca di una sola cosa. Quando il suo mantello si aprì, un nugolo di cavallette brunastre ne uscì velocemente, volando sulla città e sciamando per le vie. Sembrava che dal manto uscissero molte più cavallette di quante fosse possibile contenerne: erano milioni, forse miliardi. Le poche persone che erano già per strada a quell’ora mattutina furono spaventate da quanto videro: nubi di insetti che si estendevano in cielo, per poi calare come uccelli da preda su qualsiasi cosa si muovesse. E chi era abbastanza sfortunato da trovarsi sulla strada delle cavallette poteva vederne chiaramente l’aspetto: creature mostruose dal volto umano e dalla coda di scorpione, che conficcavano il maligno aculeo in chiunque incappasse in loro.

Alla Capsule Corporation, Goku fu il primo a svegliarsi. Appena arrivato a casa di Bulma, la notte precedente, gli era stato dato un Senzu: le sue condizioni fisiche non potevano essere migliori. Eppure, non era affatto contento. L’ultima cosa che ricordava del combattimento contro quel tale chiamato Disi era un pugno che sfondava la sua Onda Kamehameha e gli finiva dritto in faccia. Poi aveva perso i sensi: evidentemente, il suo avversario doveva averlo creduto morto. O forse, non aveva ritenuto opportuno dare il colpo di grazia a qualcuno che non avrebbe comunque avuto alcuna possibilità di sconfiggerlo. Entrando in salotto ancora un po’ assonnato, vide una gamba che spuntava dal divano. Si chiese di chi fosse, ma conosceva già la risposta: addormentato lì, c’era Vegeta. Sentendo il vecchio rivale avvicinarsi, il Principe dei Saiyan aprì gli occhi: "Che diavolo ci fai qui, Kakaroth?". "Non ti hanno detto niente della riunione?" "Quale riunione?" sbottò Vegeta mettendosi a sedere "Io ho passato tutta la notte ad allenarmi. Non dirmi che stanno per arrivare anche tutti i tuoi maledettissimi amici!". Goku sogghignò: "Ho paura di sì". Senza una parola, solo con una smorfia seccata, il suo interlocutore si alzò e fece per uscire dalla stanza.

Neanche mezz’ora dopo, il salotto della casa si Bulma era stipato di gente: Gohan, Videl, Crilin, 18 e Yamcha erano stati avvertiti per telefono; nessuno aveva però avuto modo di rintracciare Tenshinhan e Jiaozi. Bulma, Crilin, Marron, Yamcha, Gohan e Videl si erano distribuiti tra le poltrone e il divano, formando un rozzo semicerchio. 18 era in piedi dietro al marito, mentre Pan stava seduta per terra, davanti ai propri genitori; Goku e Trunks si erano messi al centro del ‘pubblico’, pronti a relazionare su quanto era successo. Solo Vegeta, come era suo solito, era rimasto in disparte, appoggiato a una parete con le braccia incrociate. Bra lo stava imitando dalla parte opposta della stanza. Tutti ascoltarono i racconti di Goku e Trunks, ma nessuno ne fu particolarmente sorpreso: le aure che avevano avvertito durante la notte erano state abbastanza eloquenti. In sostanza, gli elementi che riuscirono a ricavare da quella riunione furono ben pochi: tre dei loro nemici si chiamavano Disi, Anaton e Adam; in qualche modo, avevano il potere di rivoltare le persone contro i propri amici, come avevano fatto con Piccolo; erano dotati di una forza mostruosa e, stando a Vegeta, il più potente di tutti doveva essere Adam. Il che era tutt’altro che confortante, visto che la forza di un Super Saiyan 3 si era dimostrata nettamente inferiore a quelle di Disi e Anaton. "C’è una cosa di quei due che mi ha colpito" considerò Trunks "Loro hanno chiamato me e mio padre ‘Malkut’. Quando ci hanno visti, hanno detto che eravamo ‘Malkut senza sigillo’, o qualcosa del genere. Possibile che con quel termine identifichino i Saiyan? E, ammesso che sia così, come possono conoscerli?". "Forse io lo so" suggerì Crilin "Non può essere che quei tre siano superstiti di una razza sterminata dai Saiyan? Forse sono extraterrestri venuti sul nostro pianeta per vendetta, no?". Tutti gli sguardi si puntarono verso Vegeta. Il Principe dei Saiyan capì quello che gli altri volevano: "Quelli erano terrestri" sentenziò "Non capisco come potessero essere tanto forti, ma erano terrestri. E poi, non erano interessati a noi: a giudicare dalle parole di quell’Adam, sembra che avessero obiettivi di altro tipo e che abbiano incontrato Trunks per puro caso" "Già," annuì Trunks "e non dimentichiamoci che la mia è solo un’ipotesi: ho pensato che il termine ‘Malkut’ indicasse i Saiyan, ma non posso avere la certezza che le cose stiano in questo modo". "Io, invece, ho notato un altro fatto:" esordì Goku "quando quel Disi ha espanso la sua aura, mi sono reso conto che avevo già sentito qualcosa del genere. Il tipo di energia che sprigionava era molto simile al potere che Gohan ha ottenuto dopo essersi sottoposto al trattamento del vecchio Kaiohshin per combattere Majin Bu". Gohan balzò in piedi dalla poltrona: "Ma come è possibile? Significa che ha la mia stessa forza?". "Non intendevo questo" precisò suo padre "Anzi, sono sicuro che la sua potenza sia anche superiore alla tua. Non è una questione di quantità, ma di qualità. Aveva lo stesso tipo di aura". "Be’," suggerì Bulma "allora perché non vai a chiedere come stanno le cose ai Kaiohshin? E se quei tizi fossero legati a loro in qualche modo?". "Non è una cattiva idea!" esclamò il Saiyan "Aspettate un attimo, vado a informarmi". Un secondo dopo, era scomparso.

Il Pianeta dei Kaiohshin era il luogo più sacro dell’universo. Era il posto dove si riunivano le divinità superiori che dominavano lo spazio. Era un luogo dove non c’era posto per il vizio e la malvagità. Sul Pianeta dei Kaiohshin vigevano l’ordine e la serenità più assoluti. Il vecchio Kaiohshin, l’antica divinità che era stata imprigionata per secoli nella Z-Sword, riteneva che questa pace fosse indispensabile per le sue letture. Comodamente seduto all’ombra di un albero, teneva il naso tra le pagine di un pesante tomo dall’aspetto vetusto. Pochi metri più avanti a lui, il suo giovane successore, ormai irrimediabilmente fuso con il suo subalterno Kibith grazie ai Potara, era impegnato in una pratica molto poco divina. Si trovava all’interno di un grosso recipiente di legno, immerso fino alle ginocchia nell’uva che aveva pestato con i piedi fino a qualche minuto fa. Con una nota dubbiosa nella voce, il dio più giovane si rivolse al suo superiore: "Ma è proprio sicuro che questo sia un rimedio infallibile per guarire i mali dell’universo?" domandò perplesso. Pigiare l’uva non gli sembrava una grande impresa. "Certo!" replicò il Kaiohshin più anziano sollevando la testa dal libro "Vedrai quando potremo bere del vino decente! Tutti i mali dell’universo scompariranno d’incanto!". Il Kaiohshin che pigiava l’uva non sembrò per niente convinto, forse perché non aveva colto il nesso tra il lavoro che stava facendo e il fatto che, tra breve, il suo superiore avrebbe bevuto del vino. "Ma scusi," domandò "non potrebbe fare lei questa fatica? In fondo, lei sarà più esperto di me, e…" "Sta’ zitto!" sbottò l’anziana divinità, visibilmente irritata "Non vedi che sono occupato? Sto leggendo i Sacri Testi dell’Universo! Sono una lettura importantissima per un Kaiohshin! Fa’ il tuo lavoro e forse lascerò che ci dia un’occhiata anche tu!". Ecco, questo gli piaceva. Succedeva molto di rado che il giovane Kaiohshin fosse tenuto in qualche considerazione dal suo avo, e l’idea di poter leggere quel libro gli diede nuovo vigore. Sperava solo che nessuno lo vedesse in quelle condizioni. Goku si materializzò davanti a lui. Kaiohshin restò istantaneamente paralizzato per l’imbarazzo. Il Saiyan si avvicinò alla divinità incuriosito. Lo squadrò da capo a piedi, poi diede un’occhiata nel recipiente. Ne estrasse un acino d’uva ancora intatto e se lo infilò in bocca. "Cosa stai facendo?" chiese non troppo convinto. "È un rituale per eliminare il male dall’universo" replicò il Kaiohshin ancor meno convinto. Goku annuì: "Sì, sì, vai avanti, che ce n’è proprio bisogno".

Proprio mentre il vecchio Kaiohshin era arrivato a un punto fondamentale della lettura, un’ombra si proiettò sull’oggetto della sua attenzione. L’anziano dio alzò lo sguardo per incontrare quello di Goku: "Cosa ci fai qui?" gli chiese seccato. "Be’," spiegò il guerriero "il fatto è che la Terra è in pericolo e speravo che tu sapessi qualcosa a proposito dei tizi che la stanno attaccando". "La Terra?" domandò il Kaiohshin "In pericolo? Ancora? Ma non sarai tu ad attirare le disgrazie?"

Goku sorrise imbarazzato: "Sai, non sei il primo che me lo dice…"

"Be’, comunque non ho tempo per preoccuparmi di un pianeta insignificante come la Terra! Non vedi che sono impegnato?" il Kaiohshin alzò la copertina del libro verso il proprio interlocutore. "Non potrò aiutarti finché non avrò finito questa fondamentale lettura; sono arrivato proprio ora a un punto particolarmente importante…"

"Davvero?" Goku, divorato dalla curiosità, cominciò a tirare il libro "Ma è veramente così interessante? Dai, fammi vedere!".

Il dio non sembrava intenzionato a cedere il libro; ben presto, lui e il Saiyan si trovarono a tirare il volume ciascuno verso di sé, in una specie di infantile gioco che, nonostante l’età adulta dei due, sembrava si addicesse molto alla maturità di entrambi. Non ci volle molto prima che Goku avesse la meglio: tirando verso di sé con un energico strattone, strappò il libro alle mani del suo proprietario. In quel momento, dal tomo cadde una rivista semiaperta che il Kaiohshin aveva evidentemente nascosto tra le pagine. Goku lanciò un’occhiata a quella copertina familiare. Riconobbe due elementi: la foto di una donna in bikini e l’enigmatica scritta "Playboy". Ricordava di aver visto una rivista simile in mano a Goten qualche anno prima e che suo figlio si era rifiutato di fargliela leggere. Da allora, aveva sempre avuto la curiosità di vedere che tipo di contenuti proponesse. Distogliendo la propria attenzione dal libro, si chinò verso la misteriosa pubblicazione: "Allora era questo che stavi leggendo!" commentò, sempre più incuriosito. Non fece in tempo a toccare le tanto bramate pagine: un raggio di energia sparato dal dito del vecchio Kaiohshin incenerì la rivista sul posto. "Ehi!" esclamò il Saiyan risentito "Volevo vedere anch’io!" "Non puoi!" replicò il dio soffiando via il fumo che gli saliva dall’indice "Quello è un testo sacro! I mortali non possono posarvi gli occhi!". Goku stava per replicare che anche suo figlio aveva letto quel testo sacro, ma la voce del giovane Kaiohshin lo precedette: "Signore, cosa stava leggendo?" "Niente!" si difese l’anziano dio "Anzi, stavo leggendo il libro! Te l’avevo detto, no?". Il vecchio Kaiohshin sentì pressante l’urgenza di cambiare argomento; si rivolse a Goku: "E allora? Spero che tu abbia un buon motivo per avere interrotto i miei importantissimi studi. Perché sei qui?". Ripromettendosi di chiedere a Goten informazioni su quella misteriosa rivista, il guerriero spiegò brevemente la situazione. Dei nuovi nemici, ancora più forti di Majin Bu, avevano attaccato la Terra e sembrava che le loro aure fossero simili a quelle delle divinità superiori. Inoltre, sia Goku che Vegeta avevano avuto l’impressione che quei nemici fossero terrestri, quindi era improbabile che fossero alieni. Infine, sembravano conoscere i Saiyan e li chiamavano Malkut.

Dopo aver ascoltato il racconto con apparente attenzione, il vecchio Kaiohshin scosse il capo: "E cosa dovrei saperne io?". Goku restò sbalordito per u attimo: "Ma come sarebbe? Tu non dovresti essere onnisciente?" "Sì, ma ogni tanto mi distraggo. E poi, non dimenticare che ho passato gli ultimi millenni chiuso nella Z-Sword, dalla quale percepivo ben poco di quello che accadeva al di fuori di questo posto sacro" replicò il dio seccato. "Scusate!" intervenne il giovane Kaiohshin uscendo dal recipiente "Forse io ne so qualcosa…". Gli sguardi degli altri due presenti si spostarono su di lui. "Davvero?" domandò Goku. "Be’, in realtà è solo un’ipotesi. Quella parola che hai usato, Malkut, è il nome della prima Sephiroth"

"La prima che?"

"Oh, già, tu non puoi saperlo… Qualche tempo fa ti raccontai che, all’epoca della creazione di Majin Bu da parte di Bibidy, io ero il Kaiohshin più giovane, no? Ebbene, avevo appena conquistato la mia posizione, perché il Kaiohshin che la aveva occupata prima di me era stato… Come dire, destituito…"

"Destituito?" chiese Goku "Cosa significa?"

"Come termine, non è proprio esatto… Diciamo che era stato scacciato qualche secolo prima dal mondo degli Dei Kaioh. Il fatto è che questo Kaiohshin caduto aveva delle idee che furono ritenute eretiche dai suoi colleghi. Sosteneva che i mortali si sarebbero potuti elevare al grado divino, se solo avessero avuto coscienza delle proprie possibilità. In sostanza, secondo il Kaiohshin caduto, esiste un percorso evolutivo che i mortali possono seguire e le tappe di questo percorso si chiamano Sephiroth; arrivare a nuove Sephiroth avrebbe significato acquisire una nuova consapevolezza e riuscire a completare la scala delle Sephiroth avrebbe portato allo status di divinità"

"E che fine ha fatto questo Kaiohshin dopo essere stato cacciato?"

"Be’, il suo scopo era quello di diffondere queste sue teorie tra i mortali, in modo che potessero sfruttarle; solo che nessuna delle razze di esseri viventi che popolavano la galassia a quel tempo sembrava adatta per ricevere quel tipo di conoscenza, anche se non ne ho mai capito il motivo. Così, il Kaiohshin caduto trovò un pianeta privo di forme di vita intelligenti e ne creò una che potesse assorbire il suo sapere. Avrai già intuito che mi sto riferendo alla razza umana, le creature che lui chiamava Lilim"

"Cosa? Ma allora i terrestri sono stati creati dal Kaiohshin caduto?"

"Non posso averne la certezza, perché tutto questo accadde prima che io arrivassi a occupare la mia posizione. Però, è quanto mi è stato raccontato dagli altri Kaiohshin"

"E cosa accadde poi?"

"Questo non lo sa nessuno. Sembra che il Kaiohshin caduto sia morto, ma le cause della sua fine sono ignote. Fatto sta che io e i miei colleghi, per lungo tempo, non riuscimmo a capire se il nostro ex compagno fosse riuscito nel suo intento di infondere la conoscenza delle Sephiroth alla sua progenie. Nel giro di qualche secolo, però, la razza umana non dimostrò alcun segno di voler ascendere al rango divino, così lasciammo perdere la questione. Poi ci fu quel cataclisma che quasi causò la fine dell’umanità e questo cancellò definitivamente dalla Terra ogni ricordo del dio che ne aveva creato gli abitanti"

Goku si grattò la fronte; faceva fatica a seguire quel discorso: "Quale cataclisma?"

"Be’, questa è un’altra cosa che non conosco esattamente. Fatto sta che, circa un migliaio di anni fa, la civiltà umana fu quasi distrutta da una catastrofe di proporzioni inaudite, che per poco non annientò l’intero pianeta. I pochi sopravvissuti regredirono a uno stato primitivo e incominciarono la ricostruzione di quanto avevano perduto. La civiltà che esiste oggi sulla Terra è il risultato di quella ricostruzione, anche se i terrestri non sembrano esserne consapevoli"

"Oh, non riesco a capire le cose troppo complicate!" esclamò il Saiyan massaggiandosi la fronte "E poi, io non ho mai sentito parlare di questa civiltà perduta"

"Credo che ne resti qualcosa… Una delle loro città più grandi era nel deserto meridionale del vostro pianeta. Perché non vai a controllare?".

Arton atterrò lentamente nel bel mezzo della strada e si guardò in giro. Quella che solo mezz’ora prima era stata una popolosa città era ora ridotta a un irriconoscibile manicomio, nel quale orde urlanti di persone impazzite correvano per le strade nel vano tentativo di sfuggire alle cavallette umane dal volto di scorpione. Colore che erano già stati punti dagli insetti demoniaci avevano le reazioni più disparate: alcuni avevano afferrato un qualche oggetto contundente e stavano distruggendo qualsiasi cosa capitasse loro sottomano, apparentemente a caso; altri si agitavano a terra in preda a un dolore lancinante; altri ancora erano immobili, con lo sguardo fisso nel vuoto. La natura delle cavallette era proprio questa: la loro puntura non uccideva, ma causava un dolore che portava alla pazzia in brevissimo tempo. Chi si era trovato in macchina la momento di essere punto aveva cominciato a investire passanti o si era schiantato contro un muro; chiunque si fosse trovato con un’arma in mano, l’aveva rivolta contro gli altri o contro se stesso. La città era in preda al caos più totale. Le forze dell’ordine e i giornalisti, che avevano cercato di avvicinarsi al perimetro urbano, erano stati coinvolti in quell’orgia di violenta follia, che aveva ormai lasciato i confini cittadini per dirigersi a nord. Osservando la distruzione che le sue creature avevano indirettamente causato, Arton non poté reprimere un sorriso di soddisfazione. Da una parte, una donna stava pestando il corpo di un tale con una spranga di ferro, probabilmente senza accorgersi di averlo già ucciso, incurante del sangue che le schizzava addosso; altrove, un uomo stava cercando di suicidarsi affogandosi con l’acqua che schizzava fuori da un idrante che aveva rotto; altrove, un’allegra famigliola in auto si divertiva a colpire con le portiere chiunque si trovasse sui fianchi della macchina, evitando accuratamente coloro che invece erano direttamente sulla traiettoria per essere investiti; altrove, un ragazzo di colore con i capelli pettinati in una cresta attendeva immobile la sua fine, mentre le cavallette sciamavano verso di lui per infilzare i propri pungiglioni nelle sua carni. Fu solo quando gli insetti furono a pochi metri dal giovane che Arton vide qualcosa che lo turbò profondamente: dal corpo del ragazzo esplose un’aura fiammeggiante che incenerì le cavallette in volo. Il guerriero dal lacero mantello decise che era il caso di andare a vedere. Si fermò a un paio di metri dall’oggetto della sua curiosità, squadrandolo con interesse. Nonostante non sembrasse possedere chissà che strane caratteristiche, era evidente che fosse diverso da chiunque altro. "Ti stai divertendo?" domandò Arton con una punta di sarcasmo "Non sai che uccidere questi insetti divini è un sacrilegio?". "Sei tu che stai commettendo un sacrilegio" sibilò Ub girandosi verso il proprio interlocutore "Ma ora hai finito di fare i tuoi comodi!".

"Ma guarda!" Arton picchiò a terra il manico della falce "E vorresti essere tu a impedirmi di fare i miei comodi?". Senza aggiungere una singola parola, Ub mirò un pugno al volto dell’uomo, solo per trovare il suo colpo bloccato dall’avambraccio dell’avversario; meno di un secondo più tardi, i due si erano già scambiati una quantità impressionante di attacchi, muovendosi a una velocità troppo elevata perché chiunque potesse seguirla. Quando si fermarono, entrambi erano in aria, a una trentina di metri dal suolo. "Sembri diverso dagli altri" commentò Arton "Non pensavo che i Lilim di quest’epoca avessero acquisito una tale forza. Inoltre, mi è stato detto che ci sono anche almeno tre Malkut senza sigillo… Sei per caso un loro amico?". "Non so di cosa tu stia parlando!" esclamò Ub "Piuttosto, ritira quelle cavallette! Sei l’unico che non attaccano, quindi la loro presenza qui deve essere opera tua!"

"Certo che è opera mia, ma non ho alcuna intenzione di richiamarle. La scorsa notte mi sono fatto un viaggio piuttosto lunghetto per andarle a prendere da dove erano state lasciate e non mi va di buttare all’aria il mio lavoro"

"Maledetto…" Ub guardò sotto di sé, dove, per le strade della città, le persone stavano scappando in preda al panico o erano già cadute vittime della pazzia che la puntura delle cavallette provocava "Ti rendi conto di quello che stai facendo? Perché vuoi che muoia tanta gente?"

"Perché fa parte del piano. Noi dobbiamo portarlo a termine a ogni costo"

"Di quale piano stai parlando?"

"Semplice: del piano che salverà questo mondo e che lo ripulirà dal peccato. Sappiamo esattamente cosa dobbiamo fare"

"Tu e chi? Cosa avete in mente?"

"Io e i miei compagni, naturalmente. E vuoi sapere qual è il nostro scopo?" Arton scoppiò a ridere: "Ve bene, te lo dirò, ma per te sarebbe stata meglio l’ignoranza. La storia di questo pianeta è stata scandita da grandi catastrofi, che hanno portato all’estinzione periodica di buona parte delle forme di vita che lo abitavano. Fino a ora ci sono state cinque estinzioni globali sulla Terra, ciascuna delle quali ha visto la scomparsa di molte specie di animali e piante. Ebbene, ti annuncio che tra poco si verificherà la sesta estinzione globale, nella quale tutta la vita della Terra sarà distrutta. Guarda lassù" Arton indicò il cielo; con circospezione, Ub alzò lo sguardo. Nonostante fosse mattina, la luna era ancora chiaramente visibile, pallida e traslucida, avvolta tra le nubi. "Vedi?" chiese il guerriero dall’armatura verde "Abbiamo usato le Sfere del Drago per chiedere che la luna entri in rotta di collisione con la Terra. Mancano meno di due giorni ormai". Ub inorridì a quella rivelazione. Era vero, la luna era anormalmente vicina. A questo punto, c’era un’unica cosa da fare: il ragazzo levò un braccio verso il satellite e sparò un raggio di energia. Distruggere la luna non era una buona idea, ma non c’era altra scelta. E invece, la raffica scagliata dal giovane passò attraverso il planetoide senza danno. Arton ridacchiò: "Bel tentativo, ma è inutile. Ti ho detto che abbiamo usato le Sfere del Drago, no? La luna diventerà completamente tangibile solo al momento dell’impatto, quindi non puoi distruggerla. Però, io posso distruggere te!". Ub non fece nemmeno in tempo a udire quella frase: sentì il sibilo della falce che tagliava l’aria e abbassò il capo un momento prima che l’arma passasse dove si era trovato. Rispose con un pugno mirato all’addome, ma il suo avversario era già scomparso, per riapparire qualche metro sopra di lui. Il ragazzo bloccò il calcio del nemico con l’avambraccio, ma la forza del colpo lo scagliò verso il basso; riuscì a frenare solo a qualche centimetro dall’asfalto della strada e alzò lo sguardo alla ricerca del nemico. Niente. "Sono qui" mormorò Arton alle spalle del giovane. Subito dopo, Ub si sentì afferrare per i capelli e vide il mondo che gli roteava intorno, mentre il nemico lo faceva girare vorticosamente. Poi, il muro di un palazzo gli arrivò addosso. Si accorse solo dopo l’impatto che era stato lui a finirci contro, scagliato dal suo avversario. Mentre le macerie gli crollavano sulla schiena, fece per rialzarsi, incurante del dolore. Emerse dai detriti e si guardò in giro. Niente da fare, quel tizio era scomparso ancora. Quando sentì un calcio che lo colpiva sopra la testa, si rese conto di dove fosse finito. Cercò nuovamente di rimettersi in piedi, ma fu anticipato: Arton lo afferrò per il vestito e lo sollevò finché le loro facce non furono una davanti all’altra. "Non c’è modo in cui tu possa battermi" disse con una punta di scherno "Ora offrirai il tuo corpo alle cavallette demoniache, come hanno già fatto gli abitanti di questa città. Guarda!". Arton girò il viso di Ub, in modo che potesse vedere gli insetti infernali sciamare ovunque. Ma non vide niente. Le strade erano ormai stranamente deserte. Le cavallette sembravano essere scomparse in un attimo. Al loro posto, c’era un bizzarro essere rosa, una creatura che sembrava fatta di plastica, grassa e con un lungo peduncolo che le spuntava dal centro del capo e si proiettava all’indietro. Al suo corpo appiccicoso erano attaccate migliaia di cavallette, imprigionate dall’apparente viscosità di quel grasso innaturale. Un attimo dopo, la creatura rilasciò gli insetti, ormai morti e innocui. "Mr. Bu…" mormorò Ub prima che Arton mollasse la presa e lo lasciasse cadere a terra.

Se qualcuno avesse chiesto a Mr. Bu perché si fosse trovato lì, non avrebbe saputo rispondere. A un certo punto, aveva sentito l’impulso a precipitarsi in quella città devastata e non aveva saputo resistere. Quando poi aveva visto il ragazzo che veniva malmenato dal tizio con il mantello lacero, aveva capito. Era arrivato per aiutarlo, anche se ancora non riusciva a capire perché si sentisse tanto vicino a lui. D’altra parte, Mr. Bu non poteva sapere che Ub era la reincarnazione del suo alter ego malvagio, il demone che aveva distrutto la Terra e che era stato sconfitto dalla Sfera Genkidama di Goku. L’unica cosa che sapeva era che doveva aiutarlo. Aveva annientato le cavallette scorpione quasi senza volerlo: gli si erano precipitate addosso ed erano rimaste invischiate nella carne soprannaturale che componeva il suo corpo, creato da uno stregone millenni prima. Ora, però, capiva di essersi infilato in un guaio dal quale non sarebbe potuto uscire facilmente. Arton si avvicinò a grandi passi al demone pentito; si era sistemato la falce su di una spalla e sembrava essere intento a valutare il nuovo arrivato con occhio critico. "Che roba sei?" gli chiese poi senza alcun apparente motivo. Bu restò per un attimo sorpreso da quella domanda e questo lasciò al guerriero la possibilità di continuare senza attendere una risposta: "Negli ultimi millenni, questo pianeta è diventato proprio strano… Ci vivono degli individui verdi con quattro dita e le antenne in testa, ci sono dei Malkut senza sigillo e adesso vedo anche una roba strana come te… Le cose stanno veramente andando a rotoli; c’è davvero bisogno di una sesta estinzione globale". Mr. Bu restò di nuovo in silenzio. Quel tizio sembrava innaturalmente calmo. Non aveva mai incontrato un avversario che potesse tenergli testa in quel modo sul piano psicologico; neppure il suo alter ego malvagio e Son Goku, seppure più forti di lui quando li aveva combattuti, erano rimasti altrettanto impassibili in sua presenza. Benché Bu apprezzasse un combattimento contro un avversario forte, questa volta si sentiva sconfitto ancor prima di iniziare, soverchiato da un senso di impotenza che scuoteva ogni cellula del suo essere. Arton continuò: "Sicuramente non sei umano. Sai, ho l’impressione che tu potresti sopravvivere alla distruzione della Terra e persino esistere nello spazio cosmico. Quindi è meglio che ti faccia fuori io qui e subito". Era quello che Mr. Bu aspettava: voleva solo la conferma che avrebbe dovuto combattere contro quel tizio. Per qualche strano motivo, aveva pensato che la cosa fosse evitabile… O forse era stata solo la sua paura a trattenerlo fin ad allora. Ora che non c’erano più dubbi, però, prese l’iniziativa. Proiettò il suo braccio destro in avanti, coprendo in un attimo i quattro metri circa che separavano i due combattenti; l’arto rosato, allungandosi come un elastico, si avvolse attorno al collo dell’uomo dai capelli bianchi e neri, che si sollevò in volo nel tentativo di liberarsi. La velocità del movimento, dapprima bassa, aumentò sempre più, diventando ben presto insostenibile per un comune essere umano; nessuno dei due combattenti, però, rientrava in questa categoria. Quando i due si trovarono a molti metri dal suolo, avvolti in candide nubi, il volo si arrestò, ma niente era cambiato: il braccio di Bu era ancora avvolto attorno al collo del nemico. Sogghignando, Arton lo tagliò con un colpo di falce, ma l’arto non mollò la presa: quasi fosse stato dotato di vita propria, continuò a stringere come una morsa sulla trachea del guerriero dall’armatura verde. Il demone approfittò dell’occasione per attaccare: lanciandosi sul nemico, lo centrò con un pugno all’addome. Quando fece per girarsi al volo e tirare un calcio al viso, però, la guardia del suo avversario era già tornata solida: l’attacco fu bloccato da un avambraccio e la risposta fu un pugno che affondò profondamente nel corpo molle di Bu. Arton sembrava sorpreso: non si era aspettato quella situazione, che però era stata preventivata dal suo avversario. Bu conosceva le caratteristiche del proprio corpo e aveva intenzione di sfruttare questo suo vantaggio, almeno finché fosse durato. E durò poco: con un rabbioso strattone, Arton liberò l’arto e sprigionò un’ondata di energia dal proprio corpo. Il braccio gommoso che ancora gli cingeva il collo si spezzò e cadde mollemente al suolo; Mr. Bu venne sbalzato a una decina di metri di distanza, prima di poter recuperare il controllo. Brandendo la falce, il combattente ammantato si lanciò a propria volta sull’avversario con un sogghigno inquietante sulle labbra. Bu schivò i primi due fendenti della lama seghettata, ma il terzo gli lacerò l’ampio ventre. Il quarto tagliò in due il suo corpo trasversalmente, sotto l’ascella destra e sopra la spalla sinistra. Il quinto troncò in due la testa sul piano verticale. Poi, Arton puntò il palmo della mano destra verso il demone e ne lasciò scaturire un’esplosione di energia verdastra, che investì i pezzi del nemico, incenerendoli in aria. Mentre guardava quel poco che rimaneva di Bu cadere verso il terreno, Arton si concedette un sorriso. O almeno, pensò di concederselo: prima ancora che la sua bocca si fosse completamente contratta, le ceneri del demone avevano preso a turbinare incontrollate, riunendosi velocemente a mezz’aria e ricomponendo in un attimo il corpo dal quale erano state generate. "Bu!" esclamò il demone tornando alla vita. Senza ulteriori indugi, Mr. Bu decise di approfittare dell’elemento sorpresa: volò verso il nemico e lo colpì con due pugni uno dopo l’altro; poi, gli tirò un calcio alla mandibola, spedendolo parecchi metri indietro. Ma Bu non permise che quel volo forzato arrivasse alla fine: si portò direttamente sopra il nemico e lo colpì con una testata in pieno ventre, mandandolo a cadere vertiginosamente verso il basso, facendolo schiantare contro la strada asfaltata. Quando Bu toccò terra, Arton si rialzò. Sempre sorridendo. Sembrava non aver subito danni. "Sei patetico" sentenziò "Come pretendi di potermi ferire con dei colpi tanto deboli? Forse prima avresti anche potuto farmi un graffio, ma ormai…". La creatura dal corpo gommoso si fermò per la sorpresa: cosa intendeva dire quel tale? "Confesso di essere rimasto sorpreso dalla tua capacità di rigenerazione," commentò Arton "ma c’è qualcosa che non hai considerato. Io sono Arton, la Pestilenza, e la mia falce non è un’arma qualsiasi. La sua lama è la putrefazione, la corruzione di ciò che è vivo. È mio il permesso di portare su questo mondo la Morte e tu non fai eccezione. Il tuo corpo è stato colpito dalla falce e questo significa che il tuo destino è segnato: non ho bisogno di difendermi dai tuoi attacchi". Prima ancora che il triste messaggio fosse terminato, Bu cominciò a notare qualcosa di strano su di sé: nei punti in cui era stato colpito dai fendenti fatali, la sua carne di demone stava iniziando a sfaldarsi, a marcire, a decomporsi. Stava praticamente crollando su se stessa, quasi che le parti di lui che erano state offese dai fendenti stessero divorando tutto il resto del suo corpo. Per una creatura che poteva rigenerarsi a partire dalle proprie ceneri, questa era l’esperienza più aberrate che potesse esistere. Bu vide il proprio corpo crollare in pezzi marcescenti, vide il rosa della sua carne diventare un grigio polvere sgradevole e privo di vita. Capì che era arrivato il momento che aveva creduto di non dover mai affrontare: la morte. Prima che il suo corpo si riducesse definitivamente in cenere, stavolta senza speranza di rinascere, riuscì a gridare quell’unica parola che aveva cambiato la sua vita, che gli aveva fatto capire quanto fosse importante avere degli amici e quanto fosse stupido uccidere degli esseri viventi per gioco: "Sataaaaan!".

Ub riprese conoscenza al sentire il grido di dolore del suo alter ego. Quando aveva visto arrivare Mr. Bu, aveva pensato che svenire non sarebbe stata una cattiva idea. Dopotutto, aveva avuto bisogno di riposo. Ora, tutto quello che restava del demone amico degli uomini era il braccio che aveva cercato di strangolare Arton, caduto a terra proprio davanti al ragazzo. Istintivamente, Ub allungò la mano verso quel pezzo di materia demoniaca inerte. Non sapeva perché, ma si sentiva legato a esso come a un vecchio amico. Non riuscì a reprimere una lacrima al pensiero della fine di quel mostro che aveva incontrato poche volte e per la forza del quale aveva sempre provato un timore reverenziale. Poi, il braccio di Bu sembrò sciogliersi e fondersi con la mano di Ub. Mentre le cellule del demone si mescolavano incontrollate con le sue, il ragazzo sentì una forza incredibile fluire in lui.

Un’esplosione di luce portò Arton a girarsi, distogliendo lo sguardo dallo spettacolo dello scempio del suo avversario. Quando vide chi c’era al centro di quell’esplosione, non poté reprimere una smorfia sorpresa: il ragazzo di prima si era rialzato. Solo che ora la sua pelle aveva una tonalità più chiara e i suoi vestiti erano cambiati: indossava un gilet nero e dei larghi pantaloni bianchi. "Ora so tutto…" mormorò Ub "Adesso che siamo tornati a essere uno, so chi era realmente Majin Bu e chi sono io. So che eravamo uniti un tempo e che era destino che ci riunissimo. E adesso, comincia il secondo round!"

Quando Goku ricomparve nel salotto di Bulma, dovette impiegare una mezz’ora abbondante per ricordarsi con esattezza tutto quello che Kaiohshin gli aveva raccontato. "Be’," considerò Bulma quando ebbe sentito la storia della civiltà perduta e del dio caduto "almeno adesso abbiamo un’idea di chi siano i nostri avversari, no? Potremmo andare a controllare nel deserto meridionale, forse troveremo qualche altro indizio". "Va bene," concordò Gohan "allora ci andrò io". "Che idiozia!" intervenne Vegeta "Che ci importa di sapere chi sono quei tizi? Andrò a sconfiggerli da solo, punto e basta!". Il principe dei Saiyan fece per avviarsi verso l’uscita, ma Bulma lo trattenne afferrandogli un polso: "Non essere precipitoso!" lo rimproverò "Non ti ricordi come è finita l’ultima volta? È meglio che cerchiamo di scoprire se questi nuovi nemici hanno qualche punto debole" "Assurdo!" sbottò il guerriero "Pensi che io voglia affrontarli solo conoscendo il loro punto debole? Non mi importa di saperlo con una ricerca, lo scoprirò da solo!". Il Saiyan liberò il proprio braccio dalla mano della moglie e proseguì a grandi passi verso la porta. Goku gli si parò davanti. "Levati di torno, Kakaroth" ringhiò Vegeta "Non cercare di fermarmi!". ‘Kakaroth’ sorrise: "Non voglio fermarti, anzi. Credo proprio che verrò con te". Lasciarono la stanza insieme. Gohan sospirò: quello era tipico di suo padre. Sarebbe voluto partire per il deserto meridionale, per cercare informazioni sui nuovi nemici, ma il comportamento di Goku e Vegeta gli stava facendo pensare che sarebbe stato meglio se li avesse aiutati. In fondo, in missione investigativa ci sarebbe potuto andare chiunque. "Sentite," disse alzandosi dalla poltrona "io credo che potrei essere più utile se cercassi di trovare quei nemici e combatterli prima che causino qualche altro problema. Potrebbe andare qualcun altro nel deserto meridionale?". Sorprendendo tutti, Bra balzò improvvisamente al centro della stanza: "Ci vado io!" dichiarò con convinzione. "Sei impazzita?" domandò Bulma sbarrando gli occhi. Dimenticava fin troppo spesso che era stata testarda e avventata quanto sua figlia, da giovane. "E perché?" rispose la ragazza, evidentemente preparata a quella domanda "Tu mi hai detto che avevi sedici anni quando sei andata alla ricerca delle Sfere del Drago. Non credo ci siano grossi pericoli e poi vorrei essere d’aiuto anch’io". "Giusto!" esclamò Pan saltando al centro della sala a propria volta, evidentemente contagiata dall’entusiasmo di Bra "E ci vengo anch’io!". Gohan era sconcertato: "Pan! Non vorrai davvero fare una cosa tanto pericolosa!". "Mi stai sottovalutando" rispose la ragazzina agitando un indice sotto il naso del padre "Guarda che io so badare a me stessa, non sono mica una bambina! E poi, se tu e nonno Goku penserete a combattere contro i nemici, che pericolo vuoi che ci sia?".

A Mesembria piacevano queste cose. Quando poteva mettersi in una posizione rialzata a guardare degli esseri umani che si massacravano fra di loro, allora sentiva che il suo ruolo era compiuto. Uccidere personalmente non gli piaceva molto: lo faceva solo saltuariamente, come passatempo; quello che veramente lo esaltava era vedere persone in preda alla follia omicida. Mesembria, la Guerra Civile: il potere che gli era stato donato era quello di dominare chiunque fosse colpito dai suoi artigli metallici. Solitamente, gli piaceva usare questa peculiarità per rivolgere le persone contro i propri amici. Di fatto, non poteva ordinare ai suoi lacchè qualcosa che coincidesse con i loro normali criteri di distinzione tra amici e nemici: il suo potere era stato pensato proprio per portare la distruzione e per fare in modo che le persone si odiassero. In quel preciso istante, dall’alto di un grattacielo della Città del Nord, stava osservano le vittime del suo artiglio, le persone comuni, che si ammazzavano tra di loro, spinte dal proprio incurante signore a fare quanto di più mostruoso potessero immaginare ai propri amici e parenti. D’altra parte, questo faceva parte del piano di Adam e portarlo a termine era la cosa più importante. Sì, Mesembria si stava divertendo. E poi, accadde qualcosa che promise di farlo divertire ancora di più: avvertì un’aura familiare dietro di sé. Quando si girò, Piccolo era lì, davanti a lui, una grossa lacerazione nel mezzo dell’abito nero, laddove la mano del guerriero dalla bianca armatura lo aveva trapassato. "Sei ancora vivo? Come è possibile?" domandò Mesembria, più incuriosito che stupito. "Sono uno che guarisce in fretta" replicò il namekiano con un mezzo sorriso "Vediamo se vale lo stesso anche per te".

Un’esplosione di energia scarlatta avvolse un quartiere della Città dell’Est, spazzandolo via in una frazione di secondo. Mentre la carica di potere che aveva causato il cataclisma non si era ancora dissipata, in mezzo a essa Disi camminava senza battere ciglio. Non voleva distruggere tutta la città in un colpo solo, non sarebbe stato in linea con il piano: doveva farla crollare poco per volta, lasciando che i suoi abitanti venissero presi dal panico e fuggissero per il terrore, facendo loro assaporare ogni singolo secondo di paura angosciante. Nonostante lui non fosse esattamente un tipo che andava per il sottile, Disi, la Guerra, aveva il compito di distruggere senza fretta. Tra lui e i suoi compagni, non avrebbero dovuto uccidere più di un quarto della popolazione mondiale, così era scritto. Fortunatamente, al mondo c’erano miliardi di persone e le occasioni per divertirsi si sprecavano.

Secondo il piano, Anaton si sarebbe dovuto dirigere alla Città dell’Ovest e fare lì la propria parte. Tuttavia, d’accordo con i suoi compagni, aveva deciso di ripiegare su Satan City che era decisamente più popolosa. La distruzione portata da Anaton era la meno spettacolare ma la più dolorosa: la sua aura stava facendo rapidamente avariare le scorte alimentari e, contemporaneamente, stava stimolando la fame più atroce negli esseri umani. Anaton, la Fame, era convinto che mancassero poche ore, forse minuti, prima che qualcuno si dedicasse al cannibalismo: dopotutto, la carne umana era l’unico alimento che non si corrompeva….

Era passata poco più di un’ora dal termine della riunione a casa di Bulma: un grosso cargo volante con le insegne della Capsule Corporation atterrò nell’oasi principale del deserto meridionale, dove, parecchi anni prima, Gohan si era allenato sotto la guida di Piccolo. Il gruppo che ne scese era piuttosto eterogeneo: nessuno era riuscito a far desistere Bra e Pan dall’idea di partecipare alla spedizione; tuttavia, né Bulma né Videl avevano intenzione di lasciarle andare da sole. Dovevano assolutamente avere qualcuno che le tenesse sott’occhio. Goku e Vegeta sembravano già essere spariti dalla circolazione, mentre Gohan, Trunks, Goten e 18 sarebbero stati più utili se si fossero tenuti pronti a intercettare i nemici ovunque si fossero palesati. Questo lasciava solo due adulti: Yamcha e Crilin. Quando scesero dal cargo, i due ex compagni di allenamento si scambiarono delle occhiate perplesse: nessuno dei due capiva esattamente il motivo della propria presenza in quel posto. Un po’ per l’età, un po’ perché non avevano sangue Saiyan nelle proprie vene, erano entrambi convinti di non essere forti quanto Pan. Si erano quindi messi in testa che il loro ruolo fosse quello di impedire alle ragazze di prendere decisioni troppo avventate e di ficcarsi in qualche guaio, ma non erano sicuri di potercela fare. Appena posato piede a terra, Pan e Bra avevano cominciato a guardarsi attorno, alla ricerca del posto che era stato indicato loro. Gohan aveva raccontato di essersi imbattuto in un robot costruito da un’antica civiltà perduta durante i sei mesi che aveva passato da solo in quell’oasi e aveva suggerito che quella potesse essere una buona pista per cominciare le ricerche. I due uomini erano rimasti indietro e stavano guardano sconfortati le ragazze, che sembravano sul punto di sfuggire al loro controllo da un momento all’altro. "Pensi che ce la faremo?" chiese Yamcha riducendo il cargo a una capsula. "No" rispose Crilin in tutta sincerità "Ho idea che quelle due ci trascineranno in qualsiasi guaio si andranno a ficcare". "Eppure tu dovresti avere una qualche esperienza riguardo a come si trattano le ragazzine, no?" ritorse il guerriero sfregiato incamminandosi dietro le due.

"Ti riferisci al fatto che ho una figlia? Per certi versi, non l’ho mai capita!"

"Nessuno capisce mai veramente le donne" Yamcha fece spallucce "Penso che questo valga soprattutto per le adolescenti"

"E da quando sei diventato così filosofo?"

"Non saprei… sarà l’età"

"Eppure, io penso che tu ne sappia più di me in fatto di donne"

Yamcha sogghignò: "Be’, in effetti, da giovane mi sono divertito parecchio"

Nel frattempo, le ragazze erano sparite alla vista.

"Davvero?" Crilin sembrò contrariato "E la tua storia con Bulma?"

"Checché ne dica lei, non l’ho mai tradita, ma la nostra relazione ha avuto anche momenti di rottura. Ci siamo lasciati e rimessi insieme diverse volte, e, anche se non sempre, mi è capitato di riempire gli intervalli, non so se mi spiego"

"Ti spieghi, ti spieghi. E penso che sia anche per questo motivo che poi ti ha lasciato definitivamente"

"Naaah, quella è una storia troppo lunga e complicata. Comunque, buona parte delle colpe che mi ha affibbiato quando mi ha scaricato per l’ultima volta erano solo paturnie sue"

"Sono convinto che lei mi racconterebbe la storia in maniera differente…"

"Ne sono convinto anch’io. Dopotutto, in certe situazioni, si crede sempre di avere ragione, ma nessuno è completamente nel giusto o completamente nel torto"

"Oh, falla finita con la filosofia spicciola!"

La replica di Yamcha fu repentinamente interrotta da Bra, che si era girata verso i due uomini e aveva cominciato ad agitare le mani e a gridare qualcosa. "Non sento!" esclamò Crilin, agitando un dito vicino all’orecchio. La ragazza si avvicinò di corsa: "Abbiamo trovato il posto" disse.

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Capitolo 4
*** Part 04 - Lost People ***


Ray’s

The Sixth

Part 04 – Lost People

Una pietra sferica giaceva nell’erba alta. Un piccolo dinosauro verde striato di grigio, che stava brucando nella pianura insieme ai suoi simili, la fiutò per un attimo, prima di decidere che quell’oggetto non era degno della sua attenzione. Alzandosi sulle lunghe e agili zampe posteriori, l’animale trotterellò verso il resto del branco. Improvvisamente, un rumore assordante squarciò l’aria: nel cielo, proprio sopra il gruppo di animali, un grosso e tozzo aereo si stava preparando ad atterrare verticalmente. Se i dinosauri avessero saputo leggere, avrebbero visto che la fiancata recava la scritta "PILAF" in caratteri tanti vistosi quanto pacchiani. Dato che il nome del disturbatore non era nei loro interessi, però, gli animali si dispersero velocemente, spaventati dal frastuono.

Il mezzo volante toccò terra con una delicatezza sorprendente, data la sua stazza e il suo aspetto sgraziato; quando un grosso portellone laterale si aprì, ne uscirono un bizzarro omino dalla pelle azzurra, un’anziana signora e una strana volpe vestita da ninja. "Guardi, signor Pilaf!" esclamò la donna chinandosi per raccogliere il sasso sferico "Deve essere questa!". Il tizio azzurro si avvicinò ostentando calma. Arrivava a malapena all’altezza della cintura di lei e vederli uno di fianco all’altra aveva qualcosa di profondamente ridicolo. "Fammi vedere" disse Pilaf tendendo la mano. Mai posò la pietra sul palmo proteso del suo capo. Già," commentò il tappo "questa è proprio una Sfera del Drago. Il radar non sbagliava". Shu si avvicinò per guardare a propria volta: "Quella di migliorare il nostro radar è stata una grande idea, vero?" chiese entusiasta. "Certo, certo" annuì Pilaf sogghignando "Il radar che abbiamo usato in questi decenni per cercare le Sfere del Drago era in grado di localizzarle solo quando erano attive, cioè quando era almeno un anno che non venivano utilizzate dopo l’ultima volta che vi si era ricorso…. Quello che nessuno aveva considerato è che, anche dopo essere tornate semplici sassi, le Sfere mantengono comunque una certa carica di energia. Si trattava solo di costruire un radar più sensibile. Sono proprio un genio!". Il sogghigno di Pilaf diventò una risata sgangherata. Né Shu né Mai ebbero il coraggio di ricordargli che non era stato lui a inventare il nuovo radar e nemmeno ad avere quell’idea…

Arton, in piedi, la falce appoggiata sulla spalla, lanciò a Ub un’occhiata interrogativa. Il ragazzo era cambiato, indubbiamente: sia nell’aspetto fisico che nella potenza. Adesso la sua aura era completamente diversa da prima. Al guerriero dai capelli bianchi e neri non era mai capitato di trovarsi in una situazione simile: per la prima volta in vita sua, aveva di fronte un avversario che, apparentemente, era alla sua altezza. E non sapeva se esserne contento o seccato: avrebbe potuto finalmente combattere al massimo delle proprie capacità, ma quel tale avrebbe forse trovato il modo di mandare a monte il piano che lui e i suoi compagni stavano cercando di realizzare. Alla fine, Arton sogghignò: tanto valeva combattere. Impugnando la falce con entrambe le mani, si mise in posizione, pronto ad affrontare il nuovo avversario.

Ub si avvicinò al nemico con passi misurati. Capì che la situazione era disperata, che lui vincesse quel combattimento o meno: la luna era in rotta di collisione con la Terra e non poteva essere distrutta se non all’ultimo momento, quando la sua esplosione avrebbe comunque annientato il pianeta. Inoltre, dato che le Sfere del Drago erano già state usate, si sarebbe dovuto aspettare un intero anno prima di potervi ricorrere nuovamente. E, inutile notarlo, il tempo non c’era. "Voglio farti una domanda" disse il ragazzo lanciando un’occhiata furente all’avversario "Perché vuoi distruggere il mondo? E come conti di salvarti?". Poco mancò che Arton gli scoppiasse a ridere in faccia: "Salvarmi? Perché credi che voglia salvarmi? Io e i miei compagni saremmo anche in grado di sopravvivere all’impatto con la luna, ma siamo fondamentalmente umani: una volta dispersi nello spazio cosmico, moriremmo sicuramente". "Cosa significa?" chiese Ub sconcertato "Vuoi forse dire che avete realizzato questo progetto sapendo che morirete tutti?"

"Certo! Ti sembra così strano?"

"Ma perché? Perché volete che si verifichi un’estinzione globale a tutti i costi? E poi, questa non sarebbe semplicemente un’estinzione, ma la fine del pianeta!"

"Ti ho già spiegato il motivo, no? Io sono stato creato per essere l’ultimo baluardo della terra contro il peccato e la depravazione. Io e i miei compagni siamo i Cavalieri dell’Apocalisse, siamo coloro che, fin dall’inizio dei tempi, furono posti a guardia di questo pianeta. E ora è giunto il momento che sia distrutto insieme ai suoi immondi abitanti"

"E tu vorresti annientare la Terra solo perché ci vivono dei malvagi? E non pensi a tutte le persone innocenti che moriranno?"

"Non capisci. Non è questo il punto. Noi non vogliamo annientare nessuno, la nostra sarà semplicemente pulizia. Non credere che il fatto che moriranno delle persone ci dia un qualche piacere: il pianeta deve essere purificato e se questo comporta la sua fine, è solo un piccolo prezzo da pagare"

"E allora perché hai liberato quelle cavallette che hanno causato la morte di tanta gente?"

Arton tacque. Sembrava essere stato preso in contropiede, dava l’impressione di non conoscere la risposta. "Non ti riguarda!" ringhiò ferocemente lanciandosi in avanti e mulinando la falce. Ub evitò agilmente la lama saltando verso l’alto; il guerriero in verde, per niente sorpreso da quella reazione, volò verso il nemico a propria volta. I due combattenti sparirono tra le nuvole, mentre chiunque fosse stato a terra in quel momento avrebbe potuto solo sentire il rumore dei loro colpi, assordanti come tuoni a ciel sereno.

Adam si girò lentamente su se stesso. Non aveva pensato che qualcuno avrebbe potuto raggiungerlo proprio a Yunzabit, dove teneva concilio con gli altri Cavalieri dell’Apocalisse. E invece, all’improvviso, aveva avvertito due aure avvicinarsi e atterrare proprio alle sue spalle. Si era voltato con calma misurata, ansioso di vedere in faccia i suoi ospiti. Uno, quello vestito di nero, lo conosceva già: lo aveva colpito con il Tabris Blaster proprio quella notte. Era incredibile che fosse ancora vivo. L’altro, invece, con una tuta arancione addosso, era una faccia nuova. "Desiderate?" chiese con falsa cortesia, celando a malapena una sottile ironia nelle proprie parole. "Piantala di perdere tempo!" ringhiò Vegeta "Sai benissimo perché siamo qui". "Veramente no" replicò Adam "Non riesco davvero a capirlo. Uno di voi ha affrontato Anaton e non è stato sconfitto solo perché sono intervenuto io a porre fine a quella farsa. L’altro, se ho riconosciuto la sua aura, è già stato battuto da Disi e mi sorprende che sia ancora vivo. Posso immaginare che vogliate ostacolarmi in qualche modo, ma davvero non vedo come potreste" "Sei molto sicuro di te" considerò Goku avanzando di qualche passo "Ma i tuoi amici hanno dovuto affrontarci singolarmente, mentre ora siamo in due". Il guerriero dai capelli bianchi e neri sospirò: "E pensate che il fatto di essere in due vi renda più pericolosi?". Vegeta sbuffò e girò lo sguardo verso Goku: "Ma dobbiamo proprio farlo?" "Certo!" rispose il Saiyan più giovane sottovoce, apparentemente per non farsi sentire dal suo avversario "Anche se lo attaccassimo insieme, questo qui ci potrebbe sconfiggere comunque. È l’unica alternativa". Il Principe dei Saiyan sbuffò nuovamente, mentre si allontanava dal compagno di qualche passo. I due si misero in una bizzarra posizione, a gambe divaricate, con le braccia puntate l’uno verso l’altro. Poi cominciarono uno strano balletto: "Fu…" rivolsero le braccia all’esterno e piegarono un ginocchio "…sion…" si avvicinarono sempre di più, fino a toccarsi le punte delle dita "…Ha!". Un’esplosione di luce sembrò avvolgerli entrambi, scuotendo l’intera Terra con un’aura di una potenza inaudita. Il bagliore dorato che si era levato dai due, un’accecante supernova che preludeva alla comparsa del guerriero definitivo, si dissolse nel giro di qualche secondo; nella luce morente delle fiamme di energia, quello che sembrava essere una fusione dei tratti di Goku e Vegeta scrutava Adam con aria divertita. I suoi lunghi capelli dorati, che superavano la vita, denotavano che aveva raggiunto un livello di potere mai visto prima. Per la prima volta, Vegeth era diventato Super Saiyan 3. Non ne aveva avuto bisogno nemmeno contro Majin Bu, ma questo nuovo avversario sembrava ben diverso dal demone di Babidy. "Questo cosa significa?" domandò Adam incuriosito "Volete forse farmi credere di essere diventati più forti unendovi in quel modo?". Vegeth sorrise debolmente: "Non pretendo che tu mi creda sulla parola" rispose, la sua voce che sembrava provenire sia da Goku che da Vegeta "Perché non facciamo una prova?" "D’accordo" concesse il guerriero dall’armatura viola alzandosi in volo "Facciamo un po’ di ginnastica". Senza ulteriori indugi, Vegeth si lanciò sul nemico, volando a tutta velocità; Adam evitò la prima raffica di pugni e bloccò un calcio con un braccio. Sembrava che la fusione dei due Saiyan più forti stesse prendendo il sopravvento: l’avversario non reagiva affatto, sembrava quasi soverchiato dalla velocità degli attacchi a cui era sottoposto. Per ogni secondo che passava, Vegeth infilava centinaia di colpi. Ma, nonostante le apparenze, non ne era confortato. I due opponenti si separarono. Adam, a braccia incrociate, levitava dolcemente davanti al nemico, rivolgendogli un sorriso beffardo. Vegeth sembrava esausto. Aveva attaccato alla massima potenza, ma nemmeno uno dei suoi colpi era andato a segno. E la cosa più preoccupante era che Adam si era semplicemente limitato a parare e schivare, senza tentare alcuna offensiva, quasi ritenesse superfluo combattere un avversario tanto debole. "Mi avete stancato" sentenziò Adam senza mutare la propria espressione "Adesso è ora che ve ne torniate a casa". Una frazione di secondo dopo, senza nemmeno riuscire a percepire il suo movimento, Vegeth se lo trovò a pochi centimetri di distanza. Ci volle ancora meno tempo prima che il Saiyan definitivo venisse colpito alla mandibola dal tallone del suo nemico; un colpo a cui seguì un pugno letteralmente tra capo e collo, a sua volta seguito da una ginocchiata in pieno viso e da un calcio al ventre che fece piegare in due il combattente dai capelli dorati. Vegeth ansimò, il fiato spezzato e i polmoni che bruciavano: non aveva mai incontrato un avversario del genere. Si muoveva con tale velocità da dare l’impressione di essere ovunque contemporaneamente. In quel preciso momento, però, Adam si trovava sopra di lui e gli stava appoggiando una mano sulla schiena. Un attimo dopo, da quella mano partì una raffica di energia che investì in pieno i due guerrieri uniti. Vegeth si sentì sprofondare in un ambiente liquido, mentre un familiare sapore di sale gli riempiva la bocca. Sale? Era caduto in mare? Ma come era stato possibile? Certo, sapeva che Yunzabit era fondamentalmente un’enorme isola, ma quando si erano spostati sul mare? Doveva essere stato durante il loro movimento iniziale, mentre il Saiyan stava attaccando il nemico. Adam non si era limitato a schivare: si era spostato in modo da condurlo in quella zona. Sì, ma perché? Forse sull’altipiano c’era qualcosa che si sarebbe potuto danneggiare, se coinvolto nel combattimento?

Adam guardò sogghignando il punto del mare in cui aveva scagliato il suo avversario. Certo, non poteva essere morto per così poco; però, per una volta, il guerriero dai capelli neri e bianchi aveva incontrato qualcuno che fosse veramente forte. Ai suoi pensieri fece eco un’immensa colonna d’acqua che si levò maestosa dalla superficie del mare; come un turbine verdastro, l’acqua si avvitò su se stessa, imbrigliata da un’energia sovrumana. Le gocce salate schizzarono nel raggio di chilometri, mentre la colonna esplodeva in una pioggia di stelle liquide che lasciava intravedere al proprio interno la sagoma del Saiyan dai lunghi capelli. Vegeth puntò verso il nemico una mano, sulla quale si stava formando una vorticante sfera di energia dorata: "Vediamo se resisti a questo!" sfidò "Beccati la mia Big Bang Hameha!". Un’esplosione di energia partì dalla sfera turbinante, scagliandosi a supervelocità verso l’impassibile nemico. Senza scomporsi, Adam puntò l’indice e il medio della mano destra contro il colpo in arrivo: "Un confronto diretto? Va bene… Tabris Blaster!". Il lampo di energia viola centrò in pieno la Big Bang Hameha, soffocandone la potenza come la fiammella di una candela; un attimo dopo, Vegeth fu travolto dal colpo. Quando Il Tabris Blaster si schiantò in acqua, il fondale ne fu scavato per chilometri. Adam era in grado di regolare il proprio colpo in modo che la sua potenza, seppure non diminuita, restasse concentrata nello spazio; in caso contrario, l’intero sistema solare avrebbe potuto essere distrutto. Di nuovo, l’acqua esplose verso l’alto, scagliando spruzzi lucenti verso la luna che si avvicinava. Quando le colonne liquide alzate dal Tabris Blaster ricaddero, Vegeth era ancora lì, spostato solo di qualche metro. Eppure, il suo corpo ferito e i suoi abiti strappati rendevano chiaramente l’idea di quanto avesse subito l’attacco. Adam sorrise: "Sei fortunato: una parte dell’energia del Tabris Blaster si è consumata annientando il tuo colpo". Poi, il guerriero aprì la mano: "Stavolta, però, non userò solo due dita per lanciare il mio attacco, ma tutte e cinque. Questo significa che, se anche tu cercassi di contrastarlo con un colpo più potente di quello precedente, non avresti alcuna speranza". Il Saiyan sogghignò: "Dici davvero? Io penso di avere ancora una speranza….". Nella mano del guerriero dorato si formò un’altra sfera di energia che pulsava di luce; Vegeth stava preparando un’altra Big Bang Hameha. "Cosa credi di fare?" lo schernì Adam "Quel colpo si è già dimostrato inutile contro di me!". "Lo so" rispose la fusione dei due Saiyan "ma vediamo se sarà altrettanto inutile contro l’isola di Yunzabit… Ho intenzione di lanciarlo là!". Vegeth sperò che Adam cascasse nel suo bluff: non aveva certo intenzione di danneggiare la Terra fino a questo punto. D’altra parte, se il suo nemico lo aveva spinto fin sul mare, significava che a Yunzabit c’era qualcosa a cui teneva particolarmente. Adam lanciò a Vegeth un’occhiata che definire penetrante sarebbe stato riduttivo: se gli sguardi avessero potuto ferire, quello sarebbe stato letale. In un certo senso, però, questo confermò i sospetti del guerriero dorato. "Sei un vigliacco" sibilò il combattente dall’armatura viola. Vegeth sorrise: "Sì, è una mossa sleale" ammise "e quindi rinuncerò a metterla in pratica. Non voglio vincere solo perché ho distrutto qualcosa a cui tieni". Adam chiuse a pugno la mano con cui si era preparato a lanciare il Tabris Blaster e considerò: "Ho l’impressione che tu voglia dirmi qualcosa…. Hai rinunciato a distruggere Yunzabit, ma hai puntualizzato che avresti potuto farlo. È come se tu volessi farmi sentire in debito"

"Non è proprio così… Diciamo che volevo sapere perché tu e i tuoi compagni ci abbiate attaccati. Inoltre, sto percependo diverse aure combattive in tutto il mondo. I tuoi amici stanno attaccando le principali città della Terra, non è vero? Perché state facendo tutto questo? E chi siete veramente? Avete qualcosa a che fare con il Kaiohshin caduto?"

"Sai molte cose, Malkut. Eppure, ti sfugge ancora la motivazione delle mie azioni. Se proprio vuoi sapere perché desidero la fine della Terra, te lo dirò, ma non vedo a cosa ti possa servire, visto che questo pianeta sarà distrutto tra meno di due giorni"

"Cosa? Come sarebbe a dire?"

"La luna!" Adam indicò il cielo "Ho usato le Sfere del Drago per mettere la luna in rotta di collisione con questo pianeta. Inoltre, l’ho resa temporaneamente immateriale, in modo che non possa essere distrutta. È solo questione di tempo e la Terra conoscerà le sesta estinzione globale. E ora, ponimi pure le tue domande, se davvero vuoi sapere. Ma sii consapevole che la conoscenza che cerchi potrebbe portarti alla follia!"

Le pareti umide del corridoio, debolmente illuminate dalle torce, si stavano rivelando sempre più incomprensibili. Le strane decorazioni che le ornavano appartenevano indubbiamente a una civiltà che aveva dominato la Terra moltissimo tempo prima: raffiguravano bizzarri mezzi di trasporto ovali che si muovevano in cielo, persone che camminavano per strade sullo sfondo delle quali svettavano costruzioni ciclopiche. Nonostante lo stile dei mezzi fosse molto differente da quello moderno, non era difficile riconoscere aerei, auto e persino astronavi. Alcune sezioni delle decorazioni mostravano addirittura esseri umani con innesti meccanici che sollevavano pesi enormi, mentre altre raffiguravano due linee curve che si intrecciavano ripetutamente, unite da una serie di segmenti ricurvi trasversali, un’inequivocabile immagine della doppia elica del DNA. Tutto lasciava presumere che la civiltà che aveva costruito quel corridoio fosse estremamente avanzata. Naturalmente, tutto questo non ricopriva il minimo interesse per Pan e Bra: avevano insistito tanto per partecipare alla spedizione nel deserto meridionale ed erano piuttosto deluse che non stesse succedendo niente che fosse degno di nota. Non si erano aspettate di trovare le rovine che erano venute a cercare così velocemente, ma non si erano aspettate nemmeno che esplorarle sarebbe stato tanto noioso. E dire che le ricerca era cominciata bene: le ragazze erano riuscite a liberarsi quasi subito dei due noiosi signori di mezza età che le madri avevano affibbiato loro e avevano cominciato a dare un’occhiata all’oasi cercando di trovare qualcosa di interessante. Un voragine che si apriva tra le rocce era sembrata particolarmente appetibile e Pen e Bra ci si erano calate dentro. Trovare la grande doppia porta metallica che dava sul corridoio che ora stavano seguendo era stato fin troppo facile, un avvenimento che sembrava foriero di grandi scoperte, ma che si era rivelato solo il preludio a una noia mai provata prima. Abbattere il portone non era stato difficile, ma le giovani avevano sperato che una mossa del genere avrebbe scatenato qualche trappola mortale, avrebbe risvegliato qualche guardiano ancestrale, qualche maledizione sopita…. Niente di tutto questo: quel posto doveva essere stato abbandonato da millenni e qualsiasi misura di sicurezza fosse stata pensata per esso aveva evidentemente ceduto il passo all’ingiuria del tempo.

Yamche e Crilin, al contrario, sembravano fin troppo interessati. Yamcha aveva estratto la telecamera a infrarossi che Bulma gli aveva dato in dotazione e stava riprendendo ogni parte del corridoio. "Hai visto che roba?" commentò nel frattempo "Chiunque vivesse qui aveva raggiunto un livello tecnologico molto simile al nostro. Anche superiore, per certi versi". "Già," convenne Crlin "ma non vedo come una tale considerazione ci possa aiutare. Dopotutto, non siamo sicuri che i nostri nuovi nemici abbiano veramente a che fare con queste rovine. Ci hai pensato? E se quei tizi non avessero niente a che vedere con il Kaiohshin caduto di cui ci ha parlato Goku? Avremmo solo perso tempo!". "Non essere pessimista!" replicò il guerriero più anziano girando la telecamera per riprendere altre decorazioni sulle pareti "In fondo, è l’unica pista che abbiamo, no?".

Nonostante l’ottimismo, di Yamcha, man mano che il tempo passava, sembrava sempre più chiaro che l’esplorazione non stesse dando i frutti sperati. Le decorazioni si rivelarono ben presto un caso isolato al corridoio iniziale: le stanze che il gruppo esplorò dopo esserne uscito erano spoglie e disastrate. Grossi blocchi di pietra, che un tempo avevano costituito le pareti, erano crollati a terra e avevano sepolto buona parte di ciò che era contenuto in quel complesso. Esplorare un posto del genere avrebbe fatto la fortuna di qualsiasi archeologo: tra le macerie erano sepolti molti oggetti di uso quotidiano che, nonostante il differente design, non era difficile distinguere come bicchieri, posate, forbici, e persino delle armi. Tutti strumenti creati da una civiltà evidentemente parecchio anteriore a quella moderna, ma che non erano di grossa utilità ai quattro ospiti che si stavano facendo strada tra le rovine. Per l’idea che poterono farsene, quel posto doveva essere stato una sorta di ibrido tra un tempio e un laboratorio. Tra i pochi scaffali ancora addossati alle pareti, c’erano quelli che sembravano essere documenti che riportavano rozzi disegni eseguiti a mano e scritte che sembravano correlate alle immagini ma che, al tempo stesso, ne parevano completamente indipendenti. Alcuni dei disegni rappresentavano immagini o concetti familiari: l’anatomia umana, la doppia elica del DNA che già era stata raffigurata sulle pareti del corridoio, componenti meccaniche e progetti di veicoli o strani strumenti dalla funzione imprecisata. Le didascalie, invece, dove non erano astruse formule matematiche o spiegazioni di idee scientifiche, parlavano di teorie teologiche. Nessuno dei presenti capiva granché di quanto vedeva scritto. La svolta nell’esplorazione arrivò quando il gruppo entrò in un’ampia stanza che sembrava essere stata risparmiata dal tempo, o da qualsiasi altro cataclisma avesse causato la distruzione di quel luogo. Le torce illuminarono l’interno della sala, mostrando quella che sembrava essere una stanza per le conferenze. Diverse sedie erano inchiodate a terra su di una sola gamba, disposte in ordinate file; nonostante molte di esse non fossero più al proprio posto, non era difficile farsi un’idea della disposizione originaria. Sulla parete più remota della sala c’era un grosso schermo crepato, sotto il quale una console con un paio di tasti sembrava invitare qualsiasi ospite a premere un pulsante.

Una tentazione alla quale nessun adolescente avrebbe saputo resistere. "Faccio io" disse Bra avvicinandosi alla console. "Ehi, non è giusto!" si lamentò Pan intuendo le sue intenzioni "Perché ti devi prendere tutto il divertimento?" "Perché sono la più anziana!" replicò la figlia di Vegeta, con una scusa che, in seguito, avrebbe negato di avere usato.

"Che importa? Guarda che io non sono una bambina!"

"Ma io sono ancora meno bambina di te!"

"Ma non è giusto"

"E invece sì!"

"E invece no!"

"Va bene, ragazze, basta!" le interruppe Crilin mettendosi tra di loro "Cerchiamo di mantenere la calma, d’accordo? Volete premere un pulsante? E perché? Pensate che questo schermo funzioni ancora dopo tanto tempo?". Lo schermo brillò di una luce azzurra e si accese. Tutti gli sguardi si puntarono su Yamcha, che aveva appena schiacciato un bottone. Il guerriero con la telecamera si accorse con un certo disagio che gli occhi di tutti erano su di lui. "Potrebbe essere utile vedere questa roba, no?" si giustificò con una punta di imbarazzo.

Un bizzarro individuo completamente calvo stava guardando verso la telecamera (o qualsiasi cosa lo avesse ripreso); la sua lunga tunica color grigio topo si addiceva in maniera sorprendete alla sua espressione austera. Nonostante la qualità della registrazione avesse evidentemente risentito del passare dei secoli, era ancora possibile sentire quello che l’uomo diceva: "Il nostro primo esperimento è stato un fallimento. La stirpe primaria si è rivelata migliore del previsto, ma anche altamente incontrollabile, tanto che ho osteggiato apertamente la produzione di altre generazioni. I Nuovi hanno un’innata abilità nello sviluppare la propria aura, ma mancano di una vera e propria presa di coscienza delle Sephiroth: sono in grado di ottenere una forza eccezionale, ma non di indirizzarla. Se passano al secondo stadio, il loro corpo non è nemmeno in grado di sostenere una tale forza e devono disperderla attraverso i capelli. Anche questo è un problema: la stragrande maggioranza dell’energia che producono va completamente perduta nell’atmosfera e, oltre a causare effetti collaterali sgradevoli, si rivela una soluzione molto poco proficua".

Dalle sedie della sala su cui si erano accomodati, Pan, Bra, Yamcha e Crilin stavano osservando incuriositile immagini che comparivano sullo schermo. L’uomo che aveva parlato si girò verso qualcosa che era alle sue spalle, apparentemente dei grossi cilindri di vetro che emanavano una tenue luminescenza verdastra. Lo strano individuo parlò di nuovo: "Questo è il nostro secondo tentativo. Abbiamo usato la stessa base dei Nuovi, ma l’alterazione che vi abbiamo apportato dovrebbe essere sufficiente a rendere questa ultima stirpe sostanzialmente migliore della prima. È però con una certa preoccupazione che ammetto di aver contravvenuto ai Testi Sacri. Spero che vossignoria vorrà sostenere la mia posizione davanti al Consiglio, dato che ho fatto quello che ho fatto solo per il bene della nostra razza. In fin dei conti, poi, la mia infrazione si limita al solo Primo Principio: non ho contravvenuto, strettamente parlando, agli altri cento e sessantaquattro. Per essere più precisi, ho usato la Materia Divina per alterare la struttura genetica delle nostre nuove creature: ho completato il DNA dei Nuovi con quello del Dio Creatore che veniva tenuto immagazzinato nella Sala del Giudizio". La scena si fece confusa; per qualche secondo, lo schermo fu un capriccioso collage di linee grigie, bianche e nere, come se un bambino vi avesse tirato sopra delle pennellate rabbiose. Poi, la registrazione riprese. Stavolta, in primo piano, era chiaramente visibile il cilindro verdastro che prima era stato solo un elemento dello sfondo. In sottofondo, si sentiva una voce che sembrava essere quella dell’uomo che aveva commentato il filmato anche prima. Stavolta, però, era chiaro che si stava riferendo a una qualche parte del resoconto che doveva essere andata perduta: "…timo della serie. Come tale, è stato quello al quale ho potuto dedicare maggiore studio. Come vossignoria avrà capito, anche gli altri quattro sono stati un successo, ma questo dovrebbe superare ogni più rosea aspettativa. In lui sono riuscito a fondere alla perfezione il DNA originario dei Nuovi con quello del Dio Creatore, praticamente senza che dovessi integrarlo con materiale genetico alternativo. Sembra che il DNA del Dio Creatore, dopo il suo primo utilizzo, sia entrato in una fase di auto replica, grazie alla quale sta assumendo tratti sempre più definiti. Tutto sommato, credo di avere fatto bene a contravvenire al Primo Principio, dato che questa scelta sembra averci dato la possibilità di sapere qualcosa in più riguardo l’essere supremo che ci diede la vita. Ma, tornando al progetto….". La registrazione si interruppe di nuovo, stavolta solo per un attimo. Quando riprese, la scena non era cambiata di molto. Solo, ora il cilindro non brillava più. Era stato aperto in due e un liquido verdastro, probabilmente quello che aveva dato luogo alla lieve luminosità, era sparso sul pavimento. In primo piano c’era un uomo completamente nudo. La sua capigliatura nera, al centro della quale spiccava una striscia si capelli bianchi, era puntata verso l’obiettivo della telecamera: il tizio stava tenendo la testa chinata; il suo corpo sembrava continuamente pervaso dai brividi. L’uomo dalla tunica grigia, entrando nel campo della ripresa, si avvicinò a lui e gli poggiò sulle spalle un panno bianco. "Benvenuto" gli disse "Puoi aprire gli occhi". Il tipo dai capelli strani alzò il capo e ubbidì: i suoi occhi erano completamente neri, a eccezione di un linea verticale rossa che sembrava spaccarli come una lama.

Pan sussultò: "Quello è lo stesso tale che ha colpito Vegeta e Trunks!". "Davvero?" domandò Bra girandosi verso la ragazza. "Certo!" replicò la nipote di Goku "Non potrei mai dimenticarmi uno sguardo del genere! Anche se aveva addosso un trucco pesantissimo, sono sicura che fosse lui!"

Il tizio dalla tunica grigia si girò verso la telecamera: "Come vossignoria può constatare, è venuto perfettamente. Questo nuovo essere vivente non è più definibile come appartenete alla stirpe dei Lilim: la sua capacità di salire l’albero delle Sephiroth lo mette al di sopra di qualsiasi altra creatura al mondo. A tutti gli effetti, è un uomo per cui non esistono confini, un individuo che può andare ovunque; per questo motivo l’ho chiamato Adam, mettendo insieme le lettere che sono le iniziali delle parole che indicano i quattro punti cardinali: Arton il nord, Disi il sud, Anaton l’est e Mesembria l’ovest". L’uomo si girò verso Adam: "Chi sei?" gli chiese sorridendo. "Adam" replicò il diretto interessato in un tono di voce flebile, quasi impercettibile. La registrazione ebbe un’altra interruzione. Quando riprese, il solito uomo calvo stava guardando dritto in camera con aria soddisfatta: "…no crescendo bene, anche se non sono completamente tranquillo. Hanno incontrato alcuni rappresentanti della stirpe dei Nuovi e non mi è piaciuto come si sono comportati. Sembra che ritengano i Nuovi degli esseri inferiori. Hanno cominciato a chiamarli dispregiativamente Malkut, come la prima Sephiroth, quasi a indicare che non andranno mai oltre quel livello. Non mi piace che non abbiano rispetto per i Nuovi: in fondo, anche loro sono stati creati usando la stessa base; è come se ne fossero una versione alternativa, no? Poi, quando siamo rimasti da soli, mi hanno detto che tanto valeva togliessimo i sigilli ai Nuovi, perché continuare a crearli così si sarebbe potuto rivelare pericoloso. Come vossignoria saprà, inizialmente i Nuovi non avevano alcun tipo di inibizione; solo che questo li rendeva troppo potenti: entro pochi anni, tutti passavano inevitabilmente al secondo stadio, che causava loro una perdita di controllo quasi insostenibile e una notevole inutile dispersione di energia. Così, per evitare che questo accadesse, le generazioni successive alle prime due furono fatte arretrare. In altre parole, si decise di imporre loro un sigillo: durante la manipolazione genetica degli esemplari destinati alla riproduzione, li si fece arretrare parzialmente sulla scala evolutiva delle Sephiroth, dando loro una caratteristica ancestrale, che avrebbe fermato la loro evoluzione incontrollata e infruttuosa". L’uomo smise di parlare e si spostò, per mostrare alla telecamera un’immagine, disegnata su di un foglio di dimensioni umane appeso alla parete, che raffigurava un individuo nudo dall’aspetto inequivocabile. I capelli neri sparati verso l’alto, gli occhi anch’essi scuri, la muscolatura quasi sovrumana e, soprattutto, una lunga coda da scimmia che gli spuntava tra le gambe. Il tipo pelato continuò: "Secondo la teoria, il sigillo, cioè la coda, relega il Nuovo a uno stadio di evoluzione inferiore, impedendogli di andare oltre. La sua potenza non è completamente sopita, perché, se esposto a onde Bluets di sufficiente intensità, può dare sfogo a una parte della propria forza naturale tramite una trasformazione, che è però condizionata dall’arretratezza evolutiva che il sigillo conferisce al soggetto. In altre parole, il Nuovo diventa una sorta di gigantesco primate: aumenta la propria potenza, ma contemporaneamente diminuisce il proprio valore evolutivo". La persona che stava parlando staccò il foglio dalla parete, rivelandone un altro attaccato sotto il primo. Raffigurava lo stesso individuo, ma i suoi capelli erano biondi e ancora più all’insù, i suoi occhi erano verdi e non c’era traccia di coda. La spiegazione continuò: "Per evitare che i Nuovi perdessero il sigillo troppo facilmente, lo abbiamo realizzato in modo che, una volta tagliato, potesse rigenerarsi; tuttavia, la coda ha una radice: se viene persa quella, non può più ricrescere. In base ad alcuni studi, più giovane è il Nuovo quando perde definitivamente il sigillo, più è veloce il suo aumento di potenza. Come spiegavo prima, però, l’energia sprigionata al raggiungimento del secondo stadio, che è quello che vede illustrato qui, è eccessiva e il corpo può reggerne solo una minima parte. Per potersene liberare, i capelli del soggetto si allungano, in modo da offrire una maggiore superficie di dispersione con un incremento di peso corporeo pressoché inesistente. Se l’individuo espellesse tutta la propria potenza solo attraverso il corpo, sarebbe fatto a pezzi dalla sua stessa forza; inoltre, disperdendo tramite i capelli, non si rischia di subire grossi danni, se non la perdita di qualche pelo sulla testa. Secondo l’ipotesi di Adam, però, le cose non sono tanto semplici. Adam afferma che sia più pericoloso lasciare che i Nuovi continuino a nascere con il sigillo: infatti, se la coda è in grado di contenere la potenza che i Malkut sono in grado di sprigionare, significa che ne ha in sé una ancora maggiore. Per usare le parole dello stesso Adam, ‘Se un Malkut imparasse a trarre energia dal sigillo, allora potrebbe diventare un problema’. I miei guerrieri dai capelli strani sostengono che loro sarebbero tranquillamente in grado di sconfiggere un Nuovo senza sigillo, ma che affrontarne uno in grado di sfruttarlo a proprio vantaggio potrebbe essere difficile"

Vegeth era sbalordito. Non avrebbe mai immaginato quello che Adam gli aveva appena raccontato. La parte di lui che era Goku non ne era rimasta molto scossa; d’altronde, lui aveva sempre preso tutto alla leggera. Quanto di Vegeta c’era nel guerriero, però, non aveva parole. I Saiyan erano dunque una razza creata in laboratorio sulla Terra da gente che voleva penetrare i segreti dell’evoluzione ed elevarsi al rango di divinità…. Certo, aveva saputo fin da bambino che il pianeta Vegeta non era stato la loro vera patria, ma non si sarebbe mai aspettato una rivelazione simile. E i Cavalieri dell’Apocalisse erano il risultato della fusione del DNA dei Saiyan con quello di un Dio Creatore che doveva essere il Kaiohshin caduto. E poi, la questione del sigillo imposto alla razza per evitare che diventassero tutti Super Saiyan e il motivo per cui Adam e i suoi li chiamavano Malkut… Adesso tutte quelle domande avevano trovato una risposta. "C’è una solo cosa che non mi hai ancora spiegato:" chiese Vegeth "qual è il vero motivo per cui vuoi che questo mondo sia distrutto?". Adam sogghignò: "Non lo capisci? È la missione. È così che deve andare, punto e basta. Il mondo è contaminato e deve essere pulito, anche a costo di distruggerlo!"

"Non mi hai risposto. Vuoi purificare il mondo, ma da cosa? E perché?"

"Perché questa è la missione! Non capisci?"

"No, non capisco, e credo che non capirò mai una cosa del genere. So solo che tu devi essere sconfitto!". Improvvisamente, l’aura di Vegeth cominciò a bruciare con una violenza inaudita, esplodendo in tutta la sua potenza; le scogliere rocciose di Yunzabit crollarono su se stesse, mentre il mare veniva scosso da potenti onde. Le nubi si addensarono, tuonando una tempesta che era solo un preludio al caos che si sarebbe dovuto scatenare tra breve. Con un urlo di battaglia lacerante, Vegeth volò dritto verso Adam, scagliandogli contro un pugno che avrebbe abbattuto una montagna. In Cavaliere dell’Apocalisse lo incassò in pieno viso senza fare una piega. Mentre vedeva il volto dell’avversario contrarsi in un sorriso beffardo dietro il proprio pugno, Vegeth sentì il suo nemico schernirlo: "Perché non fai forza?". Un attimo dopo, Adam aveva afferrato il polso del suo avversario e, spostatosi il suo pugno dalla faccia, lo guardò negli occhi.: "Tu non hai ancora capito niente" gli disse "Io non sono come un Malkut qualsiasi: io sono il salvatore di questo pianeta, sono stato generato solo per essere il suo estremo difensore. E difenderlo significa innanzitutto impedirgli di contaminarsi, questa è la missione. Ora, che tu abbia compreso o meno, non fa alcuna differenza. Addio!". Il guerriero dall’armatura viola puntò un dito dritto contro la fronte di Vegeth, immobile sia perché era trattenuto, sia perché sapeva che non avrebbe potuto schivare quell’attacco. All’improvviso, un lampo di luce squarciò le tenebre che le nubi tempestose avevano portato su quella fatale battaglia; quando il bagliore si estinse, Adam si ritrovò a mani vuote. Non stringeva più il polso del suo nemico. Anzi, il suo nemico era scomparso: al suo posto, erano tornati quei due Malkut che si erano fusi per dargli origine. E avevano i capelli neri. "Accidenti!" esclamò Goku "Possibile che sia già passata mezz’ora? La Fusion si è già sciolta? Vegeta! Riproviamo, presto! Anche se la nostra energia si è completamente esaurita, dobbiamo almeno tentare!". Vegeta non rispose. Silenzioso e impassibile come sempre, levitava qualche metro a sinistra del proprio compagno. "Vegeta?" domandò Goku, preoccupato che avesse subito più danni di lui dal combattimento. Nessuna risposta. Il Saiyan più giovane si avvicinò all’altro, mentre Adam sembrava guardare la scena divertito. Provò ad appoggiargli una mano sulla spalla, ma il suo tentativo fu bruscamente respinto. "Stammi lontano!" sibilò Vegeta, mentre una vena minacciosa cominciava a pulsargli sulla fronte. Il Principe dei Saiyan si voltò verso quello che era stato un suo alleato fino a qualche secondo prima: "Hai sentito quello che ha detto questo tizio, vero?". Era una domanda retorica: era evidente che Vegeta stesse cercando di rinfacciare qualcosa al suo interlocutore. "Ha detto che, più un Saiyan è giovane quando perde definitivamente la coda, più è veloce il suo aumento di potenza. Ti rendi conto di cosa questo significhi, vero?". Goku deglutì. Sapeva di non essere molto sveglio, eppure stava cominciando a capire dove Vegeta volesse arrivare. E un po’ ne fu stupito: era convinto che il suo rivale storico avesse rinunciato a quella questione moltissima anni prima. Cercò di calmarlo: "Vegeta, non mi sembra il momento… Potremo parlarne dopo che questa faccenda si sarà risolta…". "Non ne parleremo dopo! Ne parleremo subito!" gridò il guerriero più anziano esplodendo in una fitta di rabbia "Adesso si spiega tutto! Io sono il più forte, proprio come le rilevazioni fatte sul nostro pianeta avevano stabilito! Tu sei davvero un maledettissimo rifiuto! Hai solo avuto la fortuna di perdere quella stramaledettissima coda prima di me! È solo per questo che sei sempre stato più forte! Solo per pura fortuna! Hai superato me, il Principe dei Saiyan, solo perché sei stato fortunato! Non mi importa se anche questo pianeta dovesse essere distrutto tra meno di due giorni, io te la farò pagare per questo affronto!". "Calmati, Vegeta!" esclamò Goku in un estremo tentativo "Non ti rendi conto di quello che sta succedendo? Se non facciamo qualcosa, ben presto la Terra finirà in frantumi! Noi potremo sempre batterci quando avremo sistemato tutto!". Benché fosse in preda all’ira, Vegeta sembrava riuscire ancora a ragionare abbastanza da rendersi conto della situazione: "E come diavolo pretendi di sistemare tutto? Le Sfere del Drago sono già state usate e mancano meno di due giorni prima che la luna si schianti sulla Terra! E non possiamo distruggerla! E, se anche lo facessimo, quel tizio non impiegherebbe molto ad annientare comunque questo pianeta! Visto che devo morire, voglio farlo prendendomi la rivincita su chi ha frantumato il mio orgoglio!". Senza aspettare una replica, Vegeta si scagliò sull’ex compagno, colpendolo rapidamente con un pugno allo stomaco. Goku si piegò in due, il respiro mozzato: come Vegeta, anche lui aveva perso molta energia combattendo contro Adam, ma sembrava che la voglia di vendetta desse al Principe dei Saiyan una forza rinnovata. Vegeta cominciò ad attaccare il guerriero più giovane senza risparmiarsi, colpendo in continuazione un avversario che ormai non aveva né la forza né la volontà di difendersi. In un certo senso, Goku non rimase sorpreso più di tanto dalla propria incapacità: durante gli ultimi anni, aveva cominciato a pensare che Vegeta si fosse ormai completamente adattato alla vita sulla Terra e aveva smesso di considerarlo pericoloso. Poco a poco, era arrivato a pensare a lui come a un amico. E adesso gli riusciva difficile desiderare di colpirlo. Bloccò al volo l’ennesimo pugno del ritrovato avversario: "Finiscila, Vegeta!" implorò "Non perdere la speranza! Se ci battiamo adesso, non facciamo che stare al gioco di questo tizio!". "E qui ti sbagli!" intervenne Adam "Non mi importa che voi combattiate o meno. Avete avuto la dimostrazione che, anche attaccandomi insieme, non potete sconfiggermi. Il vostro scontro non è che un divertente passatempo che prelude alla fine di questo pianeta". "Sta’ zitto!" sibilò Vegeta "Non credere che mi sia dimenticato di come mi hai umiliato, nonostante mi fossi fuso con questo rifiuto! – indicò Goku – Quando avrò finito con Kakaroth, toccherà a te!". "Ma davvero!" l’uomo dall’armatura viola, che sembrava oltremodo divertito, fluttuò fino a trovarsi alla stessa altezza dei due Saiyan "Allora perché non risolviamo la questione subito? Il tuo amico non sembra essere più debole di te, quindi ho paura che uno scontro tra voi due andrebbe per le lunghe. Vediamo di rendere il tutto un po’ più semplice, va bene?". Con un movimento talmente veloce da essere impercettibile, Adam colpì Goku in pieno ventre con il taglio della mano; il Saiyan si sentì sospinto da una forza irresistibile e, per un attimo, capì quanto disperata fosse la situazione: si era già accorto che Adam era più potente di Disi, ma sentire su di sé un colpo ancor più devastante del Giga-Quake che veniva menato con una tale apparente facilità riuscì quasi a scuotere il suo storico ottimismo. Un secondo più tardi, la forza della botta lo proiettò oltre il campo visivo, scagliandolo dove non si sarebbe potuto dire. "Fatto" disse Adam voltandosi verso Vegeta. "Kakaroth era mio!" ringhiò il Principe dei Saiyan puntando un indice accusatore contro il proprio interlocutore. "Adesso lui è sistemato" replicò sbrigativo il cavaliere dell’Apocalisse "Avevi detto che, una volta sconfitto quel tale, avresti combattuto con me". Senza aspettare una risposta, Adam infilò un pugno nello stomaco del suo nemico. Sarebbe già stato abbastanza per vincere, ma il guerriero dall’armatura viola non sembrò soddisfatto: "Voglio concederti un privilegio" disse, afferrando per la nuca Vegeta mentre questi si piegava sull’addome in preda a laceranti fitte di dolore "Ti porterò in un posto dove potrai goderti la fine di questo mondo dalla prima fila. Avrai la consapevolezza che Malkut e Lilims moriranno insieme nella distruzione di un pianeta!". Sempre reggendo il Saiyan ormai inerme, Adam volò rapidamente verso il centro di Yunzabit. Proprio nel bel mezzo dell’enorme isola, ma celato dalle formazioni rocciose che caratterizzavano tutto il territorio, si ergeva un tempio. Era piccolo, a base circolare, con poche colonne che sostenevano una struttura assurdamente alta in relazione alla parte che poggiava per terra. Sulla cime del tempio, una guglia torreggiante si stagliava verso l’alto, dando quasi l’impressione di voler penetrare il cielo con la sua cima appuntita, un tributo, o forse una sfida, a qualsiasi divinità avesse creato gli esseri umani. "Questo è un tempio dedicato al Dio Creatore" spiegò Adam "Non volevo che andasse distrutto, per questo ho portato il combattimento sul mare" Poi, sistemò Vegeta in modo che la punta della guglia gli trapassasse il colletto della giacca senza maniche che indossava. "Stai proprio bene, sai?" commentò il Cavaliere dell’Apocalisse tirando un altro pugno nello stomaco del Saiyan. "Giusto per assicurarmi che tu non ti muova" spiegò.

Dall’alto del palazzo sul quale si era appostato, Mesembria fece schioccare minacciosamente gli artigli: il fatto che quel tizio dalla pelle verde fosse venuto a fermare la sua opera lo seccava. Non aveva voglia di combattere ancora con un avversario tanto palesemente inferiore. "Senti," propose con una nota di noia nella voce "perché non ti suicidi, così ci risparmiamo un po’ di tempo?". Non c’era ironia nella sua voce: sembrava che pretendesse veramente che il suo avversario si suicidasse a richiesta. Piccolo sogghignò: "Se pensi di potermi sconfiggere facilmente solo perché mi hai battuto una volta, temo di doverti dare una delusione: adesso farò sul serio". Con un gesto misurato e quasi teatrale, il namekiano si tolse il turbante, che cadde a terra con un tonfo. Poi, fece lo stesso con il mantello. "Ora mi sento più leggero" disse "Possiamo cominciare". "Sei ridicolo!" sbottò Mesembria "Pensi che l’esserti levato di dosso quei pesi ti renda più pericoloso? La verità è che un fallito resta sempre un fallito!". Nonostante fosse convinto delle proprie parole, fu quasi sorpreso della velocità di Piccolo: in meno di un secondo, il namekiano gli fu davanti e gli sferrò un pugno che il Cavaliere dell’Apocalisse schivò solo per un soffio, librandosi in aria sopra l’avversario. Senza farsi scoraggiare, Piccolo fletté all’indietro il braccio destro e lo scagliò in avanti con tutta la propria forza. L’arto si allungò a dismisura, seguendo il pugno che il guerriero alieno stava scagliando. Mesembria, apparentemente per nulla impressionato, evitò il colpo semplicemente piegando il collo sulla destra, il braccio verde che sibilava a pochi centimetri dal suo viso. Piccolo sogghignò: aveva previsto quella mossa. Anzi, ci aveva sperato. Con un improvviso strattone, piegò il braccio allungato, curvandolo in un turbine di spire che si avvolsero sul guerriero dall’armatura bianca. "Sembra che tu non possa più muoverti!" lo schernì Piccolo mentre imprimeva forza al suo arto per costringere il nemico nella propria stretta. Mesembria sospirò: "Sai, mi fai quasi pena. Mi aspettavo che il tuo braccio avesse qualche caratteristica particolare, altrimenti perché perdere tempo per fletterlo all’indietro e lanciarmelo addosso? Avvolgermi in esso era quello che pianificavi fin dall’inizio, no? Però, tu sai anche di non potermi tenere imprigionato, quindi devi avere qualcosa d’altro in mente, dico bene?". "Più o meno" ammise il namekiano "Vediamo se ci arrivi". Mesembria aggrottò la fronte. In effetti, quello poteva essere un problema. Quel tizio verde doveva essere perfettamente consapevole della propria inferiorità. Sapeva benissimo che la morsa del suo braccio non poteva essere un ostacolo serio. Il Cavaliere dell’Apocalisse ci rifletté sopra per un po’, prima di decidere che non ne valesse la pena. Evidentemente, Il tipo verde voleva che lui si liberasse. Se l’avesse fatto, sarebbe stato al suo gioco. Quindi decise di non farlo. In fondo, poteva batterlo tranquillamente anche usando solo le gambe. Con un ringhio disumano, Mesembria volò dritto verso Piccolo, colpendolo con un calcio che quasi gli frantumò la mandibola. Fu solo la presa del proprio braccio attorno all’avversario che impedì al namekiano di cadere a terra. Dando un brusco strattone all’arto occupato, il guerriero dalla pelle verde allontanò l’avversario di qualche metro, sempre mantenendolo avvinto. Senza scomporsi, il Cavaliere dell’Apocalisse si fermò in volo e tornò alla carica, attaccando di nuovo con una raffica di calci che il namekiano subì in buona parte; di nuovo, l’appoggio sul nemico fu l’unica cosa che permise a Piccolo di restare in piedi. Eppure, nonostante fosse palesemente in vantaggio, Mesembria non era tranquillo: se quell’individuo dalla pelle verde lo aveva legato in quel modo, pur sapendo che lui si sarebbe potuto liberare, doveva avere uno scopo ben preciso. Alla fine, il guerriero dall’armatura immacolata decise che si era stancato di aspettare. Dopo nemmeno averci pensato molto, ebbe l’idea di fare qualcosa che avrebbe potuto sbloccare la situazione. Ruotò il polso e alzò un artiglio verso il braccio che lo stringeva, conficcando in profondità le unghie metalliche. Piccolo sogghignò: "Non pensavo che tu potessi essere così stupido da fare una mossa del genere!". "E perché mai?" domandò Mesembria "Lascia che il mio colpo faccia effetto, poi vedrai quanto è divertente massacrare i propri amici". Senza che il ghigno gli scomparisse dal volto, il namekiano alzò la mano libera e la usò per troncarsi il braccio poco sotto la spalla. Il Cavaliere dell’Apocalisse capì all’improvviso. L’arto che ancora lo avvolgeva sembrava aver conservato un qualche tipo di vitalità, perché stava continuando a stringerlo. Non che questo fosse preoccupante in sé, ma le il suo artiglio era ancora conficcato in esso. Il braccio cominciò a contrarsi e stringere con forza, un ritmico e incessante movimento che portava le unghie della Guerra Civile a conficcarsi sempre più in profondità, fino a trapassare completamente la massa muscolare e uscire dalla parte opposta. Ferendo l’addome di Mesembria dove non era protetto dall’armatura. Con un ringhio frustrato, il Cavaliere dell’Apocalisse spalancò le braccia, facendo a pezzi il tentacolo verde che era stato la causa di quella pessima figura. Aveva ferito se steso con il proprio artiglio, ma, quel che era peggio, era stato fregato dal tizio con le antenne. "Allora?" chiese" Piccolo "La tua arma fa effetto anche su di te? Sai, credo che ti ordinerò di andare a combattere con i tuoi amichetti".

"Lo vede?" domandò il sergente al soldato che, appoggiati i gomiti sulla carcassa di un’auto, stava scrutando la lunga strada cittadina con un binocolo. "No, signore" replicò questi, una giovane recluta alla sua prima azione. Il sergente si era arruolato pensando che non avrebbe mai dovuto affrontare una situazione simile. Aveva ventott’anni, era nato poco prima l’arrivo di Cell e nella sua memoria non c’erano ricordi di guerre. Non sapeva di essere morto quando la Terra era stata distrutta da Majin Bu: quegli eventi erano stati cancellati dalle menti dei terrestri grazie alle Sfere del Drago. Adesso, per la prima volta, si trovava ad affrontare una situazione d’emergenza. Quella mattina, una creatura mostruosa aveva attaccato la Città dell’Est e un contingente dell’Esercito reale che si trovava lì vicino per esercitazioni era stato incaricato di risolvere il problema. Appena individuata, la "creatura", che si era rivelata essere un uomo con un’armatura rossa addosso, aveva travolto mezza compagnia di corazzati, riducendoli a un cumulo di lamiere roventi semplicemente colpendoli con le mani. Il colonnello che aveva il comando del contingente era morto in quel primo attacco e il gruppo si era diviso; il sergente aveva dato ordine alla propria unità di ripiegare, stabilire una posizione difendibile e aspettare l’arrivo del nemico, cercando nel frattempo di mettersi in contatto con il resto del gruppo. L’addetto alle comunicazioni aveva localizzato quasi subito una squadra alleata via radio: avevano seguito una condotta simile alla loro e si erano nascosti nei pressi di una discarica. La comunicazione, però, era durata pochi minuti: in breve, la radio aveva cominciato a trasmettere grida di dolore e rumori di armi da fuoco ed esplosioni, prima di zittirsi improvvisamente. Questa scena si era ripetuta in altre due occasioni: riuscivano a contattare una squadra e poi le comunicazioni saltavano dopo un quarto d’ora al massimo. A giudicare dalla posizione dei compagni che, evidentemente, erano già stati colpiti, il bersaglio si stava muovendo proprio verso di loro.

Tutti gli uomini erano oltremodo nervosi; nessuno di loro aveva avuto altre esperienze di combattimento vere e proprie: erano dei dilettanti completi. Quando infine l’uomo in armatura comparve all’altro capo della strada, tutta la squadra ebbe un sussulto. L’individuo era insolitamente calmo; camminava lentamente, con passi misurati, verso i militari. "Non sparate ancora!" esclamò il sergente alzando una mano "Fate fuoco solo al mio ordine!". Il bersaglio cominciò ad aumentare l’andatura. Adesso il suo passo era veloce. Aumentava ancora. Di nuovo. Stava correndo. "Adesso!" gridò il sergente. A questo punto, le cose sembrarono confondersi oltre il limite di quanto fosse discernibile da un essere umano. Tutti gli uomini puntarono i fucili e ogni suono fu coperto dal martellante esplodere dei proiettili; il bersaglio si avvicinava sempre di più, intorno a lui un’aura rovente alzava la temperatura fin quasi a sciogliere le pareti dei palazzi, come se quell’uomo fosse stato l’epicentro di una fornace. Tutti i soldati che si erano appoggiati a una delle automobili che erano state allineate sulla strada si ritrassero quando il metallo surriscaldato scottò i loro arti. Ben presto, il calore diventò insopportabile e molti dei militari pensarono che sarebbe arrivata la fine. Eppure, proprio quando l’uomo dall’armatura scarlatta fa sul punto di colpire la postazione per mandarla in frantumi con un sol pugno, qualcosa si frappose fra lui e quello che, nonostante i termini impropri, era sempre stato l’unico bersaglio di quell’azione. La temperatura tornò improvvisamente normale; i militari, sorpresi da quell’improvviso rallentamento dell’azione, si fecero timidamente avanti, fucili spianati, per vedere cose fosse successo. Un giovane uomo che indossava una tuta arancione aveva bloccato al volo il pugno del guerriero a cui loro avrebbero dovuto dare la caccia.

Disi restò per qualche secondo con il pugno appoggiato sulle braccia incrociate di Gohan, quasi sorpreso che ci fosse qualcuno in grado di opporsi a lui. Poi, sogghignò e spinse ulteriormente con il braccio, facendo arretrare il Saiyan di qualche metro. Gohan alzò lo sguardo sul nemico. A giudicare dal racconto di suo padre, quello doveva essere l’avversario che aveva affrontato anche lui. Bene, un’ottima occasione per vendicarlo.

Nel giro di poche ore, Satan City era caduta nel caos più totale. La gente, in preda a una fame insaziabile, si era riunita in bande di predoni la cui unica mira era procurarsi del cibo. Quello che era successo aveva dell’incredibile: in qualche modo, era accaduto qualcosa che, in condizioni normali, si sarebbe potuto verificare solo nel corso di molto tempo. L’improvviso deterioramento delle scorte alimentari e l’altrettanto improvvisa fame lacerante che aveva assalito la popolazione avevano reso una delle più grandi città del mondo un posto nel quale nessuno si sarebbe voluto trovare. Per qualche inspiegabile motivo, forse perché la fame annebbiava le capacità di ragionamento, a nessuno era venuto in mente di andare a cercare del cibo fuori città: sembrava che tutti avessero assunto che non ci fosse più niente da mangiare in tutto il mondo.

I gruppi di persone che si erano riuniti avevano cominciato a saccheggiare negozi e supermercati, solo per trovare viveri avariati e acqua impossibile da bere. Qualcuno, in preda alla disperazione, mangiava persino il cibo andato a male, ma arrivava all’inevitabile consapevolezza che niente poteva riempire lo stomaco. La fame non passava mai. Molti vecchi e bambini erano già morti per la deprivazione e l’ordine era mai un pallido ricordo: anche le forze dell’ordine provenienti da fuori, che erano arrivate per calmare la situazione, si erano trovate ben presto vittime di quella stessa fame accecante che faceva dimenticare ogni cosa. In tutto quel caos, nessuno notava Anaton che camminava lentamente per le strade, il suo solito ghigno stampato in faccia, mentre osservava gli effetti della propria aura sul cibo e sulla gente. E sapeva che presto avrebbe anche potuto fare un po’ di moto. Stava percependo chiaramente due aure volare velocemente verso di lui. La prima apparteneva a uno dei due Malkut che aveva affrontato quella notte; l’altra, invece, era nuova. Quando Trunks e Goten atterrarono davanti a lui, Anaton lanciò loro un’occhiata beffarda, che forse voleva mimare una falsa comprensione: "Non impari mai, eh?" chiese voltandosi verso Trunks. "Può darsi," rispose il giovane presidente della Capsule Corporation "ma invece stavolta potresti essere tu a imparare qualcosa" "Già," intervenne Goten "stavolta non ti sarà facile vincere!". I due Saiyan puntarono le braccia l’uno verso l’altro e iniziarono un bizzarro balletto, avvicinandosi a ogni passo. "Fu…sion…HA!". Quando Trunks e Goten toccarono ciascuno le dita dell’altro, un’esplosione di luce li avvolse entrambi, accecando il Cavaliere dell’Apocalisse. L’energia sprigionata dalla Fusion si affievolì lentamente, ma solo per lasciare il posto a una luce ben più abbagliante, un’aura dorata che veniva da un guerriero nuovo. Anaton squadrò Gotenks Super Saiyan 3 incuriosito. "Sapete, è la prima volta che vedo una tecnica simile" disse sorridendo di nuovo "E credo che sarà anche l’ultima, visto che adesso vi farò fuori". Gotenks non sembrò accorgersi della sua presenza. Stava guardando i suoi ampi pantaloni bianchi con aria critica, come se stesse cercando un qualche difetto. Alla fine lo trovò: "Ehi!" si lamentò "mi sono volati dei granelli di polvere sulla gamba! Non è possibile! Io sono l’eroe della situazione, non posso avere un completo meno che perfetto! Come faccio a sconfiggere quel tizio se non posso indossare degli abiti impeccabili?". Anaton sembrò divertito: "Stai inscenando un bel siparietto, ma sei qui per combattere o per fare il buffone?". Il guerriero nato dalla fusione dei due Saiyan parve accorgersi del nemico solo in quel momento: "Ah, tu saresti il mio avversario? Dai, fatti sotto, adesso ci penso io a disintegrarti per benino!"

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Capitolo 5
*** Part 05 - Last Hope ***


Ray’s

The Sixth

Part 05 - Last Hope

Un bambino dalla coda di scimmia sedeva su di una montagna di cadaveri. Benché avessero una forma vagamente umanoide, erano troppo malridotti perché si potesse dire con certezza quale fosse stato il loro aspetto in vita; bruciati e infranti, erano ammassati gli uni sugli altri in un macabro monumento al giovane assassino che li aveva massacrati dal primo all’ultimo. Il principe Vegeta sogghignò, mentre sgranocchiava distrattamente un braccio staccato a una delle proprie vittime. Aveva impiegato solo tre giorni per sterminare completamente la popolazione di quel pianeta; si era divertito nel sentire le urla di terrore delle sue vittime: "I Saiyan sono i diavoli dello spazio!". A Vegeta piaceva essere chiamato in quel modo. Era un riconoscimento della forza di cui andava tanto orgoglioso: quella stessa potenza che aveva fatto circolare le voci secondo cui lui sarebbe stato il prossimo Super Saiyan. Tra qualche mese avrebbe compiuto cinque anni, ma, nonostante la giovane età, la sua abilità geniale era già stata ampiamente riconosciuta. All’improvviso il suo scouter gracchiò fastidiosamente; la sgradevole voce di Nappa gli penetrò nell’orecchio: "Principe Vegeta! Ho una notizia importante da riferire!"

"Sbrigati"

"Ho appena ricevuto una comunicazione dal signor Freezer… Dice che il Pianeta Vegeta è stato distrutto a causa dell’impatto con un gigantesco meteorite!"

"Capisco. E quindi?"

"Be’, il fatto è che… a parte noi due, sono rimasti pochissimi Saiyan nell’universo…"

"E allora?"

"Sì, be’… il signor Freezer ha detto che possiamo vivere sulla sua nave ammiraglia, ma ormai la nostra specie è da considerarsi estinta, anche perché non sembra siano sopravvissute delle donne"

"Vieni al punto"

"Co… come sarebbe? Il punto è questo…"

Vegeta si disconnesse dalla comunicazione. Detestava essere disturbato per delle questioni tanto insignificanti. Lui era colui che sarebbe diventato il prossimo Super Saiyan. Se gli altri Saiyan erano stati tanti idioti da lasciarsi annientare da un meteorite, avevano meritato di morire; quello che era accaduto rappresentava solo la naturale eliminazione degli esemplari più deboli di una specie. Ma lui era il più forte. Anzi, avrebbe dovuto chiedere a Freezer di fargli distruggere dei pianeti con degli abitanti più potenti: la sua abilità non sarebbe certo potuta aumentare molto, se avesse combattuto contro degli imbelli esseri come quelli appena sterminati… In cuor suo, però, sapeva benissimo che non si sarebbe mai sentito abbastanza forte.…

Abbastanza forte….

Abbastanza forte….

Vegeta sentì qualcosa che gli piegava il capo verso l’alto. Quando aprì gli occhi, vide di fronte a sé il viso di Adam. "Non sei mica morto, vero?" gli chiese il cavaliere dell’Apocalisse con una nota di ironia nella voce. Improvvisamente, il Principe dei Saiyan ricordò dove fosse: era ancora appeso alla guglia sulla torre centrale del tempio di Yunzabit, dove il suo ultimo nemico lo aveva sistemato. "Puoi percepire le aure?" domandò nuovamente Adam "Li senti? Sembra che i tuoi amici stiano combattendo contro i Cavalieri. Peccato che non abbiano speranza…".

Vegeta cercò di ringhiare, ma riuscì solo a gorgogliare: era stato ridotto troppo male. E adesso, quel tale lo prendeva anche in giro! Avrebbe voluto essere più forte… Più forte… Alzò il capo e guardò il cielo. La luna si faceva sempre più vicina. Forse, se avesse avuto la coda, se si fosse potuto trasformare in scimmione, avrebbe ottenuto una potenza sufficiente… Forse.

Il muro del palazzo si riempì di crepe in un attimo, tanto che l’intera struttura quasi crollò su se stessa. L’asfalto delle strade si spaccò i più punti, rompendosi, infrangendosi come cristallo. Gli idranti si piegavano innaturalmente, spruzzando getti d’acqua per le vie. I pochi abitanti della Città del Sud che erano scampati alla caccia delle cavallette scorpione ora si trovavano in un posto che cambiava continuamente, apparentemente senza senso. Sembrava che una forza invisibile stesse scuotendo l’intero abitato, come u terremoto. Ma non era un terremoto.

Molti metri più in alto, tra le nubi, Ub e Arton si stavano affrontando; le ondate di energia che sprigionavano si proiettavano al suolo, schiantando qualsiasi cosa colpissero. Mentre i due si scambiavano un’interminabile serie di calci e pugni, le nubi sembravano turbinare attorno a loro formando dei semicerchi, come a creare un silente pubblico per lo scontro di quei due gladiatori aerei. La lama della falce di Arton balenava nell’aria, sibilando maligna; i pugni di Ub scattavano verso il nemico con una velocità che il ragazzo stesso non avrebbe mai pensato possibile. All’improvviso, i due combattenti si disimpegnarono. Fermi, a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, si squadravano pensosamente, mentre respiravano con l’affanno che derivava loro da più di un’ora di combattimento ininterrotto.

Arton era sorpreso: per la prima volta incontrava qualcuno che potesse competere con lui alla pari. Per di più, questo qualcuno era un semplice Lilim. I suoi compagni avevano sconfitto facilmente persino dei Malkut senza sigillo: se lui si fosse lasciato battere da un Lilim, avrebbe perso la faccia davanti agli altri Cavalieri dell’Apocalisse. Era il momento di provare una tecnica risolutiva.

Ub non sapeva se essere felice o preoccupato. I lunghi anni di allenamenti con Goku lo avevano reso un amante delle battaglie con avversari di pari forza e la fusione con Majin Bu gli aveva donato una potenza che era esaltante all’estremo. Eppure, ora capiva di essere quasi al limite. Lo scontro era spossante e doveva concludere al più presto se voleva avere qualche possibilità di uscirne vivo.

Iniziò a preoccuparsi anche di più quando vide che Arton alzava la falce direttamente sopra la propria testa, reggendola con entrambe le mani in un gesto che sembrava presagire a un attacco imminente. "Ammetto che sei forte," disse il Cavaliere dell’Apocalisse, per la prima volta con una punta di rispetto nella voce "ma il piano deve continuare. È fondamentale non solo che la sesta estinzione globale si realizzi, ma anche che accadano gli avvenimenti descritti nelle profezie. Visto che vuoi impedire tutto questo, devi morire. Prima degli altri Lilim, intendo"

Mentre dal suo addome colavano due sottili rivoli di sangue, Mesembria cominciò a ridere sguaiatamente. Tutta quella situazione lo stava divertendo. Il suo avversario, quello strano individuo dalla pelle verde, aveva capito di non poter competere con lui e cercava di sconfiggerlo ricorrendo a espedienti stupidi, al punto da sacrificare un braccio. "Cosa c’è," lo schernì Piccolo "il dolore ti ha fatto impazzire?". Mesembria smise di ridere: "non sono immune all’effetto del mio artiglio," replicò freddamente "ma saresti un vero ingenuo se pensassi di essere il primo che cerca di rivoltarmelo contro". Così dicendo, il Cavaliere alzò una delle sue sproporzionate unghie, infilandola sotto la piastra metallica che gli copriva la parte sinistra del viso. Con un unico gesto, quasi feroce nel suo autolesionismo, se la staccò di dosso, strappandosi dalla faccia anche i minuscoli chiodi che l’avevano fissata al cranio. Il namekiano restò a bocca aperta: sulla sinistra il viso di Mesembria sembrava quello di un altro. Solcato da vistose cicatrici, pareva coperto da u reticolo di fitte linee biancastre che attraversavano la guancia, l’occhio e la fronte descrivendo un macabro arabesco, mentre il sangue che colava dai punti del viso in cui erano stati infissi i chiodi irrigava quegli sterili solchi. "Come credi che mi sia procurato queste ferite?" domandò il Cavaliere dell’Apocalisse. Senza aspettare una risposta, si conficcò un artiglio nella guancia e cominciò ad agitarlo nella piaga appena aperta, quasi traendo piacere da quel gesto. "Il mio artiglio cambia i canoni in base ai quali si stabiliscono gli amici e i nemici. Nessuno è insensibile al suo potere, nemmeno io… Però, è anche un potere limitato nell’effetto: se compio un’azione che vada sufficientemente contro i miei standard di amicizia, il suo potere cessa. È per questo motivo che tu non sei più sotto il suo controllo: hai combattuto contro un tuo amico per consegnarci le Sfere del Drago e quindi hai esaurito il tuo compito. Allo stesso modo, io ferisco me stesso, che sono l’unico amico che ho". Piccolo deglutì. Adesso era veramente nei guai. Aveva pensato di spedire Mesembria contro i suoi compagni, ma ora era evidente che il suo piano era fallito. Quando, con il volto ridotto a una maschera di sangue, il Cavaliere dell’Apocalisse atterrò davanti a lui, il guerriero di Namek capì che la situazione era anche più disperata di quanto avesse pensato. Trasse un profondo respiro e pensò per un attimo alla situazione: era evidente che non avrebbe potuto vincere contando sulla mera forza bruta, bisognava ricorrere a un espediente di altro tipo. In un attimo, espulse con un grido tutta l’aria che aveva nei polmoni; con un raccapricciante gorgoglio, il suo braccio ricrebbe istantaneamente, scivolando fuori dalla ferita completamente formato. Mesembria lanciò un’occhiata sorpresa al suo avversario: "Adesso capisco come tu sia potuto guarire dalla ferita che ti avevo inflitto" considerò mentre atterrava davanti al nemico. "Ho preso una decisione" dichiarò "Non userò il potere dei miei artigli per combattere contro di te, in riguardo al fatto che sei riuscito a rivolgermeli contro". Piccolo non si sentì sollevato da quella dichiarazione, anzi: era evidente che il suo avversario lo stava solo prendendo in giro. Mesembria era palesemente il guerriero più forte: potere o non potere, restava comunque in vantaggio. Ma non voleva darsi per vinto comunque: usando la sua stessa aura per darsi la spinta, scattò verso il nemico, il pugno che sibilava nell’aria in un disperato tentativo di colpire. Che, ovviamente, andò a vuoto. Un secondo più tardi, il namekiano sentì il ginocchio del suo avversario che gli si scagliava nel ventre e si piegò su se stesso; poi, avvertì le unghie sproporzionate di Mesembria afferrargli la testa e sollevarlo. Poi, il suo corpo si schiantò sulla strada.

L’immagine sullo schermo stavolta era quasi impossibile da distinguere con chiarezza: una tempesta di linee e interferenze rompeva la purezza dell’immagine. Era evidente che la registrazione fosse stata portata a termine in condizioni estreme. Pan, Bra, Yamcha e Crilin riuscirono a distinguere l’immagine dell’uomo dalle vesti grigie solo perché lo avevano già visto. Tuttavia, quello che accadeva attorno a lui poteva solo essere immaginato. L’uomo sembrava aggrappato in maniera precaria a quello che sembrava essere una scrivania o un tavolo, ma le pessime condizioni della registrazione rendevano impossibile dirlo con certezza. Di tanto in tanto, la qualità audio, già seriamente compromessa, rendeva la comprensione delle parole impossibile a causa di alcuni rumori simili a botti che si sentivano in sottofondo. Qualcosa delle parole di quel tizio, però, si poteva ancora capire: "Hanno tolto la coda a un Malkut. L’hanno fatto di proposito, prima che io potessi rendermene conto…". La registrazione si interruppe, per riprendere pochi secondi dopo: "…rche che ho eseguito, pare che il DNA del Dio Creatore che ho usato per loro avesse proprietà che non conoscevo. Sembra che il codice genetico delle creature soprannaturali, quali le divinità, sia dotato di una fortissima carica psichica… Loro cinque hanno ricevuto anche i ricordi del Dio Creatore, oltre che le sue caratteristiche fisiche…. Non so con quale procedimento questo sia possibile, ma è evidente che, almeno per ora, non sono in grado di controllarlo. Il Dio Creatore voleva distruggere questo mondo prima di morire… prima che noi lo uccidessimo per poter completare la scala delle Sephiroth... una teoria che si è rivelata errata, ma non è questo il momento per parlarne... Adam e gli altri vogliono annientare questo pianeta perché lo ritengono contaminato dal peccato… Per meglio dire, secondo la concezione del Dio creatore, il peccato consisteva nel fatto che noi umani, creati appositamente per scalare l’albero delle Sephiroth, non ne siamo in grado e quindi non gli eravamo utili… Ma i ricordi, o forse dovrei dire i tratti della personalità, che hanno ereditato sono largamente incompleti e frammentari… Sanno di avere una missione, ma non sanno quale ne sia lo scopo. Adam vuole distruggere questo pianeta, ma non conosce il motivo delle proprie azioni… Inoltre, i loro ricordi comprendono anche le Profezie che il Dio Creatore aveva scritto, l’Apocalisse… Adam e gli altri non si limiteranno ad annientare la Terra: lo faranno secondo le modalità stabilite dalla divinità dalla quale discendono…. Diffonderanno la pestilenza, causeranno la fame, faranno in modo che si scateni la guerra civile, che le stelle si schiantino sul nostro pianeta… Forse useranno anche le cavallette scorpione che abbiamo creato in laboratorio per uccidere quella setta di eretici… Adam è impazzito, ma non se ne rende conto… Questi ricordi folli gli forniscono l’unico scopo nella vita sul quale si possa appoggiare… Ho cercato di usare su di lui la Macchina per l’Inversione dell’Evoluzione, ma non ha funzionato… Pare che abbia poteri che nemmeno il Dio Creatore possedeva…. Quando abbiamo progettato di assassinarlo, abbiamo fatto invertire la sua evoluzione, fino a trasformarlo in un mortale… Però, sembra che il DNA che gli avevamo estratto in precedenza fosse ancora attivo e divino, e ha potenziato Adam e gli altri oltre ogni limite… lui e i suoi hanno tolto la coda a un Malkut e la presenza della loro aura divina ha stimolato il suo passaggio immediato e non preventivato al secondo stadio…. Nessuno degli altri Malkut è stato in grado di tenergli testa… Temo che questo sia l’ultimo giorno del nostro pianeta… Ho ordinato ai Malkut alle mie dipendenze di preparare un’astronave, in modo che noi si possa fuggire da qualche parte… Il Malkut al secondo stadio è senz’altro in grado di distruggere la Terra e non credo proprio che Adam e i suoi cercheranno di fermarlo: ormai sono completamente impazziti a causa dell’effetto dei ricordi del Dio creatore. Se dovessi sbagliarmi, se questo pianeta dovesse salvarsi, se qualcuno dovesse vedere questa registrazione… Pregate che esista un altro Dio disposto a prendere la Terra sotto la propria protezione… Adam e gli altri sono ormai diventati i Cavalieri dell’Apocalisse….". A questo punto, lo schermo sembrò terminare definitivamente ogni attività: cadde in un nero abisso di silenzio che non lasciava presagire nulla di buono, una tombale assenza di suoi che, per più di cinque minuti, non fu interrotta con una sola parola dal pubblico di quell’arcaica proiezione. Fu Crilin a rompere il silenzio: "Be’, questo non me lo sarei mai aspettato". "Nemmeno io" convenne Yamcha alzandosi dal sedile su cui si era accomodato (sempre tenendo la telecamera in mano) "E poi, resta ancora un punto oscuro in tutta questa storia: perché quei tizi non hanno distrutto la Terra allora e sono ritornati proprio adesso?". "Diamo un’occhiata in giro!" suggerì Bra "Forse troveremo qualcosa che possa chiarirlo". "Siiiii!" esclamò Pan entusiasta "Ispezioniamo ancora questo posto!". In realtà, la ragazza non era per niente contenta: aveva trovato noioso quel filmato. Lei era venuta fin lì nella speranza di vivere un’avventura incredibile, di affrontare un avversario fortissimo, di scoprire qualcosa di interessante… E non era successo niente di tutto questo.

Dopo una rapida consultazione, il gruppetto decise di andarsene da quel bizzarro incrocio tra tempio e laboratorio: era già un miracolo che quella registrazione si fosse conservata integra, figurarsi se sarebbe stato possibile trovare qualcosa d’altro. La via del ritorno fu percorsa in silenzio assoluto: Crilin, Yamcha e Bra erano troppo sconvolti dalle rivelazioni che avevano appena ricevuto per parlare; Pan era troppo delusa per avere voglia di ricordare a qualcuno di non essere una bambina. Quando le pareti cominciarono a tremare, ne fu quasi felice. Quando un ruggito cavernoso eruppe dal corridoio che stavano seguendo, fu tanto contenta che per poco non scoppiò in lacrime di gioia. Quando l’enorme sagoma di una creatura gobba e sgraziata venne loro incontro, camminando sulle sue grosse gambe metalliche, fu sul punto di ringraziare il cielo per quello che stava accadendo.

"Grazie" disse Marron ricevendo la tazza di tè dalle mani di Bulma. Erano passate diverse ore da quando Trunks, Goten e Gohan erano partiti per combattere contro i guerrieri le cui aure avevano percepito e lei era rimasta alla Capsule Corporation insieme alla padrona di casa, sua madre e Videl. Non le piaceva l’idea di restare lì a fare niente; pensò che avrebbe almeno dovuto chiedere a Pan, Bra, Yamcha e suo padre di andare con loro. Ma aveva preferito evitare di mettersi in una situazione in cui sarebbe stata solo d’intralcio: non sapeva combattere e doversi preoccupare di lei in caso di pericolo sarebbe stato un problema per gli altri. Mentre sorseggiava il tè, decise di non pensare troppo a quanto stava succedendo: dopotutto, per quanto la cosa la infastidisse, lei non ci poteva fare niente. Eppure, cosa avrebbe fatto se fosse successo qualcosa a Trunks? Nonostante tutti i suoi difetti, lei teneva allo scostante e riservato presidente. Sapeva che era infantile, ma certe volte le piaceva immaginare la sua vita con lui, una volta che avesse finito l’università. Non ambiva a qualcosa di incredibilmente bizzarro: le sarebbe bastato avere una famiglia. Ma chissà se Trunks sarebbe sopravvissuto abbastanza? Alzò di nuovo la tazza di tè verso le proprie labbra. E la sentì rompersi. Una crepa era comparsa sul suo bordo, una crepa che l’aveva quasi spezzata in due.

Anaton stava reggendo Gotenks per il collo, sogghignando malignamente come al solito. "Ma guarda!" esclamò "Quando vi siete fusi sembravate tanto sicuri di battermi e invece era tutta scena…". Con una flessione del braccio, il Cavaliere dell’Apocalisse sbatté il Saiyan a terra. Gotenks, coperto di lividi e abrasioni, si sollevò faticosamente sulle braccia: "Non te la tirare , scemo!" disse con un sorriso invidiabile ancora stampato in faccia "Guarda che finora ti ho trattato con riguardo, ma potrei decidere di non risparmiarmi più, e allora per te sarebbe la fine!". Anaton scoppi a ridere: "Sei una creatura molto triste, sai? La tua forza è superiore a quella della maggior parte degli abitanti di questo pianeta, eppure è insufficiente a permetterti di salvarlo!". "Maledetto!" ringhiò Gotenks rimettendosi in piedi e cominciando a inspirare profondamente "Adesso ti mostrerò la mia vera potenza!". Poco dopo, un filo di fumo biancastro fluì fuori dalla bocca del guerriero nato dalla fusione di Goten e Trunks. Il fumo si condensò rapidamente, prendendo una forma sempre più definita a ogni secondo che passava. Quando Gotenks ebbe finito di espirare, una sua copia quasi perfetta, diversa solo perché le gambe erano sostituite da una coda gassosa, era comparsa al suo fianco. Anaton guardò incuriosito, mentre il suo avversario ripeteva l’operazione per più volte, fino a ritrovarsi con dieci suoi cloni vicino a sé. Gotenks sogghignò baldanzoso: "Ora assaggerai la forza del Super Ghost Kamikaze Attack!". In un attimo, i dieci simulacri presero a volare verso il Cavaliere dell’Apocalisse, i loro corpi che lasciavano nell’aria una scia biancastra. Anaton alzò la guardia: era evidente che quella tecnica non consisteva solamente nel creare delle copie di se stesso: doveva esserci qualcosa sotto. All’improvviso, la truppa improvvisata si bloccò. "Ehi, guardate lassù!" disse uno dei cloni indicando il cielo. Tutti gli altri alzarono lo sguardo incuriositi, lasciandosi sfuggire commenti del tipo: "Incredibile!" "Ma cos’è?" "Un uomo?" "Un uccello?" "Superman?". Anaton era disorientato, e questo gli dava fastidio: non accadeva spesso. Aveva voglia di guardare anche lui, di vedere cosa stesse succedendo; però, capiva di non poter distogliere lo sguardo dal nemico e dalle sue copie. No, c’era qualcosa che non quadrava. Doveva essere una trappola. Ma no, pensandoci bene, era impossibile: chi mai sarebbe stato così ingenuo da pensare che il proprio avversario potesse cadere in un tranello tanto banale? Con circospezione, senza spostare completamente la propria attenzione dai nemici, il Cavaliere alzò il capo e lanciò un’occhiata nella direzione indicata dai simulacri. Un attimo dopo, accadde quello che aveva previsto: le copie fantasma di Gotenks si precipitarono verso di lui a pugni tesi. Girandosi di scatto, Anaton sogghignò: non erano abbastanza veloci da raggiungerlo senza che lui potesse reagire. Con calcolata leggerezza, sferrò un colpo al primo dei cinque che gli stavano venendo addosso. E qui comprese tutto: quel maledetto Malkut aveva voluto che lui attaccasse i suoi cloni fin dall’inizio. Se ne rese conto quando quello che aveva centrato esplose in una deflagrazione che scosse l’intera città, anche perché il suo scoppio aveva causato la stessa reazione negli altri quattro, dando luogo a una reazione a catena al cui centro si trovava proprio il Cavaliere dell’Apocalisse. Quando le polveri si diradarono, Gotenks stava ridendo sguaiatamente: "Hai visto? Sei stato proprio stupido! D’altra parte, non potevi di certo sfuggire alla tecnica definitiva che avevo preparato per te!". Quando vide un’ombra stagliarsi tra le nubi polverose che l’esplosione aveva sollevato, il Saiyan smise immediatamente di ridere: Anaton era ancora lì, apparentemente illeso. Ma, rispetto a prima, una differenza c’era: non sorrideva più. Adesso il suo viso era distorto in un’espressione di rabbia furibonda che non prometteva niente di buono. "Hai fatto proprio una bella mossa" ammise il guerriero dai capelli bianchi e neri ringhiando "Ma non credere che sia sufficiente per vincere…". Una frazione di secondo dopo, era sul suo avversario e lo stava tempestando con una raffica di pugni e calci. Nonostante riuscisse a parare qualche colpo, Gotenks capì subito di trovarsi in netto svantaggio; si disimpegnò con un balzo, involandosi sopra il proprio avversario. Ma Anaton non sembrava intenzionato a lasciarsi sfuggire la sua preda: saltando a propria volta, lo seguì in cielo, mentre Gotenks ricominciava a sorridere: "Ti sei dimenticato un dettaglio, sai? Non pensavo di farti fuori solo con la mossa di prima!". Improvvisamente, quasi comparendo dal nulla, cinque altre copie del Saiyan emersero dalle coltri di polvere e volarono verso il Cavaliere dell’Apocalisse. "Non le avevo dimenticate!" ringhiò questi puntando verso di loro una mano che brillava di luce verdastra "Stavo solo aspettando che si facessero vedere!". All’improvviso, Anaton si accorse di non poter sparare il colpo con il quale aveva pensato di annientare i cloni del suo nemico: degli anelli di energia lucente erano comparsi all’improvviso attorno al suo corpo, e ora si stavano stringendo sempre più, bloccandogli le mani lungo i fianchi. "Sapevo che avresti tentato qualcosa di simile!" rise la fusione tra Goten e Trunks "Ma, come vedi, io sono un genio! Questo è il mio Renzoku Super Donut! Ora non ti puoi più muovere!". Mentre il Cavaliere si dibatteva ferocemente nella stretta dei cerchi di energia, i cinque fantasmi gli si schiantarono addosso. Un’altra esplosione, stavolta in aria, rombò con un boato assordante, mentre le risate di Gotenks si facevano sempre più maniacali e lui si complimentava con se stesso attribuendosi una interminabile sfilza di pregi e capacità straordinarie in una celebrazione della propria forza che lo lasciò completamente scoperto all’attacco nemico. Schizzato fuori dall’esplosione di energia con una velocità inaudita, Anaton aveva colpito il suo avversario in pieno stomaco con un pugno. "Stavolta mi hai fatto davvero arrabbiare" mormorò il guerriero dall’armatura blu, mentre negli occhi gli brillava una luce folle "A questo punto, ho deciso che ti ucciderò nel modo peggiore. Prima ti torturerò colpendoti fino a frantumarti tutte le ossa, poi ti darò il colpo di grazia con il mio Eternal Hunger. Non c’è morte peggiore di quella che avviene per fame".

Gohan non faceva fatica a credere che suo padre fosse stato sconfitto da quel tipo: dopo pochi minuti di combattimento, pur avendo usato la massima potenza conferitagli dal vecchio Kaiohshin, era finito a terra goffamente, quasi senza nemmeno accorgersi di essere stato colpito. E non si era potuto nemmeno permettere qualche secondo di riposo al suolo: il suo avversario si era scagliato contro di lui praticamente prima che il suo corpo toccasse terra, quasi costringendolo a una rapida ritirata verso l’alto, sulla cima di un palazzo. E Disi lo aveva inseguito, sempre senza fermarsi, sempre travolgente e senza concedere un secondo di tregua. La tattica del Saiyan si stava facendo monotona e inefficace: si allontanava di qualche metro e poi, prendendo con calma la mira, sparava un Masenko o una Kamehameha contro il cavaliere dell’Apocalisse. E il risultato era sempre quello: Disi prendeva in pieno il colpo e continuava ad avanzare incurante degli attacchi, usando il proprio corpo per spaccare iol flusso di energia che gli era stato diretto addosso. Tutto questo stava diventando frustrante. Frustrante e stancante; ormai Gohan aveva quasi esaurito la propria energia e riusciva a malapena a muoversi. Dopo avere schivato l’ennesimo pugno di Disi, balzò di nuovo a terra, nel bel mezzo di una delle arterie principali della città, ora completamente deserta. Come da copione, il guerriero dall’armatura scarlatta volò rapidamente verso di lui, toccò terra sfondando l’asfalto sotto i propri piedi e si lanciò all’attacco. Con un gesto disperato, Gohan bloccò istintivamente un pugno con l’avambraccio; la potenza del colpo lo scagliò a schiantarsi contro un muro. Mentre sentiva le macerie che gli cadevano addosso e la polvere che gli ostruiva le vie respiratorie, pensò che questa volta per la Terra fosse proprio la fine. Poi, un pugno di una potenza inaudita gli affondò nel torace, mozzandogli il fiato. Disi doveva averlo attaccato ancor prima che il muro finisse di cadergli addosso. Completamente inerme e privo di forze, il Saiyan sentì che il suo nemico, afferratolo per il colo, lo stava sollevando dal suolo senza troppe cerimonie. Aprì gli occhi. Video un pugno avvolto da una alone di energia scarlatta scagliarsi contro di lui e sentì un urlo assordante: "Giga-Quake!". Poi, tutto divenne buio.

Mentre faceva volteggiare la falce sopra la propria testa, Arton pensò che si stava prefiggendo un obiettivo difficile da raggiungere. Impaurire quel ragazzo sarebbe stata un’impresa. Ma non era impossibile. Doveva solo trovare il modo giusto. "Allora?" domandò provocatorio "Non sei spaventato all’idea che, tra poco, perderai tutto ciò che hai?". Ub sogghignò e ritorse: "Io non sto per perdere proprio niente! Sono sicuro che tu e i tuoi compagni sarete battuti entro poco tempo!". Il Cavaliere dell’Apocalisse si lasciò sfuggire un ringhio di disappunto: non era riuscito a ottenere l’informazione che voleva. Doveva riprovare. "Ma come!" esclamò "Posso capire che tu abbia fiducia nelle tue forze, ma non credi che, anche se riuscissi a battermi, io potrei causare dei danni irreparabili al tuo pianeta? Io potrei distruggere questa città prima che tu abbia il tempo di sconfiggermi. Ammesso che tu ne sia effettivamente in grado…". Nessuna risposta. Arton non seppe come interpretare quella reazione, ma provò a spingersi un po’ più in là "Oppure, se proprio tu fossi sfortunato, potrei uccidere qualcuno dei tuoi amici… O sterminare la tua famiglia". Ecco! Ecco il segnale! Arton era abituato a capire certe cose. Il suo potere più temibile, per poter funzionare al meglio delle proprie possibilità, doveva fare leva sulla paura dell’avversario. D’altra parte, era evidente che quel ragazzo non temeva per la propria vita: altrimenti, perché lo avrebbe attaccato? Bisognava trovare qualcosa al pensiero di perdere la quale fosse soverchiato dal terrore più atroce. E, quando il guerriero dall’armatura verde aveva pronunciato la parola ‘famiglia’, aveva ottenuto l’effetto sperato. Ub aveva deglutito. Un gesto impercettibile, che chiunque altro avrebbe considerato insignificante. Ma Arton, da esperto in materia quale era, aveva capito che quel movimento involontario denotava il terrore che il ragazzo provava alla prospettiva di perdere i propri cari. Rincarò la dose: "Sai, credo che mi divertirò a torturare i tuoi genitori… E poi… Hai dei fratelli? Scatenerò contro di loro delle altre cavallette scorpione, così impazziranno e si ammazzeranno a vicenda!". "Non ti azzardare!" ringhiò Ub, confermando inconsapevolmente i sospetti del suo nemico. A questo punto, il Cavaliere si lanciò nel pieno del proprio progetto di terrore: "A giudicare dai tuoi tratti somatici, tu devi essere originario delle isole del sud, no? Quindi, potrei uccidere tutti i tuoi cari semplicemente facendo così…". Con un gesto naturale e abominevole al tempo stesso, Arton alzò la falce e la calò in direzione sud. Una gigantesca onda di vuoto tagliante iniziò a scavarsi una strada inesorabile e distruttiva per la terra e il mare, viaggiando come un verme assassino oltre l’orizzonte. Pochi secondi dopo, un’esplosione di potenza inaudita squarciò l’aria, mentre un lampo di energia violacea rischiarava l’orizzonte meridionale di una luce spettrale e inquietante. "Ooops!" disse Arton sarcastico "Mi è scappato un colpo… Di certo, chiunque si trovasse laggiù non è sopravvissuto… Chissà se c’erano anche i tuoi genitori… La cosa non ti preoccupa?". Prima ancora di potersi girare verso Ub, il Cavaliere dell’Apocalisse fu investito da una raffica di pugni al viso e all’addome; con una forza spaventosa e insospettabile, il ragazzo stava tempestando di colpi quell’avversario che aveva saputo metterlo in difficoltà solo pochi minuti prima. Quando venne raggiunto da un calcio in pieno viso, che lo mandò a schiantarsi sul tetto di un grattacielo, Arton capì di aver centrato il bersaglio. Si rialzò barcollando, appoggiandosi sulla falce. Sentì il suo avversario che atterrava davanti a lui e scattava per colpirlo di nuovo. Stavolta, però, il pugno sibilante di Ub non raggiunse il bersaglio: il guerriero dal lacero mantello lo fermò a mezz’aria nella propria mano. "Vorrei farti notare una cosa:" sogghignò questi spostando il braccio del ragazzo in modo che fosse direttamente sotto gli occhi del proprietario "tu stai morendo". Ub guardò sconcertato le piaghe sanguinanti che gli stavano deturpando le carni. Ma non le guardò per molto: un calore innaturale gli pervase le membra e gli annebbiò il cervello, rendendolo malfermo sulle gambe. La sua vista si annebbiò, mentre un dolore lacerante gli cresceva in tutto il corpo e sentiva nuove ferita aprirsi nelle sue carni. Respirando affannosamente, si accasciò al suolo. La voce di Arton, sopra di lui, era sarcastica e trionfante: "Forse non hai ancora capito cosa ti è successo, quindi te lo spiego: nell’antichità si credeva che le malattie nascessero dal lievito della paura. Soprattutto in tempi di pestilenza, si pensava che il modo migliore per tenere lontano il morbo fosse dedicarsi ai piaceri del corpo per scacciare i cattivi pensieri. Una teoria piuttosto bizzarra, ma che io sono riuscito a sfruttare a mio vantaggio. La tecnica che stai subendo si chiama Fear Yeast e si basa proprio su questo principio: se hai paura, vieni contagiato dalla malattia che io, in quanto Pestilenza, trasmetto con la mia presenza. Addio".

Alta più di due metri e mezzo, la creatura che era comparsa nel corridoio, illuminata dalla luce delle torce, aveva un aspetto tutt’altro che rassicurante. Fino all’altezza del naso, la sua testa era coperta da una sorta di elmo metallico, nel mezzo del quale spiccava una larga e bassa lente orizzontale, che doveva fungere da visore. Delle piccole sbarre scendevano dal bordo dell’elmo e si andavano a congiungere con una protezione che copriva il mento, a propria volta sostenuta da degli agganci all’altezza delle orecchie. Ciascun braccio sembrava affondare in quello che dava l’impressione di essere un gigantesco guanto metallico, sproporzionatamente lungo, che terminava con una rozza mano costituita da tre dita montate in circolo su di un’appendice a forma di cupola. Anche le gambe erano calzate da strutture simili, anch’esse terminanti in tre dita, una rivolta in avanti, due rivolte all’indietro, a formare una posizione d’appoggio. La creatura umanoide, perché uomo di certo non era, ringhiò rabbiosamente, mentre una bava bianca e schiumosa le colava dalla bocca, mentre i suoi muscoli sproporzionati si tendevano sul petto nudo e sulle braccia fin quasi a dare l’impressione di colersi spezzare. Pan balzò davanti a tutti, assumendo la sua posizione di combattimento: "Era ora che succedesse qualcosa di interessante!" esclamò ridacchiando. "Aspetta!" disse Crilin afferrando la ragazza per una spalla "Non sappiamo chi sia questo tizio, è meglio non essere precipitosi. E poi, non possiamo permetterci di morire qui: dobbiamo assolutamente portare a Bulma le informazioni che abbiamo registrato". "Quali informazioni?" domandò Bra lanciando un’occhiata dubbiosa all’anziano guerriero "Non mi sembra che abbiamo trovato qualche idea per sconfiggere i nemici…". Se l’essere mostruoso che era comparso non si fosse lanciato a capofitto sul gruppo, a quel punto sarebbe calato il silenzio. La carica del mostro, però, provvide a ribaltare letteralmente tutti i presenti. Apparentemente, di era lanciato in mezzo a loro senza alcun criterio, agitando a caso le enormi braccia meccaniche. Senza lasciarsi prendere in contropiede, Pan si girò rapidamente e giunse le mani sul proprio fianco: "Ka… Me… Ha…". "No!" gridò Yamcha prendendole un polso "Se usi l’Onda Kamehameha in questo corridoio, rischi di farcelo crollare addosso!". Già, quella era una considerazione interessante. "È vero, non puoi usare l’Onda Kamehameha!" intervenne Bra appoggiando il palmo della mano destra sul dorso della sinistra e poi portandole entrambe all’altezza della testa, piegando contemporaneamente il proprio corpo all’indietro "Adesso gli sparo un Garrick Cannon che se lo ricorda…". "Non penso che cambierebbe molto!" intervenne Crilin, che ormai era sull’orlo di una crisi di nervi. Yamcha diede distrattamente la telecamera in mano a Pan: "Lasciate fare a un professionista" disse assumendo un’aria da idolo delle ragazze che, data la sua età, era più ridicola che affascinante "In ambienti ristretti come questi, la mia tecnica è più adatta". Alzando il palmo della mano destra, cominciò a concentrarvi la propria energia spirituale, facendole prendere la forma di una sfera azzurrina: "Sokidan!". La sfera partì velocissima dalla mano del guerriero, puntando direttamente sulla creatura, che era ripartita all’attacco. Vedendo quel lampo di luce che gli volava addosso, il mostro si abbassò istintivamente, mentre l’energia liberata da Yamcha gli sibilava a pochi centimetri dal capo. "Hai visto?" ritorse Pan irritata "Hai voluto fare da te e l’hai mancato!". Un secondo dopo, la sfere azzurra fece marcia indietro e partì di nuovo verso la testa del nemico, apparentemente seguendo con il proprio moto dei bizzarri movimenti che Yamcha stava facendo con le mani in direzione del proiettile. Girandosi di scatto, la creatura vide che la minaccia non era ancora scampata: balzò in avanti, correndo nuovamente verso il gruppo, forse nella speranza di far schiantare il dardo di luce contro di loro. Prima che chiunque potesse fare qualcosa, Crilin si piazzò davanti agli altri e alzò verso l’alto il palmo della mano: "Kienzan!". La lama di luce rotante partì dal suo arto proteso e schizzò verso il mostro. Impegnata a evitare il Sokidan, la creatura sene accorse solo troppo tardi. Uno schizzo di sangue macchiò la parete, mentre la cupola che copriva la testa dell’essere, tagliata dal Kienzan, cadeva a terra con u fastidioso rumore metallico. Un secondo dopo, il proiettile sparato da Yamcha la colpì in piena nuca, mandandola a sbattere violentemente il volto contro il pavimento.

"Fatto!" esclamarono all’unisono Crilin e Yamcha battendosi i palmi delle mani gli uni contro gli altri. "Che noia!" borbottò Pan "Si sono presi loro tutto il divertimento!". Non passò che una manciata di secondi: l’essere parte uomo e parte macchina si rialzò. Ora che il caso era stato tagliato, il suo viso si poteva vedere chiaramente: naso e mento larghi, occhi piccoli, assenza quasi totale di sopracciglia. I capelli, tagliati cortissimi, quasi a zero, erano neri. Con una striscia bianca in mezzo. Dalla sua tempia sinistra, dove era stato sfiorato dal Kienzan, sgorgava un rivolo di sangue. Digrignando i denti in un ringhio rabbioso, il mostro slanciò il capo all’indietro e si scagliò sui suoi nemici.

Goku masticò a fatica la sua stessa saliva. Ancora una volta, a meno di ventiquattr’ore dall’ultima, si sentiva in bocca il sapore del sangue. Cercò di guardarsi attorno, ma la sua testa era bloccata da qualcosa. Roccia. Era fredda e tagliente contro le sue guance. La riconobbe subito perché ce lo avevano scagliato in mezzo altre volte. Con il corpo che gli faceva male dappertutto, si tirò faticosamente in avanti e fece sporgere il capo dal punto in cui si trovava. Contemporaneamente, cominciò a ricostruire gli eventi. Adam lo aveva colpito con una potenza tale da lanciarlo chissà dove. Be’, ora che poteva vedere la situazione, si accorse quasi con delusione che no era finito poi molto lontano. Il suo corpo si era andato a incastrare nella scogliera rocciosa che dava sul mare della zona nordoccidentale del mondo. Poteva vedere Yunzabit in lontananza. E si sentiva malissimo. Combattere con Adam era stata l’esperienza più provante della sua vita. Estese i suoi sensi tutt’intorno, nel tentativo istintivo di captare qualcosa. E quello che captò non gli piacque. Le aure di Vegeta, Gohan e Piccolo erano praticamente inesistenti e si stavano spegnendo lentamente. Altrove, gli sembrava di percepire la presenza di Ub, anch’essa parecchio indebolita, e quella di qualcuno che non riuscì a identificare… Gotenks? Possibile? Erano anni che Goten e Trunks non ricorrevano alla Fusion, ma, d’altra parte, le circostanze dovevano averlo richiesto. Poi, quasi inconsciamente, riuscì ad alzare il capo verso il cielo. La luna sembrava maledettamente vicina. E gli portava alla mente strani ricordi. Bulma gli aveva raccontato che si era trasformato in scimmione almeno un paio di volte; tutto questo, ovviamente, dopo che Vegeta gli aveva fatto capire chi avesse ucciso suo nonno. E dopo che aveva visto Gohan diventare un gigantesco primate a propria volta. Lui, però, non riusciva a ricordare i suoi exploit di scimmia gigante. Forse aveva un rifiuto inconscio di quelle esperienze perché gli era rimasto il rimorso per essere stato la causa della morte di suo nonno. Eppure, dovette fare uno sforzo di volontà per distogliere lo sguardo dalla luna. Un secondo dopo, fu sul punto di ridere di se stesso: ormai non aveva più la coda, non rischiava di trasformarsi in quel mostro. Ma non era il momento di pensare a queste cose: bisognava rimettersi in sesto. Si appoggiò l’indice e il medio sulla fronte e scomparve in un istante.

"Non ci posso credere!" esclamò Dende mentre camminava avanti e indietro per il cortile del Santuario di Dio. Davanti a lui, Mr. Popo e Goku lo guardavano, come in attesa di un ulteriore responso. Nemmeno mezz’ora prima, il Saiyan si era materializzato al Santuario coperto di ferite; ovviamente, il namekiano aveva usato i propri poteri per curarlo e poi aveva ascoltato il suo racconto. La luna era in rotta di collisione con la Terra (fatto che aveva già sospettato: si era reso conto dell’anomalia del satellite), le Sfere del Drago erano disperse e i guerrieri più forti del pianeta sembravano essere incapaci di sconfiggere questi nuovi nemici, individui creati in laboratorio da una civiltà perduta che anelava scoprire i segreti delle divinità. "Se almeno si potessero usare le Sfere del Drago, ci basterebbe andarle a cercare" commentò Goku "Però, visto che Adam e i suoi compagni hanno già espresso i loro desideri, se anche le avessimo con noi, non ci servirebbero". "Già," convenne Dende "anche se avessero usato uno solo dei desideri, dovremmo aspettare altri quattro mesi e abbiamo poco più di un giorno". "Forse una soluzione c’è" intervenne Mr. Popo "Se mettessimo le Sfere del Drago nella Stanza dello Spirito e del Tempo, potrebbero ricaricarsi completamente nel giro di ventiquattr’ore, no?". Goku e Dende girarono lentamente la testa verso l’impassibile assistente di Dio. "È vero!" esplose il namekiano prendendo il suo secondo per le spalle "Sei un genio, Popo!". "Sì, è proprio una bella idea!" esclamò Goku a propria volta. Poi, si rabbuiò all’improvviso: "Però… c’è un problema… Parecchio tempo fa, Bulma mi disse che il Dragon Radar può individuare le Sfere solo se sono cariche e adesso non lo sono: come facciamo a trovarle?".

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Capitolo 6
*** Part 06 - Ascension ***


Ray’s

The Sixth

Part 06 – Ascension

Nessuno lo sapeva, ma lui era rimasto lì ad aspettare per secoli. Era nato in laboratorio, da un tentativo fallito di combinare del DNA divino con quello dei Nuovi, o Malkut, o Saiyan. Tuttavia, in quel caso particolare, i due differenti modelli di codice genetico non erano riusciti a mescolarsi in maniera accettabile. Per qualche strano motivo che sfuggiva persino a chi aveva condotto l’operazione, i suoi tessuti erano in perenne putrefazione, fatto questo che aveva costretto i suoi creatori a sostituirgli braccia e gambe con protesi meccaniche. Poi, era successo qualcosa. Adam e i Cavalieri dell’Apocalisse, riconoscendolo come una versione meno riuscita di loro stessi, avevano impedito che lui fosse annientato dal Malkut a cui avevano tolto il sigillo e lo avevano messo in una camera di stasi, in attesa della loro prossima venuta. Ma quella venuta non si era mai verificata. Aveva dormito per secoli e nessuno era arrivato a svegliarlo. Non aveva avuto modo di sapere che, solo la sera prima, Anaton si era messo in viaggio proprio con questo scopo, ma era stato fermato da Adam, che non aveva ritenuto una tale operazione necessaria. Poi, qualcuno lo aveva effettivamente svegliato. Ma lui ne era rimasto deluso: si trattava di due femmine di Malkut e di due Lilim, non delle persone che aveva aspettato. E, dato che la contaminazione tra il DNA del Dio creatore e quello dei Malkut aveva danneggiato anche il suo cervello, l’unica reazione a cui riusciva a pensare era la violenza.

Anaton stava incominciando a essere seccato da quella situazione. Il Malkut resisteva. Nonostante lui lo colpisse ripetutamente, nonostante lo avesse letteralmente massacrato, il Malkut era ancora vivo. Mentre i due avversari si fronteggiavano nei cieli di Satan City, fluttuando uno davanti all’altro, Gotenks pensò che ormai aveva esaurito tutte le sue carte. Peggio: i trenta minuti per cui poteva durare la Fusion stavano per scadere, quindi era ora di darsi una mossa. Non fece nemmeno in tempo a terminare il pensiero: Anaton fu su di lui e lo colpì in piena testa con un calcio, mandandolo a schiantarsi contro un palazzo; perforandolo per l’impatto con il proprio corpo, il Saiyan finì a incastrarsi contro la parete dell’edificio che gli stava dietro. Aprì gli occhi appena in tempo per vedere il Cavaliere dell’Apocalisse che si scagliava contro di lui e scattò in avanti, sorprendendolo con un calcio al viso: "Great Kick Special!". Prima ancora che l’avversario potesse andare a sbattere contro il muro del palazzo che lui aveva trapassato, cominciò a concatenare una serie di colpi tanto fantasiosi quanto poco efficaci: "Miracle Super Punch! Hyper Plasma Short Cake! Magnum Sundae! Ultra Missile Parfait!". Bloccando al volo l’ultimo attacco, Anaton rispose con una raffica di pugni, seguita da un uppercut che scagliò il nemico in cielo; determinato a non farsi sorprendere nuovamente, il guerriero dal mantello nero volò di nuovo verso di lui, stavolta più velocemente. Ma non a sufficienza, evidentemente: Gotenks si riprese dopo solo qualche decina di metri di volo e, al grido di "Renzoku Shine Shine Missile!" gli sparò contro una pioggia di raggi di energia. Senza scomporsi, il Cavaliere dell’Apocalisse li deviò tutti con una serie di colpi delle braccia, mentre, contemporaneamente, continuava a volare contro il nemico. Il Saiyan se lo trovò di fronte quasi senza accorgersene; poi, fu centrato in pieno viso da un calcio. Mentre si rimetteva in posizione con un colpo di reni, e si beccava un altro colpo in faccia, Gotenks pensò che ormai era questione di un paio di minuti prima che la Fusion si sciogliesse. E Anaton fu di nuovo su di lui, colpendolo al ventre con un pugno e facendolo schiantare sulla terrazza di un palazzo. Mentre un paio di vasi di fiori gli cadevano addosso, Gotenks sentì il suo avversario che atterrava lentamente davanti a lui. Bisognava agire in fretta: balzò in avanti e lo colpì con un pugno al volto. Sfruttando la spinta della botta che aveva preso, Anaton, girò su se stesso e rispose con un calcio al fianco che fece piegare in due il Saiyan, mozzandogli il respiro in corpo. Il guerriero dall’armatura blu lo afferrò per il gilet prima che potesse cadere e lo sollevò davanti al sé. "Sembra che siamo all’epilogo" disse con uno dei suoi soliti sogghigni "Confesso che non mi aspettavo tanto da te, ma ora è tempo che tu subisca l’Eternal Hunger". Il cavaliere sollevò la mano in un gesto teatrale, preparandosi a vibrare il colpo fatale. Ma non lo fece. Si accorse di non poter muovere il braccio. E nemmeno l’altro, quello con sui stava trattenendo l’avversario. E anche le sue gambe erano bloccate. Si guardò attorno freneticamente, alla disperata ricerca di una ragione per quanto era appena successo. Un cerchio di energia dorata cingeva ciascuno dei suoi polsi e ciascuna delle sue caviglie, immobilizzandoli sul posto. "Hai presente il Galactic Donut che ho sparato prima?" chiese Gotenks "Ne ho lanciati altri cinque mentre tu ti liberavi da quelli in cui ti avevo rinchiuso quando ti ho attaccato con il Super Ghost Kamikaze Attack…". Anaton sogghignò di nuovo: "Non capisco proprio a cosa ti serva!" esclamò, mentre un’ondata della sua aura infrangeva in un attimo gli anelli ai suoi polsi. "Mi basta liberarmi le mani per darti il colpo di grazia!". Il cavaliere dell’Apocalisse scoppiò in una risata sguaiata, che creava un violento contrasto con i suoi soliti ghigni. All’improvviso, si accorse si qualcosa che, strisciando tra le sue labbra, gli si infilava nella gola, scendendo sempre più in profondità. Anche la bocca di Gotenks era aperta. "Una bella risata" schernì il Saiyan "Pensavo di guadagnare un po’ di tempo con i miei anelli di energia, ma mi hai dato un’occasione anche migliore: ti ho appena sputato in bocca uno dei miei fantasmi esplosivi…". Anaton sbiancò: "Non è possibile" mormorò lasciando andare, in preda allo stupore, il proprio avversario, mentre sentiva il suo stomaco in subbuglio. "Io non posso essere sconfitto da uno come questo qui! La sua forza è inferiore alla mia!". Per la prima volta nella propria vita, il cavaliere dell’Apocalisse stava provando terrore. Liberandosi dei Galactic Donut che gli stringevano le caviglie, si involò verso il cielo, premendosi il ventre che gli doleva sempre più. Poi, vibrando sempre più, scuotendo il suo stesso corpo come in preda a una crisi dolorosa, la Fame esplose. Goten e Trunks videro lo scoppio separati.

Mentre Ub crollava a terra, il suo corpo deturpato da chissà quali indescrivibili malattie, Arton lo guardava contorcersi morente ai propri piedi. Il ragazzo era stato un avversario duro, ma adesso era finita. Il piano poteva continuare. Certe volte, Arton si chiedeva perché, ma preferiva non porsi certe domande. L’idea del piano che prevedeva la distruzione della Terra per ripulirla dei suoi peccati aveva sempre fatto parte della sua personalità. Non avrebbe saputo dirne il motivo, ma doveva realizzarla. Uno come lui non aveva altra scelta. In quel momento, mentre contemplava la Città del Sud chiedendosi come avrebbe potuto portare avanti la distruzione attenendosi alle profezie, gli venne in mente qualcosa che Adam aveva detto solo qualche ora prima, quando tutti e cinque i guerrieri creati con il DNA del Dio Creatore si erano riuniti a Yunzabit: "Siamo nati in provetta, siamo creature che non avrebbero mai dovuto vedere la luce. Però siamo vivi. Siamo vivi e, in quanto tali, non possiamo sederci ad aspettare passivamente; abbiamo bisogno di uno scopo. Chi ci ha creati ci ha detto che noi siamo nati per difendere la Terra e per spianare la strada all’umanità verso la scoperta delle Sephiroth e l’evoluzione a una forma superiore. Ma io non accetto che sia qualcun altro a dirmi a cosa finalizzare la mia vita: io voglio decidere in cosa credere". Adam aveva fatto un discorso simile già moltissimo tempo prima, poco dopo la loro creazione. Nel cervello di tutti i Cavalieri dell’Apocalisse, inspiegabilmente, c’era questo desiderio di distruzione. Ed era l’unica cosa che potessero identificare come veramente loro. Non avevano una famiglia, perché erano stati generati artificialmente. Non avevano dei compagni con cui condividere la propria vita, perché erano umani di un nuovo tipo e i Lilim non potevano capire le loro sensazioni. Ciascuno di loro aveva gli altri e i pensieri che tutti condividevano, niente più.

Ub Si rimise in piedi a fatica, il suo corpo scosso da tremiti incontrollabili. Per un attimo, aveva pensato di poter davvero battere il proprio avversario: dopo la fusione con Majin Bu, aveva ottenuto una potenza eccezionale. Forse stupidamente, aveva creduto di essere invincibile, aveva presunto che nemmeno un nemico come quello che si trovava di fronte potesse tenergli testa. E forse aveva anche avuto ragione: era riuscito a combatterci praticamente alla pari. Ma non aveva tenuto conto di quella tecnica che Arton aveva chiamato Fear Yeast. Non poteva evitare di temere per le sorti della propria famiglia. Il fatto che loro potessero essere morti gli impediva di ragionare anche più di quanto facesse la febbre innaturale che gli infiammava il corpo, alterando le sue percezioni e precludendogli ogni possibilità di connettere. L’unica cosa che riusciva a focalizzare, seppure sbiadita e confusa, era l’immagine di Arton. Gli si avvicinò barcollando, in un tentativo patetico e inutile di colpirlo. Il suo pugno andò a vuoto senza che il nemico dovesse nemmeno spostarsi.

Arton sorrise tristemente nel vedere il proprio avversario ridotto in quello stato: dopotutto, era stato l’unico opponente che gli avesse offerto una sfida degna di questo nome. Era stato forte e tenace. Gli aveva tenuto testa fino al punto di costringerlo a usare il Fear Yeast. Mentre evitava un suo goffo attacco, pensò che almeno gli doveva una morte veloce, in riconoscimento della sua abilità. Con un gesto misurato e teatrale, alzò la falce sopra la testa, socchiudendo gli occhi e girando leggermente il capo verso sinistra, affondando il viso nelle pieghe del mantello in una movenza assurdamente plateale. Si spostò di lato per evitare un pugno di Ub, che sembrava migliorare la propria mira di secondo in secondo, poi sogghignò: "Sono stato contento di aver combattuto con te" disse, senza sarcasmo ma consapevole della propria posizione di superiorità "Sei stato bravo. È proprio per questo che ti grazierò uccidendoti subito, senza farti soffrire ulteriormente". Il ragazzo saltò di nuovo in avanti, di nuovo a pugno teso, di nuovo facendo sibilare il proprio arto nel vuoto, mentre il suo bersaglio si spostava senza alcuna difficoltà. Arton si lasciò sfuggire un ringhio irritato, mentre tirava un calcio in viso al suo nemico, spedendolo nuovamente a terra: si stava muovendo troppo. Era seccante. Doveva restarsene fermo, altrimenti come avrebbe potuto giovare della dolce morte che c’era in serbo per lui? Ub si alzò ancora, sostenuto più dalla tenacia che dal proprio corpo. Tentò un altro pugno che fu schivato ancora. E ancora Arton lo colpì con un calcio, ancora mandandolo a terra. E ancora, Ub si rimise in piedi. E ancora alzò il pugno per colpire. E ancora Arton lo guardò quasi con compassione, osservandolo mentre si lanciava contro di lui e aspettando l’ultimo momento per evitare. Stavolta, però, il pugno colpì il cavaliere dell’Apocalisse in pieno stomaco, facendolo piegare su se stesso e aprendo profonde crepe nella sua armatura. Ma che diavolo era successo? Arton era quasi nel panico: perché non era riuscito a schivare? Alzando la testa, il guerriero dal mantello lacero si guardò attorno. In aria, a pochi centimetri dal suo corpo, in tutte le direzioni, fluttuavano delle piccole sfere di energia violacea. Arton capì in un attimo quello che era successo: Ub non aveva attaccato a caso. Ciascuno dei suoi pugni aveva avuto un obiettivo. E li aveva centrati tutti. Quei colpi erano serviti solo per disporre un fitto reticolo di sfere energetiche, una sorta di campo minato che aveva imprigionato il Cavaliere da tutte le parti. Il guerriero dai capelli bianchi e neri imprecò mentalmente contro se stesso: come aveva potuto non accorgersene? Lo aveva sottovalutato fino a quel punto? "Non cambia niente!" esclamò Arton alzando di nuovo la falce sopra la testa: stavolta, avrebbe colpito senza esitazioni. La lama tagliò l’aria impietosa e inesorabile, veloce e inarrestabile, mentre, dalla mano aperta di Ub, scaturiva un raggio di energia violacea. Il ragazzo sentì il suo stesso sangue che spruzzava dalla ferita che la falce gli aveva procurato conficcandoglisi nella spalla sinistra, bagnandogli la faccia con un caldo sentore che era offuscato solo dalla febbre. Poi, l’arma di Arton cadde a terra. Perché non c’era più nessuno a sostenerla. Al posto del Cavaliere dell’Apocalisse, a terra, giaceva ora una bizzarra tavoletta di cioccolato antropomorfa. L’ultima cosa che Ub riuscì a fare fu frantumarla sotto il proprio piede.

"Allora?" chiese Goku "Come la mettiamo?". Bulma cominciò a camminare in circolo per il salotto, mentre cercava di raccogliere le idee. Il Saiyan era appena arrivato a casa sua, raccontandole che la Terra era in pericolo e che c’era bisogno di trovare il prima possibile le Sfere del Drago. Solo che erano state usate da meno di ventiquattr’ore e, di conseguenza, trovarle con il Dragon Radar sarebbe stato impossibile. Quando entrava nelle sue fasi ‘creative’, Bulma diventava piuttosto bizzarra; cominciava a gironzolare in circolo in qualsiasi posto si trovasse: il salotto, la camera da letto, il bagno, un locale pubblico, il bel mezzo della strada…. Tempo prima, Vegeta le aveva rinfacciato che questo le succedeva soprattutto dove poteva dare fastidio. Sembrava che nemmeno lui fosse mai riuscito ad abituarsi a questo tipo di comportamento; da parte loro, Chichi, Videl, 18 e Marron, non potevano che aspettare, sedute in poltrona, che a lei venisse in mente qualcosa. "Posso fare una prova" concluse la donna fermandosi all’improvviso "Assumendo che le Sfere comincino a ricaricarsi subito dopo essere state usate, è possibile che in esse vi sia comunque una certa quantità di energia che potrebbe essere percepita. Se riuscissi ad aumentare la sensibilità del Dragon Radar a sufficienza, forse potremmo localizzarle". "Fallo al più presto" la esortò Goku "Non abbiamo tempo. Dobbiamo trovare un modo per sconfiggere i nemici, o almeno mettere al sicuro la Terra, il prima possibile". "D’accordo" rispose Bulma facendo per infilare la porta per il corridoio e avviarsi verso il proprio laboratorio. Afferrò la maniglia e si fermò. Doveva chiederglielo: "E Vegeta?". Goku deglutì. Forse era meglio non dire tutta la verità: "Vegeta… Be’, come sai, siamo partiti insieme per combattere questi nemici… Siamo stati sconfitti, però… Vegeta è rimasto indietro per tenere d’occhio le loro mosse. Non preoccuparti, sta bene". Bulma varcò la porta senza una parola. Era già in corridoio, quando il guerriero la sentì sussurrare: "Non se mai stato capace di mentire". Un attimo dopo, Marron si alzò e si avvicinò a Goku: "E Trunks? Ne sa qualcosa?". "Veramente no" rispose lui con un certo imbarazzo "Però, quando lui e Goten sono insieme, sono imbattibili… Non c’è niente di cui preoccuparsi, ce la faremo anche stavolta, vedrai!". La ragazza chinò il capo: "Mi dispiace di non poter fare niente… Mi sembra di essere solo il personaggio secondario di un fumetto… Uno di quelli che si lamentano, si preoccupano e aspettano che l’eroe li salvi". Goku tacque per un attimo, poi sospirò: "Non dovresti avere un’opinione tanto bassa di te stessa. Nei fumetti, i personaggi secondari sono quelli per cui l’eroe combatte, quindi hanno un ruolo importante. E poi, non è detto che le cose stiano davvero così". Marron scoccò al proprio interlocutore un’occhiata poco convinta. Quello che Goku le aveva detto non l’aveva confortata. Per niente. Anche Bra e Pan stavano contribuendo alla battaglia con questi nuovi nemici, lei era l’unica che non stesse facendo niente. Chiuse i pugni fin quasi a conficcarsi le unghie nei palmi delle mani, poi prese una decisione.

"Spero che il mio corpo non venga distrutto…" gridò Goku, più a se stesso che a un qualsiasi interlocutore "…Ora provo il triplo Kaioh Ken!". Un attimo dopo, dai suoi muscoli già feriti scaturì un’aura lucente ed esplosiva, mentre il terreno si spaccava sotto i suoi piedi, frantumato dall’incredibile energia che si stava generando. "Cos... Cosa…?!" mormorò Vegeta mentre vedeva l’altro Saiyan scagliarsi contro di lui e sentiva il suo pugno che gli si schiantava in faccia. Poi, il Principe dei Saiyan subì più colpi di quanti potesse ricordarne senza ferire ulteriormente il proprio orgoglio. Quando Goku, stremato dalla potenza che il Kaioh Ken gli stava scaricando addosso, si fermò, anche Vegeta ebbe un attimo di pausa. Si pulì istintivamente il viso e vide il sangue che gli macchiava di rosso il guanto immacolato. "…Sangue…?!" sussurrò tra sé e sé "Ho perso sangue combattendo con quel verme…?!". Poi, il sussurro divenne un grido: "Non voglio più questo pianeta! Distruggerò te e tutta la Terra!". Lanciato più dall’ira che dalla propria forza, Vegeta si scagliò in aria e fece esplodere la potenza del Garrick Cannon verso il suo insolente avversario, verso quell’ignobile Saiyan di basso livello che aveva osato superarlo, verso quel maledetto pianeta che gli aveva permesso di crescere.

Nessuno poteva superarlo!

Lui era il Principe dei Saiyan!

Era lui il numero uno dello spazio!

Come aveva osato, un guerriero di classe inferiore come Kakaroth, diventare più forte del proprio signore?

Nessuno poteva superarlo!

Nessuno poteva superarlo!

Vegeta aprì gli occhi. Quei flashback stavano cominciando ad annoiarlo. Una volta, aveva sentito dire che chi stesse per morire vedeva tutta la propria vita scorrergli davanti, ma aveva sempre pensato che questa diceria fosse solo un’assurdità. Già, se succedeva solo a chi stava morendo, chi l’aveva raccontata la prima volta? In quel preciso momento, però, stava sperando che la morte non fosse ciò che quella battaglia aveva in serbo per lui. Alzò il capo e vide la luna, ora enorme e scarlatta come mai lo era stata prima. Contro l’astro sanguinolento, si stagliava la sagoma di Adam. Anche quella vista stava cominciando ad annoiarlo. E a irritarlo. Perché non si toglieva dalla luna? Perché non lasciava che lui la guardasse e la rimirasse come era stato solito fare ai bei tempi andati, quando ancora aveva la coda, quando ancora poteva trasformarsi e fare calare l’ira del distruttore sui mondi che conquistava?

Pilaf guardò avidamente il tavolino che c’era davanti a lui. Accuratamente disposte su di un panno rosso, le sette Sfere del Drago, tutte recuperate in meno di ventiquattr’ore, sembravano bramare di essere usate al più presto. In quel momento erano scariche, vuoti involucri di un potere divino, pietre che non avevano nemmeno una parvenza della potenza originaria. Ma il piccolo aspirante dittatore sapeva bene che quei sassi avrebbero potuto garantirgli il dominio sul mondo intero. Mentre il suo grosso e sgraziato aereo si dirigeva verso il castello che aveva fatto costruire nel bel mezzo del deserto, proprio dove, molti anni prima, uno scimmione gigante lo aveva distrutto, Pilaf si sfregava le mani compiaciuto. Dopo tanto tempo, dopo tanta fatica, finalmente le Sfere del drago erano in mano sua. I ritrovati della moderna tecnologia gli avevano permesso di ottenere quello che molti desiderato senza successo. Per tutti gli anni precedenti, le sue ambizioni erano state stroncate da Son Goku, quel maledetto ragazzino… Ma ormai Goku doveva essere vecchio, troppo vecchio per mettersi contro il suo esercito di robot. E poi, come avrebbe potuto sapere quello che stava facendo? No, stavolta sarebbe andato tutto bene.

La creatura vibrò un colpo devastante laddove, poco prima, si era trovata la testa di Bra, frantumando il muro del corridoio e facendosi crollare addosso una pioggia di detriti. La ragazza si allontanò rapidamente, mentre Pan scattava in avanti e colpiva il mostro umanoide con un calcio in pieno viso. Girando appena la faccia sotto la forza del colpo, il guardiano del tempio la afferrò per una caviglia e la sbatté a terra; mentre si stava ancora riprendendo dall’impatto, Pan vide le tre dita dell’enorme piede meccanico che calavano inesorabili su di lei… Poi, un’esplosione di luce azzurrina fece arretrare il mostro umano di qualche passo, quando le onde di energia lanciate da Crilin e Yamcha lo colpirono in pieno. Bra ne approfittò per lanciarsi contro la creatura e centrarla con un uppercut alla mandibola, apparentemente senza molto successo: dopo aver incassato il colpo, l’essere calò contro la giovane uno dei suoi enormi arti metallici, sbattendola a terra. Poi, visto che aveva atterrato entrambe le ragazze, rivolse la propria attenzione ai due uomini. Scattando in avanti con velocità inaudita, protese entrambe le braccia contro i due; sia Yamcha che Crilin evitarono l’attacco balzando oltre gli arti e atterrando direttamente alle spalle del mostro. Inspirando con tutta la calma che la situazione permetteva, raccolsero una carica di energia, che liberarono un attimo dopo scagliandola contro il nemico sotto forma di altre due Onde Kamehameha. Nemmeno queste ebbero un grande effetto, ma i due anziani guerrieri sembravano compiaciuti del proprio lavoro di squadra. "Mi sa che ce la dobbiamo sbrigare noi" considerò Yamcha "Pensare che quelle ragazzine potessero essere d’aiuto è stato troppo ottimistico". "Già" convenne Crilin mettendosi in posizione di guardia "Saranno anche dotate della forza dei Saiyan, ma sono troppo inesperte. Non sono capaci di usare nel modo giusto la loro potenza naturale, perché non hanno mai affrontato un vero combattimento". Pan e Bra si rialzarono lentamente, entrambe molto poco contente per quello che avevano appena sentito. "Non sono una bambina!" esclamò Pan, mentre attorno a lei profonde crepe si allargavano sul pavimento. "Io sono capacissima di controllarmi!" rincarò Bra, attorno alla quale stavano cominciando a sollevarsi detriti e pietruzze. Yamcha e Crilin si girarono sbalorditi e anche la creatura si bloccò per un attimo, quasi spaventata dall’energia che le due giovani stavano sprigionando. Ma non era abbastanza intelligente per provare paura: il suo attimo di smarrimento fu solo momentaneo, poi si lanciò verso quelli che ormai aveva identificato come i nemici più pericolosi, scattando in avanti e travolgendo i due guerrieri più anziani mentre passava loro vicino. Tuttavia, il mostro non entrò mai in contatto con le ragazze: un attimo prima che potesse portare il proprio attacco, un’esplosione di luce azzurrina si allungo per il corridoio, riempiendolo di potenza incontrollabile in un secondo. Questo improvviso eccesso di energia non durò a lungo: ben presto, tutta l’area fu scossa fino alle fondamenta, tremando e crollando su se stessa con gran fragore. In superficie, il deserto si aprì in due, scaricando tonnellate di sabbia nella voragine che si era formata e mettendo a nudo le rovine dimenticate della civiltà perduta. Chiunque fosse stato presente in quel momento avrebbe potuto vedere, anche se solo per pochi minuti, le ciclopiche costruzioni di un tempo lontano, un posto che era il tempio e il laboratorio di una razza umana che aveva dedicato la propria esistenza al raggiungimento dello stadio divino tramite la scienza, una stirpe che aveva ucciso il proprio creatore, una civiltà che aveva dannato se stessa cercando di evolversi oltre i limiti posti dalle divinità superiori.

In alto, in volo sulle rovine, Pan, Bra, Crilin e Yamcha guardavano con una punta di amarezza il tempio, mentre veniva di nuovo inghiottito dalle sabbie del deserto. La telecamera di Yamcha era rimasta là, con il risultato che anche la memoria di chi lo aveva costruito, per la seconda volta, sarebbe stata fagocitata dal tempo. "Hai visto che roba?" mormorò Crilin avvicinandosi all’amico, facendo in modo che la ragazze non potessero sentirlo "Non era una novità che i Saiyan mostrassero tutta la loro potenza solo da infuriati, ma non pensavo bastasse così poco per fare arrabbiare quelle due! Con un singolo sfogo di energia hanno fatto fuori quel mostro e hanno distrutto tutto!". Yamcha gli lanciò un’occhiata d’intesa: "Cosa ti dicevo a proposito delle donne?"

Vegeta agitò freneticamente la testa, o almeno così gli parve. Era troppo debole e non solo fisicamente. Era talmente sconvolto da non riuscire quasi a connettere. Mentre la coda immacolata di Freezer gli si stringeva attorno al collo, poteva sentirlo parlare: "Potete aiutarlo, se volete…". Evidentemente, si stava riferendo al tizio pelato, al namekiano e al marmocchio di Kakaroth. Ma, se non era riuscito lui a battere Freezer, che avrebbero potuto fare loro? Poi, si sentì scagliare contro una parete rocciosa e cadere a terra. Freezer gli si avvicinò lentamente, il suo volto contratto in una smorfia di disappunto: "Che noia… Hai perso completamente la voglia di combattere… È ancora presto per darti il colpo decisivo, ma non mi resta altro per divertirmi…".

Vegeta ringhiò: adesso era davvero arrabbiato. Non voleva più avere di questi flashback! Aprì di nuovo gli occhi. Quante volte era svenuto? Possibile che iol combattimento contro Adam lo avesse indebolito a tal punto? All’improvviso, letteralmente nel tempo del battito di un occhio, Adam fu davanti a lui. "Non ti sei ancora ripreso del tutto, eh?" domandò sarcastico "Hai notato quanto si sia avvicinata la luna? Ormai manca poco tempo, poco più di un giorno, e poi si schianterà contro la Terra. Per poter raggiungere questo scopo, la luna è dovuta uscire dalla propria orbita, quindi, tra qualche ora, potremo anche goderci una bella eclissi solare. Proprio come dicevano le profezie, il sole si farà nero come pece" Adam volse il capo verso il cielo, dove il sole e la luna brillavano appaiati, una vista maestosa e inquietante. Poi, riportò lo sguardo su Vegeta: "È passato tanto di quel tempo… secoli, direi. Io e i miei compagni avevamo deciso di procedere a salvare questo pianeta già quando staccammo la coda a quel Malkut che distrusse la civiltà precedente, ma non potemmo concludere il nostro proposito, perché i tempi non erano ancora maturi. Allora, decisi che saremmo dovuti entrare in un sonno di stasi, collegati a dei macchinari che ci avrebbero tenuti in vita e che avrebbero interpretato i segni. Ciascuno di noi si dispose a dormire in una parte differente della Terra, in attesa del risveglio. Quando siamo tornati alla vita, poche ore fa, i macchinati ci hanno fornito tutte le indicazioni necessarie. Devi sapere che questo mondo non può essere distrutto se non si sono verificate le profezie del Dio Creatore. Le stelle devono cadere, il cielo si deve arrotolare su se stesso, le montagne devono crollare. Deve accedere tutto questo, in quest’ordine. Ed è accaduto. Secondo i macchinari che ci tenevano in animazione sospesa, ventinove anni fa sono cadute due stelle; poi, una di esse è ritornata nello spazio, mentre l’altra sembra essere scomparsa senza lasciare traccia" Vegeta sussultò: possibile che si riferisse alle astronavi sua e di Nappa? Adam continuò: "Venticinque anni fa, poi, il cielo si è arrotolato su se stesso. Stava per cadere a terra, ma è stato respinto da un altro cielo". Di nuovo, a Vegeta sembrò di aver già visto qualcosa di simile. Gli venne in mente quando Cell cercò di distruggere la Terra sparando un’enorme Onda Kamehameha e di come Gohan la respinse con una ancora più potente. Il cavaliere dell’Apocalisse proseguì: "Infine, diciotto anni fa, le montagne sono state distrutte dalla prima all’ultima". Certo, era ovvio: diciotto anni fa, Majin Bu aveva annientato la Terra. Evidentemente, quando si era deciso di ripristinarla con le Sfere del Drago di Namek, anche le camere di stasi in cui Adam e i suoi si erano volontariamente confinati erano state ricreate. "Dopo un sonno di secoli, pensavo che avremmo impiegato almeno vent’anni a risvegliarci, una volta che i segni si fossero manifestati" la voce di Adam era ormai simile a u sussurro "Ma mi sbagliavo. Le macchine di mantenimento erano ancora relativamente efficienti e diciotto anni sono stati abbastanza". Tutto questo era un delirio. Non spiegava minimamente le ragioni per cui i Cavalieri dell’Apocalisse volevano la distruzione della Terra. Sembrava ancora che agissero più per istinto o follia, che per uno scopo vero e proprio. Sospirando, Vegeta si lasciò cadere di nuovo tra le spire dell’oblio.

Quando Pan, Bra, Yamcha e Crilin tornarono alla Capsule Corporation, non fu facile raccontare agli altri quello che avevano visto. Come Yamcha puntualizzò a più riprese, se avessero potuto mostrare la registrazione, non avrebbero dovuto cercare di mettere ordine nel caotico resoconto delle ragazze. "Non riesco a crederci" commentò Goku "La storia riguardo l’origine dei Saiyan mi era già stata raccontata da Adam, ma questo… State dicendo che i nostri nuovi nemici vogliono distruggere il mondo senza sapere esattamente perché? Che lo fanno solo perché hanno ereditato i desideri e la follia del Dio Creatore insieme con il suo codice genetico?" "Pare di sì" rispose Crilin "Comunque, adesso resta il problema di come fermarli… In fin dei conti, la nostra missione è stata inutile". Goku deglutì. Non era quello il problema più urgente. Cosa sarebbe successo se Bulma non fosse riuscita a trovare un modo di localizzare le Sfere del Drago? Le aure di Gohan, Piccolo, Goten, Trunks e Ub erano debolissime, quasi inesistenti. L’unica parte positiva di tutta questa situazione era che quelle di due dei Cavalieri dell’Apocalisse erano scomparse totalmente. Ma, nonostante tutto, questo non risolveva molto. Sconfiggere i nemici non sarebbe stato molto utile, se poi la luna si fosse schiantata sulla Terra…

Nella sala comandi del Centro Aerospaziale della Città dell’Ovest, tutti erano indaffaratissimi. Mentre decine di persone si muovevano tra i computer e i macchinari, una voce gracchiante irruppe dagli altoparlanti: "Dieci secondi al lancio… nove…". Già, il lancio. Una soluzione tanto estrema quanto inevitabile. "…otto…". Gli astronomi si erano accorti dell’avvicinarsi della luna alla Terra. "…sette…". L’unica idea che era venuta loro in mente per evitare il disastro fu quella di causarne un altro. "…sei…". Sette missili nucleari ad alta potenza erano stati preparati e stavano per essere lanciati contro la luna, allo scopo di distruggerla prima dell’inevitabile impatto; sarebbero seguite altre salve a distanza di minuti. "…cinque…". Certo, si era pensato alle conseguenze: una pioggia di detriti avrebbe devastato metà del pianeta e le radiazioni si sarebbero diffuse anche all’altra; tuttavia, non c’era altro modo per evitare che il mondo intero venisse distrutto. "…quattro…". Il timore era che la luna si rompesse in pezzi abbastanza grossi da annientare comunque la Terra all’impatto. "…tre…". Ma non c’erano alternative: bisognava rischiare. "…due… uno… partiti!". Con un rombo assordante, i missili vennero scagliati dalla piattaforma di lancio e volarono verso il cielo, lasciandosi dietro una scia biancastra. Decine di occhi apprensivi guardarono con il fiato sospeso il monitor che avrebbe dovuto segnalare il momento dell’impatto. Qualcuno stava telefonando alla famiglia per dire addio; altri si erano stretti spasmodicamente un rosario tra le dita, senza sapere che quello che la Terra stava subendo era la volontà del Dio Creatore; altri ancora cercavano di illudersi che quell’impresa disperata avrebbe permesso almeno ad alcuni di sopravvivere… L’operatore addetto al monitoraggio dei missili era il più teso: sapeva che, dalle sue parole, sarebbero dipese le reazioni di tutte quelle persone. "Meno cinque secondi all’impatto!" dichiarò, mentre il sudore gli scendeva copioso lungo la fronte "Quattro. Tre. Due. Uno. Contatto!". L’attenzione di tutti si concentrò su di lui, anche quella di quei pochi che erano stati intenti in qualche altra attività. "Non capisco…" mormorò l’uomo "Sembra che i missili stiano perforando la luna… Non sono ancora esplosi" "Stanno scavando nel terreno?" domandò qualcuno. "Non saprei" rispose l’operatore "La loro velocità non è diminuita e questo è molto strano… Sembra quasi che stiano passando attraverso la luna senza nemmeno toccarla. Eppure, sono sicuro che la rotta sia esatta…"

Era già sera inoltrata, quando finalmente Bulma uscì dal laboratorio con il Dragon Radar in mano. "Fatto!" dichiarò con un sorriso. Poi, premette il pulsante sulla cima dello schermo e un punto sul vetro verde circolare cominciò a brillare. "Ecco qua! Adesso è in grado di individuare l’energia che le Sfere del Drago ricostituiscono progressivamente mentre si ricaricano!". "Spero solo di riuscire a recuperarle tutte in tempo" disse Goku alzandosi dalla poltrona e afferrando il radar". "Certo che ce la farai!" esclamò Bulma indicando lo strumento "Non vedi che sono tutte e sette in un posto?". Il Saiyan guardò il radar: "Ehi, è vero! Che fortuna! Allora vado a prenderle subito!". Fece per uscire dalla porta, poi si bloccò all’improvviso: "Non ci posso credere…" mormorò "Nella direzione in cui si trovano le Sfere del Drago, sento un’aura familiare.. Possibile che…". In un certo senso, la cosa confortò Goku: se aveva ragione, recuperare le Sfere non sarebbe stato difficile. Allora, poteva approfittare dell’occasione per fare una buona azione. Si girò verso Marron: "Vieni anche tu?". "Io?" domandò la ragazza sorpresa. "Lei?" chiese Crilin esterrefatto. "Lei!" confermò 18, lanciando al marito un’occhiata agghiacciante. "Certo!" rispose Goku "Non avevi detto che ti sarebbe piaciuto fare qualcosa? Aiutami a recuperare le Sfere del Drago. Vieni qui, mettimi una mano sulla spalla". Marron si alzò dalla poltrona e ubbidì. Un attimo dopo, sia lei che Goku erano scomparsi.

Vegeta sbuffò seccato… Sentiva arrivare un altro di quei flashback… Vedeva Trunks, il Trunks del futuro, che veniva trapassato da parte a parte da un colpo di Cell… Riprovava in un attimo tutto quello che aveva sentito in quel momento… Un dolore strano, come mai gli era capitato di provare. Non gli era mai successo prima di sentirsi male per qualcun altro, per qualcuno che non fosse se stesso. Non si era mai curato del suo figlio ibrido, nato da una relazione occasionale con una indegna donna senza coda; e allora, perché vederlo morire gli stava causando tanto dolore? Fin da bambino, si era rassegnato all’idea che la stirpe reale del pianeta Vegeta sarebbe morta con lui: se non c’erano donne Saiyan, era evidente che lui non avrebbe potuto avere figli. E, se anche nei suoi viaggi avesse incontrato una specie abbastanza simile alla sua da permettergli di concepire, non si sarebbe certo abbassato ad accoppiarsi con una femmina che non fosse stata della sua stessa razza. E invece, e malediceva costantemente la propria mancanza di autocontrollo per questo, lo aveva fatto. In un primo momento, aveva pensato di uccidere sia la donna che il bambino, per lavare questa vergogna; poi, però, aveva concluso che, se anche l’avesse fatto, questo non avrebbe cancellato la macchia sul suo orgoglio: per la sua autodisciplina, sarebbe stato molto più saggio ignorarli e sopportare la rabbia che la loro esistenza gli causava. Come aveva sempre fatto, avrebbe lasciato crescere dentro di sé l’ira e la solitudine e le avrebbe trasformate in quella potenza eccezionale che molti seguaci di Freezer gli avevano invidiato. Eppure, quando Trunks era morto davanti a lui, tutto era cambiato. Quando si erano allenati nella Stanza dello Spirito e del Tempo, gli aveva a malapena rivolto la parola: da lui, si era aspettato solo un aiuto negli allenamenti, nonostante potesse percepire che il ragazzo avrebbe voluto dirgli più cose di quante sarebbe stato in grado di esporre ordinatamente. E allora, perché stava così male? Perché adesso la sua fine improvvisa lo sconvolgeva tanto?

Ancora oggi, Vegeta non riusciva a capire esattamente come fosse avvenuto quel suo cambiamento. Dopo il Cell Game, si era ripromesso di studiare se stesso e quel marmocchio ibrido per cercare di risolvere questo enigma. E, ovviamente, anche la madre dell’ibrido faceva parte di tutto ciò. Aveva passato sette anni a ponderare il problema ed era giunto a due conclusioni: la prima era che, tutto sommato, non ci aveva capito granché; la seconda era che, piuttosto che vedere morire l’ibrido o la donna indegna, sarebbe morto lui stesso. Poi, ebbe anche occasione di mettere in pratica questa seconda conclusione, sacrificandosi per abbattere Majin Bu, ma la sua mente tendeva a minimizzare questo episodio, così come la nascita dell’altro ibrido, la femmina, che, aveva appreso in seguito con un certo disappunto, faceva parte dell’enigma che lo tormentava almeno quanto gli altri due membri di quella che Bulma chiamava ‘famiglia’.

Vegeta si risvegliò bruscamente dal flashback: gli faceva male tutto il corpo. Maledizione, sembrava che tutte le ferite che Adam gli aveva inflitto stessero cominciando a bruciargli proprio in quel momento. Istintivamente, sollevò di nuovo lo sguardo verso la luna. Ma come diavolo era possibile che la vedesse ancora? Considerato il moto terrestre, non avrebbe dovuto… Ah, ecco, adesso lo capiva: dalla posizione in cui era, appeso alla guglia del tempio di Yunzabit, si era girato su se stesso, probabilmente seguendo il moto della luna in cielo. Adesso era veramente enorme… Rossa ed enorme. Sentì il suo cuore pulsare più forte. E poi ancora di più. E ancora di più.

Pilaf infilò una mano nel sacchetto di plastica, se la riempì di coriandoli e la aprì agitandola in aria, mentre Mai soffiava maldestramente in una trombetta e Shu tirava stelle filanti per tutta l’ampia sala che c’era all’interno del grosso aereo del piccolo ometto azzurro. "Ci vuole una festa!" esclamò Pilaf, mentre fissava nuovamente i suoi bramosi occhi sulle Sfere del Drago, accuratamente sistemate su di un tavolino, nel mezzo di un panno rosso, al centro della sala. "Certo!" rispose Mai sorridendo "Finalmente, dopo tanti anni, il signor Pilaf potrà diventare il dominatore del mondo!". "E stavolta nessuno potrà fermarlo!" aggiunse Shu con un salto che, data l’età avanzata, gli fece sentire tutti gli acciacchi del suo corpo "Anzi," rincarò Pilaf "chiunque volesse fermarmi dovrebbe fare i conti con me! Che venga! Lo aspetto qui! Spero proprio che venga!". Un uomo e una ragazza comparvero al centro della sala, proprio vicino alle Sfere del Drago. "Oh, eccole qui!" esclamò Goku avvolgendo loro intorno il panno a mo’ di fagotto e prendendole in mano. Pilaf restò quasi paralizzato per lo stupore. Il Saiyan mosse qualche passo verso di lui: "Non mi sbagliavo! Sei proprio Pilaf!". L’omino blu, paralizzato dallo stupore, riuscì solo a mormorare: "Son Goku?". Goku sorrise: "Era un pezzo che non ci vedevamo, eh? Stai bene? Scusa se non mi trattengo, ma ho fretta. Ci vediamo!". Si avviò verso Marron, mentre gli occhi dei tre criminali improvvisati, fissi su di lui, tradivano una disperazione che non conosceva confini: per più di trent’anni avevano bramato le Sfere del Drago e le avevano sempre perse per colpa della stessa persona. Poi, accadde l’imprevisto: Goku si accasciò al suolo. E fu lui il primo a sorprendersene: di colpo, aveva cominciato a sentire dolori laceranti in tutto il corpo, dolori che squassavano ogni fibra del suo essere. Tenne in mano le Sfere del Drago con uno sforzo di volontà, impedendo loro di disperdersi per il pavimento, ma sapeva che era una battaglia persa: prima o poi, avrebbe lasciato andare il fagotto…. Poi, vide il volto di Marron vicino al proprio: "Signor Goku" disse lei "Cosa le succede? Si sente male?". Il Saiyan sorrise tristemente: "Prendi queste" le disse allungando verso la ragazza il fagotto che conteneva le Sfere del Drago "Portale al Santuario di Dio e consegnale a Dende… Lui sa cosa farci". Deglutendo vistosamente, la giovane ubbidì e cominciò a frugarsi freneticamente le tasche: Ne estrasse la capsula aereo che sua madre le aveva dato per le emergenze: era proprio il caso di usarla. Lanciò un’ultima occhiata a Goku, che si stava contorcendo in preda a spasmi dolorosi incontrollabili: "E lei?". "Non ti preoccupare per me!" rispose lui "Porta le Sfere a Dende, è fondamentale!".

Poco dopo, il piccolo aereo di Marron lasciò quello di Pilaf. Non ci volle molto perché l’aspirante dittatore e i suoi seguaci si riprendessero dallo shock: "Maledetto!" sibilò Pilaf "Finora non sono mai riuscito a vendicarmi di te, ma adesso… Non so cosa ti abbia ridotto in quello stato, ma ti darò il colpo di grazia. Un attimo dopo, il grande mezzo volante esplose.

Al tempio di Yunzabit, il corpo di Gohan, sbattuto violentemente a terra dalla mano di Disi, si abbatté ai piedi di Adam, mentre il grosso guerriero dall’armatura rossa atterrava davanti al suo signore con un sorriso contorto sulle labbra. Poco dopo, Mesembria sbatté Piccolo addosso al suo allievo, atterrando a propria volta. Adam sogghignò a quella vista. Poi, accadde qualcosa che gli fece sparire il sorriso dal volto: la falce di Arton cadde a poca distanza dai due nemici sconfitti. Tutti gli sguardi si puntarono verso l’alto. "Il vostro amico non può essere presente" spiegò Ub, coperto di ferite, mentre levitava dolcemente verso i tre. "Fa lo stesso se ci sono io?". Il ragazzo sapeva bene di non potercela fare. Considerata la potenza incredibile che la fusione con Majin Bu gli aveva conferito, in condizioni normali avrebbe forse potuto battere Disi o Mesembria. Ma, ridotto com’era, non aveva speranza. Eppure ci doveva provare. Aveva passato quasi tutta la giornata a riposarsi per riprendersi dalle ferite, ma l’idea non era stata particolarmente felice: anche se il procedere della malattia che Arton gli aveva causato si era arrestato, le piaghe e la debolezza non erano scomparsi. Ma ora non poteva più permettersi di perdere altro tempo: i nemici andavano sconfitti e bisognava trovare un modo di evitare la caduta della luna sulla Terra. Disi, come al solito, fu il primo a farsi avanti, il sogghigno che aveva sulle labbra che si contorceva in maniera irritante. "Ci penso io a questo qui" dichiarò spavaldo. "Non credo" rispose Adam "Sembra ci sia qualcuno che vuole sistemarti, Disi". Appena dopo che il guerriero dall’armatura viola ebbe finito di parlare, Vegeta atterrò dietro di lui. "Sembra che tu sia diventato un vero duro" lo canzonò Adam. Vegeta. Ub lo riconobbe subito. Lo aveva visto in altre occasioni, era uno dei compagni di allenamento preferiti di Goku. Superando Adam a lunghi passi, il Saiyan puntò un indice verso Disi: "Sistema me. Provaci". Il cavaliere dell’Apocalisse si girò verso il nuovo avversario. La sua bocca, che aveva assunto un’espressione stupita per qualche secondo, tornò al ghigno maligno di prima. Senza farsi pregare oltre, Disi si scagliò sull’avversario con la consueta ferocia selvaggia: "Certo che ti sistemo, idiota! Giga-Quake!". Quando il pugno del Cavaliere si abbatté sull’avversario, una enorme nube di polvere si sollevò in aria, mentre le pareti rocciose tra le quali il tempo era celato crollavano e rovinavano a terra in un frastuono assordante. Ub sussultò: Vegeta non poteva certo essere sopravvissuto a un colpo del genere, soprattutto nelle sue condizioni: si vedeva chiaramente che era ferito e affaticato. Poi, dopo pochi, lunghissimi minuti, la polvere si diradò. La prima cosa che fu possibile vedere fu la sagoma enorme di Disi, ancora con il pugno teso. Poi, comparve anche Vegeta. Era in piedi. Il pugno del nemico poggiava sul suo torace. Ma c’era qualcosa di diverso. I capelli del Principe dei Saiyan erano diventati molto più lunghi di prima; le sue spalle e l’addome erano coperti di una fitta peluria rossa e una lunga coda di scimmia gli spuntava tra le gambe, sferzando l’aria contorcendosi. Vegeta sogghigno: "Allora? Perché non fai forza?". Disi spalancò gli occhi per lo stupore: come aveva potuto, quel Malkut, resistere al Giga-Quake tanto facilmente? Per la prima volta in vita sua, il Cavaliere dall’armatura rossa provò paura. E non gli piaceva: era una sensazione che gli penetrava i visceri come una lama rovente, era un boccone troppo amaro, era la fine delle convinzioni di una vita. Disi compì un’altra azione che non aveva mai compiuto in vita sua: indietreggiò. Inconsciamente, involontariamente. Mentre, davanti a lui, il Malkut che gli aveva resistito apriva la mano, che si stava illuminando di una luce verdastra, e gliela puntava addosso: "Final Shine Attack!". Dal palmo di Vegeta eruppe un’esplosione devastante, che investì in pieno il grosso guerriero e colpì direttamente il tempio. Mentre le fondamenta dell’edificio crollavano, portandosi dietro tutta la sua struttura, la guglia centrale, sulla quale era rimasta appesa la giacca del Saiyan si spezzò in più punti e cadde rovinosamente al suolo, di fronte a un esterrefatto Adam. Di Disi, restava solo polvere. Adam scoccò a Vegeta uno sguardo rovente: "E così, è accaduto quello che temevo… Un Malkut ha imparato a trarre energia dal proprio sigillo. Ammetto il mio errore di calcolo: non avevo previsto che la vicinanza della luna avrebbe aumentato la concentrazione dell’onda Bluets e ti avrebbe fatto ricrescere la coda… Comunque, mi piacerebbe sapere cosa diavolo sei". Vegeta Sogghignò e avanzò di qualche passo, fino a trovarsi dritto di fronte al nemico: "Non lo so nemmeno io…" rispose "Però, credo che tu possa chiamarmi Super Saiyan 4!".

Altrove, sua di un’ampia pianura erbosa, tre buchi nel terreno di forma antropomorfa denotavano la caduta di un maldestro gruppo di individui. Shu arrancò faticosamente, fuoriuscendo dal buco che il suo corpo aveva scavato. "Signor Pilaf?" chiese timidamente. Fu Mai a farsi viva, anche lei spuntando dal solco che le stessa aveva lasciato. "Siamo stati fregati ancora da quel Son Goku?" si domandò sconsolata. Poi, girandosi verso l’altro buco, quello tra i due formati da lei e Shu: "Signor Pilaf, è lì?". Dal foro uscì solo il rumore di un pianto dirotto.

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Capitolo 7
*** Part 07 - Second Chance ***


Ray’s

The Sixth

Part 07 – Second Chance

Vegeta portò lentamente lo sguardo su Adam, accigliato come mai lo aveva visto prima. Sogghignando, il Saiyan puntò un dito verso il suo avversario e gli fece segno di avvicinarsi. Prima che Adam potesse muovere un passo, Mesembria si mise tra loro: "Non credere di avermi impressionato!" esclamò puntando un artiglio contro il Super Saiyan 4. "Io posso…" "Fatti da parte" lo interruppe Adam. Il guerriero dalla bianca armatura si girò verso il compagno, sorpreso. "Non sei in grado di sconfiggerlo" continuò l’uomo dagli occhi neri e rossi "A lui ci penso io. Tu sistema il ragazzino - indicò Ub - Nelle condizioni in cui si trova, dovresti farcela". "Cosa significa?" protestò Mesembria "Che non potrei batterlo se lui fosse al massimo della forma?"

"Certo che no"

"Come?"

"Ho detto di no. Lui ha sconfitto Arton, che era più forte di te, quindi tu non avresti alcuna speranza. Considerato che ora è molto indebolito, però, potresti anche farcela"

Mesembria deglutì. Un Lilim che gli era superiore? Per di più, un Lilim che gli era talmente superiore da spingere anche uno come Adam a riconoscerlo? Il guerriero dalla corazza bianca puntò un dito contro Ub, sospeso in aria qualche metro avanti a lui: "Tu devi morire. Assolutamente". Un attimo dopo si era già lanciato contro di lui a velocità inaudita. Il ragazzo si sentì sbalzare verso l’alto da un calcio in pieno mento, poi avvertì le lame affilate delle sproporzionate unghie metalliche del nemico che gli laceravano le carni. Ben presto, i due contendenti si trovarono a volare rapidamente nel cielo notturno, stagliandosi contro la luna, enorme e scarlatta.

"Quello che hai fatto è un sacrilegio, lo sai?" domandò Adam a Vegeta, indicando con il pollice le rovine del tempio dietro di sé, abbattuto poco prima dal Final Shine Attack che aveva annientato Disi. "Falla finita con queste assurdità" lo apostrofò il Principe dei Saiyan; poi, indicando il cielo: "Andiamo anche noi a combattere in un posto più spazioso". Le figure dei due guerrieri sembrarono svanire, mentre si muovevano a supervelocità e ricomparivano tra le nubi sopra Yunzabit. Fu Vegeta, fiducioso nella sua nuova potenza, a prendere l’iniziativa. Si cagliò contro l’avversario e tirò un poderoso pugno, che Adam bloccò con il gomito, per poi rispondere subito con un calcio. Il Super Saiyan 4 lo evitò ruotando su se stesso e scagliando a propria volta un colpo di piede al termine della rotazione. Di nuovo, il Cavaliere dell’Apocalisse sembrò scomparire; quando tornò visibile, era dietro il nemico, mentre cercava di colpirlo con il taglio della mano. Avvedendosi dell’attacco, Vegeta alzò l’avambraccio per parare e si girò in un unico movimento, centrando al volo il viso dell’opponente con il proprio tallone. Sfruttando la spinta del colpo che aveva subito, Adam volteggiò su se stesso a propria volta a riuscì anch’egli a centrare la mandibola dell’avversario con un calcio. I due si separarono in un attimo, ciascuno desideroso di mettere qualche metro di distanza tra sé e il pericoloso rivale. Si scambiarono un sogghigno soddisfatto e si prepararono al secondo round.

L’aereo di Marron atterrò al Santuario di Dio. La ragazza ne scese con circospezione, mentre teneva in mano il fagotto che conteneva le Sfere del Drago. Era già stata al Santuario, durante la battaglia contro Majin Bu. Ma allora era stata molto piccola: il fatto di essere morta lì non la turbava più di tanto. Si guardò attorno con circospezione. Come si sarebbe dovuta rivolgere a Dio? Fece un tentativo: "Signor… ehm… Dio? È in casa?". Quasi dal nulla, sbucando fuori dalle tenebre della notte, un bizzarro omino nero si materializzò davanti a lei. "Chi sei?" le chiese inquisitorio. Quel tale… Marron se lo ricordava. Era un tipo che le faceva paura. Anche da bambina, si era sempre rifugiata tra le braccia di suo padre quando lo aveva visto avvicinarsi. Però, sapeva che era un collaboratore di Dio. "Ho portato le Sfere del Drago" spiegò porgendo il fagotto allo strano uomo. Poi, dall’edificio in fondo all’ampio cortile che occupava buona parte del Santuario, vide uscire un individuo verde ancora più strano. Quello era Dio, se lo ricordava. "Le Sfere del Drago!" esclamò Dende correndo verso la ragazza "Bene, le aspettavo" accolse tra le braccia il fagotto e lo passò a Mr. Popo: "Popo, per favore, va’ subito a metterle nella Stanza dello Spirito e del Tempo, non c’è un momento da perdere – poi, girandosi verso Marron – Grazie mille per avermele portate… anche se ormai temo sia inutile". La ragazza deglutì: "Come sarebbe? E perché?" "Perché ormai mancano meno di ventiquattr’ore prima che la luna si schianti sulla Terra – quella era una novità assoluta per Marron – La nostra idea era quella di mettere le Sfere nella Stanza dello Spirito e del Tempo per farle ricaricare prima, ma, dopo che sono stati esauditi i desideri, ci vuole un anno intero perché le si possa usare di nuovo. E, nella Stanza dello Spirito e del Tempo, un anno passa in un giorno". Marron sospirò. Aveva avuto la speranza di poter fare qualcosa di utile, ma, a quanto pareva, non era servito a niente.

A Yunzabit infuriava la battaglia. Vegeta tempestò Adam con una raffica i pugni, per poi subire a propria volta una serie di colpi incessanti dall’avversario; nonostante faticasse a prendere il sopravvento, il Principe dei Saiyan era esaltato dalla sua nuova potenza, che gli permetteva di combattere alla pari contro un nemico tanto forte.

Il Cavaliere dell’Apocalisse si disimpegnò con un calcio e si allontanò dall’opponente, rivolgendo verso di lui la mano: "Vediamo se resisti anche a questo!" gridò in tono di sfida, mentre piccoli nuclei di energia violacea brillavano vorticando sulle punte delle sue dita "Il Tabris Blaster alla massima potenza!". Un secondo dopo, dalla mano di Adam esplose il raggio distruttore che vegeta conosceva già bene. Stavolta, però, sapeva di poterlo ribattere. Puntò il palmo contro la morte viola che gli volava contro: "Final Shine Attack!". L’esplosione dei due colpi che si incontravano a mezz’aria illuminò la notte come un milione di fari, rendendo ancora più innaturale l’atmosfera che pervadeva quel luogo. Quando finalmente il bagliore diminuì, entrambi i combattenti erano ancora lì, che fluttuavano l’uno davanti all’altro.

Ub e Mesembria avevano interrotto il loro scontro, sorpresi alla vista del combattimento tra i Cavaliere dell’Apocalisse e il Super Saiyan 4. "Hai visto?" mormorò il ragazzo rivolto all’avversario "Ormai per voi è finita. Adesso possiamo battervi". Il guerriero dai lunghi artigli lanciò un’occhiata feroce al suo interlocutore: "Non ti esaltare troppo solo perché il tuo amico è diventato più forte… Ricordati che la luna si schianterà comunque contro la Terra, anche se io e Adam dovessimo morire". Già, questo era un problema. Ormai non c’era più speranza. "No, c’è ancora speranza!" esclamò qualcuno, come se avesse letto nei pensieri di Ub. Quando i due avversari si girarono verso il punto da cui era venuta la voce, quello che videro li lasciò sorpresi. Fluttuando solo a pochi metri di distanza dai due, Goku continuò: "Le Sfere del Drago dovrebbero già essere arrivate a Dende e lui le avrà messe nella Stanza dello Spirito e del Tempo: è solo questione di poche ore e potremo salvare la Terra". Ub, nonostante la bella notizia, era rimasto comunque sbalordito dall’arrivo del suo maestro: "Goku…" chiese esterrefatto "ma cosa ti è successo?". "Non saprei esattamente" replicò il Saiyan guardandosi le braccia e l’addome, ricoperte di un corto pelo rosso e scuotendosi dal viso i capelli, improvvisamente diventati lunghissimi "A un certo punto, mi sono sentito male e, quando mi sono ripreso, ero diventato così… Ah, e guarda qua". Una lunga coda scimmiesca spuntava dai pantaloni di Goku. "Be’, non ha molta importanza, quello che conta è che sono diventato fortissimo". "Fortissimo?" sbottò Mesembria con un sogghigno "Adesso ci penso io a eliminarti!". Lanciandosi contro il Saiyan ad artigli protesi, il guerriero dall’armatura bianca volò velocissimo verso il nemico, menando un fendente che però tagliò solo l’aria. Mesembria si guardò intorno spaesato: possibile che non avesse visto lo spostamento del Malkut? Fu la voce di Goku, che proveniva direttamente dalle sue spalle, a fargli capire dove si trovasse: "Meglio che tu non ci riprovi" ammonì il Saiyan "Non hai alcuna speranza di battermi. Vattene e abbandona i tuoi propositi di distruggere questo pianeta". Mesembria si voltò di scatto, sferzando l’aria con un nuovo colpo d’artiglio, anche questo a vuoto: "Non se ne parla, maledetto Malkut!". Stavolta, lo percepì per istinto. Goku era ancora dietro di lui. Si girò nuovamente e stavolta vide l’avversario davanti a lui; cominciò a mulinare gli artigli selvaggiamente, in un disperato tentativo di colpire quell’insolente Malkut che aveva osato superarlo. Senza alcun risultato. Goku bloccò il suo ultimo colpo afferrandogli il polso al volo; con un rapido movimento del braccio, scagliò lontano il nemico e giunse le mani, tra le quali stava crescendo una sfera turbinante di energia scarlatta: "Adesso assaggerai la mia Onda Kamehameha a potenza decuplicata!". Mesembria non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo: vide solo un’ondata di potenza rossa che lo investiva. Poi, il suo corpo fu ridotto in cenere.

Vegeta cadde tra le macerie del tempio, atterrato da un attacco di Adam; un secondo dopo, un’esplosione di energia scarlatta proclamò la sua rinascita tra i detriti, mentre il Principe dei Saiyan si lanciava sull’avversario e lo colpiva con un pugno in viso, seguito subito dopo da un calcio al fianco. In un disperato tentativo di contrattaccare, Adam scagliò una gomitata in avanti, per colpire soltanto l’aria; scomparso improvvisamente da dove si trovava prima, Vegeta riapparve sopra il Cavaliere e lo colpì con un calcio, spedendolo a schiantarsi tra quelle stesse macerie in cui lui stesso era stato sbattuto. Adam s rialzò lentamente, mentre stringeva i denti fino a farli sanguinare. Non riusciva a crederci! Non solo non avvertiva più l’aura di Mesembria, ma adesso quel Malkut si stava dimostrando addirittura più forte di lui. "Allora?" domandò Vegeta sarcastico "Sembra che tu non sia poi tanto potente! Perché non provi ad attaccarmi di nuovo con quel tuo colpo?". "Maledetto bastardo…" ringhiò Adam sottovoce. I Cavalieri dell’Apocalisse non potevano essere battuti! Se così fosse stato, la distruzione della Terra non avrebbe avuto lo stesso significato! E, mentre pensava a tutto ciò, la solita domanda gli si riaffacciò insistente nella mente: ma che significato aveva la distruzione della Terra? Andava realizzata, ma perché? La sesta estinzione globale doveva compiersi, ma a beneficio di chi? Per mondare la Terra dei suoi peccati, sì, ma poi? Quali erano i peccati della Terra? Adam scosse il capo e ricacciò quei dubbi nel profondo della sua mente. Era nato con questi dogmi scolpiti nel suo cervello e non poteva sottrarsi a essi; o forse non voleva farlo. Non aveva intenzione di ubbidire ai suoi creatori, ma lui, in fin dei conti, era una forma di vita artificiale. Gli era stata data la vita, ma non un motivo per vivere. Lui voleva un motivo! Voleva una maledettissima ragione che giustificasse la sua esistenza!

Si rialzò in volo, fronteggiando nuovamente l’avversario. E lo vide. Dietro Vegeta, che fluttuava con un sorrisetto idiota sulle labbra, c’era un altro Malkut con la coda e coperto di peluria rossa. Senza nemmeno girarsi, il Principe dei Saiyan ringhiò: "Che diavolo ci fai qui, Kakaroth? Posso vedermela da solo con questo tizio". "Sono venuto a vedere come stessi" replicò Goku "Sai, Bulma mi era sembrata preoccupata". Vegeta sbuffò, poi il suo viso si contrasse in un sogghigno: "Comunque, vedo che stavolta sono stato io il primo a raggiungere il nuovo livello di potenza… Come è giusto che sia, del resto, visto che io sono più forte di te". Il guerriero più giovane ridacchiò: "Come vuoi… Allora qui te ne occupi tu?". A Goku un po’ dispiaceva di non poter mettere a frutto la propria nuova forza contro un nemico come Adam, ma considerò che lasciare che fosse Vegeta a occuparsene avrebbe potuto risistemare i loro rapporti, irrimediabilmente guastati dopo quella rivelazione sulle code.

Prima che il primo Super Saiyan 4 potesse rispondere, però, Adam proruppe in una risata: "A quanto pare, non è ancora finita!" esclamò lanciando ai suoi due avversari un’occhiata di sfida "Tutto sommato, i Cavalieri dell’Apocalisse non sono ancora sconfitti!". "Che diavolo stai dicendo?" sibilò Vegeta "Ormai non sei più in grado di spaventare nessuno!" "Possibile," convenne il guerriero dall’armatura viola "ma c’è un fatto che non avete considerato. Vedervi di nuovo insieme mi ha fatto venire un’idea interessante. Metterò in pratica quello che mi avete insegnato!". Un’aura di energia violacea eruppe dal corpo di Adam, espandendosi sempre più, avvolgendo tutto nella sua funerea luce oscura, inglobando il tempio, e poi tutta Yunzabit, e poi espandendosi ai più remoti angoli della Terra. La falce di Arton, abbandonata vicino al tempio da Ub, iniziò a vibrare incontrollata e si alzò dal terreno, liberando una sorta di fumo verdastro. Le ceneri di Disi si sollevarono a propria volta, una nebbiolina rossastra che si innalzava da esse. Anche quelle di Mesembria, sospinte dal vento, si bloccarono come congelate in aria e divennero una foschia bianca.

Altrove, il corpo dilaniato di Anaton liberò un fumo nero e denso, che volò verso Yunzabit.

Nel giro di pochi minuti, sotto lo sguardo esterrefatto di Goku e Vegeta, quattro nubi di fumo multicolore iniziarono a turbinare vicino ad Adam, avviluppandolo in un’unica nuvola cromatica e densa, impossibile da penetrare con lo sguardo. Un’esplosione di energia viola disperdette il fumo in un secondo, spazzando via ciò che occultava la vista e mostrando lo spettacolo di un nuovo guerriero.

Adam non sembrava nemmeno più lui. I suoi capelli si erano allungati, quasi quanto quelli di Anaton. Aveva quei due ciuffi sul davanti che avevano caratterizzato Mesembria. Al centro della testa, sembravano innalzarsi verso l’alto come quelli di Arton, ma ricadevano sui lati come quelli di Disi. L’armatura era ornata dello stesso corto mantello a bordo frastagliato di Mesembria, ma era nero, come quello di Anaton. Dalla sua schiena, si levavano due lunghe lame seghettate, come quelle della falce di Arton. I guanti metallici coprivano ora tutte le falangi e avevano delle corte unghie biancastre sulle punte delle dita. Un panno verde, come quello del mantello di Arton, era avvolto attorno al collo di Adam e la sua corazza sembrava una fusione di quelle dei suoi compagni, pur mantenendo lo stesso colore viola cupo che aveva avuto in origine.

"Vi devo ringraziare per il consiglio" sogghignò Adam "Mi avete insegnato quella bizzarra tecnica di fusione che avete usato l’altra volta e io ho cercato di imitarla. Certo, se i miei compagni fossero stati vivi, avrei ottenuto una potenza maggiore, ma, anche così, sono in grado di massacrarvi. Inoltre, in questo modo, i Cavalieri dell’Apocalisse vivono tutti in me e la sesta estinzione globale proseguirà come previsto!". "Cosa credi di aver concluso?" domandò Vegeta sarcastico, mentre puntava un dito verso il nemico "Hai cambiato un po’ aspetto, tutto qui!". Quasi a voler confermare con i fatti le proprie parole, il Principe dei Saiyan si lanciò verso l’avversario. Ma stavolta c’era qualcosa di diverso: il suo pugno fu evitato facilmente e venne subito seguito da una ginocchiata allo stomaco e da una gomitata letteralmente tra capo e collo. Di nuovo, il Super Saiyan 4 si abbatté al suolo. Adam non ebbe tempo di dare la spiegazione che avrebbe voluto fornire, perché Goku fu subito su di lui, mulinando le braccia in un disperato tentativo di colpirlo, tanto feroce quanto infruttuoso. Non passò molto prima che il cavaliere dell’Apocalisse afferrasse un braccio dell’avversario e, dopo averlo fatto roteare per aria, lo mandasse a schiantarsi vicino al suo simile. "Mi dispiace per voi," disse Adam guardando i suoi opponenti dall’alto in basso "ma ormai non sono più lo stesso di prima. Ho assorbito le anime vaganti degli altri Cavalieri dell’Apocalisse e ho ottenuto una potenza molto superiore a prima. Ormai posso sconfiggervi anche tutti e due senza alcun problema". Vegeta fu il primo a rialzarsi: "Ti stai dimenticando che noi abbiamo ancora un asso nella manica!" dichiarò deciso, puntando un pugno verso il suo avversario che fluttuava in cielo. Poi, girandosi verso Goku, ormai anche lui in piedi: "Kakaroth, ti ordino di fonderti come me!". ‘Kakaroth’ restò sbigottito per un attimo, ma le parole successive di Vegeta dissiparono i suoi dubbi: "Sei un guerriero di livello inferiore, quindi tu non potresti mai competere contro questo nemico. Ti userò come mezzo per aumentare la mia potenza! Avanti, preparati per la Fusion!". Goku sorrise: "Mi sembrava strano che proprio tu mi chiedessi di fondermi con te… Comunque va bene". Prima ancora che il Saiyan più giovane potesse mettersi in posizione, un raggio di energia viola si schiantò tra i due. "Avete sbagliato i calcoli" tuonò Adam, la mano destra ancora avvolta in un’aura violacea "Se pensate che vi lasci fondere, evidentemente avete davvero una bassa opinione di me!". Poi, percependo qualcosa alle proprie spalle, il Cavaliere si girò di scatto, appena in tempo per respingere un raggio di energia che era stato mirato alla sua testa. Dietro di lui, il braccio ancora teso, Piccolo si era sollevato in volo. "Avanti, fondetevi!" gridò il namekiano "Qui ci penso io a tenerlo a bada!". "E anch’io!" esclamò Gohan volando al fianco del suo maestro. Subito dopo, silenziosamente, anche Ub si unì al gruppo. Goku sorrise tristemente: non gli piaceva l’idea che i suoi amici lo coprissero a rischio della propria vita, ma non c’era alternativa. "State sbagliando i calcoli!" ringhiò Adam, mentre un’aura viola si espandeva dal suo corpo "Anche se tre incapaci come voi mi attaccassero, non potrebbero comunque scalfirmi!". Prima ancora che potesse terminare la frase, Trunks e Goten fluttuarono dietro di lui: "E se siamo in cinque?" domandò provocatorio il presidente della Capsule Corporation. "Non fa comunque una gran differenza…" sorrise sarcastico l’uomo dai capelli bianchi e neri. Goku si girò verso Vegeta: "Non perdiamo tempo!". "Non darmi ordini, Kakaroth!" sibilò il Principe dei Saiyan prendendo posizione.

Trunks e Goten attaccarono insieme, una raffica di colpi che Adam non ebbe alcun problema a evitare. Nemmeno quando gli arti estensibili di Piccolo si unirono all’attacco ci fu molta differenza. Adam si liberò di tutti e tre i suoi avversari in un attimo, distribuendo calci e pugni che loro non riuscirono nemmeno a capire di aver subito. Con una mossa calcolata, Ub e Gohan si unirono alla mischia, ma nemmeno loro ebbero più fortuna: nel giro di una manciata di secondi, il Cavaliere dell’Apocalisse li colpì pesantemente, mandandoli a schiantarsi al suolo. Poi, si girò verso i due Saiyan che stavano per fondersi. Avevano quasi terminato la danza, ma non sarebbe stato un problema fermarli ora. Alzò un braccio, con la precisa intenzione di scagliare una raffica di energia che avrebbe interrotto la ridicola sequenza di movimenti tanto pericolosa. Sulla sua mano si formò una piccola sfera di energia violacea. Si ingrandì. Ancora di più. Poi, fece per partire. Un secondo prima di mollare il colpo, però, il braccio di Adam fu investito da un’ondata di energia, che lo spostò lateralmente e deviò la traiettoria del colpo, mandando la sfera viola a infrangersi a terra senza danno. Più sorpreso e irritato che ferito (il colpo non gli aveva causato alcun danno), Adam si girò nella direzione dalla quale era venuta l’interferenza: con le mani giunte, avvolto in pensati indumenti da viaggio, un uomo calvo e con un terzo occhio in mezzo alla fronte stava guardando la scena mantenendo a stento un’espressione impassibile. "Tenshinhan!" esclamò Gohan alzandosi in piedi. L’uomo dai tre occhi si voltò verso l’amico: "Ho sentito delle aure spaventose scontrarsi… Immaginavo che ci fossero di mezzo Goku e Vegeta, ma non riuscivo a identificare chi fosse questo tizio". "Sarebbe stato meglio se fossi rimasto a casa" sibilò Adam alzando la mano verso il nuovo arrivato. Tenshinhan impallidì: aveva voluto fare qualcosa per i suoi amici, ma sapeva benissimo di non poter competere con quell’avversario. Ma non ce ne fu bisogno: prima di poter attaccare, il guerriero dall’armatura viola fu colpito in pieno viso da un calcio che lo mandò a schiantarsi contro una prete rocciosa, facendola praticamente crollare su se stessa. Un secondo dopo, apparentemente per niente turbato dall’attacco subito, Adam balzò fuori dalle macerie con un’agile mossa. Quello che vide non mancò di preoccuparlo: i due Malkut erano riusciti a fondersi. Coperto di peluria bruna, sfoggiando un’insolita capigliatura rossa, Vegeth in versione Super Saiyan 4 guardava il suo nemico con un’espressione di sfida. Gli puntò contro il dito, indicandolo quasi scherzosamente; poi, quel gesto si trasformò in un chiaro invito, la mano del guerriero che indicava se stesso con il movimento delle dita. Senza farsi pregare, Adam si scagliò contro il nuovo avversario: aveva già battuto quel tizio e non sarebbe stato certo il suo improvviso aumento di potenza a salvarlo. Ma, contrariamente alle sue più rosee aspettative, il Cavaliere dell’Apocalisse fu respinto in un attimo e cadde tra le macerie del tempio, dove ormai i crateri causati dagli impatti di corpi umani stavano diventando fin troppo comuni. Rialzandosi con un ringhio rabbioso, Adam puntò la mano contro il nemico: "Tabris Blaster!" gridò, mentre il flusso di energia viola che ormai era tanto noto e temuto si scagliava contro Vegeth. Senza fare una piega, il Saiyan intrecciò le dita delle mani e colpì al volo la raffica, deviandola in un attimo; il getto volante viola scomparì nel cielo notturno, trapassando la luna e disperdendosi nello spazio. Con un sorriso di scherno dipinto in volto, Vegeth atterrò davanti al suo nemico: "Credo che ti convenga arrenderti" disse con calma "La tua inferiorità mi sembra evidente". Adam restò per un attimo a squadrare il suo avversario. In quel momento gli sembrava enorme, un colossale opponente che non poteva essere spazzato via. Poi decise. Doveva portare a termine la missione, a qualsiasi costo. "Va’ al diavolo!" gridò, lanciandosi a pugno teso contro il Saiyan. La raffica di pugni e calci che Adam distribuì era di una velocità inaudita. Gohan, Goten, Ub, Trunks, Piccolo e Tenshinhan non riuscivano a distinguerne uno. Eppure, sembrava che Vegeth li evitasse tutti senza alcun problema. A occhi chiusi. Poi, d’improvviso, il guerriero dai capelli bianchi e neri si fermò. Ansimava in preda alla stanchezza, tenendo ancora il pugno teso. Aveva attaccato solo per cinque o sei minuti, ma il ritmo che aveva tenuto lo aveva sfiancato. Il Super Saiyan 4, che si stagliava contro la luna, sembrava anche più minaccioso della possibilità che il mondo fosse distrutto. "Hai finito?" domandò Vegeth avvicinandosi fino a toccare il pugno del nemico con il proprio torace. Nessuna risposta. "Allora faccio io" concluse. A quel punto, nessuno poté dire cosa stese succedendo. Un lampo scarlatto sembrò esplodere tra i due combattenti, mentre Vegeth scagliava la propria potenza contro l’avversario inerme, riempiendolo di colpi a ripetizione, spaccando l’armatura pezzo dopo pezzo, annichilendo l’avversario in maniera totale. Passò solo una manciata di minuti, prima che Adam cadesse a terra stremato.

Gohan, che era rimasto per tutto il tempo a osservare la scena, era rimasto esterrefatto dalla potenza incredibile che suo padre e Vegeta avevano ottenuto grazie alla Fusion. Adesso, però, c’era una sola cosa da fare: "Presto!" disse rivolgendosi agli amici "Diamogli la nostra energia, così potrà creare una Sfera Genkidama e infliggergli il colpo di grazia!". "No!" lo interruppe Vegeth "La Genkidama è troppo lenta, non avrebbe alcun problema a schivarla! E poi, posso abbatterlo anche così!". Un attimo dopo, una sfera di energia turbinante comparve sulla mano del Super Saiyan 4, tesa verso il nemico. "Per eliminarlo sarà sufficiente la mia Big Bang Hameha". Adam alzò la testa verso il nemico e vide la propria fine. Che gli si scagliava addosso, nella forma di un globo di luce esplosiva. Quando fu investito dal colpo, pensò che non doveva finire così… Non poteva essere sconfitto in quel modo… Intorno a lui, la terra tremava a andava in pezzi, scagliandogli contro una pioggia di detriti che gli fece comprendere d’un tratto la propria impotenza. Era stato creato per essere l’uomo supremo e definitivo, colui che non avrebbe avuto confini, colui che avrebbe ottenuto il potere divino raggiungendo tutte le Sephiroth. A quanto pareva, però, la sua evoluzione non era stata sufficiente.

Vegeth contemplò la scena. Era confuso. La parte di lui che era Vegeta era soddisfatta di aver affermato la propria forza, sia su Kakaroth che su Adam. La parte di lui che era Goku era preoccupata per le sorti della Terra e un po’ amareggiata per la morte di un guerriero tanto forte. La massa di energia della Big Bang Hameha stava ancora turbinando a terra, vorticando su se stessa mentre consumava quel che restava di Adam… Poi, all’improvviso, accadde qualcosa. La luce esplosiva del colpo cominciò a restringersi, a contrarsi, a ritirarsi su se stessa, come se stesse venendo assorbita da qualcosa. Rimpicciolendosi sempre più a ogni attimo, sembrava però conservare intatta la propria potenza distruttiva. Vegeth si alzò in volo di qualche metro: voleva avere un quadro più chiaro della situazione. Poi, senza alcun preavviso, l’energia lucente scomparve. Al posto del sibilo causato dal suo turbinare e del rumore della terra e delle macerie che si spaccavano, una risata echeggiò nell’aria. In piedi nel cratere formato dall’impatto del colpo, Adam stava ridendo soddisfatto, voltando le spalle al nemico. Prima che Vegeth potesse dire qualsiasi cosa, notò un elemento: dai pantaloni del suo avversario spuntava una coda coperta di pelo rossiccio. E i capelli di Adam erano diventati più lunghi. Il Cavaliere dell’Apocalisse si girò di scatto, rivolgendo al suo nemico un’occhiata sarcastica. "Avevi fatto male i calcoli" dichiarò "Vedi? È questo che differenzia quelli come me dai voi Malkut. Io sono stato generato usando i Malkut come base, ma la mia consapevolezza delle Sephiroth è completamente diversa dalla vostra". Vegeth deglutì. Ma che diavolo stava dicendo? "Mi è venuto in mente proprio all’ultimo momento" continuò Adam "Voi Malkut siete stati dotati del sigillo affinché la vostra forza fosse contenuta, ma stanotte siete riusciti a capire come sfruttarlo a vostro vantaggio; inoltre, la vicinanza della luna ha fatto sì che vi spuntasse nuovamente anche se vi era stato tagliato alla radice. Il sigillo vi era stato imposto usando la Macchina per l’Inversione dell’Evoluzione, che aveva fatto arretrare parzialmente il vostro stadio sulla scala delle Sephiroth, in modo da farvi acquisire una caratteristica primitiva. Ma io sono in grado di alterare la mia evoluzione anche da solo, perché posso controllare lo sviluppo delle Sephiroth senza bisogno di alcuna macchina. Ammetto che era un rischio, ma ormai era la mia unica possibilità di salvezza. Ho invertito parzialmente la mia evoluzione, sperando che mi spuntasse il sigillo, così avrei potuto usarne l’energia per ottenere una potenza maggiore… E infatti, così è stato". Vegeth non aveva capito molto di quella spiegazione, ma riusciva chiaramente a percepire l’aura del suo nemico: in qualche modo, aveva subito una trasformazione simile a quella che aveva portato Goku e Vegeta a diventare Super Saiyan 4 e un relativo aumento della forza. Adam alzò un braccio verso il suo avversario: "Io vi ho chiamati Malkut, ma lo ritiro. Siete riusciti a fare quello che non pensavo fosse possibile, quindi meritate il mio rispetto. Però, adesso siete morti". Un attimo dopo, dalla mano del Cavaliere dell’Apocalisse scaturì una lama di energia violacea che, scavando nel terreno innalzandosi per chilometri, sembrava quasi voler tagliare in due la Terra, mentre cominciava la sua folle corsa contro Vegeth. Impossibilitato a schivare un colpo tanto veloce, il Saiyan ne fu centrato in pieno. L’ultima cosa che i suoi amici videro fu il suo corpo tagliato in due; poi, esplose.

"Maledizione, avete sentito?" domandò Crilin fermandosi all’improvviso. "Certo," replicò Yamcha "come avrei potuto non accorgermene?". Crilin, Yamcha e 18, avvertendo lo scontrarsi delle aure dei loro amici, avevano cominciato a volare verso Yunzabit per dare loro una mano. Pur sapendo di non poter competere contro degli avversari come quelli che stavano affrontando, avevano pensato che avrebbero comunque potuto aiutare, in qualche modo. Non erano riusciti a impedire a Pan e Bra di seguirli, ma ormai questo era il minore dei problemi. Durante il volo, avevano avvertito chiaramente le aure di Goku e Vegeta che acquisivano una potenza straordinaria e che poi si univano per dare luogo a una forza ancora più incredibile. Ma poi, avevano sentito quella stessa forza scomparire all’improvviso, avvolta da un’altra energia, di una portata semplicemente inconcepibile. Era come se tutte le speranza della Terra fossero morte in quel preciso momento, insieme con gli unici due guerrieri che avrebbero potuto fare qualcosa per salvare quel pianeta. "Nonno…" mormorò Pan, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Bra deglutì vistosamente. Non parlò, né emise alcun suono, né una singola lacrima le solcò il viso. Vegeta le aveva insegnato che non bisognava mai mostrare la propria debolezza, anche nelle situazioni più disperate. Stavolta, però, stava facendo veramente fatica a trattenersi dallo scoppiare a piangere, mentre sentiva gli ultimi residui dell’aura di suo padre che si dissolvevano nel vento.

Fu Gohan il primo a farsi avanti, levitando fino ad atterrare a pochi passi da Adam. Nonostante l’armatura del cavaliere dell’Apocalisse fosse stata spaccata in più punti dai colpi di Vegeth, quella figura oscura e maestosa non aveva perso niente del terrore che la sua presenza trasmetteva. L’uomo dai capelli bianchi e neri si girò verso il giovane Saiyan: "Cosa hai intenzione di fare? Vuoi forse attaccarmi? Eppure hai visto come stanno le cose: nemmeno la fusione tra quei due Malkut ha potuto tenermi testa. Vuoi un consiglio? Io non ho alcun interesse a ucciderti: siediti comodo e aspetta la fine del mondo pregando per la tua anima". "Mi dispiace, ma non posso farlo" replicò Gohan "So di non poterti sconfiggere, ma, se adesso mi arrendessi, renderei vana tutta la fatica che mio padre e Vegeta hanno fatto". Adam non rispose: aveva capito al volo che, qualunque cosa avesse detto, non sarebbe cambiato nulla. Schivò il primo pugno di Gohan senza difficoltà, evitandone poi un’intera raffica e continuando a eludere i suoi attacchi come in un balletto sadico, quasi fosse in attesa di colpire dove avrebbe fatto più male. Quando anche Piccolo si unì allo scontro, la scena diventò più confusa, ma l’andamento della battaglia non sembrò cambiare…

"Non capisco" disse Trunks alzando lo sguardo verso la luna. "Cosa?" Domandò Goten perplesso.

"Hai sentito quello che ha detto Adam? Ha parlato del sigillo, che, se non ho capito male, dovrebbe essere la coda dei Saiyan"

"E allora?"

"Ha detto che ai nostri padri era spuntata a causa della vicinanza della luna, no? Ma allora perché non ricresce anche a noi?"

"Non saprei… Non sapevo nemmeno che la luna c’entrasse qualcosa con la coda"

"Io sì. Me l’aveva raccontato mio padre da piccolo: un Saiyan dotato della coda è in grado di trasformarsi se vede la luna piena"

"Ho capito! Allora, quella che hanno subito i nostri padri è proprio la trasformazione di cui stai parlando!"

"No, quel tipo di trasformazione dovrebbe essere completamente diverso. Normalmente, un Saiyan che vada la luna dovrebbe diventare uno scimmione gigante. Sto cominciando a pensare che i Saiyan puri siano più sensibili alla luna rispetto a noi, che siamo per metà terrestri. O forse, per trasformarsi come è successo ai nostri genitori, bisogna prima aver raggiunto un certo livello di potenza"

"D’accordo, ma perché ci pensi tanto?"

"Perché, se potessimo suscitare una mutazione del genere anche in noi due e Gohan, avremmo ancora qualche speranza"

"Sì, ma…".

Prima che Goten potesse finire, Gohan e Piccolo si schiantarono ai suoi piedi. "Abbiate cura di loro!" esclamò Adam sarcastico "Non vorrei che si perdessero la sesta estinzione globale!".

Le sesta estinzione globale stava avendo luogo. La gente si era da appena ripresa dall’effetto deleterio che i Cavalieri dell’Apocalisse avevano causato sulla popolazione, ma la situazione non stava affatto migliorando. La luna, ormai pericolosamente vicina alla Terra, stava influenzando il pianeta con la propria gravità. I mari erano in subbuglio: intere isole furono inghiottite dalle acque, intere città marittime furono spazzate via da ondate di potenza inaudita. Altrove, il terreno si spaccava, ingoiando impietoso le costruzioni dell’uomo. Ironia della sorte, la distruzione della Terra stava riportando alla luce le rovine della civiltà perduta che aveva ucciso il proprio dio: i resti dei templi e delle abitazioni riaffioravano, come se la volontà degli uomini che erano stati causa della propria caduta avesse voluto riprendersi, per quelle poche ore che restavano al pianeta, il possesso dell’antico splendore.

Al Santuario di Dio, Dende e Mr. Popo guardavano impotenti il mondo che si spaccava in due, sapendo che le Sfere del Drago non sarebbero mai tornate utilizzabili in tempo utile.

Poco più sotto, al Santuario di Karin, il gatto parlante osservava sconsolato i fulmini che lampeggiavano all’orizzonte, mentre le nubi non riuscivano comunque a nascondere l’avvicinarsi della luna.

Alla Kame House, il Maestro Muten era stato incredibilmente distratto dalla quotidiana consultazione dell’archivio di riviste erotiche: dopo tanti anni, aveva dovuto nuovamente usare un’Onda Kamehameha per deviare un cavallone che altrimenti avrebbe completamente coperto la sua isola.

Nelle chiese, le statue si spaccavano e piangevano sangue, mentre i fedeli stavano cominciando a capire che quello era l’ultimo giorno della Terra.

Vegeta tossì violentemente, mentre cercava di sputare la polvere che gli era finita in bocca. Sollevò la testa da terra e si guardò attorno, cercando di riordinare le idee. Si trovava in un’ampia radura circondata di pini. Apparentemente, l’impatto del suo corpo sul terreno aveva creato una sorta di piccolo cratere, nel quale erano caduti un paio di alberi. In cielo, la luna era sempre più vicina. Vegeta ricordava di essersi trasformato in Super Saiyan 4 e di essersi fuso con Kakaroth per sconfiggere Adam. A un certo punto, però, anche Adam era diventato un Super Saiyan 4, per assurdo che potesse essere, e aveva colpito Vegeth, tagliandolo letteralmente in due. E allora, si chiese il Principe dei Saiyan, come era possibile che lui fosse ancora vivo? Certo. La Fusion si era sciolta un attimo prima che Vegeth fosse effettivamente colpito, proiettando entrambi i suoi componenti a svariati chilometri di distanza. Ma perché si era sciolta? In teoria, l’unione sarebbe dovuta durare mezz’ora… Be’, anche questo non era difficile da capire: la trasformazione in Super Saiyan 4 consumava fin troppa energia e non poteva essere mantenuta a lungo. Si portò una mano all’osso sacro e toccò il vuoto: la sua coda era sparita. Possibile che spuntasse solo quando si trasformava in Super Saiyan 4? Comunque, non era il caso di pensarci: a quel punto, era ovvio che la Terra non avesse più speranze. Adam era diventato invincibile, anche per Vegeth Super Saiyan 4. Questo significava che non esisteva più alcuna possibilità di vittoria. Vegeta sbuffò, mentre si rimetteva faticosamente in piedi. Come aveva sospettato, la peluria rossa era scomparsa dal suo corpo e i capelli erano tornati alla lunghezza normale. Sentiva di potersi trasformare nuovamente in Super Saiyan 4, ma la cosa sarebbe stata completamente inutile. Picchiò un piede per terra in un impeto di rabbia, mentre pensava che quel pianeta sarebbe stato distrutto. E si sorprese di se stesso. Il Pianeta Vegeta era andato in pezzi quando lui era stato solo un bambino e non aveva dato molto peso al fatto: un pianeta era solo un posto in cui vivere e l’universo era pieno di posti in cui vivere. Nessuno era più forte di lui su Vegeta, quindi anche i suoi abitanti non rivestivano il minimo interesse. Eppure, nel corso degli anni, sebbene non l’avesse mai ammesso nemmeno a se stesso, era arrivato a rimpiangere quella perdita. Non aveva più una patria, non aveva più un’identità; era stato un reietto, un membro di una razza estinta, un paria. Come aveva sempre fatto, aveva trasformato la propria tristezza in rabbia e rancore da sfogare su chiunque, che c’entrasse o meno con i suoi problemi. Poi era arrivato sulla Terra ed era cambiato tutto. Anche dopo essersi legato a Bulma, per anni aveva rifiutato di dire che la Capsule Corporation fosse "casa sua": non c’era un posto che sentisse come una casa, né teneva a che ve ne fosse uno. Eppure, adesso che anche la Terra stava per essere distrutta, non poteva che provare un senso di rabbia, tristezza e nostalgia che non ricordava di aver sentito da anni. Sarebbe rimasto ancora una volta senza una casa. Strinse il pugno e si alzò da terra, levitando a qualche centimetro dal suolo. Non poteva battere Adam, eh? Be’, questo era da dimostrare.

Altrove, su di una piccola isola del nord, Son Goku si rimise faticosamente in piedi. Era rimasto sorpreso da quell’incredibile aumento di potenza di Adam. Aveva affrontato Freezer, Cell, Majin Bu e Vegeta, ma nessuno dei suoi avversari più forti era mai stato potente quanto il Cavaliere dell’Apocalisse. Per la prima volta in vita sua, mentre percepiva l’avvicinamento della luna, non era contento di trovarsi di fronte un nemico tanto temibile. Dandosi un’occhiata alle braccia e constatando l’assenza della coda, capì di essere regredito allo stato usuale, ma la cosa non gli sembrava un grosso problema. Per istinto, sapeva di poter tornare a trasformarsi in quello che stava cominciando a identificare come Super Saiyan 4. Sapeva che tornare a Yunzabit non sarebbe servito a niente, ma non gli andava di restare lì ad autocommiserarsi. Però, a questo punto, il tempo stava diventando un fattore secondario: se Adam non fosse stato sconfitto, anche recuperare le Sfere del Drago non sarebbe servito a niente.

"Mano male!" esclamò Dende "Sono entrambi vivi!". Il giovane namekiano, fermo sul bordo del Santuario di Dio, stava guardando il mondo sottostante. Erano passate parecchie ore dalla sconfitta di Vegeth; Gohan e gli altri guerrieri rimasti a Yunzabit avevano cercato di sconfiggere Adam, ma nemmeno le loro forze unite erano servite. L’arrivo sul posto di Crilin, Yamcha, 18, Pan e Bra non aveva cambiato la situazione. Ammesso che ci fosse qualcuno in grado di capovolgere la situazione, quelli erano Goku e Vegeta. Però, lanciando un’occhiata alle proprie spalle, all’edificio nel quale c’era la Stanza dello Spirito e del Tempo, il Dio della Terra non poté fare a meno di pensare che, per salvare il pianeta, si sarebbero dovuti inventare qualcosa…. Prima che fossero trascorse ventiquattr’ore dal momento in cui le Sfere erano state messe nella misteriosa sala che si apriva su di un altro universo, la lune si sarebbe schiantata sul mondo. "Mi scusi" disse Marron avvicinandosi timidamente "Ho sentito dire che lei è in grado di vedere quello che accade sulla Terra da qui. Come sta Trunks?".

Trunks cadde al suolo per l’ennesima volta, colpito al volto da Adam. Accanto a lui, Gohan, Ub e Tenshinhan erano già stati atterrati. "Non capisco perché vi ostiniate" commentò il cavaliere dell’Apocalisse, mentre la sua coda dardeggiava nell’aria. "Dici sempre le stesse cose!" commentò Piccolo scagliandosi all’attacco. Adam stava cominciando ad annoiarsi. Per quanto questi incapaci potessero cercare di colpirlo, non ce l’avrebbero mai fatta, nemmeno unendo le proprie forze. Si liberò del namekiano con un singolo manrovescio e lanciò una rapida occhiata agli altri suoi nemici, che si erano disposti a circondarlo. Perché volevano salvare quel pianeta con tanta ostinazione? Perché non capivano che sarebbe stato molto meglio se fosse andato distrutto? Perché doveva essere distrutto? Scosse la testa, per un attimo disorientato dai suoi stessi pensieri. Si riprese appena in tempo per vedere una donna bionda che cercava di colpirlo al viso; con un rapido gesto, anticipò la sua mossa e la afferrò per il collo. Un attimo dopo, quel basso ometto anziano gli si stava lanciando addosso, apparentemente nel tentativo di salvare la donna. Adam scagliò la gamba direttamente sulla faccia di Crilin, spedendo anche lui a terra; poi, riportò la propria attenzione su 18. "Non hai un’aura" disse incuriosito "Sei anche tu una creatura artificiale. Sei anche tu un essere che non ha passato né futuro. Qual è lo scopo della tua vita?". 18 gemette per il dolore della stretta, dibattendosi disperatamente ma senza successo. Proprio in quel momento, le tornarono in mente le parole che suo fratello 17 le aveva detto molti anni prima, quando erano appena stati riattivati dopo un lungo periodo di sospensione vitale: "Odio farmi comandare dal dottor Gero, ma anche noi androidi abbiamo bisogno di un obiettivo nella vita…". Al momento, quell’idea le era sembrata sensata: non ricordava niente della propria vita prima della trasformazione in androide e avere qualcosa su cui concentrare le proprie forze sarebbe stato utile. Necessario. Indispensabile. In quel momento, 18 capì: possibile che Adam, in quanto creato in laboratorio, agisse per lo stesso motivo? Nonostante fosse in pericolo di vita, l’androide non poté fare a meno di provare un moto di comprensione per quel guerriero tanto potente ma, in un certo senso, prigioniero della propria stessa natura. Perché anche lei, prima di trovare dentro di sé la forza per accettare quello che era diventata, aveva provato qualcosa di molto simile. Avrebbe voluto rispondere. Avrebbe voluto dire ad Adam che non avrebbe dovuto eseguire a tutti i costi quello che credeva fosse un suo volere. Prima che potesse parlare, però, una voce la anticipò: "Perché non ti preoccupi dei tuoi scopi?". Adam lasciò cadere a terra 18 e si voltò verso la voce che aveva già riconosciuto. Vegeta stava fluttuando verso il Cavaliere dell’Apocalisse. "Ma tu non eri morto?" chiese il guerriero dai capelli bianchi e neri. "Sì," replicò il Principe dei Saiyan trasformandosi in Super Saiyan 4 "ma sono venuto a cercare qualcuno che mi faccia compagnia all’inferno. Che ne dici di essere tu?".

Dende deglutì, mentre Marron aspettava una risposta. Se il Dio della Terra aveva una debolezza, era quella di essere troppo timido e insicuro. Si era sempre affidato a Piccolo per prendere delle decisioni e, quando si trovava a dover rispondere alle aspettative di coloro che avrebbe dovuto proteggere, non poteva fare a meno di tentennare. Cosa avrebbe dovuto fare? Forse avrebbe dovuto dire la verità alla ragazza: Trunks stava venendo massacrato, insieme a tutti i suoi amici. E non è che l’arrivo di Vegeta, in fin dei conti, avesse cambiato molto la situazione… Il namekiano si voltò verso la giovane; doveva sostenere il suo sguardo e parlarle onestamente. Ma come? I suoi pensieri furono improvvisamente interrotti dall’improvvisa comparsa di Goku. "Dende!" esclamò il Saiyan "Mi sono ricordato di una cosa: Adam aveva detto di avere esaudito solo due desideri!". Un attimo dopo, era scomparso di nuovo. Goku era sempre stato un tipo strano. Adesso, poi, con quella peluria rossa sul corpo, la coda e i capelli lunghi, sembrava anche più bizzarro del solito. Il Dio della Terra riprese il problema da dove lo aveva interrotto. Allora, doveva parlare a Marron. "Ehm…" cominciò "Vedi, il fatto è che…" Maledizione! Stava per bloccarsi! Maledetta insicurezza! Doveva arrivare al punto per vie traverse…. Doveva trovare un altro argomento e poi dire quello che avrebbe voluto dire collegandolo in qualche modo. Disse la prima cosa che gli venne in mente "Il fatto è che Adam ha esaudito solo due desideri, quindi…". Quelle sue parole lo colpirono profondamente. Quando le aveva dette Goku, forse perché soprappensiero, non ci aveva fatto caso, ma ora le loro implicazioni stavano diventando evidenti: "Di conseguenza, dato che le Sfere del Drago impiegano quattro mesi per desiderio a ricaricarsi, potrebbero essere pronte tra qualche minuto! Ma te ne rendi conto?" a questo punto, Dende era euforico "Forse abbiamo ancora una speranza!". Marron lo guardò pensosamente.

Vegeta era al limite. Non si era illuso di poter battere Adam, ma aveva voluto provarci. Aveva voluto fare il possibile. E il possibile non era stato abbastanza. Mentre le nubi tempestose si addensavano in cielo, pur non riuscendo a nascondere il bagliore spettrale della luna, i fulmini cadevano a terra, aprendo delle bianche ferite accecanti sul cupo sfondo dell’orizzonte. "Resta dove sei" disse Adam volgendo le spalle al Saiyan "Non puoi battermi, dovresti averlo capito. Accetta il fatto che questo pianeta sarà distrutto e muori con esso". "Va’ al diavolo!" ringhiò il Principe dei Saiyan lanciandosi sul nemico. Senza nemmeno girarsi, il Cavaliere dell’Apocalisse evitò il pugno e rispose con una gomitata nello stomaco. Mentre Vegeta cadeva a terra per l’ennesima volta, Goku comparve, materializzandosi davanti al nemico. "Sei vivo anche tu…" commentò Adam con un sogghigno. "Mi dispiace di averti deluso" replicò Goku. "Nessuna delusione" il guerriero dall’armatura viola agitò una mano, come a fugare i timori dell’interlocutore. Poi, afferrò per i capelli Vegeta, che giaceva ai suoi piedi, e lo scagliò davanti all’altro Saiyan: "Unitevi, come avete fatto prima. Ormai ho capito che non vi arrenderete mai all’idea di dover morire con questo pianeta, quindi vi farò fuori. Fondetevi, così potrò ammazzarvi entrambi in un colpo solo".

Ci vollero diversi minuti, prima che Dende e Mr. Popo smettessero di esultare e ricordassero la gravità della situazione: dopo aver estratto le Sfere del Drago dalla Stanza dello Spirito e del Tempo e averle trovate completamente ripristinate in seguito a sedici ore di riposo, avevano finalmente capito che la Terra aveva ancora una speranza.

Quando Vegeth Super Saiyan 4 comparve di nuovo di fronte a lui, Adam sbadigliò e alzò distrattamente un braccio, una sfera di energia violacea che turbinava sulla sua mano. Voleva chiudere la questione il prima possibile. Doveva annientare i due Malkut e voleva concludere la faccenda subito. Quando Ub e Piccolo lo attaccarono alle spalle, ne fu veramente seccato. Si girò si scatto ed effettuò un rapido movimento del braccio. Senza nemmeno poterlo raggiungere, i due guerrieri furono sbalzati dal suolo per lo spostamento d’aria; si bloccarono durante la caduta e ripartirono all’attacco. Ben presto, Crilin, Yamcha, Tenshinhan e 18 si unirono ai due, cercando di colpire Adam con una tempesta di attacchi che non stava dando alcun frutto. "Che idiozia!" esclamò il Cavaliere dell’Apocalisse. Un attimo dopo, espanse improvvisamente la propria aura attorno a sé. I sei combattenti furono scagliati a terra. "Non avete avuto già abbastanza dimostrazioni della mia forza? Non potrete mai battermi, nemmeno attaccando insie…". Adam si bloccò di colpo. Avvertiva un’aura enorme provenire da dietro di sé. Si girò di scatto e vide. Vegeth era circondato da Gohan, Goten, Trunks, Pan e Bra, che, avvolti di un’aura dorata, gli stavano trasmettendo la propria energia. L’atacco di quei cinque era stato solo un diversivo! "Goku! Vegeta!" gridò Piccolo alzando il braccio al cielo "Prendete anche la mia forza!" Un flusso di potenza scarlatta fuoriuscì dalla mano del namekiano, descrivendo un ampio arco in cielo e ricadendo proprio sul Super Saiyan 4. "Anche la mia!" esclamò Yamcha imitando il guerriero dalla pelle verde. Allo stesso modo, Tenshinhan, Crilin e Ub stavano contribuendo a propria volta. Prima che Adam potesse fare alcunché, un lampo dorato avvolse completamente Vegeth, bruciando come un sole che volesse rischiarare le tenebre che erano calate sul mondo, spazzando via le nubi e permettendo alla luna di sfoggiare il proprio disco scarlatto in tutta la sua maestà, mentre il guerriero nato dall’unione di due rivali si stagliava contro di esso in atteggiamento di sfida. Carico di una potenza oltre ogni immaginazione, Vegeth avanzò di qualche passo, mentre, attorno a lui, il cielo tornava cupo. Innaturalmente cupo, come se fosse scesa la notte all’improvviso. Adam aveva già visto qualcosa di simile. Vegeth indicò il cielo: "Hai visto?" disse "Le Sfere del Drago stanno venendo usate. Questo significa che il tuo piano è fallito".

Al di sopra del Santuario di Dio, il Dio Drago agitava le sue spire da serpente davanti a quella stessa creatura che permetteva la sua esistenza. Dende si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto mentre guardava la propria creazione. O meglio, la creazione del Dio precedente, che lui aveva rielaborato. "Dimmi quali sono i tuoi desideri! Ne esaudirò tre qualsiasi!" esclamò la maestosa creatura con la sua voce tonante. "Il mio primo desiderio" replicò il namekiano "è che la luna ritorni nella sua posizione originaria!". Gli occhi scarlatti del Dio Drago brillarono per un attimo. "Fatto!" dichiarò "Ora la luna ha cominciato ad allontanarsi dalla Terra e sta per tornare al suo posto naturale". "Poi," continuò il Dio della Terra "voglio che torni a essere materiale e tangibile". Di nuovo, gli occhi dell’enorme bestia divina luccicarono. "Ora la luna è di nuovo tangibile" disse la creatura. "Infine," concluse Dende "voglio che tutte le persone morte per colpa dei Cavalieri dell’Apocalisse tornino in vita!". Questo desiderio impiegò più secondi a essere esaurito, quasi che i Dio Drago dovesse impiegare del tempo a resuscitare tanta gente. "Fatto!" tuonò infine "Addio!". Un attimo dopo, l’enorme sagoma scomparve e le Sfere del Drago si alzarono in volo, per poi disperdersi, come al solito, in sette direzioni differenti, sette stelle cadenti che annunciavano la rinascita della speranza.

Adam scoppiò a ridere. Sembrava non doversi fermare più. Il suo riso sguaiato, forse isterico, stava diventando insostenibile. "Non capisco proprio a cosa vi sia servito, sapete?" domandò insolente "Anche se avete impedito la collisione della Terra con la luna, potrò sempre distruggere questo pianeta con le mie mani una volta che vi avrò battuti. Non sarà la stessa cosa, ma sarà sempre meglio che niente". Senza aspettare la replica dell’avversario, Adam si scagliò contro di lui, colpendolo al viso con un pugno; sfruttando la spinta del colpo, Vegeth girò su se stesso e centrò il mento del nemico con il tallone, per poi atterrare in piedi e attaccare con un pugno. Adam deviò il colpo con l’avambraccio e tentò un affondo a propria volta, solo per trovare il suo attacco bloccato; il Saiyan cercò nuovamente di colpire con una raffica di pugni, che il suo avversario evitò abilmente, prima di rispondere avanzando all’improvviso in gomitata. Vegeth si spostò di lato e cercò di colpire il nemico con un calcio alla nuca, ma il suo piede sibilò nell’aria senza danno. Adam, come comparso dal nulla alle spalle del Super Saiyan 4, tirò un pugno che, in un primo momento, sembrò centrare il bersaglio. Ma non fu che un attimo: Vegeth bloccò le nocche del nemico con le proprie. Per qualche secondo, i due guerrieri restarono in quella posizione, ciascuno spingendo con il proprio pugno verso l’altro, in un disperato tentativo di superare la forza del rivale; poi, si separarono con un agile balzo, atterrando a una decina di metri l’uno dall’altro. Entrambi stavano sogghignando, pregustando quello che stava per accadere. Entrambi rivolsero la mano verso il nemico. Entrambi cominciarono a generare un turbinate vortice di energia tra le proprie dita. Entrambi scagliarono i colpi l’uno contro l’altro: "Big Bang Hameha!" "Tabris Blaster!". Le due potenze si scontrarono a mezz’aria, mentre tutti guardavano esterrefatti un tale sfoggio di forza distruttiva. L’energia dei suoi amici aveva dato a Vegeth una potenza ancora superiore alla precedente, ma non sembrava comunque sufficiente per sconfiggere Adam. Dopo pochi, brevissimi, interminabili secondi di confronto tra i due colpi, entrambi i guerrieri lanciarono un ulteriore attacco con la mano libera, aumentando ancora di più la portata delle potenze in gioco. "Non ce la fa" commentò Piccolo "Il colpo di Adam di potenza superiore". Era vero. L’energia violacea del Tabris Blaster stava lentamente sopraffacendo la forza azzurrina della Big Bang Hameha. Adam mise le proprie forze in un ultimo sfogo di potenza e stavolta la sua vittoria fu netta: il Tabris Blaster inghiottì completamente il colpo del nemico, investendo Vegeth con un turbine di fiamme viola cupo, avvolgendolo in una danza mortale e macabra. Ma Adam non si lasciò ingannare da tutta quella scena: sapeva che un solo colpo non poteva aver abbattuto il suo nemico: con un balzo coprì la distanza che li separava e fu sull’avversario. Vegeth, accovacciato a terra, vide il Cavaliere dell’Apocalisse stagliarsi su di lui, oscurando con il proprio corpo la luce della luna. E fu allora che Adam capì il proprio errore. Il suo avversario aveva lasciato che il proprio colpo venisse annullato per attirarlo. Girandosi rapidamente su se stesso, Vegeth alzò il pugno, che brillava di una luce dorata: "Ryuken!". Prima ancora di toccare terra, Adam fu investito da un’ondata di energia scintillante che lo avvolse completamente, come le spire di un drago d’oro che cercassero di stritolarlo. Si sentì trascinato verso l’alto, mentre la sua armatura andava rapidamente in frantumi, insieme con i suoi progetti.

"Che diavolo ho fatto nella mia vita?". Mentre il Ryuken lo trascinava in cielo e dilaniava il suo corpo, Adam non poteva fare a meno di porsi le domande alle quali si era sempre rifiutato di rispondere. "Non ho voluto che altri mi dicessero quale fosse lo scopo della mia esistenza, eppure, per paura di una vita priva di senso, ho accettato di fare qualcosa che sentivo mio senza conoscerne la natura. Ho fatto esattamente quello che mi ero ripromesso di non fare… Ho avuto paura di capire quali fossero le mie vere ambizioni e mi sono lasciato guidare da qualcosa che mi era stato imposto…. Ho fallito. Non perché non sono riuscito a distruggere la Terra, ma perché non sono riuscito a vivere veramente…. Adesso vorrei una seconda possibilità, ma… Be’, peccato".

Adam e il Ryuken esplosero in un lampo di luce dorata abbagliante. Quando il bagliore si dissolse, Goku e Vegeta, ormai regrediti allo stadio usuale, erano divisi. "Appena in tempo, eh?" domandò il guerriero più giovane. Il Principe dei Saiyan si limitò a sbuffare.

Gohan, Goten, Trunks, Pan, Bra, Ub, Tenshinhan, Crilin e Yamcha corsero attorno ai due guerrieri Saiyan, esplodendo in grida di gioia. Sembrava che lo sventato pericolo avesse avuto l’effetto di fare riguadagnare a tutti le energie che avevano appena donato a Vegeth. Solo Piccolo e 18 non si unirono ai festeggiamenti, il primo perché non era il tipo, la seconda perché non riusciva a essere veramente felice per la morte di Adam, che aveva sentito così vicino a sé.

"Be’," disse infine Goku "torniamo a casa?". "Buona idea" convenne Tenshinhan alzandosi in volo "Allora addio!". Senza aspettare una risposta, il guerriero dai tre occhi, partì verso est. "Vado anch’io" disse Yamcha "Pual sarà preoccupato". "E io vorrei andare ad accertarmi delle condizioni della mia famiglia" aggiunse Ub decollando a propria volta. "Ah, Crilin," fece Goku girandosi verso l’amico "Marron dovrebbe essere al Santuario di Dio, nel caso tu voglia andarla a prendere" "Oh, grazie!" rispose il piccolo guerriero; poi, rivolto a sua moglie: "Allora, andiamo?" "No," replicò 18 "ci va lui". Indicò Trunks, che arrossì quasi istantaneamente. "Be’, sì," disse poi "suppongo che dovrei… Papà, Bra non vi dispiace se non vengo a casa con voi?". Vegeta si limitò a fare un cenno con la testa, ma Bra non fu altrettanto silenziosa: "Ma guardalo! Trunks va a prendere la sua ragazza! Sai che sei diventato rosso quando 18 te l’ha chiesto?" "Oh, sta’ zitta!" ritorse il presidente della Capsule Corporation, mentre sua sorella scoppiava a ridere. Pan, discretamente seccata, pensò che non avrebbe potuto seguirlo e si sarebbe persa un’altra occasione per capire come andassero le cose tra fidanzati. "Allora, papà?" domandò Gohan "Andiamo a casa?". "Andate avanti" rispose Goku "Io resto qui ancora un po’, ho bisogno di riposarmi". "E tu?" chiese Bra rivolta a suo padre. "Rimango un po’ anch’io" disse Vegeta "Di’ a tua madre che tornerò presto".

Quando Goku e Vegeta furono rimasti soli a Yunzabit, con il mare che si stava calmando e la luna che non sembrava più tanto minacciosa, restarono in silenzio per parecchi minuti. Fu Goku il primo a parlare: "Perché?". "Perché cosa?" chiese Vegeta. "Perché è andata così?" replicò il Saiyan più giovane "Hai sentito anche tu gli ultimi pensieri di Adam, vero? Nonostante tutto, non posso fare a meno di chiedermi perché sia dovuto morire, quando gli sarebbe bastato trovarsi un altro scopo nella vita". Vegeta scrollò le spalle: "Facciamo sempre quello che rimproveriamo agli altri. I terrestri condannano l’omicidio, eppure esiste la pena di morte. Quello che è stato è stato, chiedersene il perché è inutile". Così dicendo, il Principe dei Saiyan si alzò in volo e partì verso sud. La pioggia cominciò a scendere, leggera e gentile, come a salutare la partenza del guerriero. Goku si sollevò dal suolo a propria volta: stava incominciando ad avere fame. Prima di volare verso casa, però, non poté fare a meno di alzare lo sguardo al cielo: "Re Enma…" mormorò "Per favore…".

Piovve per tutta la notte. Una pioggia incessante, battente, quasi violenta. Sembrava che il mondo volesse mondare se stesso dei peccati che i Cavalieri dell’Apocalisse avevano voluto spazzare via dalla sua faccia. Quando finalmente arrivò la mattina, il sole fece capolino tra le nubi, come a salutare il nuovo giorno con un’esplosione di felicità della quale si sentiva veramente bisogno. Nelle città principali della Terra, i lavori di ricostruzione erano già ricominciati; ovviamente, con il benestare di Goku e Vegeta, Mr. Satan si era preso nuovamente il merito della sconfitta dei nuovi nemici. Nonostante la nuova iniezione di gloria, però, l’anziano campione di arti marziali non poté reprimere una lacrima, quando seppe che Bu non sarebbe mai più stato con lui.

Trunks, tornato in ufficio, telefonò a Marron dicendole che avrebbero potuto rimandare a venerdì prossimo l’uscita che non erano riusciti a mettere in pratica per lo scorso week end. Sorprendentemente, la ragazza rifiutò. La risposta fu qualcosa del tipo: "Non c’è bisogno che tu cerchi di farmi piacere facendo qualcosa che non ti diverte. Io non sono certo a mio agio con un uomo che mi porta fuori solo perché ci si sente costretto: Perché non passiamo la serata a casa insieme?". Il giovane presidente restò sbalordito da quella replica. Poi, con la sua solita flemma, chiese: "A casa di chi?".

Goten tornò a fare quello che gli riusciva meglio: niente. Saltò bellamente tutte le lezioni della settimana all’università, con la scusa che doveva riprendersi dalla fatica fatta, e passò tutto il tempo con Palace a girarsi tutte le gelaterie della Città dell’Ovest.

Ub, arrivato a casa, apprese che i suoi genitori e i suoi fratelli stavano bene, nonostante un’isola vicino a quella su cui abitavano fosse stata tranciata in due da quella che loro descrissero come "un’onda tagliente", ma che non poteva essere stato che il colpo di Arton.

Crilin e 18 ripresero la loro tranquilla vita quotidiana alla Kame House. Il Maestro Muten non fece domande circa quello che era successo.

Yamcha, che, ritiratosi dalla carriera di giocatore di baseball professionista, conduceva una trasmissione sportiva, non lavorò: quella domenica, ovviamente, non c’erano state partite.

Piccolo ricominciò ad allenarsi presso la cascata, solo per rendersi conto che adesso andare lì a meditare gli trasmetteva un senso di inquietudine.

Di Tenshinhan, come al solito, si perse ogni traccia.

Pan si guadagnò qualche giorno di vacanza: la scuola che frequentava, nella Città dell’Est, era rimasta chiusa a causa dei danni subiti dal centro urbano. Dopotutto, pensò, la venuta dei Cavalieri dell’Apocalisse aveva avuto anche qualche lato positivo. Lo stesso accadde ai suoi genitori, che lavoravano nella Città dell’Est.

Bra non fu altrettanto fortunata: la Città dell’Ovest non aveva subito grossi danni e dovette tornare a scuola come ogni lunedì. Ne approfittò per proporre al consiglio dei rappresentanti di classe un’autogestione di sei mesi. Dopo averla vista arrabbiata, nessuno osò contestare.

Vegeta riprese subito ad allenarsi: non aveva certo intenzione di lasciarsi superare ancora da Kakaroth per pura fortuna. Si ripromise di sfidarlo tra qualche mese, per mettere alla prova la potenza di entrambi.

E Goku fece lo stesso: dopo quello che aveva sentito in merito alla coda dei Saiyan, non voleva che qualcuno potesse dire che lui era il più forte solo perché gli era stata tagliata da giovane. Prima di cominciare i suoi allenamenti, però, non mancò di concedersi una colazione pantagruelica, dopo aver passato tutta la notte a dormire della grossa.

Quella notte piovve ancora. Ma era un pioggia mite e gentile, un saluto all’autunno che stava arrivando, non un flagello dal quale gli uomini si nascondevano. In un piccolo villaggio di montagna nei pressi della Città del Nord, un’anziana coppia di coniugi sedeva davanti alla televisione. I loro figli avevano ormai lasciato il nucleo familiare da molti anni e ormai era sempre più il tempo che passavano da soli. Forse, come pensavano talvolta, non avevano più motivo di vivere. Poi, all’improvviso, tra i tuoni del temporale, alla donna sembrò di sentire un vagito proveniente da fuori la casa. Tanto disse e tanto fece, che convinse il marito ad alzarsi e andare a controllare. Riparandosi sotto un vecchio ombrello e facendo spaziare la luce della torcia elettrica davanti a sé, l’uomo, fermo sulla porta aperta, si guardò attorno. E cominciò anch’egli a sentire quel vagito. Puntando il raggio della pila poco avanti a sé, illuminò la forza delicata di un neonato; completamente nudo, immerso in una pozzanghera, sembrava sul punto di mettersi a piangere. Con un improvviso ritorno di istinto paterno, il vecchio raccolse il bambino. Era un maschio e sembrava sano, ma quello che catturò l’attenzione dell’uomo erano quei pochi capelli che gli spuntavano in testa. Erano di un nero cupo, a eccezione di una sottile striscia bianca proprio nel centro.

Ray’s

The Sixth

End

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Capitolo 8
*** Note dell'autore ***


Ray’s

The Sixth

Author’s note

La lettura di questo documento non è strettamente necessaria per comprendere The Sixth; anzi, consiglio di non leggerlo, dato che comprende quelle che io classifico come EMN (Elucubrazioni Molto Noiose). In sostanza, qui si spiegano le ragioni di alcune mie scelte, la genesi di The Sixth e il mio modo di vedere Dragon Ball. Tengo comunque a precisare che qualsiasi opinione sia espressa in questa sede è strettamente personale e, come tale, non sarebbe saggio attribuirle più importanza di quanta ne abbia.

The Sixth e le mie paturnie

Non avevo voglia di scrivere una fanfiction su Dragon Ball. Era un campo nel quale pensavo non mi sarei mai cimentato. Non saprei dire da cosa derivasse questa mia reticenza: forse era dovuta al fatto che non vedevo molti stimoli. A dire la verità, era già un annetto che l’idea di una fanfiction su Dragon Ball mi ronzava per la testa, ma ho sempre rimandato il progetto, un po’ perché volevo concentrarmi sulle altre mie ‘fic (roba che non credo sarà mai pubblicata, visto che non mi sembra rientrare negli interessi del frequentatore di siti di fanfiction italiani medio… che cazzata ho scritto), un po’ perché non avevo intenzione di buttare giù una storia che ricadesse negli squallidi espedienti usati da molte persone che si cimentano in questa pratica (espedienti che si ritrovano anche in alcuni film di Dragon Ball e in Dragon Ball GT). Non volevo prendere come nuovi nemici una brutta copia di quelli vecchi (parenti vari di Freezer, fusioni tra Cell e Majin Bu, antichi avversari risorti e potenziati), non volevo creare nuovi livelli di Super Saiyan, non volevo riaprire capitoli della saga ormai chiusi, non volevo inventarmi una fortissima popolazione extraterrestre e via di questo passo. Poi, qualche tempo fa, mi è capitato sottomano un vecchissimo (e orribilmente disegnato) fumetto realizzato dal sottoscritto in collaborazione con un compagno di classe quando facevamo la seconda superiore. Rileggendolo, ho ricordato con piacere come sarebbe andato avanti (o meglio, come io avrei voluto farlo andare avanti) se non fosse stato interrotto a causa di divergenze di opinioni. La mia intenzione era quella di rivelare che il protagonista era in realtà il clone di un altro tizio, che era quasi uguale a lui. Le uniche differenze stavano nel fatto che l’originale aveva i capelli neri con una striscia bianca in mezzo e gli occhi completamente neri, con una pupilla verticale rossa. Il personaggio che sarebbe poi diventato Adam, penso sia chiaro. Ovviamente, però, non potevo limitarmi a mettere in campo un nuovo nemico senza dargli un background. Non volevo fosse un extraterrestre, ma allora come avrei potuto fare?

L’idea mi venne guardando una puntata del Maurizio Costanzo Show, in cui un gruppo di individui esprimeva con convinzione delle teorie secondo cui la Storia ufficiale sarebbe ben diversa da quella reale. Interpretazioni alternative della Bibbia, accenni a civiltà perdute e considerazioni di questo tipo si erano mescolate nel formare quello che mi sembrava un perfetto scenario per una storia. Pensai a una civiltà perduta, distrutta da un cataclisma, che tendeva a fondere scienza e religione, che mirava a dominare il creato applicando principi scientifici in ambiti metafisici. Questa immagine mi colpì con una certa forza e decisi di rendere una tale civiltà il background di origine dei miei nuovi nemici. E, visto che si stava già parlando della Bibbia, perché non attingere direttamente alla sua parte più spaventosa per portare all’attenzione dei lettori delle immagini familiari (i Cavalieri dell’Apocalisse), con le quali avessero già confidenza? L’idea mi piacque subito e decisi di cominciare a scrivere. Per aggiungere un tocco di profondità, ho messo qualche riferimento alla cabala ebraica, ma niente di particolarmente elaborato. Anzi, sarebbe più corretto dire che ho rivisto diverse cosette per i miei scopi personali. La prima Sephiroth (ma credo che il plurale corretto sia Sephira) si chiama effettivamente Malkut, ma direi che le esattezze finiscano qui. Più che la fedeltà all’originale, ho prediletto l’inserimento di quegli elementi che potevano permettermi di migliorare l’atmosfera della storia e sviluppare qualche concetto interessante. Normalmente, la scala delle Sephiroth viene intesa come un percorso di evoluzione spirituale, mentre io l’ho estesa al livello fisico, tanto che gli umani hanno fatto regredire un dio, trasformandolo in un mortale.

Avevo deciso fin dall’inizio di creare una vera e propria saga di Dragon Ball, con tutte le caratteristiche del caso, difetti e incongruenze compresi. Dunque, mi chiesi, quali sono gli elementi tipici di Dragon Ball? Ogni nuova saga presenta dei nemici che sembrano invincibili, conferisce al protagonista un nuovo livello di potere, presenta qualche occasione per riaccendere la rivalità tra Goku e Vegeta, richiede la fusione di due o più personaggi (non dimentichiamo quelle tra Nail e Piccolo, Piccolo e Dio e Cell e gli androidi), parte da una situazione di calma e si articola su diversi combattimenti. Fondamentalmente, questi erano i luoghi comuni che volevo rispettare, ma volevo farlo a modo mio.

Partiamo dalle incongruenze, in realtà tutte piuttosto evidenti. Dunque, cosa succede subito dopo che Goku viene sconfitto da Disi? Va al Santuario di Karin per prendere i Senzu, apprende che li ha Pan e così va a casa di Bulma, dove sente l’aura di sua nipote. La domanda che ci si potrebbe fare è: perché, visto che era più vicino, non è andato a farsi curare da Dende? La risposta è che avevo bisogno che andasse a casa di Bulma…

Poi: perché nessuno sembra accorgersi del fatto che Ub e Arton stanno combattendo, o comunque tutti se ne fregano? Perché mi serviva così.

Altro punto bizzarro, ma neanche tanto: Marron raggiunge il Santuario di Dio, teoricamente inaccessibile, con il proprio aereo. Be’, qui non mi sono posto molti problemi, perché anche Bulma aveva fatto lo stesso. Ho sempre pensato che, dal giorno della scalata di Goku, la tecnologia fosse migliorata al punto di produrre mezzi in grado di raggiungere il tempio.

E ancora: quando Goku va alla ricerca delle Sfere del Drago, avverte l’aura di Pilaf già mentre si trova ancora alla Capsule Corporation. Ho assunto che la sua sensibilità nel percepire le aure fosse sufficiente anche a permettergli di localizzarne una molto debole, come fa con quella di Bulma durante la saga di Majin Bu.

Ho ignorato completamente qualsiasi problema dovuto al fuso orario nelle diverse parti del mondo: ho semplicemente descritto ogni momento della giornata a seconda di come mi tornasse comodo.

Sempre per comodità, ho evitato di presumere che la civiltà perduta usasse una lingua diversa da quella attuale: dopotutto, nell’universo di Toriyama sembra che si parli lo stesso idioma su tutti i pianeti (il namekiano parrebbe essere un dialetto), quindi si può dire che questa scelta sia coerente con lo spirito di Dragon Ball.

Passiamo alla fusione tra Goku e Vegeta. Perché l’ho chiamato Vegeth, anziché Gogeta? Perché Vegeth è l’unica fusione tra Goku e Vegeta che venga descritta da Toriyama. Dando i Potara a Goku, il vecchio Kaiohshin gli dice che permettono un’unione identica a quella della Fusion; dal che si deduce che, tra i due tipi di fusione, ci siano essenzialmente due differenze. La fusione con i Potara è eterna, quella con la Fusion dura trenta minuti; nella Fusion con i Potara, si fondono anche gli abiti dei due individui, mentre, con la Fusion, il guerriero risultante indossa sempre l’abito tradizionale di Metamor (quello di Gotenks e Gogeta, per intenderci). In fin dei conti, quindi, Gogeta sarebbe semplicemente un altro nome di Vegeth.

L’idea più bizzarra di The Sixth è probabilmente quella che vede nella Terra il pianeta originario dei Saiyan. Deriva essenzialmente da una fissa mia: se Saiyan e terrestri possono incrociarsi e generare progenie fertile, significa che appartengono alla stessa specie, quindi devono necessariamente avere avuto antenati comuni. La questione della coda mi ronzava per la testa già da anni: avevo notato che, nel fumetto, più un Saiyan era giovane quando la perdeva definitivamente, più era veloce il suo aumento di potenza. Goku la perde tra i quindici e i diciott’anni, Vegeta la perde a ventinove anni, Gohan la perde a cinque anni e, con tutta probabilità, a Trunks e Goten è stata tagliata alla nascita. E, se non ricordo male, nei primi due film in cui compare, non ce l’ha nemmeno Broli. Fatto sta che, mentre scrivevo la storia, mi è sembrata un’ottima scusa per mettere nuovamente contro Vegeta e Goku…. Qualcuno potrebbe chiedersi perché Pan e Bra non siano forti quanto Trunks e Goten, visto che, presumibilmente, anche a loro la coda è stata tagliata alla nascita. Be’, innanzitutto, questo non è mai dato per certo: alla sua prima apparizione in Dragon Ball, Pan non ce l’ha, ma può darsi che gliel’avessero troncata un’ora prima, o che le sia ricresciuta in seguito perché non mozzata alla radice. E poi, non viene mai specificato chiaramente quanto si sia allenata: forse, non a sufficienza. Lo stesso discorso si può fare per Bra, che non mi è mai sembrata molto "combattiva". Ho assunto che potesse sparare un Garrick Cannon (se sa volare, come si vede in Dragon Ball GT, è possibile che Vegeta le abbia insegnato qualcosa), ma non ho mai specificato quale potenza avesse… Magari lo usa solo per pulire la sua camera.

La storia dei capelli che servono per disperdere energia è anch’essa una mia balorda invenzione. Nella parte finale del fumetto, il vecchio Kaiohshin dice a Goku che trasformarsi in Super Saiyan non è un "modo di fare giusto"; diciamo che ho cercato di concretizzare degli effetti collaterali che potessero mettere in pratica questa ipotesi. La eccessiva dispersione di energia mi è sembrata una scusa convincente e ho fatto in modo di argomentare la mutazione del Saiyan in termini "scientifici".

Passiamo al Super Saiyan 4. Ho pensato per un po’ a un nuovo "interruttore" che potesse dare luogo alla trasformazione senza che i diretti interessati avessero la coda. Poi, quando mi sono ricordato che la luna era più vicina alla Terra, mi è venuta l’idea che avete letto. Ho fatto trasformare prima Vegeta per due motivi: volevo differenziarmi dalle solite storie in cui il primo a raggiungere il nuovo livello è Goku e dovevo trovare un modo per fare rappacificare i due Saiyan. Non credo che Vegeta si sarebbe mai fuso con Goku, se ne fosse stato superato ancora. Stavolta, doveva poter dire di esserci arrivato prima lui.

Uno dei problemi più spinosi di The Sixth è il calcolo del tempo. Allora, come scrivo nelle note iniziali, non tutte le età sono effettivamente basate su di un calcolo; alcune sono state scelte arbitrariamente. Comunque, un fatto c’è: Toriyama ha toppato nell’affermare che Bulma sia più vecchia di Goku di soli quattro anni: la differenza è di cinque. Perché? Allora, all’inizio della storia, Bulma ha sedici anni, giusto? L’età che Goku dichiara in quel periodo non conta, perché lui stesso ammette di non sapere cosa venga dopo l’undici (e magari aveva dei dubbi anche riguardo quello che c’è prima). Alla fine del primo Torneo Tenkaichi, Goku torna subito a cercare le Sfere del Drago, dal che si deduce che, dall’inizio della serie, sia passato almeno un anno. E, durante il torneo, il protagonista dice di avere dodici anni! Quindi, Bulma deve averne diciassette. La matematica sarà anche un’opinione, ma io credo di averne l’opinione giusta, almeno in questo caso.

Vediamo un po’ di dare qualche notizia sui personaggi introdotti in The Sixth.

Dunque, la genesi di Adam è stata già spiegata. La teoria secondo cui questo nome sarebbe nato unendo le iniziali dei punti cardinali (credo sia lingua ebraica) esiste effettivamente, anche se non ricordo quale testo vi faccia riferimento. Il Tabris Blaster ha anch’esso un’origine colta: secondo i testi ebraici, Tabris è il nome dell’angelo dell’Apocalisse. Si, va beh, perché lo devo specificare? Tanto, con tutti i fan di Evangelion che ci sono in giro, questa è ormai diventata una cosa comunemente nota…

I Cavalieri dell’Apocalisse sono nati fondamentalmente pensando a quelli "originali" e mettendoci qualcosa di mio e un po’ di riferimenti alternativi. Per esempio, il Fear Yeast di Arton e la questione secondo cui chi ha paura si ammala sono basati su una teoria "medica" effettivamente piuttosto in voga nella Venezia del 1575, flagellata dalla Morte Rossa.

Conclusioni

E questo è quanto. The Sixth finisce qui, stavolta veramente. Non credo che ne scriverò mai un seguito, né che mi cimenterò in altre fanfiction di Dragon Ball; se succederà, saranno sicuramente più corte di questa e probabilmente umoristiche. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto la fanfiction per intero, soprattutto quelli a cui non è piaciuta: non piace nemmeno a me. Un altro ringraziamento va a chiunque abbia pubblicato The Sixth sul proprio sito, prima fra tutti Erika (utenti.tripod.it/efp), che ha avuto la pazienza di stare dietro ai miei continui ripensamenti riguardo la versione da mettere online…. Se un giorno di questi passi da Milano, ti offro un caffè.

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