Incubus di Fiamma Drakon (/viewuser.php?uid=64926)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I - Agli esordi di un incubo ***
Capitolo 2: *** Atto II - Là sul Senna ***
Capitolo 3: *** Atto III - Da vera vampira ***
Capitolo 4: *** Atto IV - Per le vie di Parigi ***
Capitolo 5: *** Atto V - Riunione ***
Capitolo 6: *** Atto VI - L'ombra della città ***
Capitolo 7: *** Atto VII - Nella tela di Ambrose ***
Capitolo 8: *** Atto VIII - Di nuovo insieme, per sempre ***
Capitolo 1 *** Atto I - Agli esordi di un incubo ***
1_Atto I - Agli esordi di un incubo
Titolo: “Incubus”
Autore: Fiamma Drakon
Fandom e personaggi: Originali
Mondo: Nuovo Mondo
Generi: Romantico, Fantasy, Sovrannaturale
Rating: Arancione
Avvertimenti: Non per stomaci delicati
Note dell’autore: tutte
le ambientazioni descritte, anche quelle delle città realmente
esistenti, sono puramente frutto della fantasia dell’autrice,
quindi non riscontrabili nella realtà.
ATTO I
AGLI ESORDI DI UN INCUBO
Mi chiamo Monette De Lune e sono una vampira.
Be’, era ovvio, dopo sette lunghi anni trascorsi sotto queste immortali - o quasi - spoglie.
Ormai era un dato di fatto, e mi
ero anche quasi del tutto abituata al sapore del sangue, del quale, da
umana, non avevo mai neanche potuto sopportare la vista.
E anche la compagnia dei ragni ora mi era adorabile: la mia migliore amica era una vedova nera.
Insomma, ormai era normale pensare a me come a una vampira.
Quello che non era normale - e che
tuttora mi sembrava ancora incredibile - era la situazione in cui, per
un’astrusa serie di circostanze, mi ero trovata coinvolta: il mio
amore - e padrone - Kevin D’Oyly era in pericolo ed io ero la
sola che potesse salvarlo.
Ed era per far ciò che, adesso, mi trovavo davanti a questo vecchio cimitero abbandonato, alla periferia di Parigi.
Ma perché arrivare ad un tal segno?
Insomma, Kevin non era poi
così malvagio, senza contare il suo dilettevole hobby della
vivisezione umana, i poveri diavoli che aveva brutalmente scuoiato - e
ucciso - nella sua Sala delle Torture, i disperati che aveva mutilato
con la sua cara molatrice da tortura e i bastardi che aveva mandato a
morire nelle fiamme dell’Inferno - e non in senso metaforico -.
Be’, in fondo un po’
di malvagità c’era, ma sapeva anche essere gentile e
premuroso in tutto il suo essere macabro.
La mia memoria, così
portentosa dal giorno della mia trasformazione, mi ripresentò
davanti agli occhi tutto ciò che mi aveva condotta fin
lì...
«Lunette! Lunette!».
“Lunette” era il
nomignolo che tutti, in quel castello, mi avevano assegnato, come di
comune e tacito accordo, a causa del mio carattere un po’
lunatico.
Be’, anch’io non
riuscivo a non ammettere che, in effetti, ero un po’ stravagante,
anche come vampira, ma c’erano anche personaggi, nel castello,
che erano ben più eccentrici di me.
«Lunette svegliati! Il sole è calato!!».
Lentamente aprii gli occhi,
ritrovandomi ad osservare un piccolo corpo nero e peloso, con otto
sottili zampette protese nel vuoto.
La riconobbi immediatamente.
«Cindra...» mormorai, levandomi a sedere.
Era la mia migliore amica e, che
io ricordassi, era da sempre stata con me, fin da quando l’avevo
trovata intenta a ricamare una tela nella mia camera originaria, quella
dove avevo trascorso i miei ultimi giorni da umana in questo castello.
Alzai una mano in modo che l’aracnide potesse scendere dal filo cui stava appesa in mia attesa.
«Finalmente sei sveglia.
Giuro che stare ad aspettare il tramonto del sole per avere una
compagnia adorabile come la tua è una sofferenza!»
esclamò la vedova in tono esasperato.
Accennai un sorriso di scuse.
«Non è colpa mia... è stato Kevin a...».
M’interruppi, guardando la
bara vicino alla mia, quella dove solitamente dormiva il mio amato
conte-carceriere, Kevin d’Oyly.
Trovai stranamente insolito il
fatto che fosse già chiusa: quando mi svegliavo, lui era
lì ad osservarmi, i suoi occhi rossi, talmente belli da mozzare
il fiato, fissi sul mio viso.
E mi salutava sempre con un
“Buonanotte, mia rosa appassita”, che nel linguaggio umano
sarebbe stato come dire “Buongiorno, amore mio”.
«Kevin dov’è?» chiesi a Cindra.
«Il conte non è ancora tornato» replicò la vedova.
«Oh...» mormorai, afflitta: era partito ormai da tre notti e non era ancora tornato.
Iniziavo a sentirne molto la mancanza: non ero abituata a stare così a lungo senza di lui.
Il castello era così grande che pareva vuoto senza la sua presenza.
E poi, iniziavo ad essere
preoccupata per lui: non era normale che partisse per così tanto
tempo senza avermi detto niente.
Quando mi aveva salutata, prima di partire, mi aveva detto che andava a caccia e che sarebbe tornato presto.
Ma cosa aveva voluto intendere
realmente con quel “presto”? Quanto tempo sarebbe trascorso
prima che avessi potuto rivederlo?
Cindra mi batté qualche
colpetto sul palmo della mano, evidentemente per consolarmi, non
potendo darmi pacche sulle spalle.
«Non abbatterti, cara, sono certa che il tuo conte sarà presto di ritorno»
«Me lo hai detto anche tre notti fa!».
Scoppiai a piangere: non mi
piaceva essere sola, non mi piaceva stare lontana da Kevin, anche se
lui mi aveva corteggiata per trasformarmi in una vampira e strapparmi
alla mia vita di comune essere umano per relegarmi in quel castello con
lui.
Ma io continuavo ad amarlo, nonostante lui avesse distrutto i miei sogni per l’avvenire.
Come potevo, ora, vivere senza di lui?
Affondai il viso nelle mani, mentre lacrime rosse iniziavano a scendermi dagli occhi.
Sentii un leggero solletico sulla mia spalla destra, ed una zampina che, sottile ma forte, mi tergeva una guancia.
«Su, non piangere, cara. So
che non ti piace la solitudine, ma non sei davvero sola: insomma, io
chi sono? E gli altri del castello?».
Alzai il viso, la guardai e sorrisi tristemente.
«S-sì... hai ragione... scusa...» mormorai.
«Su, coraggio! Asciuga quelle lacrime e sistemati!» mi incoraggiò Cindra, decisa, scendendo dalla mia spalla.
Mi alzai, appena rincuorata dalle
sue parole, e andai a sedermi davanti alla specchiera, anche se dello
specchio non c’era più traccia.
Merito mio: avevo lanciato quella
lastra di vetro contro Kevin la mia prima notte da vampira, per la
rabbia di non potermi più vedere riflessa in uno specchio.
L’avevo mancato, e la lastra
era andata a fracassarsi contro la porta della stanza, nella quale
talvolta ritrovavo una scheggia di vetro nascosta.
Presi la spazzola e iniziai a pettinarmi i lunghi capelli argentei che mi scorrevano come fili fra le dita.
Anche senza potermi guardare allo
specchio, sapevo che aspetto avevo: gli occhi di Kevin erano divenuti
il mio specchio personale.
Il mio viso era rimasto lo stesso
di quando ero umana, guance piene, labbra delicate e definite, naso
piccolo e un po’ all’insù, occhi contornati
d’una moltitudine impressionante di lunghe ciglia rigorosamente
nere, sopracciglia sottili.
Le uniche differenze erano il
pallore cadaverico che ora caratterizzava la mia carnagione, il colore
dei miei occhi, che Kevin definiva sempre perfetti, nel loro
inquietante modo d’essere viola e il fatto che i miei tratti
fossero più “perfetti”.
La mia fronte era perennemente
coperta da argentee ciocche arricciolate, anche se in realtà i
miei capelli erano liscissimi.
Il mio dolce carceriere era sempre
contento di vedermi spazzolare con tanto amore la mia chioma, che non
aveva certo mancato d’essere oggetto dei suoi baci.
Sospirai: chissà dov’era in quel momento, chissà se pensava a me.
Chissà cosa stava facendo...
«Be’, forse un modo
per saperlo c’è...» mormorai tra me e me, ed un
sorrisino apparve sul mio viso.
Sapevo dove andare, perciò... perché non tentare?
Almeno mi sarei messa in pace l’anima.
Mi sbrigai a rassettarmi i capelli, quindi presi il mio mantello nero, che legai al collo e mi mossi verso la porta.
Presi di nuovo Cindra,
riposizionandola sulla mia spalla destra - la sua preferita - e uscii
nel polveroso corridoio buio che portava alle scale.
«Dove vuoi andare?» mi domandò la ragna.
«Devo andare nella Biblioteca» replicai, calma ma decisa.
«Perché? Cosa hai intenzione di fare?»
«Devo interpellare Roxanne»
«Roxanne?! E perché proprio lei?»
«Perché è l’unica che può sapere qualcosa su Kevin...»
«Ma ne sei davvero convinta? Insomma... sai di non andarle molto a genio...»
«Certo che lo so, ma sono
sicura che non mi mentirà su di lui, altrimenti sarà
peggio per lei...» sentenziai infine.
Ero decisa a cavare di bocca a
Roxanne ogni più piccola informazione che potesse servirmi a
capire perché Kevin non fosse ancora tornato, anche se avessi
dovuto utilizzare i miei poteri da vampira, cosa che, francamente, non
avevo mai fatto prima di allora.
Procedetti a passo spedito
attraverso il corridoio, ritrovandomi ben presto sul lato destro della
scalinata che dava sull’atrio.
Scesi fino ai piedi di questa e
spinsi una pesante porta in mogano a doppie ante sul lato sinistro
della scalinata, che dava sulla Biblioteca.
«Dimmi, Lunette... sei
davvero sicura? Insomma... Roxanne è una tipa piuttosto dura
quando si tratta di persuasione, e nel tuo caso...»
«Cindra, lasciami fare.
Roxanne può essere dura quanto le pare, ma io so essere
più dura e cattiva di lei!».
Sentii la vedova sistemarsi meglio sulla mia spalla, ma ero certa che stesse cercando di nascondersi.
Procedetti a passo spedito
attraverso gli innumerevoli scaffali pieni di libri vecchi e polverosi,
di cui non volevo neppure conoscere i titoli.
Mi inquietava il solo fatto che su
alcune costole ci fossero dei residui di sangue rappreso, come se quei
volumi fossero stati usati anche per altre cose, oltre al semplice
esser letti.
Giunsi infine di fronte
all’ultimo scaffale, accostato alla parete di fondo, dove iniziai
a cercare quel libro che avevo visto Kevin estrarre tante volte.
Se non ricordavo errato s’intitolava “300 modi per uccidere un vampiro mezzosangue”.
Ispezionai con cura gli scaffali a
metà della libreria, finché la voce di Cindra mi
avvisò: «Lunette, è lassù».
Alzai gli occhi e lo vidi, la costola incrostata di muffa secolare che sporgeva un poco dallo scaffale.
In punta di piedi, riuscii a
tirarlo giù, facendo scattare un meccanismo, che entrò in
funzione con un suono cigolante a dir poco sinistro.
La libreria affianco si aprì a metà, rivelando un passaggio segreto, nel quale m’insinuai.
Lo stretto corridoio era illuminato da una luce verde fluorescente che non aveva una ben precisa fonte: c’era e basta.
Sentii Cindra rabbrividire.
Le carezzai il dorso, come fosse un gattino.
«Non preoccuparti, ci sono io con te...» la rassicurai, andando avanti.
Procedetti ancora per una ventina
di metri, quando finalmente mi trovai dinanzi all’antro in cui
“viveva” Roxanne.
«Ooooh... ma cosa ci fa
“visetto d’angelo” in un posto così
buio?» fu il benvenuto che ricevetti da questa.
Sorrisi.
«Ma che bello vedere che sei ancora così in salute, Roxanne... per essere una sfera di cristallo...».
Mi avvicinai al tavolino sul quale
stava la palla di vetro, nella quale era possibile scorgere il volto di
Roxanne, in tutto e per tutto simile a quello di una Gorgone: pelle
verde, occhi smeraldo, labbra carnose e serpi al posto dei capelli.
Emise un verso gutturale che sembrava quasi un ringhio.
«Che cosa vuoi, Miss Capelli-da-favola?» mi chiese, con voce acida.
Ecco una cosa - forse l’unica - che apprezzavo di lei: la schiettezza.
Arrivava dritta al dunque, senza tanti giri di parole.
«Kevin. Voglio sapere dov’è e cosa lo trattiene fuori da casa così a lungo» risposi, decisa.
Roxanne scoppiò a ridere.
«E tu credi che te lo dica tanto facilmente? Cosa può convincermi ad aiutarti?».
Risi sommessamente: «Chissà perché, ma me lo aspettavo... allora vediamo se riesco a convincerti...».
Afferrai la sfera e la sollevai dal tavolo, facendola oscillare ad un metro circa da terra.
«C-che cosa fai?! » esclamò la donna-Gorgone, allarmata.
Quell’allarmismo era musica per le mie orecchie.
«Allora... vuoi aiutarmi...
oppure preferisci fare un volo di un metro e mezzo e sfracellarti a
terra in tanti minuscoli frammenti di vetro?» proposi, inarcando
un sopracciglio.
«R-rimettimi giù, subito!».
La feci ondeggiare in aria.
«Scusami? Credo di non aver capito bene...».
Lo ammettevo: era troppo divertente fare la vampira cattiva, almeno per una volta.
Sentii Roxanne ringhiare di nuovo.
«Va bene!! Ti mostrerò dov’è, ma rimettimi sul tavolo, stupida mocciosa!!».
L’accontentai.
Girai quindi intorno al piano e
presi posto nella grande sedia dorata posta dal lato opposto
all’ingresso dell’antro.
«Allora, Roxanne? Sono tutta orecchi».
Iniziai a fissarla intensamente,
mentre questa, borbottando chissà quali e quanti accidenti al
mio indirizzo, si metteva all’opera.
Caddero diversi minuti di silenzio, nei quali continuai a carezzare Cindra, attendendo un responso.
Infine, quel silenzio venne
spezzato, ma non da una voce normale, bensì da un gemito
stridulo ed indistinto, come di chi sta soffocando.
«Roxanne?!?!»
esclamai, saltando in piedi, un po’ per la paura, un po’
per la preoccupazione: che diamine stava accadendo?
Fissai la sfera ed ebbi un
istantaneo moto di ribrezzo: la testa all’interno aveva gli occhi
rivoltati e la bocca semidischiusa in quel grido lacerante.
Cindra tremò.
«C-che succede?» mi domandò, in ansia.
«N-non lo so! Come potrei saperlo?!» esclamai, agitata.
Mi chinai sulla sfera di cristallo: forse se l’avessi scossa si sarebbe ripresa...
A metà del movimento, però, arrivò la risposta che attendevo: «Il conte è in pericolo».
SECONDA CLASSIFICATA
Incubus
Fiamma Drakon
Scrittura: 8
Grammatica corretta fatta
eccezione in due punti in cui il genere è sbagliato (verbi al
maschile con soggetto femminile) e uso del plurale anziché del
singolare. Il carattere utilizzato ‘Pristina’ si adatta
molto all’ambientazione da te scelta. Vi è la presenza
anche di termini ricercati e linguaggio vario.
Personaggi: 6
Sebbene vi sia una
varietà di personaggi e tutti hanno una loro caratteristica
personalità, nessuno risulta fortemente caratterizzato ma solo
accennato all’interno della storia. Specialmente Ambrose che
è l’antagonista di questa storia compare solo in un
capitolo e non vengono narrate molte le sue motivazioni, la sua storia
e la sua personalità che risulta quella del classico cattivo
sadico e senza scrupoli. Lunette nonostante sia la protagonista e parli
in prima persona troppe volte vengono limitati i suoi pensieri su
ciò che le succede: l’uccisione del padre e della sorella
(di cui tra l’altro non viene narrata la storia); l’amato
ritrovato (di cui non si racconta la storia). A tratti assume anche le
tipiche caratteristiche di una Mary Sue. Lo stesso vale per gli altri
protagonisti ma trattandosi di personaggi secondari si può
sorvolare sulla loro storia.
Mondo: 5
Nonostante tu abbia scelto
come ambientazione o Mondo’ di creature e ambientazioni
totalmente ideate da te ve ne sono poche. In primis i vampiri e la
stessa atmosfera lugubre della storia sono più caratteristiche
del mondo ‘Creature della notte’ presente nell’elenco
da me proposto. Avresti potuto soffermarti maggiormente nella
descrizione del castello e dei diversi personaggi che lo abitano dato
che si trattava proprio dell’ambientazione da te creata visto che
il resto della storia è ambientata a Parigi.
Fantasia: 7
Ho voluto premiare la tua
capacità di creare una storia con dei personaggi totalmente
inventati da te. L’unica pecca della trama (come già
spiegato alla voce ‘Personaggi’) rimane la mancata
descrizione del background dei personaggi (primo fra tutti Ambrose) e
della scarsa introspezione di Lunette in punti chiave della storia:
morte dei parenti e riunione con il proprio amato. Inoltre alcuni
passaggi sono molto veloci mentre sarebbe stato meglio soffermarsi di
più su alcune descrizioni o spiegazioni aggiuntive.
Totale: 26 su 40
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Capitolo 2 *** Atto II - Là sul Senna ***
Atto II - Là sul Senna
ATTO II
LÀ SUL SENNA
«Il conte è in pericolo».
Quell’affermazione, unica, semplice, mi riecheggiò dentro,
facendomi vibrare persino le ossa, distruggendo tutto: emozioni,
speranze, pensieri.
Non sopravvisse niente.
In pericolo?
Come? Perché?
Com’era potuto accadere?
Mi gettai contro Roxanne, afferrandola, disperata, scuotendola come una palla con la neve.
«Come?! Dimmi dov’è!!! Dov’è Kevin???» gridai, fuori di me.
Roxanne seguitava a rimanere immobile, le pupille bianche, la bocca semiaperta.
Stavo per piangere: sentivo le lacrime pungermi ai lati degli occhi.
Come poteva essere?
Kevin... in pericolo?
Non riuscivo a crederci, non riuscivo a realizzarlo.
Il mio Kevin... che cosa gli era accaduto?
«Roxanne!!! Parla! Dov’è Kevin ORA?!?» le urlai contro.
«Monette... calmati, ti prego. Cerca di ragionare... » mi ammonì bonariamente Cindra.
«È tutto... buio... vedo morti... vedo... sangue... e lui.
Ferito... deperito... il conte D’Oyly è...
prigioniero...» sibilò Roxanne con una voce che non era
sua.
«Dove?!?! DOVEEE?!?!» chiesi ancora.
«A... Parigi...».
La risposta tanto attesa, anelata fino a quell’istante di follia estrema.
Corsi via, senza dir niente, senza ragionare, senza perdere neppure un
secondo: che cos’ero io per decidere, in quel momento?
Solo una facile preda dell’angoscia e della disperazione.
Il mio amore era in pericolo e dovevo salvarlo.
Correvo a perdifiato attraverso i corridoi, la mente persa in un vuoto
caotico, cercando la strada più rapida per giungere al luogo
dove stavano le carrozze del conte.
Non c’era nessuno oltre a me di vivo - o vampiro -
all’interno del castello: tutto ciò che c’era di
parlante era stato reso “vivo” da vari ed appositi
incantesimi che Kevin o sua madre avevano tempo addietro gettato su
mobilio e altro nel castello.
Anch’io avevo chiesto a Kevin di donare la parola a qualcuno: altrimenti, come avrebbe fatto Cindra a parlare?
Avevo bisogno di qualcuno che mi tenesse compagnia mentre lui non c’era e mi ero affezionata a quella vedova nera.
Così gliel’avevo chiesto, ottenendo una risposta favorevole.
«Lunette! Lunette! Dove stai correndo?»
«Al luogo di stazione delle carrozze! Sono certa che qualche cocchiere ci sarà!».
Uscii da una porta laterale e attraversai il cortiletto pieno di
sterpi, morto, che correva tutt’intorno all’edificio, fino
a raggiungere la zona di stazione delle carrozze.
Lì vicino c’erano tre cocchieri-scheletri intenti a giocare a carte.
Non appena mi videro arrivare, di corsa, si alzarono e si apprestarono ad inchinarsi.
«Cosa possiamo fare per lei, madamoiselle De Lune?» chiese uno dei tre in tono estremamente formale.
«Ho bisogno che mi portiate immediatamente a Parigi!» esclamai, trafelata.
«Da sola? Ma... e il conte...?»
«Il conte è a Parigi e io devo raggiungerlo, subito. Vi
prego!» continuai, nel tono più drammatico e supplichevole
che riuscii a trovare.
Vidi i cocchieri scambiarsi occhiate dubbiose, prima che uno si facesse avanti.
«Come desidera, madamoiselle...».
Mi fece un ampio e plateale inchino, facendomi con ciò segno di precederlo verso una delle carrozze.
Eseguii, avvicinandomi a quella a mio parere più vicina.
«Prego, salga » mi disse, mentre andava a prendere i cavalli, anch’essi scheletrici.
Mi sistemai all’interno, chiudendomi dietro lo sportellino.
«Lunette... è da tanto che non vai a Parigi. Saranno...»
«Sette anni or giù di lì... lo so. Non mi so
orientare affatto, ma non m’importa: devo andare in soccorso di
Kevin prima che sia troppo tardi!».
La carrozza partì con un sobbalzo.
Spostai lo sguardo sul cielo oltre il finestrino: la luna brillava della sua liquida luce nel nero cielo notturno.
«Oh, Kevin, amor mio, dove sei? Voglio essere con te, voglio
vederti, abbracciarti, baciarti... voglio averti di nuovo con me...
dovunque siamo... e per sempre. Mi hai donato questa vita dannata ed io
voglio passarla con te, in eterno. Voglio sentirti vicino, di nuovo,
come nelle notti passate, quando eravamo insieme...».
Nella mia mente era questo il filo conduttore di tutti i miei pensieri
e delle mie preoccupazioni, che crescevano di minuto in minuto, sempre
più.
Non riuscivo a non pensare a lui e a tutti i momenti che, bene o male, avevamo passato insieme.
Io l’amavo più della mia stessa vita, anche se a questo
punto avrei dovuto definirla semplicemente “esistenza”.
Avrei fatto di tutto per riuscire a salvarlo.
Il tempo iniziò a scorrere: la landa dove sorgeva il castello
del conte D’Oyly era avvolto da uno spesso strato di magia nera
che lo nascondeva a quegli umani che avessero stupidamente osato
allontanarsi troppo dalle città.
In quella specie di “dimensione” dove vivevo, il giorno e
la notte si alternavano semplicemente per darci modo di sapere quando
poter uscire e andare a caccia all’esterno, anche se solitamente
era Kevin ad andare a cacciare anche per me: mi era sempre mancato il
coraggio per uccidere persone innocenti, vampira o non che fossi.
«Non preoccuparti, bocciolo appassito... un giorno ci riuscirai anche te...» mi ripeteva sempre.
Forse: non ne ero molto convinta.
Tuttavia, lì dentro l’ambiente faceva più pensare
ad un cimitero, tanto che una perenne volta celeste grigia sarebbe
stata certamente più adatta: alberi rinsecchiti dalle radici
lunghe e nodose, che si estendevano anche per metri lungo il terreno,
sterpi marroni, secchi, disseminati un po’ ovunque e il terreno
accidentato e nient’affatto praticabile, soprattutto per una
vampira poco allenata come me.
Metteva sinceramente i brividi, ma dopo averci fatto l’abitudine
non più, o forse dipendeva tutto dal fatto che ora vedevo e
percepivo da essere della notte e non più come un’umana.
Ben presto abbandonammo quella desolazione, ritornando nella dimensione reale, quella degli umani.
Fu incredibile la sensazione di meraviglia che provai nel notare quanto
più bello fosse il cielo reale, rispetto a quello artificiale
della mia dimensione.
Infinitamente più bello, indescrivibile.
E, mentre dilettavo gli occhi con quel panorama, pian piano questi mi
caddero sull’orizzonte, dove iniziai a distinguere i profili
degli edifici parigini stagliarsi contro la volta celeste e le luci
tremolanti dei lampioni ad olio che si diramavano per tutta la
città.
Era da così tanto tempo che non la rivedevo, Parigi, la mia città natale.
Sette lunghi anni nei quali avevo dovuto imparare cosa volesse dire
essere un vampiro e comportarmi per quello che ero, così da
riuscire a sopravvivere.
Rivedere quella città fu per me come rivedere il sole: un
bagliore che mi riportò alla mia gioventù, quando ancora
ignoravo cosa sarei diventata.
Mi sentii stringere da una morsa di nostalgia pensando ai miei genitori
e a mia sorella minore, che mi credevano morta in un tragico incidente.
Ormai, io non avevo più alcun legame con loro, solo quello dei
miei ricordi, che tuttavia erano sfuocati e indistinti: i vampiri - mi
aveva spiegato Kevin - conservano sporadici e confusi ricordi della
loro esistenza umana, in casi eccezionali potevano ricordare più
eventi, ma mai tutto quanto.
Io forse ero uno di quei casi, perché conservavo diversi ricordi
della mia vita antecedente, anche se fortemente sfuocati.
Scossi appena il capo: non era quello il momento di rivangare il passato.
Ora, il mio unico obiettivo era Kevin: per i ricordi nostalgici avrei
avuto tempo poi, una volta fatto ritorno al castello, insieme a lui.
«Sembra essere una bella città...» commentò
Cindra, scendendo dalla mia spalla e posizionandosi sulla piccola
rientranza del finestrino, a guardare fuori.
«Ed è anche incredibilmente grande... come faremo a trovarlo?» aggiunsi, sconsolata: il tempo stringeva.
Ricordavo bene le parole di Roxanne: era prigioniero, ferito e deperito.
Involontariamente lo visualizzai incatenato ad una parete, i suoi
zigomi duri e definiti, perfetti, sporchi di sangue, gli occhi chiusi,
l’espressione sofferente.
Allontanai quel pensiero con veemenza e ribrezzo: come potevo anche solo prendere in considerazione un’idea simile?
Tuttavia, la situazione era quella, e spettava a me trovarlo.
Ma la domanda più importante, quella cruciale, dalla quale
dipendeva tutto, era una, all’apparenza semplice, ma ben
più complessa: come?
Non sapevo orientarmi, e già questo era un punto a mio sfavore.
Oltretutto, Parigi era grande.
Altro punto a mio svantaggio.
Non c’erano molte probabilità di trovarlo prima che
facesse giorno, ma dovevo farcela: la notte era ancora giovane, ed io
ero determinata a riuscire.
Vidi un mantello nero coprire la finestrella dalla quale prima era
visibile il cocchiere-scheletro, segno che, probabilmente, ci stavamo
avvicinando alla città.
Infine, eccola: vedevo gli edifici passarmi oltre, le finestre inondate di calda luce.
«Che nostalgia...» mormorai tra me, mandando un sospiro.
Sentii la carrozza sobbalzare appena e il rumore degli zoccoli dei
cavalli che galoppavano sul legno: mi affacciai allo sportello, e vidi
che stavamo attraversando un ponte sul Senna.
«Ma... i cavalli non erano scheletri?!» esclamai tra me,
all’improvviso allarmata: se li avessero visti, si sarebbe sparso
il panico.
Mi affacciai alla finestrella, sbirciando l’esterno: dei cavalli si vedeva la... pelle?
Sì, era proprio pelle: un nero manto di pelo li rivestiva.
Mi rimisi seduta, tirando un sospiro di sollievo: probabilmente era un altro incantesimo di Kevin.
All’improvviso, sentii nitrire i cavalli, tanto che saltai di nuovo in piedi.
Sentii il fondo della carrozza vacillare e un rumore di legno che si rompeva rimbombare nell’aria tutt’attorno.
«Che succede?!» esclamai, impaurita e angosciata.
La carrozza iniziò a vibrare, scossa sempre di più da qualcosa che non riuscii a definire.
Infine, ebbi la sensazione di precipitare: mi ritrovai sbattuta contro il sedile.
«CINDRA!! CINDRAAA!!!» chiamai, spaventata.
Nessuna risposta.
Aprii lo sportello, come ad uscire, ma mi sorprese un mare d’acqua, che inondò l’abitacolo.
Ero in preda al panico: il ponte era crollato, la carrozza pure ed ora ero alla mercé delle tremende correnti del fiume.
Di Cindra, nessuna traccia.
Pensai subito al peggio e mi sentii persa: ora ero realmente sola, in quel luogo a me ormai sconosciuto.
Che cosa potevo fare?
Un’ulteriore ondata mi colpì in pieno petto, trascinandomi
sempre più verso l’interno dell’abitacolo.
L’acqua oramai mi sovrastava: non c’era più via di scampo.
Sentii all’improvviso qualcosa di duro cozzare violentemente contro la mia nuca, annebbiandomi la vista.
«Cindra... Kevin...» sussurrai debolmente in ultimo, mentre i miei sensi scemavano poco a poco.
Angolino autrice
Ecco il secondo capitolo! ^^
Ringrazio sinceramente xXxNekoChanxXx e Sachi Mitsuki per le recensioni allo scorso capitolo (e i complimenti).
Per quanto riguarda Ambrose... presto (anche se non troppo u-u) avrete sue notizie.
Well... al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 3 *** Atto III - Da vera vampira ***
Atto III - Da vera vampira
ATTO III
DA VERA VAMPIRA
Sentivo mormorii indistinti intorno a me provenire da punti diversi dello spazio ignoto in cui mi trovavo.
Di essi coglievo solo un vago tono preoccupato e anche spaventato, nient’altro.
Mi sentivo debole e la testa mi
faceva ancora male, tanto che pensai d’essere ancora nella
carrozza, ancora addossata contro quella sporgenza tanto dura da far
perdere i sensi anche ad una vampira.
Notai tuttavia che ero asciutta e
che qualche spiffero malandrino soffiava su di me, quindi scartai
l’ipotesi d’essere ancora nel fiume.
All’improvviso il ricordo di
Cindra, scomparsa durante l’incidente, si ripresentò alla
mia mente, nitido e perfetto, assieme alla struggente preoccupazione
che avevo provato sapendola, con ogni probabilità, morta.
Perché i ragni non sopravvivono in acqua.
Aprii gli occhi di scatto, ritrovandomi a fissare un basso soffitto di legno.
«Ooh... si è svegliata!».
Era una vocetta timida e roca ad aver parlato, indubbiamente femminile.
Il mio sguardo corse
immediatamente al fianco del letto su cui mi trovavo, incrociando
quello decisamente più riservato e timido di una ragazzina dai
capelli corti e spettinati, sporchi, vestita di stracci.
I suoi occhi, grandi e scuri, erano ricolmi di paura, ma al contempo anche curiosità, probabilmente verso di me.
La sua figura, esile senza dubbio,
era rivestita di laceri e sporchi stracci, messi sul suo corpo come un
vestito, dal quale le gambe, tanto magre da far impressione, sbucavano
fuori dal ginocchio in giù.
Fissai gli occhi sul suo viso:
c’era qualcosa, in esso, che mi era vagamente familiare, qualcosa
d’indistinto fisso nella mia mente, che non avevo al momento
presente.
«Papà! Si è
svegliata!» chiamò, girandosi verso il resto della stanza,
che non avevo ancora avuto cura di ispezionare.
Nel mio campo visivo entrò un’altra figura, anch’essa deperita e vestita di stracci.
Era un uomo alto, magro, i capelli
canuti e brizzolati, gli occhi, languidi, d’un grigio simile a
quello dell’acciaio, con un paio di folti e canuti baffi che
quasi gli coprivano la linea delle labbra.
La pelle era poco più scura
di quella della figlioletta e tirata sugli zigomi del viso, così
da apparire ancor più vecchio di quanto in realtà fosse.
Strinse le spalle della bambina, in un gesto chiaramente affettuoso, affiancandosi ad essa.
La piccola lo guardò e lui le sorrise, quindi si rivolse a me.
«Sta bene, signorina?» mi domandò in tono educato.
Annuii con un breve cenno del
capo, senza riuscire a staccare gli occhi da quei due umani: quella
posizione, quei lineamenti e... quelle voci... mi era tutto così
familiare, dannatamente familiare, nonostante il mio cervello si
rifiutasse di farmi ricordare dove avessi già visto tutto quello.
Mi misi seduta sul letto,
fissandomi le mani, proseguendo poi ad esaminare il vestito: era lacero
lungo il bordo inferiore, e qualche strappo c’era anche qua e
là sulla gonna.
Il corsetto, invece, era intero, grazie al cielo.
«Scusi, signorina...
come ha fatto a sopravvivere alla corrente del Senna?» mi
domandò l’uomo, avvicinandosi a me.
Lo guardai ancora: che cosa potevo dirgli?
«Ehm... suppongo sia stata fortuna...» replicai infine, abbassando di nuovo gli occhi sulle mie mani.
Rimasi in silenzio ad osservarli
di sottecchi, mentre cercavo con la mente di ritrovare quel qualcosa
che aveva alimentato - e continuava ad alimentare - quella strana
sensazione.
«Ha fame, signorina?» mi domandò la bimba timidamente.
«Non abbiamo molto, ma possiamo offrirle qualcosa...» soggiunse l’uomo.
Continuai a fissarli, attonita.
«S-si sente bene?» mi chiese, esitante, lui.
Ma io ero lontana mille miglia da
quel luogo, lontana nel tempo, sperduta fra i ricordi di una vita che
ora, per me, era così antica e diversa che pareva non essermi
mai appartenuta.
Quelli erano... mio padre e mia sorella!
Quella posizione in cui stavano mi aveva rievocato alla memoria una vecchia fotografia, di quando ero una ragazzina.
Di quando ero ancora umana e felice e spensierata.
E la mamma dov’era? E perché ora vivevano in quella miseria?
Tra le cose che ricordavo, seppur in modo fievole e sporadico, c’era il ricordo di una casa tenuta di gran conto.
Certamente la mia famiglia non era stata nobile, ma neanche misera.
Credo che appartenessimo alla
piccola borghesia parigina, niente di così eclatante, ma neanche
di così squallido e miserevole.
Mi alzai, avvicinandomi a passo cauto verso di loro.
«S-signorina?» mi chiamò mio padre.
Cosa potevo dirgli?
Sentivo le lacrime lottare per uscire, mentre io lottavo per respingerle.
Volevo domandargli tante cose:
cosa avevano fatto in questi sette anni, come avevano fatto ad arrivare
ad un tale livello di miseria, cosa era successo alla mamma, che,
purtroppo, credevo ormai morta.
Ma come fare?
Io per loro ero morta in un tragico incidente.
Non potevo riapparire così, dal niente, oltretutto in questa forma.
In quell’attimo, potente, letale, la sete mi esplose dentro simile ad un incendio, annebbiandomi per un istante la vista.
Me ne ricordai solo in quel momento: ero a digiuno da tre notti.
Le tre lunghe notti che avevo passato senza Kevin.
Era lui che mi portava il sangue
necessario a dissetarmi: senza, ero soggetta alla sete, come qualsiasi
altro vampiro degno d’essere chiamato con tale nome.
Come rimediare?
Io non ero capace di cacciare: non avevo mai provato.
Non sapevo neanche da dove cominciare: ero solo una vampiretta inesperta che viveva della caccia del proprio amore.
Traballai e mi accostai alla
parete, tenendomi la gola, che mandava fiammate di dolore ad
intermittenza, sempre più intense.
Non riuscivo quasi più a respirare.
«Signorina, che
cos’ha?!?!» esclamò mio padre, avvicinandosi a me,
afferrandomi per una spalla, come a sorreggermi.
Non l’avesse mai fatto: il mio olfatto captò immediatamente il suo invitante odore e quello del suo sangue.
Raddrizzai il capo e mi voltai a fissarlo dritto negli occhi: prelibato, fresco sangue umano...
Lo vidi indietreggiare, spaventato.
Io mi feci avanti, schiudendo le
labbra: ormai ero facile preda di quell’istinto di sopravvivenza
con cui tutti i vampiri, prima o poi, si confrontano.
Quell’istinto che era rimasto sepolto dentro di me perché avvezza a farmi servire da Kevin per il cibo.
E ora che lui non c’era, dovevo provvedere da sola.
Quella parte nascosta di me mi faceva paura, eppure era necessaria.
Mi avvicinai a mio padre lentamente.
Nei suoi occhi vedevo un terrore
profondo e incommensurabile, ma non m’importava: ciò di
cui avevo bisogno ora era sangue.
Il suo sangue.
La bambina arretrava, impaurita, sull’orlo delle lacrime.
Più agilmente di quanto pensassi - o di quanto potessi immaginare - balzai addossi all’uomo.
Con un gesto repentino gli scostai
il capo, tanto che sentii un osso, non so ben dir quale, che si
frantumava sotto la mia forza.
Affondai i denti nel suo collo.
Il sangue mi fluiva in gola, lo sentivo: caldo, delizioso sangue umano.
Bevvi a sazietà, chiedendo
sempre di più al corpo della mia vittima, tanto che, senza
neanche accorgermene, la prosciugai.
Lasciai cadere a terra il corpo,
ormai avvizzito, quindi la mia attenzione si spostò sulla mia
sorellina, rannicchiata in un angolo della stanza, gli occhi carichi di
terrore e ribrezzo.
In pochissimo tempo le fui addosso
e i miei denti penetrarono la tenera carne del suo collo pallido, nello
stesso istante in cui un grido di dolore e terrore si levava dalla sua
gracile gola.
Angolino autrice
Il terzo capitolo! ^^
Ringrazio Sachi Mitsuki e xXxNekoChanxXx per le recensioni allo scorso capitolo, augurandomi che anche questo vi piaccia ^^
Ringrazio inoltre coloro che seguono in silenzio.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 4 *** Atto IV - Per le vie di Parigi ***
Atto IV - Per le vie di Parigi
ATTO IV
PER LE VIE DI PARIGI
Non seppi bene neppure io cosa fu
capace di smuovere in me quel grido, ma riuscì, incredibilmente,
a farmi recuperare la ragione.
Ormai, però, era tardi per
salvarla: le avevo letteralmente dilaniato la gola con i denti e il
sangue scorreva copioso sui suoi stracci.
In viso portava dipinta una maschera di strazio e paura eterni, le pupille rivoltate, completamente bianche.
Mi ritrassi, orripilata: come avevo potuto fare una cosa del genere?
Come avevo potuto assassinare così la mia famiglia?!
Ai lati degli occhi sentii di nuovo le lacrime pungere e cercare di uscire.
Stavolta, non riuscii a
trattenerle: ero stata tanto meschina da distruggere la mia stessa
famiglia, coloro che mi avevano dato una vita da poter perdere per
Kevin, pur di avere del sangue.
Mi disgustavo da sola.
Arretrai ancora, il viso rigato da
lacrime di sangue, quindi corsi fuori, in strada, via, lontana da
quella carneficina di cui ero l’artefice.
Ma da che cosa cercavo di sfuggire, realmente?
Da quel luogo dove si era
consumata la più infamante delle mie azioni, o forse da quella
nuova me stessa, quell’abominio senza scrupoli nato dal bisogno
di sangue insito nella mia natura vampiresca?
Non riuscivo a comprendere
perché dovessi soffrire così: perché proprio la
mia famiglia doveva correre in mio soccorso là sul Senna?
Perché proprio loro dovevano essere le prime vittime della mia rinnovata furia omicida?
Ero troppo debole per poter
sostenere il peso di quelle morti: aborrivo anche solo l’idea di
uccidere, pur sapendo che era sulla morte degli umani che la mia vita
si reggeva.
Ero in precario equilibrio tra la mia morte e la morte altrui e dovevo scegliere, o l’una o l’altra.
La mia sopravvivenza - o la mia fine - dipendevano solo da questo, nient’altro.
Continuavo a correre, senza sapere dove andare, continuando a piangere.
Ero disperata: senza Cindra ad
accompagnarmi, alla vana ricerca di Kevin e, adesso, con
quell’orrendo peccato che pesava sulla mia anima, vagavo sola e
raminga per Parigi.
Dovevo trovare al più
presto il mio amore e tornare con lui al castello: di quei tempi era
assai probabile imbattersi nelle ronde notturne.
Kevin me ne aveva spesso parlato, così da prepararmi già per quando sarei dovuta uscire a caccia con lui.
Ma non sapevo dove andare e non
sapevo che strade evitare, perciò ero impossibilitata a cercare
un modo di non incrociarle.
M’inoltrai in una traversa
più buia, guardandomi intorno: fortuna che noi vampiri vedevamo
benissimo anche al buio, perché altrimenti non avrei potuto
proseguire in essa.
Camminavo a passo felpato, come avessi timore d’essere scoperta da qualcuno o qualcosa.
D’un tratto, sentii dei passi irregolari provenire da un punto imprecisato intorno a me.
«Ehiii, bamboliiinaaa... hic...».
Sobbalzai: stavano parlando con me?
Mi voltai a destra e a sinistra, quando infine notai un gruppetto di tre persone che, traballanti, si stavano avvicinando a me.
Rimasi dov’ero alcuni istanti, prima di riprendere a camminare, rapida.
«Eeeeeehi, ti ho deeeto di fermartiiii... hic!».
Era evidente: ce l’avevano con me.
Che fare?
Dovevo far tornare in superficie l’altra me, quel mostro assetato di sangue, e lasciare a lei il compito di sbarazzarsene?
Li sentivo avvicinarsi ed ero
disposta anche a farlo, se solo avessi saputo come: non ero avvezza
alla violenza e, probabilmente, il mio lato violento emergeva solo
quando ero assetata.
Ma ora che mi ero nutrita, non
sentivo più niente di tutto ciò che avevo, al contrario,
sentito durante l’assassinio di mio padre.
In quel frangente, compresi che
dovevo imparare a conviverci: erano due parti di me che dovevano
convivere, in un modo o in un altro.
Non poteva sussisterne una senza l’altra.
La me violenta e irrazionale
doveva fondersi con la me pacifica e fragile, così da poter
sfruttare i miei poteri di vampira all’occorrenza.
«Tiii ho dettttto dii asccciiipettaree...».
Alla fine, sentii qualcosa aggrapparsi al mio mantello e iniziare a strattonarlo.
Mi sentii ribollire: quel mantello era un regalo di Kevin e nessuno all’infuori di lui poteva tirarlo.
Mi voltai a fronteggiare quegli
umani: era arrivato per me il momento di confrontarmi con il mio lato
violento e assoggettarlo al mio volere.
Emisi un ringhio, digrignando i denti, chinandomi un poco, per avere modo di balzare loro addosso.
«Che c’è, miceeetta? Fai le fuuussssa?» mi schernì uno di quelli, facendosi avanti.
Mi spinsero a terra e uno mi si
sedette sul ventre, estraendo un coltellino, che depose sul mio busto,
fra i seni, iniziando a tagliare il vestito.
Feci per dimenarmi, ma gli altri due compagni mi bloccarono le braccia.
Ero una vampira, per la miseria! Perché non riuscivo a divincolarmi dalla loro presa?
«Uhm... ma guarda un
po’ cosa mi tocca vedere... ehi, bei maschioni, non vi pare
sleale assalire una fragile donna in tre?».
A parlare era stata una voce
suadente e incredibilmente attraente, femminile, che fece voltare i due
uomini che mi trattenevano le braccia.
Approfittando della loro
distrazione, riuscii con un gesto svelto a liberare le braccia,
scaraventando i due a diversi metri da me.
Vidi un’ombra arrivare alle spalle dell’uomo ancora seduto sul mio petto, intento a divellermi il vestito.
«Non ti vergogni a fare
queste cose alle povere donne indifese? Vorrà dire che
dovrò insegnarti un po’ di buone maniere...».
Stavolta era la voce di un maschio ad aver parlato.
In essa, colsi un tono quasi
divertito, come se stesse ridendo, mentre afferrava l’uomo per i
capelli e lo tirava su di peso.
Nel buio della notte vidi lo sconosciuto torcere il capo del mio aggressore, tanto che sentii l’osso del collo spezzarsi.
Poi, prese a spezzare, poco alla volta, ogni arto.
Rabbrividivo ad ogni schiocco che risuonava nell’immota aria notturna.
«E voi due fusti? Che ne dite di divertirci un po’ insieme, ne ♥?» fece la donna in tono accattivante.
Spostai gli occhi verso le due
figure umane afflosciate a terra, dinanzi alle quali si ergeva,
imponente, il profilo di una donna snella nella sua attillata tuta
nera, che ne metteva in vistoso risalto le accentuate forme.
Non riuscii a scorgere altro dalla mia posizione.
La vidi chinarsi sui due, poi fui
distratta da un basso ringhio proveniente dal mio salvatore, che ancora
si trastullava con il cadavere del mio aggressore.
Era arrabbiato, senza dubbio:
spezzò la spina dorsale della sua vittima con una ginocchiata,
prima di dirigersi rapidissimo verso gli altri due.
Ci furono grida di strazio.
Mi misi a sedere ad osservare il
maschio che squartava, pezzo dopo pezzo, i due sopravvissuti, dinanzi
alla donna, che rideva sommessamente accanto a lui.
«Xavier, non credevo che la
tua gelosia potesse arrivare a tanto...» mormorò lei,
chinandosi a cingere il compagno alle spalle.
«Tsk! Questa è solo feccia...» replicò lui, rialzandosi.
«Ma come siamo nervosi, stasera... oh, che sciocca! Dimenticavo che abbiamo un’ospite!».
I due si voltarono allora verso di me.
Mi sentii gelare: che cosa mi avrebbero fatto?
Si avvicinarono a passo lento e calcolato, finché non mi furono davanti.
«Sei anche tu come noi, vero? Una vampira?» mi chiese la femmina, tendendomi una mano.
Annuii, rimettendomi in piedi.
A quel punto potei squadrarli
meglio: lei aveva il viso affusolato, labbra piene e seducenti, occhi
grandi e profondi, circondati da folte e lunghe ciglia, il naso lungo e
sottile.
Sotto l’occhio destro, notai un neo.
Il viso era poi circondato da un
groviglio indescrivibile di capelli ondulati che le arrivavano fino
alle spalle, biondi come l’oro.
La tuta che indossava le copriva
tutto il corpo, tranne le dita delle mani, lasciate scoperte, e
terminavano in un grosso paio di stivali appuntiti, anch’essi
neri, con un tacco che, ad occhio e croce, doveva essere alto sì
e no un palmo di mano.
Come facesse a rimanere in piedi con così fiero portamento, per me era un mistero.
Lui, invece, aveva un viso
giovanile, occhi sereni, accesi da un accenno di ilarità di cui
non carpii il senso, labbra sottili, distese in un sorriso benevolo,
capelli bianchi non troppo corti e incredibilmente in disordine.
Su tutti quei capelli bianchi
spiccava, trionfante, un ciuffo nero, un po’ più lungo
degli altri, che gli cadeva trasversalmente sulla fronte,
coprendogliela in parte, arrivando fino al sopracciglio sinistro.
Indossava un elegante completo
nero che sarebbe stato bene indosso ad un aristocratico: una camicia
bianca faceva la sua apparizione da sotto un gilet nero, a sua volta
coperto da una giacca nera.
I pantaloni, anch’essi neri,
aderivano alle sue smilze e lunghe gambe, facendole sembrare ancora
più magre e ai piedi calzava un paio di scarpe nere e appuntite.
Alla luna, poi, notai che ambedue avevano la pelle cerea, come me, e che dalle loro labbra affioravano, timidi, dei canini.
Continuai a scrutarli alcuni istanti, un po’ impaurita.
Lui rise sommessamente.
«Scusaci per questo arrivo imprevisto, ma ti abbiamo vista in pericolo e...» esordì la donna.
«È dovere di un
cavaliere soccorrere una donzella in pericolo!» esclamò
l’altro, interrompendola.
«Oh, ehm... grazie...» mormorai, imbarazzata.
«Sei nuova di queste parti? Non ti ho mai vista...» mi domandò lei.
Lui rise.
«Per forza! Se passi sempre
il tuo tempo a cercare umani che appaghino i tuoi desideri sessuali!
Ahah! Le puttanelle di strada hanno più dignità di
te!»
«Tsk! E te, allora?»
«Io non vado a fare sesso con la prima che passa...»
«Già perché te ti diverti a smembrarle e prosciugarle ancora vergini!»
«Non serve certo giocare, per assaporare del buon sangue...»
«Str...!»
«Ehm... scusatemi...» m’intromisi, timorosa.
Loro si voltarono a guardarmi, come se si fossero ricordati solo in quel momento che c’ero anche io.
«Oh, scusa. Piacere, io sono Xavier Beaumont e la putt... ehm... la vampira qui è...»
«Cynthia, Gauthier» concluse lei, mandando un’occhiataccia all’altro.
«E tu?» domandò Xavier, curioso, ignorando palesemente la compagna.
«Io sono Monette, Monette De Lune» mi presentai.
Li vidi scambiarsi un’occhiata perplessa.
«Proprio Monette De Lune?» mi chiese Cynthia.
Annuii: perché avrei dovuto mentire?
«S-sì... perché?».
I due vampiri si guardarono di nuovo.
«Perché non vieni con noi a casa? Abbiamo una cosa per te...» mi disse Xavier, sorridendomi.
«M-mi dispiace... non posso: devo trovare il mio...»
«Insistiamo!» ribadì Cynthia, spingendomi lungo la strada.
Li fissai, perplessa: che cos’avevano in mente?
«E-ehm... va bene... se insistete tanto...» mormorai.
«Questo è lo spirito! E ora forza, andiamo!!» esclamò Xavier, avvicinandosi a me.
Prima che potessi fare qualsiasi
cosa, mi alzò da terra, cosicché mi ritrovai stretta
nella sua presa, le gambe che penzolavano oltre il suo avambraccio.
«Aggrappati» mi avvertì.
Serrai le mani attorno al suo collo mentre spiccava un agile balzo verso il tetto più vicino, seguito da Cynthia.
«Sai che sono gelosa, ne
♥?» esclamò la donna in tono volutamente scherzoso,
facendomi l’occhiolino.
«Di lei? Suvvia! Con tutte
le belle donne di Parigi andrei proprio a pescare una vampira
novella?» replicò lui, ilare.
«Senza offesa, ovviamente, mia cara!» si affrettò ad aggiungere al mio indirizzo.
Mi limitai a sorridere timidamente, distogliendo quasi subito i miei occhi dai suoi.
Chissà cos’era che avevano tanta urgenza di mostrarmi...
Angolino autrice
Ecco il quarto capitolo, anche se con un poco di ritardo ^^''
Come sempre, ringrazio Sachi Mitsuki per la recensione allo scorso capitolo, e naturalmente coloro che leggono soltanto!
Well, al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 5 *** Atto V - Riunione ***
Atto V - Riunione
ATTO V
RIUNIONE
Il viaggio fu di relativa
breve durata: Xavier e Cynthia fendevano rapidi la notte, muovendosi
sinuosi e quatti, simili a sovrannaturali gatti.
Probabilmente era un altro tratto
caratteristico di noi vampiri, del quale ancora io ero priva
semplicemente per mancanza d’esercizio.
Presi nota mentale: non appena
avessi riportato a casa Kevin, lo avrei senza dubbio costretto ad
insegnarmi ad essere una vera vampira.
Se si fosse rifiutato... be’, una capatina alla Sala delle Torture non mi era certo proibita.
Notai solo dopo diversi minuti che il petto di Xavier, su cui ero appoggiata, era duro e freddo come il marmo.
Altra particolarità dei
vampiri, con ogni probabilità: ricordavo il tepore del corpo di
mio padre, mentre lo bloccavo per ucciderlo.
«Ehi, mica starai dormendo?».
La voce di Xavier mi giunse all’improvviso, facendomi riscuotere dai miei pensieri.
«Scemo, lo sai che i vampiri non dormono di notte!!» lo rimbeccò Cynthia da dietro.
Lo vidi alzare le spalle e assumere un’espressione indifferente.
«Poteva essere stanca... in
fondo, viene da fuori città ed è una vampira novella:
potrebbe essere ancora soggetta ad alcune debolezze umane...»
obiettò Xavier.
Feci per parlare, quando il vampiro spiccò un ultimo balzo, atterrando con un gesto rapido e deciso.
Mi fece scendere.
«Vieni...» mi invitò, tenendomi la mano.
«Sa camminare anche da sola» lo riprese di nuovo Cynthia, stizzosa.
«Gelosa ~?» cantilenò il vampiro.
«Non farmi dire cose che non vorrei...».
Xavier rise, scortandomi
all’interno di un edificio, un piccolo monolocale lontano dal
centro della città, la cui entrata era nascosta
all’interno di un minuscolo vicolo buio.
Dentro c’era una soffusa luce proveniente da un mozzicone di candela in progressivo esaurimento.
Non c’era granché da
dire: arredata in modo semplice, con lo stretto indispensabile alla
vita di una coppia di vampiri, niente a che vedere col castello dove
abitavo col conte, tuttavia aveva il suo fascino.
Dal lato sinistro della porta
c’era un piccolo divano a due posti con un tavolino davanti,
mentre al destro c’era un armadio e una libreria.
In fondo a destra c’era un
tavolo con due sedie e, poco più in là, un piccolo
corridoio, che evidentemente conduceva alla camera da letto. A
sinistra, invece, c’era un piccolo cucinotto palesemente in
disuso: i vampiri non avevano certo bisogno di mangiare cibo umano.
Cynthia andò a sedersi al tavolo.
«Che cosa volevate farmi vedere?» domandai.
Xavier mi sorrise, quindi andò vicino a Cynthia, facendomi segno di avvicinarmi.
Eseguii.
Non sapevo spiegarmelo, ma avevo la netta sensazione che ci sarebbe stata una rivelazione, a breve.
«Cosa...?» chiesi
ancora, una volta giunta vicino al tavolo, ma mi fermai: sul piano di
legno vidi un grosso ragno nero che mi fissava.
In un primo istante rimasi basita e sconvolta da ciò, ma poi la riconobbi.
«CINDRAAA!!!» gridai, felice come non mai, raccogliendo la vedova nera.
«Lunette! Sono così contenta di rivederti! Ti credevo morta nel Senna!»
«Anche io! Ma come hai fatto a salvarti? I ragni non nuotano...»
«Sono uscita dalla carrozza prima che precipitasse...» mi spiegò semplicemente la ragna.
La strinsi appena contro di me, in quello che - se non fosse stata un aracnide - avrebbe potuto essere un abbraccio.
«Oooh... ma guarda come sono tenere e carine ♥! E finalmente sono di nuovo insieme!»
«Xavier, certe volte sei stomachevolmente smielato...» commentò a bassa voce Cynthia.
Mi ricordai in quel momento che
c’erano anche loro e mi apprestai a coinvolgerli nella
conversazione: chinai profondamente la testa.
«Grazie infinite. Dove l’avete trovata?»
Cynthia fece spallucce.
«Era in riva al fiume. Ci
siamo accorti di lei perché, sai, non è tanto comune
incrociare vedove nere parlanti, qui a Parigi...» spiegò.
In effetti, era un ragionamento che non faceva una piega.
«Continuava a chiamare una
certa “Lunette”, così ci siamo avvicinati e ci ha
raccontato il fatto. Chi immaginava che poi ti avremmo incontrata in
quel vicolo!» continuò Xavier, su di giri.
Si lasciò cadere su una
sedia, incrociando la gamba destra a quella sinistra e poggiandoci
sopra il braccio, portato a sorreggergli la testa.
Mi fissò quindi con un sorriso ambiguo dipinto in viso.
Mi sentii a disagio.
«Prego, siediti, così possiamo parlare...» mi invitò, facendomi cenno verso una sedia.
Cynthia si alzò per lasciarmi il posto e prese a misurare coi passi la stanza.
Mi sedetti.
Mi ritornò alla mente la domanda che avrei voluto porgli poc’anzi.
«Scusate... perché mi chiamate sempre “vampira novella”?» chiesi.
«Da quanto tempo sei così?» mi domandò Cynthia.
«Sette anni» replicai.
Mi sembrava un tempo ragionevole, per non essere più considerata “novella”, o forse mi sbagliavo?
Xavier mi rivolse un caldo sorriso.
«Vedi, i vampiri iniziano ad
essere davvero tali solo dopo vent’anni dalla trasformazione.
Prima di quell’arco di tempo, sono ancora novelli, semplicemente
perché non stabili: la forza va e viene, così come
l’istinto predatore e le altre capacità. Dipende tutto
dallo stato emotivo e dalla situazione in cui si trovano. Per un
vampiro adulto, invece, è tutto vincolato: forza, istinto e
altro sono duraturi» spiegò lui.
Questo dava una ragione più
che plausibile al fatto che non avessi potuto liberarmi subito dei miei
aggressori, come ho fatto poi.
«Ah...» mi limitai a rispondere.
«Allora... che cosa siete venute a cercare qui a Parigi?» mi chiese il vampiro.
«Siamo alla ricerca del mio amore, il conte Kevin D’Oyly»
«Umano?»
«No, no... è stato lui a trasformarmi in vampira»
«E com’è? Ce lo puoi descrivere?» s’intromise Cynthia.
Abbassai gli occhi.
«B-be’... è alto, capelli neri ondulati, occhi rossi e veste sempre di bianco...».
Notai un fremito attraversarli entrambi, mentre si lanciavano uno sguardo chiaramente allarmato.
Non riuscii a trattenermi dal chiedere: «Che cosa c’è?».
Seguirono istanti di silenzio assoluto, in cui il mio sguardo corse dall’uno all’altro.
Infine, Cynthia lanciò un
sospiro amaro che, in un certo senso, mi fece presagire brutte notizie,
ma non fu lei a parlare, bensì Xavier: «Temo che per il
tuo bel conte non ci siano speranze...».
Mi sentii piovere addosso il mondo.
«Come? Perché?» chiesi, agitata.
Xavier si zittì.
«Be’, che aspetti? Diglielo!» esclamò Cynthia.
Temetti il peggio, nel vero senso della parola: perché, all’improvviso, erano così restii a parlare?
Che cosa c’era di così pericoloso tra me e Kevin?
Xavier mandò un sospiro, quindi mi fissò con uno sguardo talmente serio che mi sentii gelare.
«Temo che sia stato preso da Ambrose. Se è così, ci sono ben poche speranze che tu lo riveda... vivo».
Angolino autrice
Ecco anche il quinto capitolo, mi scuso per il ritardo.
Ringrazio Sachi Mitsuki per le recensioni e quanti seguono.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 6 *** Atto VI - L'ombra della città ***
Atto VI - L'ombra della città
ATTO VI
L’OMBRA DELLA CITTÀ
Rimasi immobile dov’ero, come paralizzata: che cos’era quella storia?
Cosa c’era nascosto sotto?
Non capivo: Ambrose?
Che io ricordassi, Kevin non aveva mai ricevuto visite da un certo Ambrose.
Che avesse qualche legame che risalisse a prima del nostro incontro?
E... che cosa c’era di
così pericoloso in quell’Ambrose, da incutere paura
persino a loro, vampiri fatti e finiti?
Dal ritegno che avevano Cynthia e Xavier a parlarne, doveva senza dubbio essere qualcuno di estremamente pericoloso.
O di molto potente.
Mi apprestai così a porre
quella domanda che fremeva nella mia gola, lottando per essere
pronunziata: «C-chi è Ambrose...?»
Altri istanti di silenzio, in cui Cynthia si accostò al tavolo, per sedersi su di esso.
Mi fissò dall’alto, seria.
«Devi sapere che noi tutti,
che siamo stati resi cosa siamo da altri vampiri, siamo dei
mezzosangue, cioè conserviamo una parte, anche se piccolissima,
della nostra vecchia natura. Quelli come Ambrose, invece, sono vampiri
chiamati purosangue, in quanto nati da altri vampiri...»
esordì la donna in tono greve.
«Qui a Parigi Ambrose
è il capo. È come un’ombra, che grava perennemente
su di noi. I purosangue come lui possono decidere delle nostre
esistenze in un batter d’occhio, perché loro hanno il
potere per distruggerci...» continuò Xavier.
«Ma questo... questo cosa c’entra con Kevin?» domandai io, preoccupata.
«Sì... insomma... non
c’è un nesso...» intervenne Cindra, che fino a quel
momento aveva ascoltato, muta, dalla mia spalla.
«Vedi, qualche sera fa,
mentre stavano facendo un giro per la città, abbiamo intravisto
Ambrose...» continuò Xavier.
Cynthia annuì, come a rinforzare l’affermazione.
«Sì... e si stava
trascinando dietro un altro vampiro, privo di sensi e ferito. Lo
ricordo bene: capelli neri e completo bianco. Non è tanto facile
trovare vampiri che vestono di bianco...» concluse lei.
Mi sentii crollare, ma ero già seduta.
Sprofondavo sempre più in
basso, senza sapere bene se avrei toccato un qualche fondo, prima o
poi: rapito? Perché? Che cosa aveva fatto?
Ma se Ambrose aveva il potere di distruggerci, allora...
Mi sentii mancare e fui certa di impallidire ancor di più, ammesso che fosse possibile: voleva ucciderlo?
Sentii una mano posarsi sulla mia spalla, con ovvio intento consolatorio.
Alzai gli occhi, incrociando quelli di Cynthia, seri, profondi.
Mi sentii infondere energia da quello sguardo tanto penetrante, la forza che mi permise di alzarmi.
«Non m’importa! Io voglio provarci! Voglio provare a salvarlo!!» esclamai, ferma.
«Lunette...» mormorò Cindra.
«No, voglio farlo! Dove sta Ambrose?» proseguii, rivolta agli altri due vampiri.
Xavier mi fissò alcuni istanti, perplesso, poi rise.
Una risata che non era né di scherno né di divertimento, ma cristallina, appena venata di ilarità.
Lo fissai alcuni istanti, stupita: che cosa c’era da ridere?
Be’, che fosse un po’
strano, l’avevo capito fin da subito, ma ridere in una
circostanza del genere... proprio non lo capivo.
Appena si riprese, mi guardò con aria furba, cosa che mi fece un po’ paura.
«Mi piace il tuo spirito,
ragazzina! Vuoi sapere dov’è il nascondiglio di Ambrose,
ne? Allora io vengo con te!».
Si alzò, avvicinandosi a me.
«Ehi, tu da solo non vai
proprio da nessuna parte!» lo richiamò Cynthia, scendendo
prontamente dal tavolo, affiancandosi al compagno.
«Allora, vuoi aspettare ancora? Il tuo amore ha bisogno di te»
«Sempre che sia ancora vivo...».
Li guardai, ammirata.
«Grazie» fu l’unica cosa che riuscii a dire.
«Lunette, sei pronta?» mi domandò Cindra.
«Ora che ci sei anche te, sì...» mormorai, avviandomi dietro agli altri due.
Uscimmo in fila, silenziosi.
Ero agitata, nervosa, angosciata,
ma non demordevo: se c’era una seppur piccola speranza di
ritrovare Kevin, non volevo lasciarmela certo sfuggire.
Ci fermammo nello stesso punto dove eravamo arrivati poco prima.
«Ce la fai a correre?» mi chiese Xavier garbatamente.
«È una vampira ormai,
Xavier! Se non si esercita, non ce la farà mai a tenerci il
passo!» obiettò Cynthia, spazientita.
«Sì... lasciatemi
provare...» aggiunsi, accompagnando l’affermazione con un
cenno del capo: volevo provare.
Lui mi sorrise di nuovo, quindi balzò agilmente sul tetto dell’edificio dinanzi a lui, seguito da Cynthia.
Mi piegai appena sulle ginocchia.
«Cindra, tieniti» mormorai, mentre spiccavo un salto.
Mi meravigliai della potenza che misi nel balzo, nonostante non mi fosse parso d’aver preso molto slancio.
«Uhm... come inizio non
c’è male... e ora, presto! Al cimitero abbandonato!»
esclamò Xavier, prendendo a correre.
Lo seguii, rapida: era una
sensazione strana, correre nella notte, talmente veloce da fare
concorrenza ad una squadra di cavalli da tiro, forse anche di
più.
Mi sentivo libera, in un certo senso, come non lo ero mai stata.
Era una sensazione nuova e
bellissima, senza dubbio, ma non era quello il momento di dilettarsi in
simili pensieri: il mio conte aveva bisogno di me.
Accelerai, sperando di riuscire ad arrivare in tempo.
Angolino autrice
Ecco anche il sesto capitolo, sperando che mi perdonerete la sua brevità.
Ringrazio come sempre Sachi Mitsuki per la recensione allo scorso capitolo e coloro che seguono soltanto, sperando che anche questo capitolo sia gradito.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 7 *** Atto VII - Nella tela di Ambrose ***
Atto VII - Nella tela di Ambrose
ATTO VII
NELLA TELA DI AMBROSE
Era così
che ero giunta fin lì, davanti ai neri cancelli arrugginiti di
quel cimitero abbandonato, alla periferia di Parigi, assieme a Xavier,
Cynthia e alla mia cara Cindra.
Respiravo forte, per cercare di acquietare l’agitazione crescente del momento.
Mi avvicinai al cancello e provai a scuoterlo: chiuso.
«Accidenti!» esclamai.
«Te l’hanno mai detto
che noi vampiri abbiamo una forza superiore a quella umana?» mi
suggerì Xavier da dietro, in tono ironico.
Già! Me ne ero dimenticata!
Assestai un pugno alla serratura, che saltò via.
Spinsi leggermente: aperto.
«Grazie...» esclamai, avviandomi.
All’interno, il terreno era
secco e ricoperto di sassolini, le lapidi erano rovinate dalle
intemperie e aggredite dalle erbe selvatiche che crescevano senza freni.
Mi guardai intorno più volte.
«Dove è Ambrose?» chiesi.
«Si nasconde in quella
cripta laggiù» mi informò Cynthia, indicandomi una
cripta in mattoni grigi distante forse un centinaio di metri da me.
Era finalmente arrivato il momento di rivedere Kevin.
L’avrei trovato vivo? Morto?
Non lo sapevo, ma le mie speranze erano riposte nella sua capacità di subire e nella misericordia di quell’Ambrose.
Procedemmo verso la cripta a passo felpato, finché non vi fummo dinanzi.
A quel punto, aprii lentamente il cancello, azione accompagnata da un cigolio alquanto sinistro.
Ci inoltrammo in essa, attraverso un basso tunnel pieno di ragnatele che si snodava per chissà quanto sotto terra.
Ero sempre più tesa e in
ansia, man mano che avanzavamo e pregavo, tra me, che non fosse
successo niente di grave a Kevin, che potesse riprendersi presto, una
volta usciti da lì.
Infine, giungemmo in
un’ampia sala sotterranea, illuminata da diverse torce poste
lungo le pareti, ai piedi delle quali si trovavano diversi scheletri.
«Benvenuta... Monette De Lune. Era da tanto che ti aspettavo...».
Una voce calda e melliflua riecheggiò in tutta la sala, facendomi rabbrividire: doveva essere Ambrose.
«Oh... hai portato anche la tua scorta? Che carina, ma non dovevi...» proseguì.
«Monette stai at...!!».
Xavier non riuscì a finire la frase.
Mi voltai e lo vidi volare via,
scaraventato contro la parete da un altro vampiro, che non avevo mai
visto: capelli neri lunghi, appena ondulati, occhi scuri, seri, le
labbra increspate in un sorriso malizioso.
Doveva essere lui, Ambrose.
«Tu, brutto bast...!»
inveì Cynthia, ma l’altro la colpì in pieno petto,
mozzandole il fiato, scaraventandola a poca distanza dal suo compagno.
«Non è carino da
parte tua venire con altri... infimi vampiri mezzosangue...»
continuò, chinandosi ad osservarmi più da vicino.
«Ooh, pure un ragno?» fece, afferrando Cindra dalla mia spalla e scaraventandola via.
Indietreggiai istintivamente, spaventata.
«Lascia andare Kevin!» esclamai, cercando di apparire coraggiosa.
Lui rise sguaiatamente.
«Kevin? Ma il mio caro
fratellino non può andarsene... non ora che sei arrivata anche
tu, mia giovane rosa appassita...».
Mi prese il viso con una mano, affondando le dita nelle mie guance, tanto da sentire le sue unghie penetrare la carne.
Cercai di divincolarmi, ma era tutto inutile.
Fu solo allora che mi cadde l’attenzione su quello che aveva appena detto: Kevin... era suo fratello?
Stravolta, lasciai cadere ogni
tentativo di resistenza: se lui era un purosangue, allora anche Kevin,
essendo suo fratello, lo era.
Perché, allora, non mi aveva mai detto niente?
«Vedo che ne sei rimasta sconvolta... povera, povera Monette...».
Mi scaraventò a terra, all’improvviso, quindi mi assalì, posizionandosi sul mio ventre.
«Guarda là!» mi
intimò, storcendomi il collo in modo che potessi vedere un
corpo, appeso ad una parete poco distante da un paio di catene.
Vestiti banchi, laceri e sporchi di sangue nero, capelli dello stesso colore che gli cadevano sul viso, coprendolo.
Era Kevin.
«Sai perché il mio
fratellino è ancora vivo? Perché volevo che assistesse
alla tua fine, piccolo, sudicio ibrido!» mi sibilò in un
orecchio.
Mi girai verso di lui e gli sputai in faccia: che essere spregevole e disgustoso.
Mi ringhiò contro, quindi premette le unghie sul mio petto.
Avvertii un dolore atroce, mentre lui mi perforava la pelle, poco sopra il seno, aprendo ferite sempre più profonde.
Sentivo bruciare la pelle mentre veniva divelta come fosse di cartapesta, anziché marmorea.
Dolore, atroce, che mi consumava sempre di più.
Lanciai un grido.
«Monetteee!!!».
La voce di Kevin mi raggiunse all’improvviso, come un coro d’angeli in mezzo ad una bufera.
«Eheh... credi che verrà a salvarti? Guardalo: non ha neppure la forza di spezzare quelle fragili catene...».
Osservai Kevin per alcuni minuti,
mentre lottava disperato contro le catene che lo bloccavano, respirando
velocemente, lanciandomi occhiate cariche di sofferenza, ma non per
sé, bensì per me.
Cercai di divincolarmi dalla presa
di Ambrose, ma questo mi ferì al ventre rapidamente con
un’artigliata profonda, dalla quale iniziò a stillare
sangue nero.
Digrignai i denti.
«MONETTE!!! AMBROSE LASCIALA! Cosa vuoi da lei!?!».
«Cosa voglio, caro
fratellino? Voglio distruggere questo ibrido prima che possa
riprodursi! Perché lei non è più né
un’umana, né una mezzosangue, né tantomeno una
purosangue: è un qualcosa che la tua fame di amore ha creato!
È un qualcosa che non deve permettersi d’infettare la
nostra razza!!» esclamò Ambrose, lo sguardo animato da
pura pazzia.
«Lascia stare Monette!!».
Vidi Xavier piombare sulle spalle di Ambrose, assieme a Cynthia, ghermirlo e scaraventarlo brutalmente via.
«Monette, vai da Kevin!» esclamò la donna, prima di avventarsi contro il purosangue.
«Pazzi! Credete forse di fermarmi?! Voi, sudici mezzosangue!» gridò Ambrose.
Mi rialzai e corsi via, verso Kevin, che mi fissava ancora, negli occhi una gratitudine senza fine.
«Sei viva... sei qui... Monette!».
Lo baciai velocemente, mentre spezzavo le catene.
Ricadde pesantemente a terra, stremato, cingendomi le spalle in un abbraccio affettuoso oltre ogni dire.
«Monette... ti amo...» mi mormorò all’orecchio.
«Anch’io» risposi.
Stavo per aiutarlo a rialzarsi,
quando udii un boato assordante, che mi fece voltare: Cynthia era
inginocchiata a terra, accanto al corpo di Xavier.
«NO!! XAVIEEEEEER!!» gridò, esasperata.
«Questo è quello che ti meriti, per aver aggredito il signore di Parigi! E ora, muori!!».
Stava per ucciderla.
Scattai, rapida e, come posseduta
da un’altra me, mi gettai fra di loro, respingendo il colpo di
Ambrose, dandogli una gomitata nello stomaco tale da scaraventarlo
contro il muro.
«Non sono loro i tuoi avversari, Ambrose, ma IO!!» esclamai.
Ero inebriata da una strana
eccitazione perversa, mentre fissavo gli occhi del mio nemico, animati
da una follia omicida inquietante.
Sapevo tuttavia che non si sarebbe
fermato finché non mi avesse uccisa, perciò dovevo essere
io a porre fine a tutto ciò, per sempre.
Scattai in avanti, decisa.
Lui mi venne incontro, gli artigli sguainati a mo’ d’arma.
Evitai un’artigliata e gli
rifilai un ulteriore colpo allo stomaco, quindi gli presi la testa e
gliela girai, tanto da fargli scrocchiare l’osso del collo.
Lo gettai a terra e mi avventai a
zanne scoperte su di lui: avevo letto in un libro che l’unico
modo per uccidere un vampiro era quello di fare a pezzi il corpo.
Tanti, piccoli pezzi.
Avevo ancora bene in mente
ciò che avevo fatto a mio padre, ma lì era diverso,
perché quello era un vampiro e non sapevo fino a che punto avrei
potuto fargli del male.
Di certo era più resistente di un umano, ma dovevo riuscire a immobilizzarlo tanto quanto bastava a dilaniarlo per bene.
Iniziai staccandogli un braccio, ma a quel punto si ribellò, scaraventandomi con un calcio lontana da lui.
Si rialzò e riprese ad attaccarmi, ignorando il braccio mutilato.
Mi ferì alle braccia e alla
gola, vidi il mio sangue stillare a fiotti dalle ferite più
profonde, macchiare il pavimento, sentii le grida di Kevin che mi
imploravano di lasciar perdere, di scappare.
Ma io non l’avrei
abbandonato mai, per niente al mondo, anche a costo di dover morire
lì, per lui, consumata dal mio desiderio di salvarlo.
Ambrose mi colpì alla gola, raschiando via altra pelle, facendo scrocchiare la mia mascella.
Il tanfo del sangue marcio, il mio
sangue marcio, mi riempiva le narici, mi nauseava, ma non
m’impediva certo di cercare di contrattaccare.
Tentai di colpirlo ancora alla
giugulare, ma fu inutile: mi atterrò con una gomitata nella
nuca, tale da mandarmi distesa.
Si avvicinò a passo lento.
Non ce la facevo più a rialzarmi.
«Sciocca e presuntuosa... credevi davvero di riuscire ad uccidermi?» mi sussurrò all’orecchio.
«Questa sarà la tua tomba...».
«NOO!!».
Il grido di Cynthia riecheggiò forte in tutta la sala, attirando la mia attenzione.
Vidi la sua ombra scavalcarmi e
aggredire prontamente Ambrose, iniziando a storcere più e
più volte la sua testa, tanto che sentii chiaramente lo
scrocchio che stava a significare che aveva staccato le ossa del collo
da quelle della cassa toracica, nonostante la carne fosse ancora
attaccata.
Approfittai di quell’attimo per rialzarmi e avventarmi contro di lui.
Pezzo dopo pezzo, iniziai a
strappargli le gambe, le braccia, persino li torace, che divisi in
più parti, così come gli arti.
L’ultima cosa, fu la testa.
«Addio, Ambrose!»
esclamai, sorridendo, prima di strappargli barbaramente a morsi la
testa da quel che rimaneva del torace.
Non un fiato, non un grido: era morto.
Era finita, tutto finito.
«Xavier...» mormorò Cynthia, alle mie spalle.
La vidi tornare indietro lentamente, verso il corpo del suo compagno.
«XAVIEEEEEEEER!!».
Angolino autrice
Ecco anche il settimo u.u
Well... ci avviciniamo alla fine (siamo prossimo oramai, davvero molto prossimo X°P).
Ringrazio Sachi Mitsuki per la recensione allo scorso capitolo e quanti seguono e basta.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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Capitolo 8 *** Atto VIII - Di nuovo insieme, per sempre ***
Atto VIII - Di nuovo insieme, per sempre
ATTO VIII
DI NUOVO INSIEME, PER SEMPRE
«XAVIEEEEEEEER!!».
La osservai, in silenzio, prima di avvicinarmi.
«Lunette! Come stai?».
La voce di Cindra mi fece sobbalzare, precedendo il suo arrivo dall’alto della stanza.
La staccai dal filo da cui pendeva e la presi nelle mie mani,
avvicinandomi a Cynthia: Xavier era immobile, steso a terra, le
palpebre chiuse, la bocca semiaperta, dalla quale scivolava fuori un
rivolo di sangue nero.
La guancia destra era solcata da un taglio, netto e preciso, che
attraversava anche la palpebra, fino ad arrivargli alla tempia e che
brillava del nero del sangue che ancora da esso stillava.
Il petto era stato squarciato più volte e, in prossimità
del cuore, si apriva un foro grande quanto un pugno, sporco del sangue
che ributtava a fiotti ininterrotti.
La coscia sinistra era solcata da profonde ferite che avevano ridotto a brandelli sanguinolenti i pantaloni.
Cynthia cadde in ginocchio accanto a lui, prendendo a scuoterlo per le spalle.
«Xavier! Xavier, svegliati! Ti prego, Xavier!» lo chiamò, disperata.
Sentii un paio di mani cingermi i fianchi e sobbalzai, voltandomi: era Kevin.
Mi sorrise, mite e triste, osservando poi la scena che si presentava davanti a noi.
«Se tu fossi morta... non mi sarei limitato a questo... ma sarei
morto anch’io...» mi sussurrò all’orecchio.
«Non dire queste cose, ti prego!» risposi io, tristemente.
«Se fossi morto, se fossi morto... volete smetterla di dire che sono morto?!».
Xavier riaprì in quel momento l’occhio sano, sorridendo trionfante.
Gli occhi di Cynthia si illuminarono e gli saltò al collo.
«Credevo fossi morto!»
«Ma davvero? Chi l’avrebbe mai detto...» rispose lui, ironico, tossendo.
Si tirò su a sedere malamente, la palpebra ferita che vibrava, forse per lo sforzo di doverla tenere chiusa.
«E così tu sei il conte Kevin d’Oyly, il fidanzato di Monette... piacere, Xavier».
Kevin lo fissò alcuni istanti, prima di scattare.
«Eri con Monette?!?! Io ti ammazzo, ti AMMAZ...» si
bloccò, mormorando un “ahio”, che evidentemente era
dato dai maltrattamenti subiti dal fratello.
«No, non fare così, Kevin... non mi ha fatto niente,
davvero! Mi hanno aiutato a ritrovarti, anzi!» lo difesi io,
sorridendo: era così carino quando faceva il geloso.
«Sì... l’ho pure portata in braccio fino a casa, per
non farla stancare!» aggiunse Xavier, in tono quasi fiero, mentre
Cynthia lo aiutava a rimettersi in piedi.
«Tu COSA?!?!?! Vieni qui, razza di...!»
«No, Kevin non fargli male!!» esclamai io, trattenendolo, riavvicinandolo a me e baciandolo.
Lo sentii rilassarsi e cedere lentamente, mentre ricambiava con foga sempre maggiore il mio bacio.
«Ma guarda cosa mi tocca vedere in queste condizioni...» sentii mormorare a Xavier.
«Sta’ un po’ zitto!» lo rimbeccò Cynthia.
Sentii l’altro mandare un piccolo gemito.
Quando ci staccammo e riportai gli occhi su quei due, giurai che si
erano baciati pure loro: gli occhi di lei erano accesi di sentimento,
mentre quelli di lui erano palesemente scioccati.
«Be’, direi di andare... questo posto non mi piace neanche
un po’...» esclamò Cynthia, avviandosi con Xavier
verso l’uscita, sorreggendolo.
Io e Kevin ci scambiammo un ultimo sguardo, prima di seguirli, Cindra ancora nelle mie mani.
«Torniamo a casa?» chiesi a Kevin, guardandolo.
«Certo, bocciolo appassito...» mi sussurrò lui all’orecchio.
Gli cinsi i fianchi: mi sembrava in precario equilibrio e non volevo che cadesse.
Ci scambiammo un ulteriore bacio, stavolta incredibilmente casto.
E così finì quell’orribile notte da incubo.
Angolino autrice
E così finisce la fic ^^''' spero che sia piaciuta ^^
Ringrazio Sachi Mitsuki e xXxNekoChanxXx per le recensioni allo scorso capitolo e quanti hanno seguito solamente questa fic ^^
Grazie a tutti.
F.D.
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