Quanto è piccolo il mondo

di wari
(/viewuser.php?uid=83330)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** miopia ***
Capitolo 2: *** Accordo ***
Capitolo 3: *** Risate ***
Capitolo 4: *** Trappola ***
Capitolo 5: *** Biscia ***
Capitolo 6: *** Tosse ***



Capitolo 1
*** miopia ***


bo1 Ah, beh. Visto che lo spirito natalizio mi evita come la peste (ma non è colpa mia, ho avuto brutte esperienze ai pranzi di Natale. Si tratta della lasagna di mia zia... Ma a voi questo non interessa, quindi dimenticatevene. ) per Natale pubblico una roba che col Natale non c'entra un picchio. Sopportate.
E buone feste a tutti (che possiate essere liberi dalle lasagne!)^^




In realtà non era la prima volta.
Solo che ultimamente capitava più spesso.
Con conseguenze catastrofiche, a detta di Kisame. Ma Kisame esagerava sempre.
D'accordo. Oggettivamente, colpire quella vecchietta al posto di un ninja di Kiri alto due metri era stato un errore grossolano.
Ma poteva capitare a chiunque di loro. Non era certo colpa del suo problemino.
E poi, che accidenti ci faceva lì, una vecchietta?
Sbuffò, riaprendo gli occhi per la seconda volta.
Niente da fare.
Si alzò dal letto, la vaga idea di mandare Kisame a compiere da solo la missione del giorno, subito accantonata per via del timore di essere costretto a ricominciare una delle estenuanti discussioni delle settimane precedenti.
Il suo tentativo di trovare un elastico per legarsi i capelli, lo portò unicamente a centrare il comodino con l'alluce, costringendolo ad arretrare imprecando a mezza voce.
Beh. Almeno aveva individuato il comodino.
Vi ci fece scorrere sopra la mano, rovesciando un bicchiere e rischiando di mozzarsi le dita con uno shuriken.
Afferrato l'elastico, legare i capelli fu in verità piuttosto semplice, salvo inciampare subito dopo nelle sue stesse scarpe.
« Itachi! Hai deciso di restare in letargo per tutto l'inverno o esci fuori? Guarda che è tardi. »
Itachi, che al momento era impegnato nel difficile tentativo di districare il suo indice destro, rimasto intrappolato nell'elastico, e, come se non bastasse, si trovava ancora in una poco dignitosa posizione supina, grugnì una mezza risposta in direzione di quella macchia scura che supponeva essere la porta.
A giudicare dal tono quasi divertito  con il quale Kisame l'aveva chiamato, o l'idiota aveva intuito dal tonfo in quale situazione si trovava, o – anche questo era estremamente probabile – la parola “letargo”, pronunciata con naturale casualità, sottintendeva un velato riferimento alle marmotte*.
Quale che fosse la realtà, Itachi decise che l'avrebbe pestato.
Sempre che fosse riuscito ad uscire dalla sua stanza, ovviamente.


Lo stesso albero, di nuovo.
« Kabuto. So che ti sembro monotono, ma ti sei perso. »
L'espressione stizzita che gli arrivò in risposta , fu accolta da Sasuke con la stessa aria di sufficienza mantenuta durante l'intero tragitto.
« Non ci siamo persi, Sasuke kun. » rispose Kabuto, scrutando torvo il paesaggio circostante.
« Lo hai detto anche le prime sedici volte che te l'ho fatto notare. » insinuò Sasuke, in tono piatto.
Non era certo del perché continuasse a provocare Kabuto da più di sei ore, ma il vedere quell'insopportabile medicastro in difficoltà rappresentava uno tra i suoi maggiori divertimenti, da quando era arrivato al covo di Orochimaru.
Anche perché non c'era molto altro con cui divertirsi.
Kabuto si tolse gli occhiali e iniziò a pulirli, con stizza malcelata.
« Senti, ragazzino. » sibilò, infilandoseli di nuovo sul naso. « Solo perché oggi il maestro Orochimaru ti ha scaricato a me, non significa che io sia disposto a tollerare le tue battutine saccenti. »
Sasuke decise di concentrare la sua attenzione su di una lumaca di passaggio: decisamente più interessante.
Kabuto parve non farci caso.
« Anzi, visto che fai tanto il saputello, perché non me lo dici tu, come si fa ad uscire da questa stupida foresta? »
La lumaca raggiunse un mucchio di fogliame e scomparve alla vista.
« Direi di andare da quella parte. » sentenziò allora Sasuke, ammiccando alla sua destra.
« E perché, di grazia?! »
« Perché è la direzione opposta rispetto a quella da cui siamo venuti. » spiegò, paziente. « E spostarsi in linea retta potrebbe essere un'interessante variazione. Girare su sé stessi è stancante, dopo un po' . »
Kabuto emise un breve ringhio esasperato, mugugnando qualcosa del tipo “e non potevi dirlo prima?”; ma Sasuke preferì restare in silenzio.
Quando il giorno prima Orochimaru - evidentemente stanco di vederselo girare attorno - aveva deciso di spedirlo con quell'idiota di Kabuto a “prendere una boccata d'aria”, Sasuke aveva stabilito con sé stesso che non si sarebbe arrabbiato.
Il sennin, costretto a letto da una curiosa influenza, aveva comunque dovuto interrompere i suoi allenamenti: in circostanze simili, tanto valeva andarsene a spasso al guinzaglio di Kabuto, piuttosto che girovagare nel covo come un'anima in  pena, col serio pericolo di imbattersi in una delle stanze adibite alle torture e agli squartamenti.
Doveva essere stato più o meno lo stesso pensiero di Orchimaru che, molto preso dal suo naso gocciolante, non aveva alcuna voglia di essere costantemente tallonato da un adolescente avido di tecniche ninja.
E così erano partiti, lui e Kabuto, per un'inutile gita – Sasuke non aveva trovato altro modo per definirla – che consisteva semplicemente nel andare per foreste in cerca di funghi interessanti.
« Non li hai ancora trovati, i tuoi funghi? »
Kabuto, a giudicare dall'espressione, colse distintamente il sarcasmo insito nella frase.
«No. Come hai potuto constatare tu stesso. » sospirò, tra i denti. « E, tanto per la cronaca, non sono “funghi”. Sono rare erbe mediche. Chiaro? »
« Cristallino, Kabuto. »
Anche stressare il medicastro stava iniziando a diventare tedioso, oramai.
Sasuke sospirò impercettibilmente.
No. Non sarebbe successo nulla di interessante, quel giorno.
Sbuffò impercettibilmente e si rassegnò a seguire l'ondeggiare nervoso del codino di Kabuto, diversi metri davanti a lui.


Dopo una serie di complicate manovre ed innumerevoli, colorite imprecazioni – decisamente non degne di un Uchiha - Itachi era finalmente riuscito a lavarsi, vestirsi, centrare la porta ed uscire in corridoio.
Dovette persino costringere il suo orgoglio a piegarsi per ringraziare mentalmente  l'arredatore del covo: chiunque fosse, sebbene possedesse un innegabile pessimo gusto, evitando alcuna illuminazione più soddisfacente di mezzo cero ogni venti metri l'aveva abituato a muoversi praticamente al buio; cosa che al momento risultava piuttosto utile.
Raggiunse quindi l'uscita con relativa facilità, stupendosi nel constatare che il suo umore non era peggiorato di molto, al contrario di quanto aveva supposto.
« Itachi... Ma come accidenti ti sei conciato?! »
Ah. Il dannato pesce blu. Si stava prendendo troppe confidenze, negli ultimi tempi.
« Perché, cos'è che ti disturba, nel mio aspetto? » chiese bruscamente Itachi, celando con abilità una punta di timore; in effetti aveva afferrato una cosa che somigliava alla divisa, ma l'aveva indossata contando semplicemente sul fatto che, nel suo armadio, non c'era altro a parte quella.
« Beh, come dire... Hai la divisa al contrario. »
« Ah. »
La pausa imbarazzata che seguì, fu provvidenzialmente interrotta da passi affrettati.
« Ehi, gente! Il capo dice che vengo con voi... Itachi. Sai di avere la divisa alla rovescia? »
L'ingenua domanda di Deidara servì solo a far in modo che la furia omicidia che aveva colto Itachi poco prima quando, svegliandosi, si era accorto di non riuscire a distinguere uno spazzolino da denti da un kunai - con tutte le conseguenze del caso - tornasse ad assalirlo.
« Sì, Deidara. Itachi ci stava lavorando. Giusto, Itachi? »
Kisame, dopo anni di assidua frequentazione, sembrava aver imparato a riconoscere il momento esatto in cui gli occhi dell'Uchiha prendevano a lampeggiare in modo sinistro; segnale sicuro di un'imminente e poco piacevole attacco di follia omicida.
Ma Itachi liquidò l'intera faccenda con una non compromettente alzata di spalle che gli conferiva, a suo dire, un piglio da persona perfettamente consapevole di ogni sua azione. Poi si ingegnò con caparbietà per fare in modo che le nuvolette sulla sua divisa tornassero a vedere la luce del sole, mentre Deidara si lasciava convincere a lasciar cadere la questione da un Kisame improvvisamente ligio al dovere.
« Allora muoviamoci. I cercoteri non si trovano da soli! Quest'oggi ci tocca la bicoda, contenti? »
« Entusiasti. » sibilò Itachi, ancora risentito. « Solo un dubbio: perché lui deve venire con noi? »
Già subire Kisame talvolta andava oltre le sue possibilità. In coppia con Deidara poteva diventare insostenibile.
« Oh, è tutta colpa del capo! » prese a dire questi, in tono leggero. « Mi impedisce di esprimere appieno la mia arte all'interno del covo... »
Il “chissà perché”, borbottato da Kisame, si perse fortunatamente nel rumore dei loro stessi passi.


Stava facendo buio.
Nella penombra, era quasi impossibile distinguere il sottobosco. E poi iniziava anche a far freddo.
« Ci fermiamo qui. » annunciò Kabuto, amareggiato.
Decisamente, non era così che aveva previsto di trascorrere la giornata.
Osservò Sasuke annuire con distacco ed accomodarsi accanto ad una grossa radice, aspettando che fosse lui ad organizzare un fuoco per la notte.
Quel ragazzino viziato doveva averlo preso per una specie di cameriere.
Stava davvero iniziando a stancarlo.
Eppure, Kabuto era sempre stato piuttosto soddisfatto della sua vita; essere alle dipendenze di Orochimaru aveva numerosi vantaggi, specialmente per quanto riguardava il procurarsi la materia prima per i suoi esperimenti.
In virtù di questi aspetti positivi, era solito accettare di buon grado anche incarichi come quello.
Tuttavia, dopo un'intera giornata, poteva tranquillamente affermare che scarrozzare in giro un ragazzino taciturno, sarcastico e poco collaborativo rientrava a pieno titolo nel novero delle mansioni che più detestava. Se poi questi era anche il prezioso futuro contenitore di Orochimaru, la situazione diventava quasi insostenibile, per i suoi poveri nervi.
A tutto, si aggiungeva la stizza per non essere riuscito a trovare neanche una delle erbe che cercava.
« Che fai? » chiese.
Sasuke si era appena sdraiato, dandogli le spalle.
« Cerco di rendere fruttuosa questa giornata. »
« Dormendo? »
« Dormendo, Kabuto. Dopo un'attenta analisi, sono giunto alla conclusione che questo sia l'unico modo. »
Kabuto preferì non ribattere e prese a ravvivare il fuoco.
Ottimo. Un Sasuke addormentato era esattamente l'unico Sasuke di cui riusciva, certo non a desiderare, ma almeno a tollerare la compagnia. Si stava quasi rasserenando, al pensiero che avrebbe finalmente avuto una ragionevole tregua dai suoi commenti e dai suoi inquietanti silenzi quando, inaspettato, un rumore secco ed un frusciò alle sue spalle lo fecero sussultare.
Rapido, Kabuto spense il fuoco e si mise in all'erta.
Tese l'orecchio.
Probabilmente si trattava di un animale, e non c'era assolutamente nulla di cui preoccuparsi.
E quasi sicuramente lui era uno stupido, in preda all'isteria dovuta alla responsabilità di dover preservare completamente intatto il prezioso contenitore di Orochimaru.
Pur essendo perfettamente consapevole di questo, non riuscì però a rimettersi tranquillamente a dormire.
« Sasuke kun. »
« Se devi andare a svuotare la vescica, fallo e basta. »
Kabuto dovette usare un profondo autocontrollo su sé stesso per trattenersi dal praticargli una tracheotomia lì, seduta stante.
« Mi sembra di aver sentito un rumore. » sussurrò invece, calmo. « Probabilmente non è nulla, ma credo che andrò a controllare. »
« Grandioso. Buona fortuna. »
Kabuto si alzò, contrariato.
D'accordo. Cinque minuti.
Sarebbe andato a dare un'occhiata nei paraggi e poi sarebbe tornato subito.
Cinque minuti.
« Non ti riaddormentare. E soprattutto, non ti spostare da qui, intesi, Sasuke kun? »
« Intesi. Ora lasciami dormire, razza di paranoico. »
Lui inspirò profondamente, ripetendosi che, per quanto desiderasse affondare i suoi bisturi di chakra nel collo del ragazzo, poi Orochimaru - nella migliore delle ipotesi - avrebbe usato il suo cadavere come scendiletto. Così si voltò, addentrandosi rapido nella foresta.


E tre.
« Itachi, sicuro di star bene? E' la terza volta che rischi di inciampare... »
Kisame spinse prudentemente in avanti Deidara: per esperienza personale, quando Itachi si innervosiva, era molto saggio evitare che esseri viventi si trovassero nel suo raggio di azione; specie se tra gli esseri in gli esseri in questione c'era anche lui stesso. Ed uno scultore psicopatico  capace di sostenere un monologo di due ore e mezza sulle presunte bellezze di un'arte effimera ed irripetibile, ovviamente.
Scavalcò una radice, lanciando un'occhiata di sfuggita ad Itachi che, dietro di loro, procedeva con evidente difficoltà.
La cosa iniziava a preoccuparlo: va bene qualche diottria mancante, ma qui si rischiava di precipitare nella cecità. E lui non ci teneva a diventare il prossimo bersaglio di uno tsukuyomi solo perché il suo compagno rifiutava di portare occhiali da vista.
« Itachi, senti... »
« E' tutto perfettamente apposto, Kisame.  » ringhiò, senza dargli il tempo di finire.
Kisame rabbrividì, felice, almeno in quel frangente, che lui non potesse vedere la sua espressione.
« No, ecco... Ormai è buio. Penso che dovremmo fermarci. »
Itachi lo squadrò – o almeno questa era la sensazione, anche se Kisame dubitava che il compare riuscisse a distinguerlo da un tronco – e poi annuì, borbottando un assenso.
Deidara accolse la notizia della sosta con entusiasmo e si offrì volontario per raccogliere della legna, senza comunque rinunciare a tediarli con ameni blateramenti su quanto un fuoco scoppiettante condividesse del fascino di una buona esplosione, pur senza eguagliarne la spettacolarità.
Kisame non riuscì a trattenersi dal sospirare di sollievo, quando il logorroico biondinosi fu allontanato a sufficienza.
« Itachi, riguardo... »
« Kisame. Io ci vedo perfettamente. »
« Naturalmente. Ho capito, ne riparliamo un'altra volta. »
Decise di considerare come un assenso il mezzo ringhio che ricevette in risposta e si sedette di fronte al compagno, aspettando che Deidara tornasse a riempire il silenzio con le sue chiacchiere.
Stava giusto per rilassarsi, poggiando la schiena contro il tronco alle sue spalle, quando un rumore secco ed un fruscio lo misero in all'erta.
Anche Itachi si era irrigidito, tendendo l'orecchio.
« Vado io. » sussurrò Kisame: non aveva alcuna intenzione di rischiare complicazioni, con un Itachi che non vedeva ad un palmo dal suo stesso naso.
« Probabilmente sarà un animale. O magari Deidara è inciampato nei suoi piedi. Vado e torno. »
E, per una volta, Itachi annuì, docile. Evidentemente convinto - come Kisame stesso, del resto - che in quella foresta attualmente, le creature più pericolose fossero proprio loro.




Nda. Non ne sono proprio certa ma, da quello che ho sentito, Itachi significa appunto “marmotta”.
 Ho cercato  scrivere più in grande (se le vostre diottrie saranno risparmiate, dovrete ringraziare una donna di nome Any Ikisy, signori Eventuali Lettori^^), però non sono certa del risultato, vista la mia abissale ignoranza nell'uso dell' html. Siete pregati di lamentarvi. Anche ululando insulti, basta che siano intellegibili.
         

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Accordo ***


quanto è piccolo il mondo2 Ah ehm. Rieccomi qua. Ve ne sarete accorti: questa roba dalla trama labile e fallace non ha senso. Tra l'altro viene scritta a braccio. Di notte. Speriamo bene...



Il piede gli faceva un male cane.
Certo, pure quei due... Itachi e Kisame, gli stacanovisti.
Deidara era abituato diversamente.
Quando faceva coppia con Sasori o le pause non si facevano affatto, perché il marionettista era impaziente di arrivare, o si facevano presto, perché era impaziente di fermarsi.
E invece no!
Il pesce ed il cieco – non era stupido, se n'era accorto che Itachi metteva a fuoco a stento i suoi stessi piedi – si fermavano a notte inoltrata, col buio e senza cena. E come se non bastasse era pure inciampato e la legna che aveva raccolto pazientemente, litigando tra l'altro con un tasso rissoso ed evitando l'ortica per un soffio, gli era crollata sull'alluce. Facendo un rumore non indifferente, oltretutto.
Sospirò, rialzandosi a fatica.
« Deidara. »
Il biondo si voltò, riluttante; era ancora molto preso dalle condizioni del suo dito.
« Kisame... Dammi una mano. » borbottò, riconoscendo il compagno.
Kisame sospirò nel buio e si avvicinò per raccogliere la legna, lamentandosi della sua dabbenaggine.
Lui stava giusto per ribattere, sostenendo la solita tesi del suo essere incompreso in quanto artista, quando Kisame lo zittì.
« Hai sentito? »
Deidara gli rivolse un'occhiata interrogativa e anche un po' infastidita:  probabilmente lo spadaccino aveva solo trovato un modo poco fantasioso per sedare sul nascere l'autocelebrazione del suo genio.
Poi però un secondo fruscio catturò anche la sua attenzione mentre, al suo fianco, un sorriso poco rassicurante illuminava i denti acuminati del suo compagno.
« C'è qualcuno, qui. » soffiò Kisame,divertito. Gli occhi da squalo scrutavano tra le fronde.
Deidara si abbandonò all'ennesimo sospiro: stava morendo di fame e l'alluce gli faceva male, proprio non aveva voglia di dedicarsi ad un combattimento, ora.
« Senti, Kisame. Sistemalo tu, vuoi? »
« Non chiedevo di meglio. »
E con una sola, possente sferzata sradicò mezza dozzina di arbusti, due alberi ed alzò un gran polverone, facendo starnutire Deidara.
« Forse era meglio se facevo esplodere tutto... Almeno sarebbe stato esteticamente gradevole. »
Ma Kisame lo ignorò, puntando già lo sguardo nel punto in cui, poco lontano, la polvere si diradava rivelando un'ombra scura.


Paranoico. Lui.
Roba da matti.
La sua era prudenza. Prudenza ed accortezza.
Due qualità che, insieme ad un' intelligenza notevole ad un pizzico di furbizia, gli avevano salvato la vita infinite volte.
Essere definito “paranoico” da un ragazzino insopportabile, viziato e presuntuoso era per Kabuto  estremamente offensivo.
Perso in questo rancoroso rimuginio quasi dimenticò di far caso al percorso e, avvicinatosi alla fonte del rumore che l'aveva allarmato, mise un piede in fallo, facendo frusciare malamente il fogliame del sottobosco.
Si immobilizzò, tendendo l'orecchio.
Due voci,  una più acuta, l'altra roca e minacciosa, denotavano la presenza di almeno due persone a poco più di dieci metri da lui.
Kabuto deglutì, aguzzando la vista. Con la luce della luna era impossibile non riconoscere quelle divise: l'Akatsuki.
Sobbalzò, provocando suo malgrado un altro lievissimo fruscio, che alle sue orecchie risuonò come un ruggito.
E, anche in questa occasione, Kabuto riuscì in qualche modo ad affibbiare tutta a colpa a Sasuke.
Dopotutto, se non fosse stato per le continue frecciatine e lo stato di tensione nervosa che la sua sola presenza gli procurava, non sarebbe certo incappato in mancanze così grossolane ed avrebbe affrontato la situazione con la freddezza di cui si era sempre intimamente vantato.
Invece sussultò, smuovendo una felce.
Una stupida, stupidissima felce che venne spazzata via insieme al resto della flora nel raggio di cinque metri, dal pazzo armato di spada gigante, che attaccò senza alcun preavviso se non una cortese richiesta da parte dell'altro che fosse lui ad occuparsi della cosa.
Ormai scoperto, Kabuto non ebbe fisicamente il tempo di voltarsi e scappare – come la sua parte razionale gli stava urlando di fare – e fu costretto a rimanere lì, coi piedi piantati al suolo in attesa che la polvere smettesse di oscurargli la visuale.
« E tu chi accidenti saresti? » gli ringhiò contro quello più alto, quando riuscì a scorgerlo per intero.
Kabuto non stette a contrattare su inezie quali la buona educazione e preferì piuttosto dar corda all'esaltato, mentre il suo cervello si prendeva il tempo necessario per analizzare la situazione.
Sentì confusamente la propria voce che dava una vaga spiegazione riguardo la sua presenza in quella foresta e, in quel momento, ricordò finalmente con esattezza chi di preciso fosse quell'individuo con le branchie: Kisame Hoshigaki.
Ora, il fatto che appartenesse ad Akatsuki era già di per sé allarmante. Ma ciò che lo rendeva più pericoloso era il fatto che lui – proprio lui – era il partner di Itachi Uchiha.
Lo stesso Itachi Uchiha su cui Sasuke, prezioso futuro contenitore del maestro Orochimaru, aveva la fastidiosa abitudine di far convergere odio imperituro e masochistici propositi di vendetta.
Immaginò un possibile scontro tra i due solo per concludere che, in tutte le possibili varianti – comprese quelle che vedevano Itachi cieco, zoppo e legato ad un albero – Sasuke avrebbe ottenuto unicamente di farsi ammazzare.
E, morto lui, Kabuto sarebbe diventato l'antistress di un Orochimaru frustrato e furibondo. Sempre che fosse sopravvissuto, certo.
« Ehi, signor “per caso passavo di qui”, non mi hai risposto. » il pesce blu lo scrutava, sospettoso.
Dopo una rapida analisi, Kabuto arrivò ad una risoluzione.  Se dei membri di Akatsuki erano lì, presumibilmente avevano qualche incarico da svolgere. E, sempre molto preumbilmente, non avevano voglia di perdere tempo con tragedie familiari di scarsa rilevanza.
Giunse quindi alla conclusione che la verità, per una volta, avrebbe persino  potuto fargli comodo.
« Mi chiamo Kabuto Yakushi. » disse, sorvolando deliberatamente sui suoi legami con Orochimaru. « E qui con me c'è anche Sasuke Uchiha. »


Kisame si riteneva una persona discreta.
Ok. Forse “discreta” era un tantino esagerato, anche se senza dubbio era più discreto di Deidara.
Però non era inopportuno. Faceva domande solo se necessarie ai suoi scopi e si guardava bene dall'impicciarsi dei fatti altrui. Specie se l'altro era Itachi, dal quale non era mai riuscito a cavare più di un monosillabo, a meno che il dialogo  non fosse strettamente legato a missioni ed informazioni utili all'organizzazione.
Un po' deprimente, sì, ma Kisame non era entrato nell'Akatsuki per socializzare, né in effetti si riteneva tipo da chiacchiere da bar.
Si era quindi rassegnato a non capire quasi nulla di ciò che frullava nella testa del suo compare, limitandosi a fare affidamento su alcuni segnali che potevano eventualmente aiutarlo a comprendere alcune delle reazioni più istintive di Itachi. Ed ora, con la prospettiva di un probabile scontro tra un Itachi quasi cieco ed il suo agguerrito fratello minore assetato di vendetta – e Kisame, sebbene la faccenda gli fosse del tutto indifferente, da estraneo non poteva evitare di pensare che, dopotutto, il ragazzo aveva molta della ragione dalla sua parte – non se la sentì proprio di lasciare che le cose seguissero il loro corso, lavandosene le mani; perché non poteva lavarsene le mani: l'ultima volta che Itachi aveva incontrato suo fratello, era poi rimasto nevrotico per tre settimane. Tre settimane in cui Kisame aveva sperimentato centinaia di minacce di morte alla sua persona ed occhiate spaventosamente truci ogni volta che si azzardava a parlare. O semplicemente a respirare poco più rumorosamente.
Un incubo.
« Davvero? Il fratello di Itachi?! Quello che lui non ha ammazzato? Posso vederlo?! »
Deidara avrebbe dovuto imparare a stare zitto. Lo fulminò con un'occhiataccia, rammaricandosi che i suoi sguardi non avessero lo stesso impatto di quelli di Itachi; l'Uchiha, anche senza usare lo sharingan, era capace di tramortire in egual modo belve feroci ed umani troppo invadenti. E lui non aveva alcuna intenzione di sperientare nuovamente i suoi sguardi; non se poteva evitarlo. 
Kabuto Yakushi... Il nome gli diceva qualcosa. Probabilmente l'aveva sentito da Sasori ma, poiché la sua politica era “se non te lo ricordi, significa che non è importante”, decise di lasciar perdere e pensare a preservare la sua serenità.
« Facciamo finta di niente. » disse allora lo spadaccino, deciso, mentre un lieve sorriso soddisfatto compariva anche sul volto di Kabuto che evidentemente – anche se per ragioni diverse – condivideva il suo stesso interesse nell'evitare una sanguinosa riunione di famiglia.
« Ottimo. » confermò infatti, compiaciuto.
Kisame zittì Deidara con una manata e si sistemò la spada in spalla, ben determinato a voltarsi, recuperare Itachi ed uscire da quella foresta.
Peccato che, evidentemente, il suddetto non fosse del medesimo parere.


Ad Itachi non piaceva aspettare.
O meglio, non gli piaceva aspettare senza una valida ragione che giustificasse l'attesa. E sicuramente raccogliere della legna e trovare Deidara non erano valide ragioni. Decise quindi che era arrivato i momento di andare a cercare i suoi compagni - non era certo se fosse per ammazzarli o semplicemente per proporre di proseguire il cammino – e così si alzò, strizzando gli occhi nel buio.
Stava giusto tastando il terreno per evitare di inciampare quando, a diversi metri da lui, un frastuono di alberi sradicati lo convinse che forse era il caso di aumentare il passo.
Da ciò che poteva dedurre, Kisame aveva iniziato a sbandierare la spada senza controllo; era attualmente il suo hobby preferito, dunque fin qui niente di anormale. Però, il fatto che non si sentissero esplosioni di risposta gli faceva presumere che  non stesse litigando con Deidara e questo poteva significare solo due cose: o Kisame era stupido – ma questo lo sapeva già – o era comparso qualcosa di vagamente simile ad un avversario e, in questo caso, col rumoroso spadaccino ed il distruttivo Deidara a piede libero, era più prudente che fosse lui, ad occuparsi della faccenda. O quantomeno che fosse nei paraggi per evitare che perdessero tempo.
« Itachi! »
L' esclamazione di quell'ombra che presumeva essere Deidara lo insospettì.
Accogliere qualcuno che si è lasciato meno di venti minuti prima come se fosse il personaggio chiave di un romanzo non era giustificabile neanche per una persona notoriamente passionale come l'artista. Ed il sussurro di Kisame borbottato a mezza voce seguito da un saluto impacciato, non fece che aumentare i suoi sospetti.
« Che succede qui? » chiese, senza enfasi. Distinse quasi chiaramente Kisame che colpiva Deidara con una gomitata e l'altro che si piegava in due alle sue spalle mormorando un insulto poco gentile.
« Nulla Itachi. L'idiota si era perso. »
La candida risposta di Kisame, confermata da un riottoso Deidara, non lo convinse affatto.
« Ed è un buon motivo per potare un quarto di foresta? » la domanda retorica si perse nella risata nervosa di Kisame. Anche se Itachi avrebbe dovuto ringraziarlo: l'assenza di alberi e liane aveva agevolato notevolmente il suo cammino; in alternativa si sarebbe probabilmente scontrato con diversi tronchi.
Dato che gli altri parevano essersi zittiti, non indagò oltre, anche se si curò di trafiggere Deidara con lo sguardo – pregando che quello fosse proprio Deidara e non un arbusto. In verità aveva la netta sensazione che il buio non fosse così buio come appariva ai suoi occhi.
Sospirò. Quando era arrivato, per una frazione di secondo, gli era parso proprio   qualcuno dileguarsi tra gli alberi, ma forse si era semplicemente sbagliato. Del resto, quale che fosse la verità, al momento era poco interessato alle elucubrazioni di due dementi; si decise ad accantonare la faccenda e, stringendosi brevemente nelle spalle, li precedette, nel buio.



*angolo delle risposte*
Innanzitutto, un grazie generale per aver sprecato il vostro tempo con me xD

Elos: vedi a che serve leggere l'enciclopedia medica in bagno? Ora, oltre a ben due modi per eseguire un'appendicectomia, so un mucchio di cose che Kabuto potrebbe voler fare al caro, piccolo Uchiha. Comunque, si accettano proposte^^ (la lobotomia è già prenotata.)
Sunako e Sehara: eheh, come ho detto, scrivo praticamente a braccio. Si incontreranno? Chissà! Ma di certo non sarà drammatico: voi dite che il genere comico mi viene bene (grazie xD), ma il punto è che non so scrivere altro. Una volta ci provai. Era una notte buia e tempestosa e, dopo due pagine di relativa drammaticità (leggete “piattume”), Itachi e Kisame avevano (contro la mia volontà) intrapreso un dialogo che mi stava facendo ridere da sola. Sì, il mio è un grave caso di demenza patologica u_u.
QuasiDi... Ehm, KonataChan: non penso che Itachi possa farcela, Ko. A freddarti, intendo (sei fastidiosamente Immortale, ricordi?). In effetti, più che dei quattro psicotici, mi preoccuperei delle Sasuke- fangirls assatanate. Ecco, loro potrebbero riuscirci (hanno poteri inimmaginabili). A presto, sempre che i miei orari da vampiro si sincronizzino con i tuoi.
Ele8993: Dio?! (triplo infarto +_+) Ciò mi lusinga molto, direi. Potrei anche montarmi la testa. E decidere di conquistare il mondo... Ok, la pianto. Comunque, grazie di cuore^^
Quistis18: Itachi fa tutto da solo, davvero. Sarà per questo che mi piace? Mi risparmia la fatica (me immensamente pigra u_u)... Grazie per i complimenti e per aver eroicamente sacrificato neuroni leggendo la mia roba *commossa*
Agg96: continuerà, non c'è pericolo (o dovrei dire speranza? O.o) che mi fermi. Sono pericolosamente recidiva.

Ah, ho appena compreso come si usa l'account (sì, ridete. Non sono capace a far niente, con 'sto trabiccolo -_-) e ho dunque scoperto il concetto di “preferiti” e “seguite”.
Questo era per ringraziare anche Targul, Chibilory e Mangaka94, che hanno inserito 'sta boiata tra le seguite e Sakuchan_94, Kabuto_Chan e Ainsel (la mia autrice prediletta! *commossa*), che l'hanno addirittura ficcata tra i preferiti O_O.




Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Risate ***


quanto è picc3 Ecco. Questo capitolo è stato scritto per la maggior parte in classe, nell'ora di filosofia (sto mettendo le mani avanti? Sì, lo sto facendo u_u). Tanto perché siate preparati, qui Deidara crolla nell'OOC più meschino.



Un frastuono di fronde e tonfi di tronchi spezzati svegliò del tutto Sasuke.
Benché contrariato per via di quel risveglio tanto brusco e molto propenso a rimettersi a dormire, decise, dopo un'attenta ponderazione, che forse era il caso di alzarsi.
Lo fece lentamente e senza fretta, augurandosi che Kabuto fosse stato vittima di un puma o di una pianta carnivora, e dando quindi il tempo all'uno o all'altra di digerire il pasto.
Dopo essersi aggirato per un po' attorno agli alberi, perdendosi a seguire con distacco il volo di un grosso gufo, si risolse ad imboccare la direzione da cui era giunto il fracasso.
Aumentò il passo solo quando, anche se incomprensibile, gli arrivò alle orecchie un breve scambio di battute. Riconobbe la voce fredda di Kabuto e una più baritonale, che era sicuro di aver già sentito in passato, anche se al momento gli sfuggiva l'occasione.
Neanche il tempo di iniziare a correre che il mormorio si spense.
Sasuke si fermò di scatto, tendendo l'orecchio. Per un secondo fu quasi certo di aver sentito le voci riprendere a parlare, ma la sua attenzione fu catturata da passi leggeri nella sua direzione.
« Kabuto. » sentenziò, senza preoccuparsi di tenere il tono basso. Lui emerse dall'ombra, gli occhi ridotti a due fessure.
« Sbaglio o ti avevo chiesto di non muoverti, Sasuke kun? »
« Non hai incrociato un puma. » constatò Sasuke, vagamente deluso.
Kabuto non parve cogliere il senso dell'affermazione né si fermò – come lui si era ragionevolmente aspettato – a tediarlo con una noiosa ramanzina sulla sua disobbedienza.
In effetti, notò Sasuke facendosi più attento, il medicastro sembrava nervoso; si muoveva a scatti e non riusciva  a smettere di lanciarsi occhiate apprensive alle spalle.
Sasuke sollevò impercettibilmente il sopracciglio: dalle sue personali esperienze, aveva inquadrato Kabuto come una persona fredda, scaltra e manipolatrice, in grado di mantenersi calmo anche mentendo spudoratamente,  come aveva dimostrato in numerose occasioni che l'avevano visto protagonista di doppigiochi ben congeniati.
Vederlo così, in preda a qualcosa di terribilmente simile a nervosismo malcelato, finì col turbare persino lui, anche se in minima parte.
« Andiamo. »
Sasuke gli riservò un'occhiata indagatrice.
« Hai fretta, Kabuto? »
Lui sembrò dover forzare i suoi bassi istinti animali, per impedirsi di mandarlo al diavolo e trascinarselo dietro con la forza.
« Dico solo che questa... gita, come la chiami tu, ha stancato anche me. Torniamocene al covo e basta. »
Sasuke restò immobile, guardandolo farsi strada fra le liane penzolanti e scuotere la testa per liberarsi delle erbacce tra i capelli. Emise un mezzo sbuffo divertito, che non sfuggì all'altro.
« Beh? Che ci fai lì impalato? »
« Niente. » ribatté, reprimendo una risata cattiva. « Ma stai andando nella direzione sbagliata. »
Kabuto scrollò le spalle,  sconfitto.


Non andava bene. Non andava bene per niente.
« Itachi perché stiamo andando di là? » chiese Kisame, cercando di non tradire il nervosismo.
L'Uchiha non si voltò neanche, continuando a procedere spedito ed evitando di inciampare su una radice per un soffio.
« Perché è di là che dobbiamo andare, mi sembra evidente. »
Kisame alzò gli occhi al cielo. Quello lo sapeva benissimo anche lui, peccato che “di là” fosse esattamente la direzione nella quale si era defilato Kabuto, poco prima.
Era lì lì per ululare una qualche esclamazione – fosse anche “l'arte è esplosione!” - all'unico scopo di distogliere l'attenzione di Itachi dal percorso, quando il suono di due voci che si avvicinavano giunse chiaro alle loro orecchie.
« Che ci fai lì impalato? »
« Niente. E' che stai andando nella direzione sbagliata. »
Kisame gelò e, quasi con distacco, vide il piede di Itachi bloccarsi con un piede a mezz'aria, e voltarsi in quella direzione. Una delle voci, non c'era alcun dubbio, apparteneva a Sasuke Uchiha.
A quel punto, le mani di Kisame si mossero da sole.
E lui fece l'unica cosa sensata che gli venne in mente di fare: lanciare Deidara.
L'artista volante, piuttosto leggero e curiosamente aerodinamico, centrò Itachi in piena schiena, spedendolo faccia a terra.
Per colmo di sfortuna - o forse per grazia dei Kami – la testa dell'Uchiha andò a sbattere dritta contro un  masso.
E svenne.


Avevano ucciso Itachi.
Cioè, Kisame l'aveva ucciso. Lui, Deidara, non c'entrava niente.
Peccato che Itachi  fosse morto così, comunque. Un'esplosione gli avrebbe fatto più onore.
« Rinvieni, andiamo... Itachi... »
« Kisame, sembri una balia preoccupata, rilassati. »
Kisame si voltò, furibondo. Il colorito bluastro aveva un che di malaticcio, come i merluzzi al mercato dopo due o tre giorni dalla pesca: squame opache ed occhio vitreo.
Deidara si accomodò meglio sulla sua radice, tastandosi la testa.
Lui era stato il proiettile, e si era pure fatto male, ma Kisame aveva occhi solo per Itachi che, pallido più del solito, stava immobile come un cadavere.
« Mi ucciderà. Quando si sveglia mi ammazzerà. E il bello è che avrà ragione... » stava rantolando lo spadaccino, scuotendo l'altro.
« In effetti avrebbe proprio ragione. E anche io... Come ti è saltato in mente di lanciarmi? » si lamentò, contrariato.
« Taci, Deidara. Non mi è venuto in mente niente di meglio, ok? Tu non conosci Itachi... fidati, è stato meglio così. »
Deidara proruppe in una risatina.
« Dovevi vederti... Tu che, dopo averlo steso, te lo carichi in braccio come fosse una sposa e corri via... Uno spasso! »
L'occhio destro di Kisame si esibì in un tic.
« Sta zitto. Ho dovuto farlo. Ogni volta che vede suo fratello resta nervoso per giorni. E lo sai chi lo deve sopportare? Io. E non è bello. Non lo è affatto. Non ci tengo a beccarmi un'illusione mortale o chissà che diavoleria per via delle sue turbe psicotiche... A me non me ne frega niente se ha sterminato il suo clan, ucciso sua nonna o anche mezzo mondo! Basta che io non ci vada di mezzo... Deidara? Che stai facendo? »
« Mangio. » bofonchiò l'altro, la bocca piena.
« E ti pare il momento di mangiare?! »
Deidara sbuffò, porgendogli dei funghi.
« Nella vostra stralunata idea di sosta non è contemplata la cena, a quanto mi è parso di capire. » concluse, sostenuto, sbocconcellando una grossa cappella.
Sbadigliò, mentre Kisame, esasperato, tornava alla sua attività di infermierina.
Quei due non erano un granché, come compagnia.
Strano a dirsi, ma preferiva Sasori: era un tipo insolito, ma comunque un'artista – non ai suoi livelli, certo – con cui confrontare la propria personale concezione di bellezza.
Kisame era solamente un pesce antiestetico e Itachi, pur possedendo un enorme potenziale artistico, era troppo taciturno ed ombroso per venire ad un dialogo.
Sbuffò ed ingurgitò un altro paio di funghi, augurandosi che il giorno arrivasse in fretta.


« Torna qui! Dove stai andando?! »
« Nel posto da dove veniva quel rumore. »
Kabuto mugugnò un'imprecazione, scavalcando un cespuglio di ortiche.
« Quale rumore? Non sarai tu il paranoico, ora? » tentò, fingendo di non aver sentito quell'assurdo suono, non troppo dissimile da una risata – ma non poteva essere una risata – che aveva sorpreso lui e Sasuke proprio quando stava quasi per ottenere di tornare al covo incolume col prezioso contenitore.
Come se gli avesse letto nel pensiero, il contenitore gli rivolse un'occhiata di puro disprezzo.
« Tanto dobbiamo comunque andare da qualche parte. Io non ho più sonno. »
Incredibile come l'egocentrismo del ragazzino potesse essere così marcato da impedire al suo cervello di prendere anche solo vagamente in considerazione i bisogni altrui.
« Io invece ho sonno, ok? Quindi ora ce ne torniamo al covo. »
« Buon viaggio, allora. »
Kabuto fu seriamente tentato di mettersi a dare capocciate ad un tronco. O, meglio, di sbatterci contro la faccia di Sasuke.
Trasse un profondo respiro. Doveva solo ragionare lucidamente e smetterla di farsi prendere dal panico.
Aveva appena finito di formulare questo rassicurante pensiero che un'altra risata isterica – si, non c'era alcun dubbio: era una risata – squarciò l'aria.
Persino Sasuke si bloccò, visibilmente sorpreso.
« E' proprio una risata. » constatò subito dopo, riacquistando la consueta compostezza.
« E... E ora dove vai?! » rantolò Kabuto, quando vide l'altro proseguire il camino con passo sicuro.
Sasuke non si fermò neanche, continuando a procedere spedito.
« A vedere chi è l'imbecille che ride alle quattro del mattino in una foresta. »
Sbattergli la faccia contro il muro gli avrebbe preso troppo tempo. Meglio amputargli le gambe.
« Non credo sia interessante, Sasuke kun! Perché non ce ne torniamo semplicemente a casa? »
Se avesse parlato con un arbusto, Kabuto avrebbe probabilmente ricevuto maggiore attenzione.
Imprecò silenziosamente e si apprestò a seguire Sasuke, prima di perderlo completamente di vista.


Rideva come un idiota.
« Kisame, fallo smettere. » mugugnò. La testa gli faceva davvero male e ci vedeva quasi peggio di prima. Ci mancava solo la risata isterica di Deidara.
« Non smette... » brontolò Kisame, cerando di tenere fermo il compagno. « Ma che gli è preso, così di colpo? Dannato Deidara... » dopo aver tentato per un po' di convincere il biondo a smettere di blaterare frasi incoerenti e ridere insensato, lo spadaccino gli assestò una botta in testa.
« Oh. Ha smesso. »
« Hai deciso di stendere brutalmente tutti quelli che ti stanno intorno, oggi? » commentò Itachi, atono,  mentre il compare gli scaricava accanto il corpo inerme di Deidara.
Kisame brontolò qualcosa, a disagio.
« Te l'ho detto, Itachi. E' Deidara che si è lanciato su di te senza motivo. Forse è impazzito. » affermò innocentemente. « Come va la testa? » aggiunse poi, in un tentativo di rappacificazione. Itachi decise di ignorarlo. Anche perché in alternativa avrebbe dovuto ridurlo a sashimi.
« Itachiii... » iniziò Deidara, rinvenendo. Aveva assunto un tono di voce da idiota assoluto. E le pupille rilucevano nella notte, spropositatamente dilatate; fin troppo per quel buio che stava declinando al blu.
Itachi non fece neanche in tempo a voltarsi verso di lui che il biondo gli saltò al collo, strillando gaio.
Dopo un primo attimo di panico, Itachi si decise a chiedere l'aiuto di Kisame. Lo spadaccino sembrava imbambolato davanti alla scena del suo compare assalito da un Deidara che aveva assunto più o meno lo stesso atteggiamento di una fidanzatina gelosa.
Cercare di staccarlo senza farsi venire la voglia di mutilargli un arto, fu una faccenda piuttosto lunga e rumorosa, a causa di Deidara stesso, che continuava a scalciare ed osannare l'arte nell'infondata convinzione che Itachi fosse anche solo vagamente interessato all'argomento.
Alla fine, spazientito, l'Uchiha si vide costretto – non senza una certa soddiffazione – ad assestargli un pugno nello stomaco.
« E' impazzito. » constatò, mentre l'altro gli tossiva accanto. Lo scostò il più lontano possibile e strizzò gli occhi: davanti a lui, la sagome di Kisame era acquattata tra le erbacce.
« Ora, non per fare lo snob, ma se devi farla, cercati almeno un posto appartato. »
Kisame non parve cogliere la critica, anche perché, constatò Itachi, non stava affatto escorporando.
Gli occhi iniziavano davvero a giocargli brutti scherzi.
Fortunatamente per la sua dignità, lo strafalcione passò inosservato.
« Credo sia colpa di questi... » stava borbottando Kisame, studiandosi le unghie.
Ma forse le unghie non c'entravano niente. Forse aveva qualcosa in mano.
« Funghi. » spiegò infatti subito dopo, avvicinando la mano al volto di Itachi. Lui scostò la testa per via dell'odore intenso e annuì con aria di superiorità.
« Certo che sono funghi. Li vedo. »
Il silenzio scettico di Kisame lo irritò, ma fece finta di nulla.
« Sarà una roba tipo funghi allucinogeni... Come se Deidara non fosse già abbastanza allucinato! Ci mancava solo questa. »
« ...achi... Itachi! »
Rieccolo. Stavolta Itachi non si fece sorprendere e spinse via Deidara con una manata ben assestata. Quello si ribaltò su di un tronco, ridendo come un matto.
« Forse è più prudente riportarlo al covo... » prima di finire, la voce incerta di Kisame fu coperta da quella insolitamente acuta di Deidara.
« Itachi! Lo sai che io e Kisa chan prima abbiamo quasi incontrato il tuo fratel... »
« L'ARTE E' ESPLOSIONE! »
L'urlo appassionato di Kisame fece quasi arretrare Itachi di un passo.
« Ma li hai mangiati anche tu i funghi allucinogeni?! » sibilò, infastidito. Un altro urlo starnazzante e gli sarebbe scoppiata un'emicrania da record.
Kisame scoppiò in una bassa risata nervosa, spostandosi di lato e arraffando Deidara, che si divincolava osannando l'arte e cercava di abbracciare il neo eletto “Kisa chan”, convinto che condividesse la sua filosofia artistica.
Itachi mugugnò, stizzito.
« Ritorniamocene al covo. Ci penserà qualcun altro a quella stupida bicoda. » e detto questo li piantò, andando quasi a sbattere contro un arbusto ben mimetizzato.


L'aveva perso. Perso!
« Itachi... Dove sei? »
« NON TI SENTE SE NON URLI, KISA CHAN! »
Kisame scaricò Deidara  a terra, facendolo cozzare contro l'intrico di radici del sottobosco.
Dopo che Itachi aveva ripreso il cammino – ovviamente senza curarsi di aspettarli – Deidara aveva deciso di inseguire una cavalletta, costringendo lo spadaccino a fare una brusca deviazione per riacciuffarlo prima che finisse nelle fauci di qualche affamata bestiola notturna. Non che la cosa lo interessasse particolarmente, ma c'era comunque da ammettere che l'artista, quando era in sé, rappresentava comunque un elemento utile per l'organizzazione. E lui non ci teneva a sentirsi rimproverare dal capo perché aveva permesso la sua dipartita in modo tanto cretino.
Una volta spiaccicata la cavalletta se l'era quindi caricato in spalla, pensando che fosse una buona idea per impedire al biondo di rallentargli l'avanzata con altre frivolezze; ma ora che gli aveva quasi sfondato un timpano frignando per la triste sorte dell'insetto e chiamando Itachi come se fosse sordo invece di cieco, era seriamente tentato di ritrattare la cosa.
Poi Deidara iniziò a frignare come una bambina.
« Cattivo, Kisa chan, mi hai fatto cadere! »
Kami. Quei funghi dovevano essere parecchio potenti.
« Dov'è Itachi. »
Quell'insolita domanda senza alcuna intonazione, ma pronunciata con un'intensità tale che persino Kisame provò un brivido, riuscì finalmente a placare il pianto isterico di Deidara.
« Il piccolo Itachi! » ululò il biondo. Le ultime lacrime gli scivolarono via, mentre si lanciava su Sasuke.
Lui restò interdetto: evidentemante si era aspettato un attacco, non un abbraccio affettuoso.
Kisame imprecò varie divinità e andò ad arraffare Deidara per la collottola.
« Sasuke kun! »
Kabuto fece il suo ingresso, trafelato e con gli occhiali storti sul naso.
Stava evidentemente per cominciare qualcosa di simile ad una ramanzina – almeno a giudicare dall'indice che aveva puntato contro il petto di Sasuke – quando si accorse della presenza di Deidara e Kisame.
« Dimmi dov'è Itachi. » ringhiò Sasuke, rivolgendosi direttamente a quest'ultimo. E Kisame stesso, per quanto odiasse essere chiamato in causa in quel frangente, non riuscì a dargli torto: Deidara delirava ampiamente, era evidente. Strano a dirsi ma in quell'occasione pareva lui il più serio. Finì quasi col rimpiangere la presenza di Itachi.
Kisame mise su l'aria più professionale che un pesce blu con in braccio un biondino riottoso potesse assumere e puntò gli occhi in quelli di Sasuke, ringraziando che a questi non fosse ancora venuta la malsana idea di ricorrere alla graziosa abilità innata di famiglia.
« Itachi non è qui. » disse, semplicemente.
Sasuke lo guardò come se fosse idiota.
« Mi sembra ovvio, questo. Infatti ti ho chiesto dov'è. »
Davvero saccente. Ma perché Itachi non l'aveva fatto fuori quando aveva sterminato il resto della famiglia? Sarebbe stata una bella seccatura in meno.
« Itachi non è qui con noi, intendo. E' in missione. Lontano. Lontanissimo. » inventò, cercando di risultare credibile. « Quando lo vedo gli porto i tuoi saluti, eh? »
La prevedibile rispostaccia di Sasuke fu coperta da Deidara.
« Ma no! Itachi è qu... »
In mancanza d'altro, Kisame gli rifilò una capocciata.
« Tu! Pensavo fossimo d'accordo! Dovevamo far finta di non esserci mai visti! »
Kisame, ancora stordito dalla zuccata, non riuscì a rispondere nulla di sensato alle accuse di Kabuto; del resto ci pensò Sasuke ad inveire contro di lui.
« Tu sapevi che loro erano qui?! » sibilò, gli occhi ridotti a due fessure, in una spaventosa imitazione della migliore aria furibonda che Kisame aveva – fortunatamente di rado – avuto la sfortuna di ammirare sulla faccia di Itachi.
Kabuto articolò un paio di borbottii, ma Sasuke non se ne curò, e li piantò invece tutti in asso, fiondandosi tra gli alberi in cerca di Itachi.
A Kisame venne persino la mezza idea di fermarlo, ma questa possibilità gli fu preclusa da Deidara, tenacemente avvinghiato ai suoi polpacci.
E così restò lì, piantato al suolo, mentre il maledetto ragazzino andava a firmare la sua stessa condanna a morte.



*angolo delle risposte*

Innanzi tutto, grazie a Chiunque abbia letto 'sta roba XD

 Elos: e va bene... Lo risparmieremo. In fondo anche lui è una vittima del sistema. Kisame UnNinjaUnPerché piace tanto anche a me XD e ho fatto pure la rima O.o
KonataChan: *weo weo* cos'é? Oh, l'allarme narcisismo. Avevo scordato di spegnerlo. Mea culpa. Non sbagli, Ko (ma questa era facile, non serve neanche essere QuasiDio), il capitolo era corto. La lunghezza varia a seconda del mio umore. Spero che prima o poi questo brutto disturbo mi passi XD
Quistis18: lieta di non aver causato la dipartita dei tuoi neuroni XD Vuoi Itachi? Te lo incarto o lo mangi subito? ... Ok, la pianto di delirare u_u. Hai inquadrato la situazione: qui le povere vittime sono Kabuto e Kisame. Tutta colpa di questi Uchiha, si devono sempre far riconoscere.
Ele8993: ottimo! Più siamo meglio è! Quando il mondo si sarà finalmente assoggettato al mio volere, tu potrai essere il ministro de *inserire incarico a scelta* XD
Sunako e Sehara: per ora, i miei occhi reggono (e sono anche convinta che il mio occhio sinistro sia dotato di sharingan, e che nessuno si azzardi a contraddirmi, che ai pazzi si dice sempre di sì u_u). Sehara può rilassarsi e bere una coca cola, che per come stanno andando le cose, la drammaticità fugge a gambe levate appena mi azzardo ad impugnare la penna, ahimé! Ah, sì. Povero Itachi... E' proprio sfigato XD

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Trappola ***


quanto è picc4
Rieccomi. Ero stata rapita da un gruppo di militanti armati della LALNG (Lotta Armata per la Liberazione dei Nani da Giardino). Davvero u_u.



L'aveva perso.
Il prezioso futuro contenitore del maestro Orochimaru.
« Il signore con la panciera è triste, Kisa chan? »
Kabuto si tolse le mani dalla faccia. Poco più in là, Kisame Hoshigaki stava cercando di scollarsi il suo compagno biondo dal braccio. Come si chiamava? Ah, sì. Deidara.
« Ma non era un po' meno stupido, mezz'ora fa? » chiese, neutro.
Kisame sbuffò una mezza imprecazione, allontanando un miagolante Deidara dalla sua faccia.
« E' sempre stato stupido. Ma si dà il caso che attualmente si sia ingozzato di funghi allucinogeni. »
Kabuto sollevò un sopracciglio, assumendo un'aria molto professionale.
« Se sono semplici funghi con un paio d'ore di euforia dovrebbe tornare apposto. Al massimo gli verrà mal di pancia. »
« E se non sono semplici funghi? » domandò Kisame, scrutando il biondino che giocava con la sua argilla.
Kabuto ridacchiò, una risata spenta.
« Allora sopraggiungerà la febbre, le convulsioni e, infine, la morte. » sentenziò, leggero.
« Grandioso. Uno di meno. » fu il commento schietto di Kisame. Deidara non ebbe alcuna reazione e continuò nella sua attività, che al momento lo vedeva impegnato nella modellazione di un grazioso Kabuto in argilla. Concluse la sua opera aggiungendo un paio di occhialetti sul naso della statuina.
Kabuto corrugò la fronte. Il suo piccolo doppio di argilla gli somigliava in tutto e per tutto. Una copia perfetta.
« Ma certo! » esclamò, balzando in piedi. Gli occhiali illuminati dalla luce lunare nascondevano completamente i suoi occhi, donandogli un'aria da scienziato pazzo.
Kisame, che pareva ormai rassegnato, alzò lo sguardo su di lui, perplesso.
« Hai scoperto un modo per morire meno dolorosamente? No, perché dopo aver fatto a pezzetti il fratellino ed avergli detto qualche frase criptica sull'odio e la vendetta, Itachi tornerà qui a scaricare i suoi nervi su di noi. »
Kabuto lasciò che si sfogasse e poi mise su un ghigno perverso.
« Non essere pessimista. Ho un piano. »


Caracollò al suolo, per la seconda volta.
Ok, ad essere sinceri era la terza. E poi aveva sbattuto contro quel ramo.
Per fortuna Kisame non era lì.
Itachi si rialzò, cauto, ma non riuscì a muoversi per più di due passi che l'orlo della divisa gli rimase intrappolato in un cespuglio di rovi.
Si procurò diversi graffi cercando di individuarne il lembo, ma alla fine si rassegnò a dare uno strattone, e tanti saluti.
Lo strappo della stoffa lacerata risuonò sinistro, facendo fuggire un paio di ombre.
Gufi? Pipistrelli?
Era arrivato al punto di non distinguere tra uccelli e mammiferi. La situazione stava decisamente degenerando. Chissà se un paio di occhiali sarebbero serviti a qualcosa.
Ma poi immaginò di essere costretto ad indossarli davanti a Kisame e al resto dell'organizzazione.
Non poteva, no. La sua vita era già abbastanza complicata senza doverci mettere anche i commenti sarcastici di quegli psicopatici cui si accompagnava.
Riaprì gli occhi, risoluto a procedere in linea retta, ma sbatté di nuovo, contro un muro.
Un muro freddo e liscio che lo respinse, facendolo rinculare e cadere all'indietro in modo assai goffo.
Nonostante stesse iniziando ad albeggiare ed il cielo stesse finalmente schiarendo, Itachi riusciva a distinguere solo le ombre compatte degli alberi intorno a lui.
E poi, quello.
Per un attimo credette semplicemente che i suoi occhi gli stessero  giocando l'ennesimo brutto scherzo della giornata; ma neanche volendo sarebbe riuscito ad avere un'allucinazione così assurdamente grande e rilucente. E poi, dato che ci aveva sbattuto contro, poteva tranquillamente affermare che no, non era un'allucinazione.
Anche se questo lo portava inevitabilmente a porsi domande su cosa diavolo fosse quell'enorme, lunghissimo muro opalescente e freddo che gli stava così maleducatamente impedendo il cammino.


Non c'era da nessuna parte.
Sasuke scivolò tra gli alberi, rapido. Si sarebbe messo a chiamare Itachi a squarciagola, ma in un angolo remoto della sua testa, una vocina sensata – che gli ricordava vagamente quella di Kakashi -  gli stava invece suggerendo che forse gettarsi urlando come un matto nelle braccia del nemico, non rientrava esattamente nell'ordine delle buone idee.
Solo che girava da ore – no, probabilmente erano minuti – e di suo fratello neanche l'ombra.
Si fermò, prese aria.
Ne prese di nuovo, perché dopo la corsa era decisamente a corto, e poi gridò.
Al terzo « Itachi! » ruggito tra gli alberi, un rumore di terra smossa lo costrinse ad una brusca deviazione. Qualcuno parlava aldilà della vegetazione. Gli parve di distinguere persino il suo nome. Non era il timbro di voce di Itachi, o almeno non gli sembrava, ma non stette lì a pensarci troppo e prese a correre più veloce di prima, sbucando in una sorta di radura.
Stava albeggiando, ma anche senza che la flebile luminosità del cielo ne indicasse i contorni, sarebbe riuscito a riconoscere quella figura ammantata tra mille altre.
« Itachi... » articolò, stillando veleno ad ogni sillaba, mentre i suoi occhi viravano rapidamente al rosso.
Non rimase neanche ad spettare una risposta da parte dell'altro e si gettò a capifitto contro di lui, a testa bassa. Sul palmo della sua mano il Chidori già crepitava illuminando il terreno.


Non era stata una buona idea.
Non che lo riguardasse, però Kisame pensava che Kabuto avrebbe avuto quantomeno il buon senso di supporre che il suo “piano” avrebbe causato un bel po' di trambusto; soprattutto in considerazione del fatto che il ragazzo, Sasuke Uchiha, pareva conoscere un solo attacco decente, una di quelle maledette scossette elettriche.
Non insegnavano più a maneggiare una buona spada, ai giovani d'oggi.
Se Sasuke avesse avuto la decenza di usare una cara vecchia spada, infatti, una volta capitombolato nel fossato  che Kabuto aveva abilmente creato con l'arte della terra – era quasi incredibile che il ragazzino fosse caduto in un trucco tanto elementare – non avrebbe scaricato il suo stupido chakra sulla parete del fosso, creando così un baratro terroso in cui avevano finito per capitombolare anche lui e Deidara, ancora saldamente avvinghiato alla sua gamba.
Quando, dopo che le sue natiche si furono riprese dal doloroso impatto con il suolo, ebbe la forza di sollevare lo sguardo, Kisame raggelò.
Itachi si era sporto dal ciglio del burrone e scrutava tra le macerie con un'espressione di puro panico dipinta in faccia.
«Sasuke kun! » starnazzava, nevrotico.
Kisame tirò un profondo sospiro di sollievo.
« Sciogli la trasformazione, imbecille! Mi hai fatto prendere un colpo! » brontolò, burberò.
Kabuto corrugò un attimo la fronte, rendendosi conto solo in quel momento di avere ancora le sembianze di Itachi. Sciolse la tecnica, impacciato, e poi si gettò anche lui a capofitto nella fossa, prendendo a spostar  massi. Sussultò vistosamente quando intravide una mano che faceva capolino da un mucchio di terriccio, ma la sua espressione mutò velocemente da speranzosa e terrorizzata a delusa, quando trasse fuori il corpo di Deidara. Lo scavalcò con sgarbo, riprendendo a spostare i detriti.
Kisame si guardò attrono distrattamente, iniziando a condividere la preoccupazione di Kabuto: non era certo che Itachi avrebbe preso bene la dipartita del suo fratellino, seppellito da un crollo nel bel mezzo di una foresta.
Se Sasuke non saltava fuori, possibilmente vivo, molte teste avrebbero rimpianto il loro confortevole cantuccio sul collo. E la sua era di certo nella lista.
Provò ad alzarsi in piedi, benché fosse sicuro di essersi procurato come minimo un paio di traumi cranici, e si spostò verso Deidara, decidendo di iniziare da lì le ricerche.
Gli ci vollero quasi cinque secondi per accorgersene.
Aveva già fatto tre passi quando gli venne lo scrupolo di voltarsi a controllare su cosa fosse rimasto seduto per tutto quel tempo. La sua schiena fu percorsa da un brivido: la sua  testa non era semplicemente nella lista. La sua testa sarebbe stata la prima a saltare. Preceduta dai suoi arti e seguita dalle altre parti del corpo che Itachi avrebbe ritenuto opportuno mutilare. Sempre che non decidesse semplicemente di sottoporlo ad un'illusione mortale, certo.


Qualunque cosa fosse, era enorme.
Alto almeno il triplo di lui e lungo... beh, non riusciva a scorgerne la fine. Ed era certo che non fosse dovuto solo alle condizioni dei suoi occhi.
Lo tasto per un po', scoprendolo freddo e duro, ma liscio, anche se attraversato da una sorta di scanalature che sembravano tracciare segni su tutta la superficie. Era quasi viscido, in realtà.
Itachi rimase così per un po', sovrappensiero, con la mano poggiata su quel fastidioso ostacolo.
Stava quasi per lasciar perdere e mettersi a cercare un percorso alternativo, quando avvertì un lieve tremore. Come se la cosa su cui aveva poggiato la mano fosse viva.
Incuriosito, anche se parecchio indispettito per quel curioso imprevisto, si decise a seguirne il perimetro: se era un muro, doveva pur esserci qualcosa di simile ad un ingresso, da qualche parte. In alternativa, avrebbe imboccato il primo sentiero disponibile.
Evitò un masso, salutando con sollievo la luce fievole del sole che stava sorgendo: distinguere le ombre diventava gradualmente più facile, consentendogli di camminare senza rischiare la vita ad ogni passo. Magari ogni due, ma era pur sempre un sensibile miglioramento.
All'improvviso, mentre aveva chiuso gli occhi per pochi istanti, per abituarsi a quella nuova luminosità, il muro iniziò ad emettere una sorta di inquietanti scricchiolii aritmici. Itachi, colto alla sprovvista, rischiò quasi di cadere quando il muro prese a scivolare sotto la sua mano, privandolo dell'appoggio.
Decisamente, l'ipotesi del muro andava scartata.


Deidara gli aveva appena vomitato sui piedi.
Che schifo.
« Hai del vomito sui piedi. »
Kisame rifilò un'occhiata omicida a Kabuto, rallegrandosi sadicamente quando questi trasalì e distolse in fretta lo sguardo per tornare con compostezza alla sua occupazione.
Non era una buona giornata per gli Uchiha.
Del resto, il fatto che prendessero continuamente botte in testa era in gran parte colpa delle situazioni che loro stessi avevano contribuito a creare; che non venissero poi a lamentarsi. Non da lui, almeno.
« Allora? E' intero? » chiese, tamburellando nervoso con le dita sull'impugnatura di Pelle di Squalo.
Kabuto ringhiò una mezza risposta, intimandogli di chiudere il becco e di lasciarlo lavorare. Anche se lì, chino al capezzale di un Sasuke stordito, con un enorme bernoccolo sulla fronte, pareva più una mogliettina preoccupata che un ninja medico.
E poi, tutto sommato, sembrava che il pargolo fosse ammaccato ma in salute. Visto che, se avessero incontrato Itachi, ci avrebbe pensato l'Uchiha stesso a pestare brutalmente il fratellino, un paio di lividi in più sarebbero passati del tutto inosservati.
« Io ti consiglio di caricartelo in spalla e di riportarlo a “da ovunque tu venga” » concluse, pratico.
Kabuto mise su un piglio saccente da maestro elementare.
« Certo. Privo di sensi e con un probabile trauma cranico! Il maestro ne sarà entusiasta! »
Kisame lo lasciò a borbottare stramberie su cosa questo fantomatico maestro gli avrebbe fatto nel caso si fosse azzardato a riportargli Sasuke con qualche lieve ammaccatura e tornò a pulirsi i piedi con l'arte dell'acqua.
Il sole stava per sorgere.
Ottimo, ci avrebbe messo meno tempo a recuperare Itachi, sempre che non fosse già incappato in una buca o simili. In quel caso l'operazione si sarebbe complicata, anche per il semplice fatto che, conclusa quella missione fallimentare, lui ed il suo compare avrebbero dovuto affrontare la difficile questione della cecità. Ma stavolta Kisame era ben deciso a non demordere: la sua pazienza non avrebbe retto ad altri inconvenienti simili.
« Kisame... » il sofferente rantolio di Deidara, al suo fianco, lo distolse da quei cupi pensieri sul suo incerto futuro.
L'artista aveva fortunatamente smesso di sembrare un pazzo esaltato col cervello di un lattante, ma in compenso ora, dopo aver svuotato lo stomaco sui suoi poveri piedi, era entrato in uno stato di profonda sofferenza e lagnosità; lamentava lancinanti dolori e asseriva di essere sull'orlo dell'Abisso. Kisame non se ne era preoccupato più di tanto neanche prima della frettolosa diagnosi di Kabuto che, con un'unica occhiata, aveva archiviato il caso sotto il nome di “lieve intossicazione da funghi”, ed era tornato ad occuparsi di Sasuke.
Lo spadaccino non aveva alcuna esperienza medica, ma il suo sesto senso gli suggeriva che se Deidara fosse stato davvero in  punto di morte, non sarebbe riuscito ad essere tanto drammatico nella minuziosa descrizione di ogni fitta attraverso lunghe metafore e pittoresche similitudini, e si sarebbe probabilmente limitato a gemere come si conveniva ad un moribondo.
Stava giusto per andare a spiegargli questa lampante verità quando il terreno si mise improvvisamente a tremare.
« Che diavolo è? » sbottò Kabuto, mettendosi in guardia. Si guardò a torno per un po', poi come colto da un sospetto, si accucciò, poggiando l'orecchio sul terreno.
Kisame gli rivolse uno sguardo interrogativo.
« Giochi agli indiani, moccioso? » chiese, scettico.
Lui gli fece segno di tacere con una brusca manata.
Dopo quasi mezzo minuto di attenta auscultazione, durante il quale Kisame ebbe modo di esprimere il suo disappunto sbuffando almeno una dozzina di volte, Kabuto si decise finalmente ad alzare la testa.
« Beh... E' solo un'ipotesi... » iniziò, cauto. « Ma credo sia Manda. »
Kisame si ritrovò costretto a domandarsi se per caso le intossicazioni da funghi non fossero semplicemente contagiose.




*angolo delle risposte*
Grazie a tutti coloro che sono sopravvissuti sin qui, siete sempre gentilissimi^^

Quistis18: sono stata reclusa nel covo della LALNG, e purtroppo non sono ancora riuscita a spedire Itachi. Ma di certo ci riuscirò. Anzi, visto che io lo maltratto costantemente, è probabile che si spedisca da te di sua spontanea volonta xD Lieta di servire a qualcosa, che sia il rallegrare le giornate o l'apparecchiare la tavola u_u
Caletin: xD col Deidara volante ho avuto dei problemi anche io... Mi sono messa a ridere dopo averlo pensato, in piena notte. Prima o poi mi rinchiudono, ahimé...
Elos: povero Deidara... Ma sì, è indubbio che le figure del cavolo gli vengano assolutamente spontanee ( che razza di abilità innata!) Uno manco deve faticare *lazy mode*
Sunako e Sehara: si spera non sia andata la cola di traverso a Sehara XD Povero Itachi, sì... Alla fine dei conti è quello che a preso più legnate, inciampando. Anche se pure Kisame andrebbe santificato, visto che dopo quattro capitoli ha ancora abbastanza pazienza da sopportare Deidara.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Biscia ***


quantoèpiccolo5

Eheh. Eccomi qui. Ho incontrato una comitiva di anziani e li ho aiutati a traslocare da un ospizio all’altro. E poi mi è anche entrato qualcosa nell’occhio… xD


Indubbiamente, preferiva la caccia notturna.
I suoi occhi potevano individuare una preda anche nel buio più fitto ed il suo olfatto avvertiva la presenza di cibo a metri e metri di distanza. Ma era comunque anziano e, di tanto in tanto, gli capitava di appisolarsi proprio nel bel mezzo di una battuta di caccia.
In ogni caso, lui se lo poteva permettere.
Lui era grosso.
Lui era feroce.
Di gran lunga il più pericoloso tra le creature della foresta.  Era il signore di quei luoghi e viveva nella certezza assoluta che mai a nessuno in nessun caso, sarebbe venuto in mente di avvicinarlo, figuriamoci sfidarlo.
Per questo, quando, proprio nel bel mezzo del suo pisolino, Manda era stato svegliato da una bottarella sullo stomaco si era irritato,  prendendola come una mancanza di rispetto.
Sbadigliando, aveva però pazientemente atteso che l’incauto, chiunque fosse, realizzasse l’errore e fuggisse a gambe levate, come si conveniva. Il tutto più per godersi la scena della fuga che per reale indulgenza. Ma ad un secondo colpetto, stavolta cauto, di esplorazione, la sua irritazione si era tramutata in collera. E non fu sorpreso quando, con una contorsione del lungo corpo sinuoso, vide distintamente la sagoma di un uomo che gli tastava le squame sulla pancia, come a pungolarlo, trattandolo alla stregua di un ostacolo inanimato da scavalcare.
Esseri umani. Non aveva mai conosciuto creature più stolte ed impudenti.
Non si faceva mettere i piedi in testa da Orochimaru – d’accordo qualche volta si era fatto, per così dire, cavalcare… Ma era tutta un’altra faccenda - , figurarsi se avrebbe permesso ad un omuncolo qualsiasi di venire a disturbarlo nel bel mezzo della notte e per di più nel suo territorio.
Lo aggirò con calma, mentre l’uomo si guardava attorno con espressione vagamente perplessa, forse per via del trambusto che il suo corpo provocava strisciando tra gli alberi, simile ad un terremoto in piena regola.
Manda dimenò un poco la coda, abbattendo con noncuranza un paio di tronchi e digrignò le zanne, posizionando la testa giusto sopra la sagoma dell’uomo che, però, non sembrò affatto turbato dalla cosa. E infatti, mentre Manda, ormai stufo anche di pavoneggiarsi della sua evidente superiorità, stava per risolversi ad ingoiare in un solo boccone l’umano menefreghista – perché doveva essere perlomeno cieco, per non essersi ancora accorto di lui – quello, noncurante, si mise a posizionare rapidamente le mani per dei sigilli.
Manda in verità non ne capiva un granché.
Trovava che le tecniche e le arti magiche che tanto piacevano a quel fissato di Orochimaru, altro non fossero che patetici surrogati cui i piccoli, deboli esseri umani dovevano necessariamente ricorrere per sopperire alle loro gravi mancanze di forza fisica ed istinto.
Così non se ne preoccupò molto, limitandosi a preparare l’attacco, facendo saettare la lingua tra le zanne.
In seguito, per la prima volta nella sua esistenza di fiero signore dei rettili, Manda si ripromise di non commettere mai più l’errore di sottovalutare una preda.

 

Sembrava un incendio, in effetti.
Era stata questione di pochi secondi, ma una fiammata aveva illuminato chiaramente parte della foresta, alle loro spalle, spegnendosi poco dopo.
« E’ il sole che sorge in tutta la sua esplosiva bellezza. » ripeté Deidara, testardo.
Kisame lo ignorò. Era già abbastanza imbarazzante esserselo dovuto caricare in spalla come un infante. Mettersi anche a dargli retta esulava di gran lunga dalle sue competenze; anche perché ci stava già pensando Kabuto, a ribattere a tono.
« Il sole sorge ad est. E quello, per la dodicesima volta, è l’ovest. »ansimò, cercando di tenere il passo. Kisame, data la costituzione mingherlina del ragazzo, in un inusuale impeto di bontà – o forse aveva solo molta fretta di tornarsene al covo – si era offerto lui stesso di caricarsi in spalla anche Sasuke che anzi, essendo svenuto, poteva essere un peso molto più piacevole di Deidara, da trasportare; ma il medico non aveva voluto sentire ragioni, restando ancorato al suo protetto con l’indomabile tenacia di una leonessa mestruata, risoluto anche a perire sotto il peso dell’Uchiha, piuttosto che cedere il fardello ad altri.
Proprio mentre Kisame iniziava a pensare che si fosse finalmente zittito, Deidara prese nuovamente ad agitarsi, irrequieto; fin troppo per qualcuno che, neanche dieci minuti prima, aveva sostenuto di vedere la Luce alla fine di un tunnel oscuro.
« Vi dico che era il sole! »
« Era un incendio. »
« Piantatela! »
I due ammutolirono di colpo. Kisame si schiarì la voce, quasi sorpreso che il suo intervento avesse sortito un effetto così immediato.
« Non ci importa nulla di cos’era. Non ci riguarda. » concluse, brutale.
Udì Deidara mugugnare qualcosa, contrariato, ma per una volta l’artista ebbe il buon gusto di tenere la sua opinione per sé e, anche se forse lo fece solo per via di un’altra fitta allo stomaco, a Kisame piacque pensare di aver acquisito autorevolezza.
« Propongo di andare ognuno per la sua strada, moccioso. » disse a Kabuto.
Lui annuì, affaticato.
« Concordo. Abbiamo già fatto troppi danni. » aggiunse, sistemandosi meglio Sasuke in spalla. Poi si voltò e proseguì dritto, eclissandosi nella vegetazione, senza minimamente prestare orecchio al saluto di Deidara.
Anche Kisame si prese un paio di minuti per accomodare meglio Pelle di Squalo e Deidara sulla sua schiena – non senza che quest’ultimo protestasse, sospettando, dalla differente cura con cui aveva trattato entrambi, che lui tenesse più alla spada – e poi si incamminò tra gli alberi, senza però riuscire a distogliere lo sguardo dal punto in cui era comparso quel bagliore rossastro. Prima quella specie di terremoto, che Kabuto aveva catalogato sotto la definizione di “manda” - senza neanche avere la decenza di spendere tre sillabe per spiegargli di che accidenti stesse parlando, se fosse un’imprecazione nel suo dialetto o una sottomisura della scala Richter – ed ora quello. Una fiammata. Anzi, una palla di fuoco.
« Oh, cavolo. » esclamò, frenando bruscamente. La testa di Deidara andò a cozzare dolorosamente contro l’impugnatura della spada, ma prima che lui avesse il tempo di fare qualcosa , fosse insultare Kisame o semplicemente imprecare, la sua portantina aveva già effettuato una brusca deviazione e stava correndo a perdifiato proprio lì dove era comparso il fuoco.
« Kisame… Kisame! Dove stai andando?! » gli gridò, sputacchiando quando i capelli gli si andarono ad infilare in bocca per via dello spostamento d’aria. « Non dovevamo cercare Itachi?! »
« Infatti l’abbiamo appena trovato. » ringhiò Kisame, di rimando. « Se quello non era il Katon io mi mangio la divisa. » e aumentò il passo, rapido.

 

Non era un muro.
I muri non parlano. E neanche si lamentano di dolore quando vengono colpiti in pieno da un Katon.
« Muori, dannato insulso essere umano! »
Itachi schivò le zanne, spostandosi di lato e andando a dare una testata contro un ramo.
Non era fatalista, ma certe volte gli veniva proprio da pensare di essere nato sotto una cattiva stella. Insomma: guerra, tragedie familiari, compagni stupidi – Deidara, tanto per dire. Kisame, per dire ancor di più – una tonaca con le nuvolette e, come se tutto questo non fosse sufficiente, la cecità. Qualcuno doveva volergli male, lassù. O forse Sasuke si era specializzato in macumbe.
In effetti, sapeva che se ne era andato da Orochimaru. Un serpente pareva una calamità davvero appropriata.
Nel tentativo di schivare le zanne del bestione, diede una testata ad un altro ramo. L’ultima cosa che vide, appena prima di svenire come un idiota, fu lo sguardo – perplesso? -  del serpente.
Sì, doveva essere ridicola una preda che, cercando di contrattaccare, va a sbattere contro i tronchi.
Se Sasuke aveva davvero imparato a scagliare maledizioni, gliel’avrebbe fatta pagare.

 

Si era appena svegliato e già rompeva le scatole.
« Devo andare a cercare Itachi! »
Kabuto mugolò di nuovo, frustrato.
Visto che ormai il danno era fatto, tanto valeva dargliela, un’altra botta in testa all’odioso contenitore.
Sasuke gli rivolse uno sguardo tanto minaccioso che Kabuto si vide seriamente costretto a fare almeno un passo indietro.
« E tu non me lo impedirai. » scandì, sepolcrale.
Kabuto deglutì.
« Non penso sia una buona idea, Sasuke kun. » spiegò, paziente. « Sarebbe un autentico suicidio. Che senso avrebbe andare ora? »
« Ha senso perché lui è qui ora. » ribatté l’altro, testardo.
Kabuto si morse la lingua, trattenendosi a stento dall’insultare lui e tutti i suoi defunti, supponendo che questo non avrebbe fatto altro che gettare benzina sul fuoco.
« Non dovevi prima diventare più forte…? » lui se le ricordava le pontificazioni su “voglio il potere”, “sbrigati a farmi diventare più forte” e consimilia con cui ogni giorno Sasuke si curava di rintronare sia lui che il maestro Orochimaru.
Davanti all’espressione furibonda che ricevette in risposta, Kabuto si fece più propenso all’idea di stenderlo con un diretto e trascinarselo dietro ma si vide costretto a scartare l’allettante opzione. Non che non si ritenesse più che in grado di contrastare Sasuke – era solo un moccioso presuntuoso, accidenti – ma, a differenza dell’Uchiha, che non si sarebbe fatto alcuno scrupolo nel buttarlo all’aria nel modo più brutale possibile, lui avrebbe invece dovuto controllarsi per evitare di procurargli danni troppo evidenti, cosa che avrebbe reso lo scontro un po’ impari.
Stette lì per un paio di secondi a ponderare quale fosse l’alternativa più conveniente – picchiare Sasuke, lasciare che Sasuke fosse picchiato da Itachi o picchiare Sasuke, procurarsi qualche ferita e strisciare dolorante da Orochiamaru raccontando di essere eroicamente scampato ad un attacco a sorpresa da parte di settecentotredici shinobi di Kiri armati di esplosivo ad alto potenziale – quando la terra prese di nuovo a tremare.
« Mpf. Che diavolo è? » sbuffò Sasuke, in tono disinteressato. Evidentemente, davanti alla sua preziosa, prioritaria vendetta, solo un sisma di magnitudo superiore al dodicesimo grado della scala Richter avrebbe forse potuto meritare parte della sua considerazione.
Prima che Kabuto, se ne avesse avuto voglia, trovasse il tempo rispondere, alcuni alberi iniziarono a collassate in sequenza, a neanche una trentina di metri da loro.
« Quella non è una delle bisce di Orochimaru? »
Per un riflesso quasi condizionato, Kabuto aprì la bocca, pronto a redarguire Sasuke per il poco rispetto che continuava ad esibire nei confronti del maestro Orochimaru e quella sua sgradevole abitudine di omettere un dovuto suffisso onorifico dopo il nome del sennin.
Invece il suo sguardo fu pilotato oltre la spalla di Sasuke, verso l’alto.
Dietro l’Uchiha, che si era voltato a guardare senza troppo interesse, tra gli alberi svettava l’immensa testa squamosa di Manda.

 

Era tutto buio. Di nuovo.
Non aveva capito come fosse potuto accadere: un secondo prima ci vedeva quasi meglio, complice l’alba, e cercava di contrastare un serpente gigante spuntato furoi da non si sa dove e l‘attimo seguente non ci vedeva più. Buio totale.

E puzzava, anche.
Itachi si alzò in piedi, solo per scivolare subito dopo.
Qualunque cosa fosse successa, non era più nella foresta.
Sotto di lui, qualcosa di molle e viscido faceva la parte del pavimento e, tastando la parete con cautela, le mani gli rimasero umide, intrappolate in una sostanza vischiosa e maleodorante. Un altro movimento, come un’onda, lo fece capitombolare di nuovo a terra. L’impatto restò muto, forse per via del pavimento morbido ma in compenso, subito dopo, un suono roco e raschiante lo rintronò, mentre un soffio d’aria calda e schizzi della stessa sostanza calda e viscida delle pareti lo spinsero indietro.
Si rialzò, deciso.
Itachi era sempre stato diligente.
Anche attualmente, da criminale traditore, conservava quello spirito del lavoro che, oltre all’innata genialità, gli aveva conferito l’approvazione dei superiori e l’ammirazione dei compagni di Konoha.
Restare lì – ovunque fosse -  era fuori discussione. Aveva ancora delle questioni d sbrigare, lui.
Sollevò la testa, raddrizzando il busto.
Era ora di finirla.

 

Ancora esseri umani.
Cosa c’era, un raduno?
Un raduno non autorizzato nel suo territorio?
« Togliti di mezzo, stupida biscia gigante. »
Se avesse avuto il sangue caldo, Manda avrebbe certamente accusato bollori ed una sensazione di ira bruciante dalle parti dello stomaco.
Invece si limitò a provare un acuto fastidio e a far saettare la lingua a due millimetri dal naso di quel piccolo umano sciroccato che, balzato fuori dal nulla, si permetteva di rivolgersi a lui da pari  a pari. Anzi, come se si potesse persino sentire superiore. Inconcepibile.
Era evidentemente un pazzo autolesionista.
Tutti a lui capitavano.
Un’anaconda di cento metri non può permettersi una dignitosa, placida vita di pensionato nella sua foresta. Un giorno stare appreso a quegli umani dissennati l’avrebbe portato alla morte, se non teneva gli occhi bene aperti.
« Sasuke kun… andiamo via… »
Ecco, l’uomo più grande sembrava aver conservato un po’ di sano spirito di sopravvivenza.
« Tu… sei quel viscido lecchino che si accompagna ad Orochimaru… » lo riconobbe Manda, poco dopo, stupendosi sinceramente di come avesse fatto il suo cervello – impegnato in attività ben più importanti, come dormire, mangiare e cacciare – a registrare un particolare tanto irrilevante. «Bakuto. » sentenziò, dopo un nuovo sforzo mnemonico.
Quello strabuzzò gli occhi.
« Veramente sarebbe Kabuto… ma non ha importanza… »
L’altro umano, l’indisponente ragazzino dai capelli scuri, emise uno sbuffo divertito.
« Bakuto…? Questa bestiaccia mi è quasi simpatica. » soffiò.
Bakuto, Kabuto, o come accidenti si chiamava, lo ignorò concedendogli solo un’occhiataccia che però sottintendeva palesemente l’augurio della morte più dolorosa possibile.
« Manda sama… » iniziò, sistemandosi gli occhiali sul naso. L’aggiunta di ciò che nel tempo Manda aveva imparato ad identificare come una formula di rispetto che gli umani erano soliti aggiungere ai nomi dei loro simili più importanti, servì a rabbonirlo un poco. Molto poco, però.
Kabuto si schiarì la voce.
« Il maestro Orochimaru ti manda i suoi saluti e… »
Sì, come no. Orochimaru si ricordava di lui solo quando gli serviva una cavalcatura coreografica per assaltare villaggi ninja o scontrarsi con quei debosciati degli amici suoi, altri megalomani a cavallo di lumache e rospi. Probabilmente ora era rintanato sotto terra a fare dubbi esperimenti per diventare sempre più simile ad una serpe. E dire che Manda lo reputava già viscido quanto e più di se stesso.
Il suo leccapiedi stava solo imbastendo leziosità di circostanza per coprire la lampante realtà della sua indebita violazione territoriale.
« Taci, patetico umano. Non me ne frega niente di cosa stia architettando quello psicopatico di Orochimaru. » lo interruppe, sdegnato. « A me basta che tu ed il tuo cucciolo di uomo scompariate dalla mia vista. E in fretta, prima che cambi ide… » un gorgoglio dalle parti dello stomaco lo costrinse a fermarsi per tossire in modo molto poco degno. Gran parte della sua bava andò a spiaccicarsi dritta in faccia allo zerbino di Orochimaru. Il ragazzino, invece, schivò il primo schizzo e poi si piazzò dietro il compare, usandolo come scudo umano senza troppi complimenti.
« Dannati umani… » rantolò Manda, quando riuscì a riprendere fiato. « Siete anche indigesti… »
Bakuto – o era Kabuto? – lo guardò con l’espressione di un pesce tramortito, grondando saliva dai capelli.
« Che c’è? Vuoi che mangi anche te? » gli sibilò contro.
« A… assolutamente no. Io… »
« Bene, perché quello che ho mangiato prima pere essermi rimasto sullo stomaco e quindi invece di ingoiarti, ti masticherei per poi sputare la tua carcassa in pasto ai corvi. »
Mentre Bakato – Bakuto? Tabuko?  -  ebbe almeno il buon gusto di deglutire ed assumere un colorito più pallido, il moccioso dai capelli scuri lo fissò per un attimo, curioso e per nulla intimorito, prima di rivolgersi a lui in modo tanto schietto da rasentare la brutalità.
« Hai mangiato un umano? » domandò, come colto da un dubbio.
Manda brontolò qualche maledizione sui perditempo, prima di soffermarsi a guardare il ragazzino con più attenzione. Avvicinò l’occhio sinistro alla sua faccia, esaminandola da vicino.
« Proprio così, moccioso indisponente… » disse, sibilando. « E ti somigliava un sacco, sai? »

*angolo delle risposte*
Come sempre, grazie a tutti coloro che leggono *wari fa inchino*

Elos: è appropriato? Meno male... non ricordo neanche come mi è venuto in mente^^" Sono estremamente lusingata dai complimenti *arrossice* anche se rileggendo l'ultimo capitolo mi sono accorta di un mucchio di ripetizioni O.o spero di aver fatto meglio, questa volta. 
Quistis18: i nani mi hanno rilasciata. Ma di motivi per far tardi, se ne trovano sempre u__u. Kisame è davvero una personicina paziente xD sto imparando ad amarlo, io che l'avevo sempre considerato il più inutile dall'Akatsuki. E' un uomo dall'alto potenziale comico. O forse dovrei dire pesce xD 
Sunako e Sehara: accidenti! Desolata! ma qui c'è un conflitto di interessi... ragni e scorpioni fanno schifo a me xD La prossima volta ce li metto, così siamo pari, ragazze u__u.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Tosse ***


6

Buondì. Siccome è pasquetta, il tempo è brutto ed il mio stomaco non collabora *voglio la cioccolata ç___ç * oggi si pubblica. Sì, lo so che non c’è nesso.

Era una serpe. Un’immensa, enorme serpe viscida.
« Andiamo, Kisame, ti sei mai visto allo specchio? Non sta a te giudicare. »
Per tutta risposta, Kisame assestò un cazzotto proprio sulla testa di Deidara; l’artista si morse la lingua e barcollò, sibilando qualcosa di simile a « stupido pesce blu ».
« Itachi deve essere qui da qualche parte… » iniziò il suddetto pesce, ignorandolo.

« ITACHI! »
Deidara fu prontamente stordito da un altro colpo.
« Ma sei deficiente?! » gli ringhiò contro Kisame, assottigliando pericolosamente le pupille.  « Se il serpente ci vede avremo altre seccature. E secondo te ne abbiamo bisogno? Te lo dico io: no. Non ne abbiamo bisogno. Per niente. Dobbiamo solo prendere quell’orbo di Itachi e tornarcene nel nostro santissimo covo… Deidara. Non mi stai ascoltando. »
Il biondo, evidentemente distratto da qualcosa di più coinvolgente del suo sproloquio irritato, si era messo a frugare in un cespuglio di rovi.
Kisame si apprestò a sguainare Pelle di Squalo, ché anche la sua pazienza aveva un limite: avrebbe ucciso Deidara e riportato a casa Itachi. Dato che era quantomeno evidente che almeno uno dei suoi compagni desiderasse morire proprio quel giorno – non importa se per via di funghi allucinogeni, fratelli molesti, handicap fisici o la sua lama – e lui, tra i due, preferiva di gran lunga che a restare in vita fosse l’Uchiha, avrebbe provveduto autonomamente.
Una vita per una vita. Era persino uno scambio equo.
Prima che Kisame avesse il tempo di decidere se decapitarlo o godersi una lenta trafissione da parte a parte, Deidara rotolò tra i rami, imprecando al Dio Jashin – e Kisame si rammaricò dell’assenza di Hidan: i suoi metodi di assassinio erano lunghi ma efficaci e lui non avrebbe potuto che accogliere con gioia chiunque si fosse presentato al suo cospetto per far fuori quella seccatura di Deidara – ed emise un gridolino; Kisame, indeciso su se interpretare quel verso come sorpresa, entusiasmo o solo un’ennesima manifestazione di stupidità, restò un po’ discosto, cercando comunque di non avvicinarsi troppo all’immensa coda del serpente che, nonostante Deidara fosse al solito elegante e discreto come una torma di inesperti genin, non si era mossa che di qualche metro.
« Guarda Kisame! » esclamò l’artista, trionfante, sventolandogli un pipistrello morto sotto al naso.
« Che diavolo è quell… »  neanche il tempo di chiedersi se anche a lui servisse una visita oculistica d’urgenza, e Kisame riconobbe quello che, senza ombra di dubbio, doveva essere un frammento della divisa di Itachi. Non che ci fosse la targhetta, ma le vesti sue e di Deidara erano perfettamente integre, anche se sgualcite, e dubitava seriamente che apparte loro ci fosse qualcun altro in quella foresta che avesse l’abitudine di indossare palandrane nere con le nuvolette rosse.
Per una volta, rese grazie all’originalità di quell’insolito indumento e prese a guardarsi attorno: Itachi doveva essere passato di lì e probabilmente era anche più vicino di quanto lui si fosse ottimisticamente aspettato.
« Muoviamoci! » proclamò, mettendo momentaneamente da parte i bassi istinti omicidi. Afferrò Deidara per il bavero e lo costrinse ad allungare il passo.

 

Kabuto schivò il colpo per un soffio, troppo concentrato nell’ardua impresa di tenere d’occhio Sasuke, che stava già preparando un altro attacco. Ma come gli era saltato in mente al maestro Orochimaru di dotare quel ragazzino di una katana?!
« Sasuke kun! Spostati di lì, che vuoi fare?! » gli gridò, sfuggendo ad un paio di zanne affilate.
« Lo sventro! » Kabuto alzò gli occhi al cielo. Senza alcun preavviso, quel contenitore autolesionista dalla mente instabile – perché era evidente che fosse completamente privo di senno, oltre che di un più che naturale spirito di conservazione – si era scagliato contro Manda, lasciando di stucco persino la bestia, che aveva accusato il colpo e si era inferocita, decidendo di attuare le precedenti minacce di morte per triturazione. Ed essere masticato da un serpente non figurava nella lista dei desideri di Kabuto.
« Ragiona! » gridò, esasperato. « Non puoi mica… »
Lui si voltò prestandogli finalmente la dovuta attenzione.
« Non posso, Kabuto? Non posso?! » lo sharingan attivo gli conferiva un che di demoniaco. «Quella cosa si è appena mangiata la mia vendetta! » schivò un’altra carica di Manda.  «Perciò non venire a dirmi cosa posso o non posso fare. Io lo sventro e mi riprendo ciò che è mio di diritto. » e per dire questo, fu quasi schiacciato da una testata. Kabuto perse diversi litri di sudore in meno di due istanti.
« E se a te non sta bene, tornatene pure da Orochimaru! »
« Orochimaru sama, Sasuke kun! » gli scappò detto. Lui comunque non gli diede retta, troppo impegnato a posizionare le mani per il Chidori.
Kabuto ringhiò di frustrazione.
Quando sarebbero tornati al covo – possibilmente entrambi vivi – avrebbe chiesto almeno due settimane di libertà. E come minimo sei o sette giovani cavie per i suoi esperimenti; e se questi avessero avuto anche carnagione chiara e capelli scuri, beh, il piacere nel sezionarli sarebbe stato quasi catartico.
Completamente perso in queste rassicuranti considerazioni, quando scattò i suoi riflessi erano rallentati e, prevedendo che l’attacco che Manda stava dirigendo contro Sasuke sarebbe finalmente andato a segno, rinunciò a preparare una difesa per gettarsi direttamente sulla traiettoria del serpente, esibendosi anche in un gridolino isterico.
Poi le fauci di Manda si chiusero su di loro.

 

A sua disposizione aveva almeno un paio di opzioni.
Numero uno: continuare a camminare in cerca di un’apertura.
Numero due: sfondare la parete.
Data la composizione molliccia ma gommosa della galleria, Itachi aveva inizialmente optato per la prima alternativa, continuando a procedere a passo deciso, seguendo il corso del tunnel.
Aveva però iniziato ad incorrere in una serie di difficoltà quando il pavimento aveva deciso arbitrariamente e senza alcun preavviso di cominciare ad agitarsi sotto i suoi piedi. Si era sollevato, abbassato e persino sistemato in una poco ortodossa posizione verticale, costringendolo ad appiccicarsi alle pareti – non che ci fosse una qualche distinzione con il pavimento, ma a lui piaceva pensare di avere almeno a disposizione i comuni concetti di sopra e sotto per orientarsi nel buio – usando il chakra. Ed ora, tra gorgoglii sinistri, schizzi di viscido materiale semifluido e capriole varie, gli era pure piombato addosso un oggetto non meglio identificato.
« Ma che diavolo… » l’oggetto parlò con voce umana, cercando di districare i propri arti dai suoi.
« Sasuke? » Itachi pronunciò il nome di getto, più seguendo l’istinto che fermandosi a ragionare razionalmente sull’assurdità del trovarsi in un’enorme galleria molliccia e semovente in compagnia del suo fratellino che avrebbe dovuto essere ovunque tranne che lì. Ovunque fosse .
Ah, forse era morto.
Ecco, non ci aveva ancora pensato, preso com’era dalla foga di camminare – per dove, poi? – ma ora gli sembrava l’ipotesi più probabile. Magari quello era proprio l’Inferno; dopotutto l’aveva sempre immaginato come un luogo buio e puzzolente e non aveva mai sospettato, una volta defunto, di poter finire altrove.
« I… Itachi?! »
Ok, ma allora che ci faceva  suo fratello lì?
« Non sarai mica morto anche tu? » si ritrovò a chiedere, controllando a stento il panico.
Il suo silenzio, nel quale Itachi fu quasi certo di distinguere il ringhio furibondo di Sasuke, fu interrotto dall’ennesimo terremoto che spinse il più piccolo direttamente sopra di lui, facendoli capitombolare entrambi.
« Maledetto bastardo… » iniziò la voce di Sasuke. « Io ti ammazzo. »
Un tentativo di alterazione delle proprietà del fulmine sortì unicamente l’effetto di abbagliare gli occhi già debilitati di Itachi, anche se solo per una frazione di secondo.
Un altro scossone infatti mandò Sasuke a cozzare contro il pavimento, impedendogli di concludere la tecnica..
Itachi lo sentì imprecare a mezza voce.
« Otouto, che stai facendo? » chiese al nulla, sperando almeno di individuarlo facendo affidamento sull’udito.
« Cerco di ammazzarti, Itachi. » sibilò quello, in risposta. « E non mi pare neanche il caso che tu debba stupirtene più di tanto. »
All’improvviso, la galleria si ribaltò, spedendoli l’uno contro l’altro a formare uno scomodo gruppo lacoontico.
« Togliti di dosso, dannazione! »
« Ti faccio presente che è stata la galleria a spostarsi, otouto. »
Un ringhio indignato ed un mugugno che Itachi non faticò ad interpretare come un « chiamami ancora così e ti ammazzo » fu l’unica risposta che Sasuke gli concesse, mentre approfittava dell’infausta vicinanza per colpire manualmente ogni centimetro di lui che riusciva a raggiungere.
Quando si decise a smetterla, ansimando pesantemente, Itachi fu quasi tentato di provare ad instaurare un dialogo, anche solo per capire che accidenti ci facesse lì suo fratello, ma senza alcun preavviso, avvertì distintamente una vampata di calore in avvicinamento.
Ringraziando mentalmente i suoi provvidenziali riflessi che, comunque, non lo avevano ancora abbandonato, schivò quello che doveva essere un Katon – anche se ai suoi occhi si presentò solo un’enorme macchia luminosa -  e poi,  solo una volta che anche il secondo attacco andò a vuoto, si decise ad attivare lo sharingan, in barba alle diottrie rimaste.
A quel punto, individuare Sasuke fu un gioco da ragazzi - ed Itachi si diede cento volte dell’idiota per non averci pensato prima – anche se bloccarlo senza essere colpito da calci, pugni ed accenni di Chidori richiese un po’ più di abilità.
Quando finalmente suo fratello fu sufficientemente ancorato al suolo da evitare di agitarsi come un’anguilla  sul patibolo, Itachi ebbe finalmente il tempo di guardarsi attorno.
« Perché in questa galleria scorre del chakra…? » chiese, sinceramente perplesso. La domanda riuscì persino a zittire Sasuke che, impossibilitato ad attuare materialmente la sua vendetta, si stava accontentando di esibirsi in una serie di epiteti al suo indirizzo, tanto coloriti e tanto originali che se loro non fossero stati loro e se non si fossero trovati in quella situazione, Itachi lo avrebbe interrogato fino a scoprire chi mai glieli avesse insegnati solo per andare a tagliargli la lingua personalmente.
Invece attesero in silenzio per i successivi cinque secondi.
« Galleria? Itachi, ma ti sei rincretinito?! »
Itachi gli stritolò un po’ di più il braccio dietro la schiena.
« Tu sai dove siamo? » chiese, quando anche mantenere il silenzio non fu più tanto dignitoso.
Sentire la mezza risata cattiva di Sasuke non lo rese più propenso ad allentare la stretta.
« Sei stato mangiato da una serpe di cento metri e non te ne sei accorto? Ed io dovrei desiderare di superare te?! »
Ed Itachi, sebbene fosse in una condizione di assoluto vantaggio, nonostante trovasse il tono di suo fratello eccessivamente indisponente, benché fosse stanco e nervoso e di conseguenza molto ben disposto ad assecondare quel desiderio di violenza cosa che, ne era quasi certo, avrebbe migliorato il suo umore, in coscienza, non poté sinceramente ribattere alcunché.

 

Bruciava. Bruciava davvero troppo.
Da quando era uscito dall’uovo, Manda non era mai e poi mai stato costretto a sopportare simili onte al suo onore. Ed ora, per colpa di un mucchietto di esseri umani, stava lì, steso per terra – non che di solito non strisciasse, era la sua natura, ma l’aveva sempre fatto in modo assolutamente dignitoso – a contorcersi dal dolore. Di bruciori così, non ne aveva mai avuti. Era come se qualcuno gli avesse acceso un falò nello stomaco.
Si agitò, ruggendo di dolore e abbattendo altri alberi.
Ma chi gliel’aveva fatto fare di mangiarsi quegli stupidi esseri umani? Erano assolutamente indigesti, avrebbe dovuto saperlo.
Uomini: cattivi anche come spuntino. Creature disgustose ed inutili sotto ogni punto di vista.
Emise un altro ruggito di dolore, contorcendosi. Sembrava quasi che qualche imbecille stesse ingaggiando battaglia nella sua pancia e Manda si trovò in un tale stato di esasperazione da iniziare a detestare le abitudini alimentari della sua stessa specie: avrebbe preferito di gran lunga poter masticare le sue prede, invece di ingoiarle intere. Eppure i denti li aveva. Ed anche un palato rasposo ed una lingua che sarebbe stata ben lieta di poterci spalmare sopra resti umani fino a ridurli ad una gustosa purea.
Tossì, infastidito, e prese a strisciare, sperando di trovare un cantuccio tranquillo dove poter digerire con calma.
Fece una brusca inversione ad U, causando notevoli disagi al suo stressato intestino e si ritrovò occhio ad occhio con un pesce.
« Oh, porca miseria. »imprecò il pesce.
Ma non era un pesce, aveva dei vestiti.
« Fuori dal mio territorio! » gli ruggì contro. Se non erano una semplice allucinazione dovuta al cibo avariato – il che non era affatto un’ipotesi da scartare – quelli erano altri due esseri umani. Ok, un pesce ed una bambina bionda, ma non era questo il punto. Il punto, fondamentale, era che i maledetti si trovavano nel suo territorio, dannazione.
La bambina emise un gridolino.
« Kisame, ci ha visti! Che facciamo? »
Il pesce richiuse la mascella e si voltò.
« Sta zitto, Deidara, allontaniam… » prese a sussurrare, in modo perfettamente udibile.
Manda, sull’orlo di una nevrosi, era quasi sul punto di ingoiare anche quei due – che tanto ormai il danno era fatto – ma, all’improvviso, il suo stomaco prese autonomamente la decisione di contorcersi in maniera assai dolorosa.
Manda emise un rutto poderoso, smuovendo le fronde degli alberi per svariati metri.
« Che schifo. » sentenziò Deidara, quando riuscì a recuperare l’equilibrio.
« Oh, accidenti. » sibilò il serpente, sopra di loro.
« C… cosa? »
E Manda quasi non si stupì di quell’interessamento da parte di un pesce in tunica scura, preso com’era a trattenersi da vomitare.
Poi iniziò a tossire.
Era una sensazione terribile. Come se qualcosa stesse risalendo il suo esofago.
Tossì così forte da piegare diversi rami che avevano avuto la malaugurata sorte di trovarsi sulla sua traiettoria, e continuò a tossire finché, dalla sua bocca, non schizzarono fuori delle figurine scure, sparate in aria come proiettili.
Kabuto atterrò per primo, sfracellandosi sul terreno con ben poca grazia.
Itachi, nella durata dell’arco di parabola che percorse a corpo libero, si preoccupò di arraffare Sasuke, per impedirgli di andare a sfracellarsi in solitudine, o magari finire impalato ad un tronco. Lui parve entusiasta di questo provvedimento perché, appena fu a portata di fratello, si prodigò per trascinarlo con sé, sperando evidentemente che fosse il maggiore a finire infilzato su di un qualsiasi oggetto contundente, fosse anche la sua katana, che stava cercando di estrarre con la mano libera, forse intenzionato a sgozzare Itachi prima ancora che impattassero il suolo.
Quali che fossero i propositi dei due, comunque, Kisame li precedette entrambi, piazzandosi sotto ad Itachi ed afferrandolo al volo con una prontezza di spirito ed una rapidità di riflessi a dir poco encomiabili.  Era quasi riuscito a restare miracolosamente in piedi, quando Sasuke atterrò con un tonfo direttamente tra le braccia del fratello; a quel punte le gambe non lo ressero e Kisame cadde a terra, trascinando con sé gli altri due.
Nel silenzio che seguì il rovinoso atterraggio, la risata di Deidara parve doppiamente fuori luogo.

 

 

*angolino delle risposte*

Grazie a tutti voi che continuate a leggere ’sta cosa  senza senso^^

 Ainsel: stravero. Non c’è un solo personaggio che non meriti la piena attenzione di un’intera equipe di psichiatri u_u , Sasuke in primis (“squilibrato, egocentrico ed autolesionista”, analisi psicologica completa *ride*).
Elos: Kabuto a me è sempre piaciuto, come personaggio. E’ il tipo di persona irritante che trovo divertente torturare xD Mai quanto gli Uchiha, certo.  Scrivi in modo coerente, per essere le quattro del mattino xD io ad orari simili riesco a produrre solo fanfiction di dubbio senso logico, come puoi notare u.u
Quistis18: massì, Sasuke è un pirletta, c’è poco da fare. Ma ha subito traumi, ci vuole indulgenza xD Sono contenta che ti piaccia Manda, è bello far parlare le serpi giganti u.u  Nessun problema, i commenti fan sempre piacere, che siano poemi o mezze righe, basta che siano intellegibili^^
Ele8993: si sono incontrati, più o meno^^” spero sia stato di tuo gradimento. Non preoccuparti, i computer sono esseri capricciosi, è risaputo xD
Sunako e Sehara: allo stesso livello di Itachi? Ahah almeno risparmiatemi le sue sfighe! xD Lieta che vi piaccia u.u Ad aggiornare rapidamente… cercherò, con impegno *fiamma della gioventù*.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=444469