Io e te siamo legati da uno strano destino II - Il patto di sangue.

di Inucchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I : Mondi distanti. ***
Capitolo 3: *** Capitolo II : La sostanza dei sogni. ***
Capitolo 4: *** Capitolo III: Il dilanio degli schemi ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Io e te siamo legati da uno strano destino 2 - Il patto di sangue.

 

 

Prologo

 

 

 

 

 

"Lo aveva detto..."  una pausa, trattenuta sul diaframma per non continuare la frase. Avrebbe dovuto credergli? Oh si, fidarsi delle parole di un ragazzino diciottenne. Quanto pesan le parole dopo sette anni di attesa?

Ed io avevo promesso, e tutt'ora...  persino l'eco dell'immaginazione freme basso, sotto il tocco anestetico d'un volto sfocato, che addita alla mente ricordi confusi, i quali, senza forma, si degnano di tornare sotto forma di tediosi reflussi di stomaco. Inutile temere, pensare, attendere. Tutto perduto, inevitabilmente scivolato in una promessa infranta. Lei, adulta ora, che stringe tra le mani il giornale fingendo di leggerlo.

Raggelanti, gli eventi descritti in prima pagina; cos'è, il mondo s'è forse fermato per poi ripartire al contrario? L'ebano, quel bruno intenso nascosto dietro le ciglia di lei è spento, così come l'attenzione che dona alle notizie del giorno.

"Mamma!" e scuote il capo, sbattendo le palpebre più e più volte, come se fosse uscita da una trance temporanea, getta allarmata lo sguardo al di sotto della sua posizione per trovarsi dinanzi all'espressione contrita del primogenito.

"Oh, si. Si! Ti stavo ascoltando, dimmi tutto Nekogai" formula agitandosi sulla seggiola, per poi farla ricadere rovinosamente alle sue spalle, solo per essersi sollevata di botto.

Lui la fissa come si potrebbe osservare una genitrice goffa come quella che ha dinanzi, alza un sopracciglio, incrocia le piccole braccia al petto e sospira profondamente.

Chi è tra i due il vero genitore?

"E' ora di cena" bisbiglia basso, mentre le iridi d'oro scivolano su di lei come sull'acqua. Perchè deve martoriarla in questo modo, lui, quel piccolo essere che non è altri che il suo specchio; non si rende neppure conto di quanto la sua esistenza sia un peso oramai. Chi non nasce per amore, è destinato a essere un peso, in modo irreversibile. Eppure un tempo era così, sino a pochi anni prima lui era il più grande desiderio di lei. Ed ora...

Kagome, povera, piccola Kagome. Cos'è successo al sorriso che stringeva allora sulle labbra? Ora, cosa c'è di sbagliato che le dilania il volto rovinosamente? Quella curva preziosa che ha deciso di rimuovere anche alla vista di suo figlio, quell'energia, vitalità, ardore che sprizzavano dal corpo come gridi liberatori; cosa ne è stato di quella Lei?

Chi è questa donna dai capelli legati e scomposti sul volto, che porta i segni precoci di un dolore ancora non superato? Cos'hai perso Kagome... cosa ti manca?

I passi, si diffondono come tuoni sordi nell'enorme casa in stile Shintoista, troppo grande per loro due da soli. E quel suono che a lei pare così dannatamente vicino, all'udito del figlio risulta un ovattato abbandono.

Okaasan, smetterò un giorno di sentirmi in colpa per te? Seppur non sia così, è questo ciò che lui sente Kagome, come non puoi non renderti conto della gravità che pesa sulle spalle del tuo stesso sangue? Una linfa, che inevitabilmente appartiene anche a lui, quello che un tempo era il tuo più bel sogno, e che ora s'è tramutato nell'incubo più ricorrente.

Il salone è vuoto, esiste solamente lui nella stanza ora, coi suoi giochi tra le mani ed il televisore acceso in modalità senza voce. Guarda le immagini che passano, tentando di dipingere nelle figure demoniache che vede comparire nelle interviste, un possibile dettaglio del profilo di colui che avrebbe dovuto essere ... suo padre?

Ha mai avuto un secondo genitore, oltre Kagome? Il volto non si rattrista, rimane silenziosamente piegato in quella smorfia di distacco che potrebbe più appartenere a un adulto anzichè ad un bambino. L'unico suono che rintocca, oltre il respiro, è quello dell'enorme pendolo che il vecchio bisnonno ha lasciato come ricordo di sè, prima d'essere catturato dalla morte. Lo sguardo si sposta verso l'orologio ora, correndo lungo il perimetro della parete bianca, sino a fermarsi immobile sul primo gradino che porta al piano superiore, dove c'è quella cosa.

Si alza, per percorrere silenzioso il corridoio ed arrivare proprio sotto la tromba della scalinata; alza il naso in su, spalancando la bocca per respirare quell'antico profumo che proviene dall'alto. Cosa c'è dietro quella porta? Quella sua innata curiosità lo ha sempre cacciato nei guai, ed ha l'impressione che cadrà nel tranello anche questa volta, come quella precedente e quella ancora prima. E' un bambino in fondo, cosa puo' saperne lui di cos'è giusto e cos'è sbagliato? O forse, non ha la minima intenzione di darsene conto; ha solo voglia di scoprire ciò che gli viene nascosto da troppo tempo.

Ogni volta che fa riferimento all'odore che sente, la madre si arrabbia, impedendogli di porre altre domande. Perchè? Sale i gradini di corsa, uno dietro l'altro, traendo enormi respiri nella foga. Si ferma dinanzi alla porta, che dalla sua visuale sembra un'immenso portale misterioso che lo potrebbe condurre chissà dove, chissà, magari nello spazio. Poggia i palmi delle mani sulla superficie, poggiandovi successivamente il capo per ascoltare cosa vi sia al di dietro. Percepisce un movimento, alza le orecchie canine sopra la testa, flettendole verso la direzione dalla quale proviene il rumore.

"Ehi" mormora a voce bassa, senza bussare o chieder altro. Sa che c'è qualcuno che l'ascolta dietro di essa.

"...Sei tornato anche oggi, chi sei?" scatta col corpo indietro, gli è stata fornita una risposta questa volta. Trema. Il piccolo corpo non regge la troppa eccitazione e s'accascia sulle ginocchia, con le mani tratte tra le gambe che tremano.

"I...Io sono..." non riesce neppure a parlare, che piccolo idiota! C'è qualcosa o qualcuno dietro quella parete che li divide, non dovrebbe far altro che abbattere quell'unico ostacolo. E se fosse un mostro, od un demone pronto a divorarlo? In fondo lui, non è altri che un ibrido, ancora incapace di sfruttare a pieno le sue capacità.

Silenzio, che dura secondi immensi, nei quali un fiotto di saliva percorre la gola come fosse veleno. Il battito cardiaco martella nel petto veloce, con lo stesso identico ritmo del ticchettio di quel pendolo che giace al piano inferiore.

"Sei qui per restituirmi ciò che voglio?" sibila la voce dietro la porta, bassa, di una tonalità quasi impercettibile, come se non possedesse da tempo la facoltà retorica.

"Cio' che..." indietreggia ancora, finendo con le spalle al muro, il bambino. Non capisce, non è capace di comprendere cosa desideri l'entità sconosciuta da lui. Ha paura, ha voglia di chiamare sua madre, non avrebbe dovuto osare tanto stavolta, eppure...

"Il tuo odore mi rassicura, perchè?" risponde alla questione dell'altro, con un'altra domanda precisa. Nessun'altro rumore. Nessuno dei due è stato capace di fornire una risposta all'altro, sembra come se l'altra figura si fosse alzata da terra e se ne fosse andata, abbadonandolo là, tra la tensione ed il desiderio di scoperta.

"Nekogai... cosa ci fai davanti a quella porta?" lei lo ha visto, è nei guai ora. Non gli era concesso, ha disobbedito di nuovo. Apre la bocca per dire qualcosa, ed abbassa le orecchie sopra il capo, muovendo qualche passo verso la madre per abbracciarle una gamba.

"Scusami" formula solamente, con la voce che rischia uno schianto dalla serietà al pianto, da un momento all'altro. Lei si china, accogliendolo tra le braccia come qualsiasi madre dovrebbe saper fare, lo conforta, e poggia una mano sopra il capo di lui.

"Non dovresti venire qui, non c'è niente qui, è solo il rumore del vento quello che senti" come potrebbe essere così? Lui ha udito chiaramente il suono di una voce provenire da quella stanza, ma rimane in silenzio, non osa interrompere la madre, non vuole ferirla di nuovo.

"Non verrò più" anche se lo promette, sa benissimo che non ci sarà modo di scappare dalla curiosità che lo lega in modo quasi ossessivo a quell'odore. Non avrebbe modo di evitarlo nemmeno se lo volesse.

"Promettimelo, ti prego" il tono di lei è calmo, balena esterno dalle labbra come una nenia di pura quiete, che pare voglia dissuaderlo dolcemente dal tentativo di scoprire qualcosa che lo ferirebbe, che per lui non sarebbe altro che il nulla. Tu non soffrirai, tu sei mio figlio.

Posa il volto sulla piccola spalla di lui, stringendoselo al petto come l'ultimo tesoro rimasto su questa terra. Una, forse l'ultima lacrima della giornata le sfiora raminga la guancia, perchè mentirgli è come sentire un peso ancora più grande nel petto. Seppur sa già che lui percepisce nettamente ogni sfumatura d'angoscia che tenta miserabilmente di nascondere dietro quella falsa tranquillità. Quand'è cominciato tutto questo, da quando, ha smesso di sorridere?

"Vai a dormire ora, è tardi" posa le labbra sulla fronte del figlio, che s'allontana obbediente, osservandola con un minimo di compassione negli occhi tondi, da bambino, che possiede. Non guardarmi con quell'espressione, non essere così uguale a lui.

Rimane così, in ginocchio, attendendo come faceva spesso sua madre, che lui se ne sia andato, prima di potersi liberare della maschera che indossa giornalmente.

Si piega su sè stessa, in avanti, come uno stelo spezzato dal vento e copre gli occhi scuri con entrambe le mani. Possono due spalle così piccole come le sue, reggere una sofferenza ed un segreto così grandi?

"Come posso far finta che non sia accaduto nulla? Come posso tornare indietro per rimediare a tutti i miei errori? Dimmelo tu..." volge lo sguardo verso la porta chiusa, osservandola con mille frammenti di dolore trapunti nelle iridi scure. Si alza, muovendosi circospetta verso l'uscio, per aprirne uno spiraglio prima di spalancarla.

Non chiede permesso, si fa avanti silenziosa fermandosi dinanzi all'ombra di colui che un tempo era vita.

"..." Ogni giorno, per due anni, ha attraversato quella stanza vuota. E ad ogni passo, martoriava la mente per cercare le parole giuste da dire, il gesto più semplice da compiere. Nulla. Per tutto il tempo è sempre rimasto tutto invariato, lei, una semplice spettatrice. Lui, l'attore incontrastato della tragedia.

Eccoli, i suoi occhi vuoti che la osservano da quella seggiola, dalla quale non si alza da chissà quanto. Inespressivo, totalmente vitreo di tutto. Pare che sia passata qualche entità maligna a rubargli l'anima, per portarsela chissà dove all'inferno.

Inuyasha, vorrebbe chiamarlo, come aveva fatto per l'ultima volta il giorno in cui si erano salutati all'aeroporto. Eppure le sue labbra non si muovono.

"... Ogni giorno vieni qui..." comincia lui, rimanendo ad osservarla immobile, come se stesse guardando qualcosa al di là della sua figura ferma sulla porta.

"...ed ogni giorno ti ripeto sempre la stessa domanda..." se avesse potuto contare le volte, tutte le innumerevoli volte in cui quelle parole le hanno frantumato la voglia di vivere, non avrebbe più possibilità di ricordarne il conteggio. Perchè ogni giorno, quel sentimento che ancora stringe nel petto subisce un nuovo tramonto, che affonda inevitabilmente con quella voglia di piangere che si esimia dal mostrargli.

"Chi sei?" battuta finale, concessa solo e soltanto a lui. Lei però, da brava spettatrice non risponde. Scuote solamente il capo per poi allontanarsi e richiudersi la porta alle spalle. Cosa, che diavolo dovrei dirti? Sono la madre di tuo figlio, sono colei per cui hai rischiato tutto questo, sono la donna che ti aveva promesso che t'avrebbe aspettato. E ho intenzione di mantenere la parola data...

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo I : Mondi distanti. ***


Io e te siamo legati da uno strano destino II - Il patto di sangue.

 

Capitolo I : Mondi distanti.

 

 

 

 

 

 

"Tadaima!" Lo annuncia con una leggera enfasi nel tono, correndo verso la porta d'ingresso con le braccia aperte e distese a mezz'aria come se stesse imitando un aeroplano. "Non correre, ti farai male!" asserisce protettiva la madre, piegando un sopracciglio con un falso rimprovero nel tono. Sorride debolmente, al costatare che nonostante tutto, il mondo di Nekogai sia ancora protetto da una verità troppo scomoda. Lui è innocente, e dovrà rimanere tale sino a quando non giungerà il momento adatto. E' capace solamente ora d'intendere quante cose sua madre le abbia silenziosamente nascosto, mostrandole il sorriso che lei ora dona al figlio.

Questo è il reale peso dell'animo di una madre?

No, il suo è doppiamente peggiore. Un genitore può mentire a fin di bene, nascondendo piccole verità. Lei sta celando a Nekogai l'esistenza di suo padre. Può un tale fardello, aleggiarle così leggero sopra il capo?

Poggia la spalla all'infisso della porta d'entrata, abbassandole in seguito entrambe in modo automatico, come se d'un tratto avesse avvertito un improvviso impatto della gravità sulla schiena.

"Mamma, abbiamo ospiti …" tira la maglia lui, indicando col braccio teso due figure in avvicinamento. Il sorriso di Kagome s'amplia impercettibilmente, come se la vista dell'amica Sango, a poca distanza, l'avesse improvvisamente risollevata di morale.

Un’attesa eterna la sua, dove il rumore di passi che avverte, sembra ovattato a tal punto da non raggiungerle quasi l'udito. Invece è l'avvertire una seconda presenza accanto a lei, carpirla con lo sguardo, che la raggela. La sicurezza che poco prima aveva varcato quasi per scherzo il suo fragile mondo s'è incrinata di nuovo, assieme alla consapevolezza che ci sia anche Miroku presente alla spedizione.

E' come possedere una sorta di ribrezzo verso le cose che le ricordano l’hanyou; anche un oggetto, il più banale, le provoca nausea e angoscia. "Guarda guarda chi non è morta …" comincia lui, rimanendo quasi vago, per poi sollevare il braccio e muoverlo artisticamente da destra a sinistra come uno scimpanzé allo zoo.

"Ah" questo è l'unico suono che è capace di formulare in tutta risposta, lasciando lui palesemente sconfortato dal livello di eccitazione suscitato nella vecchia amica.

"Credo sia lo stupore di vederti in visita con me" subentra prontamente Sango, adocchiando in modo immediato la reazione di Kagome. "Quando non ci sono sederi da toccare, è capace di trasformarsi in un ottimo accessorio da passeggio" la esorta, facendo il verso a Miroku, per poi auto palparsi il deretano.

"Mi vedi davvero come una sorta di maniaco sessuale?" chiede quasi seriamente, ed il che non si associa molto bene con l'espressione sgomenta e mezza offesa che ha assunto ora il volto del codinato.

"Non ti ci vedo... " ribatte lei civettuola, poggiando il capo alla sua spalla, con tanto di batter di palpebre in una brutta imitazione di Bambi. I tratti del viso di lui si distendono, tonando rilassati e quasi pieni di premura nei confronti della consorte, perlomeno quando non sente il sedere preso d'assalto da un pizzicotto ben assestato.

"Ahio! Chi è che poi ha la mania di palpare?"

"Devo rilevare una cosa fondamentale. TU sei mio marito e posso, la commessa del supermercato NON è tua moglie, quindi non puoi martoriarle il fondoschiena!" ribatte con una sorta di vena pulsante sulla fronte.

"E se d'un tratto divenissi poligamo?" estrae una carta per lui sicuramente vincente, mostrando un ironico quanto smagliantissimo sorriso di rimando.

"E se d'un tratto decidessi d'evirarti?" touchè. Lui indietreggia coprendosi i gioielli con una faccia cosparsa di puro terrore, lei è sempre in grado di concludere l'arringa a suo favore, e di batterlo in qualsiasi fronte. Sarà per questo che l'ha sposata? Che donna ragazzi, che donna!

Kagome, in tutto questo, è rimasta a fissarli allibita, poi sconcertata, quasi divertita e infine notevolmente demoralizzata: due persone messe K.O. in un solo round, complimenti Sango!

"Ka... Kagome... " comincia lei imbarazzata, dando uno scappellotto - chissà poi per quale recondito motivo - dietro la nuca del povero marito, sin ora rimasto perfettamente imbalsamato da bravo stoccafisso.

"Io cosa c'entro?" risponde, volgendosi di scatto verso la mano più veloce di Tokyo, dopo la sua con i sederi, ovviamente. Inarca le sopracciglia in una sorta d'inespressivo disappunto, prima che gli venga pestato pure il piede, costringendolo ad improvvisare una macarena un po' bizzarra davanti all'uscio di casa Higurashi.

"Zitto! Tu c'entri sempre!" ed ecco come le donne sono sempre capaci di scaricar barile sugli uomini, dura e triste realtà.

Nekogai nel frattempo s'è goduto la scena da dietro la gamba della madre, e si chiede, mentre gli adulti discutono animatamente, il buffo significato della parola 'evirare' che userà sicuramente l'indomani a scuola. Quando s’imparano nuove parole, c'è da vantarsene! Sicuramente, conoscendo un termine così difficile, diverrà molto popolare tra i compagni.

"Io l'ho sempre detto che Dio li fa poi li accoppia" la padrona di casa solleva un sopracciglio, portando entrambe le mani sui fianchi come se stesse rimproverando due mocciosi. Non dovrebbero essere adulti loro due? Sospira, in chiaro segno d'arrendevolezza. "E' strano vederlo in giro con te... " piega il capo, sorridendo d'occorrenza.

"Sì, sono una sorta di cane da passeg... cough!" questa volta, diritta tra le costole, Miroku riceve una bellissima gomitata a moviola, con tanto d’insulti d'ogni sorta e colore tirati dietro. Kagome abbassa semplicemente le mani sulle orecchie del figlio, per impedirgli d'udire il fornitissimo vocabolario da scaricatrice di porto di Sango.

"Tu sei un beep, non capisci né capirai mai un emerito beep, chi ti ha partorito una beep? Quando hanno distribuito i cervelli, tu eri in bagno a beep? Dimmelo razza d’idiota! (la parola meno oscena di tutta la frase, per intenderci) ".

Oramai non c'è più nulla da dire, quando la sterminatrice di bon ton comincia i suoi sermoni, non finisce più. "Sango! Smetti di recitare rosari davanti alla mia porta, i vicini potrebbero pensare male di me, ed inoltre, se dice la parola “cane”, non cado di certo in depressione …" incrocia le braccia al petto, sospirando oramai per la quindicesima volta.

"Volete entrare, o desiderate passare il giorno ad insultarvi?" concisa, diretta, e inattaccabile. Questo è il segreto di una donna che gestisce una famiglia!

I due annuiscono all'unisono, ponendosi in fila come soldati per marciare all'interno della casa sotto lo sguardo omicida di Kagome. Alla faccia della donna addolorata.

 

Tutto è rimasto come allora, il salotto, gli interni, nulla pare essere stato sfiorato dal tempo in quella casa. Ogni qualvolta si posa lo sguardo sulle fotografie che pullulano in casa Higurashi, paiono sempre, millimetricamente disposte nello stesso identico ordine di qualche anno prima. Sango prende in mano una cornice, osservandone l'interno, dove ritratti, vi sono i volti di loro tre soltanto. Pare che la foto sia stata tagliata in un punto, quasi a voler identificare che la persona presente allora non debba più far parte dei ricordi di quella casa. Lo sguardo le si rabbuia, quando s'intenzionerà a provare a dirgli tutto? Per quanto tempo ancora terrà Inuyasha sigillato in quella stanza, come fosse un mostro?

Lo sguardo vola a Miroku ora, che s'è fermato ad osservare la stessa foto per lunghi istanti, senza proferire parola, tenendo lo sguardo puntato sulla parte d'immagine rimossa. "..." è serio, eppure non traspare null'altro dal volto contratto ora in una smorfia. Dovrebbe esserci dolore dipinto nel riflesso che ora quei sorrisi stampati e passati, riflettono nelle iridi bluastre? C'è stato, così tanto strazio nel suo corpo, da apparire oramai come indolenza. Quasi distacco. Saperlo lassù, a pochi passi da loro e non poter varcare la soglia dove giace per dirgli semplicemente di non fumare come una ciminiera, o di non prendere a cazzotti mezzo mondo per difendere il suo fottutissimo orgoglio. "Non ricordavo d'averla fatta" unico commento gelido che sfugge alle sue labbra, prima di prendere in mano la cornice da quella di Sango, e riporla con irritazione sul ripiano che la ospitava poco prima.

"Non toccare cose non tue" ecco, ora c'è una tonalità differente nel timbro del codinato, che viene profusa quasi con rabbia malcelata. Perché ha cancellato ogni traccia di lui, come se non fosse mai esistito? Per quale assurdo motivo lo sta nascondendo al mondo, come se avesse commesso un omicidio? Inuyasha è vivo, ed è là! Stringe la mano, sino ad imbiancarne le nocche all'interno, sino a quando non viene afferrata e brandita da quella di Sango, che ne carezza il palmo quasi con ossessione.

"Ti avevo detto di non venire" sussurra, imponendogli sangue freddo al momento.

Gli occhi di lui chiedono comprensione, che probabilmente non arriva, dacché Kagome varca la soglia con bevande di ogni sorta per interrompere il silenzio dei fastidiosi ricordi.

"Sono felice che siate venuti, non me lo aspettavo" sorride, finalmente, quasi rilassata in viso. La mano di Miroku si apre lentamente, come se il volto disteso di Kagome fosse la risposta alle sue domande interiori. Ha un figlio da proteggere dalla storia del patto di sangue, e forse è lei, più di tutti quella che soffre per essere dovuto ricorrere ad una soluzione così drastica.

"E' una visita di passaggio... " risponde l'amica, raggiante, alzandosi in piedi e buttandole le braccia al collo come i vecchi tempi. Lei ora ha bisogno di loro due, saranno le carte disposte in tavola a decidere le mosse che compirà il destino.

C'è qualcosa di diverso nella stanza. La padrona di casa si è accorta che la cornice è stata spostata, ed il sorriso, quasi come fosse posseduto da un incantesimo, si dilania in un istante.

"Ho dovuto farlo... Nekogai non sa... " si blocca, ed ecco che i sensi di colpa tornano a divorarla famelici. E' stata colpa sua, è stato un errore, ha spezzato un equilibrio perfetto, sia per lei, che per loro. "Lo sappiamo, non è colpa tua. Ssh" Sango la rassicura, ma come potrebbe evitare di nuovo quel dannato ricordo? Se solo non ci avesse provato, se solo si fosse data pace, allora...

 

"Okaasan?" la voce del microbo si fa udire tra sensi di colpa e isterie adulti, un richiamo innocente, che coglie immediato l'attenzione dei tre interlocutori nella stanza. Lo fissano per qualche istante, come se al momento Nekogai rappresentasse il quarto elemento del gruppo, colui che manca. Lo tradisce semplicemente la dimensione ridotta del corpo, e la tonalità vocale un po' troppo bassa perché sia quella del padre. "Perché non vai a giocare di sopra?" viene dileguato con una facilità disarmante, tant'è che le piccole feritoie degli occhi si abbassano a mezz'asta, nascondendo le iridi chiare vibranti di delusione. Per quale motivo non gli è concesso di prendere parte a discussioni che per gli adulti, non sono adatte ad un bambino? Non è più un moccioso maledizione. Ha sette anni oramai, si sente abbastanza grande da poter capire di cosa discutono gli altri. La madre però, non sembra essere della stessa opinione.

"Si, andrò a trastullarmi con i miei pupazzi... sono un bambino in fondo, no?" ribatte seccato, ed è proprio in quel tono così perentorio e pungente che ora non c'è alcun dubbio su di chi sia figlio.

"Nekogai... " un sussurro, prima di volgere lo sguardo altrove e lasciarlo andare. Non lo tratterrà, non può farlo, ha bisogno di sfogarsi con Sango; ha la necessità di ritrovare un ritaglio di tranquillità in tutto questo.

 

Procede spedito, col piccolo corpo che trema di rabbia ora. Non è un ragazzino, non desidera essere trattato come tale. I pugni sono stretti lungo i fianchi ora, mentre ripercorre a ritroso la scalinata che porta alla sua stanza. Quant'è lungo quel corridoio illuminato solo dalla finestra che vi giace in fondo? Osservarlo attraverso i riflessi inconsistenti dei lacci di sole che si frappongono tra lui e quella porta, gli provoca una qualche inquietudine interiore. Si ferma di nuovo dinanzi ad essa, attratto da quell'inconfondibile odore così simile al suo.

"... " Avrebbe voglia di chiedere spiegazioni, di parlare col mostro che giace dietro quella porta, per chiedergli se sembra davvero un moccioso, se anche lui lo vede come tale. In fondo gli alieni, o checchessia, sono capaci di scorgere attraverso le porte con meccanismi avanzati no? Lo avrà pur visto.

Curiosità di sapere chi c'è lì dietro. Nuovamente s'affaccia il desiderio recondito d'aprire quel mondo alternativo, che potrebbe separarlo da qualsiasi cosa. Prende un respiro immenso, sua madre non lo vedrà, è impegnata in discorsi da adulti, e lui deve sapere.

Si alza in punta di piedi verso il pomello, traendo verso di sé la superficie di legno che funge da ultimo ostacolo alla vista. La porta si apre...

Trattiene il fiato per qualche secondo, sommerso dall'immensa quantità di luce che proviene dalla stanza vuota, è come se ne fosse inondato assieme a quell'odore che ora vibra forte nell'etere.

"... Oh" è tutto ciò che riesce a dire, non muove un passo, si limita a rimanere a bocca aperta dinanzi a colui che sembra il suo riflesso più adulto. Le palpebre chiuse, probabilmente inabissato in un sonno profondo, col capo semi flesso sulla destra, seduto come un imperatore sul trono di quel minuscolo regno fatto di quattro mura.

Gli occhi spalancati e pieni di eccitazione del bambino tremano, è incatenato al suo posto da una febbrile paura. Che quella stanza sia lo specchio del suo futuro? E' lui da grande?

Perché sua madre gli avrebbe nascosto qualcosa di così magico?

Lo studia, da lontano, prendendo finalmente coraggio per raggiungere la posizione di quel gigante con le orecchie canine facendo attenzione a non svegliarlo. Eccoli, ora sono l'uno dinanzi all'altro, riflessi perfetti, in dimensioni differenti.

La piccola mano si solleva a mezz'aria, come se volesse aggrapparsi a quel sogno che presto svanirà, poi si blocca, così come il respiro, quando le iridi vitree di Inuyasha si spalancano sulle sue come finestre di nulla.

"Chi sei?" è la voce dell'altro giorno, e dunque questo conferma la tesi che sia stato lui a parlargli dall'altra parte della porta. Le piccole orecchie del figlio si abbassano, così le palpebre, in un moto di autodifesa da un possibile attacco. "N...non volevo svegliarti" guaisce piano, mentre trattiene qualche lacrima di frustrazione.

"L'hai fatto, chi sei?" ripete l'altro, incurante delle scusanti del più piccolo. Lo fissa, in modo ossessivo quasi, mentre una forte emicrania comincia a farsi avanti tra le spire della mente.

Solleva una mano sulla fronte, come per spezzare la tensione della vista.

Chi è quella nuova persona che gli somiglia? Cosa ci fa là? Non avrebbe dovuto esserci quella donna al suo posto?

Il mezzo demone più grande si sposta in avanti col busto, raggiungendo l'altezza di Nekogai.

"Mi somigli... sei forse un'allucinazione di qualche mio ricordo?" piatto il tono, fermamente inflessibile nella richiesta.

"No, io sono vero. Sei tu che sei un'illusione, credo" risponde naturalmente l'altro, ed è ciò che provoca un'altra scarica d'adrenalina lungo la schiena del 'fantoccio demoniaco' che ha di fronte.

Lui è un'illusione? Non esiste in quel luogo, e forse non è mai esistito?

"Credi sia così?" chiede ora, con estremo bisogno di conoscere altre risposte. In tutto quel tempo, nessuno gli ha mai rivelato nulla, nemmeno la donna dagli occhi scuri gli ha mai rivolto verbo. E' la prima dichiarazione che ha su di sé.

"Non lo so... sono un bambino" emette timidamente, in un broncio, il piccolo, muovendo un passo indietro.

"Qual è il tuo nome?"

"Nekogai"

Il mondo si ferma per un istante. Uno scatto improvviso, Inuyasha lo prende per le spalle, stringendole ossessivamente con rabbia. "Chi sei? Perché mi fai male alla testa? Perché mi hai fatto tutto questo? Rispondi dannato gattaccio!" perché... ha detto quella frase? E' evidente che dinanzi a lui non ci sia un felide, non ha la forma demoniaca di un gatto, e allora perché l’ha appellato con quel suffisso?

"M... mi fai male, e ho paura di te. Lasciami!" mastica tra le lacrime l'altro, che viene rilasciato quasi immediatamente, sotto lo sguardo scioccato del padre che rimane a fissare un punto impreciso della stanza.

"Vattene" pronuncia secco, ricadendo in ginocchio su se stesso, come se avesse ricevuto un colpo diretto alla testa. Le mani si spostano sulle tempie, ed è come se attorno a lui crescesse il fomento della rabbia. Nekogai indietreggia, spaventato, chiamando a gran voce sua madre tra i singulti del pianto.

"VATTENE! VATTENE! VATTENE DA QUESTA STANZA MALEDETTO!" le urla di Inuyasha raggiungono il piano inferiore, mobilitando i tre presenti a correre in soccorso al bambino, seduta stante.

Ciò che Kagome apprende sulla porta è spaventoso. Si sono incontrati, e suo figlio sta piangendo.

"Nekogai, Nekogai vieni da me!" lo incoraggia la madre, accogliendolo tra le braccia per calmarne i tremori, mentre lo sguardo va ad Inuyasha, col capo piegato sino al suolo che si contorce negli spasmi della sua stessa agonia. Quale spettacolo più doloroso al quale dover assistere impotente?

"Non piangere" lo rassicura, mentre Sango e Miroku tentano di avvicinarsi al mezzo demone che sosta al centro della stanza.

"Non avvicinatevi a lui! Si calmerà da solo, uscite semplicemente da questa stanza!" intima, mentre i due coniugi si fermano di schianto, all'avvertimento, rimanendo semplicemente a contemplare la figura dell'hanyou.

"Perché devi lasciarlo soffrire in questo modo? Non c'è modo che recuperi la memoria, cazzo? Come puoi chiedermi di lasciarlo così? DIMMELO, COME PUOI CHIEDERMELO?" è Miroku a parlare ora, che non ascolta il consiglio della donna, avvicinandosi al vecchio amico per sostenerlo come un tempo.

"Inuyasha!" la mano di Kagome si solleva a mezz'aria, per poi scivolare davanti alle labbra come se avesse gridato una formula magica proibita. Quel nome... non avrebbe dovuto menzionarlo di fronte a lui.  La sofferenza dell'hanyou pare interrompersi improvvisamente, mentre risolleva confuso lo sguardo prima su Miroku, e infine su Kagome.

"Cos'hai detto?" ha intenzione di farselo ripetere, quel nome, ha avuto una sorta d'effetto a boomerang sulla memoria. Sa di conoscere quella parola, l'ha già udita, vuole sentirla di nuovo.

Kagome si sposta, alzandosi repentina, per abbandonare Nekogai di fianco alla porta, prima di intimargli di uscire immediatamente dalla stanza assieme agli altri due.

"Non venirmi a dire cosa devo o non devo fare, so io cos'è meglio per lui, Miroku. Esci da qui!" è imperativa, come mai lo è stata in vita sua forse. Nessuno, nessuno all'infuori di lei può guardarlo in questo stato, che non si azzardi nessun altro ad entrare di nuovo in quella stanza.

"Sango, porta con te Nekogai, ci penserò io qui" continua, rivolgendo solo in seguito uno sguardo astioso all'ex migliore amico del compagno, sapeva sin dall'inizio che la sua presenza avrebbe portato solo scompiglio. Che disastro!

 

Un'ora di quiete, nel silenzio, mentre gli animi sono immersi nella follia pura e tentano di ritrovare qualche tassello di tranquillità. Il mezzo demone s'è calmato, senza tuttavia alzarsi dal pavimento sul quale ancora è riverso.

Kagome è rimasta poco più in là, in piedi, con la chiara intenzione di non concedergli alcun contatto che possa fargli del male.

"Chi è, Inuyasha?" solleva le iridi vuote su di lei, in silenziosa attesa di una conferma. Come può rivelargli il suo nome, se ciò potrebbe significare perderlo per sempre? "Nessuno." prorompe atonale, come se si fosse imposta un distacco gelido con lui.

"Capisco" tenta di risollevarsi, ma il corpo è assai debole per potersi muovere in modo autonomo. E' da tanto tempo che non si alza da quella seggiola, e ora che d'impatto si era deciso a farlo, sente d'aver chiesto aiuto ad ogni energia disponibile.

I passi di Kagome si allontanano, deve uscire da quella stanza, non regge.

"Ehi... " la richiama, con quel tono di voce che aveva un tempo, con la stessa impostazione irritata nel timbro. "Non ti basta tenermi chiuso qui dentro? Vuoi che io rimanga disteso così per sempre?" domanda ironico, ha recuperato in parte, quell'appellarsi alla gente in modo totalmente accusatorio. E questo è come una spina nel fianco per lei, che ha deciso di non rivelargli più del dovuto.

"Perché... non chiedermi questo, non posso toccarti" solleva una mano di fronte alle labbra, per celare il tremore della voce che ha preso il posto di quello fermo di poc'anzi.

"Soffro di qualche malattia incurabile?"

"No"

"Allora fallo" è sempre stato così, da quando l'ha conosciuto. Inflessibile in ogni sua richiesta, anche quando doveva mettere da parte l'orgoglio, qualsiasi fosse il motivo, appariva sempre sotto forma d'ordine insindacabile. Sia prima, che ora.

Lei chiude gli occhi, muovendo un altro passo in avanti, mentre il battito le si frammenta nel petto come vetro. Non può, è una regola del patto di sangue, ogni contatto, ogni ricordo, ogni cosa che possa ricondurlo a quel pensiero lo ucciderebbe.

"Farò in modo che tu non debba toccarmi direttamente, ma non posso rimanere così, mi capisci vero?" continua secco. Più la sua voce la chiama, più la ferma condizione di lei si spezza.

Da quanto non sente il suo odore da vicino? Non ricorda che sapore abbiano le sue labbra, non ha reminiscenza di che consistenza abbia, non ha più alcuna certezza che lui sia un corpo di carne ormai.

"Va bene" asserisce, volgendosi e tornando indietro, per cercare un punto d'appoggio da concedergli in modo da non toccarlo. Giusto, basterebbe avvicinare la seggiola alla sua posizione.

Un passo, che si tramuta in una posa statuaria, quando la mano di lui afferra la sua, creando il contatto proibito.

"NO! Avevi detto che non mi avresti sfiorata!" prorompe lei, mentre la mano di lui si stringe alla sua. Ha una consistenza ora, mentre il sentore della pelle del palmo le dilania ogni schema mentale imposto. Sentire, o anche solo percepire in minima parte quello che aveva rimosso volutamente con tanta fatica, è veleno. Una lacrima, due, mentre le iridi scure si abbassano ad incontrare le sue.

"Ne ho avuto il bisogno, non chiedermi il motivo" la risposta di lui sembra non avere senso, ma a quanto pare l'incontro con Nekogai ha risvegliato parte delle sensazioni che aveva dimenticato.

E' deleterio tutto questo per lui, può percepire e non ricordare, è peggio di prima, maledizione!

Si solleva all'altezza di lei, lasciandole poi la mano. "Non ho bisogno d'altro" conclude infine.

C'è, tra loro due, una sorta di spazio indefinito che li divide seppur siano così vicini. E' come l'avere dinanzi qualcosa d'intoccabile, che potrebbe sfiorare e raggiungere in un passo soltanto, ma non le è consentito.

"... " Lei tenta di ribattere, ma niente, dalle esili labbra non scivola alcuna parola. Solo lacrime copiose lungo le guance, le stesse che ha represso per così tanto di fronte a lui.

"Ti ho fatto male?" chiede l'hanyou, con una sorta d'ingenuità che non gli è mai appartenuta sul serio, che è solamente il risultato del suo non esser più se stesso.

"Forse mi hai graffiato con gli artigli, ma non fa niente. Mi medicherò" mente. Un'altra bugia. Per quanto ancora dovrà costellare il proprio mondo di menzogne?

Le da di spalle ora lui, annuendo semplicemente, per dirigersi infine verso la finestra a fatica, laddove giace la sua postazione eterna. Il trono di un fantoccio.

Kagome non riprende a camminare, s'è fermata ad osservargli le spalle, come se in un qualche modo, quel semplice gesto potesse guarirlo. Lo sguardo vagheggia dal poggia schiena della seggiola sino ai crini lunghi dell'altro, soffermandosi in ultimo sul panorama al di fuori della finestra.

Che cosa vedono i suoi occhi, sempre fissi nello stesso punto? Non ha mai smesso, per tutto il tempo, ogni giorno, dopo il patto di sangue, d'osservare muto qualcosa d’impreciso e di lontano.

"Il Goshinboku" è un flebile suono che gli esce dalle labbra, e che evidentemente il fine udito dell'altro carpisce immediatamente, dato che le orecchie sulla testa compiono una rotazione impercettibile.

Si chiede perché, tra tutto, si sia proprio soffermato nel contemplare quell'albero. Non vi sono ricordi particolari che dovrebbero legarlo al secolare; e allora, per quale motivo è proprio quello il dettaglio che cattura la sua attenzione?

"... Chi sei?" Ha ricominciato a chiederglielo, di nuovo, ma lei non risponderà neanche questa volta. Si risveglia solamente dal torpore improvviso, unendo le mani al grembo come una silenziosa ancella, per allontanarsi da lui, da quella stanza che improvvisamente è divenuta troppo piccola perché contenga tutto il dolore che vi aleggia dentro.

Vorrei che ci fosse un modo Inuyasha, per tornare indietro e impedire tutto questo ...

Lo aspetterà, attenderà il giorno in cui il patto di sangue sarà finalmente sciolto, anche se questo dovesse significare rimanergli accanto come sconosciuta.

Chiude gli occhi, concedendosi di ispirare pienamente il profumo di lui sino in fondo, per tenerlo con sé di notte, come fa ogni giorno.

Raggiunge la porta, guarda indietro per un’ultima volta e poi si allontana, richiudendosela alle spalle.

Lui ha atteso che lei se ne andasse per volgere l'oro degli occhi di sbieco. Solleva la mano, aprendone il palmo, come se avesse afferrato qualcosa nell'etere. Chiude la mano e la stringe, abbassandosela verso il petto.

E' una sorta di abitudine che ha principiato da quando s'è risvegliato senza memoria. Ogni sguardo, parola, respiro di lei è qualcosa da dover afferrare e riporre nell'animo come ricordo. Non lo fa con coscienza, è un gesto automatico che il corpo compie, come se fosse costretto.

Chiude gli occhi, inarcando le sopracciglia per disporre i gomiti sui braccioli e incrociare le mani sotto il mento. E' come se attendesse qualcosa, spiando il mondo nel suo silenzio.

"Quando avrai intenzione di mostrarti? Ti sento, anche se ti nascondi" le labbra si piegano in un sorriso sghembo, di quelli ricolmi d'astio e ironia al contempo. Le palpebre si riaprono d'impatto sul nulla, tornando a fissare il ramo del Goshinboku come se sopra di esso vi fosse qualcosa ... o qualcuno.

"Non sono un comune mortale, anche se non ti vedo, ho la capacità di percepire la tua presenza da metri di distanza. Attenderò anche in eterno che tu decida di mostrarti, smettila con questo gioco idiota, anche se non fai parte di questo mondo, riconoscerei il tuo odore nauseante anche tra mille secoli... ". E si squadrano, seppur Inuyasha non ne sia consapevole, anche l'altro lo sta guardando, col medesimo sorrisetto di lui dipinto in volto. Oro contro cremisi ora.

Presto cagnaccio, ma sappi che quando sarai in grado di vedermi, significa che sarà scoccata la tua ora.

 

 

[i]



[i] Tadaima : Letteralmente “sono a casa”. Viene utilizzato in Giappone per riferire ai familiari e/o coinquilini il ritorno dell’interessato.

Okaasan : mamma, in modo formale.

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo II : La sostanza dei sogni. ***


Io e te siamo legati da uno strano destino II - Il patto di sangue.

 

Capitolo II :  La sostanza dei sogni.

 

 

Sono questi i ventuno grammi dell’anima?

Quando pare che il male risalga improvviso dall’inferno, iniettandosi nella vita come un veleno, dolcemente, senza che ce se ne accorga; poi d’un tratto ci si ritrova soverchiati dal dolore in modo inevitabile, ed esso come una gramigna s’allaccia all’anima stretto, privandola del suo peso, pezzo dopo pezzo.

Vuoto, questa sarebbe sicuramente la facciata più visibile della sua essenza. Un deserto incolmabile, rimasto prosciugato da ogni oasi.

Avrebbe voglia di chiedersi cosa, effettivamente, nella sua vita sia stato così sbagliato da privarlo dei ricordi. Per quale motivo, ogni qualvolta si specchia sui vetri appannati della finestra a lui dinanzi, non scorge che algido rammarico? E’ l’unica sensazione rimastagli viva in corpo, accesa come la stessa fiamma che un tempo ardeva incontenibile negli occhi d’oro. Ha mai avuto espressione, quello sguardo spento che gli riverbera davanti? La mano si solleva sulla fronte, scivolando in una retta precisa sul volto sudato. Avrebbe voglia di distruggere quello specchio limpido di sé, per scrutare dall’altra parte del vetro e provare a spiarne oltre; riuscirebbe ad afferrare qualche memoria all’esterno?

L’immagine del suo riflesso somiglia ad un mostro. Un abominio, reso in graziosa forma dal solo fatto di possedere quel paio di strane orecchie sopra il capo. Perché sente d’aver già incontrato, in passato, questa sensazione di disagio?

E’ un guscio protettivo la stanza in cui si trova, probabilmente, se mettesse anche solo un piede fuori, il mondo lo divorerebbe senza pietà. Il palmo ora si ferma sotto lo sguardo, aprendosi pienamente. Poco più un basso, sul polso, si dirama un’ampia cicatrice che termina dopo qualche centimetro. Ha forse qualche significato quell’antica ferita?

Ringhia, lo fa con prepotenza, come se una radice del suo previo sé fosse tornata ad attaccarglisi al tronco della consapevolezza prontamente. Ecco un altro sintomo della sua forma demoniaca.

Cos’è stato quel rantolo di poco fa? I cani latrano, non gli esseri umani. In uno scatto solleva di nuovo gli occhi verso il suo riflesso …

“Cosa sono, io?” le palpebre si spalancano, mentre le pupille si riducono allo scontrarsi con un filo di luce esterna. Una mossa sbagliata, dacché il capo comincia di nuovo a pulsare dolorante.

A ogni frammento di ricordo, le sinapsi subiscono un collasso immediato. Nel suo status attuale, se fosse sottoposto ad un elettroshock, subirebbe sicuramente meno danni.

D’un tratto, è come se al suo interno, memorie e vita attuale entrassero in pericoloso conflitto, costringendolo a piegarsi in avanti per tamponare con entrambi i palmi la fonte del malessere.

Un tonfo sordo, mentre le ginocchia abbandonano la seggiola per cadere sul pavimento. Com’è possibile che sia così debole? Da cos’è dovuta questa sua fiacchezza?

E’ mai stato forte, in realtà?

Sono una spanna sopra gli altri.

Voci, che si sovrappongono, delirio, lo scardinarsi di certezze frammentarie. Vuoto. Solo immenso, ed insostenibile nulla.

Cattura una consistente quantità di respiro, per poi rigettarla come fumo nell’etere circostante. Ha bisogno di fuggire da questa realtà insulsa, di aggrapparsi ad una sola, reale certezza che non lo conduca alla gogna.

Sei un’illusione.

“Non è così! Non è così!” esiste. Lo grida, mentre il corpo, esausto, ricade interamente sul pavimento immobile, piegato in posizione fetale con le orecchie schiacciate sul cranio.

Sei un mostro, sei senza ricordi, sei inutile.

“No! Dannazione, non è vero!” negare, perpetuare una realtà della quale nemmeno lui è sicuro. E’ giusto auto convincersi d’essere qualcosa, se non se ne hanno fondamenti?

“E’ così divertente osservarmi nella follia, vero? Non ne hai avuto abbastanza, non è così? Dammi ciò che cerco!” solleva un braccio, aggrappando la mano al davanzale. La richiesta è tutta per te, sì, proprio a te che lo osservi senza dir nulla da quel ramo, e dondoli la lunga coda come fosse un pendolo che scandisce gli attimi della sua vita. E’ delizioso vederlo brancolare nel buio, non è così?

Ridammi la mia vita …

Quella stanza, impietosamente grande che rinchiude come una gabbia d’oro i suoi lamenti. Quando avrà fine lo strazio della sua anima?

 

 

“E’ tutto legato al patto di sangue, un solo ricordo equivale all’avvicinarsi della tua fine. Non lo capisci Inuyasha? E’ solo grazie a me, che sei ancora su questo mondo”. La mano artigliata agita un’ampolla, che racchiude poche stille di sangue. Un sorriso sghembo, mentre le iridi cremisi si spostano verso un’altra finestra ora, abbandonando quella precedente. “Non posso far nulla, sono solo un messaggero della morte, io. Sto attendendo un’anima; che sia tua o sua non ha alcuna importanza”. Aspetterà, lo farà per obbligo, perché questa è la sua condanna.

Credi di essere l’unico senza ricordi?

 

 

“Okaasan!” ad un grido di dolore, corrisponde, in altra forma, il gioioso richiamo dell’innocenza, all’esterno, che tenta d’attirar l’attenzione sulla madre sopita. Alla sua destra Sango, al fianco di Miroku, che non se la sono sentita di abbandonare la donna in quelle condizioni.

Il bambino saluta da lontano, solo la migliore amica della madre risponde al gesto, in un debole saluto; portando poi l’indice dinanzi alle labbra per intimargli silenzio, sorridente, ad indicargli che Kagome sta riposando.

“Sei stato duro con lei” comincia, piano, per non farsi udire, in corrispondenza del marito. Lui si limita a cambiare la direzione dello sguardo, in un’intima disconnessione col mondo.

Cobalto che si alza verso la volta, scontrandosi con una tonalità più chiara della sua. E’ così, ha esagerato forse, ma come sarebbe potuto rimanere indifferente dinanzi alla vista d’una parte di sé, caduta in rovina?

Oh sì, quel mezzo demone era, un tempo, e forse lo è tuttora, un tassello di se stesso inamovibile. La sua assenza equivale ad una parte d’animo rimossa. Lo scontro di poc’anzi, con quelle iridi brulle che per nove anni, avevano invece posseduto, in forma differente, una vitalità incontrastata; è stato come ritrovarsi improvvisamente senza aria. Inuyasha ha sempre avuto con sé una sorta di energia che in ogni caso, che fosse arrabbiato, triste, depresso, felice, eccitato: si trasferiva automaticamente in qualsiasi persona gli si trovasse a poca distanza.

Soprattutto per lui, quella sua vita, celata spesso al di dietro d’una corazza spessa, è sempre stata empatica. Amicizia, condivisione, o semplice sorreggersi a vicenda, non v’è mai stato un attimo nel quale non avvertisse quell’essenza simile al fuoco.

Ora non arde più. Sposta la mano sopra le palpebre per massaggiarsele, quante volte ha evitato di lasciarsi scappare quell’umanità che tanto l’ha sempre segnato? Piangere, diceva l’altro, è sinonimo di debolezza.

Per questo non piango mai.

Una stupidaggine. Sango lo ripete quotidianamente. Per quale motivo, però, s’è sempre imposto di non farlo per non tradire l’hanyou? Perché le sue parole, d’una forza travolgente, seppur concise e semplici, avevano un trasporto incomparabile. Non vorrebbe che fossero versate lacrime per una sua debolezza, perché lo sa, sente sin dentro le ossa che per Inuyasha questa sua perdita di memoria, non corrisponde ad altro che ad una temporanea infermità.

Chi, tra i due, lo è di più?

Il palmo si apre completamente, coprendo l’intero volto; mentre il busto si reclina in avanti sopra le gambe. “Lui è più forte di me, Sango” sussurra breve nel tono, che quasi subisce un’impercettibile inclinazione. Non cederà, non piangerà per lui, perché non è ciò che vuole.

La consorte lo osserva, portandogli una mano sulla schiena per carezzarla amorevolmente. “Credere ciecamente in qualcuno, significa essere deboli?” lo sguardo del codinato si alza, tra le dita, per guardarla da dietro la mano in un misto di sorpresa e sentito ringraziamento. Ecco, forse è per questo che l’ha sposata dopotutto. Comprensione. Un inguaribile dongiovanni come lui, come avrebbe potuto sperare di trovare una donna che sopportasse giornalmente le sue scappate d’ingegno?

Lei, l’unica disposta a farlo nonostante lui sia così. Prende un grande respiro, sforzandosi di sorriderle come meglio può, Kagome non ha bisogno di questo, non di gente che delira depressione attorno a lei.

Lo sguardo va a Nekogai ora. Quel piccolo corpo, recinto da più segreti di quanti ne sia realmente consapevole, protetto da un volere più grande del suo stesso destino. Quante volte sua madre ha pianto la sua nascita? E quante altre s’è maledetta d’aver pensato di non volerlo?

Ne segue i movimenti, mentre si muove libero sul cortile di casa Higurashi, correndo a perdifiato ignorando il dolore delle gambe sbucciate, dei gomiti feriti e dei graffi provocati dal gioco. E’ un bambino, e come tale deve permanere nell’innocenza che gli appartiene. Maledirlo solo per avere lo stesso volto di suo padre? Incolparlo d’essere la causa, non voluta, del suo stesso sacrificio?

No.

Sorride, poggiando il mento al palmo, per godere dell’immagine di serenità che profonde quell’hanyou nella sua piccolezza.

 

Kagome riposa sotto il portico, e il suo volto dormiente pare screziato d’una tranquillità assorta ora. Consumata dalle lacrime che ancora, asciutte, le marcano le guance rosee, sorride, chissà perché poi, nel sogno, mentre qualcun altro dall’alto della medesima posizione, da due angolature differenti, la osserva in silenzio, senza sapere chi lei sia, o che cosa c’entri col suo destino.

Il mezzo demone, che col volto immerso tra le braccia ne segue ogni movimento, dalla sua finestra, dal suo mondo inarrivabile.

Il demone, appostato sul ramo più alto del Goshinboku, invisibile; le cui iridi, a contatto con la sua figura, cambiano di tonalità, bagnandosi in un pece scuro, che annegano in una calma indescrivibile quando raggiungono il suo volto. Così le labbra, che si piegano da ghigno a sorriso.

Eppure per entrambi, una sola domanda: chi è lei, per sconvolgermi il mondo sino a questo punto?

 

 

“No!” imperativo, deciso a sostenere la sua tesi sino in fondo. Le labbra del mezzo demone s’incurvano in una smorfia risentita, mentre le braccia s’incrociano saldamente al petto in una posa che possa rinforzare il suo diniego.

“Eri in viaggio quando il suo nome è stato deciso, non puoi rifiutarti ora” lei gli da le spalle, mentre alza un sopracciglio con le labbra increspate in un sorriso soddisfatto, no, non la passerà liscia, Nekogai sarà il nome di suo figlio.

“Ho detto di no, e questa non è una richiesta, è un ordine!” le iridi d’ambra si scostano di sbieco verso la compagna, a cercarne la forma del ventre allargato, quasi pronto a sua detta ‘a sfornare il marmocchio’. “Mio figlio non avrà mai il nome di un sudicio felino, soprattutto di quel gatto!” inaffondabile la sua tesi, peccato che Kagome sappia il fatto suo quando si tratta di convincere la sua metà a patteggiare.

“Era il mio migliore amico, se fosse morto Miroku, e prego che ciò non accada mai, ed io ti avessi impedito di donare il suo nome a tuo figlio, cos’avresti fatto?” incrocia anche lei le braccia al petto, muovendo il collo come se lo stesse deridendo ora, è con le spalle al muro, senza dubbio!

“In primo luogo non chiamerei mai la mia prole col nome di un fottuto maniaco sessuale, secondo poi se fosse morto, resterebbe nella tomba e pace all’anima sua, terzo, sarebbe sicuramente migliore del nome di un gatto ad un …” prende una pausa, irritandosi al solo dover pronunciare una frase così idiota “cane…”. E’ come se stessero parlando di un animale domestico, ed il che, risulterebbe buffo da un’angolatura esterna.

Il ragazzino ha le sue carte da giocare, peccato che Miroku non sia proprio l’esempio lampante d'uno stinco di santo, ma usare termini così poco carini rivolti ad un amico, che hanyou indolente.

“Sei proprio uno stronzo! E’ il tuo migliore amico, e non sei tu quello che deve portare in travaglio un demone caro mio, vorrei vederti al mio posto! Nessuna donna sarebbe in grado di reggere calci del genere! Mi sta sfondando la pancia!” gli urla contro, con una sorta di irritazione, probabilmente sintomo della gravidanza, nel timbro. “Dammi almeno questa soddisfazione, razza di sciagurato!”

“Non ti ho chiesto io di rimanere incinta” ribatte lui, in tutta tranquillità, con un solenne sogghigno sul lato destro della bocca.

“Ah! La metti così? Il seme è tuo brutto imbecille! Sei stato tu a combinare tutto questo, quindi, assumiti le tue responsabilità!” è astiosa ora, lo si comprende dal tic che hanno cominciato a muovere le labbra.

“Colpa tua, ci sei venuta tu a letto con me, non ti ho costretto!” scandaloso, ha ancora la forza di negare l’evidenza. E signori, questa è la goccia che fa traboccare il vaso. Miss Higurashi si avvicina pericolosamente al compagno, sollevando entrambe le mani per sbatterlo al muro nel vero senso del termine.

“Devo comportarmi come un padrone fa con un cane, vero? Bene!” solleva la mano, afferrandogli una ciocca di capelli per spingergli il volto a contatto con la pancia. “Sbattici il muso! Bestiaccia!  Se preferisci il giornale, farò di peggio!” e lo preme contro di sé, senza che lui possa ribattere in alcun modo. Non avrebbe difficoltà a spingerla via, o a divincolarsi dalla presa, ma la lascia fare, ritrovandosi a cozzare col naso sulla punta del ventre di lei.

“Mghgmmggmm!” ottima risposta, peccato che non sia stata carpita dalla diretta interessata al momento, troppo impegnata a soffocarselo contro.

“Lui è tuo figlio, che ti stia bene o no! E si chiamerà Nekogai, hai sentito? N-E-K-O-G-A-I!” lo grida, stavolta è lei a prendere il comando.

Il mezzo demone si stacca per riprendere fiato, livido di rabbia in volto, per lanciarle dal basso un’occhiataccia truce. Come può, un’insignificante umana come lei, tentare di dettar legge dove lui comanda?

Una mossa furba, forse, quella di Kagome. Nell’istante in cui l’hanyou tenta di ribattere, il piccolo essere dentro di lei scalcia, attirando, probabilmente, l’attenzione di Inuyasha che incuriosito, avvicina l’orecchio, smuovendolo appena contro il tessuto che copre la pancia della donna.

“… Hai fame?” mormora rivolgendosi a lei, prendendo il movimento per un borbottio dello stomaco.

“Idiota! E’ tuo figlio!” reclina il capo l’altro, interrogativo, sollevando l’indice sulla parte dove ha percepito il calcio. “Ohi, sei vivo la dentro? Davvero ti piace il nome che vuole darti questa pazza? Un calcio se ti piace, due se non ti aggrada” Kagome trattiene una risata, che mal cela dietro la mano che si solleva velocemente sulle labbra.

“Non può sentirti! Sei proprio deficiente” tenta di mascherare l’ilarità dietro un falso tono di rimprovero, ma no, tutta pizza e cavoli quel mezzo demone. E’ proprio scemo talvolta, ma proprio ottuso al quadrato!

Un calcio.

Il mezzo demone si solleva, sospirando. “E va bene, tanto qua dentro siete tutti pazzi! Uno più o uno meno, che differenza farà mai?” solleva le braccia, scrollando le spalle per allontanarsi e mettere il broncio. Quello là dovrebbe diventare padre?

Kagome scuote il capo, portando la mano sul ventre.

“Spero che l’intelligenza provenga da me, figlio mio, se riprendi da lui è finita” sospira.

“Hai detto qualcosa? Guarda che ti sento anche da qui, sai?” l’altro pare irritato, ancora più di prima. Le rapisce un altro sorriso.

“Sì, spero proprio che non riprenda da te, almeno in questo”.

 

 

Un ricordo, un sogno, fa differenza? L’onirica sostanza è un luogo nel quale il dolore può essere sostituito dalle gioie passate. Nessuno ha la capacità d’interrompere o interferire con i sogni. Per lei, forse, è l’unico frammento di cielo aperto rimastole, laddove può ancora sorridere senza rimpianto.

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo III: Il dilanio degli schemi ***


Io e te siamo legati da uno strano destino II - Il patto di sangue.

 

Capitolo III: Il dilanio degli schemi.

 

 

Rinuncerai dunque, a tutto ciò che hai conquistato con fatica?

Lo farò.

 

 

Non passa un istante, non quando sono le tre del mattino e distintamente, l’orologio del petto scandisce il battito cardiaco con un ritmo spaventosamente ingigantito dalla pressione del silenzio nei timpani.

Non v’è altro, d’attorno, che possa celarne il martellare incessante. Due giorni, sono passati solamente due giorni dall’unico contatto ricevuto, e il corpo s’è tramutato in una fucina di percezioni contrastanti. Il vuoto intenso della mente ed il colmarsi improvviso dell’animo d’una sensazione sconosciuta, intensa ma anonima.

Quanto raffronto c’è tra lui e quell’immensa stanza?  Quattro mura, un finestrone ed una seggiola. Gli sembra quasi d’abitare all’interno di se stesso, seduto al centro esatto del suo stesso vuoto, laddove corrono a senso unico informazioni e codici binari che non riesce a decifrare. Il tutto scandito, ininterrottamente da un tempo così lungo da non esser più calcolabile.

Perché?

Ogni effimero recesso delle sinapsi richiede a gran voce un brandello di storia al quale attaccarsi per non cadere nel baratro della disperazione. Non di nuovo. Le labbra si schiudono in un sospiro trattenuto, mentre stacca le spalle dal bordo della seggiola per alzarsi in piedi. Un gesto che probabilmente ha perso di significato. E’ costretto a vivere la vita di un vegetale, quando egli non ha alcuna impossibilità fisica. Ha senso possedere un corpo in forze, se non si ha alcuno scopo per poterlo sfruttare? La mano ungulata raggiunge il petto, di nuovo, che brucia corroborante. Pare che voglia consumarlo dall’interno, incendiandogli l’animo.

“Devo andarmene di qua…” un pensiero che si tramuta in verbo. Annegherà all’esterno? Non ha importanza, deve ricostruire ciò che ha perso, prima di smarrire anche se stesso, definitivamente.

Abbassa le palpebre, rimanendo a fissare al di fuori della finestra per lungo tempo. Il disco del sole squarcia la volta, inabissandosi dietro i muri d’asfalto d’una città viva. Ecco cos’è che gli manca, l’essenza stessa.

Le iridi si spostano, disegnando una traiettoria invisibile dalla volta sino ad uno dei rami del Goshinboku. “Non fai nulla, mi osservi e te ne resti immobile come se ti godessi la mia vita ad atti. Non sto recitando per tuo diletto…” già, davvero un ottimo teatrante, uno dei migliori in circolazione probabilmente.

“Continua a farlo per un altro po’, Inuyasha… è così divertente vederti immobile come una statua di cera a fissare il vuoto”.

Una risposta. Si volge, l’hanyou, ispezionando ogni angolo della stanza per trovarvi traccia del suo persecutore. No, non si mostrerà mai a lui, sarebbe una mossa azzardata.

“Facile parlare e nascondersi, è tutto più semplice quando sei uno spettro, non è così gattaccio dei miei stivali?” impreca, sollevando lo sguardo, per muoverlo a destra e a manca nuovamente con circospezione.

“So cosa stai cercando, sai, lo porto al collo. Esattamente al centro del petto, non è divertente?” il tono è derisorio, sì, si sta allietando sulle sue disgrazie, lo sta facendo di nuovo.

“Dammi quella dannata ampolla, e facciamola finita!” si getta in avanti, come se avesse intuito la posizione di chi parla, ma ciò che circondano le braccia, è solamente un accumulo d’etere inconsistente.

“No, no, no! Non funzionano così le regole di questo gioco, tu mi hai concesso qualcosa in cambio di qualcos’altro, e non puoi riprenderti il tuo dono senza riconsegnarmi ciò che ti ho accordato. Vuoi i tuoi ricordi? Dammi tuo figlio.”

Una condensa di suoni, fastidiosi e simultanei carpiscono la mente dell’hanyou, gettandola nella confusione più totale. Figlio, quale figlio? Di cosa dannazione sta parlando?

Bastardo, rognoso e schifoso demente! Ha mantenuto in vita semplicemente i ricordi che riguardano il patto di sangue, in modo che non possa dimenticare ciò che lo lega al suo oppressore.

Al momento, il demone è seduto sulla seggiola occupata poco prima dall’ibrido, ed agita la coda con febbricitante curiosità. Il gomito si piega accanto al volto, che si piega in modo automatico sul polso.

“Non agitarti in quel modo, sappiamo entrambi che ti stai facendo solo del male. Se tenti di ricordare, la tua vita si spegnerà al suo posto. Preferisci morire forse?” è un circolo improduttivo, nel quale non v’è scampo per ambo i giocatori.

“Ti ricorderò il motivo per il quale abbiamo stipulato questo patto, e poi, ti ruberò anche questa memoria. Muori dalla voglia di saperlo vero?”

L’hanyou si piega, di nuovo, convulso dal dolore intenso che la pressione dei ricordi provoca nel cervello. L’altro se ne rimane quieto al suo posto, come se stesse attendendo il terminare dei suoi noiosi spasmi.

“Vediamo, sette anni fa, uno più uno meno; mentre quella che suppongo sia la tua donna, era in dolce attesa, qualcuno tentò di rubare l’anima di tuo figlio. Sì, quel piccoletto che hai conosciuto pochi giorni fa è sangue del tuo sangue, non è commovente? Ebbene, il giorno della sua morte, hai giurato che avresti fatto qualsiasi cosa per riaverlo indietro… ed io, da bravo ascoltatore quale sono, ti ho concesso la possibilità di riaverlo indietro, in cambio della tua vita. C’è stata però una persona che ti ha salvato, o forse condannato, come meglio credi. Quella donna, che chiamano Kagome, mi ha gentilmente suggerito indirettamente che prendere la tua vita non sarebbe servito a nulla. Ed è giusto. Sarebbe stato noioso portarti all’inferno senza prima divertirmi un po’. Ti ho riconosciuto la grazia di vivere vicino alla tua famiglia, come hai sempre desiderato, con l’unica postilla che in cambio avrei rubato i tuoi ricordi. Sei stato tu ad acconsentire, nessuno ti ha fermato. La colpa è di quella donna, se tu ora sei ridotto a dover esistere in questo modo, lo devi solo a lei. Pensa, senza saperlo stai vivendo ciò che chiunque desidererebbe, quello a cui hai sempre aspirato, mezzo demone. Un mondo dove non devi preoccuparti d’essere visto solo per metà, perché c’è chi ti ama per ciò che sei, eppure, non puoi godere di tutto questo perché non sai nemmeno chi siano le persone che ti circondano. A mio avviso, è decisamente spassoso…!” vomita parole su parole, così, con la freddezza ed il sarcasmo calcolati che solamente un demone potrebbe concedersi d’avere. Quello che lui rappresenta, è effettivamente ciò che è in realtà: uno youkai. Morto, ma pur sempre tale.

 

Informazioni, miriadi di suggerimenti che vengono convogliati alla mente e fanno male, hanno un peso così eccessivo da schiacciare ogni coscienza razionale che gravita nel limbo del nulla.

Le iridi si spalancano.

Dolore.

L’intensità del battito cardiaco aumenta vertiginosamente in petto, si dilania, richiede troppo ossigeno che non viene diretto alla fonte. Un filo teso, nel quale come un equilibrista in bilico nel cielo adagia i ricordi, follia, è pazzia che divora la mente impetuosa. La mano si solleva presso il petto, stringendo il lembo della maglia con violenza. Non respira, non respira!

Boccheggia, anela etere che non raggiunge i polmoni e si piega, infine, supino.

“Basta! Non dirmi altro, basta, dannato stronzo!” ringhia, ed è un grido acuto che tuona nel nulla inconsistente della stanza. Lungo la gola risale un rantolo che non viene esalato, preme sulle tonsille come se ne stesse rigonfiando le pareti interne sino a soffocarlo.

“Non temere, tra poco farò in modo che tu stia meglio, dammi qualche altro istante per contemplare questo delizioso quadro impressionistico” formula l’altro, accavallando la gamba destra sull’altra per mettersi comodo, come se sedesse in una platea di teatro.

Le mura della stanza sembrano restringersi, accartocciandosi su loro stesse come per voler inghiottire il corpo del mezzo demone riverso al suolo.

“Se solo volessi, brutto bastard-o …” un filo di voce appena udibile, mentre il volto si risolleva ad osservare il suo antagonista iniettato d’odio, “Potresti uccidermi Inuyasha?” ribatte il demone, piuttosto divertito. Come potrebbe, lui è già morto in fondo, dovrebbe temere una minaccia così poco velata?

Muore.

L’anima, intrisa di veleno lentamente si paralizza, ad uno schiocco di dita del gatto, liberandosi della negatività accumulata.

Cancellazione.

Ogni memoria recuperata viene di nuovo rasa al suolo come per gioco, com’è possibile che lui sia divenuto un burattino nelle sue mani? In quale modo s’è concesso di dover vivere qualcosa di così dannatamente umiliante?

Rimane disteso senza muovere un muscolo, il silenzio che ora troneggia rimanda semplicemente al nuovo niente che s’è creato nella scatola cranica. Le dita si restringono all’interno del palmo, mentre piega le spalle, stringendole per tentare di rialzarsi.

“Guardati … sei così patetico da non saperti nemmeno risollevare in piedi, vuoi forse una mano?” commento puramente ironico quello del demone, le cui iridi si muovono in corrispondenza dei gesti dell’hanyou ricolme di compiacimento.

“Sta zitto …” comincia l’altro, in un ringhio, mentre solleva il braccio a debellare le rimanenze d’umanità che corrono sul volto. Non ha mai pianto in vita sua, e non l’avrebbe mai fatto se l’animo non avvertisse quel senso di mancanza incolmabile che gli stringe lo stomaco ad ogni passo.

“STA ZITTO!” grida, stavolta con più enfasi nel tono, scattando con gli artigli in prossimità dell’aria per tentare di fendere un’entità che nemmeno è in grado di scorgere.

“Hai fatto cilecca. Io sono qui, proprio di fianco a te” un sussurro, dalle labbra del demone che s’è appena avvicinato al corpo dell’altro, in silenzio, sfiorandone il volto con l’estremità della coda per carezzarglielo smargiasso. “Non senti il mio odore? Sono vicinissimo, attaccami, uccidimi e riprenditi il sangue” abbassa una mano in vicinanza del collo, alzandogli proprio sotto lo sguardo l’ampolla contenente l’unico modo per sciogliere il patto. Peccato che lui non sia in grado di vederla.

Lo sente eccome il puzzo di quell’animale, che gli penetra nelle narici come gas nervino, irritandolo più di quanto già non sia. Inarca le sopracciglia per muovere un nuovo attacco in prossimità della voce, carpendo nuovamente, solo aria. “Vaffanculo!” un nuovo grido dettato dalla rabbia.

Dolore, frustrazione, ira.

Sale in fretta, raggiungendo i polmoni quasi a volerli bruciare quel nauseante senso di vendetta che comincia a conturbargli i sensi, in modo completo, mentre le iridi s’arrossano, identificando che la natura demoniaca sta lentamente prendendo il sopravvento rispetto a quella umana.

“Oh, ti stai trasformando? Non lo farei se fossi in te, il tuo sangue è connesso con quello che porto qui dentro Inuyasha, se fai ricorso alla tua forma demoniaca, consumerai più in fretta ciò che rimane del patto”.

Eppure un tempo lui stesso aveva immolato la vita per salvare una delle due che con tanto sprezzo ora, sta stracciando senza pietà. L’assassino del mondo per cui ha lottato tanto, per il quale ha rinunciato molto tempo prima, per lei. Come allora sta ricommettendo l’errore di voler distruggere con ferocia un castello di carte costruito pezzo dopo pezzo, con fatica, con impegno, con desiderio. Gli basterebbe poco per spezzare il filo che connette il mezzo demone al mondo dei vivi, non lo fa per divertimento, puro e semplice svago.

“Non mi interessa!” imponente, imperativo, con gli occhi ricolmi di dannazione ora. Eccolo, il lui demone, senza freni, senza raziocinio.

“Sei uno spettacolo affascinante hanyou, davvero, peccato che il mio tempo da dedicarti sia scaduto” asserisce con sarcasmo, prima di schioccare le dita ed abbandonarlo là, in preda all’orgasmico desiderio di distruzione.

Hai sbagliato a non seguire il mio consiglio, ora, ci sarà qualcuno che pagherà nuovamente. Non sei contento, Inuyasha?

 

Devastazione. L’unica bramosia che rintocca ora nell’animo infiammato. Ha riacquistato e perduto i ricordi in poco meno di un’ora, per di più, le parole dell’altro non hanno fatto altro che risvegliare la parte peggiore di sé. Non v’è più la parola, semplicemente ringhi gutturali a sostituire il verbo tra le fauci aguzze, e il corpo che si avventa contro qualsiasi cosa osi palesarsi davanti a lui.

Ha voglia di uccidere qualcosa, o per meglio dire, qualcuno. L’odore d’umano che proviene dal piano inferiore è qualcosa che invita i sensi a liberarsi della porta che gli ostacola il passaggio, e gli basta una spallata nemmeno troppo ben assestata per demolirla nel vero senso del termine.

E’ ora di movimentare un po’ la situazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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