Era notte, una notte chiara, la luna splendeva,
era la luna preferita dagli amanti e dai poeti, vista da tutti come una musa o un’amica,
in quella piccola parte della Francia coperta dalle campagne e dai boschi, assumeva
connotati spettrali e affascinanti, i muretti che costeggiavano le tortuose
stradine erano illuminati da sottili fili d’argento che sovrastavano i sassi e
i tetti delle case, in lontananza si sentiva solo il fruscio del ruscello, il
vento portava un profumo fresco, di acqua, di bosco, di alberi, la bellezza
pervadeva tutto come in un quadro a tinte nitide che sovrastava il paesaggio,
si sentiva una civetta da uno di quegli alberi vicino al ruscello, il rapace si
stava appostando per cogliere di sorpresa la preda, le sue piume candide
vibravano nell’aria; un gatto miagolava innamorato per la sua gatta che dormiva
in grembo ad un bambino grasso e boccoluto in una minuscola branda della sua
casa.
Nel bosco lì accanto tutto era
stranamente in silenzio, lo rompeva solo uno strano quanto leggero tic tic,
impercettibile quasi di per se ma talmente inusuale che tutto, gli animali e
perfino il vento, sembravano essersi fermati, per prestare ascolto a quella
sinfonia; veniva da una grotta, abbastanza larga, ma tremendamente isolata, da
lì il rumore continuava, costante, tranquillo, tanto che chiunque passando
nelle vicinanze, avrebbe pensato ad un elfo intento a lavorare il metallo, ma
la realtà, come sempre, è più dura della fantasia, specialmente quella, la
realtà di un uomo condannato a morire di fame; era un uomo strano tuttavia, i
suoi poveri vestiti erano lacerati in vari punti, macchiati di sangue qua e la,
e la testa era chiusa in una maschera, troppo stretta intorno al suo collo per
riuscire a sfilarla, ma abbastanza larga per non costringergli il respiro, era
fermata da un lucchetto dorato alla sommità del capo; stava tentando di
liberarsi con tutte le sue forze, le mani sanguinolente, lavoravano alacremente
attorno ai cardini della gabbia in cui era costretto tentando di sfilarli,
erano giorni che tentava, ne andava della sua stessa vita, voleva scappare di
lì, scappare voleva dire essere libero e poter andare in un altro paese,
rifarsi una vita, lavorare, sposarsi e avere dei bambini, voleva avere una
grazia… tentava in ogni modo di togliere il passante e mentre le mani sempre
più malridotte si muovevano, pregava, pregava per il perdono, perché ne era
certo, anche se inconsapevolmente, aveva fatto qualcosa per meritarsi quello
strazio, non intuiva, però le motivazioni dei suoi carcerieri, che invece di
ucciderlo in uno dei modi consueti, avevano biascicato tra loro sul fatto che
il suo sangue non dovesse essere versato in terra da mano umana. In quel
momento l’ultima cerniera cedette, le sbarre con una spinta si aprirono, libero,
uscì all’aria aperta e corse, riempiendosi i polmoni di quell’aria mattutina e
frizzante, trovò un ruscello e ci si tuffò letteralmente dentro bevendo acqua a
grandi sorsate, uscì e si mise a correre ancora, non seppe ne volle sapere mai
quanta strada percorse, sta di fatto che si fermò solo nei pressi di una
fattoria, voleva entrare, chiedere anche solo un pezzo di pane muffito, ma si
fermò, con quella maschera sul viso, avrebbe fatto paura a chiunque, a ben
vedere avrebbe potuto anche buscarsi qualche sassata, decise di attendere
vicino al porcile che chiunque portasse da mangiare.
Poteva anche essere passata
qualche ora, si svegliò al rumore di un canto, finalmente era arrivata una
ragazza con il cibo dei maiali, seppe tener testa all’impulso della fame, e
aspettò che se ne andasse, poi cercando sempre di non farsi vedere, si
avvicinò, l’istinto a quel punto prese il sopravvento, s’inginocchiò in mezzo
al fango e si accostò alla mangiatoia, il cibo era cattivo e maleodorante ma
quasi non se ne avvide, poi di corsa ritornò nel bosco; era tarda mattinata e
riprese a camminare, domandandosi a ogni crocevia da che parte fosse il confine,
dopo quel primo quanto pessimo pasto, non ebbe più occasione di mangiare cibo
umano e per quanto si sforzasse riuscì a catturare solo qualche piccolo
mammifero per potersi nutrire alla meglio, passarono così i giorni, giorni d’incertezza
e di sofferenza, ma ormai a quella si era abituato, d’un tratto le sue narici furono
pervase da un profumo, funghi, si mise a cercarli seguendo l’odore, come un
cane, e finalmente li trovò, ma inavvertitamente, mise un piede in fallo e
scivolò lungo il pendio, rialzandosi dolorante si accorse che la spalla
sanguinava abbastanza, avrebbe voluto urlare di rabbia e chiedere una morte
veloce, sapendo ormai che per lui non c’era futuro, ma si disse di trovare un
riparo per quella notte; a quel punto, però la sua attenzione fu attirata da un
altro rumore, accompagnato da urla e spari.
All’inizio continuò a camminare
per la sua strada pensando che chiunque fosse non avrebbe avuto certo bisogno
dell’aiuto di un mostro, ferito per di più, ma le urla comunque si facevano più
forti e portavano una sola parola “Aiuto”, fu quella parola pronunciata con
disperazione che gli fece cambiare idea, si girò e corse in quella direzione,
riuscì a raggiungere la fonte di quelle urla, dopo qualche istante, vide una
donna su un carro che teneva fra le braccia un bimbo, un uomo nella paglia
immobile in una posizione innaturale con una coperta che copriva a metà le
ginocchia, il gruppo era circondato da due uomini armati che volevano le poche
monete che presumibilmente la famiglia poteva avere, Filippo si slanciò in
avanti lanciando una pietra che aveva trovato per strada, non voleva usare la
spalla ferita, ma a fronte degli attacchi dei due ladri che si erano accorti di
lui, se ne trovò costretto, tutto accadde molto in fretta, i due scapparono
quasi subito, dopo una breve colluttazione e qualche sparo, ritornò la calma,
rotta solo dai pianti del bimbo in braccio alla donna. Fu davvero un colpo
per quella giovane madre, vedere quello
stranissimo individuo in mezzo alla radura vicino al suo carro, la aveva
aiutata, ma forse voleva qualcosa anche lui:
“Ti prego, lasciaci in pace”
disse senza troppa convinzione, ma l’uomo continuò a stare in piedi in mezzo
allo spiazzo e vedendo i suoi vestiti laceri alla donna venne in mente che
potesse avere fame, quindi posò il bambino vicino a suo marito che aveva
sistemato precedentemente e tirò fuori dalla bisaccia una delle due pagnotte
che aveva portato, scelse quella di pane nero, si avvicinò e allungò la mano.
Una sensazione strana si impadronì del cuore di Filippo, una specie di sordo
risentimento, non voleva niente per quel gesto e non voleva di certo farle del
male:
“Grazie, no” si sentì dire, e
voltando le spalle al pane, si girò convinto più che mai a continuare la sua
strada. La donna era stupita, ma non ritirò la mano e anzi, quando quello
strano individuo mostrò di volersene andare lei gli afferrò gentilmente il
polso e gli mise il pane fra le mani dicendo:
“Lo accetti, non ho niente oltre
a questo, se non la gratitudine di una moglie e di una madre.” Disse in un
soffio, l’uomo si girò e in mezzo a quella maschera nera lei poté vedere lo
stupore di due occhi segnati dal dolore, con un gesto inaspettato, l’uomo s’inchinò
e portò la mano della donna all’altezza della bocca, in un goffo baciamano poi
tornò a dirigersi per la sua strada.
Poche ore dopo, Filippo stava
sbocconcellando il tozzo di pane che gli aveva regalato quella signora, per la
prima volta da quando aveva lasciato la sua casa, ringraziò l’artefice di quel
miracolo, ripromettendosi che se mai le cose si fossero messe meglio avrebbe
aiutato quella famiglia che si era mostrata tanto gentile. Tornò a camminare,
stringendo i denti per il dolore, in quella breve colluttazione aveva riportato
qualche ferita, non se ne curò anche se il dolore era molto forte e quasi non
gli faceva pensare ad altro, camminò ancora, il sangue gocciolava dalle ferite,
se le copriva con le mani, ad un tratto sentì delle voci, alzò gli occhi e si
accorse di essere finito ai confini di un centro abitato, o quello che poteva
sembrare un centro abitato.
Riconobbe la voce che parlò per
prima, a quella voce ne seguì un'altra questa volta maschile, poi altre
concitate, sollevò il viso e sentì mani che lo prendevano, si lasciò andare
contro quelle mani.
Per quella piccola comunità la
comparsa di quello strano individuo aveva suscitato lo stupore di tutti, lo
avevano visto, che camminava letteralmente piegato in due, con la mano destra
premuta sul fianco sinistro, con quella maschera di ferro sulla testa, scalzo e
vestito di stracci, si radunarono attorno a lui ma nessuno mostrava di voler
fare un gesto per aiutarlo; cosa, tuttavia, facilmente capibile, nella realtà
di quelle piccole comunità in cui le tradizioni erano molto forti ed in cui
erano molto forti anche le superstizioni il vedere comparire un individuo di
quel genere portò la povera gente di quel luogo a pensare che si trattasse del
diavolo o di chissà cos’altro, quella situazione fu bruscamente interrotta da
una donna da poco venuta in paese per far curare il marito, che si era gravemente
infortunato mentre lavorava; stando ai suoi racconti, mentre stava percorrendo
la strada per il paese era stata assalita da due ladri ed al suo rifiuto di
consegnare i soldi che teneva da parte per il medico, la avevano minacciata con
le pistole, raccontò di come quell’individuo la aveva aiutata, pregò tutti di fidarsi, e di avere pietà di
quell’infelice; il sindaco che si era precipitato fuori per via di quel
trambusto, dopo aver ascoltato il racconto, esortò la donna a calmarsi: avrebbe
dovuto fare rapporto al conte di quel luogo, ma lo avrebbero aiutato fin d’ora,
incaricò degli uomini di prenderlo e portarlo nella sua abitazione e mentre
quelli lo posavano nell’atrio, lui salì nella piccionaia e vergò un messaggio urgente
diretto al Conte Plessy con rigide istruzioni che ne garantivano l’urgenza e la
segretezza poi annodò tutto alla zampa di un piccione e lo lasciò andare verso
il palazzo del conte, tornò giù e vide ancora l’uomo, a cui avevano tolto la
parte sopra dei vestiti: la vista era orribile, ma sarebbe bastato un buon
medico e tanto riposo.
“Come sta?” chiese avvicinandosi
“Sembra esausto, non ho mai visto
in vita mia una persona che ne ha viste così tante prima d’ora.” Gli rispose il
frate che faceva da medico in quella piccola cittadina, era un ecclesiastico
smilzo, apparteneva ad uno degli ordini minori ed era benvoluto in città, tanto
che il suo convento, a poche miglia da lì, aveva rinunciato a domandare la
questua in quel paese, la povera gente di quel posto ricambiava i servigi del
frate come poteva, facendosi mancare il cibo se necessario, ma non era solo
quello, anche quando il convento aveva avuto bisogno di lavori, qualche
artigiano del posto si era offerto chiedendo in cambio solo una benedizione; se
il discorso valeva per quel buon frate lo stesso non si poteva dire per il
prete del borgo, che ormai si era ritirato a vivere nel lusso del palazzo di
Plessy e non si faceva vedere mai, non era stata una gran perdita a dire la
verità.
Il frate stava pulendo le ferite
dello sconosciuto mentre il sindaco continuava a passeggiare avanti e in dietro:
“Ho fatto” disse ad un tratto
“Tutto a posto?”
“Non del tutto, va portato da un
medico, un medico vero, se no morirà”.
“Come può pensare che possiamo
permettercelo? Non abbiamo i soldi per pagare…”
Una ragazza con un grembiule
scese di corsa le scale della casa:
“Signore, è arrivato un
messaggio” disse
“Vado subito, lei mi può scusare
vero dottore?”
“Certo” disse il frate intento a
medicare le ferite.
Senza dire altro il sindaco salì,
trovo il piccione che era arrivato, staccò delicatamente il messaggio, riscese
nell’atrio leggendolo:
“Pere Guillame, ha un momento?”
disse ancora rivolto al frate.
“Ma, certo” disse l’interpellato,
quanto mai stupito del fatto che il sindaco si rivolgesse a lui chiamandolo
Pere
“Dia a quest’uomo l’estrema
unzione, e preghi per lui, verranno gli uomini del conte Plessy a prenderlo”.
Il frate annuì, si fece portare
da un bambino tutto l’occorrente per officiare il rito e con calma preparò quel
pover’uomo alla sorte che lo attendeva, non si prospettava niente di buono, gli
uomini del conte non erano esattamente delle brave persone, conoscevano solo
due leggi, quelle dell’interesse e della paura. Non ebbe il tempo di pensare ad
altro che già un carro guidato da due di loro si era fermato davanti alla
porta; i due varcarono l’uscio con passo sicuro, portavano la spada al fianco,
stranamente quei due non avevano un’aria minacciosa ma ciò non impedì loro di prendere
il ferito per le braccia con forza e sbatterlo senza tanti complimenti sul
carro, uno di loro salì con lui e gli legò le mani ad un anello mentre l’altro
saliva a cassetta e frustando il cavallo partì a tutta velocità. Il frate si
segnò, tornò in dietro e raccolse i vestiti ancora intrisi di sangue dello
sconosciuto e li nascose nella tonaca, non sapeva che cosa aveva fatto di male
quel povero diavolo per meritarsi quello, ma il crimine, per orrendo che fosse,
non valeva tutta quella sofferenza, avrebbe pregato a lungo per lui, chiedendo
il perdono.
Nel frattempo il carro andava avanti
per la sua strada spedito:
“Non puoi slegarlo? È ovvio che
non può andare da nessuna parte” disse uno all’altro
“Così hanno detto, dici che siamo
stati credibili?”
“Ora al paese pensano che lo
abbiamo ucciso sicuramente, tranquillo”
“Cosa vorrà farne il conte?”
“Vorrà divertirsi un po’ con lui
quel vecchio porco.”
“Così sporco, ferito e con quella
maschera addosso per di più”
“Ovviamente stavo scherzando, non
saprei come vuole impiegare quel mostro.”
Il carro attraversava le
campagne, si fermò solo in prossimità dell’ingresso del palazzo di Plessy, lì
il conte in persona, ispezionò il carico poi con uno stranissimo ghigno sulla
faccia, disse loro:
“Portatelo all’intendenza dei
moschettieri, ma mi raccomando deve arrivare là vivo, fate attenzione, o
salterà la vostra testa insieme alla mia”
“Certo” risposero in coro quei
due
“Mettetegli dei ceppi ai piedi è
già scappato una volta”
“Va bene”disse uno di loro mentre
frustava il cavallo
L’altro entrò ed eseguì l’ordine
del conte ma vista la situazione in generale, gridò all’altro:
“Frusta i cavalli se hai cara la
testa” poi rivolto al prigioniero “ su mostriciattolo non ci vorrai lasciare
proprio ora” ma costui non dava davvero segni di vita se non il ritmico alzarsi
e abbassarsi del torace e all’uomo non rimase altro da fare che togliergli i ceppi, era più che ovvio che non sarebbe
fuggito in quelle condizioni, ma quella maledetta maschera costringeva il
respiro, per quella non esisteva rimedio, solo chi avesse avuto la chiave avrebbe
potuto migliorare la situazione.
“Siamo arrivati! Fallo scendere
al volo” disse quello a cassetta, l’altro si avvicinò alla porta ma la vide
spalancarsi, salirono sul carro due moschettieri che presero l’uomo, mentre due
lo portavano all’interno della caserma un altro fece cenno ai due di seguirlo
all’interno, i due scesero e seguirono l’uomo con la mantella blu, arrivati in
una stanza miseramente arredata, questi si girò e quasi con disgusto gettò sul
tavolo due sacchetti che atterrando fecero un sonoro rumore metallico: “Per il
vostro silenzio, potete andare” e uscì lasciando i due esterrefatti.
Per il capitano dei moschettieri,
la vista di quei due scagnozzi era nauseante, quel prigioniero doveva essere
scortato dal conte Plessy in persona, in una carrozza e non certo in un carro
in cui si solevano trasportare i detenuti comuni; uscito dalla stanza, si
diresse verso la scuderia, dove il suo intendente, un ragazzetto biondino e
smilzo, aveva già preparato il cocchio che lo avrebbe trasportato velocemente a
destinazione con il suo carico, aveva anche ricevuto in consegna una chiave con
cui una volta nel veicolo avrebbe dovuto liberare il prigioniero
definitivamente ed alla fine del viaggio lo avrebbe lasciato in mano a persone
che si sarebbero prese cura di lui, se era vera la metà di ciò che gli avevano
detto, ogni moschettiere si sarebbe detto orgoglioso di servire accanto a quell’uomo
e lui personalmente considerava un onore scortarlo; salì sul veicolo, mentre alcuni uomini
caricavano l’altro e lo appoggiavano delicatamente contro lo schienale imbottito,
terminata questa operazione si chiusero le porte e si dette ordine al cocchiere
di partire.
La carrozza scivolava quasi in
mezzo alle campagne, silenziosa nella placida aria serale; il capitano restò a lungo a guardare la figura
davanti a lui, sporca, ferita, quasi completamente nuda ad eccezione della
maschera, di un mantello che una mano pietosa aveva avvolto attorno a quel
corpo e ai brandelli di pantaloni che coprivano le nudità più imbarazzanti, si
accostò all’uomo afferrò il lucchetto sulla sommità del capo e con un po’ di
sforzo lo aprì, lo tolse dai passanti, aprì la parte dietro della maschera,
l’individuo aveva i capelli castano dorati, quasi biondi, era quindi giovane,
tentò di rimuovere tutta la maschera ma si accorse che questa era costruita
facendo combaciare due pezzi distinti, quella che aveva appena tolto era
l’intelaiatura mentre la maschera vera e propria rimaneva sul viso, si tolse i
guanti e con delicatezza staccò anche il secondo pezzo, potè vedere la faccia
finalmente, coperta da una fitta peluria nella parte inferiore, la pelle non
aveva rughe era pallida e una sottilissima trama di vene blu copriva le tempie e la parte vicina alle orecchie,
quel viso si sarebbe detto assai bello una volta ripulito.
“Signore, siamo arrivati” disse
l’attendente a cassetta, la porta si aprì per l’ennesima volta, al posto di
soldati però questa volta fu una donna, grassa e con un ampio petto; con uno
sguardo corrucciato circondò con le braccia le caviglie dell’uomo mentre
l’altro lo prendeva per le ascelle e lo tirava giù:
“Coraggio, mi aiuti a portarlo
dentro” disse la donna guidando il moschettiere all’interno dell’abitazione, o
almeno del retro, da quella prospettiva non si vedeva ma doveva essere grande,
molto grande; entrarono in una stanza, con le pareti dipinte a calce viva, c’era solo un tavolo all’interno, la donna
fece appoggiare il loro carico lì sopra, entrarono altre donne, tutte anziane,
con in mano varie cose.
“Grazie per il suo aiuto, la
aspettano di sopra.”
Il capitano salì, questa era la
prima volta che veniva invitato salire le scale di quelle lussuosissime
abitazioni per andare a fare rapporto, bussò alla porta, ora come si sarebbe
comportato? Avrebbe dovuto inginocchiarsi o fare semplicemente un inchino?
“Avanti…” disse una voce
dall’interno, la porta si aprì e il moschettiere si fece avanti, era una stanza
non amplissima ma decorata con stucchi e fregi dorati, arrivato ad un paio di
metri da chi lo aveva invitato ad entrare; fece per inginocchiarsi per mostrare
la sua devozione e la sua deferenza alla persona rivolta verso la vetrata di
fronte a lui ma il diretto interessato se ne accorse e lo fermò:
“In piedi, soldato, non sono ne
un vescovo ne un cardinale.”
si rimise subito sull’attenti
mentre l’altro si girava e si avvicinava:
“Ditemi tutto”
“Sire, ho portato l’uomo sotto la
vostra custodia come avevate chiesto” mentre diceva questo, porse al suo
sovrano la chiave con il lucchetto dorato e la maschera
“Molto bene, so che è ferito e
che ne ha viste tante, ho visto il rapporto di Plessy, avete da riferirmi
altro?”
“No, da quando gli uomini del
conte l’hanno portato da noi non è stato più perso di vista e non ci sono stati
cambiamenti”
“Gli uomini del conte? Non è
stato dunque lui a portarlo fino da voi? Sarà sistemato anche questo”
“Si Maestà”
“Tornando a noi, da ora siete
assegnato al servizio in questo palazzo, consideratevi sin da ora sollevato da
qualsiasi precedente incarico, e con questo intendetevi promosso” gli porse un
ordine e continuò “In cucina vi aspetta la cena ed in una parte del palazzo che
vi indicheranno c’è una camera, avete l’ordine di mantenervi a mia disposizione
ma volevo chiedervi un altro favore, sempre che siate d’accordo, mi hanno detto
che avete una sorella, molto versata nell’arte di preparare infusi e rimedi con
le erbe, è vero?”
“Sì sire”
“Mandatela a chiamare, avrà di
che vivere. Potete andare”
“Certo sire”
Il moschettiere uscì e si diresse
verso le stalle, il suo giovane inserviente stava strigliando il cavallo:
“Vai a casa mia, accompagna mia
sorella subito qui”
Il ragazzino si limitò ad annuire
e salito a fatica su uno dei cavalli, tirò le redini:
“Aspetta”
“Si, signore?”
“La notte è fredda, mettiti
questo” il capitano si tolse il mantello e glielo porse.
“Grazie”
“Puoi andare non fermarti per la
notte, vai.”
Il moschettiere, stanchissimo se
ne andò in cucina, mangiò ciò che c’era e si ritirò in pace dove gli avevano
indicato.
Nel frattempo l’uomo che lo aveva
ricevuto era sceso in quella piccola stanza dove avevano momentaneamente
accolto il ferito, si avvicinò al tavolo e con aria stanca chiese:
“Come sta?”
“Non le negherò che sta molto
male, ha perso troppo sangue, ed era troppo debole, ho paura non riesca a
passare la notte.” Gli rispose la stessa signora che aveva aiutato il capitano.
“Se riuscisse a passarla invece?”
“Allora ci sarebbe qualche
speranza in più, ma non ne confidi troppo, è messo davvero molto male. L’unica
cosa che possiamo fare è pregare.”
“Nostra madre lo sta già facendo
da quando è arrivato.”
“Per calmarvi potei dirvi che se assomiglia a
suo fratello, ci sono buone speranze, perché la sottoscritta sa benissimo di
che pasta è fatto. Ma so che vi causerei altro dolore se le cose dovessero
mettersi male”
“Fate quel che volete, ma fate il
possibile per salvarlo”
“Tutto sarebbe più facile se
avessi a mia disposizione qualcuno che conosca le erbe e le loro proprietà,
potrei dargli qualcosa per sostenere il cuore e per fare aumentare la pressione
e allora sarebbe tutto più facile”
“Ricordo che me ne avevate
parlato, ho provveduto, sapevo che il moschettiere che ha portato qui lui aveva
una sorella, voi stessa me lo avevate accennato, dovrebbe arrivare sta notte.”
“speriamo, la sua salvezza dipende
unicamente da quella donna, ammesso che possa fare qualcosa ma ne dubito.”
“Non capisco, prima alimentate le
speranze poi le abbattete di colpo” ruggì l’uomo
“Non posso farci niente, mi
spiace sire”
“Mi dica di preciso le sue
condizioni.” Disse rassegnandosi il re, perché si trattava di un re.
“Una pallottola lo ha ferito ad
un fianco, ha una spalla ferita e
slogata, un paio di colpi di striscio lo hanno preso alle gambe e
all’avambraccio, deve aver avuto qualche scontro.”
“Domattina spero di far avviare
delle indagini, vado a stendermi ora,
per qualsiasi cosa chiamatemi”
“Passate una buona notte sire.”
Disse la signora inchinandosi
Quella notte, nessuno riuscì dormire tranquillamente, tutti verso le due
del mattino furono svegliati bruscamente dalle voci di una concitata
conversazione:
“No, non lo posso permettere, lo
uccideresti”
“Non lo ucciderei io con le mie
erbe ma tu con i tuoi salassi, va lavato”
“L’acqua calda fa male, lo sai?”
“Fandonie, so cosa faccio, va
lavato con acqua calda e le ferite vanno pulite con il vino! Poi penserò io a
dargli qualcosa per combattere la febbre.”
“Le ferite si disinfettano con l’olio
bollente, non con il vino”
“Ma si può sapere che cos’è
questo baccano?” la voce, conosciutissima, fece fermare il litigio ed inchinare
le due litiganti, il re squadrò la sua vecchia nutrice con cui aveva parlato
non più di due o tre ore prima e la nuova arrivata, che era una ragazza di
circa 25 anni mora e robusta per la sua età, portava i capelli raccolti in una crocchia, il vino fine e
abbastanza bello sebbene segnato dalla stanchezza.
“So chi sei, sei la sorella di
François, l’ultimo moschettiere che ho promosso.”
“Cosa di cui vi sono immensamente
grata, sire”
“Sciocchezze, allora su cosa
verteva il litigio?”
La vecchia signora lo spiegò
brevemente, non era necessario dipingere i fatti diversamente da come si erano
svolti visto che tutto il palazzo era stato testimone di quella conversazione:
“Sono pronta a giocarmi la testa
sire, se la mia impresa non riesce, ma vi prego non adiratevi con mio
fratello.”
“Sta bene, se qualcosa dovesse
andare male incolperò te e solo te hai la mia parola, niente verrà fatto a
François ne a nessuno dei tuoi. E ora fate quel che potete, perché se al
contrario riuscirete nell’impresa saprò essere molto generoso.”
“Grazie sire”
E
mentre tutti uscivano lasciando le due
donne sole, nella stanza la tensione si poteva tagliare con il coltello.
“Mi aiuti a levargli quei quattro
cenci”
Subito la ragazza iniziò ad
affaccendarsi attorno all’uomo, la signora anziana guardava il tutto con aria
indispettita, la mentalità di quel tempo esigeva che una donna potesse trovarsi
davanti ad un uomo nudo soltanto da sposata, avrebbe voluto dire qualcosa per
opporsi ma la giovane sembrò intuire i suoi pensieri:
“Signora, presto servizio da anni
ormai nei ricoveri per gli ammalati, secondo lei mi fa paura un uomo nudo?”
“Signorina…”attaccò a blaterare
la nutrice
“Il mio nome è Marie” la
interruppe la ragazza senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro
“Marie, secondo te, è conveniente
che una donna non sposata senza figli stia davanti ad un uomo nudo? È sconve…”
“Basta così se non ha niente di
utile da dire se ne vada, anche se avrei piacere che restasse qui ad aiutarmi” la
donna con le braccia conserte si avvicinò e la ragazza per stemperare la
tensione pensò bene di dire “Non potrebbe per favore togliergli quella specie
di stracci che si ritrova per calzoni e potrebbe lavarlo da sotto la ferita al
fianco fino alle ginocchia mentre sono girata a raderlo? Poi lo copra con uno
di quei panni di canapa che ho portato nella borsa, mi dispiace, ma ho sempre
alcuni problemi a lavare quelle parti e se posso delego agli altri” dicendo
quelle ultime parole la ragazza arrossì,
era vero, anche se in quel momento la cosa più importante era di fare in fretta
e servivano più mani possibili, e la cosa più intelligente da fare era appunto
quella di mostrarsi accondiscendente e pudica almeno in alcuni casi.
Negli occhi della donna si accese
una luce di comprensione, sorrise e iniziò a svolgere i vestiti, la ragazza era
riuscita nel suo intento.
“Mi spiace se lo zittita prima,
ma sono nervosa, è messo molto male. Ma se gli disinfetto le ferite con l’olio
morirà dal dolore, già con il vino brucerà parecchio. Ma guardi cosa può aver
fatto un così bel viso da meritare tante sofferenze.” La ragazza aveva appena
finito di lavare e radere il viso lo guardava ammirata, girandosi, la vecchia
signora guardò anch’essa:
“Il viso inganna …” disse
semplicemente.
Finirono di strofinare quelle
membra martoriate e scarne con un unguento specifico ottenuto dal succo di certe
bacche poi bagnarono di vino le ferite più superficiali e le cucirono con ago e
filo, lavoro a quei tempi molto approssimativo, ma in quel caso abbastanza ben
riuscito; il problema era il foro di pallottola, era necessario riuscire ad
estrarre la pallottola senza fare altri danni e senza provocare eccessivo dolore, si decise di
risolvere la situazione, avvolgendo i fianchi dell’uomo in un panno freddo e
procedere, era il doloroso ma purtroppo unico modo, sollevarono quella specie di
lettiga e la misero esposta alla luce del primo sole mattutino:
“Gli tenga la testa, se si
sveglierà dal dolore vorrà dire che ci sono speranze, sia pronta a
tranquillizzarlo ma si copra il viso, stia attenta e non lo stringa troppo”
“La ragazza si sedette e con una
pinza resa rovente in un braciere si insinuò nella ferita, la carne sfrigolò e la
puzza di carne bruciata si sparse l’anziana signora sentì la mascella dell’uomo
aprirsi e tentare di emettere un grido
“Lo lasci fare ma non perda la
presa”
Emise un suono stridulo, di pura
agonia
“Stai tranquillo, ci sono quasi”
la pinza toccò la pallottola la afferrò e tirò di colpo, uscì un violento
fiotto di sangue, prontamente tamponato, l’urlo continuava trasformandosi in
brevi suoni dal timbro più basso ma comunque forti abbastanza da farsi sentire
da tutto il castello, la ragazza riprese ago e filo cucì, quando tutto fu
finito ci versò sopra ancora del vino e poi si voltò verso il viso deformato
dell’uomo e sorrise, in quegli annebbiatissimi occhi si accese una luce di
coscienza e sorrise anche lui:
“E’ tutto finito ora...” gli
disse
La ragazza era stanca, guardò
fuori dalla finestra, la natura faceva il suo corso e si preannunciava una
bellissima giornata, ore prima aveva dato disposizioni che bollissero delle
bende o che comunque le disinfettassero con del vapore, si alzò e andò a
prenderle, poi passandole all’anziana donna fasciò il corpo. Quello che si
poteva fare era stato fatto, ora doveva solo dormire:
“Va messo a letto”
La donna prese un cuscino lì vicino
e lo sistemò sotto la testa del ferito, mentre Marie lo copriva con due
coperte.
“E’ la seconda volta che mi
svegliate, il re non può avere un po’ di tranquillità?” la voce come sempre era
il segnale di un inchino
“Con tutto il rispetto, ma questa
volta non siamo ne io ne la signora le colpevoli”
“Quell’urlo avrebbe svegliato un
morto”
“Ma era anche il segno che le
cose andranno presto meglio”
“Spiegati”
“Quando una persona ha energia
sufficiente per svegliarsi ed emettere un urlo del genere vuol dire che la
guarigione è possibile, gli occorre solo un posto tranquillo e del buon cibo
per superare la febbre.”
Il re sorrise e Marie prese nota
mentalmente di una cosa ma fu subito distolta dai suoi pensieri in quanto:
“Vai fuori e di che tutti si
ritirino nelle proprie stanze e chiudano porte e finestre” la ragazza uscì e lo
fece velocemente, quando ogni singola persona fu chiusa nella sua stanza la
ragazza rientrò
“Può essere spostato?”
“Si, ma non ho vestiti della sua
misura con me”
“Non fa niente”
“Ma signore ad eccezione delle
fasce è completamente nudo”
Senza ascoltarla, e con suo
immenso stupore, il re si avvicinò al tavolo e prese a viva forza l’uomo tra le
braccia e con un seguitemi si avviò lentamente per i corridoi, faceva passi
leggeri e misurati per non disturbare il suo carico che non dava più segni di
coscienza; si fermò solo davanti ad una porta:
“Marie per favore apri!”
La ragazza obbedì, entrò e tenne
aperta la porta, lasciando passare
Il re posò l’uomo sul letto,
mentre le due donne sistemavano ciò che c’era ancora da sistemare, sua Maestà
parlò di nuovo:
“Ughette,
sei congedata da questo compito, tornerai a fare la dama di compagnia di mia
madre. Marie quali sono le sue condizioni?”
La ragazza iniziò a parlare, ma
fece in tempo a dire solo il primo articolo della frase che fu subito
interrotta
“Dove sono?”
Tutti e tre si voltarono con gli
occhi fuori dalle orbite, la voce veniva dal letto, subito si precipitarono:
“Sei al sicuro, non aver paura e
dormi.” Gli disse la ragazza posando leggera una mano sugli occhi del suo
paziente”
Quando tutto tornò tranquillo il
re chiese di nuovo:
“Le sue condizioni?”
“Se riesce a superare la febbre e
l’infezione sarà fuori pericolo.”
“Ma si è svegliato ed ha parlato”
“Non vi nego, maestà, che ha
stupito anche me, ha sopportato tutto nel migliore dei modi, ma non voglio
darle false speranze, devo confessarvi che ho abbastanza paura della febbre che
potrebbe sopraggiungere, cercherò di fare l’impossibile per lui, se sarà
necessario”
“Voi donne siete tutte uguali”
“Spiegatevi, maestà”
“Non appena vedete un uomo che ha
una briciola di potere o che ha la benevolenza di qualcuno vi fiondate.”
“Davvero? Non lo faccio per voi e
di certo non lo faccio perché voi avete dimostrato di avere a cuore la salute
di vostro fratello, perché so che è vostro fratello, oserei dire gemello per di
più, ma prima di tutto lo faccio perché so che quest’uomo ha sofferto troppo e
non credo che nessuno lo meriti, almeno non a questo
livello e poi voi avete promosso mio fratello, non sapete quanta gratitudine ho
per voi, ma se questa è una scusa per non essere costretto a pagare la mia
prestazione sappiate che non chiedo mai danaro per quello che faccio e a
maggior ragione non ne chiederò a voi, ditemi quando mi riterrete libera da
questo impegno e me ne andrò.” Disse Marie con sdegno, nessuno poteva
permettersi di parlarle così, tantomeno lui.
Il re rimase a bocca aperta,
quella ragazza lo aveva stupito, le donne non erano tutte stupide e avvezze
solo agli ornamenti come le cortigiane a cui era abituato, esisteva anche una
buona parte dell’universo femminile intelligente e capace di simili slanci, la
parte maggiore si trovò a pensare, capendo che per seguire un marito, amarlo,
mettere al mondo dei figli, pur nelle avversità della vita richiedeva una buona
dose di intelligenza e coraggio.
“Sai che è mio fratello, sai che
ti sarò grato a vita se lo salverai!”
“Anche se mi voleste far uccidere
per serbare il segreto della sua esistenza non potrei esimermi dal curarlo.”
“Sai pure
questo”
“Vostra maestà dovrei essere
molto sciocca per non averlo dedotto.”
“Va bene, visto che ormai sai
abbastanza, ti dirò tutto, si chiama Filippo, è mio fratello gemello, nato
pochissimo dopo di me, appena nato lo hanno portato via, il re non voleva del
potere condiviso tra due fratelli, lo fece alloggiare in una fattoria sul
confine italiano, la sua vita stando ai racconti era molto semplice ma
tranquilla, finchè un giorno di lui si sono perse le
tracce, da quando ho saputo della sua esistenza da Mazzarino
proprio in occasione della sua scomparsa l’ho cercato per mari e per terra ho
mandato agenti fino in America ma la soluzione era più vicina; mi capitò
sottomano un rapporto in cui si diceva che in un carcere era stato mandato un
prigioniero con addosso una strana maschera di ferro,
sapendo che un tale ordine non era consueto e di non aver mai dato un ordine
simile, mi fu facile conoscere la storia del prigioniero che aveva stranissime
coincidenze e l’artefice di quell’ordine, lo presi e lo feci torturare, scoprii
una congiura ai miei danni per uccidermi e mettere al mio posto Filippo ma che
al suo rifiuto lo avevano rinchiuso in una dura prigione, lo hanno torturato e
portato fino all’orlo della morte erano
ormai passati parecchi anni da quando iniziai le ricerche, presi quell’uomo e
lo torturai di più per sapere dove avesse dato ordine che lo spostassero e dove
fosse la chiave di quella maschera, lui rise beffardo dicendo che ormai mio
fratello era morto di fame e di stenti in un posto a circa 20 miglia da qui e che
avevo sempre avuto in mano la chiave della sua liberazione, mandai subito i
miei moschettieri a cercarlo ma trovai il luogo vuoto, lo feci cercare ancora
per il bosco e detti ordine a tutti di segnalare un individuo con una maschera
di ferro addosso di prenderlo in consegna e di trattarlo bene… la storia poi la sai”
“Capisco, ma non era necessario
dirmi tutto.”
“Invece si, so benissimo chi sei,
so che oltre al tuo lavoro nei ricoveri aiuti anche delle donne a partorire e
sei abbastanza famosa tra le nobildonne che vogliono mettere al mondo figli con
discrezione, ho saputo che dai loro decotti per alleviare i dolori e drenare il
sangue, oltre al fatto che tieni la bocca chiusa in tutto, qualsiasi donna
uomo, ha la certezza di venire da te ed essere curato gratis e con la garanzia
che niente verrà fatto trapelare.”
“Mi lusingate sire”
“Certe ostetriche a cui hai
rubato il lavoro dicono che sei una strega”
“Soffro di vertigini, non
riuscirei mai a volare su una scopa e posso ancora indossare il bianco in chiesa.”
“Capisco benissimo, tuttavia fai
lavori più adatti ad una sposata che ad una nubile”
“Mi piace aiutare sire”disse
semplicemente Marie che si affrettò ad aggiungere
“Posso chiedere una cosa sire?”
“Di pure”
“Non potreste far portare qualche
abito per il principe?”
“Principe?” poi ricordandosi “Ma
certo”
“Grazie”
Il re se ne andò e Marie venne
lasciata sola con il paziente, per prima cosa si preoccupò di scoprire l’uomo,
si sedette e tirò fuori di tasca una scatolina che conteneva un decotto,
cominciò a spalmarlo sulle braccia sul collo e sul viso dell’uomo, la cui pelle iniziava a farsi calda al tocco,
poi vi stese sopra dei panni di lino ed estrasse una fiala dalla sua borsa, la
posò sul mobile mentre metteva dietro la
schiena del ferito altri cuscini e lo forzò a bere da una fiala quello avrebbe
sostenuto il cuore nelle ore a venire, lo ricoprì e si decise ad aspettare, le
ore passarono quiete, senza grandi scosse, Marie non perdeva di vista il
ferito, ora cambiandogli le medicazioni ora rinfrescandogli la fronte che era
molto calda, la mattina si trasformò in pomeriggio ed un sommesso bussare alla
porta distolse la ragazza dai suoi pensieri, una bambina con il vassoio per il
pranzo e delle camicie pulite e profumate, questo piccolo episodio diede modo a
Marie di notare una cosa: il letto del ferito era in piena vista, se fosse
entrato qualcuno lo avrebbe notato subito, ma la sua presenza doveva essere
mantenuta segreta, subito sistemò due dei tre paraventi attorno alla parte del
letto visibile dalla porta. Mangiò in fretta e si risolse ancora ad aspettare
che la febbre scemasse, passavano le ore, i rivoli di sudore scendevano dalla
fronte, Marie instancabile lo rinfrescava, le ore non passavano mai, ma arrivò
sera e la situazione iniziava a migliorare aldilà anche delle più rosee
aspettative della ragazza, verso le nove di sera la situazione era risolta, ora
occorreva solo moltissimo riposo, non meno di una quindicina di giorni e del
buon cibo.
La porta si aprì piano, Marie più
che mai sollevata si alzò oltrepassò i paraventi e con le mani elegantemente
arricciate per sollevare di poco le vesti si inginocchiò.
“Perché questi paraventi?”
“Ho pensato che se la sua
presenza va mantenuta segreta sarebbe”
“Basta così, hai ragione, e mi
compiaccio che tu esegua i miei ordini prima ancora che io li pensi”
“Siete troppo gentile maestà”
“io non sono mai troppo, dico
sempre il giusto”
“in tal caso, vi ringrazio e mi
scuso se vi ho offeso, non era mia intenzione”
“Come sta?”
La ragazza sorrise: “Bene maestà,
è del tutto fuori pericolo, gli occorre solo molto riposo.”
Il re sorrise e toccò la fronte
del fratello, si lasciò scappare un sospiro di sollievo quando vide che non vi
era più traccia di febbre.
“Posso provare a svegliarlo,
sire”
“Si, sarebbe bello. Anzi fate
portare anche qualche cosa da mangiare.”
La ragazza si avvicinò e presolo
delicatamente per una spalla lo scosse leggermente:
“Svegliatevi, c’è qualcuno che
vuole parlare con voi”
Gli occhi dell’uomo si aprirono
piano, Marie vede il re trasalire alla loro vista, erano occhi stanchi e
impauriti:
“Dove sono?” ad uno sguardo del
re Marie uscì.
“Sei al sicuro, in un castello
vicino a plessy in normandia”
“Di chi sono prigioniero?”
Il suo interlocutore fece una
faccia corrucciata “Di nessuno, sei un uomo libero”
“Dunque re luigi mi ha graziato?”
“Re luigi ti deve la vita, senza
la tua strenua resistenza ora non avrei più un trono su cui sedermi”
A Filippo fu chiaro solo in quel
momento che la persona che gli stava davanti era il re e quasi tentò di
buttarsi dal letto per avere l’onore di inginocchiarsi ai suoi piedi
“Stai giù tranquillo, si parlerà
poi