Splendida Follia.

di rose07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In spiaggia ***
Capitolo 2: *** Sul pedalò ***
Capitolo 3: *** Antipatica con chi voglio ***
Capitolo 4: *** Sensazioni ***
Capitolo 5: *** Adoro mio cugino ***
Capitolo 6: *** In pizzeria ***
Capitolo 7: *** Due cugini per amici ***
Capitolo 8: *** Cena tra parenti ***
Capitolo 9: *** Nuove coppie ***
Capitolo 10: *** L'inizio della scuola ***
Capitolo 11: *** Una gara di ballo ***
Capitolo 12: *** E' così strano ***
Capitolo 13: *** Qualcosa d'inaspettato ***
Capitolo 14: *** Rottura ***
Capitolo 15: *** Dubbi ***
Capitolo 16: *** Innamorata ***
Capitolo 17: *** Una gita per noi ***
Capitolo 18: *** Più di ogni altra cosa ***
Capitolo 19: *** Il compleanno ***
Capitolo 20: *** Una brutta notizia ***
Capitolo 21: *** Io ti starò vicino ***
Capitolo 22: *** Qualcosa di bello ***
Capitolo 23: *** Ti voglio bene ***
Capitolo 24: *** Ritorni di fiamma ***
Capitolo 25: *** Perdonami ***
Capitolo 26: *** Non posso stare senza di lui ***
Capitolo 27: *** Annuncio alla famiglia ***
Capitolo 28: *** Insieme finalmente ***



Capitolo 1
*** In spiaggia ***










Valeryn era sempre stata una ragazza solare, attenta ed estroversa. Fisico snello e asciutto, capelli di un morbido castano e occhi verdi magnetici che "t'incastravano con un solo sguardo", come dicevano i suoi amici. Ciò che però risaltava di lei era quel suo lato definito "oscuro", quello che usciva fuori non appena qualcosa andava storto o qualcuno le dava fastidio.
Lì, in spiaggia, con il suo bel costume bianco che si intonava perfettamente alla sua abbronzatura, aveva in volto un'espressione torva.
«Ripeti ciò che hai detto, Daniel.» aveva sibilato in direzione di un amico.
«Saretta è una mongolfiera.»
«Cosa?»
«Sara è una mongolfiera e basta.»
Fu forse il fatto che Daniel si scambiò gioiosamente un cinque con Elia, il suo ragazzo, o che quest'ultimo ghignasse verso la povera Sara che adesso alzava la testa indignata; fatto sta che sentì qualcosa di caldo ribollirle nelle vene.
«Tu!» indicò, puntando il dito contro il castano «A' imbecille! Come ti permetti d'insultare Sara? Lasciala in pace una buona volta, o perlomeno, ammetti che ti piace.»
Daniel sembrò spaesato per un attimo, dopodiché rispose:
«Tu sogni, Valeryn!? Come diamine puoi pensare che mi piaccia una cisterna del genere, eh? Pallone gonfiato!» si rivolse alla biondina che grugnì, ma non rispose.
«Smettila di comportarti da deficiente, sei ridicolo! Per non parlare della monotonia: ripeti sempre le stesse cose.»
Solitamente, Valeryn non difendeva mai Sara dagli insulti. Specie se il mittente era Daniel, anzi, ammetteva di ridacchiare di nascosto e fare finta di niente. E non per il fatto che Sara fosse un po' cicciottella e terribilmente svampita; era Daniel stesso che nella sua idiozia la faceva divertire.
Beh, stranamente quel giorno non era andata così. Si era stufata dei continui battibecchi dei due, e la cosa stava diventando parecchio imbarazzante dato che sembravano due piccioncini. Per questo si era schierata dalla parte della bionda: le faceva male la testa.
Quest'ultima ridacchiò sotto i baffi, cosa che al ragazzo non sfuggì.
«E tu cos'hai da ridere? In confronto a me sembri un orangutango! Anzi, il gorilla God!» l'apostrofò.
«Chi sarebbe il gorilla God?» domandò Elia, dietro di lui.
«Ma Sara, è ovvio.» rispose quello, sogghignando.

«Forse intendi Godzilla?»
«Non ti ci mettere pure tu con queste precisazioni, Elì.»
Valeryn, irritata dalle risa degli amici, strinse i denti.
Faceva molto caldo in spiaggia, c'erano circa trenta gradi, i ragazzi avevano portato solo un ombrellone - per altro occupato dalle sue amiche Maia e Conny, che non facevano altro che stupidi test d'enigmistica senza mai azzeccare le soluzioni - e quei cretini di Daniel e il suo fidanzato avevano voglia di scherzare?
Ma glielo dava lei lo scherzo!
«Allora, punto primo: Elia, sparisci dalla mia vista, svelto, prima che ti riduca in pezzetti di carne macinata.»
«Ehi, io non ho fatto niente!» si difese quello.
«Non m'importa, congedati all'istante!» ordinò la castana, mentre quello alzava gli occhi al cielo e si dileguava dagli altri.
«Punto secondo: Daniel Perrone, se non vuoi che ti cicatrizzi la faccia con due pugni, sei invitato a seguire il tuo amico. Hai due secondi per scegliere.»
Daniel fece una smorfia scettica, poi lanciò uno sguardo a Sara che, chissà come mai, non aveva risposto a nessuna provocazione e, capendo che non avrebbe ottenuto nient'altro da lei, se ne andò rassegnato.
La bionda rivolse uno sguardo di gratitudine verso Valeryn e lei sospirò orgogliosa. Sembrava che tutti i suoi amici avessero un certo timore per lei. Sospettava a causa della sua netta aggressività, ma non ne era del tutto sicura.
Si sedette sotto l'ombrellone, mentre Maia alzava lo sguardo dal suo giornale.
«Sempre la solita marescialla, eh Vale?» domandò ridacchiando.
Secondo lei, Valeryn era una delle ragazze più in gamba sulla faccia della terra, nonché una delle sue migliori amiche. E anche secondo la castana Maia possedeva qualcosa che la rendeva così adorabile, qualcosa che a lei mancava: la pazienza.
«Daniel ha proprio rotto le scatole!» sbottò, sdraiandosi sulla tovaglia di Conny che era appena entrata in acqua.
«Non m'importa se prende per il culo Sarè, ma se permette vorrei godermi il sole, non i loro continui bisticci.»
«Sembra che ci sia del tenero, tu che dici?» assunse in tono malizioso l'amica.
La ragazza scosse la testa tirando fuori dalla borsa i suoi occhiali da sole.
«Dico che mi sono stufata, e se la prossima volta li sento sbeffeggiarsi a vicenda li pesto per bene.»
Maia rise, pensando che sì, probabilmente l'avrebbe fatto dato che chi faceva arrabbiare Valeryn non riceveva esattamente regali.
La castana volse gli occhi al cielo, tentando di abbronzarsi. Non capiva come mai la sua amica passasse praticamente tutto il suo tempo sotto l'ombrellone e fosse così scura.
Quei suoi capelli ricciolini e neri, poi, si intonavano perfettamente con la sua carnagione. Alta, magra e molto carina, con un taglio d'occhi tanto affascinante e dall'aspetto tenero; questo era il quadro perfetto di Maia. Pensando poi all'altra sua amica, Consilia, detta Conny, che aveva dei lunghi capelli vermigli e la risata facile, la considerava perfetta.
«Daniel!» urlava quest'ultima, mentre nuotava «Che fai? Imiti la medusa?»
«Come osi?» le rispose lui indignato, mentre si aggiustava i capelli a caschetto.
«Sono il più bono del gruppo.»
«Diciamo che sei il più coglione.» aggiunse, però, Elia.
Quest'ultimo, ragazzo di Valeryn, biondo, alto, atletico e con gli occhi color ambra, era un tipo sarcastico, in vena di battute, ma che dava retta solo a chi voleva lui e quando voleva lui. Era uno di quelli che se ti voleva bene ti dava il mondo, altrimenti non ti considerava neanche.
Era bello e dannato, molto simile a lei, un po' stronzo e cinico a volte, ma in fondo sincero e leale. Era forse questo che le piaceva di lui; il suo sopportarla, ma anche tenerle testa.
Daniel, invece, con quella sua cotta evidente per Sara - cosa per altro reciproca- e quei suoi capelli castani a caschetto che svolazzavano di qua e di là, si rendeva un pagliaccio agli occhi di tutti; ma quando prendeva qualcuno di mira diveniva veramente insopportabile.
«Guarda un po' chi c'è!» esclamò Maia, salutando una ragazza con dei lunghi capelli scuri e con sul capo un cappellino di paglia.
L'amica d'infanzia di Valeryn, Miriana, detta Miriel, avanzava verso di loro. Un bel fisico, slanciata e di una raffineria invidiabile.
Come non detto, quasi inciampò sopra di Alex, un altro loro amico che era sdraiato a godersi i raggi del sole e non si era accorto della sua presenza.
«Scusa, Miriel, non ti avevo vista!» si giustificò, togliendosi gli occhiali da sole e sfoggiando i suoi bei occhi verdi.
Miriel dapprima stette un secondo a fissarlo, ma poi sorrise facendo cenno che era tutto apposto. Con gli occhi che le brillavano, e Valeryn poteva immaginare benissimo perché, raggiunse le due amiche, gettandosi sopra di loro. Un gridolino da parte di entrambe, prese alla sprovvista, la fece mettere a sedere ridacchiando.
«C'era fuga di cervelli oggi?» chiese stizzita Valeryn «No, perché del tuo nemmeno l'ombra!»
La riccia le tirò una gomitata facendola zittire. Ogni tanto esagerava con il sarcasmo e doveva imparare a contenersi.
Miriel, però, non vi fece caso.
«Bella giornata, eh?» chiese, posando la borsa e aprendo la tovaglia. Ogni tanto gettava un'occhiatina ad Alex, credendo di non essere vista, ma a Valeryn non era mica sfuggito.
Scosse la testa con un sorrisino. Miriel e Alex erano semplicemente cotti l'una dell'altro ed erano gli unici a non averlo ancora capito.
«Attenti laggiù!» qualcuno urlò questa frase, poco dopo che un pallone arancione colpisse in testa Maia e rimbalzasse sopra la pancia di Valeryn.
Questa si voltò verso le risate provenienti dietro l'ombrellone.
«Scemi, state attenti a dove tirate la palla! Stavate facendo danni come al solito.»
Da dietro le loro spalle, comparvero due ragazzi non molto alti con dei ghigni strafottenti stampati in volto.
«E sta' calma Valeryn, beviti una camomilla!» la rimbeccò un biondino con gli occhi verdi.
«Carmine, su, andiamo a scippare mezza dose di cocaina, vedrai come si sentirà meglio.»
Un moretto con gli occhi celesti e profondi gli diede un cinque appoggiandolo.
La castana si aggiustò la capigliatura, guardandoli di sottecchi.
«Censeo, perché non ti fai un bel bagno rinfrescante? Magari la smetterai di sparare cavolate.»
«Ohi, qui ci vuole un'iniezione, altro che droga in polvere!»
Alla battuta di Carmine, Vincenzo, detto Censeo, e le altre ridacchiarono divertite.
Piaceva a tutti stuzzicare Valeryn; certo, se questa non si arrabbiava per prima, naturalmente.
Un po' piccata, si attorcigliò una ciocca di capelli tra le dita.
«Smettetela di ridere come galline, voi due!» rimbeccò le sue amiche che tentavano inutilmente di smetterla. Sbuffò, ma spostando lo sguardo verso Censeo e Carmine che la guardavano sorridenti, si sciolse.
«Siete due pagliacci!» e scoppiò a ridere anche lei.
Alle volte si chiedeva come i suoi amici la sopportassero. Troppo perfettina, troppo permalosa; ma d'altronde era un peperino e questo lo sapevano tutti. Il buon umore non le mancava, il riso neppure; era un po' troppo impulsiva, lo ammetteva.
L'unica persona che la vedeva bene così come mamma l'aveva fatta, era suo cugino di terzo grado.
Vittorio era figlio della cugina di suo padre e si conoscevano da giusto qualche anno. Ogni tanto lui e la sua famiglia erano andati a mangiare a casa della zia di secondo grado, mentre una o due volte, Mena, sua madre, aveva invitato lei e i suoi genitori a casa.
Alto, fisico tonico, con degli splendidi occhi grigi e con dei capelli castani un po' più scuri dei suoi. Era bello, un ragazzo d'oro, qualcuno con il quale Valeryn si rispecchiasse, riuscisse a parlare, ridere, essere sé stessa. Era divertente e cordiale, ma sapeva essere autoritario e diretto, tutte qualità da leader.
Vittorio era importante, questo lei lo sapeva. E se proprio doveva ammetterlo, sentiva le farfalle allo stomaco ogni volta che lo incontrava.
Come farlo apposta, da dietro il muretto della spiaggia spuntò con in mano una telo e un sorriso stampato.
Sara aveva interrotto la sua lotta di sabbia con Daniel per guardarlo e Conny aveva fatto lo stesso dal suo materassino in acqua.
«Wow, è sempre più figo!» commentò quest'ultima.
Censeo la guardò storto, poi alzò gli occhi al cielo.
«Che effetto fa, Vitto, sulle donne?»
Questi camminava lungo la spiaggia con un'aria allegra, scambiandosi un cinque con Elia, che era il suo migliore amico.
«Sarè, non sbavare! Tanto lui manco ti caga!» esclamò Daniel lanciandole la sabbia direttamente in bocca, mentre la biondina, risvegliandosi da uno stato di trance, si gettava alla rinfusa contro il ragazzo
Vittorio si avvicinò all'ombrellone delle ragazze che lo salutarono con un sorriso. Valeryn, invece, aveva gli occhi chiusi.
«Mia cugina non si degna nemmeno di salutarmi. E io che credevo mi adorasse!» esclamò con una punta di teatralità.
La ragazza aprì gli occhi con espressione stupita e, non facendo in tempo a dire niente, si beccò un bacio sulla guancia.
«Vitto, non ti avevo visto arrivare. Da quanto sei qui?» chiese.
«Praticamente un secondo.» rispose lui, sfilandole gli occhiali da sole dal viso.
La scrutò per bene, mentre lei distoglieva lo sguardo dai suoi occhi. Non capiva perché, ma certe cose la facevano imbarazzare.
«Ah bene, cugino.» fece, riprendendosi gli occhiali «Quindi siamo pronti per tuffarci?»
«Direi di sì.»
Si stiracchiò le braccia, posando la tovaglia accanto a Miriel che li osservava con uno sguardo indecifrabile.
«Perché non sei venuto prima? Ci hai messo un'eternità.» chiese Valeryn, mentre si alzava, pronta per un bel bagno.
Maia e Miriel fecero lo stesso, andando avanti e lasciandoli soli.
Lui sogghignò.
«Che c'è, cugina, mi spii? Controlli ogni mia mossa, che brava!»
«Ehm, no.» si affrettò a dire lei «Io... L'ho chiesto solo perché Elia e gli altri sono arrivati da questo pomeriggio e...»
«Bella, Vic!» esclamò proprio questi, arrivando dietro di loro e mettendo un braccio sulle spalle al suo amico.

Lo chiamava così solo lui, gli altri non osavano, forse neanche lo sapevano; era un nomignolo che designava intimità tra di loro, qualcosa che era difficile da replicare con le altre persone. E a Vittorio faceva piacere quando lo chiamava in quel modo, anche perché non lo faceva così spesso, solo in determinate occasioni, difatti gli si increspò subito un sorriso sentendolo.
«Se tu e questa lumaca vi sbrigate affittiamo il pedalò del lido.»
«Buona idea, fratè, ci sto.» lo appoggiò e si diedero il pugnetto.
«Ehi, scusami.» lo chiamò Valeryn, facendo finta di essersi indispettita.
«A chi hai detto lumaca?»
Elia sorrise da far sciogliere ogni singolo cubetto di ghiaccio per quanto era bello. Vittorio lo fissò. Sì, in effetti era bello, era veramente bello...
Erano i due ragazzi più belli del gruppo, oltre che le personalità più rilevanti.
«Lumaca o no, mi piaci lo stesso.» lo sentì dire alla ragazza.
E, afferrando delicatamente il suo volto tra le mani, le stampò un bacio.
Il castano fece un'espressione scettica, infastidito, ma si ricompose quasi subito facendo finta di niente.
Non sapeva il motivo, ma non poteva sopportare scene così.
Elia, però, non gli diede il tempo di pensare ad altro perché gli strizzò l'occhio e lo afferrò dal braccio, trascinandolo in mare dove tutti si stavano già tuffando.
«Non buttatevi così vicino, rischio di cadere con il materasso!» urlava arrabbiata Conny, in direzione di Carmine, Alex e Censeo che la schizzavano di rimando.
Valeryn si fermò un attimo, pensando.
Che suo cugino fosse speciale lo sapevano tutti; ma perché lei stessa era rimasta così male non appena Elia l'aveva baciata? E perché Vittorio l'aveva guardata in quel modo? Forse non gli garbava Elia... Ma che stupida, lui e Elia erano migliori amici fin dai tempi delle elementari.
Doveva smetterla con quei pensieri fuori luogo.
Elia aveva tutto il diritto di baciarla e suo cugino... beh, lui era una cosa a parte.
Respirò profondamente.
«Vale, non ti sbrighi?»
Maia la chiamava ormai lontana dalla riva.
«Arrivo.»










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Capitolo 2
*** Sul pedalò ***








Dopo parecchi sforzi, i ragazzi riuscirono a trascinare il pedalò in acqua e a saltarci sopra come un branco di scimmie imbizzarrite.
Miriel era un po' preoccupata, dato che avevano superato alla grande il maggior numero di peso e sembrava stessero affondando da un lato.
«Se annego, siete morti.» aveva detto minacciosa.
Censeo, che non pesava molto, Carmine e Conny erano in piedi a godersi il panorama.
Daniel stava seduto con i piedi dentro l'acqua, e sembrava avere l'aria assente. Dall'altro lato, Sara si attorcigliava i capelli con un dito, anche lei probabilmente in pensiero.
Alex e Miriel, invece, discutevano allegramente su chissà cosa, mentre in mezzo, egocentrici come sempre, stavano avvinghiati Valeryn, Vittorio e Elia, facendo chiasso e battutine.
Maia li osservava sorridente.
«Ma non cambierete mai? Soprattutto voi due, Vale e Vitto, sembrate tirarvi le parole di bocca.» commentò.
Valeryn rise, mentre il cugino le passava una mano sulle spalle.
«È vero, Mai. Forse io e lui abbiamo qualcosa che voi non avete.» canzonò quest'ultima.
«E che cosa?  Secondo me non fate neanche ridere.» aggiunse Daniel borbottando, udendo quei vanti.
«Infatti, Dan. Con tutto l'impegno che metti nel vendere persiane al mercato, ci credo che non trovi tempo per ridere alle nostre battute. Vero, cugina?»
Vittorio si rivolse alla ragazza che scoppiò a ridere come una matta, in tono forse un po' esagerato. Ovviamente era un loro modo di prenderlo in giro, facendo intendere quanto fosse fannullone. 
Elia si voltò a guardarla con un cipiglio interrogativo e leggermente infastidito.
«Vitto ha ragione. Qui il tuo lavoro è inutile, bada a pedalare insieme a Sara.» la sentì ordinare.
I due si scrutarono strano, dopodiché, mostrando una faccia indignata, obbedirono.
«E fate veloce. Vogliamo trapassare l'orizzonte.»
«Tu troppo vuoi, Elì!» sbottò Daniel «E' già tanto se mi metto a pedalare con questa grassona col naso di porco.»
«Guardati tu! Pistacchio ammuffito!» si difese la ragazza.
Valeryn ridacchiò, mentre il castano guardava la bionda con aria grave.
«Oh, ma allora continui?!» esclamò, alzandosi dal suo posto e raggiungendola, mentre lei si faceva piccola piccola.
«Sei più grossa di un canotto! Precisamente del canotto di Censeo, ricordi quanto era gonfio?»
«Perché non la smetti di sparare cavolate? Badati tu, e quei tuoi capelli stile medusa!»
«GRRR! Ma lo fai a posta?!» strinse i denti Daniel, andando su tutte le furie.
«Mongolfiera, balena Free-Willy!»
Maia non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere, Conny si teneva la pancia sbellicandosi e Vittorio aveva una faccia sconcertata.
«Cugi, ma 'sti due si amano proprio.» commentò.
«Tze, da morire.» scosse la testa, sarcastica, la cugina.
«No, no, dico davvero. Questi sono proprio cotti.»
Valeryn alzò le spalle, osservando nuovamente Daniel e Sara che stavano passando alle mani. Voleva fermarli, ma ci aveva già pensato Alex che teneva dalle braccia l'amico, mentre Sara si allontanava stizzita dall'altro lato del pedalò.
Rise, e si sedette al loro posto, pedalando, visto che erano rimasti fermi parecchi metri dalla riva.
«Facciamo il tagadà?» propose Elia, battendo le mani per risvegliare gli animi.
«Scordatelo, io ho paura!» esclamò Conny, sedendosi immediatamente. Provava un certo timore del pedalò che oscillava vorticosamente.
«Eddai, ci divertiremo, guastafeste! Così facciamo ammosciare anche i morti.» disse Censeo, raggiungendo il bordo dell'imbarcazione, se così si poteva chiamare.
«Non ci pensate nemmeno!» urlò Miriel, aggrappandosi a Maia.
Valeryn si alzò da dove era seduta, ed annunciò: «Pronti per il tagadà! Via!»
Sia lei che Elia e gli altri si sistemarono ai bordi, provando a far oscillare il pedalò, prima cautamente dopo con violenza.
Le urla di Conny e Miriel erano assordanti. Le due stavano abbracciate, mentre Maia rideva e Sara era caduta in acqua.
«AH! La solita balena che torna nel suo habitat naturale.» la indicò Daniel, ridendo.
Sara fece una smorfietta, risalendo in superficie
«Perché non mi dai una mano, brutto deficiente?»
«Non ci penso nemmeno, potrei infettarmi.»
Ma la ragazza lo afferrò da un piede, tentando di farlo scivolare.
«Mollami, non sono un plancton! Prenditela con quelli della tua taglia, orca assassina.»
Vittorio e Valeryn arrivarono da dietro.
«Neanche tu sei particolarmente magro.» osservò lei.
«Ti servirà un po' di nuoto per smaltire.» e così dicendo lo spinsero in acqua, mentre cacciava un urlo. Cadde teatralmente sopra Sara, e appena risalì le sputò tutta l'acqua in faccia.
I due ragazzi risero con complicità, avevano un modo così naturale nel comprendersi. Dopo aver riso, si guardarono negli occhi per dei secondi.
Vittorio si morse il labbro inferiore. Non poteva crederci come potesse essere bella sua cugina anche da bagnata. Gli veniva voglia di afferrarla e... magari abbracciarla, o.... insomma, qualcosa che andava fuori del normale.
Erano cugini... Erano cugini e lei era la ragazza del suo migliore amico a cui voleva un bene dell'anima.
Valeryn, come in tutti i momenti nei quali era imbarazzata, si spostò una ciocca bagnata dietro le orecchie. Vittorio le faceva sempre sentire un formicolio allo stomaco e non riusciva mai a capire perché.
Ad interrompere quella sfilza di pensieri fu Alex.
«Uno a zero per Sara. Grande Dan, continua così! Mitici, regà! L'avete fatto cascare come un salame.»
Lui e Vittorio si scambiarono una pacca, mentre Valeryn ghignava.
«Daniel lo sa...»
«Che cosa dovrei sapere, sentiamo!» sbottò lui interrompendola, mentre saliva dalla scaletta sott'acqua.
«E' guerra persa contro di noi.»
Vittorio l'abbracciò da dietro, sollevandola un po'
«Grande, cugi! Facciamo vedere a tutti chi comanda.»
«Ma dai. Non comanderete certo voi. Non avete la stoffa.» li provocò il ragazzo con un ghigno beffardo.
«Ah sì?»
«Certo.»
«Beccati questo.» Valeryn lo spinse sopra Sara che stava tentando di salire dietro di lui e i due ricaddero in mare.
Tutti risero, mentre Censeo urlava:
«Pedalate, pedalate! Lasciamolo qui!»
«Ehi, vedete che ci sono anch'io! Tornate indietro!» gridava la biondina, agitando le braccia.
Maia rideva con le lacrime agli occhi.
«Stai lì, Sari, sei nel tuo habitat naturale, come dice quel tricheco là.»
Daniel tentava di raggiungerli, ma Carmine lo spingeva sott'acqua.
«Non mi lascerete con 'sta qui, spero?!»
«Resta pure, e tenete questa.» Carmine gli lanciò la ciambella rossa di salvataggio.
«Porca miseria!» strinse denti e pugni il ragazzo, aggrappandosi alla ciambella insieme a Sara.
«Me la pagherai, Valeryn!» urlò.
La castana, alzandosi in piedi, lo salutò sorridente.
«Voglio proprio vedere come farai»
Il pedalò si allontanava velocemente, visto che Alex e Elia si erano messi a pedalare con impegno.
Daniel e Sara erano già abbastanza lontani.
«Non so voi...» commentò Miriel con un ghigno, coprendosi gli occhi dal sole «ma mi sembra di sentire le loro urla.»
«Anch'io. Forse Daniel sta cercando aiuto.» osservò Conny.
«Ben gli sta.» affermò Vittorio, posizionandosi vicino a dove era seduta Valeryn.
«Nessuno rompe le scatole a mia cugina.» disse, guardandola intensamente.
Lei gli sorrise, un sorriso armonioso, da fare quasi invidia.
Elia si voltò, osservandoli. Avevano un modo di scherzare complice e spontaneo, a volte credeva che riuscissero a capirsi più di quanto lo facessero lui e Vittorio, o che a Valeryn piacesse più l'amico di lui.
Si passò la lingua sulle labbra, rimuginando.
Doveva essere geloso?
In quel momento il castano gli tirò una pacca sulla spalla e gli sorrise, e lui lo guardò ricambiando, dimenticando per un momento di aver pensato male.
D'altronde erano solo cugini e Vittorio era il suo migliore amico a cui voleva un bene dell'anima.












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Capitolo 3
*** Antipatica con chi voglio ***








«Che cavolo volete?! Andate a suicidarvi, infami!»
Daniel si avventò contro Valeryn e gli altri ragazzi che erano risaliti dalla spiaggia e stavano raggiungendo lui e Sara nella piazzetta che costeggiava la spiaggia. Elia alzò le mani sorridente in segno di innocenza, mentre la castana guardava il castano con un sopracciglio inarcato.
«Da quando dai ordini?» domandò sarcastica, facendo per sedersi accanto alla biondina.
«NO!» la bloccò il ragazzo «Non ti avvicinare! Saretta sarà anche una mongolfiera, ma è grazie a lei se sono riuscito a tornare a riva sano e salvo.»
Sara lo guardò perplessa, mentre Elia chiedeva scettico:
«E come?»
«Ringrazia la sua cavernosa bocca. Mi ha ingoiato e mandato giù senza tritarmi, tipo come la balena di Pinocchio. Arrivati all'ombrellone, mi ha sputato e risvegliato con un suo spettacolare rutto.»
La bionda si alzò, mollandogli un calcio negli stinchi.
«Veramente mi ci hai portato tu a riva sulle spalle. E senza obbiettare!»
«Cosa?!» fece finta di essere stupito il ragazzo «Io ti avrei dato una mano?! Scherzi? Non lo farei neanche se scendessero tutti gli angeli dal cielo ad ordinarlo.»
Mentre Sara incrociava le braccia per non essere creduta, Maia sbuffò.
«Ecco che ricominciano.» si rivolse a Valeryn, la quale alzò gli occhi al cielo.
«Allora, voi due.» li richiamò, mentre entrambi si giravano verso di lei «La smettete di fare gli sciocchi o vi faccio smettere io?»
«Oh, ha parlato il capo!» la scimmiottò il castano.
«Sì, Daniel, hai proprio ragione. Te lo ordino.» si pavoneggiò la castana, mentre lui le lanciava uno sguardo velenoso.
Ci voleva molta pazienza con i ragazzi della sua compagnia. Ognuno era sfacciato e ad ognuno piaceva stuzzicarla e farla arrabbiare. Ma lei ne era abituata: per questo preferiva di gran lunga rispondere ed essere altrettanto sfacciata. I ragazzi non erano il centro del mondo, si diceva. Se credevano di poter prevalere su tutto si sbagliavano di grosso. Lei era indipendente e non voleva essere sottomessa da nessuno, né tantomeno dal suo fidanzato.
Elia le si avvicinò proprio in quel momento, sorridendole e attirandola a lui con un braccio. Daniel e Sara, invece, non avevano ancora finito di punzecchiarsi. Se la biondina fosse esplosa in quel momento sarebbero stati guai per quel tricheco del suo amico, ma Sara aveva i nervi ben saldi, anche se tardava a capire le cose. Eppure sospettava del tenero tra di loro, ma non lo avrebbero ammesso mai. Come Alex e la sua amica Miriel, ad esempio. Passavano praticamente ogni giorno assieme. Uscivano col gruppo, ma appena iniziavano a conversare delle loro cose si isolavano dal mondo. Valeryn si promise una bella chiacchierata con la mora, un giorno di quelli.
E anche con Conny, la quale era abbastanza scemina per poter ammettere una cosa simile; ma era tutto chiaro: Censeo le piaceva. E anche tanto. Purtroppo che lui avesse una cotta storica per Valeryn, e che avesse chiuso con le ragazze da quando lei lo ebbe rifiutato mettendosi con Elia, l'anno prima. Sospirò. Magari si poteva fare comunque, si disse, non c'era niente di male se Censeo ricominciava a farsi una vita e smetteva di pensarla. Avevano solo sedici anni, anzi lui aveva un anno in più, perciò, sì, doveva parlare con Conny, ed escogitare una strategia di conquista. Le piaceva tanto ficcare il naso nelle faccende altrui. Lo sapeva che non era corretto, ma lei era la curiosità fatta a persona; non si poteva lasciare in sospeso niente, o si sarebbe arrabbiata.
Carmine, nome a caso, si ostinava a ripetere di voler rimanere single per il resto della vita. Ma era strano, detto così; secondo lei c'era qualcosa sotto che però non aveva ancora scoperto. Carmine riusciva a nascondere bene le sue cose, per questo non le piacevano i misteriosi, anche se lui godeva del fascino delle sue origini campane, difatti con le ragazze riscuoteva parecchio successo non appena solo vedevano quegli occhi azzurri e quel volto mediterraneo. Invece suo cugino Vittorio non era per niente un tipo misterioso, anzi... Ciò che pensava lo diceva, se stava male lo diceva, se era attratto da qualcuno lo diceva. E visto che per adesso non era attratto da nessuna ragazza, Valeryn poteva stare tranquilla. Le dava fastidio sapere che al fianco di suo cugino ci potesse essere qualcun' altra. Beh sì, era parecchio gelosa, ma non perché Vittorio le piacesse in quel senso... insomma, era tutta una questione di principio. Lui era geloso di lei e lei di lui. Erano cugini, amavano proteggersi a vicenda. O almeno, era quello che credevano entrambi.
«Ma perché non risponde?!» sbottò ad un certo punto Maia, stringendo tra le mani il suo cellulare «Sarà mezz'ora che provo a chiamarlo e richiamarlo.»
«Problemi con Steve?» chiese la castana.
«Problemi? Una valanga, Vale!» si sfogò la moretta «Non lo sento da tre giorni, da quando è andato a trovare i suoi parenti. Ti giuro, sto impazzendo, non capisco perché continua ad evitarmi.»
Stefano, detto Steve, era il ragazzo di Maia da circa due anni. Aveva ventun'anni compiuti da poco, di gran lunga più grande di lei, ma alla ragazza non interessava minimamente la differenza d'età, ed essendo sincera, non importava neanche a Valeryn. Se due persone si amano, non esistono differenze e ostacoli, si ripeteva spesso.
«Su, Mai, non pensare subito al peggio. Perché dovrebbe evitarti? Avrà sicuramente il telefono scarico, o visto che si trova in montagna la linea potrebbe non prendere bene, che ne sai.»
«Ma sono passati tre dannatissimi giorni e non si è degnato di contattarmi! Ci sarà pur un telefono a casa dei suoi zii, no? Il mio numero ce l'ha, quindi perché... Uffa, ti prego abbracciami.»
Valeryn allargò le braccia verso l'amica e questa si abbandonò contro di lei, mordendosi un labbro. La ragazza sapeva quanto Maia fosse innamorata di Steve, ma era certa anche del contrario, perciò doveva stare tranquilla.
«Sta' calma e porta pazienza.»
«Ma Vale, non puoi chiedermi questo!» esclamò l'altra «Cosa faresti se Elia non ti cercasse per giorni?»
La castana volse uno sguardo al suo ragazzo che aveva incominciato a palleggiare insieme agli altri ragazzi con il Super Santos arancione.
«Beh, sarei preoccupata.» scrollò le spalle.
«Solo?»
«Ehm, sì. Non sono così pessimista.»
Maia sbuffò. «Ho tanta paura che mi tradisca con un'altra.»
Valeryn la strinse di più a sé. «Amica mia, tu ti preoccupi troppo. So che sei innamorata, ma devi dargli anche i suoi spazi. Non puoi continuare a ronzargli sempre intorno.»
«E cosa dovrei fare?»
«Te lo spiego io.» le prese le mani e le disse:
«Smetti di contattarlo, divertiti con noi. Lui ti ama, lo sai. Altrimenti non stareste insieme da almeno due anni.»
«Ma...»
«Niente "ma", Maia!» la rimbeccò senza ammettere altro «Segui i miei consigli una volta tanto.»
«Ehm no, dicevo... Guarda là!» indicò la mora, in direzione di un ragazzo castano che parlottava allegramente con qualcuno.
«Cosa ci fa Vitto con Franca? La conosce?»
Appena Valeryn si voltò, una fitta le percorse il petto. Vittorio e quella ragazza, Franca, erano insieme a pochi metri da loro. Stavano solo parlando, sì, ma il fatto che lei si facesse cingere i fianchi da lui in quel modo non poteva sopportarlo. Per un attimo tentò di calmarsi. Insomma, cosa gliene importava se suo cugino flirtava con Franca? Era pur sempre libero di fare ciò che voleva, come aveva detto a Maia poco fa riguardo Steve. Non poteva essere così maledettamente incoerente. Coerente o no, quella doveva levarsi di torno... e subito.
«Valeryn, dove stai andando?» le chiese Maia, non appena questa si mise in piedi. Capì subito che si sarebbe infilata nella conversazione con una scusa.
«Lasciali in pace, dai, sono per i fatti loro.»
E anch'io voglio farmi i fatti loro, pensò, raggiungendoli con una faccia leggermente indispettita e le braccia incrociate. Ovviamente, Vittorio e Franca si girarono verso di lei un tantino perplessi. Specie quest'ultimo, che non capiva il perché di tante moine.
«Ciao, eh!» salutò sarcasticamente «No, tranquilli, non sono venuta per disturbarvi. Me ne sto qui buona buona senza fiatare, voi continuate pure.»
Franca fece una faccia interrogativa alzando gli occhi verso Vittorio, che si mordicchiava il labbro inferiore.
«Cugi, è tutto okay?» gli venne da chiedere, spiazzato.
«Certo Vitto, perché non dovrebbe esserlo? Anzi, è più che okay. Sai, appena vi ho visti ho subito pensato "oh, ma che carini! Potrebbero mettersi insieme, sono così dolci quando si abbracciano".» calcò le ultime parole, lanciando uno sguardo di fuoco al braccio del cugino intorno alla vita della ragazza.
Valeryn era così: quando era gelosa incominciava a sparare parole a raffica senza un senso, o perlomeno non vere.
«Sì, hai proprio ragione. Io mi ci metterei volentieri con tuo cugino, Valeryn.» esclamò Franca «E' così dolce e carino.» gli strinse il braccio, mentre Vittorio ridacchiava e la ragazza sprizzava scintille.
«Ah sì? Non lo crederai sul serio?» rise di cattivo gusto «Mia cara, mio cugino si fida pienamente del mio parere. E, senza offesa, tu non sei proprio adatta ad uno come lui. Anzi, direi che sei completamente l'opposto della sua tipa ideale.»
«E chi sarebbe la mia tipa ideale?» la provocò Vittorio, con un ghigno divertito. Valeryn fece per aprire bocca, ma si bloccò. Stava per dire "io sono la tua tipa ideale", ma sarebbe stata una stronzata. Erano cugini e poi lei stava già con Elia, quante volte doveva ripeterselo...
«Di certo non lei, caro.» replicò con sufficienza «Se vuoi, potrei benissimo indicartene altre cento, più simpatiche e più belle...»
«Cosa? Come ti permetti, scusa? Io non ti ho mica offesa sul personale!» esclamò Franca, indignata.
«No, ma vederti con mio cugino mi blocca la crescita.»
Franca aprì la bocca, allibita da quel modo così sfacciato di porsi nei suoi confronti. Cos'aveva fatto di male, d'altronde?
«Scherzi?!»
«Scherzo, sì, ma non con te. O meglio, lo faccio con le persone con cui vale la pena scherzare.» rispose Valeryn, facendole un sorrisino finto. Non sapeva cosa le prendeva, ma sentiva la rabbia ribollire al solo pensiero di quei due insieme e la sua bocca era tipo scollegata al cervello.
«Tu non puoi criticarmi così!» esclamò Franca, scostandosi bruscamente da Vittorio.
«Non ne hai il diritto!»
«Sì che ce l'ho.» rispose tranquillamente la castana, aggiustandosi la capigliatura ondulata
«Faccio quello che mi pare. E adesso, se non ti dispiace, lasciaci soli, dobbiamo parlare di cose importanti, noi.»
Franca guardò con gli occhi a fessure prima lei, dopo il ragazzo che fece spallucce. Sapendo di non avere altra scelta, con i pugni stretti sorpassò la ragazza e se ne andò sibilando.
«Antipatica, vipera.»
Ma Valeryn la sentì e le urlò contro
«Oca senza un briciolo di cervello! Che, credi di piacere a Vittorio? Ma ti prego! Ti sei mai seriamente guardata allo specchio? Oppure quello di casa tua è andato in frantumi?»
E avrebbe continuato se solo suo cugino non l'avesse fermata da un braccio e l'avesse zittita, scotendola. Maia guardava la scena sbigottita, così come Conny.
«Oddio, Vale è impazzita?» chiese quest'ultima.
«Sì, è impazzita» boccheggiò la riccia «Di gelosia.» aggiunse a bassa voce.
Valeryn guardò torva il castano con le braccia incrociate. Forse aveva un po' esagerato creando tutto quel caos; d'altronde, non stavano facendo chissà che cosa e Vittorio era solo suo cugino di terzo grado, non il suo fidanzato. Ma a lei non importava la figuraccia e tutto il resto. Voleva, anzi, pretendeva una spiegazione.
«Valeryn, ma...» disse Vittorio, stupefatto «perché le hai detto quelle cose?»
Lei scrollò le spalle. «Così impari a frequentare certe ochette!»
«Cugi, Franca è soltanto un'amica. Lo sai che non mi piace nessuno in questo periodo.»
Ah no? Non gli piaceva nessuno? E com'è che se la strusciava addosso?
«E per quale motivo ti stava attaccata come un polpo? Era una nuova imitazione dell'attack?» esclamò imbestialita.
Vittorio l'osservò stranito, dopodiché ridacchiò, iniziando a capire.
«Non posso credere che tu sia così gelosa. Pensavo ti facesse piacere che... insomma, parlassi con le altre ragazze.»
«NO!» sbatté i piedi Valeryn.
«Non prima di aver chiesto il mio parere, Vitto, io le conosco, alcune non sono adatte a te. E poi non sono gelosa, ci sono solo rimasta male. Credevo ci raccontassimo tutto, e invece ti trovo a cazzeggiare allegramente con quella lì.»
Il ragazzo le poggiò un dito sulle labbra per zittirla. Alcune persone si erano voltate per vedere cos'era successo, tra cui Elia che fissava la scena da lontano.
«Non urlare. Sta' calma, adesso ti spiego.»
Non seppe perché, ma Valeryn sentì un brivido percorrerle la schiena non appena la pelle del cugino e la sua bocca si sfiorarono.
Cosa le prendeva? Non ci stava capendo più niente, dannazione, aveva creato un putiferio non solo fuori, ma anche all'interno di sè.
«È vero che ti racconto tutto, ma mi ha fermato per fare due chiacchiere, perché non avrei dovuto? E poi è una brava ragazza e tu ti sei comportata male nei suoi confronti.»
«Ah sì? Lei... lei...»
«Lei, cosa?» chiese Vittorio, spazientito «Cugi, ma perché te la prendi così tanto? Manco me la fossi fatta con Sara...»
«Questo mai, non scherzare!» alzò l'indice, la ragazza,
Vittorio sospirò.
«Appunto.» e passandole le mani sulle spalle, disse «Che ne dici? Andiamo a bere una camomilla insieme, questa sera? Filtrofiore Bonomelli, quella che mia madre prepara ogni sera al gatto per evitare che le sbrani il tappeto.»
Voleva trattenersi, ma Valeryn scoppiò a ridere. Come diamine faceva a farla sbellicare anche nei momenti in cui era arrabbiata?
«Va bene, per questa volta ti perdono.»
«Grazie, cugina, come sei umana.» fece lui ironico, in realtà soddisfatto della sua reazione.
«Ma guai se ti rivedo abbracciato a un'altra, mi sono spiegata?»
Vittorio la guardò sorridente. Quant'era carina quando si arrabbiava. Era bella, troppo bella. 
«Nemmeno ad una mia amica?»
«Con nessuno.» ripeté lei, categorica, mentre tornavano dagli altri.
«Proprio con nessuno?»
«NO!» si fermò di scatto la castana, puntandogli minacciosa un dito
«E' meglio se ti rassegni.»
«Ma...» disse, indugiando un po' prima di chiedere «nemmeno con te?»
Sentendo una fitta allo stomaco, si voltò finendo tra le sue braccia.
E adesso cos'era tutta quella passione per suo cugino? Che stesse delirando? Prima la gelosia e poi il cuore che le saliva in gola. Si morse il labbro. Sapeva solo che stretta a lui stava bene. E Vittorio sorrise, poggiando il mento sopra la sua testa.

Insieme stavano troppo bene.









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Capitolo 4
*** Sensazioni ***








Elia prese per mano la sua ragazza e si diresse a passo spedito verso il punto d'incontro fissato con gli altri la mattina stessa.
Erano tutti invitati a casa di Maia per vedere un film o qualcosa del genere. In realtà, Valeryn sapeva che l'amica era entusiasta della ricomparsa del suo amore perduto, Steve, e che voleva solamente festeggiare. Infatti, quella mattina sprizzava felicità da tutti i pori.
«Mi ha chiamata ieri sera e ha detto che non ha potuto contattarmi prima perché aveva lasciato il cellulare a casa. Che sbadato!» aveva detto tutta contenta.
«E come mai non ha pensato di usare il telefono dei suoi zii?»
«Oh, beh... Sicuramente non l'avevano.»
E aveva troncato il discorso là, visto che erano subito entrati in acqua. Adesso i ragazzi della compagnia si affrettavano a raggiungere il luogo dell'appuntamento.
«Non potremmo andarci in macchina? Mi stufo ad andare a piedi fino a lì, mi fanno male le gambe.» si lamentava Valeryn, mentre il suo fidanzato sbatteva la testa.
«Beh, se hai la patente a sedici anni, va bene.» disse sarcastico lui.
«Ma fa caldo!»
«Io sono venuto a prenderti.»
«E perché lo hai fatto? Potevo benissimo venire con gli altri.» rispose lei accigliata. Alle volte, Elia faceva cose veramente strane.
«C'è qualcosa di male se trascorriamo un po' di tempo insieme?»
Elia pareva serio e la cosa fece agitare di gran lunga la ragazza. Non che fosse molto geloso, anzi. Non aveva mai assistito a scenate da parte sua; era sempre lei quella che spesso si adirava. Ma forse Elia aveva fatto bene. D'altronde stavano praticamente passando ogni giorno e ogni ora con i propri amici.
Si addolcì.
«No, hai ragione, amò. Scusami, esagero sempre.» ammise.
«Beh, credevo ti fossi un po' stancata di me.» disse con sincerità il biondo, guardandola negli occhi.
Valeryn quasi perse un battito d'ansia. Al fatto che non stesse pensando al suo ragazzo come prima doveva esserci arrivato anche a lui.
«Ma no, cosa dici? Se stiamo insieme c'è un motivo.» si affrettò a contraddirlo.
«E se sto insieme a te, è perché ti amo.» disse, poco convinta. Col verbo amare non c'era proprio.
Lui si rasserenò e la baciò passionalmente, fermandosi sul marciapiede; tanto che Daniel, accortosi di quelle smancerie, fischiò esultante in loro direzione.
«Un letto, per favore, un letto!» urlava, mentre tutti si voltavano a guardarli.
Vittorio, destandosi dalla sua conversazione con Alex, fece una smorfia.
Quando tutti si accinsero a raggiungerli per mettersi in cammino, il ragazzo passò vicino ad Elia non riuscendosi a trattenere:
«La prossima volta vi offro la mia stanza.»
Il biondo non capì, ma Valeryn, che aveva sentito, rimase attonita.
Gelosia 1-1, molto bene. Tra due cugini poteva definirsi normale tutto quello? Entrambi non lo sapevano, ma se qualcosa era troppo, era troppo e basta.

«Ciao, Steve!» urlò Daniel, parandosi di fronte alla porta della casa di Maia.
Stefano, un ragazzo alto e bello, con ricci capelli di un biondo cenere, aveva aperto dopo aver sentito il campanello suonare all'impazzata. Naturalmente era stato Daniel a creare tutto quel casino e adesso porgeva una mano al ventunenne, mentre quello sorrideva e scuoteva la testa. Perrone non sarebbe cambiato mai.
«Dov'è Maia?» chiese, entrando come una furia in casa
«Sta preparando i tramezzini, vero?»
«No, si sta asciugando i capelli.» rispose Steve, facendo accomodare gli altri.
Valeryn rimase nuovamente abbagliata dalla bellezza del ragazzo, così come le altre.
Per i maschi, invece, era come una specie di idolo, un modello da seguire.
«Bella Ste!» gli diede una pacca Censeo «Ti tocca fare gli onori di casa? Avete pensato di mettere su famiglia?»
«Ti prego, Maia vorrebbe cinque figli. Non ne avrei la forza.» ridacchiò quello.
«Tu sei un mito!» gli porse la mano Carmine, entusiasta.
Alex e Elia gli tirarono pacche incoraggianti sulla schiena facendogli complimenti, mentre Vittorio, entrato l'ultimo di tutti, esclamò a braccia aperte:
«Steve, cazzo, l'ultima volta che ti ho visto è stata quando mi hai salvato la vita!»
«Perché? Stavi morendo?» s'intromise Daniel, arrivando dal bagno «Cavolo, non poteva lasciarti schiattare?»
«Divertente, Dan!» esclamò con sarcasmo il castano, tirandogli uno scappellotto.
«In realtà, ero con Giulia...»
Valeryn, accanto a loro, rizzò le orecchie, mentre Daniel esclamava:
«La ciarlatana?!»
«Sì, e non sai quante cavolate ha sparato nel raggio di un'ora. Non ce la facevo più, non ricordavo neppure perché mi ero fermato con lei...»
«Fortunatamente sono arrivato io e mi ha scippato un passaggio.» concluse il racconto Steve, mentre Vittorio lo ringraziava ancora una volta.
«E hai lasciato quella bestiona così, su due piedi?» chiese Carmine.
«Capirai, col carisma che si ritrova sarà rimasta a parlare da sola senza accorgersi che me ne ero andato. Ecco perché quest'uomo è un grande!» Vittorio strinse nuovamente la mano a Steve, mentre gli altri ricominciavano con le lodi e blablabla.
Valeryn li guardò di uno sguardo scettico. Avrebbe urlato all'adulazione eccessiva, ma si poteva anche evitare. L'importante era che Vittorio non sopportasse quella chiacchierona di Giulia.
Ecco, nuovamente quella sensazione di gelosia che la pervadeva. Doveva distrarsi.
«Ehi, voi! Lasciate stare il mio lupacchiotto!» esclamò Maia con i ricci bagnati, mentre entrava nel salotto e si parava dinanzi al suo fidanzato.
«Perché? Hai adottato un animaletto?» chiese Censeo, prendendola in giro.
Conny rise alla sua battuta, anzi fu l'unica. Questi la guardò interrogativo, mentre lei arrossiva e si voltava da un'altra parte.
«Possiamo sapere che ci fai con i capelli bagnati?» chiese Daniel, in direzione della mora.
«Beh...»
«E perché non hai ancora preparato i tramezzini?»
Maia sbuffò. «L'ho detto a Sara, idiota.»
Entrò in cucina, mentre la biondina usciva con un sorriso a trenta denti e con in mano un vassoio di cibarie. Daniel fece una faccia schifata, mentre i ragazzi ridacchiavano di nascosto.
«Cosa... cosa sono quelle merde?»
«Queste leccornie» sottolineò il termine, indignata, la ragazza «sono piatti tipici della mia città di origine.»
«Cosa? Ma... ma... e i tramezzini?!» esclamò con aria grave Daniel, scotendola dalle spalle.
Sara fece una smorfia.
«Non c'era abbastanza Pan Carrè per prepararli. Se proprio li vuoi, scendi al supermercato accanto e comprateli.»
Daniel stava per aggiungere qualche altra cosa, ma, vedendo che ognuno si stava posizionando sui divani per guardare il film, lasciò perdere.
«Io nel mezzo!» urlò lanciandosi in picchiata, tra i cuscini.



Stranamente, due ore dopo, i ragazzi erano spaparanzati sul divano con l'aria condizionata e attentissimi; a parte Maia e Stefano, che evidentemente volevano recuperare i cinque giorni perduti e stavano pomiciando senza problemi.
Vittorio, seduto accanto a loro, si voltò leggermente schifato.
«Tra poco vomito.» commentò orripilato per farli smettere. Ma nessuno dei due gli diede retta e il ragazzo tornò imbronciato, cercando di concentrarsi sulla commedia d'amore.
Non aveva capito nulla della trama, e il fatto che, tra altro, i due piccioncini accanto a lui si sbaciucchiassero facendo quel fastidioso "smack" con le labbra lo faceva completamente innervosire. Incrociò le braccia una volta, le gambe due volte, sbuffò tre, fino a quando non si alzò completamente da lì e raggiunse la parte opposta del divano vicino a sua cugina Valeryn. Senza fare rumore, si accomodò di fianco a lei, osservandola. Era così attenta che non si era nemmeno accorta della sua presenza. Lui non era interessato affatto ai film romantici. A lui piaceva vivere le cose sul serio, non guardarle in tv. Continuò ad ammirarla, pensando che probabilmente, se non fossero stati parenti ci avrebbe fatto un pensierino. Era così bella e attraente, specie adesso che si portava un dito sulle labbra, che l'avrebbe volentieri abbracciata come aveva fatto due giorni prima. Fece mezzo sorriso ricordando la scenata che aveva fatto, vedendolo insieme a Franca. Non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. Era stato da quel momento che aveva capito che qualcosa non andava, perché lei era realmente speciale.
«Vitto?» bisbigliò la ragazza, schioccando le dita davanti alla sua faccia. Si era imbambolato come un ebete.
«Eh? Sì, che c'è?» si ridestò lui.
«Non segui il film?»
Vittorio deglutì. «Ehm, no... Non mi piace molto.»
«Ah, capisco.» disse Valeryn, alzando le spalle.
E tornò a concentrarsi sulla scena. Due ragazzi si baciavano, due ragazzi molto somiglianti a loro. Il castano respirò profondamente. Doveva piantarla con tutti quei pensieri, non era discutibile.
Non lo era.
Ma era assolutamente discutibile portare un braccio attorno le spalle della propria cugina e far finta di niente, però.
Valeryn per un attimo spostò lo sguardo sulla mano del ragazzo e ne fu soddisfatta.
Beh, le piaceva tanto quel senso di protezione che le dava, ma certamente non era solo quello dato che sentiva la faccia andarle a fuoco.
«Sei sicuro che non ti piace il film?» sussurrò.
«Certe cose preferisco farle veramente piuttosto che assistere.» soffiò lui, in direzione di una scena d'amore. Lei sogghignò, alzando il mento per provocarlo.
«Con Franca? O con Giulia?»
Vittorio le scoccò uno sguardo quasi inorridito.
«Scherzi? Giulia? Non se ne parla! Quella sanguisuga... Meglio Franca.»
Lei incrociò le braccia, sbuffando.
«Opterei nettamente per quella ciarlatana di Giulia.»
«E perché?»
Il ragazzo si girò a guardarla fisso negli occhi, mentre lei faceva lo stesso. Non riuscendo a sopportare il peso del suo sguardo, proferì abbastanza forte:
«Non ha importanza.»
«Ehi!» esclamò Daniel, che, forse trasportato dal film, era abbracciato a Sara
«Che cazzo urlate? Se dovete dirvi i vostri segretucci, andate in bagno!»
«Ah, bene.» bisbigliò Vittorio, gettando uno sguardo alla televisione, mentre Daniel si calmava. Passarono alcuni secondi in silenzio, guardando i due ragazzi del film che facevano l'amore.
Venne quasi spontaneo pensare lei tra le sue braccia. E non se ne vergognò affatto; forse perché quando stava vicino alla cugina ogni cosa diventava più naturale.
«E se io preferissi te, invece?» mormorò all'altezza del suo orecchio in un impeto di coraggio che stupì anche lui, procurandole dei brividi alla schiena.
Valeryn lo guardò senza fiato, poi strinse le labbra.
«Stai... stai scherzando?»
«No.» disse guardandola negli occhi, e lei boccheggiò, sentendo il cuore battere forte.
«Vitto...»
Ma non appena questi si voltò vide Elia che li fissava tagliente dall'altro lato del divano. Si sentì meno che niente e deglutì, pensando a quanto era stupido per dire quelle cose.
«Sì, scherzavo, Valeryn.» tentò di sorridere, ma ogni tentativo era forzato.
La ragazza lasciò il fiato che aveva trattenuto per tutto quel tempo. Poi si passò una ciocca castana dietro l'orecchio, tentando di mascherare la delusione, nonostante fosse consapevole che era solo uno scherzo e che non doveva fare certi pensieri. Un velo di tristezza la pervase e non sapeva perché.
Vittorio pensò ad Elia e si diede del coglione. Che diamine faceva, ci provava con la sua ragazza? Che razza di migliore amico era? Non lo avrebbe fatto più.
Certo, però... pure lui... Proprio con lei... Dio, che cazzo andava a pensare! Lei era sua cugina. Doveva metterselo in testa.
Tolse il braccio dalle sue spalle lentamente e le incrociò al petto.
Una complicazione dopo l'altra.
Non era corretto.













Elia prese per mano la sua ragazza e si diresse a passo spedito verso il punto d'incontro fissato con gli altri la mattina stessa.
Erano tutti invitati a casa di Maia per vedere un film o qualcosa del genere. In realtà, Valeryn sapeva che l'amica era entusiasta della ricomparsa del suo amore perduto, Steve, e che voleva solamente festeggiare. Infatti, quella mattina sprizzava felicità da tutti i pori.
«Mi ha chiamata ieri sera e ha detto che non ha potuto contattarmi prima perché aveva lasciato il cellulare a casa. Che sbadato!» aveva detto tutta contenta.
«E come mai non ha pensato di usare il telefono dei suoi zii?»
«Oh, beh... Sicuramente non l'avevano.»
E aveva troncato il discorso là, visto che erano subito entrati in acqua. Adesso i ragazzi della compagnia si affrettavano a raggiungere il luogo dell'appuntamento.
«Non potremmo andarci in macchina? Mi stufo ad andare a piedi fino a lì, mi fanno male le gambe.» si lamentava Valeryn, mentre il suo fidanzato sbatteva la testa.
«Beh, se hai la patente a sedici anni, va bene.» disse sarcastico lui.
«Ma fa caldo!»
«Io sono venuto a prenderti.»
«E perché lo hai fatto? Potevo benissimo venire con gli altri.» rispose lei accigliata. Alle volte, Elia faceva cose veramente strane.
«C'è qualcosa di male se trascorriamo un po' di tempo insieme?»
Elia pareva serio e la cosa fece agitare di gran lunga la ragazza. Non che fosse molto geloso, anzi. Non aveva mai assistito a scenate da parte sua; era sempre lei quella che spesso si adirava. Ma forse Elia aveva fatto bene. D'altronde stavano praticamente passando ogni giorno e ogni ora con i propri amici.
Si addolcì.
«No, hai ragione, amò. Scusami, esagero sempre.» ammise.
«Beh, credevo ti fossi un po' stancata di me.» disse con sincerità il biondo, guardandola negli occhi.
Valeryn quasi perse un battito d'ansia. Al fatto che non stesse pensando al suo ragazzo come prima doveva esserci arrivato anche a lui.
«Ma no, cosa dici? Se stiamo insieme c'è un motivo.» si affrettò a contraddirlo.
«E se sto insieme a te, è perché ti amo.» disse, poco convinta. Col verbo amare non c'era proprio.
Lui si rasserenò e la baciò passionalmente, fermandosi sul marciapiede; tanto che Daniel, accortosi di quelle smancerie, fischiò esultante in loro direzione.
«Un letto, per favore, un letto!» urlava, mentre tutti si voltavano a guardarli.
Vittorio, destandosi dalla sua conversazione con Alex, fece una smorfia.
Quando tutti si accinsero a raggiungerli per mettersi in cammino, il ragazzo passò vicino ad Elia non riuscendosi a trattenere:
«La prossima volta vi offro la mia stanza.»
Il biondo non capì, ma Valeryn, che aveva sentito, rimase attonita.
Gelosia 1-1, molto bene. Tra due cugini poteva definirsi normale tutto quello? Entrambi non lo sapevano, ma se qualcosa era troppo, era troppo e basta.

«Ciao, Steve!» urlò Daniel, parandosi di fronte alla porta della casa di Maia.
Stefano, un ragazzo alto e bello, con ricci capelli di un biondo cenere, aveva aperto dopo aver sentito il campanello suonare all'impazzata. Naturalmente era stato Daniel a creare tutto quel casino e adesso porgeva una mano al ventunenne, mentre quello sorrideva e scuoteva la testa. Perrone non sarebbe cambiato mai.
«Dov'è Maia?» chiese, entrando come una furia in casa
«Sta preparando i tramezzini, vero?»
«No, si sta asciugando i capelli.» rispose Steve, facendo accomodare gli altri.
Valeryn rimase nuovamente abbagliata dalla bellezza del ragazzo, così come le altre.
Per i maschi, invece, era come una specie di idolo, un modello da seguire.
«Bella Ste!» gli diede una pacca Censeo «Ti tocca fare gli onori di casa? Avete pensato di mettere su famiglia?»
«Ti prego, Maia vorrebbe cinque figli. Non ne avrei la forza.» ridacchiò quello.
«Tu sei un mito!» gli porse la mano Carmine, entusiasta.
Alex e Elia gli tirarono pacche incoraggianti sulla schiena facendogli complimenti, mentre Vittorio, entrato l'ultimo di tutti, esclamò a braccia aperte:
«Steve, cazzo, l'ultima volta che ti ho visto è stata quando mi hai salvato la vita!»
«Perché? Stavi morendo?» s'intromise Daniel, arrivando dal bagno «Cavolo, non poteva lasciarti schiattare?»
«Divertente, Dan!» esclamò con sarcasmo il castano, tirandogli uno scappellotto.
«In realtà, ero con Giulia...»
Valeryn, accanto a loro, rizzò le orecchie, mentre Daniel esclamava:
«La ciarlatana?!»
«Sì, e non sai quante cavolate ha sparato nel raggio di un'ora. Non ce la facevo più, non ricordavo neppure perché mi ero fermato con lei...»
«Fortunatamente sono arrivato io e mi ha scippato un passaggio.» concluse il racconto Steve, mentre Vittorio lo ringraziava ancora una volta.
«E hai lasciato quella bestiona così, su due piedi?» chiese Carmine.
«Capirai, col carisma che si ritrova sarà rimasta a parlare da sola senza accorgersi che me ne ero andato. Ecco perché quest'uomo è un grande!» Vittorio strinse nuovamente la mano a Steve, mentre gli altri ricominciavano con le lodi e blablabla.
Valeryn li guardò di uno sguardo scettico. Avrebbe urlato all'adulazione eccessiva, ma si poteva anche evitare. L'importante era che Vittorio non sopportasse quella chiacchierona di Giulia.
Ecco, nuovamente quella sensazione di gelosia che la pervadeva. Doveva distrarsi.
«Ehi, voi! Lasciate stare il mio lupacchiotto!» esclamò Maia con i ricci bagnati, mentre entrava nel salotto e si parava dinanzi al suo fidanzato.
«Perché? Hai adottato un animaletto?» chiese Censeo, prendendola in giro.
Conny rise alla sua battuta, anzi fu l'unica. Questi la guardò interrogativo, mentre lei arrossiva e si voltava da un'altra parte.
«Possiamo sapere che ci fai con i capelli bagnati?» chiese Daniel, in direzione della mora.
«Beh...»
«E perché non hai ancora preparato i tramezzini?»
Maia sbuffò. «L'ho detto a Sara, idiota.»
Entrò in cucina, mentre la biondina usciva con un sorriso a trenta denti e con in mano un vassoio di cibarie. Daniel fece una faccia schifata, mentre i ragazzi ridacchiavano di nascosto.
«Cosa... cosa sono quelle merde?»
«Queste leccornie» sottolineò il termine, indignata, la ragazza «sono piatti tipici della mia città di origine.»
«Cosa? Ma... ma... e i tramezzini?!» esclamò con aria grave Daniel, scotendola dalle spalle.
Sara fece una smorfia.
«Non c'era abbastanza Pan Carrè per prepararli. Se proprio li vuoi, scendi al supermercato accanto e comprateli.»
Daniel stava per aggiungere qualche altra cosa, ma, vedendo che ognuno si stava posizionando sui divani per guardare il film, lasciò perdere.
«Io nel mezzo!» urlò lanciandosi in picchiata, tra i cuscini.



Stranamente, due ore dopo, i ragazzi erano spaparanzati sul divano con l'aria condizionata e attentissimi; a parte Maia e Stefano, che evidentemente volevano recuperare i cinque giorni perduti e stavano pomiciando senza problemi.
Vittorio, seduto accanto a loro, si voltò leggermente schifato.
«Tra poco vomito.» commentò orripilato per farli smettere. Ma nessuno dei due gli diede retta e il ragazzo tornò imbronciato, cercando di concentrarsi sulla commedia d'amore.
Non aveva capito nulla della trama, e il fatto che, tra altro, i due piccioncini accanto a lui si sbaciucchiassero facendo quel fastidioso "smack" con le labbra lo faceva completamente innervosire. Incrociò le braccia una volta, le gambe due volte, sbuffò tre, fino a quando non si alzò completamente da lì e raggiunse la parte opposta del divano vicino a sua cugina Valeryn. Senza fare rumore, si accomodò di fianco a lei, osservandola. Era così attenta che non si era nemmeno accorta della sua presenza. Lui non era interessato affatto ai film romantici. A lui piaceva vivere le cose sul serio, non guardarle in tv. Continuò ad ammirarla, pensando che probabilmente, se non fossero stati parenti ci avrebbe fatto un pensierino. Era così bella e attraente, specie adesso che si portava un dito sulle labbra, che l'avrebbe volentieri abbracciata come aveva fatto due giorni prima. Fece mezzo sorriso ricordando la scenata che aveva fatto, vedendolo insieme a Franca. Non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. Era stato da quel momento che aveva capito che qualcosa non andava, perché lei era realmente speciale.
«Vitto?» bisbigliò la ragazza, schioccando le dita davanti alla sua faccia. Si era imbambolato come un ebete.
«Eh? Sì, che c'è?» si ridestò lui.
«Non segui il film?»
Vittorio deglutì. «Ehm, no... Non mi piace molto.»
«Ah, capisco.» disse Valeryn, alzando le spalle.
E tornò a concentrarsi sulla scena. Due ragazzi si baciavano, due ragazzi molto somiglianti a loro. Il castano respirò profondamente. Doveva piantarla con tutti quei pensieri, non era discutibile.
Non lo era.
Ma era assolutamente discutibile portare un braccio attorno le spalle della propria cugina e far finta di niente, però.
Valeryn per un attimo spostò lo sguardo sulla mano del ragazzo e ne fu soddisfatta.
Beh, le piaceva tanto quel senso di protezione che le dava, ma certamente non era solo quello dato che sentiva la faccia andarle a fuoco.
«Sei sicuro che non ti piace il film?» sussurrò.
«Certe cose preferisco farle veramente piuttosto che assistere.» soffiò lui, in direzione di una scena d'amore. Lei sogghignò, alzando il mento per provocarlo.
«Con Franca? O con Giulia?»
Vittorio le scoccò uno sguardo quasi inorridito.
«Scherzi? Giulia? Non se ne parla! Quella sanguisuga... Meglio Franca.»
Lei incrociò le braccia, sbuffando.
«Opterei nettamente per quella ciarlatana di Giulia.»
«E perché?»
Il ragazzo si girò a guardarla fisso negli occhi, mentre lei faceva lo stesso. Non riuscendo a sopportare il peso del suo sguardo, proferì abbastanza forte:
«Non ha importanza.»
«Ehi!» esclamò Daniel, che, forse trasportato dal film, era abbracciato a Sara
«Che cazzo urlate? Se dovete dirvi i vostri segretucci, andate in bagno!»
«Ah, bene.» bisbigliò Vittorio, gettando uno sguardo alla televisione, mentre Daniel si calmava. Passarono alcuni secondi in silenzio, guardando i due ragazzi del film che facevano l'amore.
Venne quasi spontaneo pensare lei tra le sue braccia. E non se ne vergognò affatto; forse perché quando stava vicino alla cugina ogni cosa diventava più naturale.
«E se io preferissi te, invece?» mormorò all'altezza del suo orecchio in un impeto di coraggio che stupì anche lui, procurandole dei brividi alla schiena.
Valeryn lo guardò senza fiato, poi strinse le labbra.
«Stai... stai scherzando?»
«No.» disse guardandola negli occhi, e lei boccheggiò, sentendo il cuore battere forte.
«Vitto...»
Ma non appena questi si voltò vide Elia che li fissava tagliente dall'altro lato del divano. Si sentì meno che niente e deglutì, pensando a quanto era stupido per dire quelle cose.
«Sì, scherzavo, Valeryn.» tentò di sorridere, ma ogni tentativo era forzato.
La ragazza lasciò il fiato che aveva trattenuto per tutto quel tempo. Poi si passò una ciocca castana dietro l'orecchio, tentando di mascherare la delusione, nonostante fosse consapevole che era solo uno scherzo e che non doveva fare certi pensieri. Un velo di tristezza la pervase e non sapeva perché.
Vittorio pensò ad Elia e si diede del coglione. Che diamine faceva, ci provava con la sua ragazza? Che razza di migliore amico era? Non lo avrebbe fatto più.
Certo, però... pure lui... Proprio con lei... Dio, che cazzo andava a pensare! Lei era sua cugina. Doveva metterselo in testa.
Tolse il braccio dalle sue spalle lentamente e le incrociò al petto.
Una complicazione dopo l'altra.
Non era corretto.










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Capitolo 5
*** Adoro mio cugino ***








Era passata una settimana da quel giorno. Valeryn e Miriana stavano sedute sul muretto confinante la spiaggia, aspettando pazientemente i loro amici. La castana non aveva smesso di pensare alle parole di Vittorio. Non che la sua presenza la condizionasse a tal punto da scervellarsi per lui, o almeno era questo di cui provava a convincersi, ma ciò che aveva detto le era rimasto in testa. Non capiva come mai suo cugino avesse utilizzato un tono così dispiaciuto nel sottolineare la realtà, specie se era davvero uno scherzo. Credeva fossero cose che capitavano solo a lei, più che altro fantasie dettate dal momento perché lui era un bel ragazzo e il contesto la spingeva a fare certi pensieri... Invece c'era da capire come mai Vittorio la scrutasse in quel modo. Si era sentita in serio imbarazzo e non le capitava spesso una cosa del genere. Sospirò. Il ragazzo le faceva un brutto effetto e di certo non poteva parlarne con Miriel, attenta com'era a raccontarle ogni piccolo particolare del giorno passato con Alex.
«...e allora gli ho detto di allontanarci di lì, sai la gente e tutto il resto. Peraltro eravamo adiacenti al bar di mia zia, immagina che casino se ci avesse visti.» diceva gesticolando.
«Così siamo passati per il lungomare, ma era pieno di occhi indiscreti. Infine sai cosa mi ha proposto?»
«Una cura seria?» sbottò Valeryn, sbuffando ed aggiustandosi i capelli.
«Ma no, che dici.» disse lei con gli occhi che le luccicavano di gioia. Una gioia che la castana conosceva bene.
«Mi ha proposto di andare in spiaggia, in riva al mare!»
E si mise a saltellare, battendo le mani di qua e di là. In genere, Miriel non era mai così contenta quando un ragazzo le faceva il filo. Perciò Alex doveva piacerle veramente, a meno che non si fosse rincitrullita.
«In sintesi, vi siete baciati?»
«Ehm, no, ma...»
«E allora si può sapere che c'hai da urlare?» chiese Valeryn, facendo spallucce «Ti sei solamente innamorata, niente di male o di strano.»
«Cosa?!» esclamò incredula la moretta. Aveva le guance tinte di un rosa acceso e gli occhi lucidi. Sembrava stesse per piangere.
Valeryn guardò il cielo e scosse la testa.
«Sì, Miri, lo sei. Non c'è altra soluzione, visto che continui a parlare di Alex da un quarto d'ora buono.»
«Dici sul serio?»
«Certamente. E' meraviglioso, no?» fece ironicamente, passandole una mano sulle spalle.
«Ma adesso siediti e sta' zitta.» e la collocò sopra il muretto, accanto a lei.
Miriel non disse niente, anzi rimase rossa e pensierosa. Ma quando arrivavano gli altri? Faceva un caldo atroce e non vedeva l'ora di vedere suo cugino Vittorio... Okay, adesso aveva bisogno lei di una cura seria. Almeno la sua amica era innamorata cotta di Alex, non di suo cugino... Va bene, frena, pensò Valeryn, mio cugino è solo mio cugino, chiaro? Gli voglio molto bene, ma non esageriamo. Lei era innamorata di Elia. Forse.
In quel preciso istante, la voce di Daniel provenne da dietro il vicolo e delle sagome comparvero all'orizzonte. Erano arrivati, finalmente, non ne poteva più. E se non sbagliava, aveva anche adocchiato...
«Alex! C'è Alex!» esclamò Miriel, nascondendo la faccia tra le mani per la vergogna.
No, non lui, ma Vittorio... Va bè.
«Ciao, miss Valeryn.» la salutò Daniel, prendendola in giro. «Oggi sembri più pazza e nervosa del solito. Cosa c'è piccola, non hai bevuto il tuo litro di camomilla?»
E prese a ridere insieme agli altri, tranne Censeo e suo cugino, che stavano bevendo dalla fontanella accanto.
«Hai ragione, quindi ti conviene stare attento.» Valeryn lo afferrò dai capelli, mentre lui le intimava di lasciarlo stare. Quando lo mollò, il ragazzo finì addosso a Sara.
«...e lasciami! E tu cosa cavolo vuoi, razza di scimmia in versione Homo Erectus?» le urlò contro, mentre si teneva la testa dal gran dolore.
Sara lo guardò strano ed affermò solo:
«Tu sei scemo.»
Elia rise, mentre Daniel ringhiava ancora contro di lei.
«Ecco che la mia ragazza ti batte ancora una volta.» lo schernì il biondo, abbracciando Valeryn che alzava la testa a mo' di superiorità.
«Annegati!» esclamò il castano, mentre aveva stretto un braccio a Sara per ripicca.
«Non credere che mi spaventi di questa insulsa ragazzina. Ho cose più importanti da fare, io. E tu smetti di lamentarti, mi dai sui nervi.» si riferì alla biondina che protestava.
Valeryn sorrise, derisoria.
«Certo, come vendere persiane e porte scassate.»
Tutti risero, perfino Maia e Conny che stavano bevendo alla fontana, rischiando di sputare tutto ed affogarsi.
Vittorio alzò gli occhi su di lei e la vide abbracciare il suo migliore amico. Non era uno spettacolo travolgente e nemmeno entusiasmante.
Mentre Miriel e Alex si sorridevano così smielatamente da far cariare i denti, sorpassò tutti borbottando:
«Io scendo in spiaggia, non ho intenzione di fare la vendemmia con Daniel.»
Valeryn si voltò di scatto a guardarlo mentre scendeva; gli altri sorridenti lo seguirono, mentre Daniel brontolava imprecazioni su di lui.


«Pista!» urlò Carmine, tuffandosi vicino a Conny e un'altra ragazza con la quale parlava fitto fitto, sedute a riva.
«Ehi, mi hai completamente bagnata!» si lamentò quest'ultima, spostando gli occhi azzurri sulla sua maglietta e pantaloncini fradici
Carmine la squadrò per bene. Era mora, ricciolina e con una ciocca bionda che le ricadeva sulla spalla destra. Per non parlare dei suoi stupendi occhi cerulei, molto simili ai suoi. Il ragazzo si portò una mano dietro la nuca tentando si scusarsi, ma Conny con finezza, lo precedette.
«Ti sembra modo? Guarda come hai ridotto mia cugina!»
La ragazza dagli occhi azzurri fece cenno di lasciar perdere e sorrise timidamente al ragazzo.
«Dai, lascia stare, non è successo niente.» disse, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, imbarazzata.
«Come non è successo niente? C'hai le tue cose!»
«Conny!» l'ammonì la cugina, tentando di zittirla «Va tutto bene.» poi fece un sorriso incerto a Carmine.
Il moro increspò mezzo sorriso di ricambio, pensando a quanto fosse carina. Era sicuro di averla vista da qualche altra parte, ma non ricordava dove. Salutò da ebete, voltando le spalle alle due.  Non notando Valeryn dietro di sé, sbatté contro di lei.
«Scusa, Vale, non te la prenderai anche tu?»
La castana spostò lo sguardo da lui alla ragazza di prima avendo notato degli sguardi insistenti, e chiese:
«Dì Mine, ti sei fottuto il cervello?»
«No, ma che termini sono questi?» fece per allontanarla da lì, mentre lei non si muoveva di un centimetro.
«Carmine, a chi stavi guardando prima?»
«A nessuno, giuro.» si giustifico, gettando un'altra occhiatina furtiva alla cugina di Conny.
«L'hai fatto di nuovo! Mi spieghi che c'hai da guardare? Non ti piacerà Consilia, spero.»
«No, non pensarlo neanche.» la trascinò da un'altra parte. Valeryn aveva l'olfatto sviluppato, non le scappava nulla.
«Allora... Oh, non mi dirai che ti piace sua cugina, perché io potrei...»
«NO!» esclamò, spalancando le braccia e parandosi davanti
«Valeryn, ti ho già detto che non mi piace nessuno, lascia sta'. E adesso...» fece, spingendola tra le braccia di qualcuno «va' a discutere un po' col tuo di cugino.» e si tuffò con le guance color porpora.
Valeryn gli gettò uno sguardo di fuoco, dopodiché alzò gli occhi su Vittorio.
«Vitto, hai fatto il bagno?» chiese, sentendosi in imbarazzo.
«Sì, stavo uscendo.» rispose lui «Vieni con me?»
«Ehm... Sì, va bene.» Di malavoglia si staccò dalle sue braccia e raggiunsero l'ombrellone stranamente vuoto.
Si asciugarono e si sistemarono al sole. Valeryn inforcò le sue lenti per proteggere gli occhi e, quando notò che il ragazzo aveva fatto lo stesso, ebbe una fitta al cuore. Non c'era niente di più bello di Vittorio con gli occhiali da sole.
«Cugi, stavo pensando al film dell'altra volta.» se ne uscì lui dal nulla, sdraiandosi.
«Ah sì?»
«Penso che in fin dei conti, i film d'amore non sono così male.» le lanciò una battutina.
Valeryn ridacchiò, un po' imbarazzata.
«E cos'è che ti ha fatto cambiare idea?»
Il ragazzo avrebbe voluto dirle "sei stata tu". Non era poi così difficile ammetterlo, ma qualcosa lo bloccava. Non gli era mai successo con nessuna di trovarsi così senza parole.
«Non so» mentì «Forse l'atmosfera e tutto il resto.»
«Mah, può darsi.»
Vittorio non aggiunse altro. Era così bello starsene senza spiccicare parola, sdraiati l'uno accanto a l'altra con il sole a picco. Beh, a parte il calore e tutto il resto, l'unica cosa che gli interessava in quel preciso momento era passare del tempo con lei. Non necessariamente parlarsi; a Vittorio bastava ascoltare il loro silenzio, sapendo semplicemente di averla accanto. Riusciva ad accontentarsi delle piccole cose, mentre Valeryn no. Lei pretendeva e ciò era un guaio. Per esempio, adesso non faceva altro che emettere rumorini con la bocca per attirare l'attenzione del ragazzo. Odiava rimanere senza argomenti.
«Vitto? Dormi?» chiese stupidamente, tanto per aprire una discussione.
Lui negò con la testa. La castana sbuffò.
«Eddai, rispondimi. Mi da fastidio stare in silenzio.»
Lui si voltò verso di lei.
«Cosa vuoi che ti dica?»
Valeryn s'indispettì. Se quella era una provocazione aveva già perso.
«Cosa pensi di me, avanti. Voglio proprio vedere cosa risponderai.»
Lui rise, divertito. «Che domande! Perché non lo dici prima tu a me? Visto che fai tanto la presuntuosa.»
«Io? Presuntuosa?» si mise a sedere levandosi gli occhiali, mentre lui faceva lo stesso sogghignando.
«Sai che ti dico? Che sei uno stupido egocentrico.»
«Ah, io?»
«E non è finita qua, sei perfino arrogante. Per non parlare dell'idiozia. Daniel ti fa scuola e doposcuola per quanto è intelligente. E Saretta si mette a contare le pecore senza sbagliare. E poi... ah sì, sei la vergogna della famiglia. E non guardarmi in quel modo, sembri Zenzy.»
Vittorio scoppiò a ridere di gusto, tenendosi la pancia. Ma quanto era buffa quella lì?
«Finito, donna focaccina?» chiese, deridendola affettuosamente.
«No, volevo dirti anche che non m'importa chi frequenti. Puoi fidanzarti con la prima che capita, a me scivola addosso.» mentì.
Il castano scosse la testa con un sorriso ironico ma dolce.
«Adesso posso parlare?»
«Fai pure.»
«Bene. Sai cosa penso io di te?»
«Non ti permettere a dire che sono isterica, o...»
«Sei unica, Vale.» sorrise inaspettatamente lui «Vali molto più di tutte quelle che conosco. E un'altra cosa.»
Lei rossa e attonita, farfugliò
«C-cosa?»
«Sei tremendamente sincera, cugi. Mi piacciono le ragazze così.»
«Ti piacciono... Dici sul serio?» chiese, balbettando un po', percependo l'aria farsi pesante e il respiro mozzarsi.
«Sì, mi fanno stare bene.»
Allargò le braccia e l'accolse con un abbraccio inatteso. Gli piaceva farla arrabbiare, ma gli piaceva soprattutto farci la pace.
Valeryn alzò lo sguardo su di lui, mormorando:
«Vitto, io... Io ti adoro.»
E si gettò a peso morto sopra di lui, prendendolo alla sprovvista e facendo cascare entrambi sopra la tovaglia blu. Vittorio le accarezzò i capelli, baciandole una guancia.
«Ma ehi, un attimo solo.» aggiunse dopo.
«Cosa?» domandò lei, con la voce attutita dalla sua pelle.
Ghignò.
«Non mi volevi pestare, tu?»
Valeryn si fermò un attimo, alzando gli occhi al cielo. Lo avrebbe fatto se solo si fosse scostata da lui. Cosa impossibile e controvoglia.













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Capitolo 6
*** In pizzeria ***








Erano le ventuno e Valeryn aveva raggiunto il suo ragazzo che l'attendeva sotto casa. Gli altri non erano ancora arrivati, o forse aspettavano direttamente in pizzeria, fatto sta che adesso la castana si trovava in compagnia di Elia. Non conosceva il motivo di quella sua inspiegabile ossessività che durava da un po' di giorni. Se dovevano vedersi con gli amici, lui pretendeva che si vedessero prima, inoltre le faceva discorsi profondi, come se avesse paura di perderla. Valeryn non lo capiva proprio. Cosa cambiava vedersi dieci minuti prima se si sarebbero incontrati con il gruppo poco dopo?
«Il motivo?» domandò, infatti, poco dopo avergli dato un bacino a stampo.
Elia la guardò senza capire.
«Di cosa?»
«Beh, di tutta questa urgenza. Sembra che non ci vediamo da anni e invece ci siamo salutati solamente due ore fa.» reclamò Valeryn, un po' scocciata. Non le piaceva essere possessiva, tanto meno avere un fidanzato così.
Il biondo si morse il labbro inferiore e scosse la testa. «Sembra quasi un reato vederci. Passiamo tutto il tempo con gli altri.»
Non era la prima volta che Elia affermava una cosa del genere. Quel ragazzo stava totalmente delirando! Okay, ammetteva che aveva ragione a dire che passavano più tempo con i ragazzi che insieme, ma non c'era bisogno di crearne un dramma.
«Voglio solo capire perché ti ostini a tenermi col guinzaglio. Guarda che c'ho sedici anni, non sei.» lo rimbeccò.
Forse aveva esagerato. Ma che importava; doveva capire che per lei non esisteva solo lui. Sì, gli voleva bene, ma voleva bene anche agli altri suoi amici. Amici come suo cugino... E beh, tutti gli altri a venire.
Elia fece una smorfia irritata.
«Lo sapevo che avresti detto così. Ma che stiamo a fare ancora insieme se ormai tra di noi non c'è più intimità?»
Lei lo guardò stupita. Nel frattempo si accingevano a raggiungere la pizzeria dove Alex e Daniel avevano prenotato.
«Cosa? Stai scherzando? Perché non dovrebbe esserci più intimità, spiegami? Due giorni fa siamo andati a passeggiare insieme. E una settimana fa sei venuto a casa mia, sì, da solo.» lo rimbeccò lei. Piuttosto sembrava glielo stesse rinfacciando.
Lui aprì la bocca e la richiuse subito. «D'accordo, ma...»
«Ma?»
Sospirò pesantemente prima di parlare.
«Ti sento più distante, Valeryn. Cosa ti succede?»
La castana sbarrò gli occhi. Non poteva essere... La stava accusando.
«A me?»
«Sì, a te.» fece lui «Non mi cerchi più. Ormai passi tutto il tuo tempo in compagnia di Maia, di Miriana, di Vittorio...»
Sentendo nominare il cugino, la ragazza rizzò sull'attenti. Stava sospettando di lei e quest'ultimo? Che assurdità, insomma. Lui era solo un parente, un amico, una persona speciale, ma nient'altro. O almeno... Almeno credeva.
«Cosa c'entra adesso Vittorio?» le venne da chiedere «Che cavolo, è il tuo migliore amico!»
«Non lo metto in dubbio!» esclamò il biondo «Ho nominato lui solo perché passate molto tempo insieme.»
«E' un tuo amico, stai pensando male di lui.» fece indignata la ragazza. Sì, stava esagerando, ma non sapeva davvero come ribattere.
«Stai dubitando di colui che ti conosce più di tutti, che c'è stato sempre per te.»
La teatralità e Valeryn erano la stessa persona. Elia, infatti, sentendosi un po' in colpa, ma anche scocciato da quel mare di assurdità che la fidanzata stava sparando, scosse la testa. Era vero che gli si erano insinuati diversi dubbi sul suo amico, ma non aveva avuto altra scelta. Lui e sua cugina erano molto uniti, e questo lo aveva fatto un po' riflettere. Ma non erano vere tutte quelle stronzate che stava sputando in quel momento Valeryn.
«Sentimi bene, io a Vitto voglio bene un casino.» ribatté fermandola, infastidito da tutto quel trambusto.
«Smetti di insinuare cazzate, per favore. Anzi, dimentica ciò che ho detto.»
«Sicuro?»
«Sicuro.»
Valeryn lo guardò con la coda dell'occhio per osservare la sua reazione. A volte esagerava, ma non sapeva che fare. Si trattava di Vittorio, non capiva neanche lei cosa le stava succedendo.
«Sei rimasto male?» chiese, tentando di farsi perdonare.
«Non importa.» rispose secco lui «Ma promettimi che almeno stasera starai con me.»
La guardò negli occhi, hazel su verde smeraldo, e lei non fece altro che accettare. In cuor suo sapeva di averlo fatto con malincuore, ma doveva pur smettere di pensare a Vittorio una volta per tutte.







Arrivati in pizzeria, notarono gli altri entrare come delle furie. Li seguirono interrogativi, dopodiché Elia chiese loro:
«Perché state correndo? I tavoli mica scappano.»
«Lo dici tu» ribatté Maia, tenendo stretta la mano di Steve «Se non raggiungiamo i posti entro due secondi, ce li rubano quelli.»
«Sarebbero?»
Steve indicò una banda di idioti arzilli entrare in pizzeria.
«Svelti!» esclamò Daniel, allarmato «Occupate quelle seggiole.» e si lanciò in picchiata sopra un tavolo, mentre i camerieri lo guardavano storto.
Tutti si accomodarono velocemente. Valeryn vicino a Elia come promesso. Vittorio le gettò uno sguardo sorpreso; di solito non si sedeva mai vicino al fidanzato, si posizionava accanto o di fronte al sottoscritto. E quella sera erano proprio lontani.
Valeryn, dal suo canto, sbuffò. Voleva ridere e mandare battutine a quelli degli altri tavoli insieme a Vitto... Ma evidentemente il suo ragazzo e la paranoia erano di comune accordo.
Passarono venti minuti a chiacchierare del più e del meno come facevano di solito. Conny aveva portato con sé sua cugina, naturalmente sotto assenso di Daniel, che odiava i novizi.
Era seduta accanto a lei e portava i capelli legati. Gli occhi celesti le risplendevano con la luce, e spesso, si accorse Valeryn, Carmine la guardava di soppiatto.
«Angelina, passami la borsetta.»
Si chiamava così. Valeryn l'aveva già vista un paio di volte al liceo, aveva un anno in meno di loro. Non aveva mai approfondito la conoscenza, però. Era grazie a Conny se si scambiavano il saluto.
Steve giocherellava con le chiavi della macchina, mentre la sua fidanzata gli aggiustava il colletto della maglia. Vittorio fece una smorfia. Era di nuovo capitato vicino a quei due; per di più aveva davanti quei piccioncini di Alex e Miriana che non perdevano occasione per farsi gli occhietti dolci.
«Oggi sei veramente stupenda.» aveva detto all'orecchio della mora, Alex. Miriel era arrossita e aveva ringraziato cortesemente.
Il castano volse lo sguardo altrove. Aveva una gran fame, e come se non bastasse Valeryn era seduta accanto a Elia. Adesso lui le aveva spostato i capelli da un lato e le stava dicendo qualcosa all'orecchio. Valeryn rise, e Vittorio sentì qualcosa agitarsi nello stomaco. Perché da un po' di tempo non riusciva più a sopportare quelle scene? Elia era suo amico... Non poteva pensare in quel modo alla sua ragazza... E poi, lei... Era sua cugina. Sua cugina.
«Hai finito di sbadigliare?!» sbottò d'un tratto Daniel, rivolgendosi alla solita vittima bionda. Sara lo guardò scocciata.
«Che cavolo vuoi, non posso neanche avere fame?»
«Sei una cisterna, ci credo» la rimbeccò «Niente contro le patatine con il ketchup e la maionese alle quali stavi pensando... Ma potresti evitare di spalancare le tue fauci davanti alla mia faccia, balenottera azzurra?»
Sara incrociò le braccia, mentre Valeryn e Maia scoppiarono a ridere.
«Perché ti sei seduto vicino a me, allora?»
«Perché... beh, perché non c'era posto.» si giustificò quello, alzando le spalle.
«Vicino a Vittorio ne entrano cento.»
Il nominato alzò gli occhi verso di lei con uno sguardo ammonitore
«Tienitelo stretto lì.»
Daniel ghignò, tronfio.
«Vecchia mongolfiera ingiallita, hai visto? E' destino che io e te dobbiamo stare insieme per sempre.»
«Neanche morta!» esclamò la ragazza schifata.  

Ecco che ricominciavano.
Steve, però, batté all'improvviso le mani, attirando l'attenzione di tutti.
«Allora, non ordiniamo?»
«Certo, signorsì signore! Cameriera! Tredici pizze ai broccoli, per favore.» ordinò Daniel, mentre molti si girarono verso di lui a guardarlo in modo strano.
«Sei un danno. Uno scherzo della natura.»
Alle parole di Censeo, tutti menarono scappellotti e pacche sulla schiena del ragazzo con i capelli al caschetto che tentava di liberarsi. Perfino Sara gliene diede due, pensando di non essere vista, ma invece si beccò un "non ci provare, grassona!". Valeryn e le altre ragazze ridevano, mentre la cameriera guardava la scena con un sorrisino, pensando che quei ragazzi erano dei tipi davvero strani.




Un'ora dopo, ognuno aveva finito di trangugiare la propria pizza e le proprie patatine.
Sara aveva ordinato anche mozzarelline e olive all'ascolana. Daniel, invece, due pizze diverse. Valeryn discuteva appena con Elia e qualche volta con Censeo, alla sua destra. Non aveva parlato molto, come suo solito fare. Sapeva che non bisognava fare un dramma per un posto, ma ci teneva tanto passare la sua serata con Vittorio. Il cugino la pensava allo stesso modo, visto che oltre alle cazzate di Daniel, non sentiva niente e nessuno. Aveva mangiato la sua pizza e parlato un po' con uno, un po' con un'altra. Tanto per non dare a vedere niente, ma in realtà non faceva altro che osservare la sua splendida cugina dall'altra parte del tavolo.
«Sara, ti giuro che finisci male stasera!» esclamò d'un tratto Daniel.
«Non ti rendi conto che, non solo sei più grassa di una balena, ma ti sei mangiata anche un pezzettino della mia pizza?»
La biondina ridacchiò. «Era incustodita, cosa ne sapevo io»
«E hai il coraggio perfino di ridere?» fece il ragazzo, con aria grave.
«Hai mangiato come un maiale e ti metti a rubare pure il cibo altrui?»
«Smettila!»
«Lottatore di sumo!»
«Ti ho detto di smetterla!» alzò la voce la bionda.
Alcune persone si girarono a guardarli incuriositi. Chi era la vittima di quegli insulti?
«Gorilla God!»
Sara perse la pazienza e gli si rivolse contro esclamando:
«Vuoi finirla, tricheco spiaggiato? Ci sono persone, se per caso non te ne fossi accorto!»
Il castano, indispettito, fece per bloccarle il polso, ma lei si dimenò bruscamente. Lottarono un po' fino a che non fecero cadere la coca cola sopra il vestitino della ragazza.
«Il mio vestito nuovo!» pigolò, mentre le colavano le lacrime. Non capiva perché Daniel dovesse avercela sempre con lei. Eppure non gli faceva niente, un po' le piaceva anche.
«Ecco hai visto?» fece Maia, aiutando l'amica a pulirsi il vestito.
«L'hai fatta piangere, sei contento?»
Daniel rimase attonito. Non l'aveva fatto apposta, povera Saretta. Gli dispiaceva se stava così.
«Scusa, piccola, scusa, scusa!» se l'abbracciò, stringendole la testa «Mi è scappata via la mano, non l'ho fatto di proposito... ehm, credo...»
Sara tentava di divincolarsi visto che la stava strozzando.
«Mollami, non respiro!» si lamentava.
«Perdonami, bella mia del cuore mi'.»

Dopo che Daniel la lasciò con un sorrisino di scuse, Valeryn scosse la testa, divertita da quei battibecchi, e disse che sarebbe andata in bagno. Quella confusione non le faceva bene. Inoltre, non vedeva l'ora di pagare ed andare a passeggiare fuori all'aria fresca.
Sorpassò velocemente Carmine e Angelina, che finalmente sembravano aver preso confidenza, e si avviò.
Entrando nel piccolo bagno, aprì il rubinetto e si guardò allo specchio. Aveva vestito nero aderente che le metteva in evidenza le forme del corpo, i capelli castani ondulati, gli occhi contornati da un po' di eyeliner che le allungava lo sguardo, del mascara e un po' di colore sulle guance.
Se solo l'avesse vista suo cugino... Chissà se l'avrebbe trovata bella. Ricacciò indietro quei pensieri. Non comprendeva il dannato motivo di tutta quella gran importanza verso Vittorio. Cosa poteva fregare a lui se stava bene o meno?
Inaspettatamente, la porta si aprì e non fece in tempo a voltarsi per capire chi fosse entrato, che si sentì cingere da dietro la schiena. Era lui. Cristo santo, era proprio lui. Si era posizionato dietro di lei, se ne accorse dallo specchio.
Valeryn, sentendo il cuore battere forte, alzò la testa e lo guardò, il cuore in gola.
«Ehi... Ehm, anche... anche tu qua?»
Lui le sorrise dolcemente.
«Che fine hai fatto? Mi sei mancata.»
Le annusò i capelli, mentre lei si mordeva il labbro nervosamente. Quella vicinanza le stava facendo male. Se Vittorio non si spostava entro tre secondi, sarebbe scoppiata. Ma lui, restando dietro lei, le baciò delicatamente il collo fino a risalire sulla guancia. Valeryn socchiuse gli occhi. Non ci poteva credere... Era tutto così... bello. Cosa stava succedendo tra di loro? Si stava lasciando andare con suo cugino, figlio della nipote di sua nonna paterna. Era impazzita. Erano impazziti.
Tutto quello era una pazzia.
«Che state facendo?»
Non sentendolo arrivare, Elia entrò come una pantera silenziosa.
Vittorio e Valeryn, presi alla sprovvista, si staccarono immediatamente. La ragazza, rossa in viso, continuò a lavarsi le mani e lui fece finta di asciugarle.
«N-niente, abbiamo quasi finito.» mentì la castana, mentre Vittorio annuiva cercando di essere convincente.
Elia, però, li guardava indagatore.
«Perché eri dietro di lei?» chiese semplicemente.
Valeryn guardò allarmata suo cugino, mentre quello esitava. Cosa s'inventava, adesso? Ma perché si era fatto trasportare da quelle farfalle nello stomaco?
«Aveva... aveva qualcosa tra i capelli... Gliel'ho tolta.» mormorò, dovendosi schiarire la voce.
Il biondo continuò a guardarli sospettoso, stentava proprio a crederci. Valeryn decise di correre ai ripari.
«Ehi, amo'.» lo richiamò, sorridendo e tirandolo da un braccio «Non ci sbrighiamo? Gli altri se ne staranno andando. Presto, vieni.»
Lo trascinò fino alla porta di forza. Lui camminava piano e si voltò verso il suo migliore amico. C'era qualcosa che non andava. Non era uno stupido, era successo qualcosa. Ma cosa? Tutto quello che pensava suonava strano visto che erano cugini. Lanciò ancora una volta uno sguardo a Vittorio prima di uscire. Voleva capirci più a fondo in quella storia, voleva capire se poteva fidarsi ancora di lui o se stava succedendo qualcosa alle sue spalle.
Il castano deglutì piano, il cuore che batteva forte, un caldo immane lo pervase. Rimase a mordersi il labbro inferiore, sentendosi in colpa.
Cosa cazzo stava combinando? Non stava agendo bene nei confronti di Elia, stava facendo lo stronzo. Dove stava la sua lealtà? Elia era troppo importante per lui, stava facendo il codardo e l'infame. No, non doveva avvicinarsi a lei, doveva smettere di pensarla, doveva anteporre l'amicizia a quelle farfalle nello stomaco. Ma Dio, come avrebbe fatto?
Chiuse il rubinetto e fece per uscire. Era stato così bello... Sua cugina lo stava facendo impazzire giorno dopo giorno e lui non era così forte da uscirne vivo.









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Capitolo 7
*** Due cugini per amici ***








Non riusciva a comprendere il comportamento del cugino. Era stata una cosa completamente imprevedibile, neanche lei stessa se ne capacitava. Credeva che quello che provava verso Vittorio fosse solo una stupida, innocua attrazione, perché sentiva di volergli molto bene e lo ammirava come persona; non qualcosa che potesse essere ricambiata. D'altronde, tutto ciò era assolutamente sbagliato. Non era plausibile che due ragazzi, cugini di terzo grado, con due famiglie molto unite, potessero finire per andare oltre l'amicizia. Sarebbe stato... beh, forse la parola "
scandalo" era troppo, ma Valeryn non riusciva a trovare alcun termine che potesse descrivere la situazione in cui si trovava in quel momento. Doveva fare assolutamente qualcosa. Reagire. Non positivamente, certo; doveva mettere la parola "fine" prima ancora di aver incominciato. Decisa, fece un lungo respiro. Vittorio giocava a pallavolo insieme agli altri, e lei doveva raggiungerlo.
«Miri, vai a giocare?» chiese all'amica, che stava indossando delle infradito.
«Sì, ma ti consiglio di non toglierti quelle» indicò le ciabatte «La sabbia scotta terribilmente.»

Appena entrarono nell'arrangiato campo da beach volley della spiaggia comune, dove si erano schierate le squadre avversarie (Elia, Daniel, Carmine, Conny e Censeo VS Vittorio, Sara, Alex, Maia e Stefano), le due ragazze vennero subito ammonite.
«Spiegaci perché non dovremmo giocare?» sbottò arrabbiata la castana.
«Perché le squadre sono già formate, con voi giochiamo con uno in più. Ci pensavate prima, invece di lasciarci qui ed andare a papparvi un cono gelato grande quanto i vostri fianchi.» ribatté Daniel con aria superiore. Valeryn non lo sopportava quando le si rivolgeva in quel modo. Era esageratamente lunatico e pesante.
«E senza chiedere se ne volevamo.» Per di più, sembrava essersi messa quella stupida di Sara ad appoggiarlo. Ma non si odiavano quei due, fino all'altro ieri?
«Va be', entriamo dopo. Vale, vieni, aspettiamo la fine della partita e ci diamo il cambio.» Miriel decise di metter pace, altrimenti le cose sarebbero degenerate. Non che la mora fosse una che assentisse qualunque cosa le venisse detta; ma per quanto potevano volersi bene, Valeryn e Daniel avevano entrambi il loro caratterino ed era meglio non aizzarli.
«Io non...»
«Ah!» esclamò, vittorioso, quest'ultimo.
«Uscite, per forza! Non vi vogliamo, andate via!» e corse a darsi un bel cinque con Sara, che esibiva un sorriso radioso.
Valeryn strinse i pugni. «Come ti permetti? Ti strappo le budella, sai?»
«E provaci.» la provocò.
Miriel tentò di fermare la ragazza da un braccio, ma lei si divincolò avviandosi verso il castano con un'evidente voglia di pestarlo.
«Daniel, perché non la smetti di sparare stronzate?» Vittorio, dalla squadra avversaria, venne in aiuto alla cugina.
«Te la faccio passare io la voglia di comandare? Vuoi?»
Valeryn si voltò grata verso di lui. Daniel, invece, fece una smorfia.
«Te la difendi solo perché è tua cugina?» fece «Io non voglio giocare con delle intruse.»
Sicuramente non diceva davvero, ma Miriel si sentì particolarmente toccata. Non era da molto in quella comitiva e un po' le dispiaceva.
«La pianti di dire cavolate? Valeryn e Miriana giocano, subito.» affermò Vittorio, con il tono di uno che non ammetteva ammonizioni
«Se non ti sta bene, volta il culo e vattene.»
Valeryn rimase sorpresa dalle parole del ragazzo. Non pensava l'avrebbe difesa in quel modo; d'altronde era
solo una partita e lo sciocco era solo Daniel.
«Appunto. Non ti esporre sempre in primis.» aggiunse Alex in aiuto di Miriel, che gli sorrise benevola.
Daniel non fece altro che grugnire, dicendo:
«E va bene, come volete. Ma io
quella» e indicò Valeryn «non ce la voglio nella mia squadra»
«Ben venga!» esclamò lei con aria di sfida «Vado dagli altri. Ma ti conviene aprire gli occhi perché te le farò scontare tutte, una ad una. Devono solo passarmi la palla e vedrai come ti mangerai il fegato.»
Raggiunse il posto di alzatrice accanto al cugino.
«Se vuoi ti cedo il mio posto» irruppe Steve dall'ultima posizione «Io mi sono stufato di questi continui battibecchi stupidi.»
«No, tesoro, stavano solo scherzando» si affrettò a rassicurarlo Maia «Vero?!» e scoccò uno sguardo severo a tutti i presenti. Il suo ragazzo aveva cinque anni più di loro e non era il massimo stare in una comitiva di più piccoli che discutevano per ogni sciocchezza. La ragazza, poi, lo aveva appena ritrovato, non voleva che si stancasse di stare con lei.
Daniel incrociò le braccia. «Se Valeryn ha sempre da ribattere non è colpa mia.»
La ragazza stava per rispondere, ma, improvvisamente, Elia la precedette.
«Daniel, lasciala stare, intesi? E va' in ultima posizione che qui non combini niente di buono.»
Dopo aver obbedito senza fiatare, i due capitani della squadra, Elia e Vittorio, fecero la contesa per la palla e la partita iniziò.
Mentre Alex recuperava una schiacciata impossibile, Valeryn si avvicinò al castano. Voleva ringraziarlo, ma sentiva di essere troppo scontata. Non poteva comunque comportarsi come una maleducata, perciò si decise.
«Grazie, cugi'. Daniel è insopportabile quando ci si mette.»
Lui dapprima esultò per il punto appena fatto, poi le sorrise. «Ma ti pare. E poi... Te lo dovevo.»
«Ah sì?»
«Ieri avrei sicuramente discusso con Elia» sussurrò al suo orecchio «se non fosse stato per te.»
Dopo che schiacciò, la palla venne recuperata da Daniel, che la mandò fuori campo. Valeryn fece una linguaccia al ragazzo che imprecava, e si rivolse al cugino:
«Già, fortunatamente. Non è stato per niente piacevole.»
Vittorio si bloccò.
Per niente piacevole? Non era forse stata bene come lo era stato lui in quei pochi secondi nei quali aveva sentito il cuore battere forte come un tamburo?
«Ti ha dato…
fastidio?» chiese a bassa voce, mentre la palla continuava a roteare sopra le loro teste.
La castana trasalì.
Fastidio? Avrebbe voluto rivivere quel momento ancora mille volte... Non sapeva per quale dubbio motivo, ma lo desiderava.
«No, no» si affrettò a rispondere.
«Non parlavo di... insomma, di
quello. Intendevo il modo in cui è entrato Elia.»
Vittorio parve incupirsi un attimo. Sapeva di star sbagliando nei confronti dell'amico. E quella voce nella coscienza che gli urlava di smettere di parlare con lei di tutto quello lo faceva sentire ancora di più una merda. Ma nonostante questo, non riusciva a starle lontano...«Anch'io» in quel momento fecero una buona azione di squadra e fecero punto «In compenso, mi ha fatto piacere... dico, abbracciarti e... sì, decisamente
abbracciarti.»
Una vera impresa pronunciare quelle parole. Forse non era una buona idea confidare ciò che aveva provato l'altra sera quando l'aveva stretta a sé; specie in mezzo ad una partita di beach volley, ma voleva lo sapesse obbligatoriamente. Valeryn, dal suo canto, era arrossita e non poco. La faccenda era più complicata del previsto, e non ci si doveva mettere Vittorio a peggiorare le cose. Specie adesso che si era ficcata in testa di troncare ogni tipo di rapporto, aldilà di un'amicizia.
«Certo, ma...» adesso costava a lei dire ciò che doveva «Questo non cambierà la nostra... ehm,
posizione.»
Il cugino si fermò, guardandola interrogativo. «In che senso?»
Valeryn sospirò. Perché non capiva che era tutto sbagliato?
«Vitto, non credi sia meglio rimanere così come siamo? Io... io mi diverto con te, sei un caro
amico... e anche un cugino fantastico...» si morse il labbro, consapevole di aver detto una bugia.
Lui parve deluso. Come al solito aveva pensato oltre ogni previsione ed era cascato male. Questo era ciò che lo ingannava: immaginare che ogni cosa andasse bene. Era logico che sua cugina fosse innamorata persa di Elia. Cosa ci faceva a fare lui? Perdere tutto quel tempo e non concludere niente? Andare contro Elia e rovinare un'amicizia per lei che nemmeno lo voleva? Grazie, ma ormai c'era troppo dentro.
Certe teste dure come lui non mollano mai ciò che bramano.
«Naturalmente. Sono d'accordo.»
Ed era una grossa balla. Pure una tonta come Saretta si sarebbe accorta di quanto stesse mentendo.
Nel frattempo, la palla aveva toccato terra, facendo segnare quelli dell'altra squadra. Daniel aveva restituito la linguaccia a Valeryn, che aveva sbuffato. Non le piacevano le cose fatte di forza, né tanto meno fingere, ma si sentiva un pizzico rasserenata. «Comunque, volevo dirti che domenica siamo invitati da zia Antonia per cena. Tu ci sarai?» la destò Vittorio, cambiando discorso.
Vero, la cena! Se n'era completamente dimenticata.
«Certo che sì. Ci sarà da ridere.» Anche lei fece per sorridere, ma il ragazzo voltò la testa dall'altro lato.
Qualcosa le diceva che non aveva preso bene la situazione.
E cosa ci poteva fare?
Lei stava già con Elia, lui era il suo migliore amico, non potevano fargli quello. Ma guardandogli le labbra umide non pensò altro all'infuori che sfiorarle.
Era
irresistibile, oltre ad essere suo cugino.

















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Capitolo 8
*** Cena tra parenti ***








Era rimasto decisamente male quando Valeryn aveva affermato di voler continuare ad essergli amica. Ma non perché eludeva l'amicizia tra maschi e femmine, no. Aveva alcune ragazze per amiche, tipo Franca e Nicole, la fidanzata di suo fratello, solo che non immaginava questo con Valeryn. Con lei era tutto diverso, era tutto così bello, complice, intimo. Proprio oltre una comune amicizia.
Per un attimo aveva pensato di essere minimamente ricambiato. Lo credeva da come lo guardava, da come si era lasciata andare quando aveva provato a baciarla. Invece si era rivelato un completo fiasco. Per Valeryn tutto quello era fuori dalla regola, troppo anormale per due cugini. Eppure a lui piaceva osare, voleva farlo, osare gli dava adrenalina e lo faceva sentire vivo. Ma non poteva, perché lei era la ragazza di Elia e non poteva fargli quello. Aveva una gran voglia di stare con lei, corteggiarla, ma avrebbe agito da stronzo, avrebbe messo lei in difficoltà e soprattutto avrebbe rovinato l'amicizia con Elia.
Ma se solo ci avessero provato... solo per un giorno... solo per capire se insieme stavano bene... Non avrebbero ucciso nessuno, non erano mica assassini. Beh, evidentemente Valeryn era cotta di Elia e viceversa: cosa se ne faceva di suo cugino? Questo lo faceva rimuginare sopra. Oscillava in pensieri contradditori; poco prima ne risentiva per Elia, adesso gli avrebbe rubato volentieri la ragazza.
E poi pure lei, perché aveva dovuto dire di sì al suo migliore amico? Questo gli provocava fastidio, gelosia, perché da quando si erano messi insieme loro due si erano allontanati. Il loro rapporto non era più come prima, intimo, fraterno. Adesso potevano sembrare due semplici amici di una stessa compagnia.

Non fare stronzate, diceva la sua coscienza. Non provare a svincolarti.
Non rovinare tutto per una ragazza...
Ma lei non era solo una ragazza.
Ah, forse stava delirando… Lui non era solo un amico. Nonostante a volte si sentisse in competizione con lui, Elia era una delle persone più importanti della sua vita.
Come poteva solo pensare di fargli una cosa del genere? Non avrebbe perso la fiducia del suo migliore amico. No, sicuramente non lo avrebbe fatto. Per lui gli amici erano fondamentali nella sua vita, ma, dentro di lui, non avrebbe smesso di lottare per lei. Sì, lottare, visto che tutto quello stava risultando una lotta contro Elia, la sua coscienza e la sua famiglia.
Dio, perché erano parenti? Perché era la ragazza di Elia? Perché il mondo era così ingiusto? Avrebbe immaginato tutti al di fuori di lei seduti in quella tavola. Voleva potesse indicarla solo come Valeryn, non sua cugina Valeryn… la sua ragazza, non la ragazza del suo migliore amico...

«Vitto, sei pronto?» Francesca, sua sorella maggiore, si affacciò dalla porta della camera, facendo espandere il suo profumo floreale nell'aria.
«Stiamo aspettando te.»»
Lui fece una smorfia con il naso. «Sono onorato, sorellona. Mi hai intossicato le narici.»
La sorella si scansò dalla porta e si annusò. Forse aveva esagerato con la dose.
Arrivando in cucina, Vittorio vide tutti già sistemati. Suo padre e suo fratello stavano uscendo, mentre sua madre e l'altra sorella aspettavano lui e Francesca.
«Mi raccomando» lo avvertì Mena con aria minacciosa «Tu ingozzati come un maiale e io ti ammazzo.»
Francesca e Natalie, l'altra sorella maggiore, risero. Il loro fratellino era un mangione e la mamma non voleva certo far la figura dei porci affamati. Anche se zia Antonia conosceva già l'implacabile fame di lui e Ross.
«Per quanto ne abbia voglia...» mormorò Vittorio, sarcastico. Aveva lo stomaco chiuso ed era strano.
Natalie gli prese le guance e lo baciò.
«Quanto sei bello, fratello!» esclamò, adulandolo come faceva di solito «Secondo me superi Ross, continuando così.»
Vittorio alzò gli occhi al cielo. Odiava quando una delle sue sorelle, se non la mamma del tutto, gli torturava le guance. Avere una famiglia così numerosa portava esagerato stress e lui reagiva abbastanza male. Più o meno come sua madre, Mena, che urlava contro tutti ventiquattrore sopra ventiquattro. Ciò che teneva di più, a parte l'ordine, era la scuola. Un tempo si agitava con suo fratello o con le altre due; ma da quando i tre avevano finito gli studi, l'unica povera vittima era rimasto lui. Non andava bene a scuola e non sarebbe andato mai. I professori dicevano che aveva le capacità, ma non la voglia di applicarsi. E infatti, avevano più che ragione. Per Vittorio la scuola era un optional: poco importante.
Anche Ross e Natalie la pensavano ugualmente, infatti da bravi gemelli e secondogeniti di casa, avevano finito presto di studiare. Ross non aveva accennato all'università, mentre la seconda aveva mollato dopo il primo anno. Adesso, entrambi venticinquenni e fidanzati, stavano bene in quel modo.
Francesca, la più grande, aveva ventinove anni, aveva finito l'università ed anche lei era fidanzata con quel simpaticone di Paolo. Insomma, pareva che l'unico sfortunato in amore fosse proprio lui, oltre che il più piccolo, esageratamente piccolo. Cosa che non gli faceva per niente piacere.
«Vitto, dove hai lasciato la tua banda di pivellini?» lo prese in giro il fratello «Non dirmi che stai venendo con noi a cenare? Sarebbe il miracolo di San Gennaro.»
Il castano grugnì e Mena si voltò menando uno scappellotto al figlio maggiore, che aveva avuto un'uscita, secondo lei, blasfema.

«Rosario!»
Quello rise come una iena.
«Mi ha convinto la mamma, altrimenti sarei stato volentieri dai pivellini
Con Ross era una continua lotta. Per lui era come un modello da eseguire. Si divertiva un mondo in sua compagnia, anche se il più delle volte rimaneva vittima delle sue battute. Avevano un rapporto stretto nonostante la differenza d'età. Con Francesca e Natalie era un po' diverso; la prima lo trattava più diligentemente, mentre l'altra non finiva di ripetere quanto fosse bello. Ogni tanto lo spaventava: troppi ed eccessivi complimenti. Per non parlare della somiglianza; non gli sembrava di assomigliare a nessuno di loro. Non sapeva perché. Mena diceva che non era necessario essere delle gocce d'acqua, ma sembrava comunque strano.
A parte tutto, erano una bella famigliola: Francesca avrebbe messo su famiglia tra poco tempo e si sarebbero liberati di lei. I gemelli, invece, ne avrebbero avute per le lunghe.

La casa di zia Antonia era vicinissima, bastava soltanto salire delle scale e svoltare a sinistra per una stradina. Toccò a lui suonare.
«Perché io?» si lamentò.
«Avanti, Vittorio. Sei tu il più alto.» ribatté sua madre. Stava per replicare che Ross era un centimetro più alto di lui, quando Francesca lo incitò da un braccio.
«Sbrigati.»
«Sì, un attimo, un attimo...»
Fece un respiro profondo mentre suo fratello sogghignava.
Non era ancora pronto per rivedere Valeryn, in realtà. E quei diabolici dei suoi gli facevano perfino suonare il campanello della nonna. Senza pensarci lo premette e subito una figurina venne ad aprire la porta.
«Tao!» disse la bambina, birichina.
Mena si piegò verso di lei, sorridendo.
«Matilde, vieni a darmi un bacino!» cinguettò, mentre la piccola sorrideva e scappava per il salotto.
La donna la seguì e gli altri lo stesso. Valeryn nel frattempo, venuta a recuperarla, si scontrò contro Vittorio che era entrato per ultimo, poiché aveva indugiato per tirare un profondo respiro di incoraggiamento.
«Scusa, non ti avevo visto...» biascicò imbarazzata, contro il suo petto.
Lui non riusciva a replicare, tanto era rimasto pietrificato. La serata iniziava bene, decisamente bene...
«Zia!» esclamò Mena, mentre la nonna di Valeryn non faceva una piega, intenta a preparare. La donna rimase a grattarsi la chioma castana cotonata.
«La sua sordità è aggravata?» chiese preoccupata.
Valeryn rise e destò l'anziana da un braccio.
«Nonna, Mena e gli altri sono arrivati.» l'avvisò.
Antonia si voltò di scatto, spaventandosi ed urlando un "EEEEH?", facendo ridere tutti.

La tavola era ben apparecchiata e i genitori di Valeryn aveva appena salutato gli ospiti. La castana dopo aver dato dei baci a Francesca, Ross e Natalie, si rivolse a Vittorio.
«Noi due ci siamo già... ehm… incontrati.» sorrise.
Inutile dire che il ragazzo rimase attonito ad ammirarla, limitandosi ad annuire.

Come diavolo faceva ad essere sempre così dannatamente perfetta?
La ragazza sentendosi osservata, abbassò la testa.
Come diavolo faceva ad essere sempre così dannatamente perfetto?
«Eccomi qui!»
La sorella del padre di quest'ultima, nonché cugina di primo grado di Mena, scese dalle scale con il marito e l'altro pargolo.
«Mati era con voi? Gioele, scendi, muoviti! OH NO! Ennio, prendilo! Afferralo! Dal braccio!»
«Giolis, cosa stai combinando?» chiese Mena, ridendo «Come al solito i bambini ti dominano.»
La zia di Valeryn, Giovanna detta Giolis, una donna sui quarantatre anni, gentile e svampita, aveva generato due figli che prevalevano perfino su di lei.
Dopo aver passato alle accoglienze e robe varie, Antonia, che aveva allargato di molto la "tavola rotonda" - così soprannominata visto che aveva le dimensioni di una circonferenza - impose loro di sedersi.
«E adesso andiamo a gustare le pietanze tipiche della zia.» aveva detto Vinicio, il padre di Vittorio, un uomo imponente di bell'aspetto con i capelli brizzolati. Giolis dapprima non capì, ma poi rise senza un reale motivo.

Valeryn era capitata in mezzo a suo papà e alla nonna, come sempre. Vittorio, invece, dall'altro lato, parecchio distante. C'era un chiacchiericcio continuo e alla ragazza scoppiava la testa. Niente era più irritante del chiasso tra parenti, questo lo sapeva bene. Specie se tra quei parenti c'era anche Vittorio...
«Su, Antonia, cosa aspetti a servirci?» scherzò Mena «Noi abbiamo fame.»
«Eh? Quale cane? Avete portato un cane? Non avevate un gatto?» si voltò questa, con un piatto di lasagne in mano.
Piero, il padre di Valeryn, scosse la testa, mentre Giolis, senza mai, si scompisciò sguaiatamente.


Okay, smetti di guardare Valeryn, si disse Vittorio, mentre la zia Antonia serviva del pollo arrosto. Non faceva altro che osservarla, quando mangiava, quando parlava, quando rideva. Caspita, ancora un po' e lo avrebbero scambiato per un maniaco. Inoltre non aveva provato granché e la cosa era veramente preoccupante.
«Mangia tutto, o ti spremo la testa facendoti uscire quei due neuroni che possiedi dalle orecchie.» lo minacciò a voce bassa la madre, mentre Ross che aveva sentito distintamente, si mise a ridacchiare.
Vittorio sbuffò.
«Mamma, ti ho detto che ho lo stomaco serrato. Non puoi badare ai fatti tuoi?»
«Non rispondere così a tua madre, altrimenti ti spalmo la salsa rosa della zia in faccia.» sussurrò Mena, facendo un sorrisino a tutti come se non fosse successo nulla.
Ross sogghignò ancora. Erano troppo divertenti le minacce di sua madre. Adesso lui era abbastanza grande, ma quando aveva diciassette anni come il fratello, ne subiva altrettante. Questi, alzando gli occhi al cielo, afferrò la forchetta e pasticciò il pollo, facendo finta di imboccarsi. Mena lo guardò torva.
«Cosa c'è? Non vedi che sto mangiando?» bisbigliò lui.
La donna fece gesto di impiccarsi e proprio in quel momento, Giolis rise ad una battuta di Vinicio.
«Questa non la sapevo proprio!» non accorgendosene, urlava «Ti giuro che in quaran'anni di vita, non ho mai sentito una cosa del genere!»
«E certo!» tuonò il padre di Valeryn, la calvizia che incorniciava il suo viso «Passavi ore e ore a pavoneggiarti allo specchio!»
«Non è vero!» si difese quella.
«Oppure a scuola circondavi il banco di libri e facevi finta di combattere gli extraterrestri. Guarda che quella volta ce lo raccontò la tua maestra. E comunque hai quasi quarantaquattro anni.»
Valeryn per poco non sputò l'acqua dalla bocca, tanto era scoppiata a ridere.
«Zia, eri incredibile.»
«Parli proprio tu che fai le stesse identiche cose.» la rimbeccò Rosa, sua madre, di aspetto tale e quale a lei. Valeryn mise il broncio. Non era poi così fanatica e sciocchina come zia Giolis. Vittorio le fece l'occhiolino rassicurandola. Per lui andava bene com'era, non doveva ascoltare quelle chiacchiere. Lei sentì il cuore battere più veloce, e si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Gli adulti ripresero a parlare delle loro cose, senza interrogarli un minimo. Si parlò di lavoro, di quelle pesti che avevano per bambini Giolis e Ennio (ne prendevano tutto dalla madre), dei bei tempi in famiglia, di quando Ross e Natalie avevano fatto da damigelli al matrimonio dei genitori di Valeryn, di quello futuro, ma neanche troppo, di Francesca e della scuola in generale.
«Allora, Franci» incalzò Rosa «Hai da poco finito l'università, in cosa ti darai adesso?»
«Io e Paolo stiamo mettendo casa a Bologna» rispose Francesca «Anche se mamma non è molto d'accordo, avrò più possibilità d'insegnare. Ho già inviato lì tutte le mie domande.»
Mena rizzò sull'attenti, giocherellando con il vistoso verde smeraldo.
«Non sono d'accordo per il semplice fatto che andrai a vivere in una città praticamente sconosciuta.»
«Mamma, ne abbiamo già parlato» fece Francesca, tranquillamente «Io e il mio fidanzato ci trasferiremo al più presto via da qui. Che ti piaccia o no.»
«Mia sorella sta per sposarsi!» esclamò Ross, battendo le mani.
«Andiamo, mancano ancora molti mesi a giugno.»
Valeryn fece il conto. Era l'ultimo giorno di agosto e l'estate volgeva al termine. Tra nove mesi esatti, Francesca si sarebbe sposata. Beh, a quasi trent'anni lo trovava plausibile. Chissà quando si sarebbe sposata lei... e con chi, soprattutto.
«Oh, che bello!» esclamò allegra Giolis «Io mi sono sposata a trent'otto anni, ricordate?»
No, di certo non voleva farlo a tarda età come sua zia.
«E i gemellini?» chiese Rosa, rivolgendosi ai due «Ah, ricordo quando Mena doveva allattarli quasi contemporaneamente! Non poteva mollarne una che l'altro iniziava a piangere.»
Ross e Natalie si guardarono, entrambi con un'alzata di spalle. Erano... com' è che li definiva lui? Dei cazzari, più o meno.
«Nulla.» affermarono nello stesso momento.
Mena quasi si strozzò e gettò loro uno sguardo severo, Vinicio si passò, sconsolato, una mano sulla fronte, Giolis e Valeryn ridacchiarono e Vittorio scosse la testa divertito. Quant'erano simpatici quei due.
«Nulla?» chiese Rosa, stupita.
Ross stava per replicare, quando Mena lo precedette.
«Dite le cose come stanno, ragazzi. Non è vero che non fate niente, su.» Li fulminò con lo sguardo: loro madre non amava fare figure del cavolo.
«Oh, beh, sì» sogghignò Ross «Io lavoro in un bar del centro, mentre Nati...»
«Io lavoro in un salone di parrucchiere!» esclamò Natalie, con gli occhi che le brillavano «E' sempre stato il mio sogno specializzarmi, fin da bambina.»
«E intanto non sapevi rasarmi i capelli, due anni fa.»
«Non volevo, no non sapevo, gemello.»
«Che grandissima aspirazione!» si lamentò sarcastica Mena, alzando le braccia al cielo.
Giolis come al solito rise, tanto che Ennio la dovette destare con un cenno. Non solo aveva la voce alta, ma rideva come una iena.
«L'importante è che vi troviate bene. Finché portate soldi a casa tutto è lecito» disse Rosa, sorridendo.
«Non fate come Giolis!» sbottò d'un tratto Antonia «Lei è rimasta a casa fino al matrimonio ed è stata solo d'intralcio.»
Quella incrociò le braccia, arrabbiata.
«Grazie, mamma.» borbottò sarcastica.
«Cara zia, tranquilla. Puoi sempre incominciare a lavorare come estetista per le bambole.» Alla battuta di Valeryn tutti risero, tranne Giolis che non aveva capito un tubo.
«Valeryn, tu sei al terzo liceo quest'anno?» chiese Mena, cambiando discorso, dopo aver finito di ridere. Lei annuì.
«Ah, studia mi raccomando!» esclamò con teatralità la donna «Non fare come questo scansafatiche di tuo cugino Vittorio.» e gli tirò uno sberletto sulla nuca, facendogli quasi sputare l'acqua dalla bocca.
«Mamma, sei pazza?» si lamentò lui.
«E tu sei un somaro» lo rimproverò lei «Non ti ho mai visto imparare una pagina di storia. O fare un'espressione di matematica.»
Ross e Natalie ridacchiavano alle sue spalle, mentre Vittorio protestò:
«Ma lo sai che in matematica sono zero!»
«Impari a contare, come fa Valeryn» e l'indicò, mentre lui la guardava in imbarazzo.
«Cara, mi prometti che appena incomincia la scuola, verrai a casa mia e darai un po' di ripetizioni a questo sfaticato?»
Non che la castana fosse una cima in matematica, ma accettò.
«Ma mamma...» grugnì il ragazzo.
«Niente obiezioni. Con Ross abbiamo usato il pugno di ferro...»
«Non è vero!»
«Sta' zitto!» venne ammonito quest'ultimo «Dicevo... Con lui abbiamo utilizzato il pugno di ferro, con te useremo quello d' acciaio.»
Vinicio annuì e Francesca pure. Non aveva scampo. Beh, almeno Valeryn gli avrebbe dato qualche ripetizione... Quella era una buona notizia.
«Ah!» esclamò Giolis, malinconica, con la testa poggiata sopra le mani.
«Non si sospira a tavola, scostumata!» la rimproverò Antonia, menandole un colpetto sul braccio.
«Mi ricordate la mia gioventù. Quanti ricordi spensierati! Il mio primo fidanzatino...» ridacchiò, mentre Piero faceva una smorfia tipo "eccola che incomincia".
«Io penso di sapere perché non studia.» si rivolse poi alla cugina, ammiccando verso Vittorio.
«Su, illuminami, così posso pestarlo una buona volta.»
Ridacchiò maliziosa. «E' proprio un bel ragazzo, secondo me ha qualche femminuccia in testa. Tu che ne dici, Vale?» si rivolse alla nipote, la quale era arrossita di brutto e sentiva un calore immondo.
Il castano iniziò a tossicchiare. Quella non ci voleva... Incominciava a sentirsi in imbarazzo con gli occhi di tutti puntati addosso.

Il fratello lo guardò stupito.
«Almeno è bona?» chiese, improvvisamente interessato. Lui gli tirò una gomitata.
«Ehm... non saprei...» tentò di dire Valeryn, gettando uno sguardo eloquente al cugino.
«Lei è già fidanzata, invece» le fece l'occhiolino Ross «Con Elia, l'amico di Vitto.»
Piero si voltò di scatto, guardando la figlia con gli occhi verdi sbarrati.
«Stai scherzando, vero? Io non ne sapevo niente!»
La ragazza diventò di un color porpora sulle guance, mentre la zia e gli altri ridevano.
«Oh smettetela!» alzò la voce.
Vittorio, invece, alzò un sopracciglio e fece una smorfietta molto evidente, tanto che il fratello se ne accorse e bastardo come sempre, chiese:
«Che c'è, fratellino, non sei favorevole? Il biondo non è uno dei tuoi migliori amici?»
Il castano gli rivolse uno sguardo torvo.
«Stai... stai scherzando? Che cavolo dici.» balbettò.
Tutti lo guardarono, compresa la ragazza che si mordeva un labbro. Se solo sapessero cosa stava per succedere in pizzeria... Si sentiva talmente in imbarazzo, che pregò Dio affinché qualcosa li potesse destare al più presto.
«Ennio!» esclamò d'un tratto Giolis, come aver esaudito le preghiere di entrambi i ragazzi.
«I bambini! Come ho fatto a dimenticarmene?! Dove sono?»
Il marito non si scomodò.
«Saranno fuori a giocare.»
La donna gli tirò uno schiaffo sulla mano e si rivolse alla nipote. Valeryn alzò gli occhi al cielo. Non solo i suoi figli la dominavano, ma li scaricava sempre a lei.
«Bella della zia, per favore» incominciò «Vai a vedere dove sono?»
Come non detto. La castana sospirò, facendo per alzarsi.
«Vittorio!» urlò sua madre tirandogli una botta sulla schiena.
Lui scattò sull'attenti.
«Sì? Che ho fatto 'sta volta? Ero qui buono buono, mi hai visto anche tu, no?»
«No» rispose Mena, scuotendo la testa «Accompagna tua cugina, sbrigati.» e lo afferrò da un braccio facendo in modo che si mettesse in piedi.
«Okay, okay, e un attimo...» il ragazzo si alzò, mentre Valeryn si mordicchiava un'unghia.
Che gentile Mena, li aveva messi involontariamente in difficoltà. I due si scrutarono un attimo, incerti, dopodiché aprirono la porta passando dal salotto.
«Mi raccomando, fateli stare buoni! Poverini, vogliono solo giocare. Giò? Mati? Piccole pesti, tornate qui!» li chiamava Giolis dalla finestra.
Valeryn scosse il capo, aprì la porta centrale e insieme uscirono sulla stradina che imboccava il cortiletto. Vittorio fece un respiro profondo. Quell'atmosfera al chiaro di luna era molto provocante e lei era bellissima. Diamine, chissà se avrebbe resistito...


Antonia si alzò per chiudere bene la porta, assicurandosi che i due ragazzi fossero realmente usciti.
«Se ne sono andati?» chiese Mena, torturandosi le mani.
«Sì, sono insieme ai bimbi.» annuì Giolis, tornando a sedere, dopo averli spiati dalla finestra e averla chiusa per precauzione.
Tutti stettero qualche secondo in silenzio. Mena era inquieta, così come Vinicio e i figli. Ma mai quanto lei.
Tremava.
«Avanti, dicci» la invogliò Rosa «Hai parlato con lui
Lei bevve un sorso d'acqua e cercò lo sguardo del marito.
«Noi... io... ancora no.» mormorò.
«Ancora no?» si stupì Antonia, rimproverando sua nipote con lo sguardo.
«No, avete sentito bene.» Mena fece finta di aggiustarsi i capelli. In realtà era un fascio di nervi. Quel discorso era una nota dolente, qualcosa che la distruggeva, le faceva a pezzi il cuore...
«Parliamone, allora.»
Ross e Francesca si lanciarono uno sguardo triste. Natalie, invece, si portò una mano sopra gli occhi. Erano certi discorsi che odiava fare.
Fece finta di prendere il cellulare e chiamare qualcuno. Non poteva più sopportare una cosa del genere.


«Pesti!» Valeryn, nel frattempo, richiamava i due cuginetti che giravano in tondo al cortile con le biciclette.
«State attenti! Non muovetevi da qui.»
«No, no. Io rincorro Mati.» rispose il bambino, inseguendo la sorellina che rideva.
«Non farla cadere. Giò! Uff, che palle!» sbottò, dopo aver spostato una ciocca di capelli ribelle «Mia zia e i suoi figli devono sempre rompere le scatole!»
Vittorio, che la guardava seduto sullo scalino della porta, sorrise.
«Lasciali stare, stanno solo giocando.»
Lei sospirò e si sedette accanto a lui. Dapprima stettero zitti non sapendo come intavolare un discorso. Dopo un paio di secondi, alla ragazza venne da chiedere:
«Sei rimasto a casa ieri sera? Non ci siamo visti per niente.»
«No» rispose subito lui, poi si morse il labbro «Ero... ero con Elia.»
Nominando il nome del suo migliore amico non faceva altro che aggravare la situazione, sentiva un peso dentro al cuore. Pesava sempre di più sopportare quel piccolo segreto della pizzeria e soprattutto quello che provava.
«Ah, capisco» si stupì la castana «E avete parlato?»
«Sì. O meglio, non di quello che pensi tu» si affrettò a rispondere «Cose nostre, insomma.»
Valeryn annuì e calò di nuovo il silenzio. Perché così tanto imbarazzo tra di loro? Non era mai successo prima d'ora. Giocherellò con una ciocca dei suoi capelli, non sapendo cosa pensare.
Per un attimo aveva temuto che Vittorio si fosse lasciato sfuggire qualcosa con Elia, o peggio, lui gli avesse rimbeccato qualcosa in merito. Fortunatamente, non era successo nulla di tutto ciò. Ma al solo pensare di essere accanto al ragazzo senza poter fare qualcosa di fisico con lui, la faceva andare in tilt. Per questo faceva finta di osservare i propri cugini che giocavano. I grandi, cosa strana, sembravano essersi ammutoliti e l'unico rumore, oltre ai gridolini dei bimbi, era qualche grillo in lontananza. Vittorio sospirò inquieto. Voleva baciarla, diamine, non ce la faceva più... Era impossibile starle vicino senza fare niente. E poi, erano soli, non c'era Elia che poteva destarli... non avrebbe visto... e se lei si voltava male dopo, o gli mollava un ceffone, se ne sarebbe fatto una ragione per la sua avventatezza irrazionale.
Ma doveva tentare... almeno quello...

Si alzò, mentre lei, guardandolo interrogativo, fece lo stesso.
«Dove vai?» chiese.
«Da nessuna parte.»
«E perché ti sei messo in piedi?»
Lo guardava un tantino preoccupata. Che si fosse stancato di stare con lei? D'altronde, non stavano facendo nulla di particolare a parte stare a fissare in silenzio quei due impiastri.
«Importa?» Vittorio si avvicinò al suo viso «Vuoi proprio saperlo?»
Valeryn rimase stordita, mentre lui le poggiava una mano sulla guancia.
«Io... Non so se...»
«Ti prego...» mormorò lui, spingendola delicatamente contro il muro.

«Ti prego, Valeryn...»
Questa si lasciò avvicinare di più, chiudendo gli occhi nel percepire le sue labbra così vicine alle proprie. In fondo era ciò che desiderava anche lei. Perché opporre resistenza? Cosa gliene fregava, in fin dei conti, se erano cugini, se si stavano per baciare fuori casa di sua nonna, con i bambini e i parenti a due passi, rischiando di tradire Elia? Le dispiaceva, sì, ma... era solo un bacio. Punto. Un bacio. Un bacio che le aveva fatto salire il cuore in gola. Un bacio tanto sperato.
«Vale!»

Ecco.
La voce acuta di Giolis arrivò pronta e pungente. Spalancò la porta, e Valeryn fece appena in tempo a scansarsi. Se la donna li trovava in quella posizione sarebbero stati cavoli.
«Ehm... Ciao, zia!» esclamò la ragazza, nervosamente «Cosa c'è, zia? Ah, i bambini, zia? Sono là, zia. Li vedi, zia?» indicò, mentre quella la guardava perplessa. E poi dicevano a lei di avere qualche problemino!
«Ma cosa...»
«Sì, li chiamo subito zia!» si allontanò velocemente «Ecco, sto andando, zia. Vedi, zia? Li ho presi, zia.» fece, mentre tirava di forza entrambi i bambini dalle braccia. Giolis si grattò la testa confusa, rivolgendosi a Vittorio che era rimasto fermo con una mano a mezz'aria.
«Ma che ha?» bisbigliò.
Lui strizzò gli occhi e li riaprì.
Erano stati interrotti. Non riusciva a crederci, né che si stessero per baciare, né che non fosse successo. Era tutto così perfetto... stava funzionando... e invece non era successo. E adesso? Non sarebbe mai più successo. Alzò lo sguardo verso Giolis, che attendeva risposta.
Ma perché ce l'avevano tutti con lui?
«Non... non lo so.» biascicò, ancora incredulo.
Lei alzò le spalle e prese per mano i suoi due figli che erano appena tornati. Valeryn corse subito dentro, senza dar tempo al ragazzo di fermarla. Era in chiaro imbarazzo, si vedeva, e lui non era da meno, non aveva il coraggio di dirle niente. Strinse i pugni.

Non era proprio destino.















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Capitolo 9
*** Nuove coppie ***











Mancava solo una settimana all'inizio della scuola e i ragazzi stavano seduti
al muretto del lungomare a mangiare un fresco gelato. La leggera brezza accarezzava i loro capelli, scompigliandoli.

Valeryn sbuffò irritata. Non le piaceva affatto il vento che rovinava la sua capigliatura e le spostava le ciocche davanti agli occhi. Stranamente, tutti stavano in silenzio, devoti al loro gelato, senza alzare occhio. Non volava una mosca e non si sentiva alcun rumore oltre alle lingue che producevano degli schiocchi. Vittorio sembrava a sua volta devoto al suo gelato alla nocciola, ma in realtà, pensava a ciò che lo distraeva da giorni e che lo faceva andare in tilt. Sua cugina era diventata una vera e propria ossessione da quando si erano fatti scappare quei due baci. Specie l’ultimo, si disse, ci mancava veramente tanto così. Non riusciva a pensare ad altro che alle sue labbra così vicine al suo viso e la sensazione di desiderio che lo sconvolgeva e lo impauriva allo stesso tempo.
Valeryn, dal suo canto, preferiva non pensarci e godersi gli ultimi giorni estivi perché quello che era successo tra loro voleva dimenticarlo, come fosse stato un sogno vivido ma irreale.
Non riuscì a fare a meno di lanciargli uno sguardo piegando appena la testa, per poi accorgersi che lui la guardava già.
I loro sguardi bruciavano e avevano una luce complice che temeva qualcuno avesse potuto intravedere. In un attimo ruppe quel contatto e Vittorio sospirò, deluso.
«Oh!» se ne uscì d’un tratto Daniel spezzando quella taciturnità, dondolando il legnetto del suo ghiacciolo terminato «Che peccato, l’ho finito.»
Sara, accanto a lui, gli porse garbatamente il suo.
«Ne vuoi?»
Prima che il ragazzo potesse rispondere, tutti gli altri lanciarono loro delle occhiate interrogative. Sicuramente avrebbe rifiutato, rispondendole per le rime; invece fece tutt’altro.
«Grazie, piccola» le sorrise con una strana enfasi «Tu sai sempre come rendermi felice.» e lo divorò in un sol boccone, sotto gli occhi una scioccata Sara. Evidentemente intendeva una leccata, non l’intero gelato.
Valeryn e Maia scoppiarono a ridere sguaiatamente per la scena divertente che si era propinata. A ruota, si aggiunsero pure Conny, Miriel, e tutti gli altri.
Elia batté una pacca sulla schiena dell’amico, mentre Vittorio fece lo stesso mollandogli uno scappellotto.
«Ma ti sei sentito?» lo prese in giro.
«Cos’è tutta questa passione per Saretta, ehcanzonò Elia, mettendo un braccio sulle spalle al suo migliore amico, il quale ebbe un leggero sussulto e spostò la sua attenzione dal braccio che lo cingeva agli occhi verdi di Valeryn. A guardarli in quel modo, la ragazza sentì di voler scomparire e percepì che Vittorio stesso stava provando le sue stesse sensazioni contrastanti.
Sensi di colpa, come due ladri, come due amanti.
Loro non erano nemmeno quello, perché non era successo niente, si disse Valeryn, provando a convincersi.
E allora perché si sentiva così colpevole mentre guardava Elia abbracciare suo cugino?
Daniel, intanto, spostò lo sguardo scioccato dai ragazzi alla biondina, che era diventata rossa come un tubetto di pomodoro. Doveva ammettere che Saretta era una bomba.
In realtà non gli dispiacevano i loro continui battibecchi, erano il suo modo contrastante di attirare attenzioni. Aveva capito che provava altro per lei, oltre che un po’ di ribrezzo per tutte le cose stupide che faceva, ma il suo cuore era innamorato. Per questo adesso le si stava inginocchiando davanti e, prendendole una mano, le stava facendo una dichiarazione d’amore stile Titanic.
«Sara, fiorellino, dimmi...» iniziò, mentre tutti si attorniavano dinanzi a lui e fischiavano divertiti «so che non è il posto adatto e con le persone adatte...»
«Cosa vorresti dire?» incrociò le braccia Conny, mentre gli altri l’ammonivano con unoSSSH! collettivo.
Forse quello che sospettavano stava finalmente uscendo alla luce del sole, non ci stavano nella pelle.
Sara si portò l’altra mano al petto, con fare teatrale. Chissà cosa le avrebbe detto il suo amato Daniel. Si aspettava parole dolci, possibilmente. Solo che il castano con la dolcezza non c’era proprio: o diceva cavolate, oppure niente. Infatti, non sapendo come proseguire, si passò una mano tra i capelli spettinati ed urlò con evidente imbarazzo:
«Beh? E voi che diamine volete? Chi vi ha interpellato?! Andate via da qui, e fatemi finire in santa pace la mia dolce dichiarazione d’amore!» accusò i ragazzi, che li avevano accerchiati per non perdersi l’evento. Tutti fecero una smorfia, mentre Censeo chiedeva:
«Ti scoccia fare una cosa pubblica?»
«SI!» esclamò Daniel, rosso dalla vergogna «Voi non avete alcuna autorità su di me. Nessuna! Siete solo quattro stupidi, che...» si ammutolì improvvisamente non appena Vittorio ed Elia gli si pararono davanti con le braccia conserte e l’espressione accigliata.
«E quindi?» chiese il ragazzo, intimorito, cercando di nasconderlo. «Così… beh, con tutto il rispetto, ma così sembrate i bravi di Don Rodrigo.»
Maia quasi si affogò per le risate, tanto che Valeryn dovette tirarle delle pacche sulla schiena. Daniel non aveva torto ad etichettarli in quel modo. Quei due spiccavano, specie quando si trovano insieme. Erano proprio una visione estasiante quando si trovavano vicini, i loro colori si combinavano alla perfezione.
«Non ho mai studiato gli Sposi Promessi» incominciò Vittorio.
«Promessi Sposi, prego.»
«D’accordo, quello che sono, genio.» lo ammonì lui con un cenno della mano.
«Ma che ti spaventi a fare?» continuò poi, con tono ovvio «Se siamo bravi che c’hai da urlare come una donnicciola impaurita?»
Daniel alzò un sopracciglio, ferito nell’orgoglio.
«Io donnicciola? Non prendermi per il culo, sai! Io… beh...» alzò in aria un dito, senza saper bene cosa dire
«Io so il fatto mio.»
«Non ti sai manco allacciare le scarpe.» commentò Elia, lanciando un’occhiata ai lacci sciolti della sneaker sinistra.
Il ragazzo con i capelli a caschetto guardò dapprima Sara, che ancora aspettava la sua tenera dichiarazione d’amore, poi si affrettò ad annodarli. Quando si rialzò, li guardò con disprezzo.
«Insomma, sembrate loro e basta.» tentò di liquidarli, prendendo una mano di Sara e portandosela al cuore.
«Adesso non ho tempo per le vostre stupide chiacchiere. Devo donarmi alla mia candida creatura che… ehm… sì, decisamente una candida creatura.» commentò, squadrandola critico dalla testa ai piedi.
«Ti sei proprio rincoglionito.» affermò Elia, con un sorriso di scherno.
Daniel fece un sorrisino finto verso la biondina e si rivolse all’amico:
«Sì, candida, immacolata, problemi? Non insultare la luce dei miei occhi nemmeno per scherzo. Bada la tua isterica ragazza, invece. Lei sì che ha bisogno di stare buona.»
Valeryn, che fino ad allora si era goduta la scena in silenzio, scattò sull’attenti.
«Isterica a chi?» si avvicinò, puntandogli un dito in faccia fino a toccare il palmo della sua guancia.
«Senti, carino, non ho voglia di sporcarmi. Perciò fatti da parte, o perlomeno finisci questa tua merdosa dichiarazione alla svelta.»
Elia le sorrise. Non c’era stato nemmeno bisogno di difenderla: Valeryn riusciva a farsi valere da sola. Lei ricambiò il suo sorriso in maniera eloquente. Vittorio li notò e provò della gelosia inaspettata. Subito, un senso di colpa inevitabile lo assalì con furia. Cominciava a sentirsi uno stupido perché sapeva che dentro di sé tutto quello era sbagliato, ma in fondo, la voglia di averla e sovrastare Elia era più forte di lui.
Daniel, nel frattempo, aveva fatto una faccia tra il grave e l’indignato. Dopodiché, affermò:
«Io non faccio dichiarazioni merdose, cara. Quelle così le fa il tuo amato Ilai, o il tuo cuginetto Vichi.»
Questi si ridestò non appena udì come aveva scimmiottato i loro nomi, e alzò gli occhi al cielo.
«Cosa c’entro io, adesso?»
«Non lo so, mi venivi davanti.»
«Lascia perdere, Vitto» gli disse con freddezza la castana, evitando di guardarlo «Il cervello, ammesso che ne possieda uno, di Daniel Perrone è completamente scollegato alla bocca.»
E, dopo aver detto ciò, si sedette sulla panchina accanto. Stava incominciando a stufarsi delle provocazioni dell’amico, le rovinava perfino il suo umore migliore quando ci si metteva. E non era spesso di buon’umore, anzi, la maggior parte del tempo aveva un’espressione imbronciata.
Vittorio guardò Daniel di traverso, accorgendosi che le battutine dell’amico l’avevano in qualche modo turbata.
«Devi sempre farla incazzare, o sbaglio?» chiese sarcastico.
«Non m’interessa.» gli rispose quello, indifferente.
«Ma se ti meno un pugno in testa t’interessa?» increspò un sorrisetto, mostrando la mano che scattava verso la sua faccia.
«Oh...» commentò Daniel, guardandosi intorno «Vitto, amico mio, lo sai che scherzo.»
«Smettila di insultarla, o almeno non lamentarti quando non ti rivolge la parola o ti molla uno schiaffo.»
Detto questo si avvicinò a lei, che sedeva con le gambe accavallate. Guardava verso un’altra direzione, senza accorgersi della sua presenza. La guardò per qualche secondo indeciso se dirle qualcosa, sentendosi talmente insicuro di fronte a quel profilo corrucciato e quegli occhi verdi assottigliati.
«Non ti sarai arrabbiata per quel beduino?» le chiese poi d’un tratto, acquisendo coraggio.
Lei sussultò, non aspettandosi quell’improvvisa
«Mi hai spaventata… Comunque, no. Al dire il vero non me ne frega molto...» mormorò, pensierosa, volgendo lo sguardo verso il mare in lontananza.
Il castano continuò ad osservarla tentando di scacciare via dalla sua testa le immagini della sera precedente. I suoi occhi rilucevano sotto i raggi del sole che le accarezzavano il viso.
«E allora cos’hai?»
Valeryn si voltò lentamente verso di lui e lo guardò confusa.
Perché si preoccupava tanto per lei? Era passata più di una settimana da quella sera... Adesso erano due comuni cugini, come sempre. Non poteva dirgli che per un attimo aveva sperato di poter essere loro due al posto di Daniel e Sara. Insieme, senza problemi... E invece si ritrovavano a pensare tutte le conseguenze senza avere il coraggio di fare nulla.
Evitandosi. Lei lo evitava e Vittorio se n’era accorto.
Elia, nel frattempo, li stava guardando di traverso cercando di capire cosa si stessero dicendo.
Era da un po’ di tempo che li vedeva in atteggiamenti più intimi del solito, era chiaro che fossero sempre stati uniti, ma non in quel modo. Vittorio le sorrideva, la guardava in modo strano, non faceva altro che difenderla. Non se n’era mai accorto prima d’ora. Era troppo accecato dall’amicizia verso di lui per farci caso, ma adesso capiva, in cuor suo, che c’era qualcosa che non andava.
Si morse il labbro.
Vittorio era il suo migliore amico, ammesso e concesso che provasse qualcosa per lei, perché era consapevole che Valeryn aveva una personalità travolgente e una bellezza ammaliante, non avrebbe fatto niente... Sì, era così.
Doveva essere così.
Ne era realmente sicuro?
Cercava con tutte le sue forze di convincersi del contrario, ma non faceva altro che dubitare di lui... di loro due... sempre di più.
«Saretta» udirono d’un tratto dire a Daniel, inginocchiato per terra «Mi vuoi sposare?»
Ci furono dei lunghi secondi di silenzio. Tutti lo guardarono sbalorditi.
Conny si allontanò insieme a Maia e scoppiarono a ridere entrambe, mentre Alex, Carmine e Censeo batterono le mani, fischiando con giubilo.
Sara, divenuta rossa come un pomodoro, sorrise timidamente, esclamando:
«Sì, lo voglio!» e, alla sprovvista, si gettò dal muretto su cui era seduta sopra le braccia del ragazzo, tentando di baciarlo.
Ma Daniel cadde per terra, cacciando un urlo di terrore. Dimenticava i suoi chili di troppo, pensò. Ma d’altronde, era la ragazza giusta per lui; o almeno quando non gli divorava la pizza.
Vittorio sorrise osservando la scena. Finalmente quell’idiota aveva fatto il primo passo. Lo udì che gridava qualcosa tipo “non farti strane idee, non ci sposiamo veramente!”. Erano due strambi, Daniel e Sara, ma almeno avevano avuto il coraggio di stare insieme…
Perché non c’era niente che li ostacolava.
Valeryn accusò un risolino guardando i due piccioncini che si tenevano per mano.
Quello con Vittorio non sarebbe mai potuto succedere.
Per l’ennesima volta, doveva smetterla. Fortuna che tra pochi giorni sarebbe iniziata la scuola e non avrebbe visto suo cugino con la frequenza giornaliera delle vacanze...
«Ecco» si alzò in piedi Alex, mentre i festeggiamenti si spensero di botto «ora che siamo in tema, a dire il vero... noi...» e scoccò uno sguardo eloquente a Miriel che fece lo stesso, posizionandosi accanto a lui.
«Noi vorremmo anche dirvi una cosa.»
«Avanti.» li incitò Daniel, abbracciato alla sua nuova ragazza «Tanto più bella notizia di questa, quale ci potrebbe essere?»
«Noi anche stiamo insieme.»
Tutti li fissarono confusi. Daniel aprì la bocca di circa cinque centimetri e la richiuse con astio.
Ma perché adesso che si fidanzava con Sara dovevano mettersi quei due guastafeste a rovinargli la giornata?
«Che cosa?» chiese, stentando a crederci.
«Hai capito bene, Dan» rispose Alex «Noi due siamo una coppia
«Coppia
«Sì, come te e Sara.»
Il castano non fece in tempo a replicare che Valeryn scattò dalla panchina e corse ad abbracciare l’amica.
«Non sai quanto sono contenta!» esclamò, quasi soffocandola «Lo sapevo che prima o poi vi sareste accorti di piacervi.»
«Più che altro» precisò Elia «ce ne eravamo accorti prima noi.»
Alex sorrise con imbarazzo, mentre Miriel, liberatasi dalla stretta dell’amica, si aggiustò la capigliatura, facendosi aria con le mani, rossa in viso per quelle attenzioni.
«Quindi siamo a due.» osservò Censeo.
«Due cosa?» chiese stupidamente Conny, grattandosi la testolina di capelli rossi.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, con un sorrisino automatico, dolce e divertito.
«Coppie» precisò, guardandola come la volesse mangiare. Lei, come al solito, si fece piccola piccola e divenne color porpora.
«Tre.» aggiunse Elia, passando un braccio sulle spalle della sua fidanzata, non riuscendo a fare a meno di lanciare un’occhiata a Vittorio che li fissava già.
Valeryn sorrise forzatamente, mentre questi distolse lo sguardo. Era proprio necessario sottolinearlo?
«Anche quattro.» intervenne Sara, contando con le dita. Il suo ormai ragazzo la guardò interrogativo.
«Stellina, cosa dici?» chiese «Chi sarebbero i quarti sventurati?»
La bionda rise, ammiccando verso Conny.
«Prova ad indovinare, pasticcino.»
La ragazza in questione alzò le spalle, e Daniel borbottò:
«Figurati se mi metto a farmi le seghe mentale sulla babba di Consilia e Vincenzo Censeo... Ehi, aspetta un attimo!» esclamò, come se fosse stato invaso dalla luce divina.
«Non saranno mica loro la quarta coppia?»
La bionda annuì, mentre Censeo, stranamente, diventava rosso fino alle orecchie. Conny non era da meno, ma faceva finta di niente mangiucchiandosi le unghie.
I due si lanciarono uno sguardo furtivo, ma lo distolsero subito.
«Se vi mettete insieme anche voi, chiudiamo il giro.» trillò Sara entusiasta.
«Sbagliato.» affermò il biondino, con un’espressione soddisfatta. Lo volevano metter in difficoltà? E lui adesso si dissociava.
«Manca Carmine, che oggi è andato in un certo posto della collina… Un ristorante, o qualcosa del genere.»
Conny rifletté con un dito sul mento.
«Anche mia cugina Angelina ha detto una cosa del genere… Aspetta, non dirai che c’è qualcosa…?»
Censeo annuì con vigore.
«Esattamente.»
«E’ impossibile che Carmine abbia una cotta per quella ragazza. Insomma, l’altro giorno ha completamente negato a mes’intromise Valeryn, con le braccia incrociate.
«Credi che Carmine ammetterebbe mai una cosa del genere?» la portò alla realtà Censeo.
In effetti era vero, si disse la castana. Il loro amico era così misterioso e riservato.
«Solo un secondo» Maia si alzò in piedi «Anche se Stefano non sta assiduamente con noi non vuol dire che io sia single.»
«Giusto.»
«Perciò siamo a sei!» la mora si aggiustò i ricci scompigliati e si risiedette soddisfatta del suo intervento in crociata della sua storia d’amore.
Elia lanciò un altro sguardo di sottecchi a Vittorio che stava seduto senza dire niente. Provò un desiderio enorme di punzecchiarlo, fu più forte di lui.
«Quindi siamo tipo tutti fidanzati in questo gruppo.» sottolineò in modo da far notare la cosa.
Il castano, che si era stufato di tutte quelle chiacchiere, alzò di rimando la testa verso il biondo. Si era forse dimenticato di lui? Lui, che provava qualcosa per la sua ragazza? Bene, non si sarebbe fatto dimenticare, valeva a dire.
«Grazie della considerazione.» commentò sarcastico.
Mettere in evidenza il fatto che tutti fossero innamorati ricambiati e che lui non potesse esserlo come desiderava gli procurava una male inspiegabile.
«Ah, è vero.» recitò Elia, facendo finta di essersene accorto solo in quel momento.
«Tu sei rimasto fuori, frate’. Chi è che ti piace, Vitto? Perché non ce lo dici?» e lo guardò fisso negli occhi grigi, di uno sguardo di sfida che per la prima volta destabilizzò l’altro.
Perché non ammetti che ti piace Valeryn?, pensò, provando una sensazione di disgusto anche solo a formulare quel pensiero.
Perché se lo fosse, lui non aveva le palle di dirglielo.
Vittorio non distolse lo sguardo, ma si sentì scoperto. Per la prima vera volta, perché forse le altre volte non ci aveva dato il reale peso, si ritrovò ad avere coscienza di un vero dissidio interiore.
Gli altri suoi amici risero e anche Elia fece un ghigno strafottente, cosa che lo fece innervosire ancora di più.
Gli sembrava così divertente la situazione? Per un attimo ebbe l’istinto irrefrenabile di dire la verità, tanto per vedere quel sorrisino del cazzo scomparire dalle sue labbra. Ma poi volse lo sguardo verso la cugina, e vedendola mordersi il labbro inferiore, decise di evitare scenate di quel tipo perché non avrebbe mai voluto metterla in difficoltà per una sciocca competizione tra loro due.
«Nessuno» rispose secco, ma non glie l'avrebbe data vinta.
«Nessuno che possa avere.» aggiunse.
Sapeva che così avrebbe accentuato ancora di più i suoi sospetti, ma fu più forte di lui. Notò con la coda dell’occhio che Elia era tornato a guardarlo seriamente.
«Franca?» chiese Conny, ridacchiando come una gallina.
Vittorio sospirò stancamente.
«Nessuna, lasciate perdere.» ripeté.
Gli altri lo guardarono, alcuni fecero spallucce non sapendo cos’altro aggiungere.
«Se vuoi complicarti la vita, fa’ pure.» fu il commento di Daniel.
E per una volta quell’idiota aveva ragione.
Ma sai che c’è, pensò Vittorio, guardando Valeryn che si mordeva ancora il labbro, a me piace complicarmi la vita.
Elia, nel frattempo, non aveva smesso di fissarlo, e lo faceva in modo così intenso che per un attimo sentì una fitta al cuore, non sapendo se fosse solo per il timore di essere scoperto o per altro...
Il biondo scosse la testa con una smorfia strana, poi passò le braccia attorno alle spalle di lei e l’allontanò dalla sua visuale.
Lui rilasciò il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento.
Stava sbagliando tutto, lo sapeva, ma si era spinto troppo oltre e non sapeva più come tornare indietro.











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Capitolo 10
*** L'inizio della scuola ***








Come ogni anno, il fatidico rientro a scuola era arrivato puntuale e distruttivo. Vittorio si alzò svogliatamente, stropicciandosi più volte gli occhi. Sua madre gridava come un’ossessa
dalla cucina.

«Disgraziato, salta giù da quel letto!»
Che palle, aveva un sonno tremendo. Beh, la notte prima era andato a dormire all’una per colpa di Daniel che aveva insistito tanto con l’andare a cazzeggiare al bar alle dieci di sera.
Si guardò per un attimo allo specchio, facendo una smorfia schifata in direzione dei suoi capelli. Era fissato. O stavano in ordine, o niente. Aprì l’armadio con gli occhi che gli si chiudevano, facendo fatica perfino a scegliere i vestiti.
Mena entrò di soppiatto in camera, spalancando la porta e aprendo violentemente le tapparelle facendo penetrare violentemente la luce nella stanza. Il ragazzo si coprì la faccia, imprecando.
«Ma sei impazzita?»
«Sei una talpa?» chiese Mena, sarcastica, incominciando ad aggiustare il letto «Le talpe sono cieche ed odiano la luce del sole. Se sei una di loro, mi dispiace per te.»
«Perché?» domandò Vittorio, che non ci stava capendo un bel niente.
Erano le sette di mattina, aveva sonno e sua madre si metteva a parlare di talpe...
«Perché da oggi in poi vivrai nel riverbero» rispose quella «Te lo garantisco io. Anzi, da domani ti alzerai ai miei orari
«Stai scherzando!?» esclamò lui, fermandosi sulla soglia della porta.
«Sì, alle cinque e mezza di mattina.» Mena finì di sistemare il letto, e si pulì le mani nel suo grembiule.
«E ora fila!» lo spinse da un braccio «Va’ a prepararti, o farai tardi. Se non ci tieni ad avere le ossa spezzate, ti conviene correre.»
La donna uscì dalla porta prima di lui, lasciandolo da solo come un ebete. Possibile che neanche era cominciata e già sentiva di odiare la scuola? Si morse il labbro. Erano le sette e dieci, era stanchissimo e tra non molto sarebbero passati gli altri a prenderlo. Sbuffò e si lasciò cadere sul letto appena fatto. L’urlo inviperito di Mena non tardò neanche un secondo:
«Fuori da lì, disgraziato!»

Dopo essersi lavato e sistemato, scese in cucina a mangiare qualcosa. Ovvero a fare finta; la mattina aveva sempre lo stomaco serrato. Si sedette a tavola, poggiando la testa sopra un braccio.
«E sta' dritto!» lo rimbeccò sua madre, scendendo anch’essa. Gli diede uno scappellotto e aprì il frigorifero.
Vittorio cercò di trattenersi. Non era il caso di mettersi ad urlare davanti a Natalie che stava seduta a leggere e Ross in camera a russare.
Ma non dovevano andare a lavorare, quei due?
«Senti mamma, non ho fame.» affermò convinto. Lo stava facendo innervosire più di quanto lo fosse già.
Mena si voltò interrogativa porgendogli il latte, il caffè e le fette biscottate.
«Non se ne parla nemmeno. Tu mangi e subito. Altrimenti non avrai energie oggi ed è il tuo primo giorno di scuola.»
«Capirai, con quello che faccio...»
«Se quest’anno non porterai, lasciamo perdere bei voti perché so che è un livello impossibile, ma quantomeno decenti, io...»
«...ti farà il quarto grado.» sorrise Natalie, finendo la frase e sporgendo la chioma corvina da dietro il giornale.
«Tanto per cambiare.»
Il ragazzo
sogghignò, mentre la madre guardava la figlia maggiore con aria truce.
«Non vorrai insinuare che sono pesante? Sono pesante, non è così?»
«Quanto basta.» si accinse a rispondere Natalie, tranquillamente. 
Mena fece per replicare, ma il campanello li destò in tempo.
«Chi è?»
«Sono Elia. Vitto è pronto?»
«Deve ancora mangiare, bello.»
Lui
sospirò e si mise in piedi.
«Ma non dire cazzate, sto scendendo.»
Afferrò lo zaino accanto a lui.
«Cosa? Aspetta un attimo signorino, non hai toccato cibo e...» ma fu troppo tardi.
Vittorio aveva già chiuso la porta di casa e si era precipitato nelle scale che lo separavano dai suoi amici.
La donna
rimase sull’uscio come un’ebete, mentre la figlia ridacchiava.
«Cosa ci trovi di divertente, tu?» le chiese minacciosa, voltandosi a guardarla di sbieco.
Lei scosse la testa.
«Niente, è solo che devi lasciarlo stare. Ha la sua vita, ha le sue cose. Perché non lo fai campare come tutti noi?»
Mena
s’incupì improvvisamente.
«Pensi che stia esagerando?»
«Alla grande, mamma. È ora di smetterla. Lo conosco, prima o poi esploderà se continui a stargli addosso.»



Valeryn, nel frattempo, uscì di casa correndo. Percorse come un’ossessa la strada principale che portava direttamente al liceo, consapevole di avere solo dieci minuti di tempo per arrivare ai cancelli.
Perché il primo giorno di scuola non tardava mai? Lei invece ci era quasi, e Maia la stava aspettando insieme a Conny. Imboccò un turbo più potente e finalmente arrivò a destinazione, per fortuna la distanza era di un solo isolato. I capelli castani, sistemati in delle perfette onde svolazzavano di qua e di là, e il sorriso ironico le si increspò sulle labbra quando vide i suoi amici con un muso da qua a là fuori.
«Ben arrivata, stavamo entrando senza di te.» borbottò Daniel, sbadigliando.
«Ancora non sono le otto, caro.»
Il liceo scientifico era situato adiacente alla piazza centrale, di fronte all'istituto tecnico industriale, popolato quasi esclusivamente da ragazzi.
Valeryn, Maia, Elia, Conny, Sara e Daniel frequentavano tutti la stessa classe, quella che da quel giorno sarebbe diventata la III B. Vittorio e Censeo la IV A dell’industriale. Alex e Carmine la III A dello stesso. Miriel, invece, la più piccola e la più lontana, il V D ginnasio del liceo classico.
Valeryn, ancora un po’ insonnolita ma cosciente, spostò lo sguardo verso tutti i gli studenti che si accavallavano all’entrata, come se il ritorno a scuola fosse un evento straordinario. Visto che i due istituti erano praticamente vicini, i ragazzi dell’industriale si gettavano alla rinfusa vicino a quelli del liceo tanto per provare ad attaccar bottone con qualche ragazza.
Alex e Carmine erano appoggiati al muro con aria stanca. Daniel li aveva costretti a scendere mezz’ora prima in modo tale da passare a prendere Sara a casa e fare la strada insieme. Voltando lo sguardo verso sinistra, vide un gruppetto di ragazze avvicinarsi e lì scorse Angelina, la cugina di Conny. Portava i capelli ricciolini al vento e gli occhi cerulei le risplendevano. La castana rivolse uno sguardo eloquente a Carmine, che per poco non si affogò con la sua cicca.
«Angie, come ti senti?» le chiese Conny «Noi stiamo morendo di sonno e per di più Daniel ha dimenticato la cartella.»
Il ragazzo le rivolse uno sguardo di fuoco e proferì:

«Non sono fatti tuoi. La cartella ha solo un valore simbolico.»
Angelina ridacchiò e rivolse lo sguardo verso Carmine che sentiva il cuore battere forte come un tamburo.
«Anch’io, è stato pesante svegliarsi presto.»
Valeryn la squadrò per benino e le chiese:
«Sei in II A, giusto?»
«Sì, tu in III?»
Lei annuì e guardò Carmine. Aveva lo sguardo puntato sul marciapiede e sicuramente stava trattenendo il respiro. Sogghignò, pensando che sarebbe stato divertente prenderlo un po’ in giro.
«Mine, hai salutato Angelina? Non vorrai mancarle di rispetto, spero.»
Il moro alzò lo sguardo imbarazzato, mentre la ragazza faceva lo stesso.
È ufficiale, pensò Valeryn, si piacciono a vicenda.
«Ehm… C-ciao, Angelina. C-come va?» biascicò.
«Bene, grazie. E tu?» arrossì lievemente lei.
«Si tira avanti.»
Censeo scoppiò a ridere loro in faccia, trascinando con sé pure Maia.
Valeryn si congratulò con sé stessa. Sapeva perfettamente mettere in difficoltà le persone e non aveva problemi. D’altronde era uno slancio in più, il suo. Se quei due si erano visti in quell’ignoto posto della collina ed era successo qualcosa, dovevano far passare meno tempo possibile per dichiararsi. Insomma, lei lo avrebbe fatto subito. O almeno, lo avrebbe fatto con chi poteva...
Le venne in mente suo cugino, così, improvvisamente. Beh, si era imposta di smettere di pensarlo in maniera insistente da qualche giorno e adesso le riaffiorava in testa al più piccolo collegamento e mandare all’aria i suoi tentativi di resistenza.
Inoltre, Vittorio pareva venire verso lei e i ragazzi proprio in quel momento; ma la cosa che la fece quasi ridere era che al suo fianco c’era proprio Elia.
I due amici ridevano tra di loro, tanto che il biondo mollò un calcio affettuoso a Vittorio e viceversa. Erano soliti fare così. Sembrava che fosse tornato il sereno, ma era solo una calma apparente, lo sentiva.
Sperò comunque di sbagliarsi.
«… stronzo, te la faccio pagare, Vic» udì e quasi ebbe un tuffo al cuore, ma in realtà Elia rideva.
«Non dovevi dirla una cosa del genere.»
Tirò un respiro di sollievo quando si rese conto che erano delle loro provocazioni goliardiche.
«Te la tieni» aveva risposto Vittorio, sogghignando «Così impari a non rompere di prima mattina. Per fortuna non sono il tuo compagno di banco.»
Elia ridacchiò, mentre gli altri si voltarono a guardarli interrogativi, accorgendosi del loro rumoroso arrivo.
Non appena il biondo incrociò il suo sguardo, notò che aveva assunto un’espressione maliziosa per la quale giurava ci fosse un secondo fine.
«Già. Preferisco la compagnia di Vale.» lo sentì dire e subito dopo le scoccò un bacio sulle labbra.
Valeryn incastrò i suo occhi in quelli del castano che era rimasto paralizzato sul posto.
Vittorio
scosse la testa infastidito emettendo una piccola risatina di sarcasmo, poi spostò l’attenzione altrove.
Elia lo aveva fatto di proposito.
«La smettete con ‘sto casino?» sbottò Daniel, smorzando le tensioni «Tra poco suona quella maledetta campana. Non ci avete neanche salutato, voi due. Bel rispetto che avete per gli amici, le uniche persone che vi vogliono bene a questo mondo.»
Il castano e il biondo si voltarono e si lanciarono uno sguardo parecchio stralunato. Daniel c’era con le minchiate di prima mattina, non immaginavano la sesta ora...
«Non farla tragica.» lo ammonì Vittorio con un sospiro stanco. Poi si rivolse agli altri.
«Ciao a tutti. Altrimenti Daniel s’incazza. Contento?»
«Non è questione del perché, ma del come mai.»
Il ragazzo si grattò la testa e guardò i compagni che alzavano le spalle.
«Ma lo vedi che sei scemo, è la stessa cosa.»
Subito dopo aver proferito quelle parole, la campanella del liceo suonò. I ragazzi emanarono un generale boato di disapprovazione e piano si accinsero ad entrare.
«Su, che ci vediamo all’uscita.» cercò di rincuorarli Carmine.
«Che, ci pigli per il culo?» ribatté Valeryn, imbronciata «Noi abbiamo la sesta ora.»
«Allora andate a cagare.»
Censeo, Carmine, Alex e Vittorio risero, raggiungendo la loro scuola, mentre gli altri li guardavano truci. Specie lei, che voleva pestarli tutti. Uno ad uno. Forse avrebbe risparmiato Vittorio... o neanche lui. Un saluto personale solo per lei, no? Doveva per forza cazzeggiare con Elia? Non pensava a sua cugina? Dio, era perfino gelosa di Elia, adesso...
Completamente ridicola, pensò di sé stessa, appena varcato il maestoso portone del liceo.









«Come sapete, da quest’anno saranno ammessi i crediti formativi, cari ragazzi» diceva il professore d’inglese, atteggiandosi.

«Perciò vi conviene studiare e non farvi lasciare i debiti. Per me sarebbe un vero peccato bocciarvi tutti.»
I ragazzi sbuffarono nello stesso momento. Il solito prof che si divertiva a prenderli in giro, si dissero.
Valeryn sentì un’ondata di caldo investirla improvvisamente. Erano ancora le dieci e già voleva andare a casa. Aveva alla sua destra Maia, mentre alla sua sinistra Elia che se la rideva con Daniel, proprio davanti a lui. Sara era seduta vicino a questo, e accanto a lei vi era Conny un po’ stordita.
Valeryn si grattò la chioma castana, sospirando. Il terzo anno in quel liceo non sarebbe stato facile e i suoi compagni avevano preso nuovamente tutto sottogamba.
«La smettete?» sibilò stizzita a Daniel ed Elia, che si ammutolirono improvvisamente.
«No, ci siamo rotti le palle, se permetti.» rispose il primo, tirando una pallina di carta ad un altro compagno.
«E andate in bagno, allora. Ho mal di testa.»
«E chi se ne frega?»
«IO!» esclamò la castana, menandogli un quaderno in testa e catturando l’attenzione del professore che si voltò verso di loro.
«Ragazzi, avete da dire qualcosa?» chiese con un sorrisino ebete.
«Sì, Daniel Perrone vorrebbe dire che si è rotto delle sue chiacchiere, prof.» si aggiustò i capelli Valeryn.
Elia scoppiò a ridere insieme a Maia, mentre il nominato diventava rosso e il docente d’inglese gli gettava uno sguardo truce.
«Ma n, proffy, non ascolti quest’arpia!» tentò di giustificarsi «A me piacciono molto le sue lezioni. Io sono nato inglese, abitavo in Inghilterra prima d’ora…»
«Bene» commentò il professore, sorridendo «e allora vieni avanti, Perrone. Fammi vedere cos’hai appreso in tutti questi anni.»
«Cosa?!» esclamò spaventato il ragazzo.
«Incominciamo con la Duration Form”.»
«Ehm… I am
«Sbagliato. Ma sei duro di comprendonio, eh?»
Valeryn ridacchiò soddisfatta. Così imparava a non rispondere sempre in maniera sgarbata, quello zoticone.
«Sei terribile.» le bisbigliò Elia con un sorriso di ammirazione. Poi notò che la guardava con uno sguardo strano, come se la stesse scrutando in cerca dei suoi segreti più profondi.
«Mi piaci anche per questo» si lasciò scappare dopo.
Le prese la mano tra la sua e sorrise da far sciogliere il sole. Era bello, Elia, eccome se lo era. Ma Valeryn non sentiva più quelle sensazioni di piacere quando stavano insieme, quelle sensazioni che provava vivide sulla pelle quando qualcun altro le si avvicinava. Non era sicura di amarlo, né di essere innamorata. E invece Vittorio… Aver visto Vittorio due ore prima l’aveva fatta impazzire. Il cuore aveva iniziato a batterle forte, voleva nascondersi dalla sua vista, ma nello stesso tempo, si era premurata a far finta di niente. Si erano evitati ed era stato meglio così. Anche se quell’indifferenza le procurava un nodo alla gola, andava bene lo stesso. Non dovevano dimenticare che erano cugini, che lei aveva scelto di stare con il suo migliore amico e che tutto si sarebbe ritorto contro loro stessi se avessero continuato a stare troppo vicini. Però desiderava solo una cosa. Era da tanto che non succedeva: stringere la mano a lui come stava stringendo adesso quella di Elia.







Non capiva cosa c’era di così divertente da ridersela e spassarsela in quel modo. Censeo e gli altri compagni di classe facevano gli
stupidi prendendo in giro il nuovo prof di matematica e i suoi lunghi baffi. D’accordo, un po’ faceva ridere, ma Vittorio non ne aveva voglia. Non dopo aver assistito a scene del genere.

Già. Preferisco la compagnia di Vale.”
Quelle parole continuavano a risuonare nella sua testa.
Strinse i pugni incrociando le braccia. Se solo Elia sapesse... Se solo capisse tutto. Sicuramente gli sarebbe scomparso il sorrisetto dalle labbra. Faceva male considerare il suo migliore amico in quelle vesti, come se fosse un nemico, ma faceva più male sapere che tutto quello che c’era tra lui e Valeryn non sarebbe mai potuto succedere tra di loro. Inutile chiedersi il perché, era così e basta. Doveva farsene una ragione, lasciar perdere tutto.
Valeryn amava Elia. Eppure... eppure, anche se la testa gli ordinava di smettere, una piccola parte del suo cuore lo invogliava a lottare. Ma come?
Era impossibile. Lei non gli rivolgeva quasi più la parola ed era certo che Elia si era reso conto di qualcosa.
Stava rischiando di provocare un caos irreparabile.
«Ehi, Vitto» lo interruppe dai suoi rimugini Censeo «A te non fa ridere quel barbuto di Longo?»
Il castano abbozzò mezzo sorriso, senza essere realmente coinvolto.
«Sembra un tricheco.»
«Peggio di Daniel.»
Quando Censeo si rese conto di star ridendo da solo, si fermò ad ispezionarlo, preoccupato.
«Senti» aggiunse dopo, accorgendosi del suo umore «che hai? Ti vedo assente da giorni. Mi fai preoccupare così.»
Vittorio si schiarì la voce. Odiava dover mentire, ma non vedeva possibile altra soluzione. Doveva ingoiare quello che sentiva per il bene di tutti.
«È tutto a posto, tranquillo. Sono solo stanco perché ho dormito poco.»
Censeo alzò le spalle, non convinto da quelle motivazioni vaghe.
«Boh, a me non sembra questo. Non è che stai così per qualche ragazza? Dai, dimmi la verità. Lo so che il tuo miglior amico è Elia» non si rese conto che Vittorio aveva scosso impercettibilmente la testa «ma sono del parere che tra noi dovremmo confidarci di più, siamo un gruppo di amici che possono fidarsi tra loro. Qualunque cosa mi dirai non uscirà da qui, sappilo.»
Il ragazzo sembrava sincero e Vittorio apprezzò ciò che gli aveva appena detto. Gli dispiaceva, ma non era ancora pronto a parlarne con qualcuno.
«Nessuna ragazza, davvero. Solo stanchezza.» ripeté.
Il biondino
non sembrava convinto e il castano decise di contrattaccare. Cambiò discorso, proprio mentre il professore aveva incominciato a fare l’appello.
«Tu invece come stai messo?» chiese.
«Cioè?»
«Parlo di ragazze.»
Censeo fece un sorriso impacciato. Gli costava leggermente ammetterlo.
«Mi prometti che non ridi?»
«Perché dovrei farlo?» chiese lui «Lo farei se mi dicessi che ti sei preso una cotta per Sara, o peggio ancora per Conny, ma non credo che...» si fermò di colpo, visto che il volto dell’altro era diventato rossiccio. 
«Oppure no? Ti piace Sara? No, perché è sconveniente, visto il caratteraccio di Daniel e...»
L’amico
scosse la testa, mentre passava ad un leggero color porpora.
«No!» esclamò l’altro, spalancando gli occhi dallo stupore «Non mi dirai che ti piace...»
«Bellè!» tuonò il professore, arricciandosi i baffi.
«Presente.» rispose Vittorio, lanciandogli un’occhiata di traverso. Già quello gli stava antipatico.
Dopo che superò Trepadi alias Censeo e terminò l’appello, il ragazzo si rivolse nuovamente al biondino.
«Conny, Censé?» domandò, divertito «Non scherzi, vero
«No...»
«Proprio lei? Insomma, è carina... ma, non ti sembra un po’ scema?» ridacchiò.
«A me sembra una ragazza a posto. Che c’è di male?» ribatté l’altro, in difesa.
«Ma è impossibile...»
«Andiamo, Vitto. Nulla è impossibile, lo sai anche tu. Se vuoi puoi, il resto è solo una scusa. Chi se ne frega della conseguenze. Bisogna provarci e poi tirare le conclusioni.»
Furono forse quelle parole che fecero aprire gli occhi al ragazzo. Se lo diceva uno come Censeo che fino a pochi mesi fa era completamente andato per Valeryn e adesso aveva cominciato a guardarsi in giro, perché non crederci?
Era lui un po’ troppo pessimista, allora. Ciò che aveva detto il biondino lo aveva fatto ragionare. Stava perdendo la sua opportunità con quella chiusura in sé stesso. Stava perdendo Valeryn e questa era la cosa principalmente grave.
Non voleva perderla per sempre, perché si sarebbero allontanati sempre di più, ancora di più.
Ebbe come un’illuminazione.
Sentì il bisogno impellente di dirl
e perlomeno la verità. Le avrebbe detto che non riusciva a stare senza di lei, che era indispensabile, che non gli importava se avevano un grado di parentela, che gli piaceva più di una semplice amica. Anche se tutto quello l’avrebbe fatto sicuramente allontanare da Elia, doveva liberarsi di quel peso.
Ad Elia avrebbe pensato dopo. Gli avrebbe confessato tutto in un secondo momento, lo avrebbe affrontato, gli avrebbe parlato come un fratello dicendogli che si sarebbe fatto da parte, ma che non poteva farci nulla se lei gli faceva sentire tutte quelle sensazioni allo stomaco.
Forse era egoista. Lo ammetteva. Ma non ce la faceva più... Non era impossibile, doveva tentare.
Volse lo sguardo verso l’altro. Censeo aveva la forza di far ragionare la gente per quanto saggio era. Doveva parlare più spesso con lui e smetterla di starsene troppo sulle sue.
«Censé?» lo chiamò.
«Sì?»
«Grazie.» soffiò.
Quello fece una faccia interrogativa.
«E di che?» rispose incerto.
«Mi hai fatto capire una cosa, grazie.» rispose, mentre Censeo continuava a non capire.
«Ah, provaci con Conny. Se ti piace, non lasciartela scappare. Lo sai, è un po’ imprevedibile.»
«Come te, Vitto» si stupì il ragazzo «Fino a un minuto fa sembravi completamente immerso nel tuo mondo.»
Vittorio rise.
«Adesso va meglio. Basta vedere come sta messo il califfo» indicò il professore «e ti torna il sorriso.»
Ridacchiarono insieme, ma fu un errore, perché Longo se ne accorse.
«Bellè e Trepadi» li chiamò «Che avete da sghignazzare? Tutti e due alla lavagna a svolgere un’equazione di secondo grado.»
I due sbuffarono e si alzarono pigramente.
Vittorio afferrò il pennarello e guardò fuori dalla finestra. Ne era valsa la pena, però. Se prima aveva la mente contrita, adesso aveva capito. Doveva solo dire a Valeryn cosa provava per lei e poi lasciare tutto nelle mani del destino. Una cosa di buono c’era stata. D’altronde la giornata non era cominciata come le migliori.
(3-2x)² - (2-x)² = 0
Odiava la matematica. E in fin dei conti odiava la scuola, quello era da non dimenticare. Sbuffò, mentre scriveva. Perché non suonava adesso quella maledetta campanella?
Driiiiiin.
Ghignò e lanciò uno sguardo soddisfatto al professore.
Se la fortuna girava in quel modo, doveva sbrigarsi.














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Capitolo 11
*** Una gara di ballo ***









«Non ci penso nemmeno!» urlò Daniel, arrabbiato come pochi, incrociando le braccia. I ragazzi alzarono gli occhi al cielo. Si trovavano in palestra insieme alla classe dell’industriale -tre classi in un'unica ora in comune-, seduti su delle seggiole dentro uno scantinato dove erano riposti i palloni e altr
e scartoffie.
«Non ballerei il tango per nessuna ragione al mondo.» ripeté il ragazzo.
Sara fece una faccia dispiaciuta. A lei piaceva moltissimo ballare, invece.
«Ma dai, tesorino. Dovrai danzare con me, mica con qualcun’altra.»
«E’ questo che mi preoccupa, stellina» ammise Daniel «Tu balli con la grazia di un elefante accalorato. Ci pensi alla figura che faccio con una partner come te?»
La biondina mise il broncio, mentre Carmine e Censeo se la ridevano sotto i baffi.
«Dio, Dan!» commentò Maia, che stava facendo i compiti di fisica su un tavolino «Ti sembrano modi questi? È della tua fidanzata che stai parlando.»
«Ho detto solo la verità.»
«Per quale motivo, poi?»
«Mi pesta i piedi.»
La riccia scosse la testa, pensando che evidentemente non valeva la pena perder tempo a discutere con quello lì.
«Okay, ma dobbiamo pensare a qualcosa» s’intromise Conny, mentre mangiava una cioccolata «I ragazzi del quinto contano su di noi.»
«Su di voi, giusto?» chiese Carmine, indicandoli «Noi invece non c’entriamo nulla con questa “festa dell’accoglienza”.»
«Veramente ci sareste di mezzo anche voi, dato che siamo un unico plesso.» lo riportò alla realtà Maia.
Carmine fece una smorfia. Ogni anno sempre la stessa storia. Le quinte classi organizzavano una festa per accogliere le nuove prime e toccava alle classi intermedie preparare canti stonati e sciocchi balletti per intrattenere quei mocciosi. Una tale noia.
«E quindi? Avete intenzione di farvi guardare mentre ballate la samba con dei vestitini hawaiani?»
Censeo ridacchiò, mentre Maia alzava gli occhi dal quaderno lanciandogli uno sguardo torvo.
«No, dobbiamo solo organizzare qualcosa. Un musical, una canzone, oppure un balletto carino tutti insieme.»
«O magari un tango con Sara!» esclamò Daniel con sarcasmo, lasciandosi cadere sopra una pila di sedie.
«No, io non ci sto.» proclamò infine.
La bionda mise nuovamente il broncio.
«D’accordo, come volete» sospirò Maia, chiudendo d’un tratto il libro di fisica. «Adesso ne parlerò con Valeryn, vediamo se lei ci darà una mano.»
«Quell’isterica non è capace di fare nulla.»
«Non sentirti troppo Don Rodrigo, Dan» lo rimbeccò Conny «Lei sa quel che fa, al contrario di te.»
«Ha parlato la babba, ridete.» e scoppiò a ridere di scherno insieme a Carmine che sogghignava, mentre Censeo faceva finta di niente.
«Tu credi di essere meglio?» lo rimproverò quella.
«Certamente superiore ad una babba della tua specie.»
«Ma ti sei mai guardato allo specchio?»
Daniel annuì vigorosamente, gonfiando il petto e dandosi dei colpetti.

«E sono pure soddisfatto.»
Carmine si sbellicò, rischiando di cadere dalla sedia. Quella testa di medusa era un grande in tutti i sensi. Perché le ragazze se la prendevano tanto? Era solo un megalomane grottesco che non sapeva mettere due frasi insieme, però almeno faceva fare delle grosse risate.
«Andiamo Dan, smettila di fare lo stupido» si mise in mezzo Censeo, guadagnandosi un’occhiata interrogativa dai presenti.

«Se non vuoi ballare, non farlo.»
Il castano lo squadrò confuso dalla testa ai piedi.

«Stai difendendo… la babba
Conny fece per replicare, accigliata, ma il biondino la precedette.

«La babba si chiama... ehm… Lei si chiama Conny, se forse lo hai dimenticato.»
Il castano gli fece una pernacchia in faccia.
Censeo allora lasciò perdere. Con quello non si potevano aprire due argomenti decenti di fila, in quanto a maturità raggiungeva i livelli di un bambino dell’asilo. Perlopiù Carmine lo assecondava ridendo, era questo il guaio, fomentava il suo ego facendogli credere che fosse divertente quando spesso superava i limiti.
Maia, arcistufa, lanciò il libro su una seggiola e si mise in piedi. Era completamente inutile parlare con quei trogloditi. Per questo era del parere che se non ci fosse stata Valeryn a mettere in chiaro le cose in quella compagnia, ci sarebbero state solo infinite discussioni senza capo né coda. Proprio come quella.
«Basta, io vado a parlare con Valeryn.» affermò, raggiungendo la soglia dello scantinato. Sentì Daniel dire qualcosa, probabilmente una battuta delle sue, ma lo ignorò. Sicuramente l’amica stava giocando a pallavolo insieme ai loro compagni di classe. Non appena mise il piede fuori dalla porta, Elia e Alex le si pararono davanti facendole venire un colpo.
«Siete pazzi? Mi avete fatto spaventare!» esclamò.
I due risero, mentre il biondo, che era un suo caro amico fin dalle elementari, le spettinava i capelli con una mano, quasi come fosse un barboncino.

«Elì, smettila!»
«Dove vai così arrabbiata?» le chiese.
«Sto andando a cercare Valeryn. Devo dirle una cosa importante.»

Elia aggrottò le sopracciglia.
«Dovrà sicuramente dirle qualcosa sulla “festa dell’accoglienza”, ci scommetto.»
Alex sciolse i dubbi del ragazzo.
«Qualcuno di voi vuole partecipare?»

L’amico le scoppiò a ridere ironicamente in faccia, mentre lei le dava uno spintone. Guardò Elia supplice, ma quello negò con la testa.
«Non ballo e non canto.» affermò e la riccia seppe che era perentorio.
Sospirò scoraggiata.
«Mi hanno incaricato di proporre qualcuno. Valeryn qualcosa farebbe, ne sono convinta.»
Alex alzò le spalle.
«Se la vuoi, sta giocando con quei mosci laggiù.» indicò verso un punto imprecisato della palestra.
«Dove?»
«Lì, ho detto. C’è anche Vittorio nella stessa traiettoria. Se non vedi da qua a là mettiti gli occhialila prese in giro.
La ragazza lo fulminò con gli occhi e raggiunse la direzione indicata. Nel mentre che Alex continuava a ridacchiare, scuotendo la testa, e raggiungeva gli altri, Elia rimase a guardare con le braccia incrociate il punto in cui Valeryn si trovava a palleggiare con delle compagne di classe, perché qualcosa gli suggeriva che la casualità per cui Vittorio si trovava così vicino non era affatto una casualità.





Un ragazzo robusto con un ciuffo biondo sulle spalle lanciò la palla con un calcio facendola arriva dall’altro lato dell’enorme palestra.
«Sta’ calmo, Lele» lo ammonì Vittorio «Stavi colpendo in testa il professore.»
Fece segno di scuse verso un uomo sulla quarantina che si sistemava il cappellino sulla testa.
Lele, che era un suo compagno di classe, ridacchiò.

«Ma dai, ci stavamo divertendo.»
«Tu, non io.»

Il castano gettò uno sguardo alla cugina poco più avanti. Stava giocando con altre tre ragazze e rideva divertita con una risata cristallina che gli faceva agitare qualcosa allo stomaco. Non passava un giorno senza che la vedesse più bella. Era una sua impressione, o lo diventava davvero?
Doveva rendersene conto dell’effetto che gli faceva. Perché più la guardava, più sentiva di essere attratto da lei come una farfalla ad una lanterna.
«Ohi, che guardi?» Lele si avvicinò rivolgendo lo sguardo nella stessa direzione del compagno.
«Ah, Valeryn. È proprio bona» commentò guadagnandosi un’occhiata torva «Ma non è tua cugina?»
Vittorio alzò la testa sbuffando ed interrompendolo.

«Sì, è mia cugina. Dov’è il problema?» sbottò. 
«Non c’è, a dir la verità.»
«E quindi?»
Lele fece spallucce, non sapendo dove il ragazzo volesse arrivare e perché si fosse così innervosito.
«Niente, è solo che stai a fissarla come se ti piacesse, che ne so.»
Vittorio sgranò gli occhi. Come aveva fatto ad accorgersene? Era davvero così evidente? Non ci credeva. O almeno, finché non si sarebbe visto in uno specchio.
Rise nervosamente.
«Cosa dici, come può piacermi mia cugina... Dai, non dire stronzate.»
Lele fece un’espressione un tantino scettica, mentre Vittorio si torturava le mani perché era stato letteralmente colto con le mani nel sacco da un compagno di classe con cui neanche parlava di quelle cose.
«Nah, non sono solo stronzate. Secondo me. ti piace» ghignò difatti quello, malizioso, sapendo che l’avrebbe fatto arrabbiare. Infatti, il castano si voltò di scatto mollandogli un leggero calcio nel didietro.
«Ahia!» si lamentò l’altro, estremizzando il colpo.
«Così impari a non insinuare.»
«Scherzo Vitto, lo so che non ti piace.»
E invece ti sbagli di grosso, Lele, pensò il castano contemplando nuovamente la ragazza davanti a lui.
Non ci aveva mai fatto caso, ma adesso che si ritrovava a guardarla si era accorto di quanto avesse un’attitudine a giocare a pallavolo. Ogni suo singolo movimento, passaggio, gli faceva capire quanto lei fosse speciale.
E aveva promesso a sé stesso che le avrebbe detto tutta la verità, a costo di fare la figura del cretino. Doveva dirglielo che non riusciva a smettere di pensare a lei da quando erano a tanto così dal baciarsi, anzi, da ancora prima, da quando in bagno di quella pizzeria lui le aveva sfiorato il collo con le labbra.

Fece un gran respiro per tentare di calmare i pensieri che scorrevano rapidi e impertinenti. Si avvicinò di più alle ragazze, facendo il vago.
Voleva ascoltare la sua voce, solo quella lo faceva stare bene.
E voleva parlare. Non riusciva più a fingere quell’indifferenza atroce.
Dovevano affrontarsi.
«Sta' a vedere che glielo facciamo il punto!» la sentì esclamare, mentre schiacciava con potenza la palla.
La compagna a cui si era rivolta sorrise soddisfatta del punto appena fatto come pronosticato.
«Vale, sei una forza!» si scambiarono un cinque, mentre le due dell’altra squadra sbuffarono.
La castana rise, rivolgendo uno sguardo di superiorità a una sua compagna bassina che Vittorio già conosceva.
«Che c’è, Clarissa? Hai perso la parola? Non eri tu quella che si vantava di saper giocare?»
«Ma infatti è così. La tua è solo una fortuna sfacciata.» si difese quella.
«Sì, come no. Rosica piano. Beccatevi questa!» e posizionandosi fuori della linea, batté così forte tanto da colpire in testa un’altra delle sue compagne, una ragazza esile che stava al centro del campo.
Valeryn mimò una smorfia di dolore, mentre quella si teneva la testa.
«Ehi, tutto bene?» la soccorse «Scusa, volevo beccare in pieno lei, non te.» Indicò senza tanti fronzoli Clarissa, che fece una faccia indignata.
Vittorio ridacchiò, incrociando le braccia. Che tosta che era. Era anche questa una delle ragioni per cui le piaceva, perché non si nascondeva mai dietro l’ipocrisia o la falsità. Diceva sempre le cose come stavano, a costo di rimetterci la simpatia.
Proprio quando la ragazza magra ed esile si rimise in piedi, Maia chiamò l’amica a gran voce.
«Teso’, che c’è?» chiese Valeryn, voltandosi in sua direzione.
«Ci servi di là.»
La castana fece una smorfietta con il labbro che Vittorio trovava adorabile e gli venne da sorridere. La faceva sempre, si era reso conto, ogni qualvolta che era stanca o irritata.

«Non potete aspettare?» la sentì chiedere.
Maia negò con la testa, dispiaciuta. Cosa poteva farci se i suoi amici erano tutti degli zucconi?
Valeryn alzò gli occhi al cielo, sospirando. Sicuramente era colpa di un pasticcio di Daniel, al cento per cento.
«Vitto, vieni anche tu.» la mora lo scorse e gli fece segno di avvicinarsi, dopodiché rientrò più tranquilla nello scantinato polveroso.
Valeryn fece per seguirla, ma si era accorto che aveva indugiato non appena aveva sentito il suo nome. Poteva giurare che si fosse accorta della sua presenza e gli avesse lanciato uno sguardo di sottecchi. Così Vittorio non perse tempo, e senza pensarci tanto, le si piombò di dietro.
La fece sussultare, facendole il solletico ai fianchi. Lei si voltò di scatto con in viso un’espressione corrucciata. Odiava il solletico nelle parti sensibili. Per di più, odiava farselo fare da qualche idiota come colui che si era permesso... Okay, era lui.

Non poteva scappare vigliaccamente come stava facendo. Incontrò gli occhi del grigio più intenso che avesse mai visto e iniziò ad agitarsi per la morsa al petto che percepì.
«Cugino, ciao» lo salutò a mezza voce, in imbarazzo «Stavo per pestarti.»
«E perché?» chiese lui, divertito.
E dire che era così bello parlare con lei. Come aveva fatto ad ignorarla per tutti quei giorni?
«Beh, perché pensavo fossi uno di loro» ed indicò i suoi compagni di classe, imbizzarriti dietro un pallone.

«Invece per fortuna sei tu.» mormorò in un tono indecifrabile.
Per fortuna... Si aspettava qualcuno di peggiore o era contenta di vederlo?
«Già» affermò «Una vera fortuna.» ripeté, scrutandola negli occhi, in quelle iridi verdi smeraldo che la rendevano il triplo più bella di quello che era. Erano magnetici quegli occhi, doveva mantenere il focus sulla realtà ogni volta, perché erano così invitanti, così come le sue labbra...
Valeryn piegò la testa di lato, imbarazzata al massimo. Non riusciva a reggere il suo sguardo per più di quattro secondi, specie dopo le cose successe tra loro. Ma in realtà era così contenta che lui le avesse rivolto la parola, quasi scoppiava dalla gioia che sentiva nel petto.
«Sei brava a pallavolo. Hai fatto il sedere a strisce a quella.» la complimentò, riferendosi alla compagna colpita in testa.
Fece la sua smorfia, sentendosi in colpa.

«Ehm, non saprei, le ho quasi spaccato il naso.»
Restarono qualche secondo in silenzio. Tecnicamente avrebbero dovuto muoversi, visto che Maia aveva detto loro di andare; ma entrambi non riuscivano a fare nulla, come se qualcosa li trattenesse a stare lì, ritti uno davanti all’altra a guardarsi come se fossero una visione di cui si erano privati per molto tempo e ne avessero sofferto l’astinenza.
«Quindi è incominciata la scuola...» se ne uscì il ragazzo.
«Già, una vera noia.» sbuffò Valeryn.

Poi alzò un sopracciglio e decise di lanciargli una frecciatina.
«Come hai passato questi giorni? Non ci siamo incontrati per niente.»
Vittorio si morse il labbro. Non poteva dirle che faceva fatica a parlarle per quello che era successo e che si era mantenuto a distanza perché temeva di non riuscire a trattenersi.
«Sì, è vero. Non sono stato dei migliori. Un mal di testa terribile.» mentì.
La castana annuì. Vittorio fece il suo stesso gioco. Neanche lei si era fatta così tanto vedere, anzi, palesemente lo evitava davanti ai suoi occhi.
«E tu? Che hai fatto?»
«Mah» si grattò la testa «nulla di particolare. A parte litigare con Clarissa e i suoi modi da prima donna.»
«Beh, è naturale» sorrise Vittorio, facendole uno sguardo malizioso «Mancavo io a farti ridere, giusto?»
Valeryn ridacchiò, dandogli una pacca sul braccio.
«Modesto al mille per mille.» affermò sarcastica, ma divertita.
Il ragazzo ghignò. Come aveva fatto a stare senza di lei? Senza il suo sorriso? Quel sorriso gli stava facendo battere il suo cuore all’impazzata.
Okay, c’era quasi. Forse la palestra del liceo non era il luogo più adatto per dirle “mi piaci”, ma non poteva aspettare oltre. E poi aveva giurato di dirglielo. Non poteva rimangiarsi la parola. Solo che doveva farlo velocemente, dato che i ragazzi li stavano aspettando e Lele li osservava da lontano con uno sguardo eloquente.
«Beh, senti, io...» fece un po’ nervoso. E

Come glielo diceva? Voleva dirglielo in quel momento, sentiva che doveva cogliere la palla al balzo prima che qualcosa andasse di nuovo storto.
«Devo parlarti di una cosa importante...» incominciò senza sapere come gestirla.
Valeryn fece una faccia interrogativa, ma aspettava qualcosa anche lei, era evidente.
«Dimmi, ti ascolto
Vittorio fece un respiro profondo. Incominciava a sentire più caldo del solito benché fosse già fine ottobre. Gli scoppiava la testa e le urla di quegli animali che correvano per la palestra non contribuivano certo a farla passare.
Inoltre la presenza di Valeryn e il momento della verità giunto in una tal prontezza lo facevano stare peggio.

Era molto difficile dire due parole ad una ragazza? E se sua cugina avrebbe reagito male? Da come lo guardava non si direbbe. Sembrava quasi ansiosa di una risposta… Ma forse lui non riusciva a captare i segnali e si suggestionava con quello che provava.
Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli. Insomma, non era facile. Per niente. Qui ci voleva un bell’aiuto… ma quale?
«Che succede qui?»

Elia si avvicinò loro con le braccia incrociate e lo sguardo indagatore.
Ecco, bell’aiuto!
I due sospirarono nello stesso momento. Vittorio evitò di alzare lo sguardo in direzione dell’amico, sapeva che l’avrebbe fulminato con gli occhi.
«Non vi sbrigate? Vi stiamo aspettando. Avrete tempo dopo per i vostri segretucci.» sorrise, più che altro fece una smorfia irritata e voltò loro le spalle, andando in direzione della cantina.
Vittorio strinse le labbra e chiuse gli occhi.
Era un segno. Era un segno divino che non doveva fare niente, dire niente. Elia era arrabbiato con lui, lo sentiva.
La castana sospirò pesantemente, poi alzò lo sguardo e tentò di sdrammatizzare.
«Andiamo, Vittorino. Finiremo di parlare dopo.»
Il ragazzo puntò gli occhi su di lei con un sopracciglio inarcato.
«Come mi hai chiamato?»
«Vittorino. Non è il tuo nome di battesimo? Che c’è di male se...» non riuscì a terminare la frase perché lanciò un urlo, mentre lui l’afferrava di peso dalle gambe e se la caricava addosso.
Valeryn rise, attaccandosi alla sua schiena. Che bello tornare a scherzare in quel modo con lui.


Entrarono insieme ridendo, catturando l’attenzione di tutti i presenti che si voltarono sospettosi verso di loro. Specie uno. Elia alzò gli occhi al cielo, ormai furioso. Non riusciva più a vederli insieme. Aveva un brutto presentimento, nonostante avesse cercato di non pensarci. Tra quei due stava succedendo qualcosa e lui doveva scoprirlo.
«Ben ritrovati» si avvicinò loro Daniel «Voi due siete gli unici candidati favoriti.»
Vittorio lo squadrò non capendo.
«Di che cosa stai parlando?»
«Non fare il finto tonto, Vitto. Dovrete ballare. Insieme.» e li indicò, mentre entrambi si guardavano spaesati.
Valeryn fece una smorfia scettica. Ma cosa blaterava quell’idiota? Aveva appena ripreso confidenza con Vittorio e già doveva sentire cavolate?
«Scusa?»
«Scusa un corno!» si agitò il ragazzo con i capelli a caschetto «E’ stato deciso così, punto e basta.»
«Ma deciso cosa?»
«Per la “festa dell’accoglienza”» nel frattempo, aveva preso in mano un pallone da basket da dentro un vecchio armadietto «E adesso andiamo tutti a fare quattro tiri.»

Fece per andarsene fischiettando.
«Un momento» Vittorio lo fermò, strattonandolo dalla maglia «Io e lei non facciamo assolutamente niente senza che voi ci spieghiate il motivo.»
Maia sospirò, intervenendo.
«Ragazzi, le quinte ci hanno nuovamente fregato.»
«In che senso?»
«Dobbiamo inventarci qualcosa per la festa, altrimenti non si farà se non completano la scaletta
Valeryn sbuffò. Ogni anno le stesse baggianate. Beh, le piaceva esibirsi, ma che ogni santa volta doveva candidarsi lei a quelle cose e che ogni sacra volta veniva interrotta mentre parlava con Vittorio…
«Si può sapere perché puntate il dito contro di noi?»
«Non è contro di voi» tentò di spiegare la mora «Ci affidiamo a te e Vitto solo perché sappiamo che lo farete. D’altronde, cosa sarà mai un balletto scadente? È tanto per non far saltare la festa, insomma.»
«Ho capito, ma voi perché non organizzate nulla?» protestò.
Sara tossicchiò e guardò indignata Daniel, mentre questo ribatteva:
«Volevano ingaggiare me con questa grassona. Io non voglio farne figure di merda, se permetti.»
«Se permetti» ripeté accigliata la castana «tu fai sempre figure di merda. Anzi, ballare con la tua fidanzata ti alzerebbe in meglio la reputazione.»
«Infatti.» approvò la biondina, incrociando le braccia.
«NO!» urlò il ragazzo, come se danzare con la sua ragazza fosse un sacrilegio «Io non mi abbasserò mai a certi livelli. Sono pur sempre un uomo conosciuto.»
«Sull’uomo non ci conterei.» intervenne Elia, sarcastico.
«Cosa vorresti dire?»
Valeryn precedette il suo fidanzato, calmando le acque.
«Non siamo venuti dentro questa caverna piena di polvere soltanto per litigare. Perciò, o la smettete o la smettete. Qualcosa non vi è chiara?»
Vittorio l’appoggiò.
«Giusto. Fate chiacchiere inutili senza affrontare l'argomento.»
Il biondo scosse la testa, guardandolo. La difendeva sempre e comunque. Era chiaro, era palese che provasse qualcosa per lei.
Come poteva?, si chiese ferito. Come poteva anche solo pensare di provare qualcosa per lei? Era il suo migliore amico.
Lo osservò a lungo mentre parlava. 
«E poi state sempre ad addossarvi le colpe» lo sentì che diceva «Siamo amici, o no?»
Amici? Perché non glielo diceva lui se erano realmente amici?
Oramai non ci credeva più.
«Dipende» se ne uscì, utilizzando un tono provocatorio «Magari qualcuno la pensa in maniera diversa.»
Gli altri lo guardarono straniti. Vittorio strinse la mascella e fece una faccia incomprensibile, sentendosi chiamato in causa. Lo sapeva che lo aveva fatto a posta per provocarlo, ma non doveva cedere alla provocazione.

Alzò gli occhi su di lui, si guardarono intensamente.
«Può darsi» disse serafico «Ma non è il mio caso.»

Elia si morse il labbro e fece un sorrisino.
«Coda di paglia?» lo apostrofò.
Il castano lo guardò negli occhi seriamente.

Lo aveva capito. Come aveva potuto pensare che non lo capisse? Aveva provato a baciare la sua ragazza... fino a qualche minuto prima voleva addirittura dichiararle i suoi sentimenti...
Si sentiva un emerito coglione adesso che lo guardava negli occhi.
La tensione era palpabile e se ne accorsero anche gli altri. Valeryn sentì un nodo allo stomaco, cercò di ribattere, ma aveva la gola prosciugata.
Il biondo si avvicinò a lui, parandosi di fronte, mentre Carmine sussurrava ad Alex:
«Questo è un evento straordinario.»
«Già. Eli e Vitto che si contraddicono, non l’avevo mai vista.» gli aveva risposto l’altro.
«Tu credi di reputarti un amico, quindi?» continuò.
Vittorio ebbe una fitta al cuore quando se lo ritrovò così vicino da sentire il suo profumo. Sapeva che se avesse scrutato bene dentro i suoi occhi grigi avrebbe trovato la verità.
Valeryn si passò una mano sul viso, disperata. Perché non la piantavano?
«Sì» soffiò.
«Anche mio?»
Elia non smetteva di guardarlo negli occhi e lui sentiva qualcosa di strano, veramente strano...
«Soprattutto tuo.» mormorò con la voce roca.
Non voleva sottomettersi, ma sarebbe stato uno sciocco ad affermare di non provare un tremendo senso di colpa, o di non sentire nulla per Elia in quel momento.
Questi scosse la testa da un lato.
«Okay, allora dimostramelo.» disse infine, come se la soluzione fosse palese.
Il castano lo guardò interrogativo.
«In che senso?»
«Semplice» il biondo si accostò a Valeryn, che non sapeva cosa dire, e l’avvicinò leggermente al cugino.
«Balla con la mia ragazza per la “festa dell’accoglienza”. E non farmi pentire di avertelo concesso.»
Vittorio boccheggiò. Lo stava mettendo alla prova. Voleva che passasse del tempo da solo con lei e che gli dimostrasse che non era come pensava lui.
«Ma... ma cosa stai dicendo?» chiese fingendo di essere sorpreso.
«Voi ballate, al resto ci penso io.»
Gettò uno sguardo alla sua fidanzata in cerca di qualcosa. La verità, forse. Ma non si aspettava di certo che lei glielo dicesse. Era da lui che voleva certezze.
Conosceva Vittorio quando aveva la testa sulle nuvole. Conosceva anche la causa di tutto quel suo star male da un mese e mezzo a quella parte. Si era preso una cotta, una cotta per qualcuna. Qualcuna di nome Valeryn, sua cugina di terzo grado.
Gli venne quasi da ridere quando il suo cervello formulò quella constatazione. Ci aveva sempre visto lungo sulle cose.
Guardò per l’ultima volta Vittorio, che aveva lo sguardo basso. Lo aveva destabilizzato.
Loro due erano come fratelli. Si conoscevano da tanto tempo, non aveva mai avuto un altro amico come lui, che lo capisse, che lo supportasse, un amico che gli facesse davvero credere nei legami. Sentiva qualcosa di così grande, di così forte e profondo per lui... Credeva di essere ricambiato, ma a quanto pare si sbagliava. Quando si era messo con Valeryn era così contento per loro… Come facevano a mutare così tanto le cose attraverso l’arco di un anno?

Aveva finto per tutto quel tempo e l’aveva sempre voluta?
Ma adesso voleva vedere. Voleva ben vedere se fosse riuscito a resisterle.

Per quanto gli riguardava, non credeva proprio. 












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Capitolo 12
*** E' così strano ***









Non era il massimo ballare quella specie di tango latino -o forse un hustle?- con Sar
etta al loro fianco che urlava i passi. O meglio era il massimo ballare insieme a Valeryn, ma non con Saretta come coreografa, pensò Vittorio.

«Stop! Vi prego fermatevi, o vi vomito addosso.» la biondina aveva spento la musica spazientita.
Valeryn sbuffò e Vittorio la seguì a ruota. Erano due ore buone che provavano quel dannato balletto nel garage di Sara; non aveva pietà di loro? O si divertiva tanto a fare la maestrina?
«Non ci siamo» commentò avvicinandosi e squadrandoli con estrema criticità «Valeryn devi mettere la mano sulla spalla del tuo partner così» e fece il gesto «E tu, Vittorio, devi tenere lo sguardo della tua partner sempre. Non solo per il primo pezzo della canzone.»
«Partner?» chiese la castana, confusa da quella terminologia.
«Sì, partner» ripeté la bionda, esasperata «Come pretendete di realizzare un ballo decente se neanche conoscete le cose più semplici?»
E si sedette amareggiata sopra la sedia pieghevole che si era portata accuratamente da casa.
I due cugini si guardarono un attimo non sapendo che fare. I passi non erano difficili, ma Sara trovava sempre una scusa buona per fermarli. E dire che si stavano pure divertendo.
«Vittorio, vuoi guardare tua cugina negli occhi?» la sentirono sbottare «Cosa c’è di difficile? Devi solo fissarla per rendere realistica l’esibizione, e che cavolo.»
«Così?» domandò il ragazzo dopo aver sospirato, volgendo lo sguardo sulle iridi verdi di Valeryn.
«NO!» La bionda si alzò in piedi sventolandosi con un pezzo di giornale.
Erano gli ultimi giorni di ottobre e stava terribilmente sudando. Ma perché non avevano ingaggiato lei per quel balletto? L’avrebbe fatto in quattro e quattr’otto, lei perlomeno era capace di ballare, aveva studiato per anni. Non come quei due principianti che stavano mostrando la versione caricaturale de “La febbre del sabato sera”... Stava venendo a lei, la febbre, di fronte a quello scempio inconcepibile. Sì, era molto gelosa di non aver ottenuto la parte. Per questo si agitava e se la prendeva con i due malcapitati, che, ad onor del vero, stavano andando molto bene e avevano un certo feeling.
«Per diamine, più intenso, con più credibilità!» esclamò.
Valeryn strinse i pugni a quell’ennesimo rimprovero.
«Se vuoi ci incolliamo gli occhi con l’attack. Dicci tu, non fai altro che lamentarti.»
«E certo!» abbaiò lei «Con quello che combinate!»
Li guardò sprezzante. Poi si fermò a pensare per qualche secondo, portandosi una mano sulla fronte e ricordando uno strano suggerimento che Elia le aveva dato qualche giorno prima.
Nonostante inizialmente fosse stata titubante a riguardo, adesso doveva ammettere che era l’unico modo per dare un guizzo in più alla coreografia.
Ignorava il perché del consiglio inaspettato da parte di Elia, dato che non aveva mai espresso particolare piacere per quelle cose. Ricordava solo che l’aveva afferrata da un braccio e l’aveva allontanata dagli altri per dirglielo all’orecchio.
Non ci aveva capito molto in realtà, era stata troppo impegnata ad arrossire e a sentire caldo a causa della sua vicinanza, perché, che Daniel non ascoltasse mai i suoi pensieri!, era proprio un figo e il suo tono di voce era convincente e a tratti sensuale.
Solo si chiedeva perché lo avesse proposto proprio lui, insomma, non sarebbe stato geloso ad assistere a qualcosa del genere tra la sua ragazza e il suo migliore amico?
Aveva anche voluto che non dicesse a nessuno che l’idea era stata sua, davvero strano...
Si voltò nuovamente verso i due ragazzi che stavano parlottando tra di loro, guardandoli in cagnesco.
«Adesso basta! Non avrei voluto farlo, ma siete dei casi persi. Mi vedo costretta ad aggiungere un bacio finale alla coreografia. Solo questo renderà tutto più passionale.»
Non importava il perché, importava l’impatto che avrebbe avuto, era questo ciò che Elia le aveva spiegato. Ed aveva ragione, per la miseria.
Lanciò loro un altro sguardo velenoso ed invidioso e raccolse le sue cose con sgarbo.
Valeryn guardò incredula Vittorio e viceversa.
Un bacio? No, quello non era possibile... Aveva idea di cosa stava scatenando? Non potevano baciarsi, non potevano farlo davanti a mezza scuola. Non potevano, non potevano proprio, avrebbero creato un putiferio.
La castana era diventata rossa e inquieta. Vittorio notò che stava cercando in tutti i modi di ritrattare.
«Aspetta, Sare’, non è possibile. Stai scherzando? Un bacio?»
«Sì, mia cara, proprio così» Sara aveva preso tutto con se e si stava allontanando dal garage velocemente.
«Visto che è deprimente come state eseguendo i miei passi di danza, questo sarà il tocco finale. Tanto cosa c’è di strano? Siete cugini o no?» e si fermò un attimo a scrutarli, in cerca di qualcosa.
«Ehm, ma certo che...»
«E allora non c’è problema.» l’interruppe decisa, riprendendo a salire le scale.
«Lo sapevo io che avrebbero dovuto scritturare me e non questi buonannulla. Si stupiscono persino di un bacio! Ma guardate voi con che razza di citrulli ho a che fare! Non basta il mio fidanzato che è peggio di una donna mestruata, ma anche gli psicopatici con aria sofferta dovevano affibbiarmi...»
Mentre la ragazza continuava a borbottare a mezza voce, i due in questione rimasero in piedi al centro del garage con in volto un’espressione stupefatta. In realtà, Vittorio voleva assolutamente baciarla, infatti, quando incontrò il suo sguardo intimorito, si limitò ad un sorrisino eloquente; lei, Valeryn, invece, non sembrava essere d’accordo. Primo, perché ciò avrebbe scatenato in lei sentimenti contrastanti; secondo perché a Elia non avrebbe fatto piacere una cosa del genere. Si sarebbero cacciati nei guai, in grossi guai. Dopo quelle frecciatine del giorno prima, sentiva che il biondo aspettava solo di intravedere qualcosa che non andava per intervenire.
«Vitto, non ci sto.» disse, sentendo il cuore che andava più veloce al sol pensiero di baciarlo.
«Perché?» chiese lui «E’ solo una gara, niente di più.»
Anche se entrambi avrebbero voluto qualcosa di più che niente.
«Davanti a tutti, mi vergogno. Un conto è ballare, un conto è...»
Vittorio la bloccò con una mano sulla spalla. Lei si voltò, un gradino sopra di lui. I loro visi erano vicini.
«Baciarmi?» gli chiese alla sprovvista, spostando lo sguardo sulle sue labbra come gesto automatico.
Valeryn lo imitò, fu inevitabile.
«Io… non saprei che...» lasciò la frase a metà.
Il ragazzo si morse le labbra senza distogliere lo sguardo da quelle sue, piene e rosee. Capì che era in difficoltà e mollò la sua presa.
Le sorrise, tentando di mascherare ciò che realmente provava.
«Tanto è finzione, no?»
Valeryn ebbe come una doccia fredda e quella domanda le risuonò lontana. Si schiarì la voce.
«Certo, com’è giusto che sia.» disse piccata, per poi continuare a salire le scale dandogli le spalle.
Vittorio fece un sorrisino, arricciando le labbra di fronte a quella reazione ambigua.
Sara, invece, sembrava essere scomparsa. Non solo li stava rovinando, ma li aveva addirittura lasciati da soli nel garage senza chiavi.





Dopo che riuscirono a venir fuori, - dovettero colpire più volte la serranda fino a farsi sentire da un condomine che quasi ebbe un colpo nel trovarli lì dentro - decisero di passare da una rosticceria a fare merenda.
Le prove li avevano affaticati e sentivano un gran bisogno di mettere qualcosa sotto i denti. Dei loro amici nessuna traccia, idem di Sara; forse era meglio così, dato che con il mal di testa che avevano non sarebbero stati capaci di sopportare Daniel e le sue battutine per nemmeno un minuto.
Entrarono, e Vittorio ordinò al ragazzino del bancone due porzioni di patatine e due coca cola per entrambi, ammonendo con lo sguardo sua cugina che faceva per prendere i soldi dalla borsa.
«Come devo fare con te?» le disse all’orecchio, essendo più svelto e pagando per tutti e due «Ti senti perfino in dovere di pagarti le patatine.»
La castana gli gettò un’occhiataccia afferrando la sua porzione e la sua bibita, uscendo dal locale.
«Non c’era bisogno che offrissi tu, cugino» abbozzò un sorriso «Sai, mamma mi passa ancora la paghetta.»
Vittorio rise, sbattendo la testa.
«Scema, lo so che hai i soldi della settimana, ma non puoi rifiutare un mio regalo.»
«Queste le chiami regalo?» fece una brutta smorfia, dopo aver ingoiato una patatina sapida «Sono farcite di sale marino a non finire e fanno venire la cellulite.»
«Intanto le stai mangiando.»
«Solo perché ho fame.»
Lui volse gli occhi al cielo.
«Ma non ti accontenti mai? Sei più viziata di una bambina di cinque anni.»
Valeryn alzò la testa, spalancando la bocca, indignata dalle parole che lui le aveva rivolto.
«Mi stai dando dell’infantile?»
«Un po’.» rispose Vittorio, bevendo e nascondendo un sorriso divertito. Ma quanto era bella quando si arrabbiava?
La ragazza alzò la testa a mo’ di superiorità.

«Caro, tu non sai con chi hai a che fare.»
«Lo so eccome, invece. Per questo te lo dico» continuò lui «Dovresti essere meno infantile e più strafottente. Ti sta a cuore ogni stronzata.»
La cugina lo guardò di traverso. Non le piaceva essere provocata, cedeva troppo alle tentazioni.
«Per esempio?» chiese.
Lui si schiarì la voce. Anche se Elia gli aveva miracolosamente permesso di ballare con lei, non riusciva ad evitare di punzecchiarla per avere una sua reazione. Voleva capire se lei si sarebbe spinta fino a quel punto. In tal caso ci sarebbe andata di mezzo quella nevrotica di Sara e le sue idee strampalate, ma non poteva lasciarsi sfuggire un’occasione del genere.
Era per principio, non poteva lasciare quell’opportunità al caso.
La guardò seriamente.
«Hai paura di baciarmi, ammettilo.» disse, mentre quella alzava un sopracciglio.
«Lo so che hai paura delle conseguenze.»
Ecco, lo aveva detto.
La lasciò per qualche secondo senza parole e capitava di rado.
«Cosa ti fa pensare una cosa del genere?»
Valeryn era leggermente irritata. Pensava che lei dipendesse da Elia o che si facesse imporre delle limitazioni?
«Hai detto che non ci stai» Vittorio si stiracchiò le braccia con nonchalance.
«Se invece te ne fregassi del giudizio degli altri e non avessi paura...»
«Ancora con questa paura?»
La ragazza si alzò in piedi di scatto, ferita nell’orgoglio.
«Io non ho per niente paura, Vittorio.» sibilò, parandosi davanti al suo viso, abbassandosi un po’ per compensare la differenza d’altezza.
Lui era ancora seduto. Lo vide ridacchiare e scuotere la testa.
«Hai visto? Urlarmi contro è un comportamento infantile.»
Valeryn si sentì seriamente presa in giro ed umiliata dal modo in cui appariva ai suoi occhi. Mordendosi il labbro, attorcigliandosi una ciocca di capelli tra le dita, si piegò ancora di più verso il ragazzo con aria di sfida.
«D’accordo, facciamo un patto.»
Vittorio sogghignò, annuendo.
Voleva quel dannato bacio.
«Ci baciamo e la facciamo finita.» affermò lei e gli porse una mano che lui afferrò. L'attirò verso di sé, facendo finta di darle un bacio sulla bocca, ma posò le labbra sulla sua guancia calda.
Valeryn rimase pietrificata per qualche secondo e poi fece una smorfia accigliata.
L’aveva di nuovo presa in giro, incredibile.
«Adesso chi è il bambino!?» esclamò.
«Vedremo.»
Vittorio continuò a mangiare allegramente. Tutta quella tranquillità le faceva solo saltare i nervi, così afferrò il suo pacco e lo imitò.
«Antipatico beduino.» soffiò d’un tratto, ingozzandosi di patatine, senza guardarlo in faccia, rossa e colpita nel segno.
Vittorio, che stava bevendo, quasi sputò la coca cola scoppiando a ridere. Ormai la conosceva: quando Valeryn non sapeva che dire andava giù con le offese.













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Capitolo 13
*** Qualcosa d'inaspettato ***









Il gran giorno della festa era arrivato. Alcuni ragazzi delle quinte classi si attorniavano davanti alla consolle dove
un dj improvvisato stava facendo le prove del suono.
«Mi raccomando, ragazzi» disse Sara, mentre Valeryn, Vittorio e gli altri entravano in palestra.
«Mi rivolgo a voi due» indicò i due cugini che emisero uno sbuffo.

Li stava esasperando.
«Fate bella figura. E non fatevi impressionare dagli altri gareggianti che saranno certamente più bravi e preparati di voi.»
Valeryn lanciò uno sguardo indignato a Vittorio, come per trovare un sostegno morale. Sara li voleva letteralmente buttare giù e senza alcun motivo poi. Non solo li stavano costringendo a gareggiare per rappresentare le loro classi, ma oltretutto dovevano sentire continui commenti sprezzanti da parte della loro “coreografa”.
Il castano le fece un sorrisino, come per rassicurarla. In realtà sapeva che se Sara continuava di questo passo, li avrebbe fatti sicuramente sbagliare. E forse lo faceva con quel proposito.
«Avanti, andate a cambiarvi» s’immischiò Daniel, facendosi largo tra la folla e raggiungendo i due .

«Ho portato questa.» e mise in bella mostra una videocamera grigia, mai usata.
Maia, lì vicino, fece una piccola smorfia.
«Quando ti avevamo chiesto di portarla quest’estate avevi fatto un casino.»
«Questo è un costoso regalo di papà, figurati se lo portavo in spiaggia con quegli animali in agguato.»
E si rivolse soprattutto a Elia, Vittorio e Carmine. Alex scoppiò a ridere, mentre Censeo si avvicinò a Conny. La ragazza stava trafficando con una macchina fotografica digitale rosa shocking e imprecava a bassa voce.
«Ti serve una mano?» chiese il ragazzo, regalandole un sorriso incerto.
Lei alzò lo sguardo su di lui e ricambiò in modo sghembo. I ragazzi non erano la sua specialità, si era capito.
«Mh, grazie, ma so come fare» disse impacciata.

«Speriamo solo che la batteria tenga.»
«No, guarda» Censeo la prese delicatamente tra le mani esaminandola per bene. Nel farlo, sfiorò leggermente le sue dita.

«Se la spegni e la riapri vedrai come si ricarica automaticamente. Anche la mia fa così, ma non è scarica del tutto. È una specie di avvertimento, capisci?»
La scrutò curioso, mentre quella annuiva a malapena, rossa in viso. Non aveva capito un bel niente, ma le bastavano gli occhi verdi del ragazzo per comprendere quanto le piaceva.
«Dunque!» batté le mani Sara, pavoneggiandosi «Tra un po’ andrete in scena, direi di cominciare a prepararvi.»
«Di già?» chiese Valeryn, sbuffando sonoramente.

«Mi rompo ad indossare quell’abito pieno di fronzoli. E poi mi vergogno a farmi vedere da tutti prima dell’esibizione.»
«La grande Miss Valeryn che ha timore di mostrarsi in pubblico?» la derise Daniel, fingendosi stupito. «Ma è da immortalare nella videocamera! Ehi, pazza scema, guarda qui.» la riprese, mentre lei infastidita alzava il dito medio.
«Rotola a quel paese, Dan.» sibilò.
Nel frattempo, Elia li aveva raggiunti con difficoltà sorpassando una fila di ragazzi. Vittorio, vedendolo, cominciò a sentire una strana sensazione di bruciore allo stomaco, che associò all’ansia da prestazione.
«Scusate, ma mi hanno bloccato» spiegò brevemente, prendendo la sua fidanzata dalla mano.

«Andiamo a sederci , ci sono dei posti liberi.»
La trascinò con sé gettando uno sguardo di sfida al castano che lo fissò a sua volta con risentimento. Sapeva di avere torto, ma odiava la competizione, e lui lo aveva guardato in un modo che sembrava dirgli “fallo, se ne hai il coraggio”.
Era più forte di lui, coglieva sempre le provocazioni anche se non avrebbe dovuto. Sospirò pesantemente, cercando di mantenersi calmo. Sentiva la pressione di quell’esibizione addosso ed era diviso a metà su ciò che doveva fare.
«Grazie della considerazione, Ilai» gli urlò dietro Daniel, riprendendolo con la videocamera ancora in registrazione

«Tanto sappiamo che ci ami alla follia.»
Poi roteò l’aggeggio, fino ad inquadrare Vittorio che ancora guardava bieco la direzione in cui erano spariti lui e Valeryn.
«Tu che dici, Vitto? Di che disturbi soffre quello?»
Il ragazzo si voltò verso la videocamera, seccato. Che ci trovava di bello quell’idiota a riprendere quei momenti? Lui era nervoso e aveva bisogno di staccare un po’. Non ci stava capendo più niente, doveva andare fuori da lì.
«Chiudi questa roba, idiota.» lo apostrofò, spingendolo da un braccio e si incamminò nella direzione in cui erano spariti i due fidanzatini.
Daniel rimase attonito per qualche secondo, rapito dalla sua videocamera, ma dopo aver capito effettivamente ciò che gli aveva appena detto l’amico, fece una faccia grave. Poi puntò l’obiettivo su sé stesso, continuando a pavoneggiarsi, mentre Sara si mordeva il labbro cominciando a sentire puzza di guai.




«Adesso diamo il via alla gara di ballo, ragazzi» annunciò una moretta al microfono, mentre alcune ragazze eccitate lanciarono un urlo «Ecco a voi Irma e Domenico cimentarsi nei panni di Elvis Preasley e Priscilla. Un grosso applauso!»
Tutti batterono le mani, mentre Sara, seduta tra le ultime file in mezzo ad alcuni ragazzi dell’industriale -non aveva trovato posti davanti- si alzò con difficoltà, raggiungendo Valeryn.
«Sbrigati, dovete cambiarvi.» ordinò, poi assunse una faccia interrogativa «Dov’è Vitto?»
La castana lanciò uno sguardo preoccupata intorno, ma il ragazzo non si vedeva, o perlomeno non si distingueva tra la massa di studenti accavallata sulle sedie.
«Non lo so, se non sbaglio prima era qui.»
La bionda si spiaccicò cinque dita sulla fronte. Ci mancava solo Vittorio che giocava a nascondino, adesso.
«Senti, trovalo, sbrigati!» si aggiustò la capigliatura color del grano «Io non ho tempo da perdere. Vado a sistemare i costumi, ma fate presto, per diamine!»
Sara sorpassò gli altri ragazzi e s’imbatté davanti al suo fidanzato che la riprendeva con la videocamera.
«Smetti di prendermi il sedere, tu!» la sentì urlare.
Valeryn guardò allarmata Elia, vicino a lei. Che Vittorio si stesse tirando indietro per lui? No, non poteva e non voleva crederci. Aveva tanto insistito, e adesso...
«Sai dov’è Vitto?» gli chiese, un po’ titubante. Quello s’irrigidì ma alzò le spalle, mostrandosi indifferente. La ragazza ebbe l’istinto di picchiarlo. Odiava quando Elia faceva il distaccato, specie nei confronti di lui.
«Senti, Elì, non farmi perdere la pazienza, smettila!» esclamò.

«Dove cavolo è Vittorio?»
«Non lo so, Valeryn» ribatté lui, secco. Poi la guardò di uno sguardo strano, poteva scorgergli dentro tutto l’astio e il rancore.
«Devo sempre sapere tutto di lui? Non me ne fotte di dove sta.»
E prese a riconcentrarsi sui ballerini, incrociando le braccia e ignorando la sua fidanzata. Valeryn boccheggiò per l’intensità di quelle parole.
Sapeva che non lo pensava realmente, era solo arrabbiato e forse aveva ragione...
Nello stesso momento la sua voce fu coperta da un effetto larsen troppo forte, tanto si tappò le orecchie e il dj si scusò per aver alzato esageratamente il volume.
«Perché ti stai comportando così nei confronti di Vitto?» gli chiese dopo.
«Così come?» Lui gli lanciò uno sguardo torvo.
«Ma ti senti quando parli?!» esclamò lei «Vittorio non era il tuo amico per la pelle?»
Elia esitò un attimo, poi scosse la testa.
«Non significa niente.»
«Niente? Hai detto che non ti interessa di dove si trova in questo momento. Senza di lui non possiamo incominciare il balletto e Saretta s’incazza.»
Il biondo alzò la testa, fissandola freddamente negli occhi. Non si aspettava niente da lei, ma gli dava fastidio. Gli dava fastidio il modo in cui stavano avendo qualcosa dietro le sue spalle, il modo in cui Vittorio lo stava prendendo in giro.
«Va’ da lui, allora!» alzò la voce e si mise in piedi.

«Vai a vedere dov’è il tuo adorato cuginetto. Vai, Valeryn. Ti starà aspettando. State così bene insieme.»
La ragazza boccheggiò, spiazzata da quella reazione. Elia non reagiva mai in quel modo. Stava davvero male, era veramente deluso. Volle fermarlo, ma non fece in tempo perché Maia la chiamò dalle prime file.
«Vale, Sara vi sta cercando!»
Cazzo... Elia era arrabbiato e Vittorio non si vedeva...
Sbuffando per quella situazione, lasciò quest’ultimo da solo e sgattaiolò via evitando di farsi vedere, finché non uscì arrabbiata, sbattendo la porta.
Il biondo roteò lo sguardo apaticamente e vide la biondina che andava avanti e indietro per la palestra e non sembrava affatto tranquilla.
Si mise in piedi e la raggiunse, afferrandola da un braccio.
«Vietaglielo.» le sussurrò imperativo, facendola quasi spaventare.
Sara lo guardò stupita. Poi capì a cosa si riferiva e sgranò gli occhi.
«Ma... ma mi avevi detto che...» provò a ribattere, ma Elia strinse di più la sua presa e la guardò in un modo che non ammetteva repliche.
«Vietaglielo, ho detto.» le disse tra i denti, poi si guardò intorno per vedere se qualcuno li stava guardando.
L’amica lo fissava con gli occhi sbarrati, non sapendo che dire. Lui tentò di addolcirsi e si piegò al suo orecchio, sussurrandole qualcosa.
«Fa’ come ti dico. È importante.»
La bionda sentì i brividi per tutta la schiena e lo guardò sentendosi sedotta.
Che Daniel non la vedesse!
«Io... non so nemmeno dove sono...» tentò di dire.
Elia voltò la testa verso l’uscita della palestra in modo truce.
«Sono fuori. Vai.» l’esortò e le mollò il braccio facendolo ricadere come fosse gelatina.
Sara rimase intontita a guardarlo, chiedendosi cosa avesse intenzione di fare. Il ragazzo, però, le fece un cenno sbrigativo verso la porta, così la bionda indietreggiò fino a quasi travolgere qualcuno e poi si voltò correndo.
Lui la guardò appena pensando a quant’era sciocca. Poi tornò a sedersi, sentendo un fuoco ardere nel petto. Incrociò le braccia e continuò a guardare lo spettacolo pensando che quello vero doveva ancora arrivare.




Perché Vittorio non si faceva vedere? Possibile che stava facendo il cretino? Mancava poco e ancora dovevano cambiarsi. Provò ad immaginare Sara sprizzare scintille da tutti i lati. Valeryn si portò una mano sulla nuca come se potesse già sentire le sue urla imbizzarrite, e proprio in quel momento scorse il cugino appoggiato ai distributori automatici. Lo sguardo puntato in basso e le mani in tasca erano segno che qualcosa non andava.
«Vitto» lo chiamò e gli si avvicinò, stupita «Cosa stai facendo? Dobbiamo prepararci, cosa ci fai qui?»
Il ragazzo alzò gli occhi grigi su di lei, mordendosi il labbro inferiore.
«Vale... non so se...» gli si spezzò la voce.
Lei alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
«Vittorio, non puoi tirarti indietro proprio adesso.»
Lui sospirò. Aveva fatto male i suoi conti. Era stato uno stupido, un coglione, anche solo ad aver pensato di poter fare una cosa del genere a Elia... Non poteva farlo, non se lo meritava.
«Valeryn, non è così facile come pensi. Tu non hai visto Elia? Aspetta da me qualsiasi passo falso.» mormorò.
La castana sospirò a sua volta. Lo sapeva che erano in situazione strana, ma quello non era il momento di tirarsi indietro.
«Senti, adesso dobbiamo andare in scena» vide la sua faccia abbattuta e tentò di rincuorarlo.

«E poi, non devi preoccuparti. Elia non ha niente contro di te.»
Vittorio negò con la testa. Lo diceva solo per fargli cambiare idea. Sapeva che Elia ce l’aveva a morte con lui e lo stava solo mettendo alla prova.
«No, Vale, non capisci» soffiò piano.

«Mi sta sfidando, mi sta ponendo in una condizione pesante.»
Valeryn sbuffò, incrociando le braccia.
«E per quale motivo, sentiamo?»
E voleva realmente capire perché si stava facendo tutte quei problemi se in fondo sapeva di non stare facendo nulla di male. A meno che anche lui...
«Ma è ovvio» affermò il ragazzo, guardandola fisso «Per te. Non l’hai ancora capito? O è così difficile da capire?»
«Eh?» boccheggiò quella.

Okay, adesso stava delirando. La temperatura le stava salendo di gradi e non sentiva altro all’infuori che caldo. E dire che era novembre inoltrato.
«Lui sa che c’è qualcosa. Lui l’ha capito.» continuò il castano.
Adesso sembrava che le parole uscissero fuori da sole.
«Lui crede che ci sia qualcosa.» lo corresse Valeryn, con il cuore che batteva a mille. Non sapeva perché aveva detto quell’assurdità, ma da un lato voleva far finta di non capire. Come se ce ne fosse bisogno.
Vittorio scosse la testa.
«Valeryn, qualcosa c’è.» si morse il labbro. I suoi occhi s’incontrarono con i due smeraldini di lei e si scrutarono per qualche istante.
La ragazza non sentiva più niente, le voci, la musica, il fatto che erano in ritardo... Non le interessava minimamente nulla, a parte stare a sentire ciò che aveva da dirle.
«O almeno da parte mia.» aggiunse, e poi si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli.
Era in piena difficoltà, ma non aveva potuto fare a meno di dirglielo. Sentiva un peso dentro, come un macigno che gli premeva sul cuore. Alzò gli occhi su di lei e si guardarono. Valeryn avrebbe tanto voluto rispondergli che anche per lei era così, che se lo sognava quasi ogni notte, che era diventato il suo pensiero fisso, ma era completamente bloccata, le tremavano le mani.

Vittorio gliene prese una tra la sua e la strinse delicatamente. Un gesto che la fece sentire protetta.
«Ecco dov’eravate!» urlò Sara, spalancando di colpo la porta della palestra e correndo verso di loro.

«Ditemi, cosa vi salta in mente, eh? Sabotare il mio spettacolo!»
I due si scansarono di scatto e non risposero, si limitarono a guardarsi di sfuggita mentre la biondina stava per essere vittima di un poderoso attacco d’ira.
«Ve ne state ancora qui?!» esclamò «Abbiate almeno il buon senso di muovere quelle chiappe.»
I due ragazzi non risposero nuovamente, ancora troppo imbarazzati, e Sara si arrabbiò di più.
«Oh, voi me lo fate apposta!» gridò e li trascinò entrambi dalle braccia, acquisendo una forza disumana.

«Voi mi fate imbestialire di proposito. Ma adesso vi faccio vedere un po’ io chi è Sara Calvarano. Se pensate di potermi prendere per i fondelli vi sbagliate, vi sbagliate di grosso, brutti deficienti che...» ma appena entrata in palestra, chiuse il becco sorridendo a tutti che si erano voltati a guardarli.
«Che c’è, adesso ti sei ammutolita?» la prese in giro Valeryn, mentre continuava a trascinarli verso una piccola porta dove gli altri studenti avevano improvvisato un camerino.
«Tu sta’ zitta e sorridi.» bisbigliò la ragazza, mentre sforzava le mascelle in quello che doveva essere un sorriso radioso.
Vittorio si voltò a trovare con gli occhi il suo migliore amico, che li guardava camminare con un cipiglio. Appena notò lo sguardo del castano, i due si mandarono una frecciatina ben evidente.
Lo sapeva. Lo sapeva che stava sbagliando, ma non riusciva a tirarsi indietro. Aveva fatto il passo più lungo della gamba, era impossibile.
«Sapete» colse la palla al balzo Sara, mentre apriva la porta per farli entrare, e sorrideva un’ultima volta a tutti prima di chiuderla dietro le loro spalle «ho deciso che non ci sarà nessun bacio finale nella coreografia.» affermò, trafficando con degli abiti che aveva portato da casa.
«Che cosa?!» chiesero contemporaneamente i due cugini, allarmati.
«Sì, proprio così» borbottò.

«Niente sbaciucchiamenti e robe varie.»
«Ma non puoi cambiare idea un attimo prima della scena!»
Valeryn era irritata. E non solo per la coreografia, ma per il fatto che li aveva interrotti, per il fatto che stava mandando in fumo il loro ultimo tentativo di approccio...
«Voi state indossando gli abiti proprio un attimo prima della scena, mi risulta.»
Vittorio la guardò come se avesse detto un’eresia. Avrebbe dovuto sentirsi sollevato per quella decisione, gli avrebbe reso le cose più semplici.
Ma stava morendo dentro, doveva fare qualcosa...
«Ma perché?» le chiese, mentre si cambiavano in fretta.

«Perché ci hai pensato solo adesso?»
Sara si aggiustò la capigliatura, sentendosi in difficoltà.
Cos’avrebbe dovuto inventare adesso?
«Perché io non c’entro niente... Fate poche domande. Deve essere così e basta.» 
E chiuse la porta, lasciandoli soli e perplessi.

Valeryn guardò Vittorio e viceversa, fin quando la prima non sbottò:
«Ma questa è scema?»
«Già.» Il ragazzo finì di vestirsi e si inumidì le labbra.
Sentì qualcosa dietro le sue vene bruciare, forse era panico da palcoscenico, o solo adrenalina.
Erano giorni che non disobbediva a qualcuno, era arrivato il momento di farlo.



Le strinse la mano prima di andare in scena. Valeryn lo guardò facendogli un sorriso incoraggiante che le restituì con dolcezza. La ragazza del quinto chiamò i loro nomi e Sara li spinse in avanti, sventolandosi con un ventaglio panna preso in prestito da una professoressa.
I due si posizionarono al centro, mentre nella palestra era calato il silenzio più assoluto. Persino Sara stessa era completamente incredula dell’effetto che già avevano creato sul pubblico.
La musica partì e Vittorio guidò sua cugina con una mano, eseguendo il primo passo della coreografia, facendole fare un casquè. La canzone che si era sparsa nell’aria era More than a woman”e faceva venire una gran voglia di ballare, tanto i due erano così sciolti e spontanei.
Adesso il ragazzo la tirava su, ora giù; le fece fare una giravolta. Cercò di non staccarle mai gli occhi di dosso e Valeryn aveva posizionato la mano sulla spalla del suo partner perfettamente. Al diavolo Sara e le sue lezioni. 
Daniel stava riprendendo tutto con la sua amata videocamera e ghignava soddisfatto. Un po’ per il furore che avevano suscitato tra gli studenti, un po’ per la scenata di Elia che sarebbe subentrata poco dopo.
Difatti il biondo se ne stava ritto a godersi la scena, senza battere ciglio. Una smorfia ben evidente e irritata si dipinse sul suo volto non appena Vittorio prese in braccio Valeryn e la fece roteare con eleganza. Se la stavano cavando, e anche bene. Ballavano con una certa intesa, come se ci fosse qualcos’altro che li legava. E in effetti c’era dell’altro, si disse Elia, non aveva mai avuto dubbi.
Era strano che si fossero innamorati l’uno dell’altra in quel modo, senza fare rumore. Lo avevano preso in giro, lo avevano messo in secondo piano.
Vittorio lo aveva messo in secondo piano.
Era geloso, stava rosicando come un matto. Vittorio non poteva fargli quello.
Eppure glielo stava facendo.
Decise di lasciar proseguire lo spettacolo senza scenate. Dopo se la sarebbe vista lui stesso con colei che si definiva la sua fidanzata e soprattutto con colui che pensava essere il suo migliore amico.
Aspettava il momento finale.
Nel frattempo l’esibizione continuava, i due si stavano divertendo e con loro anche il pubblico. Sara era orgogliosa della buona riuscita e quasi sperava la richiesta di qualche autografo.
Alla strana richiesta di Elia non ci pensava più, solo voleva essere lodata.
Maia, Conny e il resto del gruppo batterono le mani in anticipo, mentre Alex cacciò un fischio d’acclamazione.
Valeryn guardò maliziosamente il castano, mentre lui la rimetteva in piedi senza alcun danno dopo una giravolta. Poi lei posò i suoi occhi verdi sopra quelli di lui; sentì il cuore battere a tremila e il ragazzo non esitò a sorreggerla.
La ragazza poggiò le braccia sul suo collo, segno finale della coreografia e là accadde; Vittorio, ignorando il divieto che poco prima aveva ribadito Sara, la prese in braccio e sfiorò delicatamente le sue labbra, mentre la musica terminava.
Ci fu qualche secondo di silenzio quando i due incominciarono a baciarsi senza alcun problema, incuranti di trovarsi in mezzo a tutta la scuola, con gli occhi di ognuno puntati addosso.
Quanto avevano aspettato? Tre, quattro, sei mesi? Un anno?
E lo stavano facendo adesso, come finale di un balletto, bacio che avrebbero dovuto tagliare perché era incauto fare troppo rumore; invece il rumore non solo lo avevano fatto, ma provenne da un boato da parte del pubblico, accompagnate da fischi maliziosi.
Carmine, Censeo e Alex cacciarono delle urla di giubilo, Maia e Conny sorrisero battendo le mani, mentre Elia… lui teneva lo sguardo fisso su di loro e non sembrava affatto stupito, anzi sorrideva, ma di un sorriso che non prometteva bene.
Valeryn era rossa in viso e aveva ancora le braccia attorno al cugino che sorrideva a tutta quell’eccitazione.
Era stato bellissimo. Finalmente lo aveva fatto; aveva realizzato il desiderio di baciarla, aveva fatto ciò che si sentiva di fare. Era stato guidato da un’impulsività che da tempo urlava di venir fuori e lo aveva vinto, ormai. La guardò e le sorrise guardandola con una luce abbagliante negli occhi, mentre lei faceva lo stesso.
Daniel continuava a riprendere spingendo i malcapitati che si trovavano davanti e Sara saltellava su un piede e l’altro, tentando di prendersi il merito.
«Sono la loro coreografa! Ho inventato io i passi!» gridava a tutti.

«E’ stata un’idea mia, quella del bacio!» mentì spudoratamente sull’orlo dell’entusiasmo.
Tutti le batterono le mani, complimentandosi.
Nello stesso momento, Lele, il compagno di classe di Vittorio, lanciò una rosa rossa a Valeryn che afferrò, ringraziandolo, mentre questi strizzava un occhio al suo amico.
Che provasse a dire un’altra volta che non gli piaceva!



Dopo che la presentatrice li aveva proclamati vincitori della gara di ballo, i due ragazzi raggiunsero gli amici un po’ imbarazzati. Erano praticamente finiti loro addosso e li acclamavano per la bella figura. Sara li abbracciò commuovendosi, spiegando che mai nella vita aveva firmato più autografi di quel giorno; anzi, non ne aveva mai fatti prima di allora e neanche nel momento, ma era talmente entusiasta che la lasciarono blaterare.
Fecero appena in tempo a scambiarsi qualche occhiata fugace, prima che Elia si avvicinasse con passo lento e deciso.
Maia e gli altri si ammutolirono di colpo, e Valeryn alzò uno sguardo preoccupato a suo cugino che reggeva quello del biondo con sfida.
Elia li squadrò sprezzante, dopodiché puntò gli occhi ambrati sul castano, sibilando:
«E tu saresti mio amico, Vittorio Bellé?»

Chiosò con enfasi sarcastica la domanda che gli aveva posto qualche settimana prima nello scantinato di quella stessa palestra. La delusione era implicita. Quello ebbe un sussulto nel sentirsi chiamare con il suo nome completo e la tensione calò su di loro come gelo in inverno.
Valeryn si portò una mano alla bocca ansiosa, gli altri si guardarono tra loro apprensivi. Sara emise un suono grave e Daniel continuò la sua ripresa.
La lite tra Eli e Vitto voglio immortalarla per sempre, pensò puntando senza esitazioni la videocamera sui due.









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Capitolo 14
*** Rottura ***











Elia continuò a fissarlo. Sentimenti contrastanti popolarono in lui, rendendo tutto più complicato, facendogli venire una voglia matta di picchiarlo, di scuoterlo e urlargli contro, ma nello stesso tempo era come se il suo cuore si fosse spezzato. Si era solo illuso di potersi fidare, come un cretino. Tra lui e Vittorio non c’era amicizia vera, quella che fino ad allora aveva creduto esserci.

Vittorio non provava quello che provava lui. Erano state tutte balle, erano state solo parole buttate al vento quelle tra di loro.
Era bastato fargli credere che poteva baciarla, aumentando la sua voglia e poi vietarglielo per farglielo fare e alla grande.
Era riuscito a toccare il suo punto debole, lui lo conosceva troppo bene.
Non era riuscito a trattenersi perché lui era fatto in quel modo. Voleva tutto e subito e non guardava in faccia a nessuno.
Nemmeno lui.
Continuò a fissarlo, con le braccia incrociate al petto. Lo vedeva in difficoltà, spiazzato. Era cosciente di aver fatto la più grande cazzata del mondo. Bene, era questo ciò che voleva. Voleva vederlo in quel modo, spiazzato, debole.
E Valeryn... Lei che lo guardava intimorita, pronta a soccorrere se ce ne fosse stato bisogno.
Bella delusione, si disse. La più grande che potesse provare.
Tradire lui solo per una ragazza. Tradire tutto quello che c’era stato tra di loro solo per quello. Volere una ragazza, la sua ragazza più di lui, più del bene del suo migliore amico.
Gli faceva schifo. Lo odiava. Voleva sbatterlo per terra. Voleva non aver assistito alla scena.
Perché gli aveva fatto quello?
«Elì, ti posso spiegare...» mormorò Vittorio, ma tanto lo sapeva che era solo una di quelle frasi fatte.
Cosa c’era da spiegare?
«Sei solo uno stronzo» Elia non lo ascoltò.
«Con me hai chiuso.» aggiunse con rabbia, tristezza, tutti i sentimenti più grandi che provava in quel momento per lui.
I ragazzi alle loro spalle ascoltarono quelle parole sconcertati. Anche loro si erano accorti che tra i due cugini stava nascendo qualcosa di più che una semplice amicizia, e in fin dei conti un po’ li avevano incoraggiati, specie poco prima fischiando e applaudendo. La maggior parte si sentì responsabile, Sara aveva gli occhi bassi e i sensi di colpa per essere stata al gioco; tutti tranne Daniel che continuava a riprendere la scena con il suo ordigno malefico, senza curarsi tanto di quello che stava succedendo.
«Fermi così, altrimenti non vi prendo entrambi.» aveva ordinato.
I due non lo badarono, ma Maia gli fece un brusco cenno di smetterla. Anche nei momenti meno opportuni quello lì doveva strafare.
Vittorio boccheggiò. Il cuore gli martellò dentro il petto e un senso di disperazione gli cadde addosso. Non poteva dirgli una cosa del genere. Non voleva chiudere con lui...
Dio, che cosa aveva fatto?
Guardava Elia negli occhi e si sentì schiaffeggiato dall’intensità del suo sguardo. Non aveva pensato a lui, lo aveva ferito così tanto e adesso si trovavano lì a fronteggiarsi. Ma la cosa che più lo avviliva era che non sapeva che dire, non sapeva come spiegargli, non sapeva come scusarsi...
«Pensi che l’abbia fatto per farti un torto?» chiese, ma sapeva anche lui che non aveva senso quella domanda.
«No» rispose Elia, convinto.
«Ti sei solo innamorato della mia ragazza, nient’altro.» fece un sorrisino finto, sardonico, era come se si stesse divertendo a metterlo in difficoltà, ad averlo scovato con le mani nel sacco.
Ma la verità era che sentiva gli occhi lucidi e voleva scoppiare.
Vittorio deglutì lentamente, mentre Valeryn gli scoccava uno sguardo curioso. Innamorato di lei? Scherzavano forse, o era tutto vero?
«Come?» chiese piano.
«In che senso innamorato di me?» si voltò verso suo cugino, in cerca di una risposta.
Questi fece per aprir bocca, ma Elia lo precedette con un tono strafottente.
«A cosa serve chiederlo, Valeryn?» canzonò.
«E’ evidente che è così. Come hai fatto a non accorgertene?»
La castana mandò un’altra occhiata al ragazzo accanto che aveva lo sguardo fisso per terra come se il pavimento della palestra fosse una cosa estremamente interessante.
«Smettila, Elia!» esclamò dopo.
«Non è stata colpa sua se ci siamo baciati. Faceva parte della coreografia.»
Lui la guardò con gli occhi ambrati gelidi e lei ebbe l’istinto di indietreggiare, poi le sue labbra si piegarono in un ghigno.
«Della coreografia? Credevate davvero che Sara avrebbe avuto un acume tale da farvi fare una cosa del genere?» rise di cattivo gusto, mentre gli altri si mandavano delle occhiatine preoccupate.
La castana spalancò la bocca, stupita, e Vittorio sospirò socchiudendo gli occhi.
Capirono che era stato lui ad averle suggerito tutto per metterli alla prova.
Avrebbero dovuto prevederlo.
Avrebbe dovuto capire che Elia aveva qualcosa in mente da quando li aveva esortati a ballare insieme inaspettatamente.
Daniel si voltò verso Sara.
«È vero quello che sta dicendo, stellina?» sussurrò gravemente.
Lei biascicò qualcosa in difficoltà.
«È stato così semplice farvelo fare» continuò a dire in tono divertito.
«Mi fate pena entrambi, ma tu più di tutti.» si rivolse al castano che aveva in volto un’espressione indecifrabile.
Elia gli si avvicinò.
«Non ti è mai piaciuto che qualcuno ti vietasse qualcosa.» gli sibilò sprezzante all’altezza del viso.
Vittorio alzò lo sguardo su di lui e si guardarono negli occhi, lividi.
La situazione stava degenerando. Gli altri ebbero paura che Vittorio reagisse e succedesse una lite vera e propria, ma il castano disse un’altra cosa.
«Voglio parlare con te in privato. Per favore.» e trattenne gli occhi grigi su di lui. Riuscivano a comunicare con un solo sguardo, nonostante tutto. Elia capì che l’altro era veramente disperato e, per quanto volesse mandarlo a quel paese, non gli negò quella richiesta.
Gli fece un cenno impercettibile con il capo ed entrambi fecero per andare.
«Eh no, noi non vi lasciamo da soli» si piombarono di mezzo Alex e Carmine 
«Voi due siete capaci di menarvi.»
«Dobbiamo solo parlare.» li rassicurò Vittorio, e già che c’era lanciò uno sguardo di conforto a Valeryn che si sentiva terribilmente in colpa.
«Certo. Devo parlare con il mio migliore amico.» lo prese in giro Elia con un sorrisino di scherno.
Vittorio sospirò e fece per prenderlo da un braccio, ma il biondo si dimenò sorpassandolo.
In breve aprirono la porta della palestra e uscirono fuori, ai distributori. Daniel fece per seguirli con la videocamera, ma gli altri lo trattennero senza dargli il tempo di varcare le sedie.
«NO! Lasciatemi!» esclamò.
«Fatti i fatti tuoi, Dan» commentò Maia, lanciando uno sguardo preoccupato verso l’uscita.
«È già abbastanza complicato tra quei due senza che ti ci metta anche tu.»
Valeryn si lasciò cadere su una seggiola coprendosi il volto con le mani.
Cos’aveva scatenato? Perché si era lasciata andare, perché Vittorio l’aveva baciata? Era innamorato realmente di lei? O Elia aveva detto una balla?
Sospirò, mentre Carmine le posava una mano sulle spalle in segno di conforto e l’amica le porgeva la sua bottiglietta d’acqua. Voleva veramente dimenticare quel dannato bacio e far finta di niente, così si sarebbe evitato tutto quello, ma ogni volta che chiudeva gli occhi risentiva il sapore di Vittorio sulle sue labbra e un brivido le percorreva la schiena.
Era stato bellissimo.



I due ragazzi si fermarono di fronte alle macchinette automatiche. Alcuni studenti che facevano scorte di cioccolate, caffè e quant’altro, lasciarono loro campo libero e si precipitarono fuori dai dintorni.
Dopo essere rimasti soli, -o quasi, a parte la bidella che li fissava curiosa e qualche ragazzo del quinto che stava sistemando le sedie in palestra- Elia, incrociando le braccia, chiese:
«Non glielo hai detto, vero?»
Vittorio lo guardò interrogativo.
«Cosa?»
«Che ti piace» l’altro fece per aprire bocca, ma Elia lo precedette.

«Non negarlo Vittorio, ti conosco meglio di quanto credi. E l’ho capito da tempo.»
«Tempo... Quando?»
«Da quest’estate» usò un tono basso e sprezzante «Ho notato come la fissavi, come le parlavi, come vi abbracciavate... Cazzo, non poteva essere, pensavo. E invece ti sei innamorato di lei.»
Vittorio l’osservava in silenzio e ad ogni parola sentiva una fitta alla pancia.
Come aveva fatto a non dare peso a tutte quelle cose? Era stato così stronzo ed egoista ad aver pensato solamente a quello che provava lui e non al fatto che Elia avesse capito tutto e che gli stesse facendo del male.
«Fammi spiegare come stanno le cose» d’istinto provò a stringergli un braccio, ma lui si spostò di scatto.
«Spiegare cosa?» urlò, e per nervi tirò un pugno al distributore di caffè.
«Ancora? Come cazzo fai?» lo guardò scuotendo la testa, gli occhi spalancati e delusi, mentre lui si passava una mano sul volto.
«Ascoltami, Vitto, non possiamo continuare a prenderci per il culo. Io voglio sapere la verità da te.»
Il castano annuì, sentendosi messo alle strette. Ormai doveva dirglielo. Non poteva più tornare indietro.
«D’accordo» disse, facendo un respiro profondo.
Poi aprì gli occhi che aveva socchiuso e lo guardò serio.
«Lei mi piace, hai ragione.» ammise.
Quel bacio.
Era stato bellissimo.
Non riusciva a mentire, aveva ancora addosso quell’emozione, il sorriso di lei, il tocco delicato delle sue labbra.
Elia lo squadrò sconcertato, come se non avesse mai voluto sentire quelle parole. Quando fu totalmente in grado di capire, scrollò le spalle, stringendo i pugni.
«Sei innamorato davvero di lei?» gli chiese.
Sentiva gli occhi lucidi e rossi, forse era la volta buona che sarebbe scoppiato. Non piangeva mai, ma quello che gli aveva fatto Vittorio... perdere Vittorio significava... non voleva nemmeno pensarci...
Lui si morse forte il labbro e chiuse per un attimo i suoi.
«No, io... non lo so cos’è...» mormorò.
«È un’attrazione, è una follia. Sono io che non riesco a gestirla...»
Elia lo fissava con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta.
Se qualcuno glielo avesse detto anche solo un mese prima non ci avrebbe mai creduto.
«E’ tua cugina!» si ritrovò ad urlare d’un tratto, sconvolto da quella verità schiaffata in pieno volto.
E lo sapeva, lo aveva capito, ma sentirlo con le sue orecchie...
«Cazzo, siete cugini!» fu vinto da un attacco di rabbia e lo spinse contro ai distributori.
Vittorio se lo ritrovò ad un centimetro dal viso e non riuscì più a capire niente, sentiva solo il suo profumo legnoso e i sensi di colpa allo stomaco.
«Tu eri il mio migliore amico...» mormorò Elia e sentì tutta la sua disperazione, mentre lo guardava di uno sguardo in pena.
Rimasero per dei secondi in silenzio, si udivano solo i loro respiri.
Vittorio era ipnotizzato e forse sarebbe rimasto lì per sempre se l’altro non avesse allentato la stretta.
Elia fece per andarsene e lasciarlo lì, ma impulsivamente il castano riuscì ad afferrarlo da un braccio.
«Elì, ti prego, ascoltami.»
Sapeva che non c’era più niente da ascoltare ma stava soffrendo anche lui, specie perché l’altro si dimenava e lui non voleva che se ne andasse, voleva che restasse con lui.

«Lasciami in pace.» sibilò il biondo, spintonandolo, ma Vittorio lo strinse ancora senza demordere.
«Mi dispiace, per favore...» gli si spezzò la voce ed Elia riuscì a liberarsi spingendolo contro il muro. Non appena provò nuovamente ad aggrapparsi al suo braccio lui si divincolò ancora e lottarono così; l’uno tentava di afferrarlo, l’altro si scansava opponendo resistenza. Fino a quando per il biondo fu spontaneo reagire d’istinto, gli mollò uno schiaffo in pieno viso, dominato dalla rabbia, dall’umiliazione.

Vittorio si fermò e lasciò la presa.
Sentì le lacrime agli occhi e le lasciò scendere. Gli aveva fatto male, la sua guancia bruciava, la sfiorò con le dita.
Ma tanto non riusciva a reagire, perché sapeva di avere torto, di aver sbagliato tutto, che Elia non se lo meritava, ma lui quello schiaffo se lo meritava eccome.
Il biondo
rimase fermo davanti a lui, guardandolo in silenzio,e si coprì il viso con le mani. Per un attimo pensò che stesse piangendo a sua volta, ma poi lo vide scuotere la testa.
«Sai cosa pensavo di te?» se ne uscì dopo un po’, mentre l’altro alzava lo sguardo, tirando su con il naso e tamponandosi gli occhi.

Gli fece un sorriso triste.
«Che eri l’unica persona di cui mi importava veramente.»
Sentirselo dire, specie in quella situazione, faceva ancora più male.
«Adesso non lo sono più?» gli venne da chiedere e lo vide stringere le labbra prima di rispondere.
«No.» sputò fuori.
Sapeva che non era vero. Non poteva essere così, perché glielo leggeva in faccia che teneva ancora a lui.
Lo tirò ancora verso di sé.
«Non volevo farti del male, te lo giuro!» esclamò Vittorio, mentre Elia si liberava ancora una volta dalla sua stretta.
«Ma l’hai fatto!» gli urlò in tono arrabbiato e disperato, e l’altro si ammutolì «Ormai è troppo tardi, non ti pare?»
Il silenzio che subentrò dopo quella domanda retorica fu doloroso. Il castano abbassò lo sguardo per terra, sentendo gli occhi bruciare.
Aveva ragione, ormai era troppo tardi.
«Mi dispiace… Scusami...» suonava come una preghiera fastidiosa, ma non riusciva a dirgli altro.
Elia lo guardò ferito.
«Hai rovinato tutto, Vic.» mormorò, usando il soprannome con cui lo chiamava lui e solo lui. Questo gli fece sentire una fitta al cuore.
Era vero, lo aveva fatto. Era tutto vero quello che gli stava dicendo... E lui non poteva più fermarlo, aveva così sbagliato che non ne aveva la forza.
Ma il biondo era combattuto allo stesso modo. Fece per andarsene, ma poi ritornò e lo afferrò dalla maglia avvicinandolo a sé.
«Avrei veramente dato la mia vita per te, stronzo...» gli si incrinò la voce e Vittorio alzò lo sguardo.
Vide una lacrima scorrere sulla sua guancia e non capì più niente. Sapeva solo che non gli avrebbe permesso di andarsene. Non gli avrebbe permesso di fare un passo senza di lui.
Lo strinse dalle braccia e lo bloccò al muro, invertendo le posizioni.
«Anche io!» esclamò duro, guardandolo intensamente mentre l’altro rimase stupito dall’ardore di quel gesto.
«Per me sei importante, credimi. Credimi Elì, per favore, credimi...»
Elia si passò violentemente la mano sulla guancia.
«Non credo più ad una singola parola di quello che dici.» soffiò crudele.
Vittorio sospirò e d’istinto si avvicinò ancora di più a lui. Il biondo s’irrigidì ma non riuscì a spostarsi.
«Nemmeno se ti guardo negli occhi?» gli chiese in un sussurro. Elia lo guardò negli occhi grigi. Vedeva il pentimento riflesso in quelle iridi bellissime, sentiva il cuore che gli martellava in petto. Perché poi?
Era così arrabbiato che lo avrebbe davvero picchiato, ma la verità era che non riusciva, anzi, si sentiva perfino in colpa di avergli fatto male prima... Gli mise una mano sul petto, un segno di difesa contro di lui. Ruppe il contatto visivo perché non riuscì più a reggerlo.
«Come cazzo hai potuto?» gli venne da chiedere.
Come aveva potuto con un semplice gesto rovinare tutto ciò che c’era stato tra di loro? Si fidava di lui, si fidava così tanto di Vittorio...
Era proprio vero che le persone a cui si voleva più bene erano quelle che più facevano del male.
Il castano gli sfiorò una guancia con la mano. Era un semplice tocco che però gli fece venire i brividi.
«Non lo so...» mormorò.
Ed era vero, non lo sapeva.
Elia gli guardò le labbra e poi riabbassò lo sguardo. Se ne vergognò quasi. Sentiva qualcosa dentro il petto. Doveva andarsene da lì.
Fece per scansarsi, ma l’altro lo abbracciò forte. Il calore che sentì tra le sue braccia fu enorme. Chiuse gli occhi e sentì il cuore battere forte, troppo forte.
Perché era andato con lei se loro stavano in quel modo?
«Sei uno stronzo.» sussurrò, la voce attutita contro la sua spalla.
«Lo so.» ammise Vittorio tristemente.
«Lo sei sempre stato.» continuò l’altro. Risalì con una mano sul suo petto per scostarsi ancora. Il castano non lo mollò, strinse il suo polso.
«No, ti prego...» lo stava supplicando, ma solo adesso aveva capito che aveva bisogno di lui.
Elia non lo guardava ma non aveva insistito molto per allontanarsi. Per un attimo le sensazioni che stava provando lo indussero a perdonarlo e lasciarsi tutto alle spalle. Non seppe nemmeno perché le provava. Alzò piano gli occhi e gli guardò nuovamente le labbra. Faceva schifo ad avere quegli istinti. O era davvero disperato. Vittorio fece lo stesso e per un attimo furono fuori dal mondo.
«Non voglio più vederti.» disse Elia, rimanendo fermo sulla sua decisione.
«Davvero?» chiese di rimando Vittorio, socchiudendo gli occhi. Elia fu sul punto di lasciarsi andare neanche sapeva a cosa, ma il suo orgoglio era un leone pronto a ruggire.
Aprì gli occhi e lo guardò. Alzò una mano e il castano chiuse i suoi, quasi intimorito che potesse colpirlo ancora; ma Elia posò le sue dita sul punto in cui gli aveva dato uno schiaffo e gli fece una carezza leggera, come se gli stesse chiedendo scusa per averlo fatto. Poi lo strinse per il mento facendo congiungere per un secondo le loro fronti, la distanza di un respiro.
«Sì.» mormorò come risposta alla sua domanda, e mollò bruscamente la presa al suo viso, riuscendo a scansarlo da un lato e lasciarlo lì da solo.
Vittorio rimase fermo, come ad aspettare qualcosa. Si passò una mano sul viso e sentì il cuore che non aveva intenzione di calmarsi.
Lo aveva perso.
Era la sua coscienza a parlare ed era veramente dura. Si sentì male e pensò di accasciarsi per terra.
Aveva perso il suo migliore amico.
Elia era una delle persone più importanti della sua vita e non lo aveva mai realmente realizzato fino a quel momento.
Rimase in silenzio a rimuginare. Si portò le mani alla testa che scoppiava terribilmente e le lacrime iniziarono a colare a picco tanto che dovette appoggiare la testa contro il muro. Tirò un pugno emettendo un gemito disperato.

Poco dopo la bidella lo chiamò:
«Giovanotto. Pensavo che ti avrebbe pestato, quello lì. Meno male che poi si è calmato. Mica gli hai rubato la fidanzata?»
Vittorio alzò lo sguardo e fece un sorrisino sghembo tra le lacrime, che asciugò con il polso.
«Più o meno… Ho fatto una stronzata...» biascicò, cercando di nascondere il suo stato d’animo.
«Ah, ragazzo, anche io alla vostra età ero contesa tra due uomini» rispose la signora, sognante.
«Uno diventò mio marito, mentre l’altro, beh...» abbassò la voce «L’altro cadde in rovina, aveva speso tutti i suoi soldi nel gioco, e poi morì, due anni dopo di debiti e crepacuore. Ah, non sai quanto mi sentii in colpa...»
La donna si fece il segno della croce, poi gli lanciò uno sguardo comprensivo e prese a spazzare le scale.
Il ragazzo si lasciò andare ad un sospiro sofferente e si sentì chiamare da qualcuno a lui familiare che avanzava con un mazzo di rose rosse in mano.
«Vitto? Che diavolo hai combinato?» gli chiese Lele con in volto un’espressione preoccupata.
Lui scosse la testa. Non aveva nemmeno la forza di raccontare.
«Un po’ di confusione...» mormorò.
Lele lo guadò scettico.
«Confusione? Elia era incazzato nero. Ma che, c’hai gli occhi lucidi?» gli chiese poi scrutandolo da vicino, levandogli via dagli occhi un ciuffo disordinato.
Vittorio di riflesso scostò via la sua mano e si massaggiò la fronte, senza riuscire a dire nulla. Adesso la notizia si sarebbe sparsa in men che non si dica.
«Ma davvero ti sei fottuto la testa per la sua ragazza?» chiese Lele, indiscretamente.
Lui si limitò a guardarlo stanco e stravolto, ma l’altro non demorse.
«Cosa avevo detto io? Tu mi hai risposto che era “tua cugina”» lo scimmiottò.

«Non c’è cosa più divina che...» citò poi con aria maliziosa.
Riuscì a strappargli mezzo sorriso e gliene fu grato, anche se voleva sprofondare per quanto stava male.
Il compagno sorrise altrettanto, tirandogli una pacca amichevole sulla schiena. 
Il suo sguardo fu catturato dal mazzo di rose che l’amico teneva in mano.
«Si può sapere che ci fai con questi fiori appassiti?» chiese.
«Sono per la tua amata Valeryn, in effetti. Ho l’incarico di consegnarglieli come premio della gara» lo guardò in maniera eloquente.
Vittorio sospirò e alzò gli occhi al cielo. Prima che potesse dirgli qualcosa, la porta della palestra si aprì di scatto e come un vortice ne uscì Elia, con la sua roba in mano e lo zaino in spalla.
Il castano ebbe un tuffo al cuore appena lo vide. Entrambi si guardarono in modo strano. Lele nascose le rose dietro la schiena, ma il biondo non lo degnò della sua attenzione. Scese il silenzio più assoluto, mentre i due ragazzi continuavano a fissarsi.
L’altro li guardava a sua volta preoccupato e pensava ad un’altra lite, ma Elia, dopo avergli gettato un’occhiata languida, uscì dal portone principale scuotendo la testa. Vittorio aprì la bocca come per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo.
«Merda, che situazione» fu il commento di Lele.
«Adesso cosa farai? Non ti parlerà più, suppongo.»
«Non sente ragioni.» mormorò, mordendosi il labbro.
«E ci credo...» gli fece eco l’amico, mentre Vittorio si passava una mano tra i capelli. Si sentiva in difficoltà, non sapeva che dire, che fare.
Soprattutto cosa spiegare a Valeryn
«Comunque, questi portali tu a tua cugina» disse Lele, porgendo il mazzo al ragazzo «Io devo andare a casa al più presto. Ho il turno a lavoro.» guardò l’orologio e, dando una pacca affettuosa a Vittorio, gli sussurrò:
«Non combinare casini. Tanto quella ce l’hai già ai piedi.» ghignò, mentre l’altro alzava un sopracciglio.
«E tu come fai a saperlo?»
«Dai, per piacere!» canzonò come stesse parlando ad una persona lenta di comprendonio.
«Ti avrebbe mai baciato sennò?»
Lo salutò con una pacca sulle spalle, disse qualcosa di caloroso alla bidella che lo rincorse con la scopa e raggiunse pimpante l’uscita della scuola.
Vittorio tentò di scacciare via i brutti pensieri che gli si stavano nuovamente affollando nella testa e, stringendo il mazzo di rose, si accinse a tornare in palestra dove gli altri avevano fatto nido. Questi, però, lo precedettero spalancando la porta, uscendo come uno sciame di api.
Dietro, intravide Valeryn che parlava fitto fitto con Maia. Si rasserenò alla sua vista, sentendo il cuore più leggero.
I ragazzi, non appena lo videro, si fermarono di colpo con delle espressioni interrogative stampate in faccia. Era palese che volevano sapere cosa era successo, cosa si erano detti.
Carmine alzò il capo per incitarlo a parlare, ma lui negò con la testa. Quello che c’era da dire, non doveva spiegarlo a loro.
Solo ad una persona.
Tutti si guardarono tra loro, non sapendo che fare. Daniel ruppe il silenzio, puntando la sua videocamera sul ragazzo.
Non si rassegnava mai.
«I fatti, monsignor, i fatti.» affermò, squadrando curioso i fiori.
«Che ci fai con ‘sti cosi in mano?»
Carmine e Alex lo presero dalle ascelle e lo trascinarono via oltre il portone, mentre il ragazzo urlava e si dimenava. Le ragazze gli gettarono uno sguardo fugace, Sara lo fissò sdegnata, -come avevano potuto cascarci?-lo salutarono e uscirono subito dopo. Censeo gli strinse affettuosamente la spalla.
«Ha detto: Da oggi in poi dovrete fare a meno o di me, o di lui”.» gli riferì passo per passo le parole di Elia, per poi andar via dispiaciuto.
Vittorio strinse gli occhi. Gli faceva male la testa, la pancia, perfino il cuore. Quella frase lo aveva colpito in pieno come un pugno e riuscì a renderlo piccolo piccolo. Era incredibile. Era incredibile l’effetto che era riuscito a fargli Elia.
Lo aveva completamente distrutto con quelle parole, lo aveva asfaltato come cemento sulla strada da cui non riusciva a risalire. E se lo meritava.
Era incredibile. Anche il fatto che Conny si trattenesse con Valeryn, e lui doveva urgentemente parlare con quest’ultima. Doveva spiegarle tutto.

Si schiarì la voce e Censeo, sentendolo, tornò indietro per riprendersi la ragazza da una mano. Gli regalò una strizzata d’occhio per intendere che aveva campo libero.
Vittorio annuì, concentrandosi su sua cugina che era davanti a lui e lo guardava angosciata. Non sapendo come incominciare un discorso, il suo sguardo cadde sulle rose che teneva ancora in mano e gliele porse lasciandola perplessa. Lei dapprima le annusò; poi lo interrogò con gli occhi.
«Sono da parte di quelli del liceo» spiegò con voce roca.

«Doveva portarteli Lele, ma è dovuto scappare.»
Valeryn annuì, tornandolo a guardare in cerca di qualcosa, una parola, una spiegazione. Vittorio, in ovvia difficoltà, fece un respiro profondo e si decise a parlare. Tra di loro stava calando l’imbarazzo più assoluto.
«Vale, io...» incominciò, incerto su come continuare.
«Ho sbagliato... Sono stato impulsivo, non ho dato retta a Sara. Se lo avessi fatto, non sarebbe successa tutta questa storia. Parlo del bacio e… di Elia...» gli si affievolì la voce.
Lei annuì, ripensando a quanto era stato bello sentire il contatto delle sue labbra sopra le proprie. Era stata una sensazione indescrivibile che non le succedeva da tanto, il cuore non smetteva ancora di palpitare nel petto e aveva sentito le fitte alla pancia per il desiderio che nutriva di baciarlo.

Notò il suo volto arrossato, la guancia destra aveva dei segni, così subito alzò un braccio e l’accarezzò.
Strinse gli occhi e capì.
«Ti ha picchiato?» chiese, allarmata.
Il ragazzo si morse piano il labbro inferiore, ma fu spontaneo rispondere un sonoro:
«No! No...» ripeté piano, eludendo il suo sguardo e stringendole il polso per levare via la sua mano dal punto in cui quello schiaffo gli bruciava la pelle.
Lei capì che lo stava solo proteggendo, proteggeva Elia nonostante tutto.
Vittorio si passò una mano tra i capelli. Era così nervoso, inquieto, averla lì davanti lo metteva in difficoltà e non riusciva a spiegarsi. Il volto di Elia occupava la sua mente, ma aveva bisogno di dirglielo e di appoggiarsi a lei.
«Però... però... Se tornassi indietro lo rifarei comunque. Ti bacerei altre mille volte» a parlare fu il suo cuore, e si avvicinò di più, prendendole una mano.

«Ti avrei detto chiaramente quello che adesso sto per dirti.»
«Cosa? Dimmelo.» lo incitò lei, stordita.
«Nessuna mi è mai piaciuta così tanto come mi piaci tu» confessò, liberandosi di un macigno troppo grande da sopportare.
«Non mi interessa se siamo cugini, se… se sei la ragazza di Elia e tutto quello che è successo... Io voglio stare con te.»
Valeryn sentì il cuore accelerare; d’un tratto un calore sospetto parve investirla come un turbine.
Cos’era? Era l’amore, forse?

Si fissarono per qualche secondo, mentre in lontananza si sentiva qualche professore discutere e dei ragazzi del quinto ridere.
Erano rimasti gli unici in quella scuola, ma se Vittorio avesse potuto, avrebbe vissuto quel momento per sempre. Non aveva mai visto nessuna più bella di lei, sentiva il cuore divampare dal desiderio di averla, baciarla, farla sua in ogni modo possibile ed immaginabile.

Valeryn era la persona che più voleva al mondo.

Non gli era mai capitato di innamorarsi in quel modo.
Era amore?
«Sicuro?» venne da chiedere alla ragazza.
«Non ti mentirei mai» rispose lui e poi si corresse.

«Beh, forse l’ho fatto per troppo tempo... Avrei dovuto dirtelo fin dall’inizio, ma non è stato facile per me. Valeryn, io...» le strinse più forte la mano «non passa un giorno senza che io ti pensi... Ti voglio da impazzire, okay? Ecco, cazzo, l’ho detto.» sbottò, poi diede un gran sospiro liberatorio e si fermò.
La castana sentì le lacrime pizzicarle gli occhi. Non poteva credere che suo cugino la ricambiasse in quella maniera profonda. Era completamente incredula e non sentiva altro al di fuori che caldo, aveva le guance tinte di un leggero color porpora e quasi si sentiva tremare per le emozioni che stava provando tutte insieme.
«Sei bellissima.» soffiò dopo un po’ il ragazzo, spostandole una ciocca di capelli che era scivolata sul suo viso. Lei gli strinse la mano.
«Vitto...» boccheggiò, non sapendo che dire.
In realtà aveva tanto da raccontargli, ma come al solito non riusciva ad aprir bocca, le capitava sempre quando si sentiva debole e, in quel momento, di fronte a lui, lo era.
Il ragazzo le fece un sorriso.
«Lo so che è strano.» disse in imbarazzo.
Valeryn ridacchiò. Era strano, ma era bellissimo. Poi, senza troppi giri di parole, chiese a voce bassa:
«Ti va di baciarmi un’altra volta?»
Vittorio sentì il cuore battere più veloce e salirgli in gola.
Aveva bisogno di lei.
Adesso, dopo tutto quello che era successo, aveva bisogno di un appiglio ed era lei.
Le prese il volto tra le mani e la baciò, senza esitare un attimo. Non l’avrebbe fatta scappare per niente al mondo. Valeryn era sua. Lo era diventata dal primo momento in cui si erano guardati negli occhi. Lo sapevano entrambi.

Le loro lingue si accarezzavano ancora, stavolta già amanti. I loro cuori battevano all’unisono, era segno di un amore appena sbocciato.

Amore che venne immortalato per la prima volta dalla bidella Isidora che non tardò ad associare Vittorio come il marito della sua storia.








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Capitolo 15
*** Dubbi ***









«
Lo sapevo!» esclamò una castana Mena, spalancando la porta della stanza del suo figlio più piccolo che stava dormendo beatamente alle dieci di mattina di un giorno festivo.

«Potrei morire per tutti voi!»
«Mh?» Vittorio aprì un occhio ancora mezzo addormentato. Cosa c’era di peggio che essere svegliato bruscamente con la grazia da mammut di sua madre Mena? Nulla, ovvio.
«I tuoi fratelli non ci sono. Siamo soli tu e io, per l’appunto.» spiegò la donna, spingendolo fuori dal letto.
«E quindi?» chiese il ragazzo, grattandosi la testa. Quanti problemi si faceva sua madre...
«Quindi… quindi?» Mena afferrò un cuscino e lo lanciò sopra il suo figlioletto che lo afferrò al volo.
«Quindi, caro il mio Vittoriuccio, sono rimasta chiusa nello sgabuzzino per almeno mezz’ora. Non so chi mi abbia rinchiusa, ma se lo becco! Ho cercato aiuto, ma né Natalie, né tuo padre, né tu... Oh, aspetta un momento... Che non sia stato Ross? Sì, è stato lui! Quel cretino me la paga! Solo perché ieri non gli ho cucinato la pasta con le vongole che a lui piace tanto.» lasciò perdere il letto che stava sistemando, uscendo adirata dalla porta.
«Mamma, visto che non lo finisci posso ritornare a dormire?» chiese il castano alzando le spalle di fronte tutto quel nervosismo.
«Non ti permettere o ti taglio la lingua.» lo minacciò la donna.
Il ragazzo fece un gesto con la mano significante "te pareva" e sporse la testa dall’uscio della stanza. Spalancò gli occhi osservando la porta dello sgabuzzino completamente buttata giù. Quella matta di sua madre aveva detto il vero riguardo l’accaduto. Capiva perché quella donna era sempre un fascio di nervi e se la prendeva con tutti, perfino con suo padre che l’unica colpa che aveva era quella di tornare a casa tardi dal lavoro e per di più si beccava di andare a letto senza cena. Avrebbe volentieri mandato sua mamma da uno psicologo, perché si sa, gli adulti hanno i loro problemi. E lui? Lui per adesso stava da Dio.
Sorrise da solo. Stava finalmente con la ragazza che gli piaceva. Un po’ se lo meritava, no? Va bene, con Elia era andata uno schifo e doveva rimediare… Sarebbe stato un perfido egoista se non lo avesse fatto. Ma per il momento non intendeva fare il primo passo, non dopo come si erano affrontati. Elia non aveva intenzione di parlargli, anzi, se c’era lui nel gruppo evitava perfino di farsi vedere.
Si stese nuovamente sopra il letto, portandosi un braccio sopra la testa. Forse faceva bene a non volerlo vedere, probabilmente anche lui avrebbe fatto lo stesso. E comunque per adesso gli facilitava le cose. Non incontrarlo attenuava un po’ i suoi sensi di colpa e gli permetteva di rivolgere le sue attenzioni verso di Valeryn.
Ma quanto gli piaceva quella ragazza? Persino i suoi familiari si erano accorti che era diventato strano da quando si erano baciati.
Era questo ciò che faceva l’amore? Rincoglioniva così tanto? E cosa più importante... era questo il cosiddetto e tanto blaterato amore? Lui non lo sapeva o… forse sì.
L’unica cosa che desiderava in quel momento era rivedere Valeryn e abbracciarla; oltre che ritornare a dormire senza dover dare conto a sua madre, ovvio.







«I piedi, i piedi!»
Valeryn si rigirò più volte nel letto prima di aprire gli occhi verdi e mettere a fuoco il paesaggio intorno a se, ovvero camera sua, udire le urla provenienti dalla cucina e la fastidiosa aspirapolvere di sua madre accesa.
«Non capisci, Rosa» diceva suo padre dalla cucina «Tu non puoi ogni santa volta sbattere quel coso contro i miei piedi. Mi dà fastidio e poi è poco igienico.»
«Suvvia Piero, ci sono cose peggiori.» rispondeva sua madre, continuando a pulire tranquillamente il tappeto. Suo padre aveva sbuffato e aveva sbottato, alzandosi dal divano:
«Secondo me no. Basta, io ci rinuncio e vado in bagno.»
Valeryn scosse la testa e si passò una mano sulla fronte. Constatò l'orario - le dieci passate - e si mise subito in piedi.
Fortuna che erano incominciate le vacanze di Natale e si poteva dormire fino a tardi. Pensò ad una colazione veloce e ad una passeggiata in centro con Miriel... Ma no, che stupida. La sua amica era impegnata con Alex e poi lei poteva benissimo chiamare lui.
Sospirò arricciando le labbra. Ma quanto era bello? Stava diventando un’ossessione vera e propria. E per fortuna che adesso potevano stare insieme. O almeno, non capiva se tecnicamente stavano insieme. Quello che accadeva tra di loro erano dei baci stupendi, ma se doveva essere sincera non sapeva se poteva definirlo il suo fidanzato.
Non avevano ancora riferito niente alla famiglia - e avrebbero evitato ancora per molto – inoltre la presenza di Elia era ancora vivida, specie per Vittorio. I due avevano litigato per lei e adesso non si rivolgevano la parola. Sbuffò. Che colpa ne aveva lei se si era presa una cotta per suo cugino? Un po’ le venne da ridere.
Prese in mano il cellulare con l’intento di mandare un messaggino proprio a lui, quando il nome del ragazzo comparve luccicante sullo schermo. Lei rimase attonita per due secondi. L’aveva perfino anticipata. Impaziente di sentire la sua voce, rispose subito.
«Vitto?» si aspettò una voce bassa e calda. E invece un trombone le perforò i timpani.
«Quale Vitto, cretina, sono Daniel!» urlò questi inaspettatamente.

«Neanche riconosci la mia voce? Ohibò, pensavi fossi Vitto? Povera piccola.»
«Daniel?» boccheggiò la castana, delusa. Perché era da tutte le parti quello?
«Sì, Daniel. E fiero di esserlo. Cosa vuoi? Non capisco perché ti fai tanti problemi. Ogni persona ha un nome, perché ti deve impressionare proprio il mio? Mica ci chiamiamo tutti come te, eh. Sarebbe un vero problema. Specie se fossimo tutti come te.»
La ragazza aveva assunto una faccia scettica, tanto ribatté seccata:
«Okay, idiota, ho capito. Si può sapere perché mi hai chiamato con il telefono di Vittorio, allora?»
Si sentì un po’ di confusione e Daniel urlare qualcosa, prima di proferire:
«Perché lui si vergogna a chiederti di uscire, a quanto pare. Naturalmente mi ha chiesto in ginocchio di domandartelo al suo posto. Aspetta un attimo, non di uscire con me, ma con lui! Ci mancava anche questa... E quindi mi ha fatto chiamare di forza, contro la mia volontà, senza che io assentissi, mi capisci?»
Valeryn sentì Vittorio ridere dall’altro capo. Ridacchiò, pensando a quante cretinate era capace di inventarsi il suo amico con i capelli a caschetto nel raggio di dieci secondi al massimo.
«D’accordo, digli che voglio uscire con lui.» disse.
«Che cosa?!»
«Sì, accetto la sua proposta che però tu stai facendo al posto suo. Ora potresti passarmelo per favore, testa di medusa?»
Daniel allontanò il telefono dall’orecchio, poi spalancò gli occhi ed esclamò:
«Sappiate che io non c’entro niente con questa storia! Valeryn, tu non mi hai mai sentito in questa conversazione, non abbiamo mai parlato e io non ho mai fatto la staffetta. Vedetevela voi con Elia, ma vi prego... non fate il mio nome, vi scongiuro! Saretta s’incazza se mi metto nei casini. E poi io non ho fatto niente di male, sono andato solo a prendere Vitto a casa e stavamo scendendo in centro. Io e la mia piccolina dobbiamo andare a comprare i pasticcini, nient’altro. Avete capito che non dovete dire a Elia che ho parlato con voi, se vi chiede?»
Valeryn fece una smorfia e sospirò.
«Okay, diremo a Elia di non conoscerti del tutto. Ora, gentilmente, potresti passarmi Vittorio? O ne hai ancora per molto?»
«Ah no, tieni» fece per restituire il cellulare al suo amico, ma poi lo riportò all’orecchio.
«E comunque, Valeryn, penso lo stesso che tu sia un’isterica montata del cavolo.» e gli fece una pernacchia di scherno.
La ragazza strinse un pugno e alzò gli occhi al cielo, mentre Vittorio afferrava finalmente il suo telefono.
«Cosa dobbiamo fare con lui? Lo uccidiamo e la facciamo finita?»
Lei, contenta di sentirlo, rise.
«Sì, per favore, uccidiamolo e gettiamo il corpo. Non avranno prove contro di noi e non finiremo in galera.»
«D’accordo, lasciami studiare un piano molto più dettagliato che farlo fuori con una capocciata.»
Valeryn rise, un tantino imbarazzata. Doveva smetterla di attorcigliarsi i capelli. Faceva sempre così quando si sentiva impacciata.
«Magari gli tagliamo il caschetto, che ne dici?»
«Sì, è così carino rasato. Dobbiamo provare» e rise di nuovo. «Comunque lo sai che mi ha scippato il telefono dalle mani. Immagino sia stato un brusco risveglio sentire la sua voce...»
«Altroché!» esclamò lei, massaggiandosi il capo «Mi fa già male la testa. Eh beh, se ti vergognavi, ti ha solamente fatto un favore, no?» lo stuzzicò, mangiucchiandosi un’unghia.
«Ma che mi vergognavo! È stato lui. Non ho bisogno della sua finezza per chiederti di uscire.» mise subito in chiaro le cose lui.
«Me lo chiedi, quindi?» fece lei, con voce dolce.
Vittorio sorrise, mordendosi il labbro.
«Vuoi uscire con me? È domenica, ci facciamo una passeggiata. Potrei anche prendere la moto di mio fratello, ora che ci penso.»
«A me basta stare con te.» sussurrò la castana, attenta a non farsi sentire da suo padre che era barricato in bagno.
Il castano sentì il cuore fare le capriole e si mise a ridere.
«Hai vinto» ammise «Ti passo a prendere? Ma bada che c’è anche Daniel, sta andando da Sara.»
«Non preoccuparti, scendo io in centro. Chi lo sopporta quello? Ci vediamo tra mezz’ora.»
«Ehi, non ritardare o lo faccio presentare al posto mio.» l’avvertì.
«Se ritardo è perché mi faccio bella per te.» disse lei, maliziosa.
«Va bene, allora ritarda pure quanto vuoi. Scherzo, fai presto, che ti voglio vedere.»
«Anche io, Vitto. Mi manchi troppo...» si morse il labbro.
Sembrava una scema a dire quelle cose, ma gli veniva tutto naturale quando parlava con lui.
«Anche tu. Quando sto con Daniel me ne accorgo più che mai» sussurrò il ragazzo, visto che quest’ultimo aveva incominciato a fischiare.
«Ci vediamo dopo.» la salutò.
«A dopo, Vitto
Riattaccarono entrambi con un sorriso stampato sulle labbra. Perché qualcosa diceva loro che era quello che avevano sempre desiderato?
«Che cazzo ti ridi?» gli chiese Daniel, guardandolo bieco.
«Oh Dan, non rompere.» lo ammonì lui, pensando a come sarebbe stato bello rivederla e abbandonare quell’idiota a Sara e i suoi pasticcini.
Valeryn pensò la stessa cosa, mentre con le guance color porpora bussava alla porta del bagno.
«E basta! Non si può stare in santa pace, cavolo!» fu la risposta di suo padre.





Intanto, a casa di Vittorio, Mena girovagava senza una meta precisa per tutte le stanze. Aveva trovato di tutto e di più nella stanza di suo figlio Ross. Quasi Vitto era più ordinato… Ho detto “quasi”, pensò alzando gli occhi al cielo e mettendo via vestiti stropicciati lasciati in giro per la scrivania e il comodino.
Si sedette sul letto appena fatto e il suo sguardo fu catturato dalla fotografia incorniciata perfettamente che suo figlio teneva sopra il comodino. Le si strinse il cuore in una morsa.
La prese in mano e la guardò. Lì, Vittorio con tutti i suoi fratelli: Francesca posizionata sopra di loro con i pollici alzati, Ross aveva circondato il collo del fratello e sorrideva a trentatré denti e infine Natalie con una trombetta in bocca stava guancia a guancia con Vittorio.
Una lacrima le scese colpevole, quando vide l’espressione felice del suo figlio più piccolo. Contento di stare con i propri fratelli, di godere degli insegnamenti materni di Francesca, degli scherzi di Ross, degli incoraggiamenti di Natalie.
Loro erano la sua famiglia.
Ma quello che Mena portava dentro le faceva pensare il contrario: il segreto era ormai diventato troppo pesante da sopportare per una madre. Una madre che, anche se rimproverava spesso suo figlio, gli voleva bene solo come una vera madre sapeva volergliene. E lei, sì... Lei lo era. Anche se non biologicamente lo era.
Pianse a dirotto.
Non seppe per quanto tempo, ma lo fece, liberandosi di quel macigno troppo grande da portare dentro. Si destò solo quando sentì qualcuno parcheggiare un motorino e aprire la porta di casa. Si asciugò le lacrime con il grembiule e fece per uscire dalla camera.
«Mamma, cosa fai?» chiese Natalie, scorgendola da sola dentro la stanza di Vittorio.

«Vuoi smetterla di pulire in continuazione? La casa è uno specchio, non c’è bisogno che ti affatichi.»
Lei apprezzò quelle parole, ma scosse la testa.
«Nati, tesoro, non preoccuparti. Stavo solo controllando una cosa nella sua camera.»
La mora notò la cornice tra le sue mani e gli occhi gonfi e arrossati. Sospirando, entrò in cucina senza aggiungere altro. Sapevano tutti che quella situazione le faceva male, non voleva sentirne parlare di più, specie non in quel momento.
«Mammina, hai preparato la pastina? Ho famina!» scherzò Ross, entrando in quel momento, lanciando le chiavi sul mobiletto d’entrata e ridendo da solo.
Natalie gli lanciò un’occhiataccia e incominciò a mescolare il sugo ignorandolo. A volte il suo gemello era un perfetto idiota.
Ross, però, non vi fece caso. A volte pensava che la sua gemella fosse una perfetta idiota.
«Non ci crederete mai con chi ho beccato Vitto, prima. Se non lo avessi visto con i miei occhi quasi non ci avrei creduto.»
Mena scattò sull’attenti, assumendo una faccia interrogativa, mentre Natalie faceva lo stesso.
«Era con Valeryn, la figlia di Piero e Rosa. Dovevate vedere come erano gettati!» esclamò in tono malizioso.
Mena e sua figlia si guardarono perplesse, dopodiché la donna chiese:
«Come con Valeryn? E cosa stavano facendo?»
Ross alzò le spalle.
«Ah, non lo so. Li ho visti solo abbracciati che si facevano le moine. A me sinceramente hanno fatto venire il voltastomaco.»
«Ross!» lo ammonì sua sorella, truce.
«Sei sicuro che era Vittorio? Insomma, mi sembra un po’ strano che si stia frequentando con… nostra cugina.»
«E certo, sorella. Ci vedo ancora bene. Ma poi scusa, non eri dietro di me, tu? Non mi dirai che non li hai visti?»
Lei negò con la testa e si voltò verso sua mamma che cercava di capire.
«Quindi state dicendo che a Vittorio piace quella ragazza, Valeryn
«Boh, mamma, che ne possiamo sapere noi. Mica entriamo nella sua testa, sinceramente non ci tengo tanto, chissà che labirinto di stronzate.» se la rise Ross, pensando che le sue teorie sul fratello e Valeryn erano esatte.
Natalie sbuffò di fronte alla sua poco serietà.
«Sai dire solo castronerie, gemellino? Per fortuna che non sono come te.»
«Certamente. Tu sei quella antipatica, nevrotica e rompiscatole. Io sono molto meglio.» e strizzò l’occhio a sua madre che ridacchiava sotto i baffi.
La corvina, invece, scosse la testa, rimanendo sulla teoria del Ross idiota. Tanto era vero. Ne ebbe la conferma quando questo notò la fotografia in mano a sua madre e proferì le parole maledette.
«Hai pensato che è arrivato il momento di dirglielo, finalmente?»
Voleva scaraventargli addosso la pentola piena di sugo e farla finita lì, ma stranamente si decise ad ascoltare Mena, che d’un tratto aveva cambiato espressione.
«Non lo so, tesoro. È tutto talmente complicato, non immagini come possa sentirmi.»
«Immagino, mamma» annuì il ragazzo, facendosi serio improvvisamente «Ci sentiamo anche noi così. Ogni volta che lo guardo negli occhi...» il tono di Ross si era affievolito «ogni volta che lo guardo... mi sento terribilmente in colpa. Se non glielo dirai tu, lo farò io.»
«Cosa cavolo blateri, idiota?!» sbottò sua sorella, lasciando cadere per terra il mescolo.
«Se lo viene a sapere Francesca ti ammazza. Non è compito nostro dirgli la verità. Mamma saprà come fare nel momento più appropriato, credo...»
Mena si rabbuiò e chinò la testa.
«E invece ti sbagli, Natalie, non so nemmeno da dove incominciare. Non so come fare a dirglielo che è stato... beh, che è stato adottato.»
Le parole pronunciate dalla loro madre ferirono per l’ennesima volta il cuore di entrambi. Natalie raccolse il mescolo e lo pulì, mentre una lacrima le solcava il volto. L’asciugò senza farsi vedere.
Ross scosse la testa, non sapendo cos’altro dire. Loro madre stava male, loro stavano male, Francesca e loro padre pure. Era una situazione intollerabile. Lo avevano tenuto nascosto per troppo tempo.
Tutti loro sapevano; lo sapevano anche Antonia, Giolis e la famiglia di Valeryn. Era un’ingiustizia aver fatto passare diciassette anni della vita di Vittorio, quasi diciotto, senza dirgli la verità.
Mena stringeva ancora la cornice, senza aprir bocca. Era evidente che non ne aveva il coraggio. Il coraggio di parlargli, di spiegare e di dire che tutti loro lo volevano bene lo stesso. Anche se in cuor suo, Ross sapeva che Vittorio li avrebbe presi per bugiardi, uno ad uno, quando avrebbe scoperto tutto. E più passava ancora tempo più era sicuro che le cose sarebbero peggiorate.
«Rimango del parere che se non lo farai tu, mamma...» sia lei che sua sorella lo guardarono «lo farò io. Parola mia. Io, mio fratello, non lo voglio vedere soffrire.»
E poi se ne andò in camera, deciso a chiedere un racconto dettagliato della sua uscita con Valeryn quando sarebbe rientrato a casa. D’altronde era sempre il maggiore e voleva, doveva sapere.
Le due donne sospirarono rassegnate.
L’ora della verità stava finalmente arrivando.





In centro, una riccia Maia stava ferma davanti alla pasticceria, controllando ogni tanto il cellulare in attesa di un messaggio da parte del suo Steve. Niente, per quella mattina nessun messaggino.
Sbuffò, gettando uno sguardo dentro. Era uscita di casa con Carmine, visto che doveva comprare dei pasticcini per sua madre e suo nonno. Solo che non aveva voglia di entrare e chiedere lei stessa, perciò aveva ingaggiato il suo amico come cavia. Lui dapprima aveva protestato, ma poi aveva acconsentito.

«Stai diventando come Valeryn.» le aveva detto.
Sorrise. Per lei era molto importante prendere esempio dal suo carattere forte. Pensando alla sua amica, le vennero in mente i ricordi della gara di ballo e della lite tra Elia e Vittorio. Beh, era il minimo che potesse succedere, d’altronde. Un po’ le dispiaceva, specie perché il gruppo si era in un certo senso diviso a metà. Quando c’era Elia alcuni andavano con lui e altri stavano con Vitto. Non era una cosa bella vederli divisi, ma che ci potevano fare se amavano la stessa ragazza?
Certo che anche Valeryn, però... Non aveva agito molto bene. Far soffrire così il suo amico - perché il biondo era il suo migliore amico - e infine gironzolare con suo cugino Vittorio. Non gliel’aveva di sicuro ordinato il medico, ma in fin dei conti, poverina, anche lei stava male per quella storia. E poi se si era innamorata, che colpa ne aveva?
Maia nell’amore vero ci credeva con tutte le sue forze.
Voltando la testa, vide in lontananza proprio quest’ultima venire in sua direzione in compagnia di un ragazzo che riconobbe essere il castano.
Subito, si nascose dietro una pianta posizionata davanti all’entrata della pasticceria cercando il più possibile di non farsi vedere. Non sapeva perché stava facendo quella sceneggiata, ma il suo cervello le suggeriva di fare in quel modo.
«Che cavolo ci fai buttata lì?» le chiese Carmine, stralunato, uscendo dal negozio con una grande busta rossa, segno che aveva comprato per lei i pasticcini.
«Sssh, Mine. Mettiti giù e nasconditi.» lo trascinò con lei nel suo folle nascondiglio.
«Mi spieghi che ti prende, Mai? Vuoi giocare a 007? Non solo ti compro i dolcetti ma mi ripaghi in questo modo?»
Maia alzò gli occhi al cielo.
«Carmine, non essere petulante e guarda davanti. Li vedi? Sono Vittorio e Valeryn insieme, per questo ci stiamo nascondendo.»
«Fa' vedere.»
Il moro si sporse un po’ di più e non appena vide il panorama commentò:
«Non so chi hai visti, ma quelli che stanno venendo sono Daniel e Sara.»
La riccia si alzò e strizzò gli occhi per vedere meglio. Impossibile. Aveva perfettamente visto i due poco prima con i suoi stessi occhi… Se le cose stavano in quel modo voleva dire che Valeryn e Vittorio la perseguitavano dovunque. Aveva le visioni.
Nel vederli, Daniel si rallegrò e li raggiunse a passo svelto, lasciando indietro una bionda Sara con in mano un pacco di grandi dimensioni. La scorta di pasticcini era stata categoricamente più abbondante di quella di Maia.
«Toh, chi si vede!» incominciò ad insultarli «Due scemi sotto un cespuglio.»
«Veramente è una pianta, ignorante» Maia si alzò in tutta la sua altezza, aggiustandosi il vestito blu.
«E poi come mai sei sempre così gentile? Non devi sforzarti troppo o diventi un piccioncino,»
Il castano fece una smorfia inorridita e si concentrò su Carmine, squadrandolo dall’alto in basso.
«Toh, guarda che cera che abbiamo, Mine! Che c’è, troppo tempo in compagnia di quella lì... quella con gli occhi azzurri... Com’è che si chiama? Antonella... Angela… Angelina, per caso?»
Il moro sbuffò, scrollando le spalle.
«Dovrebbero essere fatti tuoi, Dan?»
«Certo che sono fatti miei. Sono tuo amico.»
«Solo quando ti conviene.»
«Non ti permettere mai più di dire una cosa del genere. Io gli amici li tratto come fratelli!» si portò teatralmente una mano al cuore.
«Non ruberei mai la ragazza di uno di loro, mai. Non mi chiamo Vittorio, a dirla tutta.» lanciò una palese frecciatina con un ghigno sardonico.
Carmine scosse la testa, Sara annuì concordante e Maia, che era stata zitta, scattò sull’attenti non appena sentì il nome dell’amico.
«Per caso lo avete visto in giro? A me è sembrato di averlo visto con Valeryn, prima. Stavano proprio lì.» indicò la direzione.
«Fatti una visita oculistica.»
La riccia fece per ribattere a Carmine di averli davvero intravisti, quando Sara la precedette.
«Beh, in effetti sono in giro che ridono e scherzano come se niente fosse. Fossi in Elia non uscirei da casa per i prossimi vent’anni.» rabbrividì.
«Tze!» emise un suono di sdegno Daniel, con in volto un’espressione di disgusto.
«Sono sceso con Vittorio, prima. Mi ha costretto a telefonare a quella pazza isterica e chiederle un appuntamento. Bell’uso che fa degli amici, quello là.»
Il moro alzò gli occhi al cielo.
«Non esagerare, Daniel. A noi non ha fatto niente, è con Elia che ha litigato. Smettila di parlare male di uno dei nostri amici quando non c’è.»
«Ma io dicevo per dire...»
«E poi, caro il mio testa di cocco» lo ammonì Maia, accigliata «sei pregato di smetterla di chiamare Valeryn pazza isterica, okay? Tu sei mille volte peggio. E poi lei è non è come dici, anzi. È la persona di cui mi fido di più in questo gruppo.»
Il castano fece un segno con la mano.
«Sta’ attenta a non confidarti troppo, allora. I bambini piccoli fanno i capricci.» ed imitò il pianto di un neonato.
Siccome nessuno degli altri tre si accennava a ridere - Maia lo guardava torvo, Carmine pure e perfino Sara scuoteva il capo - si ridestò, aggiustandosi il colletto della camicia.
«Comunque finiscila di esporti sempre come l’antipatico di turno. Diventi insopportabile.» continuò la ragazza, rivolgendogli un’occhiata sprezzante.
«Beh, tu non sei meglio, riccioli d’oro. Se ti fidi di quella sei messa davvero male.»
«E poi smetti di dire in giro cose su di loro. Se loro si amano non è affar tuo.»
Daniel si strozzò con la saliva e, aggrappandosi a Sara da un braccio rischiando quasi di farle cadere i pasticcini, scoppiò a ridere sguaiatamente.
«Che spasso che sei, Maia!» esclamava, asciugandosi le lacrime per l’eccesso di risate provocate con foga inautentica.
«Amarsi? Ma secondo te è normale che due cugini si amino? È una cosa malata, secondo me. Vittorio è stato guidato dagli ormoni e quella pazza si era stufata di Elia. È questa la verità.»
Carmine gettò uno sguardo fugace a Maia e viceversa. In effetti tutta quella situazione era strana. Il fatto che fossero parenti, o il fatto che quella relazione fosse uscita fuori come un fungo. Il fatto che Vittorio avesse tradito in quel modo Elia. Era imbarazzante ammetterlo, ma forse Daniel non aveva del tutto torto.
«D’accordo piantala, sono solo lontani parenti.» lo contestò Carmine, ma solo per principio.
L’amico aveva il vizio di dire le cose in maniera brusca e prepotente.
«Appunto. In amore non conta nulla. Né l’età, né il sesso, né la lontananza, l’altezza, né la... parentela.» lo appoggiò Maia, che era una ragazza molto romantica. Anche se sull’ultima cosa un po’ di dubbi ce li aveva eccome.
Daniel fece un gesto con la mano come per dire “cazzatee appoggiò la testa sopra la spalla di Saretta, che proferì:
«Se si piacciono buon per loro. Ma io la vedo dura... Chissà quanto proseguirà.»
Carmine fece una faccia grave.
«E come andrà a finire tra Eli e Vitto...»
Daniel continuò a sbellicarsi - ormai non c'era più un perché - e i tre amici si guardarono in cerca di una spiegazione.
Era successo tutto troppo in fretta e loro lo stavano vivendo di conseguenza. Stavano perdendo due amici e rischiavano di veder soffrire un’amica. Ma in fin dei conti il loro parere non contava nulla. Elia era libero di riprendersi la sua ragazza quando voleva e Vittorio poteva indipendentemente stare con Valeryn. Questo significava che la questione tra i due era ancora aperta. E loro non potevano fare altro che stare lì fermi a guardare.











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Capitolo 16
*** Innamorata ***









«Grazie di essere venuta, Valeryn cara!» esordì Mena entrando in cucina, mentre questa e Vittorio erano seduti ad un tavolo con un
tomo di matematica davanti, dei fogli sfusi e una calcolatrice pronta a servire nel caso ce ne fosse stato bisogno. La castana sorrise.
«Di niente, Mena. A me fa molto piacere aiutare Vitto.»
«Oh, per fortuna!» esclamò con teatralità la donna «Credevo fosse un... come dire… un accollo per te.»
Vittorio alzò gli occhi al cielo, imbarazzato e infastidito. Se sua madre voleva farlo passare come un peso, ci stava riuscendo.
«Per favore, mamma. Non hai niente di meglio da fare di là?»
«Certo che sì» rispose quella, tirandogli addosso un panno della polvere «anzi devo uscire immediatamente. Mi mancano alcune cosette importanti e chi lo sente tuo fratello Ross quando torna stasera? Se non gli faccio trovare gli spiedini di pollo già pronti in tavola, mi richiude nuovamente nello sgabuzzino. Non farci caso, Valeryn, tesoro.» le fece un sorrisino di scuse, come se le maniere di Ross fossero qualcosa di bestiale risalente all’homo di Neanderthal.
«Tranquilla Mena, va’ pure. Ci penserò io a ficcare in testa la matematica a Vitto.» disse Valeryn.
Sentendo la parola matematica, Vittorio fece una smorfia. Sua madre invece si rallegrò, esclamando:
«Oh, ti ringrazio molto! Spero che con il tuo aiuto questo mulo riuscirà a fare i calcoli come si deve. Hai capito, razza di scansafatiche che non sei altro?» si rivolse a suo figlio, che sbuffava supplicando un’eterna liberazione.
«Okay, mamma» grugnì lui.

«Adesso potresti andartene e lasciarci per i fatti nostri?»
Mena si fermò un attimo pensando a qualcosa intensamente, prima di proferire maliziosa:
«Ah, sì certo... Certo, tesoro. Capisco perfettamente...»
«Mamma?» la richiamò Vittorio, stralunato.

«Dobbiamo studiare, ricordi? Hai insistito tanto a chiamare Valeryn e alla fine non ci lasci in santa pace.»
La donna alzò le mani, fingendosi innocente.
«Non preoccuparti, tolgo assolutamente il disturbo, ragazzi. Anzi, prendo i soldi, ecco» afferrò il portafogli e riprese «vado a fare la spesa mentre voi due studiate. Un tipo di studio molto divertente, immagino.»
I due ragazzi, nel sentire Mena ridacchiare sotto i baffi, il tono ammiccante e tutto il resto, si guardarono confusi. Vittorio fece cenno alla ragazza di non saperne assolutamente nulla e si rivolse alla madre che aveva afferrato il cappotto.
«Cosa stai dicendo?! Non vorrai insinuare che invece della matematica giochiamo alla playstation?»
«No, tranquillo» sorrise sua madre «Non intendevo nulla, stavo solo scherzando. Esco, a dopo.»
Uscì sogghignando. Aveva già capito che la matematica non sarebbe mai potuta entrare in testa a Vittorio, specie se la sua maestra personale era Valeryn. Subito i due si guardarono perplessi.
«Vitto, cosa voleva dire tua madre con quelle parole? Che invece di studiare andiamo a spasso, o che?»
Il ragazzo si grattò la chioma castana e le rivolse uno sguardo confuso.
«Non la capisco. Figurati se mi metto ad interpretare ciò che dice, anche perché ne dice tante di cose ambigue.»
Valeryn lo guardò stiracchiarsi, dopodiché affermò:
«Allora, da ora fino alle sei di stasera non sarò più Vale. Sarò la tua insegnante di algebra, okay?»
Vittorio scoppiò a ridere.
«E io dovrei crederci? Ma va’, sei anche più piccola di me.»
«Cosa significa questo? Devo pur sempre darti ripetizioni, caro mio.»
«Ma io non voglio trattarti da professoressa.»
«Lo dovrai fare se non vuoi che riferisca tutto a tua madre e a tua sorella Francesca, Bellè!» tuonò quella, imitando la sua prof di fisica.

«E adesso, prendi il quaderno e il libro.»
Vittorio fece una smorfia.
«Devi per forza chiamarmi per cognome?»
«Sì, è necessario per calarmi nella parte. Tu infatti dovrai darmi del “lei”.» affermò la castana, incominciando a scrivere un sistema di disequazione sul quaderno del ragazzo.

Lui la guardava con un’espressione scettica, anche se in realtà stava morendo dalle risate.
«Che cos’è questa pila di numeri?» domando scioccato, dopo che Valeryn ebbe finito di copiare il sistema.
«Si chiamano sistemi di disequazione. Erano praticamente nel mio programma dell’anno scorso, perciò ti sto facendo incominciare da questi.»
Vittorio fece una faccia grave.
«Ma come? Pensavo incominciassimo con delle semplici espressioni a parentesi tonde. Ero così convinto che mi sentivo perfino preparato.»
La castana rise. Ma quant’era buffo?
«No, Vitto, fai il quarto anno d’industriale, non il primo anno di scuola media. È scontato che tu sappia eseguirle. O no?» lo guardò di soppiatto, mentre quello alzava le spalle.
Valeryn sospirò, gettando la chioma castana all’indietro. Neanche lei, a dirla tutta, era una cima in algebra, geometria analitica, fisica e tutte le materie scientifiche. In effetti non si sarebbe mai sognata di dover dare delle ripetizioni a qualcuno, ma quando Mena l’aveva chiamata per aiutare Vittorio, beh... improvvisamente tutta la sua vena matematica, che in tre anni aveva tenuto nascosta, era spuntata fuori.
«Dai, non è possibile! Devo insegnarti le tabelline?»
«Se vuole, prof.» fece un sorrisino di scuse il ragazzo.
Lei alzò gli occhi al cielo.
«Se avessi saputo prima in che miseri livelli sei, avrei portato le caramelle per aiutarti a contare.»
Vittorio ridacchiò sbattendo la testa, imbarazzandosi un po’. D’accordo, non eccelleva in matematica, ma chi se ne importava. A lui interessava dell’altro. Sì, avete indovinato… altro di nome Valeryn, sua cugina.

Lanciò uno sguardo fugace ai libri. Beh, sicuramente nella sua testa veniva prima il piacere e poi il dovere, si disse. Che se ne fregava delle ripetizioni...
Si alzò lentamente dalla sedia, mentre Valeryn, inconsapevole, ricopiava altri sistemi sul quaderno. Si posizionò dietro di lei e, delicatamente, le spostò i capelli mossi dalle spalle lasciandole scoperta una porzione di pelle. Al contatto delle sue mani, la ragazza si bloccò da ciò che stava facendo. Poteva percepire perfino il suo respiro. Il cuore aveva preso a viaggiare alla velocità della luce.
Vittorio prese a baciarla sul collo, senza curarsi del fatto che avrebbero dovuto studiare e che Mena sarebbe potuta arrivare a momenti. Doveva aspettarsela una cosa del genere, pensò Valeryn.
E in fondo non le dispiaceva affatto. Socchiuse gli occhi, mentre lui le prendeva il volto e la baciava dolcemente sulle labbra, come se fosse ciò che desiderava più al mondo. E in effetti, lo era davvero.
Si abbandonarono per qualche secondo, concentrandosi sulle proprie lingue che improvvisavano una piacevole danza l’una con l’altra.
Valeryn non resistette, si voltò e lo strinse dalla nuca, lasciandosi trasportare da quel turbine di sentimenti che solo lui le faceva provare. Vittorio, dal suo canto, non esitò a trascinarla dai fianchi sul divano alle loro spalle e a farla sdraiare lentamente. Si staccarono un attimo per riprendere fiato, entrambi ansimanti.
«Sei bellissima.»

Era la frase che, in assoluto, Valeryn aveva sentito più volte, perché oggettivamente la sua bellezza era abbagliante, ma le faceva sempre piacere quando era lui a dirla. Lui, che aveva ripreso a baciarla e le stava facendo perdere completamente la testa, tanto da farle dimenticare le ripetizioni e tutto il resto.
Vittorio, pian piano, si mise sopra di lei accarezzandole una coscia da sotto la sua gonna. A quel tocco lascivo, Valeryn sussultò mordendosi un labbro. Come riusciva a darle così tanto piacere solamente sfiorandola?
Continuò a baciarle il collo, mentre lei chiudeva gli occhi e si lasciava scappare un gemito. Perché stava così bene con lui? Si stava davvero innamorando di suo cugino? O lo era già? Dal battito accelerato del suo cuore ad ogni lieve tocco del ragazzo, optò per la seconda ipotesi.
Il castano si trovava in uno stato di annebbiamento totale perché vedendola in quel modo non faceva altro che incrementare la sua eccitazione. Era così attraente anche con i capelli sparpagliati tra i cuscini e gli occhi e le labbra socchiuse. Avrebbe dato qualsiasi cosa per averla in quel momento. Non riusciva neanche a controllarsi, tanto le stava sbottonando la gonna senza indugiare. Okay, si era proprio fottuto la testa, come diceva il suo amico Lele. O si era innamorato, che era la stessa cosa. Insomma, sempre e comunque peggio di come aveva immaginato.
La ragazza lo strinse a sé con maggiore forza, sentì le sue dita farsi largo tra le sue mutandine e toccarla, entrando dentro di lei con delicatezza ma in profondità tale che si lasciò scappare un gemito di piacere. Aveva già fatto l’amore con Elia, prima d’ora, era stato bello ma non così speciale ed eccitante come il preludio dei tocchi di Vittorio mostrava.
Ogni movimento, ogni bacio, tutto era magico. Stava bene come non lo stava da tanto. Voleva abbandonarsi a quel momento per sempre, si disse. Lui continuava a toccarla con due dita, le accarezzava un punto sensibile che le faceva perdere la ragione.
Aprì gli occhi per un istante, immaginando a come sarebbe stato.

Lo desiderava.
Dio, voleva fare l’amore con lui.
Si strinse di più con le cosce al suo braccio, mentre ansimò contro la sua bocca non appena il ritmo delle sue dita aumentò.
Sentiva la sua erezione premere sulla sua pelle nuda.

Il suo sguardo ruotò spontaneamente sul tavolo e i libri di matematica, mentre Vittorio toglieva le mani da dentro di lei e le sfilava la gonna. Fece una piccola smorfia, tornando alla realtà di malavoglia.
Sbuffò. Era tardi e non avevano ancora studiato. Non poteva rischiare di far prendere a Vittorio un’ennesima insufficienza perché invece di insegnargli l’algebra avevano fatto l’amore.
Ah, al solo pensarci si maledisse per quello che stava per dire.
«Vitto, fermati, devi studiare» mormorò «Ricordi?»
Lui le aveva alzato la maglietta e le stava baciando la pancia, risalendo con le labbra sul suo seno. Quando le morse piano un capezzolo, Valeryn lanciò un gridolino di piacere.
«Mh? Embè?»
«Embè che tua madre ti ammazza» fece bloccando da un braccio e mettendosi a sedere.

«Anzi ci ammazza, se sa che ho contribuito anch’io a questa follia.»
Vittorio mise il broncio.
«Baciarci è una follia
«No, dico boicottare lo studio per qualcosa che possiamo fare un’altra volta.»
«Ma oggi era speciale» disse lui, insistendo.

«Non ti capisco... Pensavo ti stesse piacendo.» 
Lo vide lamentarsi come un bambino piccolo. Era buffo. Rimpianse di averlo fermato per delle stupide espressioni di matematica che odiava con tutto il cuore.
«Ma infatti mi stava piacendo.» ribatté.
«E a me piaci tu. Perché dobbiamo interrompere tutto?» la guardava seriamente adesso.

Aveva un rigonfiamento ben evidente ed odiava essere interrotto in quei momenti. Ci avrebbe pensato per tutta la giornata.
Lei sospirò.

«Vitto, dai! Non farmi sentire in colpa, potremmo continuare dopo. E poi pensa se tua madre rientra proprio adesso. Cosa le spieghiamo?»
«Che dopo la teoria siamo passati alla pratica scientifica» rise il ragazzo con tono malizioso.

«Stavo svolgendo un sistema particolarmente interessante.»
Ridacchiarono, mentre lei gli lanciava un cuscino in faccia.
«Beh, adesso che fai, mi parli di sistemi? Prima non sai svolgerne uno semplice e adesso ti dai un tono? Scemo.»
«Intanto ‘sto scemo ti piace.»
«Molto. Mi piace molto, purtroppo.» incrociò le braccia, facendo la finta offesa.
Lui cedette e scrollò le spalle.
«Okay, andiamo a fare i sistemi di dise…disquione? Disequizione? Va bè, quei cosi là. Almeno mi riscaldo per la pratica che mi hai promesso.»
Le fece l’occhiolino, alzandosi dal divano e stiracchiandosi.
«Ehi, io non ti ho promesso nulla.» lo rimbeccò lei.
«Sì, invece» si avvicinò al suo viso «E visto che sono pazzo di te sto rinunciando a baciarti per delle stupide ripetizioni.»
Valeryn s’indispettì, ma sentendo dire che era pazzo di lei le fece andare il viso a fuoco.
«No, non rinunciare a baciarmi.»
Gli passò una mano intorno al collo e l’attirò a sé con un bacio per l’appunto.
«Sei l’incoerenza fatta a persona.» commentò lui, dopo che si staccarono.
«Andiamo» Lo ammonì lei, alzandosi dal divano

«Passami la gonna, pervertito.»
«Ha parlato quella che mi ferma sul più bello e poi mi bacia.»
La ragazza si voltò con un cipiglio verso il ragazzo che la prendeva in giro, lanciandogli addosso il quaderno.
«Vai a fare matematica da solo, ingrato. Io non ti aiuterò mai più!»
Vittorio le si avvicinò ridendo.
«Eh, come ti incazzi! Lo sai che sei la mia prof personale ormai.»
«Vaffanculo!»
«Sei bellissima lo stesso.»
Le sorrise, mentre lei diventava leggermente rossa. Riusciva a farla ridere anche dopo averla fatta arrabbiare.
Il campanello suonò d’un tratto, mentre i due si lanciarono uno sguardo allarmato e Valeryn fece una faccia rassegnata come per dire “hai visto?Ci avrebbe beccato. Vittorio alzò le spalle e andò a rispondere, intanto che la ragazza si affrettava a infilare la gonna.
Mena stava salendo le scale, i ragazzi sentivano la sua voce allegra canticchiare.
Il castano raggiunse velocemente il suo posto, raccolse il quaderno e fece finta di ascoltare gli insegnamenti della sua prof.
La sua splendida prof.
«Ciao ragazzi, a che punto siete?»

Mena entrò con le borse della spesa in mano.
Valeryn ripensò ai momenti prima. Alle mani di Vittorio che vagavano sul suo corpo, al suo respiro caldo e alle sue labbra, ai suoi tocchi dentro di lei. Oh sì, ne era innamorata. E anche troppo.
Stentava quasi a crederci, ma il suo cuore batteva solo e unicamente per suo cugino.



«Mio Dio, eccoti

La sera stessa, una castana Miriana con dei morbidi riflessi color del miele accolse la sua amica alla porta di casa.
«Vieni qui e fatti abbracciare.»
Si abbracciarono sinceramente, mentre Valeryn posava il suo zaino per terra sulla soglia.
«Che hai fatto?»
Valeryn si chiuse la porta alle spalle, facendo la sua piccola smorfietta.
«Sono dovuta venire fin qui a piedi, ti giuro è stata una faticaccia.» Faticaccia per dire, visto che l’aveva accompagnata Vittorio.
«Eri a casa di Maia, per caso?»

L’amica fece mente locale che alcuni dei loro amici abitavano nel rione più alto della città.
«No, da Vitto» fece velocemente lei, come voler sorvolare quell’argomento.

«Sono tornata ora.»
Ma Miriel non si fece ingannare; la sua amica era venuta a casa sua per restare a dormire, d’altronde. Non le sarebbe sfuggita, le avrebbe dovuto raccontare ogni minimo particolare. Anche perché non si vedevano da una settimana e voleva assolutamente sapere. Era stata informata vagamente da Alex, ma nella sua confusione non aveva capito molto.
«Aspetta, ehi!» la bloccò da un braccio, visto che si stava dileguando su per le scale.

«Devi raccontarmi tutto quello che è successo tra di voi.»
«Ma tra chi?» chiese lei, stanca, sospirando.
Miriel sbuffò, sbattendo all’indietro i lunghi capelli.
«Tra te e Vittorio, scemina.»
Valeryn indugiò un momento, mentre la sua mente tornava lì da lui. Non sapeva se era la cosa giusta confidare alla sua amica che avevano rischiato di andare fino in fondo. Di fare l’amore.
Alzò le spalle. Non riusciva a tenerlo per sé, però.
«Sono stata a casa sua per delle ripetizioni di matematica. Ma stavamo per... per farlo, ecco.»
Miriana spalancò gli occhi. Un po’ affrettato, no? Insomma fino a due settimane fa stava con Elia, come poteva abbandonarsi così ad una persona che, tra altro, era suo cugino di terzo grado?
«Vale, non ci credo. Sei seria?»
Lei sbuffò.
«Certo che sì. Lo sapevo, dai, non avrei dovuto dirtelo. Adesso mi farai l’interrogatorio!»
Miriel negò con la testa per tranquillizzarla, ma i dubbi non la mollavano.
«No, figurati. C’è solo una cosa che vorrei capire...»
«Cioè?»

Valeryn attese, impaziente.
«Come... Come fai? Lo so che ti piace, ma... Insomma, è tuo cugino.» abbassò la voce, visto che sua madre si trovava da quelle parti.
A sentire quelle parole, il volto dell’amica si oscurò. Ma bene. Lo sapeva che erano cugini; se era per questo ci aveva passato giorni a rimuginare su quale fosse la scelta giusta da prendere. Ma sentirselo dire così, di nuovo, sbatterglielo in faccia dopo aver passato una giornata del genere con lui... La prossima volta avrebbe tenuto la bocca chiusa.
«Ho capito, Miriana, tu non sei d’accordo alla nostra relazione!» sbottò. «Tu sei dalla parte di Elia, come Daniel, Alex e il resto, lo so. Ci ritroveremo io e Vitto da soli contro tutti voi.»
«No, aspetta! Voglio solo aprirti gli occhi...»
«Quale occhi?!» esclamò arrabbiata, voltandosi di scatto e guardandola con gli occhi smeraldini che sembravano infuocati.

«Non è questione di capire. Ormai mi sono innamorata. Sì, di mio cugino, di quello che fino a due mesi fa poteva definirsi il mio migliore amico. Ma è andata così. Mi dispiace per Elia, per averlo fatto soffrire, per aver rovinato l’amicizia tra Vittorio e lui. Sono mortificata, credimi. Però lo stesso... Tornerei a baciare Vitto altre mille volte e sicuramente non l’avrei fermato sul punto di fare l’amore per degli inutili sistemi di algebra.»
Le lacrime le pizzicavano i bordi degli occhi e voleva solo piangere, sfogarsi fino a non smettere più.

Avevano praticamente tutti contro, non era possibile. Non potevano vivere la loro storia in santa pace, senza che ogni giorno i loro amici più cari dicessero cose spiacevoli, cose che la ferivano nel profondo.
«Vale, aspetta! Non volevo offenderti. Voglio solo dirti che è… strano che tu provi dei sentimenti per lui dopo tutti i mesi passati con Elia. E con il fatto che siete cugini... beh, questo avrebbe dovuto frenarti un po’, no?»
Non la fece finire, che alzò una mano zittendola.
«Non siamo così fortunati come te e Alex, allora. Mi dispiace solo che voi tutti non capiate
Prese lo zaino dove teneva tutte le sue cose e salì le scale.

Miriel la seguì, non sapendo cos’altro aggiungere. In fin dei conti pensava veramente che andarsene con Vittorio e lasciare Elia fosse stata una decisione molto affrettata, voleva solo essere sincera con lei, come sempre.
Perché Valeryn non faceva mai finire di parlare le persone?
Uffa, e ora chi la regge arrabbiata?, pensò.













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Capitolo 17
*** Una gita per noi ***








«Toh, che idiozia! Una gita a metà marzo! Sai che noia!» aveva urlato un castano Daniel con in testa dei curiosi riflessi biondi fatti male, stiracchiandosi e raggiungendo gli altri suoi amici, i quali aspettavano davanti a dei pullman parcheggiati di fronte alla scuola.
 
Di solito le gite scolastiche non arrivavano così presto, ma per problemi di disponibilità con le date la loro preside aveva anticipato di quasi un mese il viaggio. Precisamente il quindici di marzo, classi prime, seconde, terze e quarte del liceo e industriale, ore 7.00 in punto. 
Il sonno collettivo incombeva minaccioso e la brezza mattutina si espandeva nell’aria. Valeryn arrivò in macchina con suo padre che la salutò e le fece qualche raccomandazione - “non prendere freddo!”-; dopo raggiunse gli altri con un sorriso stampato in volto. 
Daniel la guardò di traverso, come sempre d’altronde, Maia le sorrise abbracciandola, Conny non la vide nemmeno, gli altri maschi erano intenti a parlare ed Elia le rivolse uno sguardo fugace. 
Meno la guardava, meglio era. Provava un senso di rancore nei confronti suoi e di Vittorio che lo mangiava vivo. Il fatto che questi non si fosse scomodato più di tanto a cercare di chiarire gli provocava un fastidio enorme e anche una sorta di gelosia. 
Lui non aveva occhi che per lei, era così talmente accecato da Valeryn che non gli importava degli altri, soprattutto non gli importava di recuperare l’amicizia con il suo migliore amico. 
Gli gettò uno sguardo torvo, vedendolo arrivare insieme a Censeo. 
Che cazzo aveva da ridere? Lo irritava, ma non riusciva a non pensare a quanto fosse forte, divertente e... bello. Era proprio bello, si disse, ecco perché Valeryn lo aveva lasciato. E non che avesse dubbi sulla sua di bellezza, ma Vittorio forse era migliore. 
E non lo aveva considerato. Non lo stava considerando e gli bruciava. Strinse un pugno e decise di essere pungente. 
«Dormito bene, Valeryn?» si rivolse alla ragazza, cercando di essere più dolce possibile. Non ci riuscì tanto, perché il tono falso di voce lo tradì. 
Quella, stupita che le si fosse rivolta la parola, boccheggiò: 
«Oh... Sì, grazie...» 
Il biondo e la castana si guardarono fissi negli occhi, prima che le allegre battutine di Censeo e Vittorio li destassero. 
«Ragazzi, oggi è una bomba! Me la sento!» Censeo batteva le mani «Non mi caricavo così da un vita, ormai!» 
«So cosa ti manca, Cens» lo prese in giro Alex «E’ una ragazza che ti manca. Guarda come ti caricheresti ogni giorno» 
Vittorio gli diede il cinque e poi si rivolse a Valeryn dandole un bacio sulla guancia. Lei gli sorrise un po’ imbarazzata. Elia, osservandoli infastidito, fece una smorfia. 
Vittorio sembrava così felice senza di lui, adesso che stavano insieme sembrava non volesse altro. 
Nemmeno il suo migliore amico. 
«Già, Alex ha ragione» se ne uscì «Sempre che qualcuno dei tuoi amici non faccia lo stronzo» detto questo, fece un sorrisino falso a Vittorio e si allontanò da Daniel. 
Il ragazzo e gli altri due si guardarono. Alex sospirò e gli diede una pacca sulla schiena. L’allegria di Vittorio sfumò e si morse il labbro. Lanciò uno sguardo a Valeryn che gli fece cenno di lasciar perdere, di non prendersela. In fondo il biondo aveva tutte le ragioni per comportarsi così. 
Dopo qualche minuto, dopo saluti e cose varie, i professori fecero l’appello e tutti gli alunni delle classi in questione salirono sui due pullman. Fortunatamente, le classi del terzo e quarto capitarono assieme e fu un casino. 
«Ragazzi, non fate i ciuchini!» diceva il prof d’inglese, che accompagnava la classe di Valeryn «Tanto le casse che avete portato non funzioneranno a lungo!» 
Daniel si alzò urlando: 
«Facciamo corna! Lei l’ha detto, prof, e lei se lo tiene! Noi per ora, lei per sempre!» fece corna con le dita, accigliato, mentre gli altri si lamentarono. 
Ignorando il prof iettatore, misero canzoni da discoteca fastidiose, tanto che le ragazze, sedute davanti a loro - si erano perfino accaparrati gli ultimi posti! - si tapparono le orecchie, irritate. 
«Sono solo le otto di mattina!» si lamentò Conny, mentre il pullman partiva «Io ho portato il cuscino per dormire!» 
«E dormi!» la rimbeccò Carmine. 
«Ragazzi, alzate il volume!» aveva detto subito Daniel, alzandolo per l’appunto «Alla babba di Conny dà fastidio! Giubilo!» 
Ma beccandosi un’occhiataccia da Censeo e una strigliata dai prof per il troppo rumore, fu costretto ad abbassarlo immediatamente. 
«Dannati cavernicoli» strinse i denti. 
Conny gli fece la linguaccia e volse lo sguardo verso Censeo, che le strizzò un occhio. 
Valeryn fece una smorfia non appena rimisero la musica, ognuno esibendo strani gesti con le mani. Sembravano degli idioti e lei aveva sonno e mal di testa! 
«Chiudete quella cosa! Gli altri vogliono riposarsi!» 
«Eddai, Vale!» la pregò Alex, alzando gli occhi al cielo «Non pigolare sempre!» 
«Già, sei peggio di un corvo!» si aggiunse, naturalmente, Daniel, scambiandosi un cinque con tutti. Arrivato da Vittorio venne ammonito con uno sguardo che diceva soltanto una cosa: chiedile scusa. 
«Ehm, okay... Vitto, tranquillo, le chiedo perdono. La imploro!» 
«Bravo, così mi piaci» 
Nel frattempo, il volume si era ridotto al minimo per le lamentele delle ragazze, degli altri alunni e dei prof. I ragazzi avevano sbuffato. Elia, che era avanti, li raggiunse sedendosi da solo, e portandosi all’orecchie le cuffiette dell’ipod. 
Era proprio dietro Valeryn; a lei questo creava abbastanza imbarazzo, ma non disse nulla. 
«Io mi siedo con mio compare Elia il mitico» disse Daniel, che era un gran leccapiedi. In verità appoggiava Elia in tutto e per tutto e stava contro Vittorio. 
«Dan, vattene, voglio dormire» rispose quello, irritato. 
«Ma caro, io ti voglio bene» 
«Anche io, ma adesso non rompere» lo ammonì, voltandosi da un lato e perdendosi nella musica. 
Daniel stava per aggiungere qualcos'altro, ma Censeo, il più saggio, fece di “no” con la testa. Era evidente che stava male per qualcosa che loro sapevano bene. 
I ragazzi si mandarono occhiatine preoccupate e Vittorio si sentì in colpa come non mai. Guardò dapprima Elia, che fissava fuori dal finestrino, e poi incrociò lo sguardo di Valeryn. Si sentiva in colpa almeno quanto lui. 
Daniel, eseguendo gli ordini del ragazzo, ritornò dagli altri. Accigliato e deciso a vendicare il biondo, si posizionò di fronte al castano con aria di sfida. 
«Ebbene?» bisbigliò per non farsi sentire da lui e le ragazze «Sei contento?!» 
Vittorio alzò lo sguardo, guardandolo strano. 
«Contento di che?» 
«Di aver ridotto Elia in questo modo. Ed era anche il tuo migliore amico!» 
Lui cambiò espressione e si ammutolì. Non era affatto contento, anzi voleva gettarsi giù da quel pullman per quanto si sentiva colpevole. Non avrebbe mai voluto fargli del male. 
«Non era mia intenzione» disse incerto. 
Daniel aggrottò entrambe le sopracciglia. 
«Ah no? Trattarlo come si trattano gli estranei? Ma bravo, ti meriti un applauso!» sussurrò, battendo poi le mani. Valeryn lo guardò sospettosa e lui le fece una boccaccia. 
Il castano guardò a sua volta fuori dal finestrino con rammarico. Aveva ragione, si meritava un applauso per quanto aveva fatto schifo. Ma seppur volesse chiarire una volta per tutte con Elia, qualcosa lo bloccava. Forse era la paura che lui lo avrebbe allontanato di nuovo, che non volesse averci più niente a che fare. 
«Lui... Lui non ha bisogno di me» mormorò, cercando di apparire convinto. 
Il ragazzo con i capelli a caschetto grugnì alzando gli occhi al cielo, come se avesse detto la stronzata più colossale del mondo. 
«Questo non è vero. Ha bisogno di te, anche se di quanto è incazzato ti sparerebbe con un mitra di alta potenza e sinceramente lo aiuterei!» 
«Basta, Daniel!» lo ammonì Censeo, che aveva sentito tutto. 
«Censeo, fatti i fatti tuoi, okay?!» si voltò accigliato e riprese a parlare con Vittorio a bassa voce: 
«Tu non sai quello che sta provando. Non lo capisci, Vitto, perché ti viene difficile. Adesso stai con quella pazza e sei felice così! Ma non dimenticare gli amici! Non dimenticare che Elia ti è stato vicino in momenti che a dirti la verità, io me ne sono fregato altamente di te» poi si passò una mano tra i capelli, imbarazzato «Ehm, più che altro perché ero troppo all’altezza e non volevo strafare... E tu? Tu l’hai trattato in questo modo! Dovresti solo vergognarti 
Sentendosi dire in quel modo, Vittorio alzò gli occhi stupito. Non riuscì nemmeno a rispondergli perché Daniel aveva ragione. Nonostante avesse un modo troppo brusco nel dire le cose, aveva detto la verità e lo aveva colpito. 
Daniel gli aveva sbattuto in faccia la realtà, e aveva ragione, doveva vergognarsi. 
Doveva vergognarsi del fatto che non aveva pensato ad Elia, del fatto che continuava ad evitarlo, del fatto che aveva pensato che Valeryn era più importante di lui. Si mangiucchiò un’unghia, mentre gli altri cominciavano a fare chiasso di nuovo. 
Tutto quello lo aveva sempre pensato, ma era rimasto sotterrato lontano dalla sua coscienza perché non aveva avuto il coraggio di affrontarlo. 
Era vero. 
Erano amici. 
Ma probabilmente lui l’aveva dimenticato. 
Gettò uno sguardo ad Elia, che aveva ancora gli occhi chiusi. Gli venne da piegare le labbra in un sorriso. Era bello, era sempre stato bello. Anche dentro. 
Non voleva perderlo. D’un tratto questa consapevolezza lo pervase. Non poteva più indugiare, lo aveva fatto per troppo tempo. 
Doveva parlare con lui. 
  
  
  
  
  
  
  
Arrivati la sera stessa, approdarono in un albergo a quattro stelle, "Le Idi". 
I ragazzi entrarono in hotel mezzi morti di sonno, caricandosi dietro le valigie. Sara teneva in mano una valigetta rosa shocking nella quale, si presumeva, avesse portato cibarie varie per un inaspettato pigiama party tra amiche. Purtroppo dal lungo viaggio le caramelle si erano tutte squagliate. 
«Questo albergo è spettacolare!» aveva detto Daniel ad alta voce, entrando «Sento già di amarlo!» 
«Perrone, abbassa la voce! Non siamo allo stadio, eh!» lo rimbeccò il prof, passando di lì. Il castano gli gettò uno sguardo d’ astio e si rivolse ai suoi amici che lo seguivano dietro. 
«Che ne pensate?» chiese loro «Non è un amore 
La maggior parte fece una piccola smorfietta, mentre Valeryn si guardava in giro. Sinceramente non ci vedeva nulla di speciale, ma se Daniel la metteva in quel modo... 
Gli alunni del liceo e industriale si fermarono all’ingresso e i rispettivi professori accompagnatori fecero un veloce appello e chiarimento sulle camere. 
«Peccato che non siamo insieme, sarebbe stato stupendo» bisbigliò Vittorio all’orecchio della castana. 
«Sì, ma tu verrai sempre in camera mia a farmi visita, lo sai, no?» 
Lui sorrise, stringendole la mano. Certo che sì, non l’avrebbe lasciata da sola nemmeno un’ora. 
«Un attimo, fermi voi!» urlava un professore dell’industriale alla sua classe «Dobbiamo fare l’appello, ci sentite?» 
«Suvvia prof, sappiamo chi siamo!» obbiettò Lele, sbucando da dietro un ragazzo abbastanza grasso. 
«Salemme, stai zitto, per favore» si lisciò i baffi il professor Longo, docente di matematica «Dunque... tu con tu... tu con tu... e tu con tu» indicò alcuni senza nominarli. 
Questi salirono in ascensore insieme ad alcuni del liceo, mentre il prof continuava a chiamare altri. 
«Guarda quell’idiota del prof come assomiglia ad una foca!» commentò Carmine, dietro Vittorio, facendolo ridere. 
Dopo si concentrò su Elia e Daniel, che erano stati appena chiamati dal loro prof, e stavano raggiungendo l’ascensore. Il biondo aveva l’aria stufata e camminava svogliatamente. Vittorio strinse le labbra fino a quando non li vide più. 
Nel frattempo, Carmine aveva adocchiato Angelina che stava salendo a sua volta insieme alle sue compagne. La chiamò tentando di salutarla, ma lei non lo vide. Cercò di agitare le mani per farsi riconoscere, così Longo lo interruppe. 
«De Donà, cosa stai facendo? Ballerai domani sera in discoteca, non c’è bisogno che ti sbracci ora!» alcuni ridacchiarono, mentre Carmine arrossiva. 
Angelina si accorse appena in tempo di lui, ma le porte dell’ascensore si chiusero all’improvviso. Il ragazzo sospirò. 
«Bene, De Donà. Tu in stanza con Neri» Alex annuì senza alzare lo sguardo dal cellulare con il quale, si presumeva, stesse massaggiando con Miriel che, facendo parte di un’altra scuola ed abitando in un paesino distante, non era lì con loro «insieme a voi si aggiungono questi due che ho davanti... Uhm, dimentico sempre i nomi» 
I malcapitati ripeterono i loro cognomi e, dopo che Carmine bisbigliò un “proprio lo odio questo fantoccio!”, si accinsero ad entrare in ascensore. 
Valeryn, dal suo canto, si mise a sbuffare, visto che non arrivava mai il suo turno. Aveva Maia agguantata al braccio, Conny sbadigliava alla sua sinistra e la stupida di Sara provava ad attaccare bottone con qualcuno del secondo anno. Si rivolse a suo cugino, che stava controllando l’orario sul cellulare. 
«Non vedo l’ora di fare una doccia! E sicuramente non riuscirò nemmeno a lavarmi i capelli, maledizione!» 
Lui ghignò. 
«Oh mio Dio! Sta’ attenta a non morire!» 
«Non prendermi in giro, o ti strappo la maglia a morsi!» si rivolse leggermente accigliata. Ma nel suo tono si notava chiaramente un pizzico di malizia. 
Vittorio le lanciò uno sguardo ammiccante. 
«In tal caso te lo lascerò fare» 
Valeryn non riuscì a trattenere il sorriso, ma nello stesso tempo gli mollò una gomitata. Sapeva che Vittorio si era legato al dito la storia delle ripetizioni di matematica e non avevano più avuto occasioni per rimanere da soli. Lui voleva trovare l’occasione giusta. E in fin dei conti la voleva trovare anche lei. 
«Conny, hai sonno?» chiese Censeo a questa, d’un tratto, superando la timidezza. Lei si fermò un attimo con la bocca aperta. Oh no, stava sbadigliando davanti al ragazzo che le piaceva! 
«Ehm... ecco... Un po'» ammise. 
«Quindi niente discoteca oggi?» 
«Ehm, perché no? Tanto mi risveglio subito, io!» rise nervosamente, mentre Censeo si passava una mano sulla fronte. Ma quanto era buffa?! 
Il professore di matematica li adocchiò parlare insieme alle due ragazze con un cipiglio. 
«Allora, voi due? Bellè Trepadi, marsch! Insieme a Salemme Verza 
Lele, eccitato, afferrò Vittorio da un braccio, mentre il Verza in questione - un simpatico ragazzo ben messo di nome Rocco - spinse Censeo in avanti, facendolo quasi precipitare per terra sopra una valigia incustodita. 
«Dì, sei matto?!» 
«Eddai, Cens, che ti sei divertito!» 
«Mamma mia, guarda come rido!» esclamò il biondino sarcasticamente. 
Lele aveva preso il castano da un braccio e lo trascinava verso l’ascensore. Vittorio tentava di dimenarsi. 
«Lele, pietà, mollami! Non me l’ hai fatta nemmeno salutare!» esclamò guardando Valeryn in lontananza che lo osservava con il broncio. 
«Te la dovevi sbaciucchiare? Vi vedrete tra nemmeno un’ ora 
I due salirono in ascensore seguiti da Censeo e Rocco. 
«Ma lo sai che un’ora passa piano!» 
«Ma va’, Vitto, ti senti quando parli?!» esclamò stupito Lele rivolgendosi a Censeo «Cens, ma che ha questo?» 
«E’ innamorato» rispose quello, ridendo, facendo imbarazzare il castano. 
«Sei fottuto, amico. E adesso chi ti ripiglia più?» 
Risero come scemi, mentre Rocco si fermò di colpo esclamando: 
«Comunque in doccia ci sono prima io!» 
Uscì correndo dall’ ascensore con la valigia appresso. 
«Tanto non c’hai la chiave, idiota! N'do vai!» gli urlò dietro Lele, poi tirò fuori la chiave della camera 201 e aprì. 
Nello stesso momento, al piano inferiore, il prof d’inglese aveva finito con la sua classe e le ultime ad essere chiamate furono proprio loro. 
«Savelli, Panicucci, Fari e Calvarano, avete la 207. Mi raccomando dite agli altri di non fare casino o li scanno!» 
Conny rise non capendo in realtà cosa aveva detto, mentre Sara prendeva la chiave facendo un sorrisino finto. Era ora che si spicciasse! Dovevano ancora lavarsi ed erano stanche morte. 
Entrarono in ascensore consapevoli di essere le ultime. Maia era ancora attaccata a Valeryn, alla quale pesavano le palpebre dalla stanchezza. 
Non voleva andare a dormire presto la prima sera! Voleva vedere Vitto, voleva stare assieme a lui. Arrivarono nel corridoio del piano superiore e fortunatamente Maia si staccò da lei, permettendole di stiracchiarsi. Rimase indietro un po’ e scosse il capo. Perché le si chiudevano gli occhi? Non vedeva neanche dove stava per sbattere la testa. 
«AHI!» esclamò dopo aver capito di essere finita addosso a qualcuno «Stai attento a dove... oh!» 
Era Elia. Biondo, bello, con le mani in tasca, lì davanti a lei. Si sentì nel più assoluto impaccio. Lui, dal suo canto, la guardò bieco e poi le rivolse la parola. 
«Sei rimasta indietro?» 
«Sì» fece portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio «Ho avuto un capogiro, scusami» 
«Fa' niente» ci fu un secondo di silenzio imbarazzante «Comunque ti consiglio di andar a riposare, stai uno straccio» fece per andarsene ma lei, non seppe come mai, lo trattenne. 
A quella presa, il ragazzo spostò lo sguardo sulla mano delicata che stringeva il suo braccio. Doveva dirgli qualcosa? Neppure Valeryn lo sapeva. Per un momento ebbe come l’istinto di volergli chiedere scusa. Ma naturalmente si bloccò, dicendo: 
«Dove... dove vai?» 
«Sotto. Daniel ha dimenticato la valigia e voglio farmi un giro» 
«Ah. Va bene. Allora a dopo» fece a bassa voce, con lo sguardo fisso sul pavimento. 
Lui la guardò intensamente, scotendo la testa. Poi scese le scale senza aggiungere altro. 
La castana sopirò, portandosi una mano sulla fronte. Le vene pulsavano, stava sudando freddo. Doveva andare urgentemente in bagno a fare una doccia fredda, congelata, per levarsi di dosso quei sensi di colpa. 
Si promise di parlarne con Vittorio la sera stessa, se solo avrebbe avuto la forza di scendere giù a mangiare. Avrebbero preso una decisione. Giusto o sbagliato, non potevano continuare ad ignorare Elia ancora per molto. 
  
  
  
  
  
  
«Non capisco!» aveva obbiettato Maia, non appena vide Sara e Daniel sedersi entrambi al tavolo dove il biondo e Alex avevano preso posto «Perché dobbiamo mangiare separati? Cosa salta in mente a quelli?» 
Carmine, sedendosi vicino a lei, scosse la testa. 
«Non sai che per adesso il gruppo sta diviso a metà? Daniel e Alex sono con Elia. Per non parlare di Sara che segue il suo amato dovunque la porti» fece una piccola smorfia. 
«Sto incominciando a stufarmi di questa storia!» esclamò la riccia. 
«E che ci vuoi fare, Mari?» s’intromise Censeo che era appena arrivato insieme a Conny, la quale aveva ancora i capelli bagnati. 
«Figurati se possiamo intrometterci nelle loro cose» 
Si sedettero, gettando tutti e quattro un’occhiata al tavolo lontano da loro. Daniel li notò e fece loro una boccaccia esemplare. Alzarono gli occhi al cielo. 
«Patetico!» commentò Maia, schifata. Quel ragazzo sapeva essere di un milione di facce e non solo; era completamente convinto di quello che faceva e diceva. 
«Chi è patetico?» chiese Vittorio, arrivando alle loro spalle. Accanto a lui c’era Valeryn che si teneva la testa e sembrava essere abbastanza spossata. I due, si accorsero gli amici, erano presi per mano. 
«Oh, nessuno, scherzavamo» disse velocemente la riccia, mentre Carmine sorrideva in segno che era tutto apposto. 
«Eh già» annuì il moro. 
Non potevano intromettersi, ma dovevano almeno cercare di non peggiorare le cose tra i loro amici. Fecero finta di niente, evitando un’ennesimo dispiacere alla coppia che aveva preso posto al tavolo. 
Censeo squadrava la castana. 
«Vale, stai bene?» 
Lei negò col capo. 
«Non tanto... Ma è tutto apposto» 
«Anche a me fa un po’ male la testa. Il viaggio è stato lungo» 
Valeryn annuì, volgendo lo sguardo a Vittorio che le accarezzava una mano. 
«Devo preoccuparmi?» le chiese. 
«No, tranquillo. Sto bene» 
«Sicura?» 
Si guardarono. No, in realtà non stava bene. Ma non solo per il capogiro; stava male per Elia, e averlo incontrato prima non aveva certo migliorato il suo umore. Di nascosto, fece segno al cugino che dopo avrebbero parlato. 
«Riguarda noi?» le bisbigliò all’ orecchio, lasciandole un leggero bacio sul collo, attirando così l’attenzione dei quattro presenti. 
«In un certo senso sì» 
Prese il menù dell’ albergo e fece finta di dare un’occhiata, mentre Vittorio si passava una mano tra i capelli. 
«Va bene. Perché devo dirti una cosa anch’io» 
I camerieri servirono delle pennette al sugo, nel frattempo, e Daniel aveva fatto rovesciare il pomodoro sopra i pantaloni di una Sara urlante. 
«Ma che cavolo fai?! Sei stupido? Li avevo appena messi!» 
«Scusa piccolina, pare che l’ho fatto apposta» si difese. 
«Eccome, stupido bugiardo!» 
«Bugiardo no!» e sbatté un pugno sul tavolo per fare scena, dato che alcuni si erano girati a guardarli 
«Sta’ zitta, donna! Non costringermi ad utilizzare le maniere forti!» fece il gradasso, toccandosi il petto. 
La bionda, arrabbiata e indignata, si alzò mollandogli un ceffone in pieno viso. 
«Eccoti servito!» e abbandonò la sala sotto lo sguardo perplesso dei camerieri, professori e ragazzi. 
Censeo e Carmine risero, Conny sogghignava sotto i baffi e Maia sbatteva la testa. Lo diceva che quello era un coglione. Infatti Daniel, dopo essere rimasto attonito per alcuni secondi, si rivolse ai commensali furioso: 
«Che cosa avete da guardare, pergole?! Nessuno di voi passa i cosiddetti problemi di coppia? Ah? Oppure vi cornificate tutti a vicenda?!» e rivolgendosi a Sara che ormai era fuori dalla sala: 
«Pasticcino mio, aspettami! Non volevo dirti così!» così dicendo la seguì. 
Vittorio rise a ruota, pensando a quanto Daniel aveva ancora da imparare e imparare. Più infantile e stupido di così non poteva essere! Eppure la mattina stessa, in pullman, gli era sembrato davvero serio quando aveva fatto quel discorso su Elia e l’amicizia. 
Spostò lo sguardo sopra il biondo, che sembrava indifferente alla scena di poco prima. Lo osservò riempirsi un bicchiere d’acqua e bere tutt’ad un sorso. Era veramente un bel ragazzo, chissà se Valeryn avrebbe cambiato idea e l’avrebbe lasciato per tornare con lui... 
No, che andava a pensare? La loro storia era finita, si disse. Era finita per colpa sua. Daniel aveva ragione. Lo aveva ridotto male. Quando Elia stava con lui aveva sempre il sorriso stampato in faccia. Era un ragazzo divertente, pungente e loro due insieme andavano alla grande... 
Sospirò. Dov’era quella famigerata forza dell’amicizia di cui parlavano tutti? Aveva fatto in modo che sparisse. Lui si stava comportando da vigliacco ed Elia da orgoglioso. 
Però adesso che lo guardava sentiva più che mai la voglia di alzarsi da quel tavolo e andare da lui. 
Forse quella forza non era del tutto svanita. 
L'altro si voltò proprio in quel momento. Gli sguardi dei due migliori amici si incontrarono. Vittorio sentì una fitta che gli partì dallo stomaco e gli salì al cuore. Il biondo non distolse lo sguardo, si passò la lingua sulle labbra e poi scosse la testa da un lato. Smise di guardarlo. 
Il castano rilasciò tutta l’aria trattenuta e abbassò lo sguardo sulla tavola. 
Valeryn li guardò di sottecchi. Notò come Vittorio era diventato irrequieto e anche Elia si era portato una mano alle tempie. Ecco, era in quei momenti che si sentiva una lurida troietta incapace di sistemare le cose. 
«Ehi, ragazzi mi raccomando! Non andate a dormire tardi perché domani faremo un giretto in città di buon’ora!» esclamò pimpante il prof d’inglese, passando di lì. 
«La signorina Calvarano è ancora con Perrone?» 
«Sì prof, saranno a fare placa placa» rispose Conny, noncurante. 
Censeo rise, gli altri la guardarono strano e il prof fece una faccia interrogativa. 
«Quel Perrone è proprio un ciuco nel vero senso della parola!» commentò subito dopo.





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Capitolo 18
*** Più di ogni altra cosa ***


Girarono la città per un’intera mattinata. Il sole splendeva alto nel cielo e il leggero venticello era piacevole sulla pelle. I professori avevano ingaggiato una guida turistica che spiegasse le caratteristiche a quei pochi attenti alunni riguardanti alcuni monumenti e palazzi storici. 
Valeryn era abbastanza stanca di tutto quel via vai. Non amava camminare per ore e quasi preferiva rintanarsi nel pullman e stare con i piedi appoggiati sul sedile. 
Sventolandosi un po', si alzò i capelli ondulati in una coda di cavallo sentendo il vento leggero sul collo. Non aveva dormito che due ore soltanto quella notte. Le ragazze erano rimaste sveglie a fumare di nascosto, insieme ai maschi. Lei era scesa con loro, si erano seduti a bordo piscina chiacchierando, fumando e bevendo birra - Daniel aveva esagerato pesantemente - ma poi avevano sentito le voci dei prof nell’ombra, e allora c’era stata una lotta per la sopravvivenza.  
Tutti erano fuggiti via nel buio, alcuni nascondendosi dietro le sedie a sdraio. Poco dopo però, Censeo li aveva messi al corrente dello stato dei professori, che a quanto pareva ci erano andati giù di brutto. 
Il prof d’inglese della classe di Valeryn e quello di matematica erano sbronzi e si erano tuffati in piscina completamente vestiti. Allora tutti erano usciti fuori dai loro nascondigli, ridendo. Daniel, però, suo solito, aveva messo un piede per fallo sopra il pavimento bagnato ed era scivolato di schiena urlando dal dolore. Sara e gli altri lo avevano soccorso, ma per quanto ululava, - calcolando che era anche brillo - Vittorio gli aveva ficcato una bottiglia vuota di birra in bocca e lui si era subito zittito. Se li avessero scoperti gli altri professori sarebbero stati guai, dato che erano scesi senza permesso! 
Comunque, alla fine di tutto, la castana e le amiche erano andate a dormire tardissimo. Non era il massimo addormentarsi alle cinque di mattina e svegliarsi due ore dopo! Proprio no. E dire che lei era già stanca. Adesso più di prima. 
Inoltre era rimasta sveglia pensando a Elia e Vittorio, la loro amicizia andata in pezzi e il dolore che stavano procurando al biondo in quel momento. Purtroppo non era riuscita a parlarne ancora con Vitto. Doveva farlo. 
Beh, l’unica cosa soddisfacente era che Censeo e Conny sembravano essersi dati una mossa, visto che la sera prima ridevano e scherzavano insieme come mai prima d’ora. 
«Ecco il ristorante. Com’è che si chiama, collega Longo?» il docente d’inglese, si rivolse all’uomo che prima di rispondere si lisciò i baffi. 
Carmine e Vittorio, trovandosi lì vicino, alzarono gli occhi al cielo infastiditi. Non stava loro tanto simpatico, inoltre aveva la griglia dei voti più bassi della scuola. 
«"Da Giulio Cesare", collega Otello» disse «E' un posto spettacolare» 
Lele lo indicò, ridendo. 
«Fare il bagno all’una di notte è spettacolare, invece!» 
Longo si girò fulminandolo con lo sguardo. 
«Salemme, stai zitto! Se volevi contribuire al bagnetto notturno potevi benissimo dirlo, ti avremmo fatto venire» 
Lele si ammutolì, mentre Vittorio gli menò una pacca sulla schiena per incoraggiarlo. 
«Dai che alla fine dell’anno ti regalerà un quattro!» 
«Mannaggia, oh!» 
Entrarono affamati come uno sciame di api, mentre i camerieri e le altre persone li guardavano perplessi. Si accavallarono nei posti liberi e incominciarono a parlare tra di loro ignorando i commenti degli insegnanti che intimavano loro silenzio. 
«Zitti o vi trucido!» aveva urlato Longo, in cima ad una crisi isterica alzando un coltello per aria. 
Conny, spaventata, cadde dalla sedia. 
«Ah, la babba è cascata come un salame!» la derise Daniel, indicandola. 
Subito i camerieri arrivarono con le pietanze. Evidentemente volevano togliersi tutti dalle scatole, dato che avevano incominciato a fare chiasso e disturbare gli altri clienti. 
Valeryn e le ragazze si sedettero insieme. Maia le si appostò accanto come sempre, mentre lei dava un’occhiata al suo cellulare trovandoci un messaggio di Miriel. 
  
Miri: “Vi amo. Mi mancate moltissimo” 
  
“Anche a noi manchi da morire!” 
  
Miri: “Lo so, me l’ha detto Alex.” 
  
“Scema! Tanto non ti portiamo nessun regalo” 
  
Miri: “Alex me lo porta. Ha detto che scoterà mari e monti per trovarlo.” 
  
“Non lo troverà.” 
  
Miri: “Fanculo! Comunque, tutto bene tu?” 
  
“Certo che sì... A parte qualche giramento di testa. Perché?” 
  
Miri: “Così... A proposito... Con Vitto cos’è successo di nuovo?” 
  
Valeryn gettò uno sguardo al ragazzo che avanzava verso di lei. 
  
“Niente, è tutto okay. Perché me lo chiedi?!” 
  
Lui arrivò da dietro scoccandole un bacio sulla guancia e sedendosi alla sua destra. 
«Con chi messaggi?» le chiese. 
Lei scosse la testa. 
«Dai, chi è?» fece per vedere «Guarda che sono geloso!» 
Lei sorrise facendo un sorrisino malizioso. 
«E se ti dicessi che è il mio ex di due anni fa?» 
Il castano fece una faccia indecifrabile, inarcando le sopraciglia. 
«Veramente?! Chi è questo, fa' vedere!» le afferrò il Nokia rosa dalle mani, mentre lei cercava di riprenderselo. 
Lesse il testo. 
«Ma dai, il tuo ex si chiama “Miri tattt?» gli chiese scettico. 
«Cosa ne sai tu?» lei si riprese il telefono, facendo finta di essersi arrabbiata «Miri potrebbe stare per... Miriolo» 
«Sì, amore, smettila adesso» Vittorio le diede un altro bacio, mentre lei arrossiva un poco. 
Era la prima volta che la chiamava amore. 
  
Miri: “Per sapere. Quindi niente placaplaca?” 
 
"Vedremo..." 
  
Nel frattempo, dietro di loro, Elia stava passando di lì con la testa china sul proprio telefono. Non accorgendosi delle sedie sistemate male, inciampò sopra un piede di quella di Valeryn e finì addosso a Vittorio che lo trattenne. Alcuni, notando la scena, risero. Volse lo sguardo sul castano. Si guardarono entrambi, così vicini, le mani di Vittorio che gli stringevano le braccia. Il biondo sentì una fitta che gli partì dallo stomaco e distolse gli occhi, alzandosi lentamente. 
Valeryn gli gettò un’occhiata preoccupata. 
«Tutto apposto? Ti sei fatto male?» 
Elia scosse il capo, facendo cenno che era tutto okay. Poi guardò nuovamente Vittorio. I due si lanciarono uno sguardo carico di tutto, valente mille parole, parole che si erano già detti e parole che forse non si sarebbero detti mai. 
Il ragazzo se ne andò, mentre l'altro sospirava. Valeryn lo esaminò apprensiva. Faceva male anche a lui quella situazione. Sapeva che si mancavano a vicenda, poteva leggerglielo a entrambi negli occhi, anche se cercavano di nasconderlo. Era stata tutta colpa sua e doveva cercare in qualche modo di rimediare. 
«Era di lui che volevi parlarmi?» Vittorio però l’anticipò. 
«Già» rispose lei, mordendosi il labbro. 
«Bene» sussurrò il ragazzo «Perché anch’io» 
Sbuffò, giocherellando con un laccio della felpa, mentre la ragazza pensava a cosa avrebbero dovuto dirgli una volta arrivati in hotel. 
Elia, nel frattempo, li osservava da lontano. 
Non gli aveva detto niente neanche stavolta, quello stronzo. Faceva finta di nulla, come se non fosse affar suo, mentre lui come uno stupido aspettava ancora il momento in cui gli avrebbe parlato. Ma glielo avrebbe fatto vedere lui. Lo guardò con astio. Gli bruciava dentro. Doveva fargliela pagare, doveva vendicarsi. A Vittorio era evidente che non importava di come stava lui, gli importava solo di scoparsi Valeryn. Un pensiero gli passò per la testa e alzò le labbra in un sorrisino. La sua coscienza lo frenò. Era solo pieno di rabbia, rancore e frustrazione. Non avrebbe potuto fare una cosa del genere a loro due. A quella che era stata la sua fidanzata e a quello che riteneva essere il suo migliore amico.  
Ex. 
Ex ragazza, ex migliore amico. 
Sospirò. Il fatto che non smettesse di pensare a Vittorio significava che ancora teneva a lui. 
Più di Valeryn. 
Più di tutto. 
Ma lui non glielo aveva dimostrato e continuava a fare finta di niente. Quello non riusciva a sopportarlo. 
  
  
  
  
  
  
  
Arrivati in albergo verso le tre di pomeriggio, Maia si fiondò subito in bagno senza lasciare campo libero alle altre. 
D’altronde, Conny era stata invitata da Censeo in camera sua, Sara era dal suo amato il quale tentava di scusarsi per l’altra sera e Valeryn stava in stanza ignorando la presenza dell’amica. Insieme a Vittorio. 
I due si sistemarono sopra un letto. Il ragazzo si stiracchiò, mentre Valeryn continuava a massaggiare con Miriel. Il castano le prese il cellulare dalle mani. 
«Ridammelo!» si lamentò. 
«E basta mandare messaggini al tuo ex Miriolo. Lui lo sa che sei impegnata con me?» rise. 
«No, perché infatti non sono impegnata con te, carino!» esclamò Valeryn, accigliata. 
In realtà lo stava facendo per scoprire se realmente Vittorio la considerava la sua ragazza. Lui posò il Nokia di lei sopra il comodino, alzando un sopraciglio. 
«Ah no? Quindi non stiamo insieme?» 
«Non so, vedi tu» La castana alzò le spalle, ma lo guardò con la coda dell’occhio. 
«Allora sì» concluse lui, portandosi le braccia sotto la testa. 
Lei si mise a sedere. 
«Quindi siamo fidanzati?» 
«Sì amore, eccome» 
«Dimostramelo!» esclamò con le braccia conserte. Voleva un bacio. 
Vittorio gettò un’occhiata furtiva al bagno dove era rinchiusa Maia. 
«Con Mari lì dentro? Sei sicura?» 
«Certo, devi solo baciarmi» 
«Ah, solo baciarti?» 
«Sì, che credevi?» lo prese in giro lei. 
Vittorio all’inizio parve leggermente deluso. Era evidente che voleva andare oltre, ma in effetti non potevano con la loro amica nei paraggi. 
«D’accordo, amore» 
«Mi piace quando mi chiami amore» gli sussurrò lei, prima di perdersi in un suo bacio. 
«Amore, amore, amore...» continuò lui, dopo che si staccarono. 
Valeryn sorrise, tirandogli uno schiaffetto. 

 «Scemo! Devi sempre esagerare» 
Lo baciò lei, questa volta, facendosi trascinare sotto di lui che le accarezzava una coscia. Quanto avevano desiderato stare così? Adesso che potevano vivere il loro amore cosa volevano di più? 
Vittorio sapeva cosa voleva, era lei. Solamente lei. Voleva andare oltre, e in realtà anche Valeryn lo desiderava. Purtroppo che non riuscissero a trovare un momento per stare soli! 
«Ehi, non consumatevi!» commentò Maia, uscendo dal bagno. 
I ragazzi si mollarono all’improvviso, imbarazzati. Era quello che intendevano. 
«Non preoccupatevi, me ne vado. Quello che dovevo fare ormai l’ho fatto. No, niente dissenteria, che andate a pensare! Dovevo solo chiamare Steve che a quanto pare è scomparso!» 
La riccia borbottò qualcosa prima di afferrare il cofanetto rosa shoccking di Sara. 
«Questo lo porto con me» disse, mangiando una cioccolata «E’ pVopVio... una... bVontà! AncVhe se è... un pVosqVuagliato» 
I due ragazzi l’osservavano mangiare. Lei sorrise loro, sedendosi sul letto e continuando a gustare le porcherie di Sara. Questi si lanciarono uno sguardo interrogativo. 
«Ehm, Maia?» la richiamò Vittorio grattandosi la testa, dato che non aveva intenzione di alzarsi di lì e loro avevano da fare. 
«Che c’è, ne vuoi un po’?» gli offrì un po’ del suo cioccolato. 
«No, grazie. Se gentilmente potresti uscire» 
Maia spostò lo sguardo dapprima su Valeryn, poi su di lui. Diventò paonazza, tossicchiando. 
«Oh, scusate se ho interrotto questa splendida faville amorosa!» rise a mo’ di scuse «Vado subito via, perdonate il disturbo» ed uscì sbattendosi la porta alle spalle. 
I due si sorrisero e continuarono a baciarsi. Sentirono bussare. 
«Che c’è ancora?!» urlò Vittorio in preda all’esaurimento. 
La mora rientrando nuovamente con un sorrisino falso, afferrò il suo cellulare. 
«Scusatemi di nuovo, ma senza questo Stefano non può chiamarmi. Non che di solito si sprechi a chiamate, ma insomma, nel caso lui volesse chiam- Okay, vi saluto» ed uscì. 
Sospirando, ripresero a baciarsi, mentre, sfortunatamente, qualcuno bussò per la seconda volta. Vittorio cacciò un urlo arrabbiato, mentre Valeryn aveva afferrato un cuscino per lanciarlo addosso al primo che avrebbe varcato quella soglia. Entrò Carmine, parecchio imbarazzato. 
«Eh, ciao, scusate, ha detto Maia se posso prendere il...» 
Il cuscino lo centrò in pieno viso, facendolo barcollare. 
«Così impari a non rompere!» urlò Valeryn, arrabbiata. 
«Già» l’appoggiò Vittorio, coricandosi rassegnato. 
«...il cofanetto rosa barbie di Sara!» continuò il moro, accigliato, afferrandolo «Ehi, io non c’entro un cavolo, ero solamente con Angie che passavo tranquillamente dalla vostra camera! È stata riccioli d’oro a pregarmi di entrare, okay? Per me potete fare tutte le porcate che volete!» 
«Quindi lei ti piace?» chiese la castana, ghignando. 
«Certo che mi piace, per chi mi hai preso?!» sbraitò quello senza accorgersene. 
Ma vedendo il sorrisino soddisfatto di Valeryn, Vittorio che scoteva la testa e fuori dalla porta un’Angelina imbarazzata, divenne tutto rosso e uscì immediatamente dalla stanza. 
«Te la farò pagare, Maia, maledetta!» lo sentirono dire alla riccia, prima di andarsene. 
E stavolta se ne andarono per davvero. I due si abbandonarono alle risate. 
«Ce la faremo a stare un po’ da soli?» le sussurrò il castano all’orecchio. 
Lei socchiuse gli occhi, sospirando. 
«Non so» si mise a cavalcioni su di lui «Temo sia impossibile» 
Gli passò una mano tra i capelli, baciandolo. Lui la circondò con le sue braccia, pensando che probabilmente negli ultimi giorni di gita non avrebbero potuto fare niente di più. Di ciò che intendeva lui, naturalmente. 
Dopo che si abbracciarono, baciarono ancora e cose varie, Valeryn improvvisamente si destò. Le venne in mente l’immagine di Elia che inciampava sopra Vittorio e quello sguardo. Avrebbero dovuto parlare. 
«Vitto, per quanto riguarda il fatto che sappiamo noi...» incominciò. 
Lui annuì, mettendosi a sedere. 
«Elia...» mormorò 
«Già. Insomma, non so come comportarmi. Mi dispiace vederlo in questo modo. È pur sempre una persona a cui voglio bene, e anche tu gliene vuoi» 
Vittorio scosse leggermente la testa. Elia ce l’aveva a morte con lui. 
«Lui non la pensa esattamente così» 
Valeryn alzò gli occhi al cielo. 
«Tu che avresti fatto al suo posto?» gli chiese piccata. 
Il castano si passò una mano sulla fronte. Ci sarebbe stato male, perché era ovvio, da Elia non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. Era stato veramente uno stronzo nei suoi confronti. Si meritava un pugno in faccia, anzi, lo avrebbe preferito a quella situazione. 
«Lui ha ragione. Però sappi che se gli ho fatto questo...» Valeryn alzò la testa, curiosa «è perché mi piaci davvero... Altrimenti non gli avrei mai fatto una cosa del genere... so che non ho scusanti, però... stavo impazzendo» alzò lo sguardo su di lei e vide che lo guardava con amore. 
«Sì, ma non è stata solo opera tua. Sono io che in fin dei conti ho scelto» disse la ragazza. 
Lui era ben poco convinto, ma non disse nulla. 
«Deve farsene una ragione. Non può continuare ad avercela con te. E’ tutto inutile! Per questo credo che dovremmo parlarne con lui, spiegargli chiaramente ogni cosa, scusarci e tentare di salvare la vostra amicizia. E anche quella di tutto il gruppo, perché si vede chiaramente che stiamo divisi a metà» 
Valeryn sembrava risoluta. Lui non credeva che sarebbe stato semplice. Elia gliel’avrebbe fatta pagare in qualche modo, perché lui era così. Non credeva affatto che con due parole lo avrebbe perdonato. E aveva perfino timore ad affrontarlo, perché si aspettava di vedersi sbattere una porta in faccia. Ma se Valeryn era sicura di quello che diceva, allora andava bene. Si fidava di lei. 
«Sei d’accordo, allora? Non ce la faccio più a vedervi divisi, mi sento in colpa come non mai. Mi sento una... una... troia» 
Si morse il labbro inferiore, mentre Vittorio faceva una faccia perplessa. 
«Una troia? Cosa dici, Valeryn! Se lo hai lasciato perché non lo ami più che colpa ne hai?» la rimproverò. 
«Ma mi sento colpevole di avervi fatto litigare!» sospirò lei. 
Vittorio scosse la testa. Non sapeva fino a che punto Valeryn c’entrasse nella questione. 
«Tu non sei quel tipo di persona. È una cosa tra me e lui. Io sarei disposto a chiarire, se solo lui lo vorrebbe» 
«Lo faresti?» 
«Non dipende solo da me, lo sai» sbuffò «Lui è testardo e orgoglioso, e sono consapevole che gli verrebbe difficile parlarmi e vederci insieme. Però se noi due» si passò una mano tra i capelli, sospirando «gli spieghiamo chiaramente quello che proviamo, allora potrebbe fare uno sforzo in più per capire» 
Valeryn gli sorrise, radiosa. 
«Spero di sì. Ma ciò che conta è che recuperiate la vostra amicizia. Non voglio che per colpa mia dobbiate continuare a odiarvi» 
Il castano si alzò dal letto. Lui non odiava Elia, non avrebbe mai potuto odiarlo per nessuna ragione. Sperò che anche per il biondo fosse in quel modo. Ma non lo sapeva. Aveva una brutta sensazione. Forse stava entrando in paranoia. Decise di farlo adesso. Non poteva più aspettare. Si sentiva pronto per farlo. 
«Vado a vedere se vuole parlare» affermò. 
«Lo porti qui?» 
Vittorio si morse il labbro. 
«Se vorrà, naturalmente» 
«E tu digli che lo voglio io» insistette lei, incrociando le braccia. 
Vittorio si abbassò e la baciò sulle labbra. Poi assunse una faccia rassegnata. 
«Con il carisma che ha, minimo mi sbatterà la porta in faccia» 
Scosse la testa, ma lei lo afferrò da una mano appena in tempo. 
«Vitto, guardami» ordinò, mentre lui obbediva «Tu ci tieni veramente a lui?» 
I loro occhi si incrociarono e il ragazzo si perse in quel verde. Teneva talmente tanto a lui che si sentiva sprofondare. 
«Sì che ci tengo. Ci tengo anche se non l’ho dimostrato» abbassò la testa e gli si incrinò la voce. 
«Cerca di stare tranquillo, allora» lo incoraggiò la ragazza. 
«Non gliel’ho dimostrato perché ti...» ebbe come l’istinto irrefrenabile di urlargli “ti amo”, ma si fermò all’ istante. D’ altronde era troppo presto. 
«Beh, lo sai, no? Perché non posso fare a meno di te» 
Si stamparono un altro bacio e lui uscì dalla camera, sentendo il cuore che batteva forte e questa volta non per merito di Valeryn. 
  
  
  
Nello stesso momento, Elia, camminando per il corridoio, sorpassava alcuni ragazzi. 
Non sapeva bene la sua meta, ma dovunque era meglio di Alex e Carmine che non lo lasciavano riposare in santa pace con quelle dannate casse. 
Percorse il corridoio, salutando i conoscenti, tra cui la sua ex ragazza prima di Valeryn, Katia, che agitava la mano con foga. 
Già, Valeryn... 
Aveva in mente una cosa. Sapeva che non era una buona idea, ma sentiva che avrebbe dovuto farlo. Vittorio avrebbe dovuto pagarla. Non gliene fregava un cazzo di lui... dopo tutti quegli anni insieme... Strinse un pugno e si sentì così arrabbiato, così risentito nei confronti del castano che si convinse di farlo. 
Svoltò a sinistra. Diamine, ogni volta si confondeva con tutte quelle camere e quei numeri! Proseguì verso Lele, che stava uscendo dalla sua stanza insieme a Rocco. Nel vederlo, il primo fece una faccia strana. 
«Ohi, Elia, chi si vede!» esclamò, mentre il biondo faceva un cenno con il capo. 
«Qua la mano, bello!» Rocco allungò la sua verso Elia, che la strinse. 
Lele continuò a guardarlo. Dove stava andando? Sembrava troppo strano che circolasse da solo. 
«Dove vai?» chiese. Lui alzò le spalle. 
«Boh, cerco qualcuno» rispose vago. 
«Vittorio?» chiese Rocco, che evidentemente non sapeva o gli sembrava divertente fare battute. Lele gli tirò una gomitata per zittirlo. 
Elia, invece, scosse la testa. 
«No...» sussurrò con un velo di malinconia che l’altro percepì «E voi dove andate?» cambiò subito discorso. 
«A fumarcela, vieni?» esordì Rocco, tutto contento. 
«Ora non mi va» 
Lele assottigliò gli occhi. Strano che non acconsentisse. 
«Eddai, vieni, stiamo scendendo di nascosto!» cercò di convincerlo, magari sarebbe riuscito ad estorcergli qualcosa. 
Lui negò con la testa. 
«No ragazzi, un’altra volta» 
Lele e Rocco si lanciarono un’occhiata stralunata. Nel frattempo, la voce di Vittorio arrivò alle loro spalle. 
Elia lo vide venire verso di essi e fece appena in tempo ad andarsene. 
«Ehi avete visto...?» 
«La regina d’ Inghilterra?!» scherzò Rocco, interrompendolo, cercando di far ridere Lele. Non ci riuscì. 
Dopo che Vittorio gli ebbe gettato uno sguardo scettico, riprese. 
«Avete visto Elia, per caso?» 
«Sì, eccolo. Ma come...?! Elia?! Ma non era qui un attimo fa?» Lele si grattò la testolina incerto se non vedesse i miraggi. 
«Eh beh, s’è svampato, signo’!» Rocco alzò le spalle. 
Il castano li guardava interrogativo. Cosa stavano blaterando? Lo avevano visto o no? 
«Allora? C’era o non c’era?» 
«Stava parlando con noi, ti giuro. Credo se ne sia andato» 
Vittorio sbuffò, scrollando le spalle. 
«Ah» fece, deluso. 
«Perché cerchi proprio lui?» domandò Lele, sospettoso «Non è che vi azzannate un’altra volta?» 
Quello negò con la testa. Rocco non li fece finire di parlare che lo afferrò da un braccio, sorridente. 
«Tu invece vieni a fumartela? Elia non ha voluto» 
Strano che non abbia voluto, pensò il ragazzo. 
«No, devo andare» 
«Cazzo, nemmeno tu!» si lamentò. 
«Lascialo andare, , non fare lo stupido!» Lele gli lanciò un’occhiataccia e si rivolse all’amico. 
«Sarà andato di là, comunque» indicò verso destra «Ehi, attento a quel che fai!» 
Lui annuì e andò via. 
Dove cavolo era finito?! Doveva avere molta fretta se non si era fermato con quei due a fumare. Lo sapeva che non l’avrebbe trovato! Cosa avrebbe detto a Valeryn? 
Elia è scomparso sotto gli occhi degli “attenti” Lele e Rocco. 
Doveva trovarlo. 
  
  
«Ehi, ehi blondoCenseo afferrò Elia da un braccio quando lo vide venire in sua direzione «Dove vai così di corsa?» 
Il ragazzo si fermò a guardarlo. Stava insieme a Conny, erano a braccetto, sorridenti. Lanciò loro uno sguardo strano. 
«Da nessuna parte...» farfugliò. 
Censeo lo guardò dubbioso. 
«Sicuro?» 
«Sì, perché?» 
L’amico alzò le spalle. 
«No, perché stai andando verso la camera di Valeryn, che ne so» 
Elia alzò la testa. Camera di Valeryn? Questo significava che se la fortuna era dalla sua parte, allora il suo piano poteva prendere posizione! 
«Ah, la camera di... E quale sarebbe?» chiese vago. 
Censeo s’insospettì un poco, mentre Conny esordiva: 
«La 207, che è anche la mia!» sorrise. 
Elia le ricambiò il sorrisino. 
«C’è qualcuno con lei? Tipo Maia?» 
«Che io sappia no. È uscita da un pezzo» 
«Perché lo chiedi?» domandò Censeo, guardandolo di sottecchi. Cosa voleva combinare? 
Il biondo si smentì con bravura. 
«No, che vai a pensare. Volevo Maia. Io sto andando da Lele e Rocco a fumare» 
Il biondino parve non crederci, ma poi annuì. Forse diceva la verità. 
«Ci vediamo» Fece finta di incamminarsi e sorpassare la 207. 
Censeo si voltò per guardarlo, ma Conny lo trascinò senza dargli il tempo di accorgersi che si era appena posizionato davanti la porta della castana. 
  
  
Valeryn, intanto, si stava sistemando i capelli davanti allo specchio. Era sicura che Vitto sarebbe tornato con Elia. Non sicura al cento per cento, ma ci sperava. Avrebbe tanto voluto fare pace! 
Prese i trucchi e incominciò a truccarsi gi occhi. Il rumore che la destò fu il bussare della porta. Si precipitò ad aprire, pensando al ritorno positivo del castano. 
«Elia» scorse sulla soglia della porta, ma di Vittorio neanche l’ombra. 
«Ehm, sì» fece lui, schiarendosi la voce «Posso entrare?» 
Lei acconsentì un po’ titubante. 
«Eh sì, vieni. Ma per caso hai incontrato Vittorio, no?» 
Lui negò con la testa, mentre si sedeva sul letto. Valeryn chiuse la porta del bagno, parandosi davanti. Ma dov’era finito Vittorio? Non l’aveva portato lui lì? Ciò significava che era venuto da solo. Forse voleva chiarire a sua volta. 
Si osservarono per qualche secondo. Tutti i momenti passati insieme invasero la testa del ragazzo, che si passò una mano tra i capelli. Era sempre molto bella, Valeryn. 
«Avevo bisogno di parlarti» disse d’un tratto. 
Lei alzò lo sguardo, speranzosa. 
«Sì, anch’io. Se vuoi incomincia tu» 
Si sedette di fronte a lui, preparandosi ad ascoltarlo. Elia, però, si alzò posizionandosi di fronte allo specchio attaccato all’armadio. Non gli piaceva parlare seduto. La castana lo guardò. 
«Non so da dove incominciare al dire il vero, però cercherò di essere sbrigativo» sussurrò. 
«Dimmi» lo incitò lei, sentendosi nervosa. 
Perché Vittorio non arrivava? 
Elia sospirò e la guardò dallo specchio. 
«Sono rimasto molto deluso dal vostro comportamento. Credevo avreste avuto il coraggio perlomeno di dirmelo in faccia che agire di nascosto. Ma evidentemente vi amate troppo» sottolineò la parola facendo una smorfia di disgusto «per preoccuparvi di me» 
Valeryn si alzò in piedi, mortificata. Portandosi una mano al petto, disse: 
«No, Eli, questo non è vero! Ti ho pensato molte volte, e te l’avremmo detto se solo non fosse successo quel casino alla gara. Cerca di capire, noi...» 
Il biondo negò con la testa. Tutte cazzate. Non credeva ad una singola parola proferita da lei, ma d’altronde non gli importava. 
«Apprezzo la vostra gentilezza» utilizzò un tono sarcastico «ma se tu non mi ami più non avrei potuto costringerti a stare con me. Ma lui... Lui era il mio migliore amico. Mi ha fatto male» strinse i pugni, mentre lei si avvicinava e gli prendeva una mano per confortarlo. 
Stava veramente male per Vittorio. Lui la guardò quando si sentì stringere. 
«Non sono rimasto così stupito quando vi ho visti baciare. Me ne ero già accorto che c’era qualcosa fra di voi» 
«Che...?» lei si sentì scoperta, anche se ormai era tutto evidente. 
«Gli sguardi, i gesti, le parole, tutto. Come ti comportavi nei suoi confronti. Preferivi Vittorio a me, era evidente. Certi giorni uscivi con lui, con tuo cugino, invece che con me. Già, avete dimenticato che siete cugini?» la stuzzicò. 
Lei sospirò. Non aveva dimenticato, ma non gliene importava niente. 
«Sì, ma noi ci amiamo lo stesso!» sbottò impulsivamente. Si morse la lingua, mentre Elia abbassava lo sguardo. 
«Beh, intendo che non importa se abbiamo un grado di parentela. Non è un problema» spiegò. 
Il biondo stette per dei secondi in silenzio. Non sapeva che dire. Era chiaro che Valeryn si era innamorata veramente di Vittorio e viceversa. Che ci faceva a fare ancora lui? 
Perché aveva deciso di andare da lei per fare un torto a Vittorio? Stava sbagliando. 
La sua mente era affollata di pensieri, tanto che si portò le mani sul capo. 
Valeryn gli si avvicinò un tantino preoccupata. Senza pensarci gli posò una mano sulla guancia. 
«Quindi lui ti ama davvero?» le chiese il ragazzo. 
«Io...» la spiazzò. 
«Dimmelo, per favore. Voglio che mi rispondi» 
La castana fissò il vuoto. Non sapeva la risposta. Non sapeva se lui l’amasse veramente, non se lo erano ancora detto.  Poi perché quella domanda? Sembrava disperato di saperlo. 
«Elia, per favore, chiudiamo la faccenda qui, senza rancori» 
Ma lui le si avvicinò ancora di più, fino a quando riuscirono a sentire entrambi i respiri dell’altro. Valeryn era ipnotizzata, non riusciva a scansarsi. Questi le mise una mano sulla guancia a sua volta. 
«Tu invece sei sicura di non volere ancora me?» le sussurrò. 
Valeryn socchiuse gli occhi, mentre i ricordi della loro storia le vagavano in mente. Elia la fissò attentamente e la vide persa nei suoi pensieri, vulnerabile come mai lo era stata. Assottigliò gli occhi e continuò a parlare. 
«Tu non desideri lui... tu desideri me...» mormorò e poi le baciò il collo, mentre lei pensava al loro primo bacio, la loro prima volta. Tutte le risate fatte insieme, il loro San Valentino. Era stata bene in quei mesi con lui, non poteva negarlo. Era stato il suo primo ragazzo, il suo primo vero ragazzo e avrebbe sempre avuto un debole per lui... per la sua bellezza, per la sua personalità. 
Elia, vedendola con gli occhi chiusi, sogghignò e risalì sul suo viso. La ragazza lo lasciò fare, troppo impegnata a pensare alle emozioni passate. Il biondo, allora, la baciò sulle labbra. Forse era sbagliato, ma si sarebbe preso la sua rivincita. 
Vaffanculo, Vittorio. Sei uno stronzo, pensò. Mi hai fatto del male e io lo faccio a te. Te lo meriti. 
Valeryn si vide trascinata contro l’armadio e sentì le labbra del suo ex sulle sue. Spiazzata, ricambiò il bacio per qualche secondo. 
Ma poi qualcosa la turbò all’ improvviso. Lei stava con Vittorio. Lei era innamorata di Vittorio. Oh no. No, no, no. Che stava facendo Elia?! Doveva subito lasciarla andare, lei amava Vittorio, ne era certa! 
Si staccò improvvisamente, voltando la testa dall’ altro lato. Elia sospirò, togliendo la mano dalla sua guancia. 
«Ti prego» mormorò lei, rossa in volto «non baciarmi mai più» 
Non seppe come mai, ma una lacrima le solcò il viso. Elia l’osservò appoggiata contro l’armadio, spaventata, indifesa. Si sentì in colpa per averla baciata contro la sua volontà. D’altronde era stupido. Era stupido vendicarsi servendosi di lei per fare incazzare Vittorio. 
«Valeryn scusa, non volevo» cercò di dirle «Dimentica tutto, non piangere» 
«Elia, per favore... Non farmi tradire Vitto... Io lo amo!» soffiò lei disperata. 
Lui rimase zitto per un po’. Era evidente che lo amasse. Per l'ennesima volta si chiese cosa ci facesse ancora di mezzo. Ormai non era più sua, ormai era del suo amico. E Vittorio... lui aveva scelto lei. Doveva rassegnarsi. 
«Lo so» le sorrise, prendendole la mano. 
Lei si asciugò le lacrime e si fece abbracciare. Sapeva di non averlo fatto di suo proposito, ma quel bacio appena dato la faceva sentire nuovamente una stupida. 
  
  
Vittorio sorpassò Conny che lo salutò senza ricevere risposta. 
Ma dove si era cacciato Elia?! Gli venne un dubbio che tentò di non prendere in considerazione. 
«Vitto, ohi!» Censeo lo fermò «Stiamo per scendere giù. Tu e Valeryn venite?» 
«Sì, tra poco. Hai visto Elia?» 
Il biondino si grattò la testolina. 
«Ehm, sì, poco fa» poi fu incerto se dirglielo, ma lo fece «Vicino alla stanza di Vale» 
Vittorio lo guardò sospettoso. Che stesse andando da lei? Allora era vero? Il suo dubbio era fondato? 
Salutò e si dileguò. Non sapeva il motivo, ma aveva il cuore in gola. No, no, no. Lei amava lui. Non avrebbe fatto niente con Elia. E allora perché stava correndo come se qualcosa lo stesse mettendo in allerta? 
Arrivò di fronte alla porta della 207 e la vide socchiusa. Entrò come un razzo, restando impalato alla scena che gli si presentava davanti. 
Elia e Valeryn abbracciati?! Strizzò gli occhi più volte per rendersi conto che non stava sognando. 
Lei era appoggiata contro il suo petto e lui aveva posato il mento sopra la sua testa. La stringeva a sé, come era solito fare lui. Un moto di gelosia s’impadronì del castano. E una sola frase gli passò per la testa: che cazzo stavano facendo?! 
I due nel frattempo, si accorsero della sua presenza e si destarono. Valeryn aprì la bocca. Era arrabbiato. 
Elia si limitò a guardarlo senza fare una piega. 
«Vitto, stavamo parlando, veramente, non è come credi...» cercò di spiegare lei. 
Vittorio però si soffermò su Elia. Aveva capito tutto. Aveva capito quello che voleva fare e probabilmente lo aveva già fatto. Si scrutarono a fondo. Senza staccargli gli occhi di dosso, proferì: 
«Che ci fai tu qui?» 
Il biondo lanciò uno sguardo alla castana, che si mordeva il labbro angosciata. 
Elia le fece cenno di stare tranquilla, non avrebbe risposto. Non si meritava la sua attenzione, ma solo la sua indifferenza. 
«Niente» lo guardò con sfida e risentimento «Proprio niente» ripeté e uscì dalla stanza, senza degnarlo più di uno sguardo. 
L’altro sentì la rabbia ribollirgli nelle vene. Stava giocando sporco. Lui voleva fare pace, voleva spiegargli perché l’aveva fatto, voleva farsi perdonare. Non l’avrebbe scampata in quel modo. Loro avrebbero parlato, se voleva e se non voleva. 
«Resta qui» ordinò a Valeryn. Lei spalancò gli occhi. 
«Vitto, no!» tentò di fermarlo, ma lui si precipitò fuori dalla stanza. 
Allungò il passo e lo raggiunse, lo afferrò dalle braccia e lo spinse contro il muro. Elia rimase interdetto per qualche secondo trovandoselo così vicino. 
«Se non vuoi chiarire con me, abbi almeno la decenza di lasciare in pace Valeryn!» esclamò il castano. 
Era arrabbiato, ingelosito, stufato. Il biondo non si fece intimorire. 
«Che fidanzatino coraggioso!» lo prese in giro, sorridendo sarcasticamente. 
Si scrollò con un gesto le sue braccia di dosso e gli diede le spalle. Vittorio si voltò a guardarlo. Elia socchiuse gli occhi. La difendeva con una tale enfasi, non avrebbe mai fatto niente del genere per lui. 
«Sono commosso» commentò ancora ironico, e fece per andarsene. 
Vittorio scosse la testa e lo afferrò nuovamente per le braccia. Non sarebbe andato via in quel modo. Avrebbero parlato. Si sarebbero affrontati. Lo avrebbe ascoltato. 
«Te lo ripeto un’altra volta» disse guardandolo dritto negli occhi «Mi dispiace... Non volevo farti del male» sospirò. 
Elia gli strinse le braccia e lo guardò in modo così talmente disperato, rancoroso, deluso che gli trafisse il cuore. Si avvicinò ancora di più al suo viso. 
«Smettila con queste cazzate!» esclamò «Io non ti credo» sibilò, ma non si staccò da lui. 
Sembrava volesse stare a sentire cosa avrebbe detto. 
Vittorio lo strinse a sua volta. 
«Pensi invece che continuando a farmi questi dispettucci del cavolo avrai la meglio?» gli chiese retoricamente. 
Il biondo spostò lo sguardo, sentendosi uno stupido e il castano continuò a parlare. 
«Okay, cazzo, sono stato un egoista!» allargò le braccia «Non ho pensato a te... Hai ragione. Ti sto chiedendo scusa» affermò. 
Elia alzò gli occhi su di lui, sentendosi per un attimo stupito da quello che gli aveva detto. Era sincero, lo sentiva. Lo capiva sempre, si capivano sempre anche in quelle situazioni. Vittorio continuò a guardarlo, aspettando che avesse una reazione. 
Lui però sentì l’orgoglio che ruggiva forte dentro il petto. Allora scosse la testa con un sorrisino sarcastico. 
L’altro sospirò, esasperato. Non voleva capire. Non lo avrebbe perdonato mai. Se non accettava i suoi sforzi, però, che si tracciasse un limite. 
«Se non vuoi accettare le mie scuse, lascia stare lei, allora» disse, e al biondo venne quasi da ridere. 
Pensò di andarsene veramente quella volta, ma poi sentì il bisogno di dirglielo. 
«Non hai capito. Lei non c’entra» gli rivelò, e Vittorio fece una faccia interrogativa. 
«E allora qual è il tuo problema?» chiese alzando la voce. 
Elia si passò una mano sul viso, e si sentì inondare da un getto di impulsività così potente che ebbe l’idea di prenderlo a pugni per farglielo capire. 
«Tu» affermò «Sei sempre stato tu. Di lei non m’interessa» 
Vittorio sentì la testa fargli male. Era come se fosse estraneo al suo corpo. Cosa intendeva? Sentì il cuore battere forte. Gli sembrava tutto così ovvio... 
«Non capisco...» mormorò. 
Vide Elia mordersi il labbro e guardarlo deluso, rassegnato, con un affetto così tale che si diede dello stupido, del coglione per avergli fatto una cosa così grande. 
«Hai messo una ragazza prima di me» gli spiegò, ed era ovvio, era ovvio «Io non avrei lasciato nemmeno per un secondo che una ragazza si mettesse tra di noi» 
Era confuso. Non poteva di certo dire che non lo fosse, ma tutto aveva più senso. Lui aveva dissacrato quell’amicizia e aveva messo Elia in secondo piano per Valeryn. Loro avevano un rapporto così speciale, gli voleva così bene, non aveva nemmeno idea... 
Ma che cazzo gli era preso? Come aveva potuto farlo, proprio a lui? 
Elia continuava a guardarlo ed ebbe l’istinto irrefrenabile di abbracciarlo. Il fatto era che si sentiva così in difetto che era paralizzato, sentiva solo il suo cuore battere forte. Il biondo aveva sospirato e aveva fatto dei passi, stava andando via, ma si schiarì la voce e trovò la forza. 
«Io ci tengo a te!» gli urlò e lui si bloccò. 
Si voltò di scatto e lo guardò con uno sguardo che lo sfidava a rispondere. 
«Più di lei?» 
Vittorio si lasciò andare contro il muro e lo fissò con un’intensità tale da trasmettergli tutto quello che stava pensando in quel momento. 
Scusa se non te l’ho detto prima. Scusa se ti ho fatto credere il contrario. Scusa per tutto. 
«Più di ogni altra cosa» rispose e lo vide aprire la bocca, colpito. 
Lo guardò di uno sguardo che gli sembrò disperato, riuscì quasi ad udire i suoi pensieri di rimando. 
Anche per me è così, stupido, per questo sto così male senza di te. 
La richiuse e assunse nuovamente quello sguardo freddo. 
Doveva pensare. 
Lo lasciò lì. Doveva pensare se continuare la sua vita senza di lui. Il fatto era che voleva solo abbracciarlo, solo quello, ne aveva un bisogno immane. 
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
La serata stessa, nella discoteca dell’albergo, Vittorio e Valeryn discutevano sul fatto accaduto quel pomeriggio. La ragazza aveva confermato il fatto che Elia l’aveva baciata e il castano era diventato nervoso. Anzi, al dire il vero lo era da quando aveva smesso di parlare con lui. 
Valeryn tentò di spiegargli e fargli intendere che per lei non aveva nessun significato, ma Vittorio era stravolto e arrabbiato, e non smetteva di guardare in direzione di Elia che parlava con una ragazza che non conosceva. 
«Sapere che la mia ragazza si è baciata con il suo ex non mi fa di certo piacere» aveva commentato alle parole di Valeryn. 
«Si può sapere perché fai il testardo e non capisci? Io voglio te, stupido!» 
Lei gli gettò le braccia al collo, attirandolo verso di sé con un bacio. Vittorio si lasciò trasportare, senza opporre resistenza. 
«Devo considerarlo come un tradimento?» mormorò al suo orecchio, dopo che si mollarono. Era serio e accigliato. 
Lei sospirò scuotendo la testa. 
«Smettila, se non volessi solo te sicuramente eviterei questa storia. Siamo pur sempre cugini e non sappiamo come la prenderanno i nostri genitori» 
Ed era vero. Elia aveva ragione. Era da un po’ che le circolava in mente il fatto che sua madre e suo padre fossero all’oscuro di quella situazione. Era convinta che suo padre avrebbe fatto storie, e lei non sapeva come spiegargli bene la vicenda. 
«Perché a te frega il parere dei tuoi?» chiese lui «Per me possono sparare tutte le cavolate che pare a loro. Ma se io voglio una cosa, me la prendo, punto» 
Si scambiarono un altro bacio, mentre la musica imperversava, ma loro erano rinchiusi nella loro bolla senza sentire il mondo circostante. 
Vittorio socchiuse gli occhi e guardò ancora in direzione di Elia. Riconobbe la ragazza con cui stava parlottando e fece una smorfia. 
Era Katia, la sua ex ragazza. Non capiva come facesse a perdere del tempo con quella, era antipatica, bruttina, morbosa, non a caso la chiamavano Katito come Patito feo... Ma che diamine andava a pensare? Elia poteva stare con chi voleva lui. 
Però odiava quell’indifferenza. Aveva voglia di andare da lui e litigare ancora, pestarsi, ma qualunque cosa era meglio di quello. Era arrabbiato, irritato per quello che era successo. Ma sperava comunque che Elia avesse capito. 
La castana lo strinse forte, come per rassicurarlo, e lui si lasciò andare, sciogliendo i nervi. 
«Ehi, guardate! La babba e il nano che si baciano!» urlò Daniel a un certo punto, indicando Conny e Censeo che si baciavano teneramente in mezzo alla sala. Ci furono fischi e applausi. 
«Mannaggia, ho lasciato la videocamera in stanza, sennò... carrambache ripresa!» 
Valeryn e Vittorio ridacchiarono, contenti per i loro amici. Una nuova coppia era nata. Anche Elia si era voltato a guardarli. Poi spostò lo sguardo sulla coppietta felice formata dai due cuginetti, che ora erano mano per la mano. Ammetteva di provare un certo fastidio, forse un po’ di rancore, ma le parole di Vittorio quel pomeriggio lo avevano scosso. Gli aveva letto negli occhi la sincerità, tutto l’affetto che provava per lui. Ed era innamorato... e anche se quello gli procurava una fitta inspiegabile al petto, lui non era nessuno per imporgli chi amare. 
Incontrò per caso il suo sguardo e gli concesse mezzo sorriso. Fu spontaneo. 
Il castano lo guardò strano, ma infine ricambiò anche lui. 

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Capitolo 19
*** Il compleanno ***


Vittorio si era addormentato dopo una lunga messaggiata con Daniel. In realtà era stato quest’ultimo che aveva incominciato ad insultarlo tramite messaggi - “Sei un bamboccio cane” - e così dopo avergli risposto - “Ma te la sei guardata quella medusa che hai in testa?” - avevano continuato a schernirsi amichevolmente. E dire che erano tornati a casa alle due del mattino. Il sabato sera era abituale per loro - ovvero i soliti Vitto, Daniel, Alex, Carmine, Censeo e di solito anche Elia, ma quel giorno non c’era - una birra al bar e una sigaretta veloce. 
Ross li aveva raggiunti insieme al fidanzato di sua sorella Natalie, Damiano Capo denominato il Capus, e a quanto pareva ci era andato giù pesante. 
«Mamma ti sequestrerà la moto e ti taglierà le mani» aveva commentato Vittorio, vedendo suo fratello in quello stato di ebbrezza. Lui aveva fatto un giro su sé stesso ridendo, e lo aveva indicato. 
«E te allora, che ti fumi le sigarette? Mamma cosa farà, quindi? Ti getterà nel camino o ti taglierà quello?» e fece cenno verso la sua cintura, ridendo con il Capus. 
Vittorio era divenuto leggermente rosso e aveva gettato la sigaretta per terra. Daniel, però, aveva fatto una smorfia orribile. 
«Vitto di merda, che cavolo combini?!» proferì con tutta la sua grazia e finezza «Mi avevi promesso la metà, maiale!» 
Ross e il Capus avevano ripreso a ridere aggrappandosi l’un l’altro. Si vedeva che erano andati. Vittorio trattenne da un braccio suo fratello maggiore e Censeo venne in aiuto del Capus, che però lo respinse. 
«Ehi, volevo solo aiutarti!» 
«Censeo, perché non vai ad aiutare le suore della chiesa accanto?» lo prese in giro quello «Tanto qua ormai» ed indicò Ross «non ci sono più matrimoni e fidanzamenti in corso» e ruttò maleducatamente. 
Censeo aveva alzato gli occhi al cielo, Daniel aveva riso senza capire esattamente cosa il Capus volesse intendere e Vittorio si rivolse al fratello, che si era seduto per ordinare una birra. 
«Che vuol dire, Ross?» aveva chiesto «Sta parlando di te?» 
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli castano scuro e proferì sospirando: 
«Io e Nicole ci siamo lasciati. Sei contento adesso, fratellino? Ora tu e il tuo clan di pivellini potreste andare altrove?» 
Vittorio lo aveva guardato attonito per la notizia, invece Daniel si era agitato. 
«Senti, Ross, pivellini lo dirai a tua sorella!» 
Il Capus, però, l’aveva guardato male ed era stato costretto a ritirare tutto. 
E così Ross e Nicole avevano detto addio al fidanzamento ufficiale. Strano. Beh, fatto sta che Dan aveva mandato quel messaggio stupido a Vitto, lui aveva risposto e si era addormentato esattamente alle quattro del mattino. Naturalmente, venne svegliato da un frastuono di trombette e battimani. 
Guardò subito l’orologio, - nove e trenta di mattina ed era domenica! - prima che le sue due care sorellone entrassero in stanza come una furia. 
«Auguri, Vitto!» urlarono all’unisono. Lui quasi cadde dal letto, stralunato. Okay, forse era il suo compleanno, ma... 
«Un augurio sincero, fratellino. Cento di questi giorni!» Francesca, cordiale come sempre, lo baciò sulle due guance senza dargli il tempo di replicare. Natalie, invece, gli saltò addosso. 
«Buon compleanno, bello mio!» esclamò scoccandogli un bacio sulle labbra «Ti amo tanto!» 
Vittorio si passò una mano sulla bocca, mentre la corvina ridacchiava. 
«Che schifo, mia sorella mi ha baciato!» esclamò facendo finta di essere scandalizzato. Stava ridendo come un matto, quasi dimenticando che era stato svegliato bruscamente presto. Diamine, era il giorno del suo compleanno! L’aveva dimenticato... Certo che gli eventi degli ultimi giorni gli avevano fatto perdere la testa. 
Beh, ora che ricordava verso mezzanotte, Daniel e gli altri avevano cantato un coro di auguri. Forse ci era andato pesante anche lui con la birra. Ed era anche maggiorenne adesso. Si sentì improvvisamente pieno di vita. 
«Su, alzati che dobbiamo fare una foto ricordo in onore di questo magnifico giorno!» 
Natalie, tutta pimpante, aveva preso la sua digitale grigia, facendo per scattare una fotografia. 
«No, aspetta, non ci provare!» Vittorio si coprì il volto con le mani. Aveva i capelli in uno stato pietoso. Oddio, a volte era più fanatico di Valeryn! La sua bella Valeryn che non vedeva l’ora di incontrare. Stava ancora pensando a lei, quando sua madre entrò di soppiatto, gettandosi addosso e strapazzandogli le guance. 
«Uno, due, tre, quattro...» contò, tirandolo dalle guance «...sedici, diciassette e diciotto!» Lo abbracciò, commovendosi «E siamo a diciotto anni, tesoro della mamma! Sono così felice che nonostante tutto tu sia ancora il mio figlioletto!» 
«Nonostante cosa?» chiese Vittorio non capendo, tenendosi la faccia arrossata. 
Mena spalancò la bocca per due secondi e la richiuse. 
«No, nulla, tesoro, parlavo fra me e me...» si giustificò. 
Nel frattempo, qualcuno aveva sbadigliato come un porco ed era entrato nella stanza grattandosi il sedere. Era un Ross molto assonnato. 
Il ragazzo lo vide e scosse la testa. Se pensava che solo la sera prima lo aveva visto ubriaco da star male! 
«Buongiorno, fratello maggiorenne» fece stiracchiandosi. 
Il castano lo guardò interrogativo. Se c'era qualcosa che doveva spiegargli era la rottura tra lui e Nicole. Natalie e Francesca girovagavano ancora nella stanza del fratello con un numero 18 stampato su un cappellino e le trombette in bocca. Ross si coprì le orecchie. Ma quanto chiasso facevano?! 
«Oh, papà verrà nel pomeriggio, tesoro!» aveva detto Mena, stropicciandosi gli occhi. 
Non poteva crederci. Erano diciotto anni che Vittorio faceva parte della loro famiglia... e ancora doveva dirgli la verità su tutto. 
«Okay, grazie, mamma, abbiamo capito che papà ritarda sempre» Ross fece una smorfia «Potreste andarvene un po’ in cucina voi tre? Fate dell’inutile chiasso e mi scoppia la testa da morire» 
Natalie lo guardò storto. 
«Testa di cavolo, come ti permetti, eh? Guarda che è anche nostro fratello, gorilla scemo!» 
«Gemellina, se nel caso non lo avessi capito devo parlare con lui. Ti scoccia tanto?» 
Natalie fece una smorfia «E io che avevo comprato anche le trombette!» 
Fece per menargliela una in testa, quando Francesca la fermò da un braccio. 
«Nati, sta’ calma, andiamo di là. Ross deve fare a Vitto il solito discorso fra maschi, quello che fa ogni volta al suo compleanno» 
«Sì, contaci» fece una smorfia sarcastica Ross, tenendosi il capo. Lo avrebbe fatto se solo non gli scoppiasse la testa da impazzire. 
«Devi solamente fare traffico e vietarci di festeggiare col nostro fratellino che oggi è diventato maggiorenne!» s’imbronciò Natalie. E poi abbracciando Vittorio aggiunse: 
«Non ti preoccupare, pucciolone coccolone, ti farò guidare la macchina del Capus più tardi» 
«Ma se non ha mai fatto un corso di guida!» 
La mora alzò le spalle. 
«Tu sei solo geloso, Ross» 
Mena rise di cuore. Quanto amava vedere scherzare i suoi figli. Vittorio era ancora shockato per il pucciolone coccolone, - quei soprannomi non glieli affibbiava nemmeno Vale, e cosa ancora più grave nemmeno Dan lo faceva con Sara - quando la madre richiamò le ragazze. 
«Venite con me, voi, andiamo a preparare i piatti preferiti di Vitto. Se li merita proprio, anche perché» ammiccò verso il figlio «ha recuperato l’insufficienza in matematica» 
Francesca batté le mani contenta. 
«Quanto hai preso, bello mio? Oh, sono così contenta, non puoi immaginare!» 
Vittorio si sentì in imbarazzo, visto che sua mamma continuava a lanciargli occhiatine maliziose. 
«Ehm... Sei, per fortuna» 
«Merito di Valeryn, nostra cugina, la figlia di Rosa e Piero. La prima nipote di Antonia» 
Francesca annuì, sorridente. Natalie lo strozzò nuovamente con un abbraccio - “Il mio tesoro! Sta crescendo anche di voti!” aveva commentato - Ross sbatteva la testa con un ghigno e Mena ridacchiava. 
Il castano diventò porpora, tentando di liberarsi dalla stretta della sorella. 
«Non capisco cosa insinui, ma’! È solo... solo mia cugina...» farfugliò. 
«Certamente, tesoro. Figurati se metto in discussione la tua buona volontà» fece un sorrisino Mena.  
Aveva i suoi dubbi. E adesso?! Non poteva pensare una cosa del genere! 
«Ehm, mamma, se ci lasciate soli un attimo...» disse per cambiare discorso. 
Loro annuirono e lasciarono i due fratelli in camera. Ross chiuse la porta con un calcio affinché nessuno li sentisse. Poi si voltò verso il fratello che era ancora sotto le coperte e sbadigliava. Aveva pur sempre sonno ed erano pur sempre le nove e trenta della mattina! Bel modo di festeggiare il suo compleanno, svegliandosi così presto. 
«Ehi, fratellino, auguri» disse Ross, facendo un sorriso sghembo. 
Vittorio continuò a guardarlo in cerca di qualcosa. Il maggiore si grattò la testolina dapprima non afferrando; poi illuminandosi si frugò la tasca del pigiama. 
«Ecco, Vitto, non è chissà cosa» fece passandogli un affare di plastica «ma è pur sempre un pensiero carino e gentile» 
Vittorio lo guardò perplesso, dopodiché lo prese in mano. 
«Non c’è bisogno che mi regali un preservativo, Ross. Non sarebbe né il primo né l’ultimo» 
«Cosa? Vuoi dire che compri profilattici ogni giorno?!» 
«Cosa dici, cretino? Intendo che non è un regalo originale» ridacchiò. 
Ross si grattò la testa. 
«Perché vuoi anche un regalo originale? Più originale di così! E poi senti, adesso che hai diciotto anni puoi dare libero sfogo al sesso, puoi fare tutto ciò che vuoi. Sei maggiorenne, cacchio, puoi andare in discoteca e guidare la macchina del Capus 
«Oddio, Ross, parli come se stessi scoprendo ora tutte queste cose! Ma tu a diciotto anni zappavi?» rise di cuore perché aveva già fatto tutto quello molto prima. 
«Che vuoi dire?» Ross lo guardò con astio. 
«Che io faccio queste cose da una vita, da quando avevo almeno quindici anni» 
Ross fece una faccia stupita per un attimo. Il suo caro fratellino stava crescendo, a quanto pare. 
«Beh, e io da quattordici» soffiò Ross, indignato. 
«E allora?» 
«Tredici!» sbottò il maggiore, lanciandosi addosso a Vittorio che rideva «Ridammi il mio preservativo, moccioso!» 
«Me l’hai regalato, un regalo non si torna indietro. E poi tu dici sempre che non ne usi!» Ross, alle parole del fratello, si fermò. Abbassò lo sguardo. 
«O mi sbaglio? Ehi, porco, mi senti?» 
Sventolò la mano davanti al ragazzo che si era seduto ai bordi del suo letto e si era portato una mano sul volto. Il castano lo guardò interrogativo, non capendo cosa avesse all’ improvviso. 
«Che ti prende, hai perso la parola?» 
Ross lo guardò sospirando e prese il preservativo tra le mani. 
«Ecco cos’ho, Vitto. Ieri sera ti ho accennato della mia rottura con Nicole, giusto?» 
Vittorio annuì. Era per questo che si era ammutolito all’ istante, allora. 
«È successa una cosa. Dio, non so se dovrei ancora parlartene! E’ presto e non so con sicurezza...» 
Ross farfugliava con la testa tra le mani, e suo fratello non capiva. 
«Okay, ma cosa c’entra il preservativo?» 
«Vitto» incominciò Ross, guardandolo negli occhi. Stava per dirgli una cosa abbastanza seria. 
«Nicole aspetta un bambino, cazzo. Non so che fare, non so come comportarmi!» 
Vittorio, che era sdraiato con la testa sopra il cuscino, rizzò all’impiedi. Non ci poteva credere! Un bambino? Non erano neanche fidanzati ufficiali, come poteva essere? 
«Dici davvero? Non stai scherzando, Ross?» chiese stupito. 
«Come potrei raccontarti una balla riguardo Nicole!?» Il fratello si passò una mano sul volto «Sono serissimo, credimi. E sto di merda, l’ho anche trattata male...» 
«E’ per questo che vi siete lasciati?» domandò l’altro «Solo per questo?» 
Ross lo guardò torvo «Solo per questo, dici? Hai idea cosa significa diventare padre alla mia età? Devo fare ventisei anni ancora, non me la sento! Non sono sistemato, non ho un lavoro fisso, non ho una casa, non ho una lira, Vitto’...» 
«Ma siete sicuri che Nicole è incinta? Avete fatto il test?» interruppe subito la sua sfilza di lamenti. 
«Dice di averlo fatto due volte, e tutte e due volte è risultato positivo» 
Ross scrollò le spalle, sospirando, sdraiandosi accanto a lui. 
Vittorio non sapeva che dire. Suo fratello era ancora abbastanza infantile per poter diventare papà; lo aveva dimostrato abbandonando la ragazza che amava nel momento più inopportuno. 
«Senti, Ross, secondo me hai fatto un’enorme cazzata» proferì dopo averci pensato «Lasciare Nicole e fregartene della situazione non è stato corretto. Che padre sarai per tuo figlio? Un idiota con la moto?» 
Il maggiore fece per ribattere, ma in effetti aveva ragione. 
«D’accordo, ma tu che avresti fatto al mio posto? È facile giudicare dall’altro lato, Vitto!» 
«Di certo non l’avrei lasciata sola. Avrei affrontato tutto questo con lei» pensò a Valeryn e si convinse pienamente delle sue parole. L’avrebbe fatto. 
«E poi non c’è bisogno di lamentarsi così. Non siete mica tanto bambini, ormai. Trovati un lavoro serio e smettila di coglioneggiare al bar, cercati una casa in affitto, ci sono un sacco di annunci su facebook. Mamma e papà ti aiuteranno di sicuro, anche se a mamma dovremmo ricoverarla! E se vedi la faccenda dal lato positivo, vedrai che sarà bello diventare padre, anche se fatichi ancora ad allacciarti le scarpe» qui Ross gli lanciò uno sguardo torvo «Però se ti comportassi da persona matura e chiedessi scusa a Nicole sarebbe un buon inizio. Oh, e poi pensa a me che diventerò zio!» 
Sorrise incoraggiandolo. La notizia era del tutto inaspettata, sicuramente era stato il primo della famiglia ad essere informato. Mena sarebbe svenuta di gioia, visto che sognava un Ross con la testa apposto e già sposato. Certo che il suo compleanno portava eventi straordinari! 
Il fratello lo guardò e ricambiò il sorriso. Era incredibile come alle volte Vittorio sapeva essere così maturo e responsabile. Sì, era un po’ coglione, ma quando ci si metteva a perdifiato era fiero di definirsi suo fratello. E in quel momento gli venne voglia di dirgli tutta la verità. Di confidargli che in realtà non erano veri fratelli, che erano acquisiti, ma per lui era come se lo fossero. Gli fece tanta tenerezza vederlo lì, allegro per la notizia, per i suoi diciotto anni, per aver trovato il primo amore - non era così scemo da non accorgersi di Valeryn - ignaro di tutto. Voleva dirglielo, ma non poteva. Non doveva, perché sua madre e suo padre gliel’avrebbero detto al momento più appropriato. E in fin dei conti, non poteva solo minimamente pensare di rovinargli il compleanno. Avrebbe chiarito con Nicole la mattina stessa, l’avrebbe colta di sorpresa, le avrebbe detto che la amava e che avrebbe riconosciuto il bambino. Ah, e che non si sarebbe ubriacato più! 
«Fratellino, ma quanto stai crescendo?» gli diede un pugno affettuoso sulla spalla «Adesso ti metti a dare consigli a me che sono il maggiore?» 
Vittorio rise. 
«Non ci vuole un genio per superarti» lo prese in giro. 
Ross s’imbronciò un poco «Ti sto facendo un complimento, non ti sto dicendo che sei un babbeo!» 
«Lo so, stupido. L’ho capito» sorrise. 
«Io invece ho capito il tuo intreccio amoroso con Valeryn la cugina, invece» 
Vittorio tossicchiò, leggermente rosso. Il maggiore ghignò soddisfatto. 
«Ma che hai fatto, lei non stava con Elia? Gliel’hai rubata? Lo sai che non si fanno queste cose a patto che tu non sia veramente innamorato?» 
Il castano annuì. 
«Forse è per questo che l’ho fatto» ammise. 
«Sei innamorato di Valeryn? Veramente?!» Ross non credeva alle sue orecchie. 
Vittorio fece un sorrisino, mentre pensava a lei. 
«Come dice Lele sono fottuto» 
«Alla grande, caspita!» Ross ridacchiò «Ma guarda te se doveva farti perdere la testa proprio tua cugina!» 
«Va bè di terzo grado, che sarà mai!» fece una smorfia. 
Basta con la storia della parentela! Non la sopportava più. 
«Ovvio» concordò quello «Ma attento a non finire nella merda così giovane come me. Ti ho dato apposta il preservativo» ghignò mettendolo in mostra. 
«Ma va', dovevi darmelo tu?» 
«Certo che sì, questo è speciale perché è un regalo» Ross lo guardò sbattere la testa sorridente e prendere il preservativo in mano. Sarebbe stato sempre il suo fratellino. Lo sentiva. Era lui il fratello che aveva sempre voluto al suo fianco. Anche se alle volte era un rompicoglioni. Gli voleva un bene dell’anima e gliene avrebbe sempre voluto. 
«Tanti auguri, fratellino maggiorenne» 
 
 
 
 
 
 
 
Sapeva che i suoi amici avevano organizzato una festa a sorpresa solo per lui. Tecnicamente, non voleva festeggiare i suoi diciotto anni in una pizzeria, anzi, avrebbe accettato volentieri l’idea di passare una serata in discoteca. Non gli piacevano le cose individuali, gli facevano provare imbarazzo. In discoteca chi avrebbe saputo del suo compleanno? Nessuno, appunto. 
Si sentì uno stupido mentre indossava la camicia e si guardava allo specchio. Suo fratello e le sue sorelle sarebbero stati presenti quella sera e a lui faceva sorridere il fatto che Natalie andasse avanti e indietro per chiamarlo, ignara che lui sapesse già tutto. 
In realtà, era stata Valeryn che lo aveva avvertito, non direttamente ovvio. Lo aveva fatto per metterlo al corrente ed evitare il suo malcontento di fronte ad un “sorpresa!” generale. Non gli piacevano tanto le sorprese, preferiva sapere tutto e subito. 
Per fortuna, Valeryn lo conosceva abbastanza bene e lo aveva messo in guardia. 
Aspettati qualcosa di strabiliante stasera” gli aveva detto, strizzandogli un occhio. E lui aveva capito. L’adorava pure per questo. 
«E sbrigati, maggiorenne, pare che stai andando ad una festa!» 
Ross lo prese in giro, mentre Natalie lo rincorreva con una scarpa in mano per colpirlo. 
«Razza di cretino, se gli dici in quel modo non si agghinderà come si deve! Devi lasciargli immaginare che lo stiamo portando in un ristorante o in un posto del genere!» esclamò la gemella, mentre Vittorio era scoppiato a ridere, sentendola. 
Natalie divenne rossa e Ross gettò la testa all’ indietro spaccandosi dalle risate. 
«Non mi ha sentito, vero?» sussurrò allarmata. 
«Poco, tranquilla. Ha già dimenticato tutto» la schernì il gemello, che stavolta non riuscì a evitare un pugno alla schiena. 
 
 
Uscendo dalla porta di casa, Ross tirò fuori l’ auto di suo padre, facendo accomodare il festeggiato. Le sorelle s’indignarono un po’ per non aver fatto il galantuomo e averle fatte salire per prime. 
«Quando sarà in libero uso la tua auto, Ross?» chiese Francesca, visto che la macchina del ragazzo era guasta da quasi un mese. 
Lui alzò le spalle. 
«Non so, spero presto. Vitto dovrà essere il primo ad utilizzarla!» 
Gli strizzò un occhio con eloquenza, mentre il fratello annuiva soddisfatto. Aveva sempre sognato guidare l’auto del maggiore! 
Natalie, nel frattempo, approfittando del discorso che avevano intrapreso i tre, mandò un messaggino veloce a Valeryn. 

 
Vale, stiamo venendo!!! Mi raccomando, preparatevi.” 

 
Nello stesso momento, una ragazza castana con un vestitino lungo fino alla coscia e dei tacchi abbastanza alti, le unghie laccate di rosso e i capelli allisciati perfettamente, lesse l’avviso. Si rivolse ai suoi amici che stavano sistemando le ultime cose in pizzeria. 
«Fermatevi tutti, Vitto sta arrivando!» annunciò, mentre alcuni gettarono degli strilli elettrizzati. 
«Io l’attendo alla porta!» esclamò Lele, con una trombetta in bocca. 
«Se entra e ti vedrà all’improvviso gli prenderà un colpo» notò Conny, che stava attaccando gli ultimi addobbi insieme a Censeo «Hai una faccia da scemo!» 
«E tu una faccia da babba 
Daniel, alle parole del ragazzo, gli diede un cinque con orgoglio. 
«Ti stimo, fratello!» esclamò. 
Censeo fulminò entrambi con lo sguardo, mentre Valeryn, spazientita, osservava l’orario. Una cosa le frullava in testa in quel momento; non che la festa non avrebbe avuto buon esito, per carità, avevano speso anima e sangue per la buona riuscita, e poi aveva fatto intendere a Vittorio che gli sarebbe toccata una sorpresa, perciò niente da temere. Ciò che non capiva, era dove si fosse cacciato Elia. Lo avevano invitato, erano certi che venisse, ma del biondo nemmeno l’ombra. Insomma, sarebbe stato un duro colpo per Vitto non poter festeggiare i suoi diciotto anni con il suo migliore amico - nonostante tutto quello che era successo -, e poi lui faceva parte del gruppo, non potevano ignorarsi per sempre. Era una cosa perfettamente inutile e lo sapevano entrambi. Non riuscì a darsi una spiegazione. Forse Elia aveva cambiato idea perché non lo aveva ancora perdonato. Ma almeno al suo compleanno...  
«Ehi, ragazzi, arriva, chiudete le luci!» all’urlo di Lele, qualcuno spense la luce della pizzeria e tutti si sistemarono dietro il tavolo pronti a sgusciare fuori. 
Non appena il ragazzo varcò la soglia, la luce si aprì, ed Elia fu invaso da urla, trombette, auguri, e coriandoli scintillanti lanciatogli addosso da Conny, Maia e Sara. 
Sconvolto, proferì: 
«Grazie per gli auguri, ma mi sa che avete sbagliato persona» 
Daniel lanciò per aria il cappellino a forma di cono. 
«Lo sapevo io che sarebbe andato tutto storto! E io che non volevo neanche organizzare questa festa di cavolo perché ho la diarrea a mille!» 
Tutti lo guardarono basiti per qualche secondo, poi raccolsero i coriandoli da terra rimettendoli nella busta. 
Valeryn scosse la testa divertita, e raggiunse il biondo che ghignava. Ma non avevano notato il diverso colore dei capelli? 
«Sono contenta che tu sia venuto» disse sincera «Non hai idea del regalo che stai facendo a Vitto. E anche a me» 
Elia la guardò duro per un attimo, ma poi sorrise e scrollò le spalle. 
«Forse era ora che la finissi con tutte quelle scenate. E poi... sta compiendo diciotto anni, non potevo permettermi di mancare» 
Valeryn non si sentì davvero felice come quella sera. 
Cos’era cambiato in Elia? Aveva finalmente capito che l’amicizia tra lui e Vittorio non poteva finire per lei? E che l’amore superava qualsiasi cosa? 
«Quindi amici?» gli porse una mano, sperando con tutto il cuore che lui l’afferrasse e la stringesse. 
Elia la guardò, indugiando per un attimo. 
«Amici» ma poi lo fece e si sorrisero. 
Valeryn gli mise le braccia al collo e lo abbracciò. 
«Io e lui teniamo a te. E ti chiediamo scusa se...» gli mormorò all’orecchio. 
Il biondo la fermò con un cenno della testa. 
«Non roviniamoci questa splendida serata. Ti voglio bene e lo sai. Rimarrai sempre nel mio cuore, ma ami lui... e io non posso certo impedirtelo» 
Si stupì delle sue parole e rimase di sasso per qualche secondo. Si sentiva stranamente felice. 
Felice perché Elia aveva capito... Felice per lei e Vitto... 
Il chiacchiericcio che si era formato venne ammutolito da Natalie, che si era precipitata correndo all’ingresso. 
«Arriva, mettetevi in posizione!» 
«Ed era pure ora, santo cielo!» 
Daniel venne zittito, e la stessa scena si ripeté una seconda volta con enfasi ed eccitazione. 
Ross e Vittorio entrarono, e furono letteralmente sommersi da fischi, grida, coriandoli e trombette. E, non poteva mancare, il generale “AUGURI!”. 
Il castano scosse la testa da un lato, sorridendo. C’era un tavolo per venti sistemato alla sua destra, il numero 18 appeso al muro. 
Non erano poi così male le sorprese! Tutti gli fecero gli auguri non lasciandogli tempo di replicare. Ross se la rideva a più non posso insieme a Nicole, che era venuta in quel momento. 
«Buon compleanno, vecchio mio, ne farai di strada!» Lele gli toccò il sedere. 
«Ehi, idiota!» lo apostrofò il castano. 
«Auguri, maggiorenne!» Carmine e Alex lo imitarono. 
«Eddai, scemi!» 
«E’ un augurio, scemino» Censeo lo palpò nuovamente. 
Rocco, spuntato da chissà dove, si caricò una manata nel sedere che lo fece urlare. 
«Auguroni!» sorrideva da ebete, mentre Vittorio si massaggiava il suo povero arto. 
«Ma sei coglione? Non me lo sento più!» 
«Non sentirai neanche questo allora!» Daniel prese la rincorsa con in mano con in mano qualcosa somigliante ad un mattarello. 
Il castano, però, si scansò rapidamente e l’altro cadde sopra Conny che teneva in mano i coriandoli. Quando si alzò, era ricoperto di brillantini argentati. Tutti risero, mentre lui sbiascicò un “auguri” indignato. 
«Buon compleanno, uomo!» Steve gli diede una mano. 
«Bella, Ste, sei grande!» 
Maia e le altre ragazze lo baciarono sulle guance. Carmine spinse Angelina verso di lui, che un po’ imbarazzata fece lo stesso. Vittorio gettò uno sguardo interrogativo al moro e questi gli strizzò l’occhio ammiccante. Era fatta, stavano insieme! 
«E adesso una foto!» esclamò Daniel, posizionandosi con il suo telefono touch al centro della sala. 
Il castano lo ammonì e cercò con lo sguardo colei che gli interessava più di tutti. Valeryn spuntò da dietro dei ragazzi e gli saltò in braccio. 
«Amore, auguri!» Lui la prese in braccio e lei lo baciò sulle labbra «Piaciuta la sorpresa?» 
«L’hai organizzata tu e mi piace da morire!» la baciò ancora con passione, ignorando gli altri che li guardavano. 
Daniel fece una smorfia schifata, ma subito dopo mise il doppio scatto al cellulare esclamando “Paparazzi!” e fece loro un sacco di foto. 
«Parlo di un’altra sorpresa» 
Vittorio si voltò verso la direzione indicata dalla cugina e vide Elia che si passava una mano tra i capelli un po’ impacciato. Mise giù la ragazza e si avvicinò a lui senza smettere di guardarlo negli occhi. Era venuto alla sua festa, lo guardava con imbarazzo e non sembrava scontroso. I due si guardarono intensamente prima che il silenzio venne interrotto. 
«Vitto, io...» sussurrò il biondo, schiarendosi la voce. 
A volte un gesto valeva più di mille parole. Lo abbracciò, lasciandolo completamente di stucco. Valeryn lanciò loro uno sguardo eloquente, contenta. Vittorio ricambiò l’abbraccio, ancora scosso. Cosa gli era preso all’improvviso? Aspettò che gli dicesse qualcosa. 
Nel frattempo, gli altri ragazzi li guardarono altrettanto perplessi. Carmine ed Alex si lanciarono uno sguardo malizioso e Ross fece un battito di mani. 
«Tanti auguri» mormorò per evitare di farsi sentire dagli altri, che facevano finta di niente. 
«E scusa per il mio comportamento di merda» aggiunse. 
Si riferiva a tutto quello che era successo. 
Al tranello della festa dell’accoglienza, alle battutine, al suo piano per vendicarsi. 
Vittorio si staccò leggermente per riuscire a guardarlo in viso. Era sincero, lo conosceva. E poi loro si capivano sempre. Lo aveva già detto? 
«Elia? Grazie, cazzo, grazie» Lo abbracciò più forte. Gli era mancato da morire, non se lo sarebbe mai immaginato. Non era niente senza di lui, non era completo, non era lui. 
Elia fece un sorriso, ancora stretto nel suo abbraccio. 
«Non te l’aspettavi, eh?» lo stuzzicò. 
Negò con la testa e lo guardò ricambiando il sorriso. 
«Lo speravo, però» 
Valeryn sorrise e le si riempì il cuore vedendoli in quel modo. 
Finalmente. Finalmente quei brutti rancori erano stati messi da parte. 
Il momento fu disturbato, ovviamente, dall’indiscreto Daniel, che col suo cellulare si mise a gridare nuovamente e a scattare foto ai due. 
«Paparazzi!» urlava come un ossesso. 
Vittorio e Elia si staccarono un po’ imbarazzati. Avevano dimenticato che tutti li stavano osservando e che Daniel era uno di loro. Si guardarono ancora, però, sorridendosi. La loro amicizia non era ancora perduta. Nonostante tutto, loro erano importanti l’un per l’altro e sarebbe stato sempre così. 
 
Mangiarono come porci, abbuffandosi di antipasti e patatine fritte. Naturalmente, Daniel aveva esagerato e si teneva la pancia dolorante. 
Vittorio era seduto a capotavola con ai lati Valeryn e suo fratello Ross. La castana gli teneva la mano sorridendogli di tanto in tanto. Si vedeva lontano un miglio che era molto emozionato, sia per la bella festa in di per sé, per Elia e per quello scansafatiche di suo fratello maggiore. Volse lo sguardo su di lui e Nicole, che si tenevano la mano e parlavano tranquillamente. Dopo aver discusso con lui quella mattina, Ross era subito corso dalla ragazza a chiederle perdono. Questa incontrò il suo sguardo e gli disse: 
«Ancora mille auguroni, Vitto» gli sorrise radiosa «Sei bellissimo!» 
Lui la ringraziò e, ammiccando, fece: 
«Tanti auguri a voi tre» 
Ross quasi si strozzò con la birra, Nicole divenne rossa come un peperone e Valeryn lo guardò interrogativo. 
«Tre? Cosa stai dicendo?» 
«Niente, scherzavo» fece una strizzata d’occhio a suo fratello, che era diventato paonazzo. Ancora non l’avevano riferito a nessuno, a quanto pareva. Valeryn venne chiamata da Alex e Carmine che stavano trafficando con alcuni cd. 
«Non ditemi che l’avete perso, vi ammazzo!» la ragazza si era fatta parecchio minacciosa, così i due si affrettarono a trovare il disco interessato. 
«Eccolo, Vale, sta’ calma» Alex passò il cd all’amica, che lo affidò ad uno degli inservienti. 
«Vitto, c’è qualcosa che devi vedere!» 
Tutti volsero gli occhi alla tv, la maggior parte già a conoscenza di quello che stava per essere proiettato. Lele batté le mani, emettendo un risata cavernosa. Vittorio lo guardò storto, e Censeo gli mollò subito una gomitata nelle costole per zittirlo. 
Non poteva rovinare la sorpresa del video! Ci avevano messo anima e corpo per prepararlo! 
Il cd partì e nello schermo comparve dapprima una figura sfocata, dopo due sagome di ragazzi che ballavano. Una era alta, magra e ricciolina. L’altro robusto e coi capelli a caschetto. Entrambi ballavano una specie di salsa. Tutti si mandarono occhiatine perplesse. 
«Ma non era un video su Vitto?» bisbigliò Miriel a Valeryn, che si era passata una mano sul volto per la brutta figura. 
Avevano sbagliato cd. Lo sapeva che quei buonanulla di Alex e Carmine non sapevano nemmeno riconoscere un dischetto luminoso! E adesso nello schermo c’erano Maia e Daniel che ballavano la samba, frizzanti e contenti. Quest’ultimi, quando si resero conto di essere stati ripresi a loro insaputa, urlarono: 
«Togliete subito questo video!» 
«Per tutte le pergole, cos’è quest’obbrobrio?!» 
Alex si affrettò a cambiare cd, mentre Vittorio rideva come un matto. Se quello era il loro regalo, gli piaceva un casino! Si scambiò uno sguardo con Elia che era seduto lontano da lui e sorrisero. La stupidità dei loro amici oltrepassava il limite. 
Quando riuscirono a inserire il disco giusto, con grande gioia di Valeryn, questa prese la parola un tantino imbarazzata, dato che aveva partecipato anche lei alla buona riuscita del videoclip. 
«Ehm, questo è un pensiero carino per te» si rivolse a Vittorio «L’abbiamo montato tutti insieme e...» 
«Più che altro se non ti piace puoi andare benissimo a farla in quel posto là!» si agitò Daniel «Io non dormivo la notte per portare a compimento questo fantastico capolavoro che ne è uscito! Perciò smettila di fare quel sorrisino finto e fattelo piacere, zotico!» 
«Veramente, tu non hai fatto quasi nulla» 
«Stai zitto, Carmine!» 
Quando il video partì, un misto di fotografie con protagonista Vittorio furono proiettate, con delle frasi speciali e una canzone stupenda. 
Una delle frasi più significative che avevano colpito il ragazzo, era questa “Eroe nei modi di fare, eroe nelle parole, eroe per aver lottato e trovato l’amore, eroe per aver rinunciato ad un’amicizia importante. Eroe perché hai fatto tutto questo con coraggio senza mai sprofondare”. 
Vittorio rimase stupito da quelle frasi che scorrevano attorno alle sue foto, ai video stupidi fatti tempo fa. I suoi amici avevano creato qualcosa di assolutamente meraviglioso. Lo proclamavano “eroe", ma lui non si sentiva mica così. Non aveva fatto niente per meritare quel titolo. Aveva al contrario commesso molti errori. Pensò ad Elia. 
…e ti siamo grati della tua esistenza, di tutte le cose che hai fatto per noi, per averci aperto gli occhi, per averci infuso forza. Ti vogliamo bene, Vittorio Bellè, non scordarlo mai. 
Nemmeno se un giorno ti ritroverai solo con i tuoi pensieri. Sappi che per noi detieni il titolo di amico. Sei un grande. 
I tuoi migliori amici. 
Il video si concluse così, con una foto del ragazzo che sorrideva. Quasi sentì una lacrima pizzicargli il bordo degli occhi. 
«Non ho parole, ragazzi, è bellissimo. Grazie mille!» biascicò emozionato. 
Ross, Natalie e Francesca batterono le mani entusiasti. 
«L’hai capito il fratellino importante? Ecco perché questa banda di pivellini non va avanti senza di te, perché sei il loro Hercules!» 
«Ross, smettila, cretino. Vitto è il mio eroe!» lo abbracciò affettuosamente mentre Daniel scattava al solito una miriade di foto. 
Valeryn fece finta di essere gelosa tossicchiando, e Natalie si staccò immediatamente facendo un sorrisino di scuse. 
«E’ il mio fratellino tanto piccino!» si giustificò. 
«Però è il mio fidanzatino tanto piccino!» 
«Okay, cugina, hai vinto» si rassegnò la mora. 
Vittorio rise, conteso tra la sua ragazza e sua sorella. 
Nel frattempo, Lele trafficava con un altro cd. 
«Le sorprese non sono ancora finite. Prepara i fazzoletti, ne avrai bisogno» 
Un’amicizia speciale” recitava il titolo a caratteri cubitali. 
Elia alzò lo sguardo con suo stupore. Le immagini di lui e Vittorio e le frasi dedicate a loro scorrevano nello schermo. Quest’ultimo spalancò la bocca. Avevano perfino azzeccato la loro canzone. 
C’erano riassunti tutti i momenti passati assieme, le immagini di loro due in spiaggia, con un pallone, con delle boccacce stampate in volto, con degli occhialoni da sole per fare i fighi, abbracciati, uno sopra l'altro. C’è n’era persino una dove si davano un bacetto a stampo. Fulminarono con gli occhi Conny che aveva scattato quella fotografia il giorno di una penitenza al gioco della bottiglia. In fondo piaceva a tutte e due quella foto, perciò poi si lanciarono un’occhiata eloquente e sorrisero. 
Il vostro legame ha sempre tenuto saldo il gruppo. La vostra vitalità ci faceva stare bene, ci faceva sorridere, ci faceva divertire. Noi tutti senza di voi siamo nulla. E voi due senza l’altro siete completamente persi.” 
Si lanciarono uno sguardo che valeva più di un milione di parole, e tornarono a guardare la tv con un enorme sorriso stampato in volto. Ci voleva proprio una cosa del genere per incoronare la loro amicizia perduta e forse ritrovata. 
Passarono ancora foto, foto di loro due a scuola, in piazza. Un sacco di ricordi probabilmente opera dei due fotografi Conny e Censeo e le loro digitali. Alcune non le ricordavano nemmeno! 
«Attenzione!» urlò Alex, alla fine del video «Adesso arriva la frase che ha scritto Daniel! L’unica frase, per l’appunto» 
L’interpellato grugnì, mentre una scritta finale, con la foto di loro due che sorridevano, compariva. 
Siete il regalo nostro più grande. 
Gli amici”. 
Ci fu un applauso generale con fischi e urla. Perfino il cameriere era in preda all’estasi. 
Vittorio non potette fare a meno di abbracciare Elia e viceversa. Il gesto dei ragazzi era stato importante per loro, li aveva convinti che l’amicizia combatteva qualsiasi rancore. 
«Modestamente, è me che dovete ringraziare!» si vantò Daniel, dopo aver scattato qualche foto ai due, improvvisandosi paparazzo «Senza la mia splendida frase non vi cagavate nemmeno!» 
Valeryn lo fulminò con gli occhi e gli pestò il piede. Il castano si lamentò imprecando. 
Vittorio ed Elia lo ignorarono completamente, continuando a darsi pacche affettuose sulla schiena. 
«Non ci posso credere» sussurrò il primo. 
«Che cosa?» 
«Che io e te siamo di nuovo amici» 
Elia ridacchiò. 
«Lo siamo sempre stati» 
Il castano sentì gli occhi diventare lucidi nell’udire quella frase. Non seppe se fosse dovuto all’alcol che incominciava a picchiare in testa o al fatto che si sentiva davvero felice. 
«Grazie, Eli» mormorò al suo orecchio, mentre la voce gli si incrinò appena. 
Questi non rispose, strinse solo gli occhi mentre lo abbracciava. 
«Scusa per aver...» 
Il biondo lo interruppe bruscamente. 
«Sssh, basta! Non voglio sentire altro su questa storia, voglio solo ricominciare. Me lo permetterai questo?» 
E si guardarono, ambra su grigio. 
«Certo» soffiò commosso e lo guardò profondamente come se lo stesse vedendo per la prima volta. 
Il modo in cui lo stava fissando era talmente intenso che Elia si sentì in imbarazzo e si morse leggermente le labbra, spingendo l’altro a far cadere il suo sguardo proprio lì. 
Si ridestò quando sentì un suono di trombetta. 
«Parleremo dopo» aggiunse serio, ma non seppe se il biondo lo aveva sentito realmente. 
Lo vide rivolgersi agli altri sdrammatizzando la situazione, com’era sempre solito fare. 
«Però, bel video! In certe foto sembriamo due modelli di Abercrombie» 
Vittorio ridacchiò per il paragone. 
«Già. Specie in quella dove siamo con Dan» aggiunse divertito. 
«Si nota proprio la differenza» commentò l’altro, poi si voltarono a guardare il diretto interessato e risero insieme. 
Daniel fece una smorfia, mentre gli altri si mandavano occhiatine entusiaste. 
«Lo sapevo io! Preferivo quando vi odiavate! Adesso incomincerete a prendere per il culo tutti! Già non vi sopporto!» 
Maia passò una busta con un enorme fiocco a Censeo e questi lo porse al festeggiato. 
Alzò gli occhi al cielo. 
«Ancora? Non me ne avete fatti abbastanza?» 
«Niente è mai abbastanza» aveva detto il biondino. 
Quella frase lo colpì, ma non per il contesto in cui era stata proferita. 
Alzò gli occhi e cercò con lo sguardo Elia che rideva e scherzava con Alex. 
Il suo sorriso aveva qualcosa di speciale... 
Quando lo vide spostare lo sguardo su di lui, distolse subito il suo, come scottato. 
«Ragazzi non so come ringraziarvi, veramente!» esclamò poi, rivolgendosi agli altri e stringendo in mano la busta. 
«Non devi ringraziarci» irruppe Daniel «Al massimo dovrai ridarci indietro tutti i soldi che ci sono lì dentro, ma...» 
Lo zittirono, ovviamente. 
La musica si espanse per la sala invitando tutti a ballare, mentre Lele che stava in consolle con Ross - rispettivamente autobattezzati Dj Angel e Dj Devil - mettevano canzone dopo canzone e i ragazzi alzavano su i calici facendo vari brindisi. 
Per un po’ di tempo l’alcol inebriò i loro pensieri e le azioni che ne conseguirono dando inizio ad un vortice di canti e balli. 
  

 
Mentre gli altri ballavano, Elia lasciò la sala e andò in bagno. Si sentiva stordito e aveva bisogno di allontanarsi da quella musica spacca timpani. 
Si guardò allo specchio. Aveva fatto la cosa migliore ad andare da lui. Stargli lontano gli faceva male. Loro non potevano separarsi, erano come due facce della stessa medaglia, e vedere quel video con tutte le loro foto più significative gli aveva smosso qualcosa dentro. Fece per aprire l’acqua e sciacquarsi il volto, quando la porta si aprì di scatto e si ritrovò proprio Vittorio davanti. Lo aveva visto allontanarsi e lo aveva seguito di proposito. Sorrise appena si guardarono ed Elia si sentì strano quando improvvisamente gli si lanciò addosso, abbracciandolo. Indietreggiarono contro il muro, ridendo. 
Aveva il profumo dell’alcol e lo guardava con gli occhi lucidi. 
«Te lo ripeto, scusa per tutto» lo sentì biascicare all’orecchio, e sospirò. Quando ci si metteva era irremovibile. 
«Tu... sei troppo importante per me» gli rivelò allora il biondo. Fu spontaneo farlo, sentiva che doveva dirglielo. Era una cosa che gli veniva dal cuore. 
«Anche tu, troppo» disse il castano di rimando, e si strinsero più forte. 
Era come se il tempo non fosse mai passato. Tra quelle braccia stavano bene entrambi, ed era il posto in cui volevano essere in quel momento. Vittorio sentì la testa girare e il viso andare in fiamme. Premette contro di lui ancora di più, e l’altro si morse il labbro. 
«Hai un po’ esagerato con il vino?» ridacchiò, ma lo aveva turbato quell’avvicinamento. 
Vittorio si rese conto che era troppo vicino, ma non si allontanò. 
«Giusto un po’» rise, e non sapeva come mai voleva avvicinarsi sempre di più. 
Elia sentì una fitta al cuore quando lo vide in quel modo, e abbassò lo sguardo, imbarazzato. 
«Ti aspettano di là» biascicò, tentando di frenarlo. L’altro però non aveva intenzione di mollarlo. 
«Lasciali aspettare» sussurrò e lo guardò negli occhi. Elia sentì il cuore battere forte sul suo petto e l’aria mancare. 
«Vic...» lo richiamò. Aveva paura. Non sapeva perché. Erano sempre stati vicini ma non in quel modo, e lui aveva paura. Sentiva delle strane sensazioni, e probabilmente Vittorio era brillo, ma lo stava mettendo in difficoltà. 
Questi sembrava sicuro, tanto si abbassò al suo orecchio e gli sussurrò: 
«Tu non hai idea di quanto mi sei mancato in questi mesi... senza parlare con te... senza vederti...» strascicava le parole, ma sapeva che era sincero. 
Era un momento così intimo, e nonostante Elia fosse turbato, non riusciva a staccarsi dalla sua presa. 
«Anche tu mi sei mancato» gli disse. Ed era vero. Niente era più vero di quello. 
Il castano alzò la testa. 
«Ti fiderai ancora di me?» gli chiese. Era una delle sue paure più grandi, magari se fosse stato più sobrio non gliel’avrebbe detto. Forse non avrebbe fatto niente di tutto quello. 
Elia ridacchiò, vedendolo in quel modo, seriamente preoccupato. 
«Ti do un’altra chance» annunciò scherzosamente, ma pensò che se lo guardava in quel modo gliene avrebbe date cento di chances. Si vergognò del suo pensiero stupido, ma Vittorio aveva riso di rimando e si era stretto di più a lui. 
La musica imperversava nell’altra sala, e il biondo si chiese quanto tempo fosse passato perché di quanto era stordito aveva perso la cognizione. 
Vittorio sfiorò la sua guancia con un dito, e lui s’irrigidì. 
«Mi piace il tuo profumo» gli aveva detto a bassa voce. Elia gli strinse le braccia per fermarlo. 
«Sei ubriaco, Vic...» cercò di allontanarlo debolmente, ma l’altro si faceva insistente. Perché ogni volta che lo chiamava in quel modo sentiva una strana sensazione al petto e poi giù, andava a fuoco, non sapeva neanche lui cosa gli prendeva... 
«Fidati di me...» lo sentì sussurrare, e chiuse gli occhi. 
Vittorio gli sfiorò la guancia con le labbra, poi scese giù fino al suo collo. Elia sentì i brividi lungo la schiena, si sentiva paralizzato, in sua completa balìa. 
Lo strinse dai fianchi, si aggrappò. In quel momento avrebbe fatto di tutto. Non sapeva cosa stava succedendo. Era tutto strano, ma bello. 
Aveva bisogno di lui. 
Il castano scese con le labbra fino al suo collo, sfiorando la sua pelle, ma non osò fare altro. I loro respiri erano più veloci e si udivano solo le voci lontane. Rimasero in quel modo, in bilico, fin quando non udirono la porta aprirsi improvvisamente. 
«Vitto, c’è il taglio della torta!» esclamò Valeryn. I due si staccarono bruscamente, senza guardarsi e la ragazza fece una faccia grave «Oh, scusate, stavate parlando?» 
Vittorio si passò una mano tra i capelli con lo sguardo basso. Poi annuì. 
«Sì, andiamo...» mormorò, oltrepassando la porta. Sembrava stesse scappando. 
Elia lo guardò uscire, stordito e confuso. Cos’era appena successo? 
Non ci capiva più niente. 
Valeryn gli gettò uno sguardo strano, vedendolo lì immobile. 
«Eli’?» lo chiamò. 
Lui parve svegliarsi d’un tratto. 
«Sì...» mormorò e la seguì fuori dal bagno. 
 
 
 
 
 
Si era fatta mezzanotte e mezza, così Valeryn guidò Vittorio fuori dalla sala. Lui l'abbracciò, non prima di averle fatto un sorriso. Non era stato per niente con lei quella sera, nonostante gli avesse organizzato la festa con premura. Inspirò una grande quantità d'aria, chiedendosi se non avesse esagerato poco prima con Elia. 
Gli gettò uno sguardo di nascosto, guardandolo tornare al tavolo. Sembrava un po’ inquieto, e lo era anche lui, ma tentò di rincuorarsi pensando che l’alcol lo aveva disinibito troppo. Si sentiva barcollare anche adesso e la testa gli girava. 
Non avrebbe dovuto bere così tanto, diventava troppo fisico ed irruento… e certe cose erano poi difficili da spiegare… 
Si schiarì la voce, poi sorrise di nuovo a Valeryn e si concentrò solo su di lei. 
«E’ la festa più bella della mia vita» le disse, stampandole un bacio. 
La ragazza gli sorrise amabilmente, mentre lui la stringeva tra le sue braccia. 
«Te la meriti. Anzi ti meriti di più!» 
Vittorio la guardò interrogativo. Lei fece segno a qualcuno di iniziare, e uno spettacolo colorato con dei fuochi d’artificio comparvero dinanzi a lui. 
Il castano rimase di stucco, non riuscendo a proferire una parola. La ragazza sorrise. 
Nel frattempo, tutti erano corsi fuori a godersi lo spettacolo colorato che aveva fatto partire Rocco, nascosto sotto la spiaggia su cui si trovava il locale, e applaudirono. Vittorio si guardò intorno stordito, confuso, emozionato. 
Il suo sguardo si spostò nuovamente verso sinistra, notando come sotto le luci Elia lo guardava ancora con un’espressione strana, che non riusciva a decifrare. Non resistette a guardarlo per molto. Si sentiva in una bolla di confusione totale. 
Forse era il vino… Certo che sì, era stato solo il vino a farlo comportare in quel modo, lo sapevano già entrambi, non c’era bisogno di sentirsi in difetto… 
«Sto vivendo delle emozioni inspiegabili questa sera e... strane» si lasciò scappare senza volerlo. 
Valeryn alzò la testa a guardarlo e fece una faccia interrogativa perché non aveva capito, ma Vittorio l’abbracciò nascondendo la testa sul suo collo, baciandola ed accarezzandole i capelli. 
Un po’ come se stesse sotterrando la testa sulla sabbia, come uno struzzo che si nascondeva dal pericolo, ma il corpo era ancora allo scoperto. 
Elia distolse velocemente lo sguardo da quella visione. Era come se si sentisse irritato ma colpevole allo stesso tempo, così spostò l’attenzione sopra Ross che fischiava fastidiosamente di giubilo. 
«Mio fratello è ufficialmente maggiorenne, cazzo, e io sto per diventare padre!» lo sentirono urlare dopo, proprio nel momento in cui i fuochi terminarono. 
«Che cosa?!» sbottarono all’unisono Natalie e Francesca. 
Alla notizia rimasero tutti a bocca aperta, mentre Daniel puntava velocemente l’obbiettivo della fotocamera su Ross e Nicole, la quale nascondeva il volto imbarazzata. 
«PAPARAZZI!» 
 

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Capitolo 20
*** Una brutta notizia ***


 
 
 



Dopo il compleanno di Vittorio, Mena aveva riflettuto a lungo insieme a suo marito e ai suoi figli. Tutti erano del parere che il minore doveva sapere la verità per diritto, e che erano stati degli 
stupidi a nasconderla per così tanto tempo. 
Ross conosceva il fratello e sapeva che sicuramente non l’avrebbe presa bene. Era un tipo abbastanza suscettibile quando si trattava di tenerlo all’oscuro di qualcosa, e non parlavano di una cazzata: ma del fatto che era stato adottato e in tutti quei diciotto anni ci stavano pensando solo adesso. 
«Se la prenderà molto?» chiese sua madre facendo una faccia grave, rivolgendosi ai suoi figli che scossero la testa. 
«Non ti salterà in braccio dall’entusiasmo, ma’, apri gli occhi, cazzo!» sbottò per l’ennesima volta Ross, facendo dispiacere Mena. 
Francesca lo fulminò con un’occhiata. 
«Non parlare alla mamma in questo modo! Tu non sai i sacrifici che ha fatto, non sai come si sente!» lo rimproverò. 
Il ragazzo la guardò truce. 
«Ho una mezza idea, non sono così idiota come pensi. Per una volta sono serio, sto soffrendo anch’io per Vitto, che credi? Sono suo fratello, per la miseria!» 
«Ma non è con nostra madre che te la devi prendere!» 
«Le sto solo dicendo che Vitto la prenderà male, tutto qua» 
 I due fratelli si mandarono frecciatine, mentre Mena sospirò. Non voleva vedere i suoi figli litigare. 
«Okay, smettetela un attimo» intervenne Natalie, che stava sciacquando i piatti «E’ una faccenda seria, complicata. Sapete che non amo parlare di questo argomento perché a Vitto voglio bene più di me stessa... Però dobbiamo ragionare tutti insieme, dobbiamo trovare un modo per dirglielo e non farlo soffrire, fargli intendere che se l’abbiamo tenuto nascosto per tutti questi anni non è stata una cattiveria, ma una nostra condizione. Non volevamo che stesse male!» 
Ross grugnì. 
«Scusa patetica, starà più male quando lo saprà» 
«Non è una scusa, è la verità! Avevamo deciso di dirgli tutto quando sarebbe stato un po’ più grande!» 
«Ma non così grande da aspettare diciotto anni!» 
Natalie sbuffò davanti alla testardaggine del fratello. Capiva che voleva difendere i diritti di Vittorio, era d’accordo anche lei. Ma non potevano passare per la famigliola cattiva. Loro gli volevano bene veramente. 
«Cosa ne pensa papà?» si rivolse a sua madre Francesca «Perché non è qui? Possibile sia sempre a quel benedetto lavoro?» 
Mena sospirò nuovamente. Vinicio doveva trattenersi al lavoro più del dovuto, non era colpa sua. Stava mancando spesso da casa, purtroppo. 
«Lo so tesoro, ma è costretto a fare i turni serali. Ha detto che vorrebbe parlare lui con Vittorio...» 
Il maggiore si alzò sbattendo un pugno sul tavolo. 
«Papà non c’entra niente, lui voleva dirglielo tempo fa! Sei stata tu che non hai voluto, mamma, hai insistito tanto e alla fine non puoi lasciare tutto nelle sue mani! Dovrai essere tu a dirglielo, mettitelo in testa!» 
Il tono di Ross era minaccioso, e Mena si portò una mano al petto. Perché la sgridava? Lei aveva solo fatto un’opera di bene, tempo fa. Aveva dato la casa ad un bambino che aveva sentito suo non appena lo aveva visto in braccio a quella donna che stava morendo davanti all'ospedale... 
«Ross... Non alzare la voce, ti prego...» sussurrò mortificata. 
«Cosa vuoi che faccia? Darti ragione?» il ragazzo era veramente arrabbiato. 
Francesca si passò una mano sulla fronte. Odiava quando suo fratello alzava la voce, e soprattutto quando lo faceva con Mena. 
«Ross, giuro che ti pesto. Vuoi smetterla? Cosa ti salta in mente, far star male la mamma? Sei un incosciente!» lo redarguì. 
«La verità è che mamma ha paura, punto. Ha paura di essere rifiutata, non è così? Ammettilo, Mena, non è così?» 
«E’ tua madre, non una tua amica!» 
«Beh, che capisca» si rivolse alla donna «Come ti sentiresti se Vitto dovesse chiamarti Mena e non mamma quando glielo dirai, eh? Hai mai pensato questo?» 
Natalie lasciò scivolare un piatto bagnato, rompendolo. I cocci di vetro si sparsero per tutto il tappeto e il pavimento. 
Mena aveva lo sguardo fisso nel vuoto, e le lacrime le scendevano come un fiume in piena. Le parole di suo figlio erano vere. Temeva di essere allontanata, cancellata. D’altronde non era la sua vera madre e Vittorio poteva chiamarla come voleva. Si diede della stupida, sbattendo la testa. 
Era tutta colpa sua se la famiglia stava soffrendo. Tutta colpa della sua vigliaccheria, e adesso avrebbe dovuto pagare. 
Francesca si avvicinò a lei, rincuorandola. 
«Mammina, non voglio vederti così. Stai tranquilla, lui ti vuole bene e vuole bene a tutti noi» le disse, abbracciandola. 
La donna continuò a piangere pensando al peggio, mentre Natalie e Ross si lanciarono uno sguardo. 
La mora volle sgridare suo fratello per essere stato troppo duro, ma in fin dei conti la pensava come lui. Gli gettò uno sguardo severo e basta. Lui si avvicinò e l’aiutò a raccogliere il piatto in frantumi. 
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
Altrove, due ragazzi castani erano seduti una sopra le gambe dell’altro a godersi lo spettacolo dei loro amici che si cimentavano in una serie di lunghe battute nella solita piazza. Carmine, Censeo e naturalmente Daniel facevano casino. 
«Ehi, Dan, dov’è il tuo amico Franco?» chiese Censeo a questo, che fece una faccia perplessa. Non ricordava di conoscere nessuno con un nome del genere. 
«Franco?» chiese pensieroso. 
Il biondino fece un salto, colpendolo in fronte con una mano. 
«BolloFrancobollo, scimunito!» 
Tutti sogghignarono. Valeryn lo indicava ridendo a più non posso per la brutta figura, e Daniel era ancora attonito perché gliel’avevano fatta sotto il naso. E stavolta non erano stati quei cretini di Elia e Vittorio, che di scherzi erano abbonati, no. Ma il nano di Biancaneve di Censeo! Come si permetteva!? 
«Ridi, Censeo?!» gli urlò contro, mentre questo si sbellicava «Sei un piccolo nano sperduto, assomigli a Cucciolo!» 
Il ragazzo fece una smorfietta. 
«Sono alto quasi quanto te, imbecille» 
«Però sei magro quanto uno stuzzicadenti» 
«Ma non sono un nano 
Daniel si grattò la testa. In effetti, era cresciuto molto dalla terza media. 
«Beh, io ti ho sempre chiamato nanetto, non mi interessa. Puoi parlare quanto vuoi, ma io continuerò a schernirti fino alla morte!» gli fece una pernacchia, mentre il biondino, scettico, gli diede una spinta facendolo cascare sopra Miriel e Alex, che stavano pomiciando tranquillamente seduti su una panchina. 
«Ti pareva se non doveva cadere proprio qui!» esclamò la mora accigliata, levandosi di dosso quel peso morto di Daniel. 
Alex rideva. 
«Lascialo stare, non vedi che è sconfitto?» 
«Che ti ridi, Alex, come sempre deve rovinare i momenti migliori!» esclamò lei. 
Daniel si aggiustava la folta capigliatura, mentre il ragazzo abbracciava Miriel per farla calmare. 
«Raffinatissima Miriana, scusa per il disturbo, eh. Lo so che tu e questo citrullo che ti ritrovi per fidanzato vi stavate slinguazzando con tanto amore» la ragazza fece una smorfia «Ma la colpa è stata di un certo Censeolo, l’ottavo nano. Lo conosci?» 
Miriel alzò un pugno intenzionata a colpirlo. Quanto era irritante?! 
«E poi, Alex, “sconfitto” sarai te e quel fallito di Carmine che non si è degnato nemmeno di darmi una mano» si rivolse a quest’ultimo, gridando: 
«Bell’amico che sei! Pensi solo a quella là, come si chiama... Antonella... Angela... Angelina, ecco!» 
Il moro alzò il dito medio da lontano, facendo ridere Angelina seduta sopra le sue gambe. Vittorio che stava osservando la scena dall’inizio senza aggiungere alcuna parola, con Valeryn in braccio, ghignò. 
«Dan, ma che c’hai? Sempre così aggressivo! Credevo che mestruate fossero solo le donne!» 
Tutti risero schernendolo, mentre lui diventava rosso come un peperone. Ma che c’era, volevano umiliarlo tutti quel giorno? 
«Senti, Vittorino pan di zenzero, hai mai pensato che la tua ragazza scema sia esattamente una psicopatica nevrotica? Perché se non te ne sei accorto, è grave» 
Valeryn scattò in piedi. 
«Ecco, sempre io in mezzo! Ma che sei geloso? Vorresti essere come me?» 
«Per l’amor di Dio!» si portò una mano al cuore, facendo finta di sentirsi male, il castano «E per quali benefici, poi!» 
La ragazza si vantò, facendo delle moine. 
«Per la mia seducente bellezza e intelligenza, beota. Tu sei uno stupido con i capelli a caschetto, venditore di persiane ai barboni e basta. Sei completamente insignificante» 
Daniel si gonfiò dalla rabbia. 
«Ma insignificante sarai te e quell’idiota di tuo cugino Vittorio che hai trovato per ragazzo!» 
«Guarda che ha pienamente ragione. Ti piacerebbe essere come lei, ammettilo» annuì questi, concordante. 
«Pazza?!» 
«Bella» e fece l’occhiolino alla sua fidanzata. 
Valeryn guardò Perrone con sfida, mentre questo sbottava. 
«Io so essere bello a mille e più maniere, okay?! Io non sono esaurito cronico, almeno, okay? E poi sono più bello di te, Elia, Carmine, Alex, Censeolo e perfino Steve messi insieme, okay? Quindi vedi come devi parlare, okay? Che ti faccio sentire le scimmiette che suonano i piatti in testa con un mio calcio rotante, okay?!» 
«Okay» alzò le spalle Vittorio «Sul calcio rotante, però, ti consiglierei una cosa» 
«Cosa, porca vacca!?» 
Indicò alle sue spalle, e Censeo, per vendicarsi di come lo aveva chiamato, gli mollò un calcio nelle parti basse. Daniel si tenne gli attributi, ululando dal dolore. 
«...di stare attento al grande Cens che ti ha messo al tappeto! Sei spacciato, Daniel!» 
Valeryn formò una L con il pollice e l’indice, facendogli una linguaccia. 
«Sei un loser!» 
I ragazzi risero. Daniel era nervoso a causa di Sara, che non era ancora tornata dalla danza. Effettivamente, guardare le coppiette felici che si sbaciucchiavano davanti a lui non era proprio il massimo. 
Lo lasciarono imprecare minacce e insulti, ognuno facendosi i fatti propri. 
Vittorio guardò l’orologio. Erano le 19.03, e se non sbagliava sua madre e i suoi fratelli erano giù a fare la spesa dato che era sabato, e ne avrebbero avuto per molto. Gettò uno sguardo a Valeryn che rideva insieme a Miriel. 
Forse se facevano presto... No, non ce l’avrebbero comunque fatta. Non voleva fare tutto velocemente e con il pensiero di sua madre di ritorno da un momento all’altro. 
Beh, l’avrebbe portata comunque a casa, però. Voleva stare un po’ da solo con lei, e nel gruppo non c'era privacy, dato che avevano gli occhi di tutti puntati addosso. E poi aveva la moto dei gemelli con sé, quindi avrebbero fatto veloce. 
«Amore, sta' a sentire» le sussurrò all’orecchio, mentre questa smetteva di parlare con l’amica «Che ne dici se saliamo un po’ a casa mia? Sono stufo di stare a guardare Dan e le sue idiozie. Non lo pensi anche tu?» 
Valeryn però fece una faccia incerta. Era un po’ tardi. A che ora sarebbe tornata a casa per cenare? 
«Dovresti darmi un strappo verso casa dopo. Altrimenti sono a piedi e non mi va di scomodare mio padre» 
«Certo, dico a mamma che ci sei anche tu questa sera» 
Era una buona idea farla mangiare a casa sua. Così magari i suoi si sarebbero abituati alla sua presenza e poi sarebbero potuti uscire insieme dopo cena. 
«Sicuro? Non vorrei creare disturbo» 
«Ma dai, sei nostra cugina sempre e comunque. Figurati se Mena si fa problemi per un piatto in più» 
«Non saprei, secondo me disturbo» 
«Scema, ti dico di no» Vittorio le sorrise «E poi rimane solo Natalie. Francesca sta dal suo fidanzato e Ross sicuramente esce col Capus, o va da Nicole» 
Il ragazzo si alzò dalla panchina, mentre lei lo guardava ancora insicura sul da farsi. 
«Dai, muoviti altrimenti si fa tardi!» 
Si presero per mano e salutarono tutti. Valeryn avvertì Miriel che non l’avrebbe potuta accompagnare quella sera e di arrangiarsi. La mora storse il naso. 
  
  
  
  
  
Ross ciondolava da una stanza all’altra senza sapere bene cosa fare. Sua madre era seduta sul divano insieme a Francesca che cercava ancora di confortarla, mentre Natalie aveva finito da un pezzo con i piatti. I due gemelli s’incontrarono. 
«Cosa stai facendo?» chiese la ragazza «Hai una meta precisa, oppure stai vagando?» 
Ross scosse la testa. 
«Lascia perdere. Piuttosto, mamma non è scesa a fare la spesa oggi. Ormai i supermercati saranno tutti chiusi» 
«Dopo come l’hai trattata non ne aveva la forza» Natalie vide suo fratello alzare gli occhi al cielo e sbuffare «E’ inutile che fai così, dovevi mantenere i toni e non l’hai fatto. Sei il solito arrogante» 
«No, Nati, non è vero. Lei deve capire, non possiamo continuare con questa farsa. Capisci che è importante per Vitto sapere la verità?» 
«Lo so benissimo, Ross. E sono d’accordo con te, se è per questo; gliel’avrei detto tempo prima invece di aspettare. Ma hai sbagliato a rivolgerti in quel modo, lei sta male di suo, non possiamo degenerare la situazione!» 
«Va bene, pensala come vuoi!» sbottò il maggiore «Io mi preparo e vado a mangiare una pizza al bar con il Capus» 
«Dami sta lavorando a quest’ora, lascialo in pace» 
«Da quando prendo ordini da te, sorellina?» le rivolse un’occhiataccia e fece una smorfietta. 
Natalie sospirò, pensando che suo fratello non sarebbe cambiato mai. Né nei modi infantili, né nella sua testardaggine. 
In cucina, Mena e Francesca stavano sedute vicine. La donna guardava la tv disinteressata. In realtà aveva la testa da tutt’altra parte, e Francesca aspettava un segno. Non aveva parlato per tutto il resto della giornata. Capiva sua madre, e forse da una parte si sarebbe comportata come lei. Ovvero, avrebbe avuto paura di confessare tutto a suo figlio. 
Mena si perse nei suoi pensieri. Come lo avrebbe detto a Vittorio? E lui come avrebbe reagito? L’avrebbe veramente chiamata Mena e non mamma? Suo figlio Ross aveva ragione. Aveva sbagliato di grosso, ma doveva cercare di capire. Non era stato facile per lei e Vinicio tirare avanti con un segreto del genere. Pochi lo sapevano - tra cui Antonia e la famiglia di Valeryn - e questo la faceva sentire ancora in colpa per essere stata zitta in tutti quegli anni. 
«Fra, tesoro, vai a chiamare tuo fratello, per favore» disse d’un tratto. 
«Sei sicura, mamma? Ross è un po’ nervosetto, a quanto pare» fece Francesca, tentando di farle cambiare idea. 
Mena negò con la testa. Doveva spiegargli. La ragazza si alzò e andò in camera del maggiore, che si stava cambiando. 
«Ti vuole mamma» disse solo. Era ancora arrabbiata con lui. 
«Che vuole, sto uscendo» fu la sua risposta. 
«Non lo so» disse lei «Vedi di andare, hai capito? Non procurarle un altro dispiacere» 
«Mai quanto lei lo sta procurando a Vitto» sibilò lui. 
«Smettila di fare il bambino!» sbottò Francesca, adirata «Se penso che diventerai padre tra nove mesi! Non mi capacito di come riuscirai a crescere tuo figlio!» 
«Sta’ zitta, nessuno sa di questa cosa. E finché non avrò intenzione di dirlo a mamma e papà, tu e Natalie dovrete tenere il becco chiuso. Ci siamo capiti?» 
Ross era leggermente minaccioso. La sorella non fece comunque una piega. 
«Sei stato tu che lo hai urlato. Non è colpa mia se sei così stupido» 
Il ragazzo grugnì e lasciò la stanza per raggiungere sua madre. 
  
  
Intanto, Vittorio e Valeryn scesero dalla moto, parcheggiando di fronte casa di quest’ ultimo. Nel frattempo, commentavano la gravidanza di Nicole. 
«Non ci posso credere!» diceva la ragazza, mentre camminavano «Ross diventerà papà! Non ci credo, caspita!» 
«Neanche io. Pensa che a me l’ha detto la mattina del compleanno in gran segreto, ma poi l’ha gridato la sera stessa come un coglione» 
«Chissà se sarà adatto a fare il padre!» 
«Non lo so, ha ancora difficoltà ad allacciarsi le scarpe, seriamente» i due risero alla battuta di Vittorio, poi questi le passò un braccio attorno alle spalle e si abbassò alla sua altezza, baciandole le labbra. La castana gli sorrise, abbracciandolo. 
Cena a casa sua e un po’ di tempo assieme. Questo sì che le piaceva! 
  
  
 
 
 
 
 
«Allora, mi spieghi cosa c’è?» chiese il ragazzo a sua madre, mentre questa si alzava dal divano. Francesca gli lanciò uno sguardo ammonitore e Natalie aveva scosso la testa. 
«Ross, per favore, voglio che tu mi ascolti» disse Mena, supplicandolo. 
«Cosa vuoi?» 
«Non prendertela, tesoro, ti prego. Lo sai come mi sento, non farmi dispiacere...» 
«E’ quello che gli dico io!» esclamò la maggiore.  
Quello la ignorò. 
«Fin quando non dirai la verità a mio fratello, io me la prenderò» 
Mena si portò una mano al cuore. Perché continuava a trattarla così? 
«Ross, io voglio bene a Vittorio, e voglio che tutto si sistemi per il meglio...» 
«Non sembra, però. Se avessi voluto che tutto si fosse sistemato per il meglio, avresti detto la verità a Vitto molto prima» 
«Ma sai come mi sentivo, sai come ho pianto!» 
Le due sorelle stavano a guardare la scena, incuranti che nel frattempo la chiave girava nella toppa e la porta di casa si apriva. 
«Che razza di giustificazione è?!» sbottò Ross, arrabbiato. 
«Per favore, lo sai che non avrei il coraggio di dirgli che lo abbiamo adottato, non ce la farei, ti prego...» 
Vittorio entrò seguito da Valeryn, guardando tutti con occhi spalancati. 
Aveva sentito bene, o no? Qualcuno era stato adottato? Chi? 
Francesca e Natalie si guardarono allarmate, Mena trasalì e Ross alzò gli occhi al cielo, portandosi una mano sul volto. E adesso? Come cavolo avrebbero spiegato la situazione? Non ci voleva, cazzo, non ci voleva. Non in quel modo. 
«Chi è stato adottato?» ripeté Vittorio, squadrando tutti uno per uno, con una strana sensazione addosso. Una sensazione quasi di paura che in qualche modo c’entrasse pure lui. 
Valeryn osservò il ragazzo non sapendo che dire. Il castano era fermo sulla soglia della cucina e aspettava una risposta. Mena incominciò a piangere, e allora tutto fu confuso. 






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Capitolo 21
*** Io ti starò vicino ***








Vittorio continuò a squadrare i suoi familiari, uno per uno. Nessuno accennava ad aprir bocca, tranne sua madre che aveva incominciato a piangere. Guardò
Valeryn che ne sapeva quanto lui.
 
Cosa stava succedendo? Perché all’improvviso tutto era sembrato così diverso? Come se lui fosse un estraneo, come se quell’ambiente in cui aveva messo piede non fosse più casa sua. Sentì un’improvvisa fitta al cuore. Come mai stavano zitti? E perché Mena piangeva? Forse c’entrava di fatto lui. Beh, non era stupido a non capirlo. 
«Allora?» chiese nuovamente «Chi è stato adottato? C’entra in qualche modo con la nostra famiglia?» 
Natalie si aggrappò al braccio di sua sorella maggiore, mentre Ross si passava una mano sul viso. Lo sapeva che le cose sarebbero andate a finire in quel modo. 
Ne era sicuro, dannazione, ne era certo. Dovevano dirglielo in quella circostanza? 
O avrebbero dovuto aspettare? 
«Vitto, siediti...» tentò di parlare Francesca, dato che in qualche maniera si sentiva responsabile. 
Il castano, però, non obbedì. 
«Voglio sapere chi è stato adottato! Lo voglio sapere subito!» tremava mentre parlava, non sapeva il motivo. Aveva una brutta sensazione. 
Valeryn si morse il labbro inferiore, ignorando cosa dire o fare. Non ne sapeva niente in fatto di adozioni, le sembrava strano. Ci fu un silenzio assordante. 
Mena tirava su col naso appoggiata a sua figlia, che la teneva stretta. Vittorio incominciò a sentire gli occhi lucidi, ancora incapace di comprenderne il motivo. Forse non riguardava la sua famiglia... Forse era stato adottato qualcun altro, un amico, un parente... Deglutì. 
«Vi ho fatto una domanda, cazzo, volete rispondere?!» si agitò, mentre Valeryn gli stringeva la mano per calmarlo. Natalie ebbe un sussulto e scosse suo fratello da un braccio. 
«Ross! Ross, diglielo... Diglielo, per favore...» gli sussurrò, mentre questo alzava lo sguardo e fissava Vittorio negli occhi. 
Il ragazzo fece lo stesso cercando una risposta. Si fidava di Ross, lui gli avrebbe detto la verità. 
«Dobbiamo dirti una cosa, Vittorio» incominciò sentendo un nodo alla gola «Anzi, devo, visto che la mamma non è nelle condizioni...» gettò uno sguardo a Mena che continuava a piangere tra le braccia di Francesca. 
«D’accordo, va’ al dunque, per favore!» esclamò con una certa urgenza il ragazzo. 
«Voglio sapere di chi stavate parlando. Sapete qualcosa che non so! Voglio saperla anch’ io» 
«Sei sicuro di volerla sapere adesso?» 
«SI!» quasi urlò «Ti prego Ross, non ho voglia di aspettare» 
Ross si schiarì la voce. 
«D’accordo cercherò di andare al dunque. Vedi, Vitto, chi è stato adottato c’entra di fatto con la nostra famiglia e... E non so come dirtelo, fratellino...» 
L’insicurezza di Ross mise in allarme Vittorio che incominciava pian piano a capire. Cercò di scacciar via quel brutto pensiero, ma non ci riuscì. 
«Ross, per favore! Non girarci intorno, io vogliodevo sapere!» 
Il maggiore sospirò e sentì le lacrime agli occhi. 
«Sarai sempre mio fratello. Per me lo sei veramente, Vitto. Ti voglio bene come nessun altro...» gli si spense la voce. 
Il cuore di Vittorio mancò un battito e vide tutto confuso. Per un attimo sua madre, le sue sorelle e suo fratello gli apparvero come sagome scure. Incapace di reagire, strinse la mano di Valeryn che aveva la bocca spalancata. Ora capiva. Ora era tutto chiaro. 
«Sono io quello che è stato adottato» mormorò «Vero, Ross?» 
«Vitto, noi...» 
«VERO, Ross?!» esclamò. 
Abbassò lo sguardo. 
«Sì, beh, noi... Noi volevamo dirtelo, ma ci sono state circostanze che... Per favore, dobbiamo parlarne meglio!» 
Vittorio si sentì morire. Sentiva una sensazione di calore, come se avesse la febbre. Tremava, voleva scomparire. Non ci poteva credere... Stavano delirando tutti. Mena che piangeva, Natalie che si nascondeva il volto, Francesca che abbracciava sua madre... Era vero dunque? E perché non gliel’avevano mai detto? Non era possibile. Un’ultima scintilla di speranza si accese nel suo cuore, ma dentro di sé sapeva che suo fratello - o quel che era - non stava mentendo. 
«Scherzi?» 
«No, Vitto, sono serio» si passò una mano tra i capelli «Non volevamo dirtelo così, ma siamo stati costretti» 
«Volevamo dirtelo con più calma, tesoro» aggiunse Natalie, mortificata. La sua voce era flebile, e sentiva una fitta alla pancia tremenda. 
«Perché...» riuscì a biascicare Vittorio, incredulo e completamente incapace di proferire altro. 
Valeryn stentava a crederci. Una dichiarazione del genere dopo tutti quegli anni, ma come? Non era stata una cosa giusta, si disse, lo stavano facendo solamente soffrire. Aveva la bocca aperta e guardava il ragazzo come per aspettare una sua reazione. Si sentì male anche lei, il cuore le batteva veloce. 
«Come diamine è possibile?» chiese «Lui ha sempre fatto parte della vostra famiglia! Perché questa cosa è saltata fuori proprio ora?» 
«Valeryn, è un argomento delicato» prese la parola Francesca «Non abbiamo mai avuto modo di farne parola con lui proprio per questo. Abbiamo voluto aspettare per parlargli quando sarebbe stato più grande, in modo tale che riuscisse a comprendere» 
«Ma è un’assurdità, Francesca, siete impazziti?!» si ritrovò ad urlare la castana 
«Come può essere che ci pensiate solo ora, senza avergli mai dato un indizio, un qualcosa che avrebbe potuto fargli intendere la verità?» 
«Lo so, Valeryn, ma vedi... Non è stato facile per noi. Per mia madre, poi, sono stati anni difficili per paura che Vittorio scoprisse tutto» 
«E adesso che sa come stanno le cose, non vi sentite in colpa? Sono passati diciotto anni! Mi auguro stiate veramente scherzando!» sbottò nuovamente incredula la ragazza, sentendo le lacrime agli occhi. 
«Aspetta» la fermò il ragazzo, volgendo gli occhi su di Mena «Io voglio che sia mia madre a dimmi se è vero» 
La donna alzò la testa, guardandolo disperata. Le lesse tutto lo sconforto negli occhi, e sentì un macigno dentro al petto pesante da sopportare. 
«Mamma...» esitò un attimo «Sono veramente stato adottato? Non sono figlio vostro?» 
Mena sentì un tuffo al cuore. Francesca la scosse leggermente da un braccio in modo tale parlasse, visto che non proferiva parola. La donna si asciugò gli occhi con un fazzoletto, tirò su con il naso e infine si decise a parlare. Era stata muta per tutti quegli anni e suo figlio stava soffrendo per colpa sua. Tutta la famiglia stava soffrendo a causa sua. Parlare sarebbe stato il minimo per poter rimediare a quella situazione insostenibile. 
«Sì, tesoro. Io non sono la tua vera mamma, ma sappi una cosa...» si alzò dal divano avvicinandosi a lui, che sentiva le lacrime pizzicargli i bordi degli occhi 
«Tu sei il mio Vittorio, il mio figlioletto... E lo sarai sempre. Non importa quale realtà sia, mi capisci? Noi... Io, tu, papà, Ross, Francesca e Natalie saremo sempre la famiglia Bellè. Tu sei uno di noi, tesoro mio» 
La realtà schiaffata in faccia ruppe in lui qualcosa. Guardò confuso i membri della sua famiglia, ancora troppo incredulo per mettere a fuoco la verità. Eppure era tutto così chiaro. Adesso capiva perché non assomigliava a nessuno di loro. Perché le foto della sua nascita erano datate dai due mesi in poi. Per quale motivo veniva a scoprire adesso una notizia del genere? Non gli avevano detto la verità. E loro si consideravano i suoi familiari? Dopo avergli mentito per diciotto anni? 
Li guardò tutti con uno sguardo che trapelava stupore, lacrime, disprezzo. Non sapeva nemmeno lui come si sentisse in quell’attimo di terrore. 
Valeryn, d’altro canto, non emetteva alcun suono, tanto era rimasta immobile come una statua d’ottone. Non riusciva a descrivere il suo stupore, il suo quasi sdegno per quelle persone che erano i suoi cugini e che avevano detto una menzogna al ragazzo che amava. Una grossa menzogna... Fece per aprire bocca e dire la sua. Non era abituata a starsene zitta quando vedeva una persona cara soffrire. 
Vittorio però la precedette nel tempo. 
«Quindi è tutto? O c’è qualcos’altro?» 
Guardava sua madre con una fiamma negli occhi, qualcosa che non aveva mai arso dentro di sé. Sentiva quel calore immondo sconosciuto e quasi se ne stupiva. Mena guardò spaventata i suoi figli. 
«No, tesoro, noi...» 
«Bene, ho capito tutto» proferì, interrompendola. Il suo tono era freddo, non ammetteva altro.   
«Grazie a voi... adesso non so più chi sono» 
Una lacrima calda piena di disperazione bagnò il suo volto, mentre voltava le spalle a ciò che rimaneva della sua famiglia. Intenzionato ad andarsene al più presto da lì, aprì la porta principale e sgusciò via senza dare a nessuno il tempo di replicare. Valeryn fece uno scatto per raggiungerlo, ma Ross la bloccò da un braccio. 
«No, ci vado io» e lo raggiunse. 
La ragazza voltò lo sguardo verso gli altri. Natalie la fissava con rammarico, mentre Francesca accorreva nuovamente sua madre. Negò con la testa per cercare di scacciare via quella realtà dolorosa anche per lei, ma gli occhi di sua cugina parlavano chiaro. 
«Perché l’avete fatto, Natalie?» chiese, angosciata «Perché avete preferito abbandonarlo al suo destino?» 
  
  
  
 
Il castano uscì di corsa in strada, raggiungendo la piazzetta dove era solito ritrovarsi con i suoi amici quando era piccolo. Aveva incominciato a piovere, e le goccioline bagnavano il suo profilo affannato. Non se ne curò, raggiunse un balcone e si posizionò di sotto. L’acqua piovana colava dai bordi e lui osservava le goccioline come i minuti che passavano. Un’eternità... Sì, era passata un’eternità da quando era entrato a far parte della sua famiglia. O quella che era... Tirò su con il naso. Aveva freddo e tremava. Non solo per il vento. Si passò una mano sul volto, mentre continuava a pensare. Era stato ingannato come uno stupido e in tutti quegli anni della sua esistenza non se n’era mai accorto. Ora comprendeva perché si sentiva così diverso da loro... Dunque, se Mena non era sua mamma chi era la sua vera madre? Chi era la sua vera famiglia e perché l’avevano abbandonato? 
Per un attimo desiderò non tornare mai più a casa. Non voleva assolutamente mettere più piede là dentro, non voleva guardarli mai più in faccia. Gli avevano detto una bugia. E per lui era importante sapere la verità. Forse, in fin dei conti, avrebbe dovuto capirlo che non era il loro vero figlio. Ma stava così bene con loro, li amava, erano i suoi cari. Non poteva crederci che gli avessero fatto una cosa del genere. Detta così, in quel modo, come se fosse una cosa ovvia. Non avevano pensato a come si sarebbe sentito e si sentiva tutt’ora? 
Quelli non erano i suoi familiari, erano degli estranei, diamine! E adesso non sapeva più chi era lui. Non sapeva da dove proveniva, di chi era figlio, perché lo avevano adottato. Già... Perché non lo avevano lasciato patire? Perché lo avevano dovuto adottare e poi schiaffargli in faccia la realtà? Egoisti... E lui lo era ancora di più, che aveva sempre dipeso da loro e non si era mai preoccupato di scoprire tutto. Dov’era Valeryn? Era stato stupido a lasciarla con loro. L’aveva trascinata di forza in quella che considerava casa sua e poi l’aveva abbandonata con quelle persone. Dio, non riusciva nemmeno ad odiarli! 
Elia dov’era? Aveva bisogno di lui, forse più di Valeryn... Aveva bisogno di lui, adesso che era solo... 
Poggiò la testa sopra le ginocchia e iniziò a piangere, incurante della pioggia che colava imperterrita e di suo fratello Ross che lo aveva appena raggiunto con il fiatone e il cuore in gola. Non l’aveva trovato da nessuna parte, e per fortuna gli era venuto in mente quel posto che aveva segnato l’infanzia di Vitto. 
Gli posò una mano sulla spalla, scotendolo un po’. Soffriva, si vedeva. E stava soffrendo anche lui, come non mai. 
«Fratellino, tirati su» soffiò rauco. 
Vittorio fermò i singhiozzi e alzò la testa per guardarlo negli occhi castani, così diversi dai suoi grigi, così profondi. 
«Non sei mio fratello» proferì con la voce rotta. Tirò su con il naso e volse lo sguardo in un’altra direzione. 
Ross sospirò, scotendolo nuovamente. 
«E allora cosa sono per te, eh? Se non sono tuo fratello cosa sono?» 
«N-non lo so» balbettò disperato. 
Le lacrime gli solcavano ancora il viso, ma Ross gliene asciugò una, sedendogli accanto. 
«Ce l’hai con me, vero? Ce l’hai con noi e fai bene. Ma per favore... Non dire che non siamo fratelli. Ti prego, Vitto, lo sai anche tu che... che è come se lo siamo!» 
Il ragazzo si voltò di scatto. 
«Non è la stessa cosa! Io e te non siamo veramente fratelli, fattene una ragione! È inutile che continui a dirmi che è come se lo siamo o stronzate del genere!» 
Fu scosso da un singhiozzo. Ross si sentì un verme incapace di parlare come si deve. 
«Abbiamo sbagliato a non dirtelo prima. Hai tutte le ragioni del mondo per arrabbiarti con noi. E se prendessi la valigia e partissi senza guardarci più in faccia, ti capirei» 
Vittorio scosse la testa. Non aveva la forza neppure di alzarsi... 
«Questo lo devi decidere tu, Vitto, sei maggiorenne ormai. Noi siamo la tua famiglia, ma se tu non ci ritieni tale allora... allora fai come ti sembra più giusto. Sappi però» la voce di Ross si incrinò «che mi faresti un male inspiegabile se mi abbandonassi proprio adesso che ho bisogno di te» 
Il ragazzo guardò avanti, stando zitto. Ross sembrava sincero, ma per quanto si sforzasse a credergli non ci riusciva. 
«Fatico a crederti» sussurrò, stanco «Ormai non vi credo più» 
Ross alzò la voce. 
«E credici, invece! Tu devi credermi! Devi credermi quando dico che ti voglio bene, fratellino, che sei importante, che senza di te non sono io!» 
Il maggiore si lasciò scappare una lacrima colpevole. 
«Io... Io so che tu mi vuoi bene, che vuoi bene a tutti noi. Ti prego perdonaci se siamo stati degli sciocchi, se non siamo degni di considerarci la tua famiglia» 
Vittorio pianse nuovamente, mentre biascicava con la voce rotta 
«Quella era la mia vita... Ora... ora quello che mi resta è solo una bugia, cazzo!» 
Ross gli tenne la mano, piangendo anche lui. 
«Vitto, scusami... scusami...» strinse la sua mano. 
«Era tutto perfetto» continuò l’altro «Ma perché mi avete detto una bugia?» 
Pianse più forte, mentre suo fratello l’abbracciava con struggente affetto. 
Dapprima il castano non ricambiò; poi si lasciò andare e lo strinse forte a sé, come se fosse la prima volta dopo un lungo incubo. I suoi sentimenti verso di lui non era cambiati, gli voleva bene proprio come un fratello minore sapeva volerne. Era deluso, angosciato, ma gli voleva ancora bene. 
«Ross, non lasciarmi almeno tu» mormorò. 
«Io ti starò vicino, sempre» 
Continuarono ad abbracciarsi, mentre la pioggia si placava e il sereno si espandeva tra i cieli bui. 
Due fratelli veri che manifestavano le loro emozioni sotto la luna piena e le lacrime versate. In fin dei conti, non era cambiato niente, si disse Vittorio socchiudendo gli occhi. Non voleva che cambiasse niente. Anche se era estremamente difficile. 
   





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Capitolo 22
*** Qualcosa di bello ***







Si era fatto tardi quando Ross aveva richiamato Vittorio, incitandolo a tornare a casa. Il ragazzo non era d’accordo per niente. Il maggiore, però, aveva sospirato e l’aveva tirato da un braccio suo malgrado. Non potevano restare ancora in quel posto, faceva freddo e
Valeryn era ancora da loro. Vittorio lo strattonò.
 
«Lasciami, Ross, non ho voglia di tornare in quella casa!» 
«E cosa vorresti fare? Passare la notte su questi scaloni?» chiese sarcastico gettando uno sguardo alle scalette dove si erano appostati prima «E poi hai dimenticato che c’è la tua ragazza da noi? Non puoi lasciarla sola!» 
Fu forse il pensiero di Valeryn che gli fece cambiare idea. Pensarla da sola, senza di lui, dopo averla invitata a cena, lo fece rimuginare. Benissimo, sarebbe tornato solo ed esclusivamente per lei. Solo per non allarmarla. 
Si fece trascinare da Ross, ormai stanco per dire qualcosa o reagire. Da un lato voleva mettere fine a quella storia prima ancora di parlare con sua madre e suo padre, ma da un altro pretendeva una spiegazione ben valida. In fondo era vero che si sentiva parte di quella famiglia. La verità amara che aveva scoperto lo faceva star male, ma non voleva che le cose cambiassero. Beh, forse... Di certo voleva dei motivi precisi. 
Arrivarono davanti alla porta di casa, facendo tutto il tragitto in silenzio. Ross sentiva la gola secca e ogni tanto lanciava delle occhiatine al ragazzo che aveva ancora le guance umide. Da quanto tempo non piangeva in quel modo così disperato? 
 
  
Valeryn era ancora impalata a fissare Natalie, mentre questa si lasciava cadere su una sedia. Si era fatto tardi e Vittorio non era ancora tornato. 
«Dove sarà andato?» chiese impaziente, guardando l’orologio. 
La mora alzò lo sguardo stanco. 
«Ross è andato a raggiungerlo, sta’ tranquilla» disse. 
«Non posso stare tranquilla...» 
«Ross sa quel che fa» 
Valeryn sentì un moto di rabbia ribollirle dentro. Stava scherzando? Se quella famiglia, con tutto il rispetto, sapeva ciò che faceva a di certo Vittorio non sarebbe scappato! 
«Come sarebbe a dire che sa quel che fa? Dopo quello che avete causato, riuscite ancora a considerarvi coscienti di ciò che fate?» 
La castana sprizzava scintille, e sia Natalie, che Francesca, che Mena stessa, se ne accorsero. Quest’ultima si asciugò gli occhi. 
«Valeryn, non avrei voluto fossi qui anche tu. Ma come vedi siete arrivati in un momento sbagliato...» tentò di spiegare. 
«Non è vero, siamo arrivati appena in tempo. Se aveste nascosto la notizia ancora per molto, per Vitto sarebbe stato peggio!» esclamò lei. 
«Tu non puoi capire» venne in difesa della madre Francesca, che aveva messo a bollire una tisana per quest’ ultima «Mia mamma ha agito come le diceva il suo cuore. La situazione era alquanto complicata dato che nessuno sapeva niente» 
«Non lo sapeva nessuno?» 
Mena sospirò. 
«Valeryn, tua nonna, tua zia e i tuoi genitori sono gli unici oltre alla mia famiglia e a quella di Vinicio a saperlo» 
La castana osservò sconvolta la parete di fronte a sé. I suoi lo sapevano e non avevano mai parlato? Non si erano mai fatti sfuggire niente? Nemmeno con lei che era cugina e amica di Vittorio? Non ci poté credere. 
«Io non capisco...» biascicò «Non vi capisco... E’ assurdo...» 
«Non è assurdo, era l’unico modo. Non pensi che per Vittorio sarebbe stato prematuro saperlo da piccolo? Non avrebbe compreso, o se l’avesse fatto si sarebbe chiuso in sé stesso. Cerca di ragionare, Valeryn, mettiti nei panni di mia madre!» esclamò Francesca. 
Valeryn scosse la testa più volte del tutto contraria. Avevano fatto male. Avevano fatto l’errore più grosso della loro vita. 
«No, mettetevi voi in quelli di Vitto! Siete stati degli egoisti a non pensare come sarebbe stato lui. Solo degli egoisti!» 
Mena si portò le mani al viso. Valeryn era capitata in un brutto momento, non avrebbe voluto anche lei in tutto quel casino. 
«Ti prego, torna a casa dai tuoi genitori» le disse. 
«Io non mi schiodo da qui finché non torna Vittorio!» 
«Per favore, Valeryn... E’ complicato...» 
«UN CORNO!» quasi urlò, scattando sulle punte dei piedi per rabbia. Mise sull’attenti tutti, che la guardavano spaventati. 
«Fate soffrire il mio ragazzo e pretendete pure che me ne vada? Che razza di parenti siete?!» 
Natalie guardò sua cugina veramente disperata e arrabbiata. La capiva, non la biasimava per niente. Ma non poteva parlare, non poteva dirle che la pensava come lei. Ogni parola, ogni gesto poteva essere usato contro sua madre. Si limitò solamente a sussurrarle: 
«D’accordo, scusaci. D’altronde è sempre il tuo ragazzo... Resta pure qua, aspettiamo che Ross rientri insieme a lui» 
La castana annuì ancora troppo arrabbiata per rispondere. Si sedette di fronte alla finestra, gettando uno sguardo al paesaggio di fuori. Era buio, dove diamine si era cacciato Vittorio? Ross l’aveva trovato o no? E se era riuscito a prendere il treno e magari partire? E dove sarebbe andato? Scacciò via quei brutti pensieri. 
Non poteva stare senza di lui, non voleva starci. Non voleva fare a meno del suo amore. Era importante per lei, era vitale. Ormai era innamorata come nessun’altra, non avrebbe potuto sopportare una cosa del genere. 
Sospirò. Beh, in fin dei conti la notizia era stata terribile e fuggire era il minimo che Vittorio potesse fare. Cercò di mettersi nei suoi panni, ma era troppo doloroso per pensarci, quindi decise di provare a stare tranquilla. Nel frattempo, piccole lacrime le solcavano le guance. 
Mena si sentì un mostro. La conferma che Vittorio e Valeryn stavano insieme arrivò. Beh, non avrebbe trovato alcuna ragazza al di fuori di lei che andasse bene per suo figlio. Già, suo figlio... Chissà se lui la considerava la sua mamma, adesso... E adesso vedendo Valeryn piangere, angosciata come poche, capiva che d’ora in poi lui avrebbe amato più la ragazza che lei. 
«Valeryn, tu vuoi bene veramente a Vittorio?» le venne da chiedere, mentre questa alzava la testa. 
«Certo. Certo che gli voglio bene, Mena, gli voglio bene con tutto il cuore!» esclamò «Non posso sopportare di vederlo soffrire!» 
Quelle parole ferirono la donna come una lama d’acciaio. Non sapeva perché sentiva quel pizzico di gelosia materna nei confronti della ragazza. E in fondo non importava tanto se avevano un grado di parentela... E dire che con Vittorio non erano neanche veramente parenti... 
«Eccoli, sono tornati!» annunciò Natalie, mentre la chiave nella toppa girava e ne entravano due ragazzi bagnati dalla pioggia. Uno sollevato di essere riuscito a condurre l’altro a destinazione, l’altro stanco, ancora con la disperazione negli occhi. 
Valeryn corse ad abbracciare Vittorio, mentre Ross si avvicinava a sua madre e le sue sorelle che si erano appena alzate dal divano. 
«Allora, dov’era scappato?» sussurrò Francesca. 
«Al vecchio campo dove andava a giocare da piccolo» lanciò le chiavi sul tavolo «Per fortuna mi è venuto in mente quel posto» 
Mena volse lo sguardo sui due ragazzi che si abbracciavano con calore. Era evidente che suo figlio fosse così innamorato di sua cugina. Pareva essersi tranquillizzato con il suo solo abbraccio. Ma non le andava del tutto giù. Era con lei, sua madre, che doveva parlare. 
«Oh, amore» gli sussurrò all’orecchiò la castana «Mi hai fatto preoccupare tanto... Non sai che attimi d’inferno ho passato...» 
Vittorio la strinse, nascondendo il volto nell’incavatura del suo collo. 
«Stai tranquilla, non me ne vado senza di te» 
Dopo essersi coccolati a vicenda per qualche secondo, il ragazzo incontrò lo sguardo di sua madre. Una fitta al cuore s’impadronì di lui, e lasciò andare Valeryn per riuscire a guardarla negli occhi. 
Quella donna non era sua mamma. Non lo aveva generato dal suo ventre. Era solo una madre acquisita che non gli aveva mai detto la verità. 
«Tesoro, ci hai fatto preoccupare...» 
«Pazienza. Sono qui, no?» disse freddo e un po’ sarcastico. 
Per quanto volesse non riusciva ad essere gentile. Adesso erano solo lui e Valeryn, di fronte ai suoi familiari. Beh, per modo di dire, si disse cattivo con sé stesso. 
Mena sospirò angosciata. 
«Dobbiamo parlare, Vitto» 
Lui la fermò con un cenno. 
«Non ne ho voglia» 
«Ti prego, è importante» insistette lei «E’ meglio se Valeryn torna a casa» 
«No, lei resta qui» affermò convinto il ragazzo «Dorme con me, non torna a casa» 
Mena lanciò uno sguardo interrogativo alle figlie, mentre Ross scoteva la testa guardando il fratello minore. 
«Ma Vitto, sua madre sarà in pensiero!» ribatté Francesca, cercando un appoggio da parte di Valeryn che non arrivava. In realtà, voleva stare con lui più di ogni altra cosa. 
«Non importa, la chiamerà» disse fermo «Lei dorme qui» 
La castana lo guardò con affetto e gli strinse la mano. Che bello sapere che era così importante per lui a tal punto da voler dormire insieme... 
Mena spostava lo sguardo sui due ragazzi presi per mano. Perché non voleva discutere con lei, la considerava meno importante di Valeryn? 
«Tesoro, io...» tentò ancora di parlare. 
Vittorio, però, alzò gli occhi al cielo e le voltò le spalle. 
«Ti ho già detto che non voglio discutere con te» ribadì seccato «Ci senti? Lasciami in pace» 
Tirò dalla mano della ragazza e varcò la soglia della porta che lo conduceva in corridoio per raggiungere camera sua. 
Sia Natalie, che Ross tentarono di trattenerlo, dato che Mena era rimasta di stucco. 
«Torna qui, dove vuoi andare?» gli chiese la mora. 
«A dormire. Non provate a fermarmi» 
Ross, però, gli posò una mano sulla spalla. 
«Promettimi che domani parlerai con la mamma» 
Vittorio gli gettò uno sguardo di fuoco. Non poteva pretendere tanto da lui. Mena lo aveva ingannato... lo aveva ingannato e lui adesso ce l’aveva con lei. 
«Promettimelo» ripeté, guardandolo fisso negli occhi. 
Sbuffò, trascinando Valeryn con sé. 
«Forse... Non sono obbligato» detto questo, salì le scale e si congedò. 
  
  
  
Gli squilli del telefono di casa di Valeryn si facevano imperterriti. 
La ragazza stringeva tra le dita il cellulare, quasi dovesse romperlo da un momento all’altro. Perché i suoi non rispondevano? Doveva assolutamente parlare con sua madre. Squillo dopo squillo. Sbuffò, ma non mise giù. 
«Pronto?» La voce stufata di sua madre si sentì dall’altro capo, sicuramente interrotta da qualche faccenda. 
Valeryn volle urlarle parecchie cose, ma stranamente sentiva un groppo alla gola e pensò a un pianto da un momento all’altro. 
«Perché non me l’avete detto?!» esclamò dopo che riuscì a proferire qualcosa. 
Rosa rimase interrogativa dall’altro filo. Cosa aveva sua figlia da urlare? 
«Non capisco a cosa ti riferisci, Vale. A proposito, dove sei? Le pizze sono arrivate» 
«Non mangerò da voi!» sbottò «Sto da Vittorio e sai perché?!» 
«Da Vittorio?» chiese la donna, stupita. 
«Sì, da lui» Sentì una fitta alla pancia e le lacrime pizzicarle il bordo degli occhi «Perché non me l’avete detto, eh?! Voi lo sapevate che... che...» 
Allontanò un attimo il cellulare dall’orecchio per poter singhiozzare. Quella situazione le faceva male come una pugnalata al petto. 
Rosa, dal suo canto, intese ciò che voleva dirle. Si morse il labbro in difficoltà, rispondendo vagamente. 
«Cosa, Valeryn 
«Mamma, cazzo!» urlò la castana, incurante del fatto che si trovava in bagno e la camera di Vittorio era a due passi «Voi non me l’avete detto! Voi sapevate tutto! Siete stati cattivi, siete stati... Oh Dio… Vi rendete conto? Io l’ho saputo solo adesso!» 
«Vale, per favore, calmati!» 
«NO, mamma!» sbottò arrabbiata, mentre si asciugava le lacrime con la maglia «Lui è mio cugino... Voi non potete capire cosa provo per lui... Non mi avete detto che lo hanno adottato! Non me l’avete detto!» 
Rosa rimase attonita, gettando uno sguardo a Piero che guardava sospettoso il cordless bianco che la moglie aveva all’orecchio. La donna si passò una mano sulla fronte, sussurrandogli un labiale “sa del figlio di Mena”. Piero fece una faccia grave. 
«Valeryn, noi non c’entriamo niente. Non potevamo dirti una cosa del genere. Sua madre ha agito come meglio credeva, noi dovevamo solo stare zitti» 
«Voi siete degli stupidi!» continuò la ragazza «Mi avete tenuto all’oscuro di una cosa così importante, di una cosa vitale per Vitto» abbassò il tono, evitando di farsi sentire da lui. 
«Lui sta soffrendo, mamma, e non puoi capire come mi sento io adesso!» 
Sentendo la sua voce tremare, Rosa tentò di rincuorarla. 
«Per favore, Vale, non piangere... Mando tuo padre a prenderti, non puoi rimanere da loro. Hanno bisogno di parlare» 
«NO!» esclamò «Io voglio stare con Vittorio, voglio stargli accanto!» 
«Ma... perché?» 
Rosa non riusciva a capire il motivo di tutto quell’ardore. 
Valeryn chiuse gli occhi mentre lo disse: 
«Perché è di lui che sono innamorata» 
«Cosa?!» 
«Sì, e basta chiacchierare adesso! Io rimango qui, punto» troncò la conversazione con il cuore in gola. Aveva detto la verità a sua madre e si sentiva male lo stesso. 
Rosa rimase attonita guardando suo marito. 
«Non dirmi che ha scoperto del figlio di Mena?» chiese quello. 
«Incominciano le rogne, Piero» sospirò la moglie. 
«E perché mai?» chiese sospettoso il marito. 
Rosa alzò le spalle, ancora incredula di quello che aveva appena sentito. 
«E’ innamorata» affermò. 
L’uomo fece una smorfia irritata. 
«Questo lo sapevo già. Com’è che si chiama quello... un ragazzo con i capelli biondi...» 
«No, non di lui» mormorò la donna, ma Piero non aveva sentito, e lei pensò che forse era meglio non dirglielo per adesso. 
Si sarebbero dovute calmare le acque, e dopo aver scoperto del fatto di Vittorio non voleva che suo marito facesse altre scenate a complicare le cose. 
  
  
  
  
La ragazza uscì dal bagno dopo essersi asciugata le lacrime e aver indossato il pigiama offerto poco prima da Natalie. Le faceva male la testa e non vedeva l’ora di andare a dormire. 
«Valeryn, aspetta!» la chiamò Francesca, portando in mano un piccolo vassoio. 
La castana la guardò stanca e interrogativa. Aveva poca voglia di parlare con i suoi cugini, in quel momento. 
«Se avete fame vi ho preparato dei toast» gli porse il vassoio «E anche qualcosa da bere» 
Valeryn scosse la testa, ma afferrò il cibo comunque. 
«Non credo che Vitto avrà fame... e sinceramente neanche io. Buonanotte.» 
Francesca si portò una ciocca di capelli color miele dietro l’orecchio. 
«Valeryn, un momento» la fermò da un braccio. Rimase muta per dei secondi non sapendo come esprimersi. 
«Ti prego, aiutalo. Solo tu puoi farlo, bella mia, solo tu» 
«Perché solo io?» 
L’altra sospirò. 
«Noi sappiamo quanto gli piaci. Da quando si è messo con te è diventato più felice. Naturalmente, lo era prima di adesso…» La sua voce si fece flebile, mentre Valeryn annuiva. 
«D’accordo, Francesca, tranquilla. Voi preoccupatevi solo di stare in pace con la vostra coscienza» girò le spalle e se ne andò, entrando in camera di Vittorio. 
La ragazza rimase ad osservare la stanza di fronte a sé, sperando veramente che la castana sarebbe riuscita a calmare il suo fratellino. 
Valeryn aprì la porta della camera del suo fidanzato, che stava sdraiato a pancia in giù sul letto. Si morse il labbro osservandolo così, in quella posizione di sconforto. Avanzò lentamente, posando il vassoio e sedendogli accanto. 
Gli mise una mano sul viso. 
«Vitto, vuoi mangiare qualcosa?» gli chiese piano. 
Lui si limitò a fare “no” con la testa. Non aveva voglia di parlare, figurarsi mangiare. Valeryn alzò gli occhi al cielo. Adesso era ora di reagire, non poteva buttarsi completamente giù. 
«Per favore, alzati. Non farmi stare in pensiero!» esclamò. 
Il ragazzo non fece nulla per dei secondi. Poi, pian piano, si rigirò nel letto e si voltò in sua direzione guardandola intensamente negli occhi verdi. 
«Ti sto tanto a cuore, Valeryn?» soffiò. 
Lei non capì perché gli aveva porto domanda. Era ovvio che lo amava, o no? 
«Perché mi chiedi una cosa del genere? Pensi ti stia prendendo in giro?» 
«Non lo so. Ormai non riesco a fidarmi di nessuno» si lasciò scivolare una lacrima amara «Sono stato tradito persino dalla mia famiglia...» mormorò. 
«Di me ti devi fidare!» La ragazza gli si sedette proprio davanti, per guardarlo meglio in faccia «Io non posso vederti in questo stato, voglio che tu reagisca, che dimostri a tutte quelle persone che non servirà certo una notizia del genere per abbatterti!» 
Vittorio rimase colpito dalle parole della ragazza, ma debole com’ era riuscì solo a sospirare. 
«Non ce la farei, Valeryn. Per niente» 
Scosse la testa, lei. 
«Andiamo, Vitto! Dov’è il mio cugino preferito? Quello che menava a tutti, quello che con le sue battute metteva k.o Daniel, sfondava il sedere a chi si azzardava a toccare i suoi amici! Dov’è il nostro eroe? Il mio eroe» 
A Vittorio scese un’altra piccola lacrima. Era per quel motivo che amava Valeryn. Perché riusciva sempre a incoraggiarlo anche in momenti del genere. 
«Hanno sbagliato a non dirtelo...» aggiunse poi. 
«Lo so» lui si abbandonò ad un sospiro, asciugandosi la lacrima. 
«Però non devi buttarti giù, amore mio» gli sussurrò, sentendo anche lei nuovamente le lacrime «Non… Non fare così… scendi di sotto e fatti sentire. Ti prego, lo so che ti hanno mentito… Ma in fin dei conti l’hanno fatto per il tuo bene… O almeno così dicono...» 
Il castano, vedendola piangere, gli si spezzò il cuore. Adesso capiva che per lei era importante, che se soffriva lui soffriva anche lei. 
«Hai ragione, Vale» disse ad un certo punto «Ma in questo momento ho bisogno solo di te» 
La ragazza si sporse per accoglierlo in un abbraccio pieno di calore. Vittorio le baciò il viso, spostandole le ciocche castane insistenti. Posò le labbra sopra quelle sue e si lasciò andare completamente a lei, che lo accarezzava amorevolmente. 
Valeryn aveva la capacità di intrappolarlo con un solo sguardo dei suoi occhi magnetici, e lui si sentiva completamente suo quella sera. Voleva esserlo. Voleva chiudere la mente, non pensare, essere felice come lo era fino a poco tempo fa. 
Dentro di sé stava scoppiando, ma i movimenti dolci di Valeryn lo facevano rilassare, lo facevano star bene. Pian piano, quasi ingenuamente, si lasciò cadere sul suo letto, mentre lei si accomodava a cavalcioni sopra di lui e continuava a baciarlo. Senza dargli tregua, senza dargli spazio per pensare a qualcosa. Perlomeno qualcosa di stupido. 
Entrambi avevano bisogno dell’altro. Vittorio aveva bisogno di Valeryn. Vittorio amava Valeryn. Ormai era una certezza assoluta. Lo sapevano pure i muri. 
Le sfiorava le cosce, le gambe. Il suo cuore martellava nel petto e la ragazza si sentiva morire, si sentiva in paradiso con tutti i suoi sensi. Non ragionava più. 
Dopo averlo fatto sospirare dal piacere con dei baci sul collo, gli levò la maglietta lasciandolo a torso nudo. Segnò una lunga traiettoria con i suoi baci sul petto scoperto, facendo vagare le sue mani. Vittorio era completamente in trance. Quasi non riusciva a muoversi. A parte che lo stava già facendo eccitare... e poi non potevano continuare così. Dovevano fare l’amore. 
Dovevano farlo, si disse, o sarebbe impazzito. Lo desiderava da tanto. 
Pensarono che forse non era il momento, ma ne avevano bisogno entrambi. 
La prese delicatamente dai fianchi e gli cedette il suo posto, posizionandola sotto di lui. Le baciò il collo, pian piano, facendole chiudere gli occhi. Lo strinse a sé, accarezzandogli i capelli castani. Cercò i suoi occhi grigi e vide che la guardavano, che l’ammiravano. Che la compiacevano così com’era. Che l’amavano. 
Le tolse la maglia del pigiama, e subito dopo i pantaloni. Le baciò la pancia, le accarezzò le cosce nude, e le sganciò il reggiseno facendolo scivolare via. Sfiorò il suo con dei piccoli baci che la fecero sospirare. 
Lei, dal suo canto, gli tolse prepotentemente i pantaloni che ancora portava. Rimasto in boxer, risalì nuovamente il suo collo fermandosi a mezz’ aria dalla sua bocca. Entrambi respiravano pesantemente. Prese un po’ di fiato prima di baciarla a lungo. Un bacio dolce, che sapeva di lacrime, dolore, amore. Poco importava. 
Nel frattempo, la mano del ragazzo scese in basso, vicino al suo ventre, alle sue mutandine. Le abbassò un po’, infilando le sue dita nella femminilità di lei, accarezzandola e facendola gemere. Subito dopo, e senza aspettare oltre, gliele sfilò del tutto, lasciandola completamente nuda di fronte a lui. L’osservò con piacere. 
Lei divenne un po’ rossa, sentendosi in imbarazzo. 
«Eddai, smettila! 
Lui sorrise. 
«Non devi vergognarti di me» 
La baciò ancora e, lentamente, dopo essersi tolto i boxer, entrò dentro di lei facendola sussultare. Valeryn si aggrappò di più al suo collo, lanciando un lungo gemito. Non appena lo sentì spingere cacciò la testa indietro sul cuscino e si lasciò andare. Sorrise. Era bellissimo. Il piacere che le stava procurando era bellissimo. Andava su e giù e ne voleva sempre di più, non si sarebbe mai stancata di lui. 
Vittorio spinse più forte, scese con le sue labbra fino al suo collo roseo e lo leccò, lo morse, fino a quando lei non riuscì a trattenersi e ansimò incontrollabilmente. 
Tutto quello lo voleva da tanto tempo. 
Lo volevano da troppo tempo, stare in quel modo, farlo con quell'intensità tale da non sentire il bisogno di altro. 
Troppo tempo perso dietro l'insicurezza di non potersi avere. 
Quando aversi era l'unica cosa che desideravano. 
Continuarono a fare l’amore per un po’ di tempo, fin quando il sonno prese il sopravvento. 
Valeryn aveva asciugato con dei baci le lacrime che Vittorio tentava di non far scendere, ma invano. Lo consolò tutta la notte, tenendolo stretto, accarezzandogli la testa. Baciandolo. Lui la lasciava fare con gli occhi socchiusi. 
«Non ti farai abbattere da quello che è successo. Hai capito?» gli sussurrava. 
Vittorio aveva annuito. 
«Il solo pensiero di aver fatto l’amore con te mi rende di nuovo felice» 
Si addormentarono con quell’unione in testa. Con quei momenti di piacere ancora in gola. Stretti, amanti. E Vittorio pensò che, in fin dei conti, non erano neanche realmente cugini.





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Capitolo 23
*** Ti voglio bene ***








Aprì gli occhi, disturbato dalla luce del sole che filtrava attraverso le tende. Riconobbe camera sua, ricordò gli eventi della sera prima e sospirò con tristezza. Subito cercò con la mano
Valeryn, tastando il materasso ancora caldo. Non doveva essersi alzata da molto. E poi ricordò, constatando di essere nudo. Avevano passato la notte insieme.
 
Chiuse gli occhi, assaporando il dolce ricordo di quelle ore meravigliose. Lei, con tutta la sua dolcezza, era riuscita a tirarlo via da quell’inferno che aveva vissuto. Adesso si sentiva un nuovo Vittorio... quasi sereno. Si stiracchiò e affondò nuovamente la testa sul cuscino. 
La porta si aprì dopo due colpi. 
«Buongiorno, ti ho portato la colazione» 
Valeryn entrò sorridente, in mano un vassoio con sopra una tazza bollente di caffelatte e fette biscottate con la marmellata. 
Gli si rallegrò il cuore a vederla. 
«Grazie, ho giusto un po’ di fame» 
Prese il vassoio e se lo poggiò sopra, bevendo a sorsi. La ragazza si sedette accanto a lui, guardandolo con un’espressione interrogativa. 
Si domandava come stava, come aveva dormito. Erano stati insieme tutta la notte e aveva continuato ad accarezzarlo finché non si era addormentato tra le sue braccia. Sperò stesse meglio, e infatti così sembrava. Dopo aver mangiato tutto, si distese sul letto un’altra volta. Portò le braccia dietro la testa, sospirando. Gettò un’occhiata alla finestra. 
«Allora, come stai?» gli chiese la castana, mettendosi a sua volta sotto le coperte. 
Lui fece spallucce. In realtà era ancora scosso, ma aver fatto l’amore con lei lo aveva categoricamente tirato un po’ su. 
«Bene» rispose «Solo un po’ stanco» 
«Sicuro?» lo guardò apprensiva. Sapeva che stava ancora male, in fondo. 
Lui annuì. 
«Meglio di ieri sicuro» le prese una mano baciandola «Ed è tutto merito tuo» 
Valeryn divenne leggermente rossa. Non capiva come mai i complimenti di Vittorio la facevano sempre imbarazzare, anche se stavano insieme già da quattro mesi... 
«No, io non c’entro. Sei stato tu a reagire» 
Lui sorrise tristemente, volgendo lo sguardo ancora una volta alla finestra. 
Reagire era troppo, si disse. Diciamo che era riuscito a non pensarci per tutto il tempo che era stato con lei. Ma adesso doveva fare i conti con tutte quelle persone. Persone che erano la sua famiglia, che lo avevano ingannato, che gli avevano fatto credere di essere uno di loro. 
Lo era? Era uno di loro? 
Volse lo sguardo verso la cornice dov’era immortalata la foto di lui e i suoi fratelli, e pensò che sì, si sentiva parte di quella famiglia, nonostante non fosse realmente sua. 
Sospirò e si alzò per cercare i vestiti. 
 
  
Di sotto, Mena stava preparando la colazione per i figli e il marito. L’aveva preparata anche per Vittorio e l’aveva consegnata a Valeryn. 
Alzò gli occhi al cielo, stanca. L’unica cosa che voleva in quel dannato momento era discutere con lui. Parlargli, chiarire, provare a spiegargli tutto. Era poi così difficile? In fondo lei aveva causato il danno e lei doveva rimediare. Suo marito entrò come una furia in cucina, spalancando la porta scorrevole. 
«Spiegami questa storia, Mena, subito!» esclamò, guardandola di traverso. 
La donna spostò i capelli castani che le ricadevano in faccia. 
«Abbassa la voce, i ragazzi stanno dormendo. Bene, se vuoi che te la racconti siediti e calmati» 
Vinicio volle replicare, ma obbedì. La sera prima era tornato tardi e ad aspettarlo era rimasto solo suo figlio Ross, che in breve gli aveva raccontato tutto. Ma dato che era notte e Vittorio dormiva, non aveva scomodato nessuno. Adesso però, voleva sapere cos’era realmente successo. 
«Sbrigati, Mena. Esigo che mi spieghi!» 
«Un attimo, dammi tempo» un po’ titubante per la reazione del marito che non aveva mai visto di buon occhio il fatto di dover mentire a suo figlio, si accomodò su una sedia accanto. 
«Allora, Vinicio, ieri sera Vitto è tornato a casa, no?» incominciò. 
«E allora?» 
«A parte il fatto che ha portato con sé la figlia di mio cugino Piero, intendi?» 
«Sì, sì, continua!» l’uomo era impaziente. 
«Bene. Io, Ross e le ragazze, beh... stavamo discutendo sulla sua adozione, sulla mia incertezza se dirglielo o no» 
Vinicio spalancò gli occhi. 
«Quindi nostro figlio è venuto a sapere una cosa del genere in un momento inopportuno?!» esclamò. 
Mena tentò di fargli abbassare la voce, ma era del tutto inutile. 
«Io non capisco come sia possibile!» accusava «Non capisco te, Mena, e la tua sciocca presunzione! Se avessi ascoltato me, una volta tanto, a quest’ora Vittorio starebbe in pace e non con questa grave preoccupazione!» 
«Ma Vinicio, io...» gli posò una mano sul braccio per calmarlo. 
«Sta’ zitta, ti prego, Mena! Adesso tocca a te parlare! Hai capito? Solo a te!» si scansò voltandole le spalle. Prese una caffettiera e mise a preparare una tazza di caffè. Era già abbastanza nervoso, ma solo quello paradossalmente lo faceva riflettere. 
  
  
  
Dopo essersi lavato e vestito, Vittorio decise di scendere in cucina. Sicuramente sarebbe stato difficile affrontare qualsiasi tipo di argomento con i suoi, ma non poteva starsene in camera in eterno. E cosa ancora più importante, voleva sapere tutta la verità della quale era stato privato. 
Valeryn lo guardò apprensiva. 
«Te la senti di scendere giù?» 
Lui la guardò con mezzo sorriso e annuì. Lei gli strinse la mano e insieme si accinsero a percorrere quelle poche scale che li separavano da Mena e Vinicio. 
Uscendo, incontrarono Ross mezzo assonnato e Natalie che lo reggeva in piedi. I due gemelli rizzarono sull’attenti non appena si accorsero di loro. 
«Avete dormito bene?» chiese stupidamente la mora, osservandoli. 
I due si lanciarono un’occhiata fugace, un po’ eloquente, ma senza darlo molto a vedere. Per evitare di far parlare Vittorio, Valeryn lo precedette. 
«Sì, abbastanza. La notte porta consiglio» 
Ross alzò lo sguardo, rivolgendosi, però, a lui. 
«Quindi hai deciso di parlare con la mamma?» 
Tutti e tre guardarono il castano, che pur facendo una smorfietta, assentì. 
«Mi sembra il minimo. Ho diritto di sapere, non credi?» 
Quello annuì vigorosamente. 
«Giustissimo, fratellino, ne hai tutto il diritto!» 
Al “fratellino” proferito, Vittorio abbassò lo sguardo. Natalie e Ross se ne accorsero e si guardarono senza sapere che dire. Valeryn interruppe quel silenzio imbarazzante, trascinando il ragazzo in cucina, dove sua madre e suo padre stavano discutendo. Il castano guardò entrambi senza dire nulla. 
«Sei così testarda, Mena, non ti capisco proprio! Ti fai un sacco di complessi in testa, ti rendi forte agli occhi degli altri, ma in realtà...» 
«Cosa, Vinicio? Cosa?!» ribatteva la donna «Io so di aver commesso un errore, un errore che di sicuro costerà a nostro figlio! Ma ho fatto ciò per proteggerlo da questa realtà dolorosa fin da quando era bambino!» 
Vinicio scrollò le spalle, contrariato. 
«Io non ho parole! Vittorio ha compiuto diciotto anni senza sapere nulla per colpa tua!» 
«Beh, dovresti controllare la tua presenza in questa casa e nella sua vita, allora!» sbottò la donna, arrabbiata «Ci sei solo la sera quando lui va a dormire!» gli rinfacciò. 
«Non posso farci niente e lo sai! Ho il lavoro, devo pur sempre mantenere questa famiglia 
Sentendo tutte quelle parole, quelle frasi, a Vittorio scese un velo di tristezza assoluta. Vedere i suoi genitori che litigavano per lui faceva sempre star male. 
Ross tossicchiò per richiamare l’attenzione su di loro. Cosa saltava in mente a quei due? Litigare davanti a Vitto in quella situazione? 
«Scusate, se magari ci degnaste della vostra presenza!» proferì sarcastico. 
Quelli smisero e subito la loro attenzione venne catturata dal castano, che li guardava aspettando una spiegazione. 
Vinicio si fece avanti, non permettendo a Mena di parlare. 
«Vittorio, figlio mio...» mormorò. 
«Figlio tuo?» gli venne naturale fare quella domanda. 
Vinicio e il ragazzo si guardarono negli occhi per qualche secondo. 
«Io...» biascicò l’uomo «Mi dispiace che tu sia venuto a sapere una cosa così importante in questo modo! Devi perdonarci, siamo stati dei cattivi genitori per te...» 
«No, questo non è vero» rispose lui. 
Mena lo guardò meravigliata. 
«Ti ringrazio, Vittorio. Ascoltami, ti porgo le scuse da parte di tutta la famiglia. Da parte mia, della mamma, di Ross» gettò uno sguardo a suo fratello, che fece altrettanto «di Natalie» la sorella, rammaricata, quasi cercava di scusarsi con lo sguardo «e di Francesca» la maggiore arrivò proprio in quel momento e fece per aprire bocca, ma non sapendo che dire, la richiuse subito dopo. 
Il ragazzo sospirò e annuì, pensando che ormai non aveva bisogno di quelle inutili scuse. Ormai, purtroppo, aveva scoperto tutto. Non si potevano cambiare le cose, era troppo tardi. Non gli servivano quelle parole. 
«Sai che tutti noi abbiamo sempre voluto il tuo bene e te ne vorremo sempre» spiegò Vinicio, leggermente in difficoltà. 
Mai nella vita si sarebbe immaginato di parlare in quel modo a suo figlio. E dire che lui era al corrente della situazione, ma non aveva potuto fare niente. 
«Il fatto è, Vittorio, che a volte la vita ci riserva delle circostanze misteriose. Alcune piene di gioia, altre come ben sai, dolorose e ingiuste. So che adesso ti senti male, che vorresti andartene, come mi ha riferito tuo fratello Ross» 
 Il castano lanciò uno sguardo interrogativo verso il maggiore. In realtà, non l’aveva mai detto. Non sapeva nemmeno dove andare, cosa fare senza di loro... 
«Noi non possiamo trattenerti perché ormai sei maggiorenne e quindi abbastanza cresciuto per prendere le tue decisioni da solo. Per noi sarebbe un vero trauma non averti più qui, in questa casa. Ma... se ciò servisse per farti sentire bene, se servisse per farti riflettere... non so... Per me andrebbe benissimo così, Vittorio. Io, da padre e te lo dico con tutto il cuore, voglio solo vederti felice. Non m’importa se in realtà non sei mio figlio naturale o quel che sia. Io so che tu farai sempre parte di questa famiglia e sarai nonostante tutto il mio figliulo più piccolo» 
Le parole del padre lo fecero rimanere di stucco. Non vedeva spesso Vinicio in tutto l’arco della giornata, ma gli voleva un gran bene, oltre al fatto che gli stava tanto simpatico. La domenica, quando lui era libero, a volte preferiva stare a casa in sua compagnia e sentire i suoi discorsi profondi e tutte le sue esperienze passate che uscire con il gruppo. Ecco perché credeva veramente a quelle parole, perché in realtà non aveva mai smesso di pensare che Vinicio fosse suo papà, le ragazze e Ross i suoi fratelli... e Mena, beh... 
La guardò piccola piccola nella sua statura, con la sua impeccabile capigliatura castana e la sua espressione supplice. Non l’aveva mai vista così, si disse. Si era sempre dimostrata come una donna forte, capace di battere perfino un uomo. E lo dimostrava da come governava la casa e i suoi quattro... o forse tre, mah, non lo sapeva nemmeno lui, figli. Ci credeva che aveva sofferto, però non riusciva a comprendere per quale motivo lo aveva voluto lasciare al suo destino troppo tardi. 
Ross prese la parola. 
«Io gliel’ ho detto, . Sarei pronto ad appoggiarlo se lui volesse distaccarsi un po’ da noi. Sta a lui decidere» 
Guardò Vittorio, lanciandogli uno sguardo carico di mille parole già dette e ridette. 
«NO!» esclamò Mena, trasalendo. Il cuore di Vittorio batté più veloce e perfino Valeryn si stupì della sua reazione. 
«Io non voglio assolutamente che Vittorio se ne vada di casa!» si rivolse a lui, che la fissava non sapendo che dire «Non voglio che vai via, Vitto, no! Per favore, io ti voglio bene! E so che sono la persona meno appropriata per dirti queste parole, ma se tu te ne vai io non ce la farei senza di te, figlio mio!» 
Francesca sorrise verso sua madre, mentre Natalie si abbandonò in un sospiro. 
«Credimi, io non ti ho nascosto la verità per farti soffrire!» si avvicinò di più a lui. Vittorio fece un piccolo passetto indietro, spontaneamente. Lei gli prese una mano comunque. 
«Dimmi quello che mi spetta sapere, per favore» mormorò lui «Convincimi che va tutto bene...» si lasciò scappare queste parole con un sospiro angosciato. 
Mena strinse di più la sua mano, abbandonandosi a delle lacrime silenziose. Tutti gli altri stavano muti al loro posto. Valeryn guardava la scena davanti con speranza. 
«Ebbene, sì. E’ giusto che tu sappia tutto e che venga rassicurato, tesoro mio» 
«Da dove vengo? Chi sono i miei veri genitori?» chiese il ragazzo a voce bassa. 
Queste due domande trafissero il cuore della donna e di Vinicio; ma lo sguardo del ragazzo che incoraggiava Mena a parlare, bastò per entrambi. In fin dei conti era giusto così. 
«Vedi, tua madre era una donna di strada. La prima volta che la vidi vendeva al mercato della frutta. Veniva pagata poco, era una ragazza madre. Fui attirata da quel piccolo fagotto che teneva davanti al suo petto, ed eri tu, Vitto. Avevi poche settimane e lei non ti abbandonava nemmeno un minuto... Ti chiederai come ho fatto a conoscerla? Beh, ricordo che passavo da lì tutte le mattine attratta da lei, il suo modo di fare, impegnarsi per trovarti un posto al calduccio. Qualche volta fu ospite qui a casa nostra, ma orgogliosa com’era non si faceva aiutare da nessuno e la mattina seguente usciva di casa di nascosto per andare a guadagnarsi il pane. Voleva solo che tu stessi bene. Io ero sempre più affascinata da quella creaturina che eri! Ormai quando ti vedevo tra le sue braccia sentivo come un fare materno nei tuoi confronti, anche se eri ancora un neonato. Un giorno la portai a fare delle analisi, visto che sentiva dei forti dolori e lì le venne diagnosticato... oh Dio, come sto male pensandoci... un tumore al seno» 
Vittorio spalancò leggermente gli occhi. 
«Sì, proprio così. I medici dicevano che le possibilità di vita erano scarse, ma che potevano provare a curarla. Io la portai all’ospedale, l'aiutai con i soldi per le cure, la lasciai lì finché non venne il giorno in cui scappò. Sai, era testarda... Troppo. Lei non voleva star chiusa in un ospedale, lei era così libera, così forte! Oh, la vidi gettata davanti all’ ingresso, non seppi nemmeno come fece a scendere... Aveva te in braccio, ti teneva stretto... Poi... Poi mi guardò negli occhi e mi disse “Prenditelo, lo vuoi? È tuo”. Cielo, tu avevi solo pochi mesi! E io che mi sentivo tua madre, non potetti fare a meno di adottarti! Lei morì poco dopo... quella piccola, che vita ingiusta...» Mena scoppiò a piangere, mentre il castano le strinse la mano per incutergli forza. Una lacrima lo sorprese. 
«C-come si chiamava lei?» domandò sentendo un nodo alla gola. 
Mena tirò su col naso. 
«Marta. Tieni, ho una suo foto. L’unica che possiedo» Tirò fuori dalla tasca del grembiule l’immagine sgualcita di una giovane donna con gli occhi grigi stanchi, i capelli sciolti sulle spalle, bella, bellissima, con un bambino tra le braccia.  
Lui.  
Vittorio l’osservò e annuì. Quindi Marta era la sua vera madre. Era lei. Provò un’emozione forte, inspiegabile. 
«Ora capisci perché non te l’ho detto prima? Il suo ricordo era troppo vivido, non volevo sapessi della tua vera madre. Non volevo ti allontanassi da noi, che non ti sentissi parte dalla famiglia. Volevo riferirtelo quando saresti stato un po’ più grande, ma ho lasciato trascorrere troppo tempo. Scusa, Vitto, se puoi scusami!» 
Vide Mena mortificata come poche e restituì la foto di Marta. Non si aspettava una cosa del genere, il racconto di sua madre l’aveva colpito. Si girò per cercare Valeryn con gli occhi e la vide che lo guardava dispiaciuta. 
«Perché mi avete preso lo stesso pur avendo già altri figli?» gli venne da chiedere. 
«Noi ti volevamo, Vittorio, tu sei nostro figlio da sempre!» ribatté suo padre «Anche quella giovane, Marta, lo aveva capito. Ti affidò a noi per questo. Lei non avrebbe potuto crescerti» 
«Perdonaci... Perdonami...» sussurrò infine Mena, guardando il ragazzo implorante. 
Vittorio si sentì confuso. Ciondolò con gli occhi verso i suoi fratelli e poi li riposò sopra sua madre. 
Anche se non lo era, lui la considerava tale. Non poteva farne a meno. 
«Ti voglio bene» disse, guardandola negli occhi «anche se non sei mia madre. Per me è come se lo fossi, Me...» La donna chiuse gli occhi.  
Non Mena, si disse, ma mammaSolo mamma. Ross alzò lo sguardo, chiedendosi come l’avrebbe chiamata. 
«mamma...» soffiò subito dopo il ragazzo, mentre si faceva abbracciare da lei. 
«Oh, Vittorio!» esclamava tra le lacrime «Non sai come sono felice! Figlio mio!» 
Francesca, Natalie e Ross si unirono all’abbraccio, trascinando pure loro padre. Valeryn osservò la scena con le lacrime agli occhi, contenta per il suo Vitto. Contenta perché aveva ritrovato una famiglia, che anche se lo aveva fatto soffrire, non poteva fare a meno di essa. Si emozionò. 
Quando l’abbraccio si sciolse, le ragazze si fondarono sopra Vittorio, strapazzandolo, cercando di farlo ridere. Ma lui, con un ghigno strafottente, si girò verso suo fratello che lo guardava interrogativo. 
Che aveva? Quando lo fissava in quel modo non portava nulla di buono... 
«Fate le coccole a Ross e al suo di figlio, invece» disse. 
«Cosa?!» esclamò Mena, confusa. 
«Ma sì» 
Ross guardò furioso il fratellino, cercando di mozzarlo con gli occhi per tentare di zittirlo. Cosa cavolo aveva in mente? 
«E diglielo che stai per diventare padre, su. Altrimenti Nicole si incazza e ti lascia lei, questa volta» 
«Padre?! LUI PADRE?!» urlò Mena, incredula. 
Vinicio la sorresse visto che stava per svenire. Francesca, Natalie e Valeryn scoppiarono a ridere, mentre Ross diventava rosso come un peperone. 
Vittorio ghignava. Così imparava a dire bugie. Lui non sarebbe mai andato via da quella casa, mai. E poi, diciamolo; tutto era bene quel che finiva bene. 
Bastò guardare gli occhi smeraldini della sua Valeryn per accettarsi che andava tutto alla grande. 
Ed era sempre lui, Vittorio Bellè.





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Capitolo 24
*** Ritorni di fiamma ***


Erano passate alcune settimane da quando Vittorio aveva scoperto di essere stato adottato. Il dolore sbiadiva passo a passo e non faceva fatica a stare insieme alla sua famiglia; ormai aveva saputo quello che c’era da sapere, aveva capito i loro motivi e perdonato i loro errori. D’altronde, loro erano i suoi cari. 
Ogni tanto gli capitava di pensare a Marta, ma ciò non lo disturbava o ossessionava affatto. Provava compassione per quella ragazza che era la sua vera madre, ma per la quale non sentiva effettivamente il bene che provava per Mena, che era la donna che lo aveva cresciuto come tale. 
Scese le scale preparandosi ad un’altra barbosa giornata di scuola. Fortuna che maggio era arrivato e quell’aria quasi estiva lo faceva sentire bene. Arrivò in cucina sbadigliando, trovando un Ross indaffarato a leggere il quotidiano. Gli tirò uno sberletto sulla nuca. 
«Ehi, come hai osato?!» si lamentò quello. 
Rise. 
«Eddai fratellone, sei ancora arrabbiato perché ho detto a tutti che sei incinto 
Ross alzò la testa dal giornale guardandolo dapprima torvo; poi gli si scaraventò sopra. 
«Brutto pidocchio, adesso ti senti grande solo perché hai guidato la mia auto appena aggiustata?! E poi incinto non sono certo io, idiota, è Nicole, ci senti? N I C O L E!» 
«Eh sì, non c’è bisogno che fai lo spelling!» Vittorio tentava di liberarsi dalla presa del fratello, che lo teneva serrato e gli scompigliava i capelli. 
«E bada per te!» esclamò infine Ross, lasciandolo «Altrimenti dico a tutti cosa avete fatto ieri tu e Valeryn in stanza! E non fare quella faccia, ho sentito tutto!» 
Il ragazzo fece un'espressione compiaciuta, sotto lo sguardo interrogativo di Vittorio. 
«Che cosa?» 
«Tu taci, io farò altrettanto» 
«No, lo voglio sapere!» 
«Okay, fratellino» Prese un preservativo dalla tasca «Non si lasciano le cose in giro, adesso lo faccio vedere alla mamma!» 
E rise, mentre il castano diventava ora pallido, ora rosso, ora viola. Si alzò dal tavolo e si scagliò addosso al maggiore per riprendere ciò che gli apparteneva. 
«Ridammelo, cretino!» gli urlò. 
«Nemmeno per sogno! Così impari a riferire notizie di cui non sei autorizzato!» 
Mena scese in quel momento guardandoli rincorrersi come due bambini. Come facevano quando erano piccoli. Sorrise. 
«Ragazzi, non fate chiasso di prima mattina. Natalie è stanca e sta riposando» 
«Sai quanto me ne importa!» sbottò Ross «Quella è urtante e non si fa mai gli affari suoi. Proprio come un certo Vittorio!» 
Questi gli fece la linguaccia. Ross si avvicinò per colpirlo con il giornale, ma il ragazzo riuscì a scansarsi in tempo. Allora il maggiore afferrò il preservativo e lo dondolò dietro sua madre, che intanto si era voltata a preparare la colazione. Vittorio spalancò gli occhi. Cosa voleva fare quell’idiota? Gli fece cenno di smetterla, ma il fratello rise strafottente. Lo dondolò ancora, finché Vittorio riuscì a cavarglielo dalle mani. 
«Come ci sei riuscito?!» esclamò sorpreso. 
«Pratica, solo pratica» rispose il castano, nascondendo l’affare in una tasca dei jeans «E riflessi. Soltanto che tu stai diventando troppo vecchio e non riesci a muoverti» 
«Piccolo pivello di merda! Mi prendi in giro?!» 
Mena sentendo le discussioni di quei due, sorrise. Che bello vedere la sua famiglia nuovamente riunita, con le solite cose seppur infantili... Adesso però stavano esagerando e le stava venendo un gran mal di testa! 
«Volete smetterla? Vi stacco gli occhi a entrambi se non vi date una calmata! Mi state facendo venire i capelli bianchi!» esclamò. 
«Posso vederli? Eh, mammina, posso vederli?» Ross si sporse vicino alla sua testa, ma la donna lo colpì nelle dita con un cucchiaio. 
«Ahi, ma sei una bestia!» si lamentò. 
Vittorio rise facendogli una linguaccia, mentre lui si teneva la mano dolorante. Nel frattempo qualcuno aveva suonato il campanello e il ragazzo si precipitò a rispondere. 
«Chi è?» 
«Il lupo mangia frutta» rispose qualcuno. 
Vittorio non capì. Suo fratello gli faceva ancora gestacci dalla cucina. 
«No, dai, chi è?» ripeté. 
«Come chi è!? Ma è idiota, 'sto qui» commentò una voce molto familiare, forse appartenente a Daniel lo scellerato. 
«Smettila, Dan, sicuramente ha ancora sonno» suppose essere Censeo chi lo difendeva. 
«Se non riesce a riconoscere la sua voce è grave!» 
«Ma devi essere sempre così rompipalle?» 
«Senti, Alex, già è tanto se sono venuto a prendervi stamane!» 
Lui ridacchiò. Quanto amava i discorsi dei suoi amici? 
«Chi ti voleva, non ho capito» sbadigliò Carmine. 
«Ha parlato il traditore!» 
«Almeno io ho una ragazza che non chiamo prima “o sole mio” e dopo le rinfaccio quanto è grassa» 
Daniel grugnì. 
«Tu e il nano di Censeo mi state letteralmente sul gioiello di famiglia destro, cavolo!» 
«Ehi, ci date un taglio?» li rimbeccò la voce di prima «Di sopra hanno seguito tutto. Regolatevi almeno di prima mattina» 
«Scusa tanto, Eli’, ma come vedi sono capitato in un gruppo di becchini comunisti» 
Sicuramente Daniel aveva guardato tutti in cagnesco. 
Un momento... aveva detto Elia? Ma allora era lui. Era proprio Elia! Come diamine aveva fatto a non riconoscere la sua voce? La voce del suo migliore amico? 
«ELI!» lo chiamò dal citofono «Sei tu?» 
«No, il corvo!» rispose Daniel, sarcastico. 
Lo zittirono con delle gomitate. 
«Esatto, ti sei svegliato finalmente» e sorrise «Ti aspettiamo giù» 
«Non ritardare, te lo dico col cuore» aggiunse la testa di medusa. 
Vittorio scosse la testa. 
«Scendo subito» 
«Bravo, spaventati!» ghignò Daniel, trionfante. 
«Parlavo con Elia, non con te, stupida faccia da culo!» e riattaccò, mentre gli altri esplosero in un applauso per aver messo k.o Daniel. Un grande Vittorio. Sempre, si disse il biondo, e poi si morse il labbro. 
«Io scendo» annunciò prendendo incurante lo zaino «Mi aspettano i ragazzi» 
Mena lo guardò apprensivo. 
«Non hai mangiato nulla, tesoro» 
«Fa’ niente, chi se ne frega, mamma» si avvicinò schioccandole un bacio «Ciao, salutami Ross» 
«Sono qua!» esclamò quello, con la mano sotto l’acqua corrente per alleviare il dolore. 
Rise strafottente e scese di corsa, sotto una Mena sorridente e soddisfatta. Era questo ciò che voleva da sempre. 
«Hai visto, Ross?» chiese al figlio. 
«No, con tutto il rispetto, guarda in che stato sono!» 
Lo guardò torvo per dei secondi, ma poi lanciò un sospiro di sollievo. 
«Voglio che sia felice più di ogni altra cosa» disse, guardando con affetto il punto in cui era andato via suo figlio. 
«Lo è già» commentò il ragazzo «Più di me in questo momento, sicuramente. Ahia, che male!» 
 
 
 
 
 
Scendendo per le strade del paese, arrivarono di fronte alle due scuole dove, come al solito, si accavallavano gli studenti. 
Valeryn, in compagnia di Maia, Conny e Sara, guardava impaziente quella strada vicino l’industriale che la separava dal suo Vittorio. 
Non arrivava? Non arrivavano? Ogni giorno che passava si convinceva che era lui il ragazzo di cui aveva sempre avuto bisogno, ed era sicura che anche lui la pensasse così. Non l’avrebbe abbandonata per nessun motivo. 
Maia sbadigliava di fronte a lei. 
«Se oggi la prof di disegno mi chiama, le lancio il libro di storia dell’arte in faccia» disse. 
«Non lo farai mai!» commentò Conny, scettica «Tu ti spaventi perfino ad ammazzare un verme» 
Maia fece una faccia indignata. 
«Se ti riferisci a quel vermicello color bronzo che abbiamo visto ieri pomeriggio... beh, vivi e lascia vivere!» 
«Ma faceva schifo! E mi stava salendo sui piedi» 
Le ragazze esclamarono un “bleah” inorridite. Valeryn fece una smorfia di disgusto e si concentrò nuovamente su quella dannata discesa, dove sei figure familiari venivano giù tranquillamente con la solita aria da fighi. Tutti tranne Daniel, naturalmente, che si pavoneggiava ridicolmente. 
«Medusina mia!» lo chiamava Sara, agitando le braccia. Parecchi si girarono a guardarla. 
«Ecco che mi chiama il gorilla Becks» proferì il castano, mentre Carmine sbatteva la testa. 
Le raggiunsero con dei sorrisi da ebeti stampati in faccia. 
«Avete bevuto?» li rimbeccò la riccia «Sembrate degli idioti» 
«Ma loro sono idioti, Mai» rispose per tutti il solito Dan «Specie Vittorio, che non ha riconosciuto la voce di quel ragazzo laggiù» indicò Elia, il quale sbuffò. 
«Lascialo in pace» lo difese. 
Vittorio sorrise a mo’ di rivincita, mentre Daniel guardava l’altro con aria indignata. 
«Che te lo difendevi così tanto non me l’aspettavo! Che gente perduta!» sibilò, poi fece un giro su sé stesso e raggiunse Sara. 
Vittorio strizzò l’occhio al biondo, che gli sussurrò: 
«Sei un grande» 
«Anche tu» Ridacchiarono di nascosto, mentre Daniel li guardava ancora torvo. 
Valeryn sorrise verso il suo ragazzo che adesso stava vicino al suo amico biondino e chiacchieravano tranquillamente. Notava del leggero imbarazzo tra di loro, ma forse era normale. Avrebbero recuperato il loro rapporto piano piano, e ne sarebbero usciti sempre più forti. 
Elia guardò Vittorio e s’incupì improvvisamente. Voleva parlargli, ma non sapeva se era il caso farlo direttamente. E poi dopo quell’episodio il giorno del suo compleanno... Tentò di ridestarsi, in fondo avevano solo bevuto un bicchiere di troppo, non significava niente. Era inutile pensarci e ripensarci dandogli un effettivo peso, quando era chiaro che Vittorio lo aveva probabilmente già scordato. Lanciò un sospiro. 
La campanella suonò come ogni mattina; i ragazzi sbuffarono all’unisono, si salutarono tristemente, e si accinsero ad entrare in quella bocca dell’inferno che li risucchiava allo stesso orario mattiniero. 
Vittorio salutò Valeryn con un bacio. 
«Ci vediamo più tardi. Abbiamo l’ora di educazione fisica in comune» 
«Non vedo l’ora» Si sorrisero, e ognuno entrò nella propria scuola. 
 
 
Dopo aver fatto un’ora di lezione con la scalmanata prof di disegno - Maia era sul punto di lanciarle il tomo dritto in faccia - si prepararono a fare matematica. 
La riccia richiamò l’amica da un braccio. 
«Vale, ti dispiace se Grazia passa avanti e tu ti siedi con Elia? Non ho capito una cosa e vorrei che me la spiegasse» poi guardò l’amica apprensiva, sussurrando: 
«Lo so che non fai i salti di gioia, ma siete amici, o no?» 
La castana gettò uno sguardo fugace al biondo dietro di lei. Sì, avevano deciso di rimanere amici, anche se era difficile ridere e scherzare come se niente fosse. Fece una faccia pensierosa per dei secondi. 
«D’accordo, Mai, a patto che l’ultima ora vieni a giocare in palestra» la ricattò. 
Quella alzò gli occhi al cielo e annuì. Valeryn e la sua compagna di classe, Grazia, effettuarono lo scambio prima dell’entrata della prof. 
Elia, che non si era accorto di nulla, troppo intento a guardare il suo cellulare, fece una faccia interrogativa scorgendo la morbida chioma castana di Valeryn. 
«Maia ha bisogno di spiegazioni con la matematica» spiegò «Ti dispiace se sto qui?» 
Negò con la testa. 
«Ma ti pare» rispose. 
Si scambiarono un sorriso, e la ragazza guardò di fronte a sé, ammirando la professoressa che entrava con un sorrisino sarcastico. Daniel, come al solito, era alzato. 
«Daniel Perrone, ma sempre in piedi sei?» lo sgridò. 
«Mi scusi, prof, stavo raccogliendo delle firme per cacciare Valeryn Savelli dalla classe» spiegò tranquillamente, passando un foglietto ad Elia e Valeryn. 
Il primo lesse il buffo annuncio, “Firme x la cacciata di Valerin dalla clase”. Scoppiò a ridere, passando il foglio alla compagna che strabuzzò gli occhi. Quello era veramente il colmo. 
Si alzò dalla sedia, facendo in mille pezzi la carta. 
«Ecco cosa me ne faccio delle tue firme. Et voilà!» 
Il castano fece una faccia brutta. 
«Ma cosa fai, ridammelo!» 
«Non ci penso nemmeno. Primo, perché non sai scrivere» molti risero «Secondo, perché sei talmente stupido che, mi pesa dirtelo, ma sono seriamente preoccupata per te, caro Daniel. Terzo, se non la finisci con questi dispettucci idioti, farò vedere a tutti un certo video che ho girato ad una certa gita» Tirò fuori il cellulare, minacciandolo. 
Daniel spalancò gli occhi. 
«No, il video mentre scivolo di culo, no!» 
Tutti si sbellicarono dal ridere, mentre la professoressa, seppur sogghignando sotto i baffi, dovette richiamare i due ragazzi per incominciare la lezione. 
Dopo che Valeryn si sedette aggiustandosi la capigliatura - lo faceva sempre quando era arrabbiata - e Daniel venne mandato alla lavagna per svolgere un’equazione parametrica, il biondo le disse ridacchiando: 
«Riesci sempre a tenergli testa. Non ti stanchi mai?» 
Lei alzò le spalle. 
«Ormai lo conosco. Lo fa solo per sentirsi al centro dell’attenzione. In realtà non è così stupido come sembra» 
«Già» concordò Elia. Tirarono fuori i libri di matematica e copiarono un’equazione. 
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli. 
«Come stai?» le chiese sottovoce, per evitare di venire sgamato dalla prof. 
Lei fece un sorriso splendido. 
«Benissimo. Questo periodo però poteva passare meglio» sbatté la testa, pensando a Vittorio e alla notizia della sua adozione. 
«E tu?» 
Lui alzò le spalle. 
«Non male. Ho smesso di pensare al passato...» si lasciò sfuggire. Valeryn lo guardò apprensiva. 
«Mi dispiace» mormorò. 
«Lascia stare» disse secco il ragazzo, e poi decise di aprire il discorso «Come sta Vitto, a proposito?» 
La guardò seriamente. La ragazza si torturò le mani. In linea di massima stava bene, ma non sapeva se aveva superato del tutto ciò che era successo. 
«Diciamo bene. Non sta male» rispose. 
Il biondo strinse le labbra. Doveva parlare con lei prima di dirlo a lui, doveva essere sicuro. 
«Senti, Valeryn, io ho saputo una cosa. Per giusto dovrei star zitto, ma non ci riesco. Non se si tratta di Vittorio» 
Alla castana batté il cuore leggermente più veloce. 
«Mia madre ha parlato con Mena, sua madre, e io involontariamente ho sentito ciò che si sono dette...» 
«Che dicevano?» 
Il biondo sospirò, abbassando ancora di più la voce per non farsi sentire dagli altri. 
«Non è una bella cosa» lo vide sospirare «Ho sentito che Vitto non è veramente figlio di Mena e suo marito. È stato praticamente adottato» 
Valeryn spalancò gli occhi, mordendosi il labbro. Elia la guardava interrogativo, aspettandosi una parola, un qualcosa. 
«Io...» sbiascicò la ragazza, spiazzata «Io... non so...» 
«Tu lo sapevi già?» chiese serio. 
Lei lo guardò con difficoltà, ma non se la sentì di mentire. Lo vedeva così preoccupato per Vittorio. 
«No, Elia, non ne sapevo niente. Sono venuta a conoscenza dei fatti solo settimane fa, così come anche Vitto» 
«COSA?!» 
Parecchi si girarono verso di lui. La professoressa scoccò verso di essi uno sguardo interrogativo, loro sorrisero e poi ripresero. 
«Non stai scherzando, vero?» 
La ragazza negò con la testa.  
«No, lui non lo sapeva. Tutta la sua famiglia non gliel’ha detto. Pensa che perfino mia madre... Non ci voglio pensare! Non capisco perché diamine Mena abbia dovuto parlarne proprio con tua madre. Aveva detto che in pochi sapevano di questa cosa» 
«Loro due sono molto amiche» spiegò il ragazzo «E chissà da quanto tempo mia mamma era al corrente di tutto e non mi ha mai detto niente. Cazzo!» sbottò poi, torturandosi il labbro. 
Valeryn alzò le spalle. 
«Non ci hanno riferito nulla perché sapevano che noi due gliel’avremmo detto» 
«Già. Che stronzi!» Elia strinse un pugno, arrabbiato «Devo parlare con lui» 
«Fai bene, ne ha bisogno» 
Scrissero ancora qualcosa, dopodiché Valeryn guardò il suo ex, pensando. 
Ci teneva a Vittorio, era evidente. Era un rapporto magnifico, il loro. Nonostante tutto, erano perfetti insieme. Sorrise. 
«Cosa ti spinge a comportarti così?» chiese, indicando la penna tutta mangiucchiata per il nervosismo. 
Elia sospirò, sentendo la campanella suonare. Indugiò un attimo, mentre le immagini di lui e Vittorio gli passarono per la mente e poi si soffermarono a quella scena che avevano avuto in bagno. Strinse le labbra. 
«Il bene che provo per lui» 
 
 
 
Era l’ultima ora di lezione, ore mezzogiorno e tre minuti, Vittorio sbadigliò roteando di cent’ottanta gradi. Dietro di lui, i suoi compagni si apprestavano a uscire da scuola per raggiungere la palestra del liceo. Al dire il vero pure lui camminava velocemente per poter vedere Valeryn al più presto, ma cercava di non darlo a vedere. Censeo, dietro di lui, aveva la testa china sul cellulare. 
«E smettila, Cens, vi vedrete tra pochissimo» lo prese in giro. 
«Parla quello che quando dorme invoca il nome della fidanzata» commentò Lele, sentendo. Censeo rise. 
«Ehi, che cavolo dici?» 
«Certo che sì, in gita ti abbiamo sentito io e Rocco» Lele e quest’ultimo sogghignavano. 
«Dicevi “Oh, Valeryn mia, la prego me la dia!”» e risero come cani, trascinando Censeo che, non essendo molto alto di statura, fece per cadere in terra. 
Vittorio alzò le spalle. 
«Che stronzi» commentò. 
Raggiunsero il liceo passando dai distributori dove la bidella un poco scema e balbuziente lavava a modo suo. 
«Ezia, qua non è pulito» pestò un punto con il piede Censeo. 
«Ezia, che bella che sei oggi!» commentò Lele, prendendola in giro. 
«Sembri un bocconcino...» unì le mani con fare amoroso, Rocco, per poi bisbigliare: «...di merda!» 
Gli stupidi ridacchiarono, mentre la bidella li squadrava. 
«Che vol..e..te?» puntò loro contro la scopa. 
«Niente, Ezia, che vuoi tu?» 
«Fuo..ri dal..la mi..a scuo..la!» urlò quella. 
«Sì, la tua scuola! E da quando?!» Rocco si beccò una scopa in testa, mentre tutti ridevano. 
«Verza!» lo rimbeccò il prof di educazione fisica, alto e con la voce acuta «Lascia stare la povera Ezia e corri in palestra! Tra poco scendono quelli del liceo, se per caso non lo sai» 
«Prof, vado in bagno» disse Vittorio, senza attendere il consenso del professore. 
«Deve fumare!» urlò Rocco. 
«No, devo pisciare» 
«Devi fumare» insisteva convinto. 
«Rocco, pisciare, conosci il verbo?» 
«Io fumo, tu fumi, egli fuma, noi...» 
Vittorio scosse la testa. A volte il suo compagno di classe raggiungeva Daniel in quanto a stupidità. 
«Come vuoi, Rocco» si rassegnò. 
«...fumiamo, voi fumate, essi fumano!» continuava imperterrito lui. 
Si dileguò in bagno, veramente in preda ad un'urgenza. Chi aveva voglia di fumare quando doveva incontrarsi con Valeryn a momenti? 
 
 
 
Nel frattempo, la III B del liceo scendeva le scale come un branco di cani, tanto che il loro prof, il quale di solito era parecchio accomodante, incitava silenzio. 
«E basta che c’è la preside!» li ammoniva. 
«Eh prof, ma chi se ne frega» 
«Perrone, sempre tu parli» 
«Esattamente» commentò mentre tutti, compresa Sara, lo guardavano male. 
Fece un salto di tre metri dalla quintultima scala e spaventò Ezia con un colpo sordo di scarpe. 
«Dottoressa Ezia, al vostro servizio!» s’inchinò con fare elegante, schernendola come al solito. 
Gli altri entrarono in palestra, mentre Valeryn si guardava intorno in cerca del suo ragazzo. 
Elia se ne accorse, perché lo stava cercando anche lui. 
«Sarà in bagno» disse. 
«Oh già, è vero» 
E varcarono entrambi la palestra. 
 
 
Vittorio uscì dal bagno più tranquillo e libero. La sua attenzione fu catturata da un gruppetto di ragazze vicine ai distributori fuori dalla porta della palestra, che parlavano animatamente con la bidella. 
Riconobbe una ragazza castana, con i capelli ricci lunghi pettinati in una mezza coda, delle ciocche lasciate libere sul volto. Chi poteva essere se non Barbara... Sospirò. 
Che ci faceva lì, la sua ex ragazza? Che lui sapesse, frequentava una scuola fuori città. E poi non aveva voglia né di salutarla, né di parlarle. Barbara si accorse di lui non appena arrivò ai distributori. 
«Vitto!» esclamò, andandogli incontro «Quanto tempo!» 
Il ragazzo le scoccò uno sguardo in ovvia difficoltà. Lei era stata il suo primo amore adolescenziale, la sua prima cotta. Era stato difficile dimenticarla, lo aveva trattato di merda, lo aveva lasciato per motivi ancora a lui sconosciuti. Non poteva ricadere nel turbine di anni prima. 
«Ehm, ciao Barbi» salutò, deglutendo. 
Fece per andarsene, ma lei fu più veloce trattenendolo dalla mano. Vittorio sussultò. Le amiche della ragazza se ne accorsero e li lasciarono soli. 
«Che fai, non resti a salutarmi? Non ci vediamo da un anno e abitiamo pure nello stesso paese. Ho provato a contattarti, ma non credo che 331 fosse il tuo numero» 
«Infatti non lo è» 
Barbi fece una smorfietta dispiaciuta. 
«Ecco perché... Mh, vabbè. L’importante è che ci siamo ritrovati» 
Vittorio si passò una mano tra i capelli. 
«Perché sei qui?» 
Lei fece una faccia stupita. 
«Ma come? Non volevi vedermi?» 
Sospirò. Perché lo metteva sempre in difficoltà? 
«Non è questo. Mi sembra strano visto che non sei di questa scuola» 
«Ah, beh, sono venuta con le altre ragazze perché oggi abbiamo fatto sciopero» 
Il castano annuì. Era carina Barbi, ma non poteva restare un minuto di più con lei. Era carina quanto pericolosa, e lui non doveva dimenticare il torto che gli aveva fatto. E per di più con chi era fidanzato. 
Valeryn. Valeryn. Valeryn. 
«D’accordo, adesso se non ti dispiace vado a giocare» 
La sorpassò, me lei ovviamente lo trattenne. 
«No, Vittorio, chi ti dice che io non sia venuta per ricominciare?» 
Lui rimase di sasso. Aveva sempre sperato che Barbara proferisse quella parole, ma era troppo tardi. Lui adesso voleva Valeryn, non lei. Non poteva perdere nuovamente la dignità per quella lì, non poteva fare un torto a Valeryn. 
«Non ti seguo. Per favore, lasciami che ho lezione...» 
«No» lo bloccò «Non te ne vai. Non senza dirmi perché sei così sfuggente, adesso. Prima stavi male per me, ricordi?» 
«Appunto, stavo» affermò. 
«Vuoi dire che adesso non mi pensi più?» 
Vittorio tentò di rimanere impassibile. In realtà, non pensava a lei da quando sua cugina, che poi neanche cugina era, era entrata nella sua vita. Ma quel ritorno di fiamma non ci voleva... 
«No, non ti penso più» 
Barbi sbuffò, portandosi le mani ai fianchi. 
«E’ così che mi ripaghi dopo che sono venuta a cercarti?» 
«Tu hai detto che avete fatto sciopero!» 
«Ma l’ho fatto per venire da te!» esclamò lei. 
Il castano si sentì in trappola. Era diventata troppo vicina, lo teneva da un braccio e non aveva alcuna intenzione di andarsene. Perché gli ex erano tutti così pericolosi? E perché lui era immobile? 
«Mi vuoi quanto ti voglio io, ammettilo» gli sussurrò all’orecchio, mentre lo circondava con le braccia. 
Vittorio si sentì avvampare. Che cazzo stava facendo? Lo baciò sul collo e dopo passò alle labbra, sfiorandole. 
«Tu hai sempre, voluto me, è inutile che ora fai l’indifferente» 
«Barbara, per favore, io...» Lo attirò con un bacio sulla bocca senza dargli il tempo di parlare. 
Vittorio entrò in perenne confusione per più di dieci secondi, intrappolato in quella che sembrava una piovra senza contegno. Si diede dello stupido, non appena la ragazza lo strinse con maggiore forza. 
Doveva allontanarla. Non doveva ricambiare. 
Infatti era quello che praticamente stava cercando di fare, se solo non fosse bloccato contro il muro e non aveva altre alternative se non spingere Barbi per terra. Proprio in quel momento, una ragazza castana era uscita dalla porta della palestra con il solo intento di andare a richiamare il suo ragazzo in bagno. Impallidì di fronte a quella visuale. 
Strinse i pungi, sentì la rabbia crescere, il cuore accelerare e d’un tratto tutto si fece caldo. Valeryn aveva le guance infuocate non appena vide Vittorio intrappolato tra le braccia di Barbi. Sentì il cuore spezzarsi in due e gli occhi diventarono due fessure. Il castano riuscì a liberarsi dalla stretta di questa troppo tardi. Si voltò verso la sua fidanzata che era immobile al suo posto. 
Oh no, cazzo, cazzo, cazzo, porca puttana, pensò mordendosi un labbro. Barbara, dal suo canto, guardava Valeryn con disappunto e indifferenza, senza sapere chi davvero rappresentava. 
Un urlo squarciò il silenzio. 
«Che cazzo sta succedendo?! Chi è questa?! Che state facendo?!» 
Vittorio si avvicinò tentando di spiegarle l’equivoco, ma lei si scansò rapidamente. 
«Chi è questa, Vittorio, chi cazzo è!?» strillò, in preda all’isteria, la ragazza. Averlo visto intrappolato nel bacio di un’altra le aveva spezzato il cuore. 
«Vale, è solamente Barbara, una mia ex rag...» 
La castana si portò le mani ai capelli, interrompendolo. 
«Non ci posso credere... tu... lei... come hai potuto?!» urlò. 
Vittorio spostava lo sguardo dalla ragazza a Barbi in ovvia difficoltà. Non era stata colpa sua, e che cavolo, perché doveva andare così? Perché Valeryn era entrata in quel momento? 
Elia uscì dalla palestra con l’intento di fumarsi una bella sigaretta in bagno. Naturalmente, rimase impietrito di fronte alla scena di una Valeryn arrabbiatissima, un Vittorio confuso e mortificato e una Barbi accanto a lui. Immaginò tutto in meno di tre secondi. D’altronde, aveva sentito la castana gridare. Sapeva quando Valeryn urlava in quel modo e perché. 
«Che succede?» chiese. 
Vittorio scoccò lui uno sguardo d’aiuto. Doveva dargli una mano, lo supplicò con gli occhi. Valeryn strinse i pugni, accanendosi contro la moretta che guardava infastidita i tre ragazzi. 
«Tu... Come ti sei permessa di baciare il mio ragazzo?!» le inveì contro, facendo un passo in avanti. 
Barbi fece dapprima una faccia spaesata. 
«Fatti i fatti tuoi, bella!» ringhiò incurante, dopo. 
Il castano e il biondo si guardarono allarmati. Forse Barbi non aveva capito che mettersi contro Valeryn non era una buona idea. 
Questa, infatti, ribollì. 
«Ti strappo tutti quei capelli di merda che ti ritrovi! Ti devasto!» 
Senza pensarci, senza nemmeno fermarsi un secondo per capire che non era un punto favorevole litigare dentro una scuola, le si scagliò addosso tirandole i capelli e gettandola per terra. 
Barbi tentava di liberarsi, ma Valeryn stringeva così forte mollandole degli schiaffi con la mano che aveva libera. 
«Ahia, lasciami stare, stronza! Chissene frega del tuo fidanzato!» urlava quella. 
La castana non ci vedeva più dalla rabbia. 
«Ti faccio pentire di aver messo piede in questa scuola!» 
E parole del genere. Barbara riusciva stentatamente a rispondere agli attacchi della ragazza. L’avrebbe devastata veramente, pensarono i due ragazzi. 
«Eli’, merda, aiutami!» Vittorio afferrò Valeryn dalle ascelle, tentando di levarla da sopra una Barbi conciata male. Elia subito gli diede una mano. 
Entrambi tirarono verso essi, visto che la ragazza opponeva molta resistenza. Fortunatamente, erano più forti di lei e riuscirono a cacciarla da sopra l’altra, che annaspava. Entrambe avevano in mano alcune ciocche di capelli appartenenti all'altra. I due ragazzi erano basiti. 
«Amore, ti prego, calmati, tentiamo di ragionare! Non è come hai visto, per favore...» sussurrava Vittorio a Valeryn, mentre la teneva stretta da dietro la schiena. 
Lei ansimava e sentiva la testa scoppiare. Ringhiò e guardò in cagnesco l'altra ragazza che era stata aiutata da Elia a rialzarsi. 
«Barbara, un consiglio, è meglio se te ne vai» le suggerì il biondo. 
Barbi si asciugò il naso sanguinante con un fazzoletto e restituì lo sguardo d’astio alla castana. 
«Dì, sei impazzita? Che cazzo fai?!» le urlò comunque. 
Valeryn si rianimò. 
«Non rivolgerti a me in quel modo, hai capito, stronza?» 
«Tu sei tutta pazza!» 
Le due continuarono a litigare verbalmente non risparmiandosi colpi. Nel frattempo, Elia si avvicinò ad aiutare l'amico che non riusciva più a trattenere la ragazza. 
«Vitto, fai scomparire quella lì immediatamente» gli sussurrò, mentre prendeva il suo posto sorreggendo Valeryn «Noi sappiamo ciò che è capace di fare quando è incazzata. Finiremo tutti nei casini. Portala via!» 
Vittorio annuì. Lasciò la ragazza nelle mani dell’amico, gettandole uno sguardo pieno di rammarico. Non era sua intenzione farla soffrire, era l’ultimo dei suoi pensieri. Si era solamente fatto trascinare senza nemmeno volerlo... 
«Vieni, andiamo» diede una spintarella a Barbi per incitarla ad uscire. 
«No, Vitto, io voglio restare qua» 
«Ti ho detto di andare!» ripeté Vittorio, esasperato «Non capisci, Barbi, che non sono più innamorato di te? Ti ho dimenticata, non ti penso più. Adesso nella mia vita c’è solo Valeryn, solo lei!» 
La ragazza fece una smorfia. 
«Come vuoi, Vittorio. Ma un giorno te ne pentirai di essere stato con una del genere» 
Lui non l’ascoltò e l’accompagnò alla porta, mentre quella usciva parecchio indignata e con qualche livido in faccia. 
Vittorio, sospirando, alzò gli occhi al cielo e si lasciò scivolare su una sedia posta vicino alla porta principale. Si coprì gli occhi con le mani, mordendosi un labbro e sentendosi in colpa più che mai. Era opera sua se adesso Valeryn stava male. Era così che ricambiava dopo tutto quello che aveva fatto per lui? 
 
 

  
Nel frattempo, Elia teneva stretto la ragazza che era sull’orlo delle lacrime. Non poteva crederci che Vittorio le aveva potuto fare realmente una cosa del genere. 
Tradirla. 
«Mi ha tradita» disse, con lo sguardo fisso nel vuoto. 
Elia la scosse dalle braccia. 
«No, non è vero. Smettila di dire queste cose» 
«Eli’, lui mi ha tradita con quella» ripeté lei. 
«Lui ti ama. Questo ti basta?» esasperato, la guardò negli occhi verdi stanchi e infelici. Non riuscì a reggere quel contatto visivo, tanto scoppiò a piangere. 
«Elia... Non ci posso credere...» singhiozzava «Lui... No... Elia...» 
Si aggrappò a lui, mentre il biondo l’abbracciava. 
«Per favore, sai che non è così» le disse. 
«E cosa, dimmi?» 
«Non è stata colpa sua. Lui ti ama veramente» 
«N-non è vero... N-non è vero!» urlò. 
«Sì, che lo è» Elia sospirò, passandosi una mano sulla fronte «Se non lo fosse, non lo avrei lasciato fare» 
Lei smise per un attimo di piangere, spinta dalla curiosità. 
Che cosa voleva dire? 
«Non capisco» tirò su col naso. 
«Io non avrei mai permesso che succedesse tutto questo se non sapessi che è davvero innamorato di te, Valeryn» 
 
 

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Capitolo 25
*** Perdonami ***


 

 

 

Vittorio provava un forte senso di colpa e rammarico nei confronti di Valeryn. 
La ragazza si trovava ancora in compagnia di Elia, il quale l’aveva lasciata parecchio stupita rispondendo in modo del tutto inaspettato. Le sue parole l’avevano lasciata di stucco. 
E poi, Vittorio... il suo Vittorio l’aveva tradita?  
Su questo non ci pioveva, si disse, e lei non avrebbe perdonato un tradimento. Però era anche vero, come diceva Elia, che il castano doveva essere realmente innamorato di lei. Questo spiegava il motivo per cui Elia non aveva insistito tanto dopo la loro rottura: non voleva far soffrire il suo amico, non voleva interferire poiché sapeva che l’amava davvero. 
Si convinse delle sue parole. Ma non riusciva a non star male. Stava veramente uno straccio, da un lato voleva solamente piangere, da un altro soltanto urlare a squarciagola e arrabbiarsi. Stava facendo entrambi. 
Perché se la prendeva con quella Barbi e non con Vittorio? 
Semplice; forse Elia non aveva tutti i torti a dire che si era fatto trascinare. Forse non l’aveva fatto di proposito... Non aveva pensato, come aveva fatto tempo prima lei, oppure non era riuscito a staccarsi, oppure... Poco male, adesso stava soffrendo molto e tutto per colpa di quella! 
«La odio» continuava a ripetere «Ti giuro, la odio. La detesto!» 
Elia alzò nuovamente gli occhi al cielo, mettendo dei centesimi nel distributore di bibite. Prese una bottiglia d’acqua e gliela porse. 
«Ti ho già detto di finirla di accanarti contro quella lì, devi solo chiarire con Vittorio. Non essere infantile» 
«Ah, io sarei infantile?!» si voltò agguerrita «Non lo è il tuo amichetto? Lui è maturo? Beh, si è visto, da come si è comportato!» 
«Un’altra volta?» ripeté il biondo, esasperato «Ti ho già detto che non è stata colpa sua! Non hai visto che Barbara è mezza troietta?» 
«Mezza?!» si agitò «Solo mezza?!» 
Questi alzò gli occhi al cielo, pensando a quanto fosse noiosa Valeryn quando ripeteva sempre le stesse cose. E soprattutto cocciuta, visto che si ostinava ad avercela con una persona inutile senza affrontare l’unica che poteva darle delle spiegazioni. 
«Appunto, quindi parla con Vitto. Non farmelo ripetere per l’ennesima volta» 
Il biondo sospirò, un po’ afflitto. La castana se ne accorse e si scusò. 
«Perdonami, Elia, ti sto assillando» tirò su col naso «So che può darti fastidio una cosa del genere...» 
«Non è fastidio» ripose lui «E’ solo che io conosco Vittorio e non ti avrebbe mai tradita» 
A lei scese una lacrima. 
«D-davvero?» 
«Sì, Valeryn, però non piangere e non fare pazzie. Io parlo con lui e vedrai che sistemerete tutto. Adesso va' da Maia, per favore» la guardò serio, mentre lei annuiva ed entrava in palestra con un dolore al petto indescrivibile. 
Quando la ragazza scomparve da dietro la porta, il biondo si mise le mani in tasca e, confuso, arrivò nell’atrio vicino al portone. 
Vide Vittorio seduto su una sedia con la testa tra le mani e, dopo aver sospirato, gli mise una mano sulla spalla come segno di conforto. 
«Ehi» lo chiamò. 
Questi si irrigidì due secondi, poi alzò il capo per guardarlo negli occhi. 
«Che cazzo ho fatto?» chiese, sbattendo la testa. 
Elia non rispose e continuò a guardarlo in un modo strano e penetrante. Il castano sospirò, passandosi una mano sul viso. 
«Non è stata colpa mia» disse, cercando di spiegargli «Lei si è fermata a parlare e poi mi ha preso a...» si bloccò improvvisamente «Ma tanto a te che importa? Anzi...» 
Si sentì uno stupido a spiegare proprio a lui quelle cose. 
Il biondo lo guardò torvo, dopodiché, scorgendo una bidella in lontananza, lo trascinò dal braccio per portarlo vicino ai distributori. Avrebbero parlato meglio. 
«Che cazzo dici?» gli chiese irritato. 
«Eh?» 
Era stravolto e stordito. Gli faceva male la testa. 
«Che cazzo dici, Vitto, certo che m’importa» mormorò il biondo, e poi si passò la lingua tra le labbra «M’importa tutto di te» 
Non sapeva se gli era scappato o lo aveva detto di proposito. Vittorio sentì una strana sensazione alla pancia, e si guardarono negli occhi per qualche secondo. Gli venne quasi da sorridere. 
«Sto facendo una figura di merda» gli disse «Prima ti frego la ragazza e poi mi faccio beccare con un’altra» ammise, lanciando un sospiro. 
Si appoggiò stancamente al distributore automatico. Elia strinse le labbra. C’era una piccola parte di sé, forse la più minuscola che provava un piccolo moto di compiacimento. Ma non perché voleva che stesse male, ma perché forse dopo quello sarebbe tornato a passare del tempo con lui... 
«Forse un po’» soffiò, e lo vide abbassare lo sguardo, ferito. 
Sapeva che si sentiva in colpa per quello, ma non voleva rinfacciarglielo. Voleva che stesse bene. Nonostante dentro di sé la sua parte più egoista pregava affinché le cose tornassero come prima, vederlo in quel modo gli strinse il cuore. 
Gli sfiorò la guancia con un dito, e fece in modo che alzasse lo sguardo. 
«Tu la ami?» gli chiese a bruciapelo. 
Non ne avevano mai parlato. Lui lo aveva detto a Valeryn prima, dentro di sé era certo. Ma Vittorio non glielo aveva mai detto. 
Questi si morse il labbro. 
«Cosa?» ripeté stordito. 
Elia scosse la testa. 
«La ami?» e lo guardò negli occhi. 
Vittorio pensò la stessa cosa, che non glielo aveva mai detto, e in un certo senso provò un po’ di paura. Dirlo davanti a lui lo spaventava. Era come tradirlo per la seconda volta e non sapeva nemmeno lui perché. 
«Io... non lo so...» biascicò «Sì... credo di sì...» 
Elia rilasciò il fiato che aveva trattenuto. Poi si guardarono intensamente. Non sapeva nemmeno spiegare in che modo, ma Vittorio aveva capito di avergli fatto male. 
«Se... se la ami, allora devi dirglielo» mormorò Elia, e poi ci furono dei secondi di silenzio. 
Il castano continuò a guardarlo e dentro di sé sentì delle strane sensazioni. L’associò alla disperazione che provava in quel momento, ma sapeva che in fondo erano dovute alla presenza dell’altro. Elia era una delle persone più importanti della sua vita, se non la più importante. E si diede dello stupido per l’ennesima volta per averlo fatto soffrire. 
«Sai» sussurrò d’un tratto «non ho mai smesso di pensare che tu fossi il mio migliore amico» alluse a quello che era successo. 
Nonostante stessero cercando di andare avanti, quello era un pensiero costante. Pensò di aver fatto bene a dirgli quelle cose, ma Elia abbassò lo sguardo. In cuor suo non sapeva nemmeno il motivo. Forse si aspettava che gli dicesse altro, ma cosa? 
«Ci sei sempre stato per me» gli venne naturale avvicinarsi, e il biondo trattenne il fiato «Anche adesso» gli strinse una mano. Fu un tocco spontaneo, ma dentro di Elia scatenò delle reazioni furibonde. 
Vittorio lo guardò. Era il ragazzo più bello che avesse mai visto, e non solo esteriormente. Nonostante si armasse di quella corazza di indifferenza, sapeva per certo cosa aveva dentro. 
Era tutto più semplice se avesse scelto lui. 
«Mi verrebbe di lasciare perdere tutto e venire con te» si lasciò scappare. 
Elia alzò lo sguardo stupito. Voleva che glielo dicesse. Dentro di lui moriva dalla voglia di tornare come i vecchi tempi, solo loro due. 
«Davvero?» mormorò. 
Il castano sospirò. 
«Sì» rispose. 
Era vero. Nonostante amasse Valeryn, sapeva che il suo posto era con lui. Erano sempre stati loro due. 
Il biondo si morse il labbro. 
«La lasceresti?» osò chiedergli. 
Dimmi di sì. Non deludermi, pensò triste. 
Vittorio nemmeno esitò. Non seppe cosa fu a spingerlo. 
«Per noi sì» rispose. 
Elia evitò di guardarlo. Forse Vittorio avrebbe scelto la via più semplice in quel modo. Però era la dimostrazione del fatto che teneva a lui. 
Erano amici. 
E se ci fosse dell’altro? Non doveva nemmeno pensarlo... come gli era venuto in mente... 
Alzò lo sguardo e vide che lui già lo guardava. Venne in mente a entrambi quell’episodio così intimo alla festa di compleanno. Loro forse erano destinati a stare insieme, ma non in quel momento. Non in quel modo. Vittorio doveva essere felice e non era lui la sua felicità. 
«Non... non voglio questo. Dille che la ami. È giusto così» affermò Elia. 
Sapeva farsi da parte. Aveva sempre saputo farsi da parte. Il castano gli accarezzò una guancia. 
«Elia...» sussurrò. Ed era bello, troppo bello. 
Un velo di tristezza invase i suoi occhi castani non appena il pensiero dell’adozione dell’amico, sentita da sua madre, gli riaffiorò in mente. Aveva parlato con Valeryn la mattinata stessa, non poteva ancora crederci che gli avevano fatto una cosa del genere. Vittorio l’osservò interrogativo, chiedendosi a cosa stesse pensando così assorto. Lui non se lo meritava, non si meritava di soffrire in quel modo... 
Posò la mano sopra quella sua. 
«Vic, io so quello che è successo» disse improvvisamente. 
Vittorio sentì distrattamente il cuore rompersi. Dentro di sé sapeva a cosa si riferiva, ma non voleva darlo a vedere. 
«Che cosa?» chiese sentendo un groppo in gola. 
«Tra te e la tua famiglia. L’ho sentito da mia madre» gli rivelò. 
Fu un pugno allo stomaco. 
«Davvero?» boccheggiò l’altro. 
Era riuscito a tentoni a superare quella notizia, o almeno ci stava ancora riuscendo. Ma in quel momento, il fatto che lui lo sapesse, il fatto che fosse già disperato, incrementarono ancora di più il suo dolore. 
Elia si fece sempre più vicino. 
«Non avrebbero dovuto mentirti. Non avrebbero dovuto farti soffrire così» 
Il castano abbassò gli occhi e sentì le lacrime premere, e non poteva farci assolutamente niente. Aveva troppe emozioni represse e con lui riusciva a farle uscire tutte. 
«È dura, ma la supererai, te lo prometto» gli disse il biondo, alzandogli il viso con le mani «Fidati di me. Loro ti vogliono bene... Hanno solo sbagliato il modo. Ti vogliono bene, sei loro figlio e lo sarai sempre...» Vittorio iniziò a piangere, lui lo vide e lo strinse a sé «Non ti preoccupare, ci sono io» 
Aveva poggiato la testa contro la sua spalla. Le lacrime cadevano silenziosamente. Quando lo aveva saputo avrebbe voluto averlo vicino. E adesso era lì. Si aggrappò a lui. 
«Non piangere, Vic...» soffiò il biondo, e sentì le lacrime agli occhi anche lui. 
Ma Vittorio aveva negato con la testa. Non si meritava un amico del genere. Non si meritava una persona che si prendesse cura di lui in quel modo. Era un ingrato, e un egoista, e forse meritava di perdere tutti... la sua famiglia, lui, Valeryn... 
«Certo che piango, sono un coglione...» biascicò, tirando su con il naso «Perdonami... per quello che ho fatto...» disse ancora. 
Elia non lo lasciò. Non importava più. Forse non gli era mai importato. 
«Va tutto bene» fece in modo che lo guardasse negli occhi «Va tutto bene, okay?» glielo ripeté chiaramente, in modo che la smettesse di sentirsi in colpa. 
Vittorio annuì e si strinse ancora a lui. 
E gli vennero in mente tutti i ricordi più belli che avevano passato insieme. 
Il loro primo incontro. 
Si rivide lui da bambino che giocava a pallone con gli altri. Quel giorno c’erano diversi bambini che non conosceva, tra cui lui. Lui era il più bravo di tutti e lo aveva incuriosito già dal primo sguardo. 
Si rivide caduto per terra per colpa di qualcuno che lo aveva spinto e si era fatto male al ginocchio. 
Il dolore era così forte da avere le lacrime agli occhi. E poi lui, Elia si era avvicinato, lo aveva aiutato a tirarsi su e lo aveva consolato, si era alzato i calzoncini e gli aveva mostrato l’infinità di lividi e ferite. 
Vittorio si era sentito subito meglio dopo quella volta. Non si era più sentito solo. Si era sentito capito. Da quel momento, non era passato un giorno senza che non avessero giocato insieme. 
Era diventato il suo migliore amico, la persona più importante per lui. 
Lo era anche in quel momento... 
Elia lo vide ancora sconvolto e tentò di sdrammatizzare la situazione. 
«So di essere attraente, ma mi stai soffocando» ridacchiò maliziosamente, ma con un tono profondo. 
A Vittorio scappò un sorriso e si asciugò le lacrime con il dorso. 
Poi lo guardò, si guardarono intensamente. 
Era tutto strano, ma bello, era come se si stessero riscoprendo di nuovo dopo tanto tempo. 
Rimasero in silenzio, forse qualcuno avrebbe dovuto parlare, ma era come se qualsiasi parola stonasse in quel momento. 
Veniva solo da socchiudere gli occhi, chissà poi perché... 
La porta della palestra si aprì, ma loro non se ne resero conto. Valeryn, vedendoli stretti in quel modo, ebbe un tuffo al cuore. Quasi emozionata, si avvicinò loro. 
«Voi due così? Cielo, io...» balbettò. 
I due si accorsero della sua presenza. Il castano trasalì e fece per staccarsi, ma Elia lo trattenne. Si sentì infastidito da quell’interruzione, e se Valeryn non la smetteva di fare la stupida orgogliosa gliel’avrebbe detto lui... 
«Che fai, vuoi mica scappare via?» canzonò in direzione del castano. Poi guardò con un cipiglio Valeryn 
«Ormai è mio, mi dispiace» aggiunse in un tono che doveva essere ironico, ma che risuonò un tantino irritato e possessivo. 
Lei lo guardò male e incrociò le braccia. 
«L’importante è crederci» sussurrò. 
Vittorio arrossì leggermente. Era perfino gelosa di Elia? Beh, forse aveva le sue buone ragioni. 
«Com'è, adesso i rivali siamo io e te» sdrammatizzò questi. 
Non voleva destare dubbi, soprattutto a sé stesso. 
Questa puntò lo sguardo per terra. 
«Infatti non lo siamo. Per colpa di una persona» 
Vittorio sentì il cuore perdere un battito. La guardava dispiaciuto, voleva abbracciarla, ma c’era Elia e un po’ si sentiva impacciato. 
«Quale persona?» questi gettò uno sguardo all’ amico «L’unica persona che vedo, oltre noi due, è un ragazzo con i capelli spettinati che è follemente innamorato di te» 
Sia Valeryn, che Vittorio si sentirono in pieno imbarazzo appena il ragazzo pronunciò quella frase. Lei guardò quest'ultimo mordersi il labbro. 
«L’importante è crederci...» 
Elia alzò gli occhi al cielo. Era ora che la smettesse di comportarsi da bimba capricciosa! 
«Smettila. Guarda che sei monotona!» sospirò, poi si sporse e, a sorpresa, li abbracciò entrambi. 
Valeryn si fece avvolgere dalle braccia dei ragazzi, chiudendo gli occhi. Erano mesi che non stavano insieme in quel modo. 
«Vi voglio bene» biascicò. 
«Anche noi» Elia sfiorò il braccio di Vittorio, e questi gli fece un sorriso «D’altronde siamo il “trio dei miracoli”» 
«Che razza di nome!» sbottò questi, ridendo. 
«Chi l’ha inventato?» chiese Valeryn con una smorfietta, ma in realtà stava sorridendo. 
«Daniel, o Carmine, o Alex, o Maia, o boh» prese a entrambi le mani, facendole intrecciare «semplicemente noi» 
Sorrise, mentre Valeryn e Vittorio osservavano le loro mani unite per opera del biondo. 
Elia sentì distrattamente un pezzo del suo cuore volare via quando Vittorio lo guardò con uno sguardo pieno di affetto. Stava faticando tanto, ma sapeva che doveva farlo. Era giusto in quel modo. Loro erano giusti. 
Questi si guardarono ancora, leggendosi l’amore negli occhi. La campanella suonò, segnando la fine dell’ora. Tutti sgusciarono fuori dalla palestra, mentre Valeryn ritirava la mano. 
Vittorio sospirò. 
L’avrebbe riconquistata? 

 

 

 

 

 
 

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Capitolo 26
*** Non posso stare senza di lui ***


 

«Quindi ti ha fatto questo?» Miriana si trovava nel balconcino di casa sua, con degli occhiali da sole, intenta ad ascoltare la storia dell’amica sotto un sole di fine maggio. 
Valeryn scrollò le spalle lasciandosi cadere su una seggiola. 
«Sì, ma Elia dice che non l’ha fatto di proposito» 
«Come sarebbe?» 
«Nel senso che praticamente quella Barbara non gli interessa» sospirò non del tutto convinta delle sue parole «Che ama solo me» 
La mora si tolse i grandi occhiali per guardare meglio in faccia la sua migliore amica. 
«Te lo ha mai detto?» le chiese. 
«Cosa, che mi ama?» 
Miriel annuì. Valeryn scrollò le spalle, sconsolata. 
«No» disse «Si è sempre comportato bene, ma... no» 
«Cosa aspetta a dirtelo, se ti ama!» 
Valeryn guardò di sottecchi l’amica che adesso sorseggiava dell’aranciata rossa e faceva la saputella. 
«Perché Alex te lo ha mai detto?» le chiese piccata. 
Questa quasi sputò tutto il succo. 
«Emh... che t’importa?!» 
La castana le rivolse uno sguardo scettico, mentre Miriel arrossiva. 
«Una volta me lo ha sussurrato mentre lo facevamo, ma non so se ho capito bene» 
«COSA?!» quasi urlò Valeryn. 
«Non so se ho capito bene» 
«No, no, ripeti ciò che hai detto prima!» 
Valeryn guardava con gli occhi spalancati l’amica, che si chiedeva il perché di tanto stupore. 
«Che una volta me l'ha sussurrato. Mamma, Valeryn, che c’hai al posto dell’orecchie?» 
Questa alzò gli occhi al cielo, abbassando un po’ la voce. 
«L’avete fatto?!» 
Miriel si sentì subito in imbarazzo. 
«Ehm, sì... l’altra volta, perché?» 
«Tu non me l’hai detto!» l’incolpò l’amica. 
«Eri così presa da Vittorio, come facevo a dirtelo?» 
La mora fece un sorrisino di scuse, piegando la testa da un lato. 
Valeryn scosse il capo, chiedendosi cosa aveva fatto di male per meritarsi un’amica tanto smemorata e per di più cocciuta. Non che lei fosse meglio, ma Miriel era in cima della scala “stranezze”. 
D’accordo che nemmeno lei era corsa a riferirle che con Vittorio avevano fatto l’amore: ma era stato per una buona causa, insomma. 
E adesso il suo amore era lontano da lei... 
Non poteva e non voleva crederci. Miriel volse lo sguardo verso l’amica che guardava pensierosa il cielo. Si chiese come mai non le avesse fatto il quarto grado, dato che di solito era curiosa e ficcanaso. Poi comprese che la rottura con il suo ragazzo non doveva farle per niente bene. 
«Vale» la chiamò, scotendola da un braccio «è inutile che ti deprimi. Ormai il danno è fatto» 
Questa si voltò sgarbata. 
«Grazie, sai sempre risollevarmi il morale!» esclamò. 
Miriel assunse una faccia sdegnata. 
«Cosa dovrei dirti? È palese che Vitto non ha baciato quella Barabba per...» 
«Barbara, si chiama la stronza!» 
Miriel alzò gli occhi al cielo, sconsolata. 
«D’accordo, sì. Dicevo, è logico che non l'ha fatto apposta! Ci vuole poco a capire che non ha potuto liberarsi in fretta, visto che sei giunta tu nel momento sbagliato!» 
«Lo difendi?!» Valeryn guardò con sfida la sua migliore amica. Miriel resse lo sguardo. 
«No» bevve un sorso di aranciata, con aria saccente «dico che arrivi sempre quando non dovresti» le fece un sorrisino. 
«Quindi avrei dovuto aprire la porta della palestra due secondi dopo, così mi sarei risparmiata la visuale? E non avrei visto che quell’idiota baciava il mio ragazzo?!» Miriel annuì. 
«Caspita, Miri, non ti credevo così stupida! Grazie!» 
Tirò fuori il cellulare, arrabbiata, e prese a trafficare con alcuni tasti, facendo rubrica e messaggi. Miriel si passò una mano sulla fronte; stava sudando freddo e la sua amica le stava rovinando la domenica mattina. 
«Valeryn!» esclamò togliendole il cellulare dalle mani «Smettila di innervosirti. Vuoi capire, o no, che stai mandando a monte la vostra storia per un malinteso?» 
«Torni col malinteso?» Valeryn la guardò torva «E’ un malinteso slinguazzarsi la ex?» 
L’amica si coprì il volto con le mani. Non avrebbe mai più consolato Valeryn, mai! 
«Ma senti, in gita, quando hai detto che Elia ti ha baciata, ascoltami, non è stata la stessa cosa?» 
«Ma che c’entra, noi...» 
L’altra la interruppe. 
 «Ti sei lasciata baciare come una scema anche tu, non dimenticarlo. Siete entrambi sulla stessa barca» 
«Ma poi io mi sono allontanata!» si difese la castana. 
«Vittorio ha fatto lo stesso, cavolo, non stiamo a guardare i particolari!» 
Valeryn sospirò. 
«Perché pensi che Vittorio non l’abbia fatto di proposito?» 
«Io penso che non l’abbia fatto apposta, e se permetti lo pensa il nostro gruppo intero, perché è palese che ti ama. Lui ti ama!» esclamò, scandendo le parole. 
«No...» mormorò scoraggiata lei. 
Miriel si alzò dalla sedia, prese un annuncio sulle offerte del supermercato, lo arrotolò a mo’ di megafono e le gridò contro. 
«VALERYN, IL TUO RAGAZZO, NONCHE’ CUGINO DI TERZO GRADO, HA TRADITO IL SUO MIGLIORE AMICO PUR DI STARE CON TE! SE N’E’ FREGATO DEL PARERE DELLA FAMIGLIA, HA LOTTATO PER DIVENTARE IL TUO FIDANZATO! SMETTILA DI PARLARE MALE DI LUI, O IO MI CHIUDO IN BAGNO! NON TI SOPPORTO PIU'!» 
Parecchi passanti alzarono lo sguardo verso il balconcino. Si sentì la zia della ragazza esclamare un “Miri, stai bene?” dalla cucina. 
Di colpo le due amiche sprofondarono in un silenzio quasi assordante, interrotto solo dagli uccellini di passaggio. 
Valeryn si morse la lingua. 
Che la sua migliore amica avesse ragione? Perché non mettere da parte l’orgoglio? Anche lei amava Vittorio, lo amava con tutto il cuore. Doveva crederci. Doveva lasciarsi andare. Solo per quella volta. Non potevano rovinare tutto così. 
Miriana si lasciò cadere, sfinita, sulla sedia, facendosi aria con il volantino stropicciato. 
«Ehi, Miri» la chiamò un po’ incerta. 
«Per la miseria, che vuoi?!» sbottò «La mia cara finezza è andata a farsi benedire, come vedi» 
Valeryn sorrise. 
«Io non posso stare senza di lui» 
All’affermazione della castana, Miriel lodò gli angeli del cielo. Finalmente quella testarda si era sforzata di capire. Ma che faticaccia! 
  
  
  
  
Elia sorrise guardando il suo migliore amico, che aveva in volto un’espressione un po’ insicura. Teneva in mano una bomboletta spray, e lo guardava tra l’indeciso e il confuso. 
«Eli, sei davvero convinto che dovrei fare in questo modo?» gli chiese. 
Il biondo fece cenno di sì con la mano. 
«Fidati. La conosco, le piacerà» 
Vittorio scrollò le spalle. Entrambi stavano scendendo a piedi dal rione più alto del paese, faceva caldo ed erano solo le nove di mattina. A quell’ora solitamente era nel meglio del sonno, si disse. Ma lo faceva solo per lei. 
«Okay, ma se poi non le piace?» 
Elia sbuffò. 
«Ma sei scemo?» si fermò di fronte a lui, poggiandogli una mano sulla spalla. 
«Io sono sicurissimo che le piacerà, Vitto. Se non ci credi, non lo fare. Ma te ne pentirai» 
Continuò a camminare, lasciandolo indietro. Vittorio guardò ancora una volta la bomboletta, confuso, senza capire se veramente quell’idea del suo amico poteva essere fondata. Però era bella. Però era folle. Gli piaceva, dopotutto. 
Lo raggiunse allungando un po’ il passo. 
Arrivarono vicino a un vecchio ponte dove sgorgava l’acqua. Sopra di esso, vi era un pezzo di muro libero, perfetto per fare quella semplice scritta. Elia dopotutto non aveva avuto una cattiva idea. E neanche Alex, visto che aveva insistito tanto per portarli proprio lì sotto. 
«Ehi, Vitto! Eli!» li chiamò agitando la mano. 
I due lo raggiunsero. 
«Una domanda, Alex. Perché proprio qui?» chiese il castano, non capendo il motivo di essersi dati appuntamenti in quel punto preciso. Alex lanciò uno sguardo eloquente ad Elia, e sorrise. 
«Ho saputo da Miriel che lei è qua» rispose. 
Vittorio si agitò, guardandosi intorno. 
«Qua dove? Cosa dici?» 
I due amici scoppiarono a ridere, prendendolo in giro. Quando finirono, il moro disse: 
«Qui di fronte» e indicò con un dito «abita la zia della mia ragazza. Loro sono proprio in quella casa» 
Riprese a ridere, mentre Vittorio guardava la casa gialla con il cuore che batteva forte. 
Perché adesso era teso? Forse sapere di averla a due passi lo faceva stare male. E se non avrebbe accettato? Se avrebbe rifiutato? Se non lo avrebbe perdonato mai più? 
«Okay, allora io vado a chiamarle con una scusa» gli strizzò l’occhio Alex «Voi provvedete» 
Arrivò sotto casa di Miriana, e stette in attesa che i due compiessero il lavoro. Alzò un pollice come incoraggiamento. Il suo amico Vittorio ce l’avrebbe fatta a riconquistarla. Questo voltò la testa verso Elia, in difficoltà. 
«Non ce la posso fare, cazzo» fece, mordendosi un labbro. 
Il biondo lo guardò esasperato e alzò gli occhi al cielo. Si faceva un mucchio di paranoie quel ragazzo. 
«Ma che ti prende?» domandò perplesso «Non è la prima volta che lo fai. Non ricordi quando abbiamo scritto tutti i nostri nomi al vecchio campo?» 
Vittorio rise e gli lanciò uno sguardo d’intesa. 
«Il mio e il tuo erano scritti più grandi» 
«E con il dorato. Quello di Daniel lo abbiamo scritto con il verde pistacchio» 
Risero come idioti. 
«E allora?» Elia ritornò serio e lo guardò negli occhi «Perché hai... paura? Se è per le persone, tranquillo, ti copro io» 
Lui scosse la testa. 
«Non è che ho paura di farlo. Ma ho paura di come la prenderà lei» ammise. 
Elia continuò a guardarlo in quel modo strano, e Vittorio pensò che non faceva altro che accentuare la sua confusione in quel modo. Voleva essere come Elia, a volte, diretto e incurante, avrebbe avuto meno problemi. 
Il biondo sospirò e scosse la testa. Odiava quando si faceva le paranoie. Però loro erano sempre stati così, le mancanze dell’uno le compensava l’altro, e se Vittorio aveva bisogno di quello per essere felice... beh, lui doveva aiutarlo. 
«Fallo» disse deciso. 
Lo spinse un po’ in avanti. Vittorio deglutì e socchiuse gli occhi. Era contento di avere accanto una persona come lui che lo incoraggiava. Anche se sentiva ancora il peso di quella storia dentro e sentiva che ad ogni gesto nei confronti di lei era come un colpo nei confronti di Elia. 
Sospirò e si mise all’opera. 
  
«Chi è?» 
Alex aveva suonato al citofono della casa gialla. 
«Ehm, sono Alex, il ragazzo di sua nipote» rispose incerto. 
«Io ti ho bucato le ruote? Ma che stai dicendo?» 
Il moro scosse la testa. Il nonno di Miriel era un po’ sordo a quanto pareva, accidenti! 
«C’è Miriel 
«Cosa?!» 
«Sua nipote, intendo» 
«Torni con queste ruote?!» urlò l’anziano «Senti, giovinastro, non far perdere tempo ai signori più anziani di te, altrimenti ti buco le ruote!» 
Alex si spiaccicò cinque dita sulla fronte, facendo cenno ai due ragazzi che lo aspettavano impaziente. 
«E’ il nonno di Miriel, credo sia un po’ sordo» li informò. 
Elia alzò gli occhi al cielo, e Vittorio sospirò. Lo sapeva lui che sarebbe andata a finire in quel modo. Non poteva funzionare, si disse. 
«Elia...» mormorò. 
«Vitto, smettila, o ti meno un pugno» 
Alex tentò nuovamente, senza alcun risultato. Il vecchio signore aveva perfino sbattuto il citofono, indignato. Mentre il ragazzo stava andando via sconsolato, una moretta dalla chioma liscia si affacciò dalla finestra. 
«Ehi, scemo!» esclamò, chiamandolo «Ma è a te che mio nonno vuole bucare le ruote della macchina?» la sentì ridere. 
Il moro sospirò di sollievo, facendo un cenno positivo agli altri due. 
«Ehi, Miri, sei con Valeryn?»                                                          
«Sì, perché?» 
«Scendete subito, c’è una cosa che deve vedere» le fece uno sguardo malizioso e la ragazza capì. 
  
  
  
«No, lasciami stare, cosa vuoi che me ne freghi del carretto della frutta che mi aspetta giù!» imprecava Valeryn, tentando di scrollarsi dalla presa dell’ amica. 
«Dai, sarà divertente» la trascinò giù per le scale, con un po’ di fatica «Non ti piacciono le fragole?» 
«Sì, ma non voglio scendere!» 
Ormai arrivate fuori dalla porta, e non vedendo nessun carretto, la castana incrociò le braccia. 
«Hai visto? Niente carretto. Ora torniamo su» e fece per salire nuovamente le scale. 
«No!» la fermò da un braccio Alex, spuntato dietro di lei. 
La ragazza rimase stupita di vederlo. 
«E tu cosa ci fai qui?» 
Quello sorrise. 
«Guarda lì davanti, è tutta per te» 
Valeryn voltò lo sguardo annoiata verso il ponte, dove la scritta luccicava ancora fresca. Ebbe un tuffo al cuore. 
Quelle semplici parole, quella frase. Si sentì morire. Lui aveva fatto quello per lei. Vittorio aveva fatto quella scritta sul muro solo ed esclusivamente per lei. 

 
“TI AMO CUGINA 

 
Gli occhi le luccicavano, e improvvisamente si scordò del bacio con Barbara e tutto il resto. Voleva solo trovarlo. Voleva solo abbracciarlo, baciarlo, stare con lui. 
«Alex, dov’è lui?» chiese, impaziente. 
Il ragazzo spuntò fuori da dietro un vicolo insieme a Elia. Valeryn attraversò la strada che lo separava da lui, senza prestare attenzione alle auto che sfrecciavano curiose per leggere la scritta, e gli gettò le braccia al collo, poggiando le labbra sopra quelle sue. Lo travolse con un bacio mozzafiato, pieno d’amore, di calore. Quel calore che anche se per pochi giorni, per pochi istanti, era mancato a tutti e due. 
«Non le piaceva, eh» rise Elia, tirando uno scappellotto all’amico, mentre questo era ancora incollato a Valeryn. 
Li lasciò da soli a guardarsi negli occhi. Verde su grigio. 
«Valeryn, scusa...» incominciò lui. 
«No, non dire niente» lo bloccò con un dito sulle labbra. 
«Ti amo» le disse comunque il castano con un sospiro speranzoso «Amo solo te, cugi» 
Lei sorrise, mentre una lacrima le solcava il viso. 
«Da quanto tempo non mi chiami così?» gli chiese. 
«Da molto tempo» sorrise altrettanto lui «E non lo siamo neanche» 
«Già» lo abbracciò «Non voglio perderti un’ altra volta, Vitto» 
Lui la strinse forte a sé. 
«Mai più» mormorò. 
Valeryn lo guardò negli occhi. 
«Ti amo anch’io, cugino» 
Si baciarono dolcemente, riscoprendo il loro amore che sembrava essere perduto, sotto gli sguardi eloquenti di Elia e Alex, e i sospiri innamorati di Miriel. 
Adesso c’erano solo loro due nella loro bolla: Valeryn e Vittorio. 
Solo loro due. 
E nessun’ altro. 
 
 

 

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Capitolo 27
*** Annuncio alla famiglia ***








«Io sapevo che la 
sposa si deve sempre far aspettare, mica lo sposo!» sbuffò un Ross molto annoiato in direzione del suo fratellino minore, della sua gemella e della sua fidanzata. 
Natalie lo guardò male, Nicole sorrise, mentre Vittorio ridacchiò. Fondamentalmente, non sarebbe cambiato mai Ross e questo a lui piaceva. Era il dieci di giugno, sotto un sole estivo e caldo, e loro erano appostati di fronte alla chiesa, agghindati come si deve, in attesa dell’inizio della cerimonia. 
Il giorno del matrimonio di Francesca era arrivato, e Paolo, il futuro marito, non si era ancora fatto vivo. Aspettavano tutti fuori la piazzetta, insieme ai parenti. 
Mena si sventolava il viso con un ventaglio color pesca, mentre Vinicio si aggiustava il colletto della camicia. A breve avrebbe dovuto accompagnare la sua primogenita all’altare. Certo, ammesso che il futuro genero fosse arrivato in tempo! 
Vittorio vagò con lo sguardo fra tutta quella massa di persone. Aveva invitato perfino i suoi amici, che Francesca conosceva, ma evidentemente non erano ancora arrivati. E nemmeno lei. Sbuffò, voltandosi verso Natalie, la quale indossava un vestitino nero che le arrivava fino alla coscia. 
«Sono stufo!» si lamentò «Sto incominciando a odiare questo maledetto smoking» 
«Abbi pazienza, Vitto. Tra poco arriverà Paolo» 
Il castano sospirò, e insieme a lui il fratello maggiore. 
«La verità è che Paolo è sempre stato un ritardatario abbonato, e per questo ne stiamo pagando noi» si allontanò la camicia ingombrante dal collo «Sto sudando da matti!» 
Nicole, premurosamente, gli aggiustò la camicia, scoccandogli un bacio sulla guancia. Natalie la guardò un tantino torva per qualche secondo, dopodiché fece spallucce. 
«Non so cosa ci troverà di bello e attraente in quello lì» bisbigliò poi a Vittorio «Io se fossi in lei ci avrei pensato due volte prima di generare un figlio con lui» 
Vittorio ghignò, mentre Ross, che aveva sentito, spinse la sorella da un lato. 
«Sta’ zitta, sei solo gelosa perché non sopporti l’idea che un’altra ragazza possa portarti via il tuo gemellino con il quale hai passato tutta la tua vita e con cui giocavi a marito e moglie» le fece la linguaccia come un bambino, abbracciando possessivamente da dietro la fidanzata. 
Nicole sorrise, baciando Ross sulle labbra. Sia Vittorio, che Natalie fecero finta di vomitare. Beh, in fondo stavano benissimo insieme, e la ragazza era incinta da quasi quattro mesi. Non lo sapevano tutti in famiglia, e l’avrebbero sicuramente annunciato alla cerimonia. Così come il fatto che lui e Valeryn stavano insieme. A proposito, dov’era finita? Entrambi avrebbero dovuto portare gli anelli; cosa voluta fortemente da Francesca e molto imbarazzante. Si guardò in giro, ma non la vide. 
«Un fratello damigello!» lo schernì Ross, osservandolo dalla testa ai piedi. 
«Un fratellone coglione» rispose pronto Vittorio. 
Natalie alzò la testa fiera. 
Proprio in quel momento, Mena li raggiunse. 
«Ragazzi, è arrivata Valeryn. E dietro di lei c’è pure Paolo. Direi di incominciare a sistemarci dentro» 
Tutti annuirono, e salirono le scale per prendere posto tra i banchi della chiesa. Vittorio porse la mano alla sua ragazza che era appena arrivata di corsa. Portava un vestitino chiaro, con delle scarpe alte e un’acconciatura che le scendeva morbida. 
«Wow!»  esclamò, osservandola «sei bellissima. In assoluto la più bella» 
Valeryn gli scoccò un bacio sulla guancia «Tu di più. Sembra ci dobbiamo sposare io e te, visto come siamo vestiti» 
Sorrisero, dando un’occhiata ai propri abiti. 
«Ma io voglio sposarti veramente un giorno» disse lui. 
«Anche io» 
Paolo entrò in chiesa di fretta, mentre avvertiva tutti che Francesca avrebbe ritardato ulteriormente per fare un giro panoramico con la cabriolet che avevano affittato per l'occasione. 
Ross aveva sbuffato come al solito ed era imbronciato come un bimbo piccolo. Mica ci credeva, quei due non gliela raccontavano giusta... 
Mena, nel frattempo, si era avvicinata ai due ragazzi ed aveva dato loro un mazzo di fiori non molto grande per Valeryn, con un cestino ricamato contenente anelli per Vittorio. Questi rimase perplesso non appena vide il cestino, ma non disse nulla. D’altronde aveva accettato di fare la figura del damigello coglione. Per fortuna aveva accettato pure lei. 
I due ragazzi attesero davanti alla porta della chiesa. Gli sguardi di tutti erano puntati sopra di essi, che erano i damigelli e avrebbero dato inizio al matrimonio. Valeryn si fece piccola piccola dietro Vittorio, un po’ intimorita da tutti quegli sguardi e quel sussurrare fastidioso. Sua madre le fece un sorriso, suo padre alzò il pollice. Scosse la testa. 
Paolo discuteva con Mena e i due testimoni, Natalie era in compagnia del suo fidanzato, Ross indicava Vittorio ridacchiando di nascosto con Nicole. Il ragazzo gli regalò una smorfia. 
«Quanto ci mette mia sorella? Mi sono rotto» mormorò. 
Valeryn annuì. 
«La sposa fa sempre ritardo» 
«E che palle!» 
Lei sorrise. 
«Lo so, ma è tradizione» 
Vittorio alzò gli occhi al cielo. Quel cestino con gli anelli gli stava particolarmente antipatico, ormai, ed era sicuro che continuando di quel passo anche il mazzolino di fiori sarebbe appassito. Colpa di sua sorella maggiore, che di comune accordo con quel simpaticone di Paolo, lo avevano costretto a fare il damigello. A diciotto anni compiuti! Per non parlare di quando quello scarabocchio di Ross lo aveva messo in trappola, proponendo la compagnia di Valeryn. Si era giustificato affermando che le damigelle femmine erano divine, ma Vittorio sapeva che lo aveva fatto apposta. Solo perché aveva promesso che al matrimonio avrebbe detto a tutti della sua storia con lei, a patto che lui facesse lo stesso con la gravidanza di Nicole. Ed era pure ora; la pancia della ragazza era più sporgente e qualche parente invadente le aveva chiesto se non stesse mangiando troppo in quel periodo. 
«Stanno arrivando, posizionatevi!» 
All’annuncio, i due ragazzi si misero davanti la porta, dove in quell’istante un’elegante Francesca, bellissima, con un vestito bianco svolazzante, un velo lunghissimo e un’acconciatura particolare, varcava la soglia accompagnata da Vinicio, visibilmente emozionato. 
Mena si fece il segno della croce non appena vide comparire sua figlia, Paolo tirò un respiro di sollievo e la marcia nuziale partì. Tutti si alzarono, puntando gli occhi verso la sposa e i damigelli, che incominciarono a camminare lungo il tappeto rosso da cerimonia. 
Valeryn si mordeva il labbro, imbarazzata. Non portava gli anelli da quando aveva nove anni, si disse. Vittorio, dal suo canto, vedendola in difficoltà, la prese per mano. La ragazza gli gettò uno sguardo più tranquillo, e proseguirono verso l’altare. 
I parenti erano molto curiosi del gesto del ragazzo e si alzò un lieve chiacchiericcio, fermato da una finta tosse da parte di Ross. 
Quasi arrivati a destinazione, Vittorio volse lo sguardo per la prima volta verso i banchi, intravedendo i suoi migliori amici che lo salutavano. Elia, Alex, Daniel, Carmine e Censeo erano vestiti eleganti e sorridevano verso i due. Vittorio fece mezzo sorriso in loro direzione, ma Daniel, credendo di non essere visto, si mise ad agitare le braccia come un polpo. Lo fermarono appena in tempo, prima che travolgesse l’intero banco. Elia, poi, gli fece l’occhiolino e lui ricambiò con un sorriso d’intesa. 
I due damigelli si posizionarono a destra, dove Paolo sorrideva in direzione di Francesca. Questa lanciò uno sguardo al suo fratellino, sorrise, e si lasciò togliere il velo dal suo futuro marito, che le baciava la fronte. 
Vinicio era rimasto lì impalato, ma per fortuna Mena lo aveva trascinato via, con le lacrime di commozione pronte a sgorgare. 
  
  
  
  
E finalmente si erano sposati. Avevano pronunciato il fatidico “sì”, e Mena era scoppiata a piagnucolare abbracciata alla madre di Paolo. 
Valeryn sorrise quando i due si scambiarono un bacio. Pensò al suo Vittorio, e si maledisse per aver quasi rovinato tutto tra di loro a causa della sua dannata gelosia. 
Al ristorante, il ragazzo l’aveva portata con sé nella tavola occupata da Ross, Nicole, Natalie e il Capus. Lei si sentì un po’ imbarazzata. 
«Ma questa è la tua fidanzata?» chiese Damiano al ragazzo. Vittorio guardò Ross come aiuto, ma questo volse lo sguardo altrove, facendogli un dispetto. 
«Ehm...» 
Natalie lo salvò in tempo, indicando al suo ragazzo una direzione qualunque. 
Valeryn tirò un respiro di sollievo, guardando Vittorio che faceva mezzo sorriso. Poi lanciò un pezzo di carta al fratello che rideva. 
Mangiarono bene, finché non arrivarono i gamberi. Valeryn storse il naso, facendo per vomitare. Odiava i gamberi con tutto il suo cuore, ai livelli di Barbie. Fece una smorfia pensando a lei. 
I commensali gustavano quella pietanza tranquillamente, delle musiche d’amore si espandevano per tutta la sala e i due sposi erano posizionati al centro, con vicino il tavolo occupato dai loro genitori. 
Francesca era bella, stanca, ma contenta; sposare Paolo e farsi una famiglia era il suo sogno. Vittorio era contento per lei. 
«Fuori una dalle palle!» commentò Ross, osservando anch’egli la maggiore «Adesso manca Natalie e siamo apposto» 
La gemella lo fulminò con lo sguardo. 
«Per come stai messo te, fratello, direi di organizzare il tuo matrimonio già da ora!» 
Nicole tossicchiò, mentre Ross intese ciò che voleva dire tardi. 
«Sta’ zitta, cretina» l’apostrofò tra i denti. 
«Quando avrete intenzione di farlo sapere in giro?» chiese lei. 
Valeryn guardò i due con uno sguardo eloquente, il Capus interrogativo. 
«Ehm, non sappiamo...» rispose Nicole. 
Ross, però, la fermò. 
«Oggi stesso, cara sorellina» Natalie fece una faccia indignata «Accompagnati dalla fresca notizia del damigello Vittorio» 
Questi sbuffò. 
«Solo perché abbiamo fatto un patto» disse. 
«Oh sì» Ross fece un ghigno sadico. 
«Quale patto?» chiese Valeryn, guardando interrogativa il suo ragazzo. 
«Devo... Dobbiamo... dire a tutti la verità» sussurrò al suo orecchio. 
«Oggi? Sei sicuro?» 
Fece spallucce. 
«Patto con Ross. Io non ero d’accordo» 
«Ma dai!» si rivolse a quest’ultimo la castana «Che antipatico!» 
«Ci sarà da ridere» si limitò a rispondere questo, sogghignando. 
  
  
Al termine di una canzone sdolcinata, Ross chiamò in privato il fratello. 
Vittorio sbuffò pesantemente. Okay, voleva anche lui urlare al cielo il suo amore per Valeryn, ma caspita, non poteva costringerlo un pallone gonfiato del genere. 
«D’accordo, d’accordo. La pagherai per questo, lo sai?» 
Ross lo guardò scettico. 
«Senti, guarda che anch’ io devo riferire a tutti la mia paternità. Non sei solo tu a essere così imbarazzato» 
«Ross, è tuo dovere avvisare i parenti che tu e Nico aspettate un bambino! Ma allora sei scemo?» il castano lo guardò perplesso. 
«Certo, ma... mi vergogno, va bene? Saranno fatti miei?» 
«E saranno pure fatti miei la mia storia con Valeryn 
 Si guardarono in cagnesco per alcuni secondi, dopodiché ridacchiarono. Che cretini paurosi. 
«Okay, fratello damigello. Come patto di sangue» Ross mostrò l’avambraccio «dobbiamo entrambi dire la verità. Se vogliamo e se non vogliamo» 
Vittorio sospirò. 
«E va bene. Sarà tutta colpa tua» 
«Mh» Ross aveva ancora il braccio per aria e attendeva qualcosa. 
Vittorio fece un’espressione inorridita. 
«Adesso puoi anche abbassarlo, non mi farò mai tagliare una vena per firmare uno stupidissimo patto!» 
  
  
Richiamarono a loro le due ragazze, che si guardarono interrogative. Valeryn aveva capito più o meno ciò che intendevano fare. Nicole, invece, era spaesata. 
«Perché ci stanno portando vicino ai musicisti?» chiese. 
«Ovvio. Vogliono effettuare il patto» le spiegò lei. 
La ragazza andò in panico. 
«Oh no! Non me la sento di fare un annuncio!» esclamò. 
«Neanche io a dire la verità...» mormorò Valeryn, sentendo la strizza pervaderla. 
Nicole le scoccò un’occhiata. 
«Da quant’è che state insieme?» le chiese poi. 
«Un paio di mesi» 
«E siete cugini?» 
Valeryn ripensò all’adozione di Vittorio. In realtà non lo erano, ma non poteva parlare. Annuì solamente. 
Quella fece spallucce. 
«Sai che ti dico? Che non importa. Guarda me e Ross; prima di incontrarlo ero una ragazza in cerca di avventure e poco seria. Quando l’ho sconosciuto, è stato amore a prima vista. E’ il ragazzo più simpatico e dolce del mondo» Valeryn storse un po’ il naso. Non sembrava proprio l’identikit esatto del cugino... 
«Ne sono innamorata così tanto... E guarda come sono finita» 
La castana osservò la sua pancia un po’ pronunciata, in attesa di un bambino. Sorrise. Sarebbe stato bello avere un figlio, ma era ancora troppo presto. Avrebbe compiuto diciassette anni a luglio, aveva ancora tutta la vita davanti. Ma era così contenta per Nicole! Era così bella con quei capelli rossicci e quegli occhi verdi. E Ross, nonostante tutto, aveva del carisma. Sarebbe venuto su un bambino stupendo. 
«Vi faccio le mie congratulazioni. Diventare genitori è bellissimo, anche per due giovani come voi» 
Nicole la guardò radiosa. 
«Grazie. E voi?» 
«Lo amo. Dico solo questo» 
Si sorrisero. Sarebbero diventate delle buone cognate. 
Ross disse una cosa all’ orecchio del cantante che stava alla tastiera, questo annuì, e passo lui il microfono. Vittorio guardò un tantino terrorizzato quello strumento, dopodiché fissò implorante suo fratello. 
«Lo dobbiamo fare per forza?» 
«Sì, Vitto, abbiamo giurato col sangue» 
Tornò a scoprirsi l’avambraccio. 
«D’accordo, okay» il più piccolo alzò gli occhi al cielo. 
Ross batté sul microfono per richiamare l’attenzione degli invitati. 
«Un attimo di attenzione, prego» 
 Tutti si voltarono verso di lui. 
«Che diamine vuole fare quel pazzo di Ross?» chiese Vinicio sospettoso a Mena, che alzò le spalle. 
C’era anche Vittorio con lui. Erano due pazzoidi. 
«Ehm, noi, intendo io e mio fratello Vittorio» questo fece un sorrisino di circostanza «vorremo annunciarvi due splendide, ehm, notizie» 
Vinicio sussultò. 
«Che non voglia dire della gravidanza?» sussurrò alla moglie. 
«Come prima cosa un augurio speciale a nostra sorella» diceva Ross, e Francesca scosse la testa, divertita. 
«Ciao, Fra, stacci bene. E tu Paolo, non far caso alle sue stranezze, è sempre stata un po’ scema» 
Alcuni risero, mentre la ragazza tossicchiava. 
«Adesso passo la palla, che poi palla non è dato che è un microfono, al damigello. Incomincerà lui per primo» Guardò Vittorio, che era pietrificato sul posto. 
«Avanti, Vitto, prima le donne» lo prese in giro. 
«Non sono una donna» sibilò lui. 
«Embè, fa lo stesso» Gli offrì il microfono. 
Il castano gettò uno sguardo d’aiuto a Valeryn, che era accanto a lui. Questa sospirò sconsolata, e gli si accostò. Lo dovevano dire, era necessario. Inspirò un po’ d’aria. 
«Ciao a tutti, bel matrimonio. Fra, ti voglio bene» si rivolse a sua sorella, che le mandò un bacio con la mano «Beh, insomma... Noi volevamo dire una cosa parecchio importante a tutti voi... Perché è giusto che lo sappiate, che non vi facciate strane idee, e beh... insomma, come spiegare...» 
Il ragazzo si passava una mano tra i capelli, non sapendo come continuare. Valeryn gli scoccò uno sguardo incoraggiante, sorridendo con amore. 
«Io e lei, Valeryn, stiamo insieme» disse, poi, velocemente. 
I commensali si guardarono tra di loro, chiedendosi se i due non fossero cugini. 
Piero, il padre della ragazza, aveva quasi sputato il vino dalla bocca. 
«EH?!» lo sentirono urlare. 
«Io ho cercato di dirtelo» gli disse Rosa con il tono più ovvio, sorseggiando dal suo bicchiere. 
«Ma sono cugini!» esclamò. 
«Non lo sono, in fondo. Non incominciare a metter loro i bastoni tra le ruote!» 
«Ma io sono calmo!» si rivolse verso Mena, nervoso «Mena! Per la miseria, che si sono messi in testa i nostri figli?! Non sarà vero?!» 
Lei annuì, alzando le spalle. Piero spalancò le orbite. 
«Io non riesco a capire... Ma... Che sta succedendo?!» 
«Smettila, Piero! Sono solo dei ragazzi!» 
«Ragazzi un corno, sono praticamente parenti! Sono cresciuti insieme!» 
«Non si conoscevano nemmeno due anni fa!» 
«Non m'importa! Non lo permetterò! MENA! Mena, devi darmi delle spiegazioni!» 
La donna si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla per calmarlo. 
«In realtà non saprei cosa dirti, cugino, dovresti parlarne con tua figlia, mi sembra pienamente consapevole» disse lanciando uno sguardo eloquente verso i due ragazzi. 
Piero strinse un fazzoletto tra i denti. 
«GRRRR! QUESTO È IL COLMO!» 
L’uomo fece un cenno stizzito verso la ragazza per farle intendere che a casa avrebbero parlato, mentre Rosa lo scansò, facendo un sorrisino per assicurarle che invece tutto andava bene. Questa fu più tranquilla e lanciò un sospiro di sollievo. Guardò Vittorio, che la strinse forte a sé. 
Ross si era impossessato nuovamente del microfono. 
«Allora, un applauso incoraggiante per questa mitica coppia?» 
Tutti batterono con calore le mani, perfino Piero che borbottava ancora imprecazioni. Elia e gli altri fischiarono di giubilo.  
«Siete pronti a sapere la mia di notizia, adesso?» chiese il maggiore «Del vostro Ross?» 
«Sbrigati, deficiente!» gli urlò Natalie. 
«Okay, cretina, ti accontento subito» inspirò dell’aria e poi la rilasciò «Vedete la mia fidanzata, Nicole? È la donna che amo, e insieme aspettiamo un bambino da quattro mesi. Sarò padre 
Ci fu un silenzio di tomba. Ross aveva un sorrisino finto in faccia, in attesa che qualcuno parlasse. Nicole era preoccupata. La notizia aveva fatto scalpore. 
«Ehi voi?! Mi sentite?» 
Vittorio incominciò a battere le mani, seguito da Valeryn, Francesca e perfino Natalie, che sbatteva la testa, in realtà felice di diventare zia. 
Tutti li imitarono, intonando un coro di “Auguri” e  Congratulazioni”. 
Ross abbracciò Nicole e suo fratello, che era stretto ancora alla sua fidanzata. 
«Grazie, grazie a tutti. Rimandiamo gli autografi a dopo» poi si voltò immediatamente verso Daniel «E tu, pivellino, metti subito via quel cellulare, niente foto e paparazzi!» 
Il ragazzo dai capelli a caschetto tornò a sedersi al suo posto, sconsolato. 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 28
*** Insieme finalmente ***











«TS FAINAL CAUNDAUN!»



 
Vittorio sorpassò suo fratello Ross, parecchio brillo, che urlava e saltava con vigore vicino a una spaesata Nicole. Scosse la testa sorridendo. 
Tutti si erano precipitati a ballare. Aveva concesso il ballo a Natalie che insisteva, il Capus aveva danzato con Valeryn - cosa che non gli era andata tanto giù - e adesso doveva uscire da quella mischia di parenti e amici che si scatenavano. 
Intravide Francesca ballare con suo padre e rise a crepapelle notando i movimenti buffi dell’uomo che cercava di imitare John Travolta. 
Ma dov’era capitato?! Quella era la famiglia più speciale del mondo, si disse, l’amava con tutto sé stesso. Non avrebbe mai potuto fare a meno di Ross, Natalie, Francesca e i suoi genitori. 
Pensò per un attimo alla sua vera madre e credette che forse era destino che Marta morisse. Tutto era successo per far incontrare lui quelle splendide persone di cui aveva dubitato. Aveva sofferto, ma i rancori erano andati ad affievolirsi. Anche con sua madre. Mena ballava con Piero, suo cugino di primo grado, che guardava proprio in sua direzione. Vittorio lo salutò con un sorrisino sghembo. Qualcosa gli diceva che non aveva preso bene la notizia e sua madre stava sicuramente provando a convincerlo, ma poco male, ormai ci era troppo dentro. Amava quella ragazza, non poteva tornare indietro. 
Adesso doveva solamente trovarla per stringerla in un ballo tutto per loro. L’aveva appena scorsa che ballava, quando qualcuno lo fermò da un braccio. 
«Vitto, sei stato grande!» Francesca lo abbracciò «Hai detto la verità davanti a tutti, ti sei dimostrato molto responsabile» 
Vittorio avrebbe voluto dire che Ross aveva fatto di tutto per farsi scippare un patto, ma stette in silenzio e annuì. 
«Grazie, Fra. Era mio, ehm, dovere» 
«E sei stato bravissimo e bellissimo nelle vesti di damigello» gli strapazzò fastidiosamente le guance mentre lui faceva una smorfia. 
«Valeryn, poi, è stata splendida!» 
«Lei lo è sempre...» sussurrò quasi senza rendersene conto. 
«Cosa?» 
«Ehm, che tu sei splendida» si corresse. Ed era anche vero. 
Francesca unì le mani affettuosamente. 
«Oh, fratellino, grazie! È il complimento più bello che abbia mai sentito!» 
Lo stritolò in un abbraccio, approfittando per muoversi in un ballo lento. Vittorio maledisse mentalmente la sua boccaccia. 
Quando Paolo trascinò la sua sposa a danzare, il ragazzo si dileguò tra gli invitati ringraziando il cognato. Doveva trovare Valeryn. 
«Frate!» 
Ross si lanciò sopra di lui senza preoccuparsi di fargli male. 
«Ti amo!» gli urlò poi in un orecchio. 
Vittorio fece una smorfia schifata, togliendoselo di dosso. Puzzava di alcol ed era molesto. 
«Io no. Vedi di sparire, cretino» 
«Ehi, ehi, io sono il maggiore!» ribatté il ragazzo, puntandogli il dito contro, con fare minaccioso. 
Ma aveva il singhiozzo e non era certo credibile. 
«Non ti sopporto più, Ross, va’ a ballare la samba da un’altra parte!» il castano lo lanciò sopra qualcuno, che sbraitò. 
«Dico, ma ti sembra il modo?!» urlò Daniel, spuntato da chissà dove. 
«Stavo solamente venendo con lo scopo di farti gli auguri e per dirti che mi stavo quasi mettendo a piangere dalla commozione quando ti ho visto nelle vesti di quel grazioso damigello immacolato» Vittorio fece una faccia sconcertata «e tu mi ripaghi gettandomi addosso questa specie di individuo?» 
Ross gli mollò un pugno sulla nuca. 
«Chiudi il becco, testa quadrata, io sono una persona importante!» 
Vittorio rise, mentre il ragazzo con i capelli a caschetto si massaggiava la testa. 
«Per la miseria, mi ha rotto il cranio!» si lamentava. 
«Così ti impari, pivello!» 
Ross se ne andò sculettante, mezzo ubriaco. 
Vittorio aveva sospirato; meno male che il fratello non doveva bere mai più! Si voltò verso un Daniel dolorante. 
«Però tu te le cerchi sempre, eh?» 
«Stai zitto! Se tuo fratello è un assassino non è colpa mia!» lo guardò torvo quello. 
«Ma è pure vero che tu sei un rompipalle» 
«Come ti permetti?!» Daniel si avvicinò minaccioso, ma nello stesso momento qualcuno gli tirò un calcio sul didietro. 
«AHIA!» ululò «Per diamine, chi è stato?! Lo ammazzo!» 
Si voltò trovando Elia che lo fissava scettico. 
«Amico mio, sei stato tu? Questo non me l’aspettavo da te...» 
«Vuoi lasciare in pace Vitto?» chiese con una smorfia «O ti diverti a farti menare?» 
Daniel fece per aprire bocca, ma la richiuse sotto un suo sguardo ammonitore. Vittorio sorrise trionfante verso il biondo. 
«Uhm...» borbottò «D’accordo. Ma solo perché c’è la torta nuziale!» 
Il castano lo squadrò scettico dalla testa ai piedi. 
«Ma va, sei peggio di un tricheco. Pensa a dimagrire» 
«E tu pensa alla tua pazza di fidanzata!» 
«Non nominare Valeryn o ti pesto!» lo minacciò Vittorio. 
«VALERYN LA PAZZA!» urlò Daniel con tutta la forza che aveva in corpo. 
«TESTA DI CAVOLO!» 
«CERVELLETTO!» 
«MEDUSA!» 
«Sara Calvarano 
Daniel saltò sull’attenti. 
«Chi ha osato nominare la mia piccina?!» esclamò. 
«Hai visto come t’incazzi?» 
Il ragazzo guardò Elia in cagnesco. Era stato lui a nominare la sua amata. 
«Tu sei pazzo, Elia! Andando dietro a Vittorio e Valeryn ti sei rincitrullito completamente, per tutti i piripilli!» esclamò, indignato. 
«Basta, auguri per la parte del damigello gay» si rivolse al castano «e buona fortuna. Io vado da un’altra parte, voi due insieme mi state troppo sui gioielli d’oro di famiglia!» 
Se ne andò, sorpassando una marea di persone, inciampando sui suoi stessi piedi. Risero appena imprecò contro Carmine e Alex che tentavano di alzarlo. 
«Che piaga!» sbottò subito dopo Vittorio, sospirando «Non lo sopporto più» 
Elia scosse la testa. 
«Prima era in vantaggio perché stavo contro di te e poteva insultarti quanto voleva. È fatto così. Mentre adesso...» si fermò. Poi lo guardò negli occhi e si bloccò. Non sapeva nemmeno lui cosa voleva dire. 
«Adesso?» lo incitò l’amico. 
Elia scrollò le spalle e tentò di ridestarsi. 
«Adesso sto solamente dalla tua parte. Hai fatto bene a dire tutto a quel microfono» gli diede un cinque. 
Vittorio sorrise con affetto. 
«Mi diverto troppo quando sto con te» gli disse. 
Il biondo ricambiò il sorriso. 
«Mi mancavano tutte le nostre cose. Le nostre idiozie, i nostri consigli, le nostre chiacchierate. Non dividiamoci mai più» 
«No, se ci divideremo sarà soltanto per un motivo...» 
Elia lo guardò preoccupato e nello stesso tempo curioso. 
«Per cosa? Ormai abbiamo posto il divieto di non innamorarci più della stessa ragazza» 
«No, per l’appunto» Vittorio ghignò, poi lo guardò allusivo. 
«Non saremo più amici quando uno dei due si innamorerà dell’altro» se ne uscì infine. 
Voleva essere una battuta per fare intendere che probabilmente la loro amicizia non si sarebbe mai distrutta, ma Elia pensò che non si riusciva mai a prevedere niente di certo nella vita. 
Risero entrambi, prendendola come un gioco. 
«Probabile. Fai attenzione, non ci assicura nessuno che tu non lascerai lei per me, Vic» lo prese in giro, con una punta volutamente suadente nell’usare il suo soprannome. 
«Secondo me ti innamorerai per primo» scosse la testa Vittorio. 
Il biondo rimase per un po’ interdetto. Anche se stavano scherzando quelle parole gli avevano fatto effetto. Ma dato che aveva esagerato con il vino decise di sdrammatizzare e gli strizzò un occhio, poi lo spinse verso una ragazza dall’aria familiare. 
«Sta’ zitto! Va’ a cercarla prima che cambi idea e vi ammazzi entrambi» lo canzonò con un ghigno. 
Vittorio guardò il ragazzo con aria leggermente preoccupata. Fece un sorrisino incerto, mentre questi rideva. 
«Scherzo, scemo, sbrigati altrimenti la perdi di nuovo» gli consigliò. 
Il castano tirò un sospiro, e poi si sporse per abbracciarlo. 
«Grazie» gli sussurrò. 
Elia lo guardò in viso e fu tentato di aggiungere qualche altra cosa. Ma nuovamente lasciò perdere e gli diede una pacca sulla spalla. 
Vittorio andò via e il biondo l’osservò attentamente andare in direzione della sua ex ragazza. Proprio in quel momento capì che Valeryn non avrebbe potuto trovare di meglio. Stare insieme era la cosa migliore per entrambi, si disse, loro due sembravano fatti l’uno per l’altra. Il rapporto tra lui e Vittorio non sarebbe cambiato, era speciale. 
Fin troppo speciale... 
E sarebbe sempre stato così. 
Nonostante tutto. 
Una sensazione di amarezza attanagliò il suo petto, ma decise di smettere di pensarci e afferrò Carmine, trascinandolo a bere altri calici di vino e a ballare in mezzo alla mischia. 
 


 


  
Valeryn uscì fuori. Si spostò delle ciocche che le ricadevano in volto, e si sventolò con una mano; faceva caldo, in fin dei conti era giugno. 
Poggiò le braccia sul balcone, osservando il panorama davanti a sé. Era ormai buio, gli alberi che le si paravano di fronte erano scuri e le foglie nemmeno si riconoscevano. La luna era piena, luminosa e romantica. Inspirò una grande quantità d’aria. Che pace, che tranquillità. Quasi si sentiva meglio dopo tutti i casini successi in quegli ultimi mesi. 
Vittorio la raggiunse dopo averla adocchiata per colpo di fortuna. Le si avvicinò sorridendo e l’abbracciò da dietro. 
«Ehi, non vieni di là?» le chiese. 
Valeryn negò con la testa, tornando a guardare il cielo. 
«No, preferisco prendere un po’ d’aria» rispose. 
Il castano la guardò interrogativo, ma non si mosse. 
«Ce l’hai con me perché ho detto di noi a tutta la sala?» azzardò. 
Effettivamente non aveva nemmeno chiesto un suo parere. 
Lei, però, lo guardò interrogativo. 
«Perché dovrei avercela con te? In fondo era ciò che speravamo» rispose. 
«E allora?» la incitò a parlare «Sei stanca?» 
Valeryn non rispose, continuando a guardare con un leggero velo di malinconia il cielo. 
«Sono successe un sacco di cose, amore mio» sussurrò «Non riesco ancora crederci...» 
Il ragazzo la strinse più forte a sé. 
«Non riesci a crederci che ormai noi due stiamo insieme ufficialmente?» 
Lei fece un sorrisino sghembo. 
«No, non questo. Sembra passata un’eternità...» 
Lui le accarezzò il viso, dolcemente. 
«E invece no» 
«Invece sì» sospirò «L’estate con Elia, i nostri sguardi, i nostri abbracci, quando tutto non era ancora chiaro...» 
«Ci consideravamo ancora cugini...» mormorò l’altro. 
«...io che mi accorgo di amarti, tu che stai male, il bacio alla gara. Per non parlare della rottura tra te ed Elia!» 
Vittorio annuì, volgendo a sua volta gli occhi al cielo. 
«So che gli ho fatto veramente male. Lui fa finta di averci messo una pietra sopra, ma in realtà non so quanto può farlo soffrire ancora» 
Valeryn sospirò. 
«Abbiamo sbagliato a fargli questo. Ma quello che ci è capitato è stato così forte e improvviso» 
«Lo so» ripensò al biondo e al suo sorriso e sentì qualcosa al cuore. Non riuscì nemmeno lui a capire cosa fosse. 
Poggiò il mento sopra la testa di Valeryn per distrarsi. La sua testa vagò e gli venne in mente tutto quello che aveva passato. 
«Grazie, amore» disse dopo. 
«Grazie per cosa?» 
«Perché mi sei stata vicina nel momento più brutto della mia vita» abbassò lo sguardo «Mi hai aiutato tanto. Chissà cos’avrei fatto senza di te» 
Lei gli fece una carezza. 
«Io per te ci sarò sempre» 
«Anche io» Si guardarono negli occhi «Non voglio che ci divida niente e nessuno. Nemmeno tuo padre o mia madre» 
Valeryn sospirò, scuotendo la testa. Quasi se n’era dimenticata. 
«Mannaggia a mio papà! Non so se l’abbia presa bene» commentò sconsolata. 
«Prima mi ha lanciato uno sguardo omicida»  
«Che cosa?!» 
«Non preoccuparti, se non vuole che stiamo insieme ti rapisco» 
Risero insieme. 
«E ti porterò via da qui. Solo noi due» sussurrò all'altezza del suo orecchio. 
«Quanto sei poeta, amore mio» lo prese in giro lei. 
«Questi sono i sintomi di quando uno è fottuto» 
Lei si mise a ridere a crepapelle. 
«Ma va?» 
«Certo. D’altronde mi sono innamorato di mia cugina» 
Lei lo guardò intensamente. Gli passò una mano tra i capelli perdendosi in quegli occhi grigi. 
Quanto era bello il suo amore? Quanto l’aveva fatta cambiare? L’aveva fatta diventare più forte, più matura, più donna. 
«Te l’ho già detta una cosa?» sussurrò lui d’un tratto. 
«Cosa?» 
Le baciò pian piano il collo. 
«Che ti amo» 
Valeryn non fece in tempo a rispondere che lo amava anche lei, quando il ragazzo la catturò in un bacio mozzafiato. 
Sentì per un attimo la testa girare, era presente solo con il cuore, non respirava più. Ricambiò senza aspettare oltre e l’attirò a sé con foga. Voleva che la prendesse subito, non importava il luogo, non importava il giorno. Lo amava come mai aveva fatto prima. 
Vittorio le accarezzava la schiena. 
Desiderò che quel momento non finisse mai. Entrambi lì, su quel balcone che incoronava per l’ennesima volta il loro amore. 
Uniti come non mai, stretti, sicuri, innamorati. 
Non esisteva nessun altro oltre loro in quel momento così speciale. Nessuna persona a parte Valeryn e Vittorio, nessun sentimento a parte il loro amore. 
Niente poteva intromettersi nella loro bolla. 
Erano solo loro due in quella dolce, ma anche un po’ amara splendida follia. 













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